linci » *1 .1 U Istituto e Museo di Storia delu\ Scienza Firenze Cons. Autori GALILEI.G B I B frr ■ ■ V l V'J.t XI * • l3pi5 *■ smm •. t. ■ 7 T %» -• » I t_7 li *•£*-* frf LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME I FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE 1929 -Vili LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume I. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L'ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume I. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 1929 - Vili. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 432. HRENZR, 1/8-1 «*j»-3o — Tipografia Barbèra - Alfa Ni k Venturi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale IL II. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTI — G. COVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per i.a cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO GLI AUSPICII DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIÓNE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore : ANTONIO GARBASSO. Consultori: GIORGIO A BETTI — ANGELO BRUSCHI. Assistente per la cura della Ristampa : GASPEIIO BARBÈRA. AVVERTIMENTO ALLA RISTAMPA Antonio Favaro e i suoi Collaboratori dedicarono (dia Edizioni Sa tornili delle Opere di Galileo Galilei (ulte le cure con somma competenti c mina rotiti), cosicché si può dire che VEdizione, per la compilazione c la stampa della quale occorsero circa 20 anni , riuscì sotto tutti i punti di rista (piasi perfetta. Tuttavia alcuno aggiunte e correzioni saranno apportati alla Ristampa. Queste vengono consigliate ed indicate in parte da successive jmbblicaziout i da note autografe dello stesso Favaro , in parte da un riesame dei manoscritti i dei documenti, in parte dallo studio della bibliografia galileiana posteriore all' EaIì- zionc Nazionale. Saranno ristampati i nuovi documenti trovati dal canonico Cloni nelVArchivio Arcivescovile di Firenze e da lai pubblicati quando il Voi. XIX dell' Edizione Nazionale era già uscito. F anche nostra intenzione di migliorare, quando sia utile per maggiore eri- denza , il materiale illustrativo con i più perfezionati mezzi fotomeccanici di cui oggi possiamo disporre . La ristampa, tanto desiderata e attesa dagli scienziati e studiosi di tutto il mondo, condotta secondo i criteri da noi esposti, resulterà, speriamo, la Edizione integrale delle Opere immortali di Galileo Galilei. AVVERTIMENTO. Le scrit ture scolastiche, che, coir appellativo di < Iuvonilia >, noi diamo qni, se¬ guendo T ordine cronologico propostoci, 1 " per la prima volta alla luce, può dirsi rimanessero fino ai nostri giorni quasi del tutto ignorate; eh è Domenico Berti vi accennò soltanto per lamentare che fossero state omesse dagli editori doli* opero di Galileo, w e ad un breve saggio si ridusse quello che, or non ha molto, ne venne portato a conoscenza degli studiosi. w Dalla famosa dispersione dei manoscritti raccolti giù da Vincenzio Viviani, si salvarono queste scritture unito allora in un medesimo codice con alcuni elementi di dialettica, da Galileo stesso copiati nella sua adolescenza : ( " ne vennero sepa¬ rate nel riordinamento eseguito da Vincenzio Antinori per commissione del gran¬ duca Leopoldo II; ed oggidì tra i Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze costituiscono il Tomo I della Parte III, la quale, insieme con la IV, comprende tutti i lavori astronomici del nostro Filosofo. Il Codice (S) ò indicato contenere : < L’ esame dell* opera d’Aristotele < De Caelo > fatto da Galileo circa hanno 1590 >; ma vedremo fra poco come l’età di queste scritture e l’indole loro possano essere determinato con maggiore esattezza. Esse risultano di due fram- 0) Per la edizione nazionale delle Opere di Qa • lileo Galilei sotto gli auspicii di S . M, il Re d'Italia. Ksposizione e Disegno di Antonio Favàro. Firenzo, tip. di G. Barbèra, 1888. 0) Storia dei Manoscritti Galileiani della Biblio¬ teca Nazionale di Firenze ed ijidicazione (fi parecchi libri e codici postillati da Galileo ; nota del socio DomkntoÒ Bruti: negli Atti della Reale Accademia dei Lincei ; Scr. II, Tomo III, png. 100. (*) Alami scritti inediti di Galileo Galilei tratti dai Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze pubblicati ed illustrati da Antonio Favako : nel Bal¬ lettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Ma¬ tematiche e Fisiche; Tomo XVIII, pag. 4-21. (‘) Biblioteca Nazionale di Firenzo, Indico dei Manoscritti dalla Biblioteca Noli!, car. 10 v. — Cfr. In¬ torno ad alcuni Documenti Galileiani recentemente sco¬ perti nella Biblioteca Nazionale di Firenze per An¬ tonio Favaro: nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche; Tomo XIX, pag. 30. ( # ) Yoggasene una particolareggiata doscrizione in Fa varo, Alcuni scritti inediti di Galileo Galilei, ecc., pag. 1-8. AVVERTIMENTO. menti distinti anche materialmente, poiché occupano due taciceli messi in mmo soltanto da chi ordinò l’attuale rilegatura del Codice. Il primo frammento, che nella presente edizione ò compreso dalle pagine 15-110, è mutilo alla fine; e quan¬ tunque abbia un proprio principio, pure vi bì accenna ripetutamente ad altri studi che dovevano precedergli, e dei quali si ignorano le sorti: . sso abbraccia una intr.» duzione generale, divisa in due questioni, sull’argomento e sul titolo dei libri di Aristotele De cado, la Tractatìo prima De mando in quattro questioni, < ] i Trndat: * De cacio della quale abbiamo cinque questioni ed una parte abbastanza notevole della sesta. Il secondo frammento, mutilo in principio od in fine, comprendo pure due trattati. Del primo (pag. 111-122) rimangono le ultime linee d’una questiono prima, la questiono seconda De intensione et remissione mancante di una conchiu- sione, e intera la terza ed ultima De partibus sive gradi bus queditatis. 11 secondo trattato De elementis (pag. 122-177) comincia con una breve introduzione, alla fine della quale è annunziata la divisione del trattato in quattro parti: la prima si sud¬ divide in quattro questioni, delle quali le duo ultimo presentano qualche lacuna; e della Secunda disputalo restano le prime tre e parte della quarta, con che l'opera rimano interrotta. Con tale ordine trovansi oggidì riuniti insieme i due frammenti, e imi ab¬ biamo stimato opportuno di conservarlo: perché, bc. da un lato vi sono ragioni le quali persuaderebbero a far precedere il secondo, non mancano gli argomenti per mantenerlo a suo luogo; non ultimo fra’ quali il trovarne citate nel primo alcuno parti con un < probabitur suo loco », w che non ammetto dubbi intorno all’ ordine della respettiva precedenza. Gli c luvenilia > occupano le prime conto carte del codice, con interruzioni che al proprio luogo saranno indicato, e sono dalla prima all' ultima linea autografi di Galileo : nè vogliamo nascondere che questa circostanza capitale valse grande¬ mente a togliere di mezzo lo incertezze che rispotto alla pubblicazione di dette scritture ci si erano affacciate ; anzi, ci affrettiamo a soggiungerlo, non ci volle meno dei larghissimi criteri che ci siamo prefissi di seguire, per indurci ad allo¬ garle nella presente edizione. Tali incertezze avevano per principale fondamento il non potersi in alcun modo fornirò la prova squisita dio Cosiffatte scritture, quantunque stese di pugno di Galileo, siano parto della sua monte, non man¬ cando anzi gravi indizi per credere che in esso non ispetti al nostro Filosofo se non la troppo modesta parte di amanuense. E, di vero, la nitidezza stessa del Codice esclude fin da principio che si tratti di un primo originale: la erudizione sparsavi in così larga misura permetto dif¬ fìcilmente di pensare queste scritture opera d’un giovane; mentre, che Galileo le esemplasse da altro manoscritto lascerebbero argomentare alcuni errori affatto materiali, che si troveranno esattamente indicati appiè di pagina, e i quali, meglio (') Cfr. pag. 70, lin. 22. Il limando si riferisce agli argomenti trattati a pag. 170 e »eg. AVVERTIMENTO. 11 cho con altre ipotesi, si spiegano come inavvertenze di chi trascrive. 11 ' Chiari segni di trascrizione sarebbero puro i luoghi noi quali si trascorre (sebbene poi siasi corrotto) (la una data parola al passo di qualche linea più sotto, dove la parola medesima trovasi ripetuta. (,, Osservabili sono pure alcuni passi guasti e privi di senso, ed alcuno lacune, le quali sembrano non potersi attribuire se non al fatto che chi trascriveva non capiva il carattere dell’ originale. Notevolissimi poi ci sembrarono i casi di lacune lasciate o, con tutta evidenza, posteriormente riempiute, nei quali lo spazio rimasto bianco non essendo bastato a contenere tutto le parole omesse, sebbene si scrivessero in carattere più minuto, il di più dovette aggiungersi in margine . 1 * 1 Ma non mancano i luoghi i quali indurrebbero a credere che Galileo, pur trascrivendo, compilava, ossia esprimeva in altri termini il senso del testo cho aveva sotto gli occhi.* 1 ’ Egli era soprattutto da evitarsi che queste scritture, le quali noi avessimo date per Galileiano, si fossero trovate poi stampate ed attribuite ad altro autore; o per ischivaro questo massimo pericolo abbiamo usata la maggior diligenza pos¬ sibile, sia cercando noi stessi, por quanto lo consentivano le cognizioni nostro, sia ricorrendo al parere degli uomini in tali specialissimi studi maggiormente com¬ petenti. E poiché l’esame di queste scritture scolastiche pone in evidenza cho non differiscono di molto dai consueti commentari coi quali a quo’tempi si espo¬ nevano dalla cattedra le dottrine d’Aristotele, ci parve, fino a prova contraria, di poter assumere cho tale origine sia ad esse da attribuirsi, come confortereb¬ bero a credere un < ut videtis >, e un < adverte me loqui >, cattedratico per ec¬ cellenza, cho vi si riscontrano. In tali conchiusioni ci conferma l’età di queste scritturo, la qualo da un luogo (l’osso rimano perfettamente determinata. Discutendo la questiono < Quid sentiendum sit de origine mundi secundum veritatem >, si divide il tempo passato (■) Vedi, p. e,, il caso avvertito a pag. 18, nota 3. Notevole è pure die a car. 97 r„ allo pnrolo « Scenn- dum, id quod connotative > (pag. 171, Hn.24),w (pag. 1G, Un, 5), fu scritto « totius Physicae > e poi fu cancellato; ed ò dovuto al « totius Pbysicao * dolla linea seguente. A car. 18 r. dopo le pnrolo « eiusdem climatis, reapectu > (pag. 41, lin. 18) Ri saltò alle pa¬ role « eosdom aspoctus successive *; poi fu cancellato o riproso. (•) A car. 75 v., lin. 7, era stata lasciata una la¬ cuna corrispondente alle paiolo « aquao ut patet oxporiontia est minimo activus; ergo non potest re- frangero > (pag. 186, lin. 32-33); la quale non ossendo stata sufficiente a contenere tutto il passo, le parole « ergo non potest refrangero * si aggiunsero margi¬ nai monto, richiamandolo con relativo sogno ni loro luogo nell’interno del tosto. Ugualmente a car. 5 r., lin. 8, le pardo « consecutivo ot por accidcns, sed per so » (pag. 17, lin. 10-11) sono scritto in margine e ri¬ chiamate poi nel testo; o qui l’indizio che l’ama¬ nuense non avova calcolato bone lo spazio bianco da riempirò con le parole tralasciato, ò tanto più evidente, in quanto della parola « consecutivo » lo primo due sillabo sono uol tosto e le altro tre nel margino. I») A car. 70 r„ dopo * sed hoc est centra expe- rlontlam : ergo > (pag. 130, lin. 81), era scritto: « Tertium argomentai» : si qunlitns non est forma elementi », lo quali parole furono poi cancellate : cioè si ripeteva, in termini poco diversi, l’argomento esposto nel periodo precedente. 12 A V V KKTIM KNTO. dalla creazione del mondo in vari periodi, e ni sirivi- che dulia munt ,
  • . w Senza dubbio alcuno, dunque, ciò scriveva G dil«*o durante l’anno 1584. Ma in detto anno era egli scolaro nello Studio di 1: i presso il quale, essendosi immatricolato fra gli artisti,’ attendeva agli studi di lilo««»tia <• di medicina. Quindi le indagini, che noi ci eravamo proporti di istituir.-, avrebbero potuto trovare in questa circostanza un elemento prezioso, se la quasi completa dispersione dei manoscritti contenenti le lezioni dei professori di ti!.tia al temi*» di Galileo scolaro non ci avesse fatto ricadere noi dubbi e nell» in, « rt» //«*. Abbiamo dal Fabbroni, 1 ’’ che nel tempo dinante il quale (< ibleo fu "laro di Pisa, Francesco Verini vi lesse fìlosolia straordinaria; Clemente Quarantotto da Montecatini, filosofia e medicina; Francesco Buonamici, pisano, filosofia; Giulio Libri, fiorentino, la fìsica d’Aristotele ; Giuseppo Capannoli, pisano, filosofia straor¬ dinaria; Rodrigo Fonseca, portoghese, logica: ma delle opere di questi lettori pervenute fino a noi, quella sola del Buonamici De motuf la qual.- noi vol¬ piamo essere stata da Galileo posseduta, (5 ’ anzi, più tardi, fatta da lui segno ad aspre critiche, w contiene parti che presentino una certa affinità con ub imi he -hi di queste scritture scolastiche. E ciò abbiamo voluto espressamente avvertii,-, perchè la ipotesi, la quale a noi sembra presentare maggiori caratteri di ve¬ rosimiglianza, è quella appunto che alle lozioni del Buonamici farebbe risalire lo prime origini di questi < Iuvenilia >. Le battaglio sostenute da Galileo contro la fisica aristotelica sono note ad ognuno: ma però non s’avevano ancora in pubblico documenti certi, dai quali apparisse che, prima di combatterla, egli l’avesse a fondo studiata. Qualunque sia pertanto il valore che voglia attribuirsi a questo scritturo scolastiche, non potrà ri ir si privo d’importanza un documento che siffatta prova ci fornisce. Grandi rivoluzioni scientifiche non operarono nini coloro elio, ricevuto un buono avvia¬ mento, in esso perseverarono ; quelli invece che, iniziati in una disciplina e ri- (*) Pag. 27: cfr. anche pag. 30. (*) Galileo Galilei e lo Studio di Padova per Antonio Favaro. Volume I. Firenze, Successori Le Mounier, 1883, pag. IO. I*) J/ìatoriae Acadcmìae Pieanac, rollimeli II. Au* ctoro Angelo Fàbronio, ejusdein Acadcmiao Ouratoro. Pisis, MDCCXCII, excudobat Cfgetauus Mugnalnius in aedibus auctoris; pag. 469, ( 4 ) Francisci Bona mi ci De motu libri X; quìbue generaUà naturali» philoeophiae principia eunimo etudio colfecta con tiri entur; nec non uniucrtae quaetlionet ad libro» De phyeico auditu. De coclo f De orili et ùifonltt, pertinentee explicantur; multa item Arietotelie loca ex- plananiur ; et Graecorum, Avcrroie, aliorumque doctorum, aententiae ad theeca peripateticae diriyuntur. Accessit index capitimi reruniquo meraorabilium. Florentiac, apuil Bartholomacum Sor martellimi!, 1591, Cfr. in particolare i Gap 22,23 del Libro Vili di qniaFopti a con le pag. 119-122 dolio scritture qui appretto pub¬ blicate. P) /xi Libreria di Galileo GaUlri d»'scritta cd Illustrata da ÀX TONIO Kavauo: nel Bollettino di Bi¬ bliografia e di Storia delle Scienti Matematiche « Pi¬ tiche } Tonio XIX, pag. 212, (*) Diacono al Sereni •timo Don Quei ma JJ Gran Duca di Totcana intorno alie coo> che etnnno i » eu l'acqua o che in quella ei muovono di (lALtt.RO (ìu.l- lui ccc. Seconda editione. In Fli'.mze, approdo*) Co imo Giunti, MDCXII. — Citiamo questa •«•fonda ediziotio, la quale, del resto, vide la luce noli’anno stolto doli* prima, perdio In ossa gli attacchi al Buonamici sono più numerosi: cfr. infatti a pag. 18-26. AVYKRTIHENTO. 13 conosciutine gli errori. iuloi>erarono nolln ricerca del vero gli stessi criteri clic li avevano guidati alla scoperta del falsi), aprirono alla scienza nuovi orizzonti. Giustificata por tal modo la pubblicazione di tali scritture, resta che noi di¬ ciamo del metodo seguito nel riprodurle. Trovandoci in possesso doli’autografo, credemmo nostro dovere d’attenerci ad esso con la più stretta o costante fedeltà. L’ossequio all’autografo non ispingoinrao però fino allo scrupolo di lasciare intatti gli errori di scrittura puramente materiali, i quali correggemmo costantomente. Ci pane puro doveroso, non che lecito, tentar di sanare alcuni passi evidentemente guaiti e che nella lozione ilei Iodico in niun modo potevano reggere: questa però cercammo che fosse alterata il meno possibile. E avendo in mira di presentare agli studiosi un U sto, che, mentre rendesse immagine esattissima dell’autografo, potesse tuttavia esser letto il meno sgradevolmente elio l’ispida materia lo permettesse, ci credemmo autorizzati, um . ime trattandosi di scrittura latina, cioè non di lingua viva, a ridurre in generale Fortografia medievale e italianeggiente alle forme più corrette. Tranne iH*rò questi casi, nei quali tutti rendemmo conto scrupoloso della lezione del manoscritto, registrandola appiè di pagina, non ci parvero acconsentito altre mutazioni; c il lettore dovrà attribuire all’aver noi voluto allontanarci il meno possibile dall’autografo, anche alcuno difformità di grafia che potrà avver¬ tire qua e là. Una speciale cura ponemmo nell’interpunzione, che ci sembrò di dover adottare assai frequente e forte, perchè, obbligando il lettore a frequenti pause, servisse meglio all’intelligenza e tenesse quasi le veci d’un commento perpetuo. Quanto alle difficoltà d’oni maniera che dovettero superarsi por la diligente cura del testo secondo queste norme, crediamo fermamente non possa formarsene un adeguato concetto chi non i faccia a confrontare col Codice la nostra edi¬ zione; e stimiamo di e*vr i.*-i vero, aggiungendo che in tali gravissime difficoltà debba ravvisarsi uno dei motivi, per i quali queste scritture scolastiche non fu¬ rono prima d’ora date alla luco. Quaestio prima. Quid sii id de quo disputat Amtateles in Ms libris De caelo. Qui obiectum totius Physicae corpus generabile et corruptibile consti tu unt, lii sentiunt considerari ab Aristotele caelum et elementa prout sunt principia rerum generahilium et corruptibilium ; nam caelum, secundum hos, est causa elììciens generationis et corruptionis, elementa autem causa materialis. Horum opinionem confutavimus in quaestione De obiecto totius Physicae. (,) Alexander, referente Simplicio in prooemio horum librorum, putat io obiectum esse universum, prout complectitur caelum et quatuor elo- menta, quae sunt corpora simplicia: quare nomine caeli, in inscriptione horum librorum, putat intelligendum esse universum, secutus Aristote- lem, qui, in p.° libro t. 96, inter alias caeli acceptiones, hanc. quoque ùsurpat. Ilanc sententiam Zimara in sua Tabula tribuit Averroi, eamque aperte tuetur D. Thomas, docendo obiectum esse universum secundum Buas partes integrales. Quod si illi obiicias, piantali etiam et animalia esso partes integrantes univèrsi, rospondet disparem esse rationem corporum simplicium, plantarum atque animalium: nam plantae et animalia non habent determinatimi situili nisi ratione elementorum 20 praedominantium, neque proprie sunt partes integrales universi. 1. Qucstio — (ì. coruptionis —9. proemio —15. Tomas: e così le molte altre Tolte che ricorre. W Gioì» in altra (lolle quaestiones alla cui di elio è stato toccato nell’Avvertimento, serie appartengono questi studi scolastici: Troveremo altri simili rimandi. P. è opinio. 2* opinio. I. 1 16 1UVKNIMA. 8* opinio. 4* opinio. 5* opinio. G“ opinio. Iamblicus et magia Syrianus coastituunt obirctiiin In-rum libro- rum caelum, de quo volunt Ariatotelem primo et p*-r -• egi**»; con¬ secutive autein, elomenta: nam non egit de elcnnntis. ium quia voi conducunt ad cognitionem caeli, vel quia pendant a cu*-lo. Albertus Magnus ponit obiectum corpus mobile a l ubi Ratio illius haec est: quia obiectum totiusPhyaicae est corpus mobile in communi; borimi ergo quutuor librorum, qui aunt una pam Physicm*, obie. tum debet esse prima species corporia mobilia, quod e-t corpus multile ad idu. Simplicius, in prooemio horum librorum, senti t obi» etum esse corpus simplex, compraeliendona caeluin et quatuor element i. Fumi mn otmn ><■ illius est: quia Aristoteles in 8 libris Physicomni egit de prim ipiis et proprietatibus rerum naturaiium ; ergo in bis libris, qui immediato illos consecuutur, debuit agere de prima specie corporis iiaturaln, quae est corpus simplex. Niphus, ut quatuor lias sententias inter se concordet, ponit obiet tum aggregationis, cimi Alexandro, universum; obiectum praedieationia, cum Alberto, corpus mobile ad ubi; obiectum attrilnitionis. IO r j mH simplex, cum Simplicio ; obiectum prineipulitatis, caelum, nini laui- blico et Syriano. Pe conciusìo. Equidem dico, primo,uuiverauni non esse obiectum horum librorum. ao Conclusio est Aristotetìs, in 3° Do cacio in initio, et in p.° Mebstro- rum c. p.°; quibus in locis, explicans quae superbia dixerat, nuli.mi fecit mentionem universi. Et patet ratione. Quia vel nniv< r-um ac- cipitur prò ente communissime sumpto, complectente sub -e tam cor¬ porea quam corporis expertiajet hoc modo universum non est con¬ siderati onis physicae, sed spectat voi ad perituro vel ad nietapliysicum aliquo modo, quatenus contemplatur ens in communi. Continuatili': quia alias, si universum esset obiectum, sequeretur indiani connexionem h<>s libros habere cum superioribus; quia universum, ut sic, non est -ji.tì, > neque pars obiecti physici. Vel, 2°, universum accipitur prò toto quo- :to dam continente varias et pugnantos inter ho nat.u.rus:et hoc modo, cum non possit esse obiectum alicuius scieutiae (est enim aggregatimi per accidens), a fortiori non poterit esse obiectum alicuius partis. Vel, 3°, universum accipitur prò toto quodam integrato ex pluribus 9. proemio — 10. co mprtundens— 11,26,30. Phitticorum, phmrae,phi.u i M . correttamente, phys....: e così, senza più notarlo, uniformeremo, — lò. Ai/u* it- r- qiiucretur — IUVENILIA. 17 parti bus: et hoc modo est quidem considerationis physicae, non tamen tanquam obiectum sed tanquam passio obiecti, cum obiectum sit ali- quod corpus naturalo. Dico, 2°, caelum non considerari per se tantum in liis libris. Probatur conclusio, quae est Aristotelis ubi supra. Probatur ratione : quia, ex Simplicio, maxima pars lmius operis posita est in elementis ; nani in 3° et 4° libro agit Aristoteles de natura et qualitatibus ele- mentorum ; in 2° libro, a t. 77 usque ad finem, agit do terra ; in p.°, ubi tractat de aeternitate et unitate, agit etiam de elemen- 10 tia : ergo dementa (,) non considerantur consecutivo et per accidens, sed per se. 2°, dementa sunt per se scibilia, et non nisi a physico ; ergo [etc.]. <2 Patet etiam hoc, quia in 2° libro utitur prooemio ; quod indicat, de elementis agi por so. (3> Dico, 3°, obiectum non esso corpus mobile ad ubi. Probatur conclusio: quia obiectum alicuius partis debet respondero obiecto to- tius ; sed obiectum totius Physicae est corpus naturale, ut naturale ; ergo obiectum alicuius partis Physicae non potest esse corpus mobile ad ubi. Conclusio est Aristotelis, non quidem in actu signato, sed in actu exercito; cum ipso agat de elementis, ut diximus, in duobus 20 libris per se. Dico, 4°, opinionem Simplicii milii probabilissimam esse. Pro cuius faciliori intelligentia, suppono duo : alterum est, obiectum totius Phy¬ sicae esse corpus naturale, ut naturale ; alterum est, obiectum to¬ tale alicuius scientiae illud esse ad quod cantera, quae in scientia tractantur, reducuntur, partiale vero esse illud quod continet aliquam partem vel speciem totalis obiecti. Probatur ita conclusio. In 8 li¬ bris Physicorum Aristoteles egit de principiis et passionibus corporis naturalis; ergo, cum hi quatuor libri sint pars totius Physicae, debuit ab Aristotele agi in bis vel de aliqua parte, vel de aliqua specie, totius 30 obiecti : sed duae tantum sunt species et partes totius obiecti physici, corpus simplex et corpus mixtum ; et de mixto egit in lib. Meteo- 2 4 conclusio. 3“ conclusio. 1* conclusio. 12. proemio — Qui nel manoscritto si trascorre alle pa¬ role della linea seguente * dementa sunt eie.* : poi ò cancellato e ripreso. Evidente segno di trascrizione: cfr. pag. 18, (3). W Aggiungiamo, in parentesi quadra [ ), a simili * ergo * conchinsivi, F « etc. » che è necessariamente sottinteso, e che talvolta troveremo espresso. « Da « Patet * a «perse» ò aggiunto in margine. 18 1UV KNILIA. Obioctio. Obioctio p. Obioctio 2' Obioctio rorum: ergo de sbuplioi, in bis. Patet ulnectum . - 1 ’* v !" 1 «l '¬ ex Aristotele: qui caelum olamentum vocut, non quod propri.- ut ri. menturn, sed quia communo habet cuin elementi* esse corpus simplex ; sed liic agitur de caelo et elementis ; ergo tl<- corpon- simphri, in quo convenit caelum cum elementi*. 1 Dices: Non fuere esplicata principia Col-puri- simpb.-i* al» Vi¬ stotelo in bis libri»; ergo corpus simplex non - 4 obieetum. 1 • ; n deo, fuisse explicata principia corporis pby-ici in 8 lib Phy>in>rutu; quod satis est: nam corpus simplex contini-tur sub oorp.uv naturai! tanquam species, corporis autem naturalis in lib. Pbysicortim tu. i ini, i.. explicata principia. Obiicitur, primo, corpus simplex, boc est caelum et t-b-mi-nta, de- monstrari; ut patet a t. 5 usquo ad 10, ubi probatur ilari snl»stantia distincta ab elementis, quae est caelum; et ex 3 (’aeb a t. iti u qui- ad 37, ubi probatur davi eli-menta: ut obieetiun in seientia tanquam notum supponitur: ergo [etc.]. Obiicitur, 2°: de singularibus non potest esse seientia: ut ablu ostendimus, (1) cum, ex p.° Post. 11, non possint deliuiri m-.pi.- d* - monstrari; ut etiam patet ex 7 Met. t. 51, 55: sed ea.-lum et el. menta, secundum se tota, sunt ita singularia, ut repugnet illi- e -jo multiplicari et fieri alia : ergo [etc.]. Obiicitur, 3°, cum subiectum in seientia debeat ee«e unum, se¬ cundum Aristotelem {T p.° Post. 43 , corpus simplex, idest caelmn et elementa, non esse unum, cum illud sit incorruptibile, baci- cor- ruptibilia, licet non secundum se tota: corruptibilia aut.-m et in- corruptibilia per se primo sunt diversa, ex Aristotele 10 Met. ergo [etc.]. Neque dicas caelum et elementa, quatenu- sunt ron .u a simplicia, convenire in una rat-ione. Nam liaec ratio non est analoga, secundum nos qui reponinms caelum in codoni praedicato in quo ele- menta; ncque univoca, quia debuisset alias Aristoteles agere ile cor- :•/. pore simpbci in boc opere, do quo tamen non meminit, tum de speciebus illius. Quod confirmatur ex Themistio, in 2 De anima t. 30, 32. Temistio — (l) Da « Patet » a < ciun elementis * ò corretto poi in forJ' (formale): ♦•vitigni»! «*r- aggiunto in margine. roro di trascrizione (eir. pag. 17,(1) ). \>w ma (2j Gfr. pag. 15, (1). teriale scambio di lettere, da Ir.* (.in <3) Il manoscritto dà forP (fonnaìcm), few), parola portata di dui conte to. rUVENIUA. 19 docente, Aristotele, hoc di {Terre, analogum ab univoco: quod uni- vooum debet primi tractnri in communi, cum dicat « imam naturam ab inferioribus distinc-tam non auteni analogum, quod immediate dicit « sua inferiora ». Obiicitur, 4°, in bis libris non solimi considerali corpora simplicia Obioctio 4 *. secundum so et secundum qualitates motivas, sed otiam secundum activas et secundum quod sunt principia mixtormn: tum quia caelum in 2° libro non solimi consideratur secundum vim motricem, sed etiam ut e>t principium ad liaec inferiora concurrens per smini actio- 10 nera; timi quia in ;1° et '1° De cacio agitar de olemontis non solimi secundum qualitates motivas, sed etiam secundum alterativas. Ncque id mirimi est: cum dementa suapte natura sint ordinata ad genera- tionem mixtorum ; ac proinde, ubi considerantur secundum se, debent etiam considerari in ordine ad mixta. Obiicitur, 5°, authoritas Aristotelis, in p.° Oaeli t. 4° pollicentis obioctio b*. se tractaturuni do universo, et in 8° Caeli t. p.° appellantis caelum elementum, non quidem alterationis, sed compositionis, ac proinde in- nuontis se egisse de caelo quatenus, simul cum aliis elementis, com- ponit universum. Addo, cum illud sit obieotum adacquatimi alicuius 20 sciontiae cuius partes et proprietates in illa considerantur, et in bis libris partes et proprietates universi considerentur, universum esse obiectum. Quod autem partes et proprietates universi in bis libris con¬ siderentur, patet: nani in illis, primo, ostenditur, mundum esse per- fectum, p.° Qaeli in principio ; esse finitimi, a t. 38 usque ad 77 ; esso unum et non posse esse plures, a 7(> usque ad 101 ; a 101 usquo ad finom, esse sempiternum. Ad primam obiectionem rospondent aliqui, subiectum totalis scien- 0 tiae non posse demonstrari esse; at vero partiate, si sit ignotum, posse, spondeo p.* modo non desit medium non aliunde quain ab ipsascientia desumptum, so praesertim si ab ilio non pendeat ratio fonnalis totalis obiecti: unde, quia caelum et dementa poterant esse ignota, et dabatur medium pliy- sicum ad ea demonstranda, ideo etc. Melina dici potest, Aristotelem fi. 0 2 *. in p.° Caeli non demonstrare caelum esse, quia hoc notum erat, per se, sed secundum quid ; idest esse natnrae distinctae ab aliis elementis: sicut, etiam 3° Cadi, a t. 31 usque ad 37, non demonstrat elementa simpliciter esse, sed qualia sint; hoc est resolubilia in mixta et non 19 . Addo, quod cum — adequatimi — 3 - 1 . distìnctae — 20 IUVEN1MÀ. Ad 2 4W .R. d p.° lt.« 2*. Ad 8*“. Ad d*". Ad 5* m . P. a opinio. divisibili:! in aliam spcciem. Ad T"\ negant aliqui, do »inirul mbu in corniptibilibus non posse esse scientiam. Mt-liu» rc-pomlotur, natura» elementoriun et orbium caelestium posso abstrahi a condit innibu» iudi- viduantibus, et fieri universades: neqnoadlioc requiritur aptitmìo phy- sica ad essendum in multi», sed satis est logica per non r- pugnanti.mi. Ad 3 am , respondeo, corpus simplex, quod ost obirctum Innu- op. ri», esse unum imitate univocationis, ut ostondimus, in pruodicatn -ul>»t.m- tiae ; neque fuisso necessarium, A risto teloni j >n u - disputare m hi» libris de corpore simplici in communi, quandoquid» m, ut di\ mu pi m- cipia et proprietates corporis naturali» in communi tm-ruut « \pln- it i , in 8 libris Physicorum; ex quibus, simul cum illi» p im i» qua. prao- mittuntur in his libris, facile colligi poterant ca omnia qiuu a phv- sico de corpore simplici in communi sunt cognnsccnda. Ad l*“ r< »|*oii- deo admittendo argumentum: nani probabilissimum esse arlntr.inmr, ex bis 4 lib. De Caelo et ex duobus De generationo libri» contiri unum opus, in eoque considorari corpora simplicia et secundum -• et ut sunt principia mixtornm; et in p." quidem ac 2” De cario disputar! de substantia et accidentibus caeli, in 3° et 1 de elementi-.mi.dui» se et secundum qualitates motiva»; in p.° deniquo et 2 Do •- imra- tiono, de elementis secundum qualitates activas et ut nint pnm ipui mixtorum. Ad 5 am , respondeo, argumentum solum probai--, in hi» libris aliquo modo tractari de universo, ut patot ex prima conclusiono, non autem de ilio ut subiecto adacquato: nisi fort-- intelligatur uui- versuni l’atione suarum partium esse obioctum; quod n-t ilic.-iv, cor¬ pus simplex considorari in hoc opere; quod vallami». QUAKSTIO SKCl’NDA. Do ordine, convezione et inscriptiom hortm lìirorum. Quo ad ordinem et coimexionem, Mirandnlanu». in lib. 15 Sin- gularis certaminis, sec.° p. a , putat hos libros o».»e primam part- in pbilosophiae naturalis: timi quia in initio p. 1 Do caelo ponitur cornimi - 3" nissiiuum prooemium ad naturalem philosopliiam : tum quia * libri (). Ad 3 2.;i. adequato — 31. proemiali i — phyliixitphi'iiii, <(111 •• iiltinvi.; liti.- volto, corrottamente, phil o così uniformeremo. IUVENILTA. 21 Pbysicorum, cum in illis agatur de principiis tam rerum corruptibilium quam incorruptibiliura, non possunt spoetare nisi ad metaphysicum; ac proinde etc. Itecentiores quidam arbitrantur, hoc opus inserendum esse libris de animalibus : tum quia Aristoteles, 2° Caeli t. 7, agens de posi- tionibus caeli, dicit se de illis copiose disputasse in bis, quae circa animalium motus ; tum quia, paulo infra, docet caeluin esse animatimi. Simplicius et Albertus Magnus, quos cum omnibus et nos sequimur, tenent, hos libros sequi 8 Physicormn, et secundam philosopbiae natu- ralis partem constituere. Probatur boc, primo : quia in lib. Pbysicormn io actum fuit do principiis et proprietatibus corporis naturalis in communi; ergo immediate post, debuit agi de prima specie corporis naturalis, quod est corpus simplex. Nani priora, secundum naturam, debènt praece- dere posteriora: sed mixta, de quibus agitur in lib. Meteororum, sunt posteriora elementis, cum sint ex illis composita: ergo in boc opere iure actum est de cor poro simplioi. Hoc idem probatur ex Aristotele, qui in prooemio Meteororum haec seripsit : De primis quidem igitur causis naturae, et de omni naturali motu, adirne autem et de astris dispositis secundum superiorom lationem, et de elementis corporalibus, quot et qualia, et de transmutatione invicem et de generatione et 20 corruptione corporum, dietimi est prius. 2° : quia Aristoteles in 8° Pbysicorum egit, de primo motore ; ergo debuit immediate post agore de primo mobili et prima circulatione, quae explicantur in bis libris. Quaó ratio non solimi probat, bos libros subsequi 8 Pbysicorum, sed otiain duos priores praecedere duos alios subsequentes. Quamvis boc idem bac etiarn ratione possit confirmari : caelum est simplicius et nobilius elementis ; ergo etc. Ad primum primae opinionis respon¬ deo, cmn Simplicio, Aristotelem fecisse buiusmodi prooemium, ut bos libros cum 8 Pbysicorum connecteret, et quia aggrediebatur primam corporis naturalis speciem explicandam. Ad secundum, patet ex Phy- 30 sicis. Ad primum secundae opinionis respondeo, quod pari ratione se- queretur, libros Perihermenias adnectendos esse libris I)e anima ; quia in illis dicit Aristoteles, se multa egisse de vocibus, ut sunt similitu- dinos rerum, in libris De anima. Ad secundum, patebit ex dicendis. Circa inscriptionem, secundum Alexandrum, Simpbcium et Graecos, bi libri inscribuntur De caelo, a parte uobiliori : secundum Albertmn Magnimi, D. Thomam et Latinos, inscribuntur De caelo et mundo. 16 , 27 . proemio, proemi um — 81 . Vericrmenias — 2• opinio. 8* opinio. Conciliato probatur p 0 Probatur 2\ Ad p. ura argu» men tum p. M opinionis. Ad 2 um . Ad p. um 2** opinionis. Ad 2 ura . 1UVKNILIA. 22 Nomine autom mundi intelligunt quatuor el.-:n.-nt:*; quae ngmticatio nota est etiam Aristoteli, p.° Meteororum c. ]*. u , die nti, tnuitdum ml'o- riorem, idest dementa, debere exse continuum sup< num latmnis. Diyisio buius operis patet ex solutione quarti arguiaaati pruno», dentis quaestionis; et magie patobit ex u queliti expli* atumo con t ex tua. TRACTATIO PRIMA DE MUNDO. * Quaestio prima. Le opinionibus veterani philosophoram de minuto. lulexpiatone" Triplex, ut docuit Plato, cum reperiatur mundu.s ; iti. .ih- -ìve intel- ligibilis, sensibilis sed magnus, sensibilis s.*d parvus; hic, in pra. •••uti. io est disputatio de mundo sensibili magno. Qui nihil oei ninni quam uniyersitas rerum, ita primo a Pythagora nominatili*, v>l priijitfr or¬ namentami quod in se lmbet, vel quia muntili* e t. quantum c-t ex se, ab omni sorde. Si cut ab Aristotele dietimi e-f univer.-um, quod .miniai in se contineat; totum, quodhabeat partes suas integr intes; . t «aelum. facta denominatione a uobiliori parte, vel et miri qui \ al qu nulo .•al¬ luni ab Aristotele prò universo accipitur, ut vid. i-• ivt t. Or. lmiii* p.*opìnio. p.‘ libri. Ilunc aliquando incepisse et factum m <• in tempore. wt.uvs fere omnes pbysioi, teste Aristotele in p.° Caeli t. 102 et 8 Pliy-dromui t. 10, senserunt; quamvis Galenus, in lib. De Claris Phvsich, a«.serat, * Xonoplianem existimasse fuisse ab aeterno. Veruni, licet in le-c convene- rint, dissenserunt tamen in bis. Primo, in materia: ut videi-.' et in I'hv- sicis, in quaestione De sententiis pbilosopboruin, circa principia. 2", in causa efficiente: nam illorum aliqui vel illam ignora runt vel c rte prae- termiserunt, abqui vero posuerunt ; quorum primus fuit Anaxagnra*. quimentem quamdam omnia congregantem effecit, dein.l Empedo- cles, qui litem et amicitiam confinxit, teste Aristotele 8 Phvs. t. 2 et 77. 3°, in modo efficiendi: nam, teste Aristotele ubi supra, quidam existi- marunt congregatione et disgregatione fuisse genitum, ut Empedocle* et Anaxagoras; quidam, condensatane et rarofactione; nonnulli, ex ;it<>- ao 5. segmenti —12. misserunt — Pitagora — 19, 27, 28. texte — 21 . Zenofenem — eterne - - 24 - 85 . praeler IUVENILIA. 23 morum concursu et vacuo intercepto, ut Democritus et Leucippus; alii domum, qui animam principium motua effecerunt, motu ipso animae. 4° in hoc, quod nonnulli putarunt ita fuisse factum, ut corrumpi do.- bcat moro aliarum rerum et nunquam rodire ; nonnulli, ita corrumpi ut debeat redire: loge Simplicium in 8 Pliys. t. B, et Aristotelem р. ° Caeli 102. Do natone, quid sonserit dubium est intor philosophos. Taurus in Tiraaeo Platonis, Porpbyrius, Proclus, Plotinus, Alcinous et Simplicius, 8 Pliys. t. 3° et 10°, putarunt, ex Platone, mundurn esso sempiter- 10 num. Quod si illis obiiciatur authoritas Platonis, in Timaeo conceptis verbis docentis mundurn fuisso genitum, respondent genitum vario modo usurpari a Platone ; ibi autem prò ilio quod constat ex pluribus partibus componentibus. E contra vero plerique alii doctissimi viri arbitrantur, Platonem existinrasse mundurn fuisse factum in tempore, ex materia quae antoa movebatur motu quodam inordinato ; et suapte quidenr natura corruptibilem esse, Dei tamen voluntate nunquam corruptum iri. Hanc fuisse Platonis sentcntiam, docet Aristotelcs 8° Physicorum t. 10 et alibi, Alexander, referente Philopono in solutiono 6 1 argumenti Prodi, Theoplirastus, Themistius, et omnes fere interpretes Aristotelis, 20 Plutarchus, Cicero, Diogonos Lacrtius, Atticus, Seleucus, Pleto platoni- с. xrs; quos secuntur D. Basilius in suo Hexamero, Instinus martyr, Clemcns Alexandrinus, Eusebius Caesariensis, Theophilactus, I). Augu- stinus, et omnes scholastici. De Aristotele, certum est illuni mordicus defondisse, mundurn et ab omni aeternitate extitisso, et nunquam interiturum esse: et bocce probasse in 8 Physicorum existimavit, dum motum esse sempiternum probare conatus est, et omne quod genitum est esse corruptibile, p.° Caeli c. ultimo, cum tamen ipse mundurn nunquam interiturum saepo dixerit. Addo quod si mundus factus esset, ex aliquo subiecto fuisset 30 factus, et non ex nihilo, cum apud Aristotelem non detur creatio. Ilis etiam conscntit authoritas omnium philosoplrorum et theologorum citantium Aristotelem in hanc sententiam. Obiiciunt tamen aliqui Aristotelem, in p.° Top. c. 9 dicentem problema esse, mundurn esso ab aeterno. Sed respondetur, p.° Aristo- 1. Democri tua Iilcucip: — 5. redire, aliqui ita fuisse factum ut debeat corrumpi et nunquam redire: lege — 8. l'orfirius — 8, 10. Timeo —10. auto 7 : —19. Teofrastus, Tcmistius —20. Flu- tarene — Apicus, Scleus, Fleto (cfr. 63, 22 ) — 21. martir — 22. cesariensis. Teophilatus — 23. sco- lasiici — 27. gcnitus — 31. tcologonnn — 2* opimo. IV opinio circa Plntonom. Obioctio. Kesponsio. 2‘ opinio circa Platonem. 3* opinio. Obioctio. Kos. p.® I. 2 24 IUVKNIMA. telem illud dixisso exempli causa, praesertim cuni uà t- mp< “«tato do Rm . a*, hac re dubitaretur; 2° dici illud «sue problema ab Arinotele, quia utrinque potorant fiori rationes probabile» ; veruin ex 1 f 11 ‘ u- tuisso do novo creare mundum, et do facto creasse. Pinna pars con- clusionis probatur : quia, si non potuisset, voi ideo imn j .?ui--. t quia ex nihilo nihil fieri potest, vel quia erat agens nece»*nrium, vel quia fuisset immutatimi. Non obstat prirnum, propter infinitum primi entia virtutem, quao potest omnem repugnantiam tollero; ncque •• eundtim, propter eiusdem in agendo libertatem; n»>quo t- rtium, quia telati-ui, . quae Deo adveniunt et croaturis sunt rationis: (piare, aie ut uon m i tatur columna, etiam si modo dextra sit modo sinistra, quia imitai tir tantum ahi; ita etiam non mutatur Deus, qui est actu." puri urna uu et impermixtus ornili potentiae, etiam si dicati! r procreat-u 1 etc. cui» antea non esset, quia semper idem ipso est, Probatur secami.i pars conclusionis: pruno, quandoquidem demonstrari non p-.te-t, autho- ritate Sacrao Scripturao et ex detenninatione (’oncilii Lai- ran-ui - 2 , quia sequeretur artes et disciplinas infiniti- - ad n-o p- rv-uii■■■*•' : at hoc repugnat historiae; lego Aristotelem, 2° Met, c. 2.; siipùdem scriptorum fido dignorum nemo inventus est, «pii nmndum auto sex mille annos affirmaret extitisso. Dices, incendia et aquarum inundationes omnia «1- d nix fi o*. S- -1 contia, quid fieri potuisset, ut liaeo incendia et diluvia non fui > ut yu liteiis consignata ? Iiis addo, cum secuialum Ari-totelem r-pugiiot du i actu infinitum, mundum non potuisse esse ali aeterno, et, ut colise- quens est, in tempore extitisso: alioquin, cum animai) ìationales -int immortaies, esscnt actu infinitae. 13. potuisse — 19, sinistra — 2G. h/storiae — Soggiungiamo, in questa e nella se- le conclusione*, la ,in.ile fu guonto pagi un, la indicazione marginale ilei- noscritto. umetta nel ma- IUVENILIA. 27 Dico, 6°, dobuisso niundum a Deo in tempore procroari ; tum ut [Conciuaio o.] ostenderetur illuni a Deo pendere, Deum autom nullius rei indigum, porfectissimum, et infinitam virtutem habentem,in suisque operibus libe¬ rimi, osso intelligeremus ; tum etiam, ut mens liumana ad Dei cultura, tanta eius bonitate liberalitate potestateque conimota, magia excitaretur. Quaerenti autom quantum temporis ab orbo condito effluxerit, respondoo, et si Sixtus Senensis, in sua Bibliotheca, varias annorum supputationes ab orbe condito enumeret, liane tamen, quam adferomus, probabilissimam esse et ab eruditis viris fero receptam. Ante annos 10 quinquies millo septingentos octo et quadraginta conditus fuit orbis, ut colligitur ex Sacra Scriptura : nani ab Adamo ad diluvium usque intercesserunt mille sexcenti quinquaginta sex anni ; a diluvio usquo ad ortum Abrae, 322 ; ab ortu Abrae usque ad egressum Iudaeorum ex Aogypto, 505; ab egrossu Iudaeorum ex Aegypto usque ad aedificationem templi Salomonis, 621 ; ab aedificatione templi usque ad captivitatem Sedecliiao, anni 430; a captivitate usque ad eius solutionem a Cyro, 70; a Cyro, qui coepit regnare 54 a Olympiade, usque ad ortum Cliristi, qui natus est 194* Olympiade, 560; anni ab ortu Cliristi usque ad excidium Hierosolymorum, 74 ; illinc usque ad praesens tempus, 1510. so Quaestio temi a. De imitate mundi et perfezione. Quaeritur primo, in hac difficultate, an sit demonstrabile unum quaeritur p*. tantum dari mundum, ciun Aristoteles, p.° Caeli a t. 77, id so de- monstrasse existimarit. Dico, primo, unum tantum esse mundum. Probatur, primo, ex ria- Conclusi p*. tono : unum tantum est exemplar mundi ; ergo [etc.]. 2°, ex Al¬ berto in p.° Caeli tra. 3 c. 5 et 6 ; quia ex primo motore, qui est tantum unus et non potest multiplicari cum non sit materia, et ex locis mo- bilium quae sunt in mundo, id aperte colligitur. Adde, quod si essent so plurcs mundi, non posset assignari ratio cur essent tot et non plures. 3°, ex D. Thoma in p.* parto qu.° 43 art. 3, ex ordine in rebus 6. Quaerentia —7. biblioteca — 13, 14. iudeorum — 14. egiptù — cdificationem — 15. edifica- itone — usque ad captivitate — 16. solutxone — 16, 17. Ciro — cepit — 17. ortum Chrysti — 18. Olimpiade — 19. presetis — 28 IUVKHILIÀ. a Deo creatia oxistente: quia mundua irnua dicitur imitato ordini*, se- oundum quod quaedam ad alia ordinantur: ned qna«vunquo sunt a Deo, habent ordiuem ad invicem et ad iptimi Down: ergt> invesco est ut omnia ad unum mundum pertiiieant. lt lm- molti-. .n uin -ii tandi est etiam Aristotelis, 2° Met., colligentà ex imitata oniinia in Mine ìnteiii- rc p U3 existentibus uiùtatem primi motori* illas gtil» mmt: Kx li ■ giturorror De- _ % _ mooriti. intelligitur error Democriti et sectatorum, qui a»oru**ruDt pluret omo mundos: ideo enim id senserunt, quia non jm. m nmt cau-am mundi Cono. 2\ Prima ratio Aristotelis. Solutio. 2* ratio. Solutio. sapientiam suo loco cuncta disponenti mi, ned casino, exihtimant» « et mundum lume et alios infìnitos ex atoniunim coneursii ca*u lui- * io factos. 4°, probatur rationo: mundus in huno fumili e*t pnieivatti*, ut in Dei cognitionem mena nostra devenirot ; sed ad li i. Dei n>- gnitionem acquirendam satis est unus mundus; ergo nula probatur. 2°: sunt quao in Deo considerari possont, unita.* essenti»# et p.rftv- tionum infmitas ; sed liaec duo nobis mundus ropra* -untati, rum et sit unus, et varias ac diversas rerum spedi* sub so campi' et.itur ; erga etc. Dico, 2°, non posso demonstrari unum esse mundum, lùet certuni sit non dari plures. Socnnda pars conclusioni' pat<-t ex S . ra S< rip- tura, nani Moses unius tantum orbi» procivation* m tradit, et < \ rat - nibus allatis. Prima pars probatur: quia si po-set d.-maustrari imam ao tantum esso mumlum, posset vel propter cognitionem kimiiihi, voi propter experientiam, vel propter rationem evidentem : non pnmum, quia nullus vidit plures mundos non esse; ncque sivumlum, quia experientia dependet a sensu; nequo tortium, quia non ropugnat a D o plures effici potuisse mundos. Rationes autem Aristotelis, qu h ibentur in hoc libro a t. 77, quibus so putat demonstr.is.se iinitat»in mundi, facile solvuntur. Prima est : mundus liic habet totani matcriani poesibilem ; ergo implicat aliam dari. Solvitur, quia falsimi est quod assiunitur. Sorunàu ratio est: quia si essent plures mundi, sequeretur ti mutetur, d pt- r ordinem docentissimum illis a Deo tributum in quo rerum otiimuin bonum consistiti quo fit ut si unum nliqm»l, ex his qua© *unt in universo, esset melius, corrumperetur proportio tot in - orbi ; ié ut si una chorda plus intenderete, corrumperetur teriudi.ii* melodia. Quaeritur, 4°, an mundus sit perforili.*. Videi ur jum ew: tum quia in ilio reperiuntur monstra et defechi*, tum quia non s» mp« r liabet suaa speciea actu existentes, tum quia illi jK^ unt addi multai' species perfectiores; quae omnia imperim m di• : v»*l pio a gg re £ a t° ex Deo, intelligentim, orbibuB caeh*stilniB, ri snblunaribuB ; vel prò aggregato ex dictis, cxoopto Deo; vel prò aggregato ex cor- poribus caelestibus, et sublunaribus ; voi, dernuin, prò aggregato ex Condusio P . sublunaribus tantum. Dico, iara primo, mundum primo modo arci pturn simpliciter, esso perfectum, cimi Donni comploctatnr sub ho porfo- • ctìasimmn ctc. Dico, 2-, mundum in tribù» olii, accpti.mibu», «su, qmdom perfectum socundum quid, non t.imen simplieibr. Probatur prima pars, quia, ut etiam docot Aristotele® t. t buiu* libri, uni ver¬ mi m sua integritatc est perfectum, propten a quia contine! omnia entia contingentia et necessaria, corruptibilia et ineorroptibilia, cor¬ porata et incorporata, et domimi quia sapienti*-imi. s D-us, ni-i por¬ se uni ì uni pioerensset, in suo opere fuisset imperfeetns. Probatnr 15. corda — IUVKNILIA. 31 Bocunda pars, quia mondo, in tribus illis modis accepto, potest addì quid perfectionis, idesfc Deus; tum quia I)ous potuisset alium mundum perfectiorera creare, et in hoc plures species perfectioros. Ad primum ,, r in contrarium ìvspondeo, monstra et defectus bifariam posso accipi: vel socundum h*> praecise, et hoc modo dicunt imperfectionem ; voi in ordino ad universum, et lioc modo dicunt perfectionem: nam universi perfectio in rerum varietate consistit, quemadmodum ornatus et por- foctio figurao in varietate colorum posila est, quorum alii sint imporfe- ctiores aliis. Ad socundum respondot Iandunus, species scmper actu Ad 2«« arg. io existere, et, quando non sunt in nostro emiapherio, esse in alio. Respon- dent alii, satin esse existero species in suis causis potentia. Dicerem ego, ad perfectionem universi non requiri actualem specierum im- perfectarum oxistentiam, sod satis esso, ad perfectionem universi, ut illao suis temporibus existeront. Ad tertium, patet ox dictis. Ad s-» arg. Quaeritur ultimo, an Deus simul cum mundo sit pcrfectior se ipso Quaores uit.* solo. Quidam neganti quia I)ous continet omnes perfectiones quaespar- p,* 0 pinio. sim reperiuntur in creaturis; quo fit ut solus sit aeque perfectus, ut cum omnibus creaturis acceptus. Alii, referente Durando, idem sen- 2 »o P .* tiunt, Hod propter alium rationem: nimiruni, quia ita se babet pun- 20 ctum ad lineam, ut creatoroe ad Deum; immo longe maior est pro- portio inter punctum et lineam, quam sit inter creaturas et Deum: sed punctum addi tum lineao non efficit illam extensiorem : ergo neque creaturae addita© Deo efficient iUum perfectiorem. Durandus, in p.° 3*o P .« dist. 44 q. 3, oxÌ8timat creaturas addore quid perfoctionis, non quidem intensivo sed extensive. Ratio illins est, quia plora bona sunt perfe- ctiora, extensivo, quam pauciora: sed Deus et mundus sunt plura bona : ergo [etc.]. Confirmatur: quia Deus non continet perfectiones omnium rerum formaliter, sed tantum eminenter: at perfectiones formaliter creaturarum habent aliquid perfectionis in se: ergo [etc.]. Adde bis, 30 quoti alias Deus, procreando universitatem liane remili, nihil boni elfecis8ct. Ilacc sententia mihi probatur. Ad primum in contrarium, patet ox dictis. Ad secundum respon- A,i A p ' , 2 U „? r8 deo, iUud exemplum non esso ad rem : quia punctus est omnino in- divisibilia ; lindo, additus lineao, non niirinn est si non efficiat extensio- nem : at vero creaturae sunt quid bonum ; unde, additao Deo, poterunt efficere maius bonum, extensive. 9 . Indunus — l. 8 32 IUVENILIÀ. P.“ opinio. Probatur p.° Obiociio. Quaestio quarta. An mundus potucrìt esse ab aderno. Prima opinio ost Gregorii Ariminonsis, in 2 dist. p.“ q. 3 art. p.° et 2°, Gabrieli et Occam ibidem; quamvis Occam non ita mordicus tuetur liane sententiam, quin etìam asscrat contrariam esso probabilem. ITos secuntur Ferrarionsis, in 8 Pliys. qu. 15, et Ioannes Canonicns, in 8 Phys. q. p.*, et plerique recentiorum, existimantium mundum po- tuisao esse ab aeterno, tam secundum entia successiva, quam aocundum entia pormanontia, tam secundum corruptibilia, quam secundum ineor- ruptibilia. In quam sententiam videtur etiam propondis.se I). Tho- io mas, in q. 13 De potentia Dei, et in p.* parto, ubi demonstravit non posso demonstrari procreationem rerum. Probatur lmoc opinio: quia quicquid non implicai, a Deo potest offici; sod mundum ab olimi netor- nitate extitisse, non implicat; ergo [etc.]. Minor probatur: quia si impli¬ care!, maximo implicarot voi propter Deum procreantem, voi proptor ipsam procreationem, voi propter ipsam creaturam ; sod nullum horum obstat quo minus mundus potuorit esso ab aeterno; ergo [etc.]. Minor probatur. Non enim implicat ex parte Dei producentis: quia si implica¬ rot, maxime implicarot, vcl quia nulla ras pr od lieta potest esse coaova suo productori; vel quia, cuna Deussitagens liborum, dobet praecodere co aliqua durationo suum effoctum; voi quia, si creatura essot coaotoma suo creatori, non esset illi superior Deus in omnibus, nani in dura- tione essot aequalis: sed nullum horum adimit aetcrnitatom croaturao: ergo [etc.]. Minor probatur. Non primum: quia in divinis Pater vero generat I'ilium, qui tamen Patri est coaeternus; tum quia philosophi admittunt in rebus naturalibus aliquas causas efficioutos, quae cum effoctibus coexistant. Hinc I). Augustinus, probans non repngnaro Fi- lium in divinis coaeternum esse Patri, adduciti hoc ex empiimi: splen¬ dori ab igne proficiscentis ; qui iuissot coaeternus suae causao, si illa fuisset ab aeterno, Dices, Aristotelem, in 12 Mot. t. 16, docorc, formam so differre a causa officiente in hoc, quod forma simili ost cum eo cuìub est forma: at vero causa cfficiens ost ante suum effoctum: ergo etc. Respondeo, Aristotelem ibi tantum contendere, formam simili esso cum composito, hoc ost produci simul cum ilio; non autom causas 2 , 8 . eterno — 19 . coeva — 21 , 25 . coetern ... - 03 . eq , M j; s _ IUVENILIA. 33 moventes; alioqui producerent se ipsas, quod fieri nequit. Dici etiam posset, formam ut forniam semper esse cum composito, non autem efficiens ut tale, cum aliquando praecedat suum effectum, imo ut plu- rimum ; vel etiam, Aristotelem loqui de causis per motum operantibus, quae, cum supponantur motui, et motus fiat in tempore, necesse est ut praeeant suos effectus. Neque 2° m : quia etiam si Deus libere agat, cum tamen sit infiuitae virtutis, non est minoris virtutis in agendo, quam si ageret necessario: at si ageret necessario, mundum ab aeter- nitate produceret: ergo [etc.]. Confirmatur: quia tunc agens liberum io praeit suum effectum, quando actus voluntatis illius non est simplicis- simus et totus simul : at actus voluntatis divinae est totus simul, sim- plicissimus, ipsique Deo coaeternus : ergo, cum in Deo velie et posse sint idem, sequitur etc. Neque 3” m : quia etiam si creatura ab aeterno extitisset, adbuc tamen duratione inferior esset Deo ; nam duratio Dei esset, sicut est, omnino necessaria et independens, at vero duratio creaturae contingens et dependens a divina. Neque implicat ex parte creationis: quia si implicaret, vel implicaret, primo, quia creatio signi- ficat actionem aliquam, quae, cum non fiat in aeternitate, fieri debet in aliquo instanti ; at in duratione aeterna non potest assignari instans 20 primum; ergo etc.: vel, 2°, quia creatio est ex nihilo productio, quo fit ut creatura prius debuerit esse nibil, deinde per creationem acce- pisse esse, atque ita non fuissot aeterna: sed neutroni horum impediti ergo [etc.]. Minor probatur. Non enim primum : quia cum ponitur mun- dus ab aeterno creari, nomine creationis non intelligitur actio aliqua proficiscens a Deo ad creaturas, sed tantum significatur babitudo mundi ad Deum ; ad eum modum quo, quando dicimus risibile promanare ab homine, indicamus tantum dependentiam risibilitatis ab ilio, tanquam a suo principio intrinseco: lege D. Tliomam, in p. a parte q. 41 ar. p.° ad 2“”. Neque 2“ ra : quia cum dicimus creationem fieri ex nibilo, non 30 significamus transitum aliquem ipsius non esse ad esse, sed tantum ne- gationem materiae vel subiecti; ita ut fieri ex nibilo sit fieri ex non praesupposito subiecto: quod quadrat in quamlibet creaturam, etiam aeternam. Neque implicat ex parte creaturae. Quia si implicaret, ma¬ xime implicaret, vel quia, cum creaturae conveniat ex se non esse, vel illi convenit non esse post esse; quod dici non potest, cum sint multae creaturae incorruptibiles: vel convenit non esse simul cum esse; quod 12. coeternus — 24. eterno — 3i IU VENI LI A. 2* opinio. P. um argumentum 3* opinio. implicat, ut patot: vel convenit non esso ante ipsum esse; et ita re- pugnat, creaturam potuisse esse ab aeterno. Vel, 2°, implicaret, quia creatura habet esse participatum a Dco; at si esset ab aoterno, fal- sum id esset ; ergo [etc.]. Sed neutrum horum impedit; ergo [etc.]. Minor probatur: non enim primum; quia cum dicitur creaturae con¬ venire ex se non esse, dicitur quia habet illud a Deo; a quo si de- relinqueretur, statini in nihilum recideret: ncque 2“"’; quia etiam si ab aeterno creatura extitisset, habuisset tamen esse acquisitum, hoc est dependens a Deo. Secunda opinio est Durandi, in 2° dist. p. B , quem secuntur per- io multi recentiorum; et videtur etiam esse D. Thomae, in p.* parte q. 46 art. 2°, sentientis aeternitatem repugnare quidem corruptibilibus, non tamen incorruptibilibus, ut caelis et intelligentiis. Probatur haec opinio, quo ad secundam partem, ex argumento primae sententiao. Probatur quo ad primam partem : primo, quia, si corruptibilia potuissent esse ab aeterno, sequeretur infinitum actu fuisse pertransitum, contra Aristotelem et rationem. Probatur sequela: quia infiniti dies, menses, anni etc., et infinita individua, fuissent pertransita. Quin imo, cum animae hominum sint immortales, sequeretur actu infinitum esse, illique fieri continuo additionem. 2°: sequeretur aliud absurdius, hoc est dari 20 maius infinito in infinitum. Quia si mundus fuisset ab aeterno, infiniti anni fuissent elapsi; at annus continet 365 dies; ergo plures dies in infinitum praetcrissent quam anni. 3°: sequeretur dari creaturam ali- quam habentem virtutem infinitam. Probatur sequela: quia, cum intel- ligentia cognoscat omnes circulationes sui oi’bis, si mundus ab aeterno extitisset, infinitas circumvolutiones intelligentia comprenderet; atquo ita, cum infinitum non possit nisi ab infinito compraehendi, sequeretur in intelligentiis dari vini intelligendi infinitam. lertia opinio est Philoponi in libro quo respondet argumentis Prodi prò aeternitate mundi, Gandavensis in quodhbeto p.°, D. Bonaven- 30 turae in 2 dist. p. quo.° 2 a , Marsilii in 2° dist. p. a art. 2°, Burlei in 8 Phys. in quo. hac de re super t. 15; et Sanctorum Patrum, ut Atha- nasii in 2 oratione contra Arianos, Anibrosii in p.° Hexameri, Au- gustini in libro contra fi ilicianum Arianum, Damasceni in p.° De fido orthodoxa cap. 8, Basidi, Hilarii; Augustini item et Athanasii, utentium hoc argumento adversus Arrium, asserentem Dei Filium esse creaturam: 17 . sequaeìa — 32 . santorum — 32 - 33 , 35 . Atanasii — 33 . Excimero — 35 . ortodoxa—llarii — 1UVENILIA. 35 Nulla creatura potest esse coaeterna suo creatori; secl Filius Dei est Argumentum. coaeternus Patri; ergo [etc.]. Probatur haec opimo: quia sicut repu- p.«» «rg. gnat creaturam liabere essentiam infinitam et virtutem, ita et dura¬ ti onem, quae Dei est propria. Confirmatur: quia si aliqua creatura esset ab aeterno, liaberet esse necessarium et penitus indefectibile etiam per absolutam Dei potentiam. Nam vel posset annikilari ab aeterno, vel non: si posset, cum eadem ponatur ab aeterno, simili esset et non esset ; quod implicati si non posset, ergo per aeternitatem habuisset esse necessarium; nam orane aeternunx, ex 9 Met. t. 17, io caret potentia contradictionis ad esse et non esse; quod repugnat praepotonti Dei virtuti, a qua omnes res creatae in suo esse depondere debent. Adde quod, si creatura posset esse ab aeterno, in ea creatio et conservatio non differrent: at tamen differre inter se creationem et conservationem certum est, tum ex ipsa rerum definitione diversa, tum quia causa particularis efficiens non est conservans, et si quod datur efficiens conservans, differt tamen quatenus est efficiens et qua- tenus conservans. 2°: quia creatio est productio ex nihilo: quo fit ut 2 “» nr g . non ens necessario debeat praecedere rem creatam. Confirmatur: quia de eo quod producitur, verum est dicero Producitur: sed creatura 20 quae producitur, non potest semper produci, alioqui non haberet esse suum permanens sed successivum; neque in tempore produci, quia nulla est repugnantia in ipsius productione: ergo in instanti produ¬ citur, et, ut est consequens, non potest ab aeterno esse. Confirmatur adirne: quia creatura liabet esse acquisitum a Deo: ergo habet illud post non esse; quia non acquiritur quod habetur, sed quod non habetur. Quarta opinio est D. Thomae, in q. e 3 a De potentia art. 14, et in 4* opimo, opusculo De aeternitate mundi, et in 2° Contra gentiles c. 38, et in p. a part. q. 4G, Scoti in 2° dist. p. a q. 7, Occam in quodlibeto 2° art. 5, doctorum Parisiensium 8 Pbys. q. p. a , Pererii in suo 15, et alio- 30 rum: qui putant, mundum potuisse fieri ab aeterno secundum incor- ruptibilia, propter rationes supra factas ; at vero secundum corrupti- bilia, problema esse. Quia, si quid obstaret quo minus res corruptibiles potuissont esse ab aeterno, essent absurda quae infert Durandus: sed illa possunt facile solvi, admittendo dari actu infinitum, et infinitum actu fuisse pertransitum, ergo etc., et dari unum infinitum maius alio. Dico, iam primo, mundum non fuisse ab aeterno, cum et. Fides conclusi» p.* 1, 2. coetern.... — 5. indcfcctibilem — 3G IUVENILIA. 2* concludo. Obioctio. Kespondoo. nostra lioc edoceat, quae factum esse in tempore docet. Itationes omnes quae adversantur huic positioni, Àristotelis, Averrois et Prodi, positi8 his duobus fundamentis, nihil prorsus concludunt, quae apud omnes indubitata esse debent: alterum est, Deum esse infmitae virtutis, ac proinde posse ex nihilo producere res omnes creatas; alterum est, Deum iu suis operibus ad extra liberimi esse, et posse illa efficere et non efficere, quando et quomodo vult. Probatur haec conclusio bis rationibus, quae probant etiam aliquo modo, mundum non potuisse esse ab aeterno. Prima est: quia, cum Aristoteles et medici omnes fateantur per cibum et alimentimi non restaurari aeque bouum humidum ra- J0 dicalo, in quo vita hominis consistit, si inundus fuisset ab aeterno, iam diu defecisset tale humidum et, ut consequens est, vis nutritiva et generativa. Secunda ratio est: quia decrescunt homines, ut constat nobis ex Sacris Scripturis et ex historiis: lege Plinium in lib. 6 c. 16, D. Augustinum in 15 De civitate Dei c. 9; uhi refert, se vidisse, cum multis aliis, humanum denteili molarem tantae magnitudinis, ut po- tuisset conficere centum ex illis hominum qui sua aetate vivebant; Nicolaum de Lyra in Genesi, Conciliatorem in differentia 4, Petrum Crinitum in lib. 6 Do honcsta disciplina c. 2, Avcrroem in 2° Do gene- ratione c. 2. Tertia est: quia daretur infinitus hominum numerus; nani, 20 si ex uno ante quinque mille septingentos et 48 annos tam multi prose¬ minati sunt quot hac nostra aetate vivunt, procul dubio, si mundus fuisset ab aeterno, infinita hominum multitudo existerot. Dico, 2°, ex parte Dei non repugnare, mundum potuisse esse ab aeterno. Fundamentuni huius conclusionis est: quia Deus ab aeterno fuit omnipotens, et cognovit ac voluit mundum; ergo, quantum est ex parte Dei, potuit mundus ab aeterno extitisse. Antecedens est in confesso apud omnes; quia alias Deus non esset immutabilis. Pro¬ batur consequentia : quia tantae facilitatis est Deo mundum producere, quantae est cogitare ac vello, cum sola cogitatione ac voluntate Deus so res producat; ergo etc. Neque dicas, Deum non potuisse communicare suam durationem alicui creaturae, hoc est aeternitatom, quia ahas po- tuisset etiam communicare infimtam sapientiam etc.: quia duratio, ut talis, non dicit perfectionem ; et, si Deus creaturae durationem aeternam communicasset, talis tamen duratio seniper a divina fuisset dependens. 12. vix — 14. hystoriis — 16. tante — 17, 22. date — 18. Lira — 21. ante sex mille (cfr. pag. 27, lin. 10) — 23, 25. eterno — IUVENILTA. 37 Dico, 3°, ex parto creaturae, sive sit corruptibilis sive incorrupti- Oonciusio 3*. bilia, sive permanens sive successiva, repugnare ut mundus potuerit esso ab aetei'no. Probatur liaec conclusio: quia quod a Deo producitur, debet per aliquam actionem transeuntem produci ex pillilo : sed quod ita producitur, non potcst esse coaeternuin productori, ut patet: ergo [etc.]. Minor probatur: quia quod producitur ex nihilo, ante non erat; et quod producitur per aliquam actionem transeuntem, non potest esse aeter- num, cum mensuretur ali quo instanti, ante quod instane necesse ost praecedere durationem producentis; quao cum sit aeternitas in Deo, io implicat etc. Confirmatur : quia implicat, causam efficientem propriam esse simul cum cffeetu in eodem primo instanti. Ncque obiicias illud de igne et calore, de sole et lumino: quia ultima dispositio ignis, quae inducitur cum forma ipsius, non est effectus illius formae, sed illiua quod generat talem formam; sicut et lumen solis non est effectus ipsius solis, sed generanti solem. Adde, quod creaturae non habent eiusdem speciei mensuram cum Deo, ncque sunt idem cum ilio ; quo fit, ut nc¬ que possint coexistere illi: nani ideo in divinis personis Eilius coexistit Patri, et Spiritila Sanctus utrique, quia, cum sint una essenti», men- sura omnium est aeternitas Fatris. 2°: quia alias sequeretur, si pone- 20 rctur mundus ab aeterno, mundum necessario a Deo promanasse ; nam nullum possct dari instans in quo mundus non osset simul cum Deo, ut patet ex suporioribus. Confirmatur: quia, si mundus factus est per emanationem, sol aut, cum mundus omanavit, factus est in oriento aut in occidente aut in meridie aut in septemtrione, aut in omnibus locis simul, aut in nullo. Secundum et tertium dici non possunt, ut discorrenti patet; ergo primum. Sed si dicas fuisse in aliqua parte, quacro: vel fuit ibi immotus aeterno tempore; et hoc dici non potest, quia quicvis8ct ibi violenter tempore infinito: aut coepit statini moveri ab aeterno versus aliam partem. Et si coepit statim moveri, quaero: 30 vel infinito tempore motus est, ante quam pervenerit ad illam partem ad quam movebatur; vel finito. Non primum, quia infinito tempore infinitae circumvolutiones factae fuissent; ergo secundum: atque ita, ncque factus est, neque potuit fieri, ab aeterno: ergo [etc.]. Et hoc argomentimi applicari potest ad omnia mobilia entia. Ad argumenta, patet ex dictis. % 15 . generanti solis — 19 . seqiiaerclur — 24 . seplemtrionem — 29 . ccpit — 38 ÌUVENIIUA.. TRAOTATIO DE OAELO. Quaestio ritiMA. An unum tanturn sit cadimi. p.* opinio. Prima opimo fuit veterum quorumdam phrlosopliorum, quos sg- cutus ost D. Chrysostomus et ali qui recentiores, sentientium unicum esse caelum. Probatur haec opinio : omnia nostra cognitio ortum liabet a sensu: sed, cum attollimus oculos ad caelum, non pcrcipimus multi- tudinem caelorum, cum sol et reliqua astra in uno caelo videantur exi- stere : ergo [etc.]. Neque vero sub alium sensum quamsub visum cadunt. 2 * opinio. Sccunda opinio est Aegyptiorum, Chaldaeorum, aliorumque astro- io nomorum, ad tempora usque Platonis et Aristotelis, qui 8 ut mini¬ mum caelos admiserunt, propter 8 motus quos in sideribus observa- runt. Nam Solem, Lunam, et alia astra, continue moveri ab oriente versus occidentem, adverterunt; stellasquo non semper esso coniun- ctas aut disiunctas eadem distantia, ut patet in Luna et Sole, qui in noviluniis coniunguntur, in pleniluniis per diametrum opponuntur; ac proinde dari debere motuum in cacio diversitatem, et, ut conse- quens est, tot caelos quot dantur motus distincti, cum unicuique cor- pori caelesti unus tantum debeatur motus. 8 autem sunt motus: nam, cum stellae omnes fìxae uniformiter semper progrediantur eodem or- 20 dine, ut patet legenti Tolomaeum die. 0 7 et Epitomen Ioannis Regio¬ montani die. 0 7, unum tantum prò illis caelum constituerunt, ad cuius motum moverentur; at prò stellis, quas errantes nominamus, cum illae neque eandem inter se servent distantiam, neque in eodem situ cum stellis fixis reperiantur, eeptem orbes, ad quorum motus moverentur, atque ita in universum octo caelos, dari voluerunt. 3 * opinio. Tertia opinio fuit Arsatiris et Timocharis, qui floruerunt anno ante Cliristum 830, et, Alexandriae siderum cursus observantes, depraehen- derunt, stellas firmamenti, quod primum mobile antiquitas putavit, alio motu tardissimo ab occidente in orienterà ferri, et non solum so 5. Grisostomus — 9. visti —IO. Egiptiorum, Caldeorum — 21. Tolo : (1. Ptolemaeum : ma il ms. ha costantemente quella forma volgare \Tolo : o, distesamente, Tólomeus\ che, salvo il dittongo, rispetteremo). epitome — 27. Timocaris —28-29. depraenderunt — IUVENILIA. 39 motu diurno ab oriente in occidentem, ut veteres censebant ; atque ita nonum caelum posuere, licet nihil nobis certi de hoc motu reli- querint propter illius maximam tarditatem. Hos sequuti sunt Hippar- clms, ducentis fere annis elapsis, et alvi, qui, suas observationes cum illorum observationibus conferentes, multo clarius praofatum motum dopraehenderunt ; et post annos 120 transactos, Agrippa in Bithynia, Mileus geometra Romae, et post lios omnes Tolomaeus anno Do¬ mini 131, multo adirne dilucidius eundem motum cognoverunt. Ex quo cum corpus simplex non possit moveri duobus motibus contrariis, io motu nimirum ab ortu in occasum, ad quem simul moveantur omnes stellae fixae, et motu ab occasu in ortum, inferunt esse aliud nonum caelum ponendum, quod spatio 24 horarum moveatur ab ortu in occa¬ sum, secumquo traliat octaviun eodem tempore quod octavum, deinde proprio motu sed tardissimo ab occasu in ortum moveatur. Hanc eandem opinionein socutus est Ioannes de Sacrobosco in sua Spirerà.' 11 Quarta opinio est Tebi, qui mille 140 annos post Tolomaeum flo- ruit, Alfonsi Hispaniarum regis qui floruit anno Domini 1250, Georgii Peurbachii, Ioannis de Itegiomonte, aliorumque, qui in stellis fìxis, praoter duos explicatos motus, tertium quoque, quem accessum et 20 recessum nominarunt, invenientes, 9 caelis decimum addiderunt. Ratio liorum fuit : quia cum corpus simplex unico tantum motu moveri sifc aptum, non potest nonum caelum esso primum mobile, sed supra ipsum statuendum est aliud, quod motu diurno, quem habet proprium, ab oriente versus occidentem, secum traliat omnes orbes inferiores et ipsum etiam firmamentum cum stellis fìxis spatio 24 horarum ; at vero nonum caelum suo proprio motu, quem optinuit ab occidente in orientem, circumeat octavum coelunr et omnes inferiores orbes ; octavum denique caelum, in qiro sunt stellae fixae, moveatur, tanquam proprio motu, accessu ilio et recessu quem citati invenerunt. Huic so sententiao favent Sacrae Litterao et theologi quamplurimi, cum in Sacra Scriptum legatur Deum posuisse firmamentum dividens aquas ab aquis, et in Psalmo 148 dicatur: Et aquae omnes quae super caelos sunt. 3. Iparcus — 6. deprendemnt — Agrias in Bitinta — 11. motum — 17. Hyspaniarum — 18. cubarchii — 30. Teologi — 31. Deus — Sogno qui nel ras. una « dubitatio » stimato opportuno di collocare dove era ri- ( < Quaerent i antera quomodo inventa fuorit chiamata dalla nota marginale : « Ilaec du- motus octavi cucii, eie. *), che noi abbiamo bitatio dehet poni in fine 4“° opinionis. * à opinio. I. 4 40 IUVENILIA. Qimor. Rea. 5* opinio. Quarum nomine, ut plurimi tlicologi interpretantur, intelligitur nonum caelum : vel potius, aggregatum ex nono et decimo, proptor perspicui- tatem quanti liabet, cum illi nullao sint partes densiores ut in reliquie or- bibus, cuiusmodi sunt astra, nomine aquarum iure appellatili’; quo fit ut etiam a nonnullis theologis dicatur glaciale, ab abiti etinnì cristallinum. Quaerenti autem quomodo inventile fuerit motua octavi caoli, quem motum trepidationis vocant astronomi, respondent liac ratione. Ob- servarunt astronomi, stellas fixas inacqualiter incedere ab occidente in orientem ; nani modo tardius, modo velocius, modo nullo pacto, videbantur moveri in zodiaco, imo vero aliquando retrocedere propter io illum motum diurnum, et eandem niliilominus distantiam a centro habere. Quapropter eas moveri a septemtrione in austrum, et e con- tra, asseruerunt : nani propter lmnc motum accidit tota ista inaequa- litas in motu stellarum fixarum, ut faciliime colligitur ex instru¬ mento ad hoc fabricato ; et liane esso causam putarunt astronomi, cur sint tam variae opiniones motus stellarum fixarum et quantitatis sive periodi motus ipsarum ab occidente in orientem. Rumini obser- varunt, maximam solis declinationem variam extitisse in variis tem¬ poribus : cuius nullam poterant causam reddere, nisi motum Rune trepidationis; quo posito, sequebatur octavam splieram modo a septem- 20 trione in austrum, modo ab austro in septemtrionem, declinare, et ex consequenti duos tropicos in orbe solari aliquando propinquiores fieri aequinoctiali, aliquando remotiores. Postremo observarunt, aequinoctia • accidisse antequam Sol ad Arietem perveniret aut ad Libram, imo postquam abquando transivit principium Arietis aut Librae ; pari ra¬ tione facta fuisse solstitia, etiam si Sol non extiterit in principio Cancri vel Capricorni. Cum igitur Sol necessario reperiri deboat in aequino- ctiab ut fiat aequinoctium, item in tropicis ut contingant solstitia, non potuit huius diversitatis alia causa adferri, nisi motus trepidationis, ad quem solurn consequitur anticipatio illa aequinoctiorum et solstitio- so rum. Adverte hic autem eodem motu omnes quoque septem planetarum globos moveri, ita ut illi omnes assidue zodiacum concomitentur. Quinta opinio est Strabi, venerabibs Bedae, et omnium tlieologo- rum, qui piaeter decem caelos mobiles posueruut et undecimum immo- 1, B, 33. teol.... 8. inequaliter — 9. onerile —13. intquàlUaa — 15. fabriaitum—20. sc- quoebatui 23, 27, 28, 30. cquinoct.... Nòli avvertiremo ulteriormente questa orafi a. — 34 im¬ mobile — IUVENILIA. 41 bilem, quem empyreum nominarunt ab igne, quod sit lucidisaimus, eumque sedem angelorum et beatorum esse voluerunt ; ab astronomia autem, eum non moveatur, noluerunt cognitum fuisse. Non desunt tamen quidam qui experientiis quibusdam illuni probare nitantur. Nam, ut Plinius testatur lib. 8 c. 16, in Europa, inter Acheloum et Neatum amnea, procreantur leones longe viribus praestantiores bis quos Affrica et Syria gignit: quod, cum non fiat per totum tractum terrae, ab oriente versus occidentem, in quo dicti amnea siti sunt, non potest orivi nisi ex influxu alicuius caeli immobilis; nam ai ori- io retur ex stellarmi! sive mobilium stellarum influxu, tales leones na- scerentur per totum illum terrae tractum, propter continuum motum stellarum et influxum. Praeterea, in Hungaria, sub latitudine 47 gra- duum, equi velocissimi et validissimi nascuntur, qui in aliis regionibus minime procreantur. Postremo, in Mauritania innumerae simiae genc- rantur. Respondent philosopbi, liane effectuum diversitatem, in eodem climate, totam pendere ex varia terrae disposinone. Sed contra : terra varie disponitur a variis siderum aspectibus ; ergo [etc.] : quando- quidem omnes partes eiusdem climatis, respectu caelorum mobilium et siderum, babeant eosdem aspectus successive. 20 Dicendum est, decem esse caelos mobiles, et, praeter lios, davi un- decimum immobilem. Haec aecunda pars conclusionis patet ex communi theologorum consensi!. Probatur prima: numerus orbium caelestium ex motuum diveraitate colligendus est, siquidem nullum alimi medium ha- bemus ad ilhun investigandum : sed decem motus proprii, diversi sunt in caelestibus corporibus: ergo [etc.]. Minor probatur: nani decimum cae- lum, quod et primurn mobile vocatur, uniformi regulari citatissimoque motu, super mundi polos et per circulum aequinoctialem, suam explet circuitionein ab oriente in occidentem, spatio unius diei naturalis, lioc est 24 liorarum aequinoctialum : tantus autem est illius impetus, ut 30 omnea orbes inferiores secum trahat, quos etiam procul dubio eadem, qua ipsum cietur, velocitate circuinduceret, nisi peculiaribus suis mo- tibus aliquantulum retrocederent, cum nullam in illis reperiat resi- stentiam ; quin imo totam spheram ignis et magnam partem aéris et, secundum quorumdam sententiam, bonam etiam partem oceani secum moveat. Nonum vero caelum, propter motum primi mobilia ipsi 1 . lucidissimum — 5. textatur — 7. Stria — 8. occidente — 10. influxum — 12. TJyxgaria — 14. innumere — 18. celomm — 22. Teologorum — Conclusio. 42 IUVENILIA. communicatum, proprio mota, licet tardissimo, ab occasu in ortum progreditili’; ot, iuxta tabulas Alfonsi, absolvit totum sunm cursum per zodiacum annorum 49000 spatio. Quod temporis spatium a ple- risque solet vocari annua Platonicua; quod autumat Plato, hoc tem¬ poris intervallo sidera omnia ad eundem situm reditura ; et, secundum alios, quaecunque mine in mundo sunt, eodem, quo mine cernuntur, ordino sunt reditura. Sed gratis hoc dicitur: nam cum, secundum fere omnes, motus caelorum sint inter se incommensurabiles, fieri non potest ut unquam omnia sidera eundem situm et ordinem quelli nunc liabent, aut olim liabuerint, obtineant. Iuxta vero Tolomaeum, ab- io solvit nonus orbis suum cursum per zodiacum spatio annorum 36000 ; iuxta Albatenium, Bpatio 237G0. Quicquid sit de hoc numero, illud certissimum est, nonum caelum tardissimo motu ab occidente in orien¬ terà moveri, secumque trakere 8 orbes inferiores, sed non priinum mobile : nam, ut sentiunt omnes astronomi, quicunque orbis superior suo motu circumfert inferiorem sibi contiguum et concentricum, non tamen superiorem. Octavum caelum, quod est firmamentum, praeter kos duos motus sibi a superioribus orbibus impressos, suo proprio et peculiari motu cietur; quem motuin vocant plerique accessus et re- cessus, sive trepidationis. Fit autem talis motus super principia Arietis 20 et lqj nonae splierae, tanquam polos : principia enim 'y et LQJ octavae splierae circa initia 'Y 1 et inj nonae spkerae describunt circulos quosdam parvos, quorum semidiametri continent quatuor gradus ; tantum enim distant initia Y e t — octavae spkerae a principiis Y et UH nonae spherae, ut docet Alfonsus. Ex hoc vero motu princi- piorum Y et ^ octavae spkerae circa principia Y et UH nonae spherae consequitur, nullum akud punctum octavi caeli circulum perfectum absolvere, sed quodammodo titubare, hoc est nunc acco¬ derò ad polum arcticum nunc ad antarcticum. Periodus liuius motus, secundum matkematicos, fit spatio 7000 annorum: trakit autem etiam 30 secum talis motus orbes omnium planetarum, cum sint concentrici cum octava spkera. Saturni globus, praeter kos tres dictos motus, quos kabet communes cum omnibus inferioribus orbibus, habet suum pro- prium motum, quem conficit ab occidente in orienterà annis 30 fere. Iuppiter etiam suum ab occidente in orientem kabet, quem 12 an- 12. Albertenium 237 60JT — 21, 22. tphere —27. È da notare che qui prima scrisso spliaerae, poi ridusse alla forma preferita. — 29. articum — antarticim — 34. oriente — IUVENIIjIA. 43 norum spatio explet ; Mars item simili ab occidente in orientem, qnem annis fere duobus conficit. Sol suum proprium motum conficit diebus 3G5, horis 5, minutis 49 et secundis 15; quod spatium annus Solaris appellatili’. Ex quo patet, ut recte adnotat Clavius in sua Spliera, non praecise annum continere 3G5 dies et 6 horas ; nani de- sunt minuta fere 11. Et haec doctrina desuniitur ex Alfonso: nam Tolomaeus maiorem anni quantitatem reperii., Albatenius minorem ; Copernicus aequalem anno Tolomaei, astronomi fere omnes inaequa- lem, existimant. Venus et Mercurius complent suos proprios cursus io quasi uno tempore cum Sole. Nam, sicut Sol singulis diebus con- ficit minuta 59, 2 a 8, 3“ 19, 4“ 37, ita Venus conficit etiam singulis diebus minuta 59, 2 a 8, 3° 19 fere : ^ vero tantundem fere etiam ornili die explet. (£, demum, ab occidente in orientem conficit cur- sum 27 diebus cum horis fere 8 ; deinde vero quasi biduum consumit, ut assequatur Solem. Cum enim Sol interim in 27 diebus et horis 8 per- currat fere 27 gradus, quos fere Iiiina in biduo absolvit, necesse est ut ab una coniunctione Lunae cum Sole intercipiantur dies 29 et lioraé 12 fero ; quod spatium mensis lunarie appellatur. Ex quibus omnibus, cum 8int 10 motus proprii in caelo, decem etiam esse orbes necesse est. 2 o Veruni adverte hic, primo, quod diximus de periodis motuum pla¬ netari™, intelligi debere non de orbibus sive caelis totalibus, sed de propriis orbibus planetas doferentibus : quos in medio caelorum ec- centricos esse prò certo habeo, cum alias multa saivari non possint, ut fuse demonstrarunt mathematici in tlieoricis planetarum ; nam to- tales orbes planetarum moventur ab occidente in orientem eadem prorsus tarditate, qua nonum caelum movetur. Adverte, 2°, quod, licet orbes omnes inferiores et totales moveantur motu etiam trepi- dationis, nullus tamen pianeta inferior ad motum proprium planetae superioris, propterea quod non circa idem centrum propriis lationi- 30 bus, fertur. Adverte, 3°, novem orbes, qui sunt infra primum mobile, iisdem omnino temporibus suos cursus esso confecturos quibus nunc illos absolvent, et non citius, etiam si primum mobile non moveretur, vel eos secum non circumduceret ab oriente in occidentem. Exemplo huius rei nobis sit nauclerus, qui motu proprio se moveat contra motum 1. oriente —7. Albartenius — 8. cqual.... incqual .... Non avvertiremo ulteiiorinento que¬ sta grafia. — 10. quasi tempore — 15. oris — 24. Teorids — 31. cursos — 33. occidente — 34. nauclcue — Noi. Not. Not. 44 IUVENIUÀ. Q uaer. aavis. Yerum tamen est, eos tunc simpliciter ab occidente in orientem delatum iri, quia tunc nullum daretur instans post aliud quo non magis ab occidente recederent et ad orientem aocederent; ut etiam nauta, si maneret navis immobilis, eodem tempore ad puppim perveniret: et simpliciter ad orientem, non autem solum ad partes orientales. Quaeres hoc loco, quanam ratione comportimi sit, caelum moveri ab oriente in occidentem, et iterum ab occidente in orientem. ltospon- deo, primo, compertum fuisso primum motum al) ortu in occasum hac ratione. Viderunt astronomi, Solem, Lunam, et alias stollas omnes, ex parte orientis paulatim ascendere et eievari supra horizontom, donec io ad meridianum pervenirent, atque bine declinare in occidentem, donec iterum in oriente reperirentur : ex quo concluserunt motum caeli ab oriente in occasum. Nam quod motus talis simpliciter fiat ab oriente, colligunt, primo, ex umbra corporum : nam ab ortu solis usque ad meridiem, umbrae omnes in horizonte proiectae decrescunt continue, ita ut in meridie umbrae fiant minimae; a meridie vero usque ad solis occasum, iterum augentur : quod fieri non posset, nisi Sol laberetur ab ortu in occasum. Idem est iudiciuin de Luna; cuius umbrae sem- per decrescunt dum ab ortu ad meridianum movetur, iterum vero augentur cum a meridiano in occasum vergit. 2°, ex stellarmi! al- 20 titudinibus : quae ab ortu ipsarum semper maioros fiunt, donec ad meridianum perveniant, ubi maximam obtinent altitudinem ; a meri¬ diano vero usque ad occasum earundem, altitudinis decrementmn suBcipiunt: quod quidem certo indicat, eas simpliciter ab oriente di¬ scedere et ad occidentem appropinquari. Respondeo, 2°, motum se- cundum quid, ab occasu in ortum, hoc modo fuisse repertum. Obsor- varunt astronomi in 7 planetis, ut colligitur ex Ioanne Regiomontano in Epitome Almagesti Tolomaei, Solem Lunam reliquosque planetas non habere semper eandem inter se distantiam et eundom situili: ut aperte patet in Luna, quae modo Soli coniuncta est, modo disiuncta so secessit in partes orientales ; et in aliis planetis, non solum inter se sed etiam cum stellis fixis; nam illi nunc sunt cum aliqua stella fixa coniuncti, nunc in orientales partes disiuncti abierunt : ex quo intu- lerunt, 7 orbes planetarum, praeter motum ab oriente in occidentem, moveri quoque ab occasu in ortum, et repedare quodammodo. 1. oriente o. rccedcret accederet — 7. in occidente — in oriente — 10, 15. orisi.... Non avvertiremo ulteriormente questa grafia. — 15. unbrae - 1G. minime — 32. illi non sunt — IUVENILIA. 45 Dices, quid de octavo caelo dicendum est? Respondeo, quod quamvis antiqui fere omnes, ante Àristotelem, stellatum caelum ab oriente tantum in occidentem moveri crediderint, propter stellarum fbcarum eandem distantiam et situili, et ortuuin occasuumque loca in oriente, quae omnia semper eadem esse animadvertebant ob exiguuin temporis spatium in quo haec observabant, tamen post Àristotelem aliter reni se habere a matlieinaticis depraeliensum est. Nam, ut ait Tolomaeus in die. 7 c. 2°, et Ioannes Regiomontanus in epitome eiusdem dictionis prop. 6 2 & , distantia stellarum fbcarum a punctis sol- ìo stitialibus et aequinoctialibus non manet eadem semper, sed secun- d nm successionem signorum augetur versus partes oriontales pro¬ gredendo ; ita ut stellae fixae quae antiquo tempore fuerunt ante puncta solstitialia et aequinoctialia, ut ex observationibus veterum et recentiorum liquido constat, modo reperiantur post puncta solsti¬ tialia et aequinoctialia : lege Tolomaeum et Regiomontanum ubi supra: ex quo infertur, octavum etiam caelum ab oriente in occasum moveri. Ut autem afferainus exemplum eorum quae diximus, petitum ex citatis autboribus, adverte : Timocliaris, cursum stellarum obser- ì 9 9 vans, reperit stellanti Azimet, quarn Latini vocant Spicam Yirginis, 20 ante punctum aequinoctii autumnaJis, idest ante principium un primi mobilis 8 fere gradus, hoc est post 23 gradum Tip ; post hunc vero 200 annis elapsis, Hipparchus eandem stellam reperit 6 tantum gradus ante illud punctum, videlicet in principio 25 gradus ÌJP ; et post hos Tolo¬ maeus eandem stellam plus accessisse secundum proportionem temporis interiecti invenit ; idemque fuit observatmn ab Albatenio, Avenestra et Zacut ; liuius vero nostrae aetatis astronomi, hanc eandem stellam exi- stere iam post principium Librae, nimirum in 12 fere gradum Librae. Quaeres, 2°, an omnes orbes inferiores, cum moveantur ab occasu in orientem, moveanturne super diversos polos a polis mundi. Respon¬ so deo affìrmative. Nani, ut observarunt astronomi, non solum moventur per circulum aequinoctialem, sed etiam super polos zodiaci et per circulum zodiacum : planetae enim omnes in eodem horizonte semper variant puncta ortus et occasus ; ut patet in Sole, qui modo iuxta aequinoctialem, modo ultra, modo citra oritur: quae diversitas non posset esse in ilio, si moveretur ab occidente in orientem super polos 1 . Dices, quod — 20 . autunnalis — 22 . lpparcus — 28 - 29 . ab oriente in occasum — 29 . di- verso — 35 . oriente — Dicos. Quaer. 40 IUVENILIA. Nota. mundi, ut patet, nam semper in eodem puneto horizontis oriretur; quemadmodum et paralleli aequatoris, in quorum uno Sol necessario oritur et movetur mota diurno, in eisdem semper punctis liorizontom intersecant. Et (piod de Sole observatum fuit, etiam de aliis fuit planetis. 2°, observarunt astronomi non semper planotas eandem ser¬ vare distantiam a polis mundi, sed nunc accedere ad arcticum, nunc ad antarcticum. Quodprofecto nascitur ex eo, quod non liabent semper eandem altitudinem meridianam : nam Sol liabet illam maximam in tropico Cancri, minimum vero in tropico Capricorni ; ut patet ex umbra meridiana alicuius stili, quao minima existit Solo cornino- io rante in Cancro, longissima vero commorante in Capricorno. Ex qua Solis aliorumque planetarum altitudine diversa intulerunt astronomi, planetas super diversos polos mundi tendere ab occasu in ortum ; praesertim cum videront liane motus planetarum diversitatem iisdem limitibus Claudi, eosque circumferri in circulo, cuius maxima decli- natio ab aequinoctiali gradus 23 et Va: quo fìt necessario ut eius poli totidem gradibus a mundi polis distent, et consequenter ut motus planetarum fiat super polos zodiaci et super circulum zodiacum. Et haec de septem planetis. De octava vero spliera quid dicendum ? Adverte, illam ab occidente in orientem tendere, l'uisse ab iisdem 20 astronomis super diversos polos mundi iisdem rationibus depraeliensum ; nam cum non semper in iisdem locis ortae sint stcllae, in quibus nunc oriuntur, respectu eiusdem horizontis, ncque illarum altitudines meri- dianae sint eaedem cum illis quas observarunt elapsis temporibus, sequitur manifesto super eosdern mundi polos non tendere ab occasu in ortum. Praeterea, ut recte adverterunt Tolomaeus die. 7 c. 3 et Regiomontanus in epitome eiusdem dictionis, et etiam comprobarunt, cum stcllae fìxae non semper habeant eandem distantiam cum aequi- noctio ; nam declinationes stellarum fìxarum, quae sunt in medietato spherae quae a principio Capricorni per Arietem ad principium est 30 usque Cancri, australes sint diminutae, septemtrionales vero auctae; e contra vero illarum stellarum, quae sunt in altera medietate spherae quae continetur a principio @ per un usque ad principia Capri¬ corni, declinationes australes auctae, septemtrionales vero diminutae. Nota autem hic, nomine declinationis australis intelligi illam, quarn liabet stella quae ab aequinoctiali versum polum antarcticum declinat; • 2. equatores 3. oritur movetur —13. ortu — 21. depractisatn —24. cedetti — IUVENILIA. 47 nomine vero septemtrionalis illam, quam liabet stella quae ab aequi- noctiali vergit in arcticum. Quaerenti autem unde dignoscatur maxima Quaor. diversitas declinationis in stellis fixis, respondeo : ex maiori propin- quitate ad principium Àrietis et Librae primi mobilis; sicut, e con¬ tea, minima diversitas agnoscitur ex maiori propinquitate illarum ad principium Cancri et ad principium Capricorni. Ut autem melius in- telligatur quod diximus, afferatur exemplum. Stella quae dicitur Ocu- lus 'Q', tempore Timocharis declinabat ab aequinoctiali versus septem- trionem gradus 8 et Va; tempore Hipparchi, gradus 9 minuta 45; io tempore Tolomaei, gradus 11 fere; nostra aetate, gradus quasi 16: ex quo patet stellam liane suscepisse maius declinationis septemtrio- nalis inerementum, cum existat in medietate spherae quae a princi¬ pio Capricorni per r p ad principium @ porrigitur. Idemque iudicium est de aliis stellis, etc. Ad argumentum primae sententiae respondetur : verum quidem esso, dum sumus in liac mortali vita, nostram scientiam a sensibus oriri ; negatur tamen non percipi sensu plures caelos. Nani licet caelo- rum multitudinem imo nec unitatem visu percipiamus, percipimus tamen astra plura oppositis motibus se movere : ex quorum multitu- 20 dine, corporum caelestium multitudinem necessario colligimus; cum stellae moveri non possint more avium in aere, ut quidam male sen- serunt, cum moveantur ad motus suorum orbium ; et quia non posset assignari ratio, cur contrarns inter se motibus moverentur. Ad Ari- Btotelem, in contrario, respondemus cum ipso in 12 Met., in rebus astronomicis astronomos esse consulendos. Neque dicas, cum eodem ibidem c. 8, orbem caelestem esse propter motum astri, ac proinde esse 8 tantum caelos, cum etc.: nani licet in nono et decimo caelo nullum sit astrum, illorum tamen motus redundant in motum abquem astrorum ; praeterquam quod negari posset illud assumptum. so Quaestio secunda. De ordine orbium caelestium. Aristarchus, quadringentis annis ante Tolomaeum, quem ex re- r.> opìnio. centioi’ibus secutus est Nicolaus Copernicus in opere Do revolutione 8. Timocaris — 9. Tparchi —10. etate —12. sferae — 24. cum ipso met: in 12 met — i. 5 48 IUVENILIÀ. P." opinio confutatili-. orbium caelestium, hunc ordinem constituit: ut Sol in medio mundi sit collocatus ; circa quem, orbis § ; circa hunc, orbis 9 5 circa liunc, orbis rnagnus, Terram cuin elementis et Lunam eontinens ; circa lume, oi'bis $ ; deinde caelum Iovis; postea Saturni globus; postremo Firmamentum. llaec opinio adversatur communi philosophorum astronomorumque sententiae, et rationi Terram in medio mundi consistere suadenti. Primo, quia, ex Avorroe in 2° Caeli, et ox Tolomaeo die. p a c. 5, si Terra non esset in medio mundi sita, non fierent semper eclipses Lunae quando duo luminaria per diametrum opponuntur, sed plc- rumque contingerent quando non existunt in locis zodiaci oppositis: io quod tamen pugnat cum experientia astronomorum, docentium tane semper fieri eclipses quando Luna opponitur Soli, alias nunquam. Con- fìrmatur : quia si ponatur Terra in medio mundi, tunc, ut fiet eclipsis, cum opponuntur duo luminaria ob Terrae interpositionem, ita, si ponatur extra medium, non fiet eclipsis, quia nulla crit interposto Terrae ; imo tunc maxime fiet quando Luna maxime distabit a Sole, quia tunc habebit minimum luminis. 2°, quia, ex Regiomontano in Epitomo lib. p° cono. 3.", et ox Aristotele in 2.° Caeli, omnia gravia, libere seeundum mundi diametrum descendentia, superficiei Terrae ad angulos aequales oecurrunt, in qualunque orbis parte descen- 20 dant ; ergo, ut consequcns est, tendunt ad Terrae centrum, alias non inciderent superficiei Terrae ad angulos aequales : quo fit ut, quia diametri mundi, seeundum quas gravia feruntur, transeunt per cen¬ trum universi ibidem se intersecantes, ut idem sit et Terrae et mundi centrum. 3°, quia, ex Aristotele, cum Terra sit gravissima, ad infimum loeum tendere debet ; qui cum remotissimus debeat esse a caelo, non potest esse nisi centrum mundi. Confirmatur linee ratio: quia Terra cum sit omnium ignobilissima, debuit iure collocari in medio, ne re- liqua corpora propter illius propinquitatem aliquid detrimenti pate- rentur, et quia ita posset subveniri melius et commodius illius im- so perfectioni per influxum caeterorum corporum. 4°, quia, ex Alfragano in differentia 4, et ex Ioanne de Sacrobosco in sua Spbera, seclusis omnibus vaporibus nebulis et exbalationibus quae visum nostrum possunt impedire, oxistentibus nobis in superficie Terrae in qua- cunque regione, apparent stellae eiusdem semper magnitudini, tam 2. $ ; circa lume, orbis magnrn — 3. elimentis—4. celum — 9. citta—13. fiat— 30. imper- fcctionem — 33. exalaiionibus — 1UVENILIA. 49 in ortu quam in occasu, et in medio cadi: quod fieri non posset, nisi Terra ossefc in medio mundi aequaliter distane ab omnibus par- tibus caeli. 5°, ex Sacrobosco ibidem, homini ubicunque terrarum existenti sex semper signa oriuntur et sex occidunt-, ut recte docent Tolomaeus die. p. a c. 5 et 6, et Alfraganus differentia 4, caeterique astrologi : quod fieri non posset, nisi Terra esset in mundi medio sita. G°, ex Tolomaeo ubi supra : quia si Terra non esset in medio mundi sita, aut esset in plano circuii aequinoctialis extra mundi axem (nam si esset in axe mundi et in plano aequatoris, existeret in centro), io aut in axe mundi extra planum aequinoctialis circuii, aut denique neque in plano aequinoetiali nequo in axe mundi : sed nullum horum dici potesti ergo [etc.]. Minor probatur. Non eniin primum : alias in spliera recta nunquam fieret aequinoctium; quin imo in spliera obliqua, aut nullum fieret aequinoctium, aut non fieret in medio loco inter solstitium aestivum et liibernum ; praeterea, in eadem spbera recta nullus videret dimidietatem caeli; in eadem sphera non cernerentur stellao aequalis magnitudinis ; ad hacc nullus horizon divideret caelum in partes aequales; et, demum, excessus maximae diei supra diem ae- quinoctialem non esset aequalis defectui brevissimao diei quo a die 20 aequinoetiali superatur: quae omnia probant matliematici quotidianae experientiao repugnantia. Non 2 um : quia alias nullus horizon, praeter rectura, secaret caelum in duas partes aequales, et consequenter ne¬ quo zodiacum; quod pugnat experientiae, cura medietas zodiaci, hoc est sex signa, semper conspiciantur infra et supra horizontem : deinde, solum in sphera recta fieret aequinoctium, quia solus horizon rectus bifariam divideret aequatorem : 3°, quia series atque proportio incre¬ menti et decrementi dierum ac noctium confunderetur, quae talis est ut bis in anno dies adaequeiitur noctibus: 4°, quia umbrae gno- monum, qui cuni horizonte angulos rectos effìciunt, tempore aequi- 80 nootiorum non per imam eandemque lineam rectam ab oriente in occidentem proicerentur : 5°, quia nunquam per dioptram cernerentur duo signa zodiaci per diametrum opposita; quod est contra expe- rientiam, quae docet, ortum et occasum solis in aequinoctiis per dioptraiu secundum imam rectam lineam conspici ; sicut et ortum in 9, 20. equat.... —15. estivimi et ibernimi — 17. nullum — 18. maxime — 19. brevissime — 20-21. quotidiane experientie — 23-24. hoc sex — 25. fieri —27. confundcrentur — 28. adequen- t«r — 29. qui mutato poi iu quae — 31. occidente —31,34. dioctram — 1UVENIMA. 2* opinio. 50 solstitio aestivo, occasum in solstitio Intanali, item ortum in solstitio hiemali et occasum in aostivo, per dioptram secimdum lineam rectain sibi correspondere in quolibet horizonte. Neque d J “: (juia pari ratinile in omnia dieta abmrnla incideremus ; nani in sphera rocta nullnm fieret aequinoctium, et in obliqua ille tantum horizon s.-raret >ph« rara per aequalia, qui transiret per centrimi mundi; confunderetur uni¬ versa serica in decrementis et incrementi* dimmi ac noctium; etc. Aegyptii, quos secuti sunt Plato in Tiuiaeo et Aristotele* 2 Cadi c. 12 et in p. u Meteororum c. 4, putarunt lume ordinem e*-<- col- locandum in spheris caelestibus: ut intimum loetim obtineret Luna, io lume subsequerotur Sol, Solem Mercurio*, deinde Yonus, 5. Mais, 6. Iupiter, 7. Saturnufl, postremo octava spie rà. Haee sententi» re- pugnat et astronomia et rationi: nani Tolomarus et Ite^ioinonbmus, Sacrobosctis et alii sentiunt, Lunam quidem occupare intimum locum; sed tamen supra illam constituunt $ , inde 9» inde Q, saprà hunc (/, inde Q}, tum ti, tum octavam spheram, nonam, divinami, et caelum empyreum. Veruni tamen est, Aristotelem, in libello 1 >«• niuiulo ad Alexandrum, Venerem immediate supra Solem et sub . **• >n ititui--<■. Probatur astronoinorimi orilo in constitutione sphonmim caele- stium: ex cuius probatione patebit refutatio ordinis Aegvptiorum, s» et praeterae opinionum Metrodori et Cratis, qui Solem et Lunam ponebant supreinos planetanim, Democriti, qui M< reunum Q sup-rio- rem faciebat, et demum Alpetragii, <[ui Yenerom Sole altiorem existi- mabat. Et, primo quidem, liaec prima opimo, Lunam intimimi locum obtinere inter planetas, et octavam spheram illi* omnibus esse su* periorem, probatur ex edipsibusplanetaruin -ive occultationibu-. Nani illud astrum est inferma, quod alterum nobis occultnt : sed Luna, quando coniungitur cum aliia planetis, eoe interdilli! nobis visti eripit: ergo subest illis. Et pari ratione poterit fonnari argumentum de Mercurio respectu 9> e t de 9 respecto etc. Confirma tur idem; 3') corpus lucidum quo remotius est a terra, carteri- paribus, eo umbrae corporum minores apparent in plano horizon ti* ; et quo propinquius est, eo maiores : sed Luna, aequalibus cum Sole graditili*, in diverso tamen tempore, ab horizonte distane, longiores umbra* proicit, ut 1. estivo 1, 2. iemali — 2. estivo — dioetram — S 20 sequaeretur 12. spheram -17. emjnrrum - est quj .1, 31. uttbrae — KfipL— — IO. cfìe.iiihutt — 11. nnb- — 21. opimo — 23 Alfctragù — IUVENILIA. 51 patct: ergo [etc.]. Quod autem de 3 respectu 0 diximus, accommo- dari potest aliis planetis; nam quamvis illi non ita splendoant ut umbras proiciant, sciri tamen potest quantum eorum radii per gnomo- nis verticem proiciantur. Probatur, 2°, Lunam immediate subsequi ^, Lune 9, Yenerem Q. Illud astrum est Terrao vicinius, quod, caeteris paribus, maiorem habet diversitatem aspectus (voco autem diversita- tem aspectus, quam alii vocant aspectum diversitatis, differentiam veri visique loci alicuius astri: verus locus astri dicitur punctum illud cir¬ cuii maximi per verticem capitis et astrum transeunte, quod lineam io rectam e centro Terrao per centrum astri ad circulum illuni maxi¬ mum protractam terminat ; visus vero locus sideris dicitur illud punctum eiusdem circuii maximi, quod lineam rectam ab oculo nostro per sideris centrum ad circulum illum maximum eductam terminat) : sed Luna maximam habet diversitatem aspectus, et post Lunam ^, et post § 9, et post 9 0, ut optime probant mathematici : ergo [etc]. Dices, quid de aliis planetis? Respondeo, ex liac via nihil certi de illis posse determinali, cum, propter nimiam quam liabent a Terra distantiam, nullam habeant diversitatem aspectus. Quod autem in particulari $ sit supra 3 et sub 9 > de quo dubitabatur, patet ex 20 illius motu, qui magis irregularis est quam motus 9 ! propter quod etiam astrologi tribuerunt § 5 orbes et epicyclum, 9 autem 3 tan¬ tum orbes et epicyclum. Probatur, 3°, rectum esse ordinem sphera- rum omnium qui a nobis constitutus est, ex velocitate et tarditate motuum. Quo magis caelum a natura et conditione primi mobilis re- cedit, eo etiam est inferiori loco ponendum : sed 3 inter omnes pla- netas fertur celerrime ab occasu in ortiun, ut patet ex praecedenti, et post 3 $ ì et s i° doinceps, servato spherarum ordine praedicto. Verum liic adverte, ex liac via nihil certi statui posse de ordine 0, Yeneris et ^, quamvis colligantur esse supra 3 orbem, cum eodem so fere tempore suos motus ab occidente in orientem confìciant. Hinc Alpetragius, teste Regiomontano lib. 9 Epitomes prop. a p.“, sub Marte contendit positum esse caelum 9 > e f sub hoc caelum 0, deinde Q , postremo 3> propterea quod 9 j ratione epicycli, tardius quam ^ , 3 autem citissime, suum cursum absolvat. Verum 0 nm in medio plane- tarum constitui debere, atque propterea rectum esse assignatum or¬ dinem spherarum caelestium, probatur ex Regiomontano ubi supra, 1-2. accomodavi — 10, 13. illud — 21, 22, 33. epicic .... — Dices. Notn. 52 IUVENIMA. et Tolomaeo clic. 5 c. 15, a quo non dissentit Albatenius c. 50 sui operis. Quia distantia © a centro Terra©, quando minima est, hoc est quando © in opposito augis oxistit, continot 1070 Terra© semidia- metros ; at vero distantia Lunao, quando maxima est, hoc est quando in auge existit, continet G4 semidiametros ; ex quo patot, di fi or enti am inter minimam Solis distantiam et maximam 3 continero semidiame¬ tros 1006, ut patet: at inter caelum Solis et ©, vacuum, a quo plu- rimum natura abhorret, concedi non potest ; ncque rationi congruum est, doferentes augium © et 3 tanta esso molo praeditos, nam talis uioles esset inanis et sujierflua : ergo iure optimo tantum spatium in- io tennedium tribuetur orbibus § et 9> ac pi'oinde © erit in medio planetarum. Confirmatur idem ex eo, quod © motus est regula et mensura motuum aliorum planetarum, alia tamen atque alia ratione ; nam (/, Iupiter et Saturnus ratione epicycli cnm © motu conveniunt, ^ vero et 9 in deferentibus orbibus inotui © conformantur, ut fuse explicant mathemat.ici in theoricis planetarum: quo iìt ut in me¬ dio liorum iure © debeat collocari, ut tros superiores planetas ab inferioribus separet ; quandoquidem non eadem rationo uniformitatem motus secum observant. Probatur, 2°, idem ex eo, quod © est rox et cpxasi cor omnium planetarum ; quo fit ut in medio illorum constiteli 20 deboat : nam et rex in medio regni et cor in medio animalibus extant, ut omnibus inde sive populis sive mombris aequaliter providere possint. Confirmatur: quia, secundum astronomos et philosophos, omnes stellae et pianeta© lumen suum a Sole recipiunt, saltem perfectius; ut ma- nifestmn est in eclipsi ©> iu qua, 3> °b ingressum in umbram Terrae, lumen amittit, et diversis temporibus diversimode illuminatur. Idem iudicium est do ahis stellis, quae sunt eiusdem cum Luna naturae. Confirmatur ex planetis ; qui, cum Soli sunt propinquiores, vehemen- tius illuminantur, ut apparet in Marte ac 9 • Ex quibus omnibus apparet, Solem debuisse constitui in medio : ut alluserunt illi qui so rempublicam ex 7 planetis constituerunt ; nam Solem tanquam re- gem in medio collocarunt, Saturnum ob eius senectutem consiliarium, Iovem ob magnanimitatem iudicem, (J' militiae ducem, 9 bonorum dispensatricem, Q eius scribam, Lunam denique nuncii officio fun- gentem, cum velocissime ab occasu in ortum moveatur, ut posset '5. © est in — 4. hoc quando — 8. aborrel — 14. epicicli — 15. © vero ? <1 $ - 1(>. teorteis 20. ut medio 22. possit — 24. filande — 33. magnanimitalc — 34. scriba — 1UVENILIA. 53 singulis mensibus ad quemlibet regis mandata perferre. Probatur idem, 3°, ex Albumasar in suo Magno Introductorio tract. 3° diffe- rentia 3 a , quia Sol, planetarum nobilissimus et maxime activus, debuit in medio collocari : alias, si superbia fuisset positus, non potuisset com¬ mode in haec interiora agere ; si vero infra, neque commode potuisset suam virtutem his inferioribus communi care, nam et nimis tarde fuisset motus propter distantiam a primo mobili, et calore suo potius obfuisset : recte igitur etc. Huc allusit Phoebus, ab Ovidio 2° Met., filium Phaetontem solis quadrigam conscensurum ita admonens: 10 Altius egressus, caelestia signa cremabis. Probatur, 4°, ex antiquis dierum liebdomadae institutoribus, qui die- bus nomina a planetis imposuerunt, cuilibet videlicet ab co qui prima diei illius bora dominium obtinet. Nam singuli planetae singulis boris diei, suo ordine, praeesse dicuntur ab astronoinis : unde, cum dies contineat 24 lioras, necesse est ut, si die sabbati prima hora domi- • • * natur Saturnus a quo denominatur, sequenti die prima bora domi- netur pianeta ordine retrogrado sequens duobus intermissis, nempe ©, a quo denominatur dies Solis. Nam si pròna bora sabbati domi- natur Saturnus, 2.“ dominabitur Iupiter, 3. a cf, 4. 0, 5. 9> 6- 2° 7. 3, 8. Saturnus, 9. Iupiter, 10. cf, 11. O, 12. 9, 13. 14. 3? 15. Saturnus, 16. %, 17. 18. O, 19. 9, 20. §, 21. 3, 22. fi, 23. 24. cf : prima bora diei sequentis 0, et sic deinceps. Ex quo patet cur non denominentur dies planetarum secundum ordinem im¬ mediate, sed semper secundum ordinem retrogredum duobus inter¬ missis, quia nimirum hoc ordine praesunt horis dierum ; qui ordo mi¬ nime talis esset, nisi planetae eo ordine ponerentur quem diximus. Extant liac re duo carmina, ut sciatur quibus horis diei quilibet pia¬ neta dominetur, in quibus apparet etiam quem ordinem inter se liabeant : so Cyntliia, ^, 9 et Q, Mars, love, Saturnus ordine retrogredo sibi quivis vendicat boras. Obiicies, 0 non posse esse in medio planetarum, cum nunquam patiatur eclipsnn a £5 vel a 9 > ac proinde non sit supra illos ; alias 2. Albunasar ■—8. Fébvst — 9. Faetontem — 11. ebdomadae —17, 24. 1. retrogrado, retro - gradum : ma cfr. lin. 31. — 25. dtebus — 26. pìanete — 31. oras — Obiicioa. 54 IUVENILLA. Rea. enim occultaretur ab illis, sicut occultatur a Luna. Respondeo, cum Tolomaeo, die. 9. c. p.° et Regiomontano lib. 9 prop." p. tt , duos pla- netas posse coniungi, idest esse in eodem gradu zodiaci, ita ut recta linea exiens ab oculo transiensque per centrimi unius minime per centrum alterius transeat, quod tamen requiritur ad eclipsim; et lune fìt, ut saepissime videamus © in noviluniis cum © coniunctam illuni tamen non obtegere. Adde quod, secundum Albatenium, Tebi, ot alios astronomos, diameter visualis © ad dianietrum visualem 9 (sunt autem visuales diametri illorum circulorum qui nobis apparent in astris) proportionem liabeat decuplam ; quo fit ut diameter visualis io ©, iuxta demonstrationes geometricas, ad circulum visualem Veneris centuplam liabeat proportionem : nani cum circuii eam inter se habeant proportionem quam diametrorum quadrata ; proportio autem quadra- torum, quae describuntur ex circulorum diametris, duplicata sit illius proportionis quam liabent diametri ; fit ut diametri visuales circulorum Solis et 9 habeant proportionem decuplam, diametrorum quadrata atque ideo et circuii visuales proportionem liabeant centuplam : liaec enim illius duplicata est; ut patet in bis numeris 1. 10. 100, qui de¬ cuplam proportionem liabent. Ut autem facile sciatili- quaenam pro¬ portio dicatur alterius duplicata, multiplicandus erit in se denominator 20 propoi’tionis duplicatae; ex quo intelligitur cum decuplao proportionis denominator sit 10, si decem in decem multiplicatur, procreatimi iri numermn 100, qui est denominator duplicata© proportionis ipsius 10. Ex quibus patet, 9 nullo modo posse © obtegere, etiam si illa inter- ponatur inter nostrum aspectum et ©, sed tantum centesimam illius partem quae vix animadverti potest a nobis ; et a fortiori ncque Mer- curium posse © occultare, cum illius diameter sit longe minor dia¬ metro visuali 9 • Uices, cur igitur Luna, cum sit longe minor ©, aliquando totum occultat? Respondeo, id oveniro ob nimiam © ad Terram vicinitatem ot maximam illius a © distantiam; ex quibus 30 fit, ut diameter Lunae visualis maior appareat diametro visuali ©, ac proinde © maior quam © nobis esse videatur. 11. visuale 20. duplicali, multiplicandus erit denominatimi —30. dislantia — IUVENILIA. 55 Quaestio tbetia. An cadi sint vmtm ex corporìbus simplidbus, vel ex simplidbus compositi. Violentar esse unum etc., vel compositi. Primo: quia ubi eadem de- praehencluntur accidenti/i, eadem etiam ponenda est natura: sed in caolis sunt eadem accidentia quao in corporìbus mixtis: ergo et eadem natura. Minor probatur: quia in caelo reperiuntur lumen et calor quao sunt proprietates illius, porspicuitas quae est propria aeris, planities quaedam aequabilis et veluti partium conglutinatio quae non potest esse sine aqua, demum soliditas quam terrae inesse videmus. Confir- 10 matur argumentum: quia si caelum baberet naturam distinctam ab elementis, maxime haberet illam propter motum distinctum; nam duo motus simplices non possunt convenire uni corpori simplici, ut docet Aristoteles : sed hoc non obstat, quia fieri potest ut duo motus simplices insint uni corpori simplici: ergo etc. Minor probatur: eie- menta possunt considerari in duplici statu: vel cium secundum aliquas partes existunt extra propria loca; quo in statu convenit illis motus rectus: vel dum sunt in suo proprio loco perfecta; et in hoc statu non repugnat, saltem aliquibus, rnoveri motu perfectiori, ut circulari : quod patet in igne. Àdde quod distinctio corporum simplicium desumitur 20 ex qualitatibus activis. Confirmatur idem : quia etiam ammalia, ante quam perveniant ad perfectam quantitatem, liioventur motu augumen- tationis, tum deinde perfectioribus ; deinde, quia plures qualitates activae conveniunt elementis, ergo poterunt etiam convenire plures motivae. 2 ° : potentiae activae naturali debet respondere potentia pas¬ siva naturalis eiusdem naturae et proportionis: sed caelum se habet tanquam potentia activa naturalis, respectu liorum inferiorum, et baec inferiora se habent tanquam potentia passiva naturalis: ergo caelum debet esse eiusdem naturae cum mixtis et elementis. Confìr- matur argumentum: tum quia caelum conditura est a Deo propter ao haec inferiora; unde non debuit habere naturam dissimilem ab illis: tum quia unumquodque agit secundum quod est in actu; sed caelum communicat bis inferi or ibus aliquando caliditatem, ali quando sicci- tatem; ergo babet illas et, ut consequens est, illarum principia, quae sunt dementa. 3 °: nullum corpus simplex babet partes beterogeneas : P. um argumontum. Confirmntio P-‘ Conf.® 2\ 2 um arg. Conf.® p.® Conf.° 2*. gum ar g. 8. equabilis — «34. eterogeneeis — o IUVENILIA. P. m opinio. Anaxng. Emped. Anaximoncs. Democr. ot. Epicu. Plato. Arg. Piai Corollarium. 56 . sed caelum habot partes lieterogoneas : ergo non est corpus simplex. Minor probatur: cpiia in cado sunt aliquae partes luminosa©, aliquae expertes luminis. Prima opinio fuit veterum fere omnium philosophorum ante Aristo- telom, qui putarunt caolum non esso naturai' distinctao ab elementis: et liaec sententia proinanavit al) Aegyptiis, ut docet Albertus tract. j>." c. 4, p. 1 Do caelo, qui oxistimarunt caelum esse igneum. Nani ignis proprium est ut feratur sursum, deinde ut, cum non potest ainplius ascendere, volvatur in girimi; ut patet in fiamma, quae, ubi pervonit ad summum fornacis, circumvolvitur : ex quo patet, eum caelum su- io premunì locmn obtineat et circularitor moveatur, ('sse igneum. Ab hac opinione non multimi discrepavi Anaxagoras, qui, ut colligitur ex Aristotele in Met. ot p.° Cadi t. 22, sentit caelum esse igneum. Empe- docles vero, ut refert riutarclms in lib. 2" De placitis philoeopho- rum c. 11, existimavit caelum esse solidum in rnodum giacici ex igne aercque conflatum, idooquo partim igneum partim aèreum; quamvis Empedocli nonnulli attribuerint illuni sensisse, caelum esse terreum et grave, non tamen descendere propter sunimam Yelocitatem motus, et esse etiam indissolubile, ut ait 1). Thomas in p.* parto q. 68 art. p.°, quod in illius constitutione dominetur amicitia et non 20 lis. Anaximenes, ex Plutarclio ubi supra, putavit caelum ni) alimi esse quam circumferentiam extimam torream. Democritus et Hpicurus vo- luerunt, caelum constitutum esso ex atomis, quae, ut rotundiores et leviores, in concursu et mutua corporum agitatione elisae, cohaerentes supremum locuin obtinuerunt et caelum effecorunt. Alii putarunt esse naturao aqueae. Plato videtur consensisse cum Aegyptiis: veruni noluit caelum esse tantum igneum, ut malo illi adscripsit D. Thomas ubi supra, sed maxime constare tamen ex caeteris elementis sive ex sum- mitatibus illorum et, ut ait Proclus, ex delitiis, maxime vero ex terra et igne. Quod sic colligit Plato in Timaeo, et in opere De natura et so anima mundi: Nihil videri potest sino igne, noe tangi sino terra; ergo, cum caelum sit visibile et tangibile, constat maxime ex igne et terra : verum quia liaec duo dementa extrema non possunt recto coniungi, nisi interponantur rdiqua duo, a6r ot aqua, ideo etc. Ex bis colligitur, male nonnullos sentire, Platonem non dissensisse 1. elerogcneas 6, 26. egiptiit — 21. lix. Anaximanes — 21. elite coerente a — 25. supracmum 80. Timeo — IUVENIIìIA. 57 ab Aristotele, ut Simplicium, in p.° Caeli com. 6, Procium et Fici- num; cum alii omnes apud Philoponum in opere Ad versus Procium in sol. 0 13 arg. parte 15, Taurus p.° Commentariorum in Timaeo, Plo- tinus in lib. De mundo, ut patet etiam ex Porphyrio in Timaeo, Philo- ponus in sol. 6 arg. parte p. a et 14, et ubi supra parte p. a , et a 13 usque ad finem, Albertus Magnus p.° Caeli trac. p.° c. 4, et alii, sentiant, Platonem, opinionem quam nos exposuimus secutum, ab Aristotele plurimum dissensisse. Platonem secuti sunt, ex Platonicis, Taurus Porphyrius et Plotinus; et ex Patribus, inter graocos, D. Basilius in 10 Hexamero, D. Chrysostomus in Homilia 10 ; inter latinos, D. Ambrosius in suo Hexamero, D. Augustinus in p.° Super Genesim ; et inter sclio- lasticos, D. Bonaventura et alii. Secunda opimo fuit Aristotelis, qui primus omnium, ut refert Phi- loponus in sol. 8 13 arg. parte 15, existimavit caelum esse naturae distinctae ab elementis; quamvis Plutarchus, lib. 2° De placitis c. 11, di- cat Aristotelem sensisse caelum esse compositum ex quinto corpore, vel ex igne, vel ex caloris rigorisque mixtura. Sed locus ille erratus est, cum constet aliam esse sententiam Aristotelis, et idem Pbitarclius, lib. 1 c. 3 et alibi, meminerit huius quinti corporis quod ponitur ab Aristotele so tanquam natura distinctum ab elementis. Hanc opinionem Aristotelis complexi sunt omnes Peripatetici graeci et latini, omnesque scholastici. Dico, primo, caelum esse corpus distinctum a quatuor elementis. Conclusio est Aristotelis, in hoc lib. a tex.... (1) usque ad 17 : primo, quia motus circularis est simplex et distinctus a recto ; sed motus simplex distinctus debetur corpori simplici distincto ; ergo, cum motus simplex circularis sit proprius caeli, sicut rectus elementorum, sequitur caelum esse corpus simplex ab elementis distinctum. Maior, idest motum cir- cularem simplicem esse, patet ex t. 5 et 6 huius lib. ; et similiter, esso distinctum a motu recto. Minor probatur ex t. 7, ubi*habetur corpori 30 simplici assignandum esse motum simplicem, et ex t. 9, ubi habetur ttnius simplicis corporis esse unum tantum motum secundum naturam. Quod assumitur in consequentia, patet sensu. Adverte autem hic, vim huius argumenti totarn pendere ex eo quod dicitur t. 5: Natura est prin- cipium motus. Ex quo patet, diversum motum diversam indicare na- 3,4. Timeo — 4. ex Plotino Porf. in timeo —10. Grisostomus in Omilia —10,11. Examero —11-12, 21. 8colost.... — 29-30. corporis simplicis — 2* opinio. Conclusio p." Probatur p.* Nota. W Manca nel codice il numero del testo. 58 ÌUVBNILIA. 2 \ Conciusio 2\ turam. 2°: quia caelum, a t. 10, movotur motu ciroulari: voi igitur hic motus cado convenit secundum naturam, et sic Imbottir intrii- tum; vel contra naturam, vd quasi supra naturam, communieutus illi a superiori corporo. Sod non est contra naturam et violontus : quia deberetur alias alicui alteri corpori secundum naturam ; atquo ita iam haberetur corpus quod naturalitor motu circulari moverotur, dùtinetmu ab elementis, quod essot cadimi. Praotorea, si osset violentus tarlo, non posset esso sccumlum naturam nini alicui ex dementis: sod non potest esso, quia unumquodquo secundum naturam liabot motum rectum, unius autom corporis simplicis uuus tantum dobet esse motus J0 simplex. Praoteroa, si talis motus est contra naturam cuoio, ergo caelum liabet alium motum secundum naturam, qui non poturit esse nisi reetus : ut motus rectus debetur cleiuentia: ergo non cacio. Prao- terea, si cado naturalis essot motus rectus, violentus essot illi op- positus recto: ergo non posset illi esso violentus circularis, quia uni motui naturali unus tantum violentus adversatur. Deniquo, si cado esset violentus motus circularis, non posset esse perpetuus; nini nul- lum violentimi sit perpetuimi. Si dicas esse supra naturam, commuui- catum a superiori corporo, iam daretur alimi corpus superius, cui so- cundum naturam conveniret motus circularis: at lioc non posset esse •>. nisi caelum, quod volumus, cui si deberetur motus circularis distinctus, necessario deberet esso naturae distinctao. Et ex line eadem doctrina colligitur otiam, caelum esse corpus qnoddam prius, perfoctius et divi- nius quam sint dementa; cum motus illius sit circularis, recto longe prior et perfcctior, ex 8 Pliys. 75, p.° De cado 12, et 2° Do cado 23. Dico, 2°, caelum non esse corpus mixtum ex elementis. Probatur ex Aristotele, t. 7 et 8 liuius libri, ubi dicit corpus mixtum moveri ad motum elementi praedominantis : sed caelum nullo dementorum motu naturaliter movetur, cum moveatur motu circulari: ergo [etc.J. Nequo dicas, caelum esse compositum ex quatnor elementis et quinto; no quod cum moveatur motu circulari et praedominetur in ilio, soquitur etiam caelum motu circulari naturaliter cieri. Nana, in primis, seque- retur dari corpus quiutum distinctum ab elementi», quod nulla expe- rientia vel rationo colligi potest: imo et dari implicat quiutum do- mentum cum aliis concurrens ad mixtionem; ut patet ex bis quac dicuntur de numero elementorum ab Aristotele, docente, si daretur 15. rectus — 17. perpetuum — 19. su priori corpori — IUVENILIA. 59 quintum elementum supra caelum, quod frustra dar e tur, quia nunqum posset concurrere ad mixtionem cum aliis elementis. 2°: quia cuiu ornile elementum saltem alteretur, ut suo loco probabitur, sequeretur cacio convenire altorationom; cum tamen caelum neque alteretur neque augeatur. Addo, quod caelum non posset esse primum et universale agens ; quia et esset aequale elementis, et non esset prius illis, neque ingenerabile. 3°: caelum eminet intor omnia; ergo habet naturam priorem omnibus. Confirmatur: caelum suo ambitu complectitur omnia; ergo non potet esse elementum. Nani si esset, esset maxime ignis; io sed ignis, cum sit mobilissimus, est inaequus ad continendum ; ergo non potest esso ignis: neque mixtum, quia non recte collocaretur supra omnia elementa: ergo [etc.]. 4°: ex magnitudine: narn caelum est maximum corpus ; ergo non est elementum, quia superaret caetèra omnia ; sed neque mixtum, quod non excedit magnitudine ipsa eie- menta. Confirmatur : quia caelum est pars integrans universum ; ergo, sicut reliqua corpora mundum integrantia sunt simplicia, ita et caelum, quae est praecipua pars universi. 5°: si caelum esset elemen¬ tare, maxime esset naturae igneae : sed si hoc esset, iam pridem fuis- sent comsumpta omnia: ergo [etc.]. Et hoc argumento utitur Aristo- 20 telos contra Anaxagoram, in p.° Met. 6°: Caelum non est corpus grave vel leve, ex p.° Caeli a t. 17 usque ad 20; cum corpori gravi vel levi debeatur motus rectus, non circularis, qualis est motus caeli. Obiicies authoritatem Aristotelis, primo quidem, in 25“ sect. Pro- oiioctio. blematum problem. 18 dicentis, et stellas esse calidas et caelum etiam ealidum, ac proinde caelum esse naturae igneae: 2°, eundem in 3° Caeli t. p.° asserentem, Substantias et omnia corpora simplicia, ut ignem et terram et quae sunt eiusdem ordinis, et quaecunque ex bis, veluti et totum caelum et partes eius, et rursus, animalia et plantas, et partes horum etc. ; ex quibus patet, caelum et partes eius esse, ex so bis quinque, ex elementis, sicut et animalia et plantas: 3°, eundem, in 7 Met. t. 5, dicentem, animalia et plantas et eorum partes substan¬ tias esse, ac naturalia corpora, ut ignem aquain et terram, caeterorum quoque singula, et quaecunque aut liorum partes aut ex bis sunt aut partibus aut omnibus, ut caelum et eius partes, sidera luna et sol. Ad primam obiectionem respondeo, stellas esse calidas, sicut et Ad p.*- ob.*“ 10 tnequua —15. qui caelum — 34. omnibus caelum. Fra omnibus e caelum cominciò a scrivere cum ; poi cancellò, dimenticandosi di sostituire ut, come il testo richiede : cfr. pag. 60, lin. 28. — IUVENILIA. 60 caelum, virtù te si ve actione, non autem qualituto : quod satis erat ad illud problema, ut patet. Quod autem stellae et caelum non sint ca- lida nisi virtute, patet ex Aristotele, p.° Meteororum cap. 3. Nani si essent igneae, omnia consumerent : et, c. 4 eiusdem lib., quia cum motus caeli et astrorum sit longe velocior motu ignis et aéris, si lioc motu ignitur ignis et aér, a fortiori igniretur totum caelum propter astra, quae in ilio longe celerius moventur: praeterquam quod, ut habetur in calce eiusdem capitis, si stellae essent igneae et calidae, maxime esset sol; at non apparet, cum sit coloris albi, non ignei. Responderi etiam posset, non omnia problemata quae habentur in io Aristotele, Aristotelis esse ; et praeterea, non in omnibus Aristotelem ’awx 8 "" loqui ex sua sententia, sed saepe ex communi. Ad 2“ m et 3 ttm respondet Alexander, in 7° Meta. 68 , nomine totius caeli intelligi totum univer¬ sum, constans ex quatuor elementis et corpore caelesti ; unde sensus erit, maxime illius loci Meta. 68 : Substantiae sunt corpora naturalia et partes horum, ex his autem corporibus, vel omnibus vel partibus, Constant caetera omnia ; totum universum, ex omnibus corporibus et partibus eorum; naundus sublunaris, ex corporibus corruptibilibus et partibus eorum ; caelum, ex toto quinto elemento et ex partibus, nempe simpì. ex astris. Respondet Simplicius, in 3° De caelo, duin Aristoteles ait 20 « ut ignem et terram et quae sunt eiusdem ordinis », per haec ultima intelligere aquam aérem et quintum corpus simplex, quod eodem etiam titillo appellatur elementum, et ideo dicitur « eiusdem ordinis » cum caeteris elementis : unde subdens Aristoteles, « et quaecunque ex liis, voluti et totum caelum etc. », effìcit hunc sensum, caelum constare ex aliquo elementorum, similiter et partes caeli, lioc est ex quinto cor- . Thom. pore. Respondet D. Thomas, in 3° Caeli et in 7° Meta. 08 , dum ait Ari¬ stoteles « ut caelum et partes etc. », illud « ut * non referri immediate ad praecedentia, ut, cum loqueretur de mixtis, exemplum sit caeli ; sed referri ad ea quae antea dixerat, nempe et in 3° Caeli, ubi dixerat so substantias esse corpora simplicia, et in 7 Met., substantias esse cor¬ pora naturalia : quare, dans deinde exemplum simplicium vel natura- lium corporum, dicit « ut ignis et terra », et interponit de mixtis quia sunt ex his ; deinde subdit « ut caelum et partes », ac si diceret, Et ista sunt simplicia corpora vel naturalia, et ideo sunt substantiae. Confir- inatur haec expositio ex his quae docet Aristoteles, 8 Met. in principio, 18. coruptibilibus — 29. loquacretur — 1UVENIIJA. 61 ubi candela doctrinam repetiit: idest substantias esse corpora naturalia, quali a sunt elementa, ammalia, et caelum. Ad primum argumentum in contrarimi! respondeo, ex eo quod a arg.«™ aliqua accidentia reperiuntur in caelo quae sunt etiarn in bis infe- rioribus, tantum colligi caelum luibere rationewi aliquam communem cimi inferioribus, ratione cuius insint illi talia accidentia, quae non secuntur ad ultimam differentiam corporum simplicium, sed ad ali- quid communius, boc est ad naturami corpoream. Ad confirmationem Ad p.*-conf.*» respondeo, distinctioncm quideni corporum simplicium, quo ad natu- 10 ram activam, colligi ex qualitatibus activis ; quo tamen ad simpli- citatem, ex motuum simplicium distinctione. Ad secundam confirma-Ad 2*» conr.* 1 * tionem respondeo, duos motuS simplices non posso naturaliter uni corpori simplici convenire. Nain licet mutatio status, quae diversum efficit motum localcm, necessario debeat variare naturam rei intrin- secam ; cum tamen elementa, sive extra- suum locum posita, sive in suo loco constituta, non differant nisi accidentaliter ; fieri non potest, ut in suo loco moveantur naturaliter motu circulari, et extra suum locum motu recto ; praesertim cum motus rectus non possit esse circulari subordinatila, vel e contra, et motus simplex terminetur ad 20 quietem. Quo fit ut elementa in suo loco non moveantur, ut apparet in aqua et terra; ut recte dictum sit ab Aristotele, 2 ° Caeli, naturam elementorum potius in quiete quam in motu consistere. Ncque dicas ignem, cum perpetuo moveatur in sua spliera motu circulari, natura¬ liter tali motu moveri; cum nullum violentimi, ex p.° Caeli 15 , possit esse perpetuimi. Nana ignis non movetur naturaliter in suo proprio loco ; ncque Aristoteles, ubi supra, docet contrarium ; tantum docendo, motum circularem, qui est sempiternus et perpetuus, inter alios motus maxime debere convenire alicui corpori secundum naturam. Ad ulti- A c d 0 ” f 1 ™"’ inaili confirmationem respondeo, ex distinctione motuum localium col¬ go ligi varietatem corporum simplicium, et non ex distinctione qualitatum activarum, cum plures sint compatibiles, ncque aliorum motuum alte- rationis et augumentationis : quia quainvis natura sit principium motus et quietis, tamen maxime est principium motus localis ; qui omnium motuum est praestantissimus, et in hoc distinguitur ab aliis, quod nullam addit ipsi mobili formam intrinsecam, imo vero cum ipso iden- tificatur, ut ostendimu 8 in lib. Phys. (n Ex quo intelligitur, motum Ofr. pag. 15, (1). G2 1UVKNIMA. Ad 2« m arg. Ad p. ,rn conf.** R. r p.° ad 2*" 1 couf.*"' R. u * 2°. Ad 3 u,n arg. R/p.- localem Bupponere rem in esse porfeoto eoiintitutam, quei ad omnia illa quae pertinont ad ipsam, mule minimum etium cnpiat muta- tionem. Et haec est ratio, quia porfectissinm ontia, cuiuHiuodi Hunt corpora caelostia, solo motu moveantur locali: at vero cantori nintuH superaddunt substantiis, in quilms sunt. formam aliqimm intrinsoenm et inliaerentem, ut generatio, substantialem vel aceidentnlom, ut ulto- ratio et augumentatio ; quo fit ut non adveniaut rei in suo «—-•*«• com¬ pleto existenti. Ex quibus omnibus intolligitur, recti» enlligi distinetin- nein naturarum simplicium ex distinctiono motuum loenlium. Acide his, motum alterationis fieri ab aliquo extrinseen et ratinilo materne: io unde, quia materia ex so est indifferens ad multas fonmw, ex ultera- tionum varietate non rocto colligi potest corpi >rum distinctio. Non idem iudiciuvn est do motti locali: qui non sol uni provenit ab in¬ trinseco, ratione materia, quae est indiflerons ad motum aunmm voi deorsum; seti ctiam ratione foniate, habentis inelinationem natura- lem ad talem motum. Ad 2 um argumontum respondeo, eaolum et reliqua inferiora haberc eandem naturam aliquo modo et propor¬ tene, cum sint substantiae physicae. Ad primaui coniìmmtionom respondeo, caelum primario esso conditum ut essot pars integrali universi, ac proinde debuisse esso corpus simplex ab elementi di- 20 stinctum: praeterea, esso propter so principaliter, deinde propter haec inferiora, ut csset causa universalis concurrens ad oumes generatio- nes; sed ex hoc colligitur, debuisse esse incorruptibile, ac proinde simplex et distinctum a caeteris. Ad 2 *° conlirmationem respon- deo, secundum aliquos caelum habero qualitatem virtualcin cale- faciendi cum calidis, frigefaciendi cum frigidi», etc., prò divencitato materiae. ltesponderi ntelius potest, caelum agore in haec inferiora per lumen tantum, quod per reflexionont per so tantum calcfacit. Quod si dicatur aliquando liumectare voi exiecare etc., id fit per accidens ; vel quia extrahuntur partes liumidae ; voi quia a Luna so lumino nocturno attraliatur aliquis lnirnor, qui corpora rara facile ingreditur ; vel quia non possint concoqui ab illa luunoroe humidi, qui in aere reperiuntur. Ad 3 ura argumontum respondeo, primo, ex 00 quod in cacio sint aliquae partes dissimiles, non recto colligi ipatini èsse mixtum, cura mixtio colligatur ex qualitaturn diversi tato in endeni parte existentium : nani mixtio proprie fit ex eo, quoti forame elo- G. uihcmitem —17-18. proportionem — 21). hit meliate — 1UVENILIA. 63 mentorum sint in cadem parte materiae ; vel, ut aliis placet, quia in una et eadern parte materiae reperiatur una forma plures sub se vir- tutes continens, quae ad sui generationem requirit multas qualitates : nihil autem in caelo tale reperitur. Respondeo, 2°: diversitas partium, R.-2". quae fit per diversas qualitates quarum quaelibet est specie distincta, si quid probat, tantum probat distinctionem formarum; ita ut quae¬ libet pars liabeat suam propriam formam, et totum ex ipsis resul- tans sit aliquid totum per aggregationem : unde argumentum, si quid probat, solum hoc probat, stellas habere diversam naturam ab aliis io partibus caeb ; quod ut probabile a multis, secundum Aristotolem, defenditur. Quaestio quarta. An cadmi sit incorruttibile. Prima sententia fuit Pliiloponi, existimantis caelum esse corrupti- r." opinio. bile ex sua natura, et ali quando tandem corruptum iri ; ut colligitur ex solutione 6 arg. adversus Procium, et ex Simplicio qui liane illi sententiam tribuit. Philoponus in suam sententiam trahit Platonem, qui caelum sua natura corruptibile, Dei tamen benignitate incorrupti- bile, esse putavit ; ut patct ex Timaeo, ubi mundum esse genitum 20 asseruit et consequenter corruptibile. Veruni quid senserit Plato do caeli incorruptibilitate, discrepant inter se Platonici, nam cum Philo- pono partim consentiunt Taurus, Atticus, Severus, Fleto, Plutarchus et Fililo, in lib. De incorruptibilitate mundi, et permulti Sanctorum Patrum citati in quo. 0 p.“ De mundo, qui putant caelum dici genitum a Platone quod antea non esset ; dissentiunt Crantor, Plotinus, Por- phyrius, Iamblicus et Simplicius, in primo Caeli t. 20, ubi dicit genitum suini a Platone, ubi supra, prò eo quod est ab alio, quamvis fuerit ab aeterno. Aristoteles tamen et Alexander intelligunt Platonem ita, ut velit caelum non esse aeternum. Probat suam sententiam Philoponus 2-3. virtule — 0. distinctione —14, 17. Phylop.... Non avvertiremo ulteriormente que¬ sta grafìa. — 10. Timeo — 22. Ayicus — 23. Phylo — incoi'ujptibiìilate — 25. Ciato. — 25-26. Porfirius — I. 7 64 IUVKNIUA. Argmnontum Philoponi. Conflrmntio P-* Conf.° 2.‘ Aliud arg. 2* opinio. p,»m arg. 2 UIW arg. hoc argumento ex Simplicio, 8 Phys. t. 09, et ex Avorroo ibidem, et, 12° Met. c. 21, et in libro I)e Bubstantift orbi» c. 5 et 7, et 2" ('noli com. 71 ; et liabetur apud Philoponum e. 0, ubi refert Philopomi* lux; argumentum adversus Procium: virtù» infinita non potest esse in ror- pore finito, 8 Phys. 79; sed cuni caelum »it corpus iinituiu, si osset acternum, habcret virtutem infinitam, nimirinn duramli infinito tem¬ pore; ergo [etc.]. Confirmatur: durare per 10 anno», est alicuius vir- tutis ; per 100, maioris; et sic deinceps; ergo, infinito tempore, est infinitao virtutis. Confirmatur, 2°: quia, ex Aristotele, H ’ Phys. 09 et 12 Met. 44, virtus in magnitudine non potest movere infinito tempore; I( , ergo, a fortiori, nec poterit dare esse infinito tempore ipsi iuateriae, cum maius sit hoc quam illud. Probari idem posset, quia eaelnm ulte- ratur; ut patet in Luna, quao modo illuminatur modo opacatur: sed omne alterabile est corruptibilc, ergo [etc.]. Deimle: quia, vel (minino caelum est ens necessarium, atquo ita nec per divinam potentiam potest destimi, quod est absurdum ; voi non est ita necessarium ut per divinam potentiam non possit destimi, atquo ita est corruptibilc. Traeterea: quia omiies fere Sancti Patres id Bensorimt. Demum : quia caelum esse corruptibile, videntur Sacra© Litterao passim doccro : praesertim Esaia c. 51, Cadi sicut fumus liquescout, et 34, Cucii sicut m liber complicabuntur ; Davit psalmo 101, Opera uuuuiuni tuarum sunt caeli, ipsi peribunt; Ioannes in Apoc. G Caelum sicut liber involutu» recessit ; D. Petrus, in 2® epist. c. ultimo, dicit: Caoloa igni riservato» magno impeti! transituros ; et deniquo Christus in Mathnoo : Caelum et terra transibunt, etc. Secunda opinio est Aristotelis, qui priinus omnium, ut refort Aver- roes, in hoc libro docuit caelum esse ingenitum ae proiude iueor- ruptibile : veruni ex antiquis scriptoribus colligitur, ante Aristotelem Pythagoieos quosdaiu sensisse, caeluin e.sso ingenitum, immo vero quin- tum corpus a caeteris distiuctum, contra id quod dicit Philopoiuw. no Et hanc esse sententiam Aristotelis, patet, primo, a t. 2° huius libri por scquentes; et ex 12 Met., t. 5, ubi dicit caelum esse substautiam aoter- nam; et ex 8 Met., t. 4 et 12, 9 Met., 17 et 12 t. 10, ubi dicit in caelo non esso materiam contradictionis. Et, 2°, ex illius principia: nam, primo, ponit Aristoteles mundum acternum, in 8 Phys. t. p.°, et p.° Caeli circa finem ; ponit motum circularem acternum, 8 Physico- 1. Symphao -18. santi— 24. Malto- 29. lSlagoreos- 32. "quanti» - IUVENILIA. 65 rum; at quoti est generabile et corruptibile non potest esso aeternum, p.° Caeli t. 121 et 122. Et confirmatur : si caelum est generabile, ergo praecessit corpus generans ; ergo nequo caelum est primum corpus, ncque aeternum. Confirmatur : quia quoti est generabile terminatur tempore, ex 4 Pliys. t. 117 et 120 ; ergo non aeternum. Praeterea, si caelum est generabile, ergo motus cadi non est primus; primum tamen esse probat Aristoteles, 8 Pliys. a t. 54. Praeterea, non potest esso agens universale generationis, ut vult Aristoteles in 2° De genera- tione. Praeterea, generatio non est sine elementis, ox 3° Cadi t. 2 et io 2° De generationo t. p.°, quae sunt secundum se tota incorruptibiìia : ergo et caelum debet esse incorruptibile. Confirmatur : quia quod in- gcnerabile, est incorruptibile, ex p.° Cadi 121 et 122. Praeterea, motus cadi debet esse sine fine ex 8 Physicorum, quia generatio et corruptio propter quam est caelum perpetua est, ex 2° De generatione t. 50. Postremo : intelligentiae habent suam perfectionem movendo caelos : ergo illi debent esse incorruptibiles. Notandum est, prò solutiono difiìcultatis, secundum veritatem duobus modis nos posse loqui de cado, sicuti et de quacunque re croata : primo, ex natura ipsius, an, scilicct, liabeat secundum suam 20 naturam princ-ipium aliquod intrinsccum, per quod possit corrumpi ; 2°, an in ordine ad potentiam Dei absolutam, secundum quam Deus omnia potest in nihilum redigere, sit tantum corruptibile. Patio huius est, quia divinae potentiae non est necesse ut respondeat potcntia na- turalis, qua res ox sua natura sit corruptibilis, sed satis est potcntia quaedam quam obedientialem appellant tbeologi, qua omnia creata subiciuntur Deo. Et bine colligitur, quod etiam si dicatur caelum in¬ corruptibile, nullo tamen modo esse necessario incorruptibile : nani sic solus Deus, ut docet D. Paulus, est omnino ens necessarium ; et Con- cilium Constantiense definit angelos et animas nostras esse immortales so -gratin divina, atque ita possunt intelligi nonnulli Sanctorum Patrum cum dicunt caelum esse incorruptibile. Dico iam primo, si loquamur de cado secundum suam naturam, et corruptibilo sumatur prout significat id quod habet in se poten¬ tiam passivami per quam possit corrumpi ab activa illi respondente, probabile esse caelum esse corruptibile. Probatur conclusio ex argu- mentis et rationibus allatis prò prima sententia : 2°, quia caelum 25. teologi — 33. incorruptibile — Confirmatur P-° Oonf. r 2.° Conf/ 3.° Conf. r «1.° Conf/ 5.° Conf/ 0.° Conf/ 7/ 3 ,,ni arg. Nota. Corollarium. Conclusio p/ Probatur conclusio p.® Probatur 2.® 6 G IUVKKIMA. Oonfìrmatur. Obiootio. Re-spomlolur. Quaoros. Roap. Conci usi o 2.* P.* ratio Ai*. fucturn est maxime propter hominem ; ergo mm delu-t t-ssi- ineor- ruptibile, alias essot nobilius lumiine. Confimultar : quia, ut dieunt aliqui doctores, caolum post diem iudieii corrmupi d.-b.-t : quia, rum factum sit ad utilitatem liominis et ad eonservationem remili suhlu- narium, cessante tali fine, et ipsuni cessare debet. Diets: hi ita resse liabet, quare caelum mine non cornunpitur et luutaturV Ut-spondeo, missa voluntate divina: quia non datar ugens ita potens, ut {tossii illtul corrumpere; nani ignis qui est contigua* cacio est minimae mtionis propter raritatem, caelum autem est solidissimum et densisniuium ae proinde maxime potens ad resisteudum eoiitrnriis. Kt lume sententiu io omnino defendi debet ab bis qui putant eaelum eorniptuni ir»; alias enim frustra Deus proereasset illtul incomiptibile, si eurnuupi de- buisset. Quaerenti autem, si caeli essent corruptibiles, euiuMiam e -eiit naturae, occurrenduin est quod essent naturao igm-ae, mm sibi ven- dicantes motinn circularem ex sua natura; quia talis iimtii* mm eun- veniret illi, nisi ad tmm modum quo pliilosopld dieuiit iiiotutn eireu- larem ignis in sua sphera convenire igni, hoc est non violeuter. Nani ignis, cum movoatur tali motu a corpore superiori neque mvdat a suo proprio loco, non potest dici moveri violeuter muti» eireulari ; ita ctiam, quia caeli moverentur ab intelligontia Inibente superiorem na- ^ turala motu qui non removeret ipsos a suo loco, ideo mm violeuter moverentur. Quaerenti rursus ad quid moverentur, oceurmuluni esset: propter utilitatem et conservationom remili sublunariuui, et potis- simuin liominis. Dico, 2°, probabiliuB esso caelum suapte natura incorruptibile esse. Probatur, primo, quia id est naturali rationi conforme, ut patet ex ru- tionibus Aristotelis a t. 2tì u . Prima est: caelum movetur cireulariter. Sed motus circularis non liabet motum contrarium: nani si liaberet, liabu- ret maxime rectum; sedunus motus reetus liabet eontrarhun alium rectiun, et uni non possunt esse duo contraria: ergo mutui eireulari so non opponitur reetus. Ex quo patet, quod si motus caeli non liabet contrarium, nequo illud liabero caelum : at quod non liabet eoutra- l’ium est incorruptibile : ergo caelum est incorruptibile. Vis lmius rationis posita est in bis: substantia quae est corruptibilis, cum su- biectum ut subiectum non sit corruptibile (corruptio enim fit in ipsum subieetmn et non est subiocti), erit corruptibilis ratinile illius quod est 8. minime —27. movet — 1UVENILIA. G7 in subiecto, scilicct formao. Ex quo sequitur, omnem substanti am quao est corruptibilis talem esse quia est composita ex materia et forma : forma autem corrumpitur, quatenus recedit a subiecto. Quoti seinper liabet ab alio expellente : nam nec ipsum subiectum, sive ma¬ teria, ex se abicit formam, quam seinper appetit ; neque forma ex so recedit, quia appetit esse : recedendo autem corrumpitur : ergo debct ab alio expolli. Expellitur autem forma, dmn inducitur aliquid aliud in subiectum, in quo est forma, quod simul cum illa staro non potest ; aliter enim non expelleretur : ex quo apparet, corruptionem fieri de¬ io bere per introductionem contrarii. Yerum cum forma substantialis secundum so non liabcat contrarium, neque sit activa, expelletur per qualitates contrarias bis quibus producitur et conscrvatur in materia : quo fit, ut si debet dari corruptio, debeat dari quaedam alia forma cui conveniant qualitates contrariae qualitatibus huius formao. Et ex bis intelligitur, omnem substantiam quae est corruptibilis ex materia Coroiiarium. et forma constare debere ; in qua materia non possit esse alia forma, liabens contrarias qualitates qualitatibus forame in illa cxistentis. Quibus mediis fit generatio et corruptio : nam dum unum agens in- ducit suas qualitates ut induca! formam, expellit necessario contrarias: 20 quibus expulsis, expellitur et forma. Ex quo colligitur, quicquid cor- Coroii. rurnpitur Labore contrarium, modo explicato ; ac proinde caelum, cum caroat liuiusmodi contrariis, esse iucorruptibile. Quod autem caelum careat qualitatibus contrariis, colligitur ex eo, quod motus localis con- sequitur substantiam iam perfectam. Quae substantia, si est talis ut liabcat contrarium, idest qualitates contrarias forame introducendae, habebit etiam et motum contrarium consequentem qualitates ; quod si aliqua substantia careat tali mota contrario, carebit etiam qualitatibus contrariis : at motus caeli circularis talis est naturae, ut ex se possit esse perfectus ; nam semper aeque est in principio medio et fine ex sua so natura, et, ut est consequens, non convenit nisi illi corpori ex sua natura quod naturaliter potest esse perfectum ; ac proinde caret con¬ trario : ergo et caelum ipsum. Confirmatur : quia motus rectus sicut confirmatur. suapte natura est fìnitus, ita etiam corpora quibus debetur siint cor- ruptibilia ; ergo, cum motus caeli sit infinitus, sequitur etc. Confir- Oonf.' matur idem ex parte contrariorum : nam qualitates quae sunt in caelo non liabent contrarium, ut sunt lumen, perspicuitas, etc. ; ergo caeli non 14. contrarie — 29. eque — 30. consequacns — OS IUVENILIÀ. 2* ratio. 2* ratio. •1* ratio. Corollnrimn p. um Coroll. 2. ,,n ‘ habcnt contrarium : quia si haberont qu alitateti habentos contrarium, voi istae essent qualitates olementares, voi eesont alino Inibente* Bua propria contraria: non primuni, quia ostensum iam (*at, caolum esso divorsae naturae ab elementi ; neque secumlum, quia alias darentur sex corpora simplicia: quatuor dementa, caeluin, et alimi corpus cui naturaliter convenirent illao qualitates quao sunt contrarino qualita- tibus caeli. Secunda ratio Aristotelis desumitur ox oxporiontia ; quia omnibus praeteritis seculis compertum est, indiani prorsus mutationom factam esse in caelo. Quao ratio maximam habot vim: nani cum mutua cadi io sit velocissimus, ita ut posset dostruere quaccunquo solidissima cor¬ pora, et cum duraverit tanto tomporo servantibus stcllis oandem somper inter so distantiam oppositioneni et magnitudine!», argunicnto est certissimum caeluin esse incorruptibile. Tortia ratio desumitur ex con- sensu omnium gentium, quao caelum, tampinili quid immortale, prò domicilio Diis constituerunt. Quarta, ex etimologia nominis: (licitili- enim aether, ab eo quod semper currat. Kt ex bis omnibus habcnuiB, caelum etiam esse inalterabile: tum quia alteratio roquirit contra¬ rium, nani alteratio non fit sino corruptioue aliqua (pialitatis oppo- sitae ; tum quia in caelo non cormmtur qualitates alterativa*}; timi ao demum quia alteratio est dispositio ad generationem et corruptio- nem. Habemus, 2°, caeluin esse inaugumentabile, quia omnia augu- mentatio et diminutio supponit altevationem et contrarium. Quainvis Aristoteles probet caelum non augeri vel minili, ex eo quod sit in¬ generabile et incorruptibile, res autom augeatur ox eodem ex (pio fit. Sieut etiam non alterari probat : quia alteratio fit sccundmn qua¬ litates passibilos ; olirne autom quod hoc modo altoratur, et augetur voi minuitur. Guius prior ratio valet tantum de auguiuentationo pro¬ pria, non de augumontatione iu communi sunipta: nani falsimi est, omno quod alteratili- secundum qualitates passibilos augeri, ut patet so in elenientis ; licet veruni sit, omno quod alteratur augeri vel minui, piopiie vel improprie. Hinc apparet, non videri bonain argumonta- tionem Aristotelis : quia, primo, caelum est inaugumentabile propria augumentatione ; inde, enim, ex augumontatione in communi sumpta, non recto concluditur esse inalterabile. Dici tamen potest, Aristotolem quando probat caelum esse inaugumentabile, loqui de omnimoda au- 1<ì. etimologia —17. eter — 1UVENILIA. G9 gumentatione ; id tamen maxime probare in augumentatione propria, quao magie tribuenda esset caelo. Probat praeterea Aristoteles rationo quadain id quod ostendit, augumentationem vèrain nullam inesse caelo : nani vis illius rationis reducitur ad hoc, quod caelum caret con¬ trario ; quo fìt ut nec generari possit neque augeri ; ex qua ratione sequitur etiam, caelum esse inaugmnentabile non solum propria sed ctiani impropria augumentatione : nani rarefactio et condensatio, au- gumentationes et diminutiones, quae sunt propriae, supponent actiones frigidi et calidi, quae sunt contrarine. Probatur conclusio, 2°, quia non ^^“ncìuaio. io sequitur necessario ex Sacris Littoria, caelum esse corruptibile vel cor- rumpendum, ut patebit ex solutione argumentorum. Ad argumenta in contrarium ; ad primum respondeo, cum Simpli- nvg t?nÓuium. ciò, Averroe et D. Thoma, duplicem esse alterationem : altera est cor- ruptiva, altera perfectiva. Prima est inter contraria et supponit cor- ruptionem, quae non habet locum in caelo : altera vero nullam supponit contrarietatem, et reperitur in rebus etiam spiritualibus ; quare et in caelo. Et ex boc patet ad argumentum. Ad 2 um respondeo, caelum Ad 2»™ arg. esse corruptibile in ordine ad Deum, sicut intelligentias et animas rationales et omnia creata ; secundum tamen suam naturam, incor¬ so ruptibile. Ad 3 um 'respondeo, primo, patere ex dictis ; 2°, 1). Augu- Ad 3.«™ stimmi in 20 et 24 De Civitate Dei, Bedani in 2 a,u Epist. D. Petti ? D. Ieronimum in verba Isaiae citata, D. Tliomam et tlieologos in 4 dist. 48, et ibidem scholasticos, existimare, caelum non esse cor- rumpendum secundum substantiam, in die iudicii, sed tantum quo ad accidentia : ex quo patet, caelum esse incorruptibile, secundum lios. Et hoc idem confirmatur ratione : quia si, destructo mundo, creandus confirmatur. est alius mundus, iuxta illa verba Scripturae, Ecce ego creo caelos novos etc., vel ille mundus creandus habebit easdem partes quas habet liic mundus, vel non. Si non, ille non erit mundus nisi aequi- 30 voce ; si habebit, vel illae partes erunt eiusdem naturae, vel diversae a partibus liuius mundi : si eiusdem, ergo supervacaneum erit lume munduni destruere ; si diversae contra, terra illius mundi aut erit gravis, densa, frigida et sicca, in medio mundi, aut non: si primum, erit eiusdem rationis cum terra liuius mundi ; si secundum, non erit terra, ergo etc. Et quod dictum est de terra, dictuin sit de aliis mundi par- 3-4. inesse cachnn — 8. diminutiones sunt proprie — 12. Sympltcio — 22. ìcoioijos — 23. scolasiicos — 20. equivoce —30. ille — 31. supercacanuum —• IUVENIMA. 70 Ad uitimum. tibus. Ad ultimum respondeo ad loca Isaino, Davidis et Ioannis et borimi simili», cadimi, testantibus Sacris Littoria, caso mutamlmn ex statu quem mine babet, et aliquo modo interiturum, hoc est (pio ad mo- tum, influxum, vini calefaciendi, generandi etc., non tamen qno ad substantiam; sicut nequo dementa. Quod miteni hoc non sit futurum impossibile Deo, patet ex bis quao olmi facta sii ut; nani et tempore losue sol mansit immobilis, et ignis, cohibento Deo illius aetionem, non combussit tres pueros; et patebit ex corporilms gloriosi. Ad locuin D. Petri, dico nomine cadi intclligondum esse aerem, ut intelligit D. Augustimis in 20 Civit. c. 18 ; et patet hoc ex bis quao dixerat io D. Petrus, nani, loquens ibi de caelis igni reservatis, dicit esse ilio» (pii perierunt in diluvio. Ad Cbristum Dominimi, respondeo intelligendum osso conditionaliter ; ut sit sensus, Prius cadimi et terra transilmnt, quam sint falsa verba mea ; vel, Certe possot quiilom corrumpi, po¬ tenti» mea, caelum et terra, nunquam vero verba mea possent esso falsa. Ad fundamentum Pbiloponi, respondeo cadimi liabero virtu- tem finitam ; posse tamen, virtuto finita, infinito tempore durare. Ad confimiationem patet : nani licet durare niagis vel minus sit inaioris vel minoris virtutis in liabentibns contrarium, non tamen in non babentibus. Unde etiam fieri non potest, ut virtus moventi in magni- 20 tudine moveat infinito tempore ; quia debot ballerò contrarium et ro- sistentiain, ut probabitur suo loco. Ad fund. Philoponi. QlJAF.STIO QUINTA. An caelum sit compositum ex materia et forma. p.* opinio. Prima opinio est Averrois, sentientis cadimi esso corpus simplex, quod non dicitur materia propter quantitatein et reliqua aecidentia ac motum localem, vero tamen est materia se ipsa iwtu existens atquo perfecta. Ita sentit Averroes in p.° Cadi, t. 5, 2°, 22“ et 95 ; in 2° Cadi, t. p.°, 36, 40 et 71; in 3° Cadi, t. 25 ; in p.° Phys., co. 63 ; in 8 Pbys., co. 79; 8 Met. co. 4 et 12, et 12 Mot. 15; et fuso in libro De sub- .10 p/argu mento. stantia orbis per totutQ. Probat suam sententiam Averroes, primo, quia si caelum esset compositum ex materia et forma, essot gene¬ rabile et corruptibile : quia haberet potontiam ad substantiam ; sod * 7. Iosoe — coibente —15. terram —18. minus si sit — IUVENILIA. 71 potentia ad substantiam est contradictionis, idest ad esse et non esse ; ergo caelum erit corruptibile. Et haec ratio desumitur ex c. 2 et 6 lib. Do substantia orbis, ubi nititur probare esse composituni et generabile converti ; et ex 8 Mot. 12, ubi dicit caelum non liabere materiam, quia generaretur; nani transmutatio est illa quae indicat materiam : idem repetit p.° Caeli t. 5. Secundo, quia sequeretur caelum liabere contrarium : nana forma quae est in materia liabct contrarium ; alias enim sequeretur, potentiam materiae esse frustra, quia propria operatio potentiao ipsius materiae est generatio et cor- 10 ruptio, quae fit per contraria : quo fit ut si forma sit in materia non habens contrarium, ut nunquam possit liabere potentia ili am suam operationem. Hac ratione utitur Averroes 2° Caeli t. 20, et in libro De substantia orbis ca. 3. Tertio, quia in caelo est tantum potentia ad ubi : ergo caelum non constat ex materia et forma ; alias enim in ilio esset etiam potentia ad substantiam. Et liaec ratio desumitur ex p.° Pliys. 63. Quarto, quia ex 8 Phys. a t. 79 colligitur virtutem in materia non posse esse infinitam, ac proindo compositum ex materia et forma non posse liabere virtutem infinitam ; et hoc intelligendum est, inquit Averroes, aeque de potentia vel virtute activa et passiva : 20 caelum autem rccipit infìnituin motum ab intelligentia : ergo non potest esse etc. Et hac ratione utitur in lib. De substantia orbis c. 2°. Advertendum autem liic est, liuius sententiae maioris explicationis causa, hanc naturam caeli simplicem aliquando vocari materiam in actu, ut in De substantia orbis c. 2° ; aliquando tamen, et rectius, subiectum, ibidem et 8 Met. 12, quia materia significat potentiam; aliquando etiam, medium inter puram potentiam et formam, quia partim convenit cum materia-, partim cum forma, ut patet ex Pa- raphrasi super p, uiu De caelo. Nam cum materia, quatenus est sensibilis, habet potentiam ad ubi, et est corporea, convenit; cum fonila vero, so quatenus existit actu, non in potentia: ex quo patet, magis convenire cum materia. Hinc, 9 Met. t. 17, dicitur ab Averroe, caelum esse ma¬ teriam et prohiberi ne sit forma, quia est mobile et quantum, sive divisibile, Neque obiicias, in caelo distingui partem moventem a parte mota, ac proinde formam et materiam : nani respondet Averroes, partem moventem in caelo esse formam abstractam et non consti- tuentem caelum, cum caelum habeat quantitatem ante illam, sed 9 - 10 . compito — 27 - 28 . parafra : — 32 . proiberi — 2° ai*g.° 8° arpj.° 4° arg. J Nola. Obioetio. Rosponsio. I. 8 72 IUVKN1MA. Conf. r p.° Avorroissont. Probatur «x Àr. u p o Conf. 2° arg.° tantum motum illi tribuentem. Quoti si (licitar etimii trilmore esse, id fit quia tribuit motum, sino quo non posset osso oaolmu. Con- firmat liane suam sententiam Avorroes, in Do substantia orbiH c. 5, et 8 Met. 12, ex Thémistio dicente, poloni, lunam et. stellali voi osso fornias sive dimenaiones sino materia, idost oorpora spirituali^, voi, si liabent materiam, ili am non esse eiusdem generis cu in bis infe- rioribus. Et certe ThemistiuB, in 3° Phys. t. 3, emù dixissot com¬ posita ex materia et forma partila esse nota per forni ani, partila potentia per materiam, ait caelum esse solimi actu, quia non mntatur sua forma, esse autem in potentia solmn ratione mot uh; et idem ibidem io asserit Simplicius. Hanc ita proliatam et oxplieatam sententiam socun- tur Durandus in 2° dist. 12, Scotua in via Aristotelis in 2" disi. 11 ipio. p. a , Ioannes de Baccone et Lyclietus ibidem, Antonius Andrena 8 Met. quo. 4, Marsilius in 2° quo. 8 art. p.°, Iandunus in p.° Cadi (pio.* 23, 8 Met. q. 7, et in De substantia orbis q. p.*, Caietanus p.° Phys. q. 21, /fimara prop.® 103 et 108, et omnes Averroistao, (plorimi nominili tralmnt etiam in suam sententiam Alexandrum in p.° Qunestionuin naturalium, ca. 10 et 15 et 2 Met. ea. ultimo. Probatur Tiaoc sententia: primo, ex Aristotele, qui nognt, poten- tiam et materiam a caelo, ut patet ex 0 Met. t. 17, ubi dicit nihil 20 aeternum esso potentia, quia omnis potentia est. simili enntradietionis- ex quo fit ut omne quoil est in potentia sit corruptibilo : concedit tàmen potentìam ad ubi in aeternis, nempo in caelo; ncque ideo timendum esse ait ne fatigentur,. quia motus ilio non est circa po- tentiam contradictionis. Confirmatnr idem ex eodem, 3° I’hys. 32, docente, in aeternis esse idem esso et posse; ex (pio facile intdligitur, in caelo aeterno non esse potentiam ad substautiam : essot tamen, si psset compositum ex materia et forma, quia timo materia cadesti» esset apta suscipere formam: quae aptitudo nibil alimi essct quam potentia; contea Aristotelem negantem a cado materiam contendi-so ctionis, licet non mobile ad ubi, ut patet ex 8 Mot. t. 4 et, 12, 9 Met. 17, et 12 Met. 10. Probatur, 2°, ex eodem : quia si caelum esset com¬ positum, sequeretur esse corruptibilo ; quod probatur tum ex parte materiae, tum ex parto forinao. Ex parte niateriae, quia apud Ari¬ stotelem omnis potentia est contradictionis, idost ad esse et ad non esse, ut liabetur 9 Met. 17, p.° Caeli 13G, quibuH etiam in locis idem 4. Temixtio — 7. Tcmistius — 11. Sympliauii —13. Lichelus — IUVENILIA. 73 asserit et de materia, 7 Met. 22 et 53, p.° De generationo 54 ; et idem insinuatili' in 8 Met. 4 et 14, ubi dicitur, quae non transmu- tantur non liabere materiam, cadimi autem non transmutatur ; et demum 2 De generationo 34. Confimiatur ex parte eiusdem materiae : quia, quod liabet materiam, necessario liabet etiam contrarium, ex lib. De longitudine et brevitate vitae c. 2 ; quae autem habent contrarium non sunt aeterna, ex eodem c. ; ergo [etc.]. Confirmatur : quia in p.° Pliys. docetur materiam esso subiectum contrariorum, et 4 Pliys. 84 et in 2° De generationo 6 et 34, nunquam separari posse materiam io a contrarietate, sed habore semper alterimi contrariorum : at caelum caret contrario et est aeternum : ergo [etc.]. Probatur idem ex parte formae : omnis forma naturalis potest esse finis seu forma alicuius motus naturalis, ut patet ex p.° Do partibus animalium c. p.°, nani ideo forma dicitur buius gratin; at liuiusmodi forma est generabili et corruptibilis ; ergo [etc.]. Confirmatur ex p.° Pliys. 83, de formi pbysicis et corruptibilibus, et ex 13 Caeli t. p.°, ubi dicitur: Substantiae naturales sunt corpora et quae cum corporibus generantur et cor- rumpuntur. Ex quibus patet, omnem formam naturalem esse corrupti- bilem ; ac proinde et caelum, si constat ex materia et forma, esse 20 generabile et corruptibilo. Praeterea, ex p." De generatione 54, quae babent formam in materia sunt passibilia, idest agunt et patiuntur; quae vero nonliabent formam in materia sunt impassibilia : sed caelum est impassibile, cum sit inalterabile, ex p.° Caeli : ergo [etc.]. Postremo, Àristoteles, 12 Met. 30, probat, intelligentias carere materia quia sunt aeterna; quae ratio si valet, cum caelum sit aeternum, carebit ma¬ teria. Nequo dicas, Àristotelem solimi probare, intelligentias carere materia incorruptibili, qualis non est in caelo : quia tunc seqùeretur, Àristotelem non probasse simpliciter intelligentias esse iminateriales; nani cum illa probatione adhuc stare posset, quod intelligentiae essent so in tali materia qualis est materia caelestis. Probatur, 3”, eadem sen¬ tenza ex jiarte materiae : si caelum esset compositum ex materia et forma, sequeretur illud esse corruptibilo ; quia materia est potentia, et potentia essentialis, ac proinde et contradictionis. Explicatur argu- mentum : si caelum essentialiter constituitur ex materia et forma, ma¬ teria erit in potentia essentiali ad illam formam, quia aliter non fieret unum per so ; igitur, secundum se considerata, caret forma, et liabet adnexam privationem formae : at ubi est privatio, est potentia ad Coni'.' Co ut' 3“ arg.” Cont' 4" arg.° Obie.° Probatur 3.° 74 ÌUVKNIUA. Conf. Conf. Conf. Probntur 4. Proba tur 5. Conf/ Probntur 6. Probntur 7. Conf/ Obio.° II.® Conf.» esso et ad non esso: ergo [ete.]. Contirnmtur: materia tumpuun po- tentia, saltera natura, prior est, forma cauli : in ilio autem prior ma¬ teria non liabet formarli, ergo privatamela : ergo ete. Conti mi at tir adhuc: materia, cura sit in potentia ad fonuain, ex se non habet illuni; ergo recipit ab alio ; ergo, ut recipit formala, sic («tiara potest privari forma; ergo caelum est corruptibile. Confinnatur: materia est in po¬ tentia ad formano, et cara recipit ab alio; ergo producitnr forma in materia, et ex potentia materno educitur; ac proinde caelum gene¬ ratili*. Probatur idem ex parte etiara materne : materia cadi vel est pura potentia, vel est pura potentia in rationo actus speeiliei; ergo io apta est suscipere quemeunquo actum speeiticum, eum a quoeunque sit apta portici et determinari : ergo materia illa, simili eum forma caeli quam liabet, liabet potentiam et privatamela ad alias formas quibus caret: et consequenter caelum suapte natura est eorruptibilo. Probatur idem ex parte ctiam materiae: dantur in universo quaedam composita ex materia et forma, ut sunt corruptibilia ; dantur etiam quaedam perfecta in ratione formao tantum, ut intelligentine; ergo debent etiam dari quaedam perfecta ratione solius materiae, sicut caelum. Confinnatur: forma et materia sunt relativa: sed dnntur formae quaedam quae egent materia, ut corruptibilcs ; dantur fonnae 20 porfectae sine materia, ut iutelligentiae: oi'go dabitur etiam materia sine forma, idest caelum; maxime cum formae (piao Bunt sino mate¬ ria, tanquam formae adsistant ipsi cacio. Probatur idem ex parto formae: nam omnis forma naturalis est gonerabilis et corruptibilis, ex Aristotele; ergo caelum, cum sit incorruptibile, non constabit ex materia et forma. Probatur 2°: voi forma caeli movet ipsum, vel non ; si non, ergo non est forma naturalis, quao est natura princi- pium inotus. Praeterea: quod dat esse, dat consequcntia ad osso; ergo, si forma daret esse caelo, deberet etiam darò motum ot ope- 1 ationes consequentes ipsum esse, praesertim cum propter ipsum esso 30 det alias qualitates, ut lumen, etc. Quod si dicas, non darò motum, quia viitus in magnitudine non potest movere infinito tempore ; con¬ ti a, quia id contingeret si virtus illa fatigaretur : at non fatigatur, cum fatigatio proveniat ex contrario et resistentia, quao non sunt in caelo. Confinnatur hoc ex 9 Met. 17, ubi habetur non esso veren- dum no caelum fatigetur, quia motus ille non est circa potentiam con- 36. qui motus — ITJVENILTA. 75 tradictionis ; ergo forma illa poterit movere, quamvis infinito tem¬ pore. Quoti si illa moveat, primo sequitur, contra Aristotelem, virtùtem in magnitudine movere infinito tempore ; quod negat Aristoteles 8 Phys. 79. Praoterea sequitur, forrnam illam esso corruptibilem ; quia movendo moveretur per accidens, cum sit in materia; at quod est huiusmodi est corruptibile, ex 8 Phys.; ergo [etc.]. Demum sequeretur, saltem intelligenti as non esse necessarias ad motum caeli, ac proinde mere totum discorsimi Aristotelis, quem facit in 8 Phys. ad investi- gandum primum motorem, et praeterea tolli vel certe restringi viam io ad indagandas intelligentias. Probatur idem ex parte caeli. Primo: caelum est incorruptibile, ergo non est compositum; cum ornilo compositum ex sua natura sit dissolubile, nani liabet duas partes realiter distinctas, quao possunt separaci : quod si non separentur, vel quia non sit agens potens destruere, vel propter ali quid aliud, sequitur caelum extrinsece esse indissolubile, intrinseco autem cor¬ ruptibile. Confirmatur : quia compositio videtur instituta a natura ut res possint dissolvi: quod si caelum futurum erat indissolubile, frustra natura illud ex duobus constituisset. Acide, quod nos non cognoscimus compositionem nisi ex transmutatione et corruptiono; 20 quare quod non transmutatur nec corrumpitur cognosci a nobis non potest compositum: at caelum non transmutatur ncque cor- rumpitur: ergo [etc.]. Confirmatur: quia caelum caret contrariis; ex contrariis autem fit transmutatio, sicut ex transmutatione cogno- scitur compositio. Probatur idem 2°: caelo convenit motus et figura simplicissima ; at liaec proveniunt a natura valde simplici et simpliciori quam sit elementaris: sed dementa non liabent compositionem nisi ex materia et forma: ergo caelum carebit hac; alioqui non esset simplex. Probatur 3° : caelum debet esse universale agens ; ergo, maxime acti- vum; ita tamen, ut non repatiatur ab inferioribus : ex quo patet, 80 decere caelum esse actum simplicem. Probatur ultimo : caelum est me¬ dium inter intelligentias et sublunaria ; ergo, sicutdistat ab intelligen- tiis et convenit cum sublunaribus, quatenus est corpus, ita etiam debet distare a sublunaribus et convenire cum intelligentiis, quatenus est corpus simplex. Confirmatur argumentum. Quia triplex reperitile com- positio : prima, ex subiecto et accidentibus, quae locum etiam ha- bent in immaterialibus ; secunda, ex partibus quantitativis, quae non po¬ test esse nisi in corpore ; tertia, ex partibus essentialibus : ergo, sicut Probatur 8. Conf.' Conf/ Conf/ 76 IUVENILTÀ. Oonf. r 2* op.° intelligentiae liabent tantum prùuam,sublunari» emm*, ita cadimi duna priores hubere dcbct. Confinnatur : quia omnia enti» reducuutur ad Doum, et maxime per intclligentias et caelum ; ut igitur forame omnos reducuntur ad Deura per intelligentias, formati pcrfectissimas materia carentes, ita matoriae omnes reduci debont ad Diami per caelum, naturami simplicem et perfectam omnia formao expertem. Secunda opimo est illorum omnium qui putant caelum esso naturao elementari, sentientium caelum esso corpus coiiipositiun. Ita sentiunt Aegyptii, Plato in Timaeo, Stoici, et alii, do quibus infra, Alexander etiam, in 12 Met. co. 34etintex. 48, ubi existimat unumquodque caelum, io praeter intelligentiam, liabero propriam forunun et aniuiam; et in p. ° Naturalium quaestionum ca. 10, ubi dicit, si materia dcfiniutur su- biectum susceptivum contrarioriun, materiam cucii non comprehendi sub bac dofinitione; si vero dofiniatur quoddam prinmiu et informo, comprehendi: at si in cacio est subiectum informe, erit etiam forma, ae proinde compositio. Alexandrum etiam fu isso in line scntontia, confirmari potest ex co quod tradit Averroes, ex Alexandro, 8 Pliys. 79, caelum osso corruptibile propter motorem; at si esset corrupti- bilo, esset etiam compositum: ergo [etc.]. Pliiloponus etiam idem sensit, tum quia putat caelum esso corruptibile, timi quia materiam et for- ao mani in cacio ponit, in p.° Pliys. 50 et 3° Pliys. t. p.°; et Simplicius in 8 Tliys. 79, et p.° Caeli co. G et 8, et 2 Cucii t. 50. Arabes etiam omnes, uno excepto Averroe, compositionem tribuorunt cacio; ut Avi- cembron ili libro Fontis vitae, ex Alberto et ex I). Titolila in p.* parto q. 6G art. 2; Avempace, ex p.° I)o cacio trac. p.° c. 3; Avicenna, in p.° Sufficientiae c. 3: et quaniplurimi etiam Latinorum; ut Al¬ bertus Magnus, in p.° Pliys. ubi supra, 8 Pliys. tr. p.° c. 13, et in libro De quatuor coaequaevis quo. 4 art. 3°, ubi etiam docot eandem sententiam fuisso Rubi MoysiH ; 1). Thomas, in p.* parte uhi supra, et 8 Pliys. lee. 21, et p.° Do caelo lec. G, quamvia in 2° dist. 13 q. so p.“ art. p." non dissentiat ab Averroo : similiter, omnes Thomistae; ut Capreolus, in 2° dist. 12; Caietanus, in p. ,m partem ubi supra; Soncinas, iu 12 Met. q. 3; Ferrariensis, in 3 Centra gentes c. 30: praeterea, D. Bonaventura, in 2° dist. 12; Aegidius Romanus, ibidem et in quo.® propria De materia caeli 1 ; Àchillinus, in p.° l)o orbe; Mirandulanus, in lib. 11 De eversione singularis certaminis sec. 1G ; et Scaliger, in 9. Fgiplii 9. Jinieo — 21. Sgmplicius — 28. corquaccis — 29. Moùcm — 3-1. Fgùiiut —■ IUVENIIilA. ■ 71 Exercitationibus GÌ. Veruni discrepant inter se citati authores. Primo, quidem, quia illorum nonnulli vollint' materiali! caeli esso diversae ratio- nis a materia liorum inferiorum; ut Alexander, p.° Quaestionum natura- lium c. 10 et 15 ; Simplicius, p.° Pliys. G8 co. G3 ; Albertus, p.° Pliys. tra. 3 c. 11, et in De quatuor coaequaevis quaestione 2* art. 6, ctD. Thomas locis citatis supra : at vero alii contendunt, esse eiusdom rationis cuni materia sublunarium; ut Philoponus, Avicenna, Avempace, referente Averroe libro De substantia orbis, Avicembron, Aegidius et Scaliger : ita tamen, ut Philoponus putet caelum et esse corruptibile et ali¬ to quando tandem corruptum iri; Avicenna et Arabes, esse corruptibile por se et intrinseco, aliunde tamen et ab extrinseco incorniptibile; Aegidius et Scaliger, esso incorruptibile per se. Sed de corruptibilitate et incorruptibilitate caeli supra dictum est. Discrepant, 2°, in hoc: quod quidam illorum volunt caelum esse coinpositum ex materia et forma, quae sit intelligentia, ut Mirandulanus et Acliillinus, qui etiam putant materiam caeli non esso in potentia per se sed actu, et nilii- lominus suscipei’e intelligentiam tanquam formara; alii vero omnes ponunt aliam formain in cacio. Sed de hoc, suo loco. Sententi a sen- tientium materiam caeli esse diversae rationis a sublunari probatur : 20 tum quia Aristoteles conceptis verbis testatur, quibusdam in locis caelum non liabere materiam quam habent inferiora, et Peripatetici fere omnes docent materiam caeli esse aequivoce materiam, si eonfe- ratur cum materia liorum inferi ornili ; tum quia alias sequeretur, caelum esse corruptibile. Sed de his, infra. Sententia putantium, ma- teriara caeli esse eiusdem rationis cum materia sublunari, probatur his argumentis ab Aegidio. Primo, quia vel materia caeli est pura potentia vel actus : si est actus, non posset fieri unum per se et es- sentialiter ex materia et forma; quia ideo fit unum per se ex duobus, teste Aristotele 2° De anima t. 2 et in 8 Met. oa t. 15, quia unum so illorum.se habet ut actus, alterimi ut potentia: si vero est pura po¬ tentia, ergo est eiusdem rationis cum materia sublunari, cum diffe¬ renti a utriusqiiQ sit potentia per quam maxime materia substantiatur.' Confimiatur : quia cum multae sint purae potentine, non possunt liabere in quo distinguantur. Neque dicas, puram potentiam diversa rationo convenire materiae cadi et sublunari; quia utraque est po¬ tentia, et in eodem genere, seilicet substantiae ad actum specificum. 1. aulores — f>. coequaev?s — 8, 12, 26. Etjid .... — 22 . equi voce — * * Probatur. Probatur p.° Con 17 Obice. 0 IUVKNILIA. Oonf/ Pi*obatuv 2.° Probatur 3." i Obioc. 0 11 .’ Probatur 4.® rrobatur 5.° Conf. r Conf/ 78 Adde, quod sequeretur alias in pura, potentia duri diverse» gradua; quod est absurdum. Contirmatur: quia materia cucii, sicut materia inferiorum, debet esso in potentia ad omni'in aetum «pceitieum : quia potentia illa, quao non est ad omnen» artmn, finii ipsa com- paratur secundum illuni actum ad quelli non est in potentia; sicut intellectus est potentia materiao non ad aetum simplieitor sed in genere intelligibilium, et ocnlus in genero colorimi; nude possimi esso aliquid aliud actu: ergo, cum materia eaeli non sit in aetu, debet esso potentia in potentia ad omnem aetum, ac proinde convenire cum materia inferiorum. Probatur 2°; quia oninis distindio est per io actum, ex 7 Mot. 49; sed materia eaeli, secundum se considerata, et materia liorum inferiorum non habcnt actum; ergo ncque disti net io- nem. Confirmatur: quia ubi est distinetio, ibi est et orilo; nt omnisordo est ad formam; ergo [etc.]. rrobatur 3°: quia omnia entia sunt talis na¬ tura© secundum quomdain recessum a nummo et primo ente, scilicet Deo; sicuti omnes species numerorum constituuntur per < aleni distan- tiam ab imitate: ergo impossibile est, materiale ciudi et mihhmarium inter se essentialiter distingui. Quia illa quao aequaliter reeedunt a primo ente sunt eiusdem specioi; sicut et numeri, (pii aequaliter reee¬ dunt ab unitate, sunt eiusdem naturaci ut materia eaeli et materia ao inferiorum aequaliter reeedunt a Deo, cum utraquo sit pura potentia*’ ergo [etc.]. Nequo dicas, differre imam ab alia, quatenus una est ad nobiliorem formam quam alia; quia sequeretur, unam nmteriam magia accedere ad Donni quam aliam, et utramque non esse puram poten- tiam maxime recedentem a simplicissima forma, qui est Deus. 4°: quia materia est medium inter ens actu et nihil: sed intor ista non potest esso medium, nisi unius specioi; quia ubi rocedimus ab hoc medio, statini cadnnus voi in nihil voi in ens actu: ergo [etc.]. .9°: quia materia eaeli et horum inferiorum convcniunt in passionilms, ut in quantitato etc. ; ergo et in natura. Confirmatur ex 7 Pliys. t. 29, so et ex 2 De anima t. 26, ubi habetur non quodlibot esse susceptivum cuiuslibet, sed unum unius primum : ex quo patet, cum in cacio et in his inferioiibus reperiatur idem susceptivum, reperiri etiani eandem natuiam. Confirmatur ex 2° De gcnerationo 37, ubi habetur, quao compai antui secimdum quantitatem esse invicem transmutabili a, ac promde habere materiam eiusdem rationis : sed caelum comparatur 18 , 19 , 21 . equaliter — 28 . nichil — IU YEN ILI A. 79 Conf/ Conf. r Con!.' cum elementis secnndum quantitatem; clicimus enim, primum caelum liabere tantam proportionem cum globo terrae, ignis ctc. socundum quantitatem. G°: quia Aristoteles, in 2° De generatione 51, inquit: Nu- Probntnr c. mero aequalia et genere eadem sunt principia in sempiternis et cor- ruptibilibus, nempo materia forma et efficiens: ergo materia caeli est eiusdem rationis cum materia sublunarium. Confirmatur: quia Ari¬ stoteles unicam tantum materiam agnovit, quam et p.° Pliys. de- finivit: ergo si in caelo est materia, est eiusdem rationis cum illa quam defìnivit Aristoteles: at Aristoteles definivit illam sublunarium: io ergo [etc.]. Confirmatur: quia in lib. Pliys. agitur de principiis om¬ nium rerum naturalium : ergo etiam de materia ; praesertim cum nul- libi Aristoteles egerit de materia caeli. Confirmatur praeterea: quia quae differunt materia, differunt et genero, ex 8 et 12 Met.: sed caelum et sublunaria conveniunt in genere corporis et substantiae: ergo non differunt in materia. Demum: quia si materia caeli et sublunarium per se differunt, sequitur caelum esse constitutum ex aliquo communi et differentia; quod est falsimi; ergo [etc.]. Dico, primo, cum communi Peripateticorum sentontia, caelum esse Conduco p/ compositum ex materia et forma, quaecunque illa sit. Probatur con- 1 conci 1 .' 11 20 clusio ex Aristotele, qui, p.° De caelo t. 92, proponit dubium cur non possint esse plures caeli. Patio autem dubii est, quia caelum est unum ex bis quae sunt singularia et sensibili a: nani aliud est caelum, aliud est hoc caelum; primum enim est forma, secundum est forma in materia: sed ea quae habent fonnam in materia possunt multipli- cari: ergo et caelum. Quod dubium solvens Aristoteles, in textibus 93, 94, 95, ait non multiplicari, quia constat ex tota materia; ex quo patet, secundum Aristotelem caelum constare ex materia et forma. Pespondent adversarii, Aristotelem ibi per caelum non intelligere oi>ìsse simplex, aliquo modo potest defendi emù Averroo ; tum, quia oppo- sita sententia magia laborat in defondenda eompositione meli quam io in oppugnanda simplicitate ; 2 °, quia nulla est ratio alleo valida ut evertat liane sontentiani, quao prò so liabet nliquas rationos proba- biles. Quarum prima est et potissima: quia composita» videtur insti- tuta a natura ad hoc, ut res corrumpantur, nude simplieiter simplex perfeetius est composito; quo tit ut, nisi aliquid alimi obstet, natura faciat rem simplicem, non compositam. Sinqtlex vero multimi eonvenit cum incorruptibili, sicut cimi corruptibili compositum ; ex quo intel- ligitur quod, si natura fecit caelum incorruptibile, ut delmerit etiam illud efficere simplex, cum simplex conveniat cum incorruptibili. Ilinc. videmus, intelligcntias incorruptibiles esso simplieea; sublunaria autom, 20 quod debebant esse corruptibili a, ex materia et forma constituta. Cou- firmatur liaec ratio : quia intelligentia est forma simplex so ij»sa per- fecta, cui prò materia correspondet caelum, ita ut ex utrisquo fiat unum ; sicut igitur intelligentia est forma simplex per so subsistens atque perfecta, ita etiam, cum materia sit eiusdem rationis cum forma, caelum erit materia perfecta ctc. Secunda ratio est : quia, si caelum praeter intelligentiain haberet propriam formam, deborct 1110- veri ab illa, non ab intelligentia, contro Aristotelem. 3 °: quia videtur Aristoteles magis favere buie scntentiao, nunquain indiciuis compo- sitionem in caelo, et saepe negans materiam ab ilio. Cotifìrinatur : 30 quia Aristoteles et Peripatetici, accipiendo intelligentiam tanqmuu for- mam caeli, dicunt illud esse animatimi. Ad argumenta prò sententia Averrois, ad primum, ex Aristotele, respondeo: Aristotelem per potentiam intelligere proprio potontiam contradictionis, quia haec videtur vere potentia, cum sit. ad osso et ad non esse; et similitor per materiam intelligere illam qune liabet po- 31 . adcuo — 35 . Ime — IUVENILIA. 87 tentiam contradictionis; ideoque velie quidem in caelo illam materiam esse quae vere est ad opposita, non tamen esso materiam generabilem. Quia materia caeli, respectu suae formae, non est in potentia contra¬ dictionis, licet sit materia mobili ; cum in caelo, respectu ubi, sit po¬ tentia contradictionis : nam sol potest esso in oriente, et non potest esse. Respondeo, 2°, Aristotelem negare ab aeternis potentiam non liabentem actum : nam aliquam potentiam aeternis et caelo conceden- dam esse, non est dubium ; non quidem contradictionis, sed determi- natam ad unum actum. Patet : quia, licet caelum ponatur esse sim- 10 plex, cum tamen in ilio sint accidentia realiter distincta, sit motus, sit intelligentia tanquam forma assistons, quae omida ab ipso sunt inseparabilia, necesse est esse quoque potentiam ad illa omnia reci- pienda ; quae, cum non sit contradictionis, reticetur ab Aristotele. Ad 2'"” : ad autlioritates ex parte materiae, patet iain ex dictis, solum illam materiam quae est in potentia ad plures fornias esse in potentia contradictionis et susceptivam contrariorum. Ad autlioritates ex parte formae, respondeo primo : rationem formae pliysicae consistere in eo, quod sit forma separabili a materia solum ratione, ut docet Aristo- teles 2° Pliys. 12 et 2G, in p.° De anima t. 17, in G Met. t. 2, et in so 11 Met. Bum. 3 c. p.°; quare ratio formae pliysicae non est quod sit corruptibilis et generabili. Veruna tamen est, ut plurimum, formas ratione tantum separabiles, esse corruptibiles ; ideoque Aristotelem ali- quando decere formas pliysicas esse generabiles et corruptibiles : quod intelligendum est ut plurimum, non autem simpliciter. Forma caeli, licet sit inseparabilia re, ratione tamen est separabili ; et ideo est pliysica. Respondeo, 2°, in particulari, ad illam p.‘ De partibus : sen- sum Aristotelis eo in loco esse, res abstractas non spectare ad pliy- sicum ; quia in rebus abstractis non est finis, et in caelo est forma caeli finis. Ad illam p.‘ Pliys. respondeo, cum Aristoteles p.° Phys. so egisset de materia quae est in corruptibilibus, illuni deinde dicere, agendum esse de formi corruptibilibus respondentibus buie materiae corruptibili. Ad illam 3“ De caelo respondeo, per illa quae cum cor- poribus ait generari, intelligi posse mixta, animata maxime, sicut per corpora intelligebat simplicia ; ut videtur indicare Sùnplicius et con- fìrmatur ex p.° De caelo, ubi, cum ferme eadem dicat quae dicit in 3°, substantias naturaies ait, alia esse corpora, alia habentia corpus ; 17 . ratione — 26 , 32 . illa — i. io 88 IUVENILIA. ubi per corpora intelligit simplicia, per liabentia corpus animata. Similiter ergo in 3° Caeli ait, ipuiedam esse corpora, idint dementa; quaedam generari, iilest mixta animata. Ad Ulani p.‘ De goneratione respondeo, Aristotelem ibi sibi volle, quae liabent eamlein materiam agere et pati; nani in t. 53 dixerat, quao non liabent eamlein ma- teriam non pati, tum, t. 54, quao liabent ìnuteriam, idest oainluin, pati; nude, replicans quae sit haec cudem, ait se iutelligere materiam, quae eadem est oppositorum. Ad illuni 12 Mot." liabetur responsio infra. 01 Ad ratàones, ad primam ex parte nmtoriae. respondeo, mate- riam in caelo noe liabcre potentiam contradietionis noe privationia, io ob causas iam dictas. Ad confirmationom respondoo, eonsiderationem illam materiao, qua, utprior, consideratur sine forma, esse quamdatn considerationem metapliysicam, et ideo esse ibi ipuimdam privationem metapbysicam, non autem rcalem et pliysicam, quae suppouit ma¬ teriam sine forma; quod non est in caelo. C'onlirmatur: quia aliter dici posset caelum liabere privationem ad sua aeeidentia. et motum unde est in potentia adilla; et prius est caelum qunm aeeidentia. Ad aliam confìrmationem respondeo, ex sententia Aristotelis formam caeli fuisse coaeternam ipsi materiae, secundum vero veritatem fu isso simul creatam materiam et formam caeli; praeterea, formam eaeli non esso 20 generabilem, quia non liabet dispositiones quibus uniatur ut edu- catur de potentia materiae. Ad 2* ra respondeo, materiam eaeli esso quidem in pura potentia ratione actus specifici, veruni ex propria sua natura solimi esse determinatam ad taluni actum ; sieut etiam multa subiecta in ratione actus accidentali sunt in pura potentia, noe tamen sunt in potentia ex sua natura ad quodcuiiquo aceidens. Ad 3 ìespondeo, congruentius esse quao inferunt aliquid impossibile ìeicienda esse ; impossibile est autem existere materiam in actu sino torma; nani, quamvis possit existere forma perfecta, cum forma, ut tal 13 , dicat actum, non tamen materia, quae ilicit potentiam. Ad 80 argumenta ox parte formao : ad primum, patet iam ex dictia. Ad 2 ,,m ìespondeo, formam caeli non movere active, esse tamen formam na¬ tili aleni , quia est principium passivum ipsius motus, datquo tiguram 80. materiam — in marcine* ” 1 ^ Kl * ^ a #£* an t° chiamo risposta rìio troveremo a png. £9, mai g-ine, ed e indicata con segno di ri- li„. 7 e segg. IUVENIIilA. 89 sphericam caelo, per quam aptum est movevi circulariter. Non movet autem, quia omnia forma quao movendo movetur per accidens, ex 8 ° Physicorum, non potesfc movere aeterno tempore ; de qua ratione plura inferius. Praeterca, si forma caeli deberet movere, etiam caelum, si ponatur simplex, cum ponatur corpus perfectum et actu et corpus naturale, deberet etiam movere ; maxime cum ab ilio actu sint talia accidentia ut qualitas, lumen, etc. Ad ultimano autboritatem Aristo- telis respondeo, forte Aristotelem solum probasse, intelligentias carene materia corruptibili. I)ices : non igitur intelligentiae sunt onmino im- 10 materiales. Id aliqui concedunt. Melius tamen dici potest, in 8 Physi¬ corum probatam esse iinmaterialitatem intelligontiarum. Respondeo, 2 °, Aristotelem, primo, probasse intelligentias esse motrices in actu, inde, ex eo quod sint sempiternae et motrices actu, intulisse nullo modo esso in materia, quod debent movere sempiterno tempore ; nihil autem potest movere sempiterno tempore, quod sit in materia. Respon¬ deo, 3 °, intelligentias, si essent in materia, esse in materia corrupti¬ bili. Quia forma est in materia propter operationem ; operatio autem propria intelligentiarum est intellectio ; deberet ergo intelligentia esse in materia propter intellectionem, ac proinde in materia quae posset 20 ad illam conducere, quatenus in ea possent esse sensus vel organa sensuum ; quae non possunt esse nisi in materia corruptibili, ut patet ex lib. De anima, quia sensitivum necessario est mixtum. Ad argumenta ex parte caeli, ad primum respondeo, non oinnem compositionem esse propter dissolutionem, ut patet in genere et dif- ferentia. Quod si dicas hanc esse compositionem metapbysicam, dicam reperiri etiam compositionem physicam quae non est ad dissolutio¬ nem ; ut in caelo est compositio ex subiecto et accidentibus, et etiam ex ipso caelo et intelligentia. Est igitur compositio ad dissolutionem propter imperfectionem rerum materialium, ob quam non potuerunt 30 unico actu aut unica parte habere suuin esse perfectum. Ad 2 " ra re¬ spondeo, illa ostendere caelum esse perfectius, sed non simplicius corpus elementis. Ad 3 am respondeo, satis esse si caelum habeat ma- teriam diversae rationis. Ad ultimam respondeo, illam congruentiara, inferro impossibilitatem, ideoque reiciendam esse. Defendenti opinionem Averrois, ad argumenta prò compositione caeli facta, ita est respondendum. Ad primum, sensum illius hunc esse : 9. igitur onmino intelligentiae — BG. ita esse respondendum — 90 IUVKMI.IA. illa quao sunt materialia et corporea possimi nmltiplieari in emioni specie; nam multiplicatio et clivisio naseitur ex rutione eorporeitatis vel materialitatis et quantitatis. Undo por formam intelligit Aristo- teles naturali! et substantiam rei; per fon nam autom in materia, na¬ turali! rei singularem, quatenns est corporea et naturali» : ut, verbi- gratia, tota natura liominis secundum se, ut natura hominÌM, quatenus est liaec ex eo quod ost ex tali corpnreitate et ex talibus acciden- tibus materialibus. Quod vero ita iutelligi debeat, et quoti per inato- riam non sit intelligenda illa quae est pars compositi, patet : timi quia ratio dubii, quod scilicet nliquid possit nmltiplieari in specie», io non oritur ex materia solimi quao est pars compositi, sed nascitur simpliciter ex eo, quod res est corporea et materialis; tum quia solvit, t. 95, hoc caelum nón multiplicari quia constat ex tota materia. Per totani auteni materiam intelligit totum sensibile et materiale corpus, ut docet eodem t.; lindo etiam prolmt constare ex tota materia, pro- bando nullum dari corpus naturalo extra caelum : at corpus naturalo et sensibile non est materia ipsius cadi, cui tampinili pars respondeat forma. Ad 2" ,u respondeo, in cacio esse materiam et formam. prò ut sumitur, cimi intelligentia adsistente. Ad contirinationoin respon- deo, illa proprie convenire rebus corruptibilibus, sicuti sunt omnia 20 ferme quae explicantur 8 lib. Pliys., et secundum quanulani ana- logiara posse etiam accommodari cacio, ut constat ex orbe et in teli i- gentia. Ad 3" m respondeo, Aristotelem indicare liane siniplicitatoiu, p.° De caelo, dum docet caelum esse ingenerarle et incorruptibile : quod quidem non probavit ex eo quod in caelo esset materia, no viderctur potere principimi! vel arguero ex ignoti», sed ex eo quod caelum caret contrario, tanquam ex notiori; ex quo etiam deindo se¬ qui tur cai’ero materia, quia ubi est materia ibi est contrarium. Ad rationes, ad primam respondeo, primo, cum solus Aristotelos posuerit caelum naturae distinctae et simplex, in communi divisione substan- ao tiae non opposuisse quartum menibrum propter caelum; maxime cum id non deserviret suo proposito, et illic non esset disputamli locus an caelum esset quinta essentia, et afferretur communis tlivisio substan- ti.ie in 3 ex Pytbagoricis. Dici etiam potest, compraehendi caelum posse sub nomine materiae, timi quia est materiale, tum quia, in or¬ dine ad intelligentias, est ut potentia. Ad 2‘ m respondeo, non satis 20. rationem 32. me —33. afferetur — 34. inliuujoricis — comjtracndi — esse, ad hoc ut actus sit iirteliigens et immateriali, ut sit per se subsistens, ut patet in actu primo et proprio materiae primae ; sed praeterea requiri ut sit actus incorporeus : caelum autem est cor- poreus: ideo etc. Ad 3 ,l,n respondeo, quantitatem orili ex actu cor¬ poreo, qui reperitur et in caelo et in materia. Ad 4 nm respondeo, solmn ostendere caelum simplex equivalere materiae et formae. Ad ultimam respondeo, obstare quod incorruptibilitas non rccte convenit cum compositi one. Dico, 2°, caelum non esse compositum ex materia eiusdem ratio- 10 nis cum materia borimi inferiorum. Probatur conclusio, primo, ex Aristotele, qui in 8 Met. t. 4 et 12, 9 Met. t. 17, et 12 Met. t. 10, docet expresse, in caelo non esse eam materiam quae est in generabi- libus. Imo saepius loquens Aristoteles de materia quae est in inferiori- bus, negat omnia naturalia esse materiam, ut locis citatis et 2 U Met. ult.° et p.° De generatione 43 ; ubi reprehendit Diogenem quod po- suerit imam materiam communem ad hoc ut possent omnia transmu- tari ad invicem, docens non esse unam materiam nisi in bis quae invicem transmutantur. Idem iudicat 8 Met. 14 ; et bine ait, p.° De ge¬ neratione t. 53, 54 et 87, quae communicant in materia, pati invicem ; 20 et praeterea, in p.° De generatione locis citatis et 43, docet quae communicant in materia, agere invicem et pati : sed caelum non patitur ab bis inferioribus, quia est inalterabile, ex p.° Cadi 21 : ergo non communicat in materia. Respoudet Aegidius, haec omnia intelli- genda esse de materia quae babet privationem adnexam et formam babentem contrarimi!; linde distinguit duplex subiectum: alternili quod babet formam babentem contrarium et ideo babet privationem, quia, cum contraria apta sint sibi invicem succedere in eodem subiecto, subiectum babens unum contrarium babet privationem alterius et potentiam ad illud : alterum subiectum, in quo non est forma babens 80 contrarium, neque proprie privatio et potentia ad abud. Quando igitur Aristoteles ait, quae communicant in materia invicem agere et pati, vult Aegidius Aristotelem intclligendum esse de materia primo modo accepta; sicut et quando negat materiam a caelo, bine etiam ait Aegidius, materiam non esse subiectum transmutationis secundum se sumptam, sed solum primo modo acceptam. Nam quae babent talem 12. expraesse —13. Aristoteles materia — 23,32 . Egid.... Nou avvertiremo ulteriormente questa grafia. ( J2 IirVEKIMA. materiam, possunt, secumlum Aogtdium, tram-unitari ad invicela; in caelo autom non est materia, subiectum traiiMimtationis Mib.-tautialis, seti solimi motns locali». Sed centra : materia eaeli, etiam seeiimlum Aegidium, ex se est potcntia ad olirne» tonila»; ergo. quando habet formam caeli, est adirne in potcntia ad alias, et non bab.-t ; ergo est privata illis. Hinc etiam soquitur, ut materia in caelo ,-it subieetuni transmutationis substantiali» ; timi quia liabet privatioiiem, tuia <|iiia materia illa ex se apta est transnmtari ad qiiauieuuqiie aliam for¬ mami aliter enim non esset in potcntia ad alias forma», t^imd si non posset transnmtari, quia liaberet formam carentem contrario, id exset io per accidens ; ex so tamon senqier csset siibiectum aptum trausmu- tari. Confirmatur: quia materiam delinit Aristotele» per .reneratioiiem; et, praeterea, ex omnibus authoritatibus eaelum esse eorruptibile ex parte materne probantibus. Proba tur eonelusio rat ione. Si in eaelo esset materia eiusdem rationis, sequeretur eaelum esse intrinsece cor- ruptibile; quia materia caeli est in potenti» ad ornile» forinas, et linee potentia, ut etiam testatili’ Aegidius, est do essentia materine ; ergo eaelum, dum manet baco potentia, semper liabet poteutium ad alias formas. Rursus: per suscoptioneni forni ac cadesti» non mutatili’ forma materne; ergo manet eadom potentia; ergo, existeits cimi illa forma, i-o potest adirne alias suseipero; ergo eaelum est corruptibile. Similiter etiam probari potest eaelum esse generabile. Nani materia, verbigra- tia, terrao vel ignis est eiusdem rationis cimi materia nudi ; ergo est eodem modo in potentia ad formam caeli, sieut et ista : vel igitur semper liaec potentia crit ociosa; vel rodueetur aliquamlo, vel saltelli poterit reduci, ad actum: ergo eaelum vel genonibitiir, vel erit genera¬ bile. Respondet Àegidius, causam corruptionis ab Aristotele aliquamlo attribuì forame, ut p. u Phys. 08 et p.° I)e generatiouc, aliquamlo etiam materiae, ut 7 Met. 53, aliquamlo demuiii privationi, ut p.° 1 liys. 80 : veruni radicela corruptionis osso privatioiiem ; muti eorrup- 30 tio signifìcat privatioiiem. Et lune patet, cur materia propter privatio- nem sit causa corruptionis, non quidein per se, ut doeot Aristoteles p. Phys. 82. Nam, si materia est causa corruptionis, est causa quatenus appetit aliam formam ab ea quam liabet : sic enim cor- rumpit eam quam habet, et non appetit aliam formam nisi quatenus pnvata est illa; eigo appetit et est causa corruptionis propter pri- 9. me —io. habet — IUVKN1LIA. 93 vationem. Forma etiam non est causa corruptionis, nisi ratione priva- tionis. Nani causa corruptionis non est nisi forma quae li ab et contra- rium, a quo potest deinde corrumpi ; forma vero habens contrarium dicit privationem contrarii. Et bine fit, quia forma inest materiae, ut informet quoddam diminuto modo, nempe cum privatione alterius contrarii : bine remanet privata materia, et in potentia ad aliud, ac proinde appetens : et tunc fit corruptio. Ex quibus intelligitur, origi¬ nerà corruptionis esse privationem ; quae privatio apparet ex eo, quod forma lrabet contrarium. Et bine sequitur, materiam non esse secun- 10 dum suam essentiam in potentia ad omnes formas, sed ad aliquas propter privationem : quare, ubi erit forma carena contrario, ibi non poterit esse privatio in materia, ac proinde materia non erit in potentia, neque appetet alias formas. Talis autem materia est in caelo. Neque vero verendum est, ne in caelo sit potentia materiae frustra : quia materia, ex se, non appetit aliam formam ; nani alias appetcret spoliari suo esse : quod si appetit, appetit ratione contrarii vel privationis : verum, cum baec non sint in caelo, neque erit po¬ tentia. Et ex bis intelligitur, caelum esse incorruptibile et ingenera¬ bile : quia materia liabens formam quae babet contrarium, sicut est 20 materia terrae vel ignis, non est in potentia nisi ad eas formas quae babent contrarium ; et ideo non est in potentia ad formam caelestem. Veruna contra liane responsionem, primo, sequitur, Aegidium si- bimet pugnare. Nani, in eademmet quaestione, dum arguit contra D. Thomam, assumit, potentiam materiae ad omnes formas esse do essentia materiae ; ergo et manet semper cum materia. Non ergo materia ideo est in potentia ad has et illas formas, ex eo quod babeat formas liabentes contrarium et privationem, sed propter suam natu¬ rami. Quod si Aegidius dicat, se loqui de potentia pbysica, per quam materia potest actu suscipere formam ; ad boc autem necessarium 30 est, ut talem babeat formam cum contrario ; iam solatio non est ad propositum. Ostendimus enim hic, caelum ex sua natura esse incor¬ ruptibile, quamvis extrinsece et a divina potentia corrumpi possit. 2 °, probo etiam, materiam caeli cum illa forma liabere potentiam ad alias formas. Materia suscipit omnes formas ; ergo ex sua natura apta est, suscipere illas ; aliter enim non susciperet, cum unio ex materia et forma sit immediata : ergo datur aliquid intrinsecum in ipsa ma- 1 , 2 . coruptionis — 25 . essentia materia — 33 . potentia — IUVKNTLTA. 94 teria, per quoti dicitur esse apta ad fonnas, et est in potentia, et non ideo est in potentia ad f’ormas quia liabet fonnam liabentem con- trarium : ergo, etiam quando liabet fonnas sine contrario, est in po¬ tentia ad oranes fonnas. Confirmatur : materia, ante quam suscipiat formam, apta est suscipere fonnam liabentem contrariuni et non liabentem; aliter, enira, si una esset apta solimi sine contrario, et forma alia cimi contrario : sed ex eo quoti suscipiat imam cimi contrario vel sine contrario, non mutatur ; ergo cum quacunque forma semper remanet in potentia ad omnes. Et ex liis intelligitur, radicem cor- ruptionis esse non privationem, sed materiam in potentia ad plures io fonnas : nani ex eo quoti materia secunduin se apta est suscipere plures fonnas, fit ut, licet liabeat unam, adirne tamen possit et apta sit suscipere alias. Hinc Aristoteles totius corruptionem attribuit ma- teriae, p.° Caeli 136, p.° De generatione 24, 7 Met. 22 et 53, 8 Met. 14, et 9 Met. 17. Confirmatur etiam, quia, ex 10 Met. t. ult.°, corrupti- bile et incorruptibile vel sunt de essentia rei, vel illam immediate consecuntur : et ideo dicendum est, causam corruptionis esso partem essentialem, nempe materiam, non aliquid extrinsecum ; hoc est quoti materia liabeat privationem vel non liabeat etc. Intelligitur, 2°, cacluni, si vera esset sententia Aegidii, fore cor- 20 ruptibile, imo de facto comunpi posse: tum quia forma, quae est in materia cum privatone, necessario debet liabere contrarium, ut ad- mittit Aegidius, quia alias potentia materiae esset frustra; tum quia catenus materia est in potentia ad dispositiones et qualitates alicuius formae, quatenus est in potentia ad illam formam. Ergo, si materia caeli est in potentia ad alias fonnas, erit etiam ad qualitates illarum ; ergo, si per inductionem aliarum dispositionum poterit corrumpi si- militer, si materia terrae liabet potentiam ad formam caeli, ergo etiam liabet ad dispositiones ; ergo poterit generari, atque ita caelum gene- rabitur et corrumpetur motu locali. Confirmatur : quia eodem dosi- 80 derio et appetitur finis a potentia et medium : ergo eodem etiam appetiti! fonila et dispositiones ad illam appetuntur, praesertim cum potentiae activae in materia respondeat passiva, ex 3 De anima t. 17. Veruni buio argomento responderi posset, caelum esse corruptibilo ratione formae, quia forma illa explet totani potentiam materia© ; boc autom orit vel propter nobilitatem formae caelestis, vel propter vir- 33. adire — IUVENILIA. 95 tualitatem, voi proptcr causalitatem, vel propter incorruptibilitatem. Sed contra : p.°, potentia materiae est ad formam caeli et ad omnes alias, quatenus omnes sunt actus specifici determinantes potentiam materiae ; ex quo patet, nunquam expleri potentiam materiae nisi per ipsasmet formas. 2° : non id potest accidere propter nobilitatene : tinn quia anima saltem rationalis est nobilior forma caeli inanimata- tum quia constat materiam cum forma nobiliori adbuc appetero ignobi- liorem et iinmutari ad eam. Neque potest accidere propter virtuali- tatem: tum quia forma caeli, cum sit inanimata, non comprehendit 10 virtute formas animatas, tum quia materia habet aptitudinem ad ipsum actum formalem ; at forma caeli non continet formaliter omnes formas. Neque potest accidere propter causalitatem : quia materia est in po¬ tentia non ad causalitatem formae, sed ad actum formalem. Neque demum propter incorruptibilitatem : quia materia respicit formam ratione actus, non ratione durationis. Probatur, 2°, idem : quia, si ma¬ teria caeli est eiusdcm rationis et ex se est in potentia ad omnes for¬ mas, ad lioc, ut suscipiat formam caeli et non aliam, debet determinati per aliquas dispositiones et qualitates; ergo forma caeli educitur de potentia materiae, atque ita caelura generatur : nam nibil est aliud 20 formam educi de potentia materiae, quam per qualitates et disposi¬ tiones illam produci in subiecto apto nato. Probatur idem, 3°: materia differt ab inferiori in ratione potentiae, susceptionis et determinationis quia ita suscipit materia caeli suam formam, ut non remaneat amplius in potentia ncque indeterminata : at vero materia inferior ita suscipit formas, ut maneat in potentia et indeterminata : ergo differunt inter se essentialiter, cum ratio potentiae et indeterminationis, ipso fatento Àegidio, sit essentialis materiae. Ad argumenta Aegidii, ad primum,respondeo: licet materiae ambae conveniant in communi ratione materiae, quatenus sunt potentia ad 30 actum specificum, differunt tamen prout sunt potentia ad talem vel talem actum. Ad 2 ìespondeo, illud veruni esse in composito, non autem in materiis, quae se ipsis diversae sunt. Ad 3 ,,m respondeo primo, posse aliqua aequaliter recedere a Deo et tamen differre spe¬ cie, quatenus, licet aequaliter, recedunt in diverso genere secundum diversas perfectiones ; in muneris autem non potest id accidere, quia recessus fit tantum secundum unam rationem. Respondeo, 2", quod 7 . maleria — 34 . genere se secundum — i. 11 l JU IUVENlUA. licet onrmes materiae aequaliter recedant in eo quod materiae et purae potentiae sunt, tamen materia sublunarium magia recedit secundum propriam rationem, quia est magis potentia, cum plures forraas respiciat. Ad 4 um patet ex dictis. Ad 5"“ respondeo, ex eo quod conveniant quaedam accidentia caeli et inferiorum, solimi inferri, in caelo et in inferioribus reperiri aliquom gradimi communem, a quo procedant talia accidentia, ut gradimi corporis. Ad autlioritatem Ari- stotelis respondeo, si argumentum aliquid probat, probare caelum esse transmutabile simul cum elementis. Respondeo, 2°, ex Pliilopono, sensum Aristotelis in ilio loco liunc esse, contra Empcdoclem: si elementa coni- io parantur inviceli!, ut concedit Empedoclcs, et dicuntur esse aequaba, illud non intelligendum secundum molem, quia multo raaior est aér quain sit terra vcl aquae, sed intelligendum esse hoc modo : terra est acqualis aeri, quia, si rarefierot ut aer, esset tantae quantitatis, quantao est aer. Ilaec autem comparatio non potest cognosci nisi ex eo, quod si terra transmutatur in aerem : unus palmus, verbigratia, in tot ut 10 aiiris. Si ergo comparantur lioc modo, sunt invicem transmu- tabilia. Ad 6" m , et ad authoritatein Aristotelis ex 2 De generatone, re¬ spondeo, inde tantum colligi, in caelo esse materiam et formanti sicut in inferioribus, ideoque etiam principia numero aequalia, et eadem 20 genere, sed analogo. Ad illud Aristotelis ex p.° Rliys. respondeo, ibi doccre principia rerum corruptibilium: materia autem caeli, si datur, colligitur tantum ex analogia quadam cum inferiori materia; sed de hoc actum est in p.° Pliys. : tamen, quod spectat ad id quod est illi peculiare, ex eo quod dicit Aristoteles, caelum esse ingenerabile. Ad illud ex 10 Met. respondeo, primo, secundum quosdam caelum non esse in eodem praedicato cum corruptibilibus. Sed a nobis explicatum est, quomodo sit intelligenda illa authoritas in praedicatis. Ad ultimum respondeo, materias esse diversas se ipsis, ut recte docet Alexander in p.° Quaestionum naturalium c. 15. Quaeres hic, propter quid hao ma- so teriae differant. Capreolus putat differre diversis formis, Caietanus se ipsis. Dico, primo, essentialiter non differre aliquo extra materiam: quia aliter, secundum so consideratae, essentialiter eaedem non viderentur esse, cum tamen videantur. Dico, 2°, convenire in eo, quod sunt actus quidam imperfectus in potentia ad actum specificiun; differre tamen, quatenus materia caelestis est talis actus et entitas, ut sit solum in 13 . aque 14 . equalis aer — tante— 33 . considerate —cedetti —35. differe — IUVENILIA. 97 potentia ad talem formam, materia autem sublunarium talis, ut sit in potentia solum ad formam inferiorum. Dici etiam posset, has ma- terias differre etiam in ordine ad formas : nana ipsaemet sunt tales potentine, quia sunt ad tales actus et formas. Dico, 3°, quod, quamvis caelum sit compositum ex forma et ma¬ teria diversae rationis, non ideo tamen est intrinsece corruptibile. Pro cuius conclusionis explicatione, nota, primo, substantiam omnino sim- plicem necessario ex sua natura esse incorruptibilem : quia quod per se existit, quatenus per se existit et substat, non potest corrumpi; nana, io si corrumpitur, corrumpitur quatenus constat ex subiecto et ex eo quod est in subiecto : ex quo intelligitur, quod corrumpitur esse com¬ positum. Veruni an sit satis ad hoc, ut ali quid sit corruptibile, ut sit compositum, vel aliquid aliud requiratur, non satis constat. Et certe, si corruptibile signifìcat illud cui non repugnat dissolvi, curri sit com¬ positum ex duobus, quicquid est hoc modo compositum, est etiam cor¬ ruptibile ; quo modo dicimus, uni omnino simplici repugnare dissolutio- nem. Verum si per corruptibile intrinsece intelligamus, ut intelligendum est, id quod habet principium aliquid intrinsecum, sivo activum sive passivum, inclinans ad corruptionem, unde etiam naturaliter fieri potest 20 ut corrumpatur ; quo modo mixta dicuntur laabere in se principium activum corruptionis, quia Constant ex contrariis se mutuo corrum- pentibus, et elementa dicuntur habere principium passivum, quatenus habent materiam inclinantem ad corruptionem; tunc non satis erit, ut aliquid sit intrinsece corruptibile, ut sit compositum, nisi praeterea sit compositum ex aliqua parte substantiali quae inclinet ad corruptionem: nam corruptibile cum sit essentia vel sequatur essentiam rei, si quid ex se est corruptibile, dcbot habere principium inclinans ad cor¬ ruptionem, quod sit pars essentialis illius. Advertendum est, 2° : cum constet, caelum esse corpus simplex ut sunt elementa, si ponatur colli¬ so positum, ut debeat esse corruptibile, debet habere aliquam partem, voi formam vel materiam, sua natura inclinantem ad corruptionem. Forma non potest esso ncque in caelo neque in corpore simplici, cum forma inclinetur ex se ad informandum : inde enim habet suum esse, quod appetitur ab unaquaque re ; nam hoc ipso quod desinit informare, desinit etiam esse (loquor autem de forma materiali). Concludamus igitur, si quid in corpore simplici ad corruptionem inclinat, esse ma- 21 . coruptionis — 32 . simplici forma — 33 . inforniandam — 98 IUVENILIA. teriam, maxime quatenus est potentia: nauti potentia dicit negatio- xiem, ideoquo inclinai, ad corruptionem. Ex quo intolligitur, cum onme compositum babeat subiectum, quod est potentia respectu actus, esse corruptibile : nam, ubi datur materia per se existens potentia, debet etiam dari materia non babens formam, ac proinde negatio formae quae est principium intrinsecum corruptionis. Veruni advertondum liic est, materiam non inclinare simpliciter ad corruptionem ex eo quod est potentia; neque etiam, ex eo quod est potentia ad aliquem actum, inclinare ad corruptionem illius. Materia enim, ut potentia, si incli- natur, inclinatur ad suscipiendum actum cuius est potentia, et ad esse io quod dat talis actus; at vero ad non esse oppositum non inclinatur: quia, ut potentia, nunquam inclinatur ad deserendum suum actum; quia ratio potentiae est, ut sit subiectum actus, et ut per illuni per- ficiatur. Et bine sequitur, quod si materia aliqua sit potentia ad unum tantum actum, ita ut non babeat aliam inclinationem quam ad su- scipiendum et liabendum illuni, ut nunquam inclinet ad corruptionem: nam, si in dinar etur, incbnaretur ad non actum et ad esse sine forma, et appeteret ipsum non esse; quod est absurdum. Nota, 3°, cum materia sit potentia et potentia sit ad actum, per se primo nunquam in dinari materiam ad non esse, sed ad esse quod per actum acquirit ; 20 secundario tamen aliquando indinari ad non esse. Hoc autem contin¬ gere potest quando potentia est suapto natura ad plures actus specie distinctos: tunc enim, quia per se primo inclinatur ad illos actus, ideo, quando habet unum, inclinatur etiam ad alium; et quia illuni non potest liabere, nisi deserat eum quem babet, inclinatur secundario ad non esse buius. Et ideo, quando reperitili’ compositum ex forma aliqua et ex materia quae sit in potentia ad alias formas, sequitur, compositum illud intrinseco esse corruptibile, cum babeat partem es- sentialem inclinantem ad corruptionem. Nota, 4°, eandem quam tradidimus in materia de corruptione doctrinam, verissimani esse in so ipso corrumpi rem actu. Res enim corrumpitur ratione qualitatum : nam, quando compositum babet materiam in potentia ad plures formas, no potentia illa sit frustra, debent formae illae, cum non possint esse simul, posse mutuo se pellere ; unde debent esse formae quae habeant qualitates contrarias, per quas generentur et corrumpantur, si quidem contrarietas non est in formis substautialibus. Praeterea, materia est 8 . neque est ex — 13 . aptus — IUVENILIA. 99 in potentia ad plures formas ; ergo, ut suscipiat potius liane quam illana, debet determinali per qualitates : at qualitates babent contra- rium ; ergo forma, quae inducebatur in illam materiam per determina- tionein qualitatnm, poterit a contrariia qualitatibus, quae expellunt pro- prias dispositiones, corrumpi. Contra vero, quando compositum constat ex materia quae est in potentia ad unam tantum formam, et sequitur incorruptibilitas intrinseca, et non corrumpi per qualitates : nain, cum illa materia sit ad unam tantum formam, non debet dari alia forma potens liane pellere, ne potentia materiae sit frustra. Praeterea, forma io illa non debet uniri per qualitates determinantes materiam, quia materia ex se determinata est ad illam solum ; non igitur datur aliquid contrarium, potens expellcre dispositiones determinantes qui- bus inducitur in materiam, quia ipsamet materia est disposita per se ad talem formam : quare, cum sit suapte natura iinmutabilis, nunquam poterit unitari a dispositionibus ad aliam formam. Nota, 5°, idem colligi posse regredendo a forma ad materiam. Formae enim quaedam sunt, quae se ipsis uniri possunt materiae sine dispositio¬ nibus ; quaedam, quae non possunt sine illis, ut sunt educibiles de potentia materiae, cum liaboant dispositiones per quas educuntur ; et 20 baec sunt auferibiles a materia, quia, cum uniantur per dispositiones et liae liabeant contrarium, cum sint qualitates, possunt expelli, corruptis dispositionibus. Hinc fìt ut supponant principium intrinsecum corrup- tionis : nam, cum uniantur per dispositiones, debent kabere materiam in potentia ad plures formas; dispositiones enim fìunt ad determinan- dam materiam. Praeterea, dispositiones babent contrarium: ubi ergo inducitur forma cum bis dispositionibus, possunt esse contrarrne dis- positionos, quia contraria fiimt in eodem subiecto. Demum, quia aliter sequeretur, cum possit forma illa expelli, necessario materiam manero sine forma, si non sit in potentia ad alias. Contrario prorsus modo so se liabet actus ille, qui se ipso unitur materiae. Primo, enim, non educitur ex subiecto, quia non habet dispositiones ; 2°, non est aufe- ribilis ab ilio, quia non habet dispositiones quae corrumpi possint; 3°, supponit principium intrinsecum incorruptibilitatis, nempe materiam solum in potentia ad illum actum, quia, cum uniatur se ipso, non eget determinante materia; nam materia cui ipse unitur est determinata ad illum. Nota, ultimo, ex dictis colligi sequentia. Primo, non quam- 3. inducébat — 12. dispositiones determinas — 100 IUVENILIA. cunquo potentiam esse contradictionis, sed illam solam quae est ad plu- res actus : liaec enim ita inclinat ad unum actum et ad esse quod per illuni datur, ut ctiam inclinet, licet per accidens, ad non esse, quatenus inclinat ad alium actum. Quando vero potentia est ad unicum actum, non est contradictionis, quia inclinat solum ad esse quod per illuni actum datur, et idem intelligi debet de potentia cura privatione. 2°, intrinsecam rationem corruptibilitatis esse materiam cura potentia ad plures formas ; bine Aristoteles toties, locis citatis, corruptionem reducit ad materiam ; et, praeterea, eandem materiam esse causam cur res corrumpatur actu. Nam, si materia est in potentia ad plures io formas, est etiam in potentia ad dispositiones illarum quae sunt invicem contrarine ; et ideo, ubi est talis materia, potest esse cor- ruptio actu. Solet tamen corruptibilitas et corruptio colligi etiam ex parte formae ; quatenus forma illa, quae unitur materiae per di¬ spositiones, liabet contrarium, unde fit ut sit corruptibilis ; et tamen ratio est postorior, cum supponat priorem, licet nobis sit notior. Ilinc, licet fieri posset ut non daretur haec posterior ratio, idest quod fonna aliqua non haberet contrarium, sed prior, quod materia esset in potentia ad plura, adhuc compositum esset corruptibile suapte na¬ tura. Veruni nunquam natura patitur ut in materia, quae est in po- 20 tentia ad plura, sit forma non liabens contrarium : nam, ut ait Ari¬ stoteles p.° Caeli, sequeretur, materiam posse frustrari. Et ideo idem Aristoteles in libro De longitudine vitae c. 2° dicit, impossibile esse babenti materiam non esso contrarium aliquo modo; et in eodem Caeli dicit, ingenerabile et incorruptibilo converti : ex quibus colligitur, ve- rum esse quod diximus, si caelum est intrinseco incorruptibile, non debere constare ex materia eiusdem rationis cuna inferioribus. 3°, ubi est potentia tantum ad unuin actum, in ilio composito non esse prin- cipium intrinsecum corruptionis. Ex quo patet, caelum esse compo¬ situm et tamen intrinsece esse incorruptibile, cum constot ex materia so determinata ex sua natura ad unam formavo, et ex forma quae uni- tur materiae se ipsa sine dispositionibus : ex quo etiam intelligitur, caelum nullum liabere principium extrinsecum corruptionis. Quaeres bic, quid dicendum sit de materia orbium caelestium, an sit una vel plures, sicut plures sunt orbes. Dicendum est, si orbes caclestes specie inter se differant, materiam cuiuslibet orbis esse di- 16 . sit natior — 10 , 17 . postcrio — IUVENILTA. 101 versae rationis a materia alterma, ut sentiunt Albertus in De qua- tuor coaequaevis quo. 2 art. 6, et Caietanus in p. a parte quo. 66 art. 2. Contrarium tamen sentiunt Capreolus in 2° dist. 12 quo. p. 11 art. 3, Soncinas in 10 Mot. q. 10, et alii. Ratio lioruin est, quia, sicut ratio materiae in communi sita est in eo quod sit apta fieri actu por formam, ita diversa ratio materiae nascetur ex diverso modo quo actuatiu* a formis. Sicut ergo, materia omnis inferior, quia ita actua- tur a quacunque forma ut maneat inexpleta potentia et privatio, et ideo omnis materia sub quacunque forma inferiori, est eiusdem io rationis ; ita etiam, cum materia caelestis ita actuetur a quacunque forma ut expleatur potentia tota et non remaneat privatio, sub qua- cuuque forma sit, erit eiusdem rationis. Probatur tamen prior opinio nobis : quia, si esset unica tantum materia in corporibus caolestibus, et formae illorum differrent inter se specie, et illa materia esset in potentia ad plures formas ; ac proinde, existens cum una forma, esset in potentia ad alteram et privata illa ; ac proinde, in caelo esset principium intrinsecum corruptionis. Respondent Capreolus et alii, id non accidere, quia materia caelestis non aptum subiectum privationis et forma caeli ita informat ut tollat omnem potentiam. Sed contrai 20 primo, haee responsi o patitur omnes instantias quas fecimus con tra Aegidium. Nani, si materia Solis, verbigratia, est eadem cura materia Ltinae, cum materia 3 sit in potentia ad talem formam ob suam naturano, eandem potentiam babebit materia © : sed materia Solis, suscipiens formam ©, non mutatur ex sua natura : ergo adirne re¬ ti net potentiam ad formam 3- Praéterea, si materia ©, existens eadem cum materia 3» suscipiendo formam © non est amplius in potentia ad formam 3» idem dici posset de materia inferiori: nam, licet ma¬ teria caeli sit eadem cum materia sublunari, tamen suscipit formam caelestem, a qua ita aetuatur ut non sit amplius in potentia. Neque so vero obstat quod dicit Capreolus, non esse eandem rationem, quia liaec materia sublunaris potest admittere privationem, non autem caelestis. Nam contrai primo, quia ideo materia apta est suscipere pri¬ vationem quia est potentia ad plures formas, ergo, si materia caeli est in potentia ad plures formas caelestes, poterit esse subiectum pri¬ vationis. 2° : si liaec non est ratio cur materia sit subiectum priva¬ tionis, dicere poterit Aegidius, materiam eiusdem rationis cum infe- 2 . coequcvis — 102 IUVENILIA. riori non esse subicctum privationis ex sua natura, sed ex co quod suscipiat formami cuna contrario. Ad argumentum in contrarium re- spondeo : licct omnes formae caelestes eodem modo uniantur vel actuent materiam, idest sine dispositionibus se ipsis, non tarnen scqui- tur esse unam materiam : quia, cimi se ipsis uniantur, requirunt ma- terias se ipsis determinatas ad illas formas, et quia materia et forma sunt relativa, 2°Pliys. 26, et alterius formae est altera materia; quare, si plures sunt formae caelestes, et plures esse materias necesse est. Dicendum est, 2°, secundum Àristotelem orbes caelestes specie inter se distingui : liinc enim posuit Aristoteles diversas specio intclligen- io tias propter diversa specie corpora caelestia. Ex bis patet, primo, unum planetam distingui ab alio essentialiter, cum planetae iden- tificentur cum suis orbibus ; 2°, stellas omnes firmamenti specie in¬ ter se convenire. Obiicies contro, primum : omnes planetae moventur motu circulari, qui est eiusdem speciei specialissimae : ergo non pos- sunt inter se specie distingui. Nego consequentiarn : nani, licet motus planetarum sint eiusdem rationis, tamen ipsi ex diverso modo specie distinguntur : non enim, quamvis diversi motus specie arguunt sem- per diversas specie naturas, iidem specie arguunt semper eandem na- turam ; ut patet in motu progressivo, qui convcnit multis animalibus, 20 quae tamen specie inter se distinguntur. Obiicies, 2° : astra liabent eandem figuram et lumen: ergo non distinguntur specie. Nego eonse- quentiam : quia talia accidentia secuntur ad illa, ratione gradus gene¬ rici, non specifici. Obiicies, contra secundum, stellas fixas liabere ali- quas operationes et influentias, quibus caret orbis cui sunt afiìxae, ac proinde diversam specie naturam, quae cognoscitur ex operationibus. Huic argumento patebit ex quo est de influentia cadi : interim dico, non omnem diversitatem operationum indicare diversam naturam. Obiicies, 2°: si astra firmamenti specie non differunt ab ilio, ergo diffòrent numero. Àt contra : quia multiplicatio numeralis est ad conservatio- so nem et ad perpetuitatem speciei, astra autem sunt incorruptibilia et non composita ex elementis, ut patet ex superioribus, ergo [etc.]. Respondetur, multiplicationem numeralem non esse tantum propter perpetuitatem, sed etiam propter decorerà universi. Obiicies, 3° : stellao firmamenti illuminanti aliae autem partes, minime: ergo [etc.]. Re¬ spondeo, stellas illuminare, non ex eo quod Labeant diversam substan- 34 . obiicis — IUVJ3NILTA. 103 tiam ab aliis partibus sui orbis, sud ex oo quod habeant maioreru densitatem; quao est conditio sine qua non, corpus perspicuum, quale est caelum, non posset habere lumen nobis visibile. Quod autem baec responsio sit valida, patet ex eo quod minor et maior densitas in elc- mcntis non mutat speciem : unde, verbigratia, aqua glacie concreta, etiam si sit densior, imo lucidior et nobis magis visibilis, non differt tamen ab alia specie. Pari ergo ratione, cum stellae firmamenti so habeant in suo orbe velut nodi in tabula et tanquam partes densio- res, illiquo sint continuae, non est quod specie distiliguantur. io Quaestio sexta. An caelum sit animatimi. Explicatis bis quae spectant ad materiam caoli, reliquum est ut disputemus de lns quao pertinent ad formam illius. Prima opinio fuit veterum quorumdam pbilosophorum, qui posue- runt in caelo animam vegetativam, propterea quod volebant illud nutriri : nutritio autem non fìt sine anima vegetativa. Ita sentiunt He- raclitus et Stoici, ex Plutarcho, qui dicunt caelum nutriri ex exliala- tionibus. Plato etiam, ibidem referente Plutarco, fuit in eadem sen- tentia, et Pliilolaus pythagoricus c. p.°, et Ilesiodus, qui ideo putavit 20 caelum ali nectare et ambrosia. Secunda opinio fuit aliorum, qui posuerunt in caelo animam sen- sitivam cum sensu externo : ut Simplicius in 2° Cadi, qui dicit banc animam carere quidem gustu et odoratu ; habere tamen tactum, cum corpora caelestia se mutuo tangant ; auditum et visum, cum et audiant sonum quem edunt, et omnia quae fiunt intueantur. Probatur baec opinio : quia perfectius est corpori sentire videre et audire, quam ca¬ rere bis : 2°, quia corpora etiam viliora et animata liabent hos sensus. Tertia opinio fuit aliorum, qui posuerunt in caelo animam cum sensu interno, idest imaginationem : quae opinio attribuitur Avicen- so nae, qui 9 Met. c. 2° et 3° existimavit, in caelo praeter intelligentiam motricem esse aliam quamdam animam, quae comparetur caelo ut anima nostra corpori. Esse autem necessariam banc animam docet: 4 . si valuta — 16 - 17 . Eraclitm — 17 - 18 . exalationibus — 19 . Phyloaus pithag : — Esiodus — 22 . Symplicius — 29 . immaginatioficm — I. 12 104 1UVI5NILIA. quia ad hoc, ut fiat motus in cacio, non est satis intelligentia intel- ligens motum universalcm et volcns, sed necessarium ofciam est ut sit talis motus imaginatio, ut hodiornao circulationis, quao non potest ab intelligentia osso, cuius intellectio est universalis ot invariabilis. Quarta demum opimo fuit aliorum, do qnibus infra, qui posuorunt in cacio animam intollectivam. Dico, primo, in caelo non osso animam vogotativam. Primo: quia, ex Aristotele 3 Mct. t. 15, quod ogot alimento non est sempiternum. Et ratio liuius est: quia quod nutritili’ debet habero organum, et ideo roquirit corpus non simplex ; debet alterano alimentimi et convertero io in suam substantiam, no deficiat: at quod liabct liacc, est corruptibile : ergo etc. 2°: ex parto alimenti. Si nutriretur caolum, voi nutriretur re corruptibili vel incorruptibili : si corruptibili, ergo et ipsum esset cor- ruptibile; si incorruptibili, non posset illam in sui substantiam con ver¬ tero, et, praeterea, deficeret tandem aliquando alimentimi: ergo [etc.]. Dico, 2°, in cado non esse animam sensitivam, habentem vel sen- sum intornimi vel externum. Probatur conclusio quo ad secundam partem: primo, quia sensitiva supponit vegetativam et tactum, ex 2° De anima 17 ; sed tactus consistit in primis qualitatibus, quac non sunt in caelo, sicut ncque vegetativa: ergo [etc.]. Imo ncque tactus 20 potest esse in corpore siniplici, ut rccte docet Aristotelos in 3° Do anima t. CO, 62 et 66. 2°: si in caelo esset anima sensitiva, ossont et organa, atque ita caelum esset corpus mixtum, posset se ipsum movere, ncque egeret intelligentia: quao omnia ropugnant ventati. 3° : quia frustra esset sensus in caelo : nequo onim est necessarius ad conservationem, quia caelum est incorruptibile ; ncque ad intellec- tionem, quia, ut ostendemus, caelum non liabet formam intollectivam ; neque ad motum voi ad gubernationem, quia movetur et gubornatur ab intelligentia. Ad Simplicium respondeo, caelos quidem so tangere, sed non tactu sensitivo, cum carcant primis qualitatibus ; et licet so perfectius sit, corpus sentire quanti non sentire, corpori tamen simplici et incorruptibili repugnat sentire, sicut ot videro et audire. Adde, quod caelum est perfectissimum, solum in ratione corporis, non simpliciter. Probatur conclusio, quo ad primam partem : quia sensus internila supponit externum : nunquam enim imaginatio cognoscit nisi antea 2. necessaria 3,35. immaginai .Non avvertiremo ulterioi-mcnto questa grafia. —3. odier- nne ex wiwrsalis 17. internus — 20. veyetativo —34. quo ad secundam partem — IUVENILIA. 105 fuerit aliquid in senati externo ; unde etiam Àristoteles, 2° De anima t. 161, definit, imaginationem esse motum a sensu secundum actum facto. 2°: quia nulla est causa cur debeat poni haec imaginatio in caelo ; neque id quod ait Avicenna ullam habot necessitatem. Intelli- gentia enim cognoscit motum tanquam effectum, cognoscendo se ipsam tanquam causam ; cognoscit autem totum motum sempiternum, quem facit : partes vero illius in ipso non sunt actu divisae, curn rnotus sit ùnus perpetuus. Dico, 3°, totam difficultatem huius quaestionis positam esse in hoc, io quomodo caelum sit animatum anima intellectiva : nani animatimi esse volunt Plato, in Philebo et in Phaedone et in 2° De republica et in Timaeo, et Timaeus etiam in suo opero De natura et anima mundi, Àristoteles, et ex Sanctis Patribus nonnulli, ut Origenes et D. Iei'onimus : dubitat tamen D. Augustinus, et negant D. Basilius et Damasus. Prima, igitur, circa liane difficultatem opinio fuit ali- quorum qui putarunt, in caelo, praoter intclligentias, poni debero quasdam anirnas proprias intellectivas : ita Alexander, in 12 Met. t. 30 et 48 com. 20 et 24, existimans, intelligentias movere caelum fìnaliter ; anirnas vero proprias efficienter, quatenus appetitu suo feruntur in 20 intelligentias. Idem videntur sentire Algazel, Rabi Moyses et Isac, ut refert Albertus in 11 Met. trac. 2 c.° 10. Probatur haec opinio: quia Deus et intelligentiae, secundum Aristotelem, movent motu appe- titus et desiderii ; ergo debet esse in caelo aliquid potens appetere et desiderare, et non nisi propriae animao caelorum : ergo [etc.]. Secunda opinio est aliorum existimantium, intelligentias ipsas esse formas informantes caelum : quam sententiam Aristotelis esse, docet 1). Thomas in 2° Contra gentes c. 70, et Ferrariensis ibidem, et idem videtur indicare p.° Caeli in t. 13 ; docet etiam D. Bonaventura in 2° dist. 14 ; docet Achillinus in p.° et 3° Do orbibus, Mirandulanus so in lib. 21 sec. 6, et Balduinus in quaesito 11 ; qui tres putant, caelum esse coinpositum ex intelligentia, forma informante et caelo, quod est materia in actu, quae recipit esse animatum ab intelligentia. Explicant hi suarn sententiam. Duplex est materia: una quae est in potentia ad esse solum, et quae unitur formae sino dispositionibus ; G. aut totum — 7. divise —11. in Phyle: et in Phedoro —12. Timeo — Timeus — 13. santis —18. caelum tnaniter (cfr. pag. 108, lin. 9, 12, o altrove) —20. Moses — 25. existimantias — 30. quesito — 10G 1UVENILIA. quo fit, ut forma quao illi unitur, quia advenit ante dispositionea et quantitatem, remaneat iramaterialis, indivisibilis, immobilis etiam per accidens, et incorruptibilis, et det quidem esse materiae, non tamen illud a materia recipiat, cum sit abstracta et non inhaereat ipsi : altera materia est, quae est in potentia ad esse et ad non esse, et unitur formae per dispositiones et quantitatem ; quo fit ut forma illi adveniens Bit quanta, materiali et corruptibilis, quia advenit post quantitatem, ideoquo ita dat esse materiae ut etiam recipiat, cum ipsi inhaereat. In caelo igitur est materia et forma primo modo, non secundo: ex quo intelligitur, intelligentiam, primo, dare esse animatum io caelo, deinde, operationem et motum, ita tamen ut ipsa non moveatur per se nec per accidens ad motum caeli, cum sit abstracta. Probatur liaec sententia : primo, quia anima, quae est forma dans esse, est actus corporis organici potentia vitam habentis, ex 2° De anima 17 : sed liuiusmodi actus est intelligentia respectu caeli. Nani caelum est corpus naturale, instrumentum aptum ad recipiendam operationem ab intel¬ ligentia; intelligentia vero est actus illius: ut patet ex Aristotele, in t. 24 2‘ De anima, docente, quando operatio aliqua convenit duobus, et uni proptor aliud, alterimi esse formam, alterum materiam ; et ideo, cum vivere, sentire et intelligere conveniat animae, et corpori propter 20 ammani, sequitur animam esse formam, et corpus materiam : sed eodem modo motus intelligentiao convenit caelo propter intelligentiam et ipsi intelligentiae : ergo intelligentia erit actus, caelum materia. 2°: caelum est animatum, ex 2° Caeli t. 1B et 63 ; sed, si animatum est, per animam animatum est, quae dat esse: siquidem, ex 2° De anima 17, vivere viventibus est esse. 3° : caelum vivit, ex p.° Caeli 10 et ex 2° Caeli 6; at quod vivit, per animam vivit: ergo [etc.]. 4°: quod anima caeli sit intellectiva, probatur: caelum movetur motu sempi¬ terno ; at liic motus non potest esse ab anima materiali, quia anima in materia movet finito tempore; ergo [etc.]. Confirmatur: quia anima 30 hominis est intellectiva; ergo multo magis anima caeli. 5°: probatur animam liane intellectivam, esse intelligentiam. Intelligentia communi- ter dicitur forma caeli ; ergo est anima caeli, ut patet ex 2° Caeli t. 6 : sed anima est quidditas animanti, ex 2° Do anima t. 8 : ergo [etc.]. 6° : intelligentia est natura caeli : sed natura est vel materia vel forma; et intelligentia, ut patet, non est materia caeli : ergo forma. 7° : in omni 4 , 9 . inhereat — 12 . probat — ÌUVENILIA. 107 quoti movetur et in omni re pi iy sica assignantur quafcuor causae, ex 2° Phys. 70 : sed, nisi intelligentia dicatur forma et simili finis et efli- ciens caeli, non poterunt assignari quatuor causae caelo : ergo [etc.]. 8° : si intelligentia non est forma, ergo est motor quidam extrinse- cus : at quod movetur ab extrinseco, movetur motu violento, ex Ari¬ stotele : ergo motus caeli esset violentus. 9° : caelum et intelligentia efficiunt unum numero : ergo alterum est materia, alterimi forma. Postremo : id dat operari, quod etiam dat esse ; sed intelligentia dat caelo operationem : ergo [etc.]. Neque clicas, intelligentiam esse tor¬ io mam tantum assistentem : nam hoc genus formae novum est apud Aristotelem ; 2°, sequeretur, intelligentiam uniri caelo ad motum so- lummodo, illique solum motum tribuere, cum tamen efficiat ut caelum sit animatimi. Et confìrmatur : quia intelligentia multa tribuit caelo, quae non possunt illi inesse per solam formam assistentem : nam cae¬ lum, ratione intelligentiae, dicitur movere se ipsum, intelligere, appe- tere, etc.; quae non possunt dari a forma assistenti. Haec cnim tantum liabet, ut nauta respectu navis ; navim autem ratione nautae se ipsam movere, intelligere et esse animatami, nemo dicerct. Tertia opinio est aliorum putantium haec, sententiam Aristotelis : intelligentias assistere 20 tantum caelo, nec, praeter lias, esse alias anirnas. Ita sentit I). Thomas in p. a parte q. 70 art. 6 et in quaestione De creaturis spiritualibus, Iandunus 12 Met. qu. 12 et in 2° Caeli quaestione 4, Zimara in pro¬ positi one 70 et in quaestionem 12 Ianduni. Dico, primo, praeter intelligentias non esse alias anirnas constituen- das in caelo. Probatur : quia, si praeter intelligentias caeli haberent ammani, illa esset qualis est anima nostra in corpore, et, consequen- ter, supponeret sensitivam, ut mediis sensibus acciperet cognitionem : at hoc iam confutatum est. 2°: frustra ponerentur tales animae in caelis. Neque enim essent necessariae ad hoc, ut darent esse caelo : 30 quia vel caelum se ipso est actu, cum sit simplex ; vel ad hoc, ut habeat esse, non eget anima, sed satis est quaecunque forma. Neque necessariae essent ad operationem : quia, non ad intellectionem, nam intellectio non potest exerceri a forma in corpore simplici existente, cum requirat phantasmata et sensus; neque ad motum, quia ad hoc satis est intelligentia. Confìrmatur : quia, si esset anima in caelo dans motum, moveretur per accidens ad motum caeli ; atque ita esset 3 . assignare — 6 . esse — 34 . fantasmata — 108 IUVENILIA. corruptibilis, ex 8 Pliys. 72. Quoti si dicas accipere perpetuitatem ab intelligentìa, contrai quia quod est ex sua natura corruptibile, non potest ab alio, secmldum Aristotelem, fieri incorruptibile. Confirma- tur : quia, ex 8 Physicorum 78, virtus in magnitudine non potest movere aeterno tempore ; ergo liaec anima non possct dare caelo per¬ petuimi motum. 3° : si daretur liaec anima, spectaret ad pliysicum vel ad animasticum ; sed Aristoteles nunquam buius meminit; ergo [otc.'J. Postremo : ratio Aristotelis, quae habetur 8 Pliys., ostendens dari primum motorem, procedit de motore efficienter, non finaliter ; undo etiam ibi distinguit in caelo partem moventem et motam, et partem io moventem probat esse immobilem et immaterialem : ergo intelligentiae sunt quae movent caelum non solum finaliter, sed etiam efficienter. Dico, 2°, quod, quamvis non videatur omnino improbabile, se- cundum Aristotelem, intolligentias esse forinas informantes simpli- citer, tamen, et secundum Aristotelem et sccundum veritatem, longe probabilius, tantum esse assistentes. Prima pars conclusionis patet, timi ex rationibus supra adductis, tum quia graves authores Aristotelem in liac sententia fuisse docent. Secunda pars probatur : primo, quia ita sensisse Aristotelem docent D. Tliomas locis citatis, D. Cyrillus lib. 2° Con tra Iulianum, Scotus, Durandus, et alii Scholastici. Id autem 20 videtur colligi etiam ex Alexandro, qui, nisi putasset, ex sententia Ari¬ stotelis certissimum esse intelligentias non informare, nunquam po- suisset alias animas praeter intelligentias. Confirmatur etiam ex bis quae scribit Simplicius, 2° Caeli c. 3°. 2° : quia hoc congruit cum bis quae de intelligentiis tradit Aristoteles. Nam docet, primo, intelligen¬ tias esse separatas a materia, et esse extra magnitudinem ; ex quibus patet non esse informantes. Quod autem illa doceat Aristoteles, patet ex plurimis locis, potissimura ex 8° Pliys. t. 78 et ex 12 Met. t. 30, 35 et 41, ubi id probat. Respondent adversarii, ex Aristotele solum colligi intelligentias non pendere in esse a materia. Contrai primo, illa verba so Aristotelis, intelligentias esso separatas a materia et extra magnitu¬ dinem, aperte declarant non esse formas informantes. Confirmatur: quia t. 78, 8 1 Physicorum, proponit se demonstraturum, intelligentias non esse in magnitudine, et id colligit 86, et idem repetit 12 Met. 41 : sed si essent forarne informantes, vere dici possent partes corporis, et babere prò subieeto magnitudinem, et ideo esse in illa. Adde, quod, cum Ari¬ lo. Cirilhis — 20 . scolastici — 24 . Symplicitis — IUVENILIA. 1O0 stoteles toties dicat intélligentias esso extra magnitudinem, nunquam tamen dicit informare. Neque dicas, Aristotelem dieere aliquando in- telligentias esse in caelo : nam dicit, illas esso in cacio, voi tanquam in quodam quasi loco proprio, et hoc ex communi gentium consensu, vel esso in cacio tanquam motrices ; unde etiam, 8° Phys. 84, ait, primum motorem esso in circulo aequinoctiali, quia ibi maxime ap- paret motus velocissimus. Ex liis autem non recte colligitur, intelli- gentias esso formas informantes. Neque iterum dicas, illud quod dicitur ab Aristotele, intelligentias esse extra magnitudinem, intelligi debere io de primo motore tantum, non de aliis intelligentiis ; vel certe non in¬ telligi de bis quae movent efficienter, sed solum finaliter. Nam, licet 8 Physicorum Aristoteles loquatur do primo motore, tamen 12 Met. idem asserit de omnibus intelligentiis. Praeteroa 8 Physicorum agit Aristoteles de primo motore efficiente; unde et dividit cadimi in par- tom moventem et motam, et hanc movcntem ostendit esse immobilem extra magnitudinem: ergo non loquitur solum de movontibus finaliter. Confirmatur ratio ex primo motore: nam, cum candem rationem faciat Aristoteles primi motorie et caetcrarum intolligentiarum, si caeterao sunt forma© informantes, erit etiam et primus motor ; sed hoc dici non 20 potest. Scqueretur enim, in Beo esso aliquid potentine et imperfectio- nis : quia, si est forma, habet ergo potentiam ad informandum, et tanquam pars ad efficiendum unum totum simul cum altera parte : at pars, ut pars, dicit impcrfectionem ; ideo enim est pars, quia non est quid per se perfectum. Et bine sequeretur etiam, Deum non esse actum purum, ut contendit Aristoteles. Praeterea, primum motorem non esse primam causam : tum quia prima causa non dobet pendere ab ulla alia ; at primus motor, si esset forma., penderet a materia ; nam, licet non reciperet esse a materia, tamen, quatenus forma eget subiecto, penderet ; sicut etiam anima rationalis, quae non liabet esse 30 a materia, pendet a causa materiali : tum quia prima causa proprie esset primum caelum compositum, non intolligentia. Similiter, illud esset ens omnino perfectum et completum ; intelligentia vero refer- rctur ad illud tanquam pars ad totum, et illi communicaret, tanquam forma, suum actum et caetera omnia sequentia ; et caelum ipsum esset, quod vere ageret in baec inferiora suo motu et lumino; nam ipsum totum caelum esset illud, ut quod moveret motum. Confirma- G. cquinoctiali —13. Traetere — 20. Sequaeretur — 36. movè — 110 1UVENILTA. tur ex p.° De anima 64, ubi ait, Aristoteles, reetius dici hominem in- telligere per ammani, (piani animam intelligere, quamvis anima intel- lectiva sit forma immaterialis : ergo pari rat,ione reetius diceremus, caelum agero in inferiora per intelligentiam, quam intelligentiam esse ipsam primam causam quae agit. Confirmatur baco eadom ratio ex anima rationali : nam liaec est forma non inhaerens materia© ; immo etiam multi existimant, secundum Aristotelem esse tantum assisten- tem, ut Averrois, et tamen nunquam Aristoteles ita loquitur de anima rationali sieut de intelligentiis ; nam docet quidem posse se¬ parali, non tamen esse omnino extra magnitudinem ; undo vidotur io Aristoteles indicare, intelligentias esse magis separatas a materia quam animam rationalem. Confirmatur demum : quia totios vidotur dubitare Aristoteles de anima rationali an sit forma, ex co solum quod intelligit, quamvis per phantasmata: et tamen nunquam dubi¬ tavi^ an intelligcntia esset forma caeli ; cum tamen ibi sit maior ratio dubitandi, quia operatio illius, idest intellectio, non solum su- biective sed ne obiective quidem pendet a corpore. Ex quibus patot, Aristotelem existimasse, intelligentiam non osso formam. Docet, 2°, Aristoteles, intelligentias esse immobiles etiam per acci- dens : quod colligitur ex 8 Pliys. 52, ubi habetur, quod in movendo 20 movetur per accidens, non posse movere aeterno tempore ; ex quo loco patet, intelligentias non esse formas, quia forma movetur per ac¬ cidens ad motum corporis. Respondent adversarii, ex hoc loco colligi solum, intelligentiam non esse formam inhaerentem materiao : liaec enim movetur per accidens. Contra, primo : Aristoteles, 2° Topicorum c. 3°, arguit contra ponentes ideas immobiles: Ideae sunt in nobis; sed, motis nobis, omnia moventur quae sunt in nobis ; ergo [etc.] : et tamen certuni est, ideas non inliaorere materiae et esse separatas : ergo [etc.]. 2°: anima rationalis est forma immaterialis; et tamen per accidens movetur ad motum corporis: ergo [etc.]. 3°: intelligentia est so forma informans ; ergo communicat actum suum caelo : sed compo- situm illud, habens actum intelligentiae, movetur : ergo simul per ac¬ cidens movetur actus (,) . . 6. inherens materia — 14. fantasmata — 24. inhercntem — 28. inlterere — 81. caelum — 32. actu intelligentia — ^ Qui il manoscritto rimane interrotto: di che vedasi l’Avvertimento. IUVENILIA. Ili cum quantitate, quae, cum consistat in indivisibili et non sit su- scoptiva contrariorum, non potest terminare generationem. Dico, 4°, si alteratio accipiatur prò illa quae est inter primas qualitates, terminum illius esse qualitatem tangibilem : nani quali- tates primae sensu tactus percipiuntur. Hinc Aristoteles, p.° De ge¬ lo neratione 24, dixit, alterationem honiini propriissimam terminari ad qualitates tangibiles. ( '’ Quaestio secunda. De intensione et remissione. Ccrtum est et constat sensu, non solimi fieri alterationem quando una rea mutatur ex alia, veruni etiam quatcnus, retinens eandem qualitatem, variatili' secunduni magis et minus, ut docet. Aristoteles 5° Phys. 19. Ex hoc nascitur intensio et remissio in qualitatibus, quae nobis cxplicanda est; tum quia ferme in ornili alteratane reperitili-, unde non potest intelligi quo modo fiat alteratio, nisi intelligatur 20 intensio et remissio ; tum quia, cum oninis ferme actio fiat per in- tensionem et remissionem, ad illam intelligendam necesse est prius intelligere remissionem et intensionem. Autliores qui liac de re egerunt sunt: D. Thomas in p.° dist. 16 q. 2 a art. 2, et in p. a 2 ao q. 52 art. 2°, et 2 a 2 ao q. 24 art. 5 ; Ca- preolus in p.° dist. 17 q. 2 ; Herveus in quodlib. 6 q. 11 ; Ganda- vensis quodl. 5 q. 19 ; Soncinas 8 Met. ; Aegidius in p.° De genera- tione q. 19, et quod. 5 q. 13, et quod. 2° q. 14; Burleus in tract. Do intensione et remissione; Durandus in p.° dis. 17 q. 7 ; Gregorius 10. homine — 25. JCrveus — (*) Ultime lineo d’una Quaestio prima, nevano essa e le due Quaestiones elio qui sc- il cui titolo probabilmente, o fora’anco il ti- guono, era De altcralione in materia: vedi tolo di tutto il Trattato, al quale appai-te- pag. 133, lin. 3. I. 13 112 IU VENUSTA. ibidem q. 4, art. p.° ; Scotus ibidem q. 4; Occam et Gabriel ibidem q. 7. Nota, primo, in intensione et remissione duo posse considerari : alternai est id quod formaliter dicitur intensio et remissio, alterum est modus quem significane Circa primula : sicut in quantitate datar extensio et maius atque minus, et in omni genero porfoctum atque imperfectum, ita in eo quod habet rationem aliquam formae vel qua- litatis datur magia vel minus ; quod denominat non qualitates, sod subiccta, ut colligitur ex 7° Pliys. 29. Hinc dicitur comparatio fieri in infima specie, et magis et minus non variare apeciem. Circa se- jo cundum : intensum et remissum possunt suini duobus modis : primo, ut intensum dicatur comparationo ad remissum ; et bine quodeunque minus potest dici, respectu minoris, intensum, ot o contra : 2°, pos- sunt accipi absoluto ot por se : et sic intensum ot remissum requi- runt aliquam latitudinem, in qua ipsa considorantur voluti extrema ; quare, si illius qualitatis constituatur aliquis medius terminus, quic- quid erit ultra illud, dicetur intensum, citra, remissum. Et ex bis intolligitur differenza inter intensum et remissum a maiori et mi¬ nori, a pcrfecto et ab imperfecto. Nota, 2°, dari intensionem in qualitatibus posso probari, primo, 20 ex sensu, cui constat eandem rem, minus calidam, fieri deinde magis calidam ; et lioc non est eo, quod facta sit calida aliqua pars quao antea non esset calida, sed ex eo, quod, cum antea essot calida tota, fit magis deinde calida: ut etiam docot Àristoteles et confirmatur ex eodem ; quia, in praedicato qualitatis, docet proprium esse qualitatis suscipero magis et minus, et, 5 Pliys. t. 19, concedit alterationem quamdam, in eadem qualitate, secundum magis et minus. Et liic in- telligitur, patita bac intensione, fiori posse ut contraria aliquo modo sint simul et misceantur. Si enim non daretur intensio, contraria essent simplicia et semper essent simul tota ; unde, vel nunquam pos- so sent misceri et esse simul, vel certe essent simul perfecta ; unde se- quoretur non pugnare invicem. Hinc Àristoteles explicat mixtionem per intensionem et remissionem, ut patet ex p.° De generatione, et, potissimum, ex 2° t. 48. Et ex bis apparet, per intensionem fiori posse comparationem, quao supponit in eadem specie latitudinem ; et, praoterea, alterationem esso successivam, non solum ex eo quod 10 . variar* — 30 . esset — 31 - 32 . sequaeretur — 1UVENIMA. 113 subiectum alteratili' secundum imam partem, deinde secundum ali am, sed etiam rationo formae, quatenus ex remissa fit intensa, et e contra, in eadem parte subiecti. Et quod detur talis intensio successiva, pro- batur : quia, alterato toto subiccto, adhuc sequitur alteratio quao fit successive. Praeterea : dantur quaedam alterationes quae non fìunt successive ex parte subiecti, curn omnes illius partes simili alteren- tur, ut patet ex p.° Pbys. 23, qualis est, secundum Àristotolem, con¬ gelalo : et tamen constat aliquas ex bis fieri successive ; ergo ratione formae, ut recto advertit Alexander ex Simplicio 4° Phys. com. 23 in io t. 22. Neque obiicias, Aristotelem aliquando asserere, alterationem non esse continuam nisi ex parte subiecti : ex quo videtur sequi, nullam esse successionem ex parte formae, ac proinde neque ullam intensionem. Nane, ex liis quae de continuiate motus dieta sunt, patet quid sit respondendum : non enim possunt continuari intrinseco ex parte formae, possunt tamen ex parte subiecti et temporis ; praeter- quam quod, cum Aristoteles manifeste concedat intensionem in qua- btate, necessario etiam admittit successionem in alteratione, praeter eam quae fit ex parte subiecti. Nota, 3°, intensionem esse propriam qualitatis, quamvis nonnulli 20 reperiri in substantia, alii etiam in quantitate, voluerint : quod patet ex Aristotele in Praedicamentis, et ex communi sententia. Ve- rum intensio dupliciter potest esse in qualitate: primo, consecutive; quo modo, verbigrati a, sanitas intenditur et remittitur ad intensio¬ nem et remissionem qualitatum in quibus consistit temperamentum ; quo modo etiam relatio dicitur suscipere intensionem et remissio¬ nem rationo fundamenti: 2°, per se et proprie. Hoc autem accidit dupliciter : primo, cum admixtione contrarii ; quo modo, verbigratia, minus calidum semper babet adiunctum frigus : 2°, sine admixtione contrarii ; ut contingit in lumino, in quo datur magis et minus vel so ex parto agentis, prò ut magis vel minus lucidum fuerit, vel ex parte subiecti : nani subiectum minus dispositum recipit minus lu- minis, et, si successive disponitur magis, et magis illuminatur. Pro¬ pria tamen intensio est illa quae reperitili' in vera alteratione, et quae est cum admixtione contrarii : de qua insurgit difficultas, quo modo fìat intensio in alteratione. Notandum est, bifariam posse nos existimare fieri intensionem in alteratione: primo, extrinsece, nulla 9 . Symylicio — 13 . continuate — Ili 1UVENILIA. facta mutationo in qualitato, sed tantum in aliquo alio : quod dupli- citor potest uccidere ; nani voi potest intendi qualitas ex maiori di¬ sposinone subiecti, vel ex oxpulsiono contrarii : 2 °, intrinseco, facta aliqua mutatione in qualitato quao intonditur : quod otiam dupli- citer potost evenire, vel per novam productionem qualitatis, voi ali- quo alio modo. Dico, iam primo, intensionem non fiori por solrnn mutationem ex¬ in ipsa qualitato ; nani tunc intensio non fieret ; voi ex dispositene subiecti, vel ex expulsione contrarii : sod ex sui ipsius augmnento ; io vel, 2 °, per expulsionem contrarii, aut subiecti dispositionem, ma¬ nente oadem qualitate indivisibili secundum se. Primo : quia soque- retur, qualitatem esse indivisibilem et, quo ad so, sempor eodeni modo se liabere : sed idem, manens idem, semper facit idem : ergo se- quitur, semper eodem modo affi coro suLiectum ; et, praetorea, candela semper esse actioneni qualitatis, sivo sit intensa sive reniissa, cuin actio sequatur qualitatem secundum se ipsam ; et, domimi, sonsuni debere eodem modo percipere intensionem et remissionem, nani sensus percipit qualitatem tanquam potentia suum obiectum. 2 ° : sequeretur non esse veram intensionem in qualitate ; innno falsmn esse, de quali- 20 tate posse asseri, remissum et non remissum esse ctc., cum contra- dictoria non possint de eadem re verificari. 3 ° : sequeretur non esse intensionem alterationem, cuius tamen contrarium docet Aristoteles, immo neque motiun. Nani alteratio est acquisitio, voi saltelli mutatio, illius formae secundum quam est alteratio; et inotus niliil aliud est quam forma tluens : sed hic forma manot prorsus immota : ergo [etc.]. Quod si admitteretur liic aliquis motus vel alteratio, esset 11011 in qualitate quae dicitur intendi, sed in contrario, si fieret intensio per expulsionem ; vel esset in dispositionibus subiecti, si fieret por dispo- sitiones. Confirmatur : quia sequeretur, qualitatem acquili in instanti, so 4 ° : sequeretur, contraria non posso simul esse : quia, si essont simili, essent integra et perfecta ; quod fieri non potest. Denique : in pro¬ duzione qualitatis et in intensione agens eodem modo semper so liabet et operatur ; ut patet in igne, qui semper eodem principio, nempe calore, et eadem actione, nempe calefacienilo, agit : ergo semper faciet idem : ergo, sicut in principio producebat, verbigratia, 11 . disposinone 12 - 13 , 19 , 22 , 31 . sequaerelur — 21 . assere — 22 . possit — 27 . admitteret — IU VENI LI A. 115 calorem, ita et deinceps producet calorom. Quoti si vel expcllet con- trarium, vel mutabit dispositionem subiecti, cum illud efficiat per ca¬ lorem, efficiet, secundario, ad productioneni caloris : vel si agat per aliquam qualitatem distinctam ab ea per quam producit primo qua- litatem, quao deinde augetur, tunc alteratio non erifc unus motus, sed erunt duao alterationes et actiones. Probatur idem in particu- lari contra dispositiones ; quam. sententiam videtur tueri Aegidius, ubi supra et quodlib. 6 q. 9. Primo, quia sequeretur, agens debilissi- mum, ut, verbigratia, calor, in subioctum valde disposituin, ut, verbi- io gratia, in stuppam, produceret intensiorem calorem, quam producat agens fortissimum, ut ignis intensissimus, in subiectum valde indispo- situm, ut in ferrum ; quoti falsimi est. 2° : quia, si intensio fieret per dispositiones subiecti, quando agens intendit, verbigratia, calorem, tunc niliil faciet aliud, quam magia disponere subiectum : sed dispo¬ silo non potest fieri nisi per aliquam actionem, qua producatur ali- qua qualitas in subiecto : liaec igitur qualitas vel producetur tota simul, vel successive ; si tota simili, ergo intensio fiet in instanti ; si successive, qualitas illa disponens suscipiet intensioncm vel, ergo, per intrinsecam mutationem, et sic habetur intensum, vel per aliam di- 20 spositionem, atque ita dabitur dispositio dispositionis in infinitum. Quod si dicas, disponi magis et magis subiectum non per inten- sionem eiusdem dispositionis, sed per diversas qualitates successive productas, quarurn sequens magis disponat quam praecedens; contra: quia, quando ignis calefacit et auget calorem, si disponit et non di- sponit per calorem, quia tunc produceret calorem, disponet solum per siccitatem, cum non babeat aliam virtutem activam : ergo non poterit efficerc varias dispositiones. Praeterea, qualitas disponens pro¬ ducetur in instanti, quia, si successive, habebit iam propriam intensio- nem ; ergo nunquam fiet intensio quaedam una continua, sed plures. (11 Dico, 3°, in intensione non perire priorem partem quabtatis. Pro¬ batur, primo : quia non potest assignari causa cur pereat. Nequo 9. verbigratia in calore in subiectum — 10. stuppa — 22. diversa — W Qui cade altra interruzione del manoscritto: di che vedi l’Avvertimento. Manca la conclusio sccunda « Dico, 2°, de. ». 11G IUVENILIA. enim adcst contrarium, et manet idem subiectum : noe desideratili’ conservans, si quidem adest ibi agcns ; praeterquam quod qualitas non eget conservante, excepto lumino. Neque potest, verbigratia, corruinpi primus gradua caloris inductus a calefaciente in aquam frigidam, quia tunc aqua ageret in so ipsa ; et, practerea, nunquam possent esse simili contraria, quia, etiam remoto omni extrinseco agente, se invicem corrumperent. Neque corrumpitur ideo, quia pro- ducitur alius sequens gradua : nani, sequens praeter uniri priori sicut etiam quantitati praeexistenti, unitur alia quautitas. Ncque corrum¬ pitur quia secundus gradus in se continot virtute priorem : quia liaec io continentia reperitur quando sunt forarne diversae specie ; tunc enim superior continet virtute inferiorem : quod non potest esse in quali- tate eiusdem speciei. Neque corrumpitur quia prior gradus sit ter¬ minila a quo alterationis, unde debeat recedere : quia terminus a quo, in intensione, est contrarium, ut docet Aristoteles 5 Phys. 19 : et, quamvis ille primus gradus diceretur terminila a quo, tamen essot talis terminus non secundum suam entitatem, sed formaliter, qua- tenus remissus, unde satis esset si recedcret lioc modo ; sicuti etiam in augumentatione non perit realiter minor quantitas, sed formaliter, solimi ut minor. Neque demum corrumpitur quia, si maneret, esset, 20 in fine alterationis, acquisita infinita qualitas : quia, cimi ista acqui- sitio fiat successive, in fine tandem acquisita est qualitas, potentia quidem infinita, actu vero finita ; quo modo pliilosophantur etiam plii- losopbi de tempore et motu. Probatur, 2°, ex parte contrarii : quia, si quis intendens calorem in aquam corrumpit priores gradus, vel corrumpit frigiditatem totani simul, vel prius corrumpit unum gra¬ duili remanentibus caeteris : si secundo modo, igitur et in inductiono servabitur idem modus, idest ut producatur unus et remaneat, et sic deinceps : si vero statini corrumpit totani frigiditatem, ergo etiam statini producit totum calorem, quia non potest corrumpi totum so frigus nisi a toto contrario, et quia, corrupto toto frigore, cum niliil resistat, debet statini produci totus calor ; nam successio oritur ox impotentia. Dices forte, ignem corrumpero prius totum frigus, verbi¬ gratia ut 8, et producere ut 7 ; posse autem frigus produci a con¬ trario, quia tunc producitur per accidens, et tanquain medium ad lioc ut producatur qualitas contraria. Sed coutra : quia, quoniodo- 7. corrumperet — 33. Dices fortes — JUVENILTA. 117 cmi q uo illud fiat, nullo modo calidum liabet in se virtutem aliquam, ob quam possit producere frigidum ut 7. Àdde, quod ignis solum in- tendit corruinpere frigus et producere calorem: quo fit ut, cum primo corrumpit frigus, iterum non producat ; praesertim cum frigus iterum productum non conducat ad productionem caloris, sed impediat. Probatur, 3° : quia sequeretur quod, sicut ignis corrumpit totani frigiditatem aquao, ita, cum patiens reagat, aqua reagendo corrumpit totam caliditatem : corruptis autem toto calore in igne et tota frigi- ditate in aqua, non potest assignari agens quod producat 7 gradua io frigoria in aqua et 7 caloris. Adde, quod etiam patiens remissuili, ut, verbigratia, frigidum ut 2, cum reagat in ignem calidum ut 8, corrumperet 8 gradus caloris, et generaret ut 7 frigoris : quod est absurdissimum. Probatur, 4°: quia alias nullo modo posset fieri mo- tus et alteratio. Primo, enim, alteratio non esset una : quia, ut sit una numero, requiritur una forma numero, 5° Pliys. 34. 2° : quia vel gradus qui producuntur et corrumpunt caetcros, produeuntur in singulis instantibus ; atque ita, si boc dicatur, alteratio non esset continua, cimi instantia non possit produci successive : vel produ¬ cuntur successive: et tunc vel, producto primo gradu, ille tara din 20 manet quam diu productus sit totus secundus ; et tunc illi primo gradui remanenti superadderetur aliqua pars secundi gradus, atque ita eodem modo posset fiori tota alteratio : si vero primus gradus nullo tempore remanet et nibil secundi gradus additur praeexistenti, scquitur, in alteratione qualitatem illam esse successivam eo modo quo motus et tempus, atque ita illius nibil dari simul nisi in instanti, quia praccedenti tempore non erat illa qualitas etc. Concludendum igitur est, intensionem fieri per productionem novae qualitatis ita, ut, adveniente posteriori parte, maneat prior. Verum boc etiam posset fieri dupliciter : primo, ut illi posteriores gradus, qui adduntur, produ- so cantur in singulis instantibus ; et sic esset intensio discreta, ut volunt Thomistae : 2°, ita ut fieret successive, continuata quadam actione. Dico, 4°, intensionem fieri continue. Probatur, primo : quia aliter sequeretur, alterationem nec esse unum motum, quia instantia non sunt continua sed intercedit tempus, nec esse motum, quia non esset actum entis in potentia, ut probatum est in Pliys. Probatur, 2° : quia, si producitur forma sive qualitas per instantia, aut tempore 6 . scquaevctur — 7 . frìyitatcm — 27 . nove — 118 IUVKNILU. intermedio intor instantia agens nihil facit, voi aliquid nporatur. Si nihil facit, hoc est absnrdum : quia agens tuno est applicatimi et habet virtutem activam Bufficientem, passivimi vero est dispositum ; ergo agit maxime, cum non possit assignari cur paulo ante egorit et non agat iam. Si autem non agit maxime ; quia inter primam et so- cundam actionem debet intercedere tempus, ne sit eontinuitas; ned ad discontinuandum satis est quodeunque tempus, et, quocunquo assignato, satis est minus et minus in inlinitum; ergo non potorit unquam assignari determinatimi tempus: ergo numpuim tìet actio. Quod si agens facit, vel producit aliquid illius cpialitatis, et tane 10 successive ; vel disponit solum. Sed, omisso quod non somper possit ostendi agons disponere vel quo modo disponat, si disponit, inducit re aliquam qualitatem: voi igitur liaoc dispositio et qualitas succes- sivo inducitur, atipie ita datur qualitas successiva ; vel per instantia, et tunc redit eadem quaestio. Ncque dieas cum Thomistis, producto calore, in eodem instanti deinceps extendi in alias partos subiocti : nani illa prima pars, in qua iam productus est caler, est vicinior agenti ; ergo agens, illa relieta, non aget in partes remotiores. Adde, quod sequeretur agens non minus agore in partes viciniores, quam in remotissimas, neque prius inducero primum graduili in proximam partem, quam in remotissimam. Conlirmatur: quia forma ideo successivo producitur, quia resistit contrario ; ergo non potorit. produci per sola instantia : quia sequeretur alias, quamlibet partem produci in instanti, ac, proinde, sino resistentia ot totani simili. Con¬ ci udendum igitur est, cimi Simplicio in 8 Pliys. 12 in t. 23, Aegidio in p.° De generatione super t. 20, Ianduno in 8 Pliys. q. 8, et aliis, intensioneni et alterationem fieri continuane. Obiicienti autem, ex Aristotele 8 Pliys. 23, alterationem non fieri continuo, occurrenduvn est, ut interpretatur Simplicius, Aristotelem ibi argumentari con- tra illos qui putabant res omnes perpetuo moveri ; et hoc ostendit 30 esse falsimi Aristoteles, tanti in augumentationo quam in altorationo. De alteiatione, autem, duo praecipue docet: primo, non, si subiectum quod alteiatur est divisibile in infinitum, ideo etiam alterationem fieri successive per partes subiecti ; nani aliquando totum subiectum secundum omnes partes alteratur, ut patet in congelationo : 2°, doeot, cum alteratio sit inter contraria, dicondum non esso, alterationem 3. pasaum vero- 15. re,Hit— 25,2'). Symplie...— 1UVENILIA. 119 fieri continuo, idest rem perpetuo alterari ; quia tandem res mutatur, per alterationem, in contrarium, et ibi quiescit. His autem non re- pugnat, eo tempore quo fìt, fieri continue secundum intensionem qualitatis. Quaestio ui,tima. De partibus sive gradibus qualitatis. Advertendum est, primo, in qualitate posse considerari gradus essentiales, secundum quos qualitas constituitur talis in sua specie : et secundum lios gradus, certum est qualitatem consistere in indivi- 10 sibili ; ita ut, variato quocunque illorum, varietur et ipsa : 2°, gradus illos per quos constituitur in esse vel calidi vel frigidi etc., et potest esse perfectior vel imperfectior ; qua rat-ione liabet quamdam latitu- dinem qualitas, in qua sunt plures gradus qui non variant essentiam. Et quod dentur Li gradus in qualitate, patet ex sensu, quia arbiter est qualitatum, et ex actione, quae modo est maior modo minor. Quod autem intensio fiat per novos gradus sive partcs formae, patet ex Aristotclo 4° Phys. 84, ubi dicit, Sicut ex calido fìt frigidum, sic ex rainus calido fìt magis calidum : sed illud prius fìt per novam edu- ctionem qualitatis : ergo et lioc posterius. Ut autem hoc intelligatur, 20 adverte Aristotelem velie exphcare quo modo, cum materia sit in potontia ad contraria, ut, verbigratia, ad calidum et ad frigidum, possit fieri aliquid de novo, non addito aliquo extrinseco, sed solum ex eo quod eadem materia quae erat in potentia fiat actu : nani hoc modo dicit fieri ex calido frigidum et ex minus calido magis, non addito aliquo extrinseco calido vel calefacta aliqua parto quae antea non esset calefacta, dura erat minus calida, sed quia id quod erat in potentia fìt actu ; ex quo loco Aristotelis colligitur, intentionem potius fieri per novam eductionem qualitatis. Confirmatur idem ex Aristotele 5° Phys. 19, ubi vult Aristoteles, intensionem esse veram so alterationem et motum ex contrario in contrarium : ergo est vera productio. Advertendum est, 2°, hanc latitudinem qualitatis esse quodam- modo similem illi quae est in quantitate : nam, sicuti in quantitate 25. ve calefacta — I. li 120 1UVENILIA. est latitudo per veras partes oxtra partes, ita etiarn in qualitate est latitudo intensionis por plures gradua distinctos. Differunt tamen, quia in quantitate est latitudo per multitudinem partium, quarum una est extra aliam, unde proprio dicitur extensio : at vero m qua¬ litate est latitudo quaedam, quatenus iu eadcm parto sunt plures gradua, unde dicitur etiam intensio. llinc fit ut latitudo quantitatis non solum percipiatur quando successive acquiritur, sed etiam quando consistit in esse ipsa quantitas ; quo fit ut notissima sit latitudo : at vero latitudo qualitatis solum porcipitur in fieri, quia prius fit una pars deinde alia, non autem in facto esse, quia, qualitate quiescente, io non potest sensus distinguerò plures gradua ; et ox hoc intelligitur talem latitudinem esso ignotam. Advertendum est, 3°, cum qualitas sempor sit in subiec-to quanto, praeter proprios gradua participare etiam latitudinem quantitatis, et dividi posse in partes quantas. Quod si comparentur invicem gradua sive partes qualitatis cum partibus quantitatis, voi in qualibet parte quantitatis erunt aequales gradua qualitatis, et tuuc dicotur qualitas uniformis ; vel erunt inaequales gradus, et tum dicetur difformis. Quod si excessus illarum partium erunt aequales, ita ut, si in prima parte sint duo gradus, in secunda sint 4, in tertia 6, et sic doincops, ut 20 excessus sit semper per duo, qualitas dicetur uniformiter difformis ; si vero excessus erunt inaequales, dicetur difformiter difformis. ltursus, si excessus inaequales erunt ita, ut in prima parte, verbigratia, sint 4 gradus, in secunda 6, in tertia 9, et sic doinceps, tunc dicetur qua¬ litas uniformiter difformiter difformis ; si vero excessus non erunt proportionales, dicetur difformiter difformiter difformis. Cum possit igitur esse duplox latitudo per qualitates, propria et extrinscca, per quantitatem duobus etiam modis potest esso successio et continuitas : et, si quidem adsit contrarium, posita latitudine propria, semper erit alteratio continua ; non tamen semper necesse est, osso continuami ra- 30 tione quantitatis. Adverto tamen, lue Aristotelein magis considerasse liane propi’iam latitudinem, tanquam notiorem, ot proptor alias causas supra allatas. Adverte, 4°, intensionem in qualitate, cum, ut diximus, sit con¬ tinua, fieri per unicam eductionem continuatam, cui respondet unica qualitas actu. Verum nos distinguimus liane eductionem ot qualità» tem eductam in plures gradus. Significai autem gradus partem ali- IU VENI LIA. 121 quam qualitatis, quae potest per se asse ; non potest tamen minor per se reperiri : partes vero ininores, in quas gradus dividi possunt, dicun- tur partes graduales, per quas continua quadam eductione intenditur forma. In tali autem intensione considerantur duo : ipsa intensio et eductio ; quae, etsi realiter idem sunt, ratìone tamen et formaliter distinguntur. Eductio enim significat propriam productionem, et illins termini sunt privatio et forma : at vero intensio formaliter significat augumentum qualitatis, et terminos habet partem praeexistentem et partem productam. Et bine intelligitur, eductionem esse priorem, na- 10 tura, intensione ; cum prius sit, natura, rem educi quam intendi. Adverte, 5°, colligi ex superioribus, intensionem non fieri per solam additionem ; unde si calor, verbigratia, praeexistens extra ma- teriam adderetur calori existenti in materia., illa non esset intensio : et hoc est quod sibi voluit Aristoteles in 4° Pliys. 84, dum dixit ex minus calido fieri magis calidum, aliquo facto in materia calido quod antea non esset calidum : sed requiritur ad intensionem, ut in ea parto in qua praeexistit calor, ut ex eius potentia educatur alius, unde sequatur totum calorem fieri intensiorem et, consequenter, magis occupare subiectum. Et hoc modo intelligi potest D. Thomas, ubi 20 supra, quando vult non fieri intensionem ex eo quod uniantur duae partes qualitatis tanquam duae partes praeexistentes, sed ex eo quod subiectum intendatur per eductionem alicuius forarne in qua est qualitas : unde dicitur qualitas educi, et inde etiam magis radicari. Adverte, ultimo, cum intensio fìat per additionem novi gradus, pro¬ prie non esse intensionem gradus praeexistentis ; quia ille manet idem, sed solum additur alius : fit autem intensius subiectum, quia ex utroque gradu acquirit maiorem qualitatem : quo fit ut proprie subiectum dicatur intendi et denominetur intensius per qualitatem, ut, verbi¬ gratia, dicitur fieri calidius etc. Nihilominus tamen etiam ipsa qua- 30 litas dicitur intendi. Primo, quia gradus partes qualitatis sunt eiusdem essentiae. 2°, quia nec etiam vere differunt numero : nam antequam producatur, non est alius ; quando vero producitur, est in eodem su- biecto faciens imam qualitatem : quod si antea praeextitisset, iam dif- ferret numero. Quodammodo tamen differunt, quatenus unus iam est productus, alter vero minime. 3°, quia uniuntur ; et uniuntur non alia ratione quam ex eo quod, cum sint eiusdem naturae, gradus sequens 22. in quo — 122 IUVJENILIA. non est sed producitur, neque fit nisi in eo quod erat prius. Et ex liis omnibus concluditur ut etiam qualitas dicatur fieri intensior ; qua¬ terne?, verbigratia, in tota illa intensione scraper manet eadera es- sentia, quae augetur in entitate por partes, quae, copulatae, efficiunt unum numero per se. Quaeri posset liic, an intensio ita fiat ut producatur primo unus gradus in instanti, deinde reliqui successive ; an vero neque etiam pri- mus gradus inducatur ni successivo: et similiter, an in alteratione detur prima pars subiecti tota simul alterata, deinde reliquum ipsius alte- retur continuo. Yerum, quia baec pendent partim ex liis quae dieta io sunt a nobis 6° Phys., partim ex illa quaestiono an in naturalibus et elementis detur minimum, quae quaestio infra est tractanda, ideo etc. TRACTATUS DE ELEMENTIS. De elementis in universum scripserunt: Aristoteles duobuB postremis libris De caelo, in 2° De generatione, in lib. Meteororum, quibus in locis omnes interpretes : ex inedicis agit Hippocrates in lib. De na¬ tura liumana, ex quo desumpsit Galenus ea quae de elementis scripsit : de iisdem etiam idem Galenus plora libro 8° De placitis Hippocratis et Platonis, Avicenna in p. ft p.‘ doct. 2‘, quo loco omnes medici, Con- ciliator differentia 11 et sequentibus, Contarenus et Achillinus in 2 o suis libris De elementis, D. Gregorins Nyssenus lib. 3° suae Philoso- pliiae, et Algazel : Carpentarius etiam, lib. 2° Descriptionis naturao, et Valeriola : multa etiam de iisdem Cardanus lib. 2° Do subtilitate. Primo autem supponendum est quid nominis elementi. Quare nota, primo, hoc nomen, ut videro est apud Aristotelem 5 Mot. 4, esse aequivocum : quo factum est ut authores do huius nominis signi- fìcatione, et cui potissimum sit accomodanda, intor so certent. Yerum inaniter : nani, quia nomina, autliore Aristotele in p.° Perihermonias cap. 2 , sint significativa ad placitum et non ex natura rei, inde factum est ut, prò libera cuiusque acceptione huius nominis, elementum va- so 4 . copulate - 16 . interjnaet.es - 16 , 18 . Ipocrat.... - 18 . hiisclem - 20 . AchyUinus — - 1 . Mtssmus — 26 . equmeum — 26 - 27 . signatione — 28. Perìerm.-— 29 . siynativa — IUVENILIA. 123 riis rebus accommodari possit. Quare ali qui, teste Aristotele eodeni loco, illud accommodarunt cuicunque rei quae alterius sit aliquo modo principium: qua re puncta et unitates elementa vocarunt. Se- cundo modo alii, ibidem, prò omnibus iis quae aliquo modo rem componunt, licet inter se non distinguantur : unde universalia, idest gonus et differentia, quod metaphysice componant, dicuntur elementa. 3°: potest illud suini prò principiò concurrentibus ad rei productio- nem ; et sic Aristoteles, 12 Met. 23, dicit elementa esse tria, hoc est materia forma et privatio. 4 U : prò eo quod quomodocunque con¬ io currit ut materia ; et sic Aristoteles, p.° Posteriorum t. 38, proposi- tiones immediata^ appellat elementa, et, 2° Phys. 31, suppositiones appellat materiam et elementa conclusionis, et, ibidem, appellat eie- menta syllabarum, et 5 Met. t. 4 et 7° Met. t. ult.°. Veruni, authoro Galeno in fine p. 1 commentarii in Hippocratem Do natura humana, liaec omnia dicuntur abusive elementa. Quare, si loquamur de ele- mentis rerum naturalium, sic quadruplex est huius nominis signifi- catio ; ut recto notavit Conciliato!’ differentia 11, et colligitur ex Galeno tum in p.° De elementis tum in p.° commentario in Hippocra¬ tem. Prima igitur est, ut elementum signifìcet causas intrinsecas rem 20 componentes, idest materiam et formam: quae maxime videntur posse dici elementa, quia ex bis primo componitur res et in haec ultimo resolvitur, et ipsa non amplius ex aliis componuntur neque in alia resolvuntur ; quod non omnino caeteris significationibus aptari potest. Et liaec, authore Eudemo apud Simplicium in prooemio Pliys., a Platono primo fucrunt dieta elementa; et idem etiam usurpavit Sim- plicius, Philoponus, Averroes et Albertus p.° Phys. p.°. Et liac ratione Averroes, 3° Caeli com. 31, ait, Aristotelem in libris Pliysicorum egisse de elementis universalibus omnium corporum simplicium et composi- torum : unde Philoponus, in t. p." m 2‘ De generatone, reddit rationem 30 quare Aristoteles, 3° Phys. 45, 2° De generationc t. p.°, et 2° De par- tibus cap. p.°, quatuor corpora simplicia appellet vocata elementa : reddit rationem, quia, inquit, non sunt ipsa vere elementa, siquidem ex aliis prioribus componuntur, idest materia et forma quae sunt propriissime elementa. Quamvis autem elementa in hoc sensu dicantur 1. texte — 1, 2. accomod.... — G. v\ct . ea *— 13. silìabarum — 14, 18-19. Ipocralc — 15. hae omnia —24. proemio — 24, 25-2G. Symplic.... — 28. universalium — 28-29. simplicium compo¬ sito™ m — 124 1UVENILIA. de utraque causa intrinseca, coramunius tamen et proprius (licitar do materia ; ut patet ex Alexandro, Eudemo, Simplicio et D. Tlioma p." Pbys. p.°. Cum autem materia sit multiplex, ideo, primam et coin- munissimam omnium, inquit Averroes, 3° Cadi 31 et 2“ De gcncra- tione t. 6 et 5° Met. t. 4 et 10 Mot. t. 2°, primo et proprissimo dici elementum ipsam materiam ; elementa enim sunt quasi partes raateriales rei : et baec est prima acceptio. Secunda est, elementum prò quatuor corporibus simplicibus, igne etc. : quae communiter solent appellari elementa, quia baec sunt prima quae suntnobis nota; alia enim sunt ignotiora ; tum quia baec ita componunt et sunt aliorum elemento io ut etiam ipsa sint actu corpora, et per se existunt. Et ita antiqui pbilosoplii liaec tantum dementa posuerunt, vel omnia voi unum voi aliqua. Plato etiam, licet in Timaeo ponat materiam illam informem rerum omnium, tamen baec quatuor maxime appellat dementa, quao ex superficiebus constituit: et in bac acccptiono frequentius Aristo- teles usurpat nomen elementi, et boc praecipue definit elementum. 3°, sumitur prò quatuor bumoribus animalium. 4°, accipitur prò par- tibus similaribus vel dissimilaribus : quae duae signilicationes non pertinent ad nos. Ideo solum agemus do elemento in secunda signi- ficatione. 20 Nota, 2°, ut colligitur ex Aristotele 2° Pliys. t. 21 et eo loco no- tant omnes Graeci, elementa voi esse secundum compositionem tan¬ tum ; quae ita coniunguntur ut ncque corrumpantur ncque alterentur, ut sunt ea ex quibus componitur domus : et boc tantum modo antiqui ponebant elementa, quicunque generationem aut corruptionem vo- luerunt fieri per congregationem et segregationem. 2°: baec elementa sunt secundum alterationem corruptiva tantum, et non secundum compositionem ; ut ex cibo fit sanguis, ex sanguino fit caro. 3° : sc- cundum compositionem et alterationem ; ut ea quae ita componunt rem ut neque sint omnino corrupta neque omnino maneant intransmu- so tata, sed sint alterata, ut oxymel quod fit ex vino et melle. Eie- menta vero nostra possunt dici primo modo, ut concurrunt ad con- stitutionem totius mundi; et etiam caelum appellatur elementum, hac ratione sumptum, ex Aristotele : secundo modo, ut quando elementum tl ansmutatur in aliud : in tertio etiam modo, ut ad compositionem 2. Symplicio 3. prima — 5. proprissime—6. ipsa materia — 8. ignem —13. Thimeo — 27. corrumptivam — 31. oximel — 33. celttm — IUVKNILIA. 125 mixtorum ; nani, etiam si dubium sit quomodo dementa maneant in mixto, tamen convenit inter omnes, ea aliquo modo remanere, vel actu vel potentia. Nota, 3°, haec quatuor elementa interdum vocari corpora sim- plicia, ad differentiam mixtorum quae ex liis compomuitur ; interdum appellali nomine ipsarum qualitatum, calidi, frigidi, etc. : ita 4° Me- theororum surama 2 a , et Ilippocrates in lib. De natura humana, ut etiam Galenus, qui tamen reprehenderat Athenaeum qui tantum qua- litates volebat esse elementa; idem et notai Galenus in lib. De sim- io plicium medicamentorum compositione dist. 3“ cap.° p.°. Demum in¬ terdum appellantur nomine qualitatum motivarum. Nota, 4°, ex Galeno 8° De placitis cap. 2°, nomen elementi esso nomen relativum ; quia elementum dicitur eius, cuius est elementum. Ita et Averroes, 3° Caeli coni. 31, ait, esso accidens ut dicatur ele¬ mentum ; quia elementum in comparatione eius, cuius est elementum, dicitur. Ex quo manifestimi est discrimen, quo ad Irne nomen, inter materiam et formam, et haec quatuor corpora. Quia, cum materia et forma non habeant aliud esse proprie nisi in composito et prò ut sunt partes, iccirco essentialiter elementa dicuntur: at vero liaec qua- 20 tuor corpora habent esse per se actu ; quia tamen a natura ordi¬ nata per se sunt et ut componant universum et mixta, ideo etiam ipsis elementis proprie et per se convenit esse elementa. Quare, si na¬ turami elementi inspiciamus, primo et propizissime hoc nomen clementi dicitur de materia et forma ; si vero communem loquendi modurn et apparentiam spectemus, de his quatuor corporibus. Et de his solum agam in sequentibus, et universam hanc tractationem in quatuor partes tribueinus : in quarum prima agemus de essentia illorum in com¬ muni, in secunda de qualitatibus et aliis eorumdem accidentibus, in tertia de singulis in particulari, in quarta demum de iisdem prò ut so concurrunt ad mixtionem ; quod pertinet ad quaestionem, propter quid. Nihil autem dicemus de quaestione, an sint : nam consensu omnium, ratione et experientia Constant esse aliqua. 5 . componimi — 7 . Ipocrates — 8 . Atenenm — 11 . appellarli — 20 . tamen per se a — 12G IUVENILIA. PRIMA PARS. De quidditate et substantia elementorum. Cuiusque rei substantia commode per suas causas explicatur, prae- cipue vero per intrinsecas, idest matcriam et formam : idcirco eas in praesenti declarabimus. Ante omnia vero praeinittonda est definitio elementi. Quare sit Prima quaestio. De defìnitionibus elementi. Nota, primo, res naturales posse dupliciter definiri: primo, mota- pbysice, per genus et differentiam ; 2°, physice, per suas causas : tunc io enim aliquid physice cognoscimus, cum eius causas scimus, p.° Pliys. t. p.° et 8° Met. ult.°. 3°, possunt definiri vel sccundum se, vel respe- ctive. Totidem. igitur modis definiri potest elementum. Primo enim modo sic defìuitur : Elementum est corpus corruptibile, simplex. Di- citm 1 corruptibile, ad distinctionem caelorum ; dicitur simplex, ad dif¬ ferentiam mixtorum. Secundo modo sic describitur : Est corpus com- positum ex materia prima et forma simplici, productum a Deo ad perfectionem universi. Tertio tandem modo varie definitur ab autlio- ribus. Prima est Aristotclis, 5° Met. t. 4 : Est id ex quo aliquid com- ponitur, primo, inexistenti, indivisibili specie in aliam speciem. Secunda 20 definitio est eiusdem, 7° Met. ult.°: Elementum est in quod existens dividitur ut materia. Tertia est 3° Met. 10, ex Empedocle : Elementa sunt ex quibus inexistentibus entia fìunt. Quarta est 3° Caeli 31 : Elementum est illud corporum in quod alia corpora dividuntur, quod inest potentia aut actu. Quinta est Galeni, p.° Do elementis cap. p.° et 8 De placitis cap. 2° : Est minima eius rei particula, cuius est ele¬ mentum. Cum quo fere convenit illa Gregorii Nysseni, lib. 3° cap. 2° : Est minima quaedam pars concretionis corporum. Sexta definitio est Avicennae, in 6° suae Met. cap. 4° : Est id ex quo et alio a se componitur res, et est in ea per essentiam, et non dividitur per for- go mam. Et in p. a p.‘ doct. a 2" in principio, ait elementa esse corpora, vel partes primas corporis, quae in corpora diversarum formarum 10, 11. phy/ncae — 15 . dicctinctionem — 25. inest p." aut actu — 27 . Musetti — IUVENILTA. 127 minime dividi possunt, ex quorum commixtiono species diversoruin animatorum fiunt. Septima est Stoicorum, ex Laertio : Elementum est ex quo primum prodeunt quae fiunt, et in quod extremum solvuntur. Nota, 2°, ex dictis definitionibus communiorem esse pi-imam ; quam nos cnm omnibus explicabimus. Prima particula est « ex » ; quae, licet saepe significet habitudinem causae efficientis vel termini a quo, hic tamen significat habitudinem causae materialis. Elementa enim sunt materia mixtorum ; quam ob causam liic definiuntur in ordine ad compositionem : certum est autem causam efficientem, vel terminum io a quo, non venire in compositionem. Secunda est « quo » ; idest cor- pore, ut ipsemet exponit 3° Cadi 31. In elementi definitione autem idem debet esse scnsus, qui in aliis definitionibus ; et sic excluditur ex hac definitione materia et forma, quae non sunt corpora. Tertia est « componitur ». Duplex potest esse compositio : vel substanti al is, quo modo elementa componunt universum ; vel, 2°, per alterationem et mutuam actionem et mixtionem. Ilio intelligitur secando modo tantum, quia definitur elementum in ordine ad mixtionem : et per liane particulam excluditur materia alterationis, quae non componit sed transmutatur ; excluditur etiam materia prima et forma, quae 20 non miscentur vel alterantur, sed uniuntur. Quarta particula est illa « primo » : ad distinctionem eorum quae componunt quidem, sed ipsa ex aliis componuntur ; quales sunt partes similares et dissimilares. Dices : elementa non sunt primo componentia, quia ipsa prius com¬ ponuntur ex materia et forma, llespondco, non esse quidem primo componentia simpliciter, sed sunt prima in genere corporis, cum ex aliis corporibus ipsa non componantur : definitio autem, ut dixi, in¬ telligitur de compositione corporum. Quinta particula « inexistente » : quia et corpora debent aliquo modo inexistere in mixto, vel actu vel potentia, ut ipse Aristoteles exponit 3° Caeli 31. Utro vero liorum so modorum intelligatur, exponemus in materia de mistione. Sexta par¬ ticula est « indivisibili specie in aliam speciem » : idest, quod non re¬ sol vitur amplius in alias quasdam naturas specificas et existentes, ut contingit in partibus similaribus; licet resolvatur in materiam et for- mam, quae non sunt species, sed partes speciei. Et per hanc parti¬ culam, quicquid alii dixerint, excluditur etiam materia et forma: quia significatur, elementum debere esse aliquid unum specie, cuiusmodi 4. prima — 21. dixtinctionem — 23-24. componunt — i 15 12S IUVENILIA. non est materia et forma. Si quis autem vellet, liane definitionem in aliquam clariorem formam definire, sic dicet : elementum est corpus primum, ex quo caetera compommtur. Quaestio secunda. De causa materiali efficiente et finali elementornm. Nota, primo, causam eflìcientem primae originis elementorum, se- cundum veritatem, esse Deum, qui omnia ex niliilo crcavit. De Ari¬ stotele vero, dubium est quid senserit : sed liaec quaestio alibi expli- catur. Do causa vero efficiente particulari, prout, socunduin partes, sunt generabilia et corruptibilia, dubium unicum est : utrum debeat io semper esse causa univoca, idest utrum ignis semper debeat fieri ab igne, aqua ab aqua, etc. ; an vero sufficiat causa aequivoca, verbi- gratia ut producatur ignis per attritionem vel alio modo. Aliqui enim recentiores volunt solum produci a causa univoca ; quia, si ab aequi¬ voca, non esset eiusdem speciei : quod collegerunt ex Aristotelo, p.° De generatione animalium cap. ult.°, dicente, animalia, si produce- rentur a causa aequivoca, non fore eiusdem speciei. Addunt etiam, quando ignis per lumen vel alio modo producitur, motum et lumen solum disponere materiam ; deinde ignem circumstantem in ambiente vel in propinquo mixto producere formam ignis. Sed, his non obstan- 20 tibus, dicendum est, dementa posse etiam generari a causa aequi¬ voca; tum quia motus aptus est ignire, 2° Cadi 42 et p.° Meteororum, tum quia ex refiectione radiorum producitur ignis. Nec valet dici, produci ab aere ; quia aèr non liabet formam ignis : nec etiam a mixto ; quia, vel in eo non est actu forma ignis, vel, si sit aliquo modo in actu refracto, tamen non apta producere formam intensiorem, cum niliil agat supra suas vires ; tum quia illa propositio « simile producitur a simili » non est universaliter vera, nec etiam in plantis et in animalibus; unde Aristoteles, 2° Do anima t. 24, dicit, proprium esse viventis perfecti producere sibi simile. Hoc etiam patet in plantis 80 7 . nickilo — 12 , 11 - 15 , 17 , 21 - 22 . equivoca — 13 . attriclionem — 18 . modo motum — 19 . cir- cu mutante — IUVENILIA. 129 et animalibus imperfectis ; quae fiunt ex putrì materia. Ad Aristote- lem autem consoquentia illa valet solummodo de animalibus perfcctis. Nota, 2°, finem intrinsecum elenientorum esse propriam cuiusque operationem ; extrinsecum vero esse tum compositionem. universi, tum generationein mixtorum. Nota, 3°, circa materiam, Empedoclem dixisse, dementa non ha- bere materiam communem ; alios vero sensisse, unum elementiun esse materiam alterius ; alios vero, materiam eorum esse unum corpus actu existens, ab illis distinctum. Democritus volebat atomos : Plato vide- io batur dicere dementa constare ex superfìciebus, quem explicat Gale- nus 8 De placitis cap. 3°, et Nyssenus lib. 3° cap. 3°; eum vero im- pugnat Aristoteles, 3° Cadi et p.° De generatione. Sed dicendum est, materiam communem omnium elementorum esse materiam primam, affectam primis qualitatibus. Et quidem, quod liabeant materiam com- munem, patet: quia omnia in se invicem agunt et patiuntur, et mutuo transmutantur ; at quae sunt huiusmodi, necessario habent materiam communem, p.° De generatione 53 et 54 : ita probat Aristoteles, 4° Caeli 37 et 2° De generatione 37 et 4G. Quod vero liaec sit ma¬ teria prima, patet : quia dementa sunt prima et simplicia corpora ; 20 ergo non ex aliis corporibus componuntur. Quod vero non sit nuda, suppono probatum in p.° De generatione. Quaestio tkrtia. Quae sint formae elementorum. Suppono alibi demonstratum, contra antiquos, elementa habere formas substantiales, et non sola accidentia. Solum est quaestio, quae sint istae formae. Prima opimo Flaminii Nobilii, p.° De generatione dub.° 11 in cap. 3, dicentis, formas elementorum esse quid conflatum ex primis qualita¬ tibus et aliqua forma substantiali. Sed hoc est inintelligibile; nec is ao videtur satis intelligere naturam formae substantialis. Secunda sententia est Achillini, in 7° De dementis dub.° 2 a dicto 7°, qui trahit in suam sontentiam Averrocm, et videtur esso Alexandri 9. dixtinctum — 11. Mixcnus — 25. forma — IUVENILIA. 130 iu p.° suo Do anima cap. p.°, 2° et 3° : qui dicunt, fornias elemen- torum esso qnalitates motiva», ut gravitatela et levitate]» ; et probant ex 3° Caeli ult.°, ubi dicit Aristoteles, lias qualitates esso proprio differentias olementorum. Tertia opimo videtur esse Alexandri, Kb. Do sensu et sensili cap. 4°, qui ponit primas qualitates: ubi, solvens obiectionem, quomodo ve¬ runi sit substantiae niliil esse contrarium, respondet, toti substantiae nihil esse contrarium ; at, ratione formae, potest esso quid contra¬ rium. Idem liabet p.° Meteororum 2°, et p.° De anima cap. 2°, et p.° Naturalium quaestionum cap. G°, et 2° cap. 4°. Eandem sententiam io etiam illi tribuit Averroes 5° Pbys. 10, et 8 Met. 5, et Themistius 5° Pliys. t. 9. Imo haec sententia videtur esse communi» omnium Grae- coriun : ita Porpliyrius in fine Praedicamentalis substantiae ; De- xippus tract. 2° Praedicamentorum cap. 5° ; idem et Simplicius in Praedicamento substantiae coni. 11, et 5° Pliys. coni. 11 ; eodein modo Ammonius in Praedicamentis ; Philoponus 2° De generationo coni. 40, et 2 U De generationo a coni. 4. Eandem sententiam tuetur Conciliator, differentia 13, et ait fuisso opinionem Nicolai peripatetici. Demum omnes medici, ut Hippocrates lib. De natura liumana, Ga- lenus, per bas qualitates distingunt elementa. Probatur, primo, autho- 20 ritate Aristotelis 2° De generatione 6, ubi dicit, elementa ex contra- rietatibus generari ; et t. 7 dicit, qualitates esse prima elementa ; et 1G dicit, esse elementa elementorum ; et 24 dicit, esse differentias elementorum. Probatur, 2° : unumquodque per id constituitur, per quod producit sibi simile : sed dementimi producit sibi simile per qualitates; ex Aristotele lib. De sensu et sensili cap. 4, ubi dicit, ignis non agit ut ignis sed ut calidus : ergo [etc.]. Probatur-, 3° : si quali¬ tates non sunt forma© elementorum, ergo sunt. posteriores formae : sed hoc esse non potest, quia, cum prius conservetur sine posteriori, debebit forma conservali sine qualitate ; sed lioc est contra expe- so rientiam : ergo [etc.]. Quarta opinio est dicentium, formas elementorum esse formas sub- stantiales. (,) qualitates nobis occultas. Est D. Thomae, Al¬ berti et Latinorum, 2° De generatione 16, et 3° Met. 27 ; item C 011 - 3. propriae — 7. responso — 13. Por/'.’" — 20. dixtinyunt — W Lacuna di duo o tre parole. IUVENILIA. 131 ciliatoris. (1) differentiae 13, Aegidii p.° De generatione quae- stione 19, Ianduni De sensu q. e 25 et 5° Phy. q. 4, Zimarae in Tabula, Contareni p.° et 7° De elementis. Dico, primo : qualitates propriae alterativao non sunt formae ele- mentorum. Probatur, primo, autlioritate Aristotelis: quod uni est ac- cidens, non potest alteri esse substantia, p.° Pliys. 27 et 30 ; scd liae qualitates sunt accidentia mixtorum et animalium, secundum omnes : ergo [etc.]. Et praeterea : 3° Met. 17 expresse docet, qualitates non esse formas elementorum, scd esse accidentia ; et 2° De generatione io 54 probat, qualitates esse instrumenta elementorum, et praeter has dari formas substantiales quibus constituantur ; et in Praedicamentis, cap. De substantia, vult substantiae nihil esse contrarium. (2) Ncque vero omnes illi Graeci citati sunt in illa sententia. Nani apertissime Dexippus, tract. 2° in Praedicamenta cap. 25, 30, 32, ait caliditatem etc. esse qualitates accidentales, diversas a formis sub- stantialibus, quae nec habent contrarium nec magis et minus, sed 20 tantum prout subiiciuntur illis qualitatibus ; et idem docet Amrno- nius, et Simplicius in explicatione illius particulae « substantiae niliil est contrarium » : lego Simplicium in suo commentario Pliysicae. Por- phyrius ait, frigiditatem non esse substantiam aquae : Philoponus etiam, 2° De generatione, distinguit calidum ab igne; et dicit, eie- menta non esse contraria secundum se, sed secundum quae formantur, idest secundum qualitates. Dico, 2° : qualitates motivae non sunt formae elementorum ; tura ob dieta in praecedenti conclusione ; tum quia sunt posteriores qua¬ litatibus alterativis; tum quia Aristoteles, 7 Pbys. 11, 5° Met. 19, 2° 30 De partibus p.°, et alibi, aperte docet, gravitatene etc. esso qualita¬ tes. Respondet Acbillinus, gravitatem et levitatene posse dupliciter considerari : vel in actu primo, et sic sunt formae substantiales ele¬ mentorum : vel in actu secundo, idest ratione gravitationis et levi- 5. auctlioritate — 21. expìicationae — particule — 21, 22. Symplic.... — 22. Physice — 27. motivc — W Altra piccola lacuna nel mano- w Qui cado noi manoscritto nuova in¬ scritto. terruzioue. Vedi l 1 Avvertimento. IUVENILIA. 132 tationis, et sic dicuntur qualitatcs. Sed con tra : gravitatio et levitatio sunt in praedicato actionis et passionis ; ergo non sunt qualitates. Adde, quod in Sanctissimo Sacramento est gravitas et levitas; et tamen ibi nulla est snbstantia. Respondet, Deum faccro ibi gravi¬ tatemi et levitationem, loco gravitatis et levitatis quae non adsunt. CoAtra: non sunt multiplicanda nova miracula sino necessitate. Ad locum Aristotelis respondeo, Aristotelem dicero gravitatem et levita- tem esso propriissime differentias, quia pommtur loco differentiarum ultimarum substantialium, nobis ignotarum. Obiicies : gravitas et le¬ vitas sunt principium motus et quietis; ergo sunt natura; ergo formae. io Respondeo, gravitateli! et levitatem esse tantum principia instrumen- taria motus; principia autem. (l) Dico, 3° : quodlibet elementum, praeter qualitates alterativas et motivas, liabet propriam formam substantialem, distinctam ab aliis. Patet ex distinctis operationibus et proprietatibus, quae non profici- scuntur nisi a diversis formis. Demum, probatur omnibus rationibus quibus in p.° Physicorum probatur dari forma substantialis. Ad primum respondeo, Aristotelem, in illis locis, vel loqui respectu nostri, quibus sunt ignotae formae et ultimae difl’orentiae elemento- rum, qualitates vero sunt notissimae ; vel, 2°, per qualitates intelli- 20 gere principia ex quibus fluunt. Ad secundiun respondeo, dementa principaliter agere per proprias formas ; instrumentaliter vero, per suas qualitates. Rie vero locus Aristotelis potius favet nobis : nani, si calor esset forma, ut ipsi volunt, iam ignis ageret ut ignis, non ut calidus ; quia ageret per propriam formam ignis. Intolligit igitur Aristoteles : ignis non agit in quantum ignis, idest non immediate per suam formam; sed in quantum calidus, ut instrumentaliter. Ad tertium respondeo, non quodlibet prius posse conservari sino posteriori, sed id quod est simpliciter prius : formae autem elementorum non sunt sim- pliciter priores qualitatum, sed solum in genere causae eflìcicntis, quia so nnnirum illas efficiunt ; in genere autem causae materialis, sunt prio¬ res qualitates,' quia sunt dispositio necessaria ad formam : ideo non potest esse forma sino qualitatibus. 14, 15. dixtinet.... — 25. Jntelligitur — 31. causa — w Lacuna di poche parole nel manoscritto. IUVENIMA. 133 Quaestio quarta. An formae eleni entorim intendantur et remittantur. Suppono, ex tract. De alteratione in materia, De intensione et remissione formarum, quid sit aliquam formam intendi et remitti. Suppono, praeterea, nos loqui tantum in praesentia de formis elemen- torum : de quibus quaeritur, an, qucmadmodum intenduntur et re- mittuntur qualitates illorum, ita etiam intendantur formae. Prima opinio est Averrois 3° Caeli com. 67, Niphi et Pauli Ve¬ neti in fine p.‘ De generatione, Zimarae propositione 20, Taiapetrae io lib.° 2° trac. 4°, laudimi 8 Met. q. 5“, Acliillini lib. 2° De elementis art. 3°, Contareni lib. 3°, Alexandri 8° Met. t. 10 ; qui omnes dicunt, formas substantiales elementorum intendi et remitti : quibus addi potest Scotus 8 Met. q. 3 ft , quem sequitur Antonius Andreas 11 Met. q. p. a , Pavesius in lib. De accretione, Ioannes Canonicus 5 Phys. q. p." ; qui idem affirmant de quacunque forma substantiali quae ed«catur de potentia matcriae, ut excludatur anima rationalis. In modo vero quo formae intendantur et remittantur, non convoniunt. Contarenus enim dicit, fonnas elementorum non introduci successive ad inten- sionem qualitatis, sed fieri alterationem qualitatum usquo ad certuni 20 gradiun, ad quem sequitur forma mixti et sub quo formae elemen¬ torum non possunt esse integrae ; et, adveniente forma mixti, tum primum fórmae elementorum incipiunt refrangi. Secundus modus est Achillini: qui videtur dicere, formam elementorum secundum aliquam partem minimam introduci in instanti, facta prius debita disposi- tione;. postea vero, intendi et remitti successive. Alii vero, 3°, com- muniter dicunt, formas elementorum intendi et remitti successive, ad intensionem et remissionem qualitatum. Secunda sententia est aliorum, negantium intendi et remitti formas. Est Avicennae in p.° Suificientiae cap. 10 et 11, et in pp.‘ doctr. 3“ so cap. p.° ; quem impugnat Averroes. Item est opinio 'D. Tliomae in opusculo De mixtione, et in 2° dist. 15, et in p. a q. 76 art. 4, et ibidem Caietani ; Capreoli 2° dist. 15 q. p. a conclusione 2 A , et in so- lutionibus argumentorum contra illam ; Soncinatis 8 Met. q. 25 et 26, 5. presentici — 10. Achvììini — 18. introduce — 31. dixt, — 134 IUVENILIA. et 10 Mot. q. 27, et alibi; Gregorii in 2° disi. 15 q. p. n ; Occam qnodlib. 3° q. 4 ; Marsilii p.° De generatione q. 22 ; Tliemistii 2° De anima t 4- Philoponi 2° De generatione coni. 33: qui tamen solimi docent, formas elementorum non remanere aetu in mixto : sed ex hoc se- quitur illud. Praeterea idem defendit Durandus in p.° dist. 17 q. G, Henricus qnod. 3 q. 5, Nobilius q. 3 a in cap. 3, Buccaferrus in t. 18, plusquam commentatorum in p.° Microtccni com. 15, Herveus tract. De imitate formarum, Aegidius p.° De generatione q. 18, Albertus p 0 Tecn i cap. 25, et lavelli 8 Mot. q. 5. Probatur haec secunda sententia vera bis argumentis. Primo, ex Aristotele in cap. Do sub- io stantia: substantia non suscipit magis et minus; ergo [etc.]. Neque id intelligendum est, ut vult Scotus, de substantia secundum quiddi- tatem idest genus et differenti am. Etenim, hoc modo, nec qualitates Buscipiunt magis et minus ; et tamen eas Aristoteles in Praedica- mentis vult suscipere magis et minus: ergo [etc.]. Neque id intelli- o-endum est de aliis formis a formis elementorum ; quia, inquit Aver- roes, sunt substantiae medine, unde non est mirum si suscipiant magis et minus. Sed contrai hoc gratis dicitur, cimi Aristoteles universa- liter loquatur ; et, 3° Caeli t. p.° et alibi, inter praecipuas substantias numerat elementa. Confirmatur : quia sequeretur suscipero magis et 20 minus ; et sic diceretur unus ignis esse magis quam alius. Probatur sequela: nam magis et minus dicitur de compositi, quae plus vel minus formae obtinent: at compositum ignis est ignis: ergo, si unus ignis plus habet formae quam alius, esset magis ignis quam alius. Confirmatur, 2° : quia, cum quidditas rei per formam constituatur, non potest forma suscipere magis et minus, quin etiam quidditas su- scipiat magis et minus; contra Aristotelem, 8 Met. t. 10, dicentem, quidditatem esse sicut numerum : imo hoc ne qualitatis quidem quid- ditati conceditur. Confirmatur, 3° : nam illud fundamentum Averrois, formas elementorum esse medias inter substantiam et accidens, ncque 30 est veruni et non est ad rem. Nam, si sit sensus, eas non habere ve- ram rationem substantiae, sed esse quid medium inter substantiam et accidens, est falsus : nam inter substantiam et accidens non potest mediare ens reale, cum subsistere et inhaercro contradictorio dividant cns. Si vero sensus sit, formas elementorum esse ignobiliores aliis sub- stantiis, est quidem verus sed non ad rem : tum quia, propterea, non 7. ttrveus — 20. sequaerelur — 2G-27. suscipiat magis e mvms — 34 inhcrcre — 35. aiti — IUVENILIA. 135 pordunt ra ti mi om et conditiones substantiae; linde nec poterunt par- ticipare conditiones accidentium. Confirmatur : quia sic sequeretur, fornias mixtorum, quia sunt imperfectiores forrais viventium, susci- pere magia et minus. 2° : sequeretur dari motum continuum ad sub¬ stanti am, contra Àristotelem. 3° : si formae elementorum intendantur in mixto, intenderentur etiam extra mixtum ; sed hoc est absurdum ; ergo [etc.]. Probatur maior : quia, quando ignis agit in aquara, est eadem ratio ut intendatur forma aquae, quao est quando agit in mi- xtum ; in qua actione idcirco remittitur forma aquae, quia est con¬ io traria formae ignis : ergo idem erit extra mixtum, cum sit eadem ratio utrobique. Probatur minor : tum quia id nullus admittit : tum quia in aqua fervente essot valde remissa forma aquae, et intensissima forma aeris, cum ibi sint onmes dispositiones aeris ; et tamen hoc est falsimi, quia aqua so reducit ad smina primum statimi : tum quia sequeretur, illam aquam ferventem esse perfcctum mixtum, cum liabeat omnes quatuor qualitates. Cum enim ignis agat per siccitatem, etiam introducet aliquid siccitatis : qua, secundum eos qui dicunt ad quam- cunque partem qualitat.is sequi aliquid formae, sequitur ibi omnes quatuor esse qualitates, et ideo esse vere mixtum. 4° : sequeretur, 20 dementimi non posso se reducere ad pristinum statimi : tum quia forma remissa non potest se ipsam producero voi intendere ; quia nihil intendit se ipsum, niliil etiam agit nisi prout est actu : tum quia ncque potest produccre suam qualitatem intensiorem ; quia est re¬ missa, undo non sequitur nisi qnalitas remissa. Obiciunt illi, primo : Aristoteles in G Phys. ait : Ornile quod mu¬ tatili’, partim est in termino a quo, et partim in termino ad quom ; ergo, si dementa mutantur, partim erunt in termino a quo, et par- tini in termino ad quom ; ergo successive generantur et corruinpuntur. 2° : primae qualitates sunt propriae passiones elementorum ; ergo, so variata propria passione, variabitur forma. 3° : perfectior operatio indicat perfectiorem formam; ergo, cum ex maiori calore sequatur maior operatio, signum erit ibi esse maiorom formam. 4° : quando aqua goneratur ex igne, oportct formam ignis corrumpi antequam corrumpatur tota latitudo caloris. Aut, ergo, primo, est dare maxi¬ mum caliditatem sub qua forma ignis esse potest, et sub maiori non potest : et hoc est absurdum, quia, quanto calor est intensior, eo est 4 . sequaerctur — 5 . forme — 17 . atiqui — I. in 13G IUVENILIA. convenientior forni ae. Aut, 2°, est (laro maxi mani caliditatom sub qua esse non potest, et sub quacunquo maiore potest : et fune quaero de illa maxima caliditate sub qua non potest esse, an sit infra me¬ dium latitudini» caloria, verbigratia ut tertia; vel ipsum medium, ut quatuor ; vel ultra medium, ut quinque. Non primum et secundiim : quia, si forma ignis perfecta secundum substantiam posset manere quousquo totum medium vel fere medium sui caloria esset corruptum, posset ignis esse frigidus et non levis; quoti videtur absurdum. Non tertium : si enim forma ignis non potest stare sul) ilio gradii qui est paulo ultra medium, stabit igitur forma aqnae; et, consequontor, edu- in cetur forma aqnae ex materia stante sub malori latitudine caloria quam frigoria ; quia gradua frigoria non possunt esse nisi tres. Aut, 3", est dare minimam caliditatom sub qua forma ignis esse potest, et sub minori non potest: et hoc non; quia tulli daretur ultimimi instans ignis, cont.ra Aristotelem fi l'Iiys. Si enim remittatur continue calor, devenietur ad instans in quo est ilio minimus caler; et sic erit veruni dicere, Nane est forma ignis, et immediate post non erit. Aut denmm, 4°, est dare minimum calorcm sub quo non potest stare forma ignis, et sub minori potest: et hoc non; quia esset absurdum: ergo [etc.]. Cimi igitur non possit assignari terminus in quo desiliat 20 forma integra et perfecta, dicendum est, cani corrumpi successivo ad successionem caloria. (,) . . . .. Tertia ratio est in 2° Do generatione t. 49. In mixto est terra, ut patet experientia, ob gravitatem; et debet esse, quia dat consistontiam; debet esso aqua, quia liaec dat continuitatem et incrassat : at bis duobus clebent esse contraria duo alia dementa quao illa refrangant: ergo [etc.]. Dices: sufficit dare qui refrangat alia duo dementa: nani «0 ratione liumiditatis rofrangit siccitatcm terrae; ratione caloris, frigi- ditatem aquae. Contra : in primis, calor aqnae, ut patet experientia, est minimo activns ; ergo non potest refrangere frigus duorum, idest aquae et terrae, praecipue cum horum plus sit in mixto quam aeris. 12. qui qradus — 19. qui csscl — 34. pracctpuae — W Qui ondo nel manoscritto una nuova lacuna. Vedi T Avvertimento. IUVENILIA. 137 Praeterea, videmus experientia, aerem cito frigefieri a terra et aqua, si absit sol ; ergo non potest illa refrangere. Tum, quia patet expe¬ rientia non fieri mixta nisi sit multum exhalationis siccae ; ita enim fiunt metalla, otc. : ergo, praeter aerem, debet esse ignis. Ncque dicas, suificere calorem solis : quia is interdum recedit ; (piare mixtum debet habere aliquem calorem naturalem. Quarta ratio est quaedam con- gruentia quam facit Aristoteles p.° Meteororum : ex eo quod sonsu percipiamus aquam et terram, colligit. ponenda esse alia duo ad re- pleudum locum. Danda est alia congruentia : ut quod sint quatuor io humores in animali, item in eodem ossa referunt terram ; succus carnium et partium liumidarum, aquam ; sanguis, aerem ; spiritus vitales, ignem. Demum : quia in resolutione mixti separantur quaedam quatuor elementis proportionalia. Ditficultates quae desumuntur ex igne, solventur cum agam de elementis in particulari. Sed obiicies, primo : cur non etiam reperiuntur aliqua dementa quae liabeant lias qualitates remissas? et sic, quemadmodum sunt ea quae liabont quatuor qualitates intensas, erunt alia quae habebunt remissas. Re- spondeo, primo, non debere determinali liaec dementa per hoc, quod habent has qualitates intensas vel remissas ; sed per hoc, quod sini¬ co pliciter liabeant : et ideo est quaedam latitudo carimi, intra quam possunt dementa conservari. Binae tamen sunt singulis propriae, ut dixi. Deinde : etiam si unumquodque determinaretur his qualitatibus, in summo tamen non possent esso distincta ab his quae determina- rentur iisdem remissis : sic enim possent fieri infinita dementa. Item : quia, cum qualitates remissae et intensae sint eiusdem naturae, etiam ipsa elementa erunt eiusdem speciei. Denique : cum remissio earum qualitatum naturaliter fiat per admixtionem contrarii, sequeretur de¬ menta sibi vendicare contraria. Secunda obiectio : sicut unumquodque elementum vendicat sibi unain qualitatem intensam, aliano remissam ; 30 ut ignis, calorem intensum, siccitatem remissam ; quare non dabuntur alia quatuor, quorum unum, verbigratia, sibi vendicet siccitatem in- tcnsam et calorem remissum ? Respondeo : etiam si huiusmodi corpora reperirentur, non tamen essent ab illis diversa. Deinde : etiam si di- catur, ignem esso magis calidum quam siccum, non tamen necessa- rium est dicere, siccitatem esse remissam esso proprium ignis : vel quod sit magis propria ignis caliditas quam siccitas ; vel quod magis 3. exalationis —9. tamia —14. ignem — 21.proprie —23. natura —30. remissa 33. diversa# 138 IUVENILIA. appnreat ratione operationis, vel alio modo, ut dicam ; vel, si siccità» est remissa, est ex natura rei, quia caliditate quasi ebotatur siecitas. Quaeritur, 2°, de magnitudine et figura elementorum. Aristoteles I in 3° Caeli 47 et p.° Meteororum summa p.“ cap.° 3°, quem secuti sunt doctores Parisienses, in magnitudine elementorum constituit pro- portionem decapi am : idcst, aqua sit decies maior quam terra ; et sic de singulis. Veruni, hoc, sive intelligatur de magnitudine molis exten- siva, vel de magnitudine et portiono materiae illorum, demonstra- tionibus mathematicis alibi ostendam id esse falsum. Quare Aristoteles vel est intelligendus, eam proportioncm debere servari ex natura rei io cum ut pliysicus loquatur : videtur autem congruum ut dementa uni¬ versum componentia liabeant portiones materiae aequales ; et, quia alterum ab altero in raritate superatili', excessus servare debcat ali- quam proportioncm, quae commode potest assignari decupla. Vel dicendum est, illuni, cum antiquis quibus adirne tota terra non erat cognita, errare potuisse circa figurala praecipue terrae ea quae per- tinent ad mathematicos, probantes illani esse rotundam, uti expliea- bimus. De omnibus vero in universum probat Aristoteles, 3° Caeli CG et 67, ea ex se nullam requirere deterniinatam figuram : tulli quia, cum dementa inserviant mixtioni, mixta vero requirant diversas 20 figura», ideo elementa debent posso suseipere omnes figuras : tum quia, si deberent habere diversas figuras, aliquae illarum essent rectae. ergo, secundum illas, daretur vacuum ; nani solus circulus implet totum locum. Adde, elementa esse corpora homogenea et divisibilia in partes per se existentes, in quarum qualibet salvetur natura elementi : ergo, secundum se, non requirunt certam figuram; extrinseco vero, praesertim elementa fluida, recipiunt, secundum se, totani figuram circularem ab ambiente ; ut ignis, aer et, aliquo, aqua. Quaeritur, 3°, an elementa et ceterae ros naturales liabeant aliquos terminos magnitudinis et parvitatis. Licet agamus liic de clernentis, 30 tamen, ex liorum occasione, id quod quaerimus de illis, explicabiinus de caeteris rebus omnibus naturalibus, idcst viventibus et mixtis ina- nimatis, Quod autem quaerimus in communi, est : utrum quaelibet xes naturalis habeat aliquem terminum quantitatis in magnitudine, ad quem cum pervenerit, si illuni, facta aliqua additione quantitatis, 9. matemaUcxs 12, materie 17. ubi 22. recte —24. omogenea. Ma altro volto homogen... : 0 così, senza più notarlo, uniformeremo. — 27. tota — 29. Quentur — IUVENIUA. 139 excesserit, non possit amplius illa res, sul) dicto termino aneto, esso aut conservari ; et Ilio dicetur terminus magnitudinis illius : vel, e contro, utrum eadem res habeat aliquem terminum eiusdem quantitatis in parvitate, ita ut, si ab ilio aliquid detrahatur, res non possit sub boe minori termino conservari ; et liic dicitur terminus parvitatis. Nota, primo, explicationem horum quatuor terminorum : maximum quod sic, minimum quod sic, maximum quod non, et minimum quod non ; quorum duo priores sunt affirmativi positivi et intrinseci, po- steriores vero dicuntur negativi et extrinseci ; item prirnus et quartus io sunt termini magnitudinis, secundus et tertius parvitatis sunt termini. Maximum quod sic, est maxima quantitas quam res potest attingere vel sub qua potest esse, et sub maiore non potest; ita ut attingere qui dein possit illuni terminum, transire autem non possit. Minimum quod sic, est minima quantitas quam res potest attingere vel sub qua potest esse, et sub minore non potest. Maximum quod non, est illa quantitas quam, ob parvitatem, res non potest attingere vel sub qua non potest esse, et sub quacunque maiore potest, modo non transeat magnitudine maximum quod sic. Minimum quod non, est illa quan¬ titas quam res, ob magnitudine)», non potest attingere vel sub qua -o non potest esse, et sub quacunque minori potest, modo non excedat minimum quod sic. Quaro de quacunque re duo possumus quaerere : primo, utrum liabeat terminos istos maximum et minimum ; 2 °, po- sito quod liabeat, utrum illi sint intrinseci voi extrinseci, vel, quod idem est, affirmativi an negativi. Utrumque autem terminum, idest intrinsecum et extrinsecum, respcctu eiusdem, verbigratia in magni¬ tudine, una et eadem res liabere non potest. Cum enim hi termini sint indivisibiles, si convenirent uni rei, darentur duo indivisibilia immediata: quod implicat. Unde, si una res liabet terminum intrin- secum magnitudinis, non potest liabere eiusdem terminum extri n- 30 secum, ob dictam rationem: sed forte non repugnat, liabere terminum extrinsecum respectu parvitatis. Nota, 2 °: in variis rebus quaeri potest an detur maximum et minimum ; ut in qualitate, quo ad intensionem et remissionem : idest, utrum detur maxima aliqua intensio, quam excedere qualitas nou possit ; vel, e contra, an detur minima, qua minor esse non potest. Idem proportionaliter potest quaeri in virtùto agendi, in potentia vel im- 1. excesserit possit — 18. maanitudinem — 24. affirmiUitivi — 140 IUVENILIA. potentia, in pondero, in perfezione, postremo in quantitate continua et permanente : nani de discreta certuni est duri minimum terminimi, idcst unitatela ; non autem maximum, quia numeri possunt in infinito multiplicari. De successiva etiam certuni est non duri maximum ; quia, cum eius essentia consistat in successione, potest semper crescere in infinitum : nec etiam minimum ; quia de ratione successivi est ut, qua- libet parte assignata, possit dari minor in infinitum. Quantitas itera permanens potest tripliciter considerare Primo : secundum se et ma- tliematice, idest secundum extensionem ; et sic potest augeri et dividi in infinitum, 3° Pliys. 71. 2°: ut est in materia pliysica, abstrahcndo io a quacunque forma determinata; et sic, ex 3° Pliys. G8, potest di¬ vidi in infinitum, non autem augeri. 3° : ut est in materia iam infor¬ mata aliqua forma substantiali determinata : et de hoc tertio modo tantum est nostra quaestio ; idest an res naturales liabeant certos terminos magnitudini et parvitatis, ita ut, si aliquid addatur et (le- trahatur, praedictae res non possint amplius esse vel conservari. Nota, 3°: ratio et differcntia termini extrinseci et intrinseci in hoc consistit : ut intrinsecus sit ilio quam res naturalis attingere po¬ test, et ulterius non potest; ita ut talis terminus vero sit in illa et aliquid illius, licet indivisibile : extrinsecus vero est ilio qui est extra 20 rem et ad quelli res pervenire non potest, et infra quern immediate pervenire potest ; ut, verbigratia, in linea terminus eius est punctuin, quod est extra lineam, cum nil sit linea, vel in linea, quod non sit divisibile. Punctuin igitur est terminus extrinsecus linoae. At vero, si in eadem linea, quae sit, verbigratia, septem palmorum, quaeratur terminus intrinsecus, cum indivisibilem non possit habere, dabitur divisibilis : qui erit scptimus palmus, ad quem vere et intrinseco per- tingit linea, et est quid in linea existens. Dices : quare tantopere laborant pliilosophi, ut, posito quod res debeant liaboro aliquem ter- minum, quaerant utrum sit intrinsecus vel extrinsecus ? ltespondeo : 30 ob duo praecipue. Primum : ob desitionem vel inceptionem motus earum rerum. Ea enim quae habent terminos iiitrinsecos, incipiunt et desinunt per terminos positivos, idest per primum esse et per ulti¬ mimi esse ; ea vero quae extrinsecos, per ultimimi non esse et per primum non esse. Cum igitur maxime spectet ad naturalem scire quomodo quaelibet res naturalis incipiat et desinat esse, ideo debet 1 . in podere — 8 - 9 . malemuticae — 14 . questio — 30 , extrinsecus vel extrinsecus — 1UVENIMA. 141 quaerero, utrum habeat termino» extrinsecos vel intrinseco». 2° : quia, cimi, ut dicam, viventia debeant li ab ore termino» suos, et natura in illorum generatione non tendat in incertum et indeterininatuin, in introductione forniae illorum oportet, illis assignare aliquem terminum certuni ; cuiusmodi est solus atìirmativua et iutrinseeus : nani extrin- secus, cum consistat in negatione, quae est maxime indeterminata, non potest, esse certus et determinatus. Nota, 4° : de rebus naturalibus dii] ilici ter possumus quaerere, utrum habeant terminum: primo, simpliciter et absolute, utrum detur jo aliqua res omnium maxima et aliqua omnium minima ; et sic cer¬ tuni est, de facto, davi caelum ultimino, quod, cum in se contineat omnia, rerum etiam omnium maximum erit ; certuni est etiam dari aliquam aliarli rem tam parvam, ut ea, de facto, nulla detur minor, licet forte alia ei sit aequalis. Ratio utriusque est quia, si semper da¬ retur aliquid maius et maius, vel minus et minus, procederetur in infinitum. De hoc autem primo modo termini simpliciter, cum non faciat ad praesenteni quaestionem, nihil amplius dieendum erit. 2°, igitur, potest quaeri de termino rei naturaiis prout ea est in tali specie entis ; idest, utrum res, ut est in tali specie, habeat terminimi 20 magnitudinis et parvitatis: et hoc dupliciter. Primo: secondino se, sine ordine ad alimi ; idest, utrum talis res, prout est in tali specie, ex se requirat terminum aliquem sub quo possit conservari. 2° : in comparatione ad alia eiusdem speciei ; idest, utrum detur in aliqua specie, sive ea sit infima sive subalterna, aliquid individuimi maximum vel minimum omnium eiusdem speciei. Nostra autem quaestio est tantum de primo modo. Do secundo, vero, solum est advertendum : primo, si detur aliquid individuimi in una specie maximum omnium, ita ut ilio non detur maius nec etiam illi acquale, talo individuimi dicctur liabere terminum positivum magnitudinis ; quia positive est so maius omnibus individui» eiusdem speciei. Sic etiam, si daretur mi¬ nimum omnium, quo nullum aliud possct dari minus vel ei acquale, diceretur liabere terminum positivum parvitatis. Si vero in eadem specie daretur aliquid individuimi, quo quidcm nullum esset maius, baberet tamcn aliquid acquale ; vel quo nullum minus, aliquid tamcn aequale daretur ; tunc diceretur liabere terminum magnitudinis vel parvitatis negativum, quia nullum daretur maius vel minus ilio: po- 31 . dare — 142 tUVENtLIA. sitive vero non esset omnium maximum vel minimum, quia illi (lare- tur acquale. Advertendum, 2°, liaoc duo vocabula, positivum et ne- gativum, aliter suini liic, aliter supra in notabili primo, quando distinguebamus terminos intrinsecos et extrinsecos, et illos vocabamus positivos vel affina ativos, hos vero negativos. Nani in praesenti sumun- t.ur haec nomina, positivum et negativum, relative, in ordine ad aliud, ad modum ante explicatum : ibi vero sumuntur absolute et secundum se. Quare liaec nomina, relativo sumpta, abstraliunt ab hoc, quod sint termini intrinseci vel extrinseci: unde unus et idem tcrminus, absolute sumptus, poterit esse positivus ad modum explicatum in primo nota- jo bili; et idem tcrminus, relativo, crit nogativus ad modum liic expli¬ catum. Verbigratia, vivens aliquid liabebit terminum intrinsecum affirmativum et positivum, absolute, suae magnitudinis ; qui tamen tor- minus erit negativus, relative, si conferatur ad alia viventia : quia, licet forte ilio nullmn detur maius, dabitur tamen illi aliquid acqualo. Quamobrem in lcctione authorum diligenter advertendum est, in qua significatione usurpent liaec vocabula termini positivi vel negativi; num relativo, vel absolute et in ordino ad se. Advertendum, 3°, liane eandem distinctionem termini positivi et negativi, relative, posse ac- commodari non solum magnitudini et parvitati rerum eiusdem speciei, 2 o sed etiam primo modo comparationis posito initio lniius quarti no- tabilis ; idest, prout una ros simpliciter et in genere confortili’ in ma¬ gnitudine et parvitato cum quacunque alia ro, etiam simpliciter et in genere, abstrahendo quod sit eiusdem speciei. Veruni, cum ilio modus, ut dixi, non faciat ad praesentem quaestionem, idcirco nihil do eo, quo ad liane comparationem, erit dicendum. Advertendum, postremo, nostram quaestionem praccipue esse de terminis magnitudinis et par- vitatis absolute et secundum se, non relative. I)e rolativis cnim solimi est sciendum, ca quac in oadem specie habent terminum, posse esse ut, de facto, illorum termini magnitudinis vel parvitatis sint positivi 30 vel etiam negativi : idest, potest osso aliquid aliud maximum omnium, (pio nec detur maius nec acquale ; et sic crit terminila positivus rela¬ tive : et potest dari aliquid aliud quo, licet non dotur aliquid maius, poterit tamen dari acquale ; et sic erit illius terminila negativus rela¬ tive. Idem posset dici in parvitato. De line autom comparatione re¬ lativa nil amplius est dicendum. 4 . extrinsecos et intrinsecos — IUVENILIA. 143 Nota, 5° : adrìitio vel detractio quantitatis, vel reperitur in viven¬ tibus et dicitur auguraentatio et diminutio ; et linee est propria vi- ventium, quae fit ab anima vi caloria naturalis : vel reperitur in non viventibus ; et liaec fit tripliciter. Primo : intrinseco, per rarefactio- nem et condensationom ; quo modo aqua calefacta rarefit et fit maior, voi aer condensatur et fit minor, et sic de caeteris. 2° : oxtrinsece, per solam appositionem ; ut si terrae adiungas terram, etc. 3° : por gonerationom, ut si igni addatur lignum; ex hoc enim generabitur novus ignis, qui, priori iunctus, eum auget. Nostra igitur quaestio 10 erit de terminis magnitudini et parvitatis, sive in viventibus sive in aliis, sive fiat additio et diminutio primo vel secundo vel tertio modo. Nota, 6°, dupliciter nos posse quaerere, utrum res naturalcs lia- beant terminimi magnitudini et parvitatis : primo, secundum se, sine ordine ad ullum extrinsecum, quale csset ambiens vel contrarium ; 2°, in ordine ad aliquod extrinsecum ambiens vel contrarium. Hoc secundo modo certuni est, in elemento, verbigratia, dari maximum ; quia, ratione ambienti caoli impedienti, non potest ulterius cre¬ scere : et sic etiam datur minimum ; nam, si dividatur ignis, tandem devenictur ad aliquem ignom ita parvum, qui, ratione contrarii am- 20 bientis, non potorit amplius conservari. Nostra antem quaestio est de primo modo, hoc est seclusis omnibus extrinsecis. Unde, quando dicitur, Elementum vel quodlibet aliud potest augeri in infìnitum, intelligitur, quantum est ex se, si materia posset in infìnitum cre¬ scerò : tunc enim illi, secundum so et ratione formae, non repugnaret crescere ; quamvis ab extrinseco, quia materia de se est finita, non possit in infìnitum augeri. Nota, 7° : vel loquimur do maximo et minimo partis inexistentis in suo toto: et hac ratione certum est non dari minimum, quia, as¬ si guata quacunque parte in toto, possumus in eodem minorem as¬ so signare; quia quaelibet erit quanta et divisibili in infìnitum, et in ea, si sit liomogenca, conservatili' tota ratio formae. Do maximo, vero, eadem est ratio, quae do toto. Vel loquimur de maximo et minimo partis per so subsistentis extra totum : et sic quaerimus, an dobeat dari minimus, verbigratia, ignis, por se subsistens, separatus ab aliis ; adeo ut, si divideretur, tandem deveniretur ad illiun ignem, quo nullus minor per so subsistere posset, seclusis extrinsecis. 12. Nota 2° — 17-18. cmcierc —? I. 17 144 1UVENILIA. Nota, 8°, totani hanc quaestionem revocati ad hoc : utrum quaelibet rcs naturalia, per se subsistens, prò ut est in tali specie, absolute et ' socundum se, seclusis omnibus extrinsecis, habeat aliquom terminum raagnitudinis vel parvitatis, sivo in rari tate et dcnsitate, sive in qua- cunque alia extensione, qnae fiat vel per vcram augumentationem et diminutionem, voi per appositionem et detractionem, vel per ge- nerationem et corruptionem, ad modum modo explicatum in 5° nota¬ bili : demum, posito quod aliqua res habeat terminum, utrum ilio sit intrinsecus vel extrinsecus. Et quidem, si loquamur de rebus natura- libus hetcrogeneis, ut viventibus, sic certum est, eas habere terminos io tum magnitudinis tum parvitatis ; solum est controversia, utrum sint extrinseci vel intrinseci : si autern de homogeneis, tunc utrumque vo- catur in quaostione, et num liabeant terminos, et, si habent, utrum sint extrinseci vel intrinseci. In (pia re sunt quatuor opiniones. Prima opinio est dicentium, omnes res naturales, praeter elementa, liabere terminos magnitudinis et parvitatis intrinsecos ; elementa vero habere terminum intrinsecum parvitatis, magnitudinis vero nullum: ita U. Thomae in p.° Pliys. t. 36, 38,1)e generationo t. 41, et p.* parte q. 7 art. 3 ; Capreoli 2° dist. 19 ; Soti p.° Phys. q. 4 ; et Thomista- rum omnium. Probatur, primo, autlioritatc Aristotelis p.° Phys. 36, 20 ubi hoc dicit ; et t. 38 affert argumentum contra anti. p.° De causis symptomatum, et communiter omnes medici et Peripatetici. Et probatur, primo, autlio- ritato Aristotelis, t. 8 ; et t. 24 dicit, quodlibet elementum posso io in quodlibet transmutari, et inter symbola esse faciliorem transitimi : et tamen liorum aliqua solimi ditferunt in qualità te passiva, ut aer et ignis in liumoro ; ergo, sccundum liane qualitatem, debent agere et se refrangere. 2° : elementa debent se refrangere in mixto quo ad omnes qualitates ; alioquin remanerent duae contrariae qualitates, in sumnio, in eaclem parte materia© contra omnes : ergo liunior et siccitas debent esse etiam activae. 3° : flante austro vel impendente pluvia, ob aéris liumiditatem, sai liquéscit, sive aér tunc sit frigidus sivo calidus : ergo signum est, provenire ab humiditate ; quia, codem aero calido vel frigido existente, semper liquéscit sai. Item terra in aqua cor- 20 rumpitur solius humoris actione ; item glacics in aqua dissolvitur, sivo aqua calida sit sive frigida : ergo ab humore solimi. 4° : siccitas etiam agit, ut patet, cum in corporibus quao propo mare degunt, quae sunt sicciora ob exlialationem siccam quae ex mari provenit, idem accidit illis quae degunt in locis ubi sit magna copia salis. Item videmus, sai multimi exiccare, parum calefacere ; ergo siccitas agit sine calore. Obiicies : manus, verbigratia, bumida, qiiaiitumciinque maneat su¬ per re sicca, ut super marmore, nunquam tamen exiccatur ; cum tamen statini exiccetur a calore: ergo [etc.]. Respondeo, primo, oxic- 30 cari a calore per accidens, et quidem citius ob vehementiorem actio¬ nom : 2°, etiam tunc aliquantulum exiccari manum a siccitate mar- moris ; sed non percipi illius actionem, quia siccitas modicissime agit, nisi iuvetur a calore, Pro quo advertendum est : licet siccitas et Rumor per so exiccent et liumefaciant, calor autem et frigus non nisi per ac- cidens, tamen liumor et siccitas tardissime et remississime id praestant, W. s min ina timi 11. simboìii Ili. dchel — 2-1. exalationem — 25. illis uni doi/unt —• IUVENIL.IA. 107 calor autem et frigus intensissime et citissimo. Nam vestis madida, sub sole vel dante borea, citissimo exiccatur, quae, super marmor siccis- simum, vix alienando exiccabitur : item calor, liquefameli do, statina humefacit metallum, quod tamen, etiam si diutàssime in aqua maneat, vix aliquantulum liumefiet. Ilinc fit, primo, ut humefactio et oxic- catio quae fit in mixtione, cum debeant intonsissime et citissime fieri, maxime fiant a calore et frigore ; ab liumore autem et siccitate, non nisi parum, et ut iuvantur a calore, ut infra dicam cum Alberto. Patet etiam, 2°, cur Aristoteles, 4 Meteororum in initio, humefactionem et io oxiccationem calori tribuat et frigori : tum quia citius et intensius fìunt a calore et frigore quam a siccitato et ab lmmiditate, et ab bis non nisi iuvante calore ; tum quia, cum in ilio libro agat de mixtis, de ea solum exiccationo et humefactione agit quae contingit in mixtione, ubi fere fit solum a calore et frigore. Nota, 6°, ut explicetur quid sibi volit Aristoteles quando dicit duas esse qualitates passivas, intelligi pati prò corrumpi: quod alii dicunt, terminative pati ; nam subiectum dicitur subiettive pati, quod tamen non corrumpitur. Marsilius, in 2° Do generatione, ait, idcirco calorem et frigus dici activas qualitates, reliquas vero passivas, primo, 20 quia actio illarum est notissima sensui, illa vero ignotissima : 2°, quia illao maxime agunt et minime resistunt ; contra vero, liae. Sed hoc. socundum non placet; quia resistere non est pati, sed non pati: deinde etiam falsum eBt id quod asserit de activitate et resistenti a qualita- tum, ut patebit quaestione sequenti. Quare ego assigno has causas illorum dictorum Aristotelis. Prima est : iccirco illae dicuntur activae et hao passivao, quia illae validissimo agunt, ita ut, si liae cum illis conforantur, vix agere videantur. 2 a : quia calor et frigus faciunt of- fectus kumoris et siccitatis citius et intensius, quam kumor et siccitas. 3“ est quam reddit Pliiloponus 2° Do generatione in t. 8, D. Tliomas, 30 Averroos in initio 4 Meteororum, et Pomponatius ibidem dub.° 3, et Albertus ibidem tract. p.° cap. 2°: nimirum, Aristotclem illud dixisse non simpliciter, sed in ordine ad mixtionem, in qua calor et frigus potissimum agunt, kumor et siccitas potissimum patiuntur ; licet etiam illae aliquantulum patiantur et kae agant, ut recte notavit Albertus et Buccaferrus. Qui tamen addunt, kumorom et siccitatem non agere nisi iuvantibus aliis duabus et praecipue calore : nam kumor, verbi- 20 . illarum et notissima — illam — ignotissimi am — 21 , 20 . ilio — 25 . adirne — 26 . passive — 1 . 20 168 IUVENIIjIA. gratia, in mixtione per se non agit, nisi prius, vi caloria, elovetur vapor humidus, qui possit admisceri corpori humefadendo ; deinde, vi eiusdem caloria, aperiatur ipsum corpus, ita ut illud penetrare possit et humefacere. Et sic dicitur calor iuvare actionom humidi; et simili modo etiam iuvat actionom sicci. Ut vero melius intelligatur liaec tertia causa, Àdvorte, primo, lias quatuor qualitates li ab ere duo genera ef- fectuum : quidam sunt primarii; ut caloria calefacere, ut lmmoris humefacere, etc. : quidam vero secundarii ; ut caloria congregare liomogenea, separare lieterogenea, frigoria congregare omnia ; hu- io moria facile torminari termino alieno, difficile autem siccitatis alieno terminari. Porro effectus primarii omnium qualitatum verae actiones sunt, ut probavi : et effectus etiam caloria et frigoria secundarii sunt actiones. At effectus secundarii liumoris et siccitatis sunt pas- siones, quas magis patitur corpus humidum et siccum quam liumor et siccitas : corpus, enim, ut quod terminatur ; liumor vero et sic- citas, ut quo. Adverte, 2° : ad id quod est proprium et praecipuum in mi- xtione, ut mixtio est, concurrunt liumor et siccitas per suos effectus sccundarios, ac, propterea, patiendo. Nam duo sunt in mixtiono : 20 primo, est mutua refractio omnium elementorum et qualitatum ; atque baco non est propria mixtionis, licet in illa etiam reperiatur, sed etiam in mutua actione elementorum reperitur, quae fit extra mixtionem : 2°, est ’terminatio ; quae in eo consistit ut siccum, humido mixtum, accipiat unionem partirmi et facilem terminabilitatem, quibus ex se caret ; similiter, ut humidum, admixtum sicco, accipiat consistenti am, qua ex se caret. Haec autem terminatio fit a calore digerente, matu¬ rante, segregante heterogenea, congregante liomogenea, etc.; item a frigore indurante, et contemperante calorem : humor autem et siccitas patiuntur hanc terminationem, siccum videlicet per consistenti am, so humidum per facilem terminabilitatem. Patet igitur, humorem et sic- citatem ad id quod est proprimn mixtionis concurrcre per suos ef¬ fectus sccundarios, ac, propterea, patiendo. Adverte, 3°: etiam si mixtio consisteret in sola refractione, nihi- lominus dicendum esset, calorem et frigus esse activas, illas autem pas- sivas. Nam illa refractio, maxime omnium, fit a calore. Primo : quia 10 , 28 . eterogenea — 14 . actione — 14 - 15 . passione — 32 . ab id — IUVENIIjIA. 169 calor est activior caeteris qualitatibus, nnclo magia rcfrangit. 2" : quia calor, ut clixi, iuvat humorem et siccitatem in suis actionibus, et siile caloria adminiculo vix aliquid possent facere. 3°: quia, ut etiam clixi, ipsa exiccatio et liumefactio citius et iutensius fiunt a calore quam ab liumoro voi siccitate. 4°: quia in mixtiono maior fit refractio caloria et frigoris quam liumoris et siccitatis : nani in mixto est aliqua difformitas in intensione accklentium, ita ut quaedam partes sint crassiores, quaedam subtiliores; cjuao dissimilitudo maxime pro- venit in partibus humidis et siccis. Calor enim et frigus, quia valde io multimi agunt, statim se mutuo refrangunt, et fere aecpialitor produ- cuntur in omnibus materiae partibus : at vero partes liumiclae et siccae nunquam possunt ita refrangi ut non semper remaneat plus siccitatis et humiditatis. Quod etiam fìt verisimile bis eie causis. Tum quia humor et siccitas, ut dicam epiaestione sequenti, plurimuin resistunt ; quare difficillime possunt so refrangere. Tum quia videmus, in ligno et in carne Lane diversitatem maxime esse in partibus siccis et humidis ; fìbrae enim sunt sicciores, succus autom, quo implentur spatia quae sunt inter fibras, est kumidior: quod igitur contingit in carne, in qua et liaoc diversitas est eviclentior, idem contingit in aliis, in quibus est 20 occultior. Tum, demum, quia, ut clixi, huinida et sicca frequenter po- tius penniscentur secundum partes minimas, quam vero se refrangant ; ita ut liumefactio fiat saepe per ingressum substantiao kumidae, ot exic¬ catio per expressionem eiusdom. Cum ergo pateat ex liis, minorem fieri refractionem secundum humorem et siccitatem quam secundum ca- lorem et frigus, patot veruni esse icl quod concludebamus hoc quarto argumento, etiam refractionem maxime fieri a calore. Post calorem autem, in refractiono maxime operatur frigus, iisdein de causis quas diximus de calore. Quare concludo, Aristotelem iccirco appellasse calo- rem et frigus qualitates activas, reliquas passivas, tum quia, ratione 30 effectuum primariorum, illae plurimum agunt, hae fere nihil, et harum effectus ab illis fiunt : tum cpiia Aristoteles voluit expheare cpialitates per effectus secundarios, non per primarios, non solum quia effectus secundarii sunt notiores, praecipue in humore; quae etiam ratio valet extra mixtionem ; sed etiam quia illas explicabat in ordine ad mixtio- nem, in qua, si consideremus praecipuum, maxime concurrunt per effectus secundarios. 4 . calorem — 17 . fibre — 18 . fibras et kumidior — 23 . expraessiovcm — 170 IU VENI LIA. Obiicies : Aristoteles, 4 Mot. in initio, ait siccitatem et lmmorem in omnibus pati, non solum in mixtiono sed etiam secundum se, idcst extra mixtionem: ergo id quod diximus non est intelligendum solum in mixtione, ut dixi in tertia causa. Respondco, primo, respectu ef- fectuum secundariorum, de quibus ibi Aristoteles, tam in mixtione quam extra, duas posse dici activas, duas passivas, ob rationes dictas : tamcn, quia in toto ilio 4° libro agit do mixtis, ideo debet praecipue intolligi in omnibus iis de quibus in libro agit, idest de mixtis. 2° : illud « secundum se » debet intolligi : idest, quod aliae agunt, aliao patiun- tur, non solum in elementis sed secundum se, idest ratione sui, sepa- io ratae ab elementis, ut contingit in mixtis. Quaestio quarta. Quoniodo se habcant prìmae qualitatcs in admtate et resistentia. Prima dubitatio sit, quid sit resistentia. Vallesius, p.° Controversia- rum cap. 5, ot adii, dixerunt, resistentiam esse actionem, et resistere esse quoddam agere. Probatur, primo : augumentatio fit a simili ; sed resistentia augetur augumento actionis; ergo [etc.]. 2°: ex continua- tionc actionis in contrarium fit maior resistentia in agente, et magis debilitatur contrarium; ergo [etc.]. 3°: potentia resistitiva est activa; ergo resistere est agore. Probatur antecedens: potentia resistitiva non so est passiva, quia potentia passiva disponit subioetum ad patiendum, at potentia resistitiva potius impedit passionem; ergo est activa. Dico, primo: resistentia non est formaliter actio: tum quia lapis resistit manui prementi, et tamen nifi il agit ; tum quia exiguus calor resistit maximao frigiditati, alioquin fìeret alteratio in instanti, et ta¬ men non reagit in illuni; tum quia medium resistit in motu locali, et tamen per se non reagit ; tum, demuni, quia liaec interiora resistunt actioni caeli, et tamen non reagunt in illud. Dico, 2°, resistentiam non esse passionem. Nam, cum ferrum pre- mitur, non patitur, quamvis resistat : item caelum prementi resiste- so ret, et tamen non pateretur. Adde, quod resistere convenit rei ut est in actu; pati voro, ut est in potentia. 10-11. sejìeratae — 14. quod sit — Valcsius — IUVENILIA. 171 Dico, 3°, resistentiam esse permanentiam in proprio statu contra actiononi contrariam. Dixi « contra actionem contrariam » : nani resi- stentia, quamvis non sit actio, connotat tamen actionem contrarii, quam impedit. Dixi « esse permanentiam in proprio statu »: quia non distinguo resistentiam ab ipsa existentia rei, ut permanet; imrno resistentia for- maliter dicit balie permanentiam rei in suo statu, et connotat impe¬ dimentum actionis contrariae. Et hoc est contra Pomponatium, se- ctione 2 a De reactione cap. 3, qui vult, resistentiam formaliter dicere impedimentum contrariao actionis, connotans actionem contrarii et io permanentiam in proprio statu ; sed fallitur : quia resistentia est ali- quid positivum, at vero illud impedimentum est negatio actionis. Ex quo scquitur, primo, resistentiam differre a permanentia rei in suo statu vel a conservatione sui secundum se considerata, quae dicit so- lum permanentiam existentiae rcceptae ab agente; quod resistentia connotat impedimentum contrariae actionis, permanentia vero ab- strakit ab ilio. Sequitur, 2°, resistentiam formaliter pertinere ad prae- dicamentum rei resistentis, sicut et ipsa existentia; nam modi intrinseci ad idem praedicamentum pertinent, ad quod rcs : at vero, resisten¬ tiam eandem, ratione connotati, pertincro ad praedicamentum actio- 20 nis ; quia illud impedimentum connotatum est quaedam privatio vel negatio actionis,privationes vero reducuntur ad praedicamentum sui habitus. Sequitur, 3°, in resistentia qualibet tria posse reporiri. Primum est id quod formaliter connotat ; et est permanentia in proprio statu : secundum, id quod connotative ; et est actio contrarii impedita : ter- tium est causa illius permanentiae, idest causa illa quae efficit ut res facile perseveret in suo statu et resistat actioni contrariae. Quae causa potest esse multiplex ; ut, vei-bigratia, actio resistentis, ut cuna animai suis viribus se tuetur per propriam actionem ; item, pondus vel duritics, ut in lapide ; item, innexio materiae qua retardatur actio so contrarii, etc. Porro, in resistentia qualitatum illa duo priora sunt manifesta, tertiiun vero est paulo occultius : non enim apparet, quae- nam sit proprietas humoris qua tantopere resistit ne exiccetur. Sed tamen, cum in animalibus et in multis aliis rebus, ut lapide etc., ea causa scraper cernatur, tamen dicendum est, etiam qualitates et quasli- bet alias res habere quamdam proprietàtem naturalem qua, plus vel minus, resistant contrario : quae dicitur causa resistentiae, et potest 21. reducunt — 29. inexio — 32. existit ; mutato poi in rexistit — 172 IUVENILIA. reduci ad potcntiam vel impotentiam. Ex quo apparet error Nobilii qui, p.° Do generatione dubio 11 in cap. 7, distinxit duplicem resi- stentiam : aliarli animalium, quae consisterei in nixu quodam, qui est quaedam actio ; aliam in caeteris rebus, quam roduxit ad iuipo- tentianr ad patiendum ; ubi, ut videtis, accopit causala extriusecam resistentiao prò resistenza formaliter, emù tamen distinguantur. Addo, quod naturalis potontia vel impotentia semper est in re; et tamen rcs semper non resistit, seti solimi pi'aesento actione contrarii. Ad prinium argumentum respondeo, ex augumento actionis aligeri resistentiam, sed non per so et formaliter, sed per modula sequela© vel io causaliter; quia nimirum augetur causa resistentiao: dum enim, verbi- gratia, augetur calefactio, quae est causa resistentiao, lit calor perfectior, qui est sui conservativus. Ad secundum respondeo, per continuationem actionis in contrarium proprie diminui tantum potentiam agentis contrarii ; postea inde sequi permanentiam roi in esse, quae est forni a- litcr resistentia. Ad tertium respondeo, proprio et formaliter rcsisten- tiam non esso actionem vel passionem, sed reduci ad praedicamentum rei resistentis, ut dixi : quod si quando intercedit aliqua actio vel passio, illa erit solum causa resistentiae, ut dixi. Secunda dubitatio : quomodo se liabeant primae qualitates in acti- 20 vitate et resistentia. De liac re lego Calculatorem in tractatu l)e reactione, Hentisberum in sophismate An aliquid fiat, Marlianum in suo introductorio De reactione, Buccaferri 2° De generatione q.° De reactione, Thienensem tract. De reactione, Pomponatium sect. 0 p. n De reactione a cap. 13, et 4 Met. dub. 4 et 9. Nota, primo : cum comparatio proprio fiat inter res eiusdem speciei et non inter res diversi generis, bine etiam tìt ut proprie non pos- simus conferre lias qualitates inter se in activitate et resistentia, nisi conferendo activitatem unius cum activitate alterius, et similiter re- sistentiam unius cum alterius : liaec enim solum esset proprie coni- so paratio. Improprio tamen possumus et conferre activitatem cum resistentia, licet sint diversi generis; et hoc dupliciter: primo, simpli- citer; 2°, non simpliciter, sed in genere suo, videndo quaenam illa- rum magis accedat ad summum et perfectissimum suo genere. Verbi- gratia, caelum potest comparari cum mosca, licet sint diversi generis, 2 . dùvtinxit — 3 . nixtu — 6 . dìxtinguantur — 10 . sequele — 22 . Entisberum in sofismate — Marmianum — 23 . introductiorio — 24 . Pienensem — 1UVKNILIA. 173 dupliciter : primo, simpliciter, quaerendo utrum illorum sit perfectius ; et sic certum est, muscam, cuin sit animai, esse perfectiorem, sim¬ pliciter, caelo inanimato: 2°, non simpliciter; et sic caelum est per¬ fectius musca, tpiia, in genere corporis simplicis, caelum maxime accedit ad summe perfectum, cum sit corpus simplex perfectiasimum ; contra vero musca, in genere animalis, maxime recedit a summe per- fecto animali. Utroque igitur modo possumus etiam conferre, impro¬ prie, resistei!tiam cum activitate qualitatis : quorum duorum modorum uterque adliuc subdividitur in duos alios modos. Ex quo colligitur, has io quatuor qualitates, in activitate et resistentia, posse in universum quinquo modis conferri : primo, si quaeramus quaenam illarum sit magia activa, et quae illarum magia resistitiva : 2°, si simpliciter quaeramus, utrum activitas unius sit maior resistentia alterius sim¬ pliciter : 3°, etiam simpliciter, utrum activitas unius sit maior resi¬ stentia eiusdem : 4°, non simpliciter, sed in genere, idest utrum acti¬ vitas unius, in suo genere, maior sit resistentia eiusdem, in suo genere, modo explicato : 5° demum, non simpliciter, sed in genere, utrum activitas unius magis accedat ad summum, in genere activitatis, quam resistentia alterius contrarii ad summum, in genere resistentiae. Ex 20 quibus comparationibus prima tantum est propria, quatuor vero sunt impropriae. Nota, 2°, intensionem et remissionem, in qualitate, in activitate, et in resistentia, diverso modo suini. Nam maxima intensio qualitatis ost habere 8 gradus; et quo magis recedit ab 8, eo est minus intensa : at maxima actio est quae fit in instanti ; reliquarum vero, ex 6 Phys. 16 et 23, ea est maior quae breviori tempore plus formae introdu¬ citi contra vero maxima resistentia est quae toto tempore niliil pa- titur ; reliquarum vero illa est maior quae in diuturniori tempore niliil patitur. Itaque magna actio requirit breve tempus et multum so formae ; liaec enim magis accedit ad suinmam actionem : magna vero resistentia requirit longum tempus et parum formae contrariae ; haec enim magis accedit ad summam resistentiam. Ex lioc autem sequi tur, maximam resistentiam posse interdum superari a minima actione. Ut, verbigratia, si lignum decem annis resistat aquae, ne liumefìat, et tan¬ dem mollescat: hic, ut videtis, est maxima resistentia, quia longo tempore lignum parum patitur ; et minima actio, quia longo tein- 2 . cum sit Ar: esse — 8 . resistentia — 13 . c/ueramus — 14 . unius si iunior 174 IUVKNILIÀ. poro aqua parmn agit: et tamen haec actio minima superai eam maximam resistentiam. Ncque lioc mirnm est : nani minima actio non dicitur minima, quia simpliciter sit minor resistentia; immo est maior, cum dictam resistentiam superet : sed dicitur minima in suo genere, quia minus accedit ad summam actionem. Imo, si esset maxima actio in suo genero, non permittoret maximam resistentiam, sed minimum ; quia brevissimo tempore illam superaret. Ex quo solvitur liaec obiectio : Si parva actio superat magnani resistentiam, ot magna actio parvam resistentiam, ergo plus fit per parvam actionem quam per magnam. Solvitur, inquam ; quia non valet consequentia. Nani superare ma- io gnam resistentiam non est niultum agere, sed panini; est enim adeo debile agere, ut passimi possit diu reluctari : contra vero superare parvam resistentiam est niultum agere ; est enim adeo fortiter agere, ut passum diu resistere non possit. Quare semper plus Ut per ma¬ gnani actionem, quam per parvam. Nota, 3 °: si comparalo fìat primo modo ex positis in primo no¬ tando, tunc dico, primo, qualitates in activitato servare lume ordinerai ut, caeteris paribus, activissimus omnium sit calor, tum frigus, post liumiditas, demum siccitas. Dixi « caeteris paribus: » hoc est, si ponantur illae qualitates aequalitcr intensae et cum aliis circumstantiis acquali- 20 bus, breviori tempore plus formae introducet calor, tum frigus, etc. Probatur conclusio : tum experientia, quia videmus ignora citius agere qualibet re frigida, immo in quibuslibet materiis paulo magis dispositis videtur ignis agere in instante, ut in stuppa, etc.; cum tamen nulla res, licct frigidissima, tanta velocitate agat in materiali! quantumlibet depositami tum quia videmus, diu et sine ulla lesione detineri ma¬ mma in ni ve, cum tamen ne brevissimo temporis spatio detineatur in igne : tum demum, quia ignis maxime penotrat, maximo impetu frangit, ctc., quae non videmus in corpore frigido. Quod autem duae priores sint activiores postcrioribus, probatur : tum quia illae ab Ari- 30 stotele vocantur simpliciter activae, aliac passivao; tum quia experientia constat, calorom ot frigus breviori tempore plus agere quam Immo¬ rali et siccitatem. Postremo, quod liumiditas sit activior siccitate, patet sensu : aer enim humidùs res in eo existentes facilius bumectat, quam terra exiccet. ; et aliquid facilius in aqua humefiot, quam in terra exiccetur. Addo, quod humidum sua actione rarefacit et dis- 20. ili e — 20. que — 34. humettat — IUVENILIA. 175 sol vi t, siccum vero consti pat ; dissolutio autem rlisponit, subiectum ad transmutationem, et constipatio impedit. Et adverte, me loqui de liume- factiono et exiccatione quae fiunt ab lmmore et siccitate : nam potest fieri ut exiccatio citius fiat quam humefactio, si exiccatio fiat ab igne, quia tane ignis, rarefaciendo, extraliit partes lmmidas; ut patet in pannis bumidis igni appositis. Et haec est causa quare medici dicunt, difficilius esse corpora humefaccro quam exiccare; quia accipiunt hume- factionem et exiccationem quae fiunt a calore, per ingressum et. reces- sum substantiae liumidae. Certum est enim, substantiam bumidam io facilius egredi quam ingredi. Dico, 2°, qualitates in resistcntia servare eundem ordinem : ut ma- gis resistitiva sit caliditas frigiditate, et haec humiditate ; postremo sit siccitas. Probatur : si calor introducit totam suam latitudinem in '/ 4 horae, frigus, quod est minus activum, non producet nisi una hora: at vero, cum tantum unius qualitatis deperdatur quantum con- trariae producitur, sequitur, totum frigus deperdi uno quadrante liorae, calorem vero una bora; et, ex consequenti, frigus non resistet calori nisi 1 / i borae, calor vero resistet frigori una hora : unde concludi- tur, ita frigus superari a calore in resistenza, si cut in activitate. Et so idem argumentum potest fieri de aliis duabus. Obiicies: res calefactae facilius frigefiunt, quam frigefactao calefiant; ergo [etc.]. Respondeo, rcs calefactas facilius frigefieri per accidens, ob evaporationem spiri- tuum calidorum, qui, ob tenuitatem, facilius evanescunt. Conferà banc conclusionem faciunt illi qui admittunt quidem primam conclusionem ; sed dicunt, resistentiam siccitatis esse maximam, postea vero humi- ditatis, tum frigoris, demum caloris; sed tamen volnnt cuiusquo actio- nem maiorem propria resistcntia. Sed contra : ex hoc sequoretur, latitudinem summae rosistentiae esse minorem latitudine summae acti- vitatis, quod est absurdum. Probatur sequela : nam latitudo maximao 30 activitatis in calore est, verbigratia, ut 8 ; ergo in siccitate, quae, ctiam secundum ipsos, est minime omnium activa, erit, verbigratia, ut 4: sed summa resistenza per se est in siccitate, et, simul, mai or est activit.as eiusdem siccitatis quam propria resistentia ; ergo lati¬ tudo summae resistentiac est infra 4 gradus. Nota, 4°: si fiat comparatilo secundo modo, tunc dico simpliciter, actionem cuiusque qualitatis maiorem esse resistentia contrarii : quia, 12 . et hae humiditate — coutrarie — 20 . calefacte — i. 21 17G IUVENILIA. quaecunque qualitas agat. in aliam, sempor tamen illam superai, licet interdum longissimo tempore. Et de activitate caloria et humiditatis supra resistentiam frigoria et siccitatis, id notissimum est; cura illae Bint activioros liis, et, cousequenter, ex notando tertio, liae minus resi- stitivae. De actiono vero frigoria et siccitatis contra resistentiam ca¬ loria et humoris, id vicìctur diffioilius ; quia humiditas et siccitas, ex dictis, sunt minus activae illis. Tamen adirne conclusio est vera: idest quoad actionem illarum simpliciter ; modo sint in proportene maioris inaequalitatis, idest ut, verbigratia, 5 voi G gradua frigoria vel sic¬ citatis agant in 3 vel 4 gradua caloria vel humiditatis, ad hoc ut possit io fieri actio : nani semper est maior resistentia liarum. Licet enim diutissime istae resistant, tamen aliquando superantur. Et sic, simpli¬ citer, actio illarum dicitur maior liarum resistentia. Obiicies : supra, in notabili tertio, dixisti, caloria actionem et resi- stentiam esse raaiorem frigoria ; similiter, humiditatis actionem et resistentiam maiorem esse actione et resistentia siccitatis: ergo est contradictio, si hic dicimus, actionem cuiuscunque superare resisten- tiam contrarii. llesponcleo, nullam esse contradictionem. Nani hic lo- quimur simpliciter, et dicimus actionem simpliciter cuiuscunque su¬ perare resistentiam contrarii, modo fiat actio in debita proportene : 20 sed cum hoc stat, ut activitas et resistentia caloris in suo genere, de quibus loquebamur in notabili tertio, sit maior; quia magis accedit ad summum, cum breviori tempore calor et humiditas introducant suam latitudinem, quam frigiditas et siccitas suam. At in casu nostro praesenti non dicimus, actionem esse maiorem in genere, sed simpli¬ citer ; quia, tandem, contrariali! resistentiam superat. Quod tantum abost ut repugnet dictis notabili tertio, ut etiam maxime faveat: quia dicere, actionem frigidi et sicci longissimo tempore tandem su¬ perare resistentiam caloris et humoris, est dicere, minimam esse actionem frigoria et siccitatis in suo genere, idest in accessi! ad sum- so munì, et maximam in suo genere esse resistentiam caloris et humoris. Nam maxima resistentia, in suo genere, non potest vinci nisi a mi¬ nima actione in suo genere. Et explicatur exemplo alicuius exercitus, qui longissimo tempore alteri resisterei, sed tandem vinceretur : tunc enim diceremus, activitatem vincentis esse parvam, et resistentiam vieti magliaio; simul etiam diceremus, simpliciter, cum ille vincatur, 3 . ille — 7 - 8 . idest actionem —• 177 1U VENI LIA. %* Imbuisse miuorem resisteutiam quam sit victoris activitas. Idem pos¬ se! declarari exemplo inarmoris et guttariiiu cadentium et illud excavantiuni. Nota, 5°: si fiat comparatio tertio modo, dico cani esse impossi- bilem. Nani, si resistentia unius cpialitatis cum propria actione con- feratur, altero ex liis duobus modis conferri debet : primo, valendo THEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI» SOLIDORUM. % f . Ki ** . •• - - » AVVERTIMENTO. < Queste sono alcuno Proposizioni attenenti al centro di gravità de i solidi, » le quali in sua gioventù andò ritrovando il nostro Accademico, parendogli che » quello die in tal materia havova scritto Federigo Comandino non mancasse di » qualche imperfezzione. Credette dunque con queste Proposizioni, che qui vedete > scritte, poter supplire a quello che si desiderava nel libro del Comandino ; . > & applicossi a questa contemplazione ad instanza dell’ Illustrissimo Sig. marchese » Quid’ Ubaldo dal Monte grandissimo matematico de’ suoi tempi, come le diverse » sue opere publicate ne mostrano; & a quel Sig. no dette copia, con pensiero > di andar seguitando cotal materia anco ne gli altri solidi non tocchi dal Co- > mandino. Ma incontratosi dopo alcun tempo nel libro del Sig. Luca Valerio, » massimo geometra, e veduto come egli risolve tutta questa materia senza niente » lasciar in dietro, non seguitò più avanti, ben che le aggressioni sue siano per > strade molto diverse da quelle del Sig. Valerio. > Ai teoremi che seguono, nessuna introduzione migliore di queste parole clic Galileo mette in bocca al Salviati in sulla fine del Dialogo Quarto delle < Nuove Scienze >, (1) e che precedono la < Appcndix, in qua continentur Theoremata, > eorumque deinonstrationes, quae ab eodein Autore circa centrimi gravitatis 0 » solidorum olim conscripta fuerunt >. Nò altro avremmo voluto aggiungere dal canto nostro, se per più rispetti non ci fosse sembrato opportuno di suffragare con prove V asserto di Galileo, e di determinare un po’ meglio il posto che a questi teoremi deve essere assegnato tra le Opere di lui, giustificando in pari tempo il luogo die, seguendo l’ordine cronologico, ad essi qui diamo. (') Dintorni e dimostrazioni matematiche intorno a una Appendice del Centro di gravità d'alcuni Solidi, duo. nuove scienze attenenti alla Mecanica et i Movi * In Loida, appresso gli lìlsovirii. M.D. C.XXXV11I, menti Locali, del signor Galileo Galilei, ecc. Con pag. 288. 182 AVVERTIMENTO. Afferma per verità il Yiviani elio s’ applicò Galileo «alla contemplazione del > centro di pravità de’ solidi, per supplire a quel che ne aveva già scritto il Co- » mandino; e di ventiquattro anni di sua età invento quello che in tal materia > si vede scritto nell’Appendice impressa alla line de’suoi Dialoghi dello due > nuove scienze >; {1) secondo la quale asserzione, dovrebbero tali studi assegnarsi all’anno 1588. Ma questa data viene contraddetta da altre circostanze, principa¬ lissima fra tutte la dichiararono fatta da Galileo stesso nella lettera ad Elia Diodati, del 0 dicembre 1030, nella quale scrivo: < Manderò quanto prima una > appendice d’ alcuno dimostrazioni di certe conclusioni de centro gravitatiti soli - > donnoy trovate da me essendo d’ età di 21 anno o di 2 di studio di geometria >. (s) Notando, per incidenza, clic rimane por tal modo conformato quanto narra il Viviani stesso, vale a diro che Galileo sarchile stato introdotto nello studio della geometria quando < già aveva compiti i diciannove anni >, (1) ci paro di non poter rifiutar fede all’affermazione così esplicita del nostro Autore, o di dover quindi assegnare questi suoi studi all’ anno 1585, por quanto in tal modo venga ad alterarsi queir ordine cronologico dei lavori galileiani, il quale finora ora stato universalmente accettato por vero. Oltre clic al marchese Guidobaldo Del Monte, come afferma Galileo, aveva egli anòora, ed anzi prima clic ad esso, data comunicazione di questi teoremi al 1\ Cristoforo Clavio, al quale no lasciò altresì una parto in occasione del primo viaggio da lui compiuto a Roma nella seconda metà dell’ anno 1587. Questa cir¬ costanza, od il carteggio da Galileo tenuto intorno a cosiffatti argomenti, oltre elio con i due sunnominati, anche con Michele Coignet di Anversa nei primi mesi (lei successivo anno 1588, determinano con tutta la esattezza desiderabile il tempo al quale questi studi devono farsi risalire, o che rimane confermato da altro docu¬ mento del quale diremo fra poco. Di questi teoremi, alcuni (lei quali oblierò adunque una certa diffusione, manca l’autografo; c dei parecchi esemplari, che n’andarono attorno mano¬ scritti, giunse sino a noi soltanto uno, conservatoci, tra le carte di Giovanni Vincenzio Tinelli, nel cod. miscellaneo A. 71 Inf. della Biblioteca Ambrosiana, intitolato « Tinelli Collectanea ». Questo esemplare contiene soltanto l’ultimo dei teoremi col lemma ad esso relativo, c in capo ad essi l’attribuzione < di Vinc.° Galilei » ; nell indice, però, premesso al codice, e in cui la erronea attri¬ buzione era ripetuta, già una mano del tempo corresse < Galilei do Galileis > 0) Fonti Consolari delV Accademia Fiorentina di Salvino Salvint, gcc. In Firenze, MDCCXVII, noli* stamperia di S. A. K. per Gio. Gaetano Tarimi o Santi Franchi, png. 403. O Biblioteca Nazionale di Firenze. — Mss. Gali¬ leiani, Far. V, Tomo VI, car. 73 u. W In una prima stesura del suo racconto iste¬ rico della vita di Qalii.ro. scrisse nor vorità il Vi- viani: « che giA avova compiiti i 22 anni * (Fanti Consolari dell'Accademia Fiorentina di SALVINO SAL¬ VIMI, ecc. pag. 401); ma fa parto di alcuno poste¬ riori correzioni (assai probabilmente suggerito dalla lettera surriferita, che fu nota al Viviani, poichò ci venne conservata in copia di sua mano), il cambia¬ mento (lol • 22 „ in ■ 10 .. Cfr. Mss. Gal., P. I, T. I, car. 31 r. AVVERTIMENTO. 183 in luogo di < Vincentii de Galilei» ». — Dopo il teorema sono trascritte le seguenti attestazioni : « Fassi fede per me Giovanni Bardi de’Conti di Vernio, come le presenti con- » clusioni e dimostrationi sono state ritrovate da M. Galileo Galilei ; e in fede ò » latto la presente questo di dodici di Decembro 1587, marni propria. > Io Gio. Batta Strozzi affermo il medesimo; e in lede mi sono sottoscritto » di mia mano. > Io Luigi di riero Alamanni affermo il medesimo ; et in lede ho soscritto di > mia propria mano cpiesto dì 12 Decembre 1587. » Io Gio. Batta da Ricasoli Baroni confermando il medesimo mi sottoscrivo » di man propria il dì 12 detto 1587. » Adì 29 di Decembre del 1587. > Io Gioseppe Moleto, Lettor publico delle Mathematiche nello Studio di Va- » dova, dico liaver letto i presenti Lemma et Theorema, i quali mi son parai » buoni, c stimo V autor (Vessi esser buono et esercitato Geometra. > Il medesimo Gioseppe ha scritto di man propria. » Questi documenti, e V essere la copia Ambrosiana tra le carte del Vinelli, man¬ cato a’ vivi nel 1001, ci tolgono ogni dubbio eli’ essa non rappresenti la forma pri¬ mitiva di tali studi giovanili del Nostro. Pur troppo però essa contiene soltanto, come si disse, l’ultima parte dell’opera; così clic per il rimanente fummo costretti ad attenerci unicamente alla edizione dei Dialoghi delle < Nuove Scienze >, nei quali per la prima volta Galileo dava alla luce nel 1G38 questi teoremi, sebbene, come è assai verosimile, egli dovesse allora ritoccarne alquanto il primo getto, clic risaliva a cinquanta e più anni addietro. L’ edizione Leidense volemmo però riprodotta fedelmente, anche in certe incostanze della grafia, salvo bensì il cor¬ reggere gli errori di stampa, i quali notammo a piò di pagina. Nò tenemmo conto delle correzioni ed aggiunte con cui, di mano di Vincenzio Viviani, è postillato un esemplare di tale edizione che fa parte della Collezione Galileiana nella Bi¬ blioteca Nazionale di Firenze (Var. V, T. IX) ; poiché queste non possono rappre¬ sentare elio ulteriori modificazioni, suggerite dall’Autore negli ultimi anni della sua vita; e profittandone noi ci saremmo anche di più allontanati da quella forma primitiva del 1585, la quale sarebbe stato nostro desiderio poter qui riprodurre. Facendo, invece, tesoro del testo Ambrosiano, ci parve opportuno presentarlo al lettore in maniera clic agevolmente potesse farsi il confronto col testo posteriore, dandogli luogo, nella medesima pagina, sotto a questo, ormai dovuto seguire per tutto quanto precede. Nifi Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze, ad una copia i. 22 184 AVVERTIMENTO. dell* esemplare Ambrosiano, fatta da G. B. Venturi, ò allegata una lettera senza firma nò data (P. V. T. II, car. G), che, conforme si legge, di mano di Galileo, sul tergo del foglio, contiene un < Giudizio sopra una mia Prop.“ tì fatto in Bo¬ logna >, la quale proposizione ò appunto quella del surriferito esemplare. Anche questo documento (l) stimiamo di dover qui appresso pubblicare: < Molto 111/ 0 Sig/° > Il mio amico loda infinitamente lo inventore di questa speculatione, et insieme » col sig r . Meleto lo judica molto versato nelle matematiche. Et solo per mostrar > ch’egli l’habbia veduta, quanto al Lemma, egli dice che pare che gl’antecedenti > et conseguenti nella construttiono si varijno da quello che erano nella proposta. > Et ben che questo lemma non sia il medesimo con la nona d’Archimede, nel 2° trat- > tato del Tartaglia, par non di meno nato di là et sotto la forma di quella pro- > positionc constretto, et simile ad una propositione che egli già molti anni fece, > nella quale, si come Archimede toglie i duo quinti della massima et l’amico di V. S. > un quarto, egli toglieva un ottavo, seguendo, ne l’altre, consimili proportionalità, > nel lor genere. Et dice non esser molta fatica, seguendo la forma d’ Archimede, > formarsene assaissimo. > Quanto al Teorema, egli dubita se il centro del pezzo della piramide sia il > punto o: per ciò che, stando la deflmitione del centro delle gravità [dei ] corpi posta » da Pappo et adoprata dal marchese Del Monte nelle Mecaniche, non segue che > so per lo centro o supposto passerà un piano, quel pezzo si divida in due parti > ugualmente pesanti, come dovria quando fosse veramente il centro. Et il Coman- > dino, che la medesima materia tratta nel libro De centro gravium alla xxvi pro- > positionc, molto più s’accosta a trovar il centro, clic non par clic faccia questa demonstratione, quantunque da quella del Comandino non sia molto differente. » Et questo ò quanto egli a bocca mi riferisce; et io lo bacio la mano >. Circa l’autore di questa lettera, non siamo in grado di formare alcuna ipo¬ tesi attendibile. li) Nell’ indice premesso al volume dei Manoscritti Galileiani che la contiene ò scritto bensì < Lettera autografa del Marsili, nella quale si dà raggua¬ glio del giudizio fatto in Bologna sopra questa proposizione di Galileo > ; ma tale indicazione è evidentemente erronea: infatti questa lettera non ò di certo posteriore all’ anno 1588; ed il solo Marsili di Bologna, col quale Galileo sia stato in relazione, fu Cesare, nato il 1° febbraio 1592. Kdito in Galileo Galilei e lo Studio di Bologna por Antonio Favaro: negli Atti del 11. Utituto Veneto di Scienze, Lettere ed Ani; Scr. V, T. VII* pag. 7C5. ( 2 > Forse potrebbe essere di quel Giovanni Dàt.- l'Akmt, senatore bolognese, al qualo, come sappiamo, era stata raccomandata la istanza con cui Gami.ro aspirò alla lettura matematica nello Studio di Uolo- gua nell’anno 15S7. Cfr. Galileo Galilei c la Studio di l*ndova per Antonio Fava ito. Voi. I. Firenze, Suc¬ cessori Lo Mounier, 18S3, pag. AVVERTIMENTO. 185 Quanto poi all’autore del giudizio riferito in detta lettera, crediamo proba¬ bilissimo essere egli stato Pietro Antonio Cataldi, lettore di matematica nello Studio di Bologna fin dall’ anno 1582 e che occupò quella cattedra senza alcuna interruzione fino al 1G2G. Da tutto ciò noi siamo indotti a pensare che quello stesso documento conte¬ nente il giudizio del Moleto sia stato mandato al Cataldi, c che Galileo nel sot¬ toporre quella sua dimostrazione ai lettori di matematica dei due principali Archiginnasi italiani d’ allora, non mirasse soltanto ad avere il loro parere, ma ancora cercasse di farsi conoscere in quei celebratissimi centri di studio, con lo scopo di ottenervi una cattedra. THEOHEMATA CIRCA CERTI!UM GRAVITATIS SOLIDORUM. rOSTULATUM. rotimus, acquai imn ponderimi similiter in diversi» libris disposi- torum, si borum quidem compositorum centrami gravitati» libra-m se- cundum aliquam rationem diviscrit, et illoruin etiam gravitatis ccn- trum libram secundum eandern rationem dividere. Lemma. Sit linea ab bifariam in c scota, cuius medietas ac divisa sit in e; io ita ut quain rationem liabet he ad ea, a c c b hanc luibeat ac ad cc. Dico, he ipsius ea 1 duplam esse. Quia enim ut he ad ea, ita ea ad ec, erit, componendo et permutando, ut ha ad ac, ita ae ad ec; est autem ut ae ad ec, nempe ut ha ad ac, ita he ad cu: quare he ipsius ea dupla est. His positi» demonstratur : Si magnitudines quoteunque sese acquali ter excedenics, et quorum excessus earum minimac sint aequalcs, ita in libra disponantur, ut ex distantiis aequalihus pendeant, centrum gravitatis omnium libram ita dividere, ut pars versus minores reliquae sit dupla. In libra itaque ah ex distantiis aequalibus pendeant quoteunque 20 numero magnitudines f, g, h, k, n, quales dictum est, quarum mi- 15 . qiiocunquc — 18S THEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIDORUM. nima sit n ; sintque puncta suspensionum a, c, (1,0,1), sitquo omnium magniti!dinum sic dispositarum gravitati cent rum x. Ostendendum est, partem librae bx, versus minores magnitudines, reliquae xa du- plam esse. Dividatur libra bifariam in pnncto d, quod vel in aliquo puncto Buspensionum, vel in duarum suspensionum medio cadet necessario; re- , liquae vero suspensionum a m c xi d (■ J> . A distantiae, quae mter a et d intercipiuntur, ornnes bi¬ fariam dividantur punctis io vi, i; magnitudines deinde ornnes in partes ipsi n ae- quales dividantur : erunt iam partes ipsius f tot numero, quot sunt quae ex libra pendent magni¬ tudines; partes vero ipsius g ei’unt una pauciores; et sic do reliquis. Sint itaque ipsius f partes n,o,r,s,t; ipsius g vero, n,o,r,s; ipsius li quo¬ que, n, o,r; ipsius denique h sint n, o : eruntque magnitudines ornnes in quibus n, ipsi f aequales ; magnitudines vero ornnes in quibus o, ipsi g aequales ; et magnitudines in quibus r, ipsi li ; illae autem in quibus s, ipsi k; et magnitudo t ipsi n aequalis est. Quia igitur 20 magnitudines ornnes, in quibus n, inter se sunt aequales, aeque pon- derabunt in signo d, quod libram ab bifariam dividit; et eandem ob causami omnes magnitudines, in quibus 0, aeque ponderant in i; illae autem in quibus r, in c ; et in quibus s, in m aequo ponde¬ rant ; t autem in a suspenditur. Sunt igitur in libra ad, ex distantiis aequalibus d, i, c, ni, a, suspensae magnitudines sese aequalitcr ex- cedentes, et quarum excessus minimae aequatur : maxima autem, quae est composita ex omnibus n, pendet ex d ; minima, quae est t, pen- det ex a; et reliquae ordinate dispositao sunt. Estquo rursus alia libra ab ; in qua magnitudines aliae, praedictis numero et magnitu- 30 dine aequales, eodem ordine dispositao sunt : quare libi'ao ab, ad a eentris omnium magnitudinum secundum eandem rationem dividen- tur. Est autem centrimi gravitatis dictarum magnitudinum x: quare x dividit libras ha, ad sub eadem ratione, ita ut sieut bx ad xa, ita xa ad xd ; quare bx dupla est ipsius xa, ex lemmate supra posito. Quod erat probandum. 18. f aequatur — 19. g aequatur — 27. minime — »■ o r li TIIEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI® SOIJDORUM. 189 Si conoidi parabolico figura inscribatur , et altera circumscribotur ex cylindris acquatevi altitudinem habentibus, et axis didi conoidis dividitur ita ut pars ad vcrticem partis ad basin sii dupla ; centrimi gravitatis inscriptae figurae basi portionis, elido puncto divisionis, crit propinquius ; centrimi aidem gravitatis circuinscriptae a basi conoidis eodem puncto erit remotius ; critque utronmquc centroi'um a tali puncto distantia aequalis lincae, quae sit pars sexta altitudinis unius cylindri ex quibus fìgurae Constant. Sit itaque conoidale parabolicum, et fìgurae quale® dictae sunt : io altera sit inscripta, altera circumscripta ; et axis conoidis, qui sit ae, dividatur in n, ita ut an ipsius ne sit dupla. Ostendendum est, cen- truin gravitatis inscriptae fìgurae esse in linea ne, circumscriptae autem centrum esse in an, Secentur fìgurae ita dispositae plano per axem, et sit sectio parabola?, bac ; plani autem socantis, et basis co¬ noidis, sectio sit he linea ; cylin- drorum autem sectiones sint rec- tangulae fìgurae: ut in descrip- tione apparet. Primus itaque cy- lindrus inscriptorum cuius axis co est de, ad cylindrum cuius axis est dy, eandem habet rationem quam quadratum id ad quadra¬ timi sy, hoc est quam da ad ay; cylindrus autem cuius axis est dy ad cylindrum yz est ut sy ad rz potentia, lioc est ut ya ad az; et eadem ratione cylindrus cuius axis est zy; ad eum, cuius axis est zu, est ut za ad au. Dicti itaque cylindri sunt inter se ut lineae da, ay, so za, au : istae autem sunt sese aequaliter excedentes, et est excessus aequalis minimae, ita ut az dupla sit ad au ; ay autem eiusdem est tripla, et da quadrupla. Sunt igitur dicti cylindri magnitudines quae- dam sese ad invicem aequaliter excedentes, quarum excessus aequan- tur earum minimae; et est linea am, in qua ex distantiis acqualibus suspensae sunt (unumquodque enim cylindrorum centrum gravitatis liabet in medio axis) : quare, per ea quae superius demonstrata sunt, centrum gravitatis magnitudinis ex omnibus compositae dividet li- 190 THEO REMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIDORUM. nearn xm, ita ut pars ad x reliquao sit dupla. Dividatur itaque, et sit x» ipsius txm dupla ; est ergo a centrimi gravitata inscriptae figu- rae. Dividatur au bifariam in e; erit ex dupla ipsius me: est autem xr>. dupla ipsius am; quare ee tripla erit e». Est autem ac tripla ipsius cn ; constat ergo, cn maiorem esse quani ca, et ideo <*, quod est centrum figurae inscriptae, magis accedere ad basili conoidis quam n. Et quia est ut ac ad cn ita ablatum se ad ablatum Ca, erit et reliquuin ad reliquum, idest az ad na , ut ac ad cn. Est ergo an tertia pars ipsius a~-, et sexta ipsius au. Eodem autem pacto cylindri cireumscriptae figurae demonstrabuntur esse sese aequaliter excedentes, et esse excessus aequa- io les minimo, et liabere in linea sin centra gravitatimi in distantiis aequalibus. Si itaque dividatur s vi in r., ita ut zn reliquao v.m sit du¬ pla, erit ir centrum gravitatis totius cireumscriptae magnitudini : et, cum stc dupla sit ad ir ni, az autem minor sit quam dupla ad em (cum ei sit aequalis), erit tota ac minor quam tripla ipsius ; quare ck maior erit ipsa cn. Et cum em tripla sit ad «ut, et me cum duabus su similiter tripla sit ad me, erit tota ac cum az tripla ad eir. Est au¬ tem ae tripla ad cn ; quare reliqua ae reliquao ir n tripla erit. Est igitur «ir sexta pars ipsius au. llacc autem sunt, quae demonstranda fuerunt. . 20 Ex bis manifestimi est, posse conoidi parabolico figuranti inscribi, et alteram circumscribi, ita ut centra gravitatimi carum a puncto n minus quacunque proposita linea distent. Si enim sumatur linea pro- positac lineae sexeupla, fiantque cylindrorum axes, ex quibus llgurao componuntur, hac sumpta linea minores ; erunt, quae inter barimi figurarmi! centra gravitatimi et signuni n cadunt lineae, proposita linea minores. Aliter idem. Axis conoidis, qui sit cd, dividatur in 0, ita ut co ipsius od sit du¬ pla. Ostendendum est, centrimi gravitatis inscriptae figurae esse in 30 linea od; cireumscriptae vero centrum esse in co. Secentur figurae plano per axem et c, ut dietimi est. Quia igitur cylindri sn, tm, vi, xc sunt inter se ut quadrata linearum sd, tn, vni, xi; baec autem sunt inter se ut lineae ve, cm, ci, ce ; hae autem sunt sese aequaliter exce- 4. est autem «e—5. quam ex — TIIEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOEIDORUM. 191 dentes, et excessus aequantur minimae, nempe ce; estque cylindrus tm cylindro qn aequalis; cylindrus autom vi ipsi pn, et xe ipsi In aequa- tui’ ; ergo cylindri sn, qn, pn, In sunt sese aequaliter excedentes, et excessus aequantur minimo eorum, nempe cylindro In. Est autem ex¬ cessus cylindri sn super cylindrum qn anulus, cuius altitudo est qt, lioc est nd, latitudo autem sq; excessus antem cylindri qn super pn est anu¬ lus, cuius latitudo est qp ; excessus io autem cylindri pn super In est anu¬ lus, cuius latitudo pi. Quare dicti anuli sq, qp, pi sunt inter so aequa- les et cylindro In. Anulus igitur st aequatur cylindro xe; anulus qv, qui ipsius st est duplus, aequatur cylin¬ dro vi, qui similiter cylindri xe du¬ plus est ; et eamdem ob causam anulus px cylindro tm, et cylindrus le cylindro sn aequalis erit. In libra ita- 20 que kf, puncta media rectarum ei, dn connectente, et in partes aequales punctis h, g secta, sunt magnitudines u s q p quaedam, nempe cylindri sn, tm, vi, xe; et gravitata centrum primi cylindri est k, secundi vero est li, tertii g, quarti f. Habemus autem et aliam libram mk, quae est ipsius fk di- midia, totidemque punctis in partes aequas distributa, nempe mh, hn, nk; et in ea aliae magnitudines, illis quae sunt in libra fk numero et ma¬ gnitudine aequales, et centra gravitatoli in signis m, li, n, k baben- tes, et eodem ordine dispositae, sunt. Cylindrus enim le centrum gra- so vitatis liabet in m, et aequatur cylindro sn centrum habenti in k ; anulus vero px centrum liabet h, et aequatur cylindro tm cuius cen¬ trum est h; et anulus qv, centrum babens n, aequatur cylindro ni, cuius centrum est g ; et denique anulus st, centrum babens k, aequatur cylindro xe, cuius centrum est f. Igitur centrum gravitati s dictarum magnitudinum libram dividet in eatlein ratione : earumdem vero unum est centrum, ac propterea punctum aliquod utrique librae commune, quod sit y. Itaque fy ad yli erit ut ky ad ym; est ergo fy dupla i, 23 102 THEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI» SOLIDO RUM. ipsius yl; ; et, divisa ce Infarinili in z, erit zf dupla ipsius kd, ac pro- pterea zd tripla ipsius dy. Rectae vero do tripla est cd : maior est ergo recta do, quam dy ; ac propterea y centrimi inserìptae magis ad basili acccdit, quam punctum o. Et, quia, ut cd ad do, ita est abla- tum zd ad ablatum dy, erit et reli (punii cs ad reliquum yo, ut cd ad do: riempe yo tertia pars erit ipsius cz, hoc est pars sexta ipsius cc. Eadem prorsus ratione demonstrabimus, cylindros circumscriptae figurae seso acqualiter exccderc, et esse excessus aequales minimo, et ipsorum centra gravitatuni in distantiis aequalibus librae kz con- stituta ; et, pariter, anulos iisdem cylindris aequales similiter disponi in io altera libra kg, ipsius kz diiuidia; ac propterea circumscriptae gravi¬ tati centrimi, quod sit r, libras ita dividere, ut zr ad rie sit ut kr ad rg. Erit ergo zr dupla ipsius rk ; cz vero rectae kd aequalife est, et non dupla: erit tota cd minor quam tripla ipsius dr; quare recta dr maior est quam do : scilicot centrimi circumscriptao a basi magis re- cedit, quam punctum o. Et quia zk tripla est ad kr, et kd cum dua- bus zc tripla ad kd, erit tota cd cum cz tripla ipsius dr. Est autem cd tripla ad do: quare reliqua cz reliquae ro tripla erit; scilicet or sexta pars est ipsius ec. Quod est propositum. His autem praedemonstratis, demonstratur, centrimi gravitatis pa- 20 raboliei conoidis axem ita dividere, ut pars ad verticem reliquae ad basili sit dupla. Esto parabolicum conoidale, cuius axis sit ab, divisus in n ita ut an ipsius nò sit dupla. Ostendendum est, centrum gravitatis conoidis esse n punctum. Si enim non est n, aut infra ipsiun, aut supra ipsum, erit. Sit, primum, infra, sitque x; et exponatur linea lo ipsi nx aeqna- lis, et lo contingenter dividatur in s; et quam rationem habet utra- que simili bx, os ad os, hanc liabeat conoidale ad solidum r ; et inscri- batur conoidi figura ex cylindris aequalem altitudinem liabentibus, ita ut quae inter illius centrum gravitatis et punctum n intercipitur, so minor sit quam Is; excessus autem, quo a conoide superatili’, minor sit solido r. Hoc autem fieri posse, clarum est. Sit itaque inscripta, cuius gravitatis centrum sit i: erit iam ix maior so; et quia est, ut xb cum so ad so, ita conoidale ad r (est autem r maius excessu quo conoidale figuraci inscriptam superat), erit conoidalis ad dictum ex- cessum proportio, maior quam utriusque bx, os ad so; et, dividendo, figura inscripta ad dietimi excessum maiorem rationem liabebit quam THEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIRORUM. 193 bx ad so. Habet autem bx ad xi proportionem adbuc minorem quam ad so : inscripta igitur figura ad reliquas portiones multo maiorem proportionem liabebit quam bx ad xi. Quam igitur proportionem lia- bet inscripta figura ad reliquas portiones, alia quaedam linea lia¬ bebit ad xi: quae necessario maior erit quam bx. Sit igitur nix. Ha- bemus itaque centrum gravitata io conoidis x ; figurae autem in ipso inscriptae centrum gravitati? est i: reliquarum ergo portionum, quibus conoidale inscriptam figuram exce- dit, gravitatis centrum erit in linea xm, atque in eo ipsius puncto in quo sic terminata fuerit ut, quam pro¬ portionem babet inscripta figura ad excessum quo a conoide supo- ratur, eandem ipsam habeat ad xi. Ostensum autem est, banc pro¬ portionem esse illam quam habet nix ad xi; erit ergo m gravitatis 20 centrum earum portionum quibus conoidale exccdit inscriptam figu¬ ram : quod certe esse non potest ; nam, si per m ducatur planum basi conoidis aequidistans, erunt omnes dictae portiones versus eandem partem, nec ab eo dividentur. Non est igitur gravitatis centrum ipsius conoidis infra punctum n. Sed neque supra. Sit enim, si fieri potest, li; et rursus, ut supra, exponatur linea lo aequalis ipsi hn, et contin¬ gente!' divisa in s ; et quam proportionem habet utraque sinud bn, so ad si, banc habeat conoidale ad r; et conoidali ciroumscribatur figura ex cylindris, ut dictum est, a qua minori quantitate exceda- tur, quam sit solidum r; et linea inter centrum gravitatis circum- so scriptae et signum n sit minor quam so: erit residua uh maior quam Is; et quia est, ut utraque bn, os ad si, ita conoidale ad r (est autem r maius excessu quo conoidale a circumscripta superatili'), ergo bn, so ad si minorem rationem babet quam conoidale ad dictum excessum. Est autem bu minor quam utraque hn, so ; uli autem, maior quam sì : multo igitur maiorem rationem liabct conoidale ad dictas portiones, 19. nix ac xi — 20. earum proporlionum — 22. dictae jwojtortioncs — 27. conoidale circuiti scribatnr — 35. dictas proportioncs —* a 194 THEO REM AT A CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOEIDORUM. quam bu ad vii. Quam igitur rationem habet conoidale ad easdem portiones, liane habebit ad uh linea maior ipsa he. Ilabeat, sitque ea mu; et, quia centrnm gravitato circumscriptae figurae est u, centrum vero conoidis est h, atque est ut conoidale ad residuas por¬ tiones ita mu ad uh, erit m centrum gravitato residuarmn portionum: quod similiter est impossibile. Non est ergo centrum gravitatis co¬ noidis supra punctum n: sod demonstratum est, quod neque infra: restat ergo ut in ipso n sit necessario. Et eadem ratione demonstra- bitur de conoide plano super axe non erecto. secto. Àliter, idem, ut constat in sequenti, centrum gravitatis conoidis parabolici inter cen- io trum circumscriptae figurae et centrum inscriptae cadit. Sit conoidale, cuius axis ab; et centrum circumscriptae sit c, in¬ scriptae vero sit o. Dico, centrum conoidis inter c, o puncta esse. Nani, si non, infra vel supra vel in altero eorum erit. Sit infra, ut in r : et, quia r est centrum gravitatis totius conoidis, inscriptae autem figurae est gravitatis centrum o, reliquarum ergo portionum, quibus inscripta figura a conoide superatur, centrum gravitatis erit in linea or ad partes r extensa, atque in eo puncto in quo sic terminatili’, ut quam rationem liabent dictae portiones ad inscriptam, eandem liabeat or ad lineam 20 inter r et punctum illud cadentem. Sit liaec ratio illa quam habet or ad rx. Aut igitur x cadet extra conoidem, aut intra, aut in ipsa basi. Si vel extra, vel in basi cadat, iam ma- nifestum est absurdum. Cadat intra: et, quia xr ad ro est ut inscripta figura ad excessum quo a conoide superatur, rationem illam quam liabet Ir ad ro, eandem liabeat inscripta figura ad solidum k, quod necessario minus erit dicto excessu ; et inscribatur alia figura, quae a conoide superetur minori quantitate quam sit k, cuius so gravitatis centrum cadet intra oc. Sit u: et, quia prima figura ad k est ut br ad ro, secunda autem figura, cuius centrum u, maior est prima, et a conoide exceditur minori quantitate quam sit le, quam rationem habet secunda figura ad excessum quo a conoide superatur, liane ha- bebit ad ru linea maior ipsa br. Est autem r centrum gravitatis co- 1-2 . easdem jyroportioms —4-5. residuas proportionea —16. ergo proportionmn —19. dictae proportiones — 31. hi fra oc — THEO REMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIDORUM. 195 noidis ; inscriptae autem secundae, u : ceutrum ergo reliquarum por- tionum erit extra conoidem, infra b; quod est impossibile. Et eodein pacto demonstrabitur, centrimi gravitata eiusdem conoidis non esse in linea ca. Quod autem non sit alterimi punctorum c, o, manifestimi est. Si enim dicas esso, descriptis aliis figuris, inscripta quidem inaiori illa cuius centrimi o, circumscripta vero minore ea cuius ceutrum c, centrimi conoidis extra barimi 'figurarmi! centrum caderet; quod nuper, impossibile esse, conclusimi est. Restat ergo ut inter centrimi circum- scriptae et inscriptae figurae sit. Quod si ita est, necessario erit in io signo ilio, quod axem dividit ut pars ad verticem reliquae sit dupla Cum enim circumscribi et inscribi possint figurae, ita ut quae inter ipsarum centrimi et dietimi signum cadunt lineae, quacunque linea sint minores, aliter dicentem ad impossibile deduceremus: quod, sci- licet, centrum conoidis non intra inscriptae et circumscriptae centra caderet. Si fuerint tres lineae proportionales, et quam proportionem habet mi¬ nima ad excessum quo maxima minimum superai, eandem liabeat linea quaedam sumpta ad duas tertias excessus quo maxima mediani supei-at ; et, itemi, quam proportionem habet composita ex maxima et dupla mediae ad 20 compositam ex tripla maximac et mediae, eandem habuerit alia linea sumpta ad excessum quo maxima mediani cxcedit; erunt ambac lineae sumptac simul, tertia pars maximae proportionalitm. Sint tres lineae proportionales ab, be, bf : et quam proportionem habet bf ad af, liane habeat ms ad duas tertias ipsius ca ; quam vero proportionem habet composita ex ab et dupla bc ad compositam ex tripla utriusque ab, bc, eandem habeat alia, nempe sn, ad ac. Demon- strandum est, mn tertiam esse partem ipsius ab. Quia itaque ab, bc, bf sunt proportionales, erunt etiam ac, cf in eadem ratione : est igitur ut ab ad bc, ita ac ad cf ; et ut tripla ab ad triplani bc, ita ac ad cf. 30 Quam itaque rationem habet tripla ab cum tripla bc ad triplam cb, liane habebit ac ad lineam a 0 „ f i, minorem ipsa cf. Sit illa co. Quare, componendo et per - -*-* conversionem proportionis, oa ad ac eandem habebit rationem, quam tripla ab cimi sexcupla bc ad triplani ab cum tripla bc: habet autem ac 1-2. proportionum — 2. conoides — 11 cum n circumscribi — 1% THEOREMATA CIRCA CENTRUM ORAVITATIS SOLIDORUM. ad sn oandem rationem quam tripla ab cura tripla bc ad ab cura dupla bc : ex aequali igitur oa ad ns eandem liabebit rationem, quam tripla ab cura sexcupla bc ad ab cum dupla bc. Yerum tripla ab cura sexcupla bc triplae sunt ad ab cura dupla bc; ergo ao tripla est ad sn. Rursus: quia oc ad ca est ut tripla cb ad triplani ab cum tripla eh ; est autera sicut ca ad c.f, ita tripla ab ad triplani bc ; ex aequali, ergo, in proportione perturbata, ut oc ad cf, ita erit tripla ab ad triplani ab cura tripla bc, et, per convorsionem rationis, ut of ad fc, sic tripla bc ad triplani ab cum tripla bc. Est autem, sicut cf ad fb, ita ac ad cb, et tripla ac ad triplani bc; ex aequali igitur, in propor- io tione perturbata, ut of ad fb ita tripla ac ad triplani utriusque si- mul ab, bc. Tota igitur ob ad bf erit ut sexcupla ab ad triplani utriusque ab, bc; et, quia fc, ca in eadem sunt rationo et cb, ba, erit sicut fc ad ca, ita bc ad ba, et, componendo, ut fa ad ac, ita utra- que ba, bc ad ba, et sic tripla ad triplani : ergo ut fa ad ac, ita com¬ posita ex tripla ba et tripla bc ad triplani ab ; quare, sicut fa ad duas tertias ipsius ac, sic composita ex tripla ba et tripla bc ad duas ter- tias triplae ba, hoc est ad duplam ba. Sed sicut fa ad duas tertias ipsius ac, ita fb ad ms ; sicut ergo fb ad ms, ita composita ex tripla ba et tripla bc ad duplam ba. Yerum sicut ob ad fb, ita erat sexcupla ab 20 ad triplani utriusque ab, bc: ergo, ex aequali, ob ad ms eandem liabebit rationem quam sexcupla ab ad duplam ba ; quare ms erit tertia pars ipsius ob. Et demonstratura est, sn tertiam esse partem ipsius ao: constat ergo, mn ipsius ab tertiam similiter esso partem. Et hoc est quod demonstrandum fuit. Cuiuslibet frusti a conoide parabolico abscissi centrum gr avita tis est in linea rada quae frusti est axis ; qua in tres aequas partes divisa, centrum gravitatis in media existit, eamque sic dividit, ut pars versus minoravi basini ad partem versus maiorem basini, eandem liabeat rationem quam inaiar basis ad basini minorem. 30 A conoide, cuius axis rb, abscissum sit solidum, cuius axis be, et pianura abscindens sit basi aequidistans ; secetur autera altero plano per axera super basili erectum, sitque sectio parabolae uve; liuius autem et plani secantis et basis sectiones sint lineae rectae Ini, uc: erit rb diameter proportionis, vel diametro aequidistans ; Ini, uc erunt 13. utriusque ab, ac — TIIHOUKMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI,S SOLIDORUM. 197 ordinatina, applicatale. Dividatur itaque eb in tres partes aequales, quarum media sit qy ; liaec autem sigilo i ita dividatur, ut, quam l'ationem habet basis cuius diameter uc, ad basin cuius diameter lm, hoc est quam liabet quadratimi uc ad quadratum lm, eandem babeat qi ad iy. Demonstrandum est, i centrimi gravitata esse frusti Ime. Expo- natur linea ns aequalis ipsi br, et sx aequalis sit er; ipsarum antem ns, sx sumatur tertia proportionalis sy; et quam proportionem liabet ng ad gs, liane babeat linea bq ad io. io Niliil autem refert, si punctus o supra vel infra Ini cadat. Et quia in sectione urc lineae Ini, uc ordinatili! sunt applicatae, erit ut quadratum uc ad quadratum lm, ita linea br ad re: est autem ut quadratum uc ad qua- dratum lm, ita qi ad iy, et ut br ad re, ita ns ad sx: ergo qi ad iy est ut ns ad sx. Quare ut qy * ----—- ad yi, ita erit utraque ns, sx ad sx, et ut cb ad gì, ita composita ex tripla ns et tripla sx ad sx: est autem ut eh ad by, ita composita ex tripla utriusque simili ns, sx ad compositam ex ns, sx : ergo ut eb 20 ad hi, ita composita ex tripla ns et tripla sx ad compositam ex ns et dupla sx. Sunt igitur tres lineae proportionales, ns, sx, gs; et quam proportionem habet sg ad gn, liane liabet quaedam sumpta oi ad duas tertias ipsius cb, hoc est ipsius nx; quam autem proportionem com¬ posita ex ns et dupla sx, ad compositam ex tripla ns et tripla sx, eandem liabet alia quaedam sumpta ib ad he, hoc est ad nx. Per ea igitur, quae supra demonstrata sunt, erunt lineae illae simul sumptae tertia pars ipsius ns, hoc est ipsius rb ; est ergo rb tripla ipsius bo: quare o erit centrimi gravitata conoidis urc. Sit autem a centrum gravitata conoidis Imi; frusti ergo ulmc centrum gravitati est in so linea db, atque in eo puncto qui illam sic terminat, ut quam rationem habet ulmc frustimi ad Imi portionem, eain habeat linea ao ad eam quae inter o et dictum punctum intercedit. Et quia ro est duae tertiae ipsius rb, ra vero duae tertiao ipsius re ; erit reliqua ao duae tertiae reliquae cb. Et quia est, ut frustimi ulmc ad portionem Imi, ita ng ad gs ; ut autem ng ad gs, ita duae tertiae eb ad oi; duabus 10. ut rs cui — ut gy— 28. autem centrum — 30. quae rationem —31. frusti ad lrm proportionem —34. proportionem lrm — 198 THEOREMATA CIRCA CENT RUM GRAVITATI» SOLIDORUM. autem tertiis ipsius cb aequalis est linea ao ; erit ut frustum ulmc ad portionem Irvi, ita ao ad oi. Constat igitur, frusti ulmc gravitati» centrimi esse punctum i, et axem ita dividere, ut pars versus mi- norem basin ad partem versus maiorom sit ut dupla maioris basis una cum minori ad duplam rninoris una cum maiori. Quod est proposi- tum elegantius explicatum. Si magnitudines quoteunque ita inter se dispositae, ut secunda addai super primam duplum primae, tedia addai, super sccundam triplani primae, quarta vero addat super tertiann quadra pluvi primae, et sic unaquacque scqncn- tiuin super sibi proximam addat mag nìtudinem primae mulliplicem scemi- u dum numerimi qucvi ipsa in ordine retinuerit ; si, inguaui, hae magnitu¬ dines ordinativi in libra ex distantiis acqualibus suspendantur ; centrum aequilibrii omnium covipositaravi libravi ila dividet, ut pars versus minores magnitudines reliquae sit tripla. Esto libra LT; et magnitudine», quale» dictum est, in ea pendeant, et sint A, F, G, II, K, quarum A ex T suspensa sit prima. Dico, centrum aequilibrii libram TL ita secare, ut pars versus T reliquae sit tripla. Sit TL tripla ad LI, et SL tripla LP, et QL ipsius LN, et LP ipsius LO ; erunt IP, PN, NO, OL aequales. Et accipiatur in F magnitudo ipsius A dupla, in G vero alia eiusdern tripla, in li eiusdem 20 quadrupla, et sic deinceps ; et sint sumptao magnitudines illao in quibus a. Et idem fiat in magnitudinibus F, G, II, Iv : quum enim in F reliqua magnitudo, nempe b, sit aequalis A, sumatur in G ipsius dupla, in II tripla ete.; et sint hae magnitudines sumptae, in quibus b : 1 0 N x 1 0 s t et eodem pacto sumantur illae, in qui- ~a T 1 ! ] a p~I'£ZrTTL 7 □ ^ )US c > in quibus d, et e. Erunt iam — % -~~ b -—— dJ A oinnes in quibus a, aequales ipsi K; — I - composita vero ex omnibus b aequa- :~zr - r — « bitur ipsi H; composita ex c, ipsi G ; _Zmr_..ì_J ex omnibus d vero composita aequa- go ■■ j ■ U bitur F ; et e, ipsi A. Et, quia TI dupla '■»— est IL, erit I punctum aequilibrii ma- K gnitudinis compositae ex omnibus a; et, similiter, cum SP ipsius PL sit dupla, erit P punctum aequilibrii compositae ex omnibus b ; et, eamdem ob causam, N erit punctum ‘J. proportionem lrm — h~ ‘b b :ztl — c ir J THEOREMA.TA CIRCA CENTRUM CIRAVITATIS SOLIBORUM, 199 aequilibrii compositae ox omnibus c; 0, vero, compositae ex il ; et L, ipsius e. Est igitur libra quaedam TL, in qua ex distantiis aequalibus pendont magnitudines quaedam K, II, 0, F, A ; et, rursus, est «alia libra LI, in qua ex distantiis similiter aequalibus pendont totidem numero magnitudines, et eodem ordine pracdictis aequales: est enim composita ex omnibus a, quae pendet ex I, aoqualis Iv pendenti exL; et composita ex omnibus b, quae pendet ex P, acquatili- II pendenti ex P ; et, similiter, composita ex c, quae pendet ox N, acquatili- G ; et composita ox d, quae pendet ex 0, aoquatur F; et e, pendens ex L, io aequalis est A. Quare librae eadem ratione a centro compositarum ma- gnitudinum dividentur : unum est autem centrum compositae ex dictis magnitudinibus : erit ergo punctum commune rectae TL et rectae LI, centrum; quod sitX. Itaque ut TX ad XL, ita erit LX ad XI, et totaTL ad LI : est autom TL ipsius LI tripla : quare et TX ipsius XL tripla erit. Si magnitudines quotetmque ita sumantur, ut scarnila addat super pri¬ mari triplum prìmac, tertia vero super secundam addat quintuplum prìmac, quarta autem super tcrtiam addat scpluplim primae, et sic deinceps unius- cuiusquc augmentum super sibi proximam proccdat multiplex prìmac ma¬ gnitudini secundum ntmeros consequenter imparcs, sicidi procedimi qua- 20 ilrata linearmi sese acqualitcr excedentium, quorum exccssus miniime sii aequalis; et in libra ex distantiis aequalibus suspendantur; omnium com¬ positarum centrum aequilibrii libram di- videt, ut pars versus minorcs magnitudines rcliquae sii maior quam tripla, eadem vero, dempta una dìstantia, ciusdcm minor sii quam tripla. Sint in libra BE magnitudines, qua- les dietimi est, a quibus auferantur ma¬ gnitudines aliquae in ter se ut quae in so praecedonti dispositae fuerunt; et sint compositae ex omnibus a: erunt re- liquae, in quibus c, eodem ordine di- stributae, sed defìcientcs maxima. Sit ED tripla DB, et GF tripla FB; erit D centrum aequilibrii compositae ex omnibus a ; F vero, compositae ex omnibus c ; quare compositae ox omnibus a, c, centrum cadet inter D a 1 * il a <4 a a a u a a a a a a a c a a a a a a a a ( a ' «i" c a a e a a u c a r « c a c a e c c < C c c e c ( c ' c i. 21 200 TI1EORUMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI,S SOLIDORUM. cfc F. Sit 0. Manifestimi itaque est, EO ipsius OH maiorem esse quam triplani; 00 vero cirindelli OH minorem osse quam triplani. Quoti do¬ ni onstranelilin orat. Si cuicumquc cono, voi coni porzioni, ex cylindris aequaJem aìtiludinem habentibus figura una inscribatur, et alierà circumscrìbatur ; itemque axis eius ita dividatur, ut pars qmc inter punetum dmsionis et verticem in- tcrcipitur, reliqnae sit tripla ; crit inscriptac fìgurae gravitatis centrimi pro- pinquius basi coni quam punetum illud dmsionis; circumscriptac vero centrimi gravitatis codoni pimelo crii vertici propinquius. Sit itaque conus, cuius axis nm dividatur in s ita ut ns reliqnae sm io sit tripla. Dico, cuiuscumque fìgurae cono, ut dietimi est, inscriptae centrimi gravitatis in axe nm consistere, ot ad basili coni magia ac¬ cedere quam s punetum; circumscriptao vero gravitatis centrimi si- militer in axe nm esse, ot vertici propinquius quam sit s. Intelligatur itaque inscripta figura ex cylindris, quorum axes me, eh, he, ca acquales sint. Primus itaque cylindrus, cuius axis me, ad cylindrum, cuius axis eli, eamdom liabet rationem quam sua basis ad basili alterius (sunt onim cornili altitudines acquales) ; baec autem ratio eadem est ei quam 20 liabet quadratimi cn ad quadratum nò. Et si- militer ostcndotur, cylindrum, cuius axis eh, ad cylindrum, cuius axis he, eandem liabero rationem quam quadratum bn ad quadra¬ tum ne; cylindrum vero, cuius axis he, ad cy¬ lindrum circa axem ca, cani quam liabet qua¬ dratum cn ad quadratimi na. Sunt autem lineae ne, nb, cn, na sese aequaliter exeodentes, et carimi exccssus aequantur minimae, nempe ipsi na. Sunt igitur magnitudines quaodam, nempe in- so scripti cylindri, eam intor se consequenter ratio- nem habentes, quam quadrata linearum sese aequaliter excedentium et quarum exeossus minimae aequantur : suntque ita dispositi in libra ti, ut singulorun centra gravitatimi in ea, et in distantiis aequalibus, consistant. Por ea igitur quae supra demonstrata sunt, constat, gi’avitatis centrum omnium ita composi- THEOBEMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIDORUM. 201 forum libram ti ita dividere, ut pars versus t sit maior quam tripla reliquae. Sit lioc centrum o ; est ergo to maior quam tripla ipsius oi. Veruni tn tripla est ad im ; ergo tota mo minor erit quam pars quarta totius mn, cuius ms pars quarta posila est. Constat ergo, signum o basi coni magis accedere quam s. Veruni sit iam circumscripta figura constans ex cylindris, quorum axes me, cb, he, ca, an inter se sint aequales. Similiter, ut de inscriptis, ostendetur, esse inter se sicut quadrata linearum mn, no, bn, ne, an, quae sese aequaliter excedunt, excessusque aequatur miiiimae an ; quare, per praemissam, centrum jo gravitatis omnium cylindrorum ita disposi toni m, quod sit n, libram ri sic dividet, ut pars versus r, nempe ru, reliquae ni sit maior quam tripla ; tu vero eiusdem minor erit quam tripla. Sed ni tripla est ipsius im ; igitur tota uni maior est quam pars quarta totius mn, cuius ms pars quarta posita est. Itaque punctum u vertici propin¬ quità est quam punctum s. Quod ostendendum erat. Cono dato potest figura circumscribi et r altera inscribi, ex cylindris acquatali alti - tudinem hàbentibus, ita ut linea quae inter centrum gravitatis circumscriptae et centrum 20 gravitatis inscriptae inter cipitwr, minor sit quacumque linea proposito. Sit datus conns, cuius axis ab; data autein recta sit k. Dico: exponatur cylin- drus l aequalis ei qui in cono inscribitur, altitudinem habens dimidium axis ab, et ab dividati» in c, ita ut ac ipsius cb tripla sit, et quam rationem liabet ac ad k, liane lia- beat cylindrus l ad solidum x: cono antem circumscribatur figura ex cylindris aequa- 30 lem altitudinem liabentibus, et altera in- scribatur, ita ut circumscripta excedat inscriptam minori quantitate quam sit so- lidum x; sitque circumscriptae gravitatis centrum c, quod cadet supra c; inscriptae vero centrum sit s, cadens sub c. Dico iam, es linea.ni ipsa k minorem esse. Nani, si non, ponatur ipsi ca aequalis eo : quia igitur oe ad le 202 TIIEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIDORUM. candem liabet rationem quam l ad x, inscripta vero figura minor non est cylindro l , excessus autem, quo dieta figura a circumscripta su- peratur, minor est solido x; inscripta igitur figura ad dietimi cxccs- suni maiorem rationem habebit quam oc ad k. Ratio autem oc ad k non est minor ea quam liabet oc ad cs, cum cs non ponatur minor h • igitur inscripta figura ad cxccssum, quo a circumscripta superatur, maiorem habet rationem quam oc ad cs. Quam igitur rationem liabet inscripta ad dietimi excessum, liane habebit ad lineam cs linea quae- dam maior ip'sa co. Sit illa er ; est autem inscriptae figurae centrimi gravitato s ; circumscriptao vero centrum est c : eonstat ergo, reli- io quarum portionum, quibus circumscripta ex cedi t inscriptam, centrimi gravitato esse in linea re, atque in eo pimcto, a quo sic terminatur, ut quam rationem liabet inscripta ad dictas portiones, eandem liabeat linea inter c et punctum illud intercepta, ad lineam cs. Hanc vero rationem liabet re ad cs ; ergo reliquarum portionum, quibus circum¬ scripta superat inscriptam figuram, gravitatis centrum erit r: quod est impossibile; planum enim ductum per r basi coni aequidistans dictas portiones non secat. Falsimi igitur est, lineam cs non esse mi- norem ipsa le ; erit ergo minor. Haec autem, non dissimili modo, in pyramide fieri posse, demonstrabuntur. „o Ex bis manifestimi est, cono dato posse figurali! imam circumscribi et alteram inscribi, ex cylindris aequalem altitudinem habentibus, ita ut lineae, quae inter earum centra gravitatimi, et punctum quod axeni coni ita dividit ut pars ad venticelli reliquae sit tripla, inter- cipiuntur, quacunque data linea sint minores. Cum enim, ut demon- stratum est, dietimi punctum axem dividons, ut dietimi est, seinper inter circumscriptae et inscriptae gravitatimi centra reperiatur ; fie- rique possiti, ut quae inter eadem centra mediat linea, minor sit qua- cunique linea proposita ; multo minor eadem propositi linea sit, quae inter alterimi controlumi et dietimi punctum axem dividens intercipitur. oo Ouiuslibet coni vel pyramidis centrum gravitatis axem dividit, ut pars ad vcrticem reliquae ad basili sit tripla. Esto conus, cuius axis ab, et in c dividatur, ita ut ac reliquae cb sit tripla : ostendendum est, c esse gravitato centrimi coni. Nani si 6. ad cs cum cs. Non 8. lineam cs. Urna— 10-11, 15. reliquarum proportionum - 13, IH. dictas proportiones — 28. inedia — THEOEEMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIBOEUM. 203 non est, erit coni centrimi aut supra, aut infra punctum e. Sit prius infra, et sit e; et exponatur linea ip aequalis ce, quae contingonter ilividatur in n ; et quam rationem habet utraque simul he, pn ad pn, balie habeat conus ad solidmn x; et inscribatur cono solida figura ex cylindris aequalcm altitudinem habentibus, cuius centrum gravitatis a puncto c minus distet quam sit linea In; et excessus, quo a cono superatili’, minor sit solido x. Ilaec enini fieri posse, ex demonstratis manifestura est. io Sit finn inscripta figura, qualis petitur, cuius centrum gravitatis sit i. Erit igitur ie linea maior quam np, cum Ip sit aequalis ce; et ic, minor In: et, quia utraque simul he, np ad np est ut conus ad x, excessus autem, quo conus inscriptam figuram superat, minor est solido x, ergo conus ad dietimi excessum maiorem ra- tionem liabebit quam utraque he, np ad np ; et, dividendo, inscripta figura ad excessum quo a cono superatur, maiorem rationem liabebit. quam le ad np. Habet autem he ad ex minorem adirne rationem quam 20 ad np, cum ie maior sit np ; ergo inscripta figura ad excessum quo a cono superatur, multo maiorem rationem liabet quam he ad ci. Quam igitur rationem habet inscripta ad dictum excessum, liane liabebit ad ei linea quaedam maior ipsa he. Sit illa me: quia igitur me ad ei est ut inscripta figura ad excessum quo a cono superatur, et est e centrum gravitatis coni, i vero est gravitatis centrum inscriptae, ergo in erit centrum gravitatis reliquarum portionum, quibus conus inscriptam sibi figuram excédit; quod est impossibile. Non est ergo centrum gravitatis coni infra c punctum. Sed ncque supra. Nani, si potest, sit r ; et rursus sumatur linea Ip, contingenter in n secta ; et 30 quam rationem habet utraque simul he, np ad ni, liane habeat conus ad x ; et circumscribètur similiter cono figura, a qua minori quan- titate superetur, quam sit solidum x ; et linea, quae inter illius cen¬ trum gravitatis et c intercipitur, minor sit ipsa np. Sit iam circum- scripta, cuius centrum sit o : erit reliqua or maior ipsa ni. Et quia, ut utraque simul le, pn ad ni, ita conus ad x, excessus vero, quo conus a circumscripta superatur, minor est quam x, ipsa vero lo 12. up orni lp. Sit — 20. np cum io. Maior. —20. rclitiuarum proportionum — a 204 THEOBEMÀTA CIKCA CENTRUM GRAVITATI8 SOLIDOKUJf. minor est quam utraque sirnul bc, pn, ipsa autem or maior quam In; conus igitur ad reliqnas portiones, quibus a circumscripta superatur, multo maiorem rationem habebit quam ho ad or. Habeat rationem illam ino ad or: erit ino maior ipsa he; et in erit centrimi gravitata por- tionum, quibus conus a circumscripta superatur figura; quod est in- conveniens. Non est ergo gravitata centrimi ipsius coni supra pun- ctum c : sed neque infra, ut ostensum est : ergo erit ipsum c. Et idem, eodem prorsus modo, in pyramide quacumquo demonstrabitur. Si fuerint quatuor lineae contìnue proportionales ; et quam rationem habet mìnima carmi ad excessum quo maxima minimum superat, eandem io habucrit linea quaedam sumpta ad a U exccssus quo maxima sccundain su¬ perai ; quam autem rationem habet linea bis aequalis, maximac, duplae secundae, et triplae tertiae, ad lineam aequalem quadruplae maximae, qua¬ druplae secundae, et quadruplae tertiae, eandem habucrit alia quaedam sumpta ad excessum quo maxima sccundain superat ; erunt istae duae lineae, simul sumptae, quarta pars maximae proportionaliwn. Sint enim quatuor lineae proportionales ab, he, bd, he; et quam rationem liabet he ad ea, eandem habeat fg ad a / 4 ipsius ac; quam autem rationem habet linea aequalis ab et duplae bc et triplae bd, ad aequalem quadruplae ipsarum ab, bc, bd, liane habeat hg ad ac. 20 Lemma. Si fuerint quatuor lineae proportionales; et quam rationem habet minima earum ad excessum quo maxima minimam superat, caiulem habucrit linea quaedam sumpta ad tres quartas excessus quo maxima sccundain superat; quam autem rationem habet linea his aequalis, maximac, duplae secundae, et triplae tertiae, ad lineam aequalem quadruplae maximae, quadruplae secundae, et quadruplae tertiae, eandem habucrit alia quaedam sumpta ad excessum quo maxima sccundain superat; erunt istae duae lineae, simili sumptae quarta pars maximae proportionalium. Sint enim quatuor lineae proportionales ah, bc, bd, bc; et quam ra- 30 tionem habet he ad ca, eandem habeat fg ad s / 4 ipsius ac; quam autem rationem habet linea aequalis ab, duplae bc, et triplae bd, ad aequalem quadruplae ipsarum ab, bc, bd, liane habeat hg ad ac. Ostendendum 2. rehquas proporliones — 4-5. gravitatis proportionum —26. tertio — 29. maxime — 30. linee — 32. duple — THEOIiEMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATIS SOLIDORUM. 205 Ostendendum est, hf quartam esse partem ipsius ah. Quia igitur ah, he, hd, he sunt proportionales, in eadem ratione erunt etiam oc-, cd, de; et ut quadrupla ipsa- ---,___^_ rum ah, he, hd ad ah ___ cuna dupla he et tri- * y r pia hd, ita quadrupla ipsarura ac, cd, de, lioc est quadrupla ipsius ae, ad ac cum dupla cd et tripla de ; et sic est ac ad hg : ergo ut tripla ipsius ae ad ac cum dupla cd et tripla de, ita s / 4 ipsius ac ad hg. Est autem ut tripla ae ad triplani eh, ita s / 4 ac ad gf : ergo, per conversavo vige- 10 simam quartana quinti, ut tripla ac ad ac cum dupla cd et tripla db, ita 3 / 4 ipsius ac ad hf ; et ut quadrupla ae ad ac cum dupla cd et tripla dh, hoc est ad ah cum eh et hd, ita ac ad hf; et, permutando, ut quadrupla ae ad ac, ita ah cum eh et hd ad hf ; ut autem ac ad ae, ita ah ad ah cum eh et hd: ergo, ex aequali, in proportene pertur¬ bata, ut quadrupla ae ad ae, ita ah ad hf. Quare constat, hf quartam esso partem ipsius ah. Guiusctmque frusti pyramidìs, sm coni, plano basi aequidistante serti, centrimi gravitatis in axe consista ; eumqnc ita divida, ut pars versus m i- est, hf quartana esse partem ipsius ab. Quia igitur ah, he, hd, he sunt 20 proportionales, in eadem ratione erunt etiam ac, cd, de; et ut qua¬ drupla ipsarum ah, he, hd ad ah cum dupla he et tripla hd, ita quadru¬ pla ipsarum ae, cd, de, hoc est quadrupla ipsius ae, ad ae cum dupla cd et tripla de; et sic est ac ad hg: ergo ut tripla ipsius ac ad ac cum dupla cd et tripla de, ita 8 / 4 ipsius ac ad hg. Est autem ut tripla ae ad triplani eh, ita s / 4 ae ad gf: ergo, per conversai!! 24 m 5 1 , ut tripla ae ad ac cum dupla cd et tripla dh, ita ®/ 4 ipsius ac ad hf; et ut quadrupla ae ad ac cum dupla cd et tripla dh, hoc est ad ah cum eh et hd, ita ac ad hf; et, permutando, ut quadrupla ae ad ac-, ita ah) cum eh et hd ad hf ; ut autem ac ad ac, ita ab ad ah cum eh et hd: ergo, ex aequali 80 in proportene perturbata, ut quadrupla ae ad ae, ita ah ad hf. Quare constat, hf quartam esse partem ipsius ab. Cuiuscmque frustri pyramidìs, scu coni, plano basi aequidistante abscissi, cenlrum gravitatis in axe consista, ita ut, pi’ius ab eo utrinque quarta sui 23-24. ergo ut tripla de, ita —25. 34*5* — 26-27. quadrupla ac — 31. quarta — 32. aequi- dì x tante. — / Sor. T1IHOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI» SOLIDORUM. norcm basiti ad rcìiquam sii ut tripla maioris basis cum spano duplo medi}, inter basiti maiorcm et minorem una cum Imi minori, ad triplani minoris basis cum codoni duplo spatii tnedii et cum basi tnaiori. A cono voi pyramide, cuius axis ad, secoli ir plano basi aequidi- stante frustimi, cuius axis ud; et quam rationeni liabet tripla maximae basis cum dupla medine et minima ad triplani minimae cum dupla medine et maxima, liane liaboat un ad od. Ostendonduni est, o cen¬ trimi gravi tatis frusti oxistoro. Sit uni quarta pars ipsius ud. Exponatur linea lix ipsi ad aoqualis, sitqne hx aoqualis au; ipsarum vero io hx, hx tertia proportionalis sit xl, et. quarta xs : et quam rationem liabet hs ad sx, liane lialieat tnd ad lineanti sumptam ab o versus a; qnae sit or. Et quia maior basis ad eam quao inter maiorcm et minorom est media pro¬ portionalis, est ut da ad au, hoc est ut hx ad xh, dieta autem media ad minorem est s x ut hx ad xl; erunt maior, media, et minor basis in eadem ratione et lineac hx , xh, xl. Quare ut tripla maioris basis cum dupla medine et minima, ad triplani minimae cum dupla medine 20 parte dempta, centrum gravitatis in réliqua consistiti eamque sic div'ulit, id pars versus minorem basetn ad rdiquam candenti liabeat rationem, (piani spacium quod basitivi sit medium proportionale cum duplo maioris basis liabet ad idem spacium inter bases proportionale cimi duplo minoris basis. A cono vel pyramide, cuius axis ad, secetur plano basi aequi- distante frustrimi, cuius axis ud ; ab ud autem utrinque quarta sui pars auferatur, et reliqua intermedia sit mr, qnae in signo 0 dividati» ita ut ino ad or candem liabeat rationem, quam dupla maioris basis, cum ea quao inter maiorein et minorem basein est intermedia in ra¬ tione, liabet ad eandem mediani una cum dupla minoris basis. Osten- 30 dendum est, 0 centrimi gravitatis frustri existere. Exponatur linea hx il et 12, c. ipsi ad aequalis, sitqne hx aequalis au; ipsarum vero hx, xh tertia proportionalis sit xl, ot quarta xs: et quam rationem liabet hs ad sx, ve'il.’or7Oo’nof- * iano liabeat itici ad lineami sumptam ab 0 versus a; qnae sit on. Et J1_ A 1 « A. malti etiam basi 10-11. vero lixk ierlia — 13. sumptam abo — 23. bassium -— 25-26. acqtii- dist anele — 27. dividiti — 31. fruii ri¬ dimi Archili). T1IE0UEMATA CIRCA CENT 1ÌUM GRAVITATA SOLIDORUM. 207 et maxima, hoc est ut no ad od, ita tripla hx cum dupla xh et xl, ad triplani xl cum dupla xlc et xh; et, componendo et convertendo, erit od ad du, ut lix cum dupla xh et tripla xl ad quadruplam ipsarum hx, xh, xl. Sunt igitur 4 lineae proportionales, hx, xh, xl, xs; et quam rationem liabet xs ad sh, liane habet linea quaedam sumpta no ad 3 U ipsius du, neinpo ad dm, hoc est, ad 3 / 4 ipsius Idi ; quam autem rationem liabet hx cum dupla xlc et tripla xl ad quadruplam ipsarum hx, xh, xl, eandem liabet alia quaedam sumpta od ad du, hoc est ad hh : ergo (per ea quae demonstrata sunt) dn erit quarta pars ipsius hx, hoc est ipsius ad > io quare punctum n erit gravitatis centrum coni, voi pyramidis, cuius axis ad. Sit pyramidis, voi coni, cuius axis au, centrum gravitatis i. Constat igitur, centrum gravitatis frusti esse in linea in ad partes n extonsa, in eoque oius puncto qui cum puncto n lineava intercipiat, ad quam in eam habeat rationem quam abscissum frustum liabet ad quia maior basis ad eam quae inter maiorem et minorem est media proportionalis, est ut da ad au, hoc est ut hx ad xh, dieta autem media ad minorem est ut hx ad xl; erunt maior, media et minor bases in eadem ratione et lineae hx, xh, xl. Quare ut dupla maioris basis cum media, ad mediani cum dupla minoris, hoc est ut mo ad or, 20 ita erit dupla lix cum xh, ad hx cum dupla xs: et, componendo, ut mr ad ro, ita dupla ipsarum hx, xh, xl ad hx cum dupla xl; et ut ud, quae est dupla ipsius mr ad or, ita quadrupla ipsarum hx, xh, xl ad hx cum dupla xl. Est autem ut ud ad dr, ita quadrupla ipsarum hx, xlc, xl ad aequalem ipsis hx, xh, xl; ergo ut ud ad do, ita quadrupla ipsarum hx, xh, xl, ad hx cum dupla xh et tripla xl. Sunt itaque quatuor lineae proportionales hx, xh, xl, xs; et quam rationem liabet ars ad sh, liane liabet linea quaedam sumpta no ad 8 / 4 ipsius du, nempe ad dm, hoc est ad 3 / 4 ipsius hh ; quam autom rationem habet hx cum dupla xh et tripla xl ad quadruplam ipsarum hx, xh, xl, eandem habet alia so quaedam sumpta od ad du, hoc est ad hh : ergo dn erit quarta pars ipsius hx, hoc est ipsius ad; quare punctum n erit gravitatis centrum coni, vel pyramidis, cuius axis ad. Sit pyramidis, vel coni, cuius axis au, centrimi gravitatis i. Constat igitur, centrum gravitatis frustri esso in linea in ad partes n extensa, in eoque eius puncto qui cum puncto n lincam intercipiat, ad quam in eam habeat rationem quam abscissum 10. ut da uu— 17. ut hx — por lemma imperi uh. I. 25 208 THKOKKMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATI» SOLIDOUUM. pyramidem vel contini, cuius axis au. Ostendendmn itaque restati, in ad no eandem habere rationem quam frustimi ad conum cuius axis au. Est autom ut conus cuius axis da ad conum cujus axis au, ita cubus da ad cubum au, hoc est cubus hx ad culmm xk : liaec autom eadem est proportio quam habet hx ad xs: quare, dividendo, ut hs ad sx, ita erit frustimi cuius axis da, ad conum vid pyramidem cuius axis ua. Est autem ut hs ad sx, ita etiam md ad on; quare frustimi ad pyramidem cuius axis au, est ut md ad no. Et quia an est :, / 4 ipsius ad ; ai autom est a /4 ipsius au ; erit reliqua in 3 / 4 reliquae ad; quare in aequalis erit ipsi md. Et demonstratum est, md ad no esse ut frustimi 10 ad conum au : constat ergo, liane eandem rationem habere etiam in ad no. Quare patet propositum. frustrimi habet ad pyramidem vel conum cuius axis au. Est autem dietimi centrimi o: ostendendmn itaque restat, in ad no eandem habere rationem quam frustrimi ad conum cuius axis au. Est autem ut conus cuius axis da ad conum cuius axis au, ita cubus da ad cubum au, hoc est cubus hx ad cubum xk: liaec autem eadem est proportio quam habet hx ad xs: quai*e, dividendo, ut hs ad sx, ita erit frustrimi cuius axis dii, ad conum vel pyramidem cuius axis ua. Est autem ut hs ad sx, ita md ad on; quare frustrimi ad pyramidem cuius axis au, est 20 ut md ad no. Et quia an est 3 / 4 ipsius ad; ai autem est :i / 4 ipsius au; orit reliqua in 3 / 4 reliquae ud; quare in aequalis erit ipsi md. Et de¬ monstratum est, md ad no esse ut frustrum ad conum au : constat ergo, liane eandem rationem habere etiam in ad no. Quare patet propositum. 22 - 23 , demostratum, LA B[LANCETTA. AVVERTIMENTO. Prendendo Galileo a studiare i più grandi scrittori di coso matematiche dcl- P antichità, compiuta la lettura degli Elementi (P Euclide, soffermossi con mag¬ gior compiacenza sopra Archimede ; e giunto ai due trattati De aequiponderantibus c De Iris quae vehuntur in aqua , e precisamente a quel passo di Proclo Licio nel quale si narra il modo tenuto dal Filosofo siracusano per iscoprire il furto del- P orefice nella corona d* oro di Ierone, opinò che Archimede non vi procedesse nella maniera comunemente riferita, ed escogitò un procedimento che risolve con esattezza il quesito. Il risultato di questi studi espose Galileo in una breve scrittura ; o lo strumento in essa suggerito ò lo stesso che fu poi detto < bilancia idrostatica > o che, sotto nuove e varie forme, fu adoperato col nome di < idrostamino > dagli Accademici del Cimento. Tale scrittura non fu data allo stampe vivente PAutore; ma bensì, mostrata subito, vaio a diro nelPanno 1580, agli amici e conoscenti, più tardi a’ discepoli, si diffuso manoscritta. 1(1) Domenico Mantovani la commentò con dotte ed inge¬ gnoso osservazioni : corredato di queste, delle annotazioni di Benedetto Castelli, o dello illustrazioni di Vincenzio Viviani, il lavoro di Galileo vide poi più volto la luce. Nel riprodurre questa scrittura, sceverata, conformemente al proposito nostro, 121 dalle dette aggiunte, credemmo doverla restituire con la maggior fedeltà sopra P autografo, il quale, senza titolo e mutilo dello ultime linee, ci ò stato conservato in un foglio che ora è inserito nel T. XVI (car. 55) della Par. II dei Manoscritti per Gio. Gaotano Tortini o Santi Franchi, a pag. 403, (*), l’er la edizione nazionale delle Opere, di dal ileo Galilei ecc. Esposizione o Disegno oce.; pag. 40. 0) \ IXOKKZIO ViYIANI, Racconto {storico della Vita del Sij. Galileo Galilei : noi Fusti Consolari dell'Accademia Fiorentina di Salvino Salvisi, ecc. In Firenze, M.DCC.XYII, nella stamperia di S. A. li., avvertimento. 212 Galileiani posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze. Sostituimmo bensì la grafia moderna a quella dell’Autore e dell’età sua in pochi particolari, ne’quali non ò certo supponibile che al segno grafico rispondesse il suono neppure sulla bocca di Galileo, e che, d’altra parte, conservati, avrebbero dato soverchia noia al lettore.' 11 Abbiamo inoltre corretto, come di solito, alcuni materiali trascorsi di penna dell’Autore.'* 1 Invece qualche incostanza di grafia, come il raddoppia¬ mento o lo scempiamente della s specialmente nelle desinenze dei nomi, e qualche altra singolarità,, rispettammo; dove volemmo che il testo, piuttosto che la va¬ riante, massime trattandosi di scrittura così breve, rispecchiasse direttamente le forme consuete a Galileo e ai contemporanei. Di clic, se non ci vorranno far rimprovero i discreti, speriamo ci sappiano grado gli studiosi della storia di no¬ stra lingua. Oltre che dall’autografo, la 7> il (incetta ci fu conservata da più copie sincrone; le quali, nonostante l’esistenza di quello, non si possono trascurare del tutto. Mentre infatti lo varie copie da noi studiate olirono, tra se o rispetto all’autografo, dif¬ ferenze di lezione, onde è esclusa la derivazione o dell’una dall’altra o di tutto da quell’esemplare di pugno dell’Autore clic pervenne fino a noi, è notabile come in altri luoghi tutte, o la più parte, s’ accordino in una lezione unica, e diversa da quella che conosciamo per quest’esemplare: onde nasco il sospetto che tali copie possano rappresentarci, almeno in parte, autentiche modificazioni, che Galileo stesso avrà forse introdotto in occasione di mandare attorno manoscritto, come si accennò, il suo lavoro tra gli amici e i discepoli.'* 1 Per tale considerazione, e avuto anche in ciò riguardo alla brevità della scrittura, abbiamo stimato op¬ portuno che delle varianti di qualche momento, offerteci dalle copie, si rendesse conto con molto maggior larghezza che certamente non converrebbe nelle opere di maggior mole, alle quali riserbiamo un apparato critico assai più limitato.' 1 * Vi abbiamo unito, distinguendolo con carattere tondo, alcune poche lezioni dal¬ l’Autore corrette posteriormente nell’ autografo stesso. Adoperiamo, ad indicare i manoscritti, le seguenti sigle : G = Esemplare autografo. A = Bibl. Naz. di Firenze ; Mss. Gal., Par. II, T. XVI, car. 56-58. B = Bibl. predetta, Filza Rimicciniana 8. F. 2, esemplare anepigrafo. (’) Le mutazioni grafiche da noi introdotto in questa operotta sono le seguenti: gl' davauti a, e, o, u, mutato Ì 11 gli; lmr.cn e C derivati, huomo, fiora, in avere, uomo, ora; et davanti a consonanti) in e, da¬ vanti a vocale in al; -fiorir?, -fiorii, in -zione, -rioni (come, del resto, Gat.h.ko medesimo più comunemente scrive); scicmarc C derivati, ili scemare. t*) Sono i seguenti : andunque. per adunque, ag~ giugno (pag. 216, lin. 4-5) por agyivgner, mino per misto. met tallo por metallo, ctempo ed esempio por esempio, aqqvc (pag. 217, lin. 0) per aqqua, del (pag. 217, lin. 19) per dal, in (pag. 219, lin. 15) por un, (*> Notevoli in particolnr modo, tra lo varianti o Omissioni in cui concordano tutte lo copio, sono quello a pag. 215, lin. 14-210, lin. 1; 216, lin. 15; 219, lin. 5 e 14. i 4 ) Nell’ apparato critico abbiamo interamonto conservata la grafia dei manoscritti. AVVERTI MUNTO, 213 0=Bibl. predetta; Coll. Gal., Div. IV, T. CX, car. 00-61. Di inano di Vin¬ cenzio Viviani. D = llihl. c Filza Rinucciniana predette, esemplare col titolo: « Uso e fabbrica «lolla bilancia del Sig. Galileo Galilei ». E = Bibl. Naz. Marciana di Venezia, Cl. XI ital., n. CLXXXIV, car. 245-252. Fra i quali esemplari, giovi avvertire che A e 1) differiscono pochissimo V uno dall’altro c, meno assai elio i rimanenti, da G; C se ne discosta invece più di tutti; 1) si avvicina in molte lezioni caratteristiche a C, ma altre volte va con A e B; e con quest’ultimi sta E, clic presenta però assai spesso anche dei grossolani spropositi. Abbiamo ancora tenuta presente l’edizione principe di questa scrittura, pro¬ curata da Giovanni Battista IIodierna, due anni dopo la morte dell’Autore. 01 li’1 [odierna non dicedi qual manoscritto si giovasse nella sua stampa; la quale s’ accosta talora a C, e talora ad A, B, presentando poi ed errori e conciari evidenti dell’editore. Questa edizione notiamo con F: indichiamo poi con Y il consenso delle copie tutte o di F. Potemmo lasciar da banda la copia contenuta nel manoscritto matematico 158 della Biblioteca Civica di Amburgo (pag. 5-lL), (2) perchè sicuramente esemplata sull’edizione dell’Ilodiorna:e del pari non ci fu d’uopo tener conto dello edi¬ zioni posteriori; di cui quella di Bologna del 1650 (4) è fatta sopra una copia clic si allontana da B soltanto per differenze leggerissime e (tranne due luoghi che, O) Nell 1 opera: Archimede redivivo con la «loderà del momento del dottor Don Gio. Battista Hooikrna..., dove non tolatncnfe *' indegna il modo di «coprir le frodi nella falsi fi catione dell'Oro e dell'Argento, ma ai notifica l'uno delti Peni e delle Misure Civili presso diverse. Milioni del mondo, e di questo Regno di Sici¬ lia, ecc. In Palermo, por Dodo Cirillo, 1644, pag. 1-8. P) Su questo cod. cfr. Kavauo, Serie terza di Scampoli Galileiani : negli Atti e Memorie della II, Ac¬ cademia di Scienze, Lettere ed Arti in -Padova; Nuova Serio, voi. IV, 1888, pag. 112-114. P) Vero ù elio il copista del cod. d’Amburgo scrive : « I)i questo discorso fatto dal S. Galilei.... mi fu concessa copia doi anni sono dal M.° lt. do et Ecc. ,no Mona.™ Stanislao Pmllouski, Dottore o Matite» inatico Ecc. roo , il quale era molto intrinseco del sig. rB Galilei, dal quale li fu mandato qui in Polo¬ nia una copia ». Ma più avanti egli racconta puro elio nell'anno precedente « arrivato a Venezia discor¬ rendo con Mona.™ Michele Peroni, mio Maestro, molto dotto in queste nobilissime scienze. quando gli no¬ minai questo trattato dell’oro fatto dal Sig. re Galileo Galilei, mi disse che poco fa v’era statto scritto sopra da Mons. r ® Gio. Batt. Hodieina,.... il quale da me veduto, restai molto appagato della dottrina stia ». F elio egli esemplasse la propria copia dal- Pediziono dell* Hodikrna, soltanto correggendone qua o hi alcuni errori, lo prova il confronto della lozione, identica anche in luoghi caratteristici. S'avverta puro che una curiosa « Appendice del P. Don Ronodetto Ca¬ stelli *, la quale tien dietro alla Bilancella nel cod. d’Amburgo (pag. 11: cfr. Favauo, Serie terza ccc., pag. 112), è aggiunta del puri all’opera di Gami.ro nell’edizione palermitana (pag. 8).— L’essere il cod. d'Aniburgo copia dell’edizione palermitana toglio af¬ fatto valore ad una lozione del cod. stesso, che, altrimenti, sarchilo osservabile. A pag. 217, lin. 9. 10, 13, il cod. d’Amburgo logge: « uudeci volte, l’un¬ decima parte, un undociino » : o questa lezione sa¬ rebbe non solo scientificamente più esatta, ma ancora più conforme allo cifre che Gamlbo assegna al peso dell’argento nell’acqua nella Tavola delle proporzioni delle, gravità dei Metalli e delle Gioie, pesate in aria ed in aqqaa (cfr. pag. 225); dalla quale apparo ch’egli considerava V argonto pesante 10,4 volto più che l’acqua. Ma Pedizione doli’ FIodikrna, la quale leggo, corto per errore di stampa, nel primo passo « tmdoci volte », o appresso « la duodecima parte, un duo¬ decimo », ci mostra chiaro ondo traesse origino la variante del cod., c, insieme, le toglio ogni im¬ portanza. ( 4 ) Tomo I, unita alla Scienza Mccanica, pag.87-40. 214 AVVERTIMENTO. sebbene assai sospetti/’ abbiamo voluto recare) allatto trascurabili; quella di Firenze del 1718 w ò una materiale ristampa di quella di Bologna; come, alla sua volta, la Padovana del 1744 (3) riproduce la Fiorentina; e sopra questo sono condotte le più recenti, dall’ultima in fuori, eseguita con la scorta dell’autografo. Le copie, oltre che all’ uopo sopra accennato, ci servirono a riempire alcune brevi lacune, che abbiamo indicato con parentesi quadra, presentate, per istrappi «Iella carta, dall’ autografo, e a correggere un passo che nell’ autografo stesso rimase difettoso. < 4) Su di esse poi abbiamo dovuto stabilire l’ultima parte della scrittura, che, dalla lin. 4 della pag. 220 in giù, manca in (> : c a tale effetto preferimmo A c B, che in quel tratto sono identici, avendoli giù riconosciuti, più degli altri esemplari, fedeli all’ autografo. Un nuovo codice manoscritto contenente la scrittura di Galiloo sulla Bilan - celta ò venuto a conoscenza del Favaro sulla fino del 1890, cioè subito dopo la pubblicazione di quosto primo volume. (ro Si trova registrato noli’ « Inven¬ tario dei Codici Italiani della Biblioteca Nazionale di Parigi » di 0. Mazzatinti sotto il n. 448 (suppl. fr. 496; soc. XVII) col seguente titolo: «La bilancia sincora di Tito Livio Buratini con la quale per teorica o pratica con V aiuto dolPacqua non solo si conosce le frodi dell’ oro o degli altri metalli, ma ancora la bontà di tutte lo gioie o di tutti i liquori ». In quosto codice si trova una lezione della Bilancella di Galiloo dalla quale ò stata probabilmente copiata quella della Biblioteca Civica di Amburgo sopra citata, corno risulta dalle notizie elio no dà lo stesso Burattini, elio dico di avorio avuto in copia da Mons. Stanislao Pudlouski, amico di Galileo. Ambedue i codici, (li Parigi e di Amburgo, debbono emanare dal Burattini, od il primo, so veramente autografo, elevo risalire all’anno 1646. Le conclusioni precedenti riguardo al codice amburghese o gli apprezzamenti intorno allo origini di esso, debbono quindi estendersi al codice parigino. U* Sono i luoghi n pag. 219, lin. 15-22 o 220, lin 8. A proposito del primo di questi passi Domknico Man¬ tovani, nello suo Annotai ioni no fra ìa /filanda del *ig. Galileo Galilei (ediz. bologneso, pag. 40), avverte: « Pare a ino si sia lovato in parte la difficoltà del nu¬ merar© li fili, avolgondono dieci di acciaro, o poi dieci voltato di ottono, lo quali, essendo diviso a dioci a dioci, rosta solo da numerare quella decima parte nolla qualo casca il termino dol metallo misto: elio so bone il Sig. Galiloo, cho ò autore di quosta invon- tiono, fa tnoutiono di duo fili, uno d’acciaro, l’altro di ottone, non dico però so no dobba metterò dioci dolPuno, o dicci dell'altro: o Torsi sarà avelluto por causa di chi 1* ha copiato, so bone In copia, elio mi ò pervenuta noli© mani, ora di mano sua ». Tomo I, pag. 624-626. Tomo I, pag. 581-583. ,Vì A pag. 219, lin. 12-13 l’autografo loggo: « la proporziono lo distanze tra i termini de i metalli puri vorrà divisa da i sogni ». Dopo « la propor¬ zione » c’ò una cassatura. Kvidontemcnlo PAutoro dimouticò di eseguirò la corroziono cho aveva ili monto, o elio ci ò suggerita dalle copio. (h) Serie testa di Scampali Galileiani: nogli Alti e Memorie della lì. Accademia di Sciente, Lettere ed Arti in Padova; Nuova Serio, Voi. VI, 1891. Sì come è assai noto a olii di leggere gli antichi scrittori cura si prende, avere Archimede trovato il furto dell’ orefice nella corona d’oro di Ierone, così panni esser stato sili ora ignoto il modo che sì grand’ uomo usar dovesse in tale ritrovamento : atteso che il credere die procedesse, come da alcuni ò scritto, co ’l mettere tal corona dentro a l’aqqua, avendovi prima posto altrettanto di oro purissimo e di argento separati, e che dalle differenze del far j'iù o meno ri¬ crescere o traboccare l’aqqua venisse in cognizione della mistione dell’ oro con l’argento, di che tal corona era composta, par cosa, io per così dirla, molto grossa e lontana dall’ esquisitezza ; e vie più parrà a quelli che le sottilissime invenzioni di sì divino uomo tra lo memorie di lui aranno lette ed intese, dallo quali pur troppo chiaramente si comprende, quanto tutti gli altri ingegni a quello di Archimede siano inferiori, e quanta poca speranza possa restare a A o B sono anepigrafi. — C porta il titolo : Fabbrica H uso di un* esatta bilancia da saggia¬ tore per ritrovare la proporzione de’pesi di due metalli, con moli* altre curiositii, inventata nel 15S6 dal Sig. Galileo Galilei ne* suoi primi studi intorno all* Opere di Archimede .— 1) oil F hanno il ti¬ tolo : Uso e fabbrica della bilancia (bilancella, E) del Big. Galileo Galilei. — F ha il titolo ; Discorso del S. Galileo Galilei intorno alVartificio che usò Archimede nel scoprir il furto dell’Oro nella corona di llierone con la fabrica d*un nuovo strumento detto dall’autore Bilancella, — 1/edizione bolognese: Da Bilancella del signore Galileo Galilei nella quale, ad imitazione d>Archimede nel Problema della Corona, s’insegna a trovare la pì‘oportione del misto di due Metalli insieme e Va fabrica dell’ islesso strumento, 1. a chi leggere, G — a chi si diletta di.... cura si prende, E — gli antichi storiografi, G — 2. ritrovato, A,B, D, E, F— ritrovato corretto in trovato, G — 3. panni sin ora ignoto, A — panni sin ora esser stato ùpioto, G, 1) — 4. tale invontione, G — 5. come da alcuni c scritto, manca in Y — dal metter, G — la corona, F— fi. dentro V acqua, Y ha vendono, I fi-7. al¬ trettanto oro ,... et argento separato, G — d } oro .... et argento separato, 1) ■ t • separalo, 1* a che, E — 7-8. crescere, A, B, D, E, F — crescere corretto in ricrescere, G — 8. e traboccare, F — io. per dirla così, B —per così dire, C — et in tutto lontana, G — 11. che con sottilissime, B, E — che con sottilissima inventionc, F — d J huomo così divino, (' 12. le sue memorie Ing¬ ranilo, G — bareranno, Y — intese cose dalle, F — 13. si vede e si comprende, F — 14. sono inferiori, F — et quanta .... restare a, manca in Y — T. 20 210 LA HI LANCETTA. qualsisia di mai poter ritrovare cose a quelle di esso simi glianti. Ben crederò io che, spargendosi la fama dell’aver Archimede ritrovato tal furto co ’1 mezo dell’ aqqua, fosse poi da qualche scrittore di quei tempi lasciata memoria di tal fatto; e che il medesimo, per aggiu- gner qualche cosa a quel poco che per fama avea inteso, dicesse Ar¬ chimede essersi servito dell’ aqqua nel modo che poi è stato dall’ uni- versal creduto. Ma il conoscer io elio tal modo era in tutto fallace e privo di quella esattezza che si richiede nello cose matematiche, mi ha più volte fatto pensare in qual maniera, co ’l mezo dell’ aqqua, si potesse esquisitamente ritrovare la mistione di due metalli ; e final- io mente, dopo aver con diligenza riveduto quello che Archimede dimo¬ stra nei suoi libri Delle cose che stanno nell’ aqqua ed in quelli Delle cose che pesano ugualmente, mi è venuto in mente un modo che esqui- sitissimamente risolvo il nostro quesito : il qual modo crederò io esser l’istesso che usasse Archimede, atteso che, oltre all’ esser esattissimo, depende ancora da dimostrazioni ritrovate dal medesimo Archimede. Il modo è co ’l mezo di una bilancia, la cui fabbrica ed uso qui apresso sarà posto, dopo che si averà dichiarato quanto a tale in¬ telligenza è necessario. Devesi dunque prima sapere, che i corpi solidi che nell’ aqqua vanno al fondo, pesano meno nell’ aqqua che nell’aria 20 tanto, quant’ è nell’ aria la gravità di tant’ aqqua in mole quant’ è esso solido : il che da Archimede è stato dimostrato ; ma perchè la sua dimostrazione è assai mediata, per non avere a procedere troppo in lungo, lasciandola da parte, con altri mezi lo dichiarerò. Consi¬ deriamo, dunque, che mettendo, por esempio, nell’ aqqua una palla di oro, se tal palla fosse di aqqua, non peserebbe nulla, perché l’aqqua 1. qualsisia - simigliatiti, manca in Y —1-2. Ilen è vero che, F — 3. per mezo, D — 5. qual¬ cosa, A,B,C,D,F — 6-7. è stato creduto dall’universale, B — dall’universale k stato creduto, I) — dell’acqua, come è stato dall’universale creduto, F — 7. Ma conoscendo io, C— è in tutto, Y — 8. quella certezza, I) — che nelle cose matematiche si richiede, G —10. trovare, 0, D,E,F—11. nel- l’haver, C — veduto, C— 12-13. nell’acqua e delti cquiponderanti, G — 13. venuto in pensiero, A —un modo il cimile, G, Y—13-14. esquisitamente, Y —14. quesito: e questo credo io esser stato, C credo io, 11, E, F 15, oltre al (il, 0) servirsi d’ (dell’, 0, F) acqua et esser, Y — esser certis¬ simo, I) 16. anco, 1) — da alcune dimostrazioni, A, B, I), E, F — da alcuna dimostrazione ri¬ trovata da Archimede medesimo, G—18. si sarà dichiarato, A, B, G, I), E —sarà dichiarato, F — 19. dunque (adunque, G, I), E) sapere, Y — 19-20. » corpi solidi i quali, Y — 20. manco, A, E, G, E 21. in aria, G 22. il solido, C — dimostrato, lib. p." l)e Iris quae moventur in hu- wido, propos. 7, C — 22-23. la di lui dimostrazione, G — 23-24. molto in lungo, 0,1) — 2-4. di¬ chiaro, F — 25. adunque, G — mettendosi, Y — una massa, Y — 26. tal massa, Y — non peserebbe cosa alcuna, Y — LA DILANCETTA. 217 nell’ aqqua non si muovo in giù o in su. Rosta dunque olio tal [palla] di oro posi neljT aqqua] quel tanto, in che la gravità dell’oro supera la gravità dell’ aqqua ; ed il simile si devo intendere de gli altri me¬ talli : o perchè i metalli son diversi tra di loro in gravità, secondo diverse proporzioni scemerà la lor gravità nell’ aqqua. Come, per essempio, poniamo elio l’oro pesi venti volte più dell’aqqua; è mani¬ festo dalle cose dette, che 1’ oro peserà meno nell’ aqqua che nell’ aria la vigesima parte di tutta la sua gravità : supponiamo ora che l’ar¬ gento, por esser men grave dell’ oro, posi 12 volte più elio 1’ aqqua ; io questo, pesato nell’aqqua, scemerà in graveza per la duodecima parte: adunque meno scema nell’ aqqua la gravità dell’ oro che quella del- 1’ argento, atteso che quella scema per un ventesimo o questa per un duodecimo. So dunque in una bilancia esquisita noi appenderemo un metallo, e dall’ altro braccio un contrapeso che pesi ugualmente co ’l detto metallo in aria; se poi tufferemo il metallo nell’aqqua, la¬ sciando il contrapeso in aria ; acciò detto contrapeso equivaglia al metallo, bisognerà ritirarlo verso il perpendicolo. Come, per essempio, sia la bilancia ab, il cui perpendicolo c; ed una massa di qualche metallo sia appesa in b, contrapesata dal peso d. Mettendo il peso b 20 nell’aqqua, il peso ci! in a pese- f rebbe più : però, acciò che pe- ' ' sasse ugualmente,bisognerebbe j ritirarlo verso il perpendicolo c, - '—S come, v. g., in e; e quanto volto la distanza ca supererà la ae, tante 1. nell’acqua non pesa non movendosi nè in su nè in giù, C, D — in (nè, E) su o (nè, F) in giù, A, B, E, F — adunque, C — tal massa, Y — 2. solamente quel tanto, Y — 4. son dif¬ ferenti, Y — 4-5. secondo diverse gravezze (grandezze, F) o, per dir meglio (per meglio dire, D), proporzioni, 0, D — 5. la gravità loro, C, D — 6. esempio, se l’oro pesa, C — più che l’acqua, A, B, 0,E, F — più venti volte dell’acqua, D—7-8. nell’acqua la vigesima di tutta la sua gravità, che nell’aria, B — 9. per 12 volte, G — undeci volte, F — 10. questo dunque pesato, A, B, G, D, F — in gravezza (gravità, A) la duodecima parte di tutta la sua gravezza (gravità, G, 1) — peso, F), A, B, G, D, F — parte di tutta la gravezza, E — 12. un vigesimo, F — 12-13. per 20, questa per 12, corretto in uno per 20, questa uno per 12, G — per 20 e questa per 12, 1) — 13. dodicesimo, A, B — 13-14. appenderemo una, Cr [palla o massa] —14. metallo dall’ (da, B) un braccio e dall’altro un contrapeso, A, B, I), E, F — 13-15. appenderemo dall’un braccio il metallo e dall’altro il contrappeso nell’aria, C — 15. e poi, A, B, C, D, E — 16. nell’ aria, A, B, D, E, F — acciò che, 0, E — 16-17. equi- pontieri al detto metallo, U — 17. ritrailo, A — 19-24. dal peso in a. Pongasi ora il metallo nell’acqua e d in aria; il contrapeso d peserà più del metallo: acciochc dunque pesino egual¬ mente bisognerà ritirar d verso il perpendicolo c, per esempio in e ; si che quante volte, C 24. ca conterrà. A, B, C, E, F — ca misurarà, I) — 218 LA BILANCETTA. volto il metallo peserà più clic l’aqqua. Poniamo dunque elio il peso in b sia oro, e clic pesato nell’aqqua torni il contraposo d in e; o poi, facendo il medesimo dell’ argento finissimo, elio il suo contrapeso, quando si peserà poi nell’ aqqua, torni in f: il qual punto sarà più vicino al punto e, sì come l’esperienza ne mostra, per esser l’argento inen grave dell’oro; o la differenza che è dalla distanza af alla distanza «e sarà la medesima che la differenza tra la gravità dell’ oro o quella de l’argento. Ma se noi aremo un misto di oro o di argento, è chiaro che, per participare di argento, peserà meno elio 1’ oro puro, o, per participar di oro, peserà più che il puro argento : o però, , 0 pasato in aria, e volendo elio il medesimo contrapeso lo contra¬ pesi quando tal misto sarà tuffato nell’ aqqua, sarà di mestiero ritirar detto contrapeso più verso il perpendicolo c che non è il punto e, il quale è il termine dell’ oro, o medesimamente più lon¬ tano dal c che non è 1 ’/", il quale ò il termino dell’argento puro; però cascherà tra i termini e, f, e dalla proporziono nella quale verrà divisa la distanza ef si averà esquisitamente la proporzione dei duo metalli, che tal misto compongono. Come, per esempio, intendiamo che il misto di oro ed argento sia in b, contrapesato in aria da d; il qual contrapeso, quando il misto sia posto nell’ aqqua, ritorni ., 0 in g : dico ora che l’oro e l’argento, elio compongono tal misto, sono tra di loro nella medesima proporzione che le distanze fg , ge. Ma ci è da avvertire che la distanza gf ) terminata nel segno dell’ ar¬ gento, ci denoterà la quantità dell’ oro, e la distanza ge, terminata nel segno dell’ oro, ci dimostrerà la quantità dell’ argento : di maniera 1. Ponghiamo adunque, C — 2. il contrapeso d torni in e, 0 — torni il peso del metallo in o, F — e di poi, 0 — di poi, D, E, F — 3. argento fino, che quando, F — 4-5. in f che sarà più presso al perpendicolo, come V esperienza, C — G-8. dell’oro; et la dislama che i) tra a, f, /laverà la medesima ( l’istessa, C) differenza con la distanza ae, che ( che è tra, 0; che è, B, D) la gravità dell’oro con quella (e, G) dell’argento, Y — 8. bareremo, B, D — havremo, C— d’argento et oro, A — 9. dell'argento, C — dell’oro, G —10. del puro, C — 11. in aria et poi in aqqua, 0 — 11-12. lo contrapesi nell’, G— lo possi contrapcsare, F—10-13. però volendo noi che il medesimo contrapeso che contrapesa il misto in aria, lo contrapesi nell’ acqua, sarà di mestieri ritirar il contrapeso, G 14. punto e, termine, C — 15-10. V f, termine dell’argento ; però, G — 16. e, f, per esempio in g, G 16-17. sarà divisa, 0— 18. compongono. Verhigrazia intendiamo, C — 19. dal peso d, D, F — 19-20. in aria dal peso di quel con trapeso, E — 19-21. nell’aria dal peso d in a; e posto il misto nell’acqua, d torni in g: dico che l’oro, C — 21. tal misto compongono, C — 21-22. sono nella, I) 22. tra loro, C — 22-23. Ma è da, A, B, I), E, F — 22-25. go ; in modo perù che la distanza gf denoti la quantità dell’oro e la ge la quantità dell’argento, G — 24. denota, F — 25. denoterà, B, D, E — denota, F — LA BILANCETTA. 219 elio se fy tornerà doppia di ge, il tal misto sarà due d’oro ed uno di argento. E col medesimo ordine procedendo nell’ esamino di altri misti, si troverà esquisitamente la quantità dei semplici metalli. Per fabricar dunque la bilancia, piglisi un regolo lungo almeno duo braccia, e quanto più sarà lungo più sarà esatto P istrumento ; o dividasi nel mezo, dove si ponga il perpendicolo ; poi si aggiu¬ stino le braccia che stiano nell’ equilibrio, con P assottigliaro quello elio pesasse più ; e sopra P uno delle braccia si notino i termini [dove ritornano i contrapesi de i metalli semplici quando saranno pesati io nell’ aqqua, avvertendo di pesare i metalli più puri ebe si trovino. Fatto ebe sarà questo, resta a ritrovar modo col quale si possa con facilità aver la proporzione, [secondo la quale] le distanze tra i ter¬ mini de i metalli puri verra[nno] divise da i segni do i misti. 11 ebe, al mio giudizio, si conseguirà in questo modo : Sopra i termini de i metalli semplici avvolgasi un sol filo di corda di acciaio sottilissima; ed intorno agli intervalli, ebe tra i termini ri¬ mangono, avvolgasi un filo di ottone pur sottilissimo; e verranno tali distanze divise in molte particelle uguali. Come, per essempio, sopra i termini e, f avvolgo 2 fili solo di acciaio (e questo per distinguerli 20 dall’ ottone) ; e poi vo riempiendo tutto lo spazio tra c, f con P av¬ volgervi un filo sottilissimo di ottone, il quale mi dividerà lo spazio ef in molte particelle uguali ; poi, quando io vorrò sapere la proporzione 1. quel tal, A, B, E — tal, D — sarà il doppio di oro, G — sarà di due, A, B, D, E — 1-4. se fg sarà doppia di ge l’oro sarà doppio dell’argento, se ge doppio di fg l’argento sarà doppio dell’oro; e così nelli altri misti con simil proporzione. Ver fabbricare, G -2-3. degl’altri, A, B, D, E, F — 4. adunque, C, D — almeno lungo, C, D, E, F — 5. un braccio, Y —più esatto sarà, B — tanto più sarà (saràpiù, D) esatto, C,D — strumento, A,B,C,E,F — 7. in equilibrio, Y — 8. e nell’ uno, C, D, F — delle due braccia, D — 9. quando si pesano, C — 10. più puri che sia possibile, C — 11. ritrovar un modo, G — si potrà, E — 12. la proporzione secondo la quale le distanze, Y — 13. verranno divise, A, B, C, E, F — saranno divise, D — 14. al mio giudizio, manca in Y — 15-16. «n filo d’acciaio sottilissimo, Y — 17. avvolgasi pure un filo d’ottone sotti¬ lissimo, C, D — una corda di, G — e torneranno, Y —18. in molte minute particelle uguali, D — 19. avvolgasi, Y — soli, Y — e questi, F — 20. da i fili d’ottone, F — vadasi, Y 20-21. con avvolgere, C — con avvolgervi, E — con un filo, D — 21. di ottone sottilissimo, C il quale di¬ viderà, Y — 22. in dieceparticelle eguali, F— 15-22. L’ediz. bolognese legge: Si haverà due fili sotilissimi passati per la inedema trafila, uno d’acciaro, l’altro d’ottone, e sopra li termini de metalli semplici acolgasi il filo d’acciaro, verbigratia sopra il punto b termine dell' oro puro avolgasi il filo d’acciaro, avolgendoli sotto l’altro filo d’ottone, <£' havendo fatto dieci voltate con quello di acciaro si avolga dieci altre voltate col filo di ottone, (è così continuare dieci di acciaro e dieci di ottone, finché sia pieno lutto lo spatio fra li punti e <£" f, termini de’ metalli semplici, facendo che detti due termini siano sempre noti e perspicui, & così la distanza bf verrà divisa in molte particelle eguali c numerate a dieci a dicci — 22. quando poi vorremo sapere, Y 220 LA BILÀNCKTTA. clic è tra fu o (]c, conterò i fili f<) ed i fili ge, o, trovando i fili fg esser 40 ed i ge esser, per essempio, 21, dirò nel misto esser 40 di oro o 21 di argento. Ma qui ò da avvertire che nasce una difficoltà nel contare : però che, per essere quei fili sottilissimi, come si richiedo all’ ©squisitezza, non ò possibile con la vista numerarli, però che tra si piccoli spazii si abbaglia rocchio. Adunque, per numerargli con facilità, piglisi uno stiletto acutissimo, col quale si vada adagio adagio discorrendo sopra detti fili; che così, parte mediante l’udito, parte mediante il ritrovar la mano ad ogni filo l’impedimento, verranno con facilità io detti fili numerati : dal numero de i quali, conio ho detto di sopra, si averà 1’ esquisita quantità de i semplici, de’ quali è il misto com¬ posto. Avvertendo però, che i semplici risponderanno contrariamente alle distanze : come, per esempio, in un misto d’ oro e d’ argento, i fili che saranno verso il termine dell’ argento ci daranno la quan¬ tità dell’ oro, o quelli che saranno verso ’l termine dell’ oro ci dimo¬ streranno la quantità dell’ argento ; ed il medesimo intendasi dogli altri misti. 1. conteremo. Y — c trovando i /ìli di fg, 0 — 2. essere, per esempio, 40 cC* i fili gc 21, F — et i ge, per esempio 21, A, II, E — cd i ge 21, 0 — c i go esser 21, 1) — diremo, Y — 40 parti d'oro, F — 4. Ma b, F — 4-5. impero che, C — (>. piccioli, I),E — 8. un stilo, G — acutissimo, come un’ago dentro ad un manico o vero un coltellino sottilissimo, col quale, ediz. bolognese — si vada adagio discorrendo, C, D, F — 9. così, parte mediante il dito, E — 9-10. e parte il ritrovare, 0 — parte per ritrovar, 1) — 10-11. delti fili con faciltà nu¬ merati, F — 12. de'metalli semplici, O, D, F — 12-13. il misto si compone, 0 —il misto vien composto, F — 13. Avvertendo clic, G, F — 14-18. alle distanze, sì come anco i misti, 0 — 10. i termini , D — 15-17. il termine dell'oro ci denoteranno la quantità dell'argento c i fili che saranno terso il termine dell'argento ci denoteranno la quantità dell'oro, F — TAVOLA delle proporzioni delle gravità in specie I)E I METALLI E DELLE GIOIE PESATE IN ARIA ED IN AQQUA. ■m . / AVVERTIMENTO. Se, conformemente al disegno nostro, noi riprodurre la lìilancetta noi abbiamo stimato opportuno di liberarla da quello scritturo elio nelle precedenti edizioni le erano state aggiunto, intendiamo, invece, di renderla così completa come ci pare dovesse essere nella mento dell’Autore, col farle seguire la «Tavola delle Pro¬ porzioni dello gravità in specie do i metalli c dello gioie pesate in aria ed in aqcpia >, che nella Collezione Galileiana viene dopo la JSilancetta stessa (P. II, T. XVI, car. G0-G2), e che, essa puro, è autografa di Galileo. (l) Questa, o, se piace meglio, queste Tavole (poiché la < Tavola > consta di duo parti, w la seconda dello quali, molto più copiosa, comprende tutti i metalli e le gioie saggiati nella prima), dai nostri predecessori erano state trascurate : e noi le aggiungiamo anche perché incoraggiati a farlo da un suggerimento di Vin¬ cenzio Viviani ; il quale, tra gli appunti per la edizione delle opere del suo Maestro, eh’ egli si proponeva di curare, lasciò notato che alla < fabbrica della Bilancia per venire in cognizione delle gravità in specie de’ metalli e delle quan¬ tità do’ misti > doveva aggiungersi «una tavoletta in numeri delle gravità in specio de’medesimi metalli >. w Gli elementi di tale tavoletta noi teniamo che, al¬ meno in parte, dovessero essere forniti da quella che pubblichiamo qui appresso. Nel riprodurla sopra l’autografo abbiamo, quanto alla grafia, seguito i criteri c introdotto lo modificazioni medesime accennate nell 'Avvertimento alla Bilancctta . Qualche materiale trascorso di penna dell’Autore, e qualche lezione da lui stesso posteriormente corretta, abbiamo indicato a piè di pagina. W Fu giò data alla luco negli Inedita Qalilaeiaua/ primo lineo (lolla 60 t>./ la seconda, lo car. Gl o 62. Frammenti tratti dalla llibliotoca Nazionalo di Fi- 11 rimanente (lolla car. 60 r. ò bianco: o, oltre ronzo, pubblicati od illustrati da Antonio Favaro : a ciò, anche alcune differenze di scrittura o del lidie Memorie del li. Istituto Veneto di Scienze, Uttere formato dolio carto stosso, rendono lo duo parti ed Arti; voi. XXI, pag. 444-447. distinto. W La prima parto comprende la car. CO r. o lo Mss. Galli., 1*. IL cai * v. I. 27 TAVOLA DELLE PROPORZIONI DELLE GRAVITÀ IN SPECIE DE I METALLI E DELLE GIOIE PESATE IN ARIA ED IN AQQUA. Oro puro in aria pesò grani 156 V* pesò poi in aqqua grani 148 '/» 100 94 7» 1000 576 948 ‘A 546 7* Argento puro in aria pesò grani 179 7* pesò poi in aqqua grani 162 100 90 ’7„t 576 520 7,oo altra d’argento più fine j 520 9S /, 0 o Rame in aria grani 179 °/u in aqqua grani 159 576 510 7>oo 576 510 7.00 Diamante pesò in aria grani 48 '/• in aqqua grani 34 7o> 576 413 7.oo Rubini 3 in aria grani 16 %« in aqqua grani 12 7 /i« 576 432 54 /100 Smeraldo in aria grani 133 ’/m in aqqua grani 84 7*a 576 340 7.oo » Topazio in aria grani 381 '/« in aqqua grani 242 ‘A 576 366 7>no 4. pesati corretto in pesate — 226 TAVOLA DELLE TIìOFORZlONl DELLE GRAVITÀ IN' SPECIE Zaffiri n. u 2 in aria in aqqua grani 10'/a grani 7 7 1 » 576 414 7 100 1/ Oro puro in aria grani 156 7» '' Oro in aqqua grani 148 7* | 100 94 7*» 1000 948 7» grani 576 546 7, ^ , ( aria grani 576 Oro a’ ungaro j grani 545 » /-t Argento puro in aria grani 170 Vi torna in aqqua grani 162 100 90 "7.,, grani 576 520 7» r/w ( aria grani 576 Argento (li I estoni \ . r oA «/ b ( aqqua grani 520 /co 10 Diamante in aria grani 48 7« in aqqua grani 34 *%a 576 413 7.» Smeraldo in aria grani 133 7» in aqqua grani 84 7»o 576 340 •/„ Topazio in aria grani 210 7=>a in aqqua grani 131 7» 576 359 7,oo Crisolito in aria grani 310 7 »j in aqqua grani 217 T /« 576 404 “A» Crisolito in aria grani 68 "/•« in aqqua grani 40 7» 576 343 9 */ioo Topazio in aria grani 381 74 in aqqua grani 242 7, 576 366 7.oo Zaffiro in aria grani 5 74 in aqqua ' grani 4 l l t 576 421 7.oo DE 1 METALLI E DELLE GIOIE PESATE IN ARIA ED IN AQQUA. 227 Ilubini in aria grani 1G ®/«® in aqqua grani 12 V«« 576 432 61 / m altro rullino in aria grani 49 ‘/io in aqqua grani 35 7>o Zaffiri n.° 2 in aria grani 10'A in aqqua grani 7 '/■« 576 414 “V.oo Turchina in aria grani 36 ’A in aqqua grani 23 7.« 576 365 7ioo altra turchina in aria grani 22 7« in aqqua grani 14 */i« 576 367 Perla in aria grani 91 7 /« in aqqua grani 56 Vs 576 353 “A»» altra perla in aria grani 29 Vs in aqqua grani 19 Granata in aria grani 89 ”/«« in aqqua grani 64 V» Granata in aria grani 224 ‘A in aqqua grani 168 '/» Zaffiro in aria grani 103 Vs grani 63 '/* • . . Calcidonio in aria grani 617» in aqqua grani 37 '7« Smeraldo in aria grani 192 ’A in aqqua grani 129 7« Crisolito in aria grani 102 7* in aqqua grani 72 Vi» 25. Crosilita — 228 TAVOLA DELLE PROPORZIONI DELLE GRAVITÀ IN SPECIE, KU. Àmatista in aria grani 102 7.» 50 ,3 /.o Aqqua marina tenera 65 7.» 417„ Cristallo in aria grani 229 7» 143 7, Rame in aria grani 380 '/■> in aqqua grani 337 576 510 ‘V.oo Rame in aria grani 179 7 «o in aqqua grani 159 576 510 V.oo altra esperienza 576 510 7.oo POSTILLE AI LIBRI DE SP IT AERA ET CYLTNDRO DI ARCHIMEDE. 1 AVVERTIMENTO. A quell 1 ordino di studi giovanili, al quale si ò accennato nell’ Avvenimento alla IHlancctta, appartengono alcune postillo di Galileo all’ opera di Archimede I)c sphaera et cylindro, da noi rinvenute nella Collezione Galileiana (Div. I\, T. CXLV, car. 189-194) della Biblioteca Nazionale di Firenze, o dato or non ha molto alla luce, W La copia che ci pervenne la mandava da Roma Vincenzio San¬ tini a Vincenzio Viviani con lettera de’*27 settembre 1071 (Coll. Gai., Div. IV, T. CXLV, car. 188) ; e molto probabilmente il Santini aveva avuto tali postille coi libri del 1\ Famiano Michelini, del quale era stato discepolo ed erede. 11 \ i- viani poi, alla sua volta, le trascriveva sui margini di un esemplare dell’ edizione d’Archimede (testo greco e versione latina) impressa a Basilea nel 1544;^ sulla parte latina della quale edizione, come dalle citazioni manifestamente apparisce erano state fatte da Galileo. L’ esemplare così annotato di mano del Viviani, il quale anche altre volte serbò copia in tal modo di postille del suo Maestro, ò ora nella Biblioteca Nazionale di Firenze con la segnatura < V. 1. 104 >. lJ) Queste postille noi riproduciamo nell’ ordine stesso col quale furono registrate dal Santini, che così ne scrive al Viviani : < Trovai quel pezzo di Archimede De > sphaera et cylindro notato in margino di postille, come Lei medesima in I io- vagius excudi fecit, an. M. D.XLIIII.— T renza mi disse, dal sig. («alili o; le quali non so so lmverò copiato esattamente, ■) per essere e stracciate c macchiate le carte : e queste sono nella colonna iuti- » telata A. Ilo copiato parimente alcuni versi dello stampato, segnati per di sotto » con tirate di penna o con semplice chiamata ^, dove corrisponde la riflessione » fattavi in margine; e detti versi sono nella colonna del lì >. 1 " Anche noi dun¬ que abbiamo distinto con A la colonna dello postille e con lì quella dei passi di Archimede: abbiamo indicato in corsivo le parole su cui cade più specialmente la osservazione, e, rarissime volte, reso più compiuta, in servigio della chiarezza, la citazione del testo, dal Santini appena accennata. La copia poi di pugno del Viviani ci suggerì quasi sempre la correzione dei gravi errori no’ quali il Santini, per guasti, com’egli stesso confessa, dell’originale, ora caduto assai sovente. w Delle correzioni introdotto (tranne le ortografiche) e. (Vaiolino altre varietù che presenta l’esemplare Viviani, ma nelle quali non ci parve necessario il seguirlo, ò reso conto a piò di pagina, dovo con lo iniziali S e V sono indicato respettiva- mcntc lo copio Santini c Viviani. (•) Favaio, op. rit., png. 721-722. — Vogliamo nuche avvertire che in una lettera posteriore dello stesso Santini al Viviani, alludendosi a questo me¬ desimo postillo, si nota, ina erronoainonto, « elio si ritrovavano in margino di un fraginouto di Apollonio Ile ephaera et cylindro ». CtV. Documenti inediti per la Storia dei Manoscritti Galileiani nello Uihliotecn Nazia- vnL di / moiar,pubblicati ed illustrati da Antonio Fa¬ vaio): nel llidlettino di ltiblioyrafta e. ili Storia (Ielle Scienze Matematiche e Fìsiche ; to. X\ ITI, png. 180-100. W Oltre gli orrori conio o fit por patti, rum- Ini* por dunl/us, cono chimi per cono n, in per idest, venta r por verlrj-, elio mani festa meli lo derivarono da falso interpretazioni di sogni di abbreviaziono (pt., Salai * ecc.) abituali a (1 ai.ii.ko. ò curioso il caso (vedi pag. 238) della postilla sognata: Day. ài, verni SU. Qui il Santini, non avendo compreso il valore del sogno ©, elio qui o altrove ò semplicemente di richiama, spezzò runica postilla in duo; o indicò * © * come annota¬ zione allo paiolo « ergo Idi ad bk sic », o la postilla t habot onim ofcc. » conio apposta al resto dui passo (VÀHnmiKnK: « Kt quoniam otc. ». A Postille. Del libro primo Do sphera et cylindro di Archimede. Pag. 2, versi 21. Vorba lineata superflua esse videntur; nisi forte intelligatur ut in hac figura: Pag. 6, versi 29. < io Cmi Pag. 6, versi 31. Circumscripta enim minorem li abet ratio¬ nera ad circulura, quam ad inscriptam. Pag. 7, versi 26. fh B Citazioni delle Postille. vcl altera earnm ab dltcrius su¬ perficie et rada, eosdem cum illa tenninos Inibente , contincatur Si enim circumscriptac eh perpentlicularem 7. iniettiyantur, V— POSTILLE AI Lima Pag. 7, versi 38. trìangulorum Pag. 11, versi 20. /y At spacium g non est minila seotioni- bus dictis. Tag. 13, versi 51. Ilio supponitur oirculus a esse, cuius dianieter cd. Pag. 15, versi 13. Pro verbis lineatis est tantum legendum: superfìcies cylindri (meo tamen iudicio). Non onim congrue colligetur consequen- tia, si dicamus: Superficie» circa b ad fìgu- ram intra b minorem liabet proportionem quam superfìcies circa cylindrum ad cir- culum b\ ergo superfìcies circa cylindrum ad figuram intra b minorem proportio¬ nem liabet, quam superfìcies cylindri ad circuitili! b. Sed bene concludetur, si di- catur : Superfìcies circa b ex positione liabet ad superficiem intra b minorem proportionem, quam superfìcies cylindri ad circuirne 6; ideo superfìcies circa cy- lindrum (quae deraonstrata est aequalis superfìciei circa circuliun) ad superficiem intra b minorem habebit rationem, quam superfìcies cylindri ad circulum b. Pag. 15, versi 35. in circidis ab Pag. 15, versi 41. il uplus habeatur triangulus una cimi g spurio. ^ Roliquum est igitur deinde circa circulum a circum- scribatur rectilinca quam liabeat superficirs rcctìli nca circa cylindrum optala in circulo ab /\ circulo b inscriptam quare et eandem ^ minorem es¬ se oportet 4. minor, S — 10. est tamen lei/endnm, S, V — 24. demurn strato est, S — 20. circa b, S — liabcbit proportionem, V — 10 20 30 DE BP1IAERA ET CYLINDRO DI ARCHIMEDE. 235 Pag. 15, versi 45. Hoc patet : si enirn prima ad secundain Maior igitur est figura rectiUnca minorem liabeat proportionom quam 3* dirado b inscritta, quam sit cy- ad 4* m et sit prima maior 2*, erit neces- Undri ete - sario 3“ maior 4". Pag. 1G, versi 25. /\ potentia /\ ad semidiametrum c ^, ean- dem etc. Pag. 17, versi 1G in circa. Sit enim triangulus abe, rectum angu- 10 lum habens ad b, intra quem ducta sit recta ad : dico, he ad da maiorem li ab ere rationem quam bd ad da. Ducatur enim de aequidistans ipsi ac. Erit ut bc ad co, ita bd ad de : et est da maior ipsa de, cum dea anguilla sit obtusus : constat ergo propositum. Pag. 18, versi 11. Hoc autem sic patebit. Quoniam ut ba Et guoniam id quod ex ab in ad ag ita db ad df, erit contentimi ag fìt, aequabur his : ci quod fìt 0A sub ba, df acquale contento sub db, ag : ^ b(1 in (lf ’ ± ci * ** ad 20 , a i i jr i in utr (inique di et ag etc • at contento sub al), df aequantur con¬ tenta sub ad, df, et sub db, df: conten- 2. Hoc est, S — 3. hdbet rationem, V— 10-11. sit ad, V— 11. bc ad ca, V — 23€» POSTILLE A I LI URI tuia ergo sub bd, ag aequatur conton- tis sub ad, df, et sub bd, df. Ponatur, conimune contentum sub ad, ag. Con¬ tenta sub bd, ag, da, ag, lioe est con- tentuin sul) ha, ag, aequantur contontis sub bd, df, ad, df, da, ag : contentis autem sub ad, df, da, ag acquatili- con¬ tentimi sub ad et composita ex ag, df: contenta igitur sub bd, df, et sub ad et composita ex ag, df aequantur contento sub ha, ag. Pag. 25, versi 3. Hoc ita esse, necessarium est; ad hoc ut cuiux mtdtihuh Menati numcre- inscripta figura ex conis duobus et ex far a quaternario ctc. conorum segmentis constet. Pag. 27, versi 8. Ex 20 huius: si enim intelligas eductas gf, mn concorrere, babebis rombimi con¬ stare ex conis ; quorum bases est cir- culus circa mg, alterius autem vertex erit x, alterius autem punctum extra circuì lira, in quo conveneriut gf, mn eductae. Pag. 38, versi 20. maior /\ Pag. 35, versi 25. Ex 22 huius: est enim ut le ad eh, ita omnes ef, cd, ak ad ipsam hlc. Pag. 35, versi 28. Ih le vero ad , hf io ad hf, sic fg ad Iti. sic gf ad fd sicut etc. ergo hb ad bk, sic kf ad fg. Fd quoniam hf ad fk minorem proporti oiuvi habct , quam hb ad l)k ete. IIoc a idem est. quod quacrcbamus. 20 J Est igifur sicut li 1 > ad bk, sic quadratimi lui ad quadratimi nk. stando fit propositum, S — 16—17. minorem rationem. V — 17-18. quare compo¬ nendo, V —28. 3"»' hk, S — DE S PII AERA ET CYLINDRO DI ARCHIMEDE. 239 ni) ad □ 3“° bk, vel ut □ nl> ad □ bk, ita □ hn ad □ nk. Cimi enim Kit, ut hh ad hi, ita nb ad bk, orit et ut unum nb ad unum bk, ita omnia ad omnia ; nempe hn ad nk. Quare, et ut quadra- tum nb ad □ bk, hoc est ut hb ad bk, ita □ hn ad □ nk. Pag. 52, versi 1. /\ ut superius ostensum est in sigilo ©. io Si enim □ prima© ad □ secundae pro- portionem habeat maiorem quam sit proportio 2 ft0 ad 3“ ,n , proportio prima© ad 3 am orit maior quam sosquialtera pro- portionis 2““ ad 3 Hm . Ilabeat enim □ hf ad □ fk maiorem rationem quam fk ad fg : quam ergo rationem habet fk ad fd, liane habebit □ minus ipso □ hf ad □ fk. Habeat □ xf, et sumatur inter fk, fg media o: orit ergo ut fk ad fg, 20 ita □ fk ad □ o, et □ o ad □ fg, ot □ xf ad fk. Sunt ergo □* xf, fk, o, fg proportionalia ; quare et lineae. Ilabct ergo fx ad fg triplicatam rationem quam o ad fg: fh autem ad fg eiusdem dn- plam obtinet : quare xf ad fg sesquial- teram rationem habet illius quam habet fk ad fg. Habet autem hf ad fg maiorem rationem quam xf ad fg : ergo proportio hf ad fg maior est quam sesquialtera so proportionis fk ad eandem fg. idem est quam kf ad fg. ^ h x i f f. k o f Pag. 52, versi 26. Est enim sicut ec curri eh ad eh; ut Sed proportio bad portionis ad ex progressu septimae liuius patet. conum cs ^ ^eut gli ad he. 3. crii et unum, V — 4. ut omnia ad omnia, Y — 9. ad sxgnum, V— 11-12. sit ratio, V —15-17. quam fk ad fg hanc, V — 32. oc ad eli, S — 33. huius fìt, 8 — i. 29 240 POSTILLE AI LIBRI Pag. 52, versi 33. Hoc est idem quod solidnm, basini liabens rectanguluin (pici) altitudincm autem ha. Pag. 52, versi 37. 0 Non colligit conclusionem, qnae ta- lis erit: Sed id quod fit ox quadrato ah in lifj ad id quod fit ox quadrato he in hf est sicut portio sphaorae maior ad minorom : ergo portio maior ad mi- norem, minorom liabet proportionem quam □ ah ad □ lic; et proportio qua¬ drati ah ad quadratura he dupla est eius qnae est quadrati ah ad quadratura he, hoc est supcrficiei portionis had ad su- perfìciem portionis hcd. Cubus eniin ad cubum triplicatara liabet proportionem ah ad he ; superficies vero ad superfìcie)n eandem liabet duplicatara. Pag. 52, versi 15. Proportio euim quadrati ah ad rectan- guluni hhc componitur ex proportione ah ad hh, et ex proportione ah ad he, hoc est quadrati ah ad quadratura hh. Pag. 53, versi 2. qnae. est eius quod /il ex gli in quadratimi ha et c. quam proportio quadrati ali ad quadratimi he. io Proportio autem quadrati ah ad 20 quadratimi hh, assumcns simili proportionem ah ad hi), est si¬ cut quadrati ah ad id quod jit ex eli in lih. Si enim quod fit ab extremis minus sit co quod ex mediis produciti! r, fune prima ad 2 ftm minorem habebit propor- tionem quam 3 ft ad 4 am . quod idem est ac si. demonstre - mns, quod quadratum he ad id quod sui) bli, he continctur , mi¬ norem liabet proportionem (piani gli ad hf. Pag. 53, versi 11. hoc est le ad ha 0 0 Si enim reliquum ad reliquum maio- rem liabet proportionem quam ablatum 10. triplani, "V 27-28. habebit rationem , V—31. habet ralionem , V 30 DE SPHAEKA ET GYLINDRO 1)1 ARCHIMEDE. 241 ad ablatmn, et totum ad totuni maiorem proportionem liabuit quam ablatmn ad ablatum. Pag. 53, versi 50. A Hic dosiderantur baec verba : SU ù/itur ab potcntia dupla ipsius ar. quam dupla in potcntia ^ . Pag. 54, versi 10. Quadrato enim ab aequatur contentum sub ca, ah, cuius dimidium est conten- io tum sub ex, ah, cum ex acquetili- dimi- diae ca. nam dimidium est quadrati ab Pag. 54, versi 13. Positum est enim, ut xc ad eh ita ma ad ah. Quare, componendo, patet pro¬ posi tum. Et vero quod contine,tur sub xlc, ka, aequatur td quod continetur sub mk, ke. Pag. 54 al fino del Libro secondo. Similiter in portiono minori hemisphae- rio demonstrabitur, □ fh ad □ bd maio- rem rationem habere quam mie ad ni; 20 hoc est, □ fi ad □ bk maiorem rationem habere quam mie ad ni; hoc idem est, □ fe, idest ha, ad □ bk maiorem ratio¬ nem habere quam mk ad el, hoc est ad ar. Est autem ut □ ab ad □ bk, ita ac ad ck. Ostendeiulum ergo est, quod ac ad ck maiorem rationem habet quam mk ad ar ; hoc est, quod contentum sub cr, ra maius est contento sub ck, mk, hoc est sub xlc, ha; hoc est, quod con¬ cio tentimi sub cr, ra, una cum quadrato 8. Quadratimi, S —14-15. fit propositi!ni, S —18. dannili slabil, S — ad bd, V — 18-19. inino- rem rationem, S — 22. io in bn, S — 22-23. minorem rationem, S — 27-28. sub co, ar maius, V — 242 POSTILLE AI LIBRI DE SPIIAlilU ET CYLINDltO DI ARCHIMEDE. ra, maina est contento sub ck , ka, una cimi contento sub ccc , ka. Yerum n ra aequatur contento sub xc, Ica. Denion- strandum ergo est, contentimi sub cr, ra maiuB esso contento sub ck, ka. DE MOTU. ^ - ' i * i I» ti 4 t-v i |§£ «TV- «fi r«=- £ vf rr TÉrtir Pe|W I X .? r ~ ffl9S: »*! % * y# ^ I * * — Ili «T» ||f ^r-—; •*V3c-«V ^ ?- .■# 2 f AVVERTIMENTO. Già Vincenzio Viviani, in certi commentari concernenti le Opere del suo Mae¬ stro, accennò < ad un manoscritto del Galileo in più quinternetti in ottavo intito- > lato fuori sulla coperta De motti ani/quiora, il quale si riconosce esser do’ primi > giovenili studi di lui, e per i quali nondimeno si vede, clic fin da quel tempo non > sapev’ogli accomodare ’l libero ’ntclletto suo all’obbligato filosofare della comune > delle scuole >. E soggiunge subito : « Quello però di più singolare, die è sparso > in tal manoscritto, tutto, come si vede, 1’ incastrò poi egli stesso opportunamente, > a’ suo’ luoghi, nell’ opere clic egli stampò >. (1) l)i < alcuni studi fatti dal Fio- :> reatino Filosofo in sua gioventù, c da esso trascritti in diversi quinterni, sopra > uno de’ quali vedesi segnato De metti antiquorum de. » tocca anche il Nelli, affermando che l’autografo ne era da lui posseduto: (ì) ed infatti esso ò registrato fra i manoscritti della sua libreria; (3) c lo vide anche il Venturi, il quale ammesso a cercare nelle Carte galileiane della privata biblioteca del Granduca di Toscana, delle quali la parte principale era appunto costituita dai manoscritti già ap¬ partenuti al Nelli, vi rinvenne < vari trattati latini sopra il moto, scritti dal > Galileo intórno al 1590, i quali mostrano ch’egli sin d’ allora discordava dalla > dottrina di Aristotele ». (V) C) Quinto libro degli Elementi d y Euclide, ovvero edema univcreale delle proporzioni, e piegata colla dot• trina del Galileo, con turno’ ordine distesa, e per la prima volta pubblicata da Vincrnzio Viviani ultimo suo discepolo. Aggiuntevi cose varie e del Galileo, e del Torricelli, i ragguagli dell’ ultime opere loro, eoe. In Fi ronzo, Alla Condotta, MDCLXXIV, pag. 104 105. 5 Vita c, commercio letterario di Galileo Gali¬ lei, ccc. scritta ila Gio. Uatikta Ci.kmrntr dr’Nkl- li, ccc. Volitino II. Losanna, 1703, pag. 750. (*) intorno ad alcuni Documenti Galileiani recen¬ temente scoperti nella lììblà/tcca Nazionale di Firenze por Antonio Favaro : nel VulUttino di Tììbliograjla e di Storia delle Scienze Matematiche c Fisiche; To¬ mo XIX, ISSO, pag. 30. 0) Memorie n lettere inedite, finora o disperse di Galileo Galilei ordinato od illustiato con annota¬ zioni dal Cav. Oiamhatista Vrnturì, ccc. Parte Secon¬ da, occ. Modena, per 0. Vincenzi o Comp., MDCCCXXI, pag. 330. 24G àwbutimknto. Secondo 1* ordine dato ai Manoscritti Galileiani fin da quando vennero rac¬ colti nella Biblioteca Palatina di Firenze, non vo n* ha alcuno il quale porti il titolo De mota antiqui ora, riferito dal Viviani, nò l’altro, evidentemente scor¬ retto, dato dal Nelli: ed ò. probabile che la carta che lo conteneva sia stata strappata nell’occasiono di quell’ordinamento, per ellotto del quale, come noi crediamo, gli accennati quaderni non vennero più tenuti insieme; poiché uno di essi ò unito ora, nel Tomo 1 della Parte III, con gli studi giovanili di cose astronomiche, od almeno come tali considerato dall’ordinatore, gli altri si trovano nel Tomo I della Parto V. Tutte queste scritturo sono autografe; o le più non furono per anco pubblicato nello edizioni dello Opero di Galileo." 1 Venendo ora ad esaminare la sostanza di questi studi, ai quali abbiamo voluto conservare almeno in parte il titolo primitivo, ci sembra di poter diro che in essi sono contenuto in germe, e talvolta espressamente significate, le mirabili scoperto elio posero poi l’Autore loro tanto sopra agli altri filosofi contemporanei, e mo¬ strano in fioro i frutti allogati più tardi nei Dialoghi dello Nuovo Scienze. E quanto all’ aspetto sotto il qualo tali studi si presentano, ci paro clic pos¬ sano distinguersi in tre diverse categorie. La prima, costituita da quasi tutte lo cose relative al moto contenuto nel Tomo I della Parto III, ci offre alcuno considerazioni sotto forma di appunti sbiecati, quasi nolo di un lettore o rifles¬ sioni di un pensatore; e lo stesso loro aspetto materiale ci sembra confortare il nostro giudizio. Questo codice contiene fino alla cnr. 100 li Iuvcniìia o, a partire dalla car. 102, una serie di vocaboli latini col corrispondente italiano, la quale tuttavia occupa soltanto i principi! di alcuno pagine, inentro sullo parti rimasto bianche sono scritti i detti appunti sul moto. Quei vocaboli latini non sono però di pugno di Galileo, come non sono di sua mano alcuni esercizi di scrittura e di stile epistolare che si trovano nello ultimo pagine del codice; per la qual cosa sembrerebbe quasi potersi argomentare, clic di questo libretto, il quale forse sarà stato già adoperato dal fratcl suo, si servisse il giovano filosofo come d’uno scartafaccio cui consegnava i suoi pensieri, via via che gli venivano nella mente o gli erano suggeriti dalle letture elio andava facendo. La seconda o la terza categoria sono costituite da quanto si legge nel Tomo I della Parto V: (11 quella è rappresentata da diversi capitoli, nei quali si concretano alcuni principii intorno alle cause ed alle leggi del moto ; questa contiene buon numero dello più notevoli questioni concernenti lo stesso argomento, esposte sotto forma di dialogo. E tale, l') Tutto quanto ora stato omesso nello prece¬ denti edizioni velino in questi ultimi anni dato alla luco in: Alcuni ecritli inediti di Galileo Galilei tratti dai Ala noveriti» delta Biblioteca Nazionale di Firenze, pub¬ blicati od illustrati da Antonio Favaro: noi llullrttino di lìilliòejrnfin e di Storia dell « Scienze Matematiche « Fitiehe; Tomo XVI, 1883, puf. 25-1)7 o 135157. I 1 ) V afgani una particolareggiata doiorWono di questo codice in Fa varo, Alcuni Berilli inediti di Ga¬ lileo Galilei, eoe. pag. 35-39. AVVEDIMENTO. 247 meno qualche eccezione, di cui terremo fra poco parola, deve anche essere stata la naturai genesi di cosiffatti studi nella mente di Galileo. Egli stesso, senza dubbio alcuno, pensò a dare a queste sue scritture un ordinamento logico; e forse non ne abbandonò del tutto il pensiero, se non quando, riprendendole in mano dopo molti e molti anni, d’una parto di esso volle profittare, inserendola quasi testualmente nei Dialoghi delle Nuove Scienze. Di una divisione in ca¬ pitoli ò tuttora evidente la traccia, tanto nello intestazioni dello singolo parti, quanto nel corpo di queste, le quali talvolta trovansi richiamate dall’una al- P altra ; ma disgraziatamente siffatti richiami non sono completi, nè sempre rigorosamente coordinati, ed anzi in qualche circostanza inducono a dubitare che tutto quanto Galileo dettò intorno a questo argomento non sia fino a noi pervenuto. Or dunque, accingendoci noi a procurare per la prima volta una edizione completa di tutto ciò che rimane di tali scritture, avevamo dapprima pensato ad una distribuzione della materia in vari libri, secondo la. quale avremmo cercato, entrando nell’intenzione dell’Autore per quanto era permesso divinarla, di dar forma organica a quello che apparentemente ha soltanto un aspetto fram¬ mentario ; ma ne abbiamo dismesso il pensiero, perchè la divisione in libri, facendo pensare ad una successione di argomenti trattati, non ci parve che si adattasse al caso nostro, nei quale abbiamo piuttosto un solo argomento in una serio di elaborazioni succedutesi P una all’ altra a non grande distanza di tempo. E per ciò che concerne il Tomo I della Parte V, dopo mature considerazioni desunte dalla essenza delle scritture, dalla forma nella quale sono distese, da alcuni segni di richiamo che vi si riscontrano, e dalle tracce di una antica c originale numerazione delle carte del codice, noi siamo stati indotti a considerare come un primo getto ciò che si legge nelle car. Gl ;\-124i>. (pag. 251-340): ed i vari capitoli in queste compresi abbiamo determinato di dare secondo P ordine col quale il manoscritto li presenta. Per verità, ciò clic si legge a car. 77 r.-78 r. (pag. 274-27G) avrebbe potuto essere tralasciato senza danno sensibile per la con¬ tinuità della trattazione, poiché non vi si rinvengono se non ripetuti richiami al contenuto del lungo capitolo che lo precede a car. 68t>.-76r. (pag. 262-273); se noi non ci fossimo prefissa la massima indeclinabile clic nulla sia trascurato di quanto i codici conservano di Galileo. In ciò che si legge a car. 133r.-134v. (pag. 341-343), seguendo i medesimi criteri, ci parve di poter riconoscere una seconda o posteriore lezione dei due capitoli iniziali della prima parte ; nelle car. 43 r.-GO r. (pag. 344-366), una terza trattazione dello dottrine esposte a car. Gl r.-G2 v. (pag. 251-253) e, con notevoli omissioni ed aggiunto, seconda di ciò che si legge a car. 62 t>.-G6 v. c 85 r. (pag. 253-260) e a car. 88 vAò2 r. (pag. 289-204). Al quale proposito, stimiamo opportuno di avvertire che a car. 49 vA'A) r. (pag. 352- 3G6) i problemi sono in parto trattati ed ordinati altrimenti che nella prima lezione. Corrispondono tuttavia le car. 43 r.-GO r. (pag. 344-3GG) alle G1 r.-OG v. e 85 r. i. 30 AVVERTIMENTO. (pag. 251-2G0) e alle 88iv92 r. (png. 289-294), in quanto e nelle uno e nelle altre non ò ancora questione dello variazioni di velocità. In particolare poi il capitolo a car. 88 v-92 r. apparisco di molto migliorato nella nuova leziono che se ne ha a car. 51tv56r. (pag. 355-3G1). A queste scritture abbiamo fatto seguire (pag. 367-408) la leziono dialogiz¬ zata (Par. V, T. I, car. 4r.-35v.), nella quale credemmo opportuno d’inserire pure un brano, egualmente dialogizzato (pag. 375, lin. 10 — pag. 378, lin. 3), che rinvenimmo nel Tomo I della Parte III (car. 102 ;\-101 1 \). Nel dialogo sono interlocutori un < Alexander > ed un < Dominicus >; rispetto ai quali suppose il Nelli (,) che Galileo abbia voluto porro in iscena Iacopo Maz¬ zoni e Luca Valerio, eli’ egli ebbe a compagni in Pisa nel tempo a cui risale la composizione di queste scritture. Del < Dominicus > nulla sappiamo; ma cer¬ tamente < Alexander > altri non é clic Galileo stesso, poiché in certo luogo Ales¬ sandro parla della bilancetta come d’uno strumento da lui inventato (pag. 379), ed ancora servendosi di termini da Galileo stesso adoperati nella relativa scrittura. Abbiamo posto alla line gli appunti scuciti concernenti rargomento di queste scritture, i quali rinvenimmo nel Tomo I della Parto III a car. 102 r., 104 ivi 10 r. (pag. 409-417) o nel 1 della V a car. 3 v. (pag. 418-419): e ciò anche perché non è del tutto senza fondamento il pensare clic, almeno alcuni, si riferiscano o a lezioni ulteriori in ordine di tempo o a successive parti di quelle prime delle quali si ò già tenuto parola. Nell’ edizione poi di tutti questi scritti abbiamo sempre voluto attenerci con la maggior fedeltà all’ autografo. Le aggiunte c postille marginali furono inse¬ rite al loro luogo nel testo, puro avvertendone il lettoro, allorché vi erano da qualche segno richiamate; poste in nota, quando di richiamo non trovammo traccia. Non ei parve poi opportuno trascurare nemmeno alcuni passi che l’Au¬ tore cancellò sostituendovene altri ; come quelli clic, in certi particolari, talora di poca, talora di maggiore, importanza, ci mostrano aneli’ essi il lavoro succes¬ sivo di elaborazione, e del pensiero e della forma, adoperato da Galileo intorno a questa sua opera. Riferimmo i tratti cancellati, clic erano di qualche estensione, in note speciali: dove invece, e così ò le più volte, la correzione risguarda soltanto qualche parola, registrammo la frase cancellata a piò di pagina, insieme con gli errori manifesti dell’ autografo che, come sempre, credemmo dover emendare nel testo, rendendone però conto esattissimo. E gli errori sono pur troppo frequenti, più che non si crederebbe, per certo trascorrere della penna del grand’ uomo ad assimilazioni o attrazioni, che dir si vogliano, di desinenza, o a costrutti vizio¬ samente anacolutici. Tali errori notiamo in carattere corsivo ; laddove le cassa¬ ture del manoscritto sono indicato in carattere tondo, precedute o seguite dallo pa- ,l ' Vita e commercio letterario di Galileo Galilei, OCC. Losanna, 1793, VolllUlO l, pag. 4‘2. AVVERTIMENTO. 249 role del testo (e queste in corsivo) in mozzo alle quali vengono a cadere, ancoraché non abbiano sempre relazione sintattica con esse. Ad eccezione (li un capitolo che fu steso parecchi anni più tardi, e che perciò sarà da noi dato al luogo che gli spetta nell’ordine cronologico, tutti gli studi intorno al moto, contenuti nel Tomo 1 della Parte V e nel I della III, appartengono al tempo in cui Galileo insegnò nello Studio di Pisa; e quando pur ne mancassero «altri documenti, Inasterebbero a farlo presumere i ripetuti accenni alle celebri esperienze eh’ egli esegui dalla Torre di Pisa intorno alla caduta dei gravi, e, più ancora, la scena del dialogo, che è a Bocca d’Arno. E probabilmente con le lezioni di Galileo a Pisa si riconnettono pure alcuni commentari sopra l’Alma- gesto di Tolomeo, eh’ egli accenna in queste scritture (pag. 314) di «aver giù composti e d’ esser tra breve per pubblicare ; ma de’ quali ad ogni modo nulla ò pervenuto tino a noi. Lationem omnem naturalem, sive deorsum sive sursuin illa sit, a propria mobilis gravitate voi levitate fieri, inferma explicaturi, rationi consentaneum duximus, ut quomodo quid alio levius vel gravius vel aeque grave dicendum sit, in medium afferremua. Est autem lioc de¬ terminare necessarium : saepius enim accidit ut, quae leviora sunt, graviora nuncupentur, et e converso. Dicimus enim interdum, magnum lignum parvo pimubo" gravius esse, cum tamen plumbum ligno, sim- plicitcr, gravius existat ; et magnum plumbi frustrimi pauco plumbo gravius dicimus, cum tamen plumbum plumbo gravius non sit. (l) Qua- 10 propter, ut buiusmodi captiones aufugiamus, ea dicenda erunt inter se aeque gravia, quae, cum fuerint aequalia in mole, erunt etiam aequa- lia in gravitate : unde si accipiamus duo plumbi frustra, quae aequalia sint in mole, in gravitate quoque congruentia, ista vere dicenda erunt acque ponderare. Unde manifestimi est, quod lignum non est dicendum aeque gravo ac plumbum : frustrimi enim ligni, quod cum plumbi frustro aequeponderet, longe plumbeum frustrimi in mole ex- cedet. Deinde, illud alio gravius est nuncupandum, cuius accepta nioles, alterius moli aequalis, gravior altera comperiatur : ut, verbigratia, si ex plumbo et ligno moles duas accipiamus quae inter se aequales 20 sint, moles deindo plumbi gravior sit mole ipsius ligni, tunc certe plumbum gravius esse Ugno, merito asseremus. Quare, si ligni fru- strum, quod cum frustro plumbi aequeponderet, inveniamus, non certe lignum aeque grave ac plumbum est censendum ; inveniemus enim, (*) Da * et magnum » a < nou sii » è aggiunto iu margine. 252 DB MOTU. plumbi molem longo a ligni molo oxcedi. Converso domimi modo de levioribus est statuondum: illud nanque levius est ccnsendum, cuius pars accepta, alterius parti in mole aequalis, in gravitato minor esse inve- nietnr; ut, si partes duas, alterala quidom ligni, alteram vero pliunbi, ac- eipiamus, quao in mole aequales sint, minus autem gravet lignea quam plumbea, tunc inerito lignum plumbo levius esse, est statuondum. Gravici in inferiori loco, levia vero in sublimi, a natura constituta esse, et cur. Cum ea quae naturaliter moventur, ad propria loca moveantur, et cum quae moventur aut gravia sint aut levia, videndum est, quao- io nam gravium loca, quae vero levium, existant, et cur. Gravium ita- que loca esse illa quae mundi contro magis accedunt, levium vero quae magis distant, sensu quidom quotidie intuemur; quare talia de¬ terminata loca illis a natura praescripta esso, non est quod dubitemus: sed in dubio quidom revocaci potost, cur talom ordinem in distribuon- dis locis prudens natura servaverit, non autem praeposterum. Iluius distributionis non alia, quod legerim, a philosophis affertilì’ causa, nisi quod in aliquem ordinem erant cuncta disponenda, placuit autem Summae Providentiae in lume distribuere ; et liane quoque causam vi- detur afferro Àristoteles, 8 Pliys. t. 32, dum, quaerens cur gravia et 20 levia ad propria loca moveantur, subdit, causam esse quia liabent a na¬ tura ut sint apta ferri aliquo, et hoc leve quidem sursum, grave autem deorsum. (l! Attamen, si rem accuratius spectemus, non erit profecto existimandum, nullam in tali distributiono necessitatela aut utilitatem Imbuisse naturam, sed solum ad libitum et casu quodaminodo ope- ratam esse. Hoc cum de provida natura nullo pacto existimari posse perpenderem, interdum anxius fui in exeogitanda, nisi necessaria, saltem congruente ac utili, aliqua causa : ac profecto, non nisi optimo iure sunnnaque prudenti a hunc elegisse ordinem naturam, comperi. Cum enim, ut antiquioribus philosophis placuit, una omnium corpormn ao sit materia, et illa quidem graviora sint quae in angustiori spatio plures illius materiae particulas includerent, ut iidem philosophi, inmerito for- (l) Aggiunta marginale: « Ptolemaeus, » ferantur; cum demonstrasset terram, ad i> in principio 7 cap. p. 1 suac Constructionis, '» quam feruntur, in medio osse ». Gir. p. 312, » ait frustra inquiri otti' gravia ad medium lin. 27-29; 845, lin. 4-6; 418, lin. 1-2. DB MOTU. 253 tasse ab Aristotele 4 Caeli confutati, asserebant; rationi profecto con- sentaneum fuit, ut quae in angustiori loco plus materiae conduci erent, angustiora etiam loca, qualia sunt cpiae centro magis accedunt, occupa- rent. Ut si, exempli gratia, intelligamus, naturam in prima mundi com¬ pagine totani elementorum communem matcriam in quatuor aequas ^ partes divisisse, deinde ipsius terrae formae suam materiam tribuisso, 1 itidem et formae aSris suam, terrae autem formam materiam suam in angustissimo loco constipasse, aeris autom formam in amplissimo loco materiam suam roposuisse, nonne congruum erat ut natura aeri ma¬ io gnum spatium assignaret, terrae autem minus? At angustiora sunt loca in spliera quo magis ad centrimi accedimus, ampliora vero quo magis ab eodem receclimus: prudenter, igitur, simul et acque terrae statuit natura locum esse cpii caeteris est angustior, nempe prope centrum ; reliquis deinde elementis loca eo ampliora, quo ipsorum materia rarior esset. Nec tamen dixerim, aquae materiam tantam esso quanta est ipsius tor¬ me, et, ob id, aquam, cum sit terra rarior, maiora loca occupare; sed solimi quod, si accipiamus partem aquae quae aequcponderot cum terrae parte, et, ob id, tanta sit acpiae materia quanta est terrae, tunc profecto terra illa minorem ocoupabit locum quam aqua: quare merito in angu- 20 stiori spatio orit reponenda, nempe centro propius.'" Itaque, simili modo in reliquis elementis discurrendo, congruentiam quamdam, ne dicam necessitateli!, talis dispositionis gravium et levium inveniemus. Lationes naturalcs a gravitate vel levitate fieri. Cum in superiori capite deterniinaverimus, et tanquam notissimmn supposuerimus, ita a natura constitutum esse, ut, nempe, graviora sub levioribus maneant, nunc quoniodo, quae deorsum feruntur, a gravi¬ tate moveantur, quae vero sursum, a levitate, est videndum. Cum enim gravia a gravitate liabeant ut sub levioribus maneant (quatenus enim gravia sunt, sub levioribus a natura posita fuerunt), 12 ab eadem ao liabebunt ut, supra leviora posita, sub leviora ferantur, ne, contra naturae distributionem, leviora sub gravioribus maneant. Ut sic a W Aggiunta marginale : « Tanta mate- » [il ms. : cimpliovcm^ guani terrae, spatium » ria, quantam terrae forma in angusto loco » assignare debuit». » compraoliondobat, forma aeris aniplissinnnn ^ Da «quatenus * a » fuerunt ~ ò ag- » spatium replebat: ergo aori natura amplius giunto ili margino. 254 DE MOTU. levitate levia sursum ferontur, cuin fuorint sub graviorilma: si euim a levitato liabont ut super graviora maneant, ab cationi levitate lia- bebunt ut sub gravioribus non maneant, nisi impediaiitur. Ex hoc autern patet, quomodo in inotu non sit solum liabenda ratio do mo- bilis levitate vel gravitato, seti de gravitato etiam et levitato medii, per cpiod fìt motus : nisi enim arpia levior esset lapide, tiine lapis in aqua non desconderet. Sed tpiia liic posset difficultas oriri, eur lapis in mare proioctus deorsum naturai iter feratur, cum tanien aqua maris longe gravior sit proiecto lapide, in ìneinoriani revocanduni est quoti cap. adnótavimus : nompe, lapiderà quideni aqua maris graviorom io esse, si tantum aquao moloin accipiamus quanta est molos lapidis; et ita lapis, quatenus aqua gravior, deorsum in aqua feretur. At rursns difficultas insurget, cur lapidi cum tanta mole aquao (pianta est propria moles, non autom cum toto mari, ratio sit liabenda. Quam quidom difficilitatem ut de medio tollamus, demonstrationcs nonnullas adferro statuì : ex quibus non solimi haec solutio, veruni etiam totum negocium, pendet. Cum vero media, por quac motus contingunt, sint plura, ut ignis, aér, aqua, etc., et in omnibus cationi ratio sit liabenda, sup- ponemus medium, in quo fieri debet motus, esse aquam: et, primo quidem, demonstrabimus, ea corpora quao aeque gravia sunt ae ipsa 20 aqua, in aquam demissa, demergi quidem tota, non tamon adirne magia deorsum quam sursum ferri ; 2°, ostendemus, quae leviora sunt aqua, in aquam nedum descendere, veruni etiam neo tota demergi posso; 3°, demonstrabimus, quae sunt aqua graviora, deorsum necessario ferri. Piuma demonstratio, ubi probahir, ca quae sunt aeque gravia ac medium ncque sursum ncque deorsum ferri. Ad demonstrationes itaque accedentes, prinium quidem intelliga- tur magnitudo aliqua aeque gravis ac aqua, hoc est cuius gravitas aequalis sit gravitati aquae cuius moles acquetar moli dictae magni- ao tudinis; sittpie talis magnitudo ef : ostendcnduni itaque est, magnitu- dinem ef in aquam demissam demergi totani, non tamen magis sur¬ sum quam deorsum ferri. Et sit aquae status, ante quam magnitudo 2 (>. ac([nac — DE MOTU. 255 in ipsam demittatur, abeti ; et magnitudo ef, in aquam demissa, si fieri potest, non demergatur tota, sed aliqua pars extet, nempe c; demer- gatur autem solunnnodo pars f. Necessariuin itaque est, ut, dum ma¬ gnitudo f demergitur, aqua attollatur : attollatur itaque superficics aquae ao usque ad superficiem st. Manifestimi igitur est, tantam esse molem aquae so, quanta est inoles partis magni¬ tudini demersae, nempe f: necessariuin enim est ut locus, in quelli intrat magnitudo, evacuetur aqua, et tanta moles aquae removeatur quanta io est moles magnitudini quae demergitur. Est ita¬ que moles aquae so aequali moli magnitudinis demersae, nempe ipsi f ; quare et gravitas etiam ipsius f aequabitur gravitati aquae so. Et quia aqua so nititur sua gravitate deorsum redire ad pritinum smini statimi, sed hoc assequi non potest nisi prius solidum ef ex aqua auferatur et ah aqua attollatur ; solidum autem, ne attollatur, tota propria gravitate resistit; ponuntur autem tulli solida magnitudo tiuu aqua in hoc stata consistentes ; ergo necessariuin est ut gravitas aquae so, qua sursum nititur solidum attollere, sit aequalis gravitati qua solidum resistit et 20 deorsum premit (si enim maior esset gravitas aquae so gravitate solidi ef, attolleretur quidem ef atque expelleretur ab aqua ; si vero maior esset gravitas solidi ef ’, attolleretur rursus aqua : quae tamen omnia ita consistentia ponuntur). Gravitas igitur aquae so acquatili’ gravitati totius ef\ quod quidem est ineonveniens ; nani gravitas ipsius so aequatur gravitati partis f. Manifestimi est igitur quod solidae magnitudini ef nulla pars extahit, sed tota demergetur. Haec tota est demonstratio, quani quidem ita longiorihus verhis ex[)lieavi, ut qui primum in ipsam inciderint, facilius intelligere possint; sed poterat etiam brevi ori sermone melius explicari, ita ut totum robur so demoii8trationis tale sit. Demonstrandum est, magnitudiuem ef, quae aeque gravis ponitur ac aqua, totani demergi. Nani, si non demer¬ gitur tota, aliqua illius pars extet: extet autem e; et aqua attollatur usque ad superficiem st ; et, si fieri potest, in hoc statu maneant timi aqua timi magnitudo. Quia igitur magnitudo ef gravitate sua premit et attollit aquam so; aqua autem so, ne attollatur amplius, gravi¬ tato sua resistit; necessariuin est ut tanta sit gravitas ef prementis, 8. aevacuetur — 30. demostrationis — t. \ 31 de motu. 25(3 quanta osti gravita» uquao so resistenti» : cum enim ita ponantur ma¬ nere, non erit maior pressio quam resistentia, noe o converso. Gra¬ vita» igitur aquae so aequatur gravitati magnitudini» ef: quod quidem inconveniens ; cum enim moles totius ef maior sit mole ipsius so aquae, erit etiam gravita» ef magnitudini» maior gravitato aquae so. Manifestum igitur est, magnitudine» aeque gravos ac aqua totas in aquam demergi : dico insuper, non magia sursum quam deorsum ferri, sed, quocunque ponantur, ibi manere. Nulla enim est causa cur descen¬ dere debeant aut ascendere: cum enim aeque graves ponantur ac aqua, dicere illas in aquam descendere esset idem ac si dicoremus, aquam in io aqua sub aquam descendere, et rursus aquam, quae super primam ascendit, deorsum iterimi descendere, et sic aquam in infinitum proce- dere in alternatili! descendendo et ascendendo; quoti inconveniens est. Secunda demonstratio, in qua proli alar, ea quae Innova sunt ac aqua non posse demergi tota. Cum igitur in superiori capite ea demonstrata sint quae ad quie- tem spectant, mine videnda sunt quae ad motum sursum faciunt. Dico itaque, magnitudine» aqua leviores, in aquam demissa», non de¬ mergi totas, sed aliquam partem extare. Sit ita- 20 que primus aquae status, antequam magnitudo demittatur, secundum superficiom cf ; magni¬ tudo autem a, levior aqua, in aquam demissa, si fieri potost, demergatur tota, et aqua attollatur usquo ad superficiem cd ; et, si est possibile, maneant in hoc statu timi aqua timi magnitudo. Erit iam gravitas, qua magnitudo premit et attollit aquam cf, aequalis gravitati (pia cf aqua premit ut magnitudinem a attollat. Sed etiam melos aquae cf aequatur moli magnitudinis a. Sunt igitur duae magni- tudines, una in qua a, altera aqua cf; et gravitas ipsius a aequatur so gravitati ipsius cf, et moles etiam a est aequalis moli ipsius aquae cf: ergo magnitudo a est aeque gravis ac aqua: quod quidem est absurdum ; nani posita est magnitudo levior quam aqua. Non igitur magnitudo a manebit demorsa tota sub aqua ; ergo necessario sursum feretur. c il a i DE MOTU. 257 Patet igitur cur et quomodo motus sursum proveniat ex levi¬ tate : et, ex bis quae in hoc et superiori capite tradita sunt, potest facile colligi, quod ea quae sunt aqua graviora demerguntur tota et deorsum necessario feruntur. Demergi quidem tota, necessariuin est: nisi enim tota demergerentur, essont iam, con tra supposituin leviora aqua ; leviora enim esse aqua quhe non tota demerguntur, ex converso inox allatae demonstrationis constat. Eadem vero deorsum ferri oportet. Nisi enim deorsum ferrentur, aut quiescerent, aut sur¬ sum moverentur: non autem quiescerent; quiescere, enim, nec magie io sursum quam deorsum ferri, in praecedenti, ea quae acque gravia sunt ac aqua, demonstratum est: sursum vero ferri quae aqua sunt leviora, mox apparuit. Ex his igitur omnibus satis percipi potest, eo quod necessariuin sit ea quae deorsum moventur esse graviora medio per quod feruntur, quomodo gravia a gravitate deorsum mo- veantur; et quomodo lapidi in mare proiecto non curri tota maris aqua ratio sit liabenda, sed tantum cum illa particula quae a loco, in quem intrat lapis, est dimovenda. Sed, quia liaec omnia, quae in superioribus bis duobus capitibus tradita sunt, minus adirne mathematice, et magis physice, declarari possunt, reducendo ea ad lancia considerationem, 20 placuit in sequenti capite convenientiam explicare, quam mobilia liaec nat.uralia cum bilancia ponderibus servant: et hoc ad uberiorem eorum quae tradentur cognitionem, et ad exactiorem legentium cognitionem. Caput . . L 1 in quo explicatur convcnicntia quam naturali a mobilia cum librati ponderilms habent. Quae igitur in lance contingunt prius examinabimus, ut omnia deinde in naturalibus mobilibus contingere ostendamus. Intelligatur itaque bilanx ab linea, cuius centrum, super quod fiat motus, sit c, lineam ab bifariam dispescens; a c b 30 sint autem duo pondera sus- pensa ex punctis a, l), quae [ sint e, o. In pondero itaque e tria possunt contingere : aut quiescere, aut moveri sursum, aut moveri deorsum. Si igitur pondus e gravius 15 . in mari — 15 - 16 . a qua, sed — 16 . que — 18 . materna lice — 16 . physicae — 20 . sequacnti — • 1 >K MOTI'. 258 fuorit pondero o , tuno e deorsum feretur: quod si e fuorit minus grave, sursum profecto niovebitur; et Ime, non quia non habeat gra¬ vitateli), seti quia, maior est gravitila o. Ex quo patet cpiod in bilico tam motus sursum quam motus deorsum proveniunt ex gravitato, sed diverso modo : nani motus sursum eontinget ipsi e propter gra¬ vitateli! ipsius o, motus vero deorsum propter gravitatem Buani. Quod si gravitila ponderis c aeipiabitur gravitati ipsius o, tunc e non nio¬ vebitur quidem sursum neque deorsum : deorsum enim non move- bitur c, nisi pondus quod attollere debet, nempe o, sit minus grave ; noe sursum feretur idem c, nisi pondus o, a quo traili debet, sit gravina, io llis in lance inspectia, ad naturalia mobilia rovertentes, univer- salitcr boc proponere possuinus : nempo, gravina non posso attuili a minus gravi. Quo supposito, facile est intollectu, cur solida (piac leviora sunt no aqua non deiuergantur tota. Nani si, verbigratia, in aquaui demittamua trabem, tunc, si trabes demergenda est, ne- cessarium est ut aqua exeat ex loco in quein intrat trabes, et sur- aum attollatur, hoc est dimoveatur u centro mundi. Si igitur aqua, quae attollenda est, gravior erit ipsa trabe, tunc profecto non po- terit a trabe attolli : sed si trabea doniergitur tota, tunc necesse est ut ex loco, in quom intrat trabes, removeatur tanta aqua quanta eo ost, moles ipsiusmet trabis : sed tanta aqua in mole, quanta est moles trabis, gravior est ipsa trabe (ponitur enim trabes aqua levior): non ergo possibile erit, trabem demergi totani. Hoc autom ei correspon- det quod in lance dietimi est, nempe minila pondus non posse maina attollere. Quod si trabes aeque gravis esaet nc aqua, hoc est si aqua, quae a trabe demergenda attollitur, non fuerit gravior sed aeque gravis ac trabes, trabes tunc profecto tota demorgetur, cum resisten- tiam aquae attollendae non habeat; non tiunen adirne, tota sub aqua existens, magia sursum quam deorsum feretur : et boc proportione respoudet ei quod in lance dietimi est de ponderibus aequalibus, 30 quorum ulterum noe sursum nec deorsum fertur. Quod si, rursus, trabes gravior luerit aqua illa quae a trabe est attollenda, boc est si trabes gravior fuerit tanta aqua, quanta est sua moles propria (attollitur enim a trabe demorsa, ut saepius dictum est, tanta moles aquae quanta est suamet moles), tunc trabes certo deorsum feretur : quod quidem proportione respoudet ei quod in lance dictum est, 8. ncque deorsum : non quidem deorsum — 25. aequac — 84. sepius — DE MOTU. 259 nempe tunc pondus unum deorsum ferri et alterimi attollere, quando eo fuerit gravius. Insuper, in mobili bus etiani naturalibus, sicut et in ponderibus lancis, potest motuuin omnium, tam sursum quani deor¬ sum, causa reduci ad solam gravitatem. Quando enim quid fertur sursum, tunc attollitur a gravitate medii ; ut, si trabes aqua levior vi sub aqua comprimeretur, tunc, quia trabes demorsa tantam aquae molem extulit quanta est suamet moles, tanta autem moles aquae quanta est moles trabis gravior est ipsa trabe, tunc, dubio procul, a gravitate illius aquae attolletur trabes, et sursum impelletur : et sic io motus sursum fìet a gravitate medii et levitate mobilia ; motus vero deorsum, a gravitate mobilia et levitate medii. (,> Et ex bis, contra Ari- stotelem p.° Caeli 89 , facile quispiam colligere poterit, quomodo quae moventur, moveantur, quodammodo, vi et per extrusionem medii: nani aqua trabem, vi demersum, extrudit violenter, cum, descendendo, ad propriam redit regionem, nec pati vult ut, quoti se levius est, sub se maneat ; et, pari pacto, lapis extruditur ac deorsum impellitur quia gravior est medio. Patet igitur, talem ìnotuin posso dici violentimi; quamvis communiter lignum in aqua sursum, et lapidem deorsum, na- turaliter ferri, dicantur. Nec valet Aristotelis argumentum, duna dicit, 20 Si esset violentus in lino remitteretur, non autem, ut facit, augeretur : nani motus violentus tunc remittitur quando mobile extra manum moventis fuerit, non autem diun motori est coniunctum. Patet igitur, quomodo naturalium mobilium motus ad ponderimi in lance motum congrue reducatur : ita ut, nempe, mobile naturalo uuius pouderis in lance vicem gerat; tanta antera moles medii, quanta est mobilie moles, alternili in lance pondus repraesentet. Ita ut si tanta moles medii, quanta est mobilia moles, gravior erit mobili, mobile autem levius, tunc mobile, tanquam levius pondus, sursum feretur: quod si mobile eadem medii mole gravius erit, tunc, tanquam gravius 30 pondus, descendet : et si, demmn, moles dieta medii aequabitur etiam in gravitate ipsi mobili, mobile nec sursum nec deorsum feretur ; sicut in lance aequalia pondera, ad inviccm, nec deprimuntur nec attolluntur. Et quia valde connuode naturalia mobilia ad lancis pon- 16. ad deorsum 0) Ciò che segue, fino alla linea 22, è richianmta col segno w, in corrispondenza al contenuto in una postilla marginale nel recto soguonte avvertimento scritto in capo alla po- dolla carta anteriore ; la quale postilla è qui stilla stessa : « reponautur haec in signo ™ ». 2 no DE MOTU. dera compavantur, in soquentibus congruontiam liane in omnibus, quae de naturali motu dicentur, ostendemus : quae profccto non modice ad intelligentiam conferei 111 Caput . ( linde causetur celcritas et tarditas motus naturalis. Cum in superiorilms satis abunde explicatum sit, quonuxlo motus naturales proveniant a gravitate et levitate, mine videndum est uiule accidat maior aut minor ipsius motus celcritas. Quod quidem ut fa- cilius assequi possimus, distinguendum hoc est: quod, scilicet, clupli- citer accidit inaequalitas inter motus tarditates et celeritates : vel io enim est idem mobile in diversis mediis motum ; vel idem est medium, diversa vero mobilia. In utroque motu ex eailem causa pendere tar- ditatem et celeritatem, nempe ex maiori vel minori gravitate medio- rum et mobilium, mox demonstrabimus ; 121 ubi primum causam quae, talis effectus, tradita est ab Aristotele, insufficientem esse, ostenderimus. Aristoteles igitur, 4 Phys. t. 71, scripsit, idem mobile citius mo- veri in medio subtiliori quam in crassiori, et, ideo, tarditatis motus causam esse crassitiem medii, velocitatis autem subtilitas; et hoc non alia ratione conlirmavit nisi ab experientia, quia, nempe, videmus mo¬ bile aliquod velocius moveri in acre quam in aqua. Veruni liane 20 causam non sufficientem esse, proclive erit demonstrare. Si enim motus velocitas ex subtilitato medii provenit, idem mobile semper citius 1. scquacntibus —5. Undc veniat causetur—celcritas aut et —G. abuudae —10. incquaìitas — W Dopo le parole « gravior erit mobili » (p. 259, lin. 27) il capitolo rimane interrotto a car. 6G v. secondo Passetto attuale del codice, ed è ripreso a car. 85. A quest 1 ultima parte del capitolo ticn dietro, sulla medesima car.85 r., il capitolo «In quo error Aristotelis manifesta- > tur,dicentÌ8,aereni in proprio loco gravare». Noi però proseguiamo a questo punto con quanto ci offrono le car. G7 e seguenti, a ciò indotti da una nota elio, di pugno di Galileo, si legge a c. 85 r. sotto al titolo or ora rife¬ rito: « Caput hoc non est hic insorendum, veruni hic est reponondum voltimeli *». Que¬ sto medesimo segno di rinvio * si ritrova in¬ fatti, accompagnato dalle parole « a 19 * (elio è il numero antico della car. 85) in principio della car, G7 r., in capo, cioè, al primo do’ qua¬ dernetti die contengono i quattro capitoli clic pubblichiamo qui appresso; Pultimo de 1 quali si ricollega alla sua volta a quello « In quo » error Aristotelis ctc. », ad esso rimettendo come a susseguente « capite se quanti.... inqui- » remU8 » la questione se gli elementi gravi¬ tino ne 1 loro propri luoghi. w Postilla marginalo: * Ilic animadver- » tondoni est, loqui nos do prima et formali > causa, non de accidentali et extrinscca, ut > figura mobili» vel crassities medii». DE MOTU. 201 movebitur per media subtiliora : quod quidem falsimi est; nam multa suut mobilia, quae naturali mota velocius moventur in inediis cras- sioribus quam in subtilioribus, ut, verbigratia, in aqua quam in aere. Si enim accipiamus, exempli gratia, tenuissimam vessicam inflatam, liaec in aero mota naturali tarde deseendet; qnod si ex aquae profundo demittatur, citissime sursnm, mota itideni naturali, advolabit. Sed lue scio, ali (pieni posse respondere, vessicam in aere quidem moveri et velociter deorsum ferri; in aqua vero, nedum citius, veruni etiam non descendere. Cui ego e contra responderem, vessicam in aqua sursuni io citissime ferri, in aere deinde non moveri. Sed, ne disputationem in longum protrali am, dico, in mediis subtilioribus velociorem contingere non omnem motum, sed tantum motum deorsum ; motum vero sursum citiorem fiori in mediis crassioribus. Et hoc rationabiliter quidem accidit: necessarium enim est, ut ubi difficile fìt motus deorsum, ibi facile fiat motus sursum. Manifestimi est igitur, insufficienter ab Ari¬ stotele dietimi fuisse, tarditatem motus naturali» ob medii crassitiem contingere. Quapropter, ipsius opinione derelicta, ut veram tarditatis et celeritatis motus causam afferamus, attendendum est, celeritatcm non distingui a motu: qui enim ponit motum, ponit necessario cele- 20 ritatem ; et tarditas nilnl aliud est quam minor celeritas. A quo igitur provenit motus, ab eodem provenit etiam celeritas : cum itaque a gravitate et levitate motus proveniat, ab eadem ut tarditas vel ce¬ leritas proveniant, necessarium est; a maiori quidem mobilis gravitato, maior celeritas illius motus qui a gravitate mobilis fìt, ut motus deorsum ; a minori vero gravitate, eiusdem motus tarditas ; et, rursus, a maiori mobilis levitate maior manabit celeritas illius motus qui a levitate mobilis fit, nempe motus sursum. Manifestimi est itaque, quo- modo diversitas celeritatis et tarditatis motus contingat in diversis mobilibus in eodem medio motis: si enim motus sit deorsum, quod no gravius erit citius movebitur, quam quod minus gravo ; si vero motus erit sursum, illud velocius movebitur quod levius erit. Sed utrrnn duo mobilia in eodem medio lata in motuum celeritate proportionem ser- vent quam suae gravitates liabent, ut credidit Aristoteles, inferius examinabitur. I)e celeritate deinde et tarditate eiusdem mobilis in diversis mediis similiter accidit: ut mobile citius in medio ilio deorsum 4,7,0. rexicam. Non avvertiremo ulteriormente questa grafia — 20. celeritas. Ulule A quo — 22. gravitale vel et — 21. motus quod — 32. ceìcrilates — 2G2 DE MOTU. moveatur in quo gravius erit, quam in alio in quo minus gravo; cit.ius voro in medio ilio ascendat in quo levius fuori!, quam in alio in quo minus leve. 11 ’ Quare manifestimi est, quod, si invonorimus in quibus mediis idem mobile gravius extiterit., inventa erunt media in quibus citius descendet; quod si, rursus, demonstromus, quantum idem mobile gravius sit in hoc medio quam in ilio, erit, rursus, demonstra- tum, quanto citius in hoc quam in ilio doorsum movebitur : et, con¬ verso modo de levi perscrutantes, cimi invenerimus in quonam medio idem mobile levius erit, inventimi erit medium in quo citius ascende! mobile ; quod si comperiamus quanto in hoc, quam in ilio medio, idem io mobile sit levius, erit iam compertum quanto citius in hoc, quam ilio medio, ascendat mobile. Veruni, ut. haec omnia in quolibot partico¬ lari mota exactius depraohendi valenti!, primula quidem do illis mo- tibus discurrentes qui a diversia mobilibus in eodem medio fiunt, ostendemus quam proportionem servent inter se oorum motus, quo ad tarditatom et celeritatem ; deinde, de motibus qui ab eodem mobili in diversis mediis lìunt inquirentcs, demonstrabimus similiter quam in huiusmodi motibus proportionem servent. Caput /A 5 . in quo demonstratur, diversa mobilia in eodem medio mota 20 aliam servare proportionem ah ca, quae illis ab Aristotele est tributa. Ut igitur ca quae sunt pertraetanda facilius absolvantur, conside- randum est, primum, diversitatem inter duo mobilia dupliciter posse contingere : voi enim sunt eiusdem specioi, ut, verbigratia, ambo plumbea aut ferrea; differunt autem in mole: voi sunt diversae spociei, ut ferreum unum, ligneum alterum ; differunt autem inter se aut molo et gravitate, aut gravitate et non mole, aut mole et non gravitate. 12 ’ I)o illis mobilibus quae sunt eiusdem specioi dixit Aristotele», illud 13. motu distinctiu8 exactius — 21. tribuita — cancellate rii pugno di » tanda facilius absolvantur, considorandum Gatjlko, le parole seguenti: « Ilaec cum uni- » est, primum, mobilia trifariam inter se di- » versaliter iuspecta sint, merito videndum » versa esse: vel onim, primo, differunt intor » ìestat particulariter ». » se mole et gravitate; vcl mole tantum,gra- () I>a prima avova detto invece, o poi «vitato vero minime; vel gravitate quidem, cancellò : « Ut igitur ea quae sunt pertrac- » non autem mole *. UE MOTU. 263 velocius moveri quod maius est: et hoc in 4 Caeli t. 26, uhi scripsit, quamlibet magnitudinem ignis sursum ferri, et velocius quae maior esset ; et sic quamlibet terrae magnitudinem deorsum mo¬ veri, et, similiter, velocius quae maior esset. Et idem, 3 Caeli t. 26, inquit : Sit mobile gravo in quo b, et feratur per li¬ neami ce, quae dividatur in puncto cl ; si itaque mobile b di- vidatur secundum proportionem qua dividitur linea ce in puncto d, manifestum est, in quo tempore totum fertur per totam lineam ce, in eodom partem moveri per lineam cd. io Ex quo apertissime constat, velie Aristotelem mobilia eiusdem generis inter se eam servare in velocitate motus proportionem, quam liabent ipsae mobilium magnitudines : et apertissime hoc dicit 4 Caeli t. 16, dicens magnum aurum citius ferri quam paucum. (1> Quae quidem opinio quam sit ridiculosa, luce clarius patet : quis enim unquam credet, si, exempli gratia, ab orbe lunae duae sphaerae plum- beao demitterentur, quarum altera centies altera maior esset, quod, si maior in una hora ad terram usque deveniret, minor centum ho- rarum spacium in motu suo consumeret? aut, si ex alta turri duos lapidee, quorum alter altero sit duplus in mole, eodem momento proi- 20 ciantur, quod, minore existente in dimidia turre, maior iam terram sit assecutus? Aut, rursus, si ex profondo maria eodem tempore ascen¬ dere incipiant maxima trabes et parvum ex eadem trabe frustrum, ita ut trabes centies maior sit ipso ligno, quis unquam dixerit, trabem centies velocius ad sumraum usque aquae ascensuram esse ? (2) Sed, ut semper rationibus magia quam exemplis utamur (quaerimus enim effectuum causas, quae ab experientia non traduntur), sententiam nostrani in medium afferemus, ex cuius comprobatione corruet Ari- stotelis opinio. Dicimus ergo, mobilia eiusdem speciei (eiusdem autem speciei vocentur quae ex eadem materia, ut plumbo vel ligno etc., so conflantur), quamvis mole diff'erant, tamen eadem cum celeritate mo¬ veri, nec citius descendere maior lapis quam minor. Qua conclusione qui mirantur, mirabuntur etiam, tam maximam trabem quam parvum 1. Celi — 3. terre — 24. cetices velocius — W Da « et apertissime » a « paucum * * textu, subdit haec verba : Velocitas mi- è apposto marginalmente. Inoltro, dopo » noria se se liabet ad eam quae est maio- « magnitudines » Galileo aveva proseguito » ria ut (e poi cancellò) conio appresso: * et, hac ^ Da «Aut, rursus» a «ascensuram » eadem deinonstratione repetita in sequenti esse» ò aggiunto in margine. l. 32 264 DE MOTU. lignurn aquae supernataro posse : eadem enim est ratio ; ut, si mente conciperemus aquam, cui supernatant trabes et modicum eiusdera trabis frustrimi, paulatim et successive leviorem fieri, ita ut tandem aqua levior evadat ligno et ligna incipiant tardo descendero, quis unquam dixerit, trabem aut prius aut citius descensuram quam par- vum lignum? Quamvis cnim magna trabes sit ligno parvo gravior, tamen trabi cum multo aquao a so attollendae, ligno vero parvo cum paululo aquao, est ratio habenda : et quia a trabe est attollenda tanta aquao moles quanta est propria sua moles, ot a ligno parvo 6Ìmilitor, moles istae duae aquae, quae scilicet a lignis attolluntur, eandem inter io se in gravitate proportionem habebunt quam suao moles liabent (partes onim homogencorum sunt inter se in gravitato sicut in mole; quod demonstrari oportoret)," 1 lioc est quam liabent inter se moles trabis et parvi ligni: ergo eandem habebit proportionem gravitas trabis ad gravitatem aquae a se attollendae, quam gravitas parvi Ugni ad gra- vitatem aquae a se attollendae; et eadem facilitate a magna trabe superabitur repugnantia multae aquao, qua a parvo ligno parvae aquae resistentia vincetur. Et si, rursus, mento concipiamus magnani, verbigratia, cerae molem aquae supernatantem, quam coralli aut arena aut aliquo graviori commisceamus, ita ut tandem aqua gravior evadat 20 et vix descendere tardissimo incipiat, quis unquam crediderit, si par- ticulam talis cerae accipiamus, utpote centesimam, aut non descen¬ suram aut centies tardius quam tota cera? Nemo profecto. Et hoc idem in lance experiri licebit : si enim utrinque pondera aoqualia et maxima imponantur, deinde alteri eorum quid grave superaddatur, sed modicum quidem, iam gravius descondet, sed non citius quam si pondera illa essent parva. Pari ratione et in aqua : trabes enim ra- tionem habet unius ponderis in lance, alterum vero pondus reprae- sentatur a tanta mole aquae quanta est trabis moles : quod si baec aquae moles aequeponderet cum trabe, iam trabes non descendet; so quod si trabes paululum ingravetur ita ut descondat, non iam citius descendet quam parvum ex eodem ligno frustrimi, quod cum parva aqua aequeponderarot, deinde paululum gravius redderetur. Sed libet hoc idem alio argumento confìrmaro. Et prius hoc suppo- natur: scilicet, si fuerint duo mobilia quorum alterum altero velocius 12. omogeneorum — 17. multe — 10. supematanti — 1)a * partes » a « oporteret • 6 aggiunto in margine. DE MOTU. 265 moveatur, compositum ex utrisque tardius quidem moveri quarn pars illa quae altera velocius movebatur, citius vero quam reliqua pars quae, sola, altera tardius ferebatur : mobilia aequalia esso et esse ad invicela propinquissima, iam, omnium consonsu, acqua cele- ritate movebuntur: quod si intolligamus, ea, dum moventur, uniri, cur, quaeso, ut voluit Aristotcles, celeritatem motus duplicabunt aut eam augebunt? Satis igitur confirmatum sit, non esso causala, per se, cur mobilia eiusdem spccioi inacquali ad invicem velocitato moveri debeant, sed certe ut acquali. Quod si aliqua esset causa per acci- dens, ut, verbigratia, mobilis figura, liacc inter causas per so non erit reponenda : et addo quod parimi iuvat, aut impedii, motum figura, ut i 0 suo loco ostendemus. Ncque etiam, ut multi seleni, statini devenien- dum est ad estrema, accipiontes, verbigratia, maximam piombi molem, et, rursus, minimam ex oodem lamillam seu bracteam, quae interdum etiam aquae supernatet: cum enim tam aeris quani aquae partium sit quaedam coliaerentia et (ut ita loquar) tonacitas atipie viscositas, liaec a minima gravitato non potcst vinci. Intelligenda itaquo est conclusio de mobilibus illis quorum minoris tanta sit gravitas et moles, ut a parva illa medii tcnacitato non impediatur ; qualis esset, verbigratia, globus plumbi unius librae. Addo quod etiam cavillatoribus huiusmodi, qui fortasse Aristotelem tueri posse sibi persuadent, hoc quidem accidit si 20 ad extrema devenicnt, quod eo magis laborandum orit quo mobilia magis ad invicem differentia capient : si enim accipiant mobile unum quod altero millies maior sit, antequam illud millios alterimi in velo¬ citate superet ostendant, sudandum profecto erit et laborandum. Sed, ut ad ea quae restant deveniamus, sequitur mine ut videamus, mobilia diversa specie, in codoni medio mota, quamnam in suis mo- tibus proportionem scrvent. Quae quidem mobilia licet inter se tri- pliciter difterre possint ; vel enim differunt mole et non gravitate, vel gravitate et non mole, vel mole et gravitato; do illis tantummodo est inquirendum, quao differunt gravitate et non mole. Proportiones enim so eorum quae duobus aliis modis differunt, ad liane reduci possunt : ut, si mobilia differant mole et non gravitate, si ex maiori accipiatur pars quae aequalis sit minori, erunt iam mobilia differentia gravitate et non mole; et quam proportionem servabit pars illa, ablata a maiori mobili, cum alio mobili, candem servabit etiam totum illud integrum 7. ineguali 15. correntia —18. quale —19. etiam illia quidem cavillatoribus — 35. alio violile — DE MOTU. 2G7 mobile (demonstratum est enim, mobilia eiusdem genei'is, quamvis mole differant, eadoin velocitate moveri) : et similiter, si mobilia dif- ferant mole et gravitate, eumpta, ex maiori, parte quae aequetur mo¬ bili minori, habebimus rursus duo mobilia quae differenti gravitate et non molo ; et eandem proportionem servabit in motu pars illa cum altero mobili, quam totum etiam mobilo alternili integruin (eadem enim, rursus, cum celeritate mobilium eiusdem speciei movetur pars et totum). Patet igitur quomodo, data proportione rnotuum eorum mobilium quae differunt tantum gravitato et non mole, dentur etiam proportioncs eorum, quae quovis alio modo differant. Ut (1) igitur proportionem hanc inveniamus et, contra Aristotclis sententiam, osten- davnus, nullo pacto mobilia, etiam si diversae speciei, proportionem suarum gravitatimi servare, ea demonstrabimus ex quibus non solum liuius quaestionis, verum etiam et quaestionis de proportione mo- tuum eiusdem mobilis in diversis mediis, exitus pendei; et utramque quaestioneni simul examinabimus. Quare ad proportionem eiusdem mobilis in diversis mediis exqui- 3. parie aut aequabitur in gravitato cum quae — li. hutus questionis — et questioni — 15. utramquac — W Ciò che segue, fino a * examinabimus», ò sostituito marginalmente al più lungo brano elio riproduciamo qui appresso o che ncl- rautografo trovasi cancellato: « Ut igitur » hanc proportionem inveniamus, devenien- » dum est ad causam celeri tati s et tarditatis * motus : et quo validior crit causa, co etiam » validior crit effectus ; ita ut a maiori gra- » vitato maior motus, hoc est velocior, pro- » veniat, a minori vero tardior. Dicimus, mo- * Lilia cani inter se in inotibus proportionem » servare, quam habent eorum gravitates ; » dum in co medio ponderentur, in quo fieri » debet motus. Hoc enim est animadverten- » dum: ne forte quis globos duos in aere pon- * derarot, ferreum unum, alterum ligneuni, et * inveniret ferreum decies graviorem [il ms. : * gravius] ligneo; deinde ambos in aquam » [in aqua ] demitteret, et ferreus [ferreum] > descenderet, ligneus [lìgneum] vero mini- > me; et, consequenter, ferrum nullam in motu » cum ligno proportionem servaret. Oportet :> igitur mobilia in eo medio ponderari, in » quo fieri debet motus: duo enim gravia in » diversis mediis non eandem in gravitate ser- » vant proportionem. Sed hio maxima insur- » gii, difficultas : videnius enim exporientia, » duorum globorum mole acquai ium, quorum » alter altero duplo sit gravior [gravius], ex » turri demissoruni, graviorem [gravior] non » duplo citius tcrram pertingere; quin imo » etiam lovior in principio motus praeibit v graviorem [gravius], coqno velocius per ali- » quod spacium fei*tur. Haec [line j quidoni » instantia; maxima quidem: quae, quia ex » quibusdam nondum explicatis pendet, eo » roservabitur, ubi causa reddetur de augu- » mento celeritatis motus naturalis: ubi de- » monstrabitur, per accidens esse quod motus » naturalis tardior sit in principio; ex quo > per accidens etiam esse constabit, mobile > duplo gravius non duplo citius descendere > ex turri; et causa etiam deinde explicabitur » cur levius mobile citius, in principio motus, » feratur quam gravius. Satis igitur prò nuuc » dictum sit do proportione rnotuum [rnotuum » eiusdem: cancellato eiusdem] diversorum mo- » bilium in eodem medio ». 268 1)E MOTU. rendam deveniainus : et prius quidem oxaminemus, utrumnani Aristo- telis de hoc sententia verior sit quam altera supra exposita, nec ue. Credidit itaquo Aristoteles, motus eiusdom rnobilis in diversis mediis eam in celeritate proportionem inter se servare, quam subtilitates inediorum inter se habent; et hoc quidem aperto scripsit 4 Physicorum t. 71, dum dixit Medium magia impedit, quod erassius est: ut a movebitur per spacium b in tempore c, por spacium autom d, cum sit subtilius, tem¬ pore e, 8ecuiulum proportionem impediontis, si aequalis sit longitudo; ut, si b sit aqua, d vero aer, quanto ergo subtilior est aer aqua, tanto citius a per d movebitur quam per b. llabet ergo velocitas ad veloci- io tatem eam proportionem secuudum quam distat aer ab aqua : quaro, si in duplo subtilior aer quam aqua, in duplo tem¬ pore transibit a linearn b quam lineam d; et erit l tempus c duplum temporis e. Ilaoc sunt verba Ari- stotehs, quao falsam corto sententiam includunt: quod quidem ut luce clarius appareat, hanc for- "" mabo demonstrationem. Si velocitas ad velocitateli! a eam liabet proportionem quam mcdii subtilitas ad subtilitatom, esto mobile quidem o, et medium a, cuius subtilitas sit 4, et sit, verbi- gratia, aqua; medii vero b subtilitas sit 16, maior 20 nempe subtilitate a, et sit b, exompli gratia, aer; et mobile 0 tale sit ut in aqua non descendat; eiusdem vero mobilia in b medio celoritas sit 8. (l) Quia ergo rnobilis 0 in medio b celeritas est 8, in medio vero a est nulla, poterit certe inveniri aliquod medium in 8 quo rnobilis 0 celeritas sit 1. Sit autem tale medium c. Quia igitur 0 citius movetur in medio b quam in me¬ dio c, necesse est ut subtilitas ipsius c sit minor subtilitate ipsius b, sitque, 12. subtilius —14. tempus in quo c duplum — 16. apareat — (,) Quanto segue fino alla parola « ab- surdissimum » è Bcritto marginalmente, per essere sostituito al brano seguente, che ò rinchiuso fra parentesi quadre [ ] : « Sit, » rursus, alia celeritas, quae sit 1 : ut autom * celeritas 8 ad celeri tatem 1, ita se liabeat > subtilitas b ad subtilitatem aliam, quae site: » erit iam subtilitas c, 2. Et quia sicut sub- * tilitas b ad subtilitatem c, ita se habet, ve- » locitasB ad velocitatem 1 ; mobile autem o in » subtilitate b movetur cum celeritate 8; ergo » idem mobile o in subtilitate c movebitur cum > celeritate 1. Movebitur itaquo o in medio c : * sed medium c est crassius medio a (est enim » medii a subtilitas, quae posita est 4, maior » subt ilitate c, quao est 2); in medio autem a » positum est non moveri mobile o : mobile » igitur o movebitur quidem per medium cras- > sius, per subtilius vero minime: quod est » absurdissimum et indignum Aristotele >. DE MOTtf. 260 per adversarium, tanto minor quanto coleritas in ipso medio c minor est celeritate in medio b: posita autem est celeritas in medio b octupla celeritatis in medio c: ergo subtilitas etiam medii b erit octupla subtilitatis medii c: quare subtilitas ipsius c erit 2. Mo- vetur ergo mobile o cum celeritate 1 in subtilitate medii c, quao est 2: positum autem est non moveri in subtilitate medii a, quae est 4 : ergo mobile o non movebitur in maiori subtilitate, cum tamen in minori moveatur : quod est absurdissimum. Patet igitur. motuum velocitates non servare inter se subtilitatum mediorum pro¬ io portiones. Sed, absque alia demonstratione, nonne quisque intueri po- test falsitatem opinionis Aristotelis ? Si enim motus servant mediorum proportionem, ergo et, conversimi, media servabunt motuum proportio- nem : quia igitur lignum in aere quidem descendit, in aqua vero mi¬ nime, et, consequenter, motus in aere ad motum in aqua nullam habet proportionem, ergo et raritas aéris ad raritatem aquae nullam babebit proportionem : quo quid absurdius ? At ne quis forte sibi satis meo argumento respondisse videretur, si diceret, Quamvis lignum non mo¬ veatur deorsum in aqua, movetur tamen sursum, et quam proportionem habet motus sursum in aqua ad motum deorsum in aere, hanc habet 20 raritas aquae ad raritatem aéris; et ob id dextre Aristotelem salvasse existimaret; hoc quoque subterfugium auferemus: accipiendo, scili- cet, corpus quod in aqua ncque sursum neque deorsum moveatur, ut esset, exempli gratia, ipsamet aqua, quao tamen satis velociter in aere movetur. Merito, igitur, posthabita Aristotelis sententia, inquiramus iam, quam servent proportionem motus ab eodem mobili in diversis mediis facti: et, prius quidem, de motu sursum ostendamus, solidas magnitudi- nes aqua leviores, in aquam impulsas, ferri sursum tanta vi, quanto aqua, cuius moles aequetur moli demersae magnitudinis, ipsa magnitudine so gravior erit. Sit itaque primus aquae status, antequam magnitudo in eam demittatur, secundum superficiem ab; et demittatur in eam, vi, solida magnitudo cd; et attollatur aqua usque ad superficiem ef: et quia aqua, quae attollitur, eb habet molem aequalem moli totius magnitudinis de¬ mersae, et magnitudo ponitur aqua levior, erit aquae eb gravitas maior gravitate cd. Intelligatur itaque pars aquae tb, cuius gravitas aequetur gravitati magnitudinis cd: demonstrandum itaque erit, magnitudinem cd 22 . ncquae deorsum — DE MOTO. 270 sursum ferri tanta vi, quanta est gravitas aquae tf (secundum enim hanc gravitatem aqua cb gravior est gravitato aquae tb , hoc est gravitato magnitudinis cd). Quia itaquo gra¬ vitas aquae tb aequalis est gravitati cd , tanta vi premet sursum aqua tb ut magnitudine]», attollat, quanta resistet magnitudo no attol- latur. Gravitas itaque partis aquae prementis, nempe tb, aequatur resistentiao solidao ma¬ gnitudinis: sed gravitas totius aquae premen¬ tis cb superat gravitatem aquae tb secundum gravitatem aquae tf: ergo , 0 gravitas totius aquae cb superabit resistentiam solidi cd secundum gra¬ vitatem tf aquae. Gravitas itaque totius aquae promentis sursum impel¬ let solidam magnitudinem tanta vi, quanta est gravitas partis aquae tf: quod fuit demonstrandum. Ex hac demonstratione patet, primo, quomodo, ut supra dictum fuit, motus sursum fiat etiam a gravitate, non quidem mobilis, sed medii : 2°,colligitur nostrae quaestionis intentum. Quia enim quaerimus, quanto citius idem mobile ascendat per hoc medium quam per alterum, quo- tioscunque noverimus quanta celeritate per utrumque feratur, sciemus etiam discrimen inter utrasque celeritates : et hoc est quod quaerimus. 20 Si igitur hoc lignum, verbigratia, cuius gravitas est 4, fertur in aqua sursum, et tantae molis aquae, quanta est moles ligni, gravitas est 6, fe- retur iam lignum celeritate ut 2 : quod si, rursus, idem lignum feratur sursum in medio aqua graviori, ita ut tantae molis huius secundi medii, quanta est moles ligni, gravitas sit 10, iam lignum in hoc feretur sur¬ sum celeritate ut 6. In altero autem ferebatur celeritate ut 2: ergo istae duae celeritates crunt inter se sicut 6 et 2 ; non autem ut gravitates aut crassitics mediorum, ut volebat Aristoteles, quae sunt inter so ut 10 et 6.. Patet igitur, universaliter, celeritates inter so motuum sursum, esse, sicut excessus gravitatis unius medii super gravitatem ao mobilis se liabet ad excessum gravitatis alterius medii super gravi¬ tatene eiusdem mobilis. Quare, si statim voluerimus cognoscere celc- ritates eiusdem mol)ilis in duobus mediis, accipiamus ex utroque medio duas moles aequales moli mobilis, et gravitas mobilis ex utriusquo medii gravitate subtrahatur; et remanentes numeri erunt inter se sicut 3. (iravitate soflidac] magnitudini — 5. premei deomtm aqua — ut solifilam] magnitiulinem 20. utras-qtme - 26. attero aut — celerità — 28. autem crassitics — 36. gravitatela — DE MOT IJ. 271 motuum celeritates. 0 Colligitur etiam exitus alterius quaestionis : nompe, quam proportionem servent in celeritate motuum diversa mo¬ bilia, aequalia mole, et gravitate inaequalia. Si enim unumquodquo fertur sursum tanta vi, quanto tanta moles medii, quanta est mo¬ bilia moles, gravior est ipso mobili, subtractis, ex dictae medii molis gravitate, mobilium gravitatibus, remanentes numeri eam inter so liabebunt proportionem, quam celeritates : ut si, verbigratia, unius mobilia gravitas sit quatuor, alterius vero 6, medii vero 8, erit iam mobilia, cuius gravitas est 4, celeritas 4, alterius vero mobilia celeri- ìo tas 2. Istae autem celeritates, 4 et 2, non sunt inter se sicut mobilium levitates, quae sunt 6 et 4 : nunquam enim oxcessus unius numeri super duos alios erunt inter se sicut illi duo numeri ; neque excessus duorum numerorum super alium numerum erunt inter se sicut nu¬ meri excedentea. Apertissimum igitur est, quod, in motu sursum, mo¬ bilium diversorum motus non sunt inter se sicut levitates mobilium. Restat igitur ut ostendamus, neque in motu deorsum mobilium celeritates esse inter se sicut gravitates mobilium, et ut, simul, osten¬ damus proportionem quam servant celeritates eiusdem mobilis in diversis mediis : quae omnia ex liac demonstrationo facile haurien- 20 tur. Dico igitur, solidam magnitudinem aqua graviorem deorsum ferri tanta vi quanto aqua, molem liabens aequalem moli ipsius magnitu- dinis, levior est ipsa magnitudine. Sit itaque primus aquae status se- cundum superficiem de; magnitudo autem solida bl, aqua gravior, in aquam demittatur, et attollatur aqua ad superficiem ab; sit au¬ tem aqua ae, quae molem ipsius magnitudinis moli aequalem habeat : et quia solida magnitudo ponitur aqua gravior, erit aquae gravi¬ tas minor gravitate solidae magnitudinis. Intelligatur itaque moles aquae ao , quae aequalem habeat gravitatemi gravitati bl : et quia aqua ae levior est ao secundum gravitatemi do, demonstrandum 30 est, magnitudinem bl deorsum ferri tanta vi, quanta est gravitas aquae do. Intelligatur altera solida magnitudo, aqua levior, primae 3. et diversa gravitate — inequalia — 8-9. iam celeritas mobilis — 11. 2 «e 19-20. au- rientur — l,) Qui nell’autografo segue, sotto lo can¬ cellature, il brano seguente : ♦ Colligitur etiam » confirmatio eius quod supra dietum est : » nempe, mobilia diversa gravitate et non » mole, in eodem medio, eam in suis motibus » servare proportionem, quam liabent mobi- » lium gravitates. Cum enim unumquodquo » eorum feratur sursum tanta vi ». I. ss 272 DE MOTU. coniuncta, cuius quidem moles sit ao aquao moli acqualis, gravitas autem eius sit aequalis gravitati aquao ac ; sitquo dieta magnitudo hn: et quia moles bl aequatur moli ae , moles autem hn aequatur moli no, ergo moles eompositarum magnitudinum U, hn aequatur moli compositao aquae ca , ao. Scd gravitas magnitudinis aquae ac aequa¬ tur gravitati magnitudinis hn : gravitas autem aquae ao aequatur gravitati magni¬ tudinis U: tota ergo gravitas ambarum io magnitudinum bl, hn aequatur gravitati aquae oa, ac. Scd etiam moles magnitudi¬ num demonstrata est aequalis moli aquao oa, ae; ergo, per primatn propositionom, magnitudines ita compositao neque sursum neque deorsum ferentur. Tanta ergo erit vis magnitu¬ dinis Il deorsum prementis, quanta est vis magnitudinis hn sursum impellentis: sed, per pracmissam, magnitudo hn sursum impellit tanta vi, quanta est gravitas aquae do : ergo magnitudo bl deorsum ferotur tanta vi, quanta est gravitas aquae do. Quod fuit demonstrandum. Ilac igitur demonstratione percepta, quaestionum exitus facile di- 20 gnosci potest. Constat enim, idem mobile in diversis mediis descondens eam, in suorum motuum celeritate, servare proportionem, quam habent inter se excessus quibus gravitas sua mediorum gravitates excedit: ut si mobilis gravitas sit 8, molis autem unius medii, aequalis moli mobilia, gravitas sit 6, erit iam illius celeritas ut 2 ; quod si molis alterius medii, aequalis mobilis moli, gravitas sit 4, erit iam mobilis celeri¬ tas, in lioc medio, ut 4. Patet ergo quod istae celeritates erunt inter se sicut 2 et 4; non autem ut mediorum crassities aut gravitates, ut volebat Aristoteles, quae intcr se sunt ut G et 4. Exitus itidein alterius quaestionis patet: quam, scilicet, proportionem sorvent inter co se mobilium, aequalium mole, inaequalium vero gravitato, in eodem medio, velocitates. Erunt enim inter se talium mobilium velocitates, ut excessus quibus gravitates mobilium gravitatem medii excedunt: ut, exempli gratia, si fuerint duo mobilia mole aequalia, gravitate vero inaequalia, quorum alterius gravitas sit 8, alterius vero G, inolis autem medii, aequalis moli alterius mobilis, sit gravitas 4, 22. celeritates — 23. quibus illius gravitas — b a C d c f i l V 7)1 DE MOTU. 273 iliL hb quidem mobilia celeritas erit 4, huius vero 2. Servai)unt igitur liao velocitates proportionem quae est 4 ad 2; non illam quae est inter gravitateti, nempe 8 ad 6. Atquo ex his omnibus quae tradita sunt, liaud arduum erit proportiouem quoque depraehendere, quam diversa, specie, mobilia in diversis mediis servabunt. Scrutetur enim, quam servent proportionem, in celoritate, utraque in eodem medio; quod, uti faciendum Bit, patet ex superioribus : ,0 deinde inquiratur, quam celeritatem habeat alterum eorum in alio medio, per ea itidem quae supra tradita sunt: et habebimus quod quaeritur. Ut, verbi- io gratin, si fucrint duo mobilia, mole quidem aequalia, gravitate vero diversa, et sit huius quidem gravitela 12, illius vero 8, et quae- ramus proportionem inter celeritatem illius, cuius gravitas 12, in aqua desccndentis, et celeritatem illius, cuius gravitas 8, in aere descendentis ; videatur, primo, quanto 12 velocius descendat in aqua quam 8, deindo videatur quanto citius 8 fertur in aero quam in aqua: et habebimus intentimi; aut, o contra, videatur quanto 12 citius in aere descendat quam 8, deinde 12 quanto tardius feratur in aqua quam in aero. Ilae, igitur, universales sunt regulae proportionum motuum mo- ao bilium, sive eiusdem sive non eiusdem speciei, in eodem voi in di¬ versis mediis, sursum aut doorsum motorum. Sed animadvertendum est, quod magna liic oritur difficultas: quod proportioncs istae, ab eo qui periculum fccerit, non observari comperientur. Si enim duo diversa mobilia accipiet, quae tales liabeant conditiones ut alte¬ rum altero duplo citius feratur, et ex turri deinde demittat, non certe velocius, duplo citius, torram pertinget : quin etiam, si obser- vetur, id quod levius est, in principio motus praeibit gravius et ve¬ locius erit. Quae quidem diversitates et, quodannnodo, prodigia unde accidant (por accidons enim liaec sunt), non est hic locus inquirendi : so praevidenda enim nonnulla sunt, quae nonduin inspecta fuere. Yi- dendum enim prius est, cur motus naturalis tardior sit in principio. 3. ad 0 ut falso crcdidit. Atque — 9. queritur — 16. intentai» sed hic supponitur aut — 19. ÌTacc — 27. in principio sui 7notus — W Da ♦ quod * a « superioribus * è aggiunto in margino. 274 1)E MOTU. Caput .... hi quo ea omnia, quac supra dcmonstrata sunt, naturali discorsa considcrantur, et ad lancis pondera naturalia mobilia reducuntur. Quando quia veritatom alicuius rei nactus est, et non nisi summo labore comparavit, deinde, sua inventa diligentius inspicicns, saepius eognoscit quomodo ea, quae magno negocio invenit, poterant facil¬ iime percipi. Habet eniin hoc veritas, ut non adco, ut multi credide- runt, latitet; sod eius vestigia diversis locis splendent, multi sunt calles per quos ad eam inceditur : nobis tamen saepius accidit ut ea non cernamus quae propinquiora et clariora sunt. Et de hoc io exemplum prae manibus manifestum habemus : ea enim omnia, quae supra satis arduo demonstrata et declarata fuerunt, nobis a natura adeo aperta et manifesta exponuntur, ut nihil clarius, nil apertius. Quoti quidem ut cuique appareat, consideromus, primo, quomodo et cur ea quae feruntur sursum, ferantur tanta vi, quanto tanta moles medii, per quod feruntur, quarn tanta est moles mobilia, gravior est ipso mobili. Intelligamus itaque lignum quod in aqua ascendat et aquae supernatet : iam manifestum est quod lignum fertur sursum tanta vi, quanta esset necessaria ad illud vi sub aquam demergen- dum. Si itaque inveniamus, quanta vis necessaria sit ad illud sub 20 aquam comprimendum, habebimus intentimi : sed lignum nisi esset levius aqua, hoc est si esset grave ut tanta moles aquae quanta est sua moles, iam certe demergeretur, et non attolleretur supra aquam : tanta ergo vis, quanta est gravitas secundum quam ligni gravitas superatur a gravitate dictae molis aquae, sufficit ad lignum demer- gendum. Inventa est ergo quanta gravitas requiratur ad lignum de- mergendum: sed mox determinatum fuit quod lignum sursum fertur tanta vi, quanta requiritur ad illud demergendum ; requiritur autem ad illud demergendum gravitas mox inventa : ergo lignum fertur sursum tanta vi, quanta est gravitas qua tanta moles aquae, quanta est so moles ligni, excedit gravitatem ligni : quod quaerebatur. Pari ratione de motu deorsum est ratiocinandum. Quaerimus igitur, sphera plumbea quanta vi deorsum feratur in aqua. Patet igitur, primo, 5, 9. sepius — 9. ad cam proficiscitur inceditur — 19. aqua — 32. Pari est ratione — Q uerimus — DE MOTU. 275 quoti spliera plumbea fertur deorsum tanta vi, quanta requireretur ad illam sursum attrahendam : sed si spliera plumbea esset aquea, nulla vis essot necessaria ad illam sursum attrahendam, aut certo minima omnium virium : resistit ergo, ne sursum traliatur sphaera, tanta gra- vitas, quanta spliaora plumbea sphaeram aqueam sibi aequalem excedit. Sed eadem vi, qua sphaera plumbea resistit ne sursum trahatur, deorsum etiam fertur : ergo sphaera plumbea fertur deorsum tanta vi, quanta est gravitas qua excedit gravitatela sphaerae aqueae. Hoc autem idem licet in lancis ponderibus intueri. Si enim pondera acque io ponderantia fuerint, et alteri eorum aliquod grave imponatur, tunc id deorsum feretur; sed non secundum totam suam gravitatem, sed tantum ea gravitate qua al ter uni pondus excedit : quod idem est ac si dicamus, pondus hoc deorsum ferri tanta vi quanto aliud pondus est eo levius. Et pari ratione altcrum pondus feretur sursum tanta vi, quanto alterum est eo gravius. Ex liis quae in hoc et superiori capite tradita sunt, colligitur uni- versaliter, mobilia diversae speciei eandem in suorum motuum celerita- tibus servare proportionem, quam habent inter se gravitatos ipsorum mobilium, dum fuerint aequales mole ; et hoc quidem non simpliciter, 20 sed in eo medio ponderata in quo fieri debet motus. Ut, verbigratia, sint duo mobilia, mole aequalia, inaequalia gravitate, a, b; et gravitas a in aere sit 8, gravitas vero b in aere sit 6 : istorimi mobilium in aqua cele- ritates non servabunt, ut iam dietimi est, proportionem quae est 8 ad 6. Si enim ac- cipiamus molem aquae c, quae aequetur moli alterius mobilis, sit eius gravitas 4 : ce- leritas ergo mobilis a erit ut 4, celeritas vero b erit ut 2 ; quae celeritates erunt inter se in dupla proportione, non autem in sesquitertia, ut sunt gravitates mobilium in aere ponderatorum. Attamen eorundem mobi- 30 lium in aqua gravitates quoque erunt in proportione dupla : gravitas enim a in aqua esset tantum 4. Quod sic patet. Si gravitas a in aere es¬ set 4, in aqua esset nulla. Esset enim tunc a aeque grave ac aqua, cum positura sit tantae molis aquae quanta est moles a, nempe c, in aere gra¬ vitatem esse 4 : gravitas autem c in aqua esset nulla ; non enim aut sur- 2. sfera — aquaea — 3. minimam — 4. risistit — 6. resUt — 6-7. trahatur, encìcm deorsttm — 14. ratione et sic alterum — 17. diversae generis speciei — 28. sexquitertia 30. in sexqui- altera proportione — 33-34. gravitas — 27G DE MOTU. sum aut (leorsum ferretur : ergo ctiam a in aqna gravita» esset nulla, si in aere esset 4. Sed quia in acre est 8, in aqua orit 4 : et, «adoni ra- tione, gravita» ì) in aqua cssot 2 : quare oorum gravitate» ossent in dupla proportione, sicut et motuum celeritates. Pari rationo de levi est discurrendum. Colligitur otiam, quoinodo, datis duorum ponderimi gravitatila!» in aere, statini gravitate» corundom in aqua cognosci possunt: ex utroque onim subtracta gravitate tantao aquae moli» quanta est corum mole», romanebunt gravitate» dorimi in aqua. Et sic de aliis niediis. Et ex supradictis unicuique manifestum esso potcst, quod nullius rei propriam suam gravitatelo babenius : si onim, verbi- io gratin, duo pondera ponderontur in aqua, qui» dixerit gravitate», qua» tunc videbimus, vera» esso gravitate» eoruin pondermn, quorum deindo, in aere ponderatorum, diversae ab bis gravitate» apparcbunt, et albani inter se proportionem sorvabunt? Quae si rursus in alio medio, ut, verbigratia, igne, ponderavi posscnt, ossent itidem diversae gravitate», aliamque proportionem inter se babentos : et lioe soinper, prò medio¬ rum divertìitate, variabunt. Quod si in vacuo ponderavi possent, tunc certe, ubi nulla medii gravita» ponderimi gravitatelo minueret, eoruin exactas perciporemus gravitate». Sed quia Peripatetici, cimi principe suo, dixerunt, in vacuo nullo» fieri posso motus et ideo omnia acque 20 ponderare, forte non absomun erit lume opinionem examinare, et eius fundamenta ot demonstrationes perpendere : liaec enim quaestio est una eorum quae de motu sunt. n (1 di Oaput .... ubi, contra Aristotdem, demonstratur, si vacuum esset ) motum in instanti non contingcrc, sed in tempore. Aristotele», 4 Pliys., nitens tollere vacuimi, multa facit argumonta; quorum quae a t. C4 sunt, ex motu sunt deprompta. Quia enim ponit motum in instanti fieri non posse, demonstrare contendit, si vacuum daretur, motum in co in instanti contingere: quod quidem cum ini- 30 possibile sit, vacuum etiam impossibile esse, necessario concili dit. Nos autem, cum de motu agamus, statuirmi» exquirere utrum veruni sit 6. stant-im —17. diversitatem — 20. aequae. Non avvertiremo ulteriormente questa grafia. — 22. quesito — 29. motum omnem in — 32. exquire — DE MOTU. 27? quod, si daretur vacuum, motus in eo in instanti fìeret : et cum deter- minaturi simus, in vacuo motum fieri in tempore, prius contrariam opinionem examinabimus et illius argumenta. Et, primo quidem, argumentorum ab Aristotele allatorum, nullum profecto est quod necessitatem habeat; sed unum quidem est quod necessitatemi habere, prima fronte, videtur : et hoc illud est quod t. 71 et 72 scribitur, in quo ad inconveniens illud deducit, si motus in tem¬ pore fiat in vacuo, quod, scilicet, codem tempore movebitur idem mo- bilo in pieno et vacuo. Quod quidem argumentum ut melius diluore io possimus, nunc in medium afferre statuimus. Supposuit itaque hoc, primum, Aristoteles, cum vidisset idem mobile per subtiliora media citius ferri quam per crassiora : eandem proportionem servare motus velocitatemi in uno medio ad alterius motus velocitatem in altero me¬ dio, quam medii unius subtilitas ad alterius medii sub tintatene. Deinde sic est argumentatus : Transeat mobile a medium b in tempore c ; medium autem subtilius ipso, nempo d, transeat in tempore e : mani- festum est, sicut crassities b ad crassitiem d, ita se habere tempus c ad tempus e. Sit deinde f vacuum; et mobile a, si fieri possit, transeat ipsum f, non in instanti, sed tempore g ; et sicut tempus e se habet ad 20 tempus g, ita se liabeat crassities medii cl ad alterius medii crassitiem. Tunc, ex bis quae constituta sunt, mobile a per medium nunc inventum movebitur in tempore g, cum medium d ad medium nunc inventum eandem habeat propor¬ tionem quam e tempus ad tempus g : sed codem tempore g movetur a etiam per vacuum f : ergo a eodem tempore move¬ bitur per duo spatia aequalia, quorum 80 unum sit plenum, alterum vero vacuum; quod quidem est impossibile. Non ergo mobile movebitur per vacuum in tempore; ergo in instanti. Ilaec est Aristotelis dcmonstratio : quae quidem optime et neces¬ sario conclusisset, si ea, quae assumpsit, demonstrasset Aristoteles, aut, si non demonstrata, fuissent saltelli vera; sed in hoc deceptus (,) est, quod ea tanquam nota axiomata assumpsit, quae non solum non sunt 8-9. mobile et in — 13. velocitas in uno medio — __ "> Sopra deceplus è scritto iuterlinearnieut.o : allueinjatus. 278 DE MOTU. sensui manifesta, veruni nec unquam demonstrata, noe etiam de- monstrabilia, cum prorsus falsa existant. Posuit cnim eiusdem mo- bilis motus in diversis niediis cani, in celeritato, inter so proportionem servare, quam habent mediorum subtilitates: quod qnidem falsimi esse, supra abunde demonstratum est. Ad cuins etiam confirmationem hoc unum addam : si subtilitas aeris ad aquao subtilitatem eam propor¬ tionem liabet quam celeritas eiusdem mobilis in aere ad celoritatem ipsius in aqua, cum igitur gutta aut quaolibot alia pars aquao in aere qnidem volociter descendat, in aqua vero nec hilum quidem deorsum moveatur, cum celeritas in aere ad celeritatem in aqua uni- io lana liabeat proportionem, iam, ex ipsomet Aristotele, subtilitas aeris ad subtilitatem aquae nullam proportionem servabit: quod ridiculum est. (1) Patet igitur quod sit Aristoteli respondendum, cum ita argumen- tatur : primum, enim, falsimi est, ut supra est ostensum, differontiam tarditatis et velocitatis eiusdem mobilis ex maiori aut minori crassitie et subtilitate medii provenire ; quod etiam si concederetur, falsimi etiam est, mobile in motibus eam servare proportionem quam me- diorum subtilitates. Et quod eodem loco scribit Aristoteles, quod impossibile est nu- merum ad numerimi eam haboro proportionem quam numerus ad 20 nihil, veruni quidem est de proportiono geometrica, et non solum in numeris sed in ornili quantitate. Cum in proportionibus geome- tricis necessarium sit ut minor quantitas possit toties multiplicari, ut tandem quameunque magnitudinem excedat, oportet dictam quan- titatem esse aliquid et non nihil ; nihil enim somper in se multi- plicatum nullam tamen quantitatem excedet. Attamen hoc non est necessarium in proportionibus aritluneticis : potest enim in liis nu- merus ad numerum eam habere proportionem quam numerus ad nihil. Cum enim numeri illi sint in eadem aritlimetica proportione cum maiorum super minoribus excessus fuerint aequales, poterit prò- so fecto numerus ad numerum eandem habere proportionem quam alius numerus ad nihil : ut si dicamus, 20 ad 12 est sicut 8 ad 0 ; ex- 20. numerum —27, 29. antmetic.... Non avvertiremo ulteriormente questa grafia.— 0) Qui marginalmente è aggiunto: «Si » proportionem, quam velocitas ligni in aSre * hoc csset, omnia mobilia eadem propor- » ad velocitatem ligni in aqua. Hoc autcui » tione velocitatis movcrentur in aere et » falsum esse, quis non videt ? movetur » aqua : ergo velocitas pltmibi in aere ad ve- » enim plumbum in aqua ; ligula» autem, » tacitatemi suarn in aqua eandem baberet » minime . DE MOTU. 279 cossus enim 20 super 12, qui est 8, est idem cura excessu ipsius 8 super 0. Quare si, ut volebat Aristoteles, motus inter se eam geo¬ metrico haberent proportionem quam subtilitas ad subtilitatem, bene conclusisset quod in vacuo non contingeret motus in tempore ; tempus enim in pieno ad tempus in vacuo non potest habere proportionem quam subtilitas pieni ad subtilitatem vacui, cum vacui subtilitas nulla sit : sed si celeritas ad celeritatem non geometrice sed arithmetice dictam proportionem servaret, iam nullum absurdum sequeretur. At certe quidem celeritas ad celeritatem eam, arithmetice, proportionem io servat, quam levitas medii ad medii levitatem ; cum celeritas ad cele¬ ritatem se liabeat, non sicut levitas medii ad medii levitatem, sed, ut demonstratum est, sicut excessus gravitati mobilis super buius medii gravitateli! ad excessum gravitatis eiusdem mobilis super alterius medii gravitatem. Quod quidem ut clarius appareat, ecce exemplum. Sit mobile a, cuius gravitas sit 20; duo autem media inaequalia in gravitate sint he, de; et moles b aequalis moli a, et moles d aequalis moli itidem a ; et, quia loquimur nunc de motu deorsum qui in vacuo fit, sint media leviora mobili, et ipsius b sit gravitas 12, ipsius vero d sit gravitas 6: manife- 20 stum igitur est, ex supra demonstratis, quod celeritas mobilis a in me¬ dio he ad celeritatem mobilis eiusdem in medio de erit sicut excessus gravi¬ tatis ipsius a super gravitatem ipsius b ad excessum gravitatis ipsius a super gravitatem d, hoc est sicut 8 ad 14. Sit ergo celeritas a in medio he ut 8, celeritas vero eiusdem a in medio de sit 14 : apparet iam celeritas 14 ad celeri¬ tatem 8 non eam goomotrice servare so proportionem, quam levitates mediorum. Levitas enim medii de du¬ pla est levitatis medii bc (cum enim gravitas b sit 12, gravitas vero d sit 6, hoc est cum gravitas b sit dupla gravitatis d, erit 3. habere — 8. sequacrelur —10. quam gravitas ... gravitateli! levitatem 11. sicut gra¬ vitas ... gravitatem levitatem —12. mobilis in hoc medio super —16. inerpualia 19. vero c sit io Cancellato di pugno di Galileo si » ita ut gravitila ipsius d sit tantum 5, erit legge qui: « quod si iniaginabimur medium » iam celeritas a in eo medio 15 ». Cfr. ap- » de adirne lovius [soaiffutfo a rarius] esse, presso, pag. 2S0, lin. 5-6. t. ’ a 12 20 6 d 8 11 V si 280 DE MOTU. levitaB d dupla levitntis &); attamcn celeritas 14 est minus quam dupla celeritatis 8. Sod liabet certe celeritas 14 ad celeritatem 8 eandem arithmetice proportionem quam levitas d ad levitatemi b ; cum excessus 14 super 8 sit 6, et G otiam excessus levitatis d 12 super levitatela b 6. Quod si, rursus, medium de levius sit, ita ut gravitas ipsius d sit 5, erit iam celeritas f 15 (15 onim erit excessus gravitate mobilia a super gravitatem medii d); et erit, rursus, celeritatis 15 ad celeritatem 8 eadem proportio quae erit gravitate medii & 12 ad gravitatem medii d 5, lioc est levitatis d ad levitatemi b: utrinque enim excessus erit 7. Quod si, rursus, gra- io vitas d sit tantum 4, erit celeritas f 1G ; et erit celeritatis 16 ad celeritatem 8 (cuius excessus est 8) eadom itidem arithmetica pro¬ portio quae erit gravitate b 12 ad gravitatem d 4, hoc est levi¬ tatis d ad levitatem b, quarum excessus est itidem 8. Quod si, rursus, medium de sit levius et gravitas d sit tantum 3, erit iam celeritas f 17; et erit celeritatis f 17 ad celeritatem 8 (cuius ex¬ cessus est 9) eadem arithmetica proportio quae est gravitate b 12 ad gravitatem d 3, hoc est levitatis d ad levitatem b. Quod si, rursus, medium de sit levius et sit gravitas ipsius d tantum 2, erit iam celeritas f 18 ; et illius proportio arithmetica ad celeritatem 20 8 erit eadem quae est gravitate b 12 ad gravitatem d 2, hoc est levitatis d ad levitatem b : utrinque enim excessus erit 10. Quod si, rursus, medium de sit levius et gravitas d sit tantum 1, erit iam celeritas f 19 ; quae ad celeritatem 8 eandem habebit arithmeticam proportionem, quam habet gravitas b 12 ad gravitatem d 1, hoc est levitas d ad levitatem b: utrinque enim excessus erit 11. Quod si, demum, gravitas d sit 0, ita ut excessus gravitate a mobilia super medium d sit 20, erit celeritas f 20; eritquo celeritatis f 20 ad celeritatem 8 eadem arithmetice proportio quae est gravitate b 12 super gravitatem d 0 : utrinque enim excessus erit 12. 30 Patet ergo quomodo celeritas ad celeritatem, non geometrico sed arithmetice, eam servet proportionem quam medii levitas ad medii levitatem : et cum non sit absurdum, in arithmetica proportione, quan- titatem ad quantitatem ita se habere sicut quantitas ad nihil, non erit 3 . eadem — 8 - 9 . erit gravitas viedii — 13 - 14 . hoc ìevitatis — 16 . et erit celeritas — 17 . est gravitas — 33 - 84 . quantità# ad quantitatem — DE MOTU. 281 similiter profecto absurdum, celeritatem ad celeritatem ita arithmetice posse se habere sicut raritas ad nihil. Quapropter in vacuo quoque eadem ratione movebitnr mobile, qua in pieno. In pieno enim mobile movetur celeriter secundum excessum suae gravitatis super medii, per quod movetur, gravitatem ; et ita in vacuo movebitnr secundum ex¬ cessum suae gravitatis super vacui gravitatem : quao cum nulla sit, erit excessus gravitatis mobilia super gravitatem vacui tota ipsius mobilis gravitas ; quare celeriter movebitur secundum totam suam gravitatem. In pieno autem nullo tain celeriter moveri poterit, cum mobilis gravitatis excessus supra gravitatem medii sit minor quam tota mobilis gravitas : quare etiam minor erit celeritas, quam si se¬ cundum totam suam gravitatem moveretur. Ex quo manifeste colligi potest, quomodo in pieno, ut apud nos, nulla ponderantur secundum eorum propriam naturalemque gravitatem ; sed semper eo erunt leviora quo in medio graviori extiterint, et erunt qui- dem leviora tantum quanta esset gravitas molis talis medii aequalis moli illius rei in vacuo : ita ut sphaera quidem plumbea in aqua erit tanto levior quam in vacuo, quanta est gravitas spbaerae aqueae, aequalis spliaerae plumbeae, in vacuo ; et sic sphaera plumbea in aere est tanto levior quam in vacuo, quanta esset gravitas spliaerae aereao, mole ae¬ qualis spbaerae plumbeae, in vacuo ; et sic in igne, et ceteris. Et quia ex gravitate quam liabet mobile in medio, in quo movetur, sequitur motus celeritas, eo erit celerior motus quo gravius erit idem mobile prò diversitate mediorum. Nec tamen valot hoc argumentum: Yacuum est medium omni pieno medio infinite levius; ergo in ipso continget motus infinite celerior quam in medio pieno ; ergo in instanti. Nanquo verum est quod vacuum infinite levius est quovis medio: nec tamen dicendum est, tale medium esse infinitae gravitatis ; sed ita est intel- ligendum, ut possunt esse inter aéris, verbigratia, levitatem et vacuum infinita media, leviora aere, vacuo vero graviora. Quod si ita intelli- gatur, etiam inter celeritatem in aere et celeritatem in vacuo pos¬ sunt esse infinitae celeritates, maiores celeritate quae contingit in aere, minores vero celeritate in vacuo : sic et inter gravitatem mo¬ bilis in aere et gravitatem eiusdem in vacuo possunt esse infinitae gravitates medine, maiores quidem gravitate in aere, minores vero 1. celeritas ad celeritatem — 9-10. cum sue mobilis — 29. levitate et vacuo — DE MOTU. 282 gravitato in medio. Et lioc contingit in ornili continuo: ut inter linoaa a, b, quarum a maior, possunt esso infinitae linone mediae, minores quidcm a, maiores vero h (cura enim excessus, quo a su- perat b, sit linea, erit infinito divisibili») : non tamen dicendum est, lineam a infinite cxcedere lineam b, ita ut, etiam si b infinite multi- plicetur, non componat tandem lineam maiorem ipsa a. Et ita, pari ratione, si intelligamus a esso celeritatem in vacuo, b vero celeritatem in aoro, potorunt quidem esse intor a et b infinitae celeritates, maiores quam b et mi- ^ ° ' nores quam a : nec tamen concludemlum erit, a infinite io excedere ipsam b, ita ut tempus in quo fit coloritas a, in se quan- tumlibet multiplicatum, nunquam tamen possit excedere tempus celeritatis b, et, ideo, celeritas temporis a sit istantanea. Patet ergo quomodo intelligendum sit: Lovitas vacui infinite excedit le¬ vitateli! rnedii, ergo coleritas in vacuo infinito excedet celeritatem in pieno. Concediti!!- totum. Ergo celeritas in vacuo erit in in¬ stanti, negatur. Potest enim esse in tempore, sed breviori quidem quam tempus celeritatis in pieno; ita ut inter tempus in pieno et tempus in vacuo possint infinita tompora intercedere, hoc quidem maiora, ilio vero minora : et ita non est necessarium, motum in vacuo 20 fieri in instanti, sed in tempore minori quam sit tempus motus in quovis pieno. Quare, ut uno verbo dicam, hoc totum est meum in¬ tentimi: ut si sit grave a, cuius gravitas propria et naturalis sit 1000, huius in quovis medio pieno gravitas minor erit quam mille, et, ideo, celeritas sui motus in quocunque pieno minor erit quam mille. Ut si intelligamus medium, cuius tantae molis, quanta est moles a, gravitas sit tantum 1, erit in hoc me¬ dio gravitas a 999 ; quare etiam sua celeritas 999 : et solimi celeritas ipsius a erit mille in medio ubi illius gravitas sit mille ; et hoc nullibi erit nisi in vacuo. 30 Haec est solutio argumenti Aristotelis : ex qua satis intelligi potest, quomodo in vacuo nullo pacto requiratur motus instalitanous. Cetera argumenta Aristotelis nullius sunt roboris et nullam liabent necessita¬ temi. Nain dicero, exempli gratia, in vacuo non magia Irne quam illue, aut sursum quam deorsum, movebitur mobile, quia non magia versus sursum quam deorsum cedit vacuum sed undique aequaliter, puerile 1. ut in linea inter —10. quam a esso nec — 17. tempo — 32. g uomo — 3G. nnrììquae —• a 1000 DE MOTU. 283 est : nani lioc idem dicam de aere ; cuin enim lapis est in aere, quomodo magia cedit deorsum quam sursuni, aut sinistrorsum quam dextrorsum, si aeris ubique eadem est raritas ? Hic diceret forsan aliquis, ex Ari¬ stotele, aérem gravare in sua regione, et ob id magis- iuvare motum deorsum : sed has chimaerulas capite sequenti examinabimus, ubi inquiremus utrum dementa in proprio loco gravitent. Similiter etiam cum dicunt, Tn vacuo non est nequo sursum neque deorsum ; quia lioc somniavit? Nonne, si vacuus esset aér, vacuum prope terram esset centro propinquità» vacuo quod esset prope ignem? Argumentum 10 etiam quod facit Aristotelcs do proiectis, dicens : Proiecta in vacuo non possunt moveri, nani proiecta, cum extra manum moventis sunt, moventur ab aere vel alio medio corporeo circumambiente et moto, quod quidem desideratili’ in vacuo - similiter nullius est momenti: ponit enim proiecta a medio velli; quod quidem falsimi esse, suo loco demonstrabimus. Falsimi similiter quod addit argomento, de diversis mobilibu 8 in eodem medio : ponit, enim, in pieno quidem graviora velocius ferri, quod fortius scindant medium, et liane solam esse ce- leritatis causam ; quae resistentia cum in vacuo non sit, inducit motus omnes futuros esse in vacuo in eodem tempore et eadem cum celeri- 20 tate : quod quidem impossibile esse asserit. Et, primo, Aristoteles peccat in hoc, quod non ostendit quomodo absurdum sit, in vacuo diversa mobilia eadem celeritate moveri : sed magis peccat cum ponit, mo- tuum celoritates diversorum mobiliarli ex eo pendere, quod graviora mobilia melius medium dividant. Non enim ex hoc spectanda est mobilium celeritas, ut supra demonstratum est, sed ex maiori excessu gravitatis mobilium super gravitatem medii ; celeritates enim talium excessuum proportionem secuntur : sed diversorum mobilium gravi¬ tatis non idem est excessus super eiusdem medii gravitatem (ossent enim mobilia aeque gravia): quare nec celeritates erunt aequales. Ut 30 mobilis, cuius gravitas est 8 , super gravitatem vacui, quae nulla est, excessus est 8 ; quare 8 erit celeritas : mobilis vero, cuius gravitas est 4, excessus super vacuum similiter erit 4 ; quare et illius cele¬ ritas 4. In vacuo domum eadem demonstratione utentes quam in 2. deslrorsum — 3. ubiquac — 5. chymcrulas — 8. vacuum esset aer 9. pr&ptnquiof ■ 11. movente* — 17. forctius — 19. futuro — 22. caeleritate moveantur — 22-23. motum — 24. melius dmclant — 25. maiori aut mi[nori] excessa — 26. mobilia* — 29. aequales. Ai — 31. est ipso 8 — 284 DE MOTU. pieno posuinms, demonstrabimus, mobilia specie eadem, mole vero diversa, eadem celeritate nioveri in vacuo, Et de hoc satis. Tanta (1) est veritatis vis, ut doctissimi etiam viri ot Peripatetici liuius sententiae Aristotelis falsitatom cognoverint, quamvis eorum nullus commode Aristotelis argumenta diluere potuerit. Nec certe ullus unquain argumentum, quod 4° Pliys. t. 71 ot <2 scribitur, evertere potuit: nunquam enim adirne illius fallacia observata fuit; et quamvis Scotus, D. Thomas, Philoponus et alii nonnulli contrariarli Aristoteli toneant sententiam, attamen veritatem fide potius quam vera demoustrationo, aut quod Aristoteli responderint, sunt consecuti. io Et, quidem, nullus sit qui speret posse so Aristoteli respondere et illius demonstrationem evertere, si eam proportionem concodat, quao ab eo ponitur inter velocitates eiusdem mobilis in diversis mediis. Ponit enim, ita se habere velocitatem in uno medio ad velocitatem in alio, sicut subtilitas unius medii ad subtilitatem in altero : liane nullus liucusque negare ausus est. Nec quicquam roboris habet quod a prae- dictis ponitur, nempe duplex illa resistentia mobilis ad moturn: altera, scilicet, extrinseca, proveniens ex medii crassitio ; altera voro intrin¬ seca, ratione determinatae gravitatis mobilis. Hoc enim fìctitium quid- dam est : non enim, si accurate consideremus, differunt inter se istae 20 duae resistentiae. Ut enim supra declaratum est, crassities seu (ut rectius loquar) gravitas medii facit levitatem mobilis, et medii levitas mobilis gravitatelo praestat ; et idem mobile modo gravius modo levius est, prout in leviori vel graviori medio erit. Nihil igitur addunt novi, ponentes duplicem illarn resistentiam ; cum tantuminodo augeatur et minuatur prò decremento vel incremento gravitatis vel crassitici medii. Quod si rursus concedant, augeri et minui in ea pi’oportione in qua gravitates medii variantur, frustra tentabunt Aristotelis argu¬ mentum evertere. 1. eadem move vero — 4. senctentìae — 5. comode — 7. avertere — 8. Tomas, Phyloponus — 9. attamen ad hoc veritatem —14. se habere velocitila— 16-17. predictis— 18-19. alteravi vero intrinsecavi — 19. determinate — 20-21. iste due — 23. preslat — Il tratto che seguo, e che si legge lin. 27), cioò al principio del capitolo testò in un foglietto numerato ora 80a e inserito terminato. Noi tuttavia, ravvisandovi una tia la car. 79 v. e il recto della 806, è, vera- giunta apposta dall’ Autore ni capitolo me¬ ntente, richiamato con un segno alle parole: desimo, abbiamo stimato opportuno di col- - Aristoteles, 4 Phys., nitcns etc. » (pag. 27G, locarla alla fine. DE MOTU. 285 Caput . Vi in quo error Àristotelis mani festa-tur, dicentis, aèrem in proprio loco gravare. Methodus quam in hoc tractatu servabimus ea erit, ut semper dicenda ex dictis pendeant; nec unquam (si licebit) declaranda sup- ponam tanquam vei'a. Quam quidem methodum mathematica, mei me docuere : nec satis quidem a philosophis quibusdam servatur, qui sae- piuB, physica elementa docentes, ea quae seu in libris De anima, seu in libris De caelo, quin et in Metaphysicis, tradita, supponunt; nec etiam io hoc sufficit, sed etiam, docentes logicam ipsam, continue ea in ore ha- bent quae in ultimis Àristotelis hbris tradita sunt ; ita ut, dum di- scipulos prima docent, supponunt eos omnia scire, doctrinamque tra- dunt non ex notioribus, veruni ex ignotis simpliciter et inauditis. Accidit autcm ita addiscentibus, ut nunquam quicquam per causas sciant, sed tantum ut fide credant, quia, nempe, hoc dixerit Àristo- teles. Utrum deinde veruni sit quod dixerit Aristoteles, pauci sunt qui quaerant : sufficit enim his, quod eo doctiores habebuntur, quo plures Àristotelis locos prae manibus habebunt. Sed, his omissis, ad propo- situm revertentes, videndum est, utrum aèr et aqua vere in propriis 20 locis habeant gravitatem : haec enim quaestio, solis his quae tradita sunt suppositis, explicari potest. Aristoteles, nedum aquam in proprio loco gravem esse, verum etiam aerem, scripsit 4 Caeli t. 30 ; dicens, in sua regione omnia gravitatem habere praeter ignem, aerem etiam ipsum. De aere au- tem statim probat a signo ; dicens, quia magis trahit uter inflatus quam non inflatus, signum igitur aerem in utre habere gravitatem. Hoc idem repetit t. 39 eiusdem libri, inquiens, in sua regione unum- quodque eorum, quae gravitatem habent ac levitateni, gravitateli! habere: ponit enim, aerem et aquam in relatione quidem ad alia ele- 3o menta nunc esse gravia nunc quidem levia, sed absolute et in propria regione gravare tantum. Quidam vero recentiores philosophi, ani- madvertentes id quod Aristoteles scripsit 3° Caeli t. 28, nempe aerem utrumque motum iuvare ; quatenus, scilicet, levis est, iuvare motum 4. Metodus — 6. matematici — 7, 31. phylosophys, phylosaphy. Non avvertiremo ulte- riormente questa grafia. — 7-8* se$ius — 19. utrum elementa acr — 280 DB MOTU. sursutn, quatenus vero gravis, motum deorsum ; aliud argumentum efformarunt, dicentes : Aer magie iuvat motum deorsum, quia facilius fert gravia deorsum, quam motum sursum, quia difficilius fert levia sursum. Concluserunt, aérem necessario gravem esse consendum in regione sua. Hoc tamen omnino falsum esse, inox innotescet : et de- monstrabimus, aerem et aquam in regione sua ncc gravia esse nec levia ; (,) demonstrabimus deinde, recentiorum philosophorum argu- mentum oppositum simpliciter concludere ei quod ipsi probare con- tendunt, nec potuisso illos argumentum inveniro quod magis sibi contrariaretur. io Et, primo quidem, omnino incxcogitabilo videtur, quoinodo aer et aqua in proprio loco gravitent. Nanque aliqua pars aquae in loco aeris, hoc est in aère ipso, gravitat, et deorsum quidem fertur quia gravi¬ tata sed quis unquam mente concipict, aliquam partem aquae in aqua descendere? Si enim descendet, quando erit in fundo, necesse est ut locus, in quem intrat, iam evacuetur ab alia aqua, quae coacta erit ascendere unde alia recessit ; et sic iam illa pars aquae erit levis in proprio loco. 2 U , Si aliqua pars aquae in aqua est gravis, vocetur, ver- bigratia, a: quia ergo pars aquao a in aqua est gravis et descendit, si accipiamus aliam aquae partem quae in molo aequetur ipsi a, necessa- 20 rio a gravior erit quam altera pars aquae ; et sic aqua erit gravior quam aqua: quo quid ineptius excogitari potest? Ad exemplum autcm Aristotelis de utre, respondeo quod, si foramen utris seu follis inflati sit 1 apertimi, ita ut aèr, non vi compressila, in follo detineatur, non erit iam uter gravior quam non inflatus: sed si vi multum aeris in eo comprimatur, cui dubium erit quod gravitabit? Aer enim tunc, vi constrictus, gravior est aere libero et vaganti: sicut si uter lana re- pleatur, deinde vero alterum tantum lanae superaddatur, vi compri¬ mendo, quis anceps erit an gravior fiet uter necno? Pari ratione, si, verbigratia, intelligamus partem aeris in qua so sit a, aliam vero partem aeris, in qua b, esse duplam ipsius a , tunc aer b in loco ignis, verbigratia, duplo gravior erit aere a : si ergo (ì) aor b vi coarcte- 12 .pars aqua — 23. foramen uhi — 31. in qua b sit, esse — 33. dupla — Postilla marginale : * Scquitur quae- W Cancellato di pugno di (1 a i.ileo si legge > stio, an detur simpliciter grave et sinipli- qui : « in folle qui, verbigratia, naturali ter * ci ter levo » ; con evidente rimando al ca- >■ non oaperet nisi aerem a, vi eonstipetur pitolo che segue. » aer b DE MOTU. 287 tur ita ut fiat moles aequalis moli a, erit iam aér b quodammodo alia aéris species gravior quam sit aér a ; quid ergo miruiu ai aér b in aere, cuius pars est a, descendet? Patet igitur ratio cur uter inflatus magia traliat : aer enim qui in ipso est, gravior est aere circumfuso, eo quod in angustiori loco plus eiusdem materiae com- praehendat. Manifestum itaque est, nullius esse roboris argiunentum de utre ; cura, volens ostendere aérem liberum et rarum, ut sua est natura, gravem esse, in exemplo deinde assumat aérem vi conden¬ satimi et in angusto loco compressum. io Ad argiunentum deinde dicentium, aérem ideo esse gravem quia facilius fert gravia deorsum quam levia sursum, respondeo, for- mam istalli argumentandi esse ex diametro contra argumentantes. Si enim illud medium grave existiinandiun est quod facilius fert gravia deorsum, aér erit iam gravior aqua : ea enim quae deorsum feruntur, facilius et citius descendunt in aere quam in aqua. Àdde: supra demonstratum est, gravia quae in aqua deorsum feruntur, tanta vi descendere, quanto eoriun gravitas gravitateli! molis aquae eorum moli aequalis excedit. Si ergo fuerit corpus aliquod grave, ut, verbigratia, corpus in quo a, cuius gravitas sit 8, gravitas autein 20 aquae b, cuius moles aequetur moli a, sit 4, tunc soli- dum a in aqua feretur deorsum ita celcriter et facile ut 4; si vero deinde idem corpus ferretur per me¬ dium levius quam medium b, ita ut talis medii tanta moles quanta est moles ipsius b liaberet tantum 8 gravitatis, tunc a in tali medio moveretur ita celeriter et facile ut 5. Patet, igitur, quod idem corpus a facilius deorsum movetur per inedia leviora quam per graviora : ergo necessario sequitur, quod medium eo levius exi- stimandum sit, quo gravia in eo facilius deorsum moventur; cuius contrarium ipsi affirmabant. Cui igitur iam non apertissimum est .io quod, si aér adirne levior esset, gravia deorsum facilius moveren- tur ? Quod si sic est, sequitur, aérem ideo levem esse, quia gravia in eo facile deorsum feruntur. Opposito autem modo de levibus ratioci- nantes, colligemus, medium illud grave existimandum esse, per quod levia facilius sursum feruntur; illud vero leve, per quod levia diffìcile ascendunt. Ergo, tum quia in aére levia difficilius sursum moventur, turn quia in eodem gravia facilius deorsum moventur, sequitur aérem 20 . anquaetur — 28 . movetur — I. ss 288 DE MOTU. magia levem quarti grayexn esse existimandum. Sed hoc solum con- dudam eorum modo argomentando ; qui si bonus erit, videant ipsi quid colligatur : attamen dixerim ego, dementa in propriis locis nec gravia esse nec levia. Si enim pars aquae in aqua esset gravis, do- scenderet ; quod non facit : et si gravis esset, quomodo, in profundo natantcs, vastissimae molis aquae gravitatelo non sentiremus? Ad hoc responderent ipsi : quia partes aquae super partes haerent, si cut late- res muri super lateribus incumbunt; unde, dicunt, accidit, murem exi- stentem in muro lapidum pondus non sentire.'” Quao quidem compa- ratio non satis accommodata videtur. Primo, enim, comparant aquam io fluidain et labentem muro solido et consistenti: deinde, quod lateres non super humerum muris consistant, signum est, quod, ablato mure, remanet foramen ubi erat mus, nec in eo lateres labuntur ; sed, ablato pisce aut liomine ex aqua, non remanet locus ubi erat homo, sed statim ab aqua repletur ; quod indicat, aquam inniti super pisces aut homines. Quomodo ergo solvetur problema, nisi dicamus, aquam et aèrem non gravare in suis regionibus? Ita ut talis sit tota problema- tis explicatio : tunc dicimur gravari, quando super nos incumbit ali- quod pondus quod sua gravitate deorsuin tendit, nobis autem opus est nostra vi resistere ne amplius descendat; illud autem resistere est 20 quod gravari appellamus. At quia dcmonstratum est, corpora quae sunt aqua graviora, in aquam demissa, descendere, et esse in aqua gravia quidem, attamen minus gravia quam in aere ; leviora autem aqua ostensa sunt, vi sub aquam impulsa, sursum attolli ; quae vero sunt aeque gravia ac aqua neque sursum neque deorsum ferri, sed ibi manere ubi collocantur, dummodo tota fuerint sub aqua ; ex hoc patet quod si nobis sub aqua existentibus incumbat aliquod corpus aqua gravius, ut lapis, gravabimur quidem, sed minus quam si esse- mus in aere, quia lapis in aqua est minus gravis quam in aere: bì vero nobis in aqua manentibus corpus aqua levius alligatimi fuerit, so nedum gravabimur, veruni etiam attollemur ab ilio ; ut patet in na- tantibus cum cucurbita, cum alioquin, in aere existentes, a cucurbita gravemur ; et hoc quia cucurbita in aquam impulsa fertur sursum et allevat, in aere vero fertur deorsum et gravat : si autem in aqua exi¬ stentibus aliquod corpus aeque grave ac aqua nobis immineat, neque 6. vastissintc 7. hercnt — 10. accomodata —12. umerum —25. neqiiat sursum — 10 Postilla marginale: * Simplicius, lib. 4 Caeli t 30 ». DK MOTU. 2S9 ab ilio gravabimur ncque attollemur, quia neque Burnus noque deor- sum tale corpus ferctur. At non invenitur corpus aliquod, quod magis aquae in gravitate aeque tur quam ipsamet aqua: non ergo mirimi est si aqua in aqua non descendat et gravet ; diximus enirn, gravari esse resistere nostra vi corpori deorsum petenti. Et eadem prorsus ratio de aere habenda est. Haec, meo iudicio, quicquid dicant alii, est vera problematis explicatio. Cum igitur nec aér noe aqua deorsum in suis regionibus ferantur ncque sursum, ne dicantur esse aut gravia aut levia ; cum io gravia definiantur ea esse quae deorsum feruntur, levia vero quae sursum. Et cum de motu loquimur, semper non solum gravitatis aut levitatis mobilis, sed gravitatis et levitati s medii etiam, ratio est habenda: non grave deorsum movebitur, nisi medio per quod ferri debet gravius erit ; nec leve ascendet, nisi levius fuerit medio per quod movetur. Quod cum ita sit, aqua non descendet in aqua, cum aqua gravior non sit quam aqua ; et cum non descendat, non erit aqua in aqua gravis. Quod si, non ut consideravit Àristoteles, sed per se, simpliciter et absolute, nullo liabito respectu, quaeratur utrum elementa gravia sint, respondemus, nedum aquam aut terram aut 20 aérem, vcrum etiam et ignem, et si quid igne sit levius, gravitatene habere, et demum omnia quae cum substantia quantitatem et ma- teriam liabeant coniunctam. Sed quia bic contrariato Àristoteles, ponens simpliciter leve quod nullibi gravat, examinandam iudicamus esse talem opinionem: quod quidem capite sequenti exequemur. Caput . .“ ? . in quo contro, Aristotelem concluditw, non esse poncndmn simpliciter leve et simpliciter grave: quae etiam si darcntur, non erunt terra et ignis, ut ipse credidit. Grave et leve non nisi in comparatione ad minus gravia vel levia so considerarunt qui ante Aristotelem ; et hoc quidem, meo iudicio, iure optimo : Àristoteles autem, 4 Caeli, opinionem antiquorum confutare nititur, suamque buie contrariane confirmare. Kos autem, antiquorum 9 . ferant — 24 . sequaenti exequaemur — DK MOTU. 290 in hoc opinionem seeuturi, tum Aristo tolia confutationes, tum etiam suas confirmationes, examinabimus, confutationes quidam conformando, confinnationes vero confutando ; et hoc quidem tunc praestabimus, cum Aristotelis opinionem exposueritnus. Definit itaque, primo, Aristotelos, illud so appellare gravissimum simpliciter, quod omnibus substat et sempor ad medium fertur ; levis- simum vero appellat id, quod omnibus supereminet ot sempor sur- sum, nunquam vero deorsum, movetur : et liaec scribit 4 Caeli t. 26 et 31. Dicit deinde, gravissimum esse terram, ot levissimum ignom : et hoc t. 32 et aliis in locis. Tunc, contra ponentes in igne aliquam io gravitatem, sic argmnentatur : Si ignis habet aliquam gravitatem, ergo alicui substabit ; at hoc non videtur; ergo [etc.]."’ Argumen- tum hoc non concludit. Nam ad hoc ut aliquid alicui imminoat, sufficit ut eo, cui imminere debot, sit minus grave; non autem no- cesse est, ut ornili gravitate careat: sicut ad hoc ut lignuin aquae supernatet, non requiritur necessario ut lignum omni gravitato ca¬ reat, sed satis est ut sit aqua minus grave ; et ita, pari ratione, ad hoc ut ignis aeri immineat, sat est quod aere sit minus gravis, nec est necessarium ut omni careat gravitate. Quare patet, nul- lam necessitatem habere hoc argumentum. 20 Argumentatur etiam hoc pacto : Si ignis aliquam habet gravitatem, ergo multus ignis gravior erit pauco ; quare tardius ascendet multum ignis in aere quain paucum : et ita, si terra habet aliquam levitatola, multum terrae, quod plus habebit levitatis, tardius descendet quam pauca terra: experientia tainen contrarium ostendit ; videmus enim, multum ignom citius ascendere pauco, sicut et multata terram citius descendere : signum ergo est quod in igno est tantum levitas ; et cum in multo igne plus sit levitatis, citius ascendit. Hoc quoque argumentum infirmimi est. Et, primo quidem, limites transcendit. 121 Non enim valet consoquentia, Si ignis absolute considerata habet gravitatela, ergo so ■ 30. consequaentia — w Cfr. pag. 17, (2). > gravitatem, dicimus de igne absolute et Ciò che viene appresso, fino allo pa- » nullo ad aliuilInibito respectu considerato: role « in argomentando », ò sostituito mar- » quare non valet consequentia, Ergo in aere ginalmente al tratto seguente, cancellato di * plus habebit gravitati8 multum ignis quam pugno di Galileo: «Cum enim dicit, Mul- » paucum ; nam in aere nulla pars ignis habet > tum ignis in loco aftris plus habebit gra- » gravitatem, cum ascendat». E prima aveva > vitati s quam paucum, non bene hoc deduciti cominciato, ed è altresì cancellato: * Nam * Cani enim dicimus, ignern liabere aliquam » etiam a me non negabi[tur) ». DE M0TU. 291 multimi ignis in aere gravius erit pauco : igniti enim in aere nullam liabet gravitatein. Sed ita est argumentandum : Ignis, absolute con¬ sideratila, lxabet gravitatela : ergo ubi ignis liabet gravitatela, multum ignis niultam liabebit gravitatela ; et ubi ignis liabet levitatela, ut in acre, ibi multum ignis multala liabebit levitatela, paucum vero pau- cam. Constat ergo Aristotelis fallacia in argomentando. 2° : falsimi est quod asserit, nempe, multum ignem citius ascendere quam pau¬ cum, aut multam terram velocius descendere quam paucam ; ut supra demo nstravimus. io 3°, argumentatur : Si ignis liabet gravitatela, erit iam multum ignis pauco aere gravius : quod quidem prò absurdo maximo ponit, sicut si dicamus, Si terra liabet levitatela aliquam, erit aliqua pars terrae levior aliqua parte aquae : quod falsum inquit esse, quia vi- demus, quamlibet terrae particulam sub aquam descendere, et quaia- libet ignis portionem in aere sursuin ferri. Quod quidem argumen- tum magia infirmimi est ceteris omnibus : quis autem est adeo stultus, ut non credat, multum aquae gravius osso pauca terra, et multum aòris pauca aqua, et multum ignis pauco aere? Neque obstat quod dicit Aristoteles : Videmus terram in aqua descendere. Nani, so cum liaec dicit, iam non sibi constat : nanque, cum dicimus aquam liabere gravitatelo, non dicimus habero gravitatelo in sua regione, ubi, ut demon8tratum est, nullam liabet aut gravitatelo aut levita¬ tene ; sed dicimus, multum aquae gravius esse pauca terra in loco ubi aqua etiam habeat gravitatelo, ut, verbigratia, in aere. Nani si va¬ ierei illa argumentandi ratio, concluderem etiam, paucum plumbi gravius esse maxima trabe, quia plumbum in aqua descendit, trabes autem non : at veruni quidem est quod plumbi paucum gravius est trabe in loco ubi trabes nullam liabeat gravitatelo; sed si volumus loqui de gravitate trabis, oportet ponere trabora in loco ubi habeat so gravitatene: Similiter, cum dicit, Quaelibet particula aquae in aere descendit, ergo quantumvis aeris levius est particula aquae ; hoc veruni erit in eo loco, ubi aiir nullam liabet gravitatem, aqua vero liabet: sed hoc non erit loqui de gravitate absoluta, ut loquimur. Nanque, si ponamus multum aeris in loco ubi aer etiam gravet, ut in igne aut vacuo, ibi profecto gravius erit pauca aqua. Neque con- cludatur, Ergo velocius descendet : qui enim ita concluderet, osten- 16 . qui autem — 22 - 23 . levitate — DE MOTU. 292 deret se ignorare, nude tarditaa et velocitas motus oriatur. Non enim valet, Saccus stuppa confertus in aero gravior est pauco plumbo, ergo in aero citins descendet : stili tu s enim non liaec diceret, nec ullus qui quae supra dieta sunt intellexerit. Sic de igno est ratio- cinandum : multum enim ignis gravius erit pauco aere ; non tamen in aere, ubi ignis nullam liabot gravitatali, sod in alio loco ubi ignis quoque gravet, ut esset in vacuo aut in medio loviori quam sit ignis. Hio mehercule taedet et pudet, quod verba sint iactanda ad sol- venda tam puerilia argumenta tanquam crassas subtilitates, quales illao sunt, quas, contra antiquos, toto 4 Cadi inculcat Aristoteles : io nihil enim roboris, nihil doctrinae, niliil concinnitatis aut venustatis habontes, et quarum fallacias quisquo cognoscet, si quae supra dieta sunt intellexerit. Sicut cum dicit, Videmus terram omnibus substare, ignem vero super esse; oportot, Aristotelcm habuisso Lyncei oculos, si vidit utrum in visceribus torrao sit aliquid quod terra sit gravius necne, et an super ignem sit aiiquod corpus levius. Sed, absque Lyncei oculis, caecus videro poterit, multa esso terra graviora, ut metalla omnia, quibus liquefactis terra supernatat, ut ipsi argento, quod dicunt, vivo; et non solimi est argento vivo levici* terra, sed plusquam decies levior. Quomodo ergo metalla accipiunt gravitateli! suam a terra, si 20 quam terra longe sunt graviora; culli tamen, si ex terra, aqua, aere et igne constarent, longe leviora esse deborent quam sola terra? Patct ergo, multa esse terra graviora. Cum ergo dicit: Duo sunt loca con¬ traria, medium et extremum, accipiens prò extremo lunae concavum; ergo oportet, quae in illis sunt esse contraria ; quod non erit, nisi terra ponatur ornili carens levitate, ignis vero ab ornili gravitate vacuus : ar- gumentum nullam liabet necessitateli!; quam etiam si haberet, centro contrariatur etiam eodem pacto concavum aquao et aeris, sicut con¬ cavum 3; nec, tamen, quae sub concavo aeris sunt, onmi carent gravi¬ tate. 01 Quod vero de levitate ignis scribit, dicens quod, si submoveatur so aér, ignis non descendet, ut aèr submota aqua, demdistrattone indiget: quod non probavit Aristoteles, nisi dicas quod dixerit, Sicut terra non ascendit in mcdicorum cucurbitulis quia gravissima est, ita ignis non descendet quia levissimus. Sed non valet proportio: quia, non quod 8. tecìet — et erubosco pudet — 9-10. qunles nmltao illue — 14. igne — 14,16. lincei — (l) Lo parole da « centro » a « carent neate, ed hanno marginalmente questa po- • gravitate » nell’ autografo sono sottoli- stilla: - Iloe idem scribit Plato in Timaeo». DE MOTU. 293 terra sit gravissima, non ascendit, sed quia non est fluida ; nani ncque lignum ascendoret, cum tamen sit levius aqua, quae ascendit; ascenderet tamen mercurius, quamvis terra gravior, quia fluidus ; et sic ignis descenderet, quia non solidus sed fluens habetur. 1 ” Sed, amabo, si elementa, ut ipse vult, ad invicem transmutantur, quando ex aere gravi flit ignis, quid de illa gravitate aéris? An forsan adnihilatur ? Sed, si adnihilatur, cum rursus ex igne fit terra, unde manat gravi- tas ? an forsan gravitas, quae aliquid est, ex non gravitate, quae nihil est ? Sed amplius : si ignis omni caret gravitate, ergo et omni io densitate carebit ; densum enim consequitur grave : sed quod omni caret densitate, id vacuum est: ergo ignis vacuum. At quid absurdius? Sed, demum, quomodo unquam poterit quis ignem imaginari substan- tiam cum quantitate coniunctam gravitatem non habere? Hoc pro- fecto omnino irrationabile videtur. Et cum dicimus, torram omnium esse gravissimam, quia omnibus substat, cogimur, velimus nolimus, dicere terram ideo esse gravissimam, respectu alioruin, quia omnibus substat. Substare enim omnibus et omnium esse gravissimum, idem sunt : et hoc patet ; quia, si gravissimum est quod omnibus substat, si omnia auferantur, non poterit amplius gravissimum dici, cum nulli 20 substet. Dicitur ergo gravissimum in comparatione minus gravium, quibus substat ; et idem de levitate ignis dicendum est. Concili dimus igitur, non posse aliquid dici gravissimum nulla habita ratione alio- rum quae minus gravia sunt, cum gravissimum non possit definiri aut mento concipi nisi quatenus minus gravibus 6ubstat ; et, ita, le- vis8Ìmum non posse dici nisi in comparatione ad minus levia, quibus supereminet ; nec corpus levissimum esse id quod omni careat gravi¬ tate, hoc enim est vacuum non corpus aliquod, sed id quod illis, quae habent gravitatem, est minus grave. Nec tamen dixerim, non inveniri in rerum natura aliquid quod omnibus sit gravius, et aliquid 80 quod omnibus sit levius, hoc est minus grave ; sed solum liaec duo ne- gamus, id posse considerari absolute, non habita ratione aliorum, et, etiam, talia esse terram et ignem. Multa enim sunt graviora quam 1. terra si gravissima — 2. nequae — 5. ipsac — 29. natura aliquod — W Aggiunta marginale : « Grave et love » sum. Àt simpliciter deorsum et simpliciter > per sursum etdeorsum definiuntur: si ergo » sursum loca non sunt: alterimi enim est *> est simpliciter grave et simpliciter leve, » indivisibile pnnctum ; alterimi vero, sim- * erit simpliciter deorsum et simpliciter sur- » plex superficies. * 294 DE MOTU. terra, quae quidem videmus: et possent etiam esse aliqua igne le- viora, ut exhalationes aliquae, quae super ignem advolarent; sed hoc uou possimi us audacter afiirmare, quia super ignem non f uinnis. Quod si ignis est, non tamen ornili caret gravitate ; hoc enim vacui est : quaro etiam ignis, si submoveatur aér, descendet, si vacuimi sub ipso relinquatur aut aliquod aliud medium igne levine. Descendunt enim omnia, dummodo medio, per quod ferri debent, sint graviora, ut supra est ostensum ; nec repugnat in vacuo fieri motus, ut similiter declaratum est. At mine non descendit ignis, quia aer, per quem ferri deboret, gravior est ipso igne, et non quia ignis nullam habeat in gravitatelo : sicut nec aer descendit, quia ferri deberet por aquam, quae, cum sit aere gravior, hoc non patitili* ; nec, quia aer non de¬ scendit, dicendum est aérem ornili carene gravitate. Caput .... in quo contro Aristotelem et Thcmistinm demonstratur, in vacuo solimi differcntias gravitatimi et motuum exacle discerni posse. Tliemistius, Aristotelis opinionem sequens, de vacuo loquendo, haec super t. 74, 4‘ Phys., scribit: Cum vacuimi itaque cedat aoqualiter, sed neque cedat quidem (cum enim id niliil sit, subtilis hominis est putare vacuum cedere), ita fit ut differentiae gravium et levium, idest 20 rerum momenta, tollantur, et, quod sequens est, omnibus quae mo- ventur aequalis et indiscriminata velocitas accidat. Quanto autem haec falsa sint inox innotescet, cum, quomodo in solo vacuo possint vera gravitatum et motuum discrimina dari, et in pieno nullo haec inveniri posse, declaraverimus. Et, primo quidem, sicut inter philosophos variao de eadem re opi- niones certo testantur testimonio, eorum nullum veritatem detegisse (si enim semel ab aliquo inventa esset, statini et nulla controversia, quae sua est natura, omnibus se vidcri et cognosci permisisset), sic etiam in mediis variis variae eorundem corporum gravitatum proportiones, a so nullo medio vera et naturalia pondera determinari, firmo arguunt ar¬ gomento. Quo enim medium gravius est, eo maior inter gravitates soli- dorum est differenza. Quod quidem ut adirne facilius intelligatur, ea, 2. exalationes — 15, 17. Temisti.... — 10. differentiae — 28. inventici — DE MOTU. 295 a 8 quac supra demonstrata sunt, in memoriam reducantur. Deinonstratum est itaque, verbigratia, soliduin aliquod minus in aqna quam in aero ponderare, quanta est gravitasin aere molis aquae aequalis solidi moli: ut si sint duo solida a, b, gravitas autem a in acre sit 8, gravitas vero b Bit 6, sint autem eorum moles aequales, quibus etiam aequetur moles aquae c, cuius gravitas in aere sit 3, patet, ex su¬ pra dictis, gravitatem a in aqua esse 5, b vero gravitatem esse 3. In aqua igitur gravitatimi a, b maius erit discrimen, sicut in ter 5 et 3 mai or est io discrepantia quam inter 8 et 6. Quod si, rursus, fuerit aliquod me¬ dium gravius aqua, cuius gravitas sit, verbigratia, 5, erit in eo gravitas a 3, gravitas vero b 1. Et sic patet quomodo in mediis gravioribus in ai or semper est differentia gravitatimi ; in aere enim gravitas a est sesquitortia gravitata b; in aqua, superbipartiens tertias; in alio medio graviori, tripla : at quis dicet, magis in hoc quam in ilio medio veras solidorum esse gravitates ? Nullus profecto : sed verius certe di- cetur, in nullo eorum pondera exacta liaberi. Cum enim in ornili medio gravium gravitates tantum imminuantur, quantum illius medii pars aequalis moli solidi ponderaret, patet quod in ilio solum medio in¬ so tegrao et non imminutae solidorum habebuntur gravitates, cuius nulla fuerit gravitas : tale autem solum est vacuuin. In caeteris autem mediis gravia tantum solummodo ponderant et gravant, quantum graviora sunt mediis illis (si enim essent aeque gravia ac medium aliquod, in tali medio nihil gravarent) : quod cum in vacuo, similiter, tantum gra- vent solida, quantum eorum gravitate vacui gravitatem superant ; su¬ pere ut secundum totam suam gravitatem, cum vacui nulla sit gravitas; sequitur quidem, necessario, in vacuo solo posse veras gravium gravi¬ tates liaberi : quare et talium gravitatimi discrimina ibi solum erunt. Similiter etiam de motuum velocitatibus et earum proportionibus so est sentiendum. Quis enim eas in mediis plenis inveniri dicet, si alia est mobilis velocitas in hoc medio, alia in ilio, alia in alio, et in alio etiam nulla, ut Ugni in aqua? estque, similiter, alia proportio velo¬ citatili in aere, alia in aqua, alia in medio graviori, alia in medio leviori ; ut facile quisque ex his, quae supra scripta sunt, invenire poterit? Ac demum, cum velocitates mobiìium, in medio in quo mo- 1. memoria — 2. i taquae — 4. sint itaque dito — 5. aeqvaedtr — 0. maior erit — 14. sexqui- tertia — i. 86 DE MOTU. 29 6 ventur, gravitates; et proportiones consequenter velocitatimi, gravita¬ timi proportiones, sequantur ; haecque non nisi in vacuo (lari contin- gat ; in vacuo etiani solo velocitatimi discrimina vera et naturnlia contingere, dubio procul est assorendum. Catot .... in quo affittir de proportionihus motuum eiusdem móbUis super diversa plana inclinata. Quaestio, quam nunc explicaturi simuis, a philosophis nullis, quod scialli, pertractata est: attamen, cimi de motu sit, necessario exanii- nanda videtur illis, qui de motu non mancam tractationem tradere 10 profitentur. Est auteni quaestio non minus necessaria, quam elegans et subtilis. Quaeritur enim cur idem mobile grave, naturaliter descen- den 8 per plana ad pianura liorizontis inclinata, in illis fac.ilius et ce- lerius movetur quae cum liorizonte angulos recto propinquiores con- tinebunt ; et, insuper, petitur proportio taliuni motuum iu diversis inclinationibus factorum. Huius quaestionis exitus, cum primum exqui- rere tentassem, visus est non omnino faciles liabere explicatus : at¬ tamen, cum diligentius rem examinarem eiusquo demonstrationem in sua principia resolvere conarer, tandem comperi, lmius demonstratio- nera, sicut et aliorum quae prima fronte nimis ardua videntur, ex notis 20 et manifestis naturae principiis ortum ducere. Quae quideni notiones, tanquam ad illius explicationem necessarias, nunc primum exponemus. Et primo, ut melius omnia intelligantur, quaesitum exemplo de- claremus. Sit itaque linea ah, ad centrimi mundi tendens, quae ad pianura liori/.onti acquidistans sit perpendicularis ; in plano autem liorizonti aequidistanti sit linea he; ex puncto autem h educantur linone quoteunque, quae cum linea he angulos acutos contineant, sintquo lineae hd, he. Quaeritur igitur cur mobile, descendens, citis- 30 c sime descendat per lineam ab; per lineam vero bd, citius quam per he, tardius tamen quam per ha; et per lineam he, tardius 13,14,25,26. orizont.... Non avvertiremo ulteriormente questa grafia. — 22. necessaria — 28. quoteunquae—cum plano lùtea — DE MOTU. 297 quam per bd : quaeritur insuper quanto velocius per ha quam per bd, et lue quam per be, mobile descendat. Ut igitur liaec consequi pos- simus, prius hoc est considerandum, quod etiam supra animadver- timus : scilicet, quod manifestimi est, grave deorsum ferri tanta vi, quanta esset necessaria ad illud sursum traliendum ; hoc est, fertur deorsum tanta vi, quanta resistit ne ascendat. Si itaque invenia- mus quanto minori vi trahitur sursum grave per lineam bd quam per lineam ha, erit iam inventimi quanto maiori vi descendat idem grave per lineam ab quam per lineam bd ; et, similiter, si inve¬ lo niamus quanto maior vis requiritur ad sursum impellendum mo¬ bile per lineam bd quam per be, erit iam compertum quanto maiori vi descendet per bd quam per be. Sed tunc sciemus quanto minor vis requiratur ad sursum traliendum mobile per bd quam per be, quando cognoverimus quanto eiusdem mobilis maior erit gravitas in plano secundum lineam bd, quam in plano secundum lineam be. Procedamus itaque ad inquisitionem talis gravitatis. Et (,) intelli- gatur libra cd, cuius centrum a, et in puncto c pondus aequale ponderi alii quod sit in puncto d. Si itaque intelligamus, lineam ad, manente puncto a, moveri versus l, 20 in primo puncto d descensus mobilis erit veluti per lineam ef; quare per lineam ef descensus mobilis erit se¬ cundum gravitatemi mobilis in pun¬ cto d, Rursus, quando mobile erit in puncto s, in primo puncto s suus de¬ scensus erit veluti per lineam gh; quare mobilis per lineam gh motus erit se¬ cundum gravitatemi quam habet mo¬ bile in puncto s. Et rursus, quando so mobile erit in puncto r, tunc illius descensus in primo puncto r erit veluti per lineam tn; quare mobile per lineam tn movebitur secundum gravitateli! quam habet in puncto r. Si 8. vi deorsum moveatur descendat — 18. alio — punto — W Qui r Autore, come attraverso allo cancellature può leggersi, aveva da prima dato al suo pensiero la forma seguente: « Et » intclligatur linea aò,quae,manente punctort, » circunduoi possit et circolimi describat ; et » ex puncto b pendeat pondus o ; et intelli- » gatur, rursus, libra cd, cuius centrum a ; et » in puncto c adhaereat[ilms.: adhereat\ aliud > pondus aequale ponderi b ; et aliud, b aequale, > sit in puncto [il ms. : punto ] d ». 298 DE MOTU. itaquo ostendamus, mobile in puncto s minus esse grave (pumi in pun- cto d, erit iam manifestum quod illius motus orit tardior per lineam gli quam per cf: quod si, rursus, ostendamus, in r mobile adirne minus esse grave quam in puncto s, erit iam manifestum quod tardior erit motus per lineam nt quam per gli. Atque iam manifestum est, mo¬ bile in puncto r minus gravare quam in puncto s; et in s, quam in d. Pondus cnim in puncto d aequoponderat ponderi in puncto c, cum distantiae ca, ad sint aequales: sed pondus in puncto s non aequiponderat ponderi c. Ducta enirn linea ex puncto s porpendi- culari super cd, pondus in s, respoctu ponderis in c, est ac si pen- io deret ex p: sed pondus in p minus gravat quam pondus in c, cum distantia pa sit minor distantia ac. Et, similiter, pondus in r minus gravat quam pondus in s: quod itidem patebit ducta porpendiculari ex r supor ad, quae secabit ipsam ad inter punota a, p. Manifestimi est igitur quod mobile maiori vi descendet per lineam cf quam per lineam gli, et per gli quam per nt. Sed quanto maiori vi moveatur per ef quam per gli, ita innotescet: oxtonsa, scilicet, linea ad extra circulum, quae secet lineam gli in puncto q. Et quia tanto facilius doscondit mobile per lineam cf quam per gli, quanto gravius est in puncto d quam in puncto s ; est autem tanto gravius in puncto d 20 quam in s, quanto longior est linea da quam linea ap ; ergo mo¬ bile eo facilius doscendet per lineam cf quam per gli, quo linea da longior est ipsa pa. Eandem ergo proportionem liabebit coleritas in cf ad celeritatom in gli, quam linea da ad lineam pa. Est autom sicut da ad ap ita qs ad sp, hoc est obliquus descensus ad rectum desconsum : constat igitur, tanto minori vi traili sursum idem pondus per inclinatum ascensum quam per rectum, quanto rectus ascensus minor est obliquo ; et, consequentcr, tanto maiori vi descendero idem grave per rectum descensum quam per inclinatum, quanto maior est inclinatus descensus quam rectus. Sed liaec demonstratio intelligenda 30 est nulla existonte accidentali resistentia (aut mobilis, aut plani incli¬ nati, asperitas; vel otiam mobilis figura): sed supponondum est, planum esse quodammodo incorporeum, vel saltem oxactissime expoi itum et durum, ne, dum mobilo super planum gravat, inclinaret planum, et, quodammodo tanquam in fovea, in eo quiesceret. Necesse est otiam, mobile esse expolitissimum, et figura quae motui non resistat, qualis 7. cquacpondcrat 9. cquipo riderai — 10. est sicut ac — 31. resistentia si[cut] aut — DE MOTU. 299 esset perfeota spliaerica, et, item, materia durissima, aut fluida ut aqua. Quae omnia si ita disposita fuerint, quodcunque mobile super planum liorizonti aequidistans a minima vi movebitur, imo et a vi mi¬ nori quam quaevis alia vis. Et lioc, quia videtur satis eredita difficile, demonstrabitur hac demonstratione. Sit itaque circulus, cuius centrum a, et libra bc mobilis super cen¬ tro a, et liorizonti aequidistans ; a centro vero a ducta sit perpendicu- laris ad, ad mundi centrum tendens; et ex puncto d imaginetur pendens quodcunque pondus. Manifestimi est iam quod pondus in d, dum move- 10 tur versus c, necessario ascendit. Dico igitur, quameunque vini puncto b impositam posse movero pondus in d, et necessario movere. Intelligatur enim aliquod pondus, quantumvis parvum, ex puncto b pendens; et sicut pondus in d ad pondus in b, ita fiat linea ha ad aliam, cui aequalis ponatur linea ae. Si itaque d pendeat ex puncto e, tunc aequeponderabit cum pondere in b; nec alterimi ab altero movebitur, noe lanx inclinabitur. Àt pondus in d ex a pen¬ dens levius est quam pendens ex e, quia non so- lum centro est propinquius appensum, veruni ex 20 ipso centro pendens : necesse est ut pondus in d, pendens ex a, a pondere in b moveatur, et lanx inclinetur ex parte b, et d ascendat. Ergo, si a quacunque vi quodcunque pondus in d, nedum movetur, veruni etiam attollitur, quid ergo mirum est, idem pondus d ab eadem vel minori vi, quam sit vis in b, in plano non ascendente moveri? Amplius: mobile, nullam extrinsecam liabens resistentiam, in plano sub horizonte quantulumcunque inclinato naturaliter descendet, nulla adhibita vi extrinseca; ut patet in aqua: et idem mobile in plano quantulumcunque super borizontem erecto non nisi violenter ascendit: ergo restat, quod in ipso horizonte nec naturaliter nec violenter mo- 30 veatur. Quod si non violenter movetur, ergo a vi omnium minima moveri poterit. Quod etiam aliter demonstrare possumus : nempe, quodcunque mobile, nullam extrinsecam resistentiam patiens, a vi quae minor sit quacunque vi proposita, in plano quod nec sursum nec deorsum tendat, moveri posse. Ad cuius demonstrationem hoc supponimus: nempe, mobile grave quodcunque a minori vi moveri 3. equidistante — 7. equidistans — 7-8. pcrpcndicularis ab — 15. equeponderabit — 21-25. ascendente moveatur — 27. adibita — 34. dtndat — 300 DK MOTU. posso per pianura aequidistans liorizonti, quam per plamun supra hori- zontem inclinatuin. Sit itaque planurn liorizonti aequidistans secundum lineam ab, cui ad rectos angulos sit bc ; et mobile sit sphaera e; sit autem quaecunque vis f: dico, sphaeram e, nullam extrinsecam et accidentalem resistentiam liabentexn, posse per planum ab moveri a minori vi quam sit vis f. Sit vis n, quae po- test sursum traliere pondus c; et sicut vis n ad vini f, ita sit ad linea ad li¬ neam db. Ex Iris, itaque, quae supra de- io monstrata sunt, poterit sphaera e sur¬ sum traili per planum ad a vi f: ergo per planum ab a minori vi, quam sit f, niovebitur sphaera e. Quod fuit demonstrandum. (,) Eie autem non me praeterit, posse aliquem obiicere, me ad has demonstrationes tanquam veruni id supponere quod falsimi est: nempe, suspensa pondera ex lance, cuni lance angulos rectos continere ; cum tamen pondera ad centrimi tendontia concurrerent. His responderem, me sub supraliumani Archimedis (quem nnnquam absque admiratione nomino) alis memet protegere. Ipse enim hoc idem in sua Parabolae quadratura supposuit; et hoc, fortasse, ut eo longius alios se excedere 20 ostenderet, quo etiam ex falsis vera haurire posset : nec tamen du- bitandum est, ipsum concludere falsimi, cum conclusionem eandem prius geometrica alia demonstratione probasset. Quare, aut dicendum est, suspensa pondera vere cura lance rectos continere angulos, aut nihil icfcne si lectos contineant, sed tantum sufficore ut aequales sint, quod folte probabilius erit : nisi velimus dicere, liane potius esse geometi icam licentiam ; sicut dum idem Archimedes supponit, super- ficies liabere gravitatem, et alteram altera graviorem esse, cum tamen revera omni sint expertes gravitate. Et haec quae demonstravimus, ut etiam supra diximus, intelligenda sunt de mobilibus ab omni 30 }' ef J ul J' sta ' ltit ~}~ 2 - torùonte — 2. itaquae — equidistans — 7. vis f. Fiat u. SU — 12. trai — 20. hoc quiaem fortasse — 21. attrite — 25. referri — w Aggiunta marginalo : « Ex hoc con- » stare potest, non esse motuin mixtum ». [A « mixtum » V Autore aveva soggiunto « nisi circularera » ; e poi cancellò.] « Cum * enim violentus gravitisi sit a centro, na- * turalis vero ad centrimi, non potest ex » hia componi motus, qui [il ma. : quod] » parti in ascendat, partim vero descendat: *torte dicamus, talem motum mixtum 2 esse qui circa mundi centrimi super cir- *• culi circumferentia fìt. Sed iste inelius di- * cetur neuter quam mixtus : niixtns enim * f ^ e utroque participat, neuter vero do » nullo ». DE MOTU. noi extrinseca resistenza immunibus : quae quidem cum forte impossibile sit in materia invanire, ne miretur aliquis, de Iris periculum faciens, si experientia frustretur, et magna sphaera, etiam si in plano liori- zontali, minima vi non possit moveri. Accedit enim, praeter causas iam dictas, etiam liaec : scilicet, planimi non vere posse esse horizonti aequidistans. Superficies enim terrae sphaerica' est, cui non potost aequidistare planimi : quare, plano in uno tantum puncto spbaeram contingente, si a tali puncto recedamus, necesse est ascendere : quare merito a tali puncto non quacunque minima vi poterit removeri io sphaera. Et ex bis quae demonstrata sunt, facile erit aliquorum proble- matum solutionem assequi : qualia liaec sunt. Primo : datis duobus planis inclinatis, quorum rectus descensus idem sit, invenire propor- tionem celeritatum in eis eiusdem mobilis. Sit enim rectus de¬ scensus ab, et planum horizontis sit bri, et sint obliqui descensus ac, ad: quaeritur iam, quam proportionem habeat celeritas in ca ad celeritatem in ad. Et, quia sicut tarditas in ad ad tarditatem in ab, ita est linea da ad lineam ab, ut supra ostensmn d est; sicut autem ab linea ad lineam ac, ita tarditas 20 in ab ad tarditatem in ac ; erit, ex aequali, sicut tarditas in ad ad tarditatem in ac, ita da linea ad lineam ac: quare et sicut celeritas in ac ad celeritatem in ad, ita linea da ad lineam ac. Con- j stat ergo, eiusdem mobilis in diversi» inclinatio- nibus celeritates esse inter se permutatimi sicut obliquoriun descen- suuin, aequales rectos descensus compraeliendentium, longitudines. Hursus, possumus plana inclinata invenire, in quibus mobile idem da¬ tano in celeritatibus servet proportionem. Sit enim data pro¬ porlo quam habet linea e ad f ; et sicut e ad f, in prae- 83 cedenti figura ita fiat da ad ac: erit iam absolutum quod quaerebatur. Possunt etiam alia similia problomata resolvi : ut, datis duobus diversi generis mobilibus, mole aequalibus, planum ita inclinatum constituere, ut quod velocius, niotu recto, altero movebatur, in lioc plano eadem velocitate descendat qua alterum motu recto. Sed quia liaec et similia ab bis, qui quae supra 3. magnani sphaeram — 4. movere — preter — 6,7. equidiet ....— 0. iene — 26. equeles — 27. 7 ÌUV8U8 dato mofbili] possumus — 23. Sint — 302 DE MOTE. (lieta fiunt intellexerint, facile invoniri possimi, prudente» omittimus: hoc solum animadvertentes, quoti, sicut supra ilictum do motu recto, ita otiam in his motibus super planis aceidit non servavi has pro- portiones quas posuimus, tum propter causas inox allatas, timi otiam quod per accidens est quod mobile levius in principio sui niotus citius descendat quam gravine : quod lindo accidat, suo loco deelarabinms ; (piaestio enim haec ex illa penclet, in qua quaeritur c.ur motus natu- ralis intendatur coleritas. Scd, ut saepius diximus, Ime demonstrationes supponunt, nulla esse extrinseca impedimonta, seu mobilia figurac, seu plani aut mobilis asperitatis, seu medii in contrarrne aut in easdem io partes moti, seu extrinseci motoria virtutis urgentis aut retardantis motum, et similia: de his enim accidentibus, co quod innumeris modis uccidere possint, regulae tradi nequeunt. Simili ratione considerandum erit de motu sursum. Et haec de motu in planis inclinatis dieta suflìciant. llestat autem ut capito sequonti aliquid de motu circolari dicamus; quaerondo, primum, utrum proportionalis sit molili recto necno, et utrum sit violentila an naturalis. Caput .... in quo conira Aristotclem concìuditur, eo redimi et circulurem motum esse inter se proportionatos. Aristotclem parimi in geometria fuisse versatimi, mnltis in locis suae philosophiae apparet ; seti in hoc potissimum, ubi asserii., motum circularem motui recto non esse proportionatum, quia, scilicet, recta linea curvae non est proportionata aut comparabilis : quod quidem mendacium (indignum enim est nomine opinionis), nedum intima et magis recondita geometriae inventa, Aristotelem ignorasse, veruni et minima etiam principia liiiius scientiae, demonstrat. Nanque, quomodo dixit rectam et circularem non esse proportionatas, si ad hoc, ut quantitates inter se proportionem habeant, sufficit ut minor possi! so toties multiplicari ut alterarli excedat ? (n A11 forsan chorda arcus, quao 7. questio — S.scpius—haec demonstrationes —16. queremlo —17. proportionalc —31. corda (1 > Da prima l’Autore, come attraverso allo » quarum minor potest toties multiplicari ut cancellature può leggersi, aveva scritto: « si » alterimi excedat?» Dopo «quantitates* ave- « quantitates in ter se proportionem lmbent, va puro scritto, e poi cancellò: «illaesunt*. DE MOTO. 303 area minor est., in se saopius multiplicata, arcus longitudinem non excedet ? At si excedet, cur dicitur ab Aristotele, arcum et cliordam non esse proportionata ? Non tamon adbnc desunt qui contendant Aristotelem salvare, di- centes, Aristotelem hoc solum sibi voluisse, nempe, curvimi et rectuin non esse inter se comparabilia. Sed isti sunt geometriae longo imperi- t.iores quam Aristoteles, quandoquidem, dura conantur ipsum non er¬ rasse ostondere, errorem illi tribuunt qui longe gravior est ilio, a quo ipsum purgatura reddere conantur. Et primo quidem, quonam loci in io geometria invenerunt, mentionem fieri de proportene aut non propor- tione curvi et recti, cum proportio non inveniatur nisi ubi maius et minus est, hoc est ubi quantitas est? Curvum autem aut rectum quis unquam quantitates dixerit? At quam ineptiam maiorem potuisset un- quam excogitare Aristoteles, quam dicere, curvum et rectum non esse proportionatos aut comparabiles? Esset enim hoc ut si quis diceret, tri- gonmn et quadratum non esse comparabiles, quia trigonus habet tan¬ tum tres angulos, quadratum vero quatuor. Sed haec ad quid ? cum Aristoteles hoc non voluisset, quod ipsi volunt. Dicit enim haec verbo, 7 Phys. t. 24: Si recta et curva sunt comparabiles, accidit rectam esse 20 aequalem circulo ; sed comparabiles non sunt. Haec sunt illius verba. Veruni, ut eos convincano ut nunquam aufugere possint, hoc pacto dicano. Non certe negabunt, planano superfìciem ad aliquam sui partem liabere proportionem : quod si sic est, iam habeo intentum. Circulus, enim, quadrato inscriptus, est illius quadrati aliqua pars; ergo qua¬ dratum ad circulum habet aliquam proportionem : sed quadratum ad circulum sibi inscriptum est sicut quadrati peripheria ad circuii cir- cumferentiam : quare quadrati peripheria, quae est ex lineis rectis, ad circuii curvano circumferentiam habet proportionem. Sed quid ulterius progredior? Aristoteles temere dicit, Non datur recta aequalis circuii so circumferentiae : quod falsum esse demonstratur a divino Archimede in suis Lineis spiralibus, propositione... ; ubi circumferentiae circuii circa spiralem primae revolutionis recta linea aequalis invenitur. Neque di¬ casi Hoc latuit Aristotelem, quia Archimedes Aristotele est multo recen- t.ior. Nano, si Aristotelem latuit demonstratio inveniendae rectae curvae aequalis, latuit etiam demonstratio probans non dari rectam curvae 1 . sepius — 2 . cordam — 12 . autem autem rectum — 15 - 16 . si quis trigonum — 22 .superfieem — 26 , 27 . periferia — L 87 304 DE MOTU. aequalem; quare non debebat temere assevero, non davi talem rectam. Sed amplius : quia est tain caecua, cui lateat quod, si fuerint duo rectae aequales, qnarum altera incurvetur, erit illa curva rectae aequalis ? Aut, si circulus super lineala rcctam circumducatur, quia dubitabit, circulum in una revolutione liueam rectam pcrtransiro suae circumferentiao aequalem? Quaro motum roctum curvo esse acquaioli! et in quavis proportione proportionatum, non amplius dubitemus. Caput .... in quo de motu circulari quaerìtur, an sit naturalis an violentus. io De motu circulari aliqua dicturi, primo ipsum ita distinguemus. Motus itaque circularis vel fit super mundi centrimi, vel extra. Nunc autem videamus, an qui fit circa mundi centrimi sit violentus noe no ; ut, verbigratia, si marmorea sphaera esset in mundi centro, ita ut centrimi eius a mundi centro non differret. Iluius quacsiti solutionem habebimus, si quid sit naturalis et quid violentus motus declaretur. Motus itaque naturalis est dum mobilia, incedendo, ad loca propria accedunt ; violentus vero est dum mobilia, quae moventur, a proprio loco recedunt. Ilaec cum ita se liabeant, manifestum est, spliaeram super mundi centrum circumvolutam neque naturali ncque violento 20 motu moveri. Cum enim sphaera gvavis sit, et gravium locus sit cen¬ trum, inoveanturquo gravia secundum suae gravitatis centrum ; si iam spliaerae esset centrum gravitatis in centro mundi, in quo, dum sphaera circumducitur, maneret; manifestum est quod neque naturaliter ncc violenter moveretur, cum ad proprium locum nec accederet noe re- cederet. Ubi animadvertendum est, quod si sphaera esset consimilium partium, ita ut centrum gravitatis et magnitudinis idem esset, tunc illius centrum a centro mundi non differret; quod si dissimilimi! esset partium, ita ut centrum suae gravitatis a centro magnitudinis dif¬ ferret, tunc centrum gravitatis esset idem cum centro mundi, cen- 30 trum vero magnitudinis diversum. Sed, quomodocunque se liaberet, dummodo centrum gravitatis esset idem cum centro mundi, sphaera in centro mundi nec naturaliter nec violenter circumduceretur. Unum- 2. qui est — cecus — 3. erit certo illa — 12. itaquae — 31. (lictrsus — 1)E MOTU. 305 quodque enim eorum, quae moventur, secundum gravitatis suae cen- trum movotur : quod si centrimi gravitatis non differat a centro mundi, timo sphaera, super centro suae gravitatis circumvoluta, nec natura- liter nec violenter movebitur. Sed lue duo quaeri possunt : primo, utrum sphera heterogenearum partimn, cuius centrum magnitudinis esset in centro mundi, centrimi vero gravitatis a mundi centro distaret, utrum, inquam, talis spliaera violenter moveretur nec ne ; 2°, si sphaera esset in centro mundi, nec naturaliter nec violenter circumageretur, quaeritur, utrum, accepto io motus principio ab externo motore, perpetuo moveretur noe ne. Si enim non praeter naturam movetur, vidotur quod perpetuo moveri deberet ; sed si non secundum naturam, videtur quod tandem quie- scere debeat. Ad priinum itaque redeuntes, dicimus, sphaeram lioterogenearum partium, cuius centrum gravitatis a magnitudinis centro differret, praeter naturam quidem et vi ita manere, ut eius centrimi magni¬ tudinis esset in centro mundi, centrimi vero gravitatis distaret; non autem praeter naturam et vi moveri. Ut, verbigratia, sit spliaera, cuius magnitudinis centrum sit a, quod a centro mundi non diffe- 20 rat; sit autem heterogenea, ut, verbigratia, si spliaera esset lignea, sed tamen, ex parte in qua o, esset plumbi frustrimi; centrimi autem gravitatis talis spliaerae esset inter centrimi a et o, ut, verbigratia, in c. Manifestimi est, quod in tali loco non nisi violenter retinebitur. Culli enim gravia appetant centrum, et ad ipsum secundum suae gravitatis centrimi moveantur, ergo spliaerae centrum gravitatis c naturaliter ad centrum mundi a moveretur : quare extra illud violen¬ ter detinebitur. Non tamen extra mundi centrum violenter circumage¬ retur: nanque, in tali circulatione, centrimi gravitatis circa mundi 30 centrum circulum describeret, ad ipsum nec accedendo nec recedendo. Quod cum ita sit, nec naturaliter nec violenter circumgirabitur : na¬ turaliter enim, ut supra etiam diximus, tunc moveretur, quando in motu ad centrum mundi accederet ; violenter vero, si, dum movetur, ab eodem recederei Ex quo patet error quorumdam dicentium, Si caelo una adderetur stella, caeli motus aut cessaret aut tardior eva- 5,14, 20. eterogen.... — 9. querilur — 15. centrum gravilas — 22-23. esset in linea quao inter — 35. celi — 306 DB MOTU. deret. Ilorum enim neutra m accideret: cum enim, ox eorura etiarn sententia, caeli circumvolutio circa mundi centrimi fiat, addita stella aut aliud grave pondus superadditum noe iuvabit noe retardabit motum; cum tale pondus, in tali circulatione, noe acquirat noe amittat do accessu aut recessi! a centro, ad quod sua gravitate ferrotur. l)e- cipiuntur, ergo, talia dicentes, in hoc: quod, primo, statuunt, vini mo- tricis intelligentiae esse ita resistentiae caeli proportionatam, ut ipsmn liac, qua mine movet, celeritate movere po.ssit, nee maiori ; quod si, additione alicuius stellae, augeatur caeli resistentia, tane, inquiunt, caeli motus ab eadom vi motrice segnior causabitur. Ducuntur autem io meo iudicio, ad hoc ita credendoli!, quia vident apud nos ut qui magnani rotam movet, si ex altera parte magnimi suporaddatur pondus tunc magis laborabit, aut motus tardior ovadet : non autem animad- vertunt, causam talis effectus esse quia rota movetur extra centrum mundi ; ita ut, quando pondus superadditum ex imo rotao loco ad su- premum ferri debet, tunc praeter naturam movetur, cum sursum tendat, a mundi centro rocedens. Quod si rota super mundi centrum circumageretur, quis unquam dixerit eam a pondero impediri, cum pondus in circulatione nec accedat aut recedat a mundi centro? Pari ratione de caelo est iudicandum. Tunc enim stella motum retardare 20 poterit, quando a loco in quem naturaliter tenderet removebitur : sed nunquam hoc in circulatione facta circa mundi centrum contingit, quia nunquam sursum et nunquam deorsum movetur : non ergo ex stellae additione motus tardabitur. Ad secundum, quod supra quaerebatur, non est Ilio responsioni locus ; videndum enim prius est, a quo moveantur quae non natura¬ liter moventur. In mota itidem circulari qui extra mundi centrum fit, est distin- guendum de mobili : an, scilicet, consimilium sit partium, vel dis- similium. hit si mobile sit consimilium partium, ut, vorbigratia, spliaera 30 marmorea, quae super axem moveatur, motus iste nec naturali erit nec violentus ; cum sphaerae gravitati centrum nec accedat nec recedat a mundi centro, et tanta sit gravitas partium sphaerae ascendentium quanta est partium descendentiuni, ita ut semper sphaera sit in aequilibrio. Attamen per accidens est quod talis circulatio sit 13. laborabit movens et aut - 14. quia talia rota - 15-16. supraemum - 16. meta- - 20. celo — 35. equilibrio — DE MOTU. 307 violenta : quia, scilicet, est axium super cardinibus resistentia. Cum enim contingat spliaeram extra proprium locum esse, contingit etiam ipsam gravare et substentaculo egere ; quare axis sphaerae extremi- tates, super cardinibus gravantes, motum impediunt. Yerum quo magis axis extrema subtilia et expolita fuerint, eo minus resistentiam pa- tientur: ita ut si imaginabimur indivisibilia esse, tunc ab illis nulla resistentia proveniet. Accidit etiam, talem motum a superfìcie spliaerao retardari, si superfìcies rudis et scabrosa extet : aer enim circumfluus, et in superficiei concavitatibus retentus, motum impediet, non autem io iuvabit, ut aliquis credidit ; quod suo loco explicabitur. Quod si sphaera heterogenea fuerit, ita ut liabeat centrum gravitatis extra centrimi molis, circumducatur autem super centrum magnitudini, hic, praeter cetcras causas per accidens supra allatas, erit etiam causa per se cur motus talis sit non, ut alter, nec naturali nec violentus, sed nunc naturali nunc vero sit violentus. Cum enim centrum gravitatis circa centrum magnitudini in tali circulatione circulum describat, quando ex imo ad supremum locum ascendet, vi movebitur, cum a centro mundi recedat ; cum vero ex supremo in imum tendit, natura certe feretur. Sed quia non quantum natura descendit, tantum vi potest 20 attolli ab impetu accepto (cuius causa suo loco explicabitur), liinc fit ut maior sit difficultas in ascensu quam propensio in descensu : ex quo sequitur, tum ex hoc tum propter alias causas per accidentia, ut magis violenti naturam sapiat quam naturali. A quo moveantur proietta. Aritoteles, sicut fere in omnibus quae de motu locali scripsit, in hac etiam quaestione, vero contrarium scripsit: et profecto non mirum hoc est; quis enim ex falsi vera colliget? Nonpoterat Aritoteles tueri, motorem debere esse coniunctum rhobili, nisi diceret, proiecta ab aere moveri. De hac itaque sua opinione multis in locis testimonium fecit, (l) 7. superficiac — 9. rctcnctux — 11. eterogenea — 12. centrum suae magnitudini» —17. su- praemum — 22. accidcntes (e prima aveva scritto accidens) — 23. ut potius magis — 26. questione — 28. nisi dixisse[t] diceret — (*) Postilla marginale: «4 Phys. 68; 8 » somniis, cap. 2; lib. Do divinatione per » Phys. t. 82; 3 De caelo t. 28; in libello De » gommini, ea. 2, sectioue 11, prob. 6 ». 308 DE MOTU. quam, quia a nobis confutanda est, in medium afìeremus; eamque (fusius enim ab expositoribus declaratur) sic brevitcr perstringemus. Vult igitur Aristoteles, motorem, ut, verbigratia, proicientem la- pidem, priusquam lapidem relinquat, pellero etiam partes aéris con- tiguas, quas, inquit, similiter movere alias partes, lms alias, et sic successive ; lapidem autem, a proiciente relictum, deindo ferri a par- tibus illis aéris ; et sic fieri motum quondam lapidis discontinuum, et non esse unicum motum sed plures. (,) line conatus est aufugere Aristo¬ teles et eius sectatores, qui sibi suadere non potuerunt quomodo posset mobile a virtute impressa moveri, aut quid ista esset virtus. Veruni, io ut altera opinio verissima innotescat, liane prius Aristotelis funditus evertere conabimur ; alteram vero de virtute impressa, quoad licusrit, declarabimus et exemplis illustrabimus. Contra igitur Aristotelem sic arguo. Sint partes aéris, quae mobile movent, A,B, C,D,E; quarum motori contigua sit A. Aut igitur partes istae inoventur omnes simul, aut una post aliam : si A, B, C, D, E 1110- ventur omnes simul, peto, quiescente motore, a quo moveantur; et sic deveniendum erit ad virtutem impressami si prius movetur A quam B, similiter peto, quiescente A, a quo moveatur B. Rursus, motus violen- tus, ex codem Aristotele, 12 ’ velocior est in medio quam in principio : 20 ergo pars aéris C, a B impulsa, velocius movetur quam B ; ergo et idem C velocius impellet D, quam A, B, C, D, E ipsa a B impulsa fuerint ; quare D velocius quoque impellet E, quam ipso a C impulsus fuit; et sic conscquenter : quare motus violentus semper augebitur. 2 ° : argumentum est de sagitta a cliorda impulsa, et etiam contra spi- rantem boream, quae tamen citissime volat. Buie argumento nil aliud adversarii respondent, nisi quod, quamvis alte spiret aura, tamen aér contra ventimi fertur, acccpto impetu ab arcu: nec pudet eos talia puerilia iactare. At quid ad simile argumentum dicent ? Quando triremis contra nitentem fluvium remis impeli itur, et, exemptis ex 30 aqua remis, cymba adbuc per magnum spatium contra decursiun aquae inveliitur, quis tam caecus est qui aquam impetu quam maximo ad contrariai ruere non aspiciat? aquam, inquam, naviculae contiguam, 1. afferemus. Ita igitur liane suam eamque — 10. impraessa — virine intelligere. Veruni — 12. conabimus — 23. fuerit — 25. corda — 26. que _ (*! Postilla marginale : « 8 Pliys. t. 28 ». l,) Postilla marginale: « 2“ Caeli t. 35 ». DE MOTU. 309 nec liilum quiclem, ob navis impetum, a naturali cursu defloctentem? (l) 3° : si medium est quod defert mobilia, unde est quod, cum quis eo- dem tormento iaculat globum ferreum cum quo tamen etiam feratur lignum sive stuppa aut aliquid leve, ita tamen ut grave praecedat ; unde, inquam, accidit quod ferrimi per longissimum spacium cietur, stuppa autem, postquam per aliquod spacium ferrum prosequuta fue- rit, sistitur ac. in terram decidit? Si ergo est medium quod utrumque portat, cur plumbum vel ferrum longissime portat, stuppam vero non item? An ne facilius est aeri movere gravissimum ferrum quam levis- 10 simam stuppam aut lignum? 4° : non bene sibi constare videtur Ari- stoteles. Nam, 3° Caeli t. 27, inquit : Si quod movetur neque grave ncque leve fuerit, vi movebitur; et quod vi movetur, nullam gravi¬ tata aut levitatis resistentiam liabens, in infinitum movetur. Textu autem sequenti inquit, proiecta a medio ferri : cum igitur aer nec gravitatem habeat nec levitatem, a proiciente motus in infinitum movebitur, et semper eadem velocitate ; ergo etiam in infinitum portabit proiecta, nec fatigabitur, cum semper eadem vi moveatur. Iluius tamen contrarium experientia docet. 5°: intelligatur sphaera marmorea exacte rotunda et expolita, quae super axe, duobus cardi- 20 nibus inhaerente, moveri possit ; deinde accedat motor, qui utrasque axis extremitates extremis digitis contorqueat. Time certe spbàera per longum tempus girabit : et tamen nec aer a motore fuit coramo- tus ; nec potest aer in sphaeram agere, illam impellendo, cum nunquam locum mutet et, cum sit expolita, nullas liabeat cavitates in quas possit aer irruere: quin aer penitus immotus circa spheram mane- bit ; ut patet si lumen spliaerac appropinquetur, qui nec extinguetur nec movebitur. Hae sint rationes quibus satis superque confntari credimus inep- tam illam sententiam, quam, qui sibi suadere non possunt quid sit so illa virtus impressa, tueri conantur. Nunc autem, ut sententiam no¬ strani explicemus, inquiramus, primo, quid sit ista virtus motiva, quae a proiciente in proiecto imprimitur. Dicimus ergo, illam esse 8. portat cum plumbum — 20. inherente — 21. axium extremitates — 25. paenitus — 28-29. inepta illa scntentia — 80. impraessa — 81. quod sit — W Aggiunta marginale : « Quando li- gnum, iiftturaliter descendons in aere, in¬ cidi! in aquam, tunc medium non motum est a proiciente; et virtus illa motiva, quae in aere est naturaiis, in aqua transit in praeternaturalem : et remanet in eodem loco, in ipso mobili, in quo erat dum na- turaliter desceudobat in aere *. 310 I)E MOTU. pi'ivationem gravitato, cum mobile elimini impellitur ; cuin vero deorsum, esso privationem levitato. Quomodo autem proiciens pos- sit, sursum dirigendo grave, ipaum gravitate privare et leve rcddere, non mirabitur is qui non miratur quomodo ignis possit privare fer¬ rimi frigiditate, introducendo calorem. Movetur, igitur, sursum mobile a proiciente, diun in manu illius est et gravitato privatur ; movetur, siiniliter, motu alterativo ferrum ad calorem, dum ferrum est in igne et ab eo privatur frigiditate : virtus motiva, nempo levitas, conser- vatur in lapide, non tangente qui movit; calor consorvatur in ferro ab igne remoto : virtus impressa successive remittitur in proiecto a io proiciente absento; calor remittitur in ferro, igne absento: lapis tan¬ dem reducitur ad quietem ; ferrum, siiniliter, ad naturalem frigidita- tem redit : motus ab eadem vi magis imprimitur in mobili magis resistenti quam in eo quod minus resistit, ut in lapido magis quam in pumice levi : et calor, siiniliter, acrius imprimitur ab eodem igne in durissimo et frigidissimo ferro quam in tenui et minus frigido ligno. Itidendus esset qui diceret, aèrem excalefactum iam ab igne, igne extincto aut procul remoto, in ferro conservare calorem; cum etiam in frigidissimo aere eandescat ferrimi: plusque ridendus est qui ab aere immoto et saepius in contrarium nitente mobilitatem in 20 proiecto conservala crediderit. At quis non dicet, ferrum in aere fri¬ gido ab eius frigiditate citius refrigerala ? at quis sanae mento non dicet, aèrem, aut manentem aut in contrarium nitentem, motum impedire ? Sed esto aliud pulcrius exemplum. Miraris quid ex manu proi- cientis exeat et in proiectum imprimatur ; et non miraris quid e malleo exeat et in horologii campanam transferatur, et unde tantus sonus e silente malleo in silentem campanam traducatur, et quomodo in ea, absente qui percussit, conservetur? Pulsatili’ a pulsante cam¬ pana ; movetur a movente lapis : privatur campana silentio ; privatur so lapis quiete : introducitur in campanam qualitas sonora contraria eius naturali silentio ; introducitur in lapidosa qualitas motiva contraria illius quieti: conservatur in campana sonus, absente qui pulsavit; conservatur in lapide motus, absente qui movit: remittitur successive in campana qualitas sonora; gradatimi remittitur in lapide qualitas 2. privationem gravitatia. Quomodo — 20. sepius — 22. sane — 25. exio — 20. miraria quod «il. campana — 32. lapide — DE MOTU. 311 motiva. At quis sanae mentis dicot, esse aerem qui continue campa- nam pulsat? Nanque, primo, movetur a malleo unica tantum aéris particula : verum si quis manum super campanam imponat, et in contrarias partes mallei, sentiet statini torporem qucndam acrem et mordacem per totmn metallum pervagantem. 2°: si aér pulsat et so- nat in campana, cur flante maximo vento silot ea ? An mollius vcr- berat auster, qui mare totum turres moeniaque subvertit, quam par- vus malleus, qui vix movetur? 3°: si esset aer in aere, non antera aes in aere, quod sonaret, iam omnes campanae eiusdem figurae idem io omitterent sonum ; quin etiam lignea vel saltelli plumbea vel mar¬ morea, ut aerea, streperet campana. Sed, demum, siloant qui dicunt, aerem esse qui sonat vel sonum defert : tremit enim campana dum sonum emittit, et, absonte pulsante, tremor motus et sonus in ea re- manet et conservatur; quod quidem aeri tribuere, ut tantam molem moveat a malleo vix motus, omnem excedit rationem. Ad rem igitur revertendo, cur mirantur illi, quomodo possit a movente in mobili imprimi qualitas motiva, non autein quomodo a malleo possit imprimi sonus et motus quidam trepidationis in campana? Sed, amplius, dicunt illi, se non posse mente concipere, quomodo 20 gravissimus lapis possit evadere levis, virtute motiva a proiciente ac- cepta : quae quidem, cum sit levitas, leve, mobili inliaerens, ipsum red- det : attamen dicunt ipsi, ridiculum prorsus esse credere, lapidem post motum sursum levem evasisse et minus ponderare quam antea. Veruni isti de rebus non iudicant sano ac rationali discursu. Nanque neque ego dixerim, lapidem, post motum, levem factum esse, sed suam primam ac naturalem gravitatela retinere : sicut etiam ferrum candens frigidità te caret; post autem calorem, suam eandemque frigiditatem resumit. Et non est quod miremur, lapidem, dum movetur, levem esse : nanque inter lapidem in actu ilio motus existentem et quodcunque aliud leve, nulla so differentia assignari poterit ; cum enim leve illud dicamus quod sur- sum fertur, lapis autem sursum fertur, ergo lapis levis est dum sursum fertur. Sed dices, leve illud esse quod sursum naturaliter fertur ; non autem, quod vi. Ego autem dicain, leve id naturaliter esse quod sur¬ sum naturaliter fertur ; leve autem id praeternaturaliter aut per ac- cidens aut vi esse, quod sursum praeter naturam per accidens et vi 1. sane — 7. meniaque — 8. ere — es — 9. campane — 10-11. vel stanine» marmorea — 21. itili crens — 31. leve — i. 38 312 DE MOTU. fertur. Tali» autem est lapis a virtuto impulsila : ot in lapide sua nativa et intrinseca gravitas eo deperditur modo, quo deperditur etiarn dum in mediis se gravioribus ponitur. Nani lapis «pii, verbi- gratia, mercurio supernatat nec descendit, omnem amittit suam gra- vitatem ; imo et adeo gravitatela amittit et levitatela induit, ut multae otiam extrinsecae gravitati advenienti (ut si quis eum deorsum pro- mat) strenuo resistati et lignum quoque adeo in aqua fit leve, ut non nisi vi deorsum comprimi possit. Attamen noe lapis noe lignum suam naturalem gravitatene depordunt, veruni, e gravioribus illis mediis exempta, propriam gravitatela resumunt : sic proiectum, a vi impel- io lente liberatimi, suam veram et intrinsecam gravitatem, descendendo, prao se fert. Dubitant, amplius, qui contrarias tuontur partes, in qua mobilis parte recipiatur illa virtus, in superficie, nompe, voi in centro, vel in alia particula. Ilis breviter respondeo, ut milii prius declarent in qua parte ferri recipiatur calor ; et ego deinde illis dicam ubi virtus recipiatur motiva, eamque ponam ubi ponunt calorem: et si calor recipiatur in superficie tantum, in sola superficie dicam recipi vir- tutem; et si in centro, in centro; et si dixerint, recipi calorem ubi prius erat frigiditas, dicam ego, levitatem extranoam eas ingredi 20 partes, in quibus antea domestica gravitas insidebat. Mirantur, demum, adversarii, quomodo eadem manus facultatem liabeat, modo levitatem, modo gravitatem, modo autom etiam id quod neque grave neque leve videtur, imprimendi. At cur non potius mi¬ rantur, quomodo nunc quicquam velint, palilo autem post idem nolint; et hoc credant, et de eodemmet nunc liaesitent et dubitent, interdum etiam non credant? Verum si, ut liaec, ex voluntate pendet posso nunc brachium attollere, inox deprimere, inde in diversas movere, et liabet brachium, a voluntate gubernatum, ut nunc gravet, nunc alle- vet; cur mirandum est, id quod a bracino gravatur gravitatem reci-so pere, id autem quod allevatili- levitate indui? Verum, postquam non a nostro proposito dissonat, non sileam errorem quondam fere communem : eorum, nempe, qui credunt, aérem et aquam, quia fluida sunt, facillime et citissime, aéremque 9. veruni a e yravioribus — 9-10. mediis liberati» exemptts — 11. intrinsecam descendendo U. superfìcie, nacque vel — 25-20. nolint quiu et «epi[ „,J et hoc- 2G. esitai -27. ex eorum voluntate — 31. levitatem — DE MOTU. 313 praesertim, posso movevi ; quo ducti crediderunt, proiciontem magis aerem quam proiectum movere, et aerem proiecta portare. Veruni longe aliter se res habet : ut etiam interdum ipsi fatentur, qui, cuni principe suo Aristotele, mine, ut proiecta possit ferve, dicunt aerem ob levitatali suam celerrime moveri, cuna fere indiani resisten- tiamliabeat; nunc autem dicunt, ea quae nec gravitatela noe levitatela liabent non posse moveri, quia oportet quod movotur resistere: atque, ita dicentes, eadeni nunc credunt nunc negant, prout suac intentioni melius quadrant. Res tamen ita se habet, ut mobile, quo levius orit, io co quidem facilius movetur dum motori est coniunctum, sed, a movente relictum, brevi tempore impetum acceptum retinet: ut patet si quis iaculetur pinnain, tantam adhibens vini quantam si deberet iaculari libram plumbi ; nani facilius quidem movobit pinnam quam plumbum ; attamen diutius in plumbo servabitur virtus impressa quam in pinna, et multo longius iaculabitur. Quod si aer esset qui proiectum portaret, quis unquam credet, aerem facilius plumbum quam pinnam laturum esse ? Videmus itaquo, quo quicquam levius fuerit, eo quidem facilius moveri, sed minus impetum acceptum retinere: quare, cura aer, ut su- pra demonstratum est, uullam in proprio loco habeat gravitatem, facil- 20 lime quidem movebitur, sed tamen impetum acceptum minime servabit. Cur autem levia impetum non retineant, inferius demonstrabimus. Nec est ullius momenti exemplum, quod tradunt, de calculo in lacum proiecto ; a quo, dicunt, aquam motam in circulum per longis- sima spacia moveri. Falsum enim est, primo, quod aqua moveatur: ut patet si in aqua fuerint ligna vel paleae supernatantes, quae ab aquae vorticibus de loco minime movebuntur, sed tantum pani il¬ luni attollentur ab undis, nec circulorum circumferentias sequontur. 2 °: non valet comparatio in acro, cuius a proiciente non movetur superficies, sicut sola aquae superficies a calculo est quae movetur ; so quae etiam aquae extrema superficies ideo attollitur et deprimitur, quia resistentiam liabet ne attollatur et in locum aéris feratur: ve¬ runi in medio aere non potest virtus motiva imprimi, quia tunc aer indiani liabet resistentiam, cum ex loco in locum alterius medii non trudatur. Et hoc contingeret etiam in medio aquae, quae impetum acceptum non conservaret, cum illius motus nullam habeat inclina- tionem ; non, enim, naturalem, quia non moveretur ad locum suum, 12 . adibens — 14 . impraessa — 22 . exemplum quem tradunt — 23 . lacu — 27 . sequaentur — 314 Dii MOTU. cura iam ibi sifc ; nec violentimi, cura non tnulatur in locum alto- rius medii. Ilio fuit coinnmnis crror cornili «ini dixorunt, proietta a medio moveri. Contingit autom non minquam, opinione» quasdam intor lioini- nes, quamvis falsas, din remunero; quia prima fronte aliquam veritatis speciem prao se forunt, et ob id nullus est qui aecuratius scrutavi curet, an sit ut crcditur. Tale quiddam est quoti creditur ilo rebus sub aqua existentibus, quas coininunis opinio asserit raaioros, (piani vere sint, apparerò .' 11 Cura antera talis cffoctus causam iuvenire non possem, tandem, ad experientiani accedens, invoni, nullo modo dona- io riunì in aquao proliindo inancns maius apparerò, sed potius niinus: quare arbitror ego, eum, qui prinius liane protulit sententiani, in liane deduetura fuissc opinionem aestivo tempore, cura interdirai prima voi alii fructus in vitreo calice aqua pieno, cuius figura conoiilis super- ficiera referat, imponuntur; quao quideni, aspicientibus ita ut radii per vitrum transmittaiutur, longo niaiora quain sint appareant. Veruni non aqua, sed calicis figura, talis effettua causa; ut fusius in com- mentariis super Magnani Ptolemaei Constructionem declaravimus, quae (Deo favente) brevi edentur .' 21 Signum autem liuius est, quod, oculo sup(3r aquam posito, ita ut non intercedente medio vitro primula 20 intueri queat, non maius apparet. Concludamus igitur tandem, proietta nullo modo moveri a medio, sed a virtute motiva impressa a proiciente. Nane autom prosequamur ostcndere, hanc virtutem successive diminui; nec posse in mota vio¬ lento duo puncta assignari, in quibus eadeni fuerit virtus motiva. Caput . . . . in quo virtutem motivavi successive in molili debilitavi ostenditur. Cura itaque, in capite superiori, proiecta a virtuto impressa moveri, determinatimi sit, patet motum violentimi esse unum et continuimi, 1. ibi osset sit — 4. quaedatn — 7-8. rebus in sub —11. profumi uni —13. estivo — 14. alios — 2C-27. Caput.... virtutem — 27. ostemlit — ^ Aggiunta marginale : « Et est aliua W Per ciò che concorno i commentari * error communis quorumdam qui dicunt, sopra PAlmagesto di Tolomeo, elio (pii l’Au- quamlibet speculi particulam totani ima- toro accenna di esser per pubblicare tra > ginom repraesentare >. breve, veggasi TAvvolgimento. DE MOTU. 315 non aufcem plures et interruptos, ut credidit Aristoteles. Quod cum ita sit, noe motus violentus infini tus Kit, sequitur necessario, virtutein illam, a proiciente impressam, continue in proiecto remitti ; nec posse davi in eo motu duo puncta tempori», in quibus eadem virtus motiva sit et non debilior. Quod ut adirne clarius appareat, hac utar demon- stratione: supponendo prius, idem mobile ab eadem virtute, in eodem medio et super eandem lineam, eadem cum velocitate moveri. Hoc supposito, sit linea, super quam lit motus, linea ab; et motus fiat ex a in b; et, si fiori potest, inveniantur in linea ab duo puncta in quibus io eadem sit virtus impellens, sintque c, d. Quia igitur tain in c quam in d eadem est virtus motiva et idem est medium, idemque est mo¬ bile et eadem linea in qua fit motus, ergo mobile ex puncto d eadem velocitate movebitur, qua ex puncto c motum est : veruni ex puncto c ita motum est, ut ex c ad d eadem seinper velocitate latum sit, nec virtus debilior evasit- : ergo ex d quoque, per lineam acqualem lineae cd, eadem cum velocitate ciebitur, eadem manente virtute impressa, j Non enim maior est ratio cur ex e in d eadem rnaneat virtus, non autem ex d in linea, versus b, aequali lineae cd ; cum eadem sit virtus, idem mobile, idem medium, eademque linea motus. 20 Quare, eadem argumentatione repetita, demonstrabitur, motum d violentimi nunquam remitti, sed eadem velocitate semper et in c infinitum ferri, eadem semper manente virtute motiva: quod certe absurdissimum est: non ergo veruni est, in motu violento posse « duo puncta assignari, in quibus eadem maneat virtus impellens. Quod demonstrandum fuit. Caput .... in quo causa accelerationis motus naturalis in fine, longe alia ab ea quam Aristotelici assignant, in medio affertur. Magia certe inventi! quam explicatu diffìcilis est causa, cur natu- so ralis motus velocitas in fine augeatur ; eamque aut nullus hucusque invenit, aut, siquis interdum eam innuit, mancam quidem et defectuo- sam tradidit, et quae etiam a communibus pliilosopbis recepta non 1. internisti — 3,16. impraess.... — 6. suponcndo — 9. inveniant —10. eandem — sit motus virtus — 12. puncto d tanta eadem — 13-14. puncto ita — 14. latum est — 17. cadevi sit maneat — 29. invcnctu — 310 DE MOTU. fuit. Huius tamen, non dicam adrnirabilis, scd nocessarii effectus, causam cum interdum disquirerem (nunquam, enim, quae ab Aristotele tra- ditur (1> arrisit), diu anxius fui, nec quod ploJio satisfaceret invoniebam. Veruni, causa (meo tamen iudicio) verissima reperta, prima quidem fronte laetatus sum : veruni, cum eam diligentius examinarem, non nulla difficultate carere suspieatus sum : sed tandem, omni difficultate temporis progressi! oxempta, cxactam eam quidem et certissimam nunc in medium afforam. Sed prius, de more nostro, quid roboris in se liabeat causa quae ab Aristotele redditur, prius perpendemus. Et, primo, sciendum est, recout.iores quosdam asserero, liane causam io Aristotelem tribuere aeris partibus, quae terga mobilia verberant, eo ad replendum vacuum recurrentes : a qua verberatione, inquiunt ipsi, motus naturali» augumentatur. Atquo hoc non sonsisse Aristo- telern aperte ex bis quae leguntur p.° Caeli 89 colligere est, ubi apertis verbi» inquit : Naturali» motus non per extrusionem, ut quidam crediderunt, iuvatur; nani hoc pacto essot motus violentus, qui in fine remittitur, non autem augetur, ut naturali». Patet ergo quomodo Aristoteles liane opinionem non modo non teneat, veruni respuat : et merito quidem est respuenda. Nani, quod dicunt de vacuo, aut relinquitur post terga mobilis vacuum, aut non : 20 si non, cur dicunt decurrere aerem ad vacuum replondum ? at si relinquitur, cur non dicunt mobile quoque retrocedere ad vacuum replendum, et sic potius a tali causa rotardari niotum, non autom iuvari ? 2 °: accipiatur mobile aliquod, do quo non possit dubitari a tergo ab aere impelli ; quale esset rombus solidus ex duqbus conis constans, utrinque in acutissimam cuspidem desinons. Hoc corto non poterit ab aere impelli, cum illius figura non liabeat in quod percu- tiat aér. ;5 ' : ea, quae violontia movontur, non citius moventur quam id a quo moventur : veruna aer, dum ad terga mobilis movetur, vi movetur (in sua enim regione natura quiescit) : non ergo citius ino- 30 veri potest quam id a quo movetur. Movetur autem a corpore ilio descendente ; ergo non velocius movebitur aer quam mobile doscon- dens: quod si non velocius movetur, illud corte impellere non poterit; 5. letatus 18. non modo tcncot — 25. rombimi solidutn — Postilla marginale: « Yoluit Aristo- » retur [coiroborctur] accedendo ad proprium > teles augeri motus celeritatem, quia illius » locum : vide I). Thoinam in com. super t. 88 > gravitas magia conferretur et corrobora- > p . 1 Caeli, in fine ». DE MOTU. 317 necessarium enim est ut, si quia currentem ad easdem partes, ad quas currit, impellere voluerit, ut velocius eo currat, et ad easdem partes, ad quas currens, concitetur. Hoc autem in naturali mobili non accidit, imo aer ad contrarias partes movetur: ut si sphaera ale doscendat, circumfluus aèr, ex partibus b, c ad terga mobilis a de- currens, sursum, respectu motus sphaerae deorsum, movebitur. Quod etiain ipsi fatentur, dum dicunt me¬ dium motui resistere, quia est scindendum : si ergo scindendum est medium, non certe medium ad easdem io partes, ad quas mobile, movebitur. Ergo aut quiescet, aut ad contrarias, aut saltera tardius, si velimus ad easdem moveri, quam mobile, movebitur: quod cum ita sit, quo- modo motum iuvabit? 4° : isti causam per se motus accelerationis non quaerunt, sed tantum causam per accidens adducunt ; per accidens, enim est, quod mobile in pieno moveatur, et quod illius velocitas aut impediatur aut iuvetur a medio : nos autem quaerimus, cur mobile naturale, ut naturaliter movetur a propria gravitate, nulla liabita ratione medii, velocius in fine quam in medio, et lue quam in prin¬ cipio, moveatur ; et quomodo de ratione motus necessarium sit, in prin- 20 cipio segniorem esse. Haec contra liuius opinionis sequaces. Alii dixerunt, mobile ideo in fine velocius moveri, quia pauciores medii partes sunt illi scindendae ; et ideo, cum minorem liabeat resisten- tiam, velocius ferri crediderunt. Yerum ridicula, nedum falsa, est haec sententia: nam, si hoc essetverum, sequeretur, lapidem ab altissima turri descendentem tardius in medio turris moveri, quam si idem ab humillimo loco in terram decideret, et ob id minorem etiam ictum facere. Quod ut clarius intelligatur, sit linea abe, sitque ac longe maior quam eh: dico igitur quod si ex a descenderet lapis, tardius moveretur cum esset circa c, quam, si idem lapis ex c di¬ so mitteretur, prope b; quia, scilicet, pauciores partes aeris mobili scindendae essent cum esset circa b, ex c demissus, quam cum essot circa c, ex a veniens. Addi etiam potcst, quod lapis descendens ex a eodem impetu in teri’am irrueret, quo si ex c descenderet: et ratio est quia, ex a descendens, quando erat paulo sub c, non velocius movebatur quam ex c descendens, cum esset paulo sub c, quia non pau¬ ciores tunc restabant scindendae partes aeris quam nunc; ex qua scie- l i. querunt — 318 DE MOTU. sione inquiunt ipsi pendere motus celeritatem. llaoc autem omnia quam sint absona, nullus est qui ignoret. Verum, caeterorum omissis sonlentiis, ut veram, quam credimus, liuius effecbus causam indagemus, liac resolutiva methodo utomur. Quia igitur grave mobile (loquamur autem de motu naturali deorsum, a gra¬ vitate proveniente : nani, hoc cognito, contrario discurrentes modo de motu sursum iudicabimus) descendens, tardius movetur in principio, ergo necessarium est, illud minus esso gravo in principio sui motus quam in medio voi in fine ; cum certo sciamus, ex demonstratis in primo libro, velocitatelo et tarditatem, gravitatem et levitatem soqui. Si io igitur inventimi fuerit, quomodo mobile et cur in principio motus sit minus grave, erit certe causa inventa cur tardius descondat. Veruni naturalis et intrinseca mobilis gravitas certe non est diminuta, quia nec diminuta est moles nec donsitas illius : rcstat ergo, imminutionom illam gravitatis esse praeternaturalem ot accidentariam. Si ergo in- venerimus, quomodo praeternaturaliter et extrinsece mobilis gravitas minuatur, erit certe inventum propositum. At gravitas illa non im- minuitur ob medii gravitatem ; nani tam in principio motus quam in medio idem est medium : restat ergo, a violentia aliqua extrinseca et de foris adveniente mobilis gravitatem diminutam esse (his duobus 20 tantum modis mobile per accidens leve evadere contiligit). (n Si igitur, rursus, inveniamus, quomodo a vi extrinseca possit allevari mobile, erit, rursus, inventa causa tarditatis. At virtus impressa a proiiciente non solimi interdum minuit gravis gravitatem, verum etiam saepius adeo leve ipsum reddit, ut magna velocitato sursum advolet : vidoa- mus ergo et diligenter perscrutemur, an forte virtus ista sit causa diminuendae gravitatis mobilis in principio sui motus. At illa certe est virtus, inquam, a proiciente impressa, quae motum naturalem segniorem in principio facit : qua ratione autom id praestare possit, 4. causam in medium afTeramus indagemus — metodo — 6. proveniate — 14. est quantitas moles — 17. invenctuin — 20. adveniens — 21. levem — Aggiunta marginalo: « Accidit dupli- » velocita», etiam in mobili crescere dobero » citer posse diminuì gravitatem : vel ob » gravitatem : nam si lapis moveatur por » medii gravitatem, vel a virtute impressa » spaeium aliquod, priori parte densius at- » [il ms.: mpraessa]. Quamvis lionedictus » que crassius, posteriori autem rarius et » Peieiius dixerit, medium non posse gru- » tenuius, procul dubio motus erit velocior » vitatem diminuore, dutn scripsit ita ad- » in fine; idquo accidet non propter incre- » versus Aristotelem : Non recto concludit » menturu gravitatis. Ilaec libro 14, cap. 3, » Aristotelcs, quia in motu naturali crescit » prope linoni >. DE MOTTJ. 319 ad declarandum properemus. Mobile grave ad hoc ut violente!' sur¬ sum moveri possit, necessaria est virtus impellens maior gravitate re¬ sistenti; alioquin gravitas resistens non posset vinci, nec, consequenter, grave sursum ferri. Fertur, ergo, sursum mobile, dum motiva virtus impressa maior est gravitate resistente. Cum autem ista virtus, ut demonstratum est, continuo debilitetur, deveniet tandem adeo dimi¬ nuta, ut mobilie gravitatem non amplius vincet, et tunc non idterius impellet mobile : sod tamen non ideo in fino motus violenti erit adnihi- lata virtus illa impressa, sed tantum adeo erit diminuta, ut non io amplius gravitatem mobilis superet, sed illi aequabitur ; et, ut uno vei’bo dicam, in mobili non amplius dominabitur virtus sursum im¬ pellens, quae est levitas, sed ad paritatem cum mobilis gravitate re- dacta erit: et tunc, in ultimo puncto motus violenti, nec grave nec leve erit mobile. Sed amplius, suo more decrescente virtute impressa, incipit praedominari gravitas mobilis ; quare et mobile descendere ag- greditur. Sed quia in principio talis descensus superest adhuc multa virtus sursum impellens (licet non amplius maior sit gravitate mo¬ bilis), quae est levitas, bine fit ut gravitas propria mobilis ab hac levitate minuatur, et, consequenter, motus tardior sit in principio. Et, 20 rursus, quia extrinseca illa virtus amplius debilitatur, minorem gra¬ vitas mobilis resistentiam liabens augetur, et mobile velocius adhuc movetur. Et hanc veram existimo causam accelerationis motus : quam qui- dem cum exeogitassem, et, post duos menses, forte quae ab Alc- xandro do hac re scribuntur legerom, ex eo intellexi, hanc quoque fuisse sententiam doctissimi illius philosophi a doctissimo viro laudati, a Ptolemaeo, nempe, a quo magni habetur et summis laudibus per totum suae Magnae Constructionis contextum extollitur Hipparchus. liane itaque, referente Alexandro, credidit Hipparchus quoque causam so esse accelerationis motus naturalis : verum, quia niliil amplius addidit supra id quod diximus, manca quidem visa haec est opinio, et, ob id, digna ut repraeliendatur a philosophis est habita; quippe quae tan- tummodo locum liabeat in motibus illis naturalibus quibus violentus praecesserit, nec tribui possit illi motui qui violentimi non sequitur. Verum non contenti sunt ipsam tanquam mancam respuere, verum 5, 9. impraessa —15. predovt inari — 23. veram oxisiimanms existimo — 27. Ptolemeo — 28, 29. Ipparcus — 34. tribui potest — 35. contendi — I. 30 DE MOTU. 320 etiatn tanquain falsanti, nec etiam in raotu, cui violentus prnecesserit, veram. Non vero et ea quao ab Hipparco explicata non sunt nddemus, estendendo, quomodo etiam in mota, cui non pi-accessit violentus, causa eadem locum baboat; ipsamquo ab ornili ealumnia purgatam reddere conabimur. Nec tanien dixerim, omnino repraeliensione indignimi esse Ilippareum ; scopuluni enim magni momenti indetectum reliquit : sed solimi ea quae desunt superaddam, veritatisquo fulgorem ostondam. Dico igitur, caiidem oli causam motus etiam, quibus non prao- cessit motus violentus, tardius in principio moveri. Nanque etiam in motibus quibus violentus praecessit, mobile a statu quietis, non a io violento motu, moveri, incipit. Ut lapis sursum proiectus, quando incipit dcorsum moveri ab extremo ilio puncto in quo aequalitas inter virtutem impellentem et gravitatem resistentem contingit, quod est quietis status, incipit descendoro ; quod idem est ac si de maini alicuins deciderei Quando enira etiam de manu, nulla vi sursum impellente impressa, decidit lapis, cum tanta virtuto impressa di- scedit, quanta est sua gravitas. Nani quando lapis in manu ali- cuius quiescit, tunc non est dicondum, lapidem liabentem, nullam vini in lapide imprimere : quia enim lapis sua gravitato deorsum promit, necesse est ut altera tanta vi a manu sursum impellatur, nec 20 maiori nec minori. Nam si virtus, qua manus sursum impellit lapi¬ dem, maior esset quam gravitas lapidis, resistens lapis a manu attol- leretur ; non autem quiesceret, ut supponimus : contra, vero, si lapis magis gravaret quam manus allovaret, lapis deorsum peteret; suppo¬ nimus autem, lapidem in manu quiescere: ergo in lapide, a manu vel a quocunque alio a quo regitur, tanta virtus sursum impellens im- primitur, quanta est gravitas lapidis deorsum tendone ; noe tamen lapis attollitur, quia, ut diximus, virtus illa impellens superare non potest gravitatem resistentem, cum ea non sit maior. Patet ergo, quomodo, quando lapis ex manu egreditur, cum tanta virtute impressa discedit, so quanta est suamet gravitas : non secus ac accidit quando lapis, ab- soluto motu sursum, deorsum petere aggreditili’ ; tunc enim etiam, quando de statu quietis recedit, cum tanta virtute discedit, quanta est sua gravitas : quare eandem ob causam, sicut in lioc, in ilio etiam motu, tardius in principio movetur. 2. vera 3. praecessit naluraUs, causa — G. Ipparcum — 8. causai » mobilia mctus — 8-9. prccessit — 10. quibus naturalia praecessit — 28. attollitur qui ut — DE MOTU. 321 Veruni, ut adirne totum hoc negocium clarius explicetur, exem- plum particulare in medium afferam. Sit linea ab , super quam fit inotus violentus ex a in b, naturalis vero ex b in a; sit autem mobile c cuius gravitas sit 4. Oportet igitur, ad hoc ut mobile c sursum mo- veatur, ut in eo virtus motiva imprimatur maior quam sit illius gravitas : ab aequali enim virtute non moveretur ; nani nec grave esset nec leve, cum sua gravitas aequaretur virtuti impressae, quae est levitas. Sit ergo virtus, quae c usque ad b impellere potest, 8 : et quia virtus motiva, ut supra demonstravimus, continue remittitur, io nec potest c movere nisi maior fuerit mobilis gravitate, patet quod, quando c erit in b, virtus impressa erit tanta quam est gravitas c. Non enim erit minor, quia non impulisset usque ad b ; nec maior, quia adkuc ulterius impolleret : restat ergo necessario ut sit aequalis. Quando ergo c est in b, habet tantam virtutem impressami quanta est sua gravitas, nempe 4: quae virtus, quia adirne successive debi- litatur, statim atque diminui incipit, c se ad motum deorsum con- vertit. Quando igitur ex primo puncto b descendere incipit, c re- • • 1 ) cedit cum tanta virtute impressa quanta est sua gravitas; quare tardissime in principio talis motus movebitur : veruni quo magis 20 virtus contraria remittitur et, consequenter, gravitas augetur, motus quoque velocior contingit. Rursus, si 8 virtutis impressae pellunt c usque ad b, patet quod potest imprimi tanta virtus ^ quae, tantum usque ad d, c impellat : quae certe minor erit quam 8, sed tamen maior quam 4 ; tanta enim est gravitas c resistens. Amplius, potest etiam imprimi tanta virtus quae tan- a tummodo usque ad e pellat c: quae, rursus, minor erit quam 4 O illa quae usque ad d impellit, sed tamen maior erit quam 4; nam ab aequali 4 c non movetur. Et, similiter, poterit tantundem virtutis imprimi, quae c per minima quaeque spacia, in linea ae 30 sumpta, sursum impellat. Verumtamen haec virtus, cum sursum mo- veat, semper erit maior quam 4 : et virtus omnis quae minor fuerit quam 4, non solum c sursum non impellit, veruni nec illi resistere po¬ test quominus descendat, cum a gravitate maiori superetur: restat ergo necessario, ut virtus impressa, quae sit 4, solummodo c substineat : 2. afferam. super quam — 3. sit aut mobile —4. mobile a sursum — 6. nec gravis —*7. levis —13. impcllct — 16-17. deorsum naturalem corner Ut — 18. tanta vi virtute — 29. quacquae — 32. sursum impellit — 322 DE MOTU. quare, quando c quiescet, orit in co virtus sursum impollens impressa, quao erit 4. Quod si ab imprimente virtuto derolinquatur, cimi 4 virtutis impressae recedet: non ergo sursum post taluni recessum movebitur; veruni tardissime descendet in principio, et eo oitius deindo move- bitur, quo magia virtus contraria debilitabitur. Ilaec vera propria potissimaque est causa, qua indubitanter asseri- mus, naturalem motum in principio tardiorem esso; quam qui recto et aequa mente examinabunt, dubio procul amplectentur et tanquam ve- rissimam sequentur. Veruni poterant liaec eadem faciliori methodo con- sequi? Poterant, certe, et naturaliter discorrenti facile innotescero: io nanque, amabo, nonne in idem coincidunt line 2 propositiones, Motus violentus tardus est in fine, Ergo motus naturalis tardus est in principio? Motus enim naturalis violentimi sequitur, et finis violenti cuna principio naturalis est coniunetus: sed tarditatis motus violenti in fino causa est modicus excessus, quo virtus impellens gravitatem rosistentem, lioc est quo causa motus violenti causam motus naturalis, exccdit: ergo, pari pacto, tarditatis motus naturalis in principio causam consondum est esse modicum exeossum quo causa motus naturalis causam motus violenti, lioc est gravitas deorsum premens levitatem, idest virtutem impressam, sursmn impellentem, superai. Videatis, ergo, quam bene vera inter se 20 congruant. Ex lioc autem discursu facile quispiam intelligere poteri!, quomodo isti 2 motus non vere sint contrarii, sed potius motus quidam ex violento et naturali compositus : nanque motus isti locales ex mo- tibus aliis quibusdam alterativi quodammodo pendent, dum in mobili propria gravitas et extranea levitas (levitatem enim deinceps appel- labimus virtutem impressam) permiscentur. Ex tali mixtione sequitur, et quodammodo per accidens, ut nunc sursum nunc deorsum moveatur mobile : cum enim in mixtione plus fuerit levitatis quam gravitati, ex ea effectus levitatis orietur, nempo motus sursum ; quod si in mobili, diminuta levitate, plus fuerit gravitati, effectus gravitati, 30 nempe motus deorsum, emanabit. Veruni motus iste alterativus, dum mobile ex levitate ad gravitatem movetur, est unus et continuus 1110- tus : ut cum aqua ex calida per accidens fit frigida, unico motu ad frigiditatem movetur, nec motus ex calida in tepidam est alius a motu ex tepida in frigidani ; sic et dum ex levi fit nec grave nec leve, non est motus disiunctus a motu dum ex nec gravi nec levi fit grave. 6. indubitate)■ — 31. emanavxt — 35. ex leve — DE MOTU. 323 Tantum, ergo, abest ut isti motus sint contrarii, ut etiam unum tan¬ tum, continuum, et ad eundem terminum, sint: quare et effectus qui ex bisce causis manant contrarii vere non erunt appellandi, cum effectus contrarii ex causis contrariis peiuleant: quare motus sursum conse- quenti motui deorsum, qui motus ex motu mixtionis levitati» et gravita¬ ti» manant, vere contrarius non erit dicendus. Et ex hoc facile etiam deduci potest, quomodo in puncto reflexionis quies non intercedati. Nam, si tunc esset quies, necessarium esset, quietem etiam contingere in motu ilio mixtionis gravitati» et levitatis, quando lcvitas ad acqua¬ io litatem cum gravitate devenisset ; mobile enim tunc solum quiescere potest, quando virtus impellens nec vincit nec vincit.ur : veruni, ut iam declaravimus, motus ille, dura, ex levi fit grave, est unus et con- tinuus, ut cum ex calido fit frigidum, quod in tempore non quioscit : quare et motus locales, qui ex eo manant, erunt unus et continuus. Sed, quia haec sententia communi opinioni adversatur (ereditar com- rauniter, in punto reflexionis dari quietem), in sequens caput transfe- rotiu’ ; ubi prius adversa sententia examinabitur et confutabitur, nostraque opimo adirne validior reddetur. Caput. . . . 20 in quo contro Arisiotelcm et comniunem sententiain ostenditur, in puncto reflexionis non dori quietem. Crediderunt Aristoteles et qui Aristoteli eredunt, duo» motus contra- rios (vocat autem contrarios qui ad contrarios terminos tendunt) nullo posse modo continuari ; et, idcirco, quando lapis sursum impeflitur et inde per eandem lineam retrocedit, eura necessario in puncto reflexionis quiescere. Potissimum autem argumentum, quo Aristoteles id probare contenditi 0 tale est: Quod® movetur ad aliquod punctum accedendo et 2. ad idem terminum — 2-3. ex talib[us] bisce — G. contrarii non erunt diccndi 16-17. ca- put reservabimus transfcretur — W Postilla marginale: « 8 Phys., t. 65 ». cune licenze o trascuranzc rimaste nella dici- W Di qui, sino alle parole « argumenta tura: « Mobile utitur extrenio sui motus tan- » construere possiinus » (pag. 325, lin. 19), si » quam principio medio et fine: et, ideo, quod leggo in un cartellino a parte, ed è sostituito » unum est, duo facit; tanquam si quia, cogita- al passo seguente, cancellato nel codice, e elio * tione ) unu'm prò duobus sumeret: ergo neces- riproduciamo con tutta fedeltà anche ad al- » sarium est ut in ilio extremo quiescat, cum 324 DE MOTU. ab eodem recedendo, ac ut lino et principio utendo, non recedet nisi in eo constiterit: at quod ad extremum lineao punctum movotur et ab eodem reflectitur, utitur eo ut fine et principio: inter accesalim, ergo, et recessuin ut stet, est necessarium. Maiorem propositionem sic probat Aristoteles : Nani qui utitur aliquo ut principio et fine, quod unum numero est, duo ratione facit ; queinadmodum qui mento cogitat, qui eundem numero punctum, qui unus numero est, facit duo ratione, nempe lìnem huius, principium vero alterius : veruni si uno tanquam duobus utitur, ut in eo stet est necessarium; inter duo, enim, tempus est. Iiaec est arguinentatio Aristotelis ; quao quidem quantum infirma 10. Ileo —• Aristotelis; quam quidem — » idem et sit finis motus unius [invece di » violenti cancellato] et principium motus > contrarii, et inter instans finis unius et > instans principi! alterius requiratur me- » di uni tempus. Iiaec unica est ratio quao * diftìcuitatem ali quam praebere posset: quao » ut do medio auferatur, sic dico. Primo: » inquit Aristoteles, Mobilo utitur extremo * uno tanquam principio medio et fme, ergo » in eo quiescit. Nega tur antccedens : fai su ni » enim est quod utatur tanquam medio prin- * cipio et fine ; et hoc non demonstravit Ari- » stoteles. Quare etiam videtur idem per idem » denion8trare. Nani non video, tanquam me- * dio cuius rei utatur : nisi dicat, uti tanquam » medio quietis; ita ut hoc sonet argumen- » tum: Mobilo utitur ultimo extremo, tan- » quam principio medio et line, suae quietis » in extremo; ergo in extremo quiescit. Et ita » profecto esset petitio principii, aut eiusdem » per idem denumstratio. Nani hoc est quod * quaero ego : an quies mobilis in oxtremo » habeat principium medium et finem, hoc » est an sit quies. Veruni itaquo est, mobile » uti extremo tanquam fme et principio ; non » autem, tanquam medio. Sed ilicos : Inter » principium et finem est etiam medium ne- » cessano. Respondeo, id veruni esse inter » principium et finem, quae sunt principium » et finis eiusdem rei ; quao res, si habet » principium et finem, necesse babebit me- » dium : vcrum inter principium unius rei 3 * et finem alterius, ut sit medium, non est, » necessarium : quare ut inter finem mo- * tua violenti et principium motus naturaiis [invece di deorsum cancellato], quao sunt duorum diversorum extrenm, sit tempus, necessarium non est Exemplum autom huius sint linone ab, bc, in puncto b con- currentes: quartini b ambarum est extre- mum, et, si a sit principium lineao, b erit finis, et, oxis- tonte c fino alterius lineao, /\ idem b erit principium. Re- / \ spechi diversorum, orgo, b / \ est fin is et principium: atta- / \ men ut inter hoc principium /a \c et liuno finem sit medium, quis dixorit ? Et idem est iudicium do in¬ stanti finis mota8 unius ot instanti princi¬ pii motus alterius: et sicut in lineis abe, b prò duobus accipitur punctis, nec tamen inter baco duo puncta intcrcedit linea, sic et ultimum instans unius motus prò duo- bus inatantibus utiraur, nec iamen inter Iiaec iii8tantia mediat tempus : et sicut in unico puncto b vero terminantur 2 linone ah, cb, et vero duo termini est, nec tamen duo puncta, ita ultimimi instans vere est tenninus amborum temporum contrario- rum motuum, nec tamen ut sint duo in- stantia est necessarium. Concedimus ergo, inter duo instantia mediare tempus, sicut inter duo puncta lineam ; negamus tamen, instans, etiam si prò duorum vel etiam prò mille temporum termino sumatur, esse tempus : sicut, idem punctus etiam si mille linearum sit mille termini ot prò mille punctis sumatur, non tamen inter linee puncta erit linea *. DE MOTU. 325 sit, inox apparebit. Nani, si cut ipse vult, quod movetur utitur in linea sui motus puncto uno, numero, prò duobus, ratione, ut prò principio et prò line; et tamen inter liaec duo linea non intercedit, cum unum tantum sint numero: cur etiam idem mobile, eodem modo, in tempore sui motus non utetur eodem instanti, numero, prò duobus, ratione, nempe prò fine temporis accessus et prò prin¬ cipio temporis recessus, ita ut inter liaec duo instantia, ratione, non sit tempus, cum unum tantum, numero, sint ? Hoc cur non fieri debeat, ratio nulla urget; ac praesertim cum idem Aristoteles do¬ lo ceat, quae lineae competunt, tempori etiam et motui eadem con- venii'e. Si, ergo, in eadem linea idem, numero, punctus et finis est huius motus et principium alterius, nec tamen inter lioc princi¬ pimi! et finem illum ut mediet linea nocesse est; sic et idem instans numero, ratione fiet finis huius temporis et principium alterius, nec tamen ut tempus intercidat necesse erit. Constat igitur, quo modo Aristotelis argumenti solutio ex eiusdem argumenti propositionibus apte liauriri possiti quare, cum nos amplius non urgeat, videamus an in contrarium magis acriusque urgentia argumenta construere possimus. 20 liaec contra Aristotelem : verum, ut aliis argumentis in puncto refloxionis non intercedere quietem ostendamus, nec sit inter contra- rios motus necessaria quies, alia liaec sint argumenta. 2 °: moveatur aliquod continuum, ut linea ab tota, ad partes b motu violento simili, qui continue remittatur: et cium ita fertur linea, aliquod mobile, ut puta c, moveatur super lineam eandem contrario motu, ex l in aj sed hic motus sit naturali similis, qui, _ q_ scilicet, augeatur: sed motus lineae in a c b principio sit velocior motu c in principio. Manifestimi iam est, quod in principio c movebitur ad easdem partes ad quas linea so fertur, quia illius motus, quo in contrarias fertur, tardior est motu lineae ; attamen, quia motus lineae remittitur, motus vero c augetur, movebitur aliquando c vere ad partes sinistras, et sic faciet tran¬ sitimi de motu ad dextram ad motum ad sinistrarli et super lineam eandem; nec tamen in puncto regressus quiescet per aliquod tempus. Et ratio est quia non potest quiescere, nisi tanta velocitate mo¬ veatur linea ad partes dextras, quanta mobile c ad sinistras fertur : 10. due — 15. ut quies tempus — 17. auriri — 31. linee attamen •— 33, 36. destr .... — 320 DE MOTIT. verum nunquam accidet quod por aliquod tempori* spatium durethaec aequalitas, cum alter motus continuo remittatur, altor vero continue intendatnr ; ergo, necessario, ex mota uno ad contrariuin transibit c, nulla intercedente quiete. 3" m argumentum desumi potest a mota quodam recto, quem ex duobus circularibus motibus Nieolaus Coper- nicus in suis Revolutionibus componi!. Snnt cnim duo circuii, quorum alter in alterius circumfercntia fertur, cuius signuin unum, dum alter altero citius movetur, in rccta fertur linea et per eandein continuo regreditili'; noe tamen dici potest, illud in extremis quiescere, cum continue a circuii circumfercntia circumducatur. 4 un> est vulgatmn io argumentum de magno lapide ex farri deseendento, qui a calcalo sursum vi impulso non lirmabitur, ad hoc ut sinat calculum aliquan- tisper quiescere: quare calculus certo in ultimo puncto sui motus sursum non quiescct, et, invito Aristotele, utetur ultimo puncto prò terminis duobus, scilicet motus sursum et motus deorsum; et est ulti¬ mimi instana bis sumptum, prò fine, scilicet, unius temporia et prò prin¬ cipio alterius. Verum, ut hoc aufugiant adversarii, dicunt, magnimi illuni lapidem quiescere ; et ita sibi satis argumento fecisse suadent. Verum, ut in posterum (nisi pervicacissimi omnino fuerint) hoc non cre- dant, hoc addam argumento : isti lapidea, qui contrarii movontur ino- 20 tibus, non sursum et deorsum, sed in plana horizonti aequidistanto superfìcie ferantur, alter quidem magno impotu, alter vero tardius, et ex contrarila in contraria moveantur ; in medio autem motu mutuo occurrant : tane dubio procul dobilior a fortiori reicietur et retro ferri cogetur ; at quomodo in puncto ilio conllictus quietem interce¬ dere dicent ? Si enim semel quiescerent, semper deindo quiesceront, cum causam movendi non habeant: sicut magnus ilio lapis, ab alto veniens, si a calmilo sisteretur, tamen, post quietem, ambo concordes descenderent, a propria gravitato moti ; at cum in plano horizonti aequidistanti fuerint, nulla motus, post quietem, habetur causa. Ulti- 3° munì sit argumentum: ante cuius explicationem linee duo supponan- tur. Primum, quod suppono, est, tunc solum posse mobile extra locum proprium quiescere, quando virtus prohibens descensum aequabitur gravitati suae deorsum prementi : quod certe manifestimi est; nani si virtus impressa esset maior gravitate resistente, mobile adirne sur- 1. veruni hoc nunquam —IO. 4" — 15. duobus prò termino scilicet — 21,30. equidist.... — 27-28. altn vcìiies — 33. proibcns — DE MOTU. 327 sum moveretur; quod si essot minor, iam descenderet. Suppono, se- cundo, idem mobile ab aequalibus virtutibus per aequalia temporis spatia in eodem loco substineri posse. Tunc sic insto : si in puncto reflexionis, ut cum lapis a motu sursum violento ad motum deorsum convertitur, datur quies, quae aliquod temporis spatium duret, da- bitur et per idem tempus aequalitas inter vim impellentem et gra- vitatem resistentem : quod quidem est impossibile, cum vim impellen¬ tem continue remitti capite superiori sit demonstratum ; est enim motus, quo lapis ex levi per accidens ad gravitatem movetur, motus io unus continuus, sicut dum ferrum ex calore movetur ad frigiditatem : non ergo quiescere poterit lapis. Amplius: moveatur lapis ex a in h violenter, ex b in a naturaliter ; si, ergo, lapis in b per adiquod tem¬ poris spacium quiescit, sit tale tempus, cuius extrema momenta sint al. Si ergo mobile quiescit tempus cd , ergo virtus extrinseca impellens aequalis est gravitati mobilis per tempus cd: sed naturalis gravitas semper est eadem: ergo virtus in momento c est aequalis u • • t c d virtuti in momento d. Estque idem lapis, idemque locus; ergo <-• per aequalia temporis spada a virtutibus aequalibus substi- nebitur : sed virtus in momento c per cd tempus substinet : 20 ergo virtus in momento d substinebit eundem lapidem per spacium temporis aequale spacio cd. Quiescet igitur lapis per duplum temporis cd: quod est inconveniens; ponebatur enim quieBcens solum per tempus cd. Eadem vero argumentandi rationo servata, demonstrabitur etiam, lapidem in b semper quiescere. Ncque perturberà ab hoc, quod, scilicet, si aliquando gravitas et virtus impellens aequantur, debeat etiam mobile aliquando quiescere: nanque aliud est dicere, mobilis gravitatem aliquando ad aequali- tatem cum vi impellente devenire; aliud vero, eam in tali aoqua- litate per temporis spatium commorari. Hoc autem inde fit manife- 30 stum : nam, cum mobile movetur, eo quod (ut dictum est) vii’tus impellens semper remittitur, gravitas vero intrinseca semper eadem manet, sequitur necessario ut, antequam ad proportionem aequali- tatis pervenerint, innumerae aliae proportiones intercedant : attamen vim et gravitatem in aliqua istarum proportione per aliquod tempus manere, est impossibile; cum demonstratum sit, nunquam virtutem impellentem per aliquod temporis spacium in eodem statu consistere, 2. ab eadem aequalibus — 9. leve — 12. iti a; ri ergo — 13. spacium, sit — 36. impellente — 328 DB MOTU. cum semper remittatur. Vórum itacpie est, vim et gravitatem per proportionem, verbigratia, duplam, sesquialteram, sesquitortiam, et alias innumeras, transirq ; quod autoin per aliquod tempus in una earurn maneant, hoc falsimi et impossibile : sic etiam ad aequalitatem quandoquo devoniunt, sed in aequalitato non sistunt. Quod cum ita sit, et ad motum istnm alterativum transmutationis de levi por ac- cidens ad grave per se consequatur motus localis sursum et deorsum ; ita ut ab excessu virtutis impressae sequatur sursum, a defectu deor¬ sum, ab aequalitate vero quies ; cum aequalitas per temporis spatium non duret, et quies ut non duvet necessarium est. io Caput .... in quo conira Aristotclc.m probatur, si motus naturalis in infinitum extendi posset, cum non in infinitum fieri velociorem. Existimavit Aristoteles (ut videro est p.° Caeli t. 88), motum na- turalem non solum semper accelerari donec ad proprium locum per- venerit mobile, verum etiam, si infinite motus continuavi posset, infinite etiam auctum iri eius gravitatem et motus celeritàtem. Ita enim scribit, dum ostendere contendit, quao moventur, ad aliquem locum deter¬ minatimi ferri : Si terra, dum deorsum movet.ur, non ad determinatimi 20 locum sed in infinitum moveretur, infinite etiam augeretur illius gravitas et velocitas ; verum infinita gravitas et infinita velocitas dari non potest ; ergo non in infinitum movetur quod fertur deorsum. Ilaec igitur est opinio Aristotelis : nos autem, quae his ex diametro adver- santur vera esse, manifestabimus ; nempe, neque semper aligeri velo- citatem, neque, etiam si semper augeretur et in infinitum extendi posset motus, necessario deveniendum esse ad infinitam gravitatem et instantaneam celeritatem, ostendemus. Quod igitur ad primum attinet, facile quispiam intelligere poterit ex his quae supra scripta sunt, percepta causa accelerationis motus co naturalis in fine, cur tandem ista acceleratio desinere debeat. Cum enim ideo mobile acceleretur quia virtus contraria continue remittitur, 2. sexquialteram, sexquitertiam — 8. inijìraessac — 18. (metani — 25. neque continue semper — 26. ne quae — 27. necessarium—28. caeìe.ritatem — 29. Quo igitur — DB MOTU. 320 gravitas vero naturali acquiritur, rationi quidem consentaneum erit ut tandem tota virtus contraria deperdatur, naturalisque resumatur gravitas, atque, iccirco, remota causa, acceleratio desinat. Nec tamen dixerim, ideo totani absumi virtutem contrariam, quia forte crediderim necessarium esse, omne quod semper imminuitur tandem adnihilari (hoc enim necessarium non esse non me latet, ut inferius dicetur) ; • sed solum dicam eam absumi, quia experientia id ostendere nobis videtur. Primo, enim, si quid non admodum grave ex alto veniens aspiciemus, qualis esset vel lanae globus vel pinna vel quid tale, io videbimus tardius quidem in principio moveri, sed tamen, paulo post, motum uniformem observare. Cur autem id in minus gravibus ma- nifestius appareat, ratio est quia, cum incipiunt moveri, eo quod tantum virtutis contrariae habeant quanta est propria gravitas, sint- que ipsa modicum gravia, modica, ergo, etiam erit virtus impressa contraria, quare et citius absumetur ; qua absumpta, motu uniformi movebuntur : et cum tarde etiam moveantur, facilius erit talis motus uniformitatem observare quam in bis quae citissime descendunt. In rebus autem gravioribus, cum multa in eorum descensu absumenda sit virtus contraria, maius etiam tempus ad eam absumendam requiretur; 20 in quo tempore, cum cito ferantur, per magnum spatium descendent : quae magna spatia cum apud nos liaberi non possint, unde gravia demittantur, non mirum est si lapis, ex sola turris altitudine demis- SU8, usque ad terram accelerali videbitur ; hoc enim breve spacium breveque tempus motus non sufficit ad totam virtutem contrariam deperdendam. 2“ experientia desumi potest ex aliis motibus altera- tivis, in quibus tandem omnino deperditur qualitas contraria; ut cum, ex candente, ferrum fit frigidissimum, totusque penitus adnihilatur calor. Eadem ergo ratione, dum lapis ex levi fit grave, ut totam per- dat extraneam levitatene, iudicandum est; quod cum factum fuerit, so cessabit velocitatis intensio. 8° : ratione et experientia comprobari etiam potest, non solum motus non semper accelerari dum mobile a statu quietis recesserit; verum etiam, si in principio motus ab externo motore magna imprimatur vis deorsum impellens, hanc quoque de- strui. Et ratio quidem est, quia tunc mobilis gravitas haberet ratio- nem levitatis, eo quod ipsamet libera et simplex tardius descenderet, quam cum impetu coniuncta ; violentine itaque deorsum impellenti 8. si quod — 12. appareant — 27. paenitus — 330 DE MOTU. resisfceret propria et naturai is tarditas descemlentis. Kxemplo etiain manifestami est, quoti urinatoribus et natantibus saepius aecidit. Eo- rum enim tanta est naturalis gravitas, ut descendant, si voluerint, ad imum usque maris, et tunc solum, a propria gravitate tracti, de- mergentur : quod si ab externo motore, quantumvis maxima vi, deor- sum impellantur, ut si ab excelso loco, qualis esset summitas mali navis, praecipitentur, in principio quidem in aqua motus erit valde concitatus et supranaturalis ; attamen a gravitate propria absoluta, quae tunc, respectu gravitati cum impetu accepto coniunctae, est levitas, retardabitur motus, et eo usque donec descendens ad natu - 10 ralem tarditatem devenerit ; atque si aqua satis fuerit profunda, non maiorem in fundo laesionem patietur, quam si ex aquae summitate proprio naturalique motu descendisset. Et ex bis sic ratio hauriri po- test : si enim descendens semper acceleraretur in motu, capax esset cuiuscunque celeritatis, ut celeritas nulla esset illi supranaturalis ; ergo et impetum acceptum deorsmn ab externo motore non deperder et ac respueret, cum ad eundein impetum tandem naturaliter etiain deve- nisset: at contrarium uccidere experientia docet: patet ergo unicui- que, naturali motu descendenti determinatala statutamque celeritatem praescriptam esse.'" Yerum quod, et si semper celeritas intenderetur et intinitum esset spatium motus, non tamen sequeretur, motum tandem ad infinitam celeritatem devenire et mobile ad infinitam gravitatela, non difficile erit eie intelligere, qui in mathematica versati fuerint. Simile enim hoc est ei quod illis fere omnibus impossibile videtur, qui demonstra- tionis non sunt capaces: quod, scilicet, inveniri possint duo lineae, quae, in infinitum protractae, semper appropinquentur, nunquam tamen concurrant; ita ut distantia, quae inter eas est, semper in infinitum minuatur, nunquam tamen absumatur. Yerum talee lineas dari, omnes norunt qui aut in asymptotos hyperboles in Conicis Apollonii Pergaei, so aut in primam lineam conchoidom Nicomedis, apud Eutocium Asca- 3. descendant ad, si —12. lesionali — 13. auriri — 16. celeritas quaecunque non esso[t] nulla — 22. sequaerctur — 24. erit eos et's— matematici» —30. asini pioto» yperboles — Pei'gci — 31. concoidem — Éutochlum — (1) Postilla marginale: «Sic melina for- » assi guata celeritate, quam non rospuot. ; at. * ni api tur argumentum : si descendens seni- > aseignatam respuit ; ergo etiain maiorem. » per acceleratur, devenire profeoto aliquan- » Sit. enim ossignata quae ab externo motore, » do poterit ad celeritatem maiorem quaque » ut in hoc ex empio, imprimitura. DE MOTU. 331 lonitam in Commentariis super librum secundum inimitabilis Arclii- medis De spbaera et cylindro, inciderint : sunt enini liae duae lineae (et inultae etiam aliae excogitari possent), (piae, in infiniturn protractae, semper magis accedunt, veruni ut alienando concurrant impossibile est ; minuitur ergo semper eorum distantia, nunquam tamen absumi- tur. Et si linea ad rectos angulos super linearli rectam quae conclioidi subiacet, vel super asymptotum, excitetur, et liane ponamus moveri, semper manentibus angulis rectis, in infiniturn versus partes ad quas in infiniturn extenduntur lineae non concurrentes ; in liac linea ad rectos io angulos, punctus, quo ab hyperbole vel conchoide secatur, semper versus alteram extremitatem movebitur ad earn accedendo, nunquam tamen perveniet ad ultimum punctum. Pari etiam pacto de celeritate acci- dit : potest enim semper tarditas motus imminui et, consequenter, ce- leritas augeri, nec tamen aliquando absumi. Ut, exempli causa, sit tarditas ab, quam si totam mobile absumeret, motus in instanti con- tingeret : dico, non esse necessarium, quamvis semper in infiniturn minuatur, ut tandem absumatur. Incipiat enim motus, qui in infini- tum intendi potest: sit autem talis ut in prima unius milliarii distantia adeo acceleretur, ut imminuat octavam partem tarditatis ab, ut 20 puta ac; in secundo vero milliario minuat octavam partem resi- duae cb; in alio vero milliario minuat alterius residui partem octa¬ vam. Et sic semper poterit produci in infiniturn haec diminutio, cum semper residuae septem octavae partes in octo aequales di¬ vidi possint ; et mobile per infinita milliaria moveri poterit, in unoquoque milliario de tarditate absumendo : nec tamen ut tar¬ ditas olimmo absumatur, necessarium est. Veruni amplius : illi qui cum Aristotele crediderunt, si semper minuatur tarditas, tandem ad infinitam celeritatem esse veniendum, quid dicent si illis ostendetur, non solum non esse necessarium ad so infinitam coloritatela devenire, veruni etiam demonstretur, posse mo¬ bile semper accelerati, nec tamen adeo intendi celeritatern ut finitae cuidam celeritati aequetur, nedum excedat? Et, ut clarius loquar, moveatur aliquid, cuius in principio motus celeritas sit ab ; sit autem alia celeritas cd maior al: dico, mobile, in infiniturn motum, posse in infiniturn celeritatern suam ab augere, quae tamen, in infiniturn a i c 2. cilyndro — due — 6. si una linea — 6,10. concoid.... — 7. asintotum — et liane moveri — 10. yperbolc — 25. absumendo : ut autom nec — 20. necessarium non est — de motu. 332 aucta, nunquam tanta erit quanta est celeritas cd. Ut aceideret si mobile, a quieto recedens, in primo milliario sui motus acquirat ce- leritatem ab, quae sit duo tertiae celeritatis cd ; in secundo autem c milliario augeatur illius celeritas secundum tertiam partem celeritatis ab ; in tertio augeatur secundum tertiam partem tertiae partis celeritatis ab; in quarto augeatur secundum tertiam partem tertiae partis unius tertiae partis ab; et sic in infinitum fiat augumentum per singula milliaria secundum tertiam partem augumenti praecedentis milliarii : et semper d certe augebitur celeritas, nunquam tamen tanta erit quanta io est cd, sed semper deficiot dimidium (l> ultimi augumenti. Iluius autem demonstratio sit haec. Sint quotcunque celeritates continuae in tripla proportione ab, bc, cd; quartini maxima sit ab, cuius sesquialtera sit co. Dico, omnes magnitudines ab, bc, cd, simul cum dimidia cd, aequales esse ipsi ea. Quia enim ca sesquialtera est ab, erit ab cimi sua medietate aequalis ae; et quia ab est tripla bc, erit bc cum sua medietate aequalis c dimidiae ab: at demonstratum est ab cum sua medietate acquari ae: ergo abc cum medietate bc aequatur ipsi ac. Simili autem modo, quia bc tripla est cd, erit cd cum sua medietate aequalis dimidiae bc : veruni tota ac cum dimidia bc demonstrata est 20 aequalis ac: ergo et tota ad cum dimidia de aequabitur ae. Et a eadem demonstratione semper repetita, demonstrabitur, celeri¬ tates, quotcunqu 6 illae fuerint, in tripla proportione continue «proportionales, simul suraptas, una cum medietate earutn mi- ^ nimae, aequales esso ei eeleritati quae earum maximae celeritatis sesquialtera fuerit. Quod si ita est, patet, celeritates omnes, in d tripla proportione, sumptas simul, minores èsse quarn celeritas illa, quae earum maximae sesquialtera fuerit, cum semper ab ea deficiant per dimidium minimae celeritatis. Constat ergo quomodo celeritas ab possit in infinitum semper augeri ; nec tamen unquam 80 aequetur eeleritati ac. Concludamus igitur, in mobili, ob rationos prius allatas, non semper augeri velocitatemi ; sed deveniri ad motum quondam, quo velociorem naturaliter non patitur eius terminata gra- 8. singuìos miUiarios—9. precedenti» — 13, 15, 2G, 28. sesquialtera— 18-19. aut modo— 23. ille 24. sumptae 26. patet magnitudines celeritates — 27. quam iua[gnitudo] celeritas — 1 1 Nelle lin. 8-11, in luogo di duo ter- scritto da prima, e poi cancellò, tres quartac, tiae,tertiam, tertiae, dimidium, l’Autore aveva quarlam, quartae, tertia pars. DE MOTU. 333 vitas : quod si etiam concéderetur, eius velocitatem semper intendi in infinitum, non tamen ad infinitam velocitatem deveniendum essèt. Ex liis qnae liactenus scripta sunt, facile erit unicuique causam invenire, cur gravia in suis naturalibus motibns non servent propor- tiones illas quas, cum de hoc ageremus, illis assignavimus ; proportio- nes, inquam, suarum gravitatum, quas habent in medio per quod moventur. Cum enim in principio motus non secundum gravitatemi suam moveantur, cum a virtute contraria iinpediantur, mirum profecto non erit, si gravitatum proportiones non servent celeritates ; imo io vero, quod certe mirabile videtur, leviora gravioribus citius in prin¬ cipio descendant. Cuius mirabilis effectus causam etiam alii assignare tentarunt; quam, eo quod non sint assediti, capite sequenti confuta- bimus, veramque causam afferro conabimur. CAroT . . . , in quo causa assignatur, cur minus gravia. in principio sui motus naturalis vclocius moveantur quam graviora. Non minus venusta certo quam difficili^ extat haec quaestio : cuius solutionem alii quoque explicare tentarunt, ut Averroes et qui eum secuntur ; at, quae mea est opinio, in vanum laboraverunt, deformes 20 quasdam liypotheses statuendo. Dicunt enim, (,) aérem in propria regione gravem esse ; ex quo sequitur, ea quae plus aéris habuerint, in loco aéris graviora esse (et haec etiam est opinio Aristotelis): ex quo fit, quia, verbigratia, lignea sphaera plus in se aéris habet quam plumbea, ut habeat tria gravantia, nempe aérem, aquam et terram ; plumbum vero, quia modicum in se aéris habet, quasi 2 tantum gravantia ha¬ beat: unde fit, ligneam sphaeram citius descendere quam plumbeam .' 2 Dicunt etiam, hoc non contenti, plumbum rarum ideo denso ferro esse gravius in aere, quia plures partes aéris sunt in raro plumbo quam in denso ferro. Haec solutio quot et quantas dilficultates habeat, 8. actenus — 17-18. cuius causam solutionem — 20. quedam ypoteses — 25. tantum gravia ~ 26. plumbea — 29. solutio quod et — 0) Postilla marginale : « Borrius, cap. W Prima aveva scritto : « nudo lignea » XII, 3 ae partis ». * sphaera citius descenclat quam plumbea » DE MOTU. 334 nemo est qui non videat. Et primo, aerem nec gravem esse nec leverà (,) in sua regione, quis est qui ignoret? eundemquo, quod conse- quens est, nec sursum nec deorsum ferri? Hoc enim supra demon- stratum est. 2°: si velocitas motus mobilis gravitateli! sequitur, ut omnes volunt, et plumbea spliaera loco aeris partium, quae in lignea sunt, liabet terram et aquam, et terra et aqua sunt aere gra- viora, ut facile est credere, nonne plumbum gravius erit, et velocius descendet? Quod autem, ut aerem gravare ostendant, de ferro et plumbo dicunt, si plumbum gravius est, quia plus habet aeris, ergo lignum et ferro et plumbo gravius erit, cuna plus utroque habeat io aeris. 3°: si multum aeris, quod in ligno est, illud velocius facit, ergo semper velocius, dum fuerit in aere, movebitur. Experientia tamen contrarium ostendit : veruni enim est, lignum in principio sui motus ocius ferri plumbo ; attamen paulo post adeo acceleratur mo¬ tus plumbi, ut lignum post se relinquat, et, si ex alta turri demit- tantur, per magnum spatium praecedat : et de hoc saepe periculum feci. Firmiorem igitur causam ex firmioribus hypothesibus ut liau- riamu8, tentandum est. Oli, quam facile ex veris principiò verae extrahuntur demonstra- tiones ! Si verum est, quod diximus, mobilia, dum a statai quietis so rocedunt, cum tanta contraria vi impressa recedere, quanta est eorum gravitas ; ergo quae graviora fuerint, cum maiori virtute contraria coniuncta recedent. : quod si gravioribus plus do virtute ad contrarias partes impellente est absumendum quam levioribus, gra¬ viora certe ut tardius moveantur necesse erit, cum maiorem patiantur resistentiam. Et si, rursus, haec vera sunt, sequitur ut graviora, post- quam tantum de resistente contraria absumpsorint ut non amplius tanto impediantur quanto leviora, ocius descendere debeant : quod certe rursus experientia monstrat. Ilic autem silentio non est dissimulanda magna, quae oritur, diffi- so cultas. Nani, licet graviora plus de qualitate contraria quam leviora consumere liabeant, attamen habent etiam maiorem gravitatoci, qua Ulani destruere possint ; quod cum ita sit, rationi consentali eum esse videtur, ut aequali tantum velocitate in principio moveantur : causa 16. sepc — 17. ypotesibus — 19-20. extrahuntur causao demonstrationcs — 33. dextruere — 34. cquali — W Prima aveva scritto, e poi corresse: « Et primo, quod aer nec gravis sit nec levis * DE MOTU. 335 autem cur minus gravia citius moveri debeant, nondum apparefc. Magni certe momenti est obiectio ista; sed, tamon, non adeo est potens, ut ve- ritatis splendorem offuscare valeat. Ut autem ipsam de medio tollamus, est animadvertendum, in mobili qualitatem illam contrariam non ideo remitti, quia a gravitate eiusdem mobilia oppugnetur ; gravitas enim, cum in mobili contraria qualitate conforto nulla penitus sit, idem praestare non potest; sed qualitas illa per se debilitatur, et mobile relinquit : sicut etiam dum candens ferrum frigefit, non ideo in eo calor remittitur, quia a contraria frigiditate reluctetur; nulla enim io tunc in ferro est frigiditas ; sed suapte natura ex ferro paulatim rece- dit. Est, secundo, animadvertendum, qualitatem contrariam eo facilius et citius recedere, quo in leviori mobili impressa fuerit: quod quidem exemplis multis comprobare licet. Ut si eodem tormento et eodem tempore simul iaculentur duae glandulae, plumbea una, altera lignea, tunc, dubio procul, cadem in utrisque virtus imprimetur ; et tamen acrius et diutius in plumbo conservabitur quam in ligno : cuius si- gnum est, quod longius et diutius motu violento movebitur plumburn. Et hoc idem etiam patet, si quis, eadem manu, eodem tempore, simul, sursum 2 frustra, ligni unum, alterimi ferreum, proiciat; quorum fer- 20 reum vel plumbeum per longius spatium movebitur : quod quidem indicat, virtutem motivam acrius ferro inhaerere et diutius in eo conservari quam in ligno. Hoc idem patet si ex duobus filis aequa- libus euspendantur duo pondera, ligneum alterum, alterum plumbeum, et, impetu ex aequali a perpendiculo distantia accepto, derelinquantur ; quorum plumbeum per longius temporis spatium certe bue illue mo¬ vebitur. Et tandem, qualitates omnes contrarias diutius, quo in gra- viori ac densiori et magis eia contraria materia impresane fuerint, conservari, in omnibus manifestum est. Si enim lignum et plumburn calefiant, ita ut amborum aequalis sit in principio calor, tamen in so plumbo diutius conservabitur ; licet maior plurnbi frigiditas magis calori contrarietur quam modica ligni frigiditas. Et hoc manifesto patet in aere, qui, praesente igne valdeque excalefactus, statini, si removeatur ignis vel cineribus obtegatur, frigefit aèr : si autem aqua ab igne excalefiat, non dicam ut ferveat, sed soluin ut calida 3. offuscati. Ut — 4-5. non ide remitti — G-7. p aenitus sit, ide praestare non poles — 8. candes — 14. tempore simi iaculentur — lingnea —15. dubio cadetti —17. violencto movebitur ferrum — 20. longiori spatio movebit — 21. inherere — 25. lonyiori — spatio — 32. presente 336 DK MOTU. tantum sit quantum erat aer, per longum profecto temporis spatium calorem servabit; licet aquae frigiditas longe peius odio habeat ca- lorem quam aer. Patet otiam, aestivo tempore multo magia excale- fieri lapidea vel ferrum quam aer, cimi lapidis calorem vix manus substinere valeant, eumque diu conservant ; iidem vero lapidea hieme longe frigidiores evadunt ipaomet aere. Ex bis itaque omnibus patet, qualitatea omnea contrarias fortius in graviori ac donaiori ma¬ teria haerere, tardiusque ex eadem recedere. Ilis autem constitutis, patet iam problematis solutio. Nam si in ligno et plumbo eadem proportione remitterentur qualitatos contrariae, veruni quidem easet io quod in principio naturalia motus eadem moverentur velocitate: ve¬ runi, quia qualitas contraria faciliua et citius in minus gravi materia consumitur, bine fit ut in ligno citius deperdatur, et a ligno recedat, virtus impressa ; quod cum ita fuerit, necessario volocius movebitur. Veruni, quia, amissa qualitato contraria, non tantarn gravitatelo acqui- rit lignum quantam plumbum, cum, simpliciter et libere, plumbum ligno sit gravius, hinc fit ut plumbum lignum deinde assequatur et longe praecedat. Veruni exemplo adirne facilius haec declarentur. Sintque duo mobilia, mole aequalia ; alterum vero sit ligneum, plumbeum alte- 20 rum : sitque plumbi gravitai 20, ligni vero 4 ; et ambo substi- neantur a linea ab. Primo, itaque, manifestino est, tanta vi deorsum premere ipsa mobilia, quanta vi sursum impellit linea ab. Nam, si magis premerent, linea ab illos non regeret, sed deorsum, invita linea, ferrentur : nunc autem ipsa mobilia non feruntur deorsum in aere, quia in aere, per quod ferri debent, non gravant (nec, ut demonstra¬ luni est, quicquam deorsum fertur, ni medio, per quod ferri debet, \ gravius fuerit), sed in ab gravant ; - b et, cum non magis gravent quam ipsa substineat, necessario quiescunt. Cum autem a linea derelinquun- so tur, in primo puncto recessus retinent adirne qualitatem contrariam sursum impellentem impressami, quae non in instanti sed successive remittitur; plumbumque 20 qualitatis contrariae, lignum vero 4, con- sumendum habent. Quae qualitates si acqualiter in utroque remitte¬ rentur, ita ut, quando in plumbo 1 qualitatis recesserit, in ligno 3. estivo 5. lapide 8. aercre — 12. citius ex in — 13. deperdatur ac et — 1G. quanta — 17. ferro sit 19. hae 20. vero si litjneum — 2G-27. demostratum — 32. que — 34. in unotroque — DE MOTU. 337 etiam 1 abierit, et, quod eonsequens est, 1 gravitati resumpsissent, ambo, dubio procul, eadem moverentur velocitate : sed, quia in eo tempore in quo e plumbo reeessit 1 qualitatis, e ligno plus quam unum egressum est, et, per consequens, quando plumbum unum tantum gravitatis resumpsit, lignum plus quam unum acquisivit, bine fit quod lignum tunc velocius motum est ; et, rursus, quia, quando in ligno recesserat 2 qualitatis, in plumbo minus quam 2 abierat, factum inde est, plumbum tunc tardius moveri. Verum, quia tandem plus gravitatis acquirit plumbum quam lignum, sequitur, plumbum io etiam tunc multo velocius ferri. Caput .... Cur proieda ab eadem vi longius eo in linea veda feruntnr , quo cum plano horizontis eadem angulos minus acalos facient. ITanc non levem difficultatem ex bis quae supra, cum de motti super diversas ad horizontem inclinationes ageremus, scripsimus, quispiam haurire posset. Cum enim ex illis colligatur, eo facilius grave sursum impelli posse, quo planum, super quod fit motus, acutiores angulos cum borizonte continebit; nunc autem contrarium afferro videamus; merito alicui dubitandi ansa praebetur. Quae difficultas ut, quatenus 20 cum superioribus pugnare videtur, auferatur, est animadvertendum : cum in superioribus dictum fuit, gravia eo facilius moveri sursum, quo planum, super quod fit motus, magis fuerit inclinatum, intelligendum esse de bis, quae super solidum planum feruntur ; nunc autem de his, quae non ab alio substentata, veruni in aere suspensa, a sola virtute impressa et substinentur et impelluntur; ut cum ex muralibus tor¬ ni entis forrei globi extruduntur, quos certe constat per longius spatium in eadem linea recta ferri, quo linea motus minus acutos cum horizontc angulos efformaverit. Cuius effectus, quicquid dicant alii, ut veram causam inveniamus, est animadvertendum, quemadmodum etiam supra co notavimus, virtutem impellentem acrius longe imprimi in eo quod magis resistit, dummodo virtus ob debilitatem non languescat: quod si rationem aliquam invenire possemus, ut idem grave plus nunc 3. in quo e li (/no reeessit — 13. faciet — 16. aurire — 19-20. quatenus contrarietatam cum — 26. per lonqiori spatio — 32. imeni. Prima aveva scritto inveni posset, poi sostituì possemus —■ 338 DE MOTU. quam antea resisteret, nunc, dubio procul, fortius a virtute movebitur, Yerum magia resistit quod contra nititur, quam quod aut quiescit aut ad eadem fertur : in eo, ergo, quod contra nititur, arctius virtus im¬ primàtur ; quod experientia docti qui follibus ludunt, ab aliquo contra so folloni deici volunt, ut in eo reluctante et magis resistonto plus yirtutis motivae imprimatur. Veruni, ut iam diximus, id soli praestare possunt, qui robusto fortique bracbio praediti sunt : qui vero languidi sunt viribus, noe contra impetum niti possunt, contra quiescentem vel non ad contrarias tendentem folloni moventur : quod si ad easdem mo- vcatur follis, paululum, ut quisque novit, impellitur. Cuius effectus io causa quidem est, quia quod quiescit, a maxima virtute percussuin, movetur antequam tota virtus imprimatur, cum illius mobilitas im- pressionem tantae virtutis non expectet : quod non accidit in co quod in contrarias ciotur; nain, aucta per motum suao gravitatis resistentia, magis resistit, nec ante totius virtutis impressionem retrocedit. Et hoc idem experimur omnes, cum lapidem ante proicere volumus : prius eiiini eum marni retro celeriter portamus ad lioc, ut, ad contrarias motus, magis virtuti imprimendae non solum ipse veruni etiam manus re¬ sistati quod si, cum retro latus est, manuin sisteremus et lapis, retro motus, quiesceret, multo minus iaculari posset, ut unicuique patet. 20 Oportet igitur, lapidem, retro latum, in puncto regressus non quiescere, ad lioc ut maiori impetu iaculari possit. Et idem patet in illis qui funda proiciunt lapidem : prius enim fundam bis aut ter in orbem girant, ad hoc ut velocius moveatur ; in extremo autem talem motum in motum retro convertuntur, ut tunc in lapide reluctante maior imprimatur vis. His animadversis, geminam causam propositae quaestionis afferò: et primum dico, quod, quamvis virtus motiva in tormentis sit eadem, tamen eo plus de eadem virtute in sphaera ferrea imprimitur, quo tormentum magis erectum fuerit. Cui causa est, quia sphaera tunc magis virtuti resistit : difficilius enim in cavitate bombardae movetur so cum sursum, tanquam in plano magis erecto, est impellonda, quam cum magis inclinata fuerit; quare etiam magis virtuti imprimendae resistit. Quando enim tormentum inclinatala fere iacet, tunc sphaera virtutera imprimendam non expectat, sed ante totani impressionem 3. nititus — 5. folem —11. virtute impulsus percusms —13. tante — 20. quieeeet — 21. Oporte — 22. impetu movefri] iaculari — 25. relunctante — imprimitur — 27, 29. tormenti.... — 80. resistt8 — DE MOTU. 339 eicitur : veruni, cum erectum fuerit tormentum, gravitate globus nigrum pulverem premit, et motui super plano erecto magis obstat, multaeque virtutis impressionem ante discessum expectat. Nec est de virtute impellente verendum, ne languida et impotens sit: tanta enirn est, ut, si globus adeo arcte constipatus in bombarda fuerit ut expelli nequeat, in frusta connninuetur tormentum ; tanta enim moles ignis, in angusto ilio spatio compressa, carceres illos aereos nedum solveret, veruni etiam si centies solidiores essent; ut patet quando vallos, moenia, integraque propugnarla, ad sidera tollit. Quanta autem sit moles illa io ignis quae in angusta tunc cavitate concluditur, ex quantitate nigri pulveris, qui interdum ad 8 vel 10 libras pondere accedit, totusque, nullis fere relictis cineribus aut ignium excrementis, in ignem con- vertitur, diiudicari potest. Quanta enim sit ignis moles, cuius gra- vitas ad 10 libras accedit, excogitent praesertim illi qui in igne nullam ponunt gravitatelo. Haec prima esto causa. Secunda est quia, quando globus sursum ad perpendiculum hori- zontis fertur, non potest ab illa linea recta deflectere, cum per eandem ut rovertatur necesse sit, nisi prius qualitas sursum impellens omnino recesserit: quod non accidit cum per lineato horizonti inclinatalo fer- 20 tur. Tunc, enim, quando a linea recta deflecti incipit, ut virtus im¬ pellens absumpta sit, non est necessarium: virtuti enim violenter impellenti sufficit ut mobile a principio motus removeat ; quod bene praestare potest dum in linea horizonti inclinata fertur, licet aliquaii- tulum in motu inclinetur. Tunc, enim, motus ille, cum globus declinare incipit, non est motui recto contrarius ; quare ad illuni mobile se con¬ vertere poterit, absque eo quod virtus impellens recedati hoc autem fieri non potest dum mobile sursum ad perpendiculum cietur, quia linea inclinationis est eadem cum linea motus violenti. Quando igitur mobile in inclinatione ad locum, unde a virtute impressa expellitur, so non accedit, sinit virtus mobile declinare; sufficit enim illi ut mobile a termino, unde recessit, removeat; et eo libentius illud declinare sinet, quo minus declinatio illa recessum a termino a quo impediet. Veruni, si fertur per lineam perpendicularem ab, ab ea nullo modo mobile declinare potest, nisi, super eadem recedendo, ad terminum, a quo recessit, accedat ; hoc autem, dum vivet, nunquam patietur 1. gravite globus — 2. praemit — 3. multeque — impraessionem — 8. quanto vallos menia — 27-28. qui linea — 31. eo facilius libentius — virtus inipellens : cimi auteiu mobile per lineimi tic fertili 1 , quia adirne inolinatio ad terminimi a quo tenditi, itisi valilo debilitata eam non sinet virtus motiva: culli autoni fertur por ac liori- nonti fere aequidistantoin, potest quantumlibot cito inclinavi incipere mobile; inclinatio enim linee ro- cessuni a termino non impedii. Opposituin autom huius accidit, duni mobile super diversa» planorum inclinationes inovetur: in planiti enim magis incli- natis longius ab eadeni vi per roctam linoam mo- vetur mobile, quam in planis magis ereetis. llatio est quia, quo magis planimi fuerit inclinatimi, eo minus gravat in eo mobile, quia pars illius gravitatis a plano substinotur; mule lìt ut a motore facilius moveri possit : et, culli in dictis planis non possit mobile a motu deflectere nisi per oandein lineam retroce¬ dendo, in illis planis longius recta movebitur, in quibus gravitas mobilia impellendi minor fuerit. 2 - 3 . cavi sinet — 4 . acquieti alanti — 14 . cadevi — « DE MOTU. 341 Lationem'” omnem naturalem ab excessu vel defectu gravitata fieri, inferius explicaturi, rationi consentaneum esse duximus, prius quid magia, quid rainus, quidve aeque grave dicendum sit, in medium afferro. Est enim hoc determinare necessarium : saepius enim accidit ut, quae minus gravia sunt, graviora, quae autem magia, minus gravia, nun- cupentur. Interdum, nanque, magnum lignum parvo plumbo gravius esse dicimua, cum tamen plumbum ligno, simpliciter, gravius existat; et magnum plumbi frustrum pauco plumbo gravina dicimua, cum tamen plumbum plumbo gravius non sit. Quapropter, ut huiusmodi io captiones aufugiamus, ea inter se aeque gravia dicenda erunt, quae, cum fuerint aequalia in mole, erunt etiam aequalia in gravitate : unde si duo plumbi frustra, quae, in mole aequalia, in gravitate quoque congruant, inveniamus, ista vere aeque ponderare dicenda erunt. Unde, lignum aeque ac plumbum gravare non esse dicendum, manifestimi est : frustrum enim ligni cum plumbi frustro aequepon- derans, in mole plumbeum frustrum longe excedet. Deinde, illud alio gravius est nuneupandum, cuius accepta moles, alterius moli aequalis, ea gravior comperiatur : ut, verbigratia, si ex plumbo et ligno moles duas inter se aequales accipiamus, sitque plumbi moles gravior, tunc iio certe plumbum ligno esse gravius, merito asseremus. Quare, si ligni frustrum, quod cum frustro plumbi aequeponderet, accipiamus, non tamen lignum aeque grave ac plumbum est censendum : plumbi enim molem longe a ligni mole excedi inveniemus. Converso demum modo de minus gravibus est statuendum: minus nanque grave censendum est illud, cuius pars accepta, alterius parti in mole aequalis, in gravitate minor extiterit; ut, si solida duo, ligneum unum, plumbeum alterum, quae in mole aequalia sint, accipiamus, minus autem ligneum gravet quam plumbeum, tunc lignum plumbo rainus grave esse, est censendum. 4. sepius —' 24) de levioribus minus —27. minus atti ligneum — <*) Di qui fino a pag. 343 seconda lezione dei capitoli a pag. 251-253 : cfr. l’Avvertimento. 342 DE MOTU. Graviora centro propinquiora, minns provici centro remotiora, a natura constituta esse, et cor. line usque gravia et minus gravia, non autem gravia et levia, diximus ; sicut centro propinquius et centro remotius, non autem deorsum et sursum: inferius enim explicaturi Burnus, non esse leve, hoc est carens gravitate; nec esse locum, qui tantum sursum, non autem etiam deorsum, sit. Attamen si interdum, ut communiter loquar (parum enim interest ad propositum nostrum de nominibus contentio), grave et leve et sursum et deorsum dixero, hoc prò minus et magis grave, et prò centro propinquius et remotius, intelligatur ; donec, io occasione superveniente, de his distinctius determinare liceat. Quod autem ad praesens negocium attinet, cum ea, quae naturaliter mo- ventur, ad propria raoveantur loca, et cum gravia aut levia sint qu’ae moventur, videndum est, quaenam gravium loca, et quae levami, oxistant, et cur. Veruni, quod ad primum attinet, gravium loca ea esse quae magis centro accedunt, levium vero quae magis distant, sensu quidem quotidie intuemur ; quare talia determinata loca illis a natura praescripta esse, non est quod dubitemus: verum in dubium revocari potest, cur talem ordinerà in distribuendo locis, non autem praeposterum, prudens natura servaverit. 20 Huius distributionÌ8 non alia, quod legerim, a philosophis affertilì' causa, nisi quod in aliquem erant ordinem cuncta distribuenda, in hunc autem Summae Prudentiae distribuere placuit; et simile quiddam Ari- stoteles, 8 Phys. 32, afferre videtur, dura, quaerens cur gravia et levia ad propria moveantur loca, subdit, causam esse quia liabent a natura ut sint apta ferri aliquo, et hoc leve quidem sursum, grave autom deorsum. Ptolemaeus autem, in principio 7‘ capitò primi libri suao Magnae Const.ructionis, inquit frustra inquiri cur gravia ad medium ferantur; cum demonstrasset terram, ad quam feruntur, in medio esse. Verum haec difficultatem non tollunt : dato, enim, ferri ad medium so quia ad terram ferantur, rursus, cur terra in medio non autem in loco ignis posita fuit, quaerimus. Quod si rem accuratius spectemus, non erit profecto existimandum, nullam in tali distributione necessi- 8. contenctio —11. dixtinctius — Quo —12. presens — lf>. dirtant —19,21,22,23. tlixtribu.... — 22. dixtribuinda placuit in hunc — 27. Ftolemeus — 28. fruxtrci — DE MOTTI, 343 tate ni aut utilitatem Imbuisse naturain, sed solum ad libitum et casu quodammodo operatam fuisse. Hoc cuna de provida natura nullo pacto existimari posse perpenderem, in excogitanda, nisi necessaria, saltem utili et congruente, aliqua causa interdum anxius fui: ac pro- fecto, non nisi optimo iure summaque prudentia hunc naturam elegisse ordinem, comperi. Cuna enim una omnium corporum sit materia, et illa quidem graviora sint quao in angustiori spatio plures illius ma- teriae particulas includunt, rationi profecto consentaneum fuit, ut quae in angustiori loco plus materia© concluderent, angustiora etiam io loca, qualia sunt quae centro magis accedunt, occuparent. Ut si, cxempli grafia, intelligamus, naturam in prima mundi compagine totani elementorum communem materiam in quatuor partes divisisse; deinde ipsius terrae formae suam materiam tribuisse, itidem et formae aeris suam; terrae autem formanti materiam suam in angustissimo loco constipasse, aeris autem formam in amplissimo loco materiam suam roposuisse; nonne congruum erat ut aeri natura magnum spatium assignaret, terrae autem minus ? At in sphaera angustiora sunt loca quo magis ad centrimi accedunt, ampliora vero quo ab eodem magis distanti prudenter, igitur, simili et aeque terrae statuit natura locum 20 esse qui caetei’is est angustior, nempe prope centrum ; reliquis deinde elementis loca eo ampliora, quo ipsorum materia rarior esset. Nec tamon dixerim, aquae materiam tantam esse quanta est ipsius terrae, et ob id aquam, cum sit terra rarior, maiora loca occupare; sed solum quod, si partem aquae cum terrae parte aequeponderantem accipiamus, et ob id tanta sit aquae materia quanta terrae, tunc profecto terra illa minorem occupabit locum quanti aqua: quare merito in angustiori spatio erit reponenda. Et, siiniliter, tanta materia, quantam terrae forma in angusto loco compraehendebat, forma aeris amplissimum spatium replebat: ergo aeri natura ampliorem, quam so terrae, locum assignare debuit; ergo, a centro remotiorem. Similique modo do igne etiam discurrendo, congruentiam quamdam, ne dicam necessitatem, talis dispositionis gravium et levium inveniemus. 3. exixtimari — 8. conscnctaneuin — 19. dixtant — 22, 27. tanct.... — I. 42 344 DK MOTU. Graviora (1) centro propinquiora, minus gravia centro remotiora, a natura constituta esse, et cur. Vastissimae caclestis exeremonta sphaerae, post illius mirabilom compaginerò, divinus Opifex, ne forte immortalami beatorumque spi- rituum offenderent intuitimi, in eiusdem globi centrum extrusit atque abscondidit: veruni, cum satis amplimi et capax sub ultimi concava superficie orbis relictum spacium densissima gravissimaquo illa mate¬ ria mole sua non expleret, ne magnimi spacium otiosum atque vacuimi esset, quae, pressa gravitate sui, onerosam illam indigestamque massaia, in angustia so cancellis concluserat, distraxit ; et ex illius innumeris io particulis plus minusve rarefactis quatuor illa efformavit corpora, quae postea elementa diximus. Quorum quod gravissimum densissi- muinque, ut prius erat, remansit, e loco in quem antea confugerat non removit ; et sic relieta est terra in centro : et, simili rationo, quae densiora fuerant, terrae viciniora constituta sunt. Eorum vero quae ex liac materia constituta sunt corpora, densiora illa dieta sunt quae, sub eadem mole, plures eiusdem materiae particulas coégere; lì) densiora, autem, graviora fuere. (3) In liunc, itaque, ordinem a natura distributa fuisse corpora, ut, scilicet, quae graviora essent, centro propinquiora manerent, con- 20 tinua nobis declarat experientia : veruni in dubium revocari potest, cur talem ordinem in distribuendis locis, non autem praepostoruin, prudens natura servaverit. Iluius distributionis non alia, quod lege- rim, a pliilosophis adfertur causa, nisi quod in aliquem erant ordinem cuncta dispoiienda, in liunc autem Summae Prudentiae distribuere 10. (hxiraxxt — 10-11. innumeras particulas — 11. rarefaclas — 12. clcinencla — 19,23, 25. dùxtribu ....— 1)1 fino a pag. 366, terza lezione png. 253-260 0 289-294: cfr. l’Avvertimento, dei capitoli a pag. 251-253, e seconda, con W Postilla marginale : * Densius quid ». notevoli omissioni ed aggiunte, dei capitoli a W Postilla marginale : • Quid gravius ». DE MOTU. 345 placuerit. Simile quiddam Aristoteles, 8 Pliys. 32, adferre videtur, dum, quaerens cur gravia et levia ad propria moveantur loca, subdit, causam esse quia liabent a natura ut sint apta ferri aliquo, et hoc leve quidem sursum, grave autem deorsum. Ptolemaeus autem, in prin¬ cipio 7‘ cap. p.‘ libri suae Magnae Constructionis, inquit frustra inquiri cur gravia ad medium ferantur; cum demonstrasset terram, ad quam feruntur, in medio esse. Verum haec diffìcultatem non tollunt : dato, enim, ferri ad medium quia ad terram ferantur, rursus cur terra in medio non autem in loco ignis posita fuit, quaerimus. Quod si rem io accuratius spectemus, non erit profecto existiinandum, nullam in tali distributione necessitateli! aut saltem utilitatem Imbuisse naturam, sed solum ad libitum et casu quodammodo operatam fuisse. Hoc cum de provida natura nullo posse pacto existimari perpenderem, in exco- gitanda, nisi necessaria, saltem utili et congruente, aliqua causa inter- dum anxius fui : ac profecto, non nisi optimo iure liunc naturam elegisse ordinem, comperi. Cum enim una omnium corporum sit materia, et illa quidem graviora sint quae in angustiori spatio plures illius materiae particulas includunt, rationi profecto consentaneum fuit, ut quae in angustiori spatio plus materiae continerent, angustiora etiam loca, 20 qualia sunt quae centro magis accedunt, occuparent. Ut si, exempli gratia, intelligamus, naturam in prima mundi compagine totam elemen- torum communem materiam in 4 partes divisisse ; deinde ipsius terrao formae suam materiam tribuisse, itidem et formae aèris suam; terrae autem formam materiam suam in angustissimo loco constipasse, aèris autem formam in amplissimo loco materiam suam reposuisse; nonne eongruum erat ut aeri natura maius spatium, terrae autem minus, assignaret? At in sphaera angustiora sunt loca quo magis centro ap- propinquantur, ampliora vero quo ab eodem magis distanti prudente!*, igitur, simul et aeque terrae statuit natura locum esse qui caeteris est so angustior, nempe prope centrimi ; reliquis deinde elementis loca eo am¬ pliora, quo ipsorum materia rarior esset. Nec tamen dixerim (ut cre- didit Aristoteles), aquae materiam tantam esse quanta est ipsius terrae, et ob id aquam, cum sit terra rarior, maiora loca occupare; sed solum quod, si partem aquae cum terrae pai’te aequeponderantem accipia- mus, et ob id tanta sit aquae materia quanta terrae, tunc profecto terra 4 . Ptolemeus — 5 . frustra — 13 . provvida — 18 . consenctaneum — 28 . dixtant — 32 , 35 . tanet.... — 32 . quancta — 34 . acquaepondmuictem — 346 DE MOTU. illa minorerà occupabit locum quam aqua : quare merito in angustiori spatio erit reponenda. Et, similiter, tanta materiae molo, quantam ter- rae forma in angusto loco compraehendobat, forma ai)ris amplissimum spatium replebat: ergo aeri natura ampliorem, quam terrae, locum assignare debuit; ergo, centro remotiorem. Similique modo do igne etiam discurrendo, congruentiam quamdam, ne dicam necessitatem, talis dispositionis inveniemus. Ex liis colligi potest, nullius esse momenti Aristotelis argumentum, quo probare contendit, elementorum materias inter so esse aequales ; dum dicit : Si ignis materia excederet materiam aeris et aquae, iam io aer et aqua, ab igne exusta, in ignem conversa fuissent. U) Nanque, etiam si ponamus ignem vel millies aerem exeodere, non tamon ve- rendum est, aerem in ignis naturam converti posse : cum enim locus onmis sub concavo 3 i am expletus sit, et, si aer ignis evaderet, longe ampliore, quam nunc occupat, loco egeret, constat, eo quod careat spatio in quo consistoret, in igneam non posse transire naturam. Et sic de caeteris censendum est elementis. Quae moventur dcorsum naturalifcr, moveri ab excessu suae gravitata super gravitatevi meclii. Proprissimam naturalis descensus causam esse exeessum gravitatis 20 mobilie super gravitatene medii per quod ferri debet, tunc miti ostcn- disse persuasero, cum duo haec demonstrata fuerint : primo, impossibile esse, corpora quaecunque, si medio aliquo fuerint graviora, in eo (non impedita) non descendere; 2°, niellimi posse liaberi corpus, quod, si medio aliquo fuerit minus grave, in eo naturaliter descendat. Horum itaque confirmatio ex liis, quae superiori capite declarata atque supposita fuere, commode hauriri potest. Cum enim natura constitutum sit, gra¬ viora sub minus gravibus manere, quatenus igitur graviora sunt, sub minus gravibus quiescunt: ergo causa cur graviora sub minus gravi- bus consistant est excessus gravitatis. Veruna id quod dat manére sub so 2. landa — quondam — 5. cenclro — 8. momtndi — 21-22. osteiulisse persiuuleo persua¬ sero — 27. auriri — (l) Postilla marginale : « P.° Meteororum cap. 3° ». DE MOTU, 317 minus gravibus, dat etiam supra minus gravia non manere: est autem supra minus gravia non manere idem quod sub minus gravia ferri: ergo excessus gravitatis mobilis super gravitatela medii naturai is de- scensus causa est ; et quaecuutpie medio per quod ferri debent fueriut graviora, sub eo, nisi impediantur, descendent, ne, contra naturae institutmn, graviora super minus gravia maneant. Haec cum ita se liabeant, sequitur necessario, quaecunque medio minus gravia fuerint, descendere non posse naturaliter: nani quae naturaliter moventur, mo- ventur eo, ubi naturaliter quiescant ; at minus gravia sub gravioribus io naturaliter quiescere non possunt ; ergo, nec naturaliter descendere. Ex bis itaque constat, posito gravitatis excessu, semper (ablatis externis impedimentis) sequi motum deorsum, et, eodem ablato excessu, semper auferri naturalem descensura: ergo sequitur, dictum excessum gravi¬ tatis natiiralis descensus causam esse. Veruni kic merito posset quis ambigere, quomodo mobile, quod deorsum fertur naturaliter, semper medio per quod ferri debet gra- vius sit ; praesertim cum videamus lapillum in magna aquae copia descendere, qua certe longe minus gravis est. Quare, ut difficultatem liane et quascunque alias de medio tollamus, et quae dieta sunt clarius 20 explicentur, demonstrationes nonnullas conscribemus, ex quibus totius negocii exitus apparebit. Itaque prius eos oxplicabimus tenniuos qui explicatione egent, eaque supponam axiomata quae ad demonstra¬ tiones necessaria erunt ; deinde ad ipsas properabimus demonstrationes. Quae magis, quae minus, et quae aeque gravia dicenda sint. Prius itaque quid magis, quid minus, quidve aeque grave dicendum est, in medium afferamus. Est enim hoc determinare necessarium : saepius enim accidit ut, quae minus gravia sunt, graviora, quae autem magis, minus gravia, nuncupentur. Interdum, nanque, magnum lignum parvo plumbo gravius esse dicimus, cum tamen plumbum ligno, simpliciter, so gravius existat; et magnum plumbi frustrum pauco plumbo gravius appellamus, cum tamen plumbum plumbo gravius non sit. Quapropter, ut liuiusmodi captionos aufugiamus, ea inter se aeque gravia dicenda erunt, quae, cum fuerint aequalia in mole, erunt etiam aequalia in gra- 1G 17. gravius esse; praesertim — 20- demostrationcs — DE MOTU. 348 vitate: undo si 2 frustra, argentami unum, chalybeum alterimi, inve- niamus, quae, in mole aequalia, in gravitate quoque congruant, ista vere aeque ponderare dicenda erunt. Unde lignum aequo ac plumbum gravare, dicendum non est: frusti-uni enirn ligni cum plumbi frustro aequeponderans, in mole plumbeum frustrum longe excedet. Deinde, illud alio gravius est nuncupandum, cuius accepta moles, alterius moli aequalis, ea gravior comperiatur: ut, verbigratia, si ex plumbo et ligno moles duas inter so aequales accipiamus, sitquo plumbi moles gravior, tunc plumbum ligno esse gravius, merito asseremus. Quare, si ligni frustrum, quod cum plumbi frustro aequeponderet, ponamus, non io tamen lignum aeque ac plumbum grave est censendum : plumbi enirn inolem longe a ligni mole excedi inveniemus. Converso demum modo de minus gravibus est censendum: minus nanque grave statuendum est illud, cuius pars accepta, alterius parti in mole aequalis, in gra¬ vitate minor extiterit; ut, si solida duo, ligneum unum, plumbeum alterum, quae in mole aequalia sint, capiamus, minus autem lignum gravet quam plumbum, tum lignum plumbo minus esse grave, est asserendum. Haoc sunt quae de terminorum definitionibus dicenda erant. Yerum ut ad ea quae demonstranda sunt commodius descendere possimus, o 0 ponatur axioma hoc: scilicet, id quod gravius est a minus gravi, si cetera sint paria, non posse attolli. Yerum, ad ea quae dicenda sunt, egemus etiam sequenti lemmate. Lemma ad sequentia. Gravitates inaequalium molium corporum aeque gravium eam inter se liabent proportionem, quam ipsae moles. Sint itaque aeque gravium corporum moles inaequales a, b, quarum maior sit a; erit iam a gravior ipsa b. Sit itaque ipsius a gravitas c, ipsius vero b sit gravitas d: dico, eandem proportionem liabere c gravitatela ad gravitatela d, quam liabet a moles ad molem b. Multiplicentur enirn so moles a,b secundum quascunque multiplicationes ; sitque molis a mul- tiplex moles efg, molis autem b multiplex sit moles hk, ita tamen ut moles efg molem hk excedat: et quoties moles efg est multiplex ipsius a, 1. calibeum — 4. plumbi fruxtruin — 5,10. fruxtr,... — 25. gravium suut eam — DE MOTTI. 349 toties nop gravitas sit multiplex gravitatis c; quoties autem hk moles molÌ 8 b est multiplex, toties gravitas Un gravitatis d multiplex acci- piatur. Quia itaque moles efg et gravi¬ tas nop aeque multiplices sunt ipsarum a et c, quot moles sunt in efg, aequales moli a, tot gravitatcs erunt in nop , ipsi c gravitati aequales: et quia gravitas c est aequalis gravitati molis a, et gravitas c aequatur gravitati n, et moles a moli g, erit gra- 10 vitas n aequalis gravitati molis g. Simi- liter ostendetur, gravitatemi o acquari gra¬ vitati molis f, et p gravitateci gravitati molis e: quare totius molis efg gravitas erit nop. Simili autem modo ostendetur, gravitatemi Un aequari gravitati molis hk. Verum posita est moles efg maior mole hlc: ergo etiam gravitas ipsius efg, hoc est gravitas nop, maior orit gravitate molis hk, nempe gravitate Un. Similiter autem ostendemus, secundum quamcunque multiplicationem, si moles efg maior fuerit mole hk, gra- vitatem quoque nop maiorem esse gravitate Un; et si efg minor vel aequalis fuerit hk, ipsam etiam nop minorem vel aequalem esse ipsi Un: 20 et sunt efg, nop ipsarum a, c aeque multiplices ; et hk, Un ipsarum b, d, secundum quamcunque multiplicationem, aeque multiplices: ergo, per definitionem aequalis proportionis, sicut moles a ad molem b ita gra¬ vitas c ad gravitatem d. Quod demonstrandum erat. His ita inspectis, accedamus iam ad explicandum quomodo causa motus deorsum sit excessus gravitatis mobilis super gravitatem medii: quod, ut supra etiam innuimus, tunc manifestum erit, cum ostensum fuerit, nullum, medium in gravitate non excedens, posse deorsum mo- veri naturaliter ; et nullum, in gravitate excedens medium, in eo non descendere, nisi impediatur. Quia autem media, per quae fìunt motus, so multa sunt, quia aqua aptissima est in qua intelligi possint motus tam sursum quam deorsum, de motibus tanquam in ea factis specu- labimur: et, primo quidem, demonstrabimus, solida corpora quae- cunque aeque gravia fuerint ac aqua, in aquam demissa, demergi quidem tota ; non tamen adhuc deorsum in aqua moveri. Revocetur autem in memoriam quod supra dictum fuit, nempe ea corpora inter 2. gravitas In — 10. gravitatis — 10. gravitatis — 21. quamcunque proportioncm multi- piicationem — 28. nullum medium in — 35. memoria — 350 DE MOTU. se aeque gravia tunc esse, cum, existentia aequalia in mole, aeque ponderant : quare si aliquod fuerit corpus quod cum tanta aqua. quanta est sua moles, acque pouderet, illud acque gravo erit ac aqua. Solida corpora quaecunque acque (iraria fucrint ac, aqua, in aquam dcmissa, dcmcrguntur quidem tota, non {amen adiate dcorstm feruntur. Intelligatur itaque corpus aliquod aeque grave ac aqua, sitque illud in quo cf; aqua autem sit aobe, secunduin superfìoiem ao antequam corpus ef in eam demittatur : dico solidum cf, in aquam demissum, -demergi quidem totum, non tamen adirne dcor- io 1 j- . sum ferri. Demittatur itaque ; et, si fieri potest, non demergatur totum, sed illius aliqua pars ex aqua extet, quae sit pars e. Nccessarium ita- —-- quo est, dum solidum ef domorgitur, aquam - attolli : locus enim, in quem intrat solidum, ut aqua evacuetur opoi'tot. Dum itaque solidum b demergitur, attollatur aqua usquo ad superfi- ciem st; et, si fieri potest, in hoc stata maneant tum aqua tum solidum. Et quia solidum ef premens gravitate sua extulit aquam so, non erit aqua so gravior solido ef ; positum est enim, gra- 20 viora a levioribus non posse attolli : verum neque erit etiam solidum ef gravius aqua so; nani, si gravius esset, adhuc premeret et attolleret, et, quod consequens est, demergeretur amplius, cum tamen ponatur in hoc statu consistens : restat ergo ut tanta sit gravitas qua aqua so resistit ne amplius attollatur, quanta est gravitas qua solidum ef premit et aquam attollit. Premit autem solidum tota sua gravitate, aqua autem similiter so tota sua gravitate resistit ; ergo gravitas solidi ef aequatur gravitati aquae so. ltursus : moles aquao so est minor molo totius solidi ef ; nani aequatur moli tantummodo quae sub aqua est demersa. Patet enim hoc : nani tanta moles aquae de loco, in quem so intravit solidum, expulsa fuit, quanta est moles solidi quae demersa est ; ergo moles aquae so aequatur moli partis solidi demersae, nempe parti /. Sunt itaque 2 corpora, aqua so unum, alterimi solidum ef, 2 . tancta — DE MOTU. 351 et gravitai aquae so demonstrata est aequalis gravitati totius solidi ef : moles autem solidi ef est maior mole aquae so: ergo corpus ef est minus grave quam aqua (duorum enirn corporum aequalium in gra¬ vitate, in mole vero inaequalium, maius in mole est minus grave). Hoc autem est contra positionem ; positum enim fuit solidum ef aeque grave ac aqua : quare ipsius ef nulla pars extabit extra aquarn : ergo totum demergetur. Quod primo fuit ostendendum. Dico insuper, non adirne, in aqua totum existens, deorsum ferri. Cum enim aeque grave sit ac aqua, dicere illud in aquam descendere idem esset ac si dice- 10 remus, aquam in aqua sub aquam descendere, et rursus aquam, quae super primam ascenditi, deorsum itcrmn descendere, et sic aquam in infinitum procedere in alternatim descendendo et ascendendo; quod inconveniens esset. Postquam itaque inspeximus, corpora medio, per quod ferri de- berent, aeque gravia non descendere, sequitur ut ostendamus, ea quae minus gravia sunt, nullo similiter posse modo deorsum moveri : et erit iam prima pars nostrae propositionis demonstrata; scilicet, impossi¬ bile esse quicquam deorsum ferri, quod medium, per quod ferri debet, in gravitate non excedat. „ 0 Corpora quaecunquc medio alìquo fuerint minus gravia , in eo demissa, non solum non feruntur deorsum , verwn etiarn non demergi possunt tota. Sit itaque primus aquae status, antequam corpus in eam dernit- tatur, secundum superfìciem ef; corpus autem aliquod a, minus grave quam aqua, in aquam demissum, si fieri potest, demergatur totum, et aqua attollatur usque ad superfìciem cd. Quia itaque corpus a, sua pro- mens gravitate, potuit aquam cf sursum attol- lere, non erit solidum a minus grave aqua cf 80 (positum enim est, minus gravia non posse gra- viora attollere) : sed moles a aequatur moli cf : sunt itaque duo corpora, a et cf, et gravitas ipsius a non est minor gravitate ipsius cf, moles autom a moli cf aequatur : ergo corpus a non 4. inaequalius — 5. conetra — 14. ispmmvs — 15. ostendemus — 1G. deosum — 23. pritnum — 31. moles etiam a aeqxiat moli — Pi a c< f l. 43 352 DE MOTU. erit minus gravo qu am aqua: quoti est centra liypotliosim; posuimus enim corpus a aqua minus grave. Quaro constai, impossibile osso cor- pora medio aliquo minus gravia posse demorgi tota; quaro otiam multo minus poterunt tleorsum niovcri. Ilis itaque demonstratis, indubitanter priinam propositionis par- tom, quam demonstrandam suscepimus, asserero possumus: ncmpc, impossibile esse aliquid deorsum moveri, medium per quoti ferri debet in gravitato non excedens. Secuntlam autem partom, ncmpe corpora, quaecunque medio graviora fuorint-, in eo, nisi impedinntur, necessario descendere, ex dictis similiter confirmatam liabebimus. io Primo, enim, ita confirmabitur : sunt quaedam quae moventur deorsum, ut quotidie vitlemus ; et quae moventur deorsum, necessario medium gravitate excedunt: ergo, convertendo, quaecunque medium gravi¬ tate excedunt, deorsum movebuntur. 2 ° : si quae gravitate medium excedunt, non moventur deorsum, aut supernatabunt medio, aut ita demergentur ut non adirne desccndant. Si non demerguntur, erunt, contra hypotliesim, medio minus gravia : quoti si tota riemergantur, ita tamen ut non adbuc deorsum ferantur, erunt acque gravia ac medium ; quod similiter est contra iti quoti positum est : restat ergo, ut necessario deorsum moveantur. Quae omnia cum ita so habeant, 20 verissimo nobis attestantur, causam motus naturalis deorsum esse excessum gravitatis mobilis super gravitatem medii per quod fertur: quod confirmandum susceperamus. Postquam autem hactenus, quoad licuit, causam naturalis motus tleorsum investigavimus et explicuimus, ut inventionem causae motus sursum aggrediamur, superest. Veruni, quia sententiae nostrae de motu sursum longe aliae sunt ab illis quae de ipso ab Aristotele et Pcri- pateticis traditae sunt, antequam illius causam inquiramus, primo, contra Peripateticorum opinionem, motum sursum omnem praeterna- turaleni esse, demonstrabimus. co Motum sursum mllum naturalem esse. Ut igitur liane nostrani opinionem commodius explicare et con¬ firmare valeamus, inspiciendum est, quaenam conditiones motui alicui 1 . ijpctesim — 16 . descendwit — 17 . ipotcsim — 24 . actcnus — 26 . senctentiac — 29 - 30 . pre- iernatumlem — DE MOTU. 353 requirantur ad hoc, ut naturalis appellari possit: quae si in motu sursum incrunt, naturalis erit; sin rninus, naturalis non erit. Concli- tiones autem 2 sunt: una quidem quae sumitur ex parto solius motus, ut motus est, nulla habita ratione voi ad mobile vel ad medium ; altera est ex parte mobilia. Conditio ex parte motus, ut purus motus est, est ut non possit in influitimi esse et ad indeterminatum, sed ut sit finitila et terminatus : 111 nani ea quae natura moventur, feruntur ad aliquem terminimi, in quo naturaliter quiescere possint. Conditio ex parte mobilis est, ut non ab extrinscca, sed intrinseca, nioveatur causa.' 2 ' Harum conditionum nulla est in motu qui est a medio ; ergo non potest dici naturalis. Do prima conditione prius disquiremus, de secunda autem paulo post. l;ì) Dico itaque, motum sursum, ratione qua elongatio quaedam est a centro, non posse esse naturalem : quod sic probo. Ipsius motus naturalis est aliquis terminus : sed motus sursum nullus est termi- nus : ergo motus sursum non est naturalis. Maior manifesta est : na¬ tura enim non movet eo, quo nunquam pertingere possit ; ergo, in aliquem terminimi. Minor, nempe ipsius motus sursum non esse ter- minum, sic probatur : ilio est terminus alicuius motus, a quo recedi non potest eodem motu cuius est terminus ; at in motu sursum assi- MV gnari non potest terminus, a quo removeri non possit eodem motu, nempe sursum; ergo motus ipsius sursum non est terminus. Maior manifesta est : si enim ab eo recedere possemus eodem motu ince- dentes, iam non esset ille illius motus terminus; ut, verbigratia, Roma non dicetur terminus motus ad meridiem, quia, postquam meridiem versus moti Romam venimus, possumus ab eadem urbe recedere eodem motu procedentes, nempe motu meridiem versus. Minor itidem veris¬ sima est : nani, assignato quocunque loco in ipso sursum, possumus ab eo removeri eodem motu procedentes, nempe motu sursum, rece¬ dendo a centro ; nulla enim tanta est distantia a centro, ut ea maior 1. que — 14, 30. cenctro — 24. ille talis illius — 26. posumus — 27. motu ad meridiem — 30. tancta — dixtantia — W Le parole da •* indetorminatiim » a « terminatus * nell 1 autografo sono sottoli¬ neate; ed hanno marginalmente la seguente postilla : « Et hoc idem asserit etiam Aristo- » teles, p.° Caeli 44 ». W Anche lo parole da « non ab » a * causa » sono sottolineate ; ed hanno mar¬ ginalmente la postilla : « Et hoc etiam vult ipse Aristoteles, 7° Phys. t. 10 ». W Da prima V Autore aveva scritto, e poi cancellò: « De prima conditione nunc » disquiremus ; de secunda autem capito se- » queliti, ubi causam motus sursum expli- » cabimus ». DE MOTU. 364 distantia intelligi nequeat. Caret itaque sursum tarmino ; ergo sursum nihil moveri potest naturaliter. Verum dum naturalitatem a motu sursum exdudimus, conside- remus quam apte eadem motui deorsum aecommodetur. In motu enim deorsum est terminus, nempe centrum, a quo recedi non potest quic- quam eadem specie motus qua accesserat : accesserat enim motu deor¬ sum; quod si reinovori velit, sursum feretur. Longinquitas a medio est indeterminata et infinita; sed propinquitas est terminata, ab ipso nempe centro: si ergo erit aliquid liac facilitate praeditum, ut me¬ dium fugiat, hoc certe in infinitum moveri aptum erit ; quo quid 10 absurdius? Rationabiliter itaque moturn ad medium naturalem, a medio autem praeter naturam, esse dicemus. Neque obiicias vulgatum illud axioma : Posito in rerum natura uno contrario, ponitur etiam reliquum: sed datur motus naturalis deorsum ; ergo dabitur etiam naturalis motus sursum. Nam, dato axiomate, respondeo, primo, aliud esse dicore, Dato in natura uno contrario, datur et alterimi ; aliud si dicamus, Unum contrariorum est secundum naturam, ergo et reliquum, similiter, ut secundum na¬ turam sit, est necessariuni. Primum concedimus, secundum negamus. Datur itaque motus deorsum in natura ; datur etiam in natura motus 20 sursum, eius contrarium. Quod si addas, Motus deorsum est secundum naturam, ergo motus sursum erit secundum naturam ; hoc negatur. Immo, argumentum retorquentes, ita argumentabimur : Dato uno con- trariomm in natura, datur etiam alterum ; sed in natura datur motus unus naturalis deorsum ; ergo dabitur illius oppositum, qui erit motus praeternaturalis sursum .' 1 ’ 1. dixtantia — 4. accomodetur — 9. cenclro — (1? Da « immo » a « praeternaturalis sur- » sum * nell’autografo è sottolineato. Quanto poi segue, fino al termine del capitolo, ò so¬ stituito marginalmente al brano che ripro¬ duciamo qui appresso, e che fu cancellato dall’Autore : « Ex parte autem mobilia sic * arguo. Illud naturaliter movetur, quod ex- * ternae causae auxilio non eget, sed inter- » nam sui motus causam habet : at uullum » corpus internala motus sursum causam » habet : ergo nullum corpus sursum natu¬ rai iter moveri potest Maior patet: nam » quae ab externa moventur causa, per ac- > cidens ab alio, et non ex sui natura, ino* » ventur. Minor otiam patot : nani omne » corpus internali! causam habet motus dcor- * sum, quae est gravita» ; ergo non potest » habcrc causam intrinsecam motus sursum, » quae causae lationis deorsum contraria esso » deberet. Quod autem corpus omne gravi- » tatem habeat, inferius demonstrabitur. Ne- » que dicas, gravitatem et, ob id, causam > motus deorsum immutali a medio in causam » motus sursum; ut cum lignum, quod suapte > natura aptum est ferri deorsum, in aqua » tamen, leve factum, ascendit. Hoc enim DE MOTU. 355 Ilaec sunt ex qui bus satis manifestimi esse potest, motum a medio, ut motus est, nulla vel ad mobile vel ad media, per quae fit motus, ratione habita, naturalem esse non posse. Ut autera argumenta quae ex parto mobilis sumuntur explicari possint, prius corpora gravitatem habere, est videndum. Gravitatis corpus nullum expers esse, contro Aristotelis opinionem. I)e levi liucusque ne verbum quidem diximus, sed tantum de gravi et minus gravi; quare, iurene an iniuria hoc a nobis factum sit, locus liic examinandi praebet ansam. Si itaque Aristoteles et caeteri philo- 10 sophi prò levi accipere id quod nos minus grave appellamus contenti essent, liane levis appellationem nos quoque admittere non gravati essemus : verum quia voluerunt (non contenti se prò levi id quod minus grave est intelligere) dari etiam leve quoddam corpus, quod tale simpliciter esset et omni careret gravitate, id cane peius et angue abhorrentes, omnimode et funditus usque ipsum leve evertere conati sumus. Quapropter, in hoc antiquorum opinionem, quam frustra Ari¬ stoteles 4 ° Caeli destruere tentat, sequentes, Aristotelis eo loci tum confutationes, tum etiam suas confirmationes, confutata quidem con- firmando, confirmata vero confutando, examinabimus ; et hoc tunc 20 praestabimus, cum Aristotelis opinionem exposuerimus. Yoluit itaque Aristoteles, dari aliquod corpus quod simpliciter gravissimum esset, quod nullo unquam modo leve posset dici et quo nihil gravius liaberi posset ; similiter, et dari liuic contrarium, quod simpliciter leve esset, nullam in se gravitatem habens, et quo nihil levius inveniri posset. Et primo quidem, gravissimum defìniens, sim- 6. conctra — 10,12. contendi — 15. aborrentes — avertere — 16. fruxtra — 17. dextruerc teneteti — * nihil est contra nos : quia qui ita dicunt, » Bupponunt iam ad motum sursum ligni ne- » cossariam esse extrinsecam causam, nempe » aquam, quao illius proprietatem immutet ; ir ot sic per accidena lignura, quatenus scilicet » est in aqua, otnon per se, ascendit. Verum * in motu deorsum non sic se habet: nam mo- » tris deorsum a medio non solum non [non » solum non sostituito a nedum ] iuvatur, ve- > rum etiam a quocunque medio aut omni no » impedititi* aut saltem retardatur, ut inferius » demonstrabimus. Veruni prò mine satis no- * bis sit opinionem nostram tetigisse : et ad » ea explicanda procedamus, ex quibus deinde > sententiae nostrae commodius ot clarius 3» confirmationem bauriro [il ms. : aurirc] pos- * simus. Et prius quidem ostendamus, gravi- » tatem habere corpora omnia 1)E MOTU. 35G pliciter gravissimum, inquit, illud dicinnis quod omnibus substat et somper ad medium fertur; levissimum vero appellat id, quod omni¬ bus supereminet et semper sursuin, nunquam vero deorsum, movetur: et liaec scribit 4 Caeli t. 26 et 31. Dicit deindo, gravissimum esso terram, levissimum ignem: et hoc t. 82 et aliis in locis. Tunc, centra ponentes in igne aliquam gravitatene, sic argumentatur : Si ignis habet aliquam gravitatelo, alicui substabit ; at hoc non videtur; ergo [etc.]. Àrgumentum hoc non concludit. Nana ad hoc ut aliquid alicui immi- neat, sufficit ut eo, cui innumere debet, sit minus grave ; non autem necesse est, ut omni careat gravitate : sicut ad hoc ut lignum aquae io supernatet, non requiritur necessario ut omni careat gravitate, sed satis est ut sit aqua minus gravo ; et ita, pari ratione, ad hoc ut ignis aeri immineat, sat est quod aere sit minus gravis, nec est no- cessarium ut omni careat gravitate. Quare patet, àrgumentum hoc nullam habere necessitatem. Argumentatur etia’m lioc pacto: Si ignis aliquam habet gravitatelo, ergo multus ignis gravior erit pauco ; quare tardius ascendet in aere multum ignis quam paucum : et ita, si terra habet aliquam levitatelo, multino terrae, eo quod plus habebit levitatis, tardius descendet quam panca: experientia tamon contrarium ostendit; videmus enim, multum 20 ignem citius ascendere pauco, sicut et multano, terram citius descen¬ dere : signum ergo est quod in igne est tantum levitas; et cum in multo igne plus sit levitatis, citius ascendit. Hoc quoque àrgumentum infir- missimum est. Primo, enim, non sibi constat Ai'istoteles : loquens enim de gravitate et levitate absoluta, nulla ad aliud habita ratione, subdit exemplum ex quo niliil aliud colligi potest, nisi ignem aere esse minus gravem, et terram aqua vel aere graviorem. Non enim bona est conse- quentia ista, Si ignis absolute considerata gravitatela haberet, multum ignis in aere pauco esset gravius: ignem enim in aere gravem esse non dicimus, sed solum esse gravem. Sed ita est argumentandum : Ignis, so absolute consideratus, habet gravitatelo : ergo ubi ignis habet gravi¬ tatelo, multum ignis multano habebit gravitatelo; et ubi ignis habet levitatem, ut in aere, ibi multino ignis multalo habebit levitatem, paucum vero paucam. Constat ergo Aristotelis fallacia in argomen¬ tando. Quod si valeret modus ille argumentandi, possemus etiam demonstrare, quodlibet lignum nullam habere gravitatem, hoc pacto 5. condro, — 13. grave — 28. haberet ergo multum — 3G. demonstrare maximum quodlibet — DE MOTIT. 357 inducondo : Si lignum aliquam liabet gravitatem, ergo magnum lignum gravius erit pauco; quare tardius ascendet in aqua magnum lignum parvo: cuius tamen contrarium experientia ostendit; magnum eniin lignum ex imo aquae maiori impetu sursum irruit parvo. Àt quia unquam dixerit lignum, ut lignum est, nulla habita ratione ad me¬ dium in quo ascendit, ornili carere gravitato? Sicut itaque lignum aquae imminet, non eo quod absolute omni careat gravitate, sed solimi quia minus est grave quam aqua ; ita, pari pacto, ignis aeri imminet, non quod simpliciter nullam habeat gravitatem, sed quia minus gravis io estipso aere. 2°: quod supponit tanquam yerissimum Aristoteles, nempe multum ignem citius ascendere quam paucum, aut multam terranei pauca velocius descendere, fortasse falsimi est ; ut suo loco demon- strabimus. 3°, argumentatur : Si ignis habet gravitatem, erit iam multum ignis pauco aere gravius : quod absurdissimum est, sicut si dicamus, Si terra liabet levitatem aliquam, erit aliqua pars terrae levior aliqua parte aquae : quod falsimi est, quia videmus, quamlibet terrae parti- culam sub aquam descendere, et quamlibet ignis portionem in aere sursum ferri. Veruni argumentum boc caeteris aliis infirmius est: nani 20 qui adeo niente captus est, ut non credat, multum aquae gravius esse pauca terra, et multum aéris pauca aqua, et multum ignis pauco aere ? Neque obstat quod dicit Aristoteles : Videmus terram in aqua descendere. Nani, cum baec dicit, iam non sibi constat : nani, loquens de gravitate absoluta, exemplum ponit de gravitate in ratione ad minorem gravitatem medii. Nanque, cum dicimus aquam habere gra¬ vitatem et, inde, magnani aquae molem graviorem esse pauca terra, non dicimus aquam gravitatem habere in sua regione, nec multam aquam pauca terra esse graviorem in aqua, ubi aqua nullam babet gravitatem, ut inferius demonstrabitur ; sed asserimus, multum aquae so gravius esse pauca terra in loco ubi aqua etiam gravitatem babeat, ut, verbigratia, in aere. Amplius : non bene deducit consequentiam, Quaelibet particula terrae in aqua descendit, ergo particula illa terrae ut quacunque mole aquae sit gravior oportet : nani, ut supra de- monstratum est, ad boc ut particula terrae descendat in aqua, sufficit ut gravior sit tanta aquae mole quanta suamet moles extat. Idem de igne est dicendum : cuius magna pars pauco aere gravior erit, sed 4 . Mino — 11 . pananti at multam 358 DE MOTU. non in loco aeris, ubi ignis gravitatene suam exercero non potest, sed in loco ubi ignis etiam gravot. Quod si necessitatom haberet argu- mentum Aristotelis, conckulerem etiam, paucum plumbi maxima trabe gravius esse, quia, scilicet, plumbum in aqua aliquam liabet gravita- tem et deorsum fertur, trabes autem nequaquam : at veruni quidem est, plumbi paucum gravius esse trabo in loco ubi trabes- nullam babet gravitatene; at si loqui velineus de gravitate trabis, ut illaen ponaneus oportct in loco ubi gravitatene suam ostendoro possit. Si- eeeiliter, cum dicit, Quaelibet particula aquae in aere descendit, ergo quantumvis aeris levius est particula aquae ; lioc verune erit in eo io loco, ubi aer nullam babet gravitatene, aqua vero liabeat: sed hoc non erit loqui de gravitate absoluta, ut loqieineur. Nane, si ponaneus mieltum aeris in loco ubi aer etiam gravet, ut in igne, ibi profecto gravius erit pauca aqua. Neque ob id inferat Aristotoles, Ergo neultum aeris velocius descendet pauca aqua. Non enine valet consequentia, Hoc ilio est quoeeeodocunque gravius, ergo velocius descendet: nanqeee magna vessica inflata paieco plumbo in aere gravior erit; non tamen velocius descendet. Sed de hoc fusius, eebi de causis maioris et mi- noris velocitatis ageieeus. Pari etiam pacto, non eo quod igieis multus gravior sit paieco aere, dicemus ignem velocius esse descensurune. 20 4°, argumentatur : Duo sunt loca contraria, medium et extremum, accipiens prò extremo concavum 3 ergo oportct, quao in illis sunt esso contraria ; quod non erit, nisi terra ponatur omni carens levitate, ignis vero ab omni gravitate vacuus. Argumentum pluribus de causis nul- lius est roboris. Primo, enim, nec terra est in centro nec ignis in con¬ cavo 31 centrum enim locus non est, cum indivisibile sit punctum ; ex igne autem sola convexa superficics est in concavo 3 : qnaro ex hoc nihil aliud concludi potest, nisi centrum terrae contrarium esse convexae superfìciei ignis : at centrum terrae nulla pars est ipsius, sicut convexa supertìcies ignis nulla ignis est pars: ergo ex hoc inferri so non potest quicquam de terra et igne. Amplius : terra non magis est in centro quam in concavo aquae et aeris, sicut ignis etiam est in convexa aeris superficie: quare ostendendum crat, quomodo concava aeris superfìcies convexae contrariaretur. Quod si sic sit, erit aer qui inter ambas continetur superfìcies in locis contrariis; et aer (si argu- montandi ratio Aristotelis concludit) qui est sub convexa sui super- 14 . erit pauco aere. Neque — 23 . igni — DE MOTU. 359 ficie, contrarius erit aeri qui est supra suam concavam superfìciem. Amplius : ut bene scripsit Plato in Timaeo, centro contrariatur etiam eodem pacto concavum aquae et aeris, sicut concavum 3> li0C j tamen, quae sub concavo aéris sunt, illis quae circa centrimi sunt, contra- riantur. Patet igitur, nullius esse momenti tale argumentum. 5°, arguit Aristoteles : Si submoveatur aér, ignis non descendet, sicut aer submota aqua; signum ergo est, ignem gravitatela non habere. An- tecedens demonstratione indiget: quod non probavit Aristoteles, nisi dicas quod dixerit., Sicut terra non ascendit in medicorum cucurbitulis io quia gravissima, ita ignis non descendet quia levissimus. Sed non valet proportio : quia, non quod sit gravissima, terra non ascendit, sed quia non est fluida ; nani neque lignum ascenderet, cuin tamen sit aqua levius, quae ascendit ; asconderet tamen mercurius, quamvis terra gra¬ vici*, quia fluidus est; et sic ignis descenderet, quia non solidus et durus, sed fluens, est. Haeo Aristoteles contra antiquos, et nos prò antiquis; sed iam conferà ipsum procedamus. Primo, itaque, grave et leve per deorsum et sursum defìnit Aristoteles : si ergo datur simpliciter grave et simpliciter levo, quod omni careat gravitate, ergo ut dentur simpliciter deorsum et so simpliciter sursum oportet, quo niliil magis sursum haberi possit. At simpliciter sursum, quo nihil magis sursum, et quod etiam ut deorsum esse non possit, non solimi actu non datur, veruna neque ipsa cogi- tatioue conci pi potest : de deorsum autem, quamvis sit aliquod ita deorsum ut aliud quicquam magis deoi*sum esse non possit, tamen illud tale non est ut in eo aliquod corpus esse possit, curii indivi¬ sibile punctum sit. Quare cura ista non dentur, non dabitur etiam quicquam adeo grave ut eo aliud gravius dari non possit, nec quic¬ quam gravitate ab omni immune. 2°: si elementa, ut ipse vult, ad invicem transmutantur, quando ex aere gravi fit ignis, quid do illa so gravitate aeris ? An forsan adnihilatur ? Sed, si adnihilatur, cum rursus ex igne fit terra, unde manat gravitas ? an forsan gravitas, quae ali quid est, ex non gravitate, quae nihil est? 3°: si ignis caret omni gravitate, ergo et omni deiisitate carebit; densum enim consequitur grave : sed quod omni caret densitate, id vacuum est : ergo ignis va¬ cuimi. At quid absnrdius ? Sed, demum, quomodo unquam poterit 1. est intra supra — 11. quod si gravissima — 16. conctra — 27. quicquam quo adeo — 31. forsam — 1 . 44 DE MOT li. 300 quia ignem iraaginari, substantiam cimi quantitate coniunctam, gra¬ vitatelo non habere ? Hoc profecto omnino irrationabile est. Et cum dicimus, ignem omnium levissimum et terram omnium esse gravis- simam, cogimur, velimus nolimus, dicere terram ideo esso gravissi- mam, in respectu aliorum omnium, quia omnibus substat. Substaro enim omnibus et omnium esse gravissimum, idem sunt: et hocpatet; quia, si gravissimum est quod omnibus substat, si omnia auferantur, non poterit amplius gravissimum dici, cum nulli substet. Dicitur ergo gravissimum in comparatione minus gravium, quibus substat; et idem de levitato ignis est dicendum / 0 io Gonclndamus itaque, gravitatis uullum corpus expers esso, sed gravia esse omnia, haec quidem magia, haec autein minus, prout eorum materia magis constipata et compressa, vel diffusa et extensa, fuerit : ex quo sequitur, non posse dici ignem esse simpliciter leve, hoc est quod ornili careat gravitate ; hoc enim vacui est. Non tamen dixerim, non inveniri in rerum natura aliquod corpus quo nullum aliud gravius inveniatur, similiter et aliud quo nullum sit minus grave; nani hoc concedimu 8 , cum sciamus de facto non esse infinita corpora, alte¬ rimi altero gravius: sed dicimus, ea non esse talia quibus adhuc magis et minus gravia esse non possent alia, et ideo non posse illa dici simpli- 20 citer gravia, aut simpliciter levia, quod ornili careant gravitate. Dicimus etiam, haec, quae ceteris magis minusve gravia sunt, non esse fortasse terram et ignem. Nam de terra, quod non sit gravissima omnium, iam experientia docet : ipsa enim metallis liquatis omnibus supernatat, ut argento quod dicunt vivo ; ex quo patet, metalla graviora esse ipsa terra. Similiter erunt fortasse exhalationes aliquae minus graves quanti sit ignis, super igne natantes: veruni hoc audacter non asserimus, quia super ignem non fuimus. Yerum si cometae exlialationes sunt arden- 15-1(5. tamen non esse dixerim — 26, 28. exalaiiones — (l) Aggiunta marginale : < Potest etiam * aliud argumentum ex motus celerini te de- » suini. Cum enim celeritates, per ipsunmiet * Aristotelem, gravitate» et levitate» conse- > quantur; ita ut quo mobile graviua fuerit, » eo velocius deseendat, et quo levius [il ma.: * ìevis] extiterit, eo citius ascendat; oportebit, * id quod simpliciter gravissimum fuerit et * cuius gravitate alia maior non detur, sim- ' pliciter etiam Velocissime moveri et ea ve- > locitate qua maior liaberi non posset: et sic * de levi est iudicandum. At. motum non dari » ita celerem ut ornili careat tarditate, nec » ipso Aristoteles nec veritas admittit; talis » enim esset instantaneus : quare patet, sum- v mani levitatem aut gravitatem assignare, » absurduin esse. Sicut enim, quacunque cc- » leritate proposita, poteBt alia maior assi- * guari, ita, quacunque data gravitate vel » levitate, alia maior dari poterit. *. de Morir. 36] tes, ut Ì|jhl testantur Peripatetici, hoc certum est, oportuisse exhalatio- nes ipsas super ignem evolasse; cum coraetae nonnulla© longe prima , 11 ) quarn ponunt ipsi, aéris regione altiores conspectae sint. Ilis igitur ita explicatis, ad ea quae prò superioris quaestionis exitu pronuucianda restabant, revertamur. Molimi sursum ex parte mobilis naturalem esse non posse , probatur. Ex parte itaque mobilia, motus sursum naturales esse non posse in iis quae causam externam omnibus conspicuam liabent, ut cuin vi expulsus lapis sursum in aero fertur, nullus est qui dubitet : talem io enim inotum naturalem non esse constat, quia non tendit eo ubi mo¬ bile quiescat ; nam mobile statim se ad motum deorsum sibi proprium sua sponte convertitur. Quaestio itaque est de motu ilio sursum, quando mobile eo fertur ubi quiescit ; ut cum lignum et aér sursum in aqua, et ignis in aere, feruntur : de quo, licet contra Peripateticorum om¬ nium sententiam, ita decrevimus, ut vere naturalem dici non posse assereremus ; et liane conclusionem ex parte ipsius motus, nulla seu mobilis seu inedii ratione habita, quoad licuit, confirmavimus ; quam similiter nunc ex parte mobilis confirmare conabimur. Primo, itaque, illud naturaliter moveri dici non potest, quod sui 20 motus intrinsecam non habet causam, sed externa eget : talia autem sunt corpora quaecunque sursum moventur: ergo praeter naturam moventur. Maior patet: nam quae ab externa moventur causa per accidens, ab alio et non ex sui natura moventur. Minor quoque patet : cum enim corpus oinne internam motus deorsum causam, nempe gra¬ vitatele, habeat, ut contrarii motus contrariami causam habeat, im¬ possibile est. Ncque dicas, sicut excessus gravitatis mobilis super gra- . vitatem medii est per se et intrinseca motus deorsum causa, ita defectum gravitatis mobilis, in respectu ad gravitatemi medii, esse per se et intrinsecam motus sursum causam : nam motus deorsum per se so est causa gravitas mobilis absoluta ; per accidens autem est ut dieta gravitas debeat medii gravitatemi excedere, sicut per accidens est 1-2. exalationcs — 3. conspecte — 4-5. questionis exitum — 8. externam sui omnibus — 9. dubitet: veruni talem —15. senctentiam — 30-31. dieta causa gravitas — W In margine, con richiamo a questa parola, è scritto: « ultima *. 3G2 ì>i*; MOTI*. mobile moveri ricorsimi in medio quod aliquam linbeat- gravitatemi. Grave enim, lieet medium nullarn haboret gravitatela, et proplerea sua gravitas non esset medii gravitatimi excedens, tamen deorsum moveretur, quia intrinsecam babet causam doseensus : at non sic indi¬ care licet de defectu gravitati* ; cum enim gravitati* defeetns, nempc ipsum non gravo, niliil sit, requiritur necessario medium quod mobili ipso sit gravius, ad lioc ut mobile dici possit in gravitato dcfieiens. Cimi igitur mobile non possit esso non grave, nisi adsit medium gra¬ vius (nuliuni enim corpus ex se est gravitata expers), constat. mobili» non gravitateli! omnino ex gravitate medii pendere (si enim medium io grave non adsit, mobile non erit aniplius non grave, sed gravo ro- manebit) : quod cum ita sit, extrinseca erit mobili ipsa non gravita», et ab alio proveniens, et externa egcns gravitato. Quaro, si ipsa non yravitas est causa motus sursum, extrinseca erit et mobili ab alio proveniens : quod cum mobile intrinsecam motus causam non liabeat, ut secundum naturam moveatur, impossibile erit. Disparitas itaque est inter motum sursum et dcorsum : quia in motu deorsum mobile non eget medio, a quo causam motus recipiat; babet enim intrinsecam gravitatemi motus deorsum causam ; immo a medio impeditili’ suus motus, cum a medio sua gravitas minuatur, 20 ut inferius demonstrabitur : motus autem sursum causa adeo a medio gravi pendet, ut in medio non gravi quicquam nullo paeto moveri sursum possit, cum mobilis non gravitas omnino e gravitate medii proveniate 1 ’ Sed quid pluribus opus est? Omnium eorporum una est materia, eaque in omnibus gravis : sed eiusdem gravitatis non pos- sunt esse contrarrne inclinationes naturales : ergo, si una est natu¬ rai is inclinatio, ut contraria sit praeter naturam opus est : naturaiis autem gravitatis inclinatio est ad centrimi : ergo necesse est, quae a centro praeter naturam esse. Crediderim autem, errorem eorum, qui motum a medio secundum so naturam esse oxistimarunt, ex eo ortum duxisse, quia non potuerunt externam causam, a qua mobilia moverentur, invenire ; et ideo coactos 1. mobili — 1-2. gravitatelo. Qnare constat grave — 6. mobile — 12. erit ipsi mobili — 18. medio gravi cuius gravitatene suporet a quo —20. impeditur eius suus — (1) Attraverso le cancellature si legge qui : « Confirmatur idem : nano eflectus positivi » causa debet esse positiva ; sed motus sur- » sum eflectus est positivus ; non gravitas » autem, seu mavis dicere defeetns gravitatis, » vel levitas, privatio quaedam est. » DE MOTU. 3G3 fuisse, intrinsecam ponere, eamque levitateli! appellare. Quapropter, ut huiusmodi deleamus erratami, properenvus iam ad explicandum, (piomodo quae stimmi feruntur, ab extrinseca moveantur causa, nempe ab ipso medio per extrusionem. Quae sursum natnraliter movcrì hucusque dieta sunt, non ab interna causa, seil ab externa, nempe ab ipso medio, per extrusionem moventur. Si itaque quao sursum moventur, praeter naturam moventur, ut externam sui motus causam habeant necesse est. Ilanc auteni dioimus esse medii extrusionem : quae ita contingit. io Primo, igitur, ut quae sursum moventur, medio, per quod feruntur, minus sint gravia, necesse est. Demonstratum enim est, ea quae medio aliquo fuerint graviora, dcorsum in eo ferri ; et ea quae fuerint aeque gravia, ncque sursum neque deorsum moveri, sed in eo quiesccre : quae, ergo, corpora sursum feruntur, ut minus sint gravia, de neces¬ sitate sequitur. Quando, igitur, in medio aliquo corpus aliquod ipso medio minus grave demorsimi fuerit, circumflui medii partes, gravi¬ tate sua prementes, tontant ex inferiori loco corpus illud expellere, ut ipsaemet humiliores occupent regiones. Quod si minor fuerit resi- stentia quam in corpore ilio offenderint, quam sit vis qua ipsae pre¬ so munt, vincunt illudque extrudunt : at minor erit resistentia mobilia ne attollatur, quotiescunque sua gravitas gravitate medii prementis fuerit minor : ergo tunc extrudetur. Verum ut totum negocium melius intelligatur, exemplum in me¬ dium afleramus. Intelligatur itaque corpus aliquod a, quod medio, ut puta ipsa aqua, sit minus grave; sit autem aquae superficies, antequam corpus a demer- gatur, secundum lineam bc; demerso antem a, ex- tollatur aqua usque ad superficiem de. Manifestimi itaque est, quod si corpus a ibi non detineretur, 30 aqua de in locum suum declinaret. Premit itaque aqua de tentans gravitate sua corpus a expel¬ lere, ut ipsa interiorem occupet locum ; resistit autem a gravitate 3 . causavi — 13 . dcosum — 18 . ipscmct — 27 . secundum Buperficieni lineam — 304 1)E MOTU. sua, ne attollatur. Quoti si gravitas aquae de niaior fuerit gravitate ipsius a, superabit ipsa, et ipsum a extrudet: at cuin inoles aquae de aequalis sit moli ipsius a ponaturque corpus a aqua minus grave, erit aquae de gravitas maior gravitate ipsius a : quare a ab aqua extru- iletur et sursum expelletur. Modus, quo medium corpora se minus gravin exprimere ac extru- dere potest, huiuscemodi est. Veruni contra liaec, quae diximus, quae- dam obici possunt. Obiciemus itaque, ut ex eorum solutionibus exactius veritas eorum quae diximus appareat. Primo, itaque, si res ita so liabet, cur plumbi massa do mari profundo non extruditur, cum mare io longe gravius sit ipso ? ltespondeo ad hoc : ut possit lamina plumbi a mari extrudi, necesse est ut tanta moles aquae, quanta est moles plumbi, gravior sit ipso plumbo. Nani pars aquae, quae plumbum extrudere potest, non est nisi ea cuius locum plumbum o'ccupat, et quae, extrudendo, locum, in quo erat antea plumbum, ingredi potest: nani aqua quae a plumbo est iniuriam passa, dum illius locus a plumbo occuparetur, non est nisi tanta mole quanta est moles plumbi ; et liaec sola, extrudendo, est quae in locum a plumbo relictum ingredi potest. Quod si huius aquae gravitas gravitatem plumbi non superet, certe ipsum attollere non valebit : at supponitur, gravius esse plum- 20 bum : mirum itaque non est si non extruditur. Quod si fuisset corpus aqua minus grave, ut si, gratia exempli, intelligas ligneam spliaeram in profundo putei aqua pieni, tunc partes aquae ipsi sphaerae cir- curnfluae compriment, et in locum, ubi nunc est spliaera, ingredi ten- tabunt : tentabit autem tantummodo tanta aqua, quantam locus qui a sphaera, dum ascendit, relinquitur, capere potest ; haec autem est quanta est sphaerae moles. Quod si aqua premens minorem offenderit l'esistentiam in spliera, quam sua, qua exprimit, fuerit vis (quod tunc accidet, quando sphaera fuerit quam aqua minus gravis), dubio procul sphaeram ipsam expellet atque extrudet. so Obiicies, 2 ° : Si elementa in regione sua non habent gravitatem (ut supra pollicitus sum me demonstraturum), ergo non poterit corpus grave a medii gravitate extrudi. ltespondeo, aliud esse elementa in sua regione non habere gravitatem, aliud gravitatem exercere non posse. Primum falsum est ; nam eorundem corporum eadem senipcr 5-G. expellet tir. Huiusmodi est modus — 6-7. exprimere at extrudere — 12. quancta — 13. pars illa aquae — 15. in qttem erat — 23. sphaere — UH MOTU. 305 est gravitasi secundum antem veruni est; nani non semper gravia gravitatem suam exercere possunt. Hoc autem patet in ligno ; quoti grave quidem semper est, sed, si ponatur in aqua, tunc gravitatem exercere, hoc est deorsum ferri, non potost, quia a maiori aquae gra¬ vitate impeditur. Sic dementa in regione sua gravitateli! exercere non possunt: quia nulla cornili pars descendere potest, cum locus, in quem ferri deberet, ab alia sit iam preoccupata aqua, quae non minus est gravis quam sit superi or ; et quamvis superiores partes inferi ores pre- ìnant, tamen eas non extrudunt, quia tanta gravitate resistunt quanta io inipelluntur. Yerum non sic evenit, si in aqua corpus aliud, aqua minus grave, fuerit. Tunc enim tanta aqua, qualitam caperet locus quem corpus illud occupat, eo gravior existens, dum supra illud fuerit, iam extra propriam regionem erit (in propria enim regione ea solurnmodo sunt, quae super minus gravibus non sunt ; cum, ut dictum est, sic a natura constitutum sit, ut graviora sub minus gravibus maneant) : quare, gravitatem suam exercendo, minorem in corpore ilio gravita¬ tela, ac proinde resistentiam,' 1 ’ oftendens, ipsum, modo iam explicato, extrudet et fugabit. Obiicies, 3°, cum Aristotele p.° Caeli 89 : Quae moventur per ex- 1.0 trusionem, violentia moventur ; et quae violentia moventur, tardius in fine motus moventur : si ergo quae sursum feruntur, per extru- sionem moverentur, tardius in fine moverentur : quod tamen non sic se liabet. Respondeo, non in omnibus quae moventur violentia, ut in fine tardius moveantur necesse esse, sed tantum in illis quae separata ab eo, qui impulit, violenter feruntur : ut cum lapis ab homine sursum iaculatur, cuius motus in fine remittitur, postquam a proiciente di- visus et separatus fuit ; <2> at si proiciens non extra manum demit- teret, posset etiam in fine velocius movere. Yerum quae sursum mo¬ ventur per extrusionem, non separantur in motu suo a motore ; sed ao semper est coniunctus qui pellit : quare ut in fine debilitetur motus, necesse non est. Dices : Quamvis non remittatur, tamen non deberet 3-4. gravitatem exorcendi causam non liabet. exercere — 4. hoc deorsum — 9. extrundunt —10. evenit cum si — 23. non omnia in — / 0) Le parole « ac proinde resistentiam » > dente medio relinqui, in mot u debilitari; sono aggiunte in margine. » ut cum trabes, ascendcns in aqua, inceperit W Aggiunta marginale: « Et videmns » extra aquam exire. > * quae ascendimi, cum incipiunt ab extru- 3G6 fili MOTU. intendi ; at quao sur suiti, ut ignis, moventur, velocius in fine mo- ventur. Ad hoc respondeo, falsum esse quod assumunt, nempe velo- citatem motus sursum augeri : nana semper uniformis est ; nec de- preliendere possum, quonam pacto potuerit Aristoteles, quao sursum moventur, velocitari in fine animadvertere. DE MOTU. 367 N Ai,. Quo M) tam celeri pede, carissime Dominice? Do. Ehem, salve, dulce caput! At,. Siste, quaeso, tantisper gradum ; nanque, in te sectando, sum adeo defesaus, ut vix vitalem auram excalefacto cordi, quantum idem avet, subministrare valeam. Do. Ego autem, quamvis celeri gradu procedam, obsistens tamen frigus vincere nequeo ; et male in me verificatur tritum illud dictum, Motus est causa caloris. Quapropter, quantum placet, tarde incedamus, atque ad deambulandum extra urbem, de more nostro, proficiscamur, io quo etiam vel solus profìcisci decreveram. Sed qui nostri sermonos erunt in hoc mane? Ai,. Quodcunque primum sive tibi sive mihi in mentem venerit, de quo tamen verba tacere iniocundum non sit, de eodem sermonem habeamus. Do. De eo itaque quod nuper memoravi. Al. At quid? Do. Dixeram enim, tritum illud dictum.... Ai,. Ah ah, iam in memoriam redivit. Do. De motu itaque sermonem non iniucundum esse arbitror . w 20 Attamen de quocunque motu in universali, deque eiusdem essentia et de singulis ipsius accidentibus, disserere nimis longum esset, quin etiam et supervacaneum. De hac enim materia, cum exactissimam tractatio- nem voluero, ipsummet Aristotelem, in suo Physico Auditu, omnesque illius interpretes, consulara. Itaque ad unam tantummodo motus spe- ciem me constringam, nempe ad motum gravium et leviiun. Sed ta¬ men, quia etiam de hoc exacte a compluribus acturn est, exactissime autem a Ieronimo Borrio, ceteris omnibus omissis, circa particularia 2. Eliti — 3. queso — 24. interpraetes — M Anche a questo punto, dove incornili- M Qui seguono queste parole: « cupio eia la lezione dialogizzata tra Alessandro e » enim sententiam tuam de»; cancellate poi Domenico, vedi l’Avvertimento. di pugno dell’Autore. I. 45 308 Dii MOTU. quaedam sententiam tuam cognoscero gratmu erit, quommdamve pro- blematum solutionem tuam autlire, de quibus ad opinioncm et solu¬ ti onem aliorum animus meus non satis quiescit. Sunt autem et ipsa lmiu smodi : Primum : utrum veruni existimes, quocl in puncto reflexionis mo- tus requiratur quies ; 2° : quam causam afferas do Jioc, quod, scilicet, si fuerint duo cor- pora aequalia in mole, quorum alterum sit, verbigratia, ligneum, al¬ terimi ferreum, et ob id alterum altero gravius, si ab aliquo excelso loco eodem tempore demittantur, citius per aerem fertur ligneum io quam ferreum, hoc est levius quam gravius ; si tamon lioc tanquam veruni admittas ; 8° : undenam accidat quod motus naturalis velocior in fine quam in medio vel in principio, violcntus vero velocior in principio quam in medio, et hic quam in fine, existat ; 4° : cur idem corpus citius in aere quam in aqua descendat; quin imo et nonnulla corpora in aere desccndant, quac tamon in aqua non demerguntur ; 5° (et est quaesitum amicissimi nostri Dionigii Fontis, equitis dignissimi) : quamnam causam reddas de eo, quod tormenta, tum 20 muralia tum manualia, longius per rectam lineam pluuibeas sphao- ras iaciunt, si eas ad rectos angulos horizonti proiciant, quam si per lineam oidem liorizonti parabolani ; cum tamen primus motus magia naturali motui contrarietur ; 6° : cur eadem tormenta globos graviores celerius et longius iacu- lent quam leviores, utpote ferreos quam ligneos, cum tamen leviores minus vi impellenti resistant. Tuam itaque sententiam de bis et de similibus, quac ab istis pen- dent, audire gratissimmn erit : scio enim te in liac materia aut nihil dicturum, aut abquid novi et veritati ipsi propinquissimum in medium 30 allaturum. Cum enim certissimis, clarissimis atque subtilissimis roathe- maticis demonstrationibus sis assuetus, utpote divini Ptolemaei et di¬ vinissimi Archimedis, crassioribus quibusdam rationibus nullo pacto assentiri potes : cumque haec, quae proposui, non longe a matliema- ticis considerationibus distent, abs te aliquid pulcri arrectis auribus expecto. 5 . punto - 13 , 14 . vclocius - 19 . quesitum - 31 - 32 , 34 - 35 . matematici - 32 . Tlolemei - DB MOTO. 369 Ai-. Non poterai Dominicus noster, dati ingonii sui indigna in medium proferro. Ut autem meam de bis opinionem recensore possim, prius quaedam ponenda sunt. In motu itaque, quatenus ad praesens negocium spectat, tria consideranda sunt: liaeo autem sunt movens, mobile, et medium per quod fit motus. Duo postrema tam in naturali quam in violento motu sunt eadem ; primum, nempe, movens, non idem est in utroque motu : in motu eniiu naturali est propria gravitas voi levitas ; in violento est virtus quaedam impressa a movente; in medio.... io Do. Sine, sine : oport-et nos gradatim procedere, ne forte domus super instabilibus fundamentis erecta, cum tectum superponere velles, tota corrueret. Dixisti itaque nuper, in motu naturali mobile moveri a gravitate vel levitate, in violento vero a virtute impressa : quae 'duo, antequam a me concedantur vel credantur, declaratione egent. Et primum, qua ratione innixus audacter asseris, in motu violento mobile moveri a virtute impressa a movente, cum t-amen Aristoteles aliam huius motus causam afferat, nempe moveri a medio ? (l) Putasne ergo, falsam de hoc esse Aristot-elis sententiam ? Ai-. Sententiam istam, quam Aristoteli adscribunt, quamve com- 20 plurimi tuentur vel potius tueri contendunt, me quoque sectari nulla est necessitasi cum etiam altera opinio suos habeat sectatores, eosque doctissimos. Attamen, si quibus rationibus motus Aristotclis sententiam respuam audire cupis, rationes nonnidlas ipsam destruentes, easque non fictas et ex maioribus chiinaeris pendentes, sed ab ipsomet sensu deprornptas, in medium adducam. Do. Non vninus iocundum erit haec audire, quam problematum solutiones; quas si tempus non suppetierit perferre antequam sit pran- dendi bora, in crastinam diem reservabimus. At fortasse non absonum erit, nosmetipsos usque ad littus maris conferre, ibique a piscatoribus so et nautis aliquid esui accommodatum accipere, et ad multam diem commorari ; cum praesertim, sole altius super horizonte ascendente, subcalescit adeo aèr, ut brumalem rigorem minus obnoxium reddat : atque ita, satis ocii suppetente, quicquid exopto, abs te audire poterò. 3. qucdam —20. ma respuere non mirabe[ria] quoque — 22. Actamcn — 23 -24. destruentes in medium easque non fictitias fictas — 24. chymeris deprornptas pendentes 27. sappelcrit — 29. nosmetipso — 30. accomodatimi — 32. brumalem frigoria rigorem — !') Postilla marginale: «Aristoteles, 8 Phys. t. 82, et 3° (Jaeli t. 28». 370 DE MOTU. Al. Eamus iam quolubet. Do. Tu autem, hoc interim, tuas rationes perferre no gravoris. Ai,. Antequam ad rationes deveniam, eententiam prius eoruin de- clarare expediet, qui Aristotelis opinionem sectant.' 11 Dicunt enim : quando mobile a proiciente, ut, verbigratia, lapis ab homine, proici- tur, tunc a moventis manu prius impellitur aér sibi contiguus, qui et reliquas partes aèris movet ; dum postea mobile a manu relinqui- tur in aere, aér iam comniotus secum defert mobile. Ilacc est Ari¬ stotelis causa: nominili ai addunt etiam quod, cum mobile movetur, partes aéris ad replendum vacuum, quod post se relinqueret, succe- io dunt; ex quarum concursu postoriores partes mobilis impelluntur. liane tamen sententiam esse falsissimam, bis rationibus ostendere conabor. Prima itaque ratio sit: si mobile a medio movetur, mobile necessario ad easdem partes, ad quas medium, movebitur; huius tamen contrarium saepius videmus; ergo [etc.]. Minor patet : si enim, dante quocunque validissimo vento, contra ipsum, mobile proiciatur, quamvis ventus ab austro spiret, ad austrum tamen, si eo dirigatur, feretur mobile ; ex quo patet, mobile non a medio, sed ab alio movente, moveri. Ne- que est dicendum, quamvis sentiamus ventum in contrarium ferri, 20 tamen partes aèris quae sunt mobili propinquissimae ad easdem cum mobili ferri partes: nam ecce de hoc manifestissimum exemplum. Nonne aspicis naviculam istam, quae ab unico nauta Pisas, contra aquae decursum, impellitur? Yidemus enim illam, semel a nauta im- pulsam, per aliquod inde spacium contra nitentem aquam invehi : partes tamen aquae naviculam tangentes in contrarium ferri, oculis ipsis manifestissime apparent. Neque credas fortasse quod ultimae partes aquae, quae puppim tantum navis contingunt, navem impel- lant, quamvis caeterae partes aquae videantur in contrarium moveri : nam, praeter quam quod hoc ridiculum est, contrarium etiam expe- no rientia docet. Si quis enim, supra puppim manens, lignum filo su- spcndat quantumlibet parvum, et in aquam demittat, dare videbit 3. Ai,. Prima igitur ratio sit liaec. Antequam —16. sepias — 20. dicendum quod quamvis — 22. mòbile — 27. ultime — 28-29. impellere — [[] Postilla marginale: « Opimo Aristo- * telis causa: nonnulli» sono sostituite mar- p teli8 est 3 Cucii, t. 28 ». * ginalmente ad un « et - , il quale nel testò Questo parole « Haèc est Aristo* è cancellato. I)E MOTU. 371 ipsum in contrarium vehi, et filo tralienti resistere : cuius tamen con- trarium sequeretur, si aqua ad easdem partea moveretur ad quas na- vicula impellitur. 2“ : si medium est quod defert mobilia, unde est quod, cuna quia eodem tormento iaculat globum ferreum, cimi quo etiam feratur li- gnutn sive stuppa aut aliquid leve, ita tamen ut grave praeccdat; unde, inquam, accidit quod ferrimi per longissimum spacium ciebitur ; stuppa autem, postquam per aliquod spacium ferrimi prosecuta fuerit, sistitur et in terram decidit ? Si ergo est medium quod utruinque io portat, cur plumbum sou ferrum longissime portat, stuppa,m vero non item ? Anne forsan facilius erit gravissinium ferrum impellere, quam levissimam stuppam aut lignum ? 3“ : si mobile a medio movetur, illud mobile celerius et per lon- giu8 spacium feretur, cui plures aderint partes inipellentes : huius tamen contrarium experientia demonstrat. Nani si ab arcu impellatur subtilissimum telimi utrinque acutum, hoc per longius spatium fere¬ tur quam aliud lignum crassum, ab eodem arcu iaculatum, quod tamen sit eiusdem ponderi» cum telo: attamen pauciores partes aéris aeutam teli cuspidem impellunt. 20 Do. Ad hoc facilis esset responsio : nam, cum telimi sit acutum, aptius est ad scindenduin medium quam lignum obtusum ; ergo minus illi resistet aèr. Al. Putasne fortasse, ceteros quoque huius sententiae sectatores ita ad argunientum responsuros esse ? Do. Ita profecto ; et mihi quoque videtur optima solutio. Al. Quo pacto ergo non fateberis, medium non moveri ad easdem partes, ad quas fertur mobile ? Si enim ad easdem ferretur, non esset a mobili scindendus aer. Luce ergo clarius patet, medium esse scin- dendum, ex eo quod acuta facilius ferantur quam obtusa : ex quo so deinde sequitur, medium non moveri quo tendit mobile. Restat itaque tantummodo demonstrandum, quod mobile non movetur etiam a me¬ dio, eo quia medium, succedens in partes vacuas, illud impellat. Nan- que si partes aéris moventur ad replendum vacuum relictum a mo¬ bili, cur non etiam pari pacto retrocedit mobile ad idem vaeuum replendum ? Item sit, verbigratia, quod movetur, pars oylindri, et una 2. sequacretur — vioveret — 13. medio fertur movetur — 15. ab eodem arcu — 34. non est etiam pari pacto dipendimi retrcccdit — 35. cilindri — 372 PU MOTU. illius basis praecedat; movoatur antera versus soptemtriouem. Per- spicuuin est quod partirmi aeris aline ab oriente, aline miteni ab occi¬ dente, in vacuum decurrent; nullae autem ab austro. Nani locus in quem anteriore» parte» cylindri digredivi ntur, debet evacuali aere, nc detur corporum penetratio; quae parte» aeri» debent ingredi in locum qui a cylindro relinquitur: sed locus quem cylindrus ab aere cvacuat, est scraper aequalis loco quem cylindrus post se relinquit : ergo ad lume explendum sufficiunt parte» quae mine praccedebant cyliiulrum; quae, ab extrema circumferentia basis illius in vacuimi intrantes, omnes vel ab oriente vel occidente proveniunt. Quod si ita sit, quo- io modo impellent cylindrum ad septemtrionem ? Ilis rationibus aliam acide: si intelligamus moveri commi, cura» basis praecedat, cuspis vero subsequatur, tunc nullae parte» aeri» poterunt moveri ad replendum vacuimi. Demum, et lioc sit potissimura arguraentum, intelligatur sphera marmorea seu ferrea, exacte rotimela et expolita, quae super axe, duobus cardinibus inliaerente, moveri possit ; deinde accedat motor, qui utrasque axium extremitates extremis digitis contorqueat: tunc certe spliaera per longum temporis spacium girabit; et tamen nec aer a motore fuit coinmotus, noe potest unquam medium suc¬ cedere in parte» a mobili relictas, cum nunquam spliaera locum mu- 20 tet. Quid ergo de hoc violento motu dicendum ? a quo movebitur spliaera, cum extra manus moventi» fnerit? quid dicendum, nisi a virtute impressa moveri ? Do. Non possimi tuis rationibus non dare inanimi : attamen de hac ultima, quam tu videris praecipuam censere, est quod aliquid dubi¬ tare possila. Nanque qui contrarias partes tuentur, forsan huiusmodi argumento ita respondere possent, dicentes uiotum illuni non esse vio¬ lentimi, cum sit circularis. Cum eiiim inotui violento contrarietur na- turalis, mobui vero circulari motus contrarius sit nullus, circularis motus violentile nullo pacto erit : et cum non sit violentus, colise- so quentia, quam ex motu spliaerae deduci.», nullius erit momenti. Al. Hanc responsionem impugnare nullius erit negocii. Cum enim dicunt motum violentimi fieri a medio, non intelligunt tantum de motu ilio qui naturali ex diametro opponitur, sed de quocunque motu qui naturalis non sit, idest de violento et mixto. Nanque dicero, ver- 1. illius superficies basis — 2. (thè autem — 11. ad austrum? His — 12. preccdat — 13. nulle — 16. inherente — 18. sfaera — bigratia, lapidem ad rectos horizontis angulos proiectum, quia motus erit ex diametro naturali oppositus, moveri, cum fuerit extra manum, a medio ; si tamen idem lapis proiciatur ad angulum inclinatum, tane moveri a diverso movente ; esset penitus puerile et ridiculum : et ta- rnen secundus motus erit mixtus ex naturali et violento. Sub mota ergo proiectorum motus omnes, quicunque a naturali diversi fuerint, compraebenduntar ; sed motus talis sphaerae, quam diximus, non est naturalis, sed mixtus; ergo [etc.]. (,) Quod sit mixtus, probatori motus mixtus est qui componitur ex naturali et violento ; sed talis est io motus sphaerae ; ergo [etc.]. Componitur autem giratio sphaerae ex naturali et violento moto : quia aliquae illius partes recedunt a centro mundi, ad quem naturaliter fertur sphaera ; aliquae ad idem acce- dunt. Neque dicas, partes sphaerae, quae deorsum moventur, sursum trahere partes quae ascendunt ; et hoc, quia, cum sphaera sit in aequi- librio, partes ascendentes non resistunt partibus descendentibus. Hoc enim nihil est : nanque si partes sphaerae sunt omnes aeque graves, non erit maior ratio, ut dextrae partes potius sinistras, quam e contra, attollant. Deinde accipiatur sphera cuius partes non aeque ponde- rent : in cuius motu videbis partes graviores a levioribus attolli, et 20 tamen in motu isto erit resistentia. At quid ? nonne semper in tali motu est resistentia axium, qui, super cardinibus sphaerae poiulere gravati, motui resistunt? Demum, hoc ut animadvertas velim: quod, quando dicitur motum circularein non esse violentimi, intelligitur de ilio motu circulari qui iìt circa centrimi mundi, qualis est motus caeli. Si itaque marmorea sphaera existeret in centro mundi, ita ut centrum mundi et centrum sphaerae essent idem, deinde initium motus sphaerae a motore externo daretur, tunc sphaera fortasse non movc- retur motu violento sed naturali ; cum nulla ibi esset axium resistentia, nec partes sphaerae centro mundi accederent aut recederent. Dixi so autem, fortasse : quia si talis motus non esset violentile, perpetuo du- raret; ista autem motus aeternitas ab ipsius terrae natura longe abesse videtur, cui quies iocundior quam motus esse videtur. Ex rationibus 4. paenitus — 7. sphaere — 8. sed vel simpliciter violentus vel saltem mixtus — 9. motus est qui — 13. quae ad centrum rau[ndi] deorsum — 14-15. equilibro — 17. deslrae — 18-19. pon¬ derai tur — 27. sphaere — 32. quies potius iocundior — (*> Aggiunta marginale : * Hoc etiam pa- » corda] non potest tantum aiiris movere, ut » tet in arcu, cuius subtilissinia chorda [il ms.: * telimi portet •• 374 DE MOTI/. itaque omnibus allatis satis perspicuum esse videtur, medium, nedum invare motum, quin imo et ruotili magia obstare. Concludendum itaque est, mobile, dum mota praeternaturali movetur, moveri a virtute im¬ pressa a motore ; quid autem sit ista virtus, nobis absconditum esse . 01 Do. Satis tandem sit ista opimo confutata ; et, postquam rationibus tuie sum convictus, concedatur, mobile non a medio sed a virtute im¬ pressa moveri. Nane autem, antequam de medio quicquam dicas, ut mibi explanes velini, quomodo intelligas, in naturali motu mobile a gravitate vel levitate moveri. Al. Quae de movente naturali et de medio, quatenus ad praesens io negocium spectat, dicenda sunt, siami declarari commode possunt. Supponatur itaque, primo, sic a natura constitutum esse, ut graviora sub levioribus maneant : quod quidem ita esse, sensui manifestissi- muin est. Do. Hoc quod supponis, verissimum quidem esse sensu depraelien- dimus ; sed causam cur talem ordinerà servaverit natura, et non po- tius conversum, intelligere vellem. Al. Causam talis ordinis reddere, cum ita rem se liabero manife- stum sit, ad nostrum intentimi nil conducere potest ; eamque potis- simam reddere, forte ditlicillimum esset : nec aliam reddere possem, 20 nisi quod in aliquem ordinem erant, res disponendae, placuit autem naturae in hunc disponcre .' 21 Nisi forte velimus dicere, graviora centro propinquiora esse quam leviora, quia videntur quodaunnodo ea esse graviora, quae in angustiori loco plus materiae continent : ,3) ut, vor- bigratia, si fuerit saccus lana plenus, quae in eo nulla vi sit consti¬ pata, deinde magna cura violentia multo plus lanae in eodem com- primatili', tunc gravior erit quam antea, quia in eodem spatio plus materiae cumulabitur. Cum, itaque, apatia quae centro mundi sunt propinquiora, semper angustiora sint iis quae a centro magis rece- dunt, rationi consentaneum tuit ut ea replerentur materia, cuius 30 maior gravitas, quam alterius, angustiora spatia occuparet. 1. medium violentimi nedum — 3-4, 6-7. impraessa - 6. convinci ua — 27. gravina - — — --- - — ■ ■■ * __ Qui attraverso le cancellature si legge : » Postilla marginale: «IIoc patet in * et sicut etiam et absconditum est, quae- » vaporibus ascendentibus et deseendenti- » nam sit virtus quae leso ilare iacit chord&s >bus*. * ^ i*fi> *• {K) Le parole: «iis quae.... recedunt * sono 1 ^ 1 ° 9tllla marginale : « Et haec est ratio aggiunte in margine. * Aristotelia, 8 Phys. t. 32 ». DE MOTU. 375 Do. Ratio ista, quamvis talis elementorum dispositionis existimanda non sit potissima, attamen nonnuUam in se habet veritatis speoiem, cui animus libenter adsentitur: ita ut, tum quia per se clarissimum est quod petis, tum quia de eodem ea quae nuper dixisti causam quo- dammodo reddunt, graviora sub levioribus a natura constituta esse, aequo animo concedam. Quare, si libet, ad ea quae dicenda restanti, te conferas. Ai,. Nunc autem animadvertendum est, gravia vel levia non dici nisi in coinpuratione. , ’ ) io Do. Siste, quaeso ; gradatim nobis est incedendum. Dicis enim tu, non dari grave vel leve absolute, sed tantum gravius et levius in com- paratione : lioc primum a me non concedetur, quia praesertim est in contrarium opinio Aristotelis in toto 4 Cadi, ubi terram simpliciter gravem, ignem vero simpliciter levem, contra antiquorum sententiam, ostendit. Quare, nisi prius auferas quae ab Aristotele ponuntur, tuam nunquam opinionem amplectar. Ar-. Nimis longus noster erit sermo, si in omnibus, quae contra Aristotelis sententiam a me proponentur, rationibus confutandus erit A ristoteles. 20 Do. Nimis brevis erit noster sermo, si casu fondamenta struere velis, opiniones tuas sine ratione in medium afferens : nani te amplius 2. attamen non nihil nulJam — 6. restai — 11. non dici dari — W Dopo lo parole «nisi in comparatione » il codice, a c. 10 r. } continua con lo parole » Ista autem coni parati o etc. » (pag. 378, lin. 3). Fra « comparatione » ed <* ista » è però inserito un segno di richiamo, in forma di )(, o questo medesimo segno ò ripetuto, perchè sia più manifesto, sul margine supe¬ riore della carta : inoltre, sul margine sinistro si legge la seguente nota, di mano dell’Au¬ tore: * Aristotele» est in contrarium 4 Cadi; » quare hie congrue opinio Aristotelis confu- * tabitur. Confutaturautem in h». Quest’av¬ vertenza rimanda ad alcune pagine che, nel¬ l’assetto attuale dei manoscritti Galileiani, fanno parte del tomo I della par. Ili, e in capo n ciascuna delle quali, come si accennò nell’Avvertimento, è scritto, non di mano di Galileo, un piccolo glossario latino, per or¬ dine alfabetico, mentre Galileo si servì delle parti rimaste bianche per intendervi alcuni appunti o pensieri, concernenti il moto, elio noi pubblichiamo in questo stesso volume. Ora sulla carta che comprende la lettera li del glossariet.to, dopo il primo di questi pen¬ sieri, comincia, e continua sulle seguenti (car. 102 r.~104 1 \), il tratto * Do. Siste, quaeso » fino alle parole « Al. Dico ita * gravia et levia non dici nisi in compara- •* tione * (pag. 378, lin. 3); e in principio o in fine di questo tratto e ripetuto il segno )(. Avuto riguardo alla volontà così manifesta dell’Autore, noi abbiamo perciò inserito tale tratto a questo punto (dove, come il let¬ tore avvertirà, attacca perfettamente non solo per l’argomento, ma anche per la for¬ ma); sebbene, com’ò evidente, esso rappre¬ senti una giunta alquanto posteriore, e faccia parte di quella serie di appunti o pensieri a’ quali accennammo, anzi possa considerarsi come uno svolgimento del primo di essi. 4ft I. 376 DE MOTU. audire non curo. Quare, nisi qua ratione ductus Aristotelem refellas explanabis, fìnem dicendi facero potes : surdo enim (ut aiunt) verba faceres. Al. Postquam liane euscepi provinciam, ut tibi morem gerani, brevius quam poterò, quao causae me impulerint ad Aristotelis sen- tontiam respuendam, adferam. Primo, itaque, posuit Aristoteles, tor- ram esso omnium gravissimam : scripsit enim, 4 Caeli t. 29, omnia habere levitateli! praeter terram, mixta vero eo plus liabere gravi¬ tata quo plus terrae continebunt. Si ergo terra est omnium gravis¬ sima, manifestimi est quod mixtorum nullum gravius erit ipsa terra ; io cum componantur etiam ex aqua aere et igne, quae minorem liabent gravitatem quam terra. IIoc autem est falsum : narn cui non patet quod metalla omnia graviora sunt ipsa terra, ut, verbigratia, mer- curius, in quo terra supernatat ? et quod alii supereminet, ex ipsoniet Aristotele, levius est ilio cui insidet. Et quis dubitabit, vas plunibo plenum gravius esse quam terra refertum? Qui ergo terra omnium est gravissima? Adfert etiam Aristoteles aliud signum de gravitate terrae, dicens : Si dimoveatur aér aut aqua, terra nunquam asceiulet in locum aèris aut aquae ; ut patet in medicorum cucurbitulis, quao aquam et carnem attrahunt, terram vero minimo : ergo terra est gra- 20 vissima. Quid autem magis puerile potest excogitari ? Si enim terra non est corpus fluidum, quo modo pars illius super alter am attolle- tur? Hoc igitur non ex absoluta terrae gravitate provenit, sed ex eius soliditate : nam neque etiam aqua congelata attolletur, neque incudo intumescet, quae non erit terra ; attolletur quidem argentum vivimi, quamvis terra sit longe gravius, quia fluidum est. Dicere deinde, Medium contrariatur extremo ; quare rationi consentaneum est, ut quae sunt in medio sint contraria eis quae in extremis, et hoc non erit nisi terra ponatur sinipliciter gravissima, ignis vero levissi- mus ; est quaedam ratio quae non solum necessitateli! non habet, sed, so meo iudicio, est parvi momenti. Nam si accipit prò extremo conca- vum 2)> P ro medio vero centrum mundi, tunc profecto centro mundi non magis contrariabitur concavum3> quam concavum aeris et aquae: (,) 5-6. Aristotelis intcr sententiam — 20. et aèrem carnem attraunt — 22. illius ab super — 23. ex estrema absoluta ~ 29. ponat — (i) Postilla marginale : * Et hoc quidem > 8 Phys. t. 75, locorum contrarietà tea esse » maxime cum ipseraet Aristoteles dicat, » sursum et deorsum ». DI', MOTU. 377 et si ita sumenda sit locorum contrarietà^, terra ipsa erit in locis contrarila, cum in centro et in concavo aeris et aquae existat. Simili modo de igne arguinentatur Aristoteles, dicens quod, si submoveatur aer, ignis non descendet, ut aer submota aqua. Hoc demonstratione indiget; quoti non probavit Aristoteles. Nisi forte credas, probatio- nem esse id quod t. 39 eiusdem libri ponit, dicens, ignem non de- scensurum, quia nullam habet gravitatem : sed hoc esset probare idem per idem, si, dum conatur demonstrare, ignem nullam habero gra¬ vitatem eo quod non descendit, probaret ipsum non descendere quia io nullam liabeat gravitatem. Eget itaque lioc demonstratione ; et eo amplius, quia nec ipse Aristoteles, quod credam, periculum fecit, an descendat ignis remoto aere. Quod autem non sit aliquid igne levius, unde scivit Aristoteles ? Nonne possunt esse exhalationes aliquae, quae super ignem advolent? Sed, demurn, quomodo unquam poterit quis ignem imaginari, substantiam cum quantitate coniunctam, gravita¬ tem non babere? Hoc profecto omnino mihi irrationabile videtur. Et cum dicimus, terram omnium esse gravissimam, quia omnibus substat, cogimur, velimus nolimus, dicòre terram ideo esse gravissi¬ mam, respcctu aliorum, quia omnibus substat ; et ideo omnibus sub- 20 stat, quia gravior est bis quibus substat. Et lioc patet : quia, si gra- vissimum est quod omnibus substat, si omnia auferantur, non poterit amplius gravissimum dici, cum nulli substet. Dicitur ergo gravissimum in comparatione minus gravium ; et idem de igne dicendum est. Neque dicas, Si ignis baberet gravitatem, descenderet. Nanque aer nonne babot gravitatem ? nec tamen descendit sub aqua : ita et ignis habet gravitatem, nec tamen descendit sub aere ; quia minorem habet gra¬ vitatem quarti aer. Quapropter, ut rem paucis constringam, dico ali- quid esse in rerum natura quod omnium sit gravissimum, et aliquid quod omnium sit levissimum, hoc est minima gravitate praedituni : so nego autem, ista necessario esse terram et ignem ; sicuti etiam nego, posse dici simpliciter gravissimum vel levissimum, nulla ratione babita ad minus gravia vel levia, sed solum id esse gravissimum omnium quae sunt gravia, non autem eorum quae possent esse. Et haec panca dieta velini ad opinionem meam confìrmandam. Do. Rationes tuae omnino satisfaciunt, et eo magie, quod haec quaestio est parvi momenti, an scilicet terra sit gravis absolute utrum 8. nulla — 12. ali quod — 13. ex alationes — 3G. absolute veruni — 378 I)E MOTU. respective ; et quod credam, quomodocunque ponatur, non multurn ad praesens negocium refert. Quapropter ad reliqua procedamus. Al. Dico ita, gravia et levia non dici nisi in comparatione. Ista autom comparatio dupliciter accidit : vel enim comparamus inter so duo corpora quae in eodem existant medio, vel comparamus corpus aliquod cum medio in quo movetur. In prima, itaque, com¬ paratione ea dicuntur esso aeque gravia, quae, cum sint aequalis molis et in eodem medio, eiusdem erunt gravitatis. Ex quo patet quod si accipiamus duo frustra, ligneum, verbigratia, unum, alterimi fer- reum, quae aequalia sint in gravitate, non tamon ista appellanda io erunt aeque gravia : frustrum enim ligneum multo maius erit in mole frustro ferreo. Illud, deinde, corpus dicetur alio corpore gravius, cuius moles, aequalis moli alterius, gravior est quam ilio, si in eodem medio ponderentur. Illud autem corpus, cuius accepta moles aequalis alte¬ rius corporis moli, et in eodem medio cum illa ponderata, levior al¬ tera extiterit, levius appellatili’. Pari etiam ratione media quoque, inter se comparata, graviora vel leviora dicentur ; et corpora solida cum medio in quo moventur comparata, itidem graviora vel leviora dicentur. Media autem, per quae fieri potest motus, sunt omnia eie- monta, excepta terra, quae, cum sit solidissima, non jiotest ab alio 20 corpore scindi : reliqua vero elomenta, nempe aqua aér et ignis, cum sint liquida, motum in se fieri admittunt. llis autom declaratis, proclive erit mente concipere, quomodo gravia moveantur a gravitate, levia vero a levitate. Ea enim corpora quae medio, per quod moventur, sunt graviora, deorsum moventur: nam ita a natura constitutum est, ut graviora sub levioribus ma- neant ; si vero aliquod corpus aqua gravius super aquam permaneret, tunc levius sub gravius existerot. Moventur itaque gravia deorsum, quatenus medio, per quod moventur, sunt graviora : ergo oorum gra- vitas respectu medii, est causa talis motus deorsum. Simili etiam ra- so tione et de levioribus medio est intelligendum. Do. Haec, quae nunc dixisti, non adirne penitus satisfaciunt ; et ratio dubitandi mibi est. Nam si, verbigratia, accipiamus teiiuissiinum calculum et in mare proiciamus, ille, procul dubio, per medium aquae deorsum ieretur : calculus autem aqua maris qua ratione gravior 5-6. comparamus inter su corpus — 16. ratione ut media — 28. dcosum — 32. aduc pacnitus —• 34. mari — iìlae — DE MOTU. 379 existimandus, nullo modo depraehendo ; cura praesertim aqua ipsa maria innumeris fero caleulis gravior certe existat. Al. Esne tam cito oblitus nuper a me dictorum? Nonne dixe- ram ego, tunc corpus corpore alio gravine esse, cuius aequalis moles moli alterius ea gravior fuerit? Si itaque accipiamus partem aquae, cuius moles aequalis sit moli ipsius calculi, inveniemus postea, cal- culum ipsum aqua graviorem esse : quod cura ita sit, non est miran- dum si calculus in medio aquae descendat. Do. Hoc totum verum est : sed tamen, qua rationo calculo existenti io in aqua sit tantummodo habenda ratio cum tanta mole aquae quanta est ipsius calculi moles, non autcm cum tota aqua, nondum intelligo. Al. Demum aufugere nequeo, quin tibi nonnulla tlieoremata de- monstrom, ex quorum intelligentia non modo id quod petis apertis¬ sime intelliges, verum etiam et quam proportionem habeant corpora, tum gravia tum levia, ad celeritatem vel tarditatem sui motus, quaevo sit proportio gravitatimi et levitatimi unius et eiusdeiu coi’poris, si illud in diversis mediis ponderemus : quae omnia demonstranda fue- runt, cum veram rationem invenire tentassem, qua possimns, in mixto ex duobus metallis, singuli metalli exactissimam portionem assignare. "o Quorum theorematum (licet non dissimilia ab Archimede demonstrata sint) demonstrationos minus matliematicas et magis pliysicas in me¬ dium afferam ; positionibus utar clarioribus et sensui manifestioribus, quam eae sint quas Archimedes accepit. Do. Veram igitur rationem qua dicitur Archimedes aurificis furtum in corona aurea depraehendisse, te quoque exeogitasse asseris ? at nonne eadem scripta a plurimis, et praesertim a Vitruvio ? Al. Modum illuni vulgatum, quem dicunt de vase aqua pieno etc., fallacissimum esse demonstrare possem ; illuni vero quem adinveni, exactissimum, et quem eundem cum ilio Archimedis oxistimem, tum 30 quia exquisitissimus est, tum quia ab ipsius Archimedis demonstra- tionibus pendone. Do. At si pulcra ista tua inventio demonstrationibus a te mox explanandis innititur, eam quoque audire, si tempus suppetierit, gra- tissimum erit. Nunc autem, si linearibus figuris opus fuerit ad tua 4. mólis — 11. moles , non sati[«] non — 15. cader it aleni — 10. cxaltissimam — 20. Ito- ramatimi — 21. matematicas — 22. utar illis clarioribus — 25. ilcyrachaulissc abs te — 30. qiiia ex ab ipsius — 33. suppetcrit — 380 DE MOTU. demonst,randa, ecce minutissimae arenae expolita lataque planities, in qua virgula ista dextre designare poteris. Al. Antequam itaque ad descriptionem accedam, hoc. advertendmn est: quod, licet, ut dixi, sint tria inedia praecipua por quae fit mo- tus, tamen, quia ignis a nobis nimium distat, et quia in aere non prae manibus babemus quae sursum ascendant, in medio aquae do- monstrationes adferam : quae vero do aqua deinonstrantur, do aliis quoque mediis vera esse nemo inficias ibit. (,) Dico igitur, primum, quod solida magnitudo quae ac aliqua pars aquae, cuius moles dictae magnitudinis moli sit aequalis, aeque gravis est, in aquam demissa, i 0 tota demergitur ; non tamen adirne, tota sub aqua existento, magia sursum quam deorsum fertur : quod idem est ac si dicamus, solidas magnitudines aequo graves ac aqua, in aquam demissas, totas de- inergi, non tamen adirne deorsum ferri magis quam sursum. Sit itaque primus aquae status, antequam magnitudo in eam demittatur, ccd; magnitudo autem ab, quae aeque gravis sit ac aqua, in aquam de¬ missa, si fieri potest, non demergatur tota, sed aliqua illius pars extet extra aquam, nempe a; et superficies aquae cd attollatur usque ad fg , et in hoc situ consistat tum aqua tum magnitudo. Manifestum est itaque, quod moles aquae a superficiebus fg, cd contenta, quae attol- 2 o 1. venutissime — 2. destre — 7. vero et de — 9. quae cimi aliqua parte ac — 11. exi- stenctc — 14. adite — 20. contenda — 0) In luogo del tratto da « Ilis autem » declaratis > (pag. 378, lin. 23) a « in- » fìcias ibit», TAutore aveva da prima scrit¬ to, e poi cancellò, quanto appresso : « His » itaque omnibus ita suppositis, in medium » afferemus demonstrationes de motu soli- » dorum corporum in medio: ex quibus de- > monstrationibus apertissime intelligetur, » quomodo quae deorsum moventur, mo- » vcantur a gravitate, quae vero sursum, * a levitate ; perspicuao etiam ex iisdem » erunt proportiones, quas mobilia cum ce- » levitato aut tarditate sui motus servant. » At quia, ex tribus mediis per quae fiunt » motus, ignis a nobis nimium distat, cumque * in aere non nisi de motu deorsum pericu- * lum facere possimus; ea eniin, quae apud » nos sunt, omnia aère sunt graviora; ideo > in medio aquae demonstrationes nostrae » verifìcabuntur : habemus eniin corpora non- » nulla quae in aqua descendunt, et item » aliqua quae, in aquam demissa, sursum > petunt. Attamen [etiam cancellato] ea quae » de aqua ostendentur et de mobilibus in ea, » vera sunt quoque de aliis duobus mediis, » aéris, nempe, et ignis. Demonstrationibus » autem quas [il ms.: quae] aiferam, similes > demonstratae sunt ab Archimede ; attamen » aliis suppositis, aliis mediis in demonstra- » tionibus adsumptis. Quao omnia cum sint » pure mathematica [il ms.: matematica] t a * me rationibus quibusdam magis physicis » demonstrabuntur; eo quod magis conferent > ad praesens negocium. > Do. Gratissimum admodum erit ista » intelligere: et, si linoaribus demonstratio- ^ nibus opus fuerit [il ms.'.fueris], ecce oxpo- * litissima mi nata e [il ms.: minute] arenao » planitics, in qua ista virga commode [il » ms. : comode] designavi poterunt ». DE MOTTI. 381 litur, est aequalis moli partis illius magnitudinis quae sub aqua est de¬ morsa, nempe b. Hoc enim clarissimum est: quia moles dieta aquao non potest esse minor, nam daretur corporum penetratio ; nec potest esse maior, ne quis locus vacuus derelin- quatur. Quia itaque aqua fg,cd superficiebus contenta nititur sua gravitate deorsum redire ad pristinum surnn statum, sed lioc assequi non potest nisi prius solidum ab ex aqua auferatur et ab aqua attollatur ; solidum autem, ne attollatur, tota propria gravitate io resistit; ponuntur autem tum solida magnitudo tum aqua in hoc statu consistentes ; ergo necessarium est ut gravitas aquae fgcd, qua sursum nititur solidum attollere, sit aequalis gravitati qua solidum resistit et deorsum premit (si enim maior esset gravitas aquae fgcd gravitate solidae magnitudinis ab, solidum ab at- tolleretur atque expelleretur ab aqua; si vero maior esset gravitas solidi ab, attolleretur rursus aqua : quae tamen omnia ita consistentia ponuntur). Si itaque gravitas portionis aquae fgcd aequatur gravitati totius solidi ab, erit etiam moles aquae portionis fgcd aequalis moli totius solidi ab: quod quidem esse non potest. Nam moles aquae fgcd 20 aequatur moli illius portionis solidi quae sub aqua est, nempe por- tioni b;b autem minor est ipso ha. Non ergo verum est quod aliqua pars solidae magnitudinis extra aquam extet ; ergo tota demergetur. Non tamen, in aqua existens tota, deorsum descendet; sed, quo loci po- natur, eo manebit. Nulla enim est causa cur descendere debeat : nam, cum aeque gravis ponatur ac aqua, dicere illam in aquam descon- dere esset idem ac si diceremus, aquam in aqua sub aquam descen¬ dere, et rursum aquam, quae super primam ascendit, deorsum iterum descendere, et sic aquam in infìnitum procedere in alternatim descen¬ dendo et ascendendo ; quod inconveniens est. so Hoc itaque demonstrato, sequitur ut ostendamus, solidas magni- tudines aqua leviores, in aquam demissas, non demergi totas, sed carum aliquam partem extaro ex aqua. Oportet igitur meminisse, quod tunc solida magnitudo dicitur alia levior, si, existens cum ea aequalis in mole, sit eadem in gravitato levior. Sit primus aquae status ef, antequam solida magnitudo in eam demittatur ; sit autem ab magnitudo in aquam demissa, aqua levior : dico itaque, ipsam soli- 5 . contenda — 13 . premitur — 19 . Non moles — 26 . sub aqua 27 . super prima 382 DE MOTU. darri magnituclinem non demergi totani. Si enim fieri potest, demer- gatur tota, et aqua attollatur usque ad superfìciem cd; erit igitur moles aquae cf aequalis moli magnitudinis ab: et, si fieri potest, maneant in hoc statu cum magnitudo tum aqua. Et quia tanta est gravitas qua aqua cf deorsum premit, ut solidam magnitudinem attollat, quanta est gravitas qua magnitudo ab, deorsum premens, resistit ne attollatur (ponuntur enim ita consistentes) ; estque insuper moles aquae cf moli magnitudini ab aequalis; ergo magnitudo solida io est aeque gravis ac aqua : quod est inconvéniens ; ponebatur enim lcvior. Non ergo magnitudo ab tota demergetur, sed aliqua illius pars ex aqua extabit. Demonstrato igitur, solidas magnitudines aqua leviores non do- mergi totas, expedit nunc ostendore, quacnam illarum partes demer- gantur. Dico igitur, quod solidae magnitudines aqua leviores, in aquam demissae, usque eo demerguntur, ut tanta moles aquae, quanta est moles partis demersae magnitudinis, eandem quam tota magnitudo habeat gravitatelo. Sit jirimxis aquae status superficies ab; solida autem magnitudo cd, aqua levior, in aquam demittatur: manifestum 20 est igitur ex praecedenti, quod non demergetur tota. Demergatur igitur pars d, et aqua attollatur usque ad superfìciem et: dico igitur, tantalo molem aquae, quanta est moles partis demersae magnitu¬ dinis, eandem quam tota magnitudo liabere gra¬ vitateli!. Quia enim tanta gravitate premit aqua eh, quanta resistit magnitudo cd (ponuntur enim ita consistentes), est ergo gravitas aquae eh aequalis gravitati totius magnitudinis cd: sed moles aquae cl> aequatui moli partis magnitudinis demersae, nempo d: ergo tanta so moles aquao, quanta est moles partis demersae magnitudinis, eandem quam tota magnitudo babet gravitatelo. Quod fuit demonstrandum. Nunc autem, antequam ad demonstrationem solidorum aqua gra- viorura accedamus, deioonstraoduin est, quanta vi solida magnitudo aqua levior sursum feratur, si tota, vi, sub aquam demergatur. Dico igitur, solidas magnitudines aqua leviores, in aquam impulsas, ferri 28 . ergo tota gravitas — equaìis — DE MOTO. 383 sursum tanta vi, quanto aqua, cuius moles acquetar moli demersae magnituclinis, ipsa magnitudine gravior crit. Sit itaque primus aquao status, antequam magnitudo solida in eam demittatar, secundum su- perficiem ab; et demittatar in eam, vi, solida magnitudo cd; et attol- latur aqua usque ad superficiem ef: et quia aqua, quae attollitur, eh hai)et molem aequalem moli totius magnitudinis demersae, et magnitudo po- c nitur aqua levior, crit aquae eh gravitas maior gra- 1 vitato cd solidi. Intelligatur itaque pars aquae tb, io cuius gravitas acquetar gravitati solidi cd: de- monstrandum igitur est, magnitudinem solidam sursum ferri tanta vi, quanta est gravitas aquae tf (secundum enim Lane gravitatelo, aqua eh gra¬ vior est gravitate aquae tb, hoc est gravitato so¬ lidi cd). Quia itaque gravitas aquae tb aequalis est gravitati solidae magnitudinis cd, tanta vi premet sursum aqua tb ut solidum attollat, quanta resistet solidum ne attollatur. Gravitas itaque partis aquao prementis, nempe tb, aequatur resistentiae solidae magnitudinis: sed gravitas totius aquae prementis eb superat gravitatalo aquae tb se- 20 cundum gravitatelo aquae tf: ergo gravitas totius aquae eb superabit resistentiam solidi cd secundum gravitatem tf aquae. Gravitas igitur totius aquae prementis sursum impellet solidam magnitudinem tanta vi, quanta est gravitas partis aquae tf: quod fuit demonstrandum. Ex his autom quae demonstrata sunt satis perspicuum est, solidas magnitudines aqua graviores deorsum ferri, si in aquam demittantur. Nisi enim feruntur deorsum, aut earum aliqua pars extabit, aut sub aqua manebunt, nec sursum aut deorsum ferentur. At earum nulla pars extabit ; essent enim, uti demonstratum est, aqua leviores : nec in aqua manebunt; quia essent aeque graves ac aqua: restat ergo so quod deorsum ferantur. Nunc autem quanta vi deorsum ferantur, ostendamus. Dico igitur, solidas magnitudines aqua graviores, in aquam demissas, ferri deorsum tanta vi, quanto aqua, molem habens moli ipsius magnitudinis aequalem, levior est ipsa magnitudine. Sit itaque primus aquae status secundum superficiem de; magnitudo autem solida hi, aqua gravior, in aquam demittatar, et attollatur aqua ad superficiem ab; sit autem aqua ae, quae molem ipsius ma- 15. est gravitate — 1G. premet deorsum arpia — 18. equaiur — 47 384 DE MOTU. gnitudinis moli aequalem habeat: et quia solida magnitudo ponitur aqua gravior, erit aquae ac gravitas minor gravitato solidae magni- tudinis. Intelligatur itaquo moles aquae no, quae aequalem habeat gra¬ vitateli! gravitati II: et quia aqua ac levior est ao secundum gravi- tatem do, demonstrandum est, magnitudiuem solidam hi deorsum ferri tanta vi, quanta est gravitas aquae do. Intelligatur altera solida ma¬ gnitudo, aqua levior, primae coniuncta, cuius quidem moles sit ao aquae moli acquali», gra¬ vitas autem eiussit aequalis gravitati aquae «e; sitque dieta magnitudo hn: et quia moles hi acquatili’ moli ac, moles autem hn aequatur moli ao, ergo moles compositarum magnitudi- num hl,lm aequatur moli compositae aquae ea, ao. Sed gravitas magnitudinis aquae ae aequa¬ tur gravitati magnitudinis Ini: gravitas autem aquae ao aequatur gravitati magnitudinis hi: tota ergo gravitas ambarum magnitudinum hi, hn aequatur gravitati aquae oa, ac. Sed et moles quoque magnitudinum mi, Ih domonstrata est aequalis moli io aquae oa, ac ; ergo, per primam propositionem, magnitudines ita com¬ positae nequc sursum ncque deorsum ferentur. Tanta ergo erit vis magnitudinis hi deorsum prementis, quanta est vis magnitudinis mi sursum impellenti» : sed, per praemissam, magnitudo mi sursum im¬ pelli!. tanta vi, quanta est gravitas aquae do: ergo magnitudo hi deor¬ sum feretur tanta vi, quanta est gravitas aquae do. Et ex hoc. ma¬ nifeste colligitur, quod solidum aqua gravius est in aqua tanto levius quam in aere, quanta est in aere gravitas aquae molom Inibenti» ipsius solidi moli aequalem. Nani solidum hi in aere fertur deorsum ea gravitate, quae ponitur aequalis gravitati aquao ao; in aqua autei fertur deorsum tanta gravitate, quanta est gravitas do : graviti autem do exceditur a gravitate ao secundum gravitatelo ae: quae e* gravitas aquae molem habentis aequalem moli solidi hi. Haec autei omuia quae de aqua demonstrata sunt, de aere quoque intelligend erunt. Ex quo universaliter patet, corpora illa deorsum ferri, qua medio, per quod ferri debent, graviora sunt; ea vero sursum ferr quae medio, per quod ferri debent, leviora fuerint. 20 23. magnitudo ni — DE MOTU. 385 Do. Ex demonstrationibus istis certissimi manifestissimisquo adeo perfectara exquisitamque horum motuum intelli genti ara acquisivi, ut nunquam de illis milii amplius dubitandum sit, de quibus antea dubi- taveram, eo quod nunquam, nisi confuso quodam modo, intellexeram. Al. Sequitur etiam, gravia eo facilius deorsum ferri, quo medium, per quod moveri debent, levius fuerit ; levia vero, eo facilius sursum ferri, quo medium, per quod feruntur, gravili erit. Do. Falsum ergo erit quod fere omnes asserunt pbilosophi, dum, conantes demonstrare aerem magis gravem esse quam levem, dicunt, io ideo aerem magis gravem quam levem esse existimandum, quia fa¬ cilius fert gravia deorsum quam levia sursum. 111 Al. Oh ridiculae cliimaerae! o liominum inoptae sententiae, quao non solum veritati non adpropinquantur, sed veritati ipsi adversan- tur! At, Dii immortales, quo pacto, quaeso, ipsorum chimaeris cre- dendum erit, quibus naturae abditissima arcana explanare profitentur, si in rebus sensui quasi apertissimis veritati contraria temere asse¬ runt? Et quis, quaeso, sommavit, ea media esse magis gravia quam levia, quae gravia facilius deorsum quam levia sursum portent, cum e converso penitus res se habeat? Sin enim ista consequentia valeret, aer 20 profecto gravior esset ipsa aqua: nam, quodcunque grave sit illud quod deorsum moveatur, facilius semper et celerius feretur in aere quam in aqua ; imo et multa sunt corpora illa, quae in aere celerrime et faciliime deorsum moventur, quae in aqua, nedum deorsum feruntur, sed aquae supernatant et, in aquam vi impulsa, sursum feruntur. Hoc autem exemplo pateat: nam cucurbita, verbigratia, facile deorsum fertur in aere, quae deinde in aqua non nisi difficillimo et summa cum violentia deorsmn impelletur ; ergo, quia aér facilius fert corpora deorsum quam aqua, erit aqua gravior existimandus. Oh absurda ! oh absurda! Sed attende, quaeso. Demonstratum est, gravia quao in 30 aqua deorsum feruntur, tanta vi descendere, quanto eorurn gravitas gravitatemi aquae molis eorurn moli aequalis excedit. Si ergo fuerit corpus aliquod grave, ut, verbigratia, corpus in quo a, cuius quidem 12. Ohm ridiculae chymerae — 14 . chymeris - 15 . cxylauere —17, 29. q.ueso — 19. consc- quaentia — 30. fcrunt — 31. equalis — (*) Postilla marginale : «Aristoteles, 4 Caci i **> et, 3° Cadi t. 28, dicit, aerem, quatenus lovis » t. 39, ponit aquam et aerem in proprio loco » est, iuvare motum sursum, quatenus vero > gravia esse; et hoc idem asserit t. 30 eius- * gravis, motum deorsum». » dem, ubi exempluin ponit de utre inilato ; 386 DE MOTU. gravitas sit., exempli grati a, 8; gravitas autem aquae b, cuius nioles acquctur moli a, sit 4; tunc sol khan a fei’etur deorsum ita celeriter a i c ofc facile ut 4: si vero deinde idem corpus a ferretur per medium lovius, ita ut talis medii molis c, quae esset aequalis moli a, gravitas esset ut 2, tunc profecto solidum a in hoc secundo medio ferretur deorsum facile et celeriter ut C. Patet igitur, quod idem corpus a fa- ciliu8 deorsum movetur per media leviora quam per graviora: ergo sequitur, quod medium eo levius existimandmn sit, quo gravia in co facilius deorsum moventur; cuius tamen contrarium plurimum opinio io affirmat. Cui igitur iam non apertissimum est quod, si aer adirne levior esset, gravia deorsum facilius moverentur ? Quod si sic est, se¬ quitur, aerem ideo levissimum esse, quia gravia facile in co deorsum feruntur. Opposito autem buie modo ratiocinandum est de levibus, quae sursum moventur: et colligetur, medium illud grave existiman- dum esse, per quod levia facilius sursum feruntur; illud vero leve, per quod levia difficile sursum moventur. Ergo, tum quia in aere levia ditficilius sursum moventur, tum quia in eodem gravia facilius deorsum moventur, sequitur aerem magis levein quam gravem existi- mandum esse. Attamen quae dixi, tanturamodo dieta velini ad con- 20 futationem opinionis eorum, qui dixerunt aerem esse magis gravem quam levem. Do. Quae ergo est tua sententia de gravitate aut levitato elemen- torum ? 111 Al. Si loquamur de gravitate vel levitato absoluta, dico, corpora omnia, sive inixta sive immixta sint illa, liabere gravitatom : si vero de gravitate vel levitate respectiva sermonem liabeamus, dico, cor¬ pora omnia itidem liabere gravitatene, alia tamen maiorem, alia mi- norem ; istam autem minorem gravitatem esse quam levitatemi appel- lamus. Et sic dicimus, ignem leviorem esse aere, non quia gravitate 30 caieat, sed quia minorem habet gravitatem quam habeat aer ; aerem vero, eodem modo, leviorem aqua dicirnus. Do. At, quaeso, si ponis gravitatem in igne, qua ratione tueberis, ignem non descendore, cum gravia sint illa quae deorsum feruntur? _!• wo?.V> - 4, hinus aqua ita — 27. respetwa - 30. quia in se gravita* - 33. queso - i» Postilla marginale: - Aristoteles ponit » [il ms. : ex] exemplum de atre inflato af- j» aerem et aquam gravari in propriis locis, et * fert », DE MOTU. 387 Ab omnibus, tamen, ignem clescendero impossibile existimatur, etiam si illi submoveretur aer. Al. Ali, ah ! novae chimaerae, nova figmenta. Ea deorsum ferii n- tur, quae medio, per quod ferri debent, sunfc graviora: at ignis non est, aere gravior; et ideo non potest deorsum ferri. At si submove¬ retur illi aer, ita ut vacuimi sub igne relinqueretur, cui dubium est, ignem in locum aeris descensurum esse? Nani, cum in vacuo nihil sit, id quod est aliquid, gravius est nihilo: cum igitur iguis sit ali- quid, dubio procul descenderet sub nihilo ; a natura enim constata¬ lo tum est, graviora sull levioribus manere. Nec tamen credas, ignem descensurum ad replendum vacuimi : nani, cum descenderet, relinqueret vacuum sub concavo lunae; ad quod replendum non amplius ascen¬ dere posset, cum graviora super leviora non ascendant. l)o. Sed si assoris, elementum aeris, sicut etiam et ignis et aquae, omnia gravia esse, quomodo possumus nos pondus aeris substinere? sicut etiam, sub aqua natantes, vastissimam aquae molem, a qua nil gravari senti mus ? Al. Facillima est huius dubii solutio, et ex liis quae supra demon- stravimus pendens : solutiones autem aliorum non admodum satisfaciunt. 20 Dicunt enim aliqui," 1 pisces et homines in aqua esse sicut mus in muro, ubi laterum pondus non sentiunt, quia lateres super lateribus inhaerent, non autem super muros : quae solutio quam sit inepta, luco clarius patet. Nani, quaeso, quaenam est proportio inter corpora solida et consistentia, ut lapides, et corpora liquida et fluida, ut aqua ? Nam, si removeamus mures e muro, ibi adhuc remanebit foramen, in quo mus erat; ex quo manifestum fit, lapides non super mures insistere, sed super alios lapides: at si removeamus piseem ex aqua, putasne ibi remansurum esse locum, in quo manebat? nonne eo statina aqua affluet? Quod quidem apertissimuin est indi cium, aquam super pisces so insistere. Alii autem dixerunt, elementa in proprio loco neque gravia neque levia esse, et ideo natantes in aqua ab ea non gravari. Qui autem ita dicunt, nondum solvunt dubitationem. Nanque, primum, demon- strandum erit hoc quod supponunt, nempe elementa in proprio loco 3. nove chymerae — 4. ignis est leviofr] non —6. relinqiuicrclur — 11. relinqnaeret — 16. vastissima — 22. inherent — 23. queso —proportio in corpora — W Postilla marginale: «Simplicius, lib.° 4 Caeli t. 30-, DE MOTU. 388 neque gravia osso neque levia. Quod si sic sit, cur dicunt postea, aèrem esse magis gravem quarti levem? Quod si tueri velint, quanam ratione defendent, aquam non esse gravissimam? Deinde, etiam si lioc concedatur, nonduni tamen solvitur dubium. Si enini elementa in pro¬ prio loco non sunt neque gravia neque levia, peto ab eis, quis sit proprius aquae locus. Respondent (ut arbitror), sub aero. Sed, si ascen- damus in altissimam turrim, in cuius summitate sit balneus, in eo existentibus idem accidet quod si in mare intraremus : ab aqua enim non gravabimur, licet ea, habens sub se aerem, extra proprium lo- cum sit. Totus itaque illorum error inde manavit, quia do medii gra- io vitate, per quod gravia ferri debent, rationem non liabuerunt, sed solummodo de propria mobilium gravitate vel levitate. Sed, ut tuo quaesito satisfaciam, solutionem meam attende. Tunc dicimur gravari, quando super nos incumbit aliquod pondus quod sua gravitate deorsum tendit, nobis autem opus est nostra vi resistere ne amplius descendat ; illud autem resistere est quod gravari appellamus. At, quia demonstratum est, corpora quae sunt aqua gra- viora, in aquam demissa, descendere, et esse in aqua gravia quidem, attamen minus gravia quam in aere, quanta est gravitas molis aquae aequalis moli illius corporis ; leviora autem aqua ostensa sunt, vi sub 20 aquam impulsa, sursum attolli tanta vi, quanto moles aquae, aequalis moli illius coi’poris in aero, gravior est eodem corpore; quae autom sunt aeque gravia ac aqua demonstrata sunt, in aqua submersa, neque sursum neque deorsum ferri, sed ibi manero ubi collocantur, si tamen tota fuerint sub aqua; ex hoc patet, quod si nobis sub aqua existen¬ tibus incombati aliquod corpus aqua gravius, gravabimur quidem, sed minus quam si essemus in aere, quia lapis in aqua est minus gravis quam in aero : si vero nobis in aqua manentibus corpus aqua levius alligatum fuerit, nedum gravabimur, veruni etiam attollemur ab ilio ; ut patet in natantibus cum cucurbita, cuna alioquin, in aere existen- so tea, a cucurbita gravemur ; et hoc quia cucurbita, sub aquam impulsa, fertui sui suiti et allcvat, in aere vero fortur deorsum et gravat : si autem in aqua existentibus aliquod corpus aeque grave ac aqua nobis irnmineat, neque ab ilio gravabimur neque attollemur, quia ncque 2. grave - leve — 7. summitate si balneus - 7-8. eo intrnntes existentibus - 9. granar btmur quamvis licet - 10. de medio medii -19. «ère, quam est - 22. «1 ipso eodem - DE MOTU. 389 sursum neque deorsum ferretur tale corpus. At non invenitur corpus quod magia aquae in gravitato vel levitate aequetur, quam ipsamet aqua: non ergo est mirum si aqua in aqua non descendat et gravet, nec ascendat et attollat; diximus autem, gravari esse resistere nostra vi corpori deorsum petenti. Et eadem prorsus ratio de aere habenda est. Do. Oh pulcrum inventum! certissima et verissima solatio! Tu ser- monibus tuis adeo nebulas omnes inscitiae praeripuisti, ut nullum am¬ pli us de bisce rebus dubitationi locum reliqueris. At quid de proble- ìnatibus meis? io Ai-. Ex animadversionibus bis, quae circa media, mobilia et motus posuimus, unius tantummodo problematis tui solutio manifeste ap¬ paiai, ; ceterorum vero explicationes, cimi ex constitntis animadversio¬ nibus, tum ex constituendis, mox innotescent. Ad problema igitur cur idem mobile citius in aere quam in aqua descendat, patet responsio. Inter gravitateli!, enim, mobilis et gravitatemi aéris maior est pro¬ porlo, quam inter eiusdem mobilis gravitatele et gravitatemi aquae; aqua enim gravior est quam aer: ex quo sequitur, idem mobile maiori vi descendere in aere quam in aqua. Do. Iluius solutionem prius optime perceperam ex tuis constitutis 20 et demonstratis animadversionibus. Sed quod quaesitum de puncto reflexionis motus.... Al. Ante quam ad meao de hoc sententiao explicationem deve- niam, sunt nonnulla inspicienda. Primo itaque, posito hoc, ut supra satis comprobavimus, mobile, dum motti praeternaturab movetur, mo- veri a virtute impressa a movente, supponatur, idem mobile, ab aequa- libus virtutibus proiectum, per lineas rectas, aequales cum horizonte angulos continentes, semper per aequalia spatia moveri. Supponatur, 2", mobile, a virtute impressa finita motum, per spatium infinitum mota violento moveri non posse. m Supponatur, 3°, mobile non moveri so motu violento, nisi virtus hnpellens sit maior resistentia propriae gra- vitatis eiusdem mobilis; si vero maior fuerit resistens gravitas quam 8. reliqtmens — 22. ad lniius meac — 23. sunt prius nonnulla — 25. impraessa — 2(i. proie- clU8 — 27. SopponaLur — Le parole da « Supponatur, 2° » a « non * toni posito », che si leggeva prima) fino a » posso» sono aggiunte in margine. Avvertasi * maiorem quam in c* (pag. 390, 1 in. 9-25); puro che dopo « per aequalia apatia moveri * il quale fu poi, mediante segni di parentesi, segue nell’autografo il brano dalle parole richiamato dall’Autore al luogo dove noi «Ilis miteni positis > (sostituito a «Hoc au- l’abbiamo inserito. 390 DE MOTO. vis impellens, tunc mobile non amplius moveri motu violento, seti ad naturateli! so con vertere. Ex quo aperte sequitur," ’ dum corpus quiescit, tunc propriam gravitateli! acquari virtuti impellenti : si enim maior esset gravitas, tunc corpus descendoret ; si vero maior esset vis im- pcllens, tunc corpus motu violenter moveretur. Ex quo manifestuni est, tandiu mobile quiescere, quam din manet aequalitas inter gravi¬ tateli! resistentem et virtutem impellontem. Supponatur, 4°, idem cor¬ pus grave ab aequalibus virtutibus per aequalia temporis apatia sub- stineri. llis autem positis demonstratur, virtutem impressali! a motore successive in motu violento debilitavi, nec posse assignari in eodom io motu duo puncta, in quibus eadem fuerit virtus impellens. Sit enim linea ab, super quali! fiat motus violentus ex a in b a virtute finita ; et quia talis motus, ex positione, non potest esse infinitus, terminetur in puncto b, nec ulterius moveatur mobile. Dico itaque, virtutem im- pellentem semper in tali motu debilitavi, nec posse assignari in linea ab duo puncta, in quibus eiusdem roboris sit virtus impellens. Nani, si fieri potest, esto duo puncta c, d, et virtus in d non sit debilior quam in c: erit, ergo, aut eadem aut fortior. Sit, primo, eadem. Quia itaque mobile est idem, virtus autem impellens eadem in d et in c, linea autem supra quam fit motus, cum sit eadem, idem 20 angulum continet cum liorizonte, ergo mobile per aequalia spatia d movebitur ex punctis c et d : at ex c movetur usquo ad b : ergo c ex d movebitur supra b: quod est absurdum ; positum est enim, non ulterius quam b moveri. Et maius absurdum sequeretur, si diceremus, virtutem in d esse maiorem quam in c. Si itaque in a motu ab assignari non possunt duo puncta in quibus aequalis fuerit virtus impellens, patet quod nec in tempore, in quo fit talis motus, poterunt assignari duo momenta in quibus aequalis fuerit virtus impellens. Ilis positis et demonstratis, sequitur necessario, in puncto reflexionis non dari quietem. Nanque, si datur quies quae ali- 30 quod temporis spatium duret, dabitur etiam aequalitas inter gravita¬ teli! mobilie et virtutem impollentem per aliquod spatium temporis durane : at demonstratum est, virtutem impellentem semper et suc- 8. equalm — 9. impraessam — 12. ex a,b a virtute — 18. aeculem - 24. sequaerctur — 28. qmbus eadem aequalia — “> Dopo « sequitur » P Autore aveva . pus quiescere quando propria univitasi ae- prima scritto, e poi cancellò: «tunc cor- >quafcur*. DE MOTU. 391 coesive remitti : impossibile est ergo, ut per aliquod temporis spa- cium in statu aequalitatis virtus cum gravitate mobilia maneat; et, ob id, impossibile est, ut mobile per aliquod spacium c ( [ temporis quiescat. Hoc autem clarius ex ista demon- ' ' stratione apparebit, descripta eadem figura quae supra. Nani, si quando mobile est in b, per aliquod temporis spacium quiescit, sit tale tempus, cuius extrema mo- menta sint cd. Si ergo mobile quiescit tempus cd, ergo virtus impellens aequalis est gravitati mobilis per to- 10 tum tempus cd: sed gravitas mobilie semper est eadem: ergo virtus in momento c est aequalis virtuti in d. Estque idem corpus grave ; ergo per aequalia tem¬ poris apatia a virtutibus aoqualibus substinebitur : sed virtus in momento c substinet per cd spatium tem¬ poris: ergo virtus in momento (l substinebit idem cor¬ pus per spatium temporis aequale spatio cd. Quiescet « igitur mobile per duplura temporis cd : quod est inconveniens ; nani ponebatur quiescens por spatium cd. Eadem vero argumentandi ra- tione servata, demonstrabitui- etiam, mobile in puncto b semper quie- 20 scere; cum tamen ponatur se convertens ad motum naturalem. (,) Do. Non possum non fatori, demonstrationes istas necessario con¬ cludere, cum ex principiis manifestissimis et certissimis, quae nullo modo negari possint, pendeant. Attamen adirne nescio quid mentem perturbati nani si ponis, aliquando virtutem impellentem aequari gravitati resistenti, quomodo etiam non pones, aliquando corpus q mescere? Ar,. Dubitationem liane facile erit removere. Aliud enim est dicere, mobilis gravitatem aliquando ad aequalitatem cum vi impellente de- venire ; aliud vero, eam in tali aequalitate per temporis spatium colli¬ so morari. Hoc autem exemplo manifestabitur. Nani, cum mobile move- tur, eo quod (ut demonstratum est) virtus impellens semper remittitur, gravitas vero semper eadem manet, sequitur necessario ut, antequam ad proportionem aequalitatis pervenorint, innumerao aliae proportio- 5. descritta — 11. equalis — 22. certissimi — 28. equalitatein — 31. dcmoslratum — » motum sursum non duri quietom, quae con- » trariatur mottii ». W Aggiunta marginale: «Si autem impos- » sibile est transire a contrario ad contra- * riunì absque medio, ex hoc sequetur, post i. 48 392 DE MOTU. nes intercedant: attamen vim et gravitatene in ali qua istarurn pro- portione per aliquod tempus manere, est impossibile; cum demonstra- tum sit, nunquam virtutem iinpollentem per aliquod temporis spacium in eodem statu manere, cum semper remittatur. Yerum itaque est, vim et gravitatene per proportionem, verbigratia, duplam, sesquial- toram, sesquitertiam, et alias innumeras, transire ; quod autem in una earum proportione per aliquod tempus maneant, hoc falsissimuin est. Sicut etiam si intelligamus aliquod mobile per superficiem aliquam moveri, tunc illud omnes superfìcie! lineas tanget, et per eas tran- sibit: quod autem in aliqua earum per aliquod temporis spacium io maneat, est falsum ; cum nunquam quioscat, sed semper moveatur. Pari etiam ratione verum est, vim et gravitatene aliquaiulo pervenire ad aequalitatis proportionem, sicut et ad innumeras alias ; nec tamen sequitur, ob id in tali proportione quiescere et per aliquod temporis spacium commorari, sicut nec in aliis proportionibus. Do. Iam omnis sublata est dubitatio, et cogor demonstrationibus tuis annuere. Sed quid ad argumentationes Aristotelis? Al. Potissima erat Aristotelis argumontatio lutee. Dicebat enim : Si in puncto reflexionis non datur quies, sequitur duos contrarios motus esse continuos, et, ob id, unum tantum, cum unus eorum sit 20 terminus ; quod quidem absurdum esset. Àt ad hoc respondetur, talea motus esse c.ontiguos, non autem continuos ; ex quo nullus sequitur error; et inter terminum motus sursum et terminum motus deorsum nihil intercedere : talis nanque contiguorum, ex ipsomet Aristotele, est natura. Sed ali quia adirne nonnunquam obstitit, ex sententi a ipsius Aristotelis, dicens, aerem etiam esse in causa cur grave in puncto reflexionis quiescat : cum enim mobile in tali puncto valde sit debilitatimi, ab aere resistentiam patitur, qui motui eius resistit. Ad hoc enim dico, meas non esse partes respondere : quia, quamvis in puncto reflexionis, talem ob causam tantum, quies contingeret, non 80 tamen ob id dicendum esset, in puncto dicto necessariam esso quie- tem ; liaec causa esset per accidens. Quod si Aristot.eles existimasset, contrarios motus hoc a natura contrarioruni habere, ut simul co- niungi possent, et ideo, quod ex eorum natura esset, quod in puncto reflexionis intercedens non requireretur quies, utique dixisset, abso- lute in puncto reflexionis non dari quietem : quod ai deinde per aéris 30. tantum daretur quies — DE MOTO. 393 interccssionom atque resistentiam quics contingeret, liane inter causa» por accidens reposuisset, et, cum de contrariorum motuum natura disputasset, omnino praeteriisset. Attamen, et no fortasse crederet quis liane ob causarli vero in puncto reflexionis quietem contingere, eam omnino de medio toUendam esse statui, declarando quod nec per ac¬ cidens requiratur quies. Primo, nanque, in contrarium esset adver- sariorum inconstantia : qui, prò ut opus illis est, dicunt, motum iuvari a medio, eundemquo a medio impediri, quia, nempe, medium obstat. At si medium iuvat motum, quomodo in puncto reflexionis illuni io destruit ? 2° : sicut se liabet motus ad motum, ita resistente medii ad resistentiam ; ita ut quo magis motus fuerit velox et concitatus, magis medium resistet, cum citius sit scindendum : ergo a commutata proportene, motus semper eodem se habebit modo ad medii resi- sistentiam ; ita ut quo tardior fuerit motus, eo minor erit resistentia. Itaque, cum in puncto reflexionis tardissimus sit motus, minima quoque erit medii resistentia; et sicut celerrimus motus maximam resisten¬ tiam vincit, ita et minimus motus resistentiam superabit minimum, cum motus ad resistentiam semper eodem se habeat modo. 3° : at- tendas, quaeso, quam infirmus sit adversariorum argumentandi modus ; 20 co quod dum motum tollero conantur, eundem necessario supponunt. Nanque aut aer resistit mobili dum quiescit, aut dum movetur. Non utique dum quiescit : cum enim resistere, ipsi aeri sit quoddam pati, aer nil profecto patitur a quiescente corpore, sed a corporo quod movetur ; ergo aer non resistet motui, nisi dum fit motus. Si enim aer resisteret, et resisteret ante motum, motus utique fieret nunquam : quapropter dicendum est, aérem resistere dum mobile movetur. Ne¬ cessario igitur sequitur, ut qui dicunt in puncto reflexionis medium resistere mobili, mobile in motu existens supponant ; et ita dum co¬ nantur tollero motum, eundem concedant : quo quid ineptius ? Pos¬ so sem etiam ex eiusdem Aristotelis sententia argumenta efformare : qui profecto ponit, non fieri posse motum absque medii resistentia ; ita ut in vacuo neget motum, cum ibi nulla sit resistentia medii, dicens, Si esset vacuum, motus certe fieret in ipso instantaneus. At quia alia est mea opinio, allatis argumentis contentus ero. Do. Satis superque sententia tua do motu in puncto reflexionis, 6-7. esset eorum adversariorum — 19. queso — 32. ncpal 34. opinio, aup[ra] allatis contenctus — 394 DE MOTU. tum demonstrationibus, tum ex reiectione argumentorum in contra- rium, est confirmata : sed postquam casu do vacuo verba feristi, do eodem aliquid dicere ne graveris. Al. De vacuo plura in medium afferro possem; quae tamen omit- tam, ne talis disputatio a nostro fine nos averteret, et id tantum adferam, quod ex superioribus pendet. Dico itaque, quod in vacuo motus non fìeret in instanti : quod ex liis quae demonstrata sunt in- notescit. Ostensum est enim, eorum quae moventur, tantam esse ce- leritatem, quanta est gravitas qua excedunt medium per quod moventur. Ut si sit mobilis inoles ipsa a, io moles autem medii per quod ferri dcbet, b, aequetur moli a, gravitas autem a sit 8, gravitas vero b sit ut 3, velocitas profecto qua descendet erit ut 5: quod si gravitas b esset 2, velocitas a esset 6 : si vero gravitas b esset 1, velocitas esset 7 : quod si gravitas b esset nulla, velocitas a esset 8, non autom infinita. Gravitas enim a excedit gravitatela, quae nulla est, per totam gravitatem suam, quae est finita: sed qualis est gravitas excedons, talis est motus celeritas : gravitas autem est finita : ergo et veloci¬ tas motus erit terminata, non autem infinita. Itaque tunc esset velo¬ citas infinita et instantanea, quando gravitas esset infinita, et tunc, 20 tana in vacuo quam in pieno, motus esset instantaneus ; in pieno, tamen, penetrabili et non infìnitae resistentiae. Itaque iure optimo dicemus, gravitatem infinitam, quocunque moveatur, in instanti 1110 - veri ; gravitatem vero finitala, quoquo loci, finita celeri tate cieri. Qua- propter sicut qui contra nos ita argumentautur, In vacuo si fìeret motus fìeret in instanti, sed motus non fit in istanti, ergo in vacuo non fìeret motus ; ita et nos modo converso sic ratiocinabimur : In vacuo si motus contingeret, non utique fiet in instanti ; sed motus contingit, dummodo in tempore fiat; ergo in vacuo fiet motus. Ex quo etiam colligi potest, medium non iuvare motum, sed eundem so prorsus impedire ; cum ubi medium non esset, concitatior motus fìeret. 2 : libet etiam ex eorundemmct adversariorum argumento, quo vacuum dari tollere conantur, id ipsum elicere : nempe in vacuo motum fieri in tempore. Dicunt enim ipsi, quod si accipias duos la¬ pidee exactissime expolitos, quorum superficies ita congruant, inter so on 8 .' ?. M< ~ 9 ’ Oramtas aut levitas qua —il. aequaetur — 14. a esse 6 —15. quod gravitas — et ita tunc — 23. tnfinttam sempcr quocunque — 25. qui unto f ontrq — DB MOTU. 395 aptatae, ut nihil diversi generis inter ipsas relinquatur, tunc si co- natus eris eas ad invicem separare, ita tamen ut semper aequidistent, te operam perditurum ; natura enim vacuum, quod aliquando inter ipsas ìelinqueretur, nimiunv horrot : ex quo colligunt, vacuum non dari posse. At si hoc verum est, uti certe verissimum extat, tunc sic arguo : Lapidea non possunt separari ; ergo motus in instanti non fit in vacuo. Nam si lapidea non possunt separari, ne quia locus vacuus relinquatur, iam separari poterunt cura vacuum non relinquatur : nam aér circumfluus in vacuum in instanti advolabit, et ita vacuus io nunquam erit locus. Attamen quia lapidea adirne non disseparantur, signum est quod per aliquod tempus inter eas relinqueretur vacuum : quod quidem vacuum, ex eo quod per aliquod temporis spatium du- raret, satis superque demonstrat, in se non instantaneum fieri motum sed successivum. 11 ’ Ilaec autem de vacuo veluti per transennam dieta velini, cum praesertim ad primum nostrum intentum non conferant. Do. Et liaec quoque audire gratissimum fuit, cum, me iudice, veritateni assequantur .' 21 In hoc itaque disserendo diutius commorari, 1. api ale — 1-2. conaveris eas ab — 2. cquidistent — 4. orret — 9. in vacuo — 14. diclas — W Nell’ autografo si legge qui, attraverso le cancellature, il seguente brano : « Sed con- » tra hoc, audias, quaeso, chimaendas [ il ras. : » queso chymerulas] quasdam a quodain con- > fictas. Rcspondct enim, quod acr movero- » tur quidem tunc in instanti, sed tamen per > unam tantum dimensionein, nenipe per lapi- * dum latitudincm [sostituito a longftudinem] ; » sed per duas dimensiones, nenipe per lati- » tudinem [sostituito a longitudincm ] et pro- » funditatem, aerom in instanti moveri posse » negat. Cui quamvis nihil respondendum » esset; cum id assumat quod nedum demon- » stratum, veruni nec exeogitatum, fuit un- s» quatn ah aliquo, quod sciam ; et aérem de- » currontem per unam tantum longitudiuem, » cum sit corpus omnes dimensiones occupans, > oxeogitaro nomo possit; attamen unum re- > spondeho. Per ipsum, aer posset moveri [in * instanti , cancellato] in vacuo per unam tan- * tum dimensionem, ut puta per superficiem » unius lapidi», et hoc in instanti : sed quando » aer occupavit unam dimensionem, restat » una tantum dimensio, nempe a superficie » unius lapidis ad superficiem alterius; quao » cum una tantum sit dimensio, acr per il- » lam in instanti moveri poterit : atque ita » in duo instantia movebitur per ambas lon- » gitudines. Duo autem instantia temporis, » quo ad divisibilitatom aut indivisibilitatem, » sunt idem quod unum instans: ergo in » instanti movebitur aer per totum vacuum. » Quod tamen falsum esse, ostendimus*. W Dopo « veritatem assequantur » il codice, a car. 24 il, ha, cancellata, la pa¬ rola: «itaque», in cui luogo fu sostituito « Do. », o quindi seguo con le parole : « Ad » reliquorum problematum eie. » (pag. 404, lin. 32). Un asterisco * però, segnato sul margine, rimanda alla car. 27 il, dove, pre¬ ceduto da un segno di parentesi, comincia (e continua sulle carte seguenti, fino alla 35 v.) il tratto che noi abbiamo qui inserito, da « In hoc itaque disserendo » fino a « quo » in pieno demonstrabitur» (pag. 404, lin.31 ). Di fronte alle parole « In hoc itaque disse- » rendo » l’Autore scrisse sul margine que¬ st’avvertenza: « Haec, quae voluti per paren- » thesim legontur, sunt inserenda superius, » ubi est hoc signum * ». 396 DE MOTU. quaeso, ne graveria. Hoc enim quoti petam, abs te audire cupio. Si igitur vera est tua opinio, ut demonsfcrationes tuae confirmare vi- dentur, falsa necessario erit opinio contraria : ex quo necessario se- quitur, in aliquem errorem impegisse Aristotelem, cum contrarium demonstrare contenderet ; quod sane fecit 4 Physicorum. At quia de- monstratione quasi geometrica est usus, miror quidem in ea captiones inesse : quapropter te etiain atque etiam rogatum velini, ut eius fal- laciam detegas. Al. Si Aristotolis demonstrationem exacte examinare velimus, lon- gior fiet sermo, et primum nostrum intentum transcendens. Sod, post- io quam lubet, illius captiones adaperiam ; quao ut lucidius appareant, ipsius demonstrationem in medium adferam. Praemittit itaque, primo, liaec : tarditatem et celeritatem motus ex duplici causa pendere ; nempo aut ex ipso mobili, aut ex ipso medio. Ex ipso quidem mo¬ bili : nana mobile gravius per idem medium citius quam minus grave movebitur. Ratione autem medii dupliciter inquit contingere tardi¬ tatem aut celeritatem : semel quidem eodem medio spectato, seu ma¬ nenti, seu in contrarrne, sive in easdem cum mobili partcs, irruente ; velocior enim erit eiusdem mobilis motus si ad easdem feratur partes medium quam si maneat, et si maneat quam si ad contrarias mo- 20 veatur : 2°, diversis acceptis mediis, mobile per id quod eubtilius erit citius quam per crassius movebitur, ut per aerem quam per aquam. His, primo, notatis, quia videbat idem pondus per subtiliora media citius ferri quam per crassiora, supposuit, 2°, eandem propor- tionem servare velocitatem motus ad veloci¬ tatela, quam medii unius subtilitas ad alterius medii subtilitatem. His autem constitutis, ad demonstrationem se convertens, ita est argu- mentatus : Transeat mobile a medium b in tempore c ; medium autem subtilius ipso, so nempo d, transeat in tempore e: manifestimi est, sicut crassities b ad crassitiem d, ita se habere tempus c ad tempus e. Sit deinde f vacuum; et mobile a, si fieri possit, transeat ipsurn f in tempore g : babebit igitur eandem rationem vacuum ad 1. queso — 5. Fysicorum — 5-6. demostrattone — 12. itaquae — 14. riempe sivo aut — 15. quam levifus] minus — 25. servare velocitas motus DE MOTU. 397 plenum, quam liabet g ad e. Intelligatur deinde aliud medium subti- lius ipso d, ad cuius crassitiem ipsius d crassities eam liabeat propor- tionem quam tempus e ad tempus g. Tunc, ex bis quae constituta sunt, mobile a per medium nunc inventum movebitur in tempore g, cum medium d ad medium nunc inventum eandem habeat proportionem quam e tempus ad tempus g: sed in eodem tempore g movetur a etiam per vacuum f: ergo a eodem tempore movebitur per duo apatia aequalia, quorum unum sit plenum, alterum vero sit vacuum ; quod quidem est inconveniens. io ITaec est Aristotelis demonstratio : quae quidem optime et neces¬ sario conclusisset, quoad formam demonstrationis, Quod quidem ut luce clarius appareat, primo quidem, demon- 1G. actenus— 18. itaquae —21. motus velocitas ad — 23. destre — 2G, 27. sequaetur— "> Postilla marginale : « Motus sursum W Le parole da « Et, ut secundum * a » naturalis velocior est in mediis crassiori- « habebit proportionem » sono aggiunte in » bus, et motus deorsum velocior est in sub- margine. Dopo di esse leggonsi nel testo, » tilioribus : motus enim sursum fit a levi- a car. 30*-., questo altro: «quod ut mani- > tate, deorsum vero a gravitate ». » feste appareat », le quali furono cancellate; DE MOTU. 399 strattone omnino simili illi qua contendebat Àristóteles demonstraro motum in vacuo contingere in instanti, ostendam, motua non servare inter so, quoad velocitatem, proportionem subtilitatum mediorum ; deinde etiam ostendam quam proportionem servent, ut apertius ve- ritas innotescat. Si igitur, ut ipse dicebat, velocitas ad velocitatem eam liabet pro¬ portionem quam subtilitas medii ad alterius medii subtilitatem, esto mobile quidem o ; duo autem media sint a, b, quorum a sit, verbigratia, aqua, b vero aér ; io subtilitas autem aéris, quae sit 8, sit maior sub- 2 tilitate aquae, quae sit 2 ; et mobile non de- scendat in aqua sed supernatet, in aere vero sit illius celeritas ut 4 ; et fiat sicut subtilitas b aéris, quae est 8, ad subtilitatem a aquae, quae est 2, ita celeritas in aere, quae posita est 4, ad aliam celeritatem, quae profecto non erit nulla, sed erit 1. Quia itaque mobile o in sub- tilitate b movetur cum 4 celeritatis ; sicut autem subtilitas b ad sub¬ tilitatem a, ita celeritas ut 4 ad celeritatem ut 1 ; manifestum est ergo, quod celeritas mobilis o in subtilitate a erit ut 1 : posita tamen fuit 20 esse nulla ; quod quidem est inconvcniens. Quare non erit ut subtilitas ad subtilitatem, ita velocitas ad velocitatem, ut posuit Aristoteles. Sed libet quoque aliam adferre demon- q strationem. Sint enim eadem ut supra ; et subtilitas b sit ut 16, subtilitas vero a sit ut 4 ; et mobile o non moveatur in a, sed supernatet ; eiusdem vero mobilis in b me¬ dio celeritas sit ut 8. Sit rursus alia velo¬ citas, quae sit ut 1 ; ut autem celeritas 8 ad celeritatem 1, ita se liabeat subtilitas b 30 ad subtilitatem aliam, quae sit c: erit iam subtilitas c ut 2. Et quia sicut subtilitas b ad subtilitatem c, ita se liabet velocitas 8 ad velocitatem 1 ; mobile autem o in subtilitate b mo- 15. caelcritas —17. sicut aut subtilitas — 28. ut aut celeritas— 30. subclilitatem — que — e quindi : « accipiamus veróni causani eie. * (pag. 400, lin. 9). Sul margine però ò un segno di richiamo clic ritrovasi a car. 35 r., di fronte allo parole : « Quod quidem ut luce * clarius etc. », con cui comincia il brano elio, fino a « proportiones innotescat », abbiamo qui inserito. Avvertasi pure che di seguito a «innotescat* è ripetuto «accipiamus», per denotare con maggiore evidenza la con¬ nessione dei due luoghi. I. 49 400 DE MOTU. 20 a vetur cum celeritate 8; ergo idem mobile o in subtilitate c movebitur cum celeritate ut 1. Movebitur itaque o in medio c: sed medium c est crassius medio a (est enim medii a subtilitas 4 maior subtilitate c, quae est ut 2) ; in medio autem a posituin est non moveri mobile o : mobile igitur o movebitur quidem per medium crassius, per subtilius vero minime : quod est absurdissimum et omnino indignura Aristotele. Patet ergo, motuum velocitates non servare inter so subtilitatum mediorum proportiones. Sed ut quasnam servent proportiones inno- tescat, accipiamus veram causam tarditatis atque celeritatis motus oiusdem mobilis ; quam supra demonstravimus esse medii levitatela io aut gravitatemi respectu mobilis. Et sit mobile a, medium autem c sit in duplo levine medio b : non utique tempua in quo a movetur per b erit duplum temporis in quo a movetur per c; hoc est, celeritas in c non erit dupla celeritatis in b. nì Sit enim tempus, in quo a movetur per b ipsum, cl ; et tempus, quo a movetur per c, sit e. Et quia celeritas a in b spatio tanta erit, quantus est excessus in quo gravitas a excedit gravitateli! b, ut supra demonstratum est ; si gravitas a sit 20, gravitas vero b sit 8, erit utique celeritas d 12: sed, eandem ob causam, si gravitas c 20 sit 4, erit celeritas e ut 16 : celeritas ergo c non erit dupla celeritatis d, Quare, cum spatia b, c sint d aequalia in longitudine, non erit tempus d duplum temporis e. Patet ergo, quod velocitas in medio c non est tanta, quan- tam esse volebat Àristoteles, sed multo minor: nani, ex illius sententia, velocitas e debuit esse, respectu velocitatis d, 24; est autem 16. Ma¬ nifestimi est igitur quod, quo quidem levius erit medium, eo velocior erit motus proveniens ex gravitate. Sed quia sub minori proportene somper respicit velocitas velocitatelo, quam raritas raritatem, sequi- tur, quando raritas pieni respexerit raritatem vacui secundum maxi- so mani omnium proportionum, non tamen velocitatem in pieno ad ve¬ locitateli! in vacuo eam debere proportionem retinere ; ut falso i*atus est Àristoteles. 2. cum celerità —13. duplus — 15. tempus in quo — 18. gravitatein b, crii, utique cae- leritas in tempore d ut 4, ut supra — 24. in spatio medio — 26. velocitatis d ut 24; est — 29-30. sequitur quod quando — 30. rexpexerit — 8 16 12 0) Le parole da » hoc est * a * in b » sono aggiunte in margine. DE MOTU. 401 Ex bis etiam quae supra posita sunt sequi tur, quod celeritas ad celeritatem semper servet arithmeti.ee proportionem levitatis medii ad alterius medii, non tamen geometrice. Si enim, rursus, gravitas c sit 2, ita ut ipsius levitas sit quadrupla levitatis b, celeritas e non erit profecto quadrupla celeritatis d, sed sesquialtera erit; nanque celeritas e, ut 18 : attamen eandem aritlnneticaui habebit proportio¬ nem quam c ad b, cum oxcessus sint aequales, nempe G. Quod si, rursus, gravitas c sit 1, ut c levitas sit octupla gravitati b, non erit profecto celeritas e octupla celeritatis d, sed longe minor quam octupla, io nempe super septem partiens 12; erit enim celeritas e ut 19: et erit eadem aritlunetica proportio quae est levitatis ad levitatem, cum idem sit exccssus, nempe 7. Quod si nulla sit gravitas c, ita ut nullam habeat proportionem c levitas ad levitatem b, erit e celeritas ut 20, eandem proportionem arithmeticam habens ad d quam 8 ad 0 : cele¬ ritatis enim 20 super celeritatem 12 idem est excessus, quo 8 excedit 0, nempe 8. Et sic, contra id quod dicit Àristoteles, non inconveniens estj numerum ad numerum eandem habere proportionem, quam nu- merus ad nihil, si tamen loquannir de proportione aritlunetica : 20 ad 12 eam habet proportionem, quam 8 ad 0 ; excessus enim 20 20 super 12 est idem cum excessu 8 super 0. Do. Oh subtile inventimi, oh pulcherrimum exeogitatum! Sileant profecto, sileant, qui philosophiam consequi posse autumant absque divinae mathematicae cognitione. Ecquis unquain negabit, hac sola duce veruni a falso dignosci posse, huius auxilio ingenii acumen exci- tari, hac denique duce quicquid inter mortales vere scitur percipi et intelligi posse ? (,) Ai,. Audias, quacso. Àristoteles ex hypothesibus suis secundum ar- gumentum hauriebat: nempe, quod si in vacuo motus fieret in tem¬ pore, eadem cum celeritate moverentur leviora ac graviora, cum tam so levioribus quam gravioribus nulla csset medii resistentia ; lv quod tamen est inconveniens. In quo argumento similiter deceptus est Àristoteles, eo quod posuerit celeritatem et tarditatem motus ex medii tantum resistentia oriri, cum tamen ex gravitate vel levitato medii et mo- 5. sex(iuialtera — 23. watematicac — 27. queso — ipoihesibus — 28. auriebat — 32. posuerit omnem celeritatem — (1 > Dopo « intelligi posse » prima aveva W Le parole da « cum tam loviori- scritto, e poi cancellò : « quapropter illius > bua » a « resistentia «* sono aggiunte in » favente auspicio 3 *. margine. 402 DE MOTU. bilia totum negooium pendeat. Dico itaque, quod in vacuo graviora citius descenderent quam leviora ; quia excessus graviorum super me¬ dium maior esset excessu levioruin. (l) Neque etiam veruni est quod Aristoteles dixit do proportione mo- tuum respectu mobilium gravitatum: quod, scilicet, celeritas ad ce- leritatem eandem liabeat proportionem in eodem medio, quam liabet gravitas ad gravitatem ; ut si, verbigratia, a esset duplo gravius ipso b, quod etiam celeritas ipsius a esset dupla celeritàtis b. Nani eodem modo, quo supra, demonstrabimus hoc. Si enim gravitas a sit 4, gra¬ vitas vero b sit 2, et a in medio aquao descendat, et sit eius celeri- io tas 2, b vero non descendat ; tunc aperte constat quod celeritas a non erit dupla celeritatis b, cum b non moveatur. Sed lue quoque aritlnne- tica servabitur proportio inter celeritates, hoc est secundum ex- cessum gravitatimi super gravitatem medii ; ut si a sit 4, b vero 2, medium autem 1 in gravitate, tunc celeritas a erit 3 respectu cele¬ ritatis b, quae erit ut 1. Quapropter, ut in sunnna dicam, tarditas et velocitas omnis motus deorsum provenit, primo et per so, ox propria mobilium gravitate ; quae deinde gravitas quia a mediorum gravitate minor fit, hinc est quod debilior fit motus. Si vero et medii fuerit tanta gravitas quanta est mobilium, tunc, eo quod mobilium in tali 20 medio nulla est gravitas, motus fit nullus; quod si, rursus, maior sit medii gravitas, tunc mobilium gravitas respectu medii gravitata fit levitas, et mobile fertur sursum ; quod si medii nulla sit gravitas, tunc mobilia movebuntur secundum simplicem suam gravitatem, et eam in motu proportionem servabunt quam propriae gravitates inter se habebunt. Et ex hoc patet alius gravis error; quod Aristoteles contrario prorsus modo sonserit ab eo, quod sentiendum erat. Dicebat enim, gravia in pieno eam in suis motibus servare proportionem quam gravitates; in vacuo vero minime, sed omnia eodem tempore moveri. Sed, e contra, in vacuo servabunt proportiones suarum gravitatum, so cum excessus super medium sint totae gravitates mobilium ; in pieno, vero, hanc proportionem non servabunt, ut supra demonstratum est. Sed, ut supra saepius dictum est, oportet ut semper intelligas atque 4. Nequac —5. respecto —12. quoquae —17. motus sive sursum sive deorsum — 25. niotum — 33. sepius — (1) Attraverso lo cancellature si legge »trarium adferri possent, solutiones pcr- qui nell’autografo quanto segue Do. Iam > cepi : quapropter do vacuo disputarono » satis argumentorum omnium, quae in con- > omissa». DE MOTU. 403 Bupponas, ista diversa mobilia, de quibus loquimur, differre tantum in gravitate, cum in mole sint aequalia; ne forte ita diceres: Sit, verbigratia, mobile, cuius gravitas sit 8 ; molis autem aquae aequalis moli dicti mobilis sit gravitas 3 ; manifestum est itaque, ex his quae dieta sunt, quod celeritas mobilia dicti erit ut 5 : quod si aliud. mobile ac- cipias, quale esset c, cuius quidem moles esset dupla ipsius a, gravitas autem eius minor quam dupla gravitas a, esset nempe 12, molis autem aquae aequalis ipsi c gravitas esset 6, tunc cele- io ritas c esset ut 6. Non tamen dicendum est, c ve- locius descensurum quam a; quia tunc non vale- ret proportio, cum mobilia differant in mole. Sed si volumus ut ratio valeat, accipiamus dimidium c, ita ut eius moles aequetur moli a; erit iam gravitas c, 6 : dimidiae vero aquae gravitas erit 3, ita ut dimidii c velocitas erit 3, respectu velocitatis a, quae orit 5 : velocius itaque descendet a quam totum c (totum enim celeritate eadem movetur quam sui dimidium). Yerum itaque erit dicere, a ce- leritatem esse 5 respectu celeritatis dimidii c, quae erit 3 ; seu cele- ritatem totius c esse 6 respectu celeritatis dupli a, quae erit 10. Fatet 20 ergo quod, cum ratiocinamur de celeritate vel tarditate mobilium, oporteat intelligere de mobilibus illis, quorum differentia ex sola pen- deat gravitate, cum tamen in mole sint aequalia. Cum deinde velocita- tum proportio inter liaec collecta fuerit, liaec eadem proportio serva- bitur inter mobilia eiusdem generis, quamvis deinde mole quantumvis differant : tanta enim cnm velocitate descendit plumbi frustrum cuius gravitas sit 10 libras, quam plumbi frustrum cuius gravitas sit 100 libras. Do. Hoc profecto mirabile videtur, et est contra Aristotelis opinio- nem. n) Arduum enim erit milii illud credere, nisi aliquo modo per- suadeas. so Al. Ad hoc tibi suadendum satis deberent esse demonstrationes supra allatae ; (2) quae etiam si non explicite hoc demonstrent, ex illis tamen pendet: at, si non tibi sufficiunt illae, alias in medium affé- 7. gravitas aut eius — 9-10, 18,19. caelcritas, caeleritatis. Non avvertiremo ulteriormente questa grafia. —10. ut 7. Non —14. dimidie —16. enim adeo celeritate —17-18. celeritas —25. des - sondi t — W Postilla marginalo : * 4 Caeli t. 26 in > dubitant, dubitabunt etiam, parvum lignum > fino, et apertissime 3 Caeli t. 26 et 27 *. » videntes Datare, an magnum quoque su- w Postilla marginale: «Et qui de hoc > pernatet». 404 DE MOTU. ram. Utque ad intentum devoniani, hoc ut mihi concedas abs te poto : nempe, quod si fuerint duo mobilia, quorum alternili celerius altero moveatur, ista mobilia coniuncta movebuntur quidem celerius quam id solum quod tardius movebatur, tardius vero co quod celerius mo- _ _ vebatur. Ut si, verbigratia, mobile a moveatur velocius l_ a -1 1. -—1 quam b, dico, compositum ex ambobus a, b, tardius de- scensurum esse quam a solum, citius vero quam b solum. Quod quidem luce clarius patet: cui enim dubium est, quod tarditas b retardabit celeritatem a, et, e contra, quod celeritas a intendet motum b, et ita liet motus quidam medius in ter celeritatem ipsius a et tarditatem b ? io Do. Hoc negare nunquam ausus ero. Ar,. Hoc supposito, si fieri potest per adversarios, moles magna citius moveatur quam moles parva (sint autem eiusdem materiae); et sit moles quidem magna a, moles vero parva sit b. Si ergo b tar¬ dius movetur quam a, ergo, ex bis quao supra posita sunt, compositum ex ambobus a, b tardius movebitur quam a solum : et sunt a, b eiusdem materiae : ergo moles maior eiusdem materiae tardius movebitur quam moles minor eiusdem materiae; quod quidem ex diame¬ tro illis opponitur, et est contra suppositum. Non est ergo veruni, quod moles magna citius moveatur quam parva, si eiusdem sint materiae ; 20 quod, in toto progressu 4 De caelo, contra antiquos, tanquam notuin supposuit Aristoteles. Vide ergo quam firmis fundamentis innixus eorum confutaverit opinionem, qui non ponebant (uti vere non est ponendum) simpliciter grave et simpliciter leve, sed tantum levius et gravius in comparatione ; et, consequenter, intueri potes quod habeant robur rationes illius, quibus absolutam gravitatem et lovitatem in terra et igne, quin imo et gravitatem aquae et aeris in propriis locis, tribuere conatus est. Sed, bis omissis, ad propositum rediens, dico, eandem etiam in vacuo rationem habendam esse ; nempe, mobilia quao fuerint eiusdem materiae, licet inaequalia magnitudine, eadem ferri so celeritate : quod eodem prorsus modo, quo in pieno, demonstrabitur. Do. Ad reliquorum problematum solutionem regredì potes, quam auribus arrectis expecto. Al. Nunc illius problematis meam accipito solutionem, quae ex solis supra positis innotescere potest: illius, nempe, in quo causa expe- 5. mobile a descendat moveatur — 21. celo — 30. eiusdem generis materiae — inequalia — eandem — DE MOTU. 405 tebatur, cur naturalis motus velocior in fine quam in medio, et hic quam in principio, existat. Memoria itaque repetendum est, quod supra fuit declaratum ; nempe mobile, dum motu violento movetur, moveri quousque virtus a motore impressa fuerit maior gravitate resistente : ex quo sequitur ut, quando grave desinit ascendere, virtus in eo im¬ pressa aequetur eius gravitati; ex quo aperte sequitur ut, cum grave incipit, moveri deorsum, tunc non moveatur simpliciter motu naturali. Nanque in principio talis motus est adirne in ipso mobili de virtute impressa, quae illud sursum impellebat: quae quidem, eo quod minor io est ipsa mobilis gravitate, ipsum amplius sursum non impellit ; at- tamen adirne resistit gravi deorsum petenti, eo quod adirne non sit adniliilita. Demonstratum est enim ipsam successive remitti; et bine fit ut mobile in principio sui naturalis motus tarde moveatur: quia deinde virtus contraria remittitur ac debilitato, movens, minorem inveniens rcsistentiam, celerius movetur. Ut si, exempli causa, intel- ligamus mobile quod ex a in b motu violento moveatur, cuius gravitai sit 4, manifestum est quod virtus, quae ipsum impellit, ^ 4 erit in quolibet puncto ab lineae, a motu violento descriptae, maior quam 4 : in ipso autem b non erit maior quam 4 (si enim 20 esset maior, ipsum mobile ultra b ab ea impellereto) ; nec etiam erit minor (nanque ante b fuisset aequalis; at demon- strata est quod semper fuit maior) ; ergo virtus in b erit aequalis gravitati mobilis, nempe erit 4. Cum ergo mobile recedit a b, virtus quae erat ut 4 incipit remitti, et, ob id, mobile incipit minorem habere resistentiam suae gravitati ; quae resistentia eo quod continue remittatur, bine fit quod motus naturalis continue intendatur. Do. Ilaec solutio satis superque arridet: attamen videtur tantum locum habere in ilio naturali motu, cui violento praecesserit. Sed quando quis liabens lapidem in manu, quem non sursum impellat, sed so tantum derelinquat, in hoc motu, cui non praecessit violentus, quae erit causa intensionis? Al. Istbaec dubitatio milii quoque in mentem venerat, cum pro- blematis explicationem exeogitarem; quam cum accuratius intuerer, parvi esse momenti depraehendi. Intensio itaque in utroque motu, tam in eo cui praecessit quies, quam in eo cui motus naturalis praei- vit, eandem ob causam accidit : nam etiam in motu naturali cui prae- 6. aequa tur suae eius gravitati et quando ex quo — 7-8. naturali aed nanque — 34. utroquae — DE MOTU. 40G cessit violentila, mobile recedit a proportene aoqualitatis, quao est, proportio quietis. Quocl ut apertius intelligas, attendo. Sit mobile o, cuius gravitas sit 4 : linea autem super quam fit motus violentila sit oe. Manifestum est itaque, quod in mobile o potest imprimi tanta virtus, quae ipsum moveat usque ad r; quao virtus neces- r sario erit maior quam 4, quae est gravitas mobilia : potest etiam imprimi virtus, quae illud moveat tantum usque ad t; quao etiam erit maior quam 4, et minor ea quao impellebat usque ad r: potest etiam imprimi tanta vis, quae moveat molom usquo ad s tantum; quae tamen erit maior quam 4, minor autem quam io illa quae impellebat usquo ad t : et sic in infinitum potest 4 semper imprimi vis, quae per quaecunquo minima apatia im- pellat mobile ; attamen virtus illa semper erit maior quam 4. lte- stat ergo ut illa virtus sit 4, quae mobile per nullum spatium motti impellit violento : ex quo patet ut, quando mobile o recedit ex marni, recedit cum tanta virtute, quae est ut 4; quae deinde a gravitate successive cum absumatur, motus intensionis est causa. Et hoc, quod dixi, lucidius etiam apparebit si considerabimus quod, quando quod grave in manu quiescit, cum sua gravitate deorsum premat, oportet quod ab aliquo, nempe a manu, tanta vi sursum impellatur, quanta 20 est sua gravitas deorsum premens : alioquin, nisi ab altera tanta virtute sursum impellente impediretur, deorsum peteret, si minor esset resistenti ; sursum vero, si maior. Patet igitur quod, cum a substinente relinquitur, grave discedit ipsum tanta virtute impressa, quanta est propria gravitas; ex quo sequitur etc. Do. Haec quae dicis admodum satisfaciunt ; attamen adirne restat nescio quid, quod mentem perturbai Nam si ex resistenti impressae virtutis accidit tarditas motus naturalis in principio, ipsa quidem ali- quando absumetur, cum asseras eam continue remitti; ergo motus naturalis, quando dieta virtus erit adniliilata, non ulterius concitatior so fiet: quod tamen multorum opinioni adversatur. Al. Quod hoc multorum opinioni adversetur, nil mea refert, dum- modo rationi et experientiae congruat, et licet experientia contrarimi! potius interdum ostendat. Si enirn ab alta turri lapis descendat, illius celeritas semper augeri videtur : hoc tamen accidit quia lapis, respectu 10. minor aut quam' —17. absumatur efficit motus — 21. est illius sua — 27. impraessae — 32. hoc etiam multorum — DE MOTU. 407 medii por quod fertur, nempe aiiris, est gravissimi!» ; et cum discedat cum tanta virtute impressa, quanta est sua gravitas, discedit pro- fecto cum multa virtute impressa, ad quam absumendam non sufficit motus ex altitudine ’turris: ex quo fìt, ut per spatium unius turris semper intendatur celeritas. Quod si acciporemus aliquod grave, cuius gravitas non tam longe aeris gravitatem superaret, tunc profecto oeulis ipsis cerneremus, ipsum, paulo post principium motus, semper uniformiter moveri, existente tamen aere tranquillissimo. Et idem etiam in lapide accidere perspiceremus, si et ex locis altissimis de¬ io mitteretur, et ita essemus constituti, ut semper eadem sub ratione lineam motus perspiceremus. Nanque etiam noster situs impedii, quo- minus motus uniformitatem depraeliendamus. Fiat enim motus uni- forrnis ex b in f, et sint he, cd, de, ef apatia aequalia; oculus autem aspicientis sit in a, et ducantur lineae visuales ab, ac, ad, ae, af : et quia motus ponitur uniformis, et sunt he, cd, de, ef apatia aequalia, transibi t ergo mobile per oa in temporibus aequalibus. Tempus ergo tran¬ sitila ex b in c erit aequale tempori transitila 20 ex c in d : motus tamen ex c in d velocior in- spicienti apparebit, cum et spacium cd maius a appareat spacio he (sub maiori nanque angulo spectatur). Et ita motus ex d in e velocior ap¬ parebit quam qui ex c in d, cum spacium de maius appareat quam cd, et aequali in tempore transeatur a mobili: et simili ratione, motus ex e in f velocior apparebit motu ex d in e. Quare et totus motus bf difl’ormis apparebit, et semper in fine velocior, cum tamen uniformis supponatur. Oportet igitur ad diiiidicandum motus uniformitatem et difforinitatem, ut spacium sit adeo amplimi ut in ipso possit mobile ao virtutem rosistentem absumere, et ut oculus ita sit dispositus ut ab angulorum dispariate minime decipiatur. Do. Satis superque pulcherrima tua explicatio a me percepta est. Itaque circa materiale liane non nisi unum tantum inquirendum mibi restat; et lioc est utrum credas, an grave quod deorsum demittatur et a movente aliqua vi deiciatur, in motu suo acceleretur sicut et 1. cum (Icscciwlat discedat — 2, 3. impraessa — 2. gravitas desceudit discedit — 7. ipsam — 31. dicipiatur — 35. vi proiciatur deiciatur — f I. 50 illud grave quod, descendens, a movente nullam vini deorsum impel- lentem recepit. Al. Ex lùs quae supra posita sunt patot quod grave descendens, et ex statai quietis recedens, eo usque in niotn acceleratili', quousque virtus impressa resistens adnihiletur ; quod si virtus illa ab externo motore extinguatur, tunc non amplius in mota accelerabitur. Ut, ver- bigratia, si grave, cuius gravitas sit 4, a statu quietis descondat, re- cedet profecto cum 4 resistentiao ; quae cmn a mobilie gravitate sit destruenda, segnior in principio fìet natura lis motus: quod si dieta virtus ut 4 ab externo motore absumatur, imprimendo in mobili vir- io tutem quae deorsum premat ut 4, tunc dnbio procul grave non ae- celerabitur amplius in motu, cani in principio a nulla resistente vir- I tute retardetur. At si ab externo motore virtus imprimatur deorsum impellens quae minor sit quam 4, hoc est quam virtus quae impressa erat in mobili dum quiesceret, tunc profecto mobile accelerabitur ; cum sit consumendum aliquid de virfcute contraria, quae ab externo motore non tota ablata fuit. Quod si mobili imprimatur virtus deorsum pellens maior quam 4, tunc velocior erit in principio naturalis motus: nani movebitur motu supranaturali, et quod excedat motum requi¬ sitimi suae propriae gravitatis. Ita ut suamet gravitas tunc haberet 20 rationem levitatis, eo quod ipsamet libera et simplex tardius descen- deret quam cum impetu coniuncta : violentine itaque deorsum impel¬ lenti resisteret propria et naturalis tarditas descendentis. Et hoc exemplo manifestabitur, quod unicuique natanti saepius accidit. C 011 - stat enim, quod homo in aqua existens, si voluerit, tanta est illius gravitas, quod descendet ad inumi usque ipsius aquae; et tunc, a propria gravitate tractus, uniformi motu demergetur: quod si ab externo motore, quantumvis maxima vi, deorsum impollatur, ut si ab excelso loco praecipitetur, in principio quidem in aqua motus erit valde concitatus et supranaturalis ; attamen a gravitate propria absoluta, so quae tunc, respectu gravitatis, quae cum impetu accepto est coniuncta, est veluti levitas, retardabitur motus, et eo usque donec descendens ad naturalem tarditatem devenerit; atque ita, si aqua satis fuerit pro- funda, non maiorem in fundo laesionem patietur, quam si ex aquao summitate proprio naturalique motu descendisset. 10. mobilia —16. aliquoi— 22-23. impellenti* - 24. sepius - 29. precipitetur — 31. gravi- tatis culti o2. est quodam veluti — 34. lestiotietti — DE MOTU.- 409 Ne ,r forte credas, Aristotelem existimasse non esse terram sirnpli- citer gravo sed id universaliter quod omnibus substat, vide t. 29, 4 Cadi, ubi dicit omnia habere levitatene praeter terram. Non valet quod dicit Aristoteles, 4 Caeli t. 32: Impossibile est ignem habere gravitatene, quia alii substaret. Si elementa transmu- tantur ad invicem, quomodo ignis non liabebit gravitatene, quando fit ex aere gravi ? (2) Aristoteles, 3 Caeli 27, dicit, in motu violento sicut se liabet maius mobile ad minus, ita se habere minoris celeritatem ad coloritatene io maioris, si ab eadem vi impellantur. Inopie quidom dubitatur, quomodo proiectum moveatur a virtute impressa : movetur enirn ut in aliis accidit motibus ; ut, verbigratia, in motu alterativo ferrane movetur et calefit ab igne. Ignis enim im- primit calorem; remoto deinde ferro ab igne, adleuc remanet calor, sed non virtute et calore ambientis, si deferatur in frigidissimum aérem; ferrum deinde paulatim ad frigiditatem movetur, dum fri- gefit : pari etiam ratione lapis movetur ab homine ; ab homine autom relictus adirne movetur, immoto anebiente et dune tendit ad quietem. Similiter etiam : quis pulsat campanam malleo, et privat eam silentio ; 20 movetur deinde campana, remoto pulsante, atque per eam discurrit 0. minoris ccleritas —10. malori —17-18. homine aut relictus — W Pensieri e frammenti : vedi V Avvorti- mento. Conserviamo tra l’uno e V altro di questi pensieri e frammenti un distacco, che, più o meno sensibilmente, apparisce anche nel manoscritto; sebbene talvolta tra più pen¬ sieri successivi siavi continuità d’argomento. W A questo pensiero segue nel codice il tratto dialogizzato da « Do. Siste, quaeso » a « Al. Dico ita gravia et levia non dici nisi * in comparatone», che abbiamo pubblicato da pag. 375, lin. 10, fino a pag. 378, lin. 3. Sebbene tale tratto non sia che uno svol¬ gimento di questo primo pensiero, puro ab¬ biamo stimato necessario staccamelo ed inserirlo nel dialogo, per le ragioni addotte nella nota a pag. 375. 410 DE MOTU. qualitas illa sonora, immoto medio (nec facit quicquam ad sonimi, etiam si moveretur medium ; nana dante quovis vento silet campana) ; sonus autem in ea remittitur successive; ipsa autem redit ad silentium. Et sicut etiam calor acrius in densa et frigidissima materia, ut ferro, imprimitur, quam in rara et minus frigida, etiam si ambo ab eodem calefìant calore, sic etiam ab eadem vi magia interdum mo- vetur gravius quiddam et longius et citius. Neque dicendum est, aerem sonare in campana: hoc enim stulto- rum est ; nam diversarum campanarum idem essot sonus, et tam lignea vel plumbea quam aerea sonaret campana. Triplox divisio motus: una, ratione spacii; et sic, alius rectus, alius circularis: altera, ratione terminorum ad quos; sic, alius sursum, alius deorsum : tertia, ratione principiorum efficientium ; et sic, alius natu- ralis, alius violentus. Aristoteles, 3 Caeli t. 27, asserit, ea quae moventur debere esse aut gravia aut levia; si enim essent neque gravia neque levia, vi mota in infinitum moverontur : et in t. sequenti dicit, aerem utrumque motum iuvare, nempe sursum et deorsum, et proiecta a medio ferri: si ergo medium aér, vi impulsus, in infinitum moveatur, cum neque gravis sit neque levis, portabit proiecta in infinitum. Philoponus, Avempace, Avicenna, D. Thomas, Scotus, et alii, qui tueri conantur in vacuo fieri motum in tempore, non bene discur- runt, ponentes in mobili duplicem resistentiam, alteram, nempe, acci- dentalem a medio proveniontem, alteram intrinsecam a propria gravi¬ tate. Nam hae duae resistentiae una sunt, ut patet; idem enim medium gravius plus resistit, et facit mobile levius. Averroes, 1 Caeli com. 32, inquit sphaeram non tangere physice in puncto. 13. efficienti^ — 21. Tomas — 25. lie — DE MOTU. 411 Alexander putavit, se bene opinionem Hipparehi de acceleratone motus naturalis in fine confutasse, postquam in contrarium adduxit motum naturalem cui non praecessit violentila: sedeerte etiam Hip- parchus non animadvertit, quomodo motum omnem naturalem prae- cesserit violentus, ut declaravimus. Repraehendenda est falsa illa opinio eorum qui dicunt, lapillo in aquam proiecto moveri postea per se aquam in girum. Burleus, super tex. 76, 8 Pliys., et Contarenus, 1 lib. De elementis, tribuunt causam accelerationis motus naturalis in fine, aeris partibus, io tum praecedentibus tum subsequentibus. Vide Aristotelem, 1 Caeli t. 88, ubi dicit, naturali» motus semper aligeri velocitatem, et, si in infìnitum moveretur, infinite quoque au- geretur velocitas. Vide et t. 89, ubi dicit, maiorem terram citius ferri minore, nec motum naturalem accelerari ob extrusionem aeris : nani sic maior terra tardius moveretur quam parva, quia difficilius extruderetur ; nec in motu acceleraretur, quia motus esset violentus, qui remittitur. Benedictus Pererius, in lib. 14 cap. 3 prope finem, ita scribit: Nec dubitante!’ dixerim, si spacium aeris, per quod saxum fertur deorsum, 20 esset infìnitum, eius saxi motum semper celeriorem et vehementiorem fore, nec ullam tamen eius ponderi factum iri accessionem. Animad- verte autem Pererii in sequentibus verbi» errorem. Dicit enim: Non recte concludit Aristoteles, Quia in motu naturali crescit velocita», etiam in mobili crescere debere gravitatelo : nana si lapis moveatur per spacium aliquod, priori parte densius atque crassius, posteriori autem tenuius et rarius, procul dubio motus erit velocior in fine, idque ac- cidet non propter incrementum gravitati». Levia non velocius moventur a maiori vi. Sicut palea vel stuppa non calefit plus a maximo et vehementissimo igne, quia non expectat so tantum calorem, sed prius a minori comburitur, sic levia non resi- stunt donec in eis imprimatur magna vis, sed antea moventur. 3-4. Hijyparcus — G-7. in aqua — 7. posta per se aqua — 20. esse — 412 DE MOTU. lulius Scaliger, in opere suo adversus Cardanum, exercitat. 0 28, adfert argumenta quaedam contra dicentes, proiecta ab aere mo veri. Inquit Themistius, super t. 74, 4 Pliys. : Cum vacuimi itaque cedat aequaliter, sed neque cedat quidem (quum enim id niliil sit, subtilis liominis est putare vacuum cedere), ita fìt ut differentiae gravium et levium, idest rerum momenta, tollantur, et, quod sequens est, omnibus quae moventur aequalis et indiscriminata velocitas accidat. Haec Tlie- mistius: quae quidem nedum falsa sunt, veruni eorum contrarium veruni est; in vacuo, enim, solum exacte et naturaliter differunt gra- vitates, et ibi solum maxime differunt motuurn celeritates. Scribatur io itaque caput, in quo liaec demonstrentur. Motor imprimit qualitates contrarias in proiecto, nempe sursum et deorsum: quia principium motus pendet a voluntate, quae pote- statem habet movendi brachium vel sursum vel deorsum ; et non est alia virtus impellens sursum, ab ea quae deorsum. Exemplum est de spira chalybea in horologiis, quae vel sursum vel deorsum, vel ante vel retro, movet, prout convertitur, liorologium: est eius intent.io semet explicare et dirigere, sicut brachii lapidem a se removere. (,) Erunt multi qui, postquam mea scripta legerint, non ad contem- plandum utrum vera sint quae dixerim, mentem convertent, sed solum 2 o ad disquirendum quomodo, vel iure vel infuria, rationes meas labe- factare possent. Melius est dicere, quae moventur naturaliter, a medio moveri, quam quae violentia. Aristoteles, p.° Caeli 89, dicit: Quae moventur, non ab alio, ut per extrusionem, moventur. Quod tamen contra ipsum tueri posset. 3, 7-8. 'J'emiatius 5. di/fercntia —16. calibea in orologiis —17. orologiua — 20. dixennt — ' ) Da « ot non est alia virtus » a « removere » è aggiunto in margine. DE MOTU. 413 Quoti fortius imprimatur virtus contraria in gravioribus, patet ex bis quae, filo suspensa, Ime illue moventur : diutius enim, cpxo gra- viora fuerint, movebuntur. Solidiora, graviora ac densiora diutius, acrius, faciliusque qua- litates contrarias conservant omnes ; ut lapides, qui in liiemo longo frigidiores liunt quam aiir, in aestate vero calidiores. Inquit Aristoteles : Quae moventur naturaliter, non per extrusio- nein moventur ; nam sic esset motus violentus et in line remitteretur, cum tainen augeri videamus. Ad hoc respondetur, motum violentum io remitti quando mobile extra manmn moventis fuerit ; veruni cium fuerit coniunctum moventi, ut si dicamus ab aere per extrusionem, quod ad propria loca fortur, moveri, non ost necessarium ut in fine motus de- bilior fiat. Definitio gravium et levium per motum tradita non est bona : nam grave vel leve dum movetur, non est nec grave nec leve. Grave enim illud est quod super aliquid gravat; at ei quod super alio gravat, ab ilio resistitili’; quare grave dum gravat, non movetur: ut patet si liabeas lapidem in manu, qui tunc gravabit quando manus illius gra¬ vitati resistet; verum si deorsum cum lapide moveatur, iam lapis in 20 manu non gravabit. Melius ergo definietur : Gravius est quod sub le- vioribus manet. Nanque si diceremus, Grave est quod deorsum manot, et leve quod sursum manet; non bene definiremus, cum sursum et deorsum non re, sed ratione tantum, distinguantur. 90 Considerandum est, an, si vacuum esset super aqua, quae in aqua moventur, tardiusne an citius moverentur ; et an diversa mobilia ean- dem servarent in motibus proportionem. Motus deorsum longe naturalior est motu sursum. Motus enim sursum omnino pendet a gravitate medii, quae mobili accidentalem 2. filo suspenduntur suspensa — 4. solidiora et graviora — diutius et acrius — G. estate —10. manu — 1G. aliquod — alio gravatur — 414 DE MOTU. levitatem tribuit : motus vero deorsum ab intrinseca mobilia gravitate fìt. Nulla habita ratione medii, omnia movebuntur deorsum. Motus sursum lit per extrusionem a medio gravi : sicut in lance minus grave sursum violenter a graviori movetur, ita mobile sursum violenter a graviori medio extruditur. Difficultatem scindendi medii non esse causam cur lignum non descendat in aqua, patet: cum enim haec ditfìcultas a forma mobilis superaretur, lignum iam descenderet, ut si in figuram coni voi sa- gittae efformetur ; attainen non minus hoc quam plana tabula su- pernatat. io De gravi et levi tractationcm matliematicam esse, testatili’ frag- mentum Euclidis. Telesius ait, causam accelerationis motus in fino esse quia materia pertaesa descensum motum accelerat. Probatur motum sursum non esse naturatemi 1 * Quod naturaliter movetur, non impeditum, movetur ad terminum in quo naturaliter qliiescit et a quo non nisi violenter regredì potest. Si ergo lignum naturaliter ascendit in aqua, ergo movetur eo, unde non nisi vi re- cedet: veruni lignum non impeditum fertur ad terminum qui est iuxta aquae superficiem : ergo inde non nisi vi recedet. Quod tamen falsimi 20 est; si enim submoveatur aqua, regredietur lignum, et naturaliter descendet. Neque dicas, terminum motus naturalis ligni sursum esse ipsam aquae superficiem, et ob id, si moveatur terminus, moveri et quod in eo erat: nani lioc est ridiculum. Terminus enim motus na¬ turalis non est aliquod corpus, sed ut sit oportet quoddam indivisi¬ bile et immobile: tale autem solum est centrimi. Ad centrum ergo tantum naturaliter quicquam fertur, et in eo naturaliter quiescit, et 11. viatematicam — lextatur —15. esse naturalis —17. violenter removeri regredì —18. ino- vetur ad terminum a quo non ni[si] eo — 20. ergo ibi inde — ^ Qui attraverso le cancellature si leg- * naturaliter quiescebat, movetur praeter ge : « Dum aliquid recedit a loco in quo * naturam ». DE MOTU. 415 non nisi vi removeri potest : ad centrum autem non nisi descendendo proficiscitnr. Amplius: quod naturaliter movetur, moveri debet ad ali quid determinatum : sed in eo quod sursum est, niliil est de quo dicere possimus, Hic est terminus sursum; verum infiniti termini esse possunt sursum, ot sursum in infinitum extenditur: ergo nihil natu¬ raliter in infinitum, ad indeterminatum, ac proinde sursum, moveri potest. At de deorsum non sic dici potest : est enim in deorsum ter¬ minus quidam, unus, finitus, imo indivisibilis, a quo ne latum quidem unguem quicquam, deorsum potendo, removeri potest; tale autem io centrum est. Neque dicas, esse terminum sursum, nempe concavum Q): nani hoc falsum est. Nanque terminus alicuius motus talis debet esse, ut quod ab eo recedit, non amplius moveatur eo motu cuius file erat terminus: at concavum 3 talis non est; non est enim ita terminus motus sursum, ut quod ab eo recedit, non adirne sursum moveri pos- sit. Sed centrum ita est terminus motus deorsum, ut nihil, ab eo re- cedens, amplius deorsum moveri possit. Longinquitas a medio est infinita; sed propinquitas est finita et ab ipsomet centro determinata : si ergo erit aliquid hac facultate do- naturn, ut medium fugiat, hoc certe in infinitum moveri aptum erit. 20 Quo quid absurdius? Ille non potest esse naturalis motus, cui terminus assignari non potest : sed motui sursum terminus assignari non potest : ergo motus sursum non est naturalis. Minor probatur : ibi terminatur motus, unde eodem motu recedere non licet (nani si ulterius eodem motu progredì posset, non esset ibi terminus) : at motus sursum nullibi ita termina¬ tur, ut inde eodem motu, nempe sursum, elongari non liceat: ergo motus sursum nullibi terminatur ; ergo caret termino ; ergo non po¬ test esse naturalis. Quod autem motus sursum nullibi possit statui terminus, a quo eodem motu elongari non liceat, patet: nam, assi- 30 gnato quocunque loco, potest ab eo recedi ascendendo, et assignari alius qui eo magis a centro distet. Maxima est disparitas inter motum sursum et motum deorsum. Nam, praeter ea quae mox dieta fuerunt, est etiam liaec differentia : nam motum deorsum nunquara accidit a medio iuvari, sed semper 3, 18. aliquod —16. moveri potest —• 25. esset ilio ibi — 4 41G DE MOTU. imperlili ; cum enim medium gravitatem mobilia minuat, impedit mo- tum : motum vero sursum nunquam fieri contingit, nisi a medio iùyetur. » Effectus positivi causa debet esse positiva ; ergo motus causa non potest esse levitas, quae est privatio. Eestat ergo, ut sit gravitas; et quae moventur sursum, moveantur a gravitate. Motum localem appellamus illuni, in quo mobilia centrum gravi- tatis movetur: quare caelestium orbium motus locales noii dicemus, cum eorum centrum gravitatis, quod magnitudinis etiam centrum est, immobile semper maneat. io Si corpulontia et densitas aquae causa esset cur lignum non de- morgitur, dubio procul eadem, postquam ab alio demersum fuit, im- pediret ne sursum rediret. Aristoteles Platonem redarguit de nimio geomctriae studio, p.° De generatione et corruptione. Aristoteles, B° Divinorum, particula 8, ita scribit: Noe enim sen- sibiles lineae tales sunt, quales geometra supponit : nihil enim sensi- bilium ita rectura atque rotundum; tangit enim circulus regulam non secundum punctum, sed sicut dicebat Protagoras redarguens geometras. 20 Aristoteles, 7 Pliys. t. 10, inquit, ad naturalitatem motus requiri causam intornam, non externam, motionis. Aristoteles, 3° Caeli, t. 72, dicit: Si ignis calefaceret propter trian- gulos, sequeretur corpora mathematica calefacere. 19 . IHtagoras — 24 . matematica DE MOTU. 417 Aristoteles, p.° Caeli 44, inquit, contrariorum si alterum determi¬ natomi est, sic oportere ut alterum etiam sit determinatimi ; et quia medium, quod est terminila motus deorsum, terminatimi est, et ipsum sursum determinatum esse oportere. Et ex t. 58 idem colligitur : (1) legas textum. Aristoteles, p.° Caeli 51, Velocitas, inquit, ad velocitatem est ut gravitas ad gravitateli!. Aristoteles, a t. 89 p. 1 Caeli, ostendit, quae naturaliter moventur, non vi et per extrusionem moveri. io Aristoteles, p.° Caeli t. 9G, scribit: Consuevinuis enim, oxtremum et quod sursus est maxime vocare caelum. Et t. 21 inquit: Etlocus qui sursum est, tribuitur Beo. Quae sursum moventur, magie violenter quarn naturaliter ascen- dunt : nam ascensus externam liabet causam, descensus auteminternano. Aristoteles, p.° Caeli t. 5, inquit: Dico autem sursum qui a medio, deorsum autem qui ad medium. 11. surus est — celum — t*) Le parole « Et ex t. 58 idem colligitur » sono aggiunte in margine. 418 DE MOTU. Quaeri !,) potest, an gravia vere ad centrimi moveantur; de quo Ptolemaeus, c. 7. p. 1 lib. Al. Utrum virtus impressa, tempore vel gravitate mobilia consumetur, Motus naturalis a quo fiat, Motus violentus a quo fiat. Utrum medium sit necessarium ad motum. An detur simpliciter grave et simpliciter leve. 121 An elementa in proprio loco sint gravia aut levia. De proportione motuum eiusdem mobilis in diversis mediis. De proportione motuum diversorum mobilium in eodem medio. i 0 , De causa tarditatis et velocitatis motus. An in puncto reflexionis detur quies. An motus naturalis semper intendatur et cur intendatur. Utrmn tarditas et celeritas motus naturalis sit a raritate vel de.... me.... In motu 3 considerantur : mobile, medium et movens. Quid prosit aut obsit figura mobilium motui. De proportione gravitatimi eiusdem gravis in diversis mediis, ex qua pendet quaestio de proportione motuum. Data medii gravitate et velocitate mobilis, datur etiam gravitas 20 mob.... Data gravitate mobilis et medii, datur velocitas motus. Data velocitate et gravitate mobilis, datur gravitas medii. (3) De motu circulari. Considerandum est de proportione motuum super planos inclina- tos, et an forte leviora citius in principio descendant; sicut in lance, quo minora fuerint pondera, eo facilius fit motus. 1. Queri — 2. Ptolmeus — 3. impraessa — 19. questio — (1) In questi ultimi pensieri od appunti, W Dopo « medii » segue, cancellato di indichiamo con puntolini i luoghi dove la mano dell’Autore: «Datis velocitatibus eius- carta è logorata. .w * dem mobilis, cuius gravitas datur, et data W E omesso « leve » nel manoscritto. » gravit.... ». DE MOTU. 419 Medium retardat ruotimi naturaiem hoc modo: ut, quando cam- pana descondit, est quodammodo corpus soliduru constans ex aere incluso.... metallo, et ideo est levior quam si non adesset aér. Mobilia leviora facile quidem raoventur, dum moventi fuerint con.... ; sed, extra jmoventis inanimi, parum temporis impetum.... Argomentimi dicentium, ideo motum in fine accelerari quia pau.... liabet locum in bis quae tota simili scindenda... non autem in his quorum partes tantum scindenti contiguae.... per in torebrando ligno. 7. locum nisi in — 8. tcrabrando — FINE DEL VOLUME PRIMO. INDICE DEGLI AUTORI CITATI. (I numeri indicano lo pagino.) Abra. 27. Achillinus. 70,77,105, 122,129,131, 133. Adamo. 27. Acgidius Ilomanus. 76, 77,91,92, 93,94, 95, 101, 111, 115, 118, 131, 134, 146. Agrippa. 39. Albatenius. 42, 43, 45, 52, 54. Albertus Magnus. 16, 21, 27, 56, 57,76, 77, 101, 105, 123, 130, 134, 160, 165, 167. Allmmasar. 53. Alcinous. 23. Alexander. 15, 16, 21, 23, 60, 63, 72, 76, 77, 96, 105, 108, 113, 124, 129, 130, 133, 319,411. Alfonsus Ilispaniarum rcx. 39, 42, 43. Alfraganus. 48, 49. Algazel. 105,122. Almainus. 146. Alpetragius. 50, 51. Ambrosius (I).). 34, 57. Ammonius. 130, 131. Anaxagoras. 22, 56, 59, 144, 156. Anaximone8. 56. Antoniu8 Andreas. 72,133. Apolloniii8 Pergaeus. 330. Archimedea. 206, 215, 216,233,300, 303, 331, 368, 379, 380. Aristarclius. 47. Aristoteles. 15, 16, 17, 18,19, 20, 21,22, 23, 24, 26, 27, 28, 30, 32, 33, 34, 36,38, 45,47,48, 50, 55, 56, 57, 58, 59,60, 61, 63, 64,65,66, 68,69, 72,73,74, 75, 77, 79,80,81, 82,84,85, 86,87,88, 89,90, 91, 92,94, 96, 100, 102, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 116, 118, 119, 120, 121,122, 123,124, 126, 127, 128,129, 130,131,132, 134, 135, 136,137, 138,144,145, 149, 152, 153, 155, 156, 157, 158,159, 160, 161, 163, 164, 165,166, 167,169, 170,174, 252, 253, 259, 260, 261, 262, 263, 265, 266, 267, 268, 269, 270,272, 276, 277, 278, 279, 282, 283, 284, 285, 286, 289, 290, 291, 292, 294, 302, 303, 307, 308, 309, 313, 315, 316, 318,323, 324, 325, 326, 328, 331, 333, 342, 345, 346, 352, 353, 355, 356, 357, 358, 359, 360, 365, 366, 367, 369, 37Ó, 374,375, 376, 377, 385, 386, 392, 393, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402, 403, 404,409, 410, 411, 412, 413, 416,417. Arsatiris. 38. Athanasius. 34. Athenaeus. 125. Attica s. 23, 63. Augustinus (D.). 23, 32, 34, 36, 57, 69, 70, 105. Avempace. 76, 77, 410. Avenestra. 45. Averroes. 15,24,36,48,64,69,70,71,72, 76, 77,83,84,85, 86,89,110,123,124, 422 INDICE DEGLI AUTORI CITATI. 125, 129, 130, 133, 134, 145, 155, 104, 167, 333, 410. Avicembron. 76, 77. Avicenna.76,77,103,105,122,126,133,410. Briccone (de) Ioannes. 72. Balduinus. 105. Basilius (D.). 23, 34, 57, 105. Beda. 40, 69. Bonaventura (D.). 34, 57, 76, 105, 14G. Borrius Ieronimus. 333, 367. Buccaferrus. 134, 167, 172. Burleus. 34, 111, 411. Caietanus Thienensis. 72, 76, 96, 101, 133, 14.6, 153, 172. Capreolus. 76, 96, 101, 111, 133,144, 146. Cardanus. 122, 1G0, 161, 412. Carpentarius. 122. Cartarius. 146. Chrysostomus (D.). 38, 57. Cicero. 23. Clavius. 43. Clemens Alexandrinus. 23. Contarenus. 122, 131, 133, 411. Copernicus Nicolaus. 43, 47, 326. Crantor. 63. Crates. 50. Crinitus Petrus. 36. Cyrillus (D.). 108. Damascenus. 34. Dama8us. 105. Davit. 64, 70. Democritus. 23, 28, 50, 56, 129. Dexippus. 130, 131. Diogenes. 91. Diogenes Laertius. 23, 127. Durandus. 29, 31, 34, 35, 72, 108, 111, 134, 146. Empedocles. 22, 56, 96, 126, 129. Epicurus. 56. Esaias. — V Isaias. Euclides. 414. Eudemus. 123, 124. liusebius Caesariensis. 23. Eutocius Ascalonita. 330. Ferrariensis. 32, 76, 105. Ficinus Marsilius. 34, 57, 72, 134, 167. Fons Dionigius. 368. Gabriel. 32, 112, 148. Galenus. 22, 122, 123,125,126, 129, 130, 162, 166. Gandavensis. — V. Henricus. Gregorius Arimincnsis. 32, 111, 134,146. Grcgorius (D.) Nyssenus. 122, 126, 129. Henricus Gandavensis.34, 111, 134, 146. Ilentisberus. 172. Ileraclitus. 103. Herveus. 111,134. Hesiodus. 103. Hilarius. 34. Hipparcus. 39, 45, 47, 319, 320, 411. Hippocrates. 122, 123, 125, 130. Iamblicus. 16, 63. Iandumis. 31, 72, 107,118,131,133, 145. lavelli. 134. Ieronimus (I).). 69, 105. Ioannes. 64, 70. Ioannes Canonicus. 32, 133. Isac. 105. Isaias. 64, 69, 70. Iustinus martyr. 23. Leucippus. 23. Lychetus. 72. Lyra (de) Nicolaus. 36. Marlianus. 172. Mathaeus. 64. Metrodorus. 50. INDICE DEGLI AUTORI CITATI. 423 Mileus. 39. Mirandulanus. 20, 70, 77. 105. Moses. 28. Moysis (ltabi). 70, 105. Nicolftus pcripatcticus. 130. Nicomedes. 330. Niphus. 16, 133. Nobilius Flaminius 129,134, 172. Occam. 32, 35, 112, 134, 145, 14G. Origenes. 105. Ovidius. 53. Paulus (D.). 65. Paulus Venetus. 133, 145,150,151. Pavcsius. 133. Pererius Hcnedictus.24,35,145,318,411. Petrus (I).). 64, G9, 70. Pourbacliius Gcorgius. 39. Philo. 63. Philolaus. 103. Philoponus. 23, 34, 50, 57, 63, 64, 70, 76, 77,06,123,130, 131,134,167,284,410. Plato. 22, 23,27, 38, 42, 50.56, 57, 63,76, 103, 105, 123, 124, 129, 292, 359, 416. Pleto. 23, 63. Plinius. 36, 41,162. Plotinus. 23, 57, 63. Plutarchus. 23, 56, 57,63, 103, 160, 161. Pomponatius. 167, 171,172. Porphyrius. 23, 57, 63, 130, 131. Proclus. 23, 24, 34, 36, 56, 63, 64. Protagoras. 416. Ptolemaeus. 38, 39, 42,43,44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 52, 54, 252, 314, 319, 342, 345, 368, 418. Pythagoras. 22. Regiomonte (de) Ioannes. 38, 39, 44, 45, 46, 48,50,51,54. Richardus. 146. Sacrobosco (de) Ioannes. 39, 48, 49, 50. Scaligor. 76, 77, 161,412. Scotus. 29, 35, 72, 108,112, 133, 134,145, 146, 148, 284, 410. Seleucus. 23. Severus. 63. SimpHcius. 15, 16, 17, 21, 23, 57, 60, 63, 64, 69, 72, 76, 77, 80, 87,103,104,108, 113, 118, 123, 124, 130, 131, 144, 15G, 288, 387. Sixtus Senensis. 27. Soncinas. 76, 101, 111, 133. Sotus. 144, 140. Strabus. 40. Syrianus. 10. Taiapetra. 133. Taurus. 23, 57, 63. Tebi. 39, 54. Telcsius. 414. Themistius. 18, 23, 72,130,134,145, 265, 294, 412. Theophilactus. 23. Theophrastus. 23, 80. Thienensis. — V. Caietanns. Thomas (D.). 15,21,27,29,30, 32, 33, 34, 35, 56, 60, 69, 76, 77, 82, 85, 86, 93, 105, 107, 108, 111, 121, 124, 130, 133, 144, 146, 167, 284,316,410. Timaens. 105. Timocharis. 38, 45, 47. Tolomaeus. — V. Ptolemaeus. Valeri ola. 122. Vallesius. 170. Vitruvius. 379. Xenophanes. 22. Zacut. 45. Zimara. 15, 72, 107, 131, 133, 145. nSTDTCE DEL VOLUME PRIMO. luvenilia.7 Tlieorcmata circa centrum gravitata solidorum.179 La llilancetta.209 Tavola delle proporzioni delle graviti! in specie de i metalli e delle gioie pe¬ sate in aria ed in aqqua.221 Postille ai libri de Sphaera et Cylindro di Archimede.229 l)e .. 243 Indice degli autori citati.421 1 » LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME II FIRENZE 0. Il A UBÈRA EDITORE LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume II. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L'ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA K T)I 8. E. BENITO MUSSOLINI Volume II, FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 1932 - X. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N°'169, Stabilimenti Poligrafici Riuniti pMlogna • l'jtf *J \ Promotori: della Edizione Nazionale II, lì. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. C/O ADIUTORE letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTI - G. GOV1 — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente ter i,a oura dei, testo: UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale è posta sotto gi,i auspicii DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI F. DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: ANTONIO GARBASSO. Consultori: GIORGIO A BETTI — ANGELO BRUSCHI. Assistente per i.a cura della Ristampa: (tASPERO BARBERA. FORTIFICAZIONI. AVVERTIMENTO. Due sono i Trattati di Galileo intorno alle Fortificazioni od all’Architettura militare, che dir si voglia fl \ o di nessuno è pervenuto l’autografo sino a noi. L’uno rappresenta, a parer nostro, un sunto delle pubbliche lezioni tenute dall’Autore nello Studio di Padova durante il primo anno del suo insegnamento, 1592-1593: l’altro fu, come per ogni rispetto ci sembra verosimile, steso da Galileo per uso del suo insegnamento privato ; perciocché è ben noto che, oltre a tenere intorno a questa e ad altre materie lezioni particolari, egli ne rilasciava copie manoscritte ai suoi uditori, ed anzi per la trascrizione di esse ebbe durante alcun tempo presso di sé e a’ suoi stipendi un amanuense Il primo de’ due Trattati, e, a nostro avviso, il più antico, ci fu conservato in due manoscritti, già appartenuti alla famosa biblioteca di Giovanni Vincenzio Pinelli in Padova, ed attualmente nell’Ambrosiana di Milano: l’uno, che chiame¬ remo A, con la segnatura D. 328 Inf.; l’altro, che indichiamo con B, sognato D. 296 Inf. Ambedue questi codici sono della fine del secolo XVI o del prin¬ cipio del XVII< 5 >; ed in B, tra più mani che s’alternano, quasi di diversi ama¬ nuensi che si succedessero nella copia, s’incontra anche quella di G. V. Pinelli, ( 4 ) Il cod. 488 <1, pag. (<) Memorie « lettere in et lite finora n disperso tli Hai ileo (/aitici, ordinate ini illiihtrute con annotazioni dal Cav. Giambattista Venturi, «re. l'arto Prima, ecc. Modena, per (1. Vinconzi o Coitip., MDCCCXVIII, pag. '26-7S. AVVERTIMENTO. Il a lui meglio corrispondente alla intenzione dell’Autore, lì vero è, però, che il co¬ dice da lui posseduto e spesso seguito, cioè quello clic noi abbiamo chiamato a, è, come presto diremo, tra i peggiori, so non forse il peggiore o il più arbitrario; e così molto lezioni del testo Venturi, dovute soltanto alla licenza del copista di a, mancano dell’ appoggio dei restanti manoscritti : inoltre l’editore bene spesso, trovando nella sua guida lozioni errate e senza senso, non si valse, per correggerle, degli altri esemplari, ma emendò a capriccio. S’aggiunga ch'egli am¬ modernò, se condo il costumo (lolla critica contemporanea, lo formo della lingua; e modificò la divisione in capitoli, o le figure illustrative. II tosto pubblicato nello posteriori edizioni, è copia di quello del Venturi, salvo alcune leggiero mutazioni, dello quali non vien reso alcun conto. Noi, risalendo allo fonti, abbiamo stimato opportuno di mantenere distinti l’uno dall’altro i due Trattati, dei quali possiamo ben dire che il primo vegga la luco ora soltanto in tutta la sua integrità. Abbiamo apposto a questo il titolo di Breve Inanizione all’Architettura Militare, desumendolo dalle ultime linee del¬ l’opera: il che ci è sembrato partito più sicuro, che non fosse lo accettare un più lungo e specificato titolo, il quale si legge nell’uno de’ duo codici< 4 >. 11 Trat¬ tato è accompagnato, no’ manoscritti, da alcuni Preliminari geometrici, nei quali, od in particolar modo per ciò elio si riferisco alla costruzione di certo figure regolari, non si devono cercare procedimenti rigorosi, ma semplici suggerimenti di costruzioni approssimate, aventi per iscopo la più facile e più comoda appli¬ cazione pratica. Noi tuttavia abbiamo riprodotto i detti Preliminari, giudicandoli parte dell’opera stessa; al qual proposito è da avvertivo, elio in maniera consi¬ mile incominciano alcuni dei più riputati libri dettati su tale materia all’incirca nel medesimo tempo, come sono quelli del Cattaneo, del Lanteri, del Lorini e del Pianimeli i P). Ài Preliminari abbiamo fatto seguirò completo il Trattato, atte¬ nendoci, anche quanto alla lezione, con fedeltà ai duo codici ambrosiani. La diligente collazione di questi ci ha dimostrato che il testo da essi offerto è sostanzialmente il medesimo, o che le differenze sono pressoché tutto di grafia, e nè troppo frequenti, nè troppo gravi. È molto probabile perciò che ambedue i codici siano derivati da uno stesso originale< 3 L come è certo che e l’uno e l’altro sono stati trascritti da copisti veneti; e lo dimostrano abbastanza certe alterazioni, di carattere dialettale, che spesso si sovrappongono allo forme toscane. Il cod. A presenta alcuni manifesti errori, che accusano l’ignoranza del copista, o che sono del Trattato galileiano; sia elio il Kiammelli attin¬ gesse al nostro Autore, o ambedue ad una medesima fonte. (3) Indizio di intimi rapporti tra i duo codici è anello il fatto cho lo leggendo, lo quali accompa¬ gnano lo figuro, paro siano in Ambedue della modo- si ma mano. (*) Vedi pag. 23. (*) Crediamo dover oltro a ciò avvertire, che nel¬ l'opera di questo (Il Principe difeso, ecc. In Roma, appresso Luigi Zannetti, M.DC. IIII) trovansi qua o là, ma soprattutto noi capitolo « Dello fortificazioni di terra, o suoi preparamenti o avvertenze» (pag. 114- 118), riprodotti quasi esattamente alcuni passi o figuro 12 AVVERTIMENTO. corretti dalla lezione di B: per contrario ci parve di ritrovare in .1. qual. he volta meglio che in B , certe forme prettamente toscane, le quali non possono attri¬ buirsi se non all 1 Autore. In tale condizione di cose, e non soccorrendoci più forti ragioni per dar la preferenza all’un manoscritto sull'altro, ci risolvemmo a seguire più specialmente il cod. A, del quale credemmo partito più opportuno riprodurre anche l’alternare che fa talora (ma non più dell’altro codice) una ad altra grafia nella stessa parola, poiché di siffatte incostanze anche gli autografi porgono riempi Lasciammo invece da parte, com’era naturale, oltre a quelle grafie che già furono evitate nella Bilancetta e poche altre consimili, ogni forma spropositata, o che ere demmo propria del copista piuttosto che dell'Autore; riempimmo, con la ‘•.erta del¬ l’altro codice, qualche lacuna, e correggemmo le lezioni errate, spesso pure con l'aiuto di B (i \ ma all’occorrenza non omettendo di emendare gli errori manifesti ili tutt’ e due i manoscritti; il che però avvenne di rado e trattandosi quasi empre di puri trascorsi di penna degli amanuensi. Sia rii queste ovvie correzioni'’, ma delle di¬ versità de’ duo codici, giudicammo, in generale, superfluo render conto al lettore. Delle figure, che sono forse dovute nelle due copie alla medesima penna, ci sembrarono preferibili quelle di B. Essendo poi i disegni semplicemente dimostra¬ tivi, abbiamo omesso (e come in questo, cosi nell'altro Trattato) la nln, che talora è data dai manoscritti, perchè quasi sempre non corrispondevano ad ism le proporzioni dei rispettivi disegni (4) . (*) Abbiamo dovuto far eccezione per le voci m- grazia doli'et un*fri! rh* m tutore a* -età alla vallerò in questo primo Trattato, artiglieria nel primo parola. I, alt:, forme • in n *.s c bel' ìr da\ e nel secondo, e baluardo nel secondo. Le forme m- d parve sufficiente fn»w qm re*-. • \t .« vantaggi' taUero, cavallie.ro. 0 artiglieria, artigliano, nrtilana. degli studi l> '.ricali artigliano, artigliarla, e baluardo, lalluardo . haloardo, (*) Pai cod. H furami» • .fr^'ti jua!. h* volta a halloardo, balovardo , baìlorardo, belluardo, hellorardo. prendere, per addattarci all** -*tiU tip frifidie s’alternano, respetti va monto nel cod. A del primo della pagina. anche \« parole < • m* . che cosi strana e disordinata, e con tanta frequenza, da far le fluire occupano: nel . he, .•••m’* naturale, t codici dubitare se cosiffatta, varietà sia dovuta all'Autore, e. variano spesso ad ogni modo, da recare, ove fosse conservata, troppo ( 3 > Tra irli errori di tutt e due i m«»., **he « i disgusto al lettore. Abbiamo perciò preferito la forma paiono notevoli, •*, m partir, lar m>do. quell.» dt anne r avaliero, cho anche nell’indicato passo è numerica- ehia ipag. ,Vri, «lato da de/? . -ru. rdi. « che. non monte prevalente, e costante in tutto il resto del trovando verun esempio di que«ta v. .. .■ rreggemmo Trattato; ma non ci dispiacque rimanesse quasi un te* in mo«o*g ' Corre* conservammo cavallic.ro che è di tutt’e due i codici: la gemmo pure mrp* di di /**-,. h«- fAlnre ricorre invece di qual forma rispettammo poi in tutto il secondo Trat- corpi di difesa: «ebbene quella ttirt<>u Attrazione del tato, nel quale co la offrono costantemente ben sei ma- plurale corpi «ul suo compimento rit.-rni anche in qual noscritti. Parimente adottammo come formo uniche che passo del ascondo Trattato, ••^-ùndo la baione di artiglieria e baluardo, quest ultima prevalente alcun alcuni manoscritti. Non propriamente *-rr t**. ma vizio poco in ni ed in n, costante in 6, c, d, r (in a, al con* o vezzo della scrittura, piu che della lingua, d allora tracio, è costante halloxardo ), e nel primo Trattato. abbiadi considerata la forma nedemo invece di mede- comunissima nei libri a stampa contemporanei e con- simni e non tenemmo conto, n** di quella, ne un cernenti questa materia: e soltanto abbiamo conser- prosa di tal genere) dell'altra forma medesmo vato da m la forma bellovardo a pag. 87, lin. 31, in (4) h, via di eccezione abbiacn«> applicato la tenia, AVVERTIMENTO. 13 Venendo al secondo Trattato, del quale adottammo il titolo Trattato di For¬ tificazione dato da alcuni codici, gli restituimmo i propri Preliminari geometrici, alquanto diversi da quelli del primo, e che i precedenti editori avevano soppresso sebbene siano dati da quattro manoscritti, cioè da quelli che segnammo con b, c, r, 6*. Quanto al testo, tra gli otto codici che contengono il Trattato, $ è copia quasi fedelissima di b\ e gli altri sette si vengono a raggruppare in tre classi o famiglie, delle quali una, che chiameremo ri, è rappresentata dai codici m ed n; la seconda, B, dai codici d ed a, che hanno di comune anche Tesser mutili delle ultime pagine del Trattato (dalle parole - secondo che va il filo di fuori > della pag. 143, lin. 27, in giù)* 4 *; la terza, C, comprende i codici b , c, r. Di queste classi, la prima è la sola che offra un testo quasi sempre puro e corretto; e in essa è singolarmente apprezzabile in, laddove n è macchiato di gravi e manifesti spropositi e di gran numero di forme dialettali venete, le quali tuttavia non sono rare neppure in in ; poiché l’uno e l’altro codice, anzi probabilmente anche tutti gli altri, da uno solo in fuori, sono dovuti a copisti veneti, come già si vide di quelli del primo Trattato. La lezione dell'una o dell’altra delle classi B e C offre spesso riscontro e conferma a quella di ri, alla quale più di tutti s’accosta il codice d, sebbene appaia scritto da amanuense piuttosto rozzo; invece a, come è più recente del fratello d y così spesso ammoderna le forme della lingua, o in altre maniere altera il testo, con maggior licenza d’ogni altro codice. La classe C presentii puro, a confronto di ri, gran numero di mutazioni minute, talora con un cerio carattere di saccenteria, quasi rappresentassero l’opera d’un revisore; al¬ cune volte poi frantende il testo genuino: in essa tuttavia sono preferibili b ed r , laddove c, che è il solo codice scritto da mano toscana, corregge, ma ad arbitrio, gli errori, dov’ è tuttavia sentore del buon testo, ne’ quali incorrono i suoi fra¬ telli, e così presenta una lezione esteriormente molto pulita, ma che dal confronto con gli altri testi apparisce alterata. Tenuto conto di tutte queste circostanze, non esitammo a prendere per fondamento della nostra edizione il cod. in, che fu da noi seguito, sia quanto alla lezione, sia quanto alla grafia, ben inteso con quelle stesse cautele e riserve con le quali adoperammo il cod. ri, nel primo Trat¬ tato. Fermato così il testo, ci parve cosa utile raccogliere a piè eh pagina anche un saggio delle varianti che risultavano dal confronto degli altri manoscritti, limi¬ tandoci però a scegliere, tra le numerosissime differenze, solo alcune di quelle che, avendo importanza per il senso, ovvero per il vocabolo (vuoi sotto il rispetto sin¬ tattico, vuoi sotto il rispetto lessicale), giovassero o a giustificare la bontà della alla figura di pag. 123, perchè, essendo incompleta ed errata in tutti gli esemplari manoscritti, abbiamo dovuto rifarla, giovandoci delle indicazioni fornite dal testo e dagli elementi de’ vari codici. 0) Furono per la prima volta pubblicati negli Inedita Gaìilaeiana , ecc., pubblicati ed illustrati da Antonio Favaho: nelle Memorie del li. Ietilato Veneto di Scienze, Lettere ed Arti ; voi. XXI, pag. 448*450. ( 2 ) Nel cod. « questo tratto fu supplito di mano del Ventubi, che lo trascrisse, ritoccandolo, da n. 14 avvertimento. lezione prescelta o a dare un’idea dello varietà dei tosti manoscritti ' 1 . lali va¬ rianti furono annotato, secondo i casi, o per classi o per singoli uhIì. i. Lo figuro, spesso errato no’ codici, preferimmo in generale di prenderle dagli Ambrosiani, emendandolo però qualunque volta ci sembrò neceviariii. (*) Non annotiamo mai gli orrori, neppure ilol cotlico proferito, so almcmo non hanno importanza, in qualche passo più incerto, corno riflesso o conforma di altre lozioni notevoli. Non teniamo conto dello omissioni, che, so sono del coti, m, suppliamo con Parato degli altri. Di raro notiamo lo lezioni proprio di un solo codice, quali più spesso le avremmo trovate in c e, più ancora, in a; ma delle differenze di que¬ sto pessimo codice abbiamo fatto poco caso: e nep¬ pure notiamo certo lezioni, die, so sarebbero note¬ voli considerate da sò sole, appariscono, in confronto dello lozioni di altri codici, racconciature arbitrari»*, introdotto allo scopo di tòglierò errori, i quali, alla lor volta, fanno capo al Ih buona lezione. A questo norme tuttavia abbiamo fatto eccezione talora, avendo speciali* riguardo a notar** U toiioi»« che al trina*»* in istAHipi* procedenti. »• dalla «piato hot ré dur««tai- aiino. lumi» di un recto pa**«> una data varianti-, per¬ eto* ci sembrai'»- noto» -to, iu>ti ri *»*m » pef,, ..bbllgati a registrare «Itr«- diSV-renz*- insignito *nti dal moda- siimi luogo, chi- pot*tw**r• • iwm effeci* ila altri ma- Homi itti, a confronto della leziose adattata tiri u«to: •• co«l pure raroifrltrmrmi. •**rt.* la «igU indicante una classe ili rodici, le varianti d»-' r«*li«-i di r«*a eia»*, ancorché tra di loro divora» per qualih* differenza di niun conto, prr lo piu fofietp « .. relativa a deai- m ilze tronche mi Infere Inftn»» n-n r« coltrammo mai le varietà riguardanti le {.aroje, c- n rtu n«4 u *\o »i rimanda alto figure, •* si acr«-nna a! f»«to «he occupano. BREVE OSTRUZIONE ALL’ ARCHITETTURA MILITARE. II. 1 Modo da tirare una linea a squadra sopra un’altra, da un punto che sia dentro essa linea. Come, per essempio, se vorremo sopra la linea A B, da un punto che sia dentro essa, come dal punto C, tirare una linea a squadra, aprasi il compasso, comunque si voglia; e posto una dell’aste nel punto C, segnisi con l’altra asta da una banda il punto I), e dall’altra il punto E. Di poi aprasi an¬ cora più il compasso; e fermando una io delle sue aste in punto E, volgasi l’altra ——- A 1/ in giro, segnando occultamente una par¬ ticella di arco, come si vede, verso il punto F ; ed il medesimo si faccia fermando un’asta del compasso in punto D: e dove li due archi si intersecano, notisi il punto F, dal quale si tiri la linea al punto C. E questa linea sarà a squadra sopra la linea A B. Modo di tirare una linea a squadra sopra un’altra, da un punto che non sia in essa. E se ci sarà di bisogno tirare una 2u linea a squadra sopra mia linea retta, da un punto che non sia in essa; come se, • f- ■ per essempio, vorremo sopra la linea A B dal punto C fuori d’essa tirare mia linea a squadra ; fermeremo il piede immobile del compasso in punto C, ed allargando il compasso, sin che l’altro piede passi sotto c A I) F. B 18 BREVE 1N8TUUZ10NE la linea, lo volgeremo in giro, segnando nella linea A 11 dm- punti I), E. Di poi, fermando un’asta del compasso nel punto E, descriveremo una parte di arco al punto F; e con la medesima apertimi di com¬ passo, fermando un’asta in D, descriveremo un altro arco, clic seghi il già descritto in punto F. Di poi, tirando una linea che passi per i due punti C, F, questa sarà a squadra sopra la proposta linea AB: come desideravamo. Ma se vorremo sopra la linea A B tirare una linea a squadra da una delle sue estremità, la regola sarà questa, lo Aprasi in qualunque modo il compasso; e fermando un’asta in A, notisi con l'al- _ tra il punto (’, il quale sia in qualunque n modo sopra la linea A B. Di poi, senza stringere o allargare il compasso, fermata un’asta in (', con l’altra si tagli la linea A B, come si vede in puntoli; e tenendo pur ferma la medesima asta in C, volgendo l’altra in gin», si descriva occultamente una parte di arco sopra il punto A, come si vede al punto K. Fatto questo, tirisi una linea occulta per i punti I). (’, la quale tagli l’arco „ pur ora segnato, in punto E; dal qual taglia -20 V. mento si tiri al punto A una linea retta: la ; quale sarà a squadra. Modo di dividero la linea. .__Se vorremo dividere una linea in due parti A 11 eguali, come nell’essempio la linea A B, fer¬ meremo il piede immollile del compasso in A; ed allargando il compasso, comunque si vo¬ glia, più che la metà della linea A B, descri- d veremo due archi, come si vede ai punti (’, 1); e con la medesima apertimi, fermando un'asta 30 del compasso in B, faremo, come si vede, le due intersecazioni (’, I). E tirando dal punto C al punto I) una linea occulta, questa ci segherà la proposta linea A B in parti eguali, come si vede nel punto E. Divisione dell’angolo in parti uguali. Ci occorrerà spesse volte, nel disegnare le piante di qualche for- all’ architettura militare. 19 tezza, dividere per il mezzo qualche angolo : però ne mostreremo al pre¬ sente il modo. Siaci, per essempio, di bisogno di dividere l’angolo BAG, Fermisi un’asta del compasso in A ; ed allargatolo a beneplacito sopra le due linee A11, A C, notimi li due punti a I), E, sopra li quali, con qualsivoglia aper- tura di compasso, si faccia l’interseca- / \ zione F. E tirato la linea A F, questa ci / \ dividerà l’angolo in due angoli uguali. / \ Nella presente figura ci viene dise- / \ io gnato il modo che dobbiamo tenere per / \ costituire un angolo uguale ad un altro. 1{ / "" \ c Come, per essempio, se averemo l’an- 1 golo A fi C, e ci sia di mestiere alla linea 1) E nel punto D costi¬ tuirne un eguale; con qualunque apertura di compasso, fermata un’ asta in punto B, deseri- K, veremo l’arco F G, il quale a / seghi le linee B C, B A ne ./ i punti F, G; e senza va- riare il compasso, faremo il . Fv/ \ 20 simile nel punto D, descri- yS\ d -•—— ---- vendo l’arco H I. Di poi pi- / glieremo con il compasso la « c distanza G F e questa trasporteremo nell’ arco HI, la quale sia HI ; e per i punti D, I tireremo la linea D K, la quale costituirà l’an¬ golo K D E eguale all’ angolo ABC: che è quello che dove¬ vamo fare. Per descrivere il quadrato, tirisi prima la li- quadrato nea A B della grandezza che ne piacerà; sopra la quale dal punto A si tirerà la linea a squa- 30 dra, come di sopra si è insegnato, segnando prima, secondo la lunghezza della linea A B, fermata l’asta del compasso in A, l’arco oc¬ culto, come si vede al punto C; nel qual arco deve terminare la linea A C. Posta poi 1’ asta immobile del compasso ne’ due punti C, B, con la medesima aper- 20 BREVE DISTRUZIONE tura, ciò è secondo la lunghezza della linea A B, faremo l'intemn-azione al punto D; al qual punto da i due punti C, B si tireranno le due linee CD, BD: lo quali chiuderaimo il quadrato. 11 modo di descriver il pentagono lo piglieremo da Allerto Du¬ i-ero: e sarà tale. Prima tireremo la linea A B, secondo la lunghezza che ci pia- Penta ono eerà c ^ e 8 * a ^ I K ' nt * l £Ono. Di poi sopra i due centri A. B si descriveranno due cerchi, secondo l'intervallo di essa linea A B, tra io le communi intersezioni de i quali si tirerà la linea GL; e circa il punto G, col medesimo intervallo, si descriverà l’arco E A IBP; e per i due punti K. 1 si tirerà la linea E I C, e similmente per i due punti F, I si tirerà l’altra linea FID. Di poi, fermando l'asta del com¬ passo ne i due punti D, C, con la?medesima apriturn, secondo la lun¬ ghezza della prima linea A B, si farà l’intersecazione, come si vede al 20 punto H; dal qual punto si tireranno le due linee 11 1). HC, tirando in oltre le due DA, CB: e sarà descritto il pentagono UBABC. Avvertendo, che tutta la costruzione di questa figura si potrà far oc¬ culta; eccetto però che i lati del pentagono. Esagono U modo di costituire l'esagono sarà e questo. Facciasi centro il punto C; ed allarghisi il compasso tanto, quanto vogliamo che sia 1 lato dell’esagono, e descrivasi il cerchio; e la medesima apertura si trasporti ne’ sei 30 punti A,B, D, E,F, G, i quali misureranno a punto la circonferenza; e tra l’uno e l’altro d’essi punti tirimi le linee rette, come si vede: e sarà constituita la figura di sei lati. Avvertendo, che il cerchio si potrà far occulto. all’ architettura militare. 21 E pt agono Se vorremo descriver la figura di sette lati, prima descriveremo il cerchio, come qui sopra si vede, intorno al centro A; di poi tire¬ remo dal centro alla circonferenza una linea, qual è la linea A B, e questa divideremo in parti eguali in punto C; e di poi vi tireremo sopra la linea a squadra D C E, prolun¬ gandola dall’ima e dall’altra parte sino alla circonferenza del cerchio. Presa di poi la metà di essa linea D E, ciò è la linea D C, questa sarà il lato della figura di sette an¬ ni goli. Però che trasportando la distanza 1) C sette volte nella circonferenza del cerchio, verranno notati sette punti, come sono li E, F, G, H, I, K, L, egualmente lontani in fra di loro; tra i quali tirando le linee rette, aremo disegnata la figura che desideravamo. La figura di otto lati eguali si descriverà con facilità, in questo modo facendo. Descrivasi prima il cerchio, come si vede nella presente figura; nel quale si tireranno di poi due diametri a squadra, li quali di- 20 vaieranno la circonferenza del cerchio in quattro parti eguali, come è manifesto, ne i punti A, D, B, C. Fatto questo, si dividerà in parti eguali ciascheduno degli archi AD, D B, B C, C A (e questo si farà con la mede¬ sima regola, con la quale si è mostrato di so- C pra il modo di dividere una linea retta in parti eguali) ; e sarà divisa tutta la circonfe¬ renza del cerchio in otto parti eguali. Onde, F tirando linee rette tra i punti conseguenti so delle divisioni, verrà descritto l’ottangolo; conforme al desiderio nostro. Ottangolo A Quando ci occorrerà per un dato punto tirare una linea equi- - distante ad un’ altra, come, per essempio, se per il punto C ci fosse di bisogno tirare una linea equidistante alla A B, fermeremo a Linee parallelo C E t> B 22 BREVE ISTRUZIONE ALL’ ARriIlTKHTRA MILITARE. un’asta del compasso in punto 0; di poi h’ allargherò o stringerà detto compasso, sin che, descrivendo con l’altr’asta l’arco, come si vede, al punto D, questo tocchi precisamente la proposta linea A B, come nella presente figura si vede. I)i poi, servando la medesima apertura si metterò l’asta immobile nel punto B, descrivendo con l'altra l’arco segnato E. I)i poi per il proposto punto (’ ri tirerà una linea che tocchi esquisitamonte l’arco E; e questa sarà equidistante a essa AB. Usavano anticamente, per difesa delle loro città, cingerle di mu¬ raglia atta a resistere a quelle offese, che da diversi stronfienti del nimico le venivano ; e per proibire le scalate, e che il nemico non s’ac¬ costasse sotto la muraglia, uscivano in fuori della cortina con tor¬ rioni o rivellini (1) , come nella sopra posta figura, si vede : li quali, facendo fianco, davano comodità a i difensori di poter, con sassi, ba¬ lestre ed altre armi da lanciare, tenere il nemico lontano dalla mu¬ raglia. Ma sendosi poi accresciute 1*offese con Tessersi trovate Tarti¬ glierie, le quali con forza grandissima e da lontano offendono, è stato io di mestiero trovare altre maniere di difese ; sendo le già dette, per la forma, per la piccolezza e per la debolezza, inabili a resistere al- Nel ood. A, in capo al Trattato, ò scritto in inchiostro rosso, non si vede bene so dalla me¬ desima mano elio ha esemplato il testo, il seguente titolo: Breve Trattato del Signor Galileo Galilei, lettor di Matematica nello Studio di Padova, dove per via di compendio insegna il modo di fortificar le città e d f espugnarle, diviso in due parti. E in margino: 25 maggio 1593: rispetto alla qual data, vedi VAvvertimento, pag. 9, n. 3. ( 4 > 11 cod. lì reca, a pie’ del testo, le due seguenti note, di mano di Giovanni Vincen¬ zio Tinelli : « TI rivellino propriamente è > tondo, ed alcuna volta abusive si chiama » torrione >. — < TI torrione propriamente è > di forma quadra ». II. 2 24 BREVE DISTRUZIONE l’impeto dell’artiglierie. Perciò che, quanto alla forma, ne' torrioni è tale, che non viene difesa da tutte le parti, come dalle facci»! d’manzi è manifesto; il che avviene ancora ne’rivellini, che, per esser rotondi, qualche parte di loro rimane indifesa, come per le linee tirate è ma¬ nifesto : quanto alla piccolezza, non ci si potendo maneggiare l’arti¬ glieria, restano inutili : e quanto alla debolezza, senile i torrioni di semplice muraglia, possono fare poca resistenza. Per queste cagioni è stato di mestiere trovare altre maniere di fortificare, per le quali si possa, almeno per qualche tempo, resistere alla violenza dell’artiglierie ed a gli assalti del nimico. Però, por po- io tere ciò conseguire, metteremo qui appresso li modi più utili che sin ora sieno stati ritrovati; e per procedere con chiarezza ed ordine, fa¬ remo principio dalla dichiarazione de’ termini, ciò è da i nomi de' corpi di difesa. Devesi dunque prima sapere, che qualunque linea che sopra un’altra è in qualunque modo inclinata, talmente che da tutte le sue parti la vegga e scuopra, si domanda farli fianco ; come nel sottoposto essempio la linea A B si dice fiancheggiare , o vero far fianco alla linea A C : A_C Fianco B 1 C e quella parte, che rimane guardata da i fianchi e posta fra di loro, si domanda cotiina. 20 Cortina ti perche sopra i fianchi, per difesa delle cortine, ci si devono ina- neggiare artiglierie, bisogna che detti fianchi siano talmente fa- all’ architettura militare. 25 bricati e di tal grandezza, che sieno capaci ed atti a tale ufficio, e di tal figura che possino ancora essi scambievolmente difendersi. E tutti questi fianchi, con tali regole fabbricati, si domandano corpi di difesa ; i quali corpi sono molti e diversi, secondo eh’in diversi luoghi sono posti ed a diversi usi servono. Tra tutti i corpi di difesa, il più importante è il baluardo ; il quale è costituito (1) da due fianchi e due faccie, o fronti che dire le vo¬ gliamo; e si costuma fabbricarlo sopra li angoli delle cortine, come appresso si vede. io Nella fabrica de’ quali due cose principalmente si awertiscano : l’una è, che i fianchi faccino angolo retto sopra la cortina; l’altra, che le faccie sieno vedute e difese dal fianco opposto, come per le linee punteggiate nella figura, preposta si vede. Seguono, appresso i baluardi, alcuni corpi di difesa chiamati piat¬ taforme ; le quali sono di due maniere, ciò e piatta forma e piattaforma rovescia. La piattaforma si usa fare tra l’uno e l’altro baluardo, e massime quando la cortina si riflette in dentro: e si costituisce an¬ cora. essa di quattro linee, ciò è di due fianchi e di due faccie ; ed è differente dal baluardo, per esser più piccola e posta nell’ angolo 20 interno della, cortina, ed il baluardo su l’angolo esterno. La piat¬ ii Il cod. A inserisce questo glossema : » giierlo dalla piatta, forma, su Vangolo ester- < il quale è costituito ( aggiungi, per distili- » no) da duo fianchi e due faccie, ecc. ». 26 BREVE DISTRUZIONE taforma rovescia si fa tra l’uno u l'altro baluardo, quando la cortina è tanto lunga che le difese per le lontananze rimangano debili ; e per esser la cortina diritta, non si viene in fuori, per non impedire i fianchi de’ baluardi opposti : ed il suo uffizio è di difendere le faccio de’ baluardi, come nella figura appresso si vede. Pini la forma rovescia Appresso si dirà d’un altro corpo di difesa, nominato cavaliero. TI cavaliero è differente da gli altri corpi di difesa, perchè l’ufficio suo principalmente è difender la campagna ; e per questo si usa fare più alto del restante del ricinto della fortezza : ed alcuni si doman¬ dano cavalieri a cavallo , altri cavalieri assolutamente. Il cavaliero a io cavallo si fabrica in su la cortina fra i baluardi, parte fuora e parte dentro : e la parte esterna è simile alla piatta forma nella figura e nell’uffizio, il quale è difendere la cortina e le faccio de’ baluardi, e spazzare la campagna. Dalla parte di dentro si fanno duefpiazze, Salita che fanno fianco quando occorre fare la ritirata. I ntn/lirri si pos- son fare Ira l’uno e l’altro baluardo, ed a canto, <» plici Cavalieri si posson .... » ; con glossema t 2 ) Nel cod. H manca 1 inciso < perché ed omissione del soggetto < 1 cavalieri >, a > .... minor effetto >. all’ architettijra militare. 27 siano battuti, che le scaglie della batteria non impediscano quelli che sono alla difesa del baluardo o della cortina in su la quale è posto il cavaliero. Alle volte occorre fortificare un sito, parte del quale, per esser circondato da. balze, è per natura inespugnabile, e da qualche parte essendovi la salita, ha di bisogno d’essere recinto ed assicurato. In questo caso si tira una cortina da un estremo a l’altro del precipizio, e si formano in su le due estremità di detta cortina (lue mezzi baluardi, i quali terminano sopra il precipizio. E questa tale sorte di fortificazione io si domanda forbiciai la figura della quale è manifesta qui appresso. Balzo Forbici* Balza Ma quando frissi di bisogno fortificare una salita d’ima costa, sopra la quale, per l’inegualità del sito, malamente si potessero accommodare i baluardi o altri corpi di difesa, allora si viene circondando con al¬ cuni denti ; i quali altro non sono che fianco e cortina, come nella sotto figura si vede. Si costuma ancora circondare con denti un forte, dove sieno gli alloggiamenti d’uno essercito, facendo per comodità la distanza fra 28 BREVE DISTRUZIONE l’uno e l’altro fianco tanto breve, bugi : il qual modo di fortificare Porto per porro gli allogglnniontl fossa, le fanno sotto la controscarpa, vote dentro e piene di feritoie, pe che possa esser difesa con archi¬ ti da apprezzarsi, per potersi con brevità di tempo e con facilità mandare ad essecuzione. K di que¬ sto modo n’è l’essempio nella con¬ trascritta figura. Si connumerano ancora fra i corpi di difesa le mar Diritte , e queste s’usano porre in diversi luoghi : alcuni le appiccano alla io cortina; altri sotto i fianchi di 1 ' ba¬ luardi; altri nella fossa, separate dalla cortina; altri le pongono ne gli angoli della controscarpa; ed altri, acciò non resti impedita la Si posson fare di qualunque forma, ' le (piali, con moschetti ed archi- Casa matta Cosa innitR Casa matta Appiccila alla >.OMina appiccala alla fortini Casa matta bugi, si possa in tempo di bisogno accrescerò la difesa della fossa. E per mio parere, sono state così chiamato per essere difesa non principale, ma inatte , quasi magia a urtar. 20 Essendosi dichiarato di sopra i termini ed i nomi do’ corpi di di¬ fesa, seguita che noi cominciamo a dichiarare il modo di formarli piu utili e più perfetti che sia possibile. E questo più facilmente con¬ seguiremo, allora quando particolarmente sapremo quali sieno le per¬ fezioni e 1 imperfezioni di detti corpi di difesa : por il che le nude¬ remo ciascheduna investigando e dichiarando ; e per ciò conseguire, ci porremo davanti il fine per il quale detto fabriche si devono fare. E il fine, per il quale si formano i baluardi e gli altri corpi di di¬ fesa, difendere il recinto, difendersi Timo e V altro scambievolmente, 29 all’ architettura militare. resistere alle offese del nimico, ed offendere esso nimico : però il ba¬ luardo (e quello che si dice del baluardo, intendesi de gli altri corpi di difesa) deve esser gagliardo alle offese e capace per le difese. Ed acciò sia gagliardo, si deve primamente cercare eli’ i fianchi siano grandi, e l’angolo delle faccie meno acuto che sia possibile: perciò che, sendo il fianco grande, la spalla si potrà fare più grossa ; e quando l’angolo sarà meno acuto, meno facil sarà esser tagliato dal nimico. Ma perchè la grandezza de’ fianchi cagiona l’acutezza dell’angolo, o veramente fa che le difese non si possono pigliare se io non lontane, però, per accommodarsi all’ una ed all’ altra cosa, bisogna tenere una strada di mezzo, come appresso si dichiarerà. Volendo fug¬ gire l’acutezza del baluardo, è necessario sapere prima le cagioni le quali ci sforzano a farlo acuto, acciò le possiamo fuggire; e queste cagioni sono tre : la prima è l’acutezza dell’ angolo sopra il quale si fabrica il baluardo; la seconda è quando il fianco è molto grande; la terza è quando le difese sono prese molto da presso, come nelle sotto scritte figure si vede. 30 BREVE DISTRUZIONE Dovendo, come di sopra si è accennato, i corpi di difesa difendere le cortine ed assicurarsi l’un l’altro, sondo che le difese si possono fare in due maniere, bisogna vedere quale è la più utile e da ap¬ prezzarsi. Le due maniere delle difese sono, o ficcando, o strisciando : e lo strisciare altro non è, che quando il tiro va puralello alla cor¬ tina o faccia che si difende; il tiro di ficco è, quando fa angolo sopra la faccia o cortina, toccandola in un solo punto. Ed essendo queste due maniere di difese molto diverse fra di loro, alcuni hanno stimato migliori quelle che strisciano, ed altri quelle che decano. 1 primi di¬ cono, che la offesa delle scalate non può se non levarsi con tiro che strisci (,) ; perciò che quando alla cortina o faccia del baluardo saranno appoggiate le scale, la cannoniera che striscia ne può tagliare molte in uno sol tiro, dove che la cannoniera che ficca non ne può levare I 1 ) In ambedue i codici: ficchi. all’ architettura militare. 31 se non una per volta: e per questo questi tali apprezzano più il tiro che strisci. Quelli che vogliono il tiro di ficco, si muovono a cosi giudicare, perchè il tiro che ficca è accomodato ed atto a levare l’offesa della zappa e piccone, la quale è grandissima e forse di più importanza di tutte l’altre; dove che il tiro che strisci, pur che il nimico abbia cavato in dentro nella cortina o faccia del baluardo tanto che un uomo solo vi possa stare coperto, non può ar¬ ie recare difesa alcuna, ma resta del tutto inutile : come per le contrascritte figure si può comprendere. Sonovi dunque ragioni dal- l’una e l’altra parte molto potenti. Potremo determinare, per supplire a l’uno ed all’altro bisogno, di fare che ci sieno cannoniere che fic¬ chino, ed altre che striscino; come nella fabrica del nostro baluardo dimostreremo. Dovendo ora mai venire a dichiarare il modo di descrivere le piante delle fortezze, con quelle misure e proporzioni che pareranno più atte 20 a rendere la nostra, fortificazione tale quale si desidera, prima che più oltre passiamo, è da avvertire, che non potendo noi disegnare in campagna aperta a nostro beneplacito tali piante, e per ciò vo¬ lendole disegnare sopra ima carta, tela, tavola, o altro spazio pic¬ colo, fa di mestiero, che quelle braccia, piedi, o pertiche, con le quali vogliamo misurare la nostra vera fortezza, si riduchino a misure così piccole, che possino capire nella superficie piccola eh’aremo inanzi: e per questo s’usa fare la scala delle braccia, piedi, o altre misure che s’adoprano. Le (piali misure, perchè non sono le medesime in tutti i paesi, e noi non possiamo parlare se non di una, ci serviremo 30 ne’ nostri disegni del braccio comune toscano, la quarta parte del quale è quanto la infrascritta linea: Avvertendo che, quando s’averà a misurare im recinto con altre brac¬ cia e misure, secondo che dette misure saranno o maggiori o mi¬ nori delle toscane, si doverà proporzionatamente crescere o scemare 32 BREVE COSTRI ZIONE il numero delle braccia eh’a ciascheduno membro della fortezza aremo assegnate: come, per essempio, se il braccio padoano fosse tanto più lungo ch’il toscano, ch’ogni quattro braccia di Padova importassero cinque braccia toscane, si doveri» per ogni «àmpie braccia toscane scemarne uno; come, per essempio. se una faccia di un baluardo doverà esser cento braccia toscane, si farà ottanta braccia padovane. La scala si deve formare in questa maniera. Considerisi, a un di presso, quante braccia può essere lungo il maggior diametro del recinto, che vogliamo disegnare; il quale, per essempio. sia due mila braccia: di poi si consideri la tavola sopra la «piale vogliamo disegnare IO tal recinto, il maggior diametro della «piale ci n»ppivsent«-rii una linea di due mila braccia; e secondo tal linea pigliandola ventesima parte, questa ci rappresenterà una lunghezza «li cento braccia ; la «piale se divideremo in dieci parti uguali, ci darà V intervalli» «li dieci 1 miccia; e questo di nuovo potremo dividere in dieci particelle, ciascuna delle quali importerà un braccio: e con «piest* 1 misure formeremo i membri della fortezza, con le proporzioni che di sotto le saranno assegnate. E quando noi volessimo ridurre una pianta in forma maggiore o mi¬ nore, come in maggioro il doppio, o minore la metà, faremo un’altra scala, ch’abbia le braccia maggiori il doppio, n minori la metà. 20 Dovendo venire a determinare le misure delle membra della no¬ stra fortificazione, prima parleremo della cortina posta tra l'uno e l’altro baluardo: e di questa veramente non si può «lare una misura determinata. E la ragione è. che s’in averi» a fortificare uno recinto piccolo, le cortine tra l'uno e l'altro baluardo verranno di neces¬ sità brevi; dove che, s’io volessi osservare la medesima proporzione in uno recinto maggiore, bisognerebbe moltiplicare un numero grande di baluardi. Però in questo caso bisogna regolarsi scrollilo la grandezza del sito, ed ancora secondo 1 artiglierie « he annuo in nostra difesa. Perciò che s’io avessi a difendere un sit«» rim pezzi meno che reali, 30 sarei forzato a moltiplicare i baluardi tanto, clic le cortine tra essi non venissino troppo lunghe; ma questa maggiore «> minore lun¬ ghezza di cortine non rideva molto, atteso clic la loro fortezza depende dal terraglio. Vanghiamo ora a trattare de’ fianchi : i «piali si dividono in due parti, ciò è nella piazza da bassa «> nella spalla. La piazza da all’ architettura militare. 33 (tasso deve esser tanto larga, che ci sia spazio per due cannoniere, e per il merlone tra esse cannoniere: e per questo non vorrà esser manco di ventiotto o trenta braccia, a volere che comodamente ci si possino maneggiare due pezzi d’artiglieria, e vi sia luogo per il bom- bardiero. La spalla, eh’è quella che cuopre e difende la piazza da basso, per essere difesa importantissima, bisogna che sia tale, che, quando anche venga battuta dal nemico, le sue medesime rovine non si abbassino tanto che lascino la piazza scoperta, anzi rimanghino tanto alte che con l’altezza loro la ricoprino e difendino. E per ciò io bisognerà che la grossezza di essa spalla sia più tosto più che meno di quaranta braccia; talmente che, tra la piazza e la spalla, verrà tutto il fianco largo settanta braccia e da vantaggio. La scarpa è stata giudicata molto utile e necessaria alle mura¬ glie delle fortificazioni moderne per molti rispetti. E prima, perchè, dovendosi terrapienare le muraglie, per il calcare e premere che fa il terrapieno, facilmente la cortina si arrovescierebbe in terra, se dalla scarpa non fosse ritenuta. Oltre a ciò, quando per la batteria fosse rovinata la camiscia di fuori, se il terreno non restasse a scarpa, non si potrebbe per se stesso sostenere, ma cascherebbe a basso. E utile 20 ancora la scarpa per le batterie : perciò che, ferendo l’artiglieria a angolo obliquo, o, come si suol dire, a scancio, non si può così ap¬ piccare e fare effetto, come quando batte a angolo retto. Giova ancora la scarpa per rendere più malagevoli le scalate, sendo costretto il nemico appoggiare le scale molto lontane dal perpendicolo della 34 BREVE DISTRUZIONE muraglia, e per questo a pigliarle molto lunghe e disustrow a ma¬ neggiarsi. Quanto alla misura delle scarpe, bisogna avere gran ri¬ guardo alla qualità del terreno con il (piale si fa il terrapieno: perciò che se il detto terreno sarà arenoso e che non stia bene insieme, bi¬ sognerà fare la scarpa maggiore, acciò, (piando venga battuta la cortina, possa il terrapieno so¬ stenersi; ma si* il terreno sarà forte e risso, non . occorrerà scarpa tanto grande. Ma per l’ordi¬ nario, quando il terrapieno è ragionevole, si co- io sfuma dare per ogni cinque braccia di altezza imo di scarpa. Si aiuta il terrapieno a sostenersi col piantarvi più ordini d’alberi, i quali, facendo presa con le radici, lo ren¬ dono più saldo e consistente. Ma (piando s’avesse a fortificare un sito che per natura desse il terrapieno, come sarebbe qualche col¬ lina, per essere quivi il terreno, per natura e per lunghezza di tempo, tanto fisso che da per sè si sostiene, ogni poco di scarpa è bastante. Occorre ancora alle volte fortificare di scarpa qualche muraglia an¬ tica, che, o per vecchiezza, o per gravezza di nuovo terrapieno, non fosse bastante a stare in piede: ed allora si fanno dalla parte di fuori 20 alcuni contraforti, distanti l’uno dall'altro otto o dieci braccia, e questi si fanno a scarpa, e lo spazio tra l’uno e l’altro si riempie di terreno ben fisso e ben battuto, e tutto questo si veste poi d’una camicia; e questa è scarpa bonissima. La scarpa ordinariamente si fa sino all’altezza del cordone; e dal cordone in su, vogliono alcuni si faccia senza scarpa, ed altri vogliono che 11 abbia un poco, ciò è la metà della prima: e questo stimo io essere meglio, perchè, oltre clic vi farà minore effetto l’artiglieria, rende ancora più forte il para¬ petto; come appresso diremo, parlando del parapetto. Quanto alla grandezza e grossezza della cortina, se noi vorremo 30 determinarla, bisogna che consideriamo, come in tutte 1 altre cose, il fine per il quale sono ordinate. La cortina, dunque, è fatta princi¬ palmente per sostegno del terrapieno: perciò che, quanto al resistere all artiglierie, il terrapieno stesso sarebbe bollissimo senz’ altra mu¬ raglia; ma perchè il terreno senza muraglia non si potrebbe fare che non avesse tanta scarpa, che senza altro non fosse sottoposto alle scalate sì di quelli di dentro come di quelli di fuori, oltre che la all’ architettura militare. 35 pioggia, quando non fosse vestito di muraglia, a poco a poco lo spia¬ nerebbe, perù è stato necessario cingere il terrapieno d’una muraglia. La quale, quanto al reggere e sostenere il terrapieno, quanto più fosse grossa, tanto migliore sarebbe: ma per l’opposito, quanto alla batte¬ ria, quanto più saranno sottili, tanto migliori saranno. E la ragione è, che quando il tiro percuote una muraglia sottile, la passa in un tratto, senz’ intronarla o scuoterla, nè le fa altra offesa eli’ il bucarla : ma quando la muraglia è tanto grossa che la palla non la passa, la scuote e commove in gran parte ; per il che in brieve s’indebolisce io tanto, che da sè stessa rovina. Però, sendo che per la batteria dovrebbe la cortina esser sottile, ma per il terrapieno più grossa, per accomo¬ darsi, il più che sia possibile, all’ una e l’altra cosa, si terrà una strada di mezzo, facendola più sottile che sia possibile, aiutandosi a sostenere il terraglio con la scarpa e con i contraforti: oltre che, fa¬ cendola sottile, ci va manco spesa. Però, per quanto l’esperienza ne può mostrare, se da basso si farà grossa dalle tre braccia o tre brac¬ cia e 1 2 , venendola assottigliando tanto, ch’ai cordone sia due braccia, e dal cordone in su un braccio e mezzo, doverà esser a bastanza. Quanto poi all’altezza, è manifesto che, quanto più saranno alte, meno 20 saranno sottoposte alle scalate, ed i difensori meglio scopriranno la campagna, essendo alti, e maggiore offesa arrecheranno al nimico ; ma dall’ altra parte, sendo troppo alte, oltre all’ esser di maggiore spesa, vengono più deboli e più esposte alla batteria, per esser meno ricoperte dalla contrascarpa. Però, in questo ancora, bisogna eleggere una strada di mezzo; e questa da i più intendenti è giudicata una altezza di sedici braccia in diecisette dal cordone in giù, e dalle tre braccia alle quattro dal cordone in su. Seguita eh’ ancor diciamo del parapetto e de’ contraforti. Il para¬ petto è quella parte «li muraglia che si fabrica sopra il terraglio 30 dalla parte verso la campagna, la quale serve per ricoperta a’ di¬ fensori, acciò dal nimico non siano tolti di mira e levati dalle difese. Di questo parapetto, tutti gli autori convengono che non deve essere più alto di dua braccia e mezzo al più, acciò che i difensori, accosta¬ tisi, sopravanzino tanto sopra esso, che possano adoperarvi gli ar¬ chibugi, e tal ora anco le picche, tal ora che il nimico li fossi sopra. Ed acciò che vi si possa più comodamente stare alla difesa, ci si fa intorno una panchetta alta mezzo braccio, e larga altrettanto o poco BREVE 1N8TRUZI0XE più; sopra la quale salendo i difensori, più commodumente scoprono la campagna, e vi maneggiano l’archibugio o la picca, c scaricato c’ hanno. Hccrulcmlo, col tornare imo passo a drie- tu, si cuoprono e si tol- „gotto ili vista al nimico. Quanto poi alla grossezza, alcuni sono stati di parere clic solamente devono es- ■> .vsei* tanto grossi, che si io pj ■ , , •—■' 'jic-j *possm intendere con la picca, quando il nimico fosse venuto alla scalata: ma questa ragione non ha in ->è necessità; perciò che le picche si potranno adoprare ancora quando il nimico fosse in sul parapetto. Però, se si farà tanto grosso, eh' ancora che sia rovinato lasci a ogni modo le sue rovine così alte sopra il ter¬ rapieno che ricoprino i difensori, sarà fatto con miglior discorso. Però doverà esser la sua grossezza dalle quindici braccia in là; ed acciò sia più gagliardo, si fabricherà una cumisciu dalla parte ili fuori sopra la drittura della cortina, la quale non sia punto più grossa 20 d’un braccio, ed un’altra se ne fa dalla parte di dentro simile alla detta, incatenandole insieme con alcune traverse di muraglia, riem¬ pendo li spazii di terra ben battuta, e facendovi sopra una coverta di mattoni per coltello, per difesa dalle pioggie e da giacci. K questa manifattura si farà al parapetto che deve star molto tempo sopra la cortina; ma quando non vi si facesse se non al tempo dell'aver a servirsene, basterebbe farlo di temi senz'altro. ,, *&■ . Li contraforti sono alcuni 1 lezzi di muraglia, che si appiccano dalla parte ? dentro alla cortina, i quali con il 30 § ^H»-llfiPk loro contrapeso aiutano la cortina che | -, n°n si arrovesci di fuore; ed oltre a ciò serv °no che, quando la cortina fusai • battuta e rovinata, rimanendo essi nel terrapieno, lo teirebbono unito. Que¬ sti non si devoti fare, come alcuni hanno creduto, più sottili dalla parte che appicca la cortina e più grossi dall’altra, anzi tutto all’opposito; all’ architettura militare. 37 perchè, quando la cortina fossi battuta e rovinata, rimanendo essi nel terrapieno, lo terranno più strettamente unito, avendo lo spazio tra di loro minor larghezza dalla parte di fuora che da quella di den¬ tro. Però dove appiccano con la cortina, si faranno grossi circa quattro braccia, e si verranno assottigliando verso il terrapieno fino alla gros¬ sezza d’un braccio. La distanza da l’uno a l’altro non vorrebbe esser maggiore di quindici braccia; e la loro lunghezza dalla parte da basso di braccia otto, e dalla parte di sopra di braccia sei in circa. Dobbiamo al presente dire della piazza, da basso, e delle loro can- 10 noniere. E prima è da avvertire, che quanto le cannoniere della piazza da basso si faranno più basse e vicine al piano del fosso, tanto sa¬ ranno più ricoperte dalla contrascarpa, e per conseguenza men ve¬ dute dal nemico; ed oltre a questo saranno migliori per difender la fossa, perciò che i loro tiri verranno strisciando il piano della fossa e quasi che di punto bianco. Dall’altra, parte poi, il farle molto basse le fa soggette alle scalate; ma quello che più importa è ch’ogni poco di rovina che le sia fatta innanzi le accieca, ed ogni piccola trincea è bastante a coprire il nemico quando fosse entrato nella fossa. Però ancora in questo fa di mestiero tenere una strada di mezzo, facen- 20 dole nè troppo alte nè troppo basse; che sarà, secondo il parere de’ più intendenti, se si faranno alte dal piano della fossa dalle sette alle otto braccia. Devesi, per difesa della cannoniera, a. canto alla cortina fare uno risalto o spalletta, di un braccio in circa, la quale difenda la can¬ noniera, che non sia così facilmente imboccata. Tali cannoniere non si faranno di linee paralelle, ma di due linee curve o reflesse, le quali nel mezzo si stringhino tanto, che lascino uno aperto d’ uno e mezzo sino in due braccia ; e dalla parte di fuora, ed ancora da quella di dentro, si faranno larghe circa a cinque braccia. Sendo dunque la spalletta a canto alla cortina grossa un braccio, e le due cannoniere 30 larghe dieci braccia, ed il restante del fianco a canto dell’orecchione circa a un braccio, rimarrà il merlone tra l’una e l’altra cannoniera lungo diciotto braccia: il qual merlone, quanto più si farà grosso, meglio resisterà all’artiglieria; e quanto all’altezza, bisogna farlo tanto basso, che non occupi la piazza d’alto. La lunghezza delle piazze da basso deve essere tale, che vi sia. spazio per la rinculata dell’ar¬ tiglieria; e questo spazio non vorrà esser meno di trenta braccia. Si farà ancora una strada che vadi dall’ una all’ altra piazza da basso ; 38 BREVE IN8TRUZIUNK e questo non solamente acciò che i bombanlim |*o.Mtu> soccorrere l’uno e l’altro fianco, ma per condurvi ancora, bisognando, de' pezzi d'ar¬ tiglieria: e questa strada non vorrà esser manco larga
  • T autore ragiona do'modi d* offendere ed > assalire lo fortezze ». ove ALI,’ ARCHITETTURA MILITARE. 43 fi qual modo non è altro, che con strade coperte, o trincee che dir le vogliamo, venire avanti. Sono le trincee alcune strade o fossi, cavati nel terreno e ricoperti dall’ argine che col terreno cavato se li fa, per li quali si viene accostando alla fortezza: e si deve, nel mettere ad effetto tali trincee, avvertire di non le drizzare per linea retta verso qualche parte della fortezza, onde possino da’ difensori esser scoperte e vedute, perciò che con i loro tiri proibirebbero il poter dimorar in esse trincee. A questo inconveniente hanno voluto alcuni por rimedio con fare le trincee oblique e tortuose, e non per linea dritta: il qual io modo veramente ha maggior sicurezza, ma non è però in tutte le sue parti totalmente sicuro ; perciò che, almanco in alcune svolte, si resta veduto e scoperto da quelli della fortezza. Però altri, ed al parer mio con miglior consiglio, hanno fatto le trincee per linea dritta, ma volte in parte onde non siano scoperte da’ difensori della for¬ tezza ; sì come nell’es- 20 sempio contrascritto si vede. Quanto poi al po¬ terle far sicuramente, si deve tener quest’or¬ dine. Prima si osservi diligentemente, dal luogo dove deve cominciare la trincea, secondo qual dirittura bisogni farla, acciò che non venga scoperta da’ difensori : il che fatto, si comincierà di notte a, cavare secondo quella dirittura, facendo una stradetta larga circa dua braccia,, gettando il terreno che si cava verso la citta o fortezza, lontano da 30 essa strada quattro braccia in circa, acciò che tra essa strada e la terra pur ora gettata rimanga spazio di potervi gettare 1 altro ter¬ reno che, nello affondare ed allargare la strada, si caverà. C on questo lavoro si nuderà in una sol notte più avanti che sarà possibile, e si farà, a ogni sette o otto braccia, una buca profonda due braccia ed altrettanto larga per ogni verso ; ed in ciascuna d esse si lascierà un uomo, il quale, e dalla profondità della buca e dal terreno gettato verso la fortezza, verrà ricoperto. Questi uomini si lascieranno di 44 BREVE ISTRUZIONE giorno in queste buche; i quali potranno cavare la trincea e ben lavo¬ rare al sicuro. La profondità della trincea sarà, come si è detto, dal piano della campagna due braccia e mezzo in circa: ma perchè il terreno, che si cava, si getta poi in su l’argine, le due braccia e mezzo cavate importeranno più di cinque dall'altezza del- l’argine; perciò che la fossa della trincea si do- io vera fare larga circa sette braccia, tanto in bocca quanto in fondo, e la gros¬ sezza dell’argine da basso verrà circa sei braccia, e manco ancora nella sommità. Con questo modo ci condurremo, lavorando sicuramente, fino in su la contrascarpa : di poi, perchè non così facilmente si potrà lavorare nella fossa, dimo¬ streremo qui appresso con qual modo si debba con sicurezza venire dalla contrascarpa sotto la muraglia, Sendo dunque arrivati su la fossa per condurci sotto la muraglia, 20 il più sicuro e spedito modo sarà questo. Prima si taglierà la con¬ trascarpa fino al piano della fossa: di poi, per poter uscir fuori di tal tagliata, si comincierà a spingere in fuora una balla di lana 0 vero un gran fascio di legname, e questo con prestezza si cercherà di coprire di terra; e nel medesimo modo, uscito che si sarà con questa prima balla o fascio, si uscirà con il secondo, caminando verso 1 orecchione del baluardo; e con simil modo si uscirà ancora cami¬ nando verso 1 angolo del baluardo; abbracciando con queste due tiincee tutto quello spazio della faccia del baluardo eh’aremo in animo di voler zappare. E così, messa che sarà la prima balla, ci servirà 30 pei ricoperta nel metter la seconda; e tutto quello spazio, che resterà tra 1 uno e 1 altro di questi argini di balle 0 fascine, si anderà ca¬ vando più a fondo che si potrà, gettando il terreno sopra detto argine, alzandolo ed ingrossandolo il più che sarà possibile: perciò che questo deve esser riparo a tutte l’offese circostanti, ciò è a i tiri de i fianchi, all impeto delle sortite, ed all’ offese delle case matte ; avvertendo sempie gli espugnatori, eh in tutti que’modi, che possono, tenghino ALL 5 ARCHITETTURA MILITARE. 45 levate le offese d’alto, perciò che a queste le trincee della fossa poco possono far riparo. Le quali offese d’ alto si torranno via, o col bat¬ tere e rovinare il parapetto, onde i difensori non possine affacciarsi in su la cortina; o vero col tenere continovamente archibusieri a posta presso alla contrascarpa, ricoperti da qualche trincea; o veramente (e questo sarà forse il miglior modo) col fare qualche cavali ero rile¬ vato alla campagna e talmente situato, che possa battere per cortina tutti que’ luoghi, onde l’assalitore ne potesse esser offeso e molestato. E perchè non si è altrove di sopra dichiarato questo termine di bal¬ io leve per cortina, è necessario, per maggior intelligenza, dichiararlo. Dico dunque, eh’ il battere per cortina altro non è eh’ il fare un cava¬ liere, o altro luogo rilevato nella campagna, di dove si possa scoprire qualche parte del parapetto, o cortina, dalla parte di dentro, e bat¬ terlo con l’artiglierie piantate in sul cavaliere. Seguita che parliamo delle mine : la quale è offesa violentissima, ma però molto fallace, e che molte volte non si può usare, per esser la fortezza, o per arte o per natura, assicurata da esse mine: per natura, se sarà circondata da acque; per arte, se vi saranne fatte le contramine quando si fabricò, o veramente se si faranno quando 20 si dubiterà che la fortezza non sia minata. Ma quando essa mina si conduce ad effetto, non è alcun dubio che opera con grandissima violenza e con gran rovina. Queste mine si fanno con cave sotter¬ ranee; per le quali cave si va sotto un fianco d’un baluardo, o sotto qual si voglia altro edificio, che si voglia minare. Perciò che, condotta che si sia la cava al destinato segno, allargandosi quivi in maggior ampiezza, vi si pongono molti barili di polvere; dalla quale si parte con un solco di polvere, e, tornando in dietro per la medesima strada che si tenne in fare la mina, dandoli poi il fuoco, con notabile ro¬ vina si spiana ed atterra qualunque e quanto si voglia gagliardo 30 edificio. Ma per condursi al luogo destinato, si averà qualche diffi¬ coltà: perchè dovendosi lavorare sotto terra, se non si usa gran diligenza, facilmente si smarrirà la dirittura, e si perderà la via di condursi al luogo desiderato; ed in questo errore via più fàcilmente s’incorrerà, quando non si potrà fare la cava per linea retta ; il che molte volte accaderà, per molti e diversi impedimenti. Però, prima che passiamo ad altro, fa di mestiere che dimostriamo il modo 46 BREVE DISTRUZIONE con il quale, caminando sotto terra, ci possiamo condurre al luogo disegnato. Quando dunque si sarà determinato di voler fare la mina, e da che luogo sia di mestiere cominciarla, primieramente hi comincierà a cavare una buca a guisa (l'un pozzo, la quale vada giù a perpendicolo; e questa si farà tanto profonda che, caminando poi sotterra verso il luogo che s’intende minare, s’abbia a caulinare a livello, senza avorea salire o scendere: perciò che, quando non s’andassi innanzi equidi¬ stantemente all’orizonte, la cava riuscirebbe corta, nè ci condurrebbe sotto il luogo proposto. Similmente, si deve avvertire di caulinare io innanzi per linea retta, senza torcere a destra o a sinistra, se già, come di sopra si è accennato, con qualche impedimento non ci si proi¬ bisse; al quale impedimento poco appresso troveremo rimedio. Fatto dunque il pozzo con debita profondità, si piglierà la distanza per linea diritta dal pozzo al luogo che si vorrà minare: la qual distanza bisogna che sia presa molto esquisitaniente: ja-rè, putendosi accostare al luogo destinato, si misurerà con tilo esattamente; quando che no, sarà di mestiere con qualche istromento da pigliar distanze, si come a suo luogo insegneremo, prendere detta lontananza. La quale presa, si osserverà, dal luogo donde s incomincia la cava, nella bussola, 20 quanti gradi declini la linea retta, dal principio della cava al luogo destinato, dalla linea meridiana; la qual declinazione, presa che sia esquisitissimamente, si manterrà sempre nella strada sotterranea, acciò non si venisse deviando a destra o a sinistra. Ma quando si trovasse qualche impedimento, come sarebbe qualche pozzo o simil altro osta- culo, e che non ci tosse conceduto il procedere avanti dirittamente, allora si declinerà a destra o a sinistra, secondo che più ci tornerà commodo; avvertendo di torcersi sempre ad angolo retto, acciò più fa¬ cilmente si possa arrivare al luogo destinato. Il che si potrà fare in due maniere. La prima delle quali sarà come nella seguente prima 3® figura si vede: che volendo noi andare per linea retta dal punto A all f, avendo ritrovato 1 impedimento X, si torcerà, come si vede, secondo la strada B C ad angolo retto; di poi s’anderà manzi, secondo che si vede, dal C al D, tanto che giudichiamo che basti per sfug¬ gile 1 impedimento X: di poi si tornerà secondo la 1) E, pure ad angolo retto, facendo la distanzia D E uguale alla C B. Il che fatto, sarà il punto E ritornato in su la medesima dirittura A F, e si sarà carni- 47 all’ architettura militare. nato in anzi tanto, quanto è la distanza CD; e seguitando alla me¬ desima dirittura dal punto E al punto F, si arriverà al luogo destinato. L’altro modo si farà come nella seconda Luogo che si vuoi minoro figura si vede: ciò è, quando saremo con la cava arrivati all’impedimento X, usciremo in fuori ad angolo retto secondo la strada BC, la quale si farà tanto lunga che basti per sfug¬ gire esso impedimento; quando poi saremo nel luogo C, volendo per la più breve con¬ io durci al luogo destinato D, potremo andare per linea retta. Ma qui è necessario avvertire due cose : l’una è, che la medesima declina¬ zione della bussola non ci potrà servire nella cava CD, che ci arebbe servito potendo segui¬ tare secondo la dritta strada A B D : la seconda è, che la distanza, dal punto C al punto D sarà maggiore della distanza B D ; e tanto più sarà grande, quanto più la B C sarà lunga. A questa seconda difficoltà, ciò è del trovare la distanza C D, si rimedierà in questa maniera : prima si considererà quanta era tutta la distanza A B D, la quale ponghiamo, 20 per essempio, che fosse quattrocento braccia; delle quali si tragga la distanza A B, la quale suppongo che sia. cento braccia, di maniera che resterà la distanza I? D trecento braccia; le quali braccia 300 si mul¬ tiplichino in sè medesime, che faranno novanta, mila. Di poi si mul- t.iplichi in sè medesima la distanza B D ; la quale ponghiamo che sia quaranta braccia, che multiplicate in sè stesse fanno 1600: e questo numero si congiunga con il 90000, ed aremo 91600: del qual nu¬ mero ne piglieremo la radice quadrata, la quale è circa 303: e tante braccia saranno dal punto C al D. E con questa medesima regola si procederà sempre. Per trovar poi la differenza della declinazione dalla 30 linea meridiana tra la cava B D e la C D, si farà in questa maniera. Prima si disegnerà un triangolo rettangolo simile al triangolo B C D, ciò è il quale abbi i lati secondo le proporzioni delle tre distanze B C, C D, D B ; il che si farà facilmente sopra un foglio o vero sopra una tavola, con l’aiuto della scala simile a quella con la quale abbiamo disegnato le piante delle fortezze. Fatto questo, si accommoderà la bussola sopra la linea B D, di maniera che si vegga la declinazione di essa linea B D dalla linea meridiana : di poi s’accomoderà P istessa u. 6 48 BREVE TNSTRUZIONE bussola sopra la linea C D, osservando la sua declinazione dalla me¬ desima linea meridiana; la quale declinazione, osservata diligente¬ mente, sarà quella medesima die si deve osservare nel fare la cava CD, per condursi al luogo determinato, senza errore. Arrivati che saremo al luogo destinato, si darà principio a far il forno : il quale altro non è eh’una piccola stanzetta a guisa d’una volta, nella quale va posta la polvere. Questo forno si farà di figura e grandezza diversa, secondo che si vorrà rovinare diversi edificii : perciò che se vorremo rovinare una parte d'una cortina, il forno si deve fare più lungo che largo, facendo venire la sua lunghezza sotto io la lunghezza della cortina, e la larghezza che corrisponda alla gros¬ sezza della cortina; ma se vorremo minare qualche corpo di difesa d’altra, figura, come sarebbe un fianco o vero una fronte d'un ba¬ luardo, allora si potrà fare il forno poco differente circa la lunghezza e la larghezza. Quanto poi alla capacità e grandezza sua, ci dobbiamo regolare secondo che la fabrica da minarsi sarà più o meno gagliarda : e 6e si farà detto forno che sia circa a quattro braccia per ogni verso, sarà di grandezza mediocre. Questo si deve d’ogni intorno armare di tavoloni grossi due o tre dita, acciò assicuri la polvere dall'umidità. Di poi si spargerà nel fondo di detto forno un suolo di polvere alto 20 circa a quattro dita; di poi s’empierà il forno eli barili di polvere, della più fina e gagliarda che si faccia. Fatto questo, si ordinerà lo stoppino con che si vuol dar fuoco: e questo ancora, per assicurarlo dall’ umidità, si metterà in un canale di piastra di ferro, facendoli molti fori, acciò lo stoppino non venga a soffogarsi e spegnersi. Ma acciò che la mina non venga, quando sia accesa, ad essalare per la cava fatta, si terrà questa maniera. Quando con la cava saremo vicini al luogo, che s’intende minare, circa a 12 o 14 braccia, non si seguiterà più di fare la cava della mina per linea retta, ma si andrà torcendo con due 0 tre volte, come nella sottoposta figura si vede: (l ' di poi, quando 30 sarà accommodata la polvere e lo stoppino, si verrà riturando benissimo la cava, intraversandola con pezzi di travi e con terra ben battuta e serrata. E perche il fuoco non fa forza se non per linea retta, le svolte lasciate alla, bocca del forno, con quei sodi che tra esse saranno, faranno grandissima resistenza all’ impeto del fuoco. 1 levasi ancora O La figura manca in ambedue i codici. ALL’ architettura militare. 49 avvertire di fare che la parte superiore del forno sia la più debile, acciò che il fuoco, non trovando dalle bande dove rompere, più fa¬ cilmente spinga all’in su, levandosi in capo tutto quello che troverà; e così venga la mina a non esser fatta in vano, ma a far l’effetto. Essendosi trattato delle trincee e delle mine, che sono mezzi assai importanti all’ espugnazione delle fortezze, seguita al presente che trat¬ tiamo dell’espugnazione più principale e più sicura dell’altre: la quale si fa con l’aprire per forza di batteria una parte del recinto, alla quale, aperta che sia, si venga poi con violento assalto, per pe¬ lo netrare dentro al recinto ed impadronirsi della fortezza. Per esser dunque questa maniera d’ espugnazione molto importante, di essa più diffusamente e minutamente ragioneremo; dimostrando il modo come si devano condurre le artiglierie sotto la fortezza, come si devano or¬ dinare, in che maniera si abbino a tener difese, a qual parte della fortezza si devano dirizzare, e finalmente, fatta che sia la batteria, in qual maniera si debba venire all’assalto. Ma prima, innanzi che procediamo ad altro, mi pare a proposito parlare alquanto intorno a una disputa curiosa che corre tra alcuni che fanno professione di bombardiei’i periti: la quale è, s’è meglio 20 piantar l’artiglieria alla muraglia, che si vuol battere, più vicina che sia possibile ; o pure, se stando lontana pei' una certa distanza, verrà a fai' maggior effetto eh’ essendo molto vicina. E la cagione di trattar di ciò è il sentire, eh’alcuni hanno per opinione, anzi pur nella mente loro come per cosa certissima, che l’artiglierie faccino maggior passata stando a una certa determinata lontananza, che se fossero più vicine: la qual opinione, ancor che abbia infiniti fautori, non resta però che non sia falsa, ed in un certo modo ridiculosa; sì come la esperienza, a dii far la vorrà, può far manifesto, e la ragione, a chi con ietto giu¬ dizio discorrerà, può persuadere. Perciò che, sendo il moto della palla so un moto violento, chi dubiterà che, separata che sia dal suo movente, non vadi sempre perdendo di forza? Ma intorno a questo in altro luogo, e più diffusamente, si parlerà: e ritornando all’investigare se la batteria si deve fare più da vicino che si possa, o pure a una certa determinata lontananza, veggiamo se vi sono alcune ragioni per le quali si debba stare alquanto lontano; atteso che, se si dovesse aver risguardo solamente all’ effetto della percossa, chiara cosa è, che quanto 50 BREVE DISTRUZIONE più l’artiglieria sarà da presso, con tanto maggior violenza ferirà ed aprirà la muraglia; in tanto che se si potesse accostare la bocca del pezzo, che toccasse il muro, senza dubbio alcuno farebbe grandissima rovina, e sarebbe questa una specie di mina. Ma se l'artiglieria sarà piantata molto vicina alla muraglia, verrà, in un certo modo, più sot¬ toposta all’uscite improvise del nimico; il quale, venendo con buon numero di soldati per la strada coperta ad assalire li bombardieri e li aiutanti, vi sarà qualche pericolo, che l’artiglieria non sia inchio¬ data. Il qual pericolo si sfuggirà ordinando la batteria più lontana: perchè, quando bene l’inimico esca, non può venir così all' impro- io viso (dovendo caulinare per buon spazio, manzi che si conduca al- T artiglierie), che non dia tempo di soccorrerle con parte dell’esser- cito e ributtare il nimico. Dall’altra parte, se la batteria sarà piantata assai lontana, verrà ad esser più soggetta all’offese, eli i difen¬ sori del parapetto con artiglierie e moschettoni li potranno fare: dove che, se la batteria sarà posta vicina alla muraglia, i difensori, volendo batterla per rompere e scavalcare l’artiglieria ed ammaz¬ zare i bombardieri, saranno costretti alzarsi molto sopra ‘1 parapetto, se vorranno poter tùr di mira quelli che saranno intorno alla bat¬ teria; il che sarà cagione che quei di fuori, che stanno pronti per 20 levar le difese, potranno più facilmente offendere i difensori e rom¬ pere l’artiglierie, le quali, dovendosi tirare d’alto a basso, verranno con le parti di dietro elevate assai sopra il parapetto. Aggiungesi a questo ancora, che quando la batteria sarà piantata vicino alla mu¬ raglia, l’artiglierie de i difensori, non potendo tirarli se non ili ficco, meno la potranno molestare che quando fosse piantata più lontana : perciò che quando il tiro non va radendo e spazzando la campagna, poco effetto può fare, non offendendo se non in un luogo solo. Con¬ siderate dunque le commodità ed incommodità che s’hanno a piantar la batteria più lontana o più vicina, si può conchiudere che il porla 30 vicina sia molto meglio; e tanto più che, se sarà piantata lontana, fa¬ cendo i tiri minor effetto, oltre alla maggior spesa, ci vorrà tanto più tempo, che facilmente i difensori aranno commodità di far dentro alla muraglia le solite ritirate e ripari con altri forti; il che raddoppierà la fatica de gli assalitoli, e forse la tardanza d’essi darà tempo di poter chi che sia soccorrere la fortezza. Piantata dunque che sarà la batteria, è credibile eh’ i difensori, all’ architettura militare. 51 vedendo il soprastante pericolo, non siano per perdonare a fatica al¬ cuna, anzi si esporranno ad ogni gran risico, per proibire il suo intento al nimico ; per lo che non mancherà di raddoppiar le offese, acciò mo¬ lesti e travagli di maniera i ministri che assisteranno all’artiglierie, che non possino mettere ad essecuzione essa batteria. Onde sarà di mestiero, che gli assalitori ancor essi faccino ogni opera, col molti¬ plicar P offese, di proibire a i difensori P affacciarsi a nessun conto sopra il parapetto: e ciò si farà, oltre a gli archibusieri ordinarii che sotto la trincea stanno levando le offese, con Palzare, da l’uno io e da l’altro fianco della batteria, il terreno, piantandovi poi sopra alcuni pezzi d’artiglieria, li quali continovamente attendono a mo¬ lestare chiunque ardisce affacciarsi sopra ’l parapetto; e quando ciò non bastasse, ottimo rimedio sarà il fare uno o due cavalieri, i quali scuoprino dentro della fortezza, e battino per cortina quella parte che s’intende d’aprire con la batteria. Di maniera che tutta la batteria, ordinata con le sue difese, sarà come nella sottoposta figura si vede : nella quale per le lettere A, B, C si denotano P arti- \ difensori per cortina^ '«trincea Starili 1 Questi cavalieri rD, E proibiscono al difensori V affacciarsi al parapetto glierie della batteria ; i due cavalieri D, E sono quelli che, sendo posti per fianco alla batteria, proibiscono con i lor tiri l’affacciarsi 20 al parapetto ; dall’ uno e l’altro di questi cavalieri si tirerà una 52 BREVE ISTRUZIONE trincea sino alla batteria, acciò sicuramente si possa scorrere da essi alla batteria secondo il bisogno; il cavaliere segnato I-' è quello sopra il quale va piantata l’artiglieria che batte i difensori per cortina, come per le linee tirate si vede; da questo cavaliere parimente al cavaliero D sarà fatta una trincea, come si vede la UH, la quale tenga difesi e ricoperti quelli che, per soccorrere in ugni occasione il cavaliero F, avessero a scorrere tra esso e la batteria. K sì come si è fatto il cavaliero F dalla parte sinistra, così se ne potrà fare un altro dalla parte destra. E questo è quanto appartiene all’ordi¬ nanza della batteria. io Resta che veggianio quali sorte d'artiglieria siano più al propo¬ sito per far la batteria. Nel qual caso dico die. se laverà a battere forti di terreno senza muraglia, si dorerà adoprare cannoni petrieri con palle di pietra; perciò che nel battere il terreno, il quale più facilmente si passa che la muraglia, non sono neo essa rii tiri così vio¬ lenti come nella muraglia. Ma si deve avvertire, nel batter forti di terreno, di cominciar a batter tant’alto, quanto le palle dell'artiglieria sarà bastante a portar via del terreno, e cosi, calando a suolo a suolo, venire rodendo e consumando a poco a jmh*u il forte; chè se si co¬ minciasse a batter da basso, le palle ci si sott errorebbono dentro, ed 20 in cambio di disfarlo si verrebbe a maggiormente fortificarlo. Ma se si averà a battere una muraglia, a me piacerebbe assai che prima con cannoni petrieri si tirassero alcune botte nella parte che s’in¬ tende di rovinare; le quali botte non vorrei die passassero la mura¬ glia, ma solamente la sedessero ed intronassero, acciò che venisse a rendersi più pronta alla rovina: di poi dirizzerei buon numero di co¬ lubrine e di cannoni di gran passata, e questi, aggiustati un braccio o due sotto il cordone, farei scaricare nel medesimo instante, che così verrà facilmente tagliata la muraglia; la quale, s»-udo stata prima in¬ tronata, se ne verrà al basso, e, con le sue rovine facendo una gran 30 scarpa, agevolerà la salita per venire all assalto. E quando queste pi ime 1 ovine non si alzassero tanto, chi* pareggiassero quella parte della cortina che tosse restata in piedi, bisognerebbe far un’altra batteria da basso, acciò finalmente venisse aperta la strada all’assalto. Ma in questo luogo non è da passar sotto silenzio un dnbio di gran¬ dissima importanza e di non piccola difficoltà : il quale è, se sia me¬ glio battere una parte della cortina tra l’uno e l’altro baluardo, 0 ALL’ ARCHITETTURA MILITARE. 53 pure volger la batteria ad una faccia del baluardo ; perciò che in questo caso sono stati diversi i pareri. Che se noi vogliamo aver risguardo alla, facilità dell’aprire la muraglia, chiara cosa è che in più breve tempo, con minor spesa e travaglio, s’aprirà una parte della cortina eh’un baluardo, per essere quivi il terraglio men largo; e similmente questa strettezza del terrapieno non darà campo a i difensori di fare altra ritirata eh’ al piano della fossa, nè verranno ad essere a. cavaliere al nimico: dove che, se si batterà il baluardo, non si potrà mai tanto consumare, che non rimanga piazza a i di¬ io tensori di far la ritirata, e, restando a cavaliere al nemico, rifortifican¬ dosi di nuovo, rendergli l’assalto più difficile. Dall’altra parte, se si aprirà la cortina, nel venire all’assalto saranno gli assalitori molto esposti all’offese: perciò che, oltre all’offese che gli verranno fatte per fronte, i due fianchi de’ baluardi convicini con frequenti tiri d’ar¬ tiglieria gli saluteranno stranamente; e quando anche averanno pe¬ netrato dentro alla cortina, se la fortezza sarà con ragione fabricata, non ci mancheranno altri fianchi che grandemente gli offenderanno. Vero è che questi danni si potrebbono in parte scemare, col battere non nel mezzo della cortina, ma a canto al fianco de l’uno de’ ba- 20 luardi: perciò che l’offese di questo non potrebbono far niente, per essergli l’inimico troppo sotto ; e l’offese dell’ altro baluardo, per la maggior lontananza, opererebbono manco. Considerate dunque le dif¬ ficoltà dell’una e l’altra parte, io non risolverei che si battesse la cortina, se io non fossi certo di potere accecare i fianchi e rendergli inutili : ma in questo caso assalirei la faccia del baluardo, perchè qui sarei sicuro di non avere altra ofFesa che quella che mi venisse fatta per fronte; la quale cercherei di tor via con cavalieri che, e per fronte e per cortina, battessero in maniera il baluardo, che jnon fosse per¬ messo a i difensori lo starvi senza estremo risico. 30 Aperta finalmente la muraglia, resta che si venga all’ assalto : il che non deve però esser fatto a caso e temerariamente; ma, prima che vi si venga, bisogna esser molto circospetto, acciò non si esponesse buon numero de’ migliori soldati a morte manifesta. Per lo che deve il capi¬ tano dell’artiglieria comandare che si vada a riconoscere e diligente¬ mente considerare la batteria, e quali pericoli vi siano: perciò che è credibile che i difensori, quando viddero la battei’ia, s’andassero pre¬ parando e fortificando di nuove difese, e forse che apparecchiassero 54 BREVE DISTRUZIONE. qualche inganno occulto all’inimico, quando fosse per venire all'as¬ salto. Devesi dunque mandare buon numero d'archibugieri, i «inali, sca¬ ramucciando, saglino sopra le rovini* della batteria, «■ diligentemente osservino quali ripari abbia, di nuovo, dentro fatto il nemico: perciò che tal volta si fanno nuovi forti di terra con fianchi forniti di terr*-no «mz'altri -<-«tegni. io Quando poi saremo arrivati all'altezza di 14 orac. ih in l r > dalla jiarte di fuori, che è il luogo dove an«lerebl>e il . onlnm* «piando «i fabricasse muraglia, in vece di cordone »i metteranno intorno intorno alcune doccie di legname o di terra cotta, le quali, rigirando intorno intorno il forte, riceveranno l’acque che calcheranno dal parapetto, acciò non vadino in su la scarpa e la dilavino A qm -te doccie, ad ogni dieci o 15 braccia, si accomoderà un’altra doccia o « anale, che, attraver¬ sando il forte, porti verso le parti di dentro l’acqua che si ridurrà e raccoglierà nella doccia esteriore; la quale acqua *i smaltirà per di dentro in pozzi o fogne da smaltire Italie doccie in «u «i comin-to cieranno a mettere altri filari di piote, ma solo -i dar» un ottavo per braccio di scarpa, mettendo, come nell'altro lavori», ad ogni terzo filare di piote un Ruolo di fascine ; ma non *i metteranno già inca¬ tenature: e questa seconda fabrica si nlz»*rà dii»' braccia sopra le doccie; come si vede nel profilo sottopato, dove \ «uno 1>- doccia, ed AB 1 altezza di due braccia, con un ottavo per braccio di scarpa. Quando poi saremo arrivati a quell’altezza, che vira dal piano «lei fosso 16 braccia in 17, si spianerà per tutto a livello, come si vede jier la linea B C. Dove si piglierà dal punto li in dentro braccia 10, che sarà dal punto B al punto (’, e si tirerà intorno una conia lontana, come 30 si e detto, dalla parte di fuori 10 braccia: lungo alla «piai corda si ficcheranno pali lunghi 6 braccia »• gn»««i coni, il braccio {l’un uomo, de 1 quali la metà va ficcata sotto terra »• l’altra metà riman sopra, ( la distanza tia 1 uno e 1 altro d »-s«i m>n «ani più di mezzo braccio; di poi tra essi si intreccieranno vimini di castagno; facendo questa altezza delle tre braccia a guisa d’un graticcio, che servirà per la pelle di dentro del parapetto, quale sarà ulto sin al punto I. Di poi 65 ALL’ architettura militare. lo spazio BOI si riempirà di terra bellissima, battendola ed assodan¬ dola più che sarà possibile; avvertendo di non alzar punto dalla parte B, ma di lasciare lo schiso pendente secondo la linea IB : il qual schiso si anderà covertando di piote, mettendo l’erba dalla parte di sopra, acciò meglio venga conservato il parapetto; avvertendo che le piote siano benissimo commesse insieme. E con quest’ ordine si an¬ derà circondando tutto il recinto. Fatto questo, si accommoderanno i letti per l’artiglierie in questa, maniera. Si prenderanno nella sommità del parapetto alcune lun- io ghezze di venti braccia l’una; di poi si misureranno all’indentro altre venti braccia, che saranno la lunghezza del letto; di poi con graticci, simili a quelli del parapetto, si armeranno dall’ una e l’altra parte essi letti, facendogli pendenti verso la parte di dentro: come si vede nella figura prossima di sopra DEE, la quale ci rappresenta un letto. Tra T uno e l’altro letto ci si lascia mio spazio di dieci braccia per gli archibusieri, facendovi la sua panchetta; come nella medesima figura si vede F G H. E nel fare i letti si userà diligenza, nel riempiere tra l’uno e l’altro graticcio, di pigliare terreno che sia fisso, battendolo e spianandolo bene; ed oltre a ciò, nella parte di sopra, quando si 20 averanno ad adoperare l’artiglierie, si spianeranno tavoloni grossi 66 BREVE ISTRUZIONE tre dita, sopra i quali cammino Partitimi*, acciò che non si tic- oliino nel terreno. Nel formar poi le piazze da basso, si disegneranno prima con le corde; di poi, lungo le corde, si accominoderù e fabricherà la pelle di fuori di piote, ed all’ indentro per lo spazio di 6 braccia si anderà lavorando con fascine e terreno ben battuto, lasciandogli la sua scarpa di fuori. Ed in quelle parti di essi* piazze da basso che verranno ricoperte, nè saranno viste dalla campagna, si potrà, in cambio di piote, per sostegno del terreno di dentro, adoperare graticci. Il mer- lone, similmente, si farà, dalla parte di fuori, ili piote ben commesse io ed accommodate. Ma quando non s’avesse commodità di piote, sani di bisogno in quel cambio di servirsi di pastoni: i quali si adopereranno in questa maniera. Lungo il filo dalla parte di fuori si metterìi un filare di manocchie, mettendo la parte piegata a canto 1 filo, ed il restante per di dentro; e sopra tutto sieuo accommodate egualmente; e tra esse si metterà terra ben trita, e vi si assoderà sopra con pi¬ loni e mazzeranghe; avvertendo che detta terra \i sia spuma sot¬ tilmente, e solo tanto clic la spiani. Di poi, sopra vi si metterà un suolo di pastoni, i quali da 1'mia e dall’altra testa si conficcheranno 20 con cavicchi, come si disse delle piote; e di dentro si metterà della terra, assodandola e spianandola sin al puri de’ pastoni: e poi si met¬ terà un suolo di manocchie, spianandole benissimo ed agguagliandole con della terra; si metterà in oltre un altro suolo di pastoni, te¬ nendo 1 medesimo ordine già detto; ed ad ogni due mani di pastoni si distenderà una fascinata, ed ad ogni tre fascinate una incatena¬ tura, seguitando in tutto il restante l'ordine medesimo che quando si adoperavano le piote. Con quest ordine di piote o di pastoni si lubricheranno i corpi di difesa e le cortine, non meno circa alle terre eh’ in campagna, chiù- dendo a torno a torno e’ luoghi fortificati con ordine e regola, di ma¬ niera che vanghino per tutte le parti guardati, non altrimenti che nel fortificare di muraglia le città e le terre si è detto: avvertendo, nel fai di terra, ancora di sfuggir al possibile gli angoli acuti, acco¬ standosi alle figure che siano di molti angoli e lati, tuttavolta che dal sito ci sia conceduto, nè ci manchi uomini ed artiglieria da poterli guaidare. Awertirassi ancora che siano talmente posti che non ab- ALL’ ARCHITETTURA MILITARE. 67 bino a torno luoghi rilevati, che vi siano a cavaliero; perchè questo sarebbe di grandissimo nocumento. Devesi ancora con ogni avver¬ tenza sfuggire eh’ intorno al nostro forte non siano luoghi bassi, che da esso non siano scoperti. Abbino in oltre commodità d’acque: il che è di grandissima importanza; perchè, se bene questi forti sono fatti per assediare altre fortezze, può nondimeno tal volta occorrere che siano assediati loro; parimente, quando fossero fatti per difesa della fortezza principale, occupando qualche luogo che potesse esser com¬ modo al nimico, sendo tali forti disgiunti dalla principal fortezza, fa di io mestiero che da per sè stessi abbino almeno le cose necessarie, perchè ancor essi coirono il medesimo risico d’essere assediati, battuti, zap¬ pati, e minati. Ed in questi, che fossero fatti per difesa della città, si deve ancora usar maggior diligenza eh’ in quelli che si facessero per assediare altri luoghi; perchè a i. fatti per assediar altrui, basta che non possino esser battuti dentro da luoghi più rilevati. Nel re¬ stante, non hanno a servir ad altro che per una ritirata a gli asse¬ diarci, quando gli sopravenisse una carica, o gii fosse di bisogno ri¬ tirarsi in luogo forte, dove potesse star al sicuro quattro o sei giorni, sin che gli venisse nuovo soccorso: pure, quando si dubitasse che il 20 forte non potesse esser soccorso se non doppo un mese o maggior tempo, allora bisognerebbe usar di maggior diligenza, facendogli at¬ torno la sua fossa e la spianata, acciò scuopra attorno per tutto. Le figure, finalmente, particolari si faranno secondo la disposizion del sito : pure se ne disegneranno qui appresso alcune di semplici linee, qualcheduna delle quali si potrà aceommodare al nostro sito ; o al meno da tante diverse figure se ne potrà cavare una, da quella diversa, eh’ al nostro sito s’accommodi. Avvertendo che fra le figure appresso ce ne saranno alcune di linee reflesse, le quali non si metteranno in opera se non in qualche improvisa necessità; ma, avendo tempo e luogo, so si faranno i suoi fianchi reali: sarannoci ancora delle piante e dise¬ gni di figure di pochi lati, postici non perchè s’ abbino a metter in opera, ma acciò che, veduta e conosciuta la loro imperfezione, si pol¬ sino sfuggire. 74 HRKVK INSlItrZinNK Dalle figure poste di sopra si potrà comprendere (piali fortifica¬ zioni siano da sfuggirsi, e quali si possine» metter in uso. Perciò che nei triangoli equilateri posti da principio, per aver essi tutti gli an¬ goli acuti, non ci si può accommodar sopra corpi di difesa; come si vede nel triangolo 3, sopra del quale vengono tre baluardi acutissimi e sproporzionati. E se si faranno due linee reflesse in vece della fronte del baluardo, per non s'avere a spingere tant in fuori, come si vede nel numero 4, sarà fortificazione dannosissima; perdio, oltre alla acu- all’ architettura militare. 75 tezza, le difese vengono sempre da alto ; e se le linee del triangolo si refletteranno in dentro, o vero vi saranno tirate sopra linee re- flesse, come si vede nel numero 4, s’abbraccierà pochissima piazza, e gli angoli verranno tanto acuti, che con poca fatica potranno esser tagliati; ma se le si spingessero in fuori, come al numero 6, sariano un poco meglio, ma non però in tutto da eleggersi. 11 medesimo avverrà alle figure al n.° 2, n.° 5 : che, se bene l’una ha mezzi baluardi con i fianchi, e 1’ altra baluardi intieri, venendo le difese delle faccie, de’ baluardi, e mezzi baluardi, dalle cortine e non da’ fianchi, ven- io gono a non mancare d’imperfezione. E quando pure fosse di neces¬ sità fortificare un simil sito triangolare, al parer mio, la meno imper¬ fetta fortificazione sarebbe quella del n.° 5. Ne’ triangoli rettangoli e ne gli ottusiangoli nascono le medesime imperfezioni e maggiori ancora, per aver alcuni angoli più acuti di quegli del triangolo equi¬ latero; come nelle figure al n.° 7 ed al n.° 8 si vede. I rombi ed i romboidi, nelle parti dove sono gli angoli ottusi ricevono fortificazione perfetta, ma, patiscono imperfezione ne gli angoli acuti; come alle figure del n.° fl e n.° 10 si vede. I quadrati ed i tetragoni lunghi sono i migliori di tutte le forme quadrilatere, per aver i quattro an- 20 goli retti, dove i baluardi posti di sopra vengono meno acuti che quelli che sono formati sopra angoli minori che retti; come si vede alle figure 11. I trapezii, dove hanno gli angoli retti o ottusi, sono ac- commodati all’esser fortificati; ma perchè vi sono di necessità de gli angoli acuti, in questa parte rimangono imperfetti: come per le figure 12, 13, 14 si vede. Oltre alle già dette figure, si sono poste altre piante di fortifi¬ cazioni, fatte intorno a figure irregolari; che così è di mestiero il più delle volte fare, per accommodarsi al sito: le quali piante ci aiuteranno assai per imparar il modo di fiancheggiare qualsivoglia recinto, tal- 30 mente che non vi resti parte alcuna senza difesa. E questo basti per questa breve instruzione all’ architettura militare. TRATTATO DI FORTIFICAZIONE. ' REGOLA PER TIRARE LA LINEA PERPENDICOLARE. In tre diverse maniere ci può venire di bisogno di tirare una linea perpendicolare, ad angoli retti, a. squadra, o vogliamo dire a piombo, sopra un’ altra linea. H primo caso sarà, come nella prima figura, quando si averà da tirar sopra la linea AB la perpendico¬ lare da un punto dato in essa, come dal punto C: il che si farà in questo modo. Aprasi il compasso a caso; e posta una delle sue aste al punto C, notisi con Tal¬ lo tra li due punti I), E; ed aperto un poco più il compasso, fermando una delle due aste ora nel punto D ed ora nell’E, tac¬ cisi con T altra. T intersecazione al punto F, dal quale sia tirata la linea al punto C: e sarà perpendicolare. Il secondo caso sarà, come nella figura appresso, quando la per¬ pendicolare doverà essere tirata dal- T estremità A. P.er il che fare, aprasi il compasso come ne piace; e posta una dell’aste nel punto A, fermisi l’altra in 20 un punto qual si sia sopra la linea, come in C, e con T altr’ asta sia notata nella, linea AB il punto D; e volgendo il com¬ passo, notisi (come si vede) T arco al punto E, e per li due punti D, C sia fatta passare mia linea retta occultamente, la quale seghi il detto arco nel punto E: dal quale segamento cadendo la linea E A, sarà a squadra sopra la AB. ii. 9 80 TRATTATO A I) Nel terzo caso, si devo sopra l’AH far cadere la perpendicolare c dal punto (’ posto fiumi di essa. Il che faremo fermando un'asta del compasso nel punto (’, ed allargando tanto elio con l’altra si possine notare nella li¬ nea All li due punti l>. K; sopra i (piali i, K ,j fermando una delle aste, con l’altra si farà l’intersecazione K ; e posta la riga sopra i punti (’. l\ tireremo la linea ('(r; vi. (piale sarà perpendicolare. MODI! DI DIVIDERE 1,’ AN«OU> IN CAUTI EttUAM. Sia l’angolo BAC; e posta un’asta del compasso in A. notisi con l'altra li duo punti D, K, sopra i (piali si farà l’intersecazione nel punto F; e tirando la linea retta dall' A a 1\ sarà da essa segato l’angolo in eguali parti. DElil.A DESCRIZIONE DI DIVERSE PKU UK DI DATI Kl> ANOOLI Edl'ALi; E PRIMA, DEI. THIAN(!()1,0. Sia proposto dover descrivere un triangolo 20 di linee eguali sopra la linea All. Aprasi il com¬ passo; e presa la distanza di essa linea AH, fermando l’asta nei punti A, 15, facciasi con n l’altra l’intersecazione al punto V, dal (piale tirinsi l’altre due linee ai punti A. I?: e sarà fatto il triangolo. Qnadrnto A l) 11 quadrato si formerà sopra la linea AH ti¬ rando la perpendicolare dal punto A, per la regola dichiarata di sopra; la (piale perpendi¬ colare sia A C. e taglisi eguale nU’AI5; ed allar¬ gando il compasso secondo la larghezza AB, so fermata una delle sue aste ora nel punto C ed ora nel B, si farà l'intersecazione al punto D: dal quale prodotte le linee DO, I)B, sarà fatto il quadrato. T)I FO KT1FIC AZION E. 81 li volendo sopra la linea AB costituire la figura di cinque lati, detta pentagono, prima allargheremo il compasso secondo la distanza AB, ed intorno i punti A, B con tale apertura descriveremo due cerchi, come nella figura si vede, quali si segheranno ne’ punti G, L ; e fer¬ mata l’asta del compasso nel pun¬ to G, descriveremo il terzo cer¬ chio E A B I 1 '. Fatto questo, tireremo io dal G all’E una linea retta, la quale segherà 1’ ultimo cerchio nel pun¬ to 1 ; di poi per li punti Fi, 1 faremo passare la linea retta E1C e per li punti 1’’, I la linea FII), e produrremo le due linee rette BC, AI); e con l’istessa apertura, con la quale si descrivono i cerchi, sopra i punti C,T) faremo l’intersecazione al punto 11: e sarà fatto il pentagono AB CDH. La descrizione della figura di sei lati si fa¬ rà facilmente nell’infrascritto modo. Sia la li¬ nea A B per uno dei lati della figura, ed aprasi 20 il compasso secondo la sua larghezza, e con tale apertura sia fatta l’intersecazione al pun¬ to C; dove fermata un’asta del compasso, si descriverà il cerchio occulto, nella circonfe¬ renza del quale con la medesima apertura si noteranno gli altri quattro punti D,E,F,G, li quali con li altri due A, B divideranno il cer¬ chio in sei parti eguali; di maniera che, tirate le altre cinque linee BD, 1 ) FI, E F, FG, G A, sarà descritto l’esagono di lati eguali : che è il proposto. Esagono E I) li La figura di sette lati, detta eptagono, 30 sarà descritta in tal modo. Prima descrive¬ remo il cerchio occulto, e tireremo il suo diametro pur occulto AB; e fermando un’ asta del compasso nel punto B, ser¬ vando l’istessa apertura con che si de¬ scrive il cerchio, si noteranno nella cir¬ conferenza li due punti D, C ; e posta la riga sopra essi, tireremo occultamente la linea DE; la quale replicata sette volte Eptagono 82 TRATTATO I)I FORTI FU'AZIU.NK. nella circonferenza del cerchio, cominciandosi dal punto 11, hi divi¬ derà in sette parti eguali; tra le quali tirandosi le linee rette BF, FG, GH, HI, IK, KL, LB, sarà chiusa la figura di sette lati eguali: che è nostro intento. REGOLA UNIVERSALE, LA QUALE SERVIRÀ PER DESCRIVERE UNA FIGURA DI QUANTI ANGOLI EGUALI E LATI U PIACERÀ. Sia nel presente essempio la linea A B, sopra la quale sia di ine- stiero descrivere una figura di molti lati. Prolunghisi la linea AB per dritto occultamente sino al punto ('; e sopra il centro A. secondo l’intervallo di essa AB, descrivasi il cerchio l)Bt’: «• sopra il punto A io sia tirata la perpendicolare AD: e l'arco Di' sia diviso in tante parti eguali, quanti lati vogliamo che abbia la figura da descriversi; e nel presente essempio supponiamo che deva avere sette lati; però divide¬ remo il detto arco in sette particelle eguali, ne’punti K, F, G, H, I, K. Di poi, per regola universale, ne lasseremo sempre quattro dalla parte inferiore, come nell’essempio si veggono lasciate le quattro particelle CE, EK, FG. GH; e dal punto H al punto A tireremo la linea retta. Oltre a ciò, posta un’asta in H ed allargato il compasso sino al punto A, faremo 20 le due intersecazioni alli punti L, N; ed il medesimo faremo fermata l’asta del compasso nel punto B. segnando le due intersecazioni M, 0. Di poi per li due punti L. N faremo pas¬ sar la linea occulta L N, e per li punti M, o l'altra linea occulta, la (piale si giungerà con DN in P:dove posta l’asta immobile del compasso ed allargato l'altra sino al punto A, 30 descnveiemo il cerchio, il quale passerà necessariamente peri punti B, H, e replicata in questo la linea A B sette volte, sarà descritta la figura che cercavamo (come si vede) A H Q R ST B. LA CAGIONE PERCHÈ SONO ORDINATE LE FORTIFICAZIONI. Dovendo noi discorrere intorno al modo di fortificare, doviamo prima recarci manzi alla mente il fine, per il quale sono state or¬ dinate le fortificazioni: il quale altro non è che il fare che pochi pos¬ sine difendersi da molti; atteso che si deve sempre supporre che il nemico, venendo per impadronirsi di una fortezza, sia per condurre assai più numeroso essercito, che non è la moltitudine de’ difensori. Adunque bisogna che quelli della fortezza s’ingegnino di poter con¬ trastare al nimico co ’l vantaggio del sito. 10 Bisogna, oltre a ciò, sapere a quali sorte d’offese si deve resistere; se vogliamo potere talmente ordinare la fortezza, che possa a dette offese contrastare. E venendo al particolare nostro, poiché s’è ritro¬ vato l’artiglieria, strumento da guerra di tutti violentissimo, non pos¬ sono quelle difese, che anticamente bastavano, essere ne i nostri tempi atte a resistere: però bisogna che troviamo altri corpi di difesa, che a gli antichi non,furono di mestiero. I mezzi, con i quali s’offendono ed espugnano le fortezze, pare che siano principalmente cinque: cioè, la batteria, quando con l’artiglierie s’ apre di lontano una mu- 20 raglia, e per l’apertura si fa adito per entrare nella fortezza ; Sui fogli di guardia, il eod. m porta, di mano posteriore, il titolo: Fortifioazioni del Galileo con le figure di ciascheduna ; il eod. n : Galileo Galilei , Trattato della fortificazione. — In capo al 1 lattato, la classo /i reca: Trattato di f ortifioatione delVEoo. m ° Sig. r Galileo Galilei , Mattema. 00 nello Studio di Padova ; il eod. o: Fortifioazioni del 8tgS Galileo Galilei . — I codici ber mancano d'ogni titolo. 1. Il titolo La cagione ec. manca iu A, B — 3. recarci avanti agl } occhi, C — 6-7. condurre sempre assai più, A; condurre più, C — 11. vogliamo talmente, B — 11-12. a detto effetto, n 13. di tutti gli antichi violentissimo, C — 14-15. bastavano, a! nostri tempi resistere, B 19. primo è la ha tieni a, c — 84 TRATTATO la zappa, che si fa accontandosi alla muraglia, v con pali di ferro, con picconi, ed altri istrumiuiti, si rovina; la terza è la scalata, (piando con le scale si monta sopra la niu-, raglia; la quarta è la mina, la quale, per la forza del fi una» rinchiuso in una cava sotterranea (come a suo luogo dichiareremo), rovina in uno instante una muraglia; la quinta finalmente è l'assedio, (piando, togliendo a i difensori ogni sorte di sussidio, si constringono per la fame a rendersi. Lasciamo stare il tradimento, come maniera d'espugnare igno-1# miniosa, ed alla quale male si può trovare rimedio, sellilo impossi¬ bile guardarsi da i traditori. Lasciamo, per simile rispetto, lo ini- proviso rubborie, dalle quali non ne può assicurare la forma della fortezza, ma solamente la vigilante cura delle guardie. qual sia i, erralo oku. AHiTimrrro. Dalle quattro prime offesi* è uffizio dell'architetto il far© che la fortezza venga assicurata: però nell’ordinare le nostre fortificazioni avremo sempre manzi a gli occhi, come scopo principale, l’assicu¬ rarsi dalle batterie, dalle scalate, dalla zappa e dalle mine. E sì come la maggior parte delle offese vengono dalle artiglierie, così dalle 20 medesime verranno le principali difese. Però per generalissimo precetto e per regola invariabile terremo il fare che tutte le parti della nostra fortezza scambievolmente si veg- ghino e difendine, nè sia in loro luogo ancor che minimo, dove l'ini¬ mico potesse stare senza esser offeso: perchè, (piando potesse pure un solo soldato stare senza offesa sotto a qualche parti* della mura¬ glia, comincierebbe ad aprirla; e fatta una buca, dove potessero lavorar due, a poco a poco l’allargherei>bono per 4, ti, lo o 20, e finalmente la tirerebbono a rovina, bisogna adunque che una parte della muraglia vegga 1 altra e la difenda; il che non può fare una linea retta, ma fa di 30 mesti ero che siano due, le quali si riflettine e faceino l’angolo l'una sopra 1. 2' r la cappa, c— 3. H' In scalata, e 5. / /• /,< mina, r S. .7' /' /\is.v«/»«, c — 11. ni al (/ual inali■ non s «■ li pini, C — 15. Mniuut il titillo m A, li. C'J-'J:!. terremo che tulle, B — 29. che M/ni parie, li —31. si infletti,,,,, li DI FORTIFICAZIONE. 85 l’altra: come nella presente figura si vede, dove la linea A B, facendo angolo con la B C, la vede e di¬ fende in tutte le sue parti, e a dalla medesima viene difesa. E questa scambievole difensione si dimanda fiancheggiare o far fianco: e così diremo la linea AB far fianco alla B C, e per l’opposito la BC fian¬ cheggiare la AB. E con simil modo di linee riflesse si potranno circondare le città e fortezze; come si vede nella seconda figura ABCDEFGIIIK, io nella quale non resta parte alcuna indifesa. Ma perchè, mediante il ripiegarsi che fanno le linee in dentro, con grande lunghezza di mu¬ raglia, e per conseguenza con molta spesa, si circonda poca piazza, si deve sfuggire tal modo di fortificare e circondare tutta una for¬ tezza con simili fianchi; e trovar modo di accommodare sopra angoli esteriori o lineo diritte altri modi di fianchi, come co ’l progresso dichiareremo. Quando sarà circondata una piazza di cortine, che non si ri- 20 flettino in dentro, ma faccino li c angoli per P infuori, o che, per conseguenza, non possino l’una l’altra difendersi, non si poten¬ do ancora difendere una cortina diritta da per sè stessa, sarà di bisogno ritrovare ed ordinare una maniera di fianchi, che le scuopra e difenda. E questo che siamo per dir ora deve esser atten¬ tamente avvertito, perchè è il principale fondamento c ragione di 30 tutta la fortificazione. Supponiamo dunque una terra esser circondata di cortine che si ripieghino e faccino angolo all’ infuori, due delle quali siano nell’ in¬ frascritto essempio secondo le linee BAC (1) . E perche la cortina AB non può da per sè stessa difendersi, nè è difesa da altre, bisogna 8. linee inflesse, B —11. in dentro vuol gran lunghezza, 0 — 34. da altri, B, C Vedi la figura della pagina seguente. TRATTATO 8fi uscirò infuori con una muraglia secondo la linea D K. dalla quale ver¬ ranno vedute e difese tutte le parti della cortina DB: e comi di sopra la muraglia DE tenendosi artiglieria, si potrà difendere la cortina I)R E perchè per esse]- l’artiglieria strumento, il quale, per la sua gran¬ dezza e per lo stornare che fa quando si scarica, non può adoperarsi in ogni breve spazio, però fa di mestiem che la muraglia 1) E, quale dimanderemo fianco della cortina DB, sia tanto lontana dall'an¬ golo A, che vi resti spazio capace per l'uso delle artiglierie. Sia dunque tale spazio quello che si vede racchiuso dentro le linee E OHD, il qual domanderemo piazza da basso. Ecco dunque ritrovata di già io la necessità di fare le piazze da basso. Ma perchè bisogna pensare dip otere tenere nelle piazzi* l'artiglierie di maniera che non possine dal nimico esser offese, ed il lasciarle nella piazza così scoperte sarebbe molto pericoloso, è stato conosciuto necessario l’armare e ricoprire con una fortissima e saldissima muraglia R le dette piazze, la quale s'inalzi ancora tanto, che togli di vista al nimico 1 artiglierie: e però, spingendosi avanti secondo la dnt- tura DE nel punto F, si è fatto di grossa muraglia il sodo EFNG, 1. la linea DFdalla A, B — 3, fi. la muraglia DF. A.R S. però bisocjna che, B—7. chia¬ marono fianco, B — 14. troppo pericoloso, B — lfì-17. togli |toglili , hi al nemico la rista del- Vartigliene , B — DI FORTIFICAZIONE. 87 / che doppo è stato dimandato spalla. E così abbiamo la. cagione, perchè il fianco si distingue in piazza ed in spalla. E quello che si è fatto sopra la cortina AB, intendasi ancora, per la medesima ragione, fatto sopra la cortina A 0 ; cioè la piazza KIL M, e la spalla M S 0 L. Resta finalmente che, per fare il corpo di difesa perfetto, ser¬ riamo la figura, congiungendo l’una. spalla all’ altra : il che si po¬ trebbe fare tirando per linea diritta, dall’ una all’ altra, la mura¬ tura N P 0, o vero in arco secondo la linea N Q 0. Ma nè 1’ uno nè io l’altro di questi due modi manca ri’ imperfezione ; attesoché le dette due linee restariano senza difesa, non sendo da i fianchi opposti B, C, nè da altro luogo, vedute. Però si chiuderà, il corpo di difesa con le due linee rette FU, SU, ordinandole in maniera, che almeno da i punti B, 0, dove saranno due altri fianchi, venghino scoperte e difese. E tali due linee si dimanderanno farcir o fronti del corpo di difesa. Concludiamo dunque: ogni corpo di difesa, il quale deve fian¬ cheggiare una cortina, per il discorso fatto, deve esser composto di quattro linee, cioè di due fianchi e due faccie. 20 DUI.T.I DIVERSI CORPI DI DIFESA. Abbiamo per le cose dette potuto comprendere, come quelli corpi di difesa, che hanno a difender le cortine, devono esser composti ili dui fianchi e due faccie. Seguita adesso che veggiamo le diverse maniere di essi, ed i diversi luoghi ove vanno collocati. FI prima è da sapere, che se si accommoderanno corpi di difesa sopra li angoli del recinto (e per recinto doviamo intendere tutto il circuito delle cortine, che abbracciano e circondano la terra e luogo da fortificarsi), verranno ciascheduna cortina ad aver doppia difesa,, sendo poste in mezo di due fianchi : e però il corpo di difesa posto so sopra l’angolo sarà il più reale e principale di tutti gli altri, e si adimanda bellovardo , quasi che belli-guardo, cioè guardia e difesa della 2. si distingua, c —18. dover, d; dover, « — 20. Manca il titolo in B. — 29. posta, C—• 31. quasi belliffuardo, C — li. io 88 TRATTATO guerra; c sarà, come nella prima seguente figura, il lialuanlo Il A EDO, e il baluardo KLMNO. E perchè può talvolta avveniiv che la distanza tra l'uno e l’altro baluardo sia tanto grande, che le difese che vanghino da i fianchi di essi non possino difendere scambievolmente 1'uno e l’nitro baluardo, allora in simile caso sopra la cortina tra essi sarà lecito collocare un altro baluardo: come nella medesima figura si vedo il baluardo I11. li cui fianchi difendono le due fronti DE, L.M. Ma se la lontananza tra l’imo e l'altro baluardo funse così grande, che le difese de i fianchi per difendere le fronti ile i baluardi l’ussero 10 ben deboli, ma non però del tutto inutili, e volessimo, comumpie le si fossero, mantenerle ed accrescervene altre; in tal caso non faremo il baluardo PQlt, perche, come si vede, impedisce la vista degli altri baluardi a i fianchi opposti; ma faremo, come nel secondo essempio si vede, il corpo di difesa K 11(1 II, tanto accosto alla cortina, che non im- H pedisea a i fianchi AF, I) K la vista delle fron- .. ......... " Jir^o H ti EH. FC: o questo A K l D corpo di difesa si ad- dimanda puttfrtfonnu , per esser una figura piatta e schiacciata. Ma 20 pcio, se bene non occupa le fronti de* baluardi, impedisce puro lo ar¬ tiglierie poste in A. 1), che non possino liberamente scorrere tutta la cortina AD. Per lo che si e ritrovato un terzo corpo di difesa, come nell altra figura si vede: dove si è aperta la cortina, e, ritirandosi in dentro, si sono accomodate le due piazze K, I\ dalle quali vanghino c F K 25. vengono, C DI FORTIFICA ZIONK. 85) (ì difese le fronti de i baluardi, senza impedire il libero passaggio dall’ uno all’ altro de i fianchi de i baluardi opposti. E questo terzo corpo di difesa è stato M nominato piattaforma rovescia. Li corpi di difesa dichiarati di sopra, pa¬ re che per lo più ser- l K F vino per difesa della muraglia e della fossa; ma volendo offendere e io travagliare il nimico alla campagna e da lontano, fa di bisogno che abbiamo altri corpi di difesa, li quali, sendo più rilevati delli altri, possino meglio scoprire e dominare la campagna. Per cpiesto sono stati ordinati li cavallieri , li quali altro non sono che alcuni luoghi dentro della cortina, i quali b’ inalzano sopra essa e li altri corpi di difesa; e perchè vengono compresi dentro dal recinto, non importa qual figura ei si abbino. Parimente ancora, per il medesimo rispetto, si possono collocare in qual si voglia luogo : cioè, o sopra i baluardi, come si veggono i cavallieri A, 1); o vero a canto il baluardo, come si vede il cavalliero P> ; o pure tra l’uno baluardo e V altro, come 20 il cavalliero C. E questi si fanno ordinariamente di terra pura, nè hanno altro offìzio che di nettare la campagna. Altri architetti, con migliore previdenza, hanno ordinati alcuni ca¬ vallieri, li quali abbino l’uno e l’altro uso, cioè di difendere la fossa e spazzare la campagna: e però li hanno posti tra l’uno e l’altro baluardo, con una parte di essi fuori della muraglia, e l’altra dentro, come nella seconda figura si vede il cavalliero DA II CE, facendoli nella parte di fuori due piazze basse per difesa della fossa; ed alzan¬ doli sopra la cortina, la piazza da alto scuopre la campagna. Se li 14. dentro la cortina, B, c — 15. dentro al, C ; dentro ilei, u — 1(1. essi abitino, C — 19-20. come si vede il, G — 22. con maggior proviti mza f G — 90 TRATTATO fanno ancora dalla parte di gono le 1). E; «piali servono dentro due altre piazzo, come si veg¬ liar difesa della ritirata, conio più di¬ stintamente a suo luogo diremo. K sono stati dimandati tali corpi di difesa cavai!ieri a cavallo. Sono alcune altre maniere di difeso dette case mafie, 1 uffizio delle quali non è se non offendere l’inimico, (piando fusse entrato nella fossa: e sono alcune picciole stanze, le quali s’accommodano dentro alla cortina giù al piano della fossa, facendoli (lolle feritoie, per le quali si possa con archibugi offendere il nemico. Accommodansi ancora nella fossa, come la casa matta K : nolli angoli della contrascarpa, 10 come le I, L; ed in somma si possono collocare in qual si voglia luogo, come ancora sotto a i fianchi ed alle fronti de i baluardi. K quelle che si fanno nella fossa per lo più si costumano tonde, facendoli intorno molte feritoie, per le quali con archibugi si molesta l’inimico. Oltre a i corpi di difesa già dimostrati, ne sono stati usati altri ancora; perchè dalli detti, alcuni in alcuni siti non sono necessarii, ed altri in altri siti non si possono aeeommodare : come, per essempio, in una fortezza di monte, ogni volta che non abbia vicino qualche luogo più elevato, sarebbe superfluo il far eavallieri ; ed in una for¬ tezza posta in mare non occorre far baluardi : sì come ancora se 20 un sito, per esser circondato da rupi e precipizio sarà per natura inaccessibile, sarebbe superfluo il farvi corpi di difesa. E ritornando al nostro intento, poi che non tutti i luoghi ricercano e sono capaci 2. quali sonu per, B — 3-4. E sono così falli corpi ili difesa doiininilati, C. — 7-8. dentro la cortina , R, C; dentro della, u — 13. facendoli intorno intorno, t\ <1 — 14. le feritoie, C 10. superfluo far, Il —22. superfluo far, II; farci, <■; il farci, li, r — DI FORTIFICAZIONE. delle medesime fortificazioni, bisogna ritrovarne le proprie di ciasche¬ duno sito particolare. E perchè accade alcuna volta, doversi fortificare un luogo che da due o più parti viene assicurato da qualche precipizio, come nella prima seguente figura si veggono li dui precipizii X, R, i quali per natura ren¬ dono forte tal sito ; io in questo caso baste¬ rà chiuder i luoghi pericolosi con la cor¬ tina AI), accommo- dandovi per sua difesa li fianchi AB, I)E, con le fronti BC, EF facendo dui mezzi baluardi, quali vengono a ter¬ minare sopra i precipizii. E questa ma¬ niera di fortificazione si dimanda for¬ birla o tanaglia. 20 Ma se ci occorresse dover fortificare una china d’ un colle, la quale, per la disugualità del sito, non fusse capace di baluardi o altri corpi di difesa reali e grandi, allora si accommodano alcune picciole cortine, difendendo ciascheduna con fianco; come nella seconda figu¬ ra si veggono i fianchi e cortine A, B, C, D : e questo modo si dice forti¬ ficare a denti. E tal maniera di forti- 30 fìcazione si costuma ancora per cir¬ condare li alloggiamenti; perchè, ol¬ tre all’ esser tale, che in breve tempo si può condurre a fine, non avendo corpi di difesa grandi, può ancora esser difesa da artiglieria minuta. 1. trovarne, B; ritrovar, 0 — 4. o tre partì, Il — 15. e con le, 0 —18. di fortificare, 0: fortificazioni, n; omesso iu B — 20. Ma se occorresse, C — 21. una (la, n) cima d’un colle, A, 15 — 21-22. per comnwdità del, B — 26. con un fianco, C — 29-30. di fortificazioni, C — 02 TRATTATO anzi da archibugi ancora. I/mempio «lfl cirmndmv li al leggi annuiti con denti si lui nella terza figura A 11 CD. 1 ) Connumenisi ancora tra i corpi di difesa il rivellino , il quale e un piccini forte sepa¬ rato e spiccato «la tutto il corpo della fortificazione ; per il che e stato cosi detto, «piasi che sia revulso e separato dalli altri. E simili forti si costumano porre io incontro all* 1 jKirte «1**11** fortezze p*»r loro maggiore guardia e di¬ fesa : ed a «piesti rivellini si può andar** per strade sotterranee, eh** riescliino nella fortezza, ac¬ ciò che il nemico non possa impedire il transito. )) _L DKLLK DIVERSITÀ l»K TIRI. Prima che descendiamo all** regole particolari di ordinare i corpi di difesa, è necessario clic dichiariamo alcuni termini attenenti a i tiri delle artiglierie : però clic con questi, come nel progresso sani ma- 20 nifesto, abbiamo a disegnare tutta la nostra fortezza. E prima, quando un tiro d'artiglierìa va parallelo n equidistante a una cortina, senza toccarla in luogo nessuno, si mhlimamla tiro di striscili ; ennie nella so¬ li guente figura si vede il tiro A 11, il «piale stri¬ scia la cortina KF. Ma «pullulo il tin> va a per¬ cuotere e ferir la mura¬ glia, in un sol punto, 80 come si vede sopra la medesimi cortina il tiro CO. questo vini di¬ mandato tiro di firn >, o ficcare. 1. anzi con arch . Anco l'esempio, l* - ili rircowiurr, U. * n //// tutti li nitri , H — 10. ,s (iu osi untano, 15 11. incontro le, 15 ; intorno olle, { • *ja. *t>nzu troni riti in f (’ — luogo alcuno, B, C — r— -s. i>r fortificazione. 93 Il medesimo ancora si deve considerare rispetto al piano della campa¬ gna, dimandando tiro (li striscio quello che la va radendo, e di pero quello che, venendo da alto, la percuote in un sol punto. E così nel secondo essem- pio, rappresentandoci la linea AB il piano dell’orizonte,il tiro CD 10 verrà a strisciare, ed 11 tiro EF, venendo da luogo sublime E, io ficcherà nel punto F. Ma più propriamente, in quanto appartiene al piano della cam¬ pagna, potremo considerare tre diverse maniere di tiri, cioè: il tiro che viene da alto a basso, quale si chiamerà inclinato ; il tiro da basso ad alto, che domanderemo elevato ; ed il tiro paralello al piano, detto Uro a livello, o vero di punto bianco. E così nell’ istessa figura il tiro EF sarà l’ inclinato, OH elevato, e CI) a livello o di punto bianco. E chiamasi a livello, quasi che ad Ubellam ; cioè in bilancio, e che non inchini più nell’ una che nell’ altra parte. E dicesi di punto bianco, essendo che, usando i bombardieri la squadra con l’angolo retto di- 20 viso in dodici punti, chiamando l’elevazione al primo punto, al secondo, terzo e quarto, tiro di punto uno, di punto dua, di punto tre e di punto quattro etc.., quel tiro, che non ha elevazione alcuna, vien detto tiro Ai punto bianco, cioè di punto nessuno, di punto zero. E questo basti al presente circa i tiri. QUELLO S INTENDA PER PIGLIARE LE DIFESE. Essendo che, come nel progresso sarà noto, tutte le parti della for¬ tezza devono avere le loro difese, fa di bisogno che dichiariamo quello che appresso gli architetti significhi pigliare le difese. Diciamo dunque che il pigliare le difese di alcuna cortina o faccia di qualche corpo 30 di difesa, non vuol dir altro, che drizzarla verso quella parte dalla 13. ai chiama, 1), c, a — inchinato, C —15,16,23. punto (ponto, d) in bianco, B —16. sarà inchinato, C — 17. quasi ad, C — 18. inclini pià ad una che ad una altra, B — 25. Quello (che, a) s’intende, B — 26. sarà (si farà, c) manifesto, C — 27. fa bisogno, B, n — 30. altro se non drizzarla, C — 94 TRATTATI) t cintile vengono le sue prime difese: come nel sottoposto essempio, la Inulte del baluardo A15 piglia le difese dal punto ( », per¬ chè prolungata per j dritto la linea AB <; i) batte nel punto 6. di maniera che il punto posto in li viene a strisciare la taccia AB. K se bene altri luoghi ancora veggono e difendono la medesima faccia, come il punto I, il (piale, vi ficca, niente di menu si dice pigliare le io difese dal punto G, per essere il primo luogo che la difende parten¬ dosi dal punto C. venendo verso il 1). K per la medesima ragione la fronte EF piglia le difese dal punto 11. dal quale è strisciata, e non dal punto K. dal quale è ficcata. KKI.LK TUR OAl’SK UKI.l.A PRIMA IMPKRFB7.MNK DR IlAM'ARDl. Per una delle imperfezioni di maggiore importanza che possono ac¬ cadere al baluardo, connumerano gli architetti 1’ (‘ssere l'angolo della fronte troppo acuto; perchè, oltre idi'esser debole e facilissimo ad esser tagliato, con gran lunghezza di fronti si circonda piccola piazza; il che è cagione che non vi possono stare molti difensori, nè commodamcnte ma- 20 neggiarvisi artiglierie, ed in tempo di bisogno non vi si può faro riti¬ rata. Però, come difetto notabile, dovemmo esser cauti in ovviare a tale acutezza; il che potrà da noi più facilmente esser fatto, quando sapremo (piali siano le cause che fanno riuscire l'angolo acuto. l,e quali sono tre: la prima è quando 1 angolo del ri- cinto. so]tra il (piale va posto il baluardo, non sarà ottuso: la seconda è il pigliare le difeso delle faceie troppo da vicino; la terza è l’ordinare i fianchi molto 30 lunghi. L’essempio della prima causa si vede 1 nella prima sotto posta figura: nella quale. Iti. (ielle maggiori imperfezioni H, quale di necessità è sempre minore dell’ angolo del ricinto (come facilmente si può trarre dalla 21 proposizione del Primo d’Eu¬ clide), sendo dentro alle linee AGO dalli punti A, C constituite le due li¬ nee AB, BC, ogni volta che l’angolo B sarà o retto o acuto, l’angolo G sarà più acuto. Nella seconda figura si vede manifestamente che le due fronti LI, LH, pigliando le difese da i punti D, E, constituiscono l’angolo L più acuto dell’ angolo K i, io contenuto dalle fac- /\ eie KI, KH, le quali //\\ prendono le loro di- // \\ fese da i punti A, C, più lontani. E però è ma- // V v v nifesta la verità della / / s nA\ seconda causa che prò- / / A " \ .. duco l’angolo del ha- / / V luardo acuto, la quale // n. dicemmo essere la vi- Jr 20 finanza delle difese. A Conoscesi finalmente per la terza figura, come, pigliandosi le di¬ fese da i medesimi punti A, C, le cortine LH, LI, fondate sopra i più lunghi fianchi I)H, EI, constitui- i- scono l’angolo L più acuto del- l’angolo K, compreso dalle fron- / X \ ti KF, KG, terminate sopra i / / B \\i fianchi più corti T)F, EG; il che A/ J\. \f\ dipende dalla medesima prò- s\T \ posizione d’Euclide. Però, nel- . / nX 30 P ordinare le fortezze, dobbiamo ;// \N\ avere l’occhio all’acutezza degli fy angoli del ricinto, al non pren- É/ \ • • k f dere le difese troppo da vicino, A ed al non fare i fianchi troppo grandi; perchè da tutti tre questi capi si verrebbe a causare imperfezione nell’ angolo del baluardo. 4. dentro delle linee, B — alle linee AG, GC V angolo A B C constituito da due, L 25. composto dalle, B — 27. piti brevi, b, c — 35. all’angolo, B — TU AITATI i DEI.1.A FOSSA, SCAKI’A. CONTRAS» ARPA K STHAHA ioCKKTA. L'uso ed introduzione della fossa è stato utilissimo per i molti coni- modi die da essa si cavano, ed in particolare per le fortezze di piano. Perciò che, quando non si cavasse la fossa intorno alla fortezza, ma si alzasse la muraglia tutta sopra il piano della campagna, verrebbe di maniera scoperta ed esposta alla batteria, die. scudo battuta dalla radice, facilmente sarebbe tratta alla rovina: dove die l’avere intorno la fossa fa che dall’altezza del suo argine viene ricoperta tal parte della muraglia, die non può essere battuta se non molto alto: come dal sottoposto disegno si può comprendere; nel quale per le io lettere A. Il, C ci \jj si rappresenta la y *1 muraglia; CD è il \ f-S fondo della fossa; y j DKK l'argine di ® n essa fossa, il quale ricuopre tal parte della muraglia, che il tiro H. posto in campagna, non può battere se non dal punto I in su. b di grandissima comniodità il far la fossa, ancora perche, doven¬ dosi terrapienare la muraglia, la terra die si cava dalla fossa può 20 servire per fare il terrapieno. Aggiungasi alle cose dette, che dovendo tal volta quelli della for¬ tezza sortire fuori, per disturbare il nemico o per altra occorrenza, quando, sopragiungendogli la calca ih»’ nimiei, gli fosse necessitò di ritirarsi, se la fortezza fusse sfasciata di fossa ed argine, non avendo tempo i difensori d’entrare nella fortezza repentinamente por una piccola porta, verrebbono tagliati a pezzi ; dove che avendo la riti¬ rata dell argine e strada coperta, possono, in tal luogo fatti forti, volger la fronte al nimico e ribatterlo. Nella medesima figura 1 argine detto I)K1‘ si adimanda cantra- 30 •iiarpa: e quel picciol piano segnato KK ci figura la .strada coperta, coperta dico dall altezza Kl*’, quale chiameremo parapetto della strada 4. tl' intorno , (J — lo — 24. fusse di necessità Imitarlo, C — hi fortezza, It — 7. i,i rovina, V — H. a torno In, 1 ’ 21 . per terrapieno, B •essdà il, ( ', _ 28. fumé spandala, n ; spiccata, C — 29. la faccia al, B — ri- DI FORTIFICAZIONE. 97 <■ •aperta. La parte della muraglia segnata CR, la qual si vede pendere in dentro, si dimanda la scarpa-, e si fa in tale maniera pendente, acciò che dal peso del terrapieno, dal quale viene calcata, non sia arrovesciata nella fossa. Giova ancora tal pendenza, perchè, venendo battuta, minore effetto vi faranno le botte dell’ artiglieria, ferendo non ad angoli retti, ma obliqui. IHSIiL’ ORECCHIONE. Parlando di sopra del baluardo e sue parti, mostrammo come, per sicurtà delle piazze da basso, si facevano le spalle, le quali ricopri¬ lo vano e difendevano dette piazze dall’artiglierie nimiclie. Ma l’espe¬ rienza ha poi dimostrato che tale difesa non basta, perchè non assi¬ cura e difende da tutte le parti: come nella figura appresso chiaramente si vede, che dal pun- i to I della campagna si / può tirare nella canno¬ niera E, ed offendere quelli che fussero nella piazza ; ed a questo non reca difesa alcuna, 20 In. spalla E B. Per il che, volendo pure li architetti ovviare a tal pericolo, andorno consi¬ derando che, non avendo altro fine le piazze da basso se non difen¬ dere la fossa, si poteva trovar modo che le cannoniere non fossino così esposte all’ essere imboccate ed accecate ; e questo fu col tirare innanzi la spalla, secondo che ne mostra la figura B D E, facendo un sodo di una grossa muraglia, la quale ricoprisse la cannoniera E, in modo che non fusse veduta dalla campagna; e questa tale ricoperta fu dimandata orecchione, e da altri musone. Ma bisogna avvertire, per disegnarlo, di accommodarlo in modo che non impedisca le cannoniere, 30 che non possino far l’ufficio loro nel difendere tutta la fossa. E con quali regole vadi disegnato, dichiareremo a suo luogo. 17-18. nelle piazze, B — 22-23. se non di difender, C, <1 — 24. fu con tirar, d; fu tirare, n ; fu col tirar, b, r; si fa col tirare, a — 2G. di grossa, B — 28-29. nel dissegnarlo, C 30. di difender, B — 98 TRATTATO CONSIDERAZIONI NEL RBTKRMINARK LK DIFESE. In due maniere, come già si e detto, si può usure la difesa del- Tartiglieria, cioè strisciando o ficcando; c tini gli architetti è qualche differenza nel determinare quale delle due maniere sia più uccommo- data alia difesa della fossa e sue parti; atteso eia» alcuni vogliono che i tiri striscino la contrascarpa e fronti» del baluardo, come si vede il tiro della cannoniera H, il quale striscia la contrascarpa IL e la faccia AF: dicendo elle in questo modo un solo tiro offenderà tutti quelli, che lusserò scesi nella strada coperta, o si lusserò posti sotto il baluardo, o vero vi avessero appressate le scale; il che non può fare io il tiro elio ficca, quale ferisco in un solo luogo. I A ciò rispondono quelli clic vogliono il tini di liceo, dicendo tal considerazione essere vana, essendo che i minici mai verranno in or¬ dinanza su la contrascarpa o sotto il baluardo, se prima non sarà aperto, e fattovi scala per la salita: e volendo condursi india fossa, non verrà se non ricoperto da trincere, ed aprirà la controscarpa, e per 1 apertura cercherà di traversare la fossa ; nel qual caso le ar¬ tiglierie di striscio non gli potranno arrecare impedimento alcuno, ma sì bene quelle che ficcano: come si vede per il tini (1M, il quale, quando il nemico avesse aperta la controscarpa nel punto M, potrà 20 tirare nell apertura e travagliarlo. K quando ancoro si fosse condotto sotto la faccia del baluardo DE, e r avesse incominciato ad aprire nel punto O, il tiro (jO non ve lo lascierebbe dimorare, ficcando nel- 1 apertura: il che non può fare il tiro IIF, che striscia la fronte AIs anzi in ogni picciola apertura, come si vede nel punto I\ potrà ri¬ coprirsi un uomo, e cavando allargare luogo per molti. s. (i qìifisfo, B — li», o fattori, B, T— 17 . iVattrarmuire, li 18 , rrrarr, tì, C — 1)1 FORTIFICAZIONE. 99 Rispondono quelli che vogliono i tiri di striscio, che il ficcare nella contrascarpa deve essere officio delle piazze da alto de’ baluardi, e non delle piazze basse; perchè, sendo i tiri delle piazze da basso poco elevati sopra il piano della fossa, non possono così bene scoprire il nimico come quelli della piazza alta; e così, quando il nimico avesse tagliata la. contrascarpa nel punto M, molto meglio si potrà trava¬ gliare dalla piazza alta del baluardo vicino, come dal punto 0. che dalla cannoniera G, bassa e lontana. A questo s’aggiunge, che dovendo la cannoniera (1 ficcare nella io contrascarpa 1K, non si potrà ricoprire in modo con l’orecchione, che non possa essere imboccata dalla campagna : come si vede per il tiro G M, che, prolungandolo oltre il punto M, passa Inora della contrascarpa, come si vede in R, di dove potrà essere imboccata la cannoniera G ; e così verrà impedito l’uso dell’ orecchione, il quale era di fare che le cannoniere non fussero vedute di fuori della fossa. Oltre a ciò, il volere tiri che ficchino nella fronte del baluardo, farà venire l’angolo del baluardo acuto: perchè, se vorremo che il tiro HA ficchi nella fronte del baluardo opposto, bisognerà mutare la fronte A F. la quale dal detto tiro è strisciata, e ritirarla più in fuori, secondo -0 che si vede per la linea AS; il che facendosi, non vi è dubbio alcuno che l’angolo del baluardo s’inacutisce. Tuttavia soggiunge l’altra parte, che lo sperare che la piazza alta possa molestare, il nemico, che abbia aperta la contrascarpa, è cosa vana: perchè, quando sarà ridotto a questo termine, avrà ancora ordi¬ nato modo di fare sì che i difensori in conto alcuno non possino affac¬ ciarsi sopra la muraglia; per lo che le loro difese saranno del tutto tolte, di maniera che solamente il fianco del baluardo opposto potrà recar travaglio all’ inimico. E quanto al dire che il tiro di ficco sia causa che le cannoniere possino essere imboccate, rispondesi che, vo¬ se lendo li avversare che la piazza alta possi molestare il nimico che sia su la fossa, potrà uell’istesso modo, e più facilmente ancora, impe¬ dirlo che non possa piantare le artiglierie per accecare le cannoniere. Considerate tutte le ragioni dall’una e dall’altra parte, le quali sono efficaci e gagliarde, risolviamo che, potendosi, non meno la. con- 3. i tiri delle j)lazze basse ) C — 5-6. arerà tagliata, B — 11-13. campagna, come si vede in lì, di dove, A — 19. tirarla, C — 20. facendo , C — non (), B — 21. s f inacutisca, C — 25. fare che, C — in modo alcuno, B — 26-27. saranno tutte tolte, C ; in tutto, a, — 30. piazza possa, C — 31. nella fossa, C — 33. deìV un a e delValtra parte, B, C, n — TRATTATO ] 00 trascarpa clic la fronte del baluanln sieno «lift». di timi <• di striscio. l‘orò, dovendo in ciascheduno fianco essere almeno due canno¬ niere, ordineremo che una strisci il baluanln »• ficchi la eontrnscarpa, e L’altra strisci la contrascarpa e ficchi il baluardo; il che compar¬ tiremo in maniera, che non causi inconveniente alcuno, come a suo luogo sarà manifesto. llKLLA PIANTA K OKI. HKl'Hl.e Volendo dar perfetta cognizione della pianta e del profilo, e della loro differenza, bisogna farsi un |m>co di lontano, e dichiarare come in ciascheduno corpo sono tre dimensioni, senza le quali non si può as-io segnare e determinare l'intiera sua quantità: e Mino, tali dimensioni o misure, lunghezza, larghezza ed altezza o profondità; e sono, come si è detto, necessarie tutte insieme per determinare l'intera grandezza di ciascheduno corpo. Perché, scudo noi dimandati quanto sia grande qualche corpo, se diremo essere tanto lungo, diremo imi>erfettumente. potendo con la medesima lunghezza essere congiunta maggiore o mi¬ nore larghezza, maggiore o minore altezza; né si saria risposto suf- iicientemente, dicendo esser tanto lungo e tanto largo, senza dire ancora essere tanto alto: ma quando alla dimanda si riHjKinderà, il corpo essere tanto lungo, tanto largo e tanto alto, alluni si sarà a 20 pieno satisfatto al quesito, non avendo corpo alcuno altre misure in sé che le tre sopra nominate. E perche nei nostri discorsi, volendo dimostrare tutte le proporzioni delle parti della fortezza, ariamo bi¬ sogno di dichiararne tutte le misure; però sani necessario din* non solamente (pianto ciaschedun membro deva esser lungo, mu quanto largo ancora 0 quanto alto. Ma perche noi uviumo di bisogno di lap¬ pi esentare i disegni della fortezza in una superficie, non essendo la supei fi eie capace se non di due misure, non potremo nellistesso dise¬ gno rappresentare le lunghezze, le larghezze e le altezze: ma potremo bene rappresentarne due, cioè lo lunghezze con le larghezze, o vero le 30 larghezze con le altezze. 1 .di fi ,e di, A, L 9. da lontano, H,C — 12. altezza e nono, 11, ( ' ir». *<• rie/Hmdetsiinn, A,C 1. potendo con la.... larghezza ed aver maggiore o minore /no fondili) ni, li, r; polendo la.... congiunta con maggiore 0 minor larghezza «/ aver maggiore a minor profondità, ni, c - 26. dece, B, 0 — 2fi. abbiamo bisogno, B — DI FORTIFICAZIONI' - ,. 101 Ed acciò che «filanto si è detto, con l’essenvpio si faccia più mani¬ festo, proponghiamoci di volere rappresentare le lunghezze e larghezze di una cortina, con due mezzi baluardi, con la fossa e contrascalpa, E recandoci innanzi la prima delle sottoposte figure, avemmo per la linea EF la lunghezza della cortina; le linee ED, FG saranno le lun¬ ghezze de i fianchi ; dalle linee G H1, I) C A ci viene dimostrata la lar¬ ghezza dell’ orecchione e lunghezza delle fronti ; per le linee 2 3 4 viene mostrata la lunghezza della contrascarpa; e volendo vedere la sua larghezza, cioè quanto la pendenza della sua scarpa la fa slar- ìo gare dalla parto di sopra, guarderemo lo spazio compreso dentro alle due linee 2 3 4, 5 li 7 ; e lo spazio tra le due linee 5 6 7, 8 9 10 sarà la larghezza della strada coperta. La linea KLMNOPQR, che rigira intorno tutta la fortificazione, comprende quello spazio e larghezza, che la parte inferiore acquista, mediante la scalpa ; l’intervallo tra le linee EF, ST sarà la larghezza del parapetto; e tra le linee ST, VX sarà la larghezza della banchetta. Ecco come nel presente disegno aviamo le lunghezze e larghezze, e non le altezze ; le quali se vor¬ remo avere, insieme però con le larghezze, le prenderemo dal secondo (i. determinata, 0—10. dentro le, B; dentro dalle, n — TRATTATO 10'2 disegno; nel quale. A 15 sarà la altezza della luinelietta, l!t’ la sua lar¬ ghezza, (JD altezza del parapetto, DE la sua larghezza e pendenza, EFCt altezza e pendenza della cortina e sua scarpa, (ili della fossa, HI altezza e pendenza della contrascarpa, 1K larghezza della strada coperta. K E altezza del suo parapetto. K così in questo secondo disegno aviarao le medesime cose elle nel primo, ma rap¬ presentate sotto altre, dimensioni. E concludendo diciamo, quel disegno clic ci rappresenta le lun¬ ghezze con le larghezze dimandarsi pituita : e l'altro, che ha le lar¬ ghezze con le altezze, esser detto profilo. io DELLA SCALA. l’oi che le misure non sono appresso tutte le nazioni le istesse, ma alcuni usano il braccio e le altre misure più lunghe, ed alcuni più corte; se vogliamo sfuggire l'ambiguità e confusione, fa di mestiere che stabiliamo e fermiamo con quali misure siamo per proporzionare e misurare ciascheduna parte della nostra fortezza. Diciamo dunque che useremo per nostra misura il communi 1 braccio toscano; il quale acciò sia noto a ciascheduno, noteremo l'infrascritta linea AB, che è uguale alla quarta parte del detto braccio. E perchè si possa con le debite misure proporzionare ciaschedun -’O membro della fortezza in qual si voglia piccini» superficie, bisogna che dichiariamo il modo di fare ed usare la scala. Quando dunque avremo determinato, che figura vogliamo dare alla fortezza, e sopra a qual spazio s’ abbia da disegnare, prima tireremo una linea retta di lunghezza tale, che giudichiamo, a un di presso, che tanto deva essere la lunghezza di uno de i lati della figura, o vogliamo dire una cortina tra l’uno e l’altro de i baluardi; di poi. come areremo quando si dira delle misure, la divideremo in tante parti eguali, quanto brac¬ cia deve essere la lunghezza di detta cortina : c così areremo la scala delle braccia, dalla quale caveremo tutte le altre misure. 11. Della scala acero misura, B — 12. le mrdesinu\ (*, a — 11. fuggire, H, n — 23-24. e saprò tinaie, ]$,C— 2 &. s'abbia a, B — 25. deve, B,C — 27-2S. ili poi cinteremo (inaialo si dirà, B; di pio come areremo (pianto si deca dalle misure , r — 30 DI FORTIFICAZIONE. 103 Ma per fuggire il tedio di avere a fare una sì lunga divisione, po¬ tremo fare con più brevità in questa maniera. Ponghiamo, excmpli i/ratia, che la cortina abbia ad essere lunga quattrocento braccia: pigliando la quarta parte della linea che ci deve rappresentare detta cortina, avemmo la misura di cento braccia, la quale divideremo in dieci parti, e ciascheduna di esse ci rappresenterà braccia dieci ; doppo divideremo una di queste decine in dieci particelle, ciascheduna delle quali dimostrerà un braccio: e così da tale divisione potremo facil¬ mente prendere il numero di quante braccia ne piacerà, come di sei, io quindici, venti, venticinque, etc., sì come ciascheduno senza difficoltà può da se stesso comprendere. PRIME CONSIDERAZIONI INTORNO ALL’aCCOMMODAUK DIVERSI CORPI DI DIPESA ALLE FORTIFICAZIONI. La fortezza si potrà difendere con i soli baluardi, quando la. lun¬ ghezza delle cortine non sarà troppo grande, come dimostra la se¬ guente figura: ed in ciascheduno fianco si accommoderanno almeno n o due cannoniere, una a canto alla cortina segnata A, la quale, come si vede, striscia la faccia del baluardo opposto e ficca nella contra¬ scarpa; ed una accanto allo orecchione, segnata B, che striscia la 20 contrascarpa e ficca nella, faccia del baluardo. E tale torti fi c azione è bellissima e sicura. 3. abbia esser, d ; da esser , C — lunga da quattrocento , 0 — 6. dipoi . C : poi , u 11. da per sr stesso (medesimo , a), B — 16. almanco, B — li. J2 104 'IRATTATO Nella seguente figura sono accommodato, tra i baluardi, le piatte de’ baluardi ; di maniera ohe la cannoniera a canto aU’oreccliione striscierà la contrascarpa e ficcherà nella faccia del baluardo, e la cannoniera a canto alla cortina ficcherà nell’uno e nell’altro luogo. Le cannoniere della piatta forma striscieranno le faccio ih 1 ' baluardi. Ma tale fortificazione non è da eleggersi in circondare tutta una fortezza: ma si può bene tollerare in un solo luogo, quando si avesse la distanza tra l’uno e l’altro baluardo molto grande. La piatta forma a rovescio s'accommoda, come nella seguente figura, io cavar le difese. Li cavallari a cavallo, come dimostra la seguente figura, con le piazzi' da basso strisciano le fac¬ cio dei baluardi, e sono di manie¬ ra situati, che le cannoniere de i di modo che , lì — dell'orecchione , B — 7. per circondare , B IO. piattaforma rùterscid s'accommoderd, B — 18. fugare, B. n — 23-24. le fronti , T 20 DI FORTIFICAZIONE. 105 baluardi, le quali sono a canto all’orecchione, ficcano nella faccia del baluardo opposto e strisciano la contrascarpa, nella quale ficca la can¬ noniera a canto alla cortina. Nel fabricare questi cavallieri, siamo di parere che la cortina, che gli traversa, non si rompa, anzi s’inalzi all’al¬ tezza del cavalliero; acciò che se mai venisse zappata e rovinata la parte dinanzi, resti la parte di dentro, sostenuta dalla cortina, a guisa di semplice cavalliero. Tale fortificazione è molto meglio di quella della piattaforma; perchè, oltre a quello si è detto, scuopre la campagna, fa traversa di dentro al battere per cortina, serve per difesa della io ritirata, e da alto scuopre e batte i baluardi che fossero stati tolti. Nella seguente maniera di for¬ tificazione, i ba¬ luardi prestano tutte le difese da per loro, ed i cavallieri aggiunti tra l’uno e l’altro baluardo battono solamente la campagna, possono difendere la ritirata, ed, essendo preso uno baluardo, potranno travagliare e scacciarne il nemico; e questi si potranno fare di qual si voglia forma. 20 Per accommodare un cavalliero sopra uno baluardo, non troviamo dimostratone da altri modo alcuno, che a pieno ne satisfaccia: il che è stato cagione di farci pensare sopra, e finalmente crederò averne tro¬ vato un modo, il quale augumenti molte difese, senza punto impedire o disturbare le solite difese del baluardo. E perchè l’intendere a parole la sua fabriea è alquanto intrigato, la dichiareremo, il meglio che si potrà, sopra la figura. 11 cavalliero, dun¬ que, accommodato so¬ pra la gola del baluar¬ do do, è quello che nella seguente figura ci vie¬ ne rappresentato per le lettere ABCDEFG; e le piazze di sotto del 8. oltre quello, Il — quello che si, C, a —11-12. seguente figura o maniera, C — 17. campa¬ gna e possono, li, 0 — 17-18. e venendo preso, G — 18. scacciare, B, C —19. figura, B ; forma so¬ vrapposto a figura, m — 21. dimostrato, C — 24-25. E perchè V insegnare a parole è molto intri¬ gato, C — 25. lo dichiareremo cd meglio, B, C, n — 25-26. che sia possibile, C. — 1 OH TRATTATO baluardo hanno il muro HC od KF, elio è coninumo a loro od ancora al cavalliero, e sono detto piazze li ('111. od KFKL. Di queste se ne co¬ prirà con la volta la metà o vero li tini terzi acciò elio, vonenilo battuto per fianco il cavalliero, lo suo rovino non proibischino il potere stare nelle piazze da basso. Questo piarti ricoperto sono sognato 11 ('TV od EFES; e (filando saremo col cavalliero aH’altozza di dotto volto, si girerà, secondo la larghezza delle piazze di sotto, un mezzo cerchio di qua ed uno di là da’ lati del cavalliero. quali entreranno in corpo al cavalliero. come si vede M, N; e questi si alzeranno su a guisa di duo nicchie, od all’altezza di sei braccia incirca si chiuderanno: di maniera che. volendo noi io tirar per fianco dalla piazza di sopra del baluardo, tra la larghezza delle volte e lo spazio acquistato dai dui mezzi corchi vi sarà campo a. bastanza per lo stornare dolio artiglierie, (pialo spazio vien compreso per le lettere TVN od RSM. (Inviassi ancora in cerchio la parte dinanzi do] cavalliero. come si vedo K 1) (’ ; e por poter salire sopra la piazza alta del baluardo, si farà sotto il cavalliero una strada in volta, segnata OD; o lo salite del cavalliero si faranno a canto lo piazze di sotto, l’una dov’è VII A, e l’altra dove è R F(1 ; e si potranno accommo- dare ancora lo due stanze P, Q. (piali potranno servire per la ritirata. I cavallieri a canto i baluardi, conio si vedo nella figura seguente, 2 # sono, in alcune cose, da posporsi al cavalliero piantato sopra il ba¬ luardo nel modo fioco fa dichiarato: perchè, restando dentro della cortina, non portano di¬ fesa so non alla campa¬ gna oltre la fossa. E ben vero ohe servono eccel- lentomente fior traversa al battere per cortina. 0 fanno bollissimo fianco alla cortina per di so dentro: ed insomma è fortificazione da apprezzarsi. La seguente fortificazione, con la piattaforma sopra la cortina di¬ ritta, non ci piace; perchè non si potrà accommodare talmente, che non impedisca le difese scambievoli lì. ma a schiso e pendente, secondo la linea I) ri; perchè sullo sdrucciolo di tale linea non si po¬ tendo fermare la scala, sani forza che l’arrivi dal punto A all’E, e che, per conseguenza, sia tanto lunga che non si possa maneggiare, ri la medesima pendenza I) ri. farà clic, quando il nemico volesse pur venir con ordigni e machine da gettar -cale alla muraglia, non si potrà accostare, e sani vana ogni sua fatica, ri, lilialmente lo aver cannoniere chi' striscino la cortina e fronti delli baluardi, potrà proi-30 biro 1 accostare le scale e fermarli* appreso la muraglia, con qua- lunche mezzo il nimico ciò far volesse. r l. sin iiei■ tmMttlirr. It: reni re mJ assilli,uri, (' ,• grari, (' li. ilisaijiose, C - !t- IO. sportare mi puro. ( d ; alquanto, n 12. sforzato, <1 ; forzalo ilisrnxtarla, n : farà forza di ri tumularla, ( ' IH. inchinata, C - 22. Uni, It, < * ; tWo. n ifarr.C 2fi. che arrivi, C — JS. gettar alla mitraglia scale ili nnro non si. <1 ; gettar ili intoni scale alla mitraglia non si, la mitraglili , d; nella maniglia, H 30. fronte, m , (’ DI FORTIFICAZIONE. 109 DELLA ZAPPA. All’offesa della zappa, quando il nimico avrà incominciato a porla in opra, non ..pare che ci resti quasi altro rimedio che i tiri che fic¬ cano : come dimostra la seguente figura, nella quale, avendo il nimico in¬ cominciato a penetrare dentro alla muraglia ne i punti E, F, le can¬ noniere a canto alli orecchioni 0,1), ficean- 10 do nelle aperture e fa¬ cendo schizzare le pie¬ tre, molesteranno e scaccieranno i zappatori ; ed il simile faranno ancora nella cortina, quando il nimico venisse per zapparla : ma ciò rare volte potrà intervenire, per esser la cortina sottoposta e messa in mezzo alla doppia difesa e vicina delli due fianchi, il che non avviene alle fronti de’ baluardi. E per tale rispetto loderemo assai che la cortina tra l’uno e l’altro baluardo si refletta e faccia angolo in dentro, come le due linee ACt, GB, le quali ficcano 1’una nell’altra scambievolmente. Ma per esser l’offesa della zappa importantissima 20 e scarsa di rimedii, bisogna stare molto cauto e vigilante per vietare eh’ il nimico non si conduca sotto la muraglia : il che acciò pos¬ siamo fare, sarà di mestiero dichiarare e mostrare, in qual maniera il nimico si conduca nella fossa. DELLA TRINCIERÀ. Essendo che 1’ offesa della zappa non si può usare se non da vi¬ cino, come di sopra si è detto, però bisogna che dichiariamo il modo, col quale si può venire sotto la muraglia; il quale è per via rii trin¬ cierò sino in su la fossa: e come poi si attraversi la fossa, dichiare¬ remo più a basso. 30 E prima supponghiamo che la fortezza abbia la tagliata e spia¬ nata a torno a torno per lo spazio di uno miglio ; di maniera che il campo nemico non possa piantare i suoi alloggiamenti in luogo sicuro, 8-9. a canto Vorecchioni, B — 9-10. ficcheranno, C — 15. in mezzo (Iella, B — 22. il dichia¬ rare, C — 28. sino sii, C — 110 TRATTATO sr non in maggior lontananza di un miglio. Essendo dentro a tale spazio ogni luogo scoperto e mal sicuro, nè si potendo praticar la campagna senza pericolo, bisognerà incominciar la trincierà lontana dalla fortezza un miglio: c volendo far trincierà cavata por tutto il detto spazio, sarebbe opera molto laboriosa e lunga; por il che si potrà incominciare un argine di fascine e legnami ammassati insieme, il (piai lavoro non richiede molta lunghezza di tempo; e da questa fascinata ricoperti si potrà venire un pezzo innanzi, cioè sino a che si potrà giudicare che possa resistere alle artiglierie della fortezza. Ma sendosi molto avvicinati, nè bastando più la difesa delle fascine, come 10 faceva in maggior lontananza, si comincierà la trincierà cavata: per la quale condurre ad (‘fletto, si terrà tal ordine. Prima, di notte, si metteranno in opera cavatori, i (piali possi no segnare, cavando un poco, la drittura, secondo la quale dorerà ca¬ mbiar la trincierà: la (piai dirittura si farii risgiiardarc verni qual¬ che parte, che non possa per dritto essere imboccata dalla fortezza. E, fatto tal segno, si caveranno, pur di notte, molte buche sopra (letta dirittura, profondandole circa due braccia, e lontane l’una dall’altra dieci o ver dodici braccia; in ciascheduna delle (piali si lascieranno due uomini, i (piali ancora di giorno potranno seguitare 20 il lavoro, e, buttando il terreno cavato sempre verso la fortezza, la¬ vorare al sicuro: avvertendo che il primo terreno cavato sia buttato quattro o cinque braccia lontano dall'estremità dello argine, talmente che vi resti spazio per l’altro terreno da cavarsi di mano in mano. Ma perchè, vedendo quelli della fortezza apparecchiarsi il nimico ad assalirli per via di trincero, e sapendo (pianto le sieno pericolose, è credibile che con ogni sforzo s’ingegneranno di disturbarlo e che molti sortiranno della fortezza por venire ad ammazzare quelli della trincera, i quali, avendo molto lontano il soccorso doU’esscrcito, piima sarebbono tagliati a pezzi che aiutati da i suoi: però, per provedere 30 a tal pericolo, sarà bene fare alcune bastionate, come nella sottoposta figura si vede per le lettere E. lì. le (piali abbino i loro aperti con i suoi ripari dinanzi, acciò che dalla terra non possimi essere dalle artiglierie imboccate. E queste potranno servire per ritirate a quelli -• sicuro non m, C — 3-4. Iti trincierà un miglio I uniti no ilullu fortezza, li 8. sino clic, li. B - 8-9. si possa giudicare che potrà, H — 17. E presso t preso, <•) tal, C — 18. lontana, C — lontano una, B — 22-23. buttato .7 o 4 braccia , B 24. resti altro .spazio per altro, C 25-26. (/'assalirli. (’ t)I FORTIFICAZIONE. Ili della trincera; ed ancora vi potranno stare alcune compagnie di sol¬ dati, per soccorrere quelli che fussero occupati in cavare la trincera. Fannosi trincero ancora di linee storte, come si vede dal punto 0 al punto Y; quali si fanno nel medesimo modo che le dritte, av¬ vertendo di gettare sempre verso la fortezza. E nelle svolte, quanto più saranno strette, più saranno ricoperte e sicure, perchè manco potranno essere scoperte dalla fortezza: ma bisognando alcuna volta farle capaci, acciò si possa girarvi l’artiglieria, si alzerà più il terreno verso quella parte che ricuopre le svolte, che altrove; e vi si metta¬ lo ranno de’ gabbioni, de i quali chi sarà alla campagna ne avrà sempre a bastanza. E facendosi le trincare con qualche riflessione, angoli, o fian¬ chi, sarà molto utile per poterle guardare e difendere; come più minu¬ tamente si dirà, quando tratteremo del fortificare gli alloggiamenti. Ed acciò che meglio si comprenda quanto si è detto, riguardisi nella figura sottoposta. Nella quale il punto 0 è tanto lontano dalla 4. si faranno, B — 5. sempre il terreno verso, C—8. V artiglierie, C —13. quando si trat¬ terà, C —14. guardisi, C — 13 rr. 112 TRATTATI > fortezza, che non può esser offeso: e di li eomineiando la trincera di fascine, si arriva al punto II. il quali' comincia ad esser perico¬ loso, nè esser a bastanza assicurato dalla fascinata: però quivi si co¬ mincierò la trincera cavata, la quale procederà non come la EF, la E(t, o EH, le quali vengono imboccate da i baluardi o dalla cor¬ tina, ma si drizzerà come la QK, o vero III. le quali non riguardano drittamente verso parte alcuna della fortezza onde possine essere im¬ boccate. 1 presidii o ritirate per i cavatori della trincera sono Q, K, II, ne i quali starà, come si è detto, il soccorso. Ea trincera storta OY sarà sempre più lunga che la dritta: pure tal volta non si potrà fare io altrimente. COME SI ATTRAVERSI LA Fossa. Con l’aiuto e ricoperta della trincera si potrà arrivare sino su la fossa; ma per traversarla bisognerà ricorrere ad altri mezzi, atteso che le offese, che verranno dalla piazza alta de' baluardi e di sopra la cortina, saranno di grandissimo impedimento, l’ero bisognerà tòrle via; il che si farà in due modi. E'uno, con il rovinare e tòr via il pa¬ rapetto, di modo tale che nessuno vi possi star dietro ricoperto, ma venga veduto ed offeso dall’artiglieria di fuori, che da qualche luogo rilevato offenda quelli che stanno alle difese. E'altro sarà con offen- 20 derli senza rovinare i parapetti: il che sarà col battere per cortina con qualche cavalliero; come nella sottoposta figura si vede il caval- liero II, il quale batte per di dentro la fronte del baluardo A, e il cavalliero Q, il quale batte la cortina II (’. Il modo del levare l'offese rovinando i parapetti non si può fare da lontano; e però bisogna, per accostarsi sicuro, fare le trincere, come già si è mostrato: e quando si sarà vicino alla muraglia 250 o .100 braccia, si accommolieranno i gabbioni, o bastioni, di maniera, che dietro ad essi possa star sicura l’artiglieri!! e tirare a i parapetti, (•ome si vede nella seguente figura: dove noi supponghiunio che siano 30 J. si arrivi, n si arriverò, (_' —5. n la K II. Il 11. altramente, n; altrimenti, (l,r,c— 11, Hi. bisogna, C — 17. il vhe si potrà in, lì — l‘i-20. fuori r ila guai vi, v luogo rilevato offender quelli che staranno alla difesa , C — 21. sarà il batter . C ■ 25. modo di levare, lì, d — 29. po¬ trà star, lì — 113 DI FORTIFICAZIONE.. fatte le trincero cavate E L ed EI, e le trincera 0 E, N E sopra terra : e volendo levare le difese da A, 13, C, T), tutte in un medesimo tempo, si metteranno i gabbioni fra le due trincero cavate: avvertendo sempre di accommodarli in faccia a dove si vuol battere, acciò il colpo sia ad angoli retti e faccia maggior effetto. Però si è posto nella figura che i gabbioni F riguardino la faccia del baluardo A, i gabbioni G la cor¬ tina, e li H la faccia dell’altro baluardo. Da queste tre faccie ed or¬ dini d’artiglierie si tirerà a i parapetti: e non è dubbio, come sanno i periti della guerra, che facilmente si levan via, o al meno si vieta, io lo starvi a offendere chi viene nel fosso. Levate che siano ne’ modi dichiarati le offese che vengono dalla, cortina e dalle piazze alte, tutta la speranza di que’ di dentro si riduce ne i fianchi B e C; i quali si cercheranno anco di rovinare, o d’imboccare le cannoniere, per quanto sarà possibile, acciò non fac¬ cino effetto: e questo si fa col piantare le ali delle artiglierie S,T, l’una delle quali imbocchi il fianco C, e l’altra il B. Ma non per questo saranno del tutto levate le offese, perchè al meno le canno¬ niere a canto li orecchioni resteranno ancora salve, e potranno fare offesa. Però bisogna, di notte, avere preparate molte balle di lana e 9. i pratici della guerra, C —13. si cercherà, n, a —15. con piantare, C — Ili TRATTATO gabbioni e simili ripari; ed arrivato elio ni sani alla testa della trin¬ cera 1 o vero K, o all’una e l’altra nel medesimo temi», »i co¬ mincierà a mettere una balla o un gabbione da man destra, e uno da sinistra; e se ne ordinerò due fila: uno eia* vada a trovare la punta del baluardo, per tórre ehc il fianco dell'altro baluardo opposto non impedisca l’entrata della trincera nel fosso; e l'altro rtlo vada attraversando il fosso alla volta delli orecchioni. K nell' istesso tempo che si spingeranno innanzi le balle, bisogna circondarle e ricoprirle, il più che sia possibile, di terra: la (piale (se la qualità della fossa lo permetterà) si caverà di essa medesima, perchè nell’istesso tempo 10 si sbasserò il fondo e s’innalzerà la traversa, e sani ricoverta più si¬ cura. Quando non si possa cavare la fossa, si ordineranno due fila d’uomini nella trincera, le quali con corbelli conduehino il terreno in questa maniera, che una fila si radino porgendo l'un l'altro i cor¬ belli pieni, e quelli dell’altra fila ri porgeranno in dietro i corbelli vóti; e così, senza moverai di luogo, con prestezza si condurrò grande quantità di terreno: avvertendo che le fila si voltino l’un all’altro le spalle, acciò non si diano impedimento. K quando quelli che hanno porto i corbelli pieni saranno stracchi, metti in loro luogo gli altri, che li riconducevano vóti: e così, rifrescandosi alternamente, ver-20 vanno a fare molto lavora. Avvertendo che mentre queste cose si fanno, le artiglierie non rifinino di tirare a i parapetti, ed i cavallieri di bat¬ tere per cortina; per il che fare bisogna avere aggiustati i tiri di giorno: perchè è credibile che quelli della fortezza faranno ogni sforzo per disturbare il nimico. Le traverse, che hanno a servire per ricoperta nel passare la fossa, non vorranno essere men grosse di venti braccia, volendo che possino resistere all’impeto de i fianchi; e (pianto all’altezza, quanto più sa¬ ranno basse, più saranno gagliarde. E per maggior sicurezza si farà una trincera a canto alla contrascarpa. >ì come si vede la trincera A AllB, SO gettando il terreno verso i gabbioni K, (1, H, doppo la quale possino stare archibugieri, i quali con archibusi a posta leveranno le offese per tutto, come prima facevano le artiglierie E. (ì. 11, con manco spesa e i). per far che, 0 — 9. che sarà possibile, R— 12. Ma i/uando, 1>, <■ 13. li i/nuli rim, 11, C 14. m radi', C, d; racla porgendoti, a 15. riporghino. O 17. le /ile, 11— l’un l’altro, 0; /’iina all'altra, ii —20. rinfrescandosi, n, a; facendosi, C 22. non reffinono, d; non re¬ stino, C, a — 23. che farà di bisogno avere aggiustato , (’ 24. J cosa credibile. Il — 28-29. sa- ratino alte, 0 — 31. verso la fortezza dopo . B. (* 1)1 FORTIFICAZIONE. tir» travaglio: ed aperta, la contrascarpa in più luoghi, da detta trincera si potrà al sicuro offendere tutti quelli che sortissero dalla fortezza. E finalmente, doppo tutte queste preparazioni, si verrà sotto la mu¬ raglia a zapparla. E se bene queste cose, come è in vero, nel mettersi ad essecuzione sono pericolose molto e difficili, tutta via non restii che non si possino fare e si faccino. Per il che è necessario pensarvi molto bene, ed ordinare la fortezza di maniera, come appresso dimo¬ streremo, che foglia ancora la speranza e sicurtà al nimico di porsi a tale impresa. io E questo basti circa il condursi sotto la muraglia. IjK’ 1UMKDII PER PROIBIRE L’ ACCOSTARSI ALEA FORTEZZA E ZAPPARLA. Come s’ è dichiarato di sopra, per traversare e poter scorrere la spianata, userà il nimico le trincere; per traversare la fossa, le tra¬ verse di balle e gabbioni : e finalmente si condurrà all’ atto del zappare. E per disturbarlo nel fare le trincere, non ci sarà più oppor¬ tuno rimedio che il sortire: e se saranno nella fortezza, come in ef¬ fetto fa di mestiero che vi siano, de i cavallieri e luoghi eminenti che signoreggino la campagna, questi non lascieranno che il nemico possa piantare le sue artiglierie per rovinare i parapetti e tòr via le offese, 20 e parimente potranno impedirli il far cavallieri alla campagna per battere per cortina: alla qual offesa, quando pure sia posta in uso, si ostei'à col fare delle traverse, quali non lascieranno battere per cortina; e se saranno di già stati fatti cavallieri a canto de i baluardi, essi medesimi presteranno tale uso. Ma per disturbare il nimico nel traversare la fossa, ci sarà di mestiero, sì come in tutte le altre oc¬ casioni di guerra, di grandissima prestezza nell’uscir fuori a com¬ batter la fossa, avanti che siano latte le traverse. E se dentro alla muraglia, sotto la contrascarpa ed in diversi altri luoghi della fossa, saranno delle case matte, apporteranno eommodo grandissimo, e forse :to sono il più opportuno rimedio che in simile accidente usare si possa; ed al parer mio, in tal caso è più da sperare in esse che in qualunque 2. che sortiranno , C—4. nel metterle, C—6. in essecuzione , B —pericolose molte, n ; molte pericolose , r ; mollo pericolose, b, c—(i. e non si faccino, B — il pensarci, C —15. sturbarlo, B — Ui.chesortire ,B— VI.mestiero vi siano, b, r—19. la sua artiglieria, B — 23 .acanto i (/t',B),B,C — 24. sturbare, B — 27. dentro la, B,C—31. a mio parere, d; a parer mio, n — TRATTATO 116 altro avviso. Ma dato elio finalmente, superato il nimico tutte le dif¬ ficoltà, si sia condotto all’atto del zappare, potrà apportargli nova difficoltà l’esser la muraglia lubricato, secondo di’è piaciuto ad alcuni, con archi grandi e larghi più che sia possibile, i (piali ven¬ dono ascosi da una sottile camiscia di muraglia; perchè, venendo a O tagliare il nimico la parte inferiore del muro, resterà tuttavia in piede la superiore sostenuta da detti archi, (piali non rovineranno se prima non verranno loro tagliate le cose ir ini ini] toste; e queste, con dif¬ ficoltà saranno affrontate dal nimico, scudo nascoste e tra di loro molto lontane. K so la fortificazione sarà di terra, potrà assai resi- io stero alla zappa, sondo tra essa terra mescolato molto legname lungo e sottile, con le sue incatenature, secondo l'ordine che insegneremo quando parleremo del fortificare di terra; perchè, venendo zappato da basso, il legname e le incatenature sostengono assai il terreno di sopra. E tutte questo cose serviranno solamente, come si dice in prover¬ bio, per allungare la infermità, atteso che non vi ha dubbio alcuno che, perseverando di stringere, il nimico s'impadronirà del luogo. Ma la lunghezza del tempo, o per novi soccorsi a quelli della fortezza, o per la morte di qualche principe, o por dissensioni e discordie nate tra' ne¬ mici, o per il sopragiungere tempi contrarii, o per peste e malattia, 20 ha molte volte finita la guerra con salvezza delli assediati. DKM.K MISE K CONTRAMIXK. La mina, tanto quanto è offesa violenta, è ancora all'incontro fal¬ lace; ma (piando si conduce a fine, non vi è dubbio alcuno chel’ò violentissima. Questa si fa dal nemico, conducendosi por una cava sot¬ terranea sotto quel luogo che egli intende di rovinare: dove arrivato, cava una piccola stanza, che si addimanda il forno della mina; efl in questo mettendo quantità di polvere, e serrando l'entrata con trava¬ menti fortissimi, quando si viene a darli fuoco, con grandissima ro¬ vina si leva in capo tutto quello che gli è di sopra, (piando non traviso da svaporare da altro luogo dalle bande: perchè la natura sua è di 1. nitro (liuto, I), I), 0 — superate, li r ; /’ inimico sii/u russe, Il 2. e si siti, u portargli , B,G — 4. tirchi larghi e lunghi più , C — 0. tra loro, B —11. mescolato tiri legname, ( 1 — 12. dissegna- remo, a — 15-lli. per proverbio, C — l(ì. non ri è dubbio, II, (’ — 17-1S. Ma o per lunghezza, 0 20. o maialile, C — 20-21. malattia e molte, 11 — 2-1. non ri ha dubbio, (.' — 24-25. che 1 nolentissima, e ; che riesce riolentissima, B — 28. intende rovinare, B, C 28. questa, B, r, c — M FORTIFICAZIONE. 117 far forza verso tutte le parti, e di rompere finalmente dove trova minore resistenza. Come si possa arrivare eon la strada sotterranea al luogo destinato per minarsi, come si sfuggliino Y intoppi clic possono occorrere per via, come si prepari il forno e si chiugga, e come se li dia fuoco, non dichiareremo al presente, non essendo la intenzion nostra d’insegnare a ordinare le mine, ma sì bene come ad esso si possa rimediare. Se la fortezza, essendo antica, non averà le contramine di già or¬ dinate, bisognerà che i defensori stiano molto vigilanti per accol¬ lo gersi quando il nimico verrà per minare: il che potran conoscere dallo strepito che farà il nimico nel zappare la strada sotterranea, perchè, tenendo un’ orecchia appoggiata in terra, si sentirà lo intro¬ namento clic sarà fatto all’ intorno. Fotrassi ancora il medesimo sco¬ timento comprendere da qualche cosa che facilmente si muova, come sarebbe col posare in terra un vaso pieno di acqua, la quale si vedrà tremare allo scuotere della terra percossa da i cavatori. Alcuni usano drizzare in terra un tamburo, sopra il quale postovi sassetti leggieri, o fave, o simili cose che facilmente si movino, le quali, all’ introna¬ mento delle percosse di chi cava, si moveranno e renderanno stre- 20 pito. Questi e simili sono i mezzi da venire in cognizione, quando il nimico voglia minare. E per rimediare alla mina, tutti i cavamenti fatti a torno al luogo sospetto saranno opportunissimo rimedio: i quali cavamenti, potendosi, si faranno sempre dalla parte di fuori, cavando intorno al luogo, che intenderemo volere assicurare, una fossa sotterranea, facendo oltre a ciò in essa ad ogni 25 o 30 braccia un pozzo; e se nel tondo de i pozzi si farà una fossa clie vada dall’ uno all’ altro, sarà cosa bo- nissima. E quando non si possino fare simili cavamenti per di fuori, si faranno dalla parte di dentro, ordinando delle cave le quali va¬ so dino pendendo ed inclinando verso la mina; e la loro bocca si farà lontana dalle muraglie o altri luogld atti a rovinare, acciò che, sva¬ porando per essa il fuoco, non offenda cosa alcuna. L’utilità di questi cavamenti è che, quando sarà acceso il fuoco nel forno, trovando da poter rompere da i lati, più facilmente si farà strada per i detti pozzi e cavamenti, che col levarsi in capo tutto il peso sopra posto. 1. forza da tutte, B— tutte le bande, C—5. dichiariamo, 0—10. il che potrà, A, B, 0 —12. orec¬ chio appoggialo, C —17. tamburino, B —18. muovono, C — 28. possano, 1) ; possono c, r, <1, n 118 TRATTATO Ma nelle fortezze ohe ni avemnno da fan* «li nuovo, acciò si stia senza sospetto, s’ordineranno le contromine intorno a tutta la fortezza dalla parte di fuori, facendo strade sotterranee con pozzi e cavamenti, conio già si è detto. Avvertendo che non tutti i luoghi sono sotto¬ posti alle mino: anzi quelli che hanno a tomo acque, <> dove l’acqua, cavando, facilmente si tronca, come sono tutti i luoghi di piano, non corrono pericolo di mine: alle (piali per lo più sono sotto]toste le for¬ tezze di monte. I>K1,I,A IIATTKKtA K SCOI K1MKIUJ. La batteria è veramente la più sicuro e gagliarda offesa che usar si io possa: e di questa siamo per dire succintamente i niezi che si tengono per porla ad effetto, ed i rimedii che contro di essa usare si possono. E prima, volendo che la batteria sia gagliarda, fa di mestiere pian¬ tare le artiglierie vicine, perchè, (pianto più saranno da presso, tanto maggior passata potranno fare. Nè sia chi tenga quella opinione ridi¬ cola, che l’artiglieria faccia maggiore effetto in lina certa distanza che più da vicino; perchè è del tutto falso. Adunque, avanti ad ogni altra cosa, bisogna clic il nimico pensi di approssimare la sua artiglieria alla fortezza; il che non potrò fare se non col mezo di trincero. Ma come i difensori possino sturbare il nimico nel fare tali trincero, di 2» sopra si è detto a bastanza. E (piando le artiglierie siano approssi¬ mate, bisogna scoprirle in campagna aperta, volendo porle in uso per la batteria. Però ciò non sarò lecito fare, se prima non si torranno le otti •so che vengono di sopra i parapetti: e rosi il nimico o cercherà di rovinargli, o di battere per cortina di sopra con cavallari alla campagna. Al rovinare de i parapetti sarà ottimo rimedio il fargli grossi 18 o ‘20 braccia, perchè, quando bene vanghino battuti nella parte dinanzi, ne resterà tuttavia per di dentro tal parte in piede, che servirà per ricoperta. Al battere per cortina si rimedierà con tra¬ verse; anzi i cavallieri a canto i baluardi in questo caso serviranno 30 eccellentemente. Tolti via i già detti impedimenti, non per questo si porrà ancora 1. 11 fare, C — 2. intorno intorno a ((/ ornano in B) tutta, fi, C — 1 1. saranno (Vappresso, n; appresso, G — 17. aranti d'ogn*altra, u, b, r; ogn altra, B, c — 19. per mezzo, C — 23. torranno ma i C — 25. di sopra carati ieri. A, fi; i cacali ieri % C — DI FORTIFICAZIONE. 119 il nimico alla batteria, se prima non vedrà d’essere sicuro di poter poi venire all’ assalto ; nè avrà tal sicurezza, se prima non toglie via le offese de i fianchi. Però tenterà d’imboccare ed accecare le canno¬ niere, o vero, disarmando le piazze della ricoperta clelli orecchioni, renderle del tutto inutili. A queste cose si osterà col fare li orec¬ chioni grossi almeno quaranta braccia o ancor cinquanta ; perchè una muraglia così grossa e massiccia, quando anco venghi tutta ro¬ vinata, non si abbasserà mai tanto, che le medesime rovine non ricuo- prino le piazze da basso. Ed all’essere imboccate, o, per dir meglio, al io fare che, quando bene venghino imboccate, non per questo siano rese inutili, ne dimostreremo il modo più a basso, quando insegneremo la- lùbrica di un perfetto baluardo, e che al parer nostro possa resi¬ stere a. qual si voglia offesa. Le cose sin qui dette serviranno per impedire e difficoltar al ne¬ mico il venire all’atto del battere: e questo gli sarà reso ancora ma¬ lagevole se la fossa sarà assai profonda, perchè l’altezza della con¬ trascarpa gli occuperà tanta parte della muraglia, che o non potrà battere se non dal cordone in su (e così le rovine non saranno a ba¬ stanza per fargli scala alla salita) ; o, volendo battere a basso, sarà for- 20 zato ad una delle due cose, cioè o ad inalzarsi con cavallievi, battendo da alto a. basso con suo poco profitto, sondo che la batteria che viene da alto a basso è di pochissima forza ; o vero bisognerà che tagli ed apra la contrascarpa ; il che non potrà fare senza lunghezza di tempo c senza pericolo, e massime se ne i fianchi saranno canno¬ niere che ficchino nella contrascarpa. Ma venendo finalmente alla batteria, se la muraglia e terrapieno saranno fatti con buona disposizione, avrà molto die fare ; ed. in particolare se vi saranno i contraforti fatti nella maniera che più di sotto si dirà, i quali, quando bene sia rovinata la. muraglia di fuori, so saranno bastanti a. mantenere in piede il terrapieno. Il quale se sarà capace doppo le cortine, e se i baluardi avranno le piazze alte spaziose in modo, che commodamente vi si possino fare le ritirate, si darà tra¬ vaglio non picciolo al nemico nel venire all’ assalto, purché vi siano difensori, nell’ardire e forze de’ quali consiste il nervo della fortezza: 3. le difese de’ fianchi, B — 0. o vero cinquanta, C, d;o cinquanta, iv — 8. si abbassa, C — 10. vengono, c ; fossero, B — 14-15. difficultare ’l nimico di venire, B — 20. delle due ciò? o, n ; dette due cose o, 0 — 30. in piedi, C, n ; omesso in B — 34. e forza, C — II. U 120 trattato ,> sondo fatta la ritirata, si potrà lamissimo difen.lcre per liiinco, di sopra i lati elio mettono in mezo la rovina, uccomnn alandovi, biso¬ gnando, delle artiglierie; o per fronte sarà difesa da arcliibusieri. Ed in simile caso non si può esprimere di «pianta utilità siano i ca- valliori a canto i baluardi, i «piali, come più volte se detto, possono fare eccellentemente fianco alla ritirata ; la «piale è di tanto giova¬ mento, che. purché i difensori non si peniino d'animo, può render vane tutte le fatiche e pericoli superati dal nimico. OKI.I.E MISURE PARTICOLARI DI TUTTI I MKMIIIU DKI.l.A l'uRTR'/.ZA. Per procedere con la maggior chiarezza, facilità «* brevità che sialo possibile, dimostreremo congiuntamtmtc c indi' istcsso tempo il modo del disegnare ed aecommodare a i loro luoghi tutti* le parti della for¬ tificazione con le loro misure e proporzioni. E cominciandosi dalle più universali e communi, diremo della gros¬ sezza della muraglia, la «piale circonda intorno intorno tutta la for¬ tezza. E se bene potrebbe ad alcuno parere, «die «pianto più fusse grossa, tanto fusse migliore, tuttavia siamo «li parer contrario, cioè che si faccia più sottili' che sia possibile : anzi s«* la fortezza non si avesse a mantenere lungo tempo, basterebbe formarla «li terra. Ma perchè nel processo del tempo i giacci, le nevi, e le pioggia vanno 20 rodendo e consumando il terreno, fa «li bisogno vestirlo di muraglia, la «piale si farà solamente tanto grossa, aiutandola ancora con la scarpa e contraforti, clic basti a sostenere il peso «ltd terrapieno; perchè la muraglia sottile, oltre al portar minore spesa, è ancora meno esposta all’essere rovinata che la più grossa. K la ragione e tpiesta: che tirandosi con le artiglierie in una muraglia che non sia passata dalle palle, viene talmente intronata e scossa, che «leppo non molti tiri ne cascano grandissimi pezzi; ma la muraglia sottile, dando luogo alle palle, non si scuote, nè riceve altra offesa che dove è fo¬ rata. Per il che, nel risolverci intorno alla grossezza «lidia muraglia, 30 doviamo aver riguardo alla «pialità del terrapieno: il «piale, se sani arenoso 0. non molto fisso. a\TÌi bisogno di più gagliardo sostegno; 3. sarà difeso, B, C — 4. può esplicare ili, U — Ili. di disegnare, (' - 20. di tempo, C — 21. fa bisogno, B —25. ad essere, B 27. e smossa che, C 20. alle bolle, a: « die Mie, 0 w ''iene altrove offesa, V — 30. risolversi, B intorno lo, B DI FORTIFICAZIONE. 121 ma, se sarà più tenace e saldo, più sottile muraglia basterà a reg¬ gerlo. E per determinare in particolare, per sostenere un terrapieno mediocre, una muraglia che da basso sia grossa tre braccia, o che. a poco a poco assottigliandosi, si riduca a due all’ altezza del cordone, e tale si mantenga dal cordone in su, sarà bastante; regolandosi poi col più e col meno, secondo la qualità del terreno. L’altezza della muraglia sopra il piano della fossa deve esser tale, che ne possa assicurar dalle scalate: e per questo dal cordone in giù si farà sedici braccia in circa, e dal cordone in su quattro o ver cinque, io onde tutta l’altezza non sia meno di venti braccia; delle quali, dieci vorrei che ne occupasse la profondità della fossa, talché la muraglia si alzasse solamente sopra il piano della, campagna braccia dieci o undici. La scarpa si farà più e meno pendente secondo la qualità del ter- rapieno, essendoché quanto maggiore sarà la pendenza, tanto più fortemente sosterrà il peso del terrapieno. Però quello che si costuma di dare ordinariamente, eh’è per ogni cinque braccia d’altezza uno di scarpa, ci piace assai, quando il terreno sia buono e fisso. In (presto luogo é da notarsi, come molti costumano di far la mu¬ raglia del baluardo più alta che la cortina: il che pare da approvarsi 20 ogni volta che non si faccino cavallieri, perché allora dalla piazza alta del baluardo si scuopre meglio la campagna. Ma facendosi ca¬ vallieri sopra o a canto il baluardo, non occorrerà alzare la muraglia di esso più che la cortina. Seguita che diciamo de’ contraforti i quali si appiccano alla mu¬ raglia dalla parte di dentro, e sono di grandissimo aiuto ed utile. E questi, alcuni hanno costumato di fargli più stretti in quella parte dove appiccano con la muraglia; come si vede nella seguente figura, dove i contraforti C, D, E, dove appiccano con la cortina A lì, sono sottili, e dall’altra testa vanno allargandosi so a coda di rondine : ma simil forma non ci piace, perchè, venendo battuta la muraglia, e restando i contraforti in piedi, il terreno tra essi cascherà nella fossa, non avendo chi lo sostenga, come avrà quando li contraforti siano fatti al contrario : 2-o. un terreno mediocre, A, B — 5. regolandoci, d — 6,13. più o, 0 — 7. di sopra il fondo della, C — 8-9. se ne farà ( faranno, a), B — 22. accanto «/, C; a lato ’l, d — 29. altra parte, C — 34. come arerà, B, n; come avverrà, r; il che non avverrà, b, c — TKAITATO 1 ‘>»> I come si vede nell’altra figura, dove i con traferri II. I. K. nella parte che appicca alla cortina F («, anno più larghi, e vanno ristringendo verso F « l’altra testa. K (pienti, (piando sia ro¬ vinata la cortina, restando in piedi, sostemunio il terrapieno, sondo l’aper- 11 1 K tura fra 1' uno e l'altro più stretta verso la parte di fuori; talché il terreno, che per l'indietro va al¬ largandosi, non potrà smottare e uscire per la boera più stretta. Farannosi li contraforti alti sino al cordone e, dove appiccano con la muraglia, larghi sette o otto braccia: la (piai larghezza sito ristringerà sino a due braccia verso l'altra testa; facendo la lun¬ ghezza loro otto braccia, e la distanza fra l'uno e l'altro braccia dodici in circa. l'or ordinare poi i banchi con le loro piazze e con tutte le misure debite a ciascheduna parte, procederemo nella seguente maniera: av¬ vertendo che noi nel medesimo tempo insegneremo le misure di tutti i membri particolari, ed il modo di ordinare un baluardo che possa resi¬ stere ad ogni sorte di offesa. K perchè le difese de’ baluardi vengono scambievolmente dall'uno all'altro, ni* può un baluardo difendere gè medesimo, però nel disegnarli non si disegneranno soli, ma due insieme, 20 cavando le loro forme da i tiri, da i (piali devono essere difesi. Però prima si tirerà una linea retta, la (piale sarà per la cortina tra l’uno e l'altro fianco, la cui lunghezza si determinerà o maggiore o minore, secondo la grandezza del recinto: avvertendo ben sem¬ pre, che quanto più i fianchi saranno vicini, tanto più le difese loro verranno ad esser gagliarde. E nel presente esseinpin Mira la cortina la linea AA, sopra la quale si metteranno ad angoli retti i fianchi, come si vede per le linee segnate All: delle (piali se ne prende¬ ranno braccia 30 per le larghezze delle piazze di sotto, segnan¬ dole AC. Ed avvertiscasi, che andando li due fianchi ordinati nel- 30 1 istessa maniera, si eontrasegneranno con le medesime lettere; e quello che si dirà dell’uno, s’intenderà detto dell'altro. Dalla linea AG ci tireremo in dentro braccia setti*: e tirata un’altra linea ad essa parai ella, verrà formata la grossezza del muro dinanzi alla piazza. 1 -ì. (he appiccano, Ii,(. —2. rannosi striiignaia, (' 3, rpnindo mirti, C — 14. r. tutte, Iti. disdegnarono, ti — -<>. a nuscir gagliarde e .taratalo pia .tirare. E, 1! - 31. dinanzi la piazza, 14 — 124 TRATTATO guata EI). la quale conipiunderà la sortita: ed uverenio tra (jueste linee una larghezza di braccia 14. delle «inali. <|imndo noi saremo all'altezza di 7 in 8 braccia dal piano del tosco, hi scarpa ne avrà consumato braccia l Vi», tal che resteranno braccia 11 }■>. sondo sce¬ mato dalla parte di fuori lo spazio sino alla linea F(ì. Pigliando dunque il messo tra I)K ed Ri. vi tireremo la linea III, sopra la quale, cominciando dalla cortina A. misureremo due braccia per la prima cannoniera: doppo, pigliando con il compasso la misura di braccia 5 e (piarti 4, segneremo un cerchio, che avrà di diametro braccia 11 Va', doppo il quale si lascieranno due altre braccia per lato larghezza della seconda cannoniera: doppo la (piale disegnammo un altro cerchio con il medesimo diametro, e doppo esso dm» altre brac¬ cia per la terza cannoniera : e così delle .40 braccia ne areremo con¬ sumate 29, cioè 24 per li due cerchi, che ci rappresentano due merlotti, e (> per le tre cannoniere; e quel braccio che avanza, servirà per risalto o spalletta. Ordinate così le cannoniere, per disegnar le piazze con i loro tra- ìnezi, si farà in tal maniera. Pongasi nel inezo di ciascheduna canno¬ niera, sopra la linea HI. un'usta; di poi sopra il dritto del fianco, cioè sopra la linea ACll, fuori del punto H misurinsi (piante braccia 20 vorremo per la larghezza del fosso, «piale al presente pongliiamo brac¬ cia 50; dove si porrà un altro eontrasegno. elle sarà nel punto K. K perchè una cannoniera deve ficcare e l'altra strisciali», la prima striscierà la fronte del baluardo, ed uffizio della seconda sarà stri¬ sciare la contrascarpa. E però, ritirandosi indietro nella piazza, e guardando per il segno messo nella seconda cannoniera, si farà pas¬ sare una linea per detto segno e per il punto K: e ciò facendo nel- 1 altro fianco ancora, si troverà P intersecazione M; ed allungando le linee MK sino al rincontro dcll'ungolo del baluardo, sarà dise¬ gnata la contrascarpa strisciata dalle seconde cannoniere: doppo leso quali nelle piazze si lascierà il segno N. nel luogo di dove si tra¬ guardò. Per terminare poi i tiri di ficco, traguardando per il messo della cannoniera 1 al punto M. si farà un segno nella piazza secondo tal drittoni, qual sarà 0; e traguardando, per il medesimo punto di a. 7 o K braccia, C _ 4. „n braccio e me-za, (' 8. dipoi con un compasso presa la misura, - 22. linea, li — all'incontro, H - 31, luogo dorè, II, <• iì. tra Ir liiin 1>K e i'tì ci tireremo, C si 1 unigii un, (' 21. e l'uffìzio, G — 29. ài 1)1 FORTI l'IO AZIONE. 125 mezo la cannoniera, l’angolo del fosso contraposto all’angolo L del baluardo, si segnerà nella piazza il punto P, per dove fu tra¬ guardato: e poiché li due punti 0,P ficcano nell’estremità della contrascarpa, qual si voglia altro tiro, che ficchi in qual parte si sia della medesima contrascarpa, non uscirà fuori de’ termini 0, P. E traguardando per la medesima cannoniera e per lo punto P, si noterà il punto Q nella piazza, dal quale viene veramente strisciata la faccia del baluardo: il ficcare nella quale sarà offizio della seconda, cannoniera; onde, traguardando per il mezo di essa ed il punto L, si io noterà dove viene il tiro nella piazza, che sarà il punto R. Ma perchè queste due cannoniere non possono essere tanto coperte, che non siano sottoposte all’essere imboccate, e massime la prima, però, per provedere il più che sia possibile, che il fianco non resti senza tiri, ci abbiamo aggiunta la terza cannoniera, quale pari¬ mente difenderà di ficco la faccia del baluardo; e però, traguardando per il suo punto di mezo il punto L, si noterà nella piazza dove viene il tiro, che sarà nel punto S. E questo ci darà regola all’orec¬ chione, perchè, come si vede, secondo il suo dritto bisogna formarlo e terminare la sua grossezza; e la lunghezza si farà o più o meno, se- 20 condo che i tiri lo comporteranno ; perchè alcuna volta sarà termi¬ nata dal tiro NM, quale sarebbe impedito se l’orecchione fusse troppo lungo, ed in qualche altro sito sarà terminata dal tiro OM. Però basta che sempre mai li due tiri QBL e SL fanno la grossezza dell’orecchione; e la lunghezza si farà che non occupi i tiri OM, NM. E perchè potrebbe essere che la terza cannoniera talvolta, per esser imboccate la prima e la seconda, restasse sola, e che, venendo il nimico all’assalto, non potesse farli quel danno che sarebbe neces¬ sario; però abbiamo aggiunto una piazza nell’orecchione, l’officio della quale è di difendere la cortina, sì come fanno le altre ancora, nel modo 30 che si vede per i tiri segnati V. Resta ora che assegnamo la ragione del mettere i traversi alle piazze, che devono andare a sghembo e secondare i tiri delle arti¬ glierie, acciò che esse nello stornare siano libere, e non cornilo ri¬ schio di percuotere ne’ muri e rompersi. E però, primieramente, il 1). per mezzo, B — 14. v’abbiamo, a — 17. sarà il punto, C — 20-21,22. terminato, A, B — 22. altro caso sarà, C, d — 24. occupi o impedisca i tiri-, 0 — 2(1. imboccata, C, n — 29. i diffon¬ dere, B — 31. le traverse, C — 126 TRATTATO tiro OM è causa clic si faccia pendere in dentro il mimi della piazza: e perchè il tiro SL della terza cannoniera e il tiro TV della seconda lasciano tra di loro spazio liliero dietro al secondo merlone, si può cavar la scesa clic va alla sortita. Il muro XW della piazza dell’orecchione si lieve tirar pnralello alla faccia del baluardo LH, lontano da essa braccia 40 o :15 almeno, acciò per tale grossezza si mantenga la spalla. «• la piazza n*sti largalo o vero 15 braccia. Ed essendo impossibile il trovar»» iikm lo ehe la prima e seconda cannoniera non siano sottoposte all’inserì* inil>«H’cate. pendìi*, dovendo io vedere, è forza clic siano vedute, jht ilan* maggior diftìcultà che si può al nimico, abbiamo iiensuto di fan* almeno si, ehe tale itnliocca- meuto resti vano; atteso che jht altro non s'imi sax-ano le canno¬ niere, che per fare che le non difendano la cortina ini impedinchino il venire all'assalto. Noi per il contrario cercheremo che, se Itene siano imboccate, non gli sia tolto il difonden* la coitimi e vietare l’as¬ salto: il che sarà in questo modo. La prima cannoniera ì* esposta all esser»* imlsK-cata dal punto M sino a quanto tiene la contrascarpa, isl i tiri che ili tal luogo la pos¬ sono imboccare comprendono nella piazza lo spazio chiuso tra i 20 tiri (),P, oltre i quali verso il punto tutto i* sicuro: e però si è fatto il tramezzo Z, doppo il quale .-i sta sicuro; e j»er l’intensa can¬ noniera si striscia la cortina, come mostra il tiro YY. E perchè po- trebb’ essere, come s'è detto, eli'il nimico venisse su 1 fosso, e di qui imboccasse la seconda cannoniera, venendo il tiro n»*l punto N, è stato necessario tirar la traversa l . Avvertendo che fra i tramozi Z,U resti tanto spazio, che, stornando, il jn*zz<> vi capisca; e talvolta, bi¬ sognando. tra l’uno e l'altro si farà la traversa di terni 0 sabbione, la qual ritenga 1 artiglieria, ehe non venga a scoprirsi nel punto N. La lunghezza della piazza non si funi meno di 40 braccia, facon-30 dola pendere un poco verso la fossa, acciò che anco dall’estremità di dentro possa fare effetto; e peiviò si faranno le cannoniere senza soglia o scaletto. 3 * ira C, il — r/‘ si piu), V. — 1 . la scala che, ( ’ IJ. ,1.1 rssn, I ' '.I. im/mssibilt Irotare, Il IO. ad essere, I) 11-1—. si possa, U,(* — i:i. non/ter altra imburrano, Il — 1 1. impedischino al nimico il, C — HI n/ni li sia, B : noti ci sia, V - 18. mi essere, 11 li», da tal, B — 26. nel fosso,» 28. la traversa .1). di terra, A; la traversa .q.di terra, li 27-30. insognando faranno dette traverse di terra e saltinone, quale (quali, r) ritenga l'artiglieria. La lunghezza, C- DI FORTIFICAZIONE. 127 DELLA DIVERSITÀ DE’ SITI E LORO PROPRIETÀ. L’ aver veduto diversi corpi di difesa ed il loro uso, è bene d’uti¬ lità per le particolari cognizioni ; ma le distinzioni de’ siti e delle nature loro è necessariissimo, anzi quello che più d’ogni altra cosa deve stimarsi in materia del fortificare. E però, andando discorrendo intorno alle diversità loro, c’ ingegneremo darne sufficiente contezza, dimostrandole ancora di più gli essempii in disegno. E prima, per regola generale, tutti i luoglii di piano saranno si¬ curi dalle mine, e le loro muraglie verranno bene ricoperte dall’ar¬ to gine e spalto della contrascarpa : areranno abondanza d’ acque, il che è di grandissima considerazione: le artiglierie di tali fortezze, tirando quasi di punto bianco ed a livello della campagna, faranno maggiore effetto die se tirassero da alto a basso. Ma, all’ incontro, sono tali siti soggetti ai cavalieri, che facesse il nimico in campagna, ed alle machine, le quali facilmente possono condursi : oltre a ciò, avrà il ni¬ mico meno difficoltà a venire all’assalto, non avendo a salire; avrà, oltre a ciò, commodità di tenere cavalleria, che scorrendo rompa le strade, impedisca il soccorso, e più gagliardamente stringa la terra; avrà altresì commodità di far trineere e con esse venire in su ’l fosso, 20 fare de’ forti e cavallieri, potendo commodamente lavorar di terra, I siti de’ monti, quando avessero altri luoghi più eminenti da i quali fossero scoperti e signoreggiati, non solo non devono fortificarsi, pei 1 essere inutili, anzi si devono sfasciare e smantellare. Ma quando non siano da altri dominati, saranno assai più forti di quelli di piano, av¬ venendo sopra tutto che siano capaci e spaziosi. Questi con manco spesa di terrapieno, avendolo fatto dalla natura, si fortificheranno; saranno sicuri da’ cavallieri e dalle machine, che non potranno con¬ dursi alle muraglie; sarà da questi tenuto lontano il nimico ; e com¬ battendo, si starà a vantaggio, facendoli ancora rovinare* materia ad- 30 dosso per le valh che avrà intorno, le quali, sendo molte, impediranno anco F assedio, e potranno facilmente venire soccorsi. Ma, all’ in- 1. Delle diversità, C — 3. cognizioni loro, ma, C — 5. nell’andar discorrendo, a—7. dimo¬ strandone, B,C—10. d’acqua, C — VI. punto in Manco,B—faranno forse maggior,}] — Vi. dal¬ l'alto al basso, B — 17. oltre ciò, cl; oltraciò, 1); inoltre, a — 1!). venire sai fosso , B, C, u 21. di monti, d ; di monte, C — 28. da queste, C — 29. con avantaggio, m ; con vantaggio, C — 31. e li potranno, B ; e potranno i soccorsi piò facilmente venire ascosi. Ma, C II. u> 128 TRATTATO contro, sono sottoposti alle mine, e l'artiglieria nemica vi ha gran forza, battendo di sotto in su; patiscono d'acqua, nè possono valersi di cavalleria che tenessero dentro. Dentro a i laghi ed al mare si sarà sicuro da' rubi lamenti, dalle mine, e con diffìcultà si potranno far batterie. In questi luoghi manco guardie bastano, e manco difensori ancora. Ma quelle fortezze che saranno poste in acqua dolce, saranno pericolose no’ tempi do’ ghiacci; oltre che, per lo più, in simil luoghi vi è cattiva aria. Sopra i fiumi o in mezzo ad essi s'è sicuro dalle mine, ni* si patisce d’acque; ma bisogna avvertire che il fiume non possa esser deviato fuori del suo io lotto, onde per esso si possa entrare nella fortezza: s’è, in oltre, molte volte sottoposto alle inondazioni e naturali ed artificiali, (piando, col turare il nimico l’uscita del fiume, allaga e sommerge la fortezza. Imperò, tenendo fermi questi avvertimenti, scudo noi sforzati ad accommodarci ad uno di (pienti siti, doviamo cercare, s’egli è possibile, rimediare a quelle lesioni che gli possono essere fatte. Corno, per essem- pio, ne’ siti de’ monti si provederà alle mino con l’ordinare le contra¬ mine; e per non avere a patire d’acque, si faranno conserve grandis¬ sime. E simili avvertimenti si avranno intorno «Ili altri particolari. Ma, in generale, ci saranno ancora molte considerazioni, le quali 20 sono utili a tutti i siti. Come, per essempio, sarà di necessità considerare il luogo da fortificarsi intorno intorno per lo spazio di mille passi, e vedere quali cose vi siano che possimi nuocere alla fortezza e giovare al nimico, e levarle via; osservando por regola ferma ed infallibile, che tutti i siti che hanno a torno altri luoghi eminenti, onde pos¬ sono essere scoperti e signoreggiati, si devono lasciai* stare, perchè non sono capaci da esser fortificati. Lo spazio di mille passi vuol esser tutto netto e scoperto di maniera, che non possa nè anche un uc¬ cello accostarsi alla fortezza senza esser scoperto: però lo case, gli arbori e simili impedimenti si torranno tutti via. spianando tutto al-30 1 intorno. Ma da’ luoghi rilevati o bassi per natura non sarà così fa¬ cile 1 assicurarsi : e da’ luoghi rilevati si può essere battuto, scortinato ed offeso dentro; e da i luoghi bassi si possono far mine e cavamenti. Quanto a i luoghi rilevati, si rimedierà con far dentro de’ cavallieri, I. et ha, B : ri lumi, C - 53. e ite u tenterò dentro. Il I, 1). nini ri, C — 5. si faranno bai¬ tene, C. 9. d essi, 13, C, n d'acqua, H, (’ — li*, sottoponii, b, r Iti. se ijli ò B ; se sarà ,C Hi. di rimediare, C, a — 17. di monti, 13; di monte, C IR d'acquu, C — 2ti. lasciar an¬ dare perche, C — 27. di id', 13) esser, B. C 30. si tireranno ria, B DI FORTIFICAZIONE. 129 e rilevarsi tanto che si venga a superare l’altezza di fuori : che se ciò far non si potrà, per esser dominato da luogo troppo eminente, la fortificazione riman vana ed inutile ; se già, non essendo tali luoghi troppo lontani, non s’andassero ad abbracciare con le cortine, incor¬ porandoli nella fortezza, o vero, potendo, allontanandosene almeno mille passi. Quanto a i luoghi bassi, dato che si possino fare cavallieri o baluardi che gli scoprino, sarà ottimo rimedio; o vero andargli a trovare con qualche cortina, dove facilmente si possino scoprire : e dato che nè 1’ uno nè l’altro far si possa, sarà bene a quella parte io dentro alla muraglia fare de’ pozzi, rispetto alle mine, ed anche per sentire i cavamenti eli’ il nimico facesse, per potervi a tempo rimediare. DELLA POSSA. Intorno al determinare, se sia bene che la fossa sia con acqua o pure senza, sono discordi fra di loro gli autori, essendo che non man¬ cano ragioni per 1’ una e per l’altra parte. Ma se procederemo con distinzioni, non sarà difficile il conoscere come ragionevolmente in alcuni luoglii sia meglio aver lai fossa con acqua, ed in altri senza. Il fosso con acqua vuol esser largo assai; ed asciutto, vuol esser pro¬ fondo. L’acqua deve esser almeno sino allo stomaco, acciò non possa 20 esser passata senza grande danno. Riceveranno grand’ utilità dal- l’acqua que’ luoghi, che avranno il paese vicino occupato da’ ni- mici, per rendersi sicuri dall’improvvise scalate; ma fa di bisogno star cauto ne’ tempi di ghiacci. Giova l’acqua alle fortezze picciole, ove non possono stare assai genti, e per conseguenza non si sortisce, ma solo si sta a guardia delle mura; per il che bastano manco sen¬ tinelle, non potendo il nimico passare 1’ acque, e, senza, esser sentito, venire alla muraglia con le scale. Le fortezze grandi, ove sono genti assai da poter sortire, è bene che abbino la fossa asciutta, perchè sicuramente si possa difenderla 30 e combatterla. Oltre a ciò, essendo asciutta, facilmente si va a levai'e le rovine: e dato che il nimico facesse fascinate per riempirla, si po- 1. a scoprir l’altezza, C — 2. dominati, C — 8. donde facilmente, C, d — 9. da quella, C - IO. dentro la, B —15. e l’altra, C —18. e l’asciutto, C, a—19. L’acqua vuol esser, B, C — esser alta almeno, G — 20. passato, B — 22. per esser sicuri, B — fa bisogno, B — 23. cauti, C — 24. gente, B, C — 28. gente, b, a — 30-31. levare la materia con clic il nimico cercasse di ■riem¬ pirla ( riempierla, c) e dato, 0 — 180 'MATTATO tranno abbruciare, il elio non si può nella bagnata. È utilissima ancora la fossa asciutta, quando i soldati, sondo usciti a scaramucciare ed im¬ pedir al nimico il far trincero e piantar gabbioni o simili essercizii, avendo la carica a dosso, fossero forzati a ritirarsi e salvarsi nella fossa; il elio far non potrebbono sendovi l’acqua: corno ancora non vi si possono acconnnodaro strado coperto, case matte e sortite, che pur sono di grandissimo comniodo. Kd in somma la fossa con acqua è per que’ luoghi, che, non avendo gran quantità di difensori, stanno aspettando di straccare il nimico elio gli assedia: e l’asciutta serve dove sono assai difensori, o vogliono far forza di levarsi il nimico io dalle spalle più presto elio sia possibile. invidisi KSSEMl’I I)’ ACCOMMOIURE I COHl’I 1)1 DIFESI SECONDO I.K DIVKUSITÀ DE SITI. Considerando quanto abbiano grande forza gli essempi sensati in persuadere o dichiarare i pensieri dell'animo, abbiamo determinato, por dar maggior lume dell’ intenzione nostra, recare innanzi a gli occhi diversi disegni de’ luoghi fortificati. E prima, la seguente pianta AB CHEF sarà «l’ima terra in cam¬ pagna aperta, la qua¬ le, avendo il recinto 20 antico, vogliamo for¬ tificar secondo l’uso 11 moderno. E però è bi¬ sognato sopra le cor¬ tine vecchie mettere baluardi ; ed in qual¬ che luogo si sono mes¬ si cavallieri, dove gli spazii dall’uno all’al¬ tro baluardo veniva- so no troppo lunghi, at¬ tesoché, rispetto alle cortine vecchie, è bisognato fare i corpi di difesa minori e più vicini 1. il che far non, C — 'i.il nemico a far, C — 5. non si potrebbe, C — 5-15. non ri possono far strade, C—8. a rendo quantità, C —IO. abbino forza, C — 33. i convenuto far, a minori o piii, C— 1)1 FORTIFICAZIONE. IBI che in un altro; come quelli della cortina AB. Con tutto ciò dal fianco dell’ uno al fianco dell’ altro sarà circa 400 braccia. E per¬ chè nella pianta E non era possibile sopra le cortine FE e I)E formar baluardo che acutissimo non venisse, è stato di necessità riti¬ rarsi con i fianchi in dentro, come si vede il fianco G ed il fianco H, e tirare la cortina G R, e la cortina H K, quali nei punti R, K si con¬ giungono con le cortine vecchie ; e perchè nel punto II e nel punto K fanno reflessione in fuori, vi facciamo sopra dui cavallieri grandi, ac¬ ciò, se mai quel baluardo venisse tagliato e preso da’ nimici, questi non io ve li lascino stare : ed in questa maniera, con bellissima invenzione, e con poca mutazione delle due cortine vecchie RE, KE nelle due nuove llG, KH, viene accommodato il tutto. Nel resto tutte le canno¬ niere fanno quello s’è detto nella fabrica del baluardo, strisciando e ficcando nelle faccie e nella contrascarpa. 11 terrapieno viene a torno con braccia 40 di lunghezza, e con altrettanta i cavallieri segnati N. E perchè simili fabriche antiche hanno intorno intorno molte torri, quelle che saranno troppo vicine a i fianchi bisogna le¬ varle, come nella figura quelle che sono segnate Q. Nel fare i terra¬ pieni s’avvertirà di mettervi de’ legnami, acciò che non lascino così 20 subito aggravare le mura, ma vadino assodandosi a poco a poco. Nella pianta passata, per essere ella in piano libero ed ispedito, non fu difficile l’accomodar i corpi di difesa, non vi essendo cosa altra di singolare, che d’accommodare il baluardo in quella punta acuta. Ma nella seguente, se bene anco ella è in sito piano, ha non di meno a torno dui luoghi bassi, quali è di necessità scoprire, come si vede uno di essi con le due punte A, B, e l’altro con baluardi C,D,E (ed awertiscasi per intelligenza della passata e delle seguenti figure, che quello che si vede segnato di nero dimostra la muraglia an¬ tica, e le delineazioni rosse (,) sono i corpi di difesa fatti di nuovo 30 ed accommodati sul vecchio) : e per fare migliore effetto s’ è venuto in fuori, nella seguente figura, con il cavaliero F, al quale non accaderà dare più una eh’ un’ altra forma, sendo compreso in mezo 3. pianta non, C ; punta E non, B — 4-5. tirarsi, C — 8. recessioni, C — 11. con permuta¬ zione, C — 15. altrettanto, a; altretanti, d ; altrettante (altre tante, b), 0 — 20. a (/gravate, C — 21. libera e spedita, C — 0) Per comodità di esecuzione tipografica, dei manoscritti, abbiamo sostituite linee più alle delineazioni rosse, offerteci dai disegni sottili. 132 TRATTATO a due baluardi. I,a punta (1 della cortina vecchia, essendo troppo acuta, fa sì che si lasci la reHessio- ne, e, tirato dall’ango¬ lo (1 all'angolo E In for¬ tificazione nuova, si va a scoprire i luoghi bassi più connnof lamento col baluardo E, e si forma l’altro baluardo H so- „ pra miglior angolo. io (.*ià di sopra si disse, che dentro allo spazio di mille passi intorno alla terra si deve, fra le altre cose, avere consi¬ derazione a i luoghi ri¬ levati. Imperò la seguente pianta ne mostra una terra, quale abbia vicino un luogo rilevato, non già tale che superi la muraglia di altezza, ma che, facendovi i nemici qualche cavulliero, facilmen- 20 te dominerebbono dentro, e principalmente \ >ot rebbono scortinare la cortina AH dal punto e la EF dal punto 1). E perchè, per la molta vici¬ nanza, chi se ne volesse di¬ scostare, sarebbe di bisogno ritirarsi almeno sino alla li¬ nea GH, riducendo la piazza in troppo breve forma, però sarà miglior par¬ tito andare a pigliare quel luogo rilevato con la fortificazione HIKLE. 30 Ma quando i monti e luoghi rilevati superussino di molto la mu¬ raglia, nè si potesse andare a pigliare, jiercliè fossero molti, l'uno ap¬ presso l’altro, che si seguitassero come nella sottoposta figura si scorge; in simil caso, 0 bisogna del tutto tralasciare tale fortificazione, 1-2. fa che, B,C — 21. r» dominarebbero, Il 23. /VnrW,A,B 29. meglio, C 30 .andavo trovar, C — 31. luoghi ri frati, Il — 32. pigliarli, ( ' — 32-34. a pigliare < letta luogo rispetto che ritrovandosene molti e diversi, s) che V upo fosse i fosse, h) e imi seguitasse l’altro, di maniero che, se fossero (fossero, a) molti, bisogne-ria (bisognurebbe, a) pigliarli tutti, perchè ( poiché, a). I uno è appresso l’altro e si seguitano l’uno altro, come nell’èssempio si scorge, I) 33. all'altro, G — DI FORTIFICAZIONE. 133 o vero, potendo, ritirarsi ed allontanarsi tanto, che si sfugga 1’ offesa del monte : come si vede nella figura per la ritira¬ ta AB CD, con il caval¬ li ero a cavallo nell’ angolo della reflessione, tra i due baluardi di mezo. Quelli siti, i quali sono traversati da un fiume che io gli divide per il mezzo, si fortificheranno nell’ entra¬ ta e nell’ uscita del fiume, come ci mostra la sotto¬ posta figura. Cioè, che se il fiume sarà tanto largo, che dall’ una all’ altra ripa non si possa far batteria, basterà fortifi¬ carlo con due mezzi baluardi, i (piali assicurino le parti verso ter¬ ra, come si vede nelle piante A, B ; ■20 avvertendo che le due fronti C D, EF siano in maniera situate, che non possi no essere scoperte di ter¬ ra dalle medesime parti dove so¬ no poste. Ma quando la strettezza del fiume non togliesse il poter far batteria dall’ una all’ altra sponda, sarà necessario fortificare la sua bocca con baluardi intieri, come dalle due piante I, K si può comprendere. La seguente pianta ci rappresenta e dimostra il modo* del forti¬ no ficare i siti posti dentro a stagni, laghi, o ancora dentro a qualche seno di mare. Dove è d’avvertirsi, che rimanendo fuori del recinto qualche spazio di terra ferma, dove potesse sbarcare moltitudine di soldati, si fortificherà con baluardi ed altri corpi di difesa, li quali sporghino in fuori, come si vede nella pianta X: ma nel restante del 1. si fuggii-, B — 2. come chiaramente si vede, a; come si vede chiaramente, d. — 8-9. si trovano attraversati, B —10. per mezzo, a; in mezzo, C; di mezzo, A— 10-12. mezzo, biso¬ gna che noi li fortifichiamo nell’ entrata, B —16-17. fortificare, 0 — 29-30. di fortificare, G — di.,nella pianta. Ma, u; nella parte X. Ma, C — 134 TRATTATO recinto, che arrivasse sopra le acque, basterà che siano fatti cavallieri sopra li angoli, i quali signoreggino le acque circonvicine, come ne mostrano le piante segnate C. Furassi oltre a ciò, secondo la di¬ stanza di 400 o 500 braccia, una palificata che circondi tutta la fortezza, ficcando i pali solamente tanto che vanghino ricoperti dalle acque, onde allo navi ed altre barche sia tolto il potersi appros¬ simare alla terra. Lascierannosi bene alcune bocche, le quali con- duchino a i seni segnati A, che saranno come porti delle barche ami¬ che; ma poro ed essi e l’entrate si circonderanno con palificate simili, lasciandovi a canto temi alcuni passi aperti, per li quali pos- io sano, per loro commodità, traghettarsi le barelle dall’uno all’altro seno: ed essendo detti seni incurvati indentro, verranno assicurati in parte da i venti, e benissimo fiancheggiati dalle cortine. I canali poi e boc¬ che che conducono a i porti, per sicurtà delle barche che vi allog¬ giano e di tutta la terra, si sbarreranno od attraverseranno la notte con catene di ferro, le quali proibiranno il transito alle barche nimiche. Nel numero de’ siti da fortificarsi sono ]>osti i porti di mare, ne’ quali ricoverandosi gran quantità di legni, fa di mestiere assicurargli: il che 7. lasciandosi, C; lascia unsi, n — !). /’ entrate sicure si, B 11. traghettare, B 12. scudo dellì seni, C — 16. delle barche, B — 17. fortificare, B IH. fa mestiero (mestieri, a), B — lSf> 1)1 FORTI FICAZIONF.. si farà col fortificar la bocca ed entrata del porto. Ma prima è da considerarsi al sito e natura di detto porto, e se vi è altezza d’acqua sufficiente per il transito delle navi : avvertendo che quelli, che sono fatti naturalmente, saranno sempre migliori che i fatti artificiosa¬ mente; perchè non mai s’alzeranno le muraglie di maniera, che qual¬ che parte del porto non resti esposta a qualche traversia, ma il porto naturale dall’altezza de’ monti e scogli circonvicini viene molto me¬ glio ricoperto. Ma, o sia fatto per arte o per natura, bisogna uni¬ versalmente considerare, che tutte quelle bocche, per le quali entrano io per linea dritta venti, essendo esposte ad essi, faranno traversia, e sa¬ ranno pericolose: oltre che molte volte simili traversie riempiono di rena la bocca e tutto il porto ancora; e ciò fanno alcuni venti più ed altri meno, e più in un luogo eh’ in un altro. E per questo bi¬ sogna procedere con molta considerazione, e tanto più essendo che si¬ mili muraglie sono di grandis- sima spesa, nè si possono, fatte che siano, più rimutare. Dato dunque che s’abbia qualche ricetto naturalmente 20 fatto, grande e profondo a ba¬ stanza, s’avvertirà se l’entrata è troppo larga, perchè, sendo, tale, sarà forza restringerla. Per il che fare, si porrà nel mezzo di essa la bussola, e si considererà quali sieno i venti che drittamente l’imboccano. Come, per essempio, aviamo la seguente figura, dove si vede so il ricetto AB CD E, la cui boc¬ ca A E è larga braccia 1500, per il che dentro non ci pos¬ sono stare legni sicuri da venti e traversie ; ed essendo luogo opportuno e capace, è necessario 2. il sito, B, C — 4. fatti dalla natura, B, C; fatti saranno, n—10. per via dritta i retiti, C —12. arena, B, C —14-16. che essendo simili muraglie di grandissima spesa, non si possono, 0 —18-19. si abbia naturalmente qualche recinto, 0 — 16 11 . 13(i TRATTATO accommodarlo. E per serrare ed assicurare la Imkv«. mi troverà prima, come a’è detto, col mero della bussola jioata tra 1 punto A ed E, a quali venti è esposta: dove si vede che il vento nitro )kt linea dritta l’imbocca, e per ciò più di tutti gli altri molesta questo porto; e però movendo dal punto A verso E un muro, lanciando tra 1*estremità Fe la terra E spazio ragionevole per l’entrata delle navi, chiaro è che il vento ostro e libeccio non potranno più nuocere come prima, tro¬ vando l’intoppo del muro. Niente di meno per tutte le dritture che sono paralelle a’ due venti sopradetti potrà venire molestata l’en¬ trata; onde sarà necessario restringerla ancora più con l’altra tra-io versa HIK, lasciando li sparii FU, KE per il transito delle navi. E perchè la bocca FH sarebbe imboccata dal vento di ponente ZY, s’è fatta l’altra traversa OQ: e tutto questo j>er sicurtà contro alla forza de’venti e dell’onde. Ma per assicurarsi dall’invasione de’nemici, fa di mestiere che for¬ tifichiamo con corpi di difesa l’entrata del porto: il che potremo tare con fortificare il molo segnato, nella seguente figuro. AB(’D: o vero, senza tale fortificazione, col fan* li due forti in terra forma segnati E, 2. ìpunti, 0 — li. per le nari, B — 8. diritture, C —9. a' tre reati, A. B. C 9-10. tal’ ent rata ,C 15. invasioni, B; incnsion, r; dalle inoratieme, n 18. fare due corpi in tdi, a) terra, B — I)! l'OliTIFlC AZIONE. 137 quali, comesi vede, mettono in mezzo l’entrata del porto. Volendo for¬ tificare il molo, si farà in prima largo 35 o 40 braccia, armandolo e dall’una e dall’altra parte, come si scorge nella figura, con baluardi. Vero è clic dalla parte del mare, sendo il molo AH fiancheggiato dall’altro CD, basterà fare un solo corpo di difesa verso terra. Ma perchè ci sarà di bisogno aver luogo dove possino abitare quelli soldati che staranno alla guardia di detto porto, sarà necessario fare la fortezza E, dove alloggi tal presidio, la (piale servirà ancora pei* difesa dell’offese che venissero per terra. E non volendo fortificare io il molo, si farà dall’altra parte di terra il forte F: quali, met¬ tendo in mezzo la bocca del porto, la renderanno sicura. Abbiamo fatto le due fortezze E, F di forma così irregolare, acciò si vegga il modo dell’andarsi accommodando alla qualità del sito, e come molte volte si viene forzati a far corpi di difesa più grandi e più pic¬ coli. intieri ed imperfetti, secondo che ’l sito comporta e ne è capace. Accade alcuna volta, che intorno ad una terra sproveduta e non fortificata, i in provi samento sopragiunge un essercito, dal quale, per la sua debolezza, non può lungamente difendersi; e per essere circon¬ data dal nemico, non si può uscir fuori a fortificarla. Però in simile 20 accidente bisogna che pensiamo al meglio che far si possi, che sarà di fortificarla per di dentro; come si mostrerà per la seguente figura. E prima, non ci potrà essere proibito il fare quo’ corpi di difesa, che non escano fuori della muraglia, come sono cavali ieri e piatte forme rovescio; però si sono fatte nelle reflessioni ed angoli per l’indentro le piatte forme segnate I), fi, L, M. Nelli altri luoghi, dove sono angoli per P infuori, dandoci tempo il nemico, faremo le ritirate di dentro, con li suoi fianchi e baluardi, come si vede in NABC. Ma quando non si avesse tempo, e che i nemici cominciassero a battere qualche cortina, si ricorrerà ad altro rimedio più espedito, facendo dalla parte di dentro 30 i fossi 0 P, Q R ; e la terra, che di essi si caverà, si getterà dalle bande, facendo due argini grossi dieci o dodici braccia, ed alti il più che si potrà, dandoli, al meglio che sarà possibile, forma di corpi di difesa, come si vede per le figure E P, OF, RS, Q T ; e sopra questi ar¬ gini, per difesa de’ fossi, si terranno artiglierie, e, non ne avendo, ar¬ ti. sarà bisogno, B — 7. stanno, B —17. fortificata sopraggmnge cl miti «tridenti, B, C — 21. il fortificarla, li — 23-24. cavallieri e — 24. ritirate per Vindentro con, C — 24-25. le tanaglie segnate, G 'improviso, a— 19-20. si¬ te (cfr. liu. 24-25) però, C 28. arerà tempo, B — 188 TRATTATI • chibusoni a posta, od ardiibusieri onlinani: c untato saranno lo difese per fianco, mettendo poi per fronte li uomini amati di picca. DHL P.IKK 1*1 TURI! A. Perche per fabricar di muraglia in tutti i lunghi m trovano mu¬ ratori ed uomini esperti in tale professione, non abbiamo detto o siamo per dire cosa alcuna appartenente al murare, non dubitando necessario al soldato l'avere simile cognizione. Ma pendìi-» l’edificare di terra e cosa molto differente dal murare, non s'usando salvo che ili materia di fortificazione, di questo e necessario al soldato aver co¬ gnizione e prattica: poro nuderemo discorrendo intorno alle cose ut-10 finenti a tale essercizio. h prima, quanto alla torma delle fortezze, nelle cortine, corpi 1. urehdmjgieri da posta, Il ed archibusi ani inani, C — [. /vr tutti, C li. attenenti a murare, C — non stimando, H; non giudicantio, C X-9. che materia , A DI FOUTIKK AZIONI-',. I 31» eli difesa, loro membri, ecl in somma in tutte le parti, si manterranno ristesse misure e proporzioni, che si serverebbono nel fare una for¬ tezza murata: ma nel disporre ed aecommodar le materie si proce¬ derà diversamente. E prima, si deve avere considerazione se la fol¬ tezza fatta si deve porre in uso e servirsene subito che sia fornita, o pure se potrà stare qualche tempo avanti che s’abbia a difendere. Perchè, dovendoci noi servire immediatamente della fortezza, biso¬ gnerà fortificare ed assicurare il terreno con pali grossi e lunghi, piantati per dritto ed attraversati con molte incatenature di legname: io perchè, mettendovi sopra le artiglierie, nel moto che fanno sparandosi, trovandosi il letto non bene assodato, guasterebbono e rovinerebbono il forte; dove che i pali pei- dritto e le incatenature saranno atte a tenerlo insieme. Ma se avanti che vi si abbiano a usare sopra Parti¬ gliene, ci sarà tempo di poter lasciare rassodare il terreno, basterà mescolare tra esso certo legname minuto, come più distintamente a basso dichiareremo. Ma edifichisi nell’uno o nell’altro modo, bisogna pensare d’inca¬ miciare la parte di fuori, di maniera che possi difendere il tutto dalle pioggie, le quali, dilavando il terreno, a poco a poco lo consu- 20 merebbono : e ciò si farà col covertane di una corteccia di piote, le quali altro non sono che alcuni pezzi di terra erbosa, cavata di praterie o luoghi tali, che per molto tempo non siano stati rotti: avvertendo che la forma di dette piote non deve esser quadrata, come alcuni hanno detto, ma, d’alcuna delle sottoposte figure o forme segnate A, B, (!, a A ciò meglio e più fissamente s’incastrino in¬ sieme. E dove uon fosse la commodità di si¬ mili piote, si provederà di terra da far mat¬ toni. della migliore che si trova, cioè che non sia arenosa nè sassosa; e con questa 1. ,s7 man te nera ano, u; si manteni ranno , ni, d; si metteranno, C — 2. si osserva rebbono, G — 1. avere in considerazione, B — • (>. se s'abbi a stare, B — 9. intraversati, C — 14. di la¬ sciare, G, a — 21. cavati, G — 28. trovi, C, a ; ir novi, u — 140 THATTATM si faranno quarto, e si e di (meste se ne preparano gran quantità, l’sansi ancora, c saranno migliori, le manaiole fatte come si dirà: pigliansi kcojk» che abbino da i loro pedali uri poco di ceppo, e si legano in due luoghi vicino a i pedali, lasciandole verso l'altra estremità sparse, come si vede N 0 . Oltre fi 0 a ciò. per mettere a filo i pastoni e le 20 Il piote, fa di bisogno avere alcuni coltel¬ lacci granili, simili al disegno I*. In ol- --=>*7-” tre. per batteri e serrare bene insieme i pastoni eie piote, stiveranno certe me¬ stole lunghe e di legname grave. K perchè la terra, che si (Invera mettere sopra le manoc- chio e manaiole, devo essere trita e netta da i sassi, si farà provi- certi pastoni, ( mo,C 12. entreranno, I! •i C — 17. nimmaiuolc ( n-(i. resi r rii scope, Il scotolatura, ( ' ft-9. si piglino, B, n ; si pi IH. IH poi ilrstrmiirn/c, C — 15. innnttocrhif (o cosi ap <* cosi appreso), C 19-20. Oltre ciò, H — DI FORTIFICAZIONE. 141 sione di rastrelli di ferro, segnati R; e per assodarla si averanno de’ pilloni o pistoni, simili a quello eh’ è segnato S ; e per spianarla si adopreranno le mazzaranghe T. Si provvederanno, oltre a ciò, cor¬ belli ed altri strumenti da portai' la terra, e di questi gran quan¬ tità; parimenti ancora, zappe, 11 s pale e vanghe. I gabbioni, segnati V, si metteranno in cambio di parapetti nelle piazze di sotto; li altri, segnati Y. che sono quadri. servono per tramezzi e parapetti in altri luoghi. 1 graticci, come X. io serviranno per la parte di dentro alle cannoniere ed altri luoghi, in cambio di piote o pastoni: però si prepareranno molti vimini di ca¬ stagno o di quercia, per poterli fare, ed ancora molti pali per fare i can¬ toni de’ gabbioni Y. 1. rantelli, n,b, v, a; resiteli i, d — 2. piloni, B, C — 142 TRATTAI» » 1 ,KU QUARTO BUONO, jmU .UK.NTO l’KK I.A -CARI'A. Fatte lo provisioni dotto di sopra, uiriò -ì |m>*.su dar principio alla fabrica. bisogna far il quarto buono, confinine alla jieudonza che vor¬ remo dare alla scarpa. E (piesto si farà in tal maniera. Piglisi un quadrato di legno lx*n spianato, quale >ia circa un braccio per ogni verso, come si viale nella sottoposta figura il qua¬ drato AIK'l); v secondo die vorremo dar di scarpa uno per ogni quattro, cinque o noi, d’altezza, di- videremo il lato IH' in 1. •*». o vero <1 parti eguali. E supponendo |H‘r adt**so volere uno per quattro io di scarpa, divideremo la linea IH’in due parti nel punto F, e ciascheduna d’esse in due altre ne’pun¬ ti (ì, E, e dal punto II al punto E tireremo una linea HE, e taglieremo via d triangolo DEC; e potremo ancora, |>er far più leggiero lo strumento, buttarne via la parte MEDA. Fatto questo, si di¬ viderà la linea FE jht il mezzo nel punto S. e l’HO nel punto 1, dal qual punto si sosj>enderà un filo con piombino, come si ville IK; con l'aiuto del quale, quando avemmo a servirci dell’ instrumento, 20 lo aggiusteremo, alzandolo ed inclinandolo sin tanto ch’il filo batta a punto nel punto S: il che quando sarà, la linea EH ci duri! per l’appunto la pendenza della scarpa. E perchè questo instrumento è picciolo, e la fabrica viene molto più alta, ri piglierà un regolo lungo, dritto e saldo, quale nella tignili si vede E; ed accostandolo alla linea BE, con l’aiuto del medesimo filo si darà la debita inclinazione a tutto il regolo: con l’aiuto del quale, come di sotto ri dirà, faremo la scarpa. DKU.’ORDIXK DA TKNKItSI XKI.I. KDIKIC IRF. . Preparate, come s’è detto, le materie e st. omenti, si tireranno le corde dove va piantata la fortezza ; e tirata la prima corda di SO fuori, se ne tirerà un'altra di dentro, lontana dalla prima 14 bruc- 1. Il titolo manca nella classe .1, che unisce il precedente c Questo capitolo in uno solo.—per fave la scarpa, a — ,'j. un quadro, B — IO. E sapjmniioto, ( ' \\. parti rjtMli nel, \>,< - 16. batterne ria, b, c — 21. ìnehìnantloU), B, C — 26. arrostalo, II, C 2»>. inchinatiOM, 1' “ F S DI FORTIFICAZIONI-;. 143 eia; e lo spazio tra esse si farà cavare sino a clic si trovi il terreno sodo, da potei 1 sostenere sicuramente la fortezza, facendo clic il suo fondo abbia di pendenza per l’indentro circa un braccio in tutta la larghezza. Scostandosi poi dal primo filo 5 braccia, si tirerà un’altra corda, ed, oltre a questa, due altre, con intervalli tra di loro di 3 brac¬ cia; e sarà scompartito tutto il fondo in 4 parti con le tre corde dette; e lungo ciascuna di esse si pianterà un ordine di pali grossi quanto la coscia d’un uomo, e lunghi 20 braccia, lasciando fra l’uno e l’altro 3 braccia di distanza: avvertendo che quelli del sc¬ io condo ordine non incontrino quelli del primo, ma siano piantati come si vede nella seguente figura, dove AB è il filo di fuora e CI) quello di dentro, ed i pali vanno A _ _ piantati secondo le linee EF, GII, IK con l’ordine che di- -k mostrano i segni o. E ba¬ sterà che detti pali siano fitti in terra solamente tanto che stiano dritti, perchè, nel o ~ o .o o o ©— o —©■• o — © - H K- O — O — O - O o — O- — O— 0 - 0 --- O F riempier poi di terreno, vanno sotterrati. Ma bisogna avvertire, che 20 siano dritti e senza nodi, acciò che la incatenatura, che tra essi va intrecciata, possa senza impedimento abbassarsi, secondo che il ter¬ reno avvallerà. l'atto questo, si pianteranno regoli appresso il filo di fuori, pen¬ denti all’ indentro secondo V ordine del quarto buono, acciò si possa fare la scarpa per tutto uniforme. Di poi si eomincerà a riempir dentro, avvertendo che il lavoro vadi sempre eguale ed a livello: e secondo che va il filo di fuori, si metterà un ordine di piote, lasciando sempre la parte erbosa di sotto; le quali, acciò che si possano commet¬ ter bene insieme, si raffileranno col coltellaccio P : e messone un filare, 30 si batteranno di sopra e di fuori con la mestola Q. Per di dentro, ap¬ presso le piote, si metterà terra ben trita e sottile, nettandola da’ sassi con il rastrello R, battendola ed assodandola col pillone S; ed av- vertiscasi che non sia più o meno alta che le piote, e vadia pen¬ dendo all’indentro come il suolo di sotto: e quando sarà bene asso¬ data col pillone, si spianerà con la mazzeranga T. Di poi col medesimo 3-4. la lunghezza , C — 21-22. il terreno calerà, Il — 25. per tutto conforme, b, c — 27. Da • si metterà » lino alla (ine del Trattato manca nella classe U. — 32. rastello, u, 1), r — U. n TRATTATI i 144 ordine ni metterà un nitro filo di piote ed un Minio di terra: e apiar nato ed assodato il tutto, se ne metterà un altro: e sopra si poni un ordine di fascinette, pigliando delle frasche più lunghe e sottili che si può; e se saranno scope, saranno meglio che le altre: e di queste si metteranno i pedali sopra le piote. Ma prima si saranno confitte le piote con cavicchi di legno lunghi un braccio: e perchè le frasche non sono tanto lunghe che possimi traversare lo spazio delle 14 brac¬ cia, se ne metteranno delle altre, soprajionemlo i pedali delle seconde alle vette dello prime; avvertendo ili spianarle lame, acciò non ri¬ levino più in un luogo che in un altro. Oltre a ciò, fra i pedali jk>- io sti sopra le piote si metterà della malta di temi, fatta come quella che si usa, nel murare di terra, in cambio di calcina: e sopra si di¬ stenderà un altro filo di piote, mettendo dentro, sopra le frasche, terra trita, unendo, assodando e spianando, in tutto come si fece da prin¬ cipio: e poi si metteranno due altri filari di piote e suoli di terra al modo usato: e ad ogni terzo filare di piote si metterà una fascinata, e ad ogni quinto ordine di fascine si metterà una incatenatura. Queste incatenature si fanno di legni grossi quanto la gamba (l'un uomo, incrociandoli insieme a guisa di finestra ferrata; e negli angoli de’ qua¬ dri verranno quattro legni di quelli che si tìccomo per dritto: e l’inter- 2« secazioni delle incatenature si conficcheranno con cavicchi di corgnolo o altro legno forte. K si accommoderà detta incatenatura, clic libero- mente possa scorrere tra i pali posti per dritto, c calare mentre che il terreno abbasserà: o però si disse ch’era di bisogno che i pali piantati fussino dritti e senza nodi, perchè se 1* incatenatimi, nell’ab¬ bassare il terreno, trovasse qualche intoppo, rimarrebbe la fortificazione cavernosa; il che sarebbe grande imperfezione. Tali incatenature pen¬ deranno ancor esse per l’indentro, secondo che va il suolo della terra. con quest’ordine a’alzerà il bastione, mettendo ad ogni terzo or¬ dine di piote una fascinata, e ad ogni cinque fascinate lina incute- so natura. 11 restante dello spazio per il terrapieno, di dentro s’ anelerà riem¬ piendo di terra alla l’infusa, fabricando con l'ordine detto, di piote, fascine ed incatenature, lo spazio contenuto dentro alle 14 braccia. “• sopra si metterà, C, u — (!. 21. eoa rnrii/ìi, (' H-|). / yWn/i tirile prime alle rette tirile seconde ,(j 14. trita, battendo, spianando ni ni*- riandò il tutto, (' li>. filare. (’ 19. fìtte- tira inferrata, b, r — di fortificazioni:. 145 Quando poi si sarà alzato il lavoro all’altezza di 15 braccia, si met¬ teranno, in cambio di cordone, alcune doccie di legname, le quali, ri- girando intorno, riceveranno l’acque che verranno dal parapetto, acciò non dilavino la scarpa; e Tacque ricevute in dette doccie si condur¬ ranno, col mezzo di altre doccie che traversino la fabrica, nella parte di dentro, mandandole in pozzi da smaltire: e questo conserverà assai la. fortezza. Dalle doccie in su si tirerà il filo delle piote per di fuori con un ottavo per braccio di scarpa solamente, edificando con l’or¬ dine precedente, se non che si lascieranno stare le incatenatine. 11 io profilo si vede nella seconda figura seguente, dove A sono le doccie, ed AB altezza di due braccia, con un ottavo per braccio di scarpa, A questa altezza, che sarà dal piano del fosso braccia 17, spianerà per tutto a livello, come dimostra la linea B C : e si segneranno, dal punto B indentro, braccia 10, che sarà nel punto C, e con tale spazio si tirerà una corda di dentro intorno intorno; e lungo questa corda, ad ogni mezzo braccio, si ficcheranno pali lunghi sei braccia e grossi come un braccio d’un uomo, ficcandone sotterra la metà; e sopra sban¬ deranno intrecciando e collegando insieme con vimini di castagno, a guisa di graticcio: e questa sarà la pelle di dentro del parapetto, •20 che verrà secondo l’altezza Gl). Dopo, lo spazio BCD si riempirà di terra bonissima e ben battuta, lasciando la pendenza secondo la li¬ nea l) B : la qual pendenza si coprirà di piote commesse insieme esqui- sitissimamente, lasciando la parte erbosa di sopra, per maggior di¬ fesa dalle pioggie. Si nuderà poi scompartendo per accommodare i letti per Partiglierie, largo ciascheduno 15 braccia; quali cominceranno dalla parte di dentro del parapetto, ciò è dal punto D, ed nuderanno pendendo all’indentro sino al punto E: e tra l’uno e l’altro letto si lascierà uno spazio di 10 braccia per li archibusieri, accommodandovi la banchetta FGH, acciò vi possano montar sopra e scaricare, e doppo, 30 scendendo, ritirarsi al sicuro. Ma sopra tutto s’avvertisela, che le acque sopra parte alcuna del terrapieno non covino, ma abbino i loro scoli verso la parte di dentro. Alle piazze di sotto si faranno i recinti con la pelle di fuori di piote, bastionando, con terra e fascine, al modo detto, una grossezza 7-8. si terrà il filo delle piote con un, C —12. A questa linea, C —19. sarà parte di den¬ tro, b, c ; la parte dì dentro, r — 20. Di poi lo spazio, C — 28. spazio per li archibusieri, C (6, 10, aggiunta marginale, d’altra mano, del cod. r) — accommodandoli, C — 31. sopra in parte, C — 14(5 TRATTATO DI FORTI Kit AZIO \ K. (li 6 braccia, facendoli i loro trameni con graticci •• gabbioni ipia- dri. I merloni o cannoniere si faranno dalla parte di fuori di piote ben commesse, e di dentro si armeranno e sosterranno con graticci. Ma quando non s’avesse eoinmodità di piote, bisognerii servirei di pastoni, adoperandogli in questa maniera. Met.temasi, secondo l’ordine del li lo di fuori, un filaro di manocchie, accostando la piegature alla corda; e tra esse si metterà terre ben trita, assodandola ben sopra con i piloni e mazzeranghe, avvertendo che la vi sia sopra sottilis¬ sima: e poi si metterà un suolo di pastoni, conficcandogli da piede e da capo con cavicchi, come si dissi* delle piote: e di delitto si metterà della terra, assodandola e spianandola benissimo, e sopra essa un suolo di manocchie, bene accommodate e spianate con terre, e doppo un altro suolo di pastoni: e così ad ogni duo mani di pastoni si metterà poi una fascinata, e ad ogni tre fascinate una incatenatura : e nel resto si seguirà in tutto come è detto. E con quest' ordine di piote e pastoni si faranno i corpi di difesa e le cortine, così in campagna come intorno alle terre. E perchè si possa meglio comprendere come vadino accoimnodati i letti, abbiamo disegnata la seguente ligure in proti] ietti va. 9. do piedi, G 10. catngìi,(j 12. e di poi , C —15. #» seguirà tulio, C — 19. disegnato , C — LE MECANICHE. AVVERTIMENTO. Fra i varii alimenti delle letture di Galileo registrate nei Rotoli dell* Uni¬ versità Artista dello Studio di Padova, troviamo indicate le Questioni meccani¬ che di Aristotele, le quali fornirono il tema alle suo lezioni durante Tanno'scola¬ stico 1597-98< l >. K probabile che il Trattato delle Meccaniche, chequi pubblichiamo, e del quale l’Autore si servì, se non per il pubblico, certo per il privato insegna¬ mento <*>, sia stato dettato nell’occasiono incili Galileo leggeva Meccanica nello Studio. Fra le scritture, infatti, stese dal Nostro « a contemplazione de 1 suoi sco¬ lari, nel tempo in cui fu lettore di matematiche nello Studio di Padova », lo annovera il Yiviani, nella Vita del Maestro< 3) , o in alcune correzioni e giunte autografe a questa, gli assegna la data del 1593Pi; e dalla testimonianza dello stesso Galileo, che molto più. tardi ebbe a riconoscere espressamente per sua quest 1 opera, da taluno attribuita al Vieta, resulta averla egli composta prima del 15991 5 >. Anche di questo Trattato, come de 1 due sulle Fortificazioni, non è giunto sino a noi Tautografo: ne possediamo invece molte copie manoscritte, delle quali ci sono note le seguenti: a = Bibl. Naz. di Firenze; Mss. Gai, Par. V, T. Il; c. 9-26. b = Bibl. Naz. di Firenze; Mss. Gal., Par. V, T. II; in un fascicolo inserito nel Tomo senza far parte della numerazione complessiva. p — Bibl. Palatina di Parma, cod. HIT. IX. 53. 184, già CO, IX. 23; cart. 1-34. ni=Bibl. della Scuola di Medicina di Montpellier, cod. II. N. 475; car. 1-45. (I) Cfr. tìntileo Galilei e lo Studio di Padoca per Antonio Fava ho, Firenze, Successori Lo Mounier, 18SS. Voi. T, png. 168, o Voi. II, png. 150. (*) Nomi di scolori dio udirono da 6ai.ii.eo privato lozioni di Meccanica sono in E avaro. Galileo Galilei ove.. Voi. IT, pag. 194-105. (■') Fanti Connotavi dell'Accademia Fiorentina (li Salvino Sai. vini, ccc. In Fironze, MDCCXVII, nella stamperia di S. A. R., ecc., pag. 405. (•) Cfr. Mss. Gal., Par. T, T. I, car. 65 v. (5) Cfr. A. Favaro, Ilarità Hibliograjiche Gali¬ leiane: Fa Scienza Meccanica: negli Atti e Memorie della II. Accademia di Scienze, Lettere, ed Arti ni Pa¬ dova', Nuova Serie, Voi. VII, pag. 12-14. 150 AVVKRTIMKNTO. v ss Bibl. Naz. Vittorio Emanuele in Ilonm, e od. J.t. S. Pani. I0fi; car. 145-100. Scritto da più mani. t = Bibl. Naz. di Parigi, cod. Ital. 461, già Suppl. fr. 540 ,:4 ; car. 2-21. v = Bibl. Naz. di Parigi, cod. Ital. 1377, già St. Germani 181)7; car. 1-20. o = Bibl. Bodlciana di Oxford, cod. Savile 45. « n = Bibl. Naz. di Napoli, cod. XII. I). 75; car. 1-17. Di mano di Gin. Battista Suppa, Gesuita. s = Bibl. di S. A. R. il Duca di Genova in Torino, cod. Suluzziano 85. Tutti questi manoscritti, eccettuato fi, appartengono al secolo XVII; anzi febbraio al 10 marzo 1623<*>, e r nel 1627<*>. Il cod. s ò invece scrittura de’ primi anni del secolo presento. Aggiungeremo ancora che a ò esemplato dalla stessa mano, la quale trascrisse il codice b del secondo Trattato di Fortificazioni, e, come questo codice, con cui doveva in origine formare un sol corpo, proviene dalla lliccardiana; è poi incompleto, restando in tronco la scrittura con lo parole « di eguali » della pag. 181, lin. 19: b venne alla Collezione galileiana da Mi¬ lano: p appartenne già al Convento dei Gesuiti di Parma: ni, alla Biblioteca Al¬ bani, dov’era segnato col numero 1062, o perciò, con tutta probabilità, prima all’antica Biblioteca Lincea f 3 *: r alla Libreria di S. Pantaleo: o ò forse Y esem¬ plare che un tempo appartenne al Walluri 4 ): * il medesimo codice che, nell'.fc- vertimento allo Fortificazioni, indicammo come contenente il 'Fruttato eli For¬ tificazione. Da’ codici accettammo, anzitutto, il titolo del Trattato Le Metaniche, che è confermato dall’antica versione francese, e da più luoghi di altre scritture, sin di Galileo, sia de’ contemporanei < 5 >. Quanto al testo, i manoscritti si vengono a classificare, come ci dimostrò una diligente collazione, in due famiglie. Alla prima, che abbiamo chiamata A, più numerosa e genuina, appartengono i codici a, li, p, m, r, alla seconda, li, i codici /, v, o: fuori dell’una e dell'Altra, e con particolari caratteri, rimane il codice n. Nella prima famiglia, il codice a lascia di gran tratto indietro tutti gli altri 0) A torto C. Henry, descrivendo i coti, t o r (fralilie, Torricelli, Cavalieri, Coltelli, Documento nou- reitu.c tiri h tic* liddiothèqueA de /Viri#; nelle Memorie della Cicute di Scienze morali, storiche, e filologiche della Fi. Accademia dei /dnrri: Voi. V, 1880, pag. 6), cre¬ dette che Questo duo date, che si leggono noi cod. t in principio e in lino del Trattato, si riferiscano alla composizione deU'opora. Tra lo ipotesi possibili, in¬ vece, ò (inolia elio tali dato siano state esso stesse trascritto dairorlginalo, donde t deriva. C-) La data si leggo a car. 10 r., di fronte al Fine. CO licere e tori a della Accademia dei Lincei scritta da Domenico Ciri tti. Roma, coi tipi del Salvino¬ ci, 1«83, pag. 72, 71). M) Cfr. FaYaho, Ilarità hìUìoornfirfir tre., pug. M>, n. 2. (*») Cfr. /litro ni e Dimmi rat ioni Matematiche in¬ torno a dar nuore nri*nze. Bologna, MDCLV (voi. Il •lolle Oliere), pag. 132; Lettera di IL H. Uaijani a ILiulko do! 19 agosto IG39, nei Mss. («al., rnr. W, T. XIII, car. 155; Vincenzio Vivi ani, /{acconto mio- riro della l’ila del Sig. f tallirò fitti ilei. Ilei Fanti con- udori dell'Accademia Fiorentina di Su. vino Sai.vim, pag. 405. AVVERTIMENTO. 151 por bontà di lezione; esso è il solo die dia un testo (piasi costantemente corretto e ragionevole, e fornito altresì di tutti i caratteri dell’autenticità. Copia di a> e, come quasto, incompleto, è il Saluzziano: b, p , >//, r sono, (piale più e (piale meno, spropositati, e mostrano d’essere stati copiati da amanuensi clic non ca¬ pivano quel che scrivevano: tra essi tuttavia il migliore e più vicino ad a è p\ laddove r in certe pagine quasi non dà senso, e da a si discosta anche più spesso degli altri. Speciali affinità offrono i codici p, ò, m (ed in modo particolarissimo /> e b ), la cui concordia, per brevità, notammo con la sigla V; indicammo invece con Z raccordo, clic pur talora si presenta, di p, />, m, r contrapposti ad a. Cosi la classe 13, come il codice n, presentano un testo spesse volte più breve di quello, che lo ha generato, della classe A: ma differiscono tra di loro in ciò, che n compendia il pensiero dell' Autore, omettendo talora quanto all’ intelligenza dell’argomento non sia necessario, e serva più clic altro per adornamento del¬ l’esposizione; la classe 13, invece, senza nulla tralasciare quanto al pensiero, ab¬ brevia la frase in modo più materiale, sostituendo, poniamo, ad una forma ver¬ bale di più parole un* altra di una sola, persino ad una parola più lunga una più breve: inoltre, n compendia in certi tratti, e in certi altri segue fedelissima- monte, il testo della classe A\ la classe 13, invece, altera bensì meno profonda¬ mente, ma quasi ad ogni lineai 1 ). Ne’ passi in cui il codice u riproduce il testo senza compendiarlo, si avvicina in modo particolare al codice (/, ed acquista perciò notevole importanza, soprattutto per il tratto in cui manca quest’ ultimo codice. Anche i codici della classe li qualche volta confermano la lezione di a meglio die i fratelli di questo, elio abbiamo detto essere assai scorretti. In tale classe, gli esemplari parigini / e v sono trascritti, secondo ogni probabilità, da copisti francesi, pratici tuttavia della nostra lingua; e tutto induce a credere che v sia copia di /. I)a quanto fin qui abbiamo detto appare chiaro clic non poteva rimaner dubbio intorno alla scelta del codice da prendere come fondamento alla nostra edizione. Noi non esitammo infatti a seguire il codice a por tutta quella parte in cui ci fu conservato; e per le ultime pagine del Trattato prendemmo per iscorta il co¬ dice p, come quello che complessivamente più si accosta, ad a. 11 codice a però, abbiamo seguito quasi costantemente, e anche in qualche passo in cui, restando esso solo a testimonio di una data lezione di fronte a tutti gli altri codici clic attestavano una variante pur ragionevole, poteva nascere il sospetto elio la sua (*) Può (laro esempio dot modo differente nel (limiti la classo li a il coti. ?i abbreviano il testo di A, il luogo di pag. lóti, 1 in. 1*7. Nella classo li si leg¬ ge: « Fra tanto, poiché a’è accennata la utilità, elio dulie machino si trae, non essere con piccola forza movere col mezzo della machina, quei pesi, elio senza ossa uon poteranno dalla medesima forza es¬ ser mossi, non sarà Cuora di proposito dichiarare le li. (la, (, v) commodità di tale facoltà: perche, quando ninno utile fosso da sperare, vana sarto ogni fatica elio noiracquisto suo si impiegasse ». Il cod. «, in¬ vece, riproduce la prima parte del periodo con qualche differenza bensì, ma senza abbreviare; com¬ pendia poi la seconda parte in questo modo: « per¬ chè, sonz' utile, vano ò il travagliarsi all* acquisto suo ». IR 152 A WERTT M KKTt ). stessa bontà fosse il prodotto di qualche ben avveduta rompone: dal codice />, invece, c da quelli che più gli stanno presso, abbiamo dovuto non una noia volta allontanarci, per seguire la lezione dei codici della classo li » di », in cui fonda¬ tamente presumemmo, in questi casi, di riconoscere una le/mnc più genuina, e quale co r avrebbe offerta il codice a , se ci avesse soccorso tino al termine del Trattatoti. In pochi luoghi fumino, infine, costretti ad emendare la lezione cor¬ rotta di tutti gli esemplari manoscritti (f) . Stabilito con queste norme il testo, raccogliemmo a piè di pagina alcune delle più notabili varianti degli altri codici. Trascurammo perù sempre le differenze, altrettanto gravi, quanto sicuramente arbitrarie, offertoci dalla cbisne li e da a, nei passi in cui abbreviano il testo di A\ c notammo le varietà di detti codici quasi soltanto no’ casi, in cui case venivano ad avere importanza relativamente alle varietà de’ codici della classe A. Perciò il non trovare registrata, tra le va¬ rianti di un dato passo, la lezione di li o di w, non si pun avere come indizio che B od n leggano conforme al testo da noi preferito. Nè sempre abbiamo te¬ nuto conto di differenze offerte dalla maggior imrte degli altri codici, o anche da tutti, contro il solo a\ poiché questo fatto ci persuadeva soltanto che la lezione buona di a non aveva avuto seguaci, laddove quella scorretta di molti altri codici risaliva ad un solo esemplare, guasto, ma che era sUto largamente prolifico. Nel resto, sia quanto al seguire rispetto alla grafia il codice preferiti), sia nelP an¬ notare le varianti, si tennero criteri analoghi a quelli che avemmo occasione ili esporre a proposito delle Fortifiruzioni. Abbiamo creduto di poter trascurare del tutto le varianti offerte dall e edi¬ zioni. 11 presente Trattato fu pubblicato la prima volta in Ravenna nel 1640 da Luca Danesi (3) , quando già ila quindici anni era stato tradotto in francese i* stampato a Parigi dal P. Marino Mersenne* 4) . L’edizione del Danesi mostra eros- sere stata condotta sopra un codice spesso assai vicino a quelli della classe /à ( l ) La classo II ci fornì, por ©sompio, la felice restituzione del passo di p&g. 189, lin. IMS, guaito in tutto le stampe procedenti, meno che nella Ra¬ vennate. (*) Tra questi luoghi ò notevole particolarmente uno della pag. 188, nella quale manca il cod. n; dove. Il I. 5, dovemmo correggere lo proporzione del mo¬ mento, di tutti i codici, in il momento: e «i parve emendazione più conforme all’ inteniiono deH’AuLuv, o meglio appoggiata anche dal confronto del panno (li 1. 10-15, elio quella, seguita da alcune delle adizioni precedenti, di mutare a 1. 7 avere la mmUeima pr /jorzione che lo linea in essere la medesima che la prò . porzione della linea; sebbene quest* ultima correzione potrebbe parere in qualche modo giustificata dalla lesiono della classe II. - Al. 8-13, invece, della pag. 184 rispettammo il testo di tutti i rodici, ap* parrntemente guarito, ma che dovemmo persuaderci av.*r carattere di genuinità, e, perciò, a torto corrette dall'edizione Fiorentina del 1718 e da quelle che U seguirono. (I) Orila Seimm Munteti e delle Utilità. Che W traggono ilo gl' himmmtt di t/nelltt. t Ipera cavato da manoscritti dell' EerelUntimimn Matematico GaULIO OALfLSt, dal Carallier U ca Raxiii da Ravenna, ecc. In Ravenna, Appo**» gli Stamp. Camerali. 1049. ( 4 ) A** meckamignm de (UuLÌZ Matkematicien d' Jnjmimr du Ihse rie Horror*, .iree plnsieur* additìon* ram. d* mmeeUrs. m tdm atuc Arrkitecim. Inp •nienti, Fontanieri. Fkilonopke*. .( .4 rtisam Tradotte* de V Ita¬ lica par i* r. a. se. A Pari*, cbei Henry Ouenon. il. DO. XXXIV. Tante «olla prima ©dizione del testo italiano, quanto tu qu«-«ta traduzione frane©*©, vedi F AVARO, Ilarità kihliogn\jtcke w., p*g. 16*99. AVVERTIMENTO. 153 sebbene anche ria questi si discosti, talora, eom’è probabile, in conseguenza rii mutamenti arbitrari dell’editore^): de 9 quali mutamenti, però, noi non abbiamo certo a meravigliarci, poiché il Danesi, osando assai rii più, cercò persino rii far credere, aver egli compilato il Trattato da manoscritti di Galileo; e riuscì in ciò così bene, che il « Trattato di Metaniche cavate dal Galilei » fu compreso anche in uua raccolta degli scritti del Danesi fatta a Ferrara nel 1670<*>. La stampa Bolognese delle Opere di Galileo dei 16561 3 >, pur conoscendo l’esistenza dell’edi¬ zione Ravennate< 4 >, non la segni; ma dovette essere fatta sopra un codice affine a quelli della classe A. Per la Fiorentina del 1718< S >, se fu riprodotta la Bolo¬ gnese, fu però anche tenuto a riscontro un altro codice, pur della classe A ; inoltre, il testo fu ritoccato secondo emendamenti congetturali, e ammodernato quanto all'ortografia. L'edizione Padovana del 1744 si tenne a ristampare, con lievis¬ sime mutazioni, la Fiorentina. In queste tre ultime edizioni è poi omesso quanto nella presente si logge da pag. 161, lin. 9, a pag. Ki3, lin. 17, rimandando, per gli argomenti qui discorsi al secondo dei Dialoghi dalle Nuore Scienze . L’ ultima stampa Fiorentina riprodusse, invece, questo tratto, e si giovò anche de’ codici a c ò, non seguendoli però nè con la conveniente fedeltà, nè con norma costante. Al Trattato propriamente detto abbiamo fatto seguire, conforme 1' esempio rii tutti i codici e delle precedenti edizioni, un capitolo sopra la forza della percossa, argomento al quale pure rivolse Galileo la propria attenzione nel tempo del suo soggiorno a Padova. Di tale capitolo, oltre gli otto codici contenenti intero il Trattato delle Meccaniche, conosciamo una copia (Mss. Gal., Par. V, T. V, car. 98), che certamente è quella medesima che Giovan Battista Baliani mandò, come appare da una sua lettera del 19 agosto 1639^), a Galileo, desiderando sapere dal sommo filosofo, il quale sembra non serbasse più memoria di questo lavoro giovanile, se lo riconosceva per suo. Tale copia infatti è della medesima mano dalla quale il Baliani fece scrivere, firmandole poi, e la lettera or ora ricordata e quella del 9 settembre dell’mino medesimo <*>, in cui si rallegra che Galileo abbia riconosciuto per proprio il discorso della percossa; e porta, inoltre, sul tergo del foglio bianco clic la accompagna (car. 99 1 \), le parole : - Della percossa. Di¬ scorso mio primo et antico •, le quali possiamo ben credere siano state dettate dalla bocca stessa di Galileo, che ormai più non poteva scriverle di suo pugno. ( 1 ) Devono, per esempio, considerarsi, con ogni probabilità, quali aggiunto arbitrario del Danesi quello elio cadrobboro a pag. 186, lin. 20 « conti- nuatamonte e iti un di sito, nelle parti del solido rispetto alla linea All, l’intonso punto G resterà centro dell’equilibrio, come da principio è stato. In oltre, essendo che la parte del solido OSè connessa alla libra mediante li due legami CA, IH, non è dubbio alcuno che se, tagliando detti due legami, ne aggiun¬ geremo un solo MK. da essi duo egualmente distante, trovandosi sotto di esso il centro della gravità del solido CS, non si muterà o moverà di sito, ma salverà ristessa abitudine alla linea AH; e fatto ristesso dall’altra parte IF, ciò è rotti i legami 111, HI) ed ag¬ giunto in mezzo il solo appendieolo N L, è parimente manifesto non io esser lui per variare sito o disposizione rispetto alla libra AB: sì clic, stando le parti di tutto il solido CF col medesimo rispetto alla libra AB che sempre son state, pendendo 1’una, CS, dal punto M, e l’al¬ tra, SD, dal punto N, non è dubbio l’equilibrio farai ancora dal punto medesimo G. E già comincierà ad apparire, come, pendendo dagli estremi termini della linea MN li due gravi, CS, maggiore, ed SI), mi¬ nore, do ventano di eguali momenti, e generano l’equilibrio nel punto G, facendo GN distanza maggiore della GM: e solo rimane, per esseguire compitamente il nostro intento, che dimostriamo, qual proporzione si trova fra il peso CS ed il peso SI), tale ritrovarsi tra 20 la distanza NG e GM; il che non sarà difficile dimostrare. Per ciò che, essendo la linea MH metà dell’HA, e la N1I metà della HB, sarà tutta la MN metà della total linea AH; della quale è metà ancora BG; onde esse due MN, GB saranno tra sò eguali: dalle quali trattone la comune parte G N, sarà la rimanente M G eguale alla rimanente NB; a cui è. parimente eguale la NH; onde esse MG, NH, saranno ancora eguali; e posta communemeuto la parto GII, sarà la MH eguale alla CiN. Fai avendo già dimostrato. MG agguagliare HN, qual proporzione avrà la linea MH alla UN, tale averà la NG distanza alla distanza GM: ma la proporzione MII ad I1N è quella30 che ha KI a IL, e la doppia CI alla doppia II), ed in somma il solido CS al solido SI) (dei quali solidi le linee CI. Il) sono altezze): adunque si conclude, la proporzione della distanza NG alla distanza GM esser ristesse che ha la grandezza del solido CS alla grandezza del solido SD; la quale, come è manifesto, è quell’istessa ehe hanno le gravità dei medesimi solidi. 8. ma serverà, n; ma conserverà, r: ma riterrà, B 24-25. delle quali, Z, u I.R MBCANICMF.. 163 E da quanto si è detto parmi che apertamente si comprenda., come gli due gravi diseguali CS, SD non pure pesino egualmente pendendo da distanze le quali contrariamente abbino la medesima proporzione, ma di più come, in rei natura , sia il medesimo effetto, che se in distanze eguali si sospendessero pesi eguali: essendo che la oravità del peso CS in un certo modo virtualmente si diffonde oltre il sostegno (f, e l’altra del peso ST) dal medesimo si ritira, come, essa- minando bene quanto si è detto circa la presente figura, ogni specu¬ lativo giudizio può comprendere. E, stante la medesima gravità dei io pesi ed i medesimi termini delle suspensioni, quando bene si varias¬ sero le loro figure, riducendole in forme sferiche, conforme alle due X, Z, o in altre, non si dubiterà che il medesimo equilibrio sia per seguire; essendo la figura accidente di qualità ed impotente ad alterare la gravezza, che più presto dalla quantità deriva. Onde universalmente concluderemo, esser verissimo che pesi diseguali pesino egualmente, sospesi contrariamente da. distanze disegnali, che abbino ristessa pro¬ porzione dei pesi. ALCUNI AVVKRTrMENTI CIRCA LE COSE DETTE. Avendo noi mostrato come i momenti di pesi diseguali vengono 20 pareggiati dall’ essere sospesi contrariamente in distanze che abbino la medesima proporzione, non mi pare di doversi passar con silenzio un’altra congruenza e probabilità, dalla quale ci può ragionevolmente essere confermata la medesima verità. Però che, considerisi la libra AB divisa in parti diseguali nel punto C, ed i pesi, della medesima proporzione che hanno le distanze BC. CA, al- ternatamente sospesi dalli punti A,B: è già manifesto come l’uno contra¬ peserà l’altro, e, per consequenza, A \ c come, se a uno di essi fusse ag- 30 giunto un minimo momento di gra¬ vità, si moverebbe al basso inal¬ zando l’altro; sì che, aggiunto in¬ sensibile peso al grave B, si moveria la libra, discendendo il punto B verso E, ed ascendendo l’altra estre- i) B 1 E 33. si moverà, B. Z ? n 164 LE MECANICIIE. mità A in D. E perchè, per fare deacemlere il peso H, ogni minima gravità, accresciutagli è bastante, ])erò, non tenendo noi conto di questo insensibile, non faremo differenza dal potere un peso sostenere un altro al poterlo movere. Ora, considerisi il moto che fa il grave II, discendendo in E, e quello che fa l’altro A, ascendendo in I); o tro¬ veremo senza alcun dubbio, tanto esser maggiore lo spazio HE dello spazio AD, quanto la distanza HG è maggiore della CA; formandosi nel centro C due angoli, DO A ed E GII, tignali per essere alla cima, e, per conseguenza, due circonferenze, HE. Al), simili, e aventi tra di descritte. Viene adunque ad essere la velocità del moto del grave 1), discendente, tanto superiore alla velocità dell'altro mobile A, ascen¬ dente, quanto la gravità di questo eccede la gravità ili quello; nè potendo essere alzato il peso A in 1), benché lentamente, so l’altro grave H non si muove in E velocemente, non sarà maraviglia, nè alieno dalla costituzione naturale, che la velocità del moto del grave B compensi la maggior resistenza del peso A. mentre egli in 1) pigra¬ mente si muove e l’altro in E velocemente tlescende. E così, all’ in¬ contro, posto il grave A nel punto I) e l'altro nel punto E, non sarà fuor di ragione che quello possa, calando tardamente in A, alzare 20 velocemente l’altro in H, ristorando, con la sua gravità, quello che per la tardità del moto viene a perdere. E da questo discorso possiamo venire in cognizione, come la velocità del moto sia potente ad ac¬ crescere momento nel mobile, secondo quella medesima proporzione con la quale essa velocità di moto viene augumentata. Un’ altra cosa, prima che più oltre si proceda, bisogna che sia considerata; e questa è intorno allo distanze, nelle quali i gravi ven¬ gono appesi: per ciò che molto importa il sapore come s’intendano /| D distanze eguali e disegnali, ed in somma / ^igl in qual maniera devono misurarsi, hn- 30 a__ _ c/ _B però che, essendo la linea retta AB, c dalli estremi punti di essa pendendo due ^ e. ^ eguali posi, preso il punto C nel mezzo i . di essa linea, si farà sopra di esso l’equi¬ librio; e questo, per essere la distanza AG eguale alla distanza CH. Ma se, 1. fan ' il peso £ abbassare, ogni, p, b; far abbassare il peso li, ogni, iti — 25. per In (piale, Z - 2(5. più inumi, V 28. intendono, p, ra, r LE MECANICHE. 165 elevando la linea CB e girandola intorno al punto C, sarà trasferita in CD, sì che la libra resti secondo le due linee AC, CD, gli due eguali pesi pendenti dai termini A. 1) non più peseranno egualmente sopra il punto C; perchè la distanza del peso posto in D è fatta minor di quello che era mentre si ritrovava in B. Imperò che, se considereremo le linee per le quali i detti gravi fanno impeto, e discenderei>bono quando libe¬ ramente si movessero, non è dubbio alcuno che sanano le linee A G, l) F, J3H : fa dunque momento ed impeto il peso pendente dal punto I) secondo la linea I)F; ma quando pendeva dal punto B, faceva impeto nella (linea BH; e perchè essa linea DF resta più vicina al sostegno C «li quello che faccia la linea B H, perciò doviamo intendere, gli pesi pen¬ denti dalli punti A, 1) non essere in distanze eguali dal punto C, ma sì bene quando saranno constituiti secondo la linea retta ACB. E finalmente si (leve aver avvertenza di misurare le distanze con linee, che ad angoli retti caschino sopra quelle nelle quali i gravi stanno pendenti, e si moveriano quando liberamente scendessero. DELLA STADERA e DELLA LI15VA. E’aver inteso con certa dimostrazione uno dei primi principii, dal quale, come da fecondissimo fonte, derivano molti delli strumenti me- ) canici, sarà cagione di potere senza, difficoltà alcuna venire in cogni¬ zione della natura di essi. E prima, parlando della stadera, stromento usitatissimo, col quale si pesano diverse mercanzie, sostenendole, benché gravissime, col peso d’un picciolo contrapeso, il quale volgarmente adimandano romano , proveremo, in tale operazione nient’ altro farsi, che ridurre in atto pratico quel tanto elio di sopra abbiamo speculato. Imperò clic, so intenderemo la stadera AB, il cui sostegno, altrimenti detto trai ina, sia nel punto C, fuori del quale dalla ^ piccola distanza CA penda il grave (peso I), e nell’altra maggiore GB, che ago della stadera si adomanda, discorra inanzi ed indietro il romano E, ancorché di piccol peso in comparazione del grave D, si potrà nulla di meno discostar tanto li F C A è E rr;K 4. di quella, Z, B — 22. strumento utilissimo ed usitatissimo, B — 24. addimandiamo, B; sì chiama, V ; dicciaim, n — 32. il romano E, ed ancorché, a ; il romano E, il quale ancorché, o — l(i(i LE MKCAXICIIE. dalla trutina G, che qual proporzione si trova tra li due gravi D, E, tale sia tra le distanze FG, 0 A ; ed allora si farà l’equilibrio, trovandosi pesi ineguali alternamente pendenti da distanze ad essi proporzionali. Nè questo instrumento è differente da quell’altro, che vette, e, vol¬ garmente, lieva si adimanda; col quale si muovono grandissime pietre ed altri pesi con poca forza. L’applicazione del quale è secondo la figura posta qui appresso: dove la beva sarà notata per la stanga, di legno o altra salda materia, BCD; il grave peso da alzarsi sia A ; ed un fermo appoggio o sostegno, sopra il quale cal- io chi e si muova la liova, sia notato K. E sottoponendo al peso A una estre¬ mità della lieva, come si vede nel pun¬ to lì, gravando la forza nell’altra estre¬ mità L), potrà, ancorché poca, sollevare il peso A, tutta volta che qual proporzione ha la distanza BC alla distanza CD, tale abbia la forza posta in D alla l’esistenza che fa il grave A sopra il punto B. Per lo che si fa chiaro, che quanto più il sostegno E si avvicinerà all’estremità lì, crescendo la proporzione, della distanza DC alla di¬ stanza CB, tanto si potrà diminuire la forza in 1) per levare il peso A. 20 E qui si deve notare (il che anco a suo luogo si anderà avvertendo intorno a tutti gli altri strumenti mecanici), che la utilità, che si trae da tale strumento, non è quella che i volgari mecanici si persuadono, ciò è che si venga a superare, ed in un certo modo ingannare, la natura, vincendo con piccola forza una resistenza grandissima con l’intervento del vette; perchè dimostreremo, che senza l’aiuto della lunghezza della lieva si saria, con la medesima forza, dentro al medesimo tempo, fatto il medesimo effetto. Imperò che, ripigliando la medesima lieva B 0 D, della quale sia C il sostegno, e la distanza CD pongasi, per essempio, quin- so tupla alla distanza GB, e mossa la lieva sin che pervenga al sito ICG, quando la forza avrà passato lo spazio DI, il peso sarà stato mosso dal B in G; e perchè la distanza I) C si è posta esser quintupla dell’ altra G B. è manifesto, dalle cose dimostrate, potere essere il peso, posto in B, cinque volte maggiore della forza movente, posta LE MECCANICHE. Hi 7 in D. Ma se, all’incontro, porremo mente al camino che fa la forza da D in I, mentre che il peso Aden mosso da B in G, cognosceremo parimente il viaggio i) I esser quintuplo allo spazio B G : in oltre, se piglieremo la distanza CL eguale alla distanza, GB, posta la medesima forza, che fu in T), nel punto L, e nel punto B la quinta parte so¬ lamente del peso che prima vi fu messo, non è alcun dubbio, che, divenuta la forza in L eguale a questo peso in B. ed essendo eguali le distanze LC, CB, potrà la detta forza, mossa per lo spazio LM, tra¬ sferire il peso a se eguale per l’altro eguale intervallo BG; e che rei- io terando cinque volte questa medesima azione, trasferirà tutte le parti del detto peso al medesimo termine G. Ma il replicare lo spazio ML niente per certo è di più o di meno che il misurare una sol volta l’intervallo DI, quintuplo di esso LM: adunque il trasferire il peso da B in G non ricerca forza minore, o minor tempo, o più breve viaggio, se quella si ponga in I), di quello che tàccia di bisogno quando la me¬ desima fosse applicata in L. Ed insomma il commodo, che si acquista dal benefizio della lunghezza della beva CT), non è altro che il potere muovere tutto insieme quel corpo grave, il quale dalla medesima forza, dentro al medesimo tempo, con moto eguale, non saria, se non in pezzi, 20 senza il benefizio del vette, potuto condursi. deli/ asse nella ruota e dell’ arcano. Gli due strumenti, la natura dei quali siamo por dichiarare al pre¬ sente, dependono immediatamente dalla beva, anzi non sono altro che un vette perpetuo. Imperò che se in¬ tenderemo la beva BAC sostenuta nel punto A, ed il peso G pendente dal punto B, essendo la. forza posta in C, è manifesto che, trasferendo la beva nel sito D A E, il peso G si alzerà secondo la 30 distanza B D, ma non molto più si potria seguitare di elevarlo : sì che volendo pure alzarlo ancora, saria necessario, fermandolo con qualcli’ altro sostegno in questo sito, rimettere la beva nel 14. e più breve, a ; vè più breve, B — 30. si potrò, Z. B 33. fermarlo , 1) — li. 20 168 LE MECANU’IIK. pristino sito BAC, ed, apprendendo di nuovo il peso, rialzarlo un’altra volta in simile altezza BD; ed in questa guisa, reiterando l’istesso molte volte, si venia con moto internato a fare l’elevazione del peso ; il che torneria per diversi rispetti non molto commodo. Onde si è sovvenuto a questa difficoltà col trovar modo di unir insieme quasi che infinite lieve, perpetuando l’operazione senza interrompimento ve¬ runo: e ciò si è fatto col formare una ruota intorno al contro A, se¬ condo il semidiametro AC, ed un asse intorno al medesimo centro, del quale sia semidiametro la linea BA, e tutto questo di legno forte o di altra materia ferma e salda; sostenendo poi tutta la macinila con io un perno piantato nel centro A, che passi dall’una all’altra parte, dove sia da due fermi sostegni ritenuto. E circondata intorno all’asse la corda DBG, da cui penda il peso G, ed applicando un’altra corda intorno alla maggior ruota, alla quale sia appeso l'altro grave I, è manifesto che, avendo la lunghezza CA all’altra AB quella propor¬ zione medesima che il peso G al peso 1 , potrà esso I sostenere il grave G. e con ogni piccolo momento di più lo moverà. E perchè, volgendosi l’asse insieme con la ruota, le corde, che sostengono pesi, si trove¬ ranno sempre pendenti e contingenti l’estreme circonferenze di essa ruota ed asse, sì che sempre manterranno un simile sito e disposizione 20 alle distanze BA, AC, si verrà a perpetuare il moto, discendendo il peso I, e costringendo a montare l’altro G. Dove si deve notare la necessità di circondare la corda intorno alla ruota, acciò che il peso I penda secondo la linea contingente la circonferenza di detta ruota: che se si sospendesse il medesimo peso sì che dipendesse dal punto F, segando eletta ruota, come si vede, per la linea FNM, non più si faria il moto, sendo diminuito il momento del peso AI, il quale non gra¬ verebbe più che se pendesse dal punto N ; perchè la distanza della sua sospensione dal centro A viene determinata dalla linea AN, che perpendicolarmente casca sopra la corda FM, e non più dal semi-so diametro della ruota AF, il quale ad angoli disegnali casca sopra la detta linea FM. Facendosi dunque forza nella circonferenza della ruota da corpo grave ed inanimato, il quale non abbia altro impeto che di andare al basso, è necessario che sia sospeso da una linea, la quale sia contingente della ruota, e non che la seghi. Ma se nella medesima circonferenza fusse applicata forza animata, la quale avesse momento 3. si verrà, Z, B — LE MECCANICHE. 1 fi!) eli far impeto per tutti i versi, potria far l’effetto eonstituita in qual si voglia luogo di detta circonferenza : e così, posta in F leverebbe il peso G col volgere intomo la ruota, tirando non, secondo la linea FM, al basso, ma in traverso, secondo la contingente FL, la quale farà angolo l'etto con quella che dal centro A si tira al punto del contatto ; perchè, venendo in questa forma misurata la distanza dal centro A alla forza posta in F secondo la linea AF, perpendicolare alla FL, per la quale si fa l’impeto, non si verrà ad avere alterata in parte alcuna la forma dell’ uso della beva. E notisi, che l’istesso si saria potuto fare io ancora con una forza inanimata; pur che si fusse trovato modo di far sì, che il suo momento facesse impeto nel punto F, attraendo secondo la linea contingente FL: il che si faria con raggiungere sotto la linea FL una girella volubile, facendo passare sopra di essa la corda avvolta intorno alla ruota, come si vede per la linea F L X, sospenden¬ dogli nell’estremità il peso X, eguale all’altro I, il quale, essercitando la sua forza secondo la linea FL, verrà a conservare dal centro A distanza sempre eguale al semidiametro della ruota. E da quanto si è dichiarato, ne raccoglieremo per conclusione, in questo stromento la forza al peso aver sempre l’istessa proporzione, che il semidiametro 20 dell’asse al semidiametro della ruota. Dallo stromento esplicato non molto è differente, in quanto alla forma, l’altro stromento, il quale adimanderemo argano ; anzi non in altro differisce che nel modo dell’applicarlo, essendo che l’asse nella ruota va mosso e costituito eretto all’ orizonte, e l’argano lavora col suo movente paralello al medesimo orizonte. Imperò che, se intende¬ remo sopra il cerchio DA E essere posto un asse di figura colonnare, volubile intorno al centro B, e circa ad esso av¬ volta la corda DII, legata al peso da trainarsi, se in detto asse si inserirà la stanga FEBD, e so che nella sua estremità F venga applicata la forza di un uomo, o vero di un cavallo, o di altro animale atto nato a tirare, il quale, mo¬ vendosi in giro, camini sopra la circonferenza del cerchio FGC, si viene ad aver formato e fabricato l’argano: sì che nel condurre intorno la stanga FBI) 8. verna, Z — 16. verria, Z, B — 23. d’applicarlo, Z, B, n — 24. va messo e, n — 27. sopra ad esso, b, m — 28. da straniarsi, a; da strascinarsi , Z, B —32. al tirare, Y — 170 LE MKCAXK HK. girerà ancora l’asse « ceppo dell’argano E AD, e dalla corda, che intorno ad esso si avvolgerà, sarà costretto a venire avanti il grave H. E perchè il punto del sostegno, intorno al quale si fa il moto, è il centro B, e da esso si allontana il movente secondo la linea BF, ed il resistente per l’intervallo IU), si viene a formare la lieva FBI), in virtù della quale la forza acquista momento eguale alla resistenza, tuttavolta che ad essa abbia la proporzione che si trova avere la linea DB alla BF, ciò è il semidiametro cieli’asse al semi- diametro del cerchio, nella cui circonferenza si muove la forza. Ed in questo e nell’altro stromento si noti quello che più volte si è detto: io ciò è, 1 ’ utilità che da queste machine si trae non esser quella che comunemente, ingannandosi, crede il volgo dei mecanici, ciò è che, defraudando la natura, si possa con macinile superare la sua resistenza, ancorché grande, con piccola forza; essendo che noi faremo manifesto come la medesima forza posta in F, nel medesimo tempo, facendo il medesimo moto, condurrà il medesimo peso nella medesima distanza senza machina alcuna. Essendo che, posto, per essompio, che la resi¬ stenza del grave H sia dieci volte maggiore della forza posta in F, farà di bisogno, per muovere dotta resistenza, che la linea FB sia decupla della B D, e, per consequenza, cho la circonferenza del cerchio 20 FGC sia altresì decupla alla circonferenza Fi AD. E perchè, quando la forza si sarà mossa una volta per tutta la circonferenza del cerchio FGC, l’asse E AD intorno al quale si avvolge la corda attraente il peso, averà parimente data una sol volta, è manifesto che il peso H non si sarà mosso più che la decima parte di quello che averà cambiato il mo¬ vente. Se dunque la forza per far muovere una resistenza maggiore di se per un dato spazio, col mezzo di questa machina, ha bisogno di muoversi dieci volte tanto, non è dubbio alcuno che, dividendo quel peso in dieci parti, ciascuna di esse saria stata eguale alla forza, e, per consequenza, no avena possuto trasportare una per volta per tanto 30 intervallo, per quanto lei stessa si moverà; sì che facendo dieci viaggi, ciascheduno eguale alla circonferenza A ED, non averia cambiato più che movendosi una volta sola per la circonferenza FGC, ed avena condotto il medesimo peso II nella medesima distanza. Il eommodo, 2. d’intorno, V — costretto venire, Z. I) — IO. cotuittrria, p, b, r ; condurrebbe, ni — 22. (Iella circonferenza , Z — 30. per conseguenza si saria potuto, p, b; s’averio potuto, r — 31. nwveria, p, b, r, n — 33. arei-à, V — LE MECCANICHE. 171 dunque, che si trae da queste machine, è di condurre tutto il peso unito, ma non con manco fatica, o con maggior prestezza, o per mag¬ gior intervallo, di quello che la medesima forza potesse fare condu¬ cendolo a parte a parte. DELLE TAGLIE. Li strumenti, la natura dei quali si può ridurre, come a suo prin¬ cipio e fondamento, alla libra, sono li già dichiarati, ed altri pochis¬ simo da quelli differenti. Ora, per intendere quello che si ha da dire circa la natura delle taglie, fa di bisogno che speculiamo prima un io altro modo di usare il vette, il quale ci conferirà molto all’ investi¬ gazione della forza delle taglie, ed all’intelligenza d’altri effetti me- canici. L’uso della beva di sopra dichiarato poneva in una delle sue estre¬ mità il peso, e nell’altra la forza; ed il sostegno veniva collocato in qualche luogo tra le estremità. Ma possiamo servirci della beva in un altro modo ancora, ponendo, come si vede nella presente figura, il sostegno nella estremità A, la forza nell’al¬ tra estremità C, ed il peso I) pendente da qualche punto di mezzo, come si vede nel 20 punto B. Nel qual modo è chiara cosa, che se il peso pendesse da un punto egual¬ mente distante dalli due estremi A, C, come dal punto F, la fatica di sostenerlo saria ^ & egualmente divisa tra li due punti A, C, sì che la metà del peso saria sentito dalla forza C, sendo l’altra metà sostenuta dal soste¬ gno A; ma se il grave sarà appeso in altro luogo, come dal B, mostreremo la forza in G esser bastante a sostener il peso posto in B, tutta volta che ad esso abbia quella proporzione, che ha la distanza A B alla distanza A C. Per dimostrazione di che, immaginiamo la linea BA so essere prolungata rettamente in G, e sia la distanza B A eguale alla A G, ed il peso E, pendente in G, pongasi eguale ad esso D : è manifesto come, per la egualità dei pesi E, I) e delle distanze GA, AB, il mo¬ mento del peso E agguaglierà il momento del peso D, ed essere bastante 10-11. alla speculazione ed investigazione, Z, B, — 19-20. dal punto } V, B, n. — 29. immagi¬ niamoci, ni, B, u; immaginiamosi, p, b — 33. e sarà bastante, r, B — 172 LE METANICHE. a sostenerlo: adunque qualunque forza aveva momento eguale a quello del peso E, e che potrà sostenerlo, sarà bastante ancora a sostenere il peso D. Ma per sostenere il peso E, ponendosi nel punto C forza tale, il cui momento al peso E abbia quella proporzione che ha la distanza GA alla distanza AC, è bastante a sostenerlo: sarà dunque la medesima forza potente ancora a sostenere il peso T), il cui mo¬ mento agguaglia quello del peso E. Ma la proporzione, che ha la linea GA alla linea AC, ha ancora All alla medesima, essendosi po¬ sta GA eguale ad AB; e perchè li pesi E, 1) sono eguali, averà cia¬ scheduno di loro alla forza posta in C 1’ istessa proporzione : adun- io que si conclude, la forza in C agguagliare il momento del peso 1), ogni volta che ad esso abbia quella proporzione, che lui la distanza BA alla distanza CA. E nel muovere il peso con la lieva usata in que¬ sto modo, comprendasi, come negli altri strumenti, in questo ancora, quanto si guadagna di forza, tanto perdersi di velocità. Imperò che, levando la forza C il vette, e trasferendolo in A 1, il peso vien mosso per l’intervallo 11H; il quale è tanto minore dello spazio CI passato dalla forza, quanto la distanza AB è minore della distanza AC, ciò è quanto essa forza è minore del peso. Dichiarati questi principii, passeremo alla speculazione delle ta- 20 glie; delle quali la struttura e composizione si dichiarerà insieme con li loro usi. E prima intendasi la girella ABC, fatta di metallo o legno duro, volubile intorno al suo assetto, che passi per il suo centro D, ed intorno a questa girella posta la corda EABCF, da un capo della quale penda il peso E, e dal- T altro intendasi la forza K : dico, il peso essere sostenuto da forza eguale a sè medesimo, nè la girella superiore ABC apportare benefizio alcuno circa il muovere o sostenere il detto peso con la forza posta in E. Imperò che se intenderemo dal 30 centro 1), che è in luogo di sostegno, esser tirate due linee sino alla circonferenza della girella ai punti A, C, nei quali le corde pendenti toccano la circonferenza, averemo una libra di brac¬ cia eguali, essendo li semidiametri DA, I)C eguali, li quali determi¬ nano le distanze delle due suspensioni dal centro e sostegno D; onde è manifesto, il peso pendente da A non poter essere sostenuto da peso minore pendente da C, ma sì bene da eguale, perchè tale è la LE MECANICIIIv 173 natura dei pesi eguali, pendenti da distanze eguali: ed ancorché nel muoversi a basso la forza F si venga a girare intorno la girella ABC, non però si muta V abitudine e rispetto, che il peso e la forza hanno alle due distanze A1), I) C ; anzi la girella circondotta doventa una libra simile alla A C, ma perpetuata. Dal che possiamo comprendere quanto puerilmente s’ingannasse Aristotile, il quale stimò che, col far maggiore la girella ABC, si potesse con manco fatica levare il peso, considerando come all’ accrescimento di tale girella si accre¬ sceva la distanza D C ; ma non considerò che altrettanto si cresceva io l’altra distanza del peso, ciò è l'altro semidiametro DA. Il benefizio, dunque, che da tale stromento si possa trarre, è nullo in quanto alla diminuzione della fatica. E se alcuno dimandasse, onde avvenga che in molte occasioni di levar pesi si serva l’arte di questo mezzo, come, per essempio, si vede nell’attinger l’acqua dei pozzi, si deve rispondere, ciò farsi perchè in questa maniera il modo dell’ essercitar ed applicar la forza ci torna più commodo; perchè, dovendo tirare all’in giù, la propria gravità delle nostre braccia e delli altri mem¬ bri ci aiuta; dove che bisognandoci tirare all’in su con una semplice corda il medesimo peso, col solo vigore dei membri e dei muscoli, e, 20 come si dice, per forza di braccia, oltre al peso esterno doviamo sollevare il peso delle proprie braccia, nel che si ricerca fatica maggiore. Conclu¬ dasi dunque, questa girella superiore non apportare facilità alcuna alla forza semplicemente considerata, ma solamente al modo di applicarla. Ma se ci serviremo di una simile machina in altra maniera, come al presente siamo per dichiarare, potremo levare il peso con diminu¬ zione di forza. Imperò che sia la girella B 1) C vo¬ lubile intorno al centro E, collocata nella sua cassa o armatura B L C, dalla quale sia sospeso il grave G ; e passi intorno alla girella la corda ABDCF, della 30 quale il capo A sia fermato a qualche ritegno stabile, e nell’altro F sia. posta la forza, la quale, movendosi verso H, alzerà la machina B L C, e, con- sequentemente, il peso G: ed in questa operazione, dico la forza in F esser la metà del peso da lei sostenuto. Imperò che, venendo detto peso retto dalle due corde AB, FC, è manifesta cosa, la 14. nell’ attraer l’acqua, Z —14-15. pozzi si vede rispondo, r ; si vede risponde (vede fu poi cancellato), p ; si risponde, b, ni, B, u — 23. dell’ applicarla, Z, B — 174 LE MECANICHK. fatica essere egualmente compartita tra la forza F ed il sostegno A. Ed essaminando più sottilmente la natura di questo stromento, produ¬ cendo il diametro della girella BEC, vedremo farsi una lieva, dal cui mezzo, ciò è sotto il punto E, pende il grave, ed il sostegno viene ad essere nell’ estremità B, e la forza nell’ altra estremità. C : onde, per quello che di sopra si è dimostrato, la forza al peso avorà la proporzione medesima, che ha la distanza EB alla distanza BC; però sarà la metà di osso peso. E benché, nell' alzarsi la forza verso H, la girella vada intorno, non però si muta mai quel rispetto e con- stituzione, che hanno tra di loro il sostegno B ed il centro E, da io cui dipende il peso, ed il termine C, nel quale opera la forza: ma nella circunduzione hì vengono bene a variare di numero li termini B,C, ma non di virtù, succedendo continuamente altri od altri in loro luogo; onde la lieva BC viene a perpetuarsi. E (pii, come negli altri stru¬ menti si è fatto, e'nei seguenti si farà sempre, non passeremo senza considerazione, come il riaggio che fa la forza venga ad essere dop¬ pio del movimento del peso. Imperò che, quando il peso sarà mosso sin che la linea BC sia pervenuta con li suoi punti B, C alli punti A, F, è necessario che le due corde eguali AB, FO si siano distese in una sola linea F II ; e che, per consequenza, quando il peso sia salito per 20 l’intervallo BA, la forza si sia mossa il doppio, ciò è da F in H. Considerando poi come la forza posta in F, per alzare il peso, deve moversi all’in su, il che ai moventi inanimati, per essere per lo più gravi, è del tutto impossibile, ed a li animati, se non impossi¬ bile, almeno più laborioso che il far forza all’in giù, però, per sov¬ venire a questo inconnnodo, si è trovato rimedio con aggiungere un’altra girella superiore: come nella figura appresso si vede, dove la corda CEFG si è fatta passare intorno alla girella superiore FO sostenuta dall’appiccagnolo L, sì che, passando la corda in H, e quivi trasferendo la forza E, sarà potente a muovere il peso X col tirare 30 a. basso. Ma non però che essa (leva essere minore di quello che era in E; imperò che i momenti delle forze FI, 11, pendenti dalle eguali distanze FI), D G della girella superiore, restano sempre eguali; nè essa superiore girella, come già si è dimostrato, arreca diminu¬ zione alcuna nella fatica. Inoltre, essendo di già stato necessario, per 8. perchè corretto in benché, p; perchè, b, tn, r, n — 32. della forza. A, R, n — 34-35. (ir- ripa a (liminazione, Z; accresce ( decresca , t, v) diminuzione, U — LE MECCANICHE. 17f> l’aggiunta della girella superiore, introdurre l’appendicelo L, da chi venga sostenuta, ci tornerà di qualche commodità il levare l’altro A. a olii era raccommandato l’un capo della corda, tra¬ sferendolo ad un oncino, o anello, annesso alla parte inferiore della cassa o armatura della superiore girella, c come si vede fatto in M. Ora finalmente tutta questa machina, composta di superiori ed inferiori girelle, è quella che i Greci chiamano trochlea, e noi toscanamente adimandiamo taglia. io Abbiamo sin qui esplicato come col mezzo delle taglie si possa duplicare la forza. Resta che, con la maggior brevità che fi a possibile, dimostriamo il modo di crescerla secondo qualsivoglia multiplicità : e prima parleremo i delle multiplicità secondo i numeri pari, e poi secondo li impari. E per mostrare come si possa augumentare la forza in proporzione quadrupla, proporremo la se¬ guente speculazione, come lemma delle cose seguenti. Siano lo due lieve All, CD, con li sostegni nell’estremità A, C; e dai mezzi di ciascuna di esse, Fi, F, penda il grave G, sostenuto 20 da due forze di momento eguali, poste in B, D : dico, c p_p K It ' ■ i il momento di ciascuna di esse agguagliare il mo- x mento della quarta parte del peso G. Imperò che, sostenendo le due forze B, D egualmente, è mani¬ festo la forza D non aver contrasto se non dalla metà del peso (ì : ma quando la forza T) sostenga, col benefizio del vette DO, la metà del peso G pendente da F, si è già dimostrato aver essa forza 1) al peso così da lei sostenuto quella proporzione, che ha la distanza FC alla distanza CD; la quale è proporzione subdupla: adunque il momento I) è subduplo 30 al momento della metà del peso G, sostenuto da lui: onde ne seguita, essere la quarta parte del momento di tutto il peso. E nelFistesso modo si dimostrerà questo medesimo del momento B. E ciò è ben ragionevole, che, essendo il peso G sostenuto dai quattro punti A, B, C, D egualmente, ciascheduno di essi senta la quarta parte della fatica. 1-2. da che venga, p, b; dal quale venga, n — 3. a che era, p, ì), r; a cui era . n 8. chi fi¬ li torono, p,b; chiamarono, r — 11-12. con maggio)' brevità che sia possìbile, Z *—14-15. poi impari (epuri, B), Z, B 20. di momenti eguali, V, B, n 24-25. della metà, p, b, r, B 176 LE MKl'AMCIIK. Venghiamo adesso ad applicar questa considerazione alle taglie: ed intendasi il peso X pendente dalle due girelle inferiori AB, DE, circonducendo intorno ad esse ed alla superiore girella (ìli la corda, come si vede per la linea IDEHGAD, sostenendo tutta la madrina nel punto K. Dico adesso, che, posta la forza in M, po¬ trà sostenere il peso X, «piando sia eguale alla quarta parte di esso. Imperò che, s<> ci imagineremo li due diametri I)E, AD, ed il peso pendente dalli punti di mezzo F, C, areremo due vetti simili alli già dichia¬ rati, i sosti'gni dei «piali rispondono alli punti I), A; io onde la forza posta in D, o vogliamo dire in M, potrà sostenere, il peso X, essendo la quarta parte di esso. E se di nuovo aggiungeremo un’altra superiore girella, facendo passare la corda in M 0 N, trasferendo la forza M in N, potrà sostenere il medesimo peso gra¬ vando al basso, non augumentando o diminuendo forza la girella superiore, come di già si è dichiarato. E note¬ remo parimente, come, per fare ascendere il peso, de¬ vono passare le quattro corde BM, EH, DI, AG; onde il movente avrà a caulinare «pianto esse «piatirò corde sono lunghe, e, 20 con tutto ciò, il peso non si moverà se non quanto è la lunghezza di una sola di esse: il che sia detto per avvertimento e confermazione di quello che più volte si è di già detto, ciò è che con qual propor¬ zione si diminuisce la fatica nel movente, se gli accresce all’incontro lunghezza nel viaggio. Ma se vorremo crescere la forza in proporzione sescupla, bisognerà che aggiungiamo un’ altra girella alla taglia inferiore : il che acciò meglio s’intenda, metteremo avanti la presente speculazione. Inten¬ dasi dunque le tre lieve AB, CI), EF, e dai mezzi di esse G,H,I pendente comunemente 80 il peso K, e nell' estremità B, D, F tre po¬ tenze eguali che sostengliino il peso K; sì che ciascheduna di esse ne verrà a sostenere la terza parte. E perchè la potenza in B, soste- nendo col vette DA il peso pendente in (ì, viene ad essere la meta «li esso peso, e già si è detto quella sostenere il terzo del peso K; Hi. diminuendo la forza, X LE MEGANI('HE. 177 -— f adunque il momento della forza 11 è eguale alla metà della terza parte del peso K, ciò è alla sesta parte di esso. Ed il medesimo si dimostrerà dell’ altre forze D, F : dal che possiamo facilmente com¬ prendere, come, ponendo nella taglia inferiore tre girelle, e nella superiore due o tre altre, possiamo multiplicare la forza secondo il numero senario. E volendo crescerla secondo qual si voglia altro numero pari, si multiplicheranno le girelle della taglia di sotto secondo la metà di quel numero, io conforme al quale si ha da multiplicare la forza, circomponendo alle taglie la corda, sì che l’uno de’ capi si fermi alla taglia superiore, e nell’altro sia la forza; come in questa figura appresso ma¬ nifestamente si comprende. Passando ora alla dichiarazione del modo di multiplicare la forza secondo i numeri dispari, e facendo principio dalla proporzione tripla, prima metteremo avanti la presente speculazione; come che dalla sua intelligenza dependa la cognizione 20 di tutto il presente negozio. Sia per ciò la lieva A B, il cui sostegno A; e dal mezzo di essa, ciò è dal punto C, penda il grave I), il quale sia sostenuto da due forze eguali, l’ima delle quali sia applicata al punto C, e l’altra all’ estremità B : dico, cia¬ scuna di esse potenze aver momento eguale alla terza parte del peso I). Imperò che la forza in C _ sostiene peso eguale a sè stessa, essendo collocata S!][ P nella medesima linea nella quale pende e grava il | peso I): ma la forza in B sostiene del peso I) parte Siian so doppia di sè stessa, essendo la sua distanza dal so¬ stegno A, ciò è la linea BA, doppia della distanza A C, dalla quale è sospeso il grave : ma perchè si suppone, le due forze in C, B essere tra di loro eguali, adunque la parte del peso 1), che è sostenuta dalla forza B, è doppia della parte sostenuta dalla forza C. Se dun¬ que del grave 1) siano fatte due parti, l’una doppia della rimanente, 13. con forme in questa, V — t i b-b c lì 178 LK MKCANK I1K. Iìi maggiore è sostenuta dalla forza B, e la minore dalla forza C: ma questa minore è la terza parte del peso I): adunque il momento della forza C è eguale al momento della terza parte del peso 1) ; al quale verrà, per conseguenza, ad essere eguale! la forza 11, avendola noi sup¬ posta eguale all’altra forza C. Onde è manifesto il nostro intento, che era di dimostrare, come ciascuna delle due potenze C, Il si agguagliava alla terza parte del peso 1). Il che avendo dimostrato, faremo passaggio alle taglie, e descri- inferiore AC11, volubile intorno al centro lì, e da essa pendente il peso 11, segneremo l’altra supe- io riore EF; avvolgendo intorno ad ambedue la corda DFEACBl, di cui il capo I) sia formato alla taglia inferiore, ed all'altro I sia applicata la forza; la quale dico che, sostenendo o movendo il peso H, non sentirà altro che la terza parte della gravità di quello. Imperò elio, considerando la struttura di tal machina, cederemo il diametro A 11 tener il luogo di una beva, nel cui termine II viene applicata la forzai, nell" altro A è posto il sostegno, dal mezzo (! è posto il grave H, e nell’ istesso luogo applicata un’ altra 20 forza D; sì che il peso vion fermato dalle tre corde 1B. FD, E A, le quali con eguale fatica sostengono il peso. Or, per quello che di già si è speculato, sendo le due forze eguali 1), Il applicate l’una al mezzo del vette AB, e l’altra al termine estremo B, è manifesto ciascheduna di esse non sentire altro clic» la terza parte del peso H: adunque la potenza 1, avendo momento eguale al terzo del peso H, potrà sostenerlo e moverlo. Ma però il viaggio della forza I sarà triplo al camino che farà il peso, dovendo la detta forza distendersi se¬ condo la lunghezza delle tre corde 11!, FI), E A, delle (piali una sola misurerà il viaggio del peso. vendo la girella DELLA VITE. Tra tutti li altri strumenti mecanici per diversi commodi dal- l’ingegno umano ritrovati, panni, e LK MKCANlfllK. do lido a perpendicolo, si sarà abbassato pur spazio eguale* a tutta la linea AC. E perchè i corpi gravi non fanno resistenza a i moti transversali, se non in quanto in essi vengono a discostarsi dal centro della terra, però, non s’essendo il mobile E in tutto il moto AC al¬ zato più che sia la linea Cli, ma l’altro K abbassato a perpendicolo quanto è tutta la lunghezza AC, però potremo meritamente dire, il viaggio della forza F al viaggio della forza E mantenere quella istessa proporzione, che ha la linea AC alla Cl>, cioè il peso K al peso ’F. Molto adunque importa il considerar»* per (piali linee si facciano i moti, e massime no i gravi inanimati : dei (piali i momenti hanno il loro io total vigore e la intiera resistenza nella linea perpendicolare aH’ori- zonte; e nell’altre, transvorsalmento elevato o inchinate, servono so¬ lamente quel più o meno vigore, impeto, o resistenza, secondo elio più o meno le dette inchinazioni s’avvicinano alla perpendicolar ele¬ vazione. bKI.I,A OOOliKA b’ AllCllIMKDi: !*KK I.KVAK L.’ACQUA Non mi pare che in questo luogo sia da passar con silenzio l’in¬ venzione di Archimede d’alzar l'acqua con la vite» : la quale non solo è maravigliosa, ma è miracolosa; poiché troveremo, che l’acqua ascende nella vite discendendo continuatamente. Ma prima che ad 20 altro vengliiamo, dichiareremo l’uso della vite nel far salir l’acqua. FI considerisi nella seguente figura intorno alla colonna MIKH esser avvolta la linea ILOPQRSH, la quale sia un canale, per lo quale possa scorrer l’acqua: se metteremo l’estremità I nell’acqua, facendo stare la vite pendente, come dimostra il disegno, e la volgeremo in giro intorno alli due perni T, V, l’acqua per lo canale andar» scorrendo, fin che finalmente verserà fuori della bocca H. Ora so dico che l’acqua, nel condursi dal punto 1 al punto FI, è venuta sem¬ pre discendendo, ancorché il punto FI sia più alto del punto I. H che esser così, dichiareremo in tal modo. Descriveremo il triangolo ACB, il quale sia quello onde si generi la vite IH, (li maniera che il ca¬ nale della vite venga figurato dalla linea A C, la cui salita ed eleva- vi quimto essi, V, u — 12. serbavo, m ; serravo, t, v — K M iK MECANICHK. 187 «ione viene determinata por l’angolo CAB; cioè, che se il detto an¬ golo sarà la terza parte o la quarta di un angolo retto, la elevazione del canale A C sarà secondo la terza o quarta parte d’un angolo retto. Ed è manifesto, che la salita d’esso canale A C verrà tolta via ab¬ bassando il punto C inaino al B, perchè allora il canale AC non arerà elevazione alcuna; ed abbassando il punto 0 un poco sotto il B, l’acqua naturalmente scorrerà per lo canale AC al basso, dal punto A verso il C. Concludiamo dunque, che, essendo l’angolo A un terzo di un retto, la salita del canale A C verrà tolta via abbassandolo dalla io parte C per la terza parte di un angolo retto. Intese queste cose, volgiamo il triangolo intorno alla colonna, e fac¬ ciamo la vite BAEFOHID; la quale, se si eonstituirà dritta, ad angoli retti, con l’estremità B in acqua, ci- ^jd volgendosi attorno, non per questo ^ tirerà in su l’acqua, essendo il ca¬ nale, attorno alla colonna, elevato, come si vede per la parte BA. Ma se bene la colonna sta dritta ad angoli retti, non è per questo che 1 20 la salita per la vite attorta intorno alla colonna sia di maggiore eleva- B zione che d’un terzo d’angolo retto; essendo generata dalla elevazione del canale A C. Adunque, se incli¬ neremo la colonna per un terzo di detto angolo retto, ed un poco più, come si vede IKHM, il transito e moto per lo canale non sarà più elevato, ma inclinato, come si vede per lo canale IL; adunque l’acqua dal punto 1 al punto L si moverà discendendo : e girandosi la vite intorno, P altre parti d’essa successivamente si disporranno e si rappresenteranno all’ acqua nella medesima disposizione che la so parte IL; onde l’acqua successivamente onderà discendendo; e pur finalmente si troverà esser montata dal punto I al punto H: il che di quanta meraviglia si sia, lascio giudicare a chi perfettamente l’averà inteso. E da quanto s’è detto, si viene in cognizione come la vite per alzar l’acqua deve esser inclinata un poco più della quan¬ tità dell'angolo del triangolo, col quale si descrisse essa vite. 12. la quale si constilui rù, V; si e costituirà, r; se costruirà diretta, o; se con stimi rù diretta , t, v — 35. con il quale, n : del quale , Z — 188 LE MECCANICHE. DELLA FORZA DELLA PERCOSSA. L’investigare qual sia la causa della forza della percossa è per più cagioni grandemente necessario. E prima, perchè in essa appari¬ sce assai più del maraviglioso di quello, elio in qualunque altro stro- mento meccanico si scorga, atteso che, percolandosi sopra un chiodo da ficcarsi in un durissimo legno, o vero sopra un palo che debbia penetrare dentro in terreno ben fisso, si vede, per la sola virtù della percossa, spingersi e l’uno e 1’ altro avanti : onde senza quella, met¬ tendosi sopra il martello, non pure non si muoverà, ma quando anco bene vi fosse appoggiato un peso molte e molte volte dell’ istesso io martello più grave : effetto veramente maraviglioso, e tanto più de¬ gno di speculazione, quanto, per mio avviso, niuno di quelli, che sili qui ci hanno intorno filosofato, ha detto cosa che arrivi allo scopo; il che possiamo pigliare per certissimo segno ed argumento della oscu- rità e difficoltà di tale speculazione. Perchè ad Aristotile o ad altri che volessero la cagione di questo mirabile effètto ridurre alla lun¬ ghezza del manubrio o manico del martello, parali che, senza altro lungo discorso, si possa scoprire l’infermità delli loro pensieri dall’ ef¬ fetto di quei stronfienti, che, non avendo manico, percotono o col i cadere da alto a basso, o coir esser spinti con velocità per traverso. 20 Dunque ad altro principio bisogna che ricorriamo, volendo ritrovare la verità di questo fatto. Del quale benché la cagione sia alquanto di sua natura obstrusa e difficile a esplicazione, tuttavia anderemo tentando, con quella maggior lucidezza che potremo, di render chiara e sensibile; mostrando finalmente, il principio ed origine di questo ef¬ fetto non derivar da altro fonte, che da quello stesso onde scaturi¬ scono le ragioni d’altri effetti meccanici. E questo sarà co ’1 ridurci inanzi gli occhi quello, che in ogni al- 1 . dentro un terreno, B, n, — 23. natura oscura , B — difficile esplicazione, p, b, r — LE MECANICHE. 189 ti-a operazione meccanica s’è veduto accadere: cioè che la forza, la resistenza ed il spazio, per lo quale si fa il moto, si vanno alterna¬ mente con tal proporzione seguendo, e con legge tale rispondendo, che resistenza eguale alla forza sarà da essa forza mossa per egual spazio e coli egual velocità di quella che essa si muova. Parimente, forza che sia la metà meno di una resistenza potrà muoverla, pur¬ ché si muova essa con doppia velocità, o, voglialo dire, per distanza il doppio maggiore di quella che passerà la resistenza mossa. Ed in somma s’è veduto in tutti gli altri stromenti, potersi muovere io qualunque gran resistenza da ogni data picciola forza, purché lo spazio, per il quale essa forza si muove, abbia quella proporzione medesima allo spazio, per il quale si moverà la resistenza, che tra essa gran resistenza e la picciola forza si ritrova, e ciò esser secondo la necessaria constituzione della natura. Onde, rivolgendo il discorso ed argomentando per lo converso, qual meraviglia sarà, se quella po¬ tenza, che moveria per grande intervallo una picciola resistenza, ne spingerà una cento volte maggiore per la centesima parte di detto intervallo? Niuna per certo: anzi quando altrimente fosse, non pure saria assurdo, ma impossibile. 20 Consideriamo dunque quale sia la resistenza all’ esser mosso nel martello in quel punto dove va a percuotere, e quanto, non perco- tendo, dalla forza ricevuta saria tirato lontano; ed in oltre, quale sia la resistenza al muoversi di quello che percuote, e quanto per una tal percossa venga mosso : e trovato come questa gran resistenza va avanti per ima percossa, tanto meno di quello che anderebbe il mar¬ tello cacciato dall’ empito di chi lo muove, quanto detta gran resistenza è maggiore di quella del martello, cessi in noi la meraviglia dell’ ef¬ fetto, il quale non esce punto da i termini delle naturali constituzioni e di quanto s’è detto. Aggiungasi, per maggior intelligenza, l’essem- so pio in termini particolari. È un martello, il quale, avendo quattro di resistenza, viene mosso da forza tale, che, liberandosi da essa in quel termine dove fa la percossa, anderia lontano, non trovando l’in¬ toppo, dieci passi; e viene in detto termine opposto un gran trave, la cui resistenza al moto è come quattromila, cioè mille volte mag- 11-13. spazio per lo quale si moverà la resistenza abbia quella proporzione medesima che tra essa, Z. il, 7i — 16. muoveva, m, fì — 17. spinga ,1, v; spiega , o — 23. di’ è percosso, B — 29. Ed a quanto si è detto aggiungasi, n — 190 LE MM ANICHE. giore di quella del martello (ma non però c immobile, hi che senza proporzione superi la resistenza del martello): però, fatto in esso la percossa, sarà ben spinto avanti, ma per la millesima parte delli dieci panai, ne i (piali si saria mosso il martello. K cosi, riflettendo con me¬ todo converso quello che intorno ad altri effetti meccanici s* è spe¬ culato, potremo investigare la ragiono della forza della percossa. So che qui nasceranno ad alcuni delle difficoltà ed distanze, le quali però con poca fatica si torranno ili mezzo; e noi le rimette¬ remo volontariamente tra i problemi meccanici, che in fine di que¬ sto discorso si aggiungeranno. io APPENDICE. Dalla seconda Lezione Accademica di Evangelista Torricelli 44 Della Forza della Percossa „ Siano fin qui dette V opposizioni contro Y infinità della forza della percossa. L’esperienze elio la favoriscano, e Y invenzioni di quel famosissimo Vecchio W, eran questo. Egli, mentre viveva in Padova, fece fare di molti archi, tutti però di diversa gagliardezza. Prendeva poi il più debole di tutti, ed al mezzo della corda di esso sospendeva una palla di piombo di due once in circa, attaccata con un filo, lungo, per esempio, un braccio; fermato Parco in una morsa, alzava quella 20 palla, e lasciandola ricadere, osservava, per via di un vaso sonoro sottoposto, per quanto spazio V impeto della palla incurvasse e si tirasse dietro ha corda del¬ l’arco: noi supporremo (die fus.su intorno a quattro dita. Attaccava poi alla corda del medesimo arco un peso quiescente, tanto grande che incurvasse e tirasse giù la corda dell’arco por lo medesimo spazio di 1 dita ; ed osservava che il peso voleva essere circa X libre. Fatto questo, prendeva un aiti*’arco più gagliardo del primo; alla corda di esso sospendeva la medesima palla di piombo, col mede¬ simo filo ; e facendola cadere dalla medesima altezza, 30 notava per quanto spazio ella attraesse la corda. At¬ taccava poi del piombo quiescente, tanto che facesse il medesimo effetto; e trovava che non bastavano più quelle X libro che bastavano <*) Intendi Galileo. LE MECANICHE. 191 prima, ma volevano essere più (li 20. Pigliando poi di mano in mano archi sempre più robusti, trovava che, per agguagliar la forza di quella medesima palla di piombo e di quella medesima caduta, sempre vi voleva maggior e maggior peso, conforme che l’esperienza si lusso fatta con archi più c più gagliardi. Adun¬ que, diceva egli, se io pigliarù un arco gagliardissimo, quella palla di piombo, che non passa duo once, farà effetto equivalente a mille libre di piombo; piglian¬ dosi poi un arco mille volte più gagliardo di quel gagliardissimo, quella mede¬ sima pallina farà effetto equivalente ad un milione di libre di piombo: sogno evidentissimo, che la forza di quel poco peso e di quel braccio di caduta è infinita. 10 Abbelliva egli le speculazioni della filosofia con ornamenti d’erudizione. As¬ somigliava la forza della percossa a quei cani generosi, i quali non degnavano di mostrar il loro valore nello steccato contro bestie poco feroci, ma si facevano ben conoscere nello strangolar leoni e sbranare elefanti. Diversa dall’ esperienza do gli archi, ma però simile di conseguenza, è que¬ st’ altra operazione, con la quale cgl' inferiva che la forza d’ogni percossa sia infinita. Prendami due palle di piombo eguali; pongasi l’una e l’altra sopra l’incudine, e si faccia cadere sopra una di esse un martello dall' altezza di un braccio: è certo che quel piombo si ammaccherà. Pongasi sopra quell’altra palla un peso quiescente tanto grande, clic faccia la medesima ammaccatura die nel- 20 l’altra averà fatta il martello; ed osservisi il peso sovraposto, che sarà, per esem¬ pio, X libre. Ora alcuno crederebbe che la forza di quella percossa fusse equi¬ valente al momento di quello X libro di poso quiescente. Ma pensatelo voi. Prendami i due medesimi pezzi di piombo, egualmente ammaccati, come stanno: se sopra uno di essi io poserò X libre di peso quiescente, certa cosa è che non si spianerà pià di quello che sia, avendo egli già un’ altra volta sostenuto il medesimo peso di X libre : ma se vi farò cadere il martello dalla medesima altezza come prima, farà ben nuova ammaccatura; e per agguagliar questa, bisognerà posare sopra l’altro pezzo eli piombo molto maggior peso elio quel di prima: e questo .succe¬ derà sempre con progresso, sino in infinito. Dunque si potrà dar caso clic la forza M di quella medesima percossa farà maggior effetto, che mille, anzi che un milione, e mille milioni, di libre di peso quiescente: segno manifesto che la forza della, percossa sia infinita. ■). egli, jtiglicvndntti uu — 10. con gl' ornamenti dell' erudizione — 21. In fona della percola — il. LETTERA A IACOPO MAZZONI. |30 MAGGIO 1597.] AVVERTIMENTO. La presento scrittura di Galileo, quantunque stesa sotto forma di lettera al suo amico e. maestro Iacopo Mazzoni (!) , ha del documento epistolare soltanto la torma, c perciò le abbiamo assegnato il posto che essa viene ad occupare tra le cose di Galileo secondo l’esatto ordine cronologico. Questa lettera, fatta correre dal Nostro manoscritta per le mani dei più in¬ timi amici suoi, ricevette assai scarsa diffusione; ed è contraria al vero una indiretta indicazione di Paolo Gualdo (2) , per la quale potrebbe credersi che fin d'allora fosse data alle stampe. Noppur di essa è giunto sino a noi 1* autografo, ed i due soli esemplari sincroni a noi noti sono i seguenti : n == Bibl. Ambrosiana di Milano, cod. S. 81 Sup., car. 07-100, numerate ori¬ ginalmente 1-4. v = Bibl. Palatina di Vienna, cod. 6249, car. 107-109. Due copie di a sono, quella contenuta nel T. I. della Par. IV dei Mss. Gali¬ leiani, e quella di mano del cardinale Angelo Mai, nel cod. Vaticano 9556. E su questo medesimo codico a fu condotta pure la prima edizione, dovuta a G. B. Venturi < 3 >. L’esemplare ambrosiano, proveniente dalla biblioteca del Pinelli < 4) , e perciò indubbiamente anteriore al 1601, anno della morte di lui, porta alcuno cor- (*) Cfr. Galileo Galilei e lo Studio di Padox'a per Antonio Favaro. Voi. I. Firenze, Successori Lo Mou¬ nier, 1883, pag. 1l, 26, 34. i 2 j Questi, tenendo parola (lolla Biblioteca Tinelli, conio esempio del modo nel quale gli stampati orano indicali nel catalogo, menziona: « Conimontarius (•alilaci Salitaci, Fiorentini Matheniatiees Patavini Croi, prò Copernico ad versus Jacobum Marron inni taicL * ( Erta Jvanni* Vincentii Pinelli, patricii ge- tiiiensis. In qua st.udiosjs bonarum artium proponiti!r typus viri probi et eruditi. Auctore Paulo Gualdo, ecc. Augustac Vindelicorum, anno MDCVT, pag. 20). Noi teniamo tuttavia per indubitato elio questa lettera non fosse allora data allo stampe, e che F esemplare al qualo accenna il Gualdo fosso manoscritto. Cfr. Ga¬ lileo Galilei e lo Studio di Padova per Antonio Fa¬ varo. Voi. I, pag. 157, n. 1. (3) Memorie e lettere inedite Jìnora o (Superne di Gali • leo Galilei , ecc. l’arto, prima, ecc. Modena,M.DCCC.XVili, pag. 14-1S. (4) Probabilmente lo stesso, al quale vedommo testé alluderò il Gualdo. AVVERTI MENTO. 196 nozioni fli gravi orrori doli’ amanuense, nello qunli. con grande probabilità, è da riconoscerò la mano di < laliloo. Il codice r è mutilo degli ultimi periodi, dalle parole «in parti eguali al senso* della pag. '202, lin. IH-14. in giù: presenta poi parecchie diversità di lezione in confronto del testo ambrosiano, delle quali alcune sembrerebbero accusale un copista trascurato e poco fedele; laddove altre po¬ trebbero anche lasciare il dubbio che rappresentino mutazioni o aggiunte intro¬ dotte dall’Autore. Ci parve, ad ogni modo, miglior partilo, riprodurrò nel testo la lezione, più corretta, di «, indicando nelle varianti le più notabili differenze dir. Molto Illustre ed Eccellentissimo Signor mio. È comparso qua in Padova, il libro di V. S. Eccellentissima De com- paratione AristoteUs et Plotonis, il quale, per esser novissimo, non ha ancora sparso (li se quel grido ed applauso universale, che son sicuro che spargerà, come prima sia stato letto, inteso e considerato dalli studiosi di questa città. Ma a me, come quello che per gl’ infiniti oblighi che ho a V. S. Eccellentissima, e per l’immensa sua bontà, e per la particolare affezione che so che mi porta, la reverisco ed osservo, si è già fatto palese ; e mi ha fatto partecipe, se non di tutte le sue bellezze, io almeno di quelle che il mio basso ingegno ha potuto sin qui Rapire, lasciandomi ancora in speranza di poter, di giorno in giorno, scoprirne dell’altre. Ed oltre alla universale dottrina, della quale esso è ripieno, e per la quale è per esser apprezzato ed ammirato da ogn’ uno, ha egli a me in particolare arrecata grandissima sodisfazione e consola¬ zione, nel vedere V. S. Eccellentissima, in alcune di quelle questioni che ne i primi anni della nostra amicizia disputavamo con tanta gio¬ condità insieme, inclinare in quella parte, che da me era stimata vera ed il contrario da lei; forse per dar campo a i discorsi, o pur per mostrare il suo felice ingegno, potente anco a sostenere, quando li pia- 20 cesse, il falso, o sì per salvare incorrotta, anzi intatta in ogni minima particella, la sincerità della dottrina di quel gran Maestro, sotto la cui disciplina pare che militino, e che così far debbano, quelli che si danno Il eod. a porta, a mo’ di rubrioa, sul margino suporioro della carta, o di mano divorsa da quella che esemplò il tosto, il titolo : Del Galilei d’intorno al libro del Massone De oomparatione Aristoteliset Fiatoni» . Il ood. v intitola: Lettera del S. Galileo Galilei alVKoceUentisenno Massoni. 198 LETTERA ad investigare il vero. Nè di minor contento mi è stato il vedere (per quanto dalla sua dedicatoria ho potuto comprendere), che si sia al¬ leggerita da quei suoi tanti e sì gravi travagli, che non pur lei, ma tutti li suoi amici e servitori, hanno lungo tempo tenuti oppressi. Sotto la qual credenza, ho voluto pigliare la penna, o venire dell’ una cosa e dell’altra unitamente a rallegrarmi seco, ed a ripormeli nella me¬ moria, di dove forse da altre cure più gravi ero stato rimosso. Io vivo adunque, ed al solito la reveriseo, l’ammiro, e li sono servitore, e ri¬ cordevole dei tanti e tanti beneficii che da lei ho ricevuti ; dei quali vorrei pure, ma non so in che modo, mostrarmeli grato, non mi si io porgendo altra occasione di poterla servire, fuori clic con la prontezza dell’ animo. Ma tornando (per non finir così presto il contento, che ho, di ragio¬ nar con lei) alla conformazione delle sue opinioni con quelle ch’io stimo esser vere, ancorché diverse dal commune parere, io confesso di tener¬ mene buono, e di stimar più il mio giudizio che prima non facevo, quando non credevo aver sì forte compagno. Ma. per dir la verità, quanto nelle altre conclusioni restai baldanzoso, tanto rimasi, nel primo affronto, confuso e timido, vedendo V. S. Eccellentissima tanto resoluta e fran¬ camente impugnare la opinione do i Pitagorici e del Copernico circa 20 il moto e sito della terra; la quale scudo da me stata tenuta per assai •più probabile dell’altra di Aristotile e di Tolomeo, mi fece molto aprire l’orecéhio alla ragione di Y. S., come quello che circa questo capo, od altri che da questo dependono, ho qualche umore. Però, credendo per la sua infinita amorevolezza di poterli, senza gravarla, dire quello die per difesa del mio pensiero mi è venuto in mente, lo accennerò a V. S., acciò clie, o, conosciuto il mio errore, possa emendarmi e mutar pen¬ siero, 0 , satisfacendo alla ragion di V. S. Eccellentissima, non resti ancora desolata la opinion di quei grand’uomini e mia credenza. Panni dunque che la dimostrazione di V. S. proceda così : che se 30 tasse vero, che il (£) fesse nel centro della sfera stellata, e non la terra, ma. da esso lontana quanto è dal Q, doveremmo nella mezza notte vedere assai meno della metà di detta sfera, sendo segata dal nostro orizonte non per il centro, e, per conseguenza, in parti disegnali, delle 8. dunque ed fiumi della mia norie contenta ed al solito, v —13-14. Ma per tornare al mio particolare cioè alla conformazione, v — 18. tanto restai, v — 19. confuso cedendo, v — 29-dO. dessolata la credenza di quei grand’uomini e mia. Panni , v — A IACOPO MAZZONI. 199 quali la minore in quel tempo sarebbe da noi veduta, rimanendo la maggiore, nella quale è il centro, sotto l’orizonte; ed il contrario av- verria nel mezzo giorno: ma sendo la verità, che noi sempre veggiamo la metà di detta sfera, resta cosa impossibile esser la terra così dal centro lontana. Soggiunge poi, non esser di alcuno momento il dire col Copernico in sua difesa, tanta esser la vastità del firmamento, che in sua proporzione l’intervallo tra il 0 e la terra sia incomprensibile, ed insufficiente a cagionare disegualità notabile nella divisione degli emisferii: il che conseguentemente dimostra V. S. Eccellentissima con io l’esempio della illuminazione del monte Caucaso; poiché, per quanto ci accerta il testimonio di Aristotile, sendo la sua sommità per grande spazio di tempo prima percossa da i raggi «lei 0 che la radice, ne¬ cessario argumento prendiamo, da detta sommità scoprirsi molti gradi oltre all’orizonte tcrminatore della metà della sfera; di maniera che, se la sola altezza del monte Caucaso può esser causa che l’orizonte divida la sfera in parti sensibilissimamente diseguali, molto più lo do¬ veria fare, se per tanto intervallo, quanto è tra la terra ed il 0, dal centro ci allontanassimo. Quésta, se bene 1’ ho compresa, è la dimostrazione di V. S. Eceel- 20 lentissima: la quale non negherò che, quando prima fu da me vista, non mi movesse assaissimo, sì pei 1 esser sottilissima e bellissima, sì an¬ cora per esser di V. S. E perchè, come di sopra le ho detto, mi toccava (come diciamo) nel vivo, mi voltai a considerarla con grandissima at¬ tenzione: e, dopo un lungo discorso, cominciò a venirmi in pensiero, come potesse essere che, non essendo tutta la lontananza dal centro alla superficie della terra (posta l’opinione di Tolomeo) bastante a far che l’oi’izonte dividesse la sfera in parti sensibilmente disegnali, po¬ tesse poi la sola altezza del monte Caucaso, aggiunta al semidiametro della terra, fare che l’orizonte la sfera segasse in parti così notabil- 30 mente disguali. il che ni’ indusse a pensare che, non la lontananza del vertice del monte dal centro della terra, ma più presto l’altezza di detto vertice sopra la superficie della terra, potesse esser della detta disgualità cagione : e questo perchè, quando abbiamo l’occhio nella superficie della terra, viene 1’ orizonte ad esser difinito per quella su- 4. resta impossibile, v — 6. Copernico tanta esser la vastità dell’orbe stellato che, v — 7. sia insensibile,, x — 18. ci scostassimo, v — 21. sottilissima e molto potente si, v — 24. discorso co¬ minciai a considerare, v — 26. terra bastante, v — 33. cagione perciochè quando, v — II. 2i 200 LETTERA perfide piana che tocca il globo terrestre nel punto dove è l’occhio; ma se F occhio sarà dalla superficie della terra elevato, come se sia nella sommità del monte Caucaso, allora F orizonte non resta più una superficie piana, ma più tosto una superficie conica, il cui angolo o vertice è nell’occhio. Come più apertamente si scorge dalla seguente figura, dove per il globo terrestre intendiamo il cerchio Al: (piando l’occhio sarà nel punto A, sarà l’ori¬ zonte piano, secondo la linea BAC; ma quando metteremo l’occhio nel punto 1), elevato dalla superficie io della terra, sarà determinato F ori¬ zonte secondo le due linee contin¬ genti DEC. DEH, e sarà la superficie conica. Dalla qual figura possiamo comprender, come l’altezza del mon¬ te AD, per esser elevata sopra la superficie della terra, fa assai mag¬ gior diversità circa il dividere il cielo disegualmente, che non fa tutto il semidiametro AM; importando questo l’arco BK, e quella il BG. Il che avendo io considerato, cominciai ad avvertire che gran diffe- 20 renza era tra il far discostare l’occhio, posto nella superficie della terra, con tutta la terra, del centro del cielo, e tra il fare alzare F occhio sopra la superficie della terra; e che. per conseguenza, forse minor diversità, circa la disegualità delle più volte dette divisioni orizontali, potria cagionare la grandissima lontananza che è tra il 0 e la terra, che la piccola altezza del monte Caucaso. Il che avendo poi più particolar¬ mente ricercato, panni (s’io non m’inganno) aver dimostrato, che il discostar F occhio, con tutta la terra, dal centro del mondo, quanto è la distanza tra la terra ed il 0, non faccia maggior diversità che il costituire F occhio (lasciando la terra nel centro) sopra un monte so alto non più di un miglio ed 1 / 7 . Il che acciò sia manifesto, piglieremo la seguente figura : nella quale il cerchio BFE ci rappresenti la sfera stellata, il cui centro C, ed in¬ torno ad esso il globo terrestre IG; ed il punto L sia tanto lontano 2. sarà sopra la superfìcie, v— come se. V occhio sia , v — 8. piano e secondo, v (e cancel¬ lato nel cod. a) 13. DFII formanti l’angolo <1 77/ e, v — 29. è il semidiametro tra la tetra ed il 0 faccia minor diversità, v — 30. l’occhio sopra, v — 32. pigliamo , v — A IACOPO MAZZONI. 201 dal centro C, quanta è la distanza tra il Q o la terra ; e congiungasi la linea ICL, a cui sia perpendiculare BLE, e ad essa parallela DIH, contingente la terra in 1; e dal punto B sia tirata la linea BOA, che tocchi il cerchio IG in 0, ed in A concorra con LI. È manifesto, della terra co¬ stituita nel centro C l’orizonte esser secondo la linea DIH: ma sendo nel punto L, sarà il suo orizonte (quando io l’occhio sia nella superficie) RLE; il qual taglierà più dell’emisfero, quanto importano li archi DB, HE : ma se l’oc¬ chio sarà alzato dalla superficie della terra 01 sino al punto A, scoprirà tutto l’arco REE, non altrimente che se fusse nel punto L. Ecco, dunque, che tanto importa e s’acquista con l’alzare l’occhio dalla superficie della terra solamente per l’altezza AI, (pianto importa il discostare la terra dal centro per tutta la linea C L. Veggiamo adesso quanta sia l’altezza AI, in comparazione del semidiametro della terra. E perchè, secondo la co¬ mune opinione, il semidiametro dell’orbo del (£) contiene semidiametri 20 della terra mille ducento sedici; e quello della sfera stellata ne contiene, pur secondo la commune, 45225; di quali parti la linea LC è 1216, di tali la GB sarà 45225, c RL (per esser l’angolo L retto) 45208. E perchè di tali la CO è 1, sarà la linea RO, dalla superficie della terra al firma¬ mento, insensibilmente minore della B C, dal centro al firmamento. E perchè l’angolo li O C è retto, e sono del triangolo O B C i lati B O, B C insensibilmente disguali, sarà l’angolo 0 C B incomprensibilmente minor di un retto; e però l’angolo ORO è del tutto insensibile. E perchè l’angolo LCB è eguale alli due ORA, BAC, sendo l’angolo ABC come nullo, diremo l’angolo R A L esser eguale all’ angolo B C L : ma il retto :ìl) CO A è eguale al retto L: adunque li due triangoli BCL, CO A sa¬ ranno simili: e come BL a BC, così sarà OC a CA, ciò è a CI; e, dividendo e convertendo, come BL a la differenza tra BC e BL, così sani CI ad IA: ma LB è 45208, e detta differenza è 17, e, secondo la comune opinione, CI, semidiametro della terra, è 3035 miglia: adun¬ que IA sarà miglia 1 J / 7 in circa, cioè miglia 1 e passi 141. U>. importava , v —20. ma quello , v—23-24. terra alla sfera stellata, v — 2*1 dal centro della terra alla sfera stellata , v — 202 LETTERA A lACOl'O MAZZONI. Farmi, dunque, che da questo si concluda, che il porre la terra lontana dal centro del firmamento (pianto è la distanza tra essa e il Q ; non possa far maggior differenza, circa il segar l’orizonte la sfera stellata disegualmente, di quello che farebbe l’inalzarsi (costituita la terra nel centro) dalla sua superficie un miglio ed */ 7 . E se vorremo ve¬ dere quanto faccia scoprir più dell’ emisferio l’alzarsi dalla superficie della terra miglia 1 1 / 7 , troveremo con facile dimostrazione, ciò non passare g. 1.32' dall’una e dall’altra parte. E questa sarà la diversità, che in questo caso nascerla dal por la temi nel centro del firmamento, o il Q ; che nascerla, dico, quando l’ampiezza del firmamento, fusse io quanta si è supposto: ma essendo, come suppone il Copernico, gran¬ demente maggiore, che maraviglia sarà se il nostro orizonte, tanto lontano dal centro quanto dal Q, segherà il firmamento in parti eguali al senso? Ed aggiungesi a questo, che la diversità, che si è dimostrata nascere dall’alzarsi dalla superficie della terra miglia 1 */ 7 , e che è eguale a quella che fa il discostare la terra dal centro quanto dal Q, e che si è dimostrata posto che la terra fusse nel centro, se la terra si metterà nel luogo del Q, ci verrà data dall’ un monte alto solamente un miglio: onde ne seguirà poi, la differenza de gli emisferii esser assai minore della già dimostrata di g. 1.32'. 20 Ma, per non infastidire più lungamente V. S. Eccellentissima, non voglio darli più lunga briga, ma solamente pregarla a dirmi libera¬ mente, se li pare che in questa maniera si possa salvare il Copernico. Io sono stracco dallo scrivere, e lei dal leggere: però, tagliando tutte le lunghezze di cerimonie, farò tino col baciarli le mani e pregarla ad amarmi, come lui fatto sempre, ed a comandarmi. N. S. gli conceda felicità. Di Padova, li 30 maggio 1597. Di V. S. M.'° DI." od Ecc. m * Ser. or obligatÌB8.° Galileo Galilei. 3. non può far, v —I. farebbe l'alzarsi, v — 3. caso nasce, v — 10-12. quando e la distanza tra il sole e la terra fusse quanta si è detto, e, similmente, tale, quale abitiamo supposta, la lontananza del firmamento: ma essendo, come dimostra il Copernico, molto minore quella e senza proporzione maggiore, v — 14. ad sensum, v — TRATTATO DELLA SFERA OVVERO COSMOGRAFIA. AVVERTIMENTO. Narra il Viviani, che tra i vari trattati stesi da Galileo * per utile e diletto de’ suoi discepoli * fu un « Compendio di Sfera ** l) , il quale, al pan dogli altri, andò attorno manoscritto; e di tale argomento noi sappiamo essersi il Nostro ri¬ petutamente occupato, tanto nel pubblico quanto nel privato insegnamento, durante il suo soggiorno in Padova**). Non possiamo però indicare con esattezza Panno in cui la presente scrittura venne da lui stesa. Dopo la morte di Galileo, e sotto il suo nome, fu dato alle stampe in Roma nell'anno 1656 un * Trattato della Sfera** 3 ) da frate Urbano Daviso, elio si celò sotto Panagramma di Buonardo Savi; ma il trovare in esso sostenuta la immo¬ bilità della terra fu portato come argomento per tenerlo apocrifo. Il Nelli* 4 ), ricor¬ dando la parte avuta dal Viviani nella prima edizione delle opere di Galileo, curata dal Manolessi in Bologna, e non trovando in essa questo trattato della Sfera, giu¬ dicò non averlo il Viviani stimato opera del suo Maestro. Il Libri* 5 ), più recisa¬ mente ancora del Nelli, sentenziò apocrifo questo trattato, insinuando anzi che potesse essere opera dello stesso Daviso, frate peripatetico, il quale si sarebbe indotto alla pia frode, per far credere che Galileo avesse modificate le sue opi¬ nioni intorno al sistema del mondo. Ma è agevole provare che queste argomenta¬ zioni sono prive di fondamento. U) Fanti Consolari dell'Accademia Fiorentina di Salvino Salvini, ecc. In Firenze, M.DCC.XVII, nella stamperia di S. A. R. per Glo. Gaetano Tarli ni o Santi Franchi, pag. 404. * 2 ) Galileo Caldei e lo Studio di Padova por An¬ tonio Fava no. Voi. II. Firenze, 1883, pag. 140-151. * 3 ) Trattato della Sfera di Galileo Galilei, Con al- c " f,e Pitiche, intorno a quella, E modo di fare la ^tgura Celeste, e suoi (aie) Direttioni, secondo la Via llationals. Di Buonaudo Savi. Dedicato nlPEminontiss. o Reverendi. Prencipo Gio. Carlo Card. Do 1 Medici. In Roma, Per Niccolò Angelo Tinazzi. 165(5. Con li¬ cenza de' Superiori. A spese di Domonico Grinldi Li¬ brare. (4) Vita e. commercio letterario di Galileo Gali¬ lei , ece. scritta da Gio. Battista Clemente De' Nel¬ li, ecc. Volume I. Losanna, 1793, pag. 58-GO. (5) Histoire des Sciences Mathématiqucs en Italie, CCC. par Guillaume Libri. Tomo quatriòmo. A Paris, chez Julos Renouard et O, 1841, pag. 184-185. 206 AVVERTIMENTO. Anzitutto, il trovare che nel tasto edito dal I inviso sono esposto dottrine con¬ trario al sistema copernicano, che Galileo professava, per lo meno, fin dal 1597, non vale ad impugnarne l’autenticità; anzi questo fatto è conforme a quanto fu ad esu¬ beranza dimostrato 6), vale a diro che egli nel suo insegnamento si attenne del tutto al sistema tolemaico. E a torto fu invocata contro Y autenticità stessa la indiretta testimonianza del Viviani, il quale anzi ebbe esplicitamente ad affer¬ marla <*>. Che taJo trattato non sia fattura del Daviso, dimostrano ancora i mano¬ scritti sincroni che no abbiamo rinvenuti; e che, infine, sia veramente opera di Galileo, lo dimostra luminosamente il fatto, che in uno dei capitoli della * Sfera », quale fu pur edita dal Daviso, là dove si tratta - Delle longitudini e latitudini *, i termini delle definizioni, la trattazione dell’argomento e perfino gli esempi (fatta soltanto astrazione dal luogo al quale si riferiscono) sono quei medesimi usati da Galileo per la determinazione delle longitudini in mare, la (piale egli fece inviare, per via diplomatica, nel 1612 al Governo Spaglinolo, e che fino al 1818< 3 > rimase inedita nogli Archivi Toscani di Stato. Il sapere tuttavia, per l una parte, che Galileo aveva steso un trattato della Sfora, ed il vedere, per l’altra, come da grandi autorità veniva impugnata Y auten¬ ticità di quello edito dal Daviso, doveva condurre ad attribuire al Nostro alcuni dei trattati anonimi di Sfera, dei quali v’ha dovizia nello biblioteche: c così avvenne elio fossero creduti scritture di Galileo quelli contenuti nel codice della Biblioteca Nazionale di Firenze segnato II. IV. 683, nell’ Ashbumhamiano 023 (già 692) della Medicea Laurenziana, e nell’Add. 1 22786 del British Museum. Nessuno però di tali scritti, diversi fimo dall’ altro ha alcun che di comune con l’opera di Galileo, che qui pubblichiamo. Di questo Trattato della Sfera ovvero Cosmografia, come all’Autore piacque di chiamarlo, ci son noti i seguenti manoscritti: a = Bibl. Naz. di Firenze; Mas. Gal., Par. Ili, T. II, car. 28-69. m = Bibl. Naz. Marciana di Venezia, CI. IV. ital., n. CXXIX; pag. 1-96. r = Bibl. Casanatenso di Roma, cod. E. III. 15. 675. c = Bibl. dell’Università Jagollonica di Cracovia, cod. 571; car. 2-45. Di questi esemplari, il codice a, che sulle duo guardie (car. 28 r. e 69/;.), in mezzo a diverse parole scritte, o incominciate a scrivere, .senz’ordine alcuno, quasi per trastullo, porta ripetuto più volte il nome di Niccolò Giugni, ed una volta quello O) Fan aho, GaliIto haldci e lo Studio <1 1 Padova. Voi. T, pag. 156-150. <-) Documenti inediti per In Storia dei Manoscritti (i al il ciani nella Jtiblioteea Nazionale di Firenze pub¬ blicati od illustrati du Antonio Favaro: nel lìullet- tino di Jìibliografia c di Storia delle Scienze Materna’ fiche, e Siniche ; Tomo XVIII, 1885, pag. 191. (n ) Memorie c Lettere inedite finora o dUpe.rte di (ialdeo Galilei ordinato od illustrato con annotazioni dal Cav. (ìiamhatista Venturi, oco. Parto Prima. Moderni, por <*. Vincenzi o Comp., M.DCCC.XVKI, pag. 177-180. (4) Cfr. Sulla autenticità della Sfera Galileiana edita dal I\ Detrito e intanto a tre. trattati di Sfera frro ' «fomento attribuiti a Galileo: a pag. 55-70 dei Nw Studi Galileiani per Antonio Favaro, inseriti nd Voi. XXIV delle Memorie del 11. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. AVVERTIMENTO. 207 di Vincenzio Giugni padre di lui, si può ritenere siti appartenuto a Niccolò, che fu discepolo di Galileo in Padova negli anni 1604-1605 0); cosi che, ammesso clic Nic¬ colò lo portasse da Padova a Firenze, si potrebbe crederlo esemplato non dopo il 1605; alla qual data conviene perfettamente la forma della scrittura. Il codice ni, che ap¬ partenne già alla Libreria dei Chierici Regolari Somaschi di Venezia, porta, a piè della pag. 1, c sotto il titolo « Sfera deirEcc. mo S. r Galileo Galilei, Matematico di Padova», la data « 1606 », della mano medesima che esemplò il Trattato. Alquanto più tarda è la mano dell 1 esemplare che segniamo r: esso è compreso in una mi¬ scellanea di scritture del geografo siciliano Giovanni Battista Nicolosi, clic si vede essere appartenuta al Nicolosi medesimo, del quale contiene lettere con le date 1648 e 1653. Finalmente, il codice e appartenne già a Giovanni Broscio (Jan Brózek), scienziato polacco che fu a Padova dal 1620 al 1624 e di sua mano offre il titolo < Principia Astronomia!) Guidaci de Galilaeis », scritto sul verso del cartone. Se» coni*è probabile, fu portato in Polonia dal Broscio stesso, si dovrebbe dire anteriore al 1624; e certamente, come conferma l’esame della scrittura, non è posteriore alla prima metà del secolo XVII, tranne forse i titoli dei capitoli, che sembrano di mano alquanto meno antica. Collazionando diligentemente detti esemplari, ci siamo persuasi ch’ossi formano, quanto al testo, una sola famiglia, pur avendo ciascuno suoi particolari caratteri. Più speciali affinità offrono tra di loro a cd m da una parte, ed r e c dall’altra. I due primi sono deturpati da molti e gravissimi errori di senso. Il cod. a fu, con molta probabilità, esemplato da copista toscano: mentre però, sotto questo rispetto, si raccomanda alla nostra attenzione, essendo probabile che meglio abbia conservato le forme genuine dell’ Autore, presenta, e in larghissima copia, altri fatti che lo rendono meno commendevole: come sarebbero l’inserzione viziosa dell’ / dopo gn davanti a, e, o ) p. e. in ingcgniandoci , campagnia , segni o, ecc.; lo scempiamente del v in avenire, avicinarsi, ecc.; le desinenze — aremo — armino , ecc. nei futuri e condizionali della prima coniugazione; per non dire di certe deformità, come an- dasserono , abitasserono , procedesserono, ecc. L)‘ altra parte, il colorito veramente toscano che presenta questo codice, ci parve in alcuni particolari alquanto esa¬ gerato, tanto da farci nascere il sospetto che l’amanuense avesse caricato la tinta trovata nell’originale. Il codice in, sebbene per antichità molto rispettabile, tra¬ scorre spesse volte ad alterare la parola genuina< 3 >, qualche volta ad ammoder¬ nare 6) ? spessissimo a riordinare i costrutti, togliendo specialmente certi iperbati piaciuti all’Autore, per ridurli ad ima sintassi piana e regolarissima (r, >: e per <•) tir. Favaro, ( ini ileo (/alilei e lo Studio di l\ c- dova. Voi. I, pag-. 1(>2, 200: Voi. ir, pag. 186-186. ( 2 ) Cfr. Fa varo, Sulla autenticità ecc., pag. 64*65. ( 3 ) P. e., il solo cod. in leggo a pag. 215, lin. 15*16, «addurremo la sua sostanza», e a lin. 12 «ci dimo- sto 1 agliaio»; a pag. 216, lin. 18 - grandissimi* ap- II. pannano le lunghezza* o, n lin. 32 «si rivolga il che » : ecc. (4) p. e., sostituisce spesso il a lo davanti a con¬ sonante ilo qual , ecc.) (5) P. e., a pag. 212, lin. 26-27 • doreremo assi* gnaro grandissima distinzione * ; a pag. 218, lin. 1 25 208 avvertimento. tali motivi uon merita alcuna fede. 11 codice r dà spesso buona lezione dove « ed m sono guasti, ma in altri luoghi si perde in istrani guazzabugli. Alcune forme dialettali, che vi si notano, inducono ad attribuirlo a copista romano; e sappiamo invero elio il Nicolosi, a cui abbiamo visto che appartenne, dimorò a lungo in Roma. Assai più corrotto degli altri ò il codice r, anche se in qualche luogo abbia esso puro bisogno dell’opera critica: e mentre non presenta le arbitrarie muta¬ zioni di w, ed è di età piti antica che r, la tinta dialettale veneta, data qui al Trattato per opera del copista, ò cosi leggera e superficiale che facilmente si può detergere. Poiché, dunque, quello elio ci ispirava maggior fiducia era il codice c, lo abbiamo preso a fondamento del nostro testo; e soprattutto con la sua scorta ab¬ biamo potuto correggere molti e gravissimi errori che correvano nelle stampe pre¬ cedenti <‘), corno potrà facilmente avvertire chi con queste vorrà confrontare la nostra: il medesimo codice <• abbiamo seguito poi, n ben s intende con le solite cautele ecl eccezioni0>, anche por quel che risguarda le formo linguistiche e l’orto¬ grafia < s >, preferendolo dopo qualche esitazione ad «, la cui toscanità, come sopra dicemmo, ci sembrò alquanto sospetta. Registrammo poi, conforme al nostro costume, le più notabili varietà degli altri codici; non avvertendo però mai, sebbene fossero in istampe precedenti, le gravi differenze del codice m, persuasi e, possiamo dire, sicuri, come era¬ vamo, che non sia da attribuir loro altra origine all infuori dell arbitrio del copista. E dello varietà offerte dalle stampe neppure ci occorse di tenero alcun conto: oliò l’edizione principe, romana del IGF>G, la quale fa menzione di un manoscritto eh’ era appresso * il Sig. Scipione Santronchet • <4) , mostra d’es¬ sere stata condotta sopra un codice lussai affine ad c, il quale r sospettammo es¬ sere scritto a Roma ed in quelli anni medesimi; e nella raccolta Padovana delle Opere < 3 ), che fu la prima ad accoglier la Sfera, questa fu ristampata sul codice ni, venendo però alterate alcune forme, u per arbitrio dell’ editore, o per orrori ili lettura a cui il carattere, punto facile, del codice potè dar origine; o l’ultima queste duo parti principali do l'universo » ; a pag. 210, lin. 22, « evidenza del moto possiamo » (dove dopo «evidenza» si leggo, cancellato, «possiamo»)*, eco. (0 Qualche volta, corno negli altri Trattati, ci Iti d'uopo audio in questo emendare la lezione er¬ rata di tutt’o quattro i manoscritti. Citeremo a que¬ sto proposito il passo di pag. 217, liti. 10, dove non dubitammo di correggere « medesima osservazione * di tutti i codici, in « medesima oscurazione » : cor¬ rezione richiesta dal senso, e confortata dallo scambio che anello in altri passi (p. e. a png. 221, liti. 20) i codici fanno dello voci oscurazione od osservazione. (?) Non abbiamo, p. e., seguito il cod. c in certi casi ili cui sostituisco (e talora, insieme con lui, anco i suoi fratelli) il futuro, specialmente nella prima per¬ sona del plurale (potremo, potremmo), al condizionale presente, o viceversa. Sobilline in qualche passo tale so- stituziono sembrasse non assurda, tuttavia, studiando i vari luoghi comparativamente, ci siamo persuasi ohe dipendeva da solo vizio
  • are di moti diversi, la terra essere stabile, situata nel centro. Seguono poi, nel terzo luogo, le dimo¬ strazioni geometriche; con le quali, per le proprietà de’ cerchi e delle io linee rette, si dimostrano i particolari accidenti, clic all’ippotesi con- seguiscono. E finalmente, quello che per le linee s’ò dimostrato, con operazioni aritmetiche calcolando, si riduci' e distribuisce in tavole, dalle quali senza fatica possiamo poi ad ogni nostro beneplacito ritro¬ vare la disposizione de’ corpi celesti ad ogni momento di tempo. E per¬ chè siamo nei primi principii di questa scienza, lasciando da parte ora i calcoli e le dimostrazioni più difficili, ci occuperemo solamente circa l’ippotesi, ingegnandoci di confermarle e stabilirle con l’apparenze. Pigliando dunque il nostro totale soggetto, ciò è il mondo, co¬ minciamo primamente a distinguerlo nelle sue parti: le quali pria-20 cipalmente troviamo esser due, tra di loro molto diverse e quasi contrarie. Perciò che s’è vero che l’intelletto nostro sia guidato alla cognizione delle sostanze per mezzo do gli accidenti, noi troveremo nelle parti dell’ universo notabil differenza, presa dalla diversità de gli accidenti principalissimi : poi che se noi considereremo la diversità tra ’l moto retto e ’l circolare, de i quali questo è infinito, grandissima distinzione doveremo assegnare tra quelle parti dell’universo che eternamente vanno a torno, e queste che non possono, se non per breve tempo, muoversi per dritta linea : e perciò diremo, la parte elementare essere totalmente diversa dalla celeste, essendo di quella si’ il moto retto, e di questa circolare ; e tanto più, venendo tal diver¬ sità confermata dal veder noi esser gli elementi supposti a continue mutazioni, alterazioni, generazioni e corruzioni, restando la parte celeste ingenevabile, incorruttibile, inalterabile, ed insomma impassi¬ bile d’ ogni altra mutazione, eccetto che del moto locale circolare. 19-20. cominciaremo, a, m, r — 2S. a Ionio u qiieule, c, a, m, r — 31. questo- il circolale {il è aggiunta interlineare), m — OVVERO COSMOGRAFIA. 213 Per lo che assegneremo dell’ universo queste due parti principali, eio è la regione celeste, e l’altra elementare; e questa, suddivi¬ dendola, verrà distinta in quattro parti, delle quali due averanno il moto retto verso ’1 centro, e l’altre verso la circonferenza. TI numero delle quali ci viene non meno dal senso scoperto, che dalla ragione confirmato ; vedendo la terra gravissima giacer sotto l’acqua, ed ambedue esser circondate dall’aria, sopra la quale doviamo credere essere l’elemento del fuoco, sì perchè vediamo molte essalazioni tenui e sottili salire in alto per l’aria, sì perchè sopra essa appariscono molte io impressioni ignee, come di stelle cadenti, crinite e barbate : come an¬ cora per le combinazioni delle quattro prime qualità, perchè se dal freddo e secco vien constituita la terra, dal freddo ed umido l'acqua, e l’aria dal caldo ed umido, doviamo credere esser un altro corpo tale, costituito dal caldo e secco ; e questo non sarà altro eh’ il fuoco. E chea la distribuzione di questi quattro elementi, veggiamo i più gravi esser circondati da i men gravi, ma non però la terra esser del tutto immersa nell’acqua; di che diremo essere causa l’asprezza e disugualità della superficie terrestre, nella quale essendo molte pre¬ minenze di monti ed altre parti rilevate, e molte concavità (li valli 20 e luoghi bassi, ed essendo piccolissima in proporzione della terra la mole dell’acqua, sono solamente inondate le parti basse, restando discoperte le più alte; e ciò farsi per salvezza de gli animali terrestri. Poi che s’è distinta la regione elementare nelle sue parti, resta che distinguiamo ancora la celeste, investigando il numero e l’ordine degli orbi. Per il che fare, prima doviamo supporre, insieme con tutti i filosofi ed astronomi, non potere uno stesso corpo semplice aver più di un sol moto, proprio e naturale. Secondariamente supponiamo, le stelle esser fìsse ne’ proprii orbi, al moto de’ quali esse vengono portate, di maniera che non possino per loro stesse andar nel proprio so orbe vagando, a guisa cl’ uccelli per aria. Fatte queste due supposi¬ zioni, tanti per necessità diremo esser gli orbi celesti, quanti sono i movimenti diversi che nelle stelle appariscono : di maniera che, se in tutta la moltitudine delle stelle non apparasse altro movimento che (presto diurno da oriente a occidente, un solo orbe saria stato ba¬ stante, il quale tutte insieme le portasse ; ma perchè, osservando esqui- 3. parti ineguali delle, a, m, r — 13-14. non doviamo .... secco ? e , a, m, r —15. distribu¬ zione e disposizione , m, r —18-19. prominente, r ; priminensse, a —32. movimenti sì diversi, c 214 TRATTATO DELLA SFERA sitamente tutta la moltitudine delle stelle, se no veggono cinque, «1 olir’ ad esse il sole e la luna, che non servano e mantengono il me¬ desimo sito rispetto all’ altre, ma vanno in diverse parti vagando quindi è, che non in uno solo orbe si devomì constituire, ma assegnare tanti, quanti sono i moti che appariscono. Ed acciò che meglio s’in¬ tenda quanto si dice, daremo un essompio d’una delle più facili osser¬ vazioni : e sarò, che se noi questa sera osserveremo il sito, verbi gratin, della luna, la quale, poniamo caso, ci apparisce vicina al Cuor di Leone, tornando diman da sera a riguardarla, hi vederemo essersi dalla detta stella «lontanata verso le parti orientali; adunque non può io la luna esser fissa nel medesimo orbe che la già detta stella. E pa¬ rimente, osservando il sito presente, verbi gratin, di Giove, e tornando a rimirarlo fra un mese o due, lo troveremo, non più appresso alle medesime stelle fisse, ma in altro luogo esser situato; dal che si con¬ chiude, ancor esso esser portato da un orbe particolare. Ed ancor che non si possa il sole in tal guisa osservare, non apparendo egli in com¬ pagnia dell’altre stelle, nullailimeno s’è osservato muoversi ancor esso di moto proprio. Perciò che se, verbi gratia. questa sera noi, poco doppo il tramontar del sole, osserveremo qualche stella tissa, che nasca in oriente, troveremo, tra 15 o 20 dì, la medesima nel tramontare del 20 sole non pure esser nata, ma assai alta; il che di necessità, argomenta, essersi l’intervallo fra essa ed il sole diminuito, e, per conseguenza, il sole aver moto proprio ed orbe particolare. E perchè con le medesime osservazioni si comprende, ciascuna di queste stelle vaganti non solamente aver moto diverso da quello del- P altra moltitudine, ma ancora tra di loro esser differenti ; quindi è che per necessità si sono posti otto orbi : uno, ciò è, per tutte le stelle che non mutano sito tra di loro, e perciò sono dette fìsse ; ed altri sette per quelle che vanno di moti proprii vagando, e perciò vengono dette pianeti. 3(1 Ma osservando ancora più esquisitamente gli astronomi li moti celesti, dalle apparenze, che più a basso dichiareremo, sono venuti in opinione doversi sopra l’ottavo orbe aggiungere ancora il nono, ed altri anco il decimo. Questo è quanto al numero de gli orbi celesti : resta che dichia¬ riamo l’ordine. 11 quale è stato investigato, oltre all’altre cause, dalla IO. lontanata , a. r — 35-3l>. dichiariamo dell* ordine, a, in, r — OVVERO COSMOGRAFIA. 215 maggiore o minore velocità de i moti proprii de’ pianeti; in guisa che siano più a noi propinqui quelli, de’ quali li moti sono più veloci, già die così vengono a descrivere minori cerchi, e meno ad esser impe¬ diti dall’ universal moto diurno. E per queste ragioni, la Luna è vici¬ nissima a noi ; sopra essa stimasi esser Mercurio, poi Venere, quindi il Sole, poi Marte, Giove e Saturno. Ed oltre a ciò, evidenti argumenti della propinquità della luna sono l’arrivare ad essa l’ombra della terra, e non ad altra stella, ed il veder lei occultare il sole ed altre stelle, nel passargli sotto. io CHE II. CIELO SIA SFERICO E SI MUOVA CUICOLARMBNTE. Avendo distribuita la regione celeste nelle sue parti, è ragionevol cosa che speculiamo la sua figura ed il suo movimento, adduceudo le ragioni, dalle quali indotti gii astrologi e filosofi hanno affirmato, la figura del cielo essere sferica, ed il suo movimento circolare. E per la prima ragione della sfericità del cielo addurremo, esser la sua sostanza omogenea e similiare; per il che dovemo credere, la sua figura esser tale, che a similiari corpi convenga: ma fra tutte le figure solide, la sola sfera ha le sue parti tutte nel medesimo modo disposte, e contenute da superficie in ogni sua parte egualmente in- - () cimata : adunque doviamo dire, tal figura molto ben convenirsi alli corpi omogenei. Imperò che a chi volesse dire, la figura celeste essere altra che sferica, come, verbi gratia, cuba, o vero ovale, potremo ad- domandare la causa, perchè alcune parti del cielo si figurino ad angoli, altre in superficie piane, o vero perchè queste parti s’incurvino molto, e quelle poco ; nè potendo simili diversi accidenti procedere se non da diversità fra le parti celesti, ciò saria contro alla supposizione con¬ ceduta da ciascheduno, che le parti del cielo sono tutte dell’istessa essenza e natura. La seconda ragione vien presa dalla capacità della figura sferica : 30 essendo che, come ben dimostrano i geometri, di tutti i corpi solidi compresi sotto eguali superficie (che perciò si dicono isoperimetri), lo sferico è il maggiore, e più capace di tutti ; adunque simile figura è molto accoinmodata a quei corpi, che devono in sè contenere altri, qual è il corpo celeste. 16. similare, m, r — doreremo , m ; doviamo, r—17. similari, a, ui, r — 24. altre superficie, v — li. 26 TRATTATO DELLA SFERA 216 Si confermerà questo medesimo dalla qualità del moto, dopo che l’averemo provato esser circolare. In confirmazdone della quale con¬ clusione, per prima ragione assegneremo quel che ci apparisce circa ’1 nascere e tramontare delle stelle, vedendo noi come, ed in oriente, ed in occidente, e nel mezo cielo, ci appariscono della medesima grandezza: segno evidente, ritrovarsi sempre in egual distanza da noi; il che non potria essere, quando la progression loro da oriente in oc¬ cidente fusse per altre linee che circolari. Secondariamente compren¬ diamo l’istesso dalla uniformità del moto apparente: il qual moto se fusse, verbi grafia, per linea retta, in quello parti che lusserò propinque 10 alla perpendicolare tiratavi sopra dall’occhio, il moto apparirà veloce: ma noi veggiamo di’ il moto apparente delle stelle ci mostra eguale velocità in ogni sua parte: adunque doviamo concludere esser lui cir¬ colare. Nè meno arguisce questo medesimo, il di mostra rcisi le celesti constellazioni con la medesima configurazione e disposizione delle sue stelle in oriente, in occidente, e nel mezzo del cielo: cliè quando dette stelle procedessero dall’orto all’occaso rettamente, essendo sopri il no¬ stro capo, grandissime pareriano le lunghezze da oriente a occidente tra l’una e l’altra stella; e quanto più andassero verso l’occidente o fussero verso il termine orientale, appareriano le medesime distanze 20 picciole : il che non seguendo, argomenta indubitatamente il moto loro esser circolare. E più sensata evidenza possiamo del moto pigliare da queste stelle constituite verso la tramontana, delle quali, perchè mai non tramontano, possiamo osservare l’intero revoluzioni ; quali non troveremo essere altrimenti che circolari, potendo noi molto facilmente constituire un traguardo mobile, col quale potiamo andare accompa¬ gnando e seguitando il movimento loro. Se dunque i moti celesti sono circolari, ragionevol è, che la sua figura sia sferica, come quella che a tal specie di moto è molto accomodata. E tanto più si deve ciò credere, quanto che molti sono i moti celesti, e verso diverse parti; 30 dal che siamo astretti a porre diversi orbi, dei quali l’uno dentro 1 altro verso diverse parti si volga : il che saria impossibile che fusse, quando le figure de i cieli non fussero sferiche. 5. appariseli ino, a — 9. dalla conformità, r— 11. più veloce, r— 15. constellazioni dello ww- ci esima, a, ni, r — 23-24. mai tramontano, a, ni, r — 31. dal (da, a) che indotti siamo, a, ni, r — OVVERO COSMOGRAFIA. 217 OHE LA TERRA INSIEME CON I.’ ACQUA CONSTITUISCONO UN GLOBO PERFETTO. Notisi, che quando diciamo, la terra insieme con l’acqua consti- tuisce una perfetta sfera, non si deve intendere di quella esquisita perfezione matematica, perchè questo è falso, essendo che nella su¬ perficie della terra sono molto preminenze e concavità, le quali però, paragonate con l’universal grandezza di tutto ’l globo, sono quasi che insensibili; e perciò dichiamo, la terra esser sferica in quanto al senso, ma non in quanto al securo giudizio matematico. Ed in confirmazione di questa conclusione, prima è da notare, che niun al¬ io tro corpo, eccetto lo sferico, è circolarmente rotondo per tutti i versi; sì che quando averemo dimostrato, la superficie della terra, e da oriente all’ occidente, e da mezogiorno a tramontana, circolarmente piegarsi, potremo senza dubbio affermare lei esser di figura sferica. E che l’estensione della superfìcie terrestre da oriente in occidente sia circolare, lo dimostra apertamente quello che nella diversità de i tempi delle osservazioni delli ecclissi lunari accade. Perciò che, se noi ricorreremo alle memorie lasciate da diversi osservatori delli mede¬ simi ecclissi, troveremo, da quelli che erano più verso oriente esser la medesima oscurazione stata osservata a ora più tarda : segno evidente, 20 come ad esso, prima che all’ altro più occidentale, era tramontato il sole. E perchè il tramontare ed ascondersi il sole, altro non è che l’occultarsi sotto l’estrema superficie della terra da noi veduta, bi¬ sogna che per necessità confessiamo non esser piana: perchè nel- l’istesso momento di tempo s’occulterebbe il sole a quelli che abi¬ tassero l’estremo oriente, ed a quelli dell’ ultimo occidente ; e così il nostro ecclisse, osservato da quelli e da questi, saria stato notato alla medesima ora di notte : il che essendo falso, ci necessita a dire, la superficie della terra incurvarsi dall’ oriente all’ occidente. E che tal curvità sia circulare, e non d’altra sorte, ci viene confirmato dal 30 rispondere le diversità de i tempi circa l’osservazioni alle distanze de i luoghi, più e meno orientali, nelle quali tali osservazioni sono fatte : perciò che se la terra non s’andasse inarcando in tutte le sue parti egualmente, in quelli luoghi dove fusse più curva, pari distanza tra due siti cagionerebbe maggior anticipazione di tempo, eh’ altra 5. prominenti?., r —19. medesima osservazione, c, a, m, r — 32. s’ andasse incurvando, m — 218 TRATTATO DELLA SFERA eguale distanza in quelle parti dove la terra s’incurvasse meno; ma essendo ciò falso, si deve dire, tale curvità esser per tutto eguale, e per ciò circolare. E die tale sia ancora da mezo giorno verso tramontana, lo con¬ ferma lo scoprimento ed occultamento delle parti del cielo, che si fa nel procedere da mezo giorno verso settentrione. Essendo che, se ca- mineremo verso austro, comincieremo a scoprire delle stelle meridio¬ nali, dalli abitatori più verso tramontana non vedute, e, per V opposito, si comincieranno ad ascondere e tramontare alcune delle stelle verso tramontana, che alli più settentrionali appariscono perpetuamente : io il quale effetto non avverria, se la terra per questo verso fusse piana; ma procedendo noi verso l'una o l’altra parte sopra a tale planizie, continuamente vedremo le medesime stelle. E perchè questo scopri¬ mento ed ascondimento, maggiore e minore, si fa proporzionato a gl’ in¬ tervalli de i luoghi, l’uno più dell’ altro meridionale, si conchiude, come anco di sopra si disse, tal curvità esser circolare. Dal che si raccoglie, la terra aver figura sferica. (Questa ragione fin qui addotta è connnune alla terra ed all’acqua: e questa che addurremo, sarà più propria dell’acqua. La cui super¬ ficie essere sferica, ci viene dimostrato da questo: che navigando verso 20 il lito, dove siano edifizii alti e bassi, prima si cominciano da lontano a discernere le sommità delle torri più alte, quindi a poco a poco, avvicinandosi, si scuoprono le parti più basse, parendo in certo modo che tali fabriche nascendo sorghino fuor dell’ acqua ; il qual acci¬ dente non avverrebbe, quando la superfìcie dell’ acqua si distendesse in piano, ma da tutti i luoghi onde si discernessero le torri più sot¬ tili ed alte, meglio si scopririano li edificii più larghi e bassi. E di questo medesimo vera e bella continuazione abbiamo, quando, es¬ sendo lontani dal lito, sì che non voggiamo terra, ci scopriamo a torno a torno quasi una campagna d’acqua in forma circolare, nel30 cui contro a noi pare esser constituiti ; nè perchè navighiamo verso la circonferenza di tale spazio, ci accade però mai di pervenirvi, anzi quante volte mutiamo luogo, tanto ci troviamo constituiti nel centro d’un simil cerchio : il che è impossibil cosa che potesse accadere, quando la superficie dell’ acqua fusse d’altra figura che sferica. Per la terza ragione metteremo quello, che nelle ecclissi lunari ap* 14. o minore, a, r — 31-1. troviamo sempre constituiti , a, in, r — OVVERO COSMOGRAFIA. 219 pare. Perchè, come diffusamente a suo luogo dichiareremo, non es¬ sendo altro 1’ ecclissi eli’ una immersione del corpo lunare nell’ ombra della terra, se osserveremo l’entrare e l’uscire della luna in tal ombra, vederemo lei esser dalla detta ombra tagliata in arco, e ciò avve¬ nire in tutti gli ecclissi fatti tanto in oriente quanto nelle parti occi¬ dentali o del mezo cielo, ed oscurando la luna o tutta, o ima parte verso mezo giorno, o verso tramontana: le quali cose argomentano necessariamente, l’ombra della terra stampare, per così dire, un cer¬ chio oscuro nel cielo della luna: e perchè niun’altra figura corporea, io essendo illuminata ora da questa parte ora da quella ed ora da quell’ altra, può in una superficie opposta imprimere sempre 1’ ombra circolare, altro che la figura sferica, però senza dubbio alcuno do¬ viamo affermare, la mole composta dell’acqua e della terra essere sferica. E quando volessimo anco con dimostrazione geometrica provare, la superficie dell’acqua essere sferica, lo potremo commodamente fare, pigliando per axioma e principio verissimo, l’acqua, come corpo grave e fluido, scorrere, non essendo impedita o ritenuta, nelle parti più basse; definendo ancora, tali parti più basse esser quelle, che più 20 s’avvicinano al centro. Quando adunque alcuno ci negasse la super¬ ficie dell’acqua essere sferica, abbia, se esser può, altra figura, qua¬ lunque esser si voglia ; e sia, per essempio, la figura AB CD, intorno al centro G, circa al quale imaginiamoci esser descritta la figura sferica E FIH, di mole eguale all’ altra. Adun¬ que è manifesto, della prima figura parte es¬ sere fuora della sfera, e parte dentro; sia dunque verso le parti esteriori prodotta la linea GEA, e verso l’interiori GBF: e perchè 30 le linee G E e G F, andando dal centro alla cir- cumferenza, sono eguali, sarà la linea GA molto maggiore della GB, e perciò le parti verso E A saranno più lontane dal centro, e, per conseguenza, più alte, che se bisserò verso B F. Ma avendo noi supposto, come, non essendo l’acqua impedita, scorre alle parti più basse, adunque le parti poste verso E A 0. e del mezzo, a — 11. esprimere, c; comprimere, r —18. pimelo, a; fluoido corrotto in fluido, m 26-27. esserne, a, ni, r— 31-35. non essendo V acqua impedita scorre a’ luoghi più bassi, le parti dell’ acqua verso E A, r; non essendo dell’acqua verso E A, a, m — 220 TRATTATO DELLA SFERA non resteranno, ma caleranno nel luogo FB, come più basso e vicino al centro al quale tendono le cose gravi. OHB LA TERRA SIA CONSTITI!ITA NEL CENTRO DELLA SFERA CELESTE. Molte ed efficaci ragioni si potriano addurre per confirmazione di questa conclusione: dello quali n’addurremo quello, che più facil¬ mente si potranno in questi principii comprendere. E prima diremo, che se la terra non fusse constituita nel centro, adunque, o vero saria più vicina al nostro oriente che all’occidente, o per 1* opposito ; o vero s’inalzerai avvicinandosi verso la parte del cielo che ci è sopr’ il capo, o, per lo contrario, si sbasserebbe verso io la parte opposta; o vei’o saria posta più verso settentrione, o vero al mezo dì: ma ninna di queste costituzioni si può imaginare senza qualche repugnanza: adunque il centro solamente può esser suo sito accommodato. Quanto alla prima posizione, che si accosti più verso l’oriente o verso l’occidente, contraria l’apparirci il sole, la luna e l’altre stelle della medesima grandezza nel nascere e nel tramontare; il che non awerria, se l’orto più che l’occaso, o questo più di quello, a noi fusse vicino. In oltre, se la terra non fussi in pari distanza fra l’oriente e l’occidente, l’intervalli del nascere d’una stella all’ arrivare al m mezo dì, e di qui all’ occidente, non «ariano eguali ; ma in tempo più breve passerài l’arco tra ’l meridiano e l’altro termine più ri¬ cino interposto. La seconda posizione viene distrutta, perchè, so la teiera s’inalzasse più verso la parte del cielo a noi sopraposta, non potremmo vedere se non meno che la metà del cielo, e maggior parte ne vedremmo, quando, per l'opposito, la terra si sbassasse ; il che repugna totalmente all esperienza, essendo che la metà del cielo è da noi continuamente veduta. Di che ci possiamo certificare osservando due stelle diame¬ tralmente opposte, delle quali una nasca nell’istesso momento che so l’altra tramonta. Per ciò che, se l’arco del cielo apparente, traposto tra l’orientale stella e l’occidentale, fusse minore o maggiore di mezo cerchio, quando essa orientale fusse nell’occaso, l’altra, o non saria ancora ritornata nell oriente, o vero ci saria pervenuta inanzi; fiche 1* non staranno ma, r; non saranno ma y a, m — 10. si abbasserebbe , m, r — 34. o verow saria, a; o vero sana, c m — « OVVERO COSMOGRAFIA. 221 repugna all’osservazioni, le quali ci dimostrano, come di tali stelle diametralmente opposte, gli orti e gli occasi si fanno alternamente nell’istesso momento di tempo: certo argomento, l’arco sopra terra tra le dette stelle intermedio, essere uguale all’arco sotto terra. Alla terza posizione repugna un’apparenza presa dalle ombre di tutti i corpi perpendicolarmente eretti sopra ’l piano della terra. Per¬ ciò che, quando la terra fusse più verso l’uno che l’altro polo, nel tempo dell’equinozio, quando il sole si trova egualmente distante da i poli, l’ombre de i detti corpi matutine, prodotte nello spuntar del io sole, non anderiano per linea dritta verno quel punto, dove la sera il sole tramonta: di modo che nè l’ombra vespertina risguarderia il nascere matutino, nè esse due ombre consti tu irebbono una linea dritta, ma fonneriano angolo nella base dello stile o altra cosa pian¬ tata in terra, Adunque, poi che tutte quest,’altre posizioni ricevono manifeste contrarietà, doviamo conchiudere la terra esser nel centro situata¬ si confermerà il medesimo con un’altra molto bella osservazione presa dalle ecclissi lunari. Perciò che se si osserverà il tempo dell’ec- clisse lunare, ed il sito di essa luna in tal tempo, si troverà lei esser 20 sempre per diametro opposta al sole ; ed essendo di tale oscurazione cagione l’interposizione della terra, adunque in tutti gli ecclissi lunari, fatti in qualsivoglia parte del cielo, la terra si troverà linealmente interposta tra ’l sole e la luna; ed occorrendo, come si è detto, tali ecclissi in diversi parti del cielo, bisogna per necessità che confes¬ siamo, la terra ritrovarsi in diversi diametri, ma diversi diametri non hanno di co ninnine altro ch’il centro, nè altro punto che il centro è in diversi diametri; adunque la terra in esso centro è situata. CHE LA TERRA SIA d’ INSENSLBIL GRANDEZZA IN COMPARAZIONE DEL CIELO. Esser di mole insensibile il globo terrestre paragonato col cielo, so lo dimostrano due delle ragioni, con le quali di sopra s’ è provato, la terra esser constituita nel centro. La prima è, che se la terra fusse di notabil grandezza rispetto alla sfera stellata, noi non potremmo vedere la metà del cielo, ma parte 16. doveriano conchiudere, c,a; si deve concludere, m. — 22. linearmente, r — 26. corninone a loro ch'il, c, a; a loro corretto in altro , m — TRATTATO DELLA SFERA ooo sensibilmente minoro; perchè la superficie, che divide il cielo in due parti uguali, bisogna che passi precisamente per lo centro : ma la no¬ stra superficie, che distingue la parte del cielo apparente dall’occulta passa per la superficie della terra: adunque, non passando per lo cen¬ tro, bisogna per necessità che la parte del cielo da noi veduta sia meno che la metà quel tanto, che importa il semidiametro della terra: ma già ch’il senso, nè per sè stesso, nè per l’osservazione più esatta di qualche instrumento, può accorgersi di veder meno che la metà del cielo, adunque bisogna che tal distanza tra l’occhio nostro e ’1 centro della terra sia di ninna considerazione, rispetto al cielo, e, io per conseguenza, che, alla medesima proporzione, la terra sia come insensibile. La seconda ragione è che, se la terra avesse notabil grandezza, le stelle non ci apparirebbono da tutte le parti della terra ugual¬ mente grandi: ma, per essempio, partendosi di qua, e cambiando verso mezogiorno, le stelle verso la tramontana apparirebbono sem¬ pre minori; ed, oltre a ciò, stando noi nell’istesso luogo, le stelle medesime nell'oriente e nell’occidente ci apparirebbono più piccole, per essere più lontane, che nel mezzo del cielo: il che si vede esser falso. Terzo, confermasi la medesima verità dal veder noi, che tutti gli 20 instrumenti astronomici, come sariano le armille, le sfere, li astrolabi, i quadranti, e parimente li orologi solari, sono fai meati con l’istessa teoi'ica, che se avessero ad essere adoperati nel centro del cielo, e la punta dello gnomone esser constituita nel vero centro del mondo. Adunque, se fussero posti in uso in sito notabilmente da detto centro lontano, senza dubbio alcuno l’apparenze con essi osservate rispon- derebbono tutte falsamente: ma già che tal falsità non apparisce, e pure non nel centro esquisito, ma nella superficie della terra si ap¬ plicano all’ esperienza, adunque la distanza della superficie della terra al centro, e, per conseguenza, tutta la mole di essa terra, non è degna 30 di considerazione in proporzione del cielo. Quarto, finalmente, essendo con dimostrazioni certissime provato, il sole essere circa cento e settanta volte maggiore della terra, e ve¬ dendo poi alcune stelle fisse, che agguagliano la centesima parte del sole, per quanto appare all’ occhio, ma, per esser lontanissime, si deve 7. ni con l osservazione , in, r — 23-2-1. e che la punta dello gnomone dovesse esser , r — 24. gnomoste, c, m; gniomaste, a - OVVERO COSMOGRAFIA. 223 credere che siano molto maggiori di questo che si è detto ; di maniera che non si può dubitare, molte e forse tutte le stelle fisse esser, cia¬ scuna da per se, maggiore di tutta la terra, e nulla di meno ogn’una di dette stelle in comparazione di tutt’il cielo è quasi eh’un punto; adunque non sarà irragionevole il porre, la terra ancora aver insen- sibil mole rispetto alla grandezza celeste. CHE LA TERRA STIA IMMOBILE. La presente questione è degna di considerazione, essendo che non sono mancati grandissimi filosofi e matematici, i quali, stimando la io terra essere una stella, l’hanno fatta mobile. Nulladimeno, segui¬ tando noi il parere d’Aristotele e di Tolomeo, addurremo quelle ra¬ gioni, per le quali si possa credere, lei essere totalmente stabile. E prima, essendo che d’un corpo semplice non può esser natu¬ rale altro che un moto semplice, essendo tale la terra, bisognerà che per necessità (se deve muoversi) si muova di moto semplice: ed es¬ sendo cli’i moti semplici sono solamente il retto ed il circolare, adunque, se la terra si moverà, o vero anderà intorno, o vero per linea retta. Ma rettamente non si può movere : perciò che, non es¬ sendo i moti retti semplici altri che due, ciò è uno verso il centro 20 e l’altro vei’so la circonferenza, ed avendo noi di sopra provato la terra esser di già constituita nel centro, adunque verso esso non si può muovere; e maggior assurdo saria di chi dicesse, lei muoversi verso la circonferenza, vedendo noi per esperienza, il moto in alto esser delle cose leggieri, e non delle gravissime, quale è la terra. Adunque, da quanto s’è detto vien esclusa la terra da i moti retti; e ciò si deve ammettere tanto più facilmente, quanto che niuno ha mai detto in contrario. Ma che lei possa muoversi circolarmente, ha più del verisimile, e perciò da alcuni è stato creduto; mossi principalmente dal parer loro 20 cosa quasi impossibile, che tutto l’universo, eccetto la terra, dia una rivoluzione da oriente in occidente, tornando in oriente, dentro allo spazio di 24 ore: e però hanno creduto, che più presto la terra, dentro a tal tempo, dia una volta da ponente verso levante. Considerando Tolomeo questa oppinione, per distruggerla argomenta in questa guisa. 5. non sana , c, a — 7. eia, r — 19. altro che due , ni — 24. leggiere, c — 29-32. creduto {mossi.... 24 ore), che più presto, c — 31-32. oriente in spazio, c — U. 27 224 TRATTATO DELLA SFERA Se noi, insieme con la terra, ci movessimo verso oriente con tanta velocità, ne seguiterai, che tutte Y altre cose, dalla terra disgiunte e separate, apparissero muoversi con altrettanta velocità verso occi¬ dente; e così gli uccelli e le nubi pendenti in aria, noti potendo se¬ guitare il moto della terra, resteriano verso la parte occidentale. Le cose parimente, le quali da luoghi eminenti si lasciassero cascar al basso, come, verbi gratin, una pietra dalla sommità d’una torre, non cascheria mai alla radice d’essa torre; perchè nel tempo ch’il sasso, venendo al basso perpendicolarmente, fosse in aria, la terra, sot- traendosegli e movendosi verso l’oriente, lo riceverebbe in parte dal io piede della torre molto lontano: in quella guisa che, cambiando ve¬ locemente la nave, il sasso cadente dalla sommità dell’albero, non casca al piede, ma più verso la poppe. E ciò anco più manifestamente si vederebbe nelle cose gettate all’insù perpendicolarmente, le quali, nel tornare al basso, cascheriano molto lontane da quello che le gettò: e così la freccia tirata con l’arco drittamente verso il cielo, non ri- cascheria presso all’arderò, il quale tra tanto, sportato dal moto della terra, si saria per grande spazio discostato verso l’oriente. E finalmente, essendo il moto circolare e veloce accommodato non al¬ l’unione, ma più tosto alla divisione e dissipazione, quando la terra® così precipitosamente andasse a torno, lo pietre, gli animali e l’altre cose, che nella superficie si ritrovano, vernano da tal vertigine dissi¬ pati, sparsi e verso il cielo tirati: così le città e gli altri edificii sa¬ riano messi in ruma. CHR I MOTI CELESTI UNIVERSALMENTE CONSIDERATI SONO DUE, li TRA DI LORO QUASI CONTRARI!. Poi che più ili sopra s'è provato, i corpi celesti muoversi circo¬ larmente, seguita che veggiamo se un solo sia il moto universale di tutti i cieli, o pure sia necessario eonstituirli più d’uno. E prima, niuno può dubitare del moto velocissimo diurno, al quale ® noi veggiamo il sole, la luna e tutte l’altre stelle erranti e fisse, den¬ tro allo spazio di 24 ore, muoversi dall’oriente, e, passando per l’oc¬ cidente, ritornare al primo termine. Ma se considereremo poi alcun Il .torre lontano , c — 13. poppa , r — 28. moto circolare ili , m — 29. constatarlo, consti- tuirle, m ; costituì me, r — 30. moto veloce, c — OVVERO COSMOGRAFIA. 225 de i pianeti, vedremo, come a questo moto si vanno a poco a poco ritirando verso l’oriente, lasciando le stelle fisse sue vicine verso le parti occidentali: la qual apparenza è stata una delle cause, ch’hanno mosso a credere gli astronomi che, oltr’al moto commune da oriente in occidente, ciascuno de i pianeti abbia un moto più tardo, retro¬ grado da occidente verso oriente. Ma qui potria alcuno dire, non esser necessario porre tal moto secondo, per questo che i pianeti si ritirino verso l’oriente; ma che può bastare il solo moto primo, con dire, ne i pianeti esser meno io veloce che nelle stelle fisse: e così apparisce, verbi gratia, che la luna si ritiri verso l’oriente di giorno in giorno, non perchè in lei sia tal moto, ma perchè più tardamente delle stelle fìsse va da oriente in occidente; la qual maggior tardità causa che lei rimanga indietro. Questa opinione potria salvare tal apparenza, quando nel moto de i pianeti non si scorgesse altra diversità che il restare in dietro: ma hanno di più i pianeti questo, che, nascendo sempre le stelle fisse ne i medesimi luoghi, e tramontando in tutti li tempi appresso i medesimi punti, ed inalzandosi sempre sopra terra secondo ristesse altezze, i pianeti nondimeno vanno continuamente mutando i luoghi 20 de i loro orti e de gli occasi, e così variando di giorno in giorno le loro maggiori altezze sopra la terra; le quali cose a niun modo potriano accadere, quando gli orbi loro avessero un solo moto da oriente in occidente. Perchè dunque, se non per altro, almeno per questa seconda apparenza, siamo constretti a porre, oltre il primo, anco il secondo moto negli oi'bi de i pianeti ; e potendo noi con tale nuovo moto assegnare sufficientemente le cause di queste apparenze e di quelle; però con gran ragione affermeremo, muoversi detti cieli di doppio moto, ciò è del moto universale e commune da oriente in occidente in 24 ore, e del proprio e particolare da occidente hi oriente: 30 mediante il qual moto vengono i pianeti a ritirarsi verno oriente, e variare i punti de i loro nascimenti ed occasi, ed accrescere e dimi¬ nuire le loro elevazioni sopra terra. Ma quale e quanto sia questo moto, e sopra che polo si faccia, e come non solo competa a gli orbi de i pianeti, ma ancora alla sfera stellata, si dichiara distintamente più abbasso, doppo che si saranno 1-2. poco ritornando verso, c, », m — 8 .si trovino verso, a, m —15-16. ma V hanno, r; ma danno, a, m — 18. sopra a terra, a; sopra la terra , r — 21. sopra terra, r — 33. poli, v — 226 ITI AITATO DELLA SFERA manifestate alcune altre cose, l’intelligenza delle quali è necessario che preceda quello che in questa speculazione a dire ci resta. diffinizioni e proprietX appartenenti ai.i.a sfera ed alli suoi cerchi. Doviamo, avanti che passiamo al trattato de i cerchi particolari che si considerano nella sfera celeste, considerare e proporre alcune definizioni ed accidenti, che appartengono ad essa sfera e suoi cerchi; la qual cognizione ci gioverà grandemente per intender tutte l’altre cose che seguono. Diciamo dunque che, volgendosi la sfera in sì; stessa, è necessario che due de i suoi punti diametralmente opposti restino immobili; e io questi vengono chiamati poli, e la linea retta, che dall’uno all’altro si tira, si chiama asse della sfera. E questi poli nella sfera celeste sono manifesti; de’ quali, uno a noi appare sempre, eh’è verso tra¬ montana, e domandasi polo settentrionale o vero artico, perchè arton, voce greca, significa orsa, ed intorno a tal polo sono due constella- zioni, dette Orse : l’altro polo è a noi ascosto nelle parti meridionali, opposto al polo artico, ed adimandasi polo antartico. E descriven¬ dosi nella superfìcie della sfera cerchi di diverse grandezze, quelli che dividono essa sfera in due parti eguali, passando per lo suo centro, si dicono cerchi massimi ; e quelli che, non passando per il suo cen-20 tro, segano la sfera in parti disuguali, s’adimandano cerchi minori. E circa i massimi cerchi è da sapere, come un cerchio massimo sempre sega un altro massimo in parti uguali : e passando un cerchio massimo per i poli d’un altro massimo, lo sega ad angoli retti, ed, e contra, segandolo, ad angoli retti, passa per necessità per i suoi poli. Ma quando un cerchio massimo sega un cerchio minore, passando per i poli di quello, lo divide in parti uguali e ad angoli retti; e dividendolo ad angoli retti, lo segherà per lo mezzo e passerà per i poli; e parimente, segandolo per lo mezzo, farà gli angoli retti e passerà per i poli di lui. Ma non passando il cerchio massimo per») i poli del minore, se lo dividerà, non lo taglierà per lo mezzo, ne ad angoli retti; e similmente, non lo tagliando ad angoli retti, nè lo dividerà in parti uguali, nè passerà per i poli; e così ancora, non lo 3. e suoi (sua, a) cerchi (circoli, m), a, m, r - '24-25. retti e contrnsegandolo, a; retti ecco- trasegnandolo, m — OVVERO COSMOGRAFIA. 227 dividendo pei’ lo mezo, nè può passare per i poli, nè constituire gli angoli retti. deli/ orizonte. Parendomi che l’ordine più facile ricerchi che dichiari prima l’orizonte che altro cerchio, però, da questo facendo principio, dico, che essendo la terra, come di sopra s’è detto, constituita nel centro della sfera celeste, a noi, che nella superficie d’essa terra stiamo, solo la metà del cielo apparisce, e l’altra è occulta: se dunque ci imaginercmo, per l’occhio nostro esser prodotta una superficie sino io all’estremo termine della parte del cielo apparente, questa dividerà la sfera celeste in due parti uguali, passando per lo centro, e sarà, per conseguenza, cerchio massimo; il quale, da questa proprietà di dividere e distinguere la parte del cielo apparente dall’occulta, si domanda orizonte , ciò è divisore. Dicesi ancora finitore, terminando e finendo la nostra vista. Sono gli orizonti infiniti: perciò che, qualunque volta mutiamo sito nella superficie della terra, veniamo, per la sua rotondità, a scoprire e perder di vista qualche parte del cielo, e, per conseguenza, a variar l’orizonte; nè possono altri che due soli punti della terra 20 aver l’istesso orizonte, e questi sono i punti opposti diametralmente; e così i nostri antipodi hanno l’istesso orizonte che noi, essendo a loro apparente quella metà del cielo che a noi si nasconde. Ed è manifesto, che quel punto del cielo che perpendicolarmente ci sta sopra la testa, e l’altro eh’ è a lui contraposto, vengono ad esser come poli del nostro orizonte : e cliiamansi l’un punto, verticale o vei’o zenitk\ e l’altro opposto, nadhir. E notisi, che volgendosi la sfera in¬ torno a i suoi poli nello spazio di 24 ore, qualsivoglia stella, e qua¬ lunque altro punto nato nella superficie d’essa sfera, vien, per tale rivoluzione, a descrivere la circonferenza di un cerchio, maggiore o 30 minore secondo che tale stella è fissa più vicina o più lontana dal polo; e tutti questi cerchi, sendo designati mediante la medesima rivoluzione, vengono ad esser tra di loro equidistanti; e quelli ori¬ zonti che passano per i poli segheranno tutti i detti cerchi per lo mezo e ad anguli retti: dal che vengono tali orizonti nominati retti 7. (l’essa stiamo, c — 28. punto notato, r — 31. dessi guati, m, r; disegniati, a — 228 TRATTATO DELLA SFERA e tale constituzione di sfera si domanda sfera retta. Ma, per l’oppo- sito, sfera obliqua , o vero orizonte obliquo , si dice quello, che, non pas¬ sando per i poli della diurna rivoluzione, non divide i detti cerchi ad ano-oli retti, ma obliqui e disuguali. DEI, CIRCOLO MERIDIANO. Il cerchio meridiano è il secondo cerchio massimo da noi imagi¬ nato nella sfera, ed è quello che si descrive per i poli del mondo e per lo nostro zenit. E perchè il zenit è polo dell’orizonte, come di sopra s’è detto, adunque il meridiano viene a segare. T orizonte ad angoli retti, e, per conseguenza, fa due parti uguali dell’emisfero a noi io apparente; dal che ne seguita, elio l’intervallo dall’oriente insino ad esso meridiano sia uguale al spazio dal medesimo all’occidente; il che è causa ch’il tempo dal nascer del sole, o di qualunque altra stella, sino all’arrivare al meridiano, sia uguale al tempo dal meridiano al¬ l’occidente: per lo che tal cerchio acquista il nome di meridiano, essendo il mezoclì quando il sole si trova in esso. Ma sì come non un solo ma infiniti sono gli orizonti, così infiniti sono i meridiani: ma vi è però questa differenza, che ad ogni mutazion di sito che facciamo in terra verso qualsivoglia parte, si varia V orizonte, ma il meridiano non si muta, se non movendoci noi verso occidente o verso oriente; 20 perchè, essendo il meridiano un cerchio che si distende dal polo del mondo per lo nostro zenit verso mezo giorno, possiamo moverci verso lo stesso cerchio, ciò è da tramontana verso austro, senza che il no¬ stro zenit si parta di sotto il medesimo cerchio meridiano. DEI, CIRCOLO EQUINOZIALE. Se vogliamo con brevità diftìnir qual sia questo cerchio, diremo esser il cerchio massimo descritto dalla rivoluzione diurna. Perche, volgendosi la sfera celeste intorno a i suoi poli da oriente all’occi¬ dente, ciaschedun punto, che nella superficie della sfera verrà notato, descriverà un cerchio più o meno grande, secondo che tal punto sarà 30 più o meno lontano da i poli; e quel punto, che egualmente dall’uno e l’altro polo si discosterà, descriverà il cerchio massimo: e questo II. l’intervallo dell'orizonte insino, c, a, ni. r — 12. del medesimo, c, a, m — 13- nascer, e, a, m, r — 14. del meridiano, c, a, ni — OVVERO COSMOGRAFIA. 229 è quello che vien detto equinoziale, perchè quando il sole si trova in esso fa il giorno eguale alla notte per tutt’il mondo. La qual cosa acciò meglio sia intesa, doviamo redurci a memoria, come il sole, non altrimenti che qualunque altro pianeta, ha il suo moto proprio, diverso da questa rivoluzione diurna; il qual moto proprio, facendosi sopra altri poli che quelli del mondo, causa eh.’esso sole, ora s’avvicini verso l’un polo del mondo ed ora verso l’altro, e tal ora si ritrovi e dall’uno e dall’altro egualmente lontano: e quando ciò accade, in quel tal giorno viene il sole a girare sotto io l’equinoziale, descrivendo cerchio massimo. E perchè tutti gli orizonti sono cerchi massimi, nè può un cerchio massimo segar un altro mas¬ simo se non in parte uguale, quindi è che sempre ed appresso a tutti gli orizonti la metà dell’equinoziale sia sopra, e l’altra sotto; e perchè la quantità del giorno vien determinata dallo spazio eli’ il sole fa sopra l’orizonte, e la notte dal tempo eli’ il sole sta sotto, adunque, quando il sole è nell’equinoziale, il giorno e la notte sono eguali appresso tutte le parti della terra. IIKL ZODIACO. L’intelligenza delle cose che appartengono a questo cerchio è 20 tanto necessaria per poter ben comprendere tutte l’altre cose atte¬ nenti alla sfera, che meritamente potiamo affermare, in essa consi¬ ster la somma di tutto questo negozio. Per esplicar dunque, quanto più distintamente si potrà, la sua istoria, comincieremo a ridurci in memoria quello che pivi volte s’è detto, ciò è che, oltre a ’1 muoversi tutti gli orbi celesti uniforme- mente da oriente verso occidente in 24 ore, hanno poi ciascuno in particolare un moto proprio da occidente verso oriente, ma sopra altri poli : del qual moto secondo al presente doviamo noi parlare, ed in¬ vestigare i poli ed il cerchio da esso descritto. Ma perchè di questo so secondo moto, proprio di ciascun pianeta, non è per l’appunto una medesima strada, benché poco l’una dall’ altra sia differente, però, per fuggire la confusione, parleremo prima del moto del sole e del cerchio descritto da esso. Se il sole non avesse altro moto eh’ il diurno, fatto intorno a i 1. però che quando, a, in, r — 6. quelli del proprio moto coma, c, a, m; quelli del mondo o moto diurno causa, r — 230 TRATTATO DELLA SFERA poli del mondo, nel passare per lo nostro meridiano non s’alzerebbe più una volta che l’altra, ma lo segheria sempre nel medesimo punto, è così nel nascere e tramontare non muterebbe mai luogo; ma per¬ chè noi vegghiamo, come in alcuni tempi dell’anno esso si alza poco nel meridiano, ed in alcuni molto, e così ora nasce in un luogo, ora in un altro, per questo, oltre alla quotidiana l'evoluzione, è forza che noi gli assegniamo un altro movimento, il «piale salvi queste appa¬ renze. Per il che fare, hanno gli astronomi con diligenza grande prima osservato, quanto alto sopra l’orizonte il cerchio equinoziale taglia il meridiano; dipoi, osservando in diversi tempi dell’anno io P altezze meridiane «lei sole, hanno compreso, come alcune volte il sole taglia il meridiano più basso che l’equinoziale, ed alle volte più alto. Misurando poi la maggior declinazione in esso meridiano che faccia il sole sbassandosi sotto l’equinoziale, videro ch’era, in esso meridiano, circa 23 gradi e mezo; e similmente, osservando il ter¬ mine altissimo, al quale, nel medesimo meridiano, arriva il sole inal¬ zandosi sopra l’equinoziale, trovorono essere all’altra declinazione, uguale, cioè gradi 23 e mezo: dal che per necessità si conchiude, come quel cerchio, per lo quale, movendosi per lo moto proprio, il sole s’alza sopra o s’abbassa sotto l’equinoziale, doveva esser cer -20 chio massimo, il quale, segando esso equinoziale, declinasse da esso, verso mezogiomo d’una parte, e verso tramontana dall’ altra, 23 gradi e mezo; e tale conchiusero essere il cerchio, sotto il quale di moto proprio il sole si raggira, facendo un’ intera rivoluzione in un anno. Dal quale moto obliquo non solamente, come s’è detto, s’assegnano le cause dell’alzarsi ed abbassarsi il sole nel meridiano, ma ancora del nascere e tramontar suo, ora in questa parte, ed ora in quell’altra, dell’orizonte; essendo che, se noi noteremo i segamenti che fa l’equi¬ noziale con l’orizonte, vedremo come il sole, quando sarà nella parte del suo cerchio obliquo vei’so mezo giorno, nel nascere e nel tra- $ montare taglierà l’orizonte in punti più verso inezo giorno delle sezioni dell’equinoziale, facendo per l’opposito quando si troverà in quelle parti del suo cerchio obliquo, che declinino dall’equinoziale verso il settentrione. Chiamasi questo tal cerchio, descritto dal sole, eclittica, perche, come più abbasso si dichiarerà, sotto d’essa si fanno gli ecclissi so- 8. noi ci assegniamo, a; ci corretto in gli, ni — 31. giamo dalle, c, a, in; che le, t — OVVERO OOSMOGRA FIA. 231 lari e lunari. Ma nel formare e descrivere la sfera, a questa linea si aggiunge di qua e di là sei gradi di larghezza, formandosi un cerchio largo in guisa di una fascia, il quale tutto insieme viene addimandato zodiaco. E la causa, per la quale si figuri di tal lar¬ ghezza altra non è, se non acciò che sotto di esso siano comprese tutte le vie descritte dalli altri proprii moti di tutti i pianeti: i quali moti, osservati nell’istesso modo che quello del sole, si trovano farsi non sotto la medesima via del sole precisamente, ma non molto da essa lontano; e perchè non s’osserva alcuno do i pianeti deviare io dalla strada del sole, o verso mezzo giorno o verso tramontana, più di sei gradi, quindi è che, per comprendere tutti questi cerchi sotto un solo, s’è aggiunto alla ecclittica una larghezza di sei gradi per parte, formandone una fascia, la quale s’è dimandata zodiaco , così detto da zodion, id est animale, perchè passa per alcune constellazioni deno¬ minate dalli undici animali: delle quali la prima vien detta Ariete, e le seguenti Tauro, Gemini, Cancro, Leone, Vergine, Scorpione, gittario, Capricorno, Acquario e Pesci. Ma perchè tutta la lunghezza del zodiaco si divide in 12 parti, d’uno di questi animali se ne sono fatti due segni; e < questo è lo Scorpione, la cui parte anteriore forma 20 una costellazione chiamata Libra : ed in tal modo ciascliedun se¬ gno del zodiaco ha una propria costellazione. Ed essendo che il zo¬ diaco sega l’equinoziale in due punti diametralmente opposti, sei segni del zodiaco rimangono dall’ equinoziale verso ’l settentrione, e perciò sono detti settentrionali , ed altri sei sono australi , essendo dall’equinoziale verso austro. Sono li settentrionali Ariete, Tauro, Gemini, Cancro, Leone e Vergine: meridionali Libra, Scorpione, Sa¬ gittario, Capricorno, Acquario e Pesci. E questi due punti, dove il zodiaco ed equinoziale s’intersegano, si dicono li due equinozi i, es¬ sendo che, quando il sole in essi si ritrova, causa a tutta la terra il 30 giorno uguale alla notte. Di questi due equinozii, l’uno è detto della primavera , ed è nel principio dell’Ariete, ciò è in quel segamento, per lo quale passa il sole quando da i segni australi passa alli setten¬ trionali : l’altro segamento, per lo quale passa il sole quando di settentrionale diviene australe, si dimanda l’equinozio dell’ autunno , ed è nel principio della Libra. Sono due altri punti principali nel zodiaco: l’uno de’ quali è ’l 17,27. Aquario, a, ni, r — 26. meridionali sono Libra, a — 30-31. detto primavera , c, a, m — n. 28 232 TRATTATO DELLA SFERA principio di Cancro, lontano da gli equinozi la quarta parte del zo¬ diaco; ed è la massima declinazione, che faccia il sole dall’equinoziale vei-so i settentrione: l’altro punto è nel principio di Capricorno, dove è la massima declinazione delle parti del zodiaco verso l’austro. Chiamansi anco questi due punti medesimi delle massime declinazioni i solstizii, però che quando il sole si trova nelle parti a questi punti circonvicine, pare quasi che stia fermo: non che non si comprenda il suo moto secondo la lunghezza del zodiaco, ma perchè in quei giorni il sole insensibilmente s’alza o s'abbassa nel circolo meridiano, essendo che in quelle parti il zodiaco si distende quasi che paradello io all’ equinoziale. DEI,LI DUE COLURI. Sono immaginati nella sfera due altri cerchi massimi, i quali si segano sopra i poli dell’equinoziale ad angoli retti: e l’uno d’essi passa per li punti delli equinozii, l’altro per li solstizii; dal che viene questo nominato co/uro de i solstizii, e l’altro eoi uro de (/li equinozi i, Ma la posizione di tali cerchi nella sfera celeste non ha utilità alcuna particolare, non essendo eglino in somma altro che due meridiani: ma dalli artefici sono posti nelle sfere materiali per armatura e so¬ stegno de gli altri cerchi, i (piali, essendo tra di loro separati, si fer-20 mano sopra i detti coluri. DELLI TROPICI. Già che si è, quanto basta, esplicato, come il sole, oltre al moto diurno, (li moto proprio va scorrendo sotto l’obliquità dell’ecclittica, non sarà difficile intendere, come egli si ritrovi, ora più vicino ad un polo, ed ora all’altro; e che vicinissimo al polo artico è nel solstizio di Cancro, e lontanissimo dal medesimo nell’altro solstizio di Capri¬ corno. E perchè per la revoluzione diurna ogni giorno il sole descrive un cerchio parallelo all’equinoziale, è manifesto, che trovandosi il sole ne i due solstizii, viene a descrivere in quei due giorni gli estremi W cerchi, e di tutti gli altri minori: e questi sono quelli, che dimandiamo tropici, così detti dalla voce greca toójtoc che significa conversione 0 1. del Cancro, c: del corrotto in di, m — 21. lontanissimo nell’, e — OVVERO COSMOGRAFIA. 233 rivolgimento ; perchè, arrivando il sole a questi punti de i solstizi, dove avanti veniva discostandosi a poco a poco dall’equinoziale, quivi, finito il discostamento, comincia a rivolgersi ed avvicinarsi verso d’esso equinoziale. E perchè di questi due punti l’uno è nel principio di Cancro, e l’altro nel principio di Capricorno, quindi è che l’uno si chiama tropico di Cancro , e l’altro tropico di Capricorno. i>e’ cerchi polari. Li due cerchi polari , vengono descritti da i poli del zodiaco, mentre che, per la rivoluzione diurna, si volgono intorno a i poli dell’equino¬ ziale; essendo manifesta cosa, che tutti i punti della superficie della sfera, mentre che essa sopra i suoi poli si raggira, descrivono circuin- ferenze di cerchi. E perchè, come abbiamo detto, il zodiaco è obliquo all’equinoziale, declinando dall’ima e l’altra parte circa 23 gradi e mezo nelle massime declinazioni, tanto saranno i poli d’esso zodiaco lontani da i poli dell’equinoziale. L’uno di questi cerchi, ciò è quello eh’ è descritto intorno al polo artico, si chiama circolo artico ; e l’altro, intorno all’altro polo, circolo antartico. E tanto basti aver con brevità detto intorno a i cerchi della sfera. DELLE ASCENSIONI. Ascensione, appresso gli astronomi, è un termine relativo, per lo quale le parti del zodiaco, sorgendo sopra l’orizonte per la rivolu¬ zione diurna, hanno relazione alle parti dell’equinoziale; in maniera che ascensione altro in somma non è, che quell’arco d’equinoziale, il quale sorge sopra l’orizonte insieme con un arco di zodiaco. Ed è d’avvertire, che essendo, di commun consenso di tutti gli astro¬ nomi e filosofi, i moti celesti regolati ed uniformi, ed essendo il moto diurno fatto sopra i poli dell’ equinoziale, verrà a muoversi in ma¬ niera regolatamente, che d’esso, sempre ed appresso tutti gli ori- zonti, in tempi uguali nasceranno uguali archi: il che non avverrà del zodiaco, ben che ancora esso al medesimo moto diurno nasca e tramonti; ma, per essere egli obliquo all’equinoziale, non in tempi uguali nasceranno o tramonteranno suoi archi uguali, e però con 4-5. del Cancro , c — 26. celesti esser regolati, r — 234 TRATTATO DELLA SFERA alcune parti di zodiaco nàscerà più d otpiinoziale, (? con alcune mono. Ma, comunque ciò avvenga, basta che, di (jualsivoglia arco di ^o- diaco, sua ascensione viene adimandata quella parte d’equinoziale, che insieme con lui monta sopra T orizonte. Di queste ascensioni, altre si dicono rette , ed altre oblique. Ascensione retta è quella che si fa nella sfera retta, dove l’orizonte, passando per i poli del mondo, sega l’equinoziale e tutti li suoi paralleli ad angoli retti: ascensione obliqua è quella che si fa sopra l’orizonte obliquo, dove, per Tesser l’uno de i poli elevato sopra e l’altro depresso, l’equinoziale vien tagliato da esso orizonte ad angoli disuguali. io Quanto appartiene all’ascensioni rette, è, primieramente, da sa¬ pere come, considerando ciascuna quarta di zodiaco terminata dalli quattro punti cardinali, che sono i due equinozii ed i due solstizii, ciascuna di queste parti intiere nasce con una quarta di equino¬ ziale. Ma se noi considereremo una delle due quarte che cominciano a nascere dalli equinozii, e d’essa prenderemo archi sussequenti, ma minori di tutta la quarta, troveremo con essi archi nascere manco d’equinoziale che di zodiaco; e ciò avviene fin che si trovi esser nata tutta la quarta di zodiaco, perchè allora finalmente con detta quarta si troverà nata una quarta d’equinoziale. Il contrario avviene» dell’altre due quarto principiate dalli solstizii; delle quali si troverà sempre esser nata minor parte che dell’equinoziale, sin che finalmente, quando sia nata l'intera quarta, si trova esser nato altrettanto di equinoziale: e queste tali diversità avvengono, perchè, delle predette quarte, quello che nel nascere guadagnano o perdono le parti prime, ricompensano, con altrettanta perdita o guadagno, 1 estreme. Oltre • • ciò accade, in queste ascensioni l’ette, da osservarsi, come, se noi pi¬ gliamo due archi uguali ed ugualmente distanti da uno qual egli si sia de i quattro punti cardinali, le loro ascensioni saranno uguali; dal che ne seguita che i segni del zodiaco diametralmente contrapo- 31) sti hanno le loro ascensioni uguali; perchè, se noi considereremo, per essempio, l’Ariete e la Libra, segni contraposti, troveremo di ciasche¬ duno d’essi l’ascensione esser uguale all’ascensione della Vergine, es¬ sendo che l’Ariete e la Vergine sono ugualmente lontani dal solstizio, e la Vergine e la Libra dall’equinozio. Adunque, se i segni ugualmente lontani o da i solstizii o da gli equinozii hanno le loro ascensioni 23. si troverà , r OVVERO COSMOGRAFIA. 235 uguali, rii necessità ancora i segni contraposti le averanno parimente uguali. Queste disugualità d’ascensioni, che occorrono, come s’è dichia¬ rato, nella sfera retta, si fanno maggiori nella sfera obliqua, e tanto più, quanto l’obliquità va crescendo; ed oltre a ciò, quella disugualità che nella sfera retta si ristorava e riduceva all’egualità di quarta in quarta, nella sfera obliqua non si ragguaglia salvo che di mezo cerchio in mezo cerchio, nascendo con li sei segni, dall’uno equino¬ zio all’altro, la metà dell’equinoziale: ma se piglieremo parti mi- 10 nori di mezo cerchio cominciando dall’ equinozio della primavera, appresso tutti gli orizonti obliqui sopra i quali s’inalza il polo ar¬ tico, troveremo nascere più di zodiaco e meno d’equinoziale ; ed il contrario farsi nelle parti del zodiaco susseguenti all’ altro equinozio. Conformasi l’ascensione della sfera obliqua con quella della retta in questa parte, che archi eguali del zodiaco, ed ugualmente lontani dall’istesso equinozio, hanno uguali ascensioni: ma ciò non avviene de gli archi ugualmente distanti dal punto solstiziale, il che era vero nella sfera retta. Oltre a questo, essendo nella sfera retta de i segni opposti l’ascensioni uguali, nella obliqua sono disuguali: ma però sono 20 disuguali in maniera, che, quanto l’una eccede la retta, tanto l’op¬ posta è ecceduta ; di modo che 1 ’ ascensioni obli (pie di due segni op¬ posti, congiunte insieme, sono sempre uguali all’ascensioni rette de i medesimi segni, pur insieme unite. E quanto s’è detto delle ascensioni, il medesimo s’intenda delle descensioni, ma però con ordine opposto; in maniera, che quelle parti di zodiaco, che saranno di lunga ascen¬ sione, sono di breve descensione e, per l’opposito, i segni, che bre¬ vemente ascendono, con lunghezza tramontano. DELLE DISUGUALITÀ DE I GIORNI NATURALI. Dimandano gli astrologi giorno naturale quello spazio di tempo, ao eh’ è dal partirsi il sole da un punto al ritornare al medesimo, come saria dal nascere sopra l’orizonte all’altro nascere: il qual tempo non è sempre uguale, ma alcune volte più lungo, ed alcune più breve. La causa della quale diversità acciò sia bene intesa, doviamo avver¬ tire, come, rivolgendosi la sfera intorno a i poli dell’ equinoziale con 11. inalzi, a m, r— TRATTATO DELLA SFERA ‘286 moto uniforme e regolare, fa ch'appresso tutti gli «monti in tempi uguali nascono (Vesso equinoziale parti uguali. Quando dunque il sole non avesse moto proprio, ma stesse sempre saldo e fisso nel me¬ desimo punto dell’ «eclittica, essendo mosso al moto del primo mobile il suo ritorno da un punto dell' oliente all' istesso comprenderla pre¬ cisamente un'intera rivoluzione dell’equinoziale, essendo che il me¬ desimo grado di zodiaco, appresso V istesso orizonte, nasce sempre col medesimo grado d’equinoziale : ma perchè, oltre a questo moto diurno, il sole ha il regresso proprio nell’ («eclittica, nè si troverà nel spuntar dell’ orizonte domattina nel medesimo grado che questa io mane, perciò, acciò che il sole apparisca all' orizonte, bisognerà che oltre a una intiera l’evoluzione di equinoziale, la sfera si volga un poco più, facendo nascere tanto di più d’equinoziale, quanto importa V ascensione di quella particella poco dalla circonferenza d’esso circolo artico; dal che ne seguita, che tutt’il tempo nel (piale il sole si tratterrà in essi parhlelli, non tramonterà già mai, e farà giorno continuo per uno, due o tre mesi, ete., secondo la moltitudine di essi paralelli. Ed è manifesto ancora cornei una parte del zodiaco precedente al solstizio estivo, ed altrettanta consequente, apparisce sempre sopra 1*orizonte; ma, per l’opposito, circa l’altro solstizioso altrettanto arco dimora sempre sotto l’orizonte, e per altrettanto tempo fa notte continua. È, oltre a ciò, cosa molto notabile, che, sendo in tale posizione di sfera alcuni segni di zodiaco che mai non nascono, ed altri che mai non tramontano, di quei che nascono e tramontano, quei che sono attorno l’equinozio della primavera, come sono l’Acquario, Pesci, l’Ariete ed il Toro, nascendo vengono fuora 8, 22. (lei Cancro . c — 34. mai tramontano, a, m — 36. Aquario, a, ni, r OVVERO COSMOGRAFIA. 241 con ordine prepostero, ciò è die prima nasce il Toro, poi l’Ariete, poi i Pesci, e doppo l’Acquario; nulla di meno, nel tramontare se¬ guono l’ordine diretto, tramontando prima l’Acquario, di poi i Pesci, e l’Ariete, ed il 'l'oro, il contrario avviene de i segni intorno all’ altro equinozio, i quali, nascendo ordinatamente, ciò è prima il Leone, poi la Vergine, la Libra, e ’l Scorpione, nel tramontare si ascondono con ordine converso, tramontando prima il Scorpione, poi la Libra, doppo la Vergine, ed ultimamente il Leone. Quelli, finalmente, il zenit de’ quali è il medesimo eh’ il polo del io mondo, hanno l’equinoziale per orizonte : dal che ne seguita, che li sei segni del zodiaco settentrionali siano sempre sopra l’orizonte, e gli altri sei già mai non appariscono ; e che, per conseguenza, abbino sei mesi continui di giorno, ed altri sei eli notte. A questi ninna stella già mai nasce o tramonta; ma quelle che sono tra l’equi¬ noziale ed il polo artico, perpetuamente gli appariscono, e se li vanno intorno intorno aggirando, e l’altre se gli occultano sempre: la lor ombra parimente se li va volgendo intorno in giro; dal che sono adimandati amphiseU, cioè circumumbratili. DELLE LATITUDINI E LONGITUDINI. 20 Prima dichiareremo quello eli’ importino le latitudini e le lon¬ gitudini, e di poi mostreremo il modo di prender l’una e l’altra. Devesi dunque sapere, che latitudine d’ un luogo si domanda quel- l’arco del meridiano, eh’ è contenuto tra il zenit del detto luogo e l’equinoziale ; di maniera eh’ esso equinoziale è come termine e principio delle latitudini, le quali si misurano verso il polo. Diman¬ dasi poi longitudine d’un luogo a un altro T arco dell’ equinoziale intercetto tra li due meridiani de i luoghi. E qui è da notare, come dello longitudini non abbiamo termine necessario e naturale, come si ha delle latitudini, delle quali, come si è detto, il principio è T equi¬ no noziale; e però è stato di mestiero, nelle longitudini, arbitrariamente constituire un principio e termine, al quale esse si referiscono; il qual termine, di commune consenso de i principali geografi, è stato ri¬ cevuto che sia il meridiano che passa sopra l’Isole Canarie, dette altrimenti Fortunate, per esser questo sopra l’estreme parti occiden- 2, 8. Aquario, a, in, r — 5. ordinariamente, c, a. m — 28. dalla longitudine, c, a, m 242 TRATTATO DELLA SFERA tali dalli antichi conosciute. E così, assolutamente parlando, la lon¬ gitudine d’un luogo altro non importa, che la distanza del meridiano di detto luogo dal meridiano dell' Isole Fortunate, misurata da occi¬ dente verso oriente nel circolo equinoziale. La cognizione di queste dimensioni serve principalmente all’in¬ telligenza e descrizione della geografìa: perciò che, sapendosi la lon¬ gitudine e latitudine d’un luogo, si ritroverà il suo sito sopra la carta o globo geografico, non potendo ad altro che ad un sol punto convenire la medesima latitudine con V istessa longitudine congiunta. Ma, separatamente, tutte le città o altri luoghi che saranno sotto ’1 io medesimo meridiano, averanno la medesima longitudine; e così pa¬ rimente i siti collocati sotto l’istesso parallelo hanno la latitudine istessa; ma sotto un tal meridiano e tale parallelo non è costituito altro che un sol punto; è però, conosciuta la longitudine e latitudine d’un luogo, sarà ritrovato il sito suo. Il modo di prendere e trovare le latitudini è facilissimo, perchè tanta è la latitudine, quanta la elevazione del polo. Del luogo dun¬ que del quale vogliamo trovare la latitudine, prendasi col quadrante V elevazione del polo ; che tanta sarà la distanza dal zenit all’ equi¬ noziale. 20 Ma per pigliare le longitudini, e necessario aver qualche osser¬ vazione d’alcuna ecclisse, e massimamente lunare, fatta nel luogo del qual cerchiamo la longitudine, e nell’ Isole Canarie; perchè da tale osservazione verremo in cognizione della distanza del meridiano del luogo dal primo meridiano. Il che acciò meglio s’intenda, con essempio faremo manifesto. Si cerca la longitudine di Venezia : occorre questa sera 1’ ecclisse della luna, la quale oscurazione in Venezia, comincia dieci ore doppo mezo giorno: si osserva la medesima oscurazione nel- l’Isole Fortunate, ed ariamo dalle relazioni fatteci, che il suo prin¬ cipio fu otto ore doppo mezo giorno : adunque il sole arriva al nostro so meridiano due ore avanti che al meridiano dell’ Isole Fortunate; dal che è manifesto, tali due meridiani esser fra di loro distanti, quante importa il moto di due oi’e. Ma perchè in 24 ore passa tutto l’equi¬ noziale, dunque in due ore ne passeranno trenta gradi; e però, nel tempo che il sole andò da questo all’altro meridiano, passorno 30 gradi d’equinoziale: tanta adunque è la longitudine di Venezia. 21. per esplicare le , e, a, ni — 27. la (piali oscurata in, a, m ; la (piale osservata in, i* ~~ OVVERO COSMOGRAFIA. 243 DELLA DIVISIONE DE 1 CLIMI. Clima dimandano i geografi lo spazio della terra compreso tra (lue cerchi paralleli all’ equinoziale, e tra di loro lontani quanto im¬ porta il crescimento del giorno massimo per ine/’ ora. Di tali climi Tolomeo ne pose solamente sette, che tanti bastavano per compren¬ dere le parti della terra allora più conosciuta, non essendo, in quei tempi, penetrato molto verso il polo : ma a i tempi nostri, ne i quali le navigazioni moderne si sono per grande spazio slargate verso T settentrione, i moderni geografi hanno moltiplicato il numero de’ climi io sino a 22 ; e sono quelli che nella sottoposta tavola si posson com¬ prendere. De i quali, nella prima parte è notato l’ordine ; nella se¬ conda, la quantità del giorno massimo, sì nel principio come nel mezo e nel fine di ciascuno clima; nella terza si vede l’elevazion del polo, rispondente al principio e mezo e fine; nel quarto luogo sono notate le larghezze di ciascun clima; e finalmente, nell’ultima parte d’essa tavola sono i luoghi, da i (piali i medesimi climi ven¬ gono denominati. 2. dimandar no, o — 5. bastano , r; bastava, m — 6. non s’ essendo, r — 7-8. nostri quando Ir, a, ni, r — 244 TRATTATO DELLA SFERA Tabula Climatum skcundum Rkckntjohks. CL1MATA MAXIMA DIKS ALTITUDO BOLI AMPIJTUDO OLIMATUM DENOMINATIONES OLIMATUM H. M. 12. 15 (I. M. G. M. 0 . 0 4. 14 8. 38 4 1 Principium 5 : 1. Medium 6 Finis 6 Principium 12. 43 16. 43 20. 33 7. 50 li. Medium Finis 13. 30 20. 33 23. 11 27. 36 13. 45 27. 36 14. 0 30. 47 14. 15 33. 45 14. 15 , 33. 45 14. 30 | 36. 30 14. 45 3». 2 5. 17 Principium V. Medium Finis 14. 45 15. 0 15. 15 39. 2 41. 22 43. 32 4. 30 Principium VI. Medium Finis 15. 16 I 43. 32 15. 30 44. 29 15. 45 I 47. 20 3. 48 Priucipium VII. Medium Finis 15. 45 47. 20 16. 0 49. 1 16. 15 50. 33 3. 13 Principium Vili. Medium Finis 16. 15 16. 30 16. 45 Principium IX. Medium Finis 16. 45 17. 0 17. 15 50. 33 51. 58 53. 17 2. 44 53. 17 54. 29 55. 34 2. 17 Principium X. Medium Finis 17. 15 17. 30 17. 45 55. 34 56. 37 j 57. 34 ! 2 . 0 Principium 17. 45 57. 34 XI. Medium 18. 0 58. 26 Finis 18. 15 59. 14 1. 40 Per Meroen. 7 a Per Syenen sul) Tropicos Cancri. Per Alcxandriam Aegypti. Per Rhodum et. Babylonem. Per Romam, Corsicam et Ilellespontum. Per Venetias et Mediolanum. Per Podoliam et Tartari ani iniuorem. Per Vitembergam. Per Rostocbium* Per Hiberniam et Moscoviam. Per Bobus castrum Norvegiae. 4 OVVERO COSMOGRAFIA. <245 Taiiula Climatum skoundum Rhckntjokks. OLMATA MAXIMA ! ALTITUDO AftLPLITUDO DIRS ' POLI CLIMATUM DKNOSUNATIONRS CLIMATUM H. M. Principialo X1L Medium Finis 18. 45 Principium 18. 45 XIII. Medium 19. 0 Finis ! 19. 15 30 Principium 31 Xllil. Medium 32 Finis Principium XV. Medium Finis Principium XVI. Medium Finis 36 Principium 1 37 XVII. Medium 38 Finis 38 Principium 39 XVIlì. Medium 40 Finis Principium XIX. Medium Finis 19. 15 19. 30 10. 45 19. 45 20. 0 20. 15 20. 15 20. 30 20. 45 20. 45 21. 0 21. 15 21. 15 21. 30 21. 45 21. 45 22. 0 22. 15 42 Principium 22. 15 43 XX. Medium 22. 30 44 Finis 22. 45 44 Principium 45 XXI. Medium 40 Finis 40 Principium 47 XXn. Medium 48 Finis XXIII. 22. 45 23. 0 23. 15 23. 15 23. 30 23. 45 24. 45 G. M. 59. 14 59. 59 60. 40 60. 40 61. 18 61. 53 65. 35 65. 47 65. 57 65. 57 66. 6 66. 14 66. 14 66 . 20 66. 25 66. 25 60. 28 66. 30 66. 31 G. M. 1. 26 Per Gothiftm. I. 13 61. 53 • 62. 52 1. 1 62. 54 0 . 22 0. 17 0. 11 0. 5 0 . 0 Per llergis Norvegine. Per Yiburgum Finlandiae Pei* Arotiain Suetiae. Pei* Dalenkaulii fluvij ostia. Per reli- qua loca. Norvegiae. Suetiae. Albae Russiae et. vicinarmi! insularum. '24(1 TRATTATO DELLA SFERA DE GLI ECLISSI DELLA LUNA K DEL SOLE. Molte cose si devono avvertire avanti che vonghiamo ad assegnar le cause do i diversi accidenti, elio nel li ecclissi occorrono; dalle quali cose si rende più facile questo negozio. E prima, ci ridurremo a memoria, come il solo di moto proprio ricerca nello spazio d’ un anno tutta l’eclittica : secondariamente, come la luna ancora essa si muove sotto '1 zodiaco, ricercandolo in un mese; ma il suo moto non è sotto la medesima linea per la quale camina il sole, ma è in un cerchio il quale in duo punti sega l’eclit¬ tica, declinando da essa mozo verso austro e mezo verso settentrione, io o nelle maggiori sue declinazioni s’allontana cinque gradi. E questo tal cerchio s’adimanda il dragone della luna, perchè, insieme conia eclittica, forma due figure simili a due serpenti, più larghe verso il ventre ed anguste verso 1’ estremità : e da questa medesima similitu¬ dine, delli due punti dove detto dragone e l’eclittica si segano, l’uno s’adimanda il capo, e l’altro la coda del dragone; chiamasi il capo quella sezione, per la quale passa la luna, allora che, lasciando le parti australi del suo dragone, passa nelle settentrionali, e tal se¬ gamento si dimanda ancor nodo ascendente', ed il punto opposto, per lo quale passa la luna, quando di settentrione si fa australe, si dice 20 nodo discendente, o vero coda del dragone. Oltre a ciò, bisogna sapere, come il sole, movendosi sotto ’l zodiaco, si muove con velocità disuguale, ciò è ora più tardo, ora più ve¬ loce : e questo procede per essere il suo moto fatto in un cerchio, il cui centro non è l’istesso che quello del zodiaco; ed ancora che il moto del sole nel suo proprio orbe sia regolare ed uniforme, niente¬ dimeno, riferito ad altro cerchio e ad altro centro, sarà in essi dif¬ forme ed irregolare; e perchè, come a suo luogo fu provato, la terra è situata nel centro del zodiaco, tale moto del sole intorno alla terra sarà ora più tardo ed ora più veloce. Seguita dall’ istesso principio. #> che il sole, movendosi nel suo cerchio, servi ben sempre ugual di¬ stanza dal proprio centro, ma che al centro del zodiaco, ciò è alla terra, sia ora più vicino ed ora più lontano. E quello che si dice della disuguale distanza e moto del sole, intendasi ancora della luna. 9. due parti sega,, c ì a, m — 23. tardo ed ora , a, m, r — 31. osservi, r OVVERO COSMOGRAFIA. 247 la quale, nel proprio cerchio movendosi, camina con eguale velocità, ma, referita al zodiaco, in esso camina disugualmente, per essere il suo cerchio eccentrico; il che è causa che essa ancora tal ora più vicina, e tal ora più lontana dalla terra, si ritrovi. Le quali cose basterà in questo luogo aver superficialmente accennate, trattandosi più distintamente nelle Teoriche de’ pianeti. Devesi, oltre di questo, sapere, che la luna di sua natura è corpo denso, opaco e tenebroso, non altrimenti che si sia la terra, e sola¬ mente tanto risplende, quanto da i raggi del sole vien percossa io ed illustrata. Nè doviam ignorare, come la sua grandezza è picco¬ lissima, in comparazione della terra; ma molto più piccola è la terra in proporzione del sole; essendo la luna delle 39 parti una incirca della terra, e la terra delle 166 una del sole. Ed in oltre bisogna sapere, come la luna è vicinissima alla terra più d’ogn’altra stella, ed il sole assai più lontano della luna. Finalmente doviamo avvertire, come la terra, essendo sferica e di materia tenebrosa e non traspa¬ rente, viene ad esser continuamente per la sua metà illuminata dal sole, che è quella parte dove fa giorno, restando l’altra metà tene¬ brosa, dove è notte: dal che ne seguita, che diametralmente contro 20 il sole, dalla parte oscura della terra, si distenda l’ombra, la quale si va continuamente distendendo in assottigliandosi, per essere il corpo luminoso del sole maggiore del tenebroso, ciò è della terra: e perchè il sole camina sempre sotto l’eclittica, nel. cui centro è la terra, e l’ombra diametralmente s’oppone al corpo luminoso, quindi è che la cuspide del cono dell’ombra della terra vadi, con velocità pari a quella del sole, movendosi sotto l’eclittica, e che sempre si ritrovi nel grado contraposto a quello nel quale è il centro del sole. Passando ora alle cause delli eclissi, e delli accidenti che intorno ad essi accadono, parlando prima della luna, diciamo, che essendo il 30 moto suo sotto il zodiaco tanto più veloce che quello del sole, che nel tempo, nel quale il sole una sol volta ricerca tutto il zodiaco, la luna lo raggira dodici volte e più, ne seguita, che per necessità tante volte si trovi congiunta col sole, ed altrettante diametralmente op¬ postali. E perchè il corpo lunare, di sua natura denso e tenebroso, tanto risplende, quanto da i raggi del sole è illustrato; quindi av¬ viene, che se tal ora tra essa ed il sole s’interponesse corpo così 8. che sia, m, r — 9. risplendente , a — 21. in assottigliando , a, m — n. :J0 248 TRATTATO DELLA SFERA grande e denso, che togliesso alla luna la vista del sole, ella, rima¬ nendo in tenebre, perderebbe ogni splendore. Tal accidente patisce la luna, quando cosi diametralmente s’oppone al solo, che, restando la terra in mezo, toglie ad essa luna la vista del sole: e tale è la causa dell’eclisse lunare, ciò è un ingresso ed immersione che fa la luna nell’ ombra della terra. Ma perchè, come di sopra s’è avver¬ tito, il cono dell’ombra terrestre va sempre movendosi sotto l’eclit¬ tica, ma il corpo lunare si volge nel suo dragone, di qui nasce che non in ogni opposizione la luna passa per l’ombra della terra, ri¬ trovandosi il più delle volte in parte del suo dragone così lontanalo dall’eclittica, che l’ombra della terra non si slarga tanto; onde la luna, lasciando (come si dice) per fianco l’ombra della terra, scorre avanti nel suo cerchio. Bisogna dunque, acciò la luna si oscuri, che non solamente sia opposta al sole, ma che sia o nell’eclittica, o non molto da essa declini; il che non accade, salvo che (piando si trova in uno de i nodi, o non molto da esso distante. Occorre altresì, che la luna, nell’opposizione col sole, si trova alquanto lontana da i nodi, ma non però tanto, che possa del tutto schifare l’ombra della terra: ed in tal caso verrà una parte del corpo lunare ricoperta dal¬ l’ombra; la qual parte, talvolta sarà quella che risguarda versoi settentrione, ed altra volta la meridionale, secondo che la luna si troverà nella parte del suo cerchio declinante dall’eclittica verso mezo giorno, o nell’altra che declina verso tramontana. E perchè l’ombra della terra, prolungandosi molto più in su del corpo lunare, nell’orbe d’essa luna si allarga, e forma un cerchio molto più ampio della luna; quindi è, che, se bene nella opposizione la luna non si troverà precisamente in uno de i nodi, ma però non molto lontana, potrà totalmente esser coperta ed offuscata dal cerchio dell’ombra. Ma in tal caso, ancor che l’oscurazione sia totale, non durerà però sì lungo tempo, come faria se l’eclisse accadesse nell’ istesso nodo, so per dover la luna traversar l’ombra non nel suo maggior diametro, ma in una linea minore. Nè questa sola è la causa della maggiore o minor dimora che fa la luna nelle tenebre, ma ve ne sono due altre. La prima delle quali è la disugualità del moto del sole: perciò che, quando tal moto sai'à veloce, per conseguenza ancora quello del- Tombra terrestre sarà concitato; onde, dovendo la luna passare per l’ombra, e con la sua velocità maggiore prevenii’e al moto di detta OVVERO COSMOGRAFIA. 249 ombra, quando tal moto sia veloce, accompagnerà per più lungo spazio la luna, e Fecclisse sarà più durante. La seconda causa de¬ pende dalla maggiore o minore lontananza del sole dalla terra, la quale cagiona che il cono dell’ombra più s’assottigli e scorti, o più si prolunghi ed ingrossi: però che, per essere il sole maggiore della terra, quanto più ad essa si troverà vicino, tanto il cono dell’ombra si farà più breve e più sottile; nel qual caso, occorrendo alla luna traversarlo, ed essendo il cerchio dell’ombra più piccolo, l’eclisse du¬ rerà manco tempo. io Intese queste cose, passeremo all’eclisse del sole; di cui la causa è l’interposizione del corpo lunare tra esso e gli occhi nostri, dal quale o tutto o parte del sole ci viene occultato : di maniera che im¬ propriamente si addimanda mancamento di lume nel sole quello, che più propriamente si doveria chiamare eclisse della terra; perchè il lume nel sole non vien diminuito, ma sì bene in terra, per l’inter¬ posizione del corpo denso e tenebroso della luna: non altrimente che lunare eclisse si adimanda l’interposizione della terra tra ’l sole e la luna, dalle cui tenebre viene essa luna oscurata. Ma perchè il corpo lunare è così piccolo, che, se bene vicinissimo 20 alla terra, pochissimo pili grande del corpo solare apparisce, di qui nasce, che se esquisitamente nel tempo della congiunzione non si troverà nel nodo, in guisa che la linea retta prodotta dal nostr’oc¬ chio per lo centro della luna vadi ad incontrar il centro del sole, non potrà esserci nascosta tutta la faccia solare, ma solamente una parte; e ciò avverrà, quando non molto lontani si trovino i lumi¬ nari dal nodo : e questa è la causa, che molto più rare sono le oscurazioni del sole che quelle della luna, potendo questa in molto maggior distanza dal nodo esser dal cerchio dell’ombra ricoperta. Anzi, per esser la luna così piccola e vicina alla terra, il cono della so sua ombra non tutta la terra potrà ricoprire, ma solo una piccola parte; dal che procede, l’oscurazion del sole non esser universale a tutto un emisfero, ma particolare di questa e di quella provincia. Che del sole ora ne oscuri una parte verso tramontana, ed ora verso mezo giorno, ne è causa la declinazione della lima dall’ eclittica, o in quella parte o in questa, come nell’eclisse lunare si disse; e così ancora la maggiore o minore velocità di moto nel sole, ed il ritro- 2. più diuturna, a, m ; diurna, r — 250 TRATTATO DELLA SFERA varsi egli ora più alto ed ora più basso, cagiona maggiore o minore durazione delle tenebre. Anzi può occorrere, che trovandosi il sole nel tempo de gii ecclissi molto basso, <5 congiungendosi centralmente con la luna, rimanga di esso un luminoso cerchio, in guisa di ghir¬ landa intorno intorno alla luna, apparente; che in altra simile con¬ giunzione, trovandosi egli molto alto, potria dal corpo lunare total¬ mente esser ricoperto. DELLA ILLUMINAZIONE DELLA LUNA. Di non poca maraviglia è a gli uomini di mostrarsi la luna con tante diverse figure, apparendoci ora in guisa di dua sottilissime io corna, poi, a poco a poco ingrossandosi nel mezo, ridursi alla forma di mezo cerchio, quindi, gonfiandosi successivamente, arriva a un cerchio perfetto, e poi, incominciando a diminuirsi, si riduce al mezo cerchio, poi alle corna, e finalmente del tutto sparisce. De i quali effetti volendo noi assegnare la causa, dichiamo il corpo lunare esser di figura sferica, di sua natura oscuro e tenebroso, ed andare intorno assai più vicino alla terra di quello che faccia il sole, dal quale viene essa luna sempre per la metà illuminata; però che, se si esponi alla vista del .sole un corpo sferico, la sua metà o poco più, sendo minor del sole, verrà illuminata. Similmente, del medesimo corpo 20 sferico, la nostra vista la sola metà e qualche cosa meno ne vede, come da i prospettivi vien dimostrato ; adunque della luna noi non vediamo altro che la metà. Nè il sole più o meno della metà ne illu¬ mina; e perchè la vista nostra non vede gli oggetti se non quanto sono illuminati, quando della luna fosse illuminata quella metà che è esposta a gli occhi nostri, noi la scorgeremmo e vedremmo in guisa d’un cerchio luminoso: come avviene nelle opposizioni; che ritrovan¬ dosi la vista nostra nel mezo tra ’l sole e la luna, quella sua metà che è esposta alla nostra vista, è ancora veduta ed illustrata dal sole. Ma, per lo contrario, quando, nelle congiunzioni, la luna è inter-3® posta tra l’occhio nostro ed il sole, la sua metà superiore viene il¬ luminata, e la inferiore, eli’ è volta verso gli occhi nostri, rimane tenebrosa, e perciò invisibile. Ma cominciando a poco a poco la luna » a discostarsi dal sole, comincia a ricever lume nella sua estrema cu 1 - 10. tante e diverse, a — 22-23. flou ne vediamo , a, ni, r — OVVERO COSMOGRAFIA. 251 conferenza della metà che è volta verso noi, ed in quella parte che risguarda verso il sole: onde ci si dimostra in figura di due sotti¬ lissime corna. Ma seguitando di scostarsi dal sole, della metà della luna che risguarda la terra, maggior parte viene illuminata, fin che, allontanata dal sole per la quarta parte del cerchio, ci apparisce in figura di mezo tondo; e finalmente, procedendo oltre verso Top- posizione, viene crescendo in suo lume, sin che di nuovo nella oppo¬ sizione ci si dimostra di tutto tondo: dalla qual opposizione par¬ tendosi, e cominciandosi a riavvicinarsi al sole, viene a poco a poco io perdendo il lume, passando lui verso la parte superiore della luna; tanto che di nuovo, nella congiunzione, venendo illuminata la parte superiore, e restando priva di lume l’inferiore, totalmente s’asconde dalla vista nostra. DELL’APPARIZIONI DELLA LUNA. Cosa di gran maraviglia e degna di grandissima considerazione è la diversità che si vede nelle apparizioni della luna, atteso che alcune volte un sol giorno dopo la congiunzione comincia a dimo¬ strare le sue corna, luminose, ed altra volta nè anco il terzo, o appena il quarto, si lascia vedere. Del qual effetto volendo noi assegnare la 20 causa, bisogna che supponghiamo alcune cose, ed altre ce le reduchiamo a memoria. Supporre si deve, che nel discostarsi la luna dal solo doppo la congiunzione, e cominciando a poco a poco a discoprire la sua parte illuminata, le sue sottilissime corna sono così scarse di lume, che, se bene doppo il tramontar del sole si troverà sopra l’orizonte, nulla di meno, perchè in quel tempo, per la vicinanza de’ raggi solari, l’aria intorno al punto occidentale rimane talmente illuminata che offusca ed asconde nel suo splendore la poco lucente luna, nè, fin che sia passato il crepuscolo vespertino ed oscurata l’aria, potrà so quel debil lume della luna discernersi ; e perciò si suppone, la luna in tale stato non si poter distinguere, se non si trova sopra l’ori¬ zonte passato il crepuscolo: il qual crepuscolo determinano gli astro- logi che duri sin ch’il sole si trovi 18 gradi sotto l’orizonte. Oltre a ciò, doviamo ridurci a memoria, come la luna, movendosi nel suo 5. allontanatasi, a, m, r — 7. il suo, ni, r — 27. rimane totalmente, r — 252 TRATTATO DELLA SEEIÌA dragone, si trova tal volta declinare dall’eclittica verso la parte me¬ ridionale, e tal ora verso la settentrionale. Aggiungasi a questo la diversità de gli angoli che fa il zodiaco nel segare l’orizonte, essendo che alcune delle sue parti lo segano ad angoli molto disuguali, fa¬ cendone due acutissimi e due altri grandemente ottusi, ed altre parti lo segano ad angoli non così disuguali, ma quasi retti; la qual di¬ versità si fa maggiore e minore secondo le diverse elevazioni del polo. Ora, venendo al nostro proposito, dico, che per questo ultimo ac¬ cidente, del tramontare le parti del zodiaco più o meno obliquamente, ne seguita, che tal volta, avanti che ’l sole si sia abbassato 18 gradilo sotto l’orizonte, bisognerà che tramonti un grand’arco d’eclittica, e più di 40 o 45 gradi incirca; e questo accade nelle parti del zo¬ diaco circumvicine all’equinozio autunnale; e perciò, anche quando la luna si trovasse nella eclittica, bisogneria che per detto spazio di 45 gradi fosso allontanata dal sole, acciò restasse sopra l’orizonte doppo il crepuscolo vespertino: ma scostarsi la luna dal sole 45 gradi non può, se non in più di 3 giorni: adunque, in tal caso, non prima che il terzo giorno doppo la congiunzione potrà la luna vedersi. Ma, per Fopposito, tramontando le parti del zodiaco propinque all’altro equinozio assai direttamente, sì elio quando il sole si va abbassandoci sotto l’orizonte 18 gradi, non ne saranno tramontati del zodiaco più di 20; in tal caso, la luna un giorno e mezo doppo la congiun¬ zione potrà esser veduta. Ma se a tale diversità di discensione delle parti del zodiaco s’aggiugnerà la latitudine della luna, o settentrio¬ nale o australe, verrà di molto accresciuta detta disugualità d’ap¬ parizioni: essendo che, quando il sole sarà nell’equinozio autunnale, e la lima nel ventre australe del suo dragone, non prima potrà re¬ stare doppo l’occaso del sole sopra l’orizonte, eh’ ella si trovi da esso lontana circa 60 gradi; il quale allontanamento non si farà in molto meno di cinque giorni; e perciò doppo la congiunzione resterà occulta30 circa ’l detto tempo. Ma, per l’opposito, trovandosi il sole intorno all’ altro equinozio, e la luna in latitudine settentrionale, potrà esser che rimanga sopra l’orizonte, quando non si trovi più lontana dal sole di 1G o 17 gradi ; la quale allontanazione fa ella in poco piu 11. dell'eclittica, c — 12. e di più , a, ni, r — 13. nell’equinozio autunnale, c, a r; di’, mu* tato in nell\ ni — e posto anche quando , c; e poi anche quando , a; e perciò anco quando, ai, e perciò quando anco , r — 20. si sia abbassato , r — OVVERO COSMOGRAFIA. 253 (Tuli giorno. Conchiudasi adunque, elio la obliqua descensione del zodiaco, congiunta con la latitudine australe della luna, accrescano sommamente la tardanza dell’ apparizione della luna ; e, per V op¬ posto, la retta descensione d’esso zodiaco, accompagnata dalla latitu¬ dine settentrionale della luna, diminuiscono il tempo dell’occultazione lunare: e queste cause si vanno poi mescolando e contemperando l’una all’altra, dal che ne procedono le molte diversità circa le me¬ desime apparizioni; aggiungendo, oltre a questo, la maggiore o mi¬ nore obliquità della sfera, perchè i medesimi accidenti si faranno io maggiori nell’ obliquità dell’ orizonte, come manifestamente con l’in¬ strumento materiale della sfera può ciascheduno comprendere. DE I MOTI DELL’OTTAVA SFERA. Ne i discorsi passati s’è trattato de i moti de gli orbi celesti, ed in particolare del moto diurno e suoi accidenti, quasi che questo fusse proprio e naturale della ottava sfera e che essa non participasse d’altri moti; e questo fu veramente creduto da i primi osservatori de i moti celesti, che furono manzi a [parco, i quali, non avendo os¬ servazioni molto antiche, non poterono avvertire, l’orbe stellato, oltre al moto diurno, averne un altro, ma così lento, che per la sua ina¬ io spettabil tardità, non poteva nell’ età d’un uomo nè di due manife¬ starsi al senso. Ma finalmente, paragonando Iparco le sue osservazioni con quelle di Timocare, e Tolomeo le sue con quelle di Iparco, si venne finalmente in cognizione, come le stelle fisse, oltre al moto diurno dall’ oriente all’ occidente, hanno ancora un altro moto tardissimo da occidente verso oriente, sopra i poli del zodiaco, a guisa de i pianeti. Ed acciò che s’intenda almeno sommariamente, da quali osserva¬ zioni è stato compreso questo moto, diremo come i primi astronomi, avendo costituito e diviso il zodiaco ne i dodici segni, osservarono come nella sezione dell’ equinozio della primavera si trovava una stella so fissa assai conspicua, situata nella testa d’Ariete; onde, stimando loro che il zodiaco non si movesse, posero come per cei'to, l’equinozio della primavera farsi nell’ arrivare il sole a detta stella. Ma doppo, col pro¬ gresso del tempo, si è venuto in cognizione, la detta stella non esser più nel detto equinozio, ma essersi, discostandosi da esso, ritirata 3. di essa luna , a — 10. nelle maggiori obliquità , r — 30. dell’Ariete, a, m, r — 254 TRATTATO DELLA SFERA verso oriente: nè questo moto, per 1 antichità che noi moderni ab¬ biamo, si può più ascondere come insensibile, essendosi la detta stella mossa verso oriente, ed allontanatasi ormai dall’ antico sito, circa 29 gradi, eh’è poco manco (l’un segno. Similmente, avendosi memoria de i siti d’altre stelle famose, come del Cuore di Leone, della Spiga della Vergine, etc., si trova al presente in esse la medesima muta¬ zione, e così, venirsi a fare gli equinozii ed i solstizii molto da quello che anticamente si facevano: argomento indubitato, le stelle fìsse aver questo moto progressivo da occidente verso oriente. E che tal moto si faccia sopra i poli del zodiaco, o non sopra quelli del-io P equinoziale, ce lo dimostra indubitatamente il non mutarsi punto le latitudini delle stelle fisse dall’eclittica, ma sì bene le loro declinazioni dall’equinoziale: che so tal moto si facesse intorno a’ poli dell’equino¬ ziale, se Irene esse stelle si andassero ritirando verso oriente, non per (presto le lor declinazioni dall’ equinoziale si muterebbono; ma già che si mutano, e, per l’opposito, le distanze dello medesime stelle dal- l’eclittica, che latitudini si domandano, nè anco per un minimo punto si trovano esser variate, perciò necessariamente si conehiude, tal moto farai sopra i poli del zodiaco. Ed essendo che convengono' commune- mente tutti gli astrologi e filosofi insieme, che del medesimo cielo un a) sol moto, e non più, possa esser proprio e naturale, perciò di questi due moti, ciò è del diurno da oriente in occidente, e dell’altro tar¬ dissimo da occidente verso oriente, questo tardissimo constituì Iparco e Tolomeo come proprio della sfera stellata, e per l’altro diurno po- sono sopra le stelle un’ altra sfera, della quale ei fusse proprio, do¬ mandandola il primo mobile. Ma doppo un lungo progresso d’ anni, altri astrologi, de i quali fu il capo il re Alfonso, da nuove osservazioni fumo persuasi ad ag¬ giunger anco il terzo moto alla sfera stellata, il quale a Tolomeo fu ignoto. Perchè, osservando questi esattamente la quantità dell’anno, so conobbero i periodi annui del sole 1 essere ineguali: il che a Iparco ed a Tolomeo fu ignoto, ancor che con esquisita diligenza tentassero d’investigare tale disugualità ; ma le osservazioni di non molti anni non furono bastanti a scoprire questa piccola inegualità. Avendo dun- 1. per antichità delle osservazioni che, r - 5. del Leone, c — 7-8- anticipata di, a, atihd patamente di, in, r— 8-10. indubitato che le stelle fìsse hanno questo.... oriente e tal moto, ni 9-10. E tal moto, e, a — 11. equinoziale. E lo dimostra, r — 22. moti diurni, c, a, m, r — OVVERO COSMOGRAFIA. 255 que gli Alfonsini osservato, la quantità de gli anni essere disuguale, ed alcuni andar crescendo ed altri diminuendo, concliiusero esser ne¬ cessario clie i punti de gli equinozii, quali si prendono come termini dello spazio annuo, non fussero fermi e stabili, ma si movessero, ri¬ tirandosi ora verso oriente, e così slongando il ritorno del sole al medesimo equinozio, e, conseguentemente, la quantità dell’anno; ed ora ritornando verso occidente, e quasi incontrando il moto del solo, venissero a diminuire lo spazio annuo. Per ciò si andorono imagi- nando questo accostamento e discostamento de i punti delli equi¬ ni nozii dell’ottava sfera dalli equinozii della nona; e perciò s’imma- ginorono due piccoli cerchietti descritti intorno a gli equinozii della nona sfera, con l’intervallo di nove gradi per semidiametro, nella cir¬ conferenza de i quali cerchietti posero gli equinozii dell’ ottava sfera, intorno a i quali girassero, e così venissero ad esser ora precedenti, ora conseguenti, alli equinozii della nona sfera. E perchè a tal moto ne conseguita, che soli li detti due equinozii descrivon cerchietti, e tutti gli altri punti del firmamento vadino solamente titubando e movendosi un poco, ora manzi ed oi\a indietro, chiamorono tal moto trepidazione: e per questo, aggiungendo sopra la nona sfera ancora 20 la decima, statuirono d’essa decima esser proprio il moto diurno, della nona l’altro da principio dichiarato; e questo della trepidazione at¬ tribuirono alla sfera stellata, ed in tal maniera, che li altri due moti sopradetti fussero dalle sfere superiori communicati alla sfera stel¬ lata, e da questi tre orbi conferiti e participati a tutte le sfere in¬ feriori de i pianeti. 9. de i primi punti, m — 16. descrivon li detti cerchietti , r — II. 31 DE MOTU ACCELERATO. AVVERTIMENTO. Come a suo luogo (l) abbiamo accennato, dagli studi «De motu » si ò stimato opportuno distaccare il presente capitolo, la cui data è tanto nota, che non po¬ tevamo, senza venir mono al prefisso ordino cronologico, lasciarlo insieme con gli altri concernenti queste medesime materie. Sopra di esse tornò Galileo a più riprese in vari tempi della sua vita, di che fa fede, se non altro, la corrispon¬ denza di lui; e finalmente nella occasione di enunciare nelle « Nuove Scienze », insieme raccolti, buona parte dei risultati ai quali era per lo innanzi pervenuto. Alcuni di tali studi, come per esempio, quelli concernenti la « proposizione dei moti fatti in tempi uguali nella medesima quarta del cerchio », alla quale sap¬ piamo ch’egli pervenne sin dal 1G02, non possiamo separarli dalle opere pubblicate dipoi, perchè con esse troppo intimamente connessi. Non abbiamo volato tuttavia trascurare d’inserire qui, secondo la ragion de’ tempi, questo capitolo, poiché siamo certi che del moto accelerato si occupò Galileo nella seconda metà dei¬ ranno 1604, affermandolo egli stesso in una lettera a Fra Paolo Sarpi, del 16 ot¬ tobre di detto annoPI ciò facciamo tanto più volentieri, perchè l’autografo del quale ci serviamo (Mas. Gal., Par. V., T. I, car. 39-42) è da credere ci offra, con le sue cancellature e correzioni, un primo testo, modificato poi per la par¬ ziale pubblicazione fattane nelle «Nuove Scienze». Al presente capitolo abbiamo conservato il titolo, che esso porta, di « Liber secundus», imperocché per esso è giustificato un richiamo che si legge nelle prime linee, ed ancora perchè è posto in maggior evidenza il luogo assegnatogli, secondo un ordinamento posteriore, da Galileo, rispetto ad altri suoi studi; scri¬ vendo egli, nella introduzione alla Giornata terza «De motu locali», che il trat¬ tato eli tal materia viene diviso in tre parti, ed aggiungendo: «In prima parte consideramus ea quae spectant ad Motum aequabilem, seu uniformem. In secunda (*) Voi. I, pag. 249. ( 2 ) Mas. Galileiani, Par. VI, T. VI, car. 18-14. 2G0 AVVERTIMENTO. de Motu naturaliter accelerato scribimus. In tertia ile Motu violento, scu de proiectis » ( ‘). Nel riprodurre l’autografo sopra citato, ci siamo tenuti allo norme seguite nella stampa del ■ Do Motu -, indicando, come là e col medesimo artifizio tipo¬ grafico, a pio’ di pagina, oltre gli errori materiali, anche alcune frasi cancellate o corretto poi dall’Autore. Nello prime pagine, dove l’autografo è giunto fino a noi in condizioni pur troppo assai infelici, a togliere alcuni dubbi di lettura, ab¬ biamo fatto più volte ricorso alla stampa delle «Nuove Scienze». (*) l>i*corsi t dimoetrwdoni matematiche intorno a menti Loculi, del signor Galileo Galilei, ecc. In Leida due nuove udente attenenti alia Mecanica et i Mitri- appronto gli Kls»virii. M. D.C. XXXVIII, pflg. 150 LI BER SECUNDUS IN QUO AG ITU R DE MOTO ACCELERATO. Quae in motu aequabili contingunt accidentia, in praecedenti libro considerata sunt: modo de motu accelerato pertractandum. Et primo, definitionem ei, quo utitur natura, apprime congruentem investigare atque explicare convenit. Quamvis enim aliquam lationis speciem ex arbitrio confingere, et consequentes eius passiones con¬ templari, non sit inconveniens (ita-, enim, qui helicas aut conclioidas lineas ex motibus quibusdam exortas, licet talibus non utatur natura, io sibi finxerunt, earum symptomata ex suppositione demonstrarunt cum laude), tamen quandoquidem quadam accelerationis specie in suis qui¬ busdam motibus, gravium scilicet descendentium, utitur natura. Eorun- dem speculari passiones decrevimus, si eam, quam aliatimi sumus de nostro motu accelerato definitionem, cum motus naturaliter accelerati essentia congruere contigerit. Quod tandem, post diuturnas mentis agitationes, reperiisse confidimus; ea potissimum ducti ratione, quia symptomatis, deinceps a nobis demonstratis, apprime responclere atque congruere videntur ea, quae naturalia experimenta sensni repraesen- tant. Postremo, ad investigationem definitionis motus naturaliter accele- 20 rati nos quasi manu duxit animadversio moria atque instituti ipsiusmet naturae in ceteris suis operibus omnibus, in quibus exercendis, mediis nti primis, simplicissimis, facillimis, consuevit. Neminem enim esse arbi- §.'conventi. Licet Quamvis enim ex arbitrio aliquam — 8. elic.as — atti concoide» con- coidas —10. simpthomata — suppositione demonstrare non est inconveniens demonstrarunt —12-13. natura de iisdem eorundenx —17. simpthomOtis —18. quae sensni experimenta na¬ turalia .— 21 .omnibus est enim de more ipsius in suis operibus in quibus — di-: moto accklkua to. 262 tror, qui credat, natatum aut volatum simpliciori aufc faciliori modoexer- ceri posse, quam eo ipso, cpio pisces et aves naturali instinctu utuntur, Dum igitur lapidem, ex sublimi a quiete deseenclentem, novadeincepg velocitatis acquirere incrementa aniniadverto, cur talia additamenta, simplicissima atque omnium magia obvia catione, fieri non credam? Idem est mobile, idem principimi! movens: cur non eadem quoque reliqua? Dices: eadem quoque velocitas. Minime: iam enim re ipsa constat, velocitatem eandem non esse, noe motum esso aequabilem: oportet igitur, identitatem, seu dieas uniformitatem, uc simplicitatem, non in velocitate, seti in veloeitatis additamentis, hoc est in accelera-io tione, reperire atipie repellere, Quod si attente inspiciamns, nullum additamentum, nullum incrementimi simplicius inveniemus quam illud, quod seni per eodem modo suporaddit. Quod, ut me clarius explicem, facile intelligemus, maximam temporis atipie motus afHnitatem inspi- cientes: sicut enim motus aeipiabilitas et unifovmitas per temporum spatiorumque aeipialitates detinitur ac eoneipitur (lationem, enim, tunc aequabilem appellamus, cum temporibus aeipialilms aequalia confi- ciuntur spatia)' 1 ’, ita per easilem temporis partium aoqualitates, cele- ritatis incrementa sinipliciter facta percipero possumus; intelligentes ac mente concipientes, motum illuni unifonniter atque eodem modo 20 continuo acceleratimi esse, dum temporibus quibuscunque aequalibus aequalia ei 8uperaddantiir ,!) celeritatis additamenta. Adeo ut, sumptis quotcumque temporis particulis aequalibus a primo instanti in quo mobile recedit a quiete et descensuni aggreditur, celeritatis gradus in prima cum seconda temporis particola acquisitile, duplus sit gradus quem acquisivit mobile in prima particula; gradus itidcni quem obti- net in tribus temporis particulis, tri plus; quem in 4, ipuulruplus eiusdem gradus primi temporis: adeo ut, si mobile lationem smini continuaret iuxta veloeitatis graduili seu momentum in prima temporis particula acquisitimi, motumque smini deinceps ,s ’ acquaililiter cum tali veloci- 30 tate exteuderet, talis latio duplo esset tardine ea, quam iuxta gradum veloeitatis in seminilo tempore acquisitae olitineret. 17. aequabilem appellavi appellamus — 2 . 4 . quotcunupie particulis temporis —24-25. ae * cimilo tempore prima — 2(1. quem habuit aqquivisit in primo tempore prima — 26-27. qitan habet obtinet in tertio tempore Irihus 27. in quarto f quuilruplus — ; (1) I)a lationem a sputiti è aggiunto in parola, elio presentemente e illeggib e > margino. < n i deinceps è aggiunta interlineare, a» Di superuddantur è sostituito ad altra tografn ossa puro, ma d’altro inchiostro. DE MOTO ACCELERATO. 263 Apparet, proinde, a recta ratione absonum nequaquam esse, si ac- cipiamus intensionem velocitatis fieri iuxta temporis extensionem : nisi quod unum non leviter tale assumptum perturbare atque infirmare videtur. Hoc autem tale quid est : si a primo termino lationis ex quiete fìt deinceps perpetua novae celeritatis additio iuxta rationem legemque eandem, secundum quam temporis discursus a pruno instanti nova perpetuo suscipit additamenta, considerandum occurrit quod, sicut.i post primum instans non est assignare tempus aliquod tam breve, quin aliud atque aliud brevius atque brevius (,) inter hoc et primum instans io non mediet, ita post relictam quietem in latione non poterit assignari gradus adeo exiguus velocitatis, seu tam magnus tarditatis, quin in altero adirne ilio tardiori mobile descendens constitutum antea non fuerit; cumque tarditas in infinitum augeri, aut velocitas immillili, possit, fateri oportebit, mobile aliquando tam immensum obtinuisse tarditatis momentum, ut, cum eo latum, vel integri anni curriculo ne spatium transversi digiti pertransisset. Quod profecto mirum, seu po- tius absurdiun videtur: verumtamen, licet primo intuiti! mirum, falsimi tanien non esse neque absurdum, experientia, qualibet demonstratione haud infirmior, quemlibet admonere potest. Videmus enim, ingens 20 pondus ferreum seu plumbeum super acuminatimi trabem impositum, quem humi infigere intendimus, ipsum, propria tantum gravitate pre¬ mendo, ad certam mensuram, nec ultra, impellere: quod si idem pondus ex sublimi decidens super trabem percutiat, comprimet magis, atque inferius impellet, et eo magis quo ex sublimiori loco fiet ictus. Haec autem nova conipressio atque impulsio non nisi novae causae effectus est, velocitatis, scilicet, percutientis ponderisi et quia videmus ictus eo valentiores evadere, quo ex sublimiori tìunt loco, idest quo velociori fiant obeursu, ex loci sublimitate, nempe ex percutientis ce- leritate, quantitatem penetrationis trabis arguere poterimus, et, con¬ so vergini, quantitas penetrationis niotus celeritatem arguet: adeo ut, ubi ictus percutientis macliinae minimum quid egerit, trabem impellendo, super eo quod prius suo simplici pondero fecerat, minimum atque len- tissimum fuisse motum eiusdem, iure coniicere poterimus. Àt quis non videt, quod si madrina feriens super trabis verticem latum solummodo 1. Videtur Apparai — 12. adirne tardine ìlio —19. auxl — 21-22. gravitate prementem premendo — 25. impulsio effectus est non — Oremus atque brevius è scritto interlinearmente sopra minus atque nnnus. II. 82 264 DE MOTI) ACCELERATO. digitimi elevetur, vix, at no vix quidoni, ictibus mille quid sensibile trabem impellet? Quod si elevatio sit solummodo ad papyri crassitiem, quot ictuum millia vix latum ungucm lignum promovebunt? Intèsili, gamus igitur, mobile, licet gravissimum, ex quiete naturaliter descen- dens, per omnes tarditatis gradus tacere transitum, in nullo tamen commorari, sed, ad instantium temporis successionem, novos maiores- que semper acquirere celeritatis gradua. Plures alias experientias istud idem confìrmantes in medium afferro possem, quas in meis Meclianicis Quaestionibus, tanquam loco convenientiori, repono. His animadversis, attendendum est, quod iidem velocitatis gradus io aliis atque aliis maioribus ac minoribus temporibus acquili possunt, idque pluribus ob causis; quarum una, et quao apprime nostrae est considorationis, est spatii super quo tìt motus. Grave cnim non modo in linea perpendiculari versus cent rum, (pio gravia omnia tendunt, descendit, veruni etiam super planis versus horizontem inclinatis, et tardius in iis quorum iunior sit inclinatio, tardissime in planis quorum elevatio saprà liorizontem minima sit, infinita demum tarditas, hoc est quies, in ipsomet plano horizontali: tani late vero estenditur talis differentia graduimi celeritatis acquirendorum, ut quem gradum grave cadens in perpendiculari horae minuto assequitur, super plano indi- M nato, nec integra bora, noe tota die, nec integro mense, vel anno, assequi, potis esset, licet continua cum acceleratione labens. Cuius ac- cidentis, non repugnantiam, imo probabilitatem magnani, congruen¬ tissimo exemplo possunius explicare. Finge tibi lineam liorizonti parallelam ab, a cuius puncto medio c descendant 2 lineae cd, ce, acutum angulum continentes dee , aliae au- tem 2, obtusum in eodem puncto c constituentes fcg. Intelligas modo lineam hi, prius quidem cum bori- zontali ab coniunctam, deincepsvero » ab eadem separatam, atque deor- sum descendentem motu aequabili, atque ea lege, ut semper eidem ab parallela servetur. Iam, cum eius descensus uniformis inteiligatur, poterit elongatio eius ab horizontali ai 2. papiri — 2-3. crassitiem quod quot ictuum milliaria millia — 4. igitur mobilia in a licei gravissimi gravissimum — 4-0. naturaliter descendentis deseemlens —7 . experientias m medium aflerre possem istud — 8-5). mecanicis questionila — DE MOTU ACCELERATO. 265 temporis effluxum repraesentare, quem uon nisi uniformerà et aequa- bilem, mens nostra concipere valet. Animadvertas, inde, partes ipsius lineae hi inter dee et inter feg, sul) angulo c, interceptas, nempe ipsas oi, mn, continuo excrescere ad elongationem hi ab horizontali ah] adeo ut nulla sit linea ex infinitis mn minoribus, cui aequalis aliquando interccpta non fuerit ab ipsis feg, in recessi) lineae hi ab ah, nullaque sit ex infinitis oi minoribus, cui similiter aequalis non fuerit pars eius- dem hi, inter dee intercepta. Amplius, nulla est tanti exigua lineola sub acutissimo angulo dee depraehensa, cui altera aequalis aliquando sub io obesissimo feg, in descensu ex ah in hi, depraehensa non fuerit. Id autem manifeste colligitur ductis a punctis o, ì perpendicularibus su¬ per ah-, quae dum fc,gc secatimit, lineam ipsi oi aequalem inter sec- tiones depraehendent. Hinc apparet, lineas omnes, quotquot in trian¬ golo oci, ipsi oi parallelas, intelligere quis potest (quae infinitae sunt), fuisse quoque compraehensas a triangulo meri, in descensu lineae hi, sed tempore breviori. Pari ter quoque, nulla est in triangulo men pa¬ rallela ipsi mn tam longa, quin ei par aliquando inter dee, si procedat descensus et elongatio lineae hi a ha, assignare non contingat, saltem longum post tempus. 20 Si itaque animo concipiamus, temporis decursum elongationi ae- quabili lineae hi a ha respondere, adeo ut primum temporis instans separationis fuerit ultimum coniunctionis earundem linearum; item intelligamus, gradibus celeritatis a mobilibus ex quiete in e descen- dentibus t * ) acquirendae respondere lineas intra triangula men, oci com- praehensas; cognoscere non erit obscurum, qua ratione fieri possit ut iidem gradus modo a mobili tempore brevissimo obtineantur, modo longissimo: adeo ut, ampliato magis magisque angulo obtuso feg , cum lineae cf, cg quam proximae erunt ipsis ca, eh, quam primum hi a linea ah seiungetur; quod idem est ac si dicamus, tempore brevissimo, seu so summa cum celeritate, lineas omnes, nempe infìnitas, et magnitudinum omnium quotquot sunt inter punctum c et maximam partem eiusdem hi interceptam sub obtusissimo angulo, designabit suo motu eadem linea hi] designabit, inquam, adeo ut nulla sit earum, cui aequalis ali- 3. inter men feg —5. ut nullae sint lineae nulla —11. punctis o, i paralleli perpmdi- cularibus —15. compraehensas sub a —10-17. paratia —21. lina e —29. brevissimo lineae infi¬ nitae inter punctum c et hi seu — « a mobilibus ex quiete in c descendentibus » è aggiunto in margine. 266 DE MOTO ACCELERATO. quando non fuerit una interceptarum a lineiti obtusum angulum con- tinentibus. Ex quo accidit, motum punctorum ni, n super lineas cf, cg velocissimum evadere, licet elongatio lineae hi a ba sit minima atque tardissima: fieri enim potest, angulum e adeo esse obtusum, et linea® cf, cg ipsi ab adeo propinquas, ut lineae c»i, ni, seu etiam ipsa mn infi¬ nito pene excessu superent distantiam inter ab, hi. Ac tandem in al¬ tissima et ultima angeli c dilatatione, hoc est in coniunctione linearum cf, cg cum lineis ca, eh (l ', motus consimilis motilius iam declorati® ovadit instantaneus, simulque infinitus ex tannino c. Numquid eiusmodi sit luminis expansio, quod certe loco uno tic terminato generati» et io tempore eodem locis omnibus late circumquaque ])atentibus reperitur? Sed ad rem nostrani: non difficile esso arbitror ex allato oxemplo in- telligere, simulque concedere, mobiliami ex quiete naturaliter descen- dentium alia suos celeritatis graduB brevi tempore, alia longiori, alia acquirere longissimo: fpiae enim in perpendiculari cadunt, cito velocia apparent; quae vero per declina plana descendunt, velocitanti» qui- (lem, sed tempore longiori ad ea celeritatis momenta perveniunt, quo citius pervenit cadens ad perpendiculum. Ex liis quae explicata sunt, omnis, ni fallor, ablata videtur repu- gnantia, quominus motus unifermiter, seu aequabiliter, accelerati de-20 fìnitionem in medium afferro possimus. Talis igitur esto definitio: DEFINITIO. Motum uniformiter, seu aequabiliter, acceleratimi dico illum, cuius momenta, seu gradua, celeritatis a discessu ex quiete augentur iuxta ipsiusmet tempori» incrementum a primo instanti lationis. 12. arbitror intelligere simulque concedere ex —13*14. naturaliter recodentium (lescen- dentium — 14-15. alia longissimo acquirere — Da « hoc est » a « cum lineis ca, cb » è aggiunto in margine. LA NUOVA STELLA DELL’OTTOBRE 1604. AVVERTIMENTO. Addi 10 ottobre 1604 veniva in Padova osservata per la prima volta una nuova Stella, la quale vivamente eccitò la curiosità del volgo e V attenzione degli stu¬ diosi. Era quindi naturale che, avendo Galileo scelto per argomento della sua let¬ tura nell’anno 1604-1605 le teoriche dei pianeti 0), gli uditori gli rivolgessero in proposito della singolare apparizione numerosi quesiti, ai quali egli rispose con tre lezioni, tenute nella prima metà del 1604 <*). Disgraziatamente, il testo di queste tre lezioni, che per qualche tempo Galileo ebbe l’idea di dare alle stampe, non pervenne sino a noi completo, e, senza dubbio, egli non condusse a termine quello speciale lavoro che era stata sua intenzione di stendere su questo argomento; al quale effetto sappiamo aver egli mantenuta corri¬ spondenza con vari cultori degli studi astronomici, affine di procurarsi notizie in¬ torno alle osservazioni clic sulla nuova Stella erano state fatte in altre città (3) . Anzi, delle lezioni stesse noi non possediamo che l’esordio (4) ed un brano della fine, e degli studi fatti intorno a questa nuova Stella soltanto alcuni appunti; dei quali però noi pubblichiamo qui solo quelli che presumibilmente furono stesi nei giorni in cui la Stella potè essere osservata dal Nostro, e poco appresso, quando egli ebbe ad occuparsene in occazione di una celebre polemica, della quale si dirà a suo luogo. Gli altri, possiamo con tutta sicurezza affermare, aver egli dettati molti anni più tardi, quando cioè trattò di questa Stella nella giornata prima del Dialogo intorno ai massimi sistemi del inondo , e nelle postille allo Esercitazioni di Antonio Rocco ; e perciò avranno, nella presente edizione, il posto che loro spetta secondo l’ordine cronologico. ( l ) Galileo Galilei a lo Studio di Padova por An- (0 Edito por la prima volta dal Venturi. Cfr. Me- tonio Favaro. Voi. II. Firenze, 1883, pag. 151. morie e Lettere inedite finora o disperse di Galileo Ga- (') A. Fa varo, Galileo Galilei, ecc. Voi. I, pag. 279. Mei, eco. Parto Seconda, Modena, ecc. M.DCCC.XXI, ( 3 ) Ibidem, voi. II, pag. 228 e seg. pag. 331. 270 AVVERTIMENTO. Tutti i frammenti ed appunti, elio diamo qui appresso, sono desunti dagli auto- grati che, su carte originalmonte le uno dalle altro staccate, se no conservano tra i Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze: T. II della Parte III, T. VI della Par. IV, o VI della Par. I. Nell*ordinarli poi, discostandoci dalla di¬ sposizione elio fu loro assegnata in detti tomi, ci siamo tenuti a questi criteri: 1°, che non si dovessero separare coso scritto sopra la medesima faccia di una stessa carta; 2°, elio si dovessero tener uniti appunti concernenti lo stesso argo- mento o argomenti analoghi. È stato possibile sodisfare compiutamonto alluna o all’altra condizione, pur osservando anche nel tutto un certo ordine logico. Il frammento dell’esordio rimano, come di ragiono, al principio; seguono le osser¬ vazioni di posiziono della Stella; poi, gli argomenti su ciò che la Stella non può essere; dai quali, con transizione opportuna, il frammento elio comincia «Et haec foro sunt, quae, meo iudicio, non sunt etc. * <*> conduco agli argomenti su quello elio la Stella forse ò; viene per ultimo l’elenco dogli scrittori elio trattarono dell’altra Stella apparsa noi 1572, desunto dalla prima parto dei Proginnasmi <*) di Ticone. L’autografo abbiamo poi seguito con ogni fedeltà, o secondo le norme adottate per le scritture elio possediamo autografe. Poche settimane dopo elio Galileo aveva tenute nell’Università le lezioni an¬ zidetto, usciva alla luce in Padova la Considerai ione Astronomica circa la nona, et portentosa Stella che nell’anno 1604 a di IO Ottobre apparse, con un breve giudicio delti suoi significali di Baklassaro Capra '*>. Questo opuscolo noi abbiamo stimato opportuno di riprodurre nella presento edizione, e perchè qualche anno appresso diede occasiono allo repliche contenuto nella prima parte della memoranda Difesa, o perchè senza il testo, al quale si riferiscono, sarebbero riuscito poco chiaro alcune postille ad essa Considerazione, elio qui pure pubblichiamo, avendo ogni motivo per stimarlo galileiane. Un esemplare della scrittura del Capra, attualmente posseduto, con la segnatura « B. r. A. 7. p. 2. n. G *, dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, con¬ tiene delle postille, che dal Venturi, a cui già appartenne, furono giudicate della mano stessa di Galileo 14 ): conviene dire poro che per tali non fossero riconosciute dagli ordinatori della Colleziono Galileiana, poiché, avendo il Venturi ceduto dotto esemplare al Granduca di Toscana' 5 ’, non fu in quella compreso. Queste postille infatti sono senza dubbio di pugno del Venturi; ma chi abbia anche poca cono¬ scenza della polemica di Galileo col Capra, c abbia letto qualcuna delle postille (') Pag. 281. ( 2 ) Tyciionis Hkaiif. Aatronomiae instauratae pro- gymnaemata, quorum lune prima jxir*. De restitutione motuum S'ali* et Luuae Stcllarumquc inerrantium traetat. Et praeterea de aiimirandn Aora Stella .Inno 1672 esorta luculmter agiu Typis inclinata Uraniburgi Daniac. Al»* soluta Prngao Rohemine, M.DC.II. ( 3 ) In Padova, M.DC.V. Nella Stamparla di Lo¬ renzo Pasqu&ti. Con Me. de Sup. (*) Memorie e Lettere inedite, occ. Parte Prima, ecc. Modena, M.DCCC.XVIII, pag. 7fi. (*») Documenti inaliti per la Storia dei ti al il ria ni nella Biblioteca National* di Firenze , pU * 1 dicati od illustrati da Antonio Favaro: B Mno di IlibUoyrajia e di Storia delle Scienze Matemaàe e Fisiche-. Tomo XVili. Roma, 1885, pag. 225. AVVERTIMENTO. 271 che il Nostro appose ad altri libri de’ suoi avversari, non può non riconoscere in queste lo stesso spirito e lo stesso sapore, nò restare punto in dubbio sull’autor loro. Per la qual cosa noi crediamo che dalla copia su cui le aveva segnato Ga¬ lileo, o elio andò perduta, le abbia il suo discepolo trasportate su questa, giunta fino a noi: a quel modo clic, come già abbiamo avuto occasione di vedere<‘>, il Vi- viani trascrisse sopra una copia dei libri De sphaera et cylindro di Archimede le postille galileiane, che gli erano state mandate da Vincenzio Santini. Abbiamo riprodotto la scrittura del Capra esattamente in modo conformo alla edizione originale, soltanto correggendo alcuni errori di stampa, che avrebbero reso oscuro il senso, aggiungendo qualche accento, e rare volto ritoccando, in servigio della chiarezza, la punteggiatura: oliò sarebbe stata malo spesa ogni altra fatica in emendare l’opera di costui. Conforme poi allo norme che ci proponemmo di osser¬ vare in tutta P edizione< 2 >, abbiamo pubblicato le postillo a piè dei luoghi della Considerazione a cui si riferiscono, usando del corpo di carattere che è riservato allo cose di Galileo: e indicammo, conio faremo sempre in casi simili, col carat¬ tere spazieggiato i luoghi dell’opera del Capra, a cui le postille si riferiscono, e che nel citato esemplare il Viviani sottosegnò, conformandosi certamente all’esem¬ plare che aveva dinanzi, postillato da Galileo. Fra le diverso pubblicazioni, alle quali porse motivo ed argomento nel 1605 la singolare apparizione della Stella, dobbiamo poi notare il Discorso intorno alla nuova stella di Antonio Lorenzini da Montepulciano( 3 ), imperocché esso diedo oc¬ casione ad una scrittura stesa in lingua pavana e sotto forma di dialogo, la quale in questa nostra edizione comparisce per la prima volta insieme con le Opere di Galileo. Senza entrare qui in una minuta analisi del Dialogo che, come scrittura d’un Cecco de’ Ronchitti da Brugine, fu stampato a Padova circa sei settimane dopo la pubblicazione del Discorso , e riprodotto poscia a Verona < 4 >, noteremo che in bocca ad uno dei due interlocutori sono posti concetti tutti galileiani ; anzi può dirsi che quelle ideo, lo quali sappiamo d’altra parte essersi Galileo formate ili- tomo alla nuova Stella ed alle questioni alle quali diede origine, vi sono esposte tutte, almeno per quanto ne porgevano occasione le opposizioni al Discorso del Lorenzini. Quando il Dialogo fu pubblicato, corse voce eh’esso fosse di Galileo; e di questa ( l ) Voi. I, pag. 281. (*) Per la edizione nazionale delle Opere di Galileo (talilei t ecc. Esposizione o Disegno di Antonio Fa* varo. Firenze, tip. di G. Barbèra, 1888, pag. 36. ( 3 ) Discorso dell’ Ecc. Sig. Antonio Lorenzini da Montepulciano intorno alla Nuova Stella. Stampato in Padova, per il Pasquati, 1G05. Con licenza della SS. Inquisizione. — E col medesimo titolo, In Padova, M.DC. V. Appresso Pietro Paolo Tozzi. (0 Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene. U. In perpuonto de la Stella Nuova. Al Lostrio o Rebo- lendo Scgnor Antuogno Sqnerengo deguctissemo Ca- Ionego de Fava, sò Parèli. Con alcune ottavo d’incerto, per la medesima Stella, centra Aristotele. In Padova, appresso Pietro Paulo Tozzi. M.DC.V. — L’edizione di Verona porta l’identico titolo, o quindi: «In Padova, per Pietro Paolo Tozzi. — E poi in Verona, per Bor- tolamio Merlo. Con Licenza de’ Superiori ». Sebbene l’edizione di Verona manchi di data, non esitiamo a giudicarla di poco posteriore a quella di Padova. 83 272 AVVERTIMENTO. voce noi troviamo un eco nel suo carteggio(*>; ma diligenti indiami, istituite a tale proposito (*>, hanno mostrato conio sotto lo pseudonimo di Cecco do’ Ronckitti si na- scenda un monaco benedettino, per nome D. Giacomo Spinelli W, se non discepolo nello stretto senso della parola, certamente familiare del Nostro, o che anco nella polomica col Capra si levò in difesa di lui. Secondo il nostro avviso, elio ò pur quello di valentissimi cultori degli studi galileiani, Cecco do' Itonchitti è una maschera che in realtà nascondo non uno, ma duo scrittori, cioò uno scienziato ed un lotterato. Lo scienziato, Galileo, fornì gli argomenti o forse anche molti squarci dol Dialogo; lo Spinelli, padovano, l’avrà steso nella lingua pavana: ma non si esclude però cho nella stesura, o nella traduzione, una certa parte possa averla avuta Galileo stesso, il quale dol dialetto rustico padovano era conoscitore e appassionato cultored. Nolla riproduzione del Dialogo , avuto riguardo all’importanza cho può avere tale monumento per gli studi linguistici, ci siamo imposti una fedeltà anche del solito più grande alla fonte da noi usata, che fu l’edizione di l’adova. Abbiamo perciò soltanto introdotto quello leggiero modificazioni, più clic altro materiali, che, senza portaro alcuna alterazione sostanziale, potevano rendere agevolo la lettura: come la distinzione dell 'u dal <>; l’aggiunta di qualche accento; la mutazione di che’ /, se’l, su’ /, ccc. in che 7, se 7, su 7, ecc.; di eha, unito allo formo verbali di prima persona, e, poche volte, di el, in eh’ a, e ’l ; c qualche lieve e necessario ritocco della punteggiatura. Del resto, e rispettammo incostanze di grafie, e l’abuso di accenti che non avrebbero alcuna ragione di essere, e la punteggiatura non sempre razionale, o la lettera minuscola dopo il punto; chò l’introdurre modificazioni più forti, mentre non avrebbe giovato a chi non abbia cognizione (lei pavano, sarebbe stato partito di cui forse neppure i cultori delle scienze linguistiche ci sarebbero stati grati. A pio’ di pagina registrammo lo varianti (die risultavano dal confronto con l’edi¬ zione di Verona, la quale differisce da quella di Padova non solo per leggiere mu¬ tazioni di carattere fonetico o grafico e per alcuni errori di stampa, ma anche, in alcuni luoghi, per notevoli aggiunte o modificazioni cho riguardano il senso* 5 *. (') Mss. Halli., Par. I, T. VI, «ir. 129. (') Cfr. Galileo Galilei e il • Dialogo de Cereo ili Monchini da lìruzmc in peri»insito de la Strila Suora ». Studi e ricerche di Antonio Fa varo: negli Atti del Iìrale Istituto Veneto di ecieiue, lettere ed arti : sor. V, tomo VII. Venezia, 1880-81, pag. 195-276. A. Fa¬ varo, Galileo Galilei e lo Studio ili Ai dora. Voi. I, pa*. 286-301. ( 3 ) La Riblioteca Nazionale «1 i Firenze possiedo nn esemplare del Dialogo , segnato * CIV. 12*, che (ria appartenne al Vi vi a ni, p sul verso del cartone porta scritto con matita, «li pugno dello stesso Vi- viani: * I\ D. Girolamo Spinelli Priore in S. Giustina ili Padova nel 1619». La qual notizia trasse senza alcun dubbio il Viviani da una lettera di Lorenzo Pignori a a Gaui.eo sotto il d\ 27 dicembre 1I LEZIONI K DI STUDI interiectis diebus, ad molem ingentem oxcreverit, momento dicti con- gressus genitum fuisse, et propter tenuitatem Intuisse, opinari non erit incongruiun. Gumque insuper in grada 19 ^ coiverint planetae in 18 ” eiusdem signi grada novus hic fulgor apparuit; interstitia insuper secundum latitudimem ab ecliptica fuerunt fune, quidem austrum versus, G. 0 . 53 , Iovis, ad boream, G. 0 . 37 ' (l> , novae autem lucis Gr. 1 . 40 ' proxime, in acpiilonem, Saturni vero G. 1.48', pariter ad Ursam, ut ex istis quatuor luminibus talis figura constìtueretur, Hic fulgor, tanquam novum e cado miracuilum, tardos atque ad terróni demissos populares oculos ad divina erexit (,) ; quod fulgentissimorum io innumerabiliumque astrorum coetus, quibus aetlierei campi distingun- tur, efficere non valet: ea enim est compositionis liumanae conditio, ut quotidiana, licet admiratione digna, nos praetereant; contra, si quid insolitum atque ex more mutatimi prodieri!, populum omnem convocat. Testes vos estis, numerosa iuvontus, qui bue convolastis, ut me de liac admiranda apparitione disserentem aiuliatis ; alii, perterriti atque vana superstitione perciti, ut intelligant, numquid portentosum pro- digium malique ominis sit nuncium: alii mirante», num verum sidus in caelis existat, an vapor ardens prope terram quaerentes; et omnes, de substantia,"motu, loco et ratione apparitionis illius, unanimi studio» anxie sciscitantes. Magnifica, mehercle, ingeniorumque vestroruxn digna cupido! At ho, utinam, rei magnitudini ac vestrae expectationiingenii Mss. Galil., Tar. III, T. II, car. 4. digrado , con evidente trascorso penna, Y autografo. SULLA NUOVA STELLA DELL’OTTOBRE 1604 . 270 la notte ad osservare per tutta la sua vita, se compare qualche nuova stella (,) . Quando il manichette del coltellino avanza tutto oltre alla punta del tetto, la pallina occulta la Stella (iI) . Idem num Stella nova culminet cum capite Ophiuci, et cum 7° spon- dylo flp. Stella nova, die 5 Martii, collata cum ‘4 et cum ti, habebat o\ 2. 22' latitudini ,4) . O Stella nova observata fuit a me die 28 Octobris 1604 in eadem io linea recta cum prima Caudati Helicis et Lucida Coronae, quae linea incidit in 19 0. Cum autern Stella haberet latitudinem borealem g. 2 fere, fuit ergo circa gr. 18 ^ (6) . Eius declinatio 21.4' fere, et eadem proxime est mediae frontis Tf|. nempe 21.7', ex quo in eodem proxime feruutur circulo (l,) . • r Stella nova depraehensa est a me, die 3 februarii 1605, in eadem recta cum Arcturo et cimi sinistro genu Ophiuci. In super, recta per Spicam et novam Stellam relinquit, boream versus, trium lucentium frontis borealiorem per g. 0.15' fere (1) . Die 4 februarii, mane, li. 1 ante 0 ortum, linea recta per li 20 et 9j. relinquit ^.... (l,) versus boream, et Stellam novam per dimidium illius intervalli, pariter versus boream |8) . é 5-(ì. spondilo —13,14. prossime —13. medie —16. Arturo — 17. et borealiore novam — (I > Mss. Galil., Par. IV, T. VI, car. 6r. Mss. Galil., Par. Ili, T. II, car. 10 b r. (3) Ibidem. ,4) Ibidem. (r>) Mss. Galil., Par. ITI, T. II, car. 10 c r. (C) Ibidem. (7 > Ìbidem. — Dopo « fere » si legge sotto le cancellature: «Et in recta cum Lucida Corone Boi*, et ea quae in suffragine ». ( 8 ) Tra « 9 * e « versus » è uno spazio bianco. * (®> Mss. Galil., Par. HI, T. II, car. 12 r. 84 li. 280 FRAMMENTI DI LEZIONI E DI STUDI e lasciano 9 boreale di ir»' in circa, o h. australe di mi¬ nuti 8 in circa ( ‘’. La ^J<- nuova ò in retta con Arturo o con la stella della gamba sinistra del Serpentario: la retta per la Spiga e per la nuova Stella lascia verso borea per 10 minuti in circa la più boreale delle 3 del corpo di lì| Sit vere situs in 18 ergo, ratione commutationis, cum esset occidentalis, apparuit in g. 17; at cum fuit orientabs, apparuit in g. 19, cum tamen vere esset in 18 ' 3 \ Kepplorus, De stella nova, car. 95, de scintillatione ait, fieri posse io ex rotatione fixarum; et licet ad ipsas 0 insensibilis omnino sit, ita ut a nobis, co constitutis, nulla ratione viileri possit, tamen non eva- nescit ipsi naturae, etc. Consideretur, quod multo citius evanescit illuminatio corporis lucidi, (piani conspectus eiusdem: et die a lon- gissima distantia videmus fan un ardentem, quae tamen corpora nobis adiacentia non illustrat ,4 '. Stellam no vani non fuisse incendium, patet ex eo quod quae ci- tissime incenduntur, brevi quoque extinguntur: materia, enixn, quae statini incenditur, est admodum combustibilis ; quod vero maxime est combustibile, statini comburitur. Exenqila (lo hac re habentur# innumera ,5) . Quod non recta elongetur Stella, vide Tychonem, pagina 691 w . Quod Stella nova non sit pars lactei circuii, patet: quia non dis- solveretur, sicut ipse circulus non dissol vitur. Adversus Tychonem' • 10. scintillazione —15. que — 22,24. Ticonem — Mss. Galil., Par. I, T. VI, car. 113 r. Ibidem. Mss. Galil., Par. Ili, T. II, car. IO a r. (4) Mss. Golii., Par. Ili, T. II, car. 11 r. 1 5 ) Mss. Galil, Par. III, T. II, car. 11 r. '») Mss. Galil., Par. IH, T. II, car. 13 r. 0) Ibidem. SULLA NUOVA STELLA DELL’ OTTOBRE 1G04. 281 Elias Camerarius, apud Tychonem, pagina 693, credit, Stellam no¬ vali! anni 1572 recta snrsum elatam fuisse. Idem sensit Ioannes Dee, Anglus: vide Tychonem, pagina 691 (,) . Et haec fere sant, quae, meo iudicio, non sunt. Itestat modo ut, quid tandem de hac admiranda apparitione sentiam, in medium affe- ram; haud ignarns, et me quoque eandem subiturum esse censuram, nec defuturos qui me arguant et improbent. Quibus tamen id unum dictum esse velini: me illius audaciae non esse, ut credam, impossi¬ bile esse, rem aliter se liabere atque dixero; id enim tantum a vero io abest, ut, e contra, eo sim timore et exitantia occupatus, ut non modo quid baec noviter conspecta, veruni et quid vere sit quaeque antiquissimarum et millies conspectarum stellarum, ignorare me, ore rotundo fateri non erubescam. Quod circa terram eleventur vapores, qui, ascendentes, solis lumen reflectant, saepissime apparet; cum in media interdum nocte caelum adeo illustretur, ut lumen in terram crepusculino maius effundat. Id auteni a me saepius observatum est ; et semper talis lux boream versus apparet. Et ratio est manifesta: quia ex meridie, vel ab ortu, vel ab occasu, intra conum umbrae, tales compìectuntur vapores, qui boream 20 versus, ob nostrum in eam partem situili, conspici possunt; ut dili- gentius consideranti patet. Vidi Yenetiis, circa horam noctis 2 : “", aerem ad boream adeo clarum, ut adversos parietes, ultra Lunae rotundae lumen, illustraret, aversi autem tenebrosissimi erant: novam autem acbnirationem afferebat, quod viae, quae proxime ad septemtrionem dirigebant, utrinque a splendore illuniinabantur, nec tecta umbram in terram demittebant, ut ex illuminatione Sobs et 3 contingit; quia in bis tanquam ab uno puncto provenit illuminatio, tunc vero ex quarta fere caeli parto magna lux emanabat. Saepissime autem huius- cemodi vapores, sanguinei et crocei, apparent, etc. <2) so Àdvertas, quod Tycbo iure damnat Camerarium, fobo 696, vers. 11. Attamen observatio Camerarii potnit esse vera; causa tamen cur 1,3. Ticonem — 2. Ianues —12 .et a me millies — me pieno ore —15,28. sepissime —15. celum —17. sepius — 21. oram noctis tertiam S® 1 "—23. lumen illustrabat illustraret — 24. que — 25. illuminabant — 30. Tico — 0) Mss. Gali!., Par. IV, T. VI, car. 15 r. (*) Mss. Gali!., Par. IH, T. II, car. 13r. 282 FRAMMENTI l>I LEZIONI K DI STUDI Stellae aucta fuerit elongatio a vertice, potuit esso ex annuo moto terrae, quae tunc ad austrum tendebat, etc. '** Alcuni fuochi, elio da lontano appariscono splendentissimi, da vi¬ cino non si veggono niente, per la loro tenuità : così la Stella nuova può essere una esalazione illuminata; e chi vi fosso vicino non la ve¬ drebbe, ed apparirebbe solo come i vapori elevati ed illuminati la notte, etc. (<) Ostendere, quod ad lumen 0 reflectondum sufficiat levissima con- densatio supra tenui tatom aetheris, idi pio exemplo nubium sterilirmi, (pine, velati vastissimi montes in aere pendentes, a 0 supra 3 et io stella» omnes diurninantur, etc., ita ut condensatio longe minor posset supra stellas illuminari Maximus error est imprimi», quaecunquo eifulserint in sublimi, ea omnia voluti eiusdem naturae ot essentiae considerare; cum alioquin toto differre cacio possint, et tamen 0 lumen recipere et reflectere: nani et ligtiiun et lapis et nubos.... Non uliter quam si quis dixerit, aurum, plumbum, lignum, lapidem, glaciem, pomum, cameni, ossa, ceram, unum et idem esse, quia omnibus idem motus deorsum, eadem a 0 illumiuatio ,4) . Ostendatur experimento, 3"'" esse splondidiorem caeteris stellis, 20 tum quia stellae omnes non illuminant ut sola 0, tum quia exigua pars conni eius tantum inspecta vincit fulgore iixas omnes (1) . Non esse absurdum, talem condensationem ponere in cacio, cum et circa 0*"’, veluti circa terram, consimilem videamus (l!, . Ut luceat haec nova Stella ut reliquae, non infert ut debeat esse solidissima substantia, veluti creduntur illae: eadem, enim, fìt rellexio et a solidissimo corpore atipie a tenuissimo, ut a nubibus, etc. (,) 1. Stelle — 9. aeteria —13. imprimia quodeunquo quaecunque — "> Mss. Gali]., Par. Ili, T. II, car. 13;-. . De Stella nova anni 1572 extant scripta apud Tychonem. Scrip- scrunt autem: C. 490. Landtgravius Hassiae, quam primo observavit die 3 Decem- 20 bris. C. 490. C. 505. Thaddaeus Hagecius, Boliemus, primo se observasse ait circa Natalem Christi. C. 506, circa medium. 529. Paulus Fabricius, Mathematicus et Medicus Caesareus, ait, in fine Octobris anni 1572 Stellali! novam coepisse. 530. Bartliolomaeus Reisacberus, tunc professor mathematicarum Yiennae. 535. Casparus Peucerus, in literis conscriptis 7 Decembris 1572, de Stella nova ait : Has literas ut submitterem, fecit novum Sidus, quod in septimanam quartam sub asterismo Cassiopeae conspicamur haerere. so 536. Paulus Hainzelius die 7 Novembris primum conspexisse ait. 17. Ticonem —19. Asside —21. Taddeus — Boemus — osservasse —23. Cesareas —25. Bor¬ iai omeus — 2G. Vienne — 29. herere — "> Mas. Gali!., Par. IV, T. VI, ear. 15 r. < 2 > Ibidom. Ibidem. - 284 FRAMMENTI DI LEZIONI E DI STUDI ECC. 543. Michael Maestlinus prima hebdomada novembris se vidisse ait, 553. Cornelius Gemma 9 Novembris incepisse ait, nec prius appa- niisse ; secl poste» sibi ipsi contrariatur, etc. 565. Hieronimus Munosius, Hispanus, Valentiae, ait se certo co- gnoscere (pioti die 2 Novembris nondum apparuorat, 572. Franciacus Vallesius. 582. Tyclio ipse Brahe. 605. Casparus L’encoru» eam primum vidit 16 Novembris. Dat illi Parali. 19'. 613. Aline literae Landtgravii. u 618. Quaestio Peueeri. 621. llesponsio Wolfgaugi Scindevi. 639. Ioannes Praetorius Ioneliimicus innuit opinionem Iohannis Penae, unam esse aeris coiitinuationein usquo ad tixas, et Pythagorae et Stoicorum, qui in caelo tali» creavi posse existimarnnt. 643. Philippus Appianila; 653. Thomas Diggeseus, anglus. 690. Iohannes Dee, anglus, ubi a Tychone contra niotum rectiun Stellae. 692. Elias Camerarius sic incipit: In principio Octobris anni 1572,» vesperi, circa bornia 10, prope meridianuni, novum sidus apparuii 699. Erasmus lteinholdus iunior ' l '. 1. Mesthlinus (>. Vaimins — 7. Ticoipmir Unir — H. ridi — 11. Queslio —12. IFoJ/imji — 13. Pretorili* — 14. Pitagor . — 15. rein — 18. Tironr — Msa. Gali!., Par. IV,T. Yl.oar. tir. o tir. CONSIDERATI ONE ASTRONOMICA CIRCA LA STELLA NOVA DELL’ANNO 1604 DI BALDESAR CAPRA CON POSTILLE DI GALILEO. CONSIDERATICENE ASTRONOMICA noua cne nell anno i 004. aai io. Ottobre apparfe. CON VN BREVE GIVDICIO delli Tuoi lignificati. Dì Baldefar Capra Cjentri'homo Milaneft ftudtofo ri Ajìronomtay & Medicina. Al Molto Illustre Signor Zio & Patrone Osservandissimo IL SIGNOR GIO: ANTONIO DALLA CROCE. Non altrimente che Elia, quale nel deserto cllevando Vocchij al Cielo, solcasi dolere d’ essere rimano solo cultore dii vero Iddio, et conservatore della vera, reli¬ gione; io nel deserto di questo mio voluntario essilio dalla patria più volte mi son condoluto, credendomi per la cecità de’ nostri tempi essere solo amatore & defensore detieni scientie matematiche contro dell’ignoranti calmnniatori . Ma finalmente si come dalla Divina bontà fu ad Elia risposto, che si dovesse consolare poscia che non era solo vero fedele, havendosi Iddio reservati sette milla Uomini, che non si erano contaminati nella idolatria dell’Idolo di Baal, così io mi persuasi non essere solo protettore delle 'mathematiche, fra tutte le scientie certissime, dk massime ricordan¬ domi io, quasi come per nube haver V. S per ZioM, nel quale rispondono a colmo tutte le virtù, & il desiderio insieme, che li. virtuosi sijno essaltati. Consolato adonque per questo fui più ardito in prendere l’impresa di parlare di sì rnonstruoso portentosi, et in parte ancora di rifiutare quello era stato proposto contro li mathe- maticì: acciò poi consacrando questo, a benché picciol frutto, de’ miei studij a V. S. potessi darmeli a conoscere per Nipote M & fedele servitore. Vengo dunque a 1,1 solo coglione nelle (1) [1] oli grand’ uomo doveva esser costui, che non si ricordava di aver un Zio. 131 E qual portento, se non hai mai detto di quel che tu voglia ciarlare ? [41 bel parentado che il Zio non sa d’avere il Nipote, nè il Nipote il Zio. Parentado da bestie. (•) Così è sostituito in margine allo parole «amatore defensoro delle», che nel testo sono cancellate. *290 CONSIDEItATIONE ASTRONOMICA ECO. pregarlo voglij benignamente rirererlo conte dalle mani di chi cordialmente Vama, il che facendo mi darà animo di appurechiare alla giornata maggior cosa di questa, Non tralascierà già di dire, che se si considera la persona, a chi quest’operetta I dedicata, onero se si considera la materia di che tratta dorrà per ogni ragione esser descritta in lingua latina come più eccellente et degna; ma perchè, ehi oppose alle mathematiche scrisse in nostra materna lingua farsi a fine di mettere apresso li ignoranti questa scienti» in sospetto, già che nelle persone sdentiate non potea ca¬ dere. tal dubio; però V.S. mi barerà per iscusai, se rolendo che ogniuno conoscili le oppositioni fatte esser di niun rii Ureo ho io ancora scritto in lingua volgare. Et per che io riconosco in lei quella Immanità et sincerità, che in tutti li suoi antem- rari risplendea non sarà più lungo in offerirle queste mie fatiche, o in escusam di qualche mia imperfcltionc; ma humUmmte hasciandoli le. honoraie mani, li prc- gara da Nostro Signore il colmo dii rem Itene. IH Padova all* 16 . Feltraio. Iddi. I)i V . S. molto Illustre Xipole <{' Servitori AjfettionatUrimo Raìdesar Capra 151 Io t’ho per iscuso pur troppo. Di grazia, non ti affaticare,perchè veggo che non sai parlar nè meno in volgare, non che latino. CONSIDERATONE ASTRONOMICA CIRCA LA STELLA NOVA DELI,’ ANNO 16 0 4 . Mentre io dubioso andavo pensando se a mo convenisse scrivere qualche cosa di questa portentosa & non più osservata ascititia Stella, clic nel mese d’Ottobre dell’anno 1604 apparse; mi s’appresentavano molte ragioni, chi mi persuadevano a farlo, per che havendo sostenuto tante fatiche, vigilie & in commodi si del corpo come della mente per diligentemente osservarla, & conoscere il suo vero loco, & natura, havendo ancora fatte non poche speso in fabricare instromenti pei* tale operatione, mi parea cosa conveniente ancora mostrare alli amici & altri che consapevoli erano delle mie fatiche, che non erano stato getate al vento, ma mi haveano arrecata & contentezza & utilità, havendomi confirmato in quella opi¬ nione, che molte volte in altri legendo solevo amirare. Ma dall’altra parte mi attoriva il vedere sì acerba contraditione tra li Philosophi naturali, & mathematici : volendo questi, che la maggior parte delle comete, et tutte le simili Stelle si generino nel Cielo si stellato, come dolli altri pianetti, & quelli negando al Cielo ogni alteratione persistono nella loro opinione, che si generino nella parte elle- mentare; credendo fare grave scorno ad Aristotele so con tra la sua opinione alcuna cosa admettessero, come più non convenisse ad un Philosopho naturale T investi¬ gare le cause delle cose, elio il diffondere l’opinione del suo maestro, & massime in cosa già confirmata due volte & diligentemente osservata. Mentre dico oro di questo fra me dubioso, havendo veduto che V Eccellentissimo Sig. Galileo, nelle sue ciotto lettioni, che di questa Stella itili giorni passati publicamente fece, non havea voluto apertamente dechi ararsi circa il tempo dell’ appari tionc di questa Stella, nè circa il loco qual sotto il Zodiaco possiede, ma così confusamente disse che si ritrovava in circa 18 gradi di sagittario con quasi doi gradi di latitudine boreale; mi diede alquanto d’animo sperando io di potere più scrupolosamente, doppo la consumatione di questa ascititia Stella dechiarare quello, che in gene¬ rale (non so per che causa) era stato proposto. Quel poco d’animo poi si fece 292 rONSIDK R ATION K ASTRONOMI ('A ardentissimo desiderio, che mi forzò a più presto ossequire quello havevo delibe¬ rato, havendo veduto un Discorso publicato sopra di questa nova Stella, nel quale oltre elio noi principio non in tutto dice il vero circa F apparitione di questa Stella, noi progresso c’induce a meraviglia, mentre con novi theoremi s’ingegna rifutaro 10 paralassi dalli mathomatici con biuta diligcntia osservate, & demostrate. Fatta adonque deliborationo di voler scrivere, mi proposi ad essaminaro in parte questo discorso, persuadendomi quindi haver bona occasiono di dimostrare quanto havevo nell’animo conccputo (li proponere di questa stella: il elio deliberai faro non già con animo di contradire, cosa elio da me fu sempre aliena; ma per puro zelo di conoscere la verità, quale solo dubitando si suol scoprire, & imperò non doni l’autore arrecarsi ad ingiuria, che io li vadi ossaminando li suoi novi theoremi; anzi dovrà lui all’ incontro essaniinare questi miei scritti, et so vi trovasse cosa degna di correttione benignameli te avisannene, che io sempre sarò pronto mutar parere. Sarà adonque l’intentimi mia prima considerar il tempo dell’ apparitione proposto dall’autore con lo altre circostanze, poi determinare quale sij stato il vero tempo della prima apparitione; indi mi convertirò a considerare quello, clic contro le paralassi, ha introdotto, a benché for di proposito; il dio sij detto con pace del- l’auttore, con questo tedierò anchora alcuni lochi nelli quali mi paro degno di annotatione. Et finalmente non lascierò suspeso il lettoro, ma con quella maggior diligentia, die sin bora ho potuto osservare, si quando questa stella era occiden¬ tale, come bora orientalo, proponerò chiaramente il suo loco si in rispetto del- l’ccliptica, come all’universo; \* per conclusione sogiungorò qualche cosa circa 11 effetti elio può portendore. Propone adunque questo autore, che questa stella fu osservata nel mese di ottobre del anno 1004 alli 8 di incirca nel 18 grado del sagittario. Intenderla volentieri dove si riferisca quella particola in circa [,iJ , poiché si può attri¬ buire alli 8 giorni, come alli 18 gradi, & attribuendola alli 8 giorni saria proposta troppo indeterminata, conciosia che tanto polca dire, che apparse un giorno di ot¬ tobre, so ancora s attribuisco alli 18 gradi a me pare puro gran generalità: ma torso mi risponderà, che non essendo astrologo, non ha osservato, & per questo non può sapere il vero giorno della prima apparitione, nò più preciso loco di quello c stato publicato da chi ha osservato; il che volentieri li ò concesso, già che come l(>1 Mio bue, te lo dirò io. Quello in circa si referisce a’ giorni; nm per questo die vuoi tu dire? non vedi che ciò ò detto con modestia? perche, chi vorrà asserire che la Stella nuova fu osservata in tal mo¬ mento di tempo, nel tal giorno, potendo essere stata vista anco un pezzo avanti da altri non cogniti all'Autore? Etc. CIRCA LA STELLA NOVA DELL’ANNO 1604 293 per li suoi scritti si vede non troppo cura le coso mathematiche. Non si lieve sarà già certo questo mancamento nell’ Eccellentiss : Sig. Galileo, quale nelle sue lettioni sì bellamente confuse l’ottavo giorno con il nono, & decimo, elio non fu possibile sapere se questa Stella apparse alli 8, alli ì), overo alli 10, cosa che si dovea puro diligentemente descrivere; sicome propose ancora il loco rispetto all’ ecliptica senza alcuna precisione. Ma venendo kormai alla determinatione del giorno nel quale primieramente apparse; dico che secondo il costume mio (che era di osservare ogni giorno Di si le Stelle erranti come lo fisse) volendo ridurmi con il Sig. Simon Mario Alemano mio carissimo Maestro in questa professione, & il Sig. Camillo Sasso gentil’huomo Calabrese, il giorno dieci di Ottobre, ad osser¬ vare Marte, Giove & Saturno, mentre io preparavo un mio quadrante per pigliare certe altezze d’alcune stelle fisse, por bavere l’elevationc del Polo di Padova, li Signori sopradetti si conferirono a vedere li sopradetti Pianetti, & mentre il Sig. Simone fra di se sospeso stava mirando la nova SteLla, che fori del solito con Marte & Giovo facea quasi ima linea perpendicolare, ecco che il Sig. Sasso levò la voce (so ben homo inesperto delle cose astrologhile) dicendo che stella è quella non più da me veduta; all’bora il Sig. Simone venne verso di me gridando, habbiamo una nova stella; mi conferii al loco, & apertamente vidi una Stella nel colore, & grandezza in tutto simile a Marte, che prima ivi non era, il che a me constava apertamente, havendo il giorno ottavo, & li antecedenti sempre a tal- hora osservato li sopradetti Pianetti, & particolarmente havendo alli tre di Ottobre osservata una Stella della quarta grandezza, che da Marte distava solo per 49 mi¬ nuti; si che subito feci congiettura questa Stella esser generata dal giorno nono sino alli diece: ma poscia che nel giorno nove fu il tempo nubiloso, si che non si poteano vedere lo stelle, seguita una consequenza, elio chiunque dice, essersi scoperta questa nova Stella qui in Padova avanti il giorno decimo apertamente s’inganna. Doppo adunque veduta questi Stella, & l’istessa sera anco osservata pigliando certe distanze fra alcune stelle fisse, come a suo loco diffusamente dirò, per cinque giorni continui per le intermittenti, & continue pioggie fu impossibile il vederla, alli 15 di Ottobre finalmente si fecce serenità; si che si puote vedere la sopraeletta Stella, quale apparve di più grandezza, cioè come Giove, & alquanto più, il cui colore, se ben ritonea del Martiale, havoa pure molto del Gioviale, & sopra ogni stella fissa scintillava. Da questo si cava non essere totalmente vero quello è proposto, che questa stella si sij di giorno in giorno augumentata ; perchè se bene il 15 giorno apparve di grandezza maggiore, non mutò però più la sua grandezza, conciosia che se bene approsimandosi al Sole apparve poco più picciola, 171 Tu, che fai il pedante alla parola in circa , dovevi dire ogni notte , perchè di notte s’osservai! le stelle. 294 CONSIDERATICENE ASTRONOMICA non fu cho molto sminuisco dolla sua grandezza, ma perché il lume del Sole alquanto roffuscava, corno aviene in tutto lo altro stelle: di più si scopro falso, che questa stella fosso simile in grandezza a Venere, non superando lei so non di poco Giovedì. Doppo dunque che alli 15 fu di novo osservato il predetto portento, an¬ elando un giorno a visitare l’Illustri»: Sig. Incorno Aloysio Comaro, lo avisai di questa nova & peregrina luce; quale mostrò bavero gran desiderio di vederla, il giorno erodo seguente ritrovandomi ancora in casa sua mi adimandò il loco di questa Stella, con la positrone, cho havea con Marte & Giove, allegando cho volea che l’Eccellentiss: Galileo la vedesse; io cho sino a queir bora non liavevo total precisione del loco di questa Stella, li scrissi la sua longhezza in circa 18 gradi di Sagittario, (fc la larghezza in circa doi gradi verso la parte Boreale, & anco li depilisi il sito di Giovo & Marte, che in rispetto della Stella nova haveano. Fra- posto poco tempo mi riferì il sedotto Sig., che Y Eccellenti»: Galileo havea poi veduto la peregrina Stella. Da questo cavasi una conclusione necessaria, cioè che l’Eccellenti»: Galileo lmbbi havuto il tempo, & il loco di questo novo portento dall’Illustri»: Comaro, del che non dimeno non no ha lui fatta alcunamente nelle sue lettioni. Credo che dalla sopra narrata historia apertamente consti questa Stella non esser stata prima del giorno dieci da alcuno osservata, già clic nel nono non fu possibile, cho alcuno la vedesse, quando bone si volesse credere, che all’ bora già fosse generata. Hormai venendo a quella parte dove delle paralassi V autor nostro parla; notisi, clic nel Cap. 3. volendo narrare Y opinione do mathematici generalmente propone lo paralassi; non come li mathematici, che sottilmente considerano le pa- ralassi secondo la longhezza, & larghezza in rispetto dell'ccliptioa, il che nulla dimeno li sij concesso, giaohè come Philosopho di cotal cose poche intende. Tra¬ lasciando poi le paralassi nel cap. 4. diffusamente «'ingegna induro li Mathematici in contraditione, perchè non potendo loro rispondere in che modo in Cielo si facci goneratione, in qual modo questa Stella si sij generata, non ci essendo ivi contrarietà, perché in tanto spatio di tempo mai si sii corrotta alcuna parte del Cielo, & non potendo ad altri simili quesiti rispondere, pare cho apertamente siano convinti. A questo se ben si potria lungamente rispondere, conio forai con altra occasione si farà; basti per bora, che li mathematici con evidentissime de- monstrationi provino che questa stella sii nel Ciel Stellato, come già fu supera- bundantemonte di quella dell 1 Anno 1572, dimostrato dal nobilissimo, dottissimo, & ingeni osissimo Thyclione B ralle. A voi Filosofi naturali tocha poi il solvere li proposti quesiti, & ritrovar il modo di queste generazioni Celesti, come senza 181 E porche ho da credere più a te, che la fai poco maggiore di Giove, elio a quelli che la paragonano di grandezza a Venere? CIRCA LA STELLA NOVA DELL’ANNO 1604. 295 dubio farebbe, se bora vivesse, quel prestantissimo et ingeniosissimo Philosopho Aristotile, quale si diligentemente considerò tutto quello, elio al suo tempo era stato osservato dalli mathematica. Cominciando nel primo Cap. 0 a parlare diffusamente contra le paralassi chia¬ ramente dimostra non haver cognitione, in che modo li mathematici considerino le paralassi circa le apparendo Celeste ; & mi maraviglio di tal sorto di argumcnto, ciuando dice il raggio visuale non passa per il centro dii pianetta, adonque non si possono osservare le paralassi. So questo autore fosse essorcitato nella Scliola mathematica havria veduto apertamente, che le paralassi fanno, che il corpo Ce¬ leste appare in altro loco, che non ò non solo secondo il suo centro, ma etiamdio con tutte le parti del suo corpo; havria ancora imparato, non esser tanto diffì¬ cile T bavero il centro di qual si voglia stella abcnche pieciola, se ben questo a dir il vero è fori di proposito. Quanto all’essempio della Luna, quando dice che non saria meraviglia so le intersettioni fori del centro della luna in varie parti di essa facessero varii angoli; quasi volesse diro, che le paralassi osservate dalli mathematici non siano altro, che quella differentia, elio nella presente figura si vedo (i 1), che ò la differentia tra E F, & C L), cioè la vera differentia delle pa¬ rlassi osservata dalli mathematici; la quale abenchc nella presente figura sii di qualche consideratione; nulladimeno nelle osservatami è eli tanta piciolczza, che non cade sotto li sensi: bora li mathematici osservano differentia d’aspetti nella Luna per un grado intiero, & più, & la Luna in Cielo non occupa più che mezzo grado, donde ne everebbe, che questa variationo d’angoli circa il corpo della Luna faria maggior differentia dii doppio, che non tutta la Luna; il che senza altra demostratione appare inconveniente. Ma già che bisogna in simili cose vul¬ gate persistere, notisi nella presente figura il centro A esser centro della terra, il punto B T ocliio, che osserva la Luna, E F la paralasse osservata nella suprema parte del corpo lunare, C D la paralasse osservata nella parte inferiore di essa 29(5 CONSIDKRATIONE ASTRONOMICA Luna. Tal che ho ai osserva tanta parala»* nella parte superiore, et nella in- fortore (lolla luna, non vailo perché il centro non debili bavere la sua paralasse il che non è degno che con più lunga orationo si ritinti. Quindi cavasi, che se la difforentia delli aspetti nella luna non si può salvare con la variatione delti pio- positi angoli ; molto meno si potrà salvare nelli altri corpi Celesti; che a noi si mostrano non di tanta grandezza Quello sogiunge dii centro dii Sole, credendo che sii impossibile ritrovarlo per la sua lucidezza, chiaramente dimostra non haver molto praticato in questa scientia, che certo se ne lmvesse cognitione non crederebbe li mathematici si scioclii, che volendo haver il centro dii Solo, tentino affisare rocchii por mezzo delli suoi raggi, ma non essendo questo degno di annotationo tralasciasi, cedo che volendo dalli mathematici imparare, ritroverà facilissimo modo noU’investi¬ gare il vero centro dii sole. Seguita poi, ò dico non potersi sapere; se Venere occulta Mercurio, o Mercurio Venere, & cosi d'ogn’ altra stella, per ciò sapere saria di mistica alle volte lasciando le ariose piume, sotto l’aria serena, contemplar quel mirabile artificio, elio non senza causa fu dalla somma bontà d’iddio avanti li nostri occhii collocato, & cosi si sana reso certo se sii possibile o no, si conio fecce quel diligentissimo mathematici» & osservatore Simone Mario, quale liavendo osservato, che la luna eclipsava per un’bora continua Marte, non puote se non molto meravigliarsi, mentre io li esponeva questo loco in lingua latina, non es¬ sendo lui ben capace della nostra materna, che si rivettassero in dubio simili cose. Lungo savia il volere puntualmente essaminare quella sua demostratione, che nel 2. Gap. 6 conchiude, ma superni’io che la verità è contenta di poche parole, mi sforzerò, con la maggior brevità possibile, pigliar tutta la forza di quella sua (lemostratione, & vedere, se è di tanto valore, che ineriti per quella doversi sa¬ crificare cento vitelli, o se pure, come io credo, è fondata sopra deboli, per non dir falsi principii. Ben volentieri sapria perché non ha proposta la figura di questa sua demostratione, che non havendolo fatto credendo fosse cosa tacilo f inten¬ derla, ò degno di scusa; ma se lo havosse fatto acciò non si potesse totabnento intendere il suo proposito non mi porebhe cosa bona. Propone adonque per fon¬ damento
  • N<>M1C A della luna quasi dii tutto opaco possi rompere & disfare quelli vapori, ch e di strepati nel corpo lucido della luna, secondo la sua opinione, faceano le sopn dette machie. Ma per finalmente una volta accostarmi al luco dove debbi apportare quello in simil caso ho osservato, A con la maggior diligenza possibile annotato; faccio una consideratione a quella parte del cap. XI dove parla della duratione di questa stella, & dico come è poKsibilc, che questa Stella essendo una essalatione sii stata quasi per un mese sotto alti raggi solari, & non sii htata dissipata da quel lume, se, come dice, la causa perchè hi galassia non è sotto al zodiaco è perchè la essalatione ivi non va per essere disputa dal lume di quelle stelle* dico adunque so il lume di quelle sti lle può dissipare quella essalatione, per qual causa il lume dii Sole non ha potuto < tivù | mi re questo vapore, die facea & ancora secondo questi fa questa Stella, A massime essendo senza paragone molto maggiore, io per me non so, se questo sii modo di philosophare overo di burlare. Et questo sii quanto mi è occorso considerare circa questo discorso, non con animo di oppugnare, ma solo per rumore di si nobil scientia, con quel poco ingegno che dalla natimi mi è stato conce m». A voi Eccellentissimi Signori pro¬ fessori Se perfetti mathematica toccherà il fondamentalmente difendere sì nobil dottrina dalle mani di chi desia lacerarla; mi rendo sicuro che non mancheranno, pure tanto è il desio che ho di sì nobil scientia, che mi forza a caramente pre¬ garli non voghilo mancare, acciò questi tali non liabbino causa di persistere più lungamente in questa sua opinione. Ripigliando adunque il mio ragionamento, come di sopra dissi apparve questa Stella itili dieci di Ottobre in tutto simile a Marte, si nel colore, come nella gran¬ dezza, & mirabilmente scintillante ; dii che io quasi stupito, non potevo acquie¬ tarmi (se bene ero certo per le sopra narrato osservatomi, & se bene ero certi¬ ficato dal Signor Simone, che in quel loco mai era stata osservata simile Stella) di essaminare diligentemente tutti li cathaloghi delle Stello fisse; & tutti li globi, che alle mie mani potevano pervenire; A pure con questo a dire il vero, restai dubioso sino alli 15, nel qiud giorno desioso di certificarmi non puoti ©spettare 1 occasso dii Sole, ma m’ingegnavo d’esprimentare se potevo vederla; finalmente tu vista & osservata della grandezza di (riove, o fioco più, che liavea alquanto lasciato di quella rosozza, è risplenden con un colore misto di martiale & gioviale. All bora scudato ogni duliio, che io liavea, che questa Stella fosse delle conosciute, applicai T animo ad osservarla. Rt notisi che ha vendo fatta una memoria locale dii sito di questa stella, molte volte per niezz bora avanti 1 oc casso dii Sole si è veduta, & questo alla, presenza do molti amici. Et precisamente alli tre di Novembre alla presenza del Sig. Boim dignissimo Syndico della Università de Medici in Padova, quale non solo CIRCA LA STELLA NOVA DELL 9 ANNO 1604. 301 all» fiora, ma infinito volte ancora ora intervenuto allo osscrvationi, come quello elio sopramodo di tal scientia è innamorato; fu veduta questa Stella sopra modo scintillante, mentre li raggi solari gagliardamente feriano li nostri occhii. Final¬ mente approssimandosi il Solo a questa Stella apparve alquanto più pieciola, il che non credo fosse in tutto per che lmvesso scemata la sua grandezza, ma perchè il maggior lume dii Sole incominciava ad oscurare il minore, si come circa il fine di Novembre parte per la presentai dii Sole, parte per le nubi clic circa Tbori- zonte in quel tempo stavano, fu totalmente offuscato. Si conio poi era stato co- nictturalmento da me, non una volta, predetto, che questa stella circa la festa del nascimento ilei Nostro Salvatore tiiesù Christo, dovea di novo in oriento far mostra di se ; così apunto fu osservato nella vigilia di questa festa, la sua prima apparitionc dall’Eccellentissimo Sig. Galileo; si come quando più fu allevata, & ri¬ mossa dal Sole in tale altezza, clic punte essere osservata, fu con diligentia, Se con instromcnti privi d’ogni errore, sino al giorno d’oggi da me osservata, come sarà ancora permettendo Iddio sino alla sua consumatione. Apparve adunque non già con la sua solita grandezza, come si può vedere apertamente, ma si ben lissa noi suo medesimo loco, Se punto nel qual fu osservata mentre era occidentale, come poco più abasso dirò, Se non manco scintillante. Ma per mostrare al let¬ tore clic non con parole ma con fatti, corno ho promesso, fedelmente Se precisa- mente voglio mostrar il loco di questa Stella, incomincierò a deehiararo in clic modo, & con quali stelle fisse ho ritrovato si la immobilità di questa Stella come il suo loco secondo la lunghezza et larghezza in rispetto dell’ecliptica. Quando adunque apparve questa nova stella mi ritrovai solo un instromento con quale si potessero pigliare le distanze fra le Stello, & questo non molto grande, quale però se fedelmente babbi servito lo giudicherà il lettore da ciucilo sono per dire, mosso all’bora da si eccellente novo spotacolo giudicandolo degno d’un instromento maggiore, con ogni diligentia possibile mi feci fai) ri care un sestante alla simili¬ tudine dolli instromcnti del Nobilissimo, & Eccellentissimo Mathematico Tychone Brahe; fra tanto però mi servii del sopradetto instromento sino alti 6 di No¬ vembre, nel qual tempo fu compito il sestante. Osservai adunque la distantia fra questa Stella, Se altre duo fisse, che erano accomodate una alla lunghezza, & l’altra alla larghezza; cioè la più lucida del destro piedi del serpentario, & l’altra più lucida del sinistro piedi dii medesimo, Se molte volte havendo reiterate le sopra¬ dette distantie con ogni diligentia possibile, Se principalmente mentre non solo la stella nova, ma otiamdio le due fìsse sopradette erano molto allevate, Se per ciò non pativano ninna o poca refrattione, finalmente fatta la suputattione per 1 aurea dottrina de triangoli sferici, ritrovai il loco di questa Stella secundo lasua lunghezza in 17 gradi Si 39 minuti di Sagittario, con larghezza verso la paite boreale di un grado Se 51 minuto. Ilavendo adonque fino itili 6 di Novembre con il soprascritto instromento osservato, volendomi sincerare dii loco di questa 302 COKSI l ) EH ATI ON E ASTRONOMICA Stella, & della sua immobilità, cominciai il (> giorno ad osservare con il sestante, & ritrovai il medesimo loco pigliando la distantia fra altre Stelle più distanti, già che lo sopradette per la vicinità dii sole incominciavano rendersi inosserva¬ bili. Doppo che si è fatta orientalo non ho tralasciato il' investigare il suo loco desioso di sapere se in tanto lungo spatio di tempo havea in qualche modo quello mutato; havendo adimque a questo lino prese Ir distanze fra la stella nova, la spica della Vergine, & la lance boreale, fatta la supputatione come di sopra ho detto, ritrovai il loco della Stella nova secondo la sua lunghezza, in 17 gradi con 38 minuti di sagittario, & la larghezza verso la parto boreale di un grado & 49 minuti. Dal clic si può vedere se questa stella c immobile, & se io fedel¬ mente ho apportato quanto sin qui ho potuto osservare. Nè credo elio alcuno possi prendere dubio, che le osservatami non siano giuste per quella picciola dif- ferentia, che nella larghezza si scorgo di dui minuti, & nella lunghezza di un mi¬ nuto: poscia che questo può provenire o da qualche puocho di refrattione che lmvesse la Stella nova : o pure perchè credendo io non esser dibisogno di tanta precisione babbi negletti alcuni minuti secondi, che bene si ponno scorgere nel mio sestante, per la quale sii intervenuta quella. ditlerentia, che con il scrupu- losamente pigliare li secondi minuti si renderebbe nulla: Ò: per questo tanto basti in mostrar il loco di questa stella rispetto all’ Kcliptica; di donde si scorge queste Stella mai haver mutato loco ma puntualmente fissa esser stata. Nel cui partico¬ lare giova annotare che l’Eccellentissimo Galileo nelle Lettioni volendo provare che questa Stella fosse immobile addusse haver osservato con un suo instromento, elio questa Stella sempre fecce una linea retta con la stella lucida della corona boreale, & con la lucida nella coda del cigno, il che non ora possibile quando questa stella lmvesse havuto qualche particolar moto. Io molto sopra di ciò ho considerato come babbi potuto addurr questo, cioè che queste tre Stelle facessero una linea rotta, essendo che più presto formano un triangolo: finalmente conciasi esser più verisimile, che lui babbi parlato di qualche altra stella, quale realmente fosse in retta linea, o che io male intesi le sue parole. Ma supponendo che par- busso di duo stelle, quali fossero veramente in una linea retta con la nova, non ò in tutto sicuro l’affermare da questo, che questa Stella fosse immobile, per che so bone quando era alquanto Giovata facon una retta linea con le duo fisse sup¬ poste, vicina poi all'horizzonte por la refrattione, clic osservata era di qualche consideratione, come dirò parlando dii loco eli questa Stella in rispetto all’uni¬ verso, non potea più fare detta retta linea; dal elio si può scoprire Tincertezza de questi instromonti con quali si vogliono misurare quest© rette lineo. Nulla di¬ meno io lodo il suo proposito già che con quella instromento comportava si sforzò ad utile publico maggior diligenza che il suo di manifestare li accidenti di questa Stella. Venendo boriimi alla disposinone di questa Stella nell’ universo, io statuisco, l’IIM'A LA STELLA NOVA DELI/ANNO 1(104. 303 clic in niun mudo può essere sotto alla luna nella parto ellomentare, come benissimo In dimostrato dall' Eccellentissimo Galileo nelle suo dottissime lettami, quale disse che questa Stella non havendo alcuna paralassi si dovea collocare nell'ottava sphera, il elio si è ritrovato vero. Ma io sottilmente & scrupulosamente in quanto è possibile intendo provocare, elio questa Stella, per la sua immobilità, scintilla¬ tone, & forma, con altri simili accidenti, non può essere se non nell’ottava sphera. Havendo adunque di sopra dimostrato, elio questa stella veramente è immobile, ne segue una consequenza clic di necessità si debba roponcre nell 5 ottava sphera fra le altre stelle lisse; perchè so fosse nell* aria, che por sua natura è vago & Huctuante, & per il continuo ascenso delle cssalationi saria impossibile, che si precisamente havesse riservato il suo loco senza punto mutarlo. Se fosse ancora in alcuna delle sopra poste spiarne, come saria nelle sphere della Luna, o di Ve¬ nere, (li necessità si saria mossa al moto di quel pialletta ; massime non ponendo, che le stelle si movino per proprio, & inclito moto ; ma clic siino circondotte dalia propria reale sphera, come volo Aristotele: & il simile si dica quando fosse riposta in alcuna delle altre splierc: di più vedendosi quella scintillatone in tutto simile alle stelle fisse, & non al lume delle altre apparente Celeste, delle quali alcune sebene men paralassi hanno della luna niente scintillano: havendo ancora la forma in tutto simile alle stelle fisse, & non di tiama acesa, cosa impossibile a credere che potesse avenire ad una essala tiene ; si cava che non possi essere in altro loco, se non fra lo stelle. Ma sopra tutte le ragioni il non bavere questa stella alcuna paialasse, 6 evidentissima domostrationo, che non possi essere se non fra le Stelle fisse, nel qual loco la parai asse per la sua picciolezza non è sensibilcl'A Di questo ne è inditio l’imver osservate sempre lo medesime distantie, si quando ora vicina all’ horizonte, come quando ora assai ellcvata, nelle quali mai ho ritrovata maggiore differontia, che de cinque minuti, quale proveniva per la refrattione, dii che era inditio, che questi cinque minuti laccano la osservatone vicina all’horrizontc più breve di quello era quando alquanto distava, cosa che è contraria in tutto alla paralasse, quale no dimostra le distanze vicine all’ ho¬ rizonte maggiori. Àdonquo seguita dall* immobilità, dalla scintillatione, & forma, dall 1 esser stata un* mese sotto alli raggi solari, dalla privatone d’ogni paralasse, che irrefragabilmente in niun'altro loco nò sotto, nè sopra la Luna si possi collo¬ care eccetto nell’ottava Sphera. Et questo è quanto per bora mi occoreva dire circa la situatone di questa Stella nell'universo: dove sogiungorò che volonta¬ riamente ho tralasciato di apportare la figura & geometricamente demostrare che questa Stella non babbi alcuna paralasse ; perchè non essendo ancora pervenuta al meridiano, restano a farsi molte osservatolo, delle quali senz’ alcun dubio credo al line di questo portento ne sarà diffusamente trattato dal Signor Simon Mario |U1 Ivi non è paralasse, a. a? Franco Atamano, & all 1 bora vedrano quelli maledici, che lo diffamavano per astro- logastro imperito delle cose geometriche, so dissero il vero, o se puro (come è il solito de maledici) havendo poca o nulla cognitione procuravano al torto lace¬ rare la fama altrui. Havendo dunque sin bora demostrato, clic di necessità bisogna che questa Stella sii generata in Cielo, è di mistieri, ohe ogniuno s affatichi, & massime li Philosophi naturali f in ritrovar il modo di queste generationi Colesti, & non così ostinatamene persistere in crederi*, che ivi non sia alcuna alteratione. lo per me non so explicare questa sorte di generatione, ben credo elio il modo proposto da Aristotele che conviene solo «Ili ellementi, & corpi ellementati, in niun modo possi convenire a questi corpi Celesti; ma che sii necessario il ritrovare altro modo, con quale si possine salvare questi accidenti: & chi ritrovasse tal modo, il che non credo sii totalmente impossibile, voghi ingenuamente comunicarlo, perchè da questo li ih* sortirà eterna gloria, non solo appresso di Philosophi, ma etiamdio appresso li Matliematici. Con questo adunque partili baver sodisfatto alla mia propostone, havendo dimostrato il vero tempo della prima apparinone di questa Stella, che le oppo¬ stola del discorso, non hanno forza di destinole le paratassi; havendo di più collocata questa stella nel suo loco si rispondente all*Kdiptiea come all’universo. Ma per che quelli adminumo simili portenti sogliono anco molto desiderare di sapere, che cosa pronuncino, pero non mi sarà grave brevemente qui più presto indure T anime in qualche pia conaideratione, che conforme al costume delti Astrologò volere componerc un giuditio determinativo. Per poter adunque più facilmente circa li significati di questa Stella conget¬ turalmente, & senza alcuna suporstitionc determinare, mi pare conveniente a questa consideratione agiungere ancora quella Stella, die Tanno 1572 apparse nel segno di Cassiopeio, perchè fu in tutto simile a questa si nella grandezza, come nella situatione nell’ottava Spirerà, & perchè mi pare contenghino in se queste due un certo mistero, poscia che il tempo intermedio tra le apparatami di quelle quasi puntualmente adegua l'età del nostro Salvatore (ìieaù Cimato. Considero adunque, che questo duo Stelle locato nella più alta parte dell universo *, cioè nell ottava Spkera possono essere prenuncie di qualche grande, vV mirnbil evento, & questo non in particolare, ma si bone in universale : il che si può confermare se voremo con¬ siderare la sua Smisurata grandezza che ragionevolmente debbono bavere; app ft * mutaci più grande assai dogai altra Stella fissa, con tutta la sua grande remo- tione. Di più considero, che sì come nello nascimento dell’unica Salute Chnsto apparse quella Stella dalli Magi osservata, quale fu premilitia di tanto mine alla Giudea, & dalla Conversione de (ventili alla vera fede; così forai si può dire, che queste due stelli» siino prenuntie di qualche gran mutatione bene le stelle non hanno inHuentia alcuna trelli misterii della nell’universo (se religione ma sole CIRCA LA STELLA NOVA DELL'ANNO 1604. 305 significatione) il ohe si conferma essendo apparsa quella della Cassiopeio, nella parte settentrionale acciò li (militanti sotto quel loco potessero vedere quel pro¬ li untio di tanta inutntione: ma perche erano corte regioni nella parte australe verso il polo antartico, che non poteano vedere queir inditio da Dio mandato, perciò ne appare 5 ! un'altra bora nella parto meridionale, quale prima occidentale, adesso orientale può a tutti satisfare : così che non sii loco alcuno, nò verso il settentrione; nft verso il mezzo giorno; nè verso 1*oriente, ne l’occidente, che non sii amonito al vedere, elio cosa possi evenire. Di più considero, che quella Stella del 1572 fu vicina all* equinottio vernale, qual loco secondo li più savii Astrologi sole significare il stato della religione, & questa appare vicina al sol- stitio hybemo, qual loco secondo li predetti Astrologi significa il stato degli Imperi, & de. Regni. Ri che applicando io questo cose al nostro proposito voglio credere possino essere premilitie di qualche gran mutatione, si nelle cose della fede, come de Regni, & Imperi. & perchè la prima fu alquanto più gioviale, per questo credo debbi essere prenuntia di qualche felice stato nella fede Christiana e clmtolica. di più si coni e quella del Salvatore fìiosù Christo fu di spavento a Herode Ti¬ ranno, & a tutta la Giudea, nulla dimeno insieme insieme predice» la conver¬ sione de Gentili; così ancora queste pare verissimile debbino perturbare tutti li Tiranni & persecutori della fede Christiana e eatliolica. ma insieme ancora pre¬ dire la conversione de quelli elio bora si ritrovano fora dii gremio di Santa Chiesa Romana: talché forai possi piamente credere, che siino prenuntie di quel felicissimo stato delle cose mundane, del quale parlando Christo nell’Evangelio dice che sarà un sol Pastore, & un sol ovile. Pure perché ambidue hanno del martiale, se ben questa molto più, si fa verisimile che questo non debbi essere se non con qualche grande perturbatione. A questo agiungasi che questa nostra Stella apparo con la congiontione di Giove. & Marte, nel segno gioviale, nel quale fu fatta, la magna congiontione, (piale sola secondo l’opinione de tutti li Astrologi, suole essere prenuntia di grandi mutatami nell’universo. Et questo è quanto havea determinato di proponere di questa asci ti ti a Stella; il che creddo debbi essere da ogni uno ricevuto in buona parte, riconoscendo la fedeltà mia, con quale ho voluto communicare quanto mi è stato possibile sin bora osservare circa questo mera¬ viglioso portento. DIALOGO DE CECCO DI RONGUITTI DA BRUZENE IN PKRPU08ITO DE LA STELLA NUOVA. DE CECCO DI RONCHITI! IN P ERPVO Siro Al Loftrio e Rebelendo Scgnor Antuogno Squerengo degneriflemo Caloncgo de Pana , sò Paròn. Con alcune ariane il' Incerto, per la me definì a Stella > * contra Ar fiotei. AL LOSTKIO. E R EBE FENDO l'ARON, ALL’ILLUSTRE E REVERENDO LADRONE. Kl< SBGSOU ANTUOGNO SQUERENGO DEGNKTIS81MO OAI«ON'KG() l»K DAVA. Qtte ditisco, li (Menda Segnar Paròn, h a veessè on vostro pnorero serriore, gite no fè mè altro, che la boaria, e 7 medierò de pertetjar le campagne, adesso, gite el la lo lesse co' a a Dottore de quigtji 10 da Para, per ria de dedotta? no re pa¬ rentela na botta da rire ? mo rancori* ; e si Ve. vera . Tamentre fè conto c* hb fatto con fè quella, < he se messe la resta, gae n* iera soa, per parer elio dottore. Uè rem, qne inehinda da tosatto, el me tirava el me snaturale a guardare in elfo, c si a (f baca gran piasene desfrguranto la boaro, le. falce , i Inron, la chiocca, e 7 carro, con tuffo ; mo gnau per qnc- 20 sto a no gite ri harae sapio faci la re, s a no v* ha esse sentii rh mille, e mil¬ lanta botte a dire mo na consa, mh n altra a sto perpuosito . K si de sta Stella nuora, qne dà tanta s mera regia a Mio el rcesso mondo ; per conto de dire on la sea, a gbe n* hi, per vitto de 4. dry net infirmo - 15. un — li: 1 », in filo ite , II. IL SIGNOR ANTONIO QUERENGO DEGNISSIMO CANONICO 1>I l’ADOVA. Che direste, Reverendo Signor la¬ drone, «e vedeste un vostro povero ser¬ vitore, il quale non s’è mai occupato d’altro che del proquoio, nè altro me- stiero ha fatto che di misurare le cam¬ pagne, pigliarsela adesso con un Dottore di quelli da Padova e mettcrcisi a di¬ sputare? La non vi parrebbe una celia? eppure, canchero! è proprio vero. Così fate conto ch’io lio fatto come fece colui che si messe il vestito che non era suo, % per parer lui il dottore. E vero che fin da ragazzetto, il mio naturale mi tirava a guardare in alto, e avevo un gran piacere scorgendo Venere, la Cintura d’Orione, l’Occhio del Toro, le Pleiadi, il Carro; con tutto ciò, neanche per que¬ sto non n’avrei mica saputo parlare, se non avessi sentito voi mille e millanta volte dire ora una cosa, ora un’ altra, a questo proposito. E così di questa Stella nuova, che da tanta meraviglia a tutto l’uni- t IALO(ÌO I»E rKrm DI kom nrm :H4 sera, da que ('riin mo, che 7 sprocieda sto servarne un? Na. Ma n' Itelo eezit (/urlio Siri Iti, che sberlosca lo sero zà tri misi, qoe lo po¬ rco n agio de zoettu? e si adesso lo se rè la mattina con se r<) a brusco re, qoe la fà on spionzore beici issano? no t'amor- zito t che la xi vegnua da fresco? r qoe no la s* ha vczuu me p) inanzo d adesso ? 10 tuo E è ella cosmi de sic stilerà regie, e de sti siedi i, segando, che dist on dot - Umi. cui», ij. toro da Varai 1 ). Ma. dh* in seta t), I/Iir la no s itale bie inè pi rezoa? Na. A seni) r ultra dia zzo ano , c/n lezea un certo slibrazzuola, e si ri disco, (/oc la se semnenzè a desfegurare lond a gi otto del mese (Eoli a brio passò. E si quel ìibrazzuolo el E lutea fatto on 20 lettrun da Enea, die / rnutant pò asse couse . Ma. Iloh cancaro a i sciupi ràggi do Varo, fnossi, per die questo no E ho rezoa elio , el mole, che tutti ghr dn rza , qoe niè pi lo no ghr sappi sto? (ènon mi a n* Idi me rezit le Torero rit e si h yhe rè. Na. Alo pre conto de quel In, ri no par pure on a mi, che la sea nuora. •W Ma. A no dighe o l'inani!ragia mi; I è, eh I sò ttiuò de forilo re nò Itoti ; se miga el foes.se per grinnego. Na. A se con fa gèni tanca, qoe E è n noni. Da eh.- tu mali mo', dio proceda si’asciuttali», eli? Na. O che mm hai visto quella steli» dio risplondova la sora, tre mesi fa, die pareva un occhio di civetta? li cosl adesso la si vedo la mattina, quando si \a a potare lo % iti, che la fa uno splen¬ dore bellissimo. Non te n’accorgi tu che l'è venuta di fresco? e che non s’era mai più usta prima d'adesso? L’è pio¬ tino lei la cagione di queste meraviglie O ili questi seccori, secondo che dice un dottori' di Padova. Ma. ( he ne sai tu che non la si sia mai più vista? N v. Io ho multilo I altro giornaccio mio che leggeva un certo lihricciuolo, e diceva che hi si è cominciata a scor¬ gere solamente agli rt del mese d’ottobre passato. K quel lihricciuolo, e' l’aveva tatti» un letterato ila Padova, che con¬ tava pi»i cose assai. Ma. Doli che venga il canchero ai cacherelli da Padova! forse costui, per¬ che non P ha veduta lui, vuole che tutti gli credano, che la non ci sia stata mai? Nemmeno io non ho mai veduto Tedescheria, eppure la c’è. Na. Oh quant a quello, e’ mi par proprio anche a me che. la sia nuova. Ma. li» non dico all’incontrario, io: I gli è che il sin» uhm lo di ragionare non sta, sì* anche e’ fosse da grammatico. N i. Noi conveniamo dunque che essa e nuova. Ma. Sì, mo scandi) tanfo lonzi d no pò sacre zi) qoe In sippio, per dire, che lo .rè dio , que no lago piorree. Na. Attedio, lonzi, lo ni gnau sotti Ma. Sì, ma essendo tanto lontana, e non può .sapere ciò che la sia, per din* che l’è lei che non lascia piovere. X \. Mio Dii», lontana! la non è nep- *' ll * ,. suolo < l) . Ma. Chi rio (palliti r ia) (allo 7 li- bvttzzuolo ? ciò peri n/a ore? Na. Nò, che r r Fitta) ri co. Ma. // è Filnorico? r hà da fare la sò filuoria col mesa rare? Xo salo, qur on zavcittin no pò fucilar de fibbie ? FI besogna crere a gì snidami! fichi, qur gl 10 è pertegaore tir Vaire, segando, che un mi a per lego le campagne, e .si a posso dire, a rasati, quanto Ir .rè lunghe, e lar¬ ghe, e così un àggi. Na. FI dista ben a ponto quel li- brazzttolo, che i Smetamatichi ere, que 2 . la sippia ella de belo < 3 ) ; nut che i no r intende. Ma. Ho per que no /' ìntcndegi ? me truognelo, o me fato V amore? 20 Na. FI disc, que i s maghimi, che'! Cielo sea scorro!tibelc, e zenderabcle iti (pianto a on puoco u tu botta, se migu et no poesse zenderarse, e scor rota perse Loren. cap. 4. tutto iti /' un /iò que segi ini ? Ma. On faellegi de str resoti i sme¬ tamatichi an ? S'i sia Ionie su 7 misu¬ rare, que glie fi) quello a òggi se 7 s appiè zenderabile, <) nò ? Se 7 foosse un de Vo¬ lontà, no poraegi ne p), ne mutuo tuorlo 30 ik mira ? ino ri me fu ben da rire, con si e sui) sbagi'affari. ■N 22. itti — S. no dir (devo) 0) « impero eh'olin non si riebbe intender sì poro lontaim «lnlla Terra, ma prossimana, e quasi contigua all’Orbo lunare. » ( l)itrono, ore., cnr. 10» r.) (‘) « i savi sono tutti occupati in questo dubbio, sella sia locata ne 1 Ciclo stellato, elio ferina mento si dimanda, o veramente n«*ll'Aria, come una rie le cose, che Metheoro sono appellate «lnlla loro altezza sovra la Ter- ra: Q uel,a * sostentata ria li Mathematiei, e que- s ta da li T liilosophi Naturali. » (Dìnromo, ucc., oar. 4» r.) ( 3 ) * Conciosiacosa elio questa nuova Stella, come d» sopra è detto, comparisca oltre al numero delle nitro, si riè per corto (‘ledere, ch’ella sia stata di mi"\<> generata, però che non è da dire, eli*ella si LA STELLA NUOVA. 3] 5 | puro sopra alla Luna, pur quanto di¬ ceva quel libricciuolo. Ma. Chi è quello che ha fatto il li- | brieciuolo? È egli agrimensore V Na. No, elio gli v tisosofo. Ma. Filosofo, gli èV che ha che fare i la sua filosofia col misurareV Non sai i tu clic un ciabattino non può ragionare | di fibbie V F/ bisogna credere ai mate- I mutici, che sono misuratori dell'aria: siccome aneli io misuro le campagne, e j così posso dire a ragione quanto le son lunghe e larghe: o così anche loro. Na. K’ diceva proprio appunto quel libricciuolo, che i matematici credono | che la sia alta dimolto; ma che non ci capiscono. Ma. Ma perchè non ci capiscono? Mi canzona, o mi fa all*amore? Na. Dice che e' s immaginano che il Ciclo sia corruttibile e generabile, così a un po’ per volta, se pure e' non po¬ tesse generarsi e corrompersi tutto in un fiato: clic so io? Ma. Dove i matematici ragionali eglino in questo modo? Se loro si oc¬ cupano solamente del misurare, che gli fa egli a loro sV sia generabile* o no? , SV fosse anclie di polenta, non potreb¬ bero essi nè più nè meno prenderlo di mira? Oli, e’ mi fa proprio ridere con queste sue. ciarle. sfalso nascosta così chiara, e così granilo noi Cielo perfetta monto Dinphano, o trasparente, uè ragione si punto addurre, perchè, et in che modo sia così n poco a poco vomita a far di sè. mostra; ina ferma* mento rotai apparitionc, ot accresci mento di essa è sognalo di cosa generata, ondo si manifesta ch’ella non può esser ne* Cicli, poiché essi, benché dallo Autor riolla natura creati, et ria lui, se volesse, an- nicliilabili, sono ingeneratoli, et incorrottibili, come prova Aristotele. Ma perché i Mathematiei non gli consentono, o dicono clic ’l Ciclo secondo le sue parti corrompere si può, tutto che mono rii questi infe¬ riori.... * {Decorno, eco., car. 0* r.) DIAlAHiU l)K < KIVI) 1)1 UoM IlllTl ;; i (i girili, ch|i.4. Na. Alo rè bella, quc et (lise emise de sta fatta in parasse luoghi ; e s ì /fO .sr r///c rè in golla de ma neo. Ma. Te parse r/lc't furile eoa gi smeta- maIirlii?tana atre fi tanto scapezzila,rifa no posso tasere, nati amo fegura, (pie on paoeo de Cielo eh ire, e n altro puoro lire, s* babbi combinò a uno ; ri straorzerà cUn on ri manebe Y (piando se fu le mirale, r le ' pinze, on se rè ri segnale, (pie Ir sta stè tolte 20 per metterle insrmbre Y ino digaino de tu stella, on s'è schiarii) Tagirre, perchè e! ruote, che tu sappi inzrnderà lire elioY E pò s unaghinelo ( la stria Ih ii da diri a / prere) (pie tutte le stelle che .re in ( ilio se possa rere Y et if è possi baie. E per- z non temi, chi me fèti, (ha no possa dire, (pie tri, o quattro, e an p) strile de quelle i me no re, che no se rea, se .re nmucchir, e sì gi hà fatto sta Ulta grandeY So porne j an essere, qae la se focssi zi aderì) in I agi ere, e pò, rhe sempre p) la s ’ la tessi alzi) Y fame a tre a no mò dire ste emise, Na. Ma il lidio >i è, che egli dice cost* di questa latta in parecchi luoghi di quel iibricciunhi. Ma. () che vuu' tu ch iù gli faccia Rh è friovaneV lascia ciré* so ne cari la voglia. Na. Kg li diceva che se la fosse ge¬ nerata di tresco nel Ciclo, e’ bisogne- iclibe anche clic un'altra Stella, o qual- eh 7 ultra cosa, si fusai' corrotta in scambio suo li proprio, o li vicino: eppure non si vede clic u inanelli nulla. Ma. li par egli eli e’ ragioni come i matematiciV Oh senti, la è tanto senza capo nè coda, clu* noli posso stare zitto, l’uniamo che un po' di Cielo qui, e un altro poco li, si siano combinati in uno: s accorgerà egli dove ne inanelli? quando si tanno le nuvole e le pioggio, dove si vede il segnale che siano state tolte per metterle insieme? Or veniamo alla stella: dove s‘ è mai diradata r aria, poiché egli vuole che la sia generata proprio lì ? li poi s’immagina egli (sa¬ rebbe proprio da dirla al prete), che tutte le stelle che sono ili Cielo le si possano vedere? e’ non è possibile. E per giunta chi mi tiene ch'io non possa dire che tre o quattro, o anche più, stelle, di quelle minori, che. non si ve¬ devano. si siano ammucchiate e così le hanno fatto questa bella grande? Non s. bisognerà* 14. *c«n lo. mn li». , /w «. In «vi -«p/d P) • Adunque si dee sapere, elio alla gene rnthoie, «• noigionta la conmttiouc, onde In Ueuerntione di uno, difesi, eh* è corrottione d'un altro, *• pero. |**r recare i punti, che occorrono, tm mestieri moiifttnm «U»»l cosa in questi tempi si *>ia nel Cielo corrotta. * ( liiirom, occ., car. 7* r.) — , Noi, s, quietano lui* pertanto i Mathomatioi, et adducono, quella «liv.d* irata sententi a, «he è drdxilnza di giuditio lassar*! sensu, ricercar* la ragione, ma i» Animi Mentili, che inni |»«*r ostinatami. ma per armo* della rarità venite contradicendo, tuoi vi vantate d haver *1 sentimento mani fusto in questa materia, pero che so md alla pr»< ••mio le ctoUinue traditioni de gli Antichi non appare niente mutato nel Ciclo, nè secondo I tutto, in» seciuido le Mie parti: u«liiii«|U0 meravigli)* ir«»ppri sjirelitte, che unii Stella di nuovo si gene* rosse, «• * «irrompessi*, non si generando nò cor* roiiipendn, in* pure diiniunemloHi n accrescendosi al* cuim del le altre. • t l)i*eumu, ecc„ car. 7* c.) IX PEHPUOSITO DE LA STELLA NUOVA. SI 7 prr qne la a è wè sprrfcssion, no me n intenda ni orni ; busta, 27 pNMÙM £8. rettdn UOM. in mentre fa porne an rete- mr»r, ron digando *ta l«>*ùn rhe I l'tedo no »e ninr«i ffnnnrhe inanin flit fila nokiW, e retar jter (ri( ahi»HI /alti fp'W da ♦ / Variai . r da • Corerrhi de ranr rhe > r tenie de leltrn. rhe % In nude in «Como, (la pOtrflbl)0 anche rillV lwMTftr»* mn diro quosU bugia, rh«* il Ciclo n*»n *i ranvrra nomraono prima rht* la nascesse, c citar per tosi inumi falsi quelli dai Ciurmili dai Co porr hi di <*annr, eh»* ho» grnte «lì lotterà, i quali In vogliono « quost<» modo.) In margina fìHPedfciono roron*» si |rgr>: • Accenna i Pitagnrei, k i Copernicani. » (D Ciò, p#*r verità, non trovasi .•*pli. *20 Ma. Et Cielo? per qae mò ras) et | Ciclo? E ini à dire , qae d Paraiso . che , xfr desom dal Ciclo , xè dio cos) paro , ; 7 rff'sé? sto dottore. Na. La gite par na consa impossi- bole, que na stella cos) granddisscma possa defatto borir fnora in E una pre - ' Lowi.™>, crr. t car. 7* r.) 39 Idrati, « ap. fon-mi. cali. 320 DIALOGO DK cKC despetto a la terra, te parse mò , que !' i na gran sm eraregia ? Na. Mo se rè cosi, a cotnuò atleta, in pè de crescere f la stella adesso? I Ma. A cìurzo , (pie la rughe ditgmrra p) in sii wi ; e. que 7 para che la mie. per que la ni’ ih) lunzi . Na. Pian che e / librai?nolo disr, que 1) i primi d\ clic la se rete la rresersuadono : e lo dico perchè colui dal libricciuolo va troppo fuori di strada; e si che vorrei tenerlo in carreggiata. Na. Or bene, senti anche questa. E’ dice che non si può generar niente nel Cielo, perchè (dice lui) o' bisognerebbe eh* e' ci fossero dei contrari, e che e non ve ne può essere, sondo che Vè una | quinta nominanza o sostanza, elio so io? 0) « Primieramente si ridde ella pie» fola,pnaria di di in di croacondo è divenuta in apparenza di gran- •Ifzzn, »> di lume, min mirha inferiore a Veneri», et su Perforo a Oiove, et a qual' ai voglia delle «teli* fi**.-, in imini delle riunii scintillante si vede, et nel suo Mio tisHa, et stabile, imperò che né ordine, n«* distanza dallo altre muta, et anrhora apertamente av-rt**» rhe ha uno istesso movimento che hanno fo altre JW di hr>re 24 su li m«tarimi Poli ria fo rante in Ponente. • K LA STELLA NUOVA. 321 Ma. Mò s) Mole, yi ì de quelle baite de Si oetme queste, e di suo brighente; eh! i no su s } i sea rivi, e si i vuoi fuci¬ lare de Cielo. A cherzo, qua in Cielo yhe sappi cosi ben caldo, e. fendo, e mo- yio, esulo, condì un dure ni), per que? no se vi, che 7 gli! è del spesso, e del chiaro, e del lusente, e de! scuro! che exjgi guiggia i idi tutti uno a d incan¬ ii) tragio de d altro ne nò ! ino vuota pi ! sta stella yhe poca essere, e si no gh? imi, e si adesso la yhe re. id do rotano que¬ sto! moa, darre la bocca, e si lag a exjnir fuora quel, che 7 ruote. E pò elio el fà conto de desbutara con yi smeta- matichi, e si zar lega de sto reson? on sita Italo cattò, quo on mesuraorc vaghe spelncanto sii ste umile ! ehi yhe I! hit 19 ditto à elio ! Loren.cap.4. Na. Mo cancuro, el gh!arzonze^b que se in Cielo ghe foesse terra , aqua, aire, e fuogo el no se porne stravere con se fà, sianto, che el dorntcrac spesso, e scuro. Ma. Sì se qui leniiuti foesse della, fatta di nuostri; mo gì c pi sprefetti, segondo, cld a seni) na botta a dire al nu) panni, que el disco, che Piantoli el 29 disco. Ureii. «ap. 4. Na. El disc anche W, que a sto limò, el Cielo no porne anar a cerca via, sianto, che i leminti và tutti in sii, ò in zò, ino nò attorno. Ma. E se mi a diesse a I! incontragio, que i và anche attorno? Et gh'amanca 17. un — 20. cancan) — 2’f. doentaixie (‘) « lascio di rugionaro centra chi dicesso, ubo tra li Cieli si trovino lo materie edenico tu ri, però elio que¬ sto contrai) icendo al Tordi ne della natura, et al senso, imperciò elio snrcbhono ivi gli Elementi con tra la loro natura, e per lo mischiamento della Terra o del l’Acqua, opaci tade cagionorebbouo. * (Ducono. eoe., ear. 0* r.) Ma. Oh! sì, cipolle! Le son di quelle botte (la Aristotele e compagnoni suoi, queste, che non sanno s’ e’ siati vivi, ep¬ pure c' vogliono ragionar del Cielo. Io credo che in Cielo ci sia nò più nè meno caldo e freddo, e. molle ed asciutto, coni’è anche qui da noi. Perchè, o non si vede eli’ e’ ci è dolio spesso e del rado, e del lucente e dell’oscuro? Che è egli ciò? o non sono tutti l'uno all’incon¬ trario dell’altro? si o no? Ma vuoi di più? Questa stella ci poteva essere, ep¬ pure non c’era, e poi adesso la c’è. Non è il rovescio, questo? Ma lui apre la bocca, e lascia venir fuori quel eh’ e* vuole. E poi, e’ fa conto di disputare con i matematici, sciorinando di que¬ ste ragioni? O dove mai ha egli trovato che un misuratore vada speculando su queste novello? Chi gliel’ha detto alili? Na. Oh canchero, ma e’ ci aggiunge che se in Cielo vi fosse terra, acqua, aria e fuoco, e' non ci si potrebbe vedere attraverso conio si fa, sendochè e’ diven¬ terebbe spesso e scuro. Ma. Sì, se quegli elementi fossero della fatta doi nostri; ma essi sono più perfetti, secondo che ho sentito una volta dire al mio padrone, il quale di¬ ceva elio lo diceva Platone. Na. Egli dice anche, che a questo modo il Cielo non potrebbe muoversi in giro, sendo che gh elementi vanno tutti in su o in giù, ma non attorno. Ma. E se io dicessi all’ incontrario die e’ vanno anche attorno? E sì che (f) « Mn dio egli non sia fuoco, o smagliante¬ mente, ch’egli non sin veruno ilo gli quattro Ele¬ menti, si manifesta; però che essi non hanno 1 movimento circolare, ma diritto o al in sù, o al in giù, quale nel li Cieli non si ritrova. » (Dùcono, eco., car. S* r.) DIALOGO hK ‘KC(,<> hi IU)N( inrri 3*22 (J M « .VII utlc aironi- i elitra ni (/ne dine, clic la ferra se calie illune di Coper- . .. nico. a cerca, con fa na muoia (la maini, pul¬ sate. mo I) de (ji altri, con la cà a fati¬ la re y tutti sii faci fa et. Na. El due pò, que la stella xè op< Loren. cap*7. la Luna, ma desottoghe^ 1 '; e che lire ri no glie pò esser fuoyo. Ma. L 'hà fatto ben a dire, qtir na glie fuoyo f per p) resati. 10 Na. E ras) el tin, que 7 sipia aire, quello, che lecca ri culo (a massi dire, L«m»n. cap. 7. el Cielo) de la Luna Ma. Moa, urna, el paca luti din an questa s't. Na. A ((liscio) ri < irla no pò esse rr Lordi, rap. 4. de fuoyo ,J> , per que statilo casi grandi d brusente, tutti gli altri le minti. Ma. Mo me regna et morbo, che que¬ st ù, snudo dottore, se 7 se messe la rista, '10 el paret ar ti boato, dime on può; ita fai ira sola na basterà e la à impigiare on pagiaro, e po anche a brusan (punito legname se catta ? Na. A cherzo de si mi. Ma. E si quante foruase se ut mondo , le no porae brasa re on Cecchin, che futssc (i oro. per que rnò? scio jmt que? mo per que l'oro no se po brusarr. e cosi anche se gi altri lem itili poessr bru- J0 sorse, basterne on puoco de fungo, pn far i effetto; senza tanto ro 7 due rio. mancano lettorati, i quali dicono che la tomi gira tomo tomo corno una ma¬ rina da inolino! Pensa poi tu degli altri: quando si tratta di discorrere, tutti sanno discorrere. Na. E* dice poi che la stella è vicino alla Limai ina di sotto: e elio lì e 1 non vi può esser fuoco. .Ma. Ila fatto bene a diro ohe non r r fuoco, per più ragioni. Na. E così egli tiene che sia aria quella che lecca il culo (i volsi dire il Cielo) della Lama. Ma. Eh, eli, <•' poteva ben dire an¬ elli» questa, si. Na. E (die egli) il C ielo non puòes- Muv di fuoco, perchè essendo così gran¬ de, e Inorerebbe tutti gli altri elementi. Ma. Uh che mi venga il morbo, se ( ostili, dottore coin è, cavandosi la vesta, non sembrerebbe un uomo come un al¬ tro: dimmi un po*: una sola favilla non basterebb ella ad accendere un pagliaio? «• poi anche a bruciare quanto mai le¬ gname si trova? Na. I/o creilo, io. Ma. Eppure quante fornaci c’è al mondo, le non potrebbero bruciare uno /rechino che fosse d oro. Perche dun¬ que? lo sai perchè? (ili è perchè l’oro non si può bruciare. E cosi pure se gli altri elementi potessero bruciarsi, baste¬ rebbe un po’ di fuoco per far l'effetto, senza chi» ne occorra tanto come dice lui. 1 . flint Or hm y\ ; Man ti . ’ ...» %trnn « 1) rAr 0 ld. JH090; jhitM ropwin/o filo anare eoi ... rrlihr,n >0 tori» a yi nitri In à froda «m. •*.« mn*-i (|hTi b* Volendo lui Miniare col MIO cervello sopra Hjrli alili, la Strada san-M*. sutn troppo p*ri'o|c^). Al. K r.*i II. r 17. limititi 20,‘22,26,30. m» - (0 - la predetta Stella non pu«» k. »..» nell Aria pronai ma al Cielo della Luna, quello qiuu, tifando. * (AVfino, ore., itr. 19* r.) (*) * ni m ..rir». la fallita «Iella opinione de' Mo¬ derni, i quali | mettono, r||»» torchi, .t |rhi il i i' !o d' ila Ulna. l/Wm», ine., eur. 19 * r.) • ) • •• .inchora «^viidci I fuoco i) più possente •le irli altri Elemonti, e rosi separato, e di tanta sm- pi« //.i, chi non viale, ch’egli AbbrngierobtMì il restante del Corpo Elementare. * (/hVorw, occ.. car, 3* >*.) IN PKltlTOSlTO I»K LA STELLA NUOVA. Na. L« ghe ,(t l (i > 7 mini» de quello; m trito po ù fmiiawèn , che 7 Cielo sea fuogo? Ma. A no dighe eoa) mi. L i 1 clic 7 , dottore viga attlnio senza perpnosito; e si el le dine senza in e freghe sii eolio , | Na. Alo siati st 'altra, (/ne la ii è Uren. cap. 5. n\iga da manco nò. El diseP', que isole- 10 tamatkhi In) de boni ordigni, e de le reson freme; ma i no Ir sa rorerare. Ma. A comuò se n rio odo ri toc st¬ rado inè [reio de la /or dal Bò? didime nei. se ou smctamatico egnirn cliirehton- derni, e si el te dirà : Aule, m i a cab sanie dire quanto gli e per aire da sia nogara a l } terzere; e si ri lo mesa reni co i sia) ordigni senza ma or erse; e ro 7 rbabbi mesterò, e quo 7 te i babbi ditto, 20 an f) te 7 mesnreriesi co ’ un /ilo, ò a gualcii 1 altro mia), e si te cattcriesi qne Ir cos) ; no cherdereto, (dir 7 ronere ben i snò ordigni ? Na. La va co .suoi incili, quanto a quello; ma credi poi tu fermamente clic il Ciclo sia fuoco? Ma. lo non dico cosi, io. Gli è che il dottore grida Accorr* uomo, senza pro¬ posito: e lo dice, la, senza mettervi su nè olio nè sale. Na. Sta' a sentire quest'altra, che la non è mica da meno, no. E’ dice che i matematici hanno dei buoni strumenti e dei sodi argomenti; ma clic non li sanno adoperare. Ma. 0 in che modo se n ò egli ac¬ corto lui? Sarchi/egli mai fratello delia torre del lio < 2) V Lamini retta. Se un matematico verrà qui, e ti dirà: Natale, i’ ve’ saperti din* quanto c'è peraria da questo noce all* argine; e lo misurerà co* suoi arnesi senza muoversi; e quando l'abbia misurato e eh'e’ te l’abbia detto, anche te tu lo misurassi con un tilo, o in qualche altro modo, o tu trovassi che l e così, non crederai tu ch'egli adoperi bene gli arnesi suoi? Na. Aio s) mi, qne rader Ma. Perchè tanca quando ri mcsnra na stella (per mnò de dire) ogiongi dire, (pie 'l no sà fare ? e pò se 7 falla, ] che 7 falle de mi/imita, e de milion de magiara? se 7 diesse d } on pnoeo, eoa SO sarete a dire, quattro dea, ò na spana, \ a taserae. ino de tanto? /'è massa gnoca. Na. Ma io sì; e che vuol dire? Ma. Perchè dunque quando e ? misura una stella (per modo di dire), vogliamo dire clic e non lo sa fare? E poi se e sba¬ glia, eli* e’ sbagli di millanta e di milioni di miglia? Se e' dicesse d* un po’, come sa¬ rebbe a ili re quattro dita, o una spanna, starci zitto; ma di tanto? l'ò troppo grossa. Na. Seta po, qne reson de i smeta - Na. Sai tu poi, che ragioni dei ma- tnafichi el veti à cantare? tematici e’ viene a contare? 14, 29. un — 14. rrf/in\ò — 18. co’ i — 20. vogiongi — (*) « «tuolla sciontin, che optici! s'uppella, tanto por In speranza ili maggioranza, con la certezza do dilettevole non solo por la sua certezza, quale ella li vostri principi!, o cagione, che voi nell’applica- tira dal suo Padre tìcoiuetra, ma cLinmlio per lo tiono di essi, il clic sin con vostra pace detto, v in- uicra vigli oso coso ch'ella prometto, poro clic* il co* ganniate, discostandovi troppo dalla i'hisicn materna Mescere le distanze, e grandezze, c luoghi da lou* origine della Astronomia. * (VUcorco, ecc., car. 10* n> timo con ragiono di vista, ò purtroppo cosa singo- (*) //«, eioò line , si chiamava e si chiama tuttora lare, c- una prerogativa stupenda, «■ questo diletto 1‘ edilizio che serve di sedo allo Studio di Padova, Ivorcm. clip. I.orcn. cMp. I.'JIVII. CM|». T>IAUH«0 DK rEf(0 L>i ROM HI H I 32 L Ma. Di ma. u. Na. (Jna lit jrè de tugiar ria (disvio) on pezzo don rerrcne, r (pie la Stella. così a no la possali reir, per p) de 2 . mez'hora. E n ultra de unaryhe sotto a piombili, ramina ntoghr al rrrso cinti dì/ megiuri. e. si ri dine, que Ir mi fii a perpuosito, sònito, che tji è a mostra n il que la stella sta pi in sii de dòse a ine - (JÌU { *\ e si an elio (lise, che I'r no bri pezzo pi elta. Ma. Cullano, I r aguzzo dal rno grosso; ino se 7 ere, sto Christian, que la stella rughe pi in sii de diesr me - giuri, v si an quelle restia el disi ; i • segnale, gite Ir n ha da far eoa elio; perche tonai mettrele sul sò stihrazzaolo, e po (lire, que le n ' è a js ipnosito? Ste resoli le fa fatte (per quanto i disru a *20 Cara za linoni di) anitra on mazorenti di filfiorirlii de Statene, que ali /torà te - gaia duro, e fremo, che la li imi pi alto de diesi 1 omcyiu ; e perzunntena questa dal libra zzatilo (lini biga rie sture, qm le no glie dura fast ih io. Na. Orhcntrna, glie tir pi, dissi (polii, elle castrava i porrieggi. an, si, si, ginn - dussa, ma et gli è on brutto intrigo de Crea lasse, e de me, r de Luna . qui 30 segi mi? pensate, che quella, rhr lezta la disse , e si la (leselituri pi de tré botte, e si gnegano no i intende. Ma. El dii haerla intrigò a pwUa •1, io, ilO, un II. rttmttuititvH* 12. 0) « Impigrii che supponendo, chu lo C«rrhio moli.• «Ila 'forra di rirconferentia prossimo, com* di.-o miglia sopra di quella alto; da l'OrfoonU* regna tAgliato per una picciola mia portion»*; •> mauifmlo, «‘h'iratendo i«.tale stella coai propinqua a noi, i*» cho ore starebbe sopra rOriiotite, ? che a chi que¬ sto mutasse per poco «patio, per conto de la rotoudrtxa Ma. Di su. Na. I na Y è ili tagliar via (dice lui) un pezzo d* un cerchio, .• che la .stella t osi non Ih possiamo vedere per più di memora: e un'altra, di andarle sotto a pioutho, camminandole in direzione pel ventidue miglia. K così egli dice ria* non fanno a proposito, sondo che gli «* «Ih mostrare che Iti stella sia più in mi di duri miglia; e si anche die’egli che T e un bel pezzo più alta. Ma. Canchero, costui è acuto dalla parte grossa! Ma s egli crede, questo cri¬ stiano, che la stella vada più in su di dieci miglia, e ne dice anche quelle ra¬ gioni. gli è segno che le non hanno che fan con lui; perchè dunque metterlo sul suo libpicciuolo, e poi dire che le noli sono a proposito? Queste ragioni le lui on fatte (per quanto dicevano a Padova già parecchi giorni) contro un maggiorente de' lilosoti d’Aristotele, il quale allora teneva duro e fermo clic la non era più alta di dicci miglia; c per giunta costui dal libricciuolo doveva lasciarle stare queste ragioni, che non gli davano fastidio. Na. Orbene, ce nè più? disse colui che castrava i porcelli. Altro che ce n è! Nespole! e c ò un brutto intrigo di pa¬ rallasse, e ili vedere, e di Luna, che so io? Immaginati che colui che leggeva T ha detta, e poi Y ha dichiarata più di tn» volte, e pure nessuno l’intese. Ma. K lieve averla imbrogliata ap- tfU+Uti •l»* In T»*rm, **ll« «i nAH4*ondorflld»e, « che chi caini 1 n»>*. in v«*r‘ la latitudini’ di l'twa, discostandwi dal l*i»lo p*r jx m he mijciin senz* under «otto al sagittario, U si tn»v.*r* l)U' nel Z«>nitli, n punto A orticaie. ( lh*rarm>, ncr„ rar. 4* #.) ( t ) • ili rimo lonUni*HÌmi* fuori d'ngni credenza. * l/Wono. ih*c„ car. IO 4 r.) IN PKRPU08TT0 DE LA STRIALA NUOVA. 325 elio, por parere u homo da zb y e da palo.- e si la sera pò a n’ altro miri), perche a $è bea mi, (pie dr la Prealasse el no pò haèr raso a. che Ve on nmb de mesurare per alfiere, massa segavo. Na. La game mb rere s'a me n are- : Lorni.«,]). fi. mordesse on pnoeo. el (lise prima men (i) , I che no se pò guardare de mezo fìtora ! a na stella ; e que stagnato eos) da lumi, IO el n’è possi boi e. rat targhe el mezo, mas¬ sima mentre, per (pie Ve na consa tonda; j e que. M\. 'Vasi, fasi on pub , che te glie ' n è ditto pareggie in V on groppo, ehi e queliti, che eherza de porr smirare de mezo via à na strila , s imito, que Vi tanto grossa ? che rmtcabaro de /ita/no¬ rie se rato a maghinare? gli'in salo de i p) beile? questa sera la prima. IV altra. I 20 a comnò catteriesto miegìo el mezo (V un crivello; mettantoghe gi rocchi a pc, n sì argnu tot e on bel pnoeo? fittali, lib. 1 ••t lib. 4 etc. End opt. Na. Mb, stagantoghe da tunzi , per que sa ghe foesse a res)n 9 a no porne (pian desfegurarlo que stesse ben. Ma. Guarda mo tonni se Vi et vera, { que no se possa cattar el mezo de le i stelle, per che gi è lunzi? A V altra, in che da risto pi freni a men in lo mezo, 90 eon na occhia , in quel (V ona balla, o (V on gomiero? Na. Canea baro ; (V ona balla; per que cb a V esse giusta in V on verso, tu seme giusta in tutti. posta lui, por darsi l’aria d'un uomo di gran levatura. E la sarà poi in tutt’altro modo; perchè io so ben io, che, quanto alla parallasse, p* non può aver ragione, perchè gli ò un modo di misurare poi¬ ana troppo sicuro. Na. Lasciami mo’ vedere s’io me ne ricordassi un po’. Egli dice primiera¬ mente che non si può guardare attra¬ verso una stella : e che stando così da lontano, e’ non è possibile trovarle il mezzo, massimamente perchè l’è una cosa tonda; o che. Ma. Taci, taci un po’, ohe tu n’hai dette parecchie in un fascio. Chi è co¬ lui che creda di potei- mirare attraverso a una stella, sondo ohe ]’ è tanto grossa? Che canchero di filastrocche si va egli a immaginare? ne sa egli di piò hello? Questa sarà la prima. L’altra: o come trovoreresti tu meglio il mezzo d’un cri¬ vello: mettendoci gli occhi da vicino, o allontanandotene un bel poco? Na. Ma. standogli da lontano; per¬ chè s'io gli fossi vicino, i’ non potrei nemico vederlo bene. Ma. Guarda ora dunque se l’è vera che non si possa trovare il mezzo delle stelle, perchè sono lontane? All’altra: in che daresti piò sicuramente nel cen¬ tro. con una occhiata: in quello d’una palla o d’un vomero? Na. Canchero Betta! d’una palla; perchè quando l’avessi colta giusta in un punto, la sarebbe colta in tutti. 4, 7, la, 14, 22, SI. aa. un — 4*»». fin m^nururr IO. pmi'ltolr — llO. !)2. inni 0) * primieramente dico, cho nvenga, ehi* noi con* cediamo, elio la Paratasso sia vera secondo la ra¬ giono Mathematica, che pongono i Matliomntici. non dimeno secondo la ragion Physica affermiamo, che non si possa conoscer nel' Pianeta: per lo che, come di sopra accennavamo. In dimostratinne do gli Ma- Ibernatici manca, e di vero, in (pml modo vorran- 11 eglino, elio noi con la vista trapassiamo per lo centro d'un Pianeta? conciostacosa che pigliare il centro, così di lontano, sia cosa impossibile, partico¬ larmente nel corpo sphcrico, o non si pigliando 'I cen¬ tro, quolla ragione cade, perché non saria meraviglia se lo in torse ttioni fuori del Centro della Luna in varie parti di essa facessero va rii angoli: ondo non essendo gli estremi della comparatione di pari condltioni, essa giusta non sarebbe. > {lhucorm, ecc., car. 11* r.) 326 DIALOGO 1>K « Kico IH UONCimTI Loren. rai». buoi. oap. Lumi. ‘Mp. 6. Ma. ti pure rito ri d ise a I incontragio, Nà. Mo ri giti orzarne que pi r (al nostro parere) massa par beni ne. per i>. cattarghe et mezo ll . M a. Sì, ri disr an questa Y e quattro tanca , in t 9 on hcxròn . dime an può 0. il conino porìxto fallar p\ a dar in tnr:o d } on fondo da tinozza, n d on tarperò? a dighe de mostrarlo. 10 Nà. Potta, a pome fallar d on bel finora p) in ti et fonda da fina zzo, che in tiri taffiero. Ma. ti si et luta dottore dal libra:- 2 no la disc a V incontrario. Va ino driu, de sta Prfatasse. Na. Ma no se pad tinto smini re iti fi. mezo fnora à Ir stelle ?) , no se pii saere mi le sippia (diseia ) perche na se d el lampi dr driaglte. 20 Ma. SI e ine! fissi el fa gabbati su ’/i graiJe de la me scala da man, e che 7 io scnndrsse tutta: sacrista rat tarme sii guati ri foessr ? Na. Poh, ti è an gran fare, a scolaro- zerae à dire, una, e dà, e tri , inchioda, eh 9 a foessr. lire, e gamido tiesse ditto, con sarar Adire, nuore , e c/ti a reesse , che in sì/ quell' altra gite fosse ri gabbila, a dirne, que ti) su' I dirse mi. no cala rosi? 30 Ma. Ma la no pò essere altramrn ritit, r così anche se ren a fare in lo (’irlo, se ben quel I et ranci lo non s'in sa adare. Fti i tuoi p) grossa, che /ti è el tarozzo de ('remami rè; che i disr, gi/r tir s) gran- don issano. «. io. 24. .... (‘) « anrhora av.jma « ho nella buu il fVntm linuinnamentr trovar si |>ot*w, romf nu-lln, rh«* . i appare non «li fioca Kran«hnta (nulla «li. .» »lrl Sol. I'.t trovar il <*ui ('entro, lhiiom«» ha m*^ti«*ri «l*mj *M‘4"lii«i »l A<|itila, che sola, ili.-, ,j, , h«> j M *r <*ntm i|u«*n<» affis.sn la vista) non di nt.-n.» no di altri Pianarti. p.. r li l"i*«» a noi finrvonto pMvÌ»»|rx?>i. t pii ir.» .ho 1 ,.ntr*. Ma. Eppure lui e’dice all'incontrario, Na. Ejfli vi aggiunge elio sono ( a nostro vedere) troppo piccinine por tro- vaigli il mezzo. Ma. Sì V egli dice anco questa? c quattro dunque in un boccone. Dimmi un po’ tu. Comi» potresti sbagliar più, a dar nel mezzo d’un fondo di tino, od’un tagliere? io dico, a indicarlo. Na. ( tapite! i’ potrei sbagliare d’un bri puro più nt*l fondo del tino, elio nel taglieri*. Ma. Kppure il buon dottore del li- bricciuolo dice all incontrario. 0 séguito pure di questa parallasse. Na. fare la prealasse. Ma. Che ’l me fioche dio (squasio rida l’ h<> ditta) a veessùn le stelle de sora, che ’l sarai! on piascrc, se la fame cos). Na. Pian, di’a no vorae fallare, el me par pure, che ’l diga, que no se pò vere Lwen. ca P . c. meza la Luna, nè gnau meze le, stelle, 10 nauta die le xè grande, e ’l nostro desfe- (juramento tira massa stretto, se ben el se ; và pò slargatilo. Ma. Mode imagìncte pure, que chiap- pela da che cao te imosi, V impegola, che me fà mi quello, se litiga a no posso vere tutta la Luna, ne gnau tutta na stella ? no basta che la regga on pnoco, e eh ’ a la mature segando quello ? 19 Na. Mo a sto miw, V è na bugia là Limi. hip. o. questa, doli mal, drean; el se fosca po bello, d’haer cattò na spetucation sottile per farghe stare i smetamatichi. «Monelli».i, Ma. Seta que V è na consa, che no w> ’ o 1 70 ’ X, 0, que segi mi? ba¬ sta, l’olea offerire, dieta Prealasse è bona, mo i smetamatichi no la sà noverare, que staghe ben. Ma. til no diè intendere gnau elio | 6 , 17 , 25 . vii — ( ( ) Rinunziamo, qui o appresso, a riprodurre i vari passi del Cap. VI (P. II.), ni quali si allude, perchè occuperebbero parecchio pagine senza alcun frutto. Na. Ma quando guardiamo nella Lu¬ na, la nostra vista yì si licca dentro (dico lui) o quindi non si può fare la parallasse. Ma. Clio mi ficchi lui.... (T ho quasi detta): noi vedremmo le stelle di sopra, elfo 1 sarebbe un piacere, se la fosse così. Na. Piano, che non vorrei scambiare. K mi par puro elfo 1 dica che non si può vedere mezza la Luna e neanche mezze 10 stelle, sendochò le sono grandi, ed 11 nostro raffiguramento coglie troppo stretto, sebbene e’ si va poi slargando. Ma. Mio Dio, fa’ conto, che, chiap¬ pala da che parte tu vuoi, appiccica. Clic in importa a me se io non posso vedere tutta la Luna o neanche tutta una stella? Non basta eh’ i 1 la vegga un poco, e che secondo quello i' la mi¬ suri? Na. Oh, a questo modo, Te una baia, là, questa. 11 fistolo ! e poi si faceva bello d 1 aver trovato una speculazione sottile da tenere a segno i matematici. Ma. Ma sai clic l’ò una cosa che non cò mai stato pensato? Oh, per la madre dei cani, clic perfino un Vitello T ha saputa prima, secondo clf io ho sentito dire assai volte al mio padrone; eppure non se n’ ò tanto tenuto. Na. Vuo 1 tu che andiamo innanzi? Ma. Sì, di 1 ! Na. Fratello, tu ti saresti scompi¬ sciato dalle risa, se avessi sentito un tafferuglio, che c ò di A, B, N, 0, che so io? basta, e’ voleva asserire olio la parallasse è buona, ma i matematici non la sanno adoperare in modo che vada bene. Ma. E’ non deve capire neanche egli Ciò che n’ è detto nelle frequenti citazioni che Re ne leggono nel Dialogo, e redi fimo che busti n fornii no uno idea. 11 . 40 DIALOGO DK < KM n I>1 H(»N( IUI 11 ;ì2k zv, che 7 dine. Tirate ori può in qua ino; rito sto slalgaretto. eh* è ape sto fossa? Na. Sì mi. Ma. Vito ino quellallxira, che.rè Hai - uondma resili à /’ orzerei' Na. (Juale? la grande , n la pizzuta ? Ma. La pecchcninu. Na. fi® ini c/Fa /a reggo. Ma. Orbentena, guarda ino /**/* delio; 30 m* nò cli V ilice. ( ) tirali un po’in qua: vedi tu questo salicetto che b vieinn a questo fossato ? Na. lo sì. Ma. Nodi poi quella pioppa eh 1 è lì virino all 1 argine? N a. Quale, la grande o la piccola? Ma. 1j& piccinino. Na. Sì, eh' i la veggo. Ma. Or bene, <> guarda ben diritto; quale de’ due ti pare che sia a destra, il salicetto o la pioppa'/ N Stando così, e’ mi pare che la pioppa verrebbe ad essere a destra. Ma. Tirati ora da quest'altra parte. Na. 1 vengo. Ma. Fermati (pii. K adesso? Na. Oh canchero Betta! a questo modo, il salicotto sarebbe lui a destra, e la pioppa a sinistra. M v. () clic t’importa a te. se tu non vedi attraverso nè al salice, nè alla pioppa? K che danno te ne viene, per¬ chè tu non puoi vedere anche la parte di dietro di tutt’e due? Na. Ma niente, perchè io guardo se¬ condo gli orli delle corteccia, io, e non secondo quello quel eh’ i’ non veggo. Ma. ('osi si fa, vedi, anche per aria, e questa è una sorti* di parallasse. Torna orn qui dove sono io. Na. F ci son venuto. Ma. (iuardando di perla cima a questo salice!to, puoi tu vedere quella pioppa che ti diceva, sebbene la sia pel suo mezzo.' Na. Lasciami mo’ guardare. Tu, uh! nm io no. Ma. K se tu fossi tanto lontano, che guardando sopra alla cima del salicetto, tu credessi mirare diritto a metà, e tu non t* accorgessi di alzare gli occhi, quale di¬ resti clic fosse più alto di questi due/ • - « • va IX PERPU0S1T0 DE LA STELLA NUOVA. 32 !) N.\. Aspirilo eh'aghe penne oh puoco. A direte defatto que V albara focose })) bastia, e 7 sai (/aretto p) (dio mi; per que d me parerne ras), anche no manto el rem . Ma. Fa on può a ’ altra consa. va sii sta nogara, di’a P agierè mi, Na. Que mota fare? Ma. Vaghe, e pò te sentir irsi. Na. A gh 9 onderò, sda che te mtò così. IO Ma. Pian, che te no te [aghi male . Na. Tà de mi ; ino a me songi squalo scapogiò n* ongia, e mondò un zenuogio. Ma. Ohe sito ancora ben fremo? Na. Si mi, qm gh'è mò ? Ma. Torna à smirare quelli albara, rke te guardaci au eh) de sotto. Na. E pò? Ma. Sminuito à quella dertnmèn, pilò¬ ta vere sto salgaretto , con te fusivi si¬ to pianto de sotto ? Na. Mo nò mi. e si s' a foesse da lonzi, rosi a V cita, a dime, qm el salgaretto foesse pi basso mi. Ma. Viè tonca zo, eh'a te conterò de belo. Na. El gir è puoca /diga ò saltar zoso. Ma. Sintime mò. por que quando te gieri abasso, el salgaretto te parca p) cito dell/ albara; e sipiairto sii la nogara , el 30 te pumi à V incontragio ; porzuontcna mi questo .rè n*altro ninò de Prealasse, que Prealasse rea a’ dire, con sarai* a dire, defenienfia de guarda mento. Fa mo tò conto, che se t'midi essi sii quel inora ro? i i i die. xè lire , el salgarello le parerne p) basso de /'albara, e à bò da man; e sfe torniessi pò da sV altro 1ò, el salgaretto te regnirac à parere p) cito de V albani, e ò bò da fuora. e an questo xe u' altro muò . 10 de Prealasse ; segondo, che me deschi are na botta et me parim. P intindilo mo? I 1 . .1 •». Ut, Na. Aspetta ch’i’ pensi un poco. Y di¬ rei, io, senz’iiltro, che la pioppa fosse più bassa, e il salicetto più alto; perche c’ mi parrebbe così, anche eli’e’ non fosse vero. Ma. Fa’un po’ un’altra cosa. Sali su questo noce, cb’ io t’aiuterò. Na. Che vuo' tu fare? Ma. Va' su, c poi tu sentirai. Na. ]' ci andrò, dacché tu vuoi così. Ma. Adagio, che tu non ti faccia male. Na. Povera me! e’ mi soli quasi porta¬ ta via un' unghia e sbucciato un ginocchio. Ma. Ci sci ancora ben saldo? Na. lo sì. E ora che c’ò? Ma. Torna a mirare quella pioppa, che tu guardavi anche di quaggiù sotto. Na. E poi? Ma. Mirando a quella in dirittura, puoi tu vedere questo salicetto come tu facevi essendo di sotto? Na. Ma io no: eppure se io fossi da lontano così in alto, io per me direi che il salicetto fosse più basso. Ma. Vieni dunque giù, che te ne conterò di bolle. Na. Vj c c poca fatica a saltar giù. Ma. () sentimi: perche, quando tu cri abbasso, il salicetto ti pareva più alto della pioppa, ed essendo sul noce e’ ti pareva all* incontrario, per ciò anche questo ò un altro modo di parallasse: che parallasse vien a dire, come sarebb a dire, differenza di mira. Fa’ ora il tuo conto, elio se tu andassi su quel gelso che è là, il saicerei lo ti parrebbe più basso della pioppa e a destra; c se tu tornassi poi da quest’ altra parte, il sa¬ licetto ti verrebbe a parere più alto della pioppa e a sinistra: e anche questo è un altro modo di parallasse, secondo che mi dichiarò una volta il mio padrone. 1/in¬ tendi tu ora? 330 DIALOCiO I>K rKcro DI HONCIUTTl Na. Poottu. mo Pépi chiara, qur n'c an yraizzo da vacche, a me smera reqio a cornilo quelli dal librazznolo, n ' ha sapio fucilare ìomè d f ona sorte ila inculasse, sipiantoqtiene tré mi. Ma. Kl sarae sto an massa % se 7 n ties¬ se fucilò eoa sedie. (Jrbentena ; fa mo th conto r f/ur se la stella nuora, e la Lana ile foessc rcsìn eh è sto saIqaretto, à por - 10 don, le stelle de sora ne sanie d on bel pezzo p) Ianzi, che //' è quel P album, e si sarae possibolo, r/ae no t/lie foessc da i Spugna-ruoli . e i Tdischi, e i Pai ita ni, defrnientia de puardamnito ? e pure tatti la ir in lo medi e mn luoijo * apè a quellr stelle, elie i (/he disc . quel da la balestra, ò rhe (/he sita del holzhn: qur seqi mi? \ \ Na. Mo et th facilamento n è Inni, per qur n'è possibolo saere (pianto hi 20 Luna sca lumi; elle ri lo (lise an quellii Lordi, irai». 5. dal IibniZZHolo ' 1 ‘. Ma. Xh al so mah de elio , et no se pò saere, mo i sinetamaliehi (/he la mtta ben qi. Na. .1 no se qur dirle mi, se lenir, rhe P hè resoli da rendere. Ma. Ci'ito mo, che (/nella dal likraz- zno/o dirne eos) an (do? N.\. Se 7 lo dirsse el farne leu; la - 30 meni re el porne essere tanto de pinion, qae ri tepnissr duro, cinque in riti. Ma. Che 7 ter/na par fremo, e che 7 metta à me conta. Na* -1 no sè miqa, a comuh sca sto Lordi. Hip. li. possi ho le, che 7 diga st' altra, qur te sen¬ ti rè adesso, mo no (liscio, che in qnrqnn | -> 10. un H, — 4. litui — 0) «inani rontifnia alKOrb* lunari*, la «pul* ili stantia. , IU*». ‘lolla Lima, ossomlo irià manifoata la trranili'WH «h-l|a Na. Caspita, ma la «\ ,,j ft chiara (1| un graticcio da vacche. Io mi moravi- Pii» in 0»“ ‘“«‘1» colui dal Ubricciuolo non ubbia, saputo ragionare so non d’ una spi-cii* di parallasse, essendocene tre! Ma. Sarebbe stato anche troppo, se «•Rii n, ‘ ,IV ' ,SS <‘ ragionato come si deve. °r bene, fa pure il tuo conto, elicsela Stella nuova e la Luna ci fossero vicine rolli’.' questo «Micetto. in proporzione le stelle di sopra ri sarebbero d’mi bel pezzo più lontane che non ù quella piop. pn. K sarebl)’ egli possibile clic non ci fesse fra gli Spngnunli e i Tedeschi e i Napoletani differenza di visuale? Eppure tutti la vedono nel medesimo luogo, vi¬ eino a quelle stelle elle le chiamano Quel •lolla balestra, u Quel che ci saetta col bolzone: rhe so io? Na. Ma il tuo ragionamento non vale, pcrrht'» non r possibile supere quanto sia lontana la Luna: e lo dico anche colui dal librirriuolo. Ma. Non si può saper no, al modo suo, ma i matematici sanno ben trovarlo essi. Na. Io non so che dirti, se non che tu lini ragion da vendere. Ma. Ma credi tu che colui dal libric- ciuolo direbbe cosi anche lui? Na. S’ (*’ lo dicesse e’ farebbe bene, imi e’ potrei)!)’ essere tanto capone, da Umer duro: diciotto di vino. Ma. (di’e’ tenga pur saldo, e lo metta a mio conto. Na. Io non so poi, come sia stato possibile eh’e’ dica quest’ altra, che tu sentirai adesso. 0 che non dice egli, clic T»*rra. ma il sapori* la luiwhma iti Quella ornimi • pi*r rajriniM' liumana, porceli*? lift 111 ^ »»ti**ri i'»nnM i*ri* la irranil»'zzn ilei «Sole, f* la ilislantin •ina 'lallu Ti*rm, «inali «•<»-.•* n<»n si pasnono arrivrtre r»n lo intelletto. * ( l)iieor»n % (H'C., «rii I*. 10* r. P *•) IN rKRPUOSITO DI?; LA STELI,A NUOVA. 331 luogo, sen % que Iti seti Ma. Ma, e’ bisogna bene che la sia rosi. cosi. Na. Orientala, a ruò, eh ’ a se tiH/anw Na. Or bene, io voglio che ci piglift- 1. 10. KM (*) • IVr quKHtn rajriono havo«ui ardimenti» •» Avorroe. non potando, «• p«*r m«*Kli«i din* non ««apoml»» sodisfar a questa difficoltà, affermar»*. « ho ’1 Ma» *tr*> da i Mnt Inumatici, non ditoni •ss#-. r> porri*» ripr»*n «tosti la spemi tiene il* Alossainlr»». intorno alla Un lassia, rosi poi s«jrjnnnjf»'ndn : Sun» stata roduta l« Stallo, elio sono in 0^4 in iliver*** rofri«»ni «Mia Torni. •• par**, rii** hutri'iunn il tnod»*im«i sii.*, . » i«* -ia »r»itsi»l»Tni. et viridi la Stalla «ioU'Aqml*. . H. .• «Ita » s treni ita *i«rila tintasi», i^uiln i*« in (\»rri«»ra. •* noi Mnn*iv*o; |.* quali Cittì som» m«dta tr i »li I»»r*» Unitali**, •• tr*»v«i rii*» In pr***l<*ttn Stella or» in uno ista**»» sii»» »*oii la (intasata: Ma p»*r w*rtn, rbe l MiuNtro pari*» aport&motita. »t Tuli»*, «ho quel Or* rhio «li latta f»Kso noli’Aria, ** «e m* Ar.rro»*, no .il» un»» può >**listar alla rapinile predetta, iinper* tanti» ii"ii si il»**» ninnriar' in rovina la naturale Fbi - l'^ophi/i * «»n amm«*ttaro In pen**ratione elio è propria •li questi inferiori, turili Curii. * (l)ù#ono, ecc,, rar. 12* e. e la* r.) (f) * Vppr» ■*-»• •• ilo «lire, ri»*lla su» scintillazione, • • tremolameli ta. I*» rho nello stallo lisso aricno por 1.» lontanali ni rii «-se. (/>#V*i/*»«», eoe., ear. 27‘ r.) * Mn i** fuori «li «pi» st«» aridnrrù un'altra ragione nell» proietta , »*ioè dalla materia, rii che è * **inj*»*sM : Impennile per quel volocisainio mori* monto, ni viene rote il lar«*. **t n scuotere a vicenda quel sottilo splendor' «tal fuoco, come quando, che •i «lolita, con li Mnnttai 1» finminn vegliamo.* (ft- •rorvo, «ve., car. 27* r.) IN PERPU0S1TO LE LA STELLA NUOVA. oh può de spasso eoa f/i suo sprcnitusd- chi mi. Ma. Si, quc (Uscio? Loivu.cip.li. Na. El diseV\ qm la stalla ciurmi assi, asse, se s } imbatte che 7 Sole no la desfughe, elio. Ma. El poea un (lire, qua la durarci in¬ cili tuia, qua elio rà à romprcla ; in I ’ agno muò, con la sea un dà ria, al porci tacjnir 10 fremo, qua V è sto elio, che riut rotta. Na. Mo gite tega a el mal drcan ; (pia - Lortn.ap.il. sta sa ma ben de porco. El disc pò'*', ciudi som ubondaniia d' agno consa, e qua l'è'na stalla da quella bone. Ma. Inchindaniò la rà bau, quanto de (piallo, ino sa la legume ino fremo con sti sicchi, à que sesso ngi ? crii a pure à tc) muò. Na. Da gi Intoni ini pò? quelle può- 20 che conse. Ma. Con sarue à dire? Na. Con sarà à dire; qua i (Incuterà mzegnosi, e saccate; c qnc i se tega irà Uvi'ii.nip. 12. li la ver iti Ma. I é ite, che 7 se schiurio al sprauuo- stico in do. no rito à co muò Va aguzzo? d u’c amposs-ibolo ciudi eira, habhianto tanto ceiibrio da zocnc. Na. Te me sbertezi, nero ? (lì pi pre- 80 sto, (pie et spininosiico a sto cero in uà, I. un 11-7. tltjyafflin. Ma. (*) « Resta, clic* noi intorno itili Pronostichi al¬ quanto parliamo, o prima quanto appartiene a ossa Stella mentre noi scrivevamo altri sarebbe forse- stato ili parerò ch'olla poco tempo fosse stata por durare, e elio sondo si tosto venuta a tanta gran¬ dezza, per dileguarsi fossi? stata in hrievo, e poi, che i raggi del Sole sopra venuti le fossero, si fosse stata por ispnrire, e dissolversi pel* lu validità del Sole accompagnata da quo 11 a di Marte e di f»iov«s • [ Discorso, eoe., car. 28* c. e 20* »*.) (*) < Ma le buone dal l'altra banda di una sem- plire sostanza, temperata insiememente, e spiritale el penetrativa, et di efficace vertù dotate, e però bianche splendenti dolcemente, lievi, ben' raccolte, mo mi po' di spasso con questi suoi pro¬ gnostichi, i* voglio. Ma. Sì, che die'egli? Na. E dico che la stella durerà as¬ sai lussai, se non a* imbatte che il Sole non la disfaccia, dice. Ma. K poteva anche dire, che la du¬ rerà lin a che va a romperla lui: in ogni modo, quando la se ne sia andata, egli potrà sostenere clic è stato lui che 1’ ha rotta, Na. Oh che gli venga il listolo! que¬ sta sarebbe proprio da porci. E’dice poi ciré sarà abbondanza d’ogni cosa, e elio T è una stella di quelle buone. Ma. Infili a qui la va bene, quanto a quello; ma se si durasse con questi asciuttori, a che si sarebbe? Credila pure a modo tuo. Na. O degli uomini poi? quel po’! Ma. Come sarchi)’a dire? Na. Sarcbb’a dire, di’e' diventeranno ingegnosi c sapienti, e di'e’ si terranno alla verità. Ma. Tu vedi die il prognostico s’è dimostrato in lui. Non vedi tu come gli ù tino? È impossibile eh’e’ campi, avendo tanto cervello da giovane. Na. Tu mi dai la berta, non è vero? Di' piuttosto die il prognostico è stato et altissimo, in ciasched' un' luogo (lolla Terra ve¬ lluto, •* per tutto influenti un* dolco caldo sottile; tale fu quella della Cassiopea, et è questa nostra; lo quali cominimicando a poco a poco la lor’ natura al nostro Acro inferiore con quel benigno fiato, 1*Im¬ millo soverchio consumano; et il secco con il lor dolce innaffiano, e confortano; ondo feconda,© sana la Terra, u gli animali rendono. * f Dincorxo , occ., car. 80* e.) (3) • Adunque direbbe chi che sia, che la pro¬ dotta Stella fosse principalmente per purificare, o mondifìcar’ i corpi, o i sensi, e lo ’ngegno de gli Imo- mini, acciò con facilitate siano inchinati à cono¬ scer' la verità, 0 quella conosciuta a seguita re im* prendine. * ( iJìtcomo, eoe., car. 81* o.) dialogo i)K I Kcru i>i KUN( inni F.n. XU ipur a s'li dòn tega ù ò la erriti *, se fon rito volai archiupaniegke. Ma. Tira, che V M vento. Na. El (lise po anche, v/nc sta strila Uron.r«p. 18. ruzzerò ria le tjiottonar), le rabbie i"; 7 "< segi mi? Ma. aS’>, si, rosi no stessile in pezo- rare, le nnostre carte, mo a no me sau¬ ra regio di suo spretinosiirhi. que tutto t • 10 so librazznolo me pare on sp cerinosi irò mi ; e (pie sempre el fraghe ò indie inori, Na. El (lise foni, che ri giu n ' ha un ' al - L«.rpn.c&p.5i»in. Irò per lettra da far stampare' 1 '. Ma. Che 7 fughe presto , per 7 ne stila¬ to resiti la Quaresnna ; tl sarò boa ila tpud causa an elio ; segondn, che questo n ha fatto rive adesso, (pie I'è da l af¬ focare. N.\. E queliti, che lezcu disse , ria 7 *20 crea pnrpiana n, (pie el I' /messe folto stam¬ pare per renderlo , e qua gnor iptalrln marchetto elio. Ma. Che 7 laore toma ò spazzargi, e se ghe n ’ avanzesse gualcii uno, che 7 lo faglie in Con reroltolo, e che 7 se 7 razze, on se cazzi * Tofano le spi et ie, che 7 >v//ò ben messo in coverà . Na. Logorila lire . ri A rò. ruotò stare a cena con in) ? a /’ in t/rieA 0 / 1 - 30 firn* rA Ma. .7 7 sò ; mo ò no posso, 7 ne In Menegha in 9 aspirila ; tamentre ò t' in dr - sgratio, Na. J />/o lotica. Ma. >1 Dio. Il Fixk. gintlannr) — lrt, 2*"». un 8*2. aipùfa (*) « P<*r lo vhfi nella laiitatia, * mnLtnpUtion. sion por far gran profitto o sirn par diuitriar «•attivo opinioni, wl offrii Mìrt»- d* iffnornnti.i. rtia**iin«- la raalitinsa. • •***., rar. :il« r.) '*•10 III noi, ilio ci siamo tenuti alla ve¬ ntò, sebbene c^li voleva acchiapparci. Ma. Tini innanzi di'hai buon vento. N A. K' dico poi anche che questa stella ‘•«iiceru \ in le furfanterie, le rabbie: che *so io t Ma. SI, m, cosi non andassero per la peggio » n^lii affari; ma io non mi meraviglio de* suoi prognostichi, perdio tutto il suo libricciuolo mi pare un pro¬ gnostici» e elio o' tiri sempre a indo¬ vinare. N Appunto, v dico che n’ha un altro in latino da fare stampare. Ma. UiV faccia presto, perchè, es¬ sendo vicina la quaresima, e* sarà buono a qualche cosa anche quello, come ci ha latto ridere questo adesso, che è di carnevale. Na. K colui che leggeva disse eh’e 5 credeva propriamente ciré’ Tavesse fatto stampare per venderlo, c guadagnarsi qualche soldino. M a. C li* t- lavori dunque a spacciarli; i* si» glieli* avanzasse qualcuno, che ne faccia un rinvolto, e eh* e’ .so lo cacci dove Tofano si cacciò le spezie, eh’e’sarà ben adoperato. Na. lasciamola lì. No* siamo a asa. \ un tu stare a cena con meV tc ne darò volentieri, sai. Ma. Lo so; ma i* non posso, perchè la Monica m* aspetta: tuttavia i* tene ringrazio. N a. Addio, dunque. Ma. Addio. li. Finis. »*) . nini.' il t.M.-u in un nostro Libro delle co^» (VI, «ti con tra li NnUiematiri. in latina favella scritto, oh.* non molto starti u vanir » lue©.* (DUeorto, ew., rar. 4* r.) IL COMPASSO II. AVVERTIMENTO. Afferma Galileo che già intorno all’anno 1597, avendo egli ridotto a perfezione un suo strumento, da lui chiamato « Compasso Geometrico o Militare », cominciò « a lasciarlo vedere a diversi gentil uomini, mostrandone loro Fuso e dandogli lo stru¬ mento e le suo operazioni dichiarate in scrittura ». K qualunque sia il valore che voglia attribuirsi a questo e ad altre dichiarazioni di Galileo concernenti la parte da lui avuta nella invenzione di tale strumento, le quali non sono nò tutte con¬ formi tra loro, nè tutte tali da non potersi in qualche misura revocare in dubbio, è mestieri tener conto della data. 1597, confermata da testimonianze autorevolis¬ sime. Siccome però la dichiarazione di questo strumento, la quale corse mano¬ scritta per circa dieci anni, fu data alle stampe da Galileo soltanto nel 1906, cosi ci parve che la data della pubblicazione dovesse aversi come criterio unico per assegnare all’ opera il luogo nella presente edizione, disposta secondo lo stretto ordine cronologico. Ma poiché, d’ altra parte, noi ci siamo prefissi di tener conto, per quanto si possa, anco della via battuta da Galileo per giungere a conchiusioni, eh cui F opere a stampa ci conservano soltanto F ultima espressionecosì abbiamo stimato dove¬ roso di non trascurare nemmeno le scritture, relative al Compasso, antecedenti alla pubblicazione del 1606, le quali ci mostrano come Galileo andasse successivamente perfezionando il suo strumento. Due di queste scritture ci sono note, 1 una e l’altra conservate da codici della biblioteca di Giovanni Vincenzo Pinelli, ed ora nell Am¬ brosiana. Della prima abbiamo quattro copie, cioè: a = cod. S. 81 Sup. ; in 12 carte numerate a parte (la quarta delle scritture con¬ tenute nel volume) ; (O Per la edizione nazionale delle Opere di Galileo siziono e Disegno di ANTONIO J avaro. Firenze, tip. di Galilei nono ylì a aspidi di S. M. il He d'Italia. Espo- G. Barbèra, 1888, pag. 25. AVVKHTIMKNTO. 338 b = cod. 1>. 95 Ilìf.; ili rt carte numerate a parte (la prillili dolio scritture conte¬ nute noi volume ; c==cod. S. S.'i Sup.; «ir. làl>-174 f numerate» origiimriumente 1-17; a = coll. S. 99 Sup.; car. 8-20 Della seconda scrittura possediamo invece un solo esemplare, indie car. 177-190 del medesimo codice S. K\ Sup. or ora citato. 1/ esseri» appartenuti detti codici al Pinelli ci assicura che sono anteriori al UHM, anno della morte di lui; e questo fatto, confermato dalla forma della scrittura, mette fuori dogni dubbio la loro anteriorità alla stampa del KM». La prima di queste scritture è senza dubbio quella che più si discosta da detta stampa ; e perciò abbiamo stimato bene pubblicarla per intero, in quella parte almeno clic è contenuta in tutt’ e quattro i codici mentovati. Questi presentano tutti l’identico testo, spesso perfino gU stessi materiali spropositi di trascrizione;e «e qualche rara volta l imo dall'altro alcun poco differisce, vedasi essere per errore od arbitrio del copista. Tuttavia è possibile ,tabilire, con qualehe probabilità, un certo ordine tra di assi. 1 codici u e /> pacarono certamente sotto gli occhi di Ga¬ lileo, dalla cui mano sono state aggiunte, come abbiamo indicato a’ loro luoghi, alcune parole che il copista aveva omesso nella trascrizione; sebbene però Galileo non correggesse altri errori dell’amanuense, forse perchè non turbavano il senso. Il codice !> presenta poi, in tre luoghi, dei segni di richiamo, scritti coll’inchiostro medesimo delle aggiunte galileiane; e a’ luoghi indicati da questi segui, noi co¬ dice c sono inseriti tre brani, che mancano in a e ir. inoltre, mentre in a e b la scrittura rimane in tronco là dove si comincia a trattare dei diversi modi di mi¬ surar con la vista per mezzo del quadrante, il codice c, invece, dopo avere offerto tutto ciò elio è contenuto negli altri due, compie, ina di altra inano, detto argo¬ mento. Il codice (ì è copia di r, con qualche correzione, o racconciatura, di alcuni errori più gravi; presenta, come r. le tre operazioni aggiunte, e della parte con cui c venne compiuto, quel tanto che potò esserne trascritto sopra un foglio di guardia. Il complesso di questa circostanze sembra indicare che a sia, sebben di poco, la copia più antica \b viene probabilmente secondo; da esso potè esser copiato c, in cui però furono inserite, a* luoghi dove i segni lo indicavano, le tre operazioni che frattanto Galileo aveva aggiunto. II codice a è poi senza dubbio il più corretto quanto al testo, come il più accurato quanto alle figure ; e su ili esso abbiamo con¬ dotto la nostra edizione, rare volti* correggendolo con l’aiuto degli altriAb¬ biamo bensì pubblicato anche le aggiunte ili r, tenendole distinte nelle note; non l*J Dei c*n|. nr!.i Anche il Vivr w. Mr morir r Lettore inedite /inoro o dvrprrtt di (raltleo Ui. «*cc. Parto Fri ma, ecc. Modena, p#*r 0. V incensi •* 0»mp M M.DCCC. XVIII. pa*. 77-7*. IItel co*l. *• •• «lai fra t «dii abbiamo ri s itato la forum eotibro, in luo^o di calibro (pur «labi Un do d*-IU Mia twaniU), avondola trovate af- fati*» cmUnto in qu« nti manoscritti. Nella stampa oriirinale del 1600 , invoce, coltbro compare una «m| volta. A V V ERT1MKNT0. 339 abbiamo, invece, dato luogo all* ultima parte eli questo codice, che, sebbene sia compimento dell’ opera, è posteriore al resto, e, appunto per ciò, molto più alla stampa del 1606 si avvicina; così elio, per leggiero differenze di forma, non po¬ teva mettere conto di riprodurre un tale testo. Per il medesimo rispetto, cioè della stretta affinità con la stampa, non ci parve avesse sufficiente importanza pubblicare l’altra scrittura contenuta nel co¬ dice S. 83 Sup. Questa infatti, concordando con la stampa nella distribuzione dei capitoli (oliò così sono chiamati quello elio nella stampa sono dette operazioni ), ne differisce, più che altro, perchè alcune cose dà in forma più abbreviata, ed alcune ne omette. Soltanto tre operazioni vi sono eseguite in modo diverso, e di esse ci parve bene tener conto (pag. 359-361). A questi saggi delle scritturo che precedettero la stampa del 1G06, abbiamo fatto seguire la riproduzione esatta della stampa stessa <9. Attenendoci, secondo il nostro istituto, soltanto alle fonti genuine o sicure, abbiamo escluso alcune dimostrazioni dei diversi modi per misurar con la vista per mezzo del quadrante, che erano state aggiunte, ma senza sufficienti ragioni per attribuirle a Galileo, all’ultimo capitolo del Compasso nell’edizione Padovana del 1744 e nelle succes¬ sive invece, ci siamo attenuti con la più grande fedeltà all’edizione del 1606, fatta non pure sotto gli occhi, ma in casa dell’ Autore ; e, oltre la correzione degli errori di stampa, e quelle lievissime mutazioni cho altre volte ci siamo permesse anche davanti all’ autografo, ci siamo discostati da essa soltanto per ciò che risguarda la punteggiatura, rispetto alla quale credemmo doverci riser¬ bare piena libertà, per curarla con diligenza più grande di quella che i nostri antichi non credevano fosse meritata da tali particolari. A nessuna delle scritture precedenti alla stampa del 1606, e nemmeno a (0 Le operazioni tlel Compatto Geometrico et Mili¬ tare di Galileo Galilei, Nobil Fiorentino, Lettor dello Matematiche nello studio di Padova. Dedicato al Sc- reniss. Principe di Toscana, D. Cosiino Medici. In Pa¬ dova, iu Casa dell’Auto re, Per Pietro Marinelli. MDCVI. Con licenza de i Superiori. — Su questa stampa e sui particolari offerti da alcuni esemplari di essa, cfr. A. Fa¬ varo, Ilarità bibliografiche galileiane. IV. Le Operazioni del Compatto Geometrico e Militare in Bivitta delle Bi¬ blioteche. Anno II, Voi. IL Firenze, 1889, pag. 169-173. (*) Tali dimostrazioni sono tratto dal coi. della Biblioteca Nazionale Marciana CI. IV. ital., n. CXXIX. del quale già abbiamo tenuto parola a proposito della Sfera. Questo codice, dopo la Sfera e molto carte bian¬ che, contiene, col titolo « Dei modo di misurar con la vista », T ultimo capitolo del Compatto, promossavi una breve introduzione, o soggiungendo ad ogni operazione la relativa dimostrazione. S’avverta però che, mentre la Sfera porta nel codice stesso il nome di Galileo, questo trattatollo è adespoto; inoltre, dio il Compatto dopo la stampa del 1006 fu, col consenso dell'Autore, più volto riprodotto ed anche tradotto in latino con note, senza che mai vi siano state aggiunte queste dimostrazioni, sebbene debbano certamente aversi per sincrone con la pubblicazione dell’opera galileiana; c, da ultimo, elio lo dimostrazioni stesse male conven¬ gono con Pindole della scrittura di Galileo, cho ò più un’ istruzione pratica che un trattato scientifico. Del resto, anche in altri manoscritti si trovano altri svol¬ gimenti o dimostrazioni del capitolo sul misurar con la vista, o questi con caratteri intrinseci cho esclu¬ dono ogni possibilità d*attribuzione a Galileo: p. e. nel T. VII (car. 48-51) della Par. II dei Mss. Gali¬ leiani della Biblioteca Nazionale di Firenze, e nello car. 82-104 di una cartella relativa al Compatto nella busta della stessa Biblioteca contenente gli appunti del Nelli per la biografia di Galileo. Questi ultimi sono di mano del Yiviani e, per quanto pare, da lui stesi. 340 avvertimento. quest’ ultima, ò allegata la figura dello strumento, la quale fu aggiunta per | a prima volta alla traduzione latina del llernegger < 4 >. Tale omissione dipende da ciò, che la scrittura, a mano od a stampa, era da Galileo venduta, o regalata, insieme con un esemplare dello strumento : ma a noi, che sotto gli occhi degli studiosi poniamo soltanto la scrittura, pane necessario aggiungere una ripro¬ duzione dello strumento, esatta e compiuta, quale finora non fu data da alcun altro; ed a ciò ci siamo determinati tanto più volentieri, in quanto lo stru¬ mento ò esso pure opera del Nostro. Ci giovammo a questo effetto dell’esem¬ plare custodito india Tribuna di Galileo, in Hrenze. Alla scrittura sul Compasso tengono dietro il plagio che, come ò notissimo, no fece Baldassar Capra, e la Difesa di Galileo contro il medesimo. V Urn et fabrica cirrini (i} del Capra viene da noi dato solamente perchè è necessario per T intelligenza dei frequentissimi riferimenti fattine nella Difesa , e delle po¬ stille galileiane dello quali diremo fra poco; senza di che, assai volentieri ci saremmo astenuti dal riprodurre questa scrittura. Nel comprenderla tuttavia nella nostra edizione, abbiamo stimato opportuno di darne una riproduzione esattissima, compresi gli errori di stampa, in quanto che aneli’ essi col loro strabocchevole numero formano una caratteristica di tale ignobile scrittura. Del libro del Capra ò poi, tra i Manoscritti Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze, un esemplare (Par. 11, T. XI), arricchito da Galileo di molte postille in margine ed in una carta separata. Queste postille possono distribuirsi in tre diverse categorie: alcune di esse ci conservano le prime impressioni che dalla lettura del libro ricevette Galileo; altre rappresentano domande ch’egli si pro¬ poneva di fare al plagiario nel pubblico dibattimento che doveva avere con lui; altre finalmente sono appunti per la Difesa. Noi le abbiamo riprodotte tutte c integralmente, anche quelle che ricompariscono, talvolta con le stesse parole, nella Difesa \ secondo il solito, abbiamo tenuto conto a pie di pagina degli errori materiali di scrittura, e di ciò che può leggersi sotto le cancellature: o abbiamo poi indicato col carattere spazieggiato le parole d v\Y Csus che da Galileo furono sottolineate, cercando pure di render conto, meglio che fosse possibile, degli altri segni con cui Galileo in questo esemplare veramente prezioso intese richiamare 1 attenzione propria sull'uno o 1 altro jm.sso della scrittura «lei Capra* 3 ). (*) I). Uamuei De Uaiji.aeis, t*C<\ ri* prupstrtio- num irutruniento a »«? invento, tptoil mento compstuiimm ditene univer*ae geometria*. traetatne. royafe /%do- mathtmatieorum a M ATTUI A ilEKtfXUOEHo ex italica m latina m lingua m stimo primum transla tu* ; aditeti* efuim notis illustratiti. quibu* et artificio inanimenti jahwi et turu* ulteriuM erponitur. Argèntonti, typi* Caroli Kufleri, 1612. i*) l'tus et Jabnea cimai euiusdum prvportù/nis per quem fere omniVi tum EueUtli* tnm Mathematica rum omhimm j>rabl*mtitn fatili negotio reiolcuntur. Opera X *r;i ; . TIR- jAjjy S'^.’f'i? * 1SK" ', /*'|* >*S ‘ !&£*>- TFÌMttÉ ■J* *"' . ciwflwsPi S«Dsm* p#®SiSw^a™i%ì „'.v '>iAdER*e»3SE II DEL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. SAGGIO DELLE SCRITTURE ANTECEDENTI ALLA STAMPA. II. 42 Per dichiarare con la maggiore evidenza che si potrà li usi del Compasso Geometrico e Militare, prima considereremo quella faccia nella quale, tra le altre linee, si veggono notate due più in fuori e più brevi delle altre, con questi caratteri: Or. Pi. Ar. Ha. Fe. St. Ma. Pie., che significano Or». Piombo, Argento, Rame, Ferro, Stagno, Marmo, Pietra. Dalle quali si hanno primamente le vere proporzioni e differenze di peso, che si trovano tra i metalli e pietre in esse notati: di maniera che se si costituirà lo strumento in qual si voglia apertura, gl’intervalli che cascheranno tra i punti l'uno all’altro io corrispondenti, saranno diametri di palle, o lati di altri corpi tra loro simili, eguali di peso; ciò è, che tanto sarà il peso di una palla d’oro il cui diametro sia eguale alla distanza Or. Or., quanto di una palla di piombo di diametro Pi. Pi., e di una di marmo il cui dia¬ metro sia Ma. Ma., ete. Dal che possiamo in un instante venire in cognizione, quanto grande si doveria fare un corpo di una delle sopranotate materie, acciò fusse in peso eguale ad un altro simile, ma di altra delle materie dette. Come se, per essempin, ci venisse proposta una palla di pietra, e noi dovessimo trovare il diametro di un’altra di ferro, ma alla 20 proposta in peso eguale, allora prenderemmo con un compasso il diametro della palla di pietra propostaci, ed aperto lo Strumento sin tanto che detto diametro si adattasse alla distanza tra i punti Pie. Pie., senza mutare lo Strumento, la distanza tra i punti Fe. Fe. ci darà il Il cod. a porta il titolo: Di «porno dei Compaio Geometrieo et Militare di Galileo Galilei ; il Wl. b: Trattato del Compatto Militare-, il cod. c: Galileo Galilei, del compatto Geometrico et Militare-, >1 «od. <1: Galileo Galilei, del Compatto Geometrico. Quoatl titoli sono, in tutti i codici, di inani di- 'oisu da quello elio trascrissero il Trattato, 346 DEL COMPASSO diametro della palla di ferro all'altra di pietra in peso eguale. Ed il medesimo s’intenda di altri corpi solidi e delle altre materie. Ma utilità maggioro trarremo da questo linee, servendocene in compagnia delle altre due clic apresso li seguono; come ora si farà manifesto. Seguono, dunque, appresso due linee, con divisioni sino al numero 120, il primo uso delle quali sarà che ci serviranno per colibro da bombar¬ dieri, molto più esatto od osquisito di quelli che comunemente si usano; sendo che in virtù di dotte linee e loro divisioni averemo la esquisita portata di (pud si voglia pozzo di artiglieria, in palle o io siano di ferro o di piombo o di pietra ; o questo, secondo i pesi usi- tati in qual si voglia parte del mondo. Ed acciò che il tutto possa essere distintamente compreso, nuderemo in tal maniera discorrendo. Manifestissima cosa è, diverso essere il peso di diverse materie, e che molto più è grave il ferro della pietra, ed il piombo del ferro: dal che ne seguita che, costumandosi di tirare tal volta con palle di pietra, e tal volta di ferro- ed ancora di piombo, il medesimo pezzo che porterà tanto di palla di piombo, porterà meno di ferro, e molto meno di pietra, e che, per conseguenza, diverse cariche per diverse materie se li doreranno dare; o per ciò quelle sagome o colibrì, 20 sopra i (piali fussero notati i diametri delle palle di ferro, non po¬ tranno servire per la pietra o per il piombo, ma bisognerà che le misure di eletti diametri si vadino crescendo o diminuendo, secondo le diverse materie. In oltre è manifesto che non in tutte le parti della terra si usano i medesimi pesi, anzi che non solamente in ogni provincia, ma quasi in ogni città, sono diversi: dal che ne seguita che quel colibro che funse accomodato al peso di un luogo, non ser¬ virà al peso di un altro ; ma secondo che le libre e li altri pesi saranno maggiori o minori in uno che in un altro luogo, bisognerà che le divisioni del colibro siano di maggiore o minore intervallo. 30 Dal che possiamo concludere, che un colibro che si adatti ad ogni sorte di materia e ad ogni differenza di peso bisogna per necessità che sia mutabile, ciò è che si possa crescere e diminuire: e tale e quello che nel nostro Strumento viene notato, che, slargandosi più o meno detto Strumento, si crescono o diminuiscono gl’ intervalli, che tra le divisioni di quello si ritrovano. 347 GEOMETRICO E MILITARE. Dichiarate queste cose in universale, passeremo all’applicazione particolare di questo colibro a tutti i pesi, ed a tutte le materie diverse. E perchè non si può venire in cognizione di alcuna cosa ignota senza il mezo di alcuna altra conosciuta, fa di mestiero che ci sia noto un solo diametro di una palla di qual si voglia materia, e di qual si voglia peso rispondente alle libre, che nel paese dove vogliamo usare lo Strumento si costumano: dal qual solo diametro verremo, col mezzo del nostro colibro, in cognizion del poso di qual si voglia altra palla e di qualunque altra materia; intendendo però io delle materie sopra lo Strumento notate. Ed acciò che con 1*esempio il tutto meglio si faccia manifesto, supponghiamo di essere ogg’ in Venezia, e di voler quivi servirci del colibro. Prima procureremo di avere il diametro ed il peso di una palla di qualcuna delle materie sopra lo Strumento segnate; che, per essempio, supporremo di avere il diametro di una palla di piombo di libre 10, al peso di Venezia: il qual diametro noteremo con due punti nella costa di un’asta dello Strumento. Quando dunque vorremo acco¬ modare ed aggiustare il colibro in maniera che, presa la bocca di un pezzo d’artiglieria, e trasportata sopra esso colibro, conosciamo 20 quante libre di palla di piombo essa porti, non doviamo far altro salvo che prendere col compasso quel diametro delle 10 libre di piombo già nella costa dello Stromento notato, ed aprir poi lo Stru¬ mento tanto che li numeri del colibro 10. 10 si adattino al detto diametro; perchè allora sarà il colibro aggiustato in guisa che, preso il diametro della bocca di qual si voglia pezzo e transferitolo sopra il cohbro, da i numeri de i punti dove si adatterà, conosceremo quante libre di palla di piombo porti detto pezzo. Ma se volessimo aggiustare lo Strumento sì che il colibro rispondesse alle palle di ferro, allora, prima prenderemo il diametro stesso delle 10 libre di piombo, so e questo applicheremo a i punti delle prime linee segnati Pi. Pi.', e, sensa alterare lo Strumento, prenderemo con un compasso la distanza tra i punti segnati Fe. Fé., che sarà il diametro di una palla di feno di 10 libre sasse libre 100; presa col compasso la distanza AB, si accomodi a i punti delle prime linee dello Strumento segnati Ma. Ma. ; e subito col compasso si prenda so l’intervallo tra i punti dell’argento, il quale saria l’altezza di una figura d’argento di peso di libre 12. Ala perchè vogliamo l’altezza di una di libre 100, a l’intervallo pur ora pigliato si applicheranno i punti del colibro segnati 12.12, e, senza alterar lo Strumento, pren¬ deremo l’intervallo tra i punti 100.100; che sarà la linea CD, al¬ tezza della figura di argento di peso di libre 100. GEOMETRICO E MILITARE. 351 v g. tre volte, piglisi col compasso un lato
  • . (*) Aggiunta dei cod. C e (/: E con questi due medesimi usi composti, se ci saranno proposte due figure regolari dissimili e diseguali, potremo subito conoscere 354 DEL COMPASSO Ma, procedendo più oltre, potremo col mezzo di queste due linee resolvere un altro quesito molto bello; cioè, che se ci fossero proposte molte figure regolari, ma di differente specie fra di loro, come se ci fusse proposto un cerchio, un quadrato, un pentagono ed un exagono, noi potremo in un tratto costituire una figura sola, quale più ne piacerà, eguale a tutte quelle. Ma prima fa di mestiero che dimo¬ striamo, come con breve e facilissimo modo possiamo, quando ci fossero proposte molte figure regolari e della medesima specie, costi¬ tuirne una simile ed eguale a tutte quelle. E la regola sarà questa. Lemma per le cose seguenti. io Siaci dunque proposto di formare, per essempio, un cerchio eguale alli tre cerchi A, 13, C (e quello che si dice de i cerchi, intendasi di tutte l’altre figure tra di loro simili). Per soluzione del quesito, costi- tuischinsi le due linee DF, DE, che contenghino angolo retto: e quale di esse sia maggiore dell’altra, e quanto. È la linea AB, lato --g di un quadrato, e C1), lato di un ottangolo : cer¬ ti D casi quale di esse figure sia maggiore, e quanto. Preso col compasso l’intervallo A B, si accomodi a i punti del qua¬ drato, nello Strumento segnati 4.4 ; di poi prendasi l’intervallo tra i punti 8. 8 ; il quale se sarà eguale alla linea C D, diremo tali figure 20 essere eguali. Ma se non sarà eguale, accomodisi questo intervallo, GEOMETRICO E MILITARE. 355 tolto col compasso il semidiametro del cerchio A, si trasporti dal¬ l’angolo D sino al punto G ; e parimente, sopra la medesima linea, sia trasportato il semidiametro del cerchio 15 in 1)H, ed il semidiametro del cerchio C in DL Di poi, presa col compasso la distanza DI, fermata un’asta in D, si trasporti l’altra in DK; ed ivi fermatala, si pigli con l’altra la distanza KG, la quale si traslati in DL; e posta un’ asta del compasso in L, si slarghi 1’ altra sino al punto H : perchè, se faremo tale distanza L H semidiametro, e descriveremo un cerchio, questo indubitatamente sarà eguale alli tre proposti A, B, C. io E notisi che, come ne i cerchi ci siamo serviti de i loro semidia¬ metri, nelle altre figure ci serviremo di uno de i lati loro; facendo nel resto la medesima operazione precisamente. Quando dunque ci fossero proposte più figure, e di diversa specie, come saria, per essempio, un triangolo, un cerchio, ed un pentagono, e noi volessimo costituire un’altra, come saria un quadrato, eguale a tutte quelle; prima, in virtù dello Strumento, troveremo i lati dei tre quadrati eguali alle tre dette figure; e trovati li tre quadrati, col mezzo del lemma sopra posto costituiremo un solo quadrato, eguale a quelli tre: e sarà satisfatto al quesito. Ed è di più manifesto, che 20 se vorremo che questo quadrato fusse, non eguale a quelle figure, ma maggiore o minore in qual si voglia data proporzione, noi potremo, con l’aiuto delle linee del crescimento e decrescimento delle figure, crescerlo o diminuirlo. Per l’ultima, e più maravigliosa, operazione di queste due linee, metteremo questa : che sarà di ridurre in un quadrato, o in qual si voglia altra figura regulare, ogni figura rettilinea, quanto esser si voglia irregolare, e di lati ed angoli ineguali. Ma prima fa di mestiero che dimostriamo la regola di ridurre in un quadrato qual pur ora preso, ad alcuni numeri delle linee del crescimento e decre- ito scimento delle piante, come saria, per essempio, a i numeri 4. 4 ; e non movendo lo Strumento, si pigli la distanza CD, e veggasi a quali numeri si adatti, e troverremo, in questo essempio, adattai’si a i numeri 14. 14; e così verremo in cognizione, il quadrato AB all’ot- tangolo CI) aver la prima proporzione che ha 4 a 14. DEL COMPASSO 356 si voglia triangolo proposto : la qual regola sarà nova, e molto breve delle altre. Ed è tale. più G Lemma per le. cose seguenti. Siaci dunque proposto di dover costituire un quadrato eguale al triangolo A B C. Costituisci unsi da parte due linee a squadra DE, GF: di poi abbiasi un com- A passo di quattro punte, che da una parte apra il doppio dell’altra; e venendo nell’ angolo A, io fermata in esso una del¬ le due più lunghe aste, slarghisi l’altra sin tan- j to che, girata intorno, rada il lato contrapo¬ sto B C ; e senza mutare il compasso, voltando le aste più brevi e fermandone una nell’angolo F, notisi coll’altra la distanza FH, che sarà la metà della perpendicolare cadente dall’angolo A sopra il lato opposto BC. Di poi prendasi, pur con le maggiori aste, la linea BC, la quale si trasporti in FI; e posta una delle maggiori aste nel punto 1 ,20 slarghisi l’altra sino al punto li; e voltando il compasso, senza strin¬ gerlo o slargarlo, segnisi con le punte della metà la distanza I K ; e fer¬ mata una di queste punte in K, seghisi con l’altra la perpendicolare FG in L: e se sopra la linea FL si formerà un quadrato, questo sarà eguale al triangolo ABC. i> H K r Intesa questa operazione, non sarà difficile redurre in quadrato qualunque figura rettilinea proposta. Perchè, essendo che ogni figura rettilinea si risolve in triangoli, in virtù del lemma dichiarato tro¬ veremo i lati de i quadrati eguali a ciascheduno dei detti triangoli, e tutti questi lati si noteranno nella linea F Gr ; e di poi, col mezzo 30 dell’altro lemma di sopra esplicato, ridurremo in un solo tutti questi quadrati : il quale, senza alcun dubio, verrà ad esser eguale alla figura proposta. Ed avendo parimente, di sopra, insegnato il modo di trasmutare il quadrato in qual si voglia altra figura, e, di più, 357 GEOMETRICO E MILITARE. di crescerlo e diminuirlo secondo qualunque proporzione; congiu¬ gnendo queste operazioni in unii-, formeremo qual si voglia figura regolare, non solamente eguale, ma maggiore o minore secondo qual gj voglia proporzione, dalla figura irregolare propostaci. Kestano finalmente due altre linee più interiori ; mediante le quali possiamo dividere la circonferenza di qualunque cerchio in quante parti ci piacerà, E l’uso è facilissimo. Però che, del cerchio proposto prendasi il semidiametro con un compasso, ed aprasi lo Strumento sin che tale semidiametro si aggiusti a i punti segnati 6. fi : e lasciato io lo Strumento in questo stato, se vorremo dividere detta circonferenza in 5 parti, piglieremo la distanza de i punti 5. 5 ; se in 7, piglieremo l’intervallo 7.7, etc. : le quali misure divideranno la circonferenza nel modo che desideravamo. Aggiungendo poi al compasso nostro la quarta del cerchio, ave- remo gl’infrascritti usi. E prima, nella minor circonferenza, che si vede divisa in 12 punti, è la Squadra de i bombardieri, per livellare o dare la debita eleva¬ zione alle artiglierie. Perchè, mettendo una delle sue aste drento all’anima del pezzo, e tenendo il perpendicolo pendente dal centro 20 dell’Istromento, quando si doverà dare uno o due punti d’elevazione, s’alzerà il pezzo, sin che il perpendicolo seghi al primo o secondo punto; e similmente, sbassando il pezzo, sì che il perpendicolo seghi al principio del Quadrante, questo sarà il tiro del punto bianco. Ma perchè il presentarsi alla bocca dell’artiglieria non è senza pericolo, potremo con altra invenzione, senza muoverci dal focone, fare il medesimo effetto d’aggiustare il pezzo. Per il che fare s’è aggiunto allo Stromento il piede mobile, per crescere, secondo il bisogno, ima delle sue gambe : e ciò s’ è fatto per rimediare alla difficoltà che ci apporterebbe il non essere la superficie dell’ artiglieria esteriore equi- 30 distante all’anima dentro; per ciò che, come ogni uno sa, ciascheduno pezzo è più ricco di metallo verso il focone, e verso la gioia si va a poco a poco sottigliando ed impoverendo ; e per questo, quando bene l’este¬ riore superficie fusse livellata all’ orizonte, l’interiore non saria però tale, ma elevata. E però, volendo noi che il nostro Istromento, applicato ■558 del compasso geometrico e militari-;. sopra la superficie esterna, responda alle inclinazioni della superficie del vacuo interiore, fa di mestiero clic quella gamba dello Stromento, che deve riguardare verso la gioia, sia alquanto più lunga dell’altra; il die si fa con aggiungervi il piede mobile. Ma per sapere quanto si deve detta gamba siringare, bisogna in prima livellare, una volta tanto, il pezzo secondo l’altro modo di sopra dichiarato; di poi transferendo l’Istromento al focone, ed aggiungendo all’una gamba il piede mobile, il quale, posato sopra il pezzo, risguardi verso la gioia, si simiglierà detto piede sin che il perpendicolo tagli il punto di mezzo, segnato 6 : che allora lo Stromento sarà aggiustato per tal io pezzo ; e formato il piede con la sua vite, si noterà, nella costa della gamba, un segno, con lima o coltello, al quale deve arrivare la cassella del piede mobile, quando vorremo usare lo Stromento intorno a tal pezzo. Nell’uso, poi, segando il filo al principio del punto 6, il tiro sarà di punto bianco; segando il 7, sarà uno d’elevazione; 1*8, sarà 2 ; il 9, 3 ; etc. Appresso a questa circonferenza ne seguita un’ altra, divisa in gradi 90, che è la divisione del comune Quadrante astronomico; li usi del quale sendo copiosamente da altri posti, saranno, per brevità, in questo luogo taciuti. 20 Segue appresso un’altra circumferenza, con divisioni e numeri, fatta per misurare la scarpa e pendenza di qual si voglia muraglia. L’ uso della quale è, che si suspenda il filo col perpendicolo in quel piccolo foro, che si vede nell’estremo punto posto nella minore cir¬ cumferenza ; ed appoggiata la costa opposta dell’ Istromento alla scarpa, osservisi dove il perpendicolo sega la circumferenza: perchè, segan¬ dola, per essempio, nel punto 3, diremo la scarpa di tale muraglia essere per ogni 3 di altezza uno di pendenza ; e così, segando il punto 5, averà per ogni 5 d’altezza uno di pendenza, etc. Resta finalmente l’estrema circonferenza, divisa in parti 200. . .30 ESTRAZIONE DELLA RADICE QUADRATA CON L’AIUTO DELLE MEDESIME LINEE ( ‘\ Commoda e graziosa operazione, ed in particolar per quelli che non la sapessero fare per numeri, è la presente, per la sua facilità e brevità. Quando dunque ci venisse proposto di dover trovare la radico quadrata, per essempio, di 1600, considera, prima, 10 esser radice qua¬ drata di 100; in oltre, questo quadrato 100 esser, dal 1600 proposto, contenuto 16 volte: talché è manifesta cosa, la radice di 1600 deve esser in potenzia sedecupla della radice di 100. E però, sopra la io scala notata nell’ Istrmnento, ciò è sopra le Linee Aritmetiche, piglia col compasso la lunghezza di 10 punti, la quale applicherai ad un nu¬ mero delle Linee Geometriche, del quale ne sia sopra l’i stesse segnato uno 16 volte maggiore, come saria applicarlo alli punti 1.1; e senz’alterar l’Istrumento, piglierai l’intervallo sopra li punti 16. 16, il quale tornerai a misurare sopra la medesima scala, e lo troverai esser punti 40 : il qual numero sarà la radice cercata. E nota, eh’ il medesimo si troveria pigliando, in luogo del 100, numero quadrato, e del 10, sua radice, qualunque altro numero quadrato con sua radice. Il che acciò meglio s’intenda, eccone un altro essempio. Vogliamo 20 trovar la radice quadrata di 6392: imaginati la radice 20, ed il suo quadrato 400 ; e perchè 6392 contiene il 400, 16 volte (non curando quel poco che manca, per non esser atto a far sensibile differenza), prenderai sopra la scala, con un compasso, la distanza di punti 20, la quale applicherai al numero sopra le Linee Geometriche, nelle quali (l) Intendi, le Linee Geometriche. II. 44 DEI- COMPASSO BfiO ne sia un altro 16 volte tanto; applicalo, verbi gratta, al 2, e, non movendo V Istnunento, piglia col compasso l’intervallo tra li punti 32.32, e questo torna a misurarlo sopra la scala, elio lo troverai contenere punti 80: quale a punto è la radice prossima di 6392. ESTRAZIONE DELLA RADICE CUBA COL MEZO DI QUESTE LINEE STEREOMETRICHE. Con l’aiuto di queste linee potremo estrarre la radice cuba di qualunque proposto numero : ed il modo non sarà differente da quello col quale s’è estratta la radice quadrata, con 1’ aiuto delle Linee Geo¬ metriche, come di sopra fu dichiarato. Quando dunque ci fusse, per essempio, proposto il numero 79896, del quale volessi estrarre la lo radice cuba, considera prima dentro te stesso, 10 esser radice cuba di 1000 (e tanto sarebbe se t’imaginassi altra radice col suo cubo); ed essendo eh’ il proposto numero contiene il 1000 circa 80 volte (non essendo quel poco che manca degno di considerazione), doverai accrescere il 10 con proporzione ottuagecupla ; sì che, preso sopra la scala aritmetica l’intervallo di 10 punti, l’applicherai alli punti 1.1 delle Linee Stereometriche, pigliando immediatamente l’intervallo tra li punti 80. 80 delle medesime linee, il quale intervallo, misurato sopra la scala, ti darà punti 43 in circa : quale è la radice prossima di 7989G. E notisi che molte volte ci potila occorrere* che la divisione delle 20 Linee Stereometriche non s’estendesse tanto, che bastasse per multi¬ plicare il 10, radice cuba di 1000, quanto, per satisfare al quesito, faria di bisogno : come se, verbi gratta, volessimo pigliare la radice cuba di 200000, per quanto di sopra s’è dechiarato, bisogneria appli¬ care la distanza di 10 punti, presi dalla scala, alli punti 1.1 delle Linee Stereometriche, e poi, sopra le medesime, prendere l’intervallo tra li punti 200. 200, il che non si potrà fare, non essendo la divi¬ sione di tali linee distesa oltre affi punti 148. Ma non per questo resteremo di conseguir l’intento ; perchè quello che non si potrà fare in una, si conseguirà in più volte. Ciò è, applicata che si sia 30 la distanza di 10 punti della scala alli punti 1. 1 delle Linee Stereo¬ metriche, la quale doveria esser accresciuta sino a 200 volte tanto, si prenderà col compasso l’intervallo tra li punti 100.100; di poi, • per dupplicare tal intervallo, s’applicherà a qualche numero minore delle medesime Linee Stereometriche, del quale si possa, sopra le GEOMETRICO K MILITARE. 361 medesime, prendere il doppio, come saria applicarlo al 20, prendendo poi l’intervallo tra li punti 40.40; perchè, misurato tal intervallo sopra le Linee Aritmetiche, si troverà esser circa punti 58 : quanta è la radice cuba prossima (li 200000. Potevasi il medesimo conseguire servendosi di maggior cubo e radice del 1000 e 10, come saria pigliando per radice 20, il cui cubo è 8000 ; e perchè questo cubo 8000 è contenuto 25 volto dal proposto numero 200000, però, pigliando dalla scala l’intervallo di punti 20, Y applicheremo a qualche numero delle Linee Stereometriche, del quale ve ne sia un altro 25 volte tanto, io come saria applicarlo olii punti 4. 4, pigliando poi l’intervallo tra li punti 100.100; il quale, misurato pur sopra la scala, comprenderà li medesimi punti 58, prossima radice cuba di 200000. E queste medesime cautele applicate all’ estrazione della radice quadrata con l’aiuto delle Linee Geometriche, ci renderanno l’Tstromento copiosis¬ simo, e sufficiente per 1’ estrazione delle radice di grandissimi numeri. DIVISIONE DEE CERCHIO IN QUANTE PARTI NE VERRÀ ORDINATO. Con queste medesime linee (,) potremo dividere la circonferenza d’un cerchio in quante parti ne piacerà, oprando per il converso della precedente operazione (2) . Cioè, del cerchio proposto ne prende- 20 remo con un compasso il semidiametro, il quale, aprendo l’Istro- mento, s’aggiusterà al punto segnato col numero delle parti, nelle quali la circonferenza del dato cerchio doverà esser divisa; come, verbi grafia, volendo noi dividere il cerchio in cinque parti, appli¬ cheremo il suo semidiametro alli punti segnati 5.5 ; il che fatto, senza mutare l’Istrumento, piglieremo sempre, per regola generale, l’intervallo tra li punti fi. 6 ; il quale replicato 5 volte nella circon¬ ferenza del cerchio proposto, lo taglierà in cinque pai’ti eguali. Intendi, le Linee Poligrafiche. con esse possiamo descrivere li poligoni re- L’operazione precedente ò così in- golari, cioè le figure di molti lati ed angoli titolata: « Delle Linee Poligrafiche e come eguali ». LE OPERAZIONI DEL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. LE OPERAZIONI del compasso geometrico» ET MILITARE. D I GALILEO GALILEI NOBIL FIORENTINO LETTOR DELLE matematiche nello Studio di Padoua. 'Dedicato AL SERENISS. PRINCIPE DI TOSCANA D. COSIMO MEDICI. IN PADOVA» In Cafa dell’Autore, Per Pietro Marinelli. MD C VI. Con licenza dei Superiori, AL SERI 10 D. COSIMO MEDICI PRINCIPE DI TOSCANA, sm Se io volessi, Serenissimo Principe, spiegare in questo luogo il nu¬ mero delle lodi che alla grandezza de i proprii meriti dell’A. V. e della Sua Serenissima Casa si devono, così lungo discorso far mi conver¬ rebbe, che il proemio di lunga mano il resto del ragionamento avan¬ zerebbe ; onde io mi asterrò di tentare quell impresa, al mezo della quale, non che al fine, condurmi diffiderei. Oltre che, non per accre¬ scere splendore alla Serenità Vostra, che già come nascente Sole per io tutto 1 occidente risplende, ho io abbracciata 1 occasione di dedicarli la presente fatica, ma, all’incontro, acciò che il fregio e l’ornamento del nome vostro, che in fronte, com’ io nell’ anima, porterà sempre scritto, all oscure sue tenebre grazia e splendore aqquisti. Nè io come oratore per esaltare la gloria di V. A. S. gli vengo avanti, ma come devotissimo servo ed umilissimo vassallo li porgo un debito tributo; • il che prima avrei fatto, se la tenerezza della sua età non mi avesse persuaso ad aspettar questi anni a simili studii più accomodati. Che poi questo picciol dono deva esser con lieta fronte ricevuto dall’A. V., non devo io mettere in dubio; sì perchè l’infinita sua umanità nativa 20 me lo persuade, e la proporzione, che ha questa lettura con li altri tanti suoi esercizii regii, me l’afferma; sì ancora, oltre a ciò, perchè l’esperienza stessa me l’accerta, essendosi ella, per gran parte del- l’estate passata, degnata di ascoltar con tanto benigna udienza dalla mia viva voce 1’ esplicazione di molti usi di questo Strumento. Gra¬ dirà dunque l’A. V. S. questo mio, dirò quasi, scherzo matematico a i n. « con o 368 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO ECC. suoi primi giovenili studii nobilmente confoime ; ed avanzandosi Y età in queste, veramente regie, discipline, aspetti di tempo in temp. dal mio basso ingegno tutti quei più maturi frutti, che dalla Divina grazia m’è stato e sarà conceduto di raccorre. E qui con ogni umiltà inchinandomi, li bacio reverentemente la vesta; e dal S. Dio li prego somma felicità. Di Padova, li X di Luglio 1606 . Di V. A. Serenissima Umiliss. ed Obligatiss. Servo Galileo Galilei. A I DISCRETI LETTORI. La occasione di pratticar con tanti e tanti Signori grandi in questo nobilissimo Studio di Padova, per imtìtuirgti nelle, scienze matematiche, mi ha con lunga esperienza fatto conoscere, come non fu del tutto indecente la richiesta di quel gran discepolo, che da Archimede, suo maestro nella geometria, ricercò strada più facile ed aperta, che all’ aqquisto di quella lo conducesse: imperò che anco in questa età pochissimi sono a i quali gli erti, e spinosi sentieri, per i quali passar bisogna prima che all’ aqquisto de i preziosi frutti di queste scienze pervenir si possa, non rincreschino, o che io spaventati dalla lunga asprezza, e più dal non vedere, o potersi iniagi- nare, come queste oscure e sconosciute strade al desiderato termine condur gli possino, a men che mezo il cammino non si atterrino, ed abbandonino l’impresa. E ciò ho io tanto più frequentemente veduto accadere, quanto con più gran personaggi m i sono incontrato ; come quelli che, essendo in tanti altri maneggi occupati e distratti, non possono in questi esercitar quell,’ assidua pazienza, che vi saria necessaria. Io dunque, scusandogli in¬ sieme col, giovine Ite di Siracusa, e desiderando che non restino per la difficoltà e lunghezza delle communi strade privi di cognizioni tanto a nobili Signori necessarie, mi rivolsi a tentare di aprir questa ina vera- 20 mente regia, la quale con V aiuto di questo mio Compasso in pochissimi giorni insegna tutto quello, che dalla geometria e dall’aritmetica, per l’uso civile e militare, non senza lunghissimi studii per le vie ordinarie si ri¬ ceve. Quello che io abbia con questa mia opera conseguito, noi dirò io, ma lo lascierò giudicare a quelli che da me sin qui V hanno appresa o S70 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO enire V apprenderanno, ed in parti colare da chi avrà veduti gli i da gli altri >» simili propositi ritrovati : ben che la più gran parte per V avveri Strumenti da gli altri in smini propositi ritrovati: uen me lapin gran parte dell’invenzioni, e le maggiori, che nel mio Strumento si contengono, da altri sin qui non sono state nè tentate nè immaginate; tra le quali è molto prin¬ cipale questa, del poter qual si voglia persona risolvere in un istante le più difficili operazioni di aritmetica ; delle quali però ne descrivo quelle sole che alle civili e militari occorrenze più frequentemente accaggiono. Duoimi solamente, benigno lettore, che quantunque io mi sia ingegnato di spiegare le seguenti cose con ogni chiarezza e facilità possibile, tuttavia a chi le dovrà dalla scrittura cavare, resteranno in qualche oscurità involte, per- io dendo appresso molta di quella grazia, che nel vederle attualmente operare, e nell’ apprenderle dalla viva voce, le rende meravigliose: ma questa è una di quelle materie, che non patiscono di essere con chiarezza e facilità de¬ scritte, nè intese, se prima dalla viva voce non si ascoltano, e nell’atto stesso esercitar non si veggono. E questa saria stata potente cagione, che mi arrebbe fatto astener dall’ imprimer quest'opera, se non mi fosse giunto all’orecchie, che altri, alle mani di cui, non so in qual guisa, è pervenuto uno de i mici Strumenti con la sua dichiarazione, si apparecchiava per appropriarselo ; il che mi ha messo in necessità di assicurar, col testimonio delle stampe, non meno le fatiche mie, che la riputazione di chi se l’avesse 20 volute attribuire ; perchè quanto al far cauto me, non mancano le testimo¬ nianze di. Principi ed altri gran Signori, i quali da 8 anni in qua hanno questo Strumento veduto, e da me appresone l’ uso ; de i quali quattro soli mi basterà, ora nominare. Uno fu I Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Gio. F ri¬ de rico Principe di Holsazia, ete. e Conte in Oldemburg, etc., che 1 anno 1598 apprese da me l’uso di questo Strumento, ma non ancora a perfezione ri¬ dotto. E poco doppo fui dell’ istesso favore onorato dal Serenissimo Arci¬ duca D. Ferdinando d’Austria. L ’ l/lustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Filippo Landgravio di Assia e Conte di Nidda, etc. l’anno 1601 intese il medesimo uso qui in Padova. Ed il Serenissimo di Mantova due anni sono volse da me so sentirne l’esplicazione. Aggiugnesi che il tacere in la fabrica dello Strumento, la quale pei la lunga e laboriosa sua descrizione c per altri rispetti al presente pre¬ termetto, renderà questo trattato de! tutto inutile a ehi senza lo Strumento ei pervenisse nelle mani. E per tal causa ne ho io fatte stampare appiesso di me 60 copie sole, per presentarne insieme con lo Strumento, con la somma diligenza che si ricerca fabricato e diviso, prima al Serenissimo GEOMETRICO K MILITARE, B71 Principe di Toscana mio Signore, e poi, ad altri Signori, da i quali so questa \ f atica esser desiderata. Finalmente, essendo mia intenzione di esplicare al presente operazioni per lo pili attenenti al soldato, ho giudicato esser bene scrivere in favella toscana, acciò che, venendo talora il libro in mano di persone più intendenti della milizia che della lingua latina, possa da loro esser comodamente inteso. Vivete felici. I DIVISIONE DELLA LINEA. Operazione Prima. Venendo alla dichiarazione particolare delle operazioni di questo nuovo Compasso Geometrico e Militare, primamente faremo principio da quella faccia di esso nella quale sono notate quattro coppie di linee con loro divisioni e numeri ; e tra esse parleremo prima delle più interiori, denominate Linee Aritmetiche per esser le loro divisioni fatte in proporzione aritmetica, cioè con eguali eccessi, che procedono sino al numero 250, dalle quali trarremo diversi usi. E primamente: io Col mezo di queste linee potremo dividere una linea retta pro¬ postaci in quante parti eguali ne piacerà, operando in alcuno delli infrascritti modi. Quando la proposta linea sia di mediocre grandezza, sì che non ecceda l’apertura dello Strumento, piglieremo con un compasso ordi¬ nario P intera quantità di quella, e questo spazio applicheremo traver- salmente, aprendo lo Strumento, a qualunque numero di esse Linee Aritmetiche, pur che sia tale, che sopra le medesime linee ve ne sia un minore, e da quello contenuto tante volte quante sono le parti in che si ha da dividere la linea proposta ; ed aggiustato in tal guisa lo Stru- 20 mento, e preso lo spazio traversale tra i punti di questo minor nu¬ mero, questo senz’ alcun dubbio dividerà la proposta linea nelle parti ordinateci. Come, per essempio: Dovendo noi dividere la linea data in cinque parti eguali, pigliamo due numeri de’ quali il maggiore sia quintuplo dell’altro, come sa¬ riano 100 e 20, ed aperto lo Strumento aggiustiamolo in maniera, che la distanza già presa col compasso si adatti traversalmente adii punti 374 le operazioni del compasso segnati 100. 100, e non movendo più lo Strumento, prendasi la. distanza pur traversale tra li punti delle medesime linee segnati 20. 20; per¬ chè indubitatamente questa sarà la quinta parte della linea proposta. E con simile ordine troveremo ogn’ altra divisione : avvertendo di pren¬ dere numeri grandi, pur che non si passi 250, perchè, così facendo, l’operazione riuscirà più facile ed esatta. L’istesso potremo conseguire operando in un altro modo; e l’or¬ dine sarà tale. Volendo dividere, per essempio, la sottoposta linea AB, v. g., in 11 parti, prenderò un numero multiplice dell’altro undici volte, come saria 110 e 10, e presa col compasso tutta la linea AB, io l’accomoderò traversalmente, aprendo lo Strumento, alli punti 110; di¬ poi, non si potendo sopra le medesime linee prendere la distanza tra li punti 10, li quali vengono occupati dalla grandezza della nocella, in vece di questa si piglierà l’intervallo tra li punti 100. 100, stringendo un poco il compasso ; del quale fermata poi un’ asta nel punto B, noterò con l’altra il segno C, onde la rimanente linea AC sarà la undecima parte di tutta l’AB; e similmente, fermata l’asta del compasso in A, segnerò verso l’altra estremità il punto E, lasciando la EB eguale alla CA. Dipoi, stringendo ancora un poco il compasso, prenderò l’in¬ tervallo traversale tra li punti 90. 90 e questo trasporterò da B in D, 20 e da l’A in F, ed avere due linee CD, FE, undecime parti ancoresse della intera. E col medesimo ordine trasferendo di qua 0 di là le di¬ stanze prese tra li punti 80. 80, 70. 70, etc., troveremo le altre divi¬ sioni; come nella sottoposta linea distintamente si vede. n E f d c A Ma quando ci fusse proposta una piccolissima linea da dividersi in molte parti, come sarebbe, per essempio, la seguente linea AB, per divi¬ derla, v. g., in 13 parti, potremo secondo quest’altra regola procedere. Prolunghisi occultamente essa linea AB sino in C; e misurate in essa altre linee, quante ci piaceranno, eguali alla A B, e siano nel pre¬ sente essempio altre sei, sì che A C sia settupla di essa A B, è mani- so festo che di quelle parti, delle quali la AB contiene tredici, tutta la A C ne conterrà 91; onde, presa con un compasso tutta la AC, l’ap¬ plicheremo traversalmente, aprendo lo Strumento alli punti 91. 91, e, stringendo poi il compasso a un punto meno, cioè a li punti 90. 90, GEOMETRICO E MILITARE. 375 trasporteremo questa distanza dal punto C verso A; perchè, notando il termine verso A, si lascerà la novantunesima parte di tutta la CA ; che è la tredicesima della BA, fuori, pur verso il termine A. E così, se ci piacerà, verremo stringendo di punto in punto il compasso al- p 89 88, 87, etc., e trasporteremo questi intervalli dal termine C verso A, e si verranno di grado in grado ritrovando e notando le altre par¬ ticelle della linea proposta AB. Ma se finalmente la linea da dividersi fosse lunghissima, sì che eccedesse di molto la maggiore apertura dello Strumento, potremo in io ogni modo prendere di essa la parte assegnataci, la quale sia, per essempio, la settima. Ora per trovarla, avendoci prima immaginati due numeri, l’uno settuplo dell’altro, quali sieno, v. g., 140 e 20, costi¬ tuiscasi lo Strumento in qual si voglia apertura, e da esso presa con un compasso la distanza traversale tra li punti 140. 140, veggasi quante volte questa è compresa nella gran linea proposta; e quante volte vi è contenuta, tante volte l’intervallo traversale tra li punti 20. 20 si replichi sopra la gran linea, e si averà la sua settima parte, quando però l’intervallo, che si prese tra li punti 140, avesse misurato preci¬ samente la data linea. Ma se non 1’ avesse misurata a punto, bisogneria 20 prendere dell’avanzo la settima parte, secondo il modo di sopra di¬ chiarato, e questa aggiugnere a quell’intervallo che fu sopra la gran linea più volte replicato; e si averà la settima parte a capeBo, secondo che si desiderava. COME DI UNA LINEA PROPOSTA POSSIAMO PRENDERE QUALUNQUE PARTI CI VERRANNO ORDINATE. Operazione Seconda. La presente operazione è tanto più utile e necessaria, quanto che senza l’aiuto del nostro Strumento saria difficilissimo trovar tali divi¬ sioni; le quali però con lo Strumento in uno instante si conseguiranno, so Quando dunque ci bisognasse d’una linea proposta prendere qualunque parti ci venissero ordinate, come, per essempio, delle 197 parti do- n. 46 37G I,E OPERAZIONI DEL COMPASSO viamo prendere lo 113, piglisi senz’ altro con un compasso la lunghezza, della data linea, ed aperto lo Strumento sin che tale lunghezza si accomodi traversalmente alli punti segnati 197, e più non lo movendo prendasi con l’istesso compasso la distanza tra li punti 113.113- tanta senz’ alcun dubio sarà la porzione della linea proposta, che alli centotredici centonovantasettesimi si agguaglia. COME LE MEDESIME LINEE CI PRESTANO DUE, ANZI UNA PIANTA IN UN’ALTRA MAGGIORE 0 MINORE, INFINITE, SCALE PER TRASPORTAR SECONDO IL NOSTRO ARBITRIO. Operazione È manifesto elio qualunque volta c-i bisognasse cavare da un dis-io segno un altro maggiore o minore secondo qual si voglia proporzione, fa di mestiere che ci serviamo di due scale esattamente divise, Pana delle quali ci serva per misurare il disegno già fatto, e l’altra per notare le linee del disegno da farsi, tutte proporzionate alle loro cor¬ rispondenti del disegno proposto; e tali due scale avremo sempre dalle linee delle quali ora parliamo: ed una d’esse sarà la linea già sopra lo Strumento dirittamente divisa e ch’ha il suo principio nel centro dello Strumento; e questa, eli’è una scala stabile, ci servirà per misu¬ rare i lati della proposta pianta : l’altra, che sarà per disegnare la nuova pianta, deve esser mobile, cioè deve potersi crescere e diminuire ad 20 arbitrio nostro, secondo che la nuova pianta dovrà esser 0 maggiore o minore; e tale scala mutabile sarà quella che dalle medesime linee avremo travorsalmente, stringendo o allargando il nostro Strumento. Ma per più chiara intelligenza del modo d’applicare all’uso tali linee, ne metteremo un essenipio. Siaci dunque proposta la pianta ABCDE, alla quale se ne deve disegnare un’ altra simile, ma so¬ pra la linea FG, la quale sia omologa, cioè risponda alla linea AB. Qui è manifesto che bisogna servirsi di due scale, l’una so per misurar le linee della pianta ABCDE, e l'altra con la quale si misurino le linee della pianta da farsi, e questa deve esser dell’altra maggiore o minore secondo la proporzione della linea FG alla AB. Piglia dunque con un compasso la linea AB, la quale 377 GEOMETRICO E MILITARE. applica rettamente sopra la scala dello Strumento, ponendo un’asta del compasso nel centro dello Strumento, e 1’ altra sopra il punto dove cascherà, che sia, per essempio, al 60; dipoi prendi pur col compasso la linea FG, e posta una delle sue aste nel punto 60, apri lo Strumento sin tanto che 1’ altr’ asta caschi giusto traversalmente sopra l’altro corrispondente punto 60: nè più si muterà tale costitu¬ zione dello Strumento, ma tutti gli altri lati della pianta proposta si misureranno sopra la scala retta, ed immediatamente si prenderanno le distanze corrispondenti ad essi traversalmente, per li lati della nuova io pianta. Come, verbi gratin, vogliamo ritrovare la lunghezza della linea GH rispondente alla BC: prendi col compasso la distanza BC, e questa applica dal centro dello Stromento rettamente sopra la scala; e fer¬ mata l’altr’asta nel punto dove casca, quale sia, per essempio, 66, volta l’altr’ asta all’ altro punto 6(5, traversalmente rispondente, secondo la cui misura taglierai la linea G H, che risponderà alla B C in quell’ istessa proporzione che la linea FG alla AB. Ed awertiscasi, che quando si volesse trasportare una pianta piccola in un’altra assai maggiore, bi¬ sognerà servirsi delle due scale con ordine opposto, cioè usare la scala retta per la pianta da farsi, e la trasversale per misurar le linee della 20 pianta proposta. Come, per essempio, aviamo la pianta AB CD E F, la quale vogliamo trasportare in un’altra assai maggiore, cioè sopra la linea GH che sia rispondente alla linea AB. Per aggiustar le scale prendasi la linea G H, e veggasi quanti punti contiene nella scala retta, e veduto contenerne, v. g., 60, prendasi la sua rispondente AB, ed adat¬ tisi traversalmente alli punti 60. 60, nè più si muova lo Strumento: per trovar poi la linea HI, rispondente alla BC, piglia col compasso essa BC, e va investigando a quali punti si accomodi sopra la scala traver¬ so sale; e trovato accomodarsi, per es¬ sempio, alli punti 46, piglia imme- x diatamente l’intervallo de i punti 46 sopra la scala retta; e troverai la lunghezza della linea II I rispon¬ dente alla BC. E notisi, tanto per questa quanto per la precedente operazione, che non basta aver tro¬ vata la lunghezza HI, se non si trova ancora a qual punto si deve 378 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO drizzare, acciò che costituisca l’angolo H eguale all’angolo B. Però trovata che si averii essa linea HI, fermata un’asta del compasso nel punto H, si noterà con l’altra occultamente una porzione di arco, se¬ condo che mostra la linea puntata OIN; di poi si piglierà l’intervallo tra ’l punto A e ’l punto C, e si cercherà quanti punti sia sopra la scala traversale; e trovato essere, v. g., 89, si prenderà rettamente la distanza 89 col compasso; del quale fermata un’asta in G, si noterà con l’altra l’intersecazione dell’arco RIQ con l’arco primo GIN, fatta nel punto 1, al quale si deve drizzar la linea HI: e sarà senza dubio l’angolo H eguale all’angolo B, e la linea HI proporzionale alla BC. io E con tale ordine si troveranno li altri punti K, L, M, rispondenti al- l’angoli I), E, F. REGOLA DEL TRE RISOLUTA COL MEZO DEL COMI 1 ASSO E DELLE MEDESIME LINEE ARITMETICHE. Operazione Quarta. Servonci le presenti linee non tanto per la resoluzione di diversi problemi lineari, quanto per alcune regole di aritmetica: tra le quali porremo questa, che risponde a quella nella quale Euclide c’insegna. Proposti rie numeri, trovare il quarto proporzionale ; perchè altro non è la regola aurea, che del tre domandano i prattici, che trovare il 20 quarto numero proporzionale alli tre proposti. Dimostrando adunque il tutto con l’essempio, per più chiara intelligenza, diciamo: Se 80 ci dà 120, che ci darà 100? Hai dunque tre numeri posti con quest’ordine 80 120 100: e per trovare il quarto nu¬ mero che cerchiamo, prendi sopra lo Strumento rettamente il se¬ condo numero de i proposti, cioè 120, ed applicalo trasversalmente al primo, cioè all’80; dipoi prendi trasversalmente il terzo numero, cioè 100, e misuralo rettamente sopra la scala; e quello che trove¬ rai, cioè 150, sarà il quarto numero cercato. E nota che l’istesso awerria, se, in vece di prendere il secondo numero, pigliassi il terzo, 30 e poi, in vece del terzo, pigliassi il secondo; cioè che l’istesso ci darà il secondo numero preso rettamente ed applicato al primo trasver¬ salmente, pigliando dipoi il terzo trasversalmente e misurandolo ret¬ tamente, che ci daria il terzo rettamente preso e trasversalmente al GEOMETRICO K MILITARE. 379 primo applicato, pigliando poi il secondo trasversalmente e rettamente misurandolo: che nell’uno e nell’altro modo troveremo 150. E ciò è bene aver avvertito, perchè, secondo le diverse occasioni, questo di quello o quello di questo modo di operare ci tornerà più accomodato. Possono circa l’operazione di questa regola del tre, occorrere al¬ cuni casi, li quali potriano partorir qualche difficoltà se non si avver¬ tissero, dimostrando appresso come in essi si deva procedere. E prima, potria alcuna volta occoirere che, delli 3 numeri proposti, nè il secondo nè il terzo, preso rettamente, si potesse applicare trasversalmente al io primo: come se si dicesse: 25 mi dà 60; che darà 75? dove tanto il 60 quanto il 75 passa il doppio del primo, cioè di 25, sì che nè l’uno nè l’altro di essi si può, rettamente preso, applicare trasversalmente ad esso 25. Onde, per conseguire l’intento nostro, piglieremo o il secondo o il terzo rettamente, e l’applicheremo al doppio del primo trasver¬ salmente, cioè a 50 (e quando non bastasse al doppio, l’applicheremo al triplo, al quadruplo, etc.); dipoi, pigliando l’altro trasversalmente, affermeremo che quello che ci mostrerà misurato rettamente sarà la metà (o vero la terza o quarta parte) di quello che cerchiamo. E così, nel proposto essempio, 60 preso rettamente, applicato al doppio di 25, 20 cioè a 50, trasversalmente, e subito preso il 75, pur trasversalmente, e questo misurato rettamente, troveremo che ci darà 90; il cui doppio, ciò è 180, è il quarto numero che si cercava. Potria in oltre occorrere che il secondo o il terzo de i numeri pro¬ posti non si potesse applicare al primo, per esser esso primo troppo glande, sì che eccedesse il numero segnato sopra le linee, cioè 250: come se dicessimo: 280 mi dà 130; che mi darà 195? in tal caso, preso rettamente il 130, si butterà trasversalmente alla metà di 280, che è 140; dipoi si prenderà trasversalmente la metà del terzo numero, cioè di 195, che è 97 e mezo, e questo spazio, misurato rettamente, ci darà 30 90 e mezo : che è quello che si cercava. Un’altra cautela sarà bene che ponghiamo, per servircene quando il secondo o terzo delli numeri proposti fusse molto grande, essendo li altri due mediocri: come quando si dicesse: Se 60 mi dà 390, che mi darà 45? Preso dunque 45 rettamente, si applicherà trasversal¬ mente al 60; e non si potendo pigliare il 390 intero, lo piglieremo in pezzi, secondo che più ci piacerà : come, v. g., piglierò 90 trasver¬ salmente, il quale, misurato rettamente, mi darà 67 e mezo, il che 380 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO noterò da parte; piglierò poi trasversalmente 100, che, misurato ret¬ tamente, mi darà 75; e perchè nel 390 vi è una volta 90 e tre volte 100, prenderò tre volte il 75 trovato, e di più 07 e mezo, che fu trovato in virtù del 90; e tutta questa somma fa 292 e mezo, per # il quarto numero che si cerca. Ultimamente non resteremo di (lire come si possa operare la me¬ desima regola in numeri picciolissimi, ben che nello Strumento non si siano potuti notare i punti dal 15 in giù, mediante la nocella che unisce e collega le aste dello Strumento. Ma in questa occasione ci serviremo delle decine de i punti come se fùssero unità: sì che di-io cendo, per essempio: Se 10 dà 7, che darà 13? non potendo pigliar 7 per buttarlo a 10, piglieremo 70, cioè 7 decine, e lo butteremo a 10 de¬ cine, cioè a 100; e subito pigliando 13 decine, torneremo a misurar questa distanza rettamente, e la troveremo contenere punti 91, che sono 9 ed un decimo, facendo, come si è detto, che ogni decina vaglia uno. E da tutti questi avvertimenti, quando si avemmo bene in prat- ■. t.ica, si potrà facilmente investigare la soluzione di tutte le difficoltà, che ci potessero in ogni caso occorrere. REGOLA DEL TRE INVERSA, RISOLUTA COL MEZO DELLE MEDESIME LINEE. Operazione V. 20 Con non dissimile operazione si risolveranno i quesiti della regola del tre inversa: eccone un essempio. Quella vittovaglia che basteria per mantenere 60 giorni 100 soldati, a quanti basteria giorni 75? Que¬ sti numeri, disposti alla regola, stanano in quest’ordine 60 100 75. E l’operazione dello Strumento richiede che pigli rettamente il primo numero, cioè 60, e l’applichi trasversalmente al numero terzo, cioè 75; e non movendo lo Strumento, piglia trasversalmente il 100, che è il secondo, e misuralo rettamente, e troverai 80: qual’è il numero cer¬ cato. Dove si deve parimente avvertire, che ’l medesimo ritroveremo applicando il secondo rettamente al terzo trasversalmente, e poi ini- 30 surando rettamente il primo trasversalmente preso. Devesi oltre a ciò notare, che tutti gli avvertimenti posti sopra circa la regola del tie si devono ancora in questa per l’appunto osservare. GEOMETRICO E MILITARE. 381 REGOLA PER TRASMUTAR LE MONETE. « Operazione VI. Col mezo di queste medesime Linee Aritmetiche possiamo trasmu¬ tar ogni spezie di moneta l’una nell’altra con maniera molto facile e spedita: il che si conseguirà con l’aggiustar prima lo Strumento, pigliando rettamente il prezzo della moneta che vogliamo trasmutare, ed accomodandolo trasversalmente al prezzo di quella in cui si ha da fare la trasmutazione; come, acciò più distintamente il tutto s’in¬ tenda, dichiareremo con un essempio. Vogliamo, v. g\, trasmutare io scudi d’oro in ducati veneziani : e perchè il prezzo o valuta dello scudo d’ oro è lire 8, e la valuta del ducato lire 6, soldi 4, è ne¬ cessario (poi che il ducato non è misurato precisamente dalle lire, entrandovi soldi 4) risolvere l’una e l’altra moneta, e valutarla con li soldi, considerando come il prezzo dello scudo è soldi 160, e quello del ducato 124. Per aggiustar dunque lo Strumento alla tra¬ smutazione di scudi d’oro in ducati, piglia rettamente la valuta dello scudo, cioè 160, ed applicala, aprendo lo Strumento, traversalmente al valore del ducato, cioè a 124, nè più moverai lo Strumento: dipoi qualunque somma di scudi proposta trasmuterai in ducati, pigliando 20 la detta somma trasversalmente e misurandola rettamente. Come, per essempio, vogliamo sapere quanti ducati faccino 186 scudi: piglia 186 per traverso e misuralo rettamente, e troverai 240; e tanti ducati faranno li detti scudi. REGOLA DE GL’ INTERESSI SOPRA INTERESSI, C1IE ALTRIMENTI SI DICE DE I MERITI A CAPO d’ ANNO. Operazione VII. Assai speditamente potremo risolvere le questioni di questa regola con l’aiuto delle medesime Linee Aritmetiche, e ciò con due diverse maniere di operare, come con due seguenti essempi faremo chiaro e 30 manifesto. Cercasi quanto siano per guadagnare 140 scudi in 5 anni a ragione di 6 per 100 l’anno, lasciando gl’interessi sopra il capitale 382 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO e sopra li altri interessi, acciò che continuamente guadagnino. Per trovar dunque quanto cerchiamo, piglia rettamente il primo capitale cioè 140, e questo butta trasversalmente al 100 ; e senza mover lo Stru¬ mento, piglia subito, pur trasversalmente, la distanza tra li punti 10G che è il 100 con l’interesse, e torna di nuovo ad aprir lo Sfrumento e questo intervallo, eh’ ultimamente pigliasti col compasso, ributtalo al 100; ed aprendo un poco più il compasso, piglia trasversalmente la distanza tra li punti 100, e di nuovo aperto un poco più lo Stru¬ mento, butta questa distanza pur ora trovata al 100; ed aprendoli compasso, piglia il 106; ed in somma va replicando questa medesima io operazione tante volte, quanto è il numero de gli anni del merito; ed essendo, nel presente essempio, il merito per anni cinque, devi rei¬ terar l’operazione cinque volte. Ed in ultimo, misurando rettamente l’intervallo eli’averai preso, troverai comprender punti 187 e un terzo: e tanti scudi saranno doventati li 140 posti da principio, col guadagno de i sei per cento, nello spazio di anni cinque. E nota, che se ti tornasse più comodo di servirti, in cambio del 100 e 106, del 200 e 212, come spesso volte occorrerà, il medesimo sarà ri¬ trovato. L’altro modo di operare non richiede altra mutazione nello Stru -20 mento che un solo primo accomodamento; e procedesi così. Serven¬ doci del medesimo quesito posto sopra, per aggiustar lo Strumento piglia 100 col suo primo interesse, cioè 100, rettamente; ed aperto lo Strumento, applicalo trasversalmente al 100, nè mai più moverai lo Strumento. Piglia poi trasversalmente la somma de i denari pro¬ posta, che fu 140, e misurala rettamente; e vederai già il guadagno del primo armo esser 148 e due quinti, comprendendo però anche il capitale. Per trovar il secondo anno, piglia trasversalmente questo 148 e due quinti, e senz’altro misuralo rettamente; e troverai 157 e un terzo per il secondo anno. Piglia poi (piesto medesimo numero 157 30 e un terzo trasversalmente, e toma a misurarlo inettamente; e trove¬ rai 166 e tre quarti per il capitale e guadagno del terzo anno. Torna a pigliar questo 166 e tre quarti trasversalmente, e misuralo retta- mente; ed averai per il quarto anno 176 e tre quarti. Finalmente piglia questo trasversalmente, e torna a misui'arlo rettamente; ed averai per il quinto anno, tra capitale e guadagno, 186 e un terzo. E così, volendo per più anni, andrai replicando T operazione. E nota, 383 GEOMETRICO E MILITARE. clie quando il primo capitale proposto fusse somma tale che ecce¬ desse il numero de i punti 250, segnati sopra le Linee Aritmetiche, elevi operare a pezzi, pigliando la metà, il terzo, il quarto, il quinto, o altra parte della somma proposta; elio in line, pigliando due, tre, quattro, o cinque, o più volte, quello che trovi, verrai in cognizione di quello che desideri. n. 47 384 T,E OPERAZIONI DEL COMPASSO DELLE LINEE GEOMETRICHE, CHE SEGUONO APPRESSO, E LORO USI; lì PRIMA, COME COL MEZO DI ESSE POSSIAMO CRESCERE 0 DIMINUIRE IN QUALUNQUE DATA PROPORZIONE TUTTE LE FUTURE SUPERFICIALI. (Operazione V III. Le linee che seguono appresso le Aritmetiche, di sopra dichiarate sono (lette Linee Geometriche, per esser divise secondo la geometrica proporziono procedente sino al 50 ; dalle quali trarremo diverse uti¬ lità: e prima ci serviranno per trovar il lato di una figura superfi¬ ciale che ad un’ altra proposta abbia una data proporzione; come io saria, per essempio, sendoci proposto il triangolo ABC, vogliamo trovar il lato di un altro, che ad esso abbia proporzione sesquialtera. Pi¬ glimi due numeri nella data proporzione, e siano, per essempio, 12 ed 8 ; e presa con un compasso la linea R C, adattisi, aprendo lo Strumento, alli punti delle Linee Geometriche 8.8, e senza punto muover T apertura, prendasi l’in¬ tervallo tra li punti 12. 12; perchè, se faremo una linea di tal grandezza lato di un triangolo, rispondente alla linea B C, sarà la sua superficie c indubitatamente sesquialtera del triangolo ABC. 20 E questo medesimo intendasi di ogn’ altra sorte di figura; e delli cerchi ancora faremo questo mede¬ simo, servendoci delli loro diametri o semidiametri come de i lati delle figure rettilinee. E notisi, per le persone più vulgari, che la presente ope¬ razione è quella che c’insegna crescere o diminuire tutte le piante su¬ perficiali; come, v. g., avendo una pianta, la quale contiene, per essempio, 10 campi di terreno, ne vorremmo disegnare una che ne contenesse 34. Piglia qualunque linea della pianta di 10 campi, ed applicala trasversal¬ mente alli punti 10 delle presenti Linee Geometriche, e senza più muover lo Strumento, prendi l’intervallo trasversale tra li punti 34 delle me- so GEOMETRICO E MILITARE. 385 desiine linee, e sopra una tal lunghezza descrivi la tua pianta simile alla prima, secondo la regola che di sopra nella terza operazione fu in¬ segnato; ed averai la pianta cercata, capace precisamente di 34 campi. CO MIO CON l’ istesse liner possiamo trovare la proporzione TRA DUE FIGURE SUPERFICIALI TRA DI LORO SIMILI. Operazione IX. Sianci, per essempio, proposti li due quadrati A, B, o vero qualun¬ que due altre figure, delle quali le due medesime linee A, 11 siano lati omologhi. Volendo trovar qual proporzione abbino tra di loro le io dette superficie, prendasi con un compasso la linea 11, la quale, aprendo lo Strumento, si applichi a qual si voglia punto di esse Linee Geome¬ triche, e sia, per essempio, al 20 ; dipoi, non movendo lo Strumento, prendasi col compasso la linea A, e questa applicata alle Linee Geo¬ metriche, veggasi a che numero si adatti; e trovato, v. g., che si aggiusti al numero 10, dirai la proporzione delle due figure esser quella che ha 20 a 10, cioè doppia. E quando la grandezza di que¬ sta linea non si accomodasse precisamente ad alcuna delle divisioni, dobbiamo rinovare 20 ? operazione, ed, applicando ad altri punti che alli 20, tentare sin tanto che l’altra linea ancora esattamente si acco¬ modi a qualche punto ; il che trovato, sapremo consequentemente la proporzione delle due figure assegnateci, per esser lei sempre la me¬ desima che quella de i numeri dell i due punti, alli quali le dette linee, nella medesima apertura dello Strumento, si accomodano. E quando dell’ una delle due piante proposteci fosse data la. capacità, si troverà il contenuto dell’altra nel medesimo modo. Come, per essempio: Es¬ sendo la pianta della linea B 30 campi, si cerca quanto saria la pianta A : accomoda la. linea B trasversalmente ai punti 30, e vedi so poi a qual numero si adatti, pur trasversalmente, la linea A ; e tanti campi dirai contenere la pianta di essa linea A. 38(i LE OPERAZIONI DEL COMPASSO COME 81 POSSA COSTITUIRE UNA FIGURA SUPERFICIALE SIMILE ED EGUALE A MOLTE ALTRE SIMILI PROPOSTECI. Operazione X. Sianci, per esseinpio, proposte tre ligure simili, delle quali li lati omologia siano le linee A, 13, C, alle (piali se ne (lebbe trovar una sola eguale, e pure ad esse simile. Prendi col compasso la lunghezza della linea C, e questa, aperto lo Strumento, applicherai a qual numero più ti piace delle Linee Geometriche, e sia, v. g., applicata alli punti 12.12; dipoi, lasciato lo Strumento in tal sito, prendi la linea 13, e vedi a che numero delle medesime linee si accomodi, die sia, per essempio, al 9; e io perchè l’altra si era aggiustata al 12, congiugnerai questi due nu- - - a c i) meri 9 e 12 insieme, e terrai a memoria 21 ; piglia dipoi la terza linea A, e, secondo il medesimo ordine, considera a qual numero delle medesime linee trasversalmente si adatti, e trovato, v. g., adattarsi al 6, aggiu- gnei'ai G al 21, che salvasti, e averai in tutto 27. Piglia dunque la distanza trasversale tra li punti 27, ed averai la linea D ; sopra la quale facendo una figura simile a le altre 3 proposte, sarà ancora di gran¬ dezza alle medesime tre insieme eguale. E col medesimo ordine ne potrai ridurre in una sola quante ne venissero proposte, pur che le proposte siano tutte simili tra di loro. 20 PROPOSTE DUE FIGURE SIMILI E DISUGUALI, TROVAR LA TERZA SLMILE ED EGUALE ALLA DIFFERENZA DELLE DUE PROPOSTE. Operazione XI. La presente operazione è il converso della già dichiarata nel pre¬ cedente capitolo; e la sua operazione sarà in tal guisa. Sianci, per essempio, proposti 2 cerchi diseguali, e del maggiore sia diametro GEOMETRICO E MILITARE. 387 la linea A A, e del minore la BB: volendo trovar il semidiametro del cerchio eguale alla differenza delli due A,B, prendi con un compasso la lunghezza della linea maggiore A, ed applicala, aprendo lo Stru¬ mento, a qual punto più ti piacerà delle Linee Geometriche, e sia, per essempio, applicata al numero 20 ; e non movendo lo Strumento, con¬ sidera a qual punto delle medesime linee si ag- A giusta la linea B, e trovato, per essempio, acco¬ modarsi al numero 8, sottratto questo di 20, io resterà 12; e presa la distanza tra li punti 12.12, averai la linea C, il cui cerchio sarà eguale alla differenza delli due A, B. E quello che si è assemplifìcato ne i cerchi per via de i loro semidiametri, intendasi esser l’istesso nelle altre ligure simili, operando con uno de i loro lati omologhi. ESTRAZIONE DELLA RADICE QUADRATA CON L 1 AIUTO DELLE MEDESIME LINEE. Operazione XII. Tre differenti modi di operare nelFestrazion della radice quadrata saranno nel presente capitolo dichiarati, uno per li numeri mediocri, uno per li grandi, ed il terzo per li piccioli: intendendo per i numeri 20 mediocri quelli che sono, tanto nel meno quanto nel più, intorno al 5000; maggiori, quelli che sono intorno al 50000; minimi, quelli che sono intorno al 100. E prima faremo principio da i numeri mediocri. Per estrar dunque e trovar la radice quadrata di un numero mezano proposto, prima devesi aggiustar lo Strumento, la qual cosa sarà con l’accomodare trasversalmente al 16 delle Linee Geometriche lo spazio di 40 punti preso rettamente dalle Linee Aritmetiche: dipoi del nu¬ mero proposto leva via le due ultime figure, che dinotano le unita e le decine; e quel numero che resta, prendi trasversalmente dalle Linee Geometriche, e misuralo rettamente sopra le Aritmetiche ; e quello che so trovi sarà la radice quadrata del numero proposto. Come, per essempio, volendo la radice di questo numero 4630, levate le due ultime figure, cioè il 30, resta 46; però piglierai trasversalmente 46 dalle Linee Geo¬ metriche e lo misurerai rettamente sopra le Aritmetiche, e lo troverai contenere punti 68, che è la prossima radice cercata. 388 EK OPERAZIONI DEI, COMPASSO Ma sono in questa regola da notarsi (lue cose. La prima è, che quando le due ultime ligure, che si levano, passassero 50, devi al nu¬ mero che resta aggiungere uno: come se, v. g., volessi pigliare la radice di 4192, perchè il 92 da levarsi passa 50, in luogo del 41, che restava, devi prendere 42, e nel resto seguire la regola di sopra. L’altra cautela, che si deve osservare, è che quando quello che resta, detratte le due ultime figure, passasse 50, in tal caso, poi che la divisione delle Linee Geometriche non si estende oltre al 50, si deve del numero che resta prendere la metà o vero altra parte, e questa distanza presa, si deve geometricamente raddoppiare o secondo il nu- io mero della detta parte multiplicare; e quell’ultimo intervallo così mul- tiplicato, misurato rettamente sopra lo Linee Aritmetiche, ti darà la radice che cerchi. Come, per essempio, vogliamo la radice di 8412: aggiustato, come è detto, lo Strumento, o detratte le due ultime figure, resta 84, il qual numero non è sopra le Linee Geometriche; però pi¬ glierai la sua metà, cioè 42: preso dunque lo spazio trasversale tra li punti 42, bisognerà che geometricamente sia raddoppiato, il che farai con aprir più lo Strumento, sin tanto che il detto spazio si adatti a qualche numero del quale sopra le medesime Iblee ve ne sia uno dop¬ pio; come, v. g., saria adattandolo al 20, pigliando poi l’intervallo tra 20 li punti 40, il quale, misurato finalmente sopra le Linee Aritmetiche, ti mostrerà Ole due terzi in circa, prossima radice del numero 8412 proposto. E se ti fusse bisognato del numero dato pigliare la terza parte, nel triplicarla poi geometricamente, l’applicherai trasversal¬ mente ad un numero delle Linee Geometriche del quale ve ne sia un altro triplo, come saria al 10 per pigliare il 30, o al 12 per pi¬ gliar 0 36. Quanto al modo di procedere per i numeri maggiori, non si averà altra differenza dal modo precedente, se non nell’ aggiustar lo Stru¬ mento e nel levar dal dato numero le tre ultime note. E l’ aggiustar 30 10 Strumento si farà pigliando 100 rettamente dalle Linee Aritmetiche, aggiustandolo poi trasversalmente alli punti 10. 10 delle Geometriche: 11 che fatto, volendo, v. g\, la radice quadrata di 32140, tolte le tre ul¬ time figure, resta 32, e questo piglierai trasversalmente dalle Linee Geometriche; che, misurato rettamente sopra le Aritmetiche, ti mo¬ strerà 179, prossima radice di 32140. Avvertendo che ristesse cautele notate nell’operazione precedente si devono per l’appunto osservare GEOMETRICO E MILITARE. 389 in questa: cioè, che quando le tre figure, che si detraggono, passano 500, si ha da aggiunger uno a quello che resta; e se quel che resta passa 50, se ne piglierà una parte, cioè la metà o il terzo, ete., dupplicando o tri¬ plicando, al modo dichiarato, quello che averai per la detta parte preso. Per li numeri minori, aggiusterai lo Strumento secondo il primo modo, cioè con buttare 40 a 16, pigliando poi trasversalmente dalle Linee Geometriche il numero proposto, senza levarne figura alcuna; perchè, misurando rettamente il detto spazio sopra le Linee Aritmeti¬ che (i) , troverai la radice cercata in numero intero ed in frazione. Ma io nota che le decine delle Linee Aritmetiche ti debbono servire per unità ? e le unità per decimi di unità: come, per essempio, vogliamo la radice di 30; aggiusta lo Strumento, come è detto, buttando 40, preso dalle Linee Aritmetiche rettamente, al 1 (i delle Geometriche trasversalmente, dalle quali, preso trans versai mente la distanza dalli punti 30, misuran¬ dola rettamente sopra le Aritmetiche, troverai punti 55, che impor¬ tano 5 intieri e 5 decimi, cioè 5 e messo; quanta è la prossima radice di 30. Avvertendo che in questa regola ancora si devono osservare li avvertimenti e cauzioni nelle altre due regole insegnate. REGOLA PER LE ORDINANZE 1)E GLI ESSERCITI DI FRONTE E FIANCO DISUGUALI. 20 [Operazione XIII.] Per le ordinanze di fronte eguale al fianco ci servirà, come è ma¬ nifesto, V estrarre la radice quadrata del numero de i soldati propostoci. Ma quando volessimo formare un’ordinanza con una moltitudine asse¬ gnata di soldati, della quale la fronte ed il fianco non frissero eguali, ma si rispondessero in una data proporzione, allora, per risolvere il quesito, ci bisogna in altra maniera procedere, operando nel modo che nel seguente essempio si dichiara. Sendoci dunque ordinato che ritroviamo la fronte ed il fianco di 4335 soldati, messi in ordinanza in maniera che per ogni cinque, 30 che saranno nella fronte, ne siano tre nel fianco, allora, per conseguir l’intento con l’aiuto del nostro Strumento, prima, considerando i nu¬ meri della proporzione assegnataci esser 5 e 3, aggiungendo a ciascuno (1 * La stampa originale, con evidente or- tiche », di pugno dell'Autore, in parecchi rore « Geometriche », corretto in « Aritme- esemplari. 390 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO di loro un 0, fingeremo che importino 50 e 30. E per trovar la fronte prenderemo rettamente con un compasso 50 dalle Linee Aritmetiche' e quest’intervallo accomoderemo trasversalmente alle Linee Geometri¬ che, ed a quel numero che si produce dalla moltiplicazione tra di loro de i numeri della proporzione assegnata, cioè (nel presente essempio) al 15; e lasciato lo Strumento in tale stato, si prenderà trasversal¬ mente, pur nelle medesime Linee Geometriche, la distanza tra li punti segnati dal numero che resta, detratte le decine ed unità dal numero de i soldati propostoci, che nel presente essempio è 43; e misurato tale intervallo rettamente sopra le Linee Aritmetiche, ci darà la frantelo di tale ordinanza, che sarà soldati 85. E col medesimo ordine troveremo il fianco, pigliando rettamente 30 dalle Linee Aritmetiche, e buttan¬ dolo trasversalmente al 15 delle Geometriche, e da esse immediata¬ mente pigliando, pur trasversalmente, l’intervallo tra li punti 43.43; il quale, misurato rettamente sopra le Linee Aritmetiche, ci darà 51 per il fianco. Ed il medesimo ordine si terrà in ogni altra moltitudine di soldati, ed in qualunque altra proporzione assegnataci: avvertendo che, sì come si disse nella radice quadrata, quando le unità e decine che si levano dal numero proposto passassero 50, si deve alle centi¬ naia, che restano, aggiugnere uno di più, etc. Nè voglio tacere come, 20 trovata che si sarà la fronte secondo la regola già dichiarata, si po- tria con altra regola più spedita, e con le sole Linee Aritmetiche, trovar il fianco, in questa forma operando. Già nell’essempio addotto fu trovato 85 per la fronte, e fumo i numeri della proporzione 5 e 3, che è quanto se si dicesse 50 e 30, o vero 100 e 00, etc.: però quello 85, preso rettamente dalle Linee Aritmetiche, accomodisi trasversalmente al 100 delle medesime, e piglisi immediatamente l’intervallo, pur tra¬ sversale, tra li punti 00. 60 delle medesime linee; il quale, misurato rettamente, ci mostrerà il medesimo numero 51, che nell’altra maniera di operare fu ritrovato. 80 E questa, operazione, che sotto l’essempio delle ordinanze aviamo dichiarata, intendasi esser la regola di uno de i capitoli di algebra, cioè de i censi eguali al numero; onde tutti i quesiti che per esso si risolvono, si scioglieranno anco operando col nostro Strumento nella maniera già dichiarata. GEOMETRICO E MILITARE. 391 INVENZIONE DELLA MEDIA PROPORZIONALE PER VIA DELLE MEDESIME LINEE. Operazione XIIII. Con l’aiuto di queste linee e loro divisioni potremo tra due linee, o vero due numeri dati, trovare con gran facilità la linea o il numero medio proporzionale in questa maniera. Siano li due numeri, o vero le due linee misurate proposteci, l’uno 30 e l’altro l(i: e presa col compasso la lunghezza dell’ una, v. g., della 36, applicala, aprendo lo Strumento, alli punti 36 delle Linee Geometriche, e non movendo lo Strumento, prendi l’intervallo --- io tra li punti 16.16 delle mede¬ sime linee, il quale, misurato sopra la medesima scala, tro- 1 * verni esser punti 24 ; quanto appunto è il numero proporzionale tra 36 e 16. E nota che, per misurar le linee proposte, potremo servirci non solo della scala notata sopra lo Strumento, ma di qualunque altra an¬ cora, quando quella dello Strumento fusse troppo piccola per il nostro bisogno. Notando in oltre, che quando le linee, ed i numeri che le misurano, tra li quali vogliamo trovare il medio proporzionale, fussero assai 20 grandi, sì che passassero il 50, che è il maggiore numero notato sopra le nostre Linee Geometriche, si potrà nondimeno conseguir l’intento, operando con parti de i proposti numeri, o con altri minori di essi, ma che abbino la medesima proporzione che hanno li primi ; e la regola sarà in questo modo. Vogliamo, verbi gratia, pigliare il numero medio proporzionale fra 144 ed 81, li quali eccedono ambidue il cinquanta. Piglisi dalle Linee Aritmetiche 144 rettamente per applicarlo trasver¬ salmente alle Linee Geometriche; ma perchè in esse non vi è numero così grande, piglierò imaginariamente una parte di esso numero 144, come saria, v. g., il terzo, cioè 48, e l’intervallo già preso applicherò so trasversalmente alli punti 48 delle Linee Geometriche. Dipoi, imagi¬ nata la terza parte di 81, che fu l’altro numero dato, la quale è 27, piglierò tal numero pur trasversalmente dalle medesime Linee Geome¬ triche, e questo, misurato rettamente sopra le Aritmetiche, mi darà il medio proporzionale ricercato, cioè 108. a. 48 392 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO DELLE LINEE STEREOMETRICHE ; E PRIMA COME COL MEZO DI ESSE SI POSBENf CRESCERE 0 DIMINUIRE TUTTI I.I CORPI SOLIDI SIMILI SECONDO LA DATA PROPORZIONE. Operazioni * À"F. Sono le presenti Linee Stereometriche così dette per esser la lor divisione secondo la proporziono de i corpi solidi, sino a 148 ; e da esse trarremo molti usi : il primo de i quali sarà il già proposto, cioè come, dato un lato di qual si voglia corpo solido, si possa trovare il lato d’un altro, che ad esso abbia una data proporzione. Come, per essempio, sia la linea A diametro, v. g., d’ una sfera, o palla, per dirlo io --- più valgamente, o vero lato d’un cubo o altro solido, e siaci proposto di dover ii ' trovar il diametro, o lato d’un altro, che a quello abbia la proporzione che ha 20 a 30 : piglia col com¬ passo la linea À, ed aprendo lo Strumento, applicala al punto 3G delle Linee Stereometriche; il che fatto, prendi immediatamente l’intervallo tra li punti 20. 20, che sarà la linea K, diametro o lato del solido, all’altro, il cui lato A, nella proporzione data di 20 a 30. PROPOSTI DUE SOLIDI SIMILI, TROVARE QUAL PROPORZIONE ABBINO FRA DI LORO. Operazione. XVI. 20 Non è la presente operazione molto differente dalle dichiarate di sopra, e puossi con gran facilità risolvere. Quando dunque ci venis¬ sero proposte le due linee A, B, e dimandato qual proporzione abbino fra di loro i lor solidi simili, prenderemo una di esse col compasso; .- - 4 e sia, v. g., presa l’A, la quale appliche- ___ remo, aprendo lo Strumento, a qualche ,f numero delle presenti linee, e sia appli¬ cata, v. g., al 50. 50; e subito presa la lunghezza dell’altra linea B, GEOMETRICO E MILITARE. 393 reggasi a qual- numero si accomodi ; e trovato adattarsi, pei' essempio, •vi 21, diremo il solido A al solido 15 avere la proporzione di 50 a 21. PROPOSTI SOLIDI SIMILI QUANTI NE PIACERÀ, TROVARNE UN SOLO EGUALE A TUTTI QUELLI. Operazione XVII. Siano proposte le tre linee A,.B,C, lati di tre solidi simili; vogliamo trovarne uno eguale a tutti quelli. Per il che fare, prendasi con un compasso la linea A, quale s’appliclii a qualche punto delle Linee Stereometriche, e sia, per -- D 1 io essempio, al punto 30 : e ---- — -— non movendo lo Strumento,_ < considera a qual numero s’adatti la linea B, e tro- — c vato, per essempio, adattarsi al 12, aggiugni questo numero al nu¬ mero 30 già detto, fa 42 ; il qual numero terrai a memoria : presa dipoi con un compasso la. linea C, considera a. qual numero delle me¬ desime linee s’accomodi, e sia, per essempio, al 6, e congiunto questo numero con l’altro 42, averemo 48 : sì che pigliando l’intervallo tra li punti 48. 48, sarà trovata la linea D, il cid solido sarà eguale aldi 20 tre proposti A, B, C. ESTRAZIONE DELLA RADICE CUBA. Operazione X VITI. Due modi differenti dichiareremo per l’investigazione della radico cuba di qualunque proposto numero. Il primo ci servirà per i numeri mediocri, e l’altro per i massimi; in¬ tendendo per numeri mediocri quelli, da i quali tratte le unità, decine e centinaia, li numeri che restano non eccedono il 148. Per l’estrazione della radice cuba de i quali, prima s’aggiusterà lo Strumento, con l’ap¬ plicare trasversalmente alli punti 64 delle Linee Stereometriche il 40 30 preso rettamente dalle Linee Aritmetiche: e fatto questo, leva, le 3 ultime note dal numero proposto, e piglia quel che resta dalle Linee Stereoine- 394 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO triche trasversalmente, c misuralo rettamente sopra le Aritmetiche e quello che trovi sarà la radice cuba del numero proposto. Come v. g., cerchiamo la radice cuba di 80216 : aggiustato, come s’è detto' 10 Strumento, e tolte via le tre ultime note, resta 80 ; piglia dunque trasversalmente 80 dalle Linee Stereometriche, e misuralo rettamente sopra le Aritmetiche, e troverai 43 ; quanta è la radice prossima del dato numero. E nota, che quando, detratte le tre ultime note, restasse più di 148, che è il maggior numero delle Stereometriche, allora po¬ trai operare per parti. Come, per essempio, si cerca la radice cuba di 185840 : e perchè, detratte le ultime 3 note 840, resta 186 (dico 186 io ben che resti 185, perchè le centinaia delle tre note detratte sono più di 5, cioè più di mezo migliaio, onde, pigliandolo per un migliaio intero, fo che quel che resta sia 186, cioè uno di più), che eccede 11 148, piglieremo la sua metà, cioè 93, trasversalmente dalle Stereo- metriche già aggiustate; e questo spazio preso si doverà stereometri¬ camente duplicare, cioè applicarlo a qualche numero delle medesime Stereometriche trasversalmente, del qual ne sia uno doppio; e questo, preso pur trasversalmente, e misuratolo sopra la scala Aritmetica, sarà la radice che si cercava. Stando dunque nell’ esempio proposto, applicheremo lo spazio, tra li punti 93 già preso, v. g., al 40 delle 20 Linee Stereometriche, pigliando poi 1’ 80, che, misurato sopra le Linee Aritmetiche, ci mostrerà 57 ; eli’ è la prossima indice del numero proposto. L’altro modo di operare per li numeri massimi sarà con aggiu¬ stare lo Strumento applicando la distanza di 100 punti, presa retta- mente dalle Linee Aritmetiche, al 100 delle Stereometriche trasver¬ salmente; e sarà aggiustato. Dipoi dal proposto numero devi levare le quattro ultime note, ed il numero che resta prendere trasversal¬ mente da esse Linee Stereometriche, e misurarlo rettamente sopra le Aritmetiche: come, per essempio, sendoci proposto il numero 1404988,30 avendo già aggiustato lo Strumento al modo detto, e detratte le quattro ultime note, resta 140 ; il qual numero, preso trasversalmente dalle Linee Stereometriche, e misurato rettamente sopra l’Aritmetiche, ci darà 112, radice prossima del numero proposto. Non ci scordando, che quando le tre note rimanenti importassero più di 148, numero maggiore delle nostre linee, si deve operare per parti, come nell’altra regola superiore fu avvertito. GEOMETRICO E MILITARE. 395 INVENZIONI! DELLE DUE MEDIE PROPORZIONALI. Operazione XIX. Quando ci frissero proposti due numeri, o due linee misurate, tra le quali dovessimo trovare due altre medie proporzionali, potremo ciò esseguire facilmente col mezo delle presenti linee ; e ciò con questo essempio si farà chiaro. Dove ci vengono proposte le due linee A, D, delle quali l’ima sia, per essempio, 108 e l’altra 32: e presa la mag¬ giore con un compasso, adattisi, aperto lo Strumento, alli numeri 108.108; e poi prendasi l’intervallo tra li punti 32. 32, il quale sarà io la lunghezza della seconda linea B, che, misurata con la medesima scala con la quale furono misurate le proposto linee, si troverà esser 72; e per trovarne la terza linea C, adattisi pure di nuovo, sopra le mede¬ sime Linee Stereometriche, la linea B alli punti 108.108, e tornisi di nuovo a pigliare la distanza tra li punti 32.32, che tale sarà la grandezza della terza linea C ; e misu¬ rata sopra la medesima scala, si troverà essere punti 48. E notisi che non è necessario il prender prima la mag¬ gior linea più che la minore ; ma nell’ uno e nell’ altro 20 modo operando, sempre si troverà l’istesso. COME OGNI SOLIDO PARALLELEPIPEDO SI POSSA COL MEZO DELLE LINEE STEREOMETRICHE RIDURRE IN CUBO. Operazione XX. Siaci proposto il solido parallelepipedo, le cui dimensioni siano diseguali, cioè 72, 32 e 84: cercasi il lato del cubo ad esso eguale. Piglia il medio proporzionale fra 72 e 32, nel modo dichiarato di sopra nell’operazione XIV, cioè piglia 72 rettamente dalla scala Aritmetica, e buttalo trasversalmente al 72 delle Linee Geometriche; ma perchè non vanno tant’oltre, buttalo alla metà, cioè al 3G : e subito prendi 3o pur trasversalmente l’altro numero dalle medesime linee, cioè 32 ; anzi pur, per dir meglio, piglia la sua metà, cioè il 16 (avendo but- ios Ti 48 15 C ;J2 396 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO tato il primo 72 alla sua metà parimente); e questo che troverai sarà, come ò manifesto, il numero medio proporzionale tra 72 e 32: misuralo dunque sopra le Linee Aritmetiche, e lo troverai esser 48- onde lo butterai trasversalmente a questo medesimo numero 48 delle Linee Stereometriche; e senza muovere poi lo Strumento, prendi pur trasversalmente il terzo numero del solido proposto, cioè 1’ 84, e sarà finita l’operazione, perchè facendo questa tal linea lato di un Cubo, quello sarà veramente eguale al solido proposto; e misurandola sopra la scala Aritmetica, la troverai esser 57 e mezo in circa. GEOMETRICO E MILITARE. 397 ESPLICAZIONE DELLE LINEE METALLICHE NOTATE APPRESSO LE STEREOMETRICHE. Operazione XXI. Sono le presenti linee segnate con alcune divisioni, alle quali sono aggiunti questi caratteri : Or. Pi. Ar. Ra. Fe. St. Ma. Pie., che si¬ gnificano Oro, Piombo, Argento, Rame, Ferro, Stagno, Manno, Pietra. Dalle quali si hanno le proporzioni e differenze di peso, che si trovano fra le materie in esse notate : in guisa che, costituito lo Strumento in qual si voglia apertura, gl’ intervalli che cascano fra i punti 1’ uno al¬ io l’altro corrispondenti, vengono ad esser diametri di palle, o lati d’altri corpi tra loro simili ed eguali di peso ; cioè, che tanto sarà il peso di una palla d’oro il cui diametro sia eguale alla distanza Or. Or., quanto d’una di piombo il cui diametro sia l’intervallo tra li punti Pi. Pi., o una di marmo il cui diametro sia la distanza tra li punti Ma. Ma. Dal che possiamo in un istante venir in cognizione, quanto grande si doveria far un corpo d’una delle sopranotate matei'ie, acciò fosse in peso eguale ad un altro simile, ma di altra delle materie dette ; la qual operazione addimanderemo trasmutazione della materia. Come se, per essempio, la linea A fosse diametro d’una palla di stagno, e noi voles- 20 sinio trovare il diametro (l’un’altra d’oro, a quella in peso eguale, prenderemo con un compasso la linea A, e __ questa applicata, aprendo lo Strumento, A affi punti St. St., piglieremo immediate ’ .~ij ' 1 intervallo tra li punti Or. Or. ; e tale sarà il diametro della palla, di oro, cioè la linea B, eguale all’ altra di stagno. Ed il medesimo intendasi di tutti gli altri corpi solidi, e delle altre materie notate. Ma se congiugneremo l’uso di queste linee con quello delle prece¬ denti, ne caveremo molte comodità maggiori; come di sotto si dichia¬ rerà. E prima 398 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO CON LE LINEE PREDETTE POTREMO RITROVAR LA PROPORZIONE CHE HANNO IN pu g0 TRA DI LORO TUTTI LI METALLI ED ALTRE MATERIE NELLE LINEE METALLICHE NOTATE. Operazione XXII. Vogliamo, per essempio, trovare qual proporzione abbino fra di loro in peso questi due metalli, argento ed oro. Prendi con un com¬ passo la distanza tra ’l centro dello Strumento ed il punto notato Ar., e questa, aperto lo Strumento, applica a qual più ti piace de i numeri delle Linee Stereometriche, e sia, per essempio, applicata alli punti 100. 100; dipoi, senza punto muover lo Strumento, piglia la distanza io tra ’l centro del medesimo Strumento ed il [tanto Or., e questa vedi a clie numero s’accomodi sopra le Linee Stereometriche; e trovato, [ter essempio, adattarsi alli punti CO. 00, dirai la proporzione del peso dell’oro a quello dell’argento esser in spezie come 100 a GO. E nota che, nell’ operare, li diametri presi ed applicati alle Linee Stereome¬ triche ti mostreranno la proporzione in peso de i loro metalli per- mutatamente, cioè, come nell’ addotto essempio s’ è veduto, dal dia¬ metro dell’ argento ti viene denotato il [teso dell’ oro, e da quello dell’oro il peso dell’argento: e così vengliiamo ad intendere come l’oro è più grave dell’argento a ragione di 40 per 100, essendo che 40 è 20 la differenza tra li due pesi ritrovati per l’oro e per l’argento. Dal che possiamo venir in cognizione della resoluzione d’un quesito molto bello: che è, propostaci qual si voglia figura di una delle materie notate nelle Linee Metalliche, trovare quanta di un’altra delle dette materie ve ne bisognerà [ter formarne un’altra a quella eguale; come, v. g., abbiamo una statua di marmo ; vorremmo sapere quanto ar¬ gento v’antleria [ter farne una della medesima grandezza. Per il che trovare, farai pesare quella (li marmo, e sia il suo peso, v. g., 25 li¬ bre; poi piglia la distanza tra ’l centro dello Strumento ed il punto Ar., che è la materia della statua futura, e questo applicherai, aprendo so lo Strumento, alle Linee Stereometriche, ed al punto segnato col nu¬ mero del peso della statuetta, cioè alli punti 25. 25; e, non movendo lo Strumento, piglierai la distanza tra ’l centro ed il punto Ma ., e questa vedrai a che numero, pur trasversalmente, delle Linee Stereo- metriche si accomodi ; e trovato come s’adatta alli punti 96. 96, di- GEOMETRICO E MILITARE. S99 rai 96 libre d’argento esser necessarie per fare la statua eguale in grandezza all’altra di marmo. CONCUUtìNKNDO «LI USI DELLE LINEE METALLICHE E DI DUE SOLIDI SIMILI 15 DI DIVERSE MATERIE, STEKISOMETRIOnE, DATI DUE LATI TROVARE (JUAL PROPORZIONE AL¬ BINO FRA DI LORO DETTI SOLIDI IN PESO. Operazione XXJ11. È la linea A diametro d’ una palla di rame, e la B diametro di una di ferro; vorremmo sapere qual proporzione hanno fra di loro in peso. Prendi col compasso la linea A, ed aperto lo Strumento ap¬ io plicala alli punti delle Linee Metalliche segnati Ra. Ra. ; e senza alterare tal apertura prendi immediatamente la distanza tra li punti Fa. Fa ., che sarà quanto la linea X: la quale se sarà eguale alla B, diremo li due solidi A, B essere di peso eguali; ma trovata la X diseguale alla B, ed essendo diametro d’una palla •---• di ferro eguale in peso all’ A, è manifesta t _„ cosa, che la medesima differenza sarà tra le due palle A, B che è tra l’X, B. E per- x che X e B sono della, medesima materia, g troverassi la loro differenza facilmente con le Linee Stereometriche, 20 come di sopra nell’ operazione XVI s’è dichiarato : cioè prenderemo la linea X, e l’applicheremo, aprendo lo Strumento, a qualche numero, come, v. g., al 30; il che fatto, si considererà a quale s’aggiusti la linea B; e trovato, per essempio, accomodarsi al 10, diremo la palla di rame A esser tripla della di ferro B. 11 converso della precedente operazione si potrà con pari facilità con le medesime linee ritrovare; cioè, come, dato il peso ed il diametro, o lato, d’una palla, o altro solido, di una delle materie notate sopra lo Strumento, si possa trovare la grandezza d’un altro solido simile, e di qualunque altra delle dette materie, e che pesi qual si voglia peso 30 propostoci. Come, per essempio, essendo la linea X diametro d’una palla di marmo che pesa 7 libre, trovisi il diametro d’una di piombo che ne pesi 20. Qui si vede come doviamo fare due operazioni: l’ima, trasmutare il marmo in piombo; e 1’ altra, crescere il peso di 7 sino al 20. La prima operazione si farà con le Linee Metalliche, accomo- u. 49 400 l,K OPERAZIONI DEL COMPASSO dando il diametro X alli punti del marmo trasversalmente, pigliando poi, senza muover lo Strumento, l'intervallo tra li punti del piombo che sarà la grandezza del solido «li piombo che peserebbe quanto il proposto di marmo, cioè libre 7. Ma perchè volevamo libre 20, ricor¬ reremo all’aiuto delle Linee Stereometriche: ed applicato questo inter¬ vallo trasversalmente alli punti 7. 7, prenderemo subito la distanza pur trasversale, tra li punti 20, che sarà eguale alla linea D; la quale senza dubio verrà ad esser il lato della figura solida di piombo che peserà libbre 20. COME QUESTE LINEE CI SERVONO PER CALIBRO DA BOMBARDIERI ACCOMODATO DNI-10 VERBALMENTE A TUTTE LE PALLE DI QUAL SI VOGLIA MATERIA ED A TUTTI LI PESI. Operazione XXI HI. Manifestissima cosa è, diverso esser il peso di diverse materie, ed assai più grave esser il ferro della pietra, ed il piombo del ferro; dal che ne seguita, che, dovendosi tirare con l’artigliarla tal ora palle di pietra, altre volte di ferro, o ancora di piombo, il medesimo pezzo che porti tanto di palla di piombo, porterà meno di ferro, e molto meno di pietra, e che, per conseguenza, diverse cariche per le diverse palle se li dovranno dare; laonde quelle sagome, o colibrì, soprai 20 quali fussero notati i diametri delle palle di ferro con li pesi loro, non potranno servirci pei 1 le palle di pietra, ma Insognerà che le misure di detti diametri s’accreschino o diminuì schino, secondo le diverse materie. In oltre è manifesto che appresso diversi paesi s’usano diversi pesi, anzi che non solamente in ogni provincia, ma quasi in ogni città, sono differenti: dal che ne seguita, che quel calibro, che fusse accomodato al peso d‘ un luogo, non potrà servirne al peso d’un altro; ma secondo che le libre saranno maggiori o minori in uno eh’ in un altro luogo, bisognerà che le divisioni del calibro otten- gliino maggiori 0 minori intervalli. Dal che possiamo concludere, che 30 un calibro che si adatti ad ogni sorte di materia e ad ogni diffe¬ renza di peso bisogna che per necessità sia mutabile, cioè che si possa crescere e diminuire: e tale a punto è quello che nel nostro Stru¬ mento vien segnato, perchè, aprendo più o meno, si crescono 0 di- GEOMETRICO E MILITARE. 401 minuiscono gl’intervalli, che tra le divisioni d’esso si ritrovano, sema punto alterar le loro proporzioni. Ed avendo tali cose in universale dichiarate, passeremo all’appli¬ cazione particolare di questo calibro a tutte le differenze di pesi, ed a tutte le materie diverse. E perchè non si può venir in cognizione d’alcuna cosa ignota senza il mezo di qualch’altra conosciuta, fa di mestiero che ci sia noto un solo diametro d’una palla di qual si voglia materia e di qual si voglia peso rispondente alle libre, che nel paese dove vogliamo usare lo Strumento si costumano: dal qual solo dia¬ io metro verremo, col mezo del nostro calibro, in cognizione del peso di qual si voglia altra palla e di qualunque altra materia; intendendo però delle materie sopra lo Strumento notate. Ed il modo di conseguir tal cognizione faremo facilmente con un esempio manifesto. Supponghiamo, v. g., esser in Venezia, e di voler quivi servirci del nostro calibro per riconoscer la portata d’alcuni pezzi d’artiglieria; prima procureremo d’aver il diametro ed il peso di una palla di alcuna delle materie sopra detto Strumento segnate; é, per essempio, supporremo d’avere il diametro d’una palla di piombo di libre 10, al peso di Venezia: il qual diametro noteremo con due punti 20 nella costa d’un’ asta dello Strumento. Quando dunque vorremo acco¬ modare ed aggiustare il calibro in maniera che, presa la bocca d’un pezzo d’artiglieria, e trasportata sopra esso calibro, conosciamo quante libre di palla di piombo essa porti, non dovremo far altro salvo che prender col compasso quel diametro di 10 libre di piombo, già sopra la costa dello Strumento segnato, ed aprir poi lo Strumento tanto che detto diametro s’aggiusti alli punti delle Linee Stereometriche se¬ gnati 10. 10: le quali, così aggiustate, ci serviranno per calibro esattis¬ simo; tal che, preso il diametro della bocca di qualsivoglia artiglieria, e trasferitolo sopra detto calibro, dal numero de i punti, a i quali s’adat- 30 terà, conosceremo quante libre di palla di piombo porti la detta arti¬ glieria. Ma se volessimo aggiustare lo Strumento sì che il calibro rispondesse alle palle di ferro, allora prenderemo pur l’istesso diametro delle 10 libre di piombo sopra la costa notato, e dipoi l’applicheremo a i punti delle Linee Metalliche segnati Pi. Pi .; e, senza alterare lo Strumento, piglieremo con un compasso l’intervallo tra i punti segnati Pe. Fa. , il quale sarà il diametro d’una palla di ferro di 10 libre; e questo diametro, aprendo lo Strumento, s’applicherà a i punti delle 402 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO Linee Stereometriche, segnati 10.10; ed allora saranno dette linee esquisitamente accomodate per calibro delle palle di ferro. E con si¬ mile operazione si aggiusterà per li; palle di pietra. E notisi che, occorrendoci notare sopra la costa dello Strumento diversi diametri di palle rispondenti alle libre di varii paesi, per fuggirò la confusione, noteremo sempre diametri di palle di piombo di 10 libre di peso, li quali troveremo esser maggiori o minori secondo la diversità delle libre. Ed il segnare tali diametri, senza obligarci a ritrovare attualmente palle di piombo di 10 libre di peso, non ci sarà diffìcile, per quello che di sopra nella operazione 23 si è insegnato: io dove, dato un diametro d’una palla di qmd si voglia peso e di qualun¬ que materia, s’è veduto come si trovi il diametro d’un’altra d’ogni altro peso e di qual si voglia altra materia, intendendo però sempre delle materie sopra le Linee Metalliche notate; tal che, ritrovandoci noi in qual si voglia paese, pur che troviamo una palla di marmo, di pietra, o d'altra materia sopra lo Strumento segnata, potremo in un subito investigare il diametro di una palla di piombo di 10 libre di peso. COME, PROPOSTO UN CORPO 1>I QUAL SI VOGLIA MATERIA, POSSIAMO RITROVARE TUTTE LE MISURE PARTICOLARI HI UNO DI ALTRA MATERIA, K C1IE PESI UN DATO PESO. Operazione XX V. 20 Tra gli usi che da queste medesime linee si possono cavare, uno è questo, col quale possiamo crescere o diminuire le figure solide se¬ condo qual si voglia proporziono, non mutando, o vero mutando, la materia: il che dal seguente essempio s’intenderà. Ci viene presentato un piccolo modello d’artiglieria fatto, v. g., di stagno, e noi aviamo bisogno di cavare da tal modello tutte le misure particolari per un pezzo grande fatto di rame, e che pesi, per essempio, 5000 libre. Prima faremo pesare il piccolo modello di stagno, e sia il suo peso libre 17. Dipoi prenderemo una delle sue misure, qual piu ci piacerà, e sia, v. g., la sua grossezza alla gioia, la quale applicheremo, aprendo so lo Strumento, airi punti Si. St. delle Linee Metalliche (essendo questa la materia del modello propostoci); e perchè il pezzo grande deve farsi di rame, prenderemo immediatamente la distanza tra li punti Ba. Ba., la quale saria la grossezza della gioia d’una artigliala di rame, quando GEOMETRICO E MILITARE. 403 quella dovesse pesare quanto l’altra di stagno. Ma perchè deve pe¬ sare libre 5000, e non 17 come l’altra, però ricorreremo alle Linee Stereometriche, sopra le quali applicheremo quell’intervallo pur ora preso tra li punti Ra. Ra. alti punti segnati 17.17; e, non movendo lo Strumento, piglieremo l’intervallo de i punti 100.100, che saria la grossezza alla gioia d’un pezzo di 100 libre di peso. Ma noi vogliamo che sia di libre 5000; però questa distanza si deve augumentare se¬ condo la proporzione quinquagecupla : onde, aprendo più lo Strumento, la metteremo a qualche numero, del quale ve ne sia un altro 50 volte io maggiore; come saria se l’applicassimo alli punti 2.2, pigliando poi l’intervallo tra li punti 100. 100, il quale senz’alcun dubbio sarà la misura della grossezza, che devo darsi alla gioia. E con tal ordine si ritroveranno tutte le misure particolari di tutti li altri membri, come della gola, de gli orecchioni, della culatta, etc. Nè meno resteremo di ritrovare la lunghezza dell’artigliarla, an¬ corché non possiamo aprire il nostro Strumento sino a tanto spazio. E per trovarla, del piccolo modello non piglieremo l’intera lunghezza, ma solo una sua parte, come saria l’ottava o la decima, etc.; la quale accresciuta con l’ordine pur ora dichiarato, ci rappresenterà in fine 20 l’ottava o decima parte di tutta la lunghezza dell’artiglieria grande. Ma qui potria per avventura a qualch’ uno nascer difficoltà, se dalle nostre Linee Metalliche, nel modo che si sono trovate le dette misure trasmutando l’uno nell’ altro metallo semplice, così si potesse far l’istesso in ima allegazione di due metalli, come a punto quando nell’ essempio sopraposto volessimo formare il pezzo non di rame schietto, ma di me¬ tallo misto di rame e di stagno, come anco comunemente si costuma di fare: onde noi, per intera sodisfazione, mostreremo potersi, con l’aiuto delle medesime Linee Metalliche, ritrovare le medesime misure in qual si voglia allegazione, non altrimente che in un semplice metallo. E ciò 30 si farà con l’aggiugner due piccolissimi punti sopra le Linee Metalliche; dico piccolissimi, acciò che ad arbitrio nostro, di poi che ce ne saremo serviti, possiamo cancellarli: e dato, per essempio, che il pezzo del¬ l’artiglieria che vogliamo fare, non di rame puro, come di sopra si suppose, ma di bronzo, dovesse esser gettato, la cui lega fusse per ogni 3 di rame uno di stagno, allora verremo con diligenza dividendo, tanto dall’mia quanto dall’altra parte, quella breve linea che è tra li punti segnati Ra. e Sta. in quattro particelle, delle quali tre se ne 404 LE OPERAZIONI I>EL COMPASSO lascieranno verso lo staglio ecl una sola verso il rame, e quivi si farà il punto apparente: del qual punto (segnato, come si disse, tanto nel¬ l’ima quanto nell’altra Linea Metallica) ci serviremo per la trasmuta¬ zione del metallo, non altrimenti che ci servimmo di sopra de i punti Rrt. lia. E con simil regola si potranno, secondo l’occorrenze, segnare nuovi punti di allegazioni di qual si voglino due metalli, e secondo qual si voglia lega. Ma non saria fuori di proposito e senza comodo notabile, ed in particolare quando s’abbia da fare la trasmutazione in metallo misto ed allegato di due altri secondo qualunque proporzione, l’avertire, io che quando si sia trovata una sola delle misure che si ricercano, con l’operare con somma esquisitezza nel modo dichiarato di sopra, si po¬ tranno, in virtù di questa unica misura ritrovata, investigare poi tutte l’altre con l’aiuto delle Linee Aritmetiche, con modo non molto dif¬ ferente da quello che nell’operazione terza fu dichiarato. Come, per ___ t essempio, era la linea A il diarae- A tro, o, vogliamo dire, la grossezza alla gioia, del modello d’artiglieria propostoci; e si trovò la linea Bper grossezza della gioia dell’artiglieria di libre 5000, da farsi di metallo che tenga tre di rame e due di stagno. Dico adesso, che per trovar 20 tutte l’altre dimensioni die restano, ci potremo prevalere delle Linee Aritmetiche, pigliando la linea B ed applicandola per traverso a che punto ci piace di esse Linee Aritmetiche, e (pianto maggior numero piglieremo, meglio sarà; laonde l’applicheremo, v. g., all’ultimo punto, cioè al 250: e non movendo lo Strumento, vederemo a qual punto s’accomodi, pur trasversalmente, la linea A, che sia, v. g., al 44; dal che vegniamo in cognizione, come, essendo la misura A del modello punti 44, quella che gli ha da rispondere del pezzo reale deve essere 250 de i medesimi punti. E questa medesima proporzione ha da esser osser¬ vata in ciascheduna altra misura : onde per trovare, per essempio, la 3u grossezza del pezzo reale nella gola, prenderai tal grossezza dal piccolo modello, ed applicala trasversalmente alli punti 44 delle Linee Aritme¬ tiche, prendendo poi, pur trasversalmente, la distanza fra li punti 250; che sarà la grossezza della gola dell’artiglieria grande. E col mede¬ simo ordine si troveranno tutte l’altre misure. In oltre per trovare facilissimamente e con somma esquisitezza la linea B prima, che risponda al punto della lega clelli due metalli asse- GEOMETRICO E MILITARE. 405 nati si potrà proceder così: ritrovando prima separatamente le duo misure semplici, che respondino l’una allo stagno e l’altra al rame, ionie le due linee CD, CE, delle quali CD sia la misura rispondente ■il rame puro, e la CE al puro stagno, sì che la differenza loro sia la linea DE, la quale si dividerà secondo la proporzione assegnata per la lega: come, volendo 3 di rame e 2 di stagno, si taglierà la linea DE nel punto F, in maniera che la F E____ verso lo stagno sia 3 parti, e la F D verso il rame parti 2; che si farà col dividere tutta la DE in cin¬ que parti, lasciandone 3 verso E e 2 verso D: e la linea CF sarà la nostra principale, qual fu poco di sopra la linea B ; secondo la ragion della quale, col semplice mezo delle Linee Aritmetiche, si troveranno tutte F altre misure, senza più ricorrere ad altre Linee Metalliche o Stereometriche, nel modo che si è insegnato nella terza operazione. n p K 406 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO DELLE LINEE POLIGRAFICHE, K OOMH CON ESSE POSSIAMO DESCRIVERE I POLMONI REGOLARI, CIOÈ LE FIGURE DI MULTI LATI ED ANGOLI EGUALI. Operazione XXVJ. Volgendo lo Strumento dall’altra parte, ci si rappresentano le linee più interiori, nominate Poligrafiche dal loro uso principale, che è di descrivere sopra una linea proposta figure di quanti lati ed an¬ goli eguali ci verrà ordinato. E questo facilmente conseguiremo pi¬ gliando con un compasso la lunghezza della linea data, la quale si adatterà alli punti segnati (5. (i; dipoi, senza muover lo Strumento, pi-io glieremo l’intervallo tra i punti notati col numero che numera i lati della figura che descrivere vogliamo: come, v. g., per descrivere una figura di 7 lati, prenderemo l’intervallo tra li punti 7. 7, il quale sarà il semidiametro del cerchio che comprenderà l’eptagono da descri¬ versi; sì che, posta un’asta del compasso ora sopra l’uno ed ora sopra l’altro termine della linea data, faremo sopra di essa un poco d’in¬ tersecazione con l’altra, e quivi fatto centro, descriveremo conl’istessa apertura un cerchio occulto, il (piale, passando per i termini della data linea, la riceverà 7 volte a punto nella sua circonferenza; onde l’epta¬ gono ne venga descritto. 20 DIVISIONE DELLA CIRCONFERENZA DEL CERCHIO IN QUANTE PARTI CI PIACERÀ. Operazione XXVII. Con queste linee si dividerà la circonferenza in molte parti, ope¬ rando per il converso della precedente operazione, pigliando il semi¬ diametro del cerchio dato, ed applicandolo al numero delle parti nelle quali si ha da dividere il cerchio, pigliando poi sempre l’intervallo de i punti 6.6, il quale dividerà la circonferenza nelle parti che si volevano. 407 GEOMETRICO E MILITARE. ESPLICAZIONE DELLE LINEE TETRAGONICHE. E COME COL MEZO I)’ ESSE SI QUADRI IL CERCHIO ED OGNI ALTRA FIGURA REGOLARE, E PIÙ COME SI TRASMUTINO TUTTE CUNA NELL’ALTRA. Operazione XX Vili. Sono queste Linee Tetragoniche cosi dette dal loro uso principale, che è di quadrare tutte le superficie regolari, ed il cerchio appresso; e ciò si fa con facilissima operazione. Imperò che, volendo costituire un quadrato eguale a un dato cerchio, altro non doviamo fare salvo che prendere con un compasso il suo semidiametro, ed a questo, io aprendo lo Strumento, aggiustare li due punti delle Linee Tetragoni- che segnati con li due piccoli cerchietti; e non movendo lo Strumento, se si prenderà col compasso l’intervallo tra i punti delle medesime linee segnati 4. 4, si aveva il lato del quadrato eguale al dato cer¬ chio. E non altrimenti, quando volessimo il lato del pentagono, o dello esagono, eguali al medesimo cerchio, si prenderà la distanza tra i punti 5. 5, o quella tra i punti 6. 6; che tali sono i lati del pentagono, o dell’esagono, eguali al medesimo cerchio. In oltre, quando volessimo per il converso, dato un quadrato o altro poligono regolare, trovar un cerchio ad esso eguale, preso un lato dal 20 detto poligono, ed accomodatolo al punto delle Linee Tetragoniche ri¬ spondente al numero de i lati della figura proposta, si prenderà, senza movere lo Strumento, la distanza tra le note del cerchio; la quale, fatta semidiametro, descriverà il cerchio eguale al dato poligono. Ed in conclusione, con quest’ordine potrassi ritrovare il lato di qual si vo¬ glia figura regolare, eguale a qualunque altra propostaci. Come, v. g., dovendo noi costituire un ottangolo eguale a un dato pentagono, s’ag¬ giusterà lo Strumento sì che il lato del pentagono proposto s’accomodi alli punti 5. 5; e non mutando lo Strumento, l’ intervallo fra li punti 8. 8 sarà il lato dell’ottangolo, che si cercava. li. 50 408 LE OPERAZIONI DKL COMPASSO comi: IMIOPOSTli DIVERSE FRUIRE REGOLARI, SK NE POSSA COSTITUIRE I NA SOLA HKN CHE TUA 1)1 LORO DISSIMILI, KOUALK A TUTTE QUELLE. (iterazione X XIX. La resoluzione del presente problema depende dalla precedente operazione e dalla X di sopra dichiarata. Per ciò che essendoci, v. g., proposte queste figure, un cerchio, un triangolo, un pentagono, ed un exagono, ed imposto che troviamo un quadrato eguale a tutte le dette figure, prima, per l’operazione precedente, troveremo separatamente 4 quadrati eguali alle 4 dette figure; dipoi, col mezo dell’operazione X, troveremo un solo quadrato eguale a quelli 4, il quale senz’alcun io duino sarà eguale alle 4 figure proposte. COME SI POSSA COSTITUIRE QUAL SI VOGLIA FIGURA REGOLARE EGUALE Ai) OGN’ALTRA IRREGOLARE, MA RETTILINEA, FIGURA PROPOSTA. Operazione XXX. La presente operazione è non meno utile che curiosa, insegnan¬ doci il modo, non pure di riquadrare tutte le superficie irregolari, ma di ridurle o in cerchio o in qual si voglia altra figura regolare. E per¬ chè ogni rettilineo si risolve in triangoli, quando noi sapremo costi¬ tuire un quadrato eguale a qual si voglia triangolo, costituendo noi separatamente quadrati particolari eguali a eiaschedun triangolo ne 20 i quali il rettilineo dato si risolve, e poi, con l'operazione X ridu¬ cendo tutti questi quadrati in un solo, sarà, come è manifesto, ritro¬ vato il quadrato eguale al proposto rettilineo; il qual quadrato col mezo delle Linee Tetragoniche potremo ad arbitrio nostro convertire in un cerchio, in un pentagono, o in altra figura rettilinea regolare. Si è dunque la resoluzione del presente quesito ridotta a dover noi trovare un quadrato eguale a qual si voglia triangolo proposto; il clic con modo facilissimo si averà dal lemma seguente. LEMMA PER LE COSE DETTE DI SOPRA. Operazione. XXXI. 30 Siaci dunque proposto di dover costituire un quadrato eguale al dato triangolo A BC. Pongansi da parte due linee ad angoli retti I)E,I'G: GEOMETRICO K MILITARE. 409 dipoi con un compasso da quattro punte, che da una parte apra il dopino dell’altra, fermata nell’angolo A una delle maggiori aste, slar¬ ghisi l’altra sin che, girata intorno, rada la linea opposta BC; dipoi voltando il compasso, notisi con le aste più brevi la distanza FH, che sarà la metà della perpendicolare cadente dall’angolo A sopra il lato opposto BC. 11 che fatto, prendasi pure con le maggiori aste la linea BC, la quale si trasporti in FI ; e fermata una delle maggiori aste nel punto I, slarghisi l’al¬ io tra sino al punto H ; e volgen¬ do il compasso, senza strin¬ gerlo o allargarlo, segnisi con le punte della metà la distali- D za IK; e fermata una di queste punte in lv, taglisi con l’altra la perpendi¬ colare F(r nel punto L: ed areremo la linea LF, lato del quadrato eguale al triangolo ABC. Ma notisi che, se bene ariamo messa questa operazione fatta li¬ lialmente senza lo Strumento, non è però che sopra lo Strumento ancora non si possa facilissimamente ritrovare. Imperò che, quando 20 vorremo ridurre qualunque triangolo in quadrato, come, per essem- pio, il triangolo ABC, allora, presa dall’ angolo A la perpendicolare cadente sopra il lato opposto B C, considereremo sopra la scala Arit¬ metica quanti punti contenga, e trovato contenerne, v. g., 45, ap¬ plicheremo questa distanza trasversalmente al 4:> della Linee Geome¬ triche; pigliando poi la metà della linea BC, con¬ sidereremo parimente quanti punti della mede¬ sima scala Aritmetica essa comprenda, e trovato contenerne, per essempio, 37, piglieremo trasver¬ salmente dalle Linee Geometriche la distanza tra 11 30 essi punti 37; la quale ci darà la linea LF, il cui quadrato sarà eguale al triangolo ABC. 410 LK OPERAZIONI DEL COMPASSO DELLE LINEE AGGIUNTE PER LA QUADRATURA DELLE PARTI DEL CERCHIO E DELLE FIGURE CONTENUTE DA PARTI DI CIRCUNFERENZE 0 DA LINEE RETTE E CURVE INSIEME. Operazione 3X. Restano finalmente lo (lue Linee Aggiunte, così dette perchè ag¬ giungono alle Linee Tetrngoniche quello che in esse potria desiderarsi, cioè il modo (li riquadrare le porzioni del cerchio e le altre figure che nel titolo si sono dette e più distintamente di sotto si espliche¬ ranno. Sono queste linee segnate con due ordini di numeri, de i quali lo esteriore comincia dal punto segnato con questa nota (j, seguitandolo poi li numeri 1, 2, 3, 4, sino in IH: l’altro ordine interiore comincia da questo segno seguitando poi 1, ‘2, 3, 4, etc., pur sino a 18: col mezo delle quali linee potremo primamente riquadrare qual si voglia porzione di cerchio propostaci, la quale però non sia maggior di mezo cerchio. E l’uso, acciò meglio s’intenda, con l’essempio s’esplicherà. Vogliamo, v. g., trovare il quadrato eguale alla porzione del cer¬ chio ABC. Dividasi la sua corda AC nel mezo, nel punto D, e presa con un compasso la distanza AD, s’acco¬ modi, aprendo lo strumento, alli punti se¬ gnati (X (1 ; e lasciato lo strumento in tale 20 stato, prendasi l’altezza della porzione, cioè la linea DB, e veggasi a quale de i punti dell’ ordine esteriore tale altezza s’acco¬ modi, che sia, per essempio, alli punti se¬ gnati 2. 2 : il che fatto, doviamo con un compasso prender subito l’intervallo tra li punti 2. 2 dell'ordine interiore, e sopra una linea di questa grandezza si deve formare il quadrato; che sarà eguale alla porzione ABC. E quando avessimo una superficie contenuta da due porzioni di cerchio simile alla presente figura AB CI), potremo w facilmente ridurla in quadrato tirando la corda AC, dalla quale essa / /c li I) A ii / A I) GEOMETRICO E MILITARE. 411 figura in due porzioni (li cerchio vien divisa; dipoi, per la regola posta di sopra, si troveranno due quadrati eguali alle due porzioni separate, e q Ue stj, con l’intervento dell’operazione 10, si ridurranno in un solo: e sarà fatto il tutto. E con non dissimile operazione potrassi riquadrare ancora il set¬ tore del cerchio: perchè tirata la corda sotto la sua circonferenza, sarà tagliato in una porzione di cerchio ed in un triangolo; le quali due parti, per le cose di sopra insegnate, potranno facilmente ridursi in due quadrati, e quelli poi in un solo, io Resta finalmente che mostriamo come le medesime linee ci possin servare per quadrare la porzione maggiore di mezo cerchio, il tra¬ pezio contenuto da due rette e due curve, simile a quello della figura appresso AB CD, e la lunula simile alla X; le quali tutte ope¬ razioni hanno la medesima resoluzione. Per ciò che, quanto alla por¬ zione maggiore del cerchio, se noi quadreremo la rimanente porzione minore, al modo di sopra insegnato, e tale quadrato caveremo dal quadrato eguale a tutto ’1 cerchio, il quadrato eguale al rimanente sarà ancora, com’ è manifesto, egual alla maggior porzione del cer¬ chio. Parimente, di tut- 20 ta la porzione BARDO trovatone il quadrato eguale, e da esso trat¬ tone il quadrato egua¬ le alla porzione A F D, il quadrato rimanente pareggerà il trapezio. E similmente proceden¬ do nella lunula X, ti- A rata la comune corda ! 30 delle due porzioni di l' n \ \ n __ d / X cerchio, si prenderanno separatamente i quadrati ad esse porzioni eguali; la differenza de i quali sarà il quadrato eguale alla lunula. Come poi delli due quadrati proposti si possa trovare la differenza ridotta in un altro quadrato, si è di sopra, nell’ operazione XI, con rintervento delle [linee Geometriche, dichiarato. 412 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO DELLE OPERAZIONI DEL QUADRANTE. Aggiugnendo allo Strumento il Quadrante, nella sua minore cir¬ conferenza abbiamo la Squadra da bombardieri, divisa, secondo il so¬ lito, in punti 12. L’uso ordinario della (piale è che si metta una sua costa nel vacuo del pezzo, avendo prima sospeso il filo col perpendi¬ colo dal centro dello Strumento; il qual filo ci mostrerà, segando detta circonferenza, quanta elevazione abbia il pezzo, cioè se 1 punto, o 2, o 3. E perche l’usar la Squadra in questa maniera non è senza pen¬ colo, dovendo, con l’uscir fuori de i gabbioni o ripari, scoprirci alla vista dell’inimico, per ciò s’è pensato un altro modo di far l’istesso io con sicurtà, cioè con 1’ applicare la squadra presso al focone del pezzo. Ma perchè l’anima di dentro non è parallela con la superficie di fuori, essendo il metallo più grosso verso la culatta, bisogna sup¬ plire a tal difetto con rallungare quell’asta della Squadra che ri¬ guarda verso la gioia, aggiugnendovi la sua zanca mobile: il che si farà aggiustando prima una sol volta il pezzo a livello, e poi, posando verso il focone la squadra, con la zanca allungheremo il piede ante¬ riore, sin clic il perpendicolo seghi il punto 6, e fermata la zanca con la sua vite, segneremo una lineetta sopra la costa dello Strumento, dove viene a terminar la cassella della detta zanca, acciò in ogni oc- 20 casiotie la possiamo mettere a segno. E poi se vorremo dar un punto d’elevazione, bisognerà alzar il pezzo tanto che il filo seghi il numero 7; se vorremo 2 punti, (leverà segar 1’ 8, etc. La divisione che segue appresso è il Quadrante astronomico: l’uso del quale, essendo stato trattato da altri, non sarà qui dichiarato al- trimente. L’altra circonferenza che segue appresso, e che si vede divisa da alcune linee trasversali, è per prender l’inclinazione della scarpa (li tutte le muraglie, cominciando da quelle che avranno per ogni 413 GEOMETRICO E MILITARE. 10 d’altezza uno di pendenza, sino quelle che abbino uno di pendenza per ogn’ un e mezo d’altezza. Volendo servirci di tale Strumento, doviamo sospender il filo da quel piccolo foro die si vede al principio della Squadra da bombar¬ dieri; dipoi, accostandoci alla muraglia pendente, gli applicheremo so¬ pra la costa opposta dello Strumento, avvertendo dove taglierà il filo : perchè, segando, per essempio, il numero 5, diremo quella tal muraglia aver per ogni 5 braccia d’altezza 1 di pendenza; similmente, tagliando 11 numero 4, diremo aver 1 di pendenza per ogni 4 d’altezza. 414 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO .4 / / 1> yC \ X 1 B DIVERSI MODI PER MISURAR CON LA VISTA; K PRIMA, DELLE A LTEZZK PERPENDICOLARI, ALLA RADICE DELLE QUALI SI POSSA ACCOSTARE E DISOOSTARE. li’ ultima circonferenza, divisa in 200 parti, è una scala per mi¬ surar altezze, distanze e profondità col mezo della vista. E prima, co¬ minciando dall’altezze, mostreremo diverse maniere di misurarle fa¬ cendo principio dall’altezze perpendicolari, alla radice delle quali ci possiamo accostare. Come saria se. volessimo misurar l’altezza della torre AH: venendo nel punto B, ci disco¬ steremo verso C, caminando 100 passi io o 100 altre misure, e fermatici nel luo¬ go C, traguarderemo con ima costa /' I dello Strumento 1’ altezza A, come si vede secondo la costa ODA, notando i punti tagliati dal filo DI; i quali se saranno nel centinaio opposto all’oc¬ chio, come si vede nell’essempio pro¬ posto per l’arco 1, quanti saranno detti punti, tanti passi (o altre delle misure che aremo misurate in terra) diremo contenere l’altezza AB. Ma se il filo taglierà l’altro centinaio, come si vede nella seguente 20 figura, volendo misurar l’altezza (HI, sendo Pocchio in I, dove il filo taglia i punti M (), allora, preso il numero di detti punti, divideremo per esso il numero 10000, e l’avvenimento sarà il numero delle misure che nell’altezza GH si conterranno: come, v.g., se il filo avesse tagliato il punto 50, divi¬ dendo 10000 per 50, aremo 200; e tante sa- / ranno le misure dell’altezza GH. E perchè aviamo veduto che alle volte il filo segherà il centinaio opposto alla costa per ut* la quale si traguarda, e tal volta ancora ta¬ glierà il centinaio contiguo a detta costa, e 11 questo potrà avvenire in molte delle opera- o A / M/ I °T U _ GEOMETRICO E MILITARE. 415 zioni seguenti, però per regola universale s’avvertirà sempre, che quando il filo taglierà il primo centinaio contiguo a detta costa, si deve dividere 10000 per il numero tagliato dal filo, seguendo poi nel resto dell’operazione la regola che sarà scritta: per che noi ne gli essempi seguenti supporremo sempre che il filo tagli l’altro centinaio. Ma acciò clic tanto più si scorga la moltitudine de gli usi di que¬ sto nostro Strumento, voglio che i computi più laboriosi, che nelle regole per misurar con la vista ci occorreranno, siano senza fatica alcuna e con somma brevità ritrovati col mezo del compasso sopra le io Linee Aritmetiche. E facendo principio dalla presente operazione, per quelli che non sapessero partire 10000 per quel numero tagliato dal perpendicolo, dico che si pigli rettamente sempre 100 dalle Linee Aritme¬ tiche, e che trasversalmente s’accomodi al numero de i punti tagliati da esso perpendicolo, pigliando poi, pur trasversalmente, senza muover lo Strumento, la distanza tra i punti 100; la quale, misurata retta- niente, ci darà l’altezza cercata. Come, v. g., se il filo avesse tagliato a 77, pigliando dalle Linee Aritmetiche 100 rettamente, applicalo tra¬ sversalmente al 77, e subito prendi, pur trasversalmente, l’intervallo tra i punti 100, e torna a misurarlo rettamente, e troverai contenere 20 punti 130; e tante misure dirai contenersi nell’altezza che misurar volevamo. In altra maniera potremo misurar garci a misurar in terra le 100 misure, una simil altezza, senza obli¬ ne] modo che si farà manifesto. Come se, per essempio, volessimo dal punto C misurar l’altezza della torre AB, drizzando la costa dello Strumento ODE alla sommità A, noteremo li punti tagliati dal filo EI, quali siano, per essempio, 80; dipoi, senza muoverci di luogo, abbassando solamente lo Strumento, traguarderemo 30 qualche segno più basso che sia posto nella medesima torre, come saria il punto F, notando il numero de i punti tagliati dal filo, il quale sia, v. g\, 5; veggasi poi quante volte questo minor numero 5 sia contenuto nell’altro 80 (che è 16 volte): e 16 volte diremo la distanza FB esser contenuta in tutta l’altezza BA. E perchè il punto F è basso, potremo tale al- ii. ru LE OPERAZIONI DEL COMPASSI) 416 tozza FB con un’asta o altro facilmente misurare, e così venir in cognizione dell’altezza BA. Avvertendo che, nel misurar l’altezze noi ritroviamo e misuriamo solamente l’altezze sopra l’orizonte del no str’occhio; tal che quando detto occhio sarà più alto della radice o base della cosa misurata, bisognerà aggiugner all’altezza trovata per via dello Strumento, quel tanto di più che l’occhio sopravanza detta radice. 11 terzo modo di misurar una simile altezza sarà con l’alzarci ed abbassarci. Come, volendo misurar l’altezza AB, costituendo lo Stru¬ mento in qualche luogo elevato da terra, come savia nel punto F, io traguarderemo secondo la costa EF il punto A, notando i punti G,I tagliati dal filo, quali siano, per essempio, 65; dipoi, scendendo al i basso, e venendo perpendicolarmente sotto '1 ]unito F, come saria nel pun¬ to C, traguarderemo la medesim’al¬ tezza secondo la costa DC, notando i punti L, 0, quali saranno più de gli ; altri, come, v. g., 70; dipoi prendasi la differenza tra questi due numeri 65 J o 70, che è 5 ; e quante volte essa è SO _ " contenuta nel maggior de i detti nu¬ meri, cioè in 70 (che vi sarà conte¬ nuta 14 volte), tante volte diremo l’altezza BA contenere la distanza CF: la quale misureremo, poten¬ dolo noi fare comodamente, e così verremo in cognizione di tutta l’altezza AB. E volendo noi misurar un'altezza la cui radice non si vedesse, come saria l’altezza del mon¬ te AB, sendo nel punto C, tra- V.' r ^ •'V li X X X ♦ l < I) f\ io L A |?V. n\\ m iMfl : e poi si consideri quante io volte questo numero f> entra in 100: e tante volte diremo la larghezza BA esser contenuta nella pro¬ fondità B 1). L'altro modo sarà per misurar una profondità della «piale non si vedesse la radice; come se fussimo ’ t:v ‘ sopra 'I monte BA, e volessimo misurar la su’ altezza \ \ \ i) X X sopra '1 piano della campagna. In tal caso alziamoci sopra ! 1 monte, salendo sopra qualche casa, torre o albero, come si vede nella pre¬ sente figura, e constituendo l’occhio nel punto F, traguardo deremo qualche segno posto nella campagna, come si vede per il punto C, notando i punti tagliati dal filo FG, che siano, v. g\, 32 ; dipoi, scendendo nel punto 1), traguardisi il mede¬ simo segno C con la costa DE, notando parimente i punti A,I, che siano 30; e presa la differenza di (pienti due numeri, cioè 2, veg- gasi quante volte entra nel minor delli due numeri; e veduto che vi 30 entra 15 volte, diremo l’altezza del monte essere 15 volte più dell’al¬ tezza FI): la quale, potendola noi misurare, ci farà venire in notizia di (pianto cercavamo. Passando al misurar le distanze, come saria una larghezza di un fiume, venendo sopra la ripa o altro luogo eminente, sì come nell’es- sempio si vede; nel qual, volendo noi misurar la larghezza GB, venendo nel i>unto A. traguarderemo eoli la costa AF l’estremità B, notando i GKOMET1UCO K MILITARE. * 41 n p U11 ti D,E tagliati dal perpendicolo, quali siano, verl)i gratia, 5; e quante volte questo numero entra in 100, tante volte diremo l’altezza AC en¬ trare nella larghezza CB: misurando dunque quanta sia tale altezza A C, e pi¬ gliandola 20 volte, averemo la larghezza cercata. Possiamo in altro modo misurare una simile distanza. Come, per essempio, sendo noi nel punto A, vagliamo trovare la distanza sino al io punto B: costituiscasi lo Strumento in piano, ed una delle sue coste sia drizzata verso il punto B, e secondo la dirit¬ tura dell’altra costa traguardisi vqrso il punto C, misurando verso la dirittura A C 100 passi o altre misure, e lascisi piantata nel punto A un’ asta, ed un’altra si ponga nel punto C; dipoi, venendo nel punto C, si dirizzi una costa dello Strumento verso A, e per l’angolo C si traguardi il mede¬ simo segno B, notando sopra il Quadrante qual punto venga segato dal raggio della vista, che 2 (i sia il punto E; e preso tal numero, dividasi per esso 10000: e quello che ne verrà, sarà il numero de i passi o altre misure, che saranno tra il punto A ed il segno B. Ma quando non ci fusse permesso di poter mo¬ verci le 100 misure sopra una linea che tacesse angolo retto co] primo traguardo, in tal caso procederemo altri¬ menti. Come, v. g., essendo noi nel punto A, e volendo pigliare la distanza AB, nè potendo cambiare per altra strada che per la A E, la quale con la dirittura AB fa angolo acuto, per conseguire ad 30 ogni modo il nostro intento, aggiusteremo ima costa dello Strumento prima alla strada, come si vede per la linea Ah’, e senza mover lo Strumento, traguarderemo per l’angolo A il punto B, notando i punti tagliati dal raggio AD, quali siano, per essempio, 60; dipoi, lasciando nel punto A un’asta, ne faremo mettere sopra la linea A E un’altra lontana 100 passi, quale sia nel punto F, dove costituiremo l’angolo dello Strumento, l’angolo F traguarderemo aggiustando la costa EF all’asta A, e per il medesimo segno B, notando i punti G, I, v J 420 I.K OPERAZIONI DEI- COMPASSO / / lA F \ \ (pmli siano, v. gru., IH. Volendo dunque da questi numeri 00 e 48 trovare la lontananza All, moltiplica il primo in se stesso; fa 3600' ,n aggi ugnili poi 10000; fa. 13600: e di questo numero piglia la radice quadrata ; sarà 117 ù, circa: e questa moltiplica, per 100; fa li7oo ; e finalmente (lividi questo numero per la dif¬ ferenza delli due primi numeri CO e 48, cioè per 12; ne verrà 075: e tanti passi senz’ alcun dubio sarà la distanza Ali. Troverassi la calcolazione di questa opera- io zinne sopra lo Strumento come nel sottoposto essempio s’espone. Siano, v. g., i punti tagliati da i due raggi, l’uno 74 e l’altro 30: e per trovare detto computo, aggiusta prima lo Stru¬ mento sì che le Linee Aritmetiche siano tra di loro ad angoli retti; il che farai col prendere 100 punti rettamente da esse, e questi applicare col compasso alle medesime trasversalmente, in maniera che, posta una delle aste nel punto 80, 1 altra caschi nel 60 (e questa regola d'aggiustare le dette linee a squa -20 (Ira si tenga a memoria per altri bisogni): fatto questo, prendi la di¬ stanza trasversale tra 1 punto 100 ed il maggiore de i due numeri tagliati da i raggi, che qui è 74; la (piai distanza presa devi aggiu¬ stare trasversalmente alla differenza de i due numeri de i punti tagliati da i raggi, che qui è 38: e se non potessi per la piccolezza di questo numero, serviti del suo doppio, triplo o quadruplo; e qui, per essempio, applicala al suo triplo, che è 114: ed immediatamente piglia la distanza pur trasversale tra li punti 100; la (piale misurata rettamente, e presa una, due, tre o quattro volte, ti darà la distanza cercata. Misurala dunque nel presente essempio, e troveraila. 109: sì che triplicata ti so darà 327, quanta prossimamente è la distanza che misurar volevamo. \ I) Seguita che veggiamo il modo di misurar l’intervallo tra due luo¬ ghi da noi lontani: e prima diremo del modo quando da qualche sito potessimo vederli anibidue per la medesima linea retta. Come mo¬ stra il presente essempio: nel quale volendo noi misurar l’intervallo tra i punti B, A, stando nel punto C, di dove appariscono per la me¬ desima linea CBA, prima, aggiustata un’asta dello Strumento a tale GEOMETRICO E MILITARE 421 dirittura, si traguarderà per l’altro verso D, dove pianteremo un’asta lontana dal punto C 100 misure, avendone una simile piantata nel punto C; e venendo al luogo D, aggiusteremo una costa dello Strumento alla dirittura T) C, traguar¬ dando per l’angolo 1) li due luoghi B, A, e no¬ tando i numeri tagliati da’ raggi, che siano, per essempio, 25 e 20; per i quali due numeri si deve dividere 10000: e la differenza dell! due avvenimenti sarà la distanza BA. io Ma se volendo noi misurar la distanza tra i due luoghi G, I), non potessimo venir in sito tale che l’uno e l’altro ci apparisse per la me¬ desima, dirittura, in questo caso procederemo come appresso si dirà. Sia dunque che, stando noi nel luogo A, vogliamo investigare la lontananza tra i due luoghi C, I). Prima, aggiustata una costa dello Strumento al punto C, come si vede per la li¬ nea AEG, traguardisi per l’angolo l’altro punto I), notando i punti E,E tagliati dal raggio A F D, che siano, v. g\, 20 ; e senza muover lo Stru- •20 mento, si traguardi per l’altra costa verso ’l punto 13, lasciando in A un’asta, ed un’altra fa¬ cendone porre sopra la dirittura AB: di poi, ea- minando per tale dirittura, verremo in B, disco¬ standoci dall* altri asta, tanto che, ricostituita una costa dello Strumento sopra la linea BA, l’altra costa ferisca il punto T), come apparisce per la linea I!T); e dall’angolo B traguarderemo il i>q punto C, notando il numero tagliato dal l'ag¬ gio B G, che sia, v. g\, 15 : finalmente si misu- 30 reranno i passi tra le due stazioni A, B, quali siano, per essempio, 100. E venendo all’opera¬ zione aritmetica, prima si multiplicherà il numero de i passi tra le due stazioni, cioè 160 per 100; fa 16000 : e questo si deve divider per i 2 numeri de i punti separatamente, cioè per 20 e per 15; e ne verranno i due numeri 800 e 1067: de i quali se ne deve pigliai’ la differenza, che è 267 : 422 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO e questa si deve multiplicar in se stessa; fa 7128!): e questo numero si deve aggiugnere al quadrato del numero de i passi, cioè di irò. che è 25600 ; ed in tutto farà 96889: del qual numero si deve pren¬ dere la radice quadrata, che è 31,1: e tanti passi diremo essere tra li due luoghi C, D. Come poi si possa ritrovare il computo sopra lo Strumento, faremo col sottoposto essempio manifesto. Siano, v. g., li due numeri tagliati da i raggi 60 e 34, ed il numero de’ passi 11(5. E venendo all’ope¬ razione, prendi sempre 100 dalle Linee Aritmetiche rettamente, ed applicalo trasversalmente al maggior numero de i due tagliati da i io raggi, che qui è 60; e subito prendi pur trasversalmente il numero de i passi, che qui è 116, e questo intervallo accomoderai trasversal¬ mente all’altro numero de i raggi, che qui è 34; e se non puoi, ap¬ plicalo al suo doppio, triplo, quadruplo, o quello che più ti tornerà comodo: sia per ora al suo quadruplo, cioè al 136. Il che fatto, prendi trasversalmente il numero clu 1 è la differenza tra li duo numeri de i raggi, che qui è 26; o pure piglia il suo doppio, triplo o quadru¬ plo, secondo che poco fa si fece l’applicazione; onde in questo caso devi pigliare il suo quadruplo, cioè 104: e questa distanza misurerai rettamente, salvando in memoria il numero che essa conterrà, che nel 20 presente essempio sarà 148. Aggiusta finalmente le Linee Aritmetiche a squadra al modo di sopra dichiarato: il che fatto, piglia trasver¬ salmente l’intervallo tra ’l numero che salvasti in memoria ed il nu- A ; mero de i passi, cioè tra ’l 148 da una parte ed il 116 dall’altra; e questo misura rettamente, e troverai 188: quanta a punto è la distanza cercata DC. E finalmente, «piando noi non potessimo moverci nella maniera che ricerca la passata operazione, potremo pure nondimeno trovare la lontananza tra due luoghi da noi distanti in altra maniera : ed il modo sarà tale. Sendo noi, 30 per essempio, nel punto C, e volendo ritrovar la distanza tra i due luoghi A. Il, prima, secondo alcuno de i modi dichiarati di sopra, misuriamo separatamente le distanze tra ’l punto C e l’A, e l’altra tra l’istesso C ed il punto B, e sia, per essempio, la prima passi 850, e l’altra 530,; e venendo nel segno C. aggiustando una costa dello Stru¬ mento al punto A, come si vede per la linea ODA, tra* 1 GEOMETRICO E MILITARE. 423 guardisi per l’angolo G l’altro termine B, notando il numero de i punti I), E tagliati dal raggio, che siano, v.g., 15. Moltiplica poi questo numero in se stesso; fa 225: ed a questo aggiugni 10000; fa 10225: del quale prendi la radice quadrata, che è 101 : moltiplica poi la minor distanza, cioè 530, per 100; fa 53000: il quale si divida per la radice pur ora trovata; ne viene 525: e questo moltiplica per la maggior distanza, cioè per 850; fa 446250: il qual numero deve esser finalmente duplicato; fa 892500: dipoi devonsi moltiplicar separata- mente le due distanze ciascuna in se stessa; fanno 722500, e 280900: ine questi numeri si devono congiugnere insieme; fanno 1003400: del qual numero si caverà quel duplicato di sopra, cioè 892500; re¬ sterà 110900: la cui radice, che è 347, sarà la distanza desiderata tra gli due luoghi A, B. Con notabil diminuzione di fatica potremo fare il computo pre¬ sente sopra le Linee Aritmetiche; ed il modo si farà con un essempio manifesto. Pongasi che la maggior distanza sia stata passi 230, e la minore 104, ed il numero de i punti tagliati dal raggio 58. Metti le Linee Aritmetiche a squadra, e posta un’asta del compasso nel punto 100, slarga l’altra in traverso sino al numero de i punti tagliati dal rag- 20 gio, che qui è 58, e considera quanto è questo spazio misurato retta- mente, e lo troverai esser prossimamente 116, il che salva in mente: piglia poi rettamente il detto numero 58, che fu de i punti tagliati dal raggio, ed apri lo Strumento sin che questa distanza s’aggiusti in tra¬ verso tra il punto del 100 e quello del 116, che salvasti in mente; e non movendo più lo Strumento, prendi col compasso la distanza tras¬ versale tra li due numeri de i passi, cioè 230 e 104; e questa misurata rettamente, ti darà infine punti 150, quanta è veramente la distanza AB. Queste sole regole per misurar con la vista ho giudicato, discreto lettore, bastar per ora aver descritte; non che secondo queste sole si 30 possa col presente Strumento operare, essendocene moltissime altre, ma per non mi diffondere in lunghi discorsi senza necessità, essendo si¬ curo che qualunque eh mediocre ingegno averà comprese le già di¬ chiarate, potrà per sè stesso ritrovarne altre, accomodate ad ogni caso particolare che occorrer gli potesse. Ma non solamente avrei potuto diffondermi più assai nelle regole del misurar con la vista, ma molto e molto pili ampliarmi nel mo¬ li. 52 424 LE OPERAZIONI DEL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. strare la resoluzione, posso dire, d’infiniti altri problemi di geometria e di aritmetica, i (piali con le altre linee del nostro Strumento risolver si possono; poiché, e quanti ne sono tra gli Elementi di Euclide, ed in molti altri autori, vengono da me con brevissime e facilissime ma¬ niere risoluti. Ma, corno da principio si è detto, la mia presente in¬ tenzione è stata di parlar con persone militari solamente, e di pochis¬ sime altre cose fuori di quelle che a simili professori appartengono riservandomi in altra occasione a [midicaro, insieme con la fabriea dello Strumento, una più ampia descrizione de’ suoi usi. li. Fine. I US US ET FA ERICA GIRONI CUTUSDAM PROPORTIONIS OPERA ET STUDIO BALTHESABIS CAPRAE CON POSTILLE DI GALILEO. ET FABRICA C I R C I N I CVIVSDAM PROPORTI ONIS, Per quem omnia ferè timi Euclidis,tu Mathernaticorum omnium problemata facili negotio rcfoluuncur. Obera & nvidio B ALT RES ARIS CAPRjE JAohìlU oSMediolanenfìs expltcatn. T R Jw\ NG V LV S . ——3 ! W h U < s rag S g o < t- < C/> « ' ’ S O 3 S 3 H1VW X S 3 m Fatavi t* Apud Petrum Faulum ToEfrìum. M.p,c »vh> Ex Typograpbia Lanrentj PaJqttArì • ILLUSTRISSIMO PRINCIPI AC DOMINO DOMINO ,J CACHIMI) ERNESTO, Marchici)i Br arfrìen burgensi, Borussi&e, Statini, Pomeraniae, Cassubriorum, Wandaloruin & Silesiao Duci in Crossi) & Iegerndorff, &c. Buryyruwo Normilergevsi é Principi Rughe, ite. Domino suo Clementissimo. S. P. Pliilippo macedone Graeciam occupante , Illustrissime Princeps, memorine prò- ditum est, cum Corinthmn darimmam in faucibus Peloponnessi a ritmi oppugnarci, Coriììthm onwes ad absidi onera dusmodi repellendomi, multipliei bel lira rum rerum opere fame occupatos: ij nanqite arma parubant, alij urbem muris ac vctllis mn- 10 niebant, illi lapides apportabant, alij alind quid alile snbministrabanf, Diotjenes cero miopeim cogl tomento Cianicus, co tempore Corintliuin rnhabitans in tanto rerum tinnitila rum quid ageret nil certi Jiaberet (sua nanque opera nullvs aliqita in re utebatur) veste sua aceinlus, inquo morabafur, doliolim circumquaquc valutare (estimimi. interroganti vero amico quamobrtm illud ageret , respùndisse fertur, ro¬ llilo <(• ctjo dolium, ne unus ipse solus in ter tot negociosos viros, ociosus Iwdie de - preheudar . Ego quoque in hoc dumoso secalo (Diogenis extmplo) cum onwes Phi- losophos, Medicos, atipie lurispentos maxime occupaios videam, ne solus silentij crimine pleclendus sim dolium volutane trntabo, rf* ni me mea fallii opimo longe ufi ter ac Diogenes fecerit, ille cairn per Dolij volutationem quasi peraenigma quoddam 20 Concives suos (lacere tentavi/, ego vero ut quantum in vie est omnibus prodesse possivi, lotivs Geometnae compendimi quoddam volutandum praemanibus accipio, de cuius quidam praestantia si nerba faceva oellem Illustrissime Princeps Àfathe- mu tirar mi hi discip linae laudandae essent, sieque mincupatoria epistola in immensum ricrescerei. Ve rum eninwero ncque mea sant radi <£• inornata oratione deliones landa, (juae rei solo nomine per se satis laudantur, ncque Illtistrissiimis Princeps est prò - Udore sermone detinemius. (j a are h i s re I iet i s a d p rapo s 1 1 il m vi e u m m a g i s 430 USUK ET FA HI » ICA accedenti, cu tu satin dia fabriram d usuiti huius circini nm* *' . ..... /f . . u l J o monta, q u e m u o u i n m evito tot m s u e o metri a e c o m p e n d i n m n o ni i n a v i v 0 / tasselli, tandem ut sub < ! > C. T. nomine in pubi i ni m prodir et dermi Sed niam mirabitur proculdubio quilibet, quod ego italm inter tot Italiae Principe eocterum cui lume librimi dira rem elegmm , ideo ut eius rei causavi reddere siili attius aliquomodo mihi cxordiendum erit. Cimi priinum itagite ex kumanarm literarum academia ad logiralem phijsicamquc scieutiam, Patria iussu capescen dam in Gymnasio Patavino , non solimi propter Professor uni doctrinam, sed elidi j propter exteraruin Nationinn frequentami amplissimo, me contulmem, obscnit- remque philosophiac pamites Platinimi . bis do causis itaquc band diffido lo diarissime Balthasar omnium voti» cumulate satisfacturum. ob quod benelicium qui buie certissima© disciplinae operam navant, ingcntes libi gratias & agoni, fc babebunt: atque tu inde summum decus immortalemquc gloriam reportabis. Hoc tempore indiani mihi cani aegrotis prae- potentis Dei clementia, est negotium. & apud me recto omnia, idem de te faxit Deus aemper audiam. Osculor libi manus, tacque nobilissimo Patri ex animo me commendo, atque omnibus vitina incoiamela, ac suiumam exopto felicitatem. ex flamine Kal. lumuu'ii 1607. Tua; Illustri Doniinationi Sorvus deditissimus lo: Ani: Petrarolus Astunensis Regni Neapol. Physicus apud flumenses. (i) Le linee che contengono le parole ila • il Imi ila una grappa, di fronte alla quale è segnato un quoque » a < audeaut - sono in margine abbracciate asterisco. PR^EFATIO AD LECTOREM. Bonum ipsurn ex sua natura comm uni cabile esse, hominemque non sibi ipsi na¬ ture, iarn dudum antea, ni fallar, memorine proditnm est, hoc antan adeo certuni esse legimus, ut naturali tantum lamine philosophantes coacti sint dicere Deum ubiqiie diffundi, non alia sane rat ione, visi quia bonum latius potei quam vita, quia pluribus convetiit, magis quoque necessari imi est, sublata mini vita cessarci mundus maveri, sublato autem borio esse desinerei, non dulntarnnt ijdetn homini publicam utilitatem suo commodo praefercnti in hac vita immortalitatis nomen, in futura autem beatitudinis praemium polliceri, Latìnae enim li ugnar parens Cicero voster 10 lib: vi. Jieip:, ut nobis demonstraret quanti sit facienda pubi ira utilitas, aurea illa m'ba protuli l : Quo sis Africane inquit alacri or ad tutandam Itemp: sic habeto . Omnibus qui patrìam consei'raverinf, adiuvennt, auxennt certuni esse in Caelo dif- fmitum loc.um, ubi beati aero sempiterno fruantur. Miravi itaque non panini subii (pei fìt, ut emn inter omnes homines oh hoc ipsum qnod homines sunt intercedere debeat mutua tenero lentia, nec enim a natura creati sumus, ut nobis solimi nostrisque propinqui, veruni etiam alijs, si possibile est, emolumento simus; hac tamen nostra tempestate quam plurimi reperiantur, qui proprine idi!itati nimiuni in somieri tes, inedia per quae bonum, qnod quidcni in hac vita in coniemplattone versari nullus est qui ambigui, nobis invidentes, non sotum illa ut deberent patefaciunt, veruni 20 etiam totis viribns occultare collanttir ; qnod quam vede fiat, manifestimi crii, si perpenderint illos, qui literanuni studium quantuni possimi promovere student hoc privilegio gaudere, ut indies eornm scientiae plus splendoris accedat, e contro vero non desini, qui rempublicam I iterar iam amantes, qnod ab osoribus fuit occuliatum, patefavere agg redia u tur . Qnod si mi hi accidcrct dum fabricam nsumque cireini pro- portionis hacteum satis occultati inoliar, haberem sane de quo gloriarer, est mini inventimi egregium qnod quidcni occultimi servare, est non parum studiosorum omnium publicam utilitatem retardare. Dum itaque alij de ejus inventione disputant, non nisique nummo praetio copiarti istius faduni, decrevi ejus structuram & usnm USUS ET KA1JKICA CIUCIMI CU1USDAM PROPOIITIONIS. publicae utilità lis causa guantoni in me crii (Mucide promulgare. Lied enim satis sciavi non defulurum oblalratomn, qui Itos meos labores livido suo morsa lacerai* conubitur, nihil lumen murar, mudo pluribus prosim t quid si uni non placcanti postquam ab omnibus probari impossibile est. Are obijciat <[itispiam me linee non exeogitasse; nani istos libmtcr audire relim quid respansori sint ad quaestionem qua soiex quidam doctus altera ni interrogavit : Quot pntas (inquit) habemnus hodie in mando doctos riros, si non nt 1> C B BCD aequas partes dividere. dividatur itaque vulgari modo in aliquotas aequales partes, numeri de quinque in quinque asoendentes apponantur, & sic liaec prima linea pcrficietur. Quae 438 rsUX ET FABRK'A etiam Rumina facilitate dividi possot per illa, quae Cap. 3 j s ^j Us instrumenti usum tradontos, explicabunturl*J. JJ uro ili siijirr/ìrìri'iniì in inxlnniiruto descrìbere. CAl’UT 11. His succedunt dune alino linouo per litcram C notatac, quae ab aliquibus geo- metricae nimcupantur; cum enim Geometria generali vocabulo illa facultas vocetur quae in planoruin conteinplationo vorsntur, hns linea» geometrica» vocandas esse crodidorunt, usus oniin illarum potissiinuin circa superficie» versatili-, sed nos has linea» suporficierum sompor vocabinius, non tantum propter earum constructio- nein, quam propter usum. Veruni antoquam ad fabricain istius lineao descenda -10 nius neccssarium est praemittere liane tabulam radicum quadratarum, quae exten- ditur usquo ad 200. Si quia tainen in instrumonto lias lineas longiores desidoraret facile sibi ipsi poterit tabellam c.onstruero radico» quadrata» extrabendo prout cxomplum in ipsa tabula patere poterit. Voi, A' faciliori negotio, illam desumere poterit ex quodani libello loannis Hartmanni, cui titubi» est: Stereometriae inanima nova & facili» ratio ite. quom librimi si ego vcnalem reperijssera integram non solimi radicum quadratarum sed etiam cubicamm tabulam descripsissem. veruni ut disi cum apud nos Ilio libor desidoretur, tabulaequo praenominatao maxime sint necessariae ad futuram instrumenti fabricam, no quid mihi benefaciendi ansam arriporot, proprio marto duas sequentos tabula», alternili usque ad 200 sup- 20 putatam roliquam usquo ad 172 exaravi, quae satis commode ad hoc instrumen¬ tum componendum sufficerc possunt. I “ ) Ilio contradicit sibimet : difficillimum et fere impossibile in p rincupii» enim Cap. 2 et 3 inquit, esse, lineam in petitas partes secare. circuii cumsDAM l’RoruimoNis 439 Tabula radicum quadralariun. 1 1 000 i 34 1 831 J 67 185 2 414 35 916 I 68 246 3 732 j 36 6 000 69 307 4 2 000 1. 37 82 70 366 5 236 38 164 I 71 426 6 ' 149 39 | 244 72 485 7 645 40 1 324 7 o lo \ 544 8 « 828 l 41 403 74 i 602 i) .» — 000 42 ì 480 [ 70 660 IO 162 1 43 557 76 1 1 718 ii 316 44 633 77 775 12 464 45 | 708 78 831 13 605 46 782 79 888 14 741 47 855 80 044 15 873 18 928 81 9 000 16 4 000 49 7 000 82 55 17 123 50 71 83 110 18 242 51 141 84 165 19 059 52 211 85 ., 1 » 219 20 472 53 280 86 273 21 582 54 348 87 327 22 690 55 415 88 380 23 796 56 j 482 89 ; 433 24 898 57 ) ! 549 90 487 25 5 000 58 616 91 539 26 99 1 j j 59 1 | 681 92 592 27 | 196 60 | 746 93 643 28 291 1 1 61 810 94 695 29 385 i 62 874 95 746 00 477 63 937 96 798 01 i 567 64 8 1 000 97 849 32 657 65 - 62 98 899 33 744 66 ! 124 1 99 949 100 000 il. 5 ^ elitaxi cTiusDAM pkopohtioxis. 141 Ddincaturus itaque lineani C dietimi superfioieriirn, quod mini d© uno eircini crurc dicam, de altero etiani intelligendum suppone, quac contincat E. g. 100 part.es. necessititi prius erit duas lamella» ex uuriclialco parare, & illas davo mobili ex una parto ita connectere, ac si circinum constnicre velina ubi facto centro por lamellaruin longitudincm duces duas lineas rcctas in fine aequidistantos, & illas in 100 acqua» partos (quod niliil alimi est (piani peculiarem linea-m liiiearuni constnierc) divides, hoc autem maxima cum diligenza, nani inde, fere tota in* stranienti fabrica pendei, hoc facto lamellas in loco plano disponas, ita ut quando libuerit possis illas recto firmare: fcunc divides lui instrunicnti lincam in IO decem acqua» partes, ut factum vides do linea C notata, post quain 100 parte» contincre debet, & tabula usque ad 100 habet 10 diametro»; secundum imam illarum partium apcries lamellas in 100 accipies ©nini vulgari aliquo circino de- eimam propostole lineae partem, & illam punctis lamellarum 100. 100 notati» per transvei'sum applicabis, daviculisque lamellas ita firnuibi», ut allo modo moveri possint, quo facto videbis tabulam radicum quadratarum iuxta 2 habere 414 ideo vulgari circino ex linea linenrum iam iam claviculis firmata per transversum ac¬ cipies distantiam inter puncta 450 ) & 1 decima», lmncque in lineam superficierum dcscribendam signabis, iinnato ©nini uno eircini pedo in primo puncto post instru¬ menti centrimi, & in esemplo signatur littera F, alio pedo notabis distantiam, 20 qua© in cxemplo sit G, inox accipies distantiam inter puncta 73 & duas decima», & Ulani in tuam lineam superficierum transfer©,», ut iam dictum fuit, & ita imam partem huius lineae divisteti; iterimi velinquendo secundam (linmetrum tabula© accipies distantiam inter puncta 23 & 6 decima», & illam transfer©» in tuam lineam, incipiendo a secando puncto post centrum, quod est initium tertiae parti» lineae, sicque successive facies de parte in partem usque ad (lecimaiu partem, & videbis lineam superficierum esattissime in 100 partes di¬ visarli, modo non oscitanter partos & decimas partium ex linea lincarum dieta Accoperis. Notatis itaque omnibus divisimiibus, appositi,sepie proprijs numeri», pro- perabis ad descriptionem aliarum lincarum. 30 Linea* nolidorum in imtrimento conficere. CAPUT Ul. Haec linea, qua© immediate lineam superlicieruni sequitur, & litera J) no tu tur, ab aliquibus linea stereometrica appellatili’, eo quia cum stereometria sit illa, quac solidorum cognitionem tradit, lutee autem linea circa solida corpora ver- sotur, non immento lincam stereometricam dicendam crediderunt; hanc tanien « 45 * c* sottolineato: ed in margine è un segno, in forma di dito che indichi, per richiamarvi 1 attenzione. USpf$ KT KAUUKA 442 ego ah cjus usa, vulgati vocuhulo lincimi solidomm semper vocabo. Uecte itaque intellecta priori dcscriptione, hacc potost nonnisi manifesta esse, si tamen prius sequens lineo tabula radiemn cubioarmn prnemittatur. Tabula radiemn cnbicarum pio linea solidorum. 1 1 000 , 8 | i 620 ] 35 271 2 259 1!) , 668 i 36 302 »> «1 442 i 20 714 1 37 332 4 587 : 21 758 38 361 5 70!) 22 802 | 39 391 6 817 23 848 40 419 7 912 1 24 884 41 448 S •J 000 I 25 924 42 476 9 80 21) 962 *L 503 LO 154 27 :ì ooo 44 530 n 223 28 86 45 556 12 289 29 72 46 583 13 351 ho 107 47 608 14 410 ! 31 i 114 48 634 15 |- 466 •4*) 174 4!) 659 16 ; 519 33 207 ; 60 683 17 571 1 1 94 i oqu 1" 708 cumini ci’irsDAM pkopoktionis. Residuimi Tabulae radiami cubi (illuni. 52 1 732 85 i 1 396 i • 18 904 53 756 i | 86 413 19 918 54 77!) 87 1 430 20 931 55 802 88 i 1 i 1 447 21 946 56 825 89 404 22 959 57 848 870 90 481 23 973 58 91 497 i 24 986 59 892 92 514 25 5 000 60 914 93 1 530 26 13 61 936 94 546 l 27 26 62 957 95 ; 562 28 39 63 979 96 578 ! 29 52 64 4 000 97 594 30 65 65 20 98 610 i 31 78 66 41 99 | 626 32 89 67 61 100 642 33 104 68 81 101 657 34 117 69 101 2 672 35 129 70 121 3 687 36 142 71 140 4 702 37 155 72 160 i 5 717 38 167 73 179 6 732 39 179 74 198 7 747 40 192 75 217 8 762 41 204 76 235 9 776 42 216 77 254 1 10 791 43 229 78 . 272 n 805 44 243 70 290 12 820 45 253 80 ! 806 13 834 46 2G5 81 326 14 i 847 47 278 82 344 15 862 j 48 289 83 362 . 16 877 49 301 84 ! 379 17 ! 890 50 312 rsrs ICT KAIUUCA 444 It <*NÌd II II 111 ( llllllllM 51 ; 325 ! ; r>« 52 336 59 | r>a 348 i 60 | 54 360 61 55 371 i CM 1 | 56 382 68 ! 57 304 64 1 raiflir.iiin cubicaniin. 400 ! 65 j 484 417 66 490 428 1 67 _510 440 68 . 524- 451 m ■i- ! 462 473 71 i i 578 Patcat ergo c (iiofc parto» iste linea I> notata conti nere debeat, ut e. g, 125, video tabulimi * radinovi eubioanini us(|ue ad 125 eontinere guinque diametros, io ideo hanc lineam in guinque aequas parte» dividondam dico, prout in exemplo facillime videri potest: seeunduin imam istarum aperiolamellas iam dieta», ut .superi uh factum fuit in 1(M) illisque recti» firmati» uccipio distantiam inter puncta 25 & ‘I deciinas, & illuni in lineam solidoruni futuri instrumenti transfero, firmato imo pedo circini in primo punctn post eentrum instrumenti II notato, quod est initium seeundae partis lineile. & alio circini pedi* notata distantia per punctuml, inox accipio distantiam inter puncta 44 & 2 deciinas, & illam vicissini transfert) in lineam dictani. hocque successivi» douec petitas parte» liabeam. illud solimi animadvertcndiun. ut quando ad secundam diamctvum ventimi est, incipiamus distantias notare a secundo puncto. quando ad tortimi! a tertio, & sic de reliquia. 80 Notati» itnque divisionilms apponantur numeri, & linea solidorum erit perfecta. Liììoas mrtalliras constnmr. 1-APT1T IV. Haec linea littori» E, E notata, ut de altero tantum mire loquar, co quia proportiones metallorum continet, & circa corpora metallica versatiti' linea me- tallorum nuncupatur. Ut ea cxactc describi possit dividitur in octo parto» acquale», ut in exemplo videro est, quandoquideni metalla plus faciunt, quam septem dia¬ metros. Secundum imam dictanim partium aperies supra dictas lamella» in 100, & illas recto firmabis, postoti accipies distanti»» inter puncta fractionis cuiuscunque metalli, qua» proprio diametro applicabis, ut K g. prò auro accipies distantiam 30 inter puncta 17.17; & illam applicabis quinto diametro, ibique facto puncto a un characterem describes Pro argento accipies distantiam inter puncta 29.29. & illuni applicabis sexto diametro, ibique facta nota eius characterem caelabis, ut CIRCINI COIUSDAM PROPORTIONIS. 445 manifestissime in dato exemplo vi deri potcst, & sic de reliquia, prout subicctac proportiones metalloriun demonstrant. Ilac itaque linea con- structa, iam prima instrumenti facies, (pumi anteriorem no- ininavimus, erit absoluta, ideo ad posticam properandum erit / io Altrui u . 5 17 1 00 Argcntum rimili. . . 5 J>7 • do Plumbum . 0 6 100 Argentmn. . (i 20 100 ( 'unni ih . (i 56 1 00 Feri uni . 6 64 100 Sta imi u ni . 7 10 01 100 IAueain quadrantis geometrie dividere . CAPUT V. Ilanc posticam instrumenti partem K notatalo, octo alias lineali, hoc est quatuor in unoquoque erme, continore dixi, harum interiores literis 11 notatae lineae quadranti» di- cuntur, quia seilicet ad quadranti.» divisionem dividuntur. Quoti vero spectat ad carum constructionem, de.se, ribes in loco acquali totani lineae instriunenti tui quantitatem, lume in duas aequas parte» divide», ut in subiecto scliomate A, ex hoc 20 pirncto A describatur semicirculus BCD [4Ì : puncto A inquiratur perpendicularis, quac sit CA. quare punctiun 0 erit centrimi, ex quo dcscri- liatiir quadrali» BED, ut mos est quadrans in HO parte» diligentissimo dividatur. Ilis peractis statuirne» unum alicuius circini pedem ad imam partem, ubi subtensa i» I) tangit lineam quadran¬ ti», & aliiuu podem extendemus ad 89 graduili, quam distantiam transferennis in li- neam instrumenti clividendain, inox parum contracto circini pedo accipiomus 88 gra¬ dimi, & sic de reliquis. Notandum tamen quoti ubi semel primum pedoni circini 30 firiiiaviimis, ibi sempor centrimi erit, ut in exemplo quoniam prima vice circini pedem in 15 tirmavimus, ideo punctiun 15 semper loco centri accipienius, donec tota linea iuxta divisionem istius quadrantis sit divisa in 90 parte.», quibus di vi- sionibus ascribantur proprij numeri, vel de 5 in 5, voi de 10 in 10 ascendente». Interrogetur de iuventione horum ponderimi, et maxime merenrii. 141 Frustra describitur iste semicirculus. 84 . hwentioìio — 446 USUS VA' FABIUCA Lineavi circalorinn in instmmmto inscribcre. CAPUT VI. Succedimi dune aliar lineae M, M notatile, (|iiae tum ab usu, tum etiam acon- structione lineae circuloruni vocantur, dividuntur enim ad circuii divisionem na¬ ilon otiain earum beneficio circulos in partes petitas secare possumus. Si hanc itaque in hoc instnunonto describere cogita», aceipias integram instrumenti tui delincandae linone magnitudineni. eanuiue in rem planam tran,sfera*;, statimquc dimidiam partem accipies, & liabebis centrimi, quod notabis in instrumento: firmato enim uno circini pede in centro instrumenti, alio dictain lineam secabis, sectionemque notabis per 6, nani non solimi ostendit diniidiuni diametri, scd 10 otiam latus liexagoni, inox ex ilio centro doseribos circulum, quelli primum di- vides in tres partes, tertiamquo lume partem notabis in instnnnento non solum per 3, sed etiam per 7, nani non signifieat solimi tortiam circuii par¬ te ni , sed etiam latus liexaedri ,SJ , seniper seilicet. firmato primo pede circini in centro instrumenti, deinde illuni divide» in quatuor, quartamquo partem trans¬ fere,s in tuani lineam circulorum, quod successivo facies de quibuslibet alijs par- tibus. Vel & fortasse inelius tot uni circulum divides in 360 partes, & tunc circino volgari accipies tertiam, quartani, quintam partem & sic ile reliquis, per quas lineam iam dictain satis praecise dividere poteris. Lineam 4/uadrativum rotisi mere. 20 CAPUT VII. Tertia linea literis N N notata quadrativa ab eius usu non immerito appel¬ latili*, postquam per hanc coinniode circulum quadrare possumus. Descripturus itaque hanc lineam. portionom istius assume», utpote KQ hanc dimidiabis in R, & liabebis diametrum in Q & seiìiidianietruin in R, quos prò libitu lineola aliqua notabis. Secunduni totani itaque diametrum aperies lamellas iam nniltoties no- minatas in 100 & volgari circino prò quadrato accipies distantiam per transver- sum in ter p un età 88 & 4 161 deci mas. hancque firmato uno pede circini in centro 1,31 non parla mai più di questo punto 7; ed oltre a ciò, più a basso pone per il lato dell'esaedro una linea molto minor di questa, so Vedi a carte 14. al segno E questo è il satis diti valutasse. Cimi satin dia fabricatn hanc colufansct. Si e scordato del lato del 3angolo : e pure, nel venire alle operazioni, nella bella prima ci vuol Hi II .«< 0 richiama I» lin. dolio pnjr. 448, di front»* all^ «|iiali trovasi ripetuto. GIR CI XI CUIUSDAM PR0P0KTI0N1S. M 7 io instrumenth transferes in lineam quadrati vani, ubi l'urta nota describes prò sigilo tìg U ram quadratala, deinde prò quarta circuinfcrentiae accipies distantiam inter puncta 78 & 5 decimas, & vicissim firmato pedo circini ut iam dixi in centro instrumenti, transferatur in lineam iam doscribendam, haecrpie distantia notetur ad libitum, prò pentagono miteni accipiatur distantia inter puncta 67 & 5 de- eimas, & haec in linea instrumenti sic notetur 5, prò hexagono accipiatur di- stantia inter puncta 54 & 9 clecimas, & haec in linea instrumenti notetur per 6, pio heptagono accipiatur distantia inter puncta 46 & 5 decimas, <& haec in in¬ strumento notetur per 7. Tandem prò octogono accipiatur distantia inter puncta 40 & 3 decimas, haec autem in mstrumonto notetur per 8 & sic hahebis lineam quadrativam exactissime divisam. Posti '(mi am 4- ultimami lineami quinqm solidonnn dictam describere. CAPUT vm. Totius istius lineae fabrica pendct ex prob. 6 prop. 18 13 liber Euclidis, quo docet latera quinque iìgurarum exponere, & inter so comparare. Hanc autem ut recto in tuo instrumento describerc possis, accipies integram lineao longitudinem, Lane in loco plano signabis, quam dividos primum in duas partes aequales & lmbebis centriun in C ex quo describes semicirculum AEG MB, iterimi secetur in I), ita ut DB sii pars tertia, postremo secetur 20 in E, sic ut EB sit pan* quinta, postmodum ipsi AB ad circumferontiam semi circuii ducantur porpen- diculares CF, DG, E II, connectantur rectae A E, BF, AG, BG, All, BIl. Post haec, ex HA abscin- datur 111, aequalis latori decagoni in co circulo descripti, cuius semidiaraetcr, seu latus hexagoni est BH hoc est aperias circinum prò magnitu¬ dine BH iirmatoque uno circini pede alio duces ^ ^ circulum cuius invenies decagonum, quod facil- limum esset, si haberes iam instrumentum factum per ea quae ~ «Jr 30 far costituire il 3angolo eguale al dato cerchio. Questo solo baste¬ rebbe a dimostrare quanto costui abia praticate queste operazioni, o pure ad accertarci come, avendole copiate da altri, nè intendendo cosa alcuna, le lascia come le ha trovate. Domandisi che trovi il lato del A, da lui tralasciato; il quale dal lato dell 5 exagono subito si troverà, crescendolo in sescupla proporzione. Domandisi anco per trovare il lato del 0, essendo il diametro del O 100. $ n. 148 US US ET FABK1CA dicentur Gap. 34 l; ). Accepta ituquc decagoni quantitate, & firmato uno cu¬ cini pedo in puncto 11 alio .secabis lineam HA in l ducosque rectam BI Tandem linea BG sccetur extremm ac media ratione, voi per tradita ab Euclide Prob. 10 prop. 30 VI lib., voi per illa, quac a nobiu explicabuntur dum de usu linea© linearmi! vorba faciemus Cap. sci 1 icet X. Postremo puncto A invernatili* perpendicularis, ut in exemplo vide», posilo enim uno circuii pede in medio semicivcali ut puta in 1 alio oxlenso usque ad A lineam Ali secanuis in M, & insuper extra semicirculum arcuili N describimus, applicata regala ad punctum M intersectionis lineae, & ad centrimi I in medio semicirculi factum notabiniUM intorsectionem arcua N. ut inde babeanms punctum correlativiun, ex iu quo describenda est perpendicularis, hanc secabiinus prò longitudine totius lineae in () applicata rcgula ad punctum G & O sigimbinms intcrsectionem scmicircul in P, ex quo puncto ducemus rectam ad A, omniaque erunt disposila ad futuran lineam describendam. Circino itaque aliquo accipias (juantitatom lineae BK, quac no bis significai latus dodecaedri, firmato uno pede cireini in centro instrunient alio secabis tuain lineam, uhi lacta nota illam signabis per 12 W, deinde ac cipies quantitateiu lineae 111, quac ostondit latus Icosaedri, firmato uno circhi pede in centro instriunonti ubi alias cueiderit ibi facto puncto inscribes 5. Tei tic accipies quantitateni lineae AP, quae ostondit latus hexaedri w lume tronsferes in tuam lineam & illuni signabis per 20. Quarto accipies quan-20 litatom BG, quae latus cubi praebet, & per liane secabis lineimi instrumenti, & ubi nota crit signabis 2. Quinto accipies quantitatom lineae FA prò latore ocloe dri, ubi ceciderit alter pes cucini ibi inscribes 8. Sexto & ultimo accipies quantità toni GA, quae tetraedri seu piramidi» latus oxliibet, secundum quam a centro in strumenti secabis lineam quinque solidonun, & in intorscctione inscribes 4 fl#J . (71 mentre che c* insegna a lubricar lo strumento, dice che ci gioverebbe assai averne un fatto, e lo replica ancora. ,8J comincia a domandare perchè per 12, e seguita delli altri. 11,1 Essendo del Clavio, in luogo del trovare la A P col mezo del 3angolo GAG, posta la BI, il Capra, non avendo inteso niente, inette30 qui superfluamente Fimo e Y altro. 1,01 lasciamo andare che è troppo manifesto, dal por questi numeri a sproposito, che costui non intende niente quel che siano questi corpi regolari, e parliamo pure del porre lui qui f>: de i quali, 2 sono il cubo e Pexaedro. Et satin din volutavit. ex 13 a , 14 u , 15 H , 13'. Diameter sphaerae lateris Pyramidis po- Corol. 17 aw , 13*. tentili sesquialtera, Octaedri 2pla, Cubi Spia ex 2 U 14‘. rursus maior portio lateris Cubi ext-rema CIllCINI CUIUSDAM PROPORTIONIS. 44fl Haecque est liueai'um omnium suscepti instrumonti fabrica, quae ìieet instru¬ mentum satis perfcctum nobis exhiboat, tamon non inutiliter quadrantem etiam illi apponere possumns. Ex aurichalco itaque, voi alio quovis metallo paretai qimita circuii pars, ut prò libiti! assnnipto semidiametro K S in postica instru- inenti parto, descvibatur quadvans T quod connectendum erit brachqs instrumenti per fommina VV, immissis chocleis ad hoc peculiariter confectis, tunc ex centro K circini beneficio in hac quarta circuii parte describantur quinque arcus, ita ut sex circumfcrontias '*> contineat, prima in parte exteriore continebit quadratum geometriciun, tertia quadrantem astronomicum, quinta scalam libratoriorum, ro- 10 liquae autem omnes eontinebunt uniuscuiusquo divisionis proprios mimeim Ut autem quadratus {reometrici descriptionem in hoc instrumentum transfer! 1 © va- lcamus, nec enim circa quadrantem astronomicum, noe circa scalam dictam im- morandum credo, postquam haec in 12 acquas partes, ilio in 90 vulgaritcr ab omnibus dividi solct, necessum prius erit quadratum geometri - cani oxactissime divisimi habere, hoc autem non ìnultum excedere debet quantitatem quartac por- tìonis circuii T. Centrimi itaque quadrante sup- ponatur centro instrumenti, lateraque subijciantur 20 arcui T accepto, prout ex K, quod quidem centrimi instrumenti significai, VXY cernitur, sicque fìr- matis omnibus, applicataque regala centro K & singulis quadratus divisionibus exteriorein pe- riferiam arcus T diligentissime dividemus, prout unico cxomplo demons trare possumns, applicata nanque regala ad punctum K, & ad primam divisionem latcris VX secabimus oxtoriorem periferiam arcus T in puncto Z sieque successive donec in 200 acquas partos illa fuerit divisa l**1. Haecque est tota instrumenti fabrica, quae modo et inedia catione sect.i est latus Dodecaedri, et idem circuìus colli¬ so prehendit Dodecaedri pentagonum et icosaedri A"" 1 • Ergo haec omnia per lineas geometricas et pei - lineas circulorum consequi possunt: ergo frustra ponuntur in instrumento hae lineae. 1111 Ha tanto in pratica questro strumento, che non si e ancora accorto, se quelle parti siano eguali o no; e sa tanto di Geometria, che non intende che non possono essere eguali. Et tamen satin din volutavit. 35. posso — (*• Di fronte alle parole sottolineato è sul marcine un segno in torma di indire. 450 USUS OT KAHHK'A sodulum artificom invoniat omnino focili» offondetur, si eniin aliqua q U ,j credo, rainus clara prima fronte videbuntur omnibus ad opus ad motis sino d v” omnis difficultas romovebitur. His fruere, candide lector, dum ad .,«,,1 • .'° ... . , , „ unum, m (. Ulug gratiam haec omnia compilata suut, properamus. In cuius explicatione longa vcrborum serie brovitatera & ino viribus dilucidam perspicuitatem plexus sum; interim tamen ut sedulus lector maiorem utilitatem nuu«i „ , p i'j* ii i • * ^ QUdndo opportunum nubi visual fuit, Luclidis problomata in medium adduxi, tum ut ' strumenti utilità», tiun ut diffusus istius usus ali omnibus conspici posset: si enim quis a nobis liacc tradita exempla poterit ex tempio resolvore, omnia tum Euclidis tum aliorum fere omnium problomata nullo ncgotio otiam conficiet. Sed de his io hactenus iam ad usuili veniendum. CIUCIMI CUIUSDAM PROPORTIONIS. 451 D H O r l'F Usus instrumenti proportionis iam explicali, & primum usus lineae linearum. Qua rottone benr/icto totiw$ /furar pommm /invaili aliqnuw partem & parti ina fradionrx continmtem construere . CAPUT 1. Esplicata instrumeuti fabrica iam veiiimus ad usum; & primo demonstra- bimus qua ratione facilitale eonstruenda sii linea, quae contìneat partes partium fractiones, quod tamen alias non nisi minima difficultate (ieri posset. Proponatur itaque eonstruenda linea aliqua, quae contìneat 4 portici» 7 pedo», &•/? P°dis, sit data perticae magnitudo ut puta AB, prò cuius longitudine sit construenda 10 petite mensura, ducatur linea occulta ad libitum CD, circino vulgari in ista accipiantur 4 perticae, quoti est facillimum, apevies enim circi- imm secunthun magnitudiuem AB, & hanc quator mensurabis sopra lineam CD, usque ad E, inox multiplicabis 7 in 12, & hoc quia pertica contìnet 12 pedes, productum crit 84, iterimi accipies quantitatem lineae AB, & liane per transvcrsuni applicabis punctis 84. 84, sicque relieto instrumento immoto multiplicabis 7 per 7 producto addes 6 habebis 55, volgari itaque circino accipies distantiam inter puncta 55.55, quae additili* constructae lineae, ut in esemplo E,F sit enim kaec universalis regula, quoti numerus pedum unius perticae debet nini- l'O tiplicari per denominatorem fracturae pedum ultra integra™ perticam. r Et sic habemus lineam CF, quae continet 1 perticas 7 pedes & pedis, quod fuit propositurn. Lubet autem ulteriori exemplo rem hanc nielius exponere. Sit itaque con- stmenda linea secondimi datam AB quinque perticarum 11 pedum, & V* pedis, sit autem pertica 16 pedum. Multiplicetur 4 in 16 production erit 64 magnitudo lineae AB quinquies mesuretur supra dictam lineam CD listine in G tum haec eatlem perticae quantit&s applicetur punctis 64. 64, relieto immoto instrumento multiplicetur fractio 55 1 j i in se productum erit 45 accipiatur distantia 1121 3 nQ l copiar da scritti a mano si può essere ingannato, pi- w gli andò 55 1 / i quello che deve dire 11 W, e non intendendo niente, non si è accorto dell 5 errore ; di più, non sapendo ciò che sia multi¬ plicare un numero in se stesso, dice che 55 V 4 (o pure 11 l U : ammet¬ tendo V errar di stampa) fa 45; che è falso. n 45‘2 TTSUS ET FA URICA intei* puncta 45.45 quae addatili- lineile (JU & erit GII, sicque erit coustructa linea CH continens quinque perticai» 11 pedes & >/i pedis, quod faciendiim pm positura fuit f* 8 !. A finti-m datar linear amarti patitati pa tirti iucmirr. CAPUT II. Haec operatìo est soliitio probi. I prop. !» vi li 1>. Kuclidis <“I, cuius facilitatora mirabitur quicunque absque hoc instrumento aliquando tentavit hoc problema resolvere, diffidili munì onim esset, ne dicam omnino impossibile huius- modi divisiones invenire, quas tamen statini nobis exbibet instrumentum hoc nostrum'*'. Si enim propositac alicuius lineae requirerentur 10 /„ 37 / tJ ,7 / 1M io semper aliquo circino accepta magnitudine lineae illa applicatili- punctLs deno- minatoris. & immoto instrumento excipiatur intervallum mmieratoris, videli- .--.—. cet 10 27 voi K7, ut in exemplo cernitili- lineam A.B Af> est *’/ioo ipsius AC. Insapori** 1 si esset data linea 100 partitila. & poterentui- */w„ voi 4, voi 5, quae propo centrum insti-umenti accipi non possunt, illa accipiantur ex altera [l31 ma notisi che questa è la operazione seguente, solamente im¬ mascherata: perchè prima, il pigliar la linea AB 4 o 5 volte nella CD non è niente; ed il prenderne poi 7 piedi e ®/ 7 , de’ quali tutta la AB ne contenga 12. o vero pigliarne 11 e V.,, quando si finga contenerne 16, non 20 è altro che pigliare o li 55; 81 o li ,& ' 81 della medesima linea AB; la qual cosa è quella che nella seguente operazione insegna, la quale è copiata dalla seconda del mio libro, posta a carte 2 b, sotto questa nota % <8 '. 1,41 Copiata da la 2 del mio, di. 1161 Ha voluto aggiugnere questo caso che segue, oltre a quello che ha tolto da me; ma per intender quello che ha voluto dire, bisogna indovinare: poi che, per esplicar questa operazione, doveva dire«acci- piatur residuum illarum partimi), nempe 07. vel 96, vel 05, prope 100 », e non « Mae accipiantur ex altera parte instrumenti \ il che non si può fare. i 1 ) Dì fronte alte parole sottolineata «• segnato, noi margine, nu asterisco. Questo 1» j richiami simili che si troveranno in »i|»|»rosso, si devono intornierò riferiti, i-on tutto probabilità, a luoghi cosi segnati in un esemplare iteli'opera «li Galileo sul Compaio, ilei (|Uflle ro¬ tore si proponeva di servirsi per le opposizioni, ne pubblico dibattimento, ni Capiia. ( ||ì< INI CUIUSDAM l’HOPOKTIOKIS. 458 yjuto i intimine liti l '* J vi.lelicefc (innato uno pedo cimili in puntilo abscindet DA »/«• vidolioet ipsius prope KM) CJ, & alio linone. ascendala lo, linee miteni distanti» extenso usquo ad punetuin I) nohis lÀmarn proposi/am in aliquoi peti la* parte* secare. CAPUT III. Nulli (labium est quod laboriosissimi!™ sii «limi aliquam lineimi dividimus tidics circinum constringere & dilatare, donec voti compotes farti sumus itaque non abre erit faciliorem viam per hoc instrumentum demonstrarc. Si linear ergo magnitudo non exccdit instiuinenti aperturam liane facillimo sic dividenius, invenieinus numero» vieissim multipliees prò linear dividendae partium numero, ut si linea AB K.g. dividenda esset, in quinque aequas partes, quoniani 20 quin- qiiies in 100 eontinetur, ideo eircino aliquo accipinuis integrali! linone quantitatem, hanc punctis 100. KK) notati» aecomodamus immotoque instru¬ mento accipimus distantiain inter punctn *20. 20, quae erit quinta dictae linear portio AG [i ,] . Sed si data esset minima aliqua linea dividenda in 10 partes, ut puta DE Ducatur occulta linea prò libi tu I) F, in qua ad pia¬ titimi aliquoties mensurctur ipsa I) E, ut exempli gratin quater. ita ut tuta linea D V sit divisa in quinque aequas partes, unii ti- » plicetur muuerus partium linear dividendae DE per numerum partium lineile divisae D F productum erit 80, ideo accipiatur tota lineae 1) F longitudo illa applicctur punctis 80. 80, & im¬ moto instriunento accipiatur distantia inter puncta 7!). 79, quae trasferatur in linea-m D F, (innato enim uno pede circini in piuicto F alio secctur linea. D E in puncto G, inox accipiatur (listantia inter puncta 78. 78, & illa in hanc lineaxn trasferatur, quod toties re- petendum erit donec linea DE in Iti aequas partes divisa sit ,ls] . 8i iiutcni aliqiui linea data esset longior, ita ut secondimi ipsam in dato numero aperiri non posset. Ut si E. g. ossei data linea 1IK o [m Ma questa cauzione è pur cavata dalla prima mia. operazione, e da quella parte che è contenuta sotto questa nota .)(, carte 2, o vero da quella clic è sotto questa (j , carte 1 b. 1,71 Copiato ad vrrbum da la parte della min prima operazione con¬ tenuta sotto questa nota ss» ( <*>. I 1 ) La postillo m riferita alle Iin. 0*15. ,0 La postilla i> riferita alle lin. 16*27 l'tSl'S KT KA11KKA tó4 dividenda iti 7 aequules partes, suppotminus autem secundum istalli lineai» instm montimi aperiri non posse, ideo aperiatur circinus aliquis ut ounque, & oius aper¬ tila siunatur sopties in data linea li K per occultas nota», ut postea notae ilW dolori possili), relinquatur autem portili 1 K. Vulgati circino accipiatur magnitudo linone dictao 1 K haec applica tur punctis 71). 70, vel aliquo alio numero multiplici & immoto instrumento accipiatur una septima illius 1K, quac addatur sin- gulis partibus primi acceptis in Linea HK, & sic erit exactissime divisa in 7 aequales partes, prout propositum fuit l'acienduiu. Sitque in exemplo portio inventa LI 1**1. Non absimili etiam ratinile ali Ime linea pendo» solutio probi, il propr. 3 primi m libri Enel : quo clocotur duabus datis rectis lincis inaequalibus de. malore aequalem minori rectam litieam delrabere. Sint onim dune rectae. A & 11, propositumque l, sit detrahere minorem lineam A a maiori B. Accipias totani lineai- 11 quantitatem, socundum liane aperias ►- .a prolibitu, ut putii in 40. 40, mox accipias quantita¬ tem lineile A & videbis quibus punctis possit accomodari, ut in hoc exemplo punctis 22.22, ex immoto instrumento excipios distantiam inter puncta differen- line liorum mimerorum, line est inter puncta 18. 18, per quani secabis lineai» 11 in pimelo Li postilla è riferita alle liti. 3*26. CIUCIMI CUIUSDAM l’ROCORTIOMS. 450 , a dictttm scalai», (l niemus Vài) fero prò sorte & usura sminili mini, .sicquo successive por singulos annos procedenduiu crit, 1 ,J) . Insupor sit aliquis cui mcrcator spalio triuni annomni solvere debcat 240 co- ronatos lue in necessitate constitutus, ut statini possit sua in esigere pecuniali) reliquit mercatori lo, prò 100, quncriturque quantum illi Mcrcator solvere de- beat. Haec est conversa operatio prioria, ideo sic statues numero» 110 remanent 100 quot l'onmncbunt 240. Accipias quantitateni 100 partiuni ex scala immobili, hant aptabis punctis 110.110 & immoto instrumento excipies distantiam inter pan¬ etti 240. 240, quae mensurata. supra scalam immobilem abseindet 218 '/, & aliqnid amplins, iterimi ex immoto instrumento excipias distantiam inter puncta 218 '/, io hanc mensurabis supra scalam immobilem abseindet 108 '/» fere. Tertio & ultimo excipies distantiam inter puncta 108 */» & lume mensurabis supra scalam immo¬ bilem & abseindet 180 fere, & lineo crii pedinine sumnia qiuun debet iste a mer¬ catore recipero E converso etiam quandoque hoc modo quaeritur, est quidam qui accepta * al Copiato dall’ operazione 7, e. li />, alla nota ^ campo. Tu, perchè, guadagnando 10 per 100, si dice: iSe 100 do- venta 110, hai creduto elio nel perdere 10 per 100 si deva dire: Se 110 riman 100; ed è una lmlorderia, perchè se tu vuoi perderlo 10 pei' cento, devi dire : Se 100 riman 00, etc. Ma se tu vuoi perder piìi ili 90 per 100, seguita di giocar a questo giuoco. È dunque tutta questa operazion falsa. Ma è ben cosa ridicolosissima ed ignorantis¬ sima il chiamar questa operazione conversa della precedente, essendo la medesima; perchè essendo in quella dati il numero degli anni, l’interesse, ed il primo capitale nudo, il quesito è il capitale affetto da gli anni e da gl’interessi; sì che chi vuol convertire il problema, bi¬ sogna mettere il quesito tra i dati, e fare alcuno de i dati quesito. Ma qui dove tu dici : ‘240 scudi in tre anni, affetti da usura dannosa di 10 per 100, che doventano? il quesito è il capitale affetto da usura so dannosa; onde il problema non è altrimenti convertito. Ma il povero Capra, perchè il perdere è il contrario che ’l guadagnare, ha creduto elio questa usura dannosa faccia il problema converso di quello che fu di interessi utili |2) . 18. campo. Se tu vuoi perder 10 per 100 di Tu perchè epiail agamia — 28-211. quesito e dire, per cssempio, se tanto capitale ... Ma — K l ) La postilla ì« riferita alle lin. 28-tt4 della pujfina precedente <*d alle Un. 1-2 di qiit^ta. (•) La postilla è riferita allo Hn. 3-14. CIRCINI CU1USDAM PROPORTIONIS. 461 rmta pecunia* qnantitate a Mercatore ad 5 prò 100, spatio rinomiti annoruni illi reddidit 500 coronato», quaeritur inqnam quot coronatos prima vice acceperit. Sic disponantur numeri 110 erant 100, quot ergo erant 500, in reliquia eadem cnt methodus iam suporius exposita < 35 1. Scd ut melius istius instrumenti usus pateat, lubet aliam methodum iam dietas opcrationcs omnes perficiendi aperire, quae licci prima fronte magia laboriosa vi- deri possi t, tameii exercitatis sino dubio iocundior crii Proposita itaque aliqua quaestiono aritliinetica per aurcnni regulam resol venda aperiatur instrumentum ino libitu, & vulvari aliquo circino exci])iatur distantia inter pimela secundi nu¬ lo meri baco constricto vel dilatato instrumento prò rei necessitate accommodctur punctis primi numeri, sicque relinquatur instrumentum, nec mutetur per vulgarem circiiiuni acccpta divaricatio, scd alio aliquo excipiatur distantia inter puncta tertij numeri, quae servetur, prioria oircini divaricatio aptetur iterimi punctis secundi numeri, & vidcatur quo incidat distantia tertij numeri iam iam servata, puiicti cnim illi quartum niuneruni inquisitimi demonstrabunt. Ut si proponeretur quaestio 50 dant 00 quot dabunt 20 aporirem inquam instrumentum prò libito & excipcrem distantiam inter puncta 00. 60 liane parimi dilatato instvimicnto accommodarem punctis 50. 50 notatis, alioque circino ex sic immoto instrumento excipcrem distantiam inter puncta 20. 20, mox priorem servatimi distantiam ile- 20 rum aptarem punctis 60. 60, posb'omamque distantiam inter puncta 20. 20 sumptani vidcrcm acconimodari punctis 24. 24 praecise, quaro dicercm 24 esse quartum numerimi indagatimi. Eademque foro opcrationc resolvitur ctiam regula trinili conversa, si loco secundi numeri accipiauuis primiim, loco primi ter ti uni, & loco tertij secundum t3n] . Fi (/urani alii/nani superficiakui adaìu/ere rei diminuere. CAPUT VI. Sit triangulus ABC! secundum quem alius triangulus constitui dc- bcat, qui sit ter maior. Vulgari circino accipias quantitatem alterius latc- ris, utputa A B, secundum i,stani ìiiagnitudineni aperies instrumentum in aliquo E lu m ub enim triplani huius latsris seennidumque liane distantiam de- se riha tu r latus DE homologum AB. tune iterimi accipics quantitatem BC, (inani punctis 10. 10 accommodabis, &i m . moto instnunento excipies distantiam in- ter puncta 30. 30 prò latere E E, cpiod iterimi facies prò latore CA. Hinque collidere licct instruinenti utilitatoin, cum tam facili uegotio possinms probi. 6 prop. 18 lil). 6 Elici, resolvere, quod alias nisi summo labore confici potest 1 „ Nulli fnHJ itaque (labium est quod hac rationo possumus Urbis seu castri veruni delineati onem, dispositionomque. ac sitimi timi maiorem, tu ni minorem reddere. sed quia quando aliqiui figura daini* augonda, vi*l diininuenda non semper da¬ tar proportio socunilmn quam dobot aligeri voi diniinui, quo in casa necessitili est babere duas scalas oxactissime divisas, quartini una sit iminobibs, altera au- tem mobilia, cum autein Ime scalai* ex instrumonto boc nostro exactissimae habean- tur, ideo por alimi exempluin aliam operandi ratio- ncni doiuonstrarc oportuinun crii Dotar itaque Ur¬ bis voi Castri talis delineatio ABCDEF, insuper detur latus GII homologum GB, per quod descri- 20 benda sit alia figura minor. Volgari aliquo cir- cino acci pine lateris BO quantitatem balie supra scalala iinmobilem inm multotics nomiiiatain inen- surabis. vidobis aliscindere punctum 20 iterimi accipias c[uantitatom lateris GII, quam aperto instru- monto per trailaverni ni punctis 20.20 accommoda- bis. & liaec erit scala mobilis, quae instrumenti dispositio amplius mutanda non erit, quare accipies quanti tei n lateris C I) & lume supra scaloni inimo- bilem ìnensurabis & invonios abscindere 10 pun- 30 11 H b K 1,171 Non avendo copiata questa insulsissima operazione da alcuna delle mie, ecco la ignoranza in campo; poi che crede di aver fatto il triangolo triplo del triangolo col fare i lati tripli de i lati. Vedi come persiste nel medesimo errore, di sotto, al cap. XI, dove dice che qui da i numeri de i lati si argomenta la proporzione delle superficie, come qui. 1,181 tutta la seguente operazione è cavata dalla mia posta a e. ìb, alla nota r 'p; ma è qui posta imperfetta, come è manifesto a chi le riscontrerà. CUU-INI C.TltJSUAM PKOPOUTIOXIS. 463 ifiTisvfìrsum ut iam disi ex immolo instmmento aceipies disunitami inter CUIlllj Jl'-' punctu 19.19 prò latore (11 sicque omnia alia propostale ligurae latera veniunt de- scribciulu, «ed quia varia operandi ratio melius instmmenti usum declorare potesi, ideo lubet per priori» exempli niethodum hoc quoque problema absolvere. Inverna» itaque proportionem C15 ad li H, & secondimi liane omnia latera propositae ligurae describas, ut circino vulvari accipias quantitatem CB, sccundum quam pio libito aperies instrumentum ut E. g., firmato uno pedo eircini in puiieto 100 tantum aperies instrumentum doncc alius eircini pes cada! in alium punctum 100, tane nccipies quantitatem Gli, & videbis, quibus punch» per transversum possit 10 accoinmodai'i ut in hoc cxemplo punctis 44.44, quare dices CB habere illam proportionem ad GII, quam kabet 100 ad 41. Àperias ergo sccundum CD instru¬ mentum in 100, & cxcipias distantiam inter puncta 44.44 habebis enim quan- titatem lateris Gl, iterimi aporia» instrumentum in 100 prò quanti tate lateris DE, & accipias distantiam in ter puncta 44.44, ut liabeas quantitatem lateris 1K sicque de omnibus alijs lateribus facies donec tota figura sccundum datanti pro¬ portionem sit descripta. Dalia (/nabli* lima* ter/iaw propori iona/m ad fungere ex ipto paté/ solatio probi. .7, prop. Il, lib. vi Enel. CAPUT VII. 20 Sint dune lineac A & 15 quibus invenienda sit tertia proportionalis continua aperiatur instrumentum in quovis numero seeundum quantità- lem lineae A, & videatur quo inculai 15 deinde seeundum quantitatem 15 linea 15 aperiatur in ilio numero in quo fuit apertimi seeundum A, & cxcipiatur distantia inter puncta illius numeri in quibus fuit apertimi seeundum B, & liaec ostendet lineae tortine propoi*tionalis quantitatem. Ut E. «•. seeundum quantitatem lineae A aperiatur instrumentum in punctis 1)0. 60 tune videatur quo incidat. quantità» lineae B, ut hic in 71.71. Aperia» itaque instrumentum donec quantità» lineae B ae- comraodari possit punctis 60.60 & immoto instrumento accipias di¬ llo sfantiam inter puncta 75.75 quau lineae C quantitatem ostendet, quod quaerebatur l30J . 1301 questa e le due sequenti operazioni non son copiate, e non son ialse; ma, dependendo da cose poste da me, potevano molto più destramente esser risolute, e senza avere a muover lo strumento piu di una volta sola : imperò che, misurata rettamente la linea I>, ed applicata poi trasversalmente alla quantità della A misurata su la. medesima scala, e preso poi trasversalmente il numero della B, si avera n. w rsrs KT l'AHIU( A Datis diiabus linei# tertiam, tertiae quartam, quartae quinterni de., continua# proportiomks adinrenire mi. CAPUT vili. Per hanc operationem facilliimim erit resolvere probi. 4, prop. 12, Kb. vi Eucl.- si nanque propositarum linearum nota sit proportio, ut iam supra docuimus A Gap. v, inquiratur differentia inter dictas duas lineas, tane B aperto instrumento socundura quantitatem maio- ris lineac exciphvntur intervalla differentiarum P'i v —.. 1 I * n Ut E. g. dentur lineai* A & B in proportene ut 21 ad 28 aperiatur secundum quantitatem lineac B in 21 immotoque E ' * instrumento exeipiatur distantia inter puneta 35.35 prò io linea G inter puneta 42.42 prò linea D, & sic de reliquis t4SJ . Dati# tribù# linci#, quartam propor/ionalm inre#ti(). 60, & vidoatur quo incidat B ut in 25.25, istique duo numeri indi- cant proportionom barimi superficierum, prout su¬ perna dictum fuit in prima linea lineanun. Si autem acceperis distantiam sic immoto instru¬ mento inter puncta 85. 85 liabebis alterimi latus C ex quo potoris construero figuram aequaleni duabus datis. Tandem si accipies in- 20 tervallum inter puncta 35.35 liabebis latus I) acquale differentiae laterum AB g£ 16 86 S6 B .C .1) 1431 Qui è introdotto Pappo a sproposito, perchè questo è un pro¬ blema di Euclide. Ed è falso che in questo ossempio si sia fatto: ut prima ad 2 nn \ ita 4 a ad 3 am ; ma si ò fatto: ita 3 n ad 4 am . f44J Fiammingo. [46j questa operazione non è tolta dal mio libro, e però è falsa, e fatta dal Capra alla burchia; nè sa. che tal divisione non solamente non è compresa da i numeri che propone, ma da nessuni altri. Ed io ad alcuni la ho insegnata a far sopra ’1 mio strumento, con appli¬ care traversalmente tutta la linea proposta al lato del decagono delle linee poligrafiche, pigliando poi, pur traversalmente, il lato delPexa- gono dalle medesime linee; e V operazione è giustissima. 1461 Copiato. 1471 Sono in questo Gap. tre operazioni tolte dal mio libro, ma, per trafugarle, tocche un poco alla sfuggita; ed ascose in questo cantone, 466 T'.SlfN KT FABRIC'A Datimi triangiduin dividere linei* aequidistantibu* in partes acquale* f* 1 . CAP. XII. Sit ti'iang'ulus ABC dividendus in quinque purtes aequales, apeiiatur seoun- dum latus AB in 5.5 & exeipiantur numeri ab imitate «sque ad quinque. A_p ( Jl & imprimantur puncta in linea AB. Deinde \ \ \ iterimi apeiiatur in quinque secundum AC & \ \ \ \ \ • • » \ \ \ \ Hat ut iam factum fuit cum AB,' ducantur \ \ \ \ \ parallolao ad cuncta opposita t 4 °J, & sic 'A \ \ \ tri angui us erit divisus in quinque parte* aequales. Accommodato cnim, ut iam disi- io , inus, instrumento exci))ies distantiam inter ( puncta l. 1, & firmato uno circini pode in puncto A secnhis A. B in 1>, sicquo successive usque ad quinque [M1 . Datimi aiiqiiani snpcrfieicm dividere secondimi datata propoli imeni 1 * 1 1. CAI*. XIII. Si nulla alia ratione saltelli quidem propter hoc admirabilis est liuius circini uhus l6! >. Sint cnim tres viri inter quos dividondus sit campus ABC1), quorum pri- sono le operazioni quelle che io pongo nella 9, carte 7 è, e nella 10 seguente, e nella 11. Non si è contentato aver fallato una volta, nel «lire che i numeri delle linee indicano la proporzione delle superficie, che lo replica qui, e ci rimanda a quello che ne ha scritto di sopra, ai in lìnea linearum, al cap. 6. 1481 Fiammingo. Copiato. [40ì Si vis duci parallela*, superHuum est secare ÀC. 1301 Ha volsuto qui mascherare quello che io insegno nella opera¬ zione S, c. 7; e per ingannare altrui, non si è curato che la sua proposizione doventi particolare, essendo che la mia è universale a tutte le superficie. E che altro è dividere il Sangolo ABC in 5 parti eguali, che il trovarne uno che sia la sua quinta parte, uno che sia li 2 / 5 , uno li 3 / 0 , e l’altro li 4 / 6 ? Ma ho paura che forse tralasci questa mia operazione, parendoli che arerebbe replicato il medesimo, che 30 nella sua 6 di sopra; avendosi cacciato nel cervello, che superficie simili seguitino la medesima proporzione che i loro lati omologi. 1511 Fiammingo, ad verbum. 1521 Esaggera l’eccellenza dello strumento per la presente, beli che frivolissima, operazione, perche questa non è rubata da me: ma (pianto CIRCINI ( UHJSI)AM PROPORTJONIS. 467 I 7 — 1 -,*' 24 PiJ,. 7 24 . I 24 miis ucci pi t tres porticas & 7 pcdos, socundus accipit 5 pertica» & il pedes, ter- (ius t an dem accipit 7 porticas & pedoni unum, nulli dubitili) est quod difficilli- forct hns fractioncs reperire, quas tamcn lmmm linearum beneficio per m minimo negotio posstunus determinare. Constituantur enim secundum pro- portionem uniuscuiusque tres linear in linea linearum, prout cap. I doeuimus. qiianim singola contineat singoli viri partos petitas. llt in exemplo ridere est, lincam E, quae continet tres pertica» & scptem pedes, lincam F, quae continot 5 pertica-s & 3 pedes, & lineami G, quae con- ,n tinct 7 perticas & pedoni unum, ex omnibus lOhis fiat, una recta linea li. & apponantur sili¬ ci viri parte», ut patet per I. K, 1- deinde aperìatur secundum quantitatem buius lineae in 100, & videatur ubi A13 a Ite rum latus campi incidat, ut in hoc exemplo in 36. 36 deinde ape- natur secundum singulti* pai tes istius lineae in 100. Ut E. g. accipies portoni lineae HI, (juae L continet 7 pertica» & pedoni unum, A- secundum istam aperies instrumentum in 100. 100, quo immoto excipies distantiani inter puncta 30.36, per quam, firmato uno pedo circini in pimelo A secabis latus 20 campi AB in M, iterum accipies parlimi lineae llv, quae continet quinque perticas 6 3 pedes & secundum liane aperies in 100 immoto instmmento exci|iies distan- tìam inter puncta 30.3(5 firmatoquo uno pedo circini in pimelo M alio secabis dietimi latus AB in N; quod si tandem accoperis partem KL, quae continet 3 perticas & 7 pedes, & secundum liane aperueris instrumentum in 100. 100, & ilio immoto cxceperis distantiain inter puncta 36. 36, firmato post niodinn uno circini pede in N, videbis alimi) circini pedoni secare praecise punctum 13, si hoc idem facies cimi laterc CD, totani campimi secundum datam divisionem distributum vide¬ bis. Notanduni etiam quod si loco lateris AB di Euclide e chiaro? 1,1,1 leggi di sopra quanto e notato. 468 TTSUS ET FABRICA Mediani proporliointlei» inler dalia* daas lùtea w in rei tire, é eomeqnenter probi. 5, prop. IH Uh. (i , End. renolvere. CAP. XIV. Sint A & datile dune lineile inter quas oportet invonire mediani propor. #e tionaleni, in linea lineanun, ut superius dietimi fuit. quaeratur proporlo inter li- 100 ___ ._... 1 * nonni A & lrneam C, quae in hoc exemplo * - sit ut (>(> ini 100. A(‘ci])ia,s itaque aliquo cimilo totani linear (» quantitatem, liaoc punctis 100. 100, lincae superficierum aocom modo tur, immotoriuo instrumento excipiatur distantia intor puncta 66. 66 eiusdem linone, quae mediani proportionalem B exhibet, quod fuerat propositum l5 *l. 10 Mac nietliodo si inter integrimi basini & mediani perpendicularem alicnius trianguli quaoromius mediani proportionalem lmbcbiinus latus quadrati trianguli. A_D_B [:t dotar triangulus ACB, cuius perpendicularis \ j / sit Gl), quaeratur proportio inter totani basini AB, \ ;E / & dimidinni perpendicularem CE, quae in hoc exem- pio est ut 100 ad 11. Àperiatur itaque in linea c suporficierum secundum quantitatem AB in 100 -• & excipiatur distantia inter puncta 11.11, quae la¬ tus F quadrati trianguli denumstrabit tVi h l)a(id tribux tilt per jicudìUti i/ttarttnu proportionulnn aditili (jere [,, ’b CAPUT XV. -0 Sint duo circuii A & I». & figura G cui sit invenienda quarta proportionalis qualem proportionem hahet A ad B ex linea superlieierum quaeratur proportio A ad B quae hic est ut 100 ad f>0, tunc aliquo circiuo acci pi as quantitatem altc- rius lateris tigurac C secundum illam aperias dictas linea# in 100 & immoto instrmnonto excipics distali tinnì inter puncta ufi. 30 prò latore 1) alterius tìgurae deaeri bendar; hocquo idem facies de omnibus alijs latoribus 1541 Copiata dalla 14 del mio libro, c. 11 ll \ 1661 Copiata da quello che scrivo a c. ‘21 A, al segno 9 U . 1581 Fiammingo. quanto questo poverello intenda, anco dal suo modo di parlale so si può comprendere. Ma, lasciando le parole, a che proposito vien qui, per aggrandire il libro, a volerei insegnare l’istesso che sopra ci ha C» La postilla »* ritirila )in. :M0. La postilla « riferita alle lin. 11-19* C1KCIM CU1U8DAM I’UOI'OimONIS. 4fi<) Koii absimili lubiono edam si dentur dune suiierlicies possumus tertiam pio- portionalem invenire. Ut in superiori exemplo rìantur duo circuii A & B quorum proporlo ut vidimus est ut 100_0_ ad 56, si minorem circuliun do- ... sideramus aperiatur aecundum n diametrum voi semitliamotrum circuii B in 100, & excipiatur |_ intervallimi inter puncta 50. òli prò minori circulo E. Quorl si 10 maiorem desiderares, nccessum esset accommodare quantitatem diametri vel semidiametri A pun- ctis 56. 56 & excipere intervalluni inter puncta 100. 100 prò majori circulo F Eadem fere prorsus operationc datis pluribus figuri» possumus aliam illi aeqna- lem constniere, ut si quacratur circulus aequalis tribus dutis A,B,E, accipiatur quantitas semidiametri A, secundum quam aperiatur in line, linea prò libito, ut puta in 20. 20, immoto instrumento accipimns quantitatem semidiametri B, & vi- debimus quo incidat, ut in exemplo in 11. 11, additis 11 & 20 l'aciunt 31 tertio accipimus quantitatem semidiametri E, & videbimus quibus punctis possit accom- 20 modali, & sit punctis (i. G bis additis prioribus faciunt 37 quarti ex immoto instrumento accipieinus distantiam inter puncta 37. 37 prò semidiametro circuii F qui erit aequalis tribus datis A, B, E Ilincque hnbetur solutio vi probi, quorl Doetissimus Clavius ex Pytbagora excerpsit, dum scilieet docet propositis quotcun- que quadratis sive aequalibus, sive inaequalilm.s, invenire quadratimi omnibus illis acquale, quod eum ex inni dictis satis manifestum sit, hoc insuper declavare su- perflmun credo. Non abre tomen erit admouere rlictam methodum facilem nobis mostrato nel cap. 9? perchè, quando si siano trovate le linee propor¬ zionali, sono ancora, le lor ligure simili proporzionali, Enel. 22. 6. E notisi una doppia castroneria: ciò è che qui, dove non era reces¬ so savio, pone differenza dalle proporzioni de i lati a quelle delle figure; ma di sopra, dove era necessariissixno distinguere tra le proporzioni de i lati e quelli delle superficie, le pone senza distinzione alcuna, quasi che siano le medesime. 1581 operazione parimente superflua, potendosi fare con le linee delle linee, come di sopra ha mostrato 0 '. 1591 Copiato dalla operazione X, c. 8 |2 '. (*) L» postilla ò riferita allo liti. 1-13. (S) La postilla »'• riferita alle Un. 14-22. 170 USUS ET KAMUCA resolutionein soquonti» > probi, praestaru, quo duce tur proposi ti s iluohus quadrai is quibuscunque, alteri illorum adiungere liguram, quae reliquo quadrato sit aequalLs ita ut tota figura composita sit etimo quadrata. Si enim dati» duobus quadrati» unicum illis acquale invenies, ut iam dictum tuit, & lioc descripseris circa Intera altorius quadrati lmbebis optatum l ® #1 . Haecquo proportiomun methodus adeo diffusa est, ut qui illam umilino esplicare eonaretur non satis commode dicendi tinem invenire posset, illud tamen silentio involvendum non credo, quod si proposita esset amphora continens mensuram, & quaercret aliquis aliain quae duas, quae tres, vel quatuor contineret, Ime (lieto eitius poterit absolvi, acceptis enim di- inensionibus propositao ampborae, si illas prò libitu applicuerimus aliquibus pun- hi ctis huius linoae, ttun ex immoto instrumonto excoperiimis duplura, triplum, vel quadrupluni lmbebimus dimensione* ampborae petitac. In super etimi) si esset fona E. g. sex laterum, (pii per canaloni accepta, aqua repleatur .spatio duarum bora-rum, quuevatque aliquis alium construere vellons eiusdem omnino altitudini», ac simili» basi» ac orificy, qui spatio unius horae aqua per cundem canalem accepta repleatur, cuius magnitudinis sit futurus. Accipiantur orifiefi propositi fontis dimen- sionos, quae pio libitu aptentur aliquibus punctis dictae lineae, & ex immoto in- strumento excipiatur dimidium, ut si datao dimensiones aptatae essent punctis 20.20, excipiatur intonai lum inter puncta IO. Il) prò futuri fontis dimensionibus tM] . Datai» mpet'ficiem immutare in aliain emù» alia sii augnai*» prilline datm IM1 . 20 CAPUT XVI. Esset equidem lutee operatio difficili», seti omnem difficultatcm superat instru¬ mentum hoc nostrum Sit enim trinngulus A. cui rombus acqualis trinngulo A 1601 niente di nuovo 1611 Per non mostrare questo infelice d'intender meglio le propor¬ zioni de i solidi ohe quelle delle superficie, eccoci elio con queste an¬ fore si crede, col duplicare o triplicar le superficie, aver duplicati o triplicati i solidi. Dio li renda il conoscimento. Ha auto un poco piu del discreto nella fontana, dicendo di voler servare la medesima altezza, che così starà bene: ma da questa sua incostanza si vede che so non intende, e, o ruba quel che dice, o l’indovina per ventura. 1,121 Bastava il modo del parlar solamente, senza senso ed impro- priissimo. di questa proposizione e del resto dell’operazione, a mo- anfore e fontane sti crede — (i> I)i fronte allo pii mie* sottolineato n margine un asterisco. 6 segnato (D La postillo è riferita alla lin. 2G M» P ft ^ inu precedente eil allo lin. 1*8 di questa. C1RCINI CUIUSDAM PROPORTIONIS. 471 F U II _N ■id arcani, sod rumbo 11 similis fieri debeat. Primo quaeratur inter basini t dimidiam perpendicularem trianguli A media proportionalis, quae sit C deinde ipsius rombi lì media etiam_ proportionalis, quae sit I) denique quaeratur quarta pro- portionalis ipsarum D C hoc sci- licet modo, si latus quadrati quod c - est D nimbi B dat, latus falsum n- nimbi B, quid dabit latus qua- E “ IO diati veri C trianguli A, & provoniet latus veri rombi. Hoc est videas quam pro- portionem habeant Intera nimbi falsi, ut puta FG & proportionalis D & in hoc esemplo sit ut 100 ad 53, postea secundum quantitatein lateris C aperies in linea supcrfìcicrum in 100, & excipies distantiam inter puncta 53. 53 prò latere E. Inde- t|ue habcre poteris solutioncm probi. 7 prop. 25 Uh. vr Eucl. quo docet dato rectilinco simile, similiterque positum ; & alteri dato acquale idem constituere [0:i1 . Extradio radici# (juadnttae. CAPUT XVII. Iam ventuiu est ad postromam scd per utilem barum linearum operationem, qua facili metbodo ni fallor omnem radicem quadratala extrabere docebimus. Duplici itaque via possumus harum linearum ausilio omnem radicem quadratalo mostrar come costui non intende niente. E mi accorgo che, avendo io alcune volte mostrato ad alcuni il modo del risolver questo problema con lo strumento, bisogna che in voce gli sia stato referto, ma ma¬ lamente, o malamente da lui compreso; perchè per timbrarti veggo che ci è qualche vestigio della buona operazione, ma non intesa da colui che l’ha qui voluta spiegare. [ a Explicatis illis operationibus, quae per lineain superlicierum perficiuntur, iam ad lineain solidoruin transeundum, in qua prillimi» ut in linea linearum, & in io linea superficiorum fecimus, inter data duo vel plura solida proportionem invenire doccbimus. Sint ergo A, B, C, 1) Intera homologa quatuor solidorurn similium. latus A aliquo circino accipiatur, & secundum eius quantitatcm aperiatur instru- mentum in linea solidorurn prò libiti» ut in 100, timo accipiatur latus B & videatur quibus punctis possit accommo- dari, ut in hoc exemplo pun¬ ctis 76. 76, inox accipies latus C, & videbis aptari punctis 51.51, tandem accipies latus L), quod congruet punctis 31. 31 & sic 20 liabebis solidorurn proportionem inter se I:oJ . Quod si desiderare solidiun datis aequale, inviceli» addas numeros omnes proportionum siu»»nian» excipias ex immoto instrumento ut in exemplo A habet proportionem ad B ut 100 ad 76, ad C ut 100 ad 51, ad D ut 100 ad 31 isti numeri invicela additi faciunt summani 258, veruni supponamus lineam nostri instruraonti non excedcre primum 1(X), non cnim inconvenit inde enim melina potest illius usus percipi, ideo ex 1) & 0 fiat unicum latus, ut apparet in exemplo E, tunc iterimi aperiantur dictae lineae pio magnitudine lateris E, sed in minori numero utputa in 30 videatur quo incidat A & sit E. g., in 9 l /i &0 iterimi videatur quo incidat B & sit in 7 Va tunc isti tres numeri invicela additi faciunt summani 46 % quale ex immoto instruinento accipimus distantiam inter puncta 46.46% prò Intere V quod acquale crii omnibus datis lateribus c. — E -F II mì Copiato da la operazione 13, c. 10, alla nota ^ (1) . h0J Copiata dalla operazione 16, c. 12 (2) . 1711 Copiata dalla 17, c. \2b { *\ (i) La postilla »• riferita a 11. C) La postilla è riferito alle Un. S ia. (?) La postilla è riferita alle lin. 16-24. -17 fi USTJS KT FAHI’ICA 111 .super elei) tur duo vel triu solida, & quacratur torti ma voi quartino proporti» naie, operatio est illa eadem, quao in linea supertlcierum fiiit esplicata, tantum prò lineis superficierum accipi dobont linone solidorum (1 '). Datis (filobus solidis lv,ì duo media propoliionalia elicere. CAPUT XXII. Sint A & L5 data duo solida, (piibus invenienda sint duo media proportionalia. , K , Aperiatur in linea lineannn secundum maius in A quovis numero ut in 90 & videatur quo intret B ■i' it -l) videlicet in 97 deinde aporintur in solidorum linea in 37 secundum 15, & oxcipiatur distantia inter io puncta 5)0. 90 prò minori medio proportionali C. Deinde aperiatur secundum quantitatem A in 90 & excipiatur distantia inter puncta 37. 37 prò maiori medio proportionali I) quod fuit propositum 0*1. Dato parallelepipedo aeqiialnu cubimi construere t”). CAPUT XXIII. Sii altitudo paratie lepipedi CD latitudo CB, longitudo AB oporteat cubum aequalem ipsi consl more. Quaeratiir quadratimi basis 15 AB, idest inter BA & AB 170 ignoranza immensa ! poi ohe apresso quest* nomo tutti i solidi son prismi. In oltre, il Gap. X ed XI non hanno che far qui. E se intende di altri solidi, l’operazione e falsa t ‘ 1 . ,7S1 Erra, perchè deve va dire : solidi* similibus. Se li potria proporre nn prisma ed una piramide, e far che tro¬ vasse dui medii. 20 1707 Questo è il medesimo che l'invenzion delle 2 inedie, posta da me alla 19, c. 13& (t) . (771 Copiata dalla 20, c. 14 (;1) . I*) La postilla ó riferita allo liti. 27-2!) «lolla (3) La postilla ó riferita allo Un. 10-17 «li tpi<“ pagina precedente od alle lin. 1-3 di questa. sta pagina od alla continuazione del Capo che t ned» (') La postilla t> riferita alle lin. 6-1J». Micee*siva. ( Ircini cuiusdàm pRoroirnosis. 477 i) entui* media proportionalis, ut su] ira in linea superficierum fui! dietimi, .sitque Tt» E. Deinde in ter E qua- ..^ (lra tum basis parai le lcpipe- dj!!*), fi ipsius altitudinein C I> - duae mediae proportionales irne- -- F niantur, ut in praecedenti monstra- _--,« vimus, quac sint F & G dico quoti cubus constructus ex F acquali» sit puntili lepipedo dato, quod est, prò- fj iti positum |1tl) . Mtifarr spl/rrfnn in cnfrhnn. _ Ci A I) CAPUT XXIV. Spherae propositae in venia» lineam potcntem iiimìo- ris circuii, ut Esempli gratin sit, iunior circnlus spbe- rao ABC, buius circuii invonias quadratimi, prout, in- feritts Gap. 38 demonstrabimus, cuius latus sit I) inter latus quadrati L) & duas tortias diametri ipsius sphe¬ rae uempe A E inveniantur duo media proportionalia, -V prout Cap. 22 docuimus, liaec autem sint F & G ex 20secundo nempe ex G scilicet maiori fiat cubus, & lta- bemimus optatimi 1781 parlare che dimostra In sua ignoranza. 1791 inventa io media intei’ he, ab, erit prisma in, cuius basis □ acquale parallelogrammo hd ; et positis me- diis x, z inter io, os, erit ut cubus io ad cubum x, ita prima io ad 4 11 " 1 os : seti ut io ad os, ita est quoque cubus io ad prisma iti : ergo patet. 1801 poteva più speditamente risolvere questo problema, buttando il diametro A G trasversalmente alli punti 42 delle Linee Stereometri¬ co che, e pigliando poi trasversalmente la, distanza tra li punti 22 delle medesime (,) . e- li t } ' i X l Prisma, cuius basis Q 1), altitudo autem AG, aequatur cylindro circa sphaeram, et ideo est sphaerae sesquialterum ; et, prisma cuius sexqiiiultenmi hoc nnt[eni] ci — fl > I* postilla ò riferita nll«* ìiu. 1:1-21. 478 USUS ET FABKICA Duas media$ proportionales inveline. CAPUT XXV. Simili ter propositi? cluabus linei» cognitac magnitudini» baroni linearum he neficio facili negotio possumus duas alias proportionales invenire, quod similitcr intelligendum si non essent duae lineae, sed duo numeri. Ut si in superiori exc*m- plo Gap. 22, posito A esset 16 partium, I) 14 Va & necessum esset duas mcdias proportionales vel linea» vel numeros indagare. Prinnim accipimus quantitatem lineae I) quam per transversuin accominodamus punctis 16. 16 baroni linearum & ex immoto instrumento excipimus distantiam inter puncta 14. 14 l / 2 prò linea E quac supra scalam immobileni mensurata dat IH primum provenientein numerimi proportionalem, liane, distantiam iterimi panini constricto instnimento accom- lo niodanius punctis 1(>. 16. & accipimus distantiam inter puncta 14. 14 , / 2 prò linea F quac supra scalam immobilem mensurata 12 */ 3 fere pcribet secunduin numerum proportionalem provenientein tsl '. Extractio rad iris rubirac. CAPUT XXVI. ITaec, quae alias non oxercitatis difficili videri solet operatio, explcbit trac- tatum linone solidorum. Duplicem itaque viam extra-bandi radicem cubicam, prout de quadrata factum fuit, oxplicabiimis, sii cnim extrahenda radix cubica 8000 primo consideretur quoties 1000 contineatur in dato numero, nani eius radix est 10 manifestum autom 1000 in 8000 octies contineri, ideo aperiatur instrumentum prollibitu, & uno vulgari circino accipiatur distantia inter puncta 1.1 lineae 20 solidorum, line eque servetur, inox alio circino non variato instrunicnto excipiatur distantia Hinter puncta 8. 8 earundem linearum, deinde prior accepta (listantia accoinmodetur punctis 10. 10 lineae linearum, & videatur quibus punctis in dieta linea convcniat sccunda distantia accepta, ut liic punctis 20. 20 quare dicenduui cubicanifradieein 8000 esse 20 basis □ U, altitudo vero 2 :ì AG, erit aequale sphaerae; ergo, ex an¬ tecedenti operatione, inventis inter 1) et A E duobus mediis, patet propositum. Interrogete, ergo, deinde de demonstratione praecedentis operati on is. 30 Domandisi la ragione di questa operazione. Non si domanda delle mie. ma delle sue solamente. t81] Copiata dalla 19. c. 13 b l '\ r82! questo primo modo è cavato da alcuni miei scritti vecchi; che 27 . operazione — (*) La postilla «• riferita allo liti. 2*13. CIUCIMI CU1USDAM PHOPOllTHlNIS. 479 Alla vationo progredì etiam possumus, sit enirn extrahenda radix cubica 59342. l’rimuni ex scala immobili ucci pina quantitatem 40 partium, liane per transver- sum punctis 34. 94 lincae solidorum aptabis, sicque instrumentum accommodatiun erit ad extrahendas radices cubicas, a numero dato tres postrema» tìguras abycias reliquum erit 59 igitur cxcerpas distantiam inter puncta 59. 59 linoae solidorum, quae mcnsurata supra scalam immobilom abscindet 39 punctum fere, quare dices mdicem cubicam propositi numeri esse 39. Si autem ex abicctiono trium postre- marum figurarmn relinqueretur maior numerus, quam ex hac linea excorpi possit, ut siquis quaerorot radicom cubicam 184231 abiectis tribus ultimis figuris IO relinquitur 184, qui quidem numerus ex hac linea non potest baberi, ideo accom¬ iato instrumento ut inni dietimi fuit accipimus distantiam inter medietatem propositi numeri nempc inter puncta 92. 92 hanc aperto instrumento aptamus aliquo numero cuius duplum in Ime linea baberi possit, ut Exempli gratin punctis 40. 40 & immoto instrumento excipinms distantiam inter puncta 80. 80, quam mensuramus supra scalam immobilem, & habemus 56 fere, quem dicimus estendere proximam radicem cubitum propositi numeri 184231, quae quaereba- tur l‘ s ). Tandem si numerus propositus sit maximus, ut si propositum esset inquirere radicem cubicam 2000000, tunc ex scala immobili accipias quantitatem 100 par¬ tium, liane accommodabis punctis 100. 100 linone solidorum, «Se a pioposito mi¬ ai mero abijcies quatuor nltimas notas residuimi erit 200, qui numerus in hac nostra linea non habetur, ideo accipics distantiam inter puncta 100. 100, & hanc ac¬ commodabis punctis 40.40 & immoto instrumento excipies distantiam inter puncta 80.80, quae mcnsurata supra scalam immobilem dabit radicem cubicam 126 fere M. Um litieae metallicac. Data sphera citiumtnque metalli magnitudinem alterila) spherae einede.ni -ponderi# ex a lio ta-nien metallo constructae indagai e. CAPUT XXVU. lam Deo auspico pervenimus ad postremam lineami metallicam scilicet, quae & ipsa sua utilitate non carct, si enim data diametro alicuius spherae cuiuscunque ■io poi fu da me pretermesso, e posto il seguente più spedito : ma però tutto torna in uno (1) . 1831 Copiato dalla 18, c. 13 '*>. 1841 Copiato dalla 18, c. 13 b (3) . ( l ) La postilla è riferita allo liti. 15-25 della papilla procedente. il. (2) La postilla è riferita alle lin. M?- fj) La postilla i» riferita alle lin. 17-24. 52 480 IJSUS ET l'A URICA metalli propositum ossei quacrcro diamctrum eiusdeni ponderi* spherae, seti alterius metalli, nulli dnbium qnod absqiio Ime linea difficillbnum osset hoc jnae- u _ _—. stare nos tamon si A essot diamcter spherae A---- -* ferreae, quaercretiuque cuius magnitudinis futura sit haec spirerà si ox capro construenda esset, circino aliquo accipiemua quantitatcm lineae A aperto instrumento liane accomodabimus punctìs lineae metallicae signatis fcr: ter:, & immoto instrumento excipiemus distantiam intér puncta gigliata cup. cup., & lutee ostcndet diamctrum lì spherae ex cupro fa- lire factae (85J . Sic etiam si desiderare» proportionem motallorum inter se facili negotio hoc io cognosces, ut si v. g. desiderares cognoscere proportionem auri mi mercurium, circino aliquo accipias distantiam puncti in linea metallorura sigilliti ar. vi. a centro instrumenti, secundum liane aperies uteunquo in linea solidorum, ut v. g. illam applicabis punctis 100. 100, iterum accipies distantiam puncti aur: notati a centro instrumenti, & videbis quibus punctis lineae solidorum possit aptari, ut in hoc excmplo punctis 80.80, quare inquies proportionem auri ad mercurium esse ut 100 ad 80 l 8 " 1 , ex quo colligere est aurum esse magis ponderosum ad ‘20 pio 100. Non absimili negotio, si quis habens vas aliquod cupreum 30 libratimi, volens simile alimi vas ex argento lubricare, poterei quot argenti librae requirantur, possumus statini hoc scire, circino enim aliquo accipimus distantiam puncti in 20 linea motallorum arg. signati a centro instrumonti, & hoc quia ras debet esse argenteum, banc distantiam accommodamus punctis 30. 30 lineae solidorum, tunc iterum accipimus distantiam puncti cup: signati a centro instrumenti, & videbi- mus quibus punctis lineae solidorum, non variata lumen prima dispositionc instru¬ menti, possit aptari, ut in hoc. esemplo 40. 40, ideo dices 40 argenti liliras neces- sarias esse ad futuram argentei vasi» fabricam t*' 1 . Cognito eorporift metallici pondere investigare alterius metalli pondns gitoti sit simile, signatis applicetur, & immoto instrumento exci- piatur distantia inter puncta 5.5 quae erit quinta circuii dati pars. Iiacque catione solves otiam 1 probi., prop. I(> lil). VI Eitclidis, qno docet duobus cir- cuiis circa idem centrimi cxistentibus in maiori circulo polygonnm aequilaterum & parilim luterani inscribere, quod non tangat minorem circuJimi. Dato latrre pmtaijani in ne ni re munì ri mini ni CAPUT XXXVII. ttit latus pentagoni IH', soeundum quoti uperintur in suo numero scilicet 10 in 5.5 & oxcipiatur seinidianieter immoto instrumento, timo firmato uno pedo cimili in li deacribatur arcus occultus, iterimi firmato pede oiroini in (J (Incus alium arcuili occultimi, qui priorem in- torsecet, in intcrscctione centrimi erit-, ex quo ductus cir- culus dietimi latus liti quinquies continebit. Hinccolligitur quoti proposito alitimi linea, quae debeat esse latus alicuius tigurae multilaterac, facili nogotio] possumus illam figu- ram dcscribcre. Ut si data esset aliqua linea ex qua describenda esset ligura octo latorum, accipiinus totani lineae quantitatem, bauc aecommodainus punctis 8. 8, nempc punctis latenun tigurae, X: ex immoto instra- 20 mento excipimus distantiam inter puncta semidiametri, firmatoquo uno circini pede in altero lineati termino secondimi acceptam distantiam describimus arcuili occultimi, timi iterimi firmato pede circini in alio lineae termino describimus alium arcuili, in intersectionc facto centro describimus occultimi circulum ince- donteni per terminos datae lineae lume prò magnitudine propositae lineae divi- dinius in octo partea, ad puncta divisioni ducimus rectas & lnibemus optatimi. Kx quo habes etiam facilliinam solutionem probi. 11 prop. 11 lib. 4 Elici., quo in dato circulo pentagonum aequilaterum & aequiangulum inscribere docet, noe non probi. 15 & l(i. I sm lineae quadratricis dato rimilo aequalem triangnlum quadratino pmtagoìiuni de. comtruere. CAPUT XXXI1X. Qui aliquando Matbematicorum scripto diligenter pervolvit, potest sine dubio ex praesenti opera tiene, qua docebiimis quadrai uni circulo aequalem invelino, buius nostri inst riunenti utilitotem cognoscere. Si enini propositum esset, l 1 ) Di fronte alle parole sottolineate è segnato in margine un asterisco. CIRGINI UUIUSDAM PROPORTIONIS. 487 dito circulo acquaiolo triangolino l M) , quadratino, peotagoniuo &c. construere. \periatur in hac l' llca secundum diinidiam diamctrum dati circuii, & immoto in- stnimonto cxciyiantur intervalla figuraruin quaesitanxm, & habebimus propositum. Ut si velica heptagonum dati circuii A aperiatur in puoctis semidiametri prò / \ quantitato ipsius semidiametri, & osci- 5 _I . . V" / piatur intervallino inter puncta 7 . 7 , voi \ J / i„tcr puncta quadrati prò Intere qua- .. \/ j dwti AD, vel inter puncta trianguli per " \ / 10 triangulo AEF. \ f E converso ctiam (Ulto quadrato poli- \ / tagono &c. acqualem circulum doscri- n/f bere possumus, ut si datino esset latus quadrati DA, accipimus quautitatem DA, lume punctis quadrati Iiarum lioearum aptamus, & excipimus distaotiam inter puncta semidiametri prò circulo A 1 I Dato quadrato pentagono triangulum &c. acqualem construere. CAPUT XXXIX. Licet liaec operatio a superiori non sii dissiinilis, tamen supra datimi exem- plum iterimi repcterc supcrvacaneum non credo. Detur itaque latus quadrati DA, 20 cui triangulum acquilateruni aequalem volumus ; aperiatur secundum dietimi latus in punctis quadrati, & excipiatur distantia inter puncta trianguli pio trian¬ gulo AEF Data figura qaacunquo irragulari hoc est circulo, quadrato , * 0 c. ipsi acqualem construere. CAP. XXXX. Sit ut cap. 1 i diximus trilinguius qualiscunquo ABC cui circulum, quadra¬ timi &c. acquale invenire cupio. Prinium quaoratur inter totani basini & dinii- diam perpendicularem ipsius trianguli media proportionalis, ut ibidem deinon- stravinuis, quae erit. latus quadrati aequalis ipsi triangulo ABC, sccundiun l9GJ notisi clic questo poveretto non si ricorda clic, nel lubricar 80 queste linee, non vi pose il lato del Sangolo; ed ora, per sua disgra¬ zia, nella prima oblazione vuoi trovare il 3ahgolo eguale al cerchio. 11,71 Copiata dalla op. 28, c. 20, alla nota r f ) . (yhl Copiato dalla medesima operazione di sopra, alla nota II. ìi. 488 irsus ET F AB RICA hoc latus vcl mediani proportionalcm K aperiatur in piuictis quadrati in 1). linea, & excipiatur intervallimi punctonun ligurae desideratale. Hincque si vides manifestissime pendet solatio problem. 2 prop. 14 lib. 2 Elici, nani si ex redi lineo constitnemus duos triangulos, & inter totani basim & dimidiam perpendiciilarem uni uscii iusque triangoli inveniemus mediani proportionalem habe- bimns latora duoriim quadratorum quibus si unicum acquale invenerinnis habe birnus quadratimi dato rectilineo aequalc, quod faciemliun propositiun fuerat <") Lineala aeqmlem ' irridi rircuinferculiae invenire CAPUT XXXXI. Aperiatur in punutis semidiametri, secundum semidiametrum dati cùcùli, io & exeipiatur spatium punctonun quartac partis circmnferentiae, quod intervallum quater mensumtiun saprà aliqumo lineimi, constituet illam aequalem toti circum- ferentiae circuii. E converso etiam si propositiun esset datam lineani mutare in circulum, illa dividenda esset in quatuor partes aequales, tane circino aliquo, accepta quarta pare istius linoao, accommodatur punctis quartac partis circum- forentiae, & excipitur distantia inter puncta semidiametri, ex qua dcscribitur circulus, cuius circumfcrentia aequalis erit lineae datae. 1,11,1 Copiata dalla 30, c. ‘20 h, ma lacerata, come si vede, prima nel titolo, del quale non si intende il senso; e par che riponga il cerchio ed il quadrato tra le figure irregolari, ma credo che abbia creduto 20 che irregolari voglia dir dissimili: in oltre si vede che costui crede che rettilineo e trapezio sia l’istesso. poi così resolutamente dice: Si ex rectilineo c.onstitucinus 2 Sangulos. 11001 Era, meglio lasciar questo punto, ed in suo luogo metter il lato del 3a,ngolo, perchè questo problema si risolve con le semplici linee delle linee; perchè, preso il diametro del dato cerchio, ed ac¬ comodatolo alli punti 70 di quelle linee, e non movendo lo strumento, presa la, distanza tra li punti 220, si aveva la linea retta eguale alla circonferenza. 21. voglu — 28. fa ri renili f’ereu/.a linea ciucisi nncsDAM propohtiokis. 4.89 Dato circuì 0 pentagono ti Y. figurina quumcunque ipsi cimilo acqua lem . 16 in linea siiperficierum l4u8J . * * * ~ i4 U4 X 0 w □ n □ n u* 15: 3 w n F 71 K 11 . \ li lì 30 Dalia pluribus figuria regulanbus licei diesimi! iblèa unicum acquaioli omnibus dafis consti tuere . CAPUT XXXXIII. rendei haec operatio a Gap. 15 & 38. per 38 cnim invoniemus tot Intera Quadratorum aequftlium quot sunt datae tìgurae, tum per 15 Gap. inveniemus unicum quadratum acqualo omnibus iam inventi», quod sine dubio erit acquale fl011 Qui si propone la medesima operazione che la passata, al Gap. 16; nel venir poi alla resoluzione, non par che ci sappia ciò che si vuol diro. 11021 Dice cose impertinenti. E se il Q, eguale al Q, è eguale al D ? eguale al rettilineo, è fatto il tutto; se non è eguale, facciasi senz’al- 1(1 tro un rettilineo simile al dato ed eguale al D° del Q, e sarà spe- ( Mo il negozio. _! del eguale 29. reti/Unito — 490 TJSU8 KT FAURICA etiam omnibus datis figuris, haocque sufficiant. draticis prò oxplica tiene linoao q Ua - De Um liime quinque solidorum reguìatorum Datae sphaerae invanire latus hexaedri tetraedri, octoedri. ée. l‘ M i. CAP. XXXXIV. Apcriatur secundum diametrum, voi semidiametrum ipsius sphaerae, & exci- piatur latus petitum: Similiter dato latore hexaedri, vel dodecaedri possumus invenire sphaeram cui sit inscriptibile. Aperiatur enim secundum datura latus in suis punctis, & oxcipiatur diamoter vel semidiameter, ut fiat spaora, hincque patet solatio probi. 2 prop. 2 nec non probi, f) prop. 5 lib. 16 Euclidis. Haecque sufficiant prò cxplicatione usus omnium linearum mine ad quadratura transcun- io dum, euius beneficio, absque sinuum notitia, longaquc triangulorum supputatione facillime quilibot distantias, profunditalos & altitudines onmes dimetiri polerit. U$us qn adr ai us tu ' ,] . % Ut diximus cium do huius instmmenti fabrica sermonom liabuimus, haec quarta circuii pars in interiori circumferentia continet scalam libratoriorum, de qua nec verbum quidem subiungam, satis enim notus est eius usus; in alia habet qua- drantem astronomicum, qui licct propter sui angustiala minus conveniens sit rebus Astronomicis tractandis, tamen satis commode potost turrium, (luminimi, & huiusmodi proprias climensiones nobis exhibcre, tertio loco ponitur quadratimi geometricum, quod ad dictas diniensiones indagandas quam maxime conduccrc 20 nullus est qui dubitare possit, modo aliquando auctorum monumenta porlustra- verit. Verum cum astronomici quadrantis usus, ut plurimum sit laboriosus, no- titiamque triangulorum sinuum tangentium & huiusmodi non minimum exigat, ideo solum per quadratimi geometricum dimetiendi praxim conscribcrc dccrevi, quae licct a quam pluribus aliis diffuse adnioduin sit tradita tamen cum ab ali- quibus secreti loco hic modus dimetiendanim altitudinum, profunditatum &c. poi hoc instrumentum habeatur, dunque illis qui fìrmam sedem non habentes minus commode quadratum geometricum seenni gustare valent, maximam ntilitatem sit allaturus, ideo non inutiliter me facturum existinmvi, si illa quae ab alijs pro- Jixe de quadrato geometrico fuerunt tradita breviter, dilucido tamen, ad hoc so n ostrum instr nmen t um <‘) reduxero. ,10;XIS. 491 Distantiam inter duos termino* in eodem plano ad quorum utto'iun tantum accedi pomi , indagare. CAPUT 1. Notamlum imprimis, quod liaec estima circunferentia divisa in 200 partcs continot umbram roctam & uml)ram versani ipsius quadratila geometrici, ideo ut illos centenarios distinguere valeannis. K. g. dum por brachili™ CD cernimus in pferimo sequenti figura, (pii inxta memoria oeuluin collocatila in superiori parto versus D secundum (pii autein illi opponitur primum semper nominabi- nuis, primus enim nobis ostendit umbram versimi, smmdus autem umbram re- 0 C toni. Sit itaque investigandn distanti». A II, ut puta latitudo alicuius fiuvij, a centro instrumenti dimittns porpendiculum libere cadonlom, tane coustitutns in puncto A obscrvabis quodcunuiue signuin C, progressus vero ad looum C per instrumenti bracbium CD (quod quidoni si duo pili- nacidia, habebit, ad hoc ut visus aberrare non valoat, obscrvatio erit exactior) respicies terminuin 11, & ob- sercabis quot partes, & citili» nani UH) nn primi un se- cundi, seccntur a perpendicolo, nani primo si socantur aliquot partes primi centonarij, ut puta (l) 18 tunc mensurabis distantiam A C «X sit K. g. 12 pe¬ ndimi, sicquo institucs ratiocinium, si partes ab- scissac hoc est 18 dant 100 quot dal)unt 12. 11 facla itaque oporationo vel por rcgulam trium, voi per illa, quae Cap. 5 tra- didimus invenies (>(> 2 /a? qnare inquic.s distantiam AD esse pedum 66*/»• Si ruteni perpendiculum abscindet partes smmdi contcìiary tunc sic proponenda erit quaestio 100 dant partes abscissas, quot dabit AC hoc est 12 pe- (les. Si tertio & ultimo perpendiculum inter duos centenarios cadet, tunc Ali esset aequalis distantiao AC quod opprime* 2 * semper notnn- dum erit fllfl i. /In. 91 ,__AJ 11061 Che il Capra non intenda quello che voglia fare in questa ope¬ razione, è manifesto dal suo parlare; poi c*lie si vede che lui vuole che li 2 termini A, C siano nel medesimo ori/onte, e non il C ele¬ vato a perpendicolo sopra l’A, dal che non può cavare niente di vero, h se pure intendesse che la linea A C fosse eretta all’orizonte, que¬ sti» operazione è la medesima che la posta più a basso, al C. V. (‘IDI fronte allo parole sottolineate, in margino, «epio 0. (*) Di fronte alle parole sottolineate, in margine, sono i segni q e ^1|_. 492 IJSUS ET FABRICA Potesfc hoc idem absolvi Ime alia rfttione, prout aliqui volunt statuunt enim instrumentum in A ita ut alter braclnonun rechi rospiciat u auer vero JK, tune progressi ad punctum E ita disponimi instrumentum, ut alter brachiorum recti rospiciat A perque centrum instrumenti aspicientes punctum B animadvertunt partes abscissas a radio visuali, per quas postea ratiocinantur ut superius dietimi fuit, a quo quidem modo, ut panca de ilio subiungam, in inaximam ductus suiu admirationem, noe enim satis videro possum an isti revera sic credant, an potius bomines adeo crassi celebri oxistimcnt, ut prò libitu illis imponere liceat-, cjimc.so enim qui fleti potest, ut in tanta partimi) angustia & multitudine, niensoris oculus nulla adhibita dioptra non longe a vero aberret ? quod si parvipendunt revem Ki nugantur, similiterque parvi fieri merentur, Ss ideo utiliora inquirente», baco missa faciamus lu,] . Idem interstitiuni inter duos tenti inos eiusdem plani 11 *** in quorum nullo observari pomi, riunì tamen in amboruni directo accomodaci mleat invenire. CAPUT U. Sint duo termini A & B in e odora plano quorum eognoscenda sit distantia tametsi ad neutrum illorum accedi possit ob aliquod obstaculiun. Converte instru¬ mentum in statione C ita ut brachium CI) tendatur secundum rectam termi- norum A & B, & per aliud C E observabis quodeunque signum F, cuius distantia per mensurationeni possit a te perdisci, sit antera distantia E. g. 30 pedum, 20 progressus in puncto F ita dispones instrumentum Il ® S) , ut per brachium FG prinium videas punctum A, deinde terminimi B, & in utraque observatione notabis partes abscissas a perpendieulo, quae vel in utroque erunt primi, voi secundi centenarij, vel in una primi, in altera secundi. Sint autem primum in utraque observatione 11071 Se io ho taciuto tutto il resto della fabrica del mio strumento, e solo ho stampati li usi, per dargli insieme con lo strumento a quelli che da me l’imparano, perchè maravigliarsi ora che io tralasci di dire come si preparino i traguardi? (l) 11081 ait: 2 terni inos in eodem plano ; quasi fieri possit ut in eodeni plano non sint, inscius quod nec 3 possint non in eodem esse plano. 30 11091 Qui nè l’autore, nè altri, credo assolutamente che non intenda niente, quando bene ci si mettesse la figura posta a c. 51 b che ci viene meno a sproposito. (h Lu postilla è riferita alle li», li-k*. Cfr. pag. 504. niRciNi cm'SDAM PRoroR'noNis. 493 / i; l)( li ccntenarii suppouamus itaque quoti cium rcspicimus terniinum A alisein- I ntur 80 partes, cium vero terminimi B 40 ,l " 1 , sic procedenclum crii, partes ab- i dant 10O quot dabit distantia C F, scilicet 30 duces enim 100 in 30 proiluctum orit 3000 liunc munenun primum diviclcs por HO quotions orit 37 */. j l0X per 40 habebisque 70, subduces 37 V. ex 75 residuimi crii 37 V* fpiar e inquies distantiam AB esc pcduin 37 «/,. Q«od si partes abseissac a por- pendiculo sint primi centeiuirij, ut E. p. 10 & 20, H^rum differentia est IO quaro diccndum csset. ÌOO dant 10 quot dabunt 30 nompe distantia CF. Quod si perpendiculum cium aspirimus terminimi A ab- scinderet partes secundi coiitonuri.i, cium vero aspi- cimiis terminum B abscinderet partes primi conto¬ rni, ut prò A 55 prò B 37 primum sic- procodcs _ A K € "“•VI — r- - 55 dant 100 quot dabunt 30 scilicet CF productum erit 54 l /* fere, Urne iterimi ilices 100 dant 37, quot dabunt 30, productum orit 11 fero, subtrahas hoc secun- irn productum a priori reliquum orit 48 l /t fora (piare dices distantiam AB esse pedura 43 */*• Veruni enimvero si licerci quidem usque ad terminum IJ accedere, non autcni esset possibile coiistitucro lineaiii perpendicularem ad ipsum B. sed propter loci augnstiam necessum esset versus 1) procedere, tunc firmato instrumento in puneto B, ita ut rccta etiani respiciat punctum D, per brachium instrumenti BC respiciendo punctum A observabis partes abscissas a perpendiculo, quae sint E. g. 40, prò- gressus vero ad punctum I) per brachium DE, iterai» aspiciendo terminum À denuo notabis partes abscissas, quae sint ‘20 sit vero distantia DB pedum 15 ti41 b Qnoniani liaec operatio per numoros est satis laboriosa, primus enim numerus in se ipsum ducendus esset, productum esset 16(K) cui addendum esset quadratoni ipsius BD scilicet 225 sunnna esset 18*25, liuius numeri indaganda esset radix quadrata nempe 42, haec (Incenda esset per 15, productum erit 630 quod divi- Jcndum foret per 20 per diflferentiani scilicet acceptarum partium, productumque estenderei distantiam A B. Quod cum ut rìiximus mimis ex eroi tati s laboriosum ^eri possit, ideo hoc totuni per lineas linearum praestare non iniocundum erit. Oisponantur itaque hae linone ad angulos rectos hac ratione scilicet, circino aliquo 11101 Dal suo modo di operare, la distanza E A vien minore della E h. 11111 Non credo che uomo del mondo possa intender niente; nè anco *8. :>8. iiuod si non potest duplo vel triplo maiori numero debet uccommodari, ut hic punctis 70.76, ex immoto instrumcnto excipiatur distantia inter puneta numeri differentiac30 partium abscissarum, (juae in hoc casu est 50, vel inter duplum, vel triplum, prout prima vice fecimus, ut in Ime exemplo inter 100. 100 quae distantia mensurata supra scalam iminobilem abscindet 00 punetum fere, (pumi numerimi servabis, tura dispone* has lineas ad angulos recto*, ut supra monuimus ex iimnoloquc instrumento fìxci* pies distantiam inter punetum servati numeri, & inter punetum distantiac CD hoc est inter 00 & 60 quae supra scalam iminobilem mensurata abscindet 108 partes. 1,121 Copiato dalla operazione posta a c. 29 alla nota ^ 11131 Qui parimente non s’intende cosa alcuna. emetti CUIUSDAM TUO PORTI ONIS. 495 (juar0 dices distantiam AB esse pochini 108 foro [,u h Quoti si dura volumus pvac- dictam distantiam AB melivi ob loci penuria)» minus commodum cssct stationes ila ut dietimi fuit disponerc, tamon illud idem perficietur bae alia rationc. Exi- stentes in puncto I) invenienms distantiam DA, cpiae sit 240, & distantiam DB, quac sit 523, ut mox clictum fuit aspicientes terminum B notabimus partes ab- scissas, quao sint 80. Tunc tlisponemus lineas lineanun ad angulos rectos, cxci- piemusque distantiam inter punctum 100 & inter punctum partis abscissae, hoc est inter 100 & 80 banc distantiam mcnsurabimus supra scalam immobilcm, & nbscinclet 128 fero, quei» numerimi servabimus, ex scala immobili iterimi acci- 10 piemus quantitatem pai'tium abscissaruni, hoc est 80, lume aptabimus punctis numeri 100 & 128 proxime servati, & ex immoto instnunento excipiemus in ter - vallum inter puncta mimerorum distantia e DA & DB, hoc est inter 240 & 123, Ime mensuratum supra scalam immobilcm abscindet 163 partem quamproxime, quare clicendum crit distantiam AB esse pedum 163 [llr 'b Distantiam diametralem signi scilicd in plano positi a sumitate, vel alio quopinm aedificij signo ad perpendiculum illi plano eredi; ami ad signum plani, rf- ad basiin aedificij accedi potest dbnetin lU6) . CAPUT III. Si cpiis scalam sufficienti magnitudini» ad turrim BC conscendendam parure 20 vellet, sine dubio iste debet praesc.ire diametralem distantiam alicuius signi utputa A ad ipsuin B hoc est debet praescire distantiam alicuius punch in pla¬ niti positi a sumitate turris quod huius instnimenti auxilio indagare poterit. Pi'ogvessus ad punctum A per brachium A D rcspicict punctum B, interim obser- vabit ubi cadat perpendiculum, vel enim intersecabit primum centenarium, vel seciindum, vel tandem cadet inter primum & secundum. Primum autem si per¬ pendiculum cceiderit inter duos centenarios, mensurabis distantiam AC, quae sit E. g. pedum 20 hanc in se met ipsam duces productum erit 400, hoc dnpli- cabis proveniet 800, cuius per tradita cap. 17 invenies radicem quadratam sci- licet 27 'lì fere, quali» esset. diametrali» distantia A B. % so UM1 Copiato dalla operazione posta a c. 32 b, alla nota 3 (l) - 11151 Copiato da l’ultima mia operazione ( Qui tralascia l’operazione numerale, niente intesa da lui, come nò anco cosa alcun’altra in queste misure. 11161 11 Magmi. ( l ) La postilla ó riferita alle lin. 22 86 dello (O La postula 6 riferita alle lln. 314. Wna procedente ed allo linee MI di questo. II. til ■106 I SIIS K,T KAH1UCA / / / / U - T .. & provenient pedes 24 l /a fere, distantia AB quaesita. Tertio & ultimo si perpendiculum abscindet secundum centenarium ut 28, tunc aptatis linois linearum ut diximus excipies distantiam inter puncta 100 & *28, tot enim supponinius abscimli partes secondi centenarij, liane mensurabis supra scalam immobilem, «Se invenies 103 l /a fere, quare inquies si partes ab* scissae 28 scilicet dant 103 Vi quot dabit distantia AC, «S: facta operatione offen- detur quartus uumerus distantiam quacsitam exliibons. Si t llh I non liceret accedere ad basini, sed tantum ad signum plani, geminati? 20 observationibus observare possunms prnedictam distantiam. Primum itaque in superiori schemate facta prima ubservationo in stai-ione F ut diximus, retroce- demus a re visa recto semper tramite prò libito, ut in A, ibique iterimi per la- tus AD observabimus terminum B notando partes abscissas a perpendiculo, quae vel in utraque statione sunt primi, voi socundi centenarij, vel in una primi, in aitera secondi. Primo autem ponamus quod in utraque statione perpendiculum intersecet secundum centenarium, in F quidein 93 in A vero 48 Subducas minorem ex maiori differenza erit 43 deiiule mensurabis distantiam FA quue sit lf> pedum, bis peractis dispone» lineas linearum ad angulos rectos ut raul* toties dictum est, excipies intervallimi inter puuctum 100 & punctum numeri 30 partium in prima statione abscissarum, Ime est 93, hoc mensurabis supra scalimi immobilem abscindet 130 quam praxirne, tunc dices difterentia partium abscis- 11,71 dovoria dire: deies invettive rodiceli! (/(/{fregati (luorum quadra* luntniy 100 et 70. 1,181 14 Magmi. 111 * ,] K impossibile clu» in F seghi più punti, od in A meno; ma e forza clic accada tutto Popposito. 43. pfivhè non (fureria — invernili (piarti radicela — circini cuiusdam phoiwboxis. 497 samm, hoc est 45 dat 136, quot dabunt I S pedes distantia scilicet F A, facta ilgquc opcratione invenies 41 fere, quare dices distalitiam FB< 129 1 esse peduni 41. gecundo supponamus perpondiculum in utraque statione abscindere parte» primi centenari), ut in F 70, in A 46, hamm difforentia est 24, tunc sic dicen- ( | ttm partes abscissae in secunda statione 46 scilicet dant 100 quot dabit dif¬ ferenti praedictarum partium 24 facta itaque opcratione si lubet por linea» linearmi! invenies 52 V* quem numerimi sorvabis, tum donno dispositis linei» ad angulos recto» excipies intervallum inter 100 & punctum numeri partium primae stationis, hoc est 70 quod mensuratum supra scaloni immobilem abscin- 10 dot 122 fero, tunc dicendum si 52 quam )iroximo dant 122 quot dabit distali- Un FA scilicet 15 Se facta opcratione invenies 35 fere prò quarto numero pro- portionali. Tedio supponainus in prima statione filum abscindere partes aliquas socundi centenari!], ut pitta 43 in secunda vero statione partes primi centenari] ut 58, accipias ex scala, immobili qiuintitatcm 100 partium, hane )>er transversum pun- clis 58.58 hoc est partium ubscissaruni in secunda statione aptabis, immotoque instrumento excipies intervallum inter pimela 100. 100 quod mensuratum supra scalam immobilem aliscindct 172 1 /*, ex hoc numero demantur partes abscissae in prima statione, residuimi nompe 129 7* sorvabis, tunc elicias radicem qua- 20dratam ex sumnia quadratoruni integri latori» hoc est 10000, & partium abscis- sarum in secunda statione, proni superius per esempla. multoties demonstraviniiis, baco autem sit fero 115. Tunc cv scala immobili accipias quantitatem 115 par- tiuni, hanc aptabis punctis 129 '/s 5: excipies intervallum inter pancia numeri distantiae FA, hoc est 15. 15 quod mensuratum supra dictam scalam immobilem abscindet 13 l /a fere ex quo numero Imbebis distantiam quaesitani FT5. Quod si radix turris propter aliquod impedimcntum minus vidcri posset l,21J , & in utraque statione pcrpendiculum abscindit. secundum centenarium, dicendum erit si difforentia parti imi abscissarum in prima & in secunda statione dat partes abscissas in prima, quot dabit distantia FA si vero abscindit primum centena¬ ri riunì dicendum si differentia partium abscissarum dat partes abscissas in sc¬ hiuda statione, quot dabit distantia FA. Tertio & ultimo 112 * 1 , si in prima statione intersecai secundum, in secunda vero primum centenarium accipias ex scala im¬ mobili quantitatem 100 partium, liane aptabis per transversum punctis numeri abscissarum partium in secunda statione, & excipies intervallum inter pan¬ da 100. 100, quod mensuratuni supra scalam immobilem dabit quartum minimum, [, ” 0) ex hac operatione non provenit distantia FB, sed AB. m qui, senza dir niente, passa a misurar una distanza orizon bile sino alla base della torre. 11221 17 Magmi. 498 USUS ET FABIIICA ox quo si subduxcns partos abscissas m prima statione habebis . . , . .. pnnium numerimi ponendum in rogala proportionum, quarti dices, si Ine numerus i,mv;,„„ ..... 1 pvaiuib rnvonlo» dat partes abscissas in prima stationo, quot dabit distantia FA «in,,,,» optata,., babobb,I“«. ’ ’ ' """ Compirla aedificii tantum su limitate intervallum horìzontalc inter dietim, acflificitnn <(■ tcnniimm in plano positmn indagare t'*0. gap iv Si forsan cogamur metili homontalem distantiam D B, ex intuitu signi C & ob impeditali! retrocessionem termini aliala stationem eligere impossibile ossei' Constituti in loro I) li umili scilieet, por latus DA iuspiciontes tenniiuim B nota- <: l,ini " s P a, t « s abscissas a perpondiculo, tunc ascon- io demus ad punctum E. Cum videUcet eo loci est turris voi quodvis aliud aodificium, & per brachium / ; E E iterimi aspicientes terminum B notabimus pur- tcs abscissas, quae in utraque stationc sunt primi, voi acculali centenari,j, vcl in una sunt primi, in altera secondi. Secet autom primum partes primi centenari,j, sic institues ratiocinium ; ditlerentia par¬ ti uni abscissarum primao & secnndae stationis dat 100 quot dabit distantia 1) E, quae per mensura- tioneni nota esse debet, quartus auteni numerus 20 distantiam quaositam iudicabit lt56 i. è / E, -v I / / : \ nl4 n 11231 mette qui la trasmutazione dell’ombra versa in retta, posta da me. 112,1 19 Magini. ( 11251 demonstratio operationis primao. Ponatur In aequalis ig, et iun- gatur . In, et intelligatur Em ipsi DII m parallela. Cumque sit ut ol ad LI, ita ('li ad Bl), idest viE] ut a uteri Ai ad In, ita Evi ad mC\ ergo, ex ae- < piali, ut ol ad in, ita B C ad Ci», et, SO b divisione, ut on ad vi, ita Bui ad mC; ut vero ni ad IA, ita Ctn ad mE : ergo, ex acquali, ut on ad Al, ita viB , hoc est ED, ad Evi (') La postilla riferita allo li». 7-10, ed, insieme U alle postillo (1261 e [1281, occupa una caria assimila. CIRCIXI CUIUSDAM PROPORTIOXIS. 499 Secundo, intersccct in utraquo stationo secunduni centenarium, ut in prima 60, j„ secunda 75 diffcrentia liimim pnrtium est 15, ex scala immobili cxcipias quantitatem 100 partium lume aptabis punctis partium abscissarum in secunda statìone hoc est 75, & excerpes intervalluiu inter puncta differentiae partium •bscissarum hoc est 15 quod mensuratum supm scalam immobilem abscindot 20, (jucm numcrum servabis, inox ex scala immobili accipies quantitatem 60 partium, & sunt nbscissae in prima statione, lume aptabis punctis 20. 20, hoc est nuper invento numero, & excipies ìntervallum inter puncta distantiae I) E, qua® in hoc exemplo sit pedum 10, quod mensuratum supra scalam immobilem abscindet 30, IO qmu'C diccndum distalitiam quaesitam esse pedum Tedio & ultimo intersecet in prima stationo secundum centenarium in se- cunda autem primum, ut in prima 40 in secunda 70. Operatio est ora nino 1 ' 271 e,idem ac in proximo superiori cnsu, (piare ab exemplo suprasedendum credo I15s| . 11201 Demonstratio operationis Caprai*. Ponatur no aequalis EI, et iuiigatur Ao, et &r sit parallela ad Ah, et CE, BD, coeant in m\ erunt 3angula OmB, Emi), Ano, rso similia omnia: quare ut rs ad so, ita ED ad Dm -, ut vero os ad su, ita mi) ad D B ; ergo, ex aequuli, ut rs ad su, ita ED ad DB. Si itaque detur rs (cum dentar iam su et ED), dabitur quoque D B quaesita: riabitui* autem rs, cum sit ut on ad nA, 20 ita os ad sr. Sed breviori methodo idem eonsequi poterai,, cum sit ut nota os ad notam sn, ita inD ad quaesitam DB] viD autem innotescit statini ex similitudine 3angulorum VEI, EDin (l) . ii37) q Magino dice fere, e lui, non intendendo niente, ha creduto che vogli significare omnhio ; ed ha fatta la balordaggine. 11281 D 3° caso, malamente posto dal Capra, si può ridurre a qual¬ sivoglia do li due passati, ma bisogna tramutare un’ombra; il che non lia inteso detto Capra (S *. Ecco il suo fiero destino, il quale fa constare, dalla falsità di quanto dice qui, che quello che ha detto di sopra non è sua farina. È tanto falsa questa operazione, che, seguendola, si troverà la di¬ stanza DB, secondo il Capra, più di 9; ma secondo il vero e meno di 6. 14 . operazioni] s* — * 21 . metodo — 0) U postilla c riferita allo liti. 1-10. (*) La postilla è riferita alle lin. 11-1 & 500 TTSTTS ET FABRK A Data longitudine nlimim Inni* rei aedi finii perpendiciilarUer alieni plano insislcntis, distantiam honzontalm basis perc.ipe.rc [m 1. CAPUT V. Sit exploranda distantia horizoiitolis basi* B a termino C, ox loco cniinentiore turris AB. Constitttos instrumentum in stetione A, ita ut per brachium AD aspi- cias torni in um C, perpondiculuni cairn intersecabit primum centenavium quando (listantia BC est maior qunm altitudo AB, voi secondimi eentenariuml ,M l quando scilicot distanti!! proposito minor fuerit altitudine turris; voi tandem eaclet inter primum & secun- diun contcnarium quando distantia BC alti- IO tildi ni AB aequabitur. Scindat autem primo socunduin centenarium, quare dices si 100 dant partos abscissas, quod dabit altitudo BA, qioirtusqiio ìmmcrus ostendet distantiam BC se¬ cando si ab.scindi! primum centenarium<0, lune diconduin si partos abscissac dant 100 quot dabit altitudo AB, & ex quarto numero coliges distantiam BC. Data la re in longitudine distantiam Itorizoidalevi (Inorimi tcrminorum in planitie posi!orina ab ilìius sminuitati! dignoscere. CAPUT VI. Proponatur ,, * , l lotici ludo A G separato a baso C turris BC intervallo quovisGA, quao sit porspicionda o loco alto B. Dispones instrumentum in statione B, ita ut centrimi illius sit ad pcrpondiculum turris, timo, por brachium BD seorsim aspi- cios terniinos A, & G notando partes scctos in ntriusquo termini observatione, Mani Questa è posta «la ine a carte 22 Marnili. 11301 Questa è la medesima che la prima, chi vuol che quella stia Bene. E riscontrinsi le note. 11311 24 Magmi. «1) Di fronti» ni!" parole sottolineate delle li- monte, i segni *)| ? ^^ O nei* 9-10, 11-13, 15 sono in margini*, rispettiva- t UH INI CUIUSIMM l'ROI'OimoNlS. , qua, triplex Ubi casus ucciderò potest, voi eniui in obsorvatione ulriusque termini pcrpendiculum absuindit prinmm, voi secundum centenari uni, vel in re- jnotiore primiuu in viciniore secundum. Buy- » ponaimis primo in utraque observatione intei'- tì/.y sewuc secundum centenari uni, itaque dices, / / D si ]00 dant ditìerentisun partili ni abscissurum, / ,,uot dabit altitudo GB, quartus mimerus osten- det distantiam AG. / / Secundo supponamus abscinderc priimun 10 centenarium, tunc sic procedcs si differentia / j partiuni abscissarum dat 100 quod dabunt par- / j les abscissae in viciniori distantia A, & liabebis / quartmn numenun, cum quo sic dices, si partes G /. - L -- abscissae in remotiori distantia B dant quartum lume numerimi proxime reper- tum, quot dabit alUtudo Gl», ex qua operatione liabebis distantiam quaesitam AG. Tertio & ultimo abscindat in remotiori distanti» primuin centenarium, in viciniori autem secundum, primo itaque sic ratiocinaberis, partes abscissae in remotiori distantia G dant 100 quot dabit altitudo GB quartusque munerus ostcndet distantiam GG, iteruinque diees, si 100 dant partes abscissas in vici- 20 niori distantia A, quot dabit altitudo CB habebisque in quotiente distantiam CA qime a priori CG sublata, relinquit distantiam AG quesitam. Nulli t 13 ’ 1 dubium quod per bactenus dieta nota turris vel aedificij altitudine distantiam liorizontalem basi» ab aliquo sigilo huius instrumenti beneficio inve- nirc possumus, veruni si propter aliquod impedimentum turris altitudo minus nota esset, pateaut tanien duo luca A & G in quibus geminata observatio institui possit, non minus illud idem praestabimus. Bit i * cnini indaganda distantia basis O a puncto B ex utraque statione A & G diligenti obser- vatione facta eiusdem signi li signabis partes 30 in utraque statione sectas, qua© quidem erunt in utraque yel primi, vel secundi. Si sint in utraque secundi sic procedendum, partes ab- / v 1 scissa© in secunda statione, ut puta in G Vj ilant 100, quot dabit dillerentia partium abscis- x ^ ^ruiìi in prima & secunda, cum proveniente . ^ mimerò iterimi diccndum, si lue quartus nume- , / nis dat partes abscissas in prima statione ut ( . [ A quot dabit altitudo AG. exqim opera- - Magini. i sus i:t fauiuca r»o*2 liono lrn.br. bi-s (listautifini t‘B. Scd si in utraquc statioue intei* . . 1 pnimiiti ccntenarium operatio ent satisfacilis dicendo, si differontia par(ium abscissai in prima & sccunda statione dat cent uni, quot dabit altitudo AG 'IV^ e * !.. m ..... . . , . , * 01110 * ultimo si in statione A intersecet. pnmuni centenanum, m statione vero G i . ... , « . . ... secunaum, sic inqiues si partes abscissae in prima stallone ut puta A dant 100 quot da bunt 100 a quociente subducas partes abscissas in sccunda statione ut putti (i cum residuo iterimi dice», si hoc residuimi dat 100; cjuot dabit altitudo AG sicque indagasti distantiam CB. Data turri vel aedifido ut pria* t.r duabus stati ouibus invenire zontalem dnorum tvrminorum in plano ad quos illnd aedifich mimi) est nrrfmn rtimn si altitudo ipsitts ignoretur distantiam Imi • m ( d perpetui b io CAPUT VII. Per praecedens Cap. invernatili* distantia basis turris ab unoquoque termino dato, ut si in superioricxemplo ex duabus stationibus A & G indaganda esse! distantia DB dico quod prius inveniri debet distantia CD, timi distantia BC per superius tradita, sublata enim minore (’l) ex niaiore CB relinquetur DB di¬ stantia quacsita. Haeequo bactenus dieta ni fallor satis eonunocle possimi om¬ nibus distantijs dimetiendis inservire, nunc ad altitiulines veniendiun. Altitudine)n aliqumn ad ruius basini puteat oremus ex loro plano dinu'tir'A K * A \ CAP. Vili. 20 Si metiri volueris altitudine!» I teat transitus. Constitutus in A | tatem II turris, vel rei metiendae; quot dabit distnntia AC, utrohique quani facile per lineas linearum pn (’ in loco planitioi A C cimi ad basini 0 pa- u* bracliium instrumenti AD rospicies sumi- notando {amen ubi perpondiculum cadat, vel enim intersecabit primum, vel secuntlum centcnarium, vel tandem cadet inter utrun- que. Sii itaque universalis lutee regula si cadit inter utrumque altitudo BC erit ac¬ quali distantiae AC. Si autera abscinditsc- cunduni centcnarium dicendum si partes abscissae dant 100 quot dabit distantia AG. 30 Tertio, si abscindit primum centcnarium, & tu inquies si 100 dant partes abscissas, enim relinquetur altitudo CB, quae onmia ‘stari possint, non est quoti denuo repetam. 113:11 28 Magini. 11341 3* Magini, ile altitutlinibus. r.mriNI musimi VROIM)RTIONIS. 503 AUitudinem ex (Inabili stationibus d i indir i } (mando nei licei a arsati ad basini non datnr [l:r,] . CAPUT IX. Si doprachendenda fon*! altitudo superni# posila RC ad quam obsorvator ac¬ cedere nequiret propter impedimento, valliuni, voi fossaruin, voi aliarum huiusmodi mm , Obscrvetur sumitas B in stationibus A & K, in quibus voi porpcndicuhun jjccat primum centenarium, voi secundum, voi in una prinuun in altera secundum. Intcrsecct autem E. g. secundum, tunc dicnulum si difforentia partiuni abscis- sarum in prima & sccundu statione dai 100 quot dabit distantia A E ex quar- 10 toquo numero habebis altitudineni RC. Notandum tamen non solimi in Ime ope- ratione, secl in omnibus alijs hactonus dietis, & inferius diccndis, cpiod eum homo humi prostitutus observare minime possit, sei! iuxtam a solo requirat distantiani, quod semper altitudo instrumenti addenda orit inventae altitudini. Intersecet socundo in utraque statione primum centcnarium quare dicendum, si partes abscissae in remotiovi statione A dant 100, quot dabit difterontia partium abscis- summ in prima & secunda statione. Iterimi postea inquies si quartus numerus mox inventus dat partes abscissas in viciniori statione, quot dabit distantia A E. Tedio & ultimo in viciniori statione E abscindat perpendiculum primum cente- narium, in remotiori A secundum, primum dicendum partes abscissae in remo- 20fiori statione A dant 100, quot rialnmt 100, iteruiuque dicendum si quartus numerus mox indagatila 0 J,; i dat 100 quot dabit distantia A E, & ex pro¬ veniente numero habebimus altitudinem quaesitam. Portiomin quampiam aìicuins altitudini8 ex aliqua planitie percipere cum ad basini didae altitudinis accedere conceditur . CAPUT X. LibeaU i3 n explorarc quanta sit altitudo portionis A B a termino C planitiei, euius termini distantia a base K liaberi possit Observa lìnes dictae partis eminentis nempe A & B in statione C, & notabis scctioneni perpendiculi ad utriusque 11351 (i Magi ni. so 11301 non si lui da dir così; ma bisogna dire: ex numero inox in¬ vento dcniantur partes abscissae in viciniori stallone y deinde dicatur: si hoc residuimi dat 100, quot dabit etc.? Ecco come, per non aver auto (In copiare ad nerbimi, precipita. 11371 ( J Marnili. li. 62 504 USUS ET FABRICA obsorvationem, quocl quidem voi in utraquc abscindet primum, ve] secundum ee„_ tonarium, ve! in una primum, in altera secundum. Abscindat primo in utraquc observationo primum centenarium, ita dicendum si differentia partium abscissarum in utraquc ol>- servationc dal 100 quot dabit distantia CE, ex quarto enim numero elicies altitudinem BA, sed lubet. hoc loco uti exemplo, ne dum nimiam bre- viiatem desideranms obscuritatem consequi vi- deamur. Sit itaquo distantia CE per mensura- tioneni nota pedum 8(5 partes abscissae in prima 10 obsorvatione utputa CA 15 in secunda CB 60. differentia barimi partium crit 45, quare ex scala immobili accipies quantitatcm 100 partium, hanc aptabis punctis differentiae partium abscissarum, hoc est punctis 45.45 & immoto instrumento ex¬ cip ics intervallimi in ter puncta distantiae CE, hoc est 86 quod mensuratum supra scalam immobilein abscindct 101 fere, (piare dices altitudinem A B esse pedum 191, Quod si secondo intersecet in utraquc statiolie secundum centenarium, vel tertio si in humiliori observationo intersecet secundum, in reraotiori primum centena- rium, lune istao operationes pendent a secundo & tertio casu cap. 0 intelligondo loco 20 distantiae in plano altitudinem partis conspoctae in sublimi, quare ulterius has esplicare supervacaneum credo 11-181 . Si 1 * 3 ® 3 autem turris A E, cuius portionis 11A altitudinem inquiriuuis radix propter aliquod impedimentum minus videri posset, ita ut clistantia CE ignota reddatur, possumus nihilominus ex duabus stationibus optatam altitudinem assequi. Per cap. enim 9 inveniemus altitudinem BC, atque etiain AC, timi subducemus alti¬ tudinem BC ab altitudine AC relinquiturque mensura altitudini quaesitae AB. Altitudinem di'meli ri cuius dista utili a busi per mensiirationcm duri minime contilijal, ncque etiain accedi rei recedi possit per lineain ncctain 1M,) . CAPUT XI. t’roponatur in proximo superiori exemplo altitudo A E mensuranda, cuius di- stantia «a basi ignota est, nec datili - locus accessus aut recessus per rectam lineam 11381 pieno di castronerie, non avendo auto le parole formali nel Magini (1) . 11301 XI Magini. 11401 12 Magini. _ i 1 ) La postilla ò riferita alle liti. 26-28 della pagina precedente od allo linee 1*22 di questa. i MICINI CUllISDAM PKOl’OHTIONIX. 505 ] oco stationis C in qua observator collocatili', «od lateralitor tantum moveri possit Pei’ illa, quae Cap. I docuiraus inquiratur (listantia terminorum C & E qua habita in stationo C obsorvubis siunitatom A per illa enim, quae Cap. 8 do- cuimus nullo fere negotào exquircs dictam altitudinem A E. Superiore))! partein alienili* altitudini « ex aliquo plano obsmmre, qmmvis nec distantia ab eius basi haberi possit, ner. accedere, nec recedere per redatti lineava vakavius l ‘ ul - CAPUT XII. Insistentes superiori dato exemplo si indaganda esset altitudo AB di stavi - 10 tigone CE esset ignota, nec observator propter impedimenta posset per rectam lineala recedere a stationo C per illa, quae Cap. 1 docuimus inquiratur distan¬ tia CE qua Inibita cognosces etiam altitudinem ipsam BA per illa, quae Cap. x tradidimus. Data uedijicii altitudine tx eu minorem aliain altitudinem dimeliri. CAP. Xm. Sit 1U8J turris AB ex loco A sit metionda minor altitudo CD. Disponos instru¬ mentum ut eius centrimi sit ad perpondiculum cum linea A B, tum per brachium A E respicies sigiami C & notabis parti» abscissas a perpendiculo, iterimi deprimendo brachium A E respicies signum 1) notabisque etiam partes abscissas a penpen- 20 dicalo, quae vel in utraque observatione sunt primi, vel secundi centenary, vel in una primi, in altera secundi. l'rimum au- tem sint primi, qua re dices si partes abscissae in secunda observatione AD dant differentiain partilim abscissarmn in utraque observatione, quot dabit altitudo BA sint secundo secundi centenarij, primum diees si partes abscissae in prima observatione A C dant 100 quot dabit differenti^ partium abscissarum in utraque observatione, cum quartoque numero iterimi 30 dices, si 100 dant quartum numemm modo in- ventura, quot dabit altitudo B A. Tertio & ultimo ponamus in prima observatione AC abscindere primum ccntonarium, in secunda autom AD secundum. Irimu [un 15 Magmi. ,mi 17 Magini. USUS ET FA BRIO A 506 dicendiun erit si 100 dant partes abscissas in prima obscrvatione A C, quot da- bnnt partes abscissae in secvuida obscrvatione A J) quartum inventimi numerimi subtrahim us ex 100, cum quo residuo iterimi dicimus, si 100 dant hoc residuimi, quot dabit aititudo BA, utrobiquo ©nim habobimus altitudinem CI). Veruni [i43J tamen si c converso ex liumiliori lo. C investiganda esset maior aiti¬ tudo AB per Gap. V colligas distantiam B D, iterunique sic accommodabis instru¬ mentum, ut per brachium C F respicias sumitatem A C G autein efficiat quasi unum planimi, per cap. 8 venaberis altitudinem G A qua© ad iuncta minori alti¬ tudini CD per mensurationem cognita© constituit totani AB altitudinem. y| mmitate arcis altitudinem nusdem (tedifidi cognita tamen pritis distantia hammontali basi* eins ab aliquo loco coll igeile CAP. XIV. io Sii arx AB A. e cuius simulate A, per observationein signi C cuius distantia a basi B habetur, aititudo ipsius BA inquirenda est. Per hoc instrumentum operando ex intuitu sigili C per- pendiculum intersecare potcrit, vel praecise duos centenarios, & tunc aititudo nietienda acquatili* di- stantiae B C notae, vel intersecare poteri! primum, vel secundum ceri tenari uni, ut si primo interse- cuerit secundum dicendum erit partes abscissae dant 100, quot dabit distantia CB quod si inter secet 20 primum, e converso 100 dant partes abscissas, quot dabit distantia C B utrobique eiiim relinquetur al- _Bj litn/ln A H E duobus locis ali cuius altitudinis ipsrnn altitudinem indagare y observando quod- piavi signum in plano licei eins distanti a a basi per mensurationem davi non possiti. CAP. XV. Investigatimi» altitudinem OC, qua© quideni proposito fuit cap. 6, ex duabus stationibus in ea factis G & A. Ut superili» dictum fuit tam ex G, quam ex A diligentissimo respicies ad punctum B, notando semper partes abscissas a per- pemliculo, qua e vel in utraque erunt primi, vel secundi centenari j. vel in una 30 11431 li) Magmi (l) . 11441 21 Magmi. , Hr») 22 Magmi. 0) La postilla è riferita alle lin. 6-9. cirun ni nmJsDAM ptioportionis. 507 • : in altera secundi. Ponanius primo in utraquo statione intersecare secundum priini, m . ... centenarium. tunc prout cap. fi dociumus mqiues si partes abscissae in scemala statione utputa in G dant 100 quot dabit diflercntia partium abscissarum in utraque statione, deindo iterimi diccs si hic quarto» mimerus modo repertus dat 100 quot dabit altitudo G A provcnicns enim numorus ostendet residuam altitudinem AC cui si cognitam altitudinem GA adicceris habobis quaesitam altitudinem GC. Ponanius socundo intersecare prinmm centenarium, tunc dices <\ dift’erentia partium abscissarum in utraque statione dat partes abscissas in secunda statione G quot dabit altitudo G A. Ponanius tertio quod in statione A lOintersccet primum, in statione G secundum centenarium, tunc primo dicendum ut diete etiara G cap. diximus, si partes abseissac in secunda statione G dant 100 quot dabunt 100, ex proveniente numero subtrahantur partes abscissae in prima statione A, cum quo residuo iterimi dices, si hoc rcsiduum dat quartum numerum proxime inventimi, quot dabit altitudo G A utrobique enim habebitur tota quae- sita altitudo G C. Cognita distantìa dnonnit signorina in plano altitudinem acdi/icij in quo olisci’r.ator collocatar prompte ad invenire CAP. XVI. Caput hoc est con versimi praccedontis cap. G observabis itaque (sicut praenl- legato cap. dictum fuit) terminos A & G ut illa eadem figura utar, ex loco aito B, 20 animadvertens si in utriusque conspoctu abscindit perpendiculum primum, voi secundum, vel primum & secundum centenarium, prout ibi diximus. Abscindat primo secundum, invertas regulam ibi datam, & dieas si dift’erentia partium abscissarum, dat 100, quot dabit distantia A G. Si secundo intersecare! primum centenarium, & tu converteres secundam partem secundae regulae, dices enim si quartus numerus indagatus dat )iartes abscissas in remotiori distantia B G, quo dabit (listantia AG. Quod si tertio loco abscindat in remotiori distantia primum in viciniori secundum centenarium tunc primo dices si partes abscissae in re¬ motiori (listantia BG dant 100, quot dabunt 100, ex proveniente subtrahantur partes abscissae in viciniori distantia BA, cum residuo iterimi dicotili* si hoc 30rcsiduum dat 100, quot dabit distantia AG, ubique enim habebis altitudinem CB satis superque, quantuni ad praesens negotiuni spedai de altitudinibus loquuti, veniamus ad profonditates. 11401 24 Magi ni. 1-SUS KT KA.BRKJA 508 J J rofun(lit(iteui perpendicu/ariler in /erravi desreiulmtem divietili, quando ad eins orifici mn patet accessit*, <0 po/est ipsins orifìeij latitudo scivi CAPUT XVII. Non 11471 differì haec operatio ab illa quam 14 cap. exposuimus intelligendo liic profunditatem, quoti ibi altitudinem diximua. Aecom- mudato itaque instrumento, ut in superiori figura vi¬ dea, ita ut ex pimelo A respicias punctum 1) notabls parte» abscissas, quae vel ernnt secundi centcnarij. quando profunditas maior erifc latitudine putei, vel primi eentonarij quando profunditas a latitudine superatur, io vel tandem cadet perpomliculum inter primum & se- eunduni centenarium quando profunditas aequalis est latitudini. Si intersecai sccundum centenarium, situile nota A (' orifici,) scilicet quantità», dicendum si parte» abscissae dant 100 quot dabit latitudo AG tandem si intersecai primum, quod lamini raro accidit dicendum si 100 dant partos abscissas, quot dabit latitudo AG. Rii 14 * 1 autem recte percepisti illa, quae cap. 9 tradidinius licet non detur putei latitudo C A ob aliquod obstaculum, potcris nibilominus ad eundem scopimi alia via contendere. Erigendo baculum CE notae alicuius magnitudini.» in quo respi- 20 ciendo signum I» facies duas stationes, quod si hoc loco transferes illa, quae cap. 0 diximus intelligendo vice altitudini» profunditatem, & vice eniinentis al- titudinis in qua dime stationes ibi tìunt, bacilli longitudinem nullam oninino lmbebis difficultatem, qnare supervaeancum esset ulterius haec esplicare. Profili)ditate)n aliqimvi oblique descendentem diavi si ad superiorm illhis tenni nani mi Ilo parto possi! («redi (lepraeliendere [iv] . CAP. XUX. Sii in exemplo vuilis AGI) cuius profunditas sit exploranda, ex stationc A cape clistantiam tenuinoruni A C per illa, quae Cap. 1 docuimus, haec autem sit E. g. peduni 48 timi ex pii lieto A respiciendo signum C videbis ubi cadat peipen diculum, & sit primum inter duos centenarios, quaro ut ex datis elicias piofuni - 30 :u7] 2 ' Magini, de profuinlitatibus. ih si 4 * Magini. lM91 G Magini. CIRCINI CU1USDAM l’ROPORTlONIS. 509 A ■V li tateni quaesitam, disponas lineati linearum ad angulos recto», ut Gap. 2 docuimus &excipc intervallira inter dimidium partiura abscissarum hoc est intcr puncta 24.24, quod mensuratum su- pni sealam immobilem absoindet 34 fere, quanta scilicet erit ipsa profondità.» BC interseco,t socundo primum centenarium, ut puta 80 dispositis lineis linearum ad angulos rcctos ut, diximus excipias in- tervallum intei- puncta 100 & 80 quod 10 inensiu-atum supra sealam immobilem ab- scindet 128 quam proximc, iterumque dices nuracrus hic repertns 128 dat partes ab- scissas 80, quot dabit distantia A & facta operatione vel per dictas linea», voi per vulgatam rogidam aureaiu, habebis pro- fnnditatem indagatane Intersecet tertio secundum centenarium ut puta 47. Ex dispositis lineis linearum ad angulos recto» excipias distantiam intcr 100 & 47 quaa mcnsurata supra sealam immobilem absoindet 110 fere, quare iterimi dicen- durnsi 110 nempe numerus inox invontus dat 100, quot dabit distantia AC pro- 20 veniens enim numerus dabit profunditatis diinensioneni quaesitam. ' - - 7» * f -p ? ( K Ex altóore loro profiuiditatem a li quam respectu humilions loci explorare CAP. XIX. Sint in superiori figura duo montos AC &> CI) inter quos claudatur vai Vis ÀGJ) cuius quidem profunditas respectu minoris montis sit poreipiendu, quac sano accipi- lur penes perpendicularein HO. Per tradita Gap. 1 suine utramque distantiam DO & DA. tum ex pimelo I) respicias terniinnm C notando partes sectas & cuius nani centcnarij sint, nani ex Iiis erues facillime altitiulinem ED iuxta tradita cap. 18 nec non otiani ex obscrvatione sumitatis A, ae ex cognita distantia. DA habebis portionem FD quac do maiorc altitudine DE detraevi relinqucl minorem montis ^altitudinem respectu termini C cui aequalis est profunditas CB. Haecque hactenus f lieta suftìciant, si quis plura desiderai non desunt qui copiosissime quadratus se si piglierà l'intervallo tra la metà si ^ niente. Doveva dire l’intervallo tra la profondità AG. (1511 •) Magmi. delle parti tagliate non metà del numero della '>-• metà ,l> della sua Considerazione Astronomica, attri¬ buendomi a gran nota, introduce molto a. sproposito di quel luogo, e solo a proposito della sua mordacità, ciò è, che io apertamente non mi dichiarassi circa 1 tempo dell’apparizion della Stella nuova, e che i io confusamente dicessi quella trovarsi circa 18 gradi di Sagittario con qnasi due gradi ili latitudine boreale; replicando pur di nuovo 11 medesimo a carte ed attribuendomi a grave mancamento l’aver confuso il giorno ottavo col nono e col decimo, sì che non frisse pos¬ sibile sapere da me se la Stella apparse alli 8, alli 1) o alti 10; sog¬ ghignando che questo si doveva con diligenza descrivere, e replicando di nuovo che io non [tosi precisamente il luogo suo rispetto all’eclit¬ tica. Le quali cose, quando ben l'ussero vere, come leggerissime e non necessarie all’intento delle mie lezioni, che fu di provare solamente come la Stella nuova era fuori della sfera elementare, per il che di¬ lli mostrare niente importava il determinare il giorno della sua appari¬ zione, nè anco scrupolosamente assegnare il suo sito rispetto all’eclit¬ tica, proveriano molto maggior mancamento nella modestia del Capra che nella dottrina, delle mie lezioni; ma essendo di più false, oltre alla immodestia, notano il suo prolatore per falsi eli co e temerario. Nè io dissi confusamente il giorno della prima apparizione della Stella; anzi le prime parole della mia prima lezione buon queste: Lux quaedem peregrina die 10 Octobris primo in sublimi con speda est. Vero è che poco dopo, avendo io parlato della congiunzione di Giove e di Marte, che fu il giorno 8, e dovendo replicare che il 10 fu veduta la Stella, dissi: w Die itaque octava, quintino die decima, observata fuit, correggendo imme¬ diate la scorsa della lingua. E queste fumo le confusioni circa 1 tempo della sua prima apparizione: mancamento che con la sua pic¬ colezza dimostra l’immensità della malignità di chi lo nota. Quanto poi al sito, io non so perchè in un ragionamento corrente, e dove niente era necessario di offuscar la mente de gli ascoltanti con gradi e loio frazioni, non bastasse, anzi fosse meglio, dire: in 18 gradi in circa di i l ) Ufr. pag. 292. Cfr. pag. 294. 521 l J ro{/int., cor. r>(K». Pi-ogim., rtt r. 585 . Proginì., rnr. 080 . l'royim rnr. 544 . Prùgim., rar. 558 . J'royim., onr. 505 . Proyini., tur, 207 . DIl.'KSA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE Sagittario, con 2 gradi in circa di latitudine, in luogo di dire: in 17 gradi 41 minuti di Sagittario, con 1 grado, 51 minuti di latitudine boreale. Ma se si deve esser cosi severo critico in queste precisioni, perchè non si è posto il Capra a riprendere in Tico lirae, prima il medesimo Ticone. e poi tanti autori segnalati, le scritture de i quali sono da lui registrate nei Proginnasmati, li quali sono così poco scrupolosi nell’assegnare il luogo ed il tempo dell’apparizione della Stella di Cassiopea? Poiché l’Illustrissimo Principe NVilhelino Landgravio di Assia, come si vede nei Proginnasmati di Tico lime, car. 491, mandando al medesimo Tico le sue osservazioni intorno alla nuova Stella di Cassiopea, scrive così: Anno io salutiferi partiis 1572, dir 3 decembris, vilmente Eledoni Saxone, primmvidi et observain Stellavi varavi, ipm l 'mere mai arem et ciano-rem, in asterismo Cassiopeae. E nell’investigare il vero sito di detta Stella, si vede, nel raccor la sua ascension retta, e nello stabilire la sua declinatone col mezo delle molte osservazioni fatte dal medesimo Principe con esqui- sitissimi strumenti, diversità, circa le ascensioni di pili di due gradi, e nelle declinazioni (li 97 minuti in circa. Taddeo Hagecio, boemo, nel suo libro inscritto JJialexim de novae et prius incognitae Stellar, ete., nell’assegnare il tempo, dice averla la prima volta veduta intorno alla Natività di N. Signore. 20 Gasparo Peucero, in una sua lettera delli 7 dicembre 1572, scrive: [Jas ut salmi itte rem feci! noe aw Sidiis, (pimi in sepf ima nani quartali 1 sul) asterismo Cassiopeae cona-pi cantar hncrere, ete. Paulo Hainzelio scrisse: Quoti lumen et/o die ? novembris in decima domo primum conspexi. Michel Mestlino scrive: Anno superiori 1572, prima mensis novem¬ bris hebdomada, nova quaedam Stella in sedili Cassiopeae, tnarginem Ga- taxiac attingcns, apparere corpi1. Cornelio Gemma scrisse: liane Stellavi ineepisse .9 die novembris. Girolamo Munosio, spaglinolo, matematico, professore in Valenza, so non scrive del tempo più precisamente, se non che, certo cognoseit quoti secando novembris 1572 liner Stella nonduvi apparitevit. L’istesso Brae non si assicura di affermare altro, se non che in¬ cominciò ad esser veduta circa finent anni 1572, nipote mense novembri, prope hit iti s primordio, re! saltem in prima eius triade. E circa il luogo poi della medesima Stella, si troverà, ne i mede¬ simi autori, diversità di molti minuti. DI BAIiDBSSAR CAPRA. 525 )Ia quando bene il luogo della Stella nuova non mi fusse anco stato così precisamente noto quando io feci le mie lezioni (il che fu non molti giorni dopo la sua apparizione), saria stato da riprendere il n on mi essere assicurato di volere sino ad un minuto determinare il 8 uo sito? o pur da lodarmi di non aver ardito di assegnare quella precisione a capello, che non si può conseguire senza una diligentis¬ sima e molte volte replicata osservazione? sì come nel legger le di¬ versità de i luoghi assegnati a quella di Cassiopea ed a questa da diversi osservatori, si fa manifesto. Ma. Dio immortale, come riprende in me il Capra la negligenza in una precisione di una Stella l’altrieri apparsa, e non condanna la sua grande ignoranza nell’assegnare il diametro visuale dell’antichissima luna da mille e mille misurato? il quale esso, a car. 9 (l> . dice in cielo non occupare più di mezo grado, che sono 30 minuti; e pure è noto da i libri di tutti gli astronomi, come, la luna in diversi giorni del mese occupa ora 30, ora 31, ora 32 e 33 e 34 minuti del suo cielo, e talvolta anco meno di 20. Questo sì che è errore inescusabile, ed argumento certo di somma igno¬ ranza. Nè minor di questo fallo sarà quello che egli scrive a car. 20 ( ' ) , dicendo così: Ma sopra lutto ir ragioni il non haver questa Stella alcuna » paralasse, è evidentissima demosirazione (die non possi essere se non frale Me fisse, nel qual loco la paratasse per la sua picei olezza non è sensibile. Pone dunque nelle stelle fisse alcuna paralasse; nè si accorge, nè in¬ tende ancora, come nelle stelle fisse nè vi è, nè vi può esser paralasse, essendo quelle gli ultimi ed altissimi corpi visibili, in relazion de i quali le stelle inferiori, e molto a noi vicine, fanno la. diversità di aspetto, detta da li astronomi paralaxe. Queste cose, dico, discreti lettori, non vi propongo io per il princi¬ pale argomento della minima scienza e somma arroganza mostrata dal (apra nel suo libro sopra la nuova Stella; ma vi chiamo ad ascoltare attentamente quanto mi occorre dirvi circa quello che egli nel mede¬ simo libro scrive a car. 18/» 131 : dove, ben che quanto quivi racconta niente faccia al suo proposito, ma solo sia introdotto per tassarmi, scrive che io abbia detto nelle mie lezioni, la nuova Stella essere stata in linea retta con la lucida della Corona boreale e con la. lucida nella coda del Cigno, e poi trapassa, a condannare come imperfetto ed inu- (l) Cfr. pag. 295. (0 01V. pag. 308. (*) Cfr. pag. 303. 526 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ET) IMPOSTURE tile il modo col quale io diasi di essermi accertato della immobilità di detta Stella, perchè sempre mantenne la medesima retta linea con due stelle fisse. Ora, io non dissi mai che la Stella nuova fosse in linea retta con la lucida della Corona e con la coda del Cigno, ma sì bene con la lucida, della Corona e con la prima delle tre nella coda di Elice; ma perchè egli ha per avventura creduto che Elice voglia dir Cigno e non Orsa, quello che è stato errore della sua ignoranza, ha voluto ascriverlo per fallo e per inavvertenza mia. E che io non po¬ nessi mai la nuova Stella in retta linea con la Corona e col Cigno, oltre alle testimonianze che potrei produr di moltissimi che fumo io presenti alle mie lezioni, e che sino al presente ne hanno memoria, si trova ancora appresso di me la copia di una quasi epitome delle mie lezioni, scritta in forma di lettera dal M. Reverendo Sig. Antonio Alberti Arciprete di Abano, al (Ilarissimo Sig. Giovanni Malipiero, sino alli 17 del mese di dicembre, che fu due mesi avanti la publi- cazion del libro del Capra, della quale ne sarà qui a basso trascritta quella parte che fa al pi-esente proposito, riscontrata ed autenticata come nel line di questo discorso si vede. Ma quello che più importa, e clic rende la temerità del Capra senza essempio, è questo: Un mese avanti die il Capra stampasse il suo libro fu dal! lllu- 20 atrissimo Sig. lacop’ Àlvigi Cornare, e sopra un poco di carta li diede due interrogazioni, e le lasciò a detto Signore, acciò me ne doman¬ dasse in suo nome. Venne immediate il medesimo Signore a trovarmi insieme con l’Eccellentissimo Sig. Francesco del durissimo Sig. 1 addeo Contarmi, gentil uomo di nobilissimi costumi, ed oltre all intelligenza delle leggi, della iilosolia e della sacra teologia, di poesie toscane leg¬ giadrissimo scrittore, e mi portò la poliza con le interrogazioni, la quale si trova ancora presso di me; le cui parole precise son queste: Si dubita se stia bene a dive, che la nuova Stella con la lucido dello Cotona boreale, e con lo lucida della coda del Cigno faccino sempre uno SO retta linea ; e che pii', facendo Ir stufette stelle, o vero oltre che fusseiu . una retta linea, come sia passibile che si muserei lo retto lineo coitomi" hi nuova Stella tu sua altezza. Sopra di che io risposi a quei Signori, che non mi meravigliavo che iil Capra giugnesse nuovo questo modo di osservare la immobilità di una stella col referirla a due fisse, con le quali si trovi in retta linea, essendo egli ancor giovine e principiante in questi studn, ma » TU IIAI.DKSSAH i Al’HA. 527 tó che restavo bene con qualche ammirazione, come ciò non fusse noto al suo maestro, senza saputa del quale non era credibile che il Capra avesse fatte le interrogazioni, essendo che di simil modo di osservare ne sono poco meno di 50 essempi posti in Tolomeo al cap. 1 del lib. 7 del suo Almagesto: e soggiunsi, elio uverei anco potuto scu¬ sare il detto suo maestro dal non aver ciò veduto in Tolomeo, la cui kaone, per esser difficilissima, non ì* per le mani di ognuno; ma non potevo già scusarli dal non aver simil maniera di osservare ve¬ dute in Tico Brae, del (piale si fanno descendenti in dottrina, e dal il medesimo molto celebrata nella scrittura di Michel Mostiino fatta sopra la Stella nuova del 1572, il cui sito, immobilità e carenai a di paralasse («altro egli non osservò che con un filo, trovandola sempre in linea retta con due coppie di stelli' fisse: e di più diedi a quei Signori in nota il luogo di Tico Brae ne i suoi l’roginmasnmti acciò lo mostras¬ sero al Capra, il qual luogo è a car. 544. guanto poi all’altra parte, li risposi esser falso che la nuova Stella fosse in linea retta col Cigno e con la Corona, ma li dissi che era in retta linea con la Corona c con la prima delle tre nella coda dell'Orsa maggiore, detta Elice; c di più. accostatomi con i medesimi Signori ad un globo celeste, che n sopra una tavola avevo, feci loro vedere come il medesimo cerchio massimo passava per il luogo della nuova Stella e per la Corona e per la coda di Elice; soggiugnenilo, che l istesso era esser nel mede¬ simo cerchio massimo,-che nella medesima linea retta. Questo che io risposi fu dall Illustrissimo Sig. Comaro riferito al Capra, ma però senza profitto alcuno della sua temerità e della sua igno¬ ranza; non restando egli con tutto questo di stampare, un mese dopo, il libro già preparato, con le medesime, imputazioni contro di me; perseve¬ rando pure in asserire che io dicessi, la nuova Stella essere in retta linea con la Corona e col Cigno ; e persistendo nella medesima ostinazione, che »iosservar il sito e l’immobilità di una stella col referirla ad altre con le (piali si trovi in retta linea, sia. al dispetto di Tolomeo, e prima di lui di Ipparco e di Aristillo e di Democare, e dopo di Ticone e di Mestlino e di altri infiniti, sia, dico, un modo fallace ed imperfetto. Oli temerità inaudita, oh ignoranza ostinata! Or (piale schermo avrem noi contro alle calunnie di costui, qualvolta ei voglia imporne qualche menzogna, già che non solo il non aver detta una follia, ma il replicare a lui con 1 intervento di più testimoni di non averla ne detta, ne immaginata, n. oc r> 2 8 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE EI) IMPOSTORE non busta a raffrenar la sua sboccata penna, che non trascorra iu fal¬ samente ed arrogantemente importaci? Ma notisi dal discreto lettore l’inavvertenza di costui congiunta con la malignità, poi che si è im¬ maginato di poter far credere altrui, che io troppo inverisimilmeute abbia equivocato nel conoscer il Carro, conosciuto insili da i buoi, o almanco da i boari, e dir ch’io l’abbia cambiato col Cigno, costella¬ zione da quella non meri lontana e diversa di quel che un orso vero sia da un vivo cigno. Ma pongliiamo le attestazioni attenenti a questo luogo, e poi passiamo più avanti. Estratto dalla lettera del M. Reverendo Sig. Antonio Alberti, io Arciprete d’Abano, scritta il 17 Dicembre 1604. Ala si fu chiaro anco per le seguenti ragioni, che ne anco può esser solle ’l del della Luna. Prima, se fosse nella regione elementare, ancor che in parte altis¬ sima, /laverebbe diversità di aspetta; il che non è, perchè VEccellentissimo Mg. Galilei sopranominato l'ha diligentissimamenle osservala in linea retta con la prima stella delle tre nella coda deli Orsa maggiore e / eoli la lucida della Corona, et V ha sempre in quella linea retta ritrovata, etc. Adi lf> d’ Aprile 1607, in Padova. Affermo et attesto io Giacomo Alvise Cornavo, come è la verità, che circa mi mese avanti che Domino Baldissera Capra stampasse il suo trattalo sopra la Stella 20 nuora, mi dette sopra un poro di carta due interrogatìonì, acciò che io da parte sua te mostrassi al Sig. Galileo Alati malico, et ne pigliassi da liti risposta. Le quali in¬ terrogai ioni in somma contenevano questo: prima, se era ben detto che la Stella nuora facesse linea retta con la coda del Cigno et con la incida della Coronaboreale ; d l'altra, quanto fosse sicuro modo questo, di conoscere il sito o molo (l’ima stella con l'ossecrare con quali altre fosse iu linea retta, non si potendo mantenere la me¬ desima retta, variando altezza la nuora Stella. Al die rispose il detto Signor Ma¬ tematico, die quanto all’ossecrare il moto o sito d'uva stella, cioè dove sia collocata, d se /labbia altro molo die le /issi; quello del cedere con quali fisse faccia linea vetta era un modo sicurissimo d usato da i atonico e dalli altri vlstrologi avanti et (toppo SO di lui ; et più mi mostrò et dette in nota il luoco dì fico Bene , il quale inette pev eccellentissima la regola di Alestliiw, il quale eoi filo osservò et ritrovò il sito della Stella nuora del 72. Et dica l’altra dimanda mi rispose, che la Stella nuova del 1604 non faceva retta con la coda del Cigno et con la Corona, ma con la coda deU’Ovsa et con Iu Corona ; mi mostrò anco di più ciò esser reco sopra un Globo celeste; et a tutto questo fu presente ancora il Signor Francesco Contarmi, el il lutto fu da ine 1)1 HA LOESS AK CAPRA. 529 talmente riferito al detto (apra il (/ionio tegnente. In fede di che ho fatta la pwnte testificutione di propria mano t sir/tjillata con il mio sigillo. Io Giacomo Atene Cornino affermo ut supru. lo Francesco ('on furi ni del da rissino Sii/. Taddeo fui presente , et affermo esser la ceriti V quanto di sopra è narrato. 1!) “>. Condanna dunque il Capra nel sopracitato luogo il modo dell’ in- aJr 0 ,!Ò“m.va' vestigare la immobilità di una stella con 1 osservare se persiste seni- Nom « pre in linea retta con (lue medesime fisse, e dice: Qìiesto modo non mere in lìdio sicuro , perchè, se bene quando la Stella nuova era alquanto \* elevata faceva una retta con due fisse supposte , vicina poi alT orizonte per h refrazione (le i vapori non poteva fare detta linea retta ; dal che ogn’ uno, che mediocremente intenda le primizie dell’astronomia, potrà chia¬ ramente comprendere come il Capra non intende niente questo modo di osservare la immobilità di una stella, il qual ei piglia ad impu¬ gnar come fallace. Ha creduto il Capra, come dalle sue parole necessa¬ riamente si raccoglie, die io e gli altri astronomi, avendo osservate tre stelle in linea retta, per accertarci se alcuna di esse ha moto, proprio, ritorniamo poche ore dopo ad osservar di nuovo se quelle mantengono la medesima linea, nel (piai riscontro potendo accader jo fallacia, rispetto alle retrazioni ed all’aver le dette stelle mutato sito sopra Vorizonte, non si deve stabilire alcuna certa scienza: ma chi vi ha detto, M. Capro, che tra l’una e l’altra osservazione si devino traporre alcune poche ore? o chi sarà quello di così grosso ingegno che creda, nè anco il moto di (nove, non che quello di Saturno, o di altra, se si trovasse, stella più pigra, potersi avvertire con osser¬ vazioni sì poco distanti di tempo? ci vogliono, non ore, ma giorni, settimane, mesi, anni ed anco secoli tra l’una e l’altra osservazione, prima clic possiamo asseverantemente stabilire che una stella non abbia moto diverso dalle altre. Asserì Tolomeo, le stelle fisse non mu¬ ltarsi tra di loro ; perchè? Perchè tutte quelle triplicità, che egli trovò rispondersi per retta linea, turno molte centinaia di anni avanti da Aristillo e Timocare, eppoi da Ipparco, ritrovate nelle medesime rette, ? d io dissi che la Stella nuova non mostrava di aver moto proprio, (l) Cfr. pag. 302. f> 30 DIFESA CONTRO Al.LE CALUNNIE Kl> IMPOSTURE perchè, avendola ritrovata da principio in retta linea con le dette due fisse, molti giorni e settimane dopo, e non alcune ore, si era mostrata nella medesima retta: nelle quali osservazioni, che hanno, per vita vostra, che fare le refrazioni ? E chi mi vieta di fare le osservazioni quando la Stella sia nelle medesime altezze sopra Forizonte? Ri¬ prendete dunque il vostro niente sapere ed il vostro niente intendere, e non le operazioni ottimamente da me, e prima da tutti gli altri astronomi, fatte. Credo, giudiziosi lettori, aver sin qui assai apertamente dimostrata la malevola disposizione del Capra verso di me, cominciata a discoprirsi ìu più anni sono, anzi pur senza alcun freno di modestia traboccata con una troppo licenziosa audacia nelle false imposture contro di me, le ,piali sin tpii avete intese. Ov epa lascio a voi pensare, quali creder si possa che siano state le calunnie, le maledicenze e le insidie sparse, vomitate e machinate contro alla riputazion mia, ed in palese ed ascosamente, da costui e da i suoi pessimi consultori, praticando 14 o 15 anni nella medesima città, e vedendomi ogni giorno: che se con tanta falsità e con tanta impudenza non si è ritenuto di puhlicar .le sopranarrate imposture, in modo che non poteva non esser sicuro che all’orecchie mi erano per pervenire, quali credete che siano stati 20 i suoi concetti ne i ragionamenti privati, e quali le calunnie che averà creduto di potere in questo ed in quel particolare ascosamente impri¬ mere? Ma perchè parrà forse ad alcuno impossibil cosa che nell’animo del Capra si sia così saldamente radicato un odio intestino contro di me, senza avergliene io data qualche grave occasione, offèndendo 0 lui, o suo padre, o altro suo intrinseco, o con fatti, 0 con parole, e ohe non possa l’inimicizia naturale dell’ignoranza contro la virtù per sè sola esser stata bastante a provocarmi così aspramente la rabbia di costui ; non voglio restar di dire come io non mi sono con loro abboccato, in tutto ’l tempo che sono stato in questa città, più di tre 30 o quattro volte, e ciò solamente per qualche loro beneficio. E credo, se ben mi ricorda, che il primo abboccamento fosse con il consegnare a suo padre per scolare nella scherma il M. Illustre Sig. Conte Alfonso di Porcia, gentil uomo furiano. La seconda volta fui col padre e col figlio in casa dell’Illustrissimo Sig. lacop’Alvigi Cornare, pregato da loro per mostrargli il mio Compasso ed alcune sue operazioni, come più <* basso nell’attestazione del medesimo Sig. Cornaro si vede, ferzo, sen- DI UAI.DKSSAK CAPRA. 531 t en do essere in mano dell’Illustrissimo Sig, Orazio de i Marchesi del Monte un ordine di un grandissimo Principe di procurar di avere un ce vto segreto, e che non si guardasse a spesa alcuna, e venendo detto Signore ad informarsi da me se io conoscessi un tale nominato da quel Principe per un uomo che possedesse il segreto desiderato, gli dissi che sì ina ohe egli allora non era in queste parti; e così mi licenziai dal detto Sig. Orazio: immaginandomi poi che il medesimo segreto po¬ tesse essere anco appresso M. Aurelio Capra, padre di questo mio av¬ versario, mi abboccai seco per intendere se avesse il detto segreto, e use avendolo e potendo riceverne da un grandissimo Principe una lar¬ ghissima recognizione, si saria contentato di comunicarglielo; mi ri¬ spose di sì; ed io subito fui a trovare il Sig. Orazio, dicendoli che avevo trovato un altro, che possedeva il segreto desiderato, e che stimando che a (pud Principe poco importasse l’avere il segreto più da quella persona che fu da lui nominata, che da altri, e giudicando il detto Sig. Orazio il medesimo, condussi Sua Signoria dal Capra, e li lasciai nel maneggio di quinto negozio, il quale credo anco che sortisse con satisfazione dell’una e dell altra parte, h questo e quanto io mi ricordo avere avuto clic trattare con costoro; da i quali trattamenti veg- >0 gasi se ho demeritato di esser cosi mal trattato da loro. Ma a che mi vo io affaticando in voler con altre deposizioni giustificarmi di non lo aver mai offeso? Qual più intero testimonio devo io cercare in con- firmazione dell’animo mio bene affetto verso di lui che la tolleranza avuta da me più di due anni continui, che la sua Considerazione Astro¬ nomica, nella quale così falsamente e mordacemente mi pugne, vadia intorno senza mia risposta, potendo io così facilmente purgai me e mostrare, al mondo li* sue falsità, non meno nel detrarre a me, che nella sua dottrina? il che però non ho mai voluto fare, ne mai lave rei fatto, se la ostinata, incomparabile ed incomportabile sua temeiità so non avesse finalmente con questa sua ultima azione vinta, anzi sfoizata, la mia sofferenza. Ma che dico io di essermi voluto astenere dal li spondere e scoprire le sue inezie e malignità i diciamo pure (e forse con maggior nota della mia riputazione, che con laude della mia in dirigenza) dell’avere io vietato che sia data alle stampe una lettela, in fonila di apologia, scritta da un mio scolare in mia difesa, inton alle calunnie c inezzie del Capra poste da lui contro di me nella detta Considerazione Astronomica: la quale apologia con bellissimo arti 532 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE EI) IMPOSTURE fu composta subito dopo la publicazione della detta Considerazione e nel portarmela il detto mio scolare a. rivedere, la ritenni appresso di me, ed ancora la ho. nè volsi che fusse pnblicata, compassionando al giovine Capra, e sperando pure che dal padre o da altri suoi amici dovesse, senza tanto suo rossore, esser corretta e per V innanzi modi¬ ficata la sua arroganza. Ed acciò che alcuno non credesse quanto ho adesso detto essere una finzione, sarà nel fine di questa difesa nomi¬ nata la detta lettera apologetica presentata da me avanti gii Illustris¬ simi Signori Podestà e Capitano di Padova, e da loro Signorie Illustris¬ sime veduta, riconosciuta e per fede del proprio autore autenticata: io dove ancora saranno nominate ed autenticate tutte le altre scritture ed attestazioni fatte in Padova, che in questa difesa da me saranno prodotte, delle quali gli originali resteranno nella cancelleria dell’Illu¬ strissimo Sig. Podestà, per esser mostrati a chi volesse vedergli; e le altro fedi che produco e che sono fatte in Venezia, presentati gli ori¬ ginali. e riconosciuti da gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Ri¬ formatori. saranno da loro Signorie in simile maniera autenticate. Questa mia così umana e lunga sofferenza, questa mia dissimula¬ zione de i villaneschi affronti fattimi da costui, la quale in ogn’altro avvia finalmente, col rimorso della coscienza, suscitato un ravvedimento 20 de i proprii falli, e raddolcita ogni amarezza, la quale, essendo inter¬ nata nel suo gusto, le operazioni mie onorate non senza nausea sentir gli faceva, ha per il contrario talmente gonfiata la vanissima sua follia, promossa l’arroganza, inanimita V audacia, smorsata la temerità ed inacerbito il veleno che tutti i sensi, e più la lingua, gli occupa, ma so}tra tutto il resto (e ciò per concessimi di Pio) offuscatogli così ogni lume di mente, e tolto, per suo castigo, ogni giudizio e discorso, che. reputando egli la mia tolleranza una timidità, la mia dissimula¬ zione una stolidità. il mio disprezzo delle sue sciocchezze una mia cras¬ sissima ignoranza, si ha lasciato trasportare in questa sua ultima alio- so minevole. infame e detestabile operazione: nella quale si è creduto e persuaso di poter non solamente diffamar me. ma burlare ed aggi¬ rare tante e tante altre persone che della verità del fatto sono be¬ nissimo consapevoli. Quale sia stata questa sua sì vergognosa azione. Tostami finalmente (li far manifesto al mondo: e qui mi perdonerete, lettori pii e del giusto amatori, se forse con troppo tedio vi terrò occupati in leggere questa mia difesa; e mi scuserete se troppo nu- hi halukssar capra. 533 nutamente anelerò ancora ritrovando gli errori di costui, per far co¬ stare la sua ignoranza non cedere un pelo alla temerità ed alla pazzia. Dico dunque, che sono già dieci anni che, avendo io ridotto a perfezione un mio strumento, da me chiamato Compasso Geometrico e Militare, cominciai a lasciarlo vedere a diversi gentil uomini, mo¬ strandone loro l’uso e dandogli lo Strumento e le sue operazioni di¬ chiarate in scrittura : il quale Strumento è stato cosi aggradito, che da quel tempo in qua, per satisfare a molti Principi e Signori di diverse nazioni, mi è convenuto farne fabricare in questa città oltre io al numero di cento, senza quelli che in Urbino, in Firenze ed in alcuni luoghi di Alemagna sono di mio ordine stati lavorati; sì che poche restano le provinole di Europa, nelle quali da miei scolari non siano stati di tali Strumenti trasportati. E finalmente, parendomi cosa assai pericolosa, che venendo questa mia invenzione in tante mani, potesse incontrarsi in alcuno che se la attribuisse; anzi pure essendo io un anno là stato fatto avvertito, elle quando io non ci avessi preso pro- vedimento, qualcun altro si sarebbe fatto bello delle mie fatiche; mi risolvetti a stamparne le operazioni: il che feci qui in Padova sono già 13 mesi, credendo in questa guisa aver precisa la strada a i la- ai trocinii di coloro che, trapassando la vita in ozio, vogliono con 1 altrui vigilie suscitarsi fama di literati. Ma poco mi ha questa mia provi¬ sione giovato: poi che llaldessar Capra, milanese, in questa medesima città, dove da 12 <> 14 anni in qua dimora, trasportando il mio libro di toscano in latino, ed alcune frivolissime cose aggiugnendovi, lo ri¬ stampa tre mesi sono, facendo sè di tale invenzione autore, e dichia¬ randone me per impudente usurpatore. Oli ardire, oli temerità! Ma. perchè molte circonstanze, che sono intorno a questo maneggio del Capra, aggravano infinitamente il suo delitto, e rendono questa azione vergognosissima, non voglio tralasciarle, ma produrle, e con fedi au¬ so tentichissime confermarle. E prima, che io abbia cominciato da dieci anni in qua a far iabn- care di questi Strumenti, e li sia andati di anno in anno commini i- cando e partecipando con Signori di diverse nazioni, potrà esser eeito quasi in tutte le provincie di Europa dove questa mia scrittura ar¬ riverà, ritrovandosi in ciascuna di esse o pochi o molti di questi miei Compassi, trasportativi da Signori li quali in Padova da me gli hanno ricevuti con il loro uso in voce ed in scritto. Imperò che, oltie a DIFESA i'ONTUO ALLE CALUNNIE El) IMl'OSTUHK r»a i quelli che hanno avuti, in Italia i Serenissimi di Toscana e di Mantova F illustrissimo od Eccellentissimo Sig. Duca di Gerenza; in Germania' il Serenissimo D. Ferdinando Arciduca d'Austria, gl’Illustrissimi od Eccellentissimi Signori Filippo Landgravio di Assia e Gio. Federico Principe di Olsazia; in Polonia, gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Si¬ gnori Cristoforo Duca di Sbaras, Gabriello e Giovanni Conti di Tencim Raffaello Lenscinshi; in Francia, gl’Illustrissimi Signori Francesco Conte di Noaglies e Gilberto Gasparo di Senteran ; molti se ne ritrovano in mano di altri Signori ne i sopradetti luoghi e quasi in ogn’altra provincia di Germania e di Francia, e più in Fiandra, in Inghilterra io e Scozia, presso tanti gentil uomini che troppo lungo sarebbe il no¬ minargli tutti. Onde, solamente per sopra Fondante cauzione, ani è parso a bastanza, delle molte che averei potuto in questo luogo pro¬ durre, metter solo tre attestazioni: una del diarissimo Sig. Giaiifran- eesco Sagredo, una dell’illustrissimo Sig. Iacopo Badovere, gentil uomo francese, e la terza, poco più a basso, del M. Reverendo Padre Mae¬ stro Paolo de i Servi, Teologo della Serenissima Signoria di Venezia; li (piali sono dieci anni che veddono da me questo strumento, ed otto e nove anni fa ne ebbero uno per uno, insieme con l'uso. Porrò ap¬ presso la fede dello artefice, il quale in Padova da dieci anni in qua20 me ne lia lubricati circa 100. 1007. Adì primo di Giugno, in Venezia. l'ficriu /c(ir io ( r ioranfruio'csco Su (/redo del!' Illusi rissi iiio Shj. Niccolo Ituvcr, già jiorc in dicci unni in circa, havuto dall Eccellentissimo Sig . Galileo Galilei, Lettor delle Matematiche in Lodava, uno de ’ sani strumenti, chiamato da lui Compasso Geometrico et Miliiave, et un altro simile puro dopo , roti alcune dmsioni uh poro malate et con oltre estese a maggiori mino ri: il quale strumento e (jnel/o stesso a punto, del quale Canto ì passato ne stampò Caso sotto questo titolo: Le Operazioni del Compasso Geometrico et Militare di Galileo Galilei, eie.; In qual dichiarazione hebbi in scrit¬ tura et in coir, insieme con lo strumento, al sopradei to tempo, et ancora si ritrova 30 oj)presso di no. Et in fede detta cerila ho fatta la presento di propria mano. lo Giovatifrancosco Sai/redo sop cadetto scrissi tìtann piopiia* Adì ld di Maggio 1007, iu Padova. lo Giacomo Hadorere Francese espongo et attesto come e la rei ita, che io, già noce unni passati, alloggiato netta propria casa et w compagnia del big* 1)1 BALDESSAR CAPRA. 535 Meo Galilei Fiorentino, Lettor delle Matematiche in quello Studio, et imparando da esso Galilei le scienze Matematiche, non pure riddi diversi de’ suoi Compassi Geo- ? strici et Militari, ma ne fui gratificato di mio, et di più della sua dichiarazione, mostrandomi in oltre le regole che teneva intorno ai modo del comporlo et segnare k sue divisioni) intorno alle quali in quel tempo era occupato, et ne mutò et migliorò deune da quello che ne gli altri suoi Compassi, prima fatti fabneare sino a quel tempo, haoeva posto . E più, riddi , mentre dimorai net medesimo luogo, come molti de i me¬ desimi strumenti furono dal sopradetto suo Autore communicati a diversi GentiVImo- mi di diverse nazioni: il quale strumento è il medesimo che questo, le cui opera¬ timi sono state Vanno passato dall'Autore stampate qui in Padova sotto il titolo di Le Operazioni del Compasso Geometrico et Militare di Galileo Galilei, etc. E di piò, havendo lasciato l'altro mio in Francia, ne ho circa, quattro mesi sono havuto un altro dal medesimo Autore con la sua dichiarationc stampata. In fede di che ho fatta la presente attestatione mona propria. lo Giacomo Badovere scrissi. Adì 24 di Maggio 1607, in Padova. Depongo et affermo io Marcantonio Mazzoleni di Domino Paulo Mazzoleni come è la verità, che da dicci anni in qua ho continuamente lavorati all’Eccellentissimo Big. Ga¬ lileo Galilei, Lettor delle Matematiche nello studio di Padova, de’ suoi Compassi Geo- Iti metrici et Militari, secondo V ordine et le divisioni datemi da lui sino dal principio ; de’ quali gne ne ho fahricati duo di argento , uno che mi disse esser per il Serenissimo Arciduca Ferdinando d’Austria, et V altro per tino de gl’Illustrissimi et Eccellentis¬ simi Landgravii di Assia, et altri di ottone circa il numero di cento per diversi altri Signori, suoi scolari. Et più affermo, molti di questi Compassi essere stati veduti in ma mia, dove lavoro, dal Sig. Baldessar Capra, Milanese, pratticandovi lui da quattro anni in qua spesse volte; dal qual Signor Baldessar non ho mai sentito dire che tali compassi fussino invenzion sua. Et in fede della verità ho fatta■ la presente atte¬ stazione da potei'si produrre in ogni luogo , come verissima che essa è. Io Marcantonio Mazzoleni sopradetto scrissi di propria mano . 30 E che questa quantità di Strumenti siano stati da me fatti fabri- care in questa città in tutto questo tempo, è stato benissimo saputo dal Capra; ma pure, quando ei volesse dissimulare o negare questa notizia, non potrà egli certo negare quello che di sopra e stato de¬ posto nella fede di Maestro Marcantonio, ciò è che egli, pratticando da quattro anni in qua frequentemente nella sua bottega, abbia veduto fabbricare più di 30 di tali miei Strumenti, nè però li ha mai conosciuti 11 . 536 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE per sua invenzione. In oltre non potrà negare come, già sono cinque anni, egli e suo padre mi fecero pregare dall’Illustrissimo Sig. Iacop’Al- vigi Comare, in casa del (piale molto familiarmente praticavano, che io lussi contento di lasciar loro vedere questo mio Strumento e le sue operazioni, il elio io feci, richiestone dal detto Signore, in casa sua, come dalla sottoposta sua fede si fa palese: nella quale si vedrà ancora come, due anni sono, il padre del Capra pregò instantemente il medesimo Signore, che fusse contento di prestargli uno de i miei Strumenti, che appresso detto Signore ancor si ritrova, dicendo che Baldessar, suo figliolo, vi voleva fare attorno studio, e procurar d’intenderlo ed anco io fabricarsene uno per se ; il che gli fu da detto Signore conceduto, come appresso s ! intende. Adì 6 ri* Aprile 1607, in Padova. Faccio fede io Giacomo Alvise Coniavo, appresso tutti quei luoghi dove la pre¬ sente attestazione di mia propria mano et siggillata con il mio siggillo fosse presentata, qualmente è la verità che 7 Signor Aurelio Capra Milanese ed il Signor Baldcssarre, suo figliuolo, già circa cinque unni sono, mi ricercamo con instanza eh’io pregassi il Sig. Galileo Galilei , Matematico di questo Studio , che volesse esser contento di far loro vedere alcune operazioni del suo istni mento, chiamato da lui Compasso Geo¬ metrico et Militare; il che feci io qua in casa mia, dorè fui dal Sic/. Galileo compia- 20 cinto, il quale alla mia presenza mostrò olii detti diverso operationi sopra il detto suo {strumento. E di piu a/fermo come li medesimi Aurelio e Baldessarre, circa due anni sono, mi ricercorno con instanza grande eh’ io volessi prestar loro uno detti detti compassi deI Sig. Galileo, che da esso, suo inventore et autore, io hebbi, asserendo Bai- dassarre volervi far sopra studio et fabricarsene uno per se, nel che furono da me compiaciuti, prestandoli io il detto Strumento ; che è quello stesso del quale Vanno passato ne fu dal suddetto Signor Galileo Galilei stampato Vuso, sotto questo titolo: Le Operazioni del Compasso Geometrico et Militare di Galileo Galilei, etc.;Uguale Strumento, doppo haverlo li detti Aurelio e Baldassarre tondo appresso di loro alquanti mesi, mi restituirono : e tutto questo con pura et intiera verità, hi fede di che ho fatto 30 di mia propria mano la presente attestazione questo giorno sopradetto. lo Giacomo Alvise Cornavo sopradetto. Da queste cose dunque è manifestissimo, che non solamente il Capia, in sua conscienza, sapeva benissimo, da gran tempo in qua, che questo Strumento era mia invenzione e non sua, ma sapeva di più che di versi ancora in questa città sapevano come lui questa verità cono DI BALDESSAR CABRA. 537 sceva ed ammetteva ; poi ohe in mano mia e dell’ Illustrissimo Sig. Cor¬ navo, e cento volte in mano dell’artefice, aveva, nello spazio di molti anni passati, veduto questo strumento, nè mai per suo l’aveva cono¬ sciuto o nominato: e con tutto questo non si è peritato o vergognato di stamparlo adesso per cosa sua, ben die io medesimo in questo me¬ desimo luogo ne stani]lassi lilialmente l’anno passato le operazioni; anzi di più, scorto dalla medesima impudenza ed imprudenza, subito finita di stampar la sua opera, ue mandò (ed il portatore fu suo padre) una copia al medesimo Sig. Oomaro, acciò che Sua Signoria Illustris- o sima vedesse quello che ’l suo 'agogno avea saputo effettuare. La qual copia restata appresso detto Signore, e partitosi il Capra, fu conside¬ rata; ed accortosi Sua Signoria Illustrissima come era il mio libro trasportato in latino, mi mandò subito a chiamare, essendo la mia casa contigua a quella di Sua Signoria, e non senza sdegnose escla¬ mazioni mi fece vedere la insolenza usata dal Capra; ed incontrando più minutamente questo libro col mio, e di più abbattendoci nelle parole ingiuriose che in quello si veggono contro di me, spinto da nobile sdegno contra costoro, i quali della sua cortesia si erano ser¬ viti per istrumento da machinar sì vergognosa trutta, li scrisse, riman¬ iti dandogli il lor libro indietro, la seguente lettera : AL M. MAGNIFICO SIGNOR AURELIO CAPRA. Molto Magnifico Signor honorandissimo. Partita hieri l’altro V. S. molto Magnifica da me, andui trascorrendo il libro posto in luce da nuovo dal Signor suo figliuolo, donatomi da lei: nel quale trovando tra- sportate dal volgare in Latino tutte le operatimi del Compasso Geometrico et Militare del Signor Galilei, stampate da lui l’anno passato, mi posi con grande, ansità a leggerlo, credendo certo di trovare, come era ben ragionevole, alcuna honorata men¬ zione del suddetto Autore. Ma ini avvenne in contrario : perciò che, incontrando in un ingiurioso modo di parlare Ad Lectorem in dishonore del mio amatissimo et hono- 30 fondissimo amico, tenuto da me, come da altri Gentil’huomini et Principi, in suprema stima per la incomparabil sua dottrina et altre degne qualità che in lui risplendono, so» andato pensando a qual fine si- possi esser impiegato il Signor Baldassarre in così fatta azione di malu creanza, ponendo mano nelle opere altrui, senza riguardo d alcun convenevole rispetto che doveva bavere; nè al fine ho saputo trovar altra causa che la sua mala volontà, mostrata ancora contra il Signor Galileo in altro suo libro pu- blicato già sopra la Stella che apparve l’anno 1604: della quale continuata inalevo- 538 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE lenza senza ragione ho sentilo e sento sì gran dispiacere, che non posso restare di non dolermene con V. S., che ha assentito ad operatione disconrenerole a Gentilhuomo in¬ genuo. Nè più a lungo le dico per non moltiplicare in parole et ufficii dispiacevoli abborriti sopra modo da me in ogni caso, et sopra tutti in questo che convengo fare con V.S., che è stata sempre in molta mia stima: alla quale rimando con questa anco il libro che ella mi diede, per non mostrare di consentire a cosa ch’io abbonisco. Di casa, li 4 Aprile 1007. Giac. Alvise Cornavo. Io poi immediatamente procurai di avere un altro di quei libri: e tornando con maggior diligenza a rileggerlo, per veder pur se vi io era scritto quello che mi pareva impossibile potervi essere, e vedendo sempre più la cosa chiara e manifesta, stetti gran pezzo in dubbio se io sognavo o se pure ero desto; e soprapreso da stupore, da sdegno e da travaglio insieme, un presentaneo soccorso mi fu dalla fortuna apparecchiato; e questo fu un numero grandissimo di nefandissimi errori sparsi per tutta quell’opera, nel volere il suo mentito autore o mascherare alcuna delle cose copiate dal mio libro o pure intro- durvene alcune altre non copiate da quello: la quale crassissima ignoranza stimai (si come è poi seguito) potermi esser per saldissimo argomento, quando tutte le altre giustificazioni mi fussero mancatelo a far costare la verità, col dichiarar lui impudente, e non meno stolto, usurpatore delle invenzioni mie. E su questa speranza raccogliendo alquanto gli spiriti, e cominciando a pensare al modo che io dovessi tenere acciò che al mondo venisse in luce la verità, nè rimanesse una mia tanta ingiuria impunita, presi per il migliore di tutti i partiti il trasferirmi a Venezia avanti a gl’ Illustrissimi ed Eccellentissimi Si¬ gnori Riformatori dello Studio di Padova, ed a quelli espor il mio aggravio, sicuro che la prudenza c giustizia loro non solo averebbe abbracciata questa mia causa, ma non averebbe lasciato incastigato un tale affronto; il quale non tanto la mia persona privata, ma il 30 publico luogo die tengo in questo Studio ed appresso la vigilanza di lor Signorie Illustrissime ed Eccellentissime con grave nota macchiava. Andai dunque il dì 7 di aprile, che fu il sabbato avanti la domenica delle Palme, a Venezia, ed il Lunedì Santo comparsi avanti li sopia- detti Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori; a i quali esposi la mia querela e mostrai l’uno e l’altro libro, ciò è il mio, stam¬ pato e publicato sotto li 10 di giugno del 1606, e l’altro del Capia, DI BALDESSAR CAPRA. 539 stampato e publicato li 7 di marzo del 1607, adducendo a loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime autentiche prove come quella era opera mia e più facendoli vedere le prove ingiuriose con le quali dal Capra venivo diffamato. Sopra di che determinarono detti Signori di scrivere una lettera a gl’Illustrissimi Signori Rettori di Padova, il Sig. Almorò Zane ed il Sig. Giovanni Malipiero, ricercando lor Signorie Illustrissime che facessero immediate tórre in nota tutti i libri del Capra che si trovavano tanto appresso il libraio quanto appresso lo stampatore ed autore, a i (piali sotto gravi pene si proibisse il darne io più fuora alcuno sino a nuovo ordine di loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime, e di più, che facessero citare il detto Capra a dover comparire la mattina dclli 18 di aprile (dando luogo a i giorni Santi, ed alle feste della Santissima Pasqua) avanti le porte del Collegio in Venezia, dove sanano ridotti detti Illustrissimi ed Eccellentissimi Si¬ gnori Riformatori, per dover produr sue ragioni circa il sopranarrato fatto. Fumo esequite le lettere, sospesi e tolti in nota i libri, de i quali 440 ne manifestò il libraio che li fece stampare, che fu D. Pietro Paolo Tozzi, e 43 disse trovarsene in mano dell’autore; il quale fu parimente citato per dover comparire, come di sopra. 20 Presentatici dunque il giorno 18 predetto avanti le porte del Col¬ legio, il Sig. Paolo Ciera, Segretario de gl’ Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori, di ordine di loro Signorie ci disse come per quella mattina non si saria fatto altro, essendo li Signori Riformatori occu¬ pati; ma che noi riissimo il seguente giorno su l’ora di vespro a casa dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Francesco da Molino, Cavaliere e Procuratore, che è uno de i Signori Riformatori, dove gli altri due ancora si sariano ridotti. Si ridussono i Signori Riformatori al luogo e tempo detto : ed io, comparso alla presenza di loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime, sentendo il Capra di nuovo esporsi la mia querela, so dolendomi come avendo io, già dieci anni, ritrovalo ed inventato un mio strumento, e quello poi nel progresso del tempo conferito e com- municato per mia invenzione, come veramente è, a moltissimi Signou e Principi grandi di diverse nazioni, e finalmente stampatone 1 amio precedente le sue operazioni, dedicandole al Serenissimo Principe di Toscana, mio Signore, Baldessar Capra, milanese, quivi presente, venisse ora a trasportar detta mia opera di toscano in latino, ed a stamparla per sua fatica ed invenzione, facendone di più, con parole ingiuiiosis 540 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE sime, me impudente usurpatore e perciò indegno di comparire nel cospetto de gli uomini ingenui e letterati; e che per tanto, sendo «pesta sua azione erronea, temeraria e diffamatoria dell’onor mio, del luogo che tengo nello Studio di Padova, e pregiudiciale ancora alla vigi¬ lanza con la quale devono provedere loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime alle cose dello Studio, mantenendolo fornito di uomini sufficienti a i lor carichi, dovessero loro Signorie Illustrissime ed Ec¬ cellentissime, conosciuta la verità del fatto, provedere, secondo la lor somma prudenza, alla redintegrazione dell’onor mio, col dare il meritato castigo al delinquente; protestandomi di più larghissimamente, che qua-io 1 inique volta potesse mai constare che io, non solo tutta l’invenzione del mio Strumento, ma qualunque minima parte di quella avessi usur¬ pata, non pur dal Capra, ma da qual si voglia altro autore o uomo del mondo, già de fatto mi dichiaravo e sentenziavo degno delle note attribuitemi dal Capra e di maggiori ancora ; ma all’incontro supplicavo lor Signorie Illustrissime ed Eccellentissime che, dopo che io li avessi fatto constare come il Capra era usurpatore dell’opera mia, volessero usare quel medesimo rigor di giustizia verso il mio avversario al quale io spontaneamente mi sottoponevo; a quanto fu da me con simili parole proposto rispose il Capra, dicendo primieramente increscerli di dover 20 tediare a mia richiesta le loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime, e che il mio comparir là non era necessario, e che se io mi sentivo da i suoi scritti aggravato, la penna e la carta erano le armi de i letterati; ma già che mi era parso tener questa strada, lui era comparso a render buon conto di se; e che per tanto lui primieramente negava di essersi fatto au¬ tore di quell’opera, mostrando, per attestazion di questo, un luogo nella prefazione Ad Ijcctorcin , nel quale da queste parole: A ec obijciot quispitini ine lutee non escogitasse, nani istas libentcr and tre velini, quoti responsurì sint atl quaestionem qua senes quidam doctus alternili interrogava : Quot putas ( inquit ) /taberemus badie in inundo duclos virus , si nati utereniur tdiorum in- 30 rentis Y diceva manifestamente comprendersi, come ei non si faceva au¬ tore di quest’opera: ed un altro luogo produsse in confermazion di que¬ sto medesimo, nella dedicatoria, in quelle parole: ('uni itaque hic , licci imperfertus sit praest untissimi ri ri cult unte fructus, iure illetibi Illustrissimo Principi debetur. Rispose in oltre, che egli non faceva me usurpatore di quest’opera, e che le parole d’ingiuria, che io dicevo esser nel suo libro, non riguardavano la persona mia, non vi essendo mai in tutta DI BALDESSAR CAPRA. 541 l'opera nominato, sì che l’addossarmi quelle ingiurie era più presto una mia fantasia che volontà sua. Negò finalmente esser vero che il mio libro fosse da lui stato trasportato nel suo, dove molte cose diceva ri¬ trovarsi le quali non erano nel mio, corno la fabrica dello strumento e molte delle operazioni ; anzi disse non aver veduto il mio libro stam¬ pato: e che perciò, essendo quanto egli diceva chiaro e manifesto, do¬ veva esso e il suo libro essere licenziato, e rimesso alla publica vendita. Gli fu da me alla prima parte risposto, che la carta e la penna erano il campo e le armi de i letterati, quando si avessero a deci- io dere differenze di lettere; ma che il giudizio tra un letterato ed uno infamatore arrogante doveva domandarsi da un foro simile a quello dove l’avevo convenuto. Alla sua seconda risposta replicai, che nel primo luogo da lui addotto non vi era specificazione alcuna per la quale costasse che ei si nominasse non autore di quest’opera, e quelle e simili altre parole potevano dal lettore esser benissimo interpretate come dette per una certa modestia: e quanto all’altro luogo da lui addotto, quello non fa punto al proposito, perchè quivi egli altro non dice se non che questo libro è frutto, benché imperfetto, della cultura del suo prestantissimo maestro; ma tal cultura non è altro che la 20 scienza dell’ingegno del Capra; adunque quest’opera è frutto imper¬ fetto della scienza dell’ingegno del Capra. Essendo dunque questi modi di parlare o molto ambigui o fuori del proposito che egli di provar cercava, invitai gl’ Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori a vedere i luoghi, ne i quali apertissimamente il Capra chiama questa opera sua, scrivendo in tutti questi luoghi, prima nella prefazione a car. 5/;, dipoi a car. 16 a, car. 28a, a car. 38 a, car. 40 b, car. 56 a |l) , hoc nostrum instrumentum. Di più, produssi un luogo della dedicatoria, le parole del quale sono queste: Quare his relictis, ad propostimi meum . magis aecedens, cum satis diu fabricam et usuiti huius Circi ni proportioms, so Cfr. pag. 436, 452, 470, 486, 490, 510. 542 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE o pur veramente scrittagli, che ciò poco importa, dandogli foi p ag _ senso, e stampandola, crederò io, come veridica e non come falsaria- le cui parole son queste: Interim maximopere cupio, cupìuntque communes umici ut recentem foeturaru magni* a telaboribus clucubratam, riempe egre- i/iuni illud instrumentum Geonietrieum Ar itimi etieurnque, quorl Circinumpro- pori ionia apte inseribendum putristi , in Imeni conspectumque luminimi prò- dire sinas. non vulgarem enim Geometrica* et Arithmeticue scientiae studiosis afferes utilitatem, et lumen non exiguum, si quidem huius instrumenti ope non solilin cuncta propali od uni Euclidi* problemata, ac plura alia, ne dicani innumcrabiliu quaesitu brevissime facillimequc resolvent; sed etiam iisdem io ad omnes altitudine*, profumi Hate*, necnon locorum intercapedines dime- tiendas expedit insinui promptissimagne patebit via. ad quod imprimendum, puhlicundumque praeter communem utilitatem, cui fere soli vel Platonis te¬ stimonio homo natus esse videtur, et praeter amicorum utilitatem, nostramque Ulani dulcem et studiorum et animorum coniunctionem, quae apud te prò tua benignitate non me lutei esse ulicuiu* momenti; illud, quoque non mi¬ nimum te movere debel, ut qui huiusce instrumenti inventi,onem impudenter sibi arrogarti, patefacto vero et germano effectore magno suo cum dedecore erubescant, et roram literafis et candidi* viris postime sese offerte amplius non audeant. Dove primieramente egli assentisce ed ammette che questo 20 Strumento Geometrico ed Aritmetico è parto novello, da se con gran fatica elucubrato. I)i più, sì come apertissimamente si scorge, viene da lui esibito, che dalla pubblicazione di epiesta sua opera sarà fatto palese chi ne sia il vero e legittimo effettore; sì che quelli che sfac¬ ciatamente si arrogano l'invenzion di questo Strumento, con loro grande obbrobrio si arrossisebino, nè più per l’avvenire ardischino di comparire nel cospetto de gli uomini letterati ed ingenui. Ora, veg- gasi e riveggasi, leggasi e rileggasi mille volte tutto il suo libro, non si troverà che sia fatto palese che altri che lui ne sia il vero e le¬ gittimo effettore, non essendo mai attribuita questa invenzione ad 30 alcun altro, ma sì bene a sè solo in tutti i sopracitati luoghi: dal che conclusi io, oltre a qualche altro luogo che averei potuto addurre, essere questa parte, del far il Capra sii stesso inventor dello Strumento, chiarissimamente provata. Passai dipoi a dimostrare che, sì come la vera mira del Capra eia di ferir me con le sue pai’ole ingiuriose, così ninno che leggesse il suo libro averia mai potuto stimare che ad altri che a me fossero indi- DI BALDE SS AH CAPRA. 543 rizzati i fulmini delle sue maledicenze, essendo che ninno altro che io si era mai attribuita 1 invenzione di questo Strumento: io l’ho conferito da dieci anni in qua a moltissimi Signori di diverse nazioni, chiaman¬ domene sempre con tutti autore ed inventore; io, come cosa mia, ne ho fatti fabricare più di cento in Padova ed in altre città; io finalmente come cosa mia V ho stampato, nè altri che io l’ha mai palesato per cosa sua; adunque a me conviene, per detto del Capra, l’arrossirmi come impudente ed il fuggire, come temerario usurpator delle fatiche altrui, la presenza de gli uomini. Di più, acciò che non paresse-a gl’Illustrissimi io ed Eccellentissimi Signori Riformatori questa del Capra audacia incre¬ dibile, ed inverisimile l’avidità di calunniarmi e lacerar l’onor mio, produssi le incominciate sue persecuzioni sin nel suo libro della nuova Stella, raccontate di sopra, e di più feci vedere un altro suo luogo in questo medesimo libro del Circi no, a car. 41 (1) ; dove, avendo egli prima trascritta una delle mie regole per misurar con la vista, posta da me nel mio libro, a car. 28 b per venir poi a biasimarla e morder me, scrive così: Votesi hoc idem absolvi (dia catione, proni (diqui volunt, statuunt enim instrumentum in A, ita ut edter brachi orimi veda respidat B, alterimi E, tane progressi ad punctum E ita disponimi instrumentum ut alter brachiorum 20 recto, respidat A, perque centrimi instrmnenti aspicientes punctum B, ani- madvertunt partes absdssas u radio visuali, per quas postea ratiodnantur, ut superius didimi fuit. A quo quidem modo, ut panca de ilio subiungam in maximum ductus suiti admirationem, nec enim satis ridere possum an isti revera sic credavi, an potius homines adeo crassi, cerebri. existiment, ut prò libitu Ulis imponere liceat, quaeso enim qui fieri potest ut in tanta partimi angustia, mensoris oculus nulla adhibita dioptra non longe a vero aberret ? quod si parvìpendunt revera nugantur, similiterque parvified merentur, et ideo ntUiora inquirentes lime mi ssa faciamus. Dove, essendo io quello che scrivo che si osservi dove il raggio della vista taglia, senza aggiugnervi so altro di diottra o traguardo, la nota di esser degno di disprezzo, e forse di esser di grosso ingegno, e di uomo che si diletti di schernire altri, senza alcuna replica si addossa sopra di me. Speditomi da questa parte, passai a quello che finalmente restava, che era di fai 1 palese come il mio libro, eccettuatone alcune pochissime cose, sì che non erano la vigesima parte del tutto, erano dal Capra Gir. (jaif. 4r92. <*> Cfr. pay. 419. 544 difesa contro alle calunnie ed imposture state copiate e trasportate nel suo: nel che, per esser cosa che consi¬ steva in fatto, ci fu poco da dire, già che avevo l’uno e l’altro libro in mano, contrassegnati ami >idue con richiami in margine, da potergli ciascheduno, senza avere a cercare i luoghi, in un subito conferire e riscontrare. Il che però stimorno per allora li Signori Riformatori su¬ perfluo; ma ben mi commessoti poi che io facessi riscontrar detti libri dal M. Reverendo Padre Maestro Paolo: il che fece egli, e questa ap¬ presso fu la fede la quale ei ne depose: Adì 20 Aprile 1(107, in Venezia. Affermo et attesto io Fra Paolo di Venezia de’Serri harer con diligenza confo- io rito et riscontrato il libro stampato in Padova circa dieci mesi sotto dal Signor Galileo Galilei Matematico, sotto questo titolo: Lo Operazioni del Compasso Geometrico et Militare di Galileo Galilei, etc., col libro stampato pur in Padova, circa un mese fa, da Baldessar Capra, Milanese, sotto questo titolo: Usua et Fabrica Circini cuiusdam proportionis etc., et bavere in questo del Capra ri trovate trasportate di Toscano in Latino tutte le operazioni che sono contenute nel libro del Galilei, eccettuatane la HI, che è circa la quadratura delle partì del cerchio et delle figure miste, et due altre operazioni attenenti a due linee del quadrante, et eccettuatene forse alcune poche di quelle che servono per misurare con la vista: dico forse, perchè non ho potuto ben conseguire l'intentione del Capra, et come procedino quelle regole sue circa tali mi- 20 sur e. In oltre ho osservate alcune altre, ma pochissime, sì che non eccedono tre in numero, le quali nel libro del Capra sono alquanto palliate; ma però, a chi ben le. considera, si manifesta ritrovarsi le medesime nell’ opera del Galilei. Faccio fede ancora che in Padova, già circa dieci anni, mi fu mostrato dall'istmo Signor Ga¬ lileo VIstnimento del quale si tratta nelli muletti libri, insieme con l’uso di quello; e doppo circa due anni il detto Signore me ne fece dono di uno, il quale ancora tengo appresso di me. Et in fede della verità, etc. Io F. Paolo soprascritto. Volse pure il Capra replicare, che non aveva inteso di offender la persona mia con le parole ingiuriose, e che non era assolutamente 30 vero che non ci lasse stato alcun altro che si avesse voluto attribuire questo Strumento: anzi soggiunse, che era stato alcuni anni avanti in Padova un Alemanno, il quale in faccia mia si era professato autor del medesimo Strumento; e di più soggiunse, che l’interpretare i sensi delle sue parole non toccava ad altri che a lui, e che ei solo poteva esser consapevole di cui aveva, nelle da me citate parole, voluto par- DI BALDKSSAll CAPRA. 545 lare. Onde qui mi fu necessario raccontare l’istoria del Fiammingo, e non, come disse il Capra, Alemanno, che fu un tal Giovanni Eutel Zieckmeser : il quale, cinque anni dopo che ebbi ritrovato e comin- eiato a publicare il mio Strumento, sì che a quel tempo ne erano già andati attorno per diverse provincie più di 40, arrivò in Padova; ed avendo uno Strumento nel quale aveva trasportate alcune linee cavate dal mio, ed altre tralasciatene, ed in luogo di quelle aggiuntevene alcune altre, e per avventura non sapendo che in Padova si ritrovava il primo e vero inventor di tale Strumento, s’incontrò con il Sig. Michel Victor ìoVustrou di Bransvich, mio scolare, il quale da me già aveva appreso l’uso del mio Strumento; e dicendogli di avere una mirabile inven¬ zione, lo messe in desiderio di volerla vedere, e finalmente gli mostrò quello Strumento, il quale subito fu riconosciuto dal detto gentil uomo, che immediate a me, che ero in letto indisposto, lo fece sapere; e di lì a pochi giorni si partì di Padova, lo, come prima fui risanato, sen¬ tendo come già i miei emuli, e sopra tutti il mio antico avversario, si erano aperta la strada al mordermi e lacerarmi con P occasione della venuta di questo Fiammingo e dello Strumento che seco aveva., e già spargevano voce che l'invenzione di quello Strumento poteva 20 non esser mia, contro a quello che sempre avevo detto, ma presa dal Fiammingo; fui forzato a procurar, ben che con grandissima difficultà, di far che il detto Fiammingo si abboccasse meco, acciò che da tal congresso si facesse palese a chi avesse voluto saperlo, qual di noi fusse il legittimo inventore di questo Strumento : poi che esso, per le parole dette da lui nel suo primo arrivo in Padova, si era quasi messo in necessità di mantener sò esserne autore, il qual concetto, quando fusse restato impresso nel popolo, come già i maligni avevano procurato di fare, saria stato troppo pregiudiciale all’ onor mio. Finaknente, dopo molte repulse, si lasciò persuadere a comparire in casa dell’Illu- 30 strissimo Sig. Iacop’ Alvigi Cornaro : dove primieramente disse, non aver mai asserito che io avessi tolta la mia invenzione da lui, anzi che ciò non era possibile, non avendo egli dato il suo strumento ad alcuno; dipoi mostrò il suo strumento in molte cose molto differente dal mio; ma soggiungendoli io, che in (quelle cose, che pur erano molte, nelle quali il suo strumento conveniva col mio, era necessario che un di noi avesse preso dall’ altro, e che però, acciò che la verità venisse in luce (e questo a confusione de i miei emuli, e non a diminuzione della 546 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE reputatoli di quello), era bisogno discorrer sopra le dette cose, venni finalmente a diverse interrogazioni, le quali egli non potette risolvere; onde a molti gentil uomini di diverse nazioni, che si trovorno presenti, restò palese e chiaro, cerne non poteva essere che il Fiammingo non avesse cavato dal mio Strumento quello che era di comincine nell’uno e nell’altro. Della qual verità ne sono qui appresso le fedi di due di quelli che furono presenti al detto cimento. 1607. Adì 14 Aprile, in Padova. Per piena fede della verità affermo io Giacomo Alvise Cornaro, come sono circa quattro anni che venne a Padova un tale Giovanni, Fiammingo, il quale haveva 10 un compasso con alcune divisioni simili ad alcune che si trovano sopra il Compasso Geometrico et Militare del Signor Galilei Galileo, Matematico: il che essendo per¬ venuto all’orecchie di detto Galilei, et più sentendo come detto Fiammingo asseriva non haver veduto il detto compasso del detto Galilei, et più sentendo il medesimo Galilei che alcuni , per detrarre alla sua fama, andavano parlando che poteva essere che ’l Galilei havessc presa la sua inventione dal Fiammingo , se bene esso Galilei cinque anni avanti haveva fatto vedere il suo strumento et fattone fabricar molti in questa terra, per levare ogni mal’ ombra di sospetto, si risolse di far chia¬ mare il Fiammingo in casa mia col suo compasso in presenza di molti Gentil’huo- mini; et incontrandolo col suo, prima fece vedere che vi erano alcune diversità, et 20 poi, che in quello che erano conformi, il Fiammingo lo haveva preso da quello del Galilei, poi che facendoli esso Galilei molte interrogationi et quesiti circa le opera- Goni di detto compasso, non seppe il Fiammingo distrigarsi alt-rimonte, anzi aper¬ tamente restò manifesto come detto Fiammingo haveva preso dal Galilei. Et a questo fumo presenti molti di diverse nazioni, et fra gli altri, che solo di quelli qui si ritrova-, è il Sig. Cavalier Pompeo de’ Conti da Pannichi. In fede della qual verità ho fatto la presente- di mia propria mano, sigillata con il mio sigillo. Idem qui supra. lo Pompeo de' Conti di Pannichi fui presente a quanto è di sopra. All’altra risposta del Capra, ciò è che a lui solo, e non ad altri, 30 toccava ad esser interprete delle sue parole, risposi, che questo saria stato vero quando la sentenza o la costruzione delle parole tusse inin¬ telligibile, sì che da gli altri non se ne potesse trar senso, ma che DI BALDESSAR CAPRA. 547 nelle parole di sentenza, apertissima, come erano quelle, non averia mai il lettore fatto ricorso all’autor dell’opera, non si incontrando in niuna sorte di ambiguità. Finalmente, parendomi aver apertissimamente fatto constare a gl’ Il¬ lustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori, come il Capra vera¬ mente si faceva autore dello Strumento e del libro, e più come, con aggravarmi d’ignominiose note, ne faceva me impudente usurpatore, e vedendo che altro non mi restava che il render certissimi i medesimi Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori come la verità del fatto era tutta 10 all’ opposito ; parlai a quei Signori in questa guisa : Ancorché (Illustris¬ simi ed Eccellentissimi Signori) a me non manchino infiniti testimonii, dalla deposizion de i quali io pienissimamente posso far constare alle SS. VV. come V opera della quale si tratta, non trovato moderno del Capra, ma è mia antica invenzione, la quale io non ho usurpata da altri, e molto meno da costui ; tuttavia, quando ogn’ altra giustificazione mi mancasse, questa una certo non mi verrà mai meno, la quale è, che io posso far apertamente constare, con l’interrogare il medesimo Capra sopra il libro da esso stampato, che tantum abest che egli de facto sia inventore di questa opera, ma che è impossibil cosa che lui mai iti una tal cosa, nè simile a gran pezzo, potesse aver immaginata o ri¬ trovata; essendo che egli Niente, Niente, Niente intende di queste pro¬ fessioni, dico nè anco i primi elementi, le prime definizioni, i primi termini. Di poi, rivolto al Capra, e tenendo in mano il libro stampato da lui, lo interrogai se in quel libro vi fusse alcuna cosa del suo ; al che egli non mi rispose: onde io tornai ad interrogarlo la seconda, e poi la terza volta, ma sempre senza poterne cavar risposta alcuna : sì che uno de i Signori Riformatori gli ordinò che dovesse rispondere alla mia domanda, ciò è se in quel libro vi fusse cosa alcuna del suo; al che, astretto di rispondere, si lasciò uscir di bocca che sì, e che vi era 30 la fabrica dello Strumento, e molte operazioni sue. Onde io subito sog¬ giunsi, rivolto ai Signori Riformatori, che per speditissima giustifica¬ zione della causa mia mi legavo a questo strettissimo obligo, ciò è d in¬ terrogare (quando così fusse piaciuto alle loro Signorie Illustrissime ed Eccellentissime) alla presenza loro il Capra solamente sopra le cose non copiate dal mio libro, ma postevi come sue, ed in quelle mostrare come vi erano molti errori inescusabili, e tali che ciascuno di essi era per sè solo bastante a manifestare il Capra per nudissimo di ogni intelligenza 548 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE di questa professione; ed oltre a ciò mi offerivo non tanto di mostrar come le aggiunte del Capra erano piene di errori, ma di più imme¬ diatamente esplicare come le sue proposizioni doveriano stare per star bene; dal che, quando lusso in tal maniera puntualmente da me ese- quito, e dichiarato come veramente dovevano risolversi lo operazioni proposte dal Capra, averei lasciato poi inferire dalla prudenza di loro Signorie Illustrissimo se in (piolie cose, sopra le quali avevo avuto quanti anni di tempo mi erano parsi da potervi pensar sopra, era credibile che io abbia avuto bisogno di usurpar cosa alcuna o dal Capra o da. altri. Udita da i Signori Riformatori questa mia oblazione, fu domandato io il Capra se si sentiva di poter render conto sopra le cose sue; il quale, dopo qualche titubazione, rispose di sì: onde li fu da quei Signori assegnato per termine la mattina del seguente giorno per doversi ri¬ trovare nel medesimo luogo (che fu la casa dell’ Illustrissimo ed Ec¬ cellentissimo Sig. Francesco Molino, Cavaliere e Procuratore) a dover rispondere alle interrogazioni che io li farei sopra le cose aggiunte da lui nel libro stampato; e detto questo, uno de i Signori Riformatori, che fu l’Illustrissimo Sig. Antonio Quiiini, si pari!, essendo l’ora di ri¬ trovarsi in Consiglio di X. Partì ancora il Capra insieme con suo padre, ma avanti la sua partita domandò che io li concedessi il libro mio per 20 poterlo rivedere ed incontrarlo col suo ; il quale eli volontà de gl’ Illu¬ strissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori li fu da me conceduto. Partito il Capra, mi accostai all’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Molino, il quale, impedito alquanto dalla podagra, giaceva in letto; e li dissi, che dovendosi far questo congresso in casa di Sua Eccellenza, quando fusse stato con buona grazia di quella, io averei avuto per sommo favore di potervi convocare tre 0 quattro gentil uomini di Venezia, intendenti della professione, acciò lusserò presenti a quanto era per seguire; e questo, non perchè le loro Signoine Illustris¬ sime ed Eccellentissime avessero a prendere da i detti gentil uomini 30 informazione alcuna sopra le risposte e portamenti del Capra, sapendo io come per loro medesime erano intelligentissime, ma solamente a ciò die per detti gentil uomini potesse fuora esser dato conto della suffi¬ cienza di colui che aveva osato di publicar me per usurpatore e se per vero inventore di quell’ opera. Di questo fui graziato da Sua Eccel¬ lenza e dall’altro Riformatore ivi ancora presente, che era l’Illustris¬ simo Sig. Girolamo Cappello, il quale mi soggiunse che saria stato bene DI HALDKSBAH CAPRA. 549 averne ancora l’assenso dall’Illustrissimo Sig. Quirini, il quale, par¬ tendomi io subito, averei ancora potuto trovare nella Camera de gli Scarlatti, avanti che fusse entrato in Consiglio de i X : onde io partii subito; trovai l’Illustrissimo Sig. Quirini, ne ebbi l’assenso, e tornai con la risposta a gli altri due Signori Riformatori: li quali, mentre ero stato fuori, avevano con somma prudenza tra loro considerato che, volendo io chiamare alcuni gentil uomini miei confidenti, saria stato bene farlo sapere alla parte, acciò che, se così li fusse piaciuto, potesse esso ancora convocare suoi amici; il che a me non solamente io fu grato, ma risposi che quante più persone vi fossero state presenti, tanto più ne averia sentito contento; ed una e due volte supplicai loro Signorie a dover dare ogni maggior nati stazio ne al Capra, acciò, in ogni caso di sentenzia non conforme al suo gusto, uon avesse ap¬ picco di poter lamentarsi di altri che di sè medesimo. Posta questa determinazione, ed essendo già, come ho detto, partito il Capra, nè si potendo tino alla mattina seguente rivedere per fargli intendere questo particolare, di potere egli convocare alcuno suo confidente, giu- dicorno i Signori Riformatori esser 1 necessario differire il congresso a qualche altro giorno: il che laudando io, anzi facendone instanza, per «poter dare al Capra maggior intervallo di tempo da potersi preparare, acciò non gli restasse attacco alcuno di potersi dolere di esser colto troppo improvisamente, quello che doveva seguire il seguente giorno, fu rimesso cinque giorni dopo, ciò è alla vigilia di S. Marco, nel qual giorno, dovendosi tutta la Signoria ritrovarsi al vespro in S. Marco, potevano commodamente li Signori Riformatori, finito il divino uffizio, ridursi insieme in qualche stanza del Palazzo, e quivi di nuovo ascoltarci. Venne finalmente il giorno stabilito, e dopo il vespro, avanzando ancora circa due ore a notte, si ridussono gl’Illustrissimi ed Eccel¬ lentissimi Signori Riformatori in palazzo di S. Marco, nella sala del- Eccellentissimo Consiglio de i XL Criminali, dove ancora si con- gregorno molti nobili Veneziani ed altri (tenti! uomini: tra i cquali intendentissimi delle scienze matematiche vi erano il M. Reverendo Padre Maestro Paolo de i Servi, Teologo della Serenissima Signoria, del quale posso senza iperbole alcuna affermare che ninno l’avanza in Europa di cognizione di queste scienze; vi erano gl’Illustrissimi Si¬ gnori Agostino da Mula e Sebastiano Vernerò, e l'Illustrissimo Sig. An¬ tonio Santini, gentil uomo Lucchese: a i quali, ed a gli altri Signori 550 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE circostanti insieme, con brevissime parole (essendosi già gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori posti a sedere) esposi la causa di quel congresso; dipoi alli detti Signori Riformatori dissi, che saria stato necessario che gli fosse condotto avanti un tavolino da potervi posar sopra un libro, un compasso, un poco di carta, con penna ed in¬ chiostro; il quale fu immediate portato. E mentre alcuni ministri an- dorno a pigliarlo, il Capra, fattosi avanti, cominciò a dire che non era bene stare a tediare gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Ri¬ formatori e quelli altri Signori con altre interrogazioni; e che, con¬ ceduto che nel suo libro niente vi fusse che stesse bene, e che esso io a cosa alcuna non sapesse rispondere, ciò non risultava in alcuna mia utilità; e che egli quivi si era condotto per darmi ogni satisfazione, e che non intendendo di volere in conto alcuno pregiudicare aU’onor mio, era pronto, quando io mi sentissi aggravato, di formare una scrit¬ tura a mia satisfazione, e quella stampare e publicare, ed in somma non lasciare indietro cosa alcuna la quale potesse bastare al resar- cimento della fama e della riputazion mia. lo brevemente li risposi che la redintegrazione dell’onor mio era in buone mani, appoggiandosi sopra la prudenza di quelli Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori, di dove io non intendevo rimuoverla ; e che non mi faceva bisogno ri- 20 cever da sue scritture satisfazione, la quale bene spesso non si nega anco a quelli che meritamente e con verità si sono offesi; e che in conto alcuno non desideravo che egli si riinovesse dal suo proposito, giudicando io che il medicamento di una scrittura si deva alle gra¬ vissime offese applicare solamente (piando tutte le altre giustificazioni sono scarse nè si può, senza qualche ritirata dell’avversario, restau¬ rare, sollevare o puntellare la reputazion dell’offeso; i quali panni¬ celli caldi, per la Dio grazia, non bisognavano al mio stomaco, assai gagliardo per digerire ed espurgare i tristi umori che raggravavano: in oltre li dissi, che la mia querela era con due, ciò è con lui e col so suo libro, e ciie quando bene egli, col ritirarsi e disdirsi, avesse po¬ tuto ottener da me perdono, dovevo però procurare il meritato ca¬ stigo al suo libro, il quale quantunque volte io pur tornavo a ri¬ leggere, sempre lo ritrovavo contumace ed ostinatissimo nel lacerare e contaminar l’onor mio: e finalmente li conclusi, che noi non eramo convenuti là per questo, e che però attendesse all’ appuntamento sta¬ bilito e procurasse pur di render buon conto de i suoi studii e del suo DI BALDESSAR CAPRA. 551 libro. Voleva pur il Capra replicare altre cose e procurar di consu¬ mare in ciance quel breve tempo die sino alla notte ci avanzava; ma finalmente, instandolo io e sfuggendo ogn’altro diverticolo, al pre¬ parato tavolino lo condussi. Ed aperto il suo libro, mi venne per le mani la seguente figura, che egli pone a car. 14 (1) , per cavar da essa i lati de i corpi regolari e segnarli sopra lo Strumento, la qual divisione è di quelle che non sono poste da me nel mio Strumento : ed io interrogatolo quello che intendeva di fare con quella figura, niente ebbi per risposta; e pur tornando ad interrogarlo di nuovo, mi disse che io leggessi il libro, e l’averei veduto ; pur finalmente, dopo altre interrogazioni, disse che quella era una figura di Euclide, per trovare i corpi regolari. Allora io primieramente feci avvertiti i circonstanti come, avendo il Padre Clavio alterata un poco la figura posta da Euclide; sì che, per ti'o- vare quello che Euclide ed il Comandino e gli altri espositori tro¬ vano col descrivere il triangolo AOC, il Padre Clavio, lasciando il 20 detto triangolo, trova l’istesso col tagliare la linea AH nel punto I, gì che la parte III sia lato del decagono descritto nel cerchio, il cui semidiametro sia la linea BH, tirando poi dal punto B la li¬ nea BI; il Capra, non intendendo nè l’uno nè l’altro, e forse dubi¬ tando che alcuno di loro avesse lasciato indietro qualcosa, mette l’una e l’altra descrizione superfluamente. Ma questo errore e reso leggerissimo da gli altri più gravi che vi sono. Domandai dipoi il Capra, quanti fossero i corpi regolari ; il quale, dopo un lungo pen¬ sare, disse die non lo sapeva, e che non era venuto quivi per dot¬ torarsi in matematica, e che questa non era la sua professione, ma 30 che, piacendo a Dio, voleva dottorarsi in medicina (e già si era scor¬ dato come nella dedicatoria della sua Considerazione Astronomica non solo matematico, ma protettor delle matematiche si era nominato ; e come nella dedicatoria di questo medesimo libro, dopo avere essai- tato il metodo del suo maestro nell’insegnarli, aveva scritte queste parole : Ut si veruni (licere fas est, inihi potius mirandwn sit pi opter ho- minis industriavi, quarti laetandum propter iam adeptam sdentiam). Alloia, (l> Cfr. pag. -147. U. 6S 552 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE replicandogli io come nel titolo di questo cap. 8 aveva posto il nu¬ mero di questi corpi solidi, e che però doveva pur saperlo, rispose che se l'era scordato, e che, essendo colto così improvviso, non era meraviglia se non sapeva rispondere ad ogni interrogazione (si era già scordato quello che aveva stampato un mese avanti, ed era colto improvviso in quello sopra che aveva avuto cinque giorni e cinque notti di tempo da pensarvi). Udendo io questo, gli lessi il detto titolo le cui parole sono queste: Postremam et ultimavi lineami quinque soli- dorum didam describere, mostrandogli come aveva detto che i coipi regolari erano cinque ; e poi l’interrogai se tali corpi erano talmente io cinque che non potessero esser nè più nè meno di tanti, o pur se, ad arbitrio degli uomini, se ne potevano altri figurare. A questo, dopo un lungo pensare, rispose, indovinandola per ventura, che non pote¬ vano esser più di cinque: il che avendogli io fatto replicare due o tre volte, gli domandai in qual maniera, nel fine del medesimo capitolo, li connumerava sei. Or qui non si potendo egli, per quanto io credo, immaginare che quello, da chi il presente capitolo, senza molto con¬ siderarlo, aveva copiato, potesse avere ammesso un errore così grosso, fattosi alquanto più ardito, quasi negò che ciò potesse essere; onde mi bisognò leggergli il suo testo, lo cui parole son queste: Cimno 20 itaque aliquo accipias quantitatem lineae BK, qnae nobis significai latus dodecaedri, firmato uno pedo circini in centro instrumenti alio secabis titani lineam, ubi facta nota Ulani signabis per 12 deinde accipies quan¬ titatem lineae BT, quac ostendit latus icosaedri ; firmato uno circini pede in centro instrumenti ubi alias ceciderit, ibi facto puncto inscribes 5 teilio accipies quantitatem lineae AB quae ostendit latus hexaedri, hunc transfe- res in titani lineam, et illuni signabis per 20 quarto accipies quantita¬ tem B G quae latus cubi praebet, et per hunc secabis lineam instrumenti, et ubi nota erit signabis 2 quinto accipies quantitatem lineae FA prò latore octoedri , ubi ceciderit alter pes circini ibi inscribes 8 sexto, et ultimo ac- sii cipies quantitatem GA quae tetraedri, seu piramidis latus exhibet, semiti- dum guani a centro instrumenti secabis lineam quivque solidorwn, et in intersectione inscribes 4 (io lascio qui considerare a voi, discreti lettori, se costui sa nè anco che cosa siano i corpi regolari: poi che, nel segnarli co i loro numeri, nota il dodecaedro per 12, e questo bene; ma l’icosaedro, che ha 20 base, lo nota per 5; l’exaedro, che ne ha 6, lo nota per 20 ; ed il cubo per 2). Sendo il Capra restato molto DI BALDESSAR CAPRA. 553 attonito per questo incontro, fu da me domandato dove egli credeva di avere errato, o nel titolo dove gli mette 5, o nel fine del capitolo dove gli numera e nomina 6. Qui crebbe la sua confusione, nè poteva egli distrigarsi, se io, dopo l’averlo lasciato pensare alquanto, non gli domandavo qual differenza ei poneva tra l’esaedro ed il cubo; dalla qual maniera di domandare risvegliato un poco, e fatto animo, disse che de i corpi da lui nominati uno vi era posto due volte sotto diversi nomi, e che questo non era error tale che se n’avesse a far tanta stima. Di nuovo, domandandolo io, quali de i detti corpi nominati erano iol’istesso, mi rispose: Questi (toccando col dito sopra’1 libro l’exaedro ed il cubo, tra i quali gli avevo domandato qual differenza ei ponesse). Finalmente, gli domandai se sapeva ancora per avanti che questi corpi risserò l’istesso, ed ei rispose di sì; ma non senza apertissima falsità, poi die nella sua scrittura nomina la linea AP per lato dell’exaedro, e la BG per lato del cubo, le quali linee sono molto diseguali. Tornando poi una carta indietro, al cap. 7, il cui titolo è : Lineavi quadrativam construere , lo domandai per qual cagione, nel determinare in quel luogo le grandezze delle linee rette le quali lusserò diametro del cerchio e lati del quadrato, pentagono, esagono, eptagono, etc., quando 20 tali figure sono eguali, si era scordato del triangolo equilatero, che pur doveva essere il primo: il qual errore veniva poi mirabilmente aggravato da quello che egli scrive a car. 38 (,) , al cap. 38, dove, e nel titolo e nella figura e nel fine dell’operazione, pi’opone alla bella prima di fare il triangolo eguale al dato cerchio (le parole del titolo sono queste: Dato circulo aequalem triangulum quadratum pentagonum, etc., construere: la figura è un cerchio, con un triangolo a quello eguale: le parole nella operazione sono: vel inter putida triangoli prò trian- gulo AEF). Qui volse leggere il detto cap. 7, per vedere se era vero quanto io gli opponevo; e trovatolo vero, non ci fu altro che repli¬ co care. Allora, rivolto a quei Signori, gli dissi : Ora vegghino le SS. W. Illustrissime ed Eccellentissime, se costui è inventor di quest opera, o pure se non l’ha nè anco mai considerata nè letta, se non quanto 1 ha ricopiata da altri, poi che propone nell’essempio di voler fabneare il triangolo eguale al dato cerchio, e non si accorge che nello Strumento non vi ha posto il modo di poterlo fare: e questo e quello aver gian tempo voltata e rivoltata la fabrica e l’uso di questo Strumento, di Cfr. pag. 486-487. 554 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE che egli si vanta nella lettera dedicatoria, a car. 2 h {i \ con quelle pa¬ role : Quare his relictis ad propositum menni magi» accedens, cutn satis din fabricam, et usimi huius Ciréini proportionis, quem non immerito totius Geo- metriae compendi-uni nominavi, volutassem, tandem etc. Tornando poi al Capra, lo pregai che, già che egli aveva nel detto capitolo poste le grandezze in numeri de i lati de gli altri poligoni tra loro eguali, e tralasciato il lato del triangolo, fosse in cortesia contento di ritrovarlo quivi alla presenza di quei Signori, essendo la sua invenzione facilis¬ sima e brevissima. Adora cominciò a dire, che quella fabrica, che lui poneva, non era altrimenti sua invenzione, ma l’aveva avuta dal suo io maestro; e replicò che ei non era lì per dottorarsi in matematica, ma che la sua professione era di medicina. Ero io più che certo che non Insognava aspettar tanto da lui, ben che il trovar la quantità del lato del triangolo sia facilissimo, non vi bisognando altro che crescere in potenza sei volte il lato dell’exagono, già posto da lui, nel detto ca¬ pitolo, essere 54 e nove decimi. Perchè poi fusse da lui tralasciato questo lato del triangolo, s’intenderà più a basso. Passai di poi (restando pur ancora nella fabrica che lui prepone) alla divisione del quadrante in 200 parti, posta a car. 14 b (S) , dove pone la seguente figura così a capello disegnata, ponendo un rombo in 20 cambio di un quadrato, e, per consequenza, in luogo di ima quarta di cerchio, una porzione assai più piccola; e sopra a que¬ sta figura, l’interrogai quello che volesse far di lei. Rispose che voleva mostrare il modo del dividere il quadrante in 200 parti, trasportando in esso, col mezo di una riga fissa nell’angolo K ed applicata di punto in punto alle divisioni de i due lati VX, YX, prima divisi ciascheduno in so 100 parti eguali, le divisioni desiderate. Allora io li domandai, a che proposito ei venisse a collocare il quadrante nel quadrato, dividendo i lati di esso quadrato in 200 parti eguali, e queste poi con tanta manifattura tra¬ sportando nel quadrante, e non più presto divideva immediatamente esso quadrante in 200 parti, già che anco queste dovevano esser parti U) Ct'r. pag. 429-430. (*) Gir. pag. 449. DI HALDESSAR CAPRA. 555 eguali. Rispose, che faceva così per manco fatica: e replicandogli io che all’incontro così veniva a raddoppiare e non diminuir la fatica, essendo egualmente difficile e tedioso il dividere li due lati del quadrato, che la circonferenza del quadrante, in ‘200 parti eguali; e pur interro- oundolo ancora, se la detta circonferenza doveva esser divisa in parti eguali, e rispondendo egli eli sì ; prima gli dissi, quanto da questo aper¬ tamente si comprendeva come egli mai non aveva considerato, non che pratticato, questo Strumento, del quale si faceva inventore, già che non si era ancora accorto come le predette divisioni sopra il quadrante io erano ineguali, venendosi sempre verso il mezo restringendo; e più gli domandai come potessi essere, che ei non intendesse essere impossibil cosa che le dette divisioni, cavate, nel modo che egli scrive, dal quadrato, venisse]' sopra il quadrante eguali, non essendo, nè potendo essere, la circonferenza del detto quadrante parallela affi due lati del qua¬ drato YX, XY. Qui, fattosi egli forte, e dicendo che sapeva benissimo che le parti su ’l quadrante erano diseguali, e che non intendeva se non del quadrato, quando si era trattato di parti eguali, in luogo di ringra¬ ziarmi dell’ avvertimento datogli, voleva dimostrarsene conoscitore per avanti : onde, vedendo io questa ingratitudine, fui necessitato a mostrar 20 che quanto diceva ora falso, producendo le sue proprie parole, le quali nel medesimo luogo poco più a basso scrive, e sono queste: Sicque fìr- rnatis omnibus ; applicataque regnici centro K, et singulis quadratus divisionibus (bella grammatica, credendo che quadratimi si declini quadratus quadratus guadratui ; il che si vede anco a car. 40 a (,) , in quel titolo: Lsus qua¬ dratus , volendo dire L’uso del quadrato) extenorem periferìam arem 1 dili¬ gentissime dividevi u$, prout unico exemplo demonstrare possumus, applicata namque regnici ad punctutn K et ad primam divisionem lateris VX seca- birnus exteriorem periferìam arcus T in puncto Z sicque successive donec in 200 partes aequas ilici fuerit divisa. Il che inteso, uno de i Signori Ri- 30 formatori disse : Partes aequas vuol dire parti eguali. E fe cadere a quel furor la vela. Spedita questa parte, egli stesso, non so con qual proposito, tia- passò a voler mostrare come, contro a quello che io avevo altra volta detto a gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori, nel suo libro erano moltissime operazioni le quali nell’opera mia non si ntro vavanò; e presentando ima nota dove ne erano registrate molte per (i) Gli*. pag. 490. 5 5 fi DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE sue proprie (le quali però poco eli sotto si risolveranno in niente), pro¬ dusse per la prima quella che egli pone nel suo primo capitolo de gli usi dello Strumento, dicendo quella non essere altramente tolta dal mio libro, nè in quello ritrovarsi (è vero che non era scopertamente tratta dal mio libro, ma era bene la mia seconda operazione masche¬ rata; e la maschera non gli era. stata messa dal Capra, ma dal Fiam¬ mingo sopranominato, il quale, così palliata, l'aveva lasciata tra certe sue poche scritture che in Padova restorno del suo, dalle quali il Capra ha tolta la fabrica dello Strumento e parte di quelle altre operazioni che non sono, o non paiono, tolte dal mio libro; sì come più a basso io manifestamente si conoscerà). Avendo dunque il Capra prodotta in campo, per cosa non cavata dal mio libro, l’operazione contenuta nel suo primo capitolo, la quale è di comporre, con l’aiuto delle Linee Arit¬ metiche, così da me nominate, ma da lui Linee delle Linee, di compor, dico, una linea, la quale contenga un’altra alcune volte ed alcune sue frazioni; io primieramente mostrai, come questa sua prima operazione era in sustanza l’istessa che la sua seconda, la qual sua seconda è copiata ad verbum da la seconda mia, onde, in consequenza, segue che ancora la sua prima sia tolta da me; il che più di sotto apertamente con¬ sterà. Soggiunsi poi, che già che lui aveva detto, questa prima ope- 20 razione esser sua, e non tolta da me, mi aveva posto in libertà di poterli far sopra qualche interrogazione senza rompere il mio obligo, che era stato di non lo interrogare se non sopra le cose che egli non aveva cavate dal mio libro, ma postevi come sue; e però che mi ri¬ spondesse in che modo ei voleva multiplicare 55 1 U in sè stesso, sì che il prodotto fusse 45, sì come egli scriveva in questa detta sua prima operazione, a car. 16 (,) , in quelle parole: relieto immoto instrumento moltiplicetur fractio 55 i j 4 in se, productum erit 45. A questo interroga¬ torio restando alquanto stordito, e dubitando che forse io non avessi diligenza a leggere il detto luogo; al quale atto io non mi potetti contener di dirgli, che non si mettesse in sospetto che io avessi alterata la sua scrittura: lesse e rilesse molte volte il detto luogo, e sopra e sotto, senza mai risponder niente; finalmente, per aiutarlo, io gli dissi che ei poteva benissimo scusarsi con dire che quello era error di stampa, <*) Cf‘r. pag. 451. 1)1 BALPKSSAR CAPRA. 557 come veramente poteva essere, e che doveva dire 11 1 / 4 , e non 55 Vi; di che dissi meravigliarmi molto che ei non si fusse accorto, essendo che, poco sopra e poco sotto al detto luogo, dovendo nominare il medesimo numero, scrive 11 Ve Ma io veramente credo, che avendo copiato il Capra questa operazione dal manoscritto, li due 1,1 fussero segnati un poco storti, e che però fussero creduti e presi per due 5, 5 ; e tanto più mi confermo in questa credenza, quanto io veggo il Capra, a car. 23 b (1) , verso il line del cap. 7, incorrere in questo medesimo errore a capello, scrivendo così: Time vìdeatur quo incidat quantitas lineae B, id ine in 71.71. io Aperias itaque instrumentum donec quantitas lineae B accommodari possit punctis60.60 et ini moto instru m en to accipias distanti am interp uncta75.75, etc., dove li due 5 devono esser, come di sopra, due 1. Ma tornando al pro¬ posito, messa da me la scusa in bocca al Capra, egli, secondo la sua natura, in luogo d’avermi grado dell’avvertimento, cominciò ad escla¬ mare: Ecco i grandi errori che mi vuole imputare il matematico, er¬ rori frivolissimi di stampa. Onde io, che a maggiori angustie lo con¬ ducevo, gli domandai, se quando il 55 Vi si fusse emendato in 11 Vi, il suo errore saria levato via: e rispondendomi egli animosamente di sì, Adunque, gli risposi io, multiplicate 11 l U in se stesso, e mostratemi 20 come il prodotto sia 45; pei’chè io trovo che 11 solo, multiplicato in sè stesso, fa 121, e poi vi si deve aggiungere il quarto di 11 due volte, e di più il quarto di un quarto, tal che questo prodotto senz’ altro sarà più di 126, e non, come voi dite, 45. A questo si trovò egli più che inai inviluppato: e finalmente, per distrigarlo di là ond’ei mai non si averebbe sviluppato, bisognò che io gli dicessi come l’error suo era in quelle parole: multi pii cetur fradio 11 1 j 4 in se, le quali dovevano dire: molvatur numerus 11 , l 4 in suoni fractionem, nempe in quartas, prove- nient 46 l 4ì e così stava bene, e serviva al proposito della operazione; e che però tenesse a memoria questo che li avevo insegnato, ciò e che ® molto differenti cose sono il multiplicare un numero in sè stesso e il risolvere un numero intero in qualche frazione. Volgendo poi alquante carte del suo libro, nelle quali sono cose solamente copiate dal mio, con l’aggiunta però di alcuni erroretti comportabili, li quali più da basso saranno posti in catalogo, mi fer¬ mai a car. 21 a (li) , dove, avendo finita di copiare la mia settima Ope¬ razione, si ha voluto arrisicare a lasciarsi dalla banca, ed eccolo con Cfr. pag. 403. (*) Cfr. pag. 460. 558 DIPESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE la bocca, in terra. Avendo finita di trasportar la regola de gl’interessi a capo d’anno, che io pongo nel luogo detto, ed avendola esempli¬ ficata con un essempio di guadagno a ragion di 6 per 100 in 4 anni, vuol metter di suo un essempio di quanto perdonano scudi 240 a ragion di 10 per 100 in 3 anni, e dice: Uaec est conversa operatioprioria, ideo sic statucs numeros: 110 remanent 100, quot remanebunt 240? Io gli domandai se questo suo era buon modo di operare; ma, essendo egli stato ormai tante volte scovato, non si assicurava più a rispondere nè sì, nè no: onde mi bisognò mostrargli, come, se nel guadagno si dice: Se 100 doventa 110, nella perdita si ha da dire: Se 100 resta 90, io e non Se 110 resta 100, perchè così saria un perdere a ragion di 10 per 110, e non di 10 per 100. Lo domandai appresso, per qual ra¬ gione chiamava questa operazione conversa della passata, e di più qual proposizione s’intenda essere il converso di un’ altra ; qui bisognò rispondere di non lo sapere (e pure gli scritti di logica, che ha stam¬ pati per suoi, sono dottissimi): ed io, per non mancare al mio debito, gli dissi, che una proposizione era il converso di un’altra, quando quello che era quesito nell’una, si poneva per dato nell’altra; e che qui, trattandosi o di guadagno o di perdita, tanto nell’ima quanto nell’ altra questione, il quesito era il medesimo, ciò è il primo capi- 20 tale affetto dall’interesse e dalla moltitudine de gli anni, e che però le due domande erano del medesimo genere, e non una la conversa dell’ altra. Finalmente quelli Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori, chiarissimi ormai della verità del fatto, e forse compassionando al tor¬ mento nel quale io ritenevo il malarrivato Capra, fecero cenno che tanto bastava; e fu non piccola ventura del Capra, la, «piale da molto maggiori laberinti lo liberò. Pur tuttavia, trovandomi il libro ancora dinanzi aperto a caso a car. 36 b (t) , dove si vede la seguente figura posta in fine del cap. 32, nel quale insegna a trovar le so proporzioni tra gli angoli d’un triangolo, domandai ancora al Capra, chiesta buona licenza a quei Si¬ gnori, quanto fusser grandi gli angoli di un trian¬ golo. Egli, che nello studio de i cinque precedenti giorni aveva ciò imparato (perchè, che egli avanti ciò non sapesse, da questa sua figura è manifesto), rispose animosamente che erano ^ Gir. pag. 184. 1)1 BALDESSAH CAPRA. 559 gi-andi ISO gradi, e die io non guardassi a quella figura nella quale, per error di stampa, erano segnati gradi 183. Al che io replicai, che essendo in tutti tre gli angoli segnato tre volte 61, era gran cosa avere in tutti tre i luoghi errato, e massime cambiando un 0 con un 1, caratteri differentissimi ; ma lasciati questi in verisimili, gli domandai qual colpa poteva avere lo stampatore o compositore in una figura intagliata in legno, e prima sopra il medesimo legno dalla sua pro¬ pria mano, e non da altri, disegnata, con li tre 61, 61, 61 ne gli an¬ goli. Da questa troppo evidente e manifesta colpa non l’averia potuto io scusar Demostene; e però la scorrezzione restava della mano e della scienza del Capra, e non di altri. E questi, prudente lettore, son quelli li quali, non avendo prima che ieri l’altro imparato quanti gradi sottendono a gli angoli d’un triangolo, hanno più di un anno avanti stampato metodi di risolver triangoli sferici, calcoli di luoghi di stelle per via di triangoli, computi di ecclissi solari, e sono di sì alto ingegno, che queste contemplazioni e laboriosi computi, li quali nelle scuole de gli altri astronomi sono stimati per le ultime e più difficili fatture, nulladimeno appresso di loro sono scherzi, primizie e tirocinii ; e quel che è peggio, ci tengono 20 per tanto stupidi ed insensati, che credono che noi siamo per crederle, e per non vedere ond’ elle sono cavate. Ma perche io non intendo di trattare in questo luogo, se non di quelle cose che appartengono al mio libro, ed oltre a ciò non sono molto esercitato nell’ indivinare i sensi di figure non geometriche, ma peggio che ieroglifiche, poste senza costruzione, senza demostrazione, e forse senza proposizione e senza proposito, e poste più, per mio avviso, per spaventare le menti de i semplici (o forse perchè questi che le pongono veramente credino che Tolomeo, Archimede, Apollonio e gli altri matematici le mettino ne i lor libri per ornamento, e che quelle tanto meglio comparischino, quanti ^ più cerchi, archi e linee dritte e torte contengono), lascerò questa fatica a Giusto Birgio o a Niccolò Raimaro Urso Dithmarso, di farsi render conto dal Capra sopra i Tirocinii Astronomici. Finito il congresso, e fattoci intendere dal Sig. Paolo Giera, Se¬ gretario de gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Riformatori, che noi uscissimo fuori, dopo una breve consulta ci feciono dire dal so¬ pranominato signor loro Segretario che per quella sera eramo licen¬ ziati, e che non stessimo ad aspettare altro. Partimmo, ed ultimata¬ li. 69 5 fiO DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE mente non molti giorni dopo tu dalla somma- prudenza e clementissima giustizia di quei sapientissimi Signori prolata la seguente sentenza, e mandata a gl’ Illustrissimi Signori Rettori di Padova, acciò la facessero esequire;* onde immediatamente a suon di trombe fu pnblicata nello Studio di Padova, nell’ora della maggior frequenza de gli scolari. COPIA DELLA SENTENZA. 1607, a’ 4 Maggio. Inteso da gli Eccellentissimi Signori informatori del Studio di Padova infra- scritti Vaggravio di D. Galileo Galilei, Lettor delle Matematiche in est.o Studio, che havendo lui già molti anni publicato et poi dato alla stampa nella Città predetta un io suo libro intitolato: Le Operazioni elei Compasso Geometrico et Militare, questo da lialdassur Capra, Milanese, gli sia stato in gran parte usurpato col mezo cVun altro libro fatto da esso stampar in Padova, sotto il titolo di: Usus et Fabrica Circini cu itisela m eie., trasportandolo dal volgare al Latino; ed intese ancora da loro Signorie Eccellentissime diverse corniti evalioni et interrogaiioni e risposte passate sopra l’uno e l’altro di essi libri tra li predetti Galileo e Capra, con la presenza di persone inatto intei li godi di tal professione ; non havendo il Capra sa¬ puto rispondere, nè render buon conto sopra le cose per lui aggiunte nel predetto libro, restorno detti Eccellentissimi Signori motto ben certi, che in effetto il pre¬ detto Capra havesse in gran parte trasportato -il libro del predetto Galileo nel suo, *jo per l'incontro ancora che ne è stalo fatto: onde con tal operadone si causeria non picciolo scandalo, et intacco alla riputntione del medesimo Galilei, Lettor in tal professione, et alto Studio ancora. Perciò hanno tutti li antedetti Eccellentissimi Signori concordemente terminalo, che tutti fi volumi del predetto libro stampalo, che si trovano tanto presso al sndetto Capra quanto presso al Tozzi libravo, in tutto al numero di 183, non possili o esser venduti nè pubi irati in questa Città, ma debbino esse-}' presentali innanzi le lor Signorie Eccellentissime, pei* dover esser sop¬ pressi di quel modo che loro parerà ; riservandosi diprocedere contro il stampatore et libravo per le trasgressioni che possono esser state commesse da loro contro la forma dette leggi in materia di stampe; ordinando così dover essere notato. HO 1). Francesco Molin Cav . e Proc. ^ 1). Hieronimo Cappello l). Antonio Quivi ni Riformatóri Uel Studio di Padova. Paolo Ci era Secret. DI BADDESSAH ('APRA. 561 Furono anco il giorno stesso tutte le copie del libro del Capra inviate a Venezia a gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Rifor¬ matovi: delle quali ne fnron trovate 440 appresso il libraio, e 13 in casa dell’autore, avendone esso per diverse parti di Europa distribuite capitolo mette la division della Linea del Quadrante, ma fatta solamente mecanicamente, sondo per avventura riuscita troppo difficile da intendersi una tavola la quale, per il medesimo uffizio, è posta negli scritti del Fiammingo. Ma io, come quello che non ho 20 voluto trattar nel mio Strumento operazione alcuna che si indirizzi a cose astronomici io, non ho cercate simili descrizioni, sì come anco lasciai da parte gli usi del Quadrante astronomico, ben che da me di¬ segnato sopra ’l mio Strumento. Qui chi volesse sottilmente esaminare ogni cosa, potria domandare al Capra a che proposito, nel trovar queste divisioni, descrive nella figura il mezo cerchio BCD, il quale non vi serve a niente. Nel cap. 6 inscrive nello Strumento la Linea de i Cerchi, detta da me Poligrafica. Le divisioni di questa linea sono parimente trovate dal Capra mecanicamente, le quali il Fiammingo pone ti’a i suoi 30 scritti in una tavola cavata dalle tavole de i sini, o de gli archi e corde. In questo capitolo vuole il Capra, che la suttelidente alla terza parte della circonferenza, ciò è il lato del triangolo, sia notato con due caratteri, ciò è per B e per 7, scrivendo così: tertianique Zinne partali notabis in instrumenlo non solutii per 3, sed etiam per / nani non signi- ficat solimi tertiam circuii parte-m, sed etiam tatus hexaedri. Dove io noto primieramente, che di questo punto segnato per 7, venendo a gli usi dello Strumento, non se ne fa mai più menzione nel suo libi'o ; in oltre 564 DIFESA CONTRO ALT,E CALUNNIE ED IMPOSTURE credo che ogni Matematico dubiterà quello che abbia che far questa li¬ nea suttendente alla terza parte della circonferenza col lato dell’esaedro, che è minore assaissimo di questa linea, si come il medesimo Capra, in contradizion di questo luogo, dice nel seguente cap. 8, a cart. 14a (M . Nel cap. 7 mette la costruzione della Linea Quadrati va. chiamata da me Tetragonica; ed il modo del segnarla posto dal Capra è preso ad unguem da una tavoletta de i lati de i poligoni regolari eguali, posta tra, gli scritti del Fiammingo, il quale però non lascia indie¬ tro il lato del triangolo, come fa il Capra, si come di sopra ho altra volta detto. Di che essendomi io meravigliato, venendomi finalmente io questi scritti in. mano, mi hanno fatta cessar la meraviglia, col ma¬ nifestarmi la causa per la quale il Capra ha lasciato indietro il detto lato del triangolo; che è perchè nella detta tavoletta il Fiammingo scrivendo, in luogo di latus triangoli aequilateri, inopi curi latus, ha forse, con la novità di questa parola strana, spaventato il Capra, il quale si ha per miglior consiglio eletto più presto di lasciare star questa figura che mettersi a rischio di scriver qualche cosa spaventevole. La divi¬ sione di questa linea si stende appresso ’1 Capra sino al lato dell’ot¬ tangolo, che più non ne ha trovati sci-itti dal Fiammingo; ma però ne’ miei Strumenti contiene sino alla figura di 18 lati. Passa poi nel cap. 8 alla descrizion della Linea per i Corpi Rego¬ lari, cavata da Euclide alla 18 del 13, ma con l’aggiunta de gli er- l'ori sopra, considerati. Questa linea è totalmente superflua in questo .Strumento, perchè, già che non serve per altro che per trovare i lati de i corpi regolari inscrittibili nella data sfera, questi si potranno tro¬ vare facilissimamente col mezo delle altre linee dello Strumento: perchè essendo il diametro della sfera in potenza sesquialtero al lato della, piramide, doppio al lato dell’ottaedro, triplo al lato del cubo; in oltre, essendo la porzion maggiore del lato del cubo, segato extrcma et media rottone, lato del dodecaedro, e comprendendo il medesimo so cei’chio il pentagono del dodecaedro ed il triangolo dell’icosaedro; col mezo delle Linee Geometriche e delle Poligrafiche solamente si tro¬ verà il tutto : perchè le Geometriche ci daranno i lati della piramide, dell’ottaedro e del cubo; e con le Poligrafiche divideremo il lato del cubo, secondo l’estrema e meza proporzione, per il lato del dodecaedro, Cfr. pag. 447. DI BALDJBSSAit CAPII A. 565 il qual lato ritrovato ci darà, in virtù delle medesime linee, il lato dell’icosaedro ; sì come a diversi miei scolari particolarmente ho inse¬ gnato. Passa poi nel medesimo capitolo alla division del Quadrante: sopra il quale costituisce tre divisioni, una per la Squadra da bombar¬ dieri, l’altra pei' il Quadrante Astronomico, e queste, dovendo essere in parti eguali, non hanno artifizio alcuno nelle loro divisioni; la. terza, che è per le divisioni del Quadrato Geometrico, ben che egli abbia cento volte veduto il modo del dividerla in casa dell’artefice che mi lavora, che è il modo descritto da lui, con tutto ciò quanto io bene egli l’abbia avvertito, da quanto si è detto di sopra è mani- lesto. Tralascia poi la division che è sopra il quadrante del mio Stru¬ mento, per misurar le pendenze, per essere un poco più astrusa e per non aver egli avuto onde cavarla. Questo è quanto alla lubrica di questo strumento, secondo che il Fiammingo, da chi il Capra ha copiato, si è immaginato che vadano ritrovate le divisioni ili quelle linee che sono prese dal mio Stru¬ mento: delle quali regole io non reprobo per falsa se non quella de i Metalli ; ma dico bene che dovevano esser poste con le loro dimo¬ strazioni, e di più dico che i modi che ho tenuti io per conseguir ■20 queste e le altre divisioni che metto nel mio Strumento, sono pei' vie più spedite e più esatte, come al suo tempo farò toccai- con mano. Fatte queste considerazioni intorno alla lubrica, comincio a consi¬ derar la prima operazione posta nel primo capitolo, nella quale vuole il Capra insegnare a comporre una linea che contenga alcune parti e frazioni di parti : la quale operazione è la medesima che la seguente, posta da lui nel secondo capitolo, solamente immascherata. Vero è che nel mettergli la maschera lece gli errori de i quali sopra si è par¬ lato; ma che ella sia la medesima della seguente, facilmente potrà ogn’uno comprendere. Imperò che (stando nel suo essempio) il trasferir 30la intera linea AB 4 o 5 volte nella CD, non è niente; ed il pren¬ der poi 7 piedi e 6 / 7 , de i quali piedi tutta la AB ne contenga 1 -, non è altro che pigliare delle 84 parti di tutta la AB le 55: im¬ pelò che, sendo la AB figurata contener 12 piedi, risolvendola in set¬ timi di piede, viene a. contenere di tali particelle 84, e risolvendo li 7 piedi e %, che prender ne doviamo, parimente in settimi di piedi, abbiamo delle medesime particelle 55; tal che il problema tutto, che ri ha da far col mezo dello Strumento, non contiene altro che pii- DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE 5(i(> gliar delle 84 parti della linea AB le 55, essendo il resto dell’ope¬ razione, ciò è il risolvere quei numeri nelle loro frazioni, opera del nostro discorso, e non fatta col mezo dello Strumento. E nel secondo capitolo che altro s’insegna dal Capra, che Alicuius datae linecte omnes ■petitaspartes invanirei Ma il secondo capitolo è copiato ad mguem dalla seconda Operazione del mio libro: adunque in questi due capitoli non resta altro all’in- venzion del Capra, che gli errori. A i quali si deve pure aggiugner quello che ei commette verso il fine di questo secondo, quando dice: Insuper si esset data linea 100 partium, et peterentur H j IOfì 4 vel 5 guae io prope centrimi instruinenti ampi non possunt, illae accipiantur ex altera parte instrumenti, vi delicei prope 100 ascendendo etc.; il che non è ben detto, ma bisognava dire: accipiatur residuavi illarurn partium, riempe 97, vel 96, vel 95, prope 100, e non illae accipiantur : e questa cauzione, eccettuatone però l’errore, è pur essa, ancora presa, da, due luoghi della mia prima Opei’azione. Il terzo capitolo, Lineavi propositam in ali quot petitas partes secare, con¬ tiene quattro parti. Le prime tre, per dividere le linee mediocri, le minime e le massime, sono copiate ad verbum della mia prima Ope¬ razione, eccettuatone l’eiTore che il Capra commette nel voler palliare 20 un poco la terza; dove chi facesse al modo che egli scrive, dicendo: et immoto instrumento accipiatur una septima Mine IK, quae addatur sin- gulis partibus prìns acceptis in linea HK, farebbe grand’errore, ma bi¬ sogna che illa septima addatur primae parli semel, secundae parti bis, tertiae ter, etc. La quarta parte, nella quale egli insegna, date due linee diseguali, dalla maggiore tagliarne mia eguale alla minore, e ci fa prima veder quanti punti contien l’una, e poi quanti ne contien l’altra, e poi cavar il numero minore dal maggiore, e poi tornare a pigliare il residuo dallo Strumento, e poi trasportarlo sopra la maggiore; voglio che ci contentiamo di lasciarla per trovato singolare dell’ingegno del Capra, 30 La quarta operazione, Secundum datarli linearti divisarli secare aliavi, è tolta dal Fiammingo, ma si poteva più speditamente risolvere per la terza mia: anzi, quanto all’operazione, è l’istessa a capello; ma, dove in questa le parti trovate si notano nella medesima, retta, nella mia con le linee trovate si costruisce una figura. Nel quinto capitolo sono diverse operazioni di aritmetica, trasportate tutte dal mio libro. E prima, dal principio del capitolo sino a quelle pa- DI BALDESSA.R CAPRA. 567 i-ole: Non hic iacet huins instrumenti usus , è copiato tutto a capello dalla mia quarta Operazione; dove si noti come, avendo tralasciato il Capra, nel copiare il primo caso di questa Operazione, quello che io scrivo in quel proposito, ciò è che, per risolver le questioni della regola aurea, delli tre numeri proposti si può, ad arbitrio nostro, per aggiustar lo Strumento, pigliare il secondo o vero il terzo, ed applicarlo al primo, non avendo esso fatto menzione di ciò, seguita poi di copiare e scrive: Sed si quaestio csset: 10 exhibent SO, quof dabunt SO ? nec secundus ne,e, tcrtius numerus ex scala immobili acceptus potest primo per transversum 10 accommodari. Ma se di sopra non ha mai fatto menzione di accommo- dare altro che il secondo, perchè dice ora: Ma se nè il secondo, nè il terzo si potrà accommodare ? bastava dire : Quia secundus non potest ac- commodari etc.: copia dunque solamente, ma non intende. L’altra ope¬ razione poi contenuta sino alle parole: Non minori facilitate resolvuntur , non aggiugne niente di nuovo a quanto è insegnato di sopra, perchè non è altro che la medesima regola aurea replicata tre volte: ma per¬ chè nell’aggiustare lo Strumento si adoprano solamente il primo e secondo numero, li quali in tutte e tre le operazioni sono sempre i medesimi, quindi è, che, aggiustato una volta, ci serve poi, senza più M muoverlo, per trovare tutti gli altri numeri rispondenti a quelli che nella regola occupano il terzo luogo. La operazione che segue sino alle parole: Veruni si quis, è la regola inversa copiata ad nerbimi dalla mia Operazione 5. L’altra che seguo, sino alle parole : Non absimili ne- i/ocio, è la trasmutazione delle monete posta da me nella mia sesta. Quello che segue, sino alle parole: Tnsuper si aliquis. è l’operazione per gl’interessi a capo d’anno risoluta in due modi diversi, copiati l’uno e l’altro a parola a parola dalla mia settima. In quel che segue, sino alle parole: Sed ut melius , il Capra si è arrisicato a non voler copiare ad verbum ; e se bene segue la medesima operazione, commette gli errori od notati di sopra nella narrazione delle sue risposte in voce. Quello final¬ mente che resta, sino al fine del capitolo, si lascia intatto all’invenzione del Capra, essendo un affaticarsi per impoverire: poi che introduce, per far le medesime cose già fatte, un’altra scala mobile, potendosi servir della stabile; ha da muover lo Strumento una volta di più, adoperare due compassi, e cercare infine con tedio transversalmente il numero desiderato; le quali manifatture sono tutte non pur disutili, ma dannose. Nel cap. 0 propone: Figuram aliquam superficialem adaugere vel dinri- u. 70 568 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE nuere, e ciò dichiara con due essempi : il primo è in un triangolo solo, il secondo è in un rettilineo di molti lati. E perchè il primo essempio non è copiato dal mio libro, un solennissimo errore non manca: im¬ però che, proponendo egli con queste parole: Sit triangulus ABC se- cundum quem alias triangulus constitui debeat qui sit ter maior, di voler fare un triangolo triplo di un altro, venendo poi all’ operazione, cresce i lati del proposto secondo la proporzion tripla, e crede di aver se¬ condo la medesima proporzione cresciuto il triangolo; nè sa ancora che il triangolo non tre volte, ma nove volte sarà maggiore del pro¬ posto. L’altro essempio poi, che egli diffusamente descrive, è puntai- io mente copiato dalla mia Operazione 5. Propone nel cap. 7 : Datis duabus lineis, tertiam proporti on aleni adiun- gere; e questo non è copiato dal mio libro, ma cavato da gli scritti del Fiammingo. Dove, oltre a quello che ho notato di sopra intorno a questo capitolo, scrivendo le sue risposte in voce, noto adesso il prin¬ cipio, dove scrive così: Sint dune lineae A et B, quibus invenienda sit tertia proportionalis continua , etc. ; dove la parola continua , per esservi su¬ perflua, denota che il Capra non sa che una terza linea proporzionale, aggiunta a due altre date, non può non essere in proporzionalità continua : e pur queste son minime bagattelluzze. Poteva in oltre 20 questa operazione, come dependente da cose poste da me, molto più destramente esser resoluta, e senza avere a muovere lo Strumento più di una sola volta: imperò che, misurata rettamente la linea B, ed applicata poi transversalmentc alla quantità della A, misurata su la medesima scala retta, e preso poi transversalmente il numero della B, si averà la C; ma che bisognava, perder tempo in questa e nelle due seguenti operazioni, se sono la medesima cosa ad ungami che la re¬ gola aurea posta da me e trascritta dal Capra? Per dir quanto mi occorre con maggior brevità e chiarezza in¬ torno al cap. 8 del Capra, è necessario trascriverlo in questo luogo. 30 Dice dunque nel titolo: Datis duabus lineis tertiam, tertiae guarì am, a -. quartae quintam etc. continuas proportionales adinve- «-. nire\ e segue: Ber hanc operationem facillimum erit c --■ resolvere probi. 4, prop. 12, lìh. VI Enel, si namque D, - propositarum linear uni, nota sit propoHio, ut iam supra E -- docuimus cap. 5 inquiratur differentia inter dictas duas iineas, tunc aperto instrumento secmdwn quantitatem maioris lineae excipian- IH IULDE8SA11 CAPRA. 569 tur intervalla differcntiarum, ut e.g., dentar linear A et lì in proportione ut 21 ad 28 operiatur secundum quantitatem linear lì in 21 immotoque instrumento excipiatur distantia inter panda 85. 85 prò linea C inter panda 42.42 prò linea 1) et sic de reliquie. Qui primieramente si nota, come il vo¬ lere che excipiautur ìntervallu differentianm non ha che fare niente in questo luogo, nè all’ operazione, (piando si facesse bene, nè al farla male, come seguita di fare il Capra; e doveva (volendo concordar con quel che segue) dire: exdpiantur intervalla numerorum crescentium. ultra 28 per differentiam 21 ad 28, li quali sono quelli che nomina, ciò io è 35, 42, etc. Passo poi a considerare un altro errore: ed è che, sendo la B 28 e la A 21, per trovare la terza C vuole che Instrumentum aperiatur secundum quantitatem linear B in 21, e che ilio immoto, exci- piatur distantia inter punela 85 prò linea C, il che è falsissimo; ma bi¬ sogna excipere distantiam inter punda 28. Vi è, oltre a questo, il terzo non minore errore: il quale è che egli s’immagina, che quando averà presi gl’intervalli tra i punti 85. 35 e 42. 42, questi siano le lunghezze di linee continuo proporzionali; cosa parimente falsissima, ed argo¬ mento di niente intendere, perchè le distanze tra i punti 21. 21 e 28. 28 e 35. 35 e 42. 42 ci danno linee di eguali eccessi ed ordinate in 20 proporzione aritmetica, cosa che non fa al presente proposito : ma se voleva conseguire l’intento, bisognava applicar la B al 21, e pren¬ dere il 28, che gli dava la terza C; e questa applicata (aprendo più lo Strumento) pur al 21, pigliando il 28, si aveva la quarta D; la quale, applicata similmente al 21 e preso il 28, ci dava la quinta E; e così in infinito. Vedete, intendenti lettori, in quali puerizie mi bi¬ sogna consumare il tempo; e pure è forza trattarne. Il nono capitolo, Datis tribus lineis, quartam proportionaleni. investigare, ha, sì come il Capra medesimo confessa, la medesima operazione che la precedente, e non può essere aggiunto per altro, se non per dar 30 luogo a un nuovo errore, che non poteva capire nel passato capitolo. Qui, stando nella figura precedente, e volendo alle tre proposte linee soggiugnere la quarta proporzionale, dice: Inquiratur proportio lineae A ad B: ut aperiatur secundum quantitatem B in 50. 50, A cadet in 38% itaque dromo aliquo accipias quantitatem lineae C hanc punctis 38% pei Iransversum accommodabis, et immoto instrumento accipies distantiam intei panda 50. 50 quae exhibet lineam E quartam proportionalem. quod nihil alìud erit quam resolvere problema Pappi, quo docet, tribus datis rectis li- 570 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE ■uria quarta-m immite, qme sii ad tertiam, ni prima ad secundàm. Ora qui non ha che far Pappo, nè questo è altro problema che il quarto del sesto d’Euclide, prop. 12; e non è vero che in questa operazione si trovi una quarta linea la quale sia alla terza come la prima alla seconda, ma si trova la quarta alla quale la terza è come la prima alla seconda. L’operazione decima è : Secare datavi rectam quamlibet secundum duo, extrema ac media rat-ime ; dove quelle paiole secundum duo, le quali non vi hanno che fare, bastano a far conoscere ad una persona della professione, che il Capra non ha mai letto alcuno autore matematico. Questa operazione è copiata da gli scritti del Fiammengo, ed è falsa: ni perchè posto, come dice il Capra, che tutta la linea data sia 100, fa poi che la minor porzione sia 38, e, per consequenza, la maggiore 62 ; ma 100, 62 e 38 non sono altrimenti proporzionali, perchè il quadrato di 62 è 3844, e il rettangolo di 100 e 38 è 3800. Ma non solamente col mezo di questi numeri non si segherà la data linea secondo l’estrema e meza proporzione, ma nè secondo alcuni altri, e siano quali si vo- glino, essendo tal divisione irrazionale; sì che, posta tutta la linea, come di sopra, 100, sariano le sue parti, segandola nella proporzione detta, una radice 12500 m. 50, e l’altra 150 m. radice 12500: ma que¬ ste cose avanzano di troppo la. capacità del Capra. E se bene questa ao divisione non si può trovare col mezo delle Linee delle Linee, si può nondimeno fare con altre linee dello Strumento; ma questa è una cognizione molto lontana dall’intelligenza del Capra, ben che l’ope¬ razione sia facilissima: e non si ha da far altro che applicar tutta la linea proposta trasversalmente alli punti 6. 6 delle linee che il Capra chiama Lineae circtdorum , pigliando poi, senza muover lo Stru¬ mento, l’intervallo tra li punti 10. 10 delle medesime linee; e questa sarà una delle parti della linea da dividersi. Ma sopra le mie Linee Poligrafiche si applicherà tutta la linea alli punti 10. 10, pigliando poi la distanza tra li punti G. 6, e sarà fatto. :i0 Passa, nel cap. 11 nelle operazioni delle Linee delle Superficie, dette da me Geometriche; e in questo capitolo mette sotto pochissime parole tre operazioni tolte a capello dalle 9, 10 e 11 mie, ma incantucciate qui, parendo pure al Capra furto troppo enormemente spaccato il co¬ piar sempre il tutto a parola a parola. Nel cap. 12 propone: Datimi triangulum dividere linei,s aequidist,an¬ tibus in partea aequales. Questa operazione è tolta ad unguem da gli I>[ UALDESSAR CAl'RA. 571 scritti dal Fiammingo, c non o altro elio la mia ottava mascherata : imperò elio io insegno quivi crescere o diminuire qualunque figura superficiale secondo qual si voglia proporzione; e qui, che altro è il dividere il triangolo proposto in cinque parti eguali, per star nel- F essempio del Capra, che trovarne uno che sia la quinta parte di quello, un altro che sia li 3 /#, uno che sia li a / 6 , etc.? Propone nel cap. 13: Datavi nliquam superficie))! dividere secundum datavi proporzione»! : e perchè questa non è copiata dal mio libro (se bene è tolta od urbani dalli scritti del Fiammengo, dove ella è po¬ lo sta con l’essempio medesimo do i ire» viri inter quos dmdendus sit cani- pus AD CD), si mette a esaggerare la eccellenza dello Strumento per questa frivolissima operazione. La quale, primieramente, ha la propo¬ sizione universale, conio si vede, ma la regola, che poi si dà, non si applica se non a i parallelogrammi, nè può aver luogo se non in que¬ sti, ue i triangoli o nelle ligure mensali: le quali tutte ligure, segui¬ tando la proporzione delle lor basi, come dalla prima del sesto d’Eu¬ clide si fa manifesto, traducono il presente problema al dover dividere una linea nelle date proporzioni, e non altro; la quale operazione è la medesima giusto che la prima operazione posta dal Capra, ciò è la DO medesima che la seconda mia : onde io non so perche il Capra 1 ab¬ bia replicata qui tra le Linee Geometriche, le quali non ci hanno che far niente, nè l’istesso Capra se ne serve punto per questa ope¬ razione. il cap. 14, che segue, contiene due operazioni: 1 una è per tro¬ var la media proporzionale, copiata ad verbtwi dalla mia 14 Opera¬ zione; l’altra è costituire un quadrato eguale a. un dato triangolo, copiata di parola in parola dalla seconda parte della mia Opera¬ zione 31. Nel cap. 15 sono diverse operazioni, e però diverse cose da iro¬ so tarsi. E prima propone: Datis tribù .y superficiebus, quartalii proportiona- Icvi adiva gore ; comincia poi l’operazione con queste parole, bini duo circuii A et li et figura C cui sit invenienda quarta propoHionaUs qualem pi'oportionem habet A ad Ji ex litica superficierum quaeratur proportio A ad B etc.; dalla qual frase di dire si può comprendere se il suo au¬ tore ha mai letti libri di matematica. Seguita poi V operazione sino alle parole Non abmnUi ; e di lì sino a Eadem fere operazione insegna: bi dentar dune superfìcies, teriiani proporti ovai etti invenire', 1 una t. 1 al 572 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE tra dello quali operazioni è tolta da gii scritti del Fiammingo, (iti i in questo luogo superflua: imperò che, se di sopra si è insegnato, date tre linee trovar la quarta, e datene due trovai- la terza proporzio¬ nale, ed essendo che, ogni volta che le linee son proporzionali, an¬ cora le lor figure simili son proporzionali, come Euclide dimostra nella 22 del sesto, a che proposito s’introducono ora queste due ope¬ razioni solamente per aggrandire il libro? Ma qui noto un’altra leg¬ gerezza del Capra: ciò è, che qui, dove non era necessario, distingue la considerazion delle proporzioni delle linee da quella delle lor figure; ma di sopra, nel cap. 6, dove tal distinzione era sommamente neces- io saria, l’ha prese come se tasserò la medesima cosa. In quel che se¬ gue poi, sino alle parole Hincque habetur solatio , copia la Operazione mia 10, dalla quale depende, anzi è il medesimo a punto, quello in che egli si distende sino a Ilaecque proportionum methodus. Entra poi a voler metter non so che del suo, e s’intriga in una certa anfora, scrivendo così: 1 litui tamen silentio involveudurn non credo, quod si pro¬ ponila esset ampliarti continens meimiram , et quacreret aliquis aliam, quae duas, quae tres, vel quatuor contineret, hoc ditto rìtius poterli absolvi; ac- cept-is enim dimensionibus propositae arnphorae, si Mas prò libitu appli- cuerimus aliquibus punetis Imi-m lincae, tieni ex immoto instrumento exex- 20 perimus duplum, triplani, vel quadruplum habebimus dimensiones arnphorae ■petitae : dove il Capra mostra come egli non solo ha creduto (come di sopra si è dichiarato) clic le superficie seguitino le proporzioni de i lati, ma che i solidi parimente segnino quelle delle lor superficie, poi che in questa operazione apertamente si dichiara di credere che, col raddoppiare o triplicare le superficie dell’ anfora, sia parimente raddoppiato o triplicato il suo contenuto; e così, nella dottrina del Capra, la proporzione che è tra due linee si trova l’istessa ancora tra le figure simili, tanto superficiali quanto solide, fatte da quelle; falsità conosciuta da ogni muratore. so Nel cap. 16 vuol dichiarare la regola di costituire un rettilineo simile ad uno, ed eguale ad un altro, dati: la quale operazione non è posta da me nel mio libro, ma l’ho ben insegnata in voce a molti miei scolari in diversi tempi ; ed è necessario che da qualcuno sia statai mal referita al Capra, e peggio intesa da lui: il che si fa manifesto dal confusissimo parlare, col quale ei la descrive, e pieno di impro¬ prietà e mancamenti, nel quale solamente da persone molto inten- DI BALDESSAR CAPRA. 573 denti si può vedere, come per nube, la regola buona di operare, ma infelicissimamente descritta. Ed acciò che quanto in ciò mi occorre dire meglio s’intenda, è necessario trascriver qui la operazione, con la sua figura. Scrive dunque il Capra così: Datarti superficiem immutare in alia in, cairn alia sii aequalis ■primae datae. Esset equidem linee operatio difficili, sed omnem difficultatem superai instrumentum hoc nostrum ; sii enim iriangulus A, cui rom- bus aequalis triangido A quo ad IO aream, sed rumba B similis fieri debeat. Primo quaeratur c-- inter basini, et. dimidiam per- 0 pendicularem trianguli Amedia proportionalis, quaesit C deinde ipsius rombi B media etiam proportionulis, quaesitD (lenique quaeratur quarta proporti ovali s ipsarnm D, C hoc scilicet modo; si latus quadrati, quod est D nimbi B dai latus falsimi nimbi B, quid dabit latus quadrati veri C trianguli A et. proveniet latus veri Rombi. Hoc est videas guani proportìonem habeant Intera nimbi falsi, ut puta F, C, et pro- portimalis 1), et in hoc exemplo sii, ut 100 ad 53 postea secundum quan- 20 titatem lateris C aperies in Linea Superficierum in 100 et excipies distan- tiam inter puncta 53. 53 prò Intere E indegne Imbeve poteris solutionem probi. 7, prop. 25, Uh. 6 Enel, quo docet, dato rectilineo simile similiterque ■positum, et alteri dato acquale idem consti tuere. Ora qui mi bisognano far due cose: prima dichiarare al Capra quello che ei medesimo ha voluto dire in questo capitolo, e poi esplicai 1 meglio quello che bisognava che ei dicesse per dir perfettamente. Nel titolo, del quale Edipo non troveria il senso, ha voluto dire: Datis duabus superfìciebus quibuscunque, tertiam uni quideni dataruni aequalem, alteri vero simile ni, describere ; poi nelle parole inettissime: sii enim •io iriangulus A, cui ronibus aequalis triangido A quo ad aream, sed. nimbo B similis, fieri debeat, doveva dire, parlando da geometra e stando nella proposizione universale, come fu proposta: sii figura A, cui alia aequalis, seri ipsi figiirae B similis, constitui debeat ; doveva seguitar poi, e dire : Inveniantur quadrata ipsis A et. B aequalia, per quello che egli scrive al cap. 40, copiato dalla mia Operazione 30, quorum /atcra si-ut lineae C, D (perchè le medie, delle quali ei parla, non servono ad altro); e così sfuggiva quello impropriissimo modo di parlare : deinde ipsius 574 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE rombi b media diavi proportionalis, il quale, oltre al far la proposizione particolare, dichiarerebbe per ignorante un che avesse più fama d’Ar¬ chimede. E parimente doveva buttare a monte tutto il resto del ciar¬ pame che egli scrive con non minor confusione e improprietà, intral¬ ciandolo con lati veri e lati falsi di falsi quadrati e rombi veri, e dir solamente così: Deinde ut C ad D, ita fiat linea ; A ad aliam E; ex qua describatur figura similis A, quae erit quoque figurar, B aeqtialis ; e così veniva a scansare ancora l’altro errore commesso nel dire: quaeratur quarta, proportionalis ipsaruni D, C , proponendo due linee sole per tro¬ vargli la quarta proporzionale. 10 Nel cap. 17 trasporta le regole per l’estrazion della radice qua¬ drata, e per le ordinanze di fronte e fianco disegnali, con tutti i lor casi e cauzioni e modi diversi di operare, copiate ad verbum dalle 12 e 13 mie Operazioni. E ben che la prima regola posta dal Capra per l’estrazion della radice non sia stampata, nel mio libro, ella però si trova in molti manuscritti dati da me alcuni anni a dietro a di¬ versi Signori; e tra li altri è ne gli scritti che detti sei anni sono all’ Illustrissimo Sig. Taeop’ Alvigi Cornare, essendo quella stata la. prima maniera di operaia, ridotta poi a maggior facilità, come nelle altre tre regole stampate da me si vede: le quali due regole, ben 20 che in apparenza, differenti, sono però in essenza l’i stessa. Viene dipoi nel ca.p. 18 a trattar delle Linee de i Solidi, chiamate da me Stereometriche; ed in quello esplica due operazioni, l’una di trovar la proporzione tra due solidi simili preposti, l’altra per co¬ stituirne un solo eguale a molti dati : le quali due operazioni sono copiate dalle 16 e 17 mie. Nel cap. 19 vuole insegnare il modo di sottrarre un solido da. un altro simile; operazione pretermessa da me per esser la conversa della, precedente, e però manifestissima ad ogni persona. Replica poi nel fine la medesima operazione posta nel capitolo precedente, es- 30 sendo che il medesimo è trovare la proporzione che hanno in peso due solidi simili, che trovare la proporzione che hanno tra di loro. Vedesi questo modo di operare esemplificato nel fine della mia. Ope¬ razione 23. Il cap. 20 è cavato da una parte della mia Operazione 15. Nel cap. 21 propone due operazioni non copiate dalle mie, dal che ne seguita, in consequenza necessaria, che non manchino di errori. DI BALDESSAR CAPRA. 575 Propone dunque in universale: Datimi solidum in partes petitas divi¬ dere ; e segue il modo del dividerlo così: Dividantnr superficies solidi ea raiione qua in Unni superfìcicrum cap. 10 et 11 docuimus dividere super¬ ficies, nempe in oppositis partibus, coniungantur parallelis lineis divisiones, dictumque solidum divisimi erit in partes petitas. Dove lo primieramente noto come il cap. 10 e 11 non hanno che fare in questo proposito, ma doveva citare il cap. 111. Dico in oltre, che mi maraviglierei se altri che il Capra si fosse persuaso, che di un solido tagliato in diverse parti, al modo ilei Capra, le parti solide avessero tra di loro le me¬ lo desime proporzioni che lo parti delle sue superficie tagliate; ma del Capra ormai non è più da meravigliarsene, anzi saria da trasecolare quando egli avesse aperta la bocca senza mandar fuori più scioc¬ chezze che parole. Avevo pensato, per salvare il Capra, di dire che ei non abbia cognizione di altri solidi che de i prismi e de i cilindri, e che appresso di lui i coni, le piramidi, le sfere, i conoidali e mille altri solidi non si ritrovassero al mondo; ma ho veduto poi che nè anco questo lo mandava immune da ogni mancamento, perchè per segar quei corpi detti non occorreva dividere altro che le loro al¬ tezze; tal che non lo posso in modo alcuno aiutare. Aggiugne poi, 20 nel fine, il modo di trovar solidi proporzionali, dicendo questa opera¬ zione proceder come quella delle superficie, ma che in luogo delle Linee delle Superficie si piglino le Linee de i Solidi: e io gli dico che e queste e quelle son superbite, perchè, senza altre superficie o altri solidi, basta pigliar le proporzionali de i lati; perchè quando i lati saranno proporzionali, saranno proporzionali parimente le loro figure simili, tanto piane quanto solide. Propone nel cap. ‘22 : Datis duobits solidis duo media proportionalia elicere] dove, perchè la operazione è particolare de i solidi simili, bi¬ sognava nel titolo dire: duobiis solidis similibus ; perchè io non so quanto 30 il Capra si sapesse distrigare se alcuno gli proponesse una slera ed una piramide. La operazione poi è la medesima che l'invenzion delle due medie proporzionali tra due linee proposte, messa da me nella Operazione 19; ma lui, credendo di mascherarla e trafugarla, l’ha pro¬ posta sotto titolo, in apparenza solamente, differente. Ma forse ho torto a farlo così maliziato, potendo benissimo essere, lui in questo ed in tutti gli altri simili luoghi, non per malizia, ma per pura ignoranza aver peccato. u. 71 576 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE Nel cap. 23 propone: Dato parallelepipedo, acquale cubum construere ; operazione copiata ad verbum dalla mia 20: eccetto però die io non vi metto sì grossa balorderia quanta è quella che il Capra scrive nell’operazione, dicendo : Deinde inter E quadratum basis parallelepipedi, et ipsius altitudinem CD dime medine proportional.es inveniantur ; nè so ancora tanta geometria, che io sapessi trovar due medie tra una su¬ perficie ed una linea. Insegna poi nel cap. 24 : Mutare sphaeram in cubum. Ma già elio voleva metter mano a questa parte, doveva seguitar d’insegnare a ridurre in cubo tutti gli altri solidi, sì come io ho privatamente io a diversi miei scolari insegnato a fare; ma essendo le operazioni, che posso far col mio Strumento, infinite, non ho voluto stampar se non quelle che all’ uso comune son più necessarie, sì come nel mio libro ho detto. E la presente operazione ho io insegnata assai più spedita- mente, ciò è con applicare il diametro della sfera alli punti 42 delle Linee Stereometriche, pigliando poi la distanza tra li punti 22, che sarà il lato cercato: imperò che essendo, per Archimede, il cubo ed il cilindro intorno alla sfera come 42 a 33, ed il cilindro alla sfera come 33 a 22, patet propositum. L’ Operazione 25, per l’invenzione delle due medie, è copiata dalla 20 mia 13 ad- verbum. Nel cap. 26 mette tre regole per l’estrazion della radice cuba. La prima è tolta da quella che davo ne i miei scritti alcuni anni a die¬ tro, la quale si troverà in mano di molti, e qui in Padova in partico¬ lare ne gli sciatti che detti già sei anni all’ Illustrissimo Sig. Cornavo : le altre due son copiate ad verbum dalla mia Operazione 18 stampata. Viene poi a trattar delle Linee Metalliche nel cap. 27 ; nel quale mette tre operazioni, copiate ad ungnem dalle mie 21 e 22 Operazioni. La operazione del cap. 28 è la medesima che la seconda delle tre operazioni poste nel capitolo precedente, e si risolve nel medesimo modo so a capello; nè vi è bisogno di pigliare il lato del cubo AB o altra linea, sì come ad ogn’ mio può esser manifesto per quello che scrivo nella sopracitata mia Operazione 22. Propone nel cap. 29 : Dato corpore metallico, aliùd construere ac¬ quai is pomleris, sed diversae magnitudinis ; ma la parola magnitudinis deve dire materici e , altrimente sarebbe uno sproposito. Questa opera¬ zione è copiata dalla 21 del mio libro; ma notisi quello che è acca- DI HALDESSAR CAPRA. 577 duto al Capra per aver voluto variar l’essempio, e specificare in un cubo quello che io ©semplifico in una palla; che è stato il dichia¬ rarsi troppo bruttamente di non intendere ancora che cosa sia cubo, e come egli ha 12 lati tutti eguali, sendo contenuto da 6 quadrati: ma il Capra ha creduto che tutti i lati del cubo sien diseguali; il che è chiaro dalle sue parole, che son queste: Aperiatur in punctis slamili secundum omnia Intera cubi, et cxcipiatur intervallimi punctorum argenti, et ex inventili lateribiis argenti construatur cubila sitnilis alteri, qui magnitudine crii di versus, etc.; dove dalle particole: omnia Intera, inventis 10 lateribus e sitnilis alteri si scorge che egli ha creduto che il cubo sia qual¬ che corpo di lati disegnali, e che possa essere che un cubo sia dissi¬ mile da un altro; e per assicurarci ben di questa sua credenza, nel fine del capitolo, avendo esplicata la operazione con l’essempio di un lato solo, conclude: llaeque cadetti methodo omnia alia Intera erunt acci- piada donec totus cubus sit eonstrudus. Nel cap. 30 ha cavato il tutto ad unguem dalla mia Operazione 24, dove mostro come il mio Strumento ci serva mirabilmente per calibro da bombardieri, chiamati dal Capra libratores. 11 cap. 31, con tutte le sue circostanze, è copiato ad ver bum dalla 20 mia 25 Operazione. Passa poi nel cap. 32 a trattar de gli usi della Linea del Qua¬ drante, della quale manca il mio Strumento; ma è stata tolta, insieme con li suoi usi, da gli scritti del Fiammingo. Di questa ne pone il Capra 4 operazioni ne i quattro capitoli seguenti, le quali però tutte si riducono in una sola, che è di ritrovar i gradi di un arco proposto: e questa sola si risolve in farci conoscere che il Capra non sa an¬ cora quanto son grandi gli angoli di un triangolo; poi che in que¬ sta 32 stampa il triangolo posto di sopra, con angoli la cui ampli¬ tudine è gradi 183, se ben di tutti i triangoli gli angoli non sono nè 30 più nè meno di gradi 180. considerati gli angoli, come fa il Capra nel presente luogo, come costituiti nel centro del cerchio. L’operazione è ne gli scritti del Fiammingo, ma senza errore ; ed è esemplificata con un triangolo scaleno, li cui angoli misura uno per 96, l’altro per 53, ed il terzo per 31, che in tutto fanno 180. Nel seguente cap. 33, quello che di sopra ci ha insegnato di fare in tre archi sottendenti a gli angoli di un triangolo, ce lo replica, quasi cosa differente, in due altri archi, misurando la lor quantità 578 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE * nel medesimo modo ad ungami. E vero che ci aggiugne questa leg¬ giadrissima operazione, di trasportar ambidue li detti archi, li quali si suppongono esser tolti dal medesimo cerchio, e riunirgli nella me¬ desima circonferenza; si dichiara appresso non intender niente le de¬ finizioni, non pur le proposizioni, del terzo d’Euclide, chiamando archi simili due tagliati dall’istesso cerchio, de i quali uno ne pone esser gradi 43 e l’altro 70, ignarus che gli archi si domandano simili quando sottendono ad angoli eguali, e non, come ha creduto lui, quando son tagliati dal medesimo cerchio, ed inscius parimente che gli archi si¬ mili del medesimo cerchio sono tra di loro eguali. io Gi insegna poi con la medesima insipidezza nell’altro cap. 34: Aretini datimi nmltiplici proportene aligere; col trasferirlo, in somma, molte volte sopra la circonferenza della quale egli è parte. Finalmente, nell’altro cap. 35 ci insegna a misurar l’angolo del- l’apertura dello Strumento ; il che si fa come a misurar l’angolo di ogni altro triangolo, al modo che insegna nella prima operazione di queste linee, dove insegna a misurar tre angoli, e qui un solo col medesimo modo: e pur questa è operazione tolta dalli scritti del Fiammingo. Passa nel cap. 36 alla dichiarazione della Linea de i Cerchi, detta 20 da me Poligrafica: della quale ne mette quei due medesimi usi elio ne pongo io alle 26 e 27 mie Operazioni. De i (piali, perchè l’uno è il converso dell’ altro, e le divisioni di questa linea messe dal Capra sono con ordine prepostero di quelle che metto io nel mio Strumento, quindi è che la, regola che mette il Capra per dividere il cerchio è quella che metto io per descrivere i poligoni, e, per il converso, la re¬ gola scritta dal Capra pei* descrivere i poligoni è l’istessa con quella che pongo io per dividere il cerchio. Quello poi che mette nel fine di questo capitolo, di poter risolvere il problema d’Euclide posto alla proposizione 16 del 12, non può ricevere benefizio alcuno da queste 30 linee, chi non vi segnasse dentro i lati di infiniti poligoni, il che è impossibile a farsi. Propone poi nel cap. 37 una operazione particolare, cioè: Dillo Intere pentagoni invenire suum circuì um; la quale era molto meglio che fusse proposta generalmente, e con termini proprii della scienza, ciò è Super data recta linea polygonum regalare describere, chè questo e quello che nell’ operazione si insegna. Nel fine poi dell’ operazione, DI BALDESSAK CAPRA. 579 scordatosi di quello elio in ossa lui insognato, metto questi corollarii: Ex quo hàbes diavi facìtlivuim solutioncm prob. I l, 4 End., quo in dato cimilo Pentagonum aequi/alenivi et acqui angulum insevi Le re docci, nec non probi. 15 et 16, il che non è vero: ma la soluzione di questi problemi depende, non da questa, nui dalla precedente operazione, anzi è l’istessa; perchè, insegnandosi a dividere un cerchio, v. g., in cinque parti, si viene in conseguenza a inscrivervi un pentagono: ma in questa operazione si insegna, dato il lato del poligono, circonscri¬ vergli il cerchio. Veggasi dunque quanto accuratamente abbia il Capra io considerate queste cose. Passa ne i due cap. 38 e 39 alli usi della Linea Quadratrice, detta da me Tetragoniea; ne i quali copia ad verbam la mia 28 Operazione, della quadratura del cerchio e della trasmutazione de i poligoni re¬ golari l’uno nell’ altro. 11 cap. 40 è copiato dalla mia Operazione 30; ma, per mettervi il Capra qualche cosa del suo, l’ha adornato di due suoi errori, in¬ dicanti il suo non intender niente, nè anco il significato delle parole, il che pure ormai si è sin qui cento volte veduto. Prima, nel titolo chiama il cerchio ed il quadrato figure irregolari, scrivendo così: Data 20 figura qualunque irregulari, hoc est circulo, quadrato, de., ipsi aequalem construere : le quali parole mancano ancora di senso, sì come ogn’mio che abbia senso può comprendere; ma non intendendo egli nè quello che ei scriveva, nè quello d’onde copiava, ha scritto nel modo detto, in luogo di scrivere: Data quacunque figura rectilinea irregulari, circulum, quadratimi, de., ipsi acquale construere. Vedesi poi, nell’esplicazione del¬ l’operazione, che appresso il Capra ogni rettilineo è un quadrilatero, perchè vuole che si risolva in due triangoli, scrivendo egli così: Hincque, si videe, manifestissime pendei solatio probi. 2, prop. 14, Uh. 2 Enel, navi sì ex rettilineo constituemus dim triangulos, etc.; e non sa ancora che un 30 rettilineo può avere e due e quattro e dieci e cento triangoli. Nel cap. 41 insegna a trovar una retta eguale alla circonferenza del dato cerchio, il clic fa col mezo di un punto posto da lui (però con P aiuto del Fiammingo, da gli scritti del quale è presa questa divisione) in queste Linee Quadratrici: ma tale divisione è totalmente superflua, potendosi, e più speditamente, conseguir l’istesso col mezo delle Linee Aritmetiche, aecommodando transversalmente il diametro del dato cerchio a i punti 70 di quelle, e poi pigliando l’intervallo 580 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE tra i punti 220, il quale darà la retta eguale alla circonferenza del cerchio, conforme a le cose dimostrate da Archimede. Replica in questo cap. 42 molto inutilmente la medesima ope¬ razione posta nel cap. 16; e parendogli di non si aver in quella dichiarato a bastanza per persona che non intenda quello che ei voglia dire o fare, ce ne reca in questo luogo altri nuovi testimonii. Propone dunque nel presente capitolo di voler constituire una figura simile ad un’altra data, ed eguale a un dato cerchio o pentagono, etc., la quale operazione, per il capitolo suo 16, o per dir meglio, per quello che sopra vi ho insegnato io, si spedisce subito: imperò che, trovati io due quadrati eguali l’uno al dato cerchio e l’altro alla data figura, e fatto poi, come il lato del quadrato eguale alla data figura, al lato del quadrato eguale al cerchio, così uno de i lati della data figura ad un’altra linea, e sopra quella, come omologa del lato preso della data figura, descrivendone una simile, sarà questa eguale al dato cerchio. Ma il Capra, dopo aver detto che si trovino li due quadrati eguali al cerchio ed alla figura data, seguita così: Quod si quadratimi figurar acquale fucrit quadrato circuii kivi intcntionem consequutus cris (è vero, perchè il cerchio ancora sarà eguale alla figura); sin minus detrahatur minus quadratimi ex maiore, et ex residuo fiat figura aequalis 20 dato eirculo, et similis datar, figurae. Or qui vorrei sapere, quali com¬ passi o quali computi ci hanno a servire in questa operazione: perchè, posto, v. g., che il cerchio, e per consequenza il suo quadrato, fusse 100, e la figura, e perciò il suo quadrato, 120, operando secondo il pre¬ cetto del Capra bisogna sottrae 100 da 120, resterà 20; e di questo residuo, ciò è di 20, si ha da fare una figura eguale al dato cerchio, ciò è a 100: bisognerà dunque stirarlo più che mai fornaie stirassero lasagne. Segue poi: Si vero minus fuerit, ut in hoc exemplo, differeniia addatur minori quadrato, ut acquale fiat quadrato circuii, reliqua filini ìuxta tradita cap. 1 (i : cauzione posta senza bisogno alcuno, e fatica 30 e tempo pèrso a sproposito; perchè, avendo già il quadrato eguale al cerchio, non occorre che io accresca l’altro quadrato per farlo eguale a questo, ma mi servirò di questo in ogni occorrenza. In somma è una gran cosa il non intender niente. Non voglio dissimulare la ingegnosa divisimi trimembre, che il Capra pone in questo luogo, la quale, ristretta insieme, suona così: Questo quadrato o è eguale all’ altro, o non è eguale, o è minore. Torninsi a leggere le sue paiole. IH BALDESSAIt CAI‘15A. 581 Nel cnp. 43 copia la mia 29 Operazione a capello. Passa poi, nel cap. 44, alla linea chiamata da lui in questo luogo Linea quinque solido rum regidatorum ; della quale mette quest’uso solo, di trovare i lati de i corpi regolari inscrittibili nella medesima sfera: la quale operazione potendosi facilissimamente risolvere con le Linee Geometriche e con le Poligrafiche (come di sopra ho insegnato), fa elio queste tali linei! siano superfluamente poste in questo Strumento. Speditosi finalmente da gli usi di queste linee, viene ad Usus qua- ilratus (che tale è il titolo che lui scrive), ciò è (che così credo che io abbia voluto intendere) a gli usi del quadrante, sopra il quale segna quello che segno io sopra ’1 mio (eccettuatane però la divisione per misurar li; pendenze, da lui pretermessa), cioè la Squadra da bombar¬ dieri, il Quadrante Astronomico, e la divisione rispondente al Quadrato Geometrico; ma, tralasciando le altre due divisioni, si riduce a trattar solamente delle regole del misurar con la vista col mezo del detto Quadrato Geometrico, dicendo, che se bene questa parte a quamplu- ribtis aliis diffuse admodum sit tradita, tamen, cim ab aliquibus secreti loco hic modus dimetiendi per hoc instrumentum habeatur , la vuole bre¬ vità', dilucidi> tamen, ridurre a questo suo Strumento. Nelle quali pa- 20 role se ha voluto (come io credo) intender me per quello che tenga in luogo di segreto questi modi di misurare, ha veramente avuto il torto: perchè, se per segreto intende cosa grandissima e miracolosa, qual’è, per essempio, il segreto di sanare da lontan paese un ferito col medicar solamente l’arme che lo ferì o una pezza macchiata del suo sangue, ed il segreto di quella mirabile unzione con la quale toccan¬ dosi un ferro, ben che grossissimo, in poche ore si scavezza, ed altri portenti di questo genere, io non solamente non ho stimate queste regole di misurar per cose di questa meraviglia, ma ho sempre sti¬ mato e stimo che tutte lo matematiche insieme non contenghino 30 cosa di tanto stupore ; e se per segreto intende cosa riservata e tenuta ascosa, ha ancora il torto, e maggiormente, non le avendo io nè celate, nè negate ad alcuno che me l’abbia domandate, che pur sin ora sono stati centinaia di gentil uomini; ma se finalmente per segreto vuole intender cosa nuova e che abbia del peregrino, io credo bene che molte delle mie regole sien tali, e quelle massime li cui computi laboriosi sono da me tolti via, e col mezo del solo com¬ passo e delle mie Linee Aritmetiche risoluti, con modi da niun altro 582 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE per addietro pensati. Ma quando segreto nissuno tra le mie regole del misurare si contenesse incognito alle altre persone, assai pur ve ne sono segretissimi al Capra, e tanto incogniti ed astrusi per lui, che per ancora non gli ha potuti penetrare, sì come nel deciferar- glieli più a basso si farà palese; onde ei non doveva così disprez¬ zarli ed avvilirli, come cose tanto triviali. Se il Capra poi, secondo la sua promessa, abbia dilucidamente trattata questa parte, o pure se egli nel trasportar le cose scritte da me, e niente assolutamente intese da lui, e nel volerle palliare ed accomodare a sue sciocchis¬ simo immaginazioni, abbia fatta una confusione ed un intrico inestri- io cabile anco da Apolline, e si sia in line palesato per tanto nudo di ogni intelligenza che ei non abbia anco inteso come lo Strumento va tenuto in mano per far le operazioni del misurar le distanze; col trascriver di parola in parola solamente due o tre di tali sue operazioni, insieme con le proprie figure trasportate a capello, e col glosarvele per vostra minor fatica, vi farò in quest’ultimo, giudiziosi lettori, toccar con mano. E pigliando il primo capitolo de i 19 che il Capra pone per le dichiarazioni di tali misure, si legge nel titolo così: Distantiam inter dnos terminos in eodem plano (quasi che due ter¬ mini, e anco tre, potessino non esser nel medesimo piano; era dunque 20 meglio dire in eodem horizonte) ad quorum alternili tantum accedi possit indagare. Segue poi : Notandum imprimi s, quod haee extima circunferentia divisa in 200 paiies continet umbram rectam, et timbravi versavi ipsius quadratus (ha voluto dire ipsius quadrati) Geometrici ; ideo ut illos cen¬ tenari os distinguere valeamus. E. g., dum per brachium CD cernimus in proxime seguenti figura, qui iuxta tnensoris oculuni collocatus in superiori T5 parte versus D secundum, qui miteni illi opponi- tur primuvi semper norninabivnts, prinvus ertivi nobis ostcndit timbravi versavi, secundus aùtem timbravi rectam. Sit itaque investigavda distali- «JO tia AB ut puf a latitudo alicuhis filivi), a centro instrumenti dimittas perpendiculum libere cadcn- tem, f une constitutus in puncto A observabis quod- ctinque sigillivi C; progressus vero ad locum C / / / F/ I) \ A Tv / / / / B per instrumenti brachium CD (quod qniclem si duo pinnacidiù habebit, ad hoc ut visus aberrare non valeat } observatio erit exactior) respicies terminimi li. Or qui mi fermo alquanto, e noto prima come il Capia DI BALDESSAR CAPRA. 583 piglia il punto C a caso; il clic è grande inavvertenza, non gli po¬ tendo servire al suo bisogno se non quando la linea prodotta da esso al termine A faccia angolo retto con la linea BA; adunque il punto C è limitato, e non è quodcunque signum, com’egli scrive: noto in oltre, come essendo la distanza AB da misurarsi una linea orizon- tale, come la larghezza di un fiume, dallo parole del Capra non si può intendere che la distanza presa AC sia ancor lei altrimenti che orizontale; perchè so avesse voluto intendere che il termine C fusse elevato ed a perpendicolo sopra ’l punto A della distanza AB, non io arerebbe detto constitutus in A observabis quodcunque signum 6', perchè in aria non si può osservar quodcunque signum, ma più presto dal punto sublime C averia notato qualche segno nell’orizonte. 11 dire ancora progressus ad locum < ' mostra che si ha da camminare in piano, e non a salire; e finalmente, è chiaro che nell’immaginazion del Capra il punto C non è in luogo sublime, perchè se ciò fusse, questa opera¬ zione saria per appunto la medesima, nè pur in un sol capéllo al¬ terata, che quella la quale egli scrive più a basso nel cap. 5. Stanti queste premesse, seguita il Capra, e scrive così: Et observabis quot part.es et cuiusnam centenarili, an primi, an secundi secentur a perpendiculo ; nani 20 primo si secantur a li quot partes primi, centenarii, ut pula 18 tunc men- surabis distantia m AC (non dice altitudinem, come averia detto quando avesse voluto che il punto C fusse stato sublime) et sit, e. g., 12 pedani, sicquc institues ratiocinium, si partes abscissae hoc est 18 dant 100 quot dabunt 12 farla itaque operatione, vel per regalarli irium, vel per illa, quae cap. 5 tradidimus invenies 66 s / s quare inquies distantiam AB esse pedutn Od 'j :ì . Si aidem perpendiculurn abscindet partes secundi centenarii, lune sic proponendo crii quaestio 100 dant partes abscissas quot dabit A G hoc est 12 pedes. Si Urlio et. ultimo perpendiculurn inter duos centenarios cadetj fune AB esset- acquaiis distantiae ACquod opprime semper notandum 30 crii. Or qui manifestamente si vede, sì dalla figura, come da quanto è scritto, che il Capra, stando nel punto C, vuole che lo Strumento si costituisca non parallelo all’ orizonte, ma per taglio, ciò è eretto, perchè altrimenti il perpendicolo non taglierebbe il Quadrante, ne averebbe uso alcuno ; ma se così ha da costituirsi lo Strumento, ed il punto C è nell’ orizonte, come taglierà il perpendicolo or l’uno or l’altro centinaio, se è impossibile che ne tagli alcuno ? Ma quando pure, per fare ogni agevolezza al Capi’a, se li concedesse che il mi- II. 73 584 giurante in G stesse in piede, sì che nel traguardare il punto B la costa CD stesse alquanto inclinata, ed il perpendicolo, in consequenza, tagliasse l’arco del Quadrante, i punti tagliati saranno per ordinario pochissimi e del primo centinaio, e solo taglierà il secondo quando la larghezza del fiume fusse minor che l’altezza di un uomo. Ma quando anco tutti questi diverticoli se li concedessero, per salvar pure e nascondere in qualche modo la sua nulla intelligenza, la di¬ stanza CA, ed i punti tagliati dal perpendicolo, ed il triangolo nel- l’orizonte CAB, e quello che si forma sopra lo Strumento, non hanno che far niente insieme, non possono servirci a cosa immaginabile, nè, io se risuscitasse Euclide, potria trovare scusa che salvasse questa troppo semplice fanciullezza. Bisognava, M. Capra, tener lo Strumento equidistante all’ ori- zonte e non eretto, e proceder conforme alla mia operazione posta nel mio libro a car. 28 b (l) \ la quale voi nelle vostre parole immedia¬ tamente seguenti copiate, per far piazza alla vostra ignoranza da potermi tassare e mordere, scrivendo così: Poiest hoc idem absolvi Ime alia ratione, prout aliqui volimi, statuitili enim instrumentum in A ita ut alter hrachiorum veda respiciat B alter vero E finte progressi ad pun- dum E ita disponunt instrumentum ut alter hrachiorum recta respiciat A 20 perque centrimi instrumenti aspicientes punctum B animadvertunt par- tes abscissas a radio visuali, per qttas postea ratiocinantur, ut superius dietimi fuit: a quo quidem modo, ut panca de ilio subiungam, in maxi¬ mam ductus sani admirationem, nec enim satis ridere possimi an isti re¬ vera sic credavi, an potine homines adeo crassi cerebri existiment ut prò Jibitu illis imponevo liceat, quaeso enim qui fieri potest, ut in tanta par- tiiun angustia, et multitudine mensoris oculus nulla adhibita dioptra non longe a. vero aberrai ? quod si parvipendunt, revera nugantur, similiter- que parvìfìeri merentur, et ideo utiliora inquirentes, lutee missa facia- rnus. Ora, perch’ io son quello che scrivo nel luogo citato dal mio 30 libro questo modo di misurare, ed io son quello che in esso taccio l’applicare in tanta angustia di parti qualche diottra 0 traguardo, e niun altro autore ha mai scritta questa regola di misurare con questi difetti, fuor che io; però contro di me solo, circonscritto con queste condizioni individuanti, s’indirizzano le parole ingiuriose: ed fl > Cfr. pag. 419. DI BALDESSAll CAPRA. 585 io con pazienza le ricevo, pur che colui che me lo manda non re¬ ttisi (li soggiacere alla medesima sentenza, nè si adiri se vedrà os¬ servata ne i demeriti e nelle pene la nostra istessa geometrica pro¬ porzione, che è anco l’anima che informa tutto questo libro che aviamo per le mani. Ila il Capra copiato il mio libro, lo ha in molti luoghi lodato e stimato, ed ammirato tanto che ha procurato di far¬ selo suo, e con lo splendor di quello dar luce alle sue tenebre, e con le sue preziose spoglie vestire e ricoprir la nuda sua ignoranza; e nel denudar me, venutagli in mano una picciolissima macchia, quella io sola mi vuol lasciar per mia parte, e per quella, e già del resto de¬ nudato, mostrarmi a dito per uomo contennendo. Io non so tro¬ vali con qual diabolica coscienza egli possa amar tanto le cose mie ed odiar tanto me; nè so vedere qual cosa l’induca a non poter tol¬ lerare che questo Strumento sia creduto e ricevuto per opera mia, se non forse la di lui troppa eccellenza. Ma che? tanto più acerba sarà la sua passione nel veder, per tanti riscontri, reso il mondo più che certo che gli è mio, quanto più egli si troverà averlo celebrato ed esaltato; sì che più sicuro partito era, per cibar la sua invidia, l’intraprendere a biasimar e condennar l’opera mia (che forse vi 20 averia trovato qualche attacco), che il mettersi ad una impresa così difficile, anzi impossibile, di volermi usurpare quello che infiniti sanno che è mio, e più persuadersi, come cosa miscibile, di poter far cre¬ dere al mondo, sè esserne il vero effettore; non si accorgendo, se non altro, della manifesta contradizione, che egli, contro di questo suo pensiero, in questo medesimo libro * apporta : poi che da quanto ei scrive nella dedicatoria apertamente si scorge come non possono es¬ ser più di 4 anni che a questi studii di matematica si e apphcato, deponendo in quel luogo aver fatti i suoi studii di logica e filosofia, ed esser già molto avanti ne gli studii di medicina, quando, persuaso so da un luogo d’Ippocrate, si risolvette a volere studiar le matemati¬ che; e non sendo egli al presente di età più che di 23 anni in circa, è necessario che pochi anni a dietro si sia applicato alle matemati¬ che. Ma che occorre andar per conietture, se in quel medesimo luogo ei dice avere avuto per suo primo institutore Simon Mario Gutzen- husano, alemanno, il quale venne in Italia solamente 5 anni sono ! Ma il mio Strumento è 10 anni che va in volta; adunque, se è inveii zione del Capra, grandissimo miracolo sarà questo, che egli, G anni 580 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE avanti che attendesse a questi studii, f'usse invcntor d’uno strumento del quale dopo 4 anni di studio non intende pur un minimo uso. Ma, tornando al mio instituto, nv incolpa il Capra che io creda di po¬ tere senza diottra o altro traguardo osservar l’incidenza del raggio della vista tra le minute divisioni del quadrante; ma chi gli ha detto che io nel misurare non mi serva di traguardi o di diottra, e che nel mostrar queste operazioni a i miei scolari io non gli mostri anco il modo di traguardare? Dirà forse, aver creduto ciò perchè io non ne fo menzione nel mio libro; e perchè non riprendermi più presto di aver taciuta tutta la fabrica dello Strumento, della quale io questo apparato di traguardi è una minimissima particella? E quando ho io stampato il mio libro per farlo venale e darlo ad altri che a i miei scolari, insieme con lo Strumento fabricato e con la prattica insegnatali anco con l’esperienza e con la viva voce? E non ho io scritto nel mio libro, e mille volte detto in voce, che il libro senza lo Strumento non serve a niente, e che anco il libro con lo Stru¬ mento, senza impararne gli Tisi dalla viva voce e dal vederli mettere in atto, è tedioso e difficile e privo delle sue maggiori meraviglie? Se dunque così è, doveva il Capra, prima che venire a tassarmi, in¬ tendere da i miei scolari se io gli proponevo di dover osservar il 20 taglio del raggio senza diottra; e poi sentenziar qual era maggior balordaggine, o la mia in voler trovar tale incidenza senza traguardo, o la sua in creder che io avessi questa opinione. Ma poi che egli ha voluto, lasciando da una banda lo mio regole, proporne di più utili, sentiamole nel seguente suo capitolo; e poi, ormai sazii di cose tanto scempie, ponghiamo fine a questa scrittura. Scrive dunque nel secondo capitolo così: Idem interstitium inter duos terminos eiusdem plani, in quorum nullo observari possit, dum tamen in amborum divedo accommodari valeat, in¬ venire. Gap. 2. Sint duo termini A et B in eodem plano, quorum cogno- 30 scenda sii distantia, torneisi ad neutrmn illorum accedi possit oh aliquod obstaculum. Ma prima che andiamo più avanti, awertiscasi che il Capra nel dar le stampe delle figure allo stampatore ha (se io non m’inganno) posto nel suo libro in questo luogo una figura per un’ altra, e qui deve essere quella che ei mette al capitolo 10, le quali per la simi¬ litudine ha cambiate: ma però quando l’autore volesse pur mante- DI RARDESSAR CAPRA. 587 nere in questo luogo la figura postavi da lui, basterà cambiare due lettere, e nell’angolo 0 porvi E, e nel punto F notarvi un C, e nel resto sono l’istessa cosa. Seguita: Converte instrumentum in sfattone C ita ut brachimi CD tendatur secundum l'edam terminorumA et B et per alimi CE observabis qitodntnquc signuin F cuius distantia per mensuratio- nem possit a te perdisci, sit autem distantia E. g. 30 pedum, progres¬ si iti E ita dispone* instrumentum, ut per brachimi FG primurn videas punduin A deinde terminum Ti et in utraque observatione notabis partes abscissas a perpendiculo, quae vel in utroque erunt primi vel sccundi con¬ io tenarij, vel in una primi, in altera sccundi. Io non 'so in qual genere di arte o scienza io (leva riporre gli errori commessi in questo luogo dal Capra., e ne i quali in tutto il resto di questo capitolo persiste; perchè, sì come un contadino nel lubricarsi malamente un capannon di paglia, o ’1 pastore nel piantar male una steccaia per il suo gregge, non acconciamente sariano ripresi da chi accusasse quello di poca in¬ telligenza de gli ordini di architettura, e questo d’imperfetta peri¬ zia di fortificazione o castrametazione, così qui, dove nè pur ombra o vestigio alcuno è di geometria o perspettiva, non posso ragione¬ volmente biasimare il Capra di avere in tali scienze peccato, non po- 20 tendo, al parer mio, cadere errore di geometria dove niente è di geo¬ metria. Costui non è un sonator di liuto, che erri nell’aria, nella battuta, nel contrappunto; erra nel tener lo strumento in mano, appoggiandosi le corde al petto, ed applicando la man destra alla tastiera. Vuole il Capra in questo luogo, sì come uella precedente operazione e nelle altre tre seguenti, misurar distanze poste nel me¬ desimo piano dell’ orizonte ; e qui i termini A, B, C, F sono tutti nell’ istessa superficie, e venendo nella stazione F, e tenendo, come dimostra la sua figura, non l’angolo dello Strumento, o centro del quadrante, verso l’occhio, ma l’estremità d’una delle sue coste, tra¬ so guarda per essa le note A, B, e vuole osservare le sezzioni del per¬ pendicolo sopra ’l quadrante. Ma non vi accorgete voi, M. Capra, che restando l’angolo dello Strumento più basso che l’estremità della costa appresso la quale voi ponete l’occhio, il perpendicolo non può tagliare altrimenti il quadrante, ma casca fuori dello Strumento ? dato però che voi non vogliate seppellirvi sotto terra, acciò che i termini A, B l'ussero più alti dell’occhio vostro. Bisogna che voi ten- ghiate l’angolo dello Strumento verso l’occhio, quando voi traguar- 588 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE date segni posti nel piano orizontale, se voi volete che il perpen¬ dicolo seghi il Quadrante. Or direte voi che questo non sia un bel segreto? vedete dunque che pur vi sono de i segreti a voi reconditi in queste misurazioni; li quali, secondo la mia promessa, vi anderò deciferando. Ma quando voi arete, stando in F, traguardato i punti A, B, e tenuto lo Strumento in modo che si faccino le sezzioni, utrum se voi arete rimediato all’ altro non minor errore, commesso pur nel tener solamente lo Strumento in mano? e che cosa volete fare de i numeri tagliati cosi dal perpendicolo? niente. E che hanno che fare i triangoli AFC, BFO, formati in terra, con questi che si fanno so-io pra lo Strumento? niente. E se non hanno che far niente, quanto benefizio vi apporteranno nel ritrovamento della distanza cercata? niente. Adunque, che cosa era meglio che voi faceste prima che ve¬ nne a perdervi in questi labirinti? niente. FI possibile che, nel ca¬ var questa dalla mia operazione posta a car. 30 (1) , non aviate almanco inteso che lo Strumento per misurar queste distanze orizontali si colloca non per taglio, ma in piano, ciò è non eretto all’ orizonte, ma parallelo? e che l’angolo si tien verso l’occhio, e non verso l’og¬ getto? ed eccovi il secondo non men bel segreto. Credo che se ci era al mondo un terzo modo di potere errare nell’ applicazione di 20 a questo Strumento all’ uso, il Capra non l’averia certo lasciato indietro per danari. Seguita poi così: Sint autern primum in utraque observa- tione secundi centenarij ; supponamus itaque quod dum respicimus terminum A abscindan- tur 80 partes, dum vero terminum B 40. sic procedenduin crii, -partes abscissae dant 100, quot dabit distantia CF scilicet SO duces enim 100 in SO productum erit SODO hunc numerum -pri- so munì divides per 80 quotiens erit S7 7 2 inox per 40 habebisque 70 subduces 37 7 2 ex residuimi erit 37 i / 3 quare inqui.es distantiarn AB esse pedum 37 ‘/ s . Gran durezza di destino contro il Capra! poi che nel suo parlare alla ventura (poi che per dottrina non può nè pure aprir la bocca) anco ne i dilemmi, O) Ct'r. pag. 421. DI HAL1IES8AH CAPRA. 589 che non possono staro in più di duo modi, mai non si abbatte a indi¬ vinare il vero. E lasciato, per ora, di replicar che questi punti tagliati così dal perpendicolo siano totalmente inutili per il suo bisogno, anzi ri¬ tenendogli come buoni, veggiamo in qual maniera il Capra se ne serva. E prima, non è dubbio alcuno clic, trovate che si siano le due lon¬ tananze CA e CB separatamente, e sottratta l’ima dall’altra, resta, la distanza HA; ed è parimente verissimo, che multiplicando l’inter¬ vallo FC per 100, e dividendo il prodotto per li due numeri de i punti del Quadrante, si hanno le dette due lontananze CA, CB: ma io questa regola non è vera se non quando i punti tagliati sono, non del centinaio nominato dal Capra, ma dell’altro nel quale i punti ta¬ gliati nel traguardo FA sono manco che i punti del traguardo FB. E come non s’è accorto il Capra, che ponendo egli, esser nel tra¬ guardare A tagliati punti 80, e nel traguardare B 40, nel venir poi al computo, la distanza CA gli tornava 37 Va, e CB 75? ma così fa chi non intende nulla. Avete dunque, M. Capra, scambiata l’un’om¬ bra dall’altra, ed applicato all’una il computo che serve per l’altra; le quali due cose bisogna rimutare, se volete che quel che resta per F intera operazione di questo primo modo di misurare, posto da voi 20 in questo secondo capitolo, sia medicato. E però intorno ad esso non ri dico altro, ma passo al secondo modo; il quale introducete con queste parole, e con questa figura a capello rappresentata: Verum evi invero si licer et qui devi usque ad termi- nutn li accedere, non autem essct possibile constituere lineavi perpcndicularem ad ipsum B (non sono le linee perpendicolari a i punti, ma all’altre linee o alle superficie, e però doveva dire: ad ipsam AB ex B, e non ad ipsum B) sed propter loci angustiavi necessitili essct versus D procedere, tunc firmato instru- D 30 mento in puncto B, ita ut veda diavi respidat pun- ctum D (e con che? e perchè? con niente e per niente) per brachimi instrumenti BC respiciendo pundum A (non potrà dunque con alcuna delle sue parti respicere redo pundum D) observabis partes abscissas a perpendiculo, quae sint e. g. 40 progressus vero ad pundum D per brachimi DE iterimi aspiciendo termi¬ nimi A denuo notabis partes abscissas, quae sint 20 sit vero distantia DB pedum 15. In somma non ci è mezo che il Capra voglia tener lo Stru- 590 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE mento altrimenti che a rovescio, secondo l’mio e l’altro verso ; e perchè? per scriver mostruosità di questa sorte. Qui, tenendo lo Stru¬ mento con l’angolo verso il termine A, bisogna sotterrarsi duo volte, in B ed in 1), chi vuol che il perpendicolo tagli il Quadrante; e quando poi P averà tagliato, potremo buttare in un pozzo i punti segati, in¬ sieme col perpendicolo e con tutto lo Strumento, come cose inutili al nostro proposito. Sono qui dunque tutte le medesime esorbitanze, circa Papplicare all’uso lo Strumento, che nella operazione prece¬ dente; e però non occorre replicarci altro, ma passare a vedere se, dato che i punti frissero ben trovati, sono poi bene applicati alla io regola, o pur, secondo l’usanza, fuori di proposito. Seguita dunque così: Quondam haec operatio per numeros est satis la¬ boriosa, pHmus enim numerus in seipsum ducenti us essct, productum esset, 1600 cui addendum esset quadratimi ipsius BD scilicet 225 marna ossei 1825 huius numeri indagando esset radix quadrata, nempe 42 haec ducendo esset per 15 productum erit 630 quod dividendovi fard per 20 per differentiam scilicet accept arimi partium, productumque estende rei distantiam ABAw que¬ sta regola di computare è copiata ad unguem quella che io metto nella terza mia operazione per misurar le distanze, posta nel mio libro a carte 29 (,) : e perchè nell’ essempio, che io pongo, metto che la distanza 20 tra le stazioni B, I) sia 100 passi, ed essendo in oltre 100 ancora le divisioni dell’ una e dell’ altr’ ombra del Quadrante, ed occorrendo servirsi del calcolo ora del 100 de i passi ora del 100 del Quadrante, il buon Capra, non intendendo niente, e guidato dalla sua perfida stella, che non lo lascia indivinare, ha creduto che io mi prevaglia sempre del 100 come numero de i passi, ed ha inserito nella regola mia buona una solennissima pecoraggine, per la quale ha resa la regola scritta da lui falsissima: e dove dice che al prodotto del primo numero multiplicato in sè, ciò è a 1600, addendum esset quadratoni ipsius BD, scilicet, 225, non è vero, ma bisogna aggiugnervi sempre 10000, cioè il 30 quadrato dell’intero centinaio dello Strumento, e non il quadrato del numero de i piedi tra le stazioni B, 1), e così si averà 11600; della qual somma si deve poi fare il resto, sì come lui, senza farvi più errori, co¬ pia da me: ciò è cavarne prima la radice quadrata, che è 107 2 / 3 pros¬ simamente; questa poi si deve multiplicare per il numero BD, ciò e per 15, fa 1615; il qual numero si deve finalmente dividere per la <9 Cfr. pag. 420. DI UALLESSAR CAPRA. 591 differenza delle parti, ciò è per 20; ne viene 80 3 / 4 per la distanza 13 A, e non 31 V 2 , come la regola depravata dal Capra d renderebbe. E sì come lux intromesso questo fallo nel computo numerale, così l’ha poi, in consequenza, trasferito nella regola che ei sogghigno per trovar il medesimo col mezo del compasso o delle Linee delle Linee solamente, senza altre manifatture di numeri: il qual modo è pure ad verbwn copiato da quello che scrivo io nella mia medesima operazione sopra¬ citata, ma però messo da me senza errore, il quale si lascia alle ag¬ giunte del Capra. Terrete dunque bene a memoria, M. Capra, come si ìolia da aggiugner sempre il quadrato dell’intero centinaio, e non il qua¬ drato de i piedi BD; e questo per voi non è picciol segreto. Torna poi di nuovo, pur nell’istesso capitolo, a misurare una di¬ stanza tra due luoghi, e ne pone la seguente operazione e figura, tra¬ scritta puntalmente < lalla stia. In&uper si necessititi essei observare distantia tu AB necesset possibile per redatti li¬ neata istos duos terminos AB aspi cere, ut apparet in exetn- plo, nec enitn ex loco C nec ex loco D kl fieri potest, ideo sic procedendum crii; constituti in sfattone D ita ut per lineata redatti videatnus termi nutrì A (quasi che si potesse veder 20 per linea non retta) et per al io ni quodcunque sujnum C per brachimi instrumenti DE aspicientes terminimi B nota- bitnus partes abscissas a perpendicolo, sint aidem exempli grafia 88 tane progressi ad stationen C ita ut linea CD sit ad angulos rectos cutn linea DA per brachimi instru¬ menti CE aspicientes terminili)) A notabimus partes abscissas a perpendicolo, quae sint 38 ulterius etiain mensurabimus distantium CD quae sit pedutn 60. Persiste, come si vede, nelle medesime inezzie, di ritener pur lo Stru¬ mento non con l’angolo verso l’occhio, ma con l’estremità della costa, e non equidistante all’ orizonte, ma eretto ; ed essendo im- 30 possibile che sia dal perpendicolo tagliata la circonferenza, del Qua¬ drante, s’immagina pur che ella sia tagliata, e che quei numeri de i punti gli possino servire al suo bisogno, ancor che niente facessero al proposito quando bene fussei’o dal perpendicolo segati: ed oltre a queste esorbitanze, ne introduce alcune altre, come è il por la di¬ stanza CI) senza alcuna limitazione, la quale però deve esser tale e tanta, che li due raggi DÀ, CB vengliino ad esser tra di loro pa¬ ralleli e ad angoli l’etti sopra la linea DO, il che egli non ha nè u. 73 592 DIFESA CONTRO ALI,E CALUNNIE ED IMPOSTURE detto nè avvertito, poi clic nella scrittura non ce ne è menzione, e nella figura si veggono le linee DA, GB che non sono equidistanti; adunque la stazione C si deve con diligenza investigare, e non a caso porre, la qual cosa sin qui è stata segreta al Capra. E tutta questa faragine di stravaganze depende dal non aver inteso niente la mia operazione posta a car. 30/; (,) , la quale ha volsuta copiare in questo luogo. Io non so poi perchè abbia tralasciata la, operazione nume¬ rale, postavi pur da me assai chiaramente, e solo ci abbia trasferita a parola a parola l’invenzione di questa medesima distanza col mezo del compasso e delle Linee Aritmetiche, messa da me nel medesimo luogo, io Finalmente, per l’ultima operazione di questo capitolo mette l’ul¬ tima del mio libro, persistendo però nelle medesime esorbitanze circa ’l tenere lo Strumento al contrario; e più, pretermette il com¬ puto numerale posto da me, forse perchè è troppo difficile, se ben per lui tutti sono difficili egualmente, e solamente ne trascrive ad unguem il conto ritrovato col mezo delle Linee Aritmetiche. Eccovi, giudiziosi lettori, dato in questi due primi capitoli un poco di saggio delle cose più utili ritrovate dal Capra, doppo che egli si ha burlato di me, e chiamatomi degno di disprezzo, e tassato di inavvertenza, per avere tralasciato di parlare del traguardo col quale 20 io osservo l’incidenza del raggio sopra le divisioni del Quadrante. E qui vorrei che il Capra medesimo, per via della regola aurea, mi facesse un altro computo, ma lo vorrei giusto e retto; e che di¬ cesse : Se al Galilei, vero e legittimo inventore di questo Strumento e di tante sue mirabili operazioni, descritte ed esplicate da lui senza errore alcuno, per aver solo lasciato indietro un capello (che altro non è una piccola setoletta, la quale io uso per traguardo) se li conviene di esser notato per inconsiderato, schernitore e degno di disprezzo; che si perverrà al Capra, il quale, usurpandosi quest’opera, e chia¬ mando il suo vero inventore sfacciato usurpatore ed indegno di com- 30 parir tra gli uomini ingenui, la imbratta di innumerabili e gravissimi errori, non in un solo capello manca, ma la totale intelligenza del¬ l’applicazione di questo Strumento alle sue operazioni nè pure un capello intende ? Io non saprei fare questo computo, nè so numerare l’innumerabile, e se bene io sapessi, non voglio; vorrei che il Capra medesimo, almanco dentro della sua coscienza, lo calcolasse: che io Ofr. pag. 421-422. DI BALDESSAR CAPRA. 598 so bene, che quando ei volesse con giusta libra pesare il suo grave demerito, non mi daria titolo di oblatratore di livido morso, nuale lV '"“ pr ‘ /a y 7 1 mone Ad lecto egli si era per se stesso pronosticato che io gli dovessi essere per la rc,n - publicazione di questa sua opera; ma conoscerebbe come io, astretto da estrema necessità, ho procurato quel restauramento, che all’onor mio, troppo obbrobriosamente da lui calpestato, era necessario; anzi di più, manifestamente scorgeria di (pianto più gran giovamento al- l’onor suo gli sarei stato io nel fargli supprimer e levar dalla vista del mondo sì gran moltitudine di errori, che nel suo libro si ritro- 10 vano (testimonii irrefragabili del non sapere egli più ciò che in questo Strumento o in tutto ’l resto delle matematiche si contenga, di quello che ei sa di presente ciò che si tratta sotto il polo antartico), che le persuasioni do i poco o nulla intendenti, che alla publicazione di quelli l'hanno persuaso e promosso: gli sarei stato, dico, quando l’ar¬ dente suo desiderio di sparger pel mondo la mia ignominia non l’avesse così subitaneamente, ed anco contro al divieto della giustizia, sospinto a far volar buon numero de i suoi libri per diverse parti d’Italia e di tutta Europa, ed in particolare in mano di quei Signori appresso i quali ei sapeva ritrovarsi i miei libri e Strumenti da me ricevuti; 20 perchè, quando ciò non fusse seguito, ma che insieme con tutti i suoi libri si fusse potuto il suo vero ed il mio indegno obbrobrio soppri¬ mere, io, senz’ alcun dubbio, mi sarei parimente astenuto dallo scriver, con tanto mio tedio, la presente necessaria difesa: la quale, sì come non può parere agra a chi spogliato di passione ed interesse la mia giustissima causa considera, così non doverà gravare il medesimo Ca¬ pra, poi che gb porge occasione. di avanzarsi nelle scienze matematiche in questa breve lettura incomparabilmente più di quello che nello studio di molti anni non si è avanzato. Volevo, cortesi lettori, finir qui, nè più tenervi occupati nell’ascol- 30 tar gli altri errori de i quali sono sparsi i rimanenti 17 capitoli posti dal Capra, pur del misurar con la vista; li quali volentieri averei pre¬ termessi, non tanto per liberarmi da questo impaccio, quanto perche non sono intorno a cose tratte dal mio libro (fuor che i computi fatti con lo Strumento, quali son presi da me), ma da i libri dell’ Eccellentissimo Sig. Antonio Magini, Matematico di Bologna, ben che dal Capra non mai nominato. Ma considerando poi quanto il Capra sia bramoso di riprendermi e biasimarmi, ho dubitato che quando io questo avanzo 504 DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE EI) IMPOSTURE di errori avessi dissimulati, egli non a dissimulazione, ma ad inav¬ vertenza o ad ignoranza me l’attribuisse, e elio, per dichiararmi e poco avveduto e molto ignorante, a palesargli egli medesimo si ridu¬ cesse, non curando di cavar, com’è in proverbio, un occhio a se per trarne a me due: nella maniera, che egli, dopo l’avere io palesato il suo furto, continuando nel voler sostentar nelle menti de gli uomini il sinistro concetto che egli ha creduto suscitarvi di me, ad alcuni va affermando, quello che egli ha stampato esser opera del suo maestro, ad altri predica che questo Strumento è invenzione di Tico Brae, e per Padova comunemente va dicendo che io ho presa questa inven- io zione da un libro per avanti stampato e publicato in Germania in lingua tedesca, il quale, a confusimi mia, vuol far venire e farlo ve¬ dere a tutti; e non considerando che quanto ei dice è egualmente pregiudiziale all’onor mio ed al suo (non avendo egli nel suo libro nominato altri che se per autore di quest’opera), su la speranza che qualche osso o lisca possa attraversarsi in gola a me, si mette a in¬ ghiottire bocconi mal masticati ed ossi molto duri da rodere. 0 pure vorrem noi credere, che egli alla caduta della sua reputazione, che da troppo alto precipizio rovina nel concetto de gli uomini, vada mettendo sotto, per ritardar la percossa, guanciali di vane speranze 20 e di giustificazioni da paesi lontani aspettate? sì come quelli che da un alto edifizio dovendo saltare a basso, per non ricever così dura percossa, con paglia o fieno o altra materia cedente si fanno stra¬ mazzo. Verrà dunque il libro stampato in Alemagna, e, per quanto intendo, il Gromo ne sarà apportatore ; ma bisognerà che il Capra sia di questo secondo miglior custode che dell’altro il quale già ebbe (che pur è forza elio egli altra volta l’abbia avuto, poi che sa come in quello si contiene quanto io ho dato fuori per invenzion mia), per poterlo mostrare a chi non credesse alle sue semplici parole. Per que¬ sto rispetto dunque, ed oltre a ciò per non mancare a quanto di sopra so mi obligai, che fu, se ben mi ricorda, di far constare come nel libro del Capra niente vi era del suo, da gli errori in poi, non posso restar di far palesi i luoghi onde le cose che restano sono copiate, e gli er¬ rori del Capra disseminativi, tenendovi ancora per breve tempo oc¬ cupati in altre inezzie Degne dì riso e di compassione. Già di sopra si è parlato intorno al primo ed al 2 capitolo quanto bastava. DI BALDESSAIl CAPRA. 595 Nel terzo capitolo del Capra sono trasportate tre proposizioni del Magini, ciò è la undecima, la decimaquarta e la decimasettima del primo libro De clistantiis : solo vi inette il Capra di suo l’errore che è in quelle parole della prima di queste operazioni: Si vero secuerit pritnwn centenariuni, ut exempli (/rafia 70 tunc. sic procedendum crii, pri¬ mula debes elicere radicem quadratavi ex quadrato perpendiculi ED ; dove bisognava dire: debes elicere radicem quadratavi ex aggregato quadratorum integri centenarii et numeri 70. Erra parimente nell’altra operazione, quando dice: Primo autem ponamus, quod in utraque statione perpendi- io culmi intersecet scemi dum centenarium in E quidem 93 in A vero 48 ; la qual cosa è impossibile che avvenga, ciò è che siano tagliati più punti in F che in A, ma accade tutto l’opposito. Erra ancora poco più a basso, dove scrive: Quare dices distantiam FB esse pedum 41 ; dove non è vero che dalla operazione scritta si trovi la distanza FB, ma la AB, (ed awertiscasi che niuno di questi errori, nè, per mio parere, alcun altro, sono ne i libri del Magini). Copia poi l’altra operazione senza errori, ma a sproposito di questo luogo, trattando di materia diffe¬ rente dalla proposta in questo capitolo, nella quale ei fa passaggio senza pur dir quello clic egli intenda di voler fare. I calcoli poi, che 20 egli e qui o nelle altre seguenti e passate operazioni fa col mezo delle Linee Aritmetiche dello Strumento, son tutti cavati dal mio libro; nè sono per lo più altro che la regola aurea posta da me nell’ Ope¬ razione quarta, ed il modo dell’estrar la radice quadrata dell’aggre¬ gato de i quadrati di due numeri con le medesime Linee Aritmetiche poste a squadra, il che insegno nel terzo modo del misurar le di¬ stanze, a car. 29 b (,) . Nel quarto capitolo copia la proposizione 19 del Magini; ma nel fine vi inette di suo un errore grandissimo, scrivendo: lertio et ultimo intersecet in prima statione secundum centenarium, in secunda autem primum, 30 operatio est oninino cadevi ac in proximo superiori casti, quare ab exernplo abstinendum credo. Questo che ei dice e falsissimo, e chi seguisse questa falsa dottrina troveria la distanza cercata nel sopraposto essempio essei più di 9, la quale, secondo il vero, è manco di (ì. Ma perchè il Ma¬ gini nell’ esplicar questo caso ha scritto : Operatio est fere eadem , se¬ guendo poi di esplicarla bene, il Capra, per abbreviare, ha fatto che operatio sii omnino eadem. 0) CfV. pag. 420. DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE La seguente quinta (lei Capra è la 22 del Magini. Nella sesta del Capra sono la 24 e la 26 del Magini. La settima del Capra è la 28 del Magini. L’ottava del Capra è la terza del Magini, De altitudinibus. La nona del Capra è la sesta del Magini, ma con un poco di giunta nel fine: perché chi operasse secondo le parole del Capra: iterumque (licendum, si quartus numerus inox indagatus dal 100, faria una falsis¬ sima operazione; ma bisogna ex numero inox invento demere partes ab- scissas in viciniori stallone ; deinde dicatur: si hoc residuimi dot 100, quot dabit etc. Ma quando da niun’ altra cosa avesse il Capra saputo ac- io corgersi dell’errore, doveva pur comprenderlo da questo, ciò è che l’osservazione fatta nella stazione più vicina saria stata superflua, non entrando nel computo; onde anco i piedi o passi della distanza tra le stazioni erano inutili, e potevano porsi ad arbitrio 10, 20, 100 o 500, e sempre il conto saria tornato giusto. E così, ponendo, per essempio, che i punti della stazione più vicina funsero 80, gli altri della sta¬ zione lontana 90, e la distanza tra le stazioni piedi 40, operando se¬ condo il Capra, l’altezza cercata si troveria 36 piedi; la quale, secondo la retta operazione e secondo la verità, è più di 129. Ma quelle che egli scrive nel capitolo decimo, son veramente 20 cose ridicolose. Ha in quel luogo voluto trasportar la regola per in¬ vestigar una parte di un’ altezza stando nel piano e lontano dalla base di quella per una conosciuta distanza, posta dal Magini all’ot¬ tava proposizione De altitudinibus : ma perchè il Magini in quel luogo, per non replicar due volte la medesima cosa, si rimette a quello che ha messo innanzi nella sesta proposizione De distantiis , dicendo che le regole scritte quivi ed accommodate per le misure in piano orizon- tale servono ancora qui pei* quest’altezza, il Capra, non avendo sa¬ puta far questa applicazione, ben che facilissima, ha ripieno questo capitolo di falsità. La prima delle quali è in quelle parole: Abscin- so dat primo in utraque observatione prìmum centen(illuni, ita dicendum, si differentia partimi abscissaruin in utraque observatione dat 100 quot dalnt distantia CE\ la qual cosa è falsissima, perchè non ut dieta differentia ad 100, ita est distantia CE ad altitudinem ISA quaesitain, ma è tutto l’op- posito, riempe id centum ad Ulani differentiam, ita distantia CE ad quaesi- tam altitudinem, ; onde chi operasse secondo la regola del Capra e P essempio da lui posto, troveria la detta altezza esser più di 191, la DI HALDESSAR CAPRA. 597 quale, operando conforme al vero modo, è meno di 53. Ma perchè io son certo che il Capra non può scrivere una sola parola la quale egli, o bene o male, non cavi da altri, mi sono accorto, nel vedere il detto luogo del Magini, di dove il Capra abbia cavato il suo errore: imperò che, scrivendo il Magini così: Notenturque partes HI , differen- tiae utriusque intcrnectìonis. Ad has cnitn cani hàbet proportionem totum tatua (riempe 100) CG, quatti habet distantia CE ad altitudinem AB, dove, notandosi dal Magini i primi tre termini de i quattro proporzionali, nel primo luogo vien nominata la detta differenza delle parti, nel se- 10 condo tutto il lato, ciò è 100, e nel terzo la distanza CE, il buon Capra, non pensando al senso delle parole del Magini, o (per dir me¬ glio) non le intendendo, e solamente considerando l’ordine di primo, secondo e terzo, secondo il quale tali termini sono connumerati, non ponendo mento a troppe grammatiche, nè a casi retti o obliqui, ha fatto conto che sia scritto: Mae enitneam habent proportionem ad totum tatua CG quatti habet diatantia CE ad altitudinem AB. Passa poi avanti, e (quello che ei non ha fatto in molte delle precedenti operazioni) vuol dichiarar questa con l’essempio, per aggiugnerci, guidato dalla sua stella, altri mancamenti ; e scrive così : Sed lubent hoc loco idi exetn- 20 pio, ne durn n imi ani brevitatem dcsideratnus, obscuritatem consequi videa- mur. Sii itaque diatantia CE per mensurationem nota pedum 86 partea absdssae in prima, ut pula CA 1 5 in secunda CB 60 ; la qual cosa è im¬ possibile che accascili, ciò è che (tagliando il perpendicolo, come egli suppone, il primo centinaio) nel traguardare il punto più alto A ta¬ gli minor numero, e nel traguardar il più basso termine B tagli numero maggiore di punti ; ma è necessario che avvenga tutto l’op- posito, come ogn’uno, ben che superficialmente intendente, può benis¬ simo vedere: tal che sin ora il Capra, e nel dar la regola ha scritto il falso, e nello esemplificarla ha posto il contrario del vero; dal 30 qual modo di operare viene a insegnarci che l’altezza cercata sia 191 piedi, non sendo ella più di 52 1 / 3 . Seguita poi: Quod si secando intersecct in utraque statione sccundum centenariuin etc.; dove egli dice, che queste operazioni che restano dependono dal suo cap. 9, il qual capitolo non ha che fare in questo proposito, e però credo che abbia voluto citare il cap. 2; e se così è, non meno che nel primo caso, viene a pigliare in questo secondo ancora i termini al con¬ trario, dal che l’operazione ne viene esorbitantissima. Mette poi 598 difesa contro alle calunnie ed imposture nel line di questo medesimo capitolo la undecima proposizione del Magini. La undecima del Capra è la duodecima del Magini. La duodecima del Capra è la decimaquinta del Magini. Nel capitolo 13 del Capra sono la 17 e la 19 del Magini. La 14 del Capra è la 21 del Magini. La 15 del Capra è la 22 del Magini. La 16 del Capra è la 24 del Magini. Nel cap. 17 del Capra si contengono la seconda e la quarta del Magini, De profunditatibus. io La 18 del Capra è la sesta del Magini: ma con V aggiunta di un errore del Capra, il (piale, volendo mettere un poco di operazioncella fatta sopra le Linee Aritmetiche, si perde, e dovendo pigliare sopra le dette linee, messe a squadra, l’intervallo della metà del numero della distanza AC, che è la lunghezza della declività del monte, scrive che exeipiatur intervallum inter (limiliinni partimn abscissarum, che sono i punti tagliati dal perpendicolo sopra lo Strumento; il che saria er- ror grande, e l’operazione falsa. La decimanona ed ultima del Capra è la nona del Magini. E tutte queste regole, non solo quanto all’ essenza delle operazioni, ma per 20 lo più ancora quanto a le parole stesse, son copiate da i luoghi citati: avvertendo però, che mettendo il Magini due regole da misurare, una col Quadrante e l’altra col Quadrato Geometrico, e mettendo sempre innanzi le operazioni del Quadrante, i titoli di queste opera¬ zioni poste dal Capra si trovano per lo più nelle operazioni del Ma¬ gini fatte col Quadrante, e però nella operazione del Magmi che pre¬ cede a quella che qui vien da me citata ; ma il modo poi dell’operare si trova nel Magini nelle proposizioni stesse citate da me. Or eccovi, giudiziosi lettori, tutti i motivi, le concitazioni, le ese¬ cuzioni, i progressi, ed in fine V ultima riuscita di questa disonorata 30 machinazione di Baldessar Capra, milanese, contro la riputazion mia: la quale impresa, ben che superi ogni nostra immaginazione, non avanza però l’animosità sua, sentendosi egli un cuor di lione per far prede ancor più grandi, qualunque volta questa appresso il mondo avesse avuto spaccio; di che egli per se stesso è chiaro testimonio, con¬ cludendo la sua prefazione con queste parole: Interim te. coutpello, et rogo candide Leetor, ut has meas lucubrationes boni aequiqtie consulas, quod DI BALDESSAR CAPRA. 599 si facies ut ni posterum, Malora his audeant, non mìnimam occasionerà paries. E qui sarebbe il luogo ed il tempo di esaminare qual fosse il meritato castigo della sua temerità: ma ciò non farò io; facciane il giudicio la prudenza vostra; anzi pure voglio che siamo così be¬ nigni e pietosi giudici, che ci contentiamo che questo reo alla sola sentenza da sò medesimo contro il suo gravissimo delitto pronunziata soggiaccia, che è: Ut Qui alterius inventionem impudenter sibi arrogarli, pa- tefacto vero, et germano effectore, magno suo cum dedecore io erubescant, et coram literatis, et candidis Yiris posthac se offerre amplius non audeant. In Fine. <‘> Cfr. pag. 133. Nella »c- couda lettera, ear. 4 li (1). II. 74 eoo DIFESA CONTRO ALLE CALUNNIE ED IMPOSTURE Copia. Gli Eccelli Signori Cupi cidi’Eccelso Consiglio di X infrascritti, havuta fede dalli Signori informatori del Studio di Padova, per rdutione delti due a questo deputati, cioè del Reverendo Padre Inquisite»- et del circonspetto Segretario del Se¬ nato, Znane Maraveglia, con giuramento, che nel libro intitolato: Difesa di Galileo Galilei Nobile Fiorentino, Lottoro delle Matematiche nello Studio di Padova, ctc. non si trova cosa cantra le leggi, et è degno di stampa, concedono licentia che possa essere stampato in questa Città. Datum clic 2 Augusti 1007. ) 1). Vicenza Dandolo D. Toma Coni arivi K. r Capì tUiVtiecriio Con». Uè X. ]). Antonio Bragadìn 10 Illuni risa, Comilij X Secretarius Bartholoineus C ’ ominns. 1007, a 4 Agosto. Regist. in lib., a car. 171. Antonius Lauredanus Officij cantra Blasph. Coad . Fede de gl’illustrissimi Sig. Podestà e Capitano di Padova. Noi Abnorò Zane, Podestà, e Zuanne Malipie ro, Capitano por la Serenissima Si¬ gnoria. di Vcnctia, ctc., Rettori di Padova, facciamo fede publica colle presenti Che 20 le sottonominate fedi e scritture presentate nella Cancellarla nostra Pretoria sono di nostro ordine, ad instanza dell’Eccellentissimo I). Galileo Galilei, state da gli Auttori o esshibitori d’esse riconosciute per vere, et per incontro fatto nelle parti citate nel¬ l’opera presente del medesimo Galilei, ritrovate concordi: onde, in confermatione della verità, a notitia e requisitione di ciascheduno restano riservati gli originali presso 1’ ordinario Nodaro Coaiutore dell’ istessa Cancellano, nostra. In quorum ctc. Di Padova, li 23 Giugno 1607. Nota delle fedi e scritture de te quali sopra. Una fede del durissimo Sig. Giacom' Alvise Cornavo, fatta sotto li 15 Aprile 1007, in Padova, con la contestatione del Sig . Francesco del Clarissmo Sig. Tadeo 30 Contarmi . DI BALI) ESSA li CAPRA. 601 Una fide del Sig. Giacomo Badovere, fatta in Padova li 13 Maggio 1607. Una fede di Domino Mare*Antonio Mazzoleni, sotto li 24 del medesimo, in Padova. Una fede del Chinissimo Sig. Giacimi Alvise Coniavo, sotto li 6 d’Aprile passato, in Padova. Una lettera del Chi) issimo Hit/. Giacom*Alvise Coniavo scritta al Sig. Aurelio Capra, sotto li 4 del medesimo. Una fede del Ilarissimo Sig. GiacomiAlvise Cornavo, sotto li 14 deWistesso, in Pa¬ dova, con la contestazione del Sig. Pompeo di Conti da Pannighi. Due quesiti di mano del durissimo Sig. GiacondAlvise Cornavo, fatti alVAuttore 10 di ordine di Baldessar Capra. Copia diami lettera di mano del Reverendo D. Antonio Alberti scritta al Clarissimo Sig . Gio. Malipicro, solfo li 17 Decembre 1604. Alcuni scritti a mano riconosci ufi da M. Gasparo Pignoni per quell- istessi clhébbe già cinque anni sono dal Sig. Michele Victor Vustroa di Bransvich, il qual Signore disse havergli ricevuti nelV istesso tempo da M. Giovanni Entel Zieck- meser, Fiammingo. Alcuni scritti vecchi sopra Raso del Compasso Geometrico et Militare dell'Auttore, presentatici dal Clarissimo Sig. Giaconl Alvise Cornavo, qual disse haverli ricevuti dal detto Auttore sei anni avanti. 20 Una lettera apologetica di I). Girolamo Spinelli. Almorò Zane Podestà. Zuanne Malipiero Gap. Giorgio Vecchioni Cancelliere Pret. sottoscrisse e sigillò. LE MATEMATICHE NELL’ ARTE MILITARE. AVVERTIMENTO. Pietro Ibiodo, eletto Capitano di Padova per la Repubblica Veneta nel lu¬ glio 1607, pensò tosto a fondare una istituzione nella quale i nobili padovani, oltre ad esercitarsi nel campo puramente ginnastico della cavallerizza e della scherma, potessero coltivare gli studi attinenti comecchessia all’arte militare; e così prov¬ vide, che negli Statuti di tale istituzione, la quale ebbe il nome di « Accademia Delia », fosse prescritto di condurre « un soggetto di valore e principale nella professimi della Matematica d) ». Solamente in sul principio del 1610 pensarono i preposti all’Accademia De¬ lia di attuare questa ingiunzione dello Statuto; ed alle pratiche da loro fatte con tale intento ò dovuta la breve scrittura di Galileo, che si conserva autografa tra le carte dell’Accademia Delia nell’Archivio elei Comune di Padova, e che qui appresso pubblichiamo. Essa non reca, per verità, il nome dell’Autore; ma la mano di scritto ne ò così sicuramente galileiana da non far cadere dubbi di sorto alcuna sull’autenticità (lei documento, il quale porta scritto, di mano del Duodo: « Racordi per la persona del matematico ». È dubbio soltanto se Galileo l'abbia stesa per adempire il desiderio del Duodo che volesse da lui essere in¬ formato delle cose matematiche necessarie ad un militare, oppure per corrispon¬ dere all’invito di presentare un programma dell’insegnamento ch’egli stesso avrebbe dato, qualora fosse stato eletto a quell’ufficio. (*) Galileo Galilei e lo Studio di Padova per Ax- allegata alla illustrazione «li questo documento, in ionio Fa varo. Voi. II. Firenze, Successori Le Mon- Favaro, Le Matematiche nell’arte militare secondo un uior, 1888, pag. 827. autografo di Galileo Galilei: nella Rivista d'Artigli e- (2) So ne vegga una riproduzione fotolitografica, ria e Genio\ Voi. ITI. Roma, 188G, pag. 111-128. * RACCOLTA 1)1 QUELLE COGNIZIONI CHE A PERFETTO CAVALIERI) E SOLDATO SI RICHIEGGONO, LE QUALI HANNO DEPENDENZA DALLE SCIENZE MATEMATICHE. È primieramente necessaria la intelligenza almeno della parte mi¬ nore dell’ aritmetica, per l’uso delle ordinanze degli eserciti e di molte altre occorrenze. Pi-attica della geometria e stereometria, per misurare ogni pianta superficiale, tanto regolare quanto irregolare, e per misurare tutte le io figure e corpi solidi. Cognizione delle scienze mecaniche, non solo intorno alle loro ragioni e fondamenti communi, quanto intorno a molte machine ed instrumenti particolari, insieme con la resoluzione di moltissime que¬ stioni e problemi da essa cognizione mecanica dependenti. Pi-attica delle artiglierie, sì intorno alle loro differenze, misure e proporzioni, corno intorno alle cause e ragioni di molti accidenti che in tale esercizio accaggiono. Cognizione della bussola e ili altri strumenti, per torre in disegno ogni sorta di pianta, così da vicino come da lontano. 20 Uso di strumenti da misurar con la Vista altezze, distanze e pro¬ fondità, e per livellare ogni sito. Alcuna ì-egola esatta per disegnare in Perspettiva ogni cosa ve¬ duta o immaginata, per la quale le fortezze e tutte le loro parti, come anche ogni machina e strumento bellico, si possa rappresentare e porre avanti gli occhi. li. 75 f>08 RACCOLTA DI QUELLE COGNIZIONI ECC. Architettura militare, ciò è perfetta cognizione dell’arte di for¬ tificare ogni sito e piazza. Instruzione intorno alle castrametazioni ed espugnazioni delle for¬ tezze. 1. ciò perfetta — 3. itile oppugnazioni castrametazioni — INDICE DEI NOMI. (I numeri indicano lo pagine). Alberti Antonio. 526, 528, 601. Camerarius Elias. 281, 284. Alessandro. 332. I Cappello Girolamo. 548, 560. Alfonso re. 254. Capra Aurelio. 531, 536, 537, 601. Apollonio. 559. Appianila Philippus. 284. Archimede. 186, 369, 559, 574, 576, 580. Àristillo. 527, 529. Aristotile. 173, 197, 198, 199, 223, 291, 295, 298, 299, 303, 304, 315, 316, 317, 318, 320, 321, 324, 332, 430. Assia (d’) Landgravio Filippo. 370, 534, 535. Assia (d’) Landgravio Guglielmo. 283, 284, 524, 535. Augusto. 430. Austria (d*) Arciduca Ferdinando. 370, 534, 535. Averroe. 332. Badovere Iacopo. 534, 535, 601. Bencdictis (de) Bcnedictus. 511. Birgio Giusto. 559. Boim Paolo. 300. Bragadin Antonio. 600. Brahe Ticono. 280, 281,283,284,294, 301, 521, 524, 527, 528, 594. Brandeburgi Marchio Ioachimus Erne- stus. 429, 511. Broscio Giovanni. 211. Capra Baldassare. 285, 287, 290, 425, 427, 431, 433, 448, 454, 456, 400, 465, 491, 499, 511, 513, 515, 518, 519, 520, 521, 522, 524, 525, 526, 527, 528, 529, 530, 531, 532, 533, 535, 536, 537, 538, 539 540, 541, 542, 543, 544, 545, 546, 547 CO 549, 550, 551, 552, 554, 556, 557 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 565 566, 567, 568, 569, 570, 571, 572, 573 574, 575, 576, 577, 578, 579, 580, 582 583, 584, 585, 586, 587, 588, 589, 590 591, 592, 593, 594, 595, 596, 597, 598 601. Gerenza (di) Duca. 534. Cicerone. 431, 435. Ciera Paolo. 539, 559, 560. Clavio Cristoforo. 448, 469, 551. Comandino Federico. 551. Cornino Bartolomeo. 600. Contarmi Francesco. 526, 528, 529, 600. Contarmi Taddeo. 526, 529, 600. Contarmi Tommaso. 600. Copernico Niccolò. 198,199, 202,318, 322. Co maro Giacomo Alvise. 294, 520, 521, 526, 527, 528, 529, 530, 536, 537, 538, 545, 546, 574, 576, 600, 601. G10 INDICE DEI NOMI. Dalla Croce Gio. Antonio. 289. Dandolo Vincenzo. 600. Dee Ioannes. 281, 284. Democare. — V. Timocare. Demostene. 559. Diggeseus Thomas. 284. Diogene. 429. Durerò Alberto. 20. Edipo. 573. Elia. 289. Euclide. 297, 325, 327, 424, 427, 433, 436, 447, 448, 450, 452, 454, 462, 463, 464, 465, 467, 468, 469, 471, 475, 184, 486, 488, 490, 511, 542, 551, 564, 570, 572, 573, 578, 579, 584. Fabricius Paulus. 283. Fiammingo. — V. Zieckmeser. Filippo Macedone. 429, 511. Galilei Galileo. 23, 83, 155, 190, 197, 202, 211, 291, 293, 294, 301, 302, 303, 345, 365, 368, 515, 517, 521, 528, 534, 535, 536, 537, 544, 546, 560, 592, 600. Gemma Cornelius. 284, 524. Gonzaga Duca Vincenzio. 534. Gromo. 594. Hagecius Thaddeus. 283, 524. Hainzelius Paulus. 283, 524. Hartmannus Ioannes. 438. Hassiao Willielmus Landtgravius. — V. Assia (d*) Landgravio Guglielmo. Herode. 305. Hippocrates. 430, 585. Holsazia (di) Principe Gio. Friderico. 370, 534. Homerus. 511. Ipparco. 253, 254, 527, 529. Kepplerus. 280. Lenscinschi Raffaello. 534. Loredan Antonio. 600. Lorenzini Antonio. 314, 315, 316, 317,318, 319, 320, 321, 322, 323, 324, 325, 326, 327, 330, 331, 332, 333, 334. Maestlinus Michael. 284, 524, 527, 528. Magmi Gio. Antonio. 495, 496, 497, 498, 499, 500, 501, 502, 503, 504, 505, 506, 507, 508, 509, 593, 595, 596, 597, 598. Malipiero Giovanni. 526, 539, 600, COI. Maraveglia Giovanni. 600. Mario Si mone. 293, 296, 300, 303, 430, 431, 585. Mazzoleni Marc’ Antonio. 535, 601. Mazzoleni Paolo. 535. Mazzoni Iacopo. 193, 197. Medici Principe Cosimo. 365, 367, 371, 518, 534, 539. Molin Francesco. 539, 548, 560. Monte (del) Marchese Orazio. 531. Mula (da) Agostino. 549. Munosius Ilieronimus. 284, 524. Noaglies (di) Conte Francesco. 534. Pannichi (da) Conto Pompeo. 546, 601. Pappo. 181, 464, 465, 569, 570. Petrarolus Ioannes Antonius. 434. Peucerus Casparus. 283, 284, 524. Pigiami Gasparo. 562, 601. Pinelli Gio. Vincenzio. 23. Platone. 197, 320, 321, 430, 433, 542. Plinio. 317. Pompeo. 430. Porcia (di) Conte Alfonso. 530. Praetorius Ioannes. 284. Pythagoras. 469. Querengo Antonio. 309, 311. Quirini Antonio. 548, 549, 560. INDICE DEI NOMI. (ili Rairaaro Urso Niccolò. 559. Reinholdus Erosmus. 284. Reisacherus Bartholomaeus. 283. Roncliitti (do’) Cecco. 307, 309, 312. ? 7 / * 2 - Sagredo Uio. Francesco. 534. Sagredo Niccolò. 534. Santini Antonio. 549. Sarpi Fra Paolo. 534, 544, 549. Sasso Camillo. 293. Sbaras (di) Duca Cristoforo. 534. Sclnilerus Wolfgangus. 281. Seneca. 283. Senteran (di) Gilberto Gaspare. 534. Spinelli Girolamo. (IDI. Tcncim (di) Conte Gabriello. 534. Tencim (di) Conte Giovanni. 534. Perentius Alexander. 511. Timocare. 253, 527, 529. Tinatius Joseph. 511. Tolomeo. 198, 199, 223, 243,253, 254, 527, 528, 529, 559. Torricelli Evangelista. 190. Tozzi Pietro Paolo. 539, 560. Traiano. 431. IJrceolus Zaccarias. 511. VallesiiLs Franciscus. 284. Vecchioni Giorgio. 561, 601. Veniero Sebastiano. 549. Vittellione. 325, 327. Vustrou Michele Victor. 545,562,601. Zane Almorò. 539, 600, 601. Zieckmescr Eutcl Giovanni. 465, 466, 468, 484, 485, 545, 546, 562, 563, 564, 565, 566, 568, 570, 571, 572, 577, 579, 601. INDICE DEL VOLUME SECONDO. Fortificazioni.Pag. 7 Provo lustrazione all’Architettura Militare. 15 Trattato di Fortificazione. 77 Lo Mecaniche.147 Lettera a Iacopo Mazzoni 130 maggio 15971. 193 Trattato della Sfera ovvero Cosmografia.203 De Moto Accelerato.257 La Nuova Stella dell’ ottobre l(i04. 267 Frammenti di lezioni e di studi sulla Nuova Stella dell’ottobre 1604 . . . 275 Consideratione Astronomica circa la Stella Nova dell’anno 1604, di Bal- desar Capra. — Con postillo di Galileo.285 Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova. 307 Il Compasso Geometrico o Militare.935 Del Compasso Geometrico e Militare. — Saggio delle scritture antece¬ denti alla stampa.943 Le Operazioni del Compasso Geometrico e Militare.363 Usus et Fabrica Circini cuiusdam proportionis, opera et studio Baltlie- saris Caprae. — Con postille di Galileo.425 Difesa contro alle calunnie ed imposture di Baldessar Capra.513 Le Matematiche nell’Arte Militare.603 Indice dei nomi.609 APPENDICE. I AVVERTIMENTO Nella revisiono di questo secondo volume abbiamo creduto opportuno fare alcune correzioni ed aggiunte, che ci sembravano atte a migliorare l’esposizione del testo, specialmente in quelle parti nelle quali, la mancanza della testimonianza infallibile dell*autografo galileiano, rendeva necessaria l’interpretazione di codici di copisti non sempre scrupolosi ed esatti. Queste varianti consistono prevalentemente nella correzione di disegni non autografi e nelle aggiunte di qualche disegno autografo sulla Stella Nova , e della Scrittura di Lodovico Settata contro Va Dimissione di Baldassare Capra nel collegio dei medici dì Milano, E così apportammo una piccola correzione al disegno delle Fortificazioni a pag. 86, e ad alcuni disegni delle Meccaniche (*>, i quali, provenienti da codici non autografi, furono dai copisti dell’epoca male eseguiti e talvolta specificati con indi¬ cazioni in contrasto con quelle del testo. Questa correzione si è resa necessaria per il fatto, che ne\YEdizione Nazionale si seguì per il testo delle Meccaniche il codice a più autorevole (3) , ma mutilo nella parte seconda, mentre per maggior omogeneità si adottarono le figure di altri codici, come quello h ) il quale, se per questo riguardo è al completo, d’altra parte rivela l’opera di un disegnatore molto trascurato. K così modificammo leggermente la figura a pag. 160, correggemmo quella a pag. 161 manifestamente errata, rifacemmo in forma più chiara c pili armonica col testo quelle delle pag. 166, 167, 173, 175, 184, 185, 187, beninteso lasciando inalterato lo stilo assai schematico e primitivo dei disegni originali dell’epoca. (*) Per la compilazione dclTavvortiinento, per la revisiono del testo sui manoscritti galileiani e por le aggiunte o modificazioni la Commù/tione premonta a qua¬ nta ristampa volle aggregare all'opera propria quella del iS Uff, Ci etra Fa {/nini. ( 2 ) Cfr. Delle Meccaniche letto in Padova Tanno 1594 da Galileo Galilei per la prima volta pubblicate ed illustrate da Antonio Fa varo (Memorie del I?. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Voi. XXVT, n.° 5). Venezia, tip. Ferrari, 1899. (3) Vedi in questo volume VAvveri, a pag. 149 e seg. 618 AVVERTIMENTO. Noi capitolo sulla forza della percossa a pag. 190 una correzione, piccola dal lato grafico, ma importante nella sostanza, lui riportato la figura in accordo con quella dell’originale Torricclliano o perciò in accordo colla dimostrazione. Per quello che riguarda la Stella Nora , abbinino voluto aggiungere alcuni di¬ segni, giudicati necessario corrodo ad un problema di astronomia di posizione, pervenuto a noi con scarsi elementi autografi. Questi disegni sono inoltro prove tangibili che già in quel tempo Galileo esponeva l’opinione copernicana. Al Dialogo di Cecco di Ronchitti portammo alcune correzioni ricavate da una recente pubblicazione <0. Per il Compasso geometrico e militare , mancando nella stampa del 1606, edita da Galileo stesso, un disegno illustrativo, abbiamo creduto cosa utile corredarla di una, riproduzione della tavola esistente nell’edizione del Frambotto in Padova, del 1649. Questa tavola, oltre trovarsi in accordo col testo, proviene da un editore padovano che, sebbene assai posteriore, pur tuttavia con molta probabilità doveva avere avuto sott’occhio uno di quei tanti strumenti dall’artefice Mazzoleni costruiti per conto di Galileo, il quale, argomento per noi di maggior valore, aveva direttamente < 2 ) autorizzato il Frambotto alla ristampa della sua opera. La tavola del Frambotto corrisponde con grande approssimazione allo strumento originale esistente nel museo di Firenze, riprodotto in tavola, migliorando cpiella precedente deìY Adizione Nazio¬ nale. A pagina 392 fu corretta la prima figura perchè i rapporti di essa non corri¬ spondevano ai dati del testo. Alla figura a pag. 447, ripetuta anche a pag. 551, fu portata una piccola modificazione per togliere V incertezza di una lettera du¬ plicata, o quella a pag. 449, ripetuta anche a pag. 554, fu rifatta aggiungendovi lo divisioni sfuggite nella precedente edizione. Alla Difesa contro alle calunnie cd imposture di Baldessar Capra {2 \ abbiamo aggiunti alcuni tratti di una scrittura di Lodovico Settala (,) , forse non autografa, ma certo originale, la quale, per lo motivazioni riportate dal patrizio milanese, ci è risultata documento pregievole per la storia di una vertenza, che ebbe tanta riper¬ cussione fra i dotti del tempo, o conseguenze spiacevoli anche per le successivo vicissitudini della vita di Galileo. Di questo scritto del Settala, non molto poste¬ riore al processo contro il Capra, abbiamo tralasciato quei tratti che, pure di¬ to Emilio Lovari.vi, Atti e Meni. «Iella lì. Aro. «li Se. e Lett. etl Arti in Padova, 1928, voi. XLIY. <*> Vedi lett. 4041-4045 voi. XMIl, Ed. Nazionale pag. 227 o 237. (3) La Biblioteca Universitaria «li Padova no pos¬ siedo un esemplare, sognato «S.N. 11910* noi quale, sotto il frontespizio, com’era allora costume di scrivere la dedica, si legge di mano di Galileo • Al M. Ili/* S. Riccardo Willoboo: l’Autore*. ( 4 ) Scrittura di Lodovico Settala contro ranimis- sione di Baiti assa re Capra nel collegio doi medici di Milano. Dal cod. 1708 della Biblioteca Trivijlzi in Milano che in calco porta scritto « Discorso del Sig. Lo¬ dovico Settala, Precettore, contro il medico Capra, «piale rubbò le fatiche deH’Eecellentissimo Mattemalico Galileo Galilei et sotto il suo uomo lo foco stampare come intus *. Vedi A. Fava no, Amici « corrispondenti di (ìalUto Cr\, XVII: Lodovico Settala, negli Atti del Reai Ist, Ven. «li Se. Lett.. c«l Arti, Tomo LXY, Parte seconda, 1905-1906. (*») Vedi Ed. Xaz.) voi. XIII, pag. 52*53. AVVERTIMENTO. fil9 mostrando il procedere scorretto del Capra, non toccano direttamente il processo, ed anche i passi estratti dalla Difesa, pei quali rimandiamo il lettore al luogo del- Y Edizione dove essi si trovano. Le piccole correzioni o i semplici richiami che non alterano l’impaginazione della Edizione Xazionale furono fatti al luogo opportuno, ma le aggiunte e le modificazioni, che non potevano rientrare nel testo, furono riunite come supple¬ mento alla fine di ogni volume. Questo criterio pratico, che manterremo per tutta l’opera, ò stato preferito a quello di ordine razionale per facilitare le ricerche degli studiosi, i (piali avrebbero trovato discordanza fra i richiami sul testo pri¬ mitivo della Edizione Nazionale e su quello di questa Ristampa , ove fosse stata alterata l’impaginazione primitiva. AVVERTIMENTO. 623 ? ~f -f H f? = ri — ^ * • # • ? i'fc ^ - 7 ( ^ - ? - >, & ^JO*. • ^ y,(M V* -t ,« 'H Z 3 d ■ f-f • ^ ' "\v «-v • 7 . tf 7 x f?- t'* (.fi ' T.0. 17 'TI. £1 ** f* tf fi* fa 17. f/. I • f7 >T -A al,, fj. _±L -al, /(f 'V ' f $ sr*- 17. tf. f. u ut. ir _ LJL f-if » \ • » jr SCRITTURA DI LODOVICO SETTATA CONTRO L’AMMISSIONE DI BALDASSARE CAPRA NEL COLLEGIO DEI MEDICI DI MILANO .La seconda difficoltà, elio prohibisce Padmissione del S. r Capra alla pra¬ tica è quel libro del Sig. r Galileo, et perciò anelerò brevemente acenando ciò che scorrendo il libro mi ò parso degno d’esser notato, elio chi vuole meglio esser chiaro, conviene che veda et lega questo libro, perchè molto chiaramente parla, et da se si fa benissimo intendere. L’intentiono del Signor Galileo in questo libro si conosce dal titolo che è in questo modo (i) . Dal qual titolo apertamente si vede elio il Sig. r Galileo non si è mosso da livore a far stampare questo libro contro il Capra, ma sì bene da necessità di bollore, il che anche più chiaramente »si prova da quello che nel foglio ottavo a mezzo dico il Sig. r Galileo nella sua difesa, cioè che per ninna causa può pensare clic il Capra habbia ciò fatto, se non per l’odio dell’ignoranza contro la virtù, perchè altro che tre volte dice haver parlato o trattato con il Sig. r Capra, et questo anche sempre con suo beneficio. Una volta con il consegnai* a suo padre per scolare nella scherma il molto Illustre Signor Conto Alfonso di Torcia gentil li uomo (orlano, la 2 A volta fu in casa dell’Illustrissimo Signor Jacomo Aluigi Cor- naro, pregato da loro per mostrarli il suo Compasso et alcune sue operationi. Et l’ultima volta per occasione d’un gran secreto, che ricercava un gran Principe di sapere non riguardando a spesa alcuna, et per mezzo di esso Signor Galileo si trattò con il padre del Capra che sapea tal secreto, et giudica il Sig. r Galileo che questo negotio riuscisse con satisfacione del Sig. r Capra. Laonde se viene provato, come a me pare, che in questo libro del Sig. r Galileo si facia, che esso Capra, o per stimolo di honore ambitioso et non conveniente, o per istigatione d’altri, o per pazzia, habbia mandato in stampa questo suo libro di Usus et fabrica circini cu - (*) Vedi questo volume a pag. 515 il frontespizio della « Difesa». 626 APPENDICE. iusdam proportionis, o come suo sempre, paro Labbia fatto accione infamo et disho- norata, et di grandissima importanza, con rubai* audacemente quel (V altri, et tanto più per esser Y offesa fatta contro autore di tanta fama et nome corno è il Signor Galileo, et perchè anche da esso rione stimata offesa la maggiore clic se li poteva fare, nè li volse mai fare remissione alcuna por ossei* cosa elio era venuta al con¬ spetto di ciascuno, et era offesa elio durava in perpetuo. Che il Capra sia degno di gran biasimo appresso a tutti, et che sia notato di infamia, il Sig. r Galileo, per esser appassionato in ciò et por non parere sia mosso da livore, non lo dice apertamente con parole, ma lo dimostra a’ lettori di questa sua Difesa con provo et fatti evidentissimi. Ma prima che ciò vi vada acenando con notar solamente et brevemente li lochi onde si possa cavar chiaramente questa verità, è bene sia letto il Prologo di questo libro della Difesa del Galileo, acciò più chiaramente si veda so questa nota di infamia, qual’è trilmita al Sig. r Capra, se no deve far conto o no. Qual è in questo modo _ Comincia poi a provare il Signor Galileo che il Capra, desioso farsi d’honore con biasimar altri nel libro della nova stella del 1604, impone alcune falsità ad esso Galileo, che se bene non sono cose di tanta grande consideratione, sono però da stimarsi molto per mostrar la sua malevolenza fuori di proposito contro il Signor Galileo et mostrar l’artificioso inganno di offenderlo in ciò, ac¬ ciocché, havondo il Galileo fatto pubblicamente alcune lezioni circa tal materia (et quel che è peggio con honorata mentione del Signor Capra), egli cadesse in opinione di tutti, con stampar a questo modo il Capra tal Consideratione Astro¬ nomica, chè quanto in voce disse non fosse sua dottrina, ma riiavesse rubata da esso Capra, et di più perchè haveva timore che il Galileo mandasse in stampa qualche trattato di tal materia, preoccupandolo con questi artificiosi inganni voleva per¬ suadere che il Galileo l’havesso imparate da lui, et lo voleva imputare dell’infamia, nella quale egli si ignomignosamente è inchiampato. Alle quali false imputazioni se bene al Galileo era facile a rispondere, come aponto in questo libro ha fatto, con dimostrar anche che il Capra ò incorso in errori inescusabili, o lasciar clic altri li rispondessero, come saria stato facile, tanto più essendoli stato inviato poco dopo che il Capra haveva stampato questa Conside¬ ratione, da un suo scolare una lettera in forma di appologia contro allo calunnie et ineptio di esso Capra in diffesa deH’honore del Signor Galileo, non degnandosi alcuno rispondere a queste esorbitanze del Capra in altra forma; la qual lettera la ritenne all’bora appresso di sè, nè volse clic fusse puhlicata, compassionando (così dice il Galileo in questa Difesa nell’ottavo folio a tergo nel fine) al gio¬ vino Capra, sperando pure che dal padre, o d’altri suoi amici dovesse senza tanto suo rossore esser corretta, et per lo inaliti modificata la sua aroganza. (*) Vedi questo volume da png. 517 fino a pag. 510 linea 30. 627 SCRITTURA DI LODOVICO SDITALA ECO. 1 ulto ciò si cava chiaramente, meglio di ({nello elio io so esprimere, dal prin¬ cipio di questa Difesa del Galileo sino al foglio nono, poco doppo il principio del cpiale quasi come un poco d’un prologo che va manifestando il restante del- r imputatione, si vedo l’intontione principale di tutto il libro, quale con questo pa¬ nilo egli esprimo* 1 ): .... Et tutto lo prova con ragioni vive et efficacissime, et con fedi autentiche, onde non mi par vi sia duino di quanto bora si è detto, anzi ini par degna di esser letta una lettera dell' Illustrissimo Giacomo Abuso Coni aro scritta al molto Magnifico Signor Auro!io Capra, quale in persona haveva donato il libro di suo figliuolo a questo signore, et è a folio 11 a tergo, qual è di questo tenore ... Poro a tutto questo cose pareami a prima vista havesse satisfatto il Capra con dire non liaver mandato in stampa questo libro de Usus circini cuiusdam otc. come suo, sì perchè nella profatione ad Ledorem dico queste parole: « Ncc obijciat quispiam • me haec non exeogitasse, nani istos libenter audire velini quid responsuri sint • ad quaestionem, qua senex quidam doctus alternili interrogavit : quot putas (inquit) • haboremus bodie in mundo doctos viros, si non uteremur aliorum inventis?* 3 )». Sì anche perchè dice nella dedicatoria: «Cum itaque hic, licei imperfectus, sit prac- stantissimi viri culturae frtictus, iure illi tibi Illustrissimo Principi debetur * (4) e le quali scuse produsse il Capra alli Signori Reformatori dello Studio di Padova alla presenza di molti dotti et intendenti chiamati per maggior verificatione del fatto, quando fu citato come reo, et in oltre disse clic non faceva usurpatore il Galileo di quest’opera, come egli si persuadeva per quella lettera che pone il Capra nel suo libro nel principio, elio li fu scritta da un tal medico napolitano, et che le parole d’ingiuria che in quella lotterà si contenevano, non riguardavano la persona di osso Galileo, non vi essendo mai in tutta V opera nominato, et che addossarli quelle ingiurio era più tosto una fantasia del Galileo, che sua volontà, anzi stringendolo in voce con vive ragioni et molto bene il Galileo con provare clic in quest’opera del Capra non vi era altro clic il suo libro transportato dal toscano in latino, et alcune altre poche cose, ma però piene di errori, et il restante del libro era tolto da altri scrittori in diversi lochi, come si può vedere et sapere li particolari da questa Difesa dal loco della sentenza pronuntiata contro il Capra sino in line del libro. Si che non vi è niente pmitus penitus del suo (come (lice il Galileo) dalli orrori in poi. Respose il Capra intrepidamente, ancorché provasse non esservi niente dol suo, die poteva risparmiare tanta fatica, perchè ciò non risultava in alcuna utilità di esso Galileo, nò che intendeva in conto alcuno pregiudicarli alThonore, stando che a lui solo et non ad altri toccava esser interprete dello sue parole, et di più che era pronto, quanto si fosse sentito aggravato, di formare una scrittura (*) Vedi questo volume da puff. 533 linea 20. (*) Vedi questo volume da 532 linea 18 a 537 linea 22 a pag. 538 linea 8. (3) Vedi questo volume a pag. 436, lineo 4-7. ( 4 ) Vedi questo volume a pag. 430, linee 21-22. 628 APPENDICE. a satisfattone di esso Galileo, et quella stampare et publicare, et insomma non lasciar in dietro cosa alcuna, la quale potesse bastare al risarcimento della fama et riputatione del Galileo. Et queste sono tutte lo scuse che ponilo levai il Capra da questa infamia imputatali. Ma appresso al Signor Galileo queste ragioni nulla vagitomi, et in questa Diffesa a tutte rispondo, perchè dice che per la prima autorità citata non si vedo che egli non voglia che non gli sia attribuita questa fatica come sua, ma elio potevano quelle parole dal lettore esser benissimo interpretate come dette per una certa modestia, et elio nel restante erano tutte parole amfibologiche per poterse con qualche apparenza superficiale scusarse se si fosse manifestato tal errore, so ben credo clic, accecato, non giudicasse li dovesse intraveniro tal incontro. Kt di più provò chiaramente per molti lochi, elio egli si attribuiva questa opera come total¬ mente sua, perchè a carte 5/>, a carte 16 et et a carte 28 &, a carte 38 cq a carte 40 B ì a carte 56a, il Capra dice: * hoc nostrum instrumentum. » Et di più nella dedicatoria dice: « Quare bis relictis ad propositum meum magis acccdcns, cimi satis din fabricam et usuili huius Circini proportionis, quem non in merito totius geometrale compendiuin nominavi volutassem * . Di più quello che pare al Galileo che concluda è quella lettera posta nel principio deh’ opera scritta da un tal signore Gio. Petrarolo, medico del Regno di Napoli, ad esso Capra, qualo però il Galileo va dubitando sia finta (il che saria tanto peggio), nella quale con parole imperti¬ nenti contro a quelli, elio si volessero arrogare questa fabrica del compasso (che però si sapeva benissimo, che era fatica del Galileo, et opera che a lui solo si era sempre attribuita), va persuadendo Petrarolo al Capra, clic in ogni modo dii alle stampe quest’opera « Ut qui altorius inventionem impudentcr sibi arrogant, pate- « facto vero ac germano eflectore, magno suo cimi dedccore erubescant, et Corani •literatis et candidis viris postime se offerre amplius non audeant. » (2 > Le quali pa¬ role oltre molte altre simili impertinenti, sono quelle delle quali tanto con ragione si dolo il Signor Galileo. Si consolava però, perchè oltre l’esser noto a tutti, che lui era l’inventore di tal fatica, bave va anche prima d’un anno fatto stampare in casa sua per Pietro Marinelli quest’opera, nella prefatione della quale ho notato queste parole, che trascrivo ad verbum: (3) .... et così li nomina, et questo libro è dedicato al Serenissimo Don Cosimo Medici Principe di Toscana. Si consolava adunque per questo, perchè come in fine si yedera, queste parole arroganti et fuori d’ogni ragion dette contro il Galileo, si adosseranno benissimo al Capra. Cavava poi da questa lettera, se è finta, che drittamente l’intentimi del Capra era di attribuirsi del tutto quest’ opera, c per necessità imputar altri come ladri et (*) Vedi questo volume png. 429 linea 20 e pa- (3) Vedi questo volume png. 370 della linea 12 £iim 430, lineo 1-8. fino alla linea 24. I 2 ) Vedi questo volume pag. 433, linea 27. SCRUTI IRA DI LODOVICO SFATALA EOC. 629 infami. 0 se non è finta, hì vedo almeno apertamente che por indiretto l’intentione era tale, massimo liavendola stampata in lettera più grande, perchè lusso da let¬ tori più notata. Di più è andato con questo inventami navigando et con queste parole amtìbologiche per potersi in qualche modo difendere se li fossi intervenuto quello elio intervenne a quel poeta elio si attribuì la fatica di Virgilio ai tempo di quella festa di Cesare, (piando espose in pubblica piazza quei doi famosi versi: * Nocte pluvit tota, reddoimt spectacula mane, « Divisimi imperami cum love Caesar habet * Li quali piacquero tanto a Cesare, elio con diligenza fece ricercare l’autore, et per modestia non manifestandosi così presto Virgilio, queiraltro Poetacchio arro¬ gante et sfrontato tentando la sua fortuna con questa infame audacia, so li attribuì con tanto suo utile nel principio. Ma tutto addolorato il povero Virgilio, tratto da vero sdegno d* bollore con un’altra lionorata et laudata inventione scoperse il frau¬ dolento ingannatore con suo utile et honore, sì che quel pazzo arrogante sentì poi tanto maggior doloro della perdita deli’acquistato, o con tanta infamia, clic non ardì mai più di comparire al conspetto di alcuno, non che di Cesare. Laonde mi pare clic neanche questa astucia al Capra li sia valsa, perchè, difesosi molto bene il Galileo et havendo provato manifestamente che il Capra audacemente senza proposito haveva rubato la fatica d’altri, fu condannato con la sentenza che si vede a carte 22 a tergo, la quale fu pubblicata a suon di trombe nello Studio di Padova nell’liora della maggior frequenza do scolari. Anzi acciò li tosse in parte pena del suo errore, et acciò clic almeno da semplici a prima vista, o in paesi alieni non fosse giudicata quest’inventione sua, furono tolti da essi Signori et na¬ scosti tutti li libri del Capra, acciò non possine esser visti da alcuno, sì bene si potria dire, elio si potevano lasciar manifestare, acciò visto da dotti l’error suo fosse meglio scoperto, potendo in alcun tempo negar di haver fatto tal errore. A questo però anche ha provisto il Galileo con stampar questa sua Difesa, et quei signori hanno concesso si stampasse per approvar insieme meglio la verità di questo fatto, ot di tutto quello clic è in questo libro, chè chi non lo legge, non lo può credere. Mora si deve di più avvertire, che quando fu fatta dal Collegio 1 ordinarono contro il Signor Baldissar Capra, cho non fusse più sentito dai Collegio nostro, fu ricercato che pena si vuol dare a tal ecesso, fu detto cho si dava la pena, che si chiama poena plagi, che s’interpretava pena d infamia la quale è differente se¬ condo la qualità dolli ccessi. Come saria per essempio a ladri di borse, la pena dell’infamia è la berlina, bolarli, menarli sotto la forca pubicamente, et simili peno; a quelli cho s’impacciano di fatucchiarie, si abiurano pubicamente, si met¬ tono sopra paleiii publici con legger pubicamente le suo pazzie et errori, et simili, fiora fu detto, se il Capra havesse meritato per tal errore qualche pena d infamia, quelli Signori, stando la parte che, cacciava gagliardamente, non 1 haveriano tra- 630 APPENDICE. lasciato, ma eli queste cose contro il Capra non si vedono, adunque non dobbiamo cercar noi tanto di volerlo castigare, ricorrendo da noi con tanta confidenza. In¬ vero si risponde, elio so non li fosse stata datta questa poma plagi, cioò doli’in¬ famia, clic non doveressimo ricercar noi tanto; ma non vi pare, o Signori, che sia stato grande infamia l’haver bandito questo libro del Capra pubblicamente a suon di trombe a Padova, dove era stampato, nell*bora della maggior frequenza do sco¬ lari, da quali era benissimo conosciuto, et questo doppo liaver benissimo sentito con giustizia le parti? Di poi V esser permesso si stampasse la Difesa del Galileo contro le calunnie (li costui a perpetua infamia, elio ù un continuare autentica¬ mente che quanto si è (lotto in questo libro del Galileo tutto è verissimo f Laonde io non so, stando la verità» di questa aciono infamo fatta dal Capra, stando Tesser condannato per infame per pena di tal delitto, come con ragione pretenda bora il Capra, senza altro suo merito, di essere honorato della pratica, che come si è detto a principio, V esser infame lo rende intuibile di tal dono. Itt in quanto per me, se non si esimo molto bene per altra strada, cosa elio credo sia impossibile, non so come non merita il castigo, elio dico il Signor Galileo nel fine di questa Difesa, elio da per se il Capra s’inchiampa, la quale è anche quella che li augura il Galileo, quanto ad verbirn la transcrivo: < !) - Qui finisco con acenar solamente, essendo elio il Galileo dove nomina il Capra, sempre dice Baldessar Capra Milanese, se noi V lionorassimo della pratica, pariria che noi Milanesi, stando clic lo specifica per Milanese, et massimo noi Collegiali, fossimo soliti e volessimo spalleggiare et lumoraro quelli clic fanno infamie, et in¬ famie tali contro virtuosi di tanto nome c buontà. Considerino adunque molto bone ciò clic si fa in questo negotio, che è di molto maggior consideratione di quello che sin qui a molti è parso, massime che pare a costui di non liaver fatto errore alcuno in questo, anzi che si vanta che maiora audebit , e sarà, vero poi che il nostro Collegio lo volesse in queste infamie spalegiare? Ma non credo mai, anzi tengho di sicuro, che, come prima, iterimi perpetuimi esse imponendum sdentimi! colectis votis, detenninabitur. ( ! ) Voili questo volutilo da pag. 598, linea 29 fino a pag. 599, linea 11. INDICE DELL’APPENDICE t Avvertimento.Pag 1 . 617 Scrittura ili Lodovico Settàla contro Y ammissione di Baldassaro Capra nel Collegio ilei medici di Milano.625 II. 78 > f OPERE GALILEO GALILEI VOLUME III Partk Piuma FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume III. Partii Prima. V LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L'AI-TO PATBONATO S. M. IL RE IV ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume III. Partk Piuma. FIRENZE, li. BARBÈRA EDITORE. 1930 - IX KoiZIoNK l'I SJUCK.VM KHKMPI.ARI Kskmplàrk N* Stabilimenti Poligrafici Riuniti • Bob.*™ Vx o \ \ I’komotork oklla Edizione Nazionale IL K. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FA VA HO. C-o adiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. /ONKin.ToRi : V. OKRKUT1 — G. GOV1 — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente pur i.a n ha del testo: UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO OLI AUSPICHI DEL II. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI K DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: ANTONIO GARBASSI). Consultori: GIORGIO ABETI'! — ANGELI) BRUSCHJ. Assistente pkk la cura della Ristampa : GASI’ERO BARBERA. IL SI DERE US N UN CI US K LE SCRITTURE Al) ESSO ATTINENTI AVVERTIMENTO. Quando, nel concepire il disegno generale di questa edizione, accennavamo alla possibilità che taluno dei volumi nei quali dovevano distribuirsi le opere di Ga¬ lileo fosse diviso in più parti {,) , avevamo in mira questo volume terzo, destinato a contenere le varie scritture di Galileo e d’altri intorno alle prime sue scoperte celesti; e di tale opportunità ci persuase viemeglio quel più profondo studio che. venendo all’esecuzione del disegno stesso, si rese necessario. Sicché, conservandoci fedeli al criterio fondamentale dì distribuzione, per cui, pur seguendo l’ordine cro¬ nologico, ciascun volume contiene lavori concernenti un dato argomento o una determinata ragione di studi, abbiamo stimato dover dividere questo terzo in due parti: la prima delle quali contiene lo scritto con cui Galileo annunziò quelle sue scoperte, e gli altri disputativi che da quello presero occasione; nella seconda com¬ prenderemo le osservazioni astronomiche e i calcoli sulle Medicee, per quanto ci fu possibile integrati, insieme con alcune appendici che compiono la trattazione dell’argomento.. - —- • - - - ••**■*•- Mercé il cannocchiale, ridotto ormai in pochi mesi a tale perfezione che uno più eccellente non riuscì mai in seguito a Galileo d ? ottenerne, effettuò egli in Padova e in Venezia, dal 7 gennaio al 2 marzo del 1610, le osservazioni celesti che fece conoscere al mondo mediante la suaccennata scrittura, licenziata per le stampe dal Consiglio dei X il dì 1° marzo (, \ Con tale scrittura era naturale CO Per In edizione nazionale delle Opere di Ga¬ lileo Galilei, 6cc. Esposizione e disegno (li A. Fa varo. Firenze, tip. di G. Barbèra, 1888, pag, 39. (Si A. Favaro, Intorno alla licenza di etampa del Sidorous Nuncius di Galileo Galilei: nella Hi vizia delle Biblioteche, mnn. 18*19. Al titolo di Aetrono- mini# Amwoiw#, che forse non fu nemmeno il primo, Gamlro, avanti cho fosso compiuta la stampa, so¬ stituì quello di Siderea* Xlinciati; come, per suggerì* monto di Hklisario Vinta (cfr. Galileo Galilei c lo Studio di Padova por A. Fa varo, A'ol. 1. Firenze, Successori Lo Monnior, 1883, pag. 386), al nome di Coetnica St/d era, che avova da prima stabilito di darò ni Satelliti di Giovo o che era già stampato, sostituì l'altro di Medìcea Si/dera. Tale sostituziolio fu fatta me¬ diante un cartellino con suvvi stampato « Medicea *, 10 AVV feltrili feNTO cominciasse il presente volti toc ; in* perchè la noalra fdinon* nuchM, m hl per questo riguardo, quanto più ai poaaa compiuta. volammo Inm conto, noa solo della stampa curata dall’Autore, ma altrui tiri 111411-.-., ritti autunni. «l,r si conservano nella Biblioteca Nazionale di Fino», a d«i quali noi» ara inop¬ portuna una diligente collazione. Ed a tal fin- di . nj -l- u-. m foi-.iipi... il primo abbozzo del Sidercus Nuncius (M-- *».»! . l’ »r III I ili • »r H *• — c 1 e da una copia autografa di quest opera (M»s. Gal., I ar III T 111 ■ *r e 1, giunta mutila sino a noi, soggiungiamo le varianti. mMmm di li, -ve importanza formalo, a piè di pagina del tosto che ristampiamo <■>» f,d. l':k ull*.- 1 .., .t,.- Ve¬ neta ”, secondo le norme fin qui seguita Mila pubblicazione dellr altre opere Q*> liloiane Uno dei primi esemplari del Sidrrrn» Nhhcihs (ìalib-o f,-< ■> 1 vnure. r 1... di Giuliano de’Medici ambasciatore di TWaim pt, V lini» i it--r,- * tinoanm Keplero, matematico cesareo, manifestandogli in pari *• «,j ■ ;1 ,L. lo facesse oggetto delle sue considerazioni. Il K-|>lcn> a>,<«nd 1; ,• undici gì-••ni dopo ricevuto il Sidercus Xundus, senza nemmeno aver avuto modo di verificare le annunziate scoperte, compiva la sua Déis< il-Uio cu,.» Sf ioro, la quale noi riproduciamo dalla edizione principe di Braga ’. Nella ristampa di questa, come delle altre opero n 11 Gallina»**, conforme *1 nostro proposito ci atteniamo con la ina ima 1 --deità o ai mali.*** nlii ,» «Ile edi¬ zioni originali; rispettandone non soltanto le parole »• le frani ,1 p ;r gì oli. In uno estranee all’uso dei buoni scrittori, ma la nti-na grati», talvolta erronea e*l in¬ costante, purché familiare all’Autore e dai contempo! un i gè» «Talmente approvata. Ci riserbiamo per altro la consueta libertà quanto alla mlerpun/i -ne, ch>\ -• ondo il solito e per lo ragioni dette già altrove, |H>manio forte n frequente; <• r< *> più regolare l’uso delle maiuscole, e correggono 1 manifesti errori di **Uiupa; 1 quali, perchè in alcune scritture sono in grandissimo numero -• non p <»iu> avere uu- elio volino incollato sopra la parola « Cosmica ». In qualcho esomplar© però, corno p. t*. in quello dalla Biblioteca Nazionale di Firenze segnato « CO. 8 *, la sostituzione non fu eseguita; o n» mnv no devo ussero stata oscenità negli esemplari che servirono all'editore di Francoforte, elio procurò nel corso di quel medesimo anno 1610 una ristampa del Sid*rr*t Nunciut, o al Makolf.sbi che curò in Bologna la prima raccolta delle Opere di Galii.ro, poiché in ambedue queste riproduzioni i Satolliti di Giove son detti « Cosmica Sydera ». Notiamo inoltro, che nella « di¬ zione del Siderea» Nandù» curata da Galileo, il ti¬ tolino corrente a capo di pagina ò Ohétrrativn*» «»• dereae reccn» habitué. (,) Sidercus Nuncius magna, longeve admirnhilia epe da cu la jmndcnt, nutpicìcudaijuc ’.mponcn» unici; • [*c t 9+rm «a, i t b r s M mx. y»4 « m liàLILSti Gài ILIO ale —mi m i w rt» » » »U M V—alila, lyml THoatam Hagl>ogi«« HI* X 1 Abbt«n»o eorrHId, a fà| ISÌ, lui It, Q> errore di p*itnA occone a Gitaan, parlando della distanza «Mia I ona dalla Terra Wmiwre, dato dai doa anaa narri Ili antograi • dalla «edm-na originala, in Mmtdt4UMrr««. * Ioà*»ia Ktnaai MatbamalKi l a#ar*i />•« •erlaiio nm «Vwum «U., Prag aa, iffM Insalai»* Sad#»ani. Anno Uomini, M.DC.X Mai Maa.Unì.(Par. Ili, T. VII, |, rar. 7 • reg.) n« abbiami» an esemplare no* t'»*r*fo v il quaU presaota notatali varianti in non- froQto della • lampa: lo riprodurremo a ano In «co nel l’ Epistolario, parche in forma di lettera U mandalo dal Riruuui a Gaulkk AVVERTIMENTO. 11 portanza di nessuna specie, non ci sembrano meritevoli di esser notati a piò di pagina, ma da relegarsi, o non tutti, nelle noto di questo Avvertimento (,) . L’ annunzio delle scoperto celesti di Galileo, se aveva da un lato mosso l’am¬ mirazione di alouni studiosi, non aveva mancato di sollevare dall’ altro una fie¬ rissima opposizione, della quale con assai poca competenza si fece interprete anzitutto un boemo, Martino Ilorky. Noi abbiamo stimato opportuno di riprodurre (sebbene omessa nello precedenti edizioni delle opere di Galileo) la Peregrinano cantra Nuncium Sidercmn dell’ Ilorky w , tanto più essendo talmente rara, che, nonostante le ricerche fattene in tutte le principali biblioteche d’Europa, non ci riuscì di trovarne se non un solo esemplare nell’Ambrosiana. Nella quale ripro¬ duzione conserviamo anche i grossolani errori della stampa ; poiché non ci par¬ vero da imputare al tipografo, ma al boemo detrattore di Galileo, altrettanto burbanzoso, quanto cattivo scienziato e latinista pessimo w . Da questa scrittura contro Galileo non distacchiamo lo difese che in favore di lui pubblicarono Giovanni Woddcrborn (k) e Giovann’ Antonio Rofl'eni (5) ; delle quali la prima ristampiamo dall’edizione originale di Padova w , la seconda dal¬ l’edizione di Bologna, collazionata sopra un esemplare autografo clic si conserva fra i Mss. Galileiani, Par. Ili, T. VII, car. 71 e seg.Tra la Confutano del Wodderborn o V Epistola Apologetica del Roffeni inseriamo poi, secondo il posto che cronologicamente le spetta, la Narratio de observatis a se quatuor Iovis sa - Minibus erronibus del Keplero, con cui il matematico cesareo dava notizia delle osservazioni da lui fatte per dieci giorni, dal 30 agosto 1610 in appresso, dei pianeti Medicei, mediante un cannocchiale mandato da Galileo all’ Elettore di Colonia. Riproduciamo questo documento importantissimo dall’edizione originale^, O' Nella Disacrtatin no trovammo min solo: quo¬ rum invoco di quorum, a pag. lld, lin. 34. (*> Mahtini IIorky a Lochovio lirccUaima Pere¬ grinano contro Nuncium Sideveum ctc. Excnsnm Mu¬ tino© M. DO. X, apud lulinnum Cassianuin impensis ipsius Auctoris. (») Senza con taro i falsi o strani costrutti, no¬ tiamo queste sgrammaticature: a pag. 142, Un. 17, agricoli; o a pag. 144, liti. 19, parturibat. (0 Quatuor grolle mattini quae Martin us Iforkif contro Nuntium Sidereum de quatuor pianeti* novi» disputando propositi! Confutatio per IoANNKM AV01»- DRitnoiiNiuM Scotobritannino. Patavii, ox typograpliia Petri •Marinelli. M. DO. X. I 5 ? Epistola Apologetica cantra caccino Peregrina- tiontni cviutdani furiosi Martini, cognomino Horkij editasi adveraua nuntium sidereum ctc. Honouiac, Apmì Il ac mi cs Ioannis Rossi j. MDCXI. Non vogliamo pas¬ sare sotto silenzio che nell' esemplare di quosta Epìstola esistente noi volumo miscellaneo della Bi- bliotecaUnivorsi tarla di Bologna segnato « A. V.Tab. 1, L).l, Vol.819», già appartenuto a Giovanni Antonio Maoini, sotto la firma dell' Autore « Io. Antonina Roflenus » si legge di mano del Maqini : * Scd auctor vorus fuit Maginns ». I documenti per verità tende¬ rebbero a provare die la scrittura sia del Rofkkni: ma non possiamo escludere che qualche parte vi abbia avuta anche il Maqini. (*) In quosta scrittura avemmo occasione di cor¬ reggere un solo errore di stampa, a pag. 103, lin. 38: So/ronisi invoco di Sophroniaci . H) Nella riproduzione del testo abbiamo corrotto soltanto alcune difformità tipografiche attinenti al nome di Galii.ro e allo parole )>erspie illium e con- apicillium . t 8 ' Joannis Krpi.kiu S. Caos. Maicst. MnIbernatici Narratio de observati* « ic quatuor Jwis «alci Ut ibu* erronibus ctc., Francofurti, sumptlbus Zacliariao Pai* thcnli 1). M.DC.XI. Anche qui ci occorse di correg¬ gere un orrore di stampa, a pag. 185, lin. 26 : quae invece di qui. Dobbiamo poi notare, elio noi secondo pentametro del VI epigramma sovrabbonda al senso ed al metro la parola Progne, elio nou ci credemmo tuttavia autorizzati ad espungere. 12 AVVERTIMENTO. non omettendo gli epigrammi di Tom limo Seggett", eh- lo accompagnano imi- p edizione stessa, contenenti il < Vicisti, Galilaee », attribuita al Ki-plt-ro. Alla Narrati a del Keplero facciamo seguire un’altra scrittura diretta contro le scoperto di Galileo, la Aiàvota astronomica, opitea, phpsica ili Fraic-v. Sui, sebbene certamente non abbia molto maggior pregio d-lla Per, : /rinailo dell' Hurkjr, nù per la sostanza, che è di nessun valore scientifico, nè p»-r la forma, tanto avvi¬ luppata, irregolare ed impropria, da rimaner talvolta ineompr-nwbile il —n o allo stesso Galileo, che postillava quest’infelice scrittura K noi avremmo fon - |*>- tuto tralasciarla, se non avessimo creduto che le lattile Galileiane, allonUuat# e disgiunte dal testo, perdessero significato e importanza. Abbiamo pubblu-ntu la Aùfcvc.x dall’edizione originale di Venezia e, secondo le norme |>r*<-d.mi¬ niente seguite in analoghe occasioni, vi abbiamo unite le jN-tdl-, ra< .<►gli-ndol- da un esemplare w storicamente importante di quell’edizione, -ul quale Vimvn zio Viviàni scrisse di suo pugno: Ex dono l’inr.' Gol don t/r Gal dar it. Iltotu libelli notae sunt ip&iits'celeberrimi Gatilaei. Il desiderio di tenere insieme raccolti tutti gli scritti polemici dei quali fu occasione immediata la stampa del Siderea* Xunriug, c’ indù*— a coll-- .ir- svol¬ tante dopo di essi la scrittura di Lodovico dellrf Golouil»- contro il moto della Terra, con postille di Galileo, sebbene cronologicamente avrebbe dovuto for— es¬ ser posta alquanto più innanzi. I’er verità essa è priva di data; ma imi siamo ben certi di non cadere in errore giudicando che sia stata stesa o negli ultimi mesi del 1010 o nei primi del 1611. La togliamo da una copia del tempo, non d’una medesima mano (come ai respettivi luoghi avvertiremo), disgraziatamente troppi corrotta, cosi che potessimo riprodurla con Fusata fedeltà. Kd invero, non m»1k- mente fu guasta l’elocuzione con Tintrodurvi assai forme dialettali, non imputabili <*’ Intorno al Skgortt abbiamo raccolti alcuni notevoli particolari. Cfr. A. Favaro, 8erie quinta di Scampoli Galileiani, negli Atti e Memorie della H. ite* cade mia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Nuova Serio, Voi. Vi; png. 58-62 ; e Seri* »e*4a ecc., negli Atti e Memorie, occ.,.Vol. VII, pag. 39-41. '*1 Vedi la postilla 0 alla pag. 224. Quanto a noi, con molta paziènza o fatica, abbinino tempre ten¬ tato di seguir l’Autore nei tenebrosi avvolgimenti del pensiero, e di non perderci negli intralciati pe¬ riodi scritti ìn pessima latinità e finiti di guastare dalla stampa scorrettissima : non d confidiamo tut¬ tavia di aver sempre còlto nel segno, proponendo, p«»r mezzo soprattutto della punteggiatura, quell* inter¬ pretazione che ci parve uion difficilmente accettabile. Fra i numerosi errori di stampa che abbiamo cor¬ retto, notiamo: a png. 219, lin. 36, 65ip*fopo; per i)5pàpYt>pog ; u pag. 223, lin. 16, Joénnie invece dì loannee, e lulin. 19, noe tri invece di noetru; a pag. 224, lin. 18, congruant invece di congruat * a pa*. 227, lin. 28, ?3 :y£)isyov invece di a pag. 220, lin. 17, emme* per rrnwM ; a pag. 232, liB. 5, retro - gradati* per rttrnfrndmhm ; a pag U3S, Ila. 8, 10 noma invece di /•; a pag. 284, Ito. IO, «««Mia invera di a+feeotoe; a pag. 282, Ila. 19, fc«J» p* r tnUe; a pag 218, lin. IH, p«r Hn*qn*itqo* ; in'diri», in varil Ino. ghi,l numeri col quali ti citano, por dimoctraria errai*, le oaarrvazioni cont-nuU* nel Siderea* \unnu$, ecc. Alivola Ae tr mn u m i m. fi/dKd, Pi peóne. etc. auctore Fiucuce Sitio fiorentino. Yenetlie MIK’XI, apud IVtrum Mariani BerUnum biblioteca Nailon ale di Fireaie. - Mae. Ga¬ lileiani, Par. HI, Tomo IX. ’‘' Intorno al I’ru.i Coc.omrr vedi qualche no¬ tizia nelle tWAigowi eoli Aevade.mira Incognito op- p*mtore al <ÌiWm di Galileo intorno alle eoee rii Hanno in tu t acqua, o eie in quella ri muovono per A. Favaio: nel tìulleitino di Bibliografia * di Storia delle Sciente Matematici* e Piti- Ke • Torno XVI II, 1^H6, pag. H28, noU 4. AVVERTIMENTO. 13 certo all*Autore che scrisse in buona lingua le altre opere sue; ma altresì alterato il pensiero, ora, come crediamo, per falsa lettura dell’originale, ora per V involon¬ taria omissione di parole e di frasi. Era pertanto obbligo nostro ridurre costan¬ temente la lingua alle formo toscane, e tentare, come meglio si poteva, di restituire il senso là dove ci parve mancare 10 . Avvertiamo inoltre che nel pubblicare le po¬ stille Galileiane, raccogliendole e dai margini della copia del Delle Colombe (Nlss. Gal., Par. IV, '1'. Il, car. 14 e seg.) e da due carte anche originalmente staccato (Mss. Gal., Par. VI, T. Ili, car. 06 e seg.) w , ponemmo fra parentesi quadra, non soltanto le parole* che per una o per altra ragione* il manoscritto ha perdute, ma anche quelle clic allo stesso Galileo venne fatto di omettere. Come attinente al medesimo argomento delle scoperte di Galileo, abbiamo poi riprodotto, dalla copia, unica e sìncrona, che se ne conserva nella Biblioteca Bar- beriniana di Roma con la segnatura X, 49, il Nuncius Sidcreus Cóllegii Romani letto alla presenza di Galileo stessò nel Collegio Romano dal P. Odo van Maelcotè 10 nel maggio del 1611. E per il posto che occupa nell’ordine cronologico, e perchè concernente alcune delle novità celesti annunziate da Galileo, abbiamo quindi fatto seguire il pro¬ blema De lumrium mònlium altitudine , discusso in Mantova nel maggio 1611 w e giunto sino a noi in una copia dello stesso Galileo (Mss. Gal., Par. Ili, T. VII, I, car. 64 e seg.) (,,) . . • • ‘ Appartiene finalmente alla storia, per cosi dire, del Sidereus Nuncius la lunga e verbosa Disputatio physica di Giulio Cesare La Galla De 'phdeno- menis in orbe lunae mine iterimi suseitatis y da lui tenuta nell* Università Ro¬ mana, dov’ era professore. L’abbiamo ristampata da un esemplare dell’edizione originale (71 che Galileo postillò di sua mano (Mss. Gal., Par. Ili, T. Vili); ma O' Rifiutammo lo formo: arteyliaria, ar teglie ria, portarti, beritarebbe, matcmatcci, cadarebbe, raggiane, tango, pigliai ecc. A pag. 268; lin. 11, cambiammo modo in moto ; a pag. 277, lin. 15, idea in Idra; alla stessa pagina, lin. 24, dalla prima in la prima, o a lin. 29, butti in tuffi ; a pag. 278, lin. 40, inserimmo dopo Terra le parole quantunque ella, confrontando questo passo con quello in tutto simile a pag. 277, lin. 33-34 ; a pag. 279, lin. 27, cambiammo dica in dirà ; a pag. 280, lin. 15, cap"° del in 9. in capra; alla Un. 21 della stessa pagina area in aria ; dopo la pa¬ rola potenzia, a pag. 280, lin. 30, inserimmo: ma non in atto; a pag. 281, liti. 17, cambiammo quando in quanto; a pag. 285, lin. 23, che in §e, occ. W Omettiamo, rimandandolo ad altro volume di quest’edizione, un pensiero clu nel T. Ili della Par. VI si logge sul margine inferiore della carta 0G r., perchè, sebbene scritto in quel luogo, non ha alcun rapporto, neanche remoto, con gli argomenti di cui discorre il Delle Colombe. W Lo pubblicò G. Uovi nel suo Galileo e » Ma¬ tematici del Collegio Romano nel 1611 . Documenti u illustrazioni: negli Atti della R. Accademia dei Lincei; Serie II, Voi. Il, pag. 235-240. Oltre gli errori già ..rilevati dal Uovi, correggemmo a pag. 29G, lin. 4, ex quo cita in exquicita. r- ( A. Fa Varo, Serie quinta di Scampoli Galileiani: negli A tu* e Memorie della 11 . Accademia di Scienze, Let¬ tere ed Arti in Padova. Nuova Serie, Voi. VI, pag. 64*66. (5 - A. Favaro, Serie netti ma di Scampoli Galileia¬ ni : negli Atti e Memorie della R. Accademia di Scien¬ ze, Lettere ed Arti in Padova. Nuova Serie, Voi. Vili, pag. 41-43. M Correggemmo un trascorso di penna a pag. 305, lin. 6: agmen ili anguem. O' De phoenomenic in orbe lunae novi teleccopii timi a D. Gali ileo Gali ileo mine iterarn cuccitatic phy- cica disputai io a D. lui.io Caf.sark La Galla in Ro¬ mano Gy innario halita otc. Venetiis, MDCXII, apud Thomam Balionum. r- 14 AVVKKTIMKMU. crediamo che i lettori ci surnniiu grati *•* tr*Wct*iiii.H\ «rhh.-n* ntnU mi De phattummis l’altra dinserU/mn» lk Imre H lumtmé del mr.i.nmo AuU n, elio nella edizione accennata tien dietro sili pnm*, ina che non ha |> itili# ni Galileo. Non abbiamo bensì mancato, m ine he ter mi quest a tr«u» v t ielle che porta l'istituto della notti* edizione, e delle quali tanto afri a maggior bisogno in quanto che la stampa antica, come anche duo un avvertimento prato in una delle prime carte, è singolarmente deturpata da err ti di ti|»fni(ii. \h- biaino dunque sanato un numero grandissimo di in ah ut i de'quali il tenvo era totalmente smarrito; e in quest’ ojiera di emendamento ci furono praao di efficace aiuto alcune correzioni interlineari e aggiunt» marginali a i«mj>v che porta resemplare citato, dovute certo a mano miuduli e di notimeli»* era inulto addentro nello materie di cui tratta la Di*j i ’. Dall ignoto ron' iUirt s* Gettammo tuttavia soltanto quello mutazioni elio ci partirò strettami»nl« neces¬ sarie. Quanto poi alle postille di Galileo, alihiam posto a piè «li j iguia. s resistitivi luoghi, quelle che sono segnate sui margini dell’ equipi ire ; altro invece, eh»* cono scritte nei fogli di guardia, iniziale e limili, d« II* esemplar# ntf^o 1 *, le ab- biamo date in tino della dissertazione, «chia ne ah uno di hki avremmo potuto agevolmente riferirle all’uno o all’altro passo; ma ci parve , che dall’attuale lettura d’ un passo di essa Anche n< U ♦di. »on.» di questi* p.*vtille abbiamo fatto uso delle parentesi quadre, ai m«*h Mini effetti p. r i ijudi lo ab- biamo adoprate nelle postille alla scrittura del I)»lle (olmnlw; equi vi abbiamo ricorso specialmente pubblicando 1 quel che si legge mù frammenti delta guardia iniziale, buona parte della quale andò perduta per uno strippo 1 . Oltre a queste, di che siamo venuti tenendo panil i, pir>s«hi*- altre s««no le scritture polemiche concernenti il Suìere hs Nhh iuh; It? quali jmtò. avendo forma di lettera, vedranno la luco, secondo il nostro disegno’®, al lon» luogo mD v E pi¬ stolario. Cfr. pag. 358, lin. 25 o pag. 392, lin. 11. Knlondammo, p. <*., con 1* Aiuto di tali cor* roteili a penna, a pag. 333, lin. 7, emiro in timi o; a pag. 337, lin. 34, rationum in ratio non ; a pag. 319, li». 11, quemquam in quondam e unumqntxiqne in num», quoti qui ; a pag. 851, lin. 21, opmtio in opimo, a pag;, 355, lin. 7, appellai in appormi ; a pag. 8S0, lin. 32, funtum accenti il in ttal,m accolti ; a pag. 8iVj, lin. 5, naturai igni* in naturar Terrai proptrr oUcn- ri totem quae eri in tu, come veramente porta il pas*o di Avorroe iri riferito; a pag. 38<ì, lin. 15, amimi* in auctoritàte'; eco. <3 Alcune di queste furono pubblicato per la prima volta nello Memorie t lettere inedite finora o •lupare* d* GatJen irdiMl# rd iM attrite émn annoiati**» dal Ot». 0. R Ninnai #« Pari# *Weon da, «cr. M td«na, p#r 0 Viirtin * Camp , MtNXTUI, paf. 8S4 -SSS. * %> A pag. SOS, Ua. SO • * pag SS4, Un. I 4 Supplimmo qualrb* parola, giovandoci d*l frammenti dalla lattari» r*n nervati. • qMiclam altra, aiutandoci col mote* lo aampra par»» con grand# p rodo ma. — Àn<*h«* qu*«u folla abbiamo riapalUto qtulcka traacorao di p~nna drl poallllalor# p. #. ■ pag. 8S8, Ito. 8S-S7 tu*dnu t a pag. S40, Ila. «2 rie mmdaeeH, OCiC. 4 Per la editiamo natiommle dell* Opere di G*’ Ulto Galilei, net., pag. 3», ABBOZZO DEL « STDEREUS NUNCIUS. FACSIMILE. SIDEREUS NUNCIUS. 17 **j °jj luì - tv VrxMf ótri 0^++- fi tfx jufiry r***- 18 siderei;» ntncii s. S1DEREUS NUNCIUS . 19 ^rCr^. '2*H»+t *~«*m-* U++K <&**#? n^S i*‘*V ^.•„. .*»««*, -»» a->* r-r^zUkZ ^. A . w/#' <*‘iW-' «~s~^ J ^ JU 7*UÌ^^%^-«T*4t' {{*V-U4 *-y+£*- UU **?-' c f~ <*- firn*/À rsU+jLtf r* n*t/e e, ; **f u^yoj */f< ~ tu£ro } óernJk. .* . 7lj/ib+' uà/- <^hc *4$*fi&yG** trCH: n* ec’ujii r*+yih'&is**'?“{ g t 'é£. óyy^JCK. C^béZ* < /f~r£h4Ìry£ y /w- v->^ C _J^U.'-r*--Y^ <'- - —-> < - • ^ — -''* *^*' ‘ **"*-.; «eSL3:£ ^U'-UU^r a ^Z. * e^fy .**< y^eS^~y ', Qv<- fu>U%A. cì\&t&> u// ~ -V-’ — 4^/ V' | ^ " w . £Zc ^3 ’*£ r A? i . A^: ù> ^a^jff:-. j t*€ aL /i\ U/y&rSU- ; • . , ^ ^ ^/- ^ UijU aUZiU. X«*Xl ?^-q '* ^/C/->~i (fj f £ 4 ^ 0 ^ cry^/{a yjuoé^f ^ r^f ; £m~\+{ (7^ fi^Xéut; »**- 'W&y cify^u^Vf ^ czfac&t 0i\ £uXfcf' fadj/tf' Af- dUi+p. a ' h y4*fv\Af f/tshxux, ^XrMUthtl *m Tr^u-C , 7^m.^c s ;w)K, a^~ /yeti /; /£3 «fz** - 6g‘e*+&■ A*. &t}z C ótfrMi f 22 S1DKKEUK NUNC1LS. ujx^y fi&Jer , Zf ir A. ÙLr*y#i ***“»*, •> «£&*, ? ”7? T^iZ ^v/ cyVf* S1UKKEU-S NUNCIL’S. 23 còhrryùsM., uj,£cjC J ~^K m ^u./ / ^ >JuJt Qcéaj ■fej'7T^7* y***^£* r> y *,> zuct '/tlAZk ^nhfi-yu/Cfx . c/tr^y^t- ^>^ZLy»f /Zzu clu/T*. r* - + - 1 ^ l ~ , - /7y£>^ e/- zU- et a^/€ //. „ »X< : %_ auAjt kfùt rt^fucct, £sr^' 7 v 5 j*- / f • A * . * '-cu. A e&LtAcTh' W ^ ^ f*?&u u4fi ?>^c <&>- éihte. dj./efi oÀ tejp?*- • } uporZ ?£fih^ Afirjdfj fi&jr* ’rv^jfSaàcd, 7^- < >~ € /' if?y>dm J Opw^ < w£a~cc ^'ì^ybcJ *ÙÙ tMflU >4-0 ^4^ III. 3 S1DEREUS NUNCIUS. 25 cf&'Je 7&7^t1 c €/' C < ^ v 7^-^ÓL J * 3 &(L?UC '*&£ C4c f^Y ^^f^'**'** J J)* ^ S^OL ^ / -^r^UyriL >W-< t\_ t^cì^Oj ~’< ^ ^*^e~ ^ «e/- «À^7 *< 1 XjL?rxjJU~ìt . /fc t£r y “'Mscx^ySX: **< V*'u* Ax^^U/-, ?>-ec * /< < c^r\^iSy. * £, ^ / . k . / rtu . , t- e, C't «.--n ^ • óT t^'cc^c A e&iUxrr^. tc/WL~ <£) t frvh f -&P<4Lr*4 tW/ C^fcffyfxO ^ÌGJ/UT *^Cc<'r?^ * m- CK £*$/ (^p^. y tZc /<;£sj+ yWv* <* fw^si/K. "- ^ ^/^A- S2 *L • ^ / «7 ~5 / W<^ p^Uj^LULp^t ; -n • oofW 6u^t* f isó^éy+U- ' Zu^ur, (//odi. '?***/- ~ ' s<-' c/ € W M ' o SZ ['& ^ wu ^5 tj^t f frfuj vp*-£nf-f Qoal'rt >no-_ ' i>C/tG à-W? fr-l yW?'* tf? ctxV+Aiy J) ^ pttsj, ’ irr^r^i jr^ppUjsuJi, sl/ déy£. cdjf&^S^r. 01- <£^** , / 7‘ u *c c ^ / y*'V-f 4 Cy ^*' K'yo-^^ 6-rpya.< c^&ry-4c cl&. rcf-^uryf-£tx A-^' 11/ 6>i c/r<44M*J\' ca->-ftxf *£o£, «A J, CJLCA^ -ci ^ f(éj-~c\ iast. fp% ■c*. Hl^T+1, «A / <*- x ^juxLcIàl oLy+xd ^ ✓ cxfjp'cxuiAK w/y., Ju£« A 'tj%**' ^srhJi ?*i£ 7Vf£f ■ Tpp*^ <£/■ hYxxirZo a^rH^fM. ik^riHTUlfa] ■£*- / P~éiA- éyjyu.^^ 1 itAsgfa tx^tZ fyCitd A^c q. j^\ # 7t^ Vg/r-c-vrSZ *$, é-Wv&u. cJ^y^\‘p^A ■ftA-L?~ ( ~f) vÀ^XO àUjJ-rt-C -fr^Z Vip f*p 0 m -oyi #^k ni. SIDEKEUS NUNCiqg. 29 r* •7x~ 7 ^mt 'C<^t pv*-'*- ^l^Ohbnjo , OJ^c/u. -JU. - Q*~t»yr- QjfK^nMxistvf? VàLrbcL ^ OJ^- Oi tj^f f'U-H ASkf' vr. ^ /jÀ 0^+4 O^-' ■yi^.-trzA.- j r'^/vlc^ tA^ULj}^ 7^-&-£r 30 SIDKKRLS M NCIL'S. c*^U<* e /f -TvarfVy A^-o ^r-yy^jxf ^ (y s £ . ^ ^ ^ ^ *>£/ AT/\ ** 6-&t ffi jy'dnfi r cjjur i»#>m< Ocr\: yf ^^ A4 ^ • > «./£ *rr/ejKÙ4*m£? , . . . JL «ai? *<£*»?; ^<*tf<^< p % /• > s. ^ / / / A * Ai /iin -t*Oì*4_ effc. c-?*.)r\ i^ló'eA e pi ***7 ^— f&Q J' ujytfy a^eSc/t^A^'fi { c -^*ar ^ yt^j. Qe c a. n^Avu j ^ ^ v ^a/W/ì ^ , +^of *4*-*- Aot**{ A ^ A*y GU^-^cJAt-Z?- v^w^— j[^u4^c~ /* ( Lc*G - StDKREUS NUNC1US. :\\ ¥ *e>. féP ì> /* / / \ ' / X \ ì * ?i* ++ /1 & * i , - / <^?ayc*i~/+4+f A ÙM >r ^ MMfìj ^TUSjétX^ ^AS^ J}^jù*p*4c j *uc? **" l ^ . Ci - c*J ''c’.Qie-TKl^r Cjfc ^^-2à m^o fjf. *2) &*-*< Q** »**-*^ r y j ***^^*wer /£ ^ ^ ^ ^ "Zjìc a, c€ . U C **>£>**. ^ ***&yi±. ice . /^W* <£U*. ^ *V f+JO-t Pn\ ii^>r ZMA.{^4^t?t.fi?'& c €l c r cc. 2£*Z. ~C2 £t*rv>~ Orr*-te£’tr t> f**X T^uZÙ * M Wìce/ *» J22 t+ / ***u 7t^& , 04~y > ' ^^jCc2h<“&-‘ r £' % S1DKUKI S NUNC1LS. /<^U£f /ju^uS^ yùjL^Z} é£txx~'tej~ ori 9rxDv-vc c^l^ru-f Q^vuT *J£'j^jr t ^oc} ^é^Ód^. ^ y^oi e^-rvu/tv-rQ^ ?»^>m,>m. «x^Xcr^Ax-r- ^*^h>-l yt^K.z. ^r^v£\Sk t^l. £ty£*. tfyAv^Z «*v^ y j àrt t r -^*'f *' * T * ? r c y ~ Éct ^ ** /£<&/ -tr*s£f juULC&O (cy^jg TT^T^Cr 0-££jd)r*4^ ajf)gj) ust~ Q? 4^r *~^~~ (f£^£z/tK- £*<^-&kXT <$dp~6u^d*jtr^ > ^y+*£\ cv tj&z/v^^j?~**^\.ux-*?r\ krte-fdf (MA3a a~fr-f~ ‘/^ Ò^X Xm~T^ M^t f^> «4T 4w <*, *♦*«*■ d~fÓ~t^ UÓ^yr^ f &-C y^-fiA. ? x< ^ ^cc<. ^ fCucA^s *i>««*£W pc<^_ fZuT, ^^uK(S<7^ /aia. ?«f£i ^%/S JAÒ ?^'é] y^tw$ÒA <*Tr*àe ; /k7 €/) ^yyO^> (P\ JóZf ozx^fu. (À\-far Jy^0r^~ c^ei^CThCl/-^^ t An&L<^<*-^*^o^ tx a^j^.y^yX-^ ^ ^ 9/ / %M { y*idX?^o (Xy^. 770^'Ze r & uàl*J re iyo^^y /-zà 6&rud&y*Zc+. é*-fe-b\ - a~ccf- Jjz.'&y 7?<^^7wX^£' t^x^€~ ^4^'^ A- x^^raUjT 6 m6 *^/>^i /v? -*/-e Qe ^^O^Jna. £C'jZ" ì^+jy J LvjiJcC 0 u&* *'&'/f , ^ CA -*- £*&&*<*< oQ&/^6'* ’/jtCT ( 7/<^- iUire. ?0 £(juu£ } 'u/* e^? eir <**> &nyCu 9*® 777)icA^^j7*i^f * 6 f&'yyyr] c^x£^ 'ux { , 9^*4-***^) tLjZl S * " iS-t/kr <>. h^f.P^^JL6r-y'ói r ***~fly t? * ì/£fJ7fQ>l^6t* <*■'*>-< <£''/’, cf~ ( ^ y^Z^vy ^-v. >x« ’PZh- % ^ccy e flr+ar^y* Ó /’V.x^ " ^ •- ' *' • *■" ^ JT 1 ^ VhTUJL /£&**< <««m^ AX A/A; rh^^- V ** ^ /—, V-J** ^ c.^i tjf-*-*^.. ^yarrt'^j <■*-& 4 * *£*5 jy* ** '^h* t r*?r^ 4 ,' 7 r ^^/«^ctf-y cXu/ S)-e £>}^£w& y.'H’f^j> Jt. 7urj /vi. W^/^ 4 ' >cuf. Ma-^Uoj^^ pup^yU'^ a^r^t^o . fé^^y ^ Mjf=d&& O* Ulo l-fia^ó^o StA fetr^ ,J*4. • y^r*-f

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Ih+eJ!.' cc^ ^ siA-^ti 'tf*l fi^£_ y^A^! juj fT v-^7’ A^ /ÌAy^»^ t’ZjyvS- r*mftf<&x£ a' fc^u^ £r+7^j O-^^A&Uf ; fa-Ik-^vjj *£ III. ‘ G SIDF.REUS XI NCIUS. 37 ( c?r^* 7 . *Acr\ t+*fry */~ ytO^Xz dxJ*£A Crr^'fJ&JrrJL’ ' /] gi „. IL JX- ^ ? 2 * -~*4 - a ^£~ c£Wé^fi/Y O^'X&ÀvMf ; «/“ U ^ k ^>1 ^ t C^C^Cz <* f'^My^irr^ CAJUyAu/’ , /tXA+4~ «r?^c6s.- *£r r W,;^). 7*/**+^, «A *W /uMi'. fi++-U fer-<-£rrJ- ^^vtAA^vfJA; . ^ , -h^ «»i>, “«-^•iy *iX X<0*J , iv'/fs A^-^k'yS'-y 7 ^/* ^ ir* /^>* 1 +'&'» -v* JX*+A**& 0, 4* *. a ^e/^ **Y-* C <* «-&*-e_£/<<» «*$£ ^ ' # tA€ ' * ^ < 7 T «#7 tfCUJLj ftf- ^M> l Jy te^ r! ^ ^ 0 - 4 ^» /‘^ 7V • T°* . ^ °' - X^A * '+&**£*-'*** , ‘ '<^ <*£*£- «^st^O^e fiay-fc ar^f^-^t 1 , ^ *^^é~ 6kK &■■ Vfc,' ma frXf fi& ftb ì 7r*à*À. Ad*. crr^t**rtJ\ V# o -x , T44KÀjL&f> e *W ÌX**- 3*rn : JeJuZfà^A <^A- C'^e^., 5 Ww^ SX^ot^ r»8 SIDKRKU.S Nl’NCir.S. . • ^ 0x 4^^.. t >♦ c ^f tSU*/ ■ C /* AJL & 7^+-é*0 i 1&+-1 * o ■* -*■ • f*4h*ù- rcc£/C £rJL4Z /2 xZùx.*M 7 t *n I~t- {a/jj£&yZx.)~ì{ if *$ ir ^H.q &nS*ZZ e^’^/Zf ■ <^r^f- >T4 £**- *s‘W» *UAp%*J *-?° */ ^ ^ ìt ^ c Xja i$.0)<**&4 ■»■'■'s~2_ • lr*f%f dtrrJ- fuZi a5 Jy*}**- *? l ^ 9^ 9t*+f+~A./r.- fr 'fitM'fi+lf'"* 0rysry-ìZ Tb^iCir^f u&r-o Jkjr** &rufa.i»tjr«* $*- ^JMZr-r. 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M^o- 9»jf, / '*'^ 7 lO*V. <» 7*~> ■ *"• a “ ' , Y-fr ‘ ^ / -tV 4 \CC^V ■ L y. */ efCu^rJ^u *™*:A*-~ ■ té? *V&*~ JLu* 'A W^r * 2 »£ 7 «* ■ té?lf p 2tété-: - *o hé- *; •'- r ;y. ;/\ó.-njci^ s-gx 4 ***"*- • o / -** o >Wl ^e*é~£' * * -#- _, •/• -« Cgfe Wf^M ^ f ^7 V NeW* ». yyy <*/~ ° 11 Ité: rìfcK «A * < 3~I-'f h *tépn- Oy^. , c?>. <7T <ì pyx^Sc -rh . j'! £$té XA4/yo * j o/ G _ té* rtuÀJtéi».^ J~ L,. ' -oìyejyUzd! "Tytéy t- -0'pì. ^«r •'/yk/o^ ^ -'jy 'v v_/ ^v v f'xCT^nA. —^^ - I +-y i«WWiy , °* /uj^c "f * O co* f+sp \fé+f Q ^~ fé<3~iAX-7r^ &?-+-?'*/' ty^ uf ^yyfé yy^ y^jJk fé*?*y/ o~c^ iAf*/ * <-«^6-u 7<^ t { £\ 'fé* <*\’caXc&J . ‘ oc*/v*&f **>•+*{ *>* fé* *KL. j q fé-> \y^6r*fé^r ^rrfétA- *-&>fé -TT' r o.^o. 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SIDKKKUS NUNCIUS. 45 r * - ?_ • Ai *SbL y£yz »h ULciìh'irmj ~u &-*** S5x< fiAt-y o- ASk y^An/~C' <~i'G'Y~{~ £^f ^-(A' ^^ot/a. S-Ql y^A^y-jA ' c^Ar-C y^, AA^ér^ 9 u£ A'-xA ^^ *" -. /[cfui. /Cjte. ^Aa SfydA- ^ «e jxp*. f(A^A ' ^h^'ayy j'^zy^xA^n^ f ^£*~ Q\C 7<*. u^A-cyj-i^< o, ’AÌ** «*»f ■<*?'*£. ,t r. . - ir ' 7 ^m ^5 2 vwr 3 TQ ^4 ; cArAréi&y yL ti~ f^jut^r^AxT • S-^o CliL^Af C-A> txJLsr*. \ \A.-& + fa &- 4. _ ^ ^euStiù’ i -juè ~mÌ9Q''iACf;iggp "eé^Sr*- ^ Ay,p-*#fr A~ c yx ' nr ~ a * c °^ f .A t r é*£Af AlL'pZA- A ^ 7 *f«x+*re *À%A ^rJL' / c /v chfey** l ^ ^ r .pi/n arwf <4 LLflOL. Qo-t-O^C- t/i CiL#J^W UH fa' oQzrf <>(rfir(-- ^ ^ ^ 0)^1 f^ yu^rr^jU' *?Ìf f ~tìy } slUr.KLUs NTNCIUS. 47 yU&$yr«/: eAvy-ffà*- vty y*+* 'OfL- W/t/, Vec- ~f>-~ *0<ì / Ut(£ ^e**,. crct^Ctf 7£fp£% ^àé^i ó~ &W~f *i**ri*f (- étffeyt^c* v ^a ) «* ^ - •z o ■ ■ ' ' _ //^ />; u&£to$o ot\ 6*j~/Or£< 6 *4~ s*Iz ~ ^___ ~Sh~*r & ' 7f ^ K-Cf'h'f , *< ^ Zu' — X ^ ^c£c^cua£ J -n-c^ZF- 2 v ^-<^ Ce ^ r ^ A^L^Uf. e ^ SL ^o / C . _ ^ ^ _ >. , / / ^n^*r*2<^c , <2 lc ^W^>-oc cf^w^c^ «xihrrY>Sb^ e^c^/ ^^C*.'~*?r h^hr^ 4l^Cup< '7TuP^M77^ u f 1 ^OT^fó*-/ (/*■ /W^-/* T^^P 7>^^X> 6 /V 7 ^ ^ yTZ_ - y '-/W / /ìrx v^tXa yi^^X-S r tu^ cr++*>'<^ *«*,■ 7 ^#,iV Jj'/ùZ^L^^I ** “f l* Z^r^Af y / X^tNl JtJÙvùfc '-kcJLfl oJ- ì$€jy*p 11 r*/-fi«' /C^y< ' >P ^oM^S ^ /- 7 -n*. - ~ / --WTV' ' y %*+.è>e rc&w ,* 4 <£re- -^r?w^«- ‘'^’ Ov ^ . v^ (&Vrr\< &'k^Ì^-vì , /*-- — -✓ - - . i CT^ ‘fafTULS^ +'y* A x £u»>)t4. S^"/^'i> x >v tv <*- rKrujLt*. r L-^. ♦ * C+'Xjt 4 <*- (P. HI. T. IH, r. 31 verso.) SI DKREUS NUNCFUS. SIDEREVS N V N C I V S MAGNA, LONGEQVE AD MIRABILIA Spc&acula pandcns, fufpiciendaquc proponcns vnicuique, prarfemm velò V R~l LO S 0 P HIS ^ Atj, A STRO N O M L S, qu* a, G A LIL E O GALILEO PATR1TIO F LO R ENTI NO Patauini Gymnafij Publico Mathcmacico PERSPICILLI *}\Jjipcr à. fc reperti beneficio funt obferuntn in LVF.ACIE> FIX1S 17^ Til'AlEFJS) LA CT EO ClI\CyLO , STELLI S T^EBIALOSISy lAppnmc vero in CL V ATVOR PLANETIS Circa I O V I S Stellarli difparibus intcruallis, aujuc periqdis, cclcrip tate mirabili circumuolutis ; quos , neminiin hanc yfque diem cognitos, nouilìimè Aiuhor depr.*e- hendit primus*, acque MEDICEA SIDER A N'VNCVP ANDOS DECREVIT. V EN ET11 S, Apud Thomam Baglionum, M PC X , " Yùpaioi fttn Pzrnnjjti, o bine denique nrbes aedifìcatae, eorumque insignitile nominibus, quos grata 2iosferitas aeternitati comincndandos existimavit. FU asm odi est enim bumeinae mentis condititi, ut itisi assiduis rerum siinulacris in eam extrinsecus irruni- pentibus pulsctur, omnis ex illa recordatio facile effluat. Veruni olii firmiora ac diuturn iora spedantes, aetermnn sudi inorimi virorum praeconnim non saxis ac metallis, sed Musarim custodiae et in- corruptis lilteraruni monwnentis consecrarunt. At quid ego ista commemoro? quasi vero bumana soilertia, bis contenta regionibus, nlterius progredì non sii ausa ; attamen longius illa prospiciens, cimi opti me intcdligeret, omnia bumana monumenta vi tempestate ac vetustate tandem interire, incorruptiora 20 s?igna exeogitavit, in qnae tempus edax atque. invidiosa vetustas nullmn sibi ius vindicaret. In cacluni Haque migrans, clarissimorum Siderwn notis sempiternis illis Orbibus eornm nomina consignarit, qui oh egregia ac prope divina facinora (Ugni habiti sunt, qui una cimi Astris aevo sempiterno fruerentur. Quam oh rem non prius Iovis, Martis, il la curii, Ilerculis caeterorumquc hcrouni, quorum nominibus Stellae appellantur, fama obscu- ràbitur, guani ipsorum Siderum splendor extinguatur. Hoc autem Immanae sagacitatis inventimi, rum primis nobile de mirandum, multorim iatn sae- 111 io \ SIDEREU3 NUNCIU8. culonun intervallo exolevìt, priscis heroibus hicidas iìlas sedcs occupontibus ac suo quasi iure tenentibus : in quorum coettm frustra pietas Augusti Iuliim Caesarem cooptare conata est; nani cum Stellavi suo tempore exor- tam, ex- iis quas Graeci Cometas, nostri Grinitas vocant, Mimi Sidus nuncupari voluisset, brevi illa evanesccns, tantav cupiditatis spcm delusit. Atqui longe veriora ac feliciora, Princeps Serenissime, Celsitudini Urne possumus auguran ; nani vix dumi in terris immorlalia animi tui decora fulgere coeperunt, cum in Caelis lucida Si dora sese offerunt, quae tanquam lingune praestantissimas virtutes tuas in omne tempus loquantur ac cele- hrent. En igit-ur quatuor Sidera tuo inclyto nomini reservata, ncque illa io de gregario ac minus insigni inerrantium numero , sed ex illustri vagantium ordine; quae quidem disparìbus intcr se motibus circam lovis Stellata cae- terarum nobilissimam, tanquam germana eius progenies, cursus suos orbes- que conficiunt celeritate mirabili , interni dum unanimi concordia circa mundi centrimi, circa Solcai nempe ipsum, omnia siami duodecimo quoque anno magnas convolutiones absolvunt. Ut autein inclito Celsitudinis luac nomini prae ccteris novos hosce Planetas destinarmi, ipsemet Sidcrum Opifex perspicuis argumentis me admoncre visus est. Etenìin, quemadmodum hae Stellae, tanquam love digna proics, nunquam al) illius Intere, nisi exiguo intervallo, disceduni ; ita quis ignorai clementiam , animi mansueludinem , 90 morum suavitatem, regii sanguinis splendorem, in actionibus maiestatem, auctoritatis et Imperni in alios amplitudinem, quae quidem omnia in tua Celsitudine sibi doniicilium ac sedetti collocarunt, quis, inquina, ignorat, hacc omnia ex benignissimo lovis astro, secundum Bruni omnium bonorum fini¬ tati, emanare? luppiter, luppiter, inquam, a primo Celsitudinis tane ortu, tur- bidos horizontis vapores iam transgressus, mediumque cacli cardinali occupans, orientai emqu e angnlum sua regia illustrane, felicissima ni partimi ex sublimi ilio throno prospexit, omnemque splendorem atipie amplitudinem suam in purissimum aerati prof udii, ut universum illuni vini ac potestatem tcneruni corpusculum una cum animo, nóbilioribus ornamentis iam a Beo decorato, 30 primo spirita hauriret. Veruni, quid ego probabililms utor argumentationi- bus, cum id necessaria propemodum rottone concludere ac demonstrare queatn ? Placuit Beo Optimo Maximo, ut a Serenissimis parentibus tuis non indignus existimarcr, qui Celsitudini tuae in trculendis Mathematicis disciplinis operavi navarem ; quod quidem prcestiti quatuor mperiorilm annis proxime elapsis, eo anni tempore, quo a severioribus stuiliis odimi esse consuevit. Quo circa cum mihi divinitus pinne eontigent, ut Celsitudini SIDEREUS NUNCIUS. 57 tuae inservirem, atipie ideo incrcdibilis clementine ac benignitatis tnae radios propius exceperim, quid mirimi si animus meus alleo incaluit, ut nihil aliud propemodum dies nodesque meditetur, quam ut ego, qui non solimi animo, sed etiam ipso orla ac natura, sub tua dominatione sum, lune glorine cu- pidissinuis et quam gratissimus erga te esse rognoscar? Quae cum ita sint , cum, te Auspice, COSME Serenissime, has Stellas superioribus Astronomie omnibus incognitas exploraverim, optimo iure eas Angustissimo Prosapiae tuae nomine insignire dccrevi. Quod si illas prìmus indagavi, quis me iure reprehendat, si iisilem quoque nomea imposuero, ac MEDICEA SI DE R A io appellavo ? sperane foro, ut tantum dignitatis ex hoc appellatione iis Si- dcribus acccdat, quantum alia caeteris Heroibus aUuIcrunt. Nani, ut taceam de Serenissimis tuis Maioribus, quorum gloriata sempiternavi omnium histo- riarum monumenta testanhir, sola tua virtus, Maxime Heros, illis A stris imperlivi potest nomini immortalitatem. Cui enim dubitila esse potest, quia, quam tui cxpcctationem felicissimi imperii auspiciis concitasti, quamvis sum mani, cani non solimi susti neas ac tuearis, veruni etiam tango intervallo superaturus sis ? ut cimi alios tui similes viccris, tecum niìiilominus ipse cortes, ac te ipso ac magnitudine tua in dies iunior evadas. Suscipe itaque, Clementissime Princeps, luiiic libi ab Astri reservatam 20 gentilieiam gloriavi, et illis divini boni, quae non tam a Stelli, quam a Stellarum Opificc ac Moderatore Deo, libi deferuntur, quam Mutissime (mere. Datimi Potami-, 4 Jdus Martii, MDCX. Celsitudini tuae A ridir fissivi us Servii s Galileus (luìdon*. 58 SIDKBCl'H Ut'MCI UH. Gli fiooeUentàwùni Signori Cnpì dell’ Kcc. Con*, de' X infrascritti, avuta f w l e dalli Signori Keformalori del Studio di Padova per relazione delli duo a questo deputati cioò dal Hever. P- Inquisitor, e dal circo^xitio Secretarlo del Senato, (ìio. Maraviglia, con giuramento, come nel libro intitolato: 8IDEREUS NUN- (’IUS etc. di I). Galileo Galilei non ai trova alcuna cosa contraria alla Santi Fede Cattolica, Principi e buoni costami, e che è degno di «lampa, concedono licenza che posai ewer stampato in questa Città. Da tum die primo Martii Iti IO. D. M. Ani. Valareaso - I). Nicolò Don r«n «.u t** o*m. 4. x. • v J>. Uunardo Marcello ■ III—CaaailH X hmllria U«ii!»oloni«»tii (Yuunun, 1010, a dì 8 Marzo. IlcgisL in libro a car. ;tU. I>«|) RtpUiU Bratto o,T Con. Bliiph, Coiti. ASTRONOMLCUS NUNCIUS OBSERVATIONES REOENS HAB1TAS NOVI PERSPIC1LU RENEF1CI0 IN I.UNAE FACI E, LACTEO CIRCUÌ,0 STEI.MSQUE NEBUEOSIS, 1NNUMERIS FINIS, NKCN'ON IN QUATUOR PLANETIS MEDICEA SIDERA NINCLTAT1S, NUNQUAM CONSPECTIS ADHUG, CONTINENS ATQUE DECLARANS. Magna equidem in liac exigua tractatione singulis de natura spe- culantibus inspioienda contemplandaque propono. Magna, inquam, tum ol) rei ipsius praestantiam, tum ob inauditam per aevuni novitatem, io tum etiam propter Organum, cuius beneficio eadem sensui nostro ob- viam sese fecerunt. Magnimi sano est, supra numerosam inerrantium Stellarum mul- titudinem, quae naturali facilitate in liunc usque diem conspici po- tuerunt, alias innumeras superaddere oculisque palarn exponere, an¬ teluni conspectas nunquam, ot quae veteres ac notas plusquam supra decuplam raultiplicitatem superent. Pulcherrimum atque visu iucundissimum est, lunare corpus, per sex denas fere terrestres semidiametros a nobis remotum, tam ex propinquo intueri, ac si per duas tantum easdein dimensiones dista- 20 x'et ; adeo ut eiusdem Lunae diameter vicibus quasi terdenis, super- ficies vero noningentis, solidum autem corpus vicibus proxime vigiliti septern millibus, maius appareat, quam dum libera tantum oculonun acie spectatur : ex quo deinde sensata certitudine quispiam intelli- gat, Lunam superficie leni et perpolita nequaquam esse indutam, sed 9. evum omnc novitatem — 12. Stellarmi inerrantium — 14. oculisque patenter eicponerc — 18. fere diametros terrestres a — 22-23. tantum acic — S1DEH.JSU8 NUNOIUS. HO aspera et inacquali; ac, vchiti ipsiusmet Telluris facies, ingenti bus tu- moribus, profundis lacunis atque anfractibus undiquaque confertam existere. Altercationes insuper do Galaxia, seu de Lacteo cimilo, substu- lisse, eiusque essentiam sensui, nedmn intellectui, manifestasse, parvi momenti existimandum minime videtur ; insuper (pie substantiam Stel- larum, quas Nebulosas hucusque Astronomorum quilibet appellavit, di¬ gito demonstrare, longeque aliam esse quam ereditimi hactenus est, iocundum erit atque perpulcrum. Veruni, quod omnem admirationem longe superat, quodvo admo- io nitos faciendos cunetos Astronomos atque Fliilosophos nos opprime impulit, illud est, quod scilicet quatuor Erratica» Stellas, nomini oorum qui ante nos cognitas aut obsorvatas, adinvenimua, quae circa Stellala quandam insiguem e numero cognitarum, instar Veneris atque Mer- curii circa Solem, suas habent periodos, eamque modo praeeunt, modo subsequuntur, nunquam extra certos limites ab illa digredientes. Quae omnia ope Perspicilli a me excogitati, divina prius illuminante gratia, paucis abbine diebus, reperta atque observata fuerunt. Alia forte praestantiora, vel a me, vel ab aliis, in dies adinvenien- tur cousimilis Organi beneficio ; cuius forinam et apparatimi, necnon «• illius exeogitandi occasionem, prius breviter commemorabo, deinde habitarum a me observationum liistoriam recensebo. Mensibus alibi nc decem fere, rumor ad aurea nostras increpuit, fuisse a quodam Belga Perspicillum elaboratimi, cuius beneficio obiecta visibilia, licet ab oculo inspicientis longe dissita, voluti propinqua di- stincte cernebantur ; ac huius profecto admirabilis efTectus nonnullae experientiae circumferebantur, quibus (idem alii praebebant, nogabant alii. Idem paucos post dies mihi per literns a nobili Gallo Iacobo Ila- dovere ex Lutetia confirmatum est; quod tandem in causa fuit, ut ad rationes inquirendas, necnon media excogitaiula, per' quae ad consi- so milis Organi inventionem devenirem, me totmn converterem ; quam paulo post, doctrinae de refractionibus innixus, asseqnutus sum : ac tu¬ bimi primo plumbeum mihi paravi, in cuius extremitatibus vitrea duo Perspicilla, ambo ex altera parte plana, ex altera vero unum sphaerice convexum, alterum vero cavum aptavi ; oculum deinde ad cavimi ad- 2 . profundis cavitatibus atque — 6 - 10 . videtur. Veruni — 14 . quondam e numero — 23 . ad aures nostras increpuit rumor — 27 - 28 . alii negabant — 29 - 30 . ad causas inquirendas — SIDEREU8 NUNCIUS. Gl movens obiecta satis magna et propinqua intuitus sum ; triplo enim viciniora, nonuplo vero maiora apparebant, quam cium sola naturali acie spectarentur. Alium postmodum exactiorem mihi elaboravi, qui obiecta plusquam sexagesies malora ropraesentabat. Tandem, labori nullo nullisque sumptibus parcens, eo a me deventum est, ut Organum milii construxerim adeo exeellens, ut res per ipsum visae millies fere maiores appareant, ac plusquam in terdecupla ratione viciniores, quam si naturali tantum facilitate spectentur. Ttuius Instrumenti quot quan- taque sint commoda, talli in re terrestri quam in maritima, omnino io supervacaneum foret enumerare. Sed, inissis terrenis, ad Caelestium speculationes me contuli; ac Lunam prius tain ex propinquo sum in¬ tuitus, ac si vix per duas Telluris diametros abesset. Post liane, Stellas tum fixas, tum vagas, incredibili animi iucunditate saepius observavi; cumque barimi maximum frequentiam viderem, de ratione, qua illa- rum interstitia dimetiri possem, exeogitare coepi, ac demum reperi. Qua de re singulos praemonitos esse decet, cpii ad huiuscemodi obser- vationes accedere volunt. Primo enim necessarium est, ut sibi Porspi- cillum parent exactissimum, quod obiecta perlucida, distincta et nulla caligine obducta repraesentet ; eademque ad minus secundum quater- 20 centuplam rationem multiplicet ; tunc enim illa bisdecuplo viciniora commonstrabit : nisi enim tale fuerit Instrumentum, ea omnia quae a nobis conspecta sunt in caelis, quaeve infra enumerabuntur, intueri tentabitur frustra. Ut autem de multiplicatione instrumenti quilibet parvo negotio certior reddatur, circulos binos aut quadrata bina cliar- tacea contornabit, quorum alterum quatercenties altero maius existat; id autem erit tunc, cura maioris diameter ad diametrum alterius lon¬ gitudine fuerit vigecupla : deinde superfìcies ambas in eodem pariete infixas simul a longe spectabit, minorem quidem altero oculo ad Per- spicillum admoto, maiorem vero altero oculo libero ; commode enim id so fieri licet uno eodemque tempore, oculis ambobus adapertis: tunc enim figurae ambae eiusdem apparebunt magnitudinis, si Organum secundum optatami proportionem obiecta multiplicaverit. Consimili parato Instru- mento, de ratione distantiarum dimetiendarum inquirendum erit : quod tali artificio assequemur. Sit enim, facilioris intelligentiae gratia, tu- bus AB CD. Oculus inspicientis esto E. Radii, dum nulla in tubo ades- sent Perspicilla, ad obiectum FG secundum lineas rectas ECF, EDG 1 . obiecta vaìde via{jna--3. acie spcctabantur; alium — 4 - 5 . millo labori — SIDEttEUS NUNCIU8. G2 ferrentur; sed, appositi* Perspicillis, ferantur secunduin liiteas refractas ECH, EDI coavctantur enim, et (pii prius liberi ad 1'(1 obiectum dirigebantur, partem tantummodo III compraehendent. Accepta deinde ratione distantiae EH ad lineam III, per tabulala samum reperietur quantitas anguli in oculo ex obiecto 111 constituti, (pieni minuta qune- dam tantum continere comperiemua. Quod si Specillo CD braeteas, alias maioribus, alias vero minoribus perforatas foraminibus, aptave- rimus, modo liane, modo illuni, prout opus fuerit, anperimponentea, angnlos alios atque alios pluribus paueioribusque minutis subtendentes, prò libito constituemus ; quorum ope Stellarum intercapedine*, per aliquot minuta adinviceni dissitarum, citra unius aut alterius minuti peccatum, commode dimetiri poterimua. Ilaec tanien sic leviter teti- gisse, et quasi primoribua libasse labiis, in praesentiarum sit satis; per aliam enim occasionem absolutam huius Organi theoriam in medium proferemus. Nunc observationes a nobis duobus proxime elapsis men- sibus habitus recenseamus, ad magnarum profecto contemplationum exordia omnes verae philosophiae cupidos convocantes. De facie autem Lunae, quae ad aspectum nostrum vergit, primo loco dicamus. Quam, facilioris intelligentiae gratin, in duas partes di¬ stinguo, alteram nempe clariorem, obscuriorem alteram: clarior vi- detur totum hemispliaerium ambire atque perfundere, obscurior vero, veluti nube» quaedam, faciem ipsam inficit maculosamque reddit. Istao autem maculae, subobscurae et satis amplae, unicuique sunt obviae, illasque aevum ornile conspexit ; quapropter magnas, seu antiquaa, eas appellabimus, ad differentiam aliarum macnlarum amplitudine mi- norum, at frequentia ita consitarum, ut totani Lunarem superficiein, praesertim vero lucidiorem partem, conspergant; hae vero a nomine ante nos observatae fuerunt : ex ipsarum autem saepius iteratis in- spectionibus in eam deducti sumus sententiani, ut certo intelligamus, Lunae superficiem, non perpolitam, aequabilem, exactissimaeque spliae- ricitatis existere, ut magna pliilosophorum coliors de ipsa deque reliquia corporibus caelestibus opinata est, sed, contra, inaequalem, asperam, SlbERKlIB NUNCIUS. G3 cavitatibua tumoribusque confortala, non aocus ac ipsinsmet Telluris facies, quae inontium iugis vallimnque profunditatibus bine inde distin- guitur. Apparentine vero, ex quibus haec colligere licuit, oiusmodi sunt. Quarta aut quinta jiost coniunctionem die, cuin splendidi Luna sese nobis cornibus offert, iam terminila partein obscuram a luminosa dividens non aequabiliter secundum ovalem lineam extenditur, velati in solido perfette sphaerico accideret; sod inaequabili, aspera et ad- inodum sinuosa linea designatili’, velati apposita figura repraesentat : oomplurcs eniin voluti excrescentiae lucidae ultra lucis tenebrarum- 10 que confinia in partein obscuram extenduntur, et, contra, tenebricosae particulae intra lumen ingrediuntur. Quinimmo, et magna nigricantium macularum exiguarum copia, omnino a tenebrosa parte separatarnm, totani fere plagam iani Solis lamine perfusam undiquaque conspergit, illa saltem excepta parte, quae magnis et antiquis macuba est affecta. Adnotavimus autem, modo dictas exiguas maculas in hoc semper et omnes, convenire, ut partem habeant nigricantem locum Solis respi- cientem ; ex adverso autem Solis lucidioribus terminis, quasi canden¬ ti bus iugis coronentur. At consimilem penitus aspeetnm habemus in Terra circa Solis exortum, dum vallea nondum lamine perfnsas, montes 20 vero illas ex adverso Solis circundantes iam iam splendore fulgentes in. n 04 S1DERKU8 NUNCIUfl. intuemur : ac velati terrestrium cavitatum uvnbrae, Sole sublimiora petente, imminuuntur, ita et lunare» iatae maculae, crescente parte lu¬ minosa, tenebrus amittunt. Veruni, non modo tenebrarmn et luminis confìnia in Luna inae- qualia ac sinuosa cernuntur ; sed, quod maiorem infert admirationera, permultae appareut lucidae cuspides intra tenebroeam Lunae partern, omnino ab illuminata plaga divisae et avulune, ab empie non per exi- guam intercapedinem dissitae; quae paulatim, nliqua interiecta mora, magnitudine et lumino augentur, jiost vero aecundam bornio nut ter- tiam reliquae parti lucidae et ampliori iam factae iunguntar ; interim io tamen aline atque aline, bine inde quasi pullulantos, intra tenebrosam partem accenduntur, augentur, ac domum eidem luniinosae auperficiei, magitì adbuc extensae, copulantur. Huius exemplum eadem lìgura nobia exbibet. At nonne in terris ante Solis exortum, umbra adbuc plani- ties occupante, altissiniormn cacumina inontium solaribus radiis illn- strantur? Nonne exiguo interiecto tempore ampliatur lumen, dum mediae et largiores eorundem montium partes illuminantur; ae tan¬ dem, orto iam Sole, planicierum et collium illuminatiouea iunguntur? lluiusmodi autem eminentiarum et cavitatum discrimina in Luna longo lateque terrestrem asperitatem superare videntur, ut infra demonstra- 20 binius. Interim silentio minime involvam quid animadversione digitimi a me obsorvatum, dum Luna ad primato quadraturam properaret, cuius etiain iraaginem eadem supra posita delineatio prae se fert : in¬ gens enitn sinus tenebrosità in partem luminoaam subit, versus inferius cornu locatus ; quem quidem simun clini diutius observassem, totum- que obscurum vidissem, tandem post duas fere boras, palilo infra me¬ dium cavitatis, vertex quidam luminosi!» exsurgere coepit; bic vero paulatim crescens trigonam figurato prae se ferebat, eratque omnino adbuc a luminosa faci© revulsus ac separatus ; inox circa illuni tres aliae cuspides exiguae lucere coeperunt ; donec, Luna iam occasum so versus tendente, trigona illa figura, extensa et atnplior iato facta, cuoi reliqua luminosa parte nectebatur, ac instar ingenti» promontorii, a tribus iam commemoratis lucidi» verticibu» aditile obsessa, in tenebro- Bum sinum erumpebat. In extremis quoque cornibua, tatti superiori, •4. Veni meni invero noti — 24. partem tenebrosam irrumpit — 2f>. rornu, quem cium — 27. ca• vi tal 18 eius quidam ìuminosus verter exunjere - 27-2H. hie paulatim — 29. revuhus; max — 30-31. versus occasum — 32, promonfoni in sinuiu obscurum a — 33. iam dictis lucidis — 8IDEREUS NUNCIUS. 65 quam inferiori, splendida quaedanj puncta, et, omnino a reliquo lamine disiuncta, emergebant, voluti in eadem iìgura depictum eernitur. Erat- quo magna obscurarum nmcularum vis in utroque corna, maxime antem in inferiori : quaruin maiores et obscuriores apparent, qnae termino lucis et teuebranun viciniores eunt ; remotiores vero obscurae minus ac nmgis dilutae. Semper (amen, ut sopra quoque meminimus, nigricans ipsius maculae pars irradiationis Solaris locum respicit, splen- didior verolimbus nigi’icantem maculam in parte Soli aversa, et Lumie tenebrosam plagam respiciente, circundat. Haec lunaris Buperficies, qua u> maculis, instar pavonis caudae caoruleis oculis, distinguitur, vitreis illis vasculis redditur consimilis, quae adirne calentia in frigidam immissa, perl’raetam undosamque superhciein acquirunt, ex quo a vulgo glacinles Cyatlii nuncupautur. Veruni magnae eiusdem Lunae maculae consimili modo interruptae atque lacunis et eminentiis confertae minime cer- nuntur, sed magis aequabiles et uniformes ; solummodo enim clario- ribus nonnullis areolis Ime illac scatent; adeo ut, si quis veterem l'ytliagoreorum sententiam oxsuscitare velit, Lumini scilicet esse quasi Tollurom alterala, eius pars lucidior terrenam superfìciem, obscurior vero aqueam, magis congruo repraesentet : mihi aut^m dubium fuit iio nunquam, terrostris globi a longe conspecti atque a radiis solaribus perfusi, terream superfìciem clariorem, obscuriorein vero aqueam, sese in conspectum daturam. Depressiores insuper in Luna cernuntur ma¬ gnae maculae, quam clariores plagae ; in illa enim, tara crescente quam decrescente, semper in lucis tenebraruinque confìnio prominent lune inde circa ipsas magnas maculas contermini partis lucidioris, vo¬ luti in describendis tiguris observavimus : neque depressiores tantum- modo sunt dictarum macularum termini, sed aequabiliores, nec rugis aut asperitatibus intornij)ti. Lucidior vero pars maxime prope ma¬ culas eminet ; adeo ut, et ante quadraturam primam, et in ipsa ferme so sccunda, circa maculam quandam, superiorem, borealem nempe, Lunae plagam occupantem, valde attollantur, tam sopra illam quam infra, ingentes quaedam eminentiae, veluti appositae prae se ferunt delinea- tiones. Haec eadem macula ante secundam quadraturam nigrioribus qui- busdam terminis circumvallata conspicitur ; qui, tanquam altissima • 1 . inferiori; ex quibus maiores — 10 . pavonis emula ccruleis — 14 . atque cavitatibus et — 22 . hxsuper depressiores — 24 . in confìnio luminis, et tenebrarla/! f prominent - co SIDEUEU8 NUNCIU8. montilim iuga, ex parte Soli aversa obscuriores apparent, qua vero Solem respiciunt lucidioree extant: cuius oppositum iu cavjtatibus SIDKUKl’8 NUNCIU8. flariora montiiun doma eminenter tunebras scandunt. Hanc dupli apparentiam sequentea figura© coiiuuonstrant. lanuta quoque oblivioni minimo tradani, quod non nisi aliqua cmn o. m#i imi nui rum — GS 8IDKRKUS NUNC1U8. admiratione adnotavi : medium quasi Lunae locum a cavitate qua- dam occupatimi esse reliquia omnibus maiori, ac figura perfectae ro- tunditatis; hanc prope quadraturas ambas conspexi, eandemque in secundis supra positi» figuri» quantum licuit imitatus sum : eundem, quo ad obumbrationom et illmninationem, facit aspectum, ac faceret in terris regio consimilis Jfohevniae, si montibus altissimis, inque pe- ripheriam perfeeti circuii dispositi», occluderctur undique; in Luna enim adco elatis iugis vallatur, ut extrema ora tenebrosae Lunae parti contermina, Solis lumino porfusa spectetur, priusquam lucis um- braeque terminus ad mediani ipsius figurao diametrum pertingat. Do io more autem reliquarura macularum, umbrosa illius pars Solem re- spicit, luminosa vero versus tenebra» Lunae constituitur ; quod tertio libenter observandum admoneo, tanquam firmissimum argumentum asperi tatù m inaequalitatumque per totani Lunae clariorem plagam dispersarum : quartini quidem macularum semper nigriores sunt illae, quae confinio luminis et tenebrarum conterminae sunt, remotiores vero tum minores, tum obscurae niinus apparent; ita ut tandem, cimi Luna in oppositione totum implovorit orbein, modico admodumque tenui discrimine cavitatimi opacitas ab eminentiarum candore discrepet. Haec, quae recensuimus, in clarioribus Lunae regionibus observan- -o tur ; veruni in magnis maculis tali» non conspicitur lacunari!ni omi- nentiariunque differentia, qualem necessario constituere cogimur in parte lucidiori, ob inutationeni figurarum ex alia atquo alia illumi- natione radiorum Solis, prout multiplici positu Lumini respicit : at in magnis maculis existunt quidem areolae nonnullae subobscuriores, veluti in figuris adnotavimus ; attamen istae eundem senqier facili ut aspectum, neque intenditur earuin opacitas aut remittitur, sed exi- guo admodmn discrimine paululum obscuriores modo apparent, modo vero clariores, si magis aut minus obliqui in eas radii solare» inci- dant: iunguntur praeterea cum proximis macularum partibus leni-io quadam copula, confinia miscentes ac confundentes : secus vero in maculis accidit splendidiorem Lunae superficiem occupantibus ; quasi enim abruptae rupes asperis et angulatis scopulis consitae, umbra- ruiii luininumque rudibus discriminibus ad lineam disterminantur. 8. quadraturas utrasque conspexi — 5-6. ac in terris vastissimum amphyteatruni hou potius regio — 14. totani soprascritto atl o;;uie5 cancellato — 27. intenditur aut remittitur earum opacitas —29. in illas radii — 8II1EKEU8 NUNCIUS. C9 Spectantur insuper intra easdem magna» macula» areolae quaedam, aliae clariores, imo nonnullae lucidissimae : veruni, et harum et ob- Bcuriorum, idem semper est aspectus, nulla aut figurarum aut luci» aut opacitati» mutatio ; adeo ut comportimi indubitatumque sit, ap¬ parerò illa» ob veram parti uni dissimilaritatem, non autem ob inae- qualitat.es tantum in figuri» earundem partium, umbra» ex variis Soli» illuminationibu» diversi mode moventibus: quod bene contingit de ma- culis aliis minoribu» clariorem Lunae parte ni occupantibus ; in die» onim permutantur, augentur, imminuuntur, abolentur, quippe quae io ab Umbria tantum eminentiarum ortum ducunt. Veruni magna hic dubitatione coinplure» affici sentio, adeoque gravi difficoltate occupati, ut iam explicatam et tot apjmrentiis con- firmatam conclusionem in dubium revocare cogantur. Si enim pars illa lunari» suporficiei, quae splendidius solare» radio» retorquet, an- fractibus, tumoribus scilicet et lacunis innumeri», est repleta, cur in crescenti Luna extrema circumferentia, quae occasura versus spectat, in decrescenti vero altera semicircumferentia orientali», ac in pleni¬ lunio tota periplieria, non inaequabilis, aspera et sinuosa, verum exacte rotonda et circinata nullisque tumoribus aut cavitatibus corrosa, con- 20 spicitur ? atque ex eo maxime, quia totus integer limbus ex olariori Lumie substantia constat, quam tuberosain lacunosamque totani esse diximu»; magnarum enim macnlarum nulla ad extremum usque peri- metrutn exporrigitur, sed omnes procul ab orbita aggregatae cer- nuntur. Huius apparentiae, ansam tam graviter dubitandi praebentis, duplicem causalo, ac proinde dupliceni dubitationis solutionem, in medium afferò. Primo enim, si tumore» et cavitate» in corpore lunari seeundum unicam tantum circuii peripheriam, hemisphaerium nobis conspicuum tenninantem, protenderentur, tunc posset quidem, imo deberet, Luna sub specie quasi dentatae rotae sese nobis ostendere, so tuberoso, neinpe, ac sinuoso ambitu terminata: at si non una tantum eminentiarum serie», iuxta unicam solummodo circumferentiam dispo- sitarum, sed perinulti montium ordine» cum suis lacunis et anfracti- bus circa extremum Lunae ambitimi coordinati fuerint, iique non modo in hemispliaerio apparente, sed in averso etiam (prope tamen hemisphaeriorum finitorem), tunc oculus a longe prospiciens eminen¬ tiarum cavitatumque discrimina depraehendere minime poterit; in- 1 -2. quaedam clariores — 2. imo et nonnullae 70 SIDEEEU8 NUNCIU8. tercapedines enim montami, in eodem circulo seu in eadem serie dispositorum, obiectu aliarum eminentiarum in aliis u atque aliis ordi- nibus constitutarum occultantur ; idque maxime, si oculus aspicientis in eadem recta cimi dictarum eminentiarum verticibus fuerit locatila. Sic in terra niultorum ac frequentami montium iuga secundum pla- nam superficiem d i sposi ta apparent, si prospieiens procul fuerit et in pari altitudine consti tutu s. Sic aestuosi pelagi sublimes undaruni vertices secundum idem planum vidontur extensi, quamvis inter lluctus maxima voraginum et lacunarum sit frequontia, adeoque profunda- rum, ut sublimium navigiorum non modo carinae, veruni etiam puppes, mali ac vela inter illas abscondantnr. Quia igitur in ipsa Luna et circa eius periraetrum multiplex est eminentiarum et cavitatimi coor- dinatio, et oculus e longinquo spectans in eodem fere plano cum ver¬ ticibus illarum locatur ; nemini mirum esse debet, quod radio visorio illos abradenti, secundum aequabilem lineam minimeque anfractuo- sam sese offerant. Huic rationi altera subnecti potost : quod nenipe circa lunare corpus est, veluti circa Torram, orbis quidam densioris substantiae reliquo aetliere, qui Solis irradiationem concipere atquo reflectere valet, quamvis tanta non sit opacitato praeditus, ut visui (praesertim dum illuminatua non fuerit) transitimi inhibere valeat. Or- bis iste a radiis solaribus illuminatus lunare corpus sub maioris sphaerae speciem reddit repraesentatque ; essetque potis aciem no¬ strani terminare, quominus ad Lunae soliditatem pertingeret, si cras- sities eius foret profundior : atque profundior quidem est circa Lumie peripheriani ; profundior, inquam, non absolute, sed ad radios no- stros, oblique illuni secantes, relatus : ac proindo visum nostrum inlii- bere potest, ac praesertim lumino- 8us existens, Lunaeque peripheriam Soli expositam obtegere. Quod cla- rius in apposita figura intelligitur, p___IJ i. io <" Qui cessa mutilo il mss., del quale abbiamo raccolto le varianti. Cfr. rAvvcrtiuiento. SIDKIiKI'K NUNCIUS. 71 in qua lunare corpus ABC ab orbe vaporoso circundatur DEG ; oculus vero ex F ad partoa interrneclias Limai*, ut ad A, pertingit per vapores 1)A minus profundos: at versus extremam oram, profun- diorum copia vaporimi KB aspectum nostrum suo termino praecludit. Signum huius est, quod pars Lumie lumino perfusa amplioris cir- cumferentiae apparot, quam reliquum orbis tenebrosi : atque lume eandem causalo quispiam forte rationabilem existimabit, cur maiores Lunao maeulao nulla ex parte ad extremum usque ambitimi protendi conspiciantur, cimi tamen opinabile sit nonnullas etiam circa illuni io reperiri ; inconspicuas tamen esse credibile videtur ex eo, quod sub profundiori ac lucidiori vaporum copia abscondantur. Esse igitur dariorem Lunae superficiem tumoribus atque lacunis uniliquaque conspersam, ex iam explicatis apparitionibus satis aper¬ timi esso reor. Superest ut do illorum magnitudinibus dicamus, de- monstrantes terrestres asperitates lunaribus esse longe minores ; mi- nores, inquaui, etiam absolute loquenilo, non autem in ratione tantum ail suoruni globorum magnitudines : idque sic manifeste declaratur. Clini saepius a me observatinn sit in aliis atque aliis Lunae ad Solem constitiitionibu8, vertices nomuillos intra tenebrosam Lunae 20 partem, licet a termino lucis satis remotos, lumine perfusos appa¬ rerò, conferens eoruiu distantiam ad integrali! Lunae diainetruui, cognovi, interstitium hoc vi- gesimam interdum diametri partem superare. Quo snel¬ lito, intelligatur lunaris glo- buB, cuius maximus circu- lus CAF, centrum vero E, dimetiens CF, qui ad Terrae diametrum est. ut duo ad so septem ; cumque terrestri diameter, secundum exac- tiores observationes, millia- ria Italica 7000 contineat, erit CF 2000, CK vero 1000; pars autem vigesima to- tius CF, milliaria 100. Sit modo CF dimetiens circuii maximi, liuninosam Lunae partem ab ob¬ lìi 12 72 SIDEHEU8 NUNCIUS. scura dividenti (ob maximam enim elongationem Solis a Luna lue circulus a maximo sensibiliter non diffort), ac secondimi vigesimam illius partem distet A a puncto C, et protrahatur semidiameter E A, qui exteiisus occurrat cum contingente tìCI) (quae radium illumi- nantem repraesontat) in puncto D. Erit igitur arcus CA, seu recta CI), 100 qualium CE est 1000, et aggregatum quadratorum 1)0, CE 1010000, cui quadratimi I)E aequale est : tota igitur ED erit plusquam 1001, et AD plusquam 4 qualium CE fuit 1000. Sublimitas igitur AD in Luna, quae verticem quempiam ad usque Solis radium COI) elatum, et a termino C per distantiam CI) remotum, designat, eminentior est mil- io liaribus Italicis 4. Veruni in Tollero nulli extant montes, qui vix ad unius milliarii altitudinem perpendicularom accedant; manifestum igi¬ tur relinquitur, lunare» eminentias terrestribus esso sublimiores. Lubot hoc loco alterius cuiusdam lunarie apparitionis, admirationo dignae, causam assignare ; quae licet a nobis non recens, sed inultis abhinc annis, observata sit, nonnullisque familiaribus arnicis et disci- pulis ostensa, explicata atque per causam declarata, quia tamen eius observatio Perspicilli ope facilior redditur atque evidontior, non in¬ congrue hoc in loco reponendam esse duxi ; idque etiam tuia maxime, ut cognatio atque similitudo inter Lunam atque Tellurem clarius ap- 20 pareat. Dum Luna, tum ante tum etiam post coniunctionem, non procul a Sole reperitili’, non modo ipsius globus, ex parte qua lucentibus cornibus exornatur, visui nostro spectandum sose ofl'ert ; veruni etiam tennis quaedam sublucens peri pileria tonebrosae partis, Soli riempe aversae, orbitala delineare, atque ab ipsius aetheris obscuriori campo seiungere, videtur. Veruni, si exactiori inspectione rem consideremus, videbinius, non tantum extremum tonebrosae partis limbum incerta quadam claritate lucentem, sed integram Lunae faciem, Ulani nempe quae Solis fulgorem nondum sentit, lumine quodam, noe exiguo, al- 30 bicare : apparet tamen primo intuiti! subtìlis tantummodo circumfo- rentia lucons propter obscuriores Caeli partessibi conterminas; reliqua vero superficies obscurior e contra videtur ob fulgentium cornuuin, aciem nostram obtenebrantium, contactum. Veruni si quis talom sibi eligat sitimi, ut a tocto vel camino aut aliquo alio obice inter vi¬ sual et Lunam (sed procul ab oculo posito) cornila ipsa lucenti» oc- cultentur, jiars vero reliqua lunaris globi aspectui nostro exposita SIDEREI» NUNOIIIS. 73 relinquatur; tane luce non exigua liane quoque Lunae plagam, licet solari lumino destitutam, splendere depraeliendet, idque potissimum, si iani nocturnus horror oh Solis absentiam increverit ; in campo enim obscuriori eadem lux clarior apparet. Comportimi insuper est, lume secundam (ut ita dicam) Lunae claritatem maiorem esse, quo ipsa mi¬ ni» a Sole distiterit : per elongationem enim ab eo remittitur magia inagisque, adeo ut post primam quadraturam, et ante secundam, de- liilis et admodum incerta comperiatur, licet in obscuriori Caelo specte- tur; cum tamon in sextili et minori elongatione, quamvis inter cre- 10 puscula, mirimi in modum fulgeat ; fulgeat, inquam, adeo, ut ope exacti l’erspicilli magnae maculae in ipsa distinguantur. Hic mirabilia fulgor non modicam ])lulosophantilms intulit admirationem ; prò cuius causa afferenda alii alia in medium protulerunt. Quidam enim pro- pvimn esse ac naturalem ipsiusmet Lunae splendorein dixerunt ; alii, a Venere illi esse impertitum ; alii, a steli is omnibus; alii, a Sole, qui radiis suis profundam Lunae soliditatein permeet. Veruni liuiuscemodi prolata exiguo labore coargmintur, ac falsitatis evincuntur. Si enim aut. propi nila esset aut aStellis collatum eiusmodi lumen, illud maxime in KclipsibiiH retineret ostenderetque, cum in obscurissimo Caelo de- 20 stituatur ; quod tameu adversatur experientiae : fulgor enim, qui in deliqui» apparet in Luna, longe minor est, subrufus ac quasi aeneus ; hic vero clarior et caudidior. Est insuper ille mutabilis ac loco mo¬ bilia ; vagatili- enim per Lunae faciem, adeo ut pars illa, quae peri- plieriae circuii umbrae terrestris propiuquior est, clarior, reliqua vero obscurior, semper spectetur : ex quo ornili procul dubio id ucci¬ dere intelligimus, ex radiorum Solarium vicinitate tangentium cras- siorem quandam regionem, quae Lunam orbiculariter ambit ; ex quo contactu Aurora qiiaedam in vicinas Lunae plagas effunditur, non secus ac in terris, timi mane, timi vesperi, crepusculi num spargitur lumen : so qua de re fusius in libro De systemate mundi pertractabimus. Asse- rere autem a Venere impertitam eiusmodi lucem, puerile adeo est, ut responsione sit indignimi. Quia enim adeo inscius erit, ut non intel- ligat, circa coniuuctionem et intra sextilem aspectum partem Lunae Soli aversam, ut a Venere spectetur, oummo esse impossibile? Esse autem ex Sole, qui suo lumi ne profundam Lunae soliditatein penetret atque perfundat, pariter est inopinabile : nunquam enim immintiere- tur, cum semper hemisphaerium Lunae a Sole sit illustratum, tempore lunarium Eclipsium excepto; diminuitur tamen dum Luna ad qua- draturam proj)t*rat, et omnino etiam hebetatur, dura quadraturam Buperaverit. Cuui itaque eiusmodi secundariua fulgor nw Lunae bit congenitUB atque proprius, tu*: n Stelli* ullin nec a Sole mutuatus, dunque iam in Murali vastitate corpus aliud supcmit nullum, nisi sola Telimi, quid, quaeeo, opinandum ? quid proferirai imi ? nunquid a Terra ipsum lunare corpus, aut quidpiam aliud opocura ntque tenebroeum lumina perfundi? quid mirum? maxime: aequa grutaque jiermuta- tione rependit Tellus pareti» illuminationem i|wi Lutine, qualetn et ipsa a Luna in profundioribua noeti* tenebri* toto fere tempore re- cipit. Reni clarius aperiatnua. Luna in eoniunctionibu*, cura medium io inter Solem et Terratn obtinet locutu, wolaribus ratbis in superiori huo hemisphaerio Terrae averao j « rfunditur ; lieiiu»phaeniini vero inferius, quo Terratn aapicit, tenebria «-t obductum ; indiatemi* igitur terre- strem superficiem illuHtrat. Luna, palliatiti! a Sole digredii, inni iam aliqua ex parte in hemisphaerio inferiori ad no* vergente illumina- tur, albicantia cornua, Buhtilia tamen, nd no* convertit, et le vi ter Ter¬ miti illustrati crescit in Luna, iutii ad quadraturam accedente, So¬ laris illuminatio, augetur in terris eira» lumini* retlexio, extenditur adhuc 8upra semicircnlum splendor in Luna, et no*trae clariorea ef- fulgent noctes: tandem integer Lunae vultrai, quo terram aapicit, ab so oppoBito Solo clarivitnis fulgorilnis irradintur. enitet longe lateque terrestri* superficie* lunari splendore jx-rfuKi : |x«-tuioduui decrescer» Luna debiliores ad no* radio* eniittit, debiliti* illuininutur Terra: Luna ad coniunctionein properat, atra nnx Terratn occupnt. Tali itaque pe¬ riodo alternis vicibua lunaria fulgor inen-tnia* illuminationex, chiriores modo, debiliores alias, nobia largiiur : veri.ni aequn lance beneficiunt a Tellure compensatur. Dura enim Lumi aulì Sole circa coniunctìones reperitur, supcrticiem terre-tris hemi-phaerii Soli rxjx-iti vividisque radiis illustrati integram respiri t, reflex tuiique ab ip-a lumen conci- pit : ac proinde ex tali reflexione inferius henràphnerium Lunae, licet ao solari lumino deetitutum, non niodice Iticeli* apparet. Kadem Luna, por quadrantem a Sole remota, dimidiuin tantum terrestri* heuiisphae- rii illuminatum conapicit, sciliret occiduuiii ; altera ani in medietas orientalis nocte obtenebratur : ergo, et ij>*a Luna splendide niiiius a lerra illustratur, eiusve proinde lux illa -eeuiularia exilior nobis ap¬ paret. Quod si Lunam in oppoeitione ad Soletn oonxtituas, *pectabit ipsa bemisphaerium intennediae Tflliiri» ora ni no tenebrosum obscu- raque nocte perlustrai : si igitur ecliptica fuerit tali» oppositio, nullam SIDERKUS NUNOIUS. 75 prorsus illuminationem recipiet Luna, solavi simuì ac terrestri imi¬ ti iutione desti tuta. In aliis atque aliia ad Terram et ad Solem liabi- tuclinibus, maina minusve a terrestri reflexione recipit lumen, prout maioreni aut minorem terrostris liemiaphaerii illuminati partem specta- verit : ia enim inter duca lioace globo» aervatur tenor, ut ipiibua tem- j)oribus maxime a Luna illustratili- Tellus, iisdein minus vice versa a Terra illuminetur Luna, et e eontra. Atque haec pauca de liac re in praesenti loco dieta sufficiant, fuaius enim in nostro systemate mundi; ubi, complurimis et rationibus et experimentis, validissima Solaris lu- 10 mini» e Terra reilexio ostenditur illis, qui eam a Stellarmi! corea areendam esse iactitant, ex eo potissimum quod a motu et a lumina sit vacua ; vagain enim illam ac Lunam splendore superantem, non autem sordium mundanarumque fecum senti nani, esse demonstrationi- bus et naturalibus quoque rationibus sexcentis confirmabimus. Diximus lmcusque de observationibus circa lunare corpus liabitis ; mino de Stelli» tixis ea, quae liactenus a nobis inspecta fuerunt, bre- viter in medium adferamus. Ao primo illud animadversione dignum est, quod scilicet Stellae, tam tìxae, quam errabundae, dum adhibito Perspicillo spectantur, nequaquam magnitudine augeri videntur inxta •jo proportionem eandem, secundum quam obiecta reliqua, et ipsamet quoque Luna, acquirunt incrementa : veruni in Stelli» talis auctio longe minor apparet; adeo ut Perspicillum, quod reliqua obiecta secundum centuplam, gratin exempli, rationem multiplicare potens erit, vix se¬ cundum quadruplam aut quintuplam Stellas multiplices reddere cre¬ da». Ilatio autem liuius est, quod scilicet Astra, dum libera ac naturali oeulonmi acie spectantur, non secundum suam simplicem nudamque, ut ita dicam, magnitudinera sese nobis offerunt, sed fulgoribus quibusdam irradiata, micantibusque radiis crinita, idque potissimum cum iam in- creverit nox ; ex quo longe maiores videntur, quam si ascititiis illis 30 crinibus essent exuta : angulus enim visorius, non a primario Stellae corpusculo, sed a late circumfuso splendore, terminatur. IIoc apertis¬ sime intclligas licet ex eo, quod Stellae in Solis occaso inter prima crepuscula emei-gentes, tanietsi priniae fueriiit magnitudinis, exiguae adiilodum apparent ; et Yenus ipsa, si quando circa meridioni se no¬ bis in oonspectum dederit, adeo exilis cernitili’, ut vix Stellulam ma¬ gnitudini» ultimae aequare videatur. Secus in aliis obiectis, et in ipsa¬ met Luna, contingit; quae, sive in meridiana luce sive inter profundiores tenebras spectetur, eiusdem semper niolis apparet. Intonsa igitur in 7G SIDEHEUfl NUNCIU8. io mediis tenebria speetantur Astra, crine» tamen illorum diurna lux abra¬ dere pottìst; at non lux ista tantum, sed tennis quoque nubecola, quae inter Sidus et oculum aspicientis interponatur : idem quoque prae- stant nigra velainina ac vitra colorata, quorum obieotu atque inter- positione circumfusi fulgores Stellaa deserunt. Hoc idem pariter efticit Perspicillum : prius enim adacititios accidentalcsquo a Stellis fulgores adimit, illarmn indo globulo» simplices (si tamen figura fuerint glo¬ bosa) auget; atque adeo secundum minorem multiplicitatem adaucta videntur. Stellula enim quintae aut sextae magnitudinis, per Perspi¬ cillum visa, tamquam magnitudinis primae repraesentatur. Adnotatione quoque dignum videtur esso discrimen inter' Plane- taruin atque - fixarum Stellarum aspectus. Planetae enim globulos suos exacte rotundos ac circinatos obiiciunt, ac, velati Lunulae quaedam undique lumino perfusae, orbiculares apparent : fixae vero Stellae pe- ripberia circulari nequaquam terminatae conspiciuntur, sed velati fulgores quidam radio» circumcirca vibrantes atque admodum scin- tillantes ; consimili tandem figura praeditae apparent cum Perspicillo, ac. dnm naturali intuita, speetantur, sed adeo maiores ut Stellala quin¬ tae aut sextae magnitudinis Canoni, maximam nempe fixarum omnium, acquare vnleatur. Veruni, infra Stella» magnitudinis sextae, adeo nu- 20 merosum gregem aliarum, naturalem intuitum l’ugientium, per Per¬ spicillum intueberis, ut vix credibile sit : plures enim, quam sex aliae magnitudinum differentiae, videas licet ; quarum maiores, quas magni¬ tudinis septimae, seu primae invisibilium, appellare possumus, Perspi- cilli beneficio maiores et clariores apparent, quam magnitudinis se- cundae Sidera, acie naturali visa. Ut miteni de inopinabili fere illarmn frequentai unam alteramve attestationem videas, Asterismos duos sub- scribere placuit, ut ab eoriun exemplo de caeteris iudicium feras. In primo integrala Orionis Constellationem pingere decreveram ; veruni ab ingenti Stellarum copia, tempori» vero inopia, obrutus, aggres- so sionem liane in aliam occasionem distuli ; adstant enim, et circa ve- teres, intra unius aut alterili» gradua limites, dissoni inali tur, plures quingentis : quapropter tribns quae in Cingulo, et senis quae in Elise ianipridem adnotatae fuerunt, alias adiacentes octuagint.a recens visas apposuimus ; earumque interstitia, quo exactius licuit, servavimus : notas, seu veteres, distinctionis grafia, maiores pinximus, ac duplici linea contornavimus ; alias inconspicuas, minores, ac unis lineis nota- vimus; magnitudinum quoque discrimina, quo inagislicuit, servavimus. SIDEKEUS Nl’NCIUS. Ciurlili et Eusis ORIONIS Asterisnnis. * * * * * * 78 SIDEREU6 NUN0IU8. In altero exemplo box Stellas Tauri, PLEIAPAS dieta», depinxirnus (dico autem box, quandoquidem septima fere nunquam appuret) intra PLEIADUM C0N8TELLAT10. * * * * angustissimoR in Caelo oancellos obclusns, quibus aline, plures quam quadraginta, invisibiles adiacent ; quartini nulla ab aliqua ex prae- dictis sex vix ultra semigradum elongatur : harum noB tantum tri- ginta sex adnotavimus ; earumque interstitia, magnitudines, necnon veterum novarumque discrimina, veluti in Orione, servavimus. Quod tertio loco a nobis fuit observatum, est ipsiusmet LACTEI Circuii essentia, sou materie», quam Perspicilli beneficio adco ad scu- sum licet in tu eri, ut et altercationes omnes, quae per tot saecula phi- io losoplios excruciarunt, ab oculata certitudine dirimantur, nosque a verbosis disputationibus liberemur. Est enim GALAXIA nihil aliud, quam innumerarum Stellarum coacervatim consitanmi congeries : in quameumque enim regionem illius Perspicillum dirigas, statini Stel¬ larum ingens frequentia sese in eonspecttnn proferì, quartini com- plures satis magnae ac valde conspicuae videntur ; sed exiguarum multi tu do prorsus inexplorabilis est. At cum non tantum in GALAXIA lacteus ille candor, veluti al¬ bicanti» nubis, spectetur, sed complures consimilis coloris areolao spar- sim per aethera subfulgeant, si in illarum quamlibet Specillimi con- 20 vertas, Stellarum constipatarum coetum offendes. Amplius (quod magis 8IDERKUS NIJNC1US. 79 miraberis), Stellae ab Astronomie singulis in hanc usqae diem NEI3U- LOSAE appellatae, Sto 11 ularu m mirum in moduni consitarum greges sunt ; ex quarum radiorum conimixtionc, duna unaquaeque ob exilita- tem, seu maxìmani a nobis remotionem, oculorum aoiem fugit, oandor ilio consurgit, qui densior pars Caoli, Stellarmn aut Solis radio» retor- quere valens, hueusque ereditila est. Nos ex illis nonnulla» obser- vavimus, et duarum Astorismos subnectere voluimus. In primo liabes NEHULOSAM, Capitis Orionis appollatam, in qua Stella» vigintiunas numeravimus. Seeundus NEBULOSAM PltAESEPE nuncupatam continet; quae non una tantum Stella est, sed congeries Stellularum plurium quam quadraginta : nos, praeter Asellos, trigintasex notaviinus, in hunc, qui sequitur, ordinem disposifcas. NEHIJLOSA. 01U0N1S. * * NEBULOSA PltAESEPE. * *- * * * ^ De Luna, de inerrantibus Stellis ac de (ralaxia, quae hactenus ob- Borvata sunt, breviter enarravimus. Superest ut, quod maximum in praesenti negotio existimandum videfcur, quatuor PLANETAS a primo mundi exordio ad nostra usque tempora nunquam conspectos, occa- Bionem reperiendi atque observandi, necnon ipsorum loca, atque per in. 80 8IDERBU8 NUNCIU8. duos proxime mense» observationes circa eorundem lationes ac mu- tationes habitas, aperiamus ac promulgemus ; Astronoinos omnes con- vocantes, ut ad illorum periodos inquirendas atque defìniendas so con- ferant, quod nobis in hanc usque diem, ob temporis angustiali), asaequi minime licuit. Illos tamen iterum monitos facimus, ne ad talem in- spectionein incassimi accedant, Perspicillo exactissimo opus esse, et quale in principio sermonis huius deaeripsimus. Die itaque septima Ianuarii, instantis anni millesimi scxcentesimi decimi, bora sequentis noctis prima, cuin caelestia sidera per Per- spicilhun spectarein, Iuppiter sese obviam fecit ; dunque admodum io excellens mihi parassein instrumentum (quod antea ob alterili» or¬ gani debilitatelo minime contigerat), tres illi adstare Stellulas, exiguas quidem, veruntamen clarissinias, cognovi; quae, licet e numero iner- rantium a me crederentur, nonnullam tamen intulerunt admiratio- nem, eo quod secundum exactam lineam rectam atipie Eclipticae parallelam dispositae videbantur, ac caeteris magnitudine paribus splendidiores. Eratque illarum inter se et ad Iovem talis constitutio : Ori. * * O * Oco. ex parte scilicet orientali dnae aderant Stellae, una vero occasum ver¬ sus. Orientaiior atque occidentalis, reliqua paulo raaiores apparebant: 20 de distantia inter ipsas et Iovem minime sollicitus fui; fixae enirn, uti dixiimiB primo, creditae fuerunt. Cum autem die octava, nescio quo fato ductus, ad inspectionem eandem reversus essem, longe aliam consti- tutionem reperi: erant enim tres Stellulae occidentales omnes, a love atque inter se, quam superiori nocte, viciniores, paribusque interstitiis mutuo disseparatae, veluti apposita praesefert delineatio. Ori. O * * * Occ. Hic, licet ad mutuam Stellarum appropinquationem minime cogita- tionem appulissem, haesitare tamen coopi, quonam pacto Iuppiter ab omnibus praedictis lìxis posset orientalior reperiri, cum a binis ex so illis pridie occidentalis fuisset : ac proinde veritus sani ne forte soeus a computo astronomico directus foret, ac })ropterea motu proprio Stellas illas antevertisset. Quapropter maximo cum desiderio sequen- tem expectavi noctem; veruni a spe frustratus fui, nubibus enim uu- diquaque obductuui fuit caelum. SIItEREtJS NUNCIUS. 81 At die decima apparuerunt Steliae in eiusmodi ad Iovem positu : Ori. * o Occ. duae enim tantum, et orientales ambae, aderant ; tertia, ut opinatila fui, sub love latitante. Erant paritor, veluti antea, in oadem recta cum love, ac iuxta Zodiaci longitudinem adamussim locatae. Haec cum vidissem, dunque mutationes consimiles in love nulla ratione reponi posse intelligerem, atque insuper spectatas Stellas somper easdem fuisse cognoscerem (nullae enim aliae, aut praecedentes, aut conse- qnentes, intra magnum intervallimi iuxta longitudinem Zodiaci ade- 10 rant), iani anibiguitatem in admirationem perinutans, apparentem com- mutationem, non in Iove,sed in Stellis adnotatis repositam esse comperi ; ac proinde oculate et scrupulose magis deinceps observandum fore sum ratus. Die itaque undecima eiuscemodi constitutionem vidi : Ori. O Occ. Stellas scilicet tantum duas orientales; quarum media triplo distabat a love, quam ab orientaliori, eratque orientalior duplo fere maior reliqua, cum tainen antecedenti nocte aequales ferme apparuissent. Statutum ideo omnique procul dubio a me decretum fuit, tres in caelis 20 adesse Stellas vagantes circa Iovem, instar Veneris atque Mercurii circa Solcai ; quod tandem luce meridiana clarius in aliis postmodum compluribus inspectionibus observatum est : ac non tantum tres, ve¬ runi quatuor esse vaga Sidera circa Iovem suas circumvolutiones obeuntia ; quorum permutationes, exactius consequenter observataB, 8 ubsequoiis narratio ministrabit: interstitia quoque inter ipsa per Per- spicillum, superius explicata ratione, dimetitus sum : lioras insuper observationuin, praesertim cum plures in eadem nocte liabitae fuerunt, apposui ; adeo enim celeres liorum Planetarum extant revolutiones, ut liorarias quoque differentias plerunque liceat accipere. so Die igitur duodecima, bora sequentis noctis prima, bac ratione disposita Sidera vidi: Ori. ^ *0 * Occ. erat orientalior Stella occidentaliori maior, ambae tamen valde conspi- cuae ac. splendidae : utraque distabat a love scrupulis primis duobus «2 8IDEREU8 NIJNCIUB. tertia quoque Stellala apparerò coepit bora tertia, prius minime con- specta, quae ex parte orient ali Iovem fere tangobat, eratque admodum exigua. Omnes fuerunt in eadem recta et secundum Ecliptieae lon- gitudinom coordinatae. Dio decimatert.ia primum a me quutuor conspectae fuerunt Stol- lulae in hac ad lovom constitutiono : Ori. * 0*** Occ. erant tres occidentalos et una orientali : lineam proxime rectam con- stituebant; media enim occidentalium paululum a recta septentrionem versus deflectebat. Aberat orientalior a love minuta duo: reliquarum io et lovis intercapedinos erant singulae unius tantum minuti. Stellae omnes eandem prae so ferebant magnitudinem, ac, licet exiguam, lucidissimae tamen erant ac fixis eiusdem magnitudinis longe aplon- dicliores. Die decima quarta nubilosa fuit tempestas. Die decimaquinta, bora noctis tertia, in proxime depicta fuerunt babitudine quatuor Stellae ad Iovem : Ori. Q * * ^ v., Occ. occidentales omnes ac in eadem proxime recta linea dispositao; quae enim tertia a love numerabatur paululum in boream attollebatur : 20 propinquior Iovi erat omnium minima, reliquae consequentor maiores apparebant : intervalla inter Iovem et tria consequentia Sidcra erant aequalia omnia ac duorum minutorum ; at occidentalius aberat a sibi propinquo minutis quatuor. Erant lucida valde, et nihil ecintillantia, qnalia semper, turni ante, tum post, apparucrunt. Veruni bora aeptima tres solummodo aderant Stellae, in liuiuseemodi cum love aspectu: Ori. 0 * Occ. erant riempe in eadem recta ad unguem : vicinior levi erat admodum exigua, et ab ilio semota per minuta prima tria ; ab hac secunda di- stabat min. uno ; tertia vero a secunda min. pr. 4, sec. 30. Post vero so aliam horam duae Stellulae inediao adirne viciniores erant : aberant enim min. se. vix 30 tantum. 8I1)KHKU8 NUNCHT8. 83 Dio decimaaexta, bora prima noctis, tres vidimus Stellas iuxta hunc ordinem dispositiva : Ori. * O *■ -*• Occ. duae Iovem intercipiebant, ab eo por min. 0, sec. 40 bino inde remotae ; tertia vero occidentalia a lovo distabat min. 8. Iovi proximae non ìnaioros, sed luoidiorea apparebant remotiori. Dio decimaaoptinia, bora ab occasu 0, min. 30, buiusmodi fuit con- figuratio : Ori. * O * Occ. io Stella una tantum orientalis a lovo distabat min. 3; occidentali» pa- riter una, a lovo distali8 min. 11. Orientalis duplo maior apparebat occidentali ; noe pluros adcrant quam iatae duae. Veruni poat boras quatuor, bora nompe proximo quinta, tertia ex parto orientali emer¬ gere coepit, quae antea, ut opinor, cum priori iuncta erat; fuitque talis positio : Ori. O * Occ. Media Stella, orientali quam proxima, min. tantum soc. 20 elongaba- tur ab illa, et a linea recta, per extremas et Joveni producta, paulu- lum versus austrum declinalmt. so Dio decima octava, bora 0, min. 20 ab occasu, talis fuit aspectus: Ori. O * 0cc - erat Stella orientalis maior occidentali, et a love distane min. pr. 8: occidentalia voro a love aberat min. 10. Die decirnanona, bora noctis secunda, talis fuit Stellarum coor¬ dinata) : Ori. * O * * 0cc - erant riempe secundum rectam lineam ad unguenti tres cum love Stel- lae : orientalis una, a love distans min. pr. 6 : inter Iovem et primam sequentem occidentalem mediabat min. 5 interstitium : liaec autem ab so occidentaliori aberat min. 4. Ànceps oram tunc, nunquid inter orien- talem Stellam et Iovem Stellula mediaret, veruni Iovi quamproxima, adeo ut illuni fere tangeret. At, bora quinta, banc manifeste vidi me- SIDEREUS NUNCIU8. 84 dium iam iutor Tovem et orientalem Stellam locami exquisite occu- puutem, ita ut talis fuerit configurati: Ori. * O ^ Occ. Stella insuper novissime conspecta admodum exigua fuit ; veruntamen, bora sexta, reliquia magnitudine fero fuit aequalis. Die vigesima, bora 1, min. 15, constitutio consimilis visa est: Ori. * O * * Occ. aderant tres Stellulae adeo exiguao, ut vix percipi possent: a Tove, et inter se non magis distabant minuto uno: incertus eram, nunquid ex occidente dime, an tres, adessent Stellulae. Circa boram sextam io lioc pacto erant dispositae : Ori. % O ** Occ. orientalis enim a love duplo magis aberat quam antea, nenipe min. 2 ; media occidentalis a love distabat min. 0, sec. 40, ab occidentaliori vero min. 0, sec. 20. Tandem, liora septima, tres ex occidente visae fue- runt Stellulae : Ori. * O * +* Occ. lovi proxima aberat ab eo min. 0, sec. 20; inter banc et ocoidenta- liorem intervallimi erat. minutorum secundoruin 40 : inter has vero alia spectabatur paululum ad meridioni detlectens, ab occidentaliori 20 non pluribus decem secundis remota. Die vigesimaprima, hora 0, min. 30, aderant ex oriente Stellulae tres, aequaliter inter se et a love distantes : Ori. **♦ 0 * Occ. interstitia vero, secundum existimationem, 50 secundoruin minutorum fuere. Aderat quoque Stella ex occidente, a love distans min. pr. 4. Orientalis lovi proxima erat omnium minima ; reliquae vero aliquanto maiores, atque inter se proxime aequales. Die vigesima secunda, hora 2, consimilis fuit Stellarmi) dispositio: Ori* ^ O ** ^ Occ. #• a Stella orientali ad Iovem minutorum primorum 5 fuit intervallum, 30 8IDKREU8 NUNCIU8. 85 a love ad occidentaliorein pr. 7. Dune vero occidentale» interme- diae distabant ad iuvicem min. 0 , hoc. 40; propinquior vero lovi aberat ab ilio ni. p. 1. Ipsae mediai- Steliulae minores erant extremis : fuerunt vero secundiim eandena rectuin lineain iuxta Zodiaci longitudinem extensae, nini (pimi trium occidentalium media paiilulmn in austrom deflecteliat. Sed, bora noeti» soxtii, in hac constitutione visae nunt: Ori. * O * * * Occ. orientali» admnduni exigua erat, distans a Tove, ut, antea. min. pr. 5. Tres vero occidentale», ot a lovo et ad iuvicem, aequaliter diritne- ìo bantur, erantque intercapedines singulae min. 1, sec. 20 proxime: ot Stella lovi ’vicinior, reliquia duabus Hequentibus minor apparebat: om- nesque in nadem recta exquisite dispositae videbantur. Die vigesima tortili, bora 0, min. 10 ab occasu, in lume ferme mo¬ dino Stellarum constitutio se habuit: Ori. Occ. erant tres Stellao cuoi love in recta linea secondimi Zodiaci longi- tudinem, veluti semper fuerunt: orientales erant dune, una vero oc- cidentalis. Orieutalior aberat a sequenti min. pr. 7, haec vero a love min. 2, sec. 40, Iuppiter ab occidentali min. 3, soc. 20: erantque omnes so magnitudine fere acquale». Sed, bora quinta, duae Stellae, quae prius lovi erant proximae, amplili» non cernebantur, sub love, ut arbitror, latitante» ; fuitque tali» aspectus : Ori. * O Occ. Dio vigesimaquarta, tres Stellae, orientales omnes, visae sunt, ac fere in eadem coni love recta linea : Ori. * * * O Occ. media eniin niodice in austrum deflectebat. lovi propinquior distabat ab eo min. 2, sequene ab lino min. 0, sec. 30, ab hac vero aberat orien- talior min. 9 : erantque omnes admoduin splendidae. Hora vero sexta, 3 o duae solununodo sene offerebant Stellae in hoc positu : Ori. * * O Occ. riempe cum love in eadem recta linea ad unguem, a quo elongabatur 86 BIDEREUS NUNU1U8. propinquior min. p. 3, altera vero ab hac min. p. H : in unani, ni fallor, coierant duae mediate prius observatae Stellulae. Dio vigesimaquinta, bora 1, min. 40, ita so habebat contìtitutio: Ori. * % O 0l ' c ' aderant enim duae tantum Stellae ex orientali plaga, eaeque satis magnae: orientalior a media diatabat min. f>, media vero a love min. 6. Die vigesima sexta, liora 0, min. 40, Stellarum coordiuatio oius- modi fuit : Ori. * * O * Ore. spectabantur enim Stellae tres, quarum duae orientala, tertia 0 (-ci- io dentalia a love : liaoc ab eo min. 5 aberat, inedia vero orimitalia al) eodem distabat min. 5, sec. 20; orientalior vero a media min. 6: in eadem recta constitutao, et eiusdom inagnitudinis erant. Hora doinde quinta, constitutio foro eadem fuit; in hoc tantum discrepami, quod prope Iovern quarta Stellula ex oriente emergebat, caeteria minor, a love tunc remota min. 30, ned paululum a recta linea versus Boream attollebatur, ut apposita figura demonstrat: Ori. -*■ * * O * Occ. Die vigesima septima, hora 1 ab occasu, unica tantum Stellula conspiciebatur, eaque orientalis, secundum hanc conBtitutiouem : 20 Ori. * Q Occ. eratque admodum exigua, et a love remota min. 7. Die vigesima octava et vigesima nona, ob nubium interpositionem nihil observare licuit. Die trigesima, hora prima noctis, tali parto constituta spectabantur Sidera: Ori. ^ O ^ * Occ. unum aderat orientale, a love distans min. 2, sec. 30, duo vero ex oc¬ cidente, quorum lovi propinquius aberat ab eo min. 3, reliquum ab hoc min. 1 : extremorum et Iovis positus in eadem recta linea fuit, at so media Stella paululum in Boream attollebatur : ooeidentalior fuit re¬ liquia minor. BtbEREUS NUNClUS. 8? Die ultima, liora secunda, vinata siint orientales Stellati duae, una vero occidua : Ori. <0 •* Occ. Orientalium media a love aberat min. 2, sec. 20 ; orientalior vero ab ipsa media min. 0, sec. 30; occidentalis distabat a Iovo min. 10: erant in eadem recta linea proxime, orientalis tantum lovi vicinior modicum quiddam in Septentrionem elovabatur. Hora vero quarta, Ori. ** o * Occ. duae orientales viciniores ad invicem adirne erant; aberant enim solum- ìo modo min. hoc. 20. Apparnit in hisce observationibus occidentalis Stella satis exigua. Die Februarii prima, bora noctis secunda, consimilis fuit constitutio: Ori. *o tK- Occ. Distabat orientalior Stella a love min. G, occidentalis vero 8; ex parte orientali Stella quaedam, admodum exigua, a love distabat minutis secundis 20 : rectarn ad unguem designabant lineam. Die secunda, iuxta Lune ordinem visae sunt Stellae: Ori. O ^ ^ Occ. Una tantum orientalis a love distabat min. 6 ; Iuppiter ab occidentali 20 viciniori aberat min. 4 ; inter liane et occidentaliorem min. 8 fuit intercapedo : erant in eadem recta ad unguem, et eiusdem fere rnagni- tudinis. Sed, bora soptima, quatuor aderant Stellae: Ori. * * O * *Occ. inter quas Iuppiter mediani occupabat sedem. Harum Stellarum orien¬ talior distabat a sequenti min. 4, haec a love min. 1, sec. 40 : Iuppiter ab occidentali sibi viciniori aberat min. 6, baec vero ab occidentaliori min. 8 : erantque pariter onines in eadem recta linea, secundum Zodiaci longitudinem extensa. Die tertia, bora septima, in bac serie dispositae fuerunt Stellae: 3 o Ori. * O * * Occ. orientalis a love distabat min. 1, sec. 30, occidentalis proxima min. 2: * III. 14 SlUKtttìUS NUN'CIUB. 88 ab hac vero elongabatur occidentalior altera miti. 10: erant praucise in eadem recta, et magmtudinis aequalis. Die quarta, hora secunda, circa lovem quatuor stnbant Stellae, orientales duae, ac duae occidentales, iu eadem ad unguem recta linea diapoeitae, ut in proxima figura: Ori. ^ * O ^ ^ 0 (>c - Orientalior distabat a seguenti min. 3, haoc vero a love aberat min. 0. sec. 40, luppiter a proxima occidentali min. 4, haec ab occideutaliori min. 6. Magnitudine erant fere aequales; proximior Invi reliquia paulo minor apparebnt. Hora autem septima, orientales Stellae distabant iu tantum min. 0, see. 30. Ori. O ^ ^ Occ. Tuppiter ab orientali viciniori aberat min. 2, ab occidentali vero seguente min. 4, haec vero ab occidentaliori distabat min. 3 : orantque aequales omnes, et in eadem recta secundmn Eclipticam extensa. Die quinta, Caelum fuit nubilosum. Die sexta, duae solummodo apparuenmt Stellae, medium lovem intercipientes, ut in figura apposita spectatur : Ori. ^ O ^ Occ. oi’ientalis a love distabat min. 2, occident.alis vero min. 3 : erant in go eadem recta cum love, et magnitudine pares. Die septima, duae adstabant Stellae, a iove orientales ambae, in hunc dispositae modum : Ori. Occ. intercapedines inter ipsas et lovem erant aequales, unius riempe minuti primi ; ac per ipsas et centrimi Tovis recta linea incedebat. Die octava, hora prima, aderant tres Stellae orientales omnes, ut in descriptione: Ori. * % * O Occ. Tovi proxima, exigua satis, distabat ab eo min. 1, sec. 20; media vero 30 ab liac min. 4, eratque satis magna; orientalior, admodum exigua, ab hac distabat min. 0, sec. 20. Anceps eram, nunquid levi proxima una SIDEREUS NUNCIUS. 89 tantum, an duae forent Stellulae ; videbatur onim interdum buie alia adesso versus ortuin, mirum in modurn exigua, et ab illa seiuncta per min. 0, sec. 10 tantum: fuerunt omnes in eadem recta linea secundum Zodiaci ductum extensae. Ilora vero tertia, Stella Iovi proxima illuni fere tangebat; distabat enim ab oo min. 0, sec. 10 tantum: reli quae vero a love remotiores factae fuerunt; aberat enim media a love min. 6. Tandem, bora quarta, quae prius Iovi proxima erat, cum eo iuncta, non cernebatur amplius. Die nona, bora 0, m. 30, adstabant Iovi Stellae duae orientales, et io una occidentalis, in tali dispositione: Ori. * * O * Occ. Orientalior, quae satis exigua erat, a sequenti distabat min. 4; media, maior, a love aberat min. 7; Iuppiter ab occidentali, quae parva erat, distabat min. 4. Die decima, hora prima, min. 30, Stellulae binae, admodum exiguae, orientales ambae, in tali dispositione visae sunt: Ori. * * O Occ. remotior distabat a Tove min. 10, vicinior vero min. 0, sec. 20; erantque in eadem recta. Ilora autern quarta, Stella Iovi proxima amplius non 20 apparebat: altera quoque adeo imminuta videbatur, ut vix cerni posset, licet aer praeclarus esset; et a Iovo remotior, quam antea, erat; distabat siquidem min. 12. Die undecima, hora prima, aderant ab oriente Stellae duae, et una ab occasu. Distabat occidentahs a love min. 4 ; orientalis vicinior Ori. * o ^ Occ. aberat pariter a love min. 4; orientalior vero ab hac distabat min. 8 : erant satis perspicuae, et in eadem recta. Sed hora tertia, Stella quarta, Iovi proxima, ab oriente visa est, reliquis minor, a love dissita Ori. % * O Occ. 30 per min. 0, sec. 30, et a recta linea per reliquas Stellas protracta, mo- dicum in aquilonem deflectens : splendidissimae erant omnes, ac valde conspicuae. Hora vero quinta cum dinndia, iain Stella orientalis, Iovi proxima, ab ilio remotior facta, medium inter ipsum et Stellanti orien- 90 81DEREU8 NUN01US. taliorem, sibi propinquam, obtinebat locum ; erantque omnes in eadem reota linea ad unguem, et eiusdem magnitudinis, ut in apposita descrip- tione videro licet: Ori. * * * O * Occ. Die duodecima, bora 0, min. 40, Stollae binae ab ortu, binae pariter ab occasu, adstabant. Orientali» remotior a love distabafc min. 10, lon- ginquior vero occidentalis aborat min. 8, Ori. % * O * % Occ. erantque ambae satis conspicuae; reliquae duae Invi erant vicinissimae, et admodum exiguao, praesertim orientali», quae a love distabat min. 0, io sec. 40; occidentalis vero, min. 1. Hora vero quarta, Stellula, quae Iovi erat proxima ex oriente, ampline non apparebat. Die decinaatertia, hora 0, min. 30, duae Stellae apparebant ab ortu, Ori. * ^ O Occ. duae insuper ab occasu. Orientali ac Iovi vicinior, satis perspicua, distabat ab eo inin. 2; ab liac orientalior, minus apparens, aberatmin. 4. Ex occidentalibus, remotior a love, conspicua valde, ab eo dirimebatur min. 4 ; inter hanc et Iovem intercidebat Stellula exigua ac occiden- taliori Stellae vicinior, cum ab ea non magie abosset min. 0, sec. 30. Erant omnes in eadem recta secundum Eclipticao longitudinem ad 20 unguem. Die deciinaquinta (nani decimaquarta Caelum nubibus fuit ob- ductum), bora prima, talis fuit astro rum positus: Ori. ** O Occ. tres nempe erant orientales Stellae, nulla vero cernobatur occiden¬ talis : orientalis Iovi proxima distabat ab eo min. 0, sec. 50 ; sequens ab hac aberat min. 0, sec. 20, ab liac vero orientalior min. 2 ; eratque reliquie maior ; viciniores enim Iovi erant admodum exiguae. Sed, bora proxime quinta, ex Stellis Iovi proximis una tantum cernobatur, a Ori. ^ *0 Occ. so love distane min. 0, sec. 30; orientalioris vero elongatio a love adaucta erat; fuit enim tunc min.4. At, hora sexta, praeter duas, ut modo 8IDEREUS NUNOIUS. 91 dictum est, ab oriente constitutas, una versus occasum cernebatur Stel- Ori. ^ * O * Occ. lula, admodura exigua, a love remota min. 2. Die decimasexta, bora sexta, in tali constitutione steterunt: Ori. % O ^ ^ Occ. Stella nempe orientalis a love min. 7 aberat, Iuppiter a sequenti oc¬ cidua min. 5, liaec vero a reliqua occidentaliori min. 3 : erant omnes eiusdem proxime magnitudinis, satis conspicuae, et in eadem recta linea exquisite secundum Zodiaci ductum. io Die decimaseptima, bora 1, duae aderant Stollae: Ori. O * Occ. orientalis una, a love distans min. 3, occidentalis altera, distane min. 10 : baec erat aliquanto minor orientali. Sed, bora 6, orientalis proximior orai Iovi, distabat nempe min. 0, sec. 50 ; occidentalis vero remotior fuit, scilicot min. 12. Fuerunt in utraque observatione in eadem recta, et ambae satis exiguae, praesertim orientalis in secunda observatione. Die 18, hora 1, tres aderant Stellae, quarum duae occidentales, orientalis vero una : distabat orientalis a love min. 3, occidentalis Ori. * O * * Occ. 20 proxima m. 2; occidentalior reliqua aberat a media min. 8: omnes fuerunt in eadem recta ad unguein, et eiusdem fere magnitudinis. At, hora 2, Stellae viciniores paribus a love aberant interstitiis ; occidua enim aberat ipsa quoque min. 3. Sed, bora 6, quarta Stellula visa est inter orientaliorem et Iovem, in tali contìguratione : Ori. * * O * * Occ. • orientalior distabat a sequenti min. 3, sequens a love min. 1, sec. 50, Iuppiter ab occidentali sequenti min. 3, haec vero ab occidentaliori min. 7: erant fere aequales; orientalis tantum Iovi proxima reliquia erat paulo minor : erantque in eadem recta Eclipticae parallela. 92 8IDKREUB NUNC1U8. Die 19, hora 0, min. 40, Stellae duae Bolummodo occiduae a love Ori. O * * Occ. conspectae fuerunt, natia magnae, et in eadem recta cuni love ad unguem, ac secondimi Eclipticae ductuni dispositae. Propinquior a love distabat min. 7, liaec vero ab occidontaliori min. 6. Die 20, nubiloRum fuit caelum. Die 21, hora 1, min. 30, Stellulae tres satin exiguao cernebantur in hac constitutione : Ori. * O * * Occ. orientali aberat a love min. 2, Iuppiter ab occidentali sequente min. 3, io haec vero ab occidentaliori min. 7 : erant ad unguem in eadem recta Eclipticae parallela. Die 25, hora 1, min. 30 ('nani superioribus trilnis noctibus caelum fuit nubibus obductum), tres apparuerunt Stellae : Ori. * * O * Occ. orientales duae, quarum distantiae inter se et a love aequales fuerunt, ac min. 4; oocidentalis una aberat a love min. 2: erant in eadem recta ad unguem, secundum Eclipticae ductum. Dio 26, hora 0, min. 30, binae tantum aderant Stellae: Ori. * Q Occ. so orientalis una, distanH a Tove min. 10; Occidental» altera, distane min. 6: orientalis erat aliquanto minor occidentali. Sed bora 5, tres visae sunt Stellae: Ori. * O * * Occ. praeter enim duna iam adnotatas, tertia ex occidente prope Iovem, admodum exigua, cernebatur, quae priua sub love latitabat, distabatque ab eo min. 1; orientalis vero remotior, quatn autea, videbatur, distans nempe a love min. 11. Ilac nocte primum lovis et adiacentium pla- netarum progressum, secundum Zodiaci longitudinem, facta relatione ad fixam quandam, observare placuit: Bpectabatur enim tixa Stella su 81DEKKU8 NUNCIU8. 93 orientem versus, distarla a Pianeta orientali min. 11, et paululum in austrum deflectebat, in lume qui sequitur inodum: Ori. * O * * Occ. ^ fixa Die 27, bora 1, min. 4, apparebant Stellae in tali configuratione : Ori. Ore. fixa orientali or distabat a love min. 10, sequens, levi proxima, min. 0, aec. 30; occidentalia sequens aberat min. 2, sec. 30; ab liac occiden- io talior distabat min. 1. Viciniores Io vi exiguae apparebant, praesertim orientalis; extremae vero erant admodum conspicuao, in primis vero occidua; rectamque lineam secundum Ecliptieae ductum designabant ad unguem. Horuin Planetarum progressus versus ortum ex collatione ad praedictaui fixam manifeste cernebatur; ipsi enim luppiter cum adstantibus Planetis vicinior erat, ut in apposita figura videro licet. Sed bora 5, Stella orientalis Iovi proxima aberat ab eo min. 1. Die 28, bora 1, duae tantum Stellae videbantur ; orientalis, distans a love min. 9 ; occidentalia vero, min. 2 : erant satis conspiouae et in eadem recta: ad quam lineam fixa perpendiculariter incidebat in Pla- 20 netam orientalem, veluti in figura : Ori. (^) ^ Occ. fixa sed, bora 5, tertia Stellala, ex oriente distans a love min. 2, conspe- cta est in eiusmodi constitutione : Ori. ^ ^ O Occ. Die 1 Martii, bora 0, min. 40, quatuor Stellae orientales ornnes con- spectae sunt, quarum Iovi proxima aberat ab eo min. 2, sequens ab hac m. 1, tertia m. 0, sec. 2, eratque reliquis clarior ; ab ista vero distabat SIDEHEUS NUNC1U8. 94 orientalior min. 4, et reliquia erat minor. Rectam proxime designabant lineam, nisi quod tertia a love paululuin attollebatur. Fixa cum love et orientaliori trigonum aequilaterum constituebat, ut in figura : Ori. * % * * Q Oec. ^ fixa Die 2, bora 0, min. 40, tres adstabant Plnnetne, oricntalos duo, unus vero occiduus, in tali configuratione: Ori. O Occ. % fixa Aberat orientalior a love min. 7, ab hoc diatabat soquens min. 0, rcc. 30 ; io occidentaliB vero elongabatur a love min. 2 : erant extremi luciiliores ac maiores reliquo, qui admodum exiguus apparebat. Orientalior a recta linea, per reliquos et Iovem ducta, paululum in boream vido- batur elatus. Fixa iam adnotata ab occidentali Pianeta min. 8 diatabat, secundum perpondicularem ab ipso Pianeta ductam super lineam rectam per Planetas oinnes extensain voluti adiposità figura demonstrat. Hasce Iovis et adiacentium Planetarum ad Fixarn collationes appo- nere placuit, ut ex illis eorundem Planetarum progresaua, tum secun- dum longitudinem, tum etiam secundum latitudinem, cum motibus, qui ex tabulis bauriuntur, ad unguem congruore, quilibet intelligere possit. '*> Hae sunt observationes quatuor Mediceorum Planetarum, recens ac primo a me repertorum, ex quilms, quamvis illorum periodos nu- meris colligere nondum detur, licet saltimi quaedam anùnadvorsione digna pronunciare. Ac primo, cum Iovem comimilibus interstitiis modo consequantur, modo praeeant, ab eoque tum versus ortum, tum in occasum angustissimis tantum divaricationibus elongentur, eundemque retrogradum paritei’ atque directum concomitentur, quin circa illuni suas conficiant conversiones, interea dum circa mundi centrimi onines una duodecennales periodos absolvunt, neniini dubium esse potest. Convertuntur insuper in circulis inaequalibus : quod manifeste colli- so SIDERKUS NUNC1US. 95 gitili’ ox eo, quia in maiorilms a love digrossionibus nunquam binos Pianeta» iunctos videro licuit; cum tainen prope Iovem duo, tres et interdum omnes simili constipati reperti sint. Depraebenditur insuper, velociores esse conversiones Planetarum angustiores circa Iovem cir- culos describentium : propinquiores enim lovi Stellae saopius speetan- tur orientales, cum pridio ex occasu apparuorint, et e contra : at Pia¬ neta, maximum permeans orbem, accurate praeadnotatas rcversiones perpendenti, restitutiones semimenstruas habere videtur. Eximium praeterea praeclarumque habemus argumentum prò scrupulo ab ilbs io demando, qui in Systemato Copernicano conversione!)! Planetarum circa Solem aequo animo ferente», adeo perturbantur ab unius Lunae circa Terram latione, interea dum ambo annuum orbem circa Solom ab- solvunt, ut banc universi constitutionem, tanquam impossibilem, ever- tendam esse arbitfentur : nunc enim, nedum Planetam unum circa alium convertibilem babemus, dum ambo magnimi circa Solein per- lustrant orbem, veruni quatuor circa Iovem, instar Lunae circa Tel- lurem, sensus nobis vagantes olfert Stellas, dum omnes simul cum love, 12 annorum spatio, magnimi circa Solem permeant orbem. Praete- reundum tandem non est, quanam rationo contingat, ut Medicea Si- 20 dera, dum angustissimas circa Iovem rotationes absolvunt, semetipsis interdum plusquam duplo maiora videantur. Causam in vaporibus terrenis minimo quaerere possumus ; apparont enim aucta, seu mi¬ nuta, dum Iovis et propinquarum fixarum moles nil immutatae cer¬ nii ntur. Accedere autem illos, adeoque a terra elongari, circa suae con- versionis perigaéum, aut apogaeimi, ut tantae rautationis causam nanciscantur, omnino inopinabile videtur : nain arcta circularis latio id nulla catione praestare valet ; ovalis vero niotus (qui in boc casu rectus fero esset) et inopinabili», et iis quae apparent nulla ratione consonus, esse videtur. Quod liac in re succurrit, lubens profero, ac so recte pliilosopliantium iudicio censuraeque exbibeo. Constat, terre- strium vaporum obiectu Solem Luiianupie maiores, sod fixas atque Pianeta» minores, apparerei hinc Luminaria prope horizontem maiora, Stellae vero, minores ac plerunque inconspicuae, numinuuntur etiam inagis, si iidem vapores lumino fuerint perfusi ; idcirco Stellae inter- diu ac intra crepuscula admodum exiles apparent ; Luna non item, ut supra quoque monuimus. Constat insuper, non modo Tellurem, sed etiam Lunam, smini habere vaporosum orbem circumfusum, timi ex DI. 15 SIDEREU8 NUNCIt'S. !)(> Ili» quae supra diximus, tum maxime ex iis, quae fusius in nostro Scateniate dicentur : at idem quoque de reliquie Pianeti» ferro indi- cium congrue possumus; adeo ut etiam circa lovem densiorem reliquo aethere ponere orbem, inopinabile minime videatur; circa quem, instar Lunae circa elementorum spheram, Planetae MEDICEI circumducantur, atquo liuius orbis obiectu, dina apogaei fuerint, minore», dum vero perigaei, per eiusdem orbis ablationem, seti attenuationem, maiores, ap- pareant. Ulterius progredì tempori» angustia inliibet ; plura do hi» brevi candidus Lector cxpectet. IOANNIS KEPLERI DISSERTATIO CUM NUNCIO SIDEREO. IOANNIS KEPLERI Mathematici Csfarei DISSER T ATIO Curri NVNCIO SIDEREO nuperad mortales mi (To à GALILEO GALILEO &VLatbcmaùco Patavino. Afcinous, La ¥ «A ^ov mbh 1y yviùp j r yui A\o»let Qt hoo'oQàt', Cum Privilegio Imperatorio# P R A G vE, TTPIS DANIEL JS SED ESANI. Anno Domini, M.DC.X. MS* ILLUSTRISSIMO ET REVERENDISSIMO DOMINO, D. IULIANO MEDI CES, SERENISS. MAGNI HETRURIAE DUCIS Ainrn s» c» mt b « ORATORI, Domino meo Colendissimo, ILLUSTRISSIME DOMINE, Epistolam lume meam ad Galilaeum Galilaeum, Professorem Mathematìcum in celeberrima Academia Patavina, de Rancio eius Sidereo perscriptam et iam typis io descript ani, cui potius inscribam, quam lllv I)‘. TP, non invento. Tu enim cxarandae illius auctor mihi fuisti, prinutm trans-mi sso ad me VI Idus Aprilis per Thomam Scgethum exemplari Nuncii Siderei, et die mi hi di et o ad Idus, quo Te co uve ni rem ; post, ut comparai, praelecta mihi, ex literis ad Te, (Editaci postulationc , tuuqne aditatela cohortatione : qua perccpta, et promisi me intra dieta, quo soletti abirc cursorcs , cxaruturum aliqnid, et praestiti. Scd et nupcr admodnm a me, rum obvium babai sscs, diligcntcr patisti, ut esempi a m epistólac, si quod retinuissem, Ti In conce- derem legendum : ipsam quippe epistolam, quamvis apertimi exhihuissem, per occupa- tiones illius dici, non potnisse cognoscerc: quód rursmn promisi me facturum,primum atquc ad mundum descripsissem. Concepì antem Ulani indio, et iam typis espressi 20 tanfo lihcntiu$, quod et GaUlaeus , ad quem illa destinahatar, Msdwkokum Cliens ossei, et Muntesi Trincipis , Magni Hetruriae Ducis Legatus, ipse quoque Gente Mumcuvs, hoc a me poter et, et denique materia, de qua scribcndum crai, esset eiusmodi, qua {sigiti dem vera traderentur) Medichi nominis honos, auctoris consilio, coni - prehenderetur . Accipe igìtur, Tllustriss : D*, ex privata et Galilaei propria, publìcam descri¬ pt ione factum, pitblica dicalione iam Titani : exqtie hoc dedicazione studium menni 102 DISSERTATI!) CUM NUNt'lO SIDEREO. in ventate et , quad hoc sola niiitur, Msnwwt Principati(8 decor e % post Gaìilaeum audorem asserendo cog nosco ; menno pio erga Illustriss. D. T. ammutii mi obse - quia paratissimum aestima. Denique me iuter clientes tuos numera. Vale. V Nonas Maio#. Anno Cliristi Domini M. DC. X . lllustrissV i>; TV ad obsequia devotus, Io A SS MS KKPf.MRUS S. C. Mi" MiUhematicus . AD LECITO REM ADMOMITIO. Curri multi sententiam tneam super Galilaei Nuncio Sidereo expeterent, satisfa- cere pi acuì t omnibus hoc operati compendio, ut Kpistolam ad Galilaeurn mi ssai n {magna quidem fcstinatione, inter occupaiiones necessarias, intra praescriptmn diein fusata) publìcis typis exscriberem . Atqui umici, ea iuta accusa, monuemnt, vi dori pardo conceptam insolentius. Alius enirn ahlatum cupicbat exordìutn, quidam mitigata volai sset vcrba nonnulla, quae sentcntias a scholarum consuetudine reccdentcs antagonistae tribuere, videri passini io improvidis : non nemo parcius etiamnum laudatum Galilaeum desi derubai, ut locus relinqueretur sententiae clarissitnorum virorum, quos diversum a me sentire audiant Itaque consilium hoc inii, ut monerem Ledorem, suurn cuique pulchnm, pie - rosque contendendo excandescere; mi hi gratius disputationum videri condimentum, liilaritatern : olii gravitale asseverai ionum dignitotem uff cetani in tradenda pialo - sophia, funi tamen et ipsi saepe pruder institutum r idiculi ; ego ad id natura factus vide or, ut laborem et difficultatem do etri noe remissione animi, sigio expressa , tempererà . Quod igitur exordìutn attirici-, meminerit Ledor id ad eum perscriptum esse , guern consentaneum sii legisse praefationem meam super Commentarla Martis nuper 20 edita, quae et allegata videi. Lusus enirn, seu iocus rnilitaris, quo sum usus in opere ilio publico, deri vai us est in hoc etiam exordiurn privatae epistolae iure non deteriori . Ad alter am crnsuram eadern est responsio : fingo animi gratia inter disputantes litem, rixas, victoris triumphum, minas atroces; poenarn vieti, ruborern, rincula, carceres, exilium: quae seriurn quid pollicentur, ac si uterque super sua scntcntia, velati super aris d focis, depugnet. Atqui non est opus moneti Academicos (ectari a perspicillo, ut liane aeris interfusi substantiam a visibilibus detergat.; sed de ipsa etiam cadesti essentia tale aliquid suspicatus Bum, quod nos, si maxime Lumie corpus in immensum augeamufl, im¬ pedire possit, quo minus exiguas eius particulas in sua puntate, scorsila a cadesti materia profundissima, agnoscere possimus. io Has igitur ob causas, abstinui a tentanda medianica, concurrentibus insuper aliis etiam impedimenti. At nunc merito tuo, Galilaeo solertissime, commendo indefess&m tuam indu- Btriam, qui, diffidenti onmi posthabita, rectatead oculorum experimenta rontu- listi; iamque orto per tua inventa veritatis Sole, oinnes istas titubationum larvas cum nocte matre dispulisti; quidque fieri posset, facto demonstrasti. Te monstrante, agnosco substantiae cadestis incredibilem tenuitatem, quae qui- dem et ex Opticis meis, fol. 127, patet, bì proportionem densitatis aeris ad aquara conferas cum proportione deriBitatis aetheris ad arreni, proeul dubio multo maiori : quae efticit, ut ne minutissima quidem stellati orbi» (nedura lunaria corporis «tei- 20 larum humillimae) particula nostro® oculos effugiat, tuo instruiuenU) instruetos, niultoque plus materiae (vel opacitatis) in uno specilli corpusculo interponatur inter ocidum et rem visam, quam in toto ilio immenso aetheris tractu:quia ex ilio aliquantula resultat obscuritas, ex hoc nulla: ut pene concedendum videatur | totum illud immensum spatium vacuum esse. Etsi igitur avide tuum, Galilaeo, instrumentum oxpecto, tamen, si qua mihi sors affulgebit, ut medianica, remotis obstaculis, tentare possim, strenue me in iis cxercebo, idque gemina via. Nam, vel multiplicalm lentes perfectarum sphaori- carum bine inde superficierum, lenissime assurgentium, easque eertis intervalli in annidine disponam, exteriores paulo latiores, ut tamen oculus intra torminum so iute rsect ionia parallelorum omnium lentium constituatur (de qui bus tenninis vide Optica mea, fol. 190 et fol. 440); vel, utili unica superficie errorem (si quia esset) iacilius corrigere possilo, unam solam lentem seu umbonein effigiai), altera su¬ perficie proxime plana, quippe in convexitatem sphaericam solius dimidii gradua seu 34 minutorum assurgente, reliqua non sphaerica, quae ad oculum vergit, ne mihi contingant, quod fol. 194 ostendit Schema, fiatque partium rei visae distortio et confusio, de qua est prop. XYI1I, fol. 193, sed in umbonem assurgente, ut est fol. 198 in scheniate demonstratum, ut sit humorì crystallino oculi similis; linort quippe liyperbolica tornata descriptum, quam fol. 100 in scheinate quaesivi propter machinamenta optica, ut est fol. 90 et fol. 109, scilicet ut non distorta 40 CUM NUNCro SIDEREO. Ili fiat visio, sed partium rei visae imagines augeantur proportionaliter, ut proposui fol. 105. Ilaec, inquam, in constituenda lente convexa observabo, ut maiora praestem visibilia, oculumque non longe ai) hoc puncto collocabo, in quod omnium rei visae punctorum radii (quae proprietas est huius umbonis hyperbolici) unico confluunt: hyperliola eousque continuata erit, ut radius ex puncto, seu centro hoc, in contin- gentem extremum hyperboles faciat angulum 27, ideoque refractionem circiter 9; ut ad triginta semisses graduimi liabeam in utriusque lateria refractione extinia, in intermediis proportionaliter minus. io Quia vero unius puncti de re lucente tam remota radiationea proxime paral- lelae descendunt ad umboncm, post quem convergentes in humorem oculi cry- stallinum incidunt, adeo ut, post crystallinum facta refractione, concurrant in puncto proxime crystallinum, et ab eo se rursum dilatent, donec in retiformem yeniant iam dilatati instar penicilli, atque ita prò punctis lunae singulis, singulae retifonnis illustrantur superficies, adeo ut confusissima fiat visio; ideo ad oculum cuiuslibet spectantis peculiarem prò diversitate oculorum adhibebo lentem cavam, ut convergentes unius puncti radii, contraria refractione in cavo facta, prohi- beantur convergere; sed potius divergentes, et sic, velut ab aliquo propinquo puncto venientes, in crystallinum incidant, perque eum refracti, in retiformi ipsa 20 sortiantur sua collectionnm puncta: quae definitio est visionis distinctae. Quae omnia demonstravi fol. 202 meae Optices. Atque haec de instrumento ipso. Iam quod usuili eius attinet, argutum sane est inventimi tuiim, quomodo cognoscatur, quanta fiat remili per instrumentum ampliatio, et quomodo singula in cacio minuta minutorumque partes dignosci pos- tìint. Qua in re, cum in certamen veniat industria tua cum Tychonis Brahei in ob- servando certitudino accuratissima, non abs re fuerit aliquid interloquì. Menimi, cum Polyhistor ille scientiarum omnium Io. Pistorius ex me quaere- ret, non una vice, num adeo limata© sint Braheanae observationes, ut piane nihil in iis desiderari posse putem ; yalde me contendisse, ventum esse ad surnmum, so noe relictum esse quicquam hunianae industria©, cum nee oculi maioreni ferant subtilitatem, nec refractionum negotium, siderum loca respectu horizontis statu movens; atque hic illuni centra constantissime affirmasse: venturum olim, qui per- spicillorum ope subtiliorem aperiat methodum ; cui ego refractiones perspicillo- rum, ut ineptas ad observationum certitudinem, opposui. Al mine deinum video, veruni in parte vatem fuisse Pistorium. Ipsae quidem Brahei observationes per se stant, habentque suain laudem. Nani quid sit in caelo arcua GO graduimi, quid 34 minuta, hoc solis Brahei instrumentis innotescit. At ubi Braheus hoc pacto gradus caelestes, vel etiam ego meo artificio Optico Lunae diametruni, in caelo fuerimus dimenai, iam superveniens tuum, Galilaee, perspicillum, et quantitatem 40 illam a Braheo et a me proditain complectens, subtilissime illuni in minuta et mi¬ ni 17 112 DISSERTATICI nutorum partes subdividit, seseque Uralici methodo observandi elegantissimo coniu¬ gio associati ut et Braheus ipso habeat, quo tua observutionia methodo gaudeat, et tu tuam ex Iiraheana necessario instruas. Vis dicaia quod sentio? Opto mihi tuum instrumentum in Eclipsoos lunaria contemplatione : sperarem ex eo prestantissima praesidia ad cxpoliendum, est ubi, et reformandum totum Hipparchuni raeum, seu demonstratdonem int©rv al¬ lumili et magnitudini trium corporum, Solia, Lunae et Terrae. Di&metrorum enim Solis et Lunae differentiam variabilem, digitosque in Luna deficientes, nemo exactius numerabit, itisi qui, tuo instructus oculari, diligentiam in observando adhibuerit. Stet igitur Galilaous iuxta Keplerunt, ille Lunam observans, converso in cae- lum vultu, hic Solem, aversus in tabellam, ne oculuut urat specillum, suo uterque artificio ; et ex Ime societate prodeat olim nitidissima intervallorum doctrina. Quinetiam, praeter Lunam, Mercurium ipsum in disco Solis hoc meo artificio vidi : vide libellum Irne de re editimi. Nec minila etiam, si Cometa quispiam effulserit, parallaxes eius, ut et Lunae, ad 8tellulas illas minutissimas et creberrimas, solo tuo instrumento conspicuas, collatae, observari rectissime poterunt: ex quibus de altitudine corporum illorum certius, quam hactenus unquam, licebit argumentari. Atque haec tecum, Galilaee, ad primum libelli tui caput conferre libuit, 20 Transis secundo ad phaenoraena Lunaria prestantissima: qua inentione re- f'ricas mihi memoriam eorum, quae in Astronomiae parte Optiea Gap. VI De luce siderum, Numero 9 super maculis Lunae, ex Plutarcho, Maestlino, meisque expo- rinientis adduxi. Ac initio perquam iucundum est, et me ipsum in eiusdem Lunae maculis, non, ut tu, converso, sed averso vultu, observandia esse versatimi. Schema huius rei liabes fol. 247 mei libri, ex quo illud patet, mihi quoque limbum Lunae apparuis9e lucidissimum undique, solimi corpus interius maculis fuisse distinctum. Ex eosubit ani mura certare tecum in pervidendis illis minutis maculis, atepri- mura in parte lucidiorc animadversis. Id autom hoc pacto me spero porfecturum so mea observandi catione, vultu a Luna averso, si Lunae lumen per forameli in tabellam pertica circumlatam intromisero, sic taraen ut forameli obvallet lena crystallina, sphaerico maximi circuii gibbo, et tabella ad locuin collectionis ra- diorum accomniodetur. Sic in pertica 12 pedea longa Lumie corpus porfectissime depingetur, quantitate monetae argenteae maioris. Artifìcium demonstravi prop. 23, fol. 196 et 211 libri mei; simplicius tanxen fuit proirnsitum a Porta primo titulo Gap. VI de lente, cum ego de integro globo demonstr a verini. Pergamus, Galilaee, tua excutere phaenomena. Nani cum aetate Lunae auspi- caris observata tua, primumque ostendis, quid corniculatae desit ad ovalis lineue * CUM NUNCIO SIDEREO. 113 perfectionem. Ovalem esse speciem circuii illuminatorii dcmonstravi Numero 8, fol. 244 libri mei : terse igitur et piane mathomatice loqueris. In considerationo macularum a te prirnum animadversarum in parte Lunae lucida, omnino optice demonstras ex illuminationis ratione, illas esso cavitate» aliquas seu depressa» lacunas in lunari corpore. Sed excitas disputationem, quid- nani sint illae tani crebra© Lunae macula© partis antiquitus lucida© putatuo. Tu eus cum vallibus comparas nostra© Tolluris; ©t fatoor esse nonnullas huiusmodi vallea, praesertim in Styria provincia, specie quasi rotundas, faucibus angustissimis ilu- vium Muram rocipientea supra, emittente» infra, ut sunt campi dicti Graecensis, io Libnicensis ©t ad Dravum Marpurgensis aliiquo per alias regiones, quos circuiti campos altissima consurgunt montium iuga, speciem alieni exprimentia; quippe non minima pars latitudini camporum est altitudo circumiectarum crepidinum. Equidem fateor, et tales in Luna valles esse posse, sinuosis montium recessibus propter iluvios excavatas. At quia addis, tam crebras esse has maculas, ut assi- milent lucidam partem corporis lunaris caudae pavonis, in varia specula, velut oculos, distinctae, subit igitur animimi, num in Luna ha© macula© quid alimi no- tent. Àpud nos enim in Telia re sunt sinuosae nonnullae valles, at sunt etiam in longum protensae, secundum fluviorum decursus, profunditatis non contemnendae: cuiusmodi, velati perpetua vallis, est Austria fere tota, propter Danubiani, inter 20 Moraviae et Styria© montes depressa et quasi recondita. Our igitur nullas tales longas in Luna maculas prodis? cur plerasque circulo circamductas ? Anne licet coniccturis indulgere, Lunam veluti pumicom quendam esse, creberrimis et maxi- mis poris undique dehiscentem ? Patieris enim aequo animo, ut lue per occasio- nem aliquid indulgeam speculationibus meis, Commentario de Marte Cap. XXXIV fol. 157 propositis, ubi, ex eo quod Luna a Tellure duplo celerius ilicitatur, quam partes ipsae Telluris extimae in circulo aequatore, collegi, lunare corpus esse rarum admodum, quodque, exigua materia© paucae contumacia praeditum, raptui Telluris non multimi resistat. Veruntamen liaec, de absolutis cavitatibus non per montes formatis, tanti non so sunt, ut, si iuxta tuas sequentes narrationes stare omnino nequeant, pertinaciter defendenda putem. Nani clarissimis experimontis lego piane optica reddidisti con- fìrmatissimum, in lunari corpore multos per lucidam partem, praesertim inferius, consurgere apices, instar altissimoruni montium nostra© Telluris, qui primi orientis in Luna Solis luce fruuritur, eaque tibi perspicillo tuo utenti detegantur. Quid iam dicam de tua super antiquis maculis Lunae disputatone exactis- sima? Cum fol. 251 libri mei sententiam Plutarchi adduxissem, Lunae maculas illas antiquas prò lacubus seu maribus habentis, lucidas partes prò continen- tibus, non dubitavi me opponere, et, contraria ratione, in maculis continentes, in lucida puntate humoris vim, ponere: qua in re mihi VVacklierius Valde applau¬ so dere est solitus. Adeoque bis disinitationibus superiori aestate indulsimus (credo 114 DISSERTATICI quod natura per nos eadem moliebatur, quae per (lalilaeum obtinuit paulo post), ut in ipsius Wackherii gratiam, etiam astronomiam no vani, quasi prò iis qui in Luna habitant, planequo geographiam quandam lunarem conderem : cuiua inter fundamenta et hoc erat, macula» esso continentcs, lucidas parte» maria. Quid me moverit, ut hic Plutarcho contradicerem, videro est fol. 251 libri mei, experi- mentum scilicet ibi allegatimi, quod copi in monte Styriae Seheckel, ex quo mihi subiectus fluvius videbatur lucidus, terrae tenebrosiores. At intirmitatem applica- tionis, folio verso, margo ipse indicat. Scilicet non luce communicata ex Sole, ut Terrae, lucebat fluvius, sed luce repercussa ex aere illuminato. I’ropterea et cmisas experimenti tentavi infeliciter. Nam contra doctrinam Aristoteli», libro he Colo- io ribus, hoc affirmavi: aquas minus de atro partecipare, quam terras. Qui enim hoc veruni esse possit, cum Terrae aquis tinctae nigriores evadant ? Et quid multis? Da Lunam ex alba gleba constare, ut Cretam insulam (quomodo Lucianus Lunam dixit casei similem Terram esse): conced(‘ndum erit, clarius resplende- scere illam ex illuminatione Soiis, quam maria, quantumvis non atramento imbuta. Itaque nihil me liber incus impedit, quo minus te audiam contra me, prò Plu¬ tarcho, mathematicis argun:entis disserentem illatione argutissima et invicta. Lu- cidae quippe partes multis cavitatibus dehiscunt, lucidae partes tortuosa linea illuminantur, lucidae partes eminentias habent magnas, quibus vicina» partes 20 praevertunt in illuminatione ; eaedeni et contra Solem sunt lucidae, parte a Solo aversa tenebrosae: quae omnia in sicco et solido et eminenti locum habent, in liquido minime. Contra tenebrosae partes, notae antiquitus, sunt aequabiles: tene¬ brosae partes tardo illuminantur, quod earum arguit humilitatem, cum circum- stantes eminentes iam longe lateque colluceant, et a tenebrosis illuminatis nigrore quodam, velut umbra, distinguantur ; linea illuminationis in parto tenebrosa recto est in quadri»; quae vicissim in humorem competunt, ima petentem, et pondero suo fusimi ad aequilibrium. His, inquara, argumentis plano satisfecisti ; do, maculas esso maria, do, lucidas partes esse Terram. so Ncque haec tua experiinenta perspicacissima, voi meo ipsius testimonio carent. Nam fol. 248 Opticos meac, habes Lunae bisectae lineata tortuosam, ex quo elicili eminentias et dopressiones in Lunae corpore. Fol. 250 exbibeo Lunam in oclipsi, figura laniatoe carnis aut asseris confracti, striis lucidis sese in partem umbrosam insinuantibus : qua observatione idem tecum, sed alio argomenti ge¬ nere, evinco, Lunae partes inaequales esse, has eminentes, illas profundas; non iam ex umbrae proiectione, sed ex co quod debilitatum Solis radium in continio Ecli- psis, aliae Lunae partes fortius, aliae debiliti», excipiunt et revibrant. At haec con¬ fuse tantum et euperficiarie a me annotata sunt, nulla distinctione maculosarum partium a lucidis. lua vero diligentia quam ordinatim omnia persequitur ! qui 40 CUM NIJNCIO SIDEREO. 115 ctiam maculas ipsas veteres albicantibus areolis aequabilibus, cou maria planis in- Biilis interstinctas exhibes. Ncque satis mirari possimi, quid Bil)i velit ingens illa circuloque rotondata ca- vitas in sinistro, ut ego loqui soleo, oris angolo : naturae no opus sit, an manus artifici». Nam profecto consentaneum est, si sunt in Luna vivente» creatura© (qua in materia mihi, post Pythagoram et Plutarchum, iam olim anno 1593, Tu- bingae scripta disputatione, inde in Optici» nieis, fol. 250, et nuperrime in supra- dicta Geographia Lunari, ludere placuit), illas ingonium suae provincia© imitari, quae multo maiores habet montes et valle» quam nostra Tellus, ideoque molo cor- ìo porum maxima praeditas, immania etiam opera patrare: cumque diem haboant quindecim nostros dies longam, aestusque sentiant intolerabiles, et fortasse ca- reant lapidibus ad munitiones contra Solem origcndas, at contra glebam forsan habeant in modum argilla© tenacem ; hanc igitur illis aedificandi rationem usi- tatam esse, ut campo» ingentes deprimant, terra circulo egesta et circumfusa, forte et humoris in profondo eliciendi causa; ut ita in profundo, post tumulo» egestos, in umbra lateant, intusque ad motuni Soli» et ipsi circumambulent umbrarn consectantes ; atque haec sit illis voluti quaedam species urbis subterraneae, do- mus, speluncae creberrimae, in crepidinem illam circularem incisa© ; agor et pascua in medio, ut, Solem fugientes, a praediis tanien longius non cogantur recedere. 20 Sed sequamur porro etiam filimi tuae scriptionis. Quaeris, cur non inaequalis etiam apparcat extremus Lunae circulus. Nescio, quam id diligenter fueris con- templatus, anno potius lue ex opinione vulgi quaeras. Nani libro meo, fol. 249 et fol. 250, in pleniluni» aliquid sane in hac extima circuii perfectione deside¬ rare me professus sum. Perpende ; et quid tibi videatur, iterato enuncia ; tuis enim ocularibus fidam. Ad quaestionem tu quidem, ut de re certa, respondes gemino modo. Primus meis experimentis non repugnat. Nam si frequentia et constipatio verticum alio- rum post alios in extremo aspectabilis hemisphaerii limbo speciem exhibet per- fecti circuii, fieri non potest, nisi vertices ad tornum acquati et abrasi sint-, ut so non minutulae nonnullae rimulae aut tuberculi compareant: quod meis observatis esset consentaneum. In altero modo, Luna© circumfundis sphaeram aeriam, quae in devexa globi re- ducta, profunditatem aliquam radiis solaribus et terrestribus, adeoque et nostris oculis, obiiciat ; unde ille limbi merus et emaculatus splendor, tota interiori facie, qua non ita profunde nostri» obtutibus obstat hic aér, crebri» maculis sentente. Potuit te huius aeri» lunaris admonere liber meus fol. 252 et 302, quae libri raei loca tuis hic exiierimentis egregie confirinas. Sane non video, qui Selenita© illi in plenilunio, quod nos videmus (ceterique invisibilis hemisphaerii in novi¬ lunio), quibus temporibus ipsis est meridie», immanes Solis aestus tolerare possint, 40 si non aer turbidus Solem illis, ut fit apud Peruanos, crebro tegat, aestumque 116 DISSERTÀTIO liumore temperet; qui aer in plenilunio et macula» magia occultai, et splendoreni ex Sole ingentem combibifc adque ad nos revibrat. Quid tu de aere dicis circa Lunam, cimi Maestlinus, libello Tubingae edito nari vespere Vominicae Palmarum anni 1605 , in torpore Umac versus Boream nigricans guaedam macula conspeda fuit, obeourior reterò tota torpore, quod cun- dentis ferri figuravi repraescntabat. Disisscs nubila, in multam regionem ritrosa, plueiis et tempestuosis imbnbus gravida, cuiusmodi ab excelsoruin montium iugis in humitìora convallium loca ridere non raro contingit. Haec ili©. Ne vero putes antiquarum macularum imam fuisse, monstravit ipse mihi Maest- io linus anno superiori diagramma. Macula erat et situ et magnitudine differens, quippe quae quartam ci rei ter aut quintam partem planiciei lunaria occupabat; et praeterea adeo atra, ut etiam in obtenebrata Luna uluceret Tradit co libello, a Th. 88, Lunae affinitatem cum Terra, in densitate, umbra, caligine, luce a Sole mutuatitia, quae globum utrumque circumambulet. quae aequaleB et Terricolis Lunae plmses exhibet, et Lunioolis Terrae: ut utrumque corpus ab altero aequaliter illuminetur, quo loco magnani partem complectitur meac Astronomiao Lunarie. Alterimi gradum cognationia borimi corporuin, Th. Olì, collocai in aspevitate superficierum ; quodque notatu dignum est, ex tribù» locia Averrois citat dietimi Aristotclis ex libro I)e animalibua, quod Luna terrmiac na- so turar adinodum sii affinis . In specie de aere circa Lunare corpus circumfuao a Th. 145 ex professo agit, cuius iata sunt verba, Th. 149, tuia, Galilnee, verbis adeo simili», ut ex tuo libello desumpta videantur: Si Lunae corpus, inquit, quacunquc phasc probe intuearis, extremam oram multo limpidiori puriorin, plurima hoc de materia nova dissentisse , scio. Vos apprìme erudìtos nemo vir prudens non admiratur. Vos veritatis patronos esse, piane cognitum, probe perspec- tum perfecteque exploratum , balco. Di indicate hoc meum veritatis patrociniuni. Si quid omissum aid commissione ignosdte . Spero me gratiam impetraturim. Narri haud minus lacta fronte parva ab infhnis , guani magna a su nini is, recipere soletis. Defen¬ di te cantra fluctuantes scopaios elypco vestro illustri lame meum embryonem (nani 20 factum nix dixero), qui Vcstras Domiuationcs , tam ex animo quam ex anima , et amai et honorat semper. Valete pancratice, et rigete florentes dittiissime ad Divinae Maio - stati $ gloriam et proximi nostri in Republica literaria salutoni, Bononiae. Solo 23 grad. 32 min. (xeminorum in trigono aereo lustrante. Anno CURI STI ANI DOMINI! M.DC.X. V. D. Studiosiss . Marlinus TlorJcy. CIIRISTOPHORUS IÌORKY LOCHOVICENUS. PEREGRINA TOBI PROPEMPTICON FRATERNITÀ!'J3 ERGO OEC1NIT. Ito cito, et quatti fers placide impartire sa!ulem; Melica verba feras, ferrea verba feras . I tamen, et parvi facias haec garrula flagra. PALLADI si placcas, (mìci libi pliira petas ? I tamen, et sylvas, rupes , montana fatiges, Saltus et lucos , in nauti* 0 mne /Im*. jflrtfsw’tttti no*ii nijpes et Apollinis (intra, Gastnlicas Nymphas Teutodinimque sophos. Ito cito, ce/m wiiAi nunc pafc scandito cadimi , Ut videas subito singula claastra poli. SivgHia claastra poli solerti indagine mentis Comes, sic clarus singula claastra Soli . Ito cito, celeri mihi nane pede scandito litus : Fluctuet? OBSTANDUM EST FLUCT1BUS assidais. Ntibila scu qaatiant tremalis te stilerà ventis, Carpcnt? OBSTANDUM EST FLUCTIBUS assiduis. Aemulas invidcat? Mcithesis tua pedoni pan gal? Mordeat? OBSTANDUM EST FLUCTIBUS assiduis. Asscrat Astrologus, nega TU: tane vince negando. Fclsinum potcrit sic meminisse tui : Nani proba merx faciles Mecaemtcs sibi promptos Vendicai, et pravos respuit illa viros. 134 PREVISSIMA PEREGRINATA) CONTEA N UN CIUM SIDEKEUM. Vidi et perlegi htinc tractatum D. Martini Ilorky, cui titulus Brevissima Pere- grinatio etc., nihilque in co reperi quod sit. Mei Catholicae contrarium aut regalia novi indicis repugnans ; ideoque eum imprimendi liceutiam concedo. Die 18. lunii, 1610. F. Michael Angelus Lerrius, Inquisito!’ Generali» Mutiline. PEREGRINATILO CONTEA NUNCIUM SIDEREUM. Peregrinari qui cupiunt, variis fortunae telis exponuntur. 0 tompora, o mores! Siccine mea Peregrinata oontra Sidereum Nuncium, inscio Domino, avolat? Advolat, vice versa, ipsa Ascensionis GERISTI feria, Principia Mathematicorum cum eodem Nuncio, nuper ad omnes mortales misso, dissertalo grata, nec non acceptissima. Hanc libens vidi, lubens legi, quia inde Nuncii huius patrem ad sua principia, qui alienis plumis personatum se effecit, pulclire revocatum fuisse, meridiano Sole clarius clarum animadverti. Etenim, ut, cum venia tam viri docti, mihi scripta io pulcherrima et in arce verissimarum laudum collocanda prioribus labris attingere liceat, monstrat inventionem Perspicilli non esse rem novam, sed tot iam annis antea proditam a viro doctissimo D. Ioanne Baptista Porta, Magiae Naturalis libro 17, cap. 10, De crystallinae lentia affectibua. Secundo, in Lunae macuba, sibi consentiri videntur, quia Galilaeum ad sua scripta remittit, unde has maculas Nunciua Sidereus imituatua est. Ille vir, omni eni(litionÌ8 laude cumulatus, disputationis gratia liaec proposuit: hic probabilia prò veris mortalibus vendidit. Tertio, in via lactea, Nuncium nil novi attulisse, sed esse hanc vetuatissimam cantilenam et consensum omnium Philosophorum et Mathematicorum, quod sit con- 20 geries infinitarum stellularum, omnes scimus. Tandem, circa sidus Orionis, Praesepe et caetera astra, persaepe etiam alios antea de iisdem stellis dixisse, Nuncium edo- cet. Solum de quatuor novis Planetis circa Iovem, quos cursus suos orbesque con- ficere Galilaeus vidit, doctissimua Iovis ales est dubius, quia Galilaeus est patritius Florentinus, quiaillos vidit, quia instrumentis ocularibus est instructus, quia omnes ad eadem spectacula invitat, quia hoc suum Perspicillum secum portat, et ad facien- dam fìdem, ubique locorum, oculis offert. Sed in aliis rationibus dubitationem osten- dit, quia in adinonitione ad Lectorem ita loquitur: Non tamen [i) existimd , me, hoc (1 ' Keplero, veramente, scrisse: Nemo tamen otc. Ili 20 136 BREVISSIMA PEREGRINATICI liberiate assentimeli Galilaeo, dissentimeli ab ipso libertatem aliis ereptum ire. Salvo cuiusque ittdicio, illuni laudavi : quintino, si qua Me etiam propria dogmata suscepi defendenda, quamvis id veritatis opinione serioque feci animo, non tamen granatini cadevi me polliceor abiediimm, privimi atque mihi doctiorim ulìquis errorem legi- litna methodo demonstraverti. Secundo aperte et vere mathematica centra Nuncium ait. An parum hoc fuerit, Magnorum Hctmriae Ducimi famili am ludifican, MEDI- CEUMQUE NOMEN figmentis suis praefigere, pianetas interim veros pollicen- tem? Quid, quod propnis esperimenti $ in parte libri depreheiulo veradssimum? Quid causae sit, cur solimi de quatuor planctis dehtdendum sibi pittami/ orbimi? Profert tandem argumentationes et rationes invictiasimas contra hunc Nuncium, et totuin io negotium pag. 34 argumento verissimo claudit, inquiens: Occurrit vero mihi ista: Si quatuor hi Planctac, disci forma, plano ad Iovcm converso, circumcant, ut ad excur¬ sus maximos nobis et Soli obiiciantur ut lineae, supra et infra irradientur perpen- diculariter, vidcantnrque magni, et forte diversicolores sint prò diva-sitate plani- cierum. Hic revocatur ad sua principia a viro onmi laude maiore. Tollat primo D. Io : Baptista Porta, annis et canis honorandus, smini : teneat D. Ioannes Ke- plerus Mathematicns Sacrae Caesarcae Muicstatis Ciarissimus, quod, non levatis in caelum Perspicillis, seti averso vultu in carta, disputationis gratia prius invenit : accipiant reliqui reliqua ; sic Nuncius Sidereus emissus vacuum phisicura Patavii sentict. Sic vos, non vobis, inellificatis apes. A 11 non quatuor novos circa Iovem 20 invenit Planetas? Ego hic ab hoc Nuncio quatuor fictos istos a Galilaeo Planetas cupio. Egone homo Peregrinus ab ingenio tardus et bardus, ab arte rudis et iner- mis, ab usu imparatus et imperitus, ab hoc viro doctissimo quatuor bos Ioviales novos famulos auferre cupio ? Cupio, non lionore, non auri sucra fame, non arro- gantia, incitatile; sed ab ipso arcanorum caelestiuin fabricatore compulsila, ne Pbi- losophi et Mathematici deludantur, ne nostri et nostratum posteri in errorum la- byrintbum seducantur, quicquid in caelo cum ipsius Galilaei proprio Perspicillo vidi, libere hic dicere. Sit amicus Galilaeus, sit inimicus mihi, magia amica est veritas. Magnani, ardnam et periculosain peregrinationem cum Nuncio Sidereo aggredior. Magna est, quia MAGNORUM IIETRURIAE Ducum familiae est oblata so et dicata: difficilis, quia niliil a veteribus, niliil a recentioribus, certi et aperti huius materiae nobis relictum niemini. Abstinuit ab hoc scrìbendi genere Ptolomaeus : abstinuit tota ooliors Mathematica. Ego, fremat orbis et orcus, Quatuor Problemata brevissima contra Nuncium Sidereum propono diiudieanda omnibus mortalibus. Primum : Utrum Quatuor Novi Planetae circa Iovem sint. Secundum : Quid sint. Tertium : Quales sint. Ultimimi : Cur sint. è CONTEA NUNC1UM SIDEHEUM. 137 PRIMUM PROBLEMA. * UTRUM QUATUOR NOVI PLANETAE CIRCA IOVEA1 SINT. Eamus cum Nuncio hoc Sidereo, missis multi» verborum ambagibus, ad primum diversorium, idque, tam oculari demonstratione quam philosophica ratione muni¬ timi, excutiamus. Septem tantum Planetas in caelo existere, omnes Philosophi, omnes Mathematici, omnes ©tiara laici, asserunt, fatentur et approbant. Et ob id laudanda vetustas cliaracteres C 3 t nomina illoruni talia excogitata illis imposuit: Saturnus, Iupiter, Mais, Sol. Venus, Mercurius ot Luna. Mira, nova et inaudita de quatuor novis Pianeti» spectacula omnibus mortalibus proiiosita saepe videre volui; io saepe a Deo ter optime maximo petii, ut tam felicem lioram Respicillum Galilaei (cum quo novos Planetas invenire didicit) videndi virgola Divina suppeditaret. Ecce Monarcham invictissimum, ecce Mathematicum immortalerò, ecce Doctorem infinitum, ut volui, factum. Te, (xalilaee, Deus ipse mihi concessit. Te, Galilaee, Deus ipse cura tuo Perspicillo mihi dedit. Ago magiias gratias Deo, tibi quoque habeo: quia omnia illa arcana caelestia, in quibus nocte, diu, assiduita accubuusque la- boravi et infinitas molostias exantlavi, te ipso monstrante, didici. Quaerit ne Nun- cius, quid didici? Eloquar, an sileam? Veritati sitiis locus tribuatur necesse est. DTDICI NOVOS QUATUOR PLANETAS CIRCA IOVHM NON ESSE. Multotios, quillimmo millies mille modis circa Iovem peregrinatila sum, tam cum Galilaeico Perspicillo, 20 quam sine perspicillo: novos hos quatuor liospites radiis octtlorummeorum excipere volui; scd quia in rcrum natura non oxistunt, Quatuor novos Planetas videre nun- quant potili. Quod in caelo non sint, cum ipsius Auctoris proprio perspicillo vidi, probavi, expertns sum. Mira enim Nuncius invenit. Nani, si quatuor illi novi Planetae circa Iovis stellam revera oxistunt, aut fuerunt antea in caelo, aut non. At neutrum horumNuncium bona conscientia dicere posse,certo scio. Ergo in caeloQuatuor novos Iovi famulos associare est ridiculosttm. Si Nuncius Sidereus prius dicit, sequitur, Ma- thematicos illos videro potuisse: quia minutissimas in caelo stellulas instrumentis suntptuosissimis dimensi sunt. Igitur bos fictos novos erronee tacitos ignavo et su¬ pino silentio praetermissuri nunquam fuissent. Si Nuncius Sidereus posterius prò ao vero vendit, fallit, et toto caelo et terra aberrat, quia infinita inde absurda con- sequerentur. Video autem liic mihi oggestionem para tam, quam Nuncii huius pa- trem dixisse memini. Nemo Perspicillum habuit: ergo etiam nemo quatuor novos hos Planetas videre potuit. Ilio nego conscquentiam Galilaeo, quia omnes Mathe¬ matici Bciunt, qua eruditione Tycho Brahae Ottonides Danus praeditus fuerit, quo visus acumino excelluerit, quam sumptuosa instrumenta ad observationes caele- stium Planetarum et ceterorum asterismorum confecerit, qua indefessa industria per multos annos in inquirendis et observandis steliulis minutissimis usus sit, ita ut 138 BREVISSIMA PER EGRI NATIO mille alias stellulas minutissima». quas ncque Ptolomaeus, neque Galilaeus viclit, invenerit. Potuit hoc ille Mathematicus opfcimus sine Perspicillo praestaro? Potuit eas in caelo ubique conquirere? Potuit sine Perspicillo millenarium numcrum iisdem compiere? Àn non etiam Quatuor Planetas (si antea in caelo fuere) videro potuisset? Dicat hic Nuncius, quae certiora et yeriora instrumenta ad observationes caelestos? Perspicillum solo cogitur ingredi: illa, Tychonica arte et mar te elaborata, caput inter nubila condunt, et in omnibus Perspicillo palmam praeripiunt. Sed ne extra choreas: si quatuor novi Planetae in caelo circa lovis stellam essent, videri etiam possent. At, proli Deum immortalem ! quis est tara felix Malbematicus, quis tam oculatus Phiiosophus, qui perfecte novos Planetas circa Iovem viderit? Quaeso, quaeras illum io cum Perspicillo per Europam, per Africani, per Asiani, per Americani, quaeras, inquam, per Gararaantas et Indos, et ubicunque talem hominem Mathematicum doctum, qualem 8EPTEM PLANETAE et caetcrae stellaci agnoscunt, inveneris, qui quatuor novos Planetas perfecte circa Iovem videat, ibidem tua opinione celerius reperiam bomines sine pedibus et cute incedentes, ibidem dabo Galilaeo aquilas sine pennis volantes. Ast quid dixi? Nonne Galilaeus mihi illos monstravit? Nonne omnibus ostendit? Nihil vidi quod naturam veri Planetae redoleat. Loquantur omnes qui interfuere : dicant illi, mini novos Planetas viderint? Nolo autem illos nasutulos audire, qui Saturnum prò love, Iovem prò Vonere, Vejierem prò Marte, Martem prò Mercurio, Mercurium prò Sirio cognoscunt ; sed loquantur fabri, qui 20 haec fabrilia diutissime tractarunt, et etiam num tractant in toto universi mundi theatro. Audiat Galilaeus iuvenem doctissimum Franciscum Sitium, Patritium Fio- rentinum: audiat amico omnes alios viros Doctos, quos ego non vidi, sed per li- teras (quas Galilaeo, quandocunque voluerit, moustrare possimi) corum animum de quatuor fictis Planetis cognovi. Dicant, et loquantur libere, utrum novi Planetae in caelo sint? An non ridiculosa res deludere mundum? A 11 cacci sunt Mathematici? An surdos credit Nuncius Philosophos? An putat Nuncius, bomines in hoc martis et mortis ergastulo non scire curvum dignoscere recto V Recto sane scimus inter pix et lax distinguere. Sciunt Mathematici videre stellas primae magnitudinis, secundae, tertiae, quartae, quintae, sextae? possunt in caelo intueri stellas nebulosa» ? pos- 30 sunt inaculas minutissimas conspicere? cur novos quatuor Planetas non vident? Ego iterimi hic dico rationem, cur non possunt videre: quia in caelo non sunt. Si autem quatuor novi illi planetae in caelo essent, sequeretur illos habere proprio» orbes et proprios motus, et sic per consequens oporteret, undecim planetarum cal- culo elaboratas Ephenierides Matbematicos condere. Si has undecim planotarum calculo elaboratas haberemus, falsimi esset quicquid Ptolomaeus do septem planetis dixit: quia omnia septem planetarum axiomata reformationo indigerent. Corrueret, Cardane, tota tua de septem planetis scriptum. 0 viros doctissimos, o scripta Di¬ vina, 0 doctrinam caelitus ab ipso Deo prolapsam, a Deo natam, a Deo mortali- bus datam, o arcana de septem pianeti» a Deo relieta, ut de illarum laudibus nulla 40 CONTEA N UN CIUM 8 IDEREUM. 139 unquam aetas conticescere possit ! Sed quo cuna Nuncio hoc in quatuor novorum ])lanetarum caelum fictum abreptus sum ? Rodeo eo, inule digressus sum. Ilabeo enim, praeter superius enumeratos viros fide dignisaimos, qui, ad confirmaiulam meam lume opinionem accedentes, libere ubique in Academiis profitentur, illos qua¬ tuor novos planetas in cacio non esso: tot, inquam, testes, quot via lactea stellulas continet. Monendus est autem hic Nuncius, non esse in Academiis illud Peripa¬ tetico rum ipse dixit tanta in auctoritate, ut soliua Galilaei auctoritate et Perspi- cillo sit nitendum, et tanquam prò aria et focis pugnandum: sed omnibus pliilo- sophari libet, quia nullius est addictus iurare in verba magistri. Praeterea non est io unius tantum Galilaei novos planetas in tu eri, sed caelum est omnibus commune : alias esset quoddam novum parergon, quod soli tantum Galilaco novos planetas dederit conspiciendos. Ego sane scire opto, quid commercii habeant cum reliquia septem planetis. Quoniam illos nunquam videmus, dicat qualis in Mathematica illorum sit usus. Aut aliquis, aut nullus illorum orit usus. Si magnus, dicat. Si hoc absolute in actum deduxerit, ero unus qui quatuor novos planetas, etiam si videro illos nunquam potuerim, in caelo existere tamen putabo. Si hac methodo vera id fecerit, Galilaeum contra omnium censorum aemulorura scopulos tantum, quantum poterò, defendam. Amo enim omnes viros doctos, et non solum illorum visum, sed etiam auditum magni emerim. Si nullus illorum perfectus usus, ergo 20 figmenta prò veris planetis est Galilaeus pollicitus Sereniss. COSMO MEDICÈS il, Magno Hetruriae Duci II1I, omnium studiorum ac studiosoruin ad se coiifugientiuin tutori fortissimo, invictissimo, benignissimo et clementissimo. Cuius Serenissima fama, tuin in solo cum in polo utroque vivat, vigeat, floreat et elucescat tanuliu, quamdiu lupi ter caelo splendescet. Constat praeterea ex historiis Democritum seinper risisse: qui sane risibilis Pliilosophus, si iam rovivisceret, uberiorem copiam ridendi quin sit habiturus, omnis mihi dubitandi ansa est praecisa. Alius paradoxa vendit : alius Solem staro ait, alius terram volare docet: alias Sirium Sole maiorem arguit: alius Lunam terram caele- stem credit: alius, ad pomposam iactantiam et arrogantiam, libros suos exornat 30 cochleis, claviculis, rotulis, deque toto ilio foro scrutano vano, inani, futili et fal¬ sissimo, de quo totum Pragense ac Bononiense forum posset repleri, omnesque in mea patria cum iisdem novis stellulis possent ditari vetulae: an non Nuncius longo maiora mirabiliaque spectacula pandit? Quatuor planetas tìngit? Si Thomas ille Narrenhandler scit circulum quadrare, si Klappus ille lapidei» philosophicum novit facere, si Keknasellus duplicationem cubi invenire didicit; etiam Nuncius Sidereus novos planetas circa lovem ostendere et defendere poterit. 0 curas hominum, o quantum est in rebus inane! ♦ 140 BREVISSIMA PEREGRINATI!) ALTERUM PROBLEMA. QUID SUNT ISTI NOVI PLANETAE? Non esse novos in caelo circa Iovein Planetas, in primo problemate breviter dixi. Hic brevissime, quoniam partem veri fabula quaeque tenet, mule tota kallu- cinatio veniat ostendam. Quidnam sint, libere dicnin. Sed ad quaestionem redeo. Galilaeus tali pellice Nuncium suum vestit pag. 3 : En igitur quatuor Siderei tuo inclgto nomini reservata, ncque illa de gregario 1,1 numero, sed ex illustri vagati- timi ordine, quae quidem disparibus inter se motihus circa Iovis stelloni cetcrarmn nobilissimam, tanquam germanac eius progenics, cursus suos orbesque confìeiunt cele¬ ri tate mirabili, inter ea dum unanimi concordia circa mundi cent rum, circa Solcai io riempe ipsum, omnia simul duodecimo quoque anno magnas eonvolutioncs absolvunt. Purgatus est vestitus liuius Nuncii Pragae pulcherrirae; egone afìlicto Nuncio afllictionem addam? Dicit en igitur quatuor sidera. Si sidera, aut erunt fixa, aut erratica; sed neutrum horum : ergo non sidera. Fixa non esse, Nuncius Sidereus confirmat, ratio et ocularis denionstratio dictitat, quia non sunt corpora lucida, vé- luti sunt stellae fixae: non eandem distantiam servant, sed colore mutabili cura love; tanquam famuli clava trabali Iovi adixi, vagantur. Planetas Nuncius dicit? sed fallit. Quia, cui non competit definitio, eidem nec definitimi. At tuis, Galilaee, hoc accidit. Ergo, propositionem axiorna universaliter verissimum esse, omnes Phi- losoplii et Matlieniatici agnoscunt. Assumptum anno vult Nuncius Sidereus prò- 20 bandura ? Dicat, quacso, una raecura libere, quod stellao erraticae sunt, quae in inferiori regione caeli medii moventur, suumquo, tum inter sese tura ad stellas fixas, situm et ordinem suum perpetuo variant ac mutant, ut modo sibi opponi, modo aliae alias cursu suo antevertere, conspiciantur: unde a Graecis planetae, latinis erraticae dictae sunt. Dicat hic Nuncius, quomodo haec definitio novis planetis competat. Si enim verum quod pag. 3 dixit : Al Ime stellae, tanquam love digita proics, nunquam ab illius ledere, nisi exiguo intervallo, discedunt; verum etiara erit quod ego hic statilo : ncque stellas fixas, neque errnticas, hos novos Ioviales circulatores dici legitime posse. Quid ergo sunt, Galilaee, vis ne dicam? Te ipso, Galilaee, cura tuo Perspicillo monstrante 24 et 25 die Aprilis, bora locoque tibi so cognito, dum valde fanielicus novorum quatuor Planetarum micia satur fieri volui, primo 24 Aprilis nocte sequente vidi duos solummodo globulos aut potius maculas minutissimas. Cura antera quaerebam ex Galilaeo ubi reliqui duo planetae latitent, cur etiam illi non compareant, existente caelo sereno, nihil responsum. Discessi- mus taciti. Ego interim anatomiam in hoc Nuncio Sidereo infirmo exercui. Tota (U Veramente nel tosto galileiano leggasi: « do gregario hc uiiniis insigni inerrnntiuni numero ». CONTEA NI INGIÙ M SIDERKUM. 141 nocte cum Galilaei perspicillo laboravi modo duplici: primo probavi in inferiori- bus, secundo in superioribus. Quid perfectionis inait, Nuncium paulo post suo loco docebo. Admodum autem magnus ardor et odor videndi et gustami! nova baec caelestia arcana in me a love ipso erat excitatus. Hinc 25 Aprilis, quia Deus preces meas exaudivit, quia caeli serenitatein tantain, quanta potuit esse maxima, excitaverat, et semetipse lupiter occidentalem exliibuerat, cum omnibus suis novis quatuor famulis supra nostrum Bononiensem Ilorizontem apparuit. Vidi omnes quatuor maculas ininutissimas a love prosilientes cum ipsius Galilaei perspicillo, cum quo illas se invenisse gloriatili*. to Viso arcano hoc cadesti, statini cogitavi mecum, hoc in negotio Intere anguem sub herba, siquidem perpendiculariter visui sese offerunt, et ratione posi tu s per¬ spicui liuius diversi, diversimode et ipsi apparent. Probavi, admiratus obstupui. linde, Galilaee, labori non parcens, quomodo tota hallucinatio in hoc toto tuo novo invento veniat, inveni. Ulani scio vere et certe : quemadmodum scio, Deum esse Tritumi et unum in cacio, animata meam esse in meo corpore, ita etiam scio, quod tota illa deceptio veniat per roflexionem. Eatenus etti ut, quatenus recta perspi- cillum ad corpus lovis dirigi», proiectio illa radiorum, quae venit a love concen¬ trata perpendiculariter et per lineam parallelam apparens, supra et infra irradia- tur, et sic necessario, necessitate huius perspicilli, omnes liasce quatuor maculas 20 ininutissimas conspiciendas exhibct. Sed cum lupiter radios suos perfecte non potest egerere, timo nil novi, Galilaee, nobis adfert. Solitariam tum demum vitam agit. Sin radiorum proiectio confortari incipit, incipiunt et ipsi crescere : unde aut duo aut tres aut omnes quatuor apparent. Sed cum, perspicillum lente a corpore lovis amovens, centrum hoc, ubi novos planetas videbam, quaesivi, tum statini mihi surrexit lupiter, et non erat hic novus pianeta; unicus enim lupiter resta- bat, reliqui autem quatuor famuli Ioviales ultra polos avolarunt. Hanc meam opi- nionem et veram contra novos hos Planetas ocularem demonstrationem, quam per quatuor annos lunares didici et cum proprio Galilaei perspicillo vidi, confirmat Dissertatio cum Nuncio Sidereo Ioannis Kepleri Sacrae Caesareae Maiestatis Ma- so ibernatici prestantissimi pag. 34, ubi sic ait: Occurrit vero mihi ista: si quatuor hi Pianetae (lisci forma plano ad Iovem converso^ circumeant, ut cui excursus maximos nobis et Soli obiiciantur , supra et infra irradiente videanturque magni et forte di - versicolores sint prò divcvsitatc planiciernm. Hic Galilaeus obiectionem et ipsum Iovem intueatur, ex&minet ad unguem Lunam, videbit in line, quod eantio sit huius toni, prout D. Keplerus dixit. Fit eodem modo in Sole, cum Parelii apparent: sic similiter accidit in Luna, cum Paraselinae conspiciuntur. Unde Ìlistorici nobis litteris proditum reliquere, saepe visos fuisse sex aut plures interdum Soles, quatuor aut plures apparisse Lunas. Cum tamen certuni sit, quod unicus sit solumniodo Sol, unica Luna, unicus 40 tantum lupiter, qui per concursum radiorum visus sensum fallit. Sed Nuncius Si- 142 BREVISSIMA PEREGRINATICI dereus dicat contra. Si ist.ae maculae essent ex concursione radiorum a love proiec- torum, idem faceret perspicillum in aliis: at consequens est falsimi: ergo et aute- cedens. Hic discat Nuncius Sidereus, et antecedens et consequena esso verissimum. Quia scio, hoc quomodo fallat : et possum hoc monstrare, quod, in suo hoc perspi¬ cui crystallo superiori, una candela accensa possit similiter niultiplex conspici, quemadmodum superius videntur novi circa Iovem planetae. Facit liaec magna ìniraque spectacula tuum perspicillum in his inferioribus ? Quid circa caelestia sidera eitìcit? Anne herbam nubi porriges, si stellas duplicatas tibi ostendam V Yidimus eadem nocte in domo Illustrissimi Domini Massimiani Cavrarao in prae- sentia multorum Nobilissimorum virorum, cum tuo proprio Perspicillo, spicam Vir- io ginis duplicatam: duplicatio huius stellae tibi, Galilaee, a D. Doctoro Antonio Roffeni est primo monstrata: tu vice versa, te videro duplicatam negabas, quia er¬ rata confiteri est res adamante durior. Hanc duplicationem vidi et ego. Sed non Flato hic quiescit, et manuni de perspicillo amovendam iubet, altius caelum, quam tu, Galilaee, volasti, ascendi. Observavi illa nocte inter caetera stellulam, quae super medium trium in cauda ursae maioris visitar (equitatorem seu aurigam di- cunt agricoli), quasi qui super medio ecpio semper sedeat. Videbatur mihi, fixahaec stellula illa nocte similes stellulas erraticas vicina» repraesentaro, quales fccit lupi- ter. Hic (si placet) Matematici habebunt iioyos ursales planetas. Cui ilio» volumus vendere? Ego illos omnes cum auriga et equitatore Galilaeo in novum annum in- 20 stantem dono, quia mihi ansam illos quaerendi cum suo perspicillo praebuit. Sed spero brevi venturam Aquilani (si artem volandi didicerit), quae teologici, pliilo- sophicis, mathematicis opticisque rationibus et demonstrationibus meam hanc ocu- larem demonstrationem confirmabit: et si ipsa non veniet, faciet id pulcberrime meus Secretarius do Madonna Luna, Capitaneus Viao Laeteae, Dapifer Orionis, oculatus testis quatuor novorum planetarum. Ubi omnia quae hic a me sunt dieta et per quatuor annos lunares in cacio observata, rationibus certissimis (audita prius Nuncii contra peregrinationem meam responsione) omnium hominum cen- surae munita subiiciam. Exemplis et testimoniis vivis Galilaeo ostendam. Fere- grinatus enim sum cum hoc Nuncio Sidereo, non tantum per Bononiam, sed etiam so foris pernoctavimus, Galilaee, Ferrariae, ubi Mercurio eramus amiciores quam Mi- nervae, ubique male audiebat Nuucius Sidereus. Recto ergo Nuncium nominasti, quia Nuncii plerunque fabulas vendunt. Et sic conveniunt rebus nomina saepe suis. Habeo autein melius organon, Deo auxiliante, in animo, ubi sumptus non remo- ram, quod in caelo minime fallat, quod tempore pacis et belli ad colloquia serviat, ita ut longissime ab alio remotus, Beerete colloqui possis: reliqui qui carent organo simili, nihil, quae collocutus luerim, scire aut etiam intelligere poterunt. Sed co- ronidis loco libet ire cum Nuncio hoc per extreimim funem, et eundem pagina tertia dicentem plumbeo Iubet iugulare gladio, ubi hoc modo ait : Quae quidem disparibus inter se motibus circum lovis stellata caeterarum nobilissimam, tanquani 40 CONTEA NUNCIUM 8IDEKEUM. 143 germana eius progenies, cursus suos orbesque in 12 annis confici uni. Haec Nuncii verba obtrudunt palpum : quia, partim vera, partim falsa lpquentia, ncbulas di- verberat. Vera dicit, quia germanam lovis progeniem dixit quatuor hos novos pia¬ neta». Et si quicquam in toto Nuncio est, quod veritatem redoleat, certe haec sunt vera verba, ubi quatuor grues balearicas, ab omnium visu abstractas, germanam lovis progeniem dixit : quia certe nati sunt ex proiectione radiorum per concen- trationem supra et infra irradiatam. Falsitas apparet ideo, quia mirabiles lovis famulos sine fa, non in aclu, sed in potentia vidit 12 annorum spatio cursus con- tìcere, et sic in potentia novos quatuor planetas docet currere, saltare et revolu- io tiones finire. Sed quain pulchre est de curru delapsus! lupiter in 12 annis cur- sum suum finit ? Ergo iterum in hoc puncto punctum bene Galilaeus tetigit: erat proxime vir eruditione exiinia ornatus, contra hanc 12 annorum revolutionem valde argute et acute armatus rationi bus philosophicis et matheinaticis, qui tandem, pro- latis rationibus,.conclusionem talem dixit: quod videlicet ad observatorem requi- ratur annus inagnus seu mundanus, qui (secundum opinionem Aristotelicam. pro- babilem potius quam veram, libro De proprietatibus elementorum) in triginta sex millibus annorum spacio perficietur, quando omnes stella© ad primum creationis suae punctum redibunt. Et propterea ad talem observatorem (ut ego exjstimo) re¬ qui ritur triceps et tricorporeus quidam Geryon : ex Atlante, quantum ad artem et 20 potentiam, eque Nestore, quantum ad vitae longaevitatem, eque denique Lyncaeo, quantum ad acumen visus, conflatus et compositus. Subtilius igitur fortassis fecisset Galilaeus, si dixisset essequinque novos planetas. Si quinque dixisset, citius potuis- cet mundum circumvenire. Constat enim esse in Zodiaco duodecim caelestia sigila, qualia sunt: Aries, Taurus, Gemini, Cancer, Leo, Virgo, Libra, Scorpio, Sagittarius, Capricornus, Aquarius, Pisces. Sic, si quinque planetas novos Galilaeus inveniet, erunt etiam duodecim pianeta© in cacio. Sed fortassis uuus circa corpus Veneris latitat, quem, si eo tempore quo lovem observavit, quaesivisset, fortassis etiam in- yenisset: sed in Venere hoc lacere periculum co tempore non potuit, quia Venus erat combusta a Sole. Chiudo alterimi problema, quia sapienti sat dictum. ao TERTIUM PROBLEMA. QUALE8 SUNT ISTI NOVI GALILAEICI PLANETAE? Magna et mirabilia arcana Dei ter optimi maximi in Terra, Aere, et Caelo ipso existere, nexno vir prudens non videt. In Terra etenim homo, in Aere volucres, in Caelo stellae arcanorum caelestium arcanam fabricam loquuntur et demonstrant. Tarn enim qualitate admiranda stellulas creavit destra Divina, ut nulla stellula in caelo existat, quae non sit multo iunior terra. Et quia alii viri in liac arte caele- sti illustres eo pervolarunt, nolo, alienis plumis corporatus, artem volaudi exercere, iii. 21 144 BREVISSIMA PEBEUHINATIO quia Nuncius Sidereus ino ad sua jirincipia rovocaret. llrevitor cum Nuncio Sidereo ad tertium determiniitnm diversorium rediero», dico quod isti quatuor novi planetae in omnibus Academiis sunt valde occidentale*, et rcspectu aliarum minutissimarum 8tellularum in caelo sunt tales, quali* est mosca minutissima contro elephantera maximum. Musa autem mea in hoc Occidentali hoepicio pernoctari non optat: totum enim hoc suum arcamun Nuncii huius Siderei pater mihi monstravit in hac mea pe- regrinatione modo duplici. Uno in eharta, altero in Caelo, cum suo proprio perspi¬ cuo: de hoc modo superiua in altero probleuiate dixi. In eharta totum eius artifioium est tale, quale tingit pagina 18,19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 2G, 27 etc. in hunc modum: Orient * * o * * Occid. 10 Hic manifestimi figmentum vobis Mathematica omnibus vendidit, ubi dicit, se tot gradibus et minutisi primis et minutis secuiulia uovo* pianeta» a love distare vidisse. Scrupulosa quia dixit, volui et ego scrupula prima et scrupula seminila cum eodem perspicillo videro; sed non potui, quia nihil habet hoc perapicilluin, quod sit sufficiens ad observationes graduimi ae minutorum, praeterquara unicum tantum fictum Pa- radoxon, vocabulo arabico, aut barbarico potius, scatena, quod motu proprio Gali- laeus 8cripsit hoc modo: est cum specillis ang. 24 in. p. 43, ni. s. apt. etc. gra. 3. 23 minut. primorum, ratio est prout 22 ad 3. Mie cum specillis angulum vidi, et ncque scrupula prima, ncque scrupula secunda, ncque scrii pula tertia in Caelo cum eodem videre potili. Quia instrumcnto multa impediiuenta et obataeula, tam ad 90 scrupula, quam ad iioyos pianeta» observandoa, obatant : qualia sunt intricata et perplexa commixtio planetarum, refractionum denique quotidianae variationis ac vicissitudinis copia; quae omnia inter se ah invicem lyncaeis oeulis discerni omnino nequeunt. Obstat loci incommoditns: non enim sumus cum Gnlilaeo in Aegypto, libi caeli est perpetua serenità.», sed in Italia, ubi Paduae monte» magni sunt vi¬ cini, ubi Sol, Luna et reliqui quinque tantum planetae diversa» refractionum tor- minationes faciunt: sumus cum Galilaeo vicini mari Hadriatico, in quo vaporimi exlialationes densiores, ideoque refractio maior. Nunc videte, legite et bulicate, quod, quemadmodum in scrupulis parturihat monte», ita etiam in novis quatuor pianeti» nascetur ridiculus mus. Flètè ad uovercae tumilluni omnes Galilaeici viri, so quia instrumentorum Astronomicorum iam per multos annos inventio est instituta, sed nunquam finita, idque more aedificationis templi Cathedralis Coloniae. Felix ac terque quaterque beatus Nuncius esset, si cum perspicillo rancido et stolido, co- ronidem imponere, et scrupula prima et scrupula secunda cum eodem in Cacio vi¬ dere posset. Sed Chius dominarli emit. Dicat, scrihat quaecunque vult, aut ter sex, aut tres tesserae. Iam vero quiescant hic Iovis quatuor famuli, qui sunt tales, qualis est musca minutissima contra elephantem maximum. CONTRA N UN CIUM SIDEREUM. 145 ULTIMUM PROBLEMA.. CUR SUNT QUATUOR GALILAEICI PLANETÀE IN CABLO? Cur quatuor lieti pianeta© circa corpus Iovis sint, superius in altero problemate rationem dixi: cani, quia bis ac ter quod pulchrum est, hic repeto; et dico, illos esse in Caelo circa corpus Iovis, quia intermedium caliginosum, puta aerem et refractio- nem Iovis, cu ni radios perfecte egerere potest, illas quatuor maculas omnes osten- dit. An non Mathematicos oscitantes ad caelestium admirandarn Iovis planetae co- terarum nobilissimi fabricam pulcherrimam et stupendam reflexionem alliciunt? An non ex tali radiorum proiectione Iovis, omnipotentis miracula in Caelo circa plane- 10 tas, in terra circa ingenia Divina elucescunt, et posteritati ad diiudicanduin flo- rent? Propterea etiam solus homo erecta figura est a Deo ter optimo maximo creatus, ut Caelum, tanquam futuram suam patriam, videat: et inde Poeta cecinit: Pronaque cum spedent ammalia cactera tcrram, Os homini sublime dcdit, caelumquc lucri Iussit , d ercctos ad sidcra tollero vultus. Ilaruni autem quatuor macularum circa corpus Iovis etiam si perfecte usum nullum in Mathematica disciplina habeanins, tamen serviunt (xalilaeo ad auri fa- mem ; mihi vero ad pliilosophicas disceptationes et mathematicas et opticas spe- culationes. Illarum speculationura specimen brevissimum hic edo; et cum Nuncio 20 Sidereo peregrinationem inccpi, cum Nuncio finiam. Ulani itaque,quia nemo iudex in sua causa, omnium Doctorum iudicio et censurae subiicio. Iudices autem tales, quales ius requirit, peto. Ita enim iudices se liabere iuxta subiectos debent, sicut pater circa filios. Quemadmoduin Imperator Iustinianus loqui- tur, § Et coSj in Authentica Ius iurandum, quodpracstaiur ab Iris qui administrationes accipiunt: Pietas autem paterni nominis, non atrocitate, sed pietate, consistere, et consilium prò liberis capere, debet. Quemadmoduin Papianus loquitur in 1. Necea , 20: Sine afTectu iudicent. Ilinc capit. in Iudiciis 12, De re iuris in 6, ubi Canones sic lo- quuntur: In iudiciis non est acceptio personarum habenda, sed necesse est ut iudices unicuique suum tribuant. Per § iuris 3, Inst. de Iustitia et Iure, et per 1. Iust. deci- .30 inani, § 1, fi. eodem: Absit gratia, absit odiuin, absit metus, absit personarum re- spectus. Sed haec illis, qui mihi et Galilaeo aut invident aut favent. Si ego erro, mon- strate et corrigite : non sum adeo homo pertinax, sed amo illud Virgilianum aureuin : « Moniti meliora sequemur. Si bene circa Iovis stellam cum Nuncio peregrinatus sum, peregrinationem moam boni consulite, et me contra scopulos huius mundi defendite. Sic virtuti ccdet invidia. Nani veritatem semper defendere sum paratissimi^. QUATUOR PROBLEMATU3V1 CONTRA NUNTIUM STOEBEUM CONFUTATI O FKK fOANNEM WODDERBORNTUM. Q^V A T V O- R PROBLEMATVM QV^MARTlNVS HORKY Contia NuntiumSidercLim DE Q^VAT VOR PLANETIS NOVIS Difputanda propofuic . CONFATATI O. Per IOANNEM Vvodderbornium Scotobritannum. Ex Typographia Petri Marinelli. M. DC. X. Stipo iorum TcmiJJ'n, ILLUSTRISSIMO DOMINO D. HENRIQO WOTON POTENTISSIMI MAGNAR BRITANNI A E REGIS, ATUD SENATUM VBNETUM ORATORI, Domino meo Colendissimo. Cum vidissem omncs fero, libros suos, ut par est, Magnatibus inscribere, de- crevi et ego idem tacere: non tamen ut multi, qui etiam indoctorum et qui bus scientiae illae, quae propter se sunt, nauseae esse solent, patrocinimi! invocant. Tibi io igitur, nobilissimis orte parentibus, bonarum artiuin refertissime, cuius animi dotes natura© numera aequiparant, non librimi offero, sed semiinenstruuin lume laborom libo; quem mihi, propter iter quod ante duos menses suscipere cogebar, non licuit publicis typis exseribere, nunc autem, post redituin, propter imininentia studia, non licet tanquam rem tuo nomine dignam perpolire. Accipe tamen, Nobilissime Domino, ìminus hoc levidense, in te meae observantiae gratum testimonium : ac fausto sidere (quamvis nobis infausto et sophiae amatoribus omnibus, fautor exi- mius et Maecenas amplissimi^ eripiaris), in patriarci revertere, ut prò rebus per tot annos foris bene gestis promeritos domi attingas honores. Vale. Dat. Patavii, 17. Kal. Novemb. M.DC.X. 20 Illustrissimac dominaiionis taae Addidissimns Famidus, Io. Wodderboniius Scotobritannus. ni. r 22 D AD LECTOREM. Octo sunt mense», postquam e Caelo ad nos mortales delapsus fuerat Nuntius Sidereus, magna admirabiliaque speetacula philosophis atque astronomia pan- dens. Ille, primo ingressi!, de facie lunae inaudita commemorans, cruoem fixisse philosophis; ille idem, quoniam innumeras detexit stellas fixas, et quatuor novos introduxit planetas, astrologiae peritiam et principia prima ex instituto subvertere m visus est. Nec minus omnes stupore afficiebàntur, quam primi illi hominum, qui Solem ecclipsari et lunam nocte involvi conspexeruiit, tanti naturae miraculi cau- sam ignorantes. Kxpectabamus a praestantissimis mathematica, circa phoenomena io haec, piacila varia et controversia» non panca», praecipue vero eum, qui Nuntio in faciein contradiceret : veruni silebant Clavii, abstinebant Magmi, deferebant alii. Ecce autcm unus Martinus Horky noluit omnium animos tandiu suspensos deti- neri: liaud haesitanter ille contra Nuntium scripsit, et contra quatuor novos pla¬ netas quatuor Problemata disputanda proposuit, quae ego discutienda et in se- quentibus examinanda accipio, ut eluceat num tam scite, sicuti audacter, Nuntium oppugnarit. Quoniam vero contra Mathematicum eximiuni impudenter saepe nimis agit, ut patet Yolventi eius Peregrinationem contra Nuntium, Tu, Lector benignis¬ sime, promptius excandescentiae nostrae donabis veniam, si quando illuni paulo asperius (quod est praeter nostrum morem) compellavero: et quia praelatio ipsa 20 suis scatet erroribus, eam primo perpendamu 9 . DISCUSSIO PRAEFATIONIS. Praefatio malignimi peregrini detegit animimi, ubi in siiam conatur trahere sententiam virum eruditissimum Io. Keplerum, Caesareae Maiest. Mathematicum dignissimum. llecte facti tatuai, quia ad. prologum attinet,. qualisnam futura sit cornoedia, aperire: scio novatorum hoc omnium comjnune esse vitium, oum aliena # citant scripta, sententias scindere, et mutilas adducere auctoritates. Sed audiamus ipsius Kepleri verba. Nono tamen existimct, me, Ime mea libertate assentiendi tìaliìaeo , dissmtiendi ab ipso libertatem aliis ereptum ire. Salvo cuìusque indi ciò, illuni laudavi. Qui ninnilo, si qua io hic etiam propria dogmata suscepi defendenda, quamvis id veritatis opinione se- rior/ue animo feci , non tamen gravatim cadem me polliceor abìectumm , primum atque mihi doctiorum aliquis errorem legitima methodo demonstraverit. Obstupesco cur liaec in tuis prolegomeni inserueris: nunquid dare non profi- . tetur, se cum Galilaeo idem sentire? Porte dissimulai, quoniam pollicetur, se hanc opinionein deserturum, simulatque ei doctiorum aliquis errorem legitima methodo demonstraverit? Sic profecto suara ipse seenni dissimularet sententiam, cum de propriis dogmatibus idem, polliceatur. Mie. erro, quoniam tu is os, qui in tuis qua- tuor probleniatibus illius errorem legitima methodo.detexisti? scilicet. Sequuntur liaec in eadeni praefatione contra Nuncium : Secando aperte et vere mathematica contra Nuntium ait: < Anparum hoc fuerit , Magnorum Hctruriae Ducimi Fumiliam ludi ficari , Medicaeumque nomen figmentis suis praefigere > ? ctc. .Intime penetras. Quodnam, precor, ex bis argumentis mathematicum est?Doctis- simus Keplerus intimaverat, quibus de causis airimum ad scribendum appulisset; et antequam privatila ad singulas observationes examinandas descenderet, enu- rnerat rationes propter quas, cum ille perspicillum apud se non haberet, tam fa¬ cile crediderit Galilaeicis assertionibus, non solum de quatuor planetis novis, sed 156 QUATUOR PROBLEMATUM CONTEA NUNTIUM SIDEREUM in universum, cur fidem non deroget phaenomenis Lunae aliisque adrairabilibus spectaculis, quae mortalibus suspicienda et contemplanda exliibuit Nuncius Side- reus. Kepi eri articulatae voces singulao sunt Ime : Temerarius forte vìderi passim , qui tuis asserti onibus, nulla propria experientia suffultus, tam facile credavi . Atqui non credavi Mathematica doctissimo , cuius vel stilus iudicii rectitudinem arguti, qui tantum abest ut sese vanitati dedat , seseque vi- disse dictitet quae non riderti , popularem auram captans , ut vel receptissimis opi- nionibus veritatis amore non dubìtet repugnare , vulgique vituperio susque deque feri e? Quid , quod publicc scribi! , probnmique si quod committeretur , c/am habere nequaquam posset? Egone ut Putrido fiorentina /idem derogeni de iis quae vidit ? perspicaci , io lusciosus? instrumentis ocularibus instructo, ipse nudus et ab hac supellectili inops? Ego non credam omnes ad eadem spectacula invitanti , et , quod caput est , t;c/ tpsiwi stwm instrumentum , ad faciendum /idem oculis , offerenti? An panini hoc fuet ti , Magnorum Uetmriae Ductim familtam ìudificari, Medi- ceumque nomen figmcntis suis pra' figcre, planetas interim veios pollicentem? Quid , gaod propriis experimentis, (/aod e/ aliorum asseverai ionibus in parte libri deprchendo veradssimim? Quid causae sit , cw so/t. lam tum gestiebat milii animus, me rebus inferro, quippe provocatimi, et qui eadeni de materia ante annos sex scripsisscm, tecumquc, Galliate solertissime, de. tum incxhuu- stis lovac conditoris thesauris, quorum aìios post alias nobis uptrit, iumidissimo scrip- . tionis genere conferve. Quem cnim tacere simuli tanta rum rerum ntincii ? Quem non implet divini amoris abiindantia, per linguum et calamum sese profundens uber- tissime ? 20 Et, adductis aliis rationibus, propter quas epistolam liane dissertatricem con- scripserit, epilogat : Quod igitur mihi propria animi propensione, quod amicis placet, quod diligentcr ipse rogas, id faciam; nonnulla sjic inductus, me hac epistola id libi profuturum, si cani censueris ostcndcndam, ut contra morosos novitatu)n ccnsores, quibus incre¬ dibile quicquid incognitum, profumini et nefandum quicquid ultra consuelas Aristo- telicae angustine metas, uno proaspistc sis processurus instrnetior. Temerarius forte videri possila, qui tuis asscrtionibus etc. Sed haec saprà transcripsimus. Deinde osteudit perspioillum uon primo pro¬ disse a Belgis, ut communis ferebat opimo, sed fuisse hoc Io. Baptistae Portae so inventum Magiae Naturalis, lib. l(i., c. 10. Mino Peregrinus occasionem sumpsit dicendi : Tollat lo. Bapt. Porta suutn : tcneat Caesaris Mathcmaticus situiti. Zoilo, nonne ipse Galilaens pagina sexta fatetur perspioillum a Belga quodam elabo¬ ratimi fuisse, antequam ille buius organi fabricam aggrederetur? attamen qui utriusque artificium diligenter inspexerit, merito Galilaeum sui perspicilli inven- torem prouunciabit. Nonne, in diversis orbis partibus, idem saepe a pluribus au- ctoribus prodiit inventum V Ita ferunt typografìae artem, et tormentorum fabri¬ cam atque usum, nec ex Europa ad Indias, nec ex Indiis in Europam delatum fuisse, sed in utrisque locis ambas artes suos Imbuisse inveiitores. In scientiis autem, et praecipue mathematicis, quam saepissime hoc contingit; ut cum Pythagora dice- io CONFUTATI!). lr>9 res, aniinas trnnsmigrare de corpore in corpus, et cum Platone, scientiam nil aliud quam reminisccntiam esse. Possem multa praeclara adducere exempla, suflìciet taincn hoc. Franciscus Maurolicus siculus putavit, so primo secantium tabulas in¬ venisse, cum tamen, paulo ante, easdem in Germania extraxerat Palatinua ; ncque alter ab altero quicquam desumpsit, ut praeclare testatimi liabes apud Io. Anto- nium Maginum, in praefatione ad absolutissimum opus de primo mobili, euius mo- numenta geometrica, geographica, in primis autom astronomica tam varia, sem- per praeceptoris apud me fungcntur miniere. Cui plus profecto, me indice, debent, astronomiae studiosi, quam omnibus, qui ante illum caelcstes nunierarunt motus, io Certe, si Io. Baptista Porta suum tollat, nihil excellentissimo Galilaeo subtraliet; et quia nolo venerandi senis obscurum scribcndi modum carpere, audiamus Keplerum. qui aperte monstrat, quasnam eius dicendi modus complectatur difficultates, bis verbis : Gap. XI novum titulum facit de specillisi qnibus supra omnem copi taluni lon- gissime quis conspiccre queat; sed demonstrationem de industria (quod et profitetur) sic involvity ut nesùias quid dicat , cm de lentibus pcrlucidis agat t ut hactenus, un vero speculimi adiungat opacmi levigatimi: cuiusmodi unum et ipse in animo habeo t quod res remotaSy nullo discrimine absenliaCy in maxima quantitatCy ideoque ut propinquas et praeterea proportionalitcr auctas exhibet, tanta eiaritatCy quanta ex speculo (quod 20 necessario coloris fasci est) spcrari potest de. Etsi igitur avide iuum, GalilaeCy instrumentum expedo, etc. Ilio incipit explicare, qua in methodo sibi ipsi perspicillum fabricare intendat, ad observandum phaenomena a Nuntio proposita, usque ad illa verba, atque haec de instrumento ipso, quae opportunius in discussione secundi Problematis transcri- bam. Aggreditur postea ea, quae observata fuere in facie lunae. Transis secando ad phaenomena Lunaria prestantissima ; qua mcntione refrieas mihi memoriam eorum, quae in Astronomiae parte Optica Gap, VJ De luce siderunu Num. 9 super maculis Lunae , ex Plutarcho, Maestlino meisque experitn/ ntis, adiiuxi. Ac initio perquam iucundum csty et me ipsum in dusdem Lunae maculis t non, ut 30 tu, converso, sed averso vviltu, observandis esse versatimi. Schema huius rei habes fai 247 mei libri , ex quo illud patct, mihi quoque limbnm Lunae apparuissc luci - dissimilai muliquc , solimi corpus interius maculis fnisse distindum. Ex eo subit ani - mum.y ccrtare tccuni in pervidendis illis minutis maculis , a te primum in parte luci- diore animadversis etc. Vide nunc, peregrine mi, num sibi retinuerit Keplerus minutas maculas in Lunae parte lucidiore, et an illas Nuncius ab ilio niutiiatus fuerit, cum dicat ilias primum a Galilaeo animadversas fuisse, et, ut ex sequentibus patebit, ingenue fa- tetur Galilaeum, primo maculas veteres, de quibus fuse Plutarchus, albicantibus areolis aequalibus, ceu maria planis insulis, interstinctas exhibuisse: immo pec 40 suam de veteribus maculis opinionem mutuavit a Keplero Galilaeus, cum oppo¬ ni. 23 ICO QUATUOTt PROBLKMATUM CONTKA NUNTIUM SIDERKUM sitarn ih Nuncio profiteatur sententia; et tantum abest tua haec impostura a vero, ut Keplerus suuin derelinquat, quod contra Plutarclmm susoepit defendendum piaci tu m, et in illud Galilaei propter phaenomena nova videatur inclinare. Con¬ sidera igitur melius Kepleri scripturam, quao est haec: Pergamus , Galilacc, tua excutere phaenomena, Nani rum aetate Lume auspicare óbscrvata tua, primumque ostendis, quid comiculatae desit cui ovalis lineac perfcctio- non. Ovalem esse speciem circuii illuminatoni demonstravi Num. 8, fol. 244 libri mei : terse igitur loqitcris. [ì) In consideratione macularum a teprimum animadversanm in parte Lume lucida, omnino optìce demonstras ex il luminationis rat ione , illas esse cavitatcs aliquas, seti io depressas lacunas in lunari corpore . Sed excitas disputati onem, quidnam sint illae tam crébrae Lunae maculae purtis antiquit-us lucidae putatae . Tu eas cum vallibus coni - paras nostrae Telluris; et fateor esse nonmdlas huiusmodi valli s, pracscrtim in Styria provincia , specie quasi rotundas , faucibus angustiasimis (luvium Muram recipientes supra , emittentes infra , ut sunt campi dicti Graeccnsis , Libniccnsis et ad Dravum Marpurgensis aliique per alias regiones, quos circum campos altissima consurgunt montimi iuga, speciem alieni exprimentia; quippc non minima pars latitudinis cani - porum est altitudo circumiectarum crepidinum . Eqnidcm fateor , et tales in Luna valles esse posse , sinuosis montium recessibus propter /luvios excavatas. At quia addis, tam crebras esse fias maculas t ut assimilent lucidam partem corporis lunaris catulae 20 pavonis, in varia specula, velut oculos, distinctae, subit igitur animum , num w Luna hoc maculae quid alimi notcnt. Apud nos enim in Triture sunt sinuosa nonmdlae valles , at sunt etiam in longum protensae, secundum /luviorum decursus , profundi - tatisnon contemnetidac: cuiusmodi , wZttfó perpetua vallis , Austna fere tota , propter Danubiani , tnfer Moravian et Styriae montcs depressa et quasi recondita . Owr n/t/w nitllas tales longas in Luna macnlas prodis? cur plerasque circulo circumductas ? Anne licet coniecturis indulgere , Lituani velati pumicem quendam esse , creberrimis et maximi s poris undique dehisceniem ? Paticris enim acquo animo , Aie per occasio- ite/ji aliquid inditi grani speculationibus meis, Commentario de Marte, Gap. XXXIV, fol. 157 propositis, ubi, ex eo quod Luna a Tellure duplo celerius incitatiti *, gt/am partes so Telluris extimae in circulo acquatol e, collegi , lunare corpus esse ramni admodum, quodque, exigua matcriac paucac contumacia praeditum, rapini Telluris non multimi resistat. Veruntamen haec, de absolutis cavitatibus, non per montcs formatis, tanti non sunt, ut, si iuxta tuas sequentes narrationes stare omnino nequeant, pertinaciter defendenda putem . JVam. clarissimis experimentis lege piane optica reddidisti confìr- matissimum, in lunari corpore multos per lucidam partem, pracscrtim inferius , ron- surgere apices, instar altissimorum montium nostrae Telluris, qui primi orientis in Luna Solis luce fruuntur, eaque libi perspicillo tuo utenti detegantur. t l l tene iyitur et piane mathematica loqueria si legge nel testo del Keplero. CONFUTATI©. 161 Quid iam diclini de tua super antiquis niaculis Lutine disputatione cxactissima ? Cimi fol. 251 libri mei scntcntiani Plutarchi udduxissem, Lumie niaculas illcis an- tiqucis ivo lacubus seu maribus habentis, lucidas partes prò continentibus, non du¬ bitavi me opponerc, et, contraria ratione, in maculis continentcs, in lucida puntate humoris vini, ponete: qua in re tnihi Waclcherius valdc applaudere est solitus. Adeo- que bis disputationibus superiori destate indulsimus (credo quod natura per nos cadevi moliebatur, quac per Qalilaeim obtinuit patito post), ut in ipsius Waclchcrii gratinili, et iam astronomiam novam, quasi prò iis qui in Luna habitant, planeque geographiam quondam lunarem condcrcm: ciiius inter fundamenta et hoc erat, tnaculas esse conti- io ncntcs, lucidas partes maria. Quid me moverit, ut liic Plutarcho contrudiccrcm, videro est fol. 251 libri mei, experimentum scilicet ibi allegatimi, quod copi in monte Styriac Schedici, ex quo mila subicctus fluvius videbatur lucidus, tcrrae tcne- brosiorcs. At infirmitatem applicationis, folio verso, margo ipsc indicai Scilicct non luce communicata ex Sole, ut Tcrrae, lueebat fluvius, sed luce repcrcussa ex aere illuminato. Proptcrc a et causas experi menti tentavi infeliciter. Nani contra doctri- nam Aristotdis, libro De coloribus hoc affirmavi: aqnas mìnus de atro partici- pare quam terras. Qui enim hoc veruni esse possit, cum Tcrrae aquis tinctae ni- griores evadant ? Et quid multis ? Da Limavi ex alba gleba constare, ut Cretatn insulam (quomodo Lucianus Lituani dixit casei similem Termiti esse): concedendovi 20 crit, clarius resplendescere Ulani ex illuminatione, Solis quam maria, quantumvis non atramento inibuta. Itaque nihil me liber incus impedii, quo minus te audiam contra me prò Plutarcho mathcmaticis argumcntis dissercntcm, illatione argutis¬ sima et invida. Lucidae quippe partes multis cavitatibus dchiscunt, lucidae partes tortuosa linea illuininantur, lucidae partes cminentias hahent magnas, quibus vi- cinas partes praevertunt in illuminatione ; eaedem et contra Solcm suiti lucidae, parte a Sole aversa tenebrosac: quac omnia in sicco et solido et eminenti locwn habent, in liquido minime. Contra tenebrosac partes, notae antìquìtus, suiti acqua- bilcs: tenebrosac partes tarde illuininantur, quod carimi arguit humilitatem, cum circumstantes emincntes iam longe lateque colluceant, et a tenebrosis illuminatis ni¬ no grorc quodam, velut umbra, distinguantur ; linea iUuminationis in parte tenebrosa rccta est in quadris; quae vicissim in htimorem competunt, ima petentem, et pen¬ dere suo fusimi ad aequilibrium. Uis, inquam, argumcntis piane salisfecisti; do, inacnias esse maria, do, lucidas partes esse Terroni. Postea transit ad quasdam contemplationes proprias, et ostendit rationem alia¬ tane a Nuntio, cur aequalis appareat extremus lunae circulus, consentire cum iis, quae ipse scripserat in suis opticis : similiter ea, quae de aere lunari a Nuntio prolata fuere, eodem pacto confirmat, atque ea comparat cum quibusdam dictis Maestlini, ubi sua saepius citat Optica, et demuin lutee kabet : 40 Seguitar in tuo libello, fol. 13, ingeniosa et legitima demonstratio eius, quod a 162 QUATUOR PROBLEMATUM CON TRA NUNTIUM 8IDERKUM ine quoque fol. 350 passim dietim est } demonstratum vero minime: montes lunares multo maiorcs esse tcrrenis; idque non tantum in proportionc suorum e/lobonnn , quod ego dixeram , sed in comparationc simplici . Scilicet desiderabatur ad hoc demonstrandum tuum perspicillum, tua in observando diligenti a. Quae postea ab ilio subduntur de sideribus tixis commodius infra adducentur: postremo omnium agit de quatuor novis planetis. Tandem ad novos planctas tccum transco , rem praccipue admirationis in li¬ bello tuo , pancata team super eo negotio } praeter ca quae xnitio dieta , collo - cuturus. Primum exulto , me tuis laboribus nonnihil rccreari. Si circa imam fìxarum io discursitantes invenisses Planctas , iam erant mihi y apud Bruni innimerabilitates , parata rincula et career, immo potius exilium in ilio infinito . Itaque magno in prue - sens me liberasti metu , qtiem ad primarn libri tui fa/nam ex opponentis mei triti m - pho conceperam; quod quatuor istos Planctas , non circa unum fixarum , sed circa sgdus Io vis y ais discurrcre. Haec in medium attilli, ut illis os obstruerem, qui ex bisce dicunt colligi posse, novos planetas fuisso prius ab aliis deprehensos : profecto Brutti et Bruni aniles fabulae, tantum Galilaeum ad novos planetas detegendos iuvare poterant, quan- tum lepida quorundam historia, quod caelum sit lac, et Luna coagulum eius, eun- dem potuerit praestantem mathematicum ad pliaenomena illa divinissima Lunac ao contemplandum excitare. Postea transit Caesaris Mathematicus ad proprias spe- culationes, quartini aliquae forte inferius adducentur, et. denium lineili larit. ita: Tecum , Galilaee , incepi, tccum finem faciam; sed epilogum lume supra citavimus. CONFUTATICI PRIMI PROBLEMATIS. In primo Probleraate duo tantum affert peregrinus noster argumenta, nam in reliquo tempus terit in rixis et iocis, ut non tam philosopliari, quam poetae sa¬ tirici partes agere, videatur. Prima ratio est: si quatuor novi planetao circa Iovis Stellam revera existunt, aut fuerunt antea in caelo, aut non ; quoniam secundum membrum haud indige- bat improbatione, impugnat primum ; quia sequeretur, illos prius videro potuisse 80 mathematico8. Quam inepte, cuin fatearis Tychonem invenisse mille et plures. Stellas, quae ncque Ptolomaeo neque ulli alteri astronoinorum prius cognitae fuere ! nunquid idem tuum contra Tychonem non militaret argumentum? Profecto, si lido dignus es, impossibile esset aliquid inventis adderò. Sed allirmas, illuni perfectiora habuisse organa ad novorum siderum observationes. Detrahere aliquid astronomiae restauratori eminentissimo, sacrilegium esto: verum tiius Ilio profusus dicendi modus tibi refugium ad aras neutiquam prae- CONFUTATI!). 163 stabit. Scio optirae Tychonem Brahaeum habuisse quadrantes, sextantes astrono¬ mico», arniillas aequatorias et alia id genus instrumenta exactissima acl Stellarum motum, longitudinem et latitudincni investigandum; sed, die mihi, ubi scriptum reliquit de perspicillis, aut aliquo alio instrumento analogo illi Galilei? certo lutee sicco pede non pertransisset Keplerus. Lectorem remittimus ad Tychonis Media¬ nica, ubi non solimi liabes instrumentorum, quibus utebatur, imagines, sed et ipsiuB domus versatilis figuram et descriptionein. Nec me quoque latet, mathematicos habere plures modos ad corroborandum faeultatem visivam in eclipsibus et duni, interdiu, Stellam aliquam illustrerà observare oupiunt; quod ego factitatum vidi in io Venere et love, dum una cum Sole super horizontem existérent: similiter etiam in illis Stellis observandis, quae, propter insignem parvitatem, modo voluti caput exerere et iterimi abdere conspieiuntur ; quoniam acies, propter consumptionem spirituum animalium, non potest longo tempore in tanto conatu persistere. Et quamvis mathematici habeant et babuerint pulcherrima inventa ad natu- ralein oculorum vini adiuvandam, huic tamen neutiquam aequiparanda sunt. Nonne ipse tu, ingratissime, concedente tibi Galilaeo perspicillum, eius opo in nebulosa praesaepe quamplurimas lucentissimas stellulas ita distinguebas, ut eas numerare potueris? Nunquid liic etiam, quam tibi sommasti, radiolina concentratio locum habebit ? Cur manifestissimas liasce Stellulas, a nemine mathematicorum prius 20 depraehensas, intactas reliquisti? Creditum enim est hucusque, fuisse particulam caeli densiorem homogeneam et haud interruptam, quae tamen ad tantam densi- tatem non attingerei sicuti aliae fixae, quae, a lumine Solis impenetrabiles, illud totum ad nos revorberant. Cur itero inuumeras illas stellas in via lactea observatas in controversiam non adduxisti ? si antiquorum est sententia, quid tuin ? multi etiam oppositum tenuerunt. Sed osto quoti omnes idem senserint, fuit haec solimi opinio antiquorum ; non enim habuere rationes ita necessarias, quae huius conclusionis scientiam in illorum animis generare poterant, Sed, ut recte Keplerus, alia de re sermonem faciens, tantum interest inter rationales antiquorum coniecturas et ocularem summi viri experientiam, quantum est inter Ptolomaei disputationem de 30 antipodibus, et Columbi detectionem novi orbis. Iinrao longe maior est dilferentia, quia Ptolomaeus liabebat plura principia ad id inserendum : sciebat enim terrani esse spliaericam ; item quam proportionem haberet pars terrae suo tempore cognita ad reiiquam ; neque videbatur possibile, quod tam immensum mare per se solum subsisteret. Ego nunc admirabilis huius perspicilli perfectiones explanare non conabor : sensus ipse iudex est integerrimus circa obiectuin proprium. Quid, quod eminus mille passus et ultra, clini ncque vivere iudicares obiectuni, adhibito perspicillo, statini certo cognoscas, esse liunc Socratem Sophronisci filium venientem; sed tenipus nos do* cebit et quotidianae novarum rerum detectiones, quam egregie perspicillum suo io fungatur munere, nani in hoc tota omnis instrumenti sita est pulchritudo. Audi- QUATUOR PROBLEMATUM LONTRA NUNTIUM 8IDEREUM 1(>4 veram paucis ante diebus auctorem ipsum Excellentissimo D. Cremonino purpurato phiiosopho varia narrantem, scitu dignissima, et inter cetera, quomodo ille inini- morum animantium organa, motus etsensus ex perspicillo ad unguem distinguati in particulari autem de quodam insecto, quod utrumque Jiabet oculum membrana crassiuscula vestitomi, quae tanien, septein foraminibus ad instar larvao ferreae militis cataphracti terebrata, viam pracbet spcciebus visibilium. En libi novum ar- gumentum, quod perspicillum per coneentrationem radiorum multiplicet obiectum ; sed alidi prius, quid tifai dicturus sum : in ceteris animalibus eiusdem magnitu¬ di nis vei minoris, quorum etiam aliqua splendidiores liafaent oculos, gemini tantum apparent, cum suis superciliis aliisque partifaus annexis. io • Hic praeterire non possimi, quam invidiose Galilaei dcprimas perBpioillum bis verbis : Omnes Mathematica smini , qua crudilione Tycho lirahac Ottonidea Danus prae- ditus fucini, quo visus acumino cxccllucrit , quam sumptuosa instrumenta ad observa - tiones caclestium Planetarwn et cadcronnn astensmorum confecerit , qua indefessa industria per multos annos in inquirendis et observandis minutissimis stellulis usus sit , ita ut mille alias stellulas minutissimas , quas ncque Ptolomaeus ncque tìalilaeus vidit , invenerit. Potuit hoc mathematicus ille optimus sino perspicillo praestare? Eie. Tua istaec malevolenza potuit etiam te ad mentiendum impellere. Ubi, precor, invenisti apud Tychonem millenum illuni stellarum munerum, quarum nullam 20 Ptolomaeus vidit ? Aut in qua parte caeli latent stellae illae tam frequentes, quas suo perspicillo Galilaeus detegere nequit? forte tibi afa alio ita relatuin est? noli ita credulus esse. Àn quia, cum invenisses in Progymnasmatibus stellarum, nu¬ mero circiter 1024 (neque puto 6 vel 7 plures ibi reperiri), longitudines ot de¬ eli nationes afa eximio astronomiae instauratorc emendatas, putasti omnes has stellas fuisse ab ilio primo repertas? ille igitur omnium primus vidisset Canem • • # Maiorem et reliquas stellas primae magnitudini*, neque ante Tychonem ulla apparuisset stella in cacio ; veruni eosdem asterismos et eundem stellarum nu¬ merimi ante Ptolomaeum digessit in ordinem Hipparclms. Qui igitur fiori potest, ut mille alias stellulas invenerit Tycho, cum omnes, quae apud eum habentur, non 30 compleant numerum millesimum centesimum ? Sed et ipse Tycho minutissimas illas stellulas, quae nuper in via lactea detectae sunt, negavit: vide Koplerum in sua Dissertatione cum Nuncio pagina 23, qui sic loquitur: De Galaxia , nubeculis et nebulosis convoliti ionibus beasti astronomos et pliy- sicos, detecta carimi essenti a, et confirmatis iis qui pridem hoc idem tccum asse - verabant , nihil esse itisi congeriem stellarum , confusis luminibtts ob oculorum he - betudinem. ltaque desinoli porro cometas et nova sidera cum Brulico efformare ex via lactea , ne perfectorum et perennimi mundi corporum interitum absurde intro - ducant. 40 CONFUTATICI 1G5 Miror praeterea, cum lectionem Kepleri profi tearis, cur tam parvi facias Ga- lilaeicas obscrvationes respectu Tyclionicarum ; poterat certe Kepleri auctoritas tuum os obturare, qui liaec habet pagina undecima : Atipie luicc de instrumento ipso. lam quod nsum eius attinet , argutum sane est inventimi tuum , quomodo cognoscatur , quanta fìat rerum per instrumentum ampliatio , et quomodo singula in caelo minuta minutorumque partes dignoseì possint. Qua in re, cum in ceriamoti veniat industria tua cum Tychonis Brahei in obser- vando certitudinc accuratissima, non abs re fuerit àliqxiid interloquì. Montini , cum Polyhistor ilio scicntiarum omnium Io. Pistorius ex me quaereret, io non una vice, mini adco limatae sint Bralicanae obscrvationes , ut piane nihil in iis desiderari posse putem; valdc me contendissc, ventimi esse ad summinn, nec relictum esse qnicquam humanae industriae, cum nec oculi maiorem ferant suiti- lilatem, nec refractionum negotium , siderum loca respectu horizontis statu movens ; atque hic illuni contra constantissime affannasse: venturum ólìm, qui perspicilloruni ope subtiliorcm apcriat methodum ; cui ego rcfractiones perspicillorum, ut ineptas ad observationiim certitudinem, opposui. At moie demum video, veruni in parte vatem fuisse Pistonum. Ipsae quidem Brahei observationes per se stant, habentque suani tandem. Nani quid sit in cado arcus 60 graduimi, quid 34 minuta, hoc solis Brahei instrumentis innotescit. At ubi Brahcus hoc pacto gradus caelestes , 20 vel e ti am ego meo artificio optico Lunae diametnim in cado fucrimus dimensi, tam supcrveniens tuum, Galilaee, perspicillum, et. quantitatem Ulani a Uralico et a me prodi tam compleetcns, subtilissime Ulani in minuta et minutorum partes subdi - vidit, seseque Brahei methodo obscrmindi elegantissimo coniugio associai: ut et Brahcus ipse habeat, quo tua observationis methodo gaudeat, et tu tuam ex Bra - heana necessario instruas . Vis dicavi quod scntio ? Opto rnihi tuum instrumentum in Edipseos lunaris conteniplatione : sperarem ex eo prestantissima praesidiae ad expoliendum, est ubi, et reforniandum totani Hipparchum menni, seu demonstrationem intervallorum et magnitudinis iriwn corporum, Solis, Lunae et Terrae. Diametrorum enim Solis so et Lunae differentiam variabilem, digitosque in Luna deficientes, nenio exactius nwnerabit, ni si qui, tuo instructus oculari, diligentiam in observando adhibuerit. Stet igitur Galilaeus iuxta Keplerum, die Lunam observans, converso in caelum iultu, hic Solem, aversus in tabelloni, ne oeuluni urat specillum , suo uterque arti - fido; et ex Iute societate prodeat olim nitidissima intervallorum dottrina. Quinetiam , praeter Lunam, Mcrcurium ipsum in disco Sohs hoc meo artifìcio vidi : vide libellum hoc de re editimi. Nec minus etiatn, si Cometa quispiam effulserìt, parallaxes eius, ut et Lunae, ad stellulas Mas minuti ssi mas et creberrimas, solo tuo instrumento conspicuas, collatae, observari rectissinie poterunt : ex quibus de altitudine corporum illorum 40 certius, quam hactenus unquam, licebit argumentari. 1GG QUATUOR PROBLKMATUM CON TRA NllNTIUM SI DEH RUM Atgue Jiaec team , Galilaee , ad prirnm libelli lui caput con ferro libidi. Alterimi argumentum, quod in hoc problemate adducitur, est: si quatuor novi planetae in caelo circa Iovis stellam essent, videri otiam possent : contendit deinde multis exclamationibus, neminem unquam illos vidisse. \'is ne proptorea in caelo non esse hoace planetas, quia a nomine libera acie conspiciuntur V penes te erat acquali facilitate impugnare phaenomena Lumie et singula quae protulit Nuntius, quin et stellulas tuas millenas, quae in Aegipto Ptolomaeum lattiere, et primo a Tychone detectae fuerunt, ac omne astronomorum inventum ad naturales facul tatis visivae vires acuendas, eodem argumento destruos. Vident quotidie et viderunt multi ex perspicillis tam distinote quatuor novos circa Iovem planetas, quam io quae in yia lactea, convolutionibus nebulosis, Orione et Vergiliis, ex iisdemmet organis conspiciebantur stcllulae ; quas neque tu, qui plus omnibus ausus es, in controversiam adduxisti : atque non solum iis in locis, ubi nequaquam (ut polli- cebaris) invenies liomines sino pelle et pedibus incedente», veruni etiam ubi tu vacuo craneo vagabundus insanis. Melius profecto illi, qui liane impudentiao notam sibi inuri noluerunt, neque sensum negare, ciun clarius cernerent quatuor illa nova circa Iovem astra, quam alias quasdam stellulas, quas certo sciebant esse fixas et non ex radiorum concentratione creatas (ut tu de erraticis illis, quae circa Iovem sunt, fabularis), quippe quae conspiciebantur in parte caeli illustri, aliquo sidere orba, neque circa aliquod astrum, quod poterat tantos radiorum fasces 20 emitterc : hi, inquam, inauditam fugientes novitatem, ne alios praeter septem in- troducerent planetas, dixere, quatuor illa sidera circa Iovem esse stellas fixas. Veruni neque liaec opinio subsistere potest ; quomodo enim respondere valebunt ad tam vario» situs a Nuncio Astronomico saepe etiam eadem nocte notatos, nisi concedant stellas illas erraticas esse? Praeterea, ex necessitate, totus Zodiaci et Eclipticae circuitus huiusmodi stellulis fixis consitus esset; quare, igitur, si per- spicillum eo dirigas, non conspiciuntur? Ponamus enim, exempli gratin, love exi- stente in primo puncto Geminorum, circa illuni conspici quatuor stellulas; cur, inquam, existente postea love in tertio gradii eiusdem signi, si perspicillum ad principini» Geminorum dirigas, non amplius apparcnt quatuor illa sidera, si fixa so sunt? Et cur iliae quatuor, quae in tertio gradii Geminorum inhaerent, nunc primo conspiciuntur, et antea non ? ltespondebunt, id evenire, quoniam Iupiter appropinquans, stellulas illas magia illuminat : quamvis responsio liaec, prima facie, non omnem videatur excludere probabilitatem, tamen est satis pueriliter prolata; quia, etiamsi stellulae Ime aliquid luminis reciperent a love, attamen, cum in firmamento sint magno in¬ tervallo supra Iovem dissitae, non posset ita eorum lumen variavi propter tam parvum accessum vel recessum Iovis: immo, cum Iupiter ad illas accederei, deberet eas magis offuscare, ut patet in Sole, cuius praesentiam portimescit iupiter et ipsa Venus. Item manifeste libera acie experimur, Iovem ita sensibiliter offuscare stellas 40 CONFUTATO). 1G7 minoris magnitudini cuni ad illas appropinquat, ut vix amplius appareant: potius igitur series haec stellularum in Zodiaco, recedente ab illis love, emicare debe- ret. Itein alius pianeta, vel saltem Vcnus, idem faciens iter, deberet basco easdem stellas e tcnebris eruere. Tossem multa alia adducete, sod haec interim sufficiant. Postremo loco exigit novonim planetarum usum in astrologia, et infert, quod Cardani et aliorum theoricas septem planetarum destruant. Ad tritissimas liasce cavillationes, quas tu ex Keplero descripsisti, solutiones, quas ilio ibidem subiungit, omittens, respondebit Excellentissimus Galilaeus in opere quod nobis pollicitus est Nuntius, et ego inferius, quoniam eadem in alio Problemate repetis, adducam io quomodo bis occurrat doctissimus Keplerus. Certe non video, quo pacto quatuor Medicea sidera reliquorum planetarum motuum calculo quicquam officiant. Esto quod repugnare possint quibusdam astronomorurn suppositionibus, qui variis 1110- dis, et novis excogitatis orbium et circuloruin generibus salvare conantur septem planetarum phaenomena et motus inconstantes ; nam qui exactiores fuerunt in supputando caelestium orbium motus, absurdissimis interdum nitebantur suppo¬ sitionibus: nec mirum; quoniam supposito falso, sequi potest veruni, quamvis non e contra. CONFUTATI!) SECUND 1 PROBLEMATIS. Secundum Problema, praeter rationem, ponitur tanquam quid distinctum a 20 primo; nam, cum philosoplii quaerunt de aliqua re an sit, et partem negativa»! concluserint, non amplius quaerunt quid sit, nec propter quid sit, cum non sit; sed voluit ille suo mori satisfacere, et quicquid in buccam venerit, id protinus in medium aflferre, non animadvertens, rationes in hoc secundo Problemate allatas pertinere ad superius, cum ipsum planetarum esse destruere intendant. Prima ratio contendit, quatuor stellulis circa Iovem vagantibus non competere definitionem planetae. In bis auteni statuit planetarum essentiam consistere: primo, quod moveantur in inferiori regione cadi medii (ego agam partes interpretis), vult planetam non posse reperiri in elementari regione infra Lunam, ut a definitione excluderet cometas ; vult praeterea, de necessitate, planetarum orbes locali infra so cadimi fixarum ; scio do facto id ita esse, veruni haec non magis pertinent ad definitionem planetae, quam albedo ad quod quid erat esse musici; sicuti etiam nil facit ad definitionem Solis, utrum statuatur in medio immediate sub Marte, an plus infra, ut putavit Aristoteles : etenim, si aliqua stella esset supra octavam sphaeram, quae motu vario sicuti aliae errantes stellae circumduceretur, illa propizissime dicenda esset pianeta : sufficiant haec de genere. Subdit differen- tiam. Stellae erraticae tum suum inter sese, tum ad stellas fixas sitimi et ordine»!, perpetuo mutant et variant; hucusque bene, et si hac differentia limitasses essentiam 168 QTJATUOR PROBLEMATUM CONTEA NUNTIUM 8IDEREUM stellae in communi, pianeta in sua perfecte constitutus fuisset specie: verum quo- niam videbas, quod sic minor proposito tui argumenti non recipisset alterum extre- ìnuni maioris, addidisti praeterea, quod stellao erraticae interdum sibi opponi de- beant; quid, si Vcnus et Mercurius cimi Sole in Zodiaci oppositis ex diametro punctis nunquam venirent, nunquid planetae dicendi non essent ? Profecto omnia quatuor Medicea sidera possunt habere oppositionem cum omnibus illis stelli», cum quibus potest opponi Iupiter: at lovi nunquam ex adverso correspondent ? . Quid tuin ? Sed ne videar nimis scrupulose singulas minutias examinaro, accedamus ad peregrini nostri Achiliem ; fortasse enim et ipse ponit rationes, quas hactenus io attulit, esse tantunimodo probabiles, et tandem protulit ex optici» demonstrationem irrefragabilem: quia quod perfectius est, in intentione <ìt primum, at ultimum in executione. Paralogismus autem contendit, oculum ballucinari vitio organi, novorum Siderum detectore: tum quia perspicillum hoc potest idem numero multiplicare . obiectum, ut quod revera unum est geniinum appareat; tum quia per concentra- tionem radiorum supra et infra corpus lucidum appareant oculo globuli quidam splendescentes, quos ille etiam maculas appellavit. Primum probat a simili ducta confirmationo ab experientia, assoverans quod in hoc perspicilli cristallo una candela accensa possit multiplex conspici; vidit quoque, ut perhibet, Spiami Vir¬ ginia duplicatala et circa Àurigam alias stellas antea a nemine inventas. Demum 20 conatur ostendere, novos planetas nil aliud esse, quam concentrationem radiorum circa Iovcm argumento piane scaleno, et ad aliquam disserendi normAm penitus irrevocabili ; attestatur enim, se adeo vere et certo scire, quemadmodum scit Deum esse trinimi et unum, et ammani suam esse in corpore (utrum pie an impie dictum, nihil ad me), quod tota deceptio veniat per reflexionem. Sed, quaeso, quamnam connexionem habet reflexio, quam tibi fidei articulum fecisti, cum concentratione? Certe videntur esse termini valde dispariles : debuisses ostendisse, an et quo re¬ flexio concentrationem causet, aut e con tra. Deinde haec sequuntur : catcnus enim , quatenus veda perspicillum ad corpus lovis dirigisi proiectio ilici radiorum , quae venit a love concentrata perpcndicula - 80 riter et per lincimi parallclam apparcns, supra et infra irradiatili *, et sic neces- sario , necessitate huius perspicilli , omnes hasce quatuor maculas minutissimas con - spicicndas cxhìbet. Quam succincte ! Profecto tota haec argumentatio magno videtur indigere com¬ mentatore: ego italiani potui invenire inter terniinos cognationem aut cohaeren- tiam; quare enim, si recta ad corpus lovis perspicillum dirigitur, perpendiculariter solum concentrantur radii ? Hoc est, ut puto, te etiam intelligere infra et supra Iovem, dum orientalis vel occidentalis est; atque haec est tota peregrini nostri optica deinonstratio. Adeo ut quosdam non admirari non possimi, qui in scribendo sunt elegantiarum 40 CONFUTATICI. 169 et verborum prodigi, nec dubitent integras exarare paginas, cum taxare, carperò, aut eludere volunt aliquem ; ast, ut ad rem ventum est, et cum deborent argu- mentum aperire et prosegui, statini deficiunt, atquo taedet hoc ex ilio inferro et illud ab alio deducere. Panini certe mihi videntur mathematice agere illasque imitari disciplinas, in quibus nihil non definitili*, omnia cohaerent, quaeque solae scientiae antiquitus et apud Aristotelem nomen metliodi meruere, a quibus omnes aline scientiae methodum, si quam habent perfectam, mutuarunt, et per analogiam ad has obiecti sui species principia et passiones suis nectunt ordinibus. Hinc , est, quod universa Aristotelis philosophia tot geometricis scateat exemplis, ubi io aliquid difficile et quavis alia via inexplicabile sese offerebat : sed et philosophus partem illam, quae est de dissertricis scientiae obiecto principali (de quo invento plus gloriatili* quam de reliquis), ex bisce disciplinis videtur excerpsisse, ad co ut logica, quatenus est instrumentum sciendi, matheseos legitimus partus dici debeat; sed redeamus ad nos. Et in primis perpendamus, utrum perspicillum possit rem visam geminare, quo- niam autem nullum diaphanum, ut diaphanum est, immo quamvis ad actum re- ducatur oculis est perceptibile, necesse erit potentiae visivae obiectum omne ter¬ minatimi esse, et hoc vel opacuni, vel luce praeditum esse poterit. Neminem puto tam perfrictae frontis esse, qui audeat affinnare visibilia opaca ex perspicillo ap- 20 parere gemina ; enimvero tam illi qui iiavigationem, quam qui militiam exercent, . plurima se a longe conapexisse iactitant, quae aliter discernere haud valebant, nunquam tarnen se deceptos fuisse conqueruntur, artiticium laudantes et admi- rantes. Veruna cum haec unicuique, qui vel semel perspicillum manibus tracta- verit, perspecta sint, pluribus opus non erit. Te interim, Lector benignissime, monitum volo, posse obiectum apparerò du¬ plex, si utraeque lcntes e directo sibi non correspondeant, quod tuni fit cum ambarum centra in cylindro excavato in quo infiguntur non distant a se invicem per lineam brevissimam, ita ut species recipiantur in oculo, et per partem con- cavam cristalli minoris, et per partem planam eiusdem; nude recto mihi tacere so videntur illi qui portionein illam planam, quae circa sphaerae excavatae segmen¬ timi est, reddunt visui impenetrabilem, vel ad modum glaciei albicantis imper- spicuam ; errorem autem facile depraehendes si lentes concentraveris, neque alio modo poterit nobis ostendere peregrinile noster quomodo candela àccensa appa- reat geminata. Non tarnen licebit bine inferro organum hoc esse fallax, cum idem non semel peccatimi contigerit in natura, quae artis typus et idea est; aliqui enini referente Aristotele ób oculorum intemperiem quandam res singulas duas nume- rabant, neque propterea naturale Organum visus bene dispositum fallax erit. Dicat itaque mihi peregrinus, cui* nulla deceptio veniat per reflexionem dum intuemur corpus opacum, quamvis récta perspicillum ad obiectum dirigatur ; re- 40 spondebit, corpora opaca non proiicere radios qui sunt materia reflexionis et con- 170 QUATUOR PROBLEMATUM CONTRA NUNTIUM SIDEREUM centrationis. Ergo, nolit, volit, fateatur necesse est, oinnern deceptionem in cor- poribus lucidis evenire propter aliquam modificationem radioruin, qui iaculantur ad extra; ac si obiectum aliquod luminosum, perfecte tonsum, quod nullos germi- naret radios, ex perspicillo intueremur, illud omnino unum et sicuti est conspi- ceretur. Nil mirum si primus hic Acliilles exuviis spoliatus est, quoniam peregrinus fucatum adduxit Achillem, Patroclum, inquani, qui hastam Acliillis vibrare non valebat. Ego autem opinor, jinimadversorem lume originem sui erroris a principio falso accepisse. Etenim non est opinandum, Solem aut rcliqua astra, ncque corpus aliud quod subiectum lucis est, iaculari radios ad modum ignis, qui corpuscula quaedam, quae 10 scintillae nuncu])antur, emittit: vetus enim et explosum est, paradoxum, quod pu- tabat, lumen generari per defluxum corporum a corpore lucido, quia lumen edueitur ex potentia materiae, quae corpus diaplianum est, sicuti calor ex materia passi: itisi quid calor non fit totus simul et in instanti. Ncque item opinandum est, radios illos esse lumen ibi magia densum circa suum generans ; quia lumen non est corpus. Nec subiectum, in quo generatur, po- test ibi esse magis perpetuo coiulensatum ; luminis enim est attenuare et disgre¬ gare, ergo multo magis id, quod sibi proximum est. Sed dices, lumen esse ibi magis intensum: tibi facile concedala; quanquam forte in medio perfecte diaphano illuminatio non est actio uniformiter difformis, 20 sicuti sunt aline actiones, quae cominuniter ad alias qualitates terininantur: quia forsan pars convexa orbis Veneris, Solem tangens, non magis rcducitur ad actum, quam pars concava eiusdem, Mercurio super insidehs; adeo ut liaec et illa par- ticula aequaliter recipiant lumen; quia quod qualitas producatur uniformiter difformiter (ut loquuntur scoine) in subiecto, videtur tantum esse de ratione illa- rum, quae lìunt in subiecti parte post pal toni et successive. Sed demus, inquam, lumen esse ibi intensius: nihilominus erit invisibile, cuni sit in medio quod dia- phanum est, quia lumen, nisi terminetur, non venit sub obiectum proprium fucul- tatis visivae. Itaque proiectio illa radioruin apparens est, neque revera est aliquid in obiecto 30 vel circa obiectum ; sed accidit vel propter nimiam distantiam, cimi propterea stellas lixas micare existimenuis, planetas vero non ; vel propter indispositionem medii, ut patet in baione aliisque apparentiis circa Lunaui dum nubila nox est; vel propter excessum luminis, sicut manifestimi est in Sole ; vel propter debili¬ tatela facultatis visivae, ut experientia docet in illis, quibus planetae inferiores scintillanti universaliter autem, quia obiectum luminosum redditur improportio- natum potentiae visivae, sive id postea liac vel illa de causa fiat. Ilinc colligo, te in tua peregrinatione contra Nuncium toto cacio aberrasse, cimi vis, nocte serena Iovem perfectius radios suos exercre ; etenim manifeste experimur, cacio aliquantum nubilo, Iovem longos radiorum ductus emittore; nemo io CONFUTATI*). 171 autem vidit bene temperata acie in Aegypto Iovem, vel scintillare quidem: cui* igitur in serenae noctis luciditate planetae novi fiimt manifestiores ? Dices perspicillum prolongare radios : imino, si fuerint, vel omnino eos aufert aut abbreviat; quod facile erit experi ri in organo ex puro cristallo concinne fati¬ cato : namque illud Excellentissimi Galilaei adscititium a stellis fixis lumen am¬ putata ut videre est apud Nuntium; sed quoniam lociun lume citat Keplerus, au- diamus illum ad maiorem peregrini nostri impudentiam detegenduni: ita scribit Muthematicus, cuius tecum magni facio auctoritatem, pagina 21 : Absolvi alternili libelli tui caput de Luna : transeo ad tertium , de sideribus io cetcris. Prima tua observatio est mngnitudinis si derum , quorum corpuscula , pcrspicillo inspecta, in proporzione ad Lumie diametrum ais minai. Adducis et alia similia, qnibus stellae minuuntur , verissima et mihi longo usu comporta, crespusculwn , dieiu, nubcm, velimi, vitrum coloratimi. Hic tuas excutio locutiones : < augnimi visorinm non a primario stellae corpu¬ scolo, sed a late circumfuso splendore terminari > : itemi < pcrspicillo adscilitios acci - dentalesque fulgores stellis adinii >. Quaercre lubet ex te, Galilaee , num acquiescas in causis a me aliatis liuius rei, ubi de modo visionis disputo fot. 217 ac praesertim fot. 221 Opticae . Nani si nihil 'io desideras, licebit Ubi porro proprie loqui, luminosa panda conos fundere silos in cry stallimi m, et, post eum refractione facta, eos rursttm in punctum contrahere: quia vero id punctum non attingit rctinam, dilatatione nomi superfìcicculam retinae occupai, rum debuerit occupare punctum : itaque perspicillorum opera fieri, ut, alia refractione intercedente, punctum illud in retiformem competat. Non iyitur aliqui de - scendunt radii in oculuin a splendore stellis extcrius circumfuso; sed conira, qui desceiulunt ab ipso lucido corpore radii, ii, vitto refradionum et per noctem am - plificatione foraminis uveite, diffnnduntur in splcndorem in retiformi circa pun¬ ctum, quod steli ani debuit repr aesentar e, circumicctum. Ncque perspicillum in Terra adimit ali quid stellis in cado, sed adimit aliquid lucis retiformi quantum eius 90 rediindat . Deinde mutuat rationem ab observatione quadam perspicacissimi Galilaei in¬ genti iixarum imiltitudinis ad confirmandmn argumentum, quod idem Keplcrus proposuerat conferà mundi infinitatem libro suo De Stella Nova, cap. 21, fol. 104. Vide igitur quanti fecerit novas hasce observationes, et num putaverit vii* exer- citatissimus, qui nihil non discussimi reliquit, perspicillum unum astrum reddere visui multiplex. Quid tento? Egone tibi, ut oculis tuis non credas, persuadeam, qui ilio ipso Galilaei perspicillo Spicam Virginis duplicatam vidisti? Scio quod in reliquis saepe lalsum dixeris ; sed hic, quaeso, cave mendacium. Turpe profecto est et praeter naturae ordinem, aliquos interdum ita passionibus irreti ri, ut voluntas potentia 172 QLTÀTUOR PROBLEMATUM CONTEA NUNT1UM 8IDKRCUM caeca ducat intellectum ad turpius, si eadem, quamvis regina sit, in sui assensum trahat visum, reliquorum sensuiim nobilissimum ; non me praeterit, imaginationes simileB aliquoties exisse in aduni, ut quod fortiter cuperent, se ante oculos ha- l»ere existimarent, nani forti» imaginatio inducit soinnum in alios sensus exter- nos, ut (piod videt oculus, nesciat se videro. Ego ex sexcentis, qui etiam haec fabrilia tractant et recto uti sciunt, quique ad stellas in diversis mundi plagia perspicillum direxerunt, nunquam nudivi tale quid novi, nisi forte oculis excepissent atellam aliquaiu, prope quam, revera, exi- sterent alia minuta astra: sed neque circa Spicam Virginia, ncque circa Aurigam tale quippiam reperitili-. Et memini mense Martin proxime elapso, cum plurimi io ad Matematici aedes nova spectacula suspiciendi gratin concurrerent, me ex per¬ spicuo Aurigam observasse, qui solus mila apparuit cum stella Plaustri super quam insidere videtur : intentio erat coniicere ex distantia, quae valde magna conspiciebatur ex perspicillo inter Aurigam et stellala illuni Plaustri, efficaciam organi in augendo obieoto. Sed furto obtusam habes aciem V Facile te tacente credidorim, id enim arguunt rationes tuae imbecilliter militante» centra Nunciutn ; etenim a sensi bus ad rerum scientias, voluti manu, ducitur inteUectus, praecipue auteiu a visu, teste Aristotele Metaphysicorum primo, qui propterea etiam vult noe sensus diligere, et praecipue visum. Sed de bis siiti». 30 Cum hactenus pateat, ipsum corpus Iovis non inultiplicari numero a perspi¬ cillo, quod in suo esse est, alio id etiam argumento oornprobare placet; quia nu- merus ilio stellarum appareret semper idem: ut perspicuum est in quibusdam ocularibus, ad id ut decipiant ex professo fabricatis, quae in sua superficie plu- ribus terminantur planis, et si unum in mensa ponaa nunuuum, crescit in centum alios, tam similes primo atque illi aequalee, ut tuum statini nequeas tollera num- nnnn : aut saltem planetae novi non deberent apparerò acleo parvi respectu cor- poris Iovis, cum per eaiulem refractionem conspiciantur illi et lupiter. Confugies ad concentrationem radiorura ; prò fedo etiam si nolles, haec te cogeret ratio eo fugam arripere. so Demu» itaque illi concentrationem radium in, quam sibi tingit et supra reiecta est et inferius improbabitur, esse posaibilem : tamen in casa circa quem versa- mur implicaret contradictionem : quoniam fieri nequit, ut plures sint concentra- tiones in una et eadem linea recta quae e centro corporis lucidi educitur, a quo ipsi radii proiiciuntur ; nani in ilio puncto in quo una radiorura pyramis, sive mavis conum dicere, concentraretur, ibidem terminaretur neque ultra progrede- retur, quamobrem non posset illa eadem radiorum pyramis iterimi atque iterum concentrari ; sic enim non repugnaret (lari processum in infinitum. At pianeta» novos, supra et infra. Iovem, in eadem linea recta constitutos, semper quasi nobis exhibuit Nuncius. Et quanquam haec sutficere possent, animus est adirne libe- 40 CONFUTATICI 173 ralius cum ilio agere et concedere, licet gratis, quod unus radiorum conus mul- toties concentrari posset in suo ipsius axe, seu altitudine perpendiculari, quae a centro basis procedit ad apicem sive punctum concursus: id taraen certissimas Nuncii Siderei observationes salvare insulliciens erit; quoniam pluribus in locis apud Nuntium habemus, et ipsi vidimus, stellarum quae in eadom linea recta di¬ sposi tae erant, remotiorem a love, propinquiore maiorem apparuisse. Si autem stellulae liae lierent per concentrationem radiorum, contrarium semper deberet contingere, et stellae Iovi magia propinqua© apparerò semper raaiores, ut quivis facile sibi deducere poterit ex natura coni (quam figurani imitantur radii ad coli¬ lo centrationem concurrentes), cuius partes quo magis recedunt a base, co magia constringuntur; ncque tam efficax potest esse concursus radiorum in partibus re- # motÌ8 sicuti in propinquioribus, quod facile illi concedent, qui agcntis necessarii et limitatae virtutis agendi modum considerarmi Àst quid bis opus est, cum concentratio, modo ilio quo proponitur a nostro peregrino, omnino lìctitia sit? Yerissiinum quidom est, figuras regulares, et praeci- pue cas quae plus occupant plani illius circuii in quo sunt inscriptibiles, videlicet illae quae plura habent latera et angulos, si elongentur, posse apparerò oculo cir- culares; immo et quadratimi, sed ulterius elongari debet: item figura altera parte longior, et parallelogramma quasi omnia et trapezia inulta eundem patiuntur af- 20 fectum, quamvis non adeo perfecte orbiculentur sicuti figurae regulares. Si igitur simile quid peregrinus noster in sua peregrinatione per concentrationem intclli- gat, non abnuo ; verum, quod in casu de quo praesens est quaestio id contingat, nequo est verisimile. Primo cnim, figura radiorum Iovis supradictarum nulla est; deinde, nnnquam nisi una stella sub et alia supra Iovem in eadem linea recta appareret; tertio, conus radiorum hoc praestare non posset, cum non sit divisus a corpore Iovis. Sed instabis sic in tua inductionc quam attulisti de figuris rectilineis, quae, elongatae cum ceteris conditionibus debiti», possunt sese in formam rotundam contrahere; cur non meministi triangulorum ? Forte verebaris, quoniam fasciculus so ilio radiorum, quos aio concurrere ad novos planetas efformandos, figuram trian- gulavem videtur obtinere ? Ego profecto non negaverim in debita distantia, cum aliis requisitis, oculum posse omnes tres angulos a trigono amputare; sed nihil ad nos, quia basis trianguli radiorum Iovis, descendentium vel ascendentium, coin- cidit cum ipsa diametro Iovis, vel est illi parallela tangens Iovem, aut, si cupis, erit linea orbicularis congruens parti circumferentiae maximi circuii sphaerae lucidae quae Iupiter nuncupatur ; atque omnibus liisce tribus modis semper valet sequela, quod, aut novus pianeta nunquam appareret integer, quia magna illius pars lateret sub love; vel, saltem, quod semper videretur quasi tangere Iovem; praeterquam quod unica tantum semper conspiceretur stella sub et supra Iovem, 4o ut dictum est paulo ante. 174 QUATUOR PRORIjBMATUM CONTEA NUNTIUM 6IDEREIJM Verum adirne supersunt, peregrine mi, problemata quaedam, quae mihi solvere teneris. Die igitur, quaeso, cur una nocte omnes quatuor stellae novae Imbere visae sunt positionem supra Ioveiu versus meridianum oirculum? Tunc sane, tc ipso iudice, poterat Iupiter radios perfecte exerere, qui vis tum temporis solummodo conspici novos planetas: si igitur potuit Iupiter supra radios emittere ad quatuor stellas efiormandas, quid rei est, quod eodein temporis momento non valcbat in¬ fra radios dimittere ad unum vel alteruni planetam gignendum ? Forte quia tunc Iupiter ab alia stella combustile erat(puto enim te in astrologia iudieiaria esse satis curiosimi, tibique compiacere causas ab alto ductas), ita ut omnes radii prop- ter insignem levitatela tenderent sursum? cur alia nocte omnes oaedeiu quatuor io Stellae sub love versus borizontem conspiciebantur, et nulla supra Iovem ? Ulte- rius, quare interdum dime supra et dime infra Iovem, tres supra et una infra, tre» infra et una supra: cur quaudoque non omnes quatuor, sed tres aut duae tantum apparebant? Quamcumque responsionem attuleris, si quadrabit uni problemati, re- pugnabit alteri, cimi hae varietates apparuerint noctibua aequaliter serenis, Iterimi, quamobrem in circulo doclinationis versus meridiem aut versus septentrionem caput non exsorunt novi aliqui planetaeV Forte quia Iupiter eo radios eiicere non audeat? Negabis sensum. Cur denique, si Iupiter undique in circuito radios exerit illuni non cingit novorum siderum corona? Profecto, cum novos planetas obser- vamus, non intuemur Iovem per rimani ; sed utraeque lentes cristallinae orbicu- 20 lares sunt. Mussitavit praeterea nescio quid in hoc secando problemati* de proiectione radiorum concentrata perpendiculariter ; mmquid levis est vis visiva, ut interdum plus teiulat sursum? nunquid gravis, ut declinet ad infra? Deberet certe, cu ni do utraque qualitate motiva participat, quod tunc forte erit, cum spiritus animales mediocrcm obtinent temperimi, ad luterà tendere, siculi exlialatio illa quae ma¬ teria ventorum est et illa Untuosa ex qua enpilli crispi oriundi sunt ; sed nolo prò- fundius liic tuam inanelli scrutali philosophiam. E11 tibi, Lector liumanissime, ratiocinationes peregrini nostri hactenus discus- sas, sublata effugia, argumentationes adductas in contrarium, circa quas libuit ao paulo diutius immorari, nec, ut ille, integra problemata in diceiulis convitiis consumere. Te interim, peregrine, paucis volo: die mihi in aurem : silentii leges inviolatas servabo. Frantile lutee argomenta illa, diserte mi, quibus te in tuo prooemio ad quatuor novos ioviales famulos auferendos al) ipso arcanorum caelestium fabri- catore compulsuni, fortasse nimis arroganter autumas ? Tibi soli dietimi sit : ita ne pbilosophorum et mathematicorum metites, ne deludantur, illustrasti ? Siccine posteros ab errorum labirintlio tuia concentrationibus vindicabis? Profecto ex tuis per Galliam et Italiani peregrinationibus mi per editis niliil novi percepimus. Scit illustrissimus Donatila Maurocoenus, me illi lmec eadem argumenta et alia 10 CONFUTATICI. 175 maioris momenti centra novos planetas per litteras significasse, cum primum ad no8 mortales descenderat Nuucius ille Sidereus, et antequam tibi est data copia perspicilli'; nec temere profecto id feci, quoniam admiranda proposnit Nuntius spectacula, admiratio autem mortalium mentes ad disserendum et rerum causas inquirendas impulit, ut sapientissime Philosoplius primo suae naturalis Tlieolo- giae; sed, re bene perspecta, cessavit admiratio, et in eius sedem successit amor et observantia erga auctorem. Nunc autem plus mirari decet, cum quempiam op- positum tenere audivero ; liabet enim ibidem Aristoteles haec. Si nescienti huius theorematis demonstrationem referatur, quod diameter est incommensurabilis io costae, admirabitur statim et in oppositum trahetur animus ; qui enim fit, ut nulla tam parva inveniri posset linea, quae quadrati latus et diametrum eiusdem metiatur: adeo ut, si diametrum multotics sumpta praecise adaequet, nequeat omnino latus saepius repetita adacquare. At vero, postquam illi eidem demon- stratio imiotuerit, hanc abiicit mentem, et tunc mirarctur magis, si praesumeret aliquis se invenisse quadratum, cuius diameter cum costa communem aliquam haberot mensuram. Re postea maturius considerata, paucis elapsis diebus, plura aggregaveram argumcnta, singulis suas subnectcndo solutiones, quae ad illustris- simum D. Henricum Wotton, pio nostro magnae Britanniae rege invictissimo, apud Senatum Venetum Oratorem, statim miseram; propter eius singularem pe- ■20 ritiam, non solum barum, sed omnium liberalium artium, una cum disputatione * quadam contra multos murmurantcs. qui modo piane inepto contra novas obser- vationes, praccipue contra illa quae dieuntur de Luna, insurgebant, inferentes quod daretur vacuum caelum esset generabile et corruptibile, et multa alia quae solvere non tenetur Mathematicus. Scit Gymnasitim Pataviniim, sciunt bibliopolarum oflicinae, quam acriter inter nos condiscipulos dissertatum fuit, ubi non solum concentrationes, reflexiones et alia plura in medium adduximus, veruni etiam experimenta plurima et rationes varias ex refractionibus, quia hic punctus est: utrum, quomodo et quot modis falleve possunt? Saepius vocatus est in testimo- nium Alhazen, saepe citatus Vitello et alii ; adeo ut nihil tibi relictura fuerit prae- ao terquam caìumniari et diserte loqui. Denique, coronidis loco, peregrinns noster secundum problema perpulchro claudit mendacio, qui sic scribit: Eundcm Nuncium pagina forti a dicentem plumbeo lubet iugulare gladio , ubi hoc modo ait: < Quae quidem disparibus inter se moti bus circum Tovis Stelloni cader arimi nobilissima»!, tanqncun germana eius prò geni es, cursus suos orbesque in 12 annis confìciunt >. linee Nuntii nerba obtru- dunt palpimi etc. Nil mirum, cum tam perverse egerit, si nihil unquam recto citare potuit: sug- gillat enim Galilaei scripta, ac si diceret Nuntius novos planetas 12 annorum spatio cursus suos conficere. Pro Dei atque hominum fidenti, quid non audeant nostra ■io tempora? Innatum est hoc quibusdam, ut quod non capiunt, improbent. lu, con¬ ni. 25 176 QUATUOR PROBLKMATUM CONTRA NUNTIUM 8IDEBEUM tra, id, quod non intelliKis, sci-ibis. Perpcndat unusquisque, quam tibi quaesiveris topicam ex Nuntii verbis in Epistola nuncupatoria ; sunt antem linee : En igitur quatuor Sidera tuo inclito nomini rescrvata, ncque illa de gregario ac minus insigni incrrantium numero, sed ex illustri vagantium ordine; quae qui- don disparibus inter se motibus rircutn Iovis SMlam caeterarum nobilissima m, tan- quam germana eius progenies, cursus suos orbesque ronfìciunt celcritate mirabili, interea dutn unanimi concordia circa mundi centrum, circa Solem nempe ipsum, omnia simul duodecimo quoque anno magnas convolutiones absolvunt. Ecce quam aperte dicat, planetas novos cursus suos non in 12 annis, sed ce- leritate mirabili conficere; tu vero abstulisti «lima voces (celeritate mirabili) et io apposuisti 12 annos. Sed audiaraus iterum Nuntium pagina penultima prò se respondentem (ubi durissimo affirmat, quatuor Medicea sidera luibore convorsiones proprias distinctas ab illa duodcconnali circumvolutione, qua una cum love circa mundi centrum feruntur), bis verbis : Ac primo, cum Iovem consimilibus interstitiis, modo eonsequantur, modo praceant ab eoqtie tum versus orlimi, tum in occasum angustissimi tantum divaricano- nibus elongentur, eundemque retrogradimi par iter, atquc direttimi concomiteniur, quin circa illuni suos conficiant convcrsioncs, interea dum circa mundi centrimi omnes una duodeccnmles periodos absolnmt, nomini dubitisi esse, potest. Et paulo post fatetur, horum quatuor tardissimum proprium intra 16 dies, 20 aliquibus etiam lioris demptis, finire cursum ; sic enim eadem pagina scriptum re- liquit Nunciu8: At Pianeta, maximum permeane orbcm, accurate praeadnotalas re- versiones perpendenti, restitutionrs semimcnstruas Induro videtur. Dubitati postea peregrinila de eo quod lippis et tonsoribus notum est, an vide- licet Iupiter cursum 12 terminet annis. Ultimo loco liceat mihi argumentum afl'erre inevitabile, cui, qui supra allatis rationibus minime contentus sit et perspicilluin habuerit, acquiescat necesse est. Elige tibi hieme sequenti noctem, in qua omnes quatuor vel tres saltimi Medicei planotae fuerint Tovo orientaliores 5 itaque, si ex perspicillo Iovem observaveris antequam meridianum pertingat circulum, omnes quatuor stellulae apparebunt so perpendiculariter sub love versus punctum orientis : si igitur peregrini concen- trationes perpendiculariter factae vini habeant, sive quavis alia de causa, con- tingeret liallucinari oculuin ; postquam Iupiter meridianum pertransierit circu¬ lum et paralleli quadrantem describit occiduum, deberent omnes quatuor stellulae apparere, ut unto unam vel alteram horam sub love, sed versus occidentalem piagain ; quod si adirne love orientaliores persistant et supra illum propinquio- ies meridiano circulo conspiciantur, signum erit manifestissimum organum non decipere. Vel elige tibi noctem, in qua omnes quatuor stellulae fuerint love occi- dentaliores, prout feret occasio. CONFUTATICI 177 CONFUTATO) TERTII PROBLEMATIS. In tertio problemate contenditi perspicillum nihil habere, quod sit sufficiens ad observationes graduum et minutorum in cacio, et, ut calumniatores fere omnes, non affert inventum, quod est apud Nuntium pag. 7, ubi explicat qua ratione minuta et minutorum partes liceat depraehendere, quia forte tantam subtilitatem non intellexit. Debuisset etiam te Kepleri sententia super Iute re deterrere, qui nihil, quod prius non bene discussimi fuisset, in tota sua Dissertatione cum Nuncio, admisit; sic enim scribit pagina 11 : Atque haec de instrumento ipso. Iam quod ad usimi de. io Sed haec supra citata sunt in discussione primi problematis. Dicam et ego tiln, sed rudius quam scripserit Galilaeus, quomodo perspicillum suflìciens sit ad minuta dignoscenda in caelo. Prius investiga, vulgaribus raathe- maticorum viis, quotnam minuta compraehendat diameter Lupae ; postea apta specillis bracteas, ita perforata^, ut praecise tota Luna facies et nihil plus ab oculo compraehendatur ; certum est, si perspicillum ad caclum fixatum dirigas, quod diameter partis illius circularis, quae ex perspicillo intuetur, totidern continebit minuta, quot continebat diameter Lunae; hoc est, utraeque lineae ad orbium in quibus sunt circulos maximos eandem habebunt proportionem. Simili modo ex- scindi possunt aliae bracteae, prò paucioribus voi pluribus minutis, ex cognitione 20 distantiarum inter duas stellas non longe a se invicela dissitas ; aut, si lubet, co¬ gnito semel, quod tales duae bracteae, coaptatae talibus specillis in tubo tantae longitudinis, tot minutorum species visibiles ad oculum intromittant, potes ex re¬ gala proportionum alias ad libitum invenire bracteas. Sed nolo ego falcem in alterius messem immittere: pollicitus est Nuntius, per aliam occasionerà, absolu- tam huius organi tlieoriam in medium proferre. Quae demum perstrepit peregrinus de caelo patavino, refractionum copia et vicissitudine, relinquimus Tychoni sol verni a, qui in Dania, ubi haec et similia impedimento magia vigebant, potuit singulas liasce difficultates superare. CONFUTATIO QUARTI PROBLEMATIS. so In ultimo problemate, nihil aliud praeter quatuor novorum planetarum usum in mathematica disciplina requirit; verum huic quaestioni satisfecimus in discus¬ sione secundi problematis, prope finem. Quod si alium adhuc eorum appetit usum, in promptu erit. Dico igitur horum quatuor novorum planetarum et aliarum etiam stellularum minimarum ingentis multitudinis, perspicilli beneficio nuper detecta- 178 QUATUOR PROBLEMATUM COKTRÀ NUNTIUM SIDERRUM CONFUTATIO. rum, non infimum usurn futurum esse, in illos exerccndo, excruciando et pertur¬ bando, qui, ut tu, nimis superstitiose, minimas etìam in caelo scintillas ad effectus particulares applicare conabuntur, atque hominum liberae imperare voluntati ve- lint. Miror, te fatidicum hominem, potius non animadvertisse, unam Nuncii oh- Bervationem esse manifeste contra iudiciariorum axioma quoddam, qui putant inultum posse in nati genitura circa oculorum passiones stellam nebulosam Prae- sepe, cum ipsa voluti lumino orba sit; at Nuntius qui observavit illam non esse unam stellam, sed congericm stellularum lucidissimarum, ab huius inali hominis metu liberavit posteros. Finis. Ego Fr. Vineentiiu Panhormitanus, Regens Studii Patavii, vidi hoc opus diligenter nihil conti nere contra fidem neo contra Principem seu bonoa moree, ideo meo iudicio im- priiuendum fore. Stante suprascripta atteatationo, conceditur ut inipriniantur. Fr. Angelus de A rimino, Vie. Sancii Olììcii Paduae. Imprimatur. Octnvius Livellila prò Serenissima Republica Veneta. IOANNIS KEPLERI NARRATIO DE 10VIS SATELLITIBUS. IOANNIS KEPLER1 S. Ca;fMaieft, Mathematica. NARRATIO DE 0BSE%FAT1S A SE QJOS G A LI L AB V S GALILAE VS MA- thcmaticus Florentinus iute inucntionis Me¬ dicea fiderà nuncupauit. CVM DIVNCTA D 1SSERTATIOT^JS DE 2 Sjuncto fiderto nuper ad mortala Cumgracia&Priuileg.Sac.Ca:£Maiefl:. TRA 0 T V R 7 /, Sumptibus Zachari^'Palthenii D« Ct¥%ò Ct*f$ì IIEPISTOLAI APOLOGETICA CONTRA C y£ C A M PEREG RINATIONEM r £ Cuiufdam furioG Martini ; cognomine Horkij cditam aducrfus nun- tium fidercum j* De quattuor nouts piane tis Galltlei GaL Itici ohm in Patauino Gymnafto palici Matematici . eU mS «aj «as BONONI^, ApudH^rcdcs Ioannis Rofsij mdcxi. Superiorttm Perrmjfu. PEBILLUSTRT ATQUE EXCELLENTISSIMO GAL1LAEO GALILAEO NUNC MAGNI DUCIS IIETRURIAE MATHEMATICA). Quam antea viderani oppugnationem Nuncii Siderei manuscriptam, eam mihi quarto Kal. Augusti ostendit Excellentiss. Papazonius noster, a Martino Horkio impressam. Martinum autem non ita consilii expertem arbitrabar, ut eam cderet censuram, quam quemadmodum, propter puerilem doctrinam, quilibet mediocriter rerum mathematicarum peritus nullo refutaret negotio, ita ipse, propter male- io dieta, si Excell. Magino et mihi paruisset, perpetuis tenebris damnare debebat : et Maginus quidem non solimi disertis verbis dissuasit ne ederet, sed etiam aegre tulit, homines suspicari posse cum invido hoc partii nato domi suae obstetricis munere sese esse perfunctum, et furioso tandem critico edixit, se illuni, vel sub praelo, perempturum; verum quae singula alios ab incepto revocassent, ea simili cuncta ne incitatimi quidem Martini impetum retardare potiieriuit. Mutinam igitur, ubi impressionem meditabatur, se animi grafia iturum simulat; Maginus, statini ut factus est a quodam Mutinensi patricio hac de re certior, hominem ab se dimittit, tanquam eius, quem paulo ante Florentia redeuntem liospitio exce- perat, amici proditorem: et satius profecto fuisset Martino apud hominem huma- 20 nissimuni in studia medicinae incumbere, donec ei laurea decreta fuisset, quam in Gius, qui tot annos Patavinae Academiae dignitatem etiam cum incremento sustinuit, tam acerbe invelii existimationem: sed Martino et a Magino et a nobis dimisso, rem ipsam attingamus. Ut Nuncius Sidereus Bononiani perlatus est, rei novitate multorum animos esse perculsos negare non licei : aliis enirn incredibile videbatur, tot saeculis iam elapsis, quibus tot viri in rerum caelestiuni observatione praeexcellentes fuerunt, hos quatuor circa Ioveni planetas non illuxisse: alii affir- mabant haec nova caeli prodigia reiicienda in visus hallucinationem, provenientem ex refractione concavarum convexarumque lentium in tubo ad invicela eo dispo- 2-4. Galileo Galileo Patavini gj/mnaéii publico tnatkcmatico Ioanne» Antonina Rofeiìn» — 196 EPISTOLA APOLOGETICA sitarum. intervallo ; quamobrem huius rei occasiono conspicilia experiri- placuit, quibus utitur eqnes Butrigarius, vir nostris temporibus praeclara eruditione atque doctrina, quae una cum lente res obiectas triplicatas atque in linea recta dispositas repraesentant; quod licet ita se haberet, onmes tamen desiderabant tuo uti organo, ut ex eius usu certi aliquid colligere possent, reiecta post accuratam expericntiain sententia. Interim multi nobilitate doctrinaque insignes viri ad Maginum, apud quem commorabaris, confluxerunt, cupidi tuomet, te docente, tubo conspiciendi planetas a te reCens circa Iovem inventos : acerrimi vero visus hominibus aliquo modo satisfactum est, et licet Martinus id inficiari non dubitaverit, eos tamen quodam pacto se vidisse confiteri videtur, pag. 15, inquiens primo: < 24* Aprilis jo nocte sequenti vidi duos solummodo globulos, aut potius maculas minutissimas >, et inferius: < 25* Aprilis vidi omnes quatuor maculas minutissimas a love prosilientes cum ipsiuB Galilaci pcrspicilio, in quo illos se invenisse gloriatur : sed quid, bone Deus, putabat se videro homo iste ? planetas novos ea qua sunt alii planetae et stellae fixae mole, quae in sex magnitudines tributae sunt, quid conspiciliis ad obiecta maiora repraesentnndum opus fuisset ? nonne eos suporioribus saeculis vì- disscnt caeli contemplatores > ? Mine apparet argomentino ab ipso in priori proble- mate positum nullius esse momenti, septem tantum esse planetas; bis enim neque plures neque pauciores, ab iis, qui in rerum caelestium contemplatione defixi fuerunt, nimquam observari potuerunt. Sed cur, obsecro, inter eos adeo parvus 20 est Mercurius ut raro videatur, et ab omnibus videri non possit, sed ab iis solum, qui alios visus acumine praestant? Ergo aliquis novus mathematicus dicendi ansam hinc accipere posset, sex tantum esse planetas: quia, ut maxime contenderà Mer- curium videre, quamlibet ille frustratus est industriam; et tamen, si none oculis solum hoc organimi admoveret, Mercurium, nunquam fere antea visum, faciliime et diutissime intueretur. Quemadmodum igitur Mercurius minor est aliis, qui, ex Ticlionis sententia, minor est terra novendecim vicibus, ita non ab re fuerit, alios adesse planetas Iovis circulatores, qui ut plurimum cerni non possunt, non tam propter parvitatem, quam propter intervallum quo distant a terra. Nam si, cum Iuppiter, quem circumeunt, est in mediocri distantia a terra, eius distantia est so semidiametrorum 3990 terrenorum, nequeunt illi planetae a terra minus abesse : quare si tantumdem, quantum Mercurius, distarent a terra, id est, semidiame- tris 1150 terrenis, quae distantia est tertia parto minor Ioviali, forsitan a nobis felicius quam Mercurius cernerentur, nec alio egeremus conspicilio, cuius bene¬ fìcio res, licet exiguae, maximum intuentibus accipere videntur incrementimi. Utitur deinde Martinus hoc dilemniate, quod validissimum esse putat, cum dicit : < Nam, si quattuor illi planetae circa Iovis stellam re vera existunt, aut fuerunt antea in caelo, aut non; at neutrum horum Nuntium bona conscientia dicere posso certo scio; 8-9. hominibvi laticfactum — 13. quo illa• «e — 14. nidore rcdiculoiui Aio homo/plancton — 23. Atrio ari pere potaci — CONTI!A PEREGRINATICI EM ETC. 197 * ergo in caelo quattuor noyos lovi famulos associare est ridiculosum >. Etenim cluni profitetur, se primam partem confutaturum, < si Nuntius, inquit, Sidereus prius fuit, sequitur Matliematicos illos videre potuisse, quia minutissimas in caelo stellulas instruinentis sumptuosissimis dimensi sunt >, utitur Tichonis auctoritate cum dicit : < Qui visus acumino excelluerit, quam sumptuosissima instrumenta ad observationes caelestium planotarum et caeterorum asterismorum confecerit >, asserens ipse a Tichone mille stella» observatas, quae et Ptolemaei et aliorum Mathematicorum ingenium et oculos fugerunt. Eciuidem nescio ubi apud Tichonem legerit liane inauditam mille stellarum observationem, quae totani latuit antiquitatem. Cum io ego viderim stellarum lìxarum indicem iamcliu trasmissum a Tichone ad Maginum, quae mille sunt a laudato saepius Tichone observatae, qui quidem longe copiosior est indice in progymnasmatis suis impresso, et in epistola, qua illam Mathema- ticam lucubrationem Itodulpho secundo Imperatori invictissimo inscribit, expresse leguntur haec verl>a. < Sicque millenas stellas exquisitissime restituimus, singulas tamen in longitudine, quam in latitudine adeoque in ipso minuto, imo nonnunquam, ubi opus videbatur, eiusdem semisse, quia vero multae eranfc quae, a veteribus notatae, in nostro orizonte non orirentur, alias quasdam licet admodum aspectu pronas, etob id ab bis omissas, bine inde applicuimus, ut mnnerus de ciuo dixi com- pleretur, quem antiquitus solummodo 22 excesserunt;- ciuas vero addidimus a ve- 20 teribus haud observatas, stellula quadara in liunc modum* insignitae sunt etc.». Si- gnatae autem asterisco sunt tantummodo 31, quae, licet instrumentis observatae non fuerint ab antiquis, ab eis tantum visae fuerunt. Ex bis coniicere licet, Marti- nuni Tichonis mentom non assequi, cum extra rem eius utatur testimonio, qui non tam liic laudatur, quam vituperatili', inferius ab eo elicente, pag. 13 : c Àlius, ad pom- posam iactantiam et arrogalitiam, libros suo» exornat cochleis, elaviculis, rotulis deque toto ilio loro scrutario, vano, inani, futili et falsissimo, de quo totum Pragense et Bononiense forum posset repleri, omiiesque in mea patria possent ditari vetulae > : quae verba de verbo ad verbum a Raimaro Urso, qui ohm in Tichonem scripsit, desumptae sunt, cuius expressa verba sunt haec quae sequuntur: < Quibus ad nau- 80 seam refertae sunt passim illae epistolae Tichonicae de nescio quibus cochleis, pinacidiis, rimulis visoriis, cylindris, armillis, laminis, catenulis, elaviculis, rotulis, deque toto ilio foro scrutario omnino vano atque inani, de quo repleri posset totum Pragense forum scrutarium, omnesque ditari vetulae etc. >. Imo hic non solimi ma- ledictis, quibus Raimarus Tichonem insectatar, quibusdam in locis Galilaeum proscindit, sed ab ipso etiam verba mutuatur, veluti pag. 18: < Et propterea ad ta- lem observationem etc. >. Ita fere Raimarus inquit: < Requiritur enim ad astrono- miae restaurationem adque perfectum observatorem triceps seu potius tricorporeus quidam Geryon: ex Atlante, quantum ad artem et potentiam, eque Nestore quantum ad vitae longaevitatem, eciue denique Lynceo quantum ad acumen visus, conflatus 16 . minuto non nunquam — EPISTOLA APOLOGETICA 198 fttque compositus etc. >. Alterum eius argumentum, quando ait < si quatuor novi planetae in caelo circa Iovis stellam essent, videri possent >, nihilo validius est primo, tantumque habet ponderi» in delendis e caelo stellis fixis quae et sex magnitudi- nibus sunt inferiores, et passim non conspiciuntur, qu&ntum habet in auferendis quattuor a love circulatoribus planetis: et sacrae nihilominus testantur pnginae, innumerabiles esse stellas firmamenti, inquam pariter sententiam semper al) Astro¬ logò omnibus itum est, quorum est pervulgatum axioma, eas propter suam ipsarum parvitatem sub oculos intuentium non cadere; frustra igitur afiert Wartinus eorum auctoritatem, qui in ea claudicant, pianeta» iictitios esse, cum propria experientia hos discere recusarint ; pluris enim aestimatur unus testi» oculatus, quam decem io auriti: equidem ut de ine ipso taceam, iis potius, qui apud Maginum afiirmabant se vidisse aliquo modo hos pianeta», quam iis, quorum depromit nescio qui bus ex litteris Martinus testimonium, fidem habebo; eoque magis, quo certius atììnnatur a nobili Lucensi viro Antonio Santino, rerum mathematicarum peritissimo, quodam suo organo a se saepius viso» Venetiis ho» pianeta», idque in ea urbe ab eodem dictum et confirmatum est coram quibusdam Bononiensibus patriciis, qui per ea tempora ibidem simili commorabamur ; imo et Martino fidem adhibere libet, qui quidem alfirmat, eos se vidisse, quamvis id acceptum referat reilexioni» refractio- nisque hallucinationi, licet addat: < Nihil vidi, quod naturam veri planetae redo- leat >. Quid voluisset intueri in lovis bisce circulatoribus? Dicat, obsecro, Martinus 20 quaenam sit planetarum natura: non loquimur hic de illorum elementari qualitate, de efficacia, influenza, iisque actionibus quas habent in baec interiora. Placeret ne Martino, quemlibet planetam circa liane molem libero cursu circumvolvi, ita ut quencunque aspeetum cum aliis planetis efficere posset? non autem omnes quatuor, perinde ac satellite», Iovis latus stipare, a quo bine inde non nisi panconim mimi- torum 8 patio abesse possunt? Placuit ne rerum opifici Iovem Ime dignitate caeteris praestare? an potius liabent etiam alii planetae, ut ait Keplerus, suo» circulatores, qui a nobis propter parvitatem magnamque a nobis distantiam videri non possunt? Veruni si Venus Mercuriusque, ut est Copernici sententia, circa soleni circumagun- tur; cur non poteruntesse quatuor alii planetae, Iovem circumeuntes habentesque w circuitum suum cum co communem annorum plus minus duodccim. Quemadmodum Venus et Mercurius singulis annis una cum sole suum cursum absolvuntV Quibus praeterea sunt alii motus, ex quibus tit, ut nunc orientales, nunc occidentales appel- lentur; velut etiam hi Iovis circulatores modo sunt ad illins partem orientalem, modo ad occidentalem. Respondet hic Martinus: si quattuor autem isti novi planetae in caelo essent, sequeretur illos habere proprios orbes et proprio» motus. Hoc sane me quoque non fugit, et tibi etiam, vii* eruditissime, perspectum est, et ultro Martino concedi»; ea tamen conditione, qua idem caeteris planetis a Mathematica concedi solet. ld autem dictum volo, quia novi non neminem reperi ri, qui nullam 9. ea lunt haeret : hoa Pianetat — 9-10. experientia hoc die tre reclinar int — 12. vidi tee hot _ CONTRA PEREGRINATIONEM ETC. 199 putat esse corporum caelestium soliditatem, idemque existimat sidera perinde ac volucres in aere insita a Deo propensione moveri : sed esset ab re de re prae- senti in praesentia disputare. Àddit etiam aliam illationem Martinus, cum ait : < et sic per consequens oporteret undecim planetarum calculo elaborata» eplieme- rides Mathematicos condere >. Audaciae ignoscas oportet, Galilaee, liominis in rebus, non dixerim caelestibus, sed terrest ribus, imperitissimi; quod appositum ne quis credat temere Martini nomini praetigi, noverint omnes cum apud Maginum, non multo ante didicisse, quomodo apte caeli figura ab astrologis descrìbatur, nec mihi constat, un illam satis commode unquam hactenus delinearit ; et tamen, quae io est illius audacia, profitebatur sese, quod peritorum est, de integro anno mathema- tice praedicturum. Et ne vidcretur maiora pollicitus, quam praestare posset, in huiusmodi praedictione conglutinanda prò virili elaborabat, dum figuram caelestcm delineare discebat. Sed cui non profuit, primum apud ICeplerum Caesareum Mathe- maticum, deinde apud Maginum vixisse, miruin non est illum tam petulanter scri- psisse: cum ad disciplinas Mathematicas ineptissimum ingenium sortitila sit, id ex eo liqueat, quod si aliquam haberet cognitionem Astrologiae, liaec nunquam lit- teris, et praelo consignasset. Nam et si perfecto revolutiones ac motus a nobis horum planetarum cognoscerentur, tanti tamen non esset., ut in ephemerides rofe- rentur'; quia cum vix a love paullulum concedant, eaque sint parvitato, ut non, nisi 20 benefitio conspicilii artificiosi, cerni possint, maiora, quam sint, repraesentantis obiecta, sequitur eorum effectus in liaec inferiora ita mutilo» et infirmos esse, ut nulla digni sint observatione, et forsan prò varia eorum babitudine effectus Iovis aliquo pacto immutare possunt, non ita tamen, ut liaec immutatio a nobis unquam facile depraehendatur. Nunc autem satius est probare, an sint hi pla- netae; nam si id oculis perspectum fiat, quaelibet alia ratio, quae contra sensum minime hallucinantem obstrepat, audienda non est. Addit tamen Martinus : < si has undecim planetarum calculo elaborata» Ephe¬ merides haberemus, falsimi esset quidquid Ptolemaeus de septem planetis dixit; quia omnia septem planetarum axioniata reformationc iiuligerent, corrueret, Car¬ so dane, tota tua de septem planetis scriptura». Sed quomodo infert hic doctrinam Ptolemaei, Cardani aliorumque Matliematicorum de septem planetis esse falsam, licet inventi sint hi quatuor circa Iovem circulatores ? Oportebit ne singulis pla¬ netis aliquam, peculiarem domum seu exaltationeni attribuere, cum levi ita sint afiixi, ut ab eo non nisi paucorum minutorum spatio, scccdere possint? Cur, quaeso, falsa Ptolemaei et aliorum astrologorum doctrina qua Astrologiae principia expli- cantur, et fundainenta iaciuntur, si illam tot saecula totiesque repctitao obser- vationes constantissime confirmarunt? Sed ut incommodum est cum iis, qui prima alicuius disciplinae elementa nondum didicerunt disputare, ita temerarius haliendus est ilio, qui, ut dicitur, falcem mittit in alienam messem. Sed, his in praesentia 40 praeterinissis, nunc perquireiidum est, an hi quatuor planetae circa Iovem re¬ ni. 28 ,200 EPISTOLA APOLOGETICA CONTRA PKREGRINATIONEM ETC. porti fuerint, atque id sensu esplorare oportet, ut quilibet qui secus sentit et lo- quitur, in posterum conticcscat. Si igitur Martinua est faaaua disertis verbis, se hos vidisse planetaa, quos globulos, aeu maculaa niinutissimas, vocat, experiri non aolum debebat, un id esset solidum quid, voi apparens, vel hallucinatio visus, antequam publice suam fcrrct sententiam ; sed et so ipsum considerare et Ma- thcmaticae et Porspcctivae experteni, sibi cum viris eiusmodi disciplinarum peri- tissirais rem esse, seque facilius quam eoa decipi posse, et, in lucem edita huius novi inventi censura, facile se reperturum doctissimos virus qui, ut quid comporti haberent, rem illico experirentur, et alios certiores redderent quam temere nescio quis Gcrmanus in Galilaeum, virum in rebus matliematicis spectatissimum, pri- io vatim et publice invela non dubitalit. Satius igitur fuisset buie homini aut tacere, aut ad diluendam liane novam sententiam, non fìctitia, sed vera et solida, afferro fondamenta. Veruni, mi Galilaee, ne tibi longiori epistola taedium afferam, pluribus supersedebo. Rcliquum est, ut quando nobilcs patricii doctiquo viri saepe me con- veniunt, ut de hoc novo Astrologiae invento colloquantur, in lucem quam priraum edas reperti a te organi tlieoricam, ut te ab adversariorum calumniis vindicaro possim. Exigo hoc a tc, quia tumet hoc ipsum in Sidereo Nuntio polliceris cum ais: < Quod tandem in causa fuit, ut ad rationcs inquirendas, necnon media exeogi- tanda, per quae ad consimilis Organi inventionem devenirem, me totum conver- terem ; quam paulo post, doctrinae de refractionibus innixus, assequutus sum ; ac 20 tubum primo plunibeum mihi paravi, in cuius extreinilatibus vitrea duo Perspi- cilla, ambo ex altera parte plana, ex altera vero, unum splmerico convexum, alterimi vero cavum, aptavi; oculum deinde ad cavimi admovens obiocta satis magna et propinqua intuitus sum ; triplo onim viciniora, noniqilo vero niaiora apparebant, quam dum sola naturali acie spectarentur, ctc. >. Interim vale, et me redama. Solo cum regulo currente, anno ab initio mundi 5572, a Virgineo partu 1610. Excellentiss. Dominationis tuao Addictissimus Io. Antonius Rofeenus. Imprimatur 80 Vico Vie. S. Officii Inquis. Bonon. Fr. Albertus Diolaitus Ordinis Farmelitarum prò Illustriss. Doni. Archiep. 25. redama. Bononic, Sole — 20. Anno Pomìniee inearnalionii MIO et ai initio mundi 5S72 — 28-29. Ex.""’ tuae $tudiosinMÌtìnit AIANOIA ASTRONOMICA, OPTICA, PHYSICA AUCTORE FRANCISCO SITIO CON POSTILLE DI GALILEO. AIANOIA ASTRONOMICA» OPTICA.PHYSICA, glia Sy eterei Nuncij rumor eie Quatuor Pian et isti GaliUo Ga~ lilxo Mathematica Celeberrimo recens perfpicilli cutnf- dam ape confpetìisj vantts redditur . A VOTO RE FRANCISCO SITI O FIORENTINO. Theognidis Senrentia . M u)p~ev\rrou. S'erte tto/Aoi o/tooc xaxoi nS’e >{gù ec9Aoì M ijJtàcd’ou#o’u$eXoY’.x^ nipote ad ipsummet Gàlilaeum conscripta, fune de his novis paradoxis cum Martino Horky a Lochovic, doctissimi et excellentissimi Mathematici Magmi domestico, per literas agere coepi, et dubitationes circa lume opinionem cxurgentem àXXrjXow confane, et io sententìas nostras circa hanc opinionem mutuo aperire. Hinc ille Peregrinationem contro Sidereum Nuncium instituisse, scripturae stilimi hatul reserans, commemorava ; ego, uti illi par referrem, hanc meam A'.àvo'.av manifestavi-, ille, ut in luccm ad com- munem litteratorum utilitatem mitterem, negans se suoni Peregrinationem in lucem emissurnm, quia Maginus inhibuerat, adhortabatur. Ego vero mviUas et praecipuas causas, etiam meam Òtàvoiav luccm spedare cohibcntes, afferens, typis me illam con- cessurum negavi. Ginn de hac re litteris intei- nos ageretur, ille causas inancs red- dere insudabat, suadendo: ut libcllum lume typis committere vellcm ego, illis explosis, maiores difficultates excitabam, ut ex his librum praclo consigliare me non posse pateret; aitameli quasdam rationes nostri partus his litteris mutuo inserebamus. Mar- 20 tinus, uti reor, spe deposita, Mutinam proficiscitur, opuscultun suum plenum mor- daeibus dicteriis et caltimniis, me inscio, excudit, inque suum librum nomen meum, testimonii causa, ut et pluriuin doctissimorum vtrorum, refert. Aegro id ferens animo, ad eum rescribo, ut meum nomen e libro abradat, quasi ftUurorum praesagus; at ilio, a Magino hanc ob causam domo sua expulsus, Dononia migrans, liuic negotio remedium aliquod non attulit, meumque nomen, ut et cacterorum doctissimorum vi¬ rar um, excusum remansit: qui libo- cum ad Galilaei manus pervenisset, isque plu- rimas litteras intcr me et ipsum Martinum conscriptas fuisse rescivisset, animo male affcctus, me illuni dicteriis et caltimniis proscidissc, littcì-is ad consanguineum meum scriptis, hoc indicio levi addudus quoti liba- laudati Martini dicteriis sqttal- 80 lebat, quasi ego huitts rei conscius extitisscm, incoglie instinc/u meque andare talia conscripsissd, conqucstus est. Hac liita-ae cum inihi ostensae fuissent, insto dolore percitus fui, et me falsis causis insimulari et redargui aegre tuli ; unde otnnes tam meas guani Martini litteras cxhibui, ex qtiibits consanguineus incus agnovit, Gali- lacum, causa indida, sic falso me huitts criminis insi nudasse : qua de causa ani- inum lune ad publtci iuns lume libèUutn , rudem infornicmque partimi, faciendum appuli, ut Galilaeo apertius cuius toni mdhodique sint ima scripta innotcsccret, et quibits ex causis ad scribendum contro suum Sidereum Nuncium pennotus fuc- rim, et quam a caltimniis et dicteriis conscribendis, cum de rebus seriis agitar, animus meus alienus existat. Nani qitotiescinnquc de rebus scriìs controvcrsis agitar, <0 ASTRONOMICA, OPTICA, PIIYSICA. 209 quas non ìnanis verborimi strepitus , ut noe scommetta noe ioci determinare possunt , sed rationcs et argumenta firmis et certis propositionibus innixa solummodo sno¬ dare valent; ego semper in his causis a iocis salihusque et cachinnis abstinere consonavi rationique conveniens duxi ; natura enim disputantium exasperatnr , seri- bentiumque animi commoventur, ita ut hinc } ex eorum instituto , ad calumilias vel ad foemincas rixas procedatur , et controversia insoluta et indeterminata rélinqmtur. Haec sunty candide et benevole Lector , quae huic novo scriptori ausoni prodeundi praebucrunty et ut in arenavi descenderet et cimi potentissimo et invietissimo atldeta , (proli temerarius ausus!) viris doctissimis iudicibus f congrederer, excitarunt. Ilare ad 10 primevi causavi ; quae longiora extiterunt, quia longa renivi series enarranda fuit: sed in reliquis brevior existet oratio nostra. Seeunda vero et genuina causa, ingenimn debile , gracilesque vieae vires, libellum plures paginas implere prohibuerunt. Insupcr mila propositum est in hoc libello tantum de quatuor novis his planetis nupcr per perspicillum repertis disserere et, prò aetatis meae immaturiorisque intellectus capta , inquirere an sint et quid sint; et fautorum asseclarumque huius opinionis obiectiones rcfcllere et enodare, quod bre¬ viari indiget sermone. Nani caeteras sententias de Lunae qualitate, lactei circuii materia aliorumque sublunarium et terrestriurn rationcs et opiniones, intactas re - iinquo. Amplius ad hanc Siderei Nuncii discutiendam partem , qua de quatuor novis 20 planetis perspicilli ope conspcctis agitar , discendi studio et veritatis ratime accessi, llis fmibus vie meosque sermones continui , quos si aliquando liberius excurro , quae- davi alia examinandò, hoc sii quia ea coactus sum in medium adferre, ut ad insti- tutum nieum spectantia; quod non studio aliena carpendi, sed philosophantium liber- tatis more , ago. Ad ultimimi quod special membrum, comnunis omnium philosophorum, medi¬ corum et doctissimorum astronomorum opimo, libelli titulo inserviens et opitulans , oiolvgìxc, nomen indidit , mcliorem et saniorem mentem prae se ferens. Navi cum pluribus sapicntibus , quam cum paucioìibus , sapere praestat : si mclior existit sm- tentia et securìor, ut altera corruat necesse est. linde , cimi tnihi intercedei disputatio cum Sidereo Nuncio ex longissimis accito regionibus, puta e regione Iovis, cuius stella, seemdum opinionem Thyconicam (1) , 8990 semidiametris terrmis in mediocri di- stantia a superficie terrena , quam nos incólimus, abest; ideo vani rumoris, nipote proprio nuncii e longissimis regionibus venientis, quaedam panivi firma nec idoneis mediis comprolata refereniis , nomine denotatur. Huius titilli Ubi sit ratio; qua ni si contentus , scias ab amicis et familiaribus vicis , ut ab optimis et bene consultis no- menclatoribus, huic opusculo hoc nomen inditum fuisse, quorum auctoritatem et opi¬ nionem sequi, coactus sum . His expensisy super est, ut ad inditum adversarium nieum, fortissimumque alide - <0 Corresse in margine 'l\/chonicam. 210 AIANOIA ASTRONOMICA, OPTICA, PHVSICA. tain, sermonem convertam, cumque. rogem, ut opus hoc rneum, non in eius dedecus et nominis imminutionem susceptum agnoscat, sed animimi ad libellula hune, veri- tatis studio, et phUosophantium libertate in sententia ferendo, et discendi quo trahor desiderio, ut supra dictum est, applicatum existimet; quibus rationibus culductus ( tain- etsi non sólmi amicus, sed et laudator et admirator eius haberi velini) contro Si- deretmi Nuneium (cessantibus tot in astronomia praecipuis et eminentissimis viris, amicitiae vel honoris ergo) arma me sumere et in arenimi descendere profiteor. Bine iterum iterumque eum rogo, ut humanitate qua praeditus est ingenti haec et caetera omnia mea excipiat. Libelli progressus triplicatus existit (ut etiam de. methodo, benigne Lector, pauca io accipias) : priori in parte solimi septem planetas extare, tain physica qrnrn Humana, tain astronomica quam optica, argomenta comprobant; secando in loco, eorum, qui opinioni Siderei Nuncii favent, sententiae et obiectiones a/f'eruntur, et pio meis in- firmis et exiguis viribus cnodantur; denique, ultimo in loco, sententia mea afiferiur et comprolatur, et Siderei Nuncii pluribus propositionibus et conclusionibus oppu¬ gnata, in hunc ultimimi locum opticis rationibus, ut in eminentiorem et praestan- tiorem locum, reiectis. Amplius hac in ultima parte horum novorum planetarum yvyopévw causae explicantur; obiter autem quaedutn per totum librum, quae ad in- * stilutum tamen spcctant, sparsivi inseruntur. Haec mens, hic animus, buie libello incst; discedite ergo, et procul bine, procul 20 este, prophana Zoilonmi et Momornm ora; et vos, qui legetis haec, animo prorsus àrcaGel cuncta diiudicate. Hoc unum blatcronibus et allatratoribus opponitur propu- gnaculutn invictissimum, ìris verbis insignitimi: irridere facillmum, imitavi difficilli- mum. Vos vero àrcxOels acqui bonique consunte, et laborem hunc vestruin causa su- sceptum perpendite, et me eorum calumniis et mordacibus cachinnis expositum tri adgnoscite, et ex eorum me faucibus avidis empite ac vindicate; quod si impetravero, Sublimi feriam sidera vertice. FRANCISCI SITII FLORENTINI AIANOIA Astronomica, Optica, Pliysica. Mathematicae disciplinae cunctarum scientiarum certissimae et verae scientiae approbantur, cum solae tìrmis demonstrationibus nitantur, quibus intellectus ad- ductus aliter existimare non potest: harum pars astronomia existit caoterarum praecipua, ob praestantius subiectum; at, tribus aliis mathematicis partibas, nempe geometria, arithmetica et optica, suffulta, admirandos et insignes effectus parit: altitmlines enim caelorum metitur, periodicas revolutiones planetarum in numero» io redigit, distantias stellarum explorat, superiores ab inferioribus secernit et dividit; quae omnia ministerio et subsidio laudatarum confìcit: ex arithmetica enim nu¬ meros adsciscit, ex optica et geometria demonstrationes certas et eyidentes mu- tuatur. Hinc, cum tota quaestio de bis quatuor novis planetis circa astronomiam versetur, totusque hic cardo circa stellas, quas Galilaeus perspicillo observavit, volvatur, hasque astronomia sola dignoscat, tamen, ut dictum est, cum omnia adminiculo optices et geometriae maiora operetur, placuit, et ad opticam recur- rere, quae hanc litem et controversiam absolutura est, liocque anceps dubium explicatura. Nam quaestio haec, quatenus visio fit et observatio horum pianeta- rum instituitur per media diaphana, aere densiora, qualia sunt vitra ilio longo 20 tubo stanneo aptata, opticae propria et pcculiaris erit, quamvis de materia stel¬ larum, quae ad astronomiam proprie spectat, agatur; hinc (1) , si ipsarum solis pvaeceptis et propositionibus mihi procedendum fuisset, placuit et (S) non bis solis uti mediis. Nam pliilosopbus cum astronomo et optico rnultas admistas et communes discutit materias : meteora enim generalia et specialia, terrena et caelestia, con¬ si derat, caelorum motus explorat, existentiam orbium et planetarum inextrica- biies periodo», Solis defectus et varios Lunae labores, disquirit; sed inferius de- scendendo, aerem elementarem a caelesti essentia segregat, fulminum originem, fil Dopo hinc aggiunse et uell’interlinea. Espunse et, sostituendo tamen. 212 DIANOIA cometa-rum virtutem, iridum, halonum et virgarum creationes, investigati quia non haec omnia astronomie et opticae communia statuet? Sic in hac materia ali- quam partem sustinebit, auxiliumquo philosophus nobis praebebit. At denique opticae concluaiones separatim tractabuntur ; nani sola et per se, beneficio tamen geometrices (1) , speculoruni planorum, concavorum et convexorum miracula, expli- cat, hallucinationes detegit, et eorum fallacias explorat. Ilis praelibatis, ancboras eportu oxtraho, retinacula solvo, vela ventis exhibeo, iterque meum aggredior w . Tota veterum astronomorum et philosophorum schola hoc statutum et ratum omni aevo habuit dogma et principium, et auctoritate sum- morum, tam philosophorum guani astronomorum, comprobatam sententiam, non io plures aut pauciores septem numero pianeta» existere ; qua innixa maximos eventus adgnovit, mira exercuit memoriaque degnissima litteris consignavit. Cuius vestigia sequens, nostri aevi schola, etsi doctrina et scientia in feri or, tamen adrai- randa patravit, quibus hominum mentes attonitas et stupore perculsas reddidit. Haec tamen principia firma et stabilia in dubium mine revocantur, et sub incu- dem trahuntur. Cum Galilaeus Galilaeus in Gymnasio Patavino Matbematicus haud ignobilis, cuiusdam perspicilli nuper a se illustrati beneficio adiutus, plures ponere insudat et hominibus persuadere ni ti tur; non quod eos realiter credat, sed ut indoctiorum mentes, e quorum numero unus existo, exerceat: quia illuni antiquam astronomorum scholam in principiis constituendis errasse, unquam 20 asserturum non reor; nam uti domus nituntur fundamentis, sic scientiae principiis fundantur, quibus collap6Ìs et destructis, uti scientia cadat, siculi domus, necesse est. Sed ut ut sit, hic sola scholae inveterata opinione nullo modo utar, ne Side- reus mihi obiiciat Nuncius, quod illa opinione magis quam veritatis adducta ra- tione (quod tamen absit ab opinione tanti viri, qualis est Galilaeus) hoc dogma sta- tuerit, et tenuerit hoc principium inveterata potius quadam opinione: qua propter, ut a gemino, ut dicitur, ovo exordiar, cum ipsis mundi incunabuli initium ducet oratio nostra. Sic ex duorum sacrae paginae locorum interpretationibus, praeter alias quae ab interpretibus super haec loca afferuntur, soptem solum planetas a Deo Optimo Maximo creatos et in caelo positos patebit. Auctoritatem interpretÌ9 30 lorsan non repudiabit; nam non astronomis tìdes, sed eorum acerrimo et infestis¬ simo ho 9 ti, adhibenda est, qui tam infenso odio omnes astronomos prosequutus est, ut eos e medio, si illi integrum fuisset, cum tota astronomia funditus sustulisset et eradicasset : attamen septem planetas recognoscit, et ex pluribus sacrae scripturae locis liunc erronum numerum eruit; cum sola Ime assertione totani astrologiam eradicare funditusque evellere potuisset ; tamen, buius principii doginatisque perspicuitatem et certitudinem refonnidans, hoc concludere non ausus quae naturam phlegmaticam suscipit: trigonocrator Mars diurnus et nocturnus, at Lunam et Venerem sibi iungit socias. Hinc illatio baud dubia existit, qualitates primas ex planetis emanare et componi. 20 Altera in promptu ratio existit. Duodecim sunt in Zodiaco circulo, orbita horum septem planetarum trita, cum ab ea nunquam circumgirationem deflectant, signa vel constellationes, quae duodecim Caeli domicilia astronomi nuncupant, in triginta gradua unumquodque dividentes, eo quod totidem fere dies Luna ab una Solis coniunctione ad alternili assequendam interponat; unde etiam et Zodiacus in duo- denarium signorum numerum partitus venit, quod in annuo spatio, quo Sol Zo- diacum totum permeat et ad eundem revertitur punctum, duodecim pliases et plenilunia intermittantur. Signa, in bunc moduni partita et distributa ab effecti- bus, solum septem planetis assignata sunt, unicuique quinque planetarum duo et unicuique luminarium unum ; quae sunima duodenarium implet, ut si ad aliuui 80 quempiam ordinem ea signa traducere moliaris, nullo modo congruere et concor¬ dare possenti etenini effectus, ex quibus astronomi potissimum ducti sunt ut hanc distributionem signorum patrarent, corruerent; ita ut nihil certi aut rati, nec de praeteritis nec de futuris, haberi posset: quod tamen et eventus praeteritos sat dilucide probasse, certissima historiarum extant testimonia. Quapropter, si efl’ectus et phaenomena auferremus ex hac nobilissima scientia, eam penitus e scholis eli- niinaremu 8 . Nec vai et, quod addere posset Sidereus Nuncius, planetas quos astruit, quia circa Iovem volvuntur, ipsumque prò centro in rotationibus suis observant, nec domicilia mutare, nec ordinem supra enarratimi frangere, sed easdem cum love 40 ASTRONOMICA, OPTICÀ, PHYSICA. 217 fiorimi chorago et ductore dignitates et domicilia recipore. Non valet, inquam; quia, si retinercnt dignitates, retinerent et naturam, cuin, ut sopra dictum est, di- gnitates in unoquoque signo planetis consignatae sint ob signorino proprietates cura iis congruentes : at natura stellarura habetur ex colore et lumina; quod ex tixis patet, inter quas et hosce tuos pianeta» nulla diversa ratio est, qua cogamur naturam aliunde venal i quam ex iis mediis, quibus potissimum, ut certissiinis, an- tiquiores et receutiores omnes astronomi utuntur, videlicet colore (ut vulgo ap¬ pellatili) et lumine. Verbigratia, Ioviae stellae (ut doctissimi et eminentissimi Kepleri verbis utar) splendidae et rubedine nonnulla perfusae videntur, qualis est lovis io color et lumen: at isti planetae, nec colorem, nec lumen lovis, referunt. In testi- monium accio tuos spectatores, qui alium colorom et lumen a love distinctum habere hos imaginarios planetas, omnes uno ore tassi sunt: ego enim lmius rei testis, cum mea causa agatur, existere nec volo, nec rationi consonimi duco. Si colore et lumine et natura et etì'ectu distingui necosse est, cum natura stella- rum et virtus per colorem et lumen habeatur et ab astronoinis consideretur, sic domicilia et dignitates easdem cum love bis planetis adesse posse, quis inferet? Amplius recens astronomorum schola, et Terram motu praeditam et immobi- lem asserens, omnes planetas circa Solem circumduci statuii, exclusis illa aequan- tium, deferentium, epyciclorumque inani congerie et taediosa farragine; tamcn luiec 20 non tollit veterem doiniciliorum rationem, et distributas unicuique planetarura ab antiquis signorum dignitates. Sed forsan convenientiores tibi videbuntur Venus et Mercurius, qui (ut tui errones, vere erronei) a Solis conlìnio paululura disce- dunt: prior enim per sextantem ab eo non elongatur, posterior per unciam fere non divagatili*attamen iniusqnisque eorum habet propria domicilia, exaltationes et trigonocratiam, quae omnia tot tantisque observationibus rata et confermata sunt, et usu et experientia vera reperta, ut de hac re nullus scrupulus in praesens re- lictus sit. Quis pari ratione hos fìctitios planetas, easdem cum love dignitates sortiri, concludet? Integra ergo et illaosa ut ratio maneat, necesse est. Alia nobis adstat. ratio, quae planetarum numerimi et quantitatem veterem 30 confirmat. Stellae omnes fixae, quae oculis mortalium obviam fiunt, nullos alios colores referunt, quam illos qui septem planetis attribuuntur, unde eorum natu- ram et significationem in eflectibus producendis induunt; quod cuique inspicienti sat clarum existere arbitror. Ad maiorem huius argumenti vim, unusquisque qui planetarum colores ignorat, hanc astronomorum doctrinam accipiat. Primae classis viri Saturno, infausto et tardissimo sideri, infortunae maiori, stadiuin suum tri- ginta annorum fere spatio conficienti, colorem attribuunt plumbeum ; quapropter [5] obscurum (1) La postilla ò riferita alle lineo 21-24. 218 AIANOTA fixae, quae talem colorein nanciscuntur, stellae Saturniae nuncupantur. Iovis stellae beneficae Saturnoque velocioris, utpote qui fortuna iunior ot cumini Zodiaci suum duodecim fere implet annis, clarus fulgens oculis inspicientium se oxliibet color. Martis, infausti ot tremebondi sideris at superiore velocioris motu, infortunae mi- noris, curriculum suum sui deferentis orbis duobus fere annis absolventis, fulvus igneus apparet color. Solis, planetarum omnium principia et ductoris, cum ex eius motu caeteri planetarum pendeant, eius enira motus ignoranza caeterorum loca vera et apparentia celat, aureus et nitidus splendet color. Veneris, pliosphori vesperique astri, fortunae minoris, venustus splendens viget color. Mercurii, incerto motu varii et inconstantis sideris deprohensu diflicilis, pellucidus videtur color (!) . io Lunae denique, nocturni luminaris minoris, argenteus deiinitur color. Undn, cum cuilibet intuenti caelurn nullos, praeter enumeratos, colores alios spectare liceat, an non optima erit illatio, non plures existere quani septem planetas? Sed instabit Sidereus Nuncius, quod stellae fixae, quae puris oculis cerni ne- queunt, sed tamen perspicilli beneficio sunt visibiles, liorum novonun planetarum naturam et colorem et aspectum referant. At nulla est linee instantia, dato non concesso quod ope huius perspicilli stellae videantur vere, quas ilio enumerai et nebulosas ot lactei circuii et Orionis: Lunae et Martin, Saturni et Mercurii naturam, ex experimentis, effectibus et influentiis carlini in liaec inforiora, reti¬ nere comprobatum est: inule non novorum fictorum planetarum natura et color 20 existet ii8 (i) . Videndus praecipuus huius rei auctor Ptolemacus, c. 9 primi Quadri- partiti; quin, si has stellas bis novis planetis affingas, plurima absurda sequentur, quorum praecipua sunt liaec. Primuin, hos planetas rtctitios non retinero propriam et peculiarem naturam, sicuti caeteri planetae nobis cogniti retinent, cum Martis et Lunae, Saturni et Mercurii, naturam et effectus referrent ; deinde, cum circa sidus Iovis volvantur, potius naturam et colorem Iovis referro deberent, ut ait, non aliorum planetarum (quod tamen superili» declaratum est non dici posse), emn sit potior ratio, et, quod potissimum est, ab aliis planetis virtute et Inuline dependerent. Quod quantum a propria planetarum natura aberret, diiudicent dodi; nani hoc de veris et realibus planetis dieere, ninnino absurduin csset: ete- so nini, etsi vulgo credatur Lunam fratria Solis radiis micare, tamen liabet peculiare lumen, quod eius eclypses manifestissime comprobant, sed, quod magia, proprie- tates et conditiones multum a Sole distinctas et separata» continet. Adde quod, sicut planetae Siderei Nuncii indigent perspicillo ut cognoscantur et videantur: necessario et hoc perspicillo opus esset, cum suas influentias et ef- iectus in liaec inferiora eiaculari vellent, etenim sidera motu et lumino operari et inllueie certum est; an hoc absurduin? Quod probari potesti nomo enini mor- talium cognovit hos planetas, sic nec effectus, si effectus abiliti ; ergo eorum vires Lo lin c« 6-10 furono segnato'in margino. Le lineo 18-21 furono segnato in margine. ASTRONOMICA, OPTICA, PHYSIOA. 219 et proprietates ac nebulosorum siderum Orionis et lactei circuii, etsi (ut tibi placet) inconspicua sint, at opera tui perspicilli visibilia, tamen eorum effeotus et influen- tiae ab astronomie et notatae et conspectac sunt. Quid bine sequatur, iudica. Altera datur ratio. Sol vehiculum lucis, bine fons luminis origoquo caloris, ita ut non immerito cor mundi vocetur. Uti in microcosmo cor, ita in hac im¬ mensa mundi mole Sol: in media corporis parte sistitur cor, ut aequaliter et calor et sanguis et spiritus caeteris corporis partibus communicetur ; ita Sol in medio et mundi et planctarum statui debet: cor, secundum praecipuorum medi¬ corum sententiam, prius componitur, quam caeterae corporis partes in utero ma¬ io terno; sic lux prima a Deo rerum omnium in hac mundi compage, cuius vehi- culum est Sol, ut sanguini et caloris cor. Hinc, ut ex aequo calor, lumen et virtus omnibus et caelestibus et sublunaribus impartiatur, medium in mundo locum ex necessitate requirit, quia solae linea© ductae a centro ad circumferentiam aequalcs existunt: hinc exurgit, quod uti caeteri planetarum motus habeantur, haberi non possunt absque ipsius Solis '^cpcrpopias, ut cuique tabulas tractanti ob- viam est: sicut (,) aequaliter motriccm virtùtem iis communicat, sic medium locum et principatuni requirit; et sicuti est corpus nobilissimum, numero etiam per- fectissimo et nobilissimo circumvallali debuit: unde numero ternario, utpote di- vinitatem praeseferente, inferius et superius aequaliter cingitur; sic trium supe¬ ro riorum inferiorumque trium, uti splendidissima corona sex gemmis fulgentibus radiata, eius redimitur soliuni. Ultima ex alchimistarum placitis eruta ratio pulcberrima et convenientissima existit, ex eminentissimo Tychone desumpta, talis. Tot planetae in superiori ilio theatro repcriuntur, quot in hac inferioris telluris machina metalla, et in (itxpo- xéa|iq>, ad utriusque idcam composito totiesque a nobis iam allato, organa, agno- scuntur. Nani haec omnia tam pulchra et concinna similitudine invicem colligata sunt, ut paria fere officia liabere videantur easderaque proprietates et naturam, ut laudatus auctor refert. Duo luminaria prestantissima, Sol et Luna, in cae- lesti illa regione perspiciuntur ; duo praestantissima metalla, aumm et argentum, 30 in crasso terra© globo. In |v.xpoxóa|Jti|> vero nostro duo praecipua vitalba organa, cor et cerebrum, agnoscuntur; duo benefici planetae, Iuppiter et Venus, creduntur, et duo secundae dignitatis metalla, stannum et cuprum, duoque secundi ordinis membra, iecur sanguinis receptaculum renesque generationis fontes, apparent. Duo malefici, Saturnus et Mars, duo abiectiora metalla, plumbum et ferrimi, duo aeque viliora bominis membra, splen et fel, constituuntur. Ultimus planetarum Mercu- rius, Protheo mutabilior, ultimum metallorum òSpàpyopoi;, linda mobilior, sive ar¬ gentum vivum, ultimumque organorum pulmo, statuitur. Ex quibus et aliis inniuneris rationibus, quibus adducta tota astronoinorum 9) Corrcsso sic. 220 AIANOIA schola tantum septem planetas credit et constituit, recte concludi arbitror, non plures quara septem planetas existere, inde merito ab ipsa septem soluni, non plures, assignatos fuisse credendum. Absolvi priorem buina libelli partem : nunc ad aliam me conferò, in qua refel- lenda sunt quaedam dubia argumenta, quae a Siderei Nuncii opinionia assedia et fantoribus, ad horum quatuor planetarum existentiam comprobandam, adducun- tur, quibus fulcitur et austentatur ; sic, bis eluaiB, ut tenues vanescat in auraa Si- dereus Nuncius, et ut vanus rumor exiatat, necesse erit. Prima igitur fautorum ratio, qua buius opinionia aaseclae probare nituntur bos quatuor planetas realea existere, non tictitios aut imaginarios, ex eo exurgit, io quod modo unica stella, modo duae, modo tre» et denique quatuor conapiciantur; et ob banc diversitatcm apparitionia ilbts realea, non iinaginarioa nec ex refra- ctione generatos, volunt, nullamque visus fallaciam extare concludunt : aie ex hac diversitate apparitionia excludi refractionem et allucinationem contendunt, unde realitatem et existentiam horum planetarum inferunt. Attaraen non considerant, visionem liane fieri per plura media diaphana aere denaiora, qualia aunt chri- stalla et vitra, sat quidem densa et alicuius concavitatis, per tubum atanneum vel ligneum alicuius longitudinis et proportionis, quo radii viauales voi anguli cohibentur et retinentur, perque aerem nocturnum roscidum et vaporosum : sen- tentiamque opticorum probatiasimorum existere non norunt, quod, quotiescumqne 20 rem aliquam per medium aere donsius intnemur, refractionem in superficie cor- poris aere densioria existere necesse sit. Sic qui ista proferunt àvout’.xof indicio suo se proferunt, et ignorare prima et principali refractionia axiomata demon- strant; uti caeci, de coloribus disaerunt senauique refragantur, cuin hallucinatio- nem claram et apertarn ante oculos habeant, nempe rem visam augeri, eamque oculo appropinqua ri longe dissitam, ignorare fatentur, et, quod principale est, as- sertores opinionis Siderei Nuncii exiatentes, eiua prima principia non tenere, nec librimi legisse, ostendunt; aut, si legerunt, non intellexisse patet ; ait enim Side- reus Nuncius in ipso libelli limine, ubi de pcrspicilli constructione disserit : < ne- cessarimn est (verba ipsiusmet auctoris loquentis de iis, qui sidera circa lovem so et caetera phaenomena videro i>er perspicillum desideranti, ut sibi perspicillum parent exactissinunn, quod obiccta perlucidn, distineta et nulla caligine obducta, repraesentet, eadem ad minus secundum quatercentuplam rationeni multiplicet >. Haec Sidereus Nuncius: quaerere ab illis iuvat, an haec multiplicatio fiat per sim- plicem visionem. Sunt enim tantum tres visionis apecies, ex propositionibua primis lib. 4 et 5 Alhazeni: directa et simplex, reflexa, et refracta: per simplicem et directam fieri non potest, quia fit per inedia diaphana a^rc densiora, nempe vitra, et simplex visio in tantam magnitudinem corpus aligere neque&t (,) ; per reflexam minime, quia (i) Corresse in margine ncquiu ASTRONOMICA, OPTICA, PHYSICA. 221 in specillo, vel specillo, lovem non conspectamus ; sic per refractam contingere ne- cesse est. At, his omissis, in steliis fìxis et erraticis allatam propositionem locum habere dico, dummodo simplici visione eas apparentias variare cognoscercmus : at quo- tiescumque eas per visionem refractam internoscimus, tunc vini suam propositio¬ nem non retinere patet. Nani ex simili propositione, parelias, paraselinas, vera entia realia, non Solis Lunaeve imagines, existere eliceretur, nec in iis visus de- cipi aut hallucinari sequeretur, cum puris oculis, nulloque adhibito perspicillo, haec spectemus, interveniente tamen aliqua refractione. Addo, si absque refra- 10 ctione hoc in corporibus lucidis evenit, ut illa intuendo geminata, duplicata et quadruplata, spedare liceat, cum digito vel manu oculi angulum exteriorem com¬ pri minius; magis simpliciori visione, nullo admoto ad oculuni digito, hoc contingit, si fortius rem luminosam intuemur, cum visus laedatur : ut Rogerius Bacchon in sua prop. (l) asserit, et Alhazen, prop. 1, lib. 1, demonstrat, plures imagines talis speciei luminosae apparent; idem Bacchon loco laudato, Io. Bap. Porta, prop. 1, lib. 6 et prop. 6, lib. 7, De refr., Opt. parte. Mine ne, quod modo plures pareliae et parasclinae, modo pauciores apparent, modo enim duos Soles, modo tres, modo duas Lunas, modo tres, videmus, ut ex historiarum patet monumentis, pauciora vel plura corpora lucida conspicinius, asseverare debemus, tot extare Soles, Lunas, 20 quot oculis nostris sese offerunt, et, similiter, tot corpora lucidiora? An, ex huius diversitate apparitionis, et realitatem pareliarum et paraselinarum etsimilium cor- porum lucidiorum inferendam esse dicemus? Prima ratione asseclarum sic explosa, altera eiusdem generis obiectio se nobis exhibet, et sic se liabet. Astra, quae variant sitimi et locum, et modo dextra modo sinistra sunt, modo, respectu positus mundi ad astrurn, orientalia vel occiden- talia existunt, vera, non imaginaria aut tictitia, credenda sunt; sed Ili quatuor planetae modo dextri modo sinistri, modo orientales modo occidentales, respectu positus mundi ad astrurn ; ergo veri et reales censendi sunt hi planetae. Quod per refractionem similiter non procreentur, sic demonstrasse sibi persuadent : an¬ so gulus visorius in refractione, aequalis in potentia a dextris, ut a sinistris, existit; ergo, si per refractionem Ili planetae generarentur, iisdem in sedibus totidemque a dextris, ut a sinistris, conspicerentur, nec apparitionem situs mutarent vel va- riarent. Quae rationes et propositiones quam debiies et infirmae sint, diiudicent astro¬ nomi. Primam in eorum gratiam non concludere, ex supra dictis patet; nani, uti in prima obiectione responsum est, ex eo quod modo duos, modo tres horum planetarum, conspicinius, realitatem et existentiam concludere non licet horum lovis circulatorum; sic ex eo quod modo dextri modo sinistri, modo occidentales M Cancellò la parola prop. e soprascrisse Proep. 222 AIANOIA modo oriontales, respectu ipsius Iovis, sint, reales existere comprobari non possent, cum hoc cpatvópevov liabeatur per visionerà refractam, non simplicem : secundam non vcram existere, ex opticis deolaratur. Nam anguilla visorius (ut iisdem ver- bis utar), quo niagis ad perpendicularem voi ad conoentricam accedit, eo maio- rem vim reprnesentandi rei visae imaginem habet (Alhazen, prop. 10 lib. 3), et e contra; ideo, quantum a dextris magis ad rectam pyramidem accesserit, tanto perfectior, et e contra ; a sinistris vero, quantum a concentrica longius recesserit, tanto imperfectior visio, et viceversa, existit (Porta, prop. 7 lib. «1, De ref., Opt. parte); quapropter quaedam itnagines vidobuntur a dextris et perfectiores, et e contra, voi omniiio a sinistris nullae apparebunt voi imperfectiores, et viceversa io (Vitello, prop. 45 lib. 3). Exemplo res clarior fiet, etsi ex superioribus Alhazeni, Vitellonis et Io. Bap. Portao propositionibus, satin hoc comprobatum sit. Quis ignorat irides matutinas, vespertinas, orientales occidentalesque, conspici posse? sic halones, duplices Soles triplicesque orientales occidentalesve, Lunas duplices a dextris ut a sinistris, spectari posse? Quis iridein scmicirculari figura praeditam non recognoscit ? Cum centrum Solis, oculi et iridis, in eadein superficie reperiri debeat, ut iris gignatur, bine ne radii visuales aequales in potentia, a dextris ut a sinistris, secuiuluni propositionem allatam, existere ileberent tanto magia, quanto quia omnes lineae ductae a centro ad circumferentiara aequales existunt; atta- men, v. g., ex una parte imago iridis perfectior magisque vergens ad semicircula- 20 rem, ex altera imperfectior et manca, spectatur: ex una parte maiores (l) colorimi portiones, illaeque distinctiores, ex alia maiores et confusiores, cernuntur, uteuique intuenti sat clarum existit. Si propositio vera extaret, hoc minime contingeret. Quod de iride, idem de halonibus et pareliis, sentiendum est. Quis ex hac diversitate situs, et ex hac radii visorii deficiente virtute, refractionem in bis planetis evellit et exdudit? Qui philosophus, vel ìnatbematicus, vel opticus, unquam profatus est? At dicent, non esse parem rationem inter astra et meteora, nullamque dari si- militudinem. At qui ista proferunt, bos Iovios erronea stellas existere probent, et in codoni caelo Iovis bacierò per ipsum perspicillum demonstrent; et erunt mihi magni Apollines. Sed alia via ad hanc obiectionem nullius ponderis diluen- so dam progredir. An pareliae, paraselinae, halones, circa Solem et Lumini, ut isti novi planetae circa Ioveni, videntur ? An hic agitur controversumque est, an an¬ guilla visorius eandem vini rctineat, a dextris ut a sinistris, in uno loco ut in alio? an eandem potentiam imagines repraesentandi a dextris ut a sinistris ha- beat ? Sic exempla illata optime et convenientissime quadrant, nani, quatenus sub visionem cadunt, eadein ratio erit maior et convenientior ; nam si hoc contingit. in locis aereis oculis propinquioribus, in figuris circularibus, quanto magia in 1 emotioribus, in figuris rectilineis, contingere crcdcndum est 1,1 ? Si intermedii *'> Cancellò maiorei e soprascrisse miWti. Le linee 85-88 sono segnato in margine. 22à ASTRONOMICA, OPTlC'A, PHY8ICÀ. vapores hoc cpatvójievov efficere possunt, quanto magia aer nocturnus, vitra, corpora diaphana inaequalis crassitiei et forrnae, causari poterunt? An datur similitudo in liac visione et aequiparantia certe convenientior, quam opus esset talibus assertori- bus. Amplius, etsi liaec meteora dicuntur, perque refractionem quoquo modo ge- nerantur, tamen liaec simplicibus oculis cernimus; has vero stellas per intermedia corpora diaphana diversa ab aeris diaphanitate, non simplicia sed geminata. In his meteoris verum locum et situm agnoscimus; in bis vero Ioviis circuiatoribus alterum locum alienumque sitimi habemus, cum rei visae imaginem per corpora diaphana in concursu catheti et lineao refractionis extensae conspiciamus (Portae io prop. 4 et 7 lib. primi, De refr., Opt. parte). An his contenti ? Convenientius forsan erit, quasdam liallucinationes e corpo- ribus diaphanis aere densioribus procreatas in hunc locum adducere, ut abradam oimiem dubitandi ansam et obstupcscendi causam. Ex vitris oppositis Soli, Lu nacque et astris, cometae, irides, halones et virgae, procreari videntur. De his propositionibus auctores fide dignissimi mihi praesto sunt: etenim e meo cerebello talia non promanant. Eminentissimus et doctissimus vir Ioannes Keplerus, quem Galilaeus iure optimo magni facit, in sua absolutissinia Astronomia Optica, p. 267, cometen efibrmandi scientiam aperit per vitreum globum aqua repletum ; sed hoc vitrum nimis compositum, minusque proposito nostro idoneum, videbitur, utpote 20 figura globosa, aqua repletum, existens, in quo non simplicis corporis diaphani refractio contingat; per simplicius vitrum procreationem halonum virgarumque et iridimi, tam circum luminaria, quam stellas, Porta, prop. 27 et 28 lib. 9, De refr., docet, Vitello, prop. 83 et 84 lib. 10, dcmonstrat. Vitrea vasa, poma, denarios et omnia quae in eis posila sunt, diversa, forma et situ et numero, si aqua replean- tur, exhibent Porta, lib. primo, prop. 11, et lìacchon in sua Prospectiva. Sed do his satis; ulterius progredior. Ilac secunda similiter elusa, tertia asseclarum obiectio venit, qua omnimodam victoriam sibi promittunt, unde Io triumphe! tibicen canit: nain al) opticis plii- losophicisque rationibus impugnari non posse existimant, cum, experimentis ob- ao servationibusque nullas huiusmodi apparentias circa alios planetas nec circa stellas fixas lice perspicillo videri posse, comprobatum babeant; unde sic ratio- cinantur. Si hoc perspicillum decipit visum, cum circa lovcm tales apparentias demonstrat, etiam idem praestabit circa reliquos planetas: sed tale quid circa alios errones, nec circa reliqua astra Siderei Nuncii, perspicillum exliibet: ergo, hi planetae, qui circa Iovem spectantur, reales sunt, non lieti aut imaginarii. Cui nobilissiinae rationi obimitescerem, nisi animum labantem non sat in Mathema- ticis disciplinis laudatus Keplerus erigeret, actumque de me esset. Tamen, quia asserit futurum, ut Galilaeum sex vel octo circa Saturnum, duos circa Martelli, unum forsan et alterum circa Venerem et Mercurium, in deprehendendo prae- 40 vertat, auctoritate tanti viri fultus alioruinque doctissimorumque virorum si¬ ili. 31 224 AI A NOI A miiia cpatvó|xeva circa stellas tixas conspexisse asseverantium, experimentis eorum oinnino fidom non adhibendam esse reor. Tamen tanti eos facio, ut, cum testes oculati etiam in propria causa fido dignissimi sint, illosque dixisse mila sullìeiat, et haec re ipsa se Imbere ut aiunt concedo, nempc bas stellas circa alios pla- netas et stellas non conspici w . Ex Ime propostone illationera, quam extraliunt, sequi non video; in logici» etiam hoc minimo evenit, ut ex dispariuui inductione illatio optima sequatur. Nescio, in hanc novam astronomiam hanc concludendi novam formam introduxerint, ut, qualiter novos pianeta» ponere student, sic etiam novam inferendi formam invenerint ; etenim non apud logico» recta esset illatio. Ex oo quod circa Lunam tale cpaivójuvov hoc instrumento non agno- io seitur, circa Venerem et Mercurium tale quid non conspicitur, circa Martern et Saturnum tale» apparentine non exbibentur, circa stella» fixas talea imagines non notantur; mule noe circa Iovem, nisi reale» existerent, hi pianeta© conspi- cerentur. Illatio enim tum demum valet per inductionem, cum omnia in ea po- sita sunt eiusdem convenientiae ot proprietàtis naturaeque cum iis quae in. an¬ tecedente afferuntur. Sed tantum distant caeteri planetae a love postone et situ, sed, quod magia est, propriotate, magnitudine et lumino secernuntur, ut cum illis pauca liabeat relata, praeter solimi motum, quo a stelli» fixis orraticae difFerunt. Ilaec ex parte stellae disparita» existit; sed alimi impedimentum hoc eflicere potest: nani uti unaquaeque res visibili existat, determinatam distantiam 20 et interstitium, in quibus tantummodo videtur, habet Enel., 3, theor. Opt., Vitel., prop. 8 lib. 4. Sic perspicillum, quod laboratum fabrefactumque et praeparatum est ad videnda ea, quae in ea distantia, in qua Invi» caelum a terra collocatili*, non potest videro ea, quae superiora sunt aut interiora, eodem perspicilli stata et longitudine, nisi et vitrum permutetur, et tubus stanneus vel ligneus ex maiori minor, vel ex minori iunior, fiat, et quaerntur, elongando vel minuendo tubimi, aliqua tubi longitudo {,) : quae cum pcriplieriae vitri centro et rei visibili» distantia congruat. Nani unusquisque, qui ex eorum genere constructum perspicillum con- trectavit, perque ipsum inspexit, eoque usus est, cuius tubus stanneus vel ligneus mobili» sit, nec sit in illa tubi et centri et rei visibilis distantia firmati!» et eoa- so ptatus, in qua existere accesso est, ut rei visibilis imagines conspiciantur, locum in ipsa tubi longitudine existere agnovit, ex quo res visae melius et distinctius videntur: linde, cimi eo uti volumus, nos tubum in tali puneto disponimus et col- locamus. Unde etiam in ipsa tulli longitudine, pari ratione, loca alia existunt, ex quibus res omnino videri non possimi; uti in speculi» convexis vel concavis ipse confusionis vel inversionis imaginis punctus, ex quo quantum receditur vel ac- [6] quid sibi velit non intelligo. {V (1) Le linee 21*27 sono segnate in margine. La postilla è rilerita alle linee 35-40 della pag. precedente, e alle linee 1-5 di questa. ASTRONOMICA, OPTICÀ, PIIYS1CA. 225 ceditur, tanto distinctius vel confusius imagines rei obiectae apparent: sic in tali perspiciilo, quo magis vel minus ad tubi punctum, elongando vel minuendo tu¬ bimi, acceditur, in quo rerum visibilium oppositarum imagines perfectae cernun- tur, eo distinctius vel confusius eaedem spectantur. Unde inferre non dubito, quod bine causa oriatur, quare, si stellas tìxas vel alios planetas inspicimus, tales apparentias circa reliquos, uti circa Iovem, non conspiciamus ; posito hoc vero quod asseclae volunt, lioc perspicillum circa alias stellas non causare eundem effectum : unde illationem, quam ex tali phaenomeno concludere nituntur, irri¬ tane et vanam extare patet. io Quarta et ultima fautorum ratio superest, explosa superiori illa strenua et invictissima ratione, talis. Omnis nostra scientia a sensu, secundum omnium phi- losophorum dogma; nihil enim est in intcllectu, quin prius fu eri t in sensu: unde si hos planetas spectamus, eos, quia in cacio realiter existunt, videmus; etenim perspicillum res, quae realiter non existunt, nobis non exhibet, uti experientia docet. llinc, etsi minutissima longcque dissita et invisibilia nobis ostendit, ea, quia vere in rerum natura existunt et rcipsa et facto ponuntur, demonstrat; sed propter liumani intuitus imbecillitatem et anguli visorii exiguitatem ea conspi- cere non possumus: unde concludunt, si planetae realiter et de facto in cacio non consisterent circa Iovis corpus, quod eos non visibiles hoc perspicillum 20 redderet: unde ex necessitate consistere concludunt, quia illos perspicillum de- monstrat. lluic rationi et obiectioni sic satisfacio: primo, superius aliatimi philosophorum axioma in caelestibus minime locum habere, demonstro; nani quidquid est in caelo, non sensus beneficio, sed ipsa rationis potentia, cognoscimus, et ratiocina- tionis intervenientis beneficio hauriinus: quod bis exemplis confirmatur. Quis do- ctiorum ignorai, stellas omnes in octavo existentes caelo Terrae magnitudinem ipsamque Lunae superare, et tamen, si sensui et ipsi simplici visioni acquiescere velit, et Terram et Lunam omnibus in caelo stellis maiores crederet? Quis stellas tìxas altiores et eminentiori in loco positas Saturno Ioveque et omnibus denique so planetis iudicaret, sensus solius babita experientia V Quis Solem et Lunam et cae- tera sidera solo intuiti! mobilia asscreret? Quis corpora caelestia sphaericae figurae praedita statueret? Ex similibus elicitur, scientiam caelestium corporum non ha- beri posse ex solo sensu, sed ipsa rationis potentia intervenientisque ratiocinationis beneficio. Etsi hoc modo optinie axiomati satisfactum sit, addam tamen, ne axioma pbilosophicum oninino negare velie videar, omnem nostrani scientiam a sensu oriri, quotiescumque res per causas cognoscimus certas et evidentes, quae aliter se habere non possunt (1) . At visus est causa erronea et fallax, qui res, quas videi, aliter se habere non posse compreliendit, etsi decipiatur, ut ltogerius Racchon in sua Prosp, cap. De (*) Le linoe 22-87 furono segnate in margine. DIANOIA 226 cognit. por scientiam, Alhazen, prop. prima lib. 3, ait, quando nobis dcmonstrat imaginem rei simpiicis geminatam vel triplicatemi, ut supra declaratum est, no- stramque in aere pendulam imaginem. Porta, prop. 7 et 15 lib. 2, Vitcl., prop. 61 lib. 10, quae sinistra sunt nobis dextra indicat, cum tamen ex facto aliter so ha- beat. Enel., 29 theor. catop. sic: per visum solum adontili haberi non potest. All alterimi obiectionifl monibrum dico, non esse parein sublunarium et caele- stium rationem, nec terrestrium et opacorum corporum et lucidissimorum et purissimorum existere simileui coaequalitatem, mule nulla ao|ir:à{>e'.a quingonto- rum aut quailrigentorum milliarium terrestrium inter caelorum vel sphaerao Iovis distantiam, cum a superficie concava sphaerae lunaria et convexa sphaerao io Martis auporlicie, 8ecunduin saniorem et receptam aatronomorum opinionein vo- terum, 882 semidiametri terreni globi numerentur; nulla mentione habita, nec aeris intercepti inter superficiem Terra© et concavum Lumie, nani ab iisdem astronomia triginta duae terreni globi semidiametri numerantur, nec semidia¬ metri orbis Iovis, quao 2162 seiiiidiametros continet : linde a superficie terroni orbis usque ad centrum corporis Invia computantur 17615 terreni orbis semidia¬ metri, et quingenta milliaria vix sint aexta semidiametri Terra© para. Undeapparet nullam convenientcm aequiparantiam ilari posso, nec recto concludi, si haec in terrena hac mole vera sint, etiam in caelestibus veritatem retinere; cum sola vi¬ sione aimplici proportionata distantia requiratur (Alhazen, prop. 18 lib. 3), ut recta 20 et distincta fiat visionis operatio, praeter septein alias circumatantiaa, quae inferius afferentur. Unde, si distatitia non proportionata rectara vel simplicem visionem 10 impedire valet (Alhazen, proposit. 37 libri primi), quanto maiorem vim inipediendi refractam haberc dicendum est? Unde licet concludere, etsi hoc in terra non accidat, posse in cacio aliter Recidere, nec servare pro|>ortionein et eandem aequalitatem. S(‘il magis ostenili potest, perspicillum non servaro aequalitatem nec propor- tionern similem in omnibus terrae partibus; etenim rcs, quaa propinquiores oculis babemus, per tale perspicillum non videntur, sed oportet, eas esso locatas in certa ab oculo distantia, in qua oh formarum multiplicationem totum specillum non 30 occupent, voi earum iniagines oh ampliationem confusioncm non introducati^ ob- que maxima idola repraesentata v . Sic distantia convenientior tubo et specillis, ut perfectae videantur, requiritur, uti superius de longitudine tubi et proportione dietimi est : quajnopter et loca quaodam existere longiora, in quibus res positas oninino videri non posse, asscrendum est. Nam, ut unaquaeque res visibilis exi- stat, determinatam distantiam requirit, extra quam videri non potest (Vitel., prop. 8 lib. 4, Luci., theor. 3 Opt.), ut supra dictum est, cum ad eam radii visuales non perveniant, per hypot-h. 4 Opt. Luci. : bine perspicillum nec eandem coaequalita- ^ 6noo 13-22 furono sognato in margino. Le lineo 28-32 furono segnato in margine. 227 ASTRONOMICA, ORTICA, FHY8ICA. tem seni per in terreni» distantiis locis obtinebit. Sed exemplo ex speculi» haec cla- riora erunt. Optici docent, inesse speculis punctum in quo re vel oculo existen- tibus imago rei videri non potcst, ob punctum inversioni» vel confusioni» (Io. Bapt. Porta, prop. 3 et 4 lib. 8, De reir.), vel quia imago extra spoculum cadit (Porta, prop. 10 lib. 2, De refr.), vel ex aliis causis quae in Eucl., prop. 25, 26, 27 et 28 Catoptr. liabentur ; ex quo quantum receditur vel acceditur, perfectius iraagines rei visae conspiciuntur. Insuper variatio situs in speculis et nmtuae reflexionis diversa puncta res geminatas et quadruplatas reddunt (Alba/., 7 et 12 prop. lib. 5, Vitello, 40 et 41 prop. lib. 8). Ex bis concludere non vereor, specilla, ut specula io in terrenis, sic in caelestibus eandem semper proportionem servare in reprae- sentandis imaginibus et apparentiis ob requisita media et conditiones {1) . Addo etiam hoc contingere, quia caelum, vel terra (ut vult Siderei Nuncii auctor) motu praedita est; ideo eundem semper punctum et locum, in quo obser- vationes praecedcntes institutae sunt, posterioribus remitterc non potest : unde varias apparentias existere neccsse est, cum et ipso positus varietur ipsa cadi inotione et agitatione: at in terrestribus spectaculis (,) semper eaedem distantiae, semper idem situs, inter visa et oculos, intercedimi; quae, si variantur elonga- tione vel positione rei visae aut oculi, diversae existunt inter se apparentiae, nec coaequales. w Quod oxperimento hoc certissimo comprobari potest. Dum haec scriberem, et simili de hac re sermones haberem cum admodum Illustri Divi Stepbani cquite (3) , in omni genere scientiarum cxercitatissimo viro, quem lionoris et obsequii causa nomino, in fabroruin vitronun officina, quam cum ipso quibusdamquc aliis doctis- simis viris, quorum nomina reticenda sunt, iis sic imperantibus, alicuius negotii animique oblectationis causa simili petieram; cum ibi commoramur, accidit, ut laudatila eques pilam vitream, intus cavam, manibus contrectans, forte oculos ad sphaeram illam vitream admovit, et os fornacis intuitus est, pluraque illi fornacis ora apparuerunt, sed speciem formamque diversam babentia. Quod cum animadver- tisset, simul nos de hac re certiores fecit, qui, eo suasore, alias sumendo vitreas 30 pila» (etenim ibi plures consimiies reperiebantur), idem 9a'.vó|i£vov conspicati su- mus, tamen diversum numero et forma, naia plura mihi, quia in longinquiori situ, aliis pauciora nec eadem et paria, videbantur, etiamsi iisdem globis uteremur. Unde causa huius epaivopivou nisi in positum et constitutionem quam obtinebamus ad os camini, referatur. Nam cum fornacis forma circularis existat, ut omnes scili li t (v) , nos omnes in eodem situ ad os camini non eramus collocati ; sed ego in obliquiori situ quam laudatus eques, et conscquenter alii magis ab ilio semoti; quod clarum etiam ex eo fit hoc alio exemplo, quod facilius ab omnibus experiri potest. Le lineo 9-11 furono sognato in margino. Spinato do inserirsi nel testo dopo la parola cquitc. W T/ ediz. tpec.tar.ulon; corrotto marginalinonto. T)i fronto allo paiolo ut otnnts hcìuiU sotto- 1*) Nell’interlinea aggiunse lo due parole Incoio lineato ò in margine il segno 228 DIANOIA Aocipiatur glolms vitreus, repleatur aqua, et simili candela voi lampaa accentui habeatur ; qui, accedendo vel amovendo, in certa distantia reponatur in quairides demonstrabit. Curri haec distantia reperta Inorit, renioveatur paululum a dextris vel a sinistrisi videbuntur, amovendo voi accedendo, i)lurea vel pauciores irides; quia, quo magia ad perpendicularein lineam accoditur, pauciora conspicientur, quo vero ab eadem disceditur, plures spoctabuntur. llaec in opticis fusissimo demon- s tran tur ; sed videndus praecipue, ut caeteros opticos taceam, libor secundus et sextus Ioan. Bapt. Portae, De rcfract. Opticos parto. Sed nimium longe rationes petitas ad confirmandam sententiam meam afTero, cum et ipse Sidereus Nuncius testimonium amplissimum milii exhibeat; tamen, no io me illi imponere clamitent, legant paginam 16 a. Sed, no locus eis inquirendus sii, nimisque in eius investigatione laborent, et illos hoc molesto onere sublevcm, afferam ipsiusmet Siderei Kuncii verini ex ipso loco excerpta: < Ac primo illud (inquit) animadversione dignum est, quod scilicet Stellae tam fixao quam erra- bundae, dum adhibito Perspicillo spectaìrtur, nequaquam magnitudine augeri vi- dentur iuxta proportionem eandem, sccundum quam obieeta reliqua et ipsamet Luna acquirunt incrementa > : ex quibus verbis patet, servare tantum propor¬ tionem et symmetriam distantiae usque ad caelum Inumo pcrspicillum Siderei Nuncii, ultra auteiu non extendi. Sic sententia nostra vera existit, ex opinione ipsiusmet auctoris. ao llaec dicenda de rationibus asscclarum fautorumquo in me adductis, quas ego potissimas et praecipuas existimo, auxi ; nani si quae insuper adduci possunt, iisdem rationibus explodendae et convincendae sunt. Nunc ad huius hallucina- tioniscausas transeunduni, et planetas fictos, imaginarios esse, demonstrandum, et oculos inspicientium eludi, con tir man dum est, ut penitus e cacio linee in rerum natura portenta et ludibria exterminentur. At primum quaedam adducentur ra¬ tiones, quibus eos realità* in cacio, ncc circa Iovem uti eius circulatores, sed ut eius imagines, existere patebit. Prima nostra ratio talis, quae ex planetarum natura ducitur. Si hi planetao reales existerent, non fleti aut inuiginarii, observarent quandam motus normam «o certam, et statutam periodimi in e&dcmque loca rogressus. Quod non observent patet: iisdem enim statutis temporibus non redeunt ad eadem loca, puta, ad coniun- ctiones, medias longitudines et oppositiones (n , nec iisdem in locis eundem mo- tum habent; quod ex tuis observationibus, quas nobis a folio 17 usque ad 28 exhibes et sexagintaquinque numero existunt, declaratur. Nam planctam nuignum circu- lum conflcientem, quindecim dierum spatio, ex tuo corollario, conlicere concludis, cum inquis, pagina 28: < Pianeta, maximum permeane orbem, accurate praeadno- tatas reversiones perpendenfci, restitutiones semimenstruas babere videtur > : sed (,) 1)1 fro,,te * ,,a parola oppo$itionr$ sottolineata sono in marame tre fro&hetti orizzontali. ASTRONOMICA, OPTICA, PIIYSICA. 229 hoc observationibus tuis non congruit ; nani, verbigratia, a die 7 Iamiarii, qua obser- vationes instituere cocpisti, usque ad secundum Martii, 44 dies infcercipiuntur: ergo octies, vel ad minimum septies, secundum theoricarum praecepia in maxima a love distantia, pitta, in mcdii circuii sui longitudinibus oricntalibus et occi- dentalibus, reperivi debebat. Tuas observationes favorabiliores (etenim eas in praesens, uti melius sententia tua defendi possit, adducam) perpendamus, linde quod negamus pateat. Kx observatione 34, die 2 Februarii bora septima Inibita, videtur maximam stellile a love distantiam existere 14 minutorum occidentalem: quam eandem distantiam quindecim diebus ante, vel post, cum spedavi debeat, io non videmus; tamen die 11 Februarii, post enarratam observationem 9 diebus in- terpositis, stella in longitudine media videtur priori loco opposita, et a love tantum 12 minutorum spatio elongata, cum per 14 elongari debuisset: et tamen ea nocte tres observationes habitae sunt, nempe 43, 44, 45, quinque horarum intervallo; die vero 19 Februarii, 17 diebus interpositis, spectatur eadem, si dicere licet, stella, 13 minutis a love dissita, occidentem versus: in Ime observatione 55 deest a priori distantia minutimi unum; et tamen tam diligenter eas notas, ut et un- ciani, sextantem, quadrantem et trientem minuti, observes in distantia. Hae sunt ex observationibus tuis, quas convenicntiores spoetare licet, motusque certiores referentes, sed, praeter lias tres enumeratas, alias niillas: attamen nullo modo hae 20 inter se conveniunt, linde male infers, semimenstruas Imbere rotationes. Observationes convenientiores retuli, quae sunt tantum numero tres: nunc in¬ coi! veniente», crroneas et absurdas, in medium adducam, unde doctrina et pla- netae corruant, qui observationibus Filiti sunt ex tanta motus dissimilitudine et irregularitate; quas in iisdem etiam superius allegatis convenientioribus observa- tionibus conspicimus: modo enim illas stellas exeuntes e Iovis radiis, modo magis a love distantes, modo retrocedente», modo subsequentes, ita ut clioreas agant, spectamus. Ad rem accedo ex observatione 33 et 34, quae septem horarum intervallo se subsequuntur [1 \ Stella motu suo peragit spatium circuii sui duobus minutis distantiae stellae a love acquale, et dictum est, reperiri in 30 longitudine media a Iove [8 l; at 43, 44, 45 observationibus in quibusdam eandem stellam longitudinem mediani orientalem assecutam statuimus, qua- tuor horarum intervallo stationariam spoetamus hl . At in observatione 55 cani, horis 8 et 40 minutis, ex praecedenti observatione 54 per trium minutorum a love distantiam cernimus elongatam; at in 5G eadem stella, quae observatio [7] hoc a me non est dictum. [bl Hoc falsimi est. [9] hoc ex arbitrio tuo asseris: distantiae enim stellarum non assi- gnantur a me nisi in prima observatione. Observatio 55 est simplex: ergo de horis 8. 40' nil dici potest. 230 DIANOIA superiorem post 48 lioras et 50 minuta subsequitur, trium minutorum a love distantiam confecit, cum in eodem loco, 7 horarum spatio, circulumO°J duorum minutorum distantiae a love, ut in observatione 34 dictum est, perfecerit rota- tione sua oo ; hinc patet dissimilitudo et inaequalitas motus in iisdem a love in- terstitiis. Sed ne semper eandem stellam easdemque observationes conculcare velie elamites, uti quae solae existunt erroneae, alias observationes aliasque stellas aliis in locis et distantiis spectemus; nani omnes timo 65 observationes sunt eiusdem stili et methodi, nulliusque ponderis et valoris. Sed parco, Galilaee, nec irascaris, si observationes tuas enucleo, illasque erroneas existere demonstro: nani a ve¬ ntate cogor, vera eloqui et rem ut existit demonstrare; etonim et te a tuo per- io spicillo prius elusimi, quam alios eluderes, certuni est. Condono hallucinationum errori, et quod tu opticcs niotuumque regularum, cium lmcc scriberes, prae festina- tione oblitus sis; ideoque lias observationes, prae animi ardore et cupiditate, qua accensus eras, lume Nuncium mortalibus conimunicandi, et perspicillum Italie, ne e Belgio ali quod afferretur, tuum exliibendi, certissima» indicasti: quod nobis sat dilucido lmrum stellarmi! motus, mine velocissimi, nunc mediocres, mine tardi, mine directi, nunc stationarii, mine retrogradi, in iisdem a love distantiis, confir- mant, magis hi erronee, qui modo maiores, modo minores, modo lucidiores, modo obscuriores, paribus etiam in sedibus, spectantur, patefatiunt: ut ad liaec pbaeno- mena servanda, et aequantibus circulis et eccentricis et epicielis, denique illa tota 20 veterum circulorum supellectile, opus esset. Ita ut non immerito antiqui astro¬ nomi, qui ex eorum observationibus te extiturum, qui planetas novos circa Iovem periodicas revolutiones suas conficientes reperturus eras, praeviderant, crassum admodum orbera, ut commode in ilio tantain sphaerarum farraginem et turbam includere posses, Iovi assignarunt! Sed ne fautores tui me tibi vebementer impo- nere clamitent, lias accipito observationes, ex quibus omnes qui istas perpendent, veritatem niearum illationum agnosccnt. En primum observationes, quae statio- nem magnani in mediis sphaerae a love longitudinibus liarum stellarum demon- strant, die nempe 24, 25, 26 Ianuarii habitae, quae numerimi quinquennarium conficiunt 23, 24, 25, 26, 27 ; nani stella, quae orientalis a love 11 minutis et 30 se- ao cundis in 23 observatione repcriebatur, bis quinque observationibus semper eundeni locum obtinere visa est, solum 10 scrupulorum secundorum difterentia interve¬ niente inter 25 observationem et 26 ; mule magnani stationem hanc stellam tunc habuisse cognoscimus: sed puto illic eam Iovem relegasse, ob aliquod admissum magnimi piaculum circa inunus satellitii obeundum, quod relegationem talem re- 1101 quid sibi velit ignoro. (1) [11] non dignoscis arcuili a circulo. 0) La postilla ò riferita alla linea 84 della pag. precedente e alle lineo 1-1 di questa. ASTRONOMICA. ORTICA, FHYSICA. 231 quireret; linde infoelix relegata his trilms diebus mansit, donec, misericordia motus, eius relegationem dissolvit, inque gratiam recepit suam. At modo in iisdem distantiae a love intervallis accipient velocissinium motum, quem nobis exhibent, inter caeteras, observationes (nulla Inibita mentiono 33 et 34, in quibus stella, septem horarum spatio, duo minuta distantiae a love confecit, quia non amplius eas afferro iuvat, cum superius me eas non allaturum pollici- tus sim) septiina et octava, die 15 Ianuarii habitué, in quibus intuenti apparet, hos planetas imaginarios, spatio quatuor horarum, unum minutimi et triginta se- cunda arcus a love distantiae confecisse et motu suo cucurrisse» rum certe Pe¬ to gasaeo vehebantur equo, ut celerius dominum suum invisere possenti etenim in septima observatione stella occidentalior a love aberat decem minutis, hora tertia noctis habita; in observatione vero octava, sequenti hora noctis septima, distabat a love octo minutis, triginta secundis : Sidereus ipso Nuncius hanc opinionem confirmat pagina 19, post observationem laudatalo, ubi commemorai aliam obser- vationem, cuius diagramma non exliibet: < post vero (inquit) aliam horam duae Stellulae medine adhuc viciniores erant: aberant enim a sese invicem minutis se¬ cundis triginta tantum >. Aliud eius testimonium proferitili, observatione quarta, pag. 18 sub lineili : < Adeo celeres (inquit) horum Planetarum extant revolutiones, ut horarias quoque dilferentias plerunque liceat acci pere >. Ibis enumeratas sequi- 20 tur nona, die sequenti habita, in qua iterimi stationem agit; nani prae nimio tanti emensi itineris labore defessa, iterimi quiescit, ut se a labore paululum refocil- laret. Sed taediosum et laboriosum mihi omnino esset sigillatim singulas has ob¬ servationes enucleare, et quae sunt absurda et incongrua depromere, et lectori omnino nauseam movere, tantum in rebus ludicris legendis immorando : unde bre- viter, quae mihi necessaria sunt ad confirmandum quod antea propositum est, ea in posterum tantum percurram, et quod semel continuatimi erit, de eo amplius verba non faci ani. Statio et motus velocitas, iisdem in locis et in eadem ex love distantia, ex dictis apparet: quod niediocres etiam existant, accipite, ita ut eodem in loco et 30 in eadem a love distantia et stationarii et veloces et niediocres existant ; quis unquam talem avo|iaX(av in planetis observavit? quae hypotheses motus horum planetarum enodare valerent? Vide observationes 11, 12, 13 tribus diebus habitus, nempe 17, 18, 19 diebus, in quibus observationibus tantum unoquoque die unum minutimi arcus distantiae a love pianeta conficit; abest enim in priore a love 11 mi¬ nutis, die sequenti decem, altcraque die novelli ex parte occidentali : observatio¬ nes 41, 42, ex orientali parte, in quibus unico diei spatio solimi unum minutimi conficit; stella enim, quae priori die aberat minutis 11 a love ex orientali loco, posteriori die, ex eadem orientis parte, abest tantum per decem minuta. Quod vero retrogrado mota cieantur iisdem a love distantiis et longitudinibus, 40 vide observationes 41, 42, 43, ex quibus agnosces stellali!, quae in observatione 41 in. 02 232 DIANOIA abest a love 7 minutis, in observatione vero 42 per decem tantum!”!; die se- quenti habita in observatione 43 similiter, alio die liabita 12 minutis, a love di- scedit. Hae omnes distantiae fuernnt orientales, an retrogrado has stellas moveri pedo negabis? At forte dicetur, stellam, quae in observatione 42 aberat septem a love minutis, 43 abesse decem, et sic retrogradatim tolletur ; si hoc veruni, me con- victum faterei-, manusque traderem ; at videatur quod non uccidere potest. Stella enim quae septem minutis aberat in observationo 41, in 42 distat tantum a love minutis secundis vigiliti: nani absiudum esset, et contra Siderei Nuncii praecepta, velie stellam, quae maiorem circulum conticit 24 horarum spatio, 11 minutorum distantiam a love fere conficere; urnlo ex line motns difforentia quantis absurdi- io tatibus hi errones, vere erronei, oxpositi sint, considera, ut, rescissa una absurdi- tate, ex illa, tamquam ex Lernaeo capite, innumerao pullulent et oriantur. Sed liane sententiam altero exemplo confirmabo, non enim mihi desunt auctoritates et ob- servationes. Videantur 7, 8, !) et 10 observationes tribus diebus habitac: in so- ptima, stella distat a love minutis 10; in octava, bora septima eiusdem noctis habita, abest a love minutis octo et 30 secundis; in nona, solmn minutis octo; in decima vero eadem stella minutis undecim : et Ime distintine a love semper fuerunt occidentales. Haec de motibus eontm. Nunc de passionibus eorundem planetaruni addo, quod modo maiores, modo minores, iisdem in locis et in iisdem a love distantiis, 20 ex omnibus observationibus hoc innotescit; sed clarius ex 23 et in 24 observa- tionibus, in quibus stellae notatae sunt maiores illis, quae signatae sunt in obser¬ vatione 59 et 60: attamen in eadem a love distantia 11 minutis versus orienta- lem partem existunt, et verbis auctoris ipsius hoc pliaenomeno etiam exprimitur: in observationibus enim 23 et 24 ait < erant enim admodum splendidae»; in 59 et 60 auctor expressam mentionem de bue re ntillam facit, tamen astcriscis, qui- bus obscuriores et exiguas signarc consuevit, signatae sunt 1 ' 1 !. Quod apparentias varient et status afTectiones, ut cum debeant orientales vi- deri, occidentales appareant, cum duo conspici debeant, tres, voi quatuor, aut unus se exhibeat, et sic consequenter in apparitione, nullo observato ordine noe certa so regida, de bis passionibus hae observationes considerentur, inter plurimas quae adduci possunt, mulo apparentias vagas et crroneas elicere facillimum est. Quod regulam status non servent, varientque apparitiones in iisdem locis, patet prae- cipue ex observationibus 2, 3 et 4, item ex 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23: ex tertia nempe conspiciuntur duo planetae orientales ; at in superiori observatione, riempe Becunda, extiterant tres occidentales et valde a love remoti; mule 24 horarum [ 3 imo etiam per 12 in correptiori noctis observatione. 1 1 non asteriscos, sed verba inspicere, oportet : nec ignorandiun et q 11 alitate aèris magnas contingere differentias. ASTRONOMICA, ORTICA, PIIYSICA. 233 spatio tantam distantiam conficere non potuerunt, ut ex contraria parte, nempe ex oriente, sese adeo a love soiunctos exhiberent, [l,] : unde eos onines ea nocte, in qua tertiam observationem Imbuisti, spoetare debueras occidentales, aut saltem aliquem ex eadem parte, cum quarta observatione duo etiain orientales specten- tur. Idem in 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23 observationibus apparet: in 20 enim exbibet tres Sidcreus Nuncius planetas occidentales, uti in 19 eadem nocte lmbita ; at in observatione 18 erant tres planetae orientales et unus occidentalis; in 19 tres occidentales, unus orientalis: sed pianeta, qui movetur ex tuo corollario in malori circello, magis a love elongari debuit, et spatium suum tam brevi spatio conficere io non potuit, et siiniliter ei propinquior: unde in tali apparitionis statu se exibere non debuerunt. Sed reliquas etiain citatas allegationes perpendamus. In 20, ut dictum est, tres occidentales, unum orientalem, videmus; in 21 duos orientales, unum occidentaleni : ergo dicendum, planetas a media longitudine occidentali per coniunctionein in circuii apogaeo, vel perigaeo, ad longitudine!» orientalem oppo- sitam porgere: at 22 observatione lovi propinquiores ex parte orientis et occidentis erronea evanuerunt, « nempe sub radiis Iovis >, ut inquit < latitantes >, eadem nocte habita post lioras 4 et 20 minuta : ergo omnes erronea, prius spoetati, vi- deiuli erant, nec poterant tunc sub love latitare, cum 23 observatione, sequenti die habita, conspecti sint, cumque occidentalior tantum septem minutorum a love 20 distantiam emensus esset. Sed cur in tam fallacibus et erroneis observationibus exaininandis et discutiendis tempus tero ? cum unicuique hoc spectanti fiat ob- viam, et niihi certissime asseverare liccat, omnes observationes a Sidereo Nuncio allatas et notatas, nec ordinem, nec motus regulam, servare ; unde iis nullo modo standum, nec eorum ratio alla habenda est. An corruunt ex observationibus pla¬ netae ? an linee sola ratio e caelo eliminat ? Sed ut melius, quae de status regula et apparentiarum ordine .a me dieta sunt, intelligantur, accipiant tyrones, regulas motuunì et bypotbeses non tenentcs, sequens diagramma, in quo ob oculos, quae dieta sunt, omnibus, et exercitatis in tbeoricis et scientiae motuum rudi bus, ve- nient, ex ipsius Galilaei eorollariis et placitis delineatum. Attamen, quia nullam so rationem circellorum magnitudini aut distantiae ex ipsius observationibus ex- trahere potui, non forsan inter se ea intervalla et magnitudinem servabunt pla¬ netae, quae Sidereo Nuncio eorum exhibitori placebit: cuius rei te monere, Lector, volili, ne mibi vitio lioc obverteres; tamen hoc unum scio, in hoc diagrammate omnes motus borimi planetarum, difierentias et apparentias, includi, quae a me adductae sunt ad observationes infirmandas Siderei Nuncii. Sit ABC pars circuii vel sphaerae Iovis corpus deferentis, cui Iovis corpus affixum in puneto B; Q centrum mundi vel oculi inspicientis. G, F, E, D sint [H] non animaelvertit auctor, non diein unum, sed 2, intercedere in¬ ter 2“ m et 3. am observationem; unde nullum inconveniens. 234 DIANOIA loca planotaruin novorum in media longitudini» distantia a love existentisoc¬ cidentali. Animo concipe stellali» D, omnium aliarum stellarum E, F, G tardis- simam. E vero velociorem I), F velociorem E, et denique G omnium aliarum velocissime circa Tovis corpus circumrotari, ut Galilaeo placet pag. 28, linea 20. Dico stellas D, Pi, F, G, non posse spoetali in punctis FI propo apogaeum vel perigaeum circellorum planetarum, quae notantur linea a centro mundi vel oculi, ducta per centvum corporis Iovis, dividente dictos circellos in duas diametros aequales, et per puncta sectionum circulorum et linone dictae, M perigaea stel¬ larum et li apogaea denotantia, nisi prius coniunctionem Iovis in suprema cir¬ cuii abside voi infima assecutae fuerint, et distantias interpositas, notatas peri- 10 pileria circuii deferentis corpus Iovis BG, I1F, HE, BD, mota suorum circellorum emensae fuerint; uti nec similiter ex punctis II superioribus in inferioribus et e eontra, conspici possunt, nisi prius longitudines medias superavérint: quam motus regulam non observare lms stellas ex observationibus 2, 3, 4 et 17, 18, 19 et superine adductis patet, quibus comprobatum èst, status apparitionesque con- gruentes non retinerc. Similiter ex hoc diagrammate videro licct, quibus in locis velociores, quibiis tardiores, existcre debeant: velociores, cuin maiorem distantiae a love arcuili, tardiores cum minorem, conficiunt; quod in bis stellis minime eve- nit, ut ex sopra allatis observationibus comprobatum est. Similiter, quibus in locis maiores vel minores conspici debeant: maiores cum maxime a love distaili ad 20 (l) Corresse in margine exitienfium. ASTRONOMICA, OPTICA, PHYSICA. 235 coniunctionem eius in perigaeo properantes; minores cum ascendunt ex maxima distantia ad apogaeum, et inde descendunt ad maiorem a love elongationem : quod similiter non contingere, ex supra dictis patet. Adducam alias rationes, quibus hi quatuor planetae omnino occident, nani plures a ventate milii suppeditantur praeter enarratas, etsi sufficiens existeret; quarum una talis est. Si daretur liorum quatuor erronum existentia realis, da- retur et eorum realis virtus, uti, posita causa, ponitur effectus et e contra: quod virtus non detur, patet. Nani virtus et potentia stei lanini est eorum influxus in lutee inferiora : at nullus talis dari potest; etenim, ut superius dietimi est, astro- io rum influentiae fiunt, teste Ptolemaeo et Aristotele, per motum et lumen: at, de¬ ficiente causa, effectus etiam defìccre Decesse est: quod causa deficiat, hinc con¬ cludi licet; lumen enini eorum oculis nostris puri» intueri non datur; nullus enim adeo lynceus existit, ut hos planetas aliquando vidisse memoriae consignatum reliquerit, et tamen Venerem de die Maestlinus, vel ipso meridie, et plurimi alii, sed magis Keplerus Mercuriuni sub Sole deprehendit, et historiae testantur hoc non semel factitatum ; unde, qiiotiescunque influere in haec inferiora per lumen lubebit, necessario perspicillo opus erit. De luniine nullum dubium relinquitur de motu hoc etiam evidens ex superioribus in medium allatis rationibus, quae omnes observationes vanas et inutiles reddunt: quod etiam nullos effectus in lutee infe- 20 riora causati sint, ex eo quoque probari potest, quod nullus unquam tales effe¬ ctus animadverterit; attamen Mercurii, cuius aspectus ob suetain sub Solis radiis stationem, plurimuni mortales elfugit, influxus in haec inferiora cognoverunt astro¬ nomi, unde et litterarum monumentis consignarunt ; sed magis lactei circuii vir- tutem, ut supra dietimi est, cuius stellas depreliendisse Sidereus Nuncius demon- strat, iidem astronomi cognoscunt: linde etsi lactei circuii et 9tellae nebulosae effectus agniti sint, et horum planetarum influentiae ab astronomia notari debuerunt. At forte dicetur, stellas quinta© et sextae magnitudini oculis humanis specta- biles et visibiles existere, at paucos vel nullos effectus in bis inferioribus et sub- lunaribus perducere, et datur earum realis existentia: quapropter ex hoc inferetur, so quamvis horum planetarum non daretur sensibilis virtus et potentia agendi in hac sublunaria, non inde tamen horum planetarum existentiam e cacio aufe- rendam esse. Cui obiectioni sic satisfacio. Deum et naturam nil frustra efficere assero: at frustraneus est actus, qui potentiam et virtutein in se includit nullam: hinc stellas fixas quinta© et sextae magnitudini aliquam potentiam et virtutein liabere con¬ cludo. Quod experimentis comprobari potest, ex Ptolemaeo caeterisque probatis- simis astronomis petitis ; nani aeri teniporumque mutationes plurimas inducunt. Insuper par ratio ex stellis fixis, ut. ex planetis extralii non debet, cum illae puri oculis videantur, hi vero planetae aliquo medio opus habent, ut conspiciantur. 40 Amplius, hi planetae sub Zodiaco decurrunt et a Solis orbita paululum discedunt, 236 AI A NOIA cum luppiter, eorum chorngus, sul) latitudine Zodiaci semper decurrat (nani lati- tudo borealis magna tantum duornm graduum minutorumque quatuor fere existit, australis vero duorum graduum et septem minutorum fere statuitur), et hi novi Iovii circulatores, deolinationein liaheant tantum quatuordecim minutorum a stella; attamen, cum haec distantia sit occidentalis vel orientalis, latitudinem variam et diversam a love habere non possunt: sic applicatio eorum cum reliquia planetis et cum Luna admittenda est. Stellae vero lixae plurimae ad boroam Austrumque deflectunt; lune Luna cum iis corporaliter iungi nequit, ex cuius cum stellis fixis vel planetis applicatione praecipue aiiris et temporum mutationes et constitutiones promanant. Hinc liorum planetarum effectus ponendi sunt, ex quibus existentia io certe inferri posset 1 "' 1 . Cum autein nullos effectus habere possint, ut supra dietimi est, an ex hominum nientibus explodendi sunt, nec existentia donandi ? Ilic cuidam dubitationi occurrenduni duxi. Doctissimus et eminentissimus vii- Keplerus, iure optimo praeceptor meus, cum ab eo, quidquid in Opticis profccerim, suasore et monitore, recognoscam, eruditissimus enim suus Opticorum liber me ad liane scientiam excitavit, in sua cum Sidereo Nuncio Dissertatone probat, per aspectus astra et planetas in haec inferiora agere; at ego per motum et lumen. Ptolemaeum Aristotelemque sequutus, asserui, non animo ab eo dissentiendi, sed quia ille nimis particulariter loquitur : stellarum fixarum nulla habita considera- tione, tantummodo de planetis agit; ego vero generaliter, cum de stellis fixis prae- cipue hoc in loco sit disputato. Nani ortus et ocoasus stellarum inter aspectus non habentur, attamen potentissimi ad aerem perturbandum et commovendum existunt. Altera nostra ratio talis. Si hi planetae reales existeront, ex eodem perspi- cillo non omnibus intuentibus obviam fierent, nisi specillis mutatis: etenim qui laborant òcpfMpfa, vel qui debili pollent visu, eos intueri nequirent, vel, si intue- rentur, qui acri et optime constituto pollent visu, eos conspicere non possent, nani specilla quae visum et oculos iuvant, alia senes, alia iuvenes, alia lusciosos, decent ut omnibus notum est [|t| . Accipiat enim iuvonis specilla alicuius viri senis, et per ea legere, aut aliquid intueri, desiderot: vel nil omnino videbit, vel certe torbida omnia et coniusa perspiciet, ut secernere et distinguere ros visas non valeat. Quod 80 [15] reliqui Planetae per se agunt; sed luppiter, quia est summus, sex suos liabet niinistros : cives inferioris conditionis per seniet ipsi emunt, vendunt, scribunt etc., et principes habent suos cancellarios, aulieos, niinistros etc.; non igitur luppiter operatur, sed eius ministri: ex quo infertili- Iovem necessario satellites habere. ll#1 Si liaec vera sunt, Sol, Luna, stellae omnes, ammalia omnia, plantae, montes, urbes, naves, non sunt entia realia, quia omnibus in¬ tuentibus ex eodem perspicillo obviam fiunt. ASTRONOMICA, OPTICÀ, PHYSICA. 237 de iuvene, idem de sene arguendum: nani si pcrspicillis iuvenum oculis accommodis ufi vellet, frustraneus esset omnino eius conatus. Qua propter optime concludi reor, cum et matheseos ignari, qui planetas a stellis fixis separare ignorant, pueri, iuvenes, viri et senes, denique omnes, hos iinaginarios planetas intueantur iisdem specillis, et doctos et indoctos spectatores, denique omnes, hallucinari et perspicillo eludi, nec illos realiter existere in cacio, quia non omnibus paterent nec obviam fierent. Hoc qx eo patet, nani senes concavis specillis ex parte oculi uti coguntur, ad resarcienduin aetatis et naturae deficientis in lumine defectum. Cuius rei causa duplex: prima, quia in senectute laxatur pupilla ; at non solum oculi pupilla, sed io et omnia membra et membrorurn retinacula, at radii ex dilatationo pupillae libe- rius transcurrunt, et cristallino liumori incertam reddunt rei visae imaginem ; at concavis specillis simulacri radii coeunt, et arctius pyvamis colligitur, unde na¬ turae vitium rependunt concava specilla remili simulacra congregando : secunda, quia senes vitreum humorem oculi faeeulentiorem et impurum habent, unde intro permeans lux per cristallum clarior fulgidiorque redditur, et naturae defcotus alter ex pituita resarcitur. Ilae potissimum in senibus causae, quare concavis spe¬ cillis ad visum fovendum opus habeant. At iuvenes, qui visu debiles existunt et arcta sunt pupilla, non concavo sed convexo specillo opus habent; etenim eorum naturae vitium ex contraria commanat causa: quamobrem, si contraria contrariis 20 curantur, ut iuvenibus visu debiliori specilla conferant, ea convexa, non concava, existere necesse est; nani convexa specilla simulacra quodammodo disgregant et quodammodo aperiunt, radiis in adversam partem refugientibus, totumque naturae vitium resarcitur. Unde ut iuvenes et senes, mathematici et non mathematici, facillime decipiantur, specillum alicuius concavitatis certaeque sphaerae portionis concavae oculis eorum apponitur. Quapropter ea senes vident, cjuae videro non possent, si planuni perspicillum extaret, et iuvenes, quia corpus Iovis est lumino- sum, bos planetas ex refractione generatos difficilius tamen vident. Iuvenes vero qui po)7ce$ omnino nil vident per istud perspicillum, sic proprio perspicillo uti co¬ guntur ad liaec 9acvó|i£va observanda. «0 His tribus rationibus, quarum duae ex planetarum raotu et etfectu ductae sunt, quibus errones praecipue et peculiaritcr vigent, essentiaque tota et natura in- oluduntur, alia vero ex causa externa deprompta, quae buie negotio mire inser- % * vii, aperte et necessarie horuni novorum planetarum existentiam e caelo abra- sam et expulsam esse, mihi persuadeo. Nunc vero, ut lectoris animus paululum recreetur, antequam ad intricatas ambages inextricabilesque meatus perveniat, haec, oblectationis causa, adferre libuit, quae, si ea necessitate non urgebunt Si- dereum Nuncium ut superiores tres rationes, tamen id praestabunt, ut hac hi- storiarum narratione mentem quoquomodo lector remittat, ut acriori considera- tione, quae post haec veniunt, inque medium adducenda sunt, perpendat. 40 Sed ad rem accedo. Si hi planetae reales existeront, saltelli aliquis rumor, ut 238 DIANOIA de maculÌ8 in facie Lunae, de nebulosis lacteique circuii stelli» ad nos perve- nisset; sed in omnibus astronomorum et philosophorum historiographorumque libris nulla mentio eorum facta est. At inquiet Sidereus Nuneius, auctores liorum planetarum mentionem aliquam ferisse, etsi non explicitam saltem implicitam ; cum enim 1022 stellas lixas ponant astronomi, plures enumeratis et existerc reperi ri posse non neganti etenim Tycho Brahe in suum catalogum millenarum stellarum fixarum plurima» a veteribus non notatas stellas inserititi quapropter et similiter, plures septein pianeti» co- gnitis extare posse errante» stella»; quia, uti stellarum fixarum, sic planetarum, par ratio: sed, cum tale perspicillum nusquam elaboratum nec inventum fuerit io suo simile, hi novi planetae a veteribus nec a recentioribus conspici non potue- runt, nec de iis scientia aliqua memoriae tradi. At illi sic satisfacio. Ad primam partem respondeo, non esse parem rationem stellarum fixarum et planetarum : nani illao unico rotantur orbe, in eodemque cacio locantur; planetae vero si existerent novi, et novi orbe» et sphaerarum coag- mentatio introducenda csset nova. Quamvis enim crassitudini septem aliorum pla¬ netarum affigantur, tamen et circuii proprii et peculiare», in quibus rotationes suas absolverent periodica», effingendi cssent; qui cadi positi!» quam absurdus, ab astronomis perpendatur. Etenim absque necessitate daretur entium multipli- catio, quae, ne sequatur progressus in infinitum, a philosophi» non admittitur. 20 Unde, cum astronomi, plures stella» ipsis calculo enumeratis et in ordinem dige^ stis reperiri posse, concedant, tamen nomine stellarum novos planetas includi, quis sana© mentis asserturus? Ad alteram partem, tale et simile instrumentum exti- tisse et confectum aliquando fuisse, ex historiarum monumentis notum est, quod ex Ioan. Bapt. Porta in prooemio lib. 18 t,J Magiae Nat. patet. Itefert enim in Pharo prope Alexandriam sita, ex qua eaeterae in portubus extructae turres Phari nomen acceperunt, collocatum fuisse, perspicillum tali arte elaboratum, ut quingentis stadiis naves per aequora transvectas per illud intueri concessimi esset; amplili» tale instrumentum et ipse Porta a Ptolemaeo extructum rofert. Qualis autem siderum indagator extiterit ipse Ptolemaeus, cui astronomiam acceptam referre »o debemus, a nemine ignoratur; asseverare an debemus ho» planetas, si reales exi¬ sterent, eum latuisse, ex opinione talis viri, qualis GalilaeusV Abeat, quaeso, liaec cogitatio. »Sed alia, eaque recentiora, commemoro: Alberimi! magnimi quoddam perspi¬ cillum effinxisse, coque usum luisse, quo mirum in modum res longe dissita» conspicuas habebat, amicisque videndas ostendebat. Idem de Cornelio Àgrippa sciiptis consigliatimi habemus. Sed notiora. Leonem X Pontificem maximum por- spicillum possedisse certuni est, quo mira exercuit: ferini* enim, domo sua et ex ^ Corrosso 17 , ASTRONOMICA, ORTICA, PIIY8ICA. 239 aliis nostrae urbis locis, aves, quae in Fesulano monte positae crant et evolabant, et ridisse et earum distinxisse speciem et numerum. Naia supremus iile bonarum artium omniumque scientiarum pater omnes artifices et sapientissimos viros fovit etaluit: testes innumerae bibliothecae condita©; testes innumerabilcs eximiorum in ornili genere scientiarum virorum, qui aero suo frequentissimi extiterunt, no¬ mini suo dicatae memoriae; testis organorum et instrumentorum admirabilium immensa et lauta supellex, qua nominis immortalitatem sibi comparavit admi- rabilem, inule bis organis instructus, admiranda patravit. Ex quibus historiarum monumentia elicitur, perspicilli inventimi multìs abbine saeculis viguisse, perque io posteros propagatimi, tandem ad nos pervenisse. At mirabitur forsan, quod liuiiis perspicilli fabrica a nemine unquam, praeterquam a laudato Porta, tradita fuerit, et illius usus ab optici» nusquam, praeterquam ab ijiso, explicatus, isque ab eo obscuris verborum ambagibus involutus. Veruni buio dubitationi in promptu ratio est facillima: ne tantum inventimi vulgo innotesceret, neve per omnium morta- lium manus difl’uiuleretur, quapropter ut vile et neglectum negligeretur ; ne vulgus imperitum ab operationis et usus dilìicultate perterritum, yaXeTix xsc xaXànon consi- derans, eos ludibrio habuisset. Nani labor magnus, qui in usu, operatione et expor- tatione consistit, omnem utilitatem et necessitateli! adimere videtur; bine, uti cauti et sapientes viri, fabricam talis instrumenti non aperierunt, ne proplianis sacra 20 abditissima et recondita mysteria patefacerent; quamobrem litterarum monumentis rationem conficiendi et usuili non consignarunt. Etsi enim speculis concavis spliae- ricisque pilis vitreis vel cristallini» igiiem accendi posse demonstrarunt, non tamen fabricam et contextum addiderunt [nl : quia vero huius instrumenti nulla specialis demonstratio requi ri tur, utpote quae demonstrationibus solis et praeceptis refra- ctionis innititur, quae in visione refracta abunde tractantur, iis contenti fuerunt. Ad lutee vera credenda adducor, quia magnopere doctissimae antiquitati ad- dictus existo, quae talem apud ine auctoritatem obtinuit, ut, quidquid novi et inauditi liabeamus, id eam non latuisse rear. Nani antiqui (pace tamen hoc doctis- simorum virorum nostro aevo vigentium, nec animo aliquid eoruiu famae et laudi 80 detraliendi dietimi sit) perfectiores scientias habuerunt, et faciliori methodo com- preliensa»; unde neotericis doctiores arguo: testis medicina Thessalica perfectior Galenica; musica vetustissima Gvaecorum perfectior nostra, cimi, mutato Dorico in Phrygium Lydiumve cantimi, vel e contrario, varii hominum atfectus seque- rentur. Rhetor nullus quompiam mortalium encomio mortis ad violenta» sibi manus inferendas traducere posset, ut de antiquis rhetoribus memoriae consignatum habemus. Quis in geometria novus Euclidcs recognoscitur ? In mechanicis vero an novus unquam Archimedes extiturus est?Hinc etiam adducor, quia quae (lo novi» inventi» etiam iam habemus, multis abbine annis elapsis viguisse et exti- [l?1 Alaz. et Yitel. docent constructionem speculi parabolici. iu ss 240 DIANOIA tisse reperto. Nani pulveris factitii aheneorum tormentorum perniciosum inventino, artisque typographicae conservandis seientiis necessarium, apud Chinenses exti- tisse, Ìlistorici doctissinbque viri referunt, qui navigationibus eam ragionerà invise- rnnt; sed et ego vidi Parisi» apud quondam nobilissimum raeroatorem, qui Preste- seigle vocatur, inter mira et pi egosissima, tres legum Chinensium libros impressos. Linde iure optimo cuna Comico hanc digressionem concludam: Nil dictura, quia dictum prius ; nec factum, quia factum prius. Ili» rationibus contra existentiam liorum planetarum adductis, et reicctis iis, quae pio liac scntontia asserenda militabant (insuper, rum sit in ipso limine libelli non plures septem planetis extare demonst ratti in), hos novos planetas, quos Side- io reus Nuncius mortalibus vendidit et proposuit, non reale» existere, at meras lial- lucinationes et visus fallacias esse, sat dilucido patere arbitrar. Ilis peractis, causas in superioribus asseclarum obiectionibus allutas, in liune locum roicctas, explicabo, ut sententia et opimo clarius innotescat iis qui opticam et mathematicam igno- rant : doctis enim opticis et mathematicis haee. conscripta non sunt ; Minervaui enim docere non cupio, at eoram rudis discipulus et auditor haberi volo. Sed causas aggredior. Pliaenomeni prioria sententia venit, quae ob diversitatem appa- ritionis realitatem liorum planetarum ponere contendebat; cuius pliaenomeni hanc existere posse causam concludo, ex iisdem aliati» exemplis argumento sumpto: quia, uti Sol et Luna agunt in generatione pareliarum et virgarum et paraseli- 20 narum, quorum meteomn eadem causa exurgit, unde ab bis oculus decipitur, sic in generatione liorum planetarum, a Sidereo Nuncio nobis propoBitorum, Iovis astrum splendidissùnum operatur; unde visus mister per perspicillum intuitus,cum quatuor hos novos Iovis famulos videro credit, fallitur et aberrati et uti aèr in- terpositus, nebulosus, rarus inter aspectum nostrum et Solimi et Lunam, aptus et idoneus, mediis necessariis rite dispositis, ad exhibendas nobis liorum meteorum imagines, quamobrem sccundum maiorem vel minorem dispositionem, plures vel pauciores pareliae vel paraselinae apparent; sic, uti aer nocturnus, quem in te¬ nebri condensari, luce extenuari, certum est, magia vel minus humidus et vapo- rosus existit, plures vel pauciores nobis repraesentat liorum Iovis circulatoruin so imagines, accedente perspicilli operntione. Ilaec de causa liuius apparitionis, quod modo imam, modo duas, modo tres, modo quatuor, specteinus Iovis imagines. At video milii statini obiectum iri, quod si aer solus hoc elliceret, istae appa- rentiae solis oculis conspicerentur, at non conspiciuntur : nomo enim sine perspi- c ilio ^ 10s quatuor planetas vidit, et tainen paraselinas, parelias et virgas, puris et simplicibus oculis intuemur. Obiectionem praevideram, et ideo addilli < cimi per per- spicillmn intuitus » et < accedente perspicilli operartene » : etenim sine perspicillo lias Iovis imagines videre non possumus, quia lux debilis nocturna, per cristallura vel vitruin intra permeans, clarior lucidiorque redditur, ex propositione prima lib. 8. Ioannis Bapt. Poitae, De refractione Optices parte. Sol enim et Luna umbram io 241 ASTRONOMICA, OPTICA, PHY8ICA. mittunt, et lux fortissima eorum existit, nec cristalli refractione indiget, ut ista meteora nobis exponat; at Iovis corpus etiamsi umbram mittat, ut doctissimi probatique censent astronomi, attamen niinium exigne et debilitar ; unde, ut lux eius augeatur, perspicui ope et auxilio egei: quapropter ob luminarium fortitu- dinem lucis illa meteora simplicibus oculis conspicimus ; at, quia illa in love de¬ ficit fortitudo lucis, perspicillo opus est, quod corpus Iovis vicinius nobis per re- fractionem exhibet, radio» nostros ilio longo tubo unit et congregat; ex quo ita uniti et congregati, exeuntes haec nobis Iovis paradia (uti liceat hoc novo voca- bulo in hac nova meteo non detectionc) demonstrant et aperiunt, quas simplicibus io et puris oculis cernere nequimus. Undo hoc corollarium sit: aer nocturnus uti materia, speculum uti forma, horum novorum paradiorum, est. At iterum urgebitur : si hoc ab aere nocturno, roscido, vaporoso accideret, to- tidem stellarum imagines in uno loco, quot in alio, videremus, nec modo ex una parte tres, ex alia nullas, et consequenter, modo quatuor a dextris, a sinistra nullas, modo unam dextrorsum, sinistrorsum duas, et consequenter; nam aer spis- sus et vaporosus aequaliter operatur a dextris et a sinistris. Sed haec obiectio nulla; nam contra hanc opinionem non concludit. Non enim per solum aerem vapo- rosum haec visio fit, sed, intervenientibus et geminatis specilli mediis; bine eaedein imagines a dextris ut a sinistris variantur: nam prioris vitri concavitas, quae in 20 crassitie vitri existit, reddit primum vitrum inaequalis spissitudinis et diversae figurae, cimi superficies lmius vitri extrinseca piena existat; quae vero apponitur ad oculum, intrinseca figura cuiusdam spliaericae concavae reddatur: unde imagines variavi necesse est, per Theor. 30 lib. X Vitcll., quotiescumquo a concentrica vel a perpendiculari oculus recedit ; unde, si ilio in hac linea non semper constitutus sit, imagines aequales nec totidem a dextris, ut a sinistris, videri possunt ; lune si extra hanc concentricam ponantur, diversifìcabuntur Iovis imagines locaque imaginum et apparentiae. Sed haec in secunda ratione melius enodabuntur: nunc vero quaedam Galilaei perpendamus. At accipiantur consona buie nostrae superiori opinioni, ex ipsiusmet Siderei 30 Nuncii auctoritate desumpta. Etenim ille, ut hanc rationem intermedii aèris e me¬ dio omnino tollat, et ex hominum mentibus radicitus evellat (futuram enim suae sententiae et opinionis eversionem certam, et novorum horum planetarum exitium, praeviderat et cognoverat), nullo modo suorum dogmatum auxiliatricem cogno- scere vult ; sed cam quasi ineptam et erroneam reiicit et repudiat, cura apparen- tiam suorum planetarum, quod modo maiores, modo minores, modo lucidiores, modo obscuriores videantur, ponere insudat et laborat, percurrendo modo ab abside su¬ prema ad inlimam, modo ab octava spliaera ad caelum Lunae descendendo; et tan¬ dem defessus et anhelus in vastum novarum opinionuìn oceanum immergitur, et, uti novus horum quatuor planetarum inventor et relator, sic novam fabulam com- 40 miniscitur Icariani, quae eundein eventum consecutura est. Etenim Lunae vailo- 242 AIAN01A rosum orbem concedami», quao ratio, quac cxigentia postulat, ut, pari illationis necessitate, hos planetas, circa lovis corpus se volventes, et vaporosos liabere orbe» concludami» ? Iupiter enim in superiori caeli fastigio reperitur, in quo proprius aer nullus buie sublunari par statuitili- : tametsi recentioruin astronoraorum am- plectaimir dogma, aaserentium, aerom voi aetherem a cario Inumo usque ad octavum caelum existere, tamen aorem crassula et vaporosum in tam altiori a terra fastigio constituere et ponere, absurdum omnino et a ratione discrepai» peniti» essot. Sed Sidcrous Nuncius, dum a vaporibus terronis abstiuere et tan- quani a Charybdae» scopili» navoni sua'e opinion» elongare atudet, naufragi» in Scyllaeos periculosiores incidit. Etenim, corpora caelestia deferri per aerem va- io porosimi et corruptibilem quis unquani asseruit ? At ille circa hos suos imagi- narios planetas confìngit, quia e materia cadesti lmud compactos, Bod crassa et pingui coagmentatos et compositos hos quatuor Iovios erronea credit: nude, simile sibi simile appctero cogiiosccns (ex loie enim sua ratione quid ipsemet Sidereus Nuncius de bis planetis sentiat perpendite; etenim illos non roales credit, sed, di¬ sputatimi» causa et ingenii sui exercendi et declarandi perspicuitatem acuminis' has mortalibus proposuit stcllas), vaporoso» ot sjiissos orbes circa ipsos statuit: sic vapores torrostros, quos unico Sydereus Nuncius odit, siine opinion» ot uovo- rum confictorum planetanun dostructoros cognoscens, dimittit, ut vapores caele- stes inauditos coniminiscatur. 20 Sed quia in liunc locum incidimi», ut absurdius eius corollarium convincatur necesse est, ne et ego ipse erroris consoli» existam, et similiter in me retorquoatur; etenim qui tacet consentire videtur. Ait enim Sidorous Nuncius: < Constut, terrc- strium vaporimi obiectu Solfili Lunainque inaiores, seti lixas ac Planetas ininores, apparerò : bine luminaria prope horizonteni maiora, stellae vero, minores ac ple- runque inconspicuae ». Quis unquam astronomorum aut opticorum talem scriptis suis consignavit opinionem ? Conti-ariani enim Romper omnes amplexati sunt son- tentiam ; sed Siderei» Nuncius, uti uovorum planetanun et stollaruni reperto)-, sic astronomiam no vani molitur, et, optici» demonstrationibus neglectis et theorema- libus geometricoium repudiatis, omnia, dummoilo nova et inaudita, in medium 80 a fieri. sed, ut superius dietimi est, Siderei» Nuncius ista profert animi et intel- lectus exercendi causa, non quod ea sic esse credat, sed ut simplicioribus imponat, nude eius casses aperirc cogor. Etenim philoAophorum libri omnes vidoantur, opticorum monumenta percurrantur : ratinniln» pbysicis opticisque theoremati- bus et pi opositionilius, sidora in horizonte apparerò maiora cognosoetur ", sed af- feio primae cli»sis auctores, philosophorum Aristoteleni, astronomorum et opti- conun Ptolemaeum, Rogerium Baehonem, Alhazenum, Vitellonem, Cardanum, Io. Bnpt. Poi tam et Keplerum; sed, ne tibi nauseai» tot auctorum auctoritate moveam, seligam piaecipuas rationes et demonstrationes ex iis petitas. Keplerus tres causas ex Allmzeno et Vitellone statuit; Io. Bapt Porta plures refert, sed, « ASTRONOMICA, ORTICA, PHYSICA. 243 praetcr unam, omnes reiicit, in qua omnes concordant, quae medii densitas po- nitur. Ubicumque enim fuerit aer Iicbetior, semper ibi stellanun imagines cras- siores videbuntur : at in horizonte maior est aeris densitas, quia visus nostor per maiorem et densiorem partein aeris fertur, quam in medio cauli, ibique exbala- tiones terrestres maiores et spissiorcs existunt. Sccunda est, quia in horizonte sensibilis est diversitas refractionis in diamctris alt ipso caeli medio, vel Zenit-li capitis nostri. Tertia vere est optica, ut doctissimi Kepleri verbis utar, quod plus a nobis distare videntur stellae in ipso horizonte, quam in medio caeli, propter terrae vastam superficiem visui obiectain; et. quae remotiora sunt, et sub acquali io angulo videntur, maiora videntur. Has autem tres praecipuas causas agnosces ex Alhazeno propositionibus 51, 52, 53, 54, 55, lib. 1, ex Vitellone, prop. 13 lib. 4 et prop. 51, 53, 54 lib. 10 et Keplero pag. 132, 133, 134 suorum Opticorum. Sed ad alterami rationem, quae liuius apparentine causa etiam existere potest, magisque optica, transeo: qlxo8 ll, has imagines Iovis contemplamur divcrsas, non unico intuitu, sed oculi quadam circumgyratione ; nude, prò dispositione varia situs, videmus liarurn stellanun modo unam, modo duas, modo tres, modo quatuor. Quod probatur: nullum visibile simul totum cernitili- per tlieor. primum Opt. Eucl. ; unde ut unaquaeque res distincte videntur, illa vel eius figura radiis visua- liltus formam coni vel pyramidis constituentibus, cuius basis in re visa, cuspis 20 vero in oculi existat per liypoth. 2 Opt. Eucl., Vitel., 18 prop. lib. 3, Alhaz., prop. IO lib. primi. Quapropter etsi hac figura potest includi maius interstitium eo, in quo res existit, res quae in hoc spatio continontur, donec radii visuales ad eas perve- niant, formam coni vel pyramidis imitantes, videri non poterunt, per 3. liypoth. Eucl. Opt.: sed ista visionis variatio tam parvo temporis momento perficitur, ut nosmetipsi quomodo id fiat non sentiamus : virtus enim visiva praesto est iis locis, tainque citam obedientiam in instruraentis reperii, ut, prius quam imperaverit, opus exequutum sit; Porta, prop. prima lib. 6. Hinc visionem fieri in instanti non immerito ipse auctor existimat, et ex co quod lux incorporea existit, quod alii parvo temporis momento, eo quod non detur instans, in Naturalibus ex Arist., sed so hoc ternpus lateat sensum ; Porta, prop. 4 lib. 4, De refractione. Unde cura accidit variatio oculorum in superficie concava huiusmodi speculi, alio in loco quam in priori variato et situ et forma eandem imaginem videt, quatenus magis ad con- centricam liorura speculorum accedit vel recedit oculos, nani illa contorsione ocu¬ lorum variatur in superficie punctus fractionis. His rationibus dilucido obiectionis causami explicatam confidens, ad secundain fautorum rationem enucleandam et aperiendam progredior. Huius phaenomeni ratio talis existit, quod ex constitutione et appositione oculi ad vitrurn promanat : quotiescumque enim in quarta extra concentrica!!!, a dextris vel sinistris, oculuin 5 Corrosso tjuod. AIANOIA 244 constituimus, et nidii visualcs ab oculo transeunte», conimi voi pyianiidem exhi- bentes, concentricum non portingant, tunc onuios has imagines ex una parte orien- tales vel occidontales videmus ; quando vero sccant perpendicularera, tunc omnes has imagines a dcxtris et a sinistris nobis repraesentant, plures paucioresve, se- cundum anguli rcfractionis et incidentiae pluralitàten» vel paucitatem, ex conca- vitate et spissitudine vitri maiori vel minori orti. Ilinc etiam causa profluit, quarc non semper easdem Iovis imagines similesve in positi! et figura intuemur: ita ut mirum esse non debeat, si in 65 observationibus, quas Sidereua Nuncius ma- thematicis et philosophis exhibet, duas similes et aequales situ, forma et figura, videre non contingat. Pcrdifficile enim est, imo impossibile, oculuin in eadein con- 10 stitutione et positione, tam respcctu vitri quam ipsius caeli vel Iovis, collocari, uti et in codoni flumine bis nos abluere, quod et supra declaratum est 1 "!; nani ca(3 . lum vel terra assidue movetur, Iuppiter vero in suo circulo rotationes periodicas habet, ita ut, etsi una causa concurrat, caeterae deficiant. Ideo videmus observa- tiones eadem nocte habitus nullo modo similes, etiamsi parvo tem- poris momento distent; quod non solum ex observationibus, sed ex tuo, Gali- laeo, oreplurinioruinquevirorum adstantium ingenua confessione elicitur. Recordare, (ìalilaee, quod illa nocte, in qua cum plurimi» aliis doctissimis et nobilibus viris tecum Iovem contemplatus sum, tu ìpsemet priori observatione unain solam Iovis imagiuem conspexisti, ciun vere aliquis illustrium virorum adstantium, qui post 20 tuain primam observationem Iovem inspexit, duas videre fassus est: tu, iteratis observationibus, duas etiam Iovis imagines conspexisti, quod pluribus adstantibus viris eadein nocte contigit. Ego vero nuinquam Iovis imaginem nisi siinplicem intuitus sum; sed non semper codem situ et forma: vel quia specillimi mcis oculis non erat idoneum, vel forte, ne deciperer proiic concentricam, quoad potui oculum applicare curavi; sed. ut ingenue fatear, cum imaginem illam inspioiebam, Iovem non videbam, nisi oculum convertissem : quae res ansain dubitandi mihi praebuit. fl8j Ex confessione auctoris et- ex ipsa necessitate, haec perspicilla, quae Iovem multiplicem propter refractionem ostendunt, reliqua vero 30 obiecta omnia una ac simplicia repraesentant, alia atque tote cacio di¬ versa rationc constructa esse debent, quam perspicilla ea, quae obiecta omnia, et Iovem ipsum, multiplicata demonstrant. Modo Sitius noster, in assignandis causis cur iovialia perspicilla Iovis species multiplicent, utitur probationibus desumptis ex demonstratiombus Eucl., ViteL, Alaz., Portae etc., et hae rationes procedunt atque concludunt in vitri» obiecta omnia ex refractione multiplicantibus; ergo, tanquam nihil ad rem fa- cientes, reiiciendae sunt atque explodendae. ASTRONOMICA, OPTICA, PHYSICA. 245 Quaproptcr vehementer miror, extitisse qu osci am, qui, levitar tantum perspi- cillo oculo admoto, illico duas Iovis iraagines conspicuas habuernnt; dicendumque reor, illos Iovem familiarem et amicum expertos fuisse, quia coena urgebantur, noxque intempesta somnum suadebat: ne diutius remorari cogerentur vel eis som- num impediret, cito admisisse celeriterque in suum caelum. eos evexisse, illisque arcana sua propius revelasse. Nani ex tanta distantia illos lioc cpaivójjLsvGv intueri non posse praecognoverat, ideo, ne lidem obstringerent, propius eos per raptum in caelum suum vel Martis adduxit, ut e propinquiori loco suos circulatores spectare possent. Haec de rationibus et cpatvo|iévoi^ dieta sufficiant. Quorum sententia no¬ lo stia talis, ut aperte et ingenue quid sentiam declarem, etsi ex superioribus aperte eliciatur : haec cpa'.vópeva e perspicillo praecipue aereque intermedio nocturno, atque ex positione oculi ad vitrum et ex eonstitutione caeli, oriri: sic non veros, sed imaginarios planetas, cum ipsiusmet Iovis imaginem recognoscam existere; sic has stellas ex visus hallucinatione procreatas. Quae opinio, etsi satis superque ex dictis comprobata sit, tamen quaedam ex opticis addenda sunt, ad liane hallucinationem clarius patefaciendam ; tametsi talis opinio, ob eius veritatem, tanto non iiuligeat auxilio. Triplices ab opticis generaliter, quod et superius dietimi est, coinniunes vi- dendi modi assignantur: simplex vel directus, reflexus, et refractus. Simplex sit, 20 cnm solus oculus radium visualem per lineam rectani perque medium solimi aèrem rarum et diaphanum, in quo refractio contingit nulla, eiaculatur; cui necessariae sunt octo praecipuae qualitates, sine quibus haec simplex visio perfici recte et sine hallucinatione non potest; et hae sunt: longitudo, situs, lux non multimi de- bilis sed proportionata, soliditas corporis, magnitudo eiusdem, raritas intermedii aeris, tempus, visusque optima constitutio: unde et quotiescunque in una aliqua contingit àau[i|i.£rp{a, fallacia visus hinc sequitur; et quo magis in pluribus qua- litatibus accidit defectus, eo magis visus decipitur. Sed, ut cuncta ad ordinem redigamus, et singularum hallucinationum species aperiamus, quae simplici visioni Recidere possunt, hae conmiuniter ab opticis in tres classes distinguuntur ; nani ao in directo visu errat et liallucinatur oculus, aut solo sensu, aut anticipata notione, aut syllogismo vel ratiocinationc. Solo sensu decipitur, praecipue in luce et colore, oculus ; sensus enim comprehendit lucein et colorem tantum, propter perficien- tium visionem àai)|qierp(av, quotiescumque lux immoderata aut debilis colorimi debilium forinas aut species occultat; aut nitidiores, splendidiores et conspicuas efficit. Anticipata notione, scicntia vel cognitione, fallitur oculus, cum forma an¬ ticipata obiecto visibili perperam collata (scientia enim prius praetendit ea, quae sunt visa et in visu habita, cum liabeatur ex sensu) propter singulorum perficien- tium malam consti tu tionem et habitudinem: unde, quotiescumque oculus in defi- nitione rei visae aberrat, aberrare per anticipata™ notionem creditur; ut cum, 40 Martinum videns, existimat Paulum existere, vel lolia citri credit lauri : nec ali- aianota 24(i quoti in hac hallucinatione cxistit obiectum propriiun, ut in superiori, in quo prae- cipua contingat tleceptio visus. Tandem hallucinatur oculus per syllogismum, vel ratiocinationem, propter accidentium perficientium visum inconcinnam et incon- gruam dispositionem, quae ab Alhazeno in quinquaginta praecipua membra re- ducuntur cap. 7 lib. 3, et Vitellone sparsiin lib. 4. Haec de simplici visione, vel directa prima visionis specie, deque eiusdem hallucinationibus. Hinc merito con- cludendum, si visui deceptio accidit tot superius enarratis modis in simplici et directa visione, tot et pluribus modis errorem contingere in visione refloxa; quia reflexio, secunda visionis species, a politis corporibus lucidisque generatur, in quibus radius visualis reflectitur et oculis exhibet imaginem rei oppositae: qua- io propter in reflexa visionis simplicis includitur proprietas, quatenus radius vi¬ sualis ab oculis per medium diaphanum aerem, in quo refractio contingere non potest, emittitur in corpus politimi et lucidum, deinde quando reflexio in cras- sitie corporis lucidi oculis imaginem rei oppositae repraescntat: visio haec reflexa, in hoc casu, proprietatem addit peculiarem ; sic et alias hallucinationum proprias debet addere differentias, praeter eas, quae in directa visione superius nllatae sunt. Fallaciae liae sunt speciales. Reflexio generali ter alterat lucem et colorem, et omnino totani rei visibilis speciem mutat, in visu reflexo, ut in directo; forma sub sensum cadere non potest, quia triplicatimi est in visu reflexo speciale im- pedimentum: primum, in reflexione sola imago visui conspicua redditur rei oppo- 20 sitae in contrario situ opposita, quae ex ipso facto non opponitur; secundum, quod lux et corporis visi color una commiscentur cum speculi colore aut politi et lucidi corporis; sic non rei visae colorem vel lucem veram, at tantum mixtu- ram, oculus agnoscit; exurgit denique tertium, quod visus reflexus debilitai et lucem et colorem, cum prò re visa solimi imaginem exliibeat, inule in reflexione veritas lucis coloris et rei latet, quae tria in visionem directam non incidimi Am- plius ex superioribus octo qualitatibus ad visionem directam necessaria, supra enarratis, ex quartini uniuscuiusvis ebu|i|jieTpfa; in visione directa accidit fallacia visus. Reflexa potissimum in bis quatuor deficit et hallucinatur : propter lucis de- bilitatem, propter divcrsitatem situs (propter quam corpus visum vel lineas re- so flexionum removeri ab axibus visualibus accidit), vel propter remotiononi puncti rei visae, cuius forma reflectitur a superficie ipsius speculi, vel etiam propter elongationem ipsius centri visus, ad quod remota sit refloxio a superficie ipsius speculi. Hae reflexionum fallaciae ab Alhazeno sigillatila explicantur in toto lib. fi Opticorum, et passim a \itellone tractantur quinto, sexto, septiino, octavo et nono libro. Mane denique sequitur ultima visionis species, quae refracta est, et contin- git quoties per medium diaphanum, vel per plura, aliquid spectamus, densiora aere, superiorum omnium visionum magis composita : etenim in se inciudit et directae omnes etreflexae quodammodo proprietates: de qua in praesens est senno, et cuius tractatio ad institutum nostrum pertinet, cimi in hac tota quaestio ver- I® ASTRONOMICA, OTTICA, PHY81CA. 247 setur. Lux enim et radius visualis pertransit per diapliana corpora, et refrangi- tur cuni occurrit corpori, euius diaphanitas diversa est a corporis in quo existit diapkanitato; unde merito concludendum, visum, si in visione directa decipitur, magis autem in reflexa fallitur, in Ime refracta multo magis lialhicinari. Eternili non solum praeallegatae causae et incommoda in lume concurrunt directae et reilexae visionis, sed et alia praeeipua incommoda, cimi quatenus et de directa voi simplici participat, quod oeulus iaculetur radium visualem in rem visam, cuius basis est in imagine rei visae, eonus autem in pupilla, et de reflexa, quatenus media diaphana, non uti corpus lucidimi et tersimi ad oculos reiiectant io imaginem rei visae, sed in hac refringant radios transeuntes, et alium in locum, quam extat res visa, refrangant imaginem. Nani refractio, non solum decipit visum propter tria incommoda in reflexione narrata, nempc rem visam non videri in suo loco, cuin appareat imago opposita visui in speculo ; et in re- fractione res comprehenditur in loco imaginis, unde positio fonnae comprehensac erit alia a positione rei visae, et sic de commixtione coloris, speculi et de de- bilitatione lucis et coloris: nani refractio debilitat formam rei visae, scilicet formam lucis et coloris, quae sunt in re visa, cum siniiliter ea quae sunt in aquis et extra vitrum et similia, quando refranguntur, deferant secum et aquae, vel vitri, vel cristalli, vel lapidis colorem in quibus existunt, vel per quae tran- 20 seunt, iminixtum cum colore imaginis. Sic propter alia accidentia, quae visionem directam fallunt, contingit. debilitatio lucis in refracta visione, ut et in reflexa; sic diversità» situs, propter quam lineas refractionum removeri accidit ab axibus visualibus, et a concursu puncti colligcntis radios refractos: quae praecipuc est in causa nostrae liallucinatioiiis et apparentine quatuor horum Iovis fumulorum. Particulares autem liallucinationes refractioni accidunt propter plurima corpora diaphana, diversa a diaphano aeris, per quae rem aliquam intuemur ; etenim in unaquaque superticie corporis diaphani radii visuales refranguntur: hinc propter multiplicem refractionem et multiplex liallucinatio contingit. Insuper in reflexione duo anguli tantum concurrunt duarum linearum incidentiae et reflexionis; in so refractione tres anguli nobis exhibentur, angulus incidentiae, angulus refractus, et angulus refractionis: imago in reflexione liabet certuni locum, nempe in spe- culo ; forma rei visae per refractionem nulluin locum observat, etenim semper reperitur in incidentia vel concursu catheti et lineae refractionis extensae: unde prò diversitate uniuscuiusvis horum angulorum situs imaginis variatili'. Sic pa- tet, quomodo liallucinatio coiitingat. visioni directae vel simplici, maior vero re- flexae, et omnium maxima refractae; et ex quibus causis gcneretur in una¬ quaque visionimi specie. Superest mine, onines errores et liallucinationes cadere in visionem, quae per perspicillum Siderei Nuncii fit, declaranduni. Huius rei facilis probatio, cum huic visioni omnes qualitates desint, quae ad optimam et 40 perfectam visionem conficiendam necessariae sunt; quod cum probavero, liunc hi. 34 246 AIAN0IA libellum intentum et lineili smini consecutum fuisse existimabo; mule buie tìnem impono [lo h Ad qualitatcs, quae in visione dirceta necessariae existunt, quarum quaelibet ad evitandam hallucinationem in visibili symmetria existere oportet, prius accedo. Primum, longitudo maxima manifesta est, quae interponitur inter nspectura no¬ strum et lovem, quae eflicit, ut debilitetur visus in functiono sua obeunda ; unde, etsi adiuvetur per vitrum et cristallum, non potest tantum adiuvari, quantum ista distantia et longitudo requireret, et intercapcdo superlìeiei terreni globi et corporis Iovii postularet. Nec nos in hoc errore continere debet, quod visus per hoc perspicillum usquo ad 100 milliaria elongetur, et res per 100 milliaria voi 2(X), io si possibile esset, visibile» in hac terrestri mole reddore'”; ctenim superius demon- stratum est, nullam esse proportionem inter 200 et 500 milliaria et distantiam lovis a terrena superficie. Quapropter in prima qualitato est defectus, qui ad hal¬ lucinationem generandam sufficiens esset. Secundo, se nobis exhibet situs corporis * lovis in concava cadi superficie, quae simpliciter eflicit, ut stollas omnes videa- mus refracte et extra rei visibilis magnitudinpm et proprietates, ut ab Alhazeno probatur prop. 12 lib. 7. Tertio, magnitudo corporis: cum enim tanta sit lovis corporis moles, attamen nobis e superficie terreni globi spectantibus apparet ad instar alicuius aurei davi cathedrae affixi ; an resarciro poterit perspicillum iactu- ram hanc, ut corpus eius in propria sua nobis exhibeat magnitudine?'" at, ex con- 20 fessione propria Siderei Nunciinon ampliat stellas. Quarto, soliditas corporis : ete- nim Iupiter est corpus lucidiun et luminosum nulliusquo opacitatis capax. Quinto, lux deest: etenim nox caliginosa lncem sullicientem ad visionem necessariam non suppeditat, unde usu resarcire lampadibus et tedis nocte cogimur; at ad obser- vandum lovem, lampadas vel faces non efferimus. Sexto, raritas aerisi quae aeris raritas existere potest nocte intempesta? propter roscidos et humidos vapores nocturnos; cum philosophorum communis opimo existat, nocte afirem condensali. Septimo, tempus nocturnum et in crepusculis visioni haud idoneum. Octavo et [lfl] non decipi visionem in modicis distantiis, sola experientia nos potuit edocere, cum nempe ad obiecta propinquiores farti, ea, qualia 30 apparebant, vere esse cognoscimus; at in maximis distantiis, nempe caelestibus, quis docuit nos nequaquam decipi? ad stellas enim accedere nunquam contigit. Respondebis, experimenta in inferio[ri]bus facta nos de caelestibus monitos tacere. Quod si hoc veruni sit, cur eadem ex¬ perimenta in inferioribus perspicillo liabita fidem ci in caelestibus con¬ ciliare non poterit? 1,1 Corresse reddanlur, U) (,) Le linee 18-20 furono segnate in margina, ciUiim. Dopo Nuncii inserì nell’interlinea pmpi• ASTRONOMICA, OPTICA, PHYSICÀ. 249 ultimo,sanitas visus: quae visus sanitas existere potest, ut omnes generaliter senes, iuvencs, pueri, lyncei, per idem perspicillum conspiciant easdem imagines et si- mulacra? Ex his patet, non solimi in una requisita qualitate ad perfoctam visio- nem simplicem, sed in omnibus peccare et deficere, visioncm quae per perspi¬ cillum Siderei Nuncii instituitur. Amplius, tria incommoda, quae reflexum visum hallucinari efficiunt, refractae visioni communia, etiam in liane incurrunt. Nam res videri nequit in suo loco, cum imagines rei oculis propinquet, unde maiores nobis exliibet rerum visibilium formas, cum sub maiori angulo videantur in terrestri, et Luna ex ipsiusmet auctoritate Siderei Nuncii; unde alia probatione non indi¬ lo get. Sic commixtio coloris: nam visus per tria inedia diaphana aere densiora tran- siens, defert sccum usque ad rei visae imaginem, colores et speciem aeri» nocturni et vitri: quod vitrorum pictorum exemplo declaratur; etenim radius Solaris, tran- siens per fenestram vitream depictam, defert secum in cubiculum colores, quibus vitra imbuta sunt. Sic debilitatio lucis et coloris, quod manifestissime patet: ete¬ nim hae imagines modo maiores, modo minores, modo lucidiores, modo obscu- riores, existunt, prout aer nocturnus dispositus crassior vel tenuior existit. Liceat in praesenti hac ratione pliilosophica uti, etsi alia possit existere optica ratio a nobis forsan superius explicata. Ultimimi vero incommodum, buie visioni proprium, accidit ob varia media diaphana densiora aere vel aethere, in quo Iuppiter exi- 20 stit, quae etiam sunt inaequalia et diversa, quoad formam, crassi tieni et speciem [40J : vitrum enim oculo propinquius constituitur in medio cavatimi in crassitie vitri densiore; alterum tubi extrinsecum portionem periplieriae maximi circuii conca- vani repraesentat tenuiore crassitie, quam primum, ut supradictum est: quid de aere nocturno circumfuso dicendum, quem alias densiorem, alias rariorem, exi¬ stere quis negabit? [ * ,J (,) Quamobrem, cum in bis superfìciebus refractio necessario accidat, cum per unumquodque medium aere densius radii refracti transeant, bine praecipuae causae liarum hallucinationum. Unde quadruplatae Iovis imagi¬ nes ex occidente vel oriente, mule triplicatae ab una parte vel aliaextant; modo Iuppiter choragus et princeps ex unaquaque parte stipatur duorum satellitio, non- 30 numquam, lateronibus pene dimissis, quod ei raro accidit, uno tantum milite sti¬ patur; quotiescumque oculus plures vel pauciores lineas refractionum procreatas ob diversa puncta fractionum media transeundo concurrentes obviam liabet, et a [2oi Q mn i a baec incommoda adsunt dum reliquas stellas intuemur: in illis ergo non minus fallaeiae contingere deberent; quod tamen non accidit. 1211 Amplius dum acie libera spectamus alia incommoda praesto sunt, et falli necesse est. (U [ jC linee 22-25 sono segnato in margine. 250 DIANOIA ASTRONOMICA, OPTICA, P1IVSICA. centro corporum diaplianorum magia vel niinus a dextris vel a sinistris remo- vetur. Ex quibus, cimi omnes qualitates in hac visione deficiant, quas ad pcr- feotam visionem concurrere oportet, et amplius aliae liallucinationum causao in refractione accidentes in hoc perspicillum concurrant, visas stellas, sive erronea, vere erroneos, esse meras et certas liallucinationes et solummodo lovis ipsiusmet imagines duplatas, triplatas et quadruplatas, prout media disposita reperiuntur ad eas repraesentandas, asseverare non dubito. Propterea, cum omnia, quae milii in praesens afferenda erant enodata et de¬ clorata sint, superest ut Deo Opt. Max., omnium honorum datori, gratias agam ingentes, qui mihi, etsi animum multis multisque implicitum curia et difficulta- io tibus distractum halnierim, tamen, ut praesens opusculum ad exit-uni perducerem, concessit, ut veritas, cuius ipse est fons et origo, innotesceret. Vos autem, prae- stantissimi et celeberrimi Viri, quorum me discipulum fateor et haberi volo qui haec legetis, has rationes perpendite: quas, si probabiles et tirmas existimabitia, non mihi, sed Deo Opt. Max., adscribetis; si erroneae existent, mihi homini exi- stenti ignoscetis, et amantissime ex errorum lapsu sublevahitis: etenim, sine luce per tenebras ambulare itineris inscium, perdiflicile est. F T NI S , M6v(i) O-eu» xal eie*. * DI LUDOVICO DELLE COLOMBE CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. CON POSTILLE DI GALILEO. « DI LUDOVICO DELLE COLOMBE. li'ambizioso animo umano, sospinto oltre ogni convenevole termine dal desi¬ li derio dell’immortalità, venutagli a stomaco la navigazione dell’oceano della veri- tade, s’ingolfa nel mar della bugia, sprezza le Colonne d’Ercole 1 * 3 , scher¬ nendo Aristotele e beffeggiando Platone, grida plus ultra, in sin tanto che va a dare in non conosciute sirti, e romper in non antiveduti scogli. Imperò che alcuni, disperandosi d’intendere Aristotele, o di poter dir cosa che porti lor no¬ minanza nella di lui filosofia, si risolvono, non potendo far pompa, come si dice, a far foggia, e di negare tutte le sue verità 10 , altrettante menzogne opponendole, io con ritrovare anzi sognar nuova filosofia e modo nuovo di filosofare. Tali già furono alcuni antichi, e a nostra etade i Telesisti. Altri, in niuna filosofia avendo fondamento, si danno alle matematiche, e quelle predican per sovrane sopra tutte V altre facilità E là dove, al tempo di Aristotele, esse erano in cre¬ dito di scienze da fanciulli, c prima di tutte apparate, come appo noi l’abbaco (in tanto che i cementatori, facendo obiezioni perchè Aristotele nella filosofia dia sì spesso esempli di matematica non saputa da tutti, poscia che V esemplo dee essero di cosa più nota, rispondono che ne’ suoi tempi ogni fanciullo avea cotale scienza per notissima, come cosa triviale , Il ms. cirrò; Gami.ko, di sua mano, corrosso verità, 254 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. lenni matematici dicono, che quel divino ingegno d’Aristotele non l’inteso, c che por ciò disse pazzie t'1, affermando egli, che la linea non si componesse di punti, e che sopra d’ essa linea non si potesse far moto infinito, e sopra il circolo sì. A tal che, non potendo i male arrivati, avezzi a tirare linee e far punti con l’in¬ chiostro, penetrar senza materia il punto, che, per non aver parti, non può compor la linea che ha parti, cadono in cotali arditezze di parlare; e per lo contrario non s’ accorgendo, che nella materia e in atto se non si può tirare una linea infinita, infinito ancora non si potrò fare il moto sopra d’essa ; ma sopra il circolo il moto sarà infinito, poscia che, non vi essendo i termini estremi, non vi sarà eziandio termine al moto circolare, contro il creder loro W. io Avendo adunque, secondo il parere loro, inchiodata l’artiglieria e mandato a gambe levate Aristotele, il quale a.intendere tremano, affermano, che esso ahhia conchiuso, la Terra essere immobile nel centro del Mondo e ’ntornole ’l Cielo muoversi circolarmente, solo per mancanza di buone matematiche ; e così, me¬ diante quelle, si pongono a farne dimostrazione, e dicon di fare altrui toccar con le proprie mani il contrario, cioè che la Terra si muova c giri intorno al Sole : il quale hanno situato immobile nel centro del Mondo, arrovesciando tutti questi corpi, come se stessero nelle loro mani, a guisa d’ una tasca di camozza. Onde, invece di onorarsi, a somiglianza del pavone, che, per farsi corona al capo dell’oc¬ chiute penne, scopre le sue bruttezze, essi si svergognano : imperò ohe, avendo 80 solo a i punti, linee e angoli il capo, si scordano degli effetti degli elementi e della esperienza del senso. Ma noi vogliamo far prova, lasciata da parte la filosofia, che essi negano, di Aristotele, di ridurla a quella de’ sensi, già smarrita da loro ne’ cerchi e nelle girelle, a fin che riconoscano quella da questa, c quindi confessino d’aver mal conosciuto quanto Aristotele conobbe e disse bene. Mi rallegro bene, che alcuni valorosi matematici, con i quali desidero discor¬ rere di cotali materie e imparare da loro, non son della razza di color che si credono che quegli che non hanno speso gli anni di Nestore c logoro la lucerna [41 hanno ragione di così dire, poi che e’ commette molti e gravi so errori in matematica, se bene nò tanti nò così solenni, corno fa que¬ st’autore ogni volta che apre la bocca in questi propositi, palesan¬ dosi sopra tutti gl’ ignoranti ignorantissimo. t5] anzi, ardirne, perchè non si può dare una linea retta in atto infinita, per questo il moto retto può estendersi in infinito : essendo che ’l moto infinito è quello che non si finisce mai; ma all’incontro, essendo la linea circolare, per necessità, finita, il moto in essa ò finito, ma può bene reiterarsi molte volte. CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 255 di Epiteto in vedere Euclide e Tolomeo, non possono intendere il Copernico, per disputare, se egli, insieme con quelli antichi contro di cui disputò Aristotele e gli convinse, abbiano detto cosa che verisimil sia, o no. Imperciò che niuno è che non conosca, che queste son leggerezze e modi di fuggire la disputa virtuosa, per non essere scoperti più loquaci che intendenti. E chi non sa, che è necessario più F essere filosofo clic matematico, e sapere più della prima scienza che della seconda, per poter rettamente giudicare, se queste teoriche e matematiche de- mostrazioni si possono applicare convenevolmente alla materia, al luogo e al moto, poi che alla filosofia naturale appartiene il giudicare di tutte e tre queste cose, io e non alla matematica, che astrae da esse qualità naturali ? Altramente io non dubito punto, che molte conchiusioni possan faro i matematici di figure imaginate o disegnate in aria e in carta, e astratte dalla materia, che, poste in pratica e applicate a* corpi naturali, avranno dell’impossibile : c pure è forza, in proposito nostro, considerarle in concreto e non in astratto, perché altrimente si potrebbe dire con Aristotele in mathematica non est bonitas , perchè abstrahunt a materia , mota et fine , dice S. Tommaso. Questi corpi e questa materia e moto naturale a cui si deono applicare queste matematiche demostrazioni, perchè hanno repu- gnanza fra di loro, secondo la naturale filosofìa e secondo la stessa verità, han fatto fin ora credere a’Tolomei, agli Alfonsi e a tutti i più famosi matematici, 20 che la Terra sia nel centro del Mondo immobilmente locata come grave, e che il Sole, fisso nel quarto Cielo, si volga intorno d’essa, sì come il senso ancora ne dimostra. Quale architetto mai messe in atto alcuno edificio fabbricato nel suo intelletto, che prima non esaminasse la materia di clic far si dovea, e ’1 sito che t f'usse luogo proporzionato d’ esso ? Filosofi, adunque, primieramente e’ si esamini, se la Terra, subietto di questa machina Copernica, è capace materia d’essa, o no ; e poi ai ricerchi, se le matematiche invenzioni abbiano faccia di verità, sì che inconvenevolezza veruna in cotali teoriche non apportino : nelle cui deputazioni si vedrà, se, per quanto a questa materia s’ aspetta, gli Euclidi, i Tolomei e i Co¬ pernici saranno da noi stati esaminati e a sufficienza pienamente intesi, so 1. Primieramente: che mai, per lor fè, risponderanno i Copernici, che tengon muoversi la Terra, a questo argomento fondato nell’esperienza? Una artiglieria volta con la bocca verso oriente, secondo il corso della Terra dandoli fuoco, manderà la palla poco spazio lontana: poiché, mentre la palla è fuora sospesa nell’ aria, la Terra porterà con tanta velocità V artiglieria dietro a essa palla, che avanti la sua caduta sarà dall’ artiglieria raggiunta [ù \ E se F ar- [0] meglio era dire, che la non si potrebbe scaricare, perchè la Terra porta V artiglieria dietro alla palla : ed è meraviglia che altri possa orinare, correndo noi così velocemente dietro alF orina ; o almanco, ci doveremmo orinare giù. per le ginocchia. in. 85 3 Mot., . I f|.4. l a3ad4. 256 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. tiglieria sarà volta con la bocca oppostamente al moto d’essa Terra, la distanza della palla dal pezzo della bombarda sarà molto maggiore, atteso che nel tempo che la palla corre inanzi per 1’ aria spinta dall’ impeto della polvere, la Terra col suo movimento velocissimo farà stornare indietro l’artiglieria. Ma questa diffe¬ renza di tiri non si vede ; adunque la Terra non si muove. Non credo già che essi dicono, che differenza non appara tra l’un tiro e l’altro, perchè, quantunque nel primo colpo la Terra porti l’artiglieria dietro alla palla, e nel secondo la faccia sfuggire oppostamente, ad ogni modo si ragguaglino per ciò, che la velocità del moto della Terra dia il tratto maggiore alla palla nel primo tiro, e nel secondo lo sfuggimento dell’artiglieria foglia 1 impeto e forza io della polvere t ,] , onde si vengano a ragguagliare li colpi. Prima, perchè, se fusse vero che la Terra col suo corso desse il tratto alla palla, il moto suo sa¬ rebbe a scosse, e non continuato ; il che non direblmn gli stessi aversari. se bene si servano dell’esempio di chi tira con la balestra, che, dandolo 1’ andata, cagiona che la palla vada più lontana. Vedesi chiaramente che la Terra non dà scossa all’ artiglieria : perchè, se ciò fusse vero, la palla balzerebbe fuora anche senza che vi fusse polvere accesa, si come eziamdio uscirebbe dal bolzon della ba¬ lestra, se non vi fusse serrata dentro, mentre che sta carica. Puossene far la prova, ponendo un’ artiglieria carica di polvere solamente sopra una galera che vada velocissimatìiente, e vederassi la palla star ferma dentrovi, pur che non 20 corra a scosse la galera. L’esempio adunque della balestra non ci ha luogo, poi che colui che la tira, nel dare il tratto, rattiene il braccio, donde si cagiona il m non ci ha tratto che sciemi o cresca la forza alla polvere ; anzi è sempre la medesima, ma applicata una volta alla palla che già ve¬ locemente corre all’ oriente, e P altra volta alla palla che già va al contrario dell’ impeto del fuoco. facciasi correre una carrozza velocissimi amente; e nel corso scari¬ chisi una balestra da bolzoni quando si sarà incontro a qualche segno, al quale si sarà per avanti aggiustata la mira standovi incontro la car¬ rozza ferma ; e vedrassi la freccia dar lontanissima dal segno. 0 vero, so per far meglio 1’ esperienza, fermata la carrozza e nella carrozza le¬ gata ben forte la balestra, tirisi un colpo; di poi discostisi la carrozza da questo sito, e ritornandovi a tutta corsa, quando si sarà nel me¬ desimo luogo scarichisi la balestra ; e vedrassi la differenza : e perchè meglio ella apparisca, potrassi tirare di volata per dar più tempo al moto della freccia. Provisi anco a gettare un cane in terra, e vedrassi 1’ effetto. 23. ci uà — 28. qvrvndosi si — 32. discosti — 257 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. maggior colpo. E certamente che, se la Terra andasse a scosse, noi ancora frul¬ leremmo per le strade sbalzati per l’aria, più che non fanno quei fattori di legno, che i fanciulli a furia di staffilate fanno girare per le vie con certe sferze fatte di buccie d’anguille. Nè è vero, che se la Terra nel secondo tiro facesse stornar seco l’artiglieria col suo moto, abbia facilità di tor la forza alla polvere, e per conseguenza di minuire il colpo di maniera che sensibile appara ; per ciò che la violenza che fa la polvere consiste nell’esser racchiusa in quella strettezza, non capace dell’ ampliazione di quel corpo fatta per virtù del fuoco. Il qual luogo, per essere indietro spinto, non perciò si fa meno angusto, essendo serrato per ogni io parte ; sì che niente o poco, adunque, s’infìebolisce il colpo, perchè altramente l’artiglieria non farebbe storno, sendo più veloce il moto della Terra che l’im¬ peto della polvere. Conchiudasi per tanto, che la Terra non si muova altramente t8] Stando in una barca ferma, cerchisi di porre una superficie piana in equilibrio, come, v. g., uno specchio, sì che sopra di esso quieti una palla rotondissima : vedrassi sopra l’istesso specchio quietare la me¬ desima palla anco quando la barca si movesse velocissimamente. Ma¬ nifesto argomento, che l’impeto concepito dalla palla da colui che [la posa,] essendo in barca mentre che ella velocemente si moveva, non si annichila o diminuisce mai ; perchè, se si andasse perdendo, la palla, 20 dopo essere stata posata sopra lo specchio, andrebbe scorrendo al con¬ trario del corso della barca, non avendo impellente che la movesse e sforzasse a seguitare il corso della barca : imperò che il semplice con¬ tatto di un corpo perfettamente sferico e sopra un piano perfettamente pulito non può vietare lo storno alla palla, quando ella, lasciata libera, perdesse l’impeto concepito mentre era in mano di quello che la posò sopra lo specchio, essendo egli ancora in barca ; ma bene scorrerebbe essa palla in dietro, se colui che la posa fusse fuori della barca, e che nel passargli quella davanti, posasse la palla sopra lo specchio : la quale senza alcun dubio scorrerebbe in dietro, contro al corso della so barca. Mi dà il cuor di convincerti, ma non già di farti confessar per convinto : anzi pur sì, ed ecco il modo. Domandoti, se sai giocare a giuoco alcuno. Mi rispondi : a scacchi. Ti domando se credi di giocar meglio di me : rispondi che sì. Ora, se io ti disfido a giocare e tu ri¬ cusi, sei convinto, e confessi di cagliare. Dico per tanto, che se bene con parole mi neghi di credere a qualche esperienza propostati da me, 17 18 . che essendo — 258 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 2. Procediamo nel secondo luogo con una ragione, eh’ è tanto pii! facile, quanto è più viva e sensata^. Se la Terra si movesse, chi non vedo elio a tirare con la balestra, come molti fanno, per farsi tornar la palla a’ piedi, ella non vi torne¬ rebbe mai ? ma ella vi torna : adunque la terrena machina non si muove. Risponderanno t, ° 1 , che quelli che tirano la balestra non stando mai a perpen¬ dicolo e a retta linea sopra il centro della Terra, viene a pendere o far piegare tanto inanzi la palla quando scappa dalla balestra, se ben non pare, eli’ ella racquista tutto quello spazio che perderebbe, movendosi la Terra, mentre la palla è per V aria, e che perciò dà cadendo a piè del balestriere ; massimamente che vogliono che s’aggiunga a questo una certa andata, che dà il moto veloce della io Terra al balestrieri che vi è sopra, o di più clic 1’ aria ancora porti la palla inanzi col suo moto, che fa in giro secondo il moto dell’Universo. Ma si replica, elio vana è la risposta t" 1 ; atteso eho coloro che fanno le mi¬ sure per mostrare che le fabriche e gli uomini che sono sopra la Terra, non po¬ sando nella superficie polita e rotonda, ma ineguale e piana, non sono a retta linea sopra il centro d’ essa Terra, dicono che la differenza è minima e quasi in¬ considerabile, per cagione della gran ciroumferenza d’ essa machina, e del poco spazio che occupa la cosa locata sopra d’essa, come è 1’ uomo, in proposito no¬ stro, che tira la balestra. Nè anche può stare, quando 1’ aria girasse : il che si mostrerà esser falso, che, essendo corpo tenue, raro e flussibile, ella violenti la 20 ogni volta che tu recusi di venirne alla prova scommettendo qualche prezzo, vieni a confessare di esser in fatto convinto, e solo in parole fingere di stimarti supei'iore. Facciasi dunque innanzi ad ogn’altra cosa un preambulo in simil forma : M’incontrai li giorni passati in 2, che contendevano di precedenza nel giuoco di scacchi ; l’uno finalmente sfida P altro, e questo sfugge P incontro : puossi per ciò stimare costui interiormente confessarsi inferiore e perdente. (B] Voi supponete quello che si cerca, ciò è che i gravi non abbino propensione alcuna al circolare, ma solo al moto retto : ed io vi dico che il primo moto naturale, congenito e coevo do i gravi è la circo- so lazione delle 24 ore, della quale essi gravi mai non si spogliano. Di- chiaromi con uno essempio. Voi sete in nave che velocemente va verso levante; e benché a vostro beneplacito passeggiate innanzi in dietro, a destra a sinistra, e facciate mille mozioni, non per questo cessate di andare verso levante in virtù del primo ed uni versai moto della navo e di tutti i suoi annessi. 11 1 Sarebbono matti, a rispondere queste pippionato. [U] non si sa quello che P autor voglia dire. CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 259 palla, portandola seco circolarmente secondo il suo movimento ; imperò che, se questo lusse, la palla non si potrebbe muovere di moto retto, col quale mo¬ vimento dee fender l’aria^: nè potrebbon anche quello parti d’esso corpo aereo, che circondavano la palla, tramutarsi, o passare inanzi lasciandosi dietro quel corpo ; ma doverebbe seguitare il moto deli’ aria circolarmente, senza fare altro moto. Quanto all andata della balestra, datale dal moto della Terra che dicono essi, non può in modo alcuno esser vero, conciò sia che questa machina terrestre non vada a scosse, donde può cagionarsi il tratto, ma continuamente e con uni¬ formità., come sopra si disse; ma che molto più importa è, che facendo la palla io della balestra due moti, uno in su, e l’altro in giù, tardissimi in comparatoli di quel della Terra, che è uno e velocissimo, non potrebbe mai cadere essa palla a’ piedi del balestriere, che è portato sopra la Terra col medesimo moto, mentre la palla è per V aria sospesa : ma ella vi cade : adunque la Terra non si muove. . Nè vai cosa veruna quell’ esperienza, che dicono alcuni aver fatto, cioè, che la¬ sciata cader dalla gaggia d’ una nave, mentre che scorro, una palla d’ artiglieria, ad ogni modo caschi a piò dell’albero, se ben la nave camina, pur affermando, le ragioni di questo essere le già dette della balestra. É che niente vagliai! si dimostra chiaramente, per non passarla più tosto con riso che con risposta {l4 \ così. Primieramente, perchè è impossibile farne certa prova, non potendo la gaggia della, 20 nave agitata dal!’ onde, senza aver inai fermezza, dar luogo e tempo di lasciar cader la palla a piombo, e pigliare il vero perpendicolo : secondariamente, se la [12) noi non vogliamo che il moto dell’ aria porti la palla ; ma ci basta che non la impedischino e ritardino quel poco che farebbe, man¬ cando ella del moto universale. * ’ * [13] È verissimo che la palla cadente non si moveria di moto retto, se la Terra girasse, e noi ancora 1’ affermiamo, ed a voi tocca il provare in contrario; ma se voi intendessi, che il moto circolare del- T aria, portando la palla, gli vietasse il calare verso terra, saresti in errore. Voi poi tornate pure a tratto, quasi che e’ sia necessario che il so movente nel lasciare il mobile resti di muoversi. Pongasi cura diligente se dalle stelle cadenti si possa argumentare niente. Nella 3 ogni minuto secondo dell’angolo visuale importa un miglio. [U] sin che 1’ esempio della nave è stato creduto favorevole a Ari¬ stotile, è stato reputato per ottimo : ora che si è scoperto che è contro di lui, è doventato subito uno sproposito. Produce lui un testimonio, il quale, per non partirsi dalla verità, dice il contrario di quello che il produttore credeva ; onde il medesimo lo querela poi di falsità. x 25 - 26 . retto retto se — 2(J0 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. nave camina con remi, va a scosse, se solca a vele gonfiate da’ venti, 1’ albero piega molto, onde si cagiona un certo arco dalla palla, che, per la poca altezza e il peso d’essa palla, viene a ragguagliare quel poco di sfuggimento fatto dalla nave, mentre la palla scende per 1’ aria a piè della gaggia ; e così, facondo poca o non sensibil differenza, si sono creduti che dia a perpendicolo della gaggia, e forse 1’ han detto per beffa a’ troppo creduli. Nulla di meno, se quei tali che se lo credono, dovessero misurare col naso cotal differenza, io farei cader la palla di tanto alto, che, per misuralo la distanza da quella all’albero della nave, non basteriano quei nasi che portava al collo quel capitano inglese per collaro. E chi non sa, che quelli che tirasse la balestra oppostamonte al corso della Terra, non io mirando mai, come vogliono gli aversari, per retta lineai' 4 ), averebbe lo svantaggio del legamento, e quel del corso della Terra, e i due moti della palla in giù e in su, e per ciò non tornerebbe mai a’ piedi suoi, sì come nò anche tirando per traverso da mancina o da man dritta? Ora, poi che ella cade dove è il balestriere, sarà forza confessare che la Terra non si muova ; anzi, che se la terra si girasse, il suo corso sarebbe tanto veloce, per esser di più di 1300 in circa miglia per ora, che niuno ferirebbe mai uccelli, nè darebbe nel destinato segno, tirando : poi che se la cosa a cui si mira fosse d’avanti a chi tira, secondo il moto della Terra, quando la palla fosse per l’aria, in cambio di colpire, trapas¬ serebbe di gran lunga più alto, e, per lo contrario, darebbe basso un mondo, chi 20 stesse mirando oppostamente al moto d’ essa Terra ; per che nel primo caso, il segno che è posato su la Terra abbasseria sfuggendo, e nel secondo, comparirebbe alzandosi : e, tirandosi dalla parte destra 0 sinistra, si darebbe dalle bande del bersaglio. 3. Venghiamo al terzo argomento per mostrar che la Terra non si muova. Se la Terra si movesse, noi non averemmo invidia nella velocità agli uccelli : poi che quelli che ci volassero dietro per raggiungerci, non ci arriverebbeno mai, se fos¬ simo da loro seguitati secondo il corso della Terra, dal cui movimento saremmo portati con prestezza molto maggiore che non è quella del volo dell’ uccelli. Per lo contrario poi, saremmo raggiunti in un batter d’ occhio, se ci volassero in- $0 contro, ben che di molto lontano. Sento che i Copernici, in guisa d’uomo che sogna 1 " 1 ), prestamente spaccian¬ dosene, rispondono, che il primo mobile, volgendo seco in giro col moto del ratto tutto questo universo inferiore a lui, porta seco uniformemente 1’ aria, la Terra e tutti gli altri elementi, e conseguentemente tutti gli altri corpi che son nel- 1151 questo è pensiero di voi solo. Volete dire, per linea perpendi¬ colare, e non per retta linea. [16] se questa risposta è da uomo che sogni, sete quello voi, perchè al mondo non ci è altri ch.e risponda così. 36. velete — 38. seto CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 2G1 l’aria sospesi, come se fossero tutto un corpo, a guisa che fanno i nodi nel legno, al moto del quale si muovono aneli’ essi ; e che perciò la velocità, del moto della Terra non toglie che essi uccelli non possono raggiugnerci, poi che avanzano col moto proprio noi che scorriamo solo col moto dell’ universo, dal quale sono por¬ tati anche gli uccelli. Certamente che per verificare sì gran passerotto non ci vorrebbe manco, e forse non saria bastevole a fare che ogni 24 ore tutti i corpi si trovassero ritor¬ nati al medesimo punto donde si partirono, che mostrar che l’aria, la Terra e tutti i corpi, fossero dal primo mobile unitamente, senza varianza alcuna, circo¬ lo tormente portati : ma quanto ciò sia lontano da ogni verisimile e ridicoloso r,,) , più avanti si dimostrerà; e per ora basti rispondere, che, quantunque l’aria fosse così uniformemente mossa col moto della terrestre mole, ad ogni modo averebbe dell’ impossibile, che esso corpo aereo, tenue, sottilissimo, raro e flussibile, avesse balìa di rapir seco senza varietà velocissimamente gli uccelli, corpi sodi, gravi e densi, e che possono all’ aria fare resistenza, e non lasciarsi portare contro la vo¬ glia loro: anzi, che non solo essi, ma eziamdio una farfalla, un mosclierino, ha facultà di violentar 1’ aria contro il suo moto, e per qualunque parte d’ essa va¬ gano a lor voglia tl8 t Vorranno dunque i Copernici, Dio immortale, che fino i corpi [171 Del fuoco e dell’ aria suprema non se ne dubita da Aristotile, 20 talché già averà detto mezo sproposito per voi. Vagano gli uccelli e le farfalle per ogni banda nell’ aria, ma quando sta ferma: contro vento impetuoso gli uccelli non avanzano. È dunque una determinata velo¬ cità nell’ aria, alla quale gli uccelli resistono, ed è quella con la quale essi si muovono nell’ aria ferma. Quanto dunque il moto universale avanza il moto del vento, tanto più porta gli uccelli ; ed è cosa pazza il dire che l’aria si movesse al moto della Terra, e che gli uccelli po¬ tessero far di non esser trasportati. Considera che la difficoltà del vo¬ lare nasce dall’ avere a fender 1’ aria ; ma, movendosi la Terra, non hanno a fenderne più che se stesse ferma, so tl8J se ogni piccol vento porta seco le farfalle ed i mosclierini, perchè' meravigliarsi che siano portati dal moto universale e velocis¬ simo dell’ aria ? Il dire che il primo instinto è il moto delle 24 ore, solve il tutto ; e sì come le tre tavole a mulinello che danno vinto il giuoco sicuro. Tuttavia, per non finir così presto, anderemo discorrendo altrimenti. Nella posizion d’Aristotile bisogna por nella Terra 2 nature con¬ trarie, dicendo, la universa! natura del tutto e delle sue parti esser 31. per dubi meravigliarsi — 262 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. gravissimi c grandi siano rotati nell’ aria por virtù del moto d essa ? La natura, se avesse cosi disposto il corpo aereo, che deve servire per luogo comune e dare il passaggio a tutti i corpi, dagl’ infimi a’ superiori, non averebbe con lodevole artificio e soavemente^ ordinate le cose, non lasciando che i corpi trascorrer po¬ tessero liberamente per quello, e giungere ai proprii luoghi. Ma che 1 aria non possa uniformemente portar seco in giro 1* altri corpi che sono sospesi in essa, si che le parti non si mutino, esempio chiaro al senso ne sia il vedere, che se un legno di mare è portato dall’onde per forza di remi o di venti, le medesime parti d’acqua, che reggono e circondono esso legno, non istanno sempre congiunte con le medesime parti della nave, ma si mutano successivamente fM1 , perchè l’acqua io è fiussibile, e il legno è fermo e sodo, e non può scorrere col medesimo moto dell’onde. Pensino adunque i Copernici quel chesi dee affermare dell’aria, eh’è tanto più sottile e labile che non è l’acqua. Puossi far la prova di questo eziamdio con una palla di ferro, lasciandola cadere nella corrente d’un fiume, e vedrassi dare in fondo tostamente quasi a piombo, senza variare il punto, ben che 1’ acqua, corpo più denso dell’ aria, corra con tanto impeto. Aggiungasi la quarta prova contro gli ostinati Copernici, per che son certo la quiete, e più delle parti (separate che fussero dal suo tutto) il moto deorsum; lasciando, sconciamente, per naturalissima della Terra quella affezion che essa mai non esercitasse, caso che altri volesse dire esser 20 sua principale affezione il moto retto. Ora, già che non si può scam¬ par di por 2 propensioni nella Terra, meglio è il porre per primaria la circulazion diurna comune al tutto ed alle parti, e per secondaria il moto retto, T una e 1 ’ altra delle quali è coeva e sempre esercitata da chi la possiede. Dirassi dunque di tutte le cose terrene il princi¬ pale ed immutabile instinto esser il moto diurno. [l91 anzi ha ella soavissimamente ordinato il tutto, facendo P aria cedente a i moti diversi, e nell’ istesso tempo compagna nel moto uni¬ versale : sì che, non si separando da i luoghi appetiti da chi nell’ aria va vagando, ma trattenendosegli perpetuamente intorno, rende faci- ao lissimo il conseguirgli da chi gli brama. [20] esempio a sproposito per voi, anzi contrario ; perchè, anco nel- P aria, muta contatto chi per forza di ale o scagliato da violenza vi si muove, e non lo muta chi da quella è traportato, come anco il legno in aqqua andando a seconda con quella. L’ esempio poi della palla di ferro lasciata cadere nella corrente è, al solito, 0 a sproposito 0 contro di lui. A sproposito, se si lascia cadere da un luogo stabile fuori dell’ aqqua ; contro di lui, se si lascierà cadere da una barca che vadia con P aqqua, lasciandolo cadere dal pelo dell’ aqqua. CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 2G3 che, se averanno punto di senso, non negheranno questo senso. Prendansi due mobili, l’uno di piombo e l’altro di sovero, poscia si gettino ambidue nel mede¬ simo tempo da qualche grand’altezza, e vedrassi, s’ è vero che la Terra si muova così velocemente, 1’ uno e V altro mobile cadere in diversi punti della Terra e grandemente distanti ; essendo che il più grave discenderà più presto a terra che non fa il più leggiere [iì] : se giù non si dicesse, che 1’ aria, uniformemente gi¬ rando con tutto 1’ universo, portasse dirittamente, senza mutar mai le sue parti da quelle de’ mobili, 1’ uno e 1’ altro al medesimo punto della Terra, come se ca¬ lassero giù per una cerbottana ; il che saria da ridere, non avendo 1* aria questa io possanza, come s’ ò provato. Chi adunque mi farà vedere cotal effetto, o risponde all’argomento cosa che vaglia, io mi obbligo di non bever vino, se non attinto col vaglio, reputando men diffidi questo che quello. Sento che i Copernici si la¬ mentano, che i filosofi fanno un grande chiamazzare di grave e di leggiere e di moti violenti, e che nullum violentwn perpetuum ; non si accorgendo i miseri filo¬ sofanti, che non è nel mondo il grave nò il leve, se non se in quanto si dice grave una cosa in rispetto a un’ altra, e così per lo contrario si dee afferre delie leg¬ gieri. Onde, perchè la Terra in rispetto all’ acqua paia grave, la medesima acqua non sarà però leggiera comparata all’aria; sì come l’aria è reputata grave, se si riguarda al fuoco, e leve per comparazione all’ acqua. Segue per tanto, che, non 20 sendo veramente tali, la natura non patisca altramente violenza nè incomodo in cotali movimenti, poi che non vi è repugnanza veruna. Ma io rispondo che non è maraviglia, che, non essendo essi filosofi, non in¬ tendono anco questa filosofia verissima, e la sprezzino, non conoscendo, che virtù diversa fa diversa lega, disse Dante. E per mostrar loro che la qualità dei grave e del leve sono assolutamente ne’corpi naturali, sì come anche respettiva- mente, come che in questa seconda maniera basti per avere 1’ intento nostro, an- deremo filosofando in questa guisa [n \ De gli elementi due sono le qualità con¬ trarie attive, cioè, il caldo e ’l freddo: l’una è propria del fuoco e dell’aria, l’altra della Terra e dell’acqua. Ora, perchè cotali qualità son grandemente nemiche e 30 destruttive 1’ una dell’ altra, è necessario che stiano grandemente lontane fra di loro co’ lor corpi o subietti ; onde, per ciò fare, conviene che la Terra stia nel centro del Mondo, e il fuoco nella superficie concava della Luna, come luoghi più [21] È cosa da farlo restar morto la 4* ragione, perchè non solamente una palla di sughero, ma un sonaglio fatto con ranno e sapone, voglio che pigliamo insieme con la palla di piombo, e caderanno nell’ istesso luogo, ciò è ambedue al piè della torre, se bene uno stesse un anno per strada e V altro un momento. [22] avvertite che quelli che vi negano il grave e leggiero assoluto, vi negheranno per avventura molto più il caldo ed il freddo ; sì che 40 guardate di non vi mettere a provare ig notum per ignotius. in. 204 CONTRO II- MOTO DELLA TERRA. lontani di qualunque altro Bullonare 1 ** 1 . Ma che essi luoghi siano proprii e con¬ venevoli assolutamente al corpo della Terra e a quello del fuoco, bì prova con ra¬ gioni così efficaci 1541 che nulla piò, come che appaia manifesto al senso ancora; poi che si vede una zolla di terra, levata in aria, cadere alla volta del centro, e una fiamma ascendere verso il Cielo, aendo che la medesima proprietà abbia 1’ elemento tutto, che le sue parti. 11 freddo ha facultà di spessare e condensare i corpi in cui egli predomina, o il caldo ha balla d’assottigliare e rarefare: ora, il freddo prevale nella Terra, e ’l caldo nell’ igneo elemento, come proprie qualità d’essi corpi: adunque la terrena mole è spessa di parti e densa, e’1 fuoco è di parti sottili e rare. Ma i corpi densi son tali, perchè hanno molte parti e poca io [ 23 ] j 0 v i voglio concedere, che il fuoco uni nel concavo della 3» e la Terra nel centro dell’orbe lunare, ma non nel centro del Mondo. In oltre voi dite che il Cielo non ha contrario, e che il fuoco ò con¬ trario alla Terra, e che do i contrarii i luoghi sono massimamente di¬ stanti. Ora il fuoco è più contrario alla Terra elio il Cielo : adunque il luogo del fuoco devo essere sopra il Cielo, e non sotto il concavo della 3- Pi più, voi parlate male, e dovete far la illazione così: Adun¬ que bisogna che la Terra stia nel centro del Mondo, ed il fuoco nel concavo del Mondo. 0 vero : Adunque bisogna che la Terra sia nel centro dell’ orbe della 3» ©d il fuoco nel concavo della 3- E non dire: 20 Adunque bisogna che la Terra sia nel centro del Mondo, e ’l fuoco nel concavo della 3 : non sendo il concavo della 3 massimamente distante dal centro del mondo. [24) si vede bene che voi non avete mai sentito quali sono le ra¬ gioni efficaci. Vedete l’efficacia delle vostre prove. Voi ponete come evidentissimo il freddo in spessare e condensare, ed il caldo di assot¬ tigliare e rarefare; niente di meno ci sono esperienze in contrario del giaccio e della liquefazione de i metalli, effetti in tutto contrarii al vostro discorso che mettete in questo luogo. Leggasi. Di più, quando pur si concedesse il tutto, chi mi vieta il dire elio il freddo ed il caldo so non siano assoluti, ma ad invictìtn ? Ma 1’ aqqua e 1’ aria sono contigue e fredda e calda ; e al vostro conto stavano meglio opposti la Terra e 1 aria, contrarie in ambe 2 le qualità, lì così si dice 1’ aqqua e ’l fuoco esser contrarii. Jj aria può portar non solo in giro i corpi gravi, ma in su, come appare in quei quadri di carta alzati dal vento. 12. nel concavo centro dell'orbe - 16. deve esse—2 1. nel concavo tl[el] centro del mondo et a J> « l fuoco — 30. che il il freddo sia et il — CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 265 mole, e i corpi rari son tali, perchè son di poche parti e di ampia mole : adun¬ que gli uni 8on gravi e gli altri son levi ; e per conseguenza la Terra, eh* è gra¬ vissima, e corpo minore di tutti gli elementi, occupa il minimo luogo, eh'è il centro ; e T fuoco, che è leggerissimo, e corpo più spazioso di qualunque altro dementale, possiede il maggior luogo, che è nella superior parte e nel concavo del Cielo della Luna terminante. Queste qualità contrarie, essendo proprie asso¬ lutamente, si come è il grave, de’ corpi elementari, è necessario che stiano gran¬ demente lontane fra di loro; mossi da cagiono intrinseca a cercar la Terra il centro, come fredda e grave, e il fuoco la superficie concava del Cielo, come caldo io e leggiere; sì come 1* acqua e l’aria che meno si contrariano, meno sono distanti : onde i movimenti loro saranno retti e non circolari, per causa intrinseca, e ogn' altro moto locale sarà loro violento e distruttivo della natura d’essi. Da cotali ragioni si conchiude ancora, che, respettivamente considerati, gli elementi siali gravi e levi, e varino se 1’ uno bì compara all’ altro ; e che ad ogni modo sarebbe stroppio alla natura, se essi fossero, contro il moto retto portati e mossi lungamente, poi che questo rispetto non è imaginario e razionale solamente, come sarebbe la destra e sinistra parte attribuita da noi a una colonna : per lo quale attributo niente di reale si pone in essa colonna, che possa cagionare alterazione in lei. Ma la relazione di più e men grave degli elementi procede da principio 20 intrinseco e assoluto, ed è tale che distingue fino essi corpi di spezie. La natura per tanto patirebbe incomodo grandissimo, e non arerebbe soavemente disposto le cose, se V aria avesse facilità di portare in giro i corpi gravi contro il corso loro naturale. Oltre che s’ è provato a’ Copernici, V aria non aver questa possanza ne’ corpi sodi. Provate voi adesso il contrario, e i filosofi si cheteranno e non bat- teran più lo manganelle. Non lasciamo di mentovare un esempio che essi adducono, per mostrare che gli uccelli, quantunque siano corpi gravi, non patiscono violenza nè impedimento al proprio moto loro, ben che siano dall’ aria unitamente portati in giro col moto della Terra; e questo voglion che s’ abbia per loro Achille. Pongansi de’pesci in so un vaso di vetro, acciò che si vegga meglio l’effetto, sendo transparente, e dentro vi sia dell’acqua, acciò che essi pesci possan notare e spaziarsi per quella a voglia loro. Chi non vede, dicono essi Copernici, che se altri porta quel vaso attorno, o lo gira dentro la superficie d’ una ruota, pur che sia chiuso che 1’ acqua non si versi, che quel moto esteriore non altera nè impedimento apporta al movimento intorno che i pesci fanno, per entro quell’acqua liberi vagando? Così adunque e non altramente accade agli uccelli portati dal primo mobile nel vaso del Cielo della Luna, dentro del quale è V aria, la Terra e gli altri elementi, i quali pos¬ san volare per Paria e per ogni sua parte a voglia loro, poi che molestia o im¬ pedimento veruno da quel veloce moto circolare non sentono gli elementi, nè i 40 corpi eziandio che sono in quelli sospesi, volando. Ma a dirne il vero, a cotale esempio risponderebbe chiunque mai non avesse 266 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. avuto pesci nella zucca per poterne fare la prova. Primieramente P acqua, per esser corpo più grosso e sodo e men flussibile dell’aria, può reggere e portare i pesci, come si vede che fa ancora quando son morti, sostenendoli a galla : ma non così adopera V aria verso gli uccelli, che morti cadono a terra ; anzi fanno forza i pesci dell’ acqua per entrare sotto, e gli uccelli hanno bisogno di tendere e batter l’ale per reggersi in aria: segno manifesto è, che se V acqua ha tanto più di forza che non ha V aria, e ad ogni modo non tira seco li pesci e gli altri corpi sodi e gravi (di maniera che le parti dell’acqua tengano imprigionato quel corpo che circondano, talmente che non si mutino continuamente di lei nuove parti d’intorno a quello, e non lo tengan sempre nel medesimo luogo fisso, sì che egli io non si muova ancora ad altro luogo di suo moto proprio), l’aria indubitatamente non potrà stare con le medesime parti congiunta, e circondare immobilmente gli uccelli, sì che trascorrer non possano in quella come a loro viene in talento libe¬ ramente; quantunque fusse vero, se gli elementi tutti funsero uniformemente por¬ tati dal primo mobile, il che si mostrerà esser falso, che l’aria girasse unitamente col moto della Terra, sì come farebbe nel vaso circolarmente dalla ruota portato. Nè è vero, adunque, che col moto dell’Universo siano uniformemente portati i corpi dell’ uccelli nell’ aria sospesi : e se fussero da essa tirati, non riparerebbe per questo alla violenza il moto comune degli elementi o uniforme cagionato dal primo mobile: poi che se 1’ aria li forzasse a girare seco, impedirebbe di quelli i proprii 20 e particolari movimenti. Secondariamente 1’esempio ha difetto d’equivocazione: per ciò che, altro è luogo comune, altro è luogo proprio. Laonde, se i pesci e gli uccelli si considerano come in luogo comune, vero è clic nè quelli nè questi mutali luogo, eziamdio che si movino di proprio movimento ; ma questo non fa al pro¬ posito nostro, poi che non istanno invariabilmente nel luogo e punto stesso dove si ritrovano quando si vogliono cominciare a muovere, e così non serbano unifor¬ mità. Altramente si potrebbe dire, che io stessi nel medesimo luogo, senza mu- tazion di punto e di luogo proprio, quando io fossi a Venezia, come quando io me n’andassi a Firenze; sì che quella distanza di luogo non facesse variazione alcuna, poi che veramente io sarei in luogo comune come prima, cioè nel Mondo, so Ma quanto al luogo proprio, nè i pesci, nè gli animali, scorrendo gli uni per l’acqua, e gli altri per l’aria, si dirà mai che non mutili sito e punto coll’Universo e col vaso dove son locati, sì che le medesime parti d’ aria e d’ acqua li circondino e lochino : e questo è che fa al proponimento nostro, per mostrare che gli uccelli non posson volare così forte che avanzino il corso della Terra, se ella si movesse, per passare a noi che saremmo portati col moto di quella; poi che, oltre al pro¬ prio moto, non son portati dall’ aria in giro unitamente e senza variar le parti d’ essa che li circonda l2j] , acciò che per racquistaroi altro non vi bisogni che il [ " ,] vuole il Colombo elle V aria non abbia facultà, movendosi, di portar seco i corpi che si ritrovano in essa, e massime non gli circoli- 40 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 267 proprio volato loro. Che altro direte, voi Copernici, che abbia facilità di portar i corpi, che sospesi son nell’ aria, in giro unitamente col moto dell’ Universo ? borse che Morgante gli averia infilzati con quel suo chiodonaccio che arriva dal- l’un polo all’ altro, per arrostirli al Sole, e poi darvi a magnar cotali uccellaci, e perciò non mutali luogo ? Che più? Se l’aria stessa non può con tutte le sue parti mantenersi unita con tutte le parti della superficie della Terra, sì che quelle d’aria non mutino luogo, per esser flussibile e levi, e per conseguenza inen veloci nel moto che non è la Terra, che è soda e grave, chi dirà che anche i corpi sospesi nell’aria non mutino conti¬ lo imamente d’intorno a 8Ò nuove parti d’esso corpo aereo, e conseguentemente non vadano disuniti, e non di moto uniforme con tutti gli elementi? Nè mi si conceda qualche poco di varianza, perchè subito si caverà da questo l’indubitata verità del nostro intendimento : e pur bisogna concederne assai, come ne mostra il senso. 5. Ecco il quinto argomento per manifestar che la terrena machina è im¬ mobile. Se la mole terrestre si movesse in giro, chi saltasse da un * argine all’ altro di qualche fossa, secondo il corso delia Terra, farebbe assai minor salto, perchè la Terra sfuggirebbe mentre il saltatoi* busse per l’aria, che non farebbe saltando oppostamente, venendolo a rincontrare 1’ argine dall’ altro lato : sì come il salto sarìa mezzano tra questi due, saltando per lo traverso, poi che tutto pen¬ so derebbe dalla forza e destrezza di colui che saltasse. Non rispondano già, che nel primo salto la terra dia il tratto, e che per ciò riacquisti quanto di spazio gli torrebbe lo staggimento del corso della Terra, e nel secondo il salto sia più fiacco, perchè la Terra storni quando egli punta i piedi per saltare, sì che venga a perdere quanto acquisterebbe andandoli incontro la Terra; perchè io replicherò, che di già s’è provato, che la Terra, non andando a scosse, non può dare il tratto a chi salta : ma quando pur si concedesse, che essa, col suo movimento, desse qualche aiuto al primo salto, e impedimento al secondo, egli saria di niun momento 1 ’ 81 , poi che non lo conosciamo in comparazione dando essa sempre con le medesime parti. Ma io vi concluderò, che co tirandosi contro il vento o a seconda, tanto anderà la palla nell’ uno o nell’altro tiro, poi che essa palla muta contatto ; e nell’aqqua, tanto andrà la barca spinta dal vento a seconda, quanto a contrario, di aqqua. Ma ditemi: il vento, che pure è moto di aria, non port’.egli seco le gravissime navi, mutando sempre contatto nelle vele ? che, se non mutasse contatto, la nave calumerebbe quanto il vento. Direte forse, che la nave sostenuta dall’ aqqua non è grave ; ma questo è niente per più ragioni, ma in particolare perchè nè anco una, palla d’ artiglieria è grave, ciò è repugnante al moto orizontale. [26] anzi è egli a plinto quanto bisogna, contribuendo nell' un caso ■io e nell’ altro al saltatore, impeto eguale alla sua propria velocità : al 2ti8 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. del velocissimo corso della Terra, che va più di 1300 miglia per ora. Anzi aggiungo, che se la terrestre mole si movesse, quelli che secondo il suo moto caminasse, caderebbe indietro nel levare il piede in aria per moversi, e andando per P opposto farebbe i passi sciancati, o caderia boccone : sì come accade a coloro che carninano per barchetto, come che egli vada adagio, che a pena si muova in rispetto alla Terra. Soggiungeranno forse che questo non può accadere per P assuefazione e pratica che ci abbiamo fatta, come altresì aviene a i prati¬ chi a navigare. Ma io domanderò, se, quantunque P uomo sia pratico in barca, ad ogni modo egli sentirebbe quell’ agitamento, e se, non ci badando come se in terra caminasse, egli comincerebbe a balenare. Certo sì ; ma noi, avvertendo se la io Terra col suo moto cagioni quest’ accidenti, non lo conosciamo; adunque la Terra non si muove, perciò che non si può dire, che, osservandosi cotale uccidente, non si possa conoscere per P assuefazione : sì come P assuefazione di chi sta lungo la marina fa che egli non sente molestia di quel rumore dell’onde, ma sente il ru¬ more, ponendovi cura, come se non vi fosse assuefatto. 6. Aggiungo, e sia il G° fondamento che faccia noto che la machina terrestre non si gira circolarmente, che se ciò fosse vero, tirerebbe vento da una parte sola, e fortissimamente, con ciò sia che Paria, non potendo uniformemente correre col moto d’ esso corpo terreno, le piante, gli uomini e li edificii che sono locati soprala Terra, movendosi con essa, fenderebbono Paria con grandissima vio-20 lenza, e per cotale impeto sentiremmo vento grandissimo, e vederemmo di continuo sventolar le insegne sopra i campanili : ma questi accidenti non adivengono : adunque la Terra è immobile. Diranno, che quegli che bene intendon le loro matematiche positive di questi orbi, non ammetton questa filosofica conseguenza ; perchè, se ben la Terra gira, ella è locata in luogo che Paria non può sentir violenza del suo moto: e la si¬ tuazione è questa. La Terra e tutti gli altri elementi circondati dal Cielo della Luna sono eccentrici al centro del Mondo, nel quale è locato il Sole immobile e fisso. Dopo il Sole, Venere, secondo la comune: se bene, secondo il Copernico, è Mercurio, come io dissi già nelle mie risposte piacevoli contro i giudiciarii astro- 80 logi ; ma, perchè non varia il concetto, mi piace non partir dalla più ricevuta opinione. Però a Venere facciamo seguitar Mercurio, quindi la Luna, nel concavo quale impeto esso saltatore ora aggiugne ora detrae, col moto del suo salto, tanto quanto è largo il fosso, e viene in ainendue i casi a sal¬ tare egualmente rispetto alla Terra. Crede il Colombo che tutte le parti della Terra passino più di 1300 miglia per ora. Quelli che cambiano per barca non sentono alterazione alcuna, pur che la barca non vada ondeggiando, o a scosse ; ma se il Colombo ci pone quello agitamento, si sentirà, ma l’esempio resterà a sproposito. io CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 269 del cui Cielo son tutti gli elementi e corpi resultanti di quegli, e tutti si volgono circolarmente intorno al Sole, come intorno a loro centro, dicono essi, portati dal moto del primo mobile, o da che altro si sia, che nulla per ora importa, con tutte le altre sfere celesti. Ora, perchè la Terra e la Luna son nella grossezza d’un Cielo, come in un epiciclo, l’aria e qualunque «altro corpo elementare vengon portati uniformemente, girando intorno al centro del Mondo, dove è locato il Sole stabile o fisso ; e per ciò niuno d’ essi corpi, come è V aria in proposito nostro, può sentir violenza dal moto della Terra: poiché V uno e 1’ altro movimento è ca¬ gionato nel medesimo tempo da un altro corpo che muove quello nel quale essi io son locati, al moto del quale son portati aneli’ essi senza violenza veruna. La figura è questa l ‘ 7J . 1271 Non intende la posizione del Copernico, e fa la figura male, mettendo 9 ne * luogo di § : e 9 facendo maggior cerchio che §, coine volete che sia dentro a £5 ? Prima ha parlato del moto diurno, ora dell’ annuo. 13. mettendo 9 in nel - 14. che dentro — 270 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. Adducono per maggior chiarezza un esempio, cioè quello che si mentovò di aopra, dell’ argomento dell’ uccelli: il quale esempio servirà adesso per noi a mo¬ strare tutto l’opposito che essi di provare intendono, se si aggiungo a quello alcune condizioni che gli inancono, a fare che simiglianza buona sia tra i movimenti della figura e del figurato. Ora io dimando a i Copernici, se la Terra si muove d’altro movimento che di quello che le dà il primo mobile, o che cos* altra si sia? Risponderanno, che ella ha due altri movimenti, e in particolare (per tacer quello che il Copernico appella ino- tum cìeclinationis in praccedentia f idest unum mottm centri reflectens) uno circa il suo centro e sopra la sua asse, che è tanto veloce, che ogni 24 ore finisce tutto il suo io periodo. Adunque debbiamo aggiugnere a quella palla o vaso di vetro, ch’era por¬ tato in volta da una ruota, locato nella sua circonferenza, un moto proprio e interno alla Terra, che saria locata nel mezzo di quella palla di vetro, nella quale ci dove¬ vamo imaginare tutti e quattro gli elementi. Dato pertanto questo movimento par¬ ticolare dentro di quella palla, chi dirà mai, che quel movimento abbia possanza di girar seco 1’ aria, che è flussibile o cedente al passaggio di quei corpi che fossero locati sopra la superficie di quella Terra là entro imaginata? Lo stesso è necessario dirsi dei rivolgimento di questa mole terrena, che, non avendo facoltà col suo moto di rapir seco unitamente l’aria, i corpi che stanno sopra la Terra fendendo velocis¬ simamente il corpo aereo, se è vero che la Terra si muova, bisognerà dire ancora, 20 che apparirebbe sempre che tirasse vento da una banda sola, e fortissimamente: ma egli non tira: e per ciò si deve affermare indubitatamente, che la Terra non si muova, e che 1’ uniformità del movimento non si può cagionare dalla difformità. E se pure, ancor pertinaci, replicassero che questo vento, non si potendo sentire, non si possa eziamdio da esso conoscere se la Terra abbia movimento o no (poscia che l’altezze inaccessibili de’ monti impedimento apportano di maniera, che il vento non può da noi esser sentito altramente: in quella guisa che se altri fosse dentro una conca, gli orli della quale facendo ostacolo al vento, chiara cosa è che non lasceranno sen¬ tirlo), ma questa, a dirne il vero, mi pare assai più da ridere che quella di Bruno e Buffalmacco, che diedero a credere a Calandrino che egli fosse pregno. Qual uomo è so così insipido, che non conosca la scempiaggine loro ? a cui bì farà egli creder questo, poi che sopra cotali orli, che sono i monti, non è chi non vegga o senta che non vi sof¬ fiano perpetui venti, c sempre da una sola parte? quali orli saranno sopra i monti? Se l’aria, unitamente con ogni sua parte, si girasse secondo il girare della Terra, i naviganti farebbon una pazzia a inalberare le vele per solcare contro al corso della Terra, con ciò sia che essi vorrebbon gareggiare con l’aria a chi più spinge, senza speranza d’ aver mai vento che avesse balìa di arrestar 1’ aria dal suo moto ; e per lo contrario saria perdimento di tempo servirsi delle vele secondo 1281 eh, Sig. Colombo, i marinari non inalberano e spiegano le vele per gareggiar col moto dell’ aria universale e comune con la Terra io CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 271 il girare d’essa mole terrena, poi che 1* aria non gonfierebbe quelle, non andando più velocemente che si vada la stessa Terra, se ella si movesse. Dicasi perciò, signori Copernici, che nè l’aria nè la Terra circolarmente si muovano, eolie va¬ nità delle vanità sarebbe rimagliarselo, non che raffermarlo. 7. Ma, di grazia, e sia la settima ragione contro la mobilità della Terra, cer¬ chiamo da coloro che sostentano cotale opinione, in che modo il primo mobile muova quella circolarmente intorno al Sole, e in qual maniera ella si rivolga in sè stessa, girando circa il suo centro sopra la propria asse. Diranno primieramente, che, essendo tutte le celeste sfere e i corpi delli ele- io menti F uno all’ altro contiguo, si che le superficie di ciascuno vicendevolmente si trovano, movendosi il primo mobile che tutti questi altri corpi contiene, è ne¬ cessario, che ancora essi si muovano, rapiti dal moto di quello, girando intorno al Sole, che è locato nel centro del Mondo immobilmente. Ma per che noi ab¬ biamo provato che l’aria, che è corpo sottile, raro e flussibile, non ha possanza di portar seco i corpi gravi e sodi, quindi è che vana e lontanissima da ogni verisiinile è questa opinione: tanto più che, non solamente il corpo aereo è mez¬ zano tra la Terra od il Cielo, che son corpi sodi, ma vi sono ancora l’acqua e ’1 fuoco, che, per essere della natura dell’ aria, cioè flussibili e cedenti, non potrà mai il primo mobile col suo rapido corso rapire anco la Terra, e seco girarla -20 uniformemente; ricercandosi a ciò fare, non solo il contatto di tutti questi corpi, ma che siano sodi, e non ceda L’ uno all’ altro il passaggio senza volgersi con quello. Anzi da questo si conchiude, che, se il Cielo della Luna si girasse intorno al Sole, la Terra infallibilmente toccherebbe la superficie concava (li esso Cielo; poi che F acqua, F aria e ’1 fuoco già le averebbon ceduto luogo, come corpi che resister non possono e farle ostacolo. Buon per noi, se ciò fusse vero, perchè, toc¬ candosi il Ciel con le mani, poca briga sarebbe il saltarvi su, e chi poi ne.scen¬ desse averebbe del balordo. Qualche sottile ingegno, avezzo a squartare gli zeri, dirà che per altra via si dee provar che la Terra si muova, ed è, che mentre il primo mobile rapisse gli so altri Cieli col Ciel della Luna, conseguentemente il centro d’esso Cielo, che è dove la Terra, si gira aneli’ egli intorno al Soie : onde la terrena mole, che non può star fuor del suo luogo, si muove al moto d’ esso centro secondandolo ; e così non vi è necessario il contatto d’altro corpo solido che la muova. o mare, nè meno per servirsi di lui, ma per usare il moto secondario, particolare ed accidentario di alcune parti dell’aria, detto vento. Per¬ chè voi ancora direte, che naturai costituzione è che Paria quieti in¬ sieme con la Terra e col mare, quanto alla ragione universale: per accidente poi occorre, che qualche parte dell’aria in alcuni luoghi si muova, e di questa si servono i naviganti. ni. 37 272 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. Di vero che quest’invenzione darebbe assai nel buono, dato per vero ancora, che nel Mondo non fosse il grave nè il leve, a cui s’è provato di sopra nè V uno nò l’altro mancare : e di più s’aggiunge 1 esperienza dei senso pei pio\aie questa \eiissimu (ilosofia. Tutti i corpi misti, che hanno più del terreo o dell’acqueo, ritengono le qualità materiali, e a predominio d’ essi elementi, e in genere : ma le piante, ie gioie, e simili, son misti gravi: adunque la Terra e l'Acqua, di cui essi son parte, in genere è grave, perchè la medesima ragione milita del tutto che delle parti. Risponderebbe il Copernico, che questo che noi chiamiamo grave, non è altra¬ mente tale, ma è una violenza e forza che fanno i corpi a chi gli separa dal lor tutto, per ragione d’ una certa inclinazione che hanno dalla natura di riunirsi a io quello, come parti. E noi replicheremo, che cotale inchinazione di riunirsi, come parte, al suo tutto, non potendo pendere dalla materia, ma dalla forma specifica solamente, non può aver luogo in quelle coso che son di spezie diverse: perchè, non avendo la medesima forma specifica, non averanno ancora inclinazione nè appetito d’unirsi 1’ una all’ altra, come a suo tutto. Altramente, se questa inchinazione pendesse dalla materia, per certo ne seguirebbe, che gli uomini, le piante e i minerali, non solo fossero parte della Terra, ma eziamdio le stesse spezie diverse fossero F una parte dell’altra, e gli individui l’uno parte dell’altro in fra di loro: e così l’uomo saria parte dell’asino e dell'uomo insieme. Onde si vedrebbe per espe- 20 rienza, dove fossero almeno gran moltitudine di particelle di qualche spezie di cosa, essere tirato quello individuo che lontano fusse da quelli della medesima spezie, per violenza, nel novero e massa degli altri: il che è falso. Un braccio ta¬ gliato, che non è piti parte d’uomo in spezie, ma in materia solamente, perchè non si riunisce all’ uomo quando lo perde? Nè si dica già dagli aversari che questo non apparisce al senso, perchè cotali corpi, amando riunirsi al tutto, non pos¬ sono ricongiungersi 1’ uomo all* uomo, e il braccio al suo corpo, perchè essi non siano il tutto, ma sì bene la Terra che è la maggior parte di tutti i corpi; perchè l’esperienza mostra falsa cotal risposta 1 ™ 1 . Poi che colui che entrasse in un pozzo profondissimo, e avesse dell’acqua congelata in mano, non solo gli peserebbe 80 ancor che fusse sotto il letto del mare, la quale secondo loro dovrebbe parere leg¬ giera cercando di salire per trovare il suo tutto, ma, lasciandola, cadrebbe più affondo, ben che non vi fosse acqua, 0 minor parte di quella che è nel mare e sopra la Terra. Adunque nel Mondo è veramente il grave. Quanto al leve, basterebbe dire, che, posto un contrario, è necessario concluder l’altro 1301 , 0 siano proprii 0 improprii contrarii; e per ciò, send osi l “ 91 Domandisi se ha fatto tale experienza, e le altre che adduce. [3t>1 se è contrario, bisogna ben che sia 1’ altro opposto, altramente non sarebbe contrario, sendo il contrario relazione : ed è come dire, CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 273 dimostrato il grave ritrovarsi nel Mondo, forza è che ci sia il leggiere ancora, come si prova per induzione in tutte le qualità: sì che il caldo ha per suo con¬ trario il freddo, la luce le tenebre, il secco 1’ umido, il bianco il nero; e così di tutte l 5 altre qualità si dee allermare, senza dar privilegio alla gravezza che non abbia la sua contraria qualità [8,J . L’esperienza ci farà vedere eziandio che il leve si ritrovi tra questi corpi, poi che V aria, perdi’ è leggiera, non può star sotto l’acqua racchiusa, cercando salire in alto dove stanno i corpi leggieri. Rispon- derassi forse, che l’aere non cerca di stare sopra l’acqua come leve, ma che è scacciata dall’acqua perchè è più grave; la quale restringendosi, per non ani- io mettere corpo alieno che la disunisca, tosto la scaccia, spingendola in alto come men grave, o leve, respcttivamento, ma non come leggiera assolutamente : ed il medesimo farà anche l’aria spingendo sopra di sè il fuoco, e così la Terra l’acqua; perchè essendo corpi, è necessario che siano gravi, ma più e meno, secondo la natura loro. Ma io provo con esperienza tutto il contrario, in questa guisa. Pren¬ dasi una palla di terra che dentro sia ripiena d’aria, e ben turata, e vedmssi quella terra non calare al fondo, quantunque sia più grave dell’acqua nella quale sarà posta, non per altra cagione, se non perchè l’aria, che è leggiera, sopporta di stare sotto acqua fuor del luogo suo, eh’è luogo de’corpi levi. Nè si può re¬ plicare che 1’ acqua la spinga, come corpo piò tenue e men grave, sopra di sè ; io per ciò che l’acqua non toccando l’aria ma la Terra, ne seguita che l'aria non possa essere stretta dall’acqua per rispingerla a galla : adunque Y aria da per sè medesima ama di staro sopra 1’ acqua, perchè è leggiera assolutamente. Contro la ragione di questa esperienza verranno gli avversarli dicendo, che la causa di ciò sian le molte parti d’acqua, le quali, sottentrando a quel corpo terreo, hanno balìa di reggerlo a galla, ristringendosi insieme per fuggire la disunione e divi¬ sione del lor continuo: e che ciò sia vero, dividasi quella palla per lo mezzo, acciò che l’aria non vi stia chiusa dentro, ma sia libera; e vedrassi ad ogni modo la Terra e’l restante di essa palla galleggiare nell’acqua: segno chiaro che, non 1’ aria come leve, ma 1’ acqua come più grave, sostimi sopra di sè 1’ aria, e non 30 posto un litigante o un giocatore, è necessario por V altro, se già non volessimo litigare o giocare con noi medesimi. Non ci è sì gran bue che dubiti, che posto un contrario sia ne¬ cessario porre anche V altro : perchè chi dice contrario dice 2 cose, non potendo una cosa che è aver per contrario quello che non è. T)i modo che il dire: Posto un contrario, di necessità si pon Y altro; è il medesimo che dire : Poste due cose, è necessario por due cose; [31J Se questa regola vale, sarà necessario porre il vóto, dandosi il pieno. 31 . velessimo — 35 . divo — 274 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 1» aria di sua natura cerca stare sopra 1’ acqua. Ma essi di vero son fortemente ingannati, però che quegli che distendesse e appianasse quella mezza palla di terra, sì che dentro a quella girella piana non potesse l’aria entrar più giù che la superficie dell’ acqua, vedrebbe tosto quella terra calare al fondo ; per che non vi saria più aria che la violentasse a stare a galla, per non dare il vacuo nella natura nel lasciare quel coccio concavo voto, restando nel suo luogo, cioè sopra l’acqua. Nè può negarsi questa verità. Poi che se è vero, che le molte parli d’ acqua, che sottoposte sono a quella mezza palla, sian cagiono che ella non vada al fondo, chi non vede che maggiormente doverebbon sostentarla, essendo piana e maggiormente larga dove le parti dell’acqua in maggior copia sottentrar po- M trebbono ? Adunque è necessario confessare, che ci sia il leve e il grave assoluto. • È falso, per conseguenza, che il corpo, come corpo, aia grave; altramente ne segui¬ rebbe che il corpo celeste fusa© grave, il che è falsissimo, perchè non è nè grave nè leve. Ma ci è peggio : che se di natura c d’ essenza elei corpo fosse P esser grave, gravo sarebbe eziandio il corpo matematico, poi die non si potrebbe con¬ siderare il corpo senza la proprietà della gravezza. Anzi, che se fosse vero, che tutti i corpi fossero gravi, nè vi avesse differenza, se non secondo il più e men grave, bisognerebbe dire che quell’aria, che era nella palla di terra racchiusa, aggiungesse gravezza alla gravità d’ essa terra, e conseguentemente con più fa¬ cilità dovria andarsene al fondo: e nondimeno Peffetto aviene al contrario, stan- 20 dosene a galla fin che vi è dentro l’aria. Altri, per fare altra via, si mettono a sostenere, che non si trovi niun corpo che sia nè leve nè grave, o piglisi assolutamente detto, o respettivamente, e che perciò possa senza violenza o incomodo della Natura moversi la Terra in giro, secondo che tengono i Copernici. E quanto a quel che. ne mostra il senso, che alcuni corpi gravi appaiono e alcuni leggieri, rispondono, che, per essere questi predominati dal calore, c quegli dal freddo, gli uni vanno ad alto, e gli altri a basso : perchè, essendo di qualità contrarie, la natura ha dato loro luoghi opposti, acciò che l’uno non distrugga l’altro; e hanno sortito, la Terra il centro, e ’1 fuoco la superficie concava della Luna, perchè cosi ricerca la grandezza o pie- 80 colezza delle moli delli elementi ; e perciò quando son fuor de’ proprii luoghi, fa¬ cendo iorza di ritornarvi, pare che pesino, o che siano levi, ma veramente cotali condizioni in essi non sono. Ma io tengo per certo, dal concetto loro aver P intento mio : perchè, se da queste qualità i corpi amano il moto retto naturalmente, cioè al centro e al Cielo, il moto circolare sarà contro la natura loro e violento. Pur non voglio mancare, per quanto potrò, di sanare questa sgominata frenesia di costoro, con dimostrare falso questo capriccio, lontano da ogni faccia di verisimiglianza. So li corpi sul- lunari appetissero-i luoghi loro solamente pei* ragion delle prime qualità, cioè del caldo e del freddo, chiara cosa è, che una gran massa di terra posta in qualche to CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 275 pelago non anelerebbe mai al fondo : perchè, non essendo grave, la sola virtù del freddo non averebbe balìa di spingerla sotto 1* acqua, imperciò che nel freddo converrebbe con la stessa acqua, e conseguentemente desidererà quel luogo ; e se la qualità del secco desiderasse il centro, ella, per essere in piccola mole, ri¬ spetto all’acqua, sarebbe anco di minor forza, e così non dividerla l’acqua, vio¬ lentandola per descendere sotto di essa: oltre che, Tumido dell’acqua rintuzze¬ rebbe la virtù del secco terreo, sì che nulla operar potrebbe. Ma noi veggiamo, che immediatamente colai massa di terra cala al fondo. Adunque vicn dalla sua gravezza, e non da altra cagion principale: la quale gravezza, si come il suo con¬ io trario, son cagionati dal freddo, che spessa e condensa, e dal caldo che rarefò ed assottiglia, i corpi, come si provò di sopra. Sento che altri soggiungono in difesa di costoro, che son per levare le gambe all’aria, dicendo: Finalmente concediamovi che la Terra sia grave, su! non per questo ne seguirà inconveniente veruno : atteso che noi neghiamo che il centro del Mondo sia il luogo de’ corpi gravi, sì come de’ levi la circunferenza d’ esso : ma af¬ fermiamo, il vero centro della gravezza e la vera superficie della levità esser quello e quella che sono dentro al Cielo della Luna, la quale è un orbe situato nella grossezza del Cielo, fuor del centro del Mondo, come nella precedente figura si è domonstrato, e chiamasi da matematici Orbe Magno : ora, tornando ad affer- 20 mare quello che sopra si disse, cioè che la Terra seguita il moto del suo luogo, che è il centro dove stanno i corpi gravi, non è necessario che altro corpo a lei congiunto e solido la tiri seco, mentre il primo mobile trae tutti gli altri corpi uniformemente. Veggano adunque i Copernici dove sono ridotti, che mai darebbono luogo una salignacca di questa lite ! Come noi proviamo che il luogo della Terra sia il centro del Mondo, ogni loro speranza è capitata nelle mani della disperazione : perchè farà mestici* conchiudere, che la Terra non sia eccentrica al centro del Mondo, e conseguentemente non possa dal primo mobile moversi il centro <1’ essa, poi che non sarà nella grossezza d’un Cielo; e da questo ne seguiterà, che, non potendo so girarsi la Terra intorno al Sole, ogni chimera e machina Copernica sia risoluta in fumo, come questa. Sia la giunta a molte altre prove operanti il medesimo. Due sono i centri della gravezza: uno intrinseco e naturale, a cui riguardano tutte le parti d’esso corpo, e sopra il quale tutto il peso della mole si equilibra e posa, non pendendo da banda veruna ; e 1’ altro è estrinseco, e serve per luogo comune di tutti corpi gravi, il quale è nel mezzo del Mondo, e così si richiede, non sendo particolare a niim corpo, poi che infallibilmente tutte le cose gravi ten¬ dono a quello per loro natura. E questo è quel centro, di cui adesso dobbiamo parlare ; cioè se il centro del Mondo sia quello a cui abbiano inchinazione tutti i corpi gravi, nè possono altrove quietarsi se non in questo, non essendo però 40 impediti che giungere non vi possano. 276 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. Prima. La ragione insieme col senso n’ insegnano, che le cose men nobili, più impure e vili, stiano locate ne’ luoghi più inferiori e bassi, o le più nobili ne’ più eminenti e supremi: ma la Terra è l’infima di tutti i corpi naturali: adunque la mole terrestre è nell’ inferiore luogo del Mondo, che è il centro d’ esso. Che la machina terrena sia tale, chi mai sarà sì privo d’ occhi che noi vegga ? Il Solo è forse inferiore alla Terra, che voi, o Copernici, il locate nel centro? o quegli che dissero lui essere una zolla, al meno dissero eh’ era d’ oro, per non lo far più vile della Terra? Il Sole, occhio del Mondo, bellezza e vita della natura, padre universale della generazione, sarà, men nobile della Terra? sarà l’agente più vile del paziente? Che più? Non è egli manifestissimo al senso, Iddio aver con prò- 10 videnza bellissima in tutte le cose create, ordinato gradatamente con distinzione d’infimo e di supremo ogni luogo e ogni locato? L’acqua non è più pura e più semplice della Terra? l’aria, dell’acqua? il fuoco, dell’aria? e conseguentemente locato ciascuno d’essi elementi in luogo più elevato, corrispondente alla nobiltà sua? 11 Cielo sopra d’essi è locato, perchè, si come egli è tanto più eccellente di sostanza che tutti gli elementi non sono, essendo una quinta natura o sostanza non comunicante in materia con gli altri corpi naturali, cosi è convenevole che abbia sortito un luogo supremo a tutti, capace della sua dignità e grandezza. Nè rileva che altri tenga, che il Cielo sia composto delle delizie di questi elementi, poi che non si negherà già che la farina non sia più pura della crusca. Le stesse 20 sfere celesti, secondo 1’ altezza del luogo, sono di qualità più nobile, l’una e l’altra, come ne dimostra il Firmamento di così gran numero di stelle ripieno, per essere il più eminente di tutti i Cieli visibili. Nè perchè il globo del Sole si dimostri tanto maggiore agli occhi nostri, e di più virtù appaia che gli altri pianeti, si doverà affermare che, ciascuno considerato secondo il tutto, il suo Cielo non sia di maggiore dignità e virtù che gl’ inferiori di luogo non sono: atteso che la virtù del Sole apparisce maggiormente, solo perchè più parti del suo Cielo si ritrovano in quel globo che lo fanno più denso, nelle quali per conseguenza dee essere più virtù che in quelli, ne’ quali le parti sono meno e manco dense. Ma non per ciò, se noi consideriamo ciascuno Cielo secondo sè tutto, e non secondo quella parte 80 più densa che noi chiamiamo stella, si dirà, per esempio, che il Ciclo del Sole sia più nobile di quello di Marte. Questo è confermato dalla comune opinione che tiene, il Cielo Empireo, benché non sia stellato, di gran lunga avanzar di purità e d’ eccellenza il Firmamento, eh’ è pieno d’infinità di stelle ; non per altra ragione, se non perchè, dovendo essere stanza de’ beati e di Dio, è nel più supremo di qualunque luogo del Mondo. Dicasi adunque che la Terra, come in¬ fimo di tutti i corpi, sia nel centro, non solamente come grave, ma che il centro delle cose gravi sia quello del Mondo, come luogo de’corpi men nobili, più infimi e di minor ampiezza di mole, acciò che inter locum et locatimi detur proportio- Oh che sconvenevolezza sarebbe il credere, che la Natura avesse alloggiato il Sole, CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 277 die per la sua grandezza comprende cento sessantasei voi te ^ col suo diametro quel della Terra, nel centro del Mondo, che è il minor luogo di tutti, proporzionatissimo per la Terra, che è il minor corpo degli elementi I Oltre a ciò, se la Terra non fusse nel centro del Mondo, l’ordine (,) della natura, circa il grave, leve, e non grave nò leggiero, saria disordine, poiché non sarebbono gradatamente locati prima i corpi gravi, e sopra d’ essi i leggieri, ed ultimamente i non gravi nè levi. I primi sono la Terra e T acqua, i secondi 1’ aria ed il fuoco, e final¬ mente il Cielo, che, per non possedere la qualità dell’elementi, non ha ragione di levità nè di gravezza. Finalmente non è cosa naturale o sopranaturale, che non io osservi questa gradazione d’eccellenza di luogo, secondo la dignità di ciascuna. E a dirne il vero, che ragione mai addurranno i Copernici, che dimostrar possa verisimilmente, Iddio e la Natura aver cagione di variar così bell’ordine e porre il Sole nel centro del Mondo, e la Terra e gli altri elementi fuor di esso centro nella grossezza d’ un Cielo? Ecco i capi dell’Idra, di cui si dica, uno avulso non deficit alimi : poi che quante obiezioni addurrai, o Colombo, che ti parrà d’ aver atterrati i Copernici, tante nuove ragioni ti addurranno essi per sostenere che la Terra possa senza incon¬ veniente stare eccentrica al centro del Mondo; nè parrà inconvenevole che molte siano le ragioni, perchè molti sono i mantenitori di questo fondamento, ma il 20 mezzo di reggerlo è reputato diversamente ; sì che, uno che lo sostenga, poco ti gioverà gli altri aver rovinato. Tutte le cose adunque hanno due inchinazioni naturali ; altra risguarda la conservazione propria di ciascuno individuo, altra ha rispetto alla conservazione dell’ Universo, e questa è più intesa dalla natura che la prima ; come, per esseinpio, leggiamo che l 5 acqua, come è grave, appetisce discender al basso, e nondimeno, se accade eh’ abbia da riempirsi qualche luogo vacuo, subbito lascia la propria operazione, e soccorre a riempier quel vacuo, per non lasciar patire la Natura, che non può sopportar il vacuo senza mina uni¬ versale. E per ciò una guastada, nella quale sia ^tato un lume e subbito cavato, si tuffi col collo nell’ acqua, tosto 1’ acqua sale nella guastada contro la propria so inchinazione, ma non contro la commune, e perciò non patisce violenza, essendo cotale operazion naturale e pià ricercata che la propria: onde la Natura, che poi- maggior commodo della generazione ha locato la Terra in mezzo agli altri elementi come ricettacolo e motore universale della produzione delle cose, quantunque ella sia grave, e di propria inchinazione appetisca il centro del Mondo, ella appetisce [32] erra veramente di poco, dieendo che il diametro del © contien quello della Terra 166 volte; perchè a 166 a_5 e poco più, non è molto gran differenza. È pur poveretto ! A questo punto muta la mano della scrittura nel codice. 278 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. prima e più principalmente l’universal conservazione, e non sente incommodo per non poter essercitar la propria, perchè 1’ una e 1’ altra è naturale, e più appetita questa che quella; e perciò, stando la Terra sospesa in mezzo, non grava per ninna parte nè violenta l’elemento contiguo, come se leggierissima fosse, nel modo stesso che fa 1’ acqua nell’ essempio addotto, che appar leggieri, benché sia grave, andando in alto. Ragionevolmente ha la Natura posto la Terra fuori del centro del Mondo, nel quale più propriamente è locato il Sole, acciò che ella possa girarli attorno, e vederlo, e goder delle suo influenze, lume e calore, per ogni sua parte, e che ella, come men degna e più bisognosa, e come causa ma¬ teriale delle cose, vada cercando lui che è padre di quelle e causa effettiva e for- io mal di esse, o almeno più nobile c più principal agente. Certamente che se le teste dell’Idra, che rinascevano quando Alcide ne aveva tagliata alcuna, fossero state della virtù che sono queste, non vi avrebbe biso¬ gnato il fuoco per reciderla. Questa distinzione delle due inchinazioni non fa al proposito nostro, por più ragioni. Prima, perchè la Natura produce e dispone le cose suavemente, e non vuole che una cosa, per bisogno dell’ altra, sia necessitata a poter mai attendere alle proprie operazioni per conservazione di sè stessa, come anelerebbe della Terra, che come grave non potrebbe mai quietarsi nel centro del Mondo da lei appetito. Secondo, perchè vana sarebbe l’inchinazion della Terra d’amare il centro e la quiete in quello, non la potendo mai ridurre all’atto; e 20 perciò non si serve la Natura dell’ inchinatone universale delle cose se non per accidente, e non perchè così desideri ma per necessita, e per manco tempo che ella può, per non violentar le cose. Terzo, non è vero che, per essere ambedue natu¬ rali, cotali inchinazioni non patiscano le cose, non potendo operare per sè proprie, anzi si distruggono durando lungo tempo, perchè nullum violentimi perpetuimi; ma la Natura, che stima più la conservazion dei tutto che delle parti, vuol più tosto il minor male che il maggioro, permessivamente. Quarto, perchè non appa¬ risce necessita veruna donde la Natura s’abbia ad esser messa a porre il Sol nel centro del Mondo, e la Terra eccentrica ad esso, poi che appare tutto il con¬ trario, dovendo le cose più infime e soggette alla varietà e corruzione giacer nel so più basso e meno nobil luogo che quelle che sono incorruttibili, invariabili ed eterne, sì nel tutto come nelle parti, come si è detto di sopra: e vana è la ra¬ gione addotta, che la Terra debba cercare il Sole, per esser meno degna e madre, ed egli è padre, della generazione; perchè la causa più nobile deve essere più attiva, più mobile e più operante, che la passiva e men nobile come è la Terra : la qual, coinè subietto ricevente l’azione, deve stare immobile aspettando 1* ope- razion del Sole che la mova alla generazione, e produca in lei la varietà delle cose. La Terra, adunque, non sondo fuori del centro del Mondo, non si gira intorno al Sole portata dal primo mobile, 0 da che altro si sia, in niuna maniera. Ci resta anco un altro chiribizzo per provare che la Terra quantunque ella sia 40 CONTRO IL MOTO DELLA TERRA. 279 pravo, stia fuor del centro del Mondo in mezzo agli altri elementi sospesa, onde possa dal primo mobile portata, o altro ohe sia, girare intorno al Solete. Sono più, di gran lunga, gli effetti che noi conosciamo, che di quelli le cagioni, e quelle poche da noi mal conosciute ; e perciò stimiamo convenevole e congrua alcuna cosa e ragion d’ essa, quando, conosciuto 1*effetto, sopra di quello andiamo filosofando la cagione e Y ordino e tutte V altre circonstanze. Ora, chi suppone per vero che la Terra sia fuori del centro del Mondo, e no filosofa la cagione, minore fatica, senza fallo veruno, avrà a filosofare, che meglio ordine sia l’averla situata quivi la Natura, che nel centro del Mondo, non vi essendo per provare il io contrario necessità veruna che ne spinga a crederlo, ma sì a negarlo. Reggasi per tanto la Terra nel mezzo degli altri elementi e dell’orbe magno, cioè nel concavo del Ciclo della Luna, fuora del centro del Mondo, luogo de’corpi gravi: perchè è tra il (Melo ed essa Terra una virtù e simpatia attraente, che per ogni parto egualmente avendo la medesima efficacia di attrarre, è necessario che, non po¬ tendo muoversi essa Terra più verso una parte che verso l’altra, per essere la forza uguale per causa del circolo, egualmente, per quanto importa al moto retto, e solamente si muova al moto dell’Universo, e, per dir così, del vaso incui ella è situata; e ancora si muove in giro circa sè stessa del moto intrinseco, non sondo da cotal movimento impedita essa virtù attraente. Vcdesi chiaramente poter es- 20 ser questo, con 1* essempio della calamita e del ferro, la cui virtù, benché non ancor conosciuta la cagione, simili effetti produce.; come sappiamo che ll) raccon¬ tano le storie dell' arca di Maometto, che è librata nel mezzo della Mesciuta sua, sostenuta non da altro che dalla calamita di cui sono fatte le mura, e ’l palco et il pavimento, e T arca è di ferro : favola certamente sarebbe stimata da chi non avesse veduto con i proprii occhi il valore della calamita, non si trovando ragione di quest’effetto, che por ancora quieti T ingegni pellegrini ; e pure è vero un cotale effetto, ma la cagiono occulta. Che si dirà egli delle cose adunque, che sono al nostro senso molto più lontane e alla ragione altresì? Basti perciò avere mo¬ strato, che coloro che tengono che la Terra sia fuori del centro, dato che ella sia grave, non mancano le ragioni vcrisimili per le quali cotale effetto si persuada senza inconvenienti. Signori filosofi, voi non avete per lungo studio apparato giammai ch’il Cielo e la Terra abbiano cotal consenso fra di loro, qual è quel della calamita e del ferro, come per lor grazia vi fanno sapere questi difensori della machina Coper- nica, acciò ella non rovini. Che ne dite ? 0 andate ad impacciarvi con costoro : [33] e pur si pone il primo motore essere immobile ! / pileria; idemquefacimus, ut in plano \ L / so globus lunaris eileetus, melius osten- \ j / dat quod volumus. ° ? / Si enim mente concipias cimi- lum ABCD lunarem esse globum, et diametrum A C eonfinium esse discriminans partem Lunae Solis lumine colfustratam ab altera tenebricosa; ita ut semifacies Lunae colhicens sit area comprehensa sub diametro AC et semicirculo ADC, pars vero tenebrosa sit area contenta sub dia¬ metro AC et arca CBA; si etiam fingas lincam EAF Solis esse radium, qui semicirculum lunarem ADC' illustret tantum usque ad punctum A, piotecto, si in altero semicirculo ABC nondum illustrato vertex b liucae BF appaieat illu- 40 stratus, ut vere apparet per tiibospccillum, non potest id esse, nisi extia ìeliquas in. 301 Dii LUNARIUM MONTIUM ALTITUDINE partes tenebrosas, interceptas intcr puncta B et A, ita emineat, ut sua altitudine pertingat usque ad radium solarem EAF, in puncto F: supponimi» enim radium EAF non excedere punctum A, sive diametrum ÀC, quae est lucis et tenebra- rum con lì ni uni ; praeterea eundem radium EAF semper in directuni ferri, noe unquam incurvali, ut ex physicis et perspcctivis principiis constat. Nec est cjuod ad partes rariores contagia», fingasque partes interceptas v. g. inter puncta B et A, propterea non illustrar!, non quod demissiores sint puncto F, sed quia ra¬ riores, et ideo lumini» minime capaces; non est, inquam, quod hoc fingas; nani etiani partes inter B et A illuniinantur ac punctum F, sed successive, multoque post quam vertex F fuerit illustratus : quod totum per tubospecillum evidentcr io apparet. Quoniam igitur intra reliquas partes tenebrosas illuminat verticem F, id ex eo efficere dicendum est, quod punctum F ita extat, ut contingat 1 incanì EAF in puncto F. Nec, meo iudicio, ullus relinquitur dubitatami, sed inanibus tantum cayillationibus, locus; quas facillime diluet qui recto ac rito rem tenuerit. Utinam caetera, quae doctissimus vir Galilaeus Galilaeus de Lunae phaenomenis disseruit, tam recta forent ac perspicua, ut hoc unum evidentissimum est atque tìrmissi- mum ; profecto et plus fidei apud nos nactus esset, et nobis pene novae demon- strationis laborem ademisset. Quod secando loco praemittimus, est: in extrema Lunae periplieria quam vi- demus, sive, ut aiunt astronomi, visuali, nullos eiusmodi montes reperiri ; ob eam 20 scilicet rationem, quod nulla nos ratio, nullus aspectus, nullum phaenomenon, cogat id asserere. Sive enim sola nativaque oculorum acic, sive per tubospecil- lum, extremum lunaris globi circulum, cum pieno nitet lumine, diligentissime con- templere, niliil in co eminens nihilque dentatum ac serratum compories. Appa- rent, ut ostendimus, in ea Lunae facie, quae terras aspicit, tumores? est igitur ratio, cur nos inibi eos esse affirmemus. Non apparent in extrema periplieria? non est igitur ratio, cur inilii esse affirmemus: cum si inibi essent, nulla suf- liciens ratio prohibeat quia apparerent. Ut quid enim, ut cum philosophis loquar, sine vera necessitate entia tanquam certa ìnultiplices V In hoc lapsus est, ni nos ipsi labimur, doctissimus vir Galilaeus Galilaeus; quod, nullis rationum momentis 30 coactus, lunarem spliaeram montuosa superficie undequaque circumaxnbiri vo- luerit w . Itaque, in maximas difficultatum angustias coniectus, ea respondere eo- natus est, quae oum magis in laqueos inducant quam exuant. Ac nos ipsi mul- tiplex ac maximum rationum agmen brevi quodam commentariolo, memoriae atque exercitationis gratin, explicuimus, quo eius rationes labefactari ac prodigavi necesse est. Unam nunc tantum rationem, quae maxime ad institutum nostrum facere videtur, in eum exproniimus ; cuius ictum, quocunque tandem se in clypeo clepat, evitare non poterit. Ea est: si, ut ipse Galilaeus asserii, maximus ac postre- (0 Postilla marginale: «Rationes, quao oston- » longuin faeton»; apml ino sunt in commentariolo, > dunt rationes Gftlilaei nou vaierò, hic non pone, no » quod fortasse oliui oxprimam. » V non L KM A M A TU KM ATICUM. 305 mus Lunae circulus montibus coronatili-, nulla prorsus est illius demonstratio, qua se putat lunarium montium altitudinmn reperisse. Quod vobis liquido constabit, auditores, ubi primum nostrani demonstrationem explicueriimis ; statina enim co¬ rollarii loco efficiemus, ut appareat, sul) Galilaei (lemonstratione tortuosum fal¬ laci ae anguem latitare. Tertium, quoti praemittimus, iti est: nos lunarem globuin quasi perfeetmn sphaeram, ut antiqui astronomi demonstrarunt, animo concipero, cuius sphaerieuin corpus eadem undequaque semidiameter dimetiatur ; extent vero extra extreniam et convexam eius superlìciem ii montes, quos antea commeinorabamus. io Àssumimus ctiam lunaris sphaerae diametrum bis mille italicis milliaribus protendi, ex certiori doctissimorum astronomorum ratione et sententia. Quarto praeccdat, licere, sive radio astronomico, sivo astrolabio, sive alio quovis instrmnento ab antiquis astronomis ad iti elaborato, sive tubospecillo recens in¬ vento, licere, inqiuun, earum partili in, quae in tenebrosa Lunae semifacie citius reliquis liiinen praeripiunt, dimetiri distantias a Lunae diametro, compertumquc esse cuiuspiam eiusmodi partis, seu verticis, distantiam centum Italica milliaria comprehenderc. Iactis iam a nobis fundamentis, e regione pugnantibus cum iis quibus Galilaei demonstratio nititur, alia etiam via incedeiulum erit, alia addenda, perinutanda 20 alia, elucidanda non panca, aliqua confirmanda, quae ipse infirma reliquit, cum tamen rationes, easque fir- missiinas, postularent; do¬ ni uni pene nova demonstra- tio condenda est. • Ago iam ad iti, quod ini- tio proposueramus, demons- trandum accedamus, nempe so lunaribus montibus terres- trium montium altitudine» faciliime concedere ll) . Sit « igitur in hac figura lunaris corporis circulus maximus ARCI); radius vero a Sole ad Lunam transmissus linea 0) Postilla marginalo: «Hic incipit quod prae- » cipno intoudiimis, scilicot demonstratio de altitudine » montium lunarium. Quao (dato et non concesso, nul- » los in Luna osso mollica) adhuc tainon mirabilis » ossei, quia deinonstrative sempor ostenti it, quanta » ossot altitudo cuiusquo corporis quod ponores in > Lunao suporfteio, modo sit nota distatitia eius cor- » pol is a Lunao diametro. » 806 DE LUNARIUM MONTIUM ALTITUDINE EAF, quae lunarem circulnm ABGD contingat in puncto A; et lineola FB, per- pendiculariter cadens in circulum ABCD, repraesentot montein, cuius vertex F a solari radio, sive a linea EAF, illustretur intra Lunae partem tenebrosam, quae fìngi tur esse area contenta sub semicirculo ABC; solaribus vero radiis illustrata pars poni tur area quae comprehenditur semicirculo A 1)0. Sit etiam arcus AB, sive recta AF, distantia vertici» illustrati F a Lunae diametro AC. His ita positis, dico a linea BF, quae est altitudo sive excessus cuiuspiam monti» extra scmidiainetrum Lunae, etiam altissimorum montium terrenorum alti¬ tudinem superari. Ducatur ©nini somidiametcr GB a centro G, ita ut cimi li¬ neola. BF coeat in imam rectam GF: tum super lateribus FA, AG, GF trian- io guliFGA, construantur quadrata FII, GE, GK. Cimi igitur recta linea, sive radius, contingens EAF contingat in puncto A circulum, sive Lunae peripheriam ABCD, a centro vero G recta linea GA ducta sit ad contactum in puncto A, erit GA perpendicularis ad lineam EAF, per deciinam octavam libri tertii Elementorum Euclidis: hoc est faciet angulos FAG,KAG rectos, ac proinde triangulum FGA erit rectangulum. Quadratimi igitur GK, quoti descrihitur a linea GF, subten¬ dente rectum angulum FAG, erit acquale quadratis FU, GE, quae a latori- bus FA, AG, rectum angulum FAG continentibus, describuntur, ex 47* primi Euclidis. Ginn ergo rectam A C lunarem diametrum bis mille milliaria italica con- tinere in tertio supposito dixerimus, continebit semidiametcr, seu linea GA, mille 20 milliaria, quae in se ìmiltiplicata efficient quadratum, seu summam, quae couti- nebit decies centena millia milliaria italica. Ilursus cum recta FA, quae est di¬ stantia verticis illuminati a Lunae diametro sit centum milliariorum, ut in 4° snj>- posito posuimus, etlicient haec milliaria in se ìmiltiplicata summam, quae erit decem millium milliariorum italicorum ; quod si quadrata FII, GE, componantur, erit eorum aggregatimi decies centena millia et decem millia milliaria italica. At buie aggregato quadratum G K est acquale, ut paulo ante ostendebamus ; ergo continet eandem summam, hoc est decies centena millia et doccili millia milliaria Italica: ex quo numero si extrahas quadratala radicem, innotescet latus FG, quod est radix quadrati GK; eritque hoc latus FG paulo amplius quam mille ac 30 quatuor milliaria Italica. Tarn vero subducatur ex linea tota FG pars, sive semi- diameter GB, quae, ut supra diccbamus, est mille milliariorum italicorum; re- linquetur ergo lineola BF (quae lunaria montis verticem, a Sole illustratimi, 0 Ed idi t aat magno te Virtus inclita parta, Aat tu Virtutis diceris esse parens . IN IULIUM OAESAREM LA GALLA i'HILOSOPflUM CLAIUSSIMUM, JB1USDEM. Parturiunt airi varii fundamina Mundi , Ingenti Cacsar fulmine vertit opus. Uis fioroni urbes, ingeritici nioenia surgunt , Scd convulsa ruunt arte, Lagnila, /«a. Pclion assurgiti gelidoque imponìtur Ossae, Antro, viris rcsonant, mobilìs unda furit. to Jnnumeros Orbes genucre mimeibus ansia (Luna teste cono, wtfva fata tulit) ; Disiicit at Caesar ni grafitici somma luce, /',Y trepidas mentes ludcre fida docci . Ite proemi, mini simdacra volantia Mundi ; Fingere non nostrum est, scd dare itera Polo. In eumdeiu, eiusdem. Acthcreae mentes, vastos quac volvitis orbes, Donaque telluri funditis orla love, Si invai aeterno discedere munere fessas, 20 Et mulcerc novo pedoni vostra loco, Cacsaris ingenio permittite pondus Olgmpi, lite Demi regnis iura beata dabit. Illc reget Phoebiquc vias Phoébesque labores , Et Superimi rutilas ilio fovebit opes. t ai 8 DE PHAEN0MENI8 Quid non sydereqs sub leges mi Iter et oras, Qui luce atque umbra condìdit arte Folum ? In cumdem, eiusdem. Quid, Cattar , inoltre ? lubes radianti a Cadi Astra citam prisco volvcre more vi am? Kis maneant immota locis fundamina termo, IAbrotani qua suo pondero stare sol uni ? Falleris; en ardens immobilis hacret Olympus, Terraque iam resilit , quo tua dieta bibat . IN ORBE LUNAE ETC. 319 Con a. Gli Eocell. Signori Capi dell’Eccelso Coiib. di X infrascritti, barata fede dalli Sig. Re- foruiatori del Studio di Padova per relatione delli due a questo deputati, cioè del Reveren. P. Inquisitor et del Gire. Secretarlo del Senato Gio. Mal avoglia, con giuramento, che nel libro intitolato De Phoenomenis in Orbe Lunae , non si trova cosa con tra lo leggi, et è degno di Stampa, concedono licentia, che possi esser stampato in questa Città. Dat. die 10 Novemb. 1611. > I). Marco Trivisam. J I). Zuanne Dandolo. . Capiteli’ Ecc, Cóu$, ti X. 10 D. Dolfiu Venier. ) lllustriss. Consilij X Secretariua Barthol. Cominus. 1611, a di 12 Novembre. Registrato in libro a carte 92. loan. Baptist^ Breatto Oihcij contra Blaspli. Candidissime Lcctor, indignaberis forsam , dum in hoc aureo opti.senio conspi ci s aliquos ex Typographia crrores, sicut pagina prima perspecta prò perfecta, alia pagina extra bis prò ox bis, et alia; in Orthographia similiter, sicut caducaeum prò Caducaeum, et alia; dcfectum ctiam virgularum et punctorum. Excusa primam impressionem t a lot obslaculis oppugnatala, et expccta secundam omnibus' numcris absolutam et correciissimam. Cantilius Nierius Lucenti*. u 43 DE PHOENOMENIS IN ORBE LUNAE. Proponitur avthoris intentio et disputando ,: enumerantur . CAPUT PR1MUM. Mercurium, Caducaeum gestantem, coelestia nuntiare, et mortuorum a ni mas ab inferis revocare, sapiens finxit antiquitas: Gallilaeum vero, novuin Iovis interpretem, Telescopio Caducaeo instructum, sydera aperire, et veterum philosophorùm Manes ad superos evocare, solere nostra aetas videt et admiratur. Ncque vero, ut par ei nomen atque othcium cuna Mercurio est Syderei Nuncii, a prisci illius Mercurii io Caducaeo eius Teleseopium diflfert. Omitto tubae figuram, quam in antiquissimis Mercurii signis conspicimus, huius fortasse instrumenti formam praesignantem ; sed potissimum contemplor serpentes Caducaeum amplexos, mutuo se in summi- tate aspicientes, certissimum vigilantis atque perspicacis oculi symbolum, cuius tanta in bis animalibus vis creditur, ut inopinabili eventu aliquod ex ipsis con- spectum animai interimere posse perliibeatur ; quod veluti certuni a multis tra¬ ditili', et a nullis, aut vix paucis, ereditili*. Ita huius Telescopii vis tantam videridi aciem profert, ut supra hominum credulitatem narratum fabulose audiretur, nisi id quam saepissime multis experiinentis notimi fuisset, neque uni aut alteri, sed quam plurimis, neque gregariis hominibus, sed praecipuis atque disciplinis omni- 20 bus, nec non mathematicis et opticis praeceptis, apprime instructis, sedula ac di¬ ligenti inspectione monstratum. Sed ad alterimi huius Caducaci munus nunc tran- seainus, quo hic Mercurii aemulus mortuos ad vitam revocat, Orpheum, Thaletera, Philolaum, Democritum, Ileraclitum Ponticum, Anaxagoram ac tandem etiam Plutarchi Lanipriam: curn enim eorum de Mundo, non modo obsoleta, veruni etiam abolita ferme opinionum esset memoria, cunctis cum Academia et Peripato unum astruentibus Mùndum, cui centrum esset 'rellus, substratum omnibus et gra- vissimum; buie vero circumfusa essent caetera elementa ordine disposita, levius 322 DE PHAENOMENIS gravidi ini posi tu m, quousque Coelum omnibus Buperesset a centro quam longis- sime et aeque distaila, perfecta peripheria tornatum; (ìullilaeus, recens e Coelo ad nos delapsus Mercurius, non modo asperitates et iuga in Luna nunciat, veruni etiam altissimos montes, crepidines, planities, vallea, voragines, lacus, maria, istlnnos, promontoria, chersonesos. Quae si ita sunt, ut apparent, quia non videt ambigendum esse, an Lunae glohus ait terreus, nostro quem habitamus adsi- milis (ut antiquissimus ille Orpheus cecinit bis carminibus: M^craxo 8'àXXrjv dtee'raxov, xe oeX^vr// ’AOàvaxot xXf^ouot, ènt/ v 0 óvtot 5 £ xe pifjVYjv, "li rcóXX’ 8op2a ttóXX 1 (Jcjxex, rcoXXà jjtéXafVpc:. io Móliius est alia))\ Terram infinitam , quam lampa dcm Lnmortales vocunt, terreni vero Lunam , Quae multos montes fuibet, multas urbes t midtas demos)* iiLe vero circa nostrum Yolvatur, ut circa Solem noster, et invicem se illumi- nent, ut Pythagoricus Philolaus et Ileraclitus Ponticus aliquando asseverarunt, quos imitatus est recenter Copernicus? aut eam esse alterius Mundi et orbis centrum, ut nostra liaec Terra huius est nostrali», ac innumeri alii globi innu- merorum orbium sunt, quod Democritus Abderita olim et nostra tempestate etiam aliqui somniarunt; aut fortasse, si ibi alios habitatores, alias urbes, alios magi- stratus, constituere absurdum videatur, eam esse opacam quandam et Tenue adsi- 20 milern massaia, sed asperitatibus et anfractibus olisitam, ac si dixerimus ingen- tem pumicem, ut Diogeni physico placuit (quod vero absimile non est, cum ab ingentibus, quos recipit, Solis aestibus, tot saeculis ambusta sit), necessario con-, sequatur? atque eam ita Solis germanam, ut rcupcXWoifc; iure appellabimus, cum utnunque sit lapis accensus, at Sol lapis proprio calore ignitus et candens, Luna vero non proprio, sed Solis : quam sententiam ita mordicus tenuit Anaxagoras, ut prò ea mortem oppetere non dubit&rit. Non satis vero iinihi erit, Gallilaeum hoc duplici munere Mercurio aequalem credere, nisi etiam tertium ex Homero addami veluti enim Homerus Mercurium linxit ad tres Deas poinum Udisse pul- chriori dandum, atque .producta in medium discordiae et litium occasione, ipsum 30 discessisse, relieto aliis ancipitis iudieii discrimine; ita hic in proposita horuni phoenomenùm indagine tribus disciplinis, quas cuncti nunc venerantur, Alexan- drinae, scilicet astronomica e, Academicae atque Peripateticae philosophiae, ac renovata illis et mortalibus omnibus perennis laboris segete, tum astrononios, tuin phiiosophos, ad indagandum et iudicium ferendola convocat, ipse interim Delpliici Apollinis oraculo sapientissima s cacterorum. Il ac voce et ego excitatus (quem enim, etiam altissiimun somnum dormientem, ingens hic novi miraculi sonus, qui totuni orbem pervasit, non excitasset?), ad aliquid scribendum accessi, IN ORBE LUNA E ETC. 323 niliil certi aflìrmans, sed tantum dubitando tentans: rattis non satis esse inibì, sciendi cupido, liaec admirari, et horum inventorem admirando praedicare, ac plausibus populo ostentare; itisi et lume eumdem Gallilaeum (qui divino, quo prae- ditus est, ingenio, voluti potis fuit liaec novo et admirando instrumento nobis esten¬ dere, ita etiam eorumdem nobis causam et rationem aperire valebit), nec non caeteros alios, tum mathematieos, tura pbilosophos, bis stimulis non modo exci- tareui, veruni etiam cogerem. t Quanam methodo instituenda sit disputatio . CAP. il. io Propositi vero liane disputationem physice, non matlieinatice, habere : cum enim rea, de qua agitili*, et physicae et mathematicae sit considerationis (figura enim affectio continui est, ut continuum; et certi continui, propria nempe natura prae- diti) ; mathematica autem consideratio a certa materia et subiecto praescindat, ac proinde magis remota sit a nostris sensibus et a congenito nobis modo cogno- scendi (qui est a magis concretis et coniunctis, no dicam, peripatetico more, com- positis et confusis), naturalis vero et in materia et cum motu affeptiones consi- deret, cuiusmodi primo et nostris sensibus et intellectui res ipsae se offerunt; naturaliter, ut ita dicam, ac physice suscepta, haec disputatio magis familiari» erit, et, voluti telescopeum hoc perspicillum omnium oculis, ita omnium intellectui 20 accommodata. Addo etiam, quod paradoxum follasse videbitur, magis certa erit et minus fallaciam continebit : quamvis enim mathematicae demonstrationes, non modo primum, sed etiam solum, certitudinis gradum teneant; tamen eam certi- tudinem de subiecto sensihilibus conditionibus denudato accipiunt, ut Geometria circa continuum, ut continuum, Arithmetica vero circa discretum quantum ; quae ommno, ita considerata, necessaria atque immutabilia sunt: et quamvis aliquando etiam ad physicas quantitates Mathematica descendat, ut Optica et Harmonica, nihil tamen eius contemplationem physica et naturalis qualitas afficit, cum eam tantum ex accidenti consideret; ut has disciplinas, theorice tantum et scientifico, non autem practice ac mechanice, esercenti est manifestum [,J . Id vero quantum so pi quaeritur, nunquid considerationes mathematicae circa Caelum sintne physicae an mathematicae : si enim sunt mathematicae, tem¬ pora eclipsiuvn, coniunctionum etc., cum sensihilibus et realibus co- niunctionibus non congruent. Non minus est ridiculum dicere geometrica non respondere in ma- terialibus, ac si quis dixerit arithmeticas passiones in sensibilibus 31 . phisicae — 35 . antmeticas — 324 DE PHÀENOMENIS naturalibus cognoscendis obsit, superfluum esset ostendere, cum id multi» argu- mentis contra Platonem Aristoteles demonstrarit; sed eorum tantum basini attin¬ gali!, quae propositae disputationi confert: nempe sensibile» fornias ac qualitates, veluti re, absque interitu et corruptione, a subiecto separari minime possunt, ita nec mente, absque veritatis iactura, abstrahi et secerni; quod ego in causa esse puto eius, quod a pliilosopbis perhibetur et experientia cognoscitur, nempe circa communia sensibilia, motum scilicet, quietem, numerimi, magnitudincm et figuram, sensus decipi; qui circa propria, ut colorem, vel saporem, aut nullo modo aut quam minimum falli solent. Cum enim communia sensibilia non huius aut illius certi et determinati quanti passione» sint, ut propria sensibilia esse necesse est, io quae ad certas dispositiones sequuntur, sed quanto accidant, ut quantum est et ut eius passione»; inde fit, ut sensus nihil certi aut constituti de eis iudicare possi t. Quam enim de bis conceptionem iudicat cum uno proprio sensibili esse veram, cum altero invenit esse falsam ; ex colore enim remimi sub aqua visum iudicat esse fractum,^ 1 quem ex continuitate partium tactu cognoscit integrum. Et omnino, veluti sensus circa substantias fallitili* tamquam circa sensibilia per acci- dens, ut cum ex simitate nasi et crespitudine capillorum Socrati similem Socra- tem existimat 1 ; ita circa ea, quae primo inhaerent substantiae, et quibus mediis sensibilia propria substantiis accidunt, facile decipitur; ut cum iudicat mognitu- dinem, tum continuam tum discretam, figuram, motum et quietem, quae proxiniae 20 inhaerent substantiae, et quibus mediis reliquae affectiones substantiis accidunt, ut sapor, color, sonus, odor et tangibiles qualitates. Quare et opimo circa liaec vera et falsa esse potest: falsa, si cum decipiente sensu conspiret, et eius iudicium sequatur; ut cum Epicureus opinatili* Solem bipedalem, quia tantani eius magni- . tudinem oculis conspicatur : vera autem, si rationis recto ratiocinantis, atque alium certiorem sensum sequentis, iuditio inhaereat. Deceptionem enim unius sensus, alte- rius sensus certius iudicantis iudicium circa idem obiectum commune, et ratio certiorem sensum sequuta, emendare possunt ; ut cum oculus baculum sub aqua iudicat fractum, eius deceptionem sensus tactus corrigere potest: aut idemmet sensus visus circa idem sensibile, aliter tamen atque alio modo dispositus; ut cum 30 sensus idem visus deceptionem circa baculum sub aqua existentem corrigit et emendat, eodein inspecto bacillo extra aquam Opinio igitur circa liaec sensibilia, corporibus non respondere ; et, v. g., regulas instruendi et coordinandi exercitum non respondere, dum corporeos milites accipimus. 121 non iudicat ex colore. 181 hanc deceptionem non credo esse ipsius sensus, sed rationis iudicium ferentis: nam et simitas nasi et crispitudo recte percipiuntur a visu. 141 deceptio ergo remi sub aqua non provenit ex eo quod figura Bit sensibile commune, sed ex diversitate mediorum. IN ORBE LUNAE ETO. 325 et falsa et vera esse potest, prout decipientis aut non decipientis sensus iudicium sequitur, aut rationis recte ratiocinantis ope corrigitur voi destituitur : opinio enim, cum infima rationalis animae pars sit, sensui et rationi contermina, ambobus iungi potest. Mathematica igitur ob hanc causam, ut optime Aristoteles monstravit, naturalibus speculationibus officit : si enim pure mathematica sit consideratio, a scnsibilibus et singularibus conditionibus abstrahit; si autem sensus iudicium Bequa- tur, fallitur; cuius rei certissimum habemus argumentum: magna enim praestigia atque deceptiones contingunt in Optica practica et. Harmonica, non quideni rationo organi aut mcdii, seti ratione obiecti, ut in depictis tabulis, quae ex perspectiva io fiunt, facile videmus, in quibus etiam cum proportionata distantia omnium oculi rem alio modo vident quam sit; in plana enim et acquali omnino superficie multas asperitates, eminentias, profunditates, voragines videmus [:, J. Quare, ut occasionem hanc deceptionis evitemus, tutius fore existimavi, hanc disputationem physice potius quam mathcmatice et optice instituere. Dico autem occasionem deceptio¬ nis, non ex parte organi et telescopii perspicilli, ut aliqui dixerunt (hoc enim non dccipere innumeri quidem, et ego inter caeteros, certissime cognovimus, cum idem prorsus, nulla facta rei mutatione, cum perspicillo conspicercmus, nisi tantum hac: nempe, quoti rem, quam ob distantiam atque longinquitatem vix minimum et confuse quidem atque obscure cognoscebamus, ope instrumenti ita disti note 20 et dare, ac cum prope essenius, videbamus), seti ratione obiecti, quod aliter videri non possit, non ex distantia quam longissiina, sed ratione luminis et opaci, ex quorum varia mixtione probabile est, haec phoenomena in orbe Lunae, de quibus disputationem instituimus, apparerò ffiJ . De ordine quo singula explicabuntur . CAP. III. Ut vero ordine aggrediamur, primum quidem experimenta atque, ut ita dicam, observationes a D. Gallilaeo factas in orbe Lunae ficlelissima historia, ut in libello, cui nomen Sydereus Nuntius, extractae sunt et Illustrissimo Federico Coesio Mar- chioni Montiscelii eruditissimo, atque primaria© ut nobilitatis ita literaturae, pro¬ so ceri, ac mihi et multis aliis eruditis viris, doctissimus Gallilaeus suo telescopio multis vicibus et certissime ostendit, in medium afferam et proponam. Deinceps vero, de telescopii instrumenti certitudine ac recta per eum videndi ratione, quae et mihi et omnibus comperta sunt, absque fallacia referam, et eius certitudinem [5] Si deceptiones istae ex perspectiva fiunt, quis melius eas emen- dabit et intelliget quam ipsimet perspectivi? [ * J si ipsimet iierspectivi ex mixtione varia luminis et opaci multas faciunt deceptiones, nomo melius quam ipsi eas corriget. 32G DE PHAENOMENIS rationibus, contra aliter senticntes, confirmare tentabo. Tertio, philosophorum piacila, ad quae haec phoenomena referri possunt, et ab eruditissimo Keplero Caesareae Maieatatis Mathematico, in Bua dissertatione cum Sydereo Nuntio refe- runtur, sigillatim recensebo atque examinabo. Quarto et ultimo, quid milii verosi- milius de his omnibus dici posse videatur, explicabo, atque linee phoenomena ex Peripateticae philosophiae placitis, ad certas causas referre tentabo. % De ohservationibus in facie Lunae circa quas erit disputatio • CAP. IV. Cum autem Telescopii huius beneficio multa nova patefacta sint et inventa, nomini hactenus mortalium cognita; nempe et planetae sive errones circa Iovem io quattuor, quas Medicea Sydera iuremerito a diluissimo Principe, suo Maece- nate, inventor nuncupavit, et Venus crescens atque decrescons lumine, et innu- merae, antea prorsus latentes ac nemini visae, octavi orbis stellae et Galaxiae, sive lactei in eodem orbe circuii, causa; una inter caeteras de facie Lunae obser- vatio visa est antiquorum philosophorum Manes eorumque opiniones post tot saecula ah inferis revocare: visa, inquam, est non D. Gallilaeo, quem non minus philosoplnun quam. mathematicum eximium agnosco, ac proinde nihil certi aut constituti de his rebus tam iniris ac paradoxis statuentem audivi, sed vulgo for- tasse, qui ex his ohservationibus, quorum causas philosophis ac natuxalium stu- diosis observandas proponit, falsas conclusiones deduci putat et antiquorum deli- 20 rumenta, quae infra fusius demonstrabimus. Sitnt autem : quae in Luna observat prinium, inaequalitas eius superficiei, quam lenem liucusque et perpolitam dixifc antiquitas, quaeeam unum ex syderibus iudicavit; alterimi vero, tenebrosum quod- dam lumen in eius globo conspectum cum primum incipit illustrar^ atque opaca eius parte etiam in tenebris circumscriptum, deinceps vero crescente lumine eva- nescens, ita ut, voluti, Luna minus quam sextili vel sextili aspectu a Sole distante, magis est conspicuuin et apparens, ita, eaclem in quadrato aspectu constituta et crescente Solis lumine, paulatim langueat et marcescat. Primum quidern multis ohservationibus et certissimis probat. Ac prima est: statini atque Luna lumine foecimdata nobis manifesto apparet, nempe quinque post coniunctionem diebus, 30 vel cum ad primam pervenerit quadraturam, si eius superficies lenis esset atque aequalis, tunc opacum et lucidum linea leni et aequali distinguerei!tur, nempe ovali ante exactam quadraturam, recta autem in quadratura, prout lenis atque aequalis eius esset superficies : at contra apparet ex Telescopio ; narnque hae li- neae valde inaequales ac sinuosae conspiciuntur, ita ut multae lucidae exere- scentiae extra proprios fines in obscuram partem protendantur, ac rursus multae obscurae in lucidas: ergo eius superficies est inaequalis. Altera est observatio ex illuminatis Lunae partibus : illuminatae enim Lunae partes, donec Luna lumine IN ORBE LUNAE ETC. 327 crescit, multis atque conspicuis voluti maculis Bunt conspersae, quae ex parte Solem propius aspiciente ac Soli ad versa nigricantes apparent, ex parte autem aversa Solis lucidioribus radiis quasi candentibus iugis coronantur; quod argu- mentum pariter inaequalitatis superiiciei est, cuoi ab adversis radiis sublimiora magis illustrentur, liumiliora autem minus. Quare et obscuriora apparent, ut ter¬ restri hac nostra regione contingit, dum Sol horizontem adhuc non superavit ; tunc enim ab erumpentibus Solis radiis altiorum montium summitates illustran- tur ac lumine fulgent, liumiliora autem loca atque convalles adhuc tenebria obsi- dentur. Tertium est : ex cavitate quadam, ut Gallilaei utar verbis, quam in medio io fere Lunae conspicimus, tum crescente tum decrescente Luna ad quadraturam, quae orbiculari perfecta figura veluti altissimis iugis circumvallatur, assimilai figuram liane Boemicae terrae, si altissimis montibus in speciem perfecti circuii ambiretur: huius peripheriae extrema ora, opaco contermina, observatur lumine illustrata, antequam lucis tenninus ad medium figurae diainetrum pertingat; ergo inaequalitas est in hac parte illuminata: si enim aequalis esset superficies liuius circuii, prius illuminaretur dimidium diametrum peripheriae, quam apposita peri- pheria; modo, antequam ad dimidium diametrum perveniat illuminatio, illurainatur adversa peripheria ; ergo longe magis eminet peripheria, quam diametrum. Quartum et validissimum argumentum est apparenza quarundain macularum luminis in 20 opaco, quae longe a linea terminante opacum et luminosum dissitae sunt, et pall¬ iatila accedente illuminatione crescunt, quousque tandem cum luminosa parte coniungantur, et varias ad opacum terminationes efficiunt; quod validissimum esse argumentum dixi: quandoquidem si lenis esset superficies et globosa, non ab adverso ac distanti opaco partes inciperent illustrali, donec luminoso coniunge- rentur, sed a propinquo illustrato corpore lumen in opacum protenderetur. Ob- servat praeterea in illustrata Lunae parte, quae clarior apparet (dico, quae clarior apparet, cum in Luna illuminata etiarn quaedain magnae maculae obscuriores ab omnibus videantur absque perspicillo, quae, cum semper pariter visae fuerint, iuremerito antiquae appellantur), observat, inquam, in clariori Lunae parte tam 30 frequentes clariores maculas obscuriore circulo ac limbo distinctas, qua parte Sole propinquo aspiciuntur, ut pavonis caudae oculis distinctae eam assiniilet vel cry- stallinis cyathis glacialibus. Ego multis candidissimis gossipii floccis simul acer- vatis, ut mihi visa est, ipsam similem indico : talcs etiam candidas nubes tenui vento dispersas saepe conspicimus. Haec cum videretur in parte clariore, partes minus clarae, quas antiquas maculas diximus, aliter conspiciuntur : non enim con¬ simili modo interruptae, neque vallibus aut montibus refertae, ceniuntur. sed magis aequabiles et uniformes; solummodo enim clarioribus nonnullis areolis hac illac scatent; adeo ut, si quis veterem Pythagoreorum sententiam exsuscitare velit, Lunam scilicet esse Tellurem alteram, eius pars lucidior terream superficiem, 40 obscura vero aqueam, magis congrue repraesentaret. Sibi autem nunquam dubium ni. 44 328 DE PHAENOMENIS Cuisse asserit, terrestri» globi a longe conspecti atque a radiis solaribus perfusi terreai» superficiem clariorem, obscuriorem vero aqueam, sese in conspectum tla- tur am. Nec modo aequabiles observat has maculo», veluti aqueam in terrestri globo superficiem, veruni etiam depressiores, ut ex macula in boreali parte ap¬ parente in quarta figurarum descriptione colligitur: addit etiam, quod manifeste cernitur, terniinos harum macularum, quibus ab opaca parte discernuntur, non esse asperos, inaequales ac sinuosos, ut sunt lucidarum partium, sed potius lenes, aequales ac nullis asperitatibus interruptos: ex quo confirmatur quod superius dictum fuit, superficiem magnarum macularum esse prorsus lonem ac potius aqueae superficiei adsimilem quam terrene. Observat praeterea in his maculis areolas io quasdam, quarum nonnullae sunt obscuriores, quae vix parum variata opacitate, prout solares radii magis vel minus obliqui in eas incidunt, eundem semper fa- ciunt aspectum ; nonnullae vero sunt clariores, imo lucidissimae, quarum pariter semper idem ac uniformis est aspectus, nulla figurarum aut opacitatis aut lucis facta varietale : quae certissimum praebent iuditium, quod superficies harum ma¬ culami» sit lenis et non aspera, cum varietas areolarum non conspiciatur; quae profecto conspiceretur, si supertìcies esset aspera ex variis Solis illuminationibus varie umbras proiicientibus. Quare et manifestum esse asserit, has areolarum va- rietates ex heterogenea corporis natura apparare, potius quam ex superficiei inae- qualitate. Haec de prima observationc. Alteram autem observationem lumini», quo 20 opaca pars Lunae fulget, ita fiendam docet. Cum Luna in sextili aspectu ad Solem sit constituta, vel paulo minus, poterit aliquis, cum perspicillo vel absque, ita prospicere illam per angustum aliquod, ut illuminata falcatio non appareat : ac tum, quod reliquum est orbis Lunae tenebrosi luce quadam, quamvis nigricante et ancipiti, illustratimi videbitur, ita ut etiam, obscura reliqua ambientis Coeli parte, ipsum sua ac propria magnitudine circumscriptum ab omnibus videatur. Haec observ.ata non modo ex Sydereo Nuncio cognovimus, verum etiam oculata fide ex ipsomet Gallilaeo sui Telescopii usu didicimus. Quae cum omnibus phi- losopbantibus ac Coeli prospectoribus contemplanda et indaganda proposuisset, non defuerunt qui, ex similitudine loquendi et homonymia qua utitur decepti, in- so terpretarentur, ipsum vere in hac sententia esse, ut putet montes in Luna existere, his nostris adsimiles, lapideos et terreos, magnis arboribus refertos velillis uudatos, aut valles nemorosas ac frugifera» planities, vel iuga humilia et amoenos colles, quae ipsum nunquam ne somniasse quidem certo scio; aut fortasse decepti sunt ex dissertatione doctissimi Ioannis Kepleri ad eum missa, in qua iocari voluisse virum, alioquin serium et gravem, certissimum est, vel animi relaxandi gratia, vel ut genio indulgerà gentis Gernmnae atque ingenuae libertatis, dum novos in Lupa habitatores constituit giganteae figurae, eosque sibi foveam excavasse in argillosa terra ingentis magnitudinis (quam circulus ille immensae voraginis prope Lunae medium conspectus praesefert), ad captandam sibi umbram in ma-, 40 IN ORBE LUNA E ETC. 329 ' ximis aesfcibus dici quam tantissimi, nempe dierum nostratium fere quindecim, quibus Luna a Sole continuo illustratili*. Quae omnia et ipse libenter admitterem ; modo crypta adeo ingens vini dolia contineret Italico more, quo potius ad vimini' asservandum, quam ad umbram captandam, subterraneas nobis cellas et cryptas excavamus. Sed quonain navigio eo afterretur vimini Creticum aut Neapolitannili, vel etiani, si lubet, Albanuin? nuniquid alis an veli» instnicto? Hoc Keplero re- linquo negotium: nobis absque difficoltate optimum seniper in proniptu est. At oblitus fueram, me dixisse ibi esse amoenos vitiferos colles : illicitaque vindemia tit copiosa inagis ac affluens, quam in nostrate hoc infelici orbe; ac propterea io capacissimam sibi cellarn illam vinariam incoine escavar un t, cuius orificium tan¬ tum est, ut etiam a nobis vaetissimum prospiciatur. Sed iocati iani satis sumus. Ne quia fortasse ex vulgo liane aut buie adsimilem aliquam opinionem ex bis observationibus colligat, breviter oranes sententias, tum veterum tum etiam re- centium philosophorura, ad quas haec phoenomena referri possunt, recensebo, et ad calculum notissimae veritatis expendere prò viribus tentabo. De Telescopii ventate. CAP. v. Veruni quia multi sunt, qui non modo persuaderi non curant, verum etiam ne persuadeantur impediunt, ac, ne caeteris de recens apparentibus planetis aut 20 de bis pboenomenis asseverantibus credant, instrumentum decipere praedicant idque praestigiosum prorsus esse et fallax; propterea quae de ipso, tum ego tum etiam multi alii, ncque stolidi sed accurati, viri, et qui ad haec expeririienta con- tra dicendi animo accesseramus, certissima et oculata fide cognovimus, operae praetium erit supponere et referre. Verum antea de origine atque inventarne liuius perspicilli aliqua dicere non erit absonum. Fuit autem eius inveniencli pri- mus author, omnium consensu, et testimonio durissimi viri Kepleri Caesarei Ma- thematici, Ioannes Baptista a Porta Neapolitanus, vir nobilis et doctissimus, ac natura© arcanorum solertissimus indagator, qui decimoseptirao suae Naturali© Ma- giae libro, capite decimo et undecimo, inventionem liuius admirabilis instrumenti eli¬ so stincte et ex arte prodidit. Dixi autem distincte et ex arte; nani septuaginta iam ab bine annis Hieronymus Fracastorius buiusmodi instrumenti usimi commemo- ravit libro suo, quem Homocentrica inscripsit, cap. 8 ., bis verbi©: < Qua de causa in eadem aqua, quae in summo cernuntur minora apparent, quae in fimdo ma- iora; et per duo specilla ocularia si quis perspiciat, altero alteri superposito, maiora multo et propinquiora videbit omnia >. Sed bis verbis indistincte liuius instrumenti fabricam vix prodidit, nulla assignata aut edita ruttane cius structurae et usus ; quae omnia perbelle tradidit Porta ex Usu Crystallinae lentis, qua multiplicata vim visivam in immensum spatium, ut vix credibile esset, proferri posse asseruit, 330 DE PH.AEN0MENIS ac speciea ingenti magnitudine crescere et oculo propinquiores fieri: quod postea usus ipse et praxis in hoc instrumento demonstravit, ex quo obiecti specieni mil- lies maiorem fieri, atque oculo vigecuplo magia appropinquari, expertum est. Cum vero hanc praxim ipse non esset exequutua, vel fortasse, si exequutus fuit, in publicuin non prodidisset, paucis ab bine annis in Belgica huius instrumenti usus potissimum conspectus est: quod rude cum satis esset, a D. Gallilaeo, qui tunc temporis in celeberrimo Patavino Gymnasio mathematicas disciplinas magna cum laude profitebatur, mirifice adauctum fuit atque ad exaetam perfectionem do- ductum, nec non ad astronomicum usura accommodatum, ita ut ilio postmodum tot mira quae videmus invenerit. Haec de eius origine. Quae autem nos eo in- io strumento, quo ipse Gallilaeus utitur, experti sumua, mine referemus. Est autem primum: nempe ea quae naturali acie vix per unius miliarii cura dimidio spacium conapiciuntur, vicecupla proportione, nempe per sexdecim miliariorum spacium, distincte conspici et videri. Nani, cum essemus in summitate Ianiculi, prope Urbis portam quae Sancti Spiritila appellatur, ubi olim fuisse dicitur Martialia poétae villa, nunc autem est Reverendissimi Malvasiae, palatami Illustrissimi Ducis ab Altaemps in Tusculano adeo distincte conspicabamus hoc instrumento, ut eius singulas fenestras, etiam minimas, commode enumeraremus, quod spacium est sexdecim italicorum miliariorum, et ab eodem loco litteras quae sunt in Sixti Porticu in Luterano, ad benedictiones instituto, distincte adeo legebamus, ut etiam 20 puncta inter litteras designata cognosceremus spatio ad minus duorum milia- riorum, quae vix spatio dimidii miliarii ita distincte legi possent. Alterum est: quod hoc instrumentum, quovis spacio rem ipsam repraesentet, in nulla condi- tione aut circumstantia illam variam aut diversam repraesentat ; ncque enim in colore, neque in magnitudine, ncque in positione, neque in numero, ncque in figura, rem aliter offert, quani sese offerat naturaliter videntibus oculis et absque instru¬ mento, nohis prope et in debita distantia existentibus. Quare neque distortam, neque transpositani, rem videro facit; sed hoc tantum praestat, nempe ut res, quae ex distantia confuse et nihil, aut vix minimum, videri possunt, sua ope tam- quam ex propinquo dare et distincte videantur. Sed aliquis dicet: Quid haec, quae so in modica distantia remota sunt, ad Lunam et ad sydera, quorum infinita pene distantia est a Terra? Sed ad hoc respondebimus certissima, ni fallor, responsione, primum, supponentes, quod omnibus compertum est, visionem non fieri per motum, ac proinde nec in tempore; et veluti illuminatio fit statim atque diapbano prae- sens fit luminosum corpus, ita visionem fieri statim atque visibile obiectum visui praesens fiat, vel ipsummet diapbanum actu efficiens, ut luminosum aliquid, vel in diapbano actu, ut coloratuin : quaro fit, ut etiam quam longissime distantia subito conspiciantur, voluti quae sunt in supremo Coelo, statim apertis oculis. Ex quibus colligi tur, distantiam visioni non obesse, dum tamen obiectum tale sit, ut diaphanum movere possit et oculum, ac tantum valere obiectum debilitar 40 IN ORBE LUNAE ETC. 331 motivimi in non satis magna distantia, quanta m obice!um valide et in immensum motivum in valde magna atque immensa distantia; quod patet hoc experimento: tantum enim in nocte movet visum fax accensa prò sui luminis quantitate in proportionata sibi distantia, quantum stella fixa prò sui luminis magnitudine in longe maxima ac sibi proportionata distantia. Ex quo ita arguo : si obiectum minus motivum prò sui proportione in vicecupla viciniori distantia ab instrinnento re- praesentatur oculo prout est, ergo obiectum maxime motivum prò sui proportione in vicecupla pariter minori distantia eidem repraesentatur vicinius ut est. Verbi gratia, si palatium, motivum visus absque instrumento per spatium unius miliarii io cum dimidio, cum instrumento mihi repraesentatur ut motivum in vicecupla di- stantia, nempe sexdecim miliariorum, et hoc sine fallacia et deceptione; ergo pa¬ riter astra, motiva raei visus absque instrumento spatio multorum miliariorum et pene immenso, cum instrumento vicecuplo magis motiva erunt, hoc est vice- cuplo propinquiora facta, et hoc prò sui luminis magnitudine et proportione, sine fallacia et pracstigio. Quare, cum eadem prorsus sit proportio caeterarum rerum, quae sese magis propinquae hoc instrumento visui offerunt, cum rebus coelesti- bus, quae hoc pariter instrumento visui propinquiores fiunt, et in caeteris rebus visis nulla sit fallacia ex instrumento, ut nobis illis magis appropinquantibus et absque instrumento cernentibus est manifestum, pariter et in rebus coelestibus, 20 nobis hoc instrumento visis, nulla erit fallacia et dcceptio. Quod Terra unum quoddam sii astrum , Orphci , Thaletis , Philolai Pythagorici , Ueracliti Pontici et Nicolai Copernici opiniones recenscntur et comprobantur. CAP. vi. Terreum globum astrum quoddam esse, quod regulari motu circumferatur, antiquissima fuit opinio : cum dico terreum globum, terram simul cum aqua unum globum eflicientem intelligo. Fuit autem, primura, Orphei, ut in eius carmi- nibus, quae supra recitavimus, patet; deinceps vero Thaletis, nec non Pythagorici Philolai, qui ignem tamquam focum in medio universi accensurn, circa ignem autem terram, astrorum unum existentem, circulariter ferri, ac noctem et diem so facere, amplius autem oppositam buie existere aliam terram, quam Anticthona vocabant, statuit. Hanc opinionem Pythagoricis tributala ah Aristotile videmus, secundo De Coelo, et Philolao potissimum a Plutarcho in Placiti» philosophovum, et a Diogene Lacrtio in eius Vita: Philolaum vero sequutus est in eadem sen tentia Heraclides Ponticus, qui (eodem Plutarcho teste ac Gemino philosopho, referente Simplicio ex Alexandro in Commentario super 18 partimi la, 2 Tliysi- corum Aristotelis), ut eam varietatem servaret quae in Solis motu ac reliquorum planetarum apparet, Solem in centro mundi constitutum asseruit, cuinque immo- bilem, et circa eum terram ac reliqua sydera moveri. Hanc eandem sententiam, 332 DE PHAENOMENIS millis mutatis, sequutum busse Nicolaum Copernicura, matliematicum celeberri- mum, legimus in suis librài De revolutionibus coelestium orbiura, quos Paulo Ter- tio, Pontifici Maximo, nuncupavit. Hic suarum Rcvolutionum lib. 1, cap. 10, Solem immobilem statuiti, supra quem Mercurium octuagintadierum spatio, sopra Mercurium Venerem novelli mensium curriculo, supra Venerem autom Tel- lurem, primum quidem velocissimo diurno motu ab occasu in ortuin, deinceps vero annuo motu, simul cum Luna, circumvolvi, ac circa Tellurem Lunam in proprio epicyclo ferri, supra Tellurem et Lunam Martora bima revolutione, supra quem Iovem duoilecim annorum spacio, ac supra eum Saturnum annorum triginta, supra quem tandem stellarum tìxarum orbem immobilem permanere. Mane autem suam io sententiam non modo ex uniformi motu et phoenomenis Solis ac caeterorum pla- netar uni, quao hac supposita thesi certissime inverami tur, nititur comprobare,verum etiam, quod miraculum est, pbysicis argumentis ac rationibus; quibus et ipsam astruere et contrariami destruere posse suadere nititur 0). Quae si vera sunt aut possibilia, non mirum erit, si, hoc perspicillo Lunam propius videntes, in ea montes, convalles, lacus, maria, insulas, promontoria, et ea quidem longe maiora, quam hac nostra Terra, videmus (ut de altitudine montium longe maiori, quam sint nostrates, certissimam habuit demonstrationem doctissimus Gallilaeus in Sydereo Nuntio), cum ipsa altera Terra sit, aut Terram esse nullum sit inconveniens. Sed age iam ad argomenta Copernici veniamus : ac primum Tellurem supra Mercurium et 20 Venerem constitutam esse, Solem autem in centro immobilem permanere, ex eo probat, quod ab apparentibus Solis ac caeterorum planetarum motibus colligitur, quorum ratio his suppositis constat, ac certa permanet, cum alias multa absurda ac impossibili sequantur ; quinimo Terram non posse esse centrimi, neque in cen¬ tro, ita probari potest. Si terreus globus aut centrimi aut in centro esset, tunc esset centrum, vel in centro, totius Universi aut partium : at neutrum potest esse: ergo nullo pacto est centrum vel in centro. Quod neutrum possit esse, pro- batnr. Non potest esse partium Universi: quia si esset, esset centrum, vel in contro, circa quod verterentur planetarum globi tamquam universi partes : at hoc impos¬ sibile est, nani planetae liabent motura a Terra eccentricum (ut manifestum est; so quinimo astronomi omnes ob hoc coguntur planetas, non modo in orbibus eccen- tricis constituere, quorum vastissima sit crassities ex una parte ubi absides pla- m oportuisset, integrimi legere librum, et omnes rationes et obser- vationes perpendere. l8J mirum fuisset si peripateticis rationibus id probandum Riimpsis- set; sed quod naturalis effectus pbysicis rationibus contìrmetur, ra- tionaliilissimum est. 36. rationibus demonstretfur] confirmetur — IN ORBE LUNÀE ETC. 333 netarum sunt, ex opposita autem parte valide tenuis gracilitas, veruni etiam in epicyclis: ad quae omnia impossibile est, Terram habere ullam centri proportio- nem): ergo Terra non est centrimi, nec in centro, partium Universi. Nec luinus potest esse centrimi, vel in centro, totius Universi; quod ita proliatur: ant Uni¬ versum est finitimi, aut infinitum : neutro modo potest Terra esse centrimi, vel in centro: ergo nullo modo. Si sit infinitum, non potest esse centrimi, vel in cen¬ tro: probatur, quia in circolo cuius peripheria sit infinita, ut contingeret si extima Coeli superticies nulla essot et Coeli moles in infinitum protenderetur, nullum esset assignare punctum, a quo lipeae aequales in peripheriam educerentur; ergo nullum io esset assignare centrimi, ncque aliquid circa centrimi. Si sit finitimi, neque etiam Terra potest esse centrimi, vel in centro. Non potest esse centrimi; quia centrimi est punctum indivisibile et immaginarium, Tellus autem corpus est satis vastum. Neque potest esse in centro, vel circa centrimi; quia Universum, cimi sit con¬ futimi ex variis corporibus diversae rationis, quorum omnium pro- prium ac singulare est centrimi, non potest habere unum commuiie centrimi: ut, exempli gratia, cum Universum constet ex terra, aqua, aere, igne et corporibus coelestibus, quorum omnium proprium ac peculiare est centrum, non potest habere unum commune centrum, Quod autem unum- quodque corpus babeat unum peculiare centrum, patct ex unione partium, cuius 20 appetitus naturaliter unicuique corpori est inditus; unio autem partium est circa proprium centrum, ut patet ex guttis aquae, quae effusae statini circa proprium centrum congiobantur. Quare id quod tribuunt gravitati, nempe tendere ad cen¬ trum, non competit solum gravibus, sed unicuique corpori inest, non solum ele- mentaribus, verum etiam coelestibus. Quare Solem et Lunam et caetera astra in propriam rotunditatem conglobata videmus, et id, quod grave dicitur, nihil aliud est, nisi appetentia quaedam naturalis partibus indita a divina Providentia opifice universorum, ut in unitatem integritatemque suam sese conferant, in formam globi coeuntes. Ex quibus omnibus colligitur, quod illa propositio c Omne grave tendit ad centrum > vera est de centro proprio, non de centro Universi ; quare, etsi so Terra sit gravis, imo prima gravitantium, tamen non sequitur ipsam tendere ad centrum Universi, sed ad proprium. Patet igitur, Terram nullo, modo esse, neque esse posse, centrum, vel in centro, nec totius Universi nec partium. Quod si non est in centro, et in aliquo loco oportet ut sit, neque aliquis alius convenientior phoeno- menis potest assignari quam dictus; ergo Terra in praedicto, et non in alio, erit loco. Afteremus etiam, in confirmationem buius sententiae, argumentum quod af- fert Aristoteles, secundo De Coelo, particula 73, ex sententia Pytbagoreorum : nempe, quod nobilius in nobiliori loco servari debeat, non ignobilius; at locus centri est nobilior, quem propterea lovis carcerari appellabant; ergo in eo convenit, non Terram, ignobilissimum elementum, sed potius ignem, vel. Solem (quem igne vo- 4o luerunt designare), asservari et contineri. Cur autem centrum lovis carcerem Py- 334 DE PIIA.EN0MENI3 thagorici nuncuparent, Aristoteles non explicat; sed non absonum, ut ego aliquam cansam attenua. Hanc autem existimo, nenipe quia Deus circulo movet Coelum; quod autem circulo movet, necessario circa centrimi movet ; ergo Deus, si cir¬ culo movet orbem, necessario circa centrum movet: quod autem necessitate agit, voluti carcere detentus agit : ergo, si Iupiter hoc modo agit ex necessitate circa centrum, ergo iuremerito lovis carcererai centrum nominant Pytliagorici, circa quod ex necessitate agit. Assumptam vero propositionem, quod nobilius in medio con- tineatur, exemplo pariter confirmant: videmus enim in animantibus cor, nobi- lissimam totius corporis partern, in medio collocatam. Ncque obstat quod, ut plu- rimuin, videtur terrai» aquae substare ac subsidere, aquam vero aeri; cum io contrariai» saepe et in multis natura factis experiamur, ut in testaceis anirna- libus patet, in quibus testa, omnino terrea, caeteris iminiuet et superstat, quod Empedocles de ostreaceis cecinit bis carminibus: Inspice ferri graves cotichas quandoque marhias: Buccinus cxemploque obducta ehelys libi saxo Esse potcst , summo ut vhleas in corporc terram. Et aptissimo, ni fallor, symbolo totius huius opinionis exemplum ovo explicari potesti in cuius centro luteum est, caeterarum ovi partium calidissimum, ac Soli adsimile ; circa quod albugo aquae, liumido et aereo non exiguo composita, veluti Mercurii quoddam corpus ; circa albuginem vero, vel supra albugineni, ger 20 nitura ex aqueo liumore et aethereo aere, veluti Venus quaedam; et supra liaec omnia, testa frigida et sicca et omnino terrea. Atque liaec ad monstrandum Terram non esse in centro, et posse esse extra centrum, dieta sint. Altera erat pars huius positionis, nempe quod Terra, in loco in quo est, moveatur in gyrum, primo Coelo, hoc est stellato orbe, immobili permanente; quam ita probato. Si Coelum moveatur et Terra stet, magna sequentur absurda et impossibilia: si autem Terra movea¬ tur et Coelum stet, nullum inde sequetur incommodum : ergo Terra movebitur et Coelum stabit. Assumpta hypothetica probatur. Nam aut Coelum extiuia sua parte est finitum, aut est infinitum: probabilius autem est, esse infinitum, quam finitum. Si enim esset finitum, tunc extra Coelum, ut inquit Aristotiles, nihil esset neque 30 corpus, ncque locus, ncque vacuum, neque tempus; absurdum autem est et impro¬ babile, Universum magis a nihilo contineri, quam ab immensa et infinita vastitate. Si autem Coelum est infinitum, impossibile est ipsum circulo moveri: cum enim lineae a centro ad circumfercntiam ductae, quo magis a centro distent, magis inter se distent, et si protendanoli* in infinitum, quod necessario sequitur in corpore infi¬ nito, infinita distantia inter se distabunt. Cum enim in lineis infinitis semper sit data maiorem accipere, necesse est, distantiam taliuni linearum esse talem, extra quam nullam sit sumere magnitudinem tangentem lineas. Quare^ si huiusmodi cor¬ pus movebitur, aut absolvet hoc spatiuin tempore infinito, aut tempore finito. Si IN CUBE LUNAE ETC. 335 tempore infinito, tum numquam circulus absolvetur; cum enim spatium hoc, quod non est totius circuii, infinito tempore absolvatur (quod idem est dicere ac si quis diceret, numquam absolvatur), sequitur multo magis totius circuii spatium num- quam absolvi. Aut absolvetur hoc spatium tempore finito, et tunc sequitur impossi¬ bile maius: quod infinitum finito tempore absolvatur, cum infinitum absolute per- transiri non possit. Quare, ne haec impossibilia sequantur, melius est statuere Coelum esse immobile. Quamvis vero baco positio sequatur ad positionem, quod Coelurn sit infinitum, nulla tamen ex hoc est fallacia consequentis, vel consequentiae ' quia, si Aristoteles arguit, primo De Coelo, praefatis rationibus, Coelum esse finitum, io eo quod circulo moveatur, et, tertio Physicorum, omne corpus physicum esse finitum, eo quod omne corpus physicum necesse sit moveri; destructa hac antecedente, ex eo quod aliquod corpus physicum, nempe Coelum, non moveatur, destruitur conse- quens, nempe quod nullum corpus physicum sit infinitum. Optime enim Parmenides et Zeno statuerunt ens infinitum unum et immobile; sequitur enim ad infinitatem immobilitas. Si igitur aliquid constituatur, ex quo salvetur id quod omnibus apparet, Coelum moveri ab oriente in occidens, absque eo quod Coelum necesse sit moveri, iilud pariter confirmabit, Coelum esse infinitum, ex consequenti stare. At hoc con- stituto, quod Terra moveatur diurno motu ab occidente in oriens, potest saivari haec, quae nobis apparet, stellati orbis circumvolutio; ut manifestum est navigan- 20 tium exemplo, qui cum ad motum navigii moveantur, et a littoribus terraque rece- dant, putant tamen littora atque terras a se recedere, ut Virgilianus Aeneas inquit: Provchimur porta, terraeque urbesque recedimi ; ergo hoc pariter confirmabit, posse esse Coelum infinitum, et proinde immobile omnino stare. Quod si Coelum non sit infinitum, sed necesse sit esse finitum, ut Peripateticis placet, tunc minori diftìcultate Terra, exiguae molis et ad Coelum instar puncti, movebitur, quam Coelum ipsum cum vasto atque immenso spa¬ tio, 24 horarum brevissimo tempore moveri possit. Terra enim, ut mathematici certissimis rationibus perhibent, singulis quibusque horis, si moveretur, non amplius spatium pertransire posset quam-milliariorum-nongentorum triginta septem;fir-- 30 mamentum autem, sive octava sphaera, sumpta ad Terram proportione, qualibet bora passuum millia 4239S437 pertransiret. Accedit praeterea ratio et conditio loci et eontinentis, ex ipsomet Aristotele petita. Locus enim ab eo dicitur, esse ultima 8iiperficies corporis primo eontinentis immobilis; ergo Coelum, cuius ambitu, tam- quam loco, omnia continentur, debet prorsus stare et immobile permanere. Affertur praeterea alimi argomentimi ex immobilitate, quae cum nobilissima conditio sit (carentia, scilicet, mutabilitatis atque vicissitudinis. quae necessario cum cor- ruptione iunguntur), nobilissimis est assignanda, quibus ex sua natura competit. Aeterna enim semper stant et immutabilia sunt, ut Deus primum, ac deinceps suo quaeque ordine Beatae Mentes: quare stabilitati© ac immobilitatis conditio, ni. 45 336 DE PHAEN0MENI8 si corpori alicui est tribù enda, Coelo, tamquam nobilissimo, non antem Terrae, omnium ignobilissimo, est assignanda. Neque vero si Terra moveatur, aliquod sequetur incommodum vel absurdum, etiam si supponatur quod ab Aristotele, •primo De Coelo, statuitili*, corpori siniplici simplicem deberi motum. Nam simplicia corpora, ut sunt dementa, inter quae est terra, vel sunt in proprio loco et adepta sunt suam perfectionem, vel sunt extra illuni: cuni sunt extra proprium locum, necesse est habere unum motum, per quem redeant ad illuni, tamquam imperfecta ad suum pcrfectivum ; et hic motus est super linea recta, nempe levium a centro, gravium autem ad centrimi : cum autem sunt in proprio loco, necesse est ha- beant motum, per quem in propria natura atque perfectione conserventur ; quem io motum necesse est circularem esse. Veluti enim motus, qui elementis conipetit extra propriam perfectionem constitutis, necesse est ut sit super linea recta, cum sit a termino a quo ad terminum ad quem; ita motus, qui competit elementis in sua perfectione et sphaera constitutis, necesse est ut sit super linea circulari, cum sit semper in termino a quo et in termino ad quem; quare et quamvis movean- tur, quiescant, et sic quamvis quiescant moveantur ; mota secuiulum partem, quie- scentia vero secundum totum. Quibus suppositis, facile est demonstrare nullum sequi absurdum ad motum Terrae. Et primo solvitur argumentum: uni simplici corpori unus simplex naturalis debetur motus et una simplex naturalis quies; ergo Terrae, cum sit unum simplex corpus, unus simplex natura competit motus, 20 nempe deorsum, et una pariter ibidem quies : Terra ergo si natura sua, ut patet, tendit deorsum, natura sua ibidem quieseit; quod si moveatur aliquo alio motu, praeter naturai» movebitur : Terra igitur si circulo moveatur, movebitur praeter naturai» ; motus autem praeter naturai» tandem necesse est deficiat: quomodo igitur tot saeculis perduravi? Ad quod respondetur ex distinctione supposita, uni corpori simplici unum simplicem motum deberi et unam simplicem quie- tem ; sed alias atque aliter constituto, aliuni motum et aliai» quietem : nempe Terrae, extra locum positae, motum deorsum et eius terminum quiete») deorsum; eidem vero, in loco atque sphaera sua permanenti, alium motum simplicem com¬ petere, nempe circularem secundum partes, et aliai» quietem, ad situili scilicet so atque positionem et secundum totum. Utrumque igitur naturale de Terra, et motus et quies deorsum; nec non etiam circularis motus et quies circa proprium cen¬ trimi: quare nullus ex bis violentus est motus; numquam igitur deficiet, sed pe- rennis esse poterit. Ex hoc eodem pariter solvitur Ptolomaei argumentum, quod si Terra moveretur, motu hoc velocissimo, ut supponitur, horis vigintiquatuor toto circulo, tunc sequeretur iam diu dissipata fuisse omnia quae in Terra sunt aedi- fieia, quiaimmo ipsammet Terram iam fuisse divulsam ; baec enim omnia seque- rentur, si motus circularis Terrae praeter naturai» esset: cum igitur ipsi naturalis sit, tantum abest ut ipsa, vel quae in ipsa sunt, corrumpantur, quin magis hoc motu seiYabunlur et unientur. Quod inde confirmatur: si enim circulari motu ipsius 40 IN ORBE LUNAE ETC. 337 Coeli ignis in sphaera propria conservatur et non destruitur, cum tamen non sii illi naturalis, ut Peripateticis placet; quanto magia a tali motu sibi naturali conser- vabitur Terra, et non dissipali tur? Solvitur etiam altera instantia Ptolomaei, quod nubes aemper viderentur ad occasum moveri, nobis in Terra existentibus, si ab oc- casu in ortum ipsa ferretur : nani cum non solum Terra, veruni etiaiu quamplurinia Terrae circumfusi aeris pars hoc motu moveatur, etiam ab occasu in ortum ferri videbuntur; praeterquam quod aér. continuo ventis agitatus ac voluti mare fluctuans, varie circuralatos vapores ac nubes liabet. Nec minus solvitur aliud argumentum Aristotclis, 2 De Coelo, quo probat Terram non moveri, inquiens, huius inditium esse, io quod lapis proiectus sursum, etiam si post longum spatium tempolis cadat, super eodem signato loco cadit a quo proiectus fuit; quod non contingeret, si Terra mo- veretur: aer enim, a quo decidit proiectus lapis, eodem motu movetur et circum- fertur, quo ipsa Terra. His argumentis Copernicus, et ante Copernicum philosophi Pythagorici et Heraclitus Ponticus, suam sententiam comprobant et ostentant. Fraedictae sententiac confutatio. CAI\ VII. Hanc sententiam, et si motibus astrorum atque eorum phoenomenis accommo- datam (ut ad certam normam atque regulam referantur), tamquam manifeste ab- surdam atque communi omnium hominum doctorum et indoctorum sensui 20 paradoxam l ° J et repugnantem, multis rationibus confutare et impossibilem esten¬ dere conabimur. At primum, quia phoenomenis atque apparcntiis motuum pianeta- rum haec opinio tota innititur, ab his exordium faciemus, expendentes utrum ex his certuni desumi possit argumentum, ita ut, ipsis confisi, rationibus ac caeteris sen- sibus contra ire possimus; an vero fallaciam et deceptioncm contineant, ita ut ipsis minime credere debeamus, nisi ad veritatis calculum, non modo visus verum etiam caeterorum sensuum ope, aut, si id fieri nequit., rationis recte ratiocinantis iudicio, revocentur. Pro cuius rei indagine ea repetenda sunt, quae initio dispu- * tationis in 2 cap. proposuimus ; nempe circa communia sensibilia sensum decipD ,0J , neque uni sensui tìdein esse praestandam, nisi alicuius alterius sensus perceptio so id tìrmet, aut saltem rationis recte ratiocinantis iudicium non dissentiat. Quare, cum de his phoenomenis de motu astrorum sit decernendum, ac de consequentibus motum, nempe de situ ac figura rei mobilis, quae sensu visus iudicamus, non est eius iudicio fides praestanda, nisi alterius sensus perceptio id confirmet, aut recta ratio non contradicat. Quorum cum primum fieri non possit, inaccesso nobis [0] stultorum infinitus est numerus. [10] hic videtur author determinare, sensum decipi semper, nisi al¬ terius sensus, sive rationis testimonium, accesserit. 37. sensus seui rationis — .338 DE PHAENOMENIS loco, restat ut videamus, utrum bis ratio consentiat, vel contrae!icat ll . Neque lioc bene concludit argumentum : His suppositis, recta ratio coelestiuna ìnotuum con- stat ; ergo vera est haec positio. Nain ex falsa suppositione, quinimo ex impossibili, sequitur. aliquaiulo consequentia vera ac necessaria, veritate tamen ac necessitate, ut dicunt, consequentiae et non consequentis, ut ex hac positione: 8i homo est asinus, ergo est irrationalist 1 * 1 , vere ac necessario sequitur consequentia, quamvis positura anteccdens sit impossibile : quod facile fit in mathematica spe- culatione, ubi de physica ac naturali substantia aliquis velit concludere. Cum enim mathematica considerct affectiones continui, ut continuum, quac affectiones cora- ’munes sunt unicuique corpori; ubi hunc considerandi modum transfert in res io physicas, quas certi» ac determinata considerationibus circumscribi necesse est, falsum ac impossibile supponit. Ut, cum ex suppositione quod punctum fluat, de- ducit, lineam esse longitudinem sine latitudine ac sine profunditate, supponit fal- stìm et impossibile physice ; consequens tamen est verum ac necessarium ex sup¬ positione. Quarc patet non esse validum nec veruni hoc argumentum : Hac posita suppositione, constat certa ac recta ratio coelestium motuum; ergo vera haec positio est; cura possit esse impossibile^ 31 .Corruitergofundamentura huius positionis, ex apparenti syderum motu petitum; quo destructo, non erit diffi¬ cile solvere argumentum, quod videbatur probare Terram non esse centrimi, nec in centro: et quamvis concedamus terram non esse centrimi, nemo enim sanae mentis 20 id affirmabit, tamen non negabimus, eam esse in medio universi ac circa centrum. Ad argumentum igitur, dum dicitur < Si Terra est in centro, aut in centro partium Universi, aut totius; non in centro partium, quia tunc esset in centro sphaerae errantium syderum, quod falsum apparet ex motu ipsorum, quem esse eccen- tricum Terrae patet >, iam negavimus hoc argumentum ex apparentia, cum appa¬ rentine sint fallaces, ut supra probavimus. Neque validum est alterum argumen- tuni < Mathematici omnes constituunt eccentricos et epicyclos ; ergo Terra non est in centro > ; nam falsa pariter et impossibili est haec eccentricorum et epicyclo- rum positio. Neque aliquis est ex mathematica adeo stultus, qui veram illam existimct, quamvis illa utantur fere omnes, ut certam apparentine syderum atque 30 1111 Ostendendum tibi est, rationem contrariare phaenomenis; quod, ni fallor, non praestas. [12] falso l’assunto, falsa la consequenza, vero lo sproposito. 1131 Viene dicis; sed multo minus erit vera positio illa, quae nullo pacto caelestibus motibus accomodatur: positio itaque eccentricorum potest esse non vera, sed positio simplicium concentrieoruiu est asso¬ lute falsa et impossibili. 31. phenomenis — IN ORBE LUNÀE ETC. 339 motuum rationem reddant. Non enim mathematica in specul&tionibus coelestium motuum et phoenomenùm, demonstratione propter quid processerunt, a causa sci- licet ad effectum, sed demonstratione quia, ab effectu ad causara; quare prìmum observationcs motuum et phoenomenùm constituerunt, deinde, his suppositis, causas indagare et assegnare conati sunt, quae illis convenienter sufficiunt, utdiximus; satis enim est, ut ex illis certa apparentium motuum ratio constet. Ad alteram vero partem, qua probat ipsam non posse esse in centro totius universi, quia uni¬ versum aut est infinitum, aut finitum ; si infinitum, nullum poterit habere centrum determinatum ; si finitum, neque poterit dari centrum universi, hoc est universo io commune in quo sit Terra, quia unumquodque corpus habet proprium centrum; quare Terra, si est in centro, est in centro proprio, non universi; ad haec reapon- demus. Et primo, ad primum dicimus, non posse esse mundum infinitum, cum muri- dus et universum sit corpus sensibile et actu existens; omne autem corpus sensibile et actu existcii 8 necesse est superficiem ac terminos habere [M] ; alias, neque iiguram haberet, nec cerni posset, quare neque sensibile nec actu esset ; suppositio igitur est impossibili. Ad alterum autem dicimus, quod etsi verum sic est, corpus habere proprium centrum quatenus corpus est, tamen unumquodque corpus, ut physicum est et in ordine ad constitutionem universi, unicum habet centrum, respectu cuius in universo est, ad quod moventur gravia, et a quo moventur levia; 20 alias natura gravium et levium confunderctur. Si enim vera esset gravitatis illa definitio a Copernico assignata, quod gravitas nihil aliud sit, nisi appetitus par- tibus insitus quo ad suum centrum ac propriam unitatem tendunt; tum aeque esset gravis ignis ac Terra: nam aeque partes ignis ad propriam unitatem ten¬ dunt ac Terrae partes, ut in fiamma apparet. Quod etsi non videatur absurdum Copernico, qui hanc gravitatem omnibus tribuit, non modo elementis, verum etiam syderibus, tamen absurdum cunctis hominibus videbitur, cum nemo sit qui gravis et levis differentiam in corporibus non agnoscat. Quod autem unumquodque corpus in universo habeat respectum ad centrum universi non ad proprium centrum, inde manifeste patet, quod corpora se invicem continent et continentur: quare 30 Terra, quae gravitate sua omnibus subsidet, circa centrum est, circa Terram vero aqua, et circa utriusque globum aer undique ambiens. Quod si corpus unumquodque, tam levium quam gravium, ad proprium centrum tenderet, tunc haec corpora non se continerent ac continerentur, et aér non circumambiret Terram, ut videmus, sed seorsum circa proprium centrum glomeratus peculiarem orbem efhceret; mundus non est. sensibili, ex eo quod eius superficies sensu percipiatur: nec necesse est aliquod corpus, ad hoc ut sensu perci- piatur, superficiem habere sensibus expositam : homo enim in aqua existens et in aere, aérem et aquam sentit; superficiem autem tenni- nantem non sentit. 340 DE PHÀENOMENIS ac ita singula elementa Cl5 b quare elementa non unum circa alterimi essent, ut vide- mus, sed, voluti montes unum alteri super impositum, acervata. Corruit igitur argu- mentum Copernici, quo nitebatur probare, Terram non esse in centro universi nec partium, ac proinde omnino esso extra centrum: quinimo ex bis omnibus cer¬ tissima ratione probabimus, oportere Terram esse in medio universi et circa cen- trum. Quod manifestum erit, si primo supponamus, Terram esse gravissimum ele- mentorum. Quod si negetur, confirmabimus ex gravis definitione. Illud enim dicitur gravissimum, consensu omnium hominum, quod caeteris omnibus substat: at Terra talis est, ut ad sensuin patet; terra enim ad fundum aquae statini descendit, nec supernatat; aqua autem substat aeri, ut, patet in utribus inflatis, qui aquae io innatant; aer vero igni : ergo Terra, quae bis omnibus substat, gravissima est. Hoc supposito, alterum supponatur : elementa ita disposita, ut diximus, nempe, ut Terra aquae subsit, aqua vero aeri, et aer igni, spbaerica figura praedita atque circum- fluentia, se invicem complecti, ac ita eleinentarem regionem constituere. Quod si negetur, sensu probabimus ac ratione. Et quamvis sensu contrarium pateat de aqua, quae totani Terram non am bit neque complecti tur, tamen id non obstat, primo, quia id factum est singulari Opificis providentia [,6] , ut. terrigeni animan- tibus locus in quo viverent relinqueretur; deinde non obstat, quia, etsi totam Terram non ambit aqua., tamen maximum eius partem complectitur, ita ut unum cum eius reliqua superficie globum efficiat. Quinimo adeo naturale atque congenitum est 20 aquae terram ambire et circumplecti [,7J , ut praecipuae summi rectoris providen- tiae tribuatur, quod eius tumor, caeterorum superficiem longe superans, reliquam Terram non operiat; quod saepius contingere ac contigisse legimus in bumiliori- bus continentis regionibus Oceano mari conterminis. At in aere id adeo certum est, ut neraini sit dubium, illuni undique totum Terrae et aquae globum ambire, ut ex recenti et admiranda totius Terrae et aquae globi circumlustratione nautica compertum est. Quod si ignis niliil alimi est, nisi nimium rarefactus aer, ex af- [l5] imo id contingeret, si elementorum alia essent levia, alia gra- via ; levia enim ad proprium centrum vergerent, peculiarem consti- tuentia spliaeram. Nunc autem, quia omnia in idem conspirant, quia 30 omnia gravitatem habent, idem unum tantum conficiunt globum. llr,] si aqua totam Terram circumdasset, terrigena© non fuissent, ad quorum vitam providendum esset. ll1J si aqua Terram undique non circumdat ex providentia Opificis, ne dicas, aquae magis esse naturale totam ambire Terram ; nani haec providentia longe melius leges imponit partibus Universi, quam ipsamet natura: si tamen eittsmodi providentiam a natura seiungere decet. 30 . sferam 32 . terrigena — 36 . providentio — IN ORBE LUNAE ETC. 341 fini et contiguo coeli moto, ac hypeccauma, ut Aristoteles inquit, sequitur, ipsum pariter et reliquum aerem, totum aquae ac terrae giobum circum ambire. Quae, ita ad sensum manifesta, ratione pariter sic confirmabimus. Quae fluida sunt, ut li umida, et tenuissimas partes habent, veluti proprio termino difficile termiiuin- tur, ita facile alieno termino circumscribuntur : at huiusmodi sunt omnia elemento, excepta Terra ; ignis enim ob tenues suae materiae partes, cum sit hypeccauma et fumus ardens, facile alieno termino figuratili*, ut patet de fiamma in olibano; aér autem et aqua, ob ipsorum humiditatem: ergo elemento omnia, excepta Terra, alieno termino atque aliena figura facile tenninantur et circumscribuntur, nempe io corporis continentis. At corpus continens, ipsum scilicet Coelum, sphaericum est et orbiculare: ergo sphaerica et orbiculari figura caetera elemento ab eo contenta sunt terminata. 11 is suppositis, ita arguo. Quod est gravissimum in corporibus sphaerice dispositis et se invicem complectentibus necessario est medium et circa centrimi ita dispositorum cor por um: sed Terra est gravissimum in elementis spbae- rice dispositis et se invicem complectentibus: ergo Terra necessario est in medio et circa centrimi ita dispositorum elementorum. At ita disposita elementa con- stituunt universum 1181 : ergo Terra est in medio et circa centrum universi. Maior prioris argumenti probatur; nani quod est gravissimum, in corporibus sphaerice dispositis, maxime distat a circumferentia, cum omnibus substet; veluti, contra, 20 quod est levissimum, maxime prope circumferentiam est, cum omnibus supersit: minor autem est iam probata [ldJ : ergo totum argumentum est veruni, conclu- [181 Hanc coordinationem gravium et leviurn lubens admittam, quod. scilicet, gravissimum centrum occupet, corporum gravitate ac levitate praeditorum ; sed memiueris, Caelum ab hac coordinatione esse im¬ mune, cum nec grave sit nec leve; ergo quod elementa occupent cen¬ trum Caeli, nulla adhuc ratione demonstratum est. Vide in sigilo 0 , cd f ef, secantium se in puncto g, manifeste patet. Ad quod dicimus, hoc spatium trine diniensum non esse aliud nisi corpus. Impossibile enim est intei- 20 ligere trinam dimensionem absque corpore, ut optime arguebat Aristoteles, quarto Physicorum, contra Stoicos, qui dicebant locum esse spatium: si enim spatium esset trine dimensum, trine esset. corpus; quare si corpus erit in spatio, trine corpus erit in corpore. Nulla igitur alia via potest nobis innotescere vacuuin, nisi ex loco, quatenus est superficies et terminus corporis continentis: dum enim haec superficies continebat ali quod corpus, et deinceps amplius non continet, dicitur vacua ilio corpore. Quare validum et in suo robore est argumentum. Sed iterum ita arguo: si vacuum hoc infinitum esset nobis notum, aut sensu tantum cogno- sceretur, aut intellectu, aut utroque. Non sensu tantum: quia quicquid per sensum so cognoscitur, per certam speciem a sensu perceptam cognoscitur ; at vacuimi infi¬ nitum nec habet speciem, quia vacuum, nec. certam speciem habet, quia infinitum: tura etiam, quia quicquid sensu cognoscitur, ut est totus liic sublunaris Mundus et etiara superlunaris, plenum est, non vacuum; nullus enim nobis notus est locus, qui non sit aliquo corpore plenus, terra scilicet, aut aqua, aut aere, aut igne, vel etiam aethcrc : ergo vacuum nullo pacto sensu cognoscitur. Quod si non sensu, ergo nec intellectu m ; quia nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu : quod si a se il vacuo non si può conoscer nè col senso nè coir intelletto, come avete voi latto a saper che non si dia? IN ORBE LUNAE ETC. 351 neutro, ergo noe ab utroque: vacuum ergo, proraus vacuum ac inane, est hoc vacui comentum, cui opinio haec vanissima de pluribus Mundis innititur. Sed et alte- rum principium, nempe quod in hoc vacuo infinita volutentur corpuscula, prorsns atoma et impassibilia, quae, a se ipsis agitata, fortuito concursu omnibus existant causae, non minus absurdum est, quinimo longe magis; tot enim continet absurda, quot habet verba. Impossibile enim est, corpuscula haec esse infinita et in infi¬ nito vacuo volutari : si enim corpora haec sunt infinita, vacuum non datur, nec finitimi nec infmituin; infinita enim corpora olirne spatium implent, quinimo exsu- perant, cum infinita pertransiri non possint. Quod si quis dicet, Infinitum vacuum io repleri non potest; et ego dico, Infinita corpuscula consumi non possunt. Quare ita arguo: aut vacuum excedet corpuscula, et lune corpuscula non erunt infinita; aut corpuscula implebunt vacuum, et tunc vacuum non erit infinitum: utrumque igitur est impossibile. Praeterea impossibile est, infinita haec corpora posse dari, cum infinitum actu nec in quanti tate discreta nec in continua dari possit; implicat enim contradictionem, ut Aristoteles, 3 Physicorum, demonstravit. Nec idonea est responsio supra aliata, quia haec corpuscula non dicuntur actu esse, cum sint semper sub aliqua forma, nec sine forma reperiri possint; quemadmodum nec materia prima, quamvis sit natura interminata et quanta, non taraen dicitur corpus actu infini¬ tum, quia numquam actu invenitur talis, sed semper est sub aliqua forma, quae 20 Ulani terminet: nani longe diversa inter se sunt haec exempla; et longe diversa est opimo Aristotelis de natura materne primae, et Democriti de natura atomorum. Aristoteles enim existimavit, materiam primam esse oninino potentia ; ac prop- terea nec quid, nec quale, nec quantum, nisi in potentia tantum. At Democritus sua atoma actu esse voluit etiam determinata natura atque figura praedita, alia quidem rotunda et igneae naturae, magis mobilia, alia autem alterius ; ut non solum ex Aristotele, id referente, constat, veruni etiam ex Lucretio, eius associa: Praeterea impossibile est, haec esse corpora et esse atonia; cum ornile corpus sit continuum, et ornile continuum sit divisibile in semper divisibilia. Praeterea impos¬ sibile est esse impassibilia: quia tunc corpora^ quae ex ipsis constarent, impassibilia so pariter essent, ut arguunt non solum philosophi, sed etiam medici; quare omnis alteratio, omnis generatio et corruptio, auferretur. Impossibile etiam est, quod asseritur, ipsa a se ipsis moveri, cum nullum indivisibile sit capax motus: omne enim quod movetur necesse est sit partila in termino a quo, partim in termino ad quem, ut Aristoteles arguitsexto Physicorum ; indivisibile autem non habet partes. Si autem corpora sunt, non possunt moveri a se ipsis; cum omne corpus quod mo¬ vetur, necesse sit ab alio moveri, ut fuse Aristoteles, 7 Physicorum et 8, demon¬ stravit, tum ratione, tum etiam inductione. Ratione : quia omne corpus constat ex partibus quantis, cum sit continuum ; quod autem constat ex partibus, velut ad partium quietem quiescit, ita ad earum motum movetur ; quod vero ad alterius 40 motum movetur, non ex se ipso movetur. Inductione : quia omnia, quae moveri HI. 47 352 DE PHAENOMENIS videmus, &b alio movcri Constant : omnia nani(ju6 quae moventur, aut moventur violente, et haec notimi est ab alio rnoveri : aut moventur non violenter, et haec duplici ter *, aut enim sponte, ut ammalia, et linee moventur ab alio, nempo ab anima; aut natura, ut dementa ad proprium locum, et haec pariter ab alio mo¬ ventur, nempe a generante, vel a removente prohibens. Patet ergo impossibilia haec omnia esse quae supponit haec sententia: nempe esse corpora, esse atoma, et esse ex se mobilia. Sed, vel nullo ex his aut aliis absurdis considerato, falsa et impossibili haec sententia ex eo convincitur, quod temere ac fortuito ea rnoveri asserit, ac ita non imam solani liane admirabilem Mundi machinam, quam incolimus et a Deo ita ornatam conspicimus, veruni etiam innumeras te- io mere et inconsulto factas et gubernatas, existimat: quae sententia nonnisi stultis aut impiis (quorum par numerus semper fuit) probabilia visa est. Contra eam, namque, omnia quae nobis occurrunt, etiam minima, loquuntur. Omnia enim ad¬ mirabilem Opilicis sapientiam ac providentiam praeseferunt, et quo magia vilia fuerint et origine et mole perexigua, eo maius artificium produnt, ac magis sa- pientis et potentis Artificis consilium manifestant ; ut culex, tam pusillo ac vix sensibili corpore, tam validum et tam diuturnum sonuin eden», quanto tempore nnllua tibicen aut nullus classicarius, quamvis validissime inflatis buccia, tibia aut classico posset canore l ' 29] ; ut formica, ut apis, quae vilissima et minima ammalia sunt. Quod optirne cognoscens Aristoteles, primo De partibus anim&lium, Heracliti sen- 20 tentiam laudavit, qui ipsum convenientes et casam furnariam, in qua forte ad ignem sedebat, ingredi verentes, intrare fidenter iussit, quoniam, inquit, ne buie quidem loco Dii doBunt immortales. Neque aliis umquam placuit haec sententia, quam Pro- tagorae aut Diagorae aut Theodori simili bus; e quorum numero fuit Brunus, no- vissimus huius sententiae assertor, qui ab Elisabetha Angliae àrctaxo; xal àaef% xal àOec; cognominari meruit. Quare nihil illos commovebit argumentum, quo utitur Aristoteles, 12 Metaph., particula 49, nempe: quae materiam non liabent, non possunt plura numero esse; at primus motor, qui omnia movet ac regit, materia prorsus caret, cum nec sit corpus, nec virtus in corpore, ut demonstratum fuit 8 Physic.: ergo non sunt plures primi motores: quod si primus motor non potest 30 numero multiplicari, nec igitur erunt plura prima mobilia, nec plures mundi : non, inquam, illos conturbat hoc argumentum, cum nullum rectorem vel ilio- torem constituant, sed omnia easu et fortuito gigni et conservali putent. At eos aliis rursus argumentis adoriemur. Ac primuni, omitto illud argumentum, quo uti¬ tur Aristoteles, primo De Coelo et Mundo, nempe ex motu elementorum. Scilicet: si plures sunt Mundi, aut sunt eiusdem rationis, aut diversae : si diversae, tunc aequi- voce dicuntur Mundi, quare non facitad quaestionem,quod sint plures (nam ita plures mundi, aequivoce, ut depicti, possunt dari): aut sunt eiusdem rationis, et tunc eius- 1291 non intelligit lume motum a vibratione alar uni oriri. IN ORBE LUNA E ETC. 353 dem rationis erunt totum et partes; quare Terra unius Mundi eiusdem rationis erit cum Terra alterius Mundi. Si igitur veruni est, plures esse Mundos, sequetur quod, si Terra unius Mundi est in centro, Terra alterius Mundi erit extra centrimi : aut igitur tendent ad Terram unius Mundi, tamquam ad locum centri, ac pariter enotera elementa ad proprium locum, et tunc unus fiet Mundus: aut non tendent, et tunc violenter in eo loco manebunt; quod est absurdum, niillum enim violentum dura¬ bile. Omitto, inquam, lioc argumentum, quod aliquo modo titubat, in suppostone, quod necesse sit omne elementum tendere ad proprium et determinatum locum, riempe grave ad medium, leve autem ad oppositum tenninum : quam quidem io suppositionem conccdent adversarii in proposito unoquoque Mando, non autem coguntur concedere in pluribus; quare non cogunt.ur concedere, Terram unius Mundi debero tendere ad Terram alterius Mundi, etiam si sint eiusdem rationis: nani sufficit analogia ad operationem forniae eiusdem speciei, neni])e quod, ve- luti terra unius Mundi, extra centrimi sui Mundi constituta, tendit ad centrimi sui Mundi, ita Terra alterius Mundi, extra centrimi sui Mundi posita, tendit ad centrimi sui Mundi, non autem ad centrimi alterius Mundi, cimi unusquisque Mundus seorsum sumatur, et uniuscuiusque Mundi proprium sumatur centrimi et propria circumferentia. Omitto etiam aliud argumentum, quo utitur S. Thomas in 1 libro De Coelo: nempe, quod si plures essent Mundi, aut essent diversa© ra¬ so tionis cum hoc Mando, aut eiusdem; si eiusdem, tunc essent frustra; si alterius, tunc reliqui Mundi non cont.inerent totani perfectioncm unius Mundi, ad cuius similitudinem dicti essent Mundi. Huius enim argumenti priorem sequelam nega¬ re! Democritus, aut contemnerct : primo, illam negare!, quia, etiam si eiusdem rationis essent alii Mundi praeter unum, tamen non essent frustra plures; forent enim ad conservationem speciei plures, ne tota species interiret, cum singulos Mundos corruptibiles statuat, veluti caeterarum individua specierum: secundo, illam contemneret; nani quid ad Democritum, plures Mundos esse frustra, si nihil consulto nec propter finein, sed omnia temere et fortuito, fieri et conservari astruit? Quare hoc uno tantum Democritum et sui sectatores impetam argumento, et eo oo quidem validissimo; quo etiam magno ilio Alexandro maior existam. Ille enim De¬ mocriti opinione et rationibus, non modo se persuasuiu, veruni etiam vietimi, pro- didit, dum ingemuit, audita Democriti sententia, in tanto Mundorum numero se unius tamen, ncque adhuc devicti, angustissimi spatiis contineri: quod perbelle risit Satyricus bis carminibus : Unus Pellaeo iuveni non sufficit orbis; Acstuat infoclix angusto limine mundi , Ut Gyarnc clausus scoptilis parvaque Scripha . At ego uno tantum hoc argumento eius opinionem abunde, ni fallor, redarguam et superabo; quod quidem Alexandro minime fuit possibile, qui per suramam am- 354 DE PHAENOMENIS bitionem vastissimum illud incane a Democrito poaitum ita mente conceperat, ut toto iura capite esset inanis. Est autem argumentum, quo non modo utitur Ale- xandri praeceptor Aristoteles, in primo libro De Coelo, vorum etiam Aristoteli» magister Plato, in Timaeo, nempe Mundus constet ex tota materia : ergo unus tantum est, non plures. Consequens est manifesta ex conditione corporum sensi- bilium, quae necesse est constent ex materia et forma; inter quae corpora Mundus est. Antecedens probatur: quia omnis materia scusibilis, aut est corporum gene- rabilium et corruptibilium, aut ingenitorum: sed Mundus constat ex tota materia corporum generabilium et ingenitorum: ergo Mundus constat ex tota materia simpliciter. Probatur minor huius argumcnti ex eo, quod materia sensibilis ge- io nerabilium et corruptibilium est materia elementorum, materia autem ingenito¬ rum corporum est materia Coeli; ex quibua universis et totis corporibus coagmen- tatus et exornatus est Mundus, ac propterea Universum et Cosmo» est appellatus. Ergo Mundus unus tantum est, et non plures. Quod si alia esset materia sensibilis, praeter hanc ex qua Constant elementa et Coelum, utique nobis innotesceret in aliis corporibus sensibilità!» : cum autem non sint alia corpora sensibilia praeter heaec, non est coniectandum aliam esse materiata praeter hanc. Hoc vero argu- mentum adeo validum est, ut sacri theologi propterea existiment, Deuni plures posse Mùndos efficere, quia novam potest creare materiam ; quod, etsi potest, ta- men non facit neque fecit: unum enim tantum esse Mundum ex Sacris Litteris 20 nobis constat, ut in Evangelio Ioannis, primo capitulo, dicitur : Et Mundus per Ipsum factus est. Patet igitwynon posse esse plures Mundos, etiam si nullo opi- fice constarent ac nullo rectore gubernarentur. Sed, ne Providcntiae arcem adeo facile deseramus, operae pretium erit et hoc paucis expendere : imm probabile sit, Mundum unum aut plures, temere et casu factos, ita pariter gubernari, ut Demo¬ cri tus asserit. Quod falsum esse et impossibile, duobus tantum argumentis osten- demus. Unum est: quae casu sunt aut fiunt, non semper nec ut plurimum eodem modo sunt vel fiunt, sed raro : at illa quae sunt vel fiunt in Mundo, ut Mundus est (hoc est, quae pertinent ad constiti!tionem Mundi), eodem modo semper, vel ut plurimum, fiunt; nempe Coelum et circulationes Coeli semper eodem modo sunt so et fiunt, nec variari possunt; reliqua autem, quae infra Coelum sunt, quamvis con- tingentia, tamen ut plurimum eodem modo fiunt, ut notum est: ergo nec Mundus, nec ea quae ipsum constituunt corpora, temere aut casu facta vel gubernata esse possunt. Alterum est, quo utitur Aristoteles, 2 Physicorum, contra eumdem Democritum, nempe: quod accidens est, posterius est eo quod est per se: at casus et fortuna sunt causae per accidens, ut patet: ergo supponunt causam per se. In constitutione igitur Universi, si casus et fortuna existimantur causae, cum ipsae sint causae per accidens, necesse est ut supponant causam per se, nempe ipsam mentem et opifieem Deum. Quo quidem supposito, optime concludet argumentum aliatimi-feancti lliomae supra, nempe: si sunt plures Mundi, aut sunt eiusdem 40 IN ORBE LUNAE ETC. 355 rationis, aut diversa©; si eiusdem, tunc essent frustra, cum unus Mundus conti- neat omnem perfectionem, quam habent caeteri omnes Mundi; hoc autem est absurdum; Deus enim et natura nihil frustra faciunt : aut sunt diversa© rationis, et tunc non erunt vere Mundi, cum non còntineant omnem perfectionem ; ex eo enim Mundus Universum dicitur, ex quo continet omnem perfectionem.* Quare patet, plures non esse Muiulos, et exinde non posse nos in coniccturam venire quod huiusmodi phoenomena vera sint, ut apparent, ncque vere in Luna montes aut conYalles aut maria sint, ut fortasse aliquis existimaret parum sanae mentis. Si enim hoc esset veruni, tunc necesse esset fore Lunam terrestrem globum alterius io Mundi, atque ibi alia esse animantia, alios homines, qui lunarem orbem, veluti etiam alii alios, incolerent l30J : quae, etsi veteribus philosophis, ut supra diximus, Orpheo, Thaleti, Philolao, nec non etiam Plutarcho, minime .absurda visa fuerint, ex huius tamen sententiae confutatione, non modo absurda, veruni et falsa et im- possibilia, convincuntur. Ut rum Luna sit corpus aliquod alterati onis atque corrnptionis capax, et sit massa quaedam ignita , montes habens et convalles , ut Anaxagoras existwiavit , aut ve¬ luti exustus lapis et pumex , ut olita Diogeni Phgsico nunc autem Keplero placet , creberrimis et maximis poris tindique dehiscens. CAP. IX. 20 Portasse autem, quamvis impossibile sit Lunam esse alium terremmo globum, ac propterea non sint vere in ipsa montes nec valles, ut in nostra sunt Tellure quam habitamus, nullum erit absurdum esse in eius superficie asperitates ac tu¬ berà, quae nostris montibus, in superficie Terrae existentibus, proportione respon- deant, ac, rursus, partes alias humiles et depressas, nostris omnino convallibus situ [30] adiiìodum puerilis illatio: Si 3 est montuosa, ergo altera Terra. Arguere ex uno communi accidenti essentiam rei, omnino est ridicu- lum: quod si ex figura inferro liceret essentiam rei, iam, per ipsos, stella© omnes essent Soles, quia, rotundae omnes; quinimo et ipsa Terra, cum et ipsa sphaerica sit. Neque dicas Terram a 0 vel 3 differre, so quia aspera est, illi autem leves; nani magis spectanda est totalis figura , quam exiguae particulae: et sic homo variolarum cicatrici bus ab altero homine non differt, quia in totali figura convenit, sed bene differt ab equo, quia figura iritegralis eius ab illa differt. 28 . stelle — 29 . Ì8jìa sferica — 33 . ab alla differt — 356 DE PHAEN0MENI8 atque figura adsimiles [Sl) ; quod quidem sufficit ad horum phoenomenùm rationem reddendam, caeteris circumscriptis quodque instrumenti opera potissimum nobis ostenditur. Propterea operae protium erit, et hanc sententiam diiigenter expendcre atque considerare. Cum vero id duplici ratione contingat; una quidem, si Lunae corpus sit alterationibus obnoxium, atquo inde diminutionem et accretionem par- tium. densationem et rarefactionem, scissionem et coneretionem, pati possit (ad haec enim in corporibus generabilibus et corruptibilibus asperitatem vel leni- tatem, aequalitateni vel inaequalitatem, sequi videmus); nltera vero, si, etiam im¬ passibili Lunae substantia existente ac prorsus alterationis, gonerationis et cor- ruptionis experte, eius tamen superficies sit inaequalis ac montuosa, ita ut magnae io in ipsa sint eminentiae, non modo ad instar nostrorum montium, sed longe ma- iores ac latae, insuper depressae partes ad instar nostrarum vallium (quae omnes tamen partes ex uno .coelesti corpore sint, inalterabili, inaugmentabili, imminui- bili atque incorruptibili) ; cum, inquam, alterutro modo contingat haec in Lunari corpore esse, primum de primo, deinceps vero de altero, nobis futura est disputatio. • ® Prisci omnes philosophi ante Aristotelem, Coelum ex materia generabili et cor- rnptibili cónstituentes, astra pariter eiusdem conditionis esse, pronunciarunt. Quamvis vero omnes consenserint, Coelum esse igneum, ac propterea illuni atfWjp, hoc est ardens, ab a?Qco, quod est ardco , appellarunt (ante tamen Platonis et Aristotelis tempora, qui illud ab àel Osto, quod est setnper curro, sic dici atque 20 denominari promintiarunt), tamen de astris varias sententias sunt commenti. Alii namquo omnino ignes illa dixerunt, ut Zoroaster bis carminibus cecinit : hi raXbv 5|itXov àaxépoiv inlwrtòv Tò itOp 7wpò(^ xò rcup àvayéaas Compegit autem tnuUum coelum aslrortim incrrantium, Igncm ad ignem cogens ; et Parmenides pariter, qui de Sole ita cecinit: Etarj B’aJftepCav te epumv, tx x’ iv àtOépi rcàvxx 2'iip.axa xal xaflapxc: eOayios ìfiXloio Aa|X7ii5o<; £py' dplhriXoc .so * • Scics aetheream naturam, d quac in adhcre cuncta Cor por a, et pur ac fulgentis Solis Lampadis opera egregia ; et Pbilo, qui Solem appellavit : OXoyòc rcfjyiia noXX% [311 Cuperem ab authore intelligere, quaenam ponatur a rp diffe- rentia inter asperitates ac tuberà Terrae et montes, et, amplius, inter partes depressas et vallea. IN ORBE LUNAE ETC. 357 hoc est flamtnae cotnpaginem multae. Ahi autem terrea quidem esse,' sed ignita, existimarunt ; inter quos Thaletem accepimus primum ita sensisse, qui ycAStj pèv, éjiKopa 05 xà àarpx, hoc est terrea quidem, sed ignita astra, dixit : post Thaletem autem Anaxagoram, qui astra lapidea, Coeli vertigine de Terra raptoa et accensos, asseruit, quani oh sententiam morti traditus perhibetur: noe non Diogenem Physi- cum, qui ea pumices intìammatos esse dixit; Archelaus autem, laminas ferreascan- dentes ; Xenophanes vero nubes inflammatas censuit-, quae interdiu extinguantur, noctu reaccendantur. Alii vero, mediani inter ipsos sententiam sequuti, tum Coelum tum astra ex igne et terra constituta asseverarunt : in qua sententi a Platonem fuisse io ex Timneo constai; quamvis ibidem ex omnibus elementis Coelum conHatum esse alfirmet, asserens, ex apicibus sive summis perfectionibus elementorum Coeli natu¬ rali! constare; quod pariter Plotino visum est lib. 2 Ennead. secundae. Cum autem omnibus philosophis visum fuisset, Coelum et coelestia astra ex generabili et cor- vuptibili omnino corpore constare, soli tantum Aristoteli placuit, coelestem et aetheream naturam, non modo quintum corpus, alterius omnino ac diversae rationis a quatuor vocatis elementis, generabilibus et corruptibilibus secundum par- tem, ingenerabile et incorruptibile, ac prorsus inalterabile et secundum partem et secundum totum, constituere; veruni etiam quintum elementum simplicissinium, ac vere dictum elementum, quod omiiem compositionem abiiceret, etiam materiae 20 et formae, ingenerabile et incorruptibile, aeternum et necessarium, astruere. Quamvis autem tot ingentium virorum, quos citavimus ante Aristotelem de Codi et syderum natura sensisse, testimoniuni praeiudicatam habeat a multis saeculis authoritatem ; tamen, quod invaluit Aristotelis nomen apud viros doctrina et expe- rientia celeberrimo» tantum habet momenti, ut sola haec Aristotelis opinio caete- rorum omnium, aiiter ante ipsum sentientium, opinioni aequipolleat atque trutinam expostulet. Quare, propositae quaestionis veritatem, bine inde collatis rationibus, prò viribus exquirere atque invenire aggrediar, Horatianum illud ob oculos mihi proponens: Nullius addictus iurare in verba magistri. so Ac primum, quod Coelum ipsum igneae sit naturae, priscos philosophos, eviden¬ tissimo argumento motos, asseruisse cornpertum est : sensui enim nihil magia no- tum atque evidens est, quam Solem ipsum, ac deinceps caetera omnia astra quae in Coelo conspiciuntur atque Coeli partes ab omnibus creduntur, non modo luci¬ dissima esse ac caldissima, verum et totius lucis atque caloris fontem prima- rium et perennem. Solis enim adventu diem adventare omnibus constat, absentia autem tenebras et noctem ; ac noctem, Solis absentia tenebrosam, a Lunae ao caeterornm astrorum lumino nequaquam destitui; velut etiam Solem ipsum, accessu atque recessu suo, calorem et, caloris eflectuin, generationein producere. Cum autem ex ki9, quae nobis usu familiaria sunt, eorum naturam addiscere atque invenire 358 DE PHAEN0MENI8 consentaneum sit, quae a nobis remota atque procul existunt; si quidem in ter ea corpora quae prope nos sunt, solimi igncm, luceni utque caloreni producere cer¬ tuni est, cum Coelum ipsum eosdeni nobis effectus producati existimanduni erit, Goeluin ipsum atque astra, quae in eo sunt, igneae prorsus naturae esse. Ilaec autem,.quae a sensuum certitudine nobis constat, arguinentatio, illa etiam mu- nitur ab intellectu petita ratione, quod quae in contrarium et buie adversa sta¬ tuitoli;. a. Peripateticis sententia, Coelum scilicet non esse aliquod unum ex quatuor dictis elementis, rationem nullam certam ac validam afferre potest eoruui effectuum qui . omnibus evidentissime patent, caloris scilicet ac luminisi quare validissimum atque inexpugnabile contra eos remanet argumentum. Quod vero indiani ipsi af- io ferant, k vel afferre possint, certam rationeni horum effectiiuni quos evidentissime in Mundum liunc inferiorem Coelos producere est manifestimi, patet potissimum ex calore, quem Sol producit inter caetera omnia astra praecipue ac validissime. Sol enim, tantum accessu et recessu suo in obliquo cimilo, anni tempora distingui^ ac generationes et corruptiones efiìcit, et insignes producit caliditatis atque frigidi- tatis eil'ectus; ut in.aestate atque in hyeme notimi est: quorum causas minime assignare poterimus cum Aristotele, nisi ad antiquorum philosophorum sententias, opinantium quod Sol maximus sit ignis accensus, fugiamus. Aristoteles enim, qui existimavit, neque Solem neque caetera astra neque omnino siilipliciter Coelum ipsum elementari alicuius esse naturae, qualis apud nos perhibetur ignis vel ali- 20 quod aliud ex vocatis elementis, caloreni a Coelo atque astris, solo tantum lumine atque motu, ^produci existimavit. Quomodo autem a Sole id potissimum fiat, non modo difficile, veruni etiam impossibile, existiniatur hac via doceri posse et expli- cari. Omitto nunc de lumine aliquid dicere, quonam pacto lumen ipsum, cum ca- lidum non sit, caliditatem faciat; de hoc enim postea loquemur: sed considerabo tantum, quonam pacto motus ipse calorem producat. Id autem ab Aristotele facile explica tur : motus enim attritione ac rarefactione apt-us est ignire ligna et quae- cunque. Quod quidem veruna esse fatebor et attinnabo : at quonam pacto id. a Sole in haec inferiora fieri possit, difticillimum quidem existimo ut declaretur. Cum enim Sol caletacere manifeste prae caeteris omnibus astris solus ac lucere videa- so tur, ex quo Solis denominationem habuit, si luce sua ac motu calorem producit, cum aeque luceat in Coelo semper et in hyeme et in aestate, cur nani calefacit tantum in aestate? praeterea, quomodo motu caliditatem producit, ut Aristo¬ teli placuit, cum id motus non possit nisi per attritionem et rarefactionem etti- cere, Sol autem supra Lunam sit, ex Aristotelis et Platonis decretis, sopra Merr cu riunì etiam et Venerem, ex Ptolomaei et eius sectatorum sententia? quonam pacto attritione calorem et rarefactione etticere potest? Attritio enim fit per con- tactum corporis atterentis et attriti: modo, si Sol est supra Lunae orbem. non potest motu suo attritionem lacere inferiori orbi ipsius aeris et sublunari, nisi prius attritio communicetur lunari orbi: quare, aut attritio fit in lunari orbe ab 40 IN ORBE LUNAE ETC. 3 &» ipso solari corpore, et inde comnmnicatur aeri contiguo et elementari mundo; et tunc sequetur, attritionem et consequentem ai rarefactionem primum recipi in coelesti corpore; quare et corpus ipsum coelette, nempe lunarem orbera, esso ra- refactionis atque caeterarum passionum corruptivarum participem : aut non tìt in lunari orbe; et tunc ncque in contiguo lunari orbi aere; nani cum longe vastis- simum sit interstitium inter aérem contiguum intimae et concavae superticiei Lunae, et ultimam superficiem convexain eiusdem orbis, sive concavam illi supe- rioris orbis, non poterit attritio a Sole, in superiori orbe collocato, in aere infra Lumini constituto recipi. Nec minus Peripateticos fatigabit altera difficultas ex lu¬ to mine orta, quonain pacto lumen caliditatem producere possit, cum ipsum forma- liter calidum non sit: dicere onini virtualiter esse calidum, non est causam asse¬ gnare, sed effectum ; ex effectu enim calefaciendi cognoscimus Solem liabere virtutem calefaciendi; sed quaenam sit vi rtus hacc calefaciendi, cum non sit ca- . liditas, non declaratur. Sed maior adhuc urget difficultas: quonain pacto lumen, cum qualitas sit et accidens, substantiam generare possit, nempe ignem. Neque responsio communiter aliata tollit diftìcultatem, productionem ignis a lamine esse aequivocam, cum hoc nihil aliud dicat, nisi lumen esse diversae rationis ab igne producto: at difficultas remanet, quonam pacto accidens, quod non est ens nisi per aliud, possit producere substantiam, quae est ens per se. Est etiam praeterea contra 20 Aristotelem, 12 Met. par. 13, ex Averroe, sect.ione ubi inquit, Omnem substantiam fieri ab univoco: nisi dicatur, ita lumen producere substantiam, quemadmodum fa- cultates etiam, quamvis sint accidentia, substantias producere dicuntur ; ut cum dicimus, potentiam generativam hominis producere et generare hominem; quod nihil aliud est dicere, nisi ipsuimnet hominem, per eam aptitudinem quam habet ex suo principio formali et animastico, hominem generare. Non ita autem vide- mus, lumen generare ignem; nisi dicamus corpus lucidum ex suo principio formali generare ignem, lumino mediante; et ita generatio ignis ad principium formale corporis lucidi erit referenda. Quod minime fatebuntur Aristotelici: si enim hoc concedant, sequetur Solem esse igneum, et prorsus eiusdem rationis cum nostro so igne. Quoti ita sequitur: nani, cum ex lumino Solis, in concavo speculo rettexo, generetur ignis eiusdem rationis cum alio igne genito ex hoc nostrate igne; si talis ignis generatus referatur ad formam corporis lucidi, necessario sequetur quod, si ignis genitus a Sole est eiusdem rationis, ut videmus, cum igne genito ab alio igne, sit productus et genitus a forma corporis lucidi eiusdem rationis cum nostro igne. Addo bis aliud argumentum, ex reflexione, vel refractione, ra- • diorum: si enim radii, aut recti procedunt, aut refranguntur vel reflectuntur, necesse est ut sint corpora; liae etenim passiones non nisi corporibus competere possunt. Sed respondent, reflexionem vel refractionem non dici nisi metaphorice de lumine ac radiis : non enim lumen aut radii vere procedunt recta, aut obli- 40 quantur, quasi motu locali, tunc enim necesse foret esse corpora; sed quando in. 48 360 DE PHAENOMENIS virtus activa corporis lucidi non est totaliter exhausta, et non tantum causavit quantum potest causare, tunc ulterius, si non potest secundutn linea in rectam agere (aecundum quam natura maxime agit, quia illa est brevissima et efficacis¬ sima ad agendum), agit secundum aliam lineam isti propinquiorem, et hoc fractam, vel reflexam, si nihil potest agere ulterius, reagendo in idem passivimi in quod prius. Ita Scotus, 2 sent., dist. 13, respondet ex Avicenna: sed haec responsio redarguitur manifeste. Si onim hoc esset veruni, virtutem scilicet activam corporis lucidi et luminis, reagendo in idem passivimi, producere ignem, non autem radios vere re- flexos aut refractos, tanquam multiplicatas substantias, eum causare ; tunc virtus haec activa luminis, cum id causare non possit, nisi potentiali quam habet ca- io lefaciendi virtute, produceret ignem in medio acre, per quein agit et per quelli iterimi reagit: quod necessariuin est; non enirn qualitates transmigrant de su- biecto in suhiectum. Si autem talis caliditas in aere producitur, producitur per modum habitus, ut caeterae qualitates, praeviis multis dispositionibus; quare non •facile amovebitur, sed diutius permanebit; et ita aer per aliquod tenipus cale- ret, quinimo con flagra rct. Cuiiis tantum contrarium experimur: si enim a con¬ cavo speculo retìectantur solares radii, profecto in illis accendemus Ugna: aufe- ratur deinde statini speculimi, et subito applicetur manus loco ubi inciderat reflexio radii, quae fecerat conibustionem, nullum sentiemus calorem in illa parte aéris impressum ; quinimo, si alium in locum transferatur speculimi, ita ut alibi 20 concipiat Solis radios, statini ibi accendetur ignis in materia approximata: ita ut manifeste pateat, substantiam calefacientem multiplicatani ignem accendere, non virtutem. Quare ita arguo contra Scotum : aut virtus productiva caloris, quae reagens producit ignem, movetur ad motum speculi, dum in alio loco accendit ignem; et tunc accidens migrabit de subiecto in subiectum: aut non movetur; et tunc quomodo producit ignem in alio loco? Sed respondebit quis: Non movetur virtus productiva caloris, sed gignitur nova virtus, dum speculimi in alio loco positum idem lumen concipit et reflectit. At, contra, tunc quaero de ilio calore paulo ante producto ab eodem lumino in alio priore loco, utrum permanet, an periit? si permanet, quare non sentitur? si periit, a quonam periit, in tam exigua 30 et vix sensibili temporis inora? Nec dici potest, calorem recedere simili cum lu- mine ad recessum radii: nam statina accedit, et recedit in instanti aut in tem¬ pore insensibili, ad praesentiam vel absentiam corporis lucidi ; at calor, voluti non potest nisi in certo temporis spatio produci, ita non potest nisi in certo temporis spatio corrimi pi. Quapropter integra remanet dubitatio a refractione et .reflexione lueis pctita, nisi dicamus radios vere reflecti'ac refrangi, tamquam substantiam igneam ab aethereo igne manantem, ac, ita multiplicatos, ignem ac¬ cendere et generare, ut contcstatur sensua. Praeterea, non leve argumentum ex ipsoinet Aristotile desìi mi tur, quo probatur Coeli substantiam esse igneam: si enim vitalis calor, qui animae deservit, quique taecunda facit semina et omnia generat, 40 IN OKBti LUNA E ETC. 361 aethereus est et proportione respondens elemento stellarum, ut Aristotele» asserii Do gerì. an. 2 ca.... (non enim elementaris Ilio ignis, qui apud nos est, ullum ani¬ mai generat, ncque alia elementa, absque coelestis huius caloria ope, ncque enim constitui quicquam densis vel humklis vel siccis videtur, sed Solis calor et-ani- malium; non modo qui semine continetur, veruni etiam si quid excrenienti sit, quamquam diversum a natura, tamen id quoque principimi! liabet vitale: calo- rem autem in animalibus contentum, ncque ignem esse, neque ab igne originem ducere, est manifestimi; sed omnis animae virtus, sive potentia, corpus alimi par- ticipare videtur, idque magis divinum quam ea quae elementa appellantur); si, io inquam, calor hic, aethereum ac prorsus divinum corpus participans, ardet atque igneus est, ergo coeleste corpus igneum est. Quod autem àrdeat et ignis sit, ma¬ nifestum est in cunétta : calor enim Ilio vitaiis, qui dispersus per molem corporia non urit, si in unum cogatur urit. Si enim quia universum calorera, qui in loto hominis corpore est, naturalem in unius digiti apicem-cogeret, minime dubium est digitimi arsurum. Quod inde patet etiam: si enim quis in sinistrimi veri tri- culum cordis ìiuper mactati ammalia digitum iniiciat, tantum sentiet ealorem, ut uri videatur, quemadmodum Galenus loquitur. Quod si hoc in solo corde demortui animalis contingit, quid putamus totius viventis animalis calor efficeret unitus? Hoc vero idem in exerementis ac putrescentibus rebus, quorum ealorem Aristoteles 20 vitalem pariter, ac proinde etiam coelestem, appellavit, manifestissimum est: ignem enim evidente!* concipiunt, ita ut quam * saeptasime aeditìcia ex ipsis conflagra- runt. Praeterea, si Coelum necessario generabile atque òorruptibile est, necessario igneum erit: nulla enim alia substantia illi congruentior est, tuiii propter nobi¬ litateli) corporis (ignis enim nóbilissimuni corpus est, quale convenit esse Coelum), tum etiam propter lucani, ealorem et mobilitatela, atque etiam tenuitatein; quae omnia Coelo deberi, et nonntai in igne reperiri, certissirtium est. Quod autem Coelum necessario corrumpatur, primum ex eo constat, quod est corpus; nullum autem corpus perpetuo constare potest. Quod autem hoc necessario fiat, inde patet, quod omne corpus ex materia et forma componitnr ; quod autem ex bis com- 80 ponitur, dissolvatur Decesse est: omnis enim materia est potentia ad esse, ut Ari¬ stoteles 9 Met. statuit; quare, et ad non esse. Neque verum aut possibile est; quod a quibusdam Peripateticis ad hoc evitandum ailertur, Coelum ex materia alte- rius rationis constare ab bis inferioribus : non enim plures possunt esse primae materiae diversae rationis, ut bene arguit Scotus, 2 sent., dist. 14, q. 1 ; voluti nec possunt esse plures primi eflicientes, aut plures primi fines, alterius et diversae rationis. Nec magis veruni est, quod a quibusdam aliis affirmatur, esse in Coelo quandam aliquam formam, quae omnem materiae potentiam et appetitum expleat: non propter instantiam a Scoto allatam in dicto loco, quae milii non videtur suf- ciens, cimi habeat ab adversariis validam responsionem ; sed eo, quia, si forma 40 haec Coeli explet omnem potentiam et appetitum materiae Coeli, et haec materia 302 DE PHAENOUENI8 Coeli est eiusdem rationis «cum materia horum inferiorum, erit etiam et extensi- bilis ac quanta (prout est); quare et eius forma extemletur ad eius extensionem, si est forma informans et constituens, ut supponitur. Cu in auteiu talis torma contineat eminenter perfectiones omnium formarum inferiorum corporum, quae quidom, etsi specie, hoc est in natura sua, sunt (initae, tamen numero, hoc est in materia, sunt infinita© (cum materia ex se ipsa non sit finita, ncque ex forma sit finita, cum talis forma in materia possit multiplicari in infinitum); sequetur, ergo, in Coelo actu dari infinita individua omnium specierum, ac ita Coeluin ipsuni esse Omniseminarium illud et Chaos Anaxagorae, tot rationibus a physicis con- futatum. Addo etiam, quod haec forma Coeli, aut est extensa ad extensionem io materiae quantae, et tunc erit divisibili» et corruptibilis, aut non erit extensa, et tunc non explebit omnem appetitum materia©: forma enim indi visibili» non potest perficere privationem formae divisibili»; nisi dicamus, formam indivisibilem esse divisibilem, quod est impossibile, cum dicat contradictionem. Neque vero negare possumus hanc compositionem in Coelo, ut negavit Averroes; non solum quia Coelum dimensum est et quantum, quod sine compositione materiae et formae non contingit, verum etiam, quod magis urget, quia Coelum, ex ipsomet Aristotele, puriores et impuriores habet partes. Ita enim, primo Meteorolog., de Coelo inquit: < Quod enim sursum est et usque ad Lunam, dicimus esse corpus alterimi et ab igne et ab aere; quinimo et in ipso, hoc quidem purius esse, illud autcm minus 20 sincerum, et, difterentias habere, et maxime qua desinit ad aerem et ad eum, qui circa Terram, Mundum. > Quod non modo compositionem ex materia arguit, verum etiam ex materia, quae secum privationem et corruptionis.causam habeat: ubi enim impuruin est, ibi est privatio puri, et imperfectio quae ad ulteriorem pervenire potest perfectionem ; quare, et corruptionis aptitudo. Sed, praeter haec, Coelum esse corruptibile ex eo constai, quod eius partes genitae et corruptae saepius visae sunt. Non modo enim Ilipparcbus, ut Plinius lib. 2 asserit, novain stellala sua tempestate genitam deprehendit; veruni etiam et paulo superioribus annis eas de novo genitas nostrum saeculum bis observavit, unam anno 1572 in Cassiopea, alteram vero anno 1004 in Sagittario (cum lovis et Saturni con- so iunctio in eodem signo adirne duraret), quae primae magnitudinis visebatur, ut Canis Maior, splendore autem Ioyìs plurimum, Martis autem etiam aliquantulum, naturam referebat : quae. omnes verae reputata© sunt, non exlialationes, cum supra elementarem orbem conspicerentur ac seintillarent, et matbematicorum omnium communi iudicio et consensu nullas facerent paralaxes ; ita ut vera apparuerit Hipparchi coniectura, qui ex ortu nova© illius stella© sua tempestate, qua die iulsit, ad dubitationem est adductus an ne hoc saepius ficret. Si igitur Aristoteles ex eo Coelum ingenerabile et incorruptibile statuit, quod nulla eius pars tot saeculis sit genita aut corrupta; cum contrarium experientia constet, tum veterum monu¬ mentai, tum etiam recenti omnium, qui adbuc vivimus, observatione (stellam enim 40 IN OKBK LUNAK ETC. 363 novissime in Sagittario ortam omnes vidimus, non modo philosophiae aut ma- thematicae studiosi, veruni etiam gregarii et vulgares, neque euiqnam indocto vel docto aliud visa est quam stella oetavi orbi»), cum itaque ex bis omnibus notimi sit, Coelum esse generabile et corruptibile, ncque inter talia corpora ullum aliud inagis affine et niogis conveniens naturae Coeli sit quam .ignis; sequetur, Coeluiu ipsum nullam aliam habere substantiani quam igneam. Ignis autem cum aut in materia tenui accensus sit, et talis minus liaket lucis et caloris, ut damma ; aut in materia crassa et densa, et buiusmodi multimi babet lucis et caloria, ut antrax; cum Coelum minimum habeat lucis et caloris, astra autem quampluri- io mum; sequetur, Coelum esse tenuissimum ignem, astra autem crassum et.densum; atque orbium substantiam, ex tenuissima materia atque rarissima, flammae prò- portione respondere; astra autem, ex inagis densa et crassa, antracibus et aceensis prunis. Cuius rei certissimum affert argumentum colorata lux, qua praedita astra vario atque diverso modo refulgent, prout varia sit materia in qua sunt accensa : quare Martelli splendore veluti rùbicundo, Iovem autem fulgido ac hilari, Ve- nerem nitido et pulchro, Saturnum subobscuro et pallido, Mercurium caeruleo, Sole in candidissimo ac nitidissimo, Lunam autem argenteo, fulgere conspicimus. Non mirimi igitur est, antiquos illos philosophos, ita de Coelo sentientes, in tam varias de astris concessisse sententias, ut alii ignitos lapidea de terra raptos, 20 quod Anaxagoras, alii inflammatos pumices, quod Diogenes Physicus, alii can- dentes lerreas laminas, quod Arehelaus, alii ardentes nubes quae nocte accen- dantur die extinguantur, quod Xenophanes, alii globos igniti aeris, quod Ana- xinmnder, existimarint. Quae si vera sunt, aut vera esse necesse sit, ut supra probatum i'uit; cum Luna, inter omnia sydera, Terrae naturala maxime sapiat, ut ipsemet Aristoteles fatetur; non erit fortasse absonum dicere, illam, continuo Solis calore et lumino, quo semper dimidiata fulget, veluti exesam aut ambustam, tales buiusmodi habere magnas inaequalitates atque asperitates in superficie, quae montiiim atque convallium et voraginum speciem praeseferant : aut eam esse ad similitudinem exusti lapidis et pumicis, qui multos babet poros et cavi¬ lo tates ; quam sententiam probare visus est Keplerus in sua Dissertatione cum Sy- tlereo Nuntio, et ad illam horum phoenomenùin causas referre. Hanc sententiam, quod Coeli et astra sint ex igne conflata, quamvis prisca oninis philosophia ra- tam habere visa fuerit (omnes enim ante Aristotelem philosophi, aut Coelum ex igne, aut ex igne et terra, vel etiam ex quattuor elementis, quod Plato, Aristotelis prae- ceptor, constare existimarunt), hanc, inquam, sententiam (quam etiam paulo ante nostrani aetatem Bernardinus Telesius, vir prisca© philosophiae studiosus, nulli sectae addictus, et novus philosophiae post multa saecula exarchus, renovavit) licebit nobis libere et sine ofiensione confutare, ex eo praesertim, quod de Coe- lorum et syderum substantia nihil definitimi a Sacris Littoria vel ab Ecclesiae 40 auctoritute adirne accepimus. Quamvis enim secunda D. Petri Epistola, cap. 3, ha- 364 DE PHAENOMENIS beatur, quod in adventtì diftt Domini Coeli ardentes solventur, tamen bis verbis non asseritur, Coelos esse igneos, vel alicnius alterius determinatae substantiae, aed in ultima Iudicii die, qua omnia conflagrabunt, Coelos pariter igne sòlvendos; dequibus tamen paulo antedixerat: Coeli autem magno impetu transibunt, eie- menta vero calore solventur. Et quamvis S. Ambrosius Solem flammeam rotam appellaverit, id tamen secundum similitudinem dixisse putandum est, cum nihil ad Fideni, in hoc asserendo vel negando, ab Ecclesia, ut diximus, sìt statutum. Hoc vero, tamquam certissimum et verissimum ex Fide, cui vera philosophia non con- tradicit, supponimus et atìirmamus, Coelos et universali! tum visibilem tuia* invi- sibilem creaturam Dei verbo factam fuisse in initio temporis, ac Dei virtute et io voluntate conservari: factum autem fuisse, non eo modo quo a natura vel ab arte, modis a nobis cognitis, eorum opera effici videmus, ex praeiacente, scilicet, subiecto et praecedente mutatione vel motu ; sed longe praestantissimo modo, nobis quidem incognito sed credito, ex nulla praeexistento materia, ac nulla praevia mutatione vel motu, per simplicissimam emanationem, quam creationem dicimus; liane vero ad solum Deum pertinere, tamquam òpus infmitae potestatis. Iloc, in- quam, supposito, quod nulli- ex antiquis illis philosophis* fuit notum, cum ipsi, naturali tantum lumine dncti, in communi sententia omnes fuerint, quod ex nihilo nihil fit, contra eos naturalibus argmnentis insurgemus. Etsi enim ex Fide nos coniiteniur, Coeli motum aliquando desiturum, tamen id fiet neque propter impo- 20 tentiam motoris, neque propter corruptionem substantiae mobilia, ut docet S. Tho- mas primo Contra gentes cap. 20. Quare contra illos ea atferemus argumenta, quae probant, non posse esse corpus generabile eo modo quo antiqui generationem » accipiebant, ex subiecto, scilicet, et per motum; neque pariter posse esse corrup- tibile : ita enim contra ipsos Aristotelis argumenta concludunt. Quod si a nobis fuerit probatum, erit pariter probatum, Coelum et astra non esse ignem, neque ignea, nec aliquod aliud elementum, neque ex elementis; cum et elementa, et quae ex elementis Constant, corruptibilia sint. Cum vero quamplura inibì suppetant argu¬ menta ex Aristotele et Aristotelicis, primo De Coelo, deprompta, nempe, quia Coelum circulariter inovetur, circularis autem motus non babet contrarium, quia simplicis- so simo motu movetur et eo quidem diverso a motibus elementorum ; ergo ex diversa est ab elementis substantia et alterius omnino naturae; quia nec grave sit neque leve, ut caetera dementa; quia millius mutationis particeps, praeter quam localis, ac propterea inalterabili», inaugmentabilis, imminuibilis, et, ex consequenti, ingene- rabilis, incorruptibilis (quod inde patet, quod, totsaeculis iam elapsis, nulla um- quam Coeli pars defecerit neque adauctafuerit); quia Divino Numini, quod in Coelo omnes communi consensu statuunt, tamquam immortali, immortale corpus coaptari debet; quia aether, hoc est perpetuo motum , ab antiquis est appellatimi ; quamvis, inquam, haec et alia mihi suppetant argumenta vel argumentandi loca, ex quibus pracdictam seutentiam redarguere possem; uno tantum utar argumento, quo adeo 40 IN ORBE LUNAE ETC. 365 manifeste talis opimo redarguitili-, ut nullus sit adversariis respondendi aut tergi- versandi locus. Est auteni argumentum ex Aristotele petitum, Vili Physicorum, hoc pacto: Nccesse est, (lari aliquod corpus ingenerabile et incorruptibile ; sed hoc nullum aliud potest esse convenientius quam Coelum ; ergo [etc.]. Minor propositio est evidens: ex corporibus enim sensibilibus nullum videtur esse nobilius ac magia a corruptibilitate remotum quam Caelum, cum caetera omnia manifeste generentur et corrumpantur. Quare, si necesse est aliquod corpus naturale esse ingenerabile et incorruptibile ac semper idem manens, huiusmodi autemnu llum inter omnia corpora potest dari nisi Coelum (si enim dubitar, assignetur quod- 10 nam sit); ergo Coelum necessario erit ingenerabile et incorruptibile. Maior autem propositio assumpta, quod necesse sit dari unum aliquod tale corpus, ita pro- batur. Si non dabitur hoc corpus, omnia corpora erunt generabilia et corrupti- bilia; quare, et alterabilia: generatio namque et corruptio ad alterationem se- quuntur. Si ergo alterabilia, aut alterabuntur a seipsis, aut ab alio, aut ad invicem. Non a seipsis: hoc enim est impossibile ; tunc enim idem secundum idem esset in actu et in potentia, et calidum etfrigidum: si enim ignis, quando corrumpitur, frigescit a se ipso, tunc, quatenus lrigesceret et pateretur, esset calidus, quatemis autem frigesceret a se ipso, esset frigidus; unumquodque enim patitur ab eo quod est actu. Quare impossibile est, ut a se ipsis alterentur. Non ab alio: quia si ab 20 alio, tunc, aut necesse est (levenire ad unum primum corpus quod, cuni caetera alteret, ipsum non alteretur, et huiusmodi est ingenerabile et incorruptibile, quod negatur; aut dari processimi in infinitum in alterantibus, quod pariter est im¬ possibile : si enim terra alteraretur ab aqua, et rursus aqua alteraretur ab aere, et aer ab igne, et ignis pariter ab alio corpore, hoc autem cum non possit abire in infinitura, necessarium erit sistere in aliquo corpore, quod, cum alteret, non alteretur. Nisi dicamus alterari ad invicem circulo, ut videmus eadem generari et corrumpi ad invicem ; ex aqua enim fit aer, et rursus ex aere aqua, et sic de singulis : at hoc ut fiat, necesso est supponere unum primum corpus, quod non generetur neque transmutetur. Ergo neque ad invicem alterari possunt. Quod autem, so hoc ut fiat, necesse est supponere aliud primum corpus quod non generetur neque transmutetur, probatur contra antiquos physiologos: ipsi enim generationem et corruptionem semper esse statuebant; quare, etsi aliqui Mundum corrumpi dice- rent, tamen iterimi generari putabant, et ita semper fieri. Si igitur omnia essent generabilia et corruptibilia, tunc omnia aliquando dcficerent et corrumperentur : quare non posset fieri iterimi generatio, nec posset liaec vicissitudinaria transmu- tatio semper manere, cum omne, quod alteratili* et generatur, alteretur et ge¬ neretur ab eo quod est actu. Neque possunt respondere, quod manente aeterna materia prima, tamquam subiecto, et aeterno primo motore, ut efficiente, remanet aeterna generatio et corruptio. Nani, quamvis prima materia sit subiectum gene- 40 rationis, est tamen mediante alteratione ; priinus autem motor, cum sit incorpo- 360 DE PHAENOMENI8 rena, non est offertivus alterationis, nisi mediante corpore, saltelli Becundum phi- losophos et naturalem producendi motum, qui est ex subiecto, et non supponit agens influitale potentiae, sed finitae; quod agens, etsi sit incorporami, non tamen potest aliquid creare, non modo iuxta philosophorum sententiam, veruni etiam ex theologorum assertione; quare S. Augustinus, 3 De Trinit., asserii Angelos, ncque malos neque bonos, posse aliquid creando producere, sed approximando adiva passivis. Quod si permanet aeterna generatio et corruptio, et haec circnlo, iuxta Peripateticorum sententiam, hoc fit aeterna permanente prima materia et aeterno permanentè primo corpore, nempe Coelo. Quare patet, quod, si generatio et cor¬ ruptio semper futura sit, ut antiqui pliilosophi existimarunt, et ul lumine naturali io ab Aristotele probatum est Vili Physicorum, Coeluin non est generabile neccor- ruptibile: quod sufficit ad confutandam hanc sententiam, quae asserit Coeluin et sydera esse ignea. Memini, cimi aliquando exagitareni hanc quaestionem Romae cum Excellentiss. Gallileo, adstante viro doctissimo Antonio Persio, nec non eru¬ ditissimo atque illustrissimo Federico Caesio, Marcinone Montis Caelii, nec non aliis doctis viris, hoc argomentimi me attulisse; cuius vi ductus D. Gallilaeus non ne- gavit, necesse esse dari hoc primum corpus inalterabile et incorruptibile, sed hoc esse Solem. Quod si veruni est, cum Solem, et quoad sydus et quoad orbem, vi- deamus eiusdem substantiae esse cum caeteris syderibus et prbibus; necesse est, Coeluin reliquum ac caetera sydera esse pariter incorruptibilia, ut Solem. Neque 20 obstat, caetera sydera mutuavi lumen a Sole, Solem autem ex se ipso lucere; cum Sol eam proportionem habeat in Coelo, quam cor in animali ; ac velati nihil obstat, reliquas animalis partes esse animatas et de essentia animalis, quanivis vitaiu et calorem mutuentur ab ipso corde, ita nihil obstat, caetera sydera esse de essentia ipsius Coeli atque eius naturam participare ut Sol, quamvis Sol nobilius eam participet. Quinimo, cum Coelum sit ani ma tu in et animai quoddam (ut non modo Aristoteles sensit, secundo De Coelo, veruni etiam Plato et alii quamplures philo- sophi), necesse erat ex diversis partibus constare, tamquam corpus organicum : anima enim organici corporis est actus, sydera autem et astra coelestis corporis stint organa ; illis enim Coelum stias actiones et operationes producit. Ex quibus 30 non modo propositae quaestionis veritas constabit, veruni etiam aliata© prius prò contraria sententia rationes solventiir. At primo, argunientum primum: quomodo Coelum ipsum et astra, ac potissimum Sol, cum non sint calida, in bis inferioribus caliditatem faciant: non enim attritione et motu, ut Aristoteles, 2 De Coelo, statuit, cum attritio non possit fieri in extremo corpore, nisi prius fiat in medio; non autem in medio, nisi Coelum sit corruptibile ; ergo neque in extremo, nempe in igne aut aere et sublunari Mundo. Pro cuius solutione dicitur, non esse veruni, quod assumitur, Solem tantum calefacere atterendo inferiorem aerem vel ignem (tuiic enim verum esset et necessarium, prius atteri et pati intermedios orbes); sed totani Coelum (hoc est, aggregatum ex omnibus orbibus) calefacere atterendo con- 10 IN ORBE LUNAE ETC. 3G.7 tiguum ex inferiori Mando corpus. Cmn vero totum Coelum neutiquam similare sit, sed ex dissimilaribus coniatura partibus, ut dietimi est, tamquam corpus animae deservions et organicum, secundum partes magia densas maiorem facere attritio- nem necesse est, et maiorem calorem ; quare, secundum stellatam partem, quae magia densa est totius Coeli, ae potissimum secundum eam partem quae maior est ex iis quae non longissime a Terra distant ; cuiusmodi est Sol, qui inter er- rantia sydera quam maximo corpore est, nec tara longissime a Terra distat quam sydera octavi orbis, et in Coeli medio, tamquam cor in medio sanguineorum ani- malium, constitutus (quamvis hoc potius ad placitum Ptolomaei, quam Aristotelis, io dictum sit, dum Aristoteles, Platonem secutus, Solem non in medio Coeli constituat, sed secundum a Luna). Veluti igitur totum animai functiones vitales exercet, quain- vis praecipua sit cordis actio (non enim cor respirationem facit, ncque voluntarium lacertorum motum, sed totum animai secundum varias suis ministeriis destinatas partes), ita totum Coelum omnem lume inferiorem Mundum regit et administrat, et variatim quidem, iuxtavarios Coeli orbes et astrorura motus; quae omnia ab uno Sole, tamquam vitae fonte et principio, aut ab octava sphaera, quod magis sensisse visus est Aristoteles, ut infra declarabimus, vitam deducunt et actionem. Totum igitur Coelum, tamquam unum continuum corpus per unara animam aut per multas aniinas ad imam ordinatas, in(ima sui superficie igni contigua, nempe 20 lunari concava, subiectum corpus atterendo, calorem facit ; sed ea potissimum parte, qua Soli respondet. Corpus enim quantum, quod secundum quantitativam actionem agit, ut est per motum, non solum agit secundum longitudinem et lati- tudinem, veruni etiani secundum profunditatem ; ut patet in igne accenso, qui magis urit secundum partes magis profundas et densas, quam secundum partes magis raras aut minus profundas. Quare Coelum totum infima sui superficie, nempe concava ipsius Lunae, maiori activitate attritionem faciet in bis inferio- ribus ubi secundum profunditatem suam habet densiorem et maiorem partem, quam ubi liabet rariorem et minorem. Quae responsio artificiose aliata est ab . Àverroe, 2 de Coelo, Comment. 42, et rei naturae est consentanea; ita ut.abunde so sufiiciat ad diluendum primum adversariorum arguinentum. Quo vero ad secun¬ dum argumentum, sive secundum argumontandi locum, ex quo multa argumenta sumuntur, nempe ex lumino, quonam pacto possit producere caliditatem, cum ipsum non sit calidum, quamvis possem communi Peripateticorum responsione satisfacere, calorem esse accidens, ac propterea non requiri ad eius productionem causami univocam (quod manifestum est in calore producto a motu; solas enim substantias ab univoco produci dixerat Aristoteles); tamen, ad maiorem veritatis tirmitatem, aliam afferam, qua non solum hoc argumentum, veruni etiam reliqua buie annexa, solvuntur, et magis involuta ac difficilior in hac disputatone dubi- taiuli ratio enodatur. Dico igitur, lumen producere calorem, nec modo calorem, qui 40 est qualitas, veruni etiam ignem, qui est substantia ; at lumen non producere in. 49 3l>8 DE PHAENUMENI8 calo rem primario, seti ut qualitatein instrumentalem forma© ot essentiae ipsius Coeli; ncque propterea Cocium dici debere formaliter et actu calidum, ned emi- nenter ac potestate. Omnes enim formae et omnes qualitates corporum inferio- rum contincntur in corpore superiore et eius essentia, sed eminentcr, ac nobilis¬ sima ratione, et potestate, inquani, agendi, non patiendi : sicuti enim in materia prima omnes formae generabiles potestate continentur, tamquam in principio pas¬ sivo, ita in primo corpore omnes formae inferiorum corporum continentur, tam¬ quam in principio activo ; quod signifìcavit Aristoteles primo Coeli, part. 100, di- -cens, ab hoc pèndere, bis quidem clarius, bis autem obscurius, esse et vivere. Quo quidem supposito, dico quod, cum lumen producit calorem, non producit calorem io eo quod sit ipsum calidum actu et formaliter, sed virtualiter, hoc est, ut instru¬ mentum formae Coeli ; quae forma Coeli eminenter continet omnes gradus calidi- tatis, nec modo gradus caliditatis, veruni etiarn formam ignis; et ita lumen producit • non modo caliditatem, veruni etiam ignem. Quave non est necessarium, ut radii Solis vere et motu locali refrangantur et reflectantur, ut generetur cairn* aut ignis; quod dicebatur in tertia ratione ab adversariis; cum talis calci* non generetur ex attritione, séd ex virtute luminis, ut dictum est. Et ita pariter veruni est, ignem, ut substantiam, generari ab univoco, quamvis non ab univoco in specie: non enim Coeluni idem corpus est specie cum igne ab ipso genito, seti genero tantum ; quoti sufficit in generatione substantiae. Ncque sequitur inconveniens, quod, sublato con- 20 cavo speculo ab eo loco ubi reflectebantur radii et cessante reflexione, cesset com- bustio, nullo remanente in aere intermedio calefactionis vestigio : liaec enim cali- ditas, cum ad illuminationem sequatur et ad reflexionem aut refractionem luminis, non autem ad attritionem aeris, remoto lumine necesse est et ipsam pariter cessare, nullo relieto vestigio nisi in subiecto in quo fecit actionem. Addo etiam aèris raritatem et subtilitatem ; ex quo non potest impressam caliditatem facile retinere. Quem niodum respondendi secutum fuisse Averroem, legimus 2 De Coelo, Comm. 42, ubi liane exagitat quaestionem. Sunt autem liaec eius verba, quibus proposuit eandem diflicultatem de ablata combustione et calore, sublato speculo a quo fit reflexio; quam nos supra attulimus prò adversariis : < Cum igitur posueriimis cor- so pus tersimi, a quo radii reflectuntur ad locum in quo radii erant ante, videmus, illum locum calefieri qui erat ante frigidus ; et. si illud corpus tersimi auferamus, auferetur reflexio et refrigerabitur locus. Igitur ex hoc apparet, quod radii ca- •lefaciunt per se; et eos non esse corpus declaratuin est, nedum utsint corpus ca- liduin. > Quae cum dixisset, affert deinde unam solutionem supra allatam etiam a nobis, quod lumen generai calorem, voluti etiam motus, tamquam causa aequi- voca. Deinceps vero, hac solutione minime contentus, hanc alternili affert, quam nos attulimus: sunt autem liaec eius verba: < Etiam sic ultra apparet, quod aut est causa accidentalis, sicut de motu, aut erit causa 'consimili per se, quae provenit nobis ex motu stellarum; quoniam non est remotum, ut ista forma copuletur cum 10 IN ORBE LUNAE liTC. 369 lamine, et reflectatur cum Bua reflexione, et abscindatur cum sua abscissione: quoniam opinandum est, quo(l, quamvia corpora supercoelestia sint neutra, tamen, in quantum sunt corpora, habent commanicationem cum elementis in diaphanei- tate et illuminatione et obscuritatc; et ideo dicit Aristotcles, in libr. De animai., quod natura Lunao est similis naturae Terrae, propter ob scuritatelo quae est in ea. » Ad alimi vero argomentimi, ex principiis et doctrina ipsiusmet Aristotelis desu ni p- tum (ubi statuit, calorem vitalem et gignitivum, non modo qui in animalibus est et seminibus, veruna etiam qui in excrementis, esse coeleste et corpus divinum partici- pare; liunc vero ardere atque mere, et omnino eumdem specie esse cum elementari io igne, quinimo elementarem ipsunnnet ignem, multa et inrefragabilia experimenta ostendere; ex quibus sequitur, Coelum esse igncum, quia [etc.]), respondeo, primo, cum Aristotele, 3 De gen. anim., cap. 2, calorem coelestem (quem, in secundoDe gen. anim., suprascripto cap. 3, dixerat cuncta generare, neque elementarem esse, sed divinimi corpus participare et proportione respondere elemento stellarum) esse per omnia sublimarla elementa diffusimi, ita tamen ut vicinius Coelo corpus eo magia participet quam remotiora, atque inde remotioribus communicetur: quod significavit Aristoteles praedicto loco, tertio De gen. anim., bis verbis: < Generantur auteni in terra humoreque ammalia etplantae; quoniam humor in terra, spiritus in lmmore, calor animali» in universo, est : ita ut quodam modo piena sint animac omnia. > so Secondo, respondeo cum Alexandro Aphrodisaeo, qui haec eadem fusius declaravit libr. 2 Quaest. natur., cap. 3 : ubi, cum proposuisset dicere, quaenam a motu divini corporis, vicino sibi, corruptibili et generabili em pori ingenita vis participetur, paucis interiectis verbis, suam sententiam dicere aggressus, haec inquit: < An etiam per illas (scilicet virtutes coelestes) est actu; et hoc pacto erit, primum, participans ignis ipse tali ex divino corporo potentia ; deinde posterioribus ipsam distribuens,ita ut omnia corpora tali distributione ipsa participcnt, illa quidem plus, haec vero mi- nus. > Et infra, paulo post dimidium capiti», declarans quomodo inixta ex elementis liane divinampotentiam participcnt, inquit: < Ob quam potentini», non item habent haec principini» solimi in se ipsis motus, ad quem inclinant ; sed quoddam quo- ao que animasticum principium assumpserunt, quod et generationem habet a divina potentia. Quae natura et anima, per quantitatem simplicium corporum ex quibus est habens ipsam corpus (quorum illud quidem magis communicat divina poten¬ tia, quia propinquius est divino corpori et est subtiliorum partium et purius ; hoc vero minus, propter maiorem distantiam et constitutionis crassitiem), diversa et ipsa fit. Quaecunque cnim compositori»» corporum plurimum terrae habent, simi- lem cimi terra communicant animasticam potentiam quamdam, eo quod corpus, plurima eius substantiae pars, minus divina potentia participet ; quaecunque vero copiosiorem in se ipsis habent igneam et calidam substantiam, haec perfectiore anima participant, eo quod superabundans in eis corpus plus participet divina po- « 370 DE PHAENOMENIS tentia. > Ex qui bus manifeste patet solatio propositi armamenti. Nani quamvis calor coelestis sit qui generat et vitalis est, et quamvis calor hic per cuncta elementa dispersila sit, tainen plurimus igni participatur, tamquam viciniori corpori atquo tenuiori, deinceps vero aeri, et per haec caeteris elementis et corporibus. Quare non mirum est, si non modo putrescentia et semina, veruni otiam ammalia, plurimum habent ignis, et quae ex ipsis magis calore vitali participant, magis igne partici- pant, quia calor Ine in igne plurimus difFusus est. Quare veruni est totani quod assumitur, nempe caliditatem vitalem, si in unum cogatur et uniatur, arsuram (talis enim caliditas in igne est), neque calor vitalis ardet; quemadmodum non ignis generat, sed calor coelestis, qui in igne est, generat: et hoc est, quod ab Aristotele io dicitur, secundo Do gener. animai., cap. 3: < Ignis nullum animai generat. > Quod autem hoc veruni sit, inde patet, quod idem calor in aere et in aqua difFusus ge¬ nerat (ut 3 De gen. animai. Aristoteles dicebat), at ncque in aere ncque in aqua ar¬ det, sed solimi in igne, hoc est igne participatus. Quare non sequitur conclusio: calor animalium ardet et igneus est; talis autem calor est coelestis substantiae; ergo coelum ardet et igneum est: non enim calor animalium, ut animalium est, ardet, sed ut in igne est. Quartae autem rationi (qua dicebatur, Coelum neces¬ sario debere esse corruptibile, cum sit corpus sensi bus obiectum, ac proinde, ut Plato dicebat, necessario deficiens; si autem corruptibile est, nullum aliud corpus esse poterit convenientius quam igneum; ignis enim nobilissimum ex talibus cor- 20 poribus est, et maxime Coelo adsimile oh mobilitatela et lucera) respondemus hoc veruni foro, si Coelum esset, aut esse possct, corruptibile; at hoc fieri non posse, superius demonstratum fuit; ergo non erit igneum. Coniirmationi vero, qua nitebantur ostendere, Coelum esse corruptibile, quia est compositurn ex materia et forma, respondemus falsum esse quod assumitur ; quinàrio, propterea esse in- corruptibile, quia non constat ex materia et forma, et nihil prorsus habet mate- riae, neque eiusdem rationis neque diversae cum bis inferioribus, sed est corpus simplicissimum, ac proinde iuremerito dementimi ab Aristotele appellatimi. Si au¬ tem hoc supponatur, ut Plotinus inquit, lib. 1 Ennead. 2, quod neque ipse fieri posse negat, non erit difficile statuere Coeli corpus ex sui natura esse incorrupti- so bile: quod autem haec suppositio probabilis sit, et nullum contincat absurdum, demonstrabimus. Ac primo, quod sit valdc probabilis, ita ostendemus. Ad iute- grani constitutionem Universi aliquae substantiae sunt, quae nullam habent po- tentiam, sed omnino sunt puri actus; et haec sunt necessaria et aeterna, cuiusmodi est primus Motor et etiam reliquae Intelligentiae, ad mentein Aristotelis, cum sint omnino seiunctae a materia ; et quamvis sit prima omnium perfectissima, reliquae autem minus perfectae, tainen non propterea sequitur, in ipsis esse aliquam po- tentiam positivam, sed negativam tantum, quae nihil ponit in esse: et haec sim- plicissimi actus et omnino incorporea sunt. Aliquae autem substantiae sunt, quae IN ORBE LUNAE ETC. 371 semper habent coniunctam potentiam; tura quoad esse, quia aliquando sunt, ali- quando non sunt.^ 2j ; tura quoad operationem, quia non habent operationem perpe- tuam:ethaec sunt generabilia et corruptibilia corpora, composita ex materia et forma, quae omnino opponuntur substantiis aeternis. Quod si dantur haec extrema, necesse est dari substantiam mediani, hoc est quae medio modo se habeat inter has, et partim sit coniuncta cum potentia, et partim non, atque partim sit actus, partim sit habens actum: cuiusraodi est cocleste corpus, quod eatomis quatenus est semper, non habet potentiam ad esse; quatenus autem raovetur, et eiusactio ex sui natura est finita, quamvis a motore sit infinita, habet potentiam ad ubi: et io ideo eius substantia, quatenus non componitur ex materia, est actus; quatenus vero est substantia mobilie, est corpus et habens actum, ac propterea simplicissimum corpus est et vere elementum. Quod si aliquando ab Aristotele vel ab Àristotelicis dicitur compositum ex materia et forma, ut ab Aristotele, 12 Met., part. 9, ubi inquit < Cuncta vero, quaecunque mutantur, materiam habent, sed diversam; nani et ipsorum sempiternorum quaecunque non sunt generabilia, sed latione mobilia, attamen non genorabilem, sed unde quo >, id dicitur secundum similitudinem quandam et analogiam. Nani veluti se habet materia ad formas, ut sit scilicet su- biectum formarum, ita se habet coeleste corpus ad suos motores, scilicet animam et intelligentiam : quapropter bene dicebat Averroes, Coeli materiam dignius dici 20 subiectum quam materiam; quod pariter significaverat Aristoteles suppositis ver- bis, dum dixerat, corpora ingenerabilia habere materiam unde quo, hoc est, esse subiectum motus ; subiectum enim motus est in actu, non in potentia, ut subiectum generationis. Alterimi vero, quod nullum ad hanc positionem sequatur impossibile, pariter demonstrabo. Quamvis enim sit satis difficile intelligere, presertim nobis qui non nisi inter corpora generabilia et corruptibilia versaniur, quonam pacto corpus extensum et quantum careat materia, cura quantitas sequatur naturam materiae, et illi primo inhaerere videatur; tamen non erit absurdum vel impossibile do- cere, si unum supponanius, quod a nemine negabitur, scilicet, substantiam potentia non esse subiectum accidentium : ex quo sequitur, quantitatem non recipi in ma- 30 teria prima immediate, cum quantitas sit accidens, et materia prima sit substantm potentia (ut 2 De Anira. part. 2, et primo Physicorum 69, et 7 Met. 8, Aristoteles tostatura reliquit), sed mediante forma. Quod si quis instantiam afferat de dimen- sionibus interniinatis, quae sequuntur naturam materiae primae, et ei competunt in secundo modo dicendi per se; huic respondeo, quod quantitates, sive dimen- siones, interminatae sunt in materia in potentia ante eductionem formae : quare non potest dici, quod sint in materia prima ; veluti neque potest dici, quod formae t 32 J ea, quae non sunt, habere potentiam ad esse, inopinabile et im¬ possibile videtur: eorum enim quae non sunt, nullae sunt alleetiones. 38. vide — 372 DE PHÀENOMENIS Bubstantiales sint in eadem, quamvis de ipsius gremio educantur; alias, materia prima diceretur quantum et saltim corpus in genere substantiae. Quam sententiam ctsi sciam secutos frisse viro» doctissimos, et inter caeteros Zabarellam, tamen, ut veruni fatear, numquam ratam habore potui, cum materia, per se ipsam, nc¬ que quid, neque quantum, neque aliud quidquam dicatur, eorum quibus ens determinatur, sed omnino potentia sit. Quare si corpus aliquod statuendum est, a quo sumatur ratio generis in categoria substantiae, hoc crit coeleste corpus, cui dimensiones terminatae per se competunt, non ratione forma©, cum eius forma non recipiatur mediantibus dimensionibus, ut docuit Àverroes, libro De subst. orb., cap. 2; eius enim forma non pendet a materia, neque constituitur per ma- io teriam. Quod si quantitas actu non competit nisi substantiae actu, ergo quantitas actu competit primo et per so substantiae actu : illa autem dicitur primo et per se substantia, quae non ratione partiuni est substantia. Dico autem primo et per se substantiam, non primo tantum, quia prima substantia, ut individuimi, sub¬ stantia est composita : quare, etsi dicatur prima substantia, tamen non dicitur per se substantia, quia est ratione partium, materiae, scilicet, et formae, ex quibus constituitur. Prima, quoquomodo, quantitas competet primae et per so substantiae, actu subsistenti et substanti caeteris accidentibus ; talis autem substantia non est nisi substantia corporis simplinissimi ; ergo prima quantitas non potest com¬ petere nec inhaerere nisi substantiae corporis sinodicissimi. Corpus ergo simpli- 20 cissimuni primo et per so erit corpus, cuiusmodi necesso est sit corpus coeleste, quod est primum et nobilissimum corpus. Quod si corpus aliquod statuendum est, a quo sumatur ratio generis in categoria substantiae, hoc erit coeleste corpus, cui dimensiones terminatae primo et per se competunt, non ratione partium, ut in corporibus generabilibus, cum Coeli forma non recipiatur in materia mediantibus dimensionibus, ut docet Àverroes praecitato loco; eius cnim forma non pendet a materia, nec constituitur per materiam. Ex bis autem satis declaratum existimo (quantum philosophanti in re difticillima et obscurissima licet), nihil esse absurdum in hac sontentia, quam cum Aristotele statuimus, quod corpus coeleste, quamvis extensum et quantum, non sit ex materia et forma composi tu m. Nec minus ar- so gumentum nos commovebit, ex impuntate luiiaris corporis desumptum : liaec enim impuritas nihil aliud est, quam admixtio opaci cum lucido; quae etsi concedatur in coelesti corporc, nullam tamen arguit compositionem : voluti enim intelligcn- tiae posteriores a prima sunt imperfectiores in intelligendo, et illa magis quae magia recedifc a prima, hoc tamen nihil derogat ipsorum simplicitati, quinimo sunt actus puri, et nullam admittunt potentiam, nisi negativam, ut supra diximus; ita orbes posteriores nihil impedit esse minus pertectos quam primum, et illuni magia qui magis a primo distat, ut est lunaria orbis, maxime secundum eam partem secundum quam huic inferiori niundo contiguus est. Haec autem imper- iectio nihil aliud est quam diminutio luminis, quae, cum sit quid negativum 40 IN ORBE LUNAE ETO. 373 (tenebra© enim et opacitas non su ut aliaci, quam luminis negatio), non arguii mixtionem alterius natura© ncque corruptibilitatem, cum illuminatio non sit. passio corruptiva. Quinimo necesse erat corpus lunare hac in re adsimile esse suae intelligentiae: veluti enim sua intelligentia, tamquam ultima omnium, est imper- fectissima, ac minus perfecte intelligit quam caeterae superiores, ita pariter corpus lunare imperfectissimum necesse fuit esse, ac minus perfecte susceptivum luminis ; in nulla enim operatione orbis magis assimilatur intelligentiae, quam in illumina- tione, cum intellectio illuminatio quaedam sit, aut non sine illuminatione. Nec ob- stat quod Aristoteles inquit, Lunam adsimilem esse naturae terrae: loquitur enim io Aristoteles per quandam similitudinem, non (juod Luna sit vere terra, sed quod participat aliquam conditionem terrae, nempe opacitatem. Veluti enim terra inter omnia dementa non est diapliana, nec lumine permeabilis, sed opaca, ita pariter Luna ; ac propterea ab adverso Sole illustratili-, quemadmodum nostra haec Terra, atque secundum superficiem tantum qua a Sole aspicitur. Ob quam similitudinem pariter ab Orplieo, in carminibus supra a nobis positis, Luna Tellus altera fuit ap¬ pellata; qiiamvis poetice fingat multos illam habere montes, multas urbes, multas domos. Sed adirne alimi affértur argumentum ex novis stellis; quare et illud etiam considerabimus. Desuniebatur argumentum ex novis stellis, non solimi ea quae Hipparchi tempestate visa fuit, veruni etiam duabus aliis, una in Cassiopea, 20 anno 1572, altera vero in Sagittario, anno 1604; quae ab omnibus visae sunt, et quas doctissimi mathematici, ex variis Europac partibus, nullas parallaxes lacere constanter asseverabant; nec defuerunt Romae qui publice docerent, liane esse veram stellam, in Firmamento positam. Quibus omnibus obiectis unica re¬ sponsione satisfaciam ; nempe, eventum rei veritatem demonstrasse : omnes enim hae stella© evanuerunt, et postrema, quam nos vidimus, infra paucos menses evanuit; quod si fuissent stella©, iam adhuc perdurarent, quemadmodum reliquae tot saeculis perdurant. Quare, si inde adversarii desumunt argumentum corrupti- bilitatis Coeli, quod novae stellae aliquando visae sunt, quare iidem non inde •desumebant incorruptibilitatis alterimi argumentum, quod tot saeculis, et nulla 80 liominum memoria, nulla unquam Coeli pars doticele visa est? Semper enim septem visae sunt stellae quae Plaustrum efformant, et tres in cingulo Orionis, ncque ulla umquam defecit; et sic in singulis Coeli imaginibus semper est observatum: quod nequaquam possibile esset, si Coelum ac reliquae Coeli partes essent corrupti- biles. Quod si non sunt corruptibiles, ncque sunt generabiles; ordine enim naturae -semper generatio unius supponit corruptionem alterius. Quare tuuc temporis cum niihi relatum fuit Romae, aliquos, multo auditorum apparatu, publice docuisse, stellam, quae postremo apparuit in Sagittario, vere esse stellam, ego hoc illis argumentum solveiuluni proposui: Si stella haec vere stella est, quae noviter coepit esse, ut ipsi dicebant, in Firmamento, aut coepit esse modo supernaturali 40 et per creationem, aut via naturali et per generationem ; non enim potest aliquo 374 DE PHAENOMENTS alio modo res ulla incipere esse, quae antea non erat : neutrum fieri potest : ergo patet consequentia. Hoc enim fieri non potuit per ereationem, cum, ex sacrorum theologorum sententia, Deus ab initio omnia perfecte creaverit, inter quae Coelos et sydera ; ut in Genesi habetur < Perfecti igitur sunt Coeli, et omnis ornatus eorum », ac propterea, ut ibidem dicitur < Requievit Deus die septima ab omni opere quod patrarat » ; neque mine aliquid aliud de novo creare conceditur, nisi humanas animas, de quarmn creatione S. Hieronymus inquit eum locuni Ioannis intelligi in Evangelio qui ait : < Pater incus usque modo operatur, et Ego operor > ; et quamvis Deus etiam mine et semper possit creare novos Coelos et novas stel- las, tamen illos de facto non creat, ut saeris theologis placet, quorum iudieio est io acquiescendum. Ergo non potuit haec nova stella incipere per ereationem. Nec minus per generationem et via naturali: cum omnis generatio, ut dictum est, supponat corruptionem ; quare si tantum et tam vastum corpus, quantum est stella primae magnitudinis in oetavo orbe (tanta enim videbatur, quae apparuit in Sagittario), quod quidem totani Terram plusquam centies et septies excedit, genitum est, quidnam erit antea corruptuni, quod nobis non fuerit manifestum V Aut enim illud, ex quo genitum est, fuit corpus aliquod sublunare; et hoc est impossibile (totus enim orbis omnium elementorum non sufliceret ad generatio¬ nem corporis tam vasti ; quare oportuisset, totum bunc inferiorem mundum con¬ flagrasse: neque materia sufliceret ad generationem stellae, cuius corpus densum 20 et plusquam centies excedit Terram): aut fuit aliquod corpus coeleste; et tunc, aut aliqua alia stella aequalis magnitudinis fuit corrupta, quare aliqua stella defice- ret ex iis, quae ante fuerant in Coelo, primae magnitudinis, quod non apparet (nisi dicat quis, fuisse corruptas plures ex nebulosis quae non videntur, ac propterea nobis non apparuisse : sed in posterum nobis manifestae fient bae stellae nebu- losae; nani ope ac beneficio Excellentissimi Gallilei etiam nebulosae perlucidae factae sunt et clarissimae) ; aut, si non est eorruptum aliquod astrum, erit cor¬ rupta aliqua pars alia ipsius Coeli, quae est in oetavo aut alio orbe. Cum autem astrum unumquodque sit maxime densum, reliquae autem orbis partes sint maxime rarae ; necessarium erit, ut longe maior portio molis coelestis corporis so requiratur ad generandam stellam, quam sit quantitas et dimensio ipsius stellae, cum reliqua pars Coeli sit rara, ut diximus, stella autem sit densa (densum enim est quod plus habet materiae, ramni autem quod minus : quare, exempli grafia, si materia orbis occupat unum stadium, rara existens, deinde condensata, vix occupabit decimam partem stadii, et ita reliquum spatium vacuimi perniane- bit et dehiscens): atque ita oporteret, magnani aliquam fenestrain, vel foramen, factam esse in Coelo, quod non apparet ; aut reliquas eontiguas partes Coeli ra- refactas fuisse, ut impleant deficientem partem, quare reliquum Coelum obscu- rius appareret quam ante ; rariores enim partes in Coelo minus lucent. Atque haec et huiusmodi deliramenta sequuntur ad praeclaram liane doctrinam de novis 40 IN ORBE LUNAE ETC. 375 astrisi quae si animacivertissent, non ita statini de ventate novi astri sententiam dixissent; sed ad paura respicientes, facile enunciant. Quod si mathematici omnes affirmarunt, esse in Coelo stellane hanc, eo quod non faceret parallaxes; cune expe- rientia deinde cognitum fucrit, ipsam evanuisse (quod impossibile fore de vera stella, iam denionstravimus); dicendum erit, aut argumentum desumptum ex pa- rallaxi non esse efficax ; aut si est efficax, eorum instrumentorum usum deciperc, oh infirmitatem observationum, in quibus contingit deceptio, si non ratione astri, saltelli ratione medii, aut oculi, aut distantiae, quod fatetur Ptolomaeus, 3 Alma- gesti, ubi inquit: < Nani quis, ob ipsarum observationum infirmitatem, quamvis di¬ io ligenter et artificiose tìant, factum non sentiet mendacium ? > Quapropter potius existimarim, apparentem illam stellam fuisse accensam aliquam exhalationem in suprema aeris vel ignis parte, contigua concavo ipsius Coeli (quod probabile est, timi quia evanuit, ut huiusmodi impressionibus contingit, tum quia maxima eo anno praecessit siccitas); aut, si vere fuit in Coelo, ut instrninenta mathcmatico- rum demonstrarunt, fuisse aliquod factum ex reflexione radiorum Iovis et Saturni, quorum tunc temporis fuit coniunctio : quod tamen non affinilo, relinquens ma- tliematicis ac perspectivis hoc negocium. Hoc tamen dictuin volo, non ut dero- gem fidem mathematicis disciplini» aut professoribus, quos omnes colo et veneror atque honoris causa semper compollaho ; sed ut ostendam nostri intcllectus irn- 20 hecillitatem ac nostrac scientiae vanitatem, quae, ut bene dicebat Socratcs, magia propinqua est et affinis ipsi ignorare quam ipsi scire. Quamvis enira mathema- ticac disciplinae certissimae ex se ipsis sint, et eius rationes necessariae, quia continuum abs trachini a materia considerant, quod invariabile est; tamen, quando passiones liuius continui considerant in materia contingenti et variabili, contingit et ipsas falli, ob contiiigentias subiecti : et quamvis coelestia necessaria sint, et non contingentia, tamen media, quibus coelestia cognoscere cogimur, contingenza sunt et mutabilia; cogimurcnim ministerio sensuum liti, qui fallaces sunt; cogimur instrimientis et medio liti, in quibus multa, ut plurimuin, fit mutatio. Ex hoc igitur argumento non sequitur, Coelum esse generabile et corruptibile, et proinde so non esse igneum, ncque aliquam aliam materiam ignitam : quod si prisci ili philosopbi et Plato illud igneum dixerunt, hoc per similitudinem quandam dixe- runt; quod ibis licuit: veluti enim Aristoteles dixit Lunam quodammodo Terram, ob similitudinem quam habet cum Terra in opacitate, ita antiqui dixerunt Coelum esse ex igne, ob similitudinem quam habet cum igne in luce et calore. Qua¬ propter Plato, in Timaeo, ex eo quod Coelum futurum erat visibile corpus (quam- vis per Coelum intelligat Universum), dixit illud constare ex igne; quia aùteni tangibile et solidum, dixit constare ex terra; et quatenus haec omnia, ut extrema, indigent mediis ut colligentur et uniantur, eatenus dixit, illud etiam constare ex aqua et aere. Ex quibus patet, Platonem per ignem et terram in Coelo nihil aliud 40 voluisse intelligere quam virtutem ignis et terrae; ita ut, lumen et calorem agno- 376 DE PHÀENOMENIS scens in Coelo, ut etiam in igne, dicatin Coelo esso ignem; et agnoscens solidita- tem atque esse tangibile corpus Terrae, in eodem Coelo dicat esse terram. Quare et ibidem dixit, Coelura constare ex omnibus elementis, at non ex ipsiamet ele- mentis proprie et vere, sed ex apicibus elementorum : quod idem erat dicere ac si dixisset, ex summis virtutibus et perfectionibus eleinentorum, secreto eo quod in elementis imperfectum est; ita ut ab igne liabeat claritatem, a terra solidita- tem, ab aere vero levitatelo, atque ab aqua collogationem et unionem partium : nullum enim siccum absque humido consistere potestac terminari. Quam sententiam Platohis optime explicavit Plotinus, lib. primo Ennead. 2, bis verbis: < Mominisse vero oportet, terram non ita nasceri igni sublimi, ut in ipsa stellarum composi- io tione connumerotur ; sed cum in uno mundi corporo singola collocontur, nimirum et ignem aliquid liabere terreni, quemadmodum et terra ignei aliquid habet;ac summatim singola liabere aliquid singulorum; non adeo quidem, ut quod dicitur alia possidcre, ex utrisque constituatur, videlicet. ex seipso atque ex eo cuius est particeps; imo, in ipsa Mundi communione rite situm, non tam alterum quam al- terius nonnihil accipiat, velati non ipsum aerem, sed aiiris ipsius liquiditatem ; sic terra, non tam ignem, quam igneam claritatem. Mixtio autem ipsa adliibet omnia et utrumque conflat in unum, non terram quidem tantum atque naturam ignis, vel ignem tantum atque terrae naturam, videlicet soliditatem quandam densitatemque eiusmodi. Testimonium bis Plato ipse perlubet dicens: < Accendit 20 Deus lumen circa secundam a Terra spbaeram > ; Solcm certe significans, quem alibi nuncupat splendidissimum eumdemque nitidissinnim. Quibus in verbis ornnem a nobis opinionem abigit suspicantem, aliquid esse aliud illic praeter ignem : signifi¬ cai quoque nullam adesse ignis aliam qualitatem praeter lumen, quod quidem esse ait a fiamma diversum, calorem vero lenem tantum atque suavem; etiam lu¬ men hoc esse corpus; emicare autem ab ipso lumen aequivocum, quod esse dici- mus incorporeum; quod quidem ab ilio lumine pendei, et ex ilio micat quasi flos eius atque nitor, quod utique vere dicitur corpus album existere. Nos autem, quod terrenum dicitur, in deterius accipere consucvimus: quippe cum Plato ter¬ ram prò soliditate quadam accipiat; nos vero unum aliquid tantum terram ap- so pollare solemus, cum tamen ille differentes in terra consideret qualitates. Cum igitur talis ignis purissimmn praebeat lumen, ipseque in sede sublimi resideat, ibique naturaliter habitet, non ost putandum, nostram hanc flammam superioribus esse permixtam,* sed ad certum spatium peretirrentem prorsus ext-ingui, aere quam plurimo videlicet occurrente; procedentem vero saepe cum terra deorsum praeci- pitari, quippe cum superius transcendere nequeat, sed subsideat infra Lunam, ubi aerem extenuat proximum ; ac si maneat ibi fiamma, certe facta subtilior, evadit et mitior, splendoremque liabet non quoad fervorem spectat, sed quatenus a su¬ periori lumine perlustratur. Lumen vero codeste, partim quident varia ratione distributum est in stellis, in quibus tam colorum quam magnitudinura dille- 40 IN OKBE LUNAE ETC. 37 1 rentia discrepat; pnrtim vero in reliquo, praeter stellas, Coelo simili ratione viget; et si oculis non npparet propter corporis tenuitatem perspicuitatemque aspectui minime resistentem, quemadmodum in aero quoque puro contingit; accedit acl haec intervalli etiam longitudo. > Kx quibus deducit Plotinus, his immediate ae- quentibus verbis, Coelum esse iniminuibile et incorruptibile : < Cum itaque tale lu¬ men vigeat in excelso, ubi est naturaliter constitutum, purum videlicet in sede purissima, quanam via potest defluxus inde ullus uccidere? Ncque enim natura talis tamque sublimis sua sponte defluit; neque, rursus, est ibi quicquam, quo im¬ pellente deorsum praecipitetur. Addo, quod omne corpus longe se aliter habet, io quando animae coniunctum est, etc. > In quam sententiam Plotini caeteri etiam Pla¬ tonici pariter veniunt, ut Proclus, Iamblicus, Syrianus, et his nihilo inferior Les¬ sano, Cardinalis Nioaenus. Quarc patet, antiquos philosophos Coelum et astra per metaphoram quandam ignea dixisse, et verbis tantum, non sensu, Aristotelem ab illis discrepasse; cum omnes in eo convenerint, non esse Coelum eiusdem naturae cum his inferioribus, et si cum aliquo ex his convenire videatur, aequivoce conve¬ nire, et propterea aequivoce pariter dici igneum, aut terreum, vel alio aliquo modo, quo ab antiquis fuit dictum ; cum haec inferiora omnia ortui et intentili sint obnoxia, et cuiuscumque corruptivae alterationis capacia, Coelum autem nullius corrupti- vae alterationis sit capax, ac prorsus incorruptibile et aeternum. Impossibile igitur •>o est, haec phoenomena referre ad aliquod corpus alterationis capax, quod, secun- dum varias partes in eo genitas aut corruptas, inacqualitates habeat, ut nostra haec Tellus, et ita montes aut convalles, aut partes asperas et porosas ad instar pumicis; ut Diogenes Physicus existimavit, et nuper Iveplerus disscrebat. Utmm in Luna , ut unum quoddam est asinini eiusdem cum reliquo Coelo substan- tiae et naturae , inilltcrabilis scilicet et incorruptilnlis , ut Peripatetici statuunt , possint vere esse montes et convalles , ut perspicillo monstratur. CAP. X. Uno igitur exploso modo, quo in Luna montes et valles ac voragine», qnae apparent, consistere posse videbantur, Luna scilicet existente corruptionis atque so corruptivarum alterationum participe, alterum iam propositum reliquum erit examinare, utrum scilicet possint esse vere in Lunari globo hi montes, sed ex aetherea atque coelesti substantia; ita ut Lunaris superfìcies, non lenis et aequalis ac perfecte tornata sit (ut hucusque existimavit antiquitas), sed inaequalis, inultas habens eminentissimas partes ac, rursus, alias ininus excelsas, alias autem humi- les et depressas, quemadmodum noster hic globus Terrae et ipso inaequaleiri habet superfìciem ac montes et colles et valles. In quam sententiam venisse existimo Excellentissimum Gallileum, ex observationibus perspicillo factis: non enim in ali- quam ex praedictis concessisse certo scio; quare illas, non propter veruni eius 378 DE PHÀENOMKNIS sensum, confutare opus fuit, secl ob apparentem, quem ipsi fortasse aliqui ex vulgo tribuere videbantur, ut iam initio disputationis significavi; quamvis ipse nihil certum aut constitutum pronunciet, secl tantum, observationibus propositis, cae- tcros ad philosophandum invite!. Haec opimo satis probabilis videtur, tum quia adaequatam dicitcausam phoenomenùin quae iam observantur et communi omnium eonsensu approbantur (cum enim diversitas borum phoenomenùm ex diversitate proiectionis umbrarum causetur, proiectio autem varia umbrarum ex varietate corporum, a quibus proiiciuntur umbrae, proveniat; in leni autem et ninnino ac¬ quali superficie nulla sin! corpora, quae furiant umbram ; necessario sequitur, ut superficies Lunae non sit lenis et aequalis, sed inaequalis et montuosa) ; tum quia io nullum continet absurdum, cui repugnet ratio aut expressa sapientum authori- tas. Quare, ubi sensus idem omnibus demonstrat, et ratio non contradicit, acquie- scenclum est. Ad haec vero non modo sequitur absurdum aliquod, quinimo prò- babilitas non minima: quod enim sequitur absurdum, si Lunae superficies non sit aequalis? Namque ratio illa, ob quam Aristotrles, secundo De Coelo, statuit Lunam sphaericam esse, ac deinceps ex Lunae rotunditate caeterorum paritei 1 astrorum figuram arguit, adbuc manet: quamvis enim eius superficies sit inaequalis, nec per- fecte et adamussim tornata, tamen nihil impedit, quia eius corpus sphaericum atque gibbosum sit, ut Terrae globum esse videmus; et hoc sufficit ad illuminationem a Sole inaequaliter suscipiendam, ex qua Àristoteles arguit Lunae rotunditatem. Qui- 20 nimo ex ipsiusmet A risto teli s fundamentis sequitur, Lunae superficiem non esse ae- qualem nec perfecte sphaericam. Si enim vera est eius suppositio, secundo De Coelo par. 32, primum Coelum, perfectissiine et exactc tornatum, ad reliquos posteriores orbes eam habere proportionom, quam habet aqua ad terram et elementorum ea quae plus semper distant (velati enim aqua perfectiori rotunditate praedita est quam terra, et aer quam aqua, et magis ignis quam aer, ita, inter orbes, perfectissimam habet rotunditatem primum Coelum, ut nihil aut manu factum sese liabeat similiter, aut alimi quippiam eorum quae apud nos in oculis existunt; deinceps vero caeteri orbes minus perfectam, quo magis a primo distant); ergo Lunae globus eam inter reliquos orbes habebit rotunditatem, quam habere vide- 30 mus terram inter caetera dementa, asperam scilicet, montuosam et inaequalein. Qua ratione persuasus Augustinus Nifus Suessanus, ante octuaginta annos, hanc eandem sententiam de montibus et convallibus in Luna existentibus, quam nunc tìallileus nobis suo perspicillo demonstrat, ad mentem Aristotelis statuit, in com- nientariis super secundo De Coelo editis, in commento 49 particulae, ubi, cum quaereret causam mai orimi macularum quae in Luna apparent, haec profert: c Vel forsitan non est remotum dicere, Lunae partes esse diversas, veluti sunt partes 1 èrrae, quarum aliae sunt vallosae, aliae montuosae; ex quarum differentia effici potest facies illa Lunae: nec est rationi dissonum; nani Luna est corpus imperfecte sphaericum, cum sit corpus maxime ab ultimo Coelo elongatuin, ut supra dixit io IN ORBE LUNAE ETO. 379 Aristoteles: in vero in hoc non dedigneris considerare. > Haec Suessanus: a quo in hoc (ìallileus discrepat, quod Suessanus inaequalem videtur astruere superficiem maculosam Lumie, et ad montes et convalles eam referre ; Gallileus autem eam superficiem lenem et aequalem suo telescopio observat, lucidam autem et non maculosam, montibus et convallil)ii8 distinctam. Ncque existimandum est, haec ab instrumenti structura et refractione luminis aut visivorum radiorum nobis estendi: si enim Luna haec non liaberet, non ostenderentur, cum instrumento hoc, ut supra monstravimus, propinquius fiat obiectum. Velati enim reliqui Planetae, praeter Venerem ac enotera astra primae magnitudinis in octava splmera, quae longe ma¬ io gis distant quam Luna, cum absque perspicillo videantur radiis circundata et globum minime praeseferant, cum perspicillo videntur ad instar perfecti globi, undique lenis et aequalis, absque radiis, cum radii fiant ex refractione ob distau- tiam (quemadmodum in candela videmus, cuius lumen a longe sphaericum et radiis circumdatum apparet, cum a propinquo pyramidale, ut est, et absque radiis vi- deatur); ita pariter haec phoenomena, si oh refractionem luminis aut visualium radiorum iìerent, viderentur magis absque perspicillo quam cum perspicillo ; cum absque perspicillo magis a visu elongetur obiectum, cum perspicillo autem pro¬ pinquius fiat. Ob has igitur et alias rationes, quas fuse et dilucide satis attulit L). Gallileus ex suis observationibus in Sydereo Nuncio, quas etiam nos recitavimus co initio nostrae disputationis ; ego satis probabilem reputarem hanc sententiam, nisi aliquibus aliis rationibus, his forsitan validioribus, prò contraria suaderer. Ac primo, frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora et aeque bene [33J : sed absque bis montibus et vallibus, bene possumus assignare et afferre rationem observatorum phoenomenùm, ut infra, Deo iuvante, demonstrabimus: ergo frustra est, hos montes et valles ponere. Praeterea, his vallibus ac montibus positis, non- dum perfecte constat ratio et causa omnium quae in Luna apparent. Nani esto, quod montes et convalles sint causa illarum apparentiarum, quae videntur in parte lucida illuminatae Lunae, ut D. Gallileus in bis observationibus demon- strat; tamen nulla assignatur causa maiorum, sive antiquarum, macularum, quae 3o in Luna videntur: nisi dicere velimus, eam partem in Luna esse maria et congrega- liones aquarum, ex quorum superficie, quamvis leni, lumen obscurius reflectatur, ut in observationibus dicitur ; sed hoc non vere, at per similitudinem quamdam et exempli gratin, dietimi puto. Quare aliam assignat D. Gallileus liarum raacu- larum antiquarum causam ; nempe, heterogeneam ac dissimilarem substantiam, quam causare dicit, non modo maiores illas obscuras maculas, veruni etiam mi- nores quasdam, veluti areolas clariores, inter obscuras dispersa». Quare ita arguo : • [M1 examinetur nunquid per pauciora reddatur ratio liorum pliae- nomenùm, et aeque bene. 37 - 33 . phenomenum — 380 DE PIIAENOMKNIS si dissimilaris substantia in superfìcie leni et acquali, absque limiti pi icatione cor- porum, hanc eamdem Yarietatem phoenomenùm, quae in reliqua Luna videntur, causare valet in maioribus Lunae maeulis; ergo eadem dissimilaris substantiae ratio eamdem phoenomenùm varietateni in illuminata Lunae parto causare poterit. Consequentia est necessaria : nani non est maior ratio, cur substantia Lunae, ubi maiores videntur maculae, magia dissimilaris sit, quain ubi lucida apparetjcum baec dissimilaritas sumatur penes perspicuum et opacum, ex quibus totum Lu- naris globi corpus admixtum est, ut infra declarabimus. Sed animadvertit hanc difficultatem solertissimus Gallileus: quare inquit, bas diversitates macularum lu- cidarum quae in mediis obscuris maeulis videntur, quas exori ri dixerat et cau- io sari ex dissimilaritate Lunaria substantiae, in hoc diflerre a caeteris maeulis in lucida parte observatis, quas non ob dissimilaritatem sed ob inaequalitatem su- perficiei oriri putat, quod cum illae maculae, in lucida Lunae parte perspiciilo observatae, varias praebeant apparentias, iuxta varias quas recipiunt a Sole illu- strationes, hae, quae ob dissimilare!» substantiam tantum et non ob inaequali¬ tatem superficie! fiunt, nuilas faciant varias apparentias, ncque minuantur voi augeantur, sed eaedem semper appareant. Sed baec mihi responsio non satisfacit, (pace dixerim viri doctissimi), cum videamus in eadem leni et acquali parietis superficie ita a pictoribus perspectivae peritis misceri album fusco, ut aliqua qui- dem nobis, a vario situ et varia distantia aspicientibus, eadem tamen semper appa- 20 reant, nulla facta varietate, aliqua auteni varia atque diversa: hoc enim proprium est lucidi et opaci tS4] , ubi invicem admixta fuerint, ut varios atque admirabiles causent aspectus, prò varia atque artificiosa ipsoruni admixtiono ; ex quo fit, ut nullibi maiora, ut initio diximus, fiant praestigia, quam in bis spectris, quorum speciem manifeste videmus in nubibus quae adverso Sole illustrantur. His praete- rea adiungo argomentimi, quod merito magni facit D. Gallileus: neinpe, si liuius- modi inaequales partes in Luna forent, montes scilicet et convalles, lune inaequalis ac dentatus illuminatae Lunae limbus apparerei qui Seleni aspicit, neinpe ab occidentali parte crescente Luna, ab orientali autem decrescente, et utrinque eadem piena existente; cum tamen perfecte continua atque omnino acquali linea, in liis so omnibus aspectibus, circumscripta videatur. Cui difiìcultati duabus responsionibus occurrit D. Gallileus. Una est, quod non unica tantum, sed plures eminentiarum series multorum montiuni, cum suis lacunis et anfractibus, circa extremum Lunae ambitum coordinatae sunt, eaeque non modo in hemisphaerio apparente, sed in aveiso etiam, prope tamen hemisphaeriorum finitorem: quare oculus, a longe pro- spieiens, eminentiarum cavitatumque discrimina depraehendere minime poterit ; [34) videtur contraponere lucidum opaco, cum tamen lucido obscu- rum, opaco autem diaphanum, opponantur. 38. diafanum — IN ORBE LUNAE ETC. 381 intercapedines enim montium in eodem circulo, seu in eadem serie, dispositòrùm, obiectu aliarum eminentiarum, in aliis atque, aliis ordinibus constitutarum, occul- tantur; idquc maxime, si oculus aspicientis in eadem recta cum dictarum eminen¬ tiarum verticibus fuerit locatus. Quae responsio duas habet instantias: una est, q uod supponit id quod petitur, nempe montes ita in ambitimi Lunae esse dispositos aequaliter prope hemisphaerii finito rem, ut oculus aspi¬ cientis in eadem recta cum eminentiarum verticibus sit collocatus; quarn coordinationem montium vix consulto et artificiose fieri posse existiman- dum est, eius vero nullam bic rationem nobis assignare licet : tum quia, eadem io ratione, linea quae dividit obscuram Lunae partem ab illuminata, aequalis ap- parere posset. Quare alterain attulit responsionem : videlicet, circa Lunae corpus esse, veluti circa Terram, orbem quemdam densioris substantiae reliquo aethere, qui solis irradiationem concipere atque reflectere valeat, quamvis tanta non sit opacitate praeditus, ut visui, praesertim dum illuminatus non fuerit, transitimi inhibere valeat; orbem hunc, ait, a radila solaribus illustratnm, Lunare corpus sub maioris sphaerae speciem reddere repraesentareque, foreque potis aciem nostram terminare quominus ad Lunae soliditatem pertingeret, si crassities eius esset profundior; atque profundiorem quidem esse circa Lunae peripheriam (pro- fundiorom autem non absolute, sed ad radios nostros oblique illuni seeantes 20 relatum), ac proinde dictum orbem visum nostrum inhibere posse, praesertimque si luminosus existat, ac Lunae peripheriam Soli expositam obtegere: quod cla- rius apposita figura demonstrat. Quam rationem amphibologiam babere, primum, existimavi ex vocabulo aetheris, quo utitur dum inquit circa Lunam esse orbem quemdam densioris substantiae reliquo aethere: aether enim primo de coelesti t»i author non videtnr intelligere, quaenatn sit suppositio eius quod petitur; quare aliquibus exemplis declaretur. Ut, cum Aristoteles quae- rit, cur motus Caeli sit ab ortu in occasum. Quia, scilicet, pars Caeli orientala est dextera. Cur autem est dextera? Quia motus ab illa. Multa alia afferemus exenipla. so Quod non appareat dentata, causa est quia multae sunt montium series; quod autem multae sint series, non infertili’ ex eo quod non appareat dentata (tunc enim esset supponere id quod quaeiitur), sed quia in reliqua 3 superficie confertim sunt montes dispositi. Hanc autem coordinationem consulto factam esse non est necessarium, sat. enim est ut casu sint dispositi, ut maris linda©. Supponit icl quod quaeritur Bonamicus, pag. 858 E, dum probat rectam esse omnium linearum brevissima. 26 27 . qturil — 27 . celi —35. disposila — 3S2 DE PHAENOMENIS substantia dicitur, vel ab àel Blu, ut Aristoteli et Platoni placuit, quoti est semper curro, vel ab atfrto, ut antiquioribus magia visum fuit, quoti est areico ; qua ra- tiono de igne prinumi dicitur aether, dicitur etiam de aere, tamquam de tenui quadani et fluida substantia; iuxta quam significationem Ine a D. Gallileo sumitur, dum crassiorexn aetherem, hoc est vaporosum aerem, circa Lunam, veluti etiam circa % Terram, diffondi docet. Haec enim sunt eius verba, post appositam Ime de re demonstrationem : < Signum huius est, quod pars Lumie lumine perfusa amplioris circutnferentiae apparet, quam reliquum orbis tenebrosi: atque liane eandem causam quispiam forte rationabilem existimabit, cur maiores Lunae maculao nulla ex parte ad extremum usque ambitum protendi conspiciantur, cum tamen opi- io nabile sit nonnullas etiam circa illuni reperiri ; inconspicuas tamen esse credibile videtur ex eo, quod sub profundiori ac lucidiori vaporimi copia abscondanlur. » Ex quibus manifestimi est, iUum aetherem crassum, aerem crassum et vaporosum, veluti hic noster est Torme circumfusus, appellasse. Quo quidem supposito, ego quaero de hoc orbe crassioris substantiae reliquo aethere, qui circa lunare corpus esse dicitur : Aut hic orbis est circa lunare corpus, hoc est contiguus Lunari cor- pori (et hic videtur esse verborum sensus: nani inquit, lume orbem esse circa Lu¬ nam, ut est circa Terram crassioris substantiae aer; modo aer hic circa Terram Terrae contiguus est, cum sit pcrmixtus vaporibus e Terra eductis ; ergo pariter et circulus hic crassioris et vaporosi aeris, circa Lunam existens, erit Lunari corpori 20 contiguus): et hoc impossibile est, cum vapores ad tantam altitudinem non ascendantP'], àut, si ascendimi, non sunt amplius vapores, sed ignis aut exhalatio sicca, vel hypeccauma; et liaec aut ibi raanet, et tunc, summe tenuis ac perlucida et summae raritatis conditiones adepta, ignis circumfusus evadit; aut has condi- tiones non est adepta, et tunc, terrestri commixta pendere, infra deturbatur atque descendit. Quod non modo Peripateticis visum est, veruni etiam Plotino, lib. 1, Ennead. 2, qui bis verbis, supra etiam a nobis in aliam rem citatis, idem docet, inquiens: < Cum igitur talis ignis purissimum praebeat lumen, ipseque in sede sublimi resideat, ibique naturaliter habitet, non est putandum, nostrani liane flammam superioribus esse permixtam, sed ad certuni spatium percurrentem 30 prorsus extingui, aere quam plurimo videlicet occurrente; procedentem vero saepe cum terra deorsum praecipitari, quippe curii superius transcendere nequeat, sed subsideat. infra Lunam, ubi aerem extenuat proximum ; ac si maneat ibi fiamma, certe facta subtilior, evadit et mitior, splendoremquo habet non quoad fervorem spectat, sed quatenus a superiori lumine perlustratur. > Si igitur exhalatio accensaad Coeli concavum non ascendit, aut, si ascendit, protinus purissimus ignis est, neque hic m vide ne etiam ad 0 usque attollantur. Sed quis tibi dixit, ino [affirmasse] vapores circa 0 eosdem esse ac circa Terram? 37. attolcwiur — 37-38. me vapores — IN ORBE LUNAE ETC. m tamen coelesti corpori admiscetur ; quomodo vapor, aut vaporosus aer, Lunam tan¬ gere et illam ambire poterit ? nisi quis Lunam Terram existimet, atque ab illa eievari vapores putet, aeri ipsam ambienti et circumluso permixtos: quod non modo circa Lunam, sed etiam circa reliquos planetas, fieri existimavit lordami» Brunus. Sed ianx satis superque haec confutavimus [S71 . Aut hic orbis non est continuùs Lunari corpori, sed in inferiori regione, ubi crassus et nebulosus aer consistit, Lunae biippositus ipsam ambit; et tunc baio, sive area, semper circa Lunam fieret, visu ad nubem ipsam et crassiorem aerem refracto, ut Aristoteles, 3 Meteorologicorum, docet et perspectivi consentiunt. Quare neutra ex allatis solutionibus propositam instan- 10 tiam, meo iudicio, solvit. His autem rationibus aliam appono, non minus efficacem : nempe, oinnes naturales elfectus quattuor habent causas, ad quas referuntur, effi- cientem scilicet, materiale®», formalem et finalem ; et quamvis natura ex omni¬ bus causis suum effectum demonstraré possit, tamen potissimum ex materiali et finali demonstrat (cum vero dico materialem, subiectum intelligo, hoc est mate¬ riale formata®», non materiam tantum) : ergo inaequalitas superfìciei Lunae, cum sit efleetus naturalis, passio scilicet naturalis corporis, debet pariter ad quatuor causarlim genera referri. Cum vero in aeternis (saltelli ex pbilosophorum sententia) etficiens causa non assignetur a finali distincta, reliquum est videamus, an ex re¬ liquia causis possimus efleetus liuius rationem assignare. Ac primum ex subiecto, 20 quod dicunt ex necessitate ni aterine, id fieri non posse certissimum est; cura inaequalitates corporum, nempe ut una pars exsuperet, alia vero deficiat, una excrescat, alia doprimatur t3S1 , non nisi ex alterationibus et passionilius corruptivis fieri posse, ob materne necessitatelo, sit manifestum : ut in Terra videmus alias partes aquis tegi et humiliores fieri, ut inter Rliegium Calabriae et Siciliani conti- git, cum alias Sicilia continens terra esset ; aliquando autem exsiccari et continen- tem evadere terram liumilem ante et aquis opertam, ut de Aegypto refert Aristo- teles ; et aliquas quidem regiones complanari, alias autem montuosas excrescere; quod ex mutua elementorum generatione atque corruptione fieri com- pertum est. Quare si Coelum liaruin passionuin ac generationis et corruptionis so est expers, tum secundum totum, timi etiam secundum partemA aj i, reli- 1371 videndum est ubi. 1381 aliud est excrescere ac deprimi, aliud esse tuberosum èt, lacu- nosum; sicut aliud est condensari et rarelieri, aliud esse rarum ac densum : et sicut Peripatetici concedunt alias Caeli partes raras, alias esse densas, negabuut autem Caelum condensari et rarefieri ; sic pari ratione negari poterit, partes Q) excrescere et deprimi, concedendo tamen alias esse elatas, alias depressas. [39] de elernentis dicunt, secundum totum esse incorruptibilia, se¬ cundum partes vero corruptibilia ; alias autem constanter affirmabunt, 51 111 . 3b4 DE PHAENOMENltì •• quum. est, barimi inaequalitatuni causam non posse referri in necessitateli! ma* terme. Nec minus potest in causam fin aleni, cuiii causa fimilis semper habeat rationem boni ; melius autem est, aliquod corpus esse perfectae orbicularis figurae, si alimi non obstat, quam ut non sit; ergo Luna, cui, tainquam astro et coelesti corpori, debet competere id quod melius est, erit perfecte sphaericae tìgurae, et non ini perfectae et asperae, ut supponitur. Quod autem vera sit as- sumpta propositio, de perfecte sphaerica figura, quae perfecto corpori debetur si aliud non obstet, manifestimi est ex natura figurae, quae omnium perfectissima est, ac proinde coelesti perfectissimo corpori debetur, ut Aristoteles arguit, primo I)e Coelo, cimi praesertim aliquid non obstet; Coeli enim forma corpore non in- io diget, nisi : ad mo tum circularem, ad quem non alia requiritur forma nisi circularis. Quinimo necessarium est, tum Luna tuia caetera astra ob eorum usuili esse perfecte sphaerica; cum Luna et caetera astra debeant a Sole non modo lumen recipere, veruni .et i a ni ad invicem fl01 et bis inferioribus communicare, idque nullo alio modo facilina 1 * 11 , quam si existerent orbiculari ac perpolito cor¬ pore, effimere potuissent, cum a talibus corporibus magia lumen et retle- ctatur et refrangatur ex quibus suae actionis vini auget et etticaciam. Hic igitur est usus, propter quem tum Luna, tum astra, debeut orbicularia et perpolita esse: at millus apparet usus, propter quem aliter esse debeant; quinimo Terrae globus, perfecte spliaericus existens, melius dispositus- esset ad constitutionem 20 Universi, quam, ut est, montibus et yallibus* repletus, nisi ad usum vi- ventium, plantarum et animaliuni, talis efformatus esset l * 3i ; variis. enim bis vi- eandem esse rationem totius et partium. Nunc autem niliil refert si totius et parti» non sit eadem ratio, imo e diametro contraria ; cor? ruptibile enim et incorruptibile differunt plusquam genere. Neque dicatur conservar! species et corrumpi individua ; hoc enim nihil ad reni: individua enim et secundum parte» et secundum totam commi- puntur ; Terra autem aut aqua individua sunt, et non species ; quare quispiam dicet Terram hanc corrumpi, et aliarli generari. [40] at cur ad invicem, si nulla in illis generatio aut mutatio? et so cur parte» continue aliis àtque aliis modi» a Sole, veluti Terra, illuminantur, si in ea nihil fit, nihil alteratur, nihil mutatur? l41J imo nullo alio modo difficilius .et 1 debiliti». t42] non refrangitur a corporibus opaci». [U] iste tamen usus non cognosceretur ab incolis 3* e , et tamen esset, licet illi» incogniti!» ; pariterque usus asperitatum 3, licet nobis ignoti, multi, esse*possunt. 35. cognosceretur a nobis si in } essemus ab - 36. asperitatum )) nobis licet — IN ORBE LUNAE ETC. 385 ventibus varias Terrae regiones assimilare, prout illis magia ‘convenirent; opor- tpbat: quemadmodum in Georgico* secundo Virgilius cecinit:. Nec vero terrae ferro omnes omnia possunt : Fluminibus salices crassisquc paludibus alni Nascuntur, steriles saxosis montibus orni; Littora mj/rtetis Indissima; dcniqne apertoa Bacchus amai colles , Aquiloncm et frUjora taxi. * * Ncque argumentum, quod desumit Suessanus ex Aristotelis plapitis, secando De Coelo, particula 32, satis.bene mila deduci videtur : cu ni enim Aristoteles in- 10 quit, quod nulluni corpus, ex bis quac videntur, adeo diligente!* tornatimi est, ncque sic potest regularitatein suscipere et diligentiam, ut primi, quod circum est, cor- poris natura, primum corpus non accipit prò primo orbe, seclusis caeteris, sed prò loto aggregato omnium orbium, ut Aristoteles sappe consuevit. Quod manifeatum est ex praecedentibus verbis; cimi enim hanc conclusioncm statuit, initio huius particulae 32, inquit : < Quod igitur sphaericus sit Mundus, palam est ex bis, et quod cuni diligentia adeo recte tornatus sit, ut nihil aut manu factum se habeat simili- ter, etc. >. Nani si de Mundo statuit cpnclusionem, ergo non de uno orbe primo tan¬ tum : cum Mundi vocabulo, sine adiectione pronunciato, velut etiam Coeli, aliquando Aristoteles intelligat totum Universum, aliquando totani coelestium orbium coag- 2o mentationem ; cum autem hic non possit intelligcre Universum (quod patet ex eo, quia.huius Mundi rotunditatem comparat ad rotunditatem elementorum), reliquum est ut intelligat.per Mundiim totum Coelum aggregatimi ex omnibus orbibus; quare de toto Coelo ac de omnibus eius partibus liane statuit conclusioncm, quod sit per- fecte rotundum; in qua coagmcntatione omnium orbium includitur. etiam orbis et globus Lunae. Cium autem habet comparationem, non habet illam ad Coeli orbes aut partes, sed ad inferiorem Mundum, respectu cuius dicit Coelum esse perfectis- sime tornatum, quemadmodum aqua est respectu terrae, et elementorum ea quae plus distant a terra. Addo quod natura semper ad unionem tendit, ubi nihil im¬ pediti quare corpora quae exactàm sortiimtur mixtionem, exacte Ionia et imam so superticiem liabentia videmus ; ut annuii, quod, exacte mixtum, exacte levigatimi est, et predici concoctum pus aut sedimentimi existimant, cum su- perficiem habet lenem et aequalem. Quare si asperitas et inaequa- litas superficiei in bis inferioribus imperfectionem arguiti, et a coelesti cor- [44J quam firmus, quam elegans discursus! Àequalitas superficiei modo convenit caelestibus corporibus perfectissimis et incorruptibi- libus; ac simul et semel niarcescentia et putida eadem lenitate decorali' tur, cum nempe fuerint faeces et exerementa perfectissima. 35. celesti bus 37. fecce - .-* • 386 DE PHAENOMENIS pore omnes imperfectiones horum inferiorum abesse credibile est, inde statueridum erit, neque in Luna liaec esse tuberà, ncque has inaequalis superficie! asperitates. Proponi tur Auctoris sentenzia , et certa phoenomenum causa assigmtur. CAP. XI. Cum igitur aut liaec phoenomcna ad veros montes et veras valles, ac vere prominentes vel depressas partes, in Luna existentes, referri debeant, aut ad ap- parentes, non tamen veras ; et ex sufficienti enumeratione hucusque probatum fuerit, non posse vere ibi montes ac valles cxistere, cum neque possint esse eiusdem rationis cum nostris et ex sublunari materia, neque diversae rationis aut ex coelesti substantia reliquum erit dicere, ea spectra tantum esse et ap- io parentias tantum montium, convallium, voraginum, marium, insularum atque po- ninsularum species, non autem verorum corporum formas et apparentias. Quod etsi difficillimum erit adversus virum doctissimum, geometricis et opticis ratio- nibus instructum, probare; tamen aliquam afferre rationem satis probabilem, et ipse magni alicuius viri auctoritate munitus, prò viribus tentabo. Quod si mei pro¬ positi scopum assecutus non fuerp, laboris non poenitebit; alii enim fortasse ex hoc ad veriorem causam indagandam excitabuntur, vel ipsemet Gallilaeus, bis agitatus stimulis, quod iam pollicitus fuit so in Systemate mundi dicturum, exe- quetur, ac fusius et apertius bis de rebus suam sententiam explicabit et con fi r- mabit. Ut vero unde discesseramus revertamur, horum pboenomemìm spectra et 20 apparitiones, si verorum corporum non sint, duplici pacto fieri contingit. Uno, sci- licet, si haec in Luna videantur, tamquam in speculo quoddam et perpolito corpore nostrorura montium ac provinciarum et marium imagines ; cui adsimilem senten¬ tiam recitavit Plutarcbus in opusculo De facie in orbe Lunae, dicens, aliquos existi- masse, magnas illas in Luna apparentes raaculas esse imaginem exteri maris, Agesianaxi carmina referens, qui ita cecinit: Aut maris immensi, opposila sua parte frementis, In speculo ardenti repracscntutur imago: quam eandern sententiam Caesareae Rodulphi Augusti Maiestati placuisse TCo- plerus refert, cum videretur sibi imago Italiae in Lunae maculis offerii. Sed 80 haec séntentia tum a Plutarcho, tum etiam ab aliis, confutatur ; mihi vero unum sufficit contra illam argumentum, quo utitur Averroes, secundo De Coelo, part. 49, ubi inquit: « Quod si ista nigredo, quae apparet in Luna, esset idolum formae corpo- rum quae sunt liic, sicut quidam fingunt, quod illud est idolum formae montium aut marium? quoniam si ita esset, accideret eis diversitas aspectus, quoniam causa eius non esset nisi reflexio, et reflexio non est nisi ad loca terminata ». Quare cum maculae in Luna apparentes, et antiquae et novae, semper eumdem servent situili, IN ORBK LUNAE ETC. 387 non potest hoc fieri ex reflexiono imaginis horum inferiorum. Altero autem modo haec phoenomena fieri contingit, ex admixtiono lucidi et opaci; veluti videmus pictores, ex varia horum admixtiono, in eadein omnino plana ac leni superficie, alias eniinentes, alias depressas, alias excelsas, alias humiles, alias integras et continuas, alias perforatas ac dehiscentes, imagines corporum ostondere. Quod magia dare in nubibus aspicimus, adverso Sole illustratis; quae, cum Solis radios undequaquo non admittant, ex lucido et opaco permixtae varia ostendunt spectra. Quo quidem supposito, cum alterum pariter accipiamus, Lunarem scilicet globuin ex darò et opaco constare, non difficile erit fiutasse horum phoenomemim io causala assignare. Quod vero lunariaglobus ex opaco et lucido 1 '* 1 sit compo- situs, erodo, omnes admittunt, cum sit intìmum omnium astrum, ac proptorea, ut Aristoteles dicebat, primo Meteorologicorum cap. 40, in co hoc quidem purius est, illud autem minus sinccrum: et alibi illam Terrae adsimilem dixit, non quod Luna sit ex dissimilaribus omnino corporibus, tamquam haec inferiora, com¬ posita (hoc enim summae ipsius Ooeli simplicitati derogat, quam sopra demon- stravimus); sed eo, quod in Luna aliquae partes sint lumini magis perviae, ac magis diaphanae et transpicuae, aline autem sint minus perviae, ac minus dia- phanae et opacae. Neque vero absurdum est, has differentias esse in Luna, quam- vis sit corpus incorruptibile, cum hae differentiae ipsi competant, quatenus 20 est corpus luminis suscoptivum : illuminatio autem est passio per- fectiva, non autem corruptiva. Quod autem Luna sit corpus neque perfecte opacum, neque perfecte diaphanum, sed ex utroque admixtum, bine colligo. Cum enim Luna ex eadem substantia sit ex qua reliquus eius orbis, non potest esse simpliciter opaca : Coelum enim ipsum sua natura est diaphanum ; et quamvis diaphancitas non sit accidens essentiale ipsius Coeli, cum aliis etiam corporibus competat, ut ipsimet Coelo insepanibile, tamen ab ilio est : quare si Luna ex eadem Coeli substantia constat, quantumeunque opaca sit, tamen perspicuitatem aliquam habebit; quae, etsi tota lumini non est pervia, lucem tamen aliquam, quamvis obscuram et dubiam, admittet. Atque ita, quamvis Luna aliqua sui parte 80 Solis radiis integre permeubilis non sit, aut omnino non permeabilis, quemadmo- dum est secundum corporis profunditatein et in magna etiam supeificiei pai te; tamen, etiam secundum has partes, aliqualem habet diaphaneitatem, et lucem ali¬ quam admittit, saltem secundum aliqualem profunditatem, cum, ol) vastam cras- sitiem Lunaria corporis, Solis radii, quamvis perpendiculares existontes, eius pro¬ funditatem penetrare non possint. Quare, tum ex opacitate, tum ex crassitie, in eclipsi Solis Lunare corpus, quamvis perpendiculariter sub radiis Solis positum, illis nequaquam pervium fit, sed obscurum et tenebrosum apparet, cum tamen, ipsa minus quam sextili radiatione illuminata, totum quod reliquum est corporis [451 in 2|- quid consimile videre licct. ■;> 388 'T>E PHAENOMF.NIS non irradiati obscura atque ambigua luce perfostu» videatur, lumen quippe re- eipieris -ab obliquis Solis radiis, secundum superficialem solimi crassitiem, tan¬ tum quantus est Lunaria globi nobis conspicui ambitus. Quod ita fièri, inde mani¬ festimi est: lumen -eternili hoc paulatim minuitur, Sole magis recedente et Solis radiis minus oblique receptis, quousque, superata prima quadratura, tandem eva- nescat, Solisi radiis magis recta illuminantibus ac superficiem tantum illustranti- bus. Ad quam causam referendam existìniarim luceni illam, quani in Lunae opaca parte D. Gallilaeus observat et oumes eonspicimus, potius quam ad inutuam illam luniinis communicatiònem, velut a Luna Terrae, itera a Terra Lunae, partici palai», quam ex Pythàgorici Philolai sententia D. Gallilaeus. comminiscitur ; cimi Terra io non sit perpolitum corpus, a quo, in tantum spacium quanto in est usque ad Lu¬ mai», resilire possint Solis radii, atque illuminationem cominimicare; quinimo est corpus scalmani et gibbosum, a quo fìt minor reflcxio radiorum, ita ut ncque prunai» aeris regionem reflexi a Terra Solis radii superent; inditio sunt pluviàe, grandines et alia frigida, quae in media aeris regione generantur. His igitur argumentis statuo, quod primo loco supponitur, Lunato non esse simpliciter opacuni corpus; quam vis hoc idem probaverit Averroes, secundo De Coclo 49, alia demonstra- tione ex doctrina Avenmarha in tractatu siugulari : nempe, quia illuminatio Lunae, quam- acquirit-ta Sole, non est secundum reflexionem ; quia si csset secundum re¬ flexi onem, non illuminarentuiiex Terra Pisi loca terminata secundum suum sitimi, 20 nani reflexio non fit nisi secundum angulos terminatos; et' cóntingeret ex hoc iti quibusdam sitibus, ut lumen eius non perveniret ad Terram; et totani hoc dicit esse manifestimi ex aspectibus: quare statuit, illuminationem eius a Sole esse, secundum quod luminòsum illuminatur per se;et cum ita sit, fieri primum lumi- nosam a Sole, deinde provenire ab ea lumen, quemadmodum provenit ab aliis stellis, scilicet ut al) Omni puncto eius exeant radii infiniti : ex quibus dcdiicitur, quod, si Luna primum illuminatur a Sole, qnatonus luminòsum illuminatur per se, ac deinceps provenit ab ea lumen, ut provenit ab aliis stellis, quod Luna primo recipit. lumen, ut diaphana, deinceps vero, per se lucens, illuminat reliqua. Quod autem Luna non sit simplicitur diaphana, sed etiam opaca, ex èo patet, quod, so quam vis semper secundum dimidiam sui parteiii a Sole sit illustrata, tamen se- oùnduin alterai» dimidiam parteni semper opaca cernitur ;-quae, quamvis, ut diximns, aliquando luceni aliquam praeseferat, argumentuni alicuius perspicuita- tis, tamen illam luccm vix exiguam et tenebrosam ostendit, argomentimi ad- mixtae opacitatis, quam lumen ipsum omnino pervadere non possit. His autem ita suppositis ot probatis, aliud tertium suppono: scilicet, quod manifesta cliffe- rentia luminosi et opaci in Luna reperitili- secundum superficiem Lumie tantum et aliqualiter etiam, ut supra dietimi foit, secundum superficiali 111 crassitiem, non autem secundum intimai» et- profondai». Quam sententiam staf uit Averroes loco citato, ubi etiam declaravit quid sit op'acum et lucidum in Luna, his verbis: < Et 40 IN ORBE LUNAE ETC. 389 dicti sunt in liuiuB cftsu quampluros sermones ; et rèctior est, iiuod sifc aliqua pars in superficie Lumie, ita quod illa pars eius non recipit lumen a Solo secundum modum rocipiendi aliarum partium: et lioc non est proliibitum a corporibus Coe- lestibus; quoniam, sicuti in eis invenitur luminosum aliquo modo, ita obscurum, ut Luna; unde dieit Aristoteles, in lib. De animalibus, quod natura Lunae est simiiis natuirae Termo >. Ilis autem suppositis, non erit fortasse impossibile, absque mon- tibus et convallibuB omnia observata in Luna phoenomena demonstrare» Et primo, primum: Luna, scilicet, in prima quadratura lumino fulgente, linea contermina opaco et darò, qua utrumque discerni tur, inaequalis observatur ae.multis sinibus io et prominentiis distincta, ut perspicillo obseryantibus pàtet: at si Lunae superfi- cies lenis esset et aequalis, omnino recta et aequabilis videretur : ergo Lunae su- perficies non est aequalis, sed aspera et montuosa. Respondeo, hoc posse provenire ex diversitate partium existentium in .superficie Lunae,. quamvis lenis et aequa^ bilie. Nam, qua parte Luna est transpicua et lucis susceptiva, non soluin secundum superfìciem, veruni etiam secunduni substantiam, eatenus clara apparet, quamvis irradiatio ad eam partem adhuc non pervenerit; qua autem parte opaca est nec luminis susceptiva, eatenus obscura videtur, cum lumen eius, substantiam non parvadens, illani adhuc illustrare non possit. Cum vero inaequaliter bis partibus distincta sit Luna, quemadmodum videmus marmoreas pilas variis colorum maculis 20 distinctas; non mirum est, si linea discernens lucidum ab opaco inaequalis videa-; tur, ac sinuosa vel. tuberosa: etsi enini superficies lenis et aequalis sit, tamen non est similaris in suscipiendo luinine, sed diversae omnino rationis; quareubi pars transpicua exporrigitur usque in opacam Lunae partem, lumen ita pariter* ad eandem lungitudinem porrigitur intra opacura; ubi autem aliqua pars fuerit iuxtà lucidam opaca et lumini impervia, ibi obscura apparet; quae, si in longum porri- gitur intra illuminatae partis spatiunq pariter extensa videtur: et ita linea ter- minans clarum et opacum minime recta, sed aspera et inaequalis * necessario / » * « apparebit, nec non multae partes lucidae in opacum, et multae opacae in lucidum, protendi videbuntur. Alterum quoque, quoti observatur, in eandem pariter causam so referri potest: nempe, cum multae adirne apparent in illuminata Lunae parte exi- guae maculae, quae partem habent nigricantem Solis locum v respicientem, • ex adverso autem Solis lucidioribus terminis, quasi candentibus iugis coronantur; cori- simili aspectu quo in Terra, circa Solis exortum, cacumina inontium Solis radris illustrata videmus, valles autem adhuc obscuras et tenebrosas; bae autem maculae, crescente luminosa parte, tenebras amittunt, quemadmodum, Sole sublimi ora pe*- tente, terrestrium cavitatimi iimbrae imminuuntur: ex admixtione etiim eadem 'lu¬ minis et opaci fieri posse comportimi est, diaphanis quidem partibus primo ac.magis illustratis, opacis autem minus; quod in nubibus, lumen varie admittentibus, est manifestimi* Id autem ex eo comprobatur,.quod harum macularum obscuràe par- io tes paulatini delitescunt, .prout paulatim ab adversis radiis- omnes irradiati, cor- 390 DE PHAENOMENIS poris partea secundum superficiem illuatrantur, quae antea obliqua irradiatione varie illustrabantur, aliae secundum superficiem et aliqualem profumatatene ut diaphanae partea quae ob hoc clariorea apparebunt, aliae vero secundum super¬ ficiem tantum atque obliqua, ut dixiniua, irradiatione, quae et obscuriores. Haec vero ex eo .magia confirmo, quod observatur, quemadmodum inquit I). Gallilaeus, lucidam Lunae partem bis areolis esse diatinctam frequentissimia, ut est pavonis panda oculis, aut glaciales cryatalli suis tnaculia ; quod manifeste distinctionem lucidi et opaci in eadem superficie praesefert, ut in nubibus clarioribus ac tenui- bus manifeatuin fit, et in eodem exemplo allato glacialis crystalli. Tertiae autem observationis et quartae, unam atque eamdem specie causam asaignamus. Dico io o tertiam ol. 8 ervationem eam, qua multae cuspides clariores in opaca Lunae parte observantur, non exigua intercapedine ab illuminata distantes, quae palliatila, aliqua interiecta mora, magnitudine et lumine augentur, ac deinceps reliquae parti, lucitlae et ampliori iam factae, iunguntur. Quartam autem dico observatio- nem, quae apponitur figurae circularis, cuius extremae partes, ilhiminatae Lunae parti oppositae, luce fulgentes conspiciuntur antequam semidiametrum figurae lux occupaverit; ut dare demonstravit in suis observationibus D. Gallilaeus, et nos initio disputationis proposuimus, quemadmodum descriptum videtur in tertia figura lunarium apparentiarum quae initio apponuntur. Quibua observationibus ex suppositis principiis videtur esse difficile respondere: nani si lumen in partem 20 aliquam diaphanam diffundi debet, continuato tramite oportet ut diffundatur; quod in his observationibus minime conapicitur, sed longo spatio interposito opaco lu¬ men remotum apparet. Cui instantiae respondemus, non esse impossibile, caecos ductus diaphani et perspicui corporis sub opaca superficie protendi, usque in diaphanam aliquam, ex profundo in superficiem emergentcm, partem; per quos ductus lumen longo postmodum interstitio erumpat, et paulatim superficiei coni* municàtum magia amplum fiat ac magia lucidum. Huiusmodi inquiunt Arethusae aquas, in'Siciliae solo absortas, longissimo interlabentes spacio, etiam sub ipso mari, in remotissima regione Boeotiae iterimi apparere; quod ex proiectis in aquam * cognoscunt, quae eadem deinde in remotissima illa scaturigine apparent. Quod si so haec omnia et alia innumera spectra, ut voragines, maria et lacus, quae appa- rent, ex admixtione lucidi et opaci fieri possunt, ut in nubibus a Sole illustrata yidemus, in quibus unicuique illa apparet idoli species quam imaginatione con- cepit, quid frustra veros niontes, convalles, voragines, maria, lacus, insulas, peninsu- las, pi omontoria, in Luna statueniiis, quibus universa philosophia non modo nutet sed corniat, et humanum ingenium tanta vertigine circumducatur ? Sed unum ap- ponam, quod mihi leliquuin est in bac disputatione, neque praetennitti sine negli- gentiae nota poterat ! scilicet, cuni densuni et rarum in coelesti corpore reperia* t ur j ad quid nani ex his referaiur diapbanuni in luna existens, ad rarum an ad densum ? et panter* ad quidnam ex his referatur lucidum? Hucusque qui macu- 40 IN ORBE LUNAK ETC. 391 lanini antiquarum causai» assignarunt, dixerunt Lunae obscuras partes rariores esse, lucidas autem densiores ; quod inde colligebant, quia videbant Coelum, tam- quam rarissimam substantiam, nullam luceni effondere, stellas autem, ex eadem substanfcia sed densas, lucere. Ego autem contrarium existimo, densas soilicet lunae partes esse opacas et lumini impermeabiles, raras autem esse diaphanas ac luminis susceptivas et proinde lucidas. Ncque par est ratio do stellis et de Luna: oum stellac proprium habeant lumen, hoc est ex lucida Coeli substantia constent, ac proinde magia densae magia lucent, tanquam ex maiori portione lucidae substantiae compactae; at Luna, quae nullura liabet proprium lumen, sed io solimi ascititium, qua parte magis densa est magis est opaca: densitas enim et crassities corporis permeationem impedit radiorum ; quod manifestum est in magis profundo ac minus profundo diaphano, et minus crasso et magis crasso. Quamvis enim illuminalo non recipiatur in corpore quanto per modum quanti- tativum (non enim liabet qualitatem contrariai» positiva»! in ipso diaphano, quam oppugnare et expugnare debeat, ac proinde per partem post partem introduci), tamen recipitur in corpore quanto. Ex quo iuremerito dubitavit Averroes, 6 Phy- sic., comnien. 32, utrum illuminatio compraehendatur sub denionstratione ibi facta ali Aristotile, quod, in ornili transmutatione, quicquid transmutatur, partim estri» termino a quo, et partim in termino ad quem : et Alexander, ut refert Averroes, pu- 20 tavit illain compraeliendi sub hac demonstratione, et omnem transmutationem fieri in tempore, quamvis aliqua sit in qua hoc latct, ob minimum tenipus in quo fit, ut est illuminatio. Quam sententiam Alexandri ego valde probo: omnis enim trans- mutatio necesse est ut fiat in tempore ; neque aliquara possibile est fieri in in¬ stanti, cum instans non detur, nisi improprie illud accipianius prò minima temporis parte, sensui iniperceptibili. Quare neque veruni est, generationem aut illumina- tionem fieri in instanti; nisi sumamus instans prò ultimo et extremo temporis in quo factus est motus alterationis, per quem recesserunt (lispositiones forinae praeexistentis et corruptae (quod extremum temporjs dicitur corruptionis instans), et prò prima parte temporis in quo facta est alteratio, per quam introductae sunt 80 dispositiones forniae incipientis et genitae (quae prima pars temporis dicitur esse instans generationis) : et ambo instantia liaec mente tantum discreta sunt et po- testate, cum unum tantum ex ipsis in uno continuo reperiatur, voluti in una con¬ tinua linea idem punctum, diverse consideratum, dicitur finis esse et principium, finis praecedentis continui, et initium subsequeiitis: ac pariter in eodem instanti dicimus reperiri ultimum non esse rei corruptae, et primum esse rei genitae, ut optime Aristoteles docuit, 8 Pbysic. 69. Quare ex rei veritate existimo, Aristotelis de- monstrationem, qua ostendit, 6 Pbysic. 32, omne mobile esse divisibile, universa¬ le!» esse, et ornili transmutationi competere, etiam generationi atque illuminatici». Kx quibus colligo, lumen ipsum, quamvis non recipiatur quantitative, neque re- 40 sisteptiam habeat a qualitate contraria, ut dictum esitameli, receptum in corpore in. 52 392 DE PHAENOMENIS quanto illuminabili, habere aliquam resistentiam ab ipso quanto ; non dico proprie resistentiam (cum ea fiat a contrario, quantitas autcm ntillam habet contrarieta- tem), sed dico resistentiam repugnantium, quae est in corpore quanto, quatenus habeat partes extra partes, ut non possit in indivisibili aliquam qualitatem se- cundum totam sui divisibilitatem recipere. Atque ita, non modo requiritur aliquod tempud ad illuminationem respectu corporis lucidi illuminantis, quod necesse est fieri praesens corpori diaphano per motum localem, vcrum etiam ratione ipsiusmet illuniinationis; quamvis tempus hoc, quod ad illuminationem requiritur, sit satis exiguum atque omnino imperceptibile. Quae opinio, quamvis videatur fortasso contra communem et paradoxa, tamen infra, Deo dante, clarius explicabitur in io tractatu De luce et lumino. Quod si addamus adirne opacitatem, quae ex sui na¬ tura impedit actionem luminis, habebimus omnes causas, ex quibus densiores Lumie partes sunt opacae, magis rariores autem sunt clarae, ubi fuerint lumine collu- stratae. Primo, namque, densiores partes habent plus materici, quapropter diffici- lius a lumine penetrantur: secundo, quod, cum Lumie materia ex sui natura habeat opacitatem (hoc est sit impure diaphana), uhi multum fuerit materiae huiusmodi, quod est in partibus densis, ibi necesse est esse plus opacitatis contra autem in partibus rarioribus, quae ob minorem soliditatem magis pervia© sunt lumini et ob minorem adunationem, ut ita dicam, opaci corporis magis susceptivae sunt luminis. Sed aliquis adhuc dubitabit: cum opacitas non nisi ex admixtiono ter- 20 reae portionis fieri possit (sola enim terra inter naturalia corpora opaca est), quonam pacto absque terra© admixtione in Luna contingit ? quod si dicamus ter¬ rae admixtionem habere, sequitur ipsam non esse inalterabile atque ingenerabile corpus, ut dietimi fuit. Cui dnbitationi bifariam respoiulemus. Primo, quod opacuni non semper provenit ex admixtione terrae: cum opacum aliquando dicat caren¬ ti am luminis cum dispositionibus contrariis susceptioni luminis, hoc est impedien- tibus susceptionem luminis, et tunc fit ex admixtione corporis terrei; quando autem dicit siniplicem negationem luminis, et tunc non est necesse ut fiat ob admixtio¬ nem terrestri substantiae: ut diaphana corpora, quae ex se lumen non habent quamvis sinodicissima, minimo praesente corpore luminoso opaca sunt; tamen 30 •nullam habent terrae vel terrei corporis admixtionem : et hoc modo contingit in Luna esse opacas partes, hoc est minime susceptivas luminis, vel minimum su- sceptivas, ob sui naturam minime aptam ad eius susceptionem. Secundo autem respondeo, ut supra cum Plotino dixiinus, ad Platonis mentem reperiri in Coelo elementorum inferiorum proprietates, absque eorum substantia atque commixtione : reperitur enim in eo lux et claritas ignis, absque substantia ignis; reperitur pa- riter soliditas terrae, absque corpulentia terrae ; Coeluin enim constare dicunt ex apicibus elementorum, hoc est ex summis perfectionibus elementorum : quare, si Coeluhi habere pótest soliditatem terrae absque admixtione substantiae terrae, quid impedit ut habeat etiam opacitatem terrae absque admixtione substantiae terrae? 40 IN ORBE LUNAE ETC. 393 Haec mire difficillima probabiliter disserere mihi visum fuit, aliorum potius rogans sententiam, quam astruens raeam. Quod si meis lucubrationibus exiguain aliquam veritatis cognitionem assequutus fuero, non minimum mihi ex exiguo labore voluptatis atque utilitatis erit. Quamvis enim, ut Aristoteles inquit primo De partibu 8 animalium, partem illam aeternam, et proinde nobilem ac divinala, minus contemplali propterea possumus quod admodum pauca illiusmodi sensui patent, quorum beneficio, tu in de ea ipsa parte divina, tum de iis quae posse cupimus, facultas nobis cogitandi indagandique suppeditetur ; res autem mor- tales atque caducas, ut stirpes, ut animantes, quod eas socias familiaresque lia- 10 bemus, nosse ubcrius possumus; quippe cum multa inesse quoque in genere per- cipere possit quicunque non laborem recusat pleniorem; utrumque vero studium nos delectat; res autem illas superiores etsi leviter attingere possumus, tamen ob eius cognoscendi generis excellentiam amplius oblectamur, quam cum haec nobis iuncta omnia tenemus. Si autem longe a veritatis scopo aberraverim, cor- rectionem libenter accipio, non modo ab Excellentissimo Gallilaeo, quem orimi humanitatis atque officii genere non minus quam doctrina ornatum, ac mei amantissimum, agnosco; veruni etiara a quolibet veritatis studioso. Quod si mihi contingat, operis atque laboris precium tuli ; monstrabitur enim mihi semita ad veritatem, qua nihil mihi iucundius aut preciosius unquam fuit 20 TI senso (15 ne i sensibili comuni s’inganna etc. Questa proposizione* o ò posta come [universale].che importi che il senso sempre s’inganni ne i sensibili comuni, o come [particolare] ..... venga ad importare che il senso talvolta s’inganni etc. Se come universale, è falsa.quando io veggo correre un cavallo o volare un uccello, conosco eh 1 ei si m[uove].toccarlo con la mano e non m’in¬ ganno ; anzi nella metà non m’inganno.apparirà il moto, per che se (ino.se è presa.ciò è che ale.logica il de¬ durre poi una conclusione. quiete sempre s’in¬ ganni; e sol.[injganni, ed alcun.sup- 30 posizi.do le... .. (l) Seguono i frammenti e pensieri, di che nell’ Avvertimento, pag. 14. Fra l 1 uno e l’altro dei quali conserviamo, anche questa volta (cfr. voi. I, pag. 409, nota 1 ), uno stacco, che, più o meno sensibilmente, apparisce nel manoscritto. 394 DE PHAENQMENIS .ji . .quaestionis resol.deorsum etc. de- f 5 n i ag . nu.lata maiora invenies p., t. [p]erip. cl Bonamico, car. 858 E, dimostra la retta esser brevissima. Si sensus in sensibili cornimi decipitur, et motus est commune sensi¬ bile. ergo Terra movetur, quandoquidem unicuique aspicientimn stare videtur. Neque dicas nos non decipi, eo quod in hac sensatione ntro- que sensu, nempe visu et tactu, utùnur ; nani contactns noster inutilis est omnino, cum et nos eodein cum Terra motu moveamnr. Se il senso s’inganna nei sensibili comuni, adunque quando si vede io volare un uccello o correr un cavallo, questo è falso. Bisogna dunque dire che il senso s’inganna ne i minimi sensibili, ma così non meno s’inganna ne i sensibili comuni che ne i propri. Bisogna poi vedere, se i sensibili, che voi dite che ingannano gli astronomi, son minimi o massimi, etc. Correre alla testa del Saracino. Nota se T Autor dicessi, che i pittori possino far apparir carni e colori secondo le diverse positure dell’occhio del riguardante; il che è falso e non arebbe luogo nella 3> sopra la quale 1’ occhio nostro non muta inai aspetto, ma sempre la riguarda sotto i medesimi no angoli. Vide pag. 47, £?, pag. 3 (i \ Sensus decipi circa obiecta communia affirmatur. Sed si sensus decipitur, cur ergo dicis, Caelum esse ingenerabile etc., eo quod non apparent generationes? Authoritatem Aristotelis cum authoritate naturae in lance reponere volo, nec contra ipsum nisi naturain ipsam producere volo. Il senso nei sensibili comuni s’inganna, perchè guardando l’indice dell’orivolo gli par che ei non si muova etc. Adunque, dico io, si do- Il luogo, qui indicato corrisponde a <*» Corrisponde u pag. 324, lin. 6-8, di patf. 380, lin. 18-21, di questo volume... questo volume. IN ORBE IjUNAE ETC. 395 verebbe guastar tutti gli orivoli, come quelli che ingannano il senso, nè di loro ci possiamo fidare ? Conseguenza sciocchissima, perchè per trarre uso da gli orivoli noi non ci serviamo del veder muover il raso, ma del veder d’ora in ora dov’ ei si trova. E così, se ben 1' occhio non vede muover Saturno o ’1 Sole, non perciò si deve concludere che le conclusioni de gli astronomi sieno false, perchè loro non suppongono, nò si servono per principio delle lor dimostrazioni, che Saturno stia tèrmo (nel elio l’occhio s’inganna); ma solamente, che al tal tempo si vedde con la tale stella fissa, ed al tale con la tale, nel che non è in- io ganno. Se dunque gli astronomi non prendono dal senso per ipotesi vere quelle nelle quali il senso s’inganna, ma quelle nelle quali non cade sensibile errore, perchè dannar la lor dottrina? Tu di’ che ’1 senso s’inganna circa i sensibili comuni, e ne adduci l’esemplo del razo che mostra l’ore, il qual, movendosi, par che stia fermo. Ora io domando se, quando e’ si movesse più tardo, l’occhio conoscerebbe tal moto. È forza dir di no, e che tanto meno altri se n’accorgerebbe, quanto la tardità fosse maggiore. Adunque, quando e’ non si movesse punto, parrebbe pur immobile ; e se questo è, la vista non s’ingannerebbe circa la quiete, la quale è pur lei ancora un sen- 20 sibil comune: che è contro di voi. Bisognerebbe dunque, pel’ verificar la vostra proposizione, che non solo quando il raggio si muove ci paresse star fermo, ma che quando sta fermo ci paresse muoversi. Per detto dell’Autore, se gli uomini fossero stati ciechi, la filosofia sarebbe in maggior perfezione ; perchè mancherebbe di molti assunti falsi, che dal senso della vista sono stati presi. • • Quando fusse vero che il senso s’ingannasse ne i sensibili comuni, nissuno artefice meglio ha proveduto a gl’ inganni della vista, conside¬ rando gli effetti delle refrazzioni etc., che i matematici medesimi. Tra ’l filosofare e lo studiar filosofìa ci è quella differenzia appunto so che tra ’l disegnar dal naturale e ’l copiare i disegni : e sì come per assuefarsi a maneggiar la penna o la matita con ordine ed in buono 7. dimostrationi di veder che — 14. del raggio razo — 21. proposizione che quando il raggio sta fermo vi paresse muoversi, e quando e’si muove vi paresse termo che 24. perchè non mancherebbe — 30-31. per cominciare assuefarsi — . .. 396 DE PHAEN0MEN18 stile, è bene cominciare a ritrarre i buoni disegni fatti da artefici ec¬ cellenti ; così, per eccitar e 'intirizzar la mente al ben filosofare, è utile il vedere ed osservar le cose già da altri filosofando investigate, ed in particolare le vere e sicure, quali sono principalmente le matematiche. E come quelli che mai non venisse al ritrai- dal naturale, ma sempre continuasse in copiar disegni e quadri, non solo non potrebbe divenir perfetto pittore, ma nè anco buon giudice delle pitture, non si essendo assuefatto a distinguere il buono dal cattivo, il bene imitato dal mal rappresentato, col riconoscere ne i naturali stessi per mille e mille esperienze gli effetti veri de gli scorci, de i dintorni, dei lumi, del- io l’ombre, dei riflessi, e l’infinite mutazioni delle varie vedute; così l’occuparsi sempre ed il consumarsi sopra gli scritti d’altri senza mai sollevar gli occhi all’opera stesse della natura, cercando di rico¬ noscere in quelle le verità già ritrovate e d’investigare alcuna de l’infinite che restano a scoprirsi, non farà mai un uomo filosofo, ma solamente uno studioso e pratico ne gli scritti d’altri di filosofia. Io non credo che voi stimassi per buon pittore uno che avesse fatta una gran pratica nelle carte e nelle tavole di tutti i pittori, sì che prontamente riconoscesse le maniere di questo e di quello, e quell’attitudine venir da Mic.helagnolo, quella da Raffaello, quel gruppo dal Rosso, quel- 20 l’altro dal Salviati, e che anco le sapesse copiare. Se voi volete rifiutar il Copernico perchè si fonda sul senso, rifiu¬ tate anco Tolomeo e gli altri che hanno prese le loro ipotesi dal senso. Non è da far gran fondamento sopra certi argomenti probabili, come quando si dice, i movimenti più perfetti competere a i corpi più perfetti etc., perchè per simil ragione gli uccelli sarebbon più perfetti de gli uomini ; il moto de i quali è volando etc. Tu di’ che ne i sensibili comuni non si deve credere a un senso senza l’attestazione dell’altro; adunque tu vuoi creder più a 2 testimonii falsi che a un solo. 30 La vista s’ inganna nel giudicar un legno dritto che sia mezo in aqqua, giudicandolo torto, perchè la figura è sensibile comune; 2 mente allo al — 11-12. cosi il V — 14. e di d '— 21. Salviati e cos[ì] e che poi volendo far opera e — 31. legno torto dritto — FN ORBE LUNAE ETC. 397 ma nell’istesso modo e per la medesima causa si inganna ancora ne i colori, per la refrazione de’ raggi nel prisma cristallino triangolare. Tu di’ che nel giudicare il legno posto in aqtpia la vista s’inganna e ’l tatto no; e però tu vuoi che 1 tatto giudichi meglio circa ’l retto e curvo: ma ciò è falso, perchè, se una riga sia diritta o no, la vista lo giudicherà molto meglio che T tatto. Se la vista s’inganna nel giudicare il renio, mezo in aqqua, torto, perchè la figura è sensibile comune, doverà ingannarsi anco fuor d’aqqua, dove non meno la figura è sensibile comune: a che propo- 10 sito dunque s’introduce l’aqqua? Volete incolpare i matematici d’ignoranza, per non si esser accorti che il senso ne i sensibili comuni s’inganna; quasi che il sapere s’ei s’inganna o no, sia un recondito e profondissimo misterio e segreto della filosofia. Ma chi ha fatto maggiori e più esatte osservazioni e spe¬ culazioni intorno a gl’inganni della vista, che i medesimi matematici? L’inganno che mi fa parere torto il legno che è diritto, non con¬ siste nel colore, nè meno nell’ esser la figura sensibile comune, tanto della vista quanto del tatto; perchè, se così fusse, tanto (loverebbe ingannar fuori quanto dentro dell’aqqua. La vista dunque resta in- 20 gannata dal modo del vedere, ciò è dal venir la specie refratta me¬ diante i due diafani diversi ; la quale specie visiva refratta, in conto alcuno non ha che fare nel muovere il senso del tatto, e però non è sensibii comune: è duuque l’inganno non nel sensibile comune, ma nel proprio. Non si accorge che, dicendo la vista ingannarsi quando dal colore giudica il legno diritto esser torto, pone l’inganno nel sensibile pro¬ prio, e non nel comune; essendo il colore proprio sensibile della vista. L'occhio non s’inganna punto nel ricever la specie del legno, posto mezo in aqqua, come rotta, perchè non meno vera e realmente vieti so ella dall’aqqua rotta e inflessa, che, dall’aria diritta; ma l’inganno è 21. diversi la qual refrazzione nou ha veruna azzione nel muovere il senso del tatto la finale — 398 DE PHAENOMKNIS nel discorso, che non sa che le spezie refrangono. visibili ne i diversi diafani si Cimi Caelum sit incorruptibile, elementa antem corruptibilia, quae- ratur a Peripateticis nunquid credant, futurum aliquando ut Mundus absqùe elementis repèriatur. 'fune esset sine hominibus, quare et frustra per eosdem philosophos. Se io fossi un diligentissimo anatomista, con fastidio sentirei di èsser incolpato di poca accuratezza, nel tagliar i membri di qualche animale, da un beccaio; e forse anco me ne riderei. Se i Peripatetici hanno per favole questi eccentrici ed epicicli, e io stimano i movimenti delle stelle esser fatti altramente e come loro intendano, perchè non si pongono a determinar i lor periodi ne i modi veri, ed a comporre i lor canoni secondo le lor vere ipotesi ? le quali, potendo consistere senza eccentrici e senza epicicli, è forza che siano assai facili e semplici. Forse non degnano materie e fatiche così vili. È tanto più bella cosa che i movimenti celesti siano fatti circa diversi centri, altri tardi, altri veloci etc., quanto è più artifizioso e leggiadro il canto figurato che ’1 canto fermo. X, car. 14 (n . Non sa che tutta la filosofia è intesa da un solo, che 20 è Iddio ; di quelli che ne hanno saputo qualche cosa, il numero è tanto minore quanto il saperne è stato maggiore; ed il numero mas¬ simo e quasi infinito è restato a gl’ignoranti. , . . . * « Se la natura reputava che questo accidente della figura potesse esser bastante a porgerci grand’argomento dell’essenza de i suoi corpi, sì che dall’ esser solamente la superficie lunare aspra e mal polita si dovesse concludere che ella fosse un’ altra Terra, e però soggetta alle generazioni e corruzzioni; gran meraviglia è che ella abbia stimato : 3 4. qticratur — 4-5. mundus futurua absque — . . . (t) Corrisponde a pag. 337, lin. 19. IN ORBE LUNAE ETO. 390 questa piccola similitudine di asprezza, e negletto Fiuterà e total figura sferica, della quale ne ha figurati tutti i suoi corpi, tanto ce¬ lesti quanto elementari, facendo tuttavia quelli imortali etc., e questi caduchi etc. 1/ambra, il diamante, l’altro gioie e materie molto dense, riscal¬ date, attraggono i corpuscoli leggieri, e ciò perchè attraggono l’aria nel raffreddarsi, e l’aria fa vento a i corpuscoli; e forse in simil guisa dalle regioni scaldate, nel raffreddarsi, si eccitano i venti nelle circon- vicine provinole. FINE DELLA LAUTE PIUMA DEL VOLUME TERZO. Riti LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME ITI Parte Seconda FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE 1931 - IX LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume III. Parte Seconda. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L'ALTO PATRONATO m S. M. IL RE D’ITALIA E Di S. E. BENITO MUSSOLINI Volume 111. Parte Seconda. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 1931 - IX. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 461). Stabilimenti Poligrafici Riuniti • Bologna * 1031-IX Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. CERRUTI — G. GOYI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per i,a cura dei. testo: UMBERTO MARCHESINI. « La Ristampa della Edizione Nazionale k posta sotto gli AUSPIOn DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: ANTONIO GARBASSO. Consultori: GIORGIO ABETTI — ANGELO BRUSCHI. Assistente per la cura della Ristampa: GASPERO BARBÈRA. / I PIANETI MEDICEI. III. 53 AVVERTIMENTO. Addì 7 gennaio 1010, mentre stava osservando Giove col cannocchiale, Galileo gli vide dappresso tre stelle, che stimò lisse, disposte secondo una linea retta parallela nll’eclittica, piccole, ma più splendenti assai di altre pari in grandezza (1) . Nel giorno successivo lo vide di nuovo, ma diversamente disposte rispetto a Giove, e giù nella notte del 10 era indotto a conchiudere che queU’apparente cambia¬ mento di luogo non seguiva in Giove, ma nelle stelle. Nella notte dell’11 gen¬ naio tornò a vedere due stello collocate dalla stessa parte rispetto a Giove, ma a distanze diverse da quelle che per lo innanzi aveva osservato e l’una dell’altra maggiore in grandezza, mentre le altre sere gli erano apparse di egual grandezza e tra loro egualmente lontane; e di qui egli traeva la conseguenza che tre erano le stelle da lui osservate. Addì 13 finalmente gli apparvero d’un tratto quattro stello intorno a Giovo, tre ad occidente ed una ad oriente: il 14 non potò osser¬ vare, ma il 15 nell’ora terza di notte, le quattro stelle novamente gli apparvero, tutte però ad occidente 10 . Il sospetto che fin dalla seconda osservazione egli aveva giù incominciato a nutrire, e che s’era fatto più forte dopo la terza, diviene ormai certezza: le stello non sono fisse, ma satelliti che si muovono intorno a Giove. L’assidua attenzione con cui egli cominciò a studiarne i movimenti lo condusse a conchiudere, in capo a poche settimane, trattarsi di corpi di natura planetaria, descriventi intorno a Giove orbite circolari di diversa ampiezza in piani poco diversi da quello dolPeclittica, con velocità maggiore nei più prossimi a Giove. Quanto alla durata delle circolazioni loro, la grande somiglianza d’aspetto e la conseguente difficoltà di distinguerli l’uno dall’altro non gli permisero di otte¬ nere subito risultati sicuri, e soltanto per il quarto satellite arrivò a compren- 0) Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 35, 80; Tur. II, < 2ì Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 36-37,80-82;Par.II, pag. 427 ; Voi: X, pag. 277. pag. 427. 404 AVVERTIMENTO. doro ohe il suo periodo non poteva di molto differire chi un mezzo me se <*>. Tutti questi risultati già si trovano enunziati nelle* ultime pagine del Siderea* Xlincimi, olio furono licenziate alla stampa noi primi giorni ilei marzo 1610, Fin da quel tempo però, pur invitando gli astronomi « ut ad illorum periodos inquirendas atque definiendas so conferant » aveva Galileo fatta risoluzione di studiare egli stesso gli elementi da cui dipendeva il corso dei Pianeti che in via definitiva appellò Medicei; so non che por diverse* causi* i suoi progressi in questa materia furono da principio molto lenti. I>ello sue prime riflessioni e de’ suoi primi calcoli nulla o quasi nulla è rimasto fra le carte di lui. e soltanto è possibile in qualche modo congetturarne l’epoca e l'andamento da alcune allu¬ sioni contenute nella sua corrispondenza ed in qualche sua pubblicazione. Sotto il dì 13 di marzo Itilo, mandando a Belisario Vinta la prima copia del Sidereus Nuncius « sciolta et ancora bagnata », gli scrive de i quattro nuovi pianeti, li quali sono intorno alla stella di Giove et con lui in 12 anni si volgono intorno al Sole, ma intanto con moti velocissimi si aggirano intorno al medesimo Giove, si che il più lento di loro fa il suo corso in giorni ir» in circa K nel¬ l’abbozzo di lettera in dato del l!) marzo con la quale aironi pugna, pure al Vinta, gli esemplari dell’opera por la ('orto, annunziando il proposito di ristamparla «compito con moltissime osservazioni», aggiunge: « spero ancora che bavero po¬ tuto definire i periodi do i nuovi pianeti » (*>. Vi attendeva dunque Galileo, che in altra sua, pur sempre al Vinta, a proposito dei lavori che andava volgendo nella mente, così gli scrive sotto il 7 maggio: « Io non dirò a V.S. lll. ma quale occupazione mi sia per apportare il seguir di osservare et inve stigare i periodi ©squisiti de i quattro nuovi pianeti; materia, quanto più \i penso, tonto più laboriosa, per il non si disseparar mai, so non per brevi intervalli, l’uno dall'altro et per esser loro et di colore et di grandezza molto simili Ma ancora il 24 maggio non pare avesse fatto molti progressi, se con questa data scriveva a Matteo Garosi che i Pianeti Medicei « hanno i loro moti velocissimi intorno a Giove, sì che il più tordo fa il suo cerchio in Ih giorni incirca » W, e nulla più. A conseguire lo scopo desiderato doveva intanto contribuire il perfezionamento ulteriore portato al suo cannocchiale, del quale scrive a Cristoforo ( 'lavici sotto il 17 .settembre che gli permetteva di vedere « i nuovi Pianeti così lucidi et distinti come le stelle della seconda grandezza con l’occhio naturale » t 7 ); e quello strumento era probabilmente lo stesso del quale scriveva già al Kepler tino dal li) agosto: « excellentissimuni quod apud me est, quodve spectra plusquam millies multi- plicat » (*). E qualche notevole progresso egli doveva veramente aver fatto quando O) Cfr. Voi IH. Par. I, pag. 95, lin. 7-8. [t) Cfr. Voi. Ili, Par. 1, pag. 80, lin. 3-1 < 8 ' Cfr. Voi. X, pag. 289. m Cfr. Voi. X, pag 299. < 5 > Cfr. Voi. X, pag. 352. <•» Cfr. Voi. X, pag. 357. rt* Cfr. Voi. X, pag. 181. (8) Cfr. Voi. X, png 121 — Cfr. Intorno ai can • nocchiali costruiti ed uiati dtt (tallito Galilei . Nota dol prof. Antonio Favaro (Atti del Reale Istituto Ve- AVVERTIMENTO. 405 sotto IMI dicembre 1610 scriveva a Giuliano de’Medici: < Spero elio baveri) tro¬ vato il metodo per definire i periodi de i quattro Pianeti Medicei, stimati con gran ragione quasi inesplicabili dal S. Keplero > (,) . Tutto però rimaneva ancora entro i confini della speranza, giacché il 30 dello stesso mese mandava a Bene¬ detto Castelli : « Se la mia mala complessione mi concedesse il far continue osser¬ vazioni, spererei in breve di poter definire i periodi di tutti quattro; ma mi è necessario, in cambio di dimorare al sereno, starmene bene spesso nel letto > (2) . Dairinsieme di queste varie comunicazioni sembra risultare clic tutto intero il primo anno dalla scoperta passò senza che Galileo avesse fatto notabili passi verso la soluzione del gravissimo problema. Ciò sembra anche provato dai suoi diarii d’osservazione, nei quali per tutto l’anno 1610 si trovano segnate le con¬ figurazioni dei satelliti per mezzo di quattro stellette, senz’alcun segno che mostri aver Galileo riconosciuto quale dei satelliti stesse ad indicare. Nò a questo pro¬ posito si deve passare sotto silenzio che in quei primi tempi, come egli stesso confessa (5) , per la inesperienza nelPosservare e per la inefficacia dello strumento, non riusciva a distinguere i satelliti altro che alla distanza di almeno tre scini- * diametri dal centro di Giove. Avvertiamo tuttavia che sotto il 26 dicembre 1610 si trova questa nota: < H. 5. 30' fuit pianeta in perigeo, nempe • > (V) , ma non è ben sicuro che queste parole siano state scritte all’atto dell’osservazione; come nem¬ meno quest’altre che si leggono a fianco dell’osservazione fatta alle ore 5 del 24 gen¬ naio 1611 : « • fuit in auge ante G occasum hor. 0.30' > (5) . Col dicembre 1610 però, essendo Giove ormai in posizione tale da permet¬ tere a Galileo le esplorazioni dei satelliti nelle ore più comode della sera, egli vi attese con zelo raddoppiato CC) . Gradatamente cominciò a distinguere l’uno dall’altro dei quattro; e nel suo diario originale d’osservazione sotto i primi mesi del 1611 i segni convenzionali con cui, salvo variazioni nella posizione respettiva dei punti, egli usò sempre denotarli, cominciano ad occorrere qua e là intorno alle stelline. Sembra certo che la teoria delle Medicee fosse il principale soggetto delle me¬ ditazioni di Galileo a partire dal febbraio 1611, poiché mentre al 12 di quel mese scriveva ancora a Paolo Sarpi: < spero di aver trovato il modo da poter deter¬ minare i periodi di tutti quattro, cosa stimata per impossibile dal Keplero e da altri matematici >, e ciò dopo aver recati nuovi miglioramenti al cannocchiale, cosicché egli potesse scorgerli < più apparenti assai che le stelle della seconda grandezza > l7) , sotto il 1° aprile mandava da Roma al Vinta queste parole, che annunziano l’impresa ormai progredita: < Ho trovato che i nominati Padri (cioè _ • _ ' _ * ■ "* ■* ■ ■ - - lieto, di scicnxe, lettere ed arti. Tomo LX, pag. 317-842). Venezia, tip. Carlo Ferrari, 1901. <‘> Cfr. Voi. X, pag. 483. <*> Cfr. Voi. X, pag. 504-505. 13) Cfr. Voi. Ili, Par. IT, pag. 686. Cfr. Voi. Ili, Par. il, pag 440. <*) Cfr. Voi. Ili, Par. li, pag. 441. <*> Cfr. Voi. XI, png. 54. '*> Cfr. Voi. XI, pag. 49. AVVERTIMENTO. 406 i Gesuiti) havondo finalmente conosciuta la verità de 1 nuovi Pianeti Medicei, ne hanno fatte da 2 mosi in qua continuo oreervazioni “, le quali vanno prose¬ guendo; et le haviamo riscontrato con le mie, et si rispondono giustissimo. Loro ancora si affaticano per ritrovare i periodi delle loro rivoluzioni, ina concorrono col Matematico dell’Imperatore in giudicare elio sia per esser negozio difficilis¬ simo et quasi impossibile. Io però ho grande speranza di havergli a trovare et definire, et confido in Dio benedetto, che sì come mi ha fatto grazia di essero stato solo a scoprire tante nuove meraviglie della Sua inano, così sia per con¬ cedermi che io habbia a ritrovar l’ordine assoluto de i suoi rivolgimenti: et forse al mio ritorno haverò ridotto questa mia fatica, veramente atlantica, a segno di poter predire i siti et le disposizioni che essi nuovi Pianeti sieno per bavero in ogni tempo futuro, et habbino anco hauto in ciascun tempo passato; pur elio le forzo mi concedino di poter continuare sino a molte bore di notte le osservazioni, come ho fatto sin qui > t!) . Non ò troppo dilìicilo Pargomonlaro la via che, Galileo avrà, con tutta pro¬ babilità, tenuta per tentar di pervenire al desiderato fine. Pare infatti die egli debba avere incominciato dal determinare i raggi dello orbite di ciascun satel¬ lite, cioò, in altre pardo, lo loro maggiori digressioni, e li abbia stabiliti numeri¬ camente, prendendo per unità il semidiametro di Giove. Ottenuto questo risultato, dapprima con una approssimazione assai grossolana, ma che poi con l’uso stesso doveva naturalmente rendersi tanto più esatta, Galileo avrà cominciato dal misu¬ rare il tempo passato in una conversione tra il muovere ed il ritornare al medesimo punto dell’orbita, e di poi, corno ne assicura l’andamento dei calcoli die andò se¬ guendo in progresso di tempo, avrà ottenuto il moto medio orario dividendo la cifra complessiva dei gradi di più conversioni, fatte nel tempo compreso tra due osservazioni bene accertate, por il numero delle ore impiegato nel compierle. Dei risultati pertanto ai quali sarebbe pervenuto mentre era ancora in Roma attesta egli stesso nel principio del Discorso intorno alle cose che stanno in si/ laequa o che in quella si muovono, scrivendo: « L’investigazion de' tempi delle con¬ versioni di ciaschedun de’ quattro Pianeti Medicei intorno a Giovo.... mi succe¬ dette 1 aprile dell’anno passato 161], mentre ero in Roma: dove finalmente in’ac¬ certai, che 1 primo, e più vicino a Giove, passa del suo cerchio gradi 8 c un. 29 in circa per ora, facendo la ’ntera conversione in giorni naturali 1 e oro 18 e quasi mezza. Il secondo fa nell’orbe suo g. 4, in. 13 prossimamente per ora, e l’intera <•) Cfr. Voi. HI, Par. II, pag. 863-804. - (Uà fino dal 4 dicombre 1010 Cìaui.p.o aveva saputo, col mozzo di Antonio Santini, che i Gesuiti do) Collegio Romano avevano fatto osservazioni dello Medìceo, ma che però non orano . ancora sicuri, so sono pia¬ neti o non • (Cfr. Voi. X, pag. 480); od i> del 17 di¬ cembre di questo medesimo anno la lettera con la «inalo lo » tonni i 1\ Cuutovdko Clamo invia a Gali* lbo « alcuno osnarvatiuni, quali rii iar'insinuimonto kì cava che non sono atollo lìwio, ma erratiche, poi elio mutano sito tra nò et tra Giovo • (Cfr. Voi. X POK- 484). (*) Cfr. Voi. XI, pax. 80 . AVVERTIMENTO. 407 revoluzione in giorni 3, or. 13 c un terzo incirca. Il terzo passa in un’ora gr. 2, m. 6 in circa del suo cerchio, c lo misura tutto in giorni 7, ore 4 prossimamente. 11 quarto, e più lontano degli altri, passa in ciaschedun’ora gr. 0, ni. 54 e quasi mezzo, del suo cerchio, c lo finisce tutto in giorni 16, or. 8 prossimamente > (0 . Di qui dunque apprendiamo, essere riuscito a Galileo di ottenere già nell’aprile del 1611 una prima e buona approssimazione dei periodi revolutivi, senza però che se ne possa conchiudere, essere i numeri qui riferiti quelli che effettivamente rappre¬ sentino questa prima approssimazione: che anzi Tesarne del materiale originale permette di affermare che tali numeri sono già il risultato di tre, quattro ed anche più correzioni, e rappresentano i periodi considerati da Galileo come i più perfetti nell’aprile 1612, quando si cominciò a stampare il Discorso . Ad antici¬ pare in questo la notizia degli scoperti periodi Galileo fu indotto da parecchi motivi, e soprattutto dal timore di esser prevenuto da altri (!) , sebbene della sco¬ perta fatta si fosse affrettato a dar notizia agli amici, e fra gli altri a Daniello Antonini, ch’era < di quelli che ciò istimavano cosa impossibile > t:>) ; anzi pare che già fra il maggio ed il giugno dell’anno 1611, oltre alla notizia, avesse pur man¬ dato alPAntonini qualche < aspetto > da osservare (M . Nè i timori di Galileo appari¬ vano ingiustificati, chò all’invito, del quale abbiamo toccato, aveva risposto il Ivepler, sebbene da principio avesse stimata la cosa difficilissima, anzi quasi impos¬ sibile, ed a gran fatica fosse riuscito a trovare, con grossolana approssimazione, confermato il periodo della stella tardissima, già annunziato nel Sidcreus Nuncias , e quanto alle altre: < proxima ab illa, sed maxime omnium conspicua, spacio die- rum octo..., reliquae duo multo adhuc breviori temporis curriculo > (5) . Ma più ancora clic questo risultato, pubblicamente annunziato dal Kepler, noi crediamo abbia influito ad indurre Galileo ad anticipare quella pubblicazione un episodio intervenutogli con uno dei suoi amici e corrispondenti, monsignore Gio. Battista Agucchi. Si trovava questi in Roma nell’occasione in cui vi si era recato Galileo per far toccare, diremmo quasi, con mano, la verità delle sue scoperte celesti, e gli era stato presentato da Luca Valerio ( % comune amico; ed in quella circostanza avevano insieme conferito < intorno alla figura e movimento dei Pianeti Medicei >, sicché, richiesto l’Àgucchi da un * Signor principale di fargli un’impresa di cose celesti, pensò di prender per corpo le nuove stelle Medicee, e non risovvenendosi più esattamente di quanto dalle labbra di Galileo aveva udito circa le dimensioni delle loro orbite, si rivolse a lui, pregandolo di signi- m Cfr. Voi. IV, pag. C3-64. <*> Cfr. Voi. XI, pag. 175-170. < 3 > Cfr. Voi. XI, pag. 129. (4) Altri no mandò in seguito a Oio. France¬ sco Sagrkuo por lui o per gli altri amici di Vene¬ zia. Cfr. Voi. XI, png. 330. (5) Ioannis Kkpleki S.»° O 0 M. ttg matliematiei Dioptricc, seu demonatratio eorum quat viaui et visi - inibita propter conapictlla non ita pridem inventa ac- cidunt. Pracmissae epialolae Oaìilaci de iis qua e post editìonem Nuncii Sùlerii ope persjncilli, nova et ad• miranda in coe.lo deprelienaa aunt, GCC. Augustno Vili• (lelicorum, typis Pavidis Franci, MDCXI, pag, 14, ( e > Cfr. Voi. XI, pag. 205. AVVERTIMENTO. 408 ficavgliele < più particolarmente, et aggiungervi oltreacciò in quanto apatio di tempo ciascuna dello stelle compia suo orbo >. A questa richiesta non sembra che (ìa- lileo abbia risposto abbastanza esplicitamente; sicché V Agucchi, ixìhto 1 a consi¬ derare attentamente le osservazioni contenute nel Sidrrtus Ntt naua, ne dedusse da sò (,) i tempi dei moti periodici di tutti e quattro i Pianeti Medicei, con lie¬ vissima differenza dai risultati ai quali era pervenuto Galileo, anzi molto minore di quella che, a quanto sembra, questi avrebbe voluto lasciar credere. Da quanto siamo venuti esponendo fin qui ci sembra di jmter con qualche sicurezza argomentare che i primi studi di Galileo più propriamente diretti alla determinazione dei medii movimenti sono da farsi risalirò al marzo Itili, e che per conseguenza non debbano essere di molto posteriori Ir prime traccio di ta¬ vole die ne abbiamo rinvenute nei manoscritti, quali sono inaino a noi pervenuti 11 '. Questi manoscritti, interamente autografi, possono classificarsi cosi: 1. ° Prime osservazioni, a partire dalla scoperta delle Medicee, stampato nel Sidcreits Nuncìus , dal 7 gennaio al 2 marzo 1010; a proposito delle quali è da avvertirsi che nemmeno quelle contenute nel manoscritto autografo di quel¬ l’opera, o clic giù abbiamo riprodotto in facsimile rappresentano le configu¬ razioni dei Pianeti Medicei, quali furono originalmente registrate da Galileo, che ci vennero invece conservato in un quaderno contenente tali osservazioni dal 7 gen¬ naio al 20 aprile 1010. Ma nemmeno di tutte le configurazioni in questo qua¬ derno registrate crediamo possa dirsi con sicurezza che rappresentino, per cosi dire, il primo getto della osservazione che Galileo sarà venuto sognando (special¬ mente lungo il viaggio fatto al principio dell'aprile, durante lo vacanze di Pasqua, da Padova a Pisa per mostrare i Pianeti Medicei alla Corte di Toscana) sopra il primo pezzo di carta che gli sarà venuto sotto mano, per trasportarlo imi nel suo quaderno. Come abbiamo giù avvertito, le osservazioni pubblicate nel Sidc¬ reus Nunciits arrivano al 2 marzo 1610} ma in un quaderno autografo, del quale si disse a suo luogo, proseguono dal 9 marzo fino al 26 aprile, ed altrove dal 15 al 21 maggio, e delle cinque di questo mese abbiamo anche rinvenuto quello che verosimilmente ne rappresenta il primo getto. 2. ° Diario delle osservazioni riprese dopo trascorso il periodo durante il quale, per-effetto della congiunzione, non erano visibili i Pianeti Medicei, e che, senza calcoli, va dal 25 luglio 1010 al 23 febbraio 1613; al quale sono da aggiun¬ gevi altre quattro osservazioni, rinvenute altrove. Anche delle configurazioni re¬ gistrate in questo diario dovrebbe ripetersi quello che si è detto rispetto alle precedenti, anzi nominatamente, una serie di osservazioni, secondo ogni proba- Cfr. Voi. XI, png. 279 ; Voi. XII, pag. 24, 30-31, 37, 50, G9, 12G, 131-132, 134, 135, 179, 182-183. <*> Cfr. Voi. XI, pag. 45G, 478, G04; Voi. XII, pag. 116, 123, 159, 318. Voi. X, pag. 435, nel Voi. XI la tavola an¬ nessa al ii.° 548, e Voi, XII, pag. 64. III. 54 410 AVVERTIMENTO. disordine veramente tumultuario con cui le varie carte (che, meno alcuni qua¬ derni del diario, dovevano essere sciolte) vennero insieme unite e rilegate, l’esclu¬ sione di alcune che all’argomento strettamente appartenevano, e la stessa asse¬ gnazione dei quattro codici a duo Parti diverse, dimostrano che chi attese all’ordinamento di tutto questo materiale ne ignorava affatto il contenuto, cosic- chò anzi per lungo tempo si credette che tutti i lavori condotti da Galileo intorno ai Pianeti Medicei fossero andati irremissibilmente perduti. A chi incombeva di dare alla luco l’insieme di tutti questi materiali, la quan¬ tità ed il disordine dei quali mettono spavento nei più coraggiosi, erano aperte due vie ben distinte: o sottoporre i materiali stessi ad una elaborazione atta a presentarli sotto forma tale da potersene trarre immediatamente le conclusioni alle quali si prestano; oppure riprodurli, ordinarli per quanto è possibile, ma mantenendo loro la forma primitiva, quale è offerta dagli autografi. Seguendo la prima via, la quale abbiamo già adombrata in alcuni studi precedenti 1 ”, sarebbe stato opportuno, anzitutto, separare le osservazioni dagli studi teoretici e dai calcoli, e le osservazioni riprodurre a facsimile in tutti i frequentissimi casi nei quali esse consistono puramente e semplicemente nella figura delineata da Galileo, la quale quindi importa riprodurre dagli autografi con la massima possibile esat¬ tezza così in forma come in misura, perchè altrimenti ò impossibile non solo ser¬ bare le giuste proporzioni delle distanze, specialmente quando due satelliti sono molto vicini fra loro ed a Giove, ma neppure indicare con precisione le frequenti deviazioni delle Medicee dalla linea retta passante per il centro di Giove. Quanto ai calcoli poi, escludere dalla pubblicazione tutte le materiali operazioni aritme¬ tiche, riproducendo, senza ometterne alcuna, tutte le parti essenziali, cioè gli ele¬ menti clie a ciascuno di essi servono di base, ed il risultato, corredando il tutto di quello spiegazioni le quali valgano ad indicare il modo seguito da Galileo nella deduzione di essi. Premesse, in tal caso, alcune notizie preliminari intorno allo stato ed al ca¬ rattere dei manoscritti, il lavoro avrebbe potuto dividersi in due parti. Una cronaca degli studi Galileiani sulle Medicee avrebbe fornito una analisi minuta, anno per anno, in ordine logico (seguendo il pensiero di Galileo, per quanto è dato divinarlo dalle sue indicazioni o dai suoi calcoli), di tutti i do¬ cumenti e di tutte le notizie contenute nei manoscritti, riportando testualmente tutto ciò che non è sotto forma di numeri, e dei numeri tutto quanto è essen¬ ziale ai ragionamenti, escluse le operazioni materiali d’aritmetica o le effemeridi. In tale cronaca avrebbero quindi potuto riunirsi tutte le notizie e le tabelle sparse qua e là nei manoscritti, e quindi, riducendo la parte del cronista alle spiega- . !? , Cfr ; * NT0NI ° Favaro I^rno aUt opere arti. Tomo LYIII, ptif 151-168). Venezia, tip. Carlo scientifiche, di GniiUo Galilei nella Ed in ione Nazionale Ferrari, 1899 . (Atti del Ueale Istituto Veneto di scienze, lettere ed AVVERTIMENTO. 411 zioiìi strettamente necessarie, intercalare per successione cronologica le tavole dei medii movimenti, Quelle della prostaferesi, i giovilabii, le determinazioni dello successive radici e le correzioni successivamente apportate ai medii movimenti con i relativi fondamenti di calcolo; inoltre tutte le notizie staccate che qua e k\ su tali argomenti sono offerte dai manoscritti, di ciascuna indicando il signi¬ ficato ed il risultato delle successive comparazioni dei calcoli con le osservazioni; non trascurando di spigolare quelle poche notizie supplementari che risultano principalmente dal Carteggio, e che possono servire a rischiarare questa istoria degli studi successivi attraverso i quali, in siffatte investigazioni, è passata la mente di Galileo. Avrebbero potuto venire in fine le effemeridi disposto in forma di tabello, collocando in una sola linea gli elementi di calcolo d’un giorno, cioè l’epoca, 10 respetti ve radici, le tavole adoperate per i medii movimenti, il giovilabio usato, le distanze angolari dei satelliti dall’apogeo, quali risultano dal calcolo, le distanze apparenti lineari di ciascun satellite a destra o a sinistra di Giove, con la indi¬ cazione del codice c della carta dove quel calcolo si trova, omettendo la configu¬ razione propriamente detta, che il lettore può costruire da sè con i precedenti elementi, e tenendo conto dei casi nei quali il calcolo è stato comparato con una osservazione e dello eventuali note relative. Così la immensa farragine delle effemeridi avrebbe potuto ridursi in forma compendiosa contenente un estratto di tutto quello che danno i manoscritti, ma ordinato in modo chiaro e di facile uso. L’esecuzione di questo disegno, al quale avevamo incominciato dal dare la preferenza, e elio forse avremmo portato ad effetto se, per ragioni indipendenti dalla sua ottima volontà, non ci fosse venuto meno l’aiuto dell’illustre astronomo 11 cui nome si legge in fronte ai nostri volumi, fu tuttavia da noi abbandonata in seguito ad altre riflessioni che si connettono strettissi inamente coi carattere generale e, quasi diremmo, con l’istituto stesso di questa Edizione Nazionale. Nessuna infatti delle opere e delle scritture da noi riprodotte è stata oggetto di elaborazione o di commenti: alla critica del testo abbiamo sempre limitate lo note appiè di pagina; e gli avvertimenti premessi ad ogni singola scrittura, o a corpi di scritture, si mantennero scrupolosamente entro i confini di semplici intro¬ duzioni storiche e bibliografiche e di particolareggiate informazioni intorno alle fonti ed ai criteri con cui queste furono adoperate; e ciò, perchè di proposito, e conforme al mandato ricevuto, ci siamo astenuti da qualsiasi illustrazione d’or¬ dine scientifico, per quanto l’avervi dovuto rinunziare abbia in alcuni casi reso maggiormente difficile il compito nostro; persuasi, del resto, che l’avere eliminato qualsiasi nostra ingerenza di carattere subiettivo abbia giovato a mantenere quel carattere impersonale, che impedirà al nostro lavoro di invecchiare rapidamente. Nè da tali criteri abbiamo credulo di doverci discostare nel dare alla luce tutto ciò che concerne i lavori di Galileo intorno ai Pianeti Medicei, nella pub- AVVKKTIMKNTO. 412 binazione de’ quali abbiamo stimato di limitarci a fornire scrupolosamente i ma¬ teriali con cui si possa condurre il lavoro secondo quell’altro indirizzo già ac¬ cennato; lavoro che vivamente ci auguriamo di vedere da altri eseguito, senza escludere che, portata al suo definitivo compimento questa grande impresa, pos¬ siamo noi medesimi rivolgere ad esso il nostro pensiero. Ciò dichiarato, eccoci a dar brevemente ragione del nostro operato, giusti¬ ficando la distribuziono assegnata al ricchissimo materiale offerto dai manoscritti, nella qual distribuzione, vogliamo dirlo lino da ora, abbiamo procurato di seguire, per quanto era possibile o compatibile con la qualità ste-sa dei materiali, quel- l’esatto ordino cronologico dal quale non ci siamo mai dipartiti in tutta la Udizione. Abbiamo pertanto incominciato dal preziosissimo quaderno autografo (pag. 427- 436), finora rimasto inedito, nel quale si rispecchiano esattamente le prime im¬ pressioni, i dubbi e lo titubanze delfosservatore. In esso, a partire dal 7 gen¬ naio 1610, Galileo andò registrando le sue osservazioni, dapprima in italiano, proseguendolo poi in latino, quando, sicuro della scoperta, deliberò di farne argo¬ mento d’una pubblicazione por assicurarsene la priorità. Al modo di riprodurrò in questa lo configurazioni ò senza alcun dubbio relativa l’annotazione: < furanti intagliar in legno tutte in un pezzo, et le stelle bianche, il resto nero, poi si se¬ gheranno i pezzi >, che si leggo in capo a una pagina (pag. 428); ma poi, sia per la difficoltà della esecuzione, sia perchè l'incisione avrebbe ritardato di troppo la stampa, mutò pensiero o si tenne a valersi di segni tipografici. Senza entrare in altri minuti particolari circa lo singolarità offerto dal quaderno originale ora per la prima volta pubblicato, accenneremo di volo che tra la seconda osserva¬ zione del 23 gennaio 1610 c la prima del 24 (pag. 430) ò tracciato un reticolo, il quale ci sembra dimostri il proposito di segnare una mappa celeste, proposito del quale non trovansi ulteriori svolgimenti nello carte pervenute in-duo a noi; o noteremo espressamente come in esso quaderno sono registrato le osservazioni dei Pianeti Medicei fino al 26 aprile del 1610, e che lo configurazioni sono ac¬ compagnate dal relativo commentario illustrativo, eccezione fatta da (incile dei tre ultimi giorni, cioò 21, 25,26 (pag. 436), dove si vedono lo semplici configura¬ zioni con le respettive distanze; g neppure accompagnate da commentario sono le configurazioni osservate nei giorni 15, 16, 17,20 e 21 maggio (pag. 437), cho abbiamo rinvenute in altri manoscritti, e, conforme erigeva l ordine cronologico, abbiamo inserito al loro luogo. A questo osservazioni abbiamo fatto seguire lo altre, che ormai Galileo venne registrando in quaderni bislunghi, rilegati poi in una vacchetta la quale forma oggidì il Tomo IV della Parte III dei suoi Manoscritti; e le abbiamo ordinato (pag. 430-453) obbedendo in parto alle istruzioni elio qua o là trovansi segnate della mano di Galileo stesso, ed in parte guidati dallo precise indicazioni dei giorni nei quali erano state latte: non tutte però le abbiamo rinvenute, sebbene AVVERTIMENTO. 413 disperse, nella vacchetta, ma le abbiamo integrate, fin dove ci è stato possibile, valendoci di elementi altrove raccolti (pag. 440, 444, 446, 453). Perchè, senz’alena dubbio, questa serie di osservazioni, tra le quali Galileo ne inserì anche alcune comunicategli da D. Benedetto Castelli, e che arrivano fino al 29 maggio 1613, non giunse insino a noi completa; e se avventuratamente abbiamo potuto racco¬ glierne alcune che valgono a colmare qualche vuoto, altre andarono indubbia¬ mente perdute. La lacuna fra i due manoscritti originali, cioè quello del Nun- cius con la sua appendice nel quaderno autografo (7 gennaio—26 aprile) e il diario nella gran vacchetta (25 luglio 1610-23 febbraio 1613) che dura dai 26 aprile al 25 luglio^1610, non è riempiuta se non parzialmente dalle poche osservazioni staccate che occupano la settimana 15-21 maggio 1610, e che si rinvennero in un cartellino staccato: vi è dunque il sospetto che siansi perduti altri cartellini o foglietti, contenenti osservazioni fatte tra il 26 agosto ed il 15 maggio, e dopo il 21 maggio. La mancanza di quest’ultime si potrebbe giustificare, ma soltanto fino ad un certo punto, avvertendo che Giove fu allora in congiunzione supe¬ riore, perchè posteriormente al 21 maggio Galileo deve aver ancora osservato i Satelliti, poiché sotto il 18 giugno 1610 scrive a Belisario Vinta: < il quale (in¬ tendi, Giove) ho potuto vedere benissimo insieme con i suoi pianeti aderenti, sino a 3 settimane fa > (,) , e dal 21 maggio al 18 giugno non corrono soltanto tre, ma quattro settimane. E ancora, per modo di esempio, una lacuna si avverte fra le duo osservazioni del 7 settembre e del 25 ottobre 1610, poiché tra queste duo date corre un intervallo di tempo durante il quale noi possiamo con sicurezza argomentare che, sia pure interpolatamente, egli osservò. Galileo scrive infatti al P. Cristoforo Clavio sotto il dì 17 settembre 1610: c Io, oltre alle osservazioni stampato nel mio Avviso Astronomico, ne feci molte dopo, sin che Giove si vedde occidentale; ne ho poi molte altre fatte da che (,) egli è ritornato orientale mat¬ tutino, e tuttavia lo vo osservando > (,) : ed è probabile che un’altra lacuna, che si riscontra dal 21 al 30 novembre 1610 {% \ sia dovuta soltanto alla mancanza d’un pezzo della carta nella quale le osservazioni avrebbero dovuto essere regi¬ strate. E clie debbano essere delle lacune tra le osservazioni contenute nelle carte che ci sopravanzarono, risulta ancora da una dichiarazione esplicita di Galileo medesimo, il quale sotto il dì 25 febbraio 1611 scrive: < Quanto a i Pianeti Me¬ dicei, ne ho fatte più di 300 osservazioni, c ben spesso 2 et anco tal volta 3, nel- l’istessa notte > t5) . Ora, a tutto il 23 febbraio noi non ne troviamo che 176, sicché convien credere o che Galileo abbia esagerato, sebbene il divario sarebbe troppo grande, o che non avendole stimate importanti egli non le abbia registrate tutte, o che, coni’è più probabile, parecchie ne siano andate smarrite. (,) Cfr.Vol. X, pag. 373, ed anche a pag.403, *113. Cioè dal 25 luglio. Cfr. Voi. X, pag. 439 Cfr. Voi. X, pag. 431. O) Cfr. pag. 439. Cfr. Voi. XI, pag. 54. 414 AVVERTIMENTO. Tutto queste osservazioni 01 , i>er ragioni che qui non staremo a ripetere, ma delle quali sono da cercarsi i motivi non solo nello ditlicoltA e-treme di ripro¬ durle esattissimamente cor» segni tipografici, ma anche nel desiderio di porre sotto gli occhi del lettore la mano stessa del glorio» owerratore, furono da noi ri¬ prodotte in facsimile con quella lieve ridu/ume che vien suggerita per ottenerno più chiara la stampa. Alle osservazioni abbiamo fatto seguire immediatamente lo < Tavole dei moti medii> (pag. 457-473); e di questa successione, la qualo sembrerebbe a prima giunta contraddire ai criteri generali che abbiamo già enunciati, diremo breve¬ mente lo ragioni. Qualora per tutto le tavole, e per i varii frammenti di esso insino a noi per¬ venuti, fosse stato possibile lo stabilire con esattezza il tempo nel qualo vennero da Galileo costruite, non v’ha dubbio alcuno che avrebbero dovuto trovare i loro luoghi nell'ordine cronologico, ed essere inserite fra i calcoli dei quali esse sono ad un tempo i risultati o gli elementi: ma poiché questo non ci parve sempre possibile, e lacune occorrono pur troppo anche in questi materiali, e d’altronde dello tavole, sebbene non sempre nell'ordine di loro succisione, è fatto uso nei calcoli, abbiamo stimato conveniente raggrupparle insieme, cosicché riuscisse più comodo il ricorrervi e, disponendole secondo bordine che ci sembrò di i>oter sta¬ bilire coi criteri della data eventualmente apposta, degli elementi in base ai quali vennero dedotte e del loro uso, premetterle ai calcoli nei quali vengono di con¬ tinuo adoperate. Ter migliore intelligenza di quanto seguirà, stimiamo opportuno incominciar dall’avvertire che, secondo noi pensiamo, Galileo ebbe invariabilmente per costumo di condurre innanzi simultaneamente e di fronte i calcoli relativi a tutti e quattro i Pianeti Medicei, e ciò specialmente per le effemeridi che sempre o quasi sempre vedremo calcolate su quattro colonne, una per ciascuno di quelli; quindi, anche per maggior comodità, usò di scrivere su di un medesimo foglio, e in quattro co¬ lonne simili, le tabelle dei medii movimenti di tutti e quattro. K quando, sul prin¬ cipio, dalle investigazioni fatte sopra uno dei satelliti risultava necessario surro¬ gare per quello una tabella nuova, a fin d'evitar di copiare sopra un altro foglio ogni cosa, soleva agglutinare sul vecchio foglio tale tabella nuova in mezzo alle altre che per allora stimava dover conservare immutate. Da tale operazione, ripe- lh Alcuno particolarità inerenti a queste ner¬ vazioni sono da cercarsi altrove o soprattutto nel Carteggio ; così, per esempio, nella lettera al P. Citi- btofoko Ci.avio sotto il di 17 settembre 1610 è dotto dolla osservazione dei Pianeti Medicei « men¬ tre si rischiarava Paurora > (Cfr. Voi. X, p.ig 431); nelPaltra a monsignor Piero Dim dei 21 maggio 1611 sono menzionate le occlissi dello Medicee (Cfr Voi. XI, pag 114); oc®. Non sembri poi fuori di luogo il notar® qui eh® Uu.ilko vide prima di ogni nitro le macchie di (Jìoto, o proci «amento prima dol tompo in cui postillò il libro dol Laqai.la Dtpkaitomtnù in orto Libate Infatti nell' occa ion® di parlare delle macchi® della Luna, dicendoli cho aneli® la Terra ha doli® macchie, (Jai.ii.ko postilla: « in 9J con * simile vidoro lic®t » (Cfr. Voi III, Par. 1, |'»K AVVERTIMENTO. 415 tuta sullo stesso foglio per varii satelliti, ed anche por taluno di essi fino a quattro volte, è derivata una specie di stratificazione, dove sotto una tavola che si vede ne sta coperta un’altra ch’era in uso prima di quella. Così ebbero origine le tavolo die pubblichiamo a pag. 457 (l) e 459, nelle quali abbiamo disposto le varie stra¬ tificazioni per ciascun satellite (nell’ordine stesso dato dall’autografo, che cioè a pag. 457 parte dal remotissimo e a pag. 459, come sempre in seguito, dal più vicino a Giove) l’una accanto dell’altra, in modo che le più antiche siano a sini¬ stra e lo più recenti a destra, stampando in corsivo quelle che abbiamo, con tutti i riguardi dovuti a manoscritti tanto preziosi, disseppellite, e in rotondo quello che oggi si veggono e rappresentano nel loro insieme lo stato per allora ultimo e definitivo della tavola. Disposte in tal modo, queste tavole multiplo vengono quindi a dimostrare nei loro vari stadi di progresso le correzioni ottenuto da Galileo per circa un anno. E qui, richiamandoci a quanto abbiamo antecedentemente esposto, noteremo anzitutto che in quel Discorso nel qualo venivano per la prima volta pubblica¬ mente enunciati i tempi delle conversioni, si riconosceva che dovevano essero ulteriormente corretti c si annunziava la risoluzione di perfezionare le tavole, sebbene anche quelle prime cifre rappresentassero già delle correzioni intro¬ dotte in confronto di tavole precedenti e meno esatte. Galileo scrive infatti: < Ma perchè la somma velocità delle loro restituzioni richiede una precisione scru¬ polosissima per li calcoli de’ luoghi loro nei tempi passati e futuri, e massima- mente se i tempi saranno di molti mesi o anni, però mi è forza con altre osser¬ vazioni, e più essatte dello passate, e tra di loro più distanti di tempo, corregger le tavole di tali movimenti, e limitarli sino a brevissimi istanti. Per simili pre¬ cisioni non mi bastano le prime osservazioni, non solo per li brevi intervalli di tempi, ma perchè non avendo io allora ritrovato modo di misurar con istrumento alcuno le distanze di luogo tra essi pianeti, notai tali interstizi collo semplici relazioni al diametro del corpo di Giove, prese, come diciamo a occhio; le quali benché non ammettano l’errore d’un minuto primo, non bastano però per la de¬ terminazione dcll’esquisite grandezze delle sfere di esse stelle. Ma ora che ho trovato modo di prender tali misure senza errore anche di pochissimi secondi, continuerò le osservazioni... > (5) . L’istrumento al quale Galileo qui accenna è il micrometro, che incominciò ad usare nella seconda osservazione del 31 gen¬ naio 1612, prendendone nota nei termini seguenti: < In hac 2 a observatione pri¬ mula usus sum instrumento ad intercapedines exacte accipiendas, ac distantiam orientalioris proxime accepi, non enim fuit instrumentum adirne exactissimo pa¬ ni 1/ intestazione dell*ultima colonna relativa ni primo satellite porta traccia doli’intenzione elio Uai.ii.ro obbe da principio, d’ intitolare ciascuno dei quattro (Cfr. Voi. X, pag. 283) ad uno doi Principi di Casa Mudici, figli di Frrdinando I, cioè Cosmo, Fbancksco, Cardo o Lokkxzo. <*l Cfr. Voi. IV, pag. <54. 416 AVVERTIMENTO. ratum > (pag, 446)E di seguito alla seconda osservazione del giorno successivo avverte il modo di rilevare se le Medicee corrano in piani paralleli all’eclittica, scrivendo: < Nota quod si in instrumento quo distantiae capiuntur, notetur linea quae illuni secet secundum angulum quo ducfcus eclipticao secat parai lei um acqua- tori in loco 9| iB , per motum %** in Ime linea cognoscetur numquid Medicei Pla- netae ferantur in planis eclipticae paralleli» > (Ibidem). Sicché, accompagnando con lettera del 23 giugno 1612 un esemplare del Discorso a Giuliano de* Medici ambasciatore toscano a Praga, ed entrando a parlare del Keplero, scrive: < il quale credo che sentirà con gusto come io ho finalmente trovati i periodi de i Pianeti Medicei, e fabbricate le tavole esatte, si che posso calcolare le lor costituzioni passate e futuro senza errore d’un minuto secondo» In questa fiducia era venuto Galileo mercè le correzioni che in seguito a nuovi calcoli ed a confronti con precedenti osservazioni si trovò in grado di intro¬ durre, giungendo così ad una nuova tavola per gradi, minuti e secondi (pag.461-465), die poi ridusse a soli gradi e minuti, arrotondando le cifre con aumentare fino ad un minuto le quantità che avevano la frazione superiore a 30" e trascurando la inferiore a quella cifra (pag. 4G6). Oggetto speciale di studi e di correzioni, dopo la formazione di quest*ultima tavola, furono, verosimilmente tra la fine del 1612 ed il principio del 1613, il secondo ed il quarto satellite, e lo correzioni introdotte e le ragioni di esse si hanno nei computi e nelle tavolette a pag. 467 e 4(58; o presso a poco al mede¬ simo tempo è da riferirsi la tavola riprodotta a pag. 466, che troviamo citata col nome di 'tabula bona , e della quale Galileo sembra essersi in generale servito fino al 16 luglio 1616. Sopra questa tavola quindi, secondo ogni probabilità, sa- ranno state compilate le effemeridi anticipate che Galileo mandò nel 1613 al Welser t5) , Tarde (4) . e quelle altre che tra il 12 ed il 15 novembre 1614 mostrò a Giovanni Dalla Tabula bona non si passa immediatamente ad una successiva del tutto nuova, trovandovisi di mezzo correzioni recate alle cifre per il primo ed il teizo satellite (pag. 471) nella precedente. Ancora al terzo satellite sono rela¬ tive altre correzioni (pag. 472) verosimilmente introdotte nell’ottobre 1616, sin¬ ché si arriva alla tavola elio con la designazione < di Bellosguardo > si trova frequentemente citata noi calcoli e che è del principio dell’anno 1617 (pag. 473). Queste, a grandi linee e senza troppo sottilizzare, Io tavole dei moti raedii, quali noi abbiamo rinvenute negli autografi pervenuti insino a noi; avendo avuto (h Notizie intorno allo strumento od al modo di usarne si limino a pag. 141-149 delle Theoric* c Medicconim Planctarum ex cauti, phytici, dcductae a lo. Alphonso Bobklmo. Fiorentine, ex typogra- I»hin S. M. I)., MDCLXVI. F, por quel dio risguarda i lavori di Galileo intorno ai Pianeti Medicei o del- l‘esame elio (lei relativi manoscritti sembra aver fatto il Bobrlli, cfr. la medesima opera a pag. vi, 12 e 10 Cfr. Voi. XI. pag. 885. Cfr. pag. 680-602. 697, Voi. V, pag. 211-245 o Voi XI, pag. 446, 462, 471-472, 481, 487. <% * Di (Giovanni Tarde e di una tua vieita a Galileo dal JS al 16 Novembre 16U por Antonio Favaro (ìluUcttino di Hibliograjut e di Stenda delle niente matematiche e fltiche. Tomo XX, pag- 347). Roma, tip. dello scienze matematiche o fisiche, 1S87. AVVERTIMENTO. 417 cura di porre di fronte alle correzioni registrate in tavole i relativi computi, se anche i manoscritti non li presentavano ad esse congiunti. Sull’uso poi che delle tavole Galileo andava facendo successivamente, avremo motivo di entrare in maggiori particolari, accingendoci a trattare più di propo¬ sito del complesso dei calcoli e delle effemeridi. Il quale complesso per la mas¬ sima parte, anzi quasi per intero, è contenuto nella ormai più volte menzionata vacchetta; ma, come già avvertimmo, nel più tumultuario disordine che imma¬ ginar si possa: cosicché, essendoci imposti di nulla trascurare di quanto a tale proposito era conservato nei manoscritti, la questione dell’ordiimmento dovette precedere ogni altro studio, e poiché poi citiamo scrupolosamente volta per volta le carte della vacchetta come sono presentemente numerate, un semplice sguardo aH’ordirie definitivo nel quale si susseguono questi calcoli fornirà la idea più esatta intorno allo stato presente del codice. A tali calcoli in generale avevamo appunto inteso di riferirci, quando poco fa scrivevamo di voler comprendere nella pubblicazione nostra anche le opera¬ zioni aritmetiche; e qui aggiungiamo che queste vengono date alla luce inalte¬ rate e complete : inalterate, sebbene non sia infrequente il caso di errori nelle sommo i quali noi ci siamo ben guardati dal correggere, perché portandovi la mano sarebbe stato necessario il portarla il più delle volte anche sopra opera¬ zioni conseguenti c sulle relative configurazioni; complete, perchè nelle cifre esposte si ha la sola indicazione che permetta di arguire la tavola della quale il calco¬ latore si è servito. Rispetto poi alle configurazioni, gli studiosi ci saranno cer¬ tamente grati dell’avcr noi per quanto la presenza dei numeri lo rendesse su¬ perfluo, voluto ciò non ostante riprodurle in facsimile; alla qual riproduzione, oltre che per altro considerazioni, ci siamo indotti anche a fine di evitare le dif- coltà tipografiche che si sarebbero presentate per mantenere esattamente in iscala le distanze fra i satolliti, soprattutto nei casi nei quali due o più satelliti venis¬ sero ad essere molto vicini tra loro ed a Giove. Ed ora, prima di entrare nei necessairi particolari relativamente ai calcoli ed alle effemeridi da noi riprodotti, stimiamo opportuno di mandare innanzi alcune generali avvertenze che spianeranno la via a meglio dichiarare l’essenza loro ed i criteri che abbiamo creduto di dover seguire. Quanto a quel primo risultato che Galileo dovette, come abbiamo già avver¬ tito, cercar di ottenere, cioè la determinazione dei raggi delle orbite di ciascun satellite, il più grossolano valore al quale egli sia pervenuto ci fu conservato in un giovilabio (pag. 477) dove la massima digressione dei satelliti, computata in semidiametri di Giove è rappresentata rispettivamente dalle cifre 3 5-~, 8 ~ o 15 ma già in altro giovilabio (pag. 47 ( J), del quale incomincia ad usare nei calcoli del 1611, troviamo questi valori rappresentati da 3™, G-, 8-5 c 15, nel quadrante di un'altro (pag. 481) da 4, 7, 10, 15, e in altro ancora (pag. 483) 111. 55 418 AVVERTIMENTO. da 4 ^ 7 l t ioì o 18. Se non che sul principio della primavera del 1812, come ò lecito argomentare dai calcoli, egli aveva già determinato per i raggi delle orbite questi altri valori 4 §, 8 *» 14 e 24, conservatici da un ultimo giovilabio (pag. 486-487) : o diciamo di proposito ultimo, perchè i calcoli mettono in luco come egli se no sia servito per oltre due anni, il che risulta dimostrato eziandio dalle condizioni nelle quali si trova presentemente il disegno; ed michele ulte¬ riori correzioni ch’egli stimò di dovervi recare in seguito e che portarono lo suesposte cifre prima a 5.50, 8.4.), 14, o 24.40 (pag. 734) e poi a 5 J4 , 8 ^, 14 o quasi 25 (quali sotto il di 2 agosto 1627 comunicò tanti anni più tardi al P. Don Benedetto Castelli) 1 ”, sono segnato con cerchi punteggiati sul giovilabio medesimo. Ciò premesso, e tenendo presento la via da seguirsi nella determinazione dei moti medii, era necessario partire da un dato Irene accertato della posizione di ciascuno dei satelliti nella rispettiva orbita, od in altre parole stabilire la radice; per la quale si offerse a Galileo la opportunità dell’ osservazione da lui fatta dalle 3 alle 7 ore di notte del 15 marzo 1611 (pag. 441), cioè quando egli vide per la prima volta Giove solo, in apparenza priro di satelliti. Da tale singolare e rarissima osservazione egli concluse che verso la metà di quell'intervallo tutti o quattro dovessero essersi trovati davanti al pianola o dietro di esso, e ad ogni modo in congiunzione apparento; e fu da ciò indotto a stabilire quel giorno come radice o principio del calcolo dei movimenti, partendo per ciascun satellite da quell’istante nel quale lo studio delle anteriori e delle posteriori osservazioni gli assegnava il momento della esatta congiunzione quale si sarebbe dovuto osser¬ valo dalla Terra se i satelliti non si fossero trovati occultati. Ne risultò il se guento insieme di epoche delle congiunzioni : 1611. 15 Marzo 5 h ab occasu > > > 4 » > » > G > > > > 0 > • nel perigeo, : nell’auge, nell’auge, V nell’auge, che Galileo designò col nome di manna contundi» dici 15 Mariti Vili (pag.481): e sono gli istanti da cui egli nei calcoli del 1611 numera gli archi percorsi dai satelliti, supponendo 0 ° 0 ' l’arco corrispondente agli istanti medesimi. l‘or il primo satellite il punto di partenza essendo lontano 180* dall'auge, di tale circostanza si deve tener conto nell’interpretazione dei calcoli ad esso relativi. Per questo fine Galileo usò di non fare alcuna differenza nel computo di tutti o quattro, come se l’epoca fosse per tutti nell’auge; ma, come risulta chiaramente, dopo aver costruito col giovilabio la posizione del primo rispetto a Giove, ebbe sempre l'avvertenza di invertirla, ponendo il satellite di tanto a sinistra di Giove di quanto I 'I Cfr. Voi. XIII, pag. 370. AVVERTIMENTO. 419 il calcolo lo indicava lontano a destra e inversamente : così si teneva conto della semicirconferenza trascurata nella parte aritmetica del procedimento. E venendo finalmente a dire della distribuzione effettivamente da noi asse¬ gnata all’ingente materiale dei calcoli e delle effemeridi, avvertiamo che quanto all’uso delle tavole bene spesso avviene di trovar adoperate tavole diverse per ciascuno dei quattro pianeti in un medesimo calcolo, e talvolta anche si è indotti ad ammettere o che alcune delle tavole usate siano andate perdute, oppure che Galileo non abbia usato di quelle inaino a noi pervenute se non con qualche ap¬ prossimazione, quasi che egli le modificasse parzialmente all’atto di servirsene: e cosi pure quanto alle radici, le introduce talvolta con variazioni saltuarie, tali da far credere che così facesse soltanto in via di prova e qualche volta anche al¬ quanto modificate, cioè con variazioni nei minuti. Il notare luogo per luogo tutte queste particolarità, insieme con altre alle quali abbiamo per lo innanzi accen¬ nato, avrebbe portato a raddoppiare quasi il volume della pubblicazione e, a parer nostro, senza utilità per i non competenti, e senza necessità per gli studiosi competenti che le riconosceranno facilmente da sè. Come abbiamo già detto, ripetiamo ancora una volta che le nostre riprodu¬ zioni sono costantemente ed esattamente conformi agli autografi, per quanto questi erano traducibili con segni tipografici, ed anche la forma di colonna fu da noi scelta perchè meglio rispondente al bislungo della vacchetta: non abbiamo però tenuto conto del segno col quale, in testa ai calcoli, ai giorni interi com¬ putati a partire dalla radice, devono intendersi aggiunte le ore, ed eventualmente i minuti, espressi in seguito alla indicazione del giorno al quale il computo si riferisce. Conformo alla distribuzione da noi adottata, incominciando dai calcoli del 1611, li abbiamo divisi in due sezioni, la prima contenente la comparazione diretta dal 17 marzo al 15 giugno 1611 (pag. 491-503), la seconda quella retrograda dal 10 marzo 1G11 al 15 novembre 1G10 (pag. 507-517); l’una e l’altra senza la prostaferesi: dove non sarà fuori di luogo il notare por la%toria, che a partire dal 10 maggio 1611 (pag. 498) cominciano a trovarsi calcolate configurazioni per giorni nei quali non fu, od almeno non apparisce che sia stato, osservato. Le imperfezioni dei risultati ottenuti prendendo per fondamento il ritorno dei satelliti alle medesime fasi, e non tenendo alcun conto della influenza eser¬ citata dai moti della Terra e di Giove, pare abbiano indotto Galileo a tradurre in eliocentriche le posizioni geocentriche osservate, od in altre parole a tener conto della parallasse annua di Giove. Con questo intendimento, tra la fine del 1611 ed il principio del 1612, egli riprendeva i calcoli delle osservazioni ultimamente fatte, e vi introduceva il nuovo elemento, cioè la prostaferesi, con che egli era portato a modificare novamente le sue tavole dei moti medii orarii (pag. 463, 466) con sensibili perfezionamenti. 420 AVVKRTIMKNTO. Della riduzione in figura del metodo da lui adoperato per procurarsi anti¬ cipatamente i valori di un elemento cosi continua monto variabili-, è rimasto tra i manoscritti un chiarissimo disegno ipag. 521), accanto al quale a sinistra sono puro duo schemi di tavole, con elementi variati dall'una all’altra, ed a destra una effemeride della prostnferesi dal 10 genniio al 29 luglio 1611: un’altra ne rin¬ venimmo estesa dal (ì settembre 1612 al 23 settembre 1613 Ipig. 452); e lilial¬ mente, accanto alla cosiddetta Tavola di Bellosguardo, un'altra ancora (pag. 523), della quale sembra aver egli usato per la prima volta nel 1616. Ma anche per questi valori della prostaferesi dobbiamo ripetere ciò che in generale abbiamo avvertito per lo tavolo dei moti medii, cioè che non di rado lo vediamo adope¬ rare valori diversi dai registrati in quello sino a noi pervenute. Nei calcoli del 1612 (pag. 527-542) ron la prostaferesi troviamo costantemente adoperata la tavola segnata con la lettera Z (pag. 463), o la sua equivalente con i numeri arrotondati (png. 466). Nei calcoli del 1613 abbiamo tenuto Beparnfe le comparazioni retrospettivo fatte dopo il gennaio (pag. 546-566), ed evidentemente intese a migliorare la ta¬ vola della quale aveva ultimamente usato; e tra i manoscritti nhhiumo trovato anche una tabcllina per il secondo ed il quarto satellite (png. 467-46'-), che pre¬ senta valori assai poco differenti da quelli dei quali apparisce essersi servito. E questi calcoli del 1613 sono stati da noi divisi in quattro sezioni: la prima (pag. 559-667), nella quale, dedotta la radice dalla configurazione 1-5 maggio 1611, con qualche successiva modificazione, Galileo la saggia mediante calcoli retrospet¬ tivi, usando di una tavola cho non è più quella ultimamente adoperata, ma che non è ancora l’altra della quale lo troveremo usare tra poco; la seconda (png. 568- 571), nella quale egli è giù in possesso d’uria tavola nuova (png. 469); la terza (pag. 572-579), dove troviamo usate la tavola nuova e quella precedente, intermedia tra le due pervenuteci; la quarta (pag. 560-608), finalmente, che chiameremmo vo¬ lentieri col nome di «grande effemeride del 1613 >, calcolata posteriormente agli irregolari tentativi precedentemente fatti; eccetto alcune lievi diversità a princi¬ pio, la tavola della quale usa è quella novamente trovata (pag. 469). La qual tavola vediamo usata anche nei calcoli del 1614 (pag. 611-634), d 1 1(315 (pag. 639-642) e nella prima parte di quelli del 1616 (pag. 846-664), cioè dal 5 maggio al 19 luglio: seguirono poi le indagini per il primo o per il terzo satellite, che abbiamo ripor¬ tate al loro luogo fra lo tavole (pag. 470), perchè condussero effettivamente a mo¬ dificare i medii movimenti conforme la tavola che vi sta di fronto. Intanto con osservazioni dal 5 maggio al 10 luglio &i correggono le radici per tutti, salvo che per il quarto, o si arriva a nuove radici, con le quali, e con la tavola no¬ vamente formata (pag. 471), si calcola l’efl’emeride dal 20 luglio al 2 agosto (png. 655-6o6). Ma già il 28 luglio la osservazione del primo satellite aveva mo¬ sti ato la necessità d’una correzione per questo, la quale troviumo usata nel cal- AVVERTI MENTO, 421 colo delle effemeridi dal 3 agosto al 15 ottobre (pag. G56-665). TI 15 ottobre si istituisce un esame per il secondo che abbiamo riportato fra le discussioni (pag. 696-697), e che induce a nuove correzioni, le quali si rendono necessarie anche per gli altri. Con gli elementi corretti sono calcolate le effemeridi dal 15 al 19 ottobre (pag. 665-666), e novamente mutano al 20 ottobre (pag. 666) con¬ tinuandosi con essi fino al 3 novembre (pag. 666-667): dal 4 al 18 novembre (pag. 668-669) le radici sono le medesime ; e forse il motivo di tanti cambiamenti è da ricercarsi nelle osservazioni fatte dal 3 agosto al 15 ottobre. Ma cbi vorrà indagare a fondo tutto il grande lavorio che Galileo compì intorno a questo tempo attraverso le ansie del primo Processo e che doveva condurre alla compilazione di quella tavola (pag. 473) che terminò, correggendo tutto le precedenti, PII gen¬ naio 1617 e che chiamò < di Bellosguardo > (pag. 701-702), dovrà esaminare tutti i materiali per la discussione e correzione degli elementi, fatta nel 1616-1617 (pag. 673-736) che ci siamo studiati di raggruppare come ci parvo possibile. A pro¬ posito dei quali materiali ci sembra dover dichiarare, die anche di alcune date apposte, e che sembrerebbero offrire una guida alPordinamento, non si può affer¬ mare sempre che non siano state apposte posteriormente; ed anche quando questo dubbio non si presenti, il seguire quella disposizione ci parve che avrebbe creato molti altri inconvenienti ed avrebbe in qualche caso obbligato anche ad abban¬ donare una quantità di materiali contrariamente al proposito ed all’istituto no¬ stro. Farne una scelta in modo da darne un saggio sarebbe stato senza alcun dubbio molto più agevole, ma il voler raccogliere e pubblicare tutto ha fatto in¬ contrare difficoltà, le quali non ci affidiamo di essere pervenuti a superare. I lavori dell’anno 1617 abbiamo ripartito in una prima effemeride dal 7 al 26 febbraio (pag. 739-741), in una seconda dal 7 marzo al 24 aprile (pag. 741-745), e nella grande effemeride continuata dal 12 luglio all’11 dicembre (pag. 746-763) nella quale, tranne clic nell’intervallo del 13 al 19 agosto e forse per errore, Ga¬ lileo usa costantemente la tavola di Bellosguardo. I calcoli del 1618 constano di due effemeridi, comparate a quando a quando con le osservazioni. La prima va dal 3 gennaio al 30 novembre (pag. 767-783) o in essa i medii movimenti sono sempre quelli della tavola di Bellosguardo; ma nella seconda, clic preparò dal 14 settembre al 31 dicembre (pag. 784-795), usò anche, ed anzi in generale, di un’altra tavola ottenuta per < ultimala cor- rectionem *. Con una lacuna dovuta alla congiunzione di Giove, i lavori dell’anno 1619 comprendono una prima effemeride continuata dal 1° al 18 gennaio con calcoli isolati per il 24 e 30 gennaio ed 8 febbraio (pag. 799-801), cd una seconda che cominciando con alcuni calcoli isolati por il 18 agosto, 10, 13, 14 settembre, pro¬ segue poi continuatamente dal 19 settembre al 19 novembre (pag. 801-807), usan¬ dosi, con frequenti correzioni nelle epoche, talvolta la tavola ultima, ma più in generale quella di Bellosguardo. 422 AWERTIMKNTO. E qui, Beicene noi abbiamo dovuto vietarci di entrare nei particolari dei risultati che Galileo veniva via via ottenendo, non possiamo lasciare senza spe¬ ciale menziono il fatto intervenutogli il 14 novembre 1619. In detto giorno volle egli passare dal calcolo per G h a quello per 5*>, e mentre dall'epoca 14 ottobre « l > a 14 novembre 5 h erano decorsi giorni 90 ed ore 23, egli, dimenticando che la suddetta epoca del 14 ottobre valova per 6 h e non per mezzodì, suppose decorsi giorni 31 e ore 5, e introdusse quindi per il 14 novembre e per tutti i giorni seguenti un medio movimento per 0 ore di eccesso, quindi rispettivamente un errore in più di 50°. 51'; 26M9 ; 12’. 34 ; 5*. 22', secondo la tavola di Bello- sguardo. Questo errore fu ripetuto da Galileo anche nel calcolo del 19 novembre, ondo l’osservazione gli diede una correzione di — 53*. 30' per il primo, e di — 14*. 45' per il terzo satellite, cioè, come egli avverti (pag. 807), mcuimae exorbitatilia a Che Galileo il quale chiese, dieci anni più tardi, che, essendosi < occupato più nella geometria che ne i calcoli >, gli fosso concesso • va'er molto in quella o meno in questi abbia potuto crederò seriamente, doversi attribuirò tale errore alla sua teoria e non ad uno sbaglio accidentale, non è provato in alcun modo nè cre¬ diamo possa onninamente ammettersi; ma si comprende benissimo conio, di¬ sgustato, rimettesse ad altro tempo l’indagare l’origine dello sbaglio di cui l’eguale non era mai per lo innanzi intervenuto nei suoi calcoli: ed anzi di un tentativo fatto in questo senso abbiamo trovato traccia noi manoscritti: tale ò infatti l’ultimo calcolo die di sua mano abbiamo rinvenuto tra lo carterelativo alle Medicee (pag. 807). Che del resto Galileo non avesse minimamente disidrato di poter pervenire a determinare tavolo di medii movimenti ancor più esatte di quanto, come noi ora sappiamo, egli potesse realmente ottenere, risulta dui fatto che proprio sul finire di questo medesimo anno 1619, aiutato da Giuliano do’ Medici, ambascia¬ tore toscano a Madrid, egli riprendeva le trattative con la Spagna'", intavolato una prima volta fino dal 1612per la determinazione delle longitudini in mare, valendosi delle osservazioni delle ecclissi delle Medicee. E a questo proposito crediamo dover osservare che la possibilità di un ec- clisse non sembra essere nei primi tempi occorsa alla mente di Galileo: quando vedeva sparire uno dei satelliti prima del tempo preveduto, o ritardare l’appari¬ zione di un altro oltre l’aspettazione, supponeva da principio che fosse reso invi¬ sibile dalla troppa vicinanza del fulgido pianeta (pag. 441); ma giù nella lettera a monsignor Piero Dini le ecclissi delle Medicee sono adombrato 1 "; no troviamo cenno nella effemeride del 18 marzo 1612 (pag. 527), in quello del 1° aprile (pag. 591) e dell’8 maggio 1613 (pag. 597), e nel corso delle effemeridi ne abbiamo numerate ben ventidue osservazioni l ‘>. E non è forse affatto fuori di luogo il pen- “• Cfr. Voi. XI, pag. IH. <*> Cfr. pag. 680 (13 agosto 1614), pag. 6f>6 (2 o 4 agosto 16I6|, pag. 068 (18 agosto 1614), .i 1 ' Clr. Voi. XIV, pag, 46. I») Cfr. Voi. XIII, pag. 17. Cfr. Voi. XI. pag. 892. AVVERTIMENTO. 428 sare che il disegno da lui concepito, di applicare la sua scoperta alla risoluzione di quel grande problema, dalla quale si riprometteva lucri ed onori straordinarii, 10 abbia trattenuto dal dare altro in luce sull’argomento delle Medicee. Perche la ulteriore pubblicazione da lui giù- promessa nelle parole con le quali si chiude 11 Sidercus Nuncius { '\ annunziata ripetutamente a Belisario Vinta l?) ed al Sarpi (3) , alla quale veniva esortato fra gli altri da Paolo Gualdo (i) e da Antonio Santini {G) , aspettata dal Welser Ifl) c dal Cesi t7) , e imamente promessa nel più volte citato Discorso (8) , non fu mai eseguita, per quanto l’abbia fatto credere a qualcuno un frontespizio introdotto nella suddivisione delle opere di Galileo quale si trova nella prima edizione di Bologna (!)) ; sicché, ove se ne tolgano le effemeridi pub¬ blicato in calce alla terza lettera sullo macchie solari e delle quali abbiamo giù tenuto parola, nuli’altro diede egli alla luce su tale argomento, nè vi tornò sopra se non nella occasione della richiesta fattagli dal Castelli nel 1627 alla quale si è pure accennato, e in quelle altre delle varie riprese dei negoziati intorno alla determinazione delle longitudini, delle quali non è qui il luogo di parlare. Abbiamo giù notato che i manoscritti non conservano traccia alcuna di studi e d’indagini direttamente da Galileo istituiti posteriormente al 19 novembre 1619, nè continuativamente nè in forma frammentaria, e questo ci sembra di poter porre assolutamente fuori di dubbio, perchè anche i frammenti e tutto ciò che non ci parve immediatamente legato col corpo principale dei lavori così da avere il suo posto necessariamente segnato con caratteri di assoluta continuità, abbiamo insieme raccolto per modo, da poter dichiarare che, ad eccezione di alcuni calcoli isolati e dei quali non era palese il legame con le parti da noi riprodotte, oppure per la stessa loro natura del tutto insignificanti, tutto quanto i manoscritti ci con¬ servarono di relativo alle Medicee venne da noi ed anzi non senza aver lasciato correre perfino qualche ripetizione, diligentemente raccolto e pubblicato, con una religione che i più giudicheranno forse soverchia. Tali frammenti dovevano esistere sotto forma di appunti staccati ed in più fasci anche vivente Galileo, e furono verosimilmente da lui stesso compresi entro camicie sullo quali egli scrisse di suo pugno le relative indicazioni: < Fragmenti pag. 059 (20 agosto 1614), pag. G00 (29 agosto 1614), pag. 748 (80 luglio 1617), pag. 753 (30 agosto o 1° sottombro 1617), pag. 757 (3 ottobro 1617), pag. 758 (17 ottobro 1617), pag. 759 (24 o 26 ot¬ tobro 1617), pag. 762 (27 novembre 1G17), pag. 776 (6 settembre 1618), pag. 786 (6 ottobro 1G18), pag. 791 (15 novembre 1618), pag. 805 (18 o 21 ot¬ tobro 1619), pag. 806 (29 ottobre 1619), pag. 807 (19 novembre 1619). Cfr. anche pag. 853. Cfr. Voi. X, pag. 378, 410, 425. Cfr. Voi. XI, pag. 49. tu Cfr. Voi. XI, pag. 57 < B > Cfr. Voi. XI, pag. 69. < c > Cfr. Voi. XI, pag. 52, 74 m Cfr. Voi. XI, pag. 175. Cfr. Voi. IV, pag. 63. Continuatìonc del Xiintio Sidereo ài C»At.1f,ZO Galilki linceo, ovoro saggio d’istoria dell’ultimo suo osservationi fatto in Saturno, Morto, Venero o Solo et opiniono del medesimo intorno alla luco dolio stollo fisso o dolio orranti. Opera di nuovo rac¬ colta da vario lotterò passato reciprocamente tra esso od alcuni suoi corrispondenti o data in luco a publica oruditiono. In Bologna, per gli 1111. del Dozza, 1655. 424 AVVERTIMENTO. «li calcoli delle Medicee» (Par. IV, Tomo VI, car. I7M, < Fragnaenti di osserva¬ zioni intorno alle Medicee » (Par. Ili, Tomo V, car. 72r), senza clic però presen¬ temente questo indicazioni si trovino ad avere qualsiasi significato rispetto ai materiali che ad esse l'anno seguito; e per l’ordinamento di questi materiali non ci parve nò possibile nò opportuno di adottare criteri assolati. Prefiggendoci tuttavia, in generale, di scostarci il meno possibile dall’ordine cronologico, procurammo di seguirlo ogniqualvolta più o meno chiaramente lo trovammo indicato; e questo criterio ci permise di dare al principio alcuni sogni dei primissimi calcoli originali, tanto piò interessanti in quanto non convien mai dimenticare clic la maggior parte, specialmente i primi con • rvatici nella vac¬ chetta, non rappresentano altro che trascrizioni, nelle quali anzi occorrono bene spesso, conio lo indicano in qualche caso il carattere e«l il colore diverso dell’in¬ chiostro, interpolazioni posteriori per lo quali in ispazii rimasti vuoti tra calcoli di più antica data no vengono inseriti altri posteriori; e ] erchò ancora essi con¬ servano nelle relative configurazioni traccia di alcuni segni dei quali Galileo usò a principio per indicare i varii satelliti (pag. 812-815). Iti conformità dei suesposti criteri siamo venuti disponendo tutti questi materiali framnientarii, non senza riproduzioni a facsimile (pag. 810, 820), tra le quali abbiamo voluto trovasse posto anche un computo chiarissimo e completo (pag. Siti). Dalla espressa o non espressa successione cronologica ci siamo però talvolta discostati per dar luogo continuato in alcuni casi ai calcoli relativi ad uno stesso satellite, senza elio mai ci potessero servire di guida sicura lo caratteristiche offerte dagli autografi o l’ordinamento loro attualo. Lungi da noi la presunzione d'esser riusciti a far oliera cho corrisponda pienamente al desiderio di tutti gli studiosi: saremmo sodisfatti so si stimasse che, avendo ormai provveduto a salvare da eventuali pericoli audio questa parte del preziosissimo patrimonio Galileiano, no abbiamo reso meno difficile lo studio; e senza invocare indulgenza di giudizio, ci auguriamo soltanto che nessuno si pronunzi sull’operato nostro senza aver veduto da sò le condizioni dei mate¬ riali sui quali, se non altro, abbiamo esercitata la nostra buona intenzione. In appendice a questi frammenti abbiamo anche riprodotto in facsimile, poiché le trovammo trascritto della mano di Galileo, alcune tra le primo osservazioni dei 1 ianeti Medicei eseguite dai Matematici del Collegio Domano (pag. 8liiI-8G4). OSSERVAZIONI (7 Gennaio 1610 — 29 Maggio 1613). 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L Tr&fjO É/V^étrKft* ^ ^X*. cr?ne/iry du^^ujykcf. w c^>-<, W/> a> ^ u ^ fi cLfyx'Z*. oTtey-u+A, ' fiw TvrCh.’* > ^ G KM*i! - *■ if'VWW - / ì^> Musilo f T^n^b £ , ./✓ . */ /r tA^x)*t)u PU5 LUCA + / Awrf A. % * izp " " a 1 TXA ^*~ / X-t C^-/to Vn <-« CC. v ^t ^ At-fY'J’ éf+jnfy ?waX> Qv '^yyyjLòYc^' ‘1/-. ?*\*^ -fY*sy*.ch ~- 7 , ' m/ ^^ 9^7; Celila. ; xP7 ^-cg, 7 (. }&■ Ut/.' I-I')*’ ' t ' ,, ‘?® «tA^ur^ Cf<++.np. fat-A. riffa. f 7 »alucnK 7 »*fTZ><*- J''--- fio , e^Ao A^?u Y'nY&‘A fiu+j < ‘ ' 7 ef-ry<*rH ^*kjh «^/‘vm-v 428 OSSERVAZIONI. M hh. a al., P. Ili, T. in, car. 80 *. 4 , u (jj Mv, t*- (Li* ' f»" '( Jy f Sfatu.Ao Kcrt&f J. -J •&**** < 7 a/-L/ futu. n *?:■**"* y~ / vfe--- y • CW -4'4^ £ ^ «W TH-siutf' ;<< fictf- C* y*A. ) ( &' e /^? /<>hh. ^ 'Xtc&f ?• *• ÓK *» a; ^ V^*v jl/ cZ^, a^(r K'c 17, ,-4 / ^.. ^'W; ' 2 ^ > ?*^- 7 - ,& , "* ** 4 au*. ;**r ^ éZ0cu'Urt7^ MtZ& . crx^A^ j. 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Ili, car. 02 1. * a t* * * .O c£*/■ *4- luM+r *}y**Asj OiW j' e . * # % //. i, - -frjtf iSutu. 6. o . „G j ^ytsrpài (^,'f«V/a T° * I i / • ^ s / ^ «_•£> <^-i c^/e /* ^ Vii , +.■■ *) Uyy ^~ c >' < ^ : ^* , / ‘zK^W^ 4 -*' /f i '*'g 4 7+± tf- I* O *J x - h -L' - A - * ** <*- $*tT ctc yi <= )~uf //■>&$£ ./?#. • ... V. . * :\ ■• .* t # * y^*A * * (?- fi***- y* A*eZ2j ^ A^Vtf^ew^A, ^ «o^ 4 Q+xrfr t A«Ucry' ■ ■?«i»'<y oooÌJjì£ol/a‘ 0^ £)7*Sìif iipùj^ ce^t^f J ó 7*e/dq % *Q J ^ u+ufr^r u 9 c* tu>. c^é^éy.^ ^ SUjT-?--^ftvy JT ^ * Aj-^ *** Y^heA-, ^ °fi' r * / F y^-&£ 4 >'uJ> 4 -*r^ y_ ;XV ^ c^t*^ ^ u^y? <-é+~^' faj/xé- f jlO* /^>y^iU-^/ <2A»*$**. wf ^ Qu^JìT* OSSERVAZIONI. 435 Moa. Gal., P. HI. T. Ili, car. 8 Ar. * ì Ojt ■U, o.f-o. - csir or\ o* <& — ^ fi*?* crt^M^mXy X^/Ji: st */Vv * i. *• r Ó+f £*+6^&f ~njt_ fr*+fuf J*tXg , dy 1 ^ tr^a,£f U***. A^L»Qy’&+/ Q* 4f J ()cc^ydfi3rtujy- ydjfi** / t<£ ^ ^-^e^ifuT* à**4 Q^j/ZiAc^ Q-u. cA^ « *o . 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H f. *JS>y£ ^ A' ?. O l £ s~ /**& ^ ^ 'v « _-—- 177 J* .r-Ua.o.jo. ■*• .#';*' O * 'P.T.v. Ho.o.^o. # _. O * * /o ~ìp" 3? i- O ^X. “V. f *-_*■ ? 3_ t> • le. Ht- -* "V. /-*• * o * à>-7-TtC+: k-a. 7/. y! 4 O 3 W-h/tc * *J>jOjt 7 '*7o. r 1.30. 'b-i-H-ji. * o *'»' »' jT« x f*c. •* :? O* * * f 3 '2. '*>•* H /. * __ -3L-C?_ T *'!&&' < ^W3. tf.P-J<7 / £ 0 *. %sr ^ «^. 4 . j ^ 90 r\ ^ • ■Q/*_ j* fio ,e -H-4>.fé m % 4 £ t v‘*UtjO S___ 3 f- 'b-SP-H. a.. */«#/. O 1L*jO ;* AfO. AIO ^ • $.*).«• 1 ^. * He ■fc * ** # o ^ ^(Aa 'D.'S.Hi. * • ««, V„VO. / ? ». > 'VO to ?*> 0 //. f. *jO * fr. f/. 4 . / * q * 7. f/ &.••*.. 4 O _.* “V "4" f-r^ 'b'V'Hó.f. Zip — -Xd-- o 4 4*l„ * + L_^ *7 Pf^z Ho. 3 -u cTyTTX * T %V?» H 7 ls i I n- % * ■H- f- ±J* i+* Usa. Gal., P. in, T. IV, car. 78r. T37T -Oj*; ■ H'O-Jo. * * àCj* He. 4, /us»-? far*- uf w ‘‘ ' ' ’ / * "* ‘ 't)'*»- }f.,. *. ~ w w u£***j'dyil 6'cth ^ ■cbf* * ^ - ? • t ! J5*»jj • * • LT a. 7 M« OaU P. HI. 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Hx r ìyC*,, t'jo JW <£>• io • U' 3 ’ -K^ ,*■._ O_;*^,* z>y>+t- 7sjo 3>/o y V ^ÌhJ^mIc t»«c >*Q ■"ó* 4 XX 3 -XO t t 47 -V -*•• y>^t. v vn *■ -tr* tt sb* l 4 fcM-i» * _ A.Q - 1 *-*#.V V * f ** * 7 V^. 'tfmn encòmi *- r °r$ ^ z-^. U-t.'iP- ir * o H.-J. *7> Y *0 HH 40 f? c rt? H* 04 *O*fa* yiW *■ oj + * t 7 H ^- *>._-Oj** __£ +/v^l -tl.ar.H,. /*-$**** &.': 0 u \ o » .>-v *0 *V„ ' ■ * L* fcfinnttm-* U> * ^ *U *• o* la Ò -3- tf o-Jo. * Q /• ^-.r- » » 7 r x r 4- f.jc^+o f b- u> # 0 ^ ., f tZio /. 1-0 •»- xo 'D- 6 '*»?. vCn ; "f' a \j *v> H ' r * CUf 4 Ai*i fc_y ^ • V. iu £!' H " _a* ^ 4- l/JP ^ M^* .\ n > *2. ’fo'P» fj.\. jjft' 'bf'H t ì H t. * *P f f * 7*—■ 0 ""r"* c ^ >; ? &#**£:* ? * r & 4 ,«. bu. fa. °-lo * //o. -_* T’-W *- *7 3 * 0—•* ^ .e- cAc jL ’ ^ ^ruz t> ■'<*-■ H*. f . Jv J-ì* 0 -b-V H->. _ ^ f.ftf ì-Q/ 446 OSSERVAZIONI. Mbb. Gal. P. ni, T. IV. cvar, «6 1, r 5 *- 6* 'V*c i -3oHc.6. £ £jy . v VyVO • «74 (nns^T^t e*. 6. : fa- _ __ ^ fe ' % //<>. ?. 3o. » * 'b.H.w.*? ^ >V 't) i«P- H* f-ii» ■* ._O ♦ ^ 3 f 7 +■ \G t '2- Q » j 70 r°^ >' 'b-ty.H- A^a H- ?- 70 „ -O"* 5* ^ t7o *._> Oj» *f“ t- / * * . 0 + 2 - ' Zo - CL-* »* *' r qV.i J nT &4+4M+ 7/ £ì Sui ^ Um. «al.. P. III. T. V, oar, 76 r. 'ótri 30. jChif H • - *^ja O * * * *" T V J'-A'- * /o ' *jO *• 7- f >v ?' céyi) xt. 0 s* ii 4 4 «'J-O J u <*iUÙ*.it l du/v+trtuf crffeK^ ^ xò W - OAflfr . OSSERVAZIONI. 447 Mbb. dal., P..III. T. IV, car. 67t. (p.r-j*4r. H' 3‘f° * V_, O 7 'by -.fl'i jc. o *_ —-£-~y —t*— r*— y*~ « r*" S — / —•£— —— /?• C> ? ^ /if- fi *4. O •*• 7 * v- ouuy^» ? -r fD ( 2/c « 4-N, ^ | J J y e^ocU/i^ » •3 IO®. fc?« t^ r^o y- Q <*«* Jfo ~~3»"' 3-fo _______ \^/y> 13-cftt.J Ìh«4f-*Z '*’• >-*> , s, ^. . ^ _ £<&*{*& H. 3 - -^ • .O^.À*\_A ,, ^ **» ** //.?- * ^ *. o % £L u> fòt*, ti 1 - 1 * +^~-*£> to Mas. Gal., P. III, T. IV, car. 67 °r. W. //. /•/<>. f l + 0 _ ^,+r Mf-. 3>» 3--fff %r*3r£?-— 77 tt a* 4* Tf Mas Gal.. P. Ili, T. IV. car. 67''r. rf.n'H.ff. * _D _ /A*Jn\+ri£ auÀÌ*t*£*r'A tf . * * $***£* /f. fé. OSSERVAZIONI. 440 Msh. Gal., P. Ili, T. IV, car. 69r. /Wf /<•***' Mbs. Gal., P. III, T. IV, car. 69t. /Ll^r-ty' | C / O- c. * JtP o 7 ? ■j !PJ» *** 'fr. k;. W.3- *. *0 f... „ / . Q vi » % 'fr w -H.o.fi) - G-nC^J-à^ ■*£>^ j *. _ T ? 74*> 17 • H*. <»-. *'#i^_jO #w 3 flt'+.lj*' (TntsrtzJbf fi4.m+hs4 ^TwdriUr HoS'W**\D * **♦**' , «7/^C 1 *\ / « a*V* • 2 uA f£f-U\? r£òrù*u*4r ^i.ir.H. 0.30 *_Oj* 4- J2-V tf,. if 3 * **^jO ± %xÀ^wvfS^TL *'"»*»'* « £ //• o. 70 . *<3>* * 4uu- ^ ,*' V^. Cb.ij.U~o.' Ja. # *7» fV^ W7 Ho. |, JO. ^ ^ ^*0 '■tf * •2fi 'fif-T.l.t/a.a.lo, -tfr . ^ O *■ 4 ^ —— w v-- / *~ -** /.JO 1*^0 3*79 (Jfo^fo ^ty.ix.U-o.yìj ife= &=* !WP r * C 30 sb-Ut.H-ylt. yX) TTT 59 450 OSSERVAZIONI. Mee. Gal., P. Ili, T. IV, car. 72r. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 7 ^ <7- ffrr-i- a***. 6 --- .£*#**«*• (fc*. rtM j. fr**-*-- $><* y W*”. « % J* 4- i> ? y*?* #ÌO * * -TVZr- OJuJbJpwh 7»-«+*■ ~jr-tA^u-tuyf xT- a./jo ■■/*&*,(■1. y. ArU. ® tA +*~Ct 0 V 1 /lu.\S. \o.è~pi. fy-jrt/h 0-^-0 ,K j9Ki5£Jàs_2l__ ^D* 2-7. tf* a.^ Otrt£ ’t'.'6'X-G-ti • • • ., ^ Wn —*- _/-> I ^ *"<»•***. /. ; v 1o *{*<&*? *•$* l*OZ Ì730 fato* tì : °-1° -£2* ^0) _ 0—■—-rr pcC* 0^2, *® — 1 * ^ - | - 'y. jvK f+ffttjv+é ai <*£r**6Z {a *fo & 1 ?***«'«* efr ^ fa Li **•/*£ *¥***} nt7**i&**-M^’Xre fa ft** *<* X {ó. -#- 3.;- OSSERVAZIONI. 451 Mas. Gal., P. Ili, T. IV. oar. 78r. V/W u '" ff A-* 4 ; li__ _ 0 (/rA<. j5> ( |-T-7T7^30 _ ^ - - -— - - 0-_ „ ^. t/. V *wv ijioéìlrf i ‘ ^" ' * V Q • ftf/V/* /%?<> **é* & .*' ’Wo flashr+dj z- c**ì.*l A /u^V : e/^; ^ *****} ^ *À cr' «*/* A c. ai £*£*4-*/^d+4 /*4L^U^A 7/?5L # thótùz y^P^y-or i/t Ino*' iu\tbp r £ [éd*f C\ Of #. SltSz)**f2A^ (f^Asr ofhjfiLQ di / y- ' - -------4- ^_ fi*6. 5é ^Ooy^\ ^ <>A 1 / 7 ; &?£Z5n V ® w, r^;- zo- h* l* jtotcrrfa %£-• ‘i'b'tyb' 1 Ài^Tp^ ptfA*b>Jidi4 ^ hxr. -M aì" iMctcry^. rffTfr*- S47***c ^ ^tyXj^Wi'ey <7foA*«AJr*'*$ &é>‘£yi 452 OSSERVAZIONI. Mbs. Gal., P. Ili, T. IV, car. 189r. ^ , , 0 . Jo • orjudi^^f ì£ì\k 4 kl£x} • 0.00 . f ^ ce/M\/ 4 -Jt* /■ 2 ) jtz< £*J\ ** <* tfcK> • - 7 -^- 7 ^ t' 4 3°~/««X<>.0-*3V^n^ 6>cyAt d**J ^3 'A'ÌM ì+ffcfrh* Q* 1 ltmJ?y m ./i, a. 30 s * l À-o. •>-t W ‘t)'S- Ho* 6È$3^ ÙtL-à/h&t s k° A>. 11 . 34 * 7. la. n ?#<■ *-tr ^:óf^ /fc>. - 7-70 2Jlr S V *^-' va -' fio » /. / ^«c* w» ‘t? yi£r rt-6 *» d/*.c5'(kC: r^- •w :/3? l a?. --ep^ ^. / zS- ffo % tìj) óCC_ “O 2 J 5 W* f^K 0 - £<&&. £2/7*4 \ r , -gjgggg T^JuT^Jo ofoit ■Z-ì £iì. <^-. ouG~crt* I y ^ <£<.':'' 2 Xtxc Wc A? VL - Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 140t. /*/rsòt> zj] A. o*c iJo erre v»—I? Ma». Gal., P. I, T. VII, car. 90t. C&e.^ O ' O. * • •3>i: V faÙL2.

    S 7 14 32 41 3 8 7 51 49 l b 10 9 2 IO 1 55 | 1 21 43 38 12 2 ì 43 27 16 24 3 05 IO 54 36 4 86 54 32 48 5 108 38 lì 0 10 217 16 22 0 20 74 32 44 0 30 291 49 6 0 40 149 5 28 0 50 6 21 50 100 12 48 40 200 25 27 20 300 38 10 0 Ex observatione (liei 17.1 Apvilis, hic motus videtur esse superfiuus: nempe gr. 5 in diebus 33 fere. li. l 0 54 11 .14" 2 1 48 22 .28 3 2 42 . 4 3 36 5G 5 4 30 6 5 24 7 6 18 8 7 12 9 8 6 10 9 0 11 9 54 12 10 48 P. 1 21 36 0. 4'.29'.3G"’ 2 43 12 3 64 48 4 86 24 5 108 0 6 129 36 7 151 12 8 172 48 9 194 24 10 216 0 0.44' .56" 20 72 0 1.19 .52" 30 288 0 40 144 0 50 360 0 60 216 70 72 80 288 90 144 100 0 8.19'. 2" ~=7, —— Motus tertii a Qj.. Corroctio addenda 1 * 5 n. Gr. i n ni ì 1 2 ! 7 48 38 J ls 2' 2 4 ia 37 16 */* 3 3 6 23 25 55 4 4 8 31 li 33 5 5 10 39 3 11 ’l* 6 6 12 46 51 50 7 7 14 54 40 28 •h 8 8 17 2 29 6 ’l* 9 9 19 10 17 45 10 10 21 18 6 23 •h 24' D.J t 51 7 27 20 48 * 2 102 14 54 40 Gr. i.12' 3 153 22 22 0 1.36 4 204 29 49 20 2. 0’ 5 255 87 16 40 4.0 ' 10 151 14 33 20 8.0' 20 302 29 6 40 12.0' 30 93 43 40 0 16.0' 40 244 58 13 20 20.0’ 50 36 12 46 40 40.0' 100 72 25 33 20 80.0 ' 200 144 51 6 40 120.0 * 300 847 16 40 0 w Fac periculum demendo liane correctionem. Credo nimis addi ex obser- vationo diei 29.2 Martii et 2. li. 3 Aprilis, et ex observatio- nibus 25 et 26 Aprilis nihil de- mendum esse videtur. At ex ob¬ servatione 16 Aprilis supersunt 20 gr. in diebus 31.20. 11. Gr. i n Ut mi n. Gr. / n ni un 1 2 7 10 10 30 l 2 7 10 10 30 2 4 li 20 21 0 2 4 14 20 21 0 3 6 21 30 31 •i> 3 6 21 30 31 30 4 8 28 40 42 4 8 28 40 42 0 5 10 85 50 52 '/» 5 10 35 50 52 30 6 12 13 1 8 6 12 43 1 3 7 * 14 50 11 13 ‘U 7 14 50 11 13 30 8 16 57 21 24 8 16 57 21 24 0 9 19 4 31 84 *1* 9 19 4 31 34 30 10 21 11 41 45 10 21 11 41 45 0 lì 23 18 51 55 •i* 11 23 18 51 55 30 12 25 26 2 6 12 25 26 2 6 0 V.1 50 52 4 12 D-l 50 52 4 12 2 101 44 8 24 2 101 44 8 24 3 152 36 12 86 3 152 36 12 36 4 203 28 16 48 4 203 28 16 48 5 251 20 21 0 5 254 20 21 0 6 305 12 25 12 6 305 12 25 12 7 356 14 29 24 7 356 4 29 24 8 46 56 33 36 8 46 50 33 36 9 299 36 45 48 9 97 48 37 48 10 350 28 49 0 10 148 40 42 0 20 4 0 .. i 30 40 50 00 70 80 Motus secundi a Qj- Motus prosimi Motus Laurentii H. Gr. i n ut mi • Corroctio • auferenda'*» H. Gr. 3 II f 1 8 10 54 32 j 44 3' 1 4 17 1 40" 2’ 2 16 21 <9 5 28 6' 2 8 31 2 r. 20 " 3 3 24 32 43 38 12 9’ 3 12 51 3 2 r . 4 4 32 43 38 10 56 12 4 17 8 4 2.40" 5' 5 40 54 32 43 40 15 5 21 25 5 3.20' 6 6 49 5 27 16 24 18 6 25 42 6 4‘. r 7 57 16 21 40 8 21 7 29 59 7 4.40' 8 8| 65 27 ì 16 21 52 24 8 34 16 8 5'.20' 9 9 73 38 IO 54 36 27 9 38 33 9 6. 10' 10 81 49 5 27 nfi L_ 30 10 42 50 10 6.40’' p. 1 196 21 50 5 36 Gr. 1.12' p.l 102 48 24 16' 2 32 43 40 11 12 2.24 2 205 36 48 32' 3 229 5 30 16 48 3.30 3 308 25 12 48' 4 65 27 20 22 24 4.48 4 51 13 30 1. 4' 6 261 49 14 28 0 6. 5 154 2 0 1.20' 10 163 38 28 56 0 ' i 12. 10 308 4 0 2.40' 20 327 16 57 52 0 24. 20 256 8 5.20' 30 80 55 26 48 0 3G. 30 204 12 8. 40 294 33 55 44 0 48 40 152 16 10.40' - — 1= — co 50 100 20 ìs.ao’ <*> Quosta colonna è cancel* 120 100 200 40 26.40' lata con hnoe trasversali. 240 200 40 20 53.20' 360 i — - — 300 240 0 80 4.17.8.30 forte melior : aut 4.16.19. Vide ne nimia sifc. At- tamen ex observatione diei 25 Aprilis, li. 4, videntur adhuc demendi gr. 9 in die¬ bus 41, aut planetam non fuisse in auge die 15 Martii, k. 4, sed potius b. 6.15'. Ob- servatio vero d. 14 Aprilis videtur convenire; exhibet enhn* et •• rf. n. Or. t* Corrvctio Seu 8.29.21* { *’ Diligenter elaboratus. In conficienda iterum tabula, nie- mirieris liane correctionem non esse ad unguem computatane et idcirco (si cetera respondent) ac- cipiendum esse horarium motum gr. 8.29'.21" « «) Alss. Uà)., P. ] V, T. Vi, utr. 27*. b) Mss. Gai., l\ IV, T. VI, car. 27f, Mss. Gal., P. IV, T. VI, car. 27*. a) Mss. Gal., P. IV, T. VI, car. 27*. « Motus liorarius O 222 58 20 40 40 334 27 30 0 0 ss 56 41 21 20 197 25 50 40 40 308 55 0 0 0 59 23 71 21 20 ,17/ 63 21 42 40 Ì283 22 32 1 0 134 51 -riurtai il 20 20 D H. Gr. i rt 1 8 23 37 2 16 57 14 3 25 25 51 4 33 54 28 5 42 23 5 6 50 51 42 7 59 20 19 8 67 48 56 9 76 17 33 10 84 46 10 11 93 14 47 12 101 43 24 . 1 203 26 48 2 46 53 36 3 250 20 24 4 93 47 12 5 297 14 0 6 140 40 48 7 34.4 7 36 8 187 34 24 9 31 1 12 10 234 28 0 20 108 56 30 343 24 40 217 52 50 92 20 <50 326 48 70 201 16 80 75 44 90 310 12 100 184 40 200 9 20 300 194 0 • • -■ • H. Gr. ' " - --- TZi un y 1 2 5 45 51 5 ‘h 2 • 4 6 31 42 11 3 6 12 17 33 10 '/» 4 8 18 3 24 22 5 10 18 49 15 27 30 6 12 24 35 6 33 7 14 25 20 57 38 30 8 16 26 6 48 44 0 18 31 52 39 40 30 10 20 37 38 30 55 11 22 43 24 21 0 30 12 24 49 10 13 6 D. 1 19 38 20 26 12 2 99 16 40 52 24 3 148 55 1 18 36 4 198 38 21 44 48 5 248 11 42 10 0 6 297 50 2 37 12 7 341 28 23 3 24 8 37 6 42 89 36 !) S6 45 3 54 48 10 135 23 24 20 0 20 270 46 48 1 40 30 46 10 12 0 40 181 33 37 20 50 316 57 0 40 60 92 20 24 70 227 43 49 20 80 3 6 14 40 90 138 30 36 ¥1 >i 273 64 1 20 Mss. Gal., P. Ili, T.V, car. 521. Tertili s a 9f. fuifc in auge ri. 24, h.0.0 Ianuarii, acrursusfuitin auge d. 22, h. 6 Martii. lau. d. 7 28 22. fi 57.fi Or. 2.5'. 45". 51"'. 5'"'. 30' motus horarius TAVOLE DEI MOTI MEDII 459 li) MSB. Gal., T. IV, T. VI, car. 271. c) Mss. Gal.,P. IV, T. VI, car. 271. ( d) Mas. Gal., P. IV. T. VI, car. 27*. e) Mss. Gal., P. IV, T. VI, Car. 27*. " I Gr. 5SS5 II. Gr. H. Gr. »/ /// ntt 2 e 4 12 6 18 8 20 IO 31 12 37 14 44 16 50 18 56 21 3 23 9 25 15 1S 53 37 46 56 30 15 32 84 25 53 18 12 11 31 4 40 57 8 50 37 43 16 36 2 7 4 14 6 21 8 28 IO 35 12 43 14 50 16 57 19 4 21 11 23 18 25 26 50 31 33 101 3 6 151 34 30 202 6 12 252 37 46 302 0 19 353 40 52 44 12 25 00 43 58 141 15 31 12 50 52 24 101 44 36 152 36 48 203 28 0 254 20 12 305 12 24 356 4 36 46 56 48 07 48 0 148 40 3 6 4 8 5 IO 6 12 7 14 8 16 9 18 10 20 11 23 12 25 D. 1 50 2 100 3 150 4 200 6 250 6 301 7 351 8 41 9 91 IO 141 5 28 3 IO 56 6 16 24 0 21 52 12 27 20 15 32 48 18 88 16 21 43 44 24 40 12 27 54 40 30 0 8 33 5 36 36 11 13 12 22 26 24 33 39 36 44 52 48 56 6 0 7 19 12 18 32 24 29 45 36 40 58 48 52 12 0 J). 1 50 2 100 3 150 4 201 5 251 6 301 7 352 8 42 18 6 36 12 54 18 12 25 30 31 48 37 6 44 24 50 6 1G 12 3 9 24 18 48 37 36 56 24 15 12 33 0 52 48 11 36 30 24 9 92 42 56 49 12 D. 1 21 2 43 3 65 4' 86 5 108 6 130 7 151 8 173 9,195 10; 216 40 29 86 20 59 12 1 28 48 41 58 24 22 28 0 2 57 36 43 27 12 23 56 18 4 26 24 44 i 56 O 282 31 2 63 46 33 205 2 4 0 207 20 86 0 O 234 40 846 17 35 O 23 20 127 33 6 172 0 268 48 37 50 4 8 191 19 39 332 35 10 820 40 20 283 44 24 30 65 36 36 40 207 28 48 50 349 21 0 60 130 13 12 70 27 2 5 24 80 90 100 20 73 30 290 40 146 50 3 60 220 70 77 80 293 90 150 100 7 29 52 14 48 59 44 44 40 29 36 14 32 59 28 44 24 29 20 TAVOLE DEI MOTI MEDII. 461 a) 91 88. CJal., P. IV, T. VI, car 9r. b) Msa. Cini., P. IV, T. VI, car. Or. r) Mas. Gal., P. Ili, T. V. car. B2f., 86 1 Min. hor. Gr. / n \n •IH V 10 1 24 45 28 35 35 20 2 49 30 57 11 10 30 4 14 16 25 46 45 40 5 39 1 54 22 20 50 7 3 47 22 57 50 n. 1 8 28 32 51 33 30 2 16 57 5 43 7 0 3 25 25 38 34 40 30 4 33 54 11 26 14 O 5 42 22 44 17 47 30 6 50 51 17 9 21 0 7 59 19 50 0 54 30 8 67 48 22 52 28 0 9 76 16 55 44 1 30 10 84 45 28 35 35 0 11 93 14 1 27 8 30 12 101 42 34 18 42 0 D. 1 203 25 8 37 24 203 (1> 2 46 50 17 14 48 46 3 249 15 25 52 12 250 4 89 40 34 29 36 93 5 292 5 43 7 0 297 6 134 30 51 44 24 140 7 336 56 0 21 48 343 8 179 21 8 59 12 187 9 91 46 17 36 36 30 10 224 11 26 14 0 234 20 88 22 52 28 108 30 312 34 18 42 342 40 176 45 44 56 216 50 40 57 11 10 90 60 265 8 37 24 325 70 128 20 3 38 199 80 353 31 29 52 73 90 217 42 56 6 307 100 81 54 22 20 181 200 163 48 44 40 3 300 245 43 7 0 185 400 327 37 29 20 7 500 99 31 51 40 189 (l) Ciò elio si leggo in quosta colonna ò scritto sopra un cartellino incollato sulla corri- spouUontcdei gradi, elio ò stampata in corsivo. 6 \ \ 7 \ 8 \ 9 31 12 10 234 40 \ 20 109 — V 20 30 344 0, 40 218 40 \ 50 93 20 A 60 328 0 \ 70 202 40 \ 80 77 20 \ 90 312 0 \ 100 186 40 200 13 20 300 200 0 400 26 40 500 213 20 Gr. ' ” n. ì 8 28 32 15 2 16 57 4 30 3 25 25 36 45 4 33 54 9 0 5 42 22 41 15 6 50 51 13 30 7 59 19 45 45 8 67 48 18 0 9 76 16 50 15 10 84 45 22 30 11 93 13 54 45 12 101 42 27 0 D. 1 203 24 54 0 2 46 49 48 3 250 14 42 4 93 39 36 5 297 4 30 6 140 29 24 7 343 54 18 8 187 19 12 9 30 44 6 10 234 9 0 20 108 18 30 342 27 40 216 36 50 90 15 60 324 54 70 199 3 80 73 12 90 307 21 100 181 30 200 3 0 300 184 30 400 6 0 500 187 30 Mss. Gal., P. IH, T. V, car. 82 1 . 1(512, Martii d. 4, h. 2.10 ab occasu, Red a meridie 7.45, • fuit in auge vera, fuitque in auge inedia bora 8.25' a meridie. 1610, et Decembris d. 29, h. 5.50' ab occasu, sed a meridie h. 10.15, fuit in perigeo vero; sed in perigeo medio fuit h. 9.50'. Sunt dies intermedi 430, h. 22.35', qui con- tinenthoras 10342.35', in quibus absolvuntur se- micirculationes 487, quae continent gr. 87660; qui, divisi per numerum horarum 10342.35', dant moturn borae unius gr. 8. 28'. 32".15'". ( 2 ) Questo frammonto di tavola ò il seguito dell'altro frammento cho si trova a pag. 4G2. m. 61 462 TAVOLE DEI MOTI MED1I. Mss. Gal., P. IV, T. VI, car. 22V. - 22*r. H. Or. t 1 _ ztt n 1 8 28 40 2 16 57 20 3 2f> 0 4 33 54 40 5 42 23 20 (j 50 52 0 7 ; 59 20 40 8 67 49 20 9 76 18 0 10 84 46 40 11 93 15 20 12 101 44 0 1 203 28 2 46 56 3 250 24 v 4 93 52 \r> 297 20 \ 140 48 \ 344 16 1 187 42 1 Mss. Gal., P. Ili, T.V, car. S2I. 1612, Februarii d. 17,9".50',*fuitinauge inedia. 1611, Aprilis d. 24, h. 1.30' ab occasu, fiat in auge vera: hoc est, li. 8.20 a meridie. Terra autem tunc erat sub gr. 411J, et 2|. in gr. 17 @. Distabat ergo Terra a 2J. 107, quibus debetur gr. 10 prostaferesis adden- dae, quibus respon- dent proxime lì.1.10’. Fuit igitur in auge media h. 9.30'. Inter liasce observationes modiant dies 299, h. 0.20', nempe horae 7176 */ 3 , in quibus absolvuntur circulationes 169 proxime, quae continent grad. (,) Ex (sic) colligitur motus horarius 8.28'. 40" proxime. Ho. min. Gr. t 11 •n Ho. min. Gr. r •1 HI Gr. 1 n m VII 10 0 42 10 m Hi 11 48 n. 0.10' 0 8 57 24 20 1 24 21 pì 1 24 23 36 20 0 17 54 48 30 2 6 32 Pi 2 6 35 24 30 0 26 52 12 40 2 48 43 ha E51 2 48 46 12 40 0 35 49 36 50 3 30 55 10 50 • 3 30 59 0 50 0 44 47 0 n. 1 4 13 5I n. 1 4 13 10 47 n. 1 0 53 44 23 3 2 8 26 2 8 26 21 34 2 1 47 28 6 3 12 39 15 3 12 39 32 21 3 2 41 13 9 9 4 16 52 20 4 1G 52 43 8 4 3 34 57 32 12 5 21 5 25 5 21 5 53 55 5 4 28 41 55 15 6 25 18 m\ 6 25 19 4 42 6 5 22 26 18 18 7 29 31 35 7 29 32 15 29 7 6 16 10 41 21 8 33 44 40 8 33 46 26 16 8 7 9 55 4 24 9 37 57 45 9 37 58 37 3 9 8 3 39 27 27 10 42 10 50 10 42 11 47 50 10 8 57 23 50 30 11 46 23 55 11 46 24 58 37 11 9 51 8 13 33 12 50 37 0 12 50 38 9 _ 24 12 10 44 52 36 36 9. 1 101 14 IX 1 101 16 18 48 D. 1 21 29 45 13 12 2 202 28 2 202 32 37 36 2 42 59 30 26 24 3 303 42 3 303 48 56 24 3 64 29 15 39 36 4 44 | 56 4 45 5 15 12 4 85 59 0 52 48 5 146 10 5 146 21 34 0 5 107 28 46 6 0 6 247 24 6 247 37 52 48 6 128 58 31 19 2 7 348 38 7 348 54 11 36 7 150 28 16 32 24 8 89 52 | 8 90 10 30 24 8 1711 58 1 45 36 9 191 6 9 191 26 49 12 9 193 27 46 58 48 10 292 20 10 292 43 8 10 214 57 32 12 0 20 224 40 20 225 26 16 20 69 55 4 24 0 30 157 0 30 158 9 24 30 284 52 36 36 40 89 20 40 90 52 32 40 139 50 8 48 50 21 40 50 23 35 40 50 354 47 41 0 60 314 0 60 316 18 48 60 209 45 13 12 70 246 20 70 249 1 56 70 64 42 45 24 80 178 40 80 181 45 4 80 279 40 17 36 90 111 0 90 114 28 12 90 134 37 49 48 100 43 20 100 47 11 20 100 349 35 22 0 200 86 200 94 22 40 200 339 10 44 300 130 40 300 141 34 0 300 328 46 6 400 173 0 400 188 45 20 400 318 21 28 500 216 20 500 235 156 40 500 307 56 50 600 240 40 0 = — i = 600 296 32 12 _ —* fuit in perigeo me¬ dio 1612, Februarii die 22, li. 10.10' a meridie. (1 > Rimano cosi in tronco. TAVOLE DEI MOTI MEDI!. 463 Mas. Gal., P. IV, T. VI, cnr. 23/. fi or. min. Gr. i II • Hor. min. Gr. / | •1 Hor. min. Gr. • /» Ut ‘ Hor. min. Gr. i n 10 1 24 45 10 0 42 11 10 0 20 0 56 10 0 8 57 20 2 49 30 20 1 24 22 20 0 40 1 52 20 0 17 55 30 4 14 16 30 2 6 32 30 1 O 2 48 30 0 26 52 40 5 39 2 40 2 48 43 40 1 20 3 44 40 0 35 50 50 7 3 47 50 3 30 55 50 1 40 4 40 50 0 44 47 U. 1 8 28 33 n. 1 4 13 5 U. 1 2 5 38 32 II. 1 0 53 44 2 16 57 6 2 8 26 IO 2 4 11 17 4 2 1 47 29 3 25 25 39 3 12 39 15 3 6 16 55 36 3 2 41 13 4 33 54 11 4 16 62 20 4 8 22 34 8 4 3 34 58 5 42 22 44 5 21 5 25 5 10 28 12 40 5 4 28 42 6 50 51 17 6 25 18 30 6 12 33 50 12 6 5 22 26 7 59 19 50 7 29 31 35 7 14 39 29 44 7 6 16 10 8 67 48 22 8 33 44 40 8 16 45 9 16 8 7 9 55 9 76 16 56 9 37 57 45 9 18 50 46 48 9 8 3 39 10 84 45 29 10 42 10 50 10 20 56 25 20 10 8 57 24 11 93 14 1 11 46 23 55 » 11 23 2 2 52 11 9 51 8 12 101 42 34 12 50 37 0 12 25 7 40 24 12 10 44 53 9. 1 203 25 9 D. 1 101 14 D. 1 50 15 20 48 D. 1 21 29 45 9 46 50 17 2 202 28 2 100 30 41 36 2 42 59 30. 3 250 15 26 3 303 12 3 150 46 2 24 3 64 29 16 4 93 40 34 4 44 56 4 201 1 23 12 4 85 59 1 5 297 5 48 5 146 10 5 251 16 44 0 5 107 28 46 6 140 30 52 6 247 24 6 301 32 4 48 6 128 58 31 7 343 56 0 7 348 38 7 351 47 25 36 7 150 28 17 8 187 21 9 8 89 52 8 42 2 46 24 8 171 58 2 9 !J0 46 18 9 191 6 9 92 18 7 12 9 193 27 47 10 234 11 26 10 292 20 10 142 33 1_ 28 0 10 214 57 32 1) 20 108 22 52 D. 20 224 40 20 285 6 56 D. 20 69 55 4 30 342 34 19 30 157 0 30 67 40 24 30 284 52 37 40 216 45 44 . 40 89 20 40 210 13 52 40 139 50 9 50 90 57 11 50 21 40 50 352 47 20 50 351 47 41 co 325 8 37 60 314 0 60 135 20 48 60 209 45 13 70 199 20 4 70 246 20 70 277 54 16 70 64 42 45 80 73 31 30 80 178 40 80 60 27 44 80 279 40 18 90 307 42 56 90 111 0 90 203 1 12 90 134 37 50 100 181 54 22 100 43 20 100 345 34 40 100 349 35 22 200 3 48 45 200 86 40 200 331 8 20 200 339 10 44 800 185 43 7 300 130 0 300 316 45 0 300 328 46 6 400 6 0) 37 29 400 173 20 400 302 16 40 400 318 21 28 500 189 31 52 500 216 ' 4° 500 Mss. Gal., Par. Ili, T. V, car. 12/. Haec habetur prò exacta. 1612, Februarii d. 17, h. 4.20, . fuit in auge vera; sed propter elon- gationein Terrae a coniunctione Qj-, quae fuit gr. 8 proxirae, fuit pro- staferesis addenda gr. 2 fere, cui respondent h. 0.15'; ergo . fuit in auge media h. 4.35'. < l > Corrotto d’inchiostro moderno in 7. 464 TAVOLE DEI MOTI MED1I. 1611, d. 29 Aprilis, li. 7, fuit in auge vera; tnnc autem Terra ver- sabatur in gr. 9 fere ìli, 9|. vero in gr. 18 @, a quo loco (listabat Terra gr. Ili, cuius distantiao prostaforesis est gr. 10, quibus respon- dent b. 1.15 addendae ; fuit ergo in auge inedia li. 8.15. Distantia liarum observationum continet dies 298, b. 20.20', nempe lioras 7052 V 3 , in quibus conficiuntur conversiones 166, quae eontinent gr. 59760; quos si dividas per numerimi borarum 7052‘/s, prodibit motus medius borarius gr. 8.28'. 82". 47"', 41"". 21'. 3", Mss. Oal., P. IH, T. V, car. 27r. Crediti!r exactissima. 1611, d. 29 Aprilis, b. 7 ab occasu, . fuit in auge vera; tunc autem Terra fuit in gr. 9 11[, 9J. vero in gr. 18 @, a quo loco distabat Terra gr. Ili, cuius distantiae prostaforesis est gr. 10, quibus re- spondent li. 1.15' addendae; fuit ergo in auge media li. 8.15 ab occasu: tempus autem semidiurnum est tunc b. 6.55'; ideo fuit in auge me¬ dia li. 15.10' post meridiem. 1612, die Februarii 17, li. 4.20, . fuit pariter in auge vera; sed proptor elongationeni Terre a coniunctione Qj_ ls , quae fuit gr. 8 proxi- me, fuit prostaferesis addenda gr. 2 fere, cui respondent li. 0.15'; ergo fuit in auge media h. 4.35 ab occasu : tempus autem semidiurnum est tunc b. 5.15; fuit ergo in auge media b. 9.50 post meridiem. Tempus intermedium inter bas observationes est dierum 293, b. 18.40', nempe h. 7050 */ s , quo tempore absolvuntur conversiones 166, quae eontinent gr. 59760; quos si dividas per numerimi borarum, prodibit motus medius borarius gr. 8. 28'. 32". 51"'. 33"". 30*'. Motus minutorum 10, gr. 1.24.45". 28"'. 35'"’. 35 r . Mss. Gal., P. Ili, T. V, car. 8Gr. e 1612, Februarii die 28, li. 8 ab occasu. sed a meridie li. 13.30', pro- babiliter fuit: in perigeo vei’o, sed in perigeo medio li. 14.40’ a meridie. Fuit quoque in perigeo vero anno 1611, Februarii d. 9, li. 10 ab occasu, boc est a meridie li. proxime 15.0. Et quia tunc locus Terrae fuit in gr. 20 Élj. 19 vero in gr. 16 @, quorum differentia est gr. 26, quibus respondet prostapbaeresis gr. 6 proxime, cuius tempus est b. 1.30 fere, ergo stella fuit in pei’igeo medio d. 9, li. 16.30' proxime. TAVOLE DEI MOTI MEDII. 465 Intervalli!m barimi observationum est d. 383, li. 22.10', riempe h. 9214.10', quo tempore absolvuntur conversiones 1Q8, quae con- tinent gr. 38880. IIos si dividas per numerimi horarum, nempe per 9214, prodibit motus borae unius gr. 4.13'. 10". 47"'. Motus vero niinutorum 10 est gr. 0.42'. 11". 48'". Mss. Gal,, P. Ili, T. V, car. 28 r. 1611, Martii d. 22, li. 6 ab occasu, fuit in auge vera, lioc est li. 12 a.meridie. Sed prostaplieresis tunc fuit gr. 11.30, quibus re- spondent li. 5.40 : fuit ergo in auge media d. 22, li. 17.40' a meridie. 1612, d. 29 Februarii, li. 16 a meridie, fuit pariter in auge media. Terapus intermedium est dierum 343. 20. 20', hoc est h. 8252. 20', quo tempore absolvuntur revolutiones 48, quae continent gr. 17280; qui, divisi per numerimi horarum, dant gradus horae unius, nempe gr. 2.5'. 38". 32"". Motus minutorum 10, gr. 0.20'. 0". 56'". Mss. Gal., P. Ili, T. V, car. 34 r. 1612, Februarii d. 22, b. circiter 1 ab occasu, •> fuit in perigeo vero, nempe h. a meridie 6.15; sed in medio, h. 10.10'. 1611, Martii die 16, h. 1.50' a meridie (i) Si itaque fuit in auge media die 16, h. 1.50' a meridie, mensis Martii 1611, et in perigeo medio die 22, h. 10.10' a meridie, mensis Februarii 1612 ; sunt autem dies intermedii 343, li. 8.20, qui continent li. 8240.20', in quibus absolvuntur semicirculationes 41, quae conti¬ nent gr. 7380; hos si dividas per numeruni horarum 8240. 20', prove- niet motus horae unius gr. 0.53'. 44". 23'". 3"". Habetur prò recta. Motus unius minuti horae est gr. 0. 0'. 53". 44'". 23"" ; et niinutorum 10, gr. 0. 0'. 530". 440"'. 230"". 0 . 10 ', gr. 0. 8'. 57". 24 0. 20, 0.17 . 54 . 48 30, 0. 26.52 . 12 40, 0.35.49 .36 50, 0. 44.47 . 0 ( 4 ) Rimane così in tronco. TAVOLE DEI MOTI MED1I. Mss. Gnl., P. Ili, T.V, car. 13,-. 467 1G13, Ianuarii d. 22, li. 4.30 ab occasu, quae fuit h. 9.10' a meridie, : fuit in auge vera; sed in auge media i’uit d. 22, li. 6.43' a meridie l *’. 1611, Februarii d. 13, h. 5 a meridie, fuit in perigeo vero ; sed in medio fuit h. 7 a meridie. Tempus intermedium sunt dies 708, li. 23. 43, qui sunt liorae 17015.43. Et quia se- micirculatio absolvitur li. 42 s / 3 proxime ; si numerum horarum 17015.43' per h. 42 */ 3 diviserimus, babebimus quot semicircùlatio- nes in tali tempore conficiuntur. Sunt autein 399, quae eontinent gr. 71820. Tot igitur gradus conficit stella diebus proxime 709. Igitur singulis diebus absolvit gr. 101.17'. 51". 22 ". Et in d. 10, gr. 292. 56. 33. 40; ind. 100, 49.25.36.40; in d. 500, 247. 8. 3. 20 ; ind. 1000, 134.16. 6.40. ». 1 101 = 18 2 202 36 3 303 54 4 45 12 5 146 30 6 247 48 7 349 6 8 90 24 0 191 42 10 2J3 0 20 226 30 159 40 92 50 25 00 318 70 251 80 184 90 117 100 50 200 100 300 150 400 200 500 250 600 300 700 350 800 40 900 90 1000 140 Cum hac tabula pone radicem : priniae diei Ianuarii 1613 in gr. 263.30, seu 257.30. ( *’ : fuit in perigeo medio 1611, Aprilis d. 25, li. 9.40 a meridie. Sunt dies intermedii 637, h. 21. 3, horae nempe 15309, quibus conficiuntur se- micirculationes 359, quae sunt gr. 64620, qui absolvuntur diebus 637 V 8 proxime. 468 TAVOLE DEI MOTI ME DII, Mss. Gai., P. IH, T. V, car. I3(. fuit in perigeo medio anno 1612, Fe- bruarii d. 22, b. 10.10' a meridie ; et rurmis tiiìt quoque ineodem perigeo medio 1613, Ianuarii die 22, h. 10.16'. Sunt autem inter utrasque observationos dies 335, h. 0.6', qui sunt liorae 8040.6' ; cum- que integra convorsio absolvatur h. 402 pro- xime, constat in tanto tempore fuFse conver- siones integras 20. In boria itaque 8040.6', quae sunt horarum sexagesimae 482406, nhsnl- vuntur praecise conversiones 20. Sunt autem 20 conversiones gr. 7200, quae absolvuntur, ut dictum est, diebus 335.0.6: ergo NÌngulis diebus movetur * gr. 21. 29'. 33 '. 8"'. In diebus autem 10, et in diebus 100, et in diebus 1000, in diebus 500, gr. 214.55. 31. 20; gr. 349. 15. 13. 20; gr. 252. 32. 13. 20; gr. 306. 16. 6. 40. Magliai., r. IH, T.y, car. 1E|. I) 1 ! 21 129 33 ^=3 8 2 •12 59 G V 16 3 64 28 3!) 24 4 86 68 12 32 6 107 27 45 40 6 128 57 18 48 7 160 26 51 56 8 171 56 25 4 9 193 25 58 12 IO 214 55 31 20 20 69 51 2 80 2*4 46 34 0 40 139 12 5 20 60 354 37 36 40 v 00 209 33 8 0 70 64 28 39 20 80 279 24 10 40 90 134 19 42 0 100 349 15 13 20 200 338 30 26 40 300 327 45 40 0 4001 317 0 53 20 600 306 16 6 40 600 j 295 31 20 x 0 700 284 46 33 ai 800 274 1 46 40 9( X) 263 17 0 0 1000 252 32 13 20 TAVOLE DEI MOTI MEDII. 469 Mss. Gal,, P. Ili, T. IV, cftr. 62r. 156 c .54' 263°. 30 ; Hor. min. Gr. t Gr. t Gr. ì Gr. t 10 1 25 0 42 0 20 0 9 20 2 50 1 24 0 40 0 18 30 4 14 2 7 1 0 0 27 40 5 39 2 49 1 20 0 36 50 7 3 3 31 1 40 0 45 B. 1 8 29 4 13 2 6 0 54 2 16 57 8 2G 4 11 1 47 3 25 26 12 39 6 17 2 41 4 33 54 16 52 8 23 3 35 5 42 23 21 5 10 28 4 29 6 50 51 25 19 12 34 5 22 7 59 20 29 32 14 39 6 16 8 67 48 33 45 16 45 7 IO 9 76 17 37 58 18 51 8 4 10 84 45 42 11 20 56 8 57 11 93 14 46 24 23 2 9 51 12 101 43 50 37 25 8 10 45 13 110 11 54 51 27 13 11 38 14 118 40 59 4 29 18 12 32 15 127 8 63 17 31 24 13 26 16 135 36 67 30 33 30 14 20 17 144 6 71 43 35 36 15 14 18 152 34 75 56 37 42 16 8 19 161 2 80 9 39 47 17 1 20 169 30 84 22 41 52 17 54 21 177 59 88 35 43 58 18 48 22 186 28 92 48 46 4 19 42 23 194 57 97 1 48 10 20 36 I>. 1 203 25 101 18 50 14 21 30 2 46 50 202 36 100 29 42 59 3 250 15 303 54 150 43 64 29 4 93 41 45 12 200 58 85 58 5 297 6 146 30 251 12 107 28 6 m 7 140 31 247 48 301 27 128 57 343 56 349 6 351 41 150 27 8 187 21 90 24 41 56 171 56 9 30 46 191 42 92 IO 193 26 10 234 11 293 0 142 25 214 56 1). 20 108 ! 23 • 226 284 50 69 151 30 342 34 159 67 15 284 46 40 216 46 92 209 41 139 42 60 90 57 25 352 5 354 38 60 325 9 318 134 30 209 33 70 199 20 251 276 56 64 29 80 73 31 184 59 19 279 24 90 307 43 117 201 54 134 20 100 181 54 50 344 IO 349 15 I). 200 3 49 100 328 19 338 30 300 185 43 150 312 30 327 46 400 7 37 200 296 38 317 1 500 189 32 250 280 49 306 16 600 11 26 300 265 0 295 30 70f 19? 20 350 249 8 284 45 470 TAVOLE DEI MOTI MED1I. Mas. Giti., P. Ili, T.V, car. lCf. 1611, Aprilis die 29, h. 11.20' n me¬ ridie, • distabat ab auge media 337.40'. 1610, Iunii die 26, li. 10.10 a me¬ ridie, distabat ab auge inedia gr. 346. Dies intermedii sunt 1914, h. 22.50, qui continent lioras 45958.50. Motus ul¬ tra revolutiones integrafi liabot gr. 8.20'. Revolutiones integrae sunt 1082, quae continent, cum praedictis gr. 8.20, gra- dus 389528.20' : qui gradua, divisi per numerimi liorarum, nempe per 45958.50', dant motum unius horae. Mòtus liorae, gr. 8. 28. 32 ; dierum decem, gr. 234. 8. ITaec operatio confirmat tabulala. Mss.6*1., P. Ili, T.V, car. 38 1 . 1616, die 13 Iunii, h. 9.36 a meridie, • distabat ab auge media gr. 185. 1613, Aprilis d. 16, h. 2.30' ab occasu, quae est 9. 9' a meridie, eadem • distabat ab auge vera gr. 175, sed a media 167.30'. Dies intermedii sunt 1154. 0. 27'. Mo¬ tus ultra circulos integrafi habet gr.16.30. Conversiones integrae sunt 161, quae continent gr. 57960, quibus si apponan- tur gr. 16.30, dant gr. 57976.30: qui, di¬ visi per tempus intermedium, nempe per lioras 27696 7, proxime, dant horarium motum 2. 5. 35. 48. Diei U) 10 dierum, 100 dierum, 142. 23. 12; 343. 52. V. Ili, T.V, car. 38i. - D. prò» " "’jj prò 1 • • • IO 231 7 30 20 108 15 284 46 HO 842 22 30 67 9 40 216 30 209 32 50 90 37 30 361 55 GO 324 46 134 18 70 198 52 30 |276 41 80 73 69 4 90 307 7 o co 201 27 100 181 15 j 343 50 200 2 30 327 40 800 183 45 311 30 400 5 295 20 500 188 16 279 10 600 7 30 263 0 700 188 45 24(5 50 800 10 230 40 900 191 15 214 30 1000 12 30 198 20 2. 1 203 25 101 Te 2 46 50 202 36 3 250 15 * 303 54 4 93 41 45 12 5 297 6 146 30 6 140 31 r d 247 48 7 3-13 56 occasu, quae est 5.36 a meridie, : distabat ab auge media gr. 170. 1616, Octobris die 9, li. a meri¬ die 6.54, distabat ab auge media gr. 345,38'. Locorum distantia est gr.166.38. Tempus intermedium habet die* 2454, li. 1.21'; cui ex tabula compn- tunt gr. 167.41, qui exce«lunt gra¬ dua ex observationo locorum per gr. 1.3. Est igitur imminuendus mo- tus tabulae gr. 1.3' in diebua 2454; et in diobus 100, gr. 0.2'. 30 ; et in diobus 1000, gr. 0.25. Correcta autera tabula, reperio- tur radix ad meridioni 1 Ianuarii 1610 in gr. 242.38, radix vero in meridie 1 Ianuarii 1616 in gr. 151. “*• u»l, tu in. t. f. cu. 1.18 2J6 SM Ma tUO 7 4* 9.8 1C124 11.41 2.2J 4 M 7. 9 9 32 low 12.IH 14.31 16A4 19.17 » 13 23 .VI i a# 2.30 r v 2.25 100 » 47 46 k 4.50 2.. 89 1X39 7.30 7.15 3.. &a 133 la 9.40 4.. 1. 5 IM 12.30 12. 5 6 .. 1.18 217 15. 14.30 6 .. 131 241 1730 16.55 7.. 1 44 3 « »). 10.20 8.. ras 3.2» 22.30 21.45 9.. $ I 2 12 4. 2.’» 24 1000 4 24 K 60 48 2 ... «36 12 1.15 1.12 3... 8.48 16 1.40 1.36 4... i !>»■»» 4a _L ItaMMfad Addenda TAVOLE DEI MOTI MEDIE Hss. Gal., P. IV, T. VI, cai*. 8R, 82r. ^ 1010 n 1616 53.30 48.12 120. 299.40 241 54 155.25 262.32 192.13 Ilor. min. j Gr. ì Gr. i Gr. r Gr. i 10 1 25 0 42 0 20 0 9 20 2 50 1 24 0 40 0 18 30 4 14 2 7 1 3 0 27 40 5 39 2 49 1 20 0 36 50 7 3 3 31 1 40 °J 45 H. 1 8 29 4 13 2 6 0 54 2 16 57 8 26 4 11 1 47 3 25 26 12 39 6 17 2 41 4 33 54 16 52 8 23 3 35 5 42 23 21 5 10 28 4 29 6 50 51 25 19 12 34 5 22 7 59 20 29 32 14 39 6 16 8 07 48 33 45 16 45 7 10 9 76 17 37 58 18 51 8 4 10 84 45 42 11 20 56 8 57 11 93 14 46 24 23 2 9 51 12 101 43 50 37 25 8 10 45 13 110 11 54 51 27 13 11 38 14 118 40 59 4 29 18 12 32 15 127 8 63 17 31 24 13 26 16 185 36 67 30 33 30 14 20 17 144 5 71 43 35 36 15 14 18 152 34 .75 56 37 42 16 8 19 161 2 80 9 39 47 17 1 20 169 30 84 22 41 52 17 54 21 177 59 88 35 43 58 18 48 22 186 28 92 48 46 4 19 42 23 194 57 97 1 48 10 20 36 D. 1 203 25 101 18 50 14 21 30 2 46 50 202 36 100 29 42 59 3 250 15 303 54 150 43 64 29 4 93 41 45 12 200 58 85 58 5 297 6 146 30 251 12 107 28 G 140 31 247 48 301 27 128 57 7 3-13 56 349 6 351 41 150 27 8 187 21 90 24 41 56 171 56 9 30 46 191 42 92 10 193 26 ! 10 234 7 293 0 142 25 214 1 „ ;j6 20 108 15 225 55 284 46 69 51 30 342 22 158 53 67 9 284 46 40 216 30 91 50 209 32 139 12 50 90 37 24 48 351 55 354 38 60 324 45 317 46 134 18 209 33 70 198 52 250 44 276 41 64 29 80 73 0 183 41 59 4 279 24 90 307 7 116 39 201 27 134 20 100 181 23 49 34 • 344 7 349 22 200 2 46 99 9 328 16 338 Ì 44 300 184 148 45 312 25 328 7 400 5 32 198 24 296 33 317 29 500 186 55 248 279 41 306 51 600 8 18 297 40 264 50 296 13 700 189 41 347 16 248 57 285 36 800 11 4 36 47 233 5 274 58 900 192 27 86 21 217 16 264 20 1000 13 50 135 44 201 23 253 42 2000 27 40 271 28 42 46 • 147 24 3000 4000 41 i 30 47 12 244 9 40 6 • 473 GIOVILA BII. * V » *>4 ? . •»/* » . .. 7 ’ ' • . -■*. . t ’ *■ *' 1 * , _ • • . ~. GIOVILABII. Mss. Gal., P. IV, T. VI, car. W. % G10V1LABII. Mss. Gal., P. Ili, T. V. car. lOr /AKA Au ? r r F—r^t—J—i—r—i—i" ì S> y ut t( t f /. ^ + jfcjtrc 0 K-f-7- ^ 7*+g*4 l ^fs b lt d* fin LÌ Si. J Sì ______ T> » &****& 9.13 188. 47 91.13 35.47 203. 44 101.36 51.31 21.44 212. 57 290. 23 142. 44 57.31 s-£- 1 to to 492 CALCOLI DLL UH P. Ul. T.iv, «*r.l 1611. Martii il. 24. ‘2. G D. 8. 21 • • D. 8.22 D. 8 80 * P. 8 17 189. 53 178.15 46 25 46.25 84.40 828 412 42.56 173.49 15.22 368. 8 360 454.56 360 18B.ll 1 185.58 8. 8 94.56 27. 0. 30. G • • ^— ua, ÌK 11. 18 io p ii tato; IMI. IMO; D. 11.15.80 441. 6 161. ICS 4.14 M 4 101 96 84 40 2 7 156.14 ! 51.32 j 88.88 217 16 21.44 13.35 606 36 860 1 4 27 iH| 27 860 246 2B 25:; 2 946. M | 124 27 1 D. 10. IMO 852.44 * 404.59 383.58 360 360 COMPARAZIONE DIRETTA SENZA PROSTAFERESI. 493 Soquontia por alias tubulas eomputantur. O» 20 è «tato corretto d'incbio^tro moderno in SO. 1,1 24 ò stato corrotto d'inchiostro moderno in S4. 20 è «tato corrotto d'inchiostro moderno iu SO. © • • • • • 28.20 I) 28 21 D. 28.19 1). 28.16 Ili 18 189. 43 169 -46 221.40 88. 40 88. 26 302 29 408. 59 40.28 73.200» 172 40 14.2-1 473 47 360 898.46 360 751.56 720 260 24« 113 47 38.46 1 ai 56 o • • .% * 29. 20 29.21 29.19 29.16 114.18 33.26 169.46 221.40 189. 45 88. 26 302.29 460. 7 40.28 73.20^ 195 14.24_ 317. 30 499 51 860 803. 4 720 282.44 139.51 83. 4 o D. 25. 22 • • 25. 23 ••• 25. 21 * 25. 18 114. 45 232. 8 310.29 74 33 298. 41 148. 2 257.37 108. 38 187. 38 84. 40 42.56 16.16 601. 4 12. 42 2. 8 199. 27 360 477.32 613.10 241. 4 360 360 117.32 253.10 • • A 1». 27 21 1». 27.19 232. 8 310. 29 46 25 360 39 304 49 40.47 84.40 711.55 4 14 860 672 16 360 ì 312.16 351.55 COMPARAZIONE DIRETTA SENZA PROSTAFERESI. 49!> D. 15.1. I). 18, h. 2. • • 80.21 •% 30.19 139. 51 101. 5 83. 4 51. 7 21.44 31.20 81 21 161.13 240. 56 203.43 101. 5 m. 56 ci CO 360 4.56 o • 81.19 . a. & ily> Hic videtur : excedere locum visum per gr. 20. Mas. Gal., P. IH, T. IV, car. 128(. 1611. Aprilis d. 17, li. 1. O # • oSTu 1 *1*5. 152 30 93.44 288 202.10 102. 15 43.12 1G9.44 | 84.14 40.28 14.24 568.37 360 208.37 4.13 443. 7 300 83.7 a „ 236. 27 315.30 iTt-o •g.n Ex liac quoque observatione : excedit locum visum grndibus 20 proxime. O • • ••• 1). 83. 21 D 83.22 83. 20 208.37 212.12 83. 7 105. 17 230.27 53. 14 420.49 360 188.24 289.41 60.49 sa 17 300 8 . 0 Ilio videtur defìcere gr. 9:°. -Vsr-* Oportet igitur promovere : gr. 9 in diebus 33. 22 h . D. 19, li. 3. • • ••• * :;ì. 91 84. 18 iss.21 289. 11 8. 6 105.18 53 14 22. 30 293. 42 55 | 30 36 :7 O- 1 C)o : tertius u i)|. ox liac quoque observntione excedit per gr. 13 in diebus 34. 23. I). 24, li. 1. 30. • I). 89, li.20 30 I) 39.21.80 0.89. 10.80 351.27 33.26 169.46 4.15 152.30 180 45 88.26 2. 7 93.44 460. 7 40 28 1. 4 558. 54 360 432. 48 S60 595.23 360 486 CALCOLI DEL lèi! # D. 25, h. 1. • I). 40, b. 20 • • ! D 40 21 A O D 40. 19 D 40 li 11)8.54 | 72 48 235 23 159 51 11)9.28 90 53 49 SO 49 398.22 300 169.41 284 23 !»:*• 40 38.22 | Ex hac quoque oWrvation<* promovendus est, : gr. 11 m di« - l)us -10.21. D. 2G, li. 1. • • « WS > 1 ». 41 20 0.41 21 D 41 19 Dilli 88.23 203.43 169.41 1 101. 5 284 23 51 7 ISO 40 21 36 242.5 ; 270.46 jla:» » i 182 16 Hinc quoque patet, : 1 m 2 7 trahendum gr. 12. Mm. O.I., P IH. T. IV. tu. lllr. Aprilis d. 27, li. 1. o 1). 42 20 • • T). 42.21 A 0 42 19 *> D.4t li 242. 5 203.43 270 46 101. 5 335 30 51. 7 Ìb2 1), 21 40 445.43 360 371.51 360 886 37 860 2XS 56 85.43 11.51 26 37] f- I W • «/“N Advertas quod si : proinovea- tur, : vero retruhatur, erunt forte coniuncti. I) 28, li. 1. • D «1 to • • 1» ftt it A li It — ^ * u U_ Sl3 44 11 5! lol 5 36 37 31. 7 308.66 _ 81-40 31 112 56 77 44 | 1 225.36 .9 « — r> ( • • •ti 1>. 29, h. i. • • • A i D M IO ^ Il «1 V II 11 1» 44. H 31 ma 43 112 M 1 IO! 5 77 44 51. 7 235.36 31 40 493 14 3à> 211. 1 51 247.20 133 14 V" 0 5 «t* I) Su, ii. 1 . • D li • 0 u ti A Il It ❖ 46. Il 133 14 ma 43 214 1 IOI 21 1 .*- M 50 43 247 20 21.40 336 57 315 T2 179 84 269. 0 f • - !/• Mail d. 1, 11. 1. 4« 10 r> <« ii 22H 3* 93 142 17 2 ix ti 169 41 w ;*• 540 87 1 429 46 »4j Sii) 180 37 , 69 ih 1 0 D 44 19 P 46.16 228 34 307 50 40 9 146 38 129 86 14.24 576.33 ano 290.88 216 33 ?♦ -L. •V COMPARAZIONE DIRETTA SENZA PROSTAFERESI. 497 D. 3. 0. 30. (o • |). 48.10. 30 • • P. 48. 20.30 1). 48. 18. 30 •> D. 48. 16.30 94 212 4 90.48 42. 25 MITI 39. 49 ItWfM 4.15 2.16 1. 3 27 592.20 275.34 295.21 335.18 860 271.22 293.15 54 232 20 334.14 8. 29 22:; ;>i _ m - C* m -L 7 • • Mas. Gol.. P. Ili T. IV, car. 13U. Maii 1G11 tl. 4, li. 1.30. • D.10 20. 30 • • I). 49. 21.30 ••• 40. 10. 30 40. 16. 80 228.36 94. 0 212. 4 147 33. 26 192. 9 92. 43 195. 4 169.44 88.40 39. 49 14.27 4 15 2. 6 1. 3 27 436. 1 360 376.55 360 345.39 356.58 76. 1 16.55 i • retrahendus. (1) Sotto la con figurazioni) del 3 maggio si logge, cancellato: • viiletur aliquid addendum, aut : do- inendum >. I). 6. 0.30. • P. 51. 10.30 • • 1). 51.20.30 9.51. 18. 30 a» - : * D. 51. 15.30 105. 45 27 30 355. 5 3.45 203.43 101.21 50.18 21.40 161.16 84.28 37.42 13.33 4 15 2. 6 1. 3 38.58 474.59 215 25 344. 8 360 360 114.59 84. 8 Ex : demendum videtur gr. 5, aut imminuenduB circulus, aut « reti'aliendus. D. 7, li. 1. • 52. 20 • • D.52. 21 ••• D. 52.19 ❖ P. 52.16 105.45 47.26 169.44 27. 30 202. 42 88. 39 355. 5 100. 36 39.49 3. 45 43.21 14.27 322. 65 • 318.51 495. 30 360 61.33 9-rn 135 30 r\ _ L - —-—*-■ : t.?o 7 » retrahendus videtur D. 8, li. 1. ~ par. 1. P.58.20 • • D. 58.21 D. 58.19 •> P. 53. 16 322. 55 203.43 318.51 101.21 135. 30 50.18 61.33 21.40 526.38 360 420.12 360 185.48 I» 83.13 166.38 tir 60.12 r • : addendi sunt gr. 10, aut de¬ mendum est de motu •. ni. cs Deinendum est do motu •, nam hora 3* latebat adirne; aut nulix tardior ponenda. llora 3 occidentale# ouinescon iunctae urani. DM 19 VA 5 am. M 89 4» 3flj ÌA W ~ 1 W 1 • E ■ f'il rrìB i Tjj i i I ì 4 15 ♦ 3 27 nlj 1 m 4 » 27 (Ai < • COMPARAZIONE DIRETTA SENZA PROSTAFERESI. 499 D. 15, h. 1. D. 18, li. 1. • D.CO.20 • • D. CO. 21 ••• 1). CO. 19 • D. CO.1C • I). 68. 20 • • D. 03.21 ••• D. 68. 19 * 0.68. 16 183.14 203. 27 251.22 101.21 278.31 50. 18 278.18 21.41 320. -|.s 109.32 320. 0 88. 40 138. 6 39.49 220.30 14.27 EH 408.40 8G0 177. 55 234. 57 386.41 360 ■ 328. 19 299.59 1* 136.20 | 48. 40 26.41 f * n i D. 19, h. 1. V i n ‘* D. 16, li. 1. • lì. 64. 20 • • D, 04.21 ••• I). 64. 19 lì. 64. 16 326.48 93. 47 169.32 320. 0 45.24 88. 40 138. 6 201.12 39.49 220.30 80.42 14.27 1). 10 li 1 • • D.01.21 •*. I). 61.19 •> 1) Gl. 10 590. 7 360. 0 454. 4 360 379. 7 360 321.39 ir • D..G1.20 230. 7 | 94. 4 | —__La_ r\ 19. 7 _____ V 136.20 203. 27 48. 40 101.21 177.55 50.18 234. 57 21.40 339?47 150. 1 228.13 256. 37 7 w 1). 20, h. 1. A • T). G5. 20 i •> D. 65. 16 y 1'U> L Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car.SSf. 1611. Maii d. 17, li. 1. • • 9.65.21 • • D. 65.19 32C 48 297.14 169 32 320. 0 146.45 88 40 138. 6 251.31 39. 49 220. 30 108 22 14. 27 793. 34 720 555. 25 360 429.26 360 343.19 73.34 195. 25 r* 69. 26 ho D. 21, h. 1. • D. 62. 20 ■ • D. 62.21 ••• D. G2. 19 •> D.C2. 16 326. 48 46 54 169. 32 320. 0 202.42 88. 40 220. 30 43 21 14. 27 • D CO. 20 • • D. CO. 21 •% D.6G. 19 •> I). G6. 16 326. 48 140.40 169. 32 320. 0 248. 6 88.40 138. 6 301.49 39.49 220. 30 130. 3 14.27 543.14 360 Gli.22 360 278.31 278.18 183.14 251.22 637. 0 360 656.46 360 479.44 360 365. 0 360 —, 1 * A0 277. 0 77 296.46 —A 119.44 3 —* 5. 0 V % D. 22, h. 1. CALCOLI DEL 1611. I). 25, h. 1. • P.67.20 • • P.67.21 P 67.19 ❖ 1» 67.16 138. 6 352 7 •2211 :ui 151 43 .->•1*1 o 169.32 88.40 liti#* » 39.49 14.87 840.28 768. 7 38*1.40 720 _ 720 121 | 860 120.28 ? 1 88. 7 | 170. 2 1 r 'v Jr _ -r\-> in D 70 «0 D. 70.21 -v « « tm I tfvar a n. D. 26, h. 1. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, «r.S ir. 1611. Maii d. 23, h. 1. • • • I). 68.20 I). 68.21 D.68.19 D. 68.16 326.48 187.34 169.32 683.54 360 323.54 su.** 138. 6 42.25 89.49 499.28 3 (50 _ 139.28 D. 69.20 320. o ; 138. 6 192. 9 1 92.43 39.49 600.49 360 *1+ I). 27, Il 1. V 71 20 D 72 21 P 72 19 D.79.Ì6 546.52 421.32 • P. 76.60 • • p 78 ai 67 42 186.62 203.2(5 101.21 361. 8 | 287.18 **- Hic de motu : demendum vi- detur gr. 12. COMPARAZIONE DIRETTA SENZA PROSTAFERESI. 501 1). 29, h. 1. lunii d. 1, h. 1. • T). 74. 20 • • D. 74.21 T) 74. 19 ❖ D.74.16 • 1). 77.20 • • D.77.21 D.77.19 D.77.1G 201.16 344, 8 84.46 254.30 349.27 88 40 281. 7 352. 7 39. 49 77.14 151.43 14. 27 261. 8 203.26 287.13 101 21 111.50 50.18 156.42 21.40 m. 34 360 388. 34 360 162. 8 178.22 692.37 360 673. 3 360 243.24 104.34 28.34 332.37 313. 3 n - *_ 354.56 ttj Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 32(. 1611. Maii d. 30, h. 1. « u> .rii- (yJ * j/3 /o D. 2, h. 1. • D. 78.20 • • I). 78. 21 m • • 1). 78. 19 V D. 78. 16 354.56 203. 27 .332.37 101.21 313 3 50.18 213 24 21 40 558 23 360 433.58 360 363. 21 360 265. 4 • D. 75. 20 • • D. 75.21 ••• D. 75. 19 * D. 75. 16 198.23 73.58 *6 3.21 201.16 297.14 169. 32 254.30 146.45 88.40 281. 7 251.31 39, 49 77.15 108 22 14. 27 .°- 4f im CJ j/i' D. 3, h. 1. 668. 2 360 489. 55 360 572. 27 360 • D.79.20 • m D.79.21 V D. 79.19 D. 70. 10 308. 2 129.55 212.27 __ 201.1G 31. 1 169.32 254.30 192. 9 88.40 281. 7 92.43 39. 49 77.15 195. 4 l i. 27 -*-* r 7 3 if ^ D. 31, h. 1. 401.49 360 535.19 360 413.39 360 286. 46 yf* 41.49 1 53.39 uanaetrm • I). 70. 20 • • D. 76.21 ••• D.76.19 308. 2 203. 27 212. 27 50.18 200.4 21.40 • I). 80. 20 • • D. 80. 2! ••• D.80.19 D. 80.16 611.29 360 231.16 262.45 0- 221.44 75.44 169. 32 188. 0 88.40 64. 8 39. 49- 294. 0 14.27 151.29 245.16 276.40 103. 57 _L - cr— 5.— TV w e S-3t> CALCOLI DEL 1611, 75.4-1 203 27 169.32 443.43 360 64. 8 261 31 89 49 865.28 542 31 380 182.31 D. 82.20 64. 8 100.36 39.49 188. 0 202.42 88.40 75.44 46.54 169.32 406.45 8GO 580 43 360 373.28 360 1 •• 1 D 84 21 D.84.19 188. 0 45 24 88. 40 64. 8 201.12 89 49 T). 88.21 I) 83. 19 I) 88. 10 I>.90 20 1). 90. 21 D.90. 10 266. 7 101.21 367.28 3G0 96. 3 50.18 100.10 21.41 310 121.30 207. 9 150. 44 169.32 88. 40 39. 49 14. 27 b) COMPARAZIONE RETROGRADA SENZA PRO STADERE SI (10 Marzo 1611 — 15 Novembre 1610 ). D. 7, li. 1. D. 5. 4 298 34 D 5. 5_ 248. 12 10. 19 258. 31 D.5.8 • • • ••• I). 8.4 T). 8 3 n.8.5 D. 8.8 189. 43 90.48 37. 7 173. 8 33.57 12. 40 10.19 7.12 223 40 101.28 47.26 I). 3, 11. 1. 142.17 33. 57 D 6.8 248. 6 12.40 297. 50 10.19 130 7.12 • D. 12.4 • • D. 12.8 ••• D. 12.5 •> D. 12. 8 28*4. 35 33. 57 135.12 12 40 235.39 10. 19 259. 38 7.12 318.32 147.62 245.58 266. 50 Ex gradibus : demendi videa* tur gr. 15. CALCOLI DEL 1611. 1). 16.0.40. 508 Mas. Gal., P. HI, T.1V*. car. 1 Or. Februarii 23. 1.30. D.27 4.20 ; I). 27.3.20 D. 27 6.20 4. 22. 30 15. 5 114. IH 346. 0 33 57 2 50 227. 0 290.31 349 27 353.41 12 40 1.24 10.32 42 • • 20. 2. 30 20 7.30 20.7.80 D.20.3. 30 73 30 7. 13 290.31 10.32 1. 3 497. 5 360 590.31 360 655.30 860 227 12. 40 2 6 114.18 33.57 4.14 137. 5 230. 31 295.30 152.29 8 29 D 22.4 114.18 47.26 33. 57 195.41 • • D. 22. 3 227 202 42 12. 40 442. 22 360 I). 22.5 290.31 101. 3 IO 32 402. 6 360 D. 22.8 1) 30.4.80 II). 30.8.80 D. 80.5.80ID. 80.8(30) 290.14 7.13 27 35127 1 160 30 33 57 12.38 4.15 2. 6 io: ìiiaxin 114.18 298. 34 25.28 290.31 252.38 8.25 438. 20 3G0 551.34 360 82. 22 160.30 10121 8. 26 270.17 351.27 203 43 25.28 I). 25.4 Mas. Gai, P. IH. T. IV, cmr. IO/. Februarii d. 12.2 ■ ■ — i - s -* i m .rr • • • D. 31.8 I). 31.2 D. 73.30 108. 22 6.19 D. 25.7 0.25. 3 • • D.25.2 227 116. 45 8.27 382. 2 360 COMPARAZIONE RETROGRADA SENZA PROSTAFERESI D. 9.5. [D.] 2, h. 0. 30. . D. 34. 0 a a D. 83. 28 ••• I). 34. 1 ❖ D 34.4 351.27 160.30 75.47 290 15 94 52 41.12 202. 6 86.42 446.19 360 86 19 201.42 2 6 279.59 3.37 380.34 360 20. 34 . :fco ‘f'VjO Respondet optinie. D. 7, h. 1. • [D.] 41.4. 30 a a 41.3.30 41.5.80 • (41 HJ 30 228 36 94. 0 221. 2 147. 0 203.43 101.21 50 32 21 40 33.57 12.40 IO. 32 7 13 4.14 2. 6 1. 3 27 470.30 210. 7 283. 9 176 20 360 14 44 7 21 8; 9 110.30 29 42 195. 23 275. 4K | ì 173. 11 80.48 -P-40 • 3 So ^ -t- )- D.36.4 D. 36. 3 1 fiO. 30 246. fi 12.40 • t D. 30 5 75.47 303. 9 10.32 I). 30.8 Immimiendus est vnotus ... 1 per gr. 11 in diebus 36 fere. (,) 10 CALCOLI DEL J611. I). 27, h. 0. 40. • I). 47. 4.20 • • D.47.8. 20 D.47.5.20 •> D. 47.8.20 228.36 346 33.57 2.50 94 349 27 12.40 1.24 'Wmmm i jÉnW;Ul 147.0 151.43 7.14 18 457.31 360 586.38 360 251 23 97.31 226.38 :r*- « J1_ e Demendum videtur ex : gr. 16 D. 25. 0. 30. • D. 49. 4. 30 • • I). 49. 3. 30 1). 49. 5. 30 V D.49.8.30 228. 36 94 221. 2 147 33.26 192. 9 94.44 195 4 33.57 12 40 10.32 7.13 4.15 2. 6 1 3 24 327.21 349.41 {■•r. 3 2.-5o 3p D. 24. 0.30. • D.50 4.30 m 105.45 27. 30 6.17 3.43 33. 57 16.53 8.25 3.37 4.15 2 6 1. 3 27 143. 57 46. 29 15. 45 7.49 _J38.12 19 10.28 4. 3 105.45 27.29 5.17 3.46 1 Q - ‘ Demendi videntur gr. 17 ex : in diebus 50. ■O- Miw. 0*1., P. Ili, T. IV r , c*r. 14*. 1611. Ianuarii d. 23, li. 3. • D.51.8 • • I). 51. 1 D.51.8 V D. 61.6 105.45 203.43 16.58 27.30 101.21 4 12 349.21 50.11 6.16 3.44 21.41 5.25 326.26 133. 3 405. 48 360 B x-ii y.jp : calculatus est eutn tabula corrocta, signata ««, in qua vide ne nimis sit ablatuin. D. 20, h. 1. • D. 54. 4 • • D. 54.8 D.54.6 ❖ I). 54.8 27. 30 349 21 3.45 94 52 45. 24 200.45 86 42 33.57 12.40 10. 27 7.13 234.34 85. 34 560.33 42.26 21. 6 360 4.31 192. 8 64.28 200. 33 10. 27 190. 6 93.9 r-e 311 in maxima distati •j ;« in maxi! distata ré r. 7? Videtur : aliquid esse adden¬ dum, et niotum tabulae diminutum. esse COMPARAZIONE RETROGRADA SENZA PROSTAFERESI. 511 D. 19.0.30. - • • D. 55.4.30 D. 55. 3.30 P. 55. 5. 80 D.55.8. 80 105.45 298.34 33.57 4.15 27. 30 146.45 12. 40 2. 6 349 21 250 56 10. 27 1. 3 3.45 108.22 7.14 27 442.31 360 1S9. 1 611.48 360 119.48 82.31 251.48 • l * VS 7)3 Mas. Uni., 1». III, T. IV, car. Ur. 1611. lamiarii d. 16, li. 3. • D. 58. 2 • • D. 58.1 ••• l) 58. 3 I). 58 6 105.45 189.43 16.59 27.30 90. 48 4.13 349. 21 41.30 6. 16 3 46 173 24 f>. 25 312.27 122.31 397. 7 360 182. 34 37. 7 Hio :° addendi videntur gr. 7 in diebus 55, vel radicem tarrìio- rem ponendam, vel utrumque moderandum ; quod in sequenti- bus advertetur. D. 17.0.30. • 1). 57.4.30 • • D. 57.3.80 ••• D. 57.5.80 ❖ D.57.8. 80 105.45 27.30 349. 21 3. 45 346. 0 349. 27 351.19 151.43 33.57 12.40 10. 27 7.13 4.15 2. 6 1. 3 27 489.57 163. 8 360 mMÉ mmm 2.15 129.57 31.43 352.10 21.12 10. 32 5.13 21.11 346.57 Hic quoque addendi videntur gr. 6 motui : in diebus 57. - — attendas nunquid [...] motu : demendi sint gr. 3 in diebus 57. ? 4o 4 3 sr Hinc aperte colliges, : et : mo- tibus addendum esse quantum uni minuti elongationis a respon- det, videlicet gr. t1J D. 15, li. 1. • P.50.4 • • D. 59.3 D. 59. 6 I). 59 8 105.45 33. 26 33. 57 27.30 192. 9 12.40 349.21 91.41 IO 27 3. 46 195. 4 7. 14 173. 8 232. 19 451.29 360 206. 3 i 91.29 (l > Rimane cosi in tronco. 512 CALCOLI DEL 1611. D. 14.6. • 1). 60.0 • a P. 60.28 I) 00 1 p 00 4 342.53 315.48 130.13 2. 5 220 30 3.37 132.15 224. 7 4-V> t.ff Ilinc : addendi videntur gr. 12 in diebus 60. Et : addendi vi¬ dentur gr. 16. Ex sequenti vero gr. 7 ineliug. • P. 61.1 • • D. 01.0 ••• D.61.2 p.gi.5 342.53 320 130.13 220 30 203 43 101.21 | 50. 11 21.40 8 29 I2L 21 3G0 4.11 4.31 555. 5 184.34 246. 41 360 195. 5 (il 21 : addendi sunt gr. 7. 1). 5, li. 4. • D. 09 1 • • P. 69.0 •*. P. 69.2 342.58 320 0 130.13 33.26 192 9 91.41 8 29 512. 9 360 152. 9 4.11 384. 48 360 24.48 226. 5 7T& TiS Addo : gr. 8. Mi*. 0*1.. P. Ili, T. IV, »r. 17 1 . 1611. Ianuarii 4. 2. • D. 70 8 • • P. 70. 2 1). 70.4 ❖ D. 70.7 219. 2 254 30 272. 5 77.15 25. 28 8.25 8.22 6.19 244.30 | 262. 55 280.27 83.34 •IO n _«-- ir: 7 D. 11. 2. • D.G3.3 • • D.C3.2 ••• P.63 4 P. 63. 7 342. 53 251. 9 25.28 320. 0 304. 3 8.26 130.13 150.34 8.22 220. 30 65. 1 6.19 619. 30 360 632.29 360 289.19 291.50 259. 30 272.29 Decembris 29. 2. 80. 1). 76. 8. 80 P. 76. 1.30 ! D.76.3. 30, D. 76.6.30 219. 2 254.30 272. 5 77.15 142.17 248. 6 301. 7 130. 3 21.14 5.18 7 19 5.47 382 33 507. 54 580 31 213. 5 360 360 860 22 33 147 54 220.31 Addo : gr. 7, seu move radiceli). ' 3 ° : ~~5 n* e COMPARAZIONE RETROGRADA SENZA PROSTAFERESI. 513 D. 28. 2.30. D. 25.3 • • D. 77.2. 80 • • I) 77. 1.80 ••• P. 77.8.80 D. 77. 6. 80 P. 80. 2 • • P. 80 1 .*• P. 80. 8 I). 80. 6 219. 2 346. 0 272. 5 351.19 77.15 151.43 96.11 16.58 188 4 13 64. 8 6.17 294 5.25 21.14 5.18 7. 19 5.47 113. 9 : 192.13 3 4° a 70. 25 309 25 ■rem™ mam 609 15 360 630. 43 360 234.45 t ^ 226.16 | 249.15 - tu - Ilo • 10 _ Acide : : gr. 8. - - --s-^_ r Mas. Gal., P. Ili, T. IV. car Ut. 1610. • • Xmbris d. 24, b. 2. D. 78.2 P.78.8 219. 2 189.43 16.59 254.30 90.48 272. 5 41. 30 77.15 173.24 ■ 81.8 • • 81.2 • • • 81 4 81.7 4.12 6.16 5.25 96 11 188 64 8 294 425.44 360 319. 51 256. 4 203.43 25, 2* muimm Hi 60 18 8.23 21.40 6. 19 65.44 325.22 297.47 | 122.49 321.59 Acide : gr. 6. S** t-l'u ? i _ A : i / ^_ : S' x t De mota • demendum videtur. D. «8. 0 1 T). 97. 23 150 44 130 . 3 3.37 * D.93.2 I). 93. 0 284.24 833.20 298.84 8.29 610 23 800 121.30 1 - 15.45 2G7.15 2 & 1.23 | 150.44 43. 21 4.31 27 199. 3 Motui : addendi sunt gr. 17 : ex observatione enim fuit vicinior % ipso •, et paulo post coniunoti fuerunt. 333 20 189.43 523. 3 300 121 30 349 27 50. 40 40. 39 503.16 300 L). 91.5.30 150. 44 21.40 4.31 27 177.22 I). 05.1 1) 95 0 Mss. Cini., P. Ili, T. IV, car. 130»*. 1610. Novembris d. 30, li. 3. D. 101.0 D. 100.23 I). 101.1 I). 101.4 210 20 203.42 414, 11 360 28 20 26.40 50. 40 46. 26 • • I). 105. 1 • • I) 105.3 D. 105 6 D. 3, h. 5. D-102.0 D. 101.23 I). 102 1 D.102.4 350.11 100.36 2 . 6 7.29 43.21 3.37 D. 106.0 210. 29 142. 17 352. 46 • • D. 105. 23 55. 0 146. 45 50.41 46.26 • « D.106.1 350. IO 301.49 2 . 6 I>. 106.4 7. 29 130 3 3. 37 516 CALCOLI DEL 1611. D. 28, h. 7. I). 23, h. 5. m fl. 10G.22 • • I). 100. 21 1). 100.28 -- ❖ D 107.2 • l>. 112 0 • • D.111.28 D 112.1 T* D. 112, t 210.29 142.17 186.44 65. 0 248. 6 88 40 350.10 SOL 19 48.12 7.29 151.43 210.29 284.35 55. 0 293.30 101.21 97. 7 350.10 603.37 7.29 260. 6 1.48 495. 4 953 47 _3J7 631). 30 360 891.46 360 700 11 360 161. 0 860 546.58 360 720 271.12 135. 4 233.47 179.30 31.46 340.11 186.58 v a r* \' f 1 li Y Motui : addendi videntur gr. 14. Ilio quoque : . domendum. addendum, et D. 27, li. 5. ! Mas. 0*1.. P. III. T. IV. c*r. 130/. Novembri» d. 22, h. 5. • • D. 108.0 D. 107.23 D. 108.1 I). 108. 4 • • •% * 210. 29 66. 0 350.11 7.29 D. 118.0 D.112.23 D. 118.1 D.113.4 346. 0 248. 6 362. 6 173 24 3 37 210. 29 4 ss 17 55. 0 350.10 7.29 556.29 360 97. 7 2. 6 496.12 143. 1 281.46 400.13 704.23 184.30 698.46 RfiO 97. 6 150.54 2. 6 289.15 196.29 360 360 648.18 360 40.13 344. 23 656.11 3(10 203.27 338.46 39.56 101. si 50.18 288.18 141.34 34 41 296.11 rJ&L !-u> Hic quoque : addendi videntur gr. 15. D. 24, h. 5. D. 111.0 ■ • P. 110. 23 •% D. 111.1 D. 111.4 210.29 55. 0 350.10 7.29 440. 52 293 30 193 19 238.25 651.21 360 97. 7 2. 6 3-37 445. 37 545. 35 249.31 291.21 360 360 85.37 185.35 -, Hic ì addendum videtur gr. 8.30 Ilio pariter : addendum gr. 16. Vt* i- Qw D. 20, h. 5. • 1). 115.0 • • D.114. 23 210 29 535.43 55. 0 293.30 45. 24 97. 6 746 12 720 491. 0 360 26.12 131. 0 D. 115.1 350.10 394.32 2 . 6 746.48 720 26.48 ❖ D.115-4 : addendum esse gr. 15 proxinie, et aliquid etiam :. \#£ COMPARAZIONE RETROGRADA SENZA PROSTAFERESI. 517 D. 18, h. 5. D. 117.0 • • D. 116.28 ••• D. 117.1 D. 117. 4 wMmm ERI Kad 350.10 135. 8 2. 6 7.29 3G8.28 3.37 433.38 360 334.42 487.24 360 379.34 360 73.38 127.24 19.34 Hic si : addantur gr. 16, erit prope £2J-, nec apparebit. D. 15, h. 5. • T). 120.0 • • D. 119.23 ••• D. 120.1 I). 120.4 210. 0 350.10 7. 29 114.18 286 2 73. 29 324.18 277.48 4.11 3.37 640 23 ai. 35 360 280. 23 et forte nuendus. i 10 •> V/U A 'li PROSTAFERESJ ( 1612 - 1616 ). Constat, in coninnctionilms et opposi tio- nibus 2| cmn (£) nullam esse prostaphaere- sim : recedente autem Terra a positu inter¬ medio, fit prostaphaereàs demenda in toto semicirculo orliis magni. '**7 14; £»• V- n, '•? li O 7 • fvfi' /^•v 522 1’. IV, T. VI, c»r. 33i. PROSTAFERES1. [16]U Klonjf • o » *4 detti. Pronta* phor. “ -Z ■ TL Klotig .• © » 0|. Ad. 0 0 0 360 ' 8opt 6 5 0 45 355 23 12 10 1 80 350 17 19 15 »> *. 25 345 10 25 20 3 15 340 4 Sopfc. Octo. 2 25 3 57 335 28 8 30 4 45 380 22 14 35 5 32 325 15 20 40 6 15 320 9 20 45 6 55 315 2 A Cmb. 2 50 n 1 80 1 310 26 « 55 8 16 305 20 H j 60 9 0 300 14 19 1 65 9 26 295 8 26 70 9 50 290 2 lui. Xmb. 1 75 IO 13 285 26 6 80 IO 35 280 20 12 85 IO 51 275 14 17 90 11 6 270 8 22 95 11 18 265 8 Iuu. 27 100 li 30 260 28 Tan. 2 105 li 25 255 28 6 no li 20 250 . 17 12 115 li 5 1 245 12 1 16 120 lo 60 240 7 21 125 10 nò 235 2 ; Mai. 26 130 10 0 230 28 31 135 9 15 226 23 Fohr. 5 no 8 30 220 18 9 145 r* é li) 215 13 18 150 6 so 210 8 ì 18 155 5 40 205 4 Apr. 22 160 1 30 200 aro. 27 165 8 30 195 215 Mar. 3 170 o mé 30 190 l 21 8 175 1 15 185 b' PR0STAFEKES1. 523 Ms». «al., P. IV. T. VI, car. 31(.-32r. 1616 Subtr. Add. Prostnf. G. ' Excessiis prost. 3 357 0 28 0 2 6 354 0 56 0 4 9 351 1 25 0 6 12 348 1 53 0 8 15 345 2 19 0 10 18 342 2 46 0 13 21 339 3 13 0 15 24 336 3 40 0 17 IaD. 3 27 333 4 6 0 19 7 30 330 4 32 0 21 11 33 327 4 57 0 23 14 30 324 5 22 0 25 18 39 321 5 47 0 27 13 22 42 318 6 11 0 29 9 25 45 315 6 34 0 31 5 29 48 312 6 56 0 34 1 »/ f Nor. Fcb. 1 ‘/ s 51 309 7 18 0 36 29 5 54 306 7 39 0 38 25 9 57 303 7 58 0 40 21 12 V* 60 *300 8 17 0 42 17 V* 16 63 297 8 35 0 44 14 li' 1 /* 66 294 8 52 0 46 IO'/» 23 69 291 9 8 0 48 7 2 * AwtJ Mi Évi i v Ci Le cifro di quostn colonna sono cancellate. COMPARAZIONE CON LA PROSTAFERESI. D. 8, h. 7 a meridie. 6. 11.‘20 39. 7 11 . io 39. 7. 200. 2 303. 16 159 24 101.28 50.25 21.38 165. 27 203.50 45.18.20 33.16. 0 39. 18. 10 301.30 353.41 1 181. 2 369.17 360 139.50 107. 28 16. 8 11.18 67.40 42. 3 31.24 11 9. 17 274.17 203.40 477.57 360 202 33 21.32 321.37 245.37 D. 13, h. 7. 5 a meridie. 354.18 16. 8 22 11. 16 60. 18 25 >32 Mas. Oal.i F.UI, T. IV, c»r. 1*01. CALCOLI DEL 1612. I). 19, li. 7. 1 L > a meridie Aprilis <3. 16, li. 7. 9 a meridie 354. 48 64 29 16. 8 26 11.80 204.58 448.4 360 858.60 203.42 331 21 1.55 1.» 657.41 360 392. 4 360 396.32 360 353.21 1U7.41 32. 4 36.32 Sai mP'V'ìH' Éff mmm r ..jl‘l Ik *“ --■ COMPARAZIONE CON LA PKOSTAFERESI. Mss. Gal., 1'. IH, T. IV, cnr. I23r. 1612. Aprilis d. 22, h. 7.19 a meridie. D. 25, li. 7. 23 a meridio. 11.13.20 53. 7.10 605. 25 360 11.10 8. 0 6. 11.20 53. 7.19 52. 7.19 53. 7. 19 53. 18.29 52- 15. 19 59. 18. 39 21.40 352.47 354.48 303.42 100. 31 193.28 75. 56 31.24 16. 8 2. 2 38 35 11.30 11.30 11.30 414.50 496.50 576. 29 180 — 360 180 889.88 77 28 237. 26 79. ;;i 203. 36 101 20 50. 18 _21.31 493.14 360 178.48 287.44 101. 2 133 14 534 Mss. Gal., P. Ili, T. IV. car. I24r. CALCOLI DEL 1612. 1612. Aprilis d. 29, li. 7. 27 a meridie. 11.13.20 31 29. 7.27 11.10 60. 7.27 8 . 0 59. 7.27 6.11.20 60. 7.27 D . 71 20.47 60. 18.37 69.16.27 18.47 199 20 203 25 169. 30 6.39 prost.ll 30 314. 0 75. 56 2. 7 29 11.30 352.47 92.18 31.24 54 11.30 209.45 128.59 16. 8 43 ) 1 . 3< ) 590 24 40-4. 2 488.53 367. 5 360 180 360 180 230.24 224. 2 128.53 187. 5 D. 30, h. 7. 28 a meridie. 230.24 224. 2 128.53 187, 5 203. 35 101.20 50.18 21.31 433.59 360 325. 22 179.13 208.30 73. 59 ~w I). 2, li. 7. 32 a meridie. 277.34 203 45 66 12 101.23 229.31 _50.20 lso7 __21-32 251.33' 4M. 19 360_ 178. 5 279.51 121.19 D. 3, h. 7. 33 a meridie. 121.19 203.40 178. 5 101.21 279.51 50.20 251.33 21.31 324.59 279. 26 330.11 273.10 7 D. 4, h. 7. 34 a meridie. 324.59 330.11 273.1(1 203.40 101.21 50 20 21.31 528.39 380.47 380.31 294 41 860 360 3G0 168.89 20.31 -*— --_ - _L : latitavit in umbra usquein h. 2, et postea apparuit, remota a ')(. centro 3 ; unde inotus eius videtur retraliendus. Maii d. 1, h. 7. 30 a meridie. 73.59 203 35 325. 22 101.20 179 L3 50 18 208.36 21.31 277.34 426. 42 360 229.31 230. 7 66.42 ì t sfa D. 5, li. 7. 36 a meridie. 168.39 203. IO ■20 47 101.21 20.31 50.20 294.41 2IJ 372.19 122. 8 70.51 316. lì 360 12.19 COMPARAZIONE CON MS». 0*1., P IU. T.IV. car. 120. 1612. Maii d. 6, h. 7.37 a meridie. D. 11. 13.20 67. 7.87 67.11.10 7.87 8. 0 66. 7 87 6.11.20 67. 7.37 78.20. 57 67.18.47 66.15 87 78. 18.57 199.20 314. 0 135 21 64.43 187.21 348. 38 301.32 64 29 1G9.30 75. 56 31.24 1G. 8 8. 3 3. 3 1.14 52 pr 09 fc.ll. 15 11.15 11.15 11. 15 752.52 480. 4G 157.27 KH 1 540 360 180 ■ 212.52 _Ci SEI 337.27 TS- W D. 7, h. 7. 88 a meridie. yiiilW 120. 46 50.18 337. 27 21.30 419. 4 3G0 j 314.10 171. 4 358.57 59. 4 Ciò Cllls_ • D. 8, h. 7. 39 a meridie. 59. 4 203.35 171. 4 50.18 358. 57 21.30 262.39 415 28 221.22 380 27 360 360 55.28 | 20.27 D. 9, h. 7. 40 a meridie. 262.39 55.28 221.22 203.25 101.15 50.15 21.27 4G6. 4 360 156.43 271.37 41.54 106. 4 6 CALCOLI DEL 1612. I). 19, li. 7. 51 a meridie, I). 14, li. 7. 46 a meridie a meridie 307.43 178.40 46.50 101.14 177.59 80. 9 1.34 4 pro8t.I0.80 10.30 514.3G 370.37 300 I 180 184.30 190.37 D. 16, h. 7.48 a meridie D. 21, li. 7. 51 a meridie D. 17, h. 7.49 a meridie 90.34 203.25 154.15 D. 18, li. 7. 50 a meridie D. 22. li. 7. 52 a meridie, COMPARAZIONE CON LA PROSTAFERESI. 537 D. 23, h. 7. 53 a meridie. 231.22 203.25 35.59 101.11 204.27 50.12 320.43 21.25 434.47 360 137.10 254. 39 342. 8 74.47 .5- r D. 24, h. 7. 54 a meridie. 278. 2 238.21 304. 51 363.33 360 3.33 Mas. Gal., r. Ili, T. IV. cnr. 125»-. Maii d. 27, h. 7.56 a meridie. Prost. gv. 10. 0'. D. 11.13.20 11. 10 8. 0 6 11 20 88. 7.50 88. 7.50 87. 7.50 88 7. f»0 99.21.10 88 19. 0 87.15 50 04. 19. 10 307.43 178.40 60. 27 184 38 30.46 89. 52 851.47 85.59 177. 59 80. 9 31.24 17. 1 1.25 25 1.52 18 51 prost. 10. 0 10. 0 10. 0 10. 0 528.44 359. 6 455.30 247.53 860 180 360 180 168. 44 179. 6 95.30 07.53 D. 25, h. 7. 55 a meridie. 27S. 2 238.21 304 51 3. 33 101. 8 50. 8 21.20 481.27 360 339.29 354.59 24. 53 121.27 D. 26, h. 7. 55 a meridie. 324.52 440.37 3G0 45. 7 46.13 80.37 1£JL ih. D. 28, li. 7. 57 a meridie. 168.44 179. 6 96.80 67.58 203.19 101.10 50. 3 21.17 372. 3 360 280.16 145.83 89.10 12. 3 D. 29, li. 7. 58 a meridie. 215.22 381.26 3G0 195. 36 110.27 21.26 -r=0^. -yrì st-l D. 30, li. 7. 58 a meridie. 418.31 3li0 122. 36 245. 39 131.44 53.31 i _ TfZ _“ i' - u . tzt * 71 A 245.35 50. 3 Forese tangimt 1). 7, li. 8. 5 a meridie 1612. Iunii d. 3, li. 8. 2 a merìdie Prost. ad. 9. 5 a meridie 106 . 19 .» prost. 0 512 31 360 111 . 0 146. 10 60. 9 50 9 347. 9 ISO 9.29 101.10 260.12 21.23 110 . 39 237 . 9 281.35 I COMPARAZIONE LA PROSTAFERESI. 539 D. 9, h. 8. 6 a meridie. 312.32 101. 6 33G.59 50. 10 323.57 21.19 292.22 53.38 27. 9 345.1(5 •t Mas. a al., P. IH, T. IV, car. I20r. 1612. Iunii d. 10, li. 8.6 a meridie. 292.22 53. 38 27. 9 345 10 203.21 101. 6 50.10 21.19 135.43 154,44 77.19 __ G. 35 7 57 0) Se tangent • et s . D. 11, li. 8. 7 a meridie. 339. ri — ir 255.50 | 127.29 . ... 27.54 4 D. 12, h. 8. 7 a meridie. 182.25 356.56 177.39 48.53 _ 9-13, h. 8. 8 a meridie. 25 46 |' 98. 2 | 227.49 | 70.12 ?- " * rlOrl ( " 0. ss è cancellato, o di mano di Galilro si lofrfro : Kuioudata fuit, cum erro t esset in inostaferosi. D. 14, li. 8. 8 a meridie. 229. 7 | 199. 8 | 277 69 i 91 31 D. 15, li. 8. 9 a moridio. 1). 118.21 20 107. 10. 19 10G. IG. 9 ! 113.19 29 181.51 43.20 345 34 349 35 61.32 348. 38 301.32 279.27 177.59 80. 9 33. 30 17. 1 4. G 1.20 18 26 prost. 8 8 8 8 433.31 481.27 088.54 Wfizwtm mm 180 360 510 73. 31 | 301. il 328 54 114 29 •Z7 D. 16, h. 8. 9 a meridie. 73.81 203.16 301. 27 101. 5 32s. 54 50. 6 114 29 21 21 270.47 402 32 360 19. 0 135.50 42.32 0- 1 D. 17, h. 8. 9. 480. 3 3G0 143. 37 fi» , fi g*r TI*. ^.!Xl' '8 157.11 120. 3 1 1 In tribus praecedentibus cal- j culis prostaferesis debebat esse | gr. 8.30': error tamen est valdo | exiguus. 1 540 CALCOLI DEL 1612. Mas. Gal., P. IH, T.IV, ear. 1271. 1612. Iunii d. 18, k. 8.9 a meridie. 1) 121.21.21) 110.19. 19 109 16. 9 116.19. 29 181.54 43. 20 345.34 349.35 108. 28 292. 20 92. 18 343. 56 203.25 80. 9 33. 30 17. 1 177.59 1.20 18 2G 4. 8 8.15 prost. 8.15 8.15 8.15 684. 4 425.24 479.55 719.13 360 180 360 540 324. 4 245.24 119. 55 179.13 I). 19, h. 8. 9 a meridie. 324. 4 215.24 110.55 170.13 203 17 101. 6 50. 7 21.22 527.21 346.30 170. 2 200.35 360 167. 21 D. 20, li. 8. 9 a meridie. 370. 38 417 36 220. 0 231.57 360 360 10. 38 87.36 D. 21, h. 8. 9 a meridie. 213.55 | 188.42 j 270~16 | 243.llT i.t - » - * -2/. *o * D. 22, k. 8. 9 a meridie. 218.85 188. 12 270.16 203.16 101. 6 50. 7 •117.11 289.48 320.23 860 57.11 204.41 ■—UW 1). 23, k. 8. 9 a meridie. tc-r-—r--^.sc- 260.27 390.54 __860_ 370.30 360 286.3 30.54 10.30 .4^3# ----nV.-te-i *•■*>■>* f D. 24, h. 8. 9 a meridie. 468.48 132. ol 420.37 286.3 360 360 21.21 103.43 60.37 307.24 J -r^=50— tr D. 25, li. 8. 9 a meridie. 300.69 I 233. 6 I llCuTf 328.45 iM 4 s Ma». Gal., P. IH, T.IV. car. 191. 1612. Iunii d. 26, k. 8. 9 a Prost.. gr. 7. 30'._ meridie. 11. 13.20 118. 8. 9 11.10 118. 8. 9 8. 0 117. 8. 9 129. 2129 li . h> 19 117.16. 9 181.54 108.23 30.46 177.59 4 6 prost. 7.30 48 20 382.12 80. 9 1.20 345.34 134.21 33.30 18 7.30 7.30 510. 38 _360 514.31 180_ 521.13 360 150.38 334.31 161.13 6 . 11 ;# 118.J. » 121.19 3 349.35 69.55 85 59 17 , 1 26 __7J 530.26 180 11.46 D. 28, h. 8. 8 a meridie. 556.54 6. 30 6 30 722.50 540 972. 23 720 COMPARAZIONE CON LA PROSTAFERESI. D. 27, h. 8. 8 a meridie. JD. 2, h. 8. G a meridie. 161.13 I 350.26 2S9.10 Iulii d. 1, li. 8. 7 a meridie. I). 13, li. 8. 1 a meridie, 4. 0 | 252.24 | 290.58 \~ D. 14, li. 8. 0 a meridie 353. 25 340.59 143 . 19 . 1 » 11.10 •8. 0 107. 7.59 13G. 7.59 137.19. 9 130.15.59 43.20 345.34 157. 0 67.40 348 38 301.32 80. 9 31.24 38 2. 4 5.30 5.30 635.15 540 753 44 720 CALCOLI DEL 1613. COMPARAZIONI RETROSPETTIVE. Un. Cai., P.m, T. IV, car. 11*-. 1610 Februarii d. 11, h. 1 ab occasu, idest h. a meridie 6. Q in 23 «sj. Are. 5. 2'. Qf. in 11 X- Prosi 11 . 25. D. 16.18 365 61 4.23.25 16.18. 0 865 61 4. 5.26 16.18. 0 426 4. 16. 30 16.18, 0 420 5 10.47 •147. 10. 30 448. 4.47 447. 17.25 446.28.86 208 44 200. 53 351.43 20. 56 1.13 318.21 130.50 171.58 3.35 42 7.36 216.46 343.56 144. 5 2.50 42 190.28 91. 2 247.40 97. 1 1.24 25 882.29 731.25 634. 26 371.25 715.55 371.25 628. 0 371.25 151. 4 263. 1 344.30 256.35 1610 Februarii d. 7, b. 1 ab occasu, sed a meridie li. 5. 50. Prost. 11. 20’. 451.17.15 450.23 16 451.10.20 452. 4.37 7.37 190.28 298.44 318.21 90.57 23. 48 352.20 354. 48 203.25 50.14 43. 0 144. 5 2. 7 1. 7 20. 56 3. 35 ifl 40 34 448.11 371.20 722.54 720 18 371.20 371.20 76.51 352. 34 348.58 I). 8, li. 1. ab occasu, idest h. 5. 50 a meridie. 283. 9 5S 56 7.26 II. 2 203.25 101.17 50. 14 21.30 126. 34 160.13 57.40 32.32 _ ^- 0 .♦. demendi videa tur gr. 6. Idem videtur ex die 20 Ianuarii. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. II». 1610. Ianuarii d. 20, h. 1.30 ab occasu, sed a meridie h. 6. 0. 0 in 0. Are. 4. 32'. Q)- in 11. X. Prost. 10. 5'. 10. 18 10 18. 0 464.18. 0 464.18. 0 805 89 4. 23. 25 454 4. 16. 80 5. 10 47 4 5.26 468.23 26 469 10 30 470. 4.47 469 17.25 1 2<>8.44 318.21 100.28 316 34 134.49 92 13 64.43 3 35 00.12 20 56 41 97. 1 1 1.50 696. 5 370. 5 326. 0 A: . 547.42 1 370. 5 387.20 370. 5 17.15 511. 9 370. 5 141. 4 177.37 hi. 72 CALCOLI DEL 1613 1610 Februarii d. 15, h.lat occasu, a meridie vero h. 6.20‘ D. 21, h. 0. 45 ab occasu, a me ridie vero h. 5.15. 1610 Ianuarii d. 27, li. 1.20' ab occasu, idest h. 6 a meridie. 0 in 7 Are. 4.4. Di in 11 ir. Prost. 10.3. Die 20, h. 22 a meridie, fuit in auge vera, sed in auge media die 21, li. 9. 20' a meridie. M»s. Gai., P. Ili, T. TV, car. 12r. 1610 Februarii d. 12, h. 0.40 ab occasu, a meridie vero 5. 44'. 218.56 34 . 0 182.23 342 45 42 23 21 . 5 10.28 4 . 20 261.19 55 . 5 192.51 347.14 COMPARAZIONI RETROSPETTIVE. 547 Msj.Cial., P.I», T. IV, car. 12/. 1611 Martii d. 26, h. 0. 40 ab occasu, a meridie vero h. 7. Q in 5 ©. Arc - 6 - 22 ‘ Qj. in 15 Prost. 11. 30. 4.17 30 4.17 84 4.2G 4. 17 84. 16.30 4. 17 85.1047 88.21.26 89. 9.30 40. 8.47 39.10. 25 158.17 90.12 88.35 67. 24 92.13 18.51 139. 50 2.41 42 342.34 30.46 135.36 2.50 42 mm 1 113.13 11.30 338. 54 179.38 ■fi rjr- 11.30 327.24 168. 8 1611 Iunii d. 14, h. 0. 30 ab occasu, a meridie vero h. 8. 6. O IT 23. Arc. 7. 36. 9). @ 26. Prost. 5.15. 26. 0.85 26.19.84 26. 7.38 25. 13. 13 14. 8. 6 14. 8. 6 14. 8. 6 14. 8. 0 40. 8.41 41. 3 40 40 15. 36 89.21. 19 216.46 91. 2 209 44 284.53 187.21 101.17 31.24 193.28 5.47 12.39 1.13 18.48 2.49 5.15 5.15 5.15 354.45 247.36 502. 24 44.39 360 1 \ 142.24 1 4+2L • T^3 - f<9 1610 Februarii d. 8, li. 1. 20' ab occasu, a meridie vero h. 6.10. 0 in 19 «ss, Arc. 4. 56. Q{ - in 11 Jt. Prost. 11. 15. 17.44 ! 1. 5.30 I I). 1.23 14 203. 25 194. 57 1.25 34 400. 21 371. 15 29. 6 203. 25 232. 31 Mas. (ini., P. HI, T. IV, car. 23»-. 1611 Maii d. 9, h. 1 ab occasu, idest li. 8. 8 a meridie. 0.85 4. 19.34 4. 8. 8 8. 8 4. 8.43 5. 8.42 93. 41 146. 24 67.48 12.39 5.39 2.57 9.25 9 176. 33 171. 0 Hinc radix vi- detur promovenda li.l,nempe in h. 5.26 diei 4 Maii 1611. 1611 Àprilis d. 29, h. 1 ab oc¬ casu, idest h. 7. 55' a meridie, ©tf 8. Are. sem. 6. 55. Qj. 0 18. Prost. 9. 50. 8,16. 5 4. 26 16. 5 4. 4.26 16. 1 b 4.28.25 3.20.31 4.20.31 5 15.30 250.15 45. 6 93.41 169.30 84. 22 135.36 4. 22 2.11 229 17 203. 25 424. 7 131.39 369.50 9.50 432. 42 54.17 121.49 CALCOLI DEL 1613. 548 ~)3r 432.42 ai',). 50 62.52 297. 6 127. 8 4.14 428.28 369. 50 58.38 Mail d. 1S, li. 1 ab occasu, a meridie vero h. 8.12. © 'q' 22. Are. seni. 7. 12. 9|_ © 20. Prosi. 8. 45. 0. 0 35 19. 8l 7.30 13. 13 . ; . 8. 8. 12 8. 8. 12 8. 8. 12 7. 8.12 8. 8.47 9 3 46 | 8. 15.42 7.21.25 1S7.21 191.31 41.59 150. 28 07.48 12. 39 31.24 18.48 5. 39 2. 29 1.24 18 • no 25 4.29 8 45 8.45 1 8 . 45 8 . 45 270. 32 215.49 83. 32 182. 48 JT-Jo Ex hac quoque observatione radix : promovenda videtur in ho- ram 5. 26. Mas. Gal., P.III, T. IV, onr.SK. 1611 D. Maii 4, h. 1. 30 ^ occasu, a meridie vero li. 8,30 © in 13 'Q'. Are. seni. 7, 0', 2j-in 19 @. Prosi. 9.30. 26. 15. 30 245 17. 10. 40 26. 15.80 245 28.12.50 26.15.30 215 29.15 289. 2. IO 300. 4.20 BOI. 6.30 3.49 144.11 312.57 73.31 10. 52 50 14 30. 46 1.24 1234 l(i. 57 1.25 162 37 1 170 30 376 45 126.28 ■ - 9.30 9. 30 333.7 367.15 116.58 : fuit 360 Fuit in auge 07.15 i in auge ante i fuit in post h. 13.48. li. 6.22. auge post 26 . 15 .» 245 22.1 U 294. Ili 563.32 549.30 14.2 Post b. 15.40 fuit in auge, Maii d. 6, h. 7. 32 a meridie. 0.35 1. 7 32 [>. 19.34 1. 7 25 1. 7.80 7.32 13.13 7j I). 1. 8. 7 j I) 2. 2.59 1.16. 2 0.20.45 203. 25 67.48 1 202.34 12.35 9.25 50.14 31.24 4 17.51 35 4 9.20 y, u 272.13 9. 25 224.Ut 91. 7 27.59 281.33 ! COMPARAZIONI RETROSPETTIVE. 54!» 1611 Maii d. 8, li. 8.6 a meridie. 0. 85 8. 8. G 3 8-11 2'<0 -15 07.48 5. il 9 332.50 Mm. Gal., P. Ili, T. IV, cnr. 20;'. 1612 Felliniani d. 23, li. 0. 30 ab occasu, a meridie vero li. 5.13. 0 in 4 X. 4.43'. Qj. inl9£>. Prost. 3.30'. 13.20 18 47 5. 5 13 4. 12.50 5. 18.33 5. 7.37 146.10 29. 32 4.14 2.37 25 prost. 3.30 178 19 3.30 457.49 360 174.49 180 97.49 33.54 5.11 4.14 19 135 57 24.11 42 24.11 136.39 21 24.32 1612 Martii d. 13, li. 4 ab oc¬ casu ,sed a meridie li. 9. 50'. O in 23 )(. . ~ 5.50' 9|. in 17 g). Prost. 7. 50 add. 11 13.20 13. 9.50 11. 10 18. 9.50 24.23 10 13.21. 0 1 108.12 93.41 194 57 1.25 292. 20 303. 42 88. 35 ! 7.50 prost. 7.50 406.16 360 692. 27 540 152. 27 46.16 14. 8 7. 2 159. 25) 60. 24 Post h. 1. 40'. 1612 Martii d. 14, h. 0. 30 ab occasu, idest a meridie li. 6. 22. Prost. 8. 11. 13.20 14. 6.22 11.10 14. 6.22 8. 0 13. 6 22 0 11.20 14. 6 22 25. 19.42 14. 17.82 | 13. 14.22 108.23 297. 6 161. 2 5.39 8.17 292.20 44. 56 71.43 2. 15 8 142.33 150.46 29.18 8.44 69.55 15 14 8,38 330.21 5.11 93 47 180 580.27 360 419.14 180 335 32 273.47 220. 27 21.11 239.14 10. 33 241.38 249. 47 —SS • — A • • H - r -- 550 CALCOLI DEL 1613. 1483.0*1., P.HI, T. IV, f#r.20(. 1611 Maii d. 6, h. 0. 30 ab oc¬ casi!, a meridie vero h. 7. 35. O in 15 b'- 7 - 5 24.16.2» 24.16. 25 245 245 17.10.40 2B 12.50 287. 8. 5 298. 5.15! 3 49 86. 40 73.31 111. 0 343 56 89. 52 25. 26 21. 5 42 1. 3 447.24 309.40 369.21 189. 21 78. 4 120.19 vs: 1613 lanuarii d. 5, h. 11, 38 a meridie. 146.23 46.24 2. 7 34 251.43 447.11 371.20 107 28 1) 51 34 57.13 175. fi 11.21 Mas. (lai., r. Ili, T. IV, car.22r, 1612. Xmbris d. 17, h. 15 a meridie. 11. 13.20 I 275. 11.10-274. 8. 0| 6.11.20 804 4.20 316 18 11.20 303.48 8. 2fi 42 520 57 191.20 329. 21 202.12 50. 14 48. 10 629. 57 371.20 29 0. 2.20 339.11 134.38 193.28 1 47 18 1). 18, li. lo. i a meridie, 11. 13.20 275 « n • y* a m 275 11. 10 1 18. 15.37 ] 274. 8 18.15.37 18. 15. 31 oo i o a ** ! (\Af à V M fiVti d. 4 i ! 292.23 87 805. 4. 5 1 185.43 297. 6 33. 54 7. 3 i .10. 14 114. 50 45. 6 8.26 2.49 329 21 202 12 100.30 48.10 1.15 1 30 /ìqi no 524 46 o*7 1 on 266.55 l)o 1. 371.20 o7i. 20 191.20 310. 8 153.26 75.35 6.U.S) 275 _ 18- 300. 331.21 i9i.a 140,4 Mso. G»l, P- IH. T. IV, c»r. 2’fc 1611. D. 27, h. 0.30' ab occasu,Martii, hoc est li. 6. 39' a meridie. 8.17.21 809. 17.21 | 309 17.21 309.17.21 806 28.12.50] 29.16 22.12,0 i7.io.4o .Tir-rTr.—— 327. 4._J_ 85 13 lut> 33 343 56 33. 54 8 672.14 371.30 300.44 2g. 12,46 332. 6. I 314. 5 67.24 92.13 25.19 18.51 _46_ 42 418.55 19L30 227.25 I 121.45 110.31 495.55 120.25 : yu COMPARAZIONI RETROSPETTIVE. 501 D. 28, li. 6. 40 a meridie. 59.16 132.32 238.15 249.29 203.30 101.19 50.15 21.30 262 46 233 51 288.30 270. 59 25.26 12 39 6.11 Msa. Gal., P. Ili, T. IV, car. 25r. 1611. D. 6 Mail, h. 0. 30 ab occasu, quae fuit h. 7. 32 a meridie. Prosi. 9. 25. 24 16.28 215 28. 12. 50 24. 10.28 245 29.15 208. 5.18 299. 7 28 Mw. Gal., P. UT, T. IV, car. 24»*. 1612. 9mbris d. 27, h. 19 a meridie. 290. 3. 6 1301. 5. 1G 302. 7.20 295. 5. G 144.11 101.17 21. 5 1. 7 312.07 100. 30 14 39 53 428.59 369.36 339.11 134.28 107. 28 4.29 5 685. 40 549 36 36. 4 \ • • •. ,-i^ 552 CALCOLI DEL 1613. Mas. Gal., l\ III, T. IV, cnr. 25*. Xmbris d.4, li. 19 a moridio. 11.18.20 8. 0 6. 11.20 275 274 275 4. 19 4. 19 4. IO 291. 8 20 279. 8 0 286. 6.20 3.49 829.21 339 11 307.43 277.18 279. 40 203.25 92.13 128.59 67. 48 6 17 4.29 2. 50 705. 9 870 25 18 585. 35 752. 37 370 25 334.44 550 25 215. 10 » 202. 12 _54 203. 6 Xmbris d. 5, h. 19 a meridie. 11. 18.20 275 5.19 8 271 5. 19 292. 8.20 280 8 3 49 307. 43 46.50 67.48 _2. 50 329. 21 59 4 [ 6 17 395 22 370. 30 429. 0 370. 30 24. 52 58. 30 1G12 Xmbris d. 12, b. 15 am . ridie. 299. 1. 20 3. 49 307.43 30.46 33. 54 2.50 379. 2 370. 51 8.11 260.23 16.57 329.21 5.39 69.44 8.11 301.29 30 47 48.10 8.29 738 44 39.16 730 51 7.54 5.31 _U 13.15 Al 1531 JLH 42.5 7.64 16.11 JJO -J. Lo 'ipSf m & 1G12 Xmbris d. 16, b. 15 anie- ri die. 6 12 4 43 COMPARAZIONI RETROSPETTIVE. 553 Blu. Gal., P.IJI, T. IV, car. 104r. 1612 Xmbris d. 27, h. 16 a me¬ ridie. Q in 6 Ai’c. 4. 24'. % { " __ 11.11.15 1G 14. 12.57 1G 14.17.28 16 15. 9.25 16 15. 3.15 15. 4.57 15. 9.28 16. 1.25 531.17 25 26 1.25 439. 12 16 52 3.21 392.42 52 18 57 343 56 54 27 42 30 412.31 371.30 345.17 11.30 658.50 459.55 371.30 191.30 41. 1 333.47 187.20 268.25 D. 29, h. 19 a meridie. Prost. 11.28 16.11.15 1G. 12.57 16.17.28 17. 9.25 19 19 19 19 17. 6.15 17. 7.57 17. 12. 28 18. 4.25 218. 7 281.41 142. 28 214. 58 50.51 29 32 351.43 171.58 1.25 3.31 25. 8 3.35 42 30 57 13 271. 5 215.14 520.16 390. 44 11.28 11.28 371.28 371.28 259.37 148.48 19.16 D. 30, h. 19 a meridie. 259.37 203.25 Hi) H H 148. 48 50.14 m 199. 2 /'M* _ ( ; fa- S3o , ' 1 Rimano cosi senz’altro. Ili, 1612 Xmbris 27, li. 16 a me¬ ridie. 24 1085. 16 1085.16 1 ics:. 10 305 805 304. 27. 16 238. 5 238. 5 182. 4 280. 49 280.49 59.19 305 23 305 23 279.14 1085. 10 146 23 67. 30 122 251 42 33.30 232 107 28 14 20 imi iq 994. 7 731.30 1138. 9 | 1091.30 Il 11 i. *io 731.30 I 280.18 51.45 262. 37 46.39 | 332. 3 Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. IOIt. 1613 II. 2 Ianuarii, li. 15 a meridie. O 12 PS- 4. 25'. 91- 26 1!P. 18 11.15 2. 15 e&qni ! ■ - ajB IL Bm \ V - ■ ■nirppi 21. 2. 15 21. 8.57 21. 8.28 22. 025 . 108.23 203.25 16. 57 225. 31 101. 17 «s 12. 39 284. 50 50.14 16.45 69. 49 21.30 13 1. 25 42 3.31 30 40 17 91.32 11.25 330.52 11.25 343. 28 191.25 352.46 11.25 80. 7 21.30 319.27 152. 3 341.21 101.37 D. 3, 1 i. 15 a meridie. 319.27 203.25 152. 3 101. 7 341.21 50.14 WEB 162. 52 31.35 101.37 21.30 1 123. 7 .ti 7~i 4o 73 554 CALCOLI DEL 1613. Mm. (•«!., P. Ili T IV, e«r. IMM. 1613 Ianuarii die meridie. Caleulatur radix. 1). 4, h. 15 a meridie Sunt a radice altissima hutus- quo dies 1089. 1613 Februarii d. 1, h. Ida meridie, quae bora erit ab occast 0 5.4. Are. h. 4.56. Prost. 9,6 d 1613 Ianuarii d. 5, h. 11 a me ridie, quae est ab occasu 6. 34. nempe li) 4 238. 5 260.49 305.21 73.31 238. 5 280.49 305.23 80 46 182. 4 59.19 279. li 33.33 191.29 92.10 193 23 153 54 122. 226.20 5345 971.43 939.27 1137.13 720 720 1060 251.43 219.27 57.13 162 52 253. IO 81.35 123. 7 203. 25 101.17 50 14 21.30 6.17 354.27 81.49 | 144.37 P. 81. 10. 0 31.10. 0 31.10. 0 II. 10.) 842.34 158.17 67.15 284.44 203 26 101.17 50.14 21.30 84.45 4211 20.5G 8.57 156.54 251 43 219.27 57.13 787.38 553.28 357.52 372,24 729. 6 369 6 9. 6 369.3 58. 32 184.22 348.46 3.18 4 48 53.44 8.44 1091.11 1094.1li 238. 4 280.49 238. 6 280 49 114.50 201.54 45. 6 200.58 : 46.24 23. 2 1 122 16 , 20 | 804.30 1318.62 731.20 1091.20 73.10 122.32 354.27 1 PUHMVSHB € W JTt 81.49 101.12 50 1 1 95.39 | 132. 3 COMPARAZIONI RETROSPETTIVE. Post 1.2C>. 58 32 184.22 848. 4G 3.18 12.11 G. 2 2.50 54 70.43 190.24 351. 45 23 4.35 D. 2, h. 10 a meridie. 58.32 184.22 348. 46 3.18 203.25 101.17 50.14 21.30 261.57 285. 39 399. 0 24.48 360 39 to,.sr '1\ si ' 9 ^ /.Jo Post 2 h. T). 3, h. 10 a meridie. 261.57 285. 39 39. 0 24 48 203. 25 101.17 50.14 21.30 105. 22 2G.5G 89.14 46.18 »7.fV Posth. 1.30. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Mas. Gal., P. III. T. IV, car. 131. I).13, h. 6 a meridie existimata. 1610. Ianuarii d. 7, in meridie. 27.53 203. 25 D, 24 865 80 482.23.25 7.37 73.31 46.50 194 57 2.50 42 478 4 5.26 478 4 16.30 482.5.26 482. 16. 30 190.28 182. 4 202.33 21. 5 1.24 25 298.44 59.44 100. 30 33.30 1 720 597.59 720 493.28 478 5. IO. 47 317. 15 279. 27 64.29 8.57 42 720 670. 50 Ianuarnd.12, h.1.20 ab occasu, idest h. 5.45 a meridie, o in 22 fò. H. 4. 25. 2|, in 12 Jl. Prost. 8. 30. 5.5.45 5.5.45 5. 5.45 146.23 21 5 251.44 107. 28 2.49 10. 28 4.29 21 1.30 40 122. 0 226. 32 49.10 8. .30 8.30 8.30 301. 8 498.44 360 170.17 138.44 - 7*15 301. 8 101.17 402. 25 360 138.44 50.14 188.58 170.17 21.30 191.47 2 35 7.30' © 187.21 59.20 4.14 9.10 33. 33 8. 7. 30 90.12 29.32 2. 7 9. 10 122. 0 41. 59 14. 39 1 9.10 22G.32 171.58 6.16 27 9.10 49.10 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 560 Mw.tisl.rP. in, T. IV, car.lOr. 1610. lanuarii d. 16, li. 1 ab occasu, idest h. 5. 30' a meridie. 0 . 5. 80 0. 5. 80 0 . 5. 80 9 . 5 . no 30 46 191.29 92.18 193.28 42. 23 21. 5 IO 28 4.29 4.14 2. 7 1 27 9.15 9.15 9.15 9.15 33 33 122 226 32 49. IO 120.11 315.50 339. 28 256.49 -T D. 10, h. 2 «ab occasu, idest^ 6. 32' a meridie. O 29 9I-11X. Trosfc. 10 . 12.6 82 12 0. 82 12.6.32 lli| 281. 2 50.51 4.29 10 33.33 292.46 202.53 25.19 2.15 10 122 142.28 100.30 12.34 1. 4 10 226.32 2M 6,1 W 3 10 JS 879 55 360 654.25 _860_ 493. 8 360 322 (! 19. 55 294.25 133. 8 19.55 26 26 133. 8 6.17 45.21 139.25 D. 17, h. 0. 30' ab occasu, a me ridie vero 5. 0'. 17. 8 83.33 577. 31 360 217. 31 40 257. 31 8. 29 2 02 ••• 1 65 .36 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 561 Mae. Cui.. P. IH, T. IV, car. I0e. 1610. Ianuarii d. 21, h. 5. 10 a me¬ ridie. 14.5.10 14.5.10 14.5. 10 14. 5.10 292.46 142.28 214.58 687.52 45. 6 200.59 85.59 42.23 21. 5 10.28 4.29 1.25 42 20 9 10.10 10.10 10.10 10.10 33.33 122. 0 226.32 49.10 774.23 491.49 590.57 364.55 720 360 300 3G0 54.23 131.49 230.57 4.55 D. 22, li. 6.40' a meridie. 15. C. 40 15.6.40 15. 6.40 15.6.40 234.11 292.46 142.28 214.58 297. 6 146.27 251. 4 107.28 50.51 25.19 12. 34 5.22 5.39 2.49 1.20 36 10.15 10.15 10.15 10.15 33. 33 122. 0 238. 32 51.45 631.45 599.36 656.13 390. 24 360 360 360 360 271.45 239.36 296 13 30.24 271.45 239.36 296.13 33.54 16. 52 8.23 305.39 256.28 304.46 D. 23, h. 5. 30' a meridie. O 3 «cè* H. 4. 35'. 9J_ 11 X- 10.10. 16. 5. 80 16.6.80 16.5.30 16.5.80 234.11 292. 46 142.28 214.68 42. 23 247. 40 301.29 128 59 140.31 21. 5 10. 28 4.29 4,14 2. 7 1 27 10.10 10.10 10.10 10 10 33.33 122. 0 238.32 61.45 465. 32 695. 48 704. 7 410.48 360 360 360 360 105.32 335.48 344. 7 60.48 38. 8 J'-ID D. 24, li. 11 a meridie. 17. 11.0 17. 11.0 r=-;--tr 17. ll.o . —* 17.11.0 93 14 281.41 134.12 365. 56 218. 7 46. 24 23 2 9. 51 10.15 10 15 10.15 10.15 33. 33 122. 0 238 32 M *L 355. 9 21. 5 46. 1 76.67 101 35 33 143. 40 in. 74 562 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Ma». Gal., P. Ili, T. IV, car. 13r. 1610. Ianuarii il. 25, li. 6. 80' a me- 80, h. 1 ab occasu i 5. 44. © in 10 4,44 2j- ^ 11 X- 10.50. Februarii d. 1, li. 6.48 af 18.0.80 13.6. 80 18.6 80 18. 6.80 01. 32 382 58 lai. 26 386 56 50 . 5i 25.19 12. 34 5. 22 4.14 2. 7 1 27 IO. 20 IO. 20 10. 20 10 20 33.33 122 238 61» 48 100. 30 542:44 438.20 454.50 3(50 360 | 860 182.44 78. 20 | 94.50 23.5.44 23.M4~[ 225.31 28T.56 303.50 150.44 21. 5 10.28 2.49 1.28 17 238 10.50 10.50 122 Od G86.22 uyt). 2o 3G0 3G0 32G. 22 336.2G 355 27 279.45 126. 30 115.26 204 50 102. 0 50.34 21.39 560.17 381.45 177. 4 137. 5 360 360 200.17 21.45 v \'V ■» » Big rr^v 1 ì, inVttM»* D. 26, li. 5. 30' a meridie 160. 30 182.44 78.20 5 194.57 97. 1 48. 10 ( à 355.27 279.45 1 126.80 11 1 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Mm.G. 1, P. IH. T. IV, car. 135/. 1610. Februarii d. 2, li. 7 ab occasi:, sod a meridie h. 11.48. 0 in 13 '-^3. Are. 4. 48. 9|_ in 11 X- Prost. 11. 2. 26 11.48 26.11.48 8$. 11,48 | 26.11.48 Februarii d. 8, li. 1 ab occasu, idest a meridie h. G. 0 19 Are. 4. 5G. % 11 JC. Prost. 11.20. 108.23 140.31 93.14 5.39 1 . 8 225. 31 247. 40 46. 24 2.49 34 284.56 301 29 23. 2 1.20 17 11. 2 238 69. 55 128. 59 9.51 11.43 2 51.45 1). 32. 6.0 82. 6. 0 32.0.0 32. « 0 342. 34 158. 17 67 24 284 53 46. 50 202. 33 100 30 43. 0 50. 51 25.19 12.34 5. 22 11.20 11.20 11.20 11 20 33 33 122. O 238 51.45 485. 8 519. 29 429.48 396. 20 360 360 360 360 342.34 297. 6 50.51 11.22 33.33 735.26 720 458. 21 360 581. 4 3(50 284.53 107.28 5. 22 11.22 51.45 460. 50 3(50 I). 3, li. 7 ab occasu, sed a me ridie h. 11. 50. 33.30 203. 15 296. 0 101. 28 140. 6 50.21 272 15 21.35 237.15 397. 28 360 190. 27 293.50 37.28 j? ! é OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 564 Ma». 0*1., F. Ut. T. IV, c»r. 132r. 1610. Februarii d. 13, li. 0.30 ab oc- casu, a meridie vero 5. 33. 0 in 24 Are. 5. 3. % in 11 ft. Prost. 11.24. 87.5. 88 87.5.88 87 5 ns 37.6 83 342.34 158.17 67.21 ! 284 53 343 56 348.56 351 43 150.28 42.23 21. 5 10. 28 4.29 4.30 2.20 1. 6 29 11.24 11.24 11.24 11.24 88.33 117. 0 238 61.45 778. 20 669. 2 680. 5 503.28 720 360 360 360 58.20 299. 2 | 320. 5 143.28 1610. Februarii d. 27, h. 1.40,^ h. 7. 5 a meridie. I O 8 X. ! % 12 X* Prosi. 11.16 ai 24 27.7.6 I) 51.7 6 51.7.5 51.7.5 jUl 90.57 23.48 352. 5 354.3( 203.25 101.17 50.14 21.3) 59.20 29.32 14.39 42 21 10 1 11. If 11.16 11.16 11.16 38.33 122 226.20 J1.J5 399.13 3(i0 288.14 654.44 360 44545 360 39.13 1 294.44 85.8 312.34 30.49 50.51 42 11 27 33 33 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 5 H 5 Mss.Gal., P. HI, T. IV, cnr. 1334. 1611 Martii d. 15, h. 0. 30 ab occasu, a meridie vero h. 6.21. © [in ...] K• Are. 5.51. Qj. in 14 Prost. 11.20'ad. 24 365 23 15.6.21 432.6.21 132 6. 21 432. G. 21 432.6 21 7.37 190.28 298.40 317.15 342.34 158 17 67.24 284 53 46 50 202.33 100.30 43. 0 50.51 25.19 12.34 5. 22 2.58 1.28 42 19 11.20 11.20 11.20 | 11.20 33.33 122 232.32 | 51.45 495.43 711.25 723.42 713.54 360 360 720 360 135.43 351.25 3. 42 353.54 r D. 14, h. 0. 40. 135.43 203.25 351.25 101.17 363.42 50.14 353. 54 21.30 292.18 250. 8 313. 28 332. 24 _ c 292.18 33.54 250. 8 16. 52 313.28 8.32 333.24 3.35 326.12 267. 0 336.59 1611 Martii d. 14, li. 1 ah oc¬ casu, idest h. 6. 50 a meridie. Prost. 11.17. 431.6 50 IBI 6.60 431.0 50 48! 6 60 7.37 100.28 298.44 BIT . 15 342 34 158 17 67.24 284 48 203. 25 101.17 50. 14 21.30 50. 51 25.19 12. 34 5 22 7. 3 3.31 1.40 45 11. 17 11.17 11.17 11.17 _33. 33 122 232 51 45 656.20 612. 9 673. 53 692 42 360 360 360 360 296. 20 252. 9 313 53 332.42 12.39 6. 17 2 11 264.48 320.10 335.23 206.38 67.10 f >0 14 12.34 1.40 11.17 232_ G 71.33- 0 - L —: 360 P . fo ~, ‘ 311.33 Mas. Gal., V. Ili, T. IV, car. 18Ir. 1611 Martii d. 27, li. 0. 40' ab occasu, idest a meridie 6. 50'. © in 6 r p. Are. 6. 9. 9j. in 15 @. Prost. 11. 28 ad. 24 805 28 27.6. 50 444.6 50 sss- 1-—| 444.6. 50 i 444.6. 50 444.6.50 7.37 190.28 296.38 316.17 216.46 91. 2 209.41 139.37 93.41 45. 6 200.58 85. 59 50. 51 25.19 12.38 5. 22 7. 3 3. 31 1.40 46 11.28 11.28 11.28 11.28 33.33 122 232 51.45 420.59 488. 54 965. 3 611. 14 360 360 720 8(50 60.59 245. 3 251.14 566 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Eadem quae sopra. 8. 17.10 8.17.10 366 366 214 244 12.12.45 12 11. 8 626. 5.55 626. 4.18 7.37 173. 20 3.49 86 40 108 23 224. 40 42. 23 247.24 7. 3 16 f>2 42 55 169 57 749.51 11.28 781.38 158.29 140.31 18. 28 180 18. 23 299 . 0 181,87 12 32 43 Msb. (ini., P. Ili, T. IV, e*r. 311. 1613. • Ianuarii d. 5, li. 7. 12 al) oc¬ caso, a meridie vero li. 11.38, quae fuit ab orto i)|. h. 1.12. Prosi. 11. 21' doni. I)ies ab altissima radice 1094. 11. 38. 19. 4 307. 13 93 41 93.14 4.14 1. 8 33. 33 238. 5 238. 5 114 50 45. 6 46. 24 2.41 122 280.49 280 49 201. 54 200. 58 23. 2 1.17 226 20 305.23 305. 23 134 11 85. 59 9.51 61.45 552. 37 371.21 807.11 731.21 1215. 9 1091.21 892.32 731.21 181.16 poste. 18 ^ ^ 75. 50 26. 36 123.49 13. 10 161.11 84 102. 26 136 59 161.45 5.38 234.10 1 167.23 post h. 0.18. a- w •• -£ Hic aut addendi videnturgr.i ex tabula *, aut eius radix ,!■ tissima reponenda in gr. 53.45 aut utrumque moderandum. Pro mofcus eius bene couveni cum Buperioribus computi», il nempe radix altissima pon¬ ili 226. 20 gr. Calculoturper radicesanniltli Februarii. 11 .13.20 806 5.11.88 0.11.10 306 5.11.38 8 305 5.11.38 m 306 5.11.1? 828 0 311.22.48 310.19.38 3 \m 185.48 142. 51 312.30 327.11 108. 23 394.13 142.25 m 250.15 92.48 39.47 18.13 7. 3 1 . 8 2.49 1.17 il 34 495.59 371.21 710 li 552. 32 633.15 1 1. a 551.11 371. 21 371.21 121.38 ieo.il 181.11 261.54 180 81.54 Ianuarii d. 6, h. 11.38 a n» ridie. 181.16 208.28 75.50 101.17 123.49 60.14 I61.fi a» 884. il 177. 7 174. 3 360 24.41 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613 567 Mas. Gal- P. Ili, T. IV, car. 2U. 1613. Februarii d. 1, in ipso meridie. 0 in 12 Are. 4. 50. 0J. in 26 1}p. Prosi. 9. 6 de. 18.11.15 31 1 18. 12. 57 31 1 18.17.28 32 19. 9.25 32 50.11.15 50. 12.57 60. 17.28 51. 9.25 90. 57 23.48 352. 5 354. 34 93.14 50.37 25. 8 21.30 1.25 3.31 8. 4 42 30 57 22 186.18 78.2(5 388.38 384. 30 9. 6 9. 6 369. 6 369. 6 177.12 69.20 180 249.20 19.32 15. 24 24 3G5 805 806 1 1121 1121 1 121 1121 189. 32 189. 32 3.49 108. 23 203.25 238. 5 238. 5 47.37 225.31 101.17 122 280. 49 280. 40 344.10 284 50 50. 14 232 305. 23 305. 23 349. 5 69. 49 21.80 51.45 872. 46 729. 6 972.35 729. 6 1472.43 1089. 6 1101.57 1089. 6 143.40 33.33 243.29 383. 37 360 12. 51 26.18. 34 246 177.13 23 37 , 272.18.34 # 95.14 249.19 202.33 75.56 2.21 625.26 369. 6 256. 20 272.18. 34 366 638 18. 34 238. 5 47.37 158.17 75.56 2. 24 522.19 369. 6 153.13 101.17 254.30 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613, Mas. Gal., V. Ili, T. IV, car. 170r. 1611 Martii, d. 14, li. 0.40 ab occasu, li. a meridie 6. 30'. Dies a radice 138. 1610 d. 13 Ianuarii, li. 6 a me¬ ridie. Dies a radice 13. 7 37 312 34 250.15 50.51 4.14 49. 36 715.30 360 355. 30 297. 6 292.36 33.54 2 26 42 59 127. 8 63.17 31.24 13 26 43 21 10 4 49. 36 118.42 236 1 202.41 442.41 775.50 846 38 6315.11 370 780 730 ! j ITO 72.41 45 56 119 38 206.11 _33.54 18 52 8.23 8 35 106.86 62.48 128. 1 | 19. 1 199. 20 343. 56 127. 8 49. :;<> 729. 4 370. 11 234 11 263. 0 142.25 140.31 247.48 301.27 42. 23 21. 5 10.28 2. 50 1.24 40 1 . 8 34 17 8.45 8. 45 8.45 49. 86 118.42 239. 1 479 24 691.18 703. 3 860 860 360 140 201 38 251 276.56 849. 6 351.41 63 17 31.24 118 12 288, 1 922. 5 1100. 40 ; 730 11 1090 _1 i 191.54 10 29 1 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 571 1610 Ianuarii d. 26, li. 0.40 ab occasi!, h. 5. 30’ a meridie. Dies a radice 26. Prost. ad. 10. 108.25 140.31 42. 23 2.50 10 49. 36 226 217.48 21. 5 1.24 10 118. 42 284 50 301.27 10 28 40 10 239. 1 69.51 128.57 4. 29 18 10 262.41 353 45 353. 45 36.46 624.59 360 846.26 720 476.16 360 264.59 126.26 116.16 30.31 1610 Februarii d. 15, h. 1. Dies a radice 46, li. 6.7. r ■■ :_ 216. 46 92 209.41 139. 42 140. 31 247.48 301. 27 128.57 50. 51 25.19 12. 34 5.22 59 30 15 6 49. 36 118. 42 239. 1 262.41 10. 33 10. 33 10 33 10. 33 469.16 494.42 773. 31 547.21 360 360 720 360 109.16 | 134.42 53.31 187.21 Usa. Gal., P. HI, T. IV, car. I72e 1613 Ianuarii d. 29, h. 7. 20 ab occasu, h. 12. 9' a meridie. Dies a radice 29. Prost. dem. 8. 46’. 108.23 226 284.50 WflEm 30.46 191.42 92.10 101.43 50. 36 28. 8 1.17 38 12 8 156.54 263.30 224. 0 58.30 399. 3 732. 26 629. 20 368.46 728.46 368.46 8. 46 260.34 323. 54 Rornae, 1611 Aprilis d. 29, li. 1 ab occasu, li. 7. 53 a meridie. Dies a radice 484. Prost. 9. 13' ad. 7.37 73 31 93. 41 59 20 7. 28 49. 36 9. 13 200 184 45 12 29.32 3. 43 118.42 9.13 269.38 59. 19 200. 58 14 39 1.46 239. 1 9.13 317. 1 279.24 85. 58 6. 16 48 262.41 9. 13 300. 26 590.22 794. 34 961.21 300 26 29. 40 360 720 720 230. 22 74.34 241.21 330. 6 ! 572 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. M»s. Gal., P. Ili, T. IV, car. 158(. Examen prò radice : in meri¬ die diei primae Ianuarii 1613, quae posita est gr. 263.50 ab auge inedia. 1611 Martii d. 17, h. 0. 30 ab occasu, quae est h. G. 24 a meridie. O i n 26 X- Are. 5. 54. in 14 11. 22 prost. 13. ii.se 366 275 285.42 23.48 45. 6 71.43 2. 32 625 352. 5 200.58 35. 36 1.13 305. 23 349. 5 354. 34 85. 59 32 654. 17.86 371.26 90. 57 93.41 144. 5 4.14 52 428. 51 274.46 1214. 22 954.56 705.15 528.16 154. 5 IO. 33 259. 26 306.17 15.14 177.59 21.11 143. 32 post lì. 2. 30' 321.31 156.14 post h. 2.80' Ex hac computatione radici : demendi videntur gr. 22, vel tabula immutandà, si tamen ob- servatio caret errore. 1611 Martii d. 15, li. 0.30 aboc- casti, idest li. 6.20 a meridie. Prost. 10. 50. 1). 656. 17.40 371.26 90.57 140.81 141. 5 5. 39 752. 33 527. 44 224. 54 286,42 23.48 247.40 71.43 2.49 625. 0 352. 5 301.27 35.30 1.20 631.42 1315.22 274.40 954.50 357. 2 3G0.32 1 So _ - t m m 15.11 ss 1153,51 1149.16 u Ex li ac quoque computatione radici : demendi videntur gr,21 aut 22, vel tabula mutanda, 1611 Martii d. 7, li. 1 ab oc¬ casu, idest li. 6.40 a meridie. O in 9|. in 16 X- 14 5.38. 10.56. 664 . 17.20 2S5.42 371.26 325. 9 93.41 144. 5 2.50 316.34 45. 6 71.43 1.24 720.20 996 38 954.56 965.25 937.11 887. 50 634.46 85.43 41.42 176. » 49.21 quia : versatur circa mediasi»» gitudines. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 578 Mas. Gal., P- HI, T. IV, car. 158r. 1611 Februarii d. 13, h. 0. 30 ab occasu, idest li. 5.40' a meridie. 0 in 24 9|. in 15 Prost^ 8. 20. 14.18.20 366 808 6SG. 18.20 371.26 285.42 73.31 182. 4 140.31 247. 40 152.34 75.56 2.50 1.24 KB!SE» 792.46 632.10 215.38 -^0- Emendetur partim tabula, ita ut motus diuruus sit gr. 101.17. 51. 22. Et radix reponatur in gr. 252. 1610 Novembris d. 30, h. 5 ab occasu, idest h. 9. 30 a meridie. © in 8 Are. 4. 30' il|- in 23 ©. Prost. 3. 30 ad. D. 30.14. 30 865 366 761.14. 80 247. 8 609. 8 643.31 98. 51 134. 30 209. 26 203.25 317.34 50. 14 21.30 118.40 101. 7 29.18 12.32 4.14 59. 4 1 27 prost. 3.30 2. 7 3.30 3.30 848.18 3.30 827. 40 890. 56 516.54 584 778.20 331.24 ■Hi 243. 40 2. 6 112.36 8.29 1 212. 21 322.55 • 4.13 241.34 1611 Aprilis d. 25, h. 1 ab oc¬ casu, idest a meridie b. 7. 50. © in 4 'tf. 9j- in 17 @. 10.4 prost. 4. 16.10 366 245 615. 16. IO 371.26 300 234.11 293 297. 6 146. 30 135.36 67.80 1. 25 42 1039.44 807.42 886.58 633 54 152. 46 173.48 Mas. Cai., P. Ili, T. IV. car. SOr. 1613 Aprilis d. 11, h. 8 a me¬ ridie. Uies a radice 101, li. 8. 181.54 50 344.10 349.15 203.25 101.18 50.14 21.30 67.48 33.45 16.45 7.10 6.53 6. 53 6. 53 6. 53 460. 0 191.66 418. 2 374. 48 3<>0 191. 56 360 360 100. 0 58. 2 14.48 1613 Februarii d. 24, h.7 a me¬ ridie. Dies a radice 55. 7. 90. 57 297. 6 59.40 352. 5 251.12 14.39 i*^2rw’.-,TJ JS ì * W 447. 43 363.56 201. 2 3.56 617.56 363.56 468. 22 363.56 83.47 156. 54 197 6 263. 30 254. 0 224. 0 104. 26 58. 30 460. 36 478. 0 162 56 8.0.41 3.10. 36 3.28. 0 5.12. 56 574 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Mss.GnJ., P. Ili, T. IV, car. 27»*. 1613 Februarii cì. 27, li. 3 ab occasu. 292. 28 300.12 218. 6 183.47 203.26 101.17 50. 8 21.20 135. 54 41.29 268.14 205. 7 -— --.— - : u> I). 21, h. 3 ab occasu. 156.21 53.46 278.45 78.42 0 . 11 1 155.23 329.15 100 26 Ilinc manifeste constat, • ad- dendos esse gr. 6, ut ex superio- ribus quoque patet. D. 28, b. 3. 339.20 142.46 ! 318.22 226. 27 Martii cì. 1, h. 3 ab occasu, idest h. 8. 30 a meridie. Dies 60. 325. 9 67.48 4.14 156. 54 318. 0 33.45 2. 7 257. 30 134.30 16. 45 1. 3 224 209.33 7.10 60.27 277.10 2.40 554. 5 611.22 376.18 362. 40 362. 40 3G2. 40 274.30 191.25 248.42 13.38 1613 Februarii d. 20, h. 3 ab occasu, quae est b.8.15 a meridie. Dies 51. 90.57 203.25 67.48 2. 7 156.54 25 101.18 33.45 1. 3 257.30 352. 5 50.14 16.45 224. 31 354. 38 21.30 7.10 60.14 643. 35 364.50 443.32 364.50 521.11 364. 50 418.36 364.50 278.45 78.42 156. 21 53. 46 Mas. Gai., P. Ili, T. IV, car. 38r. 1613 Ianuarii d. 31, h. 5 ab occasu, idest h. [...] 50' a me¬ ridie. 342.34 203. 25 76.17 7. 3 156. 54 158.17 101.17 37.58 3.31 263.50 67.15 50.14 18.51 1.40 281.44 21.30 8, 4 45 58.20 138. 0 224 373.23 369 16 786.13 729.15 564.53 369.15 362. 0 9.15 56.58 195.38 4. 8 352.45 Post h. 7. 50’:: et • erant Ante h. 0. 30’ v et : erant distante» a centro 2 praecise. 56.58 59.20 4.14 195.38 29. 32 2. 7* 352.45 14.39 1 4. 8 6.16 27_ 120 32 227.17 8.24 10.61 Post h. 7. 30'. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 575 Eadera quae supra, nempe d. 31, li.ll.30' ab occasu, idest h. 16.20' a meridie. Computatili’ per tabulas ulti- as. 342.34 203.25 135.3G 2.50 156.54 593. 2 369.15 67.15 50.14 33.30 40 224 1613 Ianuarii d. 30, li. 12.30 ab occasu, sed a meridie 17.20'. Prost. 9. 24._ _ 342 34 144. 5 159 71.43 67. IR 284.46 15 14 2.50 156.54 Mulatti 18 58. 20 646.23 369.24 495. 57 369.24 327. 31 9.24 358.38 9.24 276.59 126.33 n\ 318. 7 349.14 • • • * • .* Ex hac observatione :: promo- vendus videtur gr. 2. 20, ad hoc ut iunctus sit cum •, ut experien- tiaostendit; cumquetalis ac tanta differentia in tabula reponi non possit, erit in radice, quae, si cae- tcra non discrepont, reponenda erit in 60. 40'. Fiat periculum in die precedenti, cuius observatio tuit facta h. 12. 30' ab occasu. Sed ex sequenti videtur sat esse si tantum addatur radici gr. 1.30. Pro hac inspectione calculatur cónstitutio anni 1611, Martiid.14, h. 2.10 ab occasu, quae est h. 8 a meridie, et ex illa quoque vide¬ tur addendum gr. 1,40 proxime. Ma». Gal., P. Ili, T. IV, car. 38*. o 4Ir. (cnr. 38/.] 1613. Ianuarii d. 21, li. 6 ab occasu, idest li. 10.38 a meridie. 108.23 203.25 84.45 5.32 156.54 558. 49 370. 25 225. 31 284.50 69.49 101.17 50.14 21.30 42.11 20. 56 8.57 2.41 1.17 34 251.43 219. 27 55.13 623.23 576.44 156. 3 370. 25 370.25 10. 25 145.38 Ex hac observatione radici %• addendi videntur gr. 4. 80\ D. 22, h. 6 ab occasu. Are. seni. 4. 40'. 188. 24 203. 25 402.31 370.20 32.11 8.29 40.40 730.47 730.20 0.27 4.1 3 4.40 4. 13 8.53 631.32 370. 20 261.12 2 . 6 179.35 10.20 169.15 54 263.18 170. 9 250.15 33. 54 7. 3 11.30 302. 42 156. 54^ 145.48 . 10.10 335.43 251.43 84. 0 532 16 219.27 312.49 h Hinc patet,:: radici addendum gr. 1, ut sit 58.13 vel 58. 20'. Post li. 1. 7 yjo- Hinc colligitur, contra obser- vationem d. 14 IanUarii 1613, sa¬ lirà positam radicem :: retinen- dam esse in 57. 13. Ex hac quoque observatione radici : addendi videntur gr. 12. Sed |car. 4ir.] ut concordetur me- diocriter cuin praecedenti diei 20 Ianuarii, adde tantum gr. 9. Sed rectius addali tur gr. 12, om¬ nibus exacte consideratis. [ohi-. 38(.] 32.11 0.27 -261.12 170. 9 203. 25 101.17 50. H 21.30 235.36 101.44 311.26 191 39 16.57 1.47 252.33 193.26 fcar. iir.] H.12.45 :: et.*, deberent esse Ianuarii 1613 d. 22, li. 11,30’ a meridie. Are. sem. 4. 37'. 108.23 46.50 93.14 2.50 156.54 226 202.36 46.24 2. 7 263.30 69.49 43, 0 9.51 18 58.20 408.11 740.37 181.18 370. 20 730.20 # 10.3) 37.51 10.17 170.58 1.25 4 55 9 39.16 15.12 171. 7 42 post 39.58 li. 1.10'. •3 4-0 I). 22, li. 11.40' a meridie,:: et • fuerunt, distantes a 2J* centro 3, 45'. fuit ergo in perigeo vero d. 22, h. 21. 43' a meridie; sed in perigeo medio fuit d. 22, h. 10. l.'ir D. 4, bora ut supra. D. 5, bora ut supra. 355.16 336.41 | 244. s| 113.28 e- 1 ITT 76 578 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Ms». Gal., 1*. IH. T. IV, rar 3‘Jr. 1613 Ianuarii d. 14, h. 8 ab oc- caBU, quae fuit a meridie h. 12.112 . DÌ68 14. 327.52 101.43 4.31 150 54 50 37 2.15 251.43 343.2.3 25. 8 1. 4 219.27 300 56 IO 45 29 r»5. 13 591. 0 70 r>s 642 27 i 870.58 1 590. 2 370 58 3( J 23 1(1 5H 220. 2 40.15 271.29 20. 2 219 4 _ 9 61 2 ;. 260.17 | 291.31 ! 228.58 3-3» fì-f Post li. 4. 45’. ‘.a

    <; 54 257.30 ! 224 I 60 9 889 17 728.59 i;:;n 181.56 889.35 369.25 369.25 _9.26 28.52 359.34 261.10 17:! 81 11.19 5.37J 1.12 40.11 5.11 173. 9.JM 4.55 1. 3 50. 6 li» i, i , 174.36 Ex hac observationeradici:ad¬ dendi videntur gr. 5 aut etiam (>: radici vero :: demendi gr. 2, ut sit gr. 58. 1 1613 Ianuarii d. 31, b. 4. 30 ab ocrasu, quae est h. 9.20 a me. ridie. 842.34 159 — 203. 25 101.18 <57.15 281.44 76.17 37.58 50.14 213) 2.50 1.24 18.51 ai 156.51 257.30 224.40 60.15 782. 0 667.10 361. 0 374.3Ì 728. 27 8.27 368.27 53.33 188.43 352.33 6.11 21, 11 10. 33 5.14 2.11 ri. n 199 1G 357.47 8.25 38. 8 19 9.26 lì 112.52 218.16 7.13 12.27 19 17 2.11 132.39 Il .1 30 II. 13.50. Ilinc radici : addendi jpariUr videntur gr. 5 aut G. Sed in" nihil inimutanduin videtur. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 581 1613 Ianuarii d. 30, h. 12.30 ab occasu, quae est h. 17. 20. 1). 27, h. 10. 40 a meridie. 342.34 144. 5 2. no m 54 616 23 368.37 159 71 43 1.24 257. 30 489. 37 368. 37 67.15 35.36 224 40 327.31 8.37 284.46 15 14 60 . 18 360 18 8. 37 120. 2 203. 25 51. 51 101.17 102. 22 50.14 256.31 21.30 329 27 153. 8 152.36 278. 1 r 84 45 5.39 156.54 449.22 370 10 79.12 225 31 45. 6 42 11 2.49 263. 50 579.27 37 0.10 209.17 S-.TrP 732. 4 730. IO 223.41 10.10 1.54 213.31 /> X/- Post h. 4 :: et.% erant (j . I). 30. D. 25, li. 10. 40 a meridie. 79.12 209.17 1.54 213 31 203.25 101 17 50.14 21.30 282.37 310. 34 52. 8 235. 1 IX 26, h. 10. 40 a meridie. 12(). 2 51.51 I 102.22 | 256.31 — ^ --, 'lo friv 'V7' vo ' Post li. 5 :: et • erant D. 31. 64. 7 | 197.16 ] 353.32 ! 4. 1 “. et * circa ortum 0 erant 1 41 . -sa» Ante li. 1 ••• et : erant 0. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Hai. Gal.. P.I1I. T. IV. far. Wr. I). 11, li. 4 ab occasu. 1613. 130 19 76 17 223 32 87 58 386.25 18 51 244. 9 ' 8 . j Februarii d. 6, li. 4. 3 ab oc- 200 m 291.30 205.16 252.13 Dies B7, h. 9. 342. 34 159. 0 ì 67.15 284. 46 343. 56 349. 6 351.41 150. 27 76. 17 37.58 18.51 8. 4 156. 54 267.80 221 60 919.41 803.84 661.47 503. 17 727. 40 727.40 ì 367.40 1 367. 40 102. 1 75.54 294. 7 135 37 203. 25 i 101.17| 50.14 21 30 '••>6 M <-^-- ilo D. 7, lmra ut suiira. 35.26 177. 1 2>-if 844.21 •3 7.° 57. i *• ?ii. 178.37 D. 8, bora ut sopra. 238.51 1 278.18 84. —*— 0r. 1613. Fobruarii d. 12, li. 3. 55 ab oc¬ casu, quae est li. 9 a meridie, Dies 48. 216.46 2 19.41 139.42 250 15 303.54 150.43 64/29 76. 17 37.58 18.51 8.4 156.64 257.30 224. 0 60 700.12 691 22 603.15 272,15 360 860 3(50 6.» 340.12 381.22 243.15 215.517 6. 28 (i 28 (5.28 SU m 44 324.54 236.47 203. 50 101 38 50.32 -il-.jo- ;it D. 13, h. 3. 55 ab occaso^ 177.34 | H6.32 | 287.19 j 281.33 1). 14, li. 3. 55 ab occasu^ 21 21 j 168.10 387.51 309. !» 203.50 | 101.38 50.32 21.45 •■ÈL- 1Ì* 7-3 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 583 I). 15, li. B. 55 ab occasu. ' IL 6. 30'. 122.10 8 40* <*> Rimane cosi in tronco. 584 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. D. 23, il. 3. t — - 47.51 7(i. 17 358. 37 1 33.58 1 70.15 18 51 143.54 H 4 124. 8 32.35 | 83. 6 | 151.68 D. 24, h. 3. 251.41 ino 14 120 .45 I 165.38 I). 25, li. 3, idostk. 8.25 a me. riti io. -j'T I)ies 56, li. 8. 25. 90. 57 lln 31 07 48 3. 45 150.54 25 247.48 83 45 1.45 352. 5 301.27 Kì.45 224.50 Il «3 SS S Z I 1 459.55 3U3 43 571.48 363. 13 895. 7 723.43 549.7 J6343 98.12 26- 26 208. f, 12. 39 171.24 6.17 185.24 _ 2.41 121.38 220.44 177.41 188.5 II. 0. % Uespomlit ad uugutìin. 400.42 | 221.54 | 207 Uespondit exactissime Ad unguem respoudit expo rientia. I). 25, li. 3. 95.31 | 201.51 j 171.15| 1«7 22 Emendata respoudit exnctis- sinie. Un. Cui., 1>. HI, T. IV, cir. Me. 1613. Februarii d. 27, li. 3 ab occaso. quae est li. 8. 28 a meridie. I)ies 58. 90.67 25 862. 5 354.38 1*7 21 90. 24 41.56 67.48 33.45 16.45 17158 3 57 2. 0 1. 0 7.10 156. 64 263. 30 224 58 ì) 506.57 414.89 635.46 592.9 363. 18 863.18 363.18 363 18 143 39 51.21 272.28 228.51 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 585 D. 28, h. 5 ab occasu. 317.2ST | 152. 58 | 322.58 250. 35 V JlSL- '$£' Marfcii d. 1, h. 3. 191.19 254.35”] 13.28 | 272.10 II. 4, II. 5. Mas. Gal., P. UI, T. IV, car. Uir. Februarii 1613 d. 28, li. 3 ab occasu, idest li. 8. 30 a meridie. Dies 59. 8. 30'. 352. 5 un 191. 42 92.10 354.38 67.48 33.45 1(). 45 193. 26 4.14 2. 7 1 7.10 15G.54 257. 30 224 60.27 510. 4 686. 0 615.41 illl 362.40 362.40 362.40 347.59 147.24 253. 1 Martiid. 1, li. 3 ab occasu, idest li. 8. 30 a meridie. 347.59 203.25 147. 24 101.18 323.20 50.14 191.24 2-18.42 13. 34 274.31 203.25 101.18 50.14 21.30 • D. 2, li. 3 ut supra. 34.49 ..a- 3» 350. 0 2^1 63.48 | 296. 1 IL 12 A4 <*-9 •&> ltespondit optime. D. 3, h. 3 ut supra. 238.14 203. 25 91.18 101.18 114. 2 50.14 317.31 21. 30 D. 4, h. 3 ut supra. 81.39 192.36 j 104.16 339. 1 Ilespondit. D. 5, li. 3 ut supra. 285. 4 I 293.54 | 214.30 | 360.31 _—_- Sequens est eadem exactior. 71 rm OSSERVAZIONI K Mi-. Gli.. P. 111. T. IV. c«r 1441 1613. Martii d. « r >, li. 2 ab occasu, quae est h. 7.37 a meridie. l)ie« G4. 896 9 98.41 318 184. 30 1 909.33 59 Si) 45 12 2MO 58 KV 56 4.14 29 32 14.39 5.16 1 2 :w 1 17 ; 83 15G. 54 257 30 324 60 640 18 6%2 » 575 24 862 J» SfR 47 V>\ 47 :*n 4 ì 3I>1 47 278 31 | 391. 3 218.87 a 47 <3& -jf- — * fi Correda. II. 2. 50'. 2 occidentaliores eraut CALCOLI DEL 161S. Ib 8, h. 2 ut supra, 825.11 133.39 314. 5 50.1.| 21)3 25 101 168 36 231 57 419 «I 21.* (il] 12- 9, b. 2 nt supra. 1^. 1 336. ìrPSf iit Vie II. 9, h. 4 ab occasu, quae ai li. 9. 43 a meridie. Idee G8. 326. a 3ia 0 134.30 187.21 00.21 4156 200.3 76 17 37.58 18.51 m 6 4 3. 2 1.26 a 156 54 257.30 224 m 751 45 706.54 420.43 450,1! 790 63 :«X) 63 360.53 18 30 52 346 1 59 50 m 8 29 4.18 2. 6 V! 22 23 :;n. -is 57.44 m IX 6, h. 2 ut Bitpra. 278.31 203. 25 291 3 101.18 * 213 87 0 47 MM4 21.80 121.56 32.21 263 51 23 17 jf v_LJL 4L_ ■■ ■— -r H. 3. *1-3 ^ » 3 •/# —' W —>?■ il ' I). 7, h l « 2 ut supra. 325 U ; 814. 6 | 43 47 Mm. 0«1, p. ih T. IV, oar HKr. 1613. Martii d. 10, h. 3 ab occa quae est h. 8. 44 a meridie. 22 23 341.48 6 1 203 25 101.18 50.14 225.48 83 fi 107.58 jp 10MI u 30 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613, D. 11, bora ut supra. H. 5». D. 11, li. 2 ab occasu, quae est 7.46. Dies 70. 423. 5 3 60.27 62.38 ~\U? 251 29. 32 3.14 257. 30 276 56 14.39 1.33 224 541.16 517. 8 360. 27 360.27 180. 49 156.41 | 64. 29 C. 16 41 60 H. 8. 40' a meridie fuit exac- tissima coniunctio, quae est ab occasu h. 2. 52. H. 2. 50'. Exactissima. Et paulo post occidentaliores erant D. 13, h. 2 ab occasu ut supra. 256.56 2. G 259. 2 D. 12, h. 2 ab occasu ut supra. 62 38 180.49 T 156-41 131. 0 203 25 101 18 50.14 21 30 266 . 3 282. 7 4. 26 199.20 250. 15 59. 20 7. 3 156 54 14 673. 6 360 313. 6 59.20 3.31 257. 30 14 845. 41 720 125.41 29. 32 155.13 276. 56 150.43 14. 39 1.40 224 14 668.12 360 308.12 14. 39 322 51 2 . 6 320. 45 64. 29 64. 29 6.16 45 CO _14 196.13 6.16 202 29 54 201.35 588 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. D. 15, bora ut saprà. r m a —* HI 3. « 125 41 i -a* -Vi »*■ — 808 12 196.13 203. 25 101.18 50.14 21.80 156.31 226. 59 858 26 217 43 D. 1(1, bora ut saprà. 359. f>6 328.17 48.40 247 IO 203.25 101.18 50.14 21 3» ^ ni ' 1). 17, bora ut sopra. I). 18, bora ut' sopra. 46 Iti ITO. Mi 149. 8 288. 29 H. 5, G et 7, vide intra. D. 18, b. fi ab oceasu, quae est b. 11. 56'. a meridie. Dies 77. 109-20 361 0 276 56 i'A. 29 343. 56 349. 6 351.41 150 27 93.14 46 24 23. 2 0.51 7.55 3.56 1.53 50 156.54 257. 30 224 00 1 20 1.20 1.20 1 20 802 39 909.16 878 52 286. 57 720 720 720 82.39 | 189.16 158.52 II. fi. Uw. 0 , 1 .. l'.JH, T. IV, c«r.U 6 r. 1613. Martii d. 19, 1 l. 2 al) oceasu. quae est li. 7. 58 a meridie. Dies 7f fcn . i til L~i m 1 1. 199.20 ===E=a 187. 21 251. 0 276.56 50.20 90.24 41.56 .$L9 I* o 29.82 14.39 171.56 1. 8 4. 5 1.57 6.1$ 156 54 257.80 224 60.52 1.84 1.84_ 1.34 1.51 612 40 634. 5 561. 2 305.7 300 860 360 252.40 . 274. 5 201. 2 I). 20, h. 2 ut saprà. 252.40 274. fT 201. 2 305. J 203.30 101.18 50.14 21.3), 06.10 15.23 251.10 326.31 29.40 14.46 7.20 3.8 Ht'pnrantur, .* ita apparebunt. 11. 3.48' duo occidentale» fu* ruut coniuncti. Orientale? veto distabant ad invicem 1.20, etfue- runt coniuncti li. 5.24. II. 5.30'. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 589 I). 21, li. 2 ut supra^ 299.40 | 116.41 ( 301.30 | 348. 7 Vide infra. D. 21, li. 1 ab occasu, quae est li. 7 a meridie. Dies 80. 73 31 59 20 15(1.54 2.14 184. 0 29.32 257.30 2.14 59.19 14.39 224 2.14 279.24 6.16 60 2.14 291.59 16.57 473.16 360 300.12 4.11 347.54 1.47 308.56 325.53 113.16 8. 26 304. 23 308. 34 349.41 351.28 121.42 130. 8 » _ : 1^ Ms«. (ini., I\ Ili, T. IV, car. HOf. 1613. Martii d. 23, b. 1 ab occasu, idest li. 7.5 a meridie. Dies 82. 73.31 46.50 59.20 42 2,40 156.54 184 202.36 29. 32 21 2.40 257.30 59.19 100 29 14. 39 10 2.40 224. 0 279.24 42 50 6. 16 4 2.40 co 339.57 203.25 676. 39 360 401.17 360 391.14 360 316.39 41.17 81.14 101.18 50.14 21.30 17 . ?» SZ'i- i Gl’al tri son mandati, e questo è il primo da mandarsi li. 3. D. 24, li. 1 ut supra. 7.57 | 91.31 5' 52. 44 590 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 1). 2G, li. 1 ab occaso, qn&e est h. 7. 9'. Dies 85. 1 r-^rz- — X - 73 31 297. (i 59 20 1 17 150 54 3.18 1 IH! 146 30 29.82 38 267 30 3 18 ! 5# 19 261.42 14.39 18 224 1 _§J8 279 24 107.28 6 li; 8 60 3 IH 691 26 360 621 28 i .360 558.18 360 466 34 380 231.26 88. 8 261.28 193 16 9 26 96.34 21 .V '• 1 202 42 , A4 IT. 6. • • D. 27, h. 1 ut sopra. 231.26 203.50 261.28 101.35 19.3.16 50.30 96.84 21.44 76.21 3. 3 | 243 46 1 Ih i- ^et I). 28, h. 1 ab occaso. 279. Il I 104.38 ! 294. Iti j 140. 2 Um. Gai, I*. m, T. IV, e»r. i« r , 1613. 279 11 203 50 104 38 101 85 294.16 50.30 123. 1 1 206.18 | 344.46 HO. : JU 161.4 H. 0.30. -O-*- II. 0.40', -e-v H. 1. Velocissime separante, Si boti mandate le 3 prime co stituzioni in una sola linea 111 , I). 30, h. 1 ab occasu. 320.51 ! 307.48 35.16 163,3) I). 31, li. 1 ab occasu, itó li. 7. 16 a meridie. Dies 90. 307 43 69.20 2 16 156.54 4.32 117 29.32 1. 7 257.80 4.32 201.54 14.39 33 224 4.32 134.2) 6.16 11 CO 4.S 530 45 409.41 85.38 205.il .360 SCO 170.45 | 49.41 iwn <•» Cfr, Voi. V, pag. 211-2(5. rT Ti* Nota eclypsim. H. 3. i Haec fuifc facta h. 3.10’. D. 2, li. 1 ab occasu. 218.25 57.48 286 1 3 12 43 252.51 33.45 186.38 16.45 248.50 7.10 256 1.21 Tif Utraque computatio congruit, dico haec et sequens. li. 0. 30' : distabat a Q). cen¬ tro 3, > vero 5. 40'. D. 5, h. 1 ab occasu, quae est h. 7. 23' a meridie. I)ies 95. 134 . 20 107.28 6.16 20 60 5.41 Haec facta fuit h. 3. 25', et distantiae a 0}. fuerunt ut hic describuntur. D. 6, h. 1 ab occasu Cfr. Voi. V, [mg. 241-215. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 109. 59 203 58 197 50 101. 35 -f" 338 12 60.88 SU. 5 21.43 313.57 26 20 299. 25 12.39 388.40 300 885.48 2.41 340 23 ! 312. 4 428.40 338 29 -- H. 1 intervalla 3 occicìentalinm orant aoqualia inter se, et erant singula 3 semidiametri Dj. 1 ' et quid ampliu8; proxima quoqueQj. 1 ab eius circunferentia distabat 3, hoc est a centro 4. Ex his et prae- cedentibus constat, : esso promo- vendam. H. 4, D. 7, h. 1 ab occasu. 156. 55 41. o r 79. 8 357.31 203. 57 101. 34 50.28 ai. *i2 H.2. Si ò mandata questa sola l,) . D- 8, h. 1 ab occasu. 42. 34 14. 3 66. 37 II. 4. 50'. 0.52 152 34 129.36 19.13 • 12 39 G. 17 u 26.18 165.13 135.53 21.54 Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. I 48 r. 1613. Aprilis d. 9, li. 1 ab occasu. 0.82 142.34 129.36 1913 203. 57 101.34 50.23 •21.12 20*1.49 244. 8 180. 4 40.55 K'tf lì. 0.20' aberrt ‘Jj. la peripheria 0.20'. I). 10, b. 1 ab occasu. 48.46 345.42 230.32 62.37 203.57 101.34 50 28 21.0 I). 11, h. 1 ab occasu. 252.43 ì 87 . 16 l'~ 28 ÌTo] OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 593 D. 12, li. 1 ab occaso, quae est h. 7. 33 a meridie. Dies 102. 181.54 50 344.10 349.15 46.50 202.36 100. 29 42.59 59. 20 29. 32 14.39 (>. 16 4.48 2. 20 1. 9 29 156. 54 257. 30 224 60 6. 53 6. 53 6.53 6.53 456 39 548 51 691.20 465. 52 360 360 360 360 96. 39 188. 51 331.20 105.52 28.16 14. 3 6.57 3. 8 12-4.55 202. 54 338.17 H. 1. « ■ + Coniunctio remotiorum a 9|_ facta fuit h. 3. 30 ab occasu ; et tunc • distabat a Qj. 18 circunfe- rentia 0. 30', seu 0. 25'. H. 4. 20’. V -=- • _I < H. 4.20. H. 5. 50. I). 13, h. 1 ab occaso. 96. 39 188. 51 331. 20 105. 52 203 56 101.33 50 27 21.41 300. 35 290.24 21. 47 127.33 Mbs. Gal., P. IH, T. IV, car. 14$f. 1613. Aprilis d. 15, li. 1 ab occasu. 144.31 31. 57 72.14 149.14 203.56 101. 33 50.27 21.41 318. 27 133. 30 122.41 170.55 Experientia longe aliter osten- dit, nempe hoc pacto: H. 1.30'. —•- :-^—0 D. 14, li. 1 ab occaso. 144.31 | 31.57 | 72.14 | 149.14 H. 0.30'. D. 16, h. 1 ab occaso. 191.23 76.17 267.40 235. 3 37.58 173. 8 18.15 192. 36 8. 4 594 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. II. 2. 30' vere faerunt sic: t I). 19, li. 1 ab occasu. 83. 0 | 179.44 f 324.2lTE II. 3. 20'. Fuerunt sic vere. li. 4 : se lmbuit sic, ex expt- riontia: --- II. io. D. 20, li. 1 ab occasu, 286.45 281.16 | 14.46 279.14 D. 17, h. 1 ab occasu, quae est b. 7.4' a meridie. Dies 107. 181.54 50 314.10 I 349.15 343.56 349. 6 351.41 150. 27 59.20 29. 32 14.89 6.16 5.47 2.53 1.22 37 156.54 257.30 224. 0 60 7.39 7 39 7.39 7.39 755.30 696.40 1 943.31 1 574.14 720 360 720 360 35.30 836.40 223.31 214.14 203.45 101.32 50.25 , 21.40 I- Tv i° I). 21, li. 1 ab o ccasi! 130.30 22.48~| CsTn i II. 1.40. Haec facta fuit h. occasu. IM8, h. 1 ab occasu. 239.15 | 78.12 | 273.56 | 2357ò4 D. 22, li. 1 ab occasu^^ 888.10I 12II2T "ToTsTn ® 31 Haec consona fuit cura |jj riontia. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, c#r. H*r. 1G13. Aprilis d. 23, h. 1 ab occasi!, quae est b. 7. 50 a meridie. Dies 113. 181.54 50. 0 844. io 349.15 234.11 293. 0 142. 25 214. 56 250.15 303. 54 150. 43 64. 29 59.20 29.32 14. 39 C. 16 7. 3 3.31 1.40 45 156.54 257.30 224 60 8.27 8.27 8.27 8. 27 898. 4 945.54 886. 4 704. 8 720 720 360 178. 4 225.54 1G6. 4 344. 8 25.19 12. 34 5.22 228.55 251.13 178. 38 349. 30 H. 1 ab occasu .% vere distabat a centro Qj- 4.15. Et occi- dentalium vere accidit h. 2. Et h. 3. 30' orientalis distabat a De¬ centro 2. 30*. Nota quod sunt incompatibilia quae hic notautur de . H. 7. 5'. /i i n ^ 0—/> /i Orio ^ IL 4. 20' fuerunt sic : D. 24, h. 1 ab occasu. 178. 4 225.54 166. 4 344. 8 203.45 101.32 50.25 21.40 21.59 327.26 216. 29 5. 48 . vo Nota eclipsim. 596 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. I). 29, li. 1 ab occasu. 320.44 I 115 6 I 108.34 | 1 # *13- ® 114. 8 3-1o D. 30, li. 1 ab occasu. iim oo I oh; I ir*3 59 jgs ^.q m *\6 Mas. Gal.. P. Ili, T. IV, car. 149/, 1613. Maii d. 1, li. 1 ab occasu, quae est li. 8 a meridie. Dies 121. 181.54 108. 23 203. 25 67. 48 156.54 9. 25 727.49 720 677.58 360 344.10 284. 50 50.14 16.45 221. 0 9.25 929. 24 720 349.15 69. 51 21.30 7.10 60 9.25 7.49 8. 29 I). 2, h. 1 ab occasu. 7.49 203.43 317.58 101.30 209.24 50 23 157.11 21.37 211.32 59.28 259.47 178 tì H. 0. 30 sic vere fuit: m I). 3, h. 1 ab occasu. Vy>""— - s . k ^ H. 1. 30 duae orientales sic erant: -w H. 4. IL 4. 30' occidentales ita fr rnnt: D. 4, h. 1 ab occasu . 258.58 | 2 G 2 . 2 sj 0.33 1 2-’ A Isti 2, li. 1 - G <èr 4 i " ' y distabant vere ad invicela V 1 forte quid ainplius. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 597 D. 5, li. 1 ^ occasu. 3758 | 50.56 I 243 39 /li--.--Q----— Nota eclipsim. H. 5. 30'. H. 1 duae orientales inter so et a 9|. is circunferentia a equa li- ter distabant. H. 4. 25' fuerunt sic : Mas. Gal., P. IH, T. IV, car. 150>\ 1613. I). 8, h. 1 ab occasu. 853 36 I 307.15 | 202. 3 | 308.17 - — ì 1 »" - xtr' H. 1.30' vere fuerunt sic: Fuit haec h. 3.30', et distan¬ ti a a Qj. fuit forte paulo minor. H.4. Nota eclipsim. Sin qui si son mandate a Roma (l) . Maii d. 6, li. 1 ab occasu. D. 9, li. 1 ab occasu. 598 OSSERVAZIONI K CALCOLI DEL 1613. H. 1.50'. T). 11, h. 1 ah occasu. 244.36 351.86 353.21 Si* ijo - _ • .nAt i • 12 56 21.33 D. 12, li. 1 al) occasu. 88.16 353. 3 \ 43.47 34.29 - 16, li. 1 ab occasu. 16289 l 38.3f,f 2.M.37TS I). 17, li. 1 ab occasu. 26 19 141.27 1 21 11 10.88 ' 47.80 152. 0 1 294.67 U2. a II. 1 • nondura apparebat:po¬ steti fueruut nube8. M«I Gal., P. III. T. IV, f»r 1J« 1613. Maiid. 13, li. 1 ab occasu, quao est h. 8.14' a meridie. Sunt clies 133. 181 54 312.34 250 15 67. 48 1. 156. 54 10.15 159 803 54 88.45 59 257.30 lo 15 344.10 67. 15 150. 43 16.15 29 , 224 IO 15 I 1 349 15 2*4.46 64 29 7. 10 13 60 IO. 15 1011.39 720 814.28 720 813.37 720 776, 8 720 291.39 94. SS 93 37 56. 8 203.40 101.31 50 20 21.34 • *o t ■t t • ^ _ T I). 14, b. 1 ab occasu. 135.19 195.34 143.57 77.42 VJ.-^ __ , - _ - l i ! / L» 1). 15, h. 1 ab occasu. 238. 59 297 . 5 194 17 99.16 203.40 101.31 50.20 21 ai —!- >«r - IL. 11. 3.30'. I). 18, li. 1. 26.19 141. 7 294.57 142.21 208.40 101.81 50.20 | 21.3» 229.69 2I2..-W 345.17 163.58 II. 1 • et • vix (J superaverant, I). 19, h. 1. _ 73.30 | 343 . 9 | 35.371 185.32 Ilac bora, 2 orioutales aberant ad invicem tantum 3. Ex occi- dentalibus autem apparebat so- lum :, in bac distantia notata. videro non licuit, torte ob ta¬ li ginern, et postnubilumfuitcaa- lum. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 599 D. 20, li. 1. Msa. Gal., P- IH, T. IV, cnr.l51»% 1613. Maii d. 21, h. 1 ab occasu, idest. h. 8. 23' a meridie. Sunt dies 141. IO 349.15 41 139.42 14 21.30 45 7. IO 46 60.20 21 10.21 57 228.18 D. 22, h. 1 ab occasu, quae est li. 8. 24 a meridie. Sunt dies 142. 181.54 50 344.10 216 46 92 209.41 46.50 202.36 100.29 67.48 33.45 16.45 3.24 1.49 48 156.54 263.30 224 10.32 10.32 10,32 684. 8 654.12 906.25 360 360 720 324. 8 294.12 186.25 H. 1. 30' j nondum apparebat: postea caelum fuit nubiloeum. 349. 15 139. 42 42. 59 7. IO 22 68 10 . 32 608. 0 360 248. 0 181.54 50 344. 216.46 92 209. 203.25 101.18 50. 67.48 33.45 16. 3.15 1.37 224. 156.54 257. 30 10. 10.21 10. 21 135 840.23 186.31 Xi/U • 720 120.23 11 . 2 . D. 23, h. 1. 167.46 | 35. 37 \ 236.43 j 269. 32 11.24 137. 2 287. 1 291. 4 D. 25, li. 1. 215. 2 238.27 I 337.19 I 312.36 D. 26, li. 1. 58.40 | 339.52 j 127.37 | 334. 8 D. 27, h. 1. OSSERVAZIONI K CALCOLI DEL 1613. 600 1613. Maii d. 28, lui ab occasu, quao est li. 8. 30 a meridie. L)ies 148. omnia ita fuerunt, $ed Iunii d. 4, h. 1 ab occasu, qnae est h. 8. 34 a meridie. Sunt dios 155. Duae 9j.‘ proximae^ fuerunt li. 1 aut. paulo ante. 1 : ot • nondum erant (/, distabat ex oriente a centri 181.54 21(5.46 67.48 4.14 IO. 84 15(5. 54 W). O 92 33.45 2. 7 10.34 263 30 344 10 909.41 16 45 1. 3 10 34 224 849.15 139 42 7.10 27 10 34 _58_ 638 10 360 451.56 860 806. 13 505. 8 860 278 10 1K7 21 9156 90 M 80 13 41 56 206 8 171.56 106 :n \>'J. 2.» 1. 17. 4 203.86 101.23 50 16 21.31 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 601 D. 5, li. 1 ab occasu. 293.31 273. 1 I 160.59 189. 2 distabat tantum 3. 30. Distantia : a * erat minor distantia - a circunferéntia %. II. 4. 50'. I). 9, li. 1. 27. 7 I 318. 8 I 11. 1 275.22 D. 6, 137. 4 h.1 ab occasu. 14.23 | 220.14 ] 210. 32 Nota eclypsim. : fuit in tenebria usque in li. 3 a,n , quo tempore apparuit cum • ; et distabant a 9|_ cen¬ tro 2. 50'. D. 7, h. 1. H. 1 • aberat a centro 2. 30. D.8,h.l ab occasu, idest li. 8.35' a meridie. Dies 159. 181.54 50 344.10 349.15 90.57 25 352. 5 354. 38 30.46 191.42 92.10 193.26 67. 48 33. 45 16. 45 7.10 4.56 2.28 1.13 31 156.54 263.30 224. 0 58. 30 10.24 10.24 10. 24 10. 24 543.37 576.49 1040.47 973.54 mam 360 183.37 216.49 253.54 IL 2. Eadem constitutio sequitur in pagina versa. Mbs.GbI., r.IU, T. IV, car. 15S(. 1013. Iunii d. 9, h. 0. 20'. 27. 7 318 8 11. 1 275.22 5.39 2 49 1.20 0.36 21.28 315.19 9.41 V II. 1. 50. fuit in eclypsi usque in b. 3, et tunc emersit et erat • ae c/, ut in sequenti figura. Sed remotio a 2|_ is centro fuit tantum 3. I 79 08.SEHVAZIONI E CALCOLI DHL 1613 I). 10, li. 1 ab occn.su I unii d. 14, li. 1 ab occasn, 1). 15, li. 1 ab occasi! 1). 13, h. 1 ab oecnau h. 8. 35 a meridie. Dina 104. li. 1 ab occasu 181.54 «csua —: 50 344 10 15 325. 9 318 1 M 30 209. 33 93.41 45.12 2fX> 58 85. 5H 07.48 33 15 10 45 7. IO 4.56 2 28 1. 13 82 156.54 283. 30 221 58. 30 10.14 10 14 10 14 10. 11 840.36 723. 9 931. SO 721. 12 720 1 720 720 720 120.36 3. 9 211 80 1. 12 8.29 1 19 2 o 1 51 129. 5 7.21 213 56 2. 6 133 31 11.33 216 2 3 0 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 603 D. 17, h. 1. 214.20 | 48.17 52. 38 87. 4 Mas. Gal., T. IIT, T. IV, car. ir>3£. 1613. Iunii d. 23, li. 1 ab occosu, quae est h. 8. 36 a meridie. Dies 174. II. 3 • clistabat 3 clistabat fere 4 a cen 60. o 251 45.12 33. 45 2. 32 263.30 9. 47 314.10 276. 56 200. 58 16. 45 1.16 224. 0 9.47 654. 46 360 1073. 52 720 - ■ — — J »*• A • 303. 38 | 194.24 /Pr-T ^ 9 f i°s \ OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613 li. 1 vere fuerunt line stellae vero fuerunt b. 1.30, (listante* a Qj. contro 3. occasu : hac li ora distabat tantum? et palilo atnplius. Ma». Gai.. P UT. T. IV. car. IMr. 1613. Innii d. 30, li. 1 ab ocoasu, quao est li. 8. 35’ a meridie. Dies 181. 181.54 50 344 IO 849.15 73 31 184 59.15 279.2» 203.25 ini. ip ' 50.11 21.30 07.48 33.45 16.45 7.10 4.56 2.28 1.13 31 156.54 263.80 224 58 30 9.22 9.22 9.22 ! 9.22 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1613. 605 D. 6, h. 1. 117.20 171.23 285.47 134.12 Ms 9 . Gal-, P. HI. T. IV, cur. I54r. 1613. Iuliid.7, h. 1 ab occasu, quae est h. 8. 34. Dies 188. 181.54 73.31 187.21 67.48 4.48 156.54 8.52 50. 0 184 90.24 33.45 2.24 263.30 8.52 344.10 59.19 41.56 16.45 1.11 224 8.52 349 15 279. 21 171.56 7.10 31 58. 30 8.52 681. 8 360 632.55 360 696.13 360 321. 8 272.55 _ 336.13 •VtJL r"~7‘ 7 155.38 \ J. _ D. 8, h. 1. 164.23 | 14. 5 H. 0. 30'. 26.21 177. 3 SS 7.41 115.17 76.30 \ | 198.28 » _X- D. 10, b. 1. 210.59 I 216.29 | 126.39 I 219.73 Mbs. 0#I., 1*. in, T. IV, car. 155c. 1613. Iulii d. 11, li. 1 ab occasu. 53.17 317.41 | 176.48~P 241.18 I). 12, li. 1. 256.35 | 58.53 | 226.57 | 262.43 X37* D. 13, li. 1. 99.53 160. 5 I 277. 6 284. 8 D. 14, b. 1. 303.11 1 261.17 ] 327.15 [ 306.33 :• et : li. 1 distabant ad invi ceni 0. 30 tantum. D. 15, b. 1. 146.29 | 2.29 17. 24 326.58 H. 0. 30' • et erant et di¬ stabant a DJ. centro 3. 40. OSSERVAZfONI E CALCOLI DEL 1613 D. 16, h. 1 ab occaso, quae est. b. 8. 26 a meridie. Dies sunt 107. D. 28, li. 1 al) occasi), quae est li. 8. 20' a meridie. I)i 08 sunt 204. • et h. 1 nominili erant 4 co 398. 17 M..V, 869.26 9 26 28.42 172.31 11.19 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. i9m l§f * fJt I tjì R*K I 5 £W i S V i Kfe v 7+i * ?#- •- / Hss. Gai-, P.W, T. I\ r , car. 157f. 1614. Ianuarii d. 25, h. 8.30' ab oc¬ casi!, quae est li. 13.15' a meridie. Sunt dies 390. _ 185.43 307.43 110.11 2 . 7 156.54 150 117 54.51 1 . 3 263.30 312.30 201.54 27.13 32 224 327.16 134 . 20 11.38 14 58.30 7 G 2.38 730.34 586.24 370.34 766 . 9 730.34 532.28 370.34 32 . 4 215.50 161.54 ■1 1 i 7.X0 D. 26, li. 13.15 a meridie. 32 . 4 215.50 35.35 161/64 203.25 101.18 50.14 21.30 Hss. Gal., P. Ili, T. IV, car. 1791. Pisis, a D. Benedicto/” 1614 Februarii d. 9, li. 6 ab occasu, h. 10.50 a meridie. Dies a radice 405. Prost. 10. 20’ demenda. r 7 . 37 200 296.38 317 297 . 6 146 . 30 251.12 107 . 28 84 . 45 42.11 20 . 56 8 . 57 7 . 3 3 . 31 1.40 45 156 . 54 203 30 224 58 . 30 558 . 25 655 . 42 794 . 26 492.41 370 . 50 370.50 730.50 370 . 50 182 . 35 284 52 In hac D. Benedicti observa- tione plurimum est aberratimi. Primo, enim, • in tali situ, ut ab eo ponitur, conspici non poterat, nisi rnotus eius, in tabulis posi- tus, augeretur gr. 15; quod po- stoa admodum repugnat obsei’- vationi sequenti, in qua motus eiusdem, ex tabulis desumptus, est nonniliil imminuendus. Preterea, : si fuisset ut ponitur, nempe re¬ mota a centro 9].. 17 semid., in se- quenti fuisset remota tantum 9 : ponitur tamen 13. I). 10 ut sopra, b. 7 ab occasu. Ex observatione D. Benedicti: 182 35 203.25 8.29 284 52 101.18 4.13 ... 36 50.14 2 . 6 121.51 21.30 54 394.29 390 . 23 115 . 50 143.15 360 360 34.29 30 . 23 612 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. Iste computuH meliuH conventi Mm. lì»l„ P. Ili, T. IV. far. mi. 1614. ,,) Februarii, d. 27, h. 5 a b casu, quae est h. 10. 28 a » ridie. cum observatione 1). Benedicti: et apparo! de motibus » et ; ess» auferendmu. I)ies a radico 423 Mm. Gal., P II f. T IV. par IM/. 1614. Februarii d. 9, li. 6.30' ab oc casu, quae est h. 11.33. Suut a radice dies 405. Februarii caBii Martii, d. 1, li. 5 ali occasi! Martii d. 1, h. 5 ab occasi, uve est li. 10.30’ a meridie. Dies a radice 425. ___ OH 248. Il ! 126. 2 I 13ó-li 7.37 2 11 795 59 498 19 370.15 370.15 730.16 870 16 189.16 288.29 65.41 123. 4 189 16 288.29 65. 1 l rr. [ 203.26 101.18 ; 60. 14 21 :io 8.29 4 18 1 2. 6 54 41.10 34. 0 118. 4 145 28 211.54 105.31 1 52 20 22. 21 7.87 200 290». 38 108 28 226 284.50 850.16 303 54 150.43 84.45 42.11 20.5G 4.14 2. 7 1. 3 156 64 263.30 224 611 58 1037.42 978.10 :;ùh 56 728 56 728.56 213 2 308.46 249.14 D. 2, h. 5 ab occasu. 176 2!) 134.19 252.45 40.29 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. casu. D. 9, h. 5 ab occasu. 176 29 I 156.48 120.31) 243 41 33.37 156 .48 215.18 _c. D. 3, b. 5 ab occasu. 337.56 354.19 | 90.56 236.59 D. 4, li. 5 ab occasu. 181.43 ! 95.53 I 141.23 1). 5, h. 5 ab occasu. 25 31 | 197.25 | 191.50 D. 6, li. 5 ab occasu. 292.43 258 40 280.17 fi Mas. Gai., P. Ili, T. IV, par. 150*. 1614. Martii d. 10, li. 5 ab occasu quao est li. 10.43' a meridie. Tempus a radice dies 434. 7.37 200 296 38 317. 1 342.34 159 67.15 284. 4(5 93 41 45.12 200.58 85. 58 fc4.45 42.11 20.56 8. 57 6. 4 3. 2 1.26 39 156.54 203 QOA 58. 30 (>91.35 712.25 811.13 755.51 367.12 367.12 727.12 727.12 32 J. 23 345.13 84. 1 28. 39 I). 11, li. 5 ab occasu. : erant ; dunque : a elongatione, poteri gi ratio eorundem or OSSERVAZIONI E CÀLCOLI DEL 1614. Miw» Cial, P. Ili, T. IV, cur. 160>*. Martii d. 17, h. 4 ab D. 12, h. 5 ab ocensu occasu Nota quoti mirimi deservit prò locis trium • s j. 5 ab occasu occasu, I). 14, li. 5 ab occasu I). 20, li. 4 ab occasu D. 16, h. 4 ab occasu, quao est h. 9. 52. TempuB a radice dies 439. Mandato I). 21, h. 4 ab occasu I). 22, li. 4 ab occasu occasu 7.37 200 >296.38 317. 1 312.34 159 67.15 284.46 80. 13 191.42 92 10 193.26 76 17 37.58 18 51 8. 4 7.20 3.40 1.44 47 156.54 263.30 224. 0 58.80 621.28 855.50 700. 38 862.34 366.19 726 19 366.19 726 19 255. 9 129.31 834.19 136.15 OSSERVAZIONI E I). 23, h. 4 ab occasu._ WéTmFI 17-51 ! 308.59 D. 24, h. 4 ab occasu, quae est b. 10. 4' a meridie. Dies a radice 448. 7.37 200 296. 38 317; 1 216.46 92 139. 42 187.21 90 24 41.59 171.50 84.45 42.11 8.57 34 17 8 4 156.54 263.30 224 58.30 653.57 688 22 793.22 1 696.10 364.32 364.32 724.32 364.32 289.25 68. 50 331.38 D. 25, h. 4 ab occasu. 133.17 [ 65.30 119.22 | 333.24 D. 26, h. 4 ab occasu. 337. 9 | 167.10 I 169.54 14.10 D. 27, h. 4. 181 • 1 ! 268.50 | 220.26 I 35.56 Nota prò ratione orbium • et :. DEL 1614. 5 Ms». Gal., P. Ili, T. IV, car. 180». Martii 1614. D. 28, h. 4 ab occasu. 24.51 10 30 j 270.58 I 57.42 I). 29, li. 3 ab occasu, quae est li. 9.10 a meridie. A radice dies 453. 7.37 200 290.3N 317. 1 90.57 25 352. 5 354. 38 40. 50 202.36 42. 59 70. 17 37.58 18.51 8. 4 1. 25 42 21 9 150. 54 263 224 58. 30 203. 25 101.18 50.14 583. 25 830.34 1042. 38 363.18 723.18 723.18 723.18 220. 7 107.1G ! 79.33 -- - - Ir» ^ ? • n - _ - N. 3Ì ° D. 30, li. 3 ab occasu. 63.59 2os.r,»j 9.52 101.19 D. 31, h. 3 ab occasu. 267.51 I 310.36 | 60.14 | 123. 5 Expettu prò ratione orbium • et :. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. 616 Aprilis a. 1, 11. 3 ab occnsu. 111.43 | T.‘J lf, 110.46 144.61 D. 2, li. 3 al) occasu. 315.35 I 153.56 161.18 166.37 D. 3, li. 3 al) occasi». 159.27 | 255.36 211.50 188.23 Expecta ^ i et : prò ratione orbi uni. 11. 4, h. 3 ab occasi». 3.19 i 357.16 . 262 22 210. « Mandato sin qui. (,) Wjm. Uni., I*. Ili, T. IV, cnr. 161)'. 1614. Aprilis il. 5, h. 2 ab occasi], qnjio est li. 8. 22 a meridie. I)ies !i radice 460. 7.37 326. 9 157. IH 3. 7 150.64 200 318 88.46 1.32 288 206 33 134 30 16 15 44 224 0 317 1 209.» 7.19 ì) 58.30 660 36 810». 17 672.37 si 361.45 72 1 45 361.45 361.45 1 98.50 94.32 810.52 230 49 I). (>, li. 2 ab occasi!. 42 42 196.12 1.24 252.35 I). 7, li. 2 ab occasu. 246 3*4 297.62 | 51.56 274.21 ^ ■ >| __ • V e^-i D. 8, li. 2 ab occasu. 90 2(5 39. 32 | 102.28 • 296.7 Nota <3 : et •. D. 9, h. 2. 221. is | II! 12 ! 153. 0 317-M Cfir.Vol.XlI, lett. n.« 991, Un. 2. Aprilis d. 12, h. 1 ab occasu, tao est h. 7. 32' a meridie. Dies a radice sunt 467. D. 17, h. 1 ab occasu I). 18, li. 1 ab occasu OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614 I). 20, li. 1 ab occaau occasu D. 21, h. 1 ab occasu occasu D. 22, li. 1 ab occasu 1). 28, li. 1 ab occasu, quaeest li. 7. 53 a meridie. l)ies a radice 483. D. 23, li. 1 ab occasu 1). 29, b. 1 ab occasu occasu 1). 30, h. 1 ab occasu occasu 7 37 2t X) 296.38 317.1 73.31 184 59.19 219.21 250. 15 303.54 150.43 61.29 50.20 29.32 14.39 6.16 7.28 3. *14 1.46 « 156.54 263. 30 224 58 J a. 56 3.56 3.56 3.56 659. 1 988.36 751. 1 730 24 360 720 720 720’ 199. 1 268.86 | 1 31. 1 10.24 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. 61 » Maii d. 1, h. 1 ab occasu IL o, n. 1 ab occasi! li. 8. 4 a meridie. Dies a radice 491. I). 9, li. 1 ab occasu 7. 37 2(X) 317. 1 307.48 117 201.54 134. 20 101.18 50.14 21.30 G7. 48 33. 45 16.45 7.10 34 17 8 4 156.54 263.30 224 58. 30 5.30 5.30 5.30 5 30 749.31 721.20 795. 9 544. 5 720 720 720 360 29.31 76. 9 184. 5 620 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. I). 11, li. 1 ab occasi!. 328.46 *1 149 40 | 327.49 | 292.35 1). 15, li. 1 ab occasu. 1). 12, h. 1 al) occasu. 172 37 l 270 20 ' 18 21 1 311 17 1). 16, h. 1 ab occasu, 268. 4 ! 296 bi[~ D. 13, li. 1 ab occasu. 16.28 I 352. 0 I 68.53 | 335.59 Nota li. 0. 20 prò loco:, et li. 1. 30’ prò loco •. Et corrige cal- ciiluni per subsequeutein compu- tationem. D. 17, h. 1 ab occasu. 111.46 38.24 | 270. 7 I 62.33 7 ^ 3 =^ y-~s 1). 18, li. 1 ab occasu. 315.28 | 139.54 | 320.81 | 84.17 Ma». Otti., P. Ili, T. IV. car. IMr. Maii 1614. D. 14, h. 1 ab occasu, quae est b. 8. 13 a meridie. Dies a radice 409. 7. ;i7 200 * -- ' 2% 38 817. 1 307.43 117 201.54 | 1.34.20 30.46 191.42 32.10 i 193.26 67.48 33. 45 16.45 ] 7.10 2.50 35 26 12 156. 54 263 50 ' 224 58.30 7. 2 7. 2 7. 2 7. 2 580. 40 813. 54 838.55 717.41 360 720 720 360 220.40 93.54 | 1 118.55 , 357.41 I). 19, b. 1 ab occasu. 159.10 211.24 10.55 105.56 I). 20, li. 1 ab occasu. D. 21, li. 1 ab occasu. 206.34 84. 24 111.43 149.14 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. ■ 2 ] D. 22, h. 1 ab occasu, quae b. 8.20 a meridie. Dies a radice 507. occasu occasu occasu Maii d. 23, li. 1 ab occasu D. 29, li. 1 ab occasu occasu occasu ^180 32 250 280.49 806: io 343.56 349. 6 351.41 150.27 07.48 33.45 16. 45 7.10 2 50 1.24 40 18 8.12 8.12 8.12 8 12 156.54 363.50 221 58. 30 769.12 906.17 882. 7 1 530. 53 720 720 720 360 49.12 186.17 162. 7 170.53 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. 622 Iunii d. 1, b. 1- 2h4 52 1 20 57 “11 - 306 57 27 18 V- ■ I). 2, li. 1. 128.32 222.26 356 20 4* 51 _ _ _ : - V • Mm. 0*1, I*. Ili, T. IV. «r l*4r. 1614. Iunii d. 2, h. 1 al) occasu. quao est h. 8. 30' a meridie. Die» a radico fi 18. 18». 32 250 2H» 49 3o6 16 234 11 290. 0 142 25 211 56 187 21 90 24 41 56 171 56 67-48 33.45 16 45 7 IO 4.14 2 7 - 1. 3 i 27 156.54 263 30 224 58.30 9.25 9 25 9. 25 9 25 849 25 939 11 716.23 1 768. 40 720 : 7 20 360 720 129.25 219 11 356 23 43. 40 ri. 3, h. 1 ab occasu. 332.59 320.37 40.44 70 Ili -IX 3 i io. Zo I). 4, h. 1 ab occasii. 176.33 I 62. 3 | 97. 5 91.62 ri- a, li. l ali occasu. ri 163.29; ir 2 ìrs • fuit sic h. 3, referenteloanne Baptist». 11 ’ 1). G, li. 1 ab occasu. 223.41 261.55 197.47 K. 1 D. 7, h. 1 ab occasu. 67.15 6.21 | 248. 8 j 156.40 I). 8, h. 1. 270 49 | 107.47 298.29 | 178.16 I). 9, 11. 1. 114.23 209.18 ! 348.50 199.53 1). 10, b. 1._ ;;IV. f»7 i 310 39 39.11 | Cfr. Voi. V, pag. 191. nota *- 787. Un. 7; Vol.XU.Iott 081. liu. 27; lett. u.« IOC2,lm.81,w OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. jta.W, r. III. T.IV, c»r. IMI. 1614. Iunii d. Il, h.l ab occasu, quae est h. 8.32' a meridie. 189 32 108.23 343.56 67.48 4.31 166.54 10.10 250. 0 226 349- 6 33.45 2.15 263.30 10.10 280 49 284. 50 351. 41 16. 45 1. 7 224 0 10 10 306.16 69.51 150.27 7.10 29 58.30 10 10 881.14 720 1134.46 1080 1169. 22 1080 602 53 360 161.14 --*! 54.46 89. 22 | 242.53 • ■■ ^ - j— D. 12, 11. 1. 4.44 156.8 139.89 264.120 D. 13,.h. 1. 208.14 | 257.30 1S9. 56 2S5.59 i et • vere fuerunt: sed li ac bora non distabant a centro D|_ nisi vix 2. 0. D. 14, U. 61.44 358.52 240.13 I 307.32 I). 1G, h. 1. — --.-tara . — ■ i — ■ j— .-t 98.4*1 201.30 340.47 I 350.38 li. 0. 30. c/ : et : fac.ta est tardius quam ex calculo. II. 0. 30 - et : Uiata- bant tantum 1. 40'. D. 17, h. 1. 302.14 | 802.58 | 31. 4 | 12.11 _ 1). 18, li. 1. 145.44 | 44.20 | 81.21 | 33.44 H. 1. 20 vere fuerunt sic: D. 19, li. 1. 349.14 I 145.42 I 131.38 55.17 -19.40 T 1040 H. 0. 30 • distabat a 14 cen¬ tro 2. 624 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. Mso Qui,, P. Ili, T. IV. c»r. 1»<-, 1614. Iunii d. 21, li. 1 ab occasu, quae est h. 8. 36 a meridie. Dies a radice 537. 189. 82 260. 0 280 49 j 306 16 342 34 159 67 15 2HI. 46 343. 56 349. 6 351 41 150.27 67.48 83.46 16 45 7.10 5. 5 2.32 1.15 32 166.84 263.80 224 58.80 10.30 IO. 30 1080 | IO 30 1116.19 1068.23 9 .2. 15 818. 1 1080_ 720 720 790 30.19 848.23 282.15 96. 1 D. 22, h. 1. 239.4(5 | 89.42 j 282.30 119.32 I). 23, h. 1. 83.13 | 191. 1 332.45 111 H. 1. 45 : dÌ8tabat 1. 25 a cen¬ tro f)|., referente 1). Beuedicto. IL 2. 30 distabat 2. D. 24, h. 1. -r _ —--„ , _ 286.40 1 282.20 ; 23. 0 162 84 I). 25, h. 1. 13a 7 I 83.89 I 7U5 IL 1 : et • nondum erantW sed distubant ad inviceli) 0,15 IL 1.18 vere fuerunt (j . I'. 26, h. 1. 333.34 | 134.58| 123.30 = | ~m Vr 1.0 SS ^ Il 786.21 720 1056.24 720 1109.50 1080 575.0 360 45.21 I 336.24 29.50 I 215.0 / — I). 31, h. 1. 2 ih. 33 77.34 79.57 236.21 l Augusti d. 1, h. 1. 91.45 | ■ r _ 178.44 | (T\ - 129.64 | 257.46 D. 2, h. 1. 294.67 | 279.54 | 180.11 | 279.12 D. 3, h. 1 . 138. 9 I 21. 4 r 230-1® OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. 629 D. 4, h. 1. STTIÌTh I m 322. 0 D. 5, h. 1. _ 184.33 i 223 24 1 330.32 | 343 24 H. 1 vere fuerunt sic : H. 1. 20’ fuerunt sic: Hac bora : et • distabant tan¬ tum 2. 0. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 1B7<. 1614. Augusti d. 9, li. 1 ab occasu, quae est li. 8. 4 a meridie. Dies a radice 586. 189. 32 sgll—-— g- ■ ■ - 250 280.49 306.16 73.31 184 59.19 279. 24 140.31 33.45 16.45 7 10 67.48 8. 48 8.48 8.48 8.48 17 8 58. 4 34 263. 30 224 30 li, ti 54 247. 48 301.27 128. 57 637.38 & co 891.16 789. 9 «•suo \ 720 720 720 277.38 i 268. 8 171.16 69. 9 Ilac bora • vere distabat 2. 30' ; ergo retrahendus est 0.40': idem- que ostendunt aliae superiores observationes. D. 10, li. 1 ab occasu. 120.50 | 9.17 | 221.137 90.33 D. 11, h. 1. 324. 2 [~ 110 26 | 271.20~| 111.57 Hac bora • distabat 3.36, seu potius 3. 40. D. 8, li. 1. 74. 9 [ 1CG. 54 j 120. 53 47.3(i il. H. 0. 40' : distabat 3. H. 0.45' • distabat 2 ; : vero b. 1 distabat 4. 15. Adhibitis correctionibus, bene respondent. Adhibitis correctionibus, respon¬ dent optime. H. 0. 30 : distabat 1.15, quod congruifc cum einendationo. H. 2 j ab oclypsi liberatua est, et distabat 3. 1614. Augusti d. 19, h. 1 ab occasu quae ost li. 7. 50 a meridie. I)ies a radice 596. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. D. 13, h. 1. ; - - - . 10.2(5 ; 312.44 | 11.84 | 164.48 I). 18, h. 1. :!<>/.ili; | as. no D. 23, h. 1. all ori 243.5 1X28, h. 1. 177T31 [ 29.31 43.12 I 115.19 ^1.30 269.11 | 73.31 | 243.37 | 201.16 H. 0. 30 : mediani sedem 00 cupabat inter • et j ; et optime respondet, cum correctionibus. 632 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. 174 40 1 2113 44 Septombris d. 8, h. 1 a b M . caso, qua© est li. 7. 24' a meridie, Dics a radice 616. Hac liora • erat potius vicinici iij.' quain •, referente (loro. 158.50 I 10.58 : 33.58 ! 205.4 284.35 12.0 distabat 2. 50 334.40 308.40 D. 7, li i. 1 . 48.29 320.25 181.19 | 330. 0 11.26 800 265 284.11 293 142.25 140.31 247.48 801.27 59. 20 29.32 14.39 8 24 1.41 48 156.54 263 224 6 11 6.11 6.11 611.57 1141.12 954.30 360 1080 720 51.57 Gl. 12 234.30 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. Mss. Cini., P. Ili, T. IV. cnr. 1721. . Pisis, a D. Benedicto. <1) 1G14 Decembris d. 2, li. 13.12 noctis sequentis, quae est d. 2, li. 20. 40' a meridie. Dies a radice 701. 193.20 850 219. 8 28 !.47 203.25 101.18 50.14 21.30 109.30 84.22 41.52 17.54 5.39 2.49 1.20 36 156.54 263.30 224. 0 58. 30 728.48 801.59 566.34 383.17 724 72*1 364 364 24.55 07. 42 175. 0 110. 5 280. 0 Mss. Gal., P. IH, T. IV, cnr. IGSi. 1614. Septembris d. 18, h. 1 ab oc- casu, quae est h. 7. 9 a meridie. Dies a ra dice 6 26. _ 300 265 226 284.50 8 301.27 2 14.39 8 19 224 5. 3 1072. 2 1095.18 Pisis, a I). Benedicto. 1614 Xmbris d. 25, h. 21. 20' a meridie. Dies a radice 724, li. 21. 20' a meridie. Prost. sub. 7. 193.20 350 249. 8 108 23 226 284.50 93. 41 45.12 200. 58 180 49 156.54 733. 7 974.41 1003.34 727 727 727 CI Cfr. Voi. XII, lett n.« 1059, lin. 10-11. ci Lo lettere con le quali D. Bbnkoktto Ca stelli in vilivn r Galileo questa c lo seguenti osscr vazioni, non sono porvemito insino a noi. #••• 634 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. P. III. T. IV, e*r. 180r. l’isis, a D. Benedicto. 1614 I)ecembrÌ8 d. 2, h ab occasu. Ex calcalo non correcto ita 1). Benedictus ita ìnisit Pisis, a D. Bonedicto. 1614 Xinbris d. 60, li. 21. 50 a meridie. I)ies a radice 720, li. 21.50'. 193.20 350 249. 8 284.47 108.23 226 281. 50 . 69 51 80. 16 191.42 92.10 193.26 177.59 88. 35 43.58 18.48 7. 3 3. 31 1.40 45 156. 54 263.30 224. 0 1 58 80 674.25 1123.18 895.46 626. 7 307. 35 ! 1087.35 727. 35 |_867.35 306.50 35.43 168.11 ! 258 32 WZMSmi • • Dubitat, utrum orientalior sit hoIus an 2 I). 31, mane h. 14.15. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1614. 635 Maa. c 3 !., P. HI. T. V, cu.iOr. (*> 1014. Iunii d. 24, h. 4. 15, et •> coniuncti fuerunt. Time autem erat iu gr. 29. 7; v vero, in gr. 1G6. 4', seu 13. 50. Iulii d. 10, h. 1, distabat 105. 53', adhibita correctione 40'. Et v distabat 140. 58, facta correctione 36'. Et idem •> erat orientalior 0.10'. At si v procedat 0. 30', acquirit illa 10' minuta: movetur autem 0.30' in tempore 0.33' proxime. Tertius vero in tanto temporo movetur 1.10'fere, quod interval- lum vix sensibiliter minuit distantiam suam a Qf.: ex quo citra errorem sensibilem dicere possumus, •> et coniunctos fnisse, cuna •> distaret ab auge vera 147.35, .% vero 107.15. Ex bis constat, qualium Bemidiameter orbis esso 14, talium orbis v semidiametrum esse 24. 50 proxime, ex sequenti vero 24. 21'. Mss. Gal., P. UI, T. V, car. 401. W 1613 Ianuarii d- 29, •• distabat a centro Qj. 14. 20’; ab auge vero 324. 32', seu 35. 28'. Ex hac observatione semidiameter orbis •> continet diametros 24.41'; ex sequenti vero 24. 11'. 1610 Decembris d. 7, •> distabat a centro Qj. 13. 50'; ab auge vero gr. 34. 54'. 1614 Iunii d. 18, li. 1. 20, •> et fuerunt : •> autem distabat gr. 34.38; vero in gr. 81. 21. • 1614 d. 5 Augusti, •> distabat a Df. 6 . 30', cimi esset in gr. 344; hoc, cum distaret ab auge gr. 10. 1614 Augusti d. 7, •*• cum esset in gr. 20. 50, distabat 11. 10' a D|_. Ex bis semidiameter •> est 24. 44. ^ 0 \ odi pag. 846 o 847 di questo volume. 63g OSSERVAZIONI B CALCOLI DEL 1614. Sin. Qui.. P. I». T- V, o«r. 4lr. (•) 1614 Iulii d. 12, h. 1.36, : et fuerunt Erat/.in gr. 207.28'. — 27.28'; gy : vero in gr. 314. — 46. Ex line obnervatione, rum Hemidiameter fuerit 14, semidiametor : erit 9. 5. ThH : distabat a ■)} 6, 2»'; ab auge vero 46. ()'. 1614 d. 25 Iunii. Fuit tane • in 127.40. seu in 52.20'; : vero in gr. 31.25. Ex hac olwervationo, dum Hemidiameter : fuerit 9, semidiameter • est 5. 55. Mia. (HI.. P. Ili, T. V. car. 411. (') 1611 29 Aprili», li. 4.30 ( 11.25 a meridie), • in 347 fuit. - prò • 9. 3. Et 1614 Septemhris d. 4, li. 0.30 (6.57') fuit in gr. 150. — prò • 6. 40'. •* .T'fjh In prima ergo observatione • distabat ab auge media 338 pn> xime; in secunda viro distabat ab auge media 143.20'. Igitur motus eius, reieetis integris eirculis, fuit gr. 165. 20' in die- bua 1223.19. 32. 22 143.20 D. h. / 12. 30 :k>o :m 123 4. 6. 57 1223.19. 32 19. l 3. 49 UH 23 250. 15 101. 1 . 31 .*17. 4 300 • 147. 4 1614 Iunii d. 18, %• distabat in cimilo gì*. 34.38; sed a centro % semidiametros 13. 45. Quanta ergo est (*ius maxima elongatio? Ei unt 24. 12. (‘ * *) Vedi questo a pag. 848. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1615. ita Gal.. P. HI, T. IV, car. 173r. D. 4, li. 19. 50. Pisis, a D. Benedicto. (1) 1615 Ianuarii d. 2, h. 12.20 ab occasu, li. 19.50 a meridie. Dies a radice 732. 193.20 342.34 7. 3 156.54 1058.46 727.30 f>82.19 367.30 2S4.47 284. 40 42. 59 17. 1 45 58.30 688.48 307.30 180.13 i 331.10 1 314.49 1 321.18 Ex calculo non emendato: A D.° Benedicto ** 7 7T a meric ie. 331.16 314.49 321.18 101.18 50.14 21.30 82.34 5. 3 342 48 38 82. 34 r>. 3 342.48 203 25 101.18 50.14 21.30 227 . 3 183.52 i 55.17 4. 18 Pisis, a I). Benedicto. m I). 4, li. 21. 52 a meridie Dies a radice 734. 971.48 727. 45 241. 3 850 249. 8 284.47 159 07.15 284.46 45.12 200.58 80. 58 88.35 43.58 18. 48 3.39 1.44 47 263. 30 224 1 909.56 1 727.45 787. 3 727.45 733.30 727.45 182.11 59.18 5.51 Sic ex calculo non correcto : _ <*> Cfr. Voi. XII, lctt u.° 10G‘J, liti. 8 M * (:fr - Vo1 XII, lott. n o 1069, lin. G. <2) Cfr. Voi. XII, letti. n.° 10G9, lin. 7. OSSERVAZIONI E CALCIOLI DEL 1615. 640 M*s. Gal., P. Ili, T. IV, car. 113». . retrahenda videtur gr. 6 ex observatione dici 19 Iunii 1614 otiamsi orbis ampliatus nit in iliobus 535. 1014 Et die 20 Iunii retrahenda puriter videtur gr. 6 circiter 1014 Ex dio 27 labi retrahendus videtur 7. Idem osteudit dies29 Ex observatione dici 8 Aprilis 1613 retrahenda videtur gr, 3 ^ diebus 98. A11. 1012, d. 12 Fobrunrii, h. 0.50' ab occasu, quae est h. 5.50' a meridie, • distabat ab auge vera gr. 22: ost autem prostaphae- resis 0. 20’ fere, de qua non curabimus. 1615 Ianuarii d. 9, li. 21. 10 a meridie, distabat ab auge vera gr. 148, sed a media 157 fere. Dies intermedii sunt 1002, li. 15, qui continent h. 25503. Ex bis motus horurius reporitur gr. 8. 28'. 28". 19"'; diurnus vero, gr. 203. 23'. 19". 36'"; decolli dimmi, gr. 233. 53.16 ; dierum 100, gr. 178. 52.40; dierum 1000, gr. 348. 46.40 (l> . Eadcm quac supra exactior operatio. An. 1612, Februarii d. 12, li. 0. 54 ab occasu, quae est li. 6 a meridie, • distabat ab auge vera gr. 23 proxime, et tantundem ab auge media, quia tunc prostaphaeresis fere nulla fuit. An. vero 1615, Ianuarii d. 9, li. 21. 10 a meridie, distabat ab auge media gr. 156 proxime. Dies intermedii sunt 1062, li. 15 proxime, qui continent h. 2 5503, Motus ultra rcvolutioncs intogras habet gr.183. Itevolutiones autem integrao sunt 600. linee autem cuin gradibus dictis 133 conficiunt gr. 216133, qui si dividantur per numerum horarum 25503, dant horarium motum gr. 8. 28. 29. 18.17.14. 6; diurnum vero gr. 203. 23. 43. 18. 53. 38. 24; 10 dierum gr. 233. 57.13. 8. 56. 24; 100 dierum gr. 179. 32. 11. 29. 24; 1000 dierum gr. 355.21.54.54. ■. Et ex hac computatione potest corrigi tabula: et radix in me¬ ridie Ianuarii 1013 ponenda est III); radix vero in meridie Ianuarii 1610, in gr. 68 proxime. <’> Da « An. 1G12, <1. 12 Februarii » a € gr. 348. 4fi. 40 » è cancellato con una line» trasversi OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1615. 641 « B5 .G ) l.,P.III, T.IV, c»r. lHr. 1615, Pisis, a D. Benedicto. 111 , Ianuarii d. 9, h. 21.10' a me¬ ridie. Dies a radice 739. 193.20 342.34 30.46 177.59 1.25 156 54 350 159 191.42 89.17 2G3. 30 249. 8 67.15 92 10 43. 58 224, 20 284.47 284 46 193 26 18.48 58.39 Bill 953 29 728.30 676.53 368. 30 840. 26 728.30 174.28 225. 0 308.23 111.56 «ss. Gal., P. IH, T. IV, tir. Hit. 1615 Ianuarii , d. 20, li. 19.50' a meridie. Dies a radice 750. Prosi. 9 dem. 193.20 350. 0 249. 8 28*1.47 90.57 25 352. 5 354.38 161. 2 80. 9 39. 47 17. 1 7. 3 3. 31 1.40 45 156.54 263. 30 224 58.30 609.16 722. 866.40 705.41 369 369 729 369 240.16 353. 137.40 336.41 Ex calculo non correcto: A D. Benedicto : (2) Cfr. Voi. XII, lott. ii.» 1072. |51 cfr ' Voi. Xll, lott. II.» 1074. Un. 9. 1615 Ianuarii d. 25, h. 19. 15 a meridie. Dies a radice 755. Prosi. 9. 30 dem. 193.20 350 249. 8 284. 47 90.57 25 352. 5 354. 38 297. () 146.30 251.12 107. 28 161. 2 80. 9 39 47 17. 1 2. 7 1. 3 30 14 156 54 263. 30 224 58.30 901.26 866.12 1116.42 822. 38 729. 30 729.30 1 1089. 30 729. 30 171.56 136.42 27.12 93. 8 Sic ex calculo : J'.'LO 1*1 bm. fini.. P. III. T. IV. cflr. I80r. lanuarii d. 2 6, li .tri attutina 13.45. 'lo 1615 Ianuarii d. 3, li.’12. 20'. D. 4, li. 12. 40'. D. 5, li. 14. 20'. i/ <>> Cfr. Voi. XII. lott n.« 1075, Iin. 21. » OSSERVAZIOM E CALCOLI DEL 1615. 642 Msh. Gal., r. III. T. IV, car. 180/. Pisis, 1615. 10 Ianuarii, h. 13.40’. m I). 11, li. 10. 30 '. iV I). 12, li. 12. 20". I). 20, li. 12. 53'. (,) I>. 21, li. 12. 28'. (2 ’ I). 2G, li. 12.0'. <3) i" Cfr.Vol. XII, lott n.<* 1072, liti 4 I*' Cfr. Voi. XII, lott n » 1072, liti b i» Cfr.Vol. XII, loti, n.» 1072, li». 0. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. Mse.Cal., r.Iir, T. IV. ear.181* D 1 ) 1616, llomae. Maii d. 5, li. ll.BO a meridie. Dies a radice 12G. 11. 30'. Prost. demenda 8. 12'. 181.54 r>0 344.10 349.15 108.23 226 284.50 69.51 140 31 247.48 301.27 128.57 93.14 4G.24 23. 2 9.51 4.14 2. 7 1. 3 27 60.47 307 158.44 192.50 589. 3 879.19 1113.16 751.11 368.12 728.12 1088.12 728.12 220.51 151. 7 i 25. 4 22.59 802. 46 725. 24 799.18 725.24 886. 20 756. 7 725.24 725 24 50 92 303.54 46.24 307 344. 10 209.41 150.43 23. 2 158.44 349.15 139. 42 64. 29 9.51 192.50 Ex calculo: Ex observatione ad oculuin, et ad tempiis iuxta orologium Tri- nitatis : Mb». Gal., r. Ili, T. IV, cnr. 1811. Maii d. 23, h. 11 a meridie. I)ies 144. Hinc comici potest, : retrahen- dum esse gr. 5, ut etiam colligi- tur ex sequentibus observationi- bus dieruin 23 et 25 Maii. Et cimi hoc ita sit, de mota quoque : gr. 4 demandi videntur. 646. 22 540.36 365. 22 365.2 2 281. 0 175.14 Ex calculo: 216. 46 93.41 93.14 60. 47 0 92 45.12 46. 24 307 344.10 209.41 200. 58 25. 8 158.44 349.15 139. 42 85.58 10.45 192.50 778.30 725.22 646 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. Ex observatione Becundum lio- rologiura Trini tatis: sQ- A'* Ex hac observatione : re tra liendus videtur gr. 5 fero. I). 24, h. 10. 30' a meridie. Dies 145. 181.54 50 844.10 » 349 15 216.46 92 209.41 189. 42 297. fi 14fi 30 251.12 107 28 88.59 44.18 21.59 9.24 60.47 307 158.44 192.50 845. 32 fi39.48 985.36 798. 89 725 366 725 725 120 32 274. 4 M 260 3 fi 73 89 I). 25, h. 10. 30 a meridie. 323.43 | 15.52! 810.36 94 55 : li. 10. 45 distabat a centro DJ. 1.30'. D. 26, li. 10. 30 a meridie. 166.54 116.56 0.36 116.11 • borahic notata distabat 2.10'. H. 2. 10 ab occasu, seu 9. 36 a meridie, • distabat 3. Ex hac observatione • retra- bondus videtur gr. 10. Mai*, (lai., I*. Ili, T. IV, car. I82r. 1616. Maii d. 27, li. 10 a meridie. Dies a radice 148. 181.54 216.46 187.21 84.45 60.47 50 92 IH). 24 42.11 307 344.10 209.41 41.56 20.56 158.44 731.33 724. 20 581.85 864.20 775.27 724.20 7.13 217.16 51. 7 ||_ j __ a* Ex observatione diei 13 De- cembris 1610, li. 8 a meridie: distabat ab auge media gr. 20. Ex observatione vero prece¬ denti, dici nempe 25 Maii 1616, b. 12. 6' distabat pariter ab auge media gr. 20. Su ntigitur dies intermedii 1990, li. 4. 6, quibus débentur integrae conversiones. Verum ex tabula- rum calculo supersunt ultra iu- togras conversiones gr. 4.17’, qui distributi in dictis diebua 1990 dant prò singulis dierum dece- nis gr. 0. 1'. 17". 30 ” demendos, prò centenis vero dierum gr. 0. 12'. 55". - -• Similein correctionem osten- dunt observationes praecedentes ( dierum 5,23 et 25 huius mensis. I). 28, h. 10 a meridie. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. G47 D. 29, h. io a meridie.__ ^ 29 ^] 60.17 | 152 . 1 | 181.46 Ilac hora vere fuerunt sic, nernpe orientales c/ : yo H. 12 a meridie. i-;o Mas, dui, P. III. T. IV, coi-. 1821. 1). 31, li. 10 a meridie. 101.29 | 263. 3 | 262.89 I 22-1.56 Iunii d. 1, li. 10 a meridie. 806. 8 4.31 i 303. 7 I 240.10 II. 12 : ab oriente fere tangebat. 1). 2, h. 10 a meridie. 148.47 100. 3 I 353.35 268.24 : hac bora distabat 3. Hinc const.at, omnes, excepto :, esse retrabendos, ut etiam ex superioribus apparet. 729.19 753.57 855. 7 720.43 720.43 720.43 349.15 209. 33 85. 58 7.10 192. 50 844.46 720. 43 C>48 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. occasu Sntis exacta H. 2 ab occasu, 9. 30 a mori die, fuerunt sic : Ilinc • retrahondus videtur II. 2 ab occasu : et • vere fue runt q / > s ^ c: T). 18, h. 9 a meridie PI. 1 fuerunt sic II. 2. 35' • distabat vere 2. II. 3.48', idestb.ll. 25 a meri¬ die, • Iovom vere tangebat, idest centrimi eius circuinferentiam 181.54 50 344.10 349.15 325. 9 318 134.30 209.33 187. 21 DO. 24 41.56 171.56 75. 17 37.58 18.51 8 . 1 CO. 47 807 158.44 192.50 20 20 20 20 831.48 803.42 098.31 931,58 720 720 360 720 111 18 83.42 338.31 fili.58 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 04 y tangebafc ad unguem : exactissim a obsorvatio, et quae maximopere existimetur. Hinc • retrahendus videtur gr. 10. H. 8 idem • distabat versus oc- casum a contro 9|. 2. 35. D. 19, li. 9 a meridie. * _ _ _ -• -.-«sa " 3, J | 28.36 P130.13 | 277. 28 ILI ab occasu : distabat 3.30. D. 20, h. 9 a meridie. 20(148 129.14| 180.47 | 299.18 H.0.40'• tangebat 9). ab orien¬ te; ex quo retrahendus videtur gr. 3.30'. II. 2.30' • distabat 3. Msa. Gal., r. Ili, T. IV, car. 181)-. 1616. Iunii d. 21, li. 9 a meridie. Dies a radice 173. 181.54 60 344. IO 319.15 199.20 251 270. 56 64. 29 250.15 303.64 150.43 64. 29 76.17 37. 68 18. 51 8. 4 60.47 307 158.14 192 50 1.40 1.40 1.40 1.40 770.13 951. 32 951. 4 680.47 720 720 720 360 50.13 231.32 231. 4 320.47 ni. D. 22, li. 9 a meridie. 268.58 io ; 281.38 1 342.37 II. 1 ab occasu vere fueruntsic: II. 2.30 • mediani occupabat. sodem inter : et :. IL 3.50'. S'ho • Hinc : retrahendus videtur 5.30'. Istae observationes fuerunt sa- tis exactae Qnosto parolo « Istao ... oxactfto » sono riferito nel uis. alio osso rv Azio ni di ILI, 11. 2.30 o IL 3. 50. 85 650 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. D. 24, h. 9 a meridie. 301.28 176.26 | 22.46 | 26.17 H. 1.20’ ab occasu : distabat a centro 9|- 1.50'. H. 2 eadom distabat 1. 20, et : et • tuuc aequaliter distabant a 9(. a , et distantia videbatur a centro 5. 20'. i II. 4.12 distantiao intor : et • et inter j et circumferentiam Q|. j erant aequales. Rine : retrahendus videtur 6. Mss. Gal., P. Ili, T. IP, cnr. IS4I. 1610. Iunii d. 25, li. 8 a meridie. Dies a radice 177. 181.64 fiO :;u. in 849;16 199. 20 251 276. 56 04 29 343. 56 349 6 351.41 150.27 67. 48 33.45 16 45 7. IO 60.47 307. 0 158 44 192.50 2. 30 2.30 2.30 2.30 856.15 993.21 1150.46 ! 766.41 720 720 1OS0 720 136.15 273. 21 70. 46 46.41 H. 2. 30' . distabat a centro 2|- 3. 30' proxime, et : et * di¬ stabant inter se 5 et paulo plus. H. 3 • distabat 3. D. 26, h. 8 a meridie. Ilora supraposita fuerunt sic, ex quo apparet : retrahenduni esse gr. 6: IT. 1.25', 2 viciniores aequaliter distabant a 2J-, sic: II. 2. 36', quae est 10.13 a me¬ ridie, sic: Rine • retrahendus videtur gr.3. 1). 27, li. 8 a meridie. Ilac bora • distabat 3. II. 2. 36' • distabat 1.30', R. 3. Exacta observatio. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 651 H. 4.6'. Exacta. : Hinc • retrahenclus videtur 9.45', et • 4 tantum. ; H. 4. 80. D. 28, h. 8 a meridie. H. 2. 30' ab occasu • distabat 3.45'. Msa. Gal, P. Ili, T. IV, car. 185r. 161G. 1). 29 Tunii, h. 8 a meridie. Dies a radice 181. 181.54 50 344.10 349.15 73.31 184 59.19 279. 24 203.25 101.18 50. 14 21.30 G7.48 33.45 16.45 7. 10 60.47 307 158. 44 192.50 3.30 3.30 3. 30 3.30 500.55 G79.33 632. 42 853. 39 360 360 360 720 230.55 133. 39 I). 30, h. 8 a meridie. H. 3 : et : distabant ad invi ceni 2. Iulii d. 1, li. 8 a meridie. 278.25 1(»2 40 j 13 50 J 17719 II. 0. 30' fuerunt sic: II. 1 ab occasu : tangebat et bene congruit motus tabulae. Nota quod, cum : distabat a con- tactu 9j- 0. 30, antequam tangat requiritur tempus li. 1.13; quare error est in bisce notationibus. II. 2. 30'. H. 2. 30' ab occasu : et : vere fuerunt coniuncti. 65 2 OSSEE VAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 1). 3, h. 8 a meridie. 826.55 | 6. 6 | 114.58 2 <» 59 Ilinc apparet, : retrahondum esso gr. 8. 30'. II. 2 • distabat 3.15. II. 2.56' : oxivit ex umbra Qf-, distaila n circuin ferenti a eius 1.15'. Ex hac observatione, de mota : demandi sunt gr. 5. 37'. H. 3.45 • distabat 1. 40', et h. 4.30 .‘4- em tangebat. Hu. (tal.. P. ni. T. IV. e»r. 1»». 1616. i>OTa centro 2.48. li. 3. 36 distabat 3. Ilinc • retrahendus videtur gr. NVI ma - WMt’o««w*»ie » «J'Jj 1 n • ,»^ 4 - 1 i • -t . con un Asterisco alle parole « ot li. • 4 0, : XetrauendU8 Videtur gl*. 5. Ungobat », cho sono sottolineato. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 653 Hinc constat, quoti si : retra- hatur gr. 5, : arit retraliendus 8.30'. Si tanien aliquis error fuit in tempore, ita ut ponatur li. 4.30, : retraliendus erit 6. 30' proxime, cium : retrahitur 5, ut ostendunt alias obs0rvatiou.es. Mss. Gal., P.1II, T.IV. car. 180i". 1616. Iulii <3. 9, h. 8 a meridie. Dies a radice 191. 181.54 307.43 203.25 67.48 60.47 5.50 no 117 101.18 33. 40 307. 0 5.50 314.10 201.54 50.14 16.45 158.44 5.50 340. 15 134.20 21.30 7.10 192.50 5. 50 827.27 720 614. 53 360 777.37 720 710. 55 360 107.27 254. 53 | 57.37 i 350.55 4 0 • * -- 1 - • • D. 10, li. 8 a meridie. 311. 2 | 35G.21 108. 1 12.35 H. 0. 45 : distabat a centro % 1.15'. H. 1.10'9j_ em taugebat: ex quo retrabeudus videtur gr. 6. D. 11, b. 8 a meridie. 154.37 97.49 158.25 31.15 I). 12, b. 8 a meridie. 358.12 199.17 | 208.49 | 55.55 io. D. 13, li. 8 a meridie. Mas. Cai., P. Ili, T. IV, car. 1881. 1616. Iulii d. 16, h. 8 a meridie. Dies a radice 198. 181.54 60 844.10 349.15 307.43 117 201.54 134 . 20 187.21 90.24 41.56 171.56 67.48 33.45 16.45 7 . 10 60 . 47 158 . 44 192 . 50 7.20 7.20 7 . 20 812.53 605 . 29 770.49 862 . 51 720 360 720 92 . 53 245 . 29 142.51 * 4 . 19 654 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. I). 17, li. 8 n meridie. II. 3. 30 ab occusu : tangebatQj.. D. 18, h. 8. 140. 3 | 88.25 ! 151.37 ! 180.11 Respondobat ad unguem, facta correetione. D. 19, h. 8 a meridie. 343.38 | 189.53 | 202. 1 1 207.51 Coniunctio ♦ et : facta fuit h. 2. 20' ab occasu, quae est h. 9.45' a meridie, et distaila centro Qj. 1.20. Ex calcolo au- tem incaponito, per tabulas cor- rectas, utraque stella adhuc re- trahenda videtur; nisi dicatur, •’i roioin accidisse in tempovis mi- n(eruzione, quae facta fuit per horologium civitatis. Quare ex sequentibus fiat rursus exactior inquini tio. I)ies 201 a radico. 2.80 100 203.25 101.18 76 17 37.58 5.89 2.49 42 21 52. IO 301 7 52 7.52 :us 35 551.18 360 191.18 Facta observatione in sequen- tibus diebus 19 et 31, • retti- henduB est 1.30, : vero 3. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 655 QtU P. HI, T. IV, car. 187" '• Sequentes constitutionos caleu- latae sunt per tabula* emeuda- tas. (1> 1G16. D. 25, li. 8 a meridie. Iulii d. 20, h. 8 a meridio. Dies a radice 202. 2.30 46.50 67.48 52.10 7.53 100 202.3f> 33.45 301 7.53 327.40 100.29 16.45 154.25 7.53 338. 30 42. 59 7.10 192.50 7.53 177.11 645.14 360 607.12 360 580.22 360 285.14 247.12 229.22 D. 21, li. 8 a meridie. 20.44 26.40 297.34 | 251. 0 • * » • _- -- • . ' _-30^ D. 22, li. 8 a meridie. 224.17 128. 6 347.56 272.38 D. 23, li. 8 a meridie. 67.50 | 229.32 I 38.18 294.16 Cfr. |i« ? . 47!. I). 26, li. 8 a meridie. 818.29 178.60 189.24 359.10 Mas. Gai., P. Ilf, T. IV. car. 187° *. j 1616. Iulii d. 27, li. 8 a meridie. Dies a radice 209. 180 1(H) 327.40 338.30 30.46 191.42 92.10 193.26 67.48 33.45 16. 45 7.10 52.10 301 154. 25 192.50 8.56 8.56 8.56 8.56 162.10 635.23 599. 56 740. 52 360 360 720 275.23 239.56 20.52 Respondebat opti me. D. 28, li. 8 a meridie. 5. 45 I 16.51 I 290.20 | 42.32 li. 2. 20' • exivit ex umbra, di- stans a centro 9f- 1.40'; ex quo retrabendus adirne videtur gr. 1. 30' proxime. Imminuatur ergo radix; et cum esset posita 52. 10, ponatur 50.40', et in sequentibus adliibeatur correctio. 656 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 1). 29, h. 8 a meridie. 207.50 118.19 8-10.44 61 12 II. 2. 30' • et • fuerunt et distabant a centro ii|. 3. 40’. Rt omnia optiino respondent cinn calculo. I). 30, li. 8 a meridie. ■ i » — — —- ■? 1 ■ ^ 51.25 | 219.47 j 31. 8 | 85.52 I). 31, li. 8 a meridie. 255. 0 7 321.15 1 81 32 I 107.32 ex quo observotur, numquid orbis • sit paululum ininiinuen- dus, aut : retrahendus gr. 2.30"’, ut ex precedenti dici 19 lulii 1 *’. Augusti d. 1, h. 8 a meridie. 98.35 1 62.43! 131.56 129.12 7%o-— Bene respondit. (*) Il numero dei gradi ora «tato prima scritto, poi fu cancellato, ma da Oaltlxo stesso corrotti» in questa forma. ( 2 ) A questo appunto « TI. 1 al) occasu . . . 19 lulii • è apposto il segno duna : cfr. pag. 6W, colonna 2» • Facta observationo ». 1). 2, li. 8 a meridie. 10 l, :i 11 i 182.20 ! 1 fili yi _L_ : exivit versus occasum h.2.8 et bene respondidit. Sed : bora propositi distabat fero 3, nude retraliendus adirne videtur gr. 3, ut etiam colligitur ex diebus 19 et 31 lulii. Mh». Gal., P. Ili, T. IV, c»r,188r. 1616. Augusti d. 3, li. 8 a meridie, Dies a radice 216. 2 80 211 7 140.31 67.48 50.40 0 13 100 293 247.48 33.45 301. 0 9.43 327.40 142.25 301.27 16.45 154.25 9.43 338.30 214.56 128.57 7.10 192.50 9.43 f>u:,. H) 860 985.16 720 952.25 720 892. 6 720 145.19 , 265.16 232.25 172,6 • _ ■ - • • llac bora • bene respondebat; sed : ab eo recedebat versus or- tum 0. 30’, ciliare partim reta- bendus, partim ampliando eiua orbis. D. 4, li. 8 a meridie. .i ' ii ■ — "*" 348.49 | 6.40 | 282 44 : exivit ex umbra li. distabat a centro 21- 2.20. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 657 Haec considerata sunt die 4 An¬ glisti: Exaininatis precedentious ob- servationibus apparet, de motti i demendum esse gr. 0.50', si or- bis eius amplietur 1 semiti. ‘J|.. Demotu : adirne deninnt.urgr.2. De motu vero • auferantur ad- huc gr. 0. 30. Istae autem correctiones adhi- beantnr omnibus oonstitutionibus sequentibus, quandoquidem iam calculatae sunt et conscriptae. Attamen a die 9 Septembris figurae descriptae sunt emen¬ datile, Usa. Gal., l’.ITl, T.TV, r»r.188i% I). 5, b. 8 a meridie. E. 1 . distabat 1. 15. Exacta observatio. D. 6, li. 8 a meridie. 35.49 209.26 23.22 236 51 I 1,1 La car. 187/> ò un cartellino inserito, il cui contenuto è richiamato dopo le parole « a contro ;‘l- * della C!l r» 188r. (pag. 05(1) con un sogno, in forma di ripotuto dopo lo paiolo stesso o in capo al cartellino. I). 7, li. 8 a meridie. 239.19 ! 310.49 I 73.41 258.26 ?- - a) Jo D. 8, li. 8 a meridie. 82.49 1 52.12 | 121. 0 j 230. 1 1). 9, li. 8 a meridie. 281). 19 I 153.35 I 174.19 | 301.36 • bone respondit, et li. 1. 40 9|. tangebat. 1). 10, li. 8 a meridie. 129.49 I 204.58 I 224.38 | 323.11 Mas. Gal., P. IU, T. IV, car. ISSI. 1616. Augusti d. 11, li. 8 a meridie. Pies a radice 224. 2.30 100 327.40 338 30 108.15 22G 284. 40 09 51 93. 41 45.12 200. 58 85. 58 % 07. 48 33.45 16. 45 7. 10 301 154. 25 192. 50 IO 25 10.25 10. 25 10 25 333.19 710.22 994. 59 360 720 300 333.19 350. 22 274. 59 344.44 111 . 058 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. I). 12, h. 8 a meridie. II. 3. 20 • distabat versus oecn- sum 1.18', ex (ino retrahendus adhue videtur gr. 2 ultra correc- tionem diei 4 Augusti. D. 13, h. 8 a meridie. 20.15 I 199. 4 I 15.33 | 27.50 s**»—\ ___ II. 1 • exivit ex umbra, distans a centro 2, et bene respondit : quare notandum, nuniquid in su¬ periori fuerit error in tempore. IL 1.26 : distabat a centro Dj. 3. D. 14, h. 8 a meridie. 223.43 800.25 I 66.50 | 49.23 D. 15, li. 8 a meridie. 67.11 I 41.46 116. 7 j 70.66 D. 16, h. 8 a meridie. 270.39 143 .~ 7 ~| 166 17 62 l). 17, li. 8 a meridie. Ili. 7 244.28 216.34 — _ r\ 114. o' v - zz — line bora : et : distabant 0 .35 quod satis bene congruit cum eorrectione diei 4 Augusti. Vide¬ tur tamen orbis : paululum L- minuendus; quod advertatur in sequontibus. I). 18, h. 8 a meridie 317.35 | 345.49 | 266.61 line bora : mediani occupata! sedem internet circumferentiani lì|, quod concordat cum correo- tiono dici 4 Augusti. Mot. Cl»l„ P. ni. T. IV, car. 189c. 1616. Augusti d. 19, li. 8 a meridie. O ' llies a radice 232. 2.30 342 22 43.50 67.48 50.40 10.51 Ili) 159 202.36 33.45 301. 0 10.51 327 40 67 9 100.29 16 45 154 25 10.51 338.30 281. Ili 42.59 7.10 192.50 10.51_ 521. 1 360 807.12 720 677.19 360 877. 6 720_ 161. 1 87.12 317.19 157. 6 . line bora bene respondebat OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 659 llac hora • distabat a i 1.10, ex quo videtur, ultra correctio- nem diei 4 Augusti ampli andum esse orbem ipsius j per imam se- midiametrum %, et preterea non- nihil forte imminuendum orbem :. D. 20, li. 8 a meridie H. 0.30 : 9j- em tangebat. H. 1. 5 • iucidit in umbram Qf-. H. 1.30 : Q|- e,a tangebat ver¬ sus occasum. H. 3.20 • exivit ex umbra, di- stans a Qf. 1. H. 4 : exivit ex umbra 9f-, et distabat a . versus ortum 0. 3G. D. 21, li. 8 a meridie D. 22, h. 8 a meridie 1). 24, li. 8 a meridie. lì i 2 'ì::.-I7 | 203.34 | 204.41 llac bora • et : distabant tan¬ tum 0. 12', cum tamen 0. 23 di¬ stare debuissent, etiam facta cor- rectione diei 4 Augusti; ex quo pariter apparet,orbem : tantillum esse imminuendum. I). 25, h. 8 a meridie. 801.87 835. 6 | 258.49 | 286.12 Mas. Gal., P. UI, T. IV, car. 180*. 1616. Augusti d. 26, b. 7 a meridie. Dies a radice 239. 2.30 100 327.40 338.30 342. 22 159 67. 9 284. 46 30. 46 191.42 92.10 193.26 09. 20 29. 32 14.39 6.16 00. 40 301. 0 154.25 192. 50 11. 3 11. 3 11. 3 11. 3 496. 41 792.17 667. 6 1027.11 360 720 360 720 136. 41 72.17 307. 6 307.11 D. 27, h. 7 a meridie. 340. 6 173.35 | 357.20 | 328.41 Rcspondidit optime, facta cor- rectioue 4 Augusti. 660 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 1). 28, li. 7 a meridie. l«3.3l T 274 53 47 34 350 11 —*—--©~r - Ilac bora { distabat 4.30. Et • Beparabatur a Oj. versus occasum bora debita; et bene re- spondiderunt omnia, t'aeta cor¬ reo tiene. I). 20, h. 7 a meridie. Sti rili Iti. Il 'J7.4H 11.41 1). 31, h. 7 a meridie, Hac bora : distabat a : lt an . tmn, quod bene congruitcum cor- rectione diei 4 Augusti. Septembris d.l.h. 7 a meridie, 277.11 | 311). 65 | 248.3oT lui A.V • .. i Un »■!.. r. Ili, T. IV, car. INA II. 0. 52’ : exivit e tenebria, et distabat a • versus *i| 0.24; ipse autem • distabat a centro *)| 3: quae bene respondent calculo emendato iuxta correctionem 4 Augusti. : exivit ex umbra b. 2 ab oc- casu, et distabat a centro 'J j. f>. I). 30, li. 7 a meridie. 230.21 I 117 29 148. 2 311 11 Omnia bene congruerunt correctione 4 Augusti. 1616. Septenibris d. 2, li. 7 a meridie, Dies a radice 246. 2 30 100 327.40 ; 338.» 2 hi. 30 92 209.32 139 42 140.31 247.48 301.27 128.51 59. 20 29.32 14.39 6.16 50.40 301 154.25 192.50 11. 5 11. 5 11. 5 11.5 4*0 36 781.25 1018.48 817.20 SUO 720 720 720 120. 36 61.25 298.48 97.20 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. 661 D. 4, li. 7 a meridie. 39.16 140.20 D. 5, h. 7 a meridie. 10.51 r 5.19 | 89.30 [ 161.50 Ma». Gal., 1>. ILI, T. IV, car. 190t 1 G 16 . Septembris d. 9, li. 7 a meridie. Dies a radice 253. 2.30 100 327.40 888.80 90 37 25 851.55 354.38 250.15 308. 54 150.43 64. 29 59. 20 29. 32 14. 39 6.16 50 40 301. 0 154.25 192. no 10 58 10 . 58 10. 58 10 . 58 404.20 770. 24 1010 20 967.41 800 720 720 720 104 20 50. 24 290. 20 247.41 D. 6, h. 7 a meridie. 214 16 106.37 I 139.44 I 183.20 Hic et in sequentibus figuri» usi sumus correctione quam ad- notaVimus sopra ad 4 Augusti. D. 7, h. 7 a meridie. 57.41 | 207.55 | 189.58 } 204.50 D. 10, h. 7 a meridie. 307.43 151.40 | 310.32~f 209. 9 Optirae respondidit. Haec pri¬ ma observata fuit in hoc mense, cuoi l’eliquae per nubila lucrilit inobservabiles. b. 8, h. 7 a meridie. 261. 6 309.13 240.12 226. 20 D. 11, h. 7 a meridie. 151. 8 252.56 j 30.44 ! 290.37 Optime respondit. 662 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. D. 12, h. 7 a meridie. 35*131 | 354.12 ì 80.50 ! 312. 5 Optime respondit. D. 13, h. 7 a meridio. 197.54 | 95.28 | 131. 8 | 833.33 D 14, h. 7 a meridie. 41.17 | 18tì.44| 181.20| 855. 1 a meridie D. 18, li. 7 a meridie. 134.42 | 241.42 [ 2277] 80.41 Optime respondit. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. l»lr. 1616. Septembris d. 15, h. 7 a me¬ ridie. I)ies a radice 259. 2.80 Uhi. 0 327.40 338. SO 90 37 25. 0 351.55 354. 38 80. -1(5 191.42 92 10 193. 26 59. 20 29 32 14 39 6. Hi 50 10 301. 0 154.25 192. 50 10. 13 IO. 43 10 43 10 10 244 36 657. 57 951.32 1096. 20 360 720 1080 244.36 297.57 231.32 16.20 Optime respondit. D. 19, h. 7 a meridie meridie I). 21, li. 7 a meridie OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. jljj.fl»!., P- IH, T. IV, ;ar. IMI. 1616. Septembris d. 22, h. 7 a me¬ ridie. D. 27, li. 7 a meridie. 164. 0 71,57 113.46 273.53 2.30 324.45 140.31 59.20 50.40 10.27 radice 266. 100. 0 327. 40 318. 0 134. 18 247.48 301. 27 29.32 14. 39 301. 0 154. 25 10.27 10 . 27 100G.47 942. 56 720 720 338 30 200. 33 128. 57 6 16 192. 50 10.27 D. 28, li. 7 a meridie. 7.21 173.11 163.11 ! 295.19 D- 26, h. 7 321.39 1~33: 664 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1616. D. 2, h. 6 a meridie. liti.» I*. Ili, T. IV. car. 102/. * 93 8 | SU 52 1 2.80 1 18.56 1616. Octobris d. 7, li. 6 a meridie, Dios a radice 281. • I); 3, li. G a meridie. 296 99 216. 6 | 62 40 ! 41.21 2.30 73 0 203 25 50.51 50.40 9 32 100 184 101.18 25.19 : 301 9.32 327.40 59. 4 50.14 12.34 154.25 9.32 338.30 279.21 21.3(1 5 22 192.50 __9£ ^ij^—-rno 0 Ìl D. 15, li. 6 a meridie. 46.41 jOjO ■ 315.23 49.17 240.49 I). 18, li. 0. 30 ab occaso, idest 4. 53 a meridie acquata. Dios a radice 323. 183. 45 148 8IL 20 827.46 108.15 225.55 28*1 46 69.51 250.15 303.54 150 43 64. 29 33 54 16.52 8. 23 3.35 7.28 3.44 1.46 48 48.12 299 40 155 192 18 5. 23 I ^ ——-- 5 23 5.23 5.23 637.12 1004.17 917.21 664. 5 360 720 720 360 277.12 2*4.17 | 197.21 301. 5 i i i CALCOLI DEL 1616 E 1617. t r Usa. Gal., P. III. T. IV, car. 43»*. Post diutinos labores revertnmur tandem, Divino invocato anxilio, ad easdem disquisitiones, querentes, quali tu m in nos erit, hosce motus medios determinare in Stellia Mediceis singulis, initium sumeutcs ab altissima. Quia igitur die 20 a lanuarii 1610, bora ab occasu 7, : distabat a circuuferentia Qj. (prout tuuc loquebar) minuta secunda 20" ex occi¬ dente; die vero sequenti eadem j, li. 0. 30' ab occasu, distabat a Qj. versus ortum 50"; constat, interstitium secundum fuisse duplum se- squialterum prioria. Est autein tempus inter observationes b. 17. 30', cuicompetunt do mota: gr. 15.41'; et quia corpus Qj. occupat proxime de suo orbe gr. 4. 50', sequitur ipsain stellam : in prima observatione distitisse a Qj. versus occasum gr. 3. 7, in secunda vero versus ortum gr. 7.43. Quia vero per multas esperientias comportimi est a me, in primis observationibus me aberrasse in determinandis elongationibus steilularuni à Qj., quas eo minores feci, quam par esset, quo ipsi Qj. erant viciniores, igitur verius erit si ponamus, j in prima observatione distitisse a Qj. versus occasum gr. 3. 40, in secunda vero 7. 10 versus ortum; adeo ut in prima observatione distantia stellao a centro Qj. fuerit gr. 6. 5 versus occasum, in secunda vero gr. 9. 35 ab eodem centro versus ortum. Rursus quia in secunda, quae facta fuit h. 0. 30' ab occasu, exiquus in tempore potuit error uccidere, quod de prima quae liabita est b.7, et si ponamus in prima elongationem stellae a centro Qj. fuisse 9.35, id non bene congruit cum experientia ; igitur con[.. .]do, posse me sine magno errore [....] liane distantiam secundae observationis fui[sse] 6 r - 8 a centro Qj. sive ab auge [ve]ra: et quia tuuc prostapheresis ad¬ denda fuit 9, erit elongatio stellae ab auge media gr. 358. 20'. Fiat itaque sequens examen. HI. 68 674 M»a. Qftl.i P.III. T. IV, ew.iai. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1610, Ianuari d. 21, h. 0.30' al) occasu, quae est 5.2' a meridie sed tempore acquato est li. 5. 7 a meridie, : distabat ab auge media gr. 368.30'. Anno vero 1616, Octobris d. 18, li. 1.45', eadem stella distabat ab auge vera 3.40'; hoc est d. 18, li. 6.47’ acquata, dista¬ bat ab auge media gr. 355. 0. Locorum distantia habet gr. 356 30. Tempus intermedium continet dios 2462.1.40, quibus ex tabula coni p etu n t g r. 3 5 6.7 . Deficit itaque motus tabulae gr. 0. 23' in diebus 2462. Aliud oxamen. 1613, Maii d. 2, li. 0. 30' ab occasi!, quao est li. 7. 30’ a meridie,sed tempore equato 7. 20' a meridie, { distabat ab auge media gr. 164.24', 1616, Augusti d. 20, li. 0. 36 ab occaso, quae est li. 7. 24', sed tem¬ pore aequato 7.21', eadem stella distabat ab auge media gr. 166.36. Locorum distantia est gr. 2. 12'. Tompus intermedi uni habet dios 1206.0.1, quibus competunt gr.0.1'. Deficere igitur videtur motus tabulae gr. 2.11' in diebus 1206. Quae quideni differenti a posset forte dependere a prima observatione, in qua experientia videbatur ostendere ad oculum elougationem ; a contro 9|. 2. 30', quae si vere fuisset 3. 20', baco operatio bene con- grueret cum superiori, ita ut defectus in tabula esset tantum gr. 0.11. Aliud. [....] Iulii d. 3, li. 0.30', quae est. 8.0' aequata [ | di]stabat ab auge media gr. 345. 25'. [_] Iulii il. 1, li. 1 ab occasu, quae est 8.31 a meridie aequata, [...] distabat ab auge media gr. 173.10. Locorum distantia est gr. 187.45. Tempus intermedium est d. 729.0.31, quibus ex tabula coni potuut gr. 188. 32. Hinc e contra videtur, motum tabulae superare per gr. 0.47. Quo si distantia stellae in prima observatione vere fuisset maior quam ex extimatione oculari gr. 0. 30, differenti esset omnino non emanila, quare concludo prò mine, tabulimi liane non esse immutandaffl. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 675 àlM. Gal., V. IH* T. IV, car. 46i. Pro 1614 Iulii d. 3, h. 0. 30' al) occasu, quae est 8. 4’ a meridie, : di- stabat ab auge media gr. 345. 41. 1G16, Augusti d. 3, li. 8 a meridie, : distabat ab auge media gr. 161.5G. Locoruiu differentia est gr. 170. 15'. Tempus intermedium est d. 701.23.50, cui ex tabula competunt g r> 177.16. Ex his itaque motus tabulao esset supertìuus gr. 1. 1' in diebus 761. 1613, Aprilis d. 7, li. 1. 24 ab occasu, quae est 7. 50' a meridie,: distabat ab auge media gr. 348.2. 1616, Augusti d. 20, h. 7. 25 a meridie, distabat ab auge media gr. 166.44. Locorum distantia 178. 42. Teinpus intermedium est d. 1230. 23. 35', cui ex tabula compe- tunt gr. 170. 55. Deficit ergo motus tabulae gr. 1.47 in diebus 1230. «ss. Gal., P. HI, T. IV, car. OC!. Examinentur rursus perii nentia ad : . 1614, Iulii d. 3, h. 0. 30' ab occasu, quae est h. 8. 3' a meridie, : di¬ stabat ab auge media 345. 20'. 1616, Augusti d. 20, li. 0. 30 ab occasu, idest li. 7. 24 a meridie, : distabat ab auge media gr. 106.37'. Distantia locorum habet gr. 181. 17'. Teinpus intermedium est d. 778. 23.21, cui ex tabula competunt gr. 182.7. Apparet igitur motum tabulae imminuendum esse in diebus 779 proxime 0. 50'. Aliud examen. 1610, Ianuarii d. 21, li. 0. 30' ab occasu, distabat ab auge media gr. 357.26. idest li. 5. 5' a meridie, : 676 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1G16, Augusti d. 3, h. 8 a meridie, distabat ab auge media 161 ir Locorum distantia habet gr. 164. 21'. Tempus intermedium est d. 2386. 2. 55, cui ex tabula tunt gr. 164.12’. compe- Hinc motus tabulae non movendus apparet. Quia hoc examen nil immutat de mota tabulae, praeceden* vero imminuit, aliud autem addit, reliuquatur prò nunc tabula in suo e® iuxta quam radix raerid. 1 Ianuarii 1610 incidit in gr. 262 5 radii vero anni 1616 in gr. 192. 13. ’ CALCOLI DEL 1616 E 1617. 677 MS9- Gal.. r.III, T. IV, car. Mr. D. 22. 16. 42'. 22". : 1616, Ootobris d. 9, li. G. 6' a meridie. Dies a radice 2474. 36.40 205 20 276.41 200.58 12.46 9 20 242 15 1074. 0 720 354. 0 13. 37 1) °2 -*-, h. 16. 28'. 45 #i\ 29.19. 37 24. 31 14. 42 49 . 0 19 .36 38 29. 59, .59 . 14 3.44 1.10. o 88. 8 9.26 41.52 19.26 D. 23, h. 10.47, Septembris. 23.10.47 13.37 23.11. 0.37 24 30 2 27 1 * 26 58 29.34 8 1 6 29 34 8 24 30 1 38 17 30. 0 33 31.51 42. f 2 331.10 205. 4 8.29 4.13 2. 6 34.23 327 203 Hm.OjI,, P. Ili, T. IV, car. Ut. Disquisitiones prò :. 1613, Aprilis <ì. 16, h. 2. 30' ab occasu, quae est 9. 3' aequata, • distabat ab auge media 167. 10'. a meridie 678 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1616, Octobris d. 9, li. 6. 6 a meridie, sed acquata li. 5.47', eadeui stella distabat ab auge media gr. 345. 30'. " Locorum distnntia est gr. 178. 20. Ternpus intermedium habet dies 1271.20.44, quibus ex tabula debeutur gr. 176. 15. Augendus igitur apparet motus tabulae gr. 2. 5' in diebus 1272 proximo. Aliud. -i ' Mm. 6*1.. F. III. T. IV. c»r. 4Sr. 1616, Octobris d. 20, h.0.30’ ab occasu, sed tempore acquato li. 0.51’, quae est a meridie li. 6.11', • distabat ab auge media 177.44'. Hocautem tempus distat a meridie 1 Ianuarii 1610 dies 2485.6.9', quibus ex tabula competunt gr. 295. 9, qui dempti a gr. 177.44 relinquunt gr.242.35’ prò distantia j al) auge media d. 1 Ianuarii 1610 in meridie, quaui dicimuB radicem altissimam 242. 35 . • , ^ Calculentur modo per lume tabulam et cum bac radice plura loca observata, ut medius tabulae motus rettificetur. Et primuim 1613, Aprilis d. 16, li. 2.30' ab occasu, sed a meridie et tempore acquato b. 9.16', ex tabula colligitur locus • gr. 175. 58; ex quo de- Dies a radice 1202.9.16. buisset Qj. cm tangere; sed ex observatione distabat 1.25 ; motus itnque tabulae exeodit gr. 1.8 in diebus 1202, li. 9.16': nana quando distat 1. 15 a centro ilf, reperitili’ in gr. 174. 50'. Dies a radice 1613, lunii d. 5, li. 1 ab occasu, quae est a meridie bora aequata8.41, Imbellir ex tabula locus • in gr. 109.28, qui dat elongationem a centro 2.30'; quae tamen ex observatione fuit 2.50': ex quo videtur retrahendus motus gr. 1. 10' proximo in diebus 1252. 198.20 327.10 100.29 18.51 33 7.30 242.36 895.58 720 175.58 1252.8.41. 198.20 327.10 351.55 100.29 16.15 1.22 10.22 _2§35 lm28 169.23 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 679 Dies a radice 1043.8.18. 1614 Iulii d. 1 (,) , Il 0. 40' al) occasu, quae est liora aequata* a meridie 8. 18’, liabetur ex tabula locus • in gr 12 .Il'; et quia timo e tenebria exivit, ex bis quae col- liguntur ex prostaferesi et latitudine debebat distare potius aliquid amplius: qunre ex hac operatione videtur potius promovendus motus quam retrahendus. 198. 20 263. 0 209 32 150 43 16.45 36 10. 40 2-12.35 1092.11 1080 12.11 Dies a radice 1664. 8. 22. 1614, Iulii d. 22, b. 1 ab occasu, quae est a meridie bora acquata 8. 22, ex tabula colligitur locus in gr. 346.40: ex qua operatione potesti colligi, inotum • esse nonnibil promovendum, idem attestante coniuiictione • cum ipsa •. 198. 20 263. 0 134.18 200. 58 16. 45 10. 44 242. 35 1066. 40 720 346. 40 Msa.Gal., I\ Ili, T. IV, car. 45f. Dies a radice 1682.8.5. 1614, Augusti d. 9, li. 1 ab occasu, quae est bora aequata a meridie 8. 5, habetur ex tabula motus • esse gr. 169.19, ex quo distantia stellae a centro Qf. 2.37', quam experientia dedit 2. 30; ex quo videtur motus tabulae augendus aliquid. 198.20 2G3. 0 59. 4 100. 29 1G. 45 8.10 50 242 35 889.19 720_ j 169.19 1614, Augusti d. 13, h. 2 ab occasu, quae est a meridie aequata 9.0, liabetur ex tabula motus • gr. 11.20. Ex quibus et aliis superioribus buius anni observationibus motus videtur promovendus gr. 1. (,) Di mano dol P. Vincenzio Rknikri si leggo cenzio Renieri (Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, Qoi « emersit o tcnohris ». Cfr. Antonio Favaro, lettere ed arti. Tomo LX1Y. Parto socoiuln, pag. 184). Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. XII. Vin • Venezia, officino grafiche di C. Ferrari, 1905. 680 Mu». Gal., I*. IH, T. IV, car. «46/*. CALCOLI DEL 1616 E 1617. Alia inquisito prò eadem*. 161(5, Augusti d. 9, h. 1.40' ab occasu, qnae est 8.41 a meridie (acquatto nulla est), : distabat ab auge media gr. 165.45. 1614, Augusti d. 9, li. 8.5 a meridie, • distabat ab auge media gr. 160.42. Hoc autein tempus distat a praecedenti Augusti 9, li. 8,41 per dies 731.0.36', quibus ex talmla competunt gr. 5.29, quibus additis gr. 160.42 habcntur gr. 1(56. 11 prò distantia • ab auge media, quae tamen fuit tantum gr. 165.45. Diflerentia est gr.0.26, iuxta quam motus tabulao imminuendus videtur in diebus 731. Et secundum liane ra- tionem imminuendus est. motus tabulao in diebus 1000 gr. 0.35' 1 /,, in diebus vero 100 gr. 0.3 ’/, ,|) ; et radix altissima reponenda in gr.j 244 , Ilaec positio satis accomodatur superioribus disquisitionibus.Èxa- minentur modo aline. Dies a radice 2381.10.42'. 35.29 311.20 59 . 1 5011 20 56 1.21 5.30 241 8.51 Dies a radice 2424,7,54. 1616, Augusti d. 20, li. 1,5 ab occasu, quae est 7.54' a meridie, • ex tabula reperitili* in gr. 7. 30 : et peroptime re- spoudet cum experientia, quia tunc j inuidit in umbrani Q(.. 1616, Timii d. 2, li. 10' a meridie, colligimns ex tabula locumiin gr. 349. 16. Et liaec quoque, adliibitis necessai’iis considerationibus, respondet ; quare lue insisti tu us in lioc mane, in testo neinpe San- torum omnium anni 1616. 1 Le otto righe che precedono leggonsl anche in Mss. (lai., P. Ili, T. V, car. d8r. I*> I.n tavola di cui qui si servo è.fra q“« lls chi non pervennero iunino a noi. 35.29 295 . 6 284.46 200.58 14.39 1.18 10.41 244 7.30 1616, Iulii d. 8, li. 3.10' ab occasu, quae est 10.42' a meridie, • reperitili* ex tabula ‘ in gr. 8.54': et hoc optime congruit cum experientia, nani tunc • exivit o tenebria etc. CALCOLI DEL 1616 E 1617. Bm.C. 1, P.HI.T.IV, car. 1001. 1610, Patavii. Ianuarii d. 12, li. 1 ab occasu, quae est 5. 26' a meridie. Prost. 8. 10 add. 234. 7 46.50 42.23 2.50 61 53.17 8.10 142.25 100.20 10. 28 40 13 242 15 8.10 1610, d. 11) Ianuarii, li. 2 ab oc casu, quae est 6. 32 a meridie. Prost. ad. 9. 24. 234. 7 203. 0 14 2. 25 214.66 30 43 101 42 92. 10 193. 2(5 DO DI 26.19 12. 34 5. 22 4 30 2.1D 1. 7 29 53.17 111 212. 15 2G1.48 9.21 0 24 9.24 9. 24 382. D5 1 C»32.40 499.D5 085. 25 649.40 505. 0 532. 58 m 360 360 289.40 145. 0 172. 58 D. 13, li. 1 ab occasu. 27.28 289.40 145. 0 172 68 203.25 101. 18 50.14 21.30 230.53 30. 58 195.14 194. 28 i___ Sfo Mw.Ga1,P.m,T.lV, car. 1941. Apponentur nonnullae compu- tationes ad rectificandas radiees in meridie 1 Ianuarii anni 1610, Patavii; quasradieesexibuit com- putus quidam retrogradus in locis sequentibus, nempe : * : v 53.17 111. o 242.15 261.48 llinc colligitur, radicem • non discrepare : quandoquidem tunc scripsi, me dubium esse numquid stella ex oriente 9j- em fere tange- ret; insuper ex eo quod post lioras 3 scripserim, eandem • mediani occupasse sedem inter Qj. et alte- ram orientalem; computus autem exibet liane positionem, quae valde con gru it : probaliiliter infertur, ambarum radiees non multum aberrare, quod diligente!’ in sequentibus observabitur. In reliquis quoque : et : niliil absonum notabiliter observatur. llinc radix • bene se liabct. in. 89 682 CALCOLI DEL 1616 E 1617. D. 20, h. 1.15 ab occasu. 22.55 272. 40 139.55 325.25 194 57 97. 1 48.10 20.36 2. 7 1. 3 32 13 219. 59 10.44 188.37 346 l i Itine pvinium colligitur, radi- cem : reponendam esse in plu- ribus gradibus, cuti) ipsain tane viderim, quod non aecidisset nisi aO).longius distitisset, timi etiam quia tunc de •, quae niaior est, dubitaveriin nuinquid adosset ex occidente. Ex computo ad li. 6 219.59 10.44 188.37 | 346.14 33.54 16.52 a 23 3.35 6.21 3.10 1.35 40 260.14 30.46 198.35 | ì 350.29 observatae sunt, ex quo inteìligi- tur, : et ; fuisse coniunctas; et licot latitudo inter ipsas fuerit magna, tamon : ob exilitatem et propinquitatem • et inexperien- ti am observandi non fuit ad no - tata. Id autein bìc se habuisse confirmat observatio horae7,quac congruit cum calculatione; ex qua tandem colligitur, radici i aliquid addendum esse, cum expe- rientia illam viciniorem Qjj osten- dat quam calculus exibet. llinc radices • et • sat bene respondent. Itadix vero : augenda videtur. Itadix : augenda videtur non modice. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, cav. 195r. colligitur constitutio sequons: Post horam vero, nempe li. 7, talis constitutio habetur ex cal- culo : 260 14 a 29 30 4 13 198. 35 j 2. 6 350.29 54 268.43 34. 59 200 41 351 24 C — **3o In observatione secunda, nem¬ pe liorae 6, duae tantum stellae I). 21, li. 0. 30. 219.59 10.44 1 188.37 346.14 194.57 97. 1 48.10 20.30 2. 7 1. 3 1 31 14 57. 3 | 108.48 237.18 7. 4 I Line quoque colligitur, radici : addendum esse, ex eo quod vi¬ ci nior observata fuit Oj. 1 quam ex calcalo. Radici vero j niliil aut panni) addendum videtur; et licet su- perior observatio addendum ali- quid annuat, tamen in maxima illa propinquitate 0|. 18 focile al- CALCOLI DEL 1616 E 1617. 683 lucinatio potuit contingore in distantia dimetienda. Radix : augonda vidctur. Radici | nihil aut valde parimi addendum. »«,.dii., P. Ili, T. IV, car.!95f. 1610. Iannarii d. 22, li. 2 ab occasi!, quae est h. 6. 36 a meridie. Prosi 9. 38. 108.15 220 284.46 69 51 40.50 202.36 100. 29 42.59 50.51 25 19 12. 34 5.22 5. 5 2.32 1.16 32 58.17 111 242.15 261.48 9.38 9.38 9. 38 9 38 273.56 577. 5 650. 58 1 390.10 360 360 360 273.56 217 5 290. 58 30. IO 33.54 16. 52 8. 23 3.35 233.57 | 299. 21 33.45 Quia observatio rcponit : inter • et i, constat radici : multimi esse addendum. Constitutio ex calcalo li. 6 est sequens, ex qua pariter constat radici : addendum esse gr. sal- tem 12 : Badici : addendum videtur gr. 12 . Emendantur radices prout ex sopra notatis colligi potost, et reponuntur ut infra, et compa- rantur aliae sequontes calcnla- tiones cum observationibus. Radices correctao. • • • R 53.17 123 242.15 262.45 I). 23, li. 0.40. 277.56 217. 5 290. 58 30.10 186. 28 92.48 46. 4 19.42 5. 39 2 49 1.20 cor.°l 2 cor. 1.36 170. 8 324.42 338. 22 51.28 36. 44 18. Ki 9 8 _3 53^ 116 47 342 58 347. 25 55.21 llaec respomlet observationi, in qua notantur solimi 3 steliae, quia occidentales fuerunt . Calculus post lioras 4. 20’, nonipe li. 5, sic exliibet constitutionem : quae valde dissonat ab observa- tione, in qua una tantum stella, nempo j, notatur: quare credeti- dum est, •, s et • ob vicinitatem non fuisse animadversas; et forte bora fuit tardior. I). 24. lin 3 324 12 838.22 51.28 203. 25 101.18 50.14 21.30 313.28 60. 0 28.36 72. 58 684 Ma» Cai., P W. T. IV, car. 19Cr-. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1610. Computus precedenti» ad ho- rain 6 sic se habot: 313.98 Gii. 0 28. 86 72 58 42.23 21. 5 10.28 4. 29 2. 50 1.24 40 _18 358.4L 88.29 39.44 77.45 Haec autem bone respondent observationi. D. 25, h. 1. 40' ab occasu, quae est 6.19' a meridie. Prost. 10. 108 . ir» 226 284. 46 69.51 297 . 6 14(5.30 251 12 107.2H 50.51 25 19 ■ 12. 31 5.22 2.43 1.19 38 17 53.17 123 242.15 262 10 io _ 10 10 522 . 12 532. 8 i 801 25 454 58 360 800 720 860 162.12 172. 8 ! -1 25 94 58 Ilaec quoque bone respondent, cum • , : non observntao fuori ut ob maximam vicinitatem ad l)| . D. 26, h. 0.40, 9 102.12 172 . 8 81.25 94 58 194.57 97. 1 48 10 20.36 357. 9 269. 9 129. 35 115.84 33. 54 2.50 33.53 4 •r- — ““ Tw. • a -Vr*_ _ * ✓ * * Ilaec omnia consonanti nani et h. 5 . ex calculo incidit in lo- cum orientalem, distaila a Dj.u centro 3.15, quod respondet se¬ ni miao observationi. 357. 9 2(>9. 9 129.35 203 25 101.18 50.14 2. 50 1.24 40 23. 24 11.51 180.29 137.22 bene respondet, cum una tan¬ tum : Imo bora observata sit. Mu Gal., P. III. T. IV, car. 1061. Ianuarii 1610. 1). 30, h. 1 ab occasu, quae est b. 5. 45 a meridie. 842.22 42. 23 6.21 53. 17 10 25 169 21. 5 3.10 123 10.25 67. 9 10.28 1.40 242.15 10.26 ÉIJ 4.29 40 262 10 25 454.4 ì 360 316. 40 331.57 562.20 360 94 48 . (Q 202.20 S-fo Ilaec omnia sat bene con- gruunt, uisi quod : et ; tanquam stella una in observatione acce- ptae faerunt. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 685 D. 31, h. 2 ab occasu. "irsr 203.25 8. 29 _ 316.40 101.18 4.13_ 331.57 50.14 2. 6 202 20 21.30 54 300 42 62.11 24.17 224.44 —. _ - Haec bene . respondent, nisi quod in observationibus stella • non adnotatur ; quod forte ex incuria in observando vel deli¬ neando contigit. Quod autem post 2 lioras : et • viciniores essent i’actae, patet ex apposito calcalo. 62.11 8.26 24. 17 O ,0, 4.11 70.37 28.28 ^ Februarii d. 1, h. 2 ab occasi!. 306.42 194.17 62.11 97. 1 24.17 48.10 224.44 20.3(3 140.59 159.12 72.27 245.20 ! - 'z+.y Haec calculata est ad liorani 1 pererrorem; sed in sequenti ad¬ ditili 1 motus unius liorac, ut coin- paretur curii observatione : 140.59 8.29 159.12 4.13 72. 27 2. 6 245. 20 54 149.28 163. 25 _ _ 74 33 246.14 • • • « Haec bene respondet, habita soniper ratione quod in primis ob¬ servationibus, ob rei novitatem, intervalla stellarmi a semper minora designabantur. Mh«. Gal., P. Ili, T. IV, car. 197r. Februarii 1610. D. 2, li. 7 ab occasu. 149.28 163.25 74.33 246. 14 203 25 101.18 50.14 21.30 42.23 21. 6 10. 28 4. 29 35.16 285.48 135.15 272. 13 Bene congruit. I). 3, li. 7 ab occasu. 35.16 285.48 135.15 272.18 203 25 101.18 50.14 21. 30 238.41 27. 6 185. 29 293. 43 -aa «hS 0 Respondet recte. D. 4, li. 2 ab occasu, quae est h. 6. 52. rrost. 10. 45. 342.22 169 67. 9 884.46 297. 6 146. 30 251.12 107. 28 50. 51 25.19 12.34 5. 22 7.19 3.39 1.44 47 53.17 123 242.15 1 262 10.45 10.45 10.45 J 10.45 761.40 468.13 585.39 G71. 8 720 360 360 360 41.40 225. 39 811. 8 42.23 21. 5 4.29 84. 3 129.18 236. 7 315.37 G86 CALCOLI DEL 1616 E 1617. I). 8, h. 1 ab occasu, quae est h. 5. 57 a meridie. Dies a radice 8!). Pr. 10. 52'. 342.22 159 07. 9 284.46 30. 46 191.42 92.10 193. 20 50 26 25. 6 12.28 5.19 53.17 123 242 15 262 10. 52_ 10 52 10 52 1 10.52 487.43 509. 40 421.54 750 23 360 360 300 720 127.43 149.40 64.54 30.23 16. 57 8 20 144.40 158. 6 | J»0 ilaec bene respondet. Et <*x omnibus sopra notatis colligitur, me tunc temporis, ol> inesperien- tiam et instrumenti inoflìeaciam, non perpoxisse stellas Mediceas nisi doni essent remotae a9j. cen¬ tro saltem 3 semidiametro». 1). 10, li. 1. 30. Beno respondet'. 1). 11, li. 1. 178. 1» 864. 9 203 25 101.18 4.14 2. 7 2(5. 27 97.34 88 8 18.59 (54.35 ! 11G.33 161 ). 27 79 50 50.14 2130 1 . 3 27 217.44 101.47 1 Mas. Gal.. P. IH. T. IV, car. 107f. 1610 Februarii. D. 9, b. 0. 30 ab occasu. 127.48 149.40 64.54 36 23 194.57 97. 1 4M. IO 20.36 4.14 2. 7 1. 3 1 27 326.54 248.48 114. 7 i 57.20 Bene respondet, nisi quod • ob vicinitatem £)[. non fuit obser- vata. Respondet optime: et de more • in prima observatione non fuit conspecta. Max. G»l.. P.11I, T. IV, car. 108r. Radices magie correctae in me¬ ridie 1 Ianuarii 1610. . . ^ ‘ V .;. 53.17 ! 120 . 0 242.12 262 . 1 » t CALCOLI DEL 1616 E 1617. 687 1610, Februarii d. 12, li. 0. 40 ab occasu, quae est 5. 29 ab oc- casu (sic). I)ies a radice 43. 5. 29. Prosi 11. 216.30 92 209.32 139.42 250. lo 303.54 150.43 64.29 42.23 21. 5 | 10. 28 4. 29 4. 0 2. 3 1. 1 26 53.17 242.15 262.45 11 11 11 11 577.31 550. 2 624. 59 482.51 360 360 360 360 217.31 190. 2 264.59 122.51 28.16 14. 3 6.57 8 2-15.47 204. 5 271.56 125.51 1). 15, h. 1 ab occasu, idest li. G. 10. Dies a radice 4G. G. 10. Prost. 11.4. 216.30 140.31 50. 51 1.25 57.17 11 . 1 92 247.48 25. 19 42 120 _ 11. 4 209.23 HOl. 27 12. 34 20 242.15 11. 4 139.42 128. 57 5.22 9 262.45 11. 4 •177 88 496.53 JUiO 776. 3 720 547.59 360 117.38 136.53 56. 3 187.59 Quia in hac calculatione : lon- ge discrepat ab observatione, oportet in observaiulo allucina- tionem fuisse. Reliquae stcllao bene respondeiit. D. 13, h. 0. 30'. 217.31 190. 2 2(51.59 122.51 194.57 97. 1 48. IO 20.36 7.3 3 31 1.40 45 59.31 290. 34 314.49 144.12 Mss.Gal., P. III. T. IV, car. 117i*. II. 0. 48 ab occasu. 181.27 203.25 192 18 101.18 94.30 50.14 -T--= 34.57 21.30 24. 52 293.36 144.44 56.27 i - VSM 12 — — • - 1611, Martii d. 17, h. 0. 30 ab occasu, quae est G. 24' a meridie. I). 441. Prosi 9 ad. 5 200 216.30 92 295.20 317. 1 203.25 101.18 209. 32 139.42 50. 51 25.19 50.14 21.30 3. 24 1.41 12.34 6.22 53.17 123 242. 50 262.22 9 9 9 9 541. 27 552.18 814. 30 754.57 360 360 720 . 720 181.27 192.18 94. 30 34.57 21. 11 10. 33 202. 38 202.51 16.57 8. 26 219.35 211.17 688 CALCOLI DEL 1616 E 1617 H. 3. 1610, d. 16 Ianuarii h. 9. 30 a r\-» meridie. J H. 5. X IO r*r \ . 1 - 234. 7 140.31 42.23 4.14 53.17 8.50 293. 0 247.48 21. 5 2. 7 111 142.25 301.27 10.28 1. 8 214.16 128.57 4.29 27 261.48 8.50 § 8.50 8.50 s 483.22 860 683 50 360 706.28 360 619.27 360 123. 22 323.10 346.28 259.27 1610, d. 13 lamiarii, h. 3 ab oc- 18.26 180 22,43 casu. • I)ies intermedi! 13.3. 221. 9 234. 7 250.15 25.26 53.17 8.30 21)3. O 808. 54 12 39 111 8.30 142.25 150.43 6.17 242.15 8.30 214. 56 64. 29 2.41 261.48 8. 30 \u> 18.38 180 25.46 224.24 571.35 729. 3 1 550.10 552. 24 300 720 360 860 — w • • 211.35 33. 54 9. 3 19 190.10 9.26 192 21 4 «•■f» 4.14 28. 3 199.30 196 24 249 43 123.22 203.25 323.10 101.18 346.28 50.14 259.27 21.30 - Y&TF 826 47 64.28 39.42 280.57 32(5 47 CALCOLI DEL 1616 E 1617. G89 P.UI. T. IV, coi'. 203/. 1612. Februarii d. 13, h. 0. 30 ab oc- casu, idest li. 7. 22 a meridie. Dies a radice 774. Prost. 0.42.__. 1613, lanuarii <1. 22, li. occasu, idest li. 11.30’. Dies a radice 1118. Prost. 9. 45 doni. 6. 50 ab 49.30 234. 7 l 293 188.46 198.52 93.41 45.30 348 250.40 45.12 29.32 246. 50 276. 41 200.58 14. 39 284.59 61.29 85. 58 4.40 187.21 93.14 4.14 57.17 769. f>8 729.45 90.2-1 46. 24 2. 7 120 _ 787.81 729.45 198. 20 843. 50 142. 25 41.66 23. 2 1. 3 212. ir» 992.51 729. 45 252.82 349.15 214.56 171.56 9.51 27 262.46 1261.42 1089 . 15 171-57 1. 3 263. 6 343.39 4. 2 220.45 38. 8 Haec quoque operatio idem ostendit quod praecedentes, et forte minus esse retraliendum quam gr. 1. I). 23, li. 6 ab occasu. 72.39 29.40 236. 35 57.54 Ex hac operatone : retrahen- dtis apparet gr. 1 in diebus 774. Idem ostendit praecedens. (l> Questa configurazione ò in parte cancellata. Haec autem operatio optime respondet, et nihil esse retralien- dum ostendit. 90 fino Jlss. dal., P. UT, T. IV, car. 20-Tr. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1613, Ianuarii d. 30, li. 12. 30 ab occasu, idost b. 17. 20 a me¬ ridie. Bies a radice 1126. Prost. 8. 37 demonda. 10 130 198.20 252. 32 181 49.3G 343.50 849 15 108.15 226 284.46 09. 51 140. 31 247.48 301.27 128 57 144. 5 71.43 85 86 15.14 2.50 1.24 40 18 MA 7_ 12o 242.15 262 46 030. 58 852.31 1406.54 1078. 52 868 B7 728.37 i 72*.37 271.21 123. 54 318.17 | 860.15 II. 13.50. Respondet optime, si horae i n observationò aliquid tardiorespo- nantur, quod satis est ratiouabile 1614. Iunii d. 13, li. 1 ab occasu,idest li. M. 35' a meridie. Bies a radice 1625. Respondet optane. io. 51 2. 5 Prost. 10. 20' addenda. 12 30 136 198.20 252.32 7.30 297.48 2G3 295.31 108.15 225.55 284.4G 69.51 297.16 146.30 251.10 107.28 67. 48 33.45 16.45 7.10 4 66 20.28 1.13 32 10. 20 10.20 10.20 10.20 53.17 120 242.15 262 45 561,52 972.46 1267.49 1006. 9 360 720 1080 720 201. 52 252.46 187.49 286. 9 Optime respondet. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 691 r.IU.T.IV, cor. 200r. 1614, Iulii d. 10, li. 1 ab occasu, idest h. 8.30 a meridie. Dies a radice 1652. 12.30 7.30 90.57 46 60 67.18 4.14 10.24 136 297.48 24.48 202. 36 33.45 2. 7 10. 24 198. 20 263. O 351.55 100.22 17.48 10.24 243.14 252 82 295.31 354.38 42.69 7.37 10. 24 202. 5 53 30 120 1185. 3 1225.46 293.43 827.28 1080 1080 720 105. 8 145.46 107.28 101. 7 1614, Iulii d. 12, h. 1 ab occasu. 293. 4 46.50 107.28 202.36 105. 3 100.29 145.46 42 59_ 339.54 310. 4 205.32 188.45 A* rtX- LS • (/■«y Kb D. 13, h. 1. 339.54 310. 4 205.32 188.45 203.25 101.18 50.14 21.30 183.19 51.22 255.46 210.15 1613, Martii d. 20, h. 3. 48 ab occasu, idest 9. 46' a meridie. Dies a radice 1175. Prost. 2 addenda. 12.30 130. 0 198. 20 252. 52 181.15 49.36 343. 50 349.15 188. 52 250.44 276.41 64.29 297. 6 140.30 251.12 107.28 76. 17 37.58 18. 51 8. 4 6.29 8.14 1.33 41 0 éj 2 2 2 53. 30 120 213.14 262. 6 827. 59 740. 2 1335.41 1046.33 720 720 1080 720 107. 69 26. 2 255. 41 326.34 Respondent omnia ad unguenti, dum orbis : ampliatur 1 semid., et idem ostendunt aliae superiores calculationes. Mas. Gal., P. Ili, T. IV. car. 20W. 1613, Aprilis d. 15, h. 1 ab oc¬ casu, idest h. 7.37 a meridie. Dies a radice 1201. Prost. 7. 22 addenda. 12.30 136 198.20 252.32 2. 30 99.12 327.40 338.30 203.25 101.18 50.14 21.30 59. 20 29 32 14. 39 6.16 5.13 2.36 1.17 33 7.22 7.22 7.22 7.22 53.30 120 243.14 262. 5 313. 50 499. 0 842.46 888.48 360 720 720 139. 0 122.46 168.48 692 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1). 16, 11. 2. 30. 343.50 139. O 122.46 1IÌ8. 48 203.25 105 18 50 14 21. 30 12. 43 6. 20 9 1 21 199.68 246. 38 170. 9 L91 19 7. 3 3.31 1 45_ 207. 1 250. 9 1 1 192 4 D. 23, li. 7. 50 a meridie. Dios a radice 1209. l’rost. 8. 27 addenda. 12.80 » ~~~ .. 13(5 11)8. 20 252.32 2.30 99.12 327.10 338.30 30. 46 191.42 92 IO 193.2(5 6(5. 23 33. 3 16.16 7. 1 8.27 8.27 8.27 8.27 53. 30 120 _213 14 262. 5 • 174. 6 588. 24 886.10 1MG2. 1 890 720 720 _ 174. 6 22S.21 166.10 342. 1 4.13 54 232. 37 342.55 _v ( v _ 3.VL \ Ex liac et precedenti observa- tioiie • retraliendus videtur gr. 2. Msa. Gal.. P. Ili, T. IV. car. 201 r. 1613, Maii d. 1, h. 8 a meridie. Dies a radice 1217. 12.80 186 198.20 252.32 2. 30 99.12 327.40 338. 30 234. 7 293 142.25 1 214.5(5 313. 56 349. r> 851.41 | 150. 27 67.48 33.45 16.45 7.10 9.25 9.25 9.25 9. 25 53. 30 120 243.14 ’ 262. 5 723.46 1040. 28 i 1289.30 1235. 5 720 720 1080 1060 3.46 320.28 209.30 ! 165. 5 Hic ; ìetrahendus videtur gr-j otinin si oi’bis : non iinininuatur, •, quae h. 3. 25 ex observatione distubat 2. 20, optinie respondet, 1). 2, li. 0. SO. 8.46 320. 28 209.30 155. 5 194.57 97. 1 48.10 20.36 4.14 2. 7 1. 3 27 202.57 59.36 258.43 176. 8 llic : retraliendus videtur gr.2 cum in observatione distiterit 2.30', niei forte liabita non fuerit ratio maximae latitudinis. D. 3, li. 1.30. 2< 1 203.25 8 29 59.36 101.18 4.13 258.43 50.14 2 6 176. 8 21.30 54 54.51 165. 7 311. 3 108.32 6.17 2.41 317.20 201.13 Hoc respondet optime. Ilio si ■ retrahatur gr. 3, sat est si : retrahatur 1 : et forte in praocedenti observatione babita non fuit debita ratio latitudinis, ex (pio j creditus fuerit in niaioii elongatione aOj- quam vere fuent CALCOLI DEL 1616 E 1617. (593 Mi». Gal.. P- HI. T, IV, c»r. 20H. Cuin in. superioribus disquisitionibus comperiantur 2 stellae • et : non respondere ad unguem, examinentur rursus ipsaruin motus 'dii et corri gimtur ultimae tabulilo, habita insaper ratione aequan- dorum dierum. 1613, Aprilis d. 16, bora aequata 2. 37 ab occasu, quae est 9. 16 a meridie, • distabat ab auge media gr. 167. 1616, Octobris d. 20, bora aequata 6. 21', eadem stella distabat ab auge inedia 177. 40 . Locorum distantia est gr. 10.40'. Tempus intermedium liabet dies 1282. 21. 5, cui ex tabula conipe- tunt gr. 9.34. Hinc motus tabulae augendus videtur gr. 1. 6 in diebus 1282, idest in diebus 1000, gr. 0. 51/30'', in diebus 100, gr. 0. 5.' 9". Et iuxta banc operationem radix in meridie 1 Ianuarii 1610 in- cidit in gr. 240. Si altera operatio sit melior, motus tabulae augendus erit in diebus 1000, 1. 30'. in diebus 100, 0. 9'; et radix in meridie 1 Ianuarii 1610 erit 239.48. 694 Mas. Gai., P. ni. T.IV, ear.HR/. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1610, Februarii d. 11, li. 3 ab occasu, quae est 10 a meridie. di Btabat ab auge media gr. 4. Anno vero 1616, Augusti d. 4, h. 8 a meridie, eadem stella dista- bat ab auge media gr. 338. 30'. Dies intermedii sunt 2365, li. 22, nompe h. 56782. Gradua ultra circulos integros sunt 334. 30'. Integrae conver- siones sunt 1337, quae (cum praedictis gradibus 334.30) continont gr. 481654.30, qui divisi por numerimi horarum, nempe per 56782 dant motum unius liorae" . Xu. Gai.. P. IH, T.IV, cr.Mf. Examinantur rursus pertinentia ad motum • . 1610, Ianuarii d. 19, li. 6. 32 a meridie, - distabat ab auge media gr. 14. 1616, Octobris d. 6, li. 7.4 a meridie, distabat ab auge media 185.26. Locorum differentia est gr. 171.26. Uies intermedii sunt 2452. 0. 32, quibus ex tabula competuut gr. 171.58. Hinc motus tabulai) iminuendus videtur gr. 0.32’, in diebus 2452. Aliud oxamen. 1614, Iulii d. 29, li. 8. 14’ a meridie,- distabat ab auge media gr. 187.32. 1616, Augusti d. 13, li. 1 ab occasu, quae est 7.56 a meridie,-di¬ stabat ab auge inedia gr. 11. Locorum distantia est gr. 183.28’. Dies intermedii sunt 745. 23. 42, quibus ex tabula competuut gr. 183.14. Ilinc motus tabulae augendus videtur gr. 0. 14’ in diebus 746, Et quia hae duae operationes prope insensibiliter addunt aut nn- nunt, relinquatur motus tabulae uti est, iuxta quelli radix in me¬ ridie 1 Ianuarii 1610 incidit in gr. 53.30, radix vero in meridie Ianuarii 1616 in gr. 48. 12: quod etiam ex complurimis aliis opera- tionibus compertum est. D. 15 Iunii 1616 notanila observatio, cutn prostaferesis fuit nulla. Ut A car. 99 r. sono i calcoli numerici relativi a questo computo: stimiamo superfluo riprodurli. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 095 Ila. Gal., P. IU. *• IV ' C “ r ' 88r - Inquii-itur prò solo • , posita radice altissima 59. 1614 Iunii d. 13, li. 1 ab occasu, idest 8. 33 a meridie. Dies a radice 1625. 12.30 7.30 108.15 297. G 67.48 4.49 497.58 360 137.58 59 10.14 207.12 Ex liac operatone quae dat • distare a centro 9|. 2. 34, observatio autem dedit distare vix 1, apparet rnotum ta- bulae imminuendum gr. 6 prosarne in diebus 1625. 1614, Iunii d. 26, li. 8. 36 a meridie. Dies a radice 1638. 12.30 7.30 342.20 187.21 67.48 5. 5 59 10.31 692. 5 360 Ex hac operatione, quae dat distare • a centro Q|_ 2. 34', retrahendus videtur gr. 5, cum observatio dederit distan- tiam 3 in diebus 1638. 332. 5 1616, Iunii d. 18, h. 11.25' a meridie. Dies a radice 2361. 25. 0 183.45 324.45 203.25 93.14 3.32 59.50 893.31 720_ 173.11 Ex liac operatione retraliendus videtur gr. 4. 30. Observatio fuit exaetissima. 696 CALCOLI DEL 1616 E 1617. Un. (ini., P. Ili, T. IV, cnr. 20V. • liabita ratione ad observationem diei 11 Februarii anni lGio • ea dio, li. 6 a meridie, distabat ab auge inedia gr. 13 Anno vero 1616, Augusti d. 20, b. 9 a meridie, distabat ab auge inedia gr. 2. Dies intermedii sunt 2382, li. 3, quibus ex tabula competunt (reie- ctis integris circulis) gr. 354. Sed ex observationibu8, locoruin distantia est gr. 349. Constai ergo motum tabulao superfluum esse gr. 5 in diebus 2382, h. 3. Aliud exatnon. 1614, Iunii d.20, li. 8.36' a meridie,* distabat ab auge inedia gr. 317.30. 1616, Octobris d. 6, li. 7 a meridie, • distabat ab auge media gr. 184. 30. Distantia locoruin est gr. 227. Dies intermedii sunt 832. 22. 24', quibus per tabulano, competunt gr. 229.4. Motus igitur tabulile retrahendus est gr. 2.4 in diebus 833 prossime. Imminuatur itaque motus tabulae in diebus 100 gr. 0.13, in diebus 1000 gr. 2.12. Secundum liane tabulae correctionem, radix in meridie 1 Ia- nuarii 1610 ponenda est gr. 59. 0, radix vero 1 Ianuarii 1616, gr. 50.9. 1610, Ianuarii d. 20, li. 5 a meridie, : distabat ab auge media gr. 10. 1616, Septembris d. 14, li. 7 a meridie, distabat ab auge media gr. 186. Distantia igitur inter duo loca est ex observatione gr. 176. Tempus intermedium est d. 2429, li. 2, cui competunt ex tabula gr. 186. Motus igitur tabulae superfluus est gr. 10 in diebus 2429, b. 2. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 607 Alimi. 1611, Martii d. 15, h. 0. 30 ab occaso, quae est li. fi. 20 a meridie, : distabat ab auge media gr. 336. Anno vero 1616, Septembris d. 12, li. 7 a meridie, distabat ab auge media 341. Distantia inter 2 loca est gr. 5. Tempus intermedium est d. 2008. 0. 40’, cui competunt (reiectis integi'is circulis) gr. 13. 13’. Motus igitur tabulae abundat gr. 8. 13 in diebus 2008: quae pro- xime respondent cum superiori. Demenda sunt igitur in diebus 10 2’. 23", in diebus 100 23.53 , in diebus 1000 gr. 4 proxime. Facto calculo cum cmendatione tabulae, radix meridiei Tannami 1G10 restituenda est in gr. 299.40; radix vero Ianuarii 1610, in gr. 120. Ita Gal., P. Ili, T. IV, car. 206r. 1610, Ianuarii d. 20, h. 5. 48 a meridie, { distabat ab auge me¬ dia gr. 336. 20’ ex observatione. 1616, Augusti d. 20, li. 7. 24 a moridie, distabat ab auge media 166.47. Gradua intermedii sunt 190, 27. Tempus inter observationes liabet dies 2404.1.36’, cui competunt (reiectis circulis) gr. 189. 29. Differentia est gr. 0. 58', secundum quam motus tabulae deficit in diebus 2404: iuxta quem defectum augenda est tabula, et prò diebus 100 addendum est gr. 0. 2'. 25", prò diebus vero 1000 adden¬ dum gr. 0.24'. 7". Facto calculo iuxta liane einendationem, radix anni 1610 in me¬ ridie 1 Ianuarii statuenda est in gr. 262,45; radix vero in meridie 1 Ianuarii 1616, in gr. 193. 44. in. 01 698 M»s. Sul., P. ni, T. IV, cnr. 20l». CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1611, Marfcii d. 14, h. 7,. r )4 a meridie, guac fuit 2 ab occasu. Dies a radice 438. 4. 8 198 24 295 10 317 11 342 18 158 53 61. 9 284 46 187. 21 90 24 41.56 171.56 7.37 29 32 14. 39 6.16 59. 20 3.48 1.48 49 10. 50 10 50 IO. 50 10. 50 59 120 212. 38 2(52.45 670. 34 621. 51 674.10 1054 33 360 360 860 720 301.34 261.51 314.10 334.83 21.11 10. 33 r>. 14 2.14 331. 45 | 272.24 319. 24 | 33G.47 Ex hac calculatione por ta- bulas ultimo correctas, nempo die 11 8 bris 161G, si motns in illis descripti culli veris con- gruant, ratio circulorum potcrit rectiticari; et apparent, circulum maximum, nempe 4 um , amplian- dum esse fere D| is semid. 1 , cir¬ culum vero 2 um imminuendum esse nonnihil, nempe semid. 0.15 proxime. 1 G 12 , Decombris d. 5 , h. 15,34 a meridie. Dies a radice 1070. Prost. demenda 10 . 10.18 186 197.55 252.56 198.41 250 44 27(5.39 6431 127. 8 63.17 31.24 13.26 4 48 2.22 1.10 33 59 | 120 242.38 262,15 399.55 572.23 1 749.46 51)4. 9 370 370 730 370 29.55 | 202.23 19.46 221. 9 lisa. Gai., P.III, T. IV, car. 207»*. 1612, Decembris d. 6 , h. 17.54 a meridie. 22. 55 202.23 19.46 224. 9 19.11 9.50 4.55 2. 5 203. 25 101.18 50.14 21.30 245 31 313.31 74.55 247.44 8 29 4.13 2. 6 0.54 254. 6 317.44 77. 1 248.38 H. 18. 54. . CALCOLI DEL 1616 E 1617. 699 D. 7, h. 15. 5 a meridie. 245.31 179.33 ' 313 31 89. 21 74.55 44.20 247.44 18.58 65. 4 18.22 42.52 9. 8 119.15 260. 42 83:26 52. 0 Ex bisce observationibus, facta coniparatione circulorum mino- rum, si semidiametrus 2‘ pona- tur (ut in praecedenti observa- tum est) semid. Q(- 8.45, alterius semidiametrus ponendus videtur 5.50'. 1612, Februarii d. 13, li. 0.30 ab occasu, idest 5. 42 a meridie. Dies a radice 774. Prost. ad. 0.42. 187.14 347.19 1 246.62 285 4 198.43 276.41 64 29 93.41 45.12 85 58 42.23 21. 5 10.28 4 29 5.5G 2.57 1.24 38 42 42 42 42 59 120 242. 38 262. 15 537.39 788. 0 979. 23 704. 5 3G0 720 720 360 227.39 68. 0 259. 23 344. 5 38. 8 4. 2 h.5.265.47 348. 7 8.29 54 b.4. 257.18 347.13 II. 5. II. 4. Facta modo comparatione • ad :, orbis • iinminuendus est ad¬ irne usque ad seinid. 9(. 5. 30', et motus : retrahendus gr. 1. Mas. Gai., P. Ili, T. IV, car. 207*. 1614, Iunii d. 18, li. 1 ab oc¬ casi!, idest b. 8. 35' a meridie. Dies a radice 1630. Prost. 10. 25' ad. 10.18 136 197. 55 252.66 6.12 297. 43 262.45 295. 45 342.18 158. 53 67. 9 284. 46 67.48 33.45 16 45 7. IO 4.56 2.28 1. 14 32 10. 25 10.25 10. 25 10. 25 59 120 242. 38 262. 45 500.57 759.14 798. 51 1114. 9 300 720 720 10S0 110. 57 39.14 78. 51 34. 9 Ilio si orbis • relinquatur cimi semidiametro complectente se¬ mid. Q|. 14, circulus : amplian- dus videtur 0. 12 vix et motus nihil immutandus. Sed si orbis : CALCOLI DEL 1616 E 1617. 700 augeatur 1, sufbcit si motus Gius retrahatur 0.30. Imo bene respondet si • 2 tan¬ tum gradus retralmtur, ut ostcn- dit sequens operatio et etiam liaec, postquam demptus est error. 1G14, Iunii d. 13, h. 1 ab oc- casu, idest li. 8. 34 a meridie. I)ies a radice 1625. Prost. 10. 15 ad. 1614, Iunii d. 15, h. 1 ab oc- casu. » 187.28 286.41 __100.29 __42 1 M 287.57 324Ltó •tri 1614, Iunii d. 16, h. 1. 10.18 136 | 197.86 252.6(5 6.12 297.43 262.46 296.45 108.12 225.86 ! 284.-ili 69 51 297. 6 146 30 251.12 107.28 67.48 33.45 16.45 7.10 4.48 2.24 1 12 31 10.15 10.15 10 15 10.15 59 120 242.3 8 | 262.45 663.39 ' 972 . 82 1 1267.28 1006.41 360 720 1080 720 203.39 252.32 187.28 | 286. I 203.39 252.32 187.28 286.41 25<). 21 304. 3 160.52 C4 38 94. 3 196.85 338.20 351.19 Segue questo esame tornando in dietro G carto ll) . i*' Cfr. nota apposta alla col. 2» di pjty SW CALCOLI DEL 1616 E 1617. 701 Msi.Cl, P.Iir, T.W. e» 1, 1612, Decembris d. 12, b. 15 a meridie,* distabat ab auge media gr. 18. 1616, Octobris d. 20, h. 5. 30' a meridie, • distabat ab auge media gr. 178. Locorum differenti est gr. 160. Tempus intermedi ni habet dica 1407. 14. 30’, quibua ex tabula competunt gr. 156. 25. Motusitaque tabulae (1) deficit gr. 3. 35 in diebus 1407.14; est ita- cpie augendus, et iuxta liane rationem addendum eat prò diebus 1000 gr. 2. 32’, prò diebus 100 15'. 12", prò diebus 10 1. 30 ; et radix altissima reponenda est in gr. 236. 42. llaec correctio facta est anno 1616, die 23 Xmbris, a Bellosguardo. ♦ 1612, Martii d. 10, li. 3 ab occasu, idest 8. 50' a meridie, : distabat ab auge media gr. 182. 29’. 1616, Augusti d. 20, h. 0. 36 ab occasu, idest 7. 21' a meridie, di¬ stabat ab auge media gr. 166. 55. Locorum distantia est gr. 344. 26. Tempus intermedium habet dies 1623.22.31, cui competunt ex tabula gr. 342. 33. Motus igitur tabulae augendus est gr. 1 . 53' in diebus 1624: iuxta quain rationem addendum est in diebus 1000 gr. 1. 10, in diebus vero 100 gr. 0. 7'; et radix altissima reponenda est in gr. 259. 4L 1613, Aprilis d. 8, h. 9. 30' a meridie, • distabat ab auge media gr. 8.20. 1616, Augusti d. 29, li. 7. 22' a meridie, distabat ab auge media gr. 20. 01 Cfr - pag. 470. 702 CALCOLI DEL 1616 E 1617. Distantia locorum habet gr. 11.40’. Tempus intermedium est d. 1238. 21. 52', cui ex tabula corapetunt gr. 10. 2. Deficit itaque motus tabulae gr. 1.38 in diebus 1239: iuxta qù am rationem addendum est prò diebus 1000 gr. 1.20', prò diebus 100 gr. 0. 8'; et radix altissima reponenda in gr. 51.43. Iuxta praecodentes emendationes co[rrec]tae suut omnes tabulae hac die 11 Ianuarii 1617, a Bellosguardo. Man. Gal., P. Ili, T. IV, car.6 U, 1613, Iunii d. 6, h 10. 24' a -meridie, : distabat ab auge media gl*. 9. 30. " * 1616, Augusti d. 29, h. 7.22 a meridie,: distabat ab auge media gr. 5. 40'. Locorum distantia habet gr. 356. 10. Tempus intermedium est dierum 1179.20.58, cui ex tabula coni- petunt gr. 356. 29. Superat itaque motus tabulae gr. 0.19 in diebus 1180: iuxta quani rationem demendum est prò diebus 1000 gr. 0. 16', et prò diebus 100 0.2 et radix altissima reponenda in gr. 122. Mas. Gal., P. Ili, T. IV. car. 47r. Pro •. 1614, Iunii d. 19, li. 0.30’ ab occasu, idest li. 8.6 a meridie, • di¬ stabat ab auge inedia gr. 329. 8. 1616, Iunii d. 18, h. 11. 25' a meridie, • distabat ab auge media gr. 169. 10. Locorum differentia est gr. 200. 2. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 703 Tempus intermedium habet dies 730. 3. 11)', cui debantur ex tabula gr. 198.15. Deficit ergo motus tabulae gr. 1.47' in diebus 730.3. 1613, Aprilis d. 16, li. 2. 30 ab occasu, idest li. 9. 10' a meridie,- distabat ab auge media gr. 187. 30'. 1616, Augusti d. 28, li. 7.50' a meridie, - distabat ab auge media gr. 179. 6. Locorum differenti a est gr. 351. 36. Tempus intermedium habet dies 1229. 22. 40', cui ex tabula com- petunt gr. 346. 8. Deficit igitur motus tabulae gr. 5. 28 in diebus 1229. 1612, Decembris d. 4, li. 18.17 a meridie, • distabat ab auge me¬ dia gr. 212. 20. 1616, Octobris d. 6, li. 1.30 ab occasu, idest li. 7. 4 a meridie, • di¬ stabat ab auge inedia gr. 185. 32'. Locorum differentia est gr. 333. 12. Tempus intermedium habet dies 1401.12.47, cui ex tabula com- petunt gr. 329.16. Deficit ergo motus tabulae gr. 3.56' in diebus 1401 ’/,. Mss. Gai,, P. ili, T. IV, car. 47(. 1616, Iunii d. 18, li. 11.27' a meridie, • distabat ab auge media gr. 169.10'. 1616, Augusti d. 29, li. 0. 52' ab occasu, quae est li. 7. 27' a meridie, * distabat ab auge media gr. 20. 36. Locorum differentia est gr. 211. 26. Tempus intermedium habet dies 71.20.0, cui ex tabula competunt gr. 211.47. Mas. Gii,, P. HI, t. TV, car. 117i. ' d. 12 Septembris 1616, li. 11.23 a meridie, fuit in auge media. A meridie primi Ianuarii 1610 usque ad hoc tempus sunt intermedii dies 2447.11.23, quibus competunt de motu : (reiectis integris cir- 704 CALCOLI DEL 1616 E 1617. culis) gr. 249, qui ai auferantur ex integro circulo relinquunt gr \\\ distantiam ab auge media in meridie primi Ianuarii 1610 ’ • d. 12 Septembris 1616, h. 9 a meridie, fuit in auge media. Ameridi primi Ianuarii 1610 usquo ad hoc tempus sunt intermedii dies 2447 9 quibus competunt de motti . gr. 306. 43, qui ablati ex integro cir¬ culo relinquunt 53. 17 prò distantia • ab auge inedia in meridie primi Ianuarii 1G10. : d. 10 Septembris 1616, h. 21. 30 a meridie, fuit in auge media, Sunt dies intermedii 2445.21.80, quibus competunt gr. 117,45 qui dempti ex 360 relinquunt 242. 15 prò distantia • ab auge media in meridie primi Ianuarii 1610. : d. 15 Septembris 1616, li. 1.40' a meridie, fuit in auge media, Dies intermedii sunt 2450.1.40', quibus competunt gr. 98.12, qui dempti ex 360 dant gr. 261.48 prò distantia : ab auge media in meridie primi Ianuarii anno 1610. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 705 JlM.aiLP.nl. T. IV, car.48r. Pro ratione orbium : et :, 1616, Augusti d. 17, h. 8 a me¬ ridie. Dies a radice 2421. 8. 272 85.80 198.30 295. 6 225.55 284.4(3 101.18 50.14 33.45 16. 45 120 244 10.36 10. 36 902. 4 935.57 720 720 2*12. 4 215.57 Pro • in ratione ad :. 1616, Iulii d. 31, h. 1 ab occaso, ' quae est 8.12’ a meridie. Dies a radice 2404. 25. 0 272 5. 0 198.30 93.41 •45.12 67.48 33 45 1.42 120; 50 53.30 9,20 9. 20 679.37 2óG. 1 360 3iy. 37 Msa. Cai., P. III. T. IV. c»r. 4Ur. • 1613, Maii d. 8, li. 3. 30 ab oc¬ casi!, idest 10. 26 a meridie ac¬ quata. Dies a radice 1224. Prost. 10.0 ad. 12. 30 136. 0 197.45 2.30 99.12 327 33 108 15 225.55 284.46 93.41 45.12 200. 58 84.45 42.11 20. 56 3.41 1.49 52 10 10 10 53.80 120 244 8.52 680.19 1286.50 360 1080 320.19 206.50 Si oa quae supponuntur de : recto se habent, • retrahendus apparet 3. 40. 1613, Maii d. 18, li. 1 ab oc- casu, idest bora a meridie ac¬ quata 8. 6. Dies a radice 1234. Prost. 10. 30 ad. 12. 30 * 197.45 2.30 327.33 342 22 67. 9 93.41 200. 58 67.48 16.45 51 13 10 30 10. 30 53. 30 244 583 42 1064 44 360 720 223.42 844 44 3JC _x- 3SS Dine idem • retrahendus appa¬ ret 1 tantum. TU. 92 706 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1616, Octobris d. fl, h. 0. 3 ab 1G16, Augusti d. 9, li. I.40 ^ occasu, idost a meridie acquata occasu, idest bora a meridie ae- 5, 47, | quata 8. 40. Dies a radice 2474. 85.30 295. 6 276.41 200.58 10.28 1.35 | 241 ‘.1 11 1073.29 720 353.29 | Dies a radice 2413. 35.30 295. 0 142.25 150 43 10 45 1.20 244 10. C 895.49 720 175.49 llinc promovendus videtur 0,40, Tlinc promovendus videtur gr. 1 . 10 '. 1616, Octobris d. 20, li. 0. 30 ab occasu, idest bora a meridie aequata 5. 29'. Dies a radice 2485. : 35. 30 89$< 0 59. 4 251. 12 IO. 28 1. 1 8. 30 244 904 51 720 184 51 Hiuc promovendus videtur 0.40'. 1616, Septembris d. 10,li, 6.51 aequata. Dies a radice 2445. 25. 0 35.30 5. 0 295. 6 216.30 209.32 297. 6 251.12 50.51 12.34 7.11 1.44 53.80 244 10.46 10.46 665.54 1060.24 360 720 305.54 340.24 llinc promovendus videtur 0.16'. ! Mu. Otti., P. Ili, T. IV, car. 40f. 1616, Maii d. 29, h. 10 a me¬ ridie, sed tempore aequato li.9.50. Dies a radice 2341. 272 35.30 148.49 311.20 91.50 209.32 101.18 50.14 37.58 18.51 3.31 1.40 120_ 244 775. 26 871. 7 724. 5 724. 5 51.21 147 2 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 707 1616, Iunii d. 1, 11. 12 a meri¬ die, sed tempore acquato 11.51. Dies a ra dice 2 344. | = 272 148 . 49 91.50 303 . 54 46.24 3.35 120 986 . 32 720 266 . 32 101.18 7.50 | : respondet ad unguenti. 1616, lumi d. 13, h. 2 ab oc- casu, tempore acquato 9. 28'. Dies a radice 2356. 35.30 311.20 351.55 301.27 18.51 244 1264 . 3 1080 . 29 | 183 . 34 | Hinc • promovendus videtur gr. 1. 54. 1616, Iunii d. 20, h. 0. 40 ab occasu, quae est 8.13' a meridie. 1 Dies a radice 2363. 35.30 311.20 134.18 150 . 43 16 . 45 244 . 26 1.24 894 . 26 720 I 174 . 26 | Hinc promovendus videtur 1.54. 1616, Iunii d. 27, li. 11. 39 a meridie acquata. Dies a radico 2370. 35.30 311.20 276.41 23 . 2 1.18 244 3 894 . 51 720 | 174.51 | Hinc promovendus videtur gr. 1.30. 1616, Iulii d. 8, li. 10.40. Dies a radice 2381. 272 . 0 35 . 30 148.49 311.20 183.41 59 . 4 101.18 50.14 42.11 20.56 2.49 1.20 5.40 5 . 40 120 244 876 . 28 728 . 4 720 720 156 28 8 . 4 4 , 13 2 . 6 _ 2.28 1.13 163 . 9 11.23 Ilinc promovendus videtur 1.30. 1616, Augusti d. 2, li. 2.8 ab occasu, idest bora acquata 9. 20 a meridie. Dies a radice 2406. 35.30 295 . 6 301.27 18.51 40 244 9.28 905 . 2 720 I 185 . 2 | Ilio retrabendus videtur gr. 1. 708 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1616, Augusti d. 9, li. 1.40 ab occasu, idest bora acquata 8. 40 a meridie. Dica a radice 2413. 86.80 i i 295. r; 14*2 2f> ino 43 16.48 1.20 244 10. 5 895 54 1 720 | 175.54 Hic promovendus vidctur gr. 0. 20’ tantum. 1G16, Augusti d. 20, h. 1. 5 ab occasu, idest a meridie acquata 7. 60. Dies a radico 2424. 86.80 295 6 2H4 46 • 200.58 ! 14.39 1.40 • 1 IO. 44 241 I 7.23 Ilio videtur bene congruere. 1610, Octobris d. 9, li. 0. 30, idest 5. 47 a meridie acquata. Dies a radice 2474. 86.80 295. (i 27(5 41 200.58 10 28 1.85 9 244 ! 1073.18 I 7*20_ : 353.18 Hic promovendus videtur gr. 1 . 12 . Mm. G»l., P. Ili, T. IV, car. 50<-. 1610, Octobris d. 20, h. 0.30 ab occasu, quae est 5.30' a me¬ ridie acquata. Dies a radice 2485. 35.30 295 . 6 59 . 4 251.12 10.28 1 . 3 8.15 244 904.38 720 1 ■— - — - I 184.38 Hic promovendus videtur gr.l, 1614, Iunii d. 27, li. 1 ab oc¬ casu, idest bora a meridie ae- quata 8. 31. Dies a radice 1639. 107.45 1 262.39 209.32 1 ( 3.45 1 . 5 1 10.35 244 942 21 720 222.21 50 14 172 . 7 Itine promovendus videtur |r, 1.38. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 709 1614, Iulii d. 1, li- 0. 40.' ab oc- ! casu, quae est bora a meridio aequata 8.12. Dies a radice 1043. 197.45 262.39 209. 32 150.43 16.45 24 10.34 244 1092.22 1080 12.22 Hic promovcndus videtur gr. 1613, Iunii d. 5, li. 1 ab occasi!, quae est bora aequata a meridie 8.22. j Dies a radice 1252. 197.45 ! 327.33 ! 351 55 ! 100 29 16.45 10.44 30 244 1249.41 1080 169. 41 Hinc retraliendus videtur 1.10. 1613, Iunii d.9, li. 3 ab occasu, quae est liora aequata a meridie, 10. 25'. Dies a radice 1256. 197.45 327. 33 351.55 301.27 20.56 10. 50 26 I 244 ! ! 1452.46 1 080 372.46 860 12. 46 Hinc videtur retraliendus gr. 1.30. 1613, Iunii d. 27, li. 1.30 ab occasu, quae est a meridie acqua¬ ta 9.2'. Dies a radice 1274. 136 197.45 99.12 327.33 250 44 276.41 45.12 200. 58 38. 6 18. 55 9.34 9.34 i 120 244 698.48 1275.26 j 360 1080 338.48 195.26 j Hic retraliendus videtur 2.26. 710 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1613, Iunii d. 6, h. 3 ab occasu, idest 10.24'. Dic8 & radico 1263. 13.60 136 2.16 99.12 90.41 24.48 250.15 303.54 84.45 42 11 8.24 1.41 51 • 43 120 J.0.30 IO. 30 507.64 ! 738.16 360 1 720 147.64 18.16 *\r —7& m Mhs Gal., P.III, T. IV. car. 50#. 1613, Iulii d. 15, h. 0.30 ab oc¬ casu, quae est a meridie aequata 7. 57. Dies a radice 1292. 12 . 30 197.45 2.30 327.33 307 . 7 201 27 46 50 100.29 69.20 14.39 8 . 2 1.55 63 30 244 8 . 20 8.20 498. 9 1006 . 8 360 1080 138 . 9 16 . 8 Ilio retrahendus vi- detur gr. 1. 1613, Iunii d. 9, li. 10. 25 a meridie, j distabat ab auge media gr.3, 1616, Iunii d. 27, h. 11. 39 a meridie, distabat ab auge media gr. 173. 20. Locorum differentia est gr. 170. 20. Tempus intermedium habet dics 1114, li. 1.14', cui competunt gr. ex tabula gr. 167. 28. Deficit itaque motus tabulae gr. 2.52 in diebus 1114. Et iuxta banc rationem addendum est prò diebus 1000 gr. 2.34', in diebus 100 gr. 0.15 ‘/a » 0 / • j .5 ; et radix altissima roponenda est in gr. 239. 20 . CALCOLI DEL 1616 E 1617. 711 In grati am praepositae consti- tutionis fiant sequentes proba- tiones. 1616, Augusti d. 17, h. 8 a meridie, sed tempore aequato h. 7.58'. Dies a radice 2421. 272. 0 198.30 225.55 101.18 33.37 10.37 120 40. 38 296. 8 284.49 50.14 16. 41 10. 37 239. 20 961.57 720 938 27 720 1 241.57 | 218.27 1616, Augusti d. 24, li. 7. 56 aequata. Dies a radice 2428. 272. 0 40.38 198 30 296. 8 225.55 284.49 90 24 41.56 33. 28 16. 33 IO. 50 10. 50 120 239. 20 950. 37 930.14 720 720 230.37 210.14 «ss. Gal., P. m, T. IV, car. 51 r. 1616, Iunii d. 13, h. 2 ab occaso, idest bora a meridie aequata 9.28',; distabat ab auge media gr. 184.28. 1616, Octobris d. 20, li. 0.30' ab occasu, quae est hora aequata a meridie 5.30, distabat ab auge media gr. 177. Locorum distantia liabet gr. 352. 32. Tempus intermedium est d. 128. 20. 2', quibus competunt ex ta¬ bula gr. 352. 24. Augendus igitur videtur motus tabule gr. 0. 8' in diebus 128 5 /e* Iuxta quam rationem addendi sunt in diebus 1000 gr. 1.6', in diebus 100 gr. 0. 6. 30. e t radix altissima incidit in gr. 241. 54. 712 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 843.46 1 284.46 I 41.56 ! 41.5(1 712 94 360 I 352.24 1616, Augusti (1. 17, liora a meridie 7. 58. Dies a radice 2421. 272. O 37.42 198. 30 295.32 225.55 281.46 101.18 50.14 29.32 14.39 4. 5 *> 0 6 * • M IO 37 10.37 120 241.54 961.57 937.26 720 720 241.57 217.26 | Sat beno respondot, si tantum amplietur orbis : usquo ad semid. 8. 40'. 1616, Augusti d. 24, li. 7.56.59 acquata. Dies a radice 2428. 272. 0 37.42 198. .30 295 32 | 225.55 284. 16 1 90 24 41 56 33.28 16.37 ! 10.50 10.50 120 241.54 I 951. 7 929.17 720 720 231. 7 209.17 Ilaec beno respondot, et niliil videtur immutandum. Tabula prò j emendata i uxta superiorem constitutionein est re¬ liquie melior. 1616, 27 Ombria scripsi (l) . In gratinili supradictoruinfiunt sequentia examina. 1613, Iuuii d. 9, li. 10.25' a meridie. Dies a radice 1256. 12.30 198.51 2 30 327.4G 90 37 351.58 140.31 301.27 81 45 20.56 3. .32 50 53 241.54 10.80 10.30 307. 55 1454. G 300 1080 37. 55 14. 6 Respondot ad unguem. 1613, Iunii d. 27, h. 1.30'ab occasi!, idest 9.2' a meridie, Dies a radice 1274. 186 198.51 99 13 327.46 250.44 276 45 45.12 200.58 37.58 55 8 18 120 24154 9.35 9.35 098.50 1274.38 860 1080 338.50 194.38 llic s retraliendus videtur gr. 1, si etiam • retrahatur gr. 1; ve * O) Questa annotazione sembra agjiunia l k > «torioruiente ai calcoli surriferiti. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 718 rum quia in sequenti : bene re* spondet, hic forte fuit aliquis er- . ror in tempore. 1613, Iulii d. 1, li. 1 ab occasu, idest li. 8. 32 a meridie. Dies a radice 1278. 136 99.12 250.44 90.24 33. 45 2.15 120 9. 24 741.44 720 | 21. 44 | Bene respondefc prò :. Mia. Olii., r. IH, T. IV, c«r. 5U. 1613, Iulii d. 18, h. 1.30' ab occasu, quao est li. 8. 55 a me¬ ridie. Dies a radice 1295. 12.80 198. 51 2. 30 327.46 307. 7 201.33 297. 6 251.12 75.35 18.41 8 8 53.30 241.64 766.18 1247. 57 c TI t- 1080 3G.18 167. 57 4.14 1. 3 | 32. 4 1 166.54 Sut bene respondet. 1613, Iulii d. 14, li. 8. 27. Dies a radice 1291. 136 198. 51 99.12 327.46 116.39 201.33 101.18 50.14 33.45 16. 45 1.55 57 120 241.54 8.20 8. 20 617. 9 1046. 20 360 720 257. 9 326. 20 Hic satis bene respondet. Hil l, Iulii d. 10, li. 1 ab occasu, idest 8. 30' a meridie. Dies a radice 1652. 198.51 : 252.32 263.18 295.31 351.58 354.38 ■ 100. 29 42.59 16. 45 7.10 1. 3 27 241.64 262. 5 10. 24 10 24 1184. 42 1225.46 1U80 1080 104. 42 145.46 Hincvidetur orbis : iimninuen- 1616, Iulii d. 15, b. 7. 57. Dies a radice 1292. 12.30 198.51 2.30 327.46 307. 7 201. 33 46.50 100 29 67.23 16.39 53.30 241.54 8.16 8.16 498. 6 1095. 28 360 1080 138. 6 15.28 Respondet ad ungueni. dus seni. 0. 30, vel motus eius augendii8 0. 40'. 1614, Iulii d. 13, h. 1 ab oc¬ casi___ 104.31 145.37 150. 43 64.29 j 255.14 I 210. 6 IIine colligitur, esse potius au- gendus motus : 0. 35, quam im- minuendus eius orbis. ni. 03 714 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 1016, Augusti d. 10, li. 8 u me¬ ridie. I)ies n radice 2423. 272 1 lift. 4 198.80 i 317 1 225 55 69 51 303 51 1 61 20 83.45 7.10 120 262 5 10.41 i 10.41 1161.45 876.21 1080 720 81 45 i | 156.21 Ilinc pariter apparet, motum : augendum esso gr. 0. 40’. Si autein nihil immutetur ta¬ bula, et radix altissima calcu- letur per observatiouem d. 20 Augusti 1G10, cadet radix in gr. 262.32, et aucta erit 0.27', quod non modico confort. Corrigitur Um. Gal., T. III.T.IV, car. 52r, 1612. Decembris d. 16, h. 15.50’ Dies a radice 1081. i —■ — 136. 0 188.41 101.18 63 17 3 31 120 198.51 59. 4 50.14 31.24 1.40 241.54 • 607 47 583. 7 870.80 370 36 237.11 212.31 14.46 7.20 251.57 219.51 Ilinc apparet, aut orbem : au- gendum, aut • imminuendum, aut motum • retrahendum, aut iusta linee omnia aliquidiramutanduiu. itaque in hoc mane 20 Novelli bris 1616, a Bellosguardo. Ku. Gal., P. Ili, T. IV, car.521. 1612, Decembris d. 4, li. 18.1 a meridie. Dies a radice 1069. Pro :. Prosi. 9.48 dem. 1. 7 4 2!) *262. 32 2. 4 1 7 a. ii •fife 1616, Octobrisd. 18,li. 6amori- die, sed tempore acquato h. 5.39 . 12.30 321.45 80.46 152.34 53.30 136 317.46 191.42 75.56 120 198.51 134 18 92.10 37.42 241.54 252.32 209.33 193.26 16. 6 262.32 Dies a radice 2483. 574. 5 369.48 84124 729.48 704.55 369.48 034.11 729.48 5.22 145. 1 1.45 317. 1 204.17 5 39 111.36 2 49 335. 7 1.23 204,23 36 n j/* 279.24 6 0L21) 209.56 114. 25 336.30 204.59 Ilio : retraliendus videtur 4.30. 1612, Decembris d. 12, h. 14.53' a meridie. Dies a radice 1077. Prost. 10. 12 d. 12. 30 108.52 343.50 118. 40 7.28 53.30 136 250. 44 349. 6 59. 4 3.43 120 198.51 270.41 351.41 29.18 1.40 241.54 202. 32 64 29 150. 27 12.32 48 202.32 733. 56 730.12 918 37 730.12 1100.11 1090.12 743. 20 730.12 3.44 8.29 188.25 4.13 9. 59 2. 0 13. 8 54 12.13 | 192.38 12. 6 14. 2 20.42 5.39 196.51 2.49 14.11 1.20 14.50 36 26. 21 11.19 15.31 2. 46 37.40 18.17 710 CALCOLI DEL 1616 E 1617. I). 14, h. 14. 55 a meridie. liJ.. 29 2!)8.51 177.G9 88.35 G. 38 8.19 r.'t, r, 30.45 25. 26 12 39 75.88 43.24 8.21) 4 13 84. 1 47.37 Motua • retrahendus videtur gr. 3. Motua : retrahendus videtur gr. 0.50. Sed potius nihil certi de- sumitur. Bene respondent, et melius es- set si orbis : paululum amplia- retur. D. 13, li. 17. 8 a meridie. 3.44 203.25 16.55 1.25 188.25 101.18 8.20 _ili 9. 59 50.14 4.11 20 13. 8 21.30 1.47 9 225.29 298.51 64.44 80. 34 12.43 0.41 3.13 | 1.18 42 305.32 G7.57 37. 52 238.54 1012, Xmbris d. 16, li. 15.87' a meridie. Dies a radice 1081. 136 183.41 101.18 63.17 2.36 120 198.51 59. 4 50.14 31.24 1.14 2-11.54 l 606.52 370. 24 582.41 370.24 230 28 14.46 212.17 7.20 • 251.14 219.37 : retrahendus videtur 50: at- tamen non est adeo exacta obser- vatio,cui niultum sittribuendum, si aliae exactiores in contrarium ostendant. : et • bene respondent. Hinc • retrahendus videtur gr. 1.30, et orbis : ampliando. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 717 D. 17, h. 15. 27 a meridie. 12.30 136 73 183.41 46.50 202.36 127. 8 63.17 3.49 1.52 53 30 120 316.47 707.26 10.2*1 370.24 306.23 337. 2 Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car.53f. 1G13, lanuarii d. 5, li. 11.38'. l)ies a radice 1101. 252.32 349.15 21.30 9.51 34 262.32 8%. 12 730. 30 105. 42 5.38 171.20 j Ilio : retraliendus videtur gr. 1. 12. 30 136 198.51 181.15 49. 36 343. 52 203. 25 101.18 50.14 93. 14 46 24 23. 2 5.17 2.41 1.16 53 30 120 241.54 549.11 455.59 859.21 370.30 :;7Q. 30 730.30 178.41 85.29 128.51 53 26_ 26.35 _13.10 232. 7 112. 4 142. 1 1612, Xmbris d. 27, h. 19.31' a meridie. Dies a radice 1092. | Prost. 10. 37'. 12 30 136 198.51 252.32 307. 7 116. 39 201.27 134. 20 46.50 202 36 100.29 42.59 84.45 42.11 20 56 8.57 5. 5 2.32 1 15 32 53.30 120 241.54 262.32 509.47 629.58 764.52 701.52 370.36 370.36 730.36 370. 36 139.11 259. 22 34.16 331.16 76.17 37 58 18.51 8. 4 215.28 287. 20 53. 7 339. 20 — G&=k T\S Vr- \ Hic si ovbis : amplietur, ut ex superioribus apparet, de mota : nihil videtur immutanduiu ; atta- fflen si reliquae observationes promovendumostendant, liic quo¬ que potest promovi 0. 50. 1613, lanuarii d. 21, li. 6 ab occasu, quae est 10.25 a meridie. Dics a radice 1117. 12 30 136 198.51 292.92 181.15 49. 36 343. 52 349.15 234. 7 293 142.25 214.56 343 56 349. 6 351.41 150. 27 110.11 54. 51 27.13 11.38 3.32 1.45 50 22 53. 30 120 241.54 262.32 939. 1 1004. 18 1306.46 1241.42 729.30 729. 30 1089.30 1089.30 209.31 274. 48 217.16 152.12 12.43 6. 20 3. 9 222 14 281. 8 220.25 Ilinc quoque : retraliendus videtur gr. 2, sed • promovendus 718 CALCOLI DEL 1616 E 1617. videtur 7. 20', nisi tempii» adno- tatum fuit anticipatimi fere h. 1, quod probabile est. 209.31 274.48 217. ni 22.36 11.15 5.31 ih?. r.r> 263.33 211.46 1 12.48 ti.20 3. 9 l 199.38 1 868.58 | 214 54 | «Mi. fini.. P. m. T. IV, c»l\ Mi*. 1G1B, Iauuarii a meridie. I)ies a radice 12.30 181.15 234. 7 187. 21 7f>. 17 7.40 53.30 136 49. 3G 293 90.24 37.58 3. 52 120 762.46 730.50 729.25 ! 729 25 23.21 1.25 3.15 1.37 26 36 3, 2 11.19 5 37 37.55 4.55 _9.54 l3.;;i 47.49 d. 22, h. 10.18 1118. 198. 51 343. 52 142.25 41.56 18.51 1.50 241.54 - -—~—-.•rea 252.32 349.15 214 56 171.56 8. 4 49 982 83 989.39 ! 7: 1 1260. 4 1089.25 260 11 46 170.89 _ 20 261. 0 170.59 1.18 1 172.12 1. 3 173.15 Hic si tempus observationis aduotatua fuit prius quanti re vera fuerit li. 0.30 fere, : retraliendus erit gr. 0.40 proxime,ut aliae exa- ctiores observationes ostendunt, et reliqua bene respondent. I). 23, 10.48 a li. G ab meridie. occasu, idest h, Dies a radice 1119. 12.80 181.15 234. 7 30.46 «4.45 6. 47 53. 80 136 49 36 293 191.42 42.11 3.23 120 198.51 343.52 142.25 92.10 20 56 1.36 241.54 252.32 349.15 214.56 193.26 8.57 43 262.32 603 40 309.20 835.52 729.20 1041.44 729.20 1282.21 1089.20 234.20 57. 53 106.32 29_ 1 312.24 14. 8 193. 1 6. 7 292.13 135.32 326.32 199. 8 * __ jp e — r Ilic si • retrahatur gr. 2, : non est movendus; si vero : retraba- tur gr. 0. 50, • retraliendus erit fere niliil: est tamen utriusque correctionis capax. D. 29, li. 7. 20 ab occasu, quae est 12. 15 a meridie. I)ies a radice 1125. Prost. 8. 48. 12 30 181.15 108.15 *297. 6 101.43 o 7 88> 30 136 49.36 225.55 146 30 50.37 1. 3 120 193.51 343.52 284.46 251.12 25. 8 241.30 54 252.32 349.15 69.51 107.28 10.45 262.14 32 756.26 728 48 729.41 728.48 1346.13 1088.48 1052.37 728J8_ 27.38 56 30 0.53 28. 8 257.25 13.54 323.49 Jlì 84. 8 29. 1 271.19 328.54 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 719 Hic de • niliil asseri potest, cum sit circa mediana longitudineni ; i vero potius promovendus vide- tur: tamen facile potuit alluci- natio contingere. Ms». Gal.. P.IH, T. IV, car. 51/. 1613, Ianuarii d. 30, h. 12. 30 ab occasu, quae est 17. 27 a me¬ ridie. 84. 8 29. 1 271.19 328. 54 186.28 92.48 46. 4 19.42 4.31 2.15 1. 7 22 275. 7 124. 4 318.30 348. 58 « % « • % « • • Hinc : promovendus videtur gr. 1.30. I). 31, li. 4. 30 ab occasu, quac est 9. 30 a meridie. Dies a radice 1127. Prost. 8. 28. 12 30 136 198.51 252.32 181.15 49 36 343. 52 849.15 108.15 225 55 284. 46 69.51 343. 56 349. 6 351.41 150.27 76.17 37.58 18.51 8. 4 4.14 2. 7 1. 3 27 53.30 120 241.54 2G2.32 779. 57 920.42 1440.58 1093. 8 72s. 28 728.28 ] 1088.28 1088.28 51. 27 192.14 352.30 4.40 21.11 IO. 83 5.14 2.23 72. 38 202.47 357.44 7. 3 38. 8 19 9.26 4. 2 110.46 221.47 7.10 11. 5 19. 47 9.50 4.51 1. 5 130. 33 231.37 12. 1 12. IO Hinc : promovendus videtur 1. 1613, Februarii d. 17, li. 6.30 ab occasu, idest 11. 51 a meridie. Vi Sf¬ Dies a radice 1144. 12.80 136 198.51 252.32 181.15 49. 36 343.52 349.15 216.30 91.50 209.32 139.42 93.41 45.12 200.58 85. 58 93.14 46.24 1 23. 2 9.51 7.11 3.35 I 1.42 46 53.30 | 120 241.54 262 32 657. 51 492.37 1219.51 1 1100. 34 365. 30 365. 30 1085.30 | 1085. 30 292.21 | t 1 127. 7 134.21 i 15. 4 iline : promovendus videtur gr. 1. 720 CALCOLI DEL 1616 E 1617. MBH.a»!., F. Ili, T. IV, c»r. 55r. 1612. Februarii d. 12, li. 0. 50' ab oc- casu, idest li. 6. 4’ a meridie. Dies a radice 773. 188.45 847.26 247.11 284.47 198.52 250.44 276.41 64.29 250.15 303.54 150.43 64.29 51.25 25.36 t 12.42 5.26 28 28 28 28 689.45 928. 8 687.: 419.39 3G0 720 300 ! 360 329 45 208. 8 327.35 59.39 53.30 120 241.64 362* 32 23.15 32H. 8 209.29 882.11 9.54 4.55 2.26 L 3 33. 0 338. 3 211.55 :ì23.14 I). 14, h. 1.30. 223 51 203.25 8.29 07.08 101.18 4.13 258.69 50.14 2. 6 343.23 21.30 _0.54 75.45 29.40 „ - _ 1 173.29 311.19 5.47 3. 8 105.25 8.55 n° Ilio, quoque de j nihil cogimur; si tamen aliquid est faciendum, retrahendus est. Ilio • retrahendus videtur gr. 2. 30. • et : bene congruunt. 1). 23, li. 5. 5 ab occasu, idest D.. 13, li. 0.30. 23.15 328. 8 209. 29 322. 11 194.57 97. 1 48. 10 . 20.36 6.39 2.49 1.20 ! 3(i 223.51 67.58 258.59 I 348.23 38. 8 1 . 2 261.59 1 347.25 * et : bene congruunt. De : nil videtur immutandum aut retrahendus 0. 50'. li. 10. 31' a meridie. Dies a radice 781. 188.45 347.26 247.11 284,47 73. 0 183.41 59. 4 279-24 93.41 45.12 200.58 85,58 84.45 42.11 20.56 8.57 4. 22 2.11 1. 5 262.28 53.30 120 241.54 82 310 3.10 3.10 3.10 601.13 1 743.51 774.18 925.16 360 1 720 720 720 141.13 23.51 54.18 205.16 • et : respondent ad unguem. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 721 Hss. Gal., P.IU, T. IV, car. 50.% 1612 , Februarii d. 28, h. 0.20' ab occasu, idcst li. 5. 04' a mo- ridie. Dies a radice 789. 188.45 73. 0 30.4G 7.37 42.23 53.30 4.25 347.26 183.41 191.42 21. 5 3.48 120 4. 25 400.26 360 872. 1 720 40.26 8.29 152. 1 4.13 48.55 14. 8 156.14 7. 2 63. 3 4.14 163.16 2. 7 67.17 j 165.23 \. ^_ J \ 'l/f Bene respondent. I). 29, lì. 0. 20. 244. 6 _5 39 247. 50 2.49 317.25 1.20 331.% 36 249.45 8.29 250. 39 4.13 348.45 2. 6 382. 0 54 258.14 21.11 254.52 10. 33 350.51 333. 3 2.14 279 25 12.43 265. 25 6.20 335 17 1 21 292. 8 1 771.45 336.38 llinc • retraendus videtur gr. 2 ; reliqua bone respondent. De : 3 priores observationes re- trahendum ostendunt ; 2 postc- riores, promovendum : sed prio¬ res cum reliquis magia concor¬ dare videntur. 1612, Martii d. 1, li. 0.40, idest li. 6.18 a meridie. Dies a radice 791. 188.45 317.26 247.11 284.47 307. 7 116.39 201.27 134 20 203.25 101.18 50.14 21.30 50.51 25.19 12. 34 5. 22 2.33 1.16 36 16 53.30 120 241.54 262. 32 4.50 4.50 4 50 4. 50 811. 1 716.48 758 46 713. 37 720 360 720 360 91. 1 356. 18 38.46 353 37 11.19 5.37 2 46 1.12 102.21 2.21 41 32 354. 49 28.16 14. 3 6 57 2. 59 130. 37 16.24 48. 29 357.48 9.54 4.55 140.31 21.19 Hinc : retraliendusvideturl .30'; : vero ut supra. in. 94 722 CALCOLI DEL 1616 E 1617. I). 2, li. 3.50. 91. 1 203.25 27 356.48 101.18 13.30 38.43 50.14 0.48 1 — ■ 1 » «f 353.37 21.30 3 321.20) 111.30 05.48 18. 7 7. 2 1.80 118.38 19.37 Hic h°r», quae adnotata fuitG probabiliter fuit 5, id etiam ab tostalitibus stollis - et : : quo d cum ita sit, apparet j retrahendus osso gr. 2, ut in nmltis superiori- bus ; alioquin retrahendus esset plus quam gr. 6. Hiuc : retraliomlus videtur 1. 50'. I*. Iir. T. IV, c»r. MI. 1612, Martii d. 4, h. 0. 30 ab occasu, idest li. 7. 10’ a meridie. Dies a radice 794. Prost. 205. 188.45 347.20 2-47.11 284. 47 307. 7 116.39 201.27 134. 20 93.41 45.12 i 200.58 85 58 59.20 29.32 14 39 ! 0.16 1.25 42 ! 20 9 53.30 120 241.54 262 32 5.24 5.24 5. 24 5 24 709.12 664.55 911.53 779 26 360 360 720 720 349.12 304.55 191.53 59.26 46.37 23.12 11.31 35.49 328. 7 208 21 7. 3 3. 3 1.40 1 42.52 ! 331.10 205. 4 ! *53 D. 10, b. 3 ab occasu, idest li, 8. 50' a meridie. Dies a radice 800. Prost. 212. 10 74. 51 53.30 6.41 87 37.16 120 6.41 281. 4 18.25 241.54 6.41 274. 2 7.55 262.32 6.41 144. 2 200.57 0.20 498. 4 360 551.10 360 207.17 138. 4 191.10 1.21 192.31 Ilio : retrahendus videtur gì- 3 et ad niinus gr. 2. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 7‘23 D. 13, h. 4 ab occaso, idest li. 9.53 a meridie. Dies a radice 803. Prosfc. 215. io. 0 250.15 76. 17 7.28 53.30 7.10 37 303.54 37.58 ! 3.44 120 7.10 231 150.43 18.51 1.46 241.54 7.10 274. 2 64.20 8. 9 48 262. 32 7.10 404.40 510.46 651.24 617.10 m 360 360 360 44.40 150.46 201.24 256.10 14. 8 7. 2 58.48 157.48 • et : respondent ad unguem. 1). 14, h. 0. 30' • 44.40 169.30 4.24 150.46 84.12 2.17 291.24 41.52 1.13 256.10 17. 54 37 218.34 12, 2 237.25 5.58 334.29 2.56 274.41 230.36 13.26 2-13. 23 6. 38 337.25 3.17 244. 2 250. 1 340. 42 Hic • retraliendus videtur gr. 3, et est satis exacta et cui ma¬ xime fidendum, praesertim cum tot aliis superioribus attestatio- nibus. Sia», (ini., I>. Ili, T. IV, cnr. 87r. 1012, Martii d. 15, li. 0.30'. 218.34 203. 35 237. 25 101.28 834.29 50. 24 62. 9 33. 54 338 53 24. 53 8. 23 96. 3 33. 26 Hinc quoque • i*etrahendus vi¬ detur fere gr. 3. 1011, Aprili» d. 17, li. 1 ab oc¬ caso, quae est 7. 33 a meridie. Dies a radice 472. & 198*80 198.52 250.44 46. 50 202.36 59. 20 29. 32 4.40 2.20 10. 20 10.20 53.30 120 378.32 814. 2 360 720 18.32 94. 2 2V0. 32 276. 41 31/. 1 64.29 100.29 42.59 14. 39 6.16 1. 9 30 10.20 10.20 1.11 33 236.42 259.41 936.43 701.49 720 360 216.43 341.49 D. 18, h. 2. 18.82 9-1. 2 216.43 341.49 203. 25 101. 18 50.14 21.30 8. 29 4.13 2. 6 54 230. 24 199.33 269. 3 4.13 y . l<* Tlic : retraliendus videtur. 724 CALCOLI l)KL 1616 E 1617. 1). 24, li. 1. 30 al) occasu, idest 8. 10 a meridie. Dies a radice 479. 5. O 198.30 198.52 250 44 30.46 191.42 69.13 31 27 53 30 120 9.48 9.48 367. 9 805.11 360 720 7. 9 85 il 12.43 19.52 i 295.32 317. 1 276.41 64.29 92. IO 193. 2(i 17. 5 7.19 236.42 259.41 9. 48 | 9.48 1 18 80 929. 11 852.li 780 720 209 11 132.14 I). 25, li. 1. 7. 9 _ _- ~ - _ - _: «r ~ ^ 88.11 194.57 97 . i ; 4.14 2. 7 1 206.20 184.19 25.26 12.89 231.46 196 58 ! Hic * promovendus videturgr. d, aut hora fuit tardior quaui in adnotatione. I). 20, li. 0. 40 ab occasu, idest h. 8.12 a meridie. Dies a radice 2363. 25. 0 272 37.42 145. 4 183.45 148.49 311.39 327.41} 324.45 317.46 134.10 209.33 250.15 803.54 150.43 04.29 67.48 33.45 16.45 7 10 1.42 50 24 10 63.30 120 241.54 262.32 1.24 1.24 1 24 1.24 908. 9 1198.28 894.49 1018. 7 720 1080 720 720 188. 9 118.28 174.49 298. 7 15.32 2' 0.41 l 1 Ms». Gal., V. HI. T. ! V. car. 58/. 161G, Iunii d. 18, li. 3. 48 ab occasu, idest 11. 18’ a meridie. Dies a radice 2361. ctìj-. . . _ _ . - r ■ — ■ — - - 25. O 183.45 824 45 203.25 93.14 2.33 53 30 50 886 52 720 166 52 i l-l

    -. 1616, Iunii d. 26, li. 7. 56 a meridie. H. 1 ab occaso est 8. 32’ a me¬ ridie. Dies a radice 2369. 25. 0 189.45 324. 45 30.46 59. 20 7. 3 52 53. 30 272 148.49 317.46 191.42 29.32 i 3.31 ! 120.25 ; 2.46 ! 37.42 311.39 134.18 92.10 14. 39 1.40 13 241.54 2.46 2. 46 1086.31 1080 687.47 836. 21 720 360 6.31 2.32 327.47 116.21 5. 5 9. 3 1.45 332.52 3.32 10. 48 5 335. 24 10. 5 15.48 345. 29 m CALCOLI DEI , 1616 E 1617. D. 28, 193.27 194. 57 4.14 -W- 32.38 A 1*3 Ilic ! promovendus videtur -.30 . Quo ad •, in 3 prioribus calcu- lationibus nil mutandum videtur, in quarta promovendus 4.30 : (juia tamen id repugnat aliis observa- tionibus et potuit facilius error accidisse in tempore in Ime ulti¬ ma, et forte non vere tangebat, ideo credo sat esso si promovea- tur gr. 2 et forte minus. D. 27, li. 7. 56 a meridie. Haec hora est 0. 24 ab occasu. 327.47 6 31 116.21 203.38 101.30 60. 26 171.25 108. 1 166. 47 16.57 4. 35 5. 5 171.22 193.27 48 ! 9.20 172. IO 202.47 2.19 3.24 174 29 | 206.11 ! Iulii d. 1, h. 0. 30 ab occasu, idest h. 8. 2’ a meridie. Dies a radice 2374. 272 37.42 145. 4 148.49 311.39 327.46 250.44 276.41 64.29 45.12 200.58 85.50 33.53 16.49 2.12 120 211.54 262.32 4. 6 4. 6 4. 6 874.44 1089.49 896.59 720 1080 720 154.44 9.49 17 C .59 8.26 4.11 163.10 14. 0 Ilinc : promovondus videtur gr. 0. 30, et • bene respondet. Attamen 2 observationes non concordant invicem, et prima nil iminutandum ostendit, 2 a pro- movendum ; [qjuare nil certi col- ligimus. D. 2, li. 2.30 ab occasi!. 6 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 727 Hic : promovendus videtur gr. 0. 50. Sed verius hic quoque, et ratione temporis et distantiae, nil certi colligere possumus. Mss.Gal., P.IH. T. IV, car. 50/. 161G, Iulii d. 4, h. 0. 25' ab oc- casu, idest h. 7. 57 a meridie. Dies a radice 2377. 25 183.45 198.52 343.56 59.20 8. 4 53.30 4.42 272 118 49 250.44 349. 0 29.32 4. 0 120 4.42 37.42 311.39 27(3.41 351.41 14. 39 2 241.54 4. 42 i 877. 9 720 1178. 53 1080 1240.58 1080 157. 9 8.29 98. 53 160. 58 6 39 165.38 167. 37 I). 5, h. 2. Hinc • promovendus videtur gr. 1.20; nani cimi e tenebria exi- vit, distare debuit a centro 9j. 1. 30, cui respondet gr. 15. 20'. P. 8, li. 3. 10, idest li. 10. 40 a meridie. Dies a radice 2381. 272 87.42 148 49 311.39 183 41 59. 4 101.18 50. 14 42.11 20. 56 2.49 1.20 120 241. 51 5.30 5. 30 876.18 728.19 720 720 156.18 8.19 6.41 3.19 162. 59 il. dò De primo • in prima calcula- tione promovendus videtur tan¬ tum gr. 1, in secunda gr. 4; sed quia in secunda potest esse error iu tempore et in contactu non- dum facto, statuimus promoven- dum esse tantum gr. 2. : bene respondet. D. 5, h. 2. H.2 ab occaso. 165 38 203.25 4.56 Hic ambo videntur bene respon- dere, sed quia hora distat ab oc- casu, relinquitur dubium in tem¬ pore : ideo fidendum est magis observationibus propinquioribus occ asui ©. 13.59 728 CALCOLI DEL 1616 E 1617 P. 10, li. 0. 45, idest h. 8. 15 a meridie. Dies a radico 2383. 272 148.49 182.41 303.64 38. 46 1. 3 120 5.63 1069. 6 : 720 349. 5 I 1 45 j 350. 60 Pilo, Augusti a. 13, h. 1,quae est h. 7. 55 a meridie. Dies a radice 2417. 25. o 5. 0 234. 7 343 66 (57. 6 53.30 10 80 738.59 720 18.59 j Ilinc • promovendi^ videtur Ilic : videtur promovomlusgr. 2. I). 13, h. 0. 30, idest h. 7. 57. Dies a radice 2380. 25 183. 45 73 140. 81 67 28 53. 30 6 32 549.91 360 189.41 — Gf — Hic • promovendus videtur '2.30'. M.» G»l , P. Ili, T. IV. car.OOr. 1(>1(), Augusti d. 20, li. 0.36 ab oòcnsu, idest li. 7. 22' a meridie, Dies a radice 2424. 25. 0 272 37.42 145. 4 5. 0 198.30 295.32 317. 1 108.15 225.55 284.46 69.51 93 41 46.12 200.58 85.58 59. 20 29 82 14.39 6. Ili 3. 7 1.32 44 20 53 80 120 241.54 262.32 lo 45 10.45 10.45 ^ 10.45 358 38 903.26 1086 20 697.47 720 1080 720 368.38 183 26 6.20 177.4? 1657 3.48 1 . 1 6.13 187. 4 7.21 21. 41 6. 7 6. 3! 13.28 27.27 1 Ilic omnes stellae bene respon- dent: quia tamen in tempoiibi |S CALCOLI DEL 1616 E 1617. 729 possimi; esse errores, ideo non est liic tantum insistendum, sed at¬ tendendo sunt alia accidentia oli servata in aliis temporibus et horis miuus dubiis, nempe vici- nioribus occasui0. Augusti d. 27, h. 6. 55 a me¬ ridie. I)ies a radice 2431. 25. 0 272 5. 0 198. 30 342.22 158. 58 203.25 101.18 50.51 25.19 7.45 3.52 53.30 120 10.54 10. 54 008.47 890.46 0 360 720 338.47 170.46 Hic : promovendus videtur gr 1 . 10 '. Ilio quoque f • ] et : promovendi videntur uterque gr. 1.10 aut 15'. : respondet ad unguem. Septembris d. 12, h. fi. 50 a me¬ ridie. I)ics a radice 2447. 272. 0 1 198.30 1 91.50 349. (i 28.50 120 10.42 ! 1070.58 720 350.58 Hic : promovendus videtur 0.50'. • quoque promovendus vide¬ tur 1.10'. D. 29, h. 0. 52 ab occasu, idest h. 7. 22' a meridie. Dies a radice 2433. 25. 0 272 37.42 145. 4 5. 0 198.30 295.32 317. 1 342.22 158. 53 67. 9 284 46 250.15 303.54 150. 43 64. 2!) 59.20 29.32 14 39 6.16 3. 7 1.32 44 20 53.30 120 241.54 262.32 10.54 10. 54 IO. 54 IO. 54 749.38 1093.15 819.17 1091.22 720 1080 720 1080 29.38 15.15 99.17 11.22 1. 1 i 1 1 | 12.23 I). 14, li. 6. 50 a meridie. Dies a radice 2449. 272 145. 4 198.30 317. 1 91.50 139.42 191.42 193. 26 28.50 6. 7 120 262.32 10.40 • 10. 40 913.32 1074.32 720 720 193.32 354.32 Hic : si promoveatur gr. 1, promovendus videtur gr. 0.15. HI. 95 • ••• 7:40 Mhs. Gal., P. in, T IV. car. 60/. CALCOLI DEL 1616 E 1617, 1616, Octobris d. 6, h. 1. 30 ab occasu, idest h. 6.52' a meridie. Dies a radice 2471. 25. o 5. 0 198.52 208 25 50.51 7 20 53.30 9.2 8 553.26 I 360 193.26 i Hinc • promovendus videtur gr. 1. 6. 1616, Octobris d. 9, li. 0. 30 ab occasu, idest 5. 48' a meridie. Dies a radice 2474. 37.42 295. 82 276.41 200. 58 10.2* 241.54 9.12 1074. 1 720 % , 354. 1 | ot 3 - Hinc • promovendus videtur 0.45. D. 18, h. 1. 45, idest 6.47 a meridie. Dies a radice 2483. Hinc j promovendus videtur gr. 0. 25'. D. 20, h. 0. 30 ab occasu, idest 5. 30' a meridie. Dies a radice 2485. 37.42 295.32 59. 4 251.12 11.31 241.54 8.16 905.11 720 _ 185.11 —Qfer Ilinc • promovendus videtur 0 . 20 . Hae quae sequuntur coll eletto¬ li es calculantur per tabulas : et : correctas iuxfca proxiiue se* quentes correctiones 23 Xmbiis anni 1616. CALCOLI DEL 1616 E 1617. 731 1611, Martii d. 14, li. 0. 40 ab occasi!, quae est li. 6. 34 ab oc- casu {sic). Dies a radice 438. Prost. 10.50, ad. 5. 0 342.22 187.21 50.51 4.48 53.30 10.50 198.80 158.53 90 24 25.19 2. 23 120 10.50 295.32 67. 9 41.56 12. 34 1.10 236.42 10. 50 1. 6 317. 1 284. 46 171.56 5. 22 30 259. 41 10. 52 30 . i ■■-> i 654.42 360 606.19 360 666. 69 360 1058.38 720 294.42 11.19 246.19 5.37 306.59 2.46 330.38 1.12 306. 1 16.57 251.56 8.26 309. 45 4.11 831.50 1.47 322.58 4.14 260.22 2. 7 313. 56 1. 3 333.37 27 327.12 262.29 314. 59 334. 4 331.26 264.36 316. 2 334. 31 v D. 15, li. 0. 30. 294.42 194.57 7. 3 216. Il) 97. 1 3.31 306.59 48.10 1.40 330.38 20.36 45 136.42 8.29 846.51 4.18 356.49 351.59 54 145.11 351 4 352. 53 Mss.Gal., P.III, T. IV, cnr. Gir. 1616, Augusti d. 20, li. 0.3G ab occasu, idest 7.21' a meridie, : erat in gr. 16G. 55' ab auge media. Die vero 29 eiusdem mensis, h. 2 ab occasu, idest h. 8 . 80 a meli- die, distabat ab auge media gr. 1. 30. Est itaque distantia locorum gr. 194.35. Tempus inter medium habet dies 9, h. 1.9, quibus competunt gr. 194. 28’. Exigua est differenti», quare colligimus nullam esse eccentxici- tateni. CALCOLI DEL 1616 E 1617 1613, Aprilis d. 5, h. 9.43 meridie. Dies a radice 1191. 356.40 50.14 I). 12, li 7. 48 a meridie Dies a radice 1167. 150.43 12.34 1.40 230.42 1286.18 1080.27 140.45 189.27 10. 33 97.17 _ 5.14 A, 1 AO oi 1 200 8. 26 102. 31 4 11 I 106.42 201.23 253.42 344. 7 349.22 134.18 351.41 mwm mm 14.39 1.36 236.42 6.16 43 259.41 1284.20 1080.42 mm 149. 2 2 1 49. 34 116 39 101.18 •201.23 344. 7 201.27 50.14 18.51 1.20 230. 42 5.32 37. r>8 3. 2 122 5.32 571.47 360 211.47 339.42 CALCOLI DEL 1(>16 K 1617. 733 1613, Iunii d. 4, h. 1 ab occasu, idest 8. 23 a meridie. Dies a radice 1251. 13 50 188 201.23 253.42 2.46 90.12 328.10 338. 44 90.41 24. 48 351.50 354 42 203.2ó 101.18 50.14 21.30 67.48 33.45 16 45 7. IO 51.43 120 230.42 250 41 10.31 10.31 10.31 10.31 440.44 525.34 1195.50 1240. 0 360 360 1080 10S0 80.44 165 34 115.50 lOti. 0 I » i I I Ma. Ci al., P. Ili, T. IV, ctr. bU. Sequeutia examinantur in gra- tiam omondationis tabularuin ul¬ timo factae, nempe dio 11 Ianua- rii 1G17, non «tilo fiorentino sed astronomico, ut adnotatuni est infra post 4 paginas 11 ’. 1611, Martii d. 17, li. 0.80'ab occasu, idest 6. 26' a meridie. Dies a radico 441. r>. 32 198.24 296 33 817.29 210.30 91.50 209.32 139.42 203.25 101 18 50.14 21.30 50.51 25.19 12.34 5.22 3. 41 1.49 53 23 51.43 122 236. 42 259.41 10.57 10.57 10. 57 10.57 542.39 551.37 817. 25 755. 4 300 1 360 720 720 182 39 191.37 97.25 35. 4 21.11 10.33 203 60 202.10 i I io. 67 8 26 : 1 220.47 | 210.36 1 i • —Qyr—- vi s 3 * ih Cioè a car. 62r., dove si legge la tavola cho pubblichiamo a pag. 40U. 734 CALCOLI DEL 1616 E 1617. D. 18, li. 0. 30. » 182. 39 203.25 191.37 101 18 97. 25 50.14 26. 4 29.40 292. 55 14.46 147 7.20 55.44 4.14 ; 107. 41 1. 3 59. 58 153. 2 Hinc videtur orbis • aliquid imminuenduSjVel orbis • amplian- dus, vel uterque moderandus. D. 20, li. 2. 26. 4 292.15 46.50 202.36 12.43 6.20 85.37 141.51 14 8 7. 2 99.45 148.53 * T ClW 1G16, Octobris d. 19, h. 5.30' a meridie. Dies a radice 294. ; 328.16 i : 338.44 201.27 • 134 20 200.58 , 85.58 11.31 4 56 155.16 192.17 8.30 8. 30 905.58 764 45 720 720 186.58 44.45 50.14 21.30 135.44 23.15 Bene respondet, vel orbis : tan- tilluni imminuendiM. 1 jX bis et sequentibus decer- nendum videtur, orbium semidia- metros futuras esse: • seinid. Qj. 5. 50'; : semid. 9f. 8. 45'; : semid. 14. 0'; : semid. 24. 40'. Ita decemebain die 14 Ianuarii 1017, astronomico stilo, a Bello- sguardo. M*I». Gal., P. tir, T. IV. car.58r. 1010, Iunii d. 22, b. 1 ab oc- casu, idest li. 8. 33' a meridie. Dies a radice 174. 181.23 49.34 314. 7 349.22 198.52 250.44 276.41 64.29 93.41 45.12 200.58 85.58 67.48 33.45 16.45 7.10 4.40 2.20 1. 9 21 51.18 301 155.16 192.17 1 54 1.54 1.54 1.54 598. 86 681. 29 1 996.50 701.11 360 860 720 360 239 36 324.29 | 276.50 341.11 12.43 6.20 3. 9 1.21 252.19 330.49 342.32 16 67 8. 26 1.47 6. 22 3. 8 40 275 38 342. 23 344.59 CALCOLI DEL 1616 E 1617. 735 Hinc orbis • augendus videtur | seinid. 0.10' in rationo ad or- bem et orbis : minuendus se¬ miti. 0.20' in rationo ad • emen- daudum. Iulii d. 1, h. 0. 30 ab occasu, idest 8.2 a meridie. Dies a radice 183. 181.23 49.34 73. 0 183.41 314. 7 349.22 260.15 303.54 59. 4 i 279.24 67.48 33.45 150.43 64.29 17 8 16.49 7.12 51.18 301 155.16 192.17 4. 6 4. 6 4 6 1 . 6 628. 7 876. 8 730. 5 896.50 360 720 720 72< > 268. 7 156. 8 10. 5 [ 176.50 P. 2, li. 2. 30 ab occasu. 156. 8 176 50 101.18 21.30 8 26 1.47 265. 52 200. 7 1610, Iulii d. 31, li. 1 ab occasu. idest 8. 12 a meridie. Dies a radice 2 46 234. 7 99. 9 250.15 293 67.48 303.54 1.35 33 45 51.18 801,46 9.28 9.28 616. 17 1041. 2 360 720 25G.17 321. 2 - 0£> sr- y-v> Respondet ad unguem. 1616, Augusti d. 17, li. 8 a me¬ ridie. Dies a radice 230. 1 : 99.9 : 328.16 I 158.53 * 67. 9 , 33.46 16.45 i 301 155.16 10.48 10.48 603.35 578.14 360 360 243.35 218.14 Sat bene respondet, aut orbis : tantillum imminuendus. Rine nil videtur iimnutandum. Observatio 19 Augusti 1616 be¬ ne respondet et nil impedit, si etiain orbis : tantillum imminua- tur in ratione ad oi’bem :. 736 CALCOLI DEL 1616 E 1617 * Ms». Gal., P. Ili, T, IV, car. 871. :, 1616, Octobris d. 9, li. fi. fi a meridie, distabat ab auge me¬ dia gr. 345. 38. Tempus a radice altissima 2474.6.6, cui ex tabula debentur gr. 101.50.9, idest dempti ex 345.38' relinquunt radicem altis- simam in gr. 243.48. Iluic si ad¬ datili’ niotus annorum fi, habebi- mus radicem in meridie 1 Ianuarii 1616 in gr. 156. 1256. 10.26 200.19 328. 4 352. 3 301.27 20.56 50 1203.39 1080 123.39 363 123.39 240.31 Die8 annorum 6. 2191 36.40 343.50 201.27 50.14 243.48 875.59 720 155.59 2191 152 27 2370 ‘ 2370 . 11 . 40.34 312. 6 276 52 23. 2 1.18 653.52 360 293.52 20.18 83 385 805 152 27. 11 . 39 080. 1. 14 184 1114 Ili 197.45 343 46 142. 25 200.58 2.34 887.28 720 167.28 167.28 170.20 1 30 167.28 168.58 2.52 360 173.20 533 20 293.52 239.28 l i t OSSERVAZfONl E CALCOLI DEL 1617. ni. 9G Mas. Gli., P. HI. T. IV, cir.SOSr | SU». Gii. r. HI, T. IV, car. 200»-. 1617. Radices. 340.34 I 295.20 [ 18320; 138.51 j 1617, Februarii d. 7, li. 18.8 a meridie, quae est li. 13 ab oc¬ casi!. Dies a radico 38. 342.22 158. 53 67. 9 284.46 187.21 90.24 41.56 171.56 152.34 75.50 37.42 16. H 1. 8 34 17 8 IMS.54 34/. 34 295.20 183 26 1027.50 021. 7 mao 611.52 720 360 360 307.59 261. 7 380.30 251.52 1617, Februarii <1. 7, li. 13 ab occasi!, idest li. 18. 8 a meridie. Dies a radice 38. ili2.22 158.63 07. ') 281.46 lh7.21 5)0.24 41.50 171.50 153.42 76.20 37.50 16.16 310 34 205.20 _183.20 138.5 4 1024. o 021. 0 i 330.30 611.51 721 30 304 30 4.30 _301. 30 209.33 . 266.30 i 326.64 247.15 D. 8, li. 13 ab occasi!. 142.50 | 357.40 j 16. 0 | 208.37 51.18 301 155 16 192.17 184 148.45 312.25 82S. 7 324.45 317.46 184.18 209 83 110.31 217.48 801.27 128.57 700.34 1015.19 903. 26 85& 54 360 720 720 720 310.34 295.19 183.26 | 138.51 I). 9, li. 13 ab occasu. 340. 7 j 08.50 [ 66. 6 | 289 69 « OSSERVAZIOMI E CALCOLI DEL 1617 D. 10, li. 13 ab occasu occasu D. 11, li. 13 ab occasu 1617, Februarii d. 18, li. 13 ab occasu, idest li. 18.22 a meridie. Dies a radice 49. D. 12, li. 13 ab occasu occasu i occa .3 ■ i ! 0 . r>(> 3 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617, 741 D. 22, b. 12 ab occasu. joT.nT f 330.47 | 355.58 | 207. 8 D, 23, h. 12 ab occasu. 301.32 | 71-57 | 46. 4 J 228.30 D. 24, h. 12 ab occasu. 147-49 173. 7 00.10 240.52 D. 25, h. 12 ab occasu. 351.6 274.17| 146.1G | 271.11 D. 26, b. 12 ab occasu, idcst. h. 17.33 a meridie. Dies a radico 57. 90. 37 24. 48 351.55 — - . —a 354 38 343.56 349. 6 351 41 150. 27 144. 5 71.43 35. 30 15. 14 4.39 2 20 1. 1) 30 340.34 295. 20 183. 20 138. 54 923.51 743.17 1)23. 47 059. 43 726.54 726. 54 720.54 196.57 16. 23 | 106.53 Min. fini., I'. Ili, T.IV, par. 21 Ir. 1617. Martii d. 7, li. 11 ab occasu, idcst li. 10.10 a meridie. Dies a radice 66. 321.45 317.40 134.18 209.83 140.31 247.48 301.27 128.57 135. 30 07. 30 33.80 14. 20 5 39 2. 49 i 1.20 30 8-10.85 295 20 198.26 J38. 54 947. 6 931.13 654 1 492 20 727. 54 727. 54 307.54 867.54_ 219.12 | 208.19 *280. 7 , 124.10 -'j .o-nj* -- I). 8, li. 11 ab occasu. GB. 2 | 304.45 j 330.22 j 145.42 --— 7^F-' D. 9, h. 11 ab occasu. 266.52 | 46. Il | 26 37 I 167. 8 D. 10, li. 11 ab occasu. I I j D. 11, li. 11 ab occasu. 814 32 | 249. 3 | 127. 7 210 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617 I). 12, h. 11 ab occaso 158.22 | 350.2!) j 177. 22 | occasu occasu Die 18, h. 11 ab occasu, idest h. 1G. 53 a meridie. Dies a radice 72. occasu D. 20, li. 10.30 ab occasu, idest li. 1G. 31 a meridie. Dies a radice 79. Mas. Gal., P. Ili, T.1V. car. SUI. 1617. Martii d. 14, li. 11 ab occasu D. 15, h. 11 ab occasu D. 21, li. 10. 30 ab occasu occasu D. 22, li. 10. 30 ab occasu 198.52 250. 44 276.41 64.29 .30.46 11)1 42 92.10 193.26 135. 36 67. 30 33. 30 14.20 4 22 2.11 1. 5 28 340.84 295.20 183.26 138.54 710.10 807. 27 586.52 411.37 369. 5 729. 5 369. 5 369. 5 341. 5 78.22 217.47 42.32 198.52 250.44 276.41 64. 29 46. 50 202.36 100. 29 42. 59 135.36 67.30 33. .30 14. 20 7. 28 ,3.43 1.46 48 840.34 295. 20 183.26 138.51 729. 20 819.53 595.52 261.30 728. 24 728. 24 368.24 8. 24 0. 56 91.29 227.28 263. 6 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. 743 Mll .G«l.,F.l)I,T.IV, carpir. 1617. I). 30, li. 10. 30 uh occasi!, nifi Hi) I 11. 3 I 359.35 I 256.28 D. 2B, li. 10. 30 ab occasi!. 232. 9 I 22.34 | 8.2(1 | 106.00 D. 24, 11. 10. 30 i ab occasu. 75.49 | 123.58 | 08. 39 | 128.24 D. 25, h. 10. 30 ab occasu. 279.29 1 225.22 | 108.02 | 149.02 D. 26, li. 10. 30 ab occasu. 123. 9 | 326.4(1 | 159. 5 i 171.20 D. 27, li. 10.30 ab occasu, iilcst 16.89 a meridie, Dies a radice 80. 73. 0 183.41 09. 4 279. 24 140.31 247.48 301.27 128 07 135.36 67.30 33.30 14.20 5.31 2.45 1. 18 138.35 340.34 295.20 IBS. 26 54 695.12 797. 4 578.45 | 502.10 369.40 729.40 ! 369.40 360.40 325.32 | 67.24 i 209. 5 | 192.30 D. 28, li. 10. 30 ab occasu. 168.51 1 168.39 259.15 213.56 Ma», lini., P. Ili, T.IV, c«r.2!2(. 1617. Martii d. 31, li. 10. 30' al) oc¬ caso. 58.48 I 112.16 | 49 45 277.54 Aprilis (1. 1, li. 10.30' ab oc¬ casi!. 262. 7 I 213 29 | 99.55 | 299.20 1). 2 , li. 10.30 ab occasu. 105.26 i 314. 42 | 160. 5 | 320.46 Aprilis, (1. 3, li. 10. 30' ab oc- casu. 808.45 | 55.55 | 200.15 j 342.12 b. 29, h. 10. 30 ab occasu. 12.10 269.50 I 309, 25 | 235. 2 I). 4, li. 10.30 ab occasu. 152. 4 | 157. 8 i 250.27 3 38 744 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. D. 5, li. 10.30 ab occasu, idest 16. 48 a meridie. Dies a radice 95. 807. 7 297. 6 135 36 6. 46 340.34 116.39 146 30 67.30 3. 22 295. 20 201.27 251.12 33 30 1.36 183. 26 134. 20 107. 28 14. 20 43 138. 54 1087. 9 730.15 629.21 370.15 671.11 870.15 39 i 370 16 356.54 259. 6 800.56 25. 30 D. 6, li. 10. 30' ab occasu. 200.23 0.24 | 351. 6 47. 59 D. 7, li. 10. 30 ab occasu. 43. 52 101.42 41.16 69.28 Mas. Gal.. P. Ili, T. IV. cnr. 213 r. 1617. Aprilis d. 8, h. 10. 30 ab oc¬ casu. 247.21 T 203 | 91.26 | 90. 57 D. 9, 11. 10. BO ab occasu. 90.50 T 304.18 | 141.36 j 112 26 D. 10 , b . 10. BO ab occasu. 294.19 1 45.36 | 191.46 | 133. 55 D. 11 , h . 10. BO ab occasu. 137.48 ! 146.54 i 241.66 | 155. 2-4 D. 12 , b . 10.30 ab occasu. 341.17 | 248.12 292. 6 176 53 1). la, li. 10.30 ab occasu. 18-1.46 | 349.30 | 342.16 j 198.22 1). 14, h. 10.30 ab occasu. 28.15 I 90. 48 | 32.26 | 219.51 1). 15, li. 10.30 ab occasu. 281*44 | 192. 6 ] 82.36 [~24L20 I). 16, li. 10.30 ab occasu. 75.13 | 293.24 } 132.46 | 262 49 M*9. Gal., P. IH, T. IV, ctr. 213/. 1617. Aprilis d. 17, li. 9. 30 ab OC- casu,idest 16. 4' ab occasu (sic). Dies a radice 107. 10. 56. 181.23 49.34 ~344. 7 349 22 343.56 349. 6 351.41 150.27 136.10 07. 45 33.38 14.24 340.34 295.20 183. 26 138.54 1002. 3 761.45 912.52 653. 7 730 56 ì 730 56 730.56 370.56 271. 7 i 30. 49 181.56 282.11 D. 18, li. 9. 30 ab occasu. 114.80 | 132. 5 232. 8 303.39 D. 19, h. 9. 30 ab occasu. 817.58 | 233.21 | 282.20 325. 7 D. 20, h. 9. 30 ab occasu. 161.16 334.37 332.32 | 346.65 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. Ufi D. 21, h. 9. 30 ab occaso. 4 39 | 75.53 | 22.11 | 3 D. 22, li. 9. 30 ab oocasu. 208. 2 | 177. 9 1 72.50 | 29.31 D. 23, li. 9. 30 ab occaso. | 278.25 | 123 8 ! 50.59 I). 24, h. 9 ab occaso, idest b. 15.40' a meridie. I)iea a radico 114. 181. 23 49. 34 844. 7 849 -^3 22 m 7 293. 0 142.25 214. 66 93 41 45. 12 200.58 85. 58 13*2. ■17 66. 6 32. 44 14. o 340. 34 295. 20 | 183.26 138. 54 982 32 749. 12 903.10 803. 12 731. 9 731. 9 731. 9 731. 9 251. 23 | 18. 3 1 172.31 | 72. 3 746 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. Mas. 0*1., P. Ili, T. IV, car. Silo r. 1617, Iulii d. 12, h. 8.30 a me¬ ridie. Dies a radice 193. 181.23 49.34 344. 7 819.22 307. 7 116.39 201.27 134.20 250.16 303.64 150. 43 7.10 67.48 33.45 16.45 64.29 4.14 2. 7 1. 3 27 340 34 296.20 183.26 138.54 1151.21 801.19 897. 31 694.42 1082_ 722 722 362 69.21 79.19 176.81 332.42 D. 13, h. 8. 30’ a meridie. 272 57 1 ISO. 49 | 225 57 | 353 -12 Bene respondit. D. 14, h. 8. 30 a meridie. 116.33 282 19 | 276.23 | 16.24 ftespondit ad unguom. D. 16, h. 8. 30 a meridie. Satis bene respondit, nisi quod : et : paulo plus distabant ad invicem ; ex quo retrahendi vi- dentur. I). 17, li. 8. 30 a meridie. • separabatur a 9J. bora de- bita. T). 18, h. 8 a meridie. 210.64 328.19 ; UH. 7 i 102 12 11. 2.30 fuerunt sic, nempe cura latitudine notabili : D. 15, h. 8. 30 a meridie. 320. 6 | 23.49 | 326.49 j 37. 6 Bene respondit. Mu. 0*1.. r. Iir, T. IV, c*r. 2Ha I. 1617, Iulii d. 19, li. 8 a meridie. Dies a radice 200. 2.46 99 9 328.16 338.44 (>7.48 33. 45 16.45 7.10 340. 34 295 20 183.26 138.54 51. 8 68.14 168.27 124 48 OSSERVAZIONI E CALCOLI 1)KL 1617. 747 Hac hora • ot : erant pauln vi- ciniores; distai)ant enim 1.20' inter se. Hinc • retrahendus videturl .25. D. 20, h. 8 a meridie. 254.44 I 169.44 1 218.53 | 146.30 H. 2 : 9|. tangebat. Hinc : retrahendus videtur 1.42. 1). 23, li. 8 a meridie. II. 1.30' • et I fuorunt sic: In coniunctiono • et : dista- bant. 2. 50 ; et fuit li. 2 ; imo li. 2 ; sic fuerunt"’: D. 21, li. 8 a meridie. Ante li. 2 ab occasu stella» vi¬ dero non licuit: ea autem liora : et • sese tangebant. Hinc et ex sequenti : retrahen- clits videtur 1.25.' : hic retrahendus videtur 2.15. Ilinc : retrahendus videturl.20. D. 24, li. 8 a meridie. 349. 8 | 2IV». 44 | GO 37 | 233.18 D. 25, b. 8 a meridie. 192.44 ::17. U | 111. 3 | 255. 0 D. 22, h. 8 a meridie. 301.56 12 41 i 319 48 189.54 H. 1.30 fuerunt sic: H. 2 • et : vere fuerunt (/, et sdistabut 2.48, IL 2 • distabat 1.40'. Incerta. D. 26, li. 8 a meridie. 36.^0~1 58.44 | 161.29 | 276.42 (ti La parola « imo h. 2 sic fuorunt » a la re¬ lativa configurazione sono aggiunto sul margino inforioro della carta a richiamato con un segno dopo * ot fuit li. 2 ». 748 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. I). 27, li. 8 a meridie. 289.56 | 160.14 1 211.65 1 298.21 - Incerta quo ad tempus. li. 2.20' fuerunt sic : 7 r 'io 1 « Mas. Gal., P. IH, T. IV, car. 215r. 1617, Iulii d. 28, h. 8 a me¬ ridie, D. 29, li. 8 a meridie. 3.27 j 318. 4 : 341 287. 32 D. 30, h. 8 a meridie. 131.10 104 58 3. 3 2.42 ^=0 Dies a radice 209. 2.46 30.46 67.48 340.34 2 99. 9 191.42 33.45 295.20 2 328. n; 92.10 16.45 183.26 2 338. 44 193. 26 7. 10 138. 54 2 443.54 360 621.50 360 622. 37 360 679.14 360 83. 54 261.56 262.37 819 14 • —**—— “TV II. 2.50' • distabat 2, et nec | nec : adirne o tenebris exierant. H. 3. 20' • exivit e tenebris, di¬ staila a centro 9[. 1.20' cum lati¬ tudine australi sic : —Te¬ li. 3.40' sic : et li. 4.12 vere fuerunt sic: jj*r li. 4.45 II. 5. 15' • 9). tangebat, et i non duni apparebat, cum tamen niultum distare debuisset, qua in re non parum anxius fui; cum- quo tam enormiter calculus aber¬ rare non posset, tandem incidit in mentein, ipsum : a : eclyp- satum esse, minorem nempe et superiorem a maiori et viciniori: et sic fuit dubio procul, neque a calmilo correcto discrepati et est observatio maximi usus l,) . D. 31, li. 8 a meridie. 884.48 | 20 ( 5.29 | 53.68 24.25 Az ih Da II. 5.15' ftd utili si leggo sopra un car¬ ticino aggiunto (cur. 214 b). OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. 749 li. 1 faerinit sic : Mmh. Cittì., IV IH. T. IV. rar. 2151. a*# 4 Augusti ci. 1, li. 8 a meridie, 4 li 8 308. 0 104 25 D. 2, b. 8 a meridie. 21.50 49.31 ! 154.52 i 07.51 H. 2 sic : Hac bora • et : erant sic: ~b - 0 et • distabat vix 2, ex quo retra- hendus videtur 2. Haec confirmat cum superio- ribus, nempe : retrahendum esse 1.40, • vero 2. j D. 3, h. 8 a meridie. 225.34 | 151. 2 | 205.19 | 89. 34 7-\ r R- 4, b. 8 a meridie. 69.12 1 251.33 255.40 111.17 1017, Augusti d. 5, li. 8 a me¬ ridie. Dies a radice 217. 2 40 99. 9 328.16 338.44 234. 7 293. 0 142.25 214.50 313.50 349. 6 351.41 150.27 07. 48 33 45 10.45 7.10 310 34 295.20 183.20 138.54 3. SS 3. 33 3. 33 3.33 992 14 1073.53 102G. G 853. 44 720 720 720 720 272.44 I 353 63 ! 306. 6 j 133.44 11.0. 30 : distabat a centro 9{- 1.10 ab occidente, et h. 1 vere contrum eius circumferentia 9|- tangebat. Ilinc retrahendus vide¬ tur 1. 30. D. G, h. 8 a meridie. ut; 32 98.84 I 356.43 | 155.37 Exacta observatio. Hac bora j distabat a : 2.20', et h. 2 distabat 2 ; : vero dista¬ bat a 9|. centro ex occidente 1.40, et h. 2 % tangebat. Re¬ trahendus videtur 3. [Iljinc j retrahendus 1.40. D. 7, li. 8 a meridie. 320.10 197. 5 I 47.10 ! 177.20 750 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. H. 0. 50 : et : acquai iter (lista- bant a centro 9|-, et distantia erat 2.10. H. 2.15'. Ilinc j retraliendus videtur 2 . 20 '. F>. 8, h. 8 a meridie. 1G3.48 | 298.36 | 97.37 1 199. 3 I>. 10, li. 8 a meridie. 211. 4 141.38 198.31 242 29 li. 1.45 fuerunt sic: D. 11, li. 8 a meridie. 54.42 | 243. sT| 248.68 | 26L12 I). 12, li. 8 a meridie. 258.20 344 40 I 299.251 285.55 H. 1.10 :, : fuerunt^, et tunc • distabat 1.20 ; et li. 1.40' • £lj tangebat. . liucusque respondit ad un- gueni. D. 9, li. 8 a meridie. 7.26 40. 7 j 148. 4 j 220.40 H. 2. 20' • exivit e tenebris, di- stans 1. 20’, et 5 et : distabant in- ter se 1. 40. Ilinc : et : retra- hendi videntur ut in superiori. Hic • retraliendus videtur 3.30'. | li. 2 : distabat 1. 50, ex quo retraliendus videtur 1.45. Msa. Gal, r. Ili, T. IV, car. 216r. 1017, Augusti d. 13, li. 8 a me¬ ridie. I)ies a radice 225. 2 40 99. 9 3*27. Hi 338.30 108.15 225.55 284.46 69.51 297. 6 146.30 251.12 107.28 67. 48 33.45 16.45 7.10 340. 34 295. 20 183.26 138.54 5.54 5.54 5.54 5.54 822. 23 806. 33 1069.49 667.47 720 720 720 360 102.23 86.33 349.40 307.47 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1017. 751 Augusti d. 14, li. 8 a meridie. 306. o | T88. 3 I 40.15 I 321). 29 H. 1.40' : distabat 1.30, ex quo videtur non movendus. H. 2 • distabat 4. 11. 1.30 Occidental68 fuorunt sic : Ilinc • retrahendus videtur ‘2.10, et : retrahendus 2.20‘. D. 15, li. 8 a meridie. 149.37 289.33| 90.41 351.11 li. 1.40 • distabat 2.20, : vero distabat 4.40'. D. 1G, h. 8 a meridie. 353.14 | 31. 3 j 141. 7 j 12 53 II. 1 • distabat 1.10', e[x| quo retrahendus videtur 4. | et : fuit sine ulla decli- natione. II. 2 : et •, qui antea fue- runt, iam separabantur et dista- bant ad invi ceni 0. 5', et : erat 2). vicinior. Hinc retrahendus vi¬ detur 2. 30'. D. 17, h. 8 a meridie. 190.51 | 132.33 | 191.33 | 34.35 H. 0.28' ì distabat 1.30. J). 18, le 8 a meridie. 40 28 | 234. 3 i 241.59 56.17 II. 0.15 : et • fnerunt (/, et di- stabant a centro 4.10, et in separatione aderat notabilis de- elinatio sic: Hinc si • retrahatur 4, : retra¬ hendus est 2. H. 2. 20'. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. 752 Ma». Gal-, P. Ili, T. IV. car. 216». 1617, Augusti d. 20, li. 8 a me¬ ridie. Dies a radice 282. 2.46 99. 9 328.11! 838.44 342.22 158.53 67. 9 28-1 4(5 40.50 202.36 100.29 42.59 67 48 33 45 1(5.45 7.10 840.84 295.20 183.2(5 138.51 7.20 7.20 7.20 7.20 807.40 797. 3 703.25 819.53 720 720_ 3(50 _ 720 87.40 77. 8 343.25 99.53 I). 21, li. 8 a meridie. 291.17 | 178.33 i 33.51 | 121.85 H. 0.30' : 9|. proxime tange- bat : bine retrahendus videtur 1.50'. D. 22, li. 8 a meridie. 134.54 I 280. 3 I 84.17 ! 143.17 H. 2. 30' : et * distabant 1.45, et • distabat 3. 20'. D. 23, h. 8 a meridie. ■ JL . -T- _ — — Tg- —_ -ttt - 338.31 i 21.33 I 134.43 ! 164.59 Correcta ut in superioribus, re- spondent omnia. I). 24, li. 8 a meridie. D. 25, h. 8 a meridie. 25 45 224.83 | 235.35 [20323 II. 1 • distabat 2, et : erat Qjj propinquior quain - , et iirterse distabant 0.12. Ilio j retrahendus videtur 2.12, si orbes non alterentur. D. 26, li. 8 a meridie. 229.22 326. 3 2*6. 1 230. 5 Mss. Gal’., r. m. T. IV. car. 2I7r. 1617, Augusti d. 28, h. 8 a me¬ ridie. Dies a radice 240. 2. 46 99. 9 328.16 338.44 216. 30 91.50 209,32 139.42 67.48 33.45 16.45 7.10 340. 34 295.20 183.26 138.54 8.45 8. 45 8.45 8.45 636.23 528.49 746.44 633.15 360 360 720 360 276.23 168.49 26.44 273.15 OSSERVAZIONI E CAI,COLI DEL 1617. 753 H. 2.16 : distabat 1.45,: vero et • aequaliter distabant a Df.. H. 2.45 : distabat 1. 20. Ilinc : retrahendus videtur 2.45. D. 29, b. 8 a meridie. 119.56 270 15 I 77 o| 291.53 Septembris d. 1, li. 8 a me¬ ridie. 10 35 | 211 33 | 228.12 359.47 II. 0.30' : distabat ex occidente 2. Ilinc retrahendus 3.35. II. 3 • exivit e tenebria, distans a centro il). 1.50. Ilinc retrahen¬ dus 4. I). 2, li. 8 a meridie. 211. 8 I 315. i Xj ì 57.41 57. 25 i 328.56 IL 2.20 • distabat 2.40. IL. 2.35 : exivit e tenebria, di stans 2.10. Ilinc retrahendus vi¬ detur 2. D. 31, [li.] 8 a meridie. - li -- I). 4, li. 8 a me ridie. 261.14 158.51 [ 19.18 1 64.41 H. 0.30' fuerunt sic: [. 1 (,) II. 2.15 • et ì erant (/, et a centro Q|_ distabant 1.10. Ex bis • retrahendus videtur 4, et : 4.15. (l1 lina macchia d* inchiostro nascondo il mi- moro dopo li a, il numero prima di 50 o la confi- fraziono dopo II. o. 3G' fuerunt aie. meridie. Dies a radice 248. 2.46 99. 9 328.16 215. 30 91.50 209. 32 187.21 90. 24 41.5G 59.20 29. 32 14. 39 310. 34 295. 20 183.26 9.45 9.45 9.45 816.16 616 787. 34 720 360 720 9G.16 256 67. 34 338.44 139.42 171.56 6.16 138.54 9. 45 805.17 720 85.17 i 754 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. I). G, h. 7 a meridie. 299.47 I 357.2-1 | 117.64 | 106.63 D. 7, li. 7 a meridie. 143.18 ! 98. 48 ! 1US. 14 128.29 II. 3.30 fuerunt sic: I). 11, li. 7 a.meridie. 237.23 J lUM I II. 0. 20 : Qj. adhuc proxime tangebat: eius eclypsim per nu- bes observnre non licnit. Bine re- trahendus videtur 4.30. D. 12, h. 7 a meridie. 80.54 | 245.58 | 59.54 [ 23b\29 Si retraliatur ut in superiori, bene respondet, scilicet rotrn- liendo : 4.15, • vero D. 8, h. 7 a meridie. 346. 41» 200.12 : 218.34 160. 5 fncr-jj* tf Ma*. Gal., P. IH, T. IV. car. 218r. 1G17, Septcmbris d. 13, li. 7 a meridie. Dies a radice 256. 2.46 90. 37 140.31 59.20 840.34 10.30 99. 9 24.48 247. 18 20. 32 295.20 10.30 044.18 8(50 707. 7 360 284.18 ESSI 14.39 83.26 10.30 G. 16 ,38.54 10.30 II. 0. 20' : distabat 2.20. H. 2.20 distabat 1.25. Ilinc retrahendus videtur 3. D. 14, li. 7 a me ridie. 127.47 88.29 ICO. 31 | 279.33 tl) Un foro nella carta toglie la lettura. distabat a • 0.50. OSSERVAZIONI K CALCOLI DEL 1(,17. 755 D. 15, h. 7 a meridie. 331 1 fi ! 189.51 | 210.-19 ! »H. 7 i / Responderunt, facta correctio- ne Bnpraposita. D. 16, li. 7 a meridie. = 174.45 f 291.13| 2fil 7 | 322 41 I). 17, h. 7 a meridie. ~18/14 | 32.35 | 311.25 | 314.15 t it i»ai_ D. 18, li. 7 a meridie. 221.43 | 133.57 _ ^ 1.43 5.40 SSL- 1)0 D. 19, b. 7 a meridie. (55.12 | 235.19 | 52. 1 | 27.23 HI -L H. 0. 80 : distabat a : 0. 25 tantum, et erat j il(-‘ vicinior. B. 20, h. 7 a meridie. 268.41 | 33G. 41 | 102.19 | 48. 57 --'H : li. 0.20’ : et • distabant ad in¬ vicela 1.12. Hinc : retrahendus videtur 8.30. M»s. Gal., I'. Ili, T. IV, mr. 218/. 1(517, Septembris d. 21, meridie. Dies a radico 264. h. 7 2.40 99. 9 | 828.16 338- 44 324 45 317.40 134.18 209.33 1)3.41 45 12 200 58 85.58 59.20 29. 32 14.39 1 6.16 340.31 295.20 183.26 138.54 11 11 11 11 82. 6 797.59 872. 37 790.25 720 720 720 720 112 6 77. 59 152.37 ! 70. 25 r - ’lp'lo- 11. 0.20'. fin et si retrabantur ut supra, bene respondent. I). 22, h. 7 a meridie 815.83 I 179.19 1 202.53 ---£ II. 0. 30' fuerunt sic: 91.57 fwjjf- et li. 0.32 fuerunt c/, et dista¬ bant a centro 2). 4. 20'. H. 4.10' : ex occidente distabat 1.15. D. 23, h. 7 a meridie. 159. 0 ì 280.39~1 253. 9| 113.29 . r - &-}**.. _• - a*f a 7 H. 0. 20' • distabat 3, ex quo retrahendus 4. 756 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. I). 24, h. 7 a meridie. 2.27 | 21.59 | 303.25 | 135 . 1 Hora debita correeta, : exivit e tenebrie, distane 2.45. I). 25, li. 7 a meridie. 205.54 I 123.19 I 353 41 | 156.83 II. 0.54' fuerunt sic: I). 27, h. 7 a meridie. 252.48 I 325.59 | 94.13 199 37 II. 0.30 fuerunt sic: O I). 28, li. 7 a meridie. 90.15 | 67.19 | 144.29 I 221. 9 H. 1. 30 • et • fuerunt et distabant 2.20 a centro 9}.. H. 4 : 9| tangebat. Hinc • i’etrahondusvidetur i.30, • vero 4.40. D. 26, li. 7 a meridie. •19.21 i 224.39 ! 43.57 | 178. 5 H. 1 : mediani occupabat se- dem inter • et circuuiferen- tiam. II. 2.30' : distabat 1.30. Hinc retrahendus videtur 2.50. II. 2.40 • et : fuerunt (/, quod congruit cura correctione supe- rius posita. M#s. 0*1., I>. Ili, T. IV. c*r. 219»-. 1617, Septembris d. 29, li. 7 a meridie. I)ies a radice 272. 2.46 99 . 9 328 . 1 (> 338.44 198.52 250 . 44 276.41 64.29 46 . 50 202 . 36 100.29 42.59 59 . 20 29 . 32 14.39 6.16 340 . 34 295.20 183.26 138.54 11.20 11.20 11.20 11 20 659.42 888.41 914.51 602.42 3(50 720 720 360 299.42 168.41 194.51 242.42 OSSERVAZIONI K CALCOLI DEL 1617. 757 I). 30, li. 7 a meridie._ sm 270. 0 I 245. c| 261.13 Octobris d. 1, li. 6 a meridie. 7. 6 | 293.15 | 284.60 1). 5, li. G a meridie. II. 1.30' fuerunt sic: -t - ’W —Q II. 2. 8' : in tenebras incidi!. D. 2, li. G a meridie. 18131 108.25 [ 343.30 I 306.21 H. 2.30' • distabat, 1.20'. Ilinc retraliendus videtur 3. 5 ; et liic rationem liabuimus inaecjua- litatis dieruni. I). G, li. G a meridie. 275.16 I 153.41 I 184.20 1 32.45 H. 0. 25 ■ exivit e tenebi’is distans a centro 9L 2. D. 4, li. G a meridie. 349.23 L H. 2.30' • distabat a centro 9j. 1.15, ex quo retraliendus 4.30' ut supra. Mas. Gal., I\ III. T. IV, car. 219/. 1617, Octobris d. 7, li. G a me¬ ridie. Dies a radice 280. 2.46 99. 9 328. 16 338.44 73. 0 183.41 59. 4 279.24 50.51 25.19 12.34 5.22 340.34 295.20 183.26 138.54 11.20 11.20 11.20 11.20 478 31 614.49 594.40 773.44 360 360 720 ••f 758 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. D. 8, h. 6 a meridie. 321.55 ! 356. G | 284.53 | 75 13 I). 0, h. 6 a meridie. Ili.-». 19 | 97.23 | 335. 6 i 96 12 II. 1.20 • distabat 0.25'. I). 10, h. G a meridie. 8.43 | 198.40 ] 25 19 ! 118.11 1). 11, li. 6 a meridie. 212. 7 | 299.57 | 75.82 j 139.40 I). 12, li. G a meridie. 55.81 11 14 I 125.45 I 101. 9 D. 13, h. 6 a meridie. II. 0.30 : distabat 2.15’. Ma». Gai., I\ Ili, T. IV, cnr. 220 r. 1 Gl7, Octobris d. 14, h. 6 a meridie. Dies a radice 287. 2.46 99. 9 328.16 338.44 73 183.41 59. 4 279.24 343 56 349. 6 351.41 150.27 50. 51 25.19 12.34 5.22 340. 34 295.20 183.26 138.54 _ nAÌ 11 11 11.11 11.11 822. 18 963.46 946 12 924. 2 720 720 720 720 102.18 243.40 226.12 204, 2 II. 2 j distabat a : 0.15'. D. 15, li. G a meridie. 305. 12 315. 3 I 276 25 225.31 II. 2.35 : distabat 1.30. D. 1G, li. 6 a meridie. 149. 0 86.20 I 320.38 ) 247.0 li. 1 • 9j. ara tangebat. II. 1.50 : exivit ex umbra. H. 1.50' : distabat 1.15'. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. D. 18, h. 6 a meridie. ‘IjffiTl mu I 07. 4 | 280. 68 D. 19, h. G a meridie. === 397l8 | 30’ 11 I 11717! 31127 . - - - - D. 20, h. G a meridie. .28 ’ line bora : et • diatabant ad inviami 1.12. II. 1.12: exibit e tenebria, di¬ staila ii centro 9j. 5. 32': nubes fuerunt. I). 23, li. G a meridie. 132.38 | 75. d | 317.58 | 37. 7 -- 1). 2-1, li. G a meri dio. 8 . D. 21, li. G a meridie. 86. 6 | 232. 15 | 217.43 | 354.25 f.4<> • _ Hss.Gal, P. III. T. IV, csr. 2201. 1617, Octobris d. 22, li. (> a meridie. Dics a radice 295. 99 9 no 39 Ufi 30 25 19 295 20 10. 52 693. 49 360 338.44 134 21) 107.28 5.22 m 54 10. 52 289.16 | 333.49 | '287.47 | 15.40 II. 0.86 : distabat 1. 20, et • dist.abat 8. II. 1 : separabitnr a 9|-, et li. 2.20 incidet in umbratili et sic fuit. I). 25, li. G a meridie. 179.22 277.34 j 58.20 ! 80. 1 I). 2G, li. G a meridie. 22. 44 18. 45)1 108.31 I 101.28 II. 1. 20' : exivit e tenebria, et li. 1.22' exivit •, qui erat 9|d vicinici’, interque se distabant 0.80, 760 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. D. 27, li. 6 a meridie. I). 31, h. G a meridie. 226. 6 | 120. 4 | 168.42 | 122.56 319.27 | 164.58 j ^59.44 j 208.44 D. 28, h. 6 a meridie. 69.28 | 221.19 I 208.53 | 144.23 D. 29, li. 6 a meridie. 272 50 I 822.34 I 259. 4| 165.50 II. 0.20 j distabat ex occidente 1.25'. Novembris d. 1, li. 6 a me¬ ridie. 162.48 | 266.12 | 49.foT] 230.10 H. 1. 20' : et • fuerunt . Mss. Gal., P. Ili, T. IV, car.221r. 1G17, Octobris d. 30, b. 6 a meridie. Dics a radice 303. D. 2, li. 6 a meridie, ti. 9 7.26 I 100. 4 251.56 I). 3, li. G a meridie. 209.30 I 108.40 I 150.u] 273.2 148.45 . _ 312. 25 303 54 150 43 25.19 12. 34 295.20 183.26 IO. 26 10 26 783.44 669. ai 720 360 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. 761 D. 5, h. 6 a meridie. 25^12 T 311. s| 250.34' 315.54 D. 7, h. G a meridie. 302 54 | 153.30 350 54 I 358.46 Mss.fial,, P. III. T. IV, car. 2211. 1). 10, li. fi a meridie. 11*2 52 ' 97.16 | 141.27 f 62.58 li. 0.30' : et : distabant 0.50'. 1). 11, li. 0 a meridie. 36.12 I 198.29 191.36 ! 84.23 1G17, Novcmbris d. 8, li. G a meridie. Dies a radice 312. 184. 0 148.45 1 312.25 328 7 234. 7 293 0 112 25 214.66 4G 50 202.3(5 100 29 42 59 50.51 25.19 12.34 5.22 340.34 295. 20 183 20 138. 54 9.50 9 50 9.50 | 9. 50 866.12 974. 50 | 701. 9 740. 8 720 720 720 720 14G.12 254.50 ! 41. 9 20. 8 H. 1 ; distabat a : 1.15. Et i : distabat 1. 15, • vero 2. D. 13, li. G a meridie. 82.52 | 40.55 | 291.54 | 127.13 li. 0. 30' fuerunt sic : D. 14, li. 6 a meridie. 2S6.12 142. 8 I 342. 3 | 148.38 II. 0. 30' : et • erant c/. D. 15, b. 6 a meridie._ 129.32 243.21 | 32.12 | 170. 3 III. 90 762 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1617. Mu. Oli., r. Ili, T. IV, r»r. Siili-. 1617, Novembris d. lfi meridie. Dies a radice 320. , li. 6 a 184. o 148. 45 312 25 328. 7 108.15 225.55 284.40 09.51 50. 51 25.19 12. 34 5 22 340.34 295.20 183. 2(5 138.54 9. 6 _ 9. 6 9 6 9. 6 (592 4(5 704.25 802.17 551 20 860_ 300 720 880 332.4(5 344.25 82.17 | 191.20 1). 17, h. fi a meridie. 17(5. 0 85.38 | 132.26 | 212.45 1). 18, li. fi a meridie. 19 2t» 180. ra | 182. 35 | 931. in I D. lì), li. fi a meridie. 222.4(5 | 288. 4 ] 232.44 | 255 35 1). 20, li. fi a meridie. 60. 0 I 29.17 I 282 53 I 277. 0 D. 21, li. fi a meridie. 289.26 | 130.30 | 333. 2 | 298.25 I). 22, li. fi a meridie. 112.46 F 231.43 1 23.11 | 319.50 D. 23, li. 6 a meridie. llwfcli*!., I*. in, T. IV, C*r. tiil. 1617. Novembris d. 24, li. 5 a me¬ ridie. Dies a radice 328. 184 108.15 187.21 42 23 3*10.34 _&26 148.45 225.55 90.24 21. 6 295.20 8.20 312. 25 284.46 41. 56 10.28 183.26 8.26 328. 7 69.51 171.56 4.29 138.54 8.20 870 59 720 789.55 720 841.27 720 721.43 720 150 59 X ^ 09.55 121.27 > 1.43 v • 7— < *#> 1). 25, li. 5 a meridie • 854.19 171. 8 171.36 23. 8 D. 2fi, li. 5 a meridie. 197 39 272.21 221.45 44.33 D. 27, li. 5 a meridie • 40.59 | 13.34 271.54 65.58 II. 1. 40 : exivit e tenebri». D. 28, h. 5 a meridie. OSSERVAZIONI E CALCIOLI DEL 1<>17. D. 29, 1). 5 a meridie. _____ 87.39 I 218. 0 j 12.12 | 108.48 Facta correctione, : exire de¬ bete tenebria li. ‘2.32 ab occaso. D. 30, li. 5 a meridie. ’ 290.59 | 317.13 | G2.21 | 130.13 Decembris d. 1, li. 5 a me¬ ridie. 134.19 | 58 2(i | 112.30 ! 151.38 Maa.Gal., F. Ili, T. IV, cnr. L'-Mr. 1017. Decembris d. 2, li. 5 a meridie. Dies a radice 33(5. 184. 0 342.22 140.31 42.23 340.34 7.38 148.45 158.53 217.48 91. r> 295 20 7.38 312.25 07. 9 301.27 10 . 28 183.20 7.3H 328. 7 284.40 128.57 4.29 1,38 5 4 7.38 1057.28 720 870.29 720 882. 33 720 892 51 720 337.28 150.29 102 33 172.51 D. 3, li. 5 a meridie. 180.48 200.42 212.42 194.10 D. 4, 1 :i. 5 a meridie. 24. 8 1.55 202.51 215.41 D. 5, ] li. 5 a meridie. 227.28 i 103 » 8 | 313. 0 | 237. 6 D. 6, 1 li. fi a meridie. 70.48 204. 21 3. 9 | 258.31 703 D. 7, li. 5 a meridie. 274. 8 | 305.34 53.18 | 279.50 I>. 8, li. 5. 117.28 | 140.47 103.27 301.21 1). 9, li. 5. 320.18 | 148. 0 153.3G | 322.40 Ma». Oli., 1*. Ili, T. IV, cnr. 223/. 1G17. Decembris d. 10, li. 5 a me- ridie. Dies a radice 344. 184 210.30 93.41 42.23 340 34 0. 48 148.45 91.50 45.12 21. 5 295.20 fi. 48 312.25 209. 32 200.58 10.28 183. 20 0. 48 328. 7 139.42 85. 58 4.29 138.54 0. 48 883.50 720 009. 0 300 923.37 720 703 58 360 163.56 I 249. 0 1 203.37 i 343.58 sdii • li. 0.30’ : et : : orant y et • distabat O w • 1). 11, li. 5. 7.10 | 350.13 ! 258 ,46 | 5.23 i-i a yj° . Osti _ - • • II. 0. 30 : distabat 2. Mas. Gal-, P. III. T. IV, c»r. 224r. Ex superioribus huius anni ob- servationibus, omnes retrahendi videntur: : 3, : 4.30', : 3.30, • 4. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. Mss. Gii. P. III. T. IV. finr. 224 r. Kb*. Gal., P. Ili, T. IV, car.22R 1018, Ianu arii d. 3, li. 5 a me ridie. 1018. A]»rilis d. 5, li. 17 a meridie. Dies a radice 368. I)ies a radice 400. 184 324.45 187.21 42.23 340 34 3.50 148. 45 317. 46 90. 24 21. 5 295. 20 3. 50 312.25 131.18 1 41.56 | IO. 28 188.26 8.50 : 328. 7 209. 33 171.56 4. 29 138.54 3. 50 5.32 324.45 144. 5 310.34 198.24 1 317.46 71.43 295.20 296.33 134.18 35. 36 _183 1 26 317.29 209.33 15.14 138. 54 814.56 a^3.13 649.53 I 681.10 1082.53 1080 877.10 720 686.23 3(>0_ 856 49 720 727.25 _ 727.25 367. 25 367.25 87.31 | 155.18 ! 282. 28 | 313.45 2.53 157.IO 1 326.23 1 1 136.49 % 991 3 y* IX 4, h. 5. 206.13 258.22 1 Iti. 31 I 158.13 D. 5, li. 5. 49.33 | 359.34 06.39 M" 1 179.37 I). 6, h. 5. 252.53 | 100.40 | 110.47 j 201. 1 Aprilis d. 8, li. 10 a meridie. Dies a radice 403. 5.32 188.24 296.88 317. 29 324.45 317.46 134.18 209.33 250.15 303.54 150.43 64. 29 135.36 67.30 33. 30 14.20 340.34 295. 20 183.26 138. 54 1056 42 i 1182.54 798.30 744.45 727. 15 i 1087.45 727.45 727.43 328.57 j 95. 9 | 70.45 17. 0 Aprilis d. 25, 1 li. 15 a : meridie. Dies a radice 480. 5.32 198.24 296. 33 317.29 73. 0 183.41 59. 4 279. 24 127. 8 63.17 31.24 13.26 340. 34 295. 20 .183. 26 138. 54 546.14 570. 27 369.10 ■gxta 369.10 177. 4 201.1 20. 3 768 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. D. 26, li. 15 a meridie. 20.25 I 112.46 I 251 27 | 41.29 D. 27, li. 15 a meridie. 223.46 | 214. 0 | 301.37 | 62.55 _ Mas. Gal., P. IH, T. IV, car. 225r. 1618. Aprilis d. 28, li. 15 a meridie. 67. 7 I 814.14 I 351. 17 | ai. 21 — D. 29, li. 15 a meridie. 270.28 | 55-28 | 41.57 ! 106.47 D. 30, li. 15 a meridie. Maii d. 1, li. 15 a meridie. 317.10 | 257.66 | 142.17 |l48.39 D. 2, li. 15 a meridie. 160.31 | 359.10 | 192.27 | 170. 5 D. 5, li. 15 a meridie. 50.34 | 302.52 | 342 57 ì 234. 23 D. 6, li. 15 a meridie. 263.55 j 44. 6 | 33. 7 T~255.49 D. 7, 97.16 li. 15 a meridie. 145. 20 183.17 277.15 Uu. Gal., 1*. Ili, T. IV, car. 225(. 1618. Maii, d. 8, li. 15 a meridie. Dies a radice 493. 5.32 307. 7 250.15 127. 8 310.34 198.24 116.39 303. 54 63.17 295. 20 296.33 201.27 150.43 31.24 183 26 317.29 134.20 64.29 13.26 138.54 977. 34 730. 8 863.33 730. 8 300.28 217. 26 133.25 298 30 D. 9, li. 15 a meridie. 143.49 348.40 183.35 319.56 D. 10, h. 15 a meridie. 347.10 T" 89.54 | 233.45 341.22 D. 3, h. 15 a meridie. 3.52 I 100.24 242.37 191.31 D. 11, li. 15 a meridie._ 190.31 191. 8 | 283.55 | 2.48 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEI, 1611!. D. 12, h. 15 a meridie. I 33.52 292. 22 : 334. 5 24.14 1). 13, li. 15 a meridie. 237.13 | 33. 36 | 24.15 | 45 40 D. 14, li. 15 a meridie. 1 80.34 | 134 50 | 74.25 | 67. 6 | D. 15, k. 15 a meridie. 283.55 236. 4 | 124 35 | 88. 32 ( D. 16, li. 15 a meridie. 1 127.1G 337.18 | 174.45 | 109.58 . Mas. Gal.. P. Ili, T. IV, car. 22C>\ • 1618. Maii, d. 17, li. 15 a meridie. I)ies a radice 502, isti. 55 248 279.41 306.51 46 50 202. 36 100.29 42.59 127. 8 63. 17 31.24 13.26 340.34 295.20 183.26 138.54 701. 27 709.13 595 502.10 j 370.45 370.45 370.45 370 45 330.42 338. 28 224.15 131.25 D. 18, 11. 15 M meridi 0. 174. 7 79.44 274. 27 152.53 Iunii d. 19, h. 7 ab occasu, quae est h. 14. 36 a meridie. Dies a radice 535. 186.55 218 279.41 806 51 342.22 158. 53 67. 9 281.46 297. 6 146.30 251.12 107.28 118.40 59. 4 29.18 12.32 5. 5 2. 32 1.16 32 340.34 295. 20 183.26 138.54 1290 42 910.19 812 2 851 3 1091.20 731.20 731. 20 731.20 199.22 178. 59 70. 42 119.43 ni. 7(51) Iunii d. 24, li. 10 a meridie. Dies a radice 540. 186.55 248 279.41 808.51 216.30 91.50 209 32 189.42 84.45 42.11 20. 56 8.57 340.34 295. 20 183.26 138.54 828.44 677.21 693.35 594. 24 781 371 371 371 97.44 306.21 322. 35 223.24 I). 25, li. 10 a meridie. 801. 9 47.18 | 12.49 | 244.64 ». U al., P. Ili, T. IV, car. 2266 1618. Iulii d. 2, h. 14. 53' a meridie. Dies a radice 548.__ 186 55 i 248 279.4?] 306.51 216.30 j 91.50 209.32 139.42 187.21 90.24 41.56 171.56 118.40 59. 4 29.18 12.32 7.28 I 3. 14 1.46 48 340. 34 JÌ95. 20_ _ 1 83. 26 138,54 1057.28 788.22 745.39 770.43 7 30 30 730.30 730.30 730.30 326.58 57.52 15. 9 40.13 Iulii d. 17, li. 9 a meridie. Dies a radice 5G3. 180.55 248 279.41 306.51 324.45 317.46 134.18 209 33 250.15 303. 54 150.43 64.29 76.17 37. 58 18. 51 8. 4 340 34 295.20 183.26 138. 54 1178.46 1202.58 766. 59 727.51 1089 1089 729 369 89.46 113. 58 37.59 358.51 100 770 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. H. 2. 30' fuerunt sic linee fuit nostra prima obser- vutio huiua anni. Hic : et : respondent, facta correctione precedente anni. Sed : videtur paulo plus retrahendus, nempe 4.20'. I). ls. h. 9 a meridie. 21)3.15 | 215.22 88. 0 | 20.27 • _àH-. /•• r • • * : H. 2. 30' : et • videbantur se tangere. Observatio non certa; fuit enini aor caliginosus. D. 19, h. 9 a meridie. 13G 41 310.46 138.14 I 42. 3 'fìT & --e- D. 20, h. 9 a meridie. 341.13 | 58.10 | 188.19 | 03.39 « _*yu. tuo Caelum fuit nubilosum. M«». Gal., V. Ili, r. IV, cor. W. 1618. Iulii d. 21, h. 9 a meridie. Dica a radice 567. 18(5. .55 321. *15 843.56 76.17 340.34 248 317.46 349. 6 37. 58 295 20 279.41 134.18 351.41 18.51 183.26 306.51 209.33 150.27 8. 4 138.54 1272 27 1088» 24 1248.10 1088 24 967.57 728.24 813.49 728.24 184 3 | 159.46! 239 33 85.25 I). 22, h. 9 a meridie. 27.37 261.13 289.56 107. 4 -_ hd . II. 2.25' ab occasu • distata! 2. 40'. I). 23, h. 9 a meridie. 281.11 2.40 I 310.19 123.-13 llic j et • respondent corredi. Si tamen quid amplius retrahan- tur, meliuB respondent. IL 3. 20’ ab occasu fuerunt sic. D. 24, li. 9 a meridie. 74.45 104. 7 j 30.42 | 150-22 II. 2 ab occasu fuerunt sic: - 0 quod congruit cum eniencìatione. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. 771 D. 25, h. 9 a meridie. D. 26, li. 9 a meridie. 121^53 j 307. 1 | 181.28 | 193.10 D. 27, li. 9 a meridie. 325. ^nr 48.28 1 181.51 I 215.1!) D. 28, li. 9 a meridie. 169. 1 I 119.55 | 232.14 I 23G. 58 Msa. Cai., I*. Ili, T. IV, cnr. 227/. 1618. Iulii d. 29, li. 9 a meridie. Dies a radice 575. 18G. 55 198.52 297. 6 76 17 340.34 218 250.44 146. 80 37. 58 295.20 279.41 276.41 251.12 18.51 183. 26 306.51 64.29 107.28 8. 4 138.54 1099.44 1086.50 978 32 726. 50 1009.51 726. 50 625 16 366. 50 12.54 251.42 283. 1 258. 56 I). 30, h. 9 a meridie. I 60. 8 I 94.42 | 23.53 | 302.20 II. 2 : et • erant quod re- spondet emù emendatone. Augusti d. 1, li. 9 a meridie. 203,45 I 190.12 I 71.19 I 324. 2 Circa li. 3 : erat occidentalior quam : 0. 12. I). 3, li. 9 a meridie. 310.59 89.13 175.11 7.26 D. 4, b. 9 a meridie. 154.36 140.43 225.37 29. 8 772 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. Circa li. 2 fuerunt sic Augusti d. 5, b. 9 a meridie Dies a radice 582. II. 2 ab occasu : et 5 erant quod convenit cimi correctioue D. 11, li. 9 a meridie D. fi, li. 9 a meridie II. 2. 20' fuerunt. sic I). 7, li. 9 a meridie il»» Gal , F. IH. T. IV. c»r. 2281. 1618. Augusti d. 13, li. 9 a meridie llies a radico 590. I). 8, b. 9 a meridie 186. ir» 218 279.41 ! 306.51 73. 0 183 41 59. 4 279.24 46.50 202 36 ; 100.29 42.59 76 17 87.58 18.51 8. 4 340.34 | IMO li» i 183-26 1 138.54 7 lì-* 1 36 641.31 776.12 866.23 725.23 : 165. 23 725 23 868* 18 24 276. 8 50.411 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL l(il8. 773 H. 1. 20 intervalla trillili stel¬ larmi! erant proxime acquali», quod consonat cum corroctioni- bus sapra notatis. D. 14, li. 0 a meridie. 31. 2 | 75.511 i 10 23 | 24(5.23 Augusti d. 18, li. 9 a meridie. Dies a radice 595. 180. 55 218 279.41 806.51 307. 7 11(1. 39 201.27 13 4. 20 207. fi 146 HO 251.12 107. 28 76.17 37.58 18 51 8. 4 310.34 295.20 183.26 138.54 1207.59 814.27 934.37 095.37 1082.12 722 12 722.12 862.12 125.47 | 122.15 212.25 | 333. 25 D. 15, li. 9 a meridie. 234.41 j 177.31 | (50.01 268. 7 H. 1. 30 : distabat ex oriente 1. 20, • vero 4. Hic : retrahendus vidotur 3.35, • vero 4. D. 16, li. 9 a meridie. 78.20 270. 3 [ 111.19 * 269.51 M»«. (ia!., r. Ili, T. IV. car. 105r. 1618. Augusti d. 18, li. 8 a meridie. Dies a radice 595. 180. 55 248 279.41 300. 51 307. 7 110.39 201.27 134. 20 297. 0 140.30 251.12 107. 28 07.48 38.45 16. 45 7.10 340.84 295.20 | 183. 20 138.54 1199.30 840.14 ì 932.31 694.43 1082.12 722.12 722.12 i 302.12 na 18 118. 2 210.19 332.31 D. 19, li. 8 a meridie. 321.5 219.36 1.49 | 354.17 Cum • distabat 2. 40, reliqui fuerunt sic ex observatione, quod fuit li. 3 ab occasu vel paulo t 774 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. Ex calcalo sic: Ilio • retrahendus videtur 6. Hic : retrahendus videtur 4.30', : vero 5. 30. D. 20, h. 8 a meridie. 165.40 | 321.10 | 311.19 | 16. 3 I). 21, li. 8 a meridie. 9.21 | 62.44 ! 1 49 | 37.49 1). 24, h. 8 a meridie. 260.24 | 7.20 | 168.131 10M / T+rtf —- II. 2.30' : distftbat 1.20'. Hinc retrahendus videtur 3. 36. Satis oxquisita observatio. D. 25, h. 8 a meridie. 104. 5 109. 0 203.49 121.53 t=: li. 0. 45 vidi : ex occidente di- stantem 1.12, duin in umbra in cadere debebat. Hic : retrahen¬ dus videtur 6. II. 2.48 • distabat 1.12. Ex bis vereor, in tempore fuisse cr- rorem, vel • retrahendum 10. 1). 2*2, li. 8 a meridie. 213. 2 ; 164.18 I f>2 19 | 69 35 I). 23, li. 8 a meridie. 66.43 205 52 I 102.49 I 81.21 | Mas. CUI., I*. Ili, T. IV, car 105/. 1618. I Augusti d. [26], h. 8 a meridie. Dies a radice 603. 8.18 207.40 204. 50 296.13 250 15 303.54 150.43 Gl. 29 67.48 33.45 16.45 7.10 340.34 295. 20 183. 20 138.54 666. 55 930.39 615.44 506.46 300 720 360 360 306 55 210.39 255.44 146.40 i fuit h. 2. 30', et distabant 4.20', ot quoad latitudinem sese tangebant: OSSERVAZIONI K CALCOLI DEL 1(118. 77 f) D. 27, h. 8 a meridie. 150.37 312.14 | 306.15 | 108.23 Cum • distaret 2.45, j distaila! 6.50', quod fuit h. 2. 24. Omnia extimative. Hinc • retraliendus 4. IO, : vero 5.30'. t i D. 28, h. 8 a meridie. 35-1.19 | 03.40 | 356. 40 | 190.20 H. 1.15 fuerunt sic : i H. 1.45' • 9J. tangebat. H. 2 • et : fuerunt > et, di- stabant 2.15; illarum declinatio intercipiebat 1.20 u> intcr centra, li. 3. 30' j distabat 1. 17. Hinc : retraliendus 5.30, ; vero 7.40', • vero 8. 20. I). 29, li. 8 a meridie. 198. 1 | 155.24 | 17.17 | 212. 7 • li. 2 distabat 1.30. Hinc re- trahendus 8. 1,1 Poiché 1.30 a causa di una correzione non è bon chiaro, (« ai.ii.ko soggiunse subito dopo: « dico 1.20 ». I). 30, h. 8 a meridie. 41.43 | 266.69 1 97.48 I 283.54 ■**>- IX 31, li. 8 a meridie. 215.25 | 358.3-1 | 148.19 | 255.41 Septembris d. 1, li. 8 a me¬ ridie. 89. 7 | 100. 9 ì 198.5o”] 277.28 ~ N -— — - J 11. 0. 30' : distabat 2.45'. Hinc retraliendus videtur 4. 40. 1). 2, li. 8 a meridie. 292.49 201.44 | 249.21 299.15 Mas. Gal., V. HI, T.IV, car. I00r. 1018. Septembris d. 3, h. 8 a meridie. l)ies a radico 611. aie 234. 7 203. 25 67.48 340.34 2.12 297. 40 293 101.18 33.45 295 20 2.12 264.50 142 25 50.14 16.45 183.26 2.12 296.13 214.56 21.30 7.10 138.54 2.12 856.24 1023.15 659.52 680. 45 720 * 720 360 360 136.24 303.15 299.52 320.45’ r~— — — 776 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. D. 4, li. 8 a meridie. 840. 6 I 44 50 I 360.23 ] 843.32 II. 0. 3G fuerunt sic: H. 2. 20' fuerunt. sic : D. 7, li* 8 a meridie. 231.12 | 349.35 | 141.56 | 47.53 --___ li. 7. 20 a meridie : et • sepa- rabantur, et fuerunt sic: — Ilio : retraliendus videtur 7. Satis exactae. • retraliendus videtur 7, • vero 7. 30. D. 5, h. 8 a meridie. 183.48 i 146.26! 40.54 1 4 19 H. 0.20. & H. 2 : i)|. tangebat ex occiden¬ te. Ilinc retrahendus 7. H. 7.23 a meridie • 9j. tangebat. II. 3.50 • distabat ex occidente 1.15. Ilinc reti'ahendus 8.35. D. 8, li. 8 a meridie. 74.54 | 91.10 | 192.27 [ 69.40 II. 1 intervalla inter : et •, et inter • et circumferentiain Oj., orant proximo acqualia. H. 8. 4 a meridie ì sepavaba- tur a Qj_, ipsumque tangebat. Hic retraliendus videtur 8. 30'. T). 9, li. 8 a meridie. 278.86 | 192.46 | 242.58~j 91.27 T' • — - H. 9. 4 a meridie : distabat 1.40. Hinc retraliendus videtur 8. D. 0, h. 8 a meridie. 27.30 248. 0 [ 91.25 | 26. 6 D. 10, li. 8 a meridie. 122.18 294.20 [ 293.29 113.14 IL 7.28’ a meridie • exivit o tenebris. Ilinc retrahendus 9. Ci I/ultima parte a destra della configurazione manca, perché la carta ò strappata. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. 777 Ita Gol., P. HI, T. IV, c»r. 106/. 1618. Septembris d. 11, li. 8 a me¬ ridie. Dies a radice 619. 8.18 297.40 264. 50 296.13 234. 7 293 142. 25 214.56 30.46 191.42 92. 10 193.26 67.48 33.45 16. 45 7.10 340.34 295. 20 183. 26 138. 54 4.18 4.18 4.18 4.18 1115.45 703. 54 854.57 ÉjjÉI 1080 360 720 325.51 35.45 134.57 H. 9.23 a meridie fuerunt sic: I). 13, li. 8 a meridie. 13. 7 j 238.47 1 8L48] 178.23 D. 14, li. 8 a meridie. 216.45 I 340.18 I 135.15 | 200. 6 H. 7. 16 : et : separatae fue¬ runt, et distabant ad invicela 1 ; • vero distabat 1. 50. II. 9 : et • fuerunt . H. 9.16 iam separatae erant, et distabant ad invicela 0.10 ll) . Hic retraliendi videntur ut supra. D. 15, h. 8 a meridie. CO 23 81.49 j 185.42 1 221.49 D. 12, li. 8 a meridie. 169.29 r 137.16 34.21 j 156.40 H. 8. 50 • et : fuerunt . H. 9.8' • tangebat. : et : in mediani occupabant sedem inter : et circumferentiam 9|_. Omnia congruunt cum corre- ctione superiori. D. 16, li. 8 a meridie. 183.20 236. 9 243.32 D. 17, li. 8 a meridie. 107.39 I 284.51 286.36 | 265.15 m Cfr. pag. 781. III. 101 778 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. D. 18, h. 8 a meridie. 311.17 | 26.22 | 337. 3 | 286.68 Mas. Gal., P. Ili, T. IV, cnr. 107**. 1618. Septombris d. 19, h. 7 a me¬ ridie. Dies a radice 627. 8.18 297.40 264.50 296.18 108.15 225. 55 28*1.46 69.51 343.56 349. 6 351.41 150.27 59.20 29.32 14.39 6.16 340.34 295. 20 183 26 138.54 6.18 6 18 6.18 6.18 865.41 1203.51 1105.40 667.59 720 1080_| 1 OSO 860 146 41 123.51 ; 25.40 307. 59 D. 20, li, 7 a meridie. 350.18 225.21 | 76. 6 I 320.41 D. 21, h. 7 a meridie. 133.55 I 326.51 j 126.32 I 861.28 D. 22, li. 7 a meridie. 37.32 68.21 I 176.68 I 13. 5 D. 23, h. 7 a meridie. 211. 9 | 169.51 T 227.24 Pluy D. 24, li. 7 a meridie. 84.46 | 271.21 1 277 50 | 5(129 D. 25, h. 7 a meridie. 288.28 | 12.61 328.16 78^1 J Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 107/. 1618. Septombris d. 27, li. 7 a me- ridie. Dies a radice 635. 8.18 297.40 264.50 296.13 342. 22 158.53 67. 9 284.46 297. 6 146.30 251.12 107.28 59.20 29.32 14.39 6.16 840.34 295.20 183.26 138.54 7.47 7.47 7.47 7.47 1055. 27 935.42 789. 3 841.24 720 720 720 720 335.27 215.42 69. 3 121.24 OSSERVAZIONI li CALCOLI DEL lfi]8. 779 D. 28, b. 7 a meridie. 179. 2 317.10 I 119.27 | 113 4 Mai. Gal., P. Ili, T. IV, car. I08r. 1618 . Octobris d. 5, li. 7 Dies a radice 643. a meridie. D. 29, b. 7 a meridie. 22.37 | 58.38 | 169. 51 | 101.41 D. 30, li. 7 a meridie. ^26 12 I m c> ! 220- 1Ó I 180.24 s. 18 297.40 264.60 296,13 216.30 91.50 209. 32 139. 12 250.15 303.54 150.43 04. 29 59.20 29. 32 14. 39 0.10 310. 31 295.20 183. 26 138. 54 9.12 9.12 9.12 9.12 884. 9 1027. 28 832. 22 654.46 720 720 720 300 164. 9 307.28 112. 22 294.46 D. 6 li. 7 a meridie. 780 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. D. 11, h. 7 a meridie. D. 16, h. 6 a meridie. 806.21 | 195.68 | 64.28 | 64.28 284.21 | 888.48 | SoTTnS D. 12, li. 7 a meridie. 148.53 1 297.23| 104.49 | 8G 5 !>• 17, h. 6 a meridie. Mhs. fìal., IMI», T. IV, cnr. 108#. 1618. Octobris d. 13, b. 6 a meridie. Dies a radice 651. 8.18 297.40 264.50 296.13 90.37 24.48 351.55 354.38 203.25 101.18 50.14 21.30 50.51 25. 19 12 34 5.22 340. 34 295. 20 183.26 138. 54 io. 6_ 10. 6 10. 6 10. 6 703. 51 754 31 873. 5 826.43 360 720 720 720 343.51 34.31 153. 5 106.43 D. 14, h. 6 a meridie. 187.21 136.56 | 203.26 | 128.19 I). 18, h. 6 a meridie. 281 21 181.31 44.45 I 214.43 I). 19, h. 6 a meridie. 124.51 282 55 I 95. 5 236.19 D. 20, b. 6 a meridie. 828.21 24 19 r 145.25 | 257.55 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. .Gal., P.Hl, T.IV, c*r. 100>*. / 1618. Octobris d. 22, h. 6 a meridie. Dics a radice 660. 8.18 297.40 204. 50 296.13 324.45 317. 46 131. IH 200.33 50.61 25.19 12.34 5. 22 340.34 295.20 183 26 m 54 10.54 10.54 10.54 io. M I). 27, li. 6 a meridie 312.42 | 13.44 | 137 17 —T I). 28, li. G a meridie 156.10 I 115. 5 | 187.34 -- 48.41 Fra I). 29. li. 6 a meridie 91. 17 riiii lie. 0 D. 25, h. 6 a meridie. 265.46 171.2 36. 43 D. 26, h. 6 a meridie. 5.35 Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 109/. 1618, Novembris d. 1, h. 6 a meridie. Dies a radice 670. 297.40 250.44 25.19 295. 20 11.25 880.28 720 o 25 < 1f* 782 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. 1). 2, li. 6 a meridie. 93.26 I 261.47 | 79.11 I 177.51 D. 3, li. 6 a meridio. 296.52 | 3. 6 | 129.26 | 199.25 I). 0, li. 6 a meridie. 77 28 1 251. 0 | 70.56 T 328^1 V I>, 10, b. fi a meridie. 280.54 ! 352.19 | 121.11 | 35o 7"g" I). 4, h. fi a meridie. 140.18 | 104.25 | 179.41 | 220 56 -^ Ma Gal.. P. IH, T. IV, car. UOr. 1618, Novembris d. 11, h. 5 a meridie. Dies a radice G80. D. 5, h. 6 a meridio. 343 44 i 205.44| 229.56 | 242.27 8.18 297.40 264.50 296.13 73. 0 183.41 59. 4 279.24 42. 23 21. 5 4.29 340. 34 295.20 183.20 138. 54 11.30 475.45 809.16 529.18 730.30 360 _ 720 360 720 115. 45 89.16 169.18 10.30 D. 6, h. 6 a meridie. 187.10 /-\ — z — 307. 3 | 280.11 ; - ~— 'Mi s 263.58 —; D. 7, li. fi a meridie. 30. 36 | 48.22 330.26 j 285.29 •.cs^ ^ : - D. 8, -tr- li. 0 a meridie. 23-4. 2 | 149.41 | 20.41 | 307. 0 i). 12, h. 5 a meridie. 319. 9 I 190. 33 | 219.33 | 31.59 I). n, li. 5 a meridie. 162. 33 | 291. 50 | 269 58 | 53.28 I). 14, h. 5 a meridie. 5. 57 | 33. 7 I 320.13 | 74 57 D. 15, b. 5 a meridie. • • 209. 21 | 134 : 21 10.28 | 96.26 I). 16,_ h. 5 a meridie. 52. 45 | 235.41 60.43 f 117.55 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. 783 D. 17, h. 5 a meridie. 256. 9 | 33G. 58 110.68 | 139.24 I). 18, h. 5 a meridie. 99.33 | 78. 16 | 101.13 1 100.53 D. 19, h. 5 a meridie. 302 57 179. 32 | 211.28 | 182.22 D. 20, li. 5 a meridie. 146.21 280.41) I '261.43 | 208. 61 Mas. Gal., P. III. T. IV. far. 1101. 1018, Novembri» d. 21, li. 5 a meridie. Dies a radice 690. 8.18 297. 40 204. 50 290.13 307. 7 110. 39 201. 27 4 29 42. 23 21. 6 10. 28 131.20 340.34 295. 20 183. 20 138.54 11.16 11 . 16 11.10 11.10 709.38 742 671.27 585.12 360 720 300 ì 300 349.38 i 22 | 311.27 | 226.12 I). 22, h. 5 a meridie • 193. 1 123. 16 1.39 246.40 I). 23, h. é a meridie. 36.24 | 224.; 32 1 51.51 | 208. 8 D. 24, li. 5 a meridie. 239.17 1 325. 48 102. 8 | 289. 36 D. 25, h. 5 a meridie. 83.10 67. 4 152.15 | 311. 4 D. 26, li. 5 a meridie. 290.33 108. 20 | <■ 202.27 | 332. 32 I). 27, li. 5 a meridie. 139.50 269. 36 252.39 | 354. 0 D. 28, li. 5 a meridie. 948, Ì9 | 10. 62 | 302.51 | 15. 28 I). 29, li. 5 a meridie. 186. 42 112. 8 | 353. 3 | 36. 50 D. 30, h. 5 a meridie. 30. 5 213. 24 43.15 | 58. 24 784 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. Hn. GolP.IU, T. IV, car 230»-. Constitutiones calculatae per ultimam correctionern anni 1618, quorum radix ponitur in meri¬ die ultimi diei Augusti Mas. Gal., P. UI, T. IV, car. 2 i'2t. 1618. Septembris d. 14, h. 7 a me¬ ridie. Dies a radice 14. 234. 2 292 54 142.20 211 50 93.38 45.10 200.56 85.50 59. 20 29. 32 14.39 6.16 9. 37 58.31 171.55 261.[5] 4.58 4.58 4.58 4.58 401. 35 431. 6 534.48 573.[5] 301.29 860. 44 300.21 360. 9 40. 6 70.21 174.27 | 212 66 Mas. Gal.. P. Ili, T. IV, car. 231 r 1618, Septembris d. 14, h. 7 a meridie. 234. 2 292.54 142.20 214.50 93. 39 45.10 200. 56 85. 56 59. 20 29. 32 14. 36 6.16 166.12 317.13 121.41 239.35 4.58 4.58 4.58 4.58 558.11 689.47 484.31 551.85 361.29 360.44 300. 21 360. 9 196.42 329. 3 124.10 191.26 *lo (•' Cfr. pag. 777. D. 15, li. 7 a meridie. 40.19 70.33 [ 174.34 | 213. 8 ) • meridie, 801.10 1 15. 3 325.46 - 3+ 278.14 Nota exitum e tenebris, qui ex calculo aequato debet acci- dere li. 0.18 ab occasu. Hoc momento non bene licuit observare, sed ita tuisse existi- matur. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. 785 D. 19, li. 7 a moridio. 134.47 116 33 16.10 29!) 56 — * MaT Hac bora • et • erant iam (J. D. 20, li. 7 a meridie. 338.2-1 | 218. 3 | 66 31 ! 321.38 *“ / H. 8. 20 • 9j. tangebat. Bene respondet. H. 11.45 •, superata umbra, di- stabat ex oriente 2. D. 21, h. 7 a meridie. 182. 1 j 319.33 | 116.18 | 343.20 li*? Hac bora : et : optime respon- clorunt. H. 8 • debet separar! : hac ta- men bora distabat a circumfe- rentia 0. 12. Hic promovendus videtur 1. ni. Man. Gal., I\ HI. T. IV, car.231/. 1018, Septembris d. 22, li. 7 a meridie. 108. 3 225. 43 284.36 69.39 4(> no 202. 36 100.29 42. 58 m. 20 29. 32 14. 39 6.16 166.12 317. 13 121.41 239.35 6 50 6.50 6.50 | 1 6.50 387.15 781.54 528.14 366.18 300 720 360 1 360 27.15 61.54 168.14 5. 18 acquati. 50 54 26 12 II. 6. 28 : intravit in umbram, quod peroptime respondet. II. 7. 31 fuit • et :, quod respondet ad unguem tum ra- tione tempoi'is, tmn ratione di- stantiae. I). 23, b. 7 a meridie. 230.52 "f"163.24 | 218.38 | 26.50 I). 24, b. 7 a meridie. 74 19 | 264.54 | 269. 2 | 48.32 I). 25, h. 7 a meridie. 277.56 | 6-24| 319.26 | 70.14 102 786 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. D. 26, h. 7 a meridie. 121.33 108.14 9.50 91 56 D. 27, h. 7. 325.10 j 209.44 | 60. M | 113.38 D. 28, h. 7. 168.47 | 811.14 I 110 38 j 135.20 Mas. Cai., V. Ili, T. IV, car. 232r. 1618, Septembris d. 29, li. 7. 108. 3 225.43 ! 284 34 1 69 40 30.40 •191.86 ; 92. 5 1 193.20 59. 20 29.32 i 14 39 1 6.16 1G6. 12 317. 13 121.41 239.35 8. 6 _ 8 :_ 6 _ ! 8. 6 i 8 . 0 372. 21 772 10 521. 5 516. 57 360 720 360 360 12.21 52. 10 ; ; 161. 5 | 156. 57 I). 2, h. 7. 263. 3 | 356.31 | 312.77 p22L54 I). 3, li. 7. D. 4, h. 7. 310.11 | 199.25 | 53. 0 2G5.12 II. 8. 28 • ot : fuerunfc (/, quoti respondot ad unguem. In sese proxime tangebant. I). 5, b. 7. __ 153.45 i 300.52 | 103.23 ] 28G. 51 II. 9. 9 • Qj. tangebat. Bene re- spondet. D. 30, h. 7. 215.55 | 153 37 | 211.28 j 178.36 Octobris d. 1, h. 7 a meridie. 50.29 255 . 4 ! 251.51 200.15 I). 6, li. 7. 357. 19 -12 10 | 153.4(1 | 308.30 H. 7.30': et : fueruntc/, quoti respondet ad amussim. II. 9. 44 • exivit e tenebris. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 11,IR. 787 Gal., P. HI, T. IV. par. 2321. 1618, Octobris d. 7, b. 7. Dies a radice 87. 342. 4 168.85 66. 51 284.28 343.52 349. 2 351. 37 150 23 59.20 29. 32 14.39 6.16 166.12 317.13 121.41 239.35 9.25 9.25 9.2f> 9. 25 920 53 863.47 564.13 690. 7 720 720 860 360 200 .53 143.47 | 204.13 330. 7 H. 6.30’ • distabat 1.20, et respondet ad unguem. D. 8, b. 7. 41.25 245.12 254.34 351.44 D. 9, b. 7. 247.57 | 346. 37 j 304.55 | 13.21 II. 8. 40 : distabat 1. 10, et respondet ad unguem. I). 11, h. 7. 294.69 | 189.27 | 45.37 56.35 I 2* H. 7. 32 : 1. 30 distabat. TI. 10. 35 • et : fuerunt . Emendato calculo, respondent ad unguem. I). 12, li. 7. 138.31 I 290.52 1 95.58 78.12 D. 13, b. 7. 342. 3 32.17 146 19 99.49 II. 7. 56 • distabat 1. 15. D. 14, b. 7. 185.35 ì 133.42 | 196.40 ] 121.26 ./ UnT---- : D. 10, b. 7. 91.27 88. 2 355. 16 34.58 D. 15, li. 7. 29. 7 235. 7 247. 1 143. 3 II. 6. 24 • et : aequa]iter di stabant a Q|.. II. 7. 10' • ilj. tangebat. D. 18, li. fi. 271. 0 I 174.52 35.48 I 206.42 Mia. Gai, P. Tir. T.1Y, cnr.233*. 1018, Octobris d. 24, h. 6 a meridie. I)ies a radice 54. D. 19, li. G. 114.32 276 . 17 354.38 85.58 24.48 45.12 25.19 317.13 11 •123. 32 360 338. 8 336.33 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. I). 21, li. G. Mux. (Itti.. P. III. T. IV, etti*. 233r. 1618, Octobris d. 16, li. G a meridie. 91.26 209.8’ 139.18 216. 6 140 27 247.44 301.23 128.58 5. 22 25.19 12.34 50. 51 166.12 317.13 121.41 239.35 10.20 10.20; 10.20 10 . 20 583.56 692. 2 ! 655. 6 | 52.3 28 360 223.56 332. 2 295. 6 ! 163.28 I). 17, h. (1. 67.28 73. 27 | 845.27 185. 5 I). 22, li. G. 4.59 | 220.23 1). 23, lì. G. 208.28 821. 45 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. 781) D. 25, h. (5. _ ! 164- r >3 I 28 25 I a58 ' G j * < r .**-3 H. 5.51' j distabat 1.15. Ite- ! spondet bene. 11. 8. 21 : distabat 1. 15. II. 8. 32 tangebat, et, respon- det optime. D. 26, h. 6. _ 99.17 266.14 1 78.42 | 19.89 I). 30, li. 6. 193. 9 | 311.38 I 279.50 104.51 II. 6.32 • distabat a centro Qj. 1. 25, quod bene respondet. D. 81, li. 6. 30.37 52 59 I 330. 7 I 120.21 D. 28, li. 6. D. 29, h. G. 349.41 210.17 | 229.33 | 8318 MS». (i»t„ I*. HI, T. IV, car.23I,\ 1618, Novembris d. 1, h. 5 a meridie. l)ies a radice 62. 321. 9 317.10 133.42 208. 57 46.50 202.36 100. 29 42. 59 42.23 21. 5 10. 28 4. 29 100 12 317.13 121.41 239.35 1120 11.20 11.20 11.30 590.54 869.24 377.40 507. 20 360 720 360 360 230.54 149.24 17.40 147.20 IT. 5. 33' : et : fuerunt et respondet ad ung[uem]. D. 2, b. 5 a meridie. 74.21 260.44 67.56 168,52 Mm. Olii., P.IÌT, T. IV, cui*. 2341 . 1618, Novembris d. 11, h. meridie. I)ies a radice 72. lftA IO ! 250. 2 i c\ I ai 202.35 21. 5 317.13 11.24 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. I). 13, h. 5. __ TuT 284.69 ! 260,26 i 45 11 ;_ /*“Vl—— *C . H. 7.31 • debet tangere Jj_. D. 14, h. 5. 755 10 | 26 . io; 310.30 ! 66 lo -- H. 8.27 • debet ex ire e tene¬ bria. D. 15, li. 5. 198 34 127.27 0.52 88. 9 I). 18, h. 5. 88.46 | 71.18 | 151.31 | 152.36 -,- .7 ìf •* :, aeeedons ad primae, non tanien perfecte cani assecutafnit; ex «pio colligitur, rationem or¬ bitila ipsariuu esse quam proxime veruni. I). 1!), li. 5. 292.10 | 172.86 1 201.44 | 17-1. 5 Ma». Cui.. I". Ili, T. IV, car. 24Sr. H. 6. 52 : debet separavi a \)| . II. 8.28: debet extingui. Et sic fuit. D. 16, li. 5. 41.58 | 228 44 j 51. 5 i 100.38 Uespondit ad unguem. 1618, Novembris d. 20, li. 5 a meridie. Dies a radice 81. 7l». 12 182.53 58.16 278.36 203 25 101. IH 50.14 21.30 *12 23 21. 5 10. 28 4. 29 Kili 12 .117.13 121.41 239.35 11 12 11.12 11.12 11.12 495. 21 633.41 251.51 555.22 300 360 360 185. 24 273.41 251.51 195.22 JL-n i<^ 5 . 11. 8. 8 j et : fuerunt, et • di- stabat 2.5. Ilio • bene respondet, sed : promoveiulus videtur 1.54. I). 21, h. 5. 838.45 14.55 | 302. 1 | 216.48 792 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. D. 22, h. 5. 182. 6 | 110. '•» ! 352.11 | 238.14 - -*T D. 23, h. 5. 25.27 | 217.23 42.21 259.40 -Il fr»tf D. 25, h. 5. 72. 9 59.51 I 142.41 8QB 32 -^ D. 2G, h. 5. 275.30 ! 161. 5 I 192 51 1 323 58 D. 27,'h. 5. 118.51 | 262.19 | 243. 1 346.24 - . D. 28, li. 5. 3.33 | 293.11 | 6.60 322.12 Xh». Gal., P. Ili, T. IV. car. 235/. 1018, Novembris d. 29, h. 5 a meridie. Dies a radice 90. 3tW. 13 42 23 166.12 10. 50 115. 45 21. 5 317.13 10. 50 200.33 10.28 121.41 10.50 133.26 4.29 239.35 10.50 B25 38 :;«*>(> 464. 53 360 343.32 388.20 360 165.38 104. 53 343.32 28.20 II. 9.6 • et • erant ^ ex occi¬ dente quod bene respondet. D. 30, h. 5. 8.59 200. 7 | 33.42 _ >0 - 49.46 T~ Decenibris d. 1, li. 5. 212.20 ; 307.21 83.52 | 71.12 i- I). 2, h. 5. 55 41 I 48.35 134.2 II. 10. 16': et : debent . D. 3, h. 5. 263. 51) 149. r> 3 349. 180.23 42.23 166.12 32.35 36 103 Mas. Oal r. UT, T. IV. mr. tMI. 1(518, Decembris d. 19, li meridie. Di 03 a radice 110. 181.23 49.34 844. 7 —_ %. -a 319.22 284. 7 293 142.26 214 56 •n.17 20 9.22 8 83 166.12 317.13 121.41 239 35 y.33 9.33 9.83 9.83 632.32 689.20 627. 8 816 59 360 360 720 272.32 829.20 | 267. 8 96. 59 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1618. T. IV. car. 2S7r. 1618, Decembris d. 29, li. 5 a meridie. Dies a radice 120. ^ 180 u 48.22 men m. io 108.15 225.55 284. -Ili 49.59 42.23 Idi. 12 8.34 505.35 300 T). HO, h. 5. 318 53 2.20 98.31 ! 332. 2 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. 128.41 H. 5. 10 • distabat 2, : vero 2. 15, et : a : 0. 25. li. 6. 36 : et : distabant ad in vicem 0.12, : vero a centro Qf. 3. H. 7 • medius erat inter { et 91. 800 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. D. 9, h. 5. 221.34 | 293.52Ì 239.21) | 185.31 D. 10, h. 6. 61.49 35. 0 f 289.84 | 206.61 H. 6. 36 j et • fuerunt , et timo : erat orientalior quam • 0.24: exacta observatio. Ilic : pro- movendus videtur fere 3. • et : bene respondent. D. 11, h. 5. 2G8. 4 | 136. 8 | 339.39 228.11 II. 5.1G : et • distabant ad in- vicem 1. 25, et respondent ad unguem. D. 12, h. 5. 111.19 237.16 j 29.44 | 219.31 D. 13, li. 5. 314.34 i 338. 24 | 79.49 | 270. 61 D. 14, h. 5. 157.49 | 79.32 | 129.54 \ 292.11 D. 15, h. 5. 1.4 | 180.40 | 179.59 |~3i3^ D. 16, h. 5. 201.19 | 281.48 | rnlTlsHT II. 6.28' : distabat a : 1, ex (sic) videtur ipse [j] promovendus 2. I). 17, li. 5. 47.34 | 22.-Ili! 280. 9 36*uT Ms*. Gal., P. Ili, T. IV, cnr. 238r. 1619, Ianuarii d. 18, li. 5 a meridie. I)ie8 a radice 140. ISO 23 48 34 343.7 348.22 216. 6 91.26 209. 8 139.18 42 23 21. 5 10.28 4.29 166. 12 317.13 121.41 239.35 6. 26 6.26 6.26 6.26 611.30 484.44 690.50 738.10 360 360 360 720 251.30 124.44 330.50 | 10.18 II. 5. 25 : distabat a 2 1.10. Ilic : promovendus videtur tan- timi 0. 32. OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. D. 24, h. 5 a meridie. Dies a radice 146. 180.23 48.34 343. 7 348.22 216. 6 91.26 209. 8 139.18 140.31 247.48 301. 27 128. 57 42.23 21. 5 10. 28 4. 29 166.12 317.13 121.41 239.35 5.40 5.40 5.40 5 40 731.15 731.40 991.31 800 21 720 720 720 720 11.15 11.46 271.31 146.21 1). 18 Augusti 1619 (cuius crii- culus est sequens), li. 9. 32 a me¬ ridie, vere fuerunt sic: ^40 1.7 o Mf»«. Cai., r. MI. T. IV, car. 23'Jr. 1619, Augusti d. 18, a meridie. Dies a radice 352. li. 9.32 D. 30, h. 5 a meridie. Dies a radice 152. 180.23 90. 7 46.50 42.23 1GG. 12 4 40 530,35 360 48.34 | 24.18 ! 202.30 ; 21. 5 i 317.13 4.40 I 018.20 300 343. 7 351.25 100 . 20 10. 28 121 11 \ 40 931.50 720 348. 22 354. 8 42. 59 4 29 239.35 4 40 184 90.37 93 41 70.17 4 31 100.12 148.45 24.48 45.12 37.58 2.15 317.13 312.25 351.55 200. 58 18.51 1. 7 121.41 828. 7 354.38 85. 58 8. 4 29 239.35 615.18 369.45 576.11 369.45 1006. 57 729.45 1026.51 729.45 246.33 46.50 206.26 202.30 277.12 100. 29 297. 6 42. 59 199.43 3.50 176.48 | 254. 7 1619, Soptembris d. 10, li. 10 a meridie. Dies a radice 375. 802 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. D. 14, h. 8 a meridie. 282.-18 217. li»! 94.52 1 107.57 t+- / 40 /■>r Mite. Gii., P. Ili, T. IV. ear. 239/. I). 19, li. 8 a meridio. Dies a radice 384. 184 148. 45 312. 25 32H 7 73 183.41 59. 4 279.24 03 41 45.12 200. 58 85.58 67.48 33.45 16.45 7.10 166.12 317.13 121.41 239.85 584 41 728.36 710.53 940.14 363.41 723.41 368^41 723.41 221. 0 4. 55 347.12 216.23 ? II. 8. 36 • et ; erant (/. Hinc : retrahendus videtur 4.40. II. 9. 25' : separabatur a 9|_ et eum tangebat. Hinc retrahendus videtur 4. D. 20, h. 8 a meridie. 64 40 1Q6/S81 37.41 | 238.10 Mu. Gel., r. Ili, T. IV, car. 2I0r 1619, Septembris d. 23, h. 8 a meridie. Dies a radice 388. 184 148.45 312.25 328. 7 73 183.41 59. 4 270.24 187.21 00. 24 41.5G 171.56 67.48 33. 45 16.45 7.10 166 12 317,13 121.41 239 35 678 21 773.48 551.51 1026.12 862.30 722. 30 | 362.30 722.30 315.51 51.18 189.20 303.42 II. 8. 24' : distabat 1.15. Hinc retrahondus videtur 5. D. 24, li. 8 a meridie. 160.39 152.49| 239.47 | 325.25 II. 7 : et : erant r{. Hinc 4 re- * . trabendus videtur 6.14. H. 9. 40’ - taugebat 9j-, ex quo retrahendus videtur 5.15. D. 21, h. 8 a meridie. 268.18 | 206.59 | 88. 8 | 259.53 D. 22, h. 8 a meridie. 111-66 | 308.30 | 138.35 1 281.36 D. 26, h. 8. 200 45 | 355.51 | 3-10.41 8.51 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. 803 H. 7.30 fuerunt sic: I Octobris d. 1, h. 8. 145.11 | 143.43 1 233.17 117.43 D. 27, h. 8. t — 50.23 | 97.22 | 31. 8 | 30.34 D. 2, li. 8. 348.49 | 245.14 | 283.44 | 139.26 D. 28, li. 8. 254. 1 | 198.53 | 81.35 | 52.17 ••• -- II. 8. 40' • Q|. tangebat. II. 7.15 : distabat 1.3G. Hinc I) 3 1 8 retraliendus videtur 5. ’ 191.59 346.17 I 333.44 | 160.41 1). 29, li. 8. 97.39 | 300.24 | 132. 2 | 74. 0 1 _gHg ~---—g-y.—; •* *ìo7To f‘+f Mss. Gal., P. IH, T. IV, car. 240/. 1019, Septembris d. 30, li. 8 a meridie. Dies a radice 395. 184 148.45 312.2:> 328. 7 307. 7 116.39 201.27 134.20 297. 6 140.30 251.12 107.28 07. 48 33. 45 10. 45 7.10 1G6-. 12 317.13 121.41 239.35 1022.13 702 52 903. 30 810.40 720 40 720.40 720 40 | 720.40 301. 33 42.12 182.50 96. 0 ••..- D. 4, li. 8. 35. 9 | 87.20 23.44 181.50 ì _ D. 5, li. 8. 238.19 | 188.23 73.44 203.11 D. 6, h. 8. 81.29 289.26 | 123. 44 224.26 L •• 804 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 241»-. 1619, Octobris d. 10, li. 7 a meridie. I)ies a radice 405. 5. 32 108.24 296.83 817.25 207. 6 146.30 251 12 107.28 59.20 20. ;ì2 14 39 6 16 166.12 317.13 121.41 230 35 2.15 2 15 2.15 2.15 530.25 603 54 680. 20 672.59 360 360 I 860 360 170.25 333.54 826.20 i i 812.59 H. 7. 12 • distaimi 1. 30', et Ma». Gal.. P. Ut, T. IV, car.24W. 1619, Octobris d. 17, h. 7 a meridie. Dies a radice 412. 5.32 234. 7 46 50 59 20 166.12 3 55 198.24 293 202.36 29. 32 317.13 3.55 296.33 112.25 100.29 14.39 121.41 3.55 317.29 214. 56 12.59 6 1G 239. 35 3 55 515.56 360 _ 1014.40 720 679 42 360 825.10 720 155.56 i 824.40 319.42 105.10 Mia GaI . I>. Ili, T. IV, car. 243r. li. 7.36' distabat 1.8'. Hinc re- traliendus videtur 6. 11. 11, h. 7 a meridie. _ _ __ , -.j- , — A 14. 4 | 75.26 | 16.48 1 :;:il i:; I). 12, h. 7. 217.48 | 176.58 | 87.16 | 866.27 H. 8. 25 • et : erant <^, et di- stabant a centro ‘)j 3. 50'. Hinc : retrahendus videtur 7. D. 13, li. 7. Gl. 22 | 278. 30 | 117.44 18.11 D. 14, li. 7. 265. 1 | 20. 2 | 168.12 | 39.55 D. 15, li. 7. 108. 40 | 121.34 | 218.40 | 61.39 D. 16, li. 7. 312. 19 | 223. 6 | 269% 8 | 83.23 1619. Radices medii motus ad diem 14 Octobris, li. 6 a meridie. 246.20 7. 40 158. 0 29. 0 1). H Octobris , li. C a meridie. 246.20 piOBt.3.12 7.40 3. 12 158. 0 3.12 29. 0 3.12 249.32 10. 52 161.12 32.12 I). 15, li. 6 a meridie. 9310 j 112 23 1 211.39 53.55 D. 16, li. 6. ______ 296.48 I 213.54 262. 6 | 75.38 D. 17, li. 6. 140. 26 I 816. kH 312.33 1 07 21 OSSKRVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. I M88. Olii., 1’. Ili, T. XV, car. 2431. 1010, Octobris <1. 22, li. (5. Dies u radice 8. D. 18, li. G. 344. 4 ni;, no 3. 0 I 119. 4 187.21 DO. 24 41.50 171.56 2-16.20 7.40 158. O 20 jc2<; 5.26 5. 20 5. 20 79. 7 103.30 205. 22 200.22 330. 1 | 48. 3 | 356.43 | 271.31 D. 21, h. G. 234.58 | 1.29 | 154.21 | 184.13 11 G. 30 : distaliat 3.15'. Hinc pvomovendus videtur 2.40'. 11. 7. 36 : exivit e tenebris, et distabat 1.20'. Hinc patet quo- modo, ob coni inclinationem ex latitudine 9|_, finis eclypsis anti- cipaverit li. 0. 40' proxime. D. 26, h. 6. _ 173. 39 | 149.34 | 47.10 | 293.14 D. 27, h. 6. _ 17.17 j 251. 4 | 97.37 | 314.57 D. 28, li. 6. __ 220.55 352.35 | 148. 4 | 336.40 806 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. D. 29, h. 6. 64 83 j 94 6 ! 198.31 | 358.23 H. 7. 10 j cernei)atur a i)| se¬ parata et in auge vera consti- tutus; et h. 14.30 a meridie iam distabat 3, noe iimbram tetige- rat, adeo ut immunis a tenebrie evasei'it. D. 30, h. 6. 268.11 195.37 248.58 20. <; 1). 31, li. 6. 111.48 297. 8 299.26 41. 49 Mu, (lai., P. Ili, T. IV. car. 2 Ur. j 1619, Novembris d. 1, meridie. li. 6 a Pies a radice 18. 80.46 191. 92. IO 193. 26 30.46 191.42 92.10 193. 26 246.20 7.40 158 29 7. 30 7.80 7.30 7.30 315.22 398.34 349.50 423. 22 360 360 316.22 38.34 349.50 63. 22 D. 2, li. 6. 159. e 140. 5 40.17 a r >. 5 I). 3, li. 6. 2.38 | 241.36 | 90.44 ! UH!. 48 D, 4, h. 6. 200.16 ! 343. 7 _ r£ 141.11 -y c 128.31 H r I). 5, li. 6. 49.54 | 84.38 ] 191.38 150.14 I). 6, h. 6. 253.32 | 186. 9 242. 5 ! 171.57 D- 7, h. 6. 97.10 1 287.40 292.32 [ 193.40 I). 8, L 6. " 300.48 29.11 342.59 215.23 I). 9, h. 6. 144.26 180.42 33.26 ! 237. 6 li. 5.48 * et : erant Mu. (Sai.. 1>. Ili, T. IV.car. ‘MI. 1619, Novembris cl. 10, li. 6 a meridie. Dies a radice 27. 108.16 225. 55 284.46 69.51 343.56 349. 6 351.41 150.27 240.20 7. 40 158 29 8.47 8. 47 8.47 8.47 707.18 591.28 803.14 " 258. 5 360 360 720 347.18 231.28 83.14 258. 5 OSSERVAZIONI E CALCOLI DEL 1619. 807 D. 14, li. - r > ii meridie. Dies a radice I 342.22 158.53 203.25 101.18 42.23 21. 5 24(5. 20 7. 40 9.24 0. 24 125. 4 208.20 __£25 )ì> 1 . 07. 0 284 46 50.14 21. 30 10.28 I 4. 29 158 20 9. 24 ‘J. 24 295.15 i 340. 8 ■** / - Ilao bora j distabat (i, ox quo retrahendus vide tur l’ero 3. D. 15, li. 5. II. G. 10 fuorunt sic : Maxiniae exorbitantiae ; nani • rctrahondus videtur 53. 30, vero 14. 45. • circa li. G. 8 exivit e tene- bris. II. 5. 15 fuerunt sic : H. 6. 5 sic : D. 19, li. 5. Dies a radice 36. 312.22 158. 53 67. 0 l 16 140.31 247.48 301.27 128.57 42.23 21. 5 10.28 4.29 246.20 7.40 158 29 10 10 IO 10 781.36 445.26 547. 4 457.12 720 360 360 360 61.36 85.26 187. 4 97.12 Mr». Cini., r. Ili, T. IV. eftr.lllft 1619, Novembris d. 19, li. 6 a meridie. Ilies a radice 1053. 13.50 135.44 201.23 253. 42 90. 37 24.48 351.55 354.38 250.15 303.54 150.43 64. 29 50.51 25.19 12. 34 5.22 340.34 295.20 183.26 138.54 10 10 10 10 706. 7 795. 5 910. 1 827. 5 720 720 720 720 46. 7 75. 5 190. 1 107. 5 • F R A M M R N T \ m CALCOLI DELLE MEDICEE. III. 105 Ito. Gai., P. TU, T. V, car.G t. Ianuarii 1G10, d. 15, h. 3, visae fuerunt stellae omnes occidentales ita: O * : : li ut q ue arbitro!*, erant in lume ordinem. Et quia 9J.‘ proxima cum ipso iuncta fuit bora 7, ergo fuit in superiori parte sui orbis, sufficiuntque horae 4 ad promovendam illam usque ad , po- tuitque ipsa praecedere; augentur gr. cireiter 310 ab auge. Remotissima a 9|- fuit : ; nam 2 diebus precedentibus fuerant omnes prope DJ.. Elongabatur ergo adbuc a 9|_, et fuit in parte inferiori sui orbis in gr. cireiter 225 ab auge. Stella •, quia in sequenti nocte fuit prope ergo nunc erat in superiori parte; cumque removeretur a 7 part., distabat ab auge gr. 315 proxime : in motu vero borarum 4 progressa fuit part. 1, neinpe gr. 8 pi’oxinie; ideo distitit tunc a Qj. par. G. : fuit parte... 11 ' Mas. Gal., P. Ili, T. V, car. 8r. Stella • fuit in auge li. 2.20' diei 26 Ianuarii 1610, ex observatione illius noctis. • fuit in auge li. 2 dioi 2 Februarii. *** Rimano così in tronco. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 812 Maa. 0»1., Pili. T. V. Martii d. 15, h. 5. Aprilis d. 9, h. 3. prori mu* NocunJi Twtil 1 91' 15 12 9. 8 » 9J. • 9|. proli nat p. 24.29 D. 21 22 24.20 | 24. 1B 113.41 256. 8 802 29 74 38 14. 14 61.13 204.29 86.66 42 60 42.36 16 15 396. 7 42 60 8.34 549.34 860 177.43 401.35 860 18» 34 1 41.36 I). fi XembrÌ8, h. B. Martii 15, h. 9. *■" * 91. 8.“ a 9|. | 2.» & ty. 24. 1» 81 ttt 15. 9 D 99 4 99.2 I). 99 165.28 281.10 252.36 86.55 108.38 400. 7 4.16 2or. in 8.87 457.52 7 ir.. :i:i 360 i : 300 386 360 97 25 0|.' proi.«i 00 331.35 FRAMMENTI I)I GAI,COLI DELLE MEDICEE. 5(88, Gal,, P. HI, T. V, eur. OS). d. li. Xml> vis 19. 3. Martii 15. 9. 4. u " a 9| . 11.21 81 28 15. 9 D. 80. 0 ;j.» a %. 1). 80. \ 2.» A 9| . I). 80. 2 9| > prox. us D. 80. 2 298. 11 130. 22 5.20 489.40 310.44 s.:u 304.32 010.50 34 451.44 142. G 17 . 433.59 joo 815. 1 720 929.50 720 013.50 360 73.59 95 209.50 253.50 * { ) * ,, y*i + é y- 1- J 3'So » Felliniani d. 16, li. 0,40. Martii d. 15, li. 9. nouiotissimi a w )i 11."* a Q|.. a L)|. ! 9I- 1 prox. Ui — I • 16. 0.40 15. 0 11.28.20 15. 9 ! 27. 8.20 27. 0 27. 4 27. 4 74. 33 302. 29 256. 8 113.41 152. 4 357. 51 859.38 345.47 7.15 12. 47 17. 8 53.57 18 673. 7 632.54 513.25 234.10 300 300 3(50 313. 7 272.54 163.25 h.'‘LO 3 - 2 y 6 & V- /•*®\ 814 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. KeiiìOtiasiuii 8. u « a 9|. 2.«» a 9| . Prox. u * 15. 9 27. 0.80' J) 11.15.80 IL 17.80 IL 19 80 11.10.80 217.10 21 44 13 35 27 151.26 51 36 1. 4 308. 4 102. 48 81.23 2. 8 236 50 203 41 161.24 4.14 253. 2 249.35 494.23 360 60(5. 9 360 134 246. 9 ¥ a- Mh» Gai., r. Ili, T. V, car. OC/. d. h. Martii 15. 9. Aprilis 10. 3. Homot 4 * a 9| . 3." u 9| . 2.' n 91. 9J. 1 prox. M 15.15 10. 8 d. 25.20 25.22 25. 22 302.29 255.37 42.36 256. 8 154. 2 85.40 8.34 113.41 298. 25 186. 42 25. 18 74. 33 108.38 16.14 600.42 360 598. 48 360 504. 24 860 199.25 240. 42 238.48 144.24 h , u f . FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 815 Mi*. Gal., P. IH, T - v . * Ht - Del S. Buonarruoti. Martii 15. 5. Aprilis 2. 3. © 13.19 2. 3 I)._1L22 222. 37 166. 43 389. 20 360 29. 20 • • D. 17. • • • 1>. 17.21 17 ! 808; 4 151.15 217. n; 359. 38 357.51 152.5 42. 50 42.3(5 IO. 16 42.50 \o 51 _2. 8 385. 37 553.50 360 76(5. 13 360 n ?! ri rf 720 " 11)3.50 46.13 Ex li ac operazione 3 U8 a 9|. vi- detur tardior quam par sit ; cimi enim sifc in apogeo, minus clistat a % quam oporteret; delectus miteni videtur esse gr. 7 in die- bus 17. 21. Martii 15. 5. Aprilis 12. 1. © 15.19 12 . 1 D. 27.20 113.41 345.47 109* 44 629.12 360 269.12 • • 1). 27.21 • • • 27.19 •> 27.10 256. 8 302.29 74 33 359.38 357.51 i 152. 5 85.40 •J0. 28 14.29 701.26 700.48 241. 7 360 360 341.26 ‘ 4. 17 345.43 4.17 350. 0 340.48 Motus 3‘ a % tardior apparet quam par sit; cum enim sit in apogeo, deberet sub ii|- latere, ut experientia docuit. 810 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Mn, Otti.. P. III. T. V. car. Iftr. Constitutiones Planetanun 2 1 et 3‘ a *J|, reliquia demptis, calciolo repertau, ut cimi appurentibua conferantur ad calculum corrigendum Distantias a centro k J| accepimus. rfì. j fi. o -lo -U) /D. o.t. ». 2. _ )2-r 7° o .‘fi ^'V.T. O.-to 0 .-)o . ~1 , 'bjà. 1 db it. 3f • I ^l- ». j. /• f.?o ^ • ?•. Mi* rf). .*/ :7.io <9.3 o ■ 19. 14.23' 312.34 343 17. 9.50 336. 56 344. 7 37. 0.13 1.50 1.50 651. 20 688.57 360 360 291 20 328.57 1611, Ombris d. 20, h. 7 ab occasu, sed a meridie li. 11.42'. Dies intermedii 88, li. 22.8', quibus de- bontur gr. 0. 10' per tabulam novam; sed per veterem debentur gr. 90.48. Ex bis obscrvationibus apparet, tabu- lam novam esse ei’roneam. D. h. 353. 21 75.44 9 12 18 179.21 187.34 31 186.28 186 30 31 17. 9.60 1 1 89.22. 8 720.10 450.48 360 360 360.10 90.48 M#s. Gai.. P. Ili, T. V. car. 771 . 1612, Februarii d. 17, h. 4. 20, • fuit in auge. 1611, d. 29 Aprili», li. 7, fuit iu auge. A die 29, li. 7, Aprilis ad diem Februarii 17, h. 4.20', sunt dies 293, horae 21.20’. Rimane cosi in tronco. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 827 Ex liac computation© tempus unius conversionis • est li. 42. 29'. 23". 51"\ 19"". 31 v . Et ipsa stella conficit de suo cimilo singulis horis gr. tì. 28'. 21". 19"'. 24 "". i) li. Ap 17 31 30 81 81 30 31 30 31 31 17^4. 20^ u. 293 21 20 ' lume numerimi dividas per lioras 42. 30’, et habebis mi. merum conversionum, quae sunt 166 fere. Mas. Giti., P. III. T. V. cnv. llr. 1610, d. 15 9mbris, h. 1, • fuit in perigeo. 1612, d. 17 Februarii, li. 4. 30', fuit in auge. Sunt interniedii dies 459, li. 3. 30‘, qui sunt liorae 11019 V 2 , quas si dividas per lioras 21 Vi, quae sunt pro- xime tempus dimidiae circulationis, proveniunt semicir- culationes fere 519, quae confìciunt gr. 93420. Hunc nu- ìnerum graduuin, confectum horis 1101972, si per liunc liorarum nmnerum dividas, exibit niotus unius liorae, nempe gr. 8. 28. 39. 1611, d. 8 Aprilis, h. 2, • fuit in auge. Et 1612, d. 17 Februarii, li. 4. 20, fuit pari ter in auge. Sunt dies intermedi 315, li. 2, nempe bore 7562. Dividas per lioras 42 Va (tempus unius conversionis). Kxeunt conversiones 178 fere, quae continent gr. 64080. Ilunc numerimi si dividas per lioras 7562, habebis motuin unius liorae gr. 8. 28'. 26". 805 14. 23 31 31 17. I 30 450. 3.80 D. h. 21 22 31 30 31 31 30 31 30 31 8 i 17 _4 315 2 1610, d. 15 9mbris, h. 5.47' a meridie, fuit in perigeo. Prosta- feresis demenda gr. 10. 32, cuius tempus h. 1. 13; luit ergo in perigeo, h. 4.34' a meridie. 1612, d. 17 Februarii, h. 9. 50' p. m. Dies intermedi sunt 459. 5. 16'. 8*28 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Mi». G»l.. r. ni, T. V, car 35 b r. 1012, Februarii d. 23, li. 5.20' nb occasu, : apparebat elongatus ab auge vera 3 □]> semidiametros, quibus de suo circulo respondent proxime gr. 14.30' fere, qui conliciuntur h. 3.26' proxime: fuifc ergo in auge vera li. 1. 54' ab occasu. Tempus autem semidiametri est tane li. 5.21': ergo fuit in auge vera li. 7.15 a meridie. Quia vero tunc locus tornio fuit sub gr. 4 11} 1 , locus autem Q}. in gr. 19 £?, quorum locorum differentia est gr. 15, quibus congruit pro- stapbcresis gr. 3. 45', quos conficit Pianeta li. 0. 52, ergo fuit in auge media li. 8.7' a meridie. Min. Gai.. P.m. T.V, ctr.eB b r. 1612, Februarii d. 23, li. 5. 20 ab occasu, sed a meridie 10.40, : apparebat elongatus a contro Oj., versus ortum, 3 eiusdem Qj_ semi- diametros, quibus respondent de suo circulo gr. 23 proxime, quos percurrit lioris 5. 30' fere. Ergo videtur fuisse in auge sua vera li. 5. 10' a meridie. Quia vero tunc locus termo fuit sub gr. 4 lì} 1 , et locus 9J. in gr. 19 £7, quorum locorum differentia est gr. 15, quibus congruit prosta- plieresis gr. 3.45, hos autem conficit Pianeta li. 0.52, ergo fuit in auge media li. 6. 2’ a meridie. Quaeritur modo locus eius d. 28 eiusdem mensis, li. 5.50' a meridie. Tempus intermedium est d. 4. 23. 50', quo permeat gr. 144. 42. Et tanta fuit elongatio ab auge media: sed ab auge vera, gr. 149.42; fuit eniin prostapheresis tunc gr. 5 fere: debuit igitur apparuisso orientalis distans a centro 9(- per 4 eius semidiametros proxime, quod satis cum apparentia congruit. D h. 18 4. 5.60 4. 23.60 44.20 90 52 3.30 144.42 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 829 Usa. Gol., P IU. T V, cav.COr. Tertii a Q|- periodus unius quartae videtur esse h.42 2 /3, idest 4 a V D. 1. 18 2 /a, D D. 3. 1 3 Va, 2 2 /a. Mas. Cai., P. ITI, T. V. «ar. 83r. 1612, Februarii d. 17, li. 0. 30 ab occasn, v distabat ab auge gr. 97 fere; et d. 19, li. 0.30', distabat a perigeo gr. 17 proxime: ex quo col- ligitur, fuisso in perigeo d. 18, li. 15.30 ab occasu, et d. 18, li. 20.30' a meridie in auge vera. Terra fuit tane in gr. 29 Q, Qj. vero in Q. Ergo in auge media fuit d. 18, li. 23 a meridie. 1612, Februarii d. 17.0.30' ab occasu, idest li. 5.43’ a meridie, : distabat ab auge vera gr. 107, et a media 102. Et d. 19.0.30 ab occasu, et a meridie 5.45, distabat ab auge vera gr. 309, et a media 304. Fuit ergo in auge media d. 19, h. 19.15' proxiino. 1612, Februarii d. 17, h. 9. 50 p. m., • fuit in auge media. Die vero 23, li. 10.30' a meridie, quaeritur eius locus. Sunt dies intermedii 6. 0. 40', quibus respon- dent gr. 146. 10', quae est distantia ab auge me¬ dia; a vera autem gr. 150 proxime. 1). 14.10 5. io. so 0. 0.40 G. 110. 31 5.39 140. 10 : 1). 23, li. 10.30’ queritur locus. ‘ 3. ìaao Dies intermedii 3. 15. 15. 3.15.15 Distabat ergo gr. 8.13 ab auge media, a vera autem 12. 301 03.10 _ 1 3 _ 368.13 360 8.13 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 830 Mas. Gftl., P. IH, T. V, car. 12r 1611, Maii d. 6, li. 3 ab occasu, aed a meridie 10.4'. O fuit in gr. 15 ^ ; Terra in gr. 15 11] 1 ; Oj. in 19 ex quo prostafere8Ì8 est gr. 10.30', quatn debemus auferre, quia computus fit retrocedendo. :: fuit in perigeo medio d. 22 Februarii 1612, h. 10.10’ a meridie. Hanc accipio prò radice. Tempus intor d. 6, li. 10. 4', Maii 1611 ad diem usque 22, b. 10.10', Februarii 1612 est dierum 292.0.6, quibus respondent gr. 156. 46. Tantum igitur distabat tunc :: a perigeo medio, sed retro¬ cedendo. Intervallimi ergo inter :: et apogeum me¬ dium fuit gr. 24 14', quibus addenda est prosta- pheresis ratione loci Terrae, quae est. gr. 10.30'; adeo ut locus visus et vera distautia ub auge vera fuit tunc gr. 34.44'. D. h. ' 21. 18. 56 30 31 31 30 31 30 31 81 22 . 10 10 292. 0. 0 339. 11 134.31 42.59 _5_ 516.46 360_ 156.46 10.30 167.16 1612, d. 28 Ianuarii, h. 2 ab occasu, quae est a meridie li. 6.48'. Dies intermedii usque ad 22 Februarii, li. 10.10' a meridie, sunt dies 25, li. 3.22', quibus conficiun- tur medii motus gr. 180.18. Retrocedendo igitur a perigeo medio gr. 180.18", constat :: tunc fuisse in auge media fere. Quia vero tunc Terra fuit in S r - 8 67, vero in 23 fuit ergo remota Terra a coniunctione Qj. gr. 15, quibus respondet pro- staplieresis graduum 3. 45', quibus vera aux tunc distat a media: ergo :: distabat ab auge vera, quatn iam pertransiverat, gr. 3. 27'. I). h. ' 69.55 2 . 17.12 107. 22 22 . 10 . 10 2.41 QIC Q 22 20 a-u. o. c»u 180.18 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 831 Mas. Gal., P. III. T. V, car. 25r. 1611, Aprili» d. 18, li. 2.40' a meridie, :: fnit in augo vera, sed in media fuit li. 12 prius, nempe d. 17, li. 14.40' a meridie. 1612, Martii d. 10, h. 5 ante Solis occasum, quae sunt a meridie li. 0.45', fuit in perigeo vero, sed in medio h. 8.5' a meridie. Sunt dies intermedi i 327. li. 17. 25', nempe horae 7865.25', in qui- bus conficiuntur semicirculationos 39, quae continent gr. 7020, qui, divisi per 7865.25' lioris, dant motum horarium 53‘. 33"; prò min. 10 8.55". Mas Gal., T. Ili, T. V, car.OOi-. Martii d. 15, h. 5, fuit Pianeta remotissimus in auge sui orbis ; quaeritur loeus eius die 12 Februarii, li. 2. Quia intogram absolvit periodimi diebus 16, li. 18. 10', hoc est h. 402. 10; sunt autom inter dieta tempora dies 30, li. 27, nempe li. 747 ; quas si diviserinms per lioras 402.10’ provenit 1 et super- sunt horae 344.50'; cui numero respondet distantia orientalis a %, 11 '. 20 ". Queritur d. 4 Ianuarii, li. 2. Ab epoche ad hunc diem intercedunt horae 1689 ; hae divisae per tempus unius revolutionis, nempe per horas 402.10, proveniunt 4 re- versiones et supersunt li. 50'/s, quae sunt tempus elongationis ab auge; cui respondent distantiae a Q|-, 13'. 30" occidentaliter. Queritur d. 2 Februarii, li. 0. 30’. Quaeritur d. 10, li. 3.30'. 1). 15, h. 4, in perigeo. D. 29, li. 8, in perigeo. 832 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Hn. Gal.. P. III. T. V. ear. 701. Ianuarii d. 19, h. 6 ab occasu, h. 9.38 a meridie. • T). h. ' 11. 14.22 17. 0.50 • • 11. 14.22 28.14.40 • • • 11. 14.22 29.10 • • • • 11 14.22 22. 10.10 29. 0.12 •10. 6. 2 41. 6.22 34. 0.82 Or 108.23 30.46 1.32 Or. 89.20 21. 5 8 210.14 50.15 12.34 prost. 6. 48 284. 53 85.59 prost 6 28 140.41 prost 6 110.33 prost 6 146.41 116.33 279.51 377.10 360 17.10 Mu. Gal., P. UT, T. V, cnr.fl!--. Martii d. 10, h. 6. 30’ a meridie. • 1). 11. 14. 10 10. 6.30 • • 9.20 10.6.80 • • D. 9 *8 0 6 30 v 6.13.50 10 6 30 D. 21.20-40 D. 10.15.50 9 11 80 16 20 20 108.23 203 25 169 31 5 39 292. 20 63.16 3.31 7.30 92.18 29.19 1 7.30 844 17. 54 18 7.30 486. 58 360 366 37 860 130. 7 369 42 360 126 58 prost. 7.30 6 37 8.26 9 42 1.47 134.28 1.24 18 16.27 11.47 J - J-Qr -T :: Februarii d. 13, h. 5.33' a me- ridie. H. 18.27' 8.10.10 D. 9. 4.8^ 198.28 3. 35 32 197 35 H. 10 14 9.60 3. 23.60 gr. 250.15 194. 57 7 l 4 452.16 360 92.16 6.13.50 10.10.14 17. 4 335.26 7. 4 12.30 6.11.20 10. 6.30 1). 16.17.50 343.56 15.14 45 7.30 H. 2.20. 367.25 :: ex hac observatione vide- tur fuisse in perigeo vero h. 0.15 a meridie, sed in medio li. 8.40' a meridie. Et videtur fuisse in perigeo medio d. 22 Februarii, h. 14. 40’ a meridie, nempe h. 4. 30 tardius quam in radice positum fuit. fra»* o, <•' . *o n *C , * fiJ&L Srfuii * o a FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. D. 12, li. 0.30 ab occasu, a me¬ ridie vero (>.17. 11. 14. io 12. o 17 108.22 250. 15 84.45 84.45 2.49 1 _7.30 689.20 860 12. 9 20 0.17 12. 15.37 292. 20 202. 28 63.16 2. 7 80 5.40 8 11. 0. 17 C. 13. 50 12. 0. 17 Marfcii (1.10, li. 4.30 ab occasu, a meridie 10.13. 11.14. 17 13.20. 7 142.33 50.15 30. 30 5. 40 386. 55 17.55 6 5.40 11.10 10.10 13 1). 10.21.23 202. 20 88.35 1.38 prosi 7.30 390. 3 30. 3 G. 13.50 D. 17. 0. 3 365. 26 7. 30 ll.lfl.20 11.16.20 11.10.20 11.16.20 17.10.40 28.12.50 29.16.0 22.10.10 29. 3. 0 40. 5.10 41. 8.20 34. 2 30 108. 23 30.46 25. 26 89. 20 21. 5 42 prost. 6 I prosi. 6 210.14 50. 15 16.45 40 6 284.53 85. 59 1.47 27 _6 379. 6 360 19. 6 1-47 20. 53 299. 8. 27 331. 8 203. 1 92. 18 16. 45 54 9 • 653. 6 360 293. 6 . 30 ab L 33. 24. 10.27 245 22 . 10 . 10 7 292. 2.87 339.11 134, 38 43. 1.47 9. 30 68. 6 8 834 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. • • « • • • • 24.10.27 24. 10.27 240 245 6 22.10 10 20.10 291.20.87 299. 2 27 - ————— 339.11 381 . 8 134 38 203 - 1 21.30 92 18 17.64 4.11 33 1 9 032 88 522.46 360 360 272 18 162.46 pr ad. 9 - s * - 11.22 10 281.18 80 0 . 7.03 51. 5.43 354.48 21.30 4 29 39 381 26 9 372.26 Mae. Gal.. P.in, T V. onr. fl* c r / 1 Gl 1, Aprilis d. 7, li. 15.10' postmeridiem. fuit in auge media 1612, Februarii d. 17, li. 9. 50' post me- ( ridiem 11 ’, / 1611, Februarii d. 9, li. 15 a meridie. : fuit in perigeo medio 1612, Februarii d. 28, li. 14.40' a meridie, ( 8eu 12.50. v fuit in auge media ( 1611, Martii d. 22, li. 17.40' a meridie. ( 1612, Februarii d. 29, li. 16 a meridie. v fuit in auge media d. 16, li. 1. 50 a meridie, ìnensis Martii 1611. v fuit autem in perigeo medio Februarii d. 22, b. 10.10 a meri¬ die, 1612. Senza cancellare 9. SO post meritlUm t vi scrisse sopra 11.0, scu 10.4o' FRAMMENTI 1)1 CALCOLI DELLE MEDICEE. 835 M E g. Gal.. P. 'IH. T. V, cur. Ut. 1 6 1 2 • Ex observatione d. 5 Xmbris non accipitur sensibi- lis error aut quid ^ addendum. • • linee videtur pro¬ movenda, idest motui ipsius vi- dont.ur addendi gr. 11 in diebus 281, aut orbis au¬ gendus. • o • Motui vero lniius demendi videntur gr.2in diebus 279. • • • • Ex die 8 quid ad¬ dendum. Videtur simili- ter addendum gr. 13 in diebus 284, aut orbis innni- nuemlus. Ex observatione d. 27, li. 15. 28 a meridie, mensis Ombria 1612 de¬ mendi videntur gr. 3.30 in diebus 271. Ex d. (5 Xmbris forte augendus vi- detur orbis Videntur adden¬ di similiter gr. 13 in diebus 282, aut paniulum augen¬ dus orbis proximioris stel- lae. Ex observatione d.l 2, li. 15, Xmbris 1G12 videntur re¬ trai ìendi gr. 3 in diebus 287, et est examen exactum : retrahendi, dico, primae tubulue. Ex d. 7. Videntur adden¬ di gr. 12 proxime in diebus 283, si paululum augea- tur orbis primae stellae. Ex d. 12 Xmbris, h. 15 a meridie. Videntur rursus addendi gr. 12 in diebus 288, et est examen exactum : addendi, dico, pri¬ mae tabulao. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 836 Msa, Cial., r. Ili, T. IV, car. 07 r. Februarii 1610 d. 11, li. 8 a meridie, • distabat ab auge vera gr. 22, sed ab auge media gr. 11 tantum. Sed Aprilis 1613 d. 1, h. 7 a meridie, distabat ab auge vera gr. 12, sed ab auge media gr. 7.16'. Tempus intermedium est dierum 1144, li. 23, quibus per tabulam respondent, reiectis intogris circulis, gr. 346. 22. Sed per observatio- nes supra positas colliguntur gr. 35G. 16. 1611, Aprilis d. 29, li. 4. 30' ab occasu, quae est li. 11.26' a me¬ ridie, • distabat ab auge vera gr. 346, sed ab auge media 337 tantum. 1613, Aprilis d. 7, li. 1. 24, a meridie vero 7. 50 , • distabat ab auge vera gr. 164, a inedia vero 11 ’.... 1012, Decembris d. 5, li. 15. 34' a meridie, • distabat ab auge vera gr. 22. 1613, Aprilis d. 8, li. 3. 8' ab occasu, quae est bora a meridie 9.35', • distabat ab auge vera gr. 13. 1612, Martii d. 20, h. 2. 30' ab occasu, quae fuit h. (s \... a meridie, • distabat ab auge vera gr. 20. U estri così in tronco no) manoscritto. 11 numero ò lasciato in bianco. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 837 [M. Gal.. P. NI. T. V, sur. 101. Mss. Gal., P. ITT, T. V, car. Or. 19. 4 307.43 140.31 140 117 247.48 201.38 201.54 301.27 252.32 134.20 128.57 467.18 504. 48 704. 59 515.49 360 360 360 360 107.18 144.48 344.59 155. 49 156.54 263. 30 224 58.30 107.18 144.48 360 360 584 418.30 344. 59 155.49 49.36 118.42 239. 1 262.41 Locus. Loca radicis altissima©. 321.39 -223.42 -261.0-337.44. Loca Planetarum ab auge ine¬ dia anni 1610, in meridie diei 1 Ianuarii. Computusprodie 11 lunii 1614, h. 8. 32 a meridie. Dies a radice altissima 1623, h. 8. 32. 19.4 11.26 108. 23 250.15 67.48 4.31 ' 10 . 10 140 300 226 303. 54 33.45 2.15 10.10 201.38 265 284. 50 150. 43 16.45 1. 7 10.10 252. 32 295.31 69.51 64.29 7.10 29 10.10 793.16 1239.46 1203.13 1037.56 720 1080 1080 720 73.16 159. 46 123.13 _317.56_ 49.36 118.42 239. 1 262.41 471.37 1016. 4 930.13 700.12 521.13 1134.46 1169.14 962.53 360 1080 1080 720 161.13 • 54.46 89.14 _242.53 306.16 69. 51 171.56 7.10 10.10 37.29 603.52 360 242.52 Mas. Gal., P.III, T. IV, car. 01. 1610, Februarii d. 11, h, 3 ab occasu, quae est h. 8 a meridie, • distabat ab auge vera gr. 18, sed ab auge media gr. 7 tantum. Anno vero 1613, Aprilis d. 8, li. 3.8' ab occasu, a meridie vero h. 9.35', eadem • distabat ab auge vera gr. 13, sed a media gr. tan- 838 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. tum 6. 47. Quod idem est ac si ponamus, eandem • h. 10 a meri¬ die distare ab augo inedia gr. 10.20'. Tempus intermedium inter has observationes est dierum 1152 h. 2, cui ex tabula competunt, reiectis integris circulis, gr. 355.42. At observationes praedictae dant nobis gr. 363.20'; igitur motus ta- bularum deficit gr. 7.38' in diebus 1152, li. 2. Est igitur ex hac collatione augendus motus tabule gr. 7. 38 in diebus 1152, li. 2. Aliud examen. Anno 1611, Aprilis d. 29, li. 4. 30’ ab occasu, cpiae est li. 11.26' a meridie, • distabat ab augo vora gr. 346, sed a media distabat gv. 336. 30’. Anno vero 1613, Aprilis d. 7, h. 1.24 ab occasu, quae est a me¬ ridie 7. 50', distabat ab auge vera gr. 164, sed a media gr. 158 tantum. Sunt intermedii dies 708. 20. 24', quibus ex tabularum motu com- petunt, reiectis circulis integris, gr. 193.35. Sed observationes Irne exi- bent tantum gr. 181.30; est igitur motus tabularum superaddens gr. 12.5 in diebus 708, li. 20. Cuius oppositum osteiidit exanien su- perius positum. Anno 1611, Martii d. 30, h. 3,30' ab occasu, a meridie vero h. 9.42', • distabat ab auge, vera gr. 348, a media vero gr. 337. Anno vero 1613, d. 9 Aprilis, h. 0.20' ab occasu, a meridie vero h. 6.48, • distabat ab auge vera gr. 194, a inedia vero gr. 188. Tempus intermedium est dierum 740, li. 21.6', quibus ex tabula respondent gr. 229. Sod ex observationibus colliguntur gr. 211 tan¬ tum ; ergo tabularum uiotus est superlluus gr. 18, qui demendi es- sent ex motu tabulae in diebus 740. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 839 Mas. Gai, P. IH, T. IV, car. 101 r. ICxaminetur motus : ex altis¬ sima radice 1610 lanuarii d. 7, et referatur ad •, euius motus ratus videtur. 1612, Xmbris d. 17, li. 15.37 a meridie. Prosi. 11.6. 24 8G5 8C5 804 17.15.37 1075.15. 37 1075.15. 37 1075.15.37 19. 4 240.18 240.18 238. 5 249.38 199. 20 146.24 298. 5 297. 6 63.17 249.19 127. 8 4.14 ® 2.37 146.28 63.17 1 942.32 2 37 33. 33 122 122 681.25 1064. 32 1059.26 371. 6 731. 6 731. 6 310.19 333. 26 328.20 16.57 8.26 327.16 336.46 Computus per tabularti «« M) ad ungueni respondet. (l ' Cfr pag. 459. 1612, Martii d. 13, li. 4 ab oc- casu, idost. li. 9. 50' a meridie. O 23 )(. Are. 5. 60*. 91 17 Q. Prosi. 7. 50 addenda. 24 805 806 29 13. 9.60 790. 9.60 790. 9. 50 238. 5 189. 32 95.14 3.49 114.50 307. 13 247.40 140. 31 37. 58 76.17 3.31 7. 3 122 prost. 7 50 7.50 33 33 867. 8 766.18 720 720 147. 8 46.18 2.49 5.39 149. 57 51.57 5. 37 11 19 155.44 63.16 Ex hac quoque respondet ad un- gueni per tabulam 1611, Maii d. 6, li. 0. 30 ab occasu, idest li 7. 34 a meridie. O 15 7.4. 840 FRAMMENTI 1)1 CALCOLI DELLE MEDICEE. ‘4 19 @. 9. 20’ prost. addenda. 24 305 80 C. 7.84 181. 7 34 184. 7.84 7.37 73.31 190.28 93 41 182. 4 59.20 46. 6 4.14 29. 32 34 2. 24 33. 33 122 9.20 9. 20 281.50 581. 64 21.11 360 803. l 221.54 lo. 83 232. 27 Et haec bene congruità». 1611, Ianuarii d. 19, li. 0. 90' ab oecasu, idest a meridie li. ó.tì. O 29 Are. 4. 38. 4 18 0. Prost. 2.42. 12. 5. 8 377. 5. 8 377. r, 8 185.43 142. 61 199.20 249 19 343.56 348. 59 42.23 21. 5 68 31 33.33 122 2.42 2.42 808.45 887.30 720 720 88.45 167. 30 Mhs. 0M m P. IIT, T. IV, car. 102r. Saquitur examen prò eodera • in ratione ad • 1611, Apriiis d. 2, li. 3 ab oc- casu, sed a meridie 9. 20'. o in 12 r p. Are. 6.18. 4 in 15 0. 11.14 addenda. • 24 305 2 9.20 • • • 450. 0.20 450. 9. 20 7.87 90.57 76.17 2.50 296.38 352. 5 18.51 40 11.14 232 177.41 11.14 33.33 222.2S K 29 911.28 720 231.57 191.28 2. 6 193.34 $ Ilaec est admodum dubia, quia non constai exacte de bora. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 841 1611, Aprilis d. 8, li. 1. 20’ ab oceasu, sed a meridie h. 8. Prosi. 10. 50. 450. 8 450. 8 296.38 316.17 352. 5 354.34 301.27 128. 59 16.45 7.10 10 50 10. 50 232 51.45 1209.45 869. 35 1080 720 129.45 149.35 4. 11 1.47 133.56 151.22 Incerta. 1610, Ianuarii d. 17, h. 0.80 ab occasu, a meridie vero li. 5.0'. 10. 5 10. 5 292. 46 142. 25 21. 5 10 28 9.25 9 25 122 232 445.16 394.18 360 360 85.16 34.18 19 5.20 104 29 9 38 Mas. Gal., P. HI. T. IV, oar. 102/. 1612, Xmbris d. 16, h. 15.47 a meridie. Prosi. 11.3. 24 805 865 804 10.15.47 1074. 15.47 1074.15. 47 240.18 240.18 249.38 45. 7 63.17 2. 49 30 122 280.49 280. 49 276.56 200. 58 31.24 1.35 1074.15.47 1072.31 232 963. 57 731. 3 1304.31 1091. 3 232. 54 213.28 1612,Novembris d. 27, h. 15.28 a meridie. Prost. 24 805 305 274 27. 15.28 1055.15. 28 1055.15. 28 1055.15. 28 189. 32 189.32 90.57 297. G 127. 8 2.50 1. 8 280.49 280. 49 352. 5 251.42 31.24 57 232 898.13 33.33 1429.46 1090 931.46 730 339.46 3. 6 201.46 342.52 12.43 345.58 214. 29 227.12 in. 109 842 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Examinatui’ v cimi tabula bòna 11 . Ex hoc calculo, ox tabula bona demendi videntur gr. 4. in die- bus 1055.15, quod congruet etiani cumpraecedentiobservationejaut altissimao radici gr. 4 aule rendi aunt, adeo ut non 2B2, sod 228 statuatur v abfuisse tane ab auge media. Ut igitur cognoscamus, num- quid error sit in radico vel in tabula, calculetur locus parum tempore distans a radice; ot si error accidit idem, erit in radice; si exiguua, erit in tabula. Accipia- tur itaque constitutio diei 1612, Xmbris d. 27, h. 16 a meridie. Prost. 11. 30 demenda. 24 365 365 304 27. 10 1085. 16. 0 1085. 16. 0 1085. 16. 0 Ilio examinatur 3 a in rationo ad Mm.UaI., P. Ili, T. IV, car. 108r. Sequitur examen .*. in ratione ad • Are. 4.25. 1612, Xmbris d. 12, h. 15 a meridie. Prost. 10. 51 demenda. 21 365 365 304 12.15 1070.15 19 . 4 199.20 127 . 8 33.33 19 . 35 30 19 _ 879 . 5 370.51 5 28 3.40 8.14 8.29 1.42 16.43 25.12 7.39 32 . 51 8.14 33.54 48 42.50 1070.15 280.49 280.49 279.56 31.24 232 1104 58 1090.51 14 . 7 2 . 6 14 . 7 8.33 16.13 22.40 18.19 1.20 19.39 • —fc-0 — post aliam h. 1. post 0.40'. -Ì-—o h. 4.5' a prima cl) Cfr. p«g. 400. observatione. 843 FRAMMENTI 1>1 CALCOLI DELLE MEDICEE. Ex hao exactissima obscrva- tione, tabulae bonae demendi vi- dentur gr. 5.40 in diebus 1070, aut radix altissima reponenda in gr. 226. 20', voi utrmnquo mode- randum; qnod ex aliis observa- tionibus attendatili'. 1611, Maii d. 4, li. 1.30 ab oc- casu, a meridie li. 8. 30'. 0 13 'ft' Are. d. 7. % 19 @. Pr. 9. 30' addenda. 24 305 m 4 8.30 482. 8.30 482 8.30 482. 8.30 482. 8. 30 7 37 296 38 310.17 73. 31 59 19 279. 14 46.50 100.29 43. 0 67.48 16.45 7.10 4.14 1.30 27 33.33 233.33 239 2 9.80 51.45 9. 30 715.41 707.24 243. 3 3 5.40 313.27 4.11 post h. 2. 317.38 6.17 post h. 3. 323.55 post li. 8. Ex liac experientia nihil fere discrepat a reliquis superioribns, adeo ut vere altissima radix re- trahenda sit ad gr. 226. 20. Et forte paululum orbis '• augendus Haec experientia dubia est. FRAMMENTI 1)1 CALCOLI DELLE MEDICEE. 345 apparet, ut, v. g., 15'; nulla tamen adest necessitas, sed tantum no- tatur si forte per alias observa- tiones idem clarius colligeretur. 1611, Martii d. 2G, li. 0. 40' ab occasi), idest li. 6. 50 a meridie. Q 5 HP. Are. 6. 8. 9 |. 15 @. 11. 30 addenda. a 443. fi. 50 24 365 28 20. 6. 50 : 20(5.38 200.41 150.43 -143. fi 50 12.34 1.40 11.30 232 7.37 21(5.40 250.15 50. 51 7. 3 014 4G 720 11.30 33.33 104.4(5 5.20 577.35 360 180.20 4. 51 post 217.35 18.22 104 17 li. 2.20’. 23f>. 07 Ex li ac quoque obsèrvatione idem ad unguem colligi tur, nempe radicem altissimam ad gr. 226.20 esse retrai tendam. 840 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Mas. Gal., P. ITI, T. V, car. iBt : fuit in perigeo vero 1010, d. HO Novombris, li. 15. 20' a meridie Seti in perigeo medio fuit d. 30, li. 14. 30' n meridie. Fuit autem in auge media 1613, Ianuarii d. 22, li. G. 43 a meridie. Sunt dies intermedii 783.16.13’, liorae scilicet 18808.13'. Et quia semicircu’atio absolvitur li. 42 2 /s proxime, ernnt in dicto tempore semicirculationea 441, quae continent gr. 79380, quos con- ficit stella li. 18808.13', nempe diebus 783 2 / 3 . : fuit rursum in perigeo vero 1011, Aprilis d. 25, li. 0.30' ab occasu, hoc est d. 25, li. 7.20' a meridie; sed in perigeo medio, li. 9. 40’. Mas. Gal., I*. Ili, T. V, car. 40«. (l) 1613, Ianuarii d. 29, ♦> distabat a centro £1}. 14.20', ab auge vero 324.32', seu 35.28'. Ex liac observatione semidiameter orbis •> continet diametros 9|- 24.41’, ex sequenti vero 24.11'. # 1610, Decembris d. 7, v distabat a centro 9j- 13. 50', ab auge vero gr. 34. 54'. Mas. Gal., P. Ili, T. V, car. <0r. <*> 1614, Iunii d. 24, li. 4.15, v et •> coniuncti fuerunt. Tunc autem '•* erat in gr. 29. 7, :: vero in gr. 166.4’, seu 13. 56. Iulii d. 10, li. 1, v distabat 105. 53', adhibita correctione 40. Et :: distabat 146.58, facta correctione 36'. (* *'-) Vedi pag. 635 di questo volume. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 847 Et idem :: erat orientalior v 0.10'. At si :: proceda! 0.30', acquivit illa 10 minuta; movetur autem 0. 30' in tempore 0. 33’ proxime. Tertius vero in tanto tempore movetur 1.10' fero, quod interval¬ limi vix sensibiliter mi uui t (listanti am su ani a 9|.. Ex quo citra erro- rem sensibilem dicere possumus, •> et v coniunctos fuisse, cum •> di¬ starei ab auge vera 147. 35, v vero 107.15. Ex bis constat, qualium semidiameter orbis v est 14, talium or- bis v semidiamotrum esse 24. 56 proxime; ex sequenti vero 24. 21'. Mas. Cai., P. Ili, T. V, car.40/. •l é 1614, d. 5 Augusti, •> distabat a 9|. 6.30', cum esset in gr. 344, hoc [estj cum distarei ab auge gr. 16. ìliB. Gal., P, HI, T, v, caMln 1614, d. 25 Iunii. Fuit tunc • in 127.40, seu in 52.20', : vero in g-r. 31.25, Ex liac observatione, dum semidiameter : fuerit 9, semidiame- ter * est 5. 55. 1614. Iulii d. 12, li. 1. 36, : et v fuerunt Erat v in gr. 207. 28' — 27. 28'; s vero in gr. 314. — 46. Ex liac observatione, cum semidiameter v fuerit 14, semidiameter : erit 9.5. 848 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Msa. Uni., T. Ili, T. V, car. 4U. "> 1611, 29 Aprili», li. 4. 30', 11.25' a meridie, . in 847 fuit. Prost. 93. Et 1614, Septeinbrie d. 4, li. 0. 30, 6.57', fuit in gr. 150. Prost. 6.40'. In prima ergo observationo • distabat ab auge inedia 338 pro- xime, in seconda vero distabat ab auge media 143. 20'. Igitur motus eius, reiectis integri» circulis, fuit gr. 165.20’ in diebus 1223.19.32. 1614, Tunii d. 18, v distabat in semidiametros 13.45: quanta ergo 24.12. 1614, d. 30 Augusti, v distabat seu 21.7. circulo gr. 34. 38, sed a centro 9). est eius maxima elongatio? Erit 9 a D}., duin esset in gr. 138. 53’, Mas. Gal.. V. III. T. V. car. 43r. 1614, Augusti d. 9, h. 8. 5 a meridie, : distabat ab auge media gr. 160.42: ab hoc tempore ad 9 Augusti 1616, li. 8. 41’, sunt dies 731, li. 0. 36’, quibus competimi ex tabula gr. 5. 29, quibus additis gradi- bus 160.42, exibent gr. 166.11 prò distantia : ab auge media, quae tamen ex observationo fuit tantum 165. 45. Differenza est gr. 0. 26’, iuxta quam motus tabulae imminuendusvidetur in diebus 731. Etsecun- dum liane rationem minuendus erit motus tabulae in diebus 1000,35'*/2; in diebus 100, 3'72. (*) Wili pn#- 636 ili questo volume. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 849 Mss. Gal., P. III. T. V, csar. 15r. ^*Mó*4*^ ^*- 3+7- À u.*- A * . I /<, ifv^, à ^ ^ u* o - * ' 3 jfc£ ^ <5ifcf uAr^ày'^rJ- i ^ JUw.. ^,£. «jjj. ri. /ri*y « 4 ». «rtfoi* &« 5 Ì.- . — V w u • ) J I f f/*. 0^3 • v uf. al 4»» X3 "

    b s, \mi lo«5> 2 £^ 7 MI. —^——-c—.——-— Cfr. pag. 1G3. FRAMMENTI 1)1 CALCOLI DELLE MEDICEE. 851 1(> 13, Innii d. 6, h. 10. 35 a meridie, : distabat ab auge media gr. 6. lfilG, Iulii d. 3, h. 10. 35, distabat ab auge media 5. 30. Tempus intermedium est d. 1123, hoc est li. 26952. Motus ultra integros circulos habet gr. 359. 30'. Conversiones integrae fuerunt 310, quae continent gr. 113760, quibus additis gr. 359. 30' dant totum motum confectum in toto tem¬ pore intermedio; sunt autem gr. 114119. 30', qui divisi per numerum horarum dant motum unius bore, nempe 4. 14', ut superior operatio. Ilinc colligi potest, errorem esse in radice, et presertim cum di- niinutio liorum 5 graduum constet faciendam esse etiam in die 6 Iu- nii 1013,- ut apparet ex calculo relato ad observationem. Mss. Gal., P. 111. T. IV car. 001 1614, Iunii d. 13, h. 8. 34, • distabat ab auge media gr. 191. 46. 1616, Augusti d. 29, li. 7.27, distabat 9.26. Distantia locorum est gr. 177. 40’. Dieruin intervallum est 807.22.53, quibus competunt gr. 187.52. 369.26 16. 15. 2G 191.46 184 365 177. 40 218 29 7.27 807. 22. 58 10 343.5(5 18(5.28 7.28 547.52 3(50 187.52 1614, Iunii d. 13, li. 8.34, • distabat ab auge media gr. 191.40. 1616, Augusti d. 13, li. 7.50, distabat ab auge media 10.30. Locorum distantia habet gr. 178.44. Dieruin intervallum habet d. 791.23.22, quibus debentur gr. 177.20. 370. 30 191.46 178. 41 1(5.15.2G 184 3G5 213 13. 7.56 791.23.22 188.45 307. 7 203. 25 194. 57 3. 6 897.20 720 177. 20 852 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Ma». Gal., P.II1, T. V, car. 0< 1610, Ianuarii d. 20, h. 5 a meridie, : distabat ab auge media gr. 10. 1616, Septembris d. 14, h. 7 a meridie, eadem distabat ab auge media gr. 186. Distantia igitur inter duo loca est gr. 176. Tempii» intermedium est dieruni 2429, h. 2, cui competunt ex tabula gr. 186. Tabulae igitur motus est superlluus gr. 10 iu diebus 2429, h. 2. Mae. Gal., P. HI. T.IV. car.Wl.(') Iunii d. 13, h. 2 ab occaau, : distabat al) auge media gr. 186.4: bora acquata est 9. 28 a meridie. Octobris d. 20, bora acquata 5. 28' a meridie, distabat ab auge me¬ dia gr. 177.13. Locorum differenti» est gr. 351.9. Tempus intermedium babet dies 128. 20. 0, quibus ex tabula de- bentur gr. 352. 20. 177.13 537.13 186. 4^ lft. 14.82 02 20. 5.28 128. 20 343.46 284. 46 41.56 41.52 • _. 351. 9 712.20 860 352.20 Mas. Gal.. P. HI, T. V. car. 171. 864 27 188. 31 7.31 178.87 8. 29 4.13 2. 6 1.44 355.26 ! 182.18 5. 28 | 176.53 H. 11' ab occasu. 11S |l ’ Questa pagina contiene la coufìgurnziono di Saturno ohe abbiamo riprodotto a pag. 276 del lol XII. FRAMMENTI DI CALCO!.I DELLE MEDICEE. 853 H. 1.24' : eclypsabitur, distaus a circum ferenti a 9j. 1. Manebit in eclypsy usque in li. 4.6, postea apparebit, distane a circumferentia 2.15'. Eodem momento quo : intrabit in tenebras, s apparebit versus oc- casum, tangens fere 2|. ; cum autem exibit e tenebria, idem : distabit a circumferentia Qj-, 1.48. • vero, b. 2 separabitur a 2j. versus ortum, sed non apparebit ob eclypsim, a qua liberabitur li. 3.12', et tunc distabit a circmnferen- tia 3j- 1 semid. ; et eodem tempore : distabit a circumferentia 1.15 versus occasum. 854 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. M«8. Gal., r. Iti, T. IV, enr. 89f. 1611, Martii d. 14, li. 7. 54 a meridie m . Dies a radice 438. MB— ' ~ 4. 8 295.10 317.Il 342.18 158.53 67. 9 284.46 187.21 90. 24 41.56 171 50 7.37 29.32 14 39 6 16 59.20 3.48 1.48 49 10. 50 10. 50 10.50 IO. 50 69 Ili!» 242 38 262.45 670.34 011.51 074.10 1054.33 360 _ 360 860 720 310.34 251.51 314.10 334. 83 21.11 10. 33 5.14 - — 2 11 331.45 | 272. ‘J 1 819.24 6.47 li. 4.30 Ex hac operatione, per tabu- las ultimo eorrectas, quod atti- net ad circulorum magnitudine^, circuì us maximus videtur am- pliandus 1 semidiam. proxime, circulus vero : imuiinuendus 0.15. | Man. Gai., P. Ili, T. IV, car. OOr. 1611, Martii d. 14, h. 2 ab oc¬ casi!, quae est li. 8. 54 a meridie. Cfr pag. 817. Dies a radice 438. Prosi 10.50. • 5. 0 342. 22 187.21 67.18 7.37 53 17 10 50 200 159 90.24 33.45 3.48 123 10.50 295.20^ 67. 9 41,56 16.45 1.50 242.15 10.50 317. 1 284.46 171.56 7.10 49 262 _jo_r.o 674.15 300 020.47 300 676. 5 360 1054.32 720 814. ir, 16.67 260.17 8. 26 316. 5 4,11 331 32 1.47 831 12 8 29 269.13 4.13 320.16 2. G 336.19 _54 339.41 273. 26 322. 22 337.13 II. 2. IT. 4. H. 5. - © I ~ Error est in calculo horao uuius superfluae. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 855 1611, Marfcii d. 15, h. 0.30 ab occasu, quae est h. C. 21. Dies a radice 439. 5. 0 200 295.20 817. 1 312. 22 159 67. 0 284.46 30.46 191.42 92. 10 193.26 63.41 26.43 13.14 5.40 53.17 123 242.15 262 10. 55 IO. 55 10.65 10.55 406. 1 711.20 721. 3 1073.48 360 360 720 720 136. 1 351.20 1. 3 353.48 Msa. Cai., V. Ili, T. IV, car. 91 r. 1612, Decembris d.7, li. 15.5 a meridie 11 ’. Dies a radice 1072. 19. 4 140 201.36 252.32 109.20 251 276.56 64 20 202.36 100. 20 42.59 127. 8 63.17 31.24 13.26 43 21 10 4 40. 36 118.42 230. 1 262.41 442.41 775.56 840.38 636.11 370 730 730 370 72.41 45.56 119.88 266.11 33.54 16. 52 8,23 3.35 106. 35 62. 48 128. 1 1612, Decembris d, 12, li. 15 a meridie. Dies a radice 1077, li. 15. 10 . 4 140 201.38 252.32 190 20 251 27(5. 56 64 20 313. 56 349. 6 351.41 150. 27 127. 8 63.17 31.24 13. 2G 49. 36 118.42 239. 1 2(12 41 729. 4 922. 5 1100.40 1 743.35 370. 11 730.11 730.11 | 730.11 358. 53 191.54 13.24 H. 15 a meridie. II. 16. II. 17. Il 17. 40. D. 17, li. 5 a meridie. 119.17 331. 8 342. 50 259.59 199.11 99 49.13 21. 3 318. 28 8 32. 3 281. 2 I" Cfr. pop. 570 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 856 Mbh. Gal., P. III. T. IV, car 921. 1611, d. 7 Martii, h. 1 ab oc¬ caso, quae est li. 6. 40' a meridie. I)ies a radice 431. 7.37 200 296.38 317. 1 342.84 159 67.15 284 46 203.25 101.18 50 14 21.30 50.51 25.19 12.34 5. 22 5. 39 2.49 1.20 36 49. 36 118.42 239. 1 262 41 J 0 10 10 10 669. 42 617. 8 677. 2 901.56 360 360 360 720 309 42 1 257. 8 317. 2 181.56 309. 42 257. 8 317. 2 16.57 8.26 _4.11 126.89 265. 34 321.13 H. 3 ab occasu. D. 8, h. 1 ab occaso. 153.22 | 358.35 ì 7.21 203.30 1610, Ianuarii d. 15, h. 3 ab occaso, h. 7.28 a meridie. Dies a radice 15. Prost. 8. 30' addenda. 234.11 293. 0 142.25 214.56 297. 6 146.30 251.12 107.28 50. 20 29.32 14.39 6.16 3.57 2. 0 1 25 49.36 118.42 239. 1 262.41 8.30 8.80 8.30 8 30 643.40 597.14 656.47 600.16 360 360 860 360 283.40 237.14 296.47 240.16 D. 16, li. 1 ab occaso, quae est h. 5. 20 a meridie. Dies a radice 16. 234.11 293. O 142.25 214.56 140.81 247.48 301.27 128.57 42. 23 21. 5 10.28 4.29 4. 6 2. 3 1 2 26 49 36 118.42 239. 1 2 G 2.41 8. 30 8.30 | 8.30 8.30 479.17 691. 8 702. 50 619.59 360 360 360 360 119. 17 331. 8 342.50 259.59 n FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 857 Mas. Gal., P. Ili, T.IV, car. f»5«. (') 1612, Felini arii d. 28, h. 0. 20' ab occasu, idest h. 5. 54' a meri¬ die. Dies a radice Prost. 2. 30. 188.45 73. 0 30. 46 42. 23 7.37 53.30 9.14 347.26 183. 41 191.42 21. 5 3.48 120 9. 14 405.15 360 876,66 720 45.15 8.29 156. 56 4.13 53.44 14. 8 155. 9 7. 2 67. 52 4.14 162 11 2. 7 72. 6 164. 18 (*> il calcolo apparisco cancellato: cfr. pag.721. Itespoudent ad unguem. in. m 858 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Mas. fini., P. IV, T, VI, cur. 2Or. Si erruL' fuerit in radice, ex soquontilms conieciuris intelligetur. Nani si stella ponatur fuisse in auge antequam vere fuisset, ita ut in tempore radicis non dum ad augem porvenerit, tunc locu8 stellao per tabulas ropertus, in prima quarta circuii stel¬ lala faciet reniotiorem a i)|. quam revera per observationem reperitili’; in 8ecunda quarta contrarium accidet, nani locus computi dabit stellam viciniorem ilj. quam locus visus ; in tertia quarta coni})utus dabit stellala reniotiorem a Qj. quam vere appareat por sensum ; in ultima quarta locus computatila dabit stellam viciniorem 9|. quam sit locus visus. Adeo ut, si in prima et tertia quarta locus calculi exliibet stel¬ lam reniotiorem a 9|. quam vero fuerit in observatione, aut si in secunda et quarta quarta calculus dat stellam viciniorem 9p quam vere apparuerit, error est in radice, et stella non fuit in auge ea bora qnae ponitur in radice, sed tardius; adeo ut, si notatimi sit stellam fuisse in auge li. 6 a .meridie, non sit veruni, sed dicendum erit fuisse, v. g., h. 8. Contrarium accidet si in prima et tertia quarta locus visus det stellam remotiorem a Qj. loco calculi, aut viciniorem in secunda et ultima quarta: tunc enim aux in radice ponenda erit in paucioribus horis, ut, v. g., in bora quinta si adnotata fuerit in bora sexta. Sed in maximis elongationibus talis error percipi non potest. Error qui ex sola radico provenit, est semper idem, nec augetur per temporis longitudine!!!, aut imminuitur per brevitatem. FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. 859 ita», fiat., P.JLI, T. V, cor. «Or. I)ic 21 lanuarii anni 1612 observavi, diametrum 9[. ad distantiam eius a Terra esse nt 1 ad 275 (l) ; die vero 0 Iunii eiusdem anni fnit ut 1 ad 291 : et liaee per teleseopium. Quia vero telescopium lineas multiplicat in ratione 18 ad 1, fuit in prima observatione ratio di- stantiae a Terra ad diametrum stellae ut 4950 ad 1, in altera vero ut 5238 ad 1. Reperitili 1 ergo per tabulas sinuuin, 9|d s diametrum in prima ob¬ servatione subtendisse angulum gr. 0.0.41". 37 ”, in secunda vero subtendisse gr. 0. 0'. 39”. 24"'. ,Mbs. (lui., P. IV, T. VI. cur. Ir. Basis Sangui i qui conficitur a rarliis visoriis transeuntibos per telescopium et terminantibus in diametro niaximi circuii qui con¬ ficitur a Pianeta Mediceo remotissimo a Q|_, ad alterimi latus aequi- cruris 3anguli ab ipsis radiis contenti liabet rationem 1 ad 9 2 /i 7 , quae est proxime ut 100000 ad 109(58. Quia vero telescopium longitudines multiplicat in ratione 19 ad 1, si numeri 10968 undevigesima pars accipiatur, quae est 577 ’/s proxime, liabebimus rationem 100000 ad 577, quae erit distantiae 9j_ a Terra ad diametrum elicti circuii. Ergo dieta rliameter subtendit in orbe 9). gr. 0. 20' proxime. Quod si Ql Ì!i diameter est pars 24 a eiusdem diametri, ergo diame- ter 9]. subtendit gr. 0.0'. 50”; et hoc accidit cum 9j. est Terrae pro- ximus. Mss. Gal., ,T>. TII, T. iIII, car. 871. Maxima 9J. distantia ad semidiametrum orbis magni est ut par. 5. 27'. 29' ad 1, minima vero ut part. 4. 58'. 49" ad 1. 5 . 27 '. 2 * 1 " (50 _ 327 (50 4 . 58 '. 49 '' (50 _ 298 (50 19(549 17927 (*) Cfr. pag. 440. 860 FRAMMENTI DI CALCOLI DELLE MEDICEE. Misti. Gal., P. IH, T. IV, car. S5#\ « 1G Motus diurnus 8 diam. Fixa A dio 25 Iulii distabat a contro i)J. 28.5 9|> semidiametros, die vero 27 distabat. versus occasum 12 oorumdem; quare motus Qj. in lioris [48] continet talos semidiametros 40. 40'. Sed e gradibus zodiaci confecit hoc tempore gr. 1.8, Irne est minuta secunda 4080 in die- bus 10, minuta secunda 816" in diebus 2, quae di[vi]sa per 40 2 /a dant semidiametrum Hj- 20' proxime. 1014, Ianuarii dio 25, Iovis latitudo boroalis augetur singulis die¬ bus 22". Motus eius longitudinis retrogradile [...] in diebus singulis 160". Et per collationeui ad perig. Q[. elongatus est in 8 diebus semidiametros suas 2G. Ex bis ‘Jj. semidiamoter est proxime 19". Mas. Gal., 1*. Ili, T. IV, tur. 2231. 1613, fuit in oppositione © 12 Martii : 1614, 11 Aprilis ; 1615, 18 Maii; 1616, 14 Iunii ; 1617, 19 Iulii; 1618, 26 Augusti. 1611, 9 Ianuarii; 1612, 10 Februarii. II. 0. 55 exibit :. OBSERVATIONES IESUITARUM (28 NOVEMBRE 1610 — 6 APRILE 1611 ). OfiSERVATIONES IESUITARUM. 863 Mas. Gal., P. HI. T. IV. car. i-ò. ‘ rw ‘i O + * x wr 1 ** O * O * * # 3 v nt^+r<* O * X 3 Ho. r. *0 * «0 *-# K- <£ i-j. ^ * * O ^< 7 . * * * O * 1 1 . # * O * »*i_-//. '****£ tt&Mt /**# A ,UH . •/*^ > , ‘’“ W Vw/vArt./*'»»' ANALECTA ASTRONOMICA. AVVERTIMENTO. Il disordine tumultuario col quale nei Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze furono messe insieme le carte concernenti i Pianeti Medicei, ha fatto comprendere tra esse anche materiali che non riguardano in nessun modo V astronomia, e che noi diamo alla luce al loro posto nella presente Edi¬ zione 10 . Qui appresso abbiamo raccolto altri materiali, d’indole astronomica e di forma frammentaria; non senza avvertire die altri ancora, pure astronomici, fu¬ rono da noi lasciati dove li abbiamo rinvenuti, come, per esempio, le osservazioni di Mercurio dei 20 c 25 novembre 1012 e quelle di Venere del 28 novembre (,) e del 27 dicembre 1612 l, \ oppure, come la configurazione di Saturno, furono al¬ troveriprodotti. m Cfr. Voi. XIX, Doc. XIII. <*> Cfr pag. *150 dot presento volume. Cfr. pag. 452. *n Cfr. del presento volume la pag. 852, e Voi. XII, pag. 270. Mas. Gol., P. Ili, T. V, far.«r. 1. ® Eclipsis primae medium fuit h. 3.20' ante mediani noctem. Et tunc verus motus 0 erat in 24.30' )(. 2. ® Secunda eclipsis fuit h. 0.50' ante mediani noctem. Et tunc Sol occupabat gr. 13.45' )(. Tertia fuit ante medium noctem h. 4. 20'. Et tunc 0 fuit in gr. 3.15 ì]p. Motus 3 a prima eclipsi ad 2® ra , gr. 349. 15. Tempus a prima ad 2, dies 354, h. 2.34'. A 2® ad 3 am motus est gr. 169.30. Tempus a 2 a ad 3"™ fuit d. 176, h. 20.12'. 3 ao motus ^ inaequalitatis in primo tempore gr. 306. 25, in primo tempore. ( longitudinis vero gr. 345.50. 3 motus ( inequalitatis fuit gr. 150.26, in 2° tempore. ( longitudinis vero gr. 170. 7. 1,1 "i Cfr. Voi. X, pag.501 III. 113 ( ANALECTA 876 Mas. (lai., P. IV, T. Vi. car. Il a t. eeeaaaaaaeeaaaaeio a credere quam magna anassarete atalantaque in ora aiaaieiieaoooaa callida Barine Agite ante madida Laringe Carmina lanigeri Carmina largire si vis Maria Galilei Ginevra demoneata tn . Mei*. G*l.. r. IV. T. VI. c*r. 18°r. La circumferenza al semidiametro è come 44 a 7. La corda di un grado (che è insensibilmente minore del suo arco) sarà contenuta nel semidiametro volte 57 prossimamente. La corda d’un minuto primo entra nel semidiametro 3486 volte. La corda d’un minuto secondo entra nel semidiametro 208454. Adunque, posto il diametro visuale del 0 30', entrerà nella sua distanza dalla Terra 114 volte, et il diametro intero dell’orbe magno conterrà 228 diametri del 0. E posto che il diametro visuale del 0 contenga 360 diametri visuali d’una stella della 2 a grandezza (che sarà quando il diametro visuale della stella fissa sia 5 minuti secondi), adunque (quando si ponesse che le' stelle della 2 a grandezza fusser grandi quanto ’l Sole) la distanza di tali stelle dalla Terra conterrebbe ii) . .. . Sarà dunque la distanza delle stelle fisse 360 semidiametri del¬ l’orbe magno. (l * Cfr. Serie decimaquarta di Scampoli Gali- Randi, 1904. Iciani raccolti da Antonio Favaro (Ag» e Memorie Dopo conterrebbe loggosi, cancollato; 82080 della 11. Accademia di ecienxe, lettere ed arti in Pa~ diametri del Q o di reta et ella, dova. Voi. XX, pag. 6-7). Padova, tip. Gio. Rati. ASTRONOMICA. 877 La corda d’un minuto è 291, di un secondo è poco meno di 5. Una fissa della 3 a grandezza è 4", et la sua sottesa sarà 20. Il 20 in 100000 entra 5000 volte. Fit aequinotium quando axis aequatoris terreni tangit spliaeram orbis magni. Fiunt autem solstitia quando idem axis aequatoris secat eandem spheram et ipsum quoque planimi orbis magni. i Mss. Gal., P. IV, T. VI, car. lOr. Media caudae Elicis incidit secundum latitudinem in gr. 9 TJP, et latitudo eius est gr. 56. Terra est modo in 25 0, ex quo locus ^ ab ea distat gr. 44. lnter mediani caudae Elicis et sibi proximam pono nunc gr. 0.0’. 15". Semidiameter stellae maioris gr. 0.0. 3 ", minoris vero 2”, et inter- capedo 10”. Semidiameter orbis magni continet semidiametros 0 226. Semidiameter Q continet semidiametros stellae maioris 300. Distantia ergo stellae continet distantias 0 300 (si stella ponatur tam magna ut 0), hoc est semidiametros 0 67800. 62932. 100000. 77714. 78214. 100388. 878 ANALECTA. Polis conversioni diurnae in terra immutabilibus et fixis existen- tibus, immutabili permanet equinoziali, et ad eumdem terrestris superficiei punctum neuter aequatoris polorum atto!litui- aut depri- mitur unquam, sed invariabili semper renianet eiusdem loci eadem elevatio poli, quae solununodo mutatur dum in superficie terrae ad aequatorein vel ad polum accedimus. Extenso terrestris aequatoris plano et axe usque ad fìxas, si qua fixa in axe inoidet, ea immobili apparebit, quandiu in axe steterit; et si stellae in plano aequatoris reperiantur, circulum maximum de¬ signare videbuntur; reliquarmn vero unaquaeque circulum describere apparebit eo minorem, quo ab ip»so aequatoris plano remotior fuerit; et quae ad aliquem locum verticales fuerint, semper verticales erunt, quam din eandem ad planum aequatoris elongationem servabunt. Si manente me in eodem terrestris suporficici loco, tota Terra transponatur... . ll) Ma». Cini., I*. IV, T. VI, car. 8r. 11 diametro del Cane, veduto col telescopio, è una delle 1200 parti della sua distanza dall’occhio, et il telescopio l’accresci 32 volte: adunque il suo vero diametro è la 38400 ,na parte della distanza dal¬ l’occhio ad essa stella. Onde si raccoglie che il diametro visuale del Cane sia 5". 18"' in circa. Mas. Gal., I’. Ili, T. IV, car. 230r. Pistantia Caniculae ad eius diametrum est ad summum ut 56000 ad 1. Pistantia © ad eius diametrum est proxime ut 114 ad 1. Ergo si ponamus, Canem et Solem esse aequales, distantia Canis continebit. distantiam Q plus quam 490 vices. ( l ) Rimane cosi in tronco nell’autografo. ASTRONOMICA. 879 In. Gal., P. Ili, T. IV. car. 24ÒA. *- 4 «^ Quando 0 est in 0/5, Canicula mediat caelum h. 8 ab occasu ; et 0 existente in 6 0, eadem stella mediat in occasu 0' 9 . Et rursus, dum 0 fuerit in 0 in occasu, eadem stella reperitili- gr. 23 elevata versus occasum; et in eodem loco reporitur, Sole in gr. 0 fa h° ra 10. 20’ ab occasu. Facciasi un angolo di cartone, die, messo nella cima del telescopio, passi per le 3 stelle notate etc., come nell’esempio qui sotto: Mn.Gat., P. IV. T. VI, car. 21». Lucida Lyrae. Cuin semidiameter circuii seu latus quadrantis fuerit 100000, sub- tensa unius gradua est 1546, ex tabula sinuum ; cum ergo idem latus fuerit 100 brachia, quid erit eadem subtensa gr. 1.0? Reperitur esse br. 1 seu br. 1.34' sexagesimae unius bracbii. Est autem una bra¬ cini sexagesima circiter talis h -—h • Subtensa igitur (in tali quadrante) unius gradua continet 94 tales lineolas a, et quae subtendet gr. 0. m. 1 erit 94 sexagesimas eiusdem a, nenipe unarn a et qualis est sequens lineola ( _?_i. 880 ANALECTA ASTRONOMICA. Stella Draconis, trium sequentium quae magia in boream, mag. B, lat. 84.50, mediat caelum supra polum oriento gr. 18 )(. Lucida Lirae mediat caelum oriente gr. 10 r p; distat a polo zo¬ diaci gr. 28. M«a. G»l , P. IH. T. IV, c«r.2i)8*. Apposita fixarum constitutio reporta est a me prope cuspidem ensis Orionis, a qua versus boream attolluntor et paululum ad or- tum declinant; et apparent g et b magnitudine aequales, a vero paulo . minor, duae vero c, i admodum exiguae, nempe vix 4 a '•' l aut 5 a pars ipsius g. 3 a, b, g angulum valde obtusum I» ^ complectuntur. Lineae per b, a et per i, c fere sunt pa- rallelae, coinciderent tamen ad partes c, a. Duae c, i aequaliter distant a g, quam fere tangunt. Distantia inter a, b iudi- catur 3 9.|_ semidiametros, ad quam distantia b g videtur tripla. Ilaec observata sunt a me die 4 Februarii 1017 a Bellosguardo. Incidit cuspis ensis Orionis in gr. 18 If cum latitudine australi gr. 30. Angulus cgi est parimi obtusus. Et ipsae a,g, translatae ope telescopii, quo communiter ut-or, versus cinguluni Orionis, coincidunt et congruunt cum duabus ipsius cingali, nempe cani media et cum altera lateralium, ita ut recta per ipsas a,g est parallela illis quae in cingulo. Insuper intercapedo iuter g et quamlibet ipsarum c,i vix caperet alteram g. FINE DEI. VOLUME TERZO. INDICE DEI NOMI. (I numeri indicano le pagine.) Abrahamus. 214, 296. Abulense. 289. Achille. 170, 265. Aeneas. 335. * Agesianaxes. 386. Agrippa Cornelius. 238. Albertus Magnus. 238. Alcide. 278. Alexander Aphrodisaous. 331, 369, 391. Alexander Magnus. 353, 354. Alhazen. 175, 220, 221, 222, 226, 227, i 239, 242, 243, 244, 246, 248. Altaemps (Dux). 330. Atnbrosius (S.). 364. Anaxagoras. 321, 322, 355, 357, 362. Anaximander. 363. Antonius (D.). 298. Archelaus. 357, 363. Archimedea. 239. Arimino (de) Angelus. 178. Aristarco. 289. Aristoteles. 114, 116, 161, 167, 169, 172, 175, 235, 236, 242, 243, 253,-254, 255, 261, 284, 314, 324, 325, 331, 333, 334, 335, 336, 337, 341, 342, 343, 344, 345, 347, 349, 350, 351, 352, 354, 356, 357, 358, 359, 360, 361, 362, 363, 364, 365, ! 366, 367, 368, 369, 370, 371, 372, 373, 375, 377, 378, 381, 382, 383, 384, 385, 387, 389, 391,393, 394. Augustinus. 366. Augustus. 56. Avenmarha. 388. Averroes. 116, 359, 362, 367, 368, 371, 372, 386, 388, 391. Avicenna. 360. Bacchon Rogerius. 221, 223, 225, 242. Badovere Iacobus. 18, 60. Bavariae Dux Ernestus. 184. Bessario (Card.). 377. Bon Niccolò. 58. Bonamicus. 381. Brahe Tyclio. Ili, 112, 119, 122, 125, 137, 162, 163, 164, 165, 166, 177, 196, 197, 219, 238, 296. Breatto Ioannes Baptista. 58, 319. Bruno. 270. Brunus Iordanus. 106, 118,119, 120, 123, 124, 162, 183, 352, 383. Brutius. 106, 120, 162. Buffalmacco. 270. Buonarroti. 815. Buttrigarius. 196. 882 INDICE DEI NOMI. Gaesar Iulius. 56, 119. Caesius Federici!8. 326, 366. Calandrino. 270. Calcagnino Celio. 290. Cano. 290. CaponiuB Àloysius. 313, 315. Cardanus. 138, 107, 199, 242. Castelli Benedetto. 447, 448, 611, 612, 624, 633, 634, 639, 641. Carrara Massimianns. 142. Clavius. 153, 293, 296, 297, 298. Cleombrotus. 187. Colombe (delle) Lodovico. 253, 266, 2GS, 277, 282, 284. Columbus. 109, 119, 163. Cornino Bartolommeo. 58, 319. Copernicus. 106, 120, 122, 198, 255, 269, 270, 272, 284, 289, 290, 322, 331, 332, 337, 339, 340, 342, 343, 344, 345, 347, 396. Cosimo II. — V. Medici. Cremoninus. 164. Cusanus (Card.). 106, 183. Dandolo Zuanne. 319. Dante. 263. Demisianus Ioannes. 315. Democritus. 106, 139,321,322,347,348, 349, 351, 353, 354. Diagoras. 352. Dielaitus Albertus. 200. Diogenes Laertius. 331. Diogenes Physicus. 322, 355, 857, 363, 377. Elisabetha. 352. Empedocles. 334. Epiteto. 255. Ercole. 253, 284. Esaia. 289. Euclide. 120, 224, 226, 227,239, 243, 244, 255, 294. Ezecchia. 290. Fracastorius Hieronymus. 329. Galenus. 361. Galilei Maria Ginevra. 876. Galileo. 53, 57, 58, 99, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 110, 111, 112, 114, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 124, 125, 126, 129, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 171, 175, 177, 181, 183, 184, 185, 187, 188, 189, 190, 193, 195, 196, 197, 199, 200, 203, 207, 208, 211, 212, 223, 230, 233, 234, 238, 241, 244, 285, 293, 296, 297, 298, 304, 305, 307, 311, 314, 321, 322, 323, 325, 326, 327, 328, 330, 332, 349, 866, 374, 377, 378, 379, 380, 382, 386, 388, 390, 393. Geniinus. 331. Gephyrandcr Thomas. 126. Geryon. 197. Gilbertus Gulielmus. 106. Gonzaga (Card.). 301, Heraclides Ponticus. 289, 321, 322, 331, 337, 347, 352. Ilcrodotus. 187. Hieronymus (S.). 374. Ilipparchus. 112, 164, 165, 362, 373. Homerus. 322. llorlcy Christophorus. 133. Horky Martinus. 129, 131, 134, 149, 153, 193, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 208, 245. Iacobus (D.). 439. Iamblicus. 377. Ioannes. 354, 374. Ioannes Baptista. 622. lobbe. 121, 289, 290. Iosue. 290. Iustinianus. 145. Keknasellus Thomas. 139. ] Keplerus Ioannes. 99, 102, 105, 112, 120 ? INDICE DEI NOMI. 883 136, 141, 155, 156, 157, 159, 160, 163, 164, 165, 167, 171, 177, 181, 183, 198, 199, 208, 217, 223, 235, 236, 242, 243, 326, 328, 329, 347, 349, 355, 363, 377, 385. Klappus. 139. Lagalla Iulius Cacsar. 311, 313, 317, 318. Laurentius. 457. Leo X. 238. Leopoldus (Archidux). 187. Lerrius Michael Angelus. 134. Leucippus. 106. Livellus Octavius. 178. Longug Bernardinus. 347. Lucianus. 161. Lucretius. 351. Maestlinus. 107, 112, 116, 117, 126, 156, 159, 161, 235. Maginus Ioannes Antonius. 153, 159, 195, 196, 197, 198, 199, 208. Malvasia. 330. Maometto. 279. Maraveglia Giovanni. 319. Marcello Lunardo. 58. Martialia. 330. Mauri Alomberto. 285. Maurocenus Donatila. 174. Maurolicus Franciacus. 159. Medicea Iulianus. 101. Mediceus Ioannes. 205. Medici (de’) Cosimo. 55, 57, 139, 188, 189, 190, 289, 293. Melissus. 106. Morgante. 267. Moyaea. 121, 214. Narrenhandler Thomas. 139. Nero. 187. Nestor. 197, 254. Niceta. 289. Nieriu8 Camillus. 319. Nifus Augustimia. 378, 379, 389. Noe. 214. Orphcus. 321, 322, 331, 347, 355, 373. Palatinua. 159. Papazonius. 195. Tapianus. 145. Parmenides. 121, 335, 356. Patroclus. 170. Paulus. 245. Paulus III. 332. Paulus V. 314. Porsiua Antonius. 366. Petrus (D.). 363. Pharao. 183. Philo. 356. l’hilolaus. 321, 322, 331, 347, 355, 388. Picus Mirandulanus Ioannes. 213. Pineda. 290. Pistorius Ioannes. Ili, 165. Plato. 106, 119, 120, 253, 314, 324, 354, 357, 358, 363, 366, 367, 370, 375, 376, 382, 392. Plinius. 362. Plotinus. 357, 370, 376, 377, 382, 392. Plutarchua. 107, 112, 113, 114, 115, 119, 156, 159, 160, 161, 321, 331, 355, 386. Porta Ioannes Baptista. 108, 109, 112, 135, 136, 158, 159, 221, 222, 223, 226, 227, 228, 238, 239, 240, 242, 243, 244, 329. Portius Sinio. 346. Proclus. 106, 377. Protagc >ras. 352. Ptolemaeus. 109, 136, 138, 162, 163, 164, 166, 197, 199, 214, 218, 235, 236, 238, 242, 255, 290, 336, 337, 345, 346, 358, 367, 375, 396. Pythagoras. 106, 107, 115, 120, 121, 150, 158, 286. Roffenus Ioannes Antonius. 142, 200, Rudolphus lì. 100, 107, 197, 080, IH. 114 884 INDICI* DEI NOMI. Santini Antonio. 198. SatleruB Wolfgangus. 120. Schultetus. 187. Scotus. 360, 361. Seghetus Thomas. 121, 180,187, 188. Seneca. 119. Simplicius. 331. Sitius Franciscus. 138, 203, 200, 211, 244. Sixtus. 330. Socrates. 163, 324, 375. Soplironiscus. 163. Stephanus (D.). 227. SuessanuB. — V. Nifus Àugustinus. Syrianus. 377. Tele8iu8 Bernardinus. 363. Tengnaglius. 187. Thales. 321, 331, 355, 357. Tlieodorus. 352. Theognides. 203. Thomas (S.). 255, 284, 346, 353, 354 364. Toledo (a) Petrus. 346. Tolomeo. — V. Ptolemaeus. | Trivisan Marco. 319. Ursimis Bcniaminus. 184, 185, 186, 187. Ursus Raimarus. 197. j Valaresso Antonio. 58. Venier Dolfin. 319. i Vespatius. 314. Vincentius Panonnitanus. 178. Virgilius. 385. Vitellio. 175, 223, 224, 226, 227, 239,241, 242, 243, 244, 246. 869. Wackher Ioannes Matthacus. 105, 100, 113, 114, 119, 122, 123, 101. Wodderbornius Ioannes. 149, 151. Wotton Ilenricus. 151, 175. Xenophancs. 357, 363. Xerxes. 187. ! Zabarella. 372. Zeno. 335. Zoroaster. 356. INDICE DEL VOLUME TERZO- Parti? Prima. Il Sidereus Nnncius e le scritture ad esso attinenti. Pag. 7 Abbozzo (lei Sidereus Nnncius . — Facsimile. 15 Sidereus Nnncius. 51 Ioannis Kepleri Dissertalo cum Nuncio Sidereo. 97 Martini Horky Brevissima Peregrinatio contra Nuncium Sidereum. . . . 127 Quatuor problematum contra Nuntium Sidereum Confutatio per loannoin Wòdderbornium.147 Ioannis Kepleri Narratio de Iovis Satei!itibus.179 Ioannis Antonii Roffeni Epistola Apologetica contra Peregrinationem Martini Ilorkii.191 Aiàvoia astronomica, optica, physica, auctore Francisco Sitio. — Con po¬ stille di Galileo.201 Di Lodovico delle Colombe Contro il moto della Terra. — Con postille di Galileo.251 Nuntius Sidereus Collegii Romani.291 De lunarium montium altitudine Problema mathomaticum.299 Iulii Caesaris La Galla De phaenomenis in orbe Lunae nunc iterum susci¬ tati. — Con postille di Galileo.309 Parte Seconda. I Pianeti Medicei.401 Osservazioni (7 gennaio 1610-29 maggio 1613). . . .*.425 Tavole dei moti medii (1611-1617).455 Giovilabii.475 Calcoli del 1611 : a) Comparazione diretta senza prostaferesi (17 marzo-15 giugno 1611). 489 b) Comparazione retrograda senza prostaferesi (10 marzo 1611-15 no¬ vembre 1610).«.. 505 886 INDICE DEL VOLUME TERZO. Prostaferesi (1612-1616). Pag. 519 Calcoli del 1612. Comparazione con la prostaferesi (17 marzo-16 lu¬ glio 1612).525 Calcoli dol 1613. Comparazioni retrospettive.543 Osservazioni e calcoli del 1613.557 » » 1614.609 » » 1616.637 > » 1616.643 Calcoli del 1616 o 1617.671 Osservazioni e calcoli del 1617.737 » » 1618.765 » » 1619.797 Frammenti di calcoli delle Mediceo.809 Observationes Jesuitarum (28 Nov. 1610-6 Apr. 1611).861 Theorica speculi concavi sphaerici.865 Ànalecta astronomica.871 Indice dei nomi.881 APPENDICE. AVVERTIMENTO. (,J In una serie di Scampoli Galileiani il Favaio, ritornando sopra una decisione già presa (2) , fra i suggerimenti per una nuova edizione delle opere di Galileo Galilei, richiama in notai 3 *: « Tra le aggiunte però che vorrei venissero fatte in tale occasiono, registro in prima linea alcune pagine della Joannis Kepleri DioptHce seu Demonstratio corion quae risili et visibilibus propter Conspicilla non ita pridem inventa uccidimi . Premissar epistolae tìalilaei de iis quae post editionem Nuncii Siderei ape Perspicilli nova et admiranda in coelo deprehensa sunt .... Àugustae Vindelicoruiu, typis Davidis Franci MDCXI; ed un'altra ancora, quella cioè delle pag. 57-59 del De plwenomenis in orbe lumie novi telescopii uso a D. tìallileo Gallileo mine iterimi smdtatis Physica disputatio a 1). Julio Caesare Lagàila in lìomano Gymnasio habita , Philosoplme in eodem Gymnasio Primario Professore. Nec non de luce } et lamine altera disputatio. Venetiis, MDCXII, apud Thomam Balionum, dove è contenuta una notevolissima contribuzione allo studio della pietra lucifera di Bologna, e della quale abbiamo tenuto, ma indirettamente, conto nell’avverti¬ mento alla lettera di Galileo al Principe Leopoldo De’ Medici in proposito del Capitolo L° del Litheospliorus di Fortunio Liceti (Cfr. Ed. Naz. Voi. Vili, pa¬ gina 469); questa aggiunta troverebbe il suo luogo a pag. 393 della parte I del voi. Ili, in continuazione cioè della riproduzione della Disputatio de plioenomenis in orbe lume ...., perciò che essa costituisce il Caput primura della De luce et lamine disputatio ». 0) I^ft Commistione preposta h questa ristampa essendosi accertata, che i ritocchi e le aggiunte, dipendenti da valutazioni più larghe, accrescevano di assai la mole del lavoro previsto per il Volnmo II e per questo Volume III, volle aggregare all'opera propria quella del Sig. Pietro Paglini, al quale si deve, oltre la revisione del tasto sui manoscritti galileiani, la redazione di questo Avvertimento e l’ordinamento di tutti gli scritti di Vincenzio Reniori. (2) Ed. Naz. Voi. XIX, Avvertimento a pag. 10. ( 3 ) Antonio F avaro • Serie venteeimcuieconda di scampoli galileiani. Padova, tip. Pandi, 1918, pag. 80. 890 AVVERTIMENTO. E perché accordarsi col suggerimento del Favaro equivaleva a corredare la ristampa di documenti utili per gli studiosi, abbiamo creduto dovere nostro ag¬ giungere i passi sopra indicati in questa Appendice alla lino di tutto il volume terzo. Come fu detto già, por un caso simile, nell’avvertimento al secondo volume, essi vengono in realtà ad essere fuori posto, ma poiché il collocamento naturale avrobbo alterato l’impaginazione, la quale ormai ha, per così diro, acquisito di¬ ritti di inamovibilità per i richiami degli studiosi sul testo primitivo della Edizione Nazionale, così adottammo la regola, elio manterremo per tutta l’opera, di riunire in lino di ogni volume lo aggiunte o modificazioni come supplemento, e di fare al loro luogo naturalo soltanto gli opportuni richiami o quelle piccole correzioni, che non alterano rimpaginazione. Lo studioso, costretto a risalire allo fonti por mezzo dolio citazioni, saprà comprendere perchè questo fino pratico abbia provalso sul criterio di ordine razionale. Dalla prefazione della Dioptrice abbiamo riportato solo la parte che tratta dolio meraviglio del canocchiale, togliendo però dall’originalo lo lettere di Galileo tanto nella forma italiana, che si può trovare nel carteggio all’ indicazione riferita, corno nella traduzione latina fattane dal Keplero stesso. Soltanto della lettera del- l’ìl Decornine 1610 abbiamo trascritto un periodo nella traduzione latina, a giu- stifìcaziono di una nota marginalo del Keplero riferontcsi ad esso* 1 ). I/accurata revisione degli autografi galileiani ci ha portato a rilevare la man¬ canza di un satellite nell’ ultima configurazione della pagina 36, riprodotta dal- r autografo del Sidereus Nuncius, ed al raddrizzamento del disegno della nebulosa del Presepe a pag. 79, riprodotta dalla prima edizione dell’Autore. E poiché giudicammo che, nel volume in cui tanto si parla del Perspicillum , non dovesse mancare un documento a ricordare Y uso di esso fatto da Galileo per la prima volta nell’indagine dei fenomeni celesti, fu riprodotto in tavola l’obiettivo esistente tuttora incastonato nella cornice d’avorio, fatta intagliare* 2 ) (*) Per il testo del J>ioptriee ri siamo serviti del- l’Edizione del 1610 tenendoci però «Ha puufoggiatura più corretta del Joannib K e plebi Opera Omnia. Frank- furti, MDCCCLIX. Voi. 11 da pag. 462 a pag. 467 e da pag. 525 a pag. 527. (') Nell’archivio della R. Galleria dogli Utìzi in Firenze si trova un Giornaletto della Galleria dal IMG al 1GS8 elio sulla prima pagina porta scritto « 1646 Questo libro servirà a tenere conto di tutte le cose che si caveranno della Galloria di S. A. S. Con ordine del Ulano Sig.ro Marchese Malnspina e dei Ser.tni Padroni *. A pag. 120 si legge « Addi 8 luglio 1077 se dato a m°. Vet- torio.... Intagliatore di avorio li App.* strumenti matema¬ tici i quali li devano servire per mostra per intagliare in un ornamento che lui fa per il vetro del ocbiale di Galileo. « Un Quadrante di ottone dorato entro la sua cu¬ stodia. « Un Astrolabio piccolo di ottone. « Una squadra zoppa di Ottone. « Uno strumento Angolare con la sua lila e con Ca¬ lmila per mettere all bastone, ili tutto posto a bottega *. A pag. 121 « Li strumenti di contro si sono ria¬ vuti questo di 4 febbraio 1077 • (stilo fiorentino). Nell’Archivio di Stato di Firenze nella Guardaroba Medicea alla Filza 842 anno 1077 Quaderno di Listre e Conti della Galleria di *$»• A. ili data 3 luglio 1077 log- gesi c A Vottorio C'roster Intag.ro L. 19.0.8 por suo liavoro di questa settimana per i lavori di intaglio che fa per S. A. S. ordinatili dal Baldi. A spese diverso L. 10 per dette a Giuseppe Bernini por valuta di libbre sei di avorio datoci in un pozzo a L. 2.13.4 o consegnato a Vettorio Croster por faro le Bocchette a un occ. l# del Galiloo p. S. A.S. in data 17 Luglio. A spose detto L. 16 per dette.... et opere ima per bavere segato in fetto un AVVERTIMENTO. 89 i dai Principi ammiratori o mecenati del Filosofo. Di questa lente possediamo il documento irrefutabile(*> che essa fu usata dal grande Maestro; ed avendo ripro¬ dotto nel volume II doli’Ed. Naz. il Compasso Geometrico e militare, ci è sembrato doveroso aggiungere in tavola fuori testo la riproduzione di questa preziosissima e storica reliquia t 2 ). Il ritrovamento dei manoscritti galileiani e renieriani per opera deli’Àlberi ( 3 ) y fece sì che si potesse colmare una lacuna, deplorata fino dai tempi del Riccioli con documenti di inestimabile valore por la storia dell’astronomia. Ma, se col- l’ Edizione Nazionale si pervenne ad un ordinamento delle osservazioni e dei calcoli di Galileo, contrariamente alle promesso fatte nel primo programmanon poterono pubblicarsi i lavori di Vincenzo Renieri, discepolo prescelto da Galileo a collaboratore e prosecutore dell’impresa veramente atlantica . Ma anello in quello che si riferisce esclusivamente ai documenti galileiani, nella Edizione Nazionale furono tralasciati molti calcoli, appunti, schizzi ecc. attinenti allo medicee, ed alcuni frammenti di natura astronomica, quasi tutti facenti parie di un codice che potrebbe chiamarsi quaderno di appunti. E poiché quanto riguarda l’astronomia, ed in particolare tutto quello che ha attinenza alla scoperta ed alle prime osservazioni dei quattro satelliti di Giove, forma un unico soggetto intimamente legato, così ci è sembrato necessario riunire in questo volume anche quei lavori del Renieri, i quali, rispettando l’ordine cro¬ nologico, avrebbero dovuto comparire molto dopo. Ma del resto questa deviazione dalla linea generale, imposta come programma alla Edizione Nazionale , ebbe già, in questo stesso volume, un precedente nella pubblicazione delle osservazioni e dei calcoli di Galileo, i quali occupano saltuariamente quell’intervallo di tempo elio va dal 7 Gennaio 1610, data della scoperta, al IO Decembre 1619, data del- pezzo di Avorio a Vittorio Crostar per un lavoro di S.A.S.... 2 Ottobre 1677. A Vettorio Crostar Intag.ro L. 10.6.8 per suo bavere di questa settimana per il lavoro di Avorio por nocchiuta del Galileo che fa per S. A.S./.... 16 ottobre (idem)/.... 23 ottobre (idem)/.... 30 ottobre (idem).... 6 novembre (idem)... 18 novembre (idem).... » (*) Nel H. Archivio di Stato di Firenze, alla filza n.° 826 del Guardaroba Mediceo portante il titolo In¬ ventario dei Mobili e Masserizie dell'Eredità del Ser.mo e Ilev.ino Signor Cardinale Popolilo De' Medici, anno 1675 a c. 54 r. leggesi « Un vetro obiettivo, che fu già del celebre Galileo Galilei destinato in dono al Ser.mo Grand. Ford. Secondo per mezzo del quale scoperse tutta lo Novità Celesti e fra le altre i quattro pianeti intorno al Corpo di Giove chiamati da esso i Pianeti Medicei, il quale obiettivo, vivente il medesimo Galileo accidentalmente si ruppe o cosi rimase agli credi da quali a persuasione del Sig, Vino. Viviani ultimo sco¬ laro del Galileo fu posto nelle mani del Ser.mo Cardi¬ nale Leopoldo, acciò S. A. si degnasse di farlo conser¬ vare, benché così rotto tra le più salde e preziose gioie della famosissima Galleria o tribuna della Rev.ma Casa *. (*) Fin qui YAvvertimento si riferisco allo aggiunte della prima parte di questo volume terzo; il seguito a quelle della seconda parta. In conseguenza di questa disposizione le aggiunte delle quali finora abbiamo te¬ nuto parola faranno seguito immediatamente a questo Avvertimento, e subito dopo vorranno quelle che riguar¬ dano la parta seconda. ( 3 ) Prefazione al Tomo V delta Opere di Galileo Galilei , 1846. (-*) Almageetum Novum.... T. I, p. 489, col. I. (5) Vedi in particolare FArcerftmemo a pag. 408 e seg. di questo volume. (ft) Per VEdizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei esposizione e disegno di Antonio Favako. Tip. G. Barbèra, Firenze 1388. III. 115 892 AVVERTIMENTO. T ultima osservazione, la cui discrepanza dal calcolo si compendia nella famosa esclamazione « maximae exorbitantiae » (< >. per questo non ci siamo fatti scrupolo di riunirò, dopo quelli del Maestro, i lavori assai posteriori del Discepolo, i quali si estendono dal 1639 all’ anno della sua morte avvenuta nel 1647. Da questo considerazioni veniva pertanto a definirsi il nostro compito con questo triplice scopo: 1° di collazionavo e correggere la parte già pubblicata; 2° di apportare quelle aggiunte venuto in luce dal nuovo spoglio dei manoscritti di Galileo; 3° di pub¬ blicare, è# novo i lavori del Renicri attinenti allo Mediceo ed ordinarli metodica¬ mente e cronologicamente. li così la ristampa della parte seconda del volume torzo, a prescindere dalle correzioni, che vennero fatto al loro luogo, con le aggiunto alle osservazioni di Galileo o con la nuova pubblicazione dei manoscritti del Renieri, potrà dirsi questa volta rappresentare veramente quella edizione elio dia in tutti i suoi aspetti il problema dei satelliti di Giove, come fu concepito o svolto dal maestro o dal discepolo, mettendo a disposizione degli studiosi un materiale degno di considerazione particolare por la storia della scienza, in questo assillante probloma dal Keplero dichiarato inestricabile, e che solo nel secolo nostro ha potuto tro¬ vare soluzione confacente. A portare a compimento i tre stadi successivi del nostro lavoro, i manoscritti galileiani esistenti nella Biblioteca Nazionale di Firenze sono stati gli unici docu¬ menti originali consultati, perchè non ci consta, almeno fino ad oggi, che esistano altri documenti inediti di particolare importanza, oltre i suddetti; del resto le ri¬ cerche pazienti ripetutamente eseguite lasciano ben poca speranza, che qualcosa di nuovo possa su questo argomento vedere la luce. Le correzioni, in numero non trascurabile, si riferiscono in parte ad una inter¬ pretazione più fedelo di qualche parola o segno dell’autografo, in parte a revisione di sviste tipografiche facilmente occorrenti in tali lavori. Le lacune, colmate ora con le aggiunte, se non menomavano il valore del- l’ Edizione , tuttavia potevano giustamente cadere sotto le rimostranze di una cri¬ tica più serrata, e sarebbe stato imperdonabile colpa il non approfittare dell’occa¬ siono per portare a conoscenza degli studiosi questi nuovi calcoli fatti da Galileo in vari tempi, cioè quei tentativi assillanti, che, portando a ritocchi continui delle tavole dei moti medi, dovevano, neU’intenzionc del Filosofo, culminare nell 'impresa veramente atlantica . A questi documenti, strettamente legati al problema dei satelliti, abbiamo aggiunto facsimili di disegni schematici, riflettenti altre questioni astro¬ nomiche, sia perchè indirettamente si connettono a quel problema, sia perchè si trovano intercalati e frammisti coi calcoli suddetti. (*) Vedi questo Volume a pag. 807. AVVERTIMENTO. 893 Quasi tutto questo materiato si trova nel manoscritto alla segnatura Mss. Gal. P. III. T. V. che consta di un quaderno di appunti disordinati, nella prima-edi¬ zione riprodotto solo parzialmente (l) . . . Dei calcoli, delle note e degli schizzi estratti sia da questo quaderno di ap¬ punti, sia dagli altri autografi, alla segnatura volta per volta indicata, oltre la trascrizione riassuntiva di quei frammenti sparsi, di un certo interesse, abbiamo riportato un numero rilevante di riproduzioni fotografiche, giudicando che il fac¬ simile fosse documento più umano e più sicuro di una trascrizione. Questa, oltre risultare necessariamente disposta in tutt’ altro ordine dell* originale, sarebbe stata inadatta a lumeggiare l’opera indefessa e paziente di Galileo. Questo riproduzioni, riunite dopo i frammenti, possono classificarsi nel seguente modo: appunti, calcoli e configurazioni di mediceo fatto in epoche diverse e con Tuso di tavole diverso; appunti e noto sopra elementi astronomici; disegni riflet¬ tenti orbite planetarie, moti apparenti dei pianeti, o posizioni di costellazioni rivelate per la prima volta al cannocchiale. Menzione particolare dovesi fare por i facsimili delle prime osservazioni dal 7 Gennaio al 2 Marzo 1610. Esse sono probabilmente una copia di quelle che Galileo mandò allo stampatore del Siderei** Nuncius ; ma i facsimili , qui riprodotti per la prima volta, sono di particolare importanza, non solo perchè più fedeli dei disegni schematici della stampa del Nuncitis , ma ancora perchè presentano varianti e sono più completi di quelli degli stessi manoscritti del Nuncius o delle Osservazioni 0). E, sempre per le stesse ragioni, abbiamo riprodotto una pagina staccata W di osservazioni dal 9 Marzo al 10 Aprile 1610, copia un po’ differente di quella già riportata <•). Nello stesso quaderno di appuntiesiste una tavola di aspetti di satelliti os¬ servati nel 1642 da ignoto dopo la morte eli Galileo. Riproducemmo anche questa perchè è del periodo dei lavori del Remeri, sebbene non risulti di sua mano, ed inoltro ha apparenza di accuratezza, e le osservazioni sono corredate dall’altitu¬ dine eli fisso utili a definire il tempo locale; per queste ragioni ci sembrò docu¬ mento ausiliario non trascurabile. Ma il lavoro che maggiormente ha richiesto pazienza o fatica è stata l’elabo¬ razione delle osservazioni elei Renieri, di scarso ausilio resultandoci l’incompleta esposizione che già no fece V Alberi (8 >. Le condizioni attuali degli autografi, mutilati e disordinati sono purtroppo testimonio delle vicende da essi subite dopo la 0) Dei tre codici che principalmente riuniscono i lavori di Galileo sulle medicee, questo degli appunti porta la segnatura P. ITT. T. V., quello dei calcoli, P. Iti. T. IV. o quello dolio tavole, P. UT. T. VI. ( 2 ) Mss. Gai P. III. T. V. c. 70 r., 71 r., 72 t. (3) Vedi questo volume da p&g. 3.5 a pag. 45. * (<) Vedi questo volume da pag. 427 a pag. 434. ( 5 ) Mss. Gal P. IH. T. III. c. 35 r. (**) Vedi questo volume a pag. 435 e 436. 0) Mss. Gai V. IH. T. V. c. 87 r. e 88 r. (®) Loc. cit. pag. 346-358. » (9) Mss. Gai P, ITT. T. VI. 1» o 2' vacchetta. 894 AVVERTIMENTO. prematura morte del loro autore <*>, che era invece accurato e scrupoloso, ma l’esame, anche superficiale di essi, ci porta ad ammettere che in origino, tolte alcune parti a carattere di appunti e studi provvisori, dovevano essere già ben ordinate, specie per quanto riguarda refemeridi delle carte 15-41 e 71-89 della 2 a vac¬ chetta, che, in parte almeno, si può ritenere fossero quelle o copia di ciucilo fra le prime elaborate che il Renieri volta per volta mandava al Granduca e al principe Leopoldo de 1 Medici Egli, come è noto, si preparava alla pubblicazione integra delle eferaeridi dei satelliti; la morte lo raggiunse e non potè vedere questo suo desiderio portato a compimento, o per ciò noi non possiamo neanche affermare, che questi calcoli incompleti, saltuari e per cosi dire non ripuliti, possano rappresentare la stesura definitiva dell’opera, di cui i soli testimoni pervenuti consistono in alcuni fram¬ menti autografi preparati per una prefazione latina, qui trascritta Ancor vivente, il Renieri pubblicò in due edizioni successive, una raccolta accurata, meritevole di ricordo, di tavole astronomiche dette Tavole Medicee ; gli altri suoi autografi inediti, assai importanti per i vari argomenti letterari e di ma¬ tematica pura ed applicata, esistenti nella Biblioteca Nazionale di Firenze,' si tro¬ vano fra quelli dei discepoli, eccetto i manoscritti riguardanti le stollo medicee, classificati invece con quelli del Maestro alla segnatura citata, ancor oggi suddivisi in due vacchette, che indicheremo sempre con 1* e 2* vacchetta, rispettivamente di carte 98 e 100. Alla carta 1* r. di entrambe trovasi l’indicazione « Opere di Galileo Galilei Parte 3* Tomo 6° Astronomia » ed alla carta 2* r. si legge « Quaderno a guisa di vacchetta, sul quale sono registrate diverse osservazioni per la costituzione delle Mediceo; scritte dal P. Renieri Monaco Olivetano discepolo di Galileo, professore nello studio di Pisa, il quale fu incaricato dal nostro Filosofo di terminare le tavole delle efc- meridi dello Medicee, che furono da esso compite, ma non pubblicate, perchè pre¬ venuto dalla morte l’anno 1847.... pag. 5 al fine ». « Le osservazioni contenute in questo fascio sembrano esser quelle ch’egli andava a mano a mano comunicando a Galileo, ad oggetto che fossero da esso verificate, o corrette, come si rileva da alcune lettere di detto Padre a Galileo ». Ora quest’ultima affermazione può essere vera solo in parte, perchè il discepolo cominciò ad osservare regolarmente nel 1639, quando ben poco poteva verificare e correggere il vegliardo, e nel 1642, anno della morte del Maestro, culminano per ( 4 ) Vedi Antonio Favaiio, Ornici e cor risjHm denti di Galileo Galilei. XII. Vincenzio Renieri (Atti del R. Isti¬ tuto Veneto di Se. lett. ed nr. Anno aec. 1904-1905. Tomo LXIV. Parte 2*). (*) Vedi lettere in Afa*. Gal. Discepoli (Renieri), Tomo V, Volume 3« Astronomia e Carteggio lettere a c. 219, 221, 223 le quali saranno pubblicate a suo tempo in appendice all’ultimo volume; o vedi anche Edizione Nazionale, Volume 19, loti. N. 8886 del 7 Giu¬ gno 1639, N. 3891 del 1* Luglio 1639, N. 8899 del 5 Agosto 1689, N. 3907 del 19 Agosto 1639, N. 8978 del 9 Marzo 1640. ( 3 ) M*e. Gal. Discepoli , T. V. c. 150 r. o t., 151 r. e t., 162 r. AVVERTIMENTO. 895 abbondanza di osservazioni e di calcoli i lavori del Renieri, mentre si vanno illan¬ guidendo negli anni successivi lino alla morte, avvenuta nel 1847. Per stradare il discepolo, Galileo, più che rivederne i lavori, potè inviargli il fascio delle sue stes.se osservazioni, e potè dargli consigli a noi non pervenuti, ma implicitamente confer¬ mati dalla corrispondenza (,) , che il discepolo tenne col maestro, manchevole delle risposte di Galileo a noi non pervenute. Questi consigli vertono sul metodo di mi¬ surare le distanze a mezzo del cannocchiale, sulle prostaferesi, e su altre questioni di minor conto. Che il Ranieri, per un tempo indeterminabile, abbia avuto tra le mani in tutto o in parte i quaderni di Galileo, oltre che dall’affermazione del Viviani lo si può testimoniare dal quaderno dei calcoli (Mss. Gal. P. Ili, T. IV), dove a c. 44 r., insieme con una osservazione del maestro si trovano epoche e moti medi di mano del Renieri, ed a c. 63 t. e 64 r. nel fascicolo che, per le dimensioni dei fogli e per la composiziono nella rilegatura, sembra essere lo stesso, trovansi alcuni segni o calcoli di mano del discepolo. Per la pubblicazione di questi documenti si potevano seguire diverse vie. Una era quella di riprodurre in facsimile ogni pagina colla trascrizione letterale, met¬ tendo così a disposizione degli studiosi tutto il materiale, senza eccezione, tal quale come si trova; ma ciò, oltre richiedere un accrescimento straordinario nella mole del terzo volume, con una sproporzione ingiustificabile fra i lavori del Maestro, e quelli del Discepolo, avrebbe soprattutto riempito pagine e pagine di efemeridi calcolate; queste, non essendo resultato di osservazioni dirette, ma solo previsioni di calcoli, non presentano oggi quel valore elio potevano presumere di avere allora, quando, nell’intenzione di Galileo, erano determinate allo scopo di prevedere con¬ figurazioni, o per il negozio dello longitudini o per coloro che s’invogliavano di osservare l’aspetto del mondo gioviale, che colla nuova scoperta attrasse l’attenzione di scienziati e curiosi. Un secondo criterio sarebbe stato quello di pubblicare ele¬ menti, osservazioni dirette o calcoli in quell’ordino cronologico che veniva succes¬ sivamente a svilupparsi dalle correzioni volta per volta apportate allo epoche, alle prostaferesi, all’uso delle vario tavole astronomiche, ed a tutti gli altri dati del problema; ma ciò oltre disporre la materia in ordine poco razionale, avrebbe incon¬ trato insormontabili difficoltà di compilazione perchè, nè la carta, nè l’inchiostro, nè la calligrafia, nè l’apposizione di date insindacabili, sarebbero sempre stati ele¬ menti sufficienti por un giudizio sicuro su questa elaborazione cronologica, perchè spesso nella stessa pagina si notano inchiostro e calligrafia differenti, dovute a sovrapposizioni e ritorni in tempi successivi ed incerti. Per queste difficoltà ci siamo tenuti ad un terzo criterio, che, pur avendo pre¬ sentato nella sua attuazione difficoltà non lievi e richiesto tempo e pazienza, ci è (0 Vodi Ed. Nat.) Volumi lo, 16, 17,18,10 paMÌm. (2) Vedi Ed. Nax. y Voi. 19, pag. 620. 896 AVVERTIMENTO. sembrato il solo attuabile con resultati pratici e con un aspetto cT insieme, da darci forse, nella sua disposizione più organica, una idea assai schematica di quello che avrebbe dovuto essere il lavoro compiuto dal Remeri, e poterlo confrontare con quello di Galileo e dei contemporanei e successori immediati che si occuparono in particolar modo dolio medicee (Mario, Odierna, Borelli, ecc.). E così abbiamo cre¬ duto di iniziare coll'esposizione di tutti quegli elementi a carattere generalo, che hanno servito di preparazione allo efemendi, vale a dire: riassunto dello osservazioni di Galileo, discussione di esse come prima base provvisoria per lo studio dei moti medi onde concretare lo correzioni dolio tavole; determinazione delle radici od epoche più accurate coll’esamo scrupoloso degli eclissi; ripetute correzioni di epoche, di prostaferesi, ecc. A tutto questo materiale, raccolto in prevalenza dalla 2* vac¬ chetta ed in parto dalla 1\ fa seguito Posposizione cronologica delle osservazioni dirette, con quei rispettivi resultati dei calcoli di controllo, i quali, per ciascuna di esso, furono eseguiti in vari tempi con nuovi elementi, man mano desunti dalle corre¬ zioni apportate. Questi resultati, trovandosi disseminati in vari quaderni, furono da noi riuniti giorno per giorno, come corollario di ogni singola osservazione, onde meglio apparisse il confronto dolio elaborazioni dell’autore, le quali sarebbe stato incomparabilmente più difficile seguire, se ci fossimo attenuti al secondo criterio. E così dal 1639 al 1647 si trovano disposte in ordino cronologico solo le osservazioni veramente seguite con tutti i rispettivi resultati dei calcoli a noi pervenuti, mentre la gran quantità di efemeridi, non corroborate da osservazioni esplicito, sono state tralasciate insieme colle operazioni sussidiarie, come estranee allo scopo del nostro lavoro. Fa parte a sè un prospetto riprodotto in facsimile e che porta osservazioni del 1633, anteriori a quelle regolari, e del quale non ci fu possibile trovare calcoli di controllo. Questo prospetto è contemporanco a quei giorni in cui il Renieri si trovava in Siena quando Galileo stesso vi fu di passaggio, fino al 7 Decerabre ritornando da Roma dopo il processo, in confino provvisorio presso rArcivescovo Ascanio Piccolomini. In un breve elenco separato dal resto abbiamo riunite pochissime annotazioni, disseminate nelle efemeridi, riferentesi a qualche fenomeno (ecclissi, congiunzione) degno di rilievo. Alla data corrispondente trovatisi anche quelle noto estranee all’argomento dei satelliti, ma che presentano un valore o scientifico o biografico. Così una osserva¬ zione su Marte, sullo schiacciamento eli Giove, un disegno sulle due fascie di esso, un disegno quotato in semidiametri di Saturno tricorporeo, ecc. ecc. ed alcuni richiami allo stato della salute malferma del Renieri. E poiché lo studio degli autografi ci ha rivelato, che le osservazioni originali, più volte ripetute di fianco alla rispettiva efemeride, identiche nella sostanza, ma leggermente differenti in qualche accessorio, palesavano forse un’ unica fonte primi¬ tiva a noi non pervenuta, non abbiamo creduto di ritrascrivere tutto l’elenco in- AVVERTIMENTO. 897 completo di quelle elio si trovano riassunto o riunito negli autografi, cioè quello dogli anni 1639, 1640, 1641, 1642 nella 2 a vacchetta a c. 51 1 \, 52 r., 53 1 \, o quello dell’almo 1644, a c. 84r.; ma invece abbiamo creduto più confacente allo scopo distribuire cronologicamente tutte le osservazioni, completando una trascrizione con l’altra, in quelle parti elio potevano differire, corredandola dei rispettivi calcoli di controllo, eseguiti in diverse riprese, dovuti, conio si è detto, a quegli emendamenti che il Renieri veniva man mano apportando, o indicando le distanze in semidia¬ metri di Giove dal centro del pianeta, con numeri immediatamente sottoposti ai rispettivi numeri dei moti. Solo quelle di Galileo, per le ragioni già esposte, lo abbiamo trascritte così come si trovano dall’elenco di mano del Renieri. In conseguenza di questa disposizione, abbiamo composto un indice dello sin¬ golo carte delle due vacchette, con un numero segnato in margine corrispondente al richiamo fatto volta per volta, evitando la complicazione tipografica della con¬ tinua ripetizione delle segnature del manoscritto. La trascrizione delle osservazioni, anche così rimaneggiata e combinata, con- serva tuttavia i suoi caratteri originari, perchè è sempre copia fedele degli auto¬ grafi. Le • abbreviazioni sono anche esse conservate, come si trovano, modificate solo quando ciò si rendeva necessario per la comprensione del testo. Per semplicità di composizione tipografica, seguendo il manoscritto, abbiamo trascurato gli apici elio indicano Tordino delle sessagene, sia di tempo che di moto, perchè facilmente sostituibili a memoria; solo in quei casi incili ci pareva facilitare l’interpretazione, abbiamo ricorso all’indicazione dello unità dei vari ordini. La successione dello carte da noi adottata non è dunque, nè quella in cui si tenne il Renieri negli svolgimenti successivi dei vari calcoli dello osservazioni e delle efemeridi, nè tanto meno quella da lui preparata per la pubblicazione a noi non pervenuta, perchè non possiamo neanche supporre quale fosse per essere il materiale di scarto e quello che doveva avere assetto definitivo, ma è quella che ci è sembrata migliore per mettere in confronto il lavoro del Maestro con quello del Discepolo, e per servire di base agli studiosi per le critiche ulteriori. Anche così ridotta e condensata la mole del lavoro può sembrare sproporzio¬ nata all’ indole dei documenti sussidiari, ma, oltreché una parte non trascurabile è proprio dovuta all’esame delle osservazioni di Galileo, occorre riflettere che poco o niente ci è pervenuto dei fondamenti astronomici usati dal Maestro per la de¬ terminazione dei calcoli; per questo non ci sembrava in alcun modo giustificabile un arido elenco, come quello pubblicato dalTAlbèri, dal quale niente si rileva sulla via tenuta dal Discepolo, che seguiva le tracce del Maestro. Por contrariò, mentre le tavole dei moti dei satelliti medi negli autografi gali¬ leiani, sebbene incomplete, si trovano numerose e compilate in vari tempi, e perciò atte a darci una idea assai chiara della cura che Galileo tenne nel risolverle, negli 898 AVVERTIMENTO. autografi ronieriani invoco questo tavolo mancano affatto. Ci è parso quindi acces¬ sorio utile, por la verifica dei calcoli, il presentare quello che forse furono usate, posteriormente dal Renieri, da noi ricalcolato in quella forma più soddisfa¬ cente ai resultati, tralasciando di ricompilare lo altro, meno usato e successivamente abbandonate, sebbene poco dovessero scostarsi da quello presentato. Soltanto per il satellite secondo, no abbiamo data un’altra, segnata bis, dovuta a correzioni poste¬ riori. Le quattro complete sono state compilate dai rispettivi moti diurni esplicita¬ mente espressi a c. 61 t., 63 r., 60 r., 59 r., della 2 J vacchetta, dedotti dall’esame delle osservazioni del Maestro. Da questo tavolo, o dalla bis del 2° satellite, resulta il Renieri essersi avvicinato più di Caldeo ai valori attribuiti oggi alla rivoluzione sinodica, l’unica allora presa in considerazione, come quella che, riproducendo lo medesime posizioni relative del solo, di Giove o dei satelliti, dà, cogli eclissi di questi, un elemento sicuro e più facile a determinarsi. Dall’esame comparativo, mentre apparirebbe ingiustificata l’affermazione dell’Al¬ bóri di attribuire al Renieri l’uso quasi esclusivo della tavola di Bellosguardo (1617), che differisce di quantità non trascurabili da (piede del Renieri, si può desumere la precisione alla quale Maestro e Discepolo erano pervenuti nel valore delle rivo¬ luzioni sinodiche dei quattro satelliti. Le riportiamo in comparazione con quelle del competitore Simone Maritisi 1 ) e con quelle odierne del Sampson (1910). Galileo Renieri Simone Marius Sampson d h in 8 d h ni 8 d h IO § d h m a • T. 1 18 28 36,699 1 18 28 35,544 1 18 28 30 1 18 28 35,946 • • T» 3 13 17 41,284 3 13 17 54,115 3 13 18 3 13 17 53,737 • • • T, 7 3 58 13,135 7 3 59 35,569 / 3 56 34 7 3 59 35,857 • • • • T* 16 17 58 41,109 16 18 5 3,072 10 18 9 15 16 18 5 6,919 I dati di Galileo surriferiti non si trovano espreasi esplicitamente, ma sono stati desunti dalla tavola di Bellosguardo, prendendo per base il moto medio di ciascun satedite durante 1000 giorni, perchè a questa perfeziono pervenne solo verso il 1617. Quelli del Renieri per il 1°, il 3° ed il 4° satedite sono stati dedotti dai moti diurni espressi nede carte surriferite, eccetto per il 2° che abbiamo ricalcolato da moti impliciti in efemeridi date posteriormente come resultati di revisione accurata del primitivo moto diurno. Per le distanze dei satelliti dal centro del pianeta, espresse in semidiametri del disco di Giove, convenzione adottata da Galileo e seguita ancor oggi, il Renieri non (•) Vedi tavola annessa a questo volume. (*) Mundus Iovialis anno MDCIX detector ope perspicuii belgici.... inventore et authore Simone Mario guntzenhuaano. Suraptibus et Typis Iohaimis Lauri. Norimbergae anno MPCXIV. AVVERTIMENTO. 899 si è molto discostato da quelli del Maestro. Diamo qui anche per questo distanze .una tabella comparativa: Galileo Renieri Marìus Odierna (< ) Cassini (! > Newton <3 > Sampson* 4 ) 5, n /w 5,5 6 7 5,67 5,965 5,91 8, 5 /e 8,9 10 11 9,00 9,494 9,40 14 14 16 18 14,38 15,141 14,99 26 26 26 29 25,30 26,630 26,36 Clio il Renieri a questo distanze attribuisse solo una importanza relativa alla determinazione dello configurazioni, lo si potrebbe forse arguire dall’accenno ad orbite eccentriche (non kepleriane) dalle quali, supponendo valori medi, e non istantanei variabili, poteva intuire forse una variazione nello longitudini dell* apogiove di ciascun satellite. 11 trovare lo osservazioni del Itenieri ripetuto in più luoghi, presumibilmente derivate da appunti originali primitivi con le configurazioni di rettilmente disegnato, ci ha persuasi a non riprodurre fotograficamente nessuna di queste ripetizioni, che, per mano dell’autore, dall’una all’altra trascrizione, subirono piccole varianti dovute alla copiatura, ma per semplicità eseguimmo disegni esatti ricavandoli da quelle configurazioni più nitide, in quella forma che giù nell’autografo è ridotta alla più semplice espressione, solo indispensàbile per la posizione reciproca dei satelliti, o sovrattutto preziosa per la latitudine clic, nè il referto, nè i calcoli d’allora erano in grado di individuare. Con chiamate distinte con numeri fra parentesi quadro [], questi disegni sono riuniti in una tavola allegata in fine allo osservazioni. A proposito della latitudine vera del satellite rispetto all’equatore gioviale, latitu¬ dine che da Galileo non fu presa nella giusta considerazione ( 6 ), dovremmo forse concludere, almeno da una osservazione (7) , veramente troppo laconica, che il Re- meri avesse saputo discernere questo nuovo elemento reale da quello apparente, dovuto ad una latitudine prospettica dovuta alla posizione del pianeta rispetto all’eclittica. Anche l’affermazione che tanto il Maestro, quanto il Discepolo debbano aver fatto • uso esclusivo del giovilabio, non ci sembra sostenibile. Già in Galileo fin dai primi calcoli troviamo configurazioni espresse da moduli e scrupoli (sessagesimali), come i numeri 43, 46, 26, 33, 47, 57.... corrispondenti a numeratori di frazioni sessagesi¬ mi Io. Bapt. Hodierna. Meuologia Iovis compen¬ ti nini 8eu ophemerides medicaeorum. Panornii, apud Cirillos MDCLVI. ( 2 ) M. Delamure. Astronomie 1814. Tomo III, pag. 481. ( 3 ) M. Delambrf.. Loc. cit. m. 0) Tablos of thè four grent Satellitcs of Iupitor. University of Durham Observatory, London 1910. (5) 1» Vacchetta, c. 481. (fi) Vedi il Saggiatore ; Ed. Naz. % Voi. VI, pag. 214 o seg. (7) 2* Vacehotta, c. 82 r. 11 <> noo AVVERTIMENTO. mali che si giustificherebbero, se mai, con giovilabio metallico di alta precisione fornito di alidada e nonio, ma non certo con uno di carta fornito di filo o crine per le letture delle frazioni di grado, come quello riprodotto a pag. 487. Questi giovilabi, costruiti da noi fino a diametri di 42 era., cioè molto più grandi di quello adoperato da Galileo, fanno comodo per una prima determinazione grossolana, e soltanto possono presumere di dare frazioni sessagesimali espresse da numeratori come 12, 24, 48, 30, 50.... Per questo, nonché, ritenere azzardata l’affermazione suddetta, arguiamo che tanto Galileo come il Renieri, anche per le distanze dello configurazioni, abbiano fatto uso frequente di tavole dei seni. Il giovilabio con Galileo ebbe subito Fufficio di un artificio semplice e rapido, ma grossolano, per determinare vari elementi dei moti dei satelliti. Così, por es., mentre quello riprodotto a pag. 477 segna soltanto lo distanze dei satelliti dal corpo di Giove, quelli a pag. 479, 481, 483 riportano manifestamente anche le rispettive durate delle rivoluzioni in giorni, segnato sulla circonferenza di ciascuna orbita. Il più usato di quelli a noi pervenuti fu certo il giovilabio in facsimile a pag. 479, il quale però non segna più i periodi, oramai fissati dalle tavole, mentre invece aggiungo l’artificio della prostaferesi, secondo lo schema di quella a pag. 521, e resulta di uso riserbato esclusivamente alla determinazione di questa e come guida per le configurazioni. Nollo sviluppo dei calcoli numerici esiste fra Maestro e Discepolo una differenza, se non sostanziale, certo di valore pratico non trascurabile e che 6 d’uopo rilevare per l’intelligenza delle operazioni stesse. Galileo come unità fondamentale di tempo adotta quella volgare del giorno completo (dies completa) di 24 oro, per le unità di or¬ dine inferiore i minuti ed i secondi sessagesimali o per le unità di ordino superiore i multipli di dieci in dieci ; per i gradi adopera pure la divisione sessagesimale con la circonferenza di 360 gradi, seguendo così le convenzioni cornimi. Il Renieri invece per il tempo ricorre al sistema completo sessagesimale, cosicché partendo dall’unità fondamentale (giorno) lo costituisce di 60 parti o successivamente ciascuna di questa di 60 che tutte chiama scrupoli; analogamente per i multipli o sessagcne del giorno: così l’espressione sexagcnae temporis 2" 44'33' 1 , 4'2" 30'", (2* vacchetta c. 621) di intercapedo temporis fra l’osservazione di Galileo del 1612, 4 maggio, hora 8,45 post meridie Gemute acquata, c quella del Renieri del 1639, 16 maggio, hora 10,22 post meridie aequata, significa: 2" X 60 X 60 = 7200 giorni 44'X 60 = 2640 » 33 d = 33 » in totale giorni 9873 l h 37 m 4' 2 " 30"' 4X24 60 2 X 24 X 3600 3600 30 X 86400 = Ih 36 m = 48» ) Ih 37“ 60X60X60 12 » AVVERTIMENTO. 901 mentre col calcolo ordinario anni 27 X 365 = . . . . 9855 giorni per gli anni bisestili . . 7 » dal 4 maggio al 1G maggio 12 giorni dalle 8,45 poni, del 4 maggio ) alle 10,22 » » 16 » S Ih 37111 totale giorni 98711 l h 37 U1 Per i gradi si adottavano comunemente i sottomultipli sessagesimali, ma per i multipli i Segni (Sigila, S, corrispondenti ai 12 segni dello zodiaco), ciascuno di 30°. Anche questa regola è seguita dal Renieri per la determinazione del luogo del Solo e dei pianeti, ma non per quello dei satelliti di Giove. Così per stabilire il moto medio del Sole Panno 1647, il 12 Aprilo alle ore 10.51.7 aeq., secondo le tavole Danicae , il procedimento era il seguente: Anno 1G00. 9 9 55 53 Anni 46 completi. 11 29 51 22 Fino al Marzo del 1647 comp. ... 2 28 42 30 12 giorni. 11 49 20 10 ore. 24 38 51 minuti. 2 6 Totale 0 20 45 9 cioò 20° 45' 9' non scrivendo nel totale i 24 segni, che, corrispondendo a due circonferenze intere, si indicano con uno zero. Per il calcolo dei moti dei satelliti invece dei segni il Renieri rende generalo Puso delle sessagene (sexagenae motus) limitate, nell’ordine immediatamente supe¬ riore ai gradi, a sole G sex' indicate con 0 (zero), perchè sei sessagene di grado corrispondono a 3G0°. Così alle sexagenae temporis sopra riportate corrispondono per la tavola ricalcolata del moto medio del •• le seguenti sexagenae motus: alle sex tem. 2" corrispondono . .... 5' 1 » 30' 40" sex. mot » » » 44' » .... 4 50 33 14 » » » » » 33 d » .... 1 42 37 55 » » » » » 4' » • • • • 6 45 10 » » » » » 2" » • • • • 3 23 » » » » » 30"' » • è » • 51 » » • in totale 5 41 31 13 che verifica esattamente il resultato del Renieri. In questo totale dai multipli sex' di moto si sono sottratte G sex, cioè 3G0 gradi ; in notazione comune si. leggerebbe 341° 31' 13". 902 AVVERTIMENTO. In ba*se a queste convenzioni lo tavolo usato dal Ranieri dovevano od un dipresso avere la disposizione di quelle da noi compilate. A ciascun satellite è assegnato un gruppo di colonne; ciascun gruppo, distinto coi segni •, ••, •>, contiene alla sua volta cinque colonne, che in testa j>ortuno le indicazioni sex , «ex', sex d , hcx # , box" cioè da sinistra a destra i multipli tsl i sottomultipli sessagesimali del giorno (1) = dies); il numero di ciascuna colonna Ietto nella linea corrisi>ondente alle unità di tempo, da 1 a M in margine alle tavolo, dà le *esaer mezzo deU’oaBervazione degli «sdissi, calcolando con la maggiore scrupolosità il passaggio nel mezzo del cono d'ombra con metodo da lui per la prima volta indicato. Ma, prescindendo dalla complicazione dei moti tiri satolliti, allora inestricabile, vi era anche un’altra difficoltà estrinseca a questo problema, sebbene dovuta alle stesse cause, e questa risiedeva nelle tavole astronomiche di quei tempi, le quali, nè per il calcolo dei moti, nè per la determinazione delle epoche, nè per quella dello prostaferosi, non potevano garantir»» tutta ((nella precisione necessaria alla determinazione del luogo di un pianeta. Aggiungi i metodi e gli strumenti di osservazione, per la determinazione dell’Istante «li tempo tisico locale, aneli*essi ini- l*( Vedi Amtrtimmto a paf. 418. (*) Vedi pgf. 789. (») Ut. (hi. P. ni. T. IV 8- Vacchetta, c. 48 r. M r. AVVERTIMENTO. 903 perfetti, e potremo concludere, che non si poteva etagere di più di quello elio maestro e discepolo avevano ricavato dalTastronomia di quei tempi. Per stabilire il tempo locale il Kenieri apporto un reale miglioramento, oolToa- eervaziono di una data stella, determinandone la posizione istantanea dall'altezza sull’orizzonte, e cosi ogni osservazione di medicea è appoggiata da una o più di queste determinazioni fatte con strumenti allora non forniti di telescopio o perciò non suscettibili di grande esattezza ,h . Però anche in questa misura la scarsa cono¬ scenza allora posseduta della posiziono delle fisse, indicate con coordinata molto variabili da un autore ad un altro, portava come conseguenza un errore non tra- scurabilo. Le tavole astronomiche più usate da Galileo sembra siano state quelle del Magini; ma il Kenieri, come si ricava anche dallo sue Tavole , di cui già abbiamo fatto menzione l<) , si valse di quelle alluni più in uso, e cioè delle Alfonsino, dello Co¬ pernicane, delle Plutoniche (del Keinbold), delle Redolirne (del Keplero), delle Danesi (del Umgomontano) e delle Lansbergiane (del Iandsberg). Così il calcolo del luogo del 0 e di •>( a. c. 10 r. della 2* è manifestamente compilato sulle Itonica* (danesi) al meridiano di Praniburg, che si riteneva corrispondere a quello di Bologna ed an¬ che di Roma; a c. 40 L della 2* troviamo per delle prostaferesi Y espressione juxta Kcplrrvm ; alle c. 44 r. 45 r. sempre nella 2* vacchetta le prostaferesi sono juxta Copernicum y nell’intenzione di calcolare anche juxtu Alpliamina s, e lhnin w, in¬ tenzione che non fu portata in esecuzione; a c. 57 r. della 2* afferma invece, che la prostaferesi del centro di dove essere secondo le lansbergiane; a c. 74 r. della 2' le epoche sono secondo le Alfonsina. Tutti questi tentativi, che alterano il luogo del Q c di 0|, le mal conosciute longitudini dei luoghi terrestri, che non permettevano di usare in località qualunque con sufficiente esattezza le tavole calcolate per un altro osservatorio, costituivano biute fonti di errori non trascurabili, che venivano ad aggiungersi come deviazioni al resultato tinaie, strettamente dipendente dalle epoche e dalle equazioni. Quello che fecero Maestro e Discepolo era il massime che si poteva esigere dall 9 atlantica impresa, ed il pessimismo del Keplero aveva fondamento sopratutto nella natura delle perturbazioni dei moti dei satelliti. Per distinguere i vari satelliti fra loro Galileo nelle osservazioni e nelle confi¬ gurazioni usa dapprima stelline, senza o con puntini in numero dipendente dal satellite, in seguito i soli puntini e nei calcoli distingue le corrispondenti colonne (*) Vedi 1*11*0 ilei quadrante magno nell'ossecra* rione 17 novembre 1644, 2 4 vacchetta, c. S4 r. 1*) VnrCKHTfl KtvtUU, Tabula* motuum ooeleetium uni tarmiti*. Sereni*** mi Magni Duci* Ktruriae Ferdi¬ nand* Il auepiciie primo editar et Medicene nuncupatae. Xunc vero nudar, reeognitae, atque illustrisi, exccllentù- eimique principi* 1 ). Bernardini Femandee de Velateo, etc. jussu oc eumptibue renna*. Florentiae, typis Amato¬ ri* Massa* Forolivieu. M. D. C. XLYIL (3) Vedi AererfiWnfo a pag. 405. 904 AVVERTIMENTO. con •, - , .*•, v. Solo di passaggio 0> specificò i quattro satelliti coi nomi Luurentius il 1°, Carola» il 2°, F ranci scus il 3°, Cosmus il 4°. 11 Remeri general¬ mente si valso degli stessi segni convenzionali; solo più tardi no adoprò altri, che, per evitare complicazioni tipografiche, non riportiamo, e in seguito dette i nomi di Giunone e Nettuno al 1° ecl al 2°. Ma i nomi che ancor oggi talvolta si assegnano ai primi quattro satelliti (Io, Callisto, Europa , Ganimede) sono del competitore . Simone Marius. Poiché l’artificio usato da Galileo per misurare direttamente le distanze dei satelliti, a partire dal 31 gennaio 1612, non ci è pervenuto nella descrizione fattone da lui stesso, crediamo sia istruttivo riportare il brano del BorelliW che ci dà indicazioni in questo proposito; « Qua catione Mexliceonmi di¬ gressione# a disco, vel corporis Jovis mensa rari possint Cap. IV .... Percipit liane difficultatem magnus ille Galilaeus, quam ut vitoret exeogitavit pulchorrimum artificiura (Fig. I), dignum sane saga- citate, et ingenio tanti viri, at suis temporibus, quando telescopia ad eam perféctionem non pervenerant, ad quam bisce tempori¬ bus redacta sunt, nullam fere utilitatem ex suo invento consegni potuib... His suppositis conspiciatur iam dextro oculo A lovis stella 1 telescopio C D, postea aperto oculo sinistro B, dirigatur axis visualis B E ut intersecot reliquum axim A E per telescopiiun traductum in puncto E, atque per puntum E extendatur reticuluin, vel rastellum aliquod F G per¬ pendicolare ad communem axim oculorum E M, patet ex dictis, in plano F G termi¬ nati visionem, et ideo omnia obiecto, quae duobus oculis conspiciuntur, visu iudice collocantur in dicto plano FG; et quia dexter oculus A videt stellam telescopio auctam in E, atque sinister oculus B reticuluin, aut rastellum F G conspicit, existimabit discum Jovis auctum occupare interstitium reticuli, aut rastelli, et ideo mensurari poterit diameter disci iovialis E respective ad amplitiulinem reticuli, seu rastelli FG; quapropter si integrimi intervallimi FG subdivisum fuerit in vigiliti aequalia apatia, sivo interstitia, apparebit diameter Jovis telescopio aucta vigesima parte reti- culi: postea quia telescopio nedum discus Jovis E, sed Medicei H, 0, L, N, una cuin suis distantiis a disco inviali E eadem proportione augentur, et rapresentontur in plano F G, ubi visus terminatili- et auxilio alterius oculi mensurari possunt di¬ stali tiae eorundem Mediceorum in eodem rastello a limbo vel centro Jovis, et ulte- rius situs, et inclinationes eoruindeni Mediceorum praecise reperivi et delineari possunt.... ». A questo metodo, che ricorda quello altrove suggerito da Galileo e che in sostanza riproduce V artificio talvolta anc’oggi usato per apprezzare gl’ingran- (1) Vedi giovilabio riprodotto in facsimile a pag. (3) Io. Al. Borblu. Theoricae Mediceorum Mane- Ili. tarum. Florentiao MDCLXVI, pag. 141 e seg. ( 2 ) Vedi Avvertimento a pag. 416 e l’osservazione (4) Vedi Sidereu* Nunctut. Ed. Nax. Voi. 8, P. 1% del 81 gennaio 1612 a pag. 446. pag. 61 e 62. Flg. I AVVERTIMENTO. 905 dimenti lineari dei canocchiali, sembra si accompagnasse anche l'altro metodo di stimare indirettamente le distanze mediante le oscillazioni di un pendolino tenuto a inano, numerate fra i due punti di riferimento che, nell’ interno del cannocchiale, tenuto fisso, si spostano per effetto del moto diurno (l >. Non crediamo ilei tutto superfluo definire la prostaferesi come la intendevano Galileo ed il Kenieri. In senso generale per prostafereai si intendeva r equazione, addittiva o Sottrat¬ ti*. 2 tiva, ossia Parco dell’eclittica da aggiungersi o da sottrarsi al moto o luogo medio per ottenere il vero apparente, o viceversa, ossia la differenza fra il moto regolare e T irregolare. Nell y ecmUrepirido (Fig. 2), ossia nel sistema costituito da un cerchio FIKVLF di centro 1) eccentrico al centro del mondo in M (Terra) e da un cerchio U G' N, epiciclo col centro 1 sull'eccentrico, che prende il nome di deferente, chiamavasi anomalia media dell eccentrico il moto medio HI' misurato sull’ugnante (cerchio l l ) A proposito degli artifizi escogitati da Galileo pag. 458 e s*%, pag. 464*466, e questo Voi. a pag. 645, per la misura delle distanza, redi anche Ed. Nat. Voi. 8, 646. 906 AVVERTIMENTO. HKOLII di centro E a distanza DE - M I)) e computato dall'apogeo dell’eccen¬ trico 11 in conseguenza (cioè secondo i segni dello zodiaco B Q C P B) fino al luogo medio T dato dalla linea del moto medio E P. Sullo zodiaco questa anomalia è misurata dall’arco BZ determinato dalla linea del moto medio nello zodiaco MZ parallela a ET. Questa anomalia media si misurava coll’angolo II ET oppure col- l’angolo B M Z. Chiamava» anomalia vera dell’arce**/ri™ il moto vero o apparente del centro dell’epiciclo, computato sempre dall’apogeo dell’eccentrico in conseguenza e misu¬ rato dall’arco dello zodiaco BT (BMT); così la prostaferesi del mitro o equa¬ zione del centro nello zodiaco, o equazione dell’anomalia dell eccentrico, è la dif¬ ferenza fra le due anomalie quella inedia e la vera, sottrati iva nei due tirimi qua¬ dranti, addittiva negli altri due. È misurata dall’arco dello zodiaco TS od anche dall’angolo MÌE = HÉT - BMT. Riguardo al moto del pianeta dell'epiciclo si considerava: Vanomalia media deir orbe G N o di commutazione, o argomento medio, ossia il moto medio del pianeta intorno al centro dell'epiciclo, computato in conseguenza dall’apogeo medio G' dell’epiciclo, cioè l’arco di epiciclo fra l’apogeo medio ed il centro N del corpo del pianeta; l ’anomalia rem dell'orbe o argomento vero o coequato, cioè il moto vero del pianeta intorno al centro nell’epiciclo computato in conseguenza dall’apogeo vero dell’epiciclo, misurato dall’arco U G'N di epiciclo fra l’apogeo vero G ed il centro N del corpo del pianeta; così la prosta foresi dell'orbe , (arco TX o T M X) o equa¬ zione di argomento è l’equazione che eguaglia in ultimo il moto medio del pia¬ neta N in longitudine per conoscere il suo luogo vero X nello zodiaco, cioè la differenza fra il vero luogo T del centro dell’epiciclo 1 e il vero luogo X del pia¬ neta N nello zodiaco. Quando il centro dell 1 epiciclo è all’apogeo o al perigeo del¬ l’eccentrico e il centro del pianeta all’apogeo o al perigeo dell’epiciclo, non esiste nè prostaferesi di centro, nè prostaferesi di orbe. Quando il centro dell’epiciclo è fuori dall’apogeo o perigeo dell’eccentrico, ed il pianeta fuori dell’apogeo o perigeo vero dell’epiciclo, occorrono entrambe lo prostaferesi; (piando il centro dell’epiciclo è all’apogeo o al perigeo dell’eccentrico, ma il pianeta è in altro luogo, occorre solo la prostaferesi dell’orbe. Per chiarire questo argomento basterà richiamare ancora gli elementi principali dell eccentrico semplice (Fig. 3). Nell’eccentrico semplice si considerano: D Luogo vero del pianeta (Sole) che si trova in B nell’eccentrico veduto dalla Terra, C = Luogo medio del pianeta veduto dal centro dell’ eccentrico, T r — Centro del Mondo (Terra), E = Centro dell’eccentrico HB, A D P G = Zodiaco concentrico alla Terra, arco B H = B È H = anomalia media, AVVERTIMENTO. 907 arco DA DTA = anomalia vera, TBE sa BEH - BTA = Prostaferesi = anomalia media — anomalia vera. IjH prostaferesi o equazione ò sot- trattiva nel primo semicircolo A D 1\ iwldittiva nel secondo P G A. È facile trovare la corrispondenza quando si passa al sistema eliocentrico, come supponeva Galileo, accettando la pri¬ ma approssimazione assai grossolana di moti circolari concentrici al Sole. La prostaferesi in sostanza si riduce all’angolo (parallasse) sotto il quale è veduta dal centro del pianeta la retta che unisce il centro del Sole al centro della Terra, allora (Fig. 4) posto in K il centro del mondo (Solo), in T la Terra col suo orbe annuo, in B il luo¬ go del pianeta computato dal punto ***• 8 di Ariete P, in A sarà il luogo del Solo nello zodiaco ed avremo così le indica¬ zioni già date ed in particolare: prostaferesi T B E = B E A — B T A =- anomalia media - anomalia vera. Il luogo del pianeta B (longitudine dall'Ariete) e quello del Sole A (longi¬ tudine dall'Ariete) davano per differenza l'angolo di elongazione geocentrica del pianeta BTE, ossia PTB — A TP = = BÌ'E. Per Blì T, detto angolo di commutazione, si ha la seguente rela¬ zione, che lega la commutazione all'e¬ longazione ed alla prostaferesi, cioè BTE = 180 — (BET EBT) ossia, elongazione = 180 — (commutazio¬ ne 4- prostaferesi) e su questa indica¬ zione Galileo produce lo tavole alle pa¬ gine 521 (facsimile), 522, servendosi forse delle efemeridi del Magmi. Sul tardi egli aggiunse Y artificio di calco¬ lare gli eccessi della prostaferesi per la distanza minima (4,97) di Giove, così, avendo calcolata la prostaferesi solamente per questa, cogli eccessi veniva a determinarla quando Giove si trovava alla massima Plf. 4 in. 117 908 AVVFRTIMKNTO. distanza (5,48) rd alle intermedie mediante prupomooc. Ma anche quarte correzioni ((««. 523) mmù grufolane, non «embra lo «odiidacrwiero, r del rerto kIi elementi astronomici, allora fomiti dalle diverse tavole, non lanciavano sperare da raggiun¬ gere la predaiom» voluta. Per il latto che i raggi de* «lue cerchi con molta approa- «imazione lianno il rapporto di 5 a 1, un arco di Hi* (angolo BhT,) letto sul cerchio minore in T| corrisponde, su] lembo del i-ercha» maggiore, ad un arco l D (angolo I» K (’) misurato da 4*, 5 che (ialileo ritenne 5*. e quindi dà la prurtafrrmi (angolo KBT,) uguale i J*:#', Poiché K T, T = H K T, f T, B K = 10, + 2*. StT =* 12* *f, e T, K T s 180» - - 2. K T, T, abbiamo T, K T = 18U 25* e quindi B K T = T, K T + BtiT, = = 180* — 25* + 10 = 165% che Galileo ritiene lt>4* e ni questa base calcola la ta bellina situata in alto a ànàtr» a pag* 5*21 per tutti i suonanti valori di IO 0 in UT tirila commutazione. Ma (tallirò uaò anche un artificio grafico. IMenomalo il luogo del Soie (arco PA) e quello ilei pianeta (PÀ B) (ìU|i|m»Ui P il punto di ariete) veniva a drter- minare l’angolo BTK od il suo supplemento BTA tirilo di oommuUzioae (per non complicare la figura supporremo mere lo «imo B K T pumaione Munta per le definizioni), Descritti due cerchi concentrici (fedi figura lise* Vili i cui raggi erano nel rapporto delle medie distanze della Terra • di («iute dal Sole, e trac¬ ciato un diametro, quello verticale, alT estremità di questo H, nel cerchio maggiore, collocava un filo o crine di cavallo e facendolo pasmre per I* estenuo dell'arco di commutazione, T o T, del cerchietto minore, cominciato a cumputare ilall* estremo superiore del suo diametro, veniva a leggere la proataferem in C, eoi lembo infe¬ riore del cerchio maggiore; tenendo presente die le letture M^ageùiuali di questo cerchio dovevano dividenti |»er metà, perche l’angolo al centro è doppio di quello alla periferia. L’uso di questo artifizio ù rivelato dal ginnlahto esibente nei manoscritti e riportato in facsimile a pag. 486 e 4tf7 di questo volume. Infatti fdtrs il trovane nel centro di esso un residuo di filu, che mastra I* uso fattone per le ik*tanie dei sa¬ telliti, si trovano ancora alla periferia, nel punto 360, sul dietro, dei dwebettini di carta più grossa, che rivelano le tracce del nn forzo per un altro filo inatto per In prostaferrai : inoltre, concentrica alle orbite dei «atrlliLi, Mate sul facsimile la trac¬ cia di un cerchiettino, di raggio uguale circa ad un quinto del raggio ilei cerdiio massimo, rivelata sul lato sinistro da una serie di puntini, da 0 a 18 (da 0* a 180*), che servono a leggere l’angolo di commutazione. Oltre a ciò Mutano sull’originale delle tracce di cerchi, segnate a punto a secco appena visibili, non riprodotte nel fac¬ simile, e che rivelano tentativi di apprezzamenti più precisi; tali cerrhi concentrici al primo stanno ad indicare il raggio dell’orbe annuo per le distanze maxime (5,48) e minili]»» (4.97} di Giove dal Sole. Galileo preferiva in aoetanxa far variare l’orbita terrestre di riferimento, in luogo di quella di Giove e eoai tenere finso 1 estremo stipe- AVVFRTJMF.NTO. riore del filo « Ih* dorerà passare \m le rispettive divisioni elei corchi. Quanto artifizio avrebl* dovuto in corto modo sostituire quegli eccessi di prostaferesi dati dallo tavolo a pag. VJ.I. Ma si capi**, eh»* queata stima con grafico non poteva essere suscettibili* della precisione richiesta; «1 infatti nei calcoli posteriori troviamo delle piostafen* i espressi» in minuti w^sagerimali, con cifre che mal si giustificherebbero con la misura grafica, mentre invece sono compatibili con la precisione delle tavole date dagli autori del tempo. IMto questo è chiaro che Galileo, computando i moti modi dei satelliti dal¬ l'auge (apogeo) vero, ris|M‘tto alla Terra, e volendo invece computare i moti rispetto al Sole, doveva pacare da indizioni geocentriche a eliocentriche. Perciò, (piando come nella figura, la Intra trovava*! in T, il luogo apparente del Sole in A, od il pianeta in B più avanzato in longitudine, quando cioè BKT^ 180°, la configu¬ razione eliocentrica «lei satelliti, trovandosi sulla prospettiva Bs perpendicolare a B K. veniva ad essere veduta da T nella posizione Bti, ossia con moto minore dell*angolo * rispetto a Bs, minore cioè di un angolo ugnalo a quello della pro- staferexi TBK; se al contrario hi Terra è in T, ed il luogo apparente del Sole in A, la stessa configurazione eliocentrica Bs veniva ad apparire nella prospettiva Bt fJ ossia con un moto anticipato £ uguale alla prostaferesi. In conclusione la prostaferesi è additava nel primo semicircolo della commutazione, cioè quando V elongazione eliocentrica ilei Sole da Giove è minore di 180", e sottrattiva nel secondo quando è maggiore; viceversa |wr i passaggi inversi. 11 Renieri fa uso implicito dell’ eccentrepiciclo, col ricliiamo alle diverse tavole astronomiche del tempo sopra notate, e quindi considera la prostaferesi del centro e dell’orla* gi& definite. Ma quando si tratta di determinare l'apogeo medio di un satellite nel corso dell* ombra «lei pianeta, invece dell* eccentrepiciclo fa per Giove uso paleso di un eccentrico semplice con cln» elimina la complicazione di avere anche l’epiciclo «lei pianeta oltre quello «lei satelliti. Diamo qui un esempio del modo tenuto da Galileo per la determinazione del moto medio di ciascun satellite nella sua orbita, e poi daremo quello seguito dal Renieri. Fissati il giorno e l’ora per il meridiano del luogo (dia s* completa cioè compu¬ tato da mezzogiorno a mezzogiorno): 1°) notava il tempo trascorso dalla radice; 2°) dalle tavole computava il moto medio corrispondente aggiungendo al caso i valori della radice; 8°) calcolava il luogo del 0 e di 9}, e determinava col giovilabio l’angolo di prostaferesi da assegnarsi; lo aggiungeva o lo toglieva dal moto medio a seconda che la prostaferesi era addittiva o sottrattiva; (*) Vodi ciò che è riportato dalla seconda racchetta a c. 58 t. e 62 r. 910 AVVUtTlMKNTO. 4°) dalla somma totale dei gradi detraeva i circoli interi (multipli di 360"), il residuo era Parco dell’orbita del satellite compreso fra la radice (auge vero od apparente) e l’istante considerato; 5 # ) (>er mezzo del giovilabio o di una tavola dei seni nduceva l'arco sud¬ detto a distanze in moduli dal centro di Giove, |»er formare la «xmtigura/inne. Così avendo stabilito (,) la radice del 1617 e volendo determinare il moto dei satelliti al 21 Novembre 1618 h. ?» a. m. (t) , calcola 690 giorni e 5 h. dal l* gen¬ naio 1617 ed a questi «là i rispettivi moti: • • • ♦ • • A • 1 600 d. dalla tavola a pag. 473 . 90 • f 5 h. a 18 297. 40 264.60 296. 13 307. 7 116.39 201.27 134.20 42.23 21. 5 10. 18 4.29 radice 340.34 296.20 183.26 138. 64 Prostaferesi additava 11.16 [ 11.16 11. IH 11.16 709.38 742.00 671.27 685.12 Circolo da sottrarsi 360. 360. 360. 360. Moto del satellite nell'orbita 349.38 22 . 311.27 225.12 Leggendo questi gradi sul giorilabio a pag. 487 (graduazione periferica esterna), e posando su di essi il filo che si trova al centro (nel facsimile manca), l’incontro del filo col cerchio corrispondente al satellite dà la lettura delle distanze compu¬ tata dal centro fra le rette verticali, e eoa) approssimativamente verrebbe la confi- gurazione, con 0) fra • e :, : • •*• v 3.20$ 1.2 10.36 17.45 Il procedimento del Renieri differisce solo |>er quegli artifizi «li calcolo già detti, e per la costituzione dell'epoca che ogni anno (Mine al primo di Gennaio. Inoltre perfeziona i metodi per la determinazione di queste radici, (ter la ricerca delle pro- staferesi del centro e dell’orbe di Giove, apportando continua correzione ai resultati, cosicché é difficile ritrovare l’accordo fra i vari resultati «li uno stesso calcolo elabo¬ rato in tempi diversi, (lerrhè le correzioni Mino accumulate nel resultato e non pos¬ sono separarsi quelle fatte sopra un element«* «la quelle fatte «opra un altro. Il Renieri raramente riporta l’andamento del calcolo, quindi la ricostruzione di tutti gli elementi presenta molte incertezze; in particolare difficilmente possiamo saliere l'epoca pre¬ ci Pag. 789. (*> Pag. 788. AVVERTIMENTO. 911 cina adoprata perchè questa, come si può rilevare dai manoscritti, ò relemento il più spesso emendato, anche dopo che venne stabilito all'inizio deiranno corrente. In data 27 marzo 1640 alle ore 16.34 p. ni. in Firenze si avevano sessagono di tempo 1.26.41.50 a partire dall'epoca stabilita il 1 ° Gennaio, corrispondenti ai seguenti moti (l) : j per r dalle tavole dei moti per \ j>er 26 d le seguenti sessagene ) p er 4 j • [ per 50" Per l'epoca 1639 romp. Per la prostaferesi del centro add. Per la prostaferesi dell’orbe sottr. 1. * Osservazione-Moto del satellite nella sua orbita 2. * Osservazione-Moto dopo 20 " 3. * Osservazione-Moto dopo 13" cioè gradi sessagesimali • •• • • • • • • 5.24.23 5. 17.29 3.29.17 5. 8.34 1. 53.85 3.18.41 2.18. 59 1. 9.13 14.41 2.50 1.24 18 3. 47. 55 3.19. 1 4. 54. 31 5. 13 5.13 5.13 3.47. 54 5.45. 55 0. 2.41 10. 36 10-36 10. 36 3. 37.18 5. 35.19 5.52. 5 1. 7 34 7 3. 38. 25 5.35. 53 5. 52.12 44 21 4 3.39. 9 5. 36. 14 5. 52. 16 219° 9’ 216° 14' 352°16 Dal giovilabio o meglio dalla tavola dei seni per le tre osservazioni abbiamo le distanze indicate: • 9 • • • • 1* 3.31 3.39 • 3. 24 Oriente 2» Ol 3.37 3.34 3.20 Occidente 3» Oi 3.41 3.32 3.19 tutti i satelliti occidentali da Q). Il ripetersi degli emendamenti, illudendosi di raggiungere la perfezione, e poi trovarsi davanti la necessità di nuove correzioni, oltre dall'incompleta conoscenza del fenomeno e degli elementi, subordinato alle teorie moderne della meccanica celeste, proveniva anche dal gran numero di tavole di efemeridi compilate da vari autori con basi numeriche differenti. Le teorie planetarie erano incomplete, la virtù motrice del sole escogitata per (*) Vm. OxxL r. III. T. V. 2- Vacchetta, c. 87 r. 912 AVVFRTIMKNTO. la prima volta (lai Keplero portava a perturbazioni, che allora rendevano il pro¬ blema inestricabile. Galileo sterno, nonché rifiutare l’ipotesi di una virtù motrice, non volle accettare nemmeno quella delle orbite kepleriane ellittiche, e, come il Coper¬ nico, si tonno ai moti circolari uniformi e quindi agli eccentrici ed agli epicicli. Nonostante queste gravi mende, lo quali oon equilibrato criterio storico si ren¬ dono pienamente giustificabili, Galileo e il Renieri ci laudarono un lavoro, che era (pianto di più perfetto iiotevasi allora esigere, ed il discepolo precorre certamente i successori immediati. Oltre a ciò noi crediamo, che negli eclissi osservati dal Padre Renieri, con tutta quella accuratezza allora compatibile, si imtmnno trovare elementi preziosi, per la loro antichità, nella serie di questi fenomeni atti al controllo delle tavole dei moti secondo lo vedute moderne, e questo vantaggio pratico aggiunge, a quelle già dette, una nuova giustificazione |x*r la completa pubblicazione delle o|»ere del discepolo. DALLA “DIOPTRICE„ DEL KEPLERO 1 " ( l ) Vedi Avvertimento in questo a pag. B89. Ioannis Kepleri. S. M C. M Mathematica Dioptrice seu Domonstratio eonim quae vìbuì et vimbilibus propter (onspicilla non ila pridem intenta accidunh PraeminHae Epistola© Guidaci ile iis, quae poet editionem Nuncii siderei ope Per- spicilli nova et admiranda in ooelo deprehensa sunt, Item Examen praefationi* Ioannis Pena© Galli in Optica Euclidis, de usu Optices in philosophia. Augusta© Vindelicorum, typis Davidin Franai. Cum privilegio Caesareo ad annon XV. MDCXI. Prt'erendissimo H Sarti istituti Principi (ir /). /). Ernesto Archiepiscopo Colo- niknsi, S. Romani Infierii Septemviro Electorì et per Italiani Arohicancellarìo Episcopo Leodiensi, Àdministratori Monastor. Hildeshem. et Frisingensi, Principi in StabeL Corniti Palat Rheni, sup. et infer. Bavariae, Westphaliae, Aug. eoe. Duci, March. Franci moni Domino meo clementissimo. Io anni Kkplrr in I Hotpt riren Prarfactio , de usu et praestantia perspicilli nuprr inventi detjur no vis coelestibus per id detectis. . None tempus, ut promisais fidem praostem dooeamque hac optices piote, quam Dioptrimi appellamua, eiusque subiecto perspicillis noe de rerum natura longe admirabilissima brevi tempori* spurio didicisse; adeo quidem, ut puerilia videri possint quaecumque hactenus Optices beneficio detecta ex Pena produximus, Versatili* in raanibus omnium, Siderrus Oalilaei nuncius et mea qualiscuuque cum hoc nuncio Dissertai^ tum etiam Narratiuncula, Nuncii siderii confinnatoria. Lector itaque breviter perpendat capita illius Nuncii, quae et quanta perspicilli illius beneficio, cuius rationes hoc libello demonstro, fuerint detecta. Testabatur in. 1X8 918 APPENDICE. visus, esso aliquod in conio corpus lucidum, quod Lunam dicima», demostratum fuit ex rationibus optici», id corpus e**e rotunduni, astronomia e tiara ratiocina- tionibua nonnullis super optica fundamonta collocati» extruxernt oiua altitudine™ a Terra sexaginta circiter semidiametroruni Terrae. Apparobant in ilio oorpore variae maculae; et socuta est obscura opinio pauooram philuaophorum, ilbita ab Hecataeo in fabulas de Hyperbomirum insula, monti uni et valli uni, humorìs et continentium alternata conapici siniubu-ra. At nunc j>«r»picilluiu omnia lia»n- adoo ob ocidos colloc&t, ut piane Umiditili esse ojiortmt, qui tali fruens as|iectu, etiamntun dubitanduni exisUmet Nihil est oertius, quam jiarte* Luna* 1 meridionale» plurimis iisque immensi» scatere monUbus, parte» vero neptcntriimalm, depreesiores quippe, lacubua amplissimis defluenteiu a meridie humorem excipere. Qua* 1 prius Pena produxerat opticos beneficio patefacta dominata, illa a tenuibu» visus adminiculis originem tralientia i>or lunga» ratiocinatione» inter so nexas demoiistraliantur, rie ut raUoni ixitius humanae, quam oculis transcrib«>renUir : at hic jam oculi ipsi nova voluti janua ooeU patefacta in oonspectum rerum alwtrusarum adducuntur. Quod si cui iam super novi» bisce observaUonibus lubeat eUam raUonis vini excu- tere: quis non videt, quam longe contemplatio natura* 1 sua polimeria prolatura sit; dmn quaerimus, cui bono in Luna sint monti uni valliumque tractus, marinili amplissima spatia; et an non ignobilior aliqua creatura quam homo statui possit, quae tractus ilio» inhubitet. Noe minu8 deciditur bine et illa quaestio, quae pene cum ipsa philoeophia nata, exercetur hodie a nobilissiinis ingenua, posritno Terra moveri (quod Uieorira doc- trina planotanim valde deriderat) sine gravium ruina aut sino turbaUone motus elementorum. Nani si Terra a centro mundi exulet, meUiunt nominili ne aquae globo Torrae deserto in mundi centrum refluant Atqui videmus et in Luna inesse vim humoris, depressa» eius globi lacuna» obsidentem: qui globus quanivis in ipso aethere circumducatur, extra centra non mundi tantum »ed et Terrae nostrae, non tamen quicquam impoditur copia aquarum Lunari um, quo minus a*l centrum sui corporis tendens Lunao globo constans adkaereat Itaque optica reformat vel hoc Lunaria globi exemplo doctrinam graviimi et lerium, confirmatque hic introductionem meam in Commentaria Marti» mutuimi. Habent Samia* 1 philosophiae cultore» (liceat eniin hoc cognomino uti, ad indi¬ cando» eius inventore» Pythagoram et Aristarcluun Sanno») etiatu centra apparente ni oculis iminobilitateni Terrae paratura in Luna praesidium. Doccmur quipiie in opticis, si quis nostrum in Luna esset, ei ninnino Lumini domicilium suina penitus immo- bilem, lorram vero nostrani Solemqne et caetera omnia mobilia visual iri: sic onim sunt comparatae visus catione». Commemoravit antea Pena, quomodo astronomi opticis usi principiis magno ratiocinationum molimine viam lacteam ex elementari mundo, quorsum eam eollo- carat Aristotele», in supremum aethera sustulerint. At nunc perspicilli recen» inventi 919 DAI,LA -DIOPTRICEn beneficio ìj>hì aatronomorum oculi recta adducuntur ad pervidendam viae lacteae substantiam ; ut quicunque hoc spectaculo fruitur, ia fateri cogatur, nihil esso aliud viam lacteam, niai congeriem minutissimarum stellarum. Quid esset nebulosa stella, penitus ignoratimi hactenus: perspicillum vero in talem aliquam nebulosaia convolutionem (ut Ptolomaous appellat) directum, ostendit rursuni ut in via lactca duaa, tres vel quatuor darissima» stella» in ardissimo spatio collocata». Qui» vero credidisaet, fixarum nuinenim esse decuplo aut forte vigocuplo maioreni eo, (pii est in IHolemaica fixaruni deacriptione, si absquo hoc instrumento fuissetV Et unde quaeso argumentum petanius de fine seu termino liuius mundi aspectabilis, quod in Hit ipsa spliaera lìxarum, nisi ab hac ipsa fixarum moltitudine perspicillo detecta, qua© est veluti quaedam concanieratio mundi mobilia. Quantum etiam astronomu» erret in determinanda fixanim magnitudine, nini perapicilli usu stella» de novo lustret: videro est itidem apud (ialilacum: et infra etiam Germani cuiusdam literas in testimonium produceraus. Sed omnem admirationem superat illud caput nuncii siderii, ubi perapicilli pel-fedissimi beneficio alter nobis velut roundua Iovialis detectus narratili*: etmens pliilosoplii non sino stupore considerat, esso ingentem aliquem globum, qui mole corporis quatuordecim globo» Terrestre» adaequat (nisi lue Gaiiblei perspicillum nobis limatili» aliquid Braheanis commensurationibus brevi proferet) circa queni quatuor Luna© nostrae buie Luna© non absimiles circumcurrant; tardissima spatio dierum quatuordecim nostratium, ut Galilaeu» prodidit; proxima ab illa sed maxime omnium eonspieua spatio dierum octo, ut Ego superiori Aprili et Maio deprehendi, reliqua© duae multo adhuc breviori tempori» curriculo: ubi ratio ex nieis de Marte Commentariis ad causani similem aceersita suadet statuere, etiam ipsura Iovis globum convolvi rapidissime et procul dubio celerius quam in unius diei nostratis spatio: ut liane globi maximi convolutionem circa smini axem quatuor illarum Lunarum perenne» circuitus in plagam eandem consequantur. Atque ibis quidem locis Sol lue noster, communi» et huius Terrestri», et illius Iovialis mundi focus, queni nos tricenum plurimum minutorum esse censemus, vix sena aut septena minuta implet; interimque duodecim nostratium annoruni spatio Zodia- cuni emensus apud easdem rursum fixas deprehembtur. Itaque quae in ilio Iovis globo degunt creatura©, cium illa quatuor Lunarum brevissima per fixas curricula con- templantur, dum quotidie orientes occidentesque et ipsas et Solem aspiciunt, Iovem lapidem iurarent (nuper cnim ex illLs regionibus roversus adsum), suuin illuni Iovis globum quiescere uno loco immobilem, tìxas vero et Solem, quae corpora revera quiescunt, non minus quam illas sua» quatuor Lunas multiplici motuum variotate circa suuin illud domicilium converti. Ex quo exemplo multo iam magLs, quam prius exemplo Lunae, cbscet Samiae philosophiae cultor, quid absurditatem dogmatis de motu Telluri» obiicienti visusque nostri testimonium alleganti responderi possit 920 APPENDICE. 0 multimi**, ri q*ori* mrptro prrcitxta* ptrtpirillam ! am. qui U iLttru tmM, ili, non Rat, non Domina» oomttUaaiar operam Dmt Vere tu: . gmxl nupr» caput net, magno* rum iimUbu» orbe*, -ubocw ingrato. • Si quia, paulo aequior Copernico ri Samiae phdoooptuae luranubua, bio solutu haeret, dubitali» qui Ben pumi, ut, Terra medium planetarum iter per campo* aetherio» tornite, Luna illi Uni i-on»tant*r «eiut individuila conte» adhaereat inte¬ ri iuque et globum ip»um Telluri» cirrurnvolitet, in morrai rida* cuaicuke, quae viatorem dominimi vani» ambagibu» nunc antri-limitando iiurte ad latore magando cingit : i» Iomn aapiciat, qui monOrentr hoc prmputllo itoti unum Udrai comi lem, uti Terra Copernico, aed oranino quatuor ai-uni certe traini unqiuuu ipaum deae¬ rante» interuuque luam ungule»» circulatioiiom urgente». Sed de bia iati* dictum in Dimertatione rum Nunc io Sidereo. Traipu» rat, ut ad illa me renani, qua» puet editum N linci um Siderruni poatque Dt^erUUotK iu rum ilio nteam pompici 111 huiu» uni paté (urta aunt Annua lam vertitur, ex quo tlaklaeo» Pragain perarnput, ae doti quid in caelo prector priora deprebendisae. Kt ne Mieterei, qui obtrrcUUoni» audio pnorem se spoetatomi! renditaret, »patium dedit propalami!, quae quiaque nota vidimet; ipae interini auum inrentum literia Inutapoaitw in bunc modum dencnpU». SmaùmrimlmrpoiiaUam ibmama gttamira» Kx biace Uteri» ego vermini confeci armibarfaartiiu, quem Narretiuivulae mete iaaerui, mense SepCembri superiori» anni: Saire umbiatineum graùnatum Marti» prole». Sed longisuime a sóntcntia literaruui aberrati, nihd dia ile Marte conùnchaL Kt ne te lector detincam, en detectionem gryphi ipmu» (ìaldaei autbona terbi»-- W Haec (iablaeua. At ego ni babeani arbitnum, non ex Saturno m!i< ••minili, ex sodi» globuli» servulo» illi fecero, aed potai» ex tribù- ibis luncti» tncorporem (ieryonem, ex Galilaeo Herculom. ex pompi, dio clatam. qua (ialtlaeua armalii» illuni altissimum pianeta rum et ncit et ex (Minti iuu« naturar adyti» extractuui inque Terra» detractum no-,tram ommuiu oculi» expoauit Imliet i-qutdeni nido detecto contemplando quaerere, quale» in dio arimilae, quali» ri tu, ai qua vita, inter bino» et bino» globo» aeee mutuo pone contingente* ; ubi non : * Tre8 cucii spati uni pateat itoli ampliti» ulna» *, aed rix latuui unguem in (•) qui «fu. I» Man <4. 04liU>. HtM> . di tirante ti 18 nor«akr* 1810* « MoaOfaot Umla no da' Modici, Aaiburinu** in Pn«*. Muri cht rtinuumno inutile «ni riporterà tm mn dna tmm * fm 414 *4 V d. «■•» In* 0 4 wta Union* So¬ la tmdmiaM Utili» Il la rladieaauao tu- DALLA " DIOPTRICE 921 circulum untlique dehlscat, An vere aatrologi Saturno tutelimi raetall&riorura tran- scribunt, qui, tal panini instar sul) terna decere aasueti, liberimi raro liauriunt aerem sub dio. Ktai paulo tolerabiliore» bic tenebrai», quia Sol, qui tantus ibis apparet quantii nobili in Ferra Venu.% radio* per discrimina globorum perpetuo traiicit, adeo ut qui in globulo alte rum insistunt, a reliqin> velut a laqueari tecti, illi ab huius sui tecti eminentii» in lucem Solis oxporrectia, velati a quibu.sdam titionibus desuper illuniinentur. Sed adducenda frena menti liberis aetheris campia potitae; si quid furtarsi» posteriore* observationes diverHum ab illa priore narratione et immutatum tempore renuncient. Videbatur sibi Galilaeus io tino opistulae tinelli imposuisse narrationibus de pianeti* novisque circa oos observationibua, At semper pei'spicax oculas ilio factitius, perspicilluiu dico, brevi plura detexit: de quibus lego sequenteni Galilaei epi- stobun.... t 1 ) Hactenua Gallinella. Quod si to lcctor lineo epistola desiderio implevit cognoscendi scntentiaia literia illis comprehensam: ago et sequentem Gabbici legas epistolam. Prius tainen velini obiter aiiimadvertaa, quid Galilaeus dicat constitutionem mundi Pytbagoricani et ( opernicunuin. Digitimi enim intendit in raeum Mysterium Cosmographicum ante annua 14 edituni, in quo orbium planetariorum dimensiones ex astronomia Copernici desumpsi, qui Solem inme ilio st&bileiu, Terram et circa Solem et circa suum axeiu facit mobilem: illorum vero orbium intervalla ostendi rispondere quinque figuri* regularibua Eythagoricis, jam oliiu ab hoc auctore inter elementa mundi distributis pulchro magia quam felici aut legitimo conatu: et qua- rura tìgurarum causa Euclidea totani suam geometriaia scripsit. itaquo, in ilio Mysterio reperire est corubinationem quandam aatrononiiae et geonietriae Euclideao et per hanc utriusque consummationem et perfectionem absolu- tismnmni. Quac causa fui-, cur magno cum desiderio expectarem, quale nani Galilaeus argumentuin es*ot allaturus prò line mundi consti turione Pythagorica. Sequitur igitur de hoc argumento Guidaci epistola.... • .... Ex bue mirabili obeervatione suppetit nobia certissima et sensu ipso » percoptibilia deiuonstratio duarum maximarum quaestionum, quae ad liunc usque • diem a maximis ingeniis agitabantur in partem utramque. Una est, quod planetae * umile* natura sua tenebrosa sunt corpora (ut do Mercurio iam eadem concipiamus, 0) Qui segue U Intere che U&lUeo ecritse «di Firenze li 11 di decembre 1610» a Monsignor Giuliano de* Medici, arataviatore in Praga, lettere che sti¬ mammo inutile qui riportare trovandoti esaa a pag. 482 del Volume decimo di qiu«U Edizione Nazionale. Il Ke¬ plero trascrisse e tradii*»*? questa lettera fino al rigo • liaec immatura a me iam frustra loguntur o. y. ». 1*1 qui segue la lettere che Galileo scrisse « di Firenze li primo di Gennaio 1610 ah incarnatione • a Monsignor Giuliano do’ Medici, Ambasciatore in Praga, lettera che stimammo inutile qui riportare trovandosi essa a pag. 11 del Volume XI di questa Edizione Na¬ zionale. Il Keplero trascrisse e tradusse questa lettera, e della traduzione noi qui trascriviamo soltanto quel periodo al quale si riferisce una nota marginale nel Dioptrice. 922 APPENDICE. • quno do Venere), altera quoti elimina noe argot necessita», ut dicamua, Vonorem • (insuperaque otiam Mercurium) [In margine: Àrgumentum nuthoris do situ Vencris et Morcurii orbium circa Solimi, quali» est in oonetitutione Mundi Coiiernicana et Pythagorica simplicitor accipio, noe quicquam addo : nini quoti Penne gratulor, qui idem supra alia irabecilliori argumento probaverat] circa aolem circumferri, ut et « reliqui orane» planotao: roe eredita quidom Pythagoricia, Copernico et Keplero, • nunquam voro sensu comprobata, ut nunc in Venere et Mercurio •. Hactenus Galilaeus. Quid mme, amie© lector, ex perspicillo nostro faciemus? num Morcurii caduoemn, qua freti liquidimi tr&nemus aethora et cum Luciano culoniam deducamua in desertum Heaperura, amoenitate regioni» illoctiV An magi» sagittam Cupidinia, qua per oculos illapsa mens intima vulnero accepto in Veneri» aniorem oxardeseat? Nani quid ego non dieam de admirabili liuius globi pulohritadine, si proprio lumino carens solo Soli» mutuatitio lumino in tantum splendorom datur, quantum non liabet lupiter, non Luna acquali secum Soli» vicinitato gaudens; cuius lumen si ad Veneris lumen comparotur, niaius quidom ob apparentem oorporis magnitudinem at inora, mortuum et voluti plunibeum videbitur. () vere auroam Venorem; quisquam no dubitabit amplili», totuni Venoris globum ex puro puto auro politissime fabre- factum: cuiua in Solo posita superficie» adeo vegetimi revibrat splendoremV Accedant nunc mea experimenta de alterabili Veneris lumino mi nictum oculi, quae in Astronomiae parte optica recensiti : ratio niliil aliud colligere poterit nisi hoc, Veneris stellam rapidissima giratione circa suum axem convolvi, differente» suae superficiei partes et luminLs Solaris minus magiaquo recoptivaa alias post alias oxplicantcm. Lubet vero otiam astrologorum cum voluptate mirari solortiam, qui a tot inni seculis exploratum habebant, amores et fastus amasiarum, moresque et ingenift amantium ab hac Veneris stella gubomari. Scilicet Venus cornuta non sit, quao tot comutos quotidie efticit, quoties ad exoptatos amplexus seso demittens subito ex oculis et libero conspectu amanti» sub fastuosos Soli» radio» velut mi alterimi virum recurrit, frustrata amantium desidoria? Mirum equidem (‘rat, Venorem non ipsam etiam ut Lunam xixxéoOat: cum amores Venerei sola et unica pariendi causa sint Ecce igitur ut formosissima stellarmi!, perfecto circulo sui aspoctus, voluti quodam foetu maturo deposito, sese demittat ad inumi epicycli sui adque viciniam Tellurio, inani» et in cornu attenuata, voluti novae proli» concipiendae causa; et postquam Soli copulata fuerit, ipsa Soli voluti viro suo inferiori loco soso subiiciens, ut fert mos et natura focminarimi, oxinde paulatim ex altero latore sese rursum tollat in altum, et magia atque magia veluti impraegnata intumescat; donec decimo menso a conceptione (tantum enim plano interest inter binas coniunctiones Q et 9)> plenum uterum, plenum inquam aspoctus sui circulum in summitatem epicycli, DALLA “DIOPTRICE,, 923 supraque Solerli adducati, eique rursum eoniunctu, voluti genuino patri foetuni siium doniun roforat. Sed satin ratiocinationuin moarum. Audiamus nimc Epilogi loco etiam Galilaei ratiocinationem ex omnibus qua© attulit porspicilli experimentis extructam. Sic ilio donuo.... (l) .... Haec scientifica sunt in Galilaei literis, caetera milto. Vides igitur, lector studioso, quomodo Galilaei, praestantissinii mehercule pliilosophi sollertissima mens perspicillo hoc nostro, voluti scalis quibusdam usa, ipsa ultima et altissima Mundi aspectabilis moenia conscondat, omnia Corani lustret indeque ad nostra liaec tagli¬ nola, ad glolms inquam planetario» argutissimo ratiocinio despiciat, cxtinia intimis, suinnia imis solido iudicio comparans. Quia vero nunquam desunt in philosopliia nationum intor so studia aut obtrecta- tiones: multique per Germaniam Germanorum lue testimonia requisituri sunt: age illis do rebus iisdem etiam Germani cuiusdam epistolani exliiboo: ex qua simul ot illud patebit, non male factum a Galilaeo, quod rerum suarum satagcns inventa sua maturo, por gryphos tamon, Pragam nobiscum communicaverit. Sic igitur Marius ad communem nostrum Àmicum : * Interim aliud tento opus, • in quo primum immobilitatom Terrae ussero omissis omnino personalibus (a > : sod • argumonta solimi oxaminantur centra rationes Copornicanas, quas nostro tempore • Keplorus cum Galilaeo Patavino Mathematico approbat et serio sic so habero • statilit Argumonta meao assortionis ex sacris assumo adstipulante etiam • physica et astronomia. Deinde refutabitur opimo eorum, qui corpora coelestia « adoo monstrosae molis asso putarunt, et nova verisimilior dimonsio quantitatis a • ino tradotur: qua in re ino plurimum juvit instrumentum Helgicum, perspicillum • vulgo vocatum. Tertio domonstrabo, Venerein non secus illuminari a Solo eamque • corniculatam, 5ixóio|xov, ctc. reddi, prout a fine anni superiori» usque in Aprilem « praesontis a me ope perspicui Belgici multoties ot diligentissime obsorvata ot • visa est, quando Venus proxima Terrae erat, cum occidentalis, timi orientalis. « Quarto agam do novis planetis Iovialibus, qui circa Iovem fonintur ut planetae • reliqui circa Solom, inacquali tamen interstitio et periodo. Duorum extremorum « periodos iam indagavi tabulasque construxi, ut inde omni tempore facillime scili ( 4 ) Qui soglio Ift lettera che Galileo scrisse «ili Firenze, li 26 Marzo 1611 * a Monsignor Giuliano do’ Modici, Ambasciatori) in Fraga, lettera elio sti¬ mammo inutile qui riportare, trovandosi essa a pag. 61 dol Volume XI di questa Edizione Nazionale; e nem¬ meno riportiamo la traduzione latina che il Keplero foco fino al rigo « o si fruisce l’illuminazione, che dal sole deriva, e si parte ». (a) Liboravit Keplerum meta, qui valdo scilicet, bonori suo metuebat, si Marius motui Terrae interces- sissot cum sui nomini» mentione. ( b) Primum victoriae omen ante pugnam, quoti Marius imporitia hominum scctao hnius amplitudinem intra duos restringit, quae iam pono publica est: nisi flos onuiis doctomm hominum intra Academiarum sepia sit conclusus. (c) Obsistito theologi, rem importinentom aggro- ditur; auctoritatein Scripturae abusom it (cO Cernaniur agendo. (c) Quo ipso tempore Galilaeus Florentia Pragam scripsit de matre amorali», et haec Mario sic ordine apparitura iam tunc praedixit 924 APPENDICE. « posnit, quot minuti» diKtent a love ad dextmm amwtnunve. FUeoque duo capita • ultima sunt piane inaudita onini aevo. Forean alia etiam, interim dura laboro, * occurrent •. Hucusque Mari uh. Habes igitur, amiee lector, confirmatain perspicilli fidem in obeerv&tione novorum coelestium, unius insuper Germani testimonio. Quid im|>ediat igitur me pracstan- tÌ88Ìmo instrumento p&negyricuni hoc libello pungere geoinetricurn, teque, lector, liononR causa praesenti animo et non vulgari mentis attontione, dum eum ego rei-ito, interesse V Qua opera et ingemma acues et causarum percepirne evadfls in philo- sopliia doctior, ad mechanicam et rerum utilium atipie iucundarum inventionem instructior, denique a mille modis, quibus vulgus in arroran solet induci, cautior atipie tutior. Vale et hoc. praeludium acqui bonique constile. PHOENOMENIS IN ORBE LVN^E NOVI TELESCOPII VSV A D. GALL1LEO GALULEO NVNC I TER V M SVSCITATIS Phyfica difputatio, A D IVLIO CAESARE LA GALLA Jf;; Romano Gymnafio baùita,PhilofbphU in eodem Gymnafio Primario Profefiorc .. NECNON DE LVCE, ET L V M IN E Altera difputatio. SPTEXlOI^rM VE^MISSy, ET P l LEC10. V E N E T II S. M D C X I I Apud Thomam Balionum. Mas. Gal.. P. III. T. Vili, cnr. 57. DE LUCE, ET LEMINE DISPUTATO. PROPONITUR QUAESTIO, ET OCCASIO QUAESTIONIS. CAPUT PRIMUM. Cum ali quando adirne interposita noeta IUustrissimus Federìcus Caesius Marchio Monti» Coolii Rei litterariae in Urbe Patroni», ac D. loannes Remisciamis vir omni disciplinarum genere instructus, et Àttica, atquc Romana facundia praeclarus, cuius solerti ingonio novum Telescopii nomen perspicillo aptissimc inditiun debe- mus, necnon Do. loannes Clenientius rerum nataralium solertissimi» indagator, ac Plinianae gloria© nostra aetate aemulus, Eccellentissimum T). Gallilaeum conve- nissomus visendi grafia Venerom perspicillo falcatala speciem praeseferentem, nec non circa Saturnum obambulantes alios Ermes: nubibus observationem syderum nobis eripientibus, interim variis de rebus, ut inter doctos solet, habebatur sermo. Incedit autom mentio de lumino, ad quam, cum ego ingemuissem prorsus Immani ingenii tenui tate m, ac iunctam temutati temeritatem, quippe quae omnia pervostigare audeat non modo remotissima a nostri» sensibus, verumetiara ipsis protinus inaccessa, ut purissima» illas, ac perboatas mentes, et primum rerum omnium principium per- fectissinium summum bonum ; cum tamon in re clarissima tantum nobis coniunct& atquc familiari, quantum est lux ipsa caecutiat, ita ut nullibi, quam in eius eo- gnitione densioribus tenebri» involvatur; Àdhuc enim de summo eius genere quae remotissima est cognitio non constat, si substantia sii, voi accidens, si corpus, vel incorporami aliquid, si qualità», vel relatio, ad haec enim omnia prò nostri in¬ goni i debilitate facile referri potest, et ab ipsis pariter arceri, quae cum ego, pio- nunciassem, Eccellentissimus Gallilaeus in eandem mecum sententi ani venit, ac so libenter tenebroso carcere includi, ac pane tantum, et aqua sub stenta ri passili uni (modo hoc exacto tempore cum luci restitueretur, eius naturam perfecte capei et, et intelligeret) constanter asseveravit; digiuno certe quidem viro Philosopho stn- tentiam, ut vero hanc eandem dubitandi rationem nobis confirmaret, cum apud oinnes ex communi sohola notum esse cognosceret, lumen esse qualitatom incorpo- 928 APPENDICE. ream, quao iugiter a corpore lucido in diaphanum producta nmnaret, ipse contra- riuni se nobis ostonsurum obtulit occupata seorsum a Diapliano illuminato luco, atque inclusa, ita ut omnibus appareret in tonobris, ncque accensa, aut ignita aliqua materia, ut (ieri consuovit, sod luco tantum seorsum sumpta, ac voluti ex integro corpore mutilata; q\iod rum omnibus paradoxum vidcretur, ipse so inox ostonsurum pollicitus est; Cum primum igitur inatutino crepusculo lumen irradiationem Solis praeveniens aorom illustravit, accepta lignea pixide, nobis omnibus ostendit lapiUos in ea contentos, ut videremus, an lucem aliquiuu haberent, ostendit autorn illos primum in luce accènsa candela, deinceps vero in tenebria nullo admisso lumino, dunque fateremur onmes, nullum ipsos habere Uunen, exposita extra fenestram pixide, ita ut lumino ilio non radiorum, quod primarium dicunt, sed dubio adhuc, atque ancipiti ipsius crepusculi, et secund&rio, quale in Umbria esso consuovit la¬ pilli illustrarontur, post oxiguum temporis spatium rursum clausa fenestra, ac nullo admisso lumino in meris tenebria corruscante», atque lucido» lapillos nobis ostendit, nullo ardore concopta aut retenta luco, acque, ac accensae prunae in te- nebris fulgore consuovorunt, liane vero eandem lucem, quod mirabilius est, paula- tim languore, ac tandem evanescere vidobamus, ex quibus multa doducebamus ar¬ gomenta invicela pugnantia; si eternili lux est qualità», et qualità» incorporea, ut patet, quomodo corti» terminis clauditur, ot circumscribitur, quod proprium est substantiae, aut si competit qualitati, non compotit qualitati, quae corporis condi- tionibus non tenetur, cuiusmodi esse lumen manifeste omnibus est oompertum, quinimo si lumen qualità» est, ita, a corpore lucido in diaphanum producta, ut a corpore lucido pende&t, quaenuulmodum dici solot non modo in fieri, veruni etiara in conservali; tandiu enim fit, et permanet lumen, quamdiu presentia corporis lu¬ cidi in perspicuo reperitili*, quomodo remoto corpore lucido, ut fenestris chiusi», ac obserratis, lux, sive lumen adhuc permanet, ot per aliquod non exiguum temporis spatium sine incendio, et ardore collucet? mirandum certo visum est omnibus hoc ostentimi; quamvis enim multa etiam sint, quao in tenebri» nullo admisso lumino adeo lucent, ut non modo ipsa conspicua sint, veruni etiam propinquum aereni illustrent, quemadmodum aliqua putrescenza Ugna, squammae, ossa, ot capita piscioni, felis oculi, Cicendelae venter infimus, ot alia huiusmodi, quae magna ciun admiratione conspiciuntur, tamen praeceteris hi lapilli maximam admirationis, ac dubitationis secum afferunt occasionem, cumque et lumen intus concipiant minime diapham, sed opaci existentes, quod hucusquo diaphanis tantum convenire usuili fuit, et retineant, quod ncque diaphanis, ncque opacis tribuitur: hanc quaestionis occasionem cum proposuisset D. Gallilaeus ego rei novitate, atque difficultatc quaesiti oxcitatus ad inquironduni, prò insito mihi scraper addiscendi cachoethe, pollicitus sum me aliqua in propositam quaestìonem scriptunim, ut ot problematis causa aperiretur, et Peripatheticae philosopliiao, quam profiteor, constali» ratio roboratui*. Imponi tur aut disputandum, atque inquirendum problema. Si lumen non produ- APPENDICE. 921) citur in diaphano nisi ob praosentiam corporis lucidi; ita ut, co otiam recodonto auforatur, ut Ariste telos docuit secundo de anima capii 7, pari 69, ubi inquit lumen esso praesentiam igniti, aut alicuius lmiusmodi, lioc est lucidi corporis in perspicuo, et exporientia ipsa tostatili'. Cur nani in hoc lapide opaco, et non dia- phano, in corticc enini et parte magis opaca, et magis aspera lapidis (ut doccbi- mus infra, in oius descriptione) lumen recipitur, et non modo recipitur, veruni etiam conservatur, et permanet nequaquam praesente amplius lucido corpore, sed eius actiono prorsus intorcepta; clausis enim fencstris, ac nullo cxtrinsecus admisso lumino fulget. Guius occasiono aliqua etiam dicemus do iis quao noctu, et in te- nebris lucont, cum dio, ot in lumino indiani liabere lucem videantur. ‘ FRAMMENTI DIVERSI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA Mss. 1’. Ili, T. V. car. tir. 355 H. 0. 30 ab occaHU, 9. ^2 quae est 6. 54 a meridie distabat ab auge media gr. 345. 38 Augusti 20. h. 8. in diebus 100 gr. 0.13 —_- 1000 gr. 2.12 343.32 MM.Oal., 1*. Ili, T. V, car. 8r. in. 1010 I). 26 H. 2 D. 23.0.40 I). 23.5 4. 22 2.23.20 2.19 365. 2.20 2.20 28. 3. 1.40 D. 2.21.20 15. 5 251. 9 47.26 I). 413. 3 8.29 178.15 121.56 6. 225.41 237. 9 265.38 251. 8 25. 28 635.41 360 275.41 D. 24 H. 6 D. 1.18.40 • • • • • • • • • 204 101.22 50.18 21.40 153 75 38 16.14 3 3 1.25 36 360 179 90 38. 30 III. 120 APPENDICE. 0.34 I). 27. H. 5 I). 2.19.40 • • • • • • • • • Febb. I). 1). 2. II. 2 11 3 2. 2 I). 16.6 2.2 l). 26. 0. 30 • 47.26 202.42 100.36 43.21 8.23 14.2 23. 20. 30 161.26 80.12 109.20 19. 9 189.43 332 114.18 3 3 1.45 36 195.13 17 251. 9 211. 52 285.54 211.41 61. 6 384. 56 360 24. 56 349 _174.14 539.41 1 360 179.41 Mac. Gal., r. Ili, T. V, car. B(. Stella • fuit in auge H. 0.30 I). 11.40 Uh. Gai.. l>. Ili, T. V. car. 18(. (') Hj- in 14 @ pr. 11.20 (lem. 1611 Martii 1). 17 Ho. 0.30 ali oceasu idewt H. 6. 22 a mer. Q in 25 )-( are. 5.22 © in 4 'Q' Qj. in 17 @ pros 10. 31 Mas. Gal., P. MI, T. V, car. Me. Ianuarii D. 28 II. 2 ab occ. iclest H. 6. 48 a mer. terra in 3 DJ) •4 Q Mas. («al., I*. ni, T. V, car.35«<. Una revolutio absolvitur bori» 42. 28 Dio 1 . 18.28 Si • fuit in auge media Die 17. 9. 50 a mer. 1 . l s. 28 I). 23.10. 20 H gr. etiam D. 19. 4. IH 22.17.14 24 203.25. tì 1 . 18. 28 17. 6 12 101.42.34 et. I). 20. 22.46 6 50.51.17 1 . 18. 28 H. 42.28 355.59 et. I). 22. 17.14 (i) Si trova a tor^o di una lettera del Castelli. Vedi png. 4(58 o 84(5 di questo Volume, o vedi anche Volu¬ me XI, pag. 456. FRAMMENTI >1)1 MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 9:-*r> M hs. Cìftl., I». III. T. V, Cftr. 88r. KU2 Die 4 Maii H. 9.4 (10) a mer. : distabat ab auge med. gr. 7 (5.30) queramus ubi ex hoc reponenda sit radix anni 1613 in mer. Ian. tempufi est. D. 240.14. 56 Mas. CJftl.. I*. IH. T. V. car. 4R* 1611 Martii Die 14 .*. distabat centro ■)|. 1) ab auge vero. % M«H. (Ini., p. III. T. V.car. llr. : distabat a 6. 28 ab auge vero 46. 0 v 26.17 v 13.56 M»s. (itti.. P. Ili, T. V, car. 44r. In 11 gr. esse debet H 2.56 ab. occ. 10.31 a mer. tempus. 1). 185.10.31 1). 201. H. 8 _1 D. 183. 50 ' 2.30 100 349.15 184 203.25 101.18 279.24 146 | 67.48 33.45 64.29 42.11 52.10 301 7.10 2. 11 7.42 7.42 31 307 192.50 4. 45 4.10 736.37 333.25 183.45 897.49 720 8.29 4.13 720 16. 37 2.50 1.24 177.49 11 344.44 189.22 5.37 Mas. Otti., P. III. T. V, mr. 4Ir. APPENDICE, limi D. 2. II. 10 a mer. Dies 154. 1 184 Di. 2 !. H. 10. 5 34 4.10 50 349. 15 352. 5 184 279. 24 200. 58 45.12 j 85.58 20. 56 42.11 8. 57 158. 44 307.21 5 1076.53 4.22 192.50 722.53 4. 22 354.00 633. 6 920.51 360 720 273. 6 200.51 lo O in 27. 28 £ 0 in 11.47 (X) ‘4 in 23.15 fi 4 in 21.25 fi 6. 45 8. 35 150 180 27. 28 11.47 184. 13 200. 22 Mst. Gal., P. Ili, T. V. car. IBr. 0 in 3 4 in 17 @ 27 30 17 gx\ 74 Mar. • I). 22. II. 0.45 in perigeo H. 17.15 Aprilis 1). 24. 11. 0.20 in tinge 24. 0.20 I). 32. 17.35 Musi. Gal., P. Ili, T. V. car. 52r. prò 45 gì’, in diebus 46.19 gì’. 16 in diebus 46.19 Mar. 7. H. 1 D. 8. 5 44. 12 10 . 32 ' 54.44 Ex hac observatione motus tabulae C est niinius 32.17.40 gì'. 28 in diebus 46.19 Maius I). 1. H. 1 I). 46. 19 205. 2 302. 9 40 547. 11 360 187. 11 Ex hac vero contrarium accidit FRAMMENTI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA. Mta. Q*l.» P. III. T. V. oar. ftr. lr£ ?urc&/ /\t* y'ì* il V ‘(T** 0 ^ • H* ! » • — "fc> H^\]ò.|.|cP*yo. M»s. Clal., P. III. T. V. rar. 8r. ìtf/«J ^>0. y ■HI -*— -t> T. /t fr H - 7. ■p** I FRAMMENTI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 939 Mo. lini.. P. III. T. V, c»r. 1W.

    r. Mari. I). 2. H. 0 proximus -J| fui in auge. Die 22 II. 4 fuifc in perig. 1). 15. II. 4 aug. 19. 8.32 ori. 28. 13. 4 !»*?• 27. 17.36 occ. 31. 22. 8 aug. Msa. dal.. 1*. IH. T. V '. car. m. Die ‘2‘2 Mari. II. 4 fnit. in perig. D|.' prox"" fuit. in perig. 0 die ‘2!) li. 5 Decembris et pariter die 15.5 Martii 1 leeoni. I). 29. 4. 5 Mar. 15. 5 1.19 31 28 15. 5_ 76 21.12. 33. 30 M»s. Gal.. P. III. T. V, car. 08t. Corrigas motum 4 1 a D| in horis singulis 11 ." 14. ” in singulis diebus 4.' 29." 36.'” in diebus 10 44.' 56." in diebus 20 89.' 52." in diebus 100 8. 19.' 2 ." Mas. Gal., P. Ili, T. V, car. MI. Dee. 29. H. 5. 30 in perigeo Aprii. 24. H. 0. 20 in auge 21. 12.'44." 53.'" 7.""47. v 8. 29.' 17." 13.'" 45."" 31. v ^ 4» Mbb. Gai., P. Ili, T. V, car. OOr. • In diebus 61 gr. 2 addendi 17." 12." 17.' 2. 5. 28. 3. 946 M*s. Gal., ,P. Ili, T. V, car. 00r. ir - ìsb ; fi 1 1 . | ^ 4 - - 4 - ^ <« ( - vj « i »... , » Ì’ ( i K Ì K ««~ v * Tv r 4 +> i h'&Mi, *t 1 I [.) r ( < I + - j js^ * 2 * + £ . ^ . . • * ' * ^ No fs^o H i i / ,■,/ ^ -• %j v^ >$ ' *':• • • « ^ - - " 4^? | *! f$Jj? FRAMMENTI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 947 Mhh. Gal.. I». HI, T. V, car. 02<. 948 Mas. Gal., P. Ili, T. V, 04ir. ft7r. APPENDICE. tempus revolutionift 2 1 . a 0| hor. 80.30 / n K 4 28 19 motus horariuH 2 1 . a \)| forte melior Mas. Gal.. I'. HI. T. V. oar. fi8r. li n iti mi 42 24 25 8 4 Mas. (ini.. 1'. Ili, T. V, far. «81. lan. 5. H. 5 in pena;. . . _ , r . . con dispari Mar. a. ri. 5 m apo. I). 21 15. 5 - aug. 24.20 - occ. 16. o _ Là or. 25. 17 ap. 16. 23 - apog. 26. 14 or. 17. 20 - occ. 27.11 perig. 18. 17 - aug. 28. 8 occ. 19. 14 - or. 29. 5 apog. 20. 11 - perig. 30. 2 ori. 21. 8 - occ. 30.23 per. 22. 5 - aug. 31. 20 - occ. 23. 2 - or. Apr. 1. 17 - apo. 23. 23 - apog. 2. 14 - or. Mss.Oal., I*. BI, T. V, car. 72r. Die lo la. fuit stella max*. oceidentalis Die 20 fuit max 0 , orientali» Die 3 Feb. fuit oceid. Die 11 fuit ori. Die 19 fuit occ. Die 27 fuit ori. FRAMMENTI DI MEDICEE E DJ ASTRONOMIA. M.is. Cnl„ 1*. Ili, T. V, ear. 07r. w- r- APPENDICE Ma*, dal., IMir. T. V, car. 08r. ÌM ■rN-O/ • • •‘4o 4' v \ • X v ^ ^ -3 ri ' 4 C£ ^ v? -a vj: ^ ^ -A / t 'O c v ^ / £ ‘v " °3 / -Ó ?” -?v. V n^Q vi ^>c . 1 ? v* «s > , 4.4 >* ^5 3 ■ vJ\> -t * h wvi 5 44 Wì 1 0 / *Jk -w- v = % : te.tò W • " 1 *\ * « •vfi? rf »<£’ ,«. w "- ■' •■■I- —1_' 3^2*^ » j*• >cp o 4* * * ^ »CM/7 %Gn ■vii ^ FRAMMENTI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 051 Mae. Gftil., P. HI, T. V. Otti-. 70»*. | ' • * » ) • * • * j DICHE K DI ASTRONOMIA. 953 I FRAMMENTI OI MEDICEE K DI ASTRONOMIA. MSB. cìnl.. 1’. Ili, T. V, cnr. 70r. Ter in 18 ]\ Terr. in 9 TIP © et 9 in 9 )-( © et 9 in 7^ post menses 7 Temi in 18 © dopo 8 mesi © in 18 © Ter in 7 ^ 9 Visa m 3 ììj ) © in 7 U| 9 in 26 loj 17 lì P cT- ap. 1. 39. lì apog* distanti a a Temi pig. 1.28.26 Qualium semid. orbis magni med. 1.31.11 est 1 ea est 9. 42 — pig. vero 8.39 9 semid. 0. 43 — $ semid. 0. 22 d|- apog. 5. 27'. 29" pig. 4. 59 Ms». Gal., 1>. III. T. V, c*r. 79r, .*• Videtnr fuisse in auge vera Die 29 Feb. H. 8. ab ooc. hoc est II. 13.90 a mer. Sed in auge med. H. 16 a mer. Mbs. Gai., 1*. Ili, T. V, car. Bilr. 1612 Feb. 11. H. 20.50 post occasum © fuit • in auge 1612 Die 13. H. 6 fuit in auge 1612 I). 17 Feb. H. 9.50 p. m. in auge correptum 1611 I). 8 apr. H. 2 fuit in auge nempe H. 8.27 a mer. Terra tunc fuit in 18 UH, d|. in 16 XC; prost. deni. fuit. gr. 8 et tempus 11. 1 fere fuit, ergo in auge media H. 7. 30 a mer. Tempus intermedium est I). 315.2. Mss. Gai., P. Ili, T. V, ear. 84(. 27 d| 24 © I). 1. H. 5 D. 14. H. 23 %• fuit in auge r Horae ab occasu © orfcuum, et occasuum 1)5(5 APPENDICE. Msi. Gal., P. Ili. T. V. ear. 85r. Mas. Gal., P. HI, T. IV, ©ar. 44,r. (‘) • Videtur in 6 annis circulos integro** perticere. Mas. Gal.. IMV, T. VI. car. 14r- Lai oriz. Lira Aquila CàUDà Cani* Ctoni , ma. . M ! Oouii xs i Lucida Cor Hyu. SI Spiga f : 54 Bor. ì 12 Bor. 74 Bor. 21 Ausi 20 Bor. -1 8 Bor. 20 Bor. 10 Ausi Ian. D. 15 Orioni Occid. i Or. Occ. Ori. Ucci. 1 j Ori. Ucci. Ori. ( )cc*i. Ori. Deci. j Ori. ( )cci. Ori. ( )cci. D. 18 Ho. 9.8' 2.44' 9.2' 1.40' 9.28' 6.25 1.0 11.0 : 15.5 k 10.18 3.0 11.22 2.20 !• 16.17 ! 7.6 14.40 21 2.36 1.20 6. i 10.45 10.30 11.6 16.2 24 1 l — i 27 ì — i Mi». Gal., 1». IV. T. VI. car. ltto.f. Semiti, della terra braccia 1 000 000 la disi, del firmamento è 100 seni, la dist. del 0 20 il dittili, del Q è *1 semiti. Si © distantia 1208 seni: conti net terrae semidiainetros 11 quot con- tinebit in distantia 131333376. terrae semidiametri 182 88 0 ,s diam. in firn. 1 '’ et » diam. miiius 9337. semid terrae (1) ^ UestA wuta P° rllA «(elle annotazioni del Renieri. Vedi questo Volume jmg. lOltt. FRAMMENTI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 957 JlB8. Cini., r. IV, T. VI, i ar. MI. (') • Fuit in auge med. an: 1612. Febr.: Die 17. Ho. 10.40' a me: <*> 1610 Ian D 7 in meridie Distabat ab auge med. gr. 83. 33 Dintabat ab auge med. gr. 122 Distabat ab auge med. gr. 237. 30 Distabat ab auge med. gr. 51.45. Dies annor. 6. 2191 annor. 5.1826 (») •• Fuit in Perig: med: an: 1612. Febru. Die 28. Ho. 12. 50' a me. (0 Tempora apta ad experìentias ubi nulla, vel eadem est aequatio circa fin tini martii et initium aprilis, et circa iinem Julii et initium Aug. aequatio nulla. (») Fuit in Aug: med. 1612 Febr. D. 29. Ho. 16. a. m. («> v Fuit in Perig. med.: 1612. Febr. D: 22. Ho. 10.10 a me. seu potius 12. 40 ( 4 ) Si trova in fondo allo duo colonne di sinistra delle tavolo dei moti medi riportato in questo Volume a pag. 468. ( 2 ) Si trovano fra le duo colonne suddette e la tavola dello prostaforesi riportata in questo Volume a pag. 522. ( 3 ) Si trova in fondo allo osservazioni della nota (*). ( 4 ) Si trova fra la tavola della prostaforesi citata e lo due colonne di destra dei moti medi riportate a pag. 468. ( 5 ) Si trova in fondo alla suddetta citazione. («) Si trova in fondo allo due colonuo di destra della pag. 468. Le indicazioni di cui alle note ( 4 ) ( 3 )( r, )( 6 ) si ri¬ feriscono manifestamente alle tavolo a pag. 463 od ap¬ pariscono fatte collo stesso inchiostro nella stessa epoca: vedi anche pag. 88-1. Quello allo note ( 2 ) ( 4 ) appari¬ scono scritte in epoca differente, forse posteriore, e sembrano riferirsi alia tavola a pag. 622. In questa carta o sulla seguente è tracciato il giovilahio ripor¬ tato a pagg. 486, 487. III. 128 FRAMMENTI DI MEDICEE K DI ASTRONOMIA. M*s. (ini.. F. HI. T. IH. far. «Sr- (■) . 959 * > QA * I &4ftt+4-K'2£' $. vuJ7~. /. ìN^yr Ì O * * j 4 *' ** *Uj 6 kZ II- A*. j*. ^ *X a*rf»A .M^trA #* / /y r-A <*v <&4JZ. Jc*Ay *y^b~&f ^y-osp* o. ?o /lH r^vct fr* *-&*£■. 7vn*$\À~ vm 'fahtfZ A&wJxJ- Q a* //. /v ji V 04. ^ JUJ \/U ntf . $“^-£ i*+4 *jby*6 * *V“ • - - / AeJ . • n 9U T- A^rZ^f, dH-tkrf fcVmin '• « ^n/xAo' d&c- ^ < •* *o * i ja -V/ j’ * e *^ ^ ** F <. % * ^ ? % * •x * ^ % Ó , 'h* *■’Ufr^f di a/., O, tfautiii* \ai oìyjtdY*. / '• f . Off tj „; « ■ ——v ^ ^ à'r* T&™** -yà^Ui * h'L & >W«, ***£*• H• ^ • U-^^f ox. éo'TJ-* W # 9 \ _ f __ .. - . n ^ w - / ' y — w-*£~mr- «7^-^-*^* y V # * - ' -4 41, Z - ^ o lA-f^^A V- ^ ♦ 4fcfc4 *¥-* $ • * Qjfk'etc* Ho-fr* 1- <£*>. 1-c.Wii -* i£f i 'f :;:' ; i3^-->. ^ - —- ^ TX. » /f-^ . ' - • *' r 7 ■ ?* 4 ✓ frr/ /*•■**♦€/#/ha cxTUty i V—^—} .A» ** , ;//p 'J % C‘ | t .(7 f\ r\. é / j ypà ! c fiUkì *n tc\ u,/u ; x /^Urd a A*f- «jJìjU*" . Y - Q>^ m;- *< 7 7 I • 7 'Ve a. irl* (7 7 /VO <; i • up ?•«. P) 1 U f. kC < * “M7 \ i 'mt 962 Mas. Gal., 1». IH. T. Ili, car. 10f. (‘) APPENDICE. * M.S3. Gal., P. IV, T. VI, cor. tir. (>) * * ;* • • « • Ma». Gal., P. IV, T. VI, car. tir. (') * * Ms». Gal., P. IV, T. VI, car. 12&.r. (‘) * * * & -* # * 4 * * * *. * * * # * * *• * ¥ * * <‘) ( ? ) P) 0) Disegni di costellazioni ; (i) di Cassiopea e gli altri delle Pleiadi. FRAMMENTI 1)1 MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 963 Mai. Gal., I’. IV, T. VI, car. 2Cr. C ( - •T'A ** a +■• + * *? 1)64 MsB.Gal., F. IV, T. VI, car. W. APPENDICE. 7' _ n_ •^f4' ^•‘A’ s*- eti+Jj/vU. r- *i- «■ 'io! £tlf, 0rfc*^4. •^UfìMW . OvZOvilf . li- _22 L.-Ai CHX,-. .^3-v ai- /. . % C . A • ENTI DI MEDICEE E DI ASTRONOMIA. 7 wt/ 4+ Saujdtu*/' e> i-/**%**+; OSSERVAZIONI E CALCOLI DI VINCENZIO BENIEBI Mrs. («al., I*. Ili, T. VI. c. 4r. da e. f> r. a c. da c. Or. a c. c. 14#. da c. 15 r. a o c. 22 r. o. 23 r. da c. 23#. a c c. 45 r. da c. 45 r. a c c. 52 r. e #. c. 54#. o 55 r. c. 56 r. e /. da c. 57 r. a c INDICE DELLE VACCHETTE SECONDO li’ORDINE ATTUALE 6) VACCUDITA 1* Osservazioni sopra gli aspetti dei satelliti di Giove durante il Novembre del 1633; autografo del Renieri. 8/. Osservazioni ed ofomeridi dal 9 Agosto 1042 al 16 Settem¬ bre 1642. 12/. Efomoridi incerte senza osservazioni cd incomplete. Epoclio del 1639. ,21r. Osservazioni ed efemoridi dal 20 luglio 1639 al 26 Settem¬ bre 1639. Epoclio del 1639. Epoche del 1640. , 44/. Osservazioni ed efemeridi dal 29 Gennaio 1640 al 1° De¬ corni) re 1640. Osservazione e calcolo del 4 ottobre 1642. . 51 /. Calcoli ed operazioni diverse. Tavolo numeriche (prostaferesi). Calcoli ed operazioni diverse. Tavolo numeriche (prostaferesi). . 59#. Calcoli ed operazioni diverse, col calcolo di un eclisso di sa¬ tellite. (() Questo Indico mostra la confusione con la quale furono rilegati i Mss. 970 APPENDICE. c. 60 r. da c. 60 £. c. 62 1. da c. 63 r. da c. 65 r. c. 67 r. < 4 > c. 68 1 e c. c. 70 1. da c. 71 r. c. 79 tf. da c. 80 r. da c. 90 r. c. 5 r. c. 6r. e c. c. 8r. da c. 9*. a c. 13 £. Epoche dal 1638 al 1645. i c. 61 1 Calcoli ed operazioni varie. Prime osservazioni di Galileo; copia autografa del Renieri. \ c. 64 1. Osservazioni ed efemoridi dal 17 Settembre al 8 Ottobre 1642. a c. 66 1 Efemeridi incerte senza osservazioni ed incomplete. Porta alcune posizioni elaborato con più accuratezza per • e •• dal 1643 al 1646; sembrano essere il resultato finale di tutti gli emendamenti apportati agli elementi di questi due satelliti negli istanti dello principali congiunzioni me¬ glio osservate. 69 r. Epoche dal 1638 al 1645 e alcuno congiunzioni di • e •• Sono le congiunzioni • e •• degli anni 1639, 1640, 1641, 1642, 1643 precedenti quello a c. 67 r. a c. 79 r. Osservazioni ed efemeridi dal 23 Giugno 1640 al 1° De- cembre 1640. Epoche del 1641 o calcoli. a c. 89?*. Osservazioni ed efemeridi dal 1° Agosto 1641 al 22 Decem- bre 1641. a c. 96 r. Osservazioni ed efemeridi dal 23 Aprilo 1642 al 8 Agosto 1642. Vacchetta 2 a Osservazioni calcoli ed epoche Pro lunone (•) riferentesi al- Tanno 1644. 7 r. Osservazioni calcoli ed opoche Pro Neptiino (••) e per gli altri satelliti negli anni 1645, 1643, 1644, 1639. Osservazioni e calcoli del 1639 su due congiunzioni • con e •• con c. 11 r. Osservazioni e calcoli riferentisi alla congiunzione della Luna con Giove il 12 Aprile 1647. Osservazione e calcoli del 30 Novembre 1645. ( ( ) Fa seguito alla car. 70 e. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 971 da c. 14 t. a c. 15 1. da c. 16 r. a c. 23 r. c. 25 r. da c. 26 r. a c. 29 r. da c. 29 L a c. 41 r. c. 41 1. e c. 42 r. c. 43 r. c. 44 r. e c. 45 r. da c. 46 r. a c. 48 r. c. 49 r. e c. 50 r. da c. 51 r. a. c. 53 r. da c. 54 r. a c. 63 r. c. 64 r. c. 65 r. o c. 65 1 c. 66 r. da c. 68 r. a c. 74 r. c. 74 r. da c. 75 r. a c. 83 1. c. 84 r. da c. 84 1. a c. 95 r. Osservazioni e calcoli diversi. Osservazioni e calcoli per gli anni 1646 e 1647. Epoche lansbergiano, danesi ed alfonsino. Osservazioni di Galileo autografe del Renieri. Osservazioni e calcoli degli anni 1642, 1639, 1640, 1641, 1642 con efemeridi saltuarie. Calcoli di passaggi di satelliti nell’ombra. Epoche dal 1638 al 1641 per i quattro satelliti ed osservazioni e calcoli diversi. Prostaferesi del centro o deH’orbe secondo le copernicano per gli anni 1639, 1640, 1641, 1642. Calcolo dello epoche dalle principali osservazioni secondo le prostaferesi copernicane. Calcolo delle epoche dalle principali osservazioni dopo l’emen- daniento dell’apogeo. Riepilogo delle osservazioni dal 1639 al 1642 nella c. 51 1. Os¬ servazioni e calcoli diversi. Discussione e verifiche delle osservazioni di Galileo in rela¬ ziono a quelle posteriori del Renieri, con determinazione dell’ombra di Giovo per stabilire i moti medi e le epoche. Esame di alcune osservazioni di Galileo. Osservazioni e calcoli diversi. Calcoli ed inclinazioni dell’orbita di Giove in relazione alle ombre. Osservazioni e calcoli diversi. Nuova correzione di epoche dopo gli emendamenti alfonsini. Osservazioni, efemeridi o calcoli saltuari dal 1639 al 1644. Riepilogo delle osservazioni del 1644. Osservazioni e calcoli con efemeridi saltuarie per gli anni 1645 e 1646. INDICE DELLE CAUTE DEI MSS. a AL. l>. ITT, T. VI, 1" E 2" VACCHETTA SECONDO I NUMERI UT RICHIAMO. 1 1" c. 62 t. 41 2“ c. 48 r. 81 r (!. 34 r. 121 P c. (> r. 161 2“ c. 86 r. 2 2" c. 26 r. 42 • 49 r. 82 2* c. 38 /•. 122 2* c. 77 t. 162 • 86/. » • 26 /. 43 * 50 r. 83 1* c. 34 /. 123 P c. (i /. 163 - 73/. 4 * 27 r. 44 l n c. (.0 r. 84 • 35 r. 124 • 7 r. 164 - 89 r. 5 • 27 1. 46 2“ c. òr. 85 2 n c. 65 /. 125 '2 n c. 40/. 165 . 89/. 6 » 28 r. 46 • 6 r. 86 r c. 39 /. 126 % 5» 166 - 90 1. 7 • 28 /. 47 * 7 r. 87 • 40 r. 127 • 89 /. 167 - 91 /. 8 * 29 r. 48 P c. 68 /. 88 2" e. 71 r. 128 P 4 ì\ 174 P c. 48/. 15 ■ 55 r. 65 • 65 r. 96 - 44/. 135 » (54 /. 175 • 49 16 ■ 55/. 56 • 36 r. 96 • 74 /. 136 D* n Ai V« 29 /, 176 2“ c. 15/. 17 - 57 r. 57 * 75 r. 97 - 75 r. 137 • 30 r. 177 - 16 r. 18 » 57 1. 58 1“ c. 70/. 98 • 75/. 138 • 78 /. 178 - 16/. 19 » 58 r. 59 2" c. 8 )•. 99 - 77 /. 139 • 30 /. 179 - 17/. 20 • 58 1. 60 - 67 /. 100 - 78 r. 140 # 31 r. 180 • 18 /. 21 . 59 r. 61 • 76 r. 101 . 79 /. 141 31 /. 181 - 19 r 22 - 59 1. 62 - 37 r. 102 2* c. 81 r. 142 • 32 ?*. 182 - 19/. 23 • GO r. 63 P c. 15 r. 103 P c. 83/. 143 9 32 /. 183 • 20 r. 24 . 60 1. 64 2* c. 68/. 104 - 84?-. 144 9 33 r. 184 - 22 /. 25-61 r. 65 p c. 17 /.. 105 2" c. 39 r. 145 9 34 /. 185 - 10 r. 26 » 61 1. 66 > 18/. 106 P o. 85 /. 146 9 35 ì\ 186 • 10/. 27 - 62 r. 67 - 19 r. 107 • 86 r. 147 9 35 /. 187 • 11 r. 28 • 62 L 68 > 23 r. 108 • 69 r. 148 9 80 r. 188 Pc. 22 r. 29 » 63 r. 69 . 24 r. 109 2“ c. 69 r. 149 r c. 07 r. 189 • 23 r. 30 » 51 /. 70 - 24/. 110 P c. 87 /. 150 2* c. 79 /. 190 * 45 r. 31 » 56 r. 71 - 25 r. Ili - 88 r. 151 t 81 /. 191 2“ c. 68 r. 32 - 56/. 72 . 28/. 112 - 90 r. 152 • 70/. 192 » G9 /. 33 - 42 r. 73 - 29 r. 113 - 90/. 153 9 80 /. 193 * 70 r. 34 - 41 /. 74 - 30/. 111 - 91 /. 154 9 82 r. 191 l n fi¬ òr. 35 1 A c. 54 1. 75 . 31 r. 115 • 92 r. 155 9 84 r. ntò • 26 r. 36 * 55 r. 76 - 31/. 116 - 95 /. 156 9 83 r. 196 - 63 37 * 57 r. 77 - 32 r. 117 - 96 r. 157 9 82 /. 38 - 58 r. 78 . 32 /. 118 2* c. 40 r. 158 • 83 /. 39 2 a c. 46 r. 79 . 33 r. 119 • 78 r. 159 è 84 /. 40 * 47 v. 80 . 33 t. 120 l a c. 5/. 160 ■ 85 /. TAVOLE DEI MOTI MEDI (ricostruite) Pei' • vedi il moto diurno / „ / 00 m 0000 3 23 24 22 59 4 in Mss. Ual M I\ Ili, T. VI, 2*, c. 01 r. Por •• vodi il moto diurno 0 q 0 00 000 0000 1 41 17 30 15 20 iu Ma». Oal., I». Ili, T. VI, 2\ p. 03 1 % Per •• (bis) da calcoli posteriori. Per vedi il moto medio diurno r O 0 00 t»t /tu 0 50 14 4 20 40 in Mss. (lai., P. Ili, T. VI, e. 00,*. Per vedi il moto diurno * q 0 0t /// 0000 0 21 29 l(i 50 2 n Mss. Gal., P. Ili, T. VI, 2*, c. 59 r. BOX BOX / d sei ' BOX 0» I- O / ' u 9 | ' 0 ' 0» ut tttt li * o » n 0 / 00 1 0 22 50 5 24 22 3 23 24 22 59 4 P 3 23 24 0 3 23 9 «M |0 45 58 4 48 45 ’0 40 48 I 45 58 8 Ijo 6 40 48 io 0 40 3 l 8 57 4 13 8 4 10 13 8 57 12 0 10 10 13 0 10 IO 4 1 31 50 3 37 31 1 33 ; 37 31 56 10 0 13 33 37 lo 13 33 5 l 54 55 3 1 54 4 57 ’ 1 54 55 20 0 16 57 1 0 10 57 6 2 17 54 >2 20 17 1 2 20 20 17 54 24 0 20 20 | 20 0 20 20 4 2 40 | 53 1 50 40 5 ; 50 40 53 28 0 23 « 50 0 23 43 s 3 3 52 1 15 3 3 7 15 3 52 32 u 27 7 15 o 27 7 9 3 20 51 0 30 20 jo 30 39 20 51 30 0 30 30 39 Ilo 30 30 10 3 40 50 0 3 49 .3 54 3 49 50 40 0 33 54 3 0 33 54 11 a 28 12 1 17 28 12 49 4*1 0 37 17 28 0 37 17 12 1 4 52 35 >4 40 58 35 | 48 18 |0 4U 40 52 0 40 40 la 4 10 58 2 4 10 58 147 52 0 44 4 10 p 44 4 14 3 41 21 5 27 41 21 ì 46 50 io 47 27 41 0 47 27 15 a 6 54 i« 51 5 54 146 0 0 50 51 5 0 50 51 10 2 30 7 0 14 30 7 45 4 0 54 14 30 0 64 14 17 « 54 30 3 j 37 54 30 ! 44 8 0 57 37 54 0 67 37 18 1 18 53 i 1 18 53 43 12 1 1 1 18 1 1 1 10 0 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25 7 2 3 10 14 1 57 10 14 40 40 25 57 10 14 25 57 10 5 30 19 2 47 30 19 1 20 2(ì 47 30 20 47 30 1 44 23 3 37 44 23 22 0 27 37 44 23 27 37 44 3 58 27 4 27 58 27 42 40 28 27 58 27 28 27 58 0 12 32 5 18 12 32 2 20 29 18 12 32 29 18 12 2 20 30 0 8 20 30 24 0 30 8 20 30 30 8 20 4 40 40 0 58 40 40 44 40 30 58 40 40 30 58 40 0 54 45 1 48 54 45 6 20 31 48 64 45 31 48 54 3 8 49 2 39 8 49 20 0 32 39 8 49 32 39 8 5 22 53 3 29 22 53 46 40 33 29 22 53 33 29 22 1 30 58 4 19 30 58 7 20 34 19 30 58 34 19 30 3 51 2 5 9 51 2 28 0 35 9 61 2 35 9 51 0 5 0 0 0 5 0 48 40 30 0 6 6 30 0 6 2 19 11 0 50 19 11 9 20 30 50 19 11 30 50 19 4 33 55 1 40 33 15 30 0 37 40 33 15 37 40 33 0 47 19 2 30 47 19 50 40 38 30 47 19 38 30 47 3 1 24 3 21 1 24 11 20 39 21 1 24 39 21 1 5 15 28 4 li 15 28 32 0 40 11 15 28 40 11 16 1 29 32 5 1 29 32 52 40 41 1 29 32 41 1 29 3 43 37 5 51 43 37 13 20 41 61 43 37 41 61 43 5 57 41 0 41 57 41 34 0 42 41 57 41 42 41 57 2 11 45 1 32 11 45 54 40 43 32 11 45 43 32 11 4 25 50 2 22 25 50 16 20 44 22 25 50 44 22 25 0 39 54 3 12 39 54 36 0 45 12 39 54 45 12 39 2 53 58 4 2 53 58 50 40 40 2 53 58 40 2 53 5 8 3 4 53 8 3 17 20 40 53 8 3 40 63 8 1 22 7 5 43 22 7 38 0 47 43 22 7 47 43 22 3 30 11 0 33 30 11 68 40 48 33 30 11 48 33 30 5 50 10 1 23 50 10 19 20 49 23 50 16 49 23 50 2 4 20 2 14 4 20 40 0 50 14 4 20 50 14 4 sex 00 B6X 0 d 0 0 0 / 0 0 0 0 / 00 /// 0000 5 16 50 3 29 10 0 21 29 16 50 2 4 33 62 0 58 33 0 42 58 33 62 4 3 50 48 4 27 50 1 4 27 50 48 0 3 7 44 1 67 7 1 25 57 7 44 8 2 24 40 5 26 24 1 47 20 24 40 10 1 41 36 2 55 41 2 8 55 41 30 12 0 58 32 0 24 58 2 30 24 58 32 14 0 15 28 3 54 16 2 61 64 16 28 10 5 32 24 1 23 32 3 13 23 32 24 18 4 49 20 4 52 49 3 34 52 49 20 20 2 22 6 3 66 22 0 16 22 5 51 23 4 17 51 23 12 24 3 20 40 4 39 20 40 8 26 0 49 57 5 0 49 57 4 28 4 li 14 5 22 19 14 0 30 1 48 30 5 43 48 30 60 32 5 17 47 0 5 17 47 62 34 2 47 4 0 20 47 4 48 30 0 10 21 0 48 16 21 44 38 3 46 38 1 9 45 38 40 40 1 14 55 1 31 14 55 30 42 4 44 12 1 62 44 12 32 44 2 13 29 2 14 13 29 28 46 5 42 46 2 35 42 40 24 48 3 12 3 2 67 12 3 20 50 0 41 20 3 18 41 20 10 52 4 10 37 3 40 10 37 12 54 1 39 54 4 1 39 54 8 50 5 9 11 4 23 9 11 4 58 2 38 28 4 44 38 28 1 0 0 7 45 5 6 7 45 57 2 3 37 1 5 27 37 1 53 4 1 0 18 6 49 0 18 49 6 4 35 35 0 10 35 35 45 8 2 4 52 0 32 4 52 41 10 5 34 9 0 63 34 9 37 12 3 3 20 1 15 3 20 33 14 0 32 43 1 30 32 43 29 10 4 2 0 1 58 2 0 25 18 1 31 17 2 19 31 17 21 20 5 0 34 2 41 0 34 17 22 2 29 51 3 2 29 51 13 24 5 58 8 3 23 58 8 9 20 3 28 25 3 45 28 25 5 28 0 57 42 4 6 57 42 1 30 4 20 58 4 28 20 58 57 32 1 50 lo 4 49 56 15 53 34 5 25 32 5 11 26 32 49 30 2 54 49 5 32 54 49 45 38 0 24 0 5 54 24 0 41 40 3 53 23 0 15 53 23 37 42 1 22 40 0 37 22 40 33 44 4 51 57 0 58 51 57 29 40 2 21 14 1 20 21 14 25 48 5 50 31 1 41 50 31 21 50 3 19 48 2 3 19 48 17 52 0 49 6 2 24 49 5 13 54 4 18 22 2 40 18 22 9 50 1 47 39 3 7 47 39 5 68 5 10 50 3 29 10 50 2 0 BOX ' B6X 0 0 00 000 / 00 000 0 21 29 16 0 21 29 1 0 42 58 33 0 42 58 2 I 4 27 50 1 4 27 3 1 25 57 7 1 25 57 4 1 47 20 24 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50 18 15 53 23 18 15 53 51 18 37 22 40 18 37 22 52 18 58 61 57 18 58 51 53 19 20 21 14 19 20 21 54 19 41 50 31 19 41 50 55 20 3 19 48 20 3 10 50 20 24 49 6 20 24 49 57 20 40 18 22 20 40 18 58 21 7 47 39 21 7 47 59 21 29 10 66 21 29 10 60 LIBER FRIMUS. (,) CAPUT PR1MUM. DE PRIMA IO VIS UOMITUM OBSERVATIONE. Humanae mentis acumen, perpetua rerum inventione conspicuum, tot tanta- que jam Orbi invexit miracula, ut nihil tam difficile, nihil tam arduum excogitari liceat, quocl invicta studii pertinacia superare non valeat. Separet quamvis aquarum obiectu terranun incoia# Oceamis, et sinuosis undarum flexibus sua cuique genti littora praescribat, audet nibiloininus mira liominum industria ignotum aequor inva¬ dere, saevientibus procellis occurrere, et magnetici calybis auxilio per immensa liuctuum volumina divites auri vonas novumque orbem inquirere. Ingenti quamquam terranun tractu amicorum corpora seiungat dira sortis inclementia, et vivas utrinque voces media regionum vastitate interdicat audiri, discit nihilo secius Mortaliiun solertia sua tenuibus ckartis verba committere, et brevi caracterum serie non coaevos tantummodo alloqui, sod et futures itidem post diuturna saecula nepotes. Surripiat quamlibet surdae mortis avaritia affiniuin animas, et dilecta ora funestis palloribus deformet, tentat nihilominus docta liominum nianus non duris tantum mannoribus sublatos vultus imprimere, sed et molli pcnnicillo, et pene spirantibus umbris extinctas quoque imagines restituere. Quid pluradicam? ea est humani vis ingenii ut omnino dosperare non liceat, annis quandoque scris saecula futura, quibus intacti aetheris turbare jura, et lubricis eredita auris anima attonitas detur inter alites evolare. Nec profecto exigua nostrum parte in superos jam tendere caepiinus, jam novus vere Dedalus Galilaeus humano, ut ita dicam, obtutui, indidit alas, jam ad distantia sidera nostros admovit oculos, et Coelum libere ingressus arcana Universi abacto saeculorum decursu incognita reseravit. Videmus iam optici tubi beneficio praeruptos in Luna montes, falcatum Veneris jubar, multiplicem unumque Saturnum, vagantes in Sole maculas, stipatas stollularum agmine Pleiadas, ac longa de Galaxiae radiis sublata lite, infinitam in lactea illa zona astrorum aciem admiramur ; sed enim quod omnia liaec transcendit miracula, attonitumque orbem magno rodit spectaculo, nova illa ( l ) Mss. Discepoli di Galileo: Vincenzo Renieri, T. V. Volume 3°, c. 160 r. e f, 161 r. e 162 r. ni. 126 APPENDICE. 976 est Planetarum caterva, quae alias circa Iovem periodos absolvens, nostris sese objicit oculis, novum illud orrantìiim agmen, quod rapido cursu peculiares orbitai traiiciens non exiguum astronomici laboribus campimi aperuit. Verum ut rem, quod aiunt, ab ovo oxpediani, non prorsus erit ineongruum, si qua primimi sorte liaec nova lumina mortalitms innotuerint, exsposuero. Ineunte igitur anno salutìs MDCX, qui ceieborrimus urlìi fuit natali die Serenissimi Magni Duci» Etruriae Ferdinandi Secundi, tempore quo liaec scribiinus, felicissime regnantis; dum Patavii adinvento non ita pridem ingenioso teloscopii instrumento, una atque altera nocto, coelestes oxcubias ageret Gaiilaeus, ecce lanuarii septima stellulae aliquot propo Iovem, secundum rectam dispositao, et ad Kclipticao ductum ordi- natae apparuerunt Creditae porro illae sunt de consueto tìssarum agniine, quae nonnisi perspicillo adliibito spectari solent; vernatameli nonnibil admirationis cau- sari sunt visao, quod secundum exactam lineimi Kclipticao aequidistanter dispositao viderentur, nec non caotoris magnitudine paribus splendidiori luce coruscarent; quocirca repetitLs deincops observationilms, et propriis rieri motibus, et respeetu lovis bine Ortum indo Occasum mutato sitn respicere, atque illuni denique omnino comitali, dum ipse interim erga Seleni in magno orbe convertitur, liquido constitit Clara interim per urbes atque ora borainum mirabilia phanomeni fama se so extulit, ac licet solitis lacessita furiis invidia, quamvis asslieto depressa veterno ignorantia vanum sublimis spectaculi nuneium evincere niterentur, pulehrior tamen successu temporis voritatis carnlor illuxit, et di» temebrionum agniine (qui idcirco nova non crediderunt astra quod prisca iiunquam inspexissent) felices egit triumphos. Dolebant aliqui adauctum Planetarum numerum, et de turbata septemirii dignitate, si coliors errantium ultra cresoeret, oxdainabant. Alii moras esse mi gas et cristal- lorum spectra, qui adeo frequentor nostris impellere solent oculis, contondebant; quid plura dicami co domentiao ventum est, ut quidam de philosopliica plebe adigi nunquam potuerit ut oeulo telescopio appliearet, impossibile ratus, Deum errantia sidera condidisse, quae tam lungo saeculorum decursu humanos lutuissento btutus: ac si Divinus Opifex quicquid in augustissimo hoc Universi tlieatro creatum voluit, sta¬ tini dura fati necessitate compuLsus, mortalium visui exponere debuisset Veruni unica veri mater experientia liane tandem successu temporis nubem dissolvit, et devincta lioc nomine Clarissimi ^ iri memoriae, posteritateiu ostendit, quod primus omnium, arcana liaec quibus Divinae Potentiae magnitudo ultorius agnoseitur exposuerit Porro non libere liane palniam Galilaeo sucereseere, audacia viri permissit petu- lantia. Iam Italiae fines praetervecta Siderei Xuneii voees publicaverat fama; iam trans Alpes egressa, reserata Coeli penotralia per Ilyperboreas quoque nives osten- derat; cum ecce lapso quadriennii giro a prima huiusce phaseos rovelatione, Simon Marius tìuntzenhiLsanus, edito Iovialis Mundi libello, hunc illi apud Gennanos honorem, more prorsus non germano, tentavit eripere. Veruni promeritis exceptus fuit in eiusdem authoris Simbellatore, indo enim adeo apertimi huiusce furti crimen innotuit, ut non minorom rLsum exciverit Aesopi eornix mutuatis orbata coloribus. CAPUT SKCUNPUM. DE NUMERO IOVIS SATELLITUM. Ropotitn saepius Lateronum Iovis observationo, quatuor tantumodo eisto.ro animadvorterat Galibieus, (|iiod et hucusqiie exacto jam tot annorum decursu, auotaquo tubonun perfectione, Sole clarius apparet Veruni quia publicatarum huiitsinodi phasium pioria non exiguo pruritu alia quoque sollicitabat ingenia, fre- quentiorcs nobilissimo instruinento erga sidorcas acies esse cooperimi excubiae, adeoque anxio ab aliquibus si quid novi so conio ostentaret, speculatum, ut praecoci judicio astia quaedam prò nootericis venditavorint, quao jam ante cuin primigeniis ab ipso Mundi exortu creata fucrant Admodum Uev. P. Christophorus Scheiner Soc. Iesu in lmnc primus lapidom impegit, (pii tìxarum imam prò quinto Iovis comite publicavit, atque illam, quonnulmodum Mediceo nomine suos insigniverat Planotas Galilaeus, Illustrissimao Marci Vuelseri familiao dicatam voluit : impegit, inquani, prò ut triplici ratione mihi vidcor evincere posse; primo, quia illius obser- vationes, quas ad suac opinionis veritatem statuenda educit, non undequaquo veris motibus respondero inveniuntur; secando, quia ex eisdem nullum fuisse motum dati sideris aperto coUigitur; ac tertio tandem quia ipsa experientia huiusce novis satellitis positioni refragatur.... [resta in tronco così] (l)( l ) Anno 1610 die 20 Ianuarii bora sesta, cimi D. UB Galileus duos tantum satol¬ li tes prospexissct ait et quartum simili iunctos extitisse et •> non bene propter exilitatem suain discretum; prima igitur sinodus observata fuit et •> bora sexta diei 20 Ianuari anni 1610. Item die 23 h. 0. 40 tempore quo tres tantum visae sunt pronunciat : et ad occasum iunctos extitisse. Hoc ipsirni accidit die sequonti bora sextu ad ortum coeuntibus : et Item die 30 h. 5. 46 p. m. : atque .*• in observatione tanquam unam fuisse sumptas : die vero 31 ol) incuriam in delincando • ab occaso adnotatum non fuisse. Tedet ad observationem diei 8 Februarii habet baec verba « ex bis omnibus supra notatis colligitur me timo temporis ab inesperientiam et instriunenti ineftì- caciam, non perspexisse stellas Mediceas nisi dum essent remote a 91- centro saltem 3 semidiametris * < 2) , sed et ad observationem diei 12 lebruarii babet l in calculo longe discrepare ab observatione linde in delineando ballucinationem contigisse concludit (3) , et lutee (pio ad observationes per eiun in nuncio sidereo registiatas iam vero hic doscribemus eas quas mihi manuscriptos communicavit. Anno 1610 Die 8 a Februarii h. 3 n. 5 : c-um • orietales iunicti erant Die 21 Ianuarii h. p. m. 5. 5 et 0. 30 n. s. V Iovis umbram digredì observatus fuit a o g O (*) I numeri fra parentesi quadra | | si riferiscono ai numeri delle configurazioni riunite nella tavola in in fondo a tutte lo osservazioni. I numeri in grassotto fra parontesi tonda () segnati sul margine di sinistra si riferiscono ai numeri deU’indico delle carte dei Mss. l numeri più piccoli fra parentesi tonda ( ) situati sotto le sessagene di moto delle osservazioni corrispondono alle distanze dei satelliti dal corpo di Giove espressse in semidiametri del corpo stesso. (2) Ed. Na*. Voi. HI, Parte II, pag. 686. (3) Loc. cit. pag. 687. 980 APPENDICE. Anno 1611 Fiorentino die 13 Maii h. 3. n. s • f ot v versus occasum simul conve¬ llere Anno 1612 Die 23 Februarii h. 5. 13 p. m. : et • so foro tangobant inox elapsis 5 scr. horarum coierant adeo ut exactissima coniunctio a valilo sensibili distantia intra fi tempori» minuta manifeste conspici potuerit; porro totus coitus usque ad integrarli separationen duravit scr. h. 15, 0BSERVAT10NES GALILEI AD NOSTRUM A1 ) NOTATA E PROUT IPSB PROPRIA MANU DKSCRIP81T <*1 1610 Anno 1610 die 20 Ianuaris Paduao in observatione horao (ì duao tantum stellae observatae sunt; ex quo intelligitur %• et ••• fiòsso coniunctas, ot licet latitudo inter ipsas magna fuorit %• tamen oh exilitatem et propinquitatem •% et inexpe- rientiam observandi non fuit adnotata. Die 23 eiusdem mensis ot anni li. 0. 40 in observatione notantur solum 3 stellae quia occidentalos ot •• iunctao erant Die 30 eiusdem mensis et anni in observatione h. 1 n. s., •• et •% tanquam una stella acceptae fuarunt. Die 31 in nuncio sidereo • in observationibus adnotata est forte ex neando vel observando. incuria in cleli- Dio 12 Februarii oportet ili observatione quae habetur in nuncio sidereo fuisse allucinationem. In observationibus vero omnibus quae eo in libro notantur eolligit ob inexperien- tiam et instmmonti inefficaciam stella» mediceas conspoctas non esse nisi cium essent remotae a centro % sem. 3, ita notatili* ad elioni 8 Fobruariis. Die 13 decombris paulo post bora 3. 30: n. s. : et • coniuncti fuorunt (*) Questo elenco (liinostrerehl>o che oltre le osservazioni riprodotte in facsimile da pag. 427 a pag* 453 cioè dal 7 Gennaio 1610 al Febbraio 1613 doveva esistere un elenco autografo di Galileo per le altro osservazioni fino al 1619. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 981 1611 Die 26 Martii h. 0. 40 • et •• iuncti sunt ad occasum. Die 14 Martii li. 3 ••, et %• occidentales coniunctae orant. Dio 27 Aprilis li. 1 •• et ••• ad ortum iuncti orant. Anno 1612 Die 4 Maii •• latuit in umbra usque in lumini 2 et postca apparuit remota a 9J. centro som. 3. Dio 4 Aprilis bora 4. 20 ab occasu v prodiit et remotus erat a 9| 4 seni, et ab eius centro 5. antea fuit in umbra. Anno 1613 Dio 2 Martii li. 12, • et •• ab ortu iunctao crani Die 11 eiusdem li. 8. 40 a. in. oxactissima coniuncio • et hoc est ab oc. 2. 52. Die 20 eiusdem li. 3.48 et •> iuncti sunt, • vero et •• distabant ad invicem seni. 1.20 et fuerunt coniuncti h. 5.24. Die prima Aprilis, li. 3. IO fuit focta (/ • et •• ab ortu. (3) Die 5, li. 3.25 n. s. facta fuit (/ •• et ab occasu et distabant seni. 4. Dio 8. li. 3.8 il. s. • emersit o tenebria versus orlimi distans seni. 0.15. Dio 14 sinodus .% et facta fuit li. 3.30 ab occasu, versus ortum. Die prima Maii li. 0. 30, •• et iunctae sunt ad occasum. Die 5 h. 1. n. s. • et •• ad ortum distabant a 9[ paribus interstitiis. Die 8 li. 3. 30 n. s., facta cs •• et ad occasum in distantia paulo minore som. 6. 10. Die 18 li. 1 et • vix ^ ad occasum superaverant. Die 30 paulo ante li. 1, •• et • iunctae sunt. Die 4 Iunii li. 1, •• a centro 9| ex oriente distabat som. 1.45. Die 6 : fuit in tenebris 9| usque in li. tertiam, quo tempore apparuit c/ • et dista- bant a 9). contro seni. 2. 50. Die 7 h. 1. • aberat a contro 9[, 2.30'. Die 9 h. 1. 50 fuit in eclipsi usque in li. tertiam et tunc emersit et erat • iun- ctus in remotione a 9[ centro seni. 3. Die 21 li. 1 v distabat fere som. 4 a centro. Dio 27 •• et h. 1. 30 iunctae sunt ad occasum distantes a Qj. centro seni. 3. Dio 30 li. 1, ••• erat in eclipsi. Die 14 lulii, et •• h. 1, distabant ad invicem 0. 30. 982 APPENDICE. Die 15 h. 0. 30 • et .*. iuncti erant et distabant a centro 9j. 3.40. Die 18 • et .*. distabant 0.20 h. 1, sed h. 1, 30 exquisito erant et distabant a Q(. centro 3. Anno 1614 Die 11 Martii b. 7, erant ad orientem. Die 13 lunius h. 1, et • vere sunt et distabant a lì| centro seni. 2. Die 17 et distabant som 1.40, h. 1. Die 25, li. 1, •• et primus distabant 0.15, li. 1.18 iuncti sunt. (4) Die prima lulii, li. 0.40 e tenebria emersit. Dio 2, li. 1 •• et • distabant seni. 0. 35. Dio 3, h. 1 distabat a 0 \ centro seni. 1. 30. Die 10, b. 1, v erat orientalior seni. 0. 10. Die 12, b. 1. 30 et •• fuerunt Die 14 h. 1, •• et • distabant ad inviceli seni. 1.12. Die 22 b. 0.40 ••• et • sunt distantes a centro seni. 3. Die 27, li. 0.30 •• et • distabant inter se 0.40 et • a 0} seni. 3. 20 Die 7 Augusti, li. 1 v et •*. distabant seni. 2.0. Die 13. li. 2, ab eclipsi liberatus est et distabat seni. 3. Die 15, h. 0. 55, •• et • distabant a % centro seni. 4. 30. Die 1. Septembris, b. 0.30 medius erat inter • et . 1615 vacat Anno 1616 Die 29 Maii, b. 10. a. ni. : et *\ iuncti sunt, bora vero 12 sic erant 0). Die prima lumi, h. 12. •• ab ortu % fere tangebat. Die 14 h. 2 ab occ. et • iuncti sunt. Die 18 h. 2.35 • distabat a centro 9| seni. 2; b. 3.48. n. s., 11.25 a meridie, cir- cumferentiam % tangebat ad unguem exactissima observatio: li. 8 distabat a centro % ad occ. sera. 2. 35. Die 20 h. 0.40 % tangebat. Die 22 • et •• h. 1. n. s. iuncti sunt; li. 2. 30 • medius erat inter •• et , bora 5.15,«et %• ita erant 09 et forte primuin non est assecutus. Die 24, h. 4.12 distalitiae inter et 9j limbum erant aequales. Die 30. h. 3, %• et •• distabant invicem seni. 2. (0 Vedi configurazione a pag. 647 di questo Voi. (2) Vedi configurazione a pag. 649 di questo Voi. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 083 (5) Die 5 Iulii, h. 2, ab occ*. • e tenebris exi vii et distaimi a oircumferentia Q| 0.20. Die 8, li. 3. 10, exivit ex umbra et distaimi a centro 9[ 1.48; bora vero 4.45 iunctus est cimi •• et distaimi a 9| centro seni. 2.48. Die 10, li. 0,45, •• distaimi a centro 1.15; h. 1.10 tangebat. Dio 13, li. 0. 30 • distaimi 1. 10 aut 15. Die 17, li. 3,30, •• ab oceasu 9) tangebat. Die 19 • et •• facta est, li. 2.20 ab occasu et distabant a centro 9\ 1.20. Die 28 h. 2. 20 • exivit ex umbra distane a centro 9j 1. 40. Die 29, h. 2. 30, • et iuncti sunt et distabant a contro 9). 3. 40. Die 31, b. 1. n. s. • et •• fuerunt. Die 2 Augusti exivit versus occ. h. 2.8. Dio 4 •• exivit ab umbra li. 3.10 et distaimi a centro 9[ 2.20. Die 5, li. 1 • distaimi a centro 1. 15 exacta observatio. Die 9, h. 1.40 Q|. tangebat. Die 12, li. 3.20 distaimi • versus occ. 1.18. Die 13, h. 1, • exivit e tenebria; b. 1.26 •• distaimi sem. 3 a centro 9j. Dio 17, li. 8. a. m., •• et distabant sem. 0.38. Die 20, b. 0.36, •> 9| tangebat; li. 1.5, incidit in nmbram; h. 1.30 •• 9[ tangebat; li. 3.20,* exivit ab umbra; h. 4, emersit e tenebris et distabat a • 0. 36. Dio 24 A et •• distabant seni. 0.12. Die 29, li. 0. 52, •• exivit e tenebris et distabat a • versus 9} , 0. 24, ipse vero • distabat a centro 9} sem 3; bora 2 ab occ. v exivit de tenebris et distabat sem. 5. Die 10 Septembris, li. 7. a. m. *et iuncti sunt. Die 14 h. 7 a. m. •• et iungebantur. Die 6 Octobris, li. 1.30, • distabat a centro 9| 1.24. Die 10, li. 1.28 %• et • iuncti sunt Dio 16, h. 2.18, 2 et erant d • Die 18, b. 1. 45, • et •• iuncti erant, et %• ex oriente distabat a centro 9f 1. 34. (6) Die 19, h. 0.30 et A iuncti sunt et latitudo inter utrumque erat sem. 1 et amplius. Die 27 ••• et •• distabant sera. 0.14. Anno 1617 Die 19 Iulii, h. 8. a. m., • et •• distabant sem. 1. 20. Dio 20, b. 2, •• Q| tangebat. Die 21, b. 2. al) occ., v et • sese tangebant. Die 22, h. 2, • et fuerunt iuncti et distabant 2. 48. ih. 126 984 APPENDICE. Dio 23, h. 2, • ot A iuncti sunt et distabant a r. 2. 50. Dio 30, h. 3.20, A oxivit c tenebria qui diatabat a centro •). 1.20 ot tunc A eclipaabat, qui h. 5.15 nondum apiwrebat; h. 3. 40, • ot .\ distabant «era. a 40; h. 4.12 vero d fuorunt Dio 5 Augusti, h. 0.30, : diatabat a centro 9., 1.10; h. 1 ein uiufrrrnUain 9. tangob&l Dio 6, li. 2, : ot v distabant som. 2; h. 2, A 9. tangeliat. Dio 7, li. 0, 50, ot •• aequalitor diatabant hinc rt indo seni. 2.10. Dio 8, h. 1.10, •> et ** iuncti mint; b. 1.40, • •>. Ungebat. Dio 9, h. 2.20, • oxivit o tonobria distaila 1.20, ,*. et •• intcr i*o di tabant 1. 40. Dio 16, li. 2, •> ot : qui luitoa iuncti erant uun a. jMiraluuitur et diatabant acr. 5’ et •/ orat Qf propinquior, fuit sino latitudine. Dio 19, li. 0.15, : et • iuncti orant et diatabant -em. 4. IO a centro •). . Die 22, h. 2. 30, A ot A diatabant 1.45. Dio 30, li. 2.35, •• oxivit o tenebria distans 2. IO. Dio 31, h. 0.30, • ot A distabant 0.15; li. 2.15, iuncti sunt Dio prima Septembris, h. 3, • oxivit e tenebrìa diatana 1.50. Die 19, b. 0.30, •*• diatabat a A 0.25, et ìp-< A erat •). propinquior. Die 22, • et .\ bora 0.30 se tango bant; h. 0.32 iuncti aunl et distaluint 1.20. (7) Dio 25, h. 4, A Oj. tangebat; h. 1.30, et • iuncti erant distante a centro Di 2.20. Die 26, li. 1, A mediuH erat inter limbuni •>. et •. Die 28, li. 2.40, A et • iuncti erant <*> Die 3 Octobris, li. 0.25, • oxivis e tenebri» di-tana a centro 9;, seni. 2. Die 4, h. 3. 6 <*>. Dio 5, h. 2.8 A incidit in tenebra». Die 14, li. 2, A a A diatabat 0.15. Die 17, h. 1, • Qj. tangebat; h. 1.30, A oxivit e tenebria. Die 24, li. 1, A separabatur a 9j, b. 2.20 umbram incidit Die 26, li. 1.20, •• oxivit e tenebri»; h. 1.22, exivit • et distabant inter se 0.30 Die 29, li. 1.20, •• et • iuncti sunt Die 9 Novembri, A distaila! a a 1.15, li. I. Die 13, h. 0, 30, •• et primus distabant sor. 15. Dio 14, h. 0.30, A et • iuncti sunt Di 27, b. 1.40, •• oxvit e tenebris. Die 10 Decembris, h. 0.30, A et •• iuncti erant (<) Qui i, .erto incora un eimra .li cupi. p«r nono del RnM, trUi |«*. 76* di qo«to Volume. <0 Vedi confinili azioni.* a pa«. 767 di quiato Volume. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 985 1G18 Die 23 Iulii, li. 3.20, • ot •*. (listabant sera. 0.25. Die 31, h. 2, et • iuncti erant. Dio 10 Augusti, li. 2, •• et iuncti sunt Die 18, li. 1.20, intervalla ••, A, •*», erant proximo acquo)io. Die 10 Septembris, li. 7.30 iu ni., clistabat : a centro 9} 1.6; h. 10. 5G iam, supc- ravorat •), et distabat 1.10; oxaotissiina obsorvatio. Dio 20, li. 7.20 p. ni., Oj. ab occasu • tangcbat; li. 11.45 superata umbra, distabat ab ortu som. 2. Dio 22, li. 0.28 p. in., •*• umbram incidit; li. 7.31 p. m., • et A iuncti sunt Die 4 Octobris, h. 8.28 p. ra., • ot •• iuncti sunt (8) Dio 5, li. 9.9 p. in., • 9| tangcbat Die 0, h. 7.30 p. iu., : et A d sunt; bora 9.44, • exivit e tenebria. Dio 11, h. 10.35, • et •• iuncti sunt Die 21, h. 0.24, • ot A bine inde a Qf. aequaliter (listabant Dio 25, li. 8.82, •• A tangebat Dio prima Novembri», li. 5.33 p. ni. •• ot A iungebantur. Die 15, h. 8.28, A extingui visus est Dio 20 ot •• iuncti sunt li. 8.8. Die 31 Doconibris, h. 0.0. • et d fuerunt 1619 Die 8 ls.nim.ri, li. 6.36, •• et A (listabant lui invicem 0.12 li. 7 • medi uh erat intor et 9}. Dio 10, h. 0.36, •> et A iuncti sunt exacta observatio. Dio 11, L 5.16, A et • (listabant 1.25'. »• a centro 1.3; Dio 16, • ot v distabant sera. 1. Dio 19 Septembris, h. 8.36, • et iuncti sunt; li. 9.25, •• exiens 9(. tangebat. Dio 20, h. 9.30, • • ot .% fuerunt Die 25, h. 7, v ot •• iuncti fuoro; bora vero 9.40 • % tangebat. Dio 2 Octobris, b. 8.40 •_)[ tangebat Dei 12 • et •> iuncti erant Anno 1610, h. 10.40 p. in. aeq. v et dica 20 Lanuarii ; sex. tomp. sunt 19*26. 40; versiìs occidentem iuncti sunt; erat prosi cent. 5.4 sub., orb. 8. 21 sub. 986 APPENDICE. Error nimius est unde necessario observationi tribuendus erit. Imo error est quia pros. or. est addenda mule • ••• v 4.22.25 3.18.21 5.43.56 (6.47) (4.24) (C.47) Mirum hoc non erit si consideremus obseryationes Galilei factas esse ad horas comp. absque minutorum inquisitione. Anno 1611, Die 14 Maii, li. 3. n. s., •, •• et •> iuncti erant; li. p. m. 10.14 aeq. 10.3; sunt vero sex. temp. 2.13.25/7/ 30'"; prost. cen. 5.15 abl., orbis vero 8.59 add.; porro erit tota ea quc addi debetur graduum 3. 44 et sunt medii mot. trium antecedentium sic • •• • • 4.46.4 3.35.20 3. 1.42 (6.37) (6.4) Oportet liane observationem erratam esse cum reliquae bene respondeant. (10) Anno 1617. Die 4 Octobris h. 3. 6 n. s., 8.33 aeq., sic se habebant ( ‘> sex. temp. med. 4.36.21.23 prost. add. 15.9 • w 4.2. 5 5. • • 18.17 • • • 5. 47. 39 (5.9) (5.50) 6. 14) • • • • • • * • • • • (11) (12) Die 30 Martii 1612 h. p. m. 9 4.11. 37 1. 8.46 1. 1. 18 4.18.14 (6.81 oc.) (8.10) 31 M. 1.43. 36 2. 54. 23 1. 53. 44 4. 40. 23 1 Àpi*. 4. !>8. 39 4. 31. 34 2.42. 0 5. 1.26 3 Apr. 5.37.11 1.50. 9 3. 20. 35 0. 3.43 Prosi, add. 4.16 5 Apr. 0. 32.43 5.17.11 0. 3.22 0. 27.49 Prost. add. 4.29 6 Apr. 3.10.14 0. 58. 35 0. 53.43 0. 49. 25 Prost add. 4. 36 7 Apr. 1.11.16 2. 35.46 1.41.58 1. 10. 6 8 Apr. 4.39.14 4. 19. 17 2. 33. 23 1. 32.12 (11) Anno 1618. Septembris h. 6.28 p. m. extmguebatur erant eo tempore sex 4.25.16.18 prost. cen. 3. 44. ' ( 13 ) Examen observationum quae habitué sunt a. Claro Viro Galileo Galileo; et primo in die 4 Aprihs 1612. Hora 4 ab occasu exivit e tenebria distans a centro 9| seni. 5. h. 10.18 p. m. aeq. Unde retrocedendo ita habebimus Radicela anni 1612 a meridie ultima de- cembris completi anni 1611; ad lume observationem sunt sex. temp. 1\ 34. 25/45 (*) Vedi pag. 757, colonna destra, ultima configurazione. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 987 cui de motu ultimile tabulile competunt Acquanti medii motus 3. 49. 5 si ergo sub- tmhantur a Radice observationis 0.5.17 orit Radix anni 1612 in 2.16.12. Anno 1642 die 31 Augusti bora p. in. 15.20 aoq. idem. %• incidit in um- bram *J| ; datur eo tempore prost. con. 2. 17 ablativa cumque supponatui* distare ab auge media 5. 58. 40, si indo subtrahatur centri prosi, erit li. observationis m. motus in 5. 56.23. Porro a prima observatione ad liane ultimam intemiediant sox. temp. 3." 5. # 7. 12/ 35'' cui competunt do motu tabulae 5.57.26; ergo motus tabulae abimdare videtur in annis 30, m. fere sex. gr. 1 scr. 3 linde examinetur sequentes observationes. Anno 1616 Die 29 Augusti li. ab. occ. 2, v exivit ab umbra % distans a centro Qj. seni. 5; bora data prost. cent 5.30 linde si miteni sit in ecliptica supponatur di¬ stare a centro umbrae gr. 1.40, erit R. liuius observationis in 5.56.10, porro di- stantia buius observationis et cius quac anni 1642, est. sex. 2/' 38/ 19.17/ 5" cui competunt sig. 0.0.57 et propterea in 2. u observatione erit in 5. 57. 7 et motus abundat scr. 44. Anno 1617 die 5 Octobris bora 2.8 n. s. v eclipsabatur, quae fuit b. 7.33 aeq. p. m.; quo tempore linde si supponatur distare a centro umbrae 5. 58. 30 erit li. buius observationis in 5.53.39 porro ab Ime observatione ad illam anni 1642 mediant sex. temp. 2/' 31/37.19/ 27/' quibus debetur gr. 0.3.39 qui additi sex. 5. 53. 39 dant sex. 5. 57. 18, ergo motus abundat scr. 55. Anno 1618 Septembris die 22. li. 6.28 a. ni. %• eclipsabatur; datur co tempore prost. 2. 50 add. Si ergo supponatur distare ab auge media gr. 5.58.30 erit R. medii motus buius observationis in 5.55.40 porro distantia temporis sunt sex. 2/'25/45.22/10" cui competunt de motu tabulae sex. 0.0.48 quae si addantur sex. 5. 55. 40 dabunt sex. 5. 56.48, et sic motus abundabit scr. 25. Videtur itaque concludendum ex bisce observationibus motum tabulae uno gradu abbundare in annis 30 sed etiam motum assectandum quarti in suo orbe accelerali eadem proportione qua motus c }\ in propria orbita acceleratur, erit igitur motus diurnus buius Planetac 0). Examen qui proxime sequitur. Anno 1613 Die 9 Iunii bora n. s. 3. ft V exivit e tenebris remotus a C J[ seni. 3 datur eo tempore (prost. cent. 0.20 add.); emù ergo lune supponatur distare ab auge media 2.40 si illis addatur centri prost. erit R. m. motus in gr. 3.0; bora aulem buius observationis est 10. 25. Ad baec anno 1642 die septembris 10 (4/'13/47. 28/ 13") bora ex altitudine Aquilae 35. 14, distantia a m.° 47.9 li. 11.26 p. in. app. aeq. bora 11.17; exivit ab umbra mule videtur distare a centro umbrae gr. 0.2.40; datur eo tempore pr. centri 2. 10, quac si auferatur a superiori exbibit epochem buius observationis O) Qui mauca il valore del moto diurno. 988 APPENDICE. in gr.O.O.30; porro a p. a ad secundam observationcm modiant sex temp. 2." 58/5.2/10" quibus competunt do mota tabulile sex. 5. 55.42, quibus si addantur pi*, primae II. erit locus socundae obsorvationis in 5.58.42 et motus tabula© defìciet gr. 1.48. Anno 1614 die p. A lulii h. 0.40 n. s. quae est a meridie bora aeq. 8.5; obser- vatus est •% c tenebria exire datar co tempore prost add. (2.0) unde si linee sub- ducatnr a partibus 2.40 erit R, obsorvationis in sex. 0.0. 10; porro diflerontia huius et postreniae anni 1642 est sex. temp. 2." 51/38.8/0" quibus do mota tabulae competunt sox. 5. 58. 53 mule si bisce addatur 11. 0.0.40 erit R. obsorvationis altera© in 5.59.33 ot motus tabula© doiìciet gr. 0. 57. Anno 1616 dio 20 Augusti li. 1.5 .% incidit in umbram, bora 4 oxivit; unde b. 2.33 fuit in umbra© contro hoc est. li. aeq. p. ni. 9. 18; datar eo tempore prosi con. add. 5.30 et propteroa II, obsorvationis erit 5.54.30, ali hac autem observa- tione, ad illarn anni 1642 mediant sex temp. 2/'38/ 37. 4/58 quibus competunt de mota tal), sox. 0.4.21 quaro si baco addantur sex. 5.51.30 dabunt sex. 5.58.51, et motus tabulati deficiet gr. 1.49. Anno 1617 dio 30 lulii li. 3.20, n. s. exivit o tenebria linde ponitur distarò a centro lunbrao 2.40 bora erat p. in. 10.44 aeq. datar co tempore prost con. 5.6 add. unde R, erit 5.57.36 ab hac autem observatione ad illarn anni 1642 sunt sox temporis 2."32/ 53.1/23" quibus debtuitar sex 0.0.44 quibus addita R. 5.57.34 orunt 5.58.20 et motus tabulile detìciet gr. 2. 10. Anno eodem dio 17 octobris li. 1.50 exivit al) umbra li. \). m. aeq. 7.54 quo tempore dato prost. est 4.48 unde si subtralmtur a gr. 2.40 erit R. modii motus 5.57.52. Ab hoc observatione ad illarn anni 1642 sunt mediae temporis sex. 2." 31/ 34.8/28" quibus debetur 5.58.9 unde locus esset in 5.56.1, quod ftd- modum discropat a vero nempe gr. 4.29, examinetur ergo alia observatio dici paulo post sequentis. Anno codoni die 27 ciusdem mensis li. 2.20 n. s. incidit in umbram; bora erat a m. 7.9 aeq. datur eo tempore prosi, cent. 4.42 lindo II. 5.52.38; datar ab hac observatione ad illarn anni 1642 sex. temp. 2." 31/27. 10/ 21" quibus com- petunt sex. 0.8.4; bis ergo si addantur sex. 5.52.38 (erunt) 0.0.42; radix optane habebit abundans tantum sor. 12, unde neeesse est in illa dio 17 errorem esse. Anno 1618 novembri» die 15. li. 8.28 p. m. oxtinguebatur. Ernst, est. 2.25 quae sub. !1 a 5.57. 20 dal II. 5. 54. 55 ; differentia temporis est 2." 25/' 0. 7/ 3" quibus competunt motus 0.4,38; bis si addatur epoclia 5.54.55, II. erit in 0.0.33, bene respondens. Ex bis omnibus videtur paucum immutandus motus, ot bine etsi colligit.% aeq. ae- celerationem in motus 9| discrepantiam forte tollet determinata umbrae semidaimetro. (17) Anno 1614 si prost. sit 2.15 ot subtr. a. 2. 50 erit Radix in 0. 0. 35; bis addita mota compii: ad secundam obscrvationem 5.58.42 erit locus. in 5.59.17 deftì- ciens 1. 38. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 989 Anno 1616 si prosi. 5.32 erit Radix 5.54.28 cui si addatili* 0.4.21 motus de- bitus erit 5.58.49 defficions gr. 2. (ì. Anno 1617 si sit. 4.48 et subtrahatur a 2.50 erit Radix 5.58.2 undo addito molli debito ad secundam observationem 0.0.44; 5.58.46 erit motus 5.58.46 defficions gr. 2.9. Anno 1617 Octobris si sit. 4.32 et distantia 3.0, erit Radix in 5.58.28 addito autem mota 5.58.9 lit 5.56.37 quod adirne oxorbitat gr. 4.18. Anno 1618, si sit 2. IO et subtrahatur 5.57.10 erit Radix in 5.55.0 linde ad¬ dito motu 4.88 erit Radix in 5.59.38; deiiciot gr. 1 sci*. 17. Anno 1639 si sit. 5.8 et subtrahatur a 5.57.0 erit Radix in 5.51.52 et addito motu 7.40 erit Incus 5.59.32 doftìcict autem 1.23. Ex supradictis omnibus patet liane viam non recto procedere sod potius ali- qualitor centri prosthaphaorosim imniinnuondam. Examinetur v iuxta prosi, gr. 4. In i>rima obscrvationo anni 1612 datur Prost. 2.40 distantia v a diameti*o umbrae est 1. 18 linde addita prost. tit. R. m. m. 3.58. In socumla anni 1642 datur pros. 0.57 quao subt. a distan. v ab umbrae diametro nempo a 5.58,42 dat R. m. m. in 5.57.55; motus dobitus intercapedini temporis est 5. 52. 9 buie si addatili* R. primao obsorvationis dabit epochem in 5.56.7 et motus deiiciot gr. 1.48. Anno Kilt), 29 Augusti distabat a semidiametro umbrae gr. 1.18; prost. fuit 3. 59 umlo R. m. m. 5.57.19; motus dobitus intorcapcdinis primae ad secundam est 0.0.57 ergo in secunda erit R. 5.58. 16 et motus abundabit 0.21. lluic patet Prost. debere esso oandem quao est centri Qj., lausbergianam tamen. In •> In prima obscrvationo 1612 distantia a diametro umbrae in v est 1.18 prost. 3.37 ergo R. 4. 55. In secunda clist. 5.58.46 prost. 2.8 linde R. 5.56.38; a prima ad secundam motus est. 5.52.9 cui si addatili* R. prima 4.55 erit 5.57.4 et motus abundabit sci*. 36. Anno 1616 dist. ab umbra 1.18 prost. 5.12 linde R. 5.56.6, motus interca- pedinis est 0.0.57 hic additus pi*. R. dat. 5.57.3 et motus abundat sci*. 25. Anno 1617. dist. 5.58.42 prost. 4.37 linde R. 5.54.5, motus intorcapcdinis 0.3.39 qui additus R, dat. 5.57.44 et motus abundabit sci*. 40. Anno 1618 dist. 5.58.46 prost. 2.39 unde R. 5.56.7 motus intercapedinis est 0.0.48 liic additus R. dat. 5.56. 55 et motus abundabit scr. 17 ; bine patet prost. bene se habere. In •% Almo 1613 exivit, ergo distabat gr. 2.45 prost. cen. fuit 0.52 ergo R. in 3.37. 090 APPENDICE. Anno 1042 distaimi 0.2.49 prost. con. fui! 2.2 undo R. in 0.0.47 motus in¬ tercapedinis 5.55.42 cui addita R. prinmo fit. 5.59. 19 et motus deficit gr. 1.28. 1014 distantia fuit 2.50 prost. cen. 1.56 unde R. 0.54 motus intercapedinis 5.58.53 qui additus R. pr. dat. seoundam 5.59.47 et deftìeit motus 1.0. 1010. Dist. nulla fuit prost. 5.12 unde R. 5.54. 48; motus intercapedinis 4.21 unde R. seconda in 5.59.9, motus deftìeit gr. 1.38. 1617. Dist. fuit 2.50, prost. 4.51 unde R. 5.57.59 motus intercapedinis 0.0,44 unde secunda R. 5. 58.43 et motus defiieit gr. 2.1. Eodem anno 2. n fuit dist. 2.50 prost. 4.33 ergo R. 5.58.17 motus interca¬ pedinis 5.58.9 unde R. 5.56.26 et discreparci gr. 4.21 fuit forte error unius baec. 3\ eodem anno dist. fuit 5. 57.11 prost. 4.32 ergo R. 5.52.39 motus interca¬ pedinis 0.8.4 ergo secunda R. in 0.0.43 deficit scr. 4 ergo secunda emendatili*. (19) 1618. dist. fuit 5.57.20 prost. 2.10 ergo R. 5.55.4 motus intercapedinis 0.4,38 ergo R. in 5.59.42 et deficit gr. 1.7. Anno 1639 dist. fuit 5.57.0 prost. 4.38 linde R. in 5.32.22 motus interca¬ pedinis 0.7.40 unde secunda R. in 0.0.2 motus deficit scr. 45" quos .\ peragrat in li. 0.18 qui fortasse per errorem observationis accidentaliter cimi meminerim tempus huius phaseos captimi esse postquam ••• non appareret et aliquandiu prius ab observatione vacassero. Anno ipso die 23 sept. exivit •% ab umbra bora 7." p. ni. prost. 4.47, unde cum distantia sit 2.50 erit R. 5.58.3 intercapedo est 18/2. 10/ 43" cui competunt de motu tabulac sex. 0.2.32, (iiiao si addantur primae R. 5.58.3 dunt 2." 1,1 in 0.0.35 et motus tabulae deficit scr. tantum 12 quae peragranti 0 homo minuti». Anno 1640 die 17 Maij eclipsabatur li. 15.31 linde distaimi 5.57.10 datili* co tempore prost. 5.53, quare R. 5.51.57 tempus intercapedinis est 14.5.49.25 cui debentur 0.9.21 et propterea 2 m R. cadit 0.1.18 adeo ut motus abbundat sci*. 31, quae peragrentis unius quadrantis baec spatio; cumque inter Genuam et Florentiam medient sci*. 10, observatio 5 tantum minutis aberrat. Quod si forte negligeretur baec centri prost. cimi anno 1040 distiterit sex. 5.57.10, addito motu intercapedinis 9.21, fierit R. secundae observationis in 0.6.31, abun- daret ergo motus gr. 3.42 et sic observatio anticipare debuisset li. 1 scr. 46; errore intolerabile. Statuimus propterea habendam esse rationem Prostapbaereseos centri Oj. iuxta quam planetae dum descendit ad perigaemn accelerantur dum ascendet, retar- dantur, quod adirne in primo examinabimus licet in eo minus fiat sensibilis. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 991 Corte habenda est ratio prost. cen¬ tri, centri acquata propterea quae in adiecto schemato designantur. His suppositis ad deffinitionem mediorum motuum sic procedimus et primo in v. Anno 1612 dir *1 Aprilis li. 10.18 p. in. aeq. observatus est e tenebria exire, distabat igitur ab umbra© medio gr. 1. scr. 18. Datur eo tempore ab anno 1600 sexagenae sequentea 1' 8’' 31 25' 45"; prost cent. 3.23. Kst igitur anomalia centri media 5.18.6 acquata 5.21.29. Anno 1642 die 31 completa Augusti li. p. m. aeq. 15.20 idem incidit in umbra dantur antem a 1600 sequentes sex toni. 4." 13/ 38. 38/ 20". Prost 1. 47. Est igitur anomalia centri media 2.40.56 aeq. 2.38.4. Sit igitur in prima observationo arcus A BOI) motus anomalia© centri medine, cui. aequalis est FG11E distabit igitur pianeta v ab apogaeo medio A sex. 5.18. 6; in seconda vero ab I per arcuili Ili sex. 2.40.56 si numerimus medica motus a punctis fixis A et I. anno 1612 bora observationis distabit ab apogaeo À por arcuili Ali OD et cum prost. centri DM per arcani ABC DM, it ut in D sit aux media, in M vera; et quia bora observationis distabat v 1.18 hoc areu p. ni. ab auge vera M, hoc est a puncto qui directe soli N opponitur; si miglilo MED addun- tur gr. I. 18 erit distantia •> a puncto I) augis mediae gr. 4. 4L Eodein modo osten- demus in secunda observatione planotam distare a puncto L. sex. 5.58.42 al) (). 5.56.55, intercapcdo vero temporis inter primam et secundam obseivatLoncm 3." 5/ 7.12' 35" est cui competunt de motu tabulae 5. 52.9. Addantur ergo huius- modi sex. distantiae primae observationis ab auge media hoc est gr. 4. 41 dabunt APPENDICE. 992 distantiara planotao ab auge media in sex. 5. 59. 50 et media* motus abbumlabit solimi modo scr. 6 quod est insensibile. Statuitili* propterea Kpoolia lniius planetae mi initium aiuti 1912 in sex. 2. 41° 36' diebus n. 31 Aug. et li. 15.20 delie tur motus 3. 15. 19 qui subtrartus a loro i n observationis momento dat liane epoeliern. sex g ' M Anni 1642 2 41 36 ot. inolimi diumum 0 21 29 16 56 2 Anno 1613 die 9 Junii •% exivit e tenebri* b. p. m. lo. 25 aeq. sex. temp. 2.39.26.3 daini* eo tempore prost. cent. 0.31 adii, prnpterea ilistalmt ab auge media 0.3.16 cum ab umbrae medio distot gr. 2.45. Anno postmodum 1642 exivit iterimi li. 11.17 p. ni. «lini lo septembris linde sunt sex. 4.12.28.13, dantur hoc tempore pros. sub. 1. Il, mule si semidiaineter transitus umbrae sit gr. 2.50 distiterit tune ab auge media sex 0.1.6. Kst vero differentìa temporis 2." 18/ 5.2/ 10" quae dat motus sex 5,55, 12 mule addita epo¬ che prinmo observationis reperitili* in seeundn in sex 5.58.30 et motus tabular deffìcit gr. 2.36. Anno 1614 prima Inlii h. p. ni. 8.5 A iterimi e tenebris esiliai; sex. temp. sunt 3.1.20.13, timo dabatur pros. 2. 12 ablativa linde si suppoiiunms distitisse ab uin- brae medio gr. 2.45 distabit tempore observationis ab auge media sex. 0.0.33 dif¬ ferenza temporis intor liane et illuni anni 1642 est sex 2" 51. 38. 8' cui respondot motus sex 5.58.53 addita propria epoche 0.0.33 dalur Incus seminine observationis in 5.59 26 et propterea motus tabulai* defticiet gr. 1. lo. Anno 1616, die 20 Aug. fuit in umbrae medio li. 9. 18, sex. tem. sunt. 4, 23. 23. 15 prost. al)lativa tane est sex. 5. 15, (piare tane A ilistabat ali auge media sex. 5. 54.45 porro ab observatione hac ad illuni anni 1642 mediaut sex. 2/' 38.' 37. 4.' 58" quibus deli etili* motus gr. 4.21, hoc ergo addito prinme lì. t‘i t semiala 5. 5!). 6 dofticit ergo motus tabulae gr. 2. Anno 1617, die 30 lulii exivit ab umbra li. lo. I ! orimi ergo sex. temp. 3. 30. 26. 50 et quia tane datili* pros. con. abl. 4. 42 si liner stibduralur a gr. 3.0, distantiae ab umbrae medio, crit II. liuius observationis in 5.58. 18 intereapedo autem temporis inter primam et secundmn observationem est 2. ' 32/ 53. 1/ 23" quibus competit mo¬ tus 0. 0.44 propterea si buie addatili* 11. prima 5. 58. 18 dabit secundam in 5. 59 12 et motus talulae defficiet gr. 1.54. Anno eodem dio 27 Octobris li. 7.9 p. in. ae({. incidit in umbram sex. temp. sunt. 4.59.17.5*2 prost. abl. est 4.20, quao subducta a distantia ab umbra inedia, scilicet 5.57 0 dat epochciu liuius observationis 5.52.40; intervallimi temporis dua- OSSERVAZIONI E CALCOLI. 993 rum obsorvationum est 2." 31/27. 10/ 21" cui clebetur motus 8. 4, buie si addatur epoche prima, dat sonimhun in 0.0.44 et sic motus defticit tantum scr. 22. Anno liilH, 15 novembri» li. 8. 28 extinguebatur ; sex. temp. sunt 5. 31. 21.10 quibus dobetur prost. ubi. est 1.52 (piare si subtrahatur a distantia ab umbra erit li. observationis in sex. 5. 55. 23, intervallum obsorvationum est 2." 25/ 0. 7/ 3'' cui dobetur motus 4.38 et hi. m. • rurmis exivit ab umbra sex. temp. sunt. 3. 40.23. 23, quibus debetur prost. ubi. 4. 41 qunre subducta a distantia umbroi medio 8.30 dat R. • observationis 3. 19; ab Ime autoni ad ini- tium anni 1642 modiant sex. temp. 2." 28/ 30.36/37" quibus datur mutua 3. 49.4, et hic additus primao II. exibit secundam in 3.5*2.53; ergo defticit niotus tabu- lae gr. 5. 45. Anno 1618 dio 20 sept. li. 11.45 p. ni. • supomvit uinbram: sex, temp. sunt 4.22.29.23; prost. abl. 2.24 linde dist. ab umbrae medio 0.6; ab luto observatione ad initium anni 1642 mediant sex. toni.2/'21'43.30/37' quibus debetur niotus 3.42.26 ot hic additus primao R. dat secundam in 3.48.42 et sic tabular niotus deflice- cerotgr. 9.56; quoti niminiuin exorhitat ot forte erratimi est in annotatione temporis. Anno codoni dio 6 octol). li. 9.44 p. m. • exivit e tenebria sex. temp. sunt 4.38.24. 20; prost. abl. est. 2.19, nude subtracta ab umbrae medio distalmt ab auge media 6.11; differentia temporis ad initium anni 1642 est 2/ 21/27. 35/ 40", quibus competit motus 3.45.13 et hic additus prilline R. exhibet secundam in 5.51.24, quare niotus tabulao defficere videtur gr. 7.16. Anno 1617 prima sept. li. 3. n. a. hoc est 9. 25 aeq. p. in, • exivit ab umbra, sex. sunt 4.3.23.33 quibus debotur prost. 4.34 abl., mule tunc distitit ali auge media 3.56, porro temporis intervallimi ad initium anni 1642 est sex. 2." 28/ 7. 30/27 qui¬ bus debetur motus 3.50.11 et hic additus primao epochae dat secundam in 3.54.7, quare niotus deftìcit gr. 4.31. Anno 1613 h. 3.8. n. s. • e tenebris emersit ab ortu; quae fuit a. ni. 9.30 diei Aprilis, tunc dalur [il resto è scancellata]. In antecedente observatione errata est temporis intercapedo, sunt nempe sex. 2/'54/54.36' 15" quibus debetur 3.42.29; bis si addatili* cpoeha prima 9.26 exhibit secundam in 3.51.53 ot motus videtur deftìeere gr. 6.43; supponinius ergo motum deffìcere ab anno 1613 gr. 7 est nempe quidem medium inter bus onines obsomi- tiones; ot propterea statuimus motum diurnum esse sex 3/ 23. 24/ 22" 59 " 1 epochem vero anni 1642 esse 3. 58. 30. Anno 1642 die 29 septembris bora 10.42, • exvit o tenebris sex. toni, sunt 4. 31.26. 45 nude prost. cent. abl. erit 1.35 et propterea supponitur distitisse ab auge media 7. 35; debentiu* autom buie tempore sequentis medii motus 2. 13. 49, qui alilati ab epoche antecedontis observationis exibitur R. anni 1642 in 3.53. 40, quod repu- gnat cimi antecedentibus ; et forte fuit error in observatione de qua non admodum oxacte constat. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 996 Anno 1(542 dio prima scptembris ingrediebatiu* tunbram bora p. m. 15.20 aoq. ; sit ergo in adiecta figura ad punctum A centrum eccentrici 9[, BDC per- hielium in C aplielium in li ubi constituto Qj. oiroinetur orbita %• EKL cuius aux crit in E, dum Iupiter fuerit in B, in N vero cum fuerit in C; intelligatur iam processasse *_); ad L), sox. 2,40. 56, tanta, nempe est anomalia media centri , cui aequalis crit arcus FHG; statuto igitur soie in M, umbra D proiicitur in H cimiquc arcui I) A0 sit aequalis GI)H erit quoque FI II, aequalis arcui BKO anomalia© centri aequatae, centrum igitur umbrae * n orbita v distabit ab auge F per arcuili FU, hoc est sex. 2.39.9; et quia I locus %• disbit ab H gr. 1.18 erit reliquus arcus 1F 2.37.51, tantum ergo distabit %• ab auge propria© orbita©; Ilio subtractus ab anomalia media FG relinquit arcum IG 3.5, tantum igitur distat %• in antecedentia a punto G, in consequentia vero hoc est por F et T .sex. 5.56.55; lune fit ut si, noto medio motu velimus veruni motura planetae a pun- cto H. Arcui G P FI addendus esset arcus arcus IT D 6 ot sic prost. quae in primo semicirculo subtraliitur a loco medio, hic additar in secundo vero subducatur. APPENDICE. Anno 1639, dio 16* Mali bora 10.33 api». 10. *22 aeq. •• ingrediehatur um- bram Qf ; clantur lune sex. 2.13.25.55 mulo prosi, ahi. 1.29 et quia tulle tom- poris • • clistabat ab umhrae medio «ex 5. 51. 20, ahlata bine centri pros. romanot niedius. mot. in gr. 5.49.51. Anno 1612 die 4 Maii li. n. s. 2 quae fuit p. in. aeq. 8.55 Fiorentine, ttenuae vero 8.45 idem •• exirit ab umbra, sunt porro sex. 2. 4. 21. 52. 30 unde prost. add. 3.12 distabat ergo ab umbrae medio gr. 5.40 et propterea al) auge» media 8.52; temporis intercapedo ab hac observatione ad anteoedenteiu est 2.' 41/33.4/ 2." 30" quibus debetur motus 5.41.31 qui additus primao 11. exbibit soeundam in 5.54.23 et propterea motus tabulao abundat gr. 0.49. Anno 1613, die 6 Iunii li. 3. n. s. •• emersi! ab umbra feeit linee in horizonto genuensi p. in. aeq. li. 10.14 et ideo sex. temp. 2.36.25.35, et ideo prosi, add. 0.33, linde distantia •• ab auge media videtur esse gr. 6. 13, intercapedo vero tem¬ pori est sex 2." 37/55.0.'20" quibus debetur motus tabulile 5.41.5 qui additus primae li. dat secundam in 5. 47. 18 et sic motus videretur difiicoro gr. 2. 33. Anno 1616, die 4 xVug. li. 3.10 - tenebra* superavit; fuit luiec Genuae h. 10.6 aeq. et sex. temp. erat 3.36.25.15 quibus debetur prost. abl. 5.14, mule lune distabat •• ab auge media 0.26; sunt autem ab Ime observatione ad anteco- denteili sex. 2." 18/40. 0/40.", quibus debetur motus sex. 5.49.32 inule si addatili* primae li. dabit secundam in 5.49.58, et sic scrup, tantum 7 abbundabit. Anno 1617 die 30 Augusti li. 2.35 •• oxivit e tenebria quae fuit p. m. Gemmo aeq. 8.28 sunt propterea sex. temp. 4.1.21.10 quibus debetur prost. abl. 4.36, nude distabat ab auge media gr. 1.4, est autem intercapedo temporis sex. 2/ 12/9. 4/45", quibus debetur motus 5.51.17 et lue additus primao observationi dat se- oundam in 5.22.21, ergo motus abbundat gr. 2.30. Anno 1617 die 26 Oetobris b. 1.20 quae fuit p. ni. 6.0 aeq. idem exivit e tenebria ••, sunt vero sex. temp. 4.58. 15.0 quibus debetur prost. abl. 4. 20, unde distabat ab auge media 1.20 sunt vero ab hac observatione ad illuni anni 1642 sox. temp. 2/ 11/12.10/55", quibus debetur motus 5.48.3, additus itaque pri¬ lline R. dat secundam in ;>. 49. 23 et videtur deficere scrupulis 0. 28. Anno eodem die 27 Novembris li. 1.40 iterimi exivit e tenebria fuit lutee p. in. 5.45 aeq. Genuae, unde sox. temp. 5.30. 14.27.30, unde prost. con. 4. 11 abl. et distantia ab auge media 1.29' est vero intervallimi temporis inter priniam et secundam sex. temp. 2." 10/ 40.11/27." 30 " quibus ex motu tabulao 5.46.59, et Ilio additis primae R. dat secundam in 5.48.28, et motus deficere videtur gr. 1.23. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 997 Ex Ilio omnibus rum uliqimndo ablmndet aliquando defticiat, pauca quidem sii discrepanti!!, pariter quaiu in prima, da qua non satis constai, relinqui potest motus tabulae pruut erat scx. 1/41.17/30." 45."' 20"" et opocdia anni 1042 in 1.27.30, Kpocliao autem sequentiuin (-liristi annorum sic se habent ad anno cuvrentes 1639 2. 24. 36 j 5. 11.42 5. 2.30 o. 10.43 1640 3.47.56 3. 23. 14 4.38.12 4. 53. 51 1641 2. 34, 40 3. 16. 4 5. 4. 3 3. 58. 29 1642 3.58. 0 1.27. 36 4. 39.39 2.41.36 Ilici inatio orbitai' \)\ in observatione casus in umbra v est 1. 13 linde seni ini ora urnbrnc est seni 0. 17 cui dobetur motus distantiao ab umbrae centro scr. 39; ergo timo distabat ab umlnac medio sex. f>. 59.21; con. prosi, ahi. est 1.48, mule <]i- stantia ab auge media est 5. 77. 33 (4 quia diebus praedictis ab initio anni 1631 (sic.| (‘ompetunt motus 3.15.19 orit opoeba anni currentis 1942 in 2.42.14. (31) Ad determipandam 9). umbrae semidiametruni ita erit proccdendiun. Anno 1016 die 20 Augusti ut. supra notatum est luna acquata 9.18 fini A in medio transitu umbrae d, ; al) ingressa auteni praeterierant borao 1.28 quibus competunt de mota g. 3.40 ergo diniidiuin itiuoris .% fuit in seni. dj sem. 0.46» erat autem hoc momento loeus oentricus 9(. in 8.29.4 nodus vero Boreus in 3. «>. 20; quare argumontus latitudinis 5.23.38, ex quo datili*, inclinatio oibitae 0,9^ unde centrimi umbrae distat a plano per d| centrimi du- ctum eclipticae parallelum seni. 0.2.25; sit igitur via in plano eclipticae parallelo A B cuius dimidium A G sitque OC, distantia centri umbrae ab hoc plano, sem. 0.2.25 . sod et AG scr. 0.45.56 triangulo ergo orthogo- nio ox datis duobus lateribus circa rectum, datis otiam liypothonusa A I) quac semidiametrum umbrae detenninat: ut nempe A C, 45/56", ad radium ita L)C 2. 25 ad tan- gontem miglili I)AC, 5901 cui respondet angulus g. 3.22.39; ergo ut radms ad A 45/56", ita accana anguli DAC, 3.22.39 ad AD, umbrae seraidiametram quao- •sitam quac est scr. 46/0", quorum Q| diamotcr continet sexaginta 998 APPENDICE. lime ex data huiusmodi quantitate et nota distantia transitus .% a contro *v quao est som. 9(.. 14. ita longitudinera axis coni umbrae et quantitateia transitus roli- quorum venabimur. Sit AC semidiametor 0 a quo proycitur umbra in F; mmt A E semidiametri 14, ita ut in E fiat transitus et propterea K 1) superius inventa sit. par. 40/0", qualium AC est 00; auferatur ab AC, AH acquali» E I), et ducato HI>: erit ergo HC residuimi ad 00 scr. 14.'0' et H D semidittmotros 14 cumque in triangulo simili BDC sit ut GB ad H I) ita (• A, par. 00, ad ÀF, erit AF par 60, uiulo ot transitus %• erit scr. 30 . •• ni.. 15 et prior | • | 64/10. His ita suppositis. Anno 1639, dio 19. Augusti, li. p. m. 8.34 Gomme observatus est •*. t)| mu- bram ingredi, datur lioc tempore Incus centrini» 8.7.56 inule sub' nodo 3.5.28 restai argumentiun 5.2.27 et inclinati!) orbitao 0.30/33'', undo distantia contri umbrae a plano eclipticae parallelo scr. 9\8", bine Imbellir quantità» semiumbrae in transitai supposita ut sopra semidiametro umbrae scr. 11>' ut nempe AB, scr. 46, ad radium ita A C, 9/8' ad «mini D E, 19818, cuius comp. est CE 98015; unde rursus ut A B, radi uh ad scr. 46, ita 98015 ad C PI, scr. 45, et propterea tunc concili* ditur distitisse ab auge media sex. 5.57.0. Ad linee subducta centri Prost. 4.53 statuitur Rad. buius observatiunis in 5.52.7. Anno vero 1642 exivit al) umbra quae, bora superiti» notata 11.26' Fiorentine, at Gemme 11.16', die soptembris 10; est autom tunc Incus cen- tricus 11.13.39, mule subducto nodo 3.5.28 tit argunientum 8.8. Il quare incli- natio orbita© est g. l.°13' atque adeo distantia centris umbrae 18. 15' linde ut 46' ad radium ita 18/15" ad simun, 39647, cuius complt. est 91810 et propterea ut radiiis ad 46' ita 91810 ad 42/14"; unde tunc distabat ab umbrae medio sex 0.2.49' . iam vero subtracta bine centri prost. 2.10 tit Rad. m. ni. in 0.0.39. A prima obsorvatione ad secundam niediant sex. 18.38. 0. 48 quibus debitur motus 0.7.40 ; lue ergo motiis additus R p.“* observationis exibit medium motnm in sox. 5. 59. 47, et videtur deftìcero scr. 52, quod tanien potest provenire a tem¬ pore nani casus in umbra non est in p.* obsorvatione adeo (‘xucte notatus; fiat quoque experi nientum motus minutorum per prostaphaeresin *1 nodo. Anno 1613, erit prost. 1.0 unde supposita distantia a medio umbrae in 2.45 erit. radix in 0.3.45'. Porro anno 1642 si prost. sit 1.55 erit R. in 0.0.56, medius motus a p.*' ad. 2. £im est 5.55.42 (piibus si addatili* R. p. a erit motus 6. 59. 27, defficiens 1.28. Iliusus liic examinantur umbrae quantitate» in transito quatuor planetarum, ex observationi magis accurata anni 1042 ilici 23 Octobris, (pia .% observatus est Pisis ingredi umbram bora 8.17 p. m. exire autem li. 11.28, mule cimi in eclipsi con- sumpserit liorac 3.11 patct in dimidia mora li. 1.35.30 transacta fuisse quo tem¬ pore ex semidiametro % metitur par 49/ 38". Datur autem eo tempore locus OSSERVAZIONI E CALCOLI. eentricus, in 11, 17.HO, in 3.5.28, lindo distantia a K. 12.2 (‘t propterea ine.linatio orbitai* gr. 1.15'! / (listnt ergo umbrae centrimi a plano quod ducitur por / \ centrimi 0\ orlipticue parallelum partibus som. 0\ 18'. 45; I sit imitar via in plano ocliptieae parallelo A B, cuius -c- dimidiuin A C. sitquo I) C (listantia contri umbrae 1) ab \ / hoc plano; imm ergo A (' inventa sit partitili! 49/H8"« DC, 18/ 15, (pmntum semidiamotor *.), est 6 ita AL) umbrae semidiametrum investigabimus. llt A C, 49'38", ad radium, ita DC, 18/45" ad tangontoin annuii DAC, 36769, cuius anguilla est gr. 20.11; ergo rursus ut. radius ad A C, 49/38", ita soeaus ungali DAC, 106542 ad Al), 52' 53", umbrae seinidiametnun quaesitam. Inni vero is ita ropertis quantitatem ax is coni umbrae 0\ et semidiametrum oiusdom in transita triunì reliqiiorum ita venabiniur. Sit AB semidiam. t)j a (pio proiciamur umbra in 0, sitquo A 1) .% a tì| distantia semidiamctrorum D\ 14 prout pluribus obsorvationibus coniputatiun est, erit ergo D L r seuiidiameter umbrae \){ in toco transitila ••• quoe superius inventa est continere partes som. Qj. 52' 53", au fondu r illi aequalis A E et dueatur EF erit ergo EB par. 7/7", cum ergo sit ut BE, 7/7" ad EF, hoc est Al), 14. 0 ita AB, 60, ad À 4 C, propterea in rcgula tri uni nota erit A C, semidiametro» i)j 118.2'. Mine doni quo cognito axe AC, 118. 2', nota erit umbrae semidiam. in loco tran¬ sitila v, • et ut nempe AC, 118.2' ad AB, 60, ita DA seni. 26, distantiac •> ad EB scrii]) IH/ 12", et ])ropterea A K, seu DF, erit sor. 46. 48, sicut in • DF erit scr. 57'H' in •• 55/83". Inventa seni. Dj. umbrae, hac die exactius fuit scr. 50/24" linde axis coni semidiametros 87.30'. Die 11 Dccombris observatus est •> tres horas in umbra consumpsisse, ex quibus ita semidiam. orbis eius inquisita erat die illa distantia % a & sig. 8. 14. 57', quare incli- natio oibitac gr. 1.17 unde si statimtur A F G discus Iovis et G D eius dimetiens, H A vero eclittica in cuius plauu moventur anulae erit A D angulus inclinationis et propte¬ rea F A gr. 58. 43' B A 99975 et propterea B A est par 128 1000 APPENDICE. 59.58' qualium CI) est 60. Ilis ita dcraonstratis sit triangulum ABC in quo AC pars eclipticae semiti, disci CF in hac dio occupatur, CD t&ngens lucidus solfa radiusy AB axis umbrao partium 118.2; quantum AC, 00. quantuin vero AC, 59/58', seu 8598", t&lium AB, 874520", undo ut 874520 ad radium ita 3598' ad A C tangontem ang. B, 96069' cuius anguilla est p. 0.33.1, ergo anguilla ad C est gr. 89.26.59, soci CAB rectus est, linde si ah eo auferatur 1)AE, observatus gr. 1.20.35, erit DAC gr. 89.39.25 et propterea rosiduus ADC, gr. 1.53/35" ut aimis ADC, 330332, ad sinuura ACD 9999539, ita AC, 3598", ad AD, 107237" radius orbis v qui propterea qualium AC est una pars smi una *.); semidiam. AD est 29.47.17. 1) AE observatio est gr. 1.25. 57, ADC vero gr. 1. 58.88, et propterea ut 345992 ad simun ACD, 9999539 ita 3598, AC, ad AD, 103986 seu 28.53.0. Die 23 Octob. 1642 0 semiti, erat 55320", *Jj. 1540 axis vero coni urabrae 134750'" ergo axis coni a @ in estremimi umbrae i); continet 4840491"'. Epochao mediorum motuiun in quatuor planetis medicei#, ex prostaphaeresi centri et orbis 9|. copernicea. Primi quidem sic dio 13 septembris • ab umbra •), evaait bora 12.12 p. in. aeq. quia vero in mora dimidia supponitur* absumere ex antecedontibus obsorva- tionibus gr. 9.20,30 idcirco tnne • distabat ab umbrao medio gr. 9.20.30; cum vero prost. cent. abl. ad hoc momentum sit. 2.2 mediums motus planetae fuit g. 7.18.30; sex. temp. ab initio annis 1642 ad hoc tempus sunt 4.15.30.80, quibus debentur sequentis motus, (2/ 12. l.'3"4) si igitur subduxeris sexagenas 2.12.1.34 a sexagenis loci observati 0.7.18. 30, lient prò (piesita epoche anni 1642 currenda sox. 3.55.16.56. Die 29 septembris rursus evasit bora 10.42 et lune rurali» fuit a medio umbrao gr. 9. 20. 30, quare ex data prost. cen. 1. 55, metlius motus statuendus est in 7.25.30, porro ab initio anni 1642 ad liane observationem, sex. temp. sunt 4.31.26.45 quibus debentur sex. 2.13.48.54 quae si substrahantur a praedictis relinquent epocham anni 1642 in sexagenis 3. 53. 36. 36. Die 7 octobris isdem suppositis bora 6.40 cum prost. cen. sit. 1.51 medius motus est 7.29.30, sex temp. sunt 4.40.16.40 quibus debentur medii motus 2.10.17.21 ot hi, a prioribus moro solito sublati exibent epochem anni 1642 cur¬ renda sex. 3. 57. 12. 9. OSSKKV AZIONI K CALCOLI. 1001 Dir .10 ootobris iisdem ul supra suppositis liora 7.5 curii prosi, con. sit 1.4] moilius motus rrit in 7. 39'30 ' sex. temp. sunt 5.3.17.42.30, quibus debetur medili* motus 2. 12. 10.2, ergo si hic a superiori ut supra factum est detrahatur resultabit epoelia anni 1012 in 3.55.20.25. Dio 21 Ootobris, 11. 10.37 idem (lumi supra aocidit, cumquo sit cen. prosi, partiuni 1, 45 oril ni. motus, 7.35.30 orant miteni sex. temp. 4.54.26.7.30 quibus dobcnlur apposit med. mot 2.10.2 36, (piare, sublatis posterioribus ab anteceden- tilms, resultai epocha anni 1612 in sex. 3.57.32.56. Dii 4 22 Novembris bora 7. 12 exivit e (enebris estque. exacta observatio, fuit Ime tempore prost. mi. 1.31 quae sublata ab umbrae medio dat mot. med. in gr. 7. IO. 3(), porro sunt sex. temp. 5.26.18.0. quibus dcbentur appositi medii motus 2.11.30.11. et bi subdueti a superioribus dant epochain anni 1642 in 3. 56. li), li). Cumque o.x autemlentilms observationilms si quid medium assumatur opocha statuenda sit 3.55.35, paruimpic ab Iute liodierna discordet idei reo liane tanquam veram Mipjionimus mediani inter utramque seilicet 3.55.58. Oro «erundo. (ermi* est in hom). Dio 4 novembris, li. 3.32 aeq. •• evasit e tenebris et propterea ex observatio- nibus superius adnotatis distitit ab umbrae medio gr. 6.10.20, fuit porro prost. con. 1.38, ulule inedius motus erat 4.32.20, sunt autem ab inilio anni ad liane observationem sex. temp. 5.8.23.50 quibus debentur med. mot. scx. 4.38. 1.10, et hic a superiori detraetus relinquit epochem anni cuiTentis 1642 in sex. 1.26.31.10. Die 3 Ootobris, hoc ipsum acciderat bora 8.29 aeq. prost. cen. fuit 1.52 micie med. mot. 4.18.20, sex. ienip. sunt 4.36.21.12.30, quibus debetur mot. med. 4.32. 15.33 et lue a priori subductus relinquit epochcm anni 1642 in sex. 1.32.4,47, error fuit in lmrae calmilo, accidit nempe bora 10. 7 aeq. et proinde cum tane sit motus 4.39.9.8 erit epurile ili 1.25.9.12. Die 15 Maii, rompleta h. 10.24 aeq. anni 1639 idem •• 9| umbram otìenclit: Datar fune cent, prost. 4.17 linde med. mot. erit 5.49.32.40, sex. temp. sunt 2.15.26 quibus debetur med. mot. 0/38.14/46" et hic a superiori detraetus exibit epochem anni 1639 in 5.11.27.54, mulo opocha anni 1642 erit in 1.26. 57.24, assumiìnus igitur quid medium intor has obsorvationes 1.26.23.47. Pro tortio. Dio 9 septembris li. 11.13 aeq. «*• exivit Florentiae, Pisis vero 11.8 et quia ex obsorvationo huius anni, dimidium umbrae occupat in gr. 3.19. 53, fuit vero \PFEND1CE. urn prost. con. 2.8 med. mot. Ime bora orit 1. U>. . r »a; sex. temp. sunt -1.12.27.50 quibus debetur med. mot. 1.22.24.27 et Ilio a priori detrartus relinquit epochem anni 1642 in 4. .'18. 42. 26. Die 22 Octobris bora 0.52.30 observatus est in timbrai* medio ex ingraasu et exitu, e rat tunc pros. con. 1.45, ergo med. mot. in 5. 58 15.0; sex. temp. sunt 4.55.24.41.15 quibus debetur med. mot. 1.10.51.30; et hie a priori mibduetus relinquit prò epoche anni currentis 1042 sequentes s« \. soiliret 4. .38. 23. 30. Die 18 Augusti anni 1639 Gemme li. *.22 Pmis h. 8 27 obsorvatus est umbram ingredi, cumquo oo tempore fuorit eadem fere ac mine orbitile incliiiatio, idcirco dato seni, umbrae 8.10.53 et cent. pros. 4.30 fuit tunc med. mot. 5.52.1.7, box. temp. sunt 3/ 50. 21/7."30'" quibus debetur med. mot. 0.51.37.51; et bica priori dctractus dat epochen anni 1639 in 5.0.24. 16, quare illa anni 1642 erit in 4.37.26.38. Haec observatio parum ut memini fida fuit. Pro tcrtio. Anno 1639 die 23 septombris, bora 6. 51 exivit e tenebri et quia hoc tempore data pros. cen. 4.42 ideo mot. med. erit in 5. 58. 37. 33. s«* v. temp. sunt 4. 26.17. 7.30 quibus debetur med. mot. 0.56.43.32, et lue a priori dedurtus relinquit epochen anni 1639 in 5.1.54.21, illuni vero anni 1642 in 4.38.57. 43. Anno 1640 die 4 aprilish. 15.48 .5 extinctus est, midi* rum fuerit prost cen, 5.10 erit med. mot. 5.51.30.7. sex porro temp. sunt 1.31.39.30, quibus dantur ex med. mot. sex. 1.15.9. 4, et haec a prioribus dotnictae ostemlunt epoelieni anni 1640, 4.36.21,3, anni vero 1642 in 4.37. 17.55. Anno codoni die 1/ Maii 4. 15.36 rursus extinctus est erat cent. pros. 5.13 unde med. mot. erit in 5.51.27.7, sex. temp. sunt 2. 17,39, quibus debitus est motus 1,14.47.4 unde epoolia anni 1639 est 4.36. 40.3 et anni 1642, 4.38.6.55. Cum igitur ex observationibus selectioribus detur epoclia 4.38 et quid amplius, igitur retinemus exactissiniam huius anni quae est. 4.38,23.30. Pro quarto. Anno 1642 die 10 deeembris li. 7.7 fuit in ipso umbrae medio cum itaque prost. cen. sit 1.22 erit propterea in 5. 58.38.0, porro sex. temp. sunt 5.44.17.48 quibus debetur med. mot. sex. 3.18.9.19 unde epurila anni 1642 currentis est 2.40.29.41. Anno codoni die 31 augusti li, 13.45 extinctus est; erat oo tempore cent, prost. 2.7 cuinque ex superiori observatione iit umbrae mora (limidia consumat h. 1.36 piopteiea statuatur in umbrae medio li, 15.21 eritque tulio med. mot. 5.57.53.0 scx. temp. sunt 4.3.38.22.30, quibus debetur med. mot. 3.15.20.11 et propterea epoche anni 1042 in 2.42.32.49. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1003 Hoc non Destante rctinemus epocJiam antecedentium usque observationcm habet certiorem; imo rcpetito horae calcolo fuit in caso umbrao li. 15.16 app. aeq, vero 15.10 et Pisis 15.5 onde in medio uiobrae ponendus est in 10.41 et propterea motus debitus est «LIO. 32. 8 et epoeba anni 1042 in 2.41.20,52. Anno Itilo die 27 Martii bora 10.32 (lomuin; Pisis IO.27 aeq. ab ambra exierat ergo bora 11.41 erat in umbrae medio; fait prosi, cimi, tane 5. 10 ondo mcd. mot. 5.54.50.0, sex. tenip. sani 1.20.30.42 \ quibus debotur med. mod. 1.1.10.20 et epoeba anni Itilo in 4.53. 33.40, illa vero anni 1042 currentis in sex. 2.41.18.58. Kx bis observationilms videtur apogeum 0 \ in alpbonsinis reduci posse ad si¬ gila t>. 3. 41. 15. • Kx Alpbonso post rntmulatum apogeum. Pro p.° •% Die 20 septembris, primus evasit e tenebris anomalia fuit 2.42.17 ergo pros con. 1.50 nude med. mot. 7.30.30, bine abbilo motu 2.12.1.34 ut supra restai epoeba 1042, 3. 55. Hi). 50. Die 13 septembris anomalia fuit 2.41.30 et ideo cen. prost. 1.50 unde med. mot. 7.21.30 bine snidato motti ut supra: 3.55.10.50. Die 7 ootobris fuit anomalia 2.43.41, linde prost. 1.46 et ideo m. mot. 7.34.30 et bilie snidato med. mot. 2.10.17.21 remanet epoclia anni 1042 currentis 3. 57. 17.0. Die 21 oelobris fuit anomalia 2.44.51 mulo prosi. 1.38 quare med. mod. 7.42.30 et bine sublato motu ut supra lit epoche 1042, 3.57.30.54. Die 30 ootobris fui! anomalia 2.45.30 linde prost. cen. 1.33 et ideo med. mot. 7.47.30, bine sublato motu ut supra 2.12.10.2 fìt epoeba, 3.55.37.28. Die 22 novembris fuit anomalia 2 47.31 nudo prost. 1.23 et med. mot. 7.57.30 et bine sublato ut supra in. medio 2,11. 80.11 fit epoeba 1642 3.56.27.19. In prima observatione paiicum immoror eo quia faota est • pene orbe 9[ tangente unde (lul)ius appaici; in reliquis minima est 3. 55. 20, maxima 3. 57.40 unde assumpto quidmedio liet epoche anni 1042 in sex. 3.56.29.55. Pro •• Dio 2 novembris evasit e tenebris anomalia fuit 2.43.39 et prosi, cen. 1.45 unde med. mot. 4.25.20, et ideo bino sublato med. mot. restai epoche anni 1642 currentis in 1.25.16,22. Die 4 novembris fuit pros. 1.31, quare mcd. mot, 0/4.39. 20 bine sublato mota ut supra 4.38. 1.10 tit epoeba 1642 in 1.26.38.10. Die 15 maii anni 1039 fuit anomalia 1.0.33 et prost. 5.3 quare med. mot. 5.48.40.40 et ideo subdueti ut supra 0.38. 14.40 fìt epoche 1639, 5.10.31.54; illa vero anni 1042 crit in 1.20,1. 24 : assumpto igitur lue quid medio, praesertim Cum 4 1004 APPENDICE. novembris alienando citius fuerit obsemitio, instrumento non bene lune aptato, ideo statuitili’ epoche in 1.25.57, 1G. Pro Die 9 septembris fuit anomalia 2.41.22, unde prost. 2.0 et ideo med, mot. 1.19.53 bine subdneto motu 1.22.24.27 crii epodia 1642 in 4.38.55.26. Die 22 octobris fuit prost. 1.38 et ideo med. mot. in 3.58.22, bine snidato motu ut supra remanet apocini anni 1642 in 4.38.30.30. Die 23 septembris anni 1G39 fuit anomalia orbis 1. 11.27 ideoque prost. 5.34 et med. mot. 5. 57.45. 53 subiate autom motu 0. 56. 43. 32 tiet epoche 1639, 5. 1.2. 21 illa vero anni 1642 in 4,38.19.47. Anno 1640 die 4 aprili» fuit anomalia 1.27. 29 et prost. con. 5.56 (piare med. mot. 5.50.44.7 et subducto 1.15.9.4 tit epoche 1640 in 4,35.35.3; illa vero anni 1642 in 4,37.1.58 error est in horae calculo 52' horae umle epochn in 1.38. 50.48. Anno eodem die 17 maii fuit prost. 5. 57 linde med. mot. 5. 50. 44. 7 bine sublato med. mot. crit cpocha 1640 in 4.35.57.3. illa vero anni 1612 in 4.37. 44.59 et bic ob orrore horae scrup. 8 datar epoche anni 1612 in 1.38. 1. 13. Ilio ergo assuniimus prò ecrtiori cani anni 1642 elici 22 octobris scilicet 4. 38.30. 30 Pro Anno 1640 die 27 martiis fuit prost. 5.56 nude med. mot. 5.54.4 bine subiate motu 1.1.16.20 tiet epoeba 1640 in 4.52.47.40, epurila vero anni 1642 in 2.40.32.59. Dio 31 Augusti 1642 fuit anomalia centri 2.40.37 et prost. 2. 4 nude motua 5.57.56.0, bine subiate motu 3.16.30.54 tiet epoche anni huius in 2,41.25.6. Anno eodem dio 11) doeembris fuit anomalia 2.49.0 et prost. 1. 12 nude med. mot. 5.58.48 et bine sublato motu medio in 3. 18. 15.21 remanet epochu anni 1642 in 2. 40. 32. 36. Erit ergo epoeba 2. 40. 32. 36. Die 23 Novembri» anni 1642, h. p. m. 7. 12, • oxivit e tenebria erant sex. temp. 5,26. 18.0; prost. celi, 1.34, ergo distaimi ab auge gr. 7.36; mule epochae, 1638, 2. 22.43 ; 1640, 2. 32. 46 ; 1642, 5. 19. 25 ; 1644, 5. 29. 30 1639, 3. 46. 3 ; 1641, 3. 56. 6 ; 1643, 0. 42. 46 ; 1615, 0. 52. 50 Die 5 Novembris 1642 li. p. m. 9.54, •• oxivit e tenebria sex. temp. 6.8.24.46; prost. cen. 1.43; ergo distabat ab auge gr. 4. 17; unde epochae, 1638,5. 9.18; 1640,3.13.20; 1642,5.36. 8; 1644,3.40.13 1639,3.20.30; 1641,1.24.44; 1643,3.47.32; 1645,1.51.37 Die 23 Octobris 1642, b. p. m. 9.48, .% fuit in medio eclipsis, sex. temp. 4.65. 24. 30 ; prost. cen. 1. 50, ergo distabat ab auge media sex. 5.' 58.10' ; linde cpoehao, OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1005 1638,6. 1.24; 1640,5. 2.52; 1642,4.14. 4; 1644,4.16.30; 1639, 4.37. 2; 1841, 4.38.28; 1643,3.49,40; 1646,3.61. 0. 1 >i(‘ 22 novombris 16*14, li. 8.8, %• distnbat a contro *J| versus ortuin in inferiori parto orbitile soni 1.0; Imo. ost gr. 177.46, et quia prost or. fuit 1. 4, sub., con. 4.10, adii., ilistabat ab auge sex. 3.0.52; ab bis, (letmcto motu, tempori» 6.26.20.20 ilantur sequontos epoelmo: 1638,0 10.21; 1640,3.57. 6; 1642,1.24, 2; 1644.6.11.47; 1639,4.63. 9; 4641,2.40.54; 1643,0. 7.20; 1646,3.54.66. (49) Kpochao in. ni. quutuor plaenatarum omcndatae • • Anno 1638 10:59 1040 1041 2 2.1 .'57 3 40 57 2 33 41 3 57 1 5 10 2 3 21 20 3 14 7 1 25 31 5 1 .18 4 36 54 5 2 44 1 38 20 0 9 22 4 52 30 3 57 7 2 40 15 Dio deeembris 11, 1039, liom 7.7 neq. p. m. %• fuit in umbrae medio ; erat die illa prost. con. 1.29 add., tantum ergo distitit ab auge media, fuitquo in sex. 5.58.31; porro sex. tomp. ab initio anni 1012 ad baile diem sunt 5.44.17.48, quibus deben- tur ex motu tabular sequentes .sex: 3.18.15. 34, quae a superioribus detractao exlii- bont epoebon currentis anni 1042 in sex. 2.40.15: anni vero 1641 in scx. 4,43.55; imo cimi hic ad.sit calmili orror in 3.57.7. (188) . Epoelmo anni 1639 currentis • •• v 2. 31. 22. 4 | 5. 17. 40. 15 | 5. 5. 32. 25 | 0. 16. 7. 8 In horizonte genuensi emendatile die 27 Januarii anni .1640 (189) Epoelmo anni 1640 (') 3. 54. 7. 8 3. 29. 18. 21 4. 42. 24. 33 4. 59. 30. 32 [Epochàe] Pro Iunone [< (46) 1641, die 23 Decembris erat alt. Hirci gr. 39.20 et • L>( limbum tangebat: li. app. 5. 43. 20, aeq. 5.43. 59. Eadcm die fuit alt. dextri Orionls Numeri 42.:50 et evasit ab umbra; inora in utraque eeclipsi 3.2148; bora exitus app. 9.5.8, aeq. 9.5.47. (*) Trovasi la soguonlo ossorvaziono ilei Rumori: « EmomlaUir ox obsorvationo diai 27 mali anni 1610 10()(i APPENDICE. Sex tem. exitus 5.57.22.44.27.30; pros. c. 4.10. .33, pros. or. 7.16.42. Die antecedenti fuorat alt. Dextri Humeri Orioni» gr. 30. 15, et . ab ortu -J| limbnm tangebat ; alt. Procyonis gr. 43. 55, et ab occ-ium emerait. Mora transitila h. 2.17.8, motus • dobitus 19.19.52; seiuidiumeter ergo lovis erit 9.39.56, buie si addatur prost. or. erit motus partium 10.50.38; quibus si item addatili-gr 1.20, ingimsus corporis • eftìciont gradus 18.10.38, quod spa- tium transitili- horis 2. 9. 24, unde erat in Aplieliu bora 7. 53. 23 ; suinimun semi¬ diametri umbrae et diametri • 10,13. 10, et semidiameter umbrae 8.53.40. Sox. temp. ad tempus inorar ilimidiae al) initio anni 5.57. 19.43.30 motus debitus 6.22. 50. 55. Unde opoclia anni 1044 inchoantis erit 0. 41 1.3.38, (') 1638, 2. 21. 30.11 (2.21.23) ; 1644, 5. 27. 57. 49 (5. 28. 11) ; 1639 , 3. 44. 30. 0 (3. 44.43) 1640, 2. 31.14.11 (2.31. 27) ; 1645, 0. 51. 17. 38 (0. 51. 31) ; 1641, 3. 54. 34. 0 (3.54. 47) 1642, 5.17. 33. 49 (5.18.16) ; 1646, 2. 14. 37. 27 (2. 14. 50) ; 1043 , 0.41.23.38 (0.41.26) Pro Nkptono • • J (46) 1646. Die 25 Novembri» alt. Àldoborae gr. 41.0, et •• eclipsabatur, bora app. 8. 57. 56, aeq. 8. 47. 43, sex. temp. 5.28.21.59.18; motus •• 2.20.44.4; 3.39.38.37 epocha 1645 currentis. <*> 1638, 5. 8.57 (5. 8. 1); 1642, 5.35.50 (5.34.57); 1639, 3. 20. 21 (3.19. 28) ; 1643, 3. 47.14 (3. 46. 21) ; 1640, 3.13. 2 (3.12. 9); 1644, 3.39.55 (3.39. 2); 1641, 1.24.26 (1.23.33); 1645, 1.51.19 (1.50 26). Anno 1043 li. 7.15.58 aeq. eclipsis medium occupabat; sex. temp. 5.53. 17. 59. 20. 1038, 5. 1.20; 1040, 5. 2.26; 1642, 4.13.28; 1644, 4.15. 4 1639, 4.36.56; 1641, 4.38.12; 1643, 3.49.19; 1645, 3.50.40 (*) I valori fra parentesi sono correzioni posteriori; tanto i primi valori cho ijnesti presentano correzioni « scanpollaturo. O.sSKRVAZlONI K CALCOLI. 1007 Anno H)l l, »> 104-1, die ““ dcecmliris tiltitudo Hyrci gr. 39.40 et • limbiim 3|. ingressa est. Ilora fuit upp. 5. 13 aeip 5. 12. l’ostca fuit alt. dextri Orionia humeri gr. 42. 30 et al) limimi evasit, bora fuit npp. 9. 5 acq. 9. 4 et mora in utraque eclypsi li. 3. 22 quilms eompetunt de mntu • gr. 28.32 linde subducta orbi prost 6.55, distantia seilieet apbelii et jipogaei, in transita semidiametri \)\ et nmbrae consumuntur gr. 21.37, at •>. semidiametro debentur gr. 11.38 ergo semidiametro mnbrae de¬ braiar gr. 9.59, buie si antri prosi, addatili* 4.13 fìet distanti • al) abside gra¬ duimi 14. 12. Ab initio antimi anni 1611 ad luuic obsorvationein exitus intercedimi sex. tx'inp. 6.57.22. 40 et motus • sex. 5.32.55.18. Ilae si subtraliantur a distantia • ab abside tempore exitus ab umbra consti- tuent epoebeii eurrenti anni 1014 in sex. 0.41.16.42. 5. 7. 25 1642 comp. 5.17. 56 5.34.18 0.41.17 3.45.42 1038 eomp. 2.21. l i 1039 3.44.34 1610 2.31.17 1041 3.54.37 3. 48. 49 1643 3.11.30 1644 1. 22. 14 1645 5.28. 1 3.38.23 0.51.21 1.49.47 (191) Restituuntur epochae ad Ohristi annos currentes 1639 • O 93 9 Mi «il. —• • • 5.10.28 • • • 5. 1.28 • • • 0. 9,41 1640 3.46.32 3.21.52 4.37. 4 4. 62. 49 1641 2. 33.10 3.14. 33 6. 2.54 3.57.25 1642 2. 56. 30 1.27.57 4.38.30 3. 40. 33 1643 5.19. 60 5. 37.21 4,14. 6 1. 23. 41 ili. 129 1008 APPENDICE. (50) Epochae mediorum raotuum lovis ad Bequentis Xri. anno». Lanxberyianae ìhntintr Ex Alphonso emendato prillii apogaei loro motus medi apogaei medi motus apogaei medi innttis apogaei 1(509 / / 1.12. 56 3.3.18 1610 1.43.17 3.3.19 1611 2.13.42 3.3.20 1612 2.44. 3 3.3.21 2. 43. 36 3.3.12 1613 3.14.23 3.3.22 3.13. 56 3 3.13 1614 3.44.44 3.3. 23 3.44.17 3. 3.14 1615 4.15. 9 3. 3. 24 4. 14.52 3. 3.16 1616 4.45.30 3.3. 25 4.45. 3 3. 3.16 1617 5.15. 50 3. 3. 26 5. 17.33 3. 3.17 1618 5.46.11 3. 3. 27 5. 45. 44 3.3.18 16.38 3. 53. 26 3.3.47 3. 53. 43 3.8. 18 3. 52. 58 3. 3.38 1639 4. 23. 47 3.3. 48 4.24. 4 3.8.19 4.23. 19 3.3.39 1640 4. 54.12 3.3. 49 4. 54. 29 3.8.20 4. 53. 44 3. 3. 40 1641 5.24.33 3. 3. 50 5.24. 50 3.8.21 5.24. 5 3.3.41 1642 5. 54. 53 3.3. 51 5.55. 1 3. 8. 22 5.54.26 3.3.42 1643 0.25.14 3. 3. 52 1644 0.55. 39 3. 3.53 (51) (52) PltOSTAPHAERESIS CENTRI ET DRBIS lOVIS IX MOMENTI* FACTANDARUM OB8RRVATIO.NUM Insta Coperti imm Anno 1039 Dio 12 Maii centri 4.17, urbis 2. 7 Die 17 • • 4.18 a 0. 59 Dio 27 • 4.21 b 0. 57 add. Die 30 • • 4.22 % •1.41 Die 3 lunii 4. 23 b 2. 26 Die 20 * 4.29 b 5. 36 Dio 27 • * 4.29 b 0.31 Die 30 * * 4.30 m 6.48 Die 3 Iulii • 4.30 b 7.38 Die 29 • 4.35 % 10.15 OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1009 Dio 10 Augusti contri 4.37 orbis 10. 4(5 Dio 18 • • 4.39 Dio 23 Septembris è 4. 42 Anno 1040 Die 27 Marti i, contri 5.10, urbis 10. 53 sub. Dio 4 Aprili» 5.10 10. 46 Dio 9 • 5.11 10.41 Dio 10 » 5.11 10.22 Die 13 Maii 5.12 7.42 Die 10 » 5.13 7.33 Dio 17 » 5.13 7.30 Dio 19 Octobris 5.11 9. 55 adcl. Anno 1041 a. Dio 29 Augusti, centri 4.19, orbis 6. 21 Die 13 Octobris » 4. 7 • 10. 5 Dio Deeeinbris » 3. 40 • 7.29 Anno 1G42 • Dio 5 Augusti, centri 2.19, orbis 6. 3 sub. Die 20 • > 2.9 1.44 Dio 28 m » 2.8 1.18 Die ,30 • * 2.8 0.52 Die 31 • » 2. 7 0.41 Die 4 Septembris • 2.5 0.17 add. Dii' 8 • • 2.4 1.18 Dio 9 » • 2.3 Dio IO • » 2.3 1.31 Die 12 • » 2.2 1.56 Die 28 » » 1.55 5.15 Die 3 Octobris » 1.52 6.18 Die 4 » » 1. 52 6.32 Dio 7 • % 1. 51 6.58 Dio 8 » * 1.50 Dio 10 • •* 1.49 7.27 Dio in » » 1.47 8.14 Dio 21 » » 1.45 9.3 Die 22 ■ a 1.45 9.10 1010 APPENDICE. Die 30 Octobris contri 1.41 orbis 10.4 Dio 1 Novembri* . 1.40 . 10.14 Dio 4 . 1.38 . IO. 30 Dio 21 . 1.31 • 11.26 Dio 22 Decembris . 1.22 . 11.20 (10) Semidiametor umbrao Q) in tramiti! * est sor. 30 (luamlo ips«* est in ocliptica ; sor. 40 in A; sor. 51.15 in scr. 54.10 in •; ergo in •> wrup. 36 debetur gr. 1.23, inclin. 0 vero orbitae Iovi.s est gr. 1.20 minima via in umbra orit som. 0 . io quibus debitur som. 22'. Sunt ergo somiilr. umbrao transiti! planetaruui sic. luclinat. or. L)[ • • . • • • • . . • 1.20 o. io 0.41 0.49 0.52 1.16 0.15 0. 41 0.49 0.52 1.10 0.19 0. 42 0.49 0. 52 1. 5 0.22 0. 42 0. 49 0. 62 1 . 0 0. 25 0.43 0. 60 0. 52 0. 66 0. 27 0.43 0.60 0.53 0.50 0. 29 0.44 (1. 50 <1. 53 0.46 0.30 l). 44 0. 50 0.53 0.40 0.31 0. 46 0. 60 0.63 luclinat . or. \) a . • • . • • • • • 0. 35 0. 32 0. 45 0. 51 0.54 0. 30 0. 33 0. 45 0. 51 0. 54 0. 25 0. 34 0.45 0. 51 0.54 0. 20 0. 35 0. 10 0. 51 0. 54 0. 15 0. 36 0. 40 0. 51 0. 54 0. IO 0. 36 0. 40 0. 5L 0.51 0. 5 0. 36 0. 40 0. 51 0. 54 0. 0 0. .36 0. 40 0. 51 0. 54 (36) ad gr. 135 datar arcus 137.37.13 seu 4951120; distanti» *); a Q 95324, ergo a quieto 101676. media 98918 . proportio to-inporìs (1) ad I) ex 93535 ad 6413. ot etiam. DN 11141. ad 240187, seu 93535 ad 116699 fiat ut 96713 ad 116699 sic 412528 ad aliud. ad gr. 160 tit 151.51 distantia a 0 94319 a quiete 105651, 1) N tit 12116 media erit D P 546660, media 99108; teiupus I)N 5863; proportio DC ad D P ut 93535 ad 5863 et 12116 ad 265029; lice est 93535 ad 128240, fiat ut 96713 ad 128240 sic 4212580) ad quartina 09. (35) FD. 526491. Ànguius A E D, 70.9. I ; Aug. B K A, 51.57. 18, ergo I) K B, 18.11.4 quantus est CFD et quia CÀI) est 19.25.39 erit FI) A 1.13.56 cuius sinus (x F 215047; et quia angulus 0 A F est aequali (A B datar quoque FA eeeontri- citas 646533, qualiiun FC est 10000000, et Al) 93S7n et talium radili» orbi» magni est 18995, in media distantia, in maxima 19337; ot maxima protapliaeresis orbis pai*. 11.53.52. in min.” 18652. <0 questo mimerò è alquanto incerto nel Mss. (0 Quotile IndioaiIoni non portano figura. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1011 (37) AD pur. 600905 (•> Anguilla A C! 15 70.34. 21 ot B C par. 328786 Aug. C A D 35. 25. 40 ergo A C II 74.33. il et 0 I) 304872 R untila - BOTI augulus est 145. 8. 1 orge 0 D B 18. 0. 46 et C B D 16. 45.14 (piare cimi sit ODA, 70. 0.39 orit arcua FCD 173.31.46 et chorda FD p. 199680 eborda autem CD 57651 ergo D A part. 95866 et F A 103814 unde D A F 995225294 et. A E 47767076 Radix vero eiiisdem 6911 A I ) 604011 Ang. CAD 35.28.12 ergo A C D 74. 4. 52 A D C 70.10. 66 et C D 304678 R arsila - B C D est 144. 38.13 ergo C B D 16. 59.10 et 0 D B 16- 22. 36 undo chorda DF 199772 chorda autem C D 58427 et A D 96824 yuae F A 102948 (*) Vedi figura a pag. seg. 1012 APPENDICE. (88)< l ) Anno 1642 die 23 octob. 1). 9.47.30; locus centricus •); fuit 11.17.27.3; locus 0 7.0.25.57; prost. or Qj. 9.7; distantia © a Terra 99251 ergo. Disf 0} a © 494256 Anno vero 1643 die 20 Decembris h. 7.8.52; locus cent, fuit 0.20.18.21; locus © 8.28.61.36; prost. or Qj. 10.69. 12; (listantia © a Terra 98218 ergo. Dist. 1 1 Qj. a O 494265 93665 qualium CE 10000 • Ang. D A E 38.51. 18 Ang. FAE 19. 25.39 ergo CAB ICO. 34.21 D B E 35. 9. 28 ABE 17.34.44 ergo BEA 1.50.55 igitui • AB 52795 ergo AC 26397 ac.... ang. A E C 0. 58. et C E 519213 ergo qualium CE est 100000 talium A C erit 6084 quare AB 10168 cum max. aeq. gr. 5. 60. LO et apogaemn in partibus 6.52. 38 rcn medius quoque motus 0,24.27.22 et epocha anni 1643 currentis 11.25.6. 12. (30) Die 31 Augusti, alt. scap, Pegasi dat horam 13.63 ap. aeq. 13.47. Die p. a Septembris, alt. extremao in ala Pegasi j). m. 49.58 dat horam 10.11 aeq. 16.6. Locus Q| in p. a 2.34.42. ( l ) Vedi figura a pag. seg. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1013 Dio i^itur 31 il. 13. -17 0; orni in )( 13.51.52; die vero p. tt Septembris h. 10. 5 in )( 13. 13.50 quaro moina fuit minutorum 7.53. Imo in 2. ft observatione liora fuit aeq. 15. lo, lindi» niotus *)i a p.“ ad se culminili observationom fuit bor 25.23 quibus conliiit semi). 7.30. In p.* obser. • distaimi a centro Q(. seni. 5.45; in 2. 1 ' distaimt 5.6; peregit ergo 0\ hoc tempori* semidianietros suas 11.40 per, ciuae si dividantur ser. 7.30 prodibit seniidiiuneter il| sec. 25.40 inule tota dia- meter 3 eri! sci*. 51.20. Ilae die dist X a 0 fuit 197092 qualium disi. m. n © a Terra est 100000, seni, vero ©ser. 15.7 unde si al) ea detrahatur sem. ut sit residuimi 14.41.20 et liat ut 14.41.20 ad 25.10 sic 497092 ad quartina, haec erit axis coni umbrae partium 11170. Soni. © 52830"', •) 1510 dist. centri © ab umbrae vertice 511668 unde semid. Terrae a centro © ad umbrae vcrtieem erunt 0047 ; semid. vero © 471 quot itidem distailit centrimi *3. a vertice umbrae in semidiamotris Q)., in semid. vero Terrae 171, et in seinidiametris Solis 33. (Mss. dal. 1*. Ili, T. IV, C. 44 r.). Videtur in 0 annis circuitos integros perticere (l ). • • • • Radice# ineuntis anni 1010 0.51.42; 2.2.0; 3.66.42; 4.19.41; Motus diurnus • 3.23. 24.45 Diur. 3. 23. 26 Motus • •• 1.41.17.40 Mens. 5.42.22. ^ Motus • A 0.50.14.18 An. 3.25.43 ( Motus • A 0.21.29.33 Bisex. 4.49.8 ! O) Quest* osserr aziono 6 di mano di Galileo, vaili <") Questi numeri sono stati scancellati dal Ro- QuoKto a i»hk. 950. «ieri stesso. 1014 Mbr. Cui.. 1‘. IM. T. VI. !.* c. 4r. appendici:. %:lì- (hsMm Mv ™ • ih\ * * o * 5 ' /• A y 'SVy % ** o M ^ * f ■ A' f ■ 4-C 'p-**' * © ** * ) T A- * ® * # # 5 ' f-A» ■ ->-f ** o 0 iV ri' io • yo • ** * © » 0 if-' f\' f • /1 • * * o * S- *© A- n. ■ Xa ’ * i * © Sv V *17 fr £,y . 8. 6 5.46. 6 3.40. 47 5.12.19 5.47.52 post horam (4.27) (6.28) (6.84) (64) li. 12.10 «ex. temp. 1.40.30.26, prost. con. -4.23 add., prost. or. 10.13 sub. 3.36.37 5. 2.14 5.41.21 (7.25) (8. 0) (63. 65) Dio 24 comp. p. m. li. 70.24 et multo etiam serius, hoc est tota fere nocte • et •• adoo proxime incodobant ut se fero coutingerent nec tamen usquam iuncti sunt eratquo • oi*(‘i(lentaUor secundo; sex. toni 1.54.30, prost. abl. 5.2. o. 33.57 0. 28. 57 Ex line obaervatione (3. 14) (4.13) ltx. : videtur esse in k 12. 0.42. 15 0. 33. 10 23, 40 nude ab linci at (3. 55) (4.46) gr. 5.17. k 14. O. 50. 53 0. 37. 23 (4.32) (5.17) 5. 59.21 0.41.36 • (5.1) (5.41) Mai us. (53. 5G) Dio 12, comp. fuit altitudo Lirac gr. 25 et facta est c/ • atque •• ad oitum; ftenuao li. 8. 57 est, Florentiae 9. 7; sex. temp. 2.12. 22. 47. 30; prost. add. 4.28; sub. 1. 34 1.14.22 0.39.31 (5.37) (5.84) III. 130 1016 APPENDICE. (163) Iuxta Keplerum 1.14. 0 0.38. 9 (5. 87) (5. 28) (65) 1,14. 22 0.43.46 Hi videtur nuforendi gr. 3. 3G (0.1) (6.87) (67) Die , li. 9.39 in m. aeq. prost. add. 2.29. 9;. / • 2.45. «ex. tornp. 2.12.22.37.30. 1.10.5 5 0.40. 0 (5.31) (6. 37) voi 1.11.14 0.40.19 (47) li. Gemme app. 8. 59. 62, aeq. 8. 52 .58, I J isis miteni 8. 57. 58, prost. c. 9| 4.30 add., orb. 1.38 sub., sex. teiu. 2.12.22.24.56 1.10.12 0.40. 8 (5. 29) (6.38) (68) h. p. ni. app. 9.3, aeq. 8. 62. prost.cen. 4. 31, orb. 1. 25; «ex. Umip. 2, 12. 22.1». 1. 9.15 0.40. 19 (5. 28) (6.89) (48) li. p. m. 8.56 1. 9.39 0. 38. 30 (5.28) (6.2tì) • (191) datar anomalia centri 9| et pros. ut infra 2.54 sub. 1. 12.49 0. 39,22 emoni!. (5.33) (6.83) (5.1. 47) Die 15, oomp. fuit altitwlo Lime gr. 42. 25 et •• ad occaaum umbram invasit. Genuae h. 9.63.32 app. 9.46 47 aeq. se n . temp. 2. 16.24.26.67.30. Differt ab observatione, de qua dubium es.se potest quia 9 r tunc ©rat acronyctes et facile Imo bora videri non potest. (53) Die 1 i comp. fuit alt. Lime gr. 55, et • cimi ad ortuhi sunt coiiiuncti (56) (57) (49) li. 11.25 Genuae, Fiorentine 11.35; sex. temp. 2. 17.28.38. prost. add. 4.26, sub. 0. 36. 0. 33. LO (3.11) 0.12.47 (3.6) h. 11.31 sex. tornp. 2.17.28.47.30; prost. add. 3.29. 9 f 2.20 0. 27.63 (2.44) vel 5.28.12 5. 10. 64 (2. 38) 0. il.13 a • prost. 4.26 add., 0.46 add., .sex. temp. 2. 17 0. 33.40 (3.13) Iuxta Keplerum 0. 33. 13 ( 3 . 10 ) prost. 3. 42 add. 0. 31. 35 ( 8 . 2 ) 0. 12.53 (3. 6) 0. 12. 44 (*. 2 ) 0.11.33 (2.40) (163) ( 191 ) USSKKVAZIONl K CALCOLI. 1017 (51)) 1». app. 11.37.38 Gemmo aeq. IL.29.20; L > isis 11.33.36, sox, temp. 2.17.28.64 Q ^ 27.54.38; 0\ / 1.26; prosi, add. 3.47. 0.30. i» ( 2 . 54 ) 0.11.31 (2. 45) (53) Dio 27 eiusdom comp. fuit alt. Limo 35 et duo ita [2] se versus ortum habcbant (5G) li. 8. 53 (ìenuao. Klorentiae 9. 3, sex. lemp. 2. 27. 22. 33, prosi, add. 4.32 et 1.19. ( 19 ) (59) 2. 1.23 2.31.47 (7.28) (fi. 87) sex. 2. 27. 2. 1.26 2. 30. 41 (7.2S) (7.23) li. 8,59 aeq. sex. temp, 2.27.22.27. .30 Q| A 2. 2. 20 2. 30. IO (7.22) (fi. 59) h. 9.59.52 app. (iemale, aeq. 8.49. 52 ; Pisis li. 8 M © 7. 7 -4 A 1.17. prost. add. 5.41 2. 0.52 2. 29. 59 (7.30) (7.8) prosi. 6. 20 add. 2. 7. 1 2.31.36 (7. 0) (7. 7) (7.10) (7.11) riili'lHlu.n (7.20) (fi. 40) ( 191 ) (53) Die 30 riusdem coni, fuit alt Lime gr. 36.30 et facta est ^ • cimi ad ortum (56) b. 8.60 (lemme, Klorentiae 9. sex. lemp. 2.30.22.30. prosi, add. 4.32, 1.41 2. 18. 1 0. 8.32 (3.64) (3. 88) (40) «ex. 2. 30 2. 17. 10 0. 6.58 (3.58) (3.80) (57) li. p. m. aeq. 8.56, sex. temp. 2.30.22.20, prost. add. 0 2.15.50 0. 6.25 (3.59) (3. 57) (191) pr. add. 7.12 2. 17.27 0. 8. 9 (3.57) (8.48) IliNlUtf. (53) Die. 3, a coni]), fuit alt. Lime 52 et facta est sinodos •• et. (5(ì) li. IO. 14 Klorentiae sex. temp. 2.34.25.36; prost. add. 4 1.56.54 (7* 48) 2. 27. 18 (7. 34) (57) li. LO. 10 p. m. aeq. ad Apeliotem. sex. temp. erant2.34. 25. 25. prosi, add. 7. 1, % JA 0.3 1.57.42 2.25.36 (7.45) (7.55) 1018 APPENDICE. 191) prosi, add. 8. 4 2. 0.37 2.27. 4 emendata (7.40) l (7.32) (7.38) (53) Dio 12 corap. posita alt. Limo gr. 70.30, • ot •• so foro tangebant sic [3]. (53) Dio 20 eiusdem comp. fuit alt. Lirae gr. 59 ot • ac •• ci sunt (191) prosi, add. 10.59; 1. 38.50 0. 43. 26 (5.46) (5.59) emondata (5.46) (5.41) (56) h. 9.34, Florontiao 9. 44 sex. temp. 2. 51.24. 20 ; prost. add. 5.36, 4. 38. 1.39. 48 0.39.50 (5.45) (5.36) (67) h. 9. 40, ]>. m. aeq. scx. temp. 2.51.24.10; prost. add. 10.26; 0[ ))^ 28.9. 1.36.57 0.41. 1 (5.47) (5.44) (68) li. 9.45 app. aeq. 9.40, prost. con. 4. 40 add., or. 5. 51 add. sex. toni. 2.51. 24.10 1.36. 13 0.41.48 (5.48) (6.50) (48) li. 9. 45 app. 1.36.42 0. 39. 54 (5.47) (5.37) (53) Die 25 comp. fuit alt Lirae gr. 08 et % liminoli offendit, exacta observatio, (60) h. aeq. 10. 2 sex. tem. 2.50.25.5; prosi, c. 5.16 add., or. 0.27 add. (1.4) (53) Dio 27 fuit alt. Aretini p. m. gr. 40 et ad ortum facta est ( / • et •• (56) li. 12.1 Florentiae 12.11; sex. temp. 2.58.30.28; prosi, add. 1.39, 0.41 add. 1.45.31 0.40.18 (5. 37) (5.39) (61) h. 12. 7 p. m. aeq. sex. temp. 2.58.30.18; prost. add. 11.33; % 27.30 1. 42. 42 0.41.32 (5.42) (5.48) (191) prosi add. 12.18 1. 44.56 0.44. 7 emendata (5.38) (5.41) (55) li. 11. 51 sex. temp. 2. 58.29.38; pros. or. 6.54 add., con. 4.32 add. 1.42.46 0.43. 6 I lio etiam videtur retrahi gr. 3. \ (5.41) (5. 58) (68) li. 12.7 p. m. aeq.; pros. celi. 4.39 add., or. G. 47 add., sex. temp. 2.68.30.17.30 1.41.50 0. 4L 52 (5.43) (5.50) (48) li. 12. 14 1.42.40 0.40. 27 (5.41) (5.41) (53) Dio 29 comp., data tilt. Aquilac gr. 37, • et ad ortum suut coniuncti. OSSKHVAZIONI E CALCOLI. 1019 (56) |>. 9.52, Florentiae 10.2; sex. tomp. 3.0.25.5; prost. add. 4.39 et 6.57 2. 14,22 <4. 10) 0. 17. 23 (4.10) (61) (191) h. p. m. noq. 9.58, «ex. temp. 3.0.2*1.55; prost. 11.57; 9| 27.16. 2. 11.41 0. 16. 12 (4.21) (#.63) prosi. R(lcl. 12. 16 2. 13. 29 0. 16. 57 (4.14) (4. 4) lULIOS. (63) Die 3* comp. fuit alt. Aquilao gr. 20. 15 et •*. cum •• ooeasuin versus convenere. (62) li. 9.52, Fiorentine 10.2, sex. temp. 3. 4.25.5; prost. add. 4.40, et 7.29. 4. 39. 43 3. 37. 43 (s. 38) (8.84) li. p. in. aeq. 9.58, sex. tomp. 3.4.24.55, prost. 12.28 add., 4.41. 1 3.37.40 ( 8 . 30 ) ( 8 . 88 ) 91 lll ^C 27. 5 (163) Dio 25 distaimi A a contro 9( versus urtimi, som 28.40; die 27 bora eadem dista¬ imi 12 versus oceasum ; niotus ergo 9|. in li. 48 continet seni. 40.40; hoc tempore 9} in zodiaco pcregit secimda 816, qua divisa por 40. 40 ciani 9). semi- diametmm fero 20" [103]. (63) Die 26 data alt. Dirne partium 69 •• et v ita se habebant [4] (63) prost add. 10.6; 3.35. 5. 9 1.28. 7.15 4.53. 1.22 2.43.69.7 •> videtur retrahen- (8.20) (8. 45) (12.54) (6.45) dus gr. 2. (63) Die 29 comp. li. 9.41 aeq. Pisis, • atque •• simili iuncti fuerunt (62) h. 9,30, Florentiae 9.40, sex. temp. 3.30.24.35; prost. add. 4.44 et 9.53 li. 9.36 1.55.64 0.33.57 (5.12) (4.52) li. data 1.57.64 0.34.60 (5. 9) (5. 00) (66) h. 0.46; sex. temp. 3.30.23.35; prost. con. add. 4.47, orb. add. 10.18. 1.54.37 0.37.53 videtur beno so babere imo error est in tem- (5.17) (5.22) poro quo dantur motus 1.57. 46 0.39.17 sub gr. 3 -g* (5.10) (5.82) AUGUSTUS. (63) Die 10 fuit alt. Àquilae gr. 42 et • cum •• iungebantur (62) li. 9.21, Florentiae 9.31, sex. temp. 3.42.23.48; prost. add. 4.47 et 10.22 0,30,88 2.49.39 errata (63) Die 18 fuit alt. Aquila© gì*. 50 et eclipsatus est 1020 APPENDICE. (62) h. 8.22, Fiorente 8.32, sex. temp. 3-50.21.20; prost. 4.48 5. 50. 10 ( 0 . 12 ) (53) Die 21 fuit alt. Aquilae gr. 18 et • ac A fero iuucti erant, A (amen ucci- dentalior sor. 10 (64) li. 7.57 Gemme, 8.2 Pisis, • a A (listabat srr. 10 oratque hic occidentalior. sex. temp. 3.53.20.5; prost. 1619 adcl. 1.41. 7 2.30,15 (5. 44) (4. 5H) (65) Die 22 comp. erat alt. Aquilae gr. 51 et sic, apparohant |5]. h. 8. 12; ex quo ap- paret orberai primi minueudum aut certius epoche» pronioYondam, imo aliquid etsi tortium promovcndum attestantibus otiam aliis observationilms. (65) Die 81 h. 9; prost. add, 10.38 6. 25. 19. 90 2. 8.46, 20 4. 51). 15.39 3. 3 ». 57. 36 ( 8 . 18 ) Primus vidotur promovendi!# et quartini rotrahendus. September (66) (67) Die 7 n. 9, prost. add. 10. 24. Erat alt. Aquilae gr. 52 JJ »ee ta»ie» quartus ap- parebftt, sed adirne dubius latebat, u»de patet certo esse retrahendiun. 5. 8.55.10 1.67.34.14 4.50.40. 2 0. 5. 9. 56 (4.44) (7.45) (18.6) (2.11) (53) Die 23 alt. Aquilae gr. 53. li. 7.41. app. Gemme et A ab eclipsi liberatili* est. (62) bora Florentiae 7.52; sex. temp. 4.26.17.53; prost. 1.51 exitus ab umbra 0. 4.49 (0. 19) 0. 3. 7 (0.1) (62) Ex omnibus observationibus huius anni 1039 patet aliquid subtrakendum ab epocha A, pubi 1.20, et propterea epochao anni loto erunt soquentas 3.47.55 3.19. 1 4.36.60 4.54.31 Observationes anni 1640. Iànuaiuus (68) Die 29 comp. cum esset alt. Lirao gr. intervallili» A et A mit sosquialterum in¬ tervalli inter •• et A, primus vero ab ortu per unam somidiametrum distabat a limbo *lj. , hoc est duas a centro; baec fuit nostra prima obsorvatio anni 1640 OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1021 Examon. Die ipso bora 18.10 p. m. ot 8.20 aeq. ; prost. sub. 7.10 2. 40. fii). 40 fi. .in. 52. 40 5.28.68.32 3.31.50.20 (1.54) (8.26) (7.14) (18.1) ad amussim respondet, clapsis quatuor mensibus ab ultima obsorvationo anni 1639. Pbbruakius (63) Fuit die 4 alt. Lirao gr. 59 et tres ita apparebant [6] (69) Die 7.» h. 17.30; prost. sub. 8.5 6.40.21.49 1. 2.52.49 0. 8.17.23 0.22.17.19 nota eclipsim »li. 17. 65 (1.68) (7.47) (2.0) (9.20) (70) (71) Die 12, erat alt. Aquilae 31 et • a •• distabat per imam semidiametrum, eratque •• orientalior; acciibt boc b. 18.20 aeq. quo tempore datur niotus cui competit. 4. 43. 57. 7 3. 32. 21. 24 (6.40) t4. 40) mule optime respondet calculus cum observatione [7] li. 17.30 pros sub. 8.35 4. 30. 53. 32 3. 28. 50. 23 4. 18. 57. 41 2. 9.14. 2 (6.471 (4.18) (18.44) 19.2 • (70) (71) Dio lf» erat alt. Aquilae gr, 28 et •*. cimi •• ac quadam fixa triangulum isosceles constitucbat, eratque basis inter ac fixam semidiametros Qf, atque a per- pendiculari in latus A B ad hoc est (listantia GB erat semidiametri unius; enotera respondebant |18|. li. 17.30 prost. sub. 8.53. 2. 40. 48.34 2.32. 24. 55 0. 49. 21. 52 3. 13. 24. 3 respondet (1.20) (4.51) (10.38) (5.40) Martius « (72) (73) Dio 11. Hoc mane omnia recto respondebant, et bora 17 p. m. intervalla •• et • a centro *_) f erant aequalia; haec autem observatio a die 15 Februarii, prima fuit ab eo si quidam tempore usque nunc continuis imbribus impediti observa- tionem ; intermisimus. li. 10.30; prost. sub. 10.37 3.21.44.38 2.38.45.29 3.41.23.46 0. 7.59.30 i2.10) (3.0) (9.26) (3.25) (74) (75) Die 20 erat alt. Aquilae gr. 41-jet sic crani |8] li. 10.0; prost. sub. 10.50 3.47.40.20 5.47.57.29 5.12. 8.30 3.20.37.44 <4.17) (1.50) (10.24) (S.40) (68) (76) Die 27 erat alt. Aquilae gr. 34 } ot •> latebat in tenebris, distantia porro •• et (77 > primi sic se babelmnt [9] ; eratque postmodum alt. eiusdem Aquilae gr. 41 et 1022 APPENDICE. sic so mutuo tangebant [10] ; •> quoque (svaserai o tonebris eratquo amhobus interior} deinde observata fuit alt. Aquilan gr. 12 2 et sic tres apparebant |UJ; erat inde alt. Aquilao -13 et iam incipiohant separaci aie. [12|; ad lutee «uni esset alt. eiusdem lixao gr. 46 separati sic apparebant [13]; tota miteni huius- modi obsorvatio propter aeris impuntato diftìcillima fuit, adeo ut noimunquam •> videri non posset et alii duo admodum esigui viderentur. Prost. suh. 11.0 3. 27. 22. 32 5.34.45). 24 5. 2. 40. 5 5. fiO. 32. 17 li. I 5. 30 (2.41) (3.48i (11.49) (4. 2) 1). 16.34. Fio routine 16. 44 [101 sir. erant; liora 16. IO, Fiorentine sunt ot sic erant ciun 4° [11]; bora 16.61, Fiorentino 17. I [13|; prima 1.26.41. 60; prosi. 6.13 add. prosi. 10.36 sub. 16. 66 iimc.ti scx. temp. in h. 16.44 3.37. 18 o. 35. 19 5. 25. 5 (3.31) (8. 89) (3.24) h. 15. 56 • 3.38. 25 6. 35. 53 5. 62. 12 (3. 37) (8.34) (8. 20) li. 17. 1 3.39. 9 3.36. 14 5. 52. 16 (3.41) (3.32) (8. 19) sex. temp. in prima 1. 26. •11.40, prost. uhi. 5. 4 % f. 6. 61 h. 16.40 3.34. 24 5.36. 29 6. 49. 47 prima (3.17) (3. 28) (4. 20i h. 16.50 3.35. 35 5.37. 3 4. 49. 54 2* (8.28> (8.24) (4. 18j h. 16.57 3. 36. 29 5.37. 24 5. 40. 58 3* (3.28) (3.21) (4. IGi (»8) li. 16. 60 • et •• iuncti sunt ; pros. orb. 10.49 ahi., cen. 6.28 add., sex. torap. 1. 26. 42. 6 3.34. 68 5.37. 27 (3.20) (3. 20) (18) 11 . 16.54 3.36.23 3.35.51 (8.22) (3.34) Aprili, s. (63) .Die 4 alt. Aquilao gr. 29ot sic erant [M|; alt. gr. 31 eiusdem (»t ita apparebant [15|: al Lirao gr. 67 et iuncti sunt; alt. Aquilac gr. 40 et incipiebant sepa¬ rali [16] ; alt. Cycni gr. 44 ^ et ••• evanuit. (62) h. 14.49, Florentiac 14. 69 [14] ; li. 16.0, Fiorentine 16. LO [ L5| ; h. 15.25, Fio¬ rentine 16.36 [17]; b. 15.56, Fiorentino 16.6 [16] ; sex. temp. in prima 1.34.37.28; prosi. 5.13 add., 10.29 ul)l. prima 2 ° 0.58. 24 (7.27) 0. 59. 11 (7.31) 1. 0.67 2.42.3.) |j f)ra |;j 8 . extin- (7.31) 18 2 42 43 c ^ llB 6. (7.27) cftlculatur r arena hora 2.43. 6 fuit bora 16.43; 3 U OSSERVAZIONI K CALCOLI. 1023 (78) (79) 4* 1. 3. « 2.43. 32 distantia ab auge cuoi (7.48) ((*>. 57) line 5.57. 11). Alt. I iime 07 h. .15.23 p. in. Alt. (•andar ( lycni gr. 44 \ et. incielitium- brani. Apparebat insupor quaedam tixa in hac constitutione [19] ; prost. sub. 10.55 0. 30. 2s. 6 1 [. 3. 3.58 5. 43.34.49 2. 42. 5. 20 h. 15 (2.67) (7. 4M) (8.67) (7. 88) h. 14. 55 111] ; h. 15. 6 115] ; li. 15.31 i d ; lì. 15.52 [10J ; sox. temp. in prima 1. 34. 37. IH; prost. sub. 5.7. prima 0. 50. 23 2.40. 0 (7.82) (7. 22) 2 a 1. 0. IO 2. 40. 19 (7.85) (8.17) 3* 1. 1.56 2.40.41 (7.43) (8.7) 4* 1. 4. 5 2.41. 8 (7.52) (7.57) Prima respundnt, por sequontes lumie oxaininentur. (53) (80) pio 9 ciusdom, alt. Aquilae gr. l !8 et ita apparebant [ 20 ]; inox alt. Aquilae fjr. 30 et centraliter iuneti sunt alleo ut unus apparerent; post baco fuit alt. Aquilae gr. 32 et ita apparuerunt | 21 j ; fuit quoque :ì[ in huinsmodi a duo- bus fixis distantia [ 22 ]. Prost. sub. 10.47 6. 23. 23.42 3.27.30.53 3.63.50.18 4.20.13.11 li. 14.30 (828) (4.8) (11.19) (24.35) USL [20] ; li. 14 *5 d\ h.14 g [21]; 1.39.36.25; prost. add. 5.13, abl. 10.20 sex. temp. primae suut 5.23.20 3.23.13 b. 14.34 ( 8 . 88 ; ( 3 . 25 ) 6.24.37 3.23.47 h. 14.42 (3.83) (3.31) 5.20.18 3.24.37 h. 14.54 (3.22) (8.52) li. 14.31, Florentiae 14.41 ; sex. temp. 1.39.36.42 ; prost. cent. 5.13 add., prost. orb. JO. 47, abl. 5. 23. 56 3. 27.30 liic otiam vidotur aufferendi gr. 3 ,, . (3.25) M.2) li. 14. 30 |20] ; li. 14.38 c / ; li. 14. 50 [21] ; sex. temp. primae sunì, 1. 39. 36.15 ; prost. ubi. 5.8. *_)j, £. 7. 59 li. 14.30 5.20.25 3.24. 2 (8.42) (8. 83) h. 14.38 5.21.33 3. 24. 36 (8.87) b. 14.50 5.23.24 3. 25. 26 (8.28) III. 1024 APPENDICE. (58) h. 14.38 d : prost. con. 5.29, orbi» 10.32; wi. trmp. 1.39.36.36 6.20.64 3.26.10 (8.41) (8.48» (48) 2.21.12 3.23.35 (8.80) (8.80) Die 10 erat alt. Aquilae gr. 44 et sic erant (2.31 ; erat alt. Aquilae gr. 48 .-t sic apparobant [24]; erat. alt. Aquilae gr. 50 ! t et iuncti sunt |25|. Prima observatio distantia a m.° 23.40, 2.* dist. a m,° 17.41; h. 1.‘ 10. 12 app., 10.5 aeq.; b. 2.* 16. 40 app. 10.33 aoq. PrOBt- sub. 10. 20 5. 3. 20. 60 3. 14. 53. 51 3. 44. 40. 55 0. 30. 32 43 h. 14. .Ho (4.52) (2.14) (0.52» (21.11) (82) h. 16 ,5 (24]; h. 10 d ]25|; sex. tenip. in prima soni 1. 46. 40.38; prost. add. 5.15; auf. 10. 9. h. 10.15 5.21.50 3.10.45 ( 8 . 35 ) ( 2 . 58 ) h. 10.43 5.25.47 3.21.43 (8.18) (8.18) oa (85) h. 16^2 O • Gt ; sex. temp. 1.46.41. 15; prosi. reii. ;uM 5. Il; prost. or. sub. 10.26. 5.25.10 3.25 26 Mio et inni «ulitr Allinda sunt jrr- 3 . (8.18) (3.44) Maius. # (63) (86) Die 13 erat alt. Aquilae gr. 52 et sic apparebant 20 ; emt alt. \quilae gr 53 et iuncti sunt [27] ; erat postinodum alt. chiudetta sideri* gr. 51 et HeparabanUir sic [28|. Distantia Aquilae in puncto a m.° e est 7. 43 und» ublata ab eius asc. recta 293.8, remanet asc. recta medii « h. 16.46 0.55. il 2. 28. 50 17.12) i7. 14i h. 16.18 0. 57.31 2.30. 4 (7.2H) (fi. Mi OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1025 ( 88 ) li. 15.21 [20! ; li. 15. 41 ; sex. primi temp. 2.13.38.23; pro.st. abl. .1.57; •). ' 7.30. lì. 15.21 0. 54. 54 2.28. 11 (7.30) (7.28) lì. 15.41 0. 66 18 2. 28. 53 (7. ICi (7.15) li. in. 14 0.58.38 2.30. 1 (7.28) (7.0) (0!) li. 15.35 (iemiao, l'isis 15.40 sex. temp. 2.14.30.10; prost. 1.47. 0.42. .4!) i7. ir» 2.24.31 (7.9) (80) (8(1) (87) Di.' IO all. Aquila* 1 gr. 30 4 et sic crani [20]; crai mox alt. eiusdem gr. 47 \ et sic se hnliclmnt |30|. l’ostea fuit illins stollac alt. gr. 50 j et in eodem situ priori» liabclmnt sic [311 et post „ horae ita pcnnanebant ; distantia a m. 4 17. 49 li. 17. lo upp. uoq. U>. 51). Sì vernili t*st quoil liahetur in hoc: obsorvatione ; sequens errata erit, quod etiam iloivt nileulu*. iWt. sull. 7. S!i» •1.11. 0.18 5.52.30.55 4.52.40. 0 5.40.25.14 h. 13.30 ir.. 441 (1.8) (12.57) (5.45) • • lumi 12. lo eclipsabatur. intenebris (H2) b. M j., sox. temp. 2. IO. 35.33. Prost. add. 5.15 abl. G.57. 4.50. 0 (5.29) 4. 58. 28 i5.8) (82) l>i<* 17 h. M ]*, |51| c ad orientimi 2. 13.41 fi. 18) 5.47. 56 (5.7) 5.48.50 (4.44) 0. 0.27 (3.59) :U (8”) (80) (87) li. 15 cxinctus est, sex. temp. 2.17.39.13 5. 57. 3 (0.14) Alt. Aquilae 50 ìj et ita videbantur [32]; alt. 51 et iuncti sunt [33]; et di- stalmnt a centro semidiametros quasi quatuor, tane distabat tribus qcnndia- metris, postea fuit alt. Aquilae gr. 51 .y et separabantur sic [34]; erat tunc alt. Aquilac gr. 53 et distabant 0. 20 sic [35]. Ad baec data fuit alt. pomeridiana Ardori gr. 22 et evamiit in umbram, estque exactìssima observatio. Distantia Are turi a in. 0 70.30', inule asc. in. 289.8 ; Solis asc. ree. 54.4 unde et bora 15. 40 app. 15. 31 aeq. Asc. ni. e. in obsorvatione est 235.4, bora 15 .yy prost. sub. 7.11 2. 4.41.30 1.33.58.2(i 5.43.12.10 0. 8. 3.34 h. 13.30 (4.53) '8.44) (4.2) (8.26) 1020 APPENDICE. (88) Die h. 14.9 • et •> so ferot tangelmnt et din ita permanente* iunoti non sunt; sex temp. 2. 36. 65. 23; pmst. ahi. J. 28. *> 7. 23 4.47.12 (5. 35) 4.56.40 ( 6 . 15 ) Die seguenti b. 14.36 • et %• sunt 2.10.63 (4.8) 6. 45. 41 iR. Si 5.45. 35 15. •»<>■ (I. 8. 1U imu • 14. 19 IH. 52) .% 9.5 IUNIUS. i) (90) (91) Die 7 erat alt. Àquilao gr. 21 4 et • et •• distabant semidiametri* duubus, • vero a centro Q|. seni, fero 4; pros. sub. 3.28 1. 1.68.52 0.56.22.52 5.20. 4.57 1.41.15.28 h. 11.0 (6.9) (7.17) (8.691 (24.12) (92) (93) Die 18 erat alt Liraegr. 62 \ ot •• distabat a centro •> seni. 2.30; prosi, .sub. 1.14 2.13.12.15 1.28.3(117 2.31.41.30 5.38.5S.3H li. 11.0 Die 20 erat alt. Aguilae gr. 22 et sic so habebant [36]; 10.0 app. 9.67 aeq. Prost. sub. 0. 48; 3. 0. 26.56 4. 51. 37. 18 4. 12.36. 43 0. 22. 23. 11 (8.8) (13.22) (9.21) (89) (94) Dio 25 data alt Spicao ìì) ) poni., Fiorentine p. ni. g. 28 •• et iungcbautur; (®u) prost. 6.8 add. 1. 29. 37. 53 3. 55.19.45 2. 33. 33. 38 0. 59.38.41 li. 8 (6.50) (7.1i) (7.44) (21.12) (64) li. 8.57 aeq. Florentiao, Pisis 8.53, sox. temp. 2.56.22.35. prost. add. 6.13 1.11.34 2.25.28 (8. 1G) 17.68) lULIUS. (89) Die 4. Fuit ibidem alt. Aguilae gr. 51 et duo sic inter se crant [37) Septemiìer. (89) (90) Dio 2 ibidem, erat alt. Àrcturi poni. gr. 32 ^ et • ac inter «e distabant seni. 1.40, (^) eratgue adhuc superior nempe .\ austraiior sic [38]; linde patet :)j. adhuc fuisse borealem; haec observatio est babita Florentiao, postquum ibi per (lnos menses febri et bypocondria aflUctati fuisseinus. Krat alt. Àquilao gr. 54 et distabant una semidiametro [39]; prost. add. 10.39. 1.47.58.26 3.50.13.45 0.17.12.68 3. 2.14.10 li. 7.40 (6.83) (6.43) (4.8) (1.0) OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1027 (98) Di*' 26 correnti anno 10*10 erat Pisis alt. Aquilae gr. 53 j et ab oriento .% distabat ab alio somid. 2 , porro alias •• distabat a contro som. 8; ab occaso vero aderat • unus distans som. 5, ot quarto» ab lioc distabat som. 6 sic in linea recta. Dio 27 sic apparebant eratque alt Àquilao... (<) [40] OcrroBKK. (89) (99) Dio 12. (Iodio (ionuao, cum osset alt. Aquilae gr. 53 -ir fere in meridiano, sic (10®) apparebant [41] ox (pio patot adirne latitudinem % centra ophomeridas t'uisse borealom, stai otiam cani calcale respondot mediceonim observatio. ProHtadd.lo.22; 5. 12.47. SU 5. 13.10.40 3.42. 7.10 5.19.43.12 h. 6 (4.17) (0.22) (9.81) (16.54) (89) Die .19 eiusdeiu ibidem all. p. m. Libino fuit gr. 75.10 et sic apparebant [42], et udirne .\ erat borealior, postmodum al) alt. lateris Persei gr. 24 -g et Aretini gr. 14 iuncti mmt. (82) b. 6 j-j (89) (101) Die 4, h. 3, horologii urbi» Genuae 4 Planotoe orant in linea recto linde 0, in ecliptica; rospondet, bora 3* horologii sic orant [215] ut propteroa superbir, vidori possit sino latitudine, praecipue cum otiarn reliqui duo essent in oadom recto. (89) Die — fuit alt. Aquilae p. m. 45 et duo ito sunt ibidem visi [431. jSuQ (89) (103) Die 29. Die decollationis Divi lo. Bapt. 1641, alt. Aquilae gr. 54 in m.°; quartus ( 104 ) visus est oxire ab umbra imo a corpore primi et sic orant [41|; alt. Aquilae gr. 46 an. m. et sic [45] stabaut; alt. Lirae p. m. gr. 70 et ita apparebant [46); observata denique fuit alt. Lirao p. m. gr. 02 ot tortili* quartum ita contexrrat ut unus apparent [47] ; porro alt Aquilae an. m....0> notata i*st sinodus •• et •••. Prosi, add 6 . 12; 1. 44. 48.21 1.18.35. 0 2. 31.22.57 0. 17. 10. 49 (6.38) (8.85) (6.43) (7.16) (82) h. 9 [43] sex. temp. 3.59.23.53; prost. 4.12.39 4.19.32 6.30.33 5.42.51 (6.44) (4.28) (7.14) (105) li. 7 jjj •• et di b. 9.1 [44]; h. 9.35 sic erant [46]; h. 10.20 d .*• et •>; sex. temp. 40.17.45.25 Prost add. 4.12 et 5.50. 1* 1.23.49 1. 2.26 2.24. 14 0.13. 8 (6.48) (7.45) (8. 12) (6.32) 2* 1.38.39 1. 9.49 2. 27. 64 0. 14.42 (5.47) (8.13) (7.28) (6.18) 3‘ 1.43.27 1.12.12 2.20. 4 0. 15. 12 (6.40) (8.19) (7.12) (6.26) 4* 1.49.60 1. 15.12 2. 30. 38 0. 15.62 (6.29) («. 29) (6. 68) (8.42) ( 88 ) h. 7.12 •• et .*. di b. 9.7 [44]; h. 10. 26 0 et •>; sox. temp. 4.9.17.35 in prima. Prost. add. 11. 39 ; 3.18 l a 1.20. 59 1. 3.16 (7.49) 2. 24. 6K (8.8) 0. 11.47 2° 1. 33.39 i. 10.39 2. 28. 39 u. 13. 11 (6.48) (8.16) (7.18) (5.35) 3 a 1.40. 27 1. 13. 2 2. 29. 4ti <>. 13.41 (5.44) (8.22) (7. 3) (6.47) 4° 1. 40. 50 1. l(i. 2 2.31.20 (0.43) 0. 14. 21 (8.4) October. (89) Die 12 Genuae fuit alt. Aquilae p. ni. gr. 40 et duo sic |48j visi; prost. baoc alt. Birci gr. 28 et sic se fere tongobant [49]. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1029 (89) Die 1 é t alt. Hirci fuit gr. .32 et • cum • • (105) li. 63* • et • • .j ; sex. temp. 4. 45. 4. 23. 57 5. 10. 13 (6. 47) (0. 2) (88) li. 9. 49, • et • • 0 ; «ex. temp. 4. 45. 4. 22. 28 5.18.45 (5.47) <•>. 40 ) (58) h. 9. 49, • et , ; sex. temp. 1. 15. 4. 20. 50 5. 18. 25 (5. 46) $.48) (108) 4.22. 11 5. 18.12 (6. 47) (5.60) ((il) (109) li. 9. 20 ( tallirne, Pisis aeq. 9. 25, : sex 4. 19.32 3. 34. 48 0' (5.. r >4) et semid. v seni, nsque ad se- nud. -li bene respoudebimt. Si prima» liuius obsei’vationis verna est seeimdus repugnat. (106) (107) Die LI li. p.” noctis (puie fuit numerata (li. 6. 30erit) ali ipso occaau 0, sic apparelmnt |50| erat alt. lucido in cingalo Àndromedae gr. 36, et sic appa- leliant [51], erat alt. Ili ivi gr. 26 et distabant seni. 1. IO ; prost. add. 11.11.12 b. 6.30 (5.40) (ft.oi) b. 6 1.29.26.54 0.54.34. 4 5. 3. 0.34 4.48.53.12 (6.60) (7.7) (11.44) (21). 44) Deckmueh Die prima l’isiw li. li j p. m. adeo 9] proximus erat ut vix apparebat. Ex (pio inferro licei prostapliaeresini orbis Oj. minorcnv esse quam traditam a Rudolphinis et forbisse epochem reductaiu. li. 6 p. m. prost. add. 0.42; Q 8.66.16; ‘4 ^ 8.16.16; sox. temp. 5. 33.16 1.54.29.40 3.46.38.35 3. 8.34.38 4. 7. 4.38 (5.18) (0.26) (2.0) (22.47) Dio 8.“ li. 6. Haec nocte |( tricorporeus apparebat et ipse perfecte rotundus sic [52]. Die 22 ibidem fuit alt. Aldebaran gr. 23 et duo sic erant orientales [63], postino- dum elevabatur gr. 27 et iuncti sunt. li. 6 JJ, • .*.(/; sex. temp. 6.55.14 25; prost. 3.28, et 7.19 addendae. (89) (DO) ( 111 ) (IH) (89) (106) 1. 3.35 (6.13) 2. 38.47 (5.4) ( 110 ) li. 5.42 • et (/ imo se fere tangebant, sex. temp. 6.55.14.25 1. 1.40 2.39.21 (3.5) (4.57) * i TOMO APPENDICE. Obsehvationes anni 1642 . (112) Epochae anni 1642 3.69.28 1.31.27 4.42.14 2.40.40 Maius (113) Din 24 Hoc mano recto reaponiebat Iolius (114) Dio 1.* alt. Aquilae gr. 63.20 et sic orant (64); post, m." alt. Aquilaa gr. 52.24, (115) iuncti sunt, et fuit item alt. :){ gr. 28.60, (luhia lumen obsorvatio ub erepusculi vicinitate; li. 13.*30 prost. sub. 10.66 3. 55. 50 0. 9.66 6.41.36 1. 16. 10 (4.49) (1.81) (4.25) «88.58) Augustus (116) (117) Die 1." E rat Fomalhaut et inforior occidentali» quadrilateri Pegasi in eodem ver¬ ticali, et. tres orientules erant aoqualitor distantes ab invieein et a limbo •). ; in %• igitur aliquod (letrahendum, idque eo magis quo .% et primus sunt circa maxima» digressiones. h. 12.6 prost. sub. 7. 11 0. 52. 26 4. 27. 23 1.39. 27 0. 24. 46 (4.87) (8.44) (18.49) (10.18) (39) (118) Die 6/6 alt. Lucidae in scapulia Pegasi; Fiorentine 63. 10 p. in., tunc duo et •> convenere ; h. Florentiae 16.8 aeq. add. 2.0, sub. 5.49 (119) h. 15.4 sex. tomp. 3.37.37.40; nrost. a Mora follasse fuit 16.15 ex alt. cxtriunae in «da (192) (193) sox. temp. 3. 37.38. 0 prost. sul). 3.38 't V di sex. temp. 3. 37. 37. 50 ; prost. 0.47. 3 2. 34. 54 (10.15) 2. 47 (10. 25) O. 47.31 2. 33. 26 (10. 20) (10. 59) 0.49. 59 2. 34. 29 0. 45. 26 2. 33. 22 forte horae punetum (10. 2) (11) erratimi esse. 0.47. 34 2. 33. 26 emendai ur. (10. 20) (Ih (116) (117) Alt. Lucidae in scapulis Pegasi |). m. gr. 63.40, et tunc •% et •> c/, h- 15.13 app. soli li. 15. <8 aeq.; ablatis autem scrup. 10 Gommo et Florentiae optime se liabet observatio cum tabuli» ; anguius ponit inter Florentiam et Gommili sor. 12. Distantia a meridiano fuit gr. 23.6; prost. sub. 0.5. 3.13.58 2.30.14 0.41.57 2.34.48 h. 12.6 (125) (8.81) (9.22) (10.28) h. 14. 68 ,\ et •> in 10. 27 OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1031 ( 89 ) (120) (121) (123) (124) ( 122 ) ( 89 ) ( 118 ) ( 192 ) ( 193 ) Dio 10 eiusdom ibidem alt. oxtr. ubici Pedani gr. 49 p. ni. et sic apparebant [55] Die 18. Klcviibatur oxtrema in ala Pegasi gr. 63.45 et • a •• distabat por imam semidiametnini: idem alt. «rat gr. 49.0 et se toro tangebant sic [56]. I>ie 20. Distantia a m.° vera est gr. 28.19 andò li. 8.56. Ilora qua elevatateli* clini essent anguli 53 sic so habobant [571 ; alt. orai; extremae alar Pegasi gr. 51 et trium oceidontuliuni intervalla erant acqualia; in p. a observationo disi. a. in. c. est gr. 28. 19 mule h. app. 8.38, aeq. 8.35 et Gemine 8.25; motus •• est in 4.29.27 linde •> in 8.22.0 ab auge vera; in 2. a ilist. a m.° gr. 67.59 inule h. 14.35, aeq. I L 30 et Gemme 14.20; cuni vero •• sii in 7. 58 seni, et /. in 13.32 erit v in 10.45, linde distaimi ab auge vera 3. 25. 58; hoc cum antece- dentilms concordai ergo in p.‘ fiiit alicfiiot error. Alt. p. in. alno Pegasi 52.50 et •• cimi iuncti sunt. li. 16. 4, •• et (/ sex. temp. 3.58.37.40; prost add. 3.50, sub. 1.51 h<*x. temp. 3. 58. 37. 50 pros. add. O. 23 2.14.26 ».14) 2. 15. 17 ». r>) 2. ! 5.23 (0. 7) 0. 25. 38 (fi. 3) 0. 26. 13 (fi. 4) 0.26. 22 (fi. 18) (119) li. 15.8, •• et ••• ab ortu; sex. temp. 3.58.37.20, prost. add. 1.23 2. 16.26 (fi. 1) 0. 26. 28 (fi. 14) ( 122 ) (89) ( 118 ) Krat alt. extrenii ala Pegasi p. m. gr. 52.50 et •• et .\ iuncti sunt, disi. a. m.° est gr. 56.9 unde 14.31 app. aeq. 14.26, undo ablatis ob meridiamis dif- ferentiam sci*. 10 incidit li. 14.15; datar hac bora motus •• 2.14.56, A vero 0.25.66, ilio competunt som. 6.11, bine 6.7 mule optimo respondet. Die 28 alt. lucidae in scapulis Pegasi p. in. ibidem fui! 48.30 et • cimi •• ingobatur. li. 14. 19. a •• et •• ; sex. temp. 4.0.35.48; prost. abl. 1.22. 3. 37. 30 ». 32) 5. 34. 42 (3. 45) (192) (193) (85) li. 14.20 app., aeq. 14.20 prosi, add. 0.24 3.35.47 5.34.44 exsaminetur bora (3. 24) (8. 44) li. 14.19, sex. temp. 4.0.35.48 bic punitili* epoche 1.49 add. ori). 1.18 sub 3. 72. 22 5. 35. 6 satin bene congruit. (3.32) (3. 40) emendata; prost. c. (89) (126) Die g alt. seap. Pegasi, p. m. gr. 52. 6 et sic cum fixa quadam appaxebant [58]; alt. extremae in ala Pegasi fuit postmodum ab occasi! gr. 55.26 et distabant som 0. 0 ; ad baco fuit alt. eiusdem gr. 55. 14 et iuncti sunt. Postremo erat 1082 APPENDICE. alt. eiusdem gr. 54 ot sic vidobantur cum eadom fixa [59|. Die 31 lixa linea perpendicularis ad ductum cclipticae distabat ab orientali • sein. 2. 20, cum esset altitudo antimeridiana capitis Andromodao par. 30.40. Die eadom fuit alt. ]). in. extremae in ala Pegasi gr. 49.58, et y eclipsatus est et tunc eadom lixa a primo • versus ertimi distabat seni. G J. (118) Die 30. li. 13.50 Fiorentine a •> distabat som. 0.25 sic |80|; bora 14.15 di- stabant seni. 0.0; post haec. li. 14.24 ( gradili 1.12 inclinationis ergo BD, erit nani ut AB ad AD ita radius ad sinum anguli B, 43.42.33, et rursus. ut AB radius ad simun anguli A, compti. B, ita basis AB ad quartina, hoc erit latus BD dimidiae viae y in umbra scrup, scilicet 33. 0; igitur ab umbrae centro distabat bora observationis sor. 33. 0, quibus coinpetit do motu orbis y gr. 1.15.30, ergo poneudus est distitisse bora observationis a centro umbrae sex. 5.58.46.30, et subtracta indo centri anomalia 2.15 epocham huius obser¬ vationis fuisse 3.66.31,30; quae illa anni 1042 ineuntis erit 2.41.13. APPENDICE. 1033 Sbptembkr. (123) (124) Dio 1* ,l * (128) (129) Vespcri huius dici (l ' umbram incidi!. Mora 16.13, ex. alt. a. m. e. gr. 30.20. (126) Die 4.* alt. Aquilae p. ni. gr. 45.0 et • 9[ limbum tangebat, exaeta observatio. (128) (129) h. 8.50, era! alt. Aquilae gr. 52.36 p. et <1 istallat 0.50, ©rat • occidentalior ; dist. a in. 0 g. 9. 41; li. 9.15 Genuao aeq. 9; aecundus est in 3. 50 primus in 4.13; bene se habet. Alt. Aquilae 19.10 et sic erant [62] h. 12 pro8t. sub. 0. 8 5.38.3» 3.39.37 1.4.41 (2.7) (5.84) (12.40) 1. 3. 58 li. 0.8 • et. • • in 4.10 ( 22 . 9 ) (128) (129) Die 5 alt. Aquilae gr. 50.10 et semid 1.0 • a circumferentia 9] distabat et fuit forte minus; fuit alt. Aquilae gr. 45 et circumferentiain 9). tangebat; exaeta observatio, praccipue cum sit nulla prost. 3. 2.15 5.21. 7 1.55. 7 1.25. 40 h. 12 prost. sub. 0.4 (0.18) (6.29) (12.41) (24.88) # bora 15. 52 & • et •• in 3. 20. (118) Die 5 li. 10.36, app. aeq. 10 27 • 9| limbum tangebat, sex. 4.7.26.8 2.49.65 ( 12 ) (126) (128) Dio 6 fuit alt. capiti» Opliiuci, p. in. gr. 53. 26 et • distabat a Q] occasum versus (129) o. 15. Alt. Aquilae gr. 51.46 et •• a distabat som. 1. 40. < 5.21.53 1. 2.37 2.45.34 1.47.22 b. 12 prost. add. 0.17. (2.38) (7.37) (3.28) (23.35) h. 12. 44 cf • et A in 3. 6. (126) (130) Die 8 fuit antimeridiana Rigel altitudo 33 et •• cum iungebatur ; distantia a m.° gr. 21. 33 li. 16.8, aeq., Genuao 15. 50 ; liaec observatio detraili t gr. 3. 55. (118) h. 16 sex. temp. 4.11.40 prost. 1.87 add. •• et c/ 0.17. 40 2. 62. 31 non bene constai de (2.86) (8.12) bora (119) h. 15.56 p. m. •• et •> sex. temp. 4. Il. 39. 30 ; prost. 4.12 add. 0.19.58 2.61.18 (2.59) (3.30) (120) Die ^ alt. Aquilae gr. 35.14 p. m. etexivit e tenebris distaila sem. 0.10 tuuc • et clistabant liinc et inde a % paribus interstitiis. (118) h. 11.13 aeq. sex. temp. 4.12.28.3 prost. add. 1.44. 0. 2.38 ( 0 . 2 ) (*) Si ripetono le stesse osservazioni del 31 Agosto. i 1034 APPENDICE. (126) (130) Die 11 alt. p. m. Aquilae gr. 42.20 et distabant • ac •• som. 1.20 fero, primati autem a circiimfcrentia 9j. som. 1.40 sic [63]; alt. gr. 40. 10 |64] ; alt. gr. 37.20 [65]; distabant 0.30; alt. gr. 35.5 distabant seni. 0.16 sic [60] ; alt. gr. 33.38 et distabant seni. 0.8 sic [67] ; alt. gr. 31 30 perfecte. iuncti sunt sic [68]; alt. gr. 29.40 et separabantur sic [69] seni. 0. «8; semper sumpta alt. Aquilae. Hoc tempore % bis maciibs notabatnr quod totum hoc anno observatum est, [70). (131) h. 10.44 aeq. [64]; li. 11.12 [65]; b. 11.18 [66]; li. 11.25 |67|; li. 11.38 [G8] ; li. 11.49 [69]; scx. teinp. 4.13.26.50. Prosi. add. 1.44, 5.13. 39 3. 18. 20 J[03] et 1.8 (4.18) (2.40) 5.16.12 3.19.41 2." [04] (1.2) (2.50) 5.18.28 3.20. 48 3.» [05] (3.52) (3.5) 5.19.29 3.21.18 4.* [00] (3.48) (3.10) 5.21.20 3.22.14 5." [07] (3.89) (3.18) 5.22.51 3.23. 0 fl* [08] (3.31) (3.24) (119) li. 11.34 • ac ab occasu ; sex. teinp, 4. 13.28.55 5. 19. 57 3. 24. 50 (3.45) (3.40) (58) h. 11. 34 pr. c. 2.10, or. 1. 38, sex. temp. 4.13. 28. 65 5. 18.25 3. 24. 12 (3.52) (8.37) (108) h. 11. 5.19. 33 (3.46) 3. 23. 49 (3. 31) (193) pros. add. c 51. 5. 20. 50 (3.41) 3. 23. 39 (3.80) (126) (130) Die 12 alt. Aquilae fuit p. m. gr. 50.20 et •• a tertio distabat seni. i. ; fuit alt. eiusdem gr. 49.48 et • ab occasu 9). tangebat post liaec fuit alt. gr. 48.12 et •• a distabat seni 0.30; postea fuit alt, gr. 46.20 et distabant 0.10 sic [71] ; deinde fuit alt, 42. 40 et iuncti sunt, ac tandem fuit alt. gr. 32. 8 et distabant seni. 1.0; bis expletis sumpta eiusdem sideris alt. gr. 23.50 • exivit e tenebris distans seni. 0,10; porro hucusque observationos huius anni. Flo- rentiae facta sunt deinceps vero Pisis. (131) h. 9.21 1 imbum tangebat: li. 10.18 .. et li. 12.12 • evasit ab eclipsi; sex. temp. primae 1.15.23.28; prost. add. 1.44 et. 1.31. 5.49.27 0.35.45 2.31. 2 d- 41) (5.41) (6.21) 0. 12.4 0.42. 23 2. 33. 38 (0.18) (5.53) (0.12) OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1035 (132) 1». lo. Il, iil» ortu; sex. temp. 1.15.25.35. Prost, ahi. 5. 0.4L A3 2.34. 5 (5.50) («. 7) (192) h. 10 1] Pisis 10. 15 sex. temp. 1.15.25.38. 0.40.37 2.33.48 (5.41) (0.11) . 28 (126) (133) Die l)( fuit alt. Aquilsu* p. ni. gr. 29 et • exivit o tenebris distaila a limbo 0\ seni. fere o. IO; »*t linee observatio farla est Pisis; distantia a m.° gr. 56.38 nude li. 10.58 app. aeq. 10.42. (131) li. 10. 12 • exivit e tenebria ; sex. temp. 4.31.26,45. 0.13. 19 ( 0 .- 21 ) OiTOBKK (126) (135) Dii' \ fuit alt. Aquilae p. in. gr. 25 et •• distabat a limbo 9[ seni. 0.30; alt. mj Aquila" gr. 20 et distabat 0.8; in scemala observationo distantia a meridie, est gr. 60.39 linde li. app. 11. 13, aeq. 11.26. (85) Die 2 h. 11.26 «ex. temi). 4.34,28.35; prost. c. 1.33 add., ori). 5.43 add. 2.53. 25 satin bene se liabet. (l.o) 3 (126) (135) Dio j luiius, fuit alt. Direi an. in. gr. 17.12 et • ac •> distabant seni. 0.8 sic [72]; postea fuit alt. Aquilae p. in. gr. 28.10 et •• exivit e tenebris distans a limbo seni. 0. 50, tuli vero • et distabant 0.15 noe iuncti sunt. (85) h. 10.37 app. aeq. 10. 20 •• exivit e tenebris, sex. temp. 4. 36. 26. 33; inclinatio orbitar, est 1. 15 mulo semidiameter umbrae in transitai est 0.50 cui debetur rnotus gr. 5.33; tantum ergo distabat ab umbrae medio nude ab auge media 4. 18; ex tabula rnotus debitus sex. orbis est. 4. 41 23, et lue subductus a priori loco augis medine dat epocham anni 1642 in 1. 22. 55. — 5. 46. 0 locus cen- tricus; 4.10.30 arg. lat. niB (131) h. 10.24 aeq. •• emersit; sex. temp. 4.36.21.45; prost. add. 1.33. 0. 5. 8 (152) alt. p. m. Aquilae 28. 10 et •• exivit e tenebris; h. app. 10. 44; Sol ili mj 11.33; h. aeq. IO. 36.10 sex. temp. 4. 36. 26. 30. 25. Distabat ab apogeo gr. 6 ab abside gr. 4.1; tempus ab illitio anni 4.36.26.20.25 rnotus debitus 4.40.55.22 ergo epocliae 1042 currentis 1.23.6. Àntecedentis observationis tempus aliquod habet dubius. (120) (135) Die —r fuit alt. Aquilae gr. 50.51 |). m. et • a v distabat occid. 0.10 b. 7.42; (132) 5 i fa l iam ergo %• o tenebris exierat ; fuit postmodum alt. Aquilae gr. 48. 50 et iuncti 1036 APPENDICE. sunt ita [73] ; postmodum fuit alt. Aquilae gr. 47.16 et distabant 0.6 sic [741 h. 8.3 d sex. temp. 4.37. 20.8, prcst. add. 9.14 2.10. 33 0. 8. 28. <4.1) <«. 37) (190) h. p. m. 13.57 app. aeq. 18.39.9 rurali» • et •• o sunt oxacto, sex. temp. 4.36.34.8 prost. sub- 0.15.13 2.12. 8 0. 30. 33 (4.10) <4.20) (131) h. 7.61 • et v distabant 0.10; h add., 5. 32 add. 2.15. HI (4.0) 2.16.60 ( 8 . 59 ) 8.3 0 ; sex. temp. 4.37.19.38; 0. 8.61 (8.46) 0 . ». 2 (8.61) prost. 1.31 (136) (137) Die 8 fuit alt. Aquilae, p. ni. gr. 53.52 et • exivit ab umbra; dist. a. ni. c. 6.23; (131) h. 6.40 aeq. prost. 6.28 ot 1.33 add., h. 6.40, sex. temp. 4.40.16.40 0. 0.40 (0.4) (136) (137) Die 9 alt. capitis Ophiuci p. m. gr. 43.38 et sic erant [75]; alt. eiusdem gr. 40.54 ( 131 ) (193) (125) et sic fuero [76]; alt. p. m. Aquilae gr. 52.25 et sic apparehant [77]; idt. Aquilae gr. 51.24 et distabant 0.10; alt. Aquilae gr. 50.10 et iuncti sunt; alt. Aquilae gr. 48.26 et sic fuerunt [78]; alt. Aquilae gr. 37.38 [79]; in distantia sera. 0.20, h. 7.6; in dist. 0.10, h. 7.18; in h. 7.32; in separa- tione h. 7.49; prost. 7.8 add. et 1.32 add. li. 7.6 [77] sex. temp. 4.41.17.45; prost. add. 1.31 et 6.32. h. 7.0 2.24.26 0.17. lì (5.4) (4.6) li. 7. 18 2.25.17 0.17.31 disfe. 0.10 (4.58) (4.12) h. 7. ,32 2.26.10 0. 18. 0 d (4.60) (4.19) li. 7.40 2.27.28 0.18.36 sep. 0. 10 (4.41) (4.26) 2.27.63 0.19.10 (4.40) (4.89) Iuxta Keplermn prost. cen. 2.0 orli. 6.59 2. 26. 22 0. 17. 24 (4.50) (4.11) 2.27.13 0.17.49 (4.48) (4.16) 2.28.14 0.18.18 (4.86) (4.24) 2.29.26 0.18.64 (4.27) (4.81) OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1037 (132) li. 7.32 . j sex. temp. 4.11. 18.60 prosi. 9.60 2. 28. 54 0.19. 22 (4.81) (4.88) (136) (137) l>io 11 alt. p. m. Aquilae gr. 48.50 et •• ab occasu •)[ limbum tangebat (131) h. 7.40 sex. temp. 4.43.19.10, prosi. 8.57 add. 5. 50.18 (1.28) (136) (137) Dio 12 alt. Aquilae gr. 64. 24 et %• iam aliquantulum oecidentalior erat •• puta sci*. 0; observatio duina tamen fuit ob crepuscoli propinquitate ; alt. Aquilae gr. 46. 64, p. m. et distabat a •• sem. J. 0, %• vero a limbo 1.15; alt lucida© in cambi Ceti gr. 26.28 et •% limbum tangebat. Ultima observatio li. 10.40. Prosi. 7. 34 et 1.31 add. (138) h, 9. 52 a •• oecidentalior sem. 1; sex. temp. 4.14.24.40; prost. add. 10.18 1.43. 0 2.41.20 (8.82) (7.48) (136) (137) Dio 14 alt. cambio Ceti gr. 22.18 et sic erant [80]; prost. add. 7. 61 et 1.30 add 2.32.25 4. 47.34 4.28.36 3.21.51 li. 6 p. m. (2.44) (8.20) (14) (9.9) (139) (140) Die io alt. Aquilae p. m. gr. 50 needum apparebat postea nubes fuere et deinde sereno facto sumpta eiusdom sideris alt. gr. 48. 0 et iam evaserat; alt. Aquilae gr. 22 et •• ac distabant sic [81] ; alt. Aquilae gr. 16. 40 et iuncti sunt [82] in h. 10. 44. Prost. 8. 8 add., 1. 29 add. (131) h. 10.44 et •• (j sex. temp. 4.47.20.54; prost. add. 9.39. 2.30.25 0.17.56 dubia (4.19) (4.18) (192) (193) sex. temp. 4.18.26. 50, prost. add. 9.47. 2.31. 0 0.18.17 (4.14) (4.20) (132) li. 10.44 ad urtimi; sex. temp. 4.49.26.50. Prost. 10.54 2. 32. 21 0.18. 46 huius observationia bora dubia est. (4.2) (4.29) (13!)) (140) Dio 18 alt. i>. m. Aquilae gr. 48.50 et distantia •• a limbo 94 erat paulo minor distantia eiusdom a * scrup. 10; alt. caudae Ceti gr. 26.10 et •• 9j limbum tangebat, observatio dubia ab aeris impuntate. Prost. add. 8. 24 et 1. 28 add. (139) (140) Dio 19 alt 9[ 20 et •• a .*. orientalior erat sem. 0.20. Prost. 8. 31 add. et 1.27 add. (139) (140) Die 20 alt caudae Ceti gr. 19 intervalla 3 orientalium erant aequaliu. Prost. add. 8.39 et 1.27 add. (139) (140) Die 21 alt. caudao Ceti gr. 25 et .*. distabat a limbo 0.30; bora 11.39 app. Prosi, add. 8. 46 et 1. 26 add. 1038 APPENDICE. (139) (140) Die 22 alt. Àquilae gr. 47.30 et • ab occasu *J{ limbum invanii; alt. erat in sca- pnlis Pegasi gr. 52 p. in. et • recuperatila est; in 2 ft observatione, bora erat 10.27 acq. ; in p. n h. 7.2; hora oonctactus erat in 5.49.25 nude sic [83] ; prost. add. 8.53, et 1.26 add. (139) (140) Die 23 alt. Àquilae gr. 45 p. m. et ab. ortu a disco *.)} exivit. Alt. Àquilae gr. 37.10 et extinctus est. Alt. eius quae in scap. Pegasi gr. 43. 8 et, recuperati» est, casus li. 8.18 acq.; emersiti» li. 11.39; in p. n observatione, li. 7.40 app.; medium eclipsis li. 9.48, quare si epoche addatur gr. 1 *g ut anteeedentes observationes ostendant operatione rcsponderet. Prost. add. 9.0 et 1.25. (141) (142) Die 25 alt. p. m. Àquilae gr. 51 et sic erant [84] ; alt. Àquilae gr. 49.36 et & sunt; observatio panini fida ab aeris impuritate; incident h. 0.38; prost. add. 9.12 et 1. 24. (193) sex. temp. 4.57.56.35; prost. add. 11.14 5. 26. 46 3.55. 38 (4.47) (4.49) (141) (142) Die 31 alt. Àquilae p. ni. gr. 43.36 et • exivit e tenebria, li. 7.27 app. aeq. 7.6; prost. 9. 41 ot 1.21 add. Novembek. (141) (142) Die 1 alt. Foinalbaut gr. 14.30 et se fere tangobant • et ••; alt. p. ni. 0| gr. 35.16 et iuncti sunt li. 8.24 app. Aeq. 8.4. Prost. add. ih 52 et 1.20. (14J) (142) Die 2 alt. p. m. Àquilae gr. 46. 36 et •• ac distabant 0.10; alt. eiusdom gr. 44.40 et d sunt •• ac •>; alt. Àquilae gr. 26.40 et •, ••, •*. aequaliter distabant, ••• vero medius erat; h. 7.10 app. Aeq. 6.48. prost. 9.57 et 1.20 add. (132) h. 6.48 •• et .% (/, sex. temp. 5.5.17; prost. 12.45 add. 0.59. 43 2. 26. 23 (7.33) (7.45) (193) h. 6. 48 sox. 5.5. 17 0.58. 17 2. 26.10 (7.27) (7. CO) 5 (143) (144) Dio -jr % altus erat p. m. gr. 28 et extrenuie caudae Ceti gr. 26, cum •• exieret e tenebrìa; ex utraquo observationo datur h. 10.56 app., aeq. 10.34; in liac obsenratione videtur prius exisse, imo error est in calculo liaec. Prost. 10.12 et 1.18 add. (143) (144) Die 6, est n. h. app. 10.16 aeq. 9.54; prost. con. 1.46, medius motus buie tem¬ pori debitus 4.39.34, linde epoclia 1641 completa est 1.24.50 ergo defficit gr. 1.19; exitus in 6.10.20. (143) (144) Die 7. alt. caudae Ceti gr. 26. 40 et • exivit, dubia, nani paulo ante, pitta sor. 4 borarum primus et •> exierat a limbo % seni. 0.10; prost. 10.21 et 1.17 add. (143) (144) Die 9. alt. p. m. eius quao in scapuli Pegasi gr. 43,46 et •• ac iuncti erant. b. 10.25 app., aeq. 10.3; prost. 10.30 et 1.16 add. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1039 (132) h. 10.3 •• et .*. ; sex. temp. 5.12.25.8; prost. 13.11 add. 1. 2.54 2.5fi. 10 (7.48) (7. 69) (145) (146) Dio 23, alt. Aquilae gl'. 20.50 et • exivit e tenebria bora sediceli 7.32 app., 7.12 ae(j. ; exacta observatio; data. pros. Dan[icas] 1.31, distabat tunc al) ango media si'x. 0. 7. 50 et opocho videntur retrogradi gr. 1.39, ut sit epocha 1612 cur- rentis 3.56.20; prost. 11.7. add. et 1.9. (145) (146) Die 24, fuit alt. scajndae Pegasi gr. 30 needurn v umbram attigerat postea obser- vari non potuit ex qua sano patet orbem ampliandara. December. (147) Die j | h. 5.15 Aeq. umbram ingrcssus est bora vero 8. 44 emersit et ideo fuit in umbrac medio bora aeq. 7.0. OBSERVATIONES ANNI 1643. Lanuarius 18 (147) Dio ìj-g fuit alt. Rigel gr. 29.10 et • ac. •• so fere tangebant ; alt oiusdem gr. 31. 44 somper an. m. et unus fere vidobantur ; •• tamen paulum ad occasum doflectente. 23 (147) Die “ erat alt. Aldabaran ante mer. gr. 54.0 et • al) eclipsi liberatus est. November 13 (147) Die jj fuit alt. an. mer. Aldebarau gr. 47.40 bora app. 10.23 et extinctus est, ex inde fuit alt an. mer. dextri Orionis Immeri gr. 49. 50 et oxierat; hoc tem¬ pore Qj. etiam e nubibus oxierat ut non constet momentum emersionis ab umbra; li.... fuit app. 12.46. »>6 (148) Die ^ fuit alt. Aldebaran gr. 58.50 an. mer., hoc est bora app. 10.56 aeq. 10.37 tres in linea recta sic [85] apparebant, sex. temp. 5. 30. 20. 32. prost. add. 7. 54 3.40.48 5. 34. 47 5.51. 5 (3. 49) (8. 44) (8. 48) (108) li. 10.45 3.40. 18 5.34. 0 (4. 47) (4. 53) (58) 11. 10.37 cf, prost. cen. 1. 38 sub., orbis 8. 48 add., sex. temp. 6. 30. 26. 32. 30 3. 39. 20 6. 34. 21 (3. 42) (8. 47) III. 133 f 1040 APPENDICE. Decomber (148) Die fuit alt. Aldebaran gr. 45, hoc, est h. 8. 18 aeq., app. vero 8. l ; primi» eum secundo e/ sunt; sex. temp. 6.43.20. IO. prosi, tulli. 0. lo (108) h. 8. 12 5. 24.40 ( 8 . 20 ) 5 . 24 . 18 ( 3 . 24 ) 3. SI. 18 ( 8 . 10 ) 3.21.24 ( 8 . 11 ) (149) h. 8.4, prosi, con 1.45 sub., ori). 10.15 add. sex. temp. 6.43.20.10. 5 . 23.20 3 . 21.45 ( 3 . 28 ) ( 3 . 13 ) 12 (148) Die ~ alt. Aldebaran an. mer. gr. 47.10 et •• cum •% 8.9; sex. temp. 5.46.20 24; prost. add. 9.23 li. app. 8. 20. 30, aeq. 2 . 20 . 37 0 . 20 . 28 (4.51) (6.1) 11 ) (148) Die ^ alt. dextri Orionis humeri fuit gr. 19. 50, et • tangelmt •• qui paulo ad occasum inclinabat; h. app. 10.40, aeq. 10.30; sex. temp. 5.50.2015; prost. add. 9. 38 5 . 29.43 3 . 21.43 ( 2 . 67 ) ( 3 . 18 ) 19 (148) Die ™ alt. Aquilae p. ni. gr. 19.55 et extinguebatur ; alt. Aldebaran gr. 61.5 et coepit recuperavi alt. eiusdem gr. 52.42 et totaliter emersit; sex. temp. 5.53.17.50. Ingressus h. 6.18 app. 6.9; egresmis li. 8. 10 npp. 8.7 medium 7. 8 ; prost. orb. 10. 42. 52. (46) h. 7.15.58 aeq. eclipsis medium omipahat; sex. temp. 5.53. 17.69.20 (150) h. 7 8.52 medium sex. temp. 5.53.17.52. IO. 20 (102) Die gl fuit alt. dextri Orionis humeri gr. 37.0 et .% rum v e rat ; fuit igitur bora app. 8.39 aeq. 8.32; sex. temp. 5.51.21.20 prosi, add. 10.0 25 1 . 4 . 33 2 . 27.22 ( 12 . 88 ) ( 18 . 20 ) (102) Die gg alt. Aldebaran gr. 39. 20 et •• emersit e tenebri*. (152) 1). app. 6.35.8, aeq. 6.36.48; sex. temp. 5.69.10.32; pros. con. 1. 53 ergo (listabat ab abside 7.53, intervallimi tomporis 5. 59. 10. 22, ergo e podi a 5. 36. 37 ; fuisset ex antecedente observatione 5. 34. 30. 98 (10*,) Die 29 alt. dextri Orionis humeri gr. 36.22 an. mer. sic erant [86]; alt. eiusdem gr. 39.55 et sunt; h. app. 8.23, aeq. 8.19; sox. temp. 6.2.20. 47.30. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1041 (149) (108) li. 8.19 q', prost. c. 1.54 sub., or. 11,28 add. sox. temp. 6.2.20.47.30 3.51.14 6.29.13 ( 4 . 38 ) ( 4 . 28 ) h. 8.26 3.62. 7 5.28.52 ( 4 . 87 ) ( 4 . 31 ) Observationes ANNI 1644 . Fkbruarius 17 (153) Dio jg alt. a. m. dextri Orionis humeri gr. 50. 40 et •• cum .% sunt; b. 6.15 app. aeq. 6.23 sex. temp. 0.48.15.57.30. 98928 dist. atomis; dist. 9|. a © 600236. 21 ,, , (153) Dio 0 g ani. Sirii alt. gr. 25.0 et orat • orientalior seni. 0.10. Maktius (102) Die alt. Reguli gr. 45.20 et •% cum •• iunctus est, •• tamen palilo occidentalior. 1 Li Auoustus 21 (154) Die ^ tres ad occasum ecpiicrure fecerant et fero rectangulum nisi quod v paulum a perpendiculari ad ortum fiectebat sic [87], orat tunc alt. a m. Aldebaran gr. 30.0, li. app. 13. 54 aeq. 13. 50 sox. temp. 3. 54. 34. 35, prost. sub. 14. 50 3.41.37 3.22.53 («) (8.53) (8.23) 5.51.60 ( 3 . 29 ) Patet v proraoYendum Pro latitudine 26 ' - ~ y • (156) Die alt. a. m. Aldebaran gr. 48.40 et •• ac se mutuo tangebant, .% ad ortum inclinabat sci*, fere 4; fuit bora aeq. 15.26 p. in. (155) Die - h. 15.29 sic erant [88]; die ipsa li. 16.44 app. sic [89]; alt. dextri Orionis ou humeri in prima observationo gr. 31.35, in secunda gr. 34. 50 a. m. OcTOBKR (154) Die 4; li. app. U. 20, aeq. 9.8; a •• in ortum deflectebat seni. 0.6 et lungo post tempore eodem modo se babebant: sex. temp. 4.37.22.50: prost. sul), n. 57. 3.57.12 3.15.44 ( 7 . 21 ) ( 6 . 38 ) Patet v promovendum; bora tamen examinatur. Hora fuit 10.52; hoc est 1.26 serius. 0) Qui t*.’è un segno di richiamo JWf* i 1042 APPENDICE. (IBS) Dio y alt. lucida© in comu 'Y' K r - 37> 50 ot ** ‘4 bmgohnt. ( 154 ) Die 11 li. app. 9.35, aoq... tres hoc modo se habebant [9oJ; bora 9. 46 app. aeq. 9.26, sic. apparebant [91], erant. itaque iuncti •• et %• ; latitudo vero inter ambos som. 0.50, bora tanien 10.14 sic equicrure fecarant [92] primus ad oi-tiun inclinabat scr. saltem 10, quod etiam multo post adirne sic fuit; sux. temp. ad momentum 4.44.23.35; prost. sub. 11.12. In prima observatione alt. Hyrci 28.50; in secunda, alt. eiuadem gr. 30.25; in tertia alt. gr. 38.10; alt. eiusdem gr. 41. 50 et • a •> distabat seni. 0.10; nlt. C’anis minoris gr. 31.20 et %• non orat • assequutus. 3. 42. 23 5.4f>. 66 4. 38. 20 ( 5 . 48 ) ( 6 . 54 ) ( 5 . 66 ) (164) Dio 12 b. app. 11.4, acq. 10.44 sic erant [93], postea fuit h. app. 11.13 et iuncti sunt [94]; sex. temp. 4.45.28.50. Alt. Hyrci in prima obsorvationo gr. 43.0, in secunda gr. 44.25; prost. sub. 11. 4. 2.12.64 2.37.19 0. 8.44 (4.16) (6.26) (8.43) 2. 14.12 . 2.37.38 0. 8.52 (4. 10) (5.20) (8.47) (166) Die 19 alt. Hyrci gr. 19.40 ; h. 10.2 app., aeq. 9.40, et •> so fere tangobant quod etiam diu ante sic fuerat; sex. temp. 4.52.23.50; prost. ahi. 9.41. 2.27.61 2.30.27 (7.27) <8. 88) (166) Die ultima, alt. Hyrci gr. 24.25 et • a limbo excerserat distabat sor. saltem 12; tunc. •• et distabant seni, saltem 2; alt. eiusdem gr. 41. 15 et distabant sera. 1. Novembf.r (166) Die 7 alt. Hyrci gr. 13.25 et • exivit ab orti) exacto. (166) Die 12; hora ex alt. a. m. Hyrci gr. 24.10 duo erant [95] (list. scr. LO. (16(5) Die 13, ex alt. a. m. Hyrci gr. 13.42; h. 10.5 app. aeq. 9.43 a occiden- talior orat scr. saltem 15; sex. temp. 5.17.24.17.30, prost. sub. 4.43 5.29 4 6.41.47 (7.0) (7. 40) (156) Die 14 b. app. 8.13, aeq. 7.52, a limbo •_)). ad ortum distabat scr. 15 et primus tandumdom ab occasu ; sex. temp. 5.18.19. 40 ; prost. abl. 4. 29 ; alt. Hyrci gr. 36. 20. 6. 47. 34 0.16) 0. 1.40 (0.42) OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1043 (156) Dio 17 iuxta Iovis aolironycten erat alt. Hyrci gr. 38.25 et assumpta est quadrante j| magno (listantia % ab Aldebaran gr. 0. 32, at vero ab Hyrco gr. 31.14 , eadem noctem fuit alt. Aldebaran gr. 30.40 et •• cum y ad ortum iungebantur. Lo- cus a; 20.15 V» lat. m. 1. 5 -g-. (156) Die 19 alt. Hyrci gr. 46.14 duo sic erant. [96] (156) ►!< Dio 20 alt. Hyrci gr. 56. 6 et Mars nudo oculo fixam, quae est in boreali et supremo I| gemi, tertii honoris cuius longitudine fuit @ 4.59, lat. vero bor. 2.11, sic tangebat ut non posset distingui; tubo tamen adhibito, diametris eiusdem (f distabat saltelli 3, postea mane approprinquante fuit alt. Arctui’i ant. ni. gr. 30.45 ot distabat ab eadem diametris saltelli octo. ( 155 ) Dio 22. Alt. Hyrci gr. 24.16 ot y erat primo orientalior sor. 20; alt. eiusdem gr. 29.30 et primus distabat a limbo % 0. !15, y vero som. 1; postea fuit alt. Hyrci gr. 43.50 ot %• sic erat [97] ; alt. gr. 67.20 eiusdem et Qj. stringebat. ( 46 ) Alt. Hyrci 43.50, h. 9.48.48; sex. temp. 5.26.20.40.46; prost. con. 4.0, orbis (156) 1.5, /fi 1.8 h. 9.50 app. aeq. 9.30, prost. abl. 2.41; sox. temp. 6.26.23.45. 2.57. 1 (1.17) li. 8.28 app. aeq. 8.8 sex. temp. 5.26.20.20. Alt. Hyrci 43.60. Alt. Hyrci 29.30, asc. ni. c. gr. 342.30; li. 6.30 app., aeq. 6.30; distabat y a perigeo gr. 2.19 erat. pros. c. 4.10 add., or. 1.4 sub. ; sex. temp. 5. 26.16.16 diflt. ab. apogaco 177.41 1. 4 difit. ab. aphelio 176.37 4. 10 disi, ab auge medio 180.47 170. 55 epocha 1643 compt. 9.52 (165) Dii* 23 alt. Hyrci gr. 34. 5 et ab ortu exierat distans som. 0.15; alt. dextri Orionis h umori gr. 34.40 et •• cum y iuncti erant. (156) li. 10 25 app. aeq. 10.5 •> et «ex. temp. 5.27.25.13, prost cen. sub. 4.0, or. 1. 31 add. 4. 20. 33 3.10.13 (8.46) (8.5) Dkcember (156) Dio 7, alt. Aldebaran gr. 39. 40 et •• a .*. distabat seni. 5; alt. Procyonis gr. 38. 45 et sic erant [98]; alt eiusdem gr. 43.35 et diatabant scr. fere sex; alt. eiusdem gr. 44. 50 et sunt coniuncti b. 12.26 app. aeq. 12.12 ot •> c/i sex. temp. 5.41.30.30 1.44.59 2.24.40 (18.17) (14.10) (157) (158) ( 150 ) 1044 APPENDICE. (155) Die 13, alt. Hyrci gr. 28.35 et duo sic erant [99], dist. *cr. 5; alt gr. 29.55 et sunt, (156) Dio 15, alt. Hyrci gr. 14. .30 et • % strraxit. (155) Die 22, alt. destri Orionia Immeri gr. 30.15 et • •». ntriiixit ; alt, Proeyonis gr. 43. 55 (158) et ah occasu emerait, mora tran ai tua h. 2. 17 . h. Kx observatione 22 Decembria • consiunpsit in transita Q| h. 2.44. (155) Die 23, alt. Hyrci gr. 33.9 et Iovem ab urtu invawt; alt. enwlem gr. 37.43 et totaliter evanuit; alt dextri Orionis humeri gr. 30.2t) et tutus rxierat; nocte ipsa alt. Hyrci gr. 39.20 et • ab occasu J. est ingreosua; et tandem alt. dextri Orionis humeri gr. 42.30 et ab edipei evamt. (155) Die. 25 alt. Hyrci gr. 46.50 et sic enmt [ 100] ; die eadem, alt. eiusdein gr. 48.45 et iuncti sunt. (155) Die 20 alt. destri Orionis humeri gr. 35.50 et sic crani ; 101 ; alt. Proeyonis gr. 29.35 et duo iuncti erant sic [102]; eodam momento •• ohsenratus est, ergo inni ab eclipsi fuorat liberatus. (158) prost. c. 4.14, or. 7.51; h. p. m. 8.48 aeq. •• exivit e tenebri* et erat in sex. 0. 5.0 aphelio. 27 (155) Die 0 g alt. Procyonis gr. 10. lu et • cura •• «rant. (108) 11. 7.58 5. 5.35 8.31.80 5. 5.35 8.31.80 (4.44) (4.H4) (149) b. 7. 56 app. aeq. 7.51 .sunt; prost c. 4.27 sub., or. 8,0 aulii. sex. temp. 6.2.19. 37. 30 5. 4.43 3.31.55 (4.47) (4.86) (155) Die 30, alt. Procyonis gr. 24.30 et .\ limbuni invasit. 0BSEKVAH0NE8 À>M 1645. Ianuarius (159) Die 3, fuit alt. *J} gr. 41.15, et A ab eclipsi liberatus est, Ime bora 7; (listantia a Capella gr. 34.7, ab Aldebaran gr. 13.54; deci. *>; bodie 17. 22 septen., asc. ree. 49. 20, ergo bora 5.2 app. aeq. 5.0 prost. add. 3.47, sub. 4. 16 1.11. 4 1.31.14 0.12.26 O. 4.54 h. «. p. tu. (5.36) (8.46) (8.67) (2.6) (159) Die LO, alt. Sirii gr. 19.0 et •• clini A q erant j prost, 4. 19 .sub; 9.37 add. 0.54. 42 1.22. 4 0. 4.52 2.36. fl 11 5. p. in. (4.46) (8.40) (1.9) (9.58) (160) (161) Die 13, alt. Sirii gr. 15.40 ot •• a A orient&lior erat sor. 15; prost. 1.20 sub., 9.56 add. 5. «.13 0.26.13 2.35.52 3.40.52 h. 0. p. in. (4.46) (8.62) (5.26) (16.6) OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1045 (100) (161) Dio 10; motus ni) apogeo ad aphaelium 4.54.24 et pros. or. 10.18.12; motiis ab obsorvationo dici 3 ad ingrossimi umbra* fuit gr. 5.55.52.26, ergo mora in umbra, adhibita con. prost, 4.12.34-, unius sentissi» .*• debentur horao 10.20 p rgo fuit apbaolio li. 12,1.15, h. 11.0.55 ingressus umbrae, ingressus corporis acq. 5.37.1), egressi» 8.36.33 igitur in apogeo h. 7.6.51. Prost. 4.21 sub., 3.16.43 5.30.23 5. 6.52 4.45.37 b. 0. p. m. KM4 ndd. (1 * 4(ì) (410) 01.7) (23.40) (160) (161) Die 17 alt. Rogali gr. 20.20 et A limbum invasit. Alt. 37.44 Procyonis, emersit; alt. Regali 43. 12 et eclipsatus est; ingressus mnbrao h. app. 10. 51, acq. 10. 56; itfitur I). 12. 5 fuit in umbra» medio, cum trausitus totius umbrae ex sup. eclipsi fiat in li. 2.18, ingressus corporis li. 5. 32 app., aeq. 5.37, egressi» h. app. 8. 35, aoq. 8.40, ergo in apogaeo fuit li. 7.9; (piare ab apogaeo ad aphaelium mora fuit li. 4.56 (piibus debentur gr. 10.19.33; prost. or. quanta etiam calcalo eviiuitur. Prost. 4.21 sub. 10.24 add. (160) (IDI ) Die 19 h. 6 \ dist. *)i ab Aldcbaran fuit gr. 14.9, ab. Hirco 34.14. (162) Die 27. Alt. Procyonis gr. 44.41 et •• exivit; li. app. 8.14; prost. 4.25 abl., 10.59add. (L)2) Alt. Procyonis gr. 41.0 et • e tenebri» exivit; bora app. 8.11, aeq. 8.14.37; s cx. tenip. 0. 26. 20. 36. 33; prost. c. 4.36; distabat 0.10.36.0; epocha 1646, 3. 42.31. ArursTi’s. (I ( >1) j )ii» 21 Lucac, fuit alt. © 57. 30 et iam deficiebant de disco solis digit. 31-; alt. 58.0 et deficiebant digit. 4, noe am])lius exercuit defcctus; alt. 57.30 et deficiebant digiti 3 i ; alt. 57 et dcf. digiti 2 ; alt. 55.40 et dei. dig. 1 \ ; alt. 64.30 et liberatati est. 6) OCTORBR. (1^0 Die ^ erat alt. Aldebaran gr. 31.20 et duo sic apparebant [104] dist. 0.16; h. 10.8 aeq; prost. sub. 15.34 0.34.28 2.49.41 (3.17) (2.29) Novkmber. (165) Die» j ^ alt. Aldebaran gr. 35.30 li. app. 9.36, aeq. 9.14; sex. temp. 5.13.23. 6; prost. abl. 12.27 5.41.30 4.30.58 3.14.41 (1.51) (8.45) (6.2) (t) A proposito «li questo «eclissi osservato «lai Roniori vedi lo * Tabula© motmim caelostinm» dolio stesso, (•dizione 1647, In pagina dopo le dediche. 1046 APPENDICE. Ex alt. eiusdem pr. 41.20, b. app. 9.40, aeq. 0.27. Alt. pr. 35. 30 Aldebaran et intervalla triiun oceidentalmni erant acqualia adorai tlxa sic [105] minor (piani •> spatimn inter fixam et •• mmiuialteruni spatii inter •> et ; eiusdem alt pr. 38.45, inter limbtun •>. al v apatium mainale erat oius quod inter •• et tixam, erpo distaimi a > 13.2 semidiametri*; initium post duobus liorae minuti» • evanuit. (166) Alt. Aldebaran 30.40 et intervallimi tixae a tertio pani», minti» interrallo oius a limbo 9; ; alt. Aldebaran 41.20 et tixa distabat a •> ni. 0.25 wc [1*8!]. (167) Dio 22, alt. Aldebaran gr. 28 et duo sic orant [107j; pr.--t. -uh. 6.9. 4 19.59 0.46. 7 0.28 45 1 32. li h. 9 (8. 15) (6. 17) (6.37) (34.16) (167) Die 23; posito quod in ingressu cura baec dmtiterit par. 5. 30 ab Apb.-i« li.>, ex hai- observatione queniadmoduni ex illa anni 1643 patet epo. ha anni < um nti 1*545 esse 3.40.15; h. app. 8.57.56, aeq. 8.47.43. (167) Die 25; alt. Aldebaran 41.0 et •• eclip-atu» est; ohm rvatio ex.-uta; ab tutto anni quantità» tempori» medi 29 Mai, 9.1.67; »ex. temp. 5. 28. 22.34. 53 ; pn>»t. oen. 6.29.59; niotus debitus 2.19.41.23 ejioclia 3.39.45.36, 1645 (46) .. eolipsatus est li. 8.57.36 app., aciq. 8.47.43; x. temp. ft. 28.21.59. 18; raotus 3.20.44.04; epoclia 3.39.38.37. (167) Dio 29; alt. Aldebaran pr. 39.40 •• tertinm tanpebat ut unu» apparerei; ail amussira respondebant, centndis fuit baec sinodu»; prosi. ahi. 1.53 et 5. 43 add. 4. 0. 6 0.80. 7 0.21.39 4. 3.46 (167) Die 30; alt. Aldebaran pr. 26.30 et •• erat • orìen. min. 1, qtuun amplili»; alt. Hirci 25 et sic [108] erant; alt. Orioni» ruliese. pr. 28.32 et -u- i.mgebant [109] (108) 1.20. 28 2. 17.41 (5.50) (5. 63) (149) li. 9. 1, prosit cen. 5.30 sub. or. 1.53 sub., -ex. temp. 5. 13.22.32. 30 1.28.30 2.18. 2 (5.50) (5.51) (168) li. app. 9.18. 32, aeq. \ 1). 0.32 [1011] «ex. temp. 5. 33. 22. 31.20 ; pruni. 1. 2B sub., 5. 24 sub. 1.20. 3 2. 17. 18 n*«pnn cum • erat, forte paululum quartus ad occasum vergebat. (169) Die J* 1 erat alt. Arcturi 46.5 et sic erant [112], hoc est quantum. corpus unius tannerei corpus alterius. Vlt. eiusdem 49.0. et • et •• iuncti sunt; h. 9.52 app.; prost. or. 10.8 add., re li. 5.33 sub. (170) 6.21.40 3.26.44 sex. temp. 1.40. 24. 30 ( 3 . 37 ) ( 3 . 55 ) (U9) li. 9.48 app.; pr. c. 5. 33 sub., or. 10.8 add.; sex. temp. 1.40.24.25. 6.19. 30 3.20.39 ( 3.4 8 ) ( 3 . 55 ) (108) 5.19. 48 3.25.57 (3 40 ) ( 3 . 50 ) (HI) 00 _ .. Dio — alt, Arcturi 34.20 et sic erant [113] 0,10; alt. eiusdem 38. 45 et sunt; alt. 42.40 separati sunt sic [114] li. aeq. 8.2; 1.52.20.25; prost. or. 9.25; centri 5.33. ili. 184 1048 APPENDICE. Maius. (171) Die p.% alt. Lira© 52.30 et duo iuncti sunt 0). Ootober. (173) Die 5. Mane quae antecedobat die 5 cuiTente; alt. Procyonis 16.28 et - et •• se tangebant; alt. eiusdem L8.22 et centraliter , 3 erant; alt. eiusdem 21.20 et separabantur. Hora app. 13. 57, aeq. 13.39; prost. c. 5. 20 add., or. 9.63 add. (172) 2.12. 9 0.30.33 ( 4 . 10 ) ( 4 . 26 ) . 2.12. 0 0.29.38 \ ( 4 . 20 ) ( 4 . 20 ) {2) I 2. 12.30 0.33. 9 ' ( 4 . 18 ) ( 4 . 45 ) (172) Die 22. Mane quae antecessit diom 22 Octobris anni 1016 ©rat alt. Proey. 43.22 od duo ab occasu iuncti fuerant, inferior in ortum vorgelmt sic [116]. (172) De 24. Mane quae antecessit diem 24 Octobris 1616, priiuus (4 socundus sic erant [116], cum alt. Procyonis 40.12. (176) (177) Die 25; alt. Reguli 44.10 et exivit, li. app. 17.6, aeq. 16.44; prost. sub. 10.36, sub. 5. 16; est in 0.9.39; difiertque a calcalo g. 2.59 I. 26. 20 5.87. 7 0.43.50 2.15.32 li. 14 ( 5 . 49 ) ( 0 . 17 ) ( 9 . 41 ) ( 17 . 13 ) (177) Die 26; alt. Aretini 13.45 et •• ac distabant seni. L; li. app. 17.48.40, aeq. 17.26.40 1.53.56 2.39. 6 ( 8 . 1 ) (8 48 ) (177) Die 27; alt. Procyonis 23.50 et •• distabat a limbo *)[ som. 1.30, v som. 1; app. 13.0.24, aeq. 12.38.34. (177) Die 28; alt. Procyonis 23.45 et •• a orat occidentalior seni. 1.20; alt. eiusdem 36.20 et sic se fere tangobant [117]; alt. 40. lo et iuncti sunt sic [118]; bora fuit 14.37.52 app., 15.15.52 aeq. November. (177) Die 6. Noeta quae antecedobat diem 6 Novembris, alt. Syrii fuit 17.26 ci • a •• distabat 0. 20, at vero quartus ita fucrat a •• occultatus ut nullum eius vestigium appareret; postmodum, data Procyonis alt. 40.50 coepit apparire eodem •* orientalior. (178) Die 9; alt. Procyonis 33.20 et .*• ac %• se fere tangebant; alt. eiusdem 36.47 et centraliter sunt. (*) Questa osservazione è scancellata dal Ronieri. < 2 ) altri valori delle stesso osservazioni con correzioni differenti. OSSERVAZIONI E CÀLCOLI. 1049 (179) Dio 13; alt. Regali 47.25 et • a •• distaimi sor. 5; .% nondum eclipsabatur; nubes subvenero et paulo post, puta spatio 6 minutoruni horae, rursus serenitate facta, non apparebat. (170) Die 21. Noote dici 21 quao antecedebat dicm 22, sumpta alt. Procyonis 28.25, v al> cclipsi evasit, eodomquo momento a corporc •• ut antea unus apparerent; linee obsorvatio exacta est et maifioicmlum Qj. ovtus est cum adhuc ilio essct. in umbra. h. app. 11.40.32 3.21.27 5.52.32 exactc respondet. (3.11) (3.12) (180) Die 23; alt. Procyonis gr. 25.20 (4, • 9| limbum invasit; alt. Regoli gr. 30.10 (181) et exivit 3. 14. 34. 22 3. 29. 32. 54 2. 7. 58. 36 (1.31) (4.18) (11.2) 5.24.31.66 h. 14, prosfc. 5.13.38 (14.10) et 6.4.33 sub. (ISO) Die 26; alt. Procyonis gr. 29.10 et • cum •• se tabgebat; alt. eiusdem 31.35 et iuncti sunt ut unus fere viderentur • erat borealior quod notandum est. (181) 1.25. 18. 43 2. 33. 56. 33 4. 35. 12. 2 (5.48) (3.50) (13.50) 0.29.30.59 h. 14. prosi 5.13. 8 (12.7) et 5.33.5! sub. (ISO) Die 27; alt. Procyonis 30.10 et sic erant [119]; alt. 32.20 et centrai iter sunt. (181) 4. 48.54. 1 4.15.24.67 5.29.37. 1 0.51.11. 1 h. 14. prosi 5.12.58 (5.31) (8.29) (7.5) (19.9) ot 5. 23.26 sul). (174) (175) Dio 25/26/27/28. Die 25 Octobris •• bora p. m. app. 17. 6, aeq. IO. 44 exivit a limbo 0) versus ortum. Die 26 li. app. 17.48.40, aeq. 17.26.40 erat occiden- talior seni. 1. Die tandem 27 li. app. 13.0.24, aeq. 12.38.34 distaimi a, limbo versus oceasum seni. 1.20. Quia vero intervalhun temporis inter obser- vatione diei 26 et 27 est liorarimi 19.11.40, quibus competit de motu v gr. 17. 11.8, additis gradibus 4.39 debitis distantiae diei 27 a centro , fit distantia a centro Q| die 16 gr. 21. 50. 8, ergo distabat semidiametros 0. 9 et proptorea •• distabat a centro semid. 8. 0. Intervallum porro temporis ab bora diei 25 ad horani dici 26 est diei 1.0. 42. 40 quibus debitur do motu •• sex. 1. 44.17 quare additis gradibus 6. 40 debitis uni semidiametro tit distantia •• ad apogaeo die 26 sex. 1. 50. 57, unde distabat a centro i)[ versus perigaeum gì*. 69.3 et proptorea maxima distantia •• a centro ù[ versus ortum fuit semid. 8.43, nani ut sinus anguli 69.3 ad sinum totum ita semid. 8. 9 ad semid. 8. 43 distantiae •• a centro maximo. Iam vero dio 27 cum distitiret a centro seni. 2.20 et intervallum lioranun 26 et 27 est 19.11.40, quibus debitur de motu •• sex 1.21.1, oportet clic 27 fuisse in sexagenis 3.11.8 quibus competunt sen. 1.40 ergo centrimi eccentrici distabat a centro Qj. seni. 0. 40. Proptorea die 28 li. p. m. aeq. 14.15. 52 rursus ad oceasum centralitor •• et V iuncti sunt, diflercntia temporis ciuae mediai inter die 26 et 28 est dierum 1050 APPENDICE. (175) (182) (183) (184) (184) (181) (184) (185) (186) (187) (184) (184) (184) (184) 1 hor. 2.49.12 quibus debitur (le motu •> gr. 40.8; quia vero die 26 distaimi a centro 9] gr. 21.50, si isti a gr. 40. 8 auferinnis relinquunt distantiam versus occasum graduum 18.18 quilnis competunt seni. 7. 43. Ad haec dio 26 distabat 69.3 a perigaoo; tempus inter lume observationem et illani diei 28 ut supra est diei 1.6.20.49.12 quibus debontur de motu •• sex. 3.9.9 ergo ab bis si subtraliantur gr. 69.3 dabunt die 28 •• in 2.0.6 a pe- rigaeo quibus debentur.... OBSERVATIONE8 .ANNI 1647. Iano Aldus Dio 3; alt. Procyonis gr. 41.38 et ac erat sic [120]; alt. 46.32 sunt ut unus apparerent. 4.34. 4.26 3.65.47. 7 5.22.35.16 3.22.66.44 h. 12 p. in.; prosi sub. 5.11.48 et 4.4.32 Die 28; alt. Procyonis gr. 44.30 et sic apparebant [121] Fkbruaiuu.s Die 3 a ; alt. Procyonis gr. 46.25 et sic erant [122]; alt. gr. 47.32 oiusdem, et sunt centraliter; observatio exacta. Die 27 ; alt. Syrii gr. 25. 45 ot duo ab occasu sic se fere tangelmnt [123] Die 28; alt. Procyonis gr. 42.36 et ab ortu eodem modo sic se habebant [124] Aramis Die 12; Lirae gr. 20.30 et a Lima tertius ab occasu occultatus est; alt gr. 22.5 et occultatus est secundus; alt. 22.42 semissis disci latebat; alt. gr. 23.0, totus evanuit; alt. gr. 25.50, coepit recuperaci; alt. gr. 26.18 exivit totus. — luppiter dum Lunam stringeret elipticus apparebat; discesserat a limbo Lumie duabus fere diametris et nudo oculo adhuc cani tangere videbatur; pars quae contigua erat limbo obscurior erat ea quae longius aberat. Ingressus b. aeq. 10. 36.37 ; in medio bora aeq. 10. 47.7. Urauiburgi bora aeq. 10. 51. 7 ; locus 0. n f > , 22. 53. 46. Hora obsorvationis fuit Pisis 10. 53. 51 app., 10.47.0 aeq. Die 13; alt. Arcturi gr. 46 et duo ab occasu se fere tangebant, occidentalior minor erat- Maius Die 5; alt. Lirae gr. 20.34 et duo ab occasu erant. Die 31; alt. Lirae gr. 29.30 et trium orientalium intervalla aequalia erant (dies dubia) Ionius Die 3; unus ab occasu % quasi tangebat eratque alt. Lirae gr. 38.15. OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1051 [Ecclissi E CONGIUNZIONI OSSERVATE E CALCOLATE IN EPOCHE DIVERSE E DESUNTE DALLO SPOGLIO DELLE EFFEMERIDI]. 1640 Februarius (69) Die 7; h. 17.35 edipei» • (195) Die 21; h. 17 in tenebria .* •• . IUNIUfi (91) Dio 9; h. 14 et •> (91) Die 10; li. 14.66 edipei • (91) Die 10; h. 16.60 •• et •> 1642 AliGUSTUS (117) Die 7 (194) Die 14 (194) Die 16 (121) Die 17 (121) Dio 23 (121) Die 24 (124) Die 28 (124) Die 31 li. 14.68 h. 8.32 cf b. 12.46 li. 15.48 h. 11.57 li. 16.40 cf h. 14. 4 li. 10. 5 Septismber (129) Die 3; h. 12. 36 d (129) Dio 3 ; b. 16. 50 d (129) Dio 4; h. 9. 8 d (129) Die 5; h. 15.52 d (129) Dio 6; h. 12.44 d (196) Dio 18; b. 13.12 d (196) Dio 19; h. 16. 30 d (196) Die 20; h. 12. 36 d (134) Die 25; h. 15. 7 d (134) Die 25; h. 11.10 d et in 10.27 •• et in 6.30 • et in 4.39 • et in 5.42 • et •• • et v •• et in 6.10 • et in 2.31 • ot .*. in 3.45 •• et in 5.48 • et •• in 4.10 • et »• in 3.20 • et .*. in 3. 6 • et •• in 3.48 et v in 13. 6 • et in 6.19 • et • • in 3.40 et v 9. 26 -e—*—— * • ♦ 25 26 •fi OSSERVAZIONI E CALCOLI. 1053 96 Cò.«o' m • 2 1054 APPENDICE. ■U30 ff 0 ^ fot - 8 1 INDICE DELL’APPENDICE Avvertimento.Pag* 889 Dalla « Dioptrice *, (li Giovanni Keplero.913 Dal • De luce et lumino*, di Giulio Cesare LagaLla.927 Frammenti di Medicee e di astronomia, di Galileo Galilei.931 Osservazioni e calcoli, di Vincenzio Renieri.967 136 ili. Istituto e Museo di Storia della Scienza Firenze Cons. Rutori GRU LEI G a 3 B I B » LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME IV FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE 1932 - X LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume IV. « LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L'ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA E Di S. E. BENITO MUSSOLINI Volume IV. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 1932 - X. Edizione or seicento esemplari. Esemplare N° 460 Stabilimenti Poligrafici Riuniti - Bologna - 1982-X Promotore bella Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA. ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO F AVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. CERRUTI — G. COVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per i,a cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO GLI AUSPICI! DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: ANTONIO GARBASSO. Consultori: GIORGIO ABETI! — ANGELO BRUSCHI. Assistente per la cura della Ristampa : GASPERO BARBÈRA. IV. i DELLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA 0 CHE IN QUELLA SI MUOVONO. AVVERTIMENTO. 11 Granduca Cosimo II, uno dei coronati discepoli di Galileo, usava spesso radunare intorno a sè i più valenti uomini che con la intelligente sua protezione aveva o trattenuti in patria o richiamati, e da loro voleva essere informato delle varie questioni che si agitavano fra gli studiosi ; talora proponeva egli medesimo argomenti nuovi alle discussioni, e non di rado anche vi prendeva parte: e di questa sua abitudine talmente si compiaceva, che ogni qual volta ospitava illustri personaggi di passaggio per Firenze, nessuna maggior cortesia 'credeva di poter loro usare, che quella di farli assistere a siffatti dotti congressi. Nell’estate deiranno 1611 essendo pertanto sorta questione intorno ai feno¬ meni della condensazione e rarefazione tra Galileo e taluni suoi amici e discepoli da una parte, e dall’ altra alcuni sostenitori delle dottrine aristoteliche, capita¬ nati da Lodovico delle Colombe, antico avversario del Nostro ll) , ed essendosi da questi ultimi sostenuto, il condensare esser proprietà* del freddo, prese Galileo a dimostrare che il ghiaccio è piuttosto acqua rarefatta che condensata. Opposero allora i contradittori che il galleggiare del ghiaccio non dipendeva da aumento di mole e diminuzione di gravità, ma dal fatto che la figura più larga e piana era causa che, non potendo fender la resistenza dell’acqua, non si sommergesse: e così la discussione allargandosi si portò sulla tesi generale sostenuta da Galileo, che non la figura, ma sì bene la maggiore o minor gravità* rispetto all’acqua è cagione di stare a galla o in fondo, e che perciò tutti i corpi più gravi dell’ acqua, di qualunque figura siano, indifferentemente vanno al fondo, e i più leggieri, pur di qualsivoglia figura, stanno indifferentemente a galla. Passarono intorno a tale questione alcune private scritture, proponendosi anche O) Vedi di questa odiziono il voi. Ili, par. I, Colomuf. accenna alla sua scrittura Contro il moto pai?. 12; e cfr. noi prosonto voi. IV, a pag. 3*10, della terra, da noi pubblicata noi citato voi. Ili, Un. 4-7 e a pag. 356, lin. 18-20, noi quali passi il pag. 251-290. I I 6 AVVERTIMENTO. dalle due parti diverse esperienze in appoggio delle dottrino sostentiti*. Intani mi settembre 1611 avendo il Granduca convitato alla sua tavola il ( ardui Ir M.tilro Barberini, che fu poi Papa Urbano Vili, ed il Cardinale Ferdinand*» Gonra;\t rbo si trovavano per alcuni giorni a Firenze, volle che in presenza i din* p<» p'»r.vi Galileo riferisse intorno alla detta controversia, nella quale il Barberini m « •hu-rò dalla parte del Nostro, mentre il Gonzaga sostenne la parte contraria '. K \»>u I il Granduca'stesso inclinava a riconoscere giuste le ragioni addotte n’n* ripe e compendio della sdenta civile (li FraXCFSCO PlCGOLOVlKl, con olio lettere e nove disegni delle Mor¬ chie ,Solari dj Galilro Galilei; pubblicava la prima volta Sante Pikk ambi, eco. Roma, tip. Salviucci, 1858, pag.197-198. Discorso al Serenissimo Don Cottimo II Gran Duca di Toscana intorno alle cote che stanno in «u l’acqua o che in quella si muovono di Galilko G ALILE!, Filosofo o Matematico (lolla medesima Altezza Sere- uissima. In Fironxo, appresso Cosimo Giunti, MhOXII. — Uà seconda edizione ha identico frontespizio; sol¬ tanto dopo Serenissima aggiunge: Seconda edilionr. ^ Vedi Conchiusioni nuli Accademico Incognito oppositore al Discorso di Galileo intorno alle cose che stanno in su l acqua o che, in quella si muovono per À. Fava ho : nel Ballettino di Bibliografìa e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche ; Tomo XVI11, 1885, pag. 321-820. U 1 Constderaevni sopra 1 / Ih-orto del S*4 G-t- Ulta Galilei intorno alle eoe* che stanno in «« l ,» ( m.» o che in quella si muovono /alte n d %/•*<% r dsrkm razione, deli’opinione d’Aristotile «I* \rr a naturo l« Cognito. In Fisa, appretto (ito. Uaiat* M %rb< l(i •* Giovanni Fnntaui, ir,12. lV Sul X UZZOLI NI V«*di Memorie tiinrxrk» ditti* uomini illustri l'isani. Tomo |Y, Fi**, MlM'l'Xl'll, pag. 405-451. l *' Con Moni. MutriKKotri 1 ) S'nz/nvvi »n U gato da antica amicizia: tedi lo '*»t Memorie htonrh* pag. 487, nota 8. •' Opere fa intorno al galleggiar* de . «rj,| • lidi ecc. di Giorgio Cokisaxo, Lunare dello f.*n,*a Greca nel famosissimo Studio di Fisa. In Fironi*. appresso HartobumneoSermartolH * fratelli. Min XII — Discorso Apologetico ili Ludovico dell* Cor. ovaie d’intorno al Discorso di Galileo Galilei ecc. In Fir- uic, appresso il Figuuiii, MliCXII. AVVERTII! UNTO. 7 Vincenzio di Grazia dava alle stampe, col medesimo intendimento, certe suo Con¬ siderazioni ll) . Galileo pensò subito a ribattere queste scritture, nelle quali la sua dottrina veniva non meno vanamente che violentemente attaccata ; ma poiché gli amici suoi ne lo dissuadevano, facendogli riflettere che il voler correggere cose tanto piene <1’ignoranza sarebbe stato un tenerne maggior conto del dovereo gli consiglia¬ vano di < far rispondere a qualche giovane o al meno sotto tal nome > l3) , così egli si rivolse al suo prediletto discepolo, Don Benedetto Castelli, che per commissione di Galileo raccolse gli errori più notabili dell’opuscolo di Giorgio Coresio: e giù si pensava a pubblicare questo scritto del Castelli, ed aveva anzi ottenuto alcune delle necessarie licenze di stampa, quando, essendo sopravvenuti al Coresio < nuovi accidenti >, per i quali < per avventura era costi-etto a stare occupato in altri pensieri > {k \ si credette meglio desistere. Egualmente all’ altro eh’ era < uscito fuori con la maschera al viso >, cioè ad Arturo d’Elei, non fu data per le stampe alcuna risposta, perchè avendo egli < per altra strada potuto conoscere il vero > (cioè a dire, che in quel frattempo era morto), (5) . Restavano Lodovico delle Colombe e Vincenzio di Grazia, contro a’quali fu diretta una voluminosa Risposta , che uscì alla luce nel 1615 (fl) , senza nome d’autore nel frontespizio, e preceduta da una dedicatoria dov’ è Armato Don Benedetto Castelli. Questa, brevemente riassunta, è la storia della controversia, a cui si riferisce il presente volume: nel quale, insieme con gli scritti di Galileo, dovemmo racco¬ gliere, sebbene indegnissime, le contradizioni degli avversari che per l’intelligenza di quelli sono strettamente necessarie. Fedeli al nostro istituto, di seguire nella disposizione 1* ordine cronologico, cominciammo con Diversi frammenti attenenti al trattato delle cose che stanno su l'acqua (come a Galileo stesso piacque di chia¬ marli (7) ), che (inora erano inediti c si leggono nel T. XIII della P. Il dei Mano¬ scritti Galileiani conservati nella Biblioteca Nazionale di Firenze; e precisamente con quelli di tali frammenti, che per il loro contenuto ci sembrarono appartenere al periodo, quasi diremmo, preliminare della disputa, preceduto alla stampa del (O Considerazioni ili M. Vincenzio di Grazia sopra *1 Dincorso di Gufile» Ortiilei ecc. In Firen¬ ze, MDCX11I, presso Zanobi Pignoni. Lettera ili Giovanfranorboo Sa n redo a Ga- i.ileo Galilei, del 15 dicembro 1012; noi Msa. Galil., Par. Vi, T. Vili, car. ISO r. < 3 ) Lettera di Lodovico Cigoli a Galileo Ga¬ lilei, del 6 ottobre 1612; nei Mss. Galil., Par. I, T. VII, car. 40 r. < 4 > Cfr. a pag. *153 ili questo volume ; e circa i « nuovi accidenti > sopravvenuti al Corrhio, vedi Alcuni Hcrìtti inediti di Galileo Galilei tratti dai ilf«- noscritti della Biblioteca Nazionale in Firenze, pubbli¬ cati ed illustrati da A.^ Fa varo: nel Ballettitio dì Bibbi agrafia e ili Storia delle Scienze Matematiche e Fisi - chef Tomo XVI, 1883, pag. 172-178. - Gfr. A. Favaro, Conchi unioni ecc.; pag. 323. 1°' C inposta alle opposizioni del S. Lodovico delle. Colombe e del S. Vincenzio di Grazia contro al trattata del Sig. Galileo Galilei delle cose che stanno su V acqua o che in quella sì muovono. Kcc. In Firenze, appresso Cosimo Giunti, MDCXV. G) questo titolo si leggo, «li mano di Galileo, sul tergo d’un foglio che doveva servire di coperta ai Frammenti stessi, o che ora forma la car. 19 del tomo che li coutiene. 8 AVVERTIMENTO. Discorso di Galileo, e con quelli altresì che u questi primi sono *1 intimamente legati nel manoscritto, per la reciproca disposi/ione, da non poter e-s.-n- < mi v.ri simiglianza attribuiti ad altro tempo. Con tali criteri ponentino nelle prime pa gine ciò che si legge a car. 20 — 21 /. (png. 18 ■ pag. J4 , lin. 18), ( il 24 r. (pag. 24, lin. 19— pag. 20, lin. Iti), car. 27 t. — 28 r. (pag. 2 ». Un. 2 p ih. lin. 8), parte della car. 28 1. (pag. 28, lin. 9-16), car. 89/. (pag. 2\ lui. 17 p *i. dei quali frammenti, taluni ci parvero quasi appunti che Galileo t.mia-- sull.» carta mentre si preparava alla disputa orale con gli oppositori. Segu.-ie. quei I - un che ci furono conservati d’una stesura del Discorso, la quale dovette pr- • d> -r. quella elio fu pubblicata, e ila essa differisce talora notabilmente : ma mentre questi brani nel manoscritto furono messi insieme quasi senza una r. vd.i, leu b disponemmo con l’ordino elio ci fu suggerito dal posto ehi* i he ;hi < .rriM">nd-nti occupano nel testo a stanqia del Discorso. Perciò le carte del manoscritto infilo riprodotte con tale successione: car. 4 r. 7/. (pag. .Io pag .1», lin. li. ar li (pag. 38, lin. 6 — pag. 39, lin. 13), car. 23 (png. 39. lin. 18 pug. -il, lin. «’••». n»r. lo (pag.42, lin. 2 —pag.43, lin. 21), car. 8 e un tratto della car. 'ir., che •rn • co¬ perto da un cartellino (pag. 43, lin. 20 — pag. 46. lin. 1) 1 , car. •• ip io, lui. •> pag. 49, lin. 12), car. 12 r.~ 13 7. (pag. 49, lin. 17 pag. 51. lin. 26). Vengono q- prcsso (pag. 52, lin. 1-15) alcuni pensieri elio si leggono sui margini d« ila . ar. 4 r . e,‘da ultimo, alcuni teoremi con le loro dimostrazioni, che occupano le .«r l >r. (pag. 52, lin. 16 — pag. 53), 18 r. (pag. 54, lin. 1-211, 16 r. I pag. 54, lin. pag '5, lin. 27), 39 r. (pag. 55, lin. 28 — pag. 56), e i più ritornano, p rò con differen.e, nel Discorso. È quasi superfluo soggiungere che pubblicando tali /• 7u»/> m ,idi dall' auto grafo, seguimmo le norme altre volte indicate per i casi consimili. Dopo i Fraymenti viene il Discorso infanto alle ct-sr che v/ in -u Tu (wi o che in quella si muovono. Lo riproducemmo dalla seconda edizione (ma ai,, io della prima fu dato in facsimile il frontespizio i. e. attenendoci a ci- che in qm sta fu fatto, distinguemmo le aggiunte con carattere diversa. I,a -• "mia impres¬ sione fu seguita altresì in certe quasi insignificanti diversità «li 1. .-ione, per cui si allontana, ma ben di rado, dalla prima ; con l’aiuto poi di questa abbiamo emendato gli errori manifesti della seconda, che, soprattutto ver-o la line, è men corretta lf ”: anzi, nelle ultime pagine ci ò accaduto ili accettar- la lezione (0 Questo frammento sembra una prima e com¬ pendiosa stesura degli argomenti svolti con nugiriort; ampiezza nel Discorso, pag. 12ó, lin. 10 p.ur. UT. lin. 19: di parto dei quali una seconda stesura, pur precedente a quella die abbiamo nel Discorso stesso, vedesi nell'altro frammento che pubblichiamo a pag. 40, lin. 6 — pag* 49, lin. 12. 1*1 Per os M a pag. 113, lin. 1, e a pag. 12f>, lin. 14, la prima edizione ha perchì, o la seconda per lo che ; a pig. 11.'*, lin. lf», U primi al U ir ronda .i fonda ; a pag. 12^, lin 20, U pr» ni /». / #4. la cmqJi Finalmente, ecc. : •* noi -icuimii*' U **' onda l 1 Per m., albumi cerreti», atUnen ! vi all* primA editione, qq «li errori dell* »• onda. \ \*. 11", lin. 3«» 87, computa ; ptg. Ilf>, lin. 14, • e^na; j ut. 1-1, lin. 13, drlVrm t r r« tose di eulu, e, lin. I&, pÀ >i t *—** . pag. U5, lui. f», a detto : pag. 189, lin. 11. mperjioss tanto sismo, tee. ; a abbiamo pure rettificai grafie AVVERTI MENTO. 9 della prima anche in qualche particolare in cui la varietà della seconda, senza potersi dire insostenibile, pure* in mezzo allo numerose mende di stampa, sem¬ brava «la ascriversi a trascuratezza del tipografo piuttosto che a deliberata inten¬ zione dell’Autore Al Discorso di Galileo tengono dietro le Considerazioni sopra di esso, dell’Ac¬ cademico Incognito; le quali dovemmo riprodurre, perchè un esemplare di tale opuscolo, clic ora forma il T. XV della Par. II dei Manoscritti Galileiani, fu mi¬ nutamente postillato di proprio pugno da Galileo. Altre postille, e pure di mano del Nostro, si leggono su' margini di certi estratti delle Considerazioni che oc¬ cupano le car. 174*'r.— 185£. del T. XIV della Par. II |2) : e sì le une che le altre pubblicammo, ordinandole in un’ unica serie (s) , appiè del testo delle Considera¬ zioni, attenendoci in ogni cosa alle norme convenute per questi casi. Tali po¬ stille, che rappresentano gli appunti fatti da Galileo mentre leggeva le Consi¬ derazioni, dimostrano chiaramente la intenzione in lui di rispondere : e della risposta divisata abbiamo anche dei frammenti autografi nelle car. 186-191 del citato T. XIV, che noi pubblicammo a pag. 185-194, lin. 24. Abbiamo posto da ultimo alcuni pensieri che Galileo disseminò su’margini delle carte contenenti questi frammenti (li risposta (pag. 194, lin. 25 — pag. 196, lin. 9), e su due carte di guardia dell’esemplare delle Considcì'azioni postillato (V) (pag. 196, lin. 10-15). 'l'auto nelle Considerazioni dell’ Incognito, quanto nei frammenti di risposta di Galileo e nelle altre scritture comprese in questo volume, occorrono non di rado citazioni, fatte per faccia e verso, dell’ edizioni originali o del Discorso o delle Considerazioni stesse o di altre opere : alle quali citazioni giudicammo neces¬ sario soggiungere le indicazioni (e le ponemmo tra parentesi quadre e in carattere più piccolo) delle pagine e linee corrispondenti nella nostra ristampa. Segue alle Considerazioni dell’Accademico Incognito 1’ Operetta intorno al galleggiare de ’ corpi solidi di Giorgio Corcsio. Quanto a questa, come all’ altre infelicissime scritture di Lodovico delle Colombe e di Vincenzio di Grazia, nelle quali i periodi senza senso, nonché senza sintassi, sono pur troppo frequenti, le conio accagia (pii?. 121, lin. 8-4), aveibio (pag. 125, lin.9), iuicdiatnmcnte (pag. 120, lin. 18), occ. In qualche raro luogo abbiamo dovuto emendare la loziono erronea di tuffo duo lo stampe: por es., fu corrotto a pag. 120, liti. 1, sostenuta in sostenuto, o a pag. 139, lin. 38, del mezzo in nel mezzo, iu quest'ultimo caso col confronto del corrispondente passodeijPra#»ici»ti(pag.60,lin.25). (0 Così a pag. 125, lin. 17, proferimmo si som¬ mergono, e, alla lin. 20 della stessa pagina, par che le, dati dalla prima edizione, invoco di sommergono o par, le, che sono lo lozioni della seconda. Anche alcune formo, conio domandarei (pag. 124, lin. 15), riueuta (pag. 125, lin. 15), auto (pag. 126, lin. 16), occ., date dilla seconda impressione, di fronte n domanderei, ricevuta, avuto, occ. della prima, lo abbiamo credute liconzo dol tipografo piuttosto che mutazioni intro¬ dotto dall’Autore. La car. 1G6-172 del medesimo T. XIV conten¬ gono un'altra sorio di estratti dello Considerazioni, ma non vi souo postillo di Gami.ko. Le postillo a cui apponemmo i numeri 1-7, la 9, o l'ultimo capovorso dolla 55 si leggono sui mar¬ gini dogli ostratti dello Consideratiti ni, contenuti nel T. XIV : lo altro sono tutte nel T. XV. Cfr. png. 172, nota 1. —- Così le postille allo Considerazioni, conio i frammenti dolla risposta, orano stali già pubblicati da Favauo, Alcuni scritti ine¬ diti di Galileo Galilei ecc., pag. 180-201. 10 A V V ERTI MENTO. forme grafiche strane s’incontrano numerosissime, e confusioni ed errori d’ogni maniera sono in ogni pagina, guanto a queste scritture vogliamo ben avvertire che credemmo nostro ufficio correggere soltanto quegli errori che ci parvero dei tipografi ma rispettammo, sebbene talora sarebbe stato facile emendare, quei più che a nostro giudizio sono da ascrivere agli autori 1 "; perchè non era le¬ cito togliere a tali parti malnati quel carattere per cui meritarono, anche sotto il rispetto della forma, sì fiere censure da Galileo; anzi il correggere troppo (come piacque a qualche moderno editore) sarebbe stato un far parere bugiarde le cri¬ tiche del Nostro. Confessiamo altresì che non di rado siamo rimasti incerti se qualche sgorbio fosse dovuto al tipografo o all’ignorante contradittore di Galileo; e non vogliamo guarentire nè d’aver sempre corretto dove era opportuno cor¬ reggere, nè d’aver sempre conservato ciò che si sarebbe dovuto conservare. Una cura poi della quale non mancammo verso questi opuscoli, fu di renderli un po’meno illeggibili mediante una razionale punteggiatura: e se mai qualche lettore pren¬ derà a confrontare la presente edizione con le originali, riconoscerà quale improba fatica fu la nostra, per cui que’ corpi deformi, senza aver mutato natura, sono resi tuttavia quasi irriconoscibili ^ Per es., nell' Operetta del Concaio abbiamo cor¬ retto a pag. 207, li». 27, proporzione in proposizione; pag. 221, li». 10 , falsa i» falso; pag. 222, liti. 22, tlei moto in nel moto; pag. 221, li». 17, posando in po¬ sano; pag. 238, li». 7-8, c. 'I sostenere i» e 'l sostenere; e alla medesima pagina, li». 10 (o perciò anche a pag. 281, lin. 2, dove il Castelli cita questo luogo del Cork- sio), quelli in quelle, noi qual passo s&robbo stato necessario correggere anche di più ; ma chi ci assi¬ curava che la colpa non fosse dell'Autore? Alcuno volto la corroziouo ci fu suggerita dal confronto coi tosti galileiani citati dal Coribio: o così abbiamo emendato a pag. 225, lin. 8, si in vi ; a pag. 233, li». 1, potrebbe in poteste; e a pag. 226, li». 27-28, abbiamo aggiunto sì che quello che, in questo caso, discende e vieti locato nell'acqua; come pure a pag. 231 abbiamo aggiunto la intera li». 2. Ancora più nume¬ rose sono lo correzioni da noi introdotte uello Conside¬ ra* ioni del Grazia: per es.,pag.879, lin. 11,e pag. 397, lin. 32, anche corretto in a che; pag. 381, lin. 10, ag¬ giunto nell'acqua ; pag. 882, lin. 13, erreremo corretto in erreremmo ; pag. 384, Un. 26, le Corretto in si ; pag. 369, lin. 14, icrine corretto in serve; pag. 395, Un. 24, feriva corrotto in ferirà, o, lin. 26, a quel vento in « quel del vento; pag. 398, lin. 22, dell' cor¬ retto in dall 1 ; pag. 399, lin. 12, asperienzza corrotto (col confronto di pag. 88, lin. 1) in ampiezza ; pag. 401, lin. 38, varietà corretto in vanità; pag. 405, lin. 16, costipandolo corretto in costipandola ; pag. 406, lin. 14, procureremo corrotto in proveremo, e, lin. 25, dalla palla in della palla; pag. 427, lin. 34, dell'acqua cor¬ retto (col confronto di lin. 25 e di pag. 417, lin. 27, (love la stampa originalo ha d‘ un medesimo , ma I’ Krrata-Corrigo emenda per un medesimo) in per i acqua, QCC. Por citare qualcuno tra i moltissimi casi, rispettammo corta strana omissione, frequento nello Considerazioni ilei Grazia (per os. a pag. 407, lin. 11 o a pag. 422, lin. 22), del secondo non nella locuzione non solo non... ma, sobbollo turbi gravissimaiuonto il senso. A pag. 423, lin. 12, o a pag. 429, lin. 33, fu conservato quinto della Fisica, sobbeno si sarebbe dovuto correggoro quarto (cfr. pag. 126, lin. 7). A pag. 429, lin. 24-27, o lin. 30, manca ovidonteinonte qualche cosa; ma non abbiam voluto toccare quelle deformità, che altrimenti non avrobbo più avuto senso la cousura di Galileo a pag. 787, lin. 25-80. (:r ' Riguardo allo Considerazioni del Grazia dob¬ biamo anche avvertire che in alcuni esemplari della edizione originalo, per os. iti quello posseduto dalla Bi¬ blioteca Nazionale di Firenze o segnato III. 409, alle pag. 15-10 o 51-52 (rispondenti, le primo alle pag. 385, lin. 2 — pag. 386, lin. 23, o lo soconde alle pag. 412, lin. 25 — pag. 414, lin. 5 della nostra ri¬ stampa) furono sostituiti duo di quelli che tipogra¬ ficamente si chiamano carticini, incollandoli con le pagine con cui formano un quarto di foglio; eviden¬ te mento perchè l’Autore stesso vollo ritirare e ristam¬ pare quelle pugino. In qualche altro esemplare invece, per os. in quello sognato 8.5.4.$J, pure della Nazionale di Firenze, tale sostituzione non fu eseguita. Quanto alle pag. 15-16, gli uui o gli altri esemplari non prò* sontuuo differenza veruna; al contrario, il carticino sostituito alle pag. 51-52 offre parecchie diversità, AVVERTIMENTO. 11 Al V Operetta del Coresio soggiungemmo gli Errori della medesima raccolti da Don Benedetto Castelli, che si trovano autografi nei T. XVI (ear. 7-54) della Par. II dei Manoscritti Galileiani, e che prima d’ora erano inediti. Noi li abbiamo dati alla luce a cagione delle correzioni ed aggiunte che Galileo vi lece di suo pugno, e altresì perchè se non fossero sopravvenuti al Coresio quei < nuovi acci¬ denti > a cui accennavamo più sopra, per fermo Galileo non avrebbe tralasciato di pubblicarli. Nello stampare questa scrittura credemmo opportuno di presen¬ tarla al lettore quale effettivamente uscì dalla penna del Castelli, e come si può ricostruire trascurando per un momento le cancellature e correzioni dovute non soltanto a Galileo, ma anche ad un terzo, contemporaneo, del quale ci sfuggì il nome, e che spesso ridusse a forma toscana le forme dialettali del Castelli, talora cercò di temperare le violente espressioni di questo contro il Coresio, e qualche volta introdusse modificazioni anche più sostanziali. 11 testo, pertanto, della nostra edizione rappresenta la forma definitiva che il Castelli aveva dato all’opera sua* 1 *; e diciamo definitiva , perchè non abbiamo tenuto conto per solito dei pentimenti e cancellature che sono senza dubbio del Castelli stessoappio del testo ponemmo le correzioni ed aggiunte di Galileo, nel corpo di carattere che compete alle cose di lui e numerandole progressivamente w ; e quando fu necessario per la chiarezza, abbiamo fatto precedere, e talora precedere e seguire, la correzione di Galileo dalle parole del Castelli in mezzo alle quali viene a cadere : quindi, in un carat¬ tere minore anche di quello del testo, stampammo le correzioni e rendemmo conto delle soppressioni che nel dettato del Castelli, e, più di rado, nelle aggiunte di Galileo, introdusse il terzo: e da ultimo, se ce ne fu bisogno, registrammo a parte, e con un corpo ancora diverso, i materiali errori di penna, le cancellature eco., che cadono nei tratti scritti di proprio pugno da Galileo w . In calce poi all’opera più die altro ortografiche, correggo alcuni errori di stampa, e, quel che più ù noto volo, emenda il passo da noi riprodotto a pag. 412, lin. 84-37, elio prima ora assai guasto. Noi abbiamo seguito l'esemplare coi carticini. (0 In vista dell’autografo abbiamo conservato alcune forme, come sotiyliezza fpftg. 252, lin. 5), w- (Unente (pag. 256, lin. 18), acorto (pag. 25G, lin. 21), asseriste (3* pors. sing. pres. indicativo; pag. 261, lin. 19: o cosi attribuisse a pag. 273, lin. 37), r«- colta (pag. 2fiS, lin. 5), citlato (pag. 277, lin. 4), OCC., sebbene il Castelli stesso non sia costante noi- T usarlo, e quasi sempre siano stato corrette dal terzo che rivide l’opera sua. Avvertiamo poi che nel ws. parecchi luoghi, soprattutto di quelli cho contengono più fioro censure contro il Coresio, fu¬ rono sottolineati, probabilmente dal revisore; ab¬ biamo riprodotto questi tratti sottolineati col ca¬ rattere spazieggiato. (*) Di qualcuna delle cancelli»ture che attri¬ buimmo al Castelli, quando ci parve notevole per il contenuto, abbiamo fatto conno in nota speciale; qualche altra volta invoco abbiamo addirittura in¬ trodotto noi tosto lo parole cancellate dall’Autore stesso, avvertendo della soppressione appiè di pa¬ gina, dova ò tornito conto della revisione dovuta al terzo: e ciò tanto più, in quanto sposso non ò cosa facile il decidere se una cancellatura sia stata fatta dal Castelli o da altri, o talora solo criterio è la tinta dell’ inchiostro con cui fu tirata la linea cho indica la cassatura. (*) Le ultimo due aggiunte di Galileo, come quelle che continuano 1* opera del Castelli, lo ab¬ biamo collocato di sèguito ad ossa (pag. 284, lin. HO — pag. 285, lin. 9). (*) Così, por os., a pag. 2-48 lo lin. 35-80 rendono conto della revisione dovuta al terzo ; e hi lin. 37, dì una cancellatura che cado in una aggiunta introdotta da Galileo. I medesimi corpi di carattere sono, ro- spettiveniente, conservati in tutta l'opera. 12 AVVERTIMENTO. del Castelli abbiamo collocato (pag. 285, lin. 10-21) un breve tratto elio nel codice è di mano di Galileo, e contiene V appunto cl’un pensiero ch’egli intendeva porre nella dedicatoria dell’ opera stessa ; e quindi (pag. 280) riproducemmo dall* ori¬ ginale le licenze di stampa, delle quali, come già si è accennato, il manoscritto è provvisto. Agli Errori tengono dietro le lettere di Tolomeo Nozzolini a Mons. Marzime¬ dici e di Galileo al Nozzolini. La prima fu desunta dalla copia di mano di Galileo, che si legge a car. 54-55 del T. XIII della Par. II dei Manoscritti Galileiani 0> ; la seconda, dalla bozza originale a car. 5G-(50 (lei medesimo tomo. Questa bozza è scritta da principio, e tino alle parole « che si versa > (pag. 808, lin. 10), da un amanuense, della cui mano Galileo dovette servirsi, essendo, coni’ egli stesso racconta al Nozzolini, a letto ammalato; nel resto è di pugno di Galileo stesso: ma anche nella parte che è di carattere dell’amanuense sono frequenti le corre¬ zioni ed aggiunte autografe di Galileo. La sigla G nella annotazione appiè di pagina indica appunto che le parole del testo a cui è apposta sono di pugno del Nostro : di volta in volta è poi indicato se si tratta di aggiunta o di correzione, e in quest’ ultimo caso è altresì fatta conoscere la lezione che Galileo aveva det¬ tato all’amanuense w. Insieme con queste aggiunte e correzioni sono notati appiè di pagina gli errori materiali di penna, ma soltanto quando sono ne’ tratti autografi di Galileo; e questi non hanno sigla alcuna: ed altresì è tenuto conto, no’modi seguiti altre volte, e pur senza sigla, delle cancellature che, sia dove Galileo detta sia dove scrive, mostrano coni’egli andava atteggiando e modificando il suo pen¬ siero prima che prendesse la forma definitiva. Dobbiamo infine avvertire che in tre luoghi di questa bozza, da noi indicati appiè di pagina (pag. 299. lin. 31 ; pag. 307, lin. 1 e 31), ricorre una terza mano, più tarda, e che abbiamo espulso dal testo le correzioni ed aggiunte ad essa dovute; persuasi a ciò anche dal trovare come in una copia della lettera, che noi chiamiamo con la sigla B e che si legge mutila (giunge fino alle parole < ella già mai >, a pag. 300, lin. 12) nel T. VI della Par. VI, a car. 108 r. —109 manca la prima di tali aggiunte, cioè la sola che in quel frammento potesse cadere. L’ ultima parte del volume è occupata dal Discorso Apologetico di Lodovico delle Colombe cV intorno al Discorso di Galileo , dalle Considerazioni sopra il medesimo di Vincenzio di Grazia, e dalla Disposta a questi oppositori. Come siano state ristampate quelle due prime scritture, ! abbiamo già detto: ci resta a parlare della Disposta , e anzitutto di alcuni Frammenti ad essa attenenti, dai quali l’abbiam fatta precedere. Al pari degli altri frammenti con cui comincia il presente (*) Appiè della pag. 291 registrammo un mate¬ riale trascorso di penna di Galileo. W Talora Galileo corresse soltanto alcune let¬ tere (Turni parola (por es., a pag. 299, lin. 24, dove era scritto affetione, sostituì zz a f) ; noi tenemmo conto ili questi casi (che ci mostrano qualche volta, quale grafia egli espressamente preferisse) come se l'intera parola fosse stata riscritta da Ini. AVVERTIMENTO. 13 volume, si trovano anco questi per la maggior parto nel T. XIII (car. 34-35 ~ pag. 444, lin. 12 — pag. 440, lin. 5; parte della car. 28tf. = pag. 440, Un. 0-14; car. 38= pag. 446, lin. 15-31 ; car. 26 = pag. 447); ma ve ne sono sparsi anche nel T. XIV (car. 1646 = pag. 443 — pag. 444, lin. 2) e nel XV (car. 4 1. =r pag. 444, lin. 3-11); tutti sono di mano di GalUeo, e i più inediti {ì) : e noi li abbiamo rac¬ colti qui, perchè alcuni fanno espressa menzione delle scritture del Coresio, del Colombe, del Grazia, e dimostrano Galileo incerto se debba o no rispondere, op¬ pure contengono pensieri che ritornano poi nella Risposta ; ed altri sono con questi primi intimamente connessi nel manoscritto. La Risposta ci è stata conservata non solo dall’edizione originale, ma anche da un manoscritto, che occupa quasi per intero (car. 4-164 a) il giù citato T. XIV. Questo manoscritto ci mette in grado di risolvere con sicurezza il quesito, chi sia l’autore della Risposta. Da principio, infatti, il codice è di mano di Benedetto Castelli; ma F opera del discepolo passò tutta sotto gli occhi del Maestro, che vi introdusse minute correzioni quasi ad ogni linea, ed aggiunte anche di più pagine, o talora sostituì lunghissimi tratti a’ corrispondenti del Castelli : a partire da un certo punto, e precisamente dalla pag. 599, lin. 24 (2) , Galileo continuò e compì il lavoro tutto da sè (a) . Anche tenendo conto delle correzioni ed aggiunte di Galileo, il ma¬ noscritto offre poi, specialmente in principio, numerose differenze dalla stampa. In tale condizion di cose, come dovevamo noi condurre la nostra edizione? Era nostro dovere riprodurre fedelmente la stampa, come quella che rappresenta l’espressione definitiva del pensiero di Galileo: d*altra parte ci eravamo proposti di sceverare ciò che è dovuto al Castelli da quello che è di Galileo, ponendo in mano al lettore il mezzo di poter dire: Questa parola fu scritta dall’uno, questa dall’altro. Per ottener ciò, abbiamo ricorso alla diversità de' corpi di carattere: cioè abbiamo ristampato con tutta esattezza il testo dell’ edizione originale ; ma, riscontrandolo minutamente col codice, ogni parola che in questo è di mano di Galileo, fu composta nel carattere maggiore, riserbato agli scritti suoi, e ogni pa¬ rola che è di mano del Castelli in un carattere minore w . Se non che due altri casi (U I frammenti che abbiamo stampato a pag-. 413- 444, lin. 2, orano stati già pubblicati da A. Fayaho, Alcuni scritti inediti di Galileo Galilei ecc., pag. 202. O) Ossia dalle ultimo lineo della car. 75 t. del manoscritto. Oltre alla nmno dol Castrali o a quella di Galu.ro, no compariscono noi codice qua o là del- l’altre. Quel medesimo revisore elio, come fu detto, corresse gli Errori del Coresio raccolti dal Castelli, introdusse più di rado dello correzioni ed aggiunto anche in quella parto della Risposta elio fu scritta prima dal Castelli: c quando importava, lo abbiamo avvertito in noto a’singoli luoghi. Inoltro, sono an¬ cora d’un*altra nmno tre luoghi della Risposta a Vin¬ cenzio di Grazia: di che vedi lo noto a pag. 093,695 (nota 1) e a pag. 700. Da ultimo, una terza mano è quella da cui sono stati scritti alcuni dei brani dello opero degli oppositori, elio Galileo cita; evidente¬ mente perchè egli, nel comporre la sua scritturo, lasciava a quo' posti degli spazi bianchi, facendoli poi riempiere da un amanuense: qualche volta in¬ fotti lo spazio bianco non fu neanche più riempiuto. ^ Avviene quindi che qualche volta un passo dol Colombe, citato nello Risposta, sia in corpo mi¬ noro, o la seguente considerazione, nella quale se no mettono in luce gli orrori, in corpo maggioro: il elio significa elio già il Castelli aveva fermato la sua attenzione su quel passo, ina a tutto ciò elio egli aveva scritto Galileo sostituì poi doli’altre osser¬ vazioni. 14 AVVERTIMENTO. ci si presentavano. Quando l’edizione originale s’allontana dal manoscritto: v hanno infatti luoghi dove la stampa sostituisce altra lezione a quella del codice, e v’hanno luoghi che la stampa aggiunge. Sia le sostituzioni, sia le aggiunte, è verisimile provengano da Gtililco (poiché noi crediamo che dal momento in cui il Castelli consegnava a Galileo la parte che aveva, composto e ne lo lasciava arbitro, egli non abbia pili rimesso la mano nell’opera, e la stampa sia stata, condotta sol¬ tanto da Galileo): perciò così le une come le altre abbiamo stampato in carattere maggiore, ma distinguendo i luoghi sostituiti col sottolinearli parola a parola, e i luoghi aggiunti col racchiuderli tra segni di freccia ; con quest’ avvertenza, che la freccia con la punta in su indica dove il passo comincia, e quella con la punta in giù dove finisce. Con ogni più desiderabile precisione applicammo co¬ siffatti segni a que’passi in cui s’alternano nel codice le due mani 1,) : in quelle parti invece dove s’incontra la sola mano di Galileo (e quindi in tutto ciò che yien dopo la pag. 599, lin. 24), anco se la stampa sostituisce un’ altra lezione a quella del manoscritto, ci parve superfluo indicarlo, essendo ancor meno pro¬ babile che la sostituzione sia dovuta al Castelli ; e se la stampa aggiunge, lo facemmo conoscere soltanto quando raggiunta sia notevole per il contenuto. Da ultimo, alcuni brani della stampa (cioè la pag. 453; pag. 521, lin. 13 — pag. 530, lin. 25; dalla parola necessaria , a pag. 581, lin. 8, fino a tutta la lin. 13; pag. 584, lin. IO, fino alla parola esser, a lin. 13) non si trovano nel manoscritto, perchè manca a’ posti corrispondenti qualche carta : venendoci meno, pertanto, ogni cri¬ terio per decidere chi ne possa esser l’autore, li abbiamo composti in un terzo carattere, che dimezza per grandezza tra. gli altri due. Con queste cure abbiamo distinto minutamente la parte di Galileo da quella del Castelli : ma siamo rimasti incerti un pezzo se fosse da render conto anche d’altre cose. Per fermo, in tutto ciò che precede la pag. 599, cioè dove il sustrato dell’ opera, a così esprimerci, è del Castelli, ogni volta che il carattere maggiore indica la mano di Galileo, il lettore potrebbe aver desiderio di sapere se Galileo ha aggiunto ovvero sostituito al dettato del Castelli, e, se mai, che cosa il Ca¬ stelli aveva scritto prima : è vero altresì che le lineette sotto le parole destano la curiosità di conoscere qual lezione, e di qual mano, abbia il codice in quel passo: e già abbiamo, inoltre, confessato che in buona parte dell’opera, non che far conoscere le varietà, tra il nostro testo e il manoscritto, neppure rendiamo O) Non solo abbiamo indicato, sottolineandoli, quo' passi no’ quali ad una locuzione del Castku.i, la stampa ne sostituisco un’altra (por os., pag. 465, lin. 23, a malgrado uno le sostituisco tanto più gli; lin. 24, ft sforzandosi guanto può sostituisco avendo mira, occ.ì, 0 quelli in cui fu mutato audio il con¬ cetto ; ma alt rosi abbiamo tenuto conto dello diffe¬ renze d’ordine sintattico (per es., pag. 465, lin. 28, Il Castkm.i scoperte, la stampa »c»j)erto, eoe.), o mor¬ fologico (por es., vadu sostituito dalla stampa a vadia, sieno sostituito a siano, o viceversa). Solamente abbia¬ mo trascurato leggere differenze fonetiche e grafiche iper OS., gli invece di li, degli invoco di delli, parole troncho od intero, come andar o andare , occ.), e non abbiamo apposto alcun segno dove la stampa pre¬ senti, a confronto del manoscritto, soltanto una tra¬ sposizione di parole, oppure dove ometta qualche parola. AVVERTIMENTO. 15 avvertito il lettore che. esista varietà. Ma deliberatamente e per più ragioni ab¬ biamo lasciato di tener nota rii tutto ciò. Anzitutto ci parve quasi impossibile informare appieno il lettore dei rapporti Ira stampa e manoscritto con mezzi che non fossero per occupare molto spazio ; e ne resterà persuaso chiunque pren¬ derà ad esaminare le pag. 455-465, lin. 18, nelle quali, anche per dare un saggio allo studioso, abbiamo collocato in corsivo nella parte superiore il testo della stampa, e nella inferiore, pur in corsivo, quello del manoscritto dì pugno del Castelli, in¬ dicando in carattere tondo ciò che del Castelli fu cancellato, ma non da lui* 0 , e chiudendo tra parentesi quadre ciò che o da Galileo o da altri (e la diversità del corpo di carattere, sempre corsivo, ma più grande o più piccolo, distingue le due mani) fu sostituito od aggiunto. Ma non soltanto si sarebbe dovuto aumentare di soverchio la mole del volume: ohè sarebbe stato d’uopo altresì rendere ancora più complicato il sistema dei segni tipografici, e ciò senza dubbio avrebbe recato danno alla chiarezza; e, soprattutto, questi inconvenienti non sarebbero stati com¬ pensati da un vantaggio reale; poiché possiamo assicurare che in quanto abbiamo omesso non v’ ha molto di interessante. Dobbiamo infatti soggiungere che quando una variante, la quale provenisse dai tratti di mano di Galileo, ci parve notevole, V abbiamo registrata appiè di pagina (2) , e quivi abbiamo raccolto anche alcune aggiunte osservabili che, pur di mano di Galileo, il manoscritto fa alla stampa. Con 1’ aiuto del manoscritto fu corretto buon numero di errori o di men buone lezioni della stampa, che ave¬ vano ingannato tutti i precedenti editori, perche talora si prestano più o meno al senso, ina, a nostro avviso, debbono la loro prima origine all’incuria o del¬ l’amanuense da cui Galileo fece trascrivere l’opera per mandarla in stamperia^, o del tipografo, e poscia o sfuggirono del tutto allo stesso autore, nella fretta con cui rivide le bozze per dar fuori al più presto la sua scrittura polemica, oppure furono da lui leggermente ritoccate, senza che egli ritornasse a ciò che aveva scritto nel codice e clic realmente rappresenta la sua intenzione : e che sia così, come pure quanto l’opera di Galileo abbia guadagnato da tali emenda¬ zioni, lo potrà giudicare di per sè lo studioso, perchè della lezione della stampa abbiam tenuto conto spessissimo in note a’singoli passi* 0 . Dal manoscritto ab- In qualche raro caso, che ci parve notevole, abbiamo bulicato, pur sempre in carattere tondo, anche ciò che il Castelli stesso sembra aver soppresso. Il lettore distinguo tali casi perchè non trova, nò poco prima nò poco dopo, alcuna sostituzione tra paren¬ tesi quadre. Le varianti che proverrebbero dai tratti di mano del Castelli, lo abbiamo notato rarissime volto, o soltanto in servigio di quolle di mano di Galileo. In questi casi, in cui anche nelle varianti s’alternano le due inani (por es. appiedi dolio p&g. 471 e ITI), il carattere maggiore distingue la mano di Galileo, e il minoro quella del Castelli. Non di rado, infatti, tali errori o lozioni men buone occorrono in passi, dove la lettura del ins. si presta ad equivoci. ^ Tutto lo volto che lo note dicono: « La stampa: si deve intenderò appunto che la cor¬ rezione fu desunta dal nis. li in qualche caso abbiamo corrotto, con l’appoggio del ins., anche contrariamente a quello che indica 1’ Errata-Corrige della Rinposta : il lettore no ò poro sempre avvertito. Del nis. ci siamo eziandio serviti per emendare alcuno grafie scori otto della stampa. 16 AVVERTIMENTO. bianio eziandio raccolto nelle note quei brani di maggiore importanza che si leggono cancellati. Ora, quando a tutto questo s’aggiunga che nella nostra edi¬ zione la Risposta rivede la luce, restituita per la prima volta alla sua forma originale, la quale a poco a poco nel passaggio dall’ una all’ altra ristampa era stata gravemente alterata ; o che per la prima volta è distinta con precisione e con sicurezza la parte di Galileo da quella del discepolo ; noi nutriamo lidueia che, se alcuno ci accuserà di non aver fatto abbastanza, e qualche altro forse d’aver fatto troppo, i più riconosceranno che, in un caso estremamente difficile e laborioso, non ci è venuta meno la diligenza e la buona volontà. DIVERSI FRAGMENTI ATTENENTI AL TRATTATO DELLE COSE CHE STANNO SU L’ACQUA. IV. 8 Essendo la questione, se la figura operi o no circa ’1 descendere o non descendere i corpi della medesima, gravità in specie nell’aqqua, e potendo di tale varietà esserne cagione diversi accidenti, oltre alla figura, bisogna, chi bene vuol determinare circa il nostro particolare, rimuovere, nel far 1’ esperienza, tutte le altre cause che possono pro¬ da r questo medesimo effetto, lasciando ne i corpi la sola diversità di figura. Per ritrovare, distinguere e separare le cause che impediscono o no il descendere, le quali siano altre che la figura, il mezo ottimo io sopra tutti è V esaminare. L’ aqqua clic bagna la tavoletta d’ ebano, non è vero che accresca il suo peso, sì che per tale accrescimento quella vadia poi al fondo; perchè, se ciò fusse, molto più doverebbe andare se vi si aggiugnesse una falda di cera grossa quanto è un giulio, e pur si vede in con¬ trario. Che poi P aqqua nell’ aqqua non accresca peso, è manifesto ad ogn’ uno, etc. So il Colombo dicesse che la materia eletta da me fosse, per la piccolezza, non atta a far le sue esperienze, se gli domandi quello che ei vorrebbe che lei facesse, ed offerirsi che ella farà il tutto, e 20 pigliarsi obligo di farlo. Potrò offerirgli io di fare con la medesima materia ogni sorte di figura che gli piacerà, la quale descenda o no, 5. rimuovere non nel —10. è il /’ — 20 DIVERSI FRA OMENTI secondo che lui comanderà"’. E poi potrò proporre a lui un legno ordinario, e mostrargli che mai non lo farà andare in fondo, diagli che figura gli piace e bagnilo a sua voglia: anzi pigliar cera pura, che in una sottil falda non anderà, ed offerirgli che, se mai la farà andare sotto qual si voglia figura, voglio aver perso ; ciò è ridurre un pezzo di cera gialla in una falda che non vadia al fondo se non con 1’ aggiugaervi un grano di piombo, e dargli licenza che ne faccia qual si voglia figura senza quel grano, e mostrargli che mai non descenderà <2> . Mostrare con i coni che l’aria contigua alla superficie superiore io del solido lo sostiene : perchè, messo con la punta in giù, supernata, restando alla base molt’ aria contigua ; ma se si metterà con la punta all’ in su, descende. Se la tavoletta non va al fondo mediante la figura, sì che essa figura, e non altro, sia causa del non andare al fondo, chi vorrà farla andare al fondo, bisognerà che gli muti la figura : ma senza mutar figura ella va al fondo : adunque altro che la figura è causa dell’an¬ dare, o non andare, al fondo. « Se si arrendessi e dicesse di essere stato chiappato, se gli può dire che ceda alla prima scommessa, [edj offerirgliene un’ altra, facendo 20 altre figure più grandi, convincendolo con altre ragioni. fare il basso da principio, dicendo che non ci era al mondo altra materia che 1’ ebano che mi potesse far guerra, e che lui era andato a chiappar su quella, da pratico ed intendentissimo. le calzette siano di 3 colori, rosso, verde e azzurro, per aver fatto il collo a un colombo a righette. far che D. G. sappia il vanto del C. (3) . 5-G. un poco d[ij pezzo — Da * se gli domandi * a « farlo - è stato aggiunto posteriormente, con seguo di richiamo. Nonostante quest’aggiunta. TAu¬ tore non ha cancellato il tratto da « Potrò offerirgli * a « comanderà w Da « E poi * a « descenderà » è stato aggiunto posteriormente. l3) Intendi Di Grazia e Colombo. ATTENENTI AL TRATTATO ECO. 21 Aristotile 111 , al segno -f-, par che parli del muoversi più o men ve¬ loce, perchè dice che quei corpi clic scendono nell’ aqqua, meglio scien- dono nell’ aria, quanto che 1’ aria è più facile ad esser divisa ; ma per sciender meglio nell’ aria che nell’ aqqua, non si può intendere altro che scender più velocemente. Si confonde, dunque, Aristotile. Se il galleggiai^ deriva dalla resistenza dell’ aqqua all’ esser divisa, meglio galleggierà una striscia stretta di una falda che tutta la falda; perchè la divisione si fa intorno intorno al perimetro, e le ligure lunghe e strette hanno maggior perimetro che le rotonde o quadrate essendo in superficie eguali. Se ci fusse principio intrinseco e naturale del moto all’ insù, quel mobile che di tal moto si movesse, si moverebbe più velocemente ne i mezzi che meno impediscono la velocità, ciò è nell’ aria che mel- 1’ aqqua. hi che 1’ aria meno impedisca la velocità, si prova ne i moti trasversali, dove i mobili non hanno nè inclinazione uè renitenza. Se la figura ha azione nell’ andare o non andare al fondo, è ne¬ cessario che si dia qualche corpo solido il quale, sendo figurato se- G. galleggiare derivasse deriva — A questo frammento precedono, sulla medesima carta, i seguenti, che furono can¬ cellati dall’Autore: «se Aristotile avesse voluto dire elio le figure, se ben non assolutamente, al meno pel¬ acchiente, l’ussero cagione dell’andare, o non andare, in su o in giù, già elio fa menzione tanto dell’andare in su quanto dell’andare in giù, bisognerebbe die egli o gli nvver- sarii, sì come mi trovano un corpo che pel¬ li itura va al fondo, ma per la figura sta a g dia, me ne trovassero anco uno die por na¬ tura venisse a galla, ma che per la figura stesse in fondo, lo, che interpreto Aristotile bene, dicendo clic la figura non opera se non circa il veloce ed il tardo, vi trovo che essa opera egualmente nelle cose che vanno al fon¬ do ed in quelle che vengono a galla. Aspet¬ terò dunque che gli avversarli mi faccino vedere un corpo che per natura venga a galla, figurato in maniera che resti anco in fondo. * - quando Aristotile nomina l’ago, non si può dire che ei volessi metterlo per punta in aqqua, ma a diacene, perchè si ha da porlo secondo la dimensione nominata; perchè al¬ tramente, anco le falde larghe di piombo anderaimo al fondo. » « gran cosa è clic la figura non impedi¬ sca se non il moto in giù; poi che non si trova corpo alcuno che naturalmente venga a galla, ma impedito dalla figura resti in fondo. * « non è maggiore la resistenza dell* aq¬ qua, che quella [il ms.: queir] dell’aria, al- V esser diviso, perchè non è corpo alcuno che non divida 1’ una e V altra. Nè vale il dire che quei corpi che descendono per aria, la dividono più speditamente che i’ aqqua; per¬ chè, all’ incontro, quelli che ascendono per 1’ aqqua, dividono l’aqqua meglio che l’aria. Sono, dunque, atnendui egualmente divisibili. Bene è vero che 1’ aqqua forse contrasta più alla velocità della divisione. - DIVERSI FRAGMENTI 2 2 conilo una tal figura, resti a galla, die poi, ridotto in alti a figura (mantenendosi sempre l’identità di tutte le altre cii costanze), vadia al fondo ; percliè, se tutti i corpi che figurati di una figura stanno a galla, stessino anco (caeteris paribus) ridotti in tutte le altre figure, già sarebbe manifesto che. Tutte le figure e di qualsivoglia grandezza, ma non di qual si vo¬ glia materia < ”, bagnate vanno al fondo, e non bagnate non vanno: adunque non la figura o la grandezza, ma 1’ asciutto ed il bagnato o la qualità della materia n \ son cagione dell’ andare, o non andare, al fondo. Lo provo. Causa è quella, la quale posta, segue 1’ effetto, io e rimossa, si rimuove l’effetto: ma posta o rimossa la figura, e posta o levata la grandezza, V effetto non si muta, ma resta sempre l’istesso; ed, all’ incontro, posto il bagnato, ne seguita la scesa, e levato il ba¬ gnato, si rimuove la scesa : adunque il molle e 1’ asciutto sono causa del descendere e del restare a galla, e non la diversità delle figure o delle grandezze. Come diranno che una palla sia sostenuta dalla figura, se già il cerchio massimo è sotto e solamente resta scoperta piccolissima su¬ perficie ? Dui corpi che si toccano, stanno attaccati, e con difficilità si se- 20 parano : ma se tra di loro medierà qualche corpo iluido e della me¬ desima natura del resto dell’ ambiente, facilmente, anzi senza alcuna resistenza, si allontanano più, succedendo 1’ ambiente. Dirà 1’ avversario : Ecco una palla, ed una tavola, d’ebano ; e questa resta a galla, e quella descende ; adunque la figura ne è causa. Rispondo che no; ma la gravità. Provo. Causa è quella, che posta, etc.: ma sciemata la gravite, senza mutar le figure, ambedue, poste piano, resteranno, e bagnate andranno al fondo : adunque, non la figura, ma la troppa gravità, è causa dell’ andare o restare. 3. se eie tulli 9. au/ine. — 27. ma posta e levata sciemata — t 1 « ma non di qual si voglia materia * (s| < o la quulità della materia » <7 ug- lu aggiunto posteriormente. giunta posteriore. ATTENENTI AL TRATTATO LOG. 23 Considerisi a qual miseria si riducono costoro, che vogliono diro che una tavola piana non va al fondo, anzi sostiene un peso assai greve, che poi, bagnata solamente con una gocciola di aqqua, cede e si sommerge. Non era, dunque, virtù della figura, ina benefizio del- 1’ aria contigua, quel sostenere : la quale aria rimossa, benché la figura non si alteri, fa che la tavola descende. un solido egualmente grave coinè 1’ aqqua, di figura cilindrica, posto nell’aqqua, resta con la superficie superiore al livello dell’aqqua ; e spinto un poco a basso, ritorna in su, attratto dall’ aria superiore, io anzi reggerà assai gran peso : e con tutto ciò, levatogli il detto peso e bagnato solamente, va in fondo. Veggasi quanto è più vero che 1’ aria accresce leggerezza, e non P aqqua gravità, poi che un poco di aria revoca dal fondo etc. È bene che il principe abbia filosofi discordi e di sette diverse, perchè così meglio si ritrova il vero ; sì come per i medesimi è bene che i lor ministri siano discordi, ed i lor vassalli in parte ed in ni- micizie, perchè così hanno la roba la vita e lo stato in maggior sicurtà. Voi dite, o Peripatetici, che l’aqqua salsa è più crassa della dolce, 20 perchè un uovo va al fondo e penetra la dolce, ma non la salsa ; ed io, all’ incontro, dico che la dolce è più crassa che la salsa, perchè un uovo, messo in fondo della salsa, torna a galla e la penetra, il che non fa nella dolce. Qui non è fuga da scampare : perchè io vi domando la causa, perchè l’uovo ascende nell’ aqqua salsa, e non nella dolce; voi non direte altro se non perchè l’uovo è più leggiero che 1’ aqqua salsa ; ed io, all’ incontro, con la medesima ragione con¬ cluderò che ei vadia al fondo nella dolce, perchè è più grave di lei. la causa per la quale un corpo solido non viene a galla nell’ aqqua, è la medesima che quella per la quale ei va al fondo : ma la figura so non è mai causa del non venire a galla : adunque non sarà mai causa dell’ andare al fondo. 12 . avvia — 24 DIVERBI !■ RAG MENTI Essendo che la natura non si muta punto nello sue operazioni me¬ diante le consulte degli uomini, a che proposito contrastar così aspra¬ mente fra di noi per vincere una nostra particolare opinione, ogni volta che noi non ottenghiarao più, o aviamo parte maggiore, nelle deliberazioni della natura, che quello che si avessero le dispute o con¬ troversie del Magistrato de’9 nelle resoluzioni del re della Cina? Le deliberazioni della natura sono ottime, ime, e forse necessarie, onde circa di esso non hanno luogo i nostri o gli altrui pareri e con¬ sigli ; nè meno in esse hanno luogo le ragioni probabili : sì che ogni discorso che noi facciamo circa di esse o è ottimo e verissimo, o pes- io simo e falsissimo ; se è pessimo e falso, bisogna ridersene e sprez¬ zarlo, e non muoversi ad odio contro a chi lo produce ; se è buono e vero, 1’ odio contro al suo prolatore saria impietà, perfidia, sacri¬ legio. È cosa da ridere il dire che la verità sta tanto ascosta, che è difficile il distinguerla dalle bugie: sta bene ascosa sin che non si producono altro che pareri falsi, tra i quali spazia la probabilità ; ma non sì tosto viene in campo la verità, che, illuminando u guisa del sole, scaccia le tenebre delle falsità eto. Dir che non sono bagattella, più che la geografia, astronomia, etc. Oltre a tutte le ragioni addotte per dichiarare come le figure non 20 sono in modo alcuno cause del muoversi 0 non muoversi, io credo di poterne addurre ancora altra demostrativa, dependente da principio verissimo, e posto e conceduto da Aristotile e da tutti ; il quale è : Che le figure siano cause del tardo e del veloce, e più e meno se¬ condo che le saranno più o meno larghe 11 Posto questo principio, in¬ tendasi una palla, per essempio, di piombo, la quale, sì per la sua gravità, sì ancora per la figura, andrà velocemente al fondo nel- 1’ aqqua ; ma ridotta in figura piatta, se pure anderà in fondo, anderà più tardamente, e più e più tardamente quanto la sua figura si di¬ laterà più, sin che finalmente, per opinione degli avversarli, si arri- so vera a tanta larghezza, che più non descenderà, ma resterà in quiete. 1-2. mediani e i le — 5-6. controversi — 22. altra ragiono demostrativa — 29. tarila mente e. sempre più tardamente più e più — 30-31. si ridurrà arriverà — 11 l rima .aveva scritto, come si lontre eondo che le saranno più larghe, di maggior sotto le cancellature : « e che le figure, se- tardità siano cagioni >. ATTENENTI AL TRATTATO ECO. 25 Ora intendasi, il detto piombo esser ridotto alla minima larghezza potente a sostenerlo, sì che non descenda : adunque in ogni minor larghezza di questa descenderebbe, ed in ogni maggiore quieterebbe. Or sia la minima larghezza, che vieta il descendere, quella, v. g., di un palmo quadro. Di più, essendosi già dimostrato che nell’ aqqua non è renitenza veruna all’esser divisa e penetrata; ed essendo, di più, manifesto come, oltre al maggiore o minore eccesso di gravità, la figura altresì, più o meno spaziosa ed ampia, è causa della maggiore o minor tardità ; io potremo con altro metodo ancora venire a dimostrare come la lar¬ ghezza della figura non può in conto alcuno esser cagione di quiete in quei corpi solidi, li quali per P altra causa, ciò è per la loro gra¬ vità, in figure più raccolte vanno al fondo. lib. V, cap. 25 afferma di sapere che il piombo in aria è più grave del ferro ; ma se anco nell’ aqqua, dice che lo crede ; e lo prova, perchè i pescatori metton piombo e non ferro alle reti, e gli scandagli si fanno di piombo e non di ferro. E non comprende che se un corpo è più grave di un altro in aria, molto più sarà in aqqua ; sì che due corpi, uno di ferro 20 e P altro di piombo, che in aria pesassero egualmente, in aqqua il piombo peserà molto più che il medesimo ferro. Più a basso, dice che non si potendo conoscer con la bilancia alcune differenze minime, come se il pallone gonfiato pesi più che sgonfiato, dice che, per venir in cognizione di simili differenzio minime, bisogna venire a esperienze più esatte che quelle della bilancia, e ne insegna 3 : la prima è la velocità del moto ; la 2®, il descrivere una linea più propinqua alla perpendicolare che va al centro del mondo ; la 3“ è il dar maggior percossa. Vedendosi, dunque, tutto ’l giorno manifestissimamente che i palloni gonfi cascano con maggior impeto che sgonfi, e molto più a so perpendicolo, che sono segni ottimi di gravità, ed, in oltre, che più 1. alla minor minima — 6. dimostrato conte che — 6-7. renitenza alcun[a] veruna — 19. molto jm — W La citazione si riferisce all’ opera Fiorentino, apud Bartholomaeum Sermartel Fiianoisoi Bonamici, De motu libri X etc., lium, MDXCI, pag. 485 B. IV. 4 DIVERSI FRA CIMENTI 26 dirittamente si tirano per 1’ aria, ragioni perche 1’ uova, i mattoni o séguita etc. Cerca poi di render ’1 pane pesino più cotti die crudi. Non est latitudo figurae causa cur non descendant solida, sed al- titudo. Si enim cubus, v. g., plumbeus conficiatur minimus omnium descendentium, quaecunque latissima tabula descendet, dum non mi- norem habuerit profunditatem lateris unius dicti cubi. Non ci vuol forza nissuna a fender 1’ aqqua : di die ci danno certo argomento le minutissime particole di terra che la intorbidano, le quali in 4 o 6 giorni calono a fondo. La resistenza, dunque, si trova alla velocità del moto, e non al moto. io Se la figura fusse causa del non descendere, non doveria descen¬ der mai, sin che tal causa fusse presente : ma la medesima tavoletta descende : adunque non era la figura causa del non descendere. Se Aristotile avesse voluto dire che la figura non sia causa sim- plidter, ma per accidens, del muovoi'si o non muoversi, non occorreva che egli dubitativamente proponesse, per qual cagione le falde di ferro o piombo, larghe e sottili, non doscendino ; ma bastava, con parlare continuato, dire che la figura era causa per accidens del non descendere in quei corpi che per se et simpliciter descendunt. L’ esperienza ci mostra come tutti i solidi che noi dimandiamo 20 continui, parte si possono discontinuare 0 col pestargli in polvere 0 col limargli 0 col fuoco, come le pietre etc., o con acque, come Toro e 1’ argento con acqua da partire, etc. : adunque, 1’ acqua ancora si doverebbe poter discontinuare : il che non si può fare, ma ben più presto s ; indurisce in ghiaccio, etc. L’ acqua penetra per infinite sustanze di meati angustissimi : adun¬ que è discontinua. Il continuo si muove tutto, 0 gran parte, al moto d’ una parte ; e del discontinuo se ne può muovere minima parte : ciò avviene al- 1’ acqua : ergo [etc.]. 30 2. l’uuova 4-5. conficiatur maximum minimus omnium non descentlcntium — 5. tabula non descendet 14. Aaristotile — 15. dell’ muoversi —19. per se descendunt et — ATTENENTI AL TRATTATO ECO. 27 Quello che non ha resistenza ninna all’esser diviso, è già diviso : tale è qualsivoglia parte dell’acqua: ergo [etc.]. È credibile che più saldamente stiano congiunte insieme le parti del continuo che del contiguo, ed, in consequenza, che ’l continuo in # discontinuarsi si relassi, ed il contiguo nel continuarsi si attacchi : a questo 2° accidente son sottoposte le parti dell’ acqua, ed all’ altro no : ergo etc. Quello che è di parti continue, difficilmente si adatta a ricever tutti i termini, ed, all’incontro, facilmente il contiguo: l’acqua è tale: ergo [etc.J. io II Colombo, intento solamente al contradire, non potendo op¬ porr’ altro alle cose da me dimostrate e necessariamente concluse, si riduce a dir che io burlo, nò le credo. Se il Galileo creda o non creda quello che ha scritto, non so io ; ma so ben che lo scritto è vero, e che se egli avesse voluto scrivere il vero, non 1’ arebbe scritto in altro modo. Nè credo che s’ e’ volesse non creder quello che ha scritto, e’ potesse far di meno. E, più, credo che, volendo burlare, non potrebbe dir se non il contrario ; e pur che non burliate voi, nel mostrar di non crederle. Causa è quella, la quale posta, seguita l’effetto ; e rimossa, si ri- ‘M muove 1’ effetto. Ora, una palla di piombo va al fondo ; fatta in forma di catino, non va : domando la causa del non andare. Non si può dire che sia la forma o figura, perchè mettendola sott’ aqqua, non si ri¬ muove la figura, e pur va al fondo ; ma ne è 1’ aria, perchè rimossa l’aria, va al fondo. Dicasi dunque: Nella scodella o catino la causa i del non descendere è quella, la quale rimossa, ne seguita la scesa : ma rimossa 1’ aria, senza mutar la forma, seguita la scesa ; ma non ne seguiterebbe già se, mutata la forma, non si rimovesse 1’ aria : adunque 1’ aria, e non la figura, è causa del non andare al fondo. Non è la figura che faccia scendere o no, poi che la medesima so figura ora scende od ora no. Non è il medesimo solido quello che voi mettete nell’ aqqua ; ma è composto con una parte di aria, la quale si dove rimuovere. 21. catino sta a galla non va — 31 *-32. ma et composto — 28 DIVERSI FRAMMENTI Voi non lo locate nell’ aqqua, ma parte in aqqua e parte in aria. Per accertarsi di quanto operi la figura, bisogna rimuover tutte le altre cause che possono far tal diversità ; e questo si farà col pi¬ gliare una materia per sua natura, in quanto appartiene al peso, in¬ differente all’andare, ed al non andare, al fondo, ciò è più simile in gravità all’ aqqua che sia possibile : e vedrassi che questa in tutte le figure si mostrerà nel medesimo modo indifferente all’ andare, ed al non andare, al fondo. « La lama sottilissima di piombo, quando supernata, non è nell’ aqqua, ma parte nell’ aqqua e parte nell’ aria ; e la scrittura dice che la io figura non opera, circa P andare o non andare al fondo, nell’ aqqua, e non nell’ aqqua con P aria appresso. l)i più, la scrittura parla circa il descendere o non descendere : se, dunque, la tavoletta descende, basta. Si possono far palle di ogni materia che vadino e non vadino al fondo, col farle piccole. Una palla di piombo di 3 oncie, messa nell’ aqqua, va in fondo senz’altro; schiacciata in una sottil falda, galleggia : adunque la figura è causa etc. Questo è P Achille degli avversarli. Rispondo che la falda ancor lei va al fondo, come la palla, quando ella sarà il solo piombo, 20 come è quel della palla. Rispondono, il congiugnersi con P aria esser virtù della laida, e però dependente dalla figura : ed io replico, la laida non esser alti’O che 3 oncie di piombo figurato in una lamina piana, la quale, mentre averà congiunta certa quantità d’ aria, gal- leggerà, ma toltagli 1’ aria, andrà in fondo ; e, più, dico che, se della medesima falda si farà una palla con la quale possa congiugnersi e rimuoversi una tal quantità d’aria, galleggerà quando P avrà con¬ giunta, e si sommergerà quando sarà senza ; ed averemo 3 oncie di piombo figurato in torma di palla, che starà a galla ed andrà in fondo nel medesimo modo e per le medesime cause appunto che 30 la falda. 1. lo ma tifo te] locate —18. altro atinc[ciata] schiacciata ATTENENTI AL TRATTATO ECC. 29 Quando la falda va in fondo, che alterazion ricev’ ella, diversa dalle circostanze che l’aveva quando galleggiava? non altro se non la separazion dell’ aria : che, quanto alla figura, resta l’istessa. Così la palla concava, nient’altro riceve nel profondarsi, che la remozion dell’aria: adunque l’istesso accade alla palla, che alla falda. Se quando ci vengono assegnate 3 onde di piombo per uno, e voi figurate il vostro in una falda che galleggia e va poi anco al fondo, io del mio farò una palla che galleggi e anco poi vada al fondo per le medesimo cause per 1’ appunto che la vostra falda, non io potete dir che la figura operi cosa alcuna circa tal fatto. 30 diversi frammenti Molte sono le cagioni, Serenissimo Signore, por le quali io mi son posto a scrivere diffusamente sopra la controversia che li giorni pas¬ sati ha dato assai che ragionare a molti. La prima, e più efficace di tutte le altre, è stato il cenno dell’Altezza Vostra, ed il laudare che la penna sia unico rimedio per purgare e secernere lo schietto e con¬ tinuato discorso dalle confuse ed interrotto altercazioni : nelle quali coloro massime che difendono la parte falsa, ora strepitosamente negano quello che dianzi affermarono, ora, stretti dalla forza dolio ragioni, s’ ingegnano, con divisioni e distinzioni improprie, con cavilli e strane interpretazioni di parole, di assottigliarsi o scontorcersi tanto io che sguittischino e scappino altrui dalle mani, non si peritando punto di produr mille chimere e fantastichi ghiribizzi, poco intesi da loro e niente da chi gli ascolta; onde le menti, confusa ed oscuramente traportate d’uno in altro fantasma, quasi sognando trapassano d'un palazzo in un navilio, quindi in un antro o in una selva, e lilialmente, al primo aprir degli occhi svanendo i sogni e per lo più la lor me¬ moria insieme, si trovano avere oziosamente dormito, e senza nissun guadagno trapassate le ore. La seconda cagione è che io desidero che l’Altezza Vostra resti pienamente e sinceramente ragguagliata di quanto è seguito in questo 20 proposito : perchè, portando così la natura delle contese, quelli che 1- Serenissimo Principe] Signore — 2. scrii-ere ed assai diffusamente — 8. molti tra La — piu di tutte le altre efficace - 7. difendono il falso la ~ 10. e «travolgersi scontorcersi - 11. che ’T 18C in ° 6 8Ca PP^ no alalie mani sguittischino — Yò. menti confusamente confusa —- lc-14. oscuramente quasi clic in sogno importale - 18. guadagno aver trapassate — 21. con- ATTENENTI AL TRATTATO EOC. 81 per loro inavvertenza si inducono a voler sostener il falso, più altn- mente strepitano, e più ne i luoghi pubblici si fanno sentire, che quelli per i quali parla la verità, la quale, se bene con più tempo, con quiete tranquillamente si svela e si denuda ; onde io posso sti¬ mare che, sì come per le piazze, ne i tempii ed altri luoghi publici, molto più frequenti sono state le voci di quelli che dissentono da quanto io asserisco che de gli altri che sentono meco, così ancora si siano in corte i medesimi ingegnati di farsi adito alla credenza col prevenirmi con loro sofismi e cavilli, li quali spero che siano per io dispergersi ed andare in fumo, se però avevano appresso di alcuno trovato orecchio ed assenso, come prima sia stata letta considerata- mente questa mia scrittura. Ho, nel 3 ° luogo, stimato ben fatto il non lasciare questa difficultà irresoluta : nella quale, sì come la parte falsa ebbe da principio quasi appresso di ogni persona faccia e sembianza di vero, così potria ancora con la medesima apparenza seguitar d’ingannar molti ; onde in occasione di qualche momento supponendo chi che Ria falsi assiomi per veri principii, incorresse in errori non leggieri. Finalmente, sendo io stato dall’A. V. eletto per Matematico e Filo- 20 sofo della persona sua, non devo tollerare che l’altrui malignità, invidia, o ignoranza che si sia, o pur tutte tre insieme, stoltamente insultino contro alla sua prudenza, abusando l’incomparabile sua beni¬ gnità ; anzi reprimerò io sempre, e con pochissima fatica, ogni loro arditezza, e ciò con lo scudo invincibile della verità, dimostrando che quanto io ho sin qui asserito è stato sempre ed è assolutissimamente vero, e che in quello che io mi allontano dalle comunemente ricevute opinioni peripatetiche, ciò non mi accade per non aver studiato Ari¬ stotile o per non aver così bene come loro intese le ragioni sue' 1 ’, ma perchè ho più ferme demostrazioni ed evidenti esperienze che le loro so non sono ; e nella presente differenza, oltre al mostrare il modo che io tengo in studiare Aristotile 12 ’, farò palese se io ho così bene intesa 1. ai sono indotti inducono — sostener la parto falsa il — A. e. denuda si —11-12. letta o considerata consideratamente —- 14. principio faccia o sembianza di vero quasi — 16. appa¬ renza ingannar seguitar —19. per suo Matematico — 23. e ciò con — 25. sempre assolutissi- ìnamente ed e — 28-29. ma solo perché — W Le parole «studiato Aristotile o per Aristotile», non aver» sono aggiunte in margine; e in W Da «oltre* ad «Aristotile» è ag- luogo di * sue * aveva prima scritto « di giunto in margine. 32 DIVERSI FRAGMENTI la sua mente, col leggerlo 2 o 8 volte solamente, come alcuno di loro, al quale per avventura è stato poco il leggerlo cinquanta tiate ; e poi mostrerò se forse lio meglio che Aristotile" investigate le cause eie ragioni di ciò che è materia e soggetto della presente contesa ltJ . Convennemi <3> , pochi giorni sono, replicar la medesima conclusione: e l’occasione fu che, ragionandosi in un cerchio di gentiluomini delle quattro prime qualità, uno professore di filosotia disse cosa che è 1. come alcuni di loro a i quali alcuno — 9. disse quello casa W Da « col leggerlo » a « se forse ho » ò aggiunto marginalmente. Prima aveva scrit¬ to, come si distingue sotto le cancellatimi : « farò palese so io ho meglio che loro intesa la sua mente, e poi meglio che Aristotile ». (2) Qui si legge sotto lo cancellature quanto segue: * Io ho pensato, in questa mia scrittura esser bene di non nominare alcuno de i miei avversarli; non perchè io nou gli stimi ed apprezzi, sondo vero tilt l’opposito, ma perchè mi è pervenuto ; l’orecchie, che essi, qualunque se uè sia causa [le parole « qualunque.... causa » so aggiunte in margine], non hanno caro c le cose loro si pubblichino e faccino pali al mondo; onde io, non potendo celar cose, celerò loro, che tanto importa. Oli che, se accadeva che io ben risolva ogni le argomento e che io irrcfragabilmente cc eluda, come io spero [« come io spero » aggiunta interlineare], a favor della ir proposizione, credo che non gli dispiaci’ eli io gli abbia [c7i J io gli abbia invece Vavergli io, cancellato] taciuti; ma se r verrà in contrario, saranno per sè medesi a tempo sempre a nominarsi, ributtando redarguendo i miei paralogismi; di che , avero io [segue cancellato sempre ] obligo pi ticohmsenno, bramando non di trionfare d miei avvemirii, ma solamente che la ver trionfi sopra la bugia. » * Pri T dÌ f qUest0 e in cor muta a quello riferito nella nota preceden legges, cancellato il tratto che segue, il qu , congiungerebbe benissimo il primo e il conilo frammento del testo: . 1 0 B0 0 h e l'A benissimo si ricorda, come quattro anni fami occorse alla presenza bua eontradire al parer di alcuni ingegneri, per nitro eccellenti nella professimi loro, li quali, nel divisare il modo di contessere una larghissima spianata di legnami, la quale, aiutata dalla propria leg¬ gerezza del legno e da gran moltitudine di vasi, pur di legno ma concavi e pieni di aria, sopra i quali, già sottopostigli in aq- qua, la detta spianata riposasse, facevano gran capitale dell’ aiuto, il quale si pro¬ mettevano dall’ampiezza della superficie, la quale, distesa aopra larghissimo campo di aqqua, speravano che funse per dovere e poter sostenere, senza sommergersi, il dop¬ pio o ’1 triplo piu [i7 doppia o *l triplo più invece di astai più, cancellato] di peso, che il computo minuto e particolare, raccolta se¬ paratamente da i detti vasi tavole o travi, non dimostrava loro. Sopra della qual cre¬ denza io dissi, che non bisognava far capi¬ talo che quella macinila, ancor che spazio¬ sissima, fusse per sostenere niente di più di quello clu* .sosterrebbero le «ut* parti dis¬ giunte e separate, o in altra machina, di qual si volesse altra forma, riunite; conclu¬ dendo io generalmente, che la figura noti poteva essere di aiuto o disaiuto a i corpi solidi nell andare o non andare al fonda nell aqqua*. Il luogo che l’A ut ore avrà so¬ stituito a questo cancellato si leggeva forse su di un ioglicttino ch’era incollato sul mar¬ gine della carta, ma del quale non è rimasto che un brandello, contenente parole e fram¬ menti di parole, senza che possa ricavarsene senso veruno. ATTENENTI AL TRATTATO ECC. 33 assai trita per le scuole peripatetiche, ciò è che era operazione del freddo il condensare ; ed addusse per esperienza di ciò il giaccio, affermando quello non essere altro che aqqua condensata. Ma io per modo di dubitazione gli dissi, che più presto era da dirsi, il giaccio esser aqqua rarefatta ; perchè, se è vero che la condensazione apporti maggior gravità e la rarefazione leggerezza, già che veggiamo il giaccio esser mon grave dell’ aqqua, doviamo credere che egli sia altresì manco denso : e gli soggiunsi che dubitavo che egli non avesse equivocato da denso a duro, e che avesse voluto dire, il giaccio esser io più duro che 1’ aqqua, e non più denso, sì come 1’ acciaio è più duro, ma non più denso, dell’ oro' 11 . Negò di subito il filosofo che il giaccio fusse men grave dell’ aqqua, ed affermò il contrario ; ed io soggiunsi, ciò esser manifestissimo, perchè il giaccio supernata all’ aqqua. Ma io sentii subito in risposta dirmi, che non la minor gravità del giaccio era causa del suo galleggiare sopra 1’ aqqua, essendo veramente più grave di essa, ma sì bene la sua figura larga e sparsa, la quale, non potendo fender la resistenza dell’ aqqua, lo tratteneva di sopra. Ma io doppiamente gli risposi : e prima dissi, che non solo le falde larghe e sottili, ma (21 qualunque pezzo di giaccio e di qualunque figura 20 restava a galla nell’ aqqua ; e poi gli soggiunsi che, se fosse stato vero che il giaccio fusse veramente più grave dell’ aqqua, ma che presone una larga e sottil falda ella non si demergesse, sostenuta dalla sua figura inetta al penetrar la continuazione dell’ aqqua, ei poteva provare a spigner con forza la detta falda nel fondo, lascian¬ dola poi in libertà ; che senz’ altro averia veduto risurgerla e tornare a galla, penetrando e dividendo all’in su quella resistenza dell’aqqua, la quale, aiutata anco dalla sua gravità, non poteva dividere descon- dendo. Qui, non si potendo replicare altro (; ", volse oppugnar la mia dimostrazione con un’ altra esperienza ; e disse che pur aveva mille ao volte osservato che, percotendosi la superficie dell’ aqqua con una spada di piatto, si sente grandissima resistenza nel penetrarla, dove 1(). grave dciraqqua di essa — 20. poi che gli — 24-25. fondo dell’aqqua lasciandola — 31. si sentiva sente — penetrarla ma dove — 0) Da «e gli soggiunsi* Tino a - oro- (3) Qui segue, e fu poi cancellato: * e è aggiunto in margine. convenendo pure alla gravità disputatoria 15) J je parole - non solo.... ma» sono ag- lo star saldo ed immobile in quello che una giunte marginalmente volta si ò pronunzialo *. iv. 5 34 DIVERSI FRAGMENTI all’incontro il colpo per taglio senza intoppo alcuno la divido e pe¬ netra. lo gli scopersi la seconda sua equivocazione" , con dirgli che egli trapassava in un’ altra questione, o che altro era il cercare se le diverse figure faccino varietà circa il muoversi o non muoversi assolutamente, ed altro il cercare se apportino differenza nel muoversi più o meno velocemente: soggiungendogli che bene è vero che le figure larghe lentamente si muovono, e lo sottili, «lolla medesima materia, velocemente, onde la spada nel muoversi ili piatto veloce¬ mente trova resistenza maggioro nell’incontrar l’aqqua, che moven¬ dosi con pari velocità per taglio ; ma non può già la figura piatta io proibire l’andare al fondo a quei corpi solidi li quali, figurati in altra forma, vi vanno : od in somma gli conclusi il ragionamento con questa proposizione: Che un corpo solido il quale, ridotto in figura sferica o qualunque altra, cala al fondo nell’ aqqua, calerà ancora sotto qualunque altra figura ; sì che, in somma, la diversità di figura, ne i corpi solidi della materia medesima, non altera circa il descendere o non descendore, ascendere o non ascenderò, nel- l’istesso mezo. Partissi il detto filosofo ; ed avendo ripensato sopra tal proposi¬ zione, e con altri studiosi di filosofia conferitala, venne, passati 20 o giorni, a ritrovarmi, dicendomi che, avendo discorso con alcuni amici suoi circa questo particolare, aveva incontrato tale, a cui ba¬ stava 1’ animo di contender meco sopra tal questiono, e con ragioni e con esperienze farmi toccar con mano la falsità della mia propo¬ sizione. Io, come desideroso d’imparar da ogn' uno, risposi elio averei pei favore 1 abboccarmi con questo amico suo per discorrer circa questa materia. Accettato da 1’ una e dall’ altra banda il partito, con¬ venimmo del luogo e del tempo : il che non fu però da la parte osser- vato > Anzi 110,1 P ur non comparse il destinato giorno, ma nò per molti appi esso. Ma ciò poco saria importato : se non che questo secondo -io 1 osofo, in cambio di abboccarsi ineco e farmi veder sue ragioni ed esperienze, si messe in molti luoghi publici della città a mostrare 0 ian moltitudine di persone alcune sue palle e tavolette, prima «li 8-9. velocemente. u-J, ! ^ *’ Cfuul ,c (i - l>c " c Pra •' — 7. si movevano muovono — « che le — 16. mcteria — 27 altra ' V * m I>e«lire proibire - 15. la figura diversità - _~ C binila — 32. città e a gran moltitudine di persone , di grazia cessino gli avversarii di attribuire 20 il supernatare dell’ ebano alla figura dell’ assicella, poi che la resi¬ stenza dell’aqqua è V istessa tanto all’in su quanto all’in giù, e la forza del noce al venire a galla è minore assai che la forza dell’ebano all’ andare al fondo <2) . Anzi, di più, dico che, se noi considereremo 7. legno il quale nell’aqqua venga dal fondo alla del — IO. desccndendo che V altro legno ascendendo che — 1 6 . per la il — 17. figura inetta a — 23. minore assaissimo assai — 23-24. ehinio o del piombo all : — • 1) « sì come.... e troveremo * è aggiunto in margine. (1) Qui segue sotto le cancellatimi: « Anzi non pur vedremo questo, ma, di più, se noi piglieremo il gravissimo metallo, circa venti volte più grave dell’aqqua [segue cancellato il quale |, una palla del quale vclocissinia- mento e con grandissima forza va al fondo, ed, all’ incontro, prenderemo cera pura o altra materia uien grave dell’aqqua manco di uno per cento, sì che con grandissima tardità e con minima forza una palla di tal materia venga dal fondo a galla, potremo fare una sottil falda di oro, la quale, posata sopra l’aqqua, resti senza dcscendere, ma non si farà già una quanto si voglia sotti! falda di cera o dell’altra materia, la quale resti mai al fondo. Non è, dunque, la figura causa del supernatare nell’ebano o nell’oro. Non è, dunque, la figura assoluta cagione del ATTENENTI AL TRATTATO ECC. 39 1’ oro in comparazione dell’ aqqua, troveremo che egli la supera quasi venti volte in gravità ; onde la forza e 1’ impeto col quale una palla di oro va al fondo è grandissimo : all’ incontro, non mancano materie, come la cera schietta ed alcuni legni, le quali non cedono nè anco uno per cento in gravità all’ aqqua; onde il loro ascendere in quella è tardissimo, e due mila volte più debile che l’impeto dello scender dell’ oro : tutta via una sottil falda di oro galleggia, senza descendere al fondo, ed, all’ incontro, non si può fare una falda di cera o del detto legno, la quale, posta* nel fondo dell’ aqqua, vi resti senza aseen- 10 dere. Or, se la figura può vietare la divisione ed impedire la scesa al grandissimo impeto dell’ oro. come non sarà ella bastante a vietar la medesima divisione all’ altra materia nell’ ascendere, dove ella non ha appena forza per una delle due mila parti dell’impeto dell’oro? Ma per quelli che sono un poco duri a intender ciò che importi 1’ unione ed il contatto esquisito di 2 superficie, parendogli ridicolo 20 che 1’ aria, quasi con virtù magnetica, col semplice contatto sostenga la sottil falda di piombo, io voglio con un’ altra esperienza tentar di rimuovergli simil difficoltà. Piglisi un paio di bilancie, con i loro scudi piani, in amendue de i quali si pongliino pesi eguali, sì che faccino il perfetto equilibrio : è manifesto che, mettendosi una delle lance nell’aqqua, lasciando l’altra nell’aria, questa dell’aria graverà più e solleverà 1’ altra, che, per esser nell’ aqqua, verrà alleggerita, ine- 1. aqqua ved[remo| troveremo 6. tardissimo e debolissimo e — 0. quale resti nel f[ondo| posta — 13. forza che per — 18. intender quello ciò — 11). parendogli o per ciò ridicolo — 2]. io glielo voglio far toccar con mano con — 23. ponghino 2 pesi — 24. equilibrio ed k — che chi mettesse mettendosi — 25. aria che questa — 25-26. aria graverebbe graverà più c solleve¬ rebbe solleverà — 20. che esse[ndo'] per — aqqua vorrebbe verrà — supernatare nella tavoletta di ebano [prima aveva scritto nelVebano\ poi che la medesima figura va anco al fondo; nò meno è la figura con l’intervento della resistenza dell’aqqua all'esser divisa, poi clic simili figure col mede¬ simo intervento dividono V aqqua ascenden¬ do: adunque bisogna concludere che altro ag¬ giunto, non posto da Aristotile nò da gli av¬ versami, bisogni congiugnere con la figura, per faro che la tavoletta di ebano galleggi. * 40 DIVERSI FKAOMENTl diante la gravità di essa aqqua in relazione all’ aria. Ma io non vo¬ glio che ei tuffi la detta lance sotto 1’ aqqua, ma che solamente faccia che la sua inferior superficie tocchi la superficie dell’ aqqua ; cominci poi ad aggiugner peso all’ altra lance, che pende in aria : e vedrà che, abbassandosi questa, 1’ altra si solleverà, ma seguita da 1’ aqqua sua contigua, la quale, avanti che si separi dal piano della lancisi alzerà quanto ò una costa di coltello, e resisterà al peso di molti e molti grani e carati che si aggiugneranno all’ altra lance ; sin che finalmente il peso dell’ aqqua sollevata e la compressione dell’aria am¬ biente sciorranno la continuazione delle due superficie, nel quale scio-io glimento 1’ altra lance aggravata darà un gran tracollo. Simile ap¬ punto appunto è il contatto dell’ aria con la superficie supcriore della laminetta o tavoletta di ebano, ed in simile maniera l’aria segue, oltre i confini dell’ universal superficie dell’ aqqua, la superficie di essa tavoletta, la quale sotto i detti confini si avvalla : o sì come chi vo¬ lesse affermare che i pesi della lance posta in aria non contrappesas- sero altro che il primo peso che fu posto nell’ altra lance, e che non 1’ aqqua aderente, ma la figura, la ritenesse da 1’ esser sollevata da la giunta de i nuovi pesi dell’ altra lance, e volesse pur sostenere che altro peso non si contrappesasse che il primo ingravito non dall’aqqua 20 ma dalla figura (,) , direbbe una sciocchezza; così appunto il dubitare se 1’ aria, che dentro all’ arginetto dell’ aqqua sta congiunta con la tavoletta, accresca leggerezza all’ebano, e so quello che in questo atto si adopera sia il semplice ebano, o pur si pesi, per così «lire, 1’ ebano con di molta aria, è proprio una leggerezza. Pongasi, dunque, il puro ebano iu aqqua, conforme al nostro detto :i! , e non un composto d’ebano e di aria, e vedrassi la verità della mia conclusione : che pur dovriano saper gli avversami che tanto per appunto resiste e, per così dire, pesa l’aria all’in giù nell’aqqua quanto l’aqqua all’in su nell’ aria, e l’istessa fatica ci vuole a mandare sott’ aqqua un pallone pien d’aria, che ad so alzarlo in aria pieno di aqqua <:t> . lo prego in cortesia alcuno degli avver¬ sarli a dirmi, qual giudizio averiano fatto di me, se, quando fusse nata tra noi contesa se più facilmente si solleva in aria una palla 5. solleverà da l’aqqua ma— "I Da - e volesse, a . figura» è aggiunto giunto in margine m margine. l» j)a « chè pur dovriano oonlorme al nostro detto * è ag- è aggiunto in margine. (*) ad • aqqua * ATTENENTI AL TRATTATO ECO. 41 di piombo die la medesima materia ridotta in una sottilissima e lar¬ ghissima falda, io avessi tolto a sostenere che più facilmente si sol¬ levasse la palla che la falda ; e che poi, per giustificazione della mia parte, io mettessi 1’ una e 1’ altra figura nell’ aqqua, sospendendo la palla con un filo ad uno de i bracci della bilancia che fosse in aria 11 ’, aggingnendo poi tanto peso nell’ altra lance che tirasse fuori del- P aqqua la detta palla e la sollevasse in aria, bisognandovi per ciò, v. g., trenta oncie di peso ; e che similmente, legata la sottilissima falda con 3 fili, sì che stesse parallela all’ orizonte, io la mettessi nel¬ lo 1’ aqqua, e che, aggiugnendo peso all’ altra lancie, vi bisognassero 40 oncie per sollevarla, mediante la gran quantità di aqqua che se¬ guiterebbe il contatto della sua ampiezza : vorrei, dico, sapere se, escla¬ mando io di aver con tale esperienza provato che veramente la falda pesasse più della palla' 25 , ei mi stimerebbero altro che un solenne pazzo, e massime quando io pur volessi con pertinacia sostenere che il tirarsi dietro molt’ aqqua, come effetto della larghezza della figura, non si avesse da rimuovere dalla mia esperienza (8) , e che se la palla non se ne tira lei se non pochissima u> , suo danno, e che, di più, con sì leggiadra invenzione io andassi per le piazze cantando il mio trionfo. Io credo 20 che, per lor modestia e per la minima mia vergogna, tiratomi da canto per il lembo del mantello, mi direbbono all’orecchio: « Taci, scioccuzzo; che noi parliamo del sollevare in aria, e non mezzo nell’ aria e mezo in aqqua ; e parliamo del sollevare una palla di piombo ed una falda pur di altrettanto piombo, e non una tal falda con dieci volte tanto di aqqua » : e quando finalmente pure io persistessi nella medesima per¬ tinacia, si riderebbero loro ancora, insieme con gli altri, del caso mio. 1. che il medesimo piombo ridotto la — 2-3. sollevasse una la - 8. legata poi la — 14. mi reputerebbero] stimerebbero — 15. e tanto più massime — ve lessi — 16. come pure effetto della lìgufra] larghezza — 17. non se la ne — 20. vergogna tirandomi tiratomi — 24. di piombo altret¬ tanto — con quattro dieci volte dieci — < ! > -che fosse in aria* è aggiunta mar¬ ginale. W Da - esclamando * a - palla » c ag¬ giunto in margine. iv. W Da •* non si avesse » a « esperienza * è aggiunto in margine. - se non pochissima » è aggiunta mar¬ ginale. o 42 DlVmSl l'K.UiMKNTI Ma'”, prima che io passi più avanti, voglio ohe consideriamo come Aristotile, dopo aver proposto o detto olio le figure non sono cause del semplice andare, o non andare, in su o in giù, ina solamente dell 5 andar tardo o veloce, propone una dubitazione: - Onde è che le falde larghe di ferro, ed anco di piombo, nuotano sopra 1 ’aqqua; il che non fanno, benché minori e men gravi, se saranno rotonde o lunghe, come, per esempio, un ago, le quali vanno al fondo » : dove poi, nell 5 assegnar la causa di questo effetto, pare ad alcuni de’suoi io interpreti e, per quanto i 5 stimo, a gli avversami, che Aristotile in¬ troduca la figura, impotente, per la sua larghezza, a fendere la re¬ nitenza della molta aqqua che ella incontra ; dal (piai luogo, per mio avviso, vogliono dedurre che Aristotile attribuisca alla figura la causa del supernatare una lamina di piombo che per la naturai gravità, fatto in altra figura, anderebbe al fondo. Ma se questo è. ha Aristo¬ tile detto, nel principio del capitolo, apertamente che le figure non son [cau]se dell’ andar semplicemente, o non andare, al fondo, etc.; bisogna [che] gli avversami, o confessino che Aristotile si contradica, dicendo [che] le figure non son cause del supernatare ed a canto a 20 canto affcrm[ando] che la figura sia causa del supernatare la falda di piombo ; 0 c[onfes]sino che egli non attribuisca la causa del su¬ pernatare alla figfura] della falda; 0 vero che il senso della prima e principal propo[sizio]ne non sia quello che par che le parole suonino. 7. aqqua ma non già il — M Immediatamente prima di quest o fram¬ mento si legge, sotto le cancellature, quanto segue: «loro s'ingegnano di sostenere e pun¬ tualissi mani ente propone per vera conclu¬ sione quella die propongo e mantengo io. Ecco le sue precise parole : Le figure non son causa del muoversi assolutamente, o non muoversi, in su o in giù, ma sì bene del muo¬ versi più velocemente o più tardamente; e per quali cagioni ciò accaggia, non è difficile il ve¬ derlo. Io non saprei in qual maniera si potesse piu chiaramente dire quello che io affermo, ed escludere quello che vogliono sostenere gli avversarli; nò posso a bastanza meravi¬ gliarmi come non s : siano peritati di produr luogo tale come favorevole alla loro opinione. Gran sogno di immensa lame | prima Galileo aveva scritto fame immensa]. V indursi a ci¬ barsi di veleno; e non minore indizio (li bra¬ mosità di contradire, il ricorrer per aiuto all’attestazione di chi depone a tuo disfavore aperto. Orsù, venghino pure in campo i ca¬ villi. e le trasposizioni, c gli stravolgimenti delle parole, con le solite distinzioni buone a chiuder la bocca a quei miscredi li quali, per mantenersi in credito (V intender quelle risposte che, per non contener niente, sono inintelligibili ad ogn’uno. gli prestano 1 as¬ senso, contentandosi più presto di perder [prima Galileo aveva scritto di penici' più presto] la lite, che dopimene appresso 1* uni¬ versale di persona di presta intelligenza-. ATTENENTI AL TRATTATO KCC. 43 Che Aristotile si eon[ tra (dica, attorniando e negando la medesima cosa nell’ istesso luogo e [capitolo], so che gli avversarli non son per con¬ cederlo mai; se concedessero che ad altro elio alla figura attribuisse Ari¬ stotile la causa del supernatare [che] fa la lamina, già il testo e l’auto¬ rità da loro prodotta gli sar[eb]be, per loro confessione, direttamente contro: resta dunque per l[oro] refugio che la prima proposta di Ari¬ stotile sia capace d’ interp[re]tazione e senso tale, che non escluda la figura dalle cause [del] supernatare alcuno de i corpi che per lor natura anderebbono e v[anno] al fondo. E qui credo che mi diranno c[he] il jo vero e germano sentimento delle parole di Aristotile è che [la] figura non sia semplicemente ed assolutamente causa del muoversi, [o] non muoversi, in su o in giù, ina che ben sia causa secundum ciò è in un certo modo o secondo qualche rispetto, sì che in ett] etto] la particola simplidter si abbia a congiugnere con la causa, e [non] col muoversi o non muoversi; di maniera che l’intenzione d[i] Aristotile sia stata tale: La vera e semplice causa dell’andare, o n[on] andare, in giù o in su, ne è la gravità o leggerezza, e non la figu[ra] ; ma la figura è ben ca¬ gione coadiuvante ed in un certo modo co[ope]rante in tali effetti, etc. Or qui mi nascono diversi dubbii e d[ittì]coltà, per le quali mi pare che 20 le parole non siano in conto alcuno cajpaci] di simile costruzione e sentimento. E le difficoltà son queste . con tanto progiudizio della sua dottrina e reputazione, cose tanto aliene dalla sua intenzione e dal vero insieme. Finalmente, io starò con gran desiderio attendendo di sentire come gli avversarli siano per poter sostenere la interpretazione, eh’ e’ danno so alle parole di Aristotile, per vera e reale, e più la dottrina salda e 5. prodotta sarebbe per loro confessione direttamente contro di loro r/li —17. madie la —- 18. coadiuante. — 29-30. la loro interpretazione ch } c' danno delle alle parole — 9) Dopo * qui » si legge, cancellato, quanto appresso: ■* ricorrendo all* àncora sacra del simplidter et secunduut quid, di tanta virtù che può liberare i na[vi]ganti da ogni tem¬ pestosa procella *. W In luogo di « K le difficoltà son que¬ ste » prima Galileo aveva scritto quanto appresso, che ricoperse con un cartellino: - le quali difficoltà io propofngo] con speranza clic mi devino esser regolate da gli avversari! », ■14 DIVERSI FBAGMENTI sicura, satisfacendo insieme a un poco di scrupolo che io pongo loro avanti. Voi dite che la figura è causa, in qualche modo, dell’andare o non andare al fondo etc. ; ed a favor vostro producete 1* autorità di Aristotile, come concorde al vostro detto. Ora, io piglio il testo sopra il quale voi vi fondate, e vi dico che Aristotile in questo luogo (posta per vera la vostra interpretazione), dice che la figura è non meno causa del muoversi o non muoversi (,) all’ in su, che del muo¬ versi o non muoversi all’ in giù : ma perchè, nell’ esemplificarmelo poi con qualche esperienza, nè Aristotile nè voi mi avete fatto vedere altra prova che di una falda di piombo e di una tavoletta di ebano, io materie che per lor natura vanno al fondo, ma in virtù della figura restano a galla, io vi supplico, già che Aristotile non vive più, che voi altresì mi facciate vedere un corpo, il quale dal fondo dell’aqqua per sua natura ascenda ad alto, ma che, in virtù di quella figura che voi gli saprete dare, resti nel fondo ; perchè io non dubito che voi saprete benissimo accomodare la medesima materia in figure così diverse, che una speditamente verrà dal fondo ad alto, e 1’ altra, per la sua larghezza o per altra variazione di figura non potente a fender la crassizie dell’aqqua o quel che si sia che l’impedirà, se ne resterà in fondo ; e ciò vi doverà succedere tanto più facilmente che l’altra 20 esperienza, quanto pare che tanto più difficilmente possino essere impediti i movimenti, quanto maggiore è l’impeto e l’inclinazione (!) loro naturale; ma quale inclinazione è maggiore di quella del piombo e del gravissimo oro all’ andare in giù ? e pure, con 1’ aiuto della figura, si fanno galleggiare. Ed, all’ incontro, voi pur sapete quanto picciol dominio abbia la leggerezza in alcune materie le quali lentamente sormontano nell’ aqqua, come saria la cera il busso ed altri legni poco inferiori di gravità all’ aqqua ; poi che non pure in questi ina nell’aria stessa par che, conforme alla peripatetica dottrina, la gravità prevaglia alla leggerezza. Il proibir, dunque, a sì fatte materie, con so l’ampiezza della figura, la facoltà di dividere la crassizie dell’aqqua, con la fiacchissima propensione che hanno al venire ad alto, doverà 0 . dico (posta per vera la vostra interpretazione) clic - 9. mi hanno avete — 18. a fen¬ dei c fender 19. impedirà e per ciò se — 21. che più facilmente tanto — 22. quanto più sono naturale maggiore - 29. la leggerezza] gravità — 31. figura il poter la — 32. hanno di al venire all’ in su ad * 0 non muoversi » è aggiunto in •*> «e l’inclinazione» è aggiunto raar- mar » ine - ginalmente. ATTENENTI AL TRATTATO HOC. 45 bene esser impresa più clic facilissima a quelli li quali, col morso della medesima figura, raffrenano il corso precipitoso dell’ oro verso ’l centro del mondo. Ma se, per mia ventura, ei non trovassero il modo di effettuar questa seconda esperienza, e che per tanto si chiarissero della sua impossibilità 11 ’, di grazia non si affatichino più in voler sostener per buona l’interpretazione data da loro alle parole di Ari¬ stotile, perchè condanneranno attorto un innocente, e gli faranno al suo dispetto dire il falso, mentre egli dice una assolutissima verità : perchè falso e superfluo l *' è il dire : « Le figure non sono cause selli¬ lo pliceinente, ma son cause in certo modo, dell’ andare o non andare al fondo o a galla, ma sì bene dell’ andare più o meno veloce o tardo » ; falso è, perchè non si vede che la figura impedisca il venire a galla, come pare che ritenga 1’ andare al fondo ; superfluo, e male attaccato col detto di sopra, sarebbe il dir che le figure sien causa del tardo o del veloce. Ma dandogli il vero senso, oltre allo sfuggir il bisogno di una distinzione, inutile in questo luogo , di simpliciter e secundum quid, della quale Aristotile non averebbe, in questa occa¬ sione, tralasciato il secondo membro, se l’intenzion sua fusse stata di prevalersene, si averà una sentenza verissima, ben continuata ed in 20 tutte le sue parti coerente ; e sarà questa: « Le figure non son causa dell’ andare assolutamente, o non andare, al fondo o a galla, ma sì bene della maggiore o minor velocità ». E fermata questa chiara facile e vex*a esposizione, molto approposito cade il passar dubita¬ tivamente al cercar la causa, perchè le falde larghe di ferro e di piombo galleggino : e 1’ occasione del dubitare depende dall’ essersi escluso le figure, le quali, nel primo aspetto, hanno sembianza di cause in tale accidente ; le qua,li figure se non fossero state escluse di sopra, ma intromesse, non solo saria stato a sproposito il dubitare di quello che nelle parole immediatamente precedenti si era posto per resoluto, ma 30 quasi superfluo il proporlo semplicemente per conclusione conseguente' dalle cose dette di sopra. Concludasi, dunque, che la mente di Ari¬ stotile in questo luogo è precisamente concorde alla mia proposizione 1. quali fren[ano] col 10. del andare —11. andare velofce] più — (') Le parole « e che.... impossibilità » sono aggiunte in margine. i*l « e superfluo » è aggiunto in mar¬ gine. Sopra « e superfluo - è scritto al¬ tresì « ecl interrotto », che fu poi cancel¬ lato. (s > * in questo luogo » è aggiunto in margine. ‘ DIVERSI FRA OMENTI 46 ’OO IMI ^ ' e diametralmente contraria all’ [intenzione] degli avversarli cose tanto aliene dalla sua ’nten/ione e dal vero insieme. Finalmente, se l’intenzion d’Aristotile in questo luogo fusse stata di dire che le figure, se ben non assolutamente, siano al manco in qualche modo causa del muoversi o non muoversi, io metto in considerazione che egli nomina non meno il movimento all’ in su, che io V altro all’ in giù : e perchè, nell’ esemplificarlo poi con qualch’ espe¬ rienza, non si produce altro che una falda di piombo o una tavoletta d’ ebano, materie che per lor natura vanno in fondo, ina in virtù (com’ essi dicono) della figura restau a galla, saria bene che gli avver¬ sarli producessero alcun’ altra esperienza di quelle materie che per lor natura vengono a galla, ma ritenute dalla figura restano in fondo. Ma perdi’ io so questo esser impossibile a farsi, concludiamo che Aristotile in questo luogo non ha voluto attribuire azzion alcuna alla figura, nel semplicemente muoversi o non muoversi. Che poi egli abbia schiettamente filosofato e saldamente discorso a» nell’ investigai’ le soluzioni de i dubbii cho ei propone, non torrei io già a sostenere ; anzi, per 1’ opposito, dubito molto che ei non si sia inviluppato e smarrito in varii laberinti di falsità, per non aver preso il filo che per diritta e facile strada lo poteva condurre alla vera causa della sua questione, lo anderò additando, nello esaminare il resto del suo capitolo, quello che mi par falso, con desiderio o spe¬ ranza che qualcuno, più di mè intendente, emendando i miei errori, mi mostri la verità; alla confession della quale io infinitamente son più accinto, che alla contradizione. Proposta che ha Aristotile la questione « onde avvenga che le falde so larghe di ferro o di piombo supernatano » (e questo è vero), soggiu- 21. la ragioni ile soluzioni — 22. dubito io mollo — 28. inviluppalo e die ei non abbia introdotti molti falsi e — 25. Io proporrò onderò — 27. emendando il mio errore i — 11 tratto da - nelle parole immedia- sarii - è coperto da un cartellino. Gfr. l’Av temente » (pag. 45, lin. 29) a « degli avver- vertimento. ATTENENTI AL TRATTATO ECO. 47 gne poi (quasi fortificando 1’ occasione del dubitare) : « essendo che altre cose minori e manco gravi, se saranno rotonde o lunghe, come sarebbe un ago, vanno al fondo ». Or qui dubito io, anzi pur son sicuro, che un ago, posato leggiermente, resta a galla. Io non credo giù. che alcuno, per difendere Aristotile, dicesse che egli intende di un ago messo non per lo lungo, ma eretto e per punta: pure, perchè non ci mancano di quelli che non si sbigotti¬ scono di produr maggiori esorbitanze di questa per difendere quello in che Aristotile medesimo si disdirebbe quando sentisse le ragioni io o vedesse l’esperienza in contrario, io replicherò anco a questa ri¬ sposta, e dirò che 1’ ago si deve mettere secondo la dimensione che vien nominata da Aristotile, che è la. lunghezza e non l’altezza. Per¬ chè, se altra dimensione che la nominata prender si potesse e do¬ vesse 11 *, io direi che anco le falde di ferro nuderanno al fondo, se altri le metterà in aqqua per taglio e non per lo piano: ma perchè Ari¬ stotile dice « le figure larghe non vanno al fondo », si deve intender « posate per lo largo »: e però quando dice « le figure lunghe, coni’un ago, benché leggiere, non restano a galla », si deve intender « po¬ sate per lo lungo ». 20 Di più, o Aristotile credeva che un ago, posato su V aqqua, re¬ stasse a galla; o credeva eh’e’non restasse. S’e’credeva che non restasse, ha ben potuto dire che 1’ ago posto per lungo va al fondo, come veramente ha detto: ma se e’credeva e sapeva che i ferretti lunghi e sottili supernatassero, per qual cagione, insieme col pro¬ blema dubitativo del galleggiare le figure larghe, ben che di materia grave, non ha egli anco introdotta la dubitazione, onde avvenga che anco le figure lunghe e sottili, ben che di ferro o di piombo, super- natano? e massime che la cagione del dubitare par maggior nelle figure lunghe e strette che nelle largii’ e sottili. r. o Diciamo, dunque, pur liberamente, che Aristotile credette che le figure larghe solamente stesser a galla ; ma le lunghe e sottili, come uri ago, no: il che tuttavia è falso, sì come 121 falso è ancora che corpi 2. miliari rotofiide] c — 10. io risponderò anco al replicherò — 16. larghe vanno — W « e dovesse * è aggiunto in margine. W 11 tratto da « ma perchè * (lin. 15) a. « sì come » è aggiunto sur un cartellino incol¬ lato sul margine. Sotto il cartellino si legge quanto appresso, che rappresenta una ste¬ sura precedente del tratto stesso : * ma per¬ chè Aristotile dice *le figure larghe non vanno [il ms.: larghe rumioj al fondo *, ai deve intera- 48 DIVERSI FRAUMENTI rotondi e manco gravi non restino a galla; perché, come di sopra si dimostrò, piccoli globetti di ferro, ed anco di piombo, nell’ istesso modo galleggiano. Propone poi un’altra questione, al creder mio similmente falsa: ed è, che alcune cose per la lor picei ole zza nuotano nell’ aria, come la minutissima polvere di terra e le sottilissime foglie d’ oro. Ma a me pare che 1 ’ esperienza ci mostri, ciò non accadere non solamente nell’aria, ma nè tampoco nell’aqqua; nella quale descendono sino a quelle particole di terra che la intorbidano, la cui piccolezza è tale che non si veggono, se non quando sono molte centinaia insieme. La io polvere, dunque, non pur di oro, ma ancora di terra, non si sostiene altramente in aria, ma descende al basso, e solamente vi va vagando •piando venti gagliardi la sollevano o altra agitazione di aria la com¬ muove : il che anco avviene nell’ agitazion dell’ aqqua, per la quale si commuove la sua deposizione del fondo, e s’intorbida. Ma Aristo¬ tile non può intendere di questo impedimento della commozione, del (piale egli non fa inai menzione ; anzi non nomina altro che la leg¬ gerezza di tali minimi, e la resistenza della crassizie dell’ aqqua e dell’ aria : dal che si vede che egli tratta dell’ aria quieta, e non agi¬ tata e commossa ; ma, in tal caso, nè oro nè terra, per minutissimi 20 che siano, si sostengono, anzi speditamente descendono. Passa poi al confutar Democrito, il quale, per sua testimonianza, voleva che quelli atomi ignei, li quali continuamente ascendono per 4-5. falsa che ed — 7. ci mostra mostri — 9. terra così che — 21. sostengono ma ami — der * posate per lo largo v : e però quando dice che le figure lunghe, come un ago, benché leg¬ giere, non restano a galla [non restano a galla sostituito a vanno al fondo , cancellato], si deve intender « posate per lo lungo *. Di piu (già che è forza consumar parole in persuadere a i cicchi che ’1 sole è chiaro), o Aristotile cre¬ deva che un ago, posa[to| su Paqqua, restasse [restasse sostituito a restava ] a galla ; o cre¬ deva [o credeva sostituito a o non lo sapeva], cancellato] che ei non restasse, Se ei credeva che non restasse, ha ben potuto diro che 1’ ago posto per lungo va al fondo, come ve¬ ramente ha detto ; ma se ei credeva e sapeva che i ferretti lunghi c sottili superuatassero, per qual cagione [segue cancellato non], in¬ sieme col problema dubitativo del galleggiar le ligure [lar]ghe, ben che di materie gravi, non ha egli anco introdotta la dubitazione, ondo avvenga che anco le ligure lunghe c sot¬ tili, ben diedi ferro odi piombo, supernatano? e massime che la cagione del dubitare par [ se¬ gue cancellato più] maggiore nelle ligure lun¬ ghe e strette che nelle larghe e sottili. Que¬ sti sono de i favori che alcuni partigianelli di Aristotile frequentiBsimamentc gli fanno, che, per purgarlo da un difettuzzo nel quale tal volta, ingannato da una verisimile apparenza, sarà incorso, gli addossano o gravissimi di¬ fetti o puerili inezie. Diciamo, dunque, pur liberamente, che Aristotile credette che le figure larghe solamente stessero a galla; ma le lunghe e sottili, no : il che poi è falso, sì come ». ATTENENTI AL TRATTATO ECC. 49 l’aqqua, spignessero in su e sostenessero quei corpi gravi che fossero molto larghi, e che gli stretti cadessero giù, perchè poca quantità de i detti atomi ascendenti gli contrasta e repugna. Confuta, dico, Aristotile questa posizione, dicendo che ciò doveria molto più accadere nell’ aria ; sì come il medesimo Democrito insta contro di sè, ma, dopo aver mossa l’instanza, la scioglie lievemente, con dire che quei corpuscoli, che ascendono in aria, fanno impeto non unitamente. Qui io non dirò che la causa addotta da Democrito sia vera: ma dirò bene che malamente vien refutata da Aristotile, io mentre egli dice che, se fosse vero che gli atomi calidi, che ascen¬ dono, sostenessero i corpi gravi, ma assai larghi, ciò doveriano far molto più nell’ aria che nell’ aqqua ; perchè forse. le cui superficie siano fra di loro simili, ma differenti in grandezza; perchè, diminuite o cresciute quanto si voglia le dette superficie, sempre con minor proporzione sciemano o crescono i lor perimetri, 20 ciò è le resistenzie che loro trovono in fender 1’ aqqua : adunque più facilmente galleggeranno di mano in mano le falde e tavolette, se¬ condo che le saranno di minore ampiezza. E questo tutto seguirebbe in dottrina di Aristotile, contro alla sua medesima dottrina. Qua io m’aspetto un rabbuffo terribile da qualcuno de gli avver- sarii; e già panni di sentire intonar negli orecchi che altro è il trattar le cose fisicamente ed altro matematicamente, e che i geo¬ metri doveriano restar tra le lor girandole, e non affratellarsi con le materie filosofiche, le cui verità sono diverse dalle verità matematiche; quasi che il vero possa esser più di uno ; quasi che la geometria a so i nostri tempi progiudichi all’ aqquisto della vera filosofia, quasi che sia impossibile esser geometra e filosofo, sì che per necessaria con- seguenzfa] si inferisca che chi sa geometria non possa saper fisica, nè possa discorrere e trattar delle materie fisiche fisicamente. Con¬ seguenze non meno sciocche di quella di un tal medico fisico, che, 11. larghi che ciò — 30-31. che non sia — IV. 7 50 DIVERSI REAGII UNTI spinto da un poco di livore, diceva che il medico Aqquapendente, essendo grande anatomista e chirurgo, doveva contentarsi di star tra i suoi ferri ed unguenti, senza volersi ingerire nelle cure fisiche, come se la cognizione di chirurgia destruggesse e fosse contraria alla fisica, lo gli risposi che, av|en]do più volte ricevuta la sanità dal sommo valore del Sig. Aqquapendente, potevo deporre e far sempre fede che Sua Eccellenza mai non mi dette bevanda alcuna composta di dia- palme, di caustici, di fila, di pezze, di tonte, di rasoi, nè mai, in vece di tastarmi il polso, mi fece un cauterio o mi cacciò un dente di bocca, ma, come eccellentissimo tìsico, mi purgò con manna, cassia, io rabarbaro, ed usò gli altri rimedii opportuni alle mie indisposizioni. Vegghino gli avversarli se io tratto le materie con i medesimi ter¬ mini che Aristotile, e se egli medesimo, dove è necessario, introduce demostrazioui geometriche; e, di grazia, cessino di esser cosi aspri nimici della geometria, non senza mia grandissima meraviglia, il quale credevo che non si potesse esser nimico di persona non conosciuta. A quello che finalmente pone Aristotile nel fine del suo testo, ciò è che si deve comparare la gravità del mobile con la resistenza del mezo alla divisione, perchè se la virtù della gravità eccederà la re¬ sistenza del mezo, il mobile descenderà, seno, supernaterà; non oc- 20 corre che mi affatichi di rispondere altro che quello che già si è detto, ciò è che non la resistenza alla divisione, che non si ritrova nell’ aria o nell’ aqqua, ma sì bene la gravità del mezo, si deve chia¬ mare in paragone con la gravità del mobile : la quale se sarà mag¬ giore nel mezo, il mobile non vi descenderà, nè meno vi si tufferà tutto, ma una parte solamente ; perchè nel luogo che egli occupe¬ rebbe nell aqqua, non vi deve stare corpo che pesi manco di altret¬ tanta aqqua; ma se il mobile sarà più grave dell’aqqua, descenderà al tondo, ad occupare un luogo 11 dove è più naturale che vi dimori lui, che un corpo men grave. E questa è la vera, sola, propria ed ;» assoluta causa del supernatare 0 andare al fondo: e la vostra tavo¬ letta, signori avversarli, supernata quando è accoppiata con tanto di alia, che insieme con quella forma un composto men grave di 11. ed nlt[nj usò — oporluni — 16. di uno che non si conosca persona 2b. una paté — 22. non vi si — (*> «ad occupare un luogo» è aggi liuto in margine. ATTENENTI Ab TRATTATO ECO. 51 tanta aqqua quanta anderia a riempiere quel luogo che il detto composto occupa in aqqua; ma quando voi metterete nell’ aqqua il semplice ebano, conforme alle nostre convenzioni, egli andorà al fondo, se voi lo facessi più sottile di una carta. Io, Serenissimo Signore, mi sono affaticato, come ha veduto l’Al¬ tezza Vostra, per sostener viva la mia vera proposizione ed, insieme con lei, molte altre che la conseguono, salvandole dalla voracità della bugia da me atterrata ed uccisa. Non so se gli avversarli mi ave- ranno buon grado di così fatta opera, o pure se, trovandosi con giu- 10 ramento severo obbligati a sostener quasi che religiosamente ogni decreto di Aristotile, temendo forse che egli, sdegnato, non eccitassi alla lor destruzione un grosso stuolo di suoi più invitti eroi, si risol¬ veranno (1) a soffogarmi ed esterminarmi, come profanatore delle sue sante leggi : imitando in ciò gli abitatori dell’ Isola del Pianto irati contro di Orlando, al quale, in guiderdone dell’aver egli liberate da 1’ orribile olocausto e dalla voracità del brutto mostro (2! tante inno¬ centi verginelle, si movevano contro, rimorsi da strana religione e spaventati <3> da vano’ 4 ’ timore dell’ira di Proteo, per sommergerlo nel vasto oceano ; e ben P avriano fatto se egli, impenetrabile, ben che do nudo <5> , alle lor saette, non avesse fatto di loro quello che suol fare l’orso de i piccioli cagniuoli, che con vani e strepitosi latrati impor¬ tunamente 1’ assordano. Ma io, che non sono Orlando, nè ho altro d’impenetrabile che lo scudo della verità, disarmato e nudo nel re¬ sto’ 6 ’, ricorro alla protezione dell’A. V., al cui semplice sguardo ca¬ dranno in terra le armi di qualunque, fuori di ragione, contro alla ragione imperiosamente vorrà muovere assalti. ir ».guiderdone di avergli liberati dall’orribile tributo dell' — 17. si apparecchiavano spinti movevano -18. l'rntco si movevano contro per — 20. avesse di loro /atto — Prima aveva scritto, come si distili- gue attraverso lo correzioni : < .... con giura¬ mento «trailo obbligati ad Aristotile, a so¬ stener ((nasi ohe religiosamente ogni suo decreto, temendo forse ohe egli, sdegnato, non gli ecciti contro un grosso stuolo di suoi seguaci por destruggergli e desolargli, si ri¬ solveranno *. »*> * e dalla voracità del brutto mostro » è aggiunto in margine. ‘ n) " da strana religione c spaventati » è aggiunto in margino. m •< vano » è di lettura incerta, essendo la carta corrosa. Pi < l)en che nudo » è aggiunta interli¬ neare. W * disarmato e nudo nel resto * è ag¬ giunto in margine. 52 DIVERSI EH AG MENTI posuit Deus omnia in numero, pondero et mensura. un legno che venisse a galla così velocemente come va l’ebano in fondo, ridotto in una tavoletta, doverebbe restare in fondo, non potendo fender 1’ aqqua. illa certa causa non est, qua sublata non tollitur effectus. Bonami- cus, 495 B. considera le cause della quiete, del moto, della velocità e dell’augu- mento della velocità. mirabil cosa è il poter sollevare un peso con 4 onde di aqqua, cho altrimenti con centomila libbre non si alzerebbe. il render ragione del supernatare per esser il solido a predominio aereo etc., è provare iqnotum per ignotius, perchè tal predominio s’in¬ tende per il supernatare. si doverebbe ringraziar chi ci leva di errori, e non per l’opposito, corno quell[i] che sono svegliati da sogni dilettevoli. Se in un cilindro o prisma cavo sarà locato un cilindro o prisma solido, circondato da aqqua, dico che, nell’estrar fuori il prisma, alzan¬ dolo a perpendicolo e con la base parallela al livello dell’ aqqua, la superficie dell’ aqqua si abbasserà, e 1’ abbassamento di essa aqqua all’ alzamento del solido averà la. medesima proporzione che la super- 20 fide del solido alla superficie dell’ aqqua. Sia nel cilindro o prisma cavo efdb il cilindro o prisma solido abeti, e nel resto del vaso efea sia aqqua, sino al livello eab; ed alzandosi il solido ad, sia trasferito in gin, e la superficie dell’ aqqua ea descenda in no. Dico che la scesa dell aqqua ao alla salita del solido ag ha l’istessa proporzione, che la superficie del solido gh alla superficie dell’aqqua no. 11 che è mani¬ festo : perchè la mole del solido estratto gabh è eguale alla mole del- 16. un vaso cilindro locato un solido cilindro — 26. superfìcie gh ilei — ATTENENTI AL TRATTATO ECC. 53 1’ aqqua, che si è abbassata, enoa: son dunque i due prismi gahk, enoa eguali: ma de i prismi eguali le basi rispondono contrariamente all’al¬ tezze : adunque, come 1’ altezza oa all’ altezza ag, cosi è la superficie gh alla superficie no. Sit aqua gravior quarn dg ut df ad fb : fiet quies ab aqua af. Demonstrabitur si ostemlas, descensuui ab ad ascensum de esse ut pondus dg ad pondus af : at descensus ab ad ascensum he est ut bc ad ha, seu bg ad af: ostendas ergo, ut bg ad af, ita esse pondus dg ad pondus af. Sed pondus dg ad io pondus af habet rationem compositam ex mole dg ad molem af et ex gravitate dg in specie ad gravi- tatem af : ostendendum ergo, molem bg ad af ra- tionem compositam habere ex mole dg ad af et ex gravitate in specie dg ad af : hoc autem orit si gravitas in specie dg, seu bg, ad gravitatem af fuerit ut moles bg ad molem gd ; quod veruna est. Sia il solido af men grave dell’aqqua, e sia l’aqqua ce: dico che, liberato, si alzerà. Imperò che, se af fusse egualmente grave come 1’ aqqua, sarebbe come il peso della mole ce 20 al peso af, così la mole ce alla mole af: ma, sendo l’aqqua più grave, maggior proporzione averà la gravità ce alla gravità af che la mole ce alla mole af, ciò è che la su¬ perficie ca alla superficie ab, ciò è che la salita del solido alla scesa dell’aqqua: adunque l’aqqua cesi abbasserà, ed il solido af si alzerà' 1 ’. 9. esse ut yondw il» et et gravitate — 21. averà la molo la — 29. la scesa salita — 24. si abbassere — ed la mole il — (,) Sulla medesima carta elio contiene « Sia il livello fcl, ed abbia il peso dei- questa e lo due precedenti dimostrazioni, si l’aqqua al peso del solido la proporzione» leggono altresì i seguenti frammenti: * la parte cs , che si demerge, ò sempre 54 DIVERSI FRAMMENTI I pesi assoluti de i solidi hanno la proporzion composta della pro¬ porzione delle loro gravità in specie e della proporzione delle lor moli. Siano due solidi a e b : dico, il peso assoluto di a al peso assoluto di b aver la proporzion composta della gravità in specie di a alla gravità in specie di b, e della proporzione della mole a alla mole b. Abbia la gravità in specie di a alla gravità in specie di b la mede¬ sima proporzione che la linea d alla e, e la e alla f sia come la mole a alla mole b: dico, il peso assoluto di a al peso assoluto di b esser come d ad f. Pon¬ gasi c eguale ad a in mole, e della medesima gravitò m in specie di b: perchè, dunque, a e c sono in mole eguali, sarà il peso assoluto di a al peso assoluto di c come la gravità in specie di a alla gravità in specie di c, ciò è come d ad c- e perchè c e b sono defila] medesima gravità in specie, sarà come il peso assoluto c al peso assoluto b così la mole c alla mole b, ciò è così la mole a aliai, ciò è la linea e alla/'. Come dunque il peso assoluto dittai peso assoluto di c, così la linea d alla e, e come il peso assoluto *c al peso assoluto b, così la linea e alla f : adunque, per la proporzione eguale, il peso assoluto di a al peso assoluto di b è come la linea d alla /'. J solidi de i quali le moli rispondono contrariamente alle loro 2 # gravità in specie, sono in gravità assoluta eguali. Se un prisma solido sarà meli grave dell' aqqua, posto in un vaso di sponde parallele fra di loro ed erette all’ orizonte, ed infusa poi 1’ aqqha, resterà il solido senza esser sollevato sin che tutta la sua altezza all’ altezza della parte demorsa abbia l’istessa proporzione che la gravità in specie dell’aqqua alla gravità di esso solido; ma infondendo più aqqua, il solido si solleverà. Sia il vaso mlgn, di qualunque grandezza e di sjtonde erette all’ori¬ zonte, ed in esso sia. collocato il prisma solido dfge, meri grave in specie dell aqqua ; e sia la, gravità in specie dell’ aqqua alla gravità s» 3. il poso — li. dib come perche — 15-16. cosi a a[lla] la mole — parte alV — 21 h il sol[ido] prisma — 24-25. la sm altezza alla eguale alla parte dell’aqqua, elle si alza, mi: ma la parte demersa bs è maggiore della aqqua alzata cn: la sciesa, dunque, co alla salita cb ha la medesima proporzione che fc a cl, ciò e che la mole dell'aqqua scacciata cn alla mole del solido hi. * * i pesi de i solidi hanno la proporzion compost a delle gravità in specie e delle moli.» A ATTENENTI AL TRATTATO EOC. 55 del prisma come V altezza df all’ altezza l>f : dico che, infondendosi aqqua sino all’ altezza fb, il solido dg non si eleverà, ma sarà ridotto all’equilibrio, sì che ogni poco più di aqqua che si aggiunga, Risol¬ leverà. Sia dunque infusa V aqqua sino al livello abc ; e perchè la gravità in specie del solido dg alla gravità dell’ aqqua in specie è come P altezza bf all’ altezza fd, ciò è come la mole bg alla mole gd, e la proporzione della mole bg alla mole gd con la prò- in porzione della mole gd alla mole af compongono la pro¬ porzione della mole bg alla mole af, adunque la mole bg io alla mole af ha la proporziou composta della propor¬ zione della gravità in specie del solido gd. alla gravità in specie dell’aqqua e della proporzione della mole gd 1 alla mole af. Ma le medesime proporzioni, della gravità in specie di gd itila gravità in specie dell’aqqua e della mole dg alla mole af, compon¬ gono ancora la proporzione del peso assoluto del solido dg al peso asso¬ luto della mole dell’ aqqua af: adunque, come la mole bg alla mole af, così è il peso assoluto del solido dg al peso assoluto della, mole d’aqqua af. Ma come la mole bg alla mole af, così la superficie del prisma de alla superficie dell’aqqua ab, e così la scesa dell’aqqua ab alla salita del 20 solido dg : adunque la scesa dell’aqqua alla salita del prisma ha la medesima proporzione, che il peso assoluto del prisma al peso assoluto dell’aqqua af : e però si farà l’equilibrio. Ed è manifesto che, crescendo l’aqqua af, il prisma dg sarà sollevato, crescendosi il momento e la gravità dell’ aqqua af, che contrasta con la gravità del solido gd : ed allora solamente si farà l’equilibrio, quando del solido dg ne sarà demorsa la parte bg, eguale a tanta mole di aqqua, quanta peserebbe assolutamente come tutto il solido dg. Che V aqqua che si solleva, mentre che il solido si demerge, sia minore in mole che la parte del solido demorsa, e, più, secondo qual ito proporzione ella sia minore, si dimostrerà facilmente così. La mole dell’ aqqua alzata alla mole del prisma demersa ha la medesima proporzione, che la sola, superficie dell’ aqqua ambiente il prisma alla medesima superficie ambiente insieme con la superficie del prisma. 6-7. mole gd rua e — 7. mole gd e con — 13. Ma la le — 23. sollevalo sì che resti la parte bg demersa crescendosi — 56 Sia il primo livello dell’ aqqua secondo la superficie abcd ; e de- mergendosi in essa il prisma solido e/, sia elevateli la superficie del- 1’ aqqua dal primo livello bel sino alla superficie gli, quando di esso prisma si troverà demorsa la parto mi ; della, quale la parte sola al cade sotto ’1 primo livello dell’ aqqua bd, e 1’ altra parte mo resta sommersa ed ingombrata dall’ aqqua bh, che si è elevata sopra il primo livello. Ed è manifesto, la mole del- 1’ aqqua bh essere eguale alla mole del so¬ lido al, demersa sotto ’l primo livello abcd; perché, detraendo via il solido e/', Faqqua lib io scorrerà a riempiere il luogo occupato dal solido al, dove sarà per appunto contenuta, come era avanti F immersion del prisma. È dunque manifesto, la mole dell’aqqua bh esser minore della mole del solido mi, che si trova demersa. E perchè la mole dell’aqqua bh è eguale alla mole del prisma of, posta comune la mole om, sarà la molo md eguale alla mole vii; e però la mole dell’aqqua gd alla mole del prisma mi averà la mede¬ sima proporzione che alla mole md : ma la mole gd aliamole dm è come la superficie gh alle due superficie gh ed. ne: adunque la mole 20 dell’ aqqua alzata alla mole del solido demersa è come la superficie sola dell’ aqqua ambiente alla medesima superficie con la superficie del solido. 11 che bisognava dimostrare. 1. superficie linea abcd — 4. prisma sarà si — parte gl' mi — sola fb al — f>. parte ag mo — 8-9. solido bf al — 10-11. hb sarà scorrerà — DISCORSO INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA 0 CHE IN QUELLA SI MUOVONO. IV. 8 DISCORSO AL SERENISSIMO DON COSIMO II GRAN DVCA DI TOSCANA Intorno alle cofe,che Stanno in su ! acqua,o che in quella fimuotiono, .DI GALILEO GALILEI Ftlcfcfo, e Matematico Iella Medefima ALTEZZA SERENISSIMA. IN FIRENZE, Upprefl'o Cofimo Giunti. M D C XII. Con licenzia de Superiori. DISCORSO AL SERENISSIMO DON COSIMO II- GRAN DVCA DI TOSCANA Intorno alle cofe , che Stanno in sù Tacqui, ò clic in quella fi muouono , D I GALILEO GALILEI Eilofofo^e Matematico delia LA e de firn a ALTEZZxA S6RENISSÌMA SECONDA editione . IN FIRENZE. Agteffo Cofimo GiuncLMDCXIL Qm licenzia de Superiori. A I BENIGNI LETTORI COSIMO GIUNTI. Ver sodisfare a molti, che di Venezia, di Roma, e di altri luoghi mi chiedevano e mi chieggono con instanza il presente trattato, dopo eh’ e’ s’erano finiti tutti qui in Firenze, mi risolvei stamparlo di nuovo, e ne avvisai VAutore; il quale avendo visto per esperienza che alcuni luoghi di esso a’ men pratichi nelle cose di geometria riuscivan alquanto oscuri a ’nten- dersi, gli è parso di agevolarli con aggiugnervi alcune cose a maggior chia¬ rezza, senza rimuoverne o mutarne alcuna delle scritte di prima. Vero io potete esser certi, cortesi Lettori, di aver in questa seconda impressione l’istesso che aveste nella prima, e più le suddette dichiarazioni, le quali si sono stampate di diverso carattere, perchè si possaci conoscer pronta¬ mente da tutti. Vivete felici. DISCORSO al Serenissimo Don Cosimo II, GRAN DUCA DI TOSCANA, INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA 0 CHE IN QUELLA SI MUOVONO, DI GALILEO GALILEI, FILOSOFO li MATEMATICO DELLA MEDESIMA ALTEZZA SeiìKNISSIMA. Perdi’ io so, Principe Serenissimo, eli e il lasciar veliere in pubblico il presente trattato, d’ argomento tanto diverso da quello che molti aspettano e che, secondo P intenzione che ne diedi nel mio Avviso Astronomico, già dovrei aver mandato fuori, potrebbe per avventura destar concetto, o che io avessi del tutto messo da banda 1’ occuparmi intorno alle nuove osservazioni celesti, o che almeno con troppo lento studio le trattassi ; ho giudicato esser bene render ragione sì del dif¬ ferir quello, come dello scrivere e del pubblicare questo trattato. Quanto al primo, non tanto gli ultimi scoprimenti di Saturno tri¬ corporeo e delle mutazioni di figure in Venere, simili a quelle che si veggono nella Luna, insieme con le conseguenze che da quelle dependono, hanno cagionato tal dilazione, quanto P investigazion de’ tempi delle conversioni di eiaschedun de’ quattro Pianeti Medicei intorno a Giove, la quale mi succedette-Paprile dell’anno passato 1611, mentre era in Roma; dove finalmente in’accertai, che ’l primo, e più vicino a Giove, passa del suo cerchio gradi 8 e m. 29 in circa per ora, faccendo la’ntera conversione in giorni naturali 1 e ore 18 e quasi mezza. Il secondo fa nell’orbe suo g. 4, in. 13 prossimamente per ora, e l’intera revoluzione in giorni 3, or. 13 e un terzo incirca. 11 terzo passa in un’ ora gr. 2, in. 6 in circa del suo cerchio, e lo misura tutto in giorni 7, ore 4 prossimamente, fi quarto, e più lon- 04 DISCORSO tano degli altri, passa in ciaschedun’ora gr. 0 , m. 54 e quasi mezzo, del suo cerchio, e lo finisce tutto in giorni 16 , or. 18 prossimamente. Ma perchè la somma velocità delle loro restituzioni richiede una pre¬ cisione scrupolosissima per li calcoli de’ luoghi loro ne’ tempi passati e futuri, e massimamente se i tempi saranno di molti mesi o anni, però mi è forza con altre osservazioni, e più esatte delle passate, e tra di loro più distanti di tempo, corregger le tavole di tali movi¬ menti, e limitargli sino a brevissimi stanti. Per simili precisioni non mi bastano le prime osservazioni, non solo per li brevi intervalli di tempi, ma perchè, non avendo io allora ritrovato modo di misurar io con istrumento alcuno le distanze di luogo tra essi pianeti, notai tali interstizi con le semplici relazioni al diametro del corpo di Giove, prese, come diciamo, a occhio, le quali, benché non ammettano errore d’un minuto primo, non bastano però per la detenni nazione del- l’esquisite grandezze delle sfere di esse stelle. Ma ora che ho trovato modo di prender tali misure senza errore anche di pochissimi secondi, continuerò l’osservazioni sino all’occultazion di Giove; le quali do¬ vranno essere a bastanza per l'intera cognizione de’ movimenti e delle grandezze de gli orbi di essi Pianeti, e di alcune altre conse¬ guenze insieme. Aggiungo a queste cose l’osservazione d’alcune mac- 20 chiotte oscure, che si scorgono nel corpo solare: le quali, mutando positura in quello, porgono grand’ argomento, 0 che ’l Sole si rivolga in sè stesso, o che forse altre stelle, nella guisa di Venere e di Mer¬ curio, se gli volgano intorno, invisibili in altri tempi per le piccole digressioni e minori di quella di Mercurio, e solo visibili quando s’interpongono tra ’l Sole e l’occhio nostro, o pur danno segno che sia vero e questo e quello ; la certezza delle quali cose non debbe disprezzarsi o trascurarsi. . Arinomi finalmente te continuate osservazioni accertato, tali macchie esser materie contigue alla superfìcie del corpo solare, e quivi contìnuamente qrro- 30 darsene molte, e poi dissolversi, altre in più brevi ed altre in più lunghi tempi, ed esser dalla conversione del Sole in sè stesso, che in un mese lunare in circa finisce il suo perìodo, portale in giro ; accidente pei • sè grandissimo, e maggiore per le sue conseguenze. Quanto poi all’ altro particulare, molte cagioni m’hanno mosso a scrivere il presente trattato, soggetto del quale è la disputa che a’ giorni addietro io ebbi con alcuni letterati della città, intorno alla quale, come 65 INTORNO Al-LE COSE OH IO STANNO IN SU li’ ACQUA ECO. sa V. A., son seguiti molti ragionamenti. La principale è stato il cenno dell’A. V., avendomi lodato lo scrivere come singoiar mezzo por far cono¬ scere il vero dal falso, le reali dall’apparenti ragioni, assai migliore che ’l disputare in voce, dove o 1’ uno o 1’ altro, e bene spesso amendue che disputano, riscaldandosi di soverchio o di soverchio alzando la voce, o non si lasciano intendere, o traportati dall’ ostinazione di non si ceder l’un l’altro lontani dal primo proponimento, con la novità delle varie proposte confondono lor medesimi e gli uditori insieme. Mi è parato, oltre a ciò, convenevole, che l’A. Y. resti informata da io me ancora di tutto ’l seguito circa la contesa di cui ragiono, sì come ,n’ è stata ragguagliata molto prima da altri. E perchè la dottrina che io séguito nel proposito di che si tratta è diversa da quella d’Aristotile e da’ suoi principii, ho considerato che contro l’autorità di quell’ uomo grandissimo, la quale appresso di molti mette in so¬ spetto di falso ciò che non esce dalle scuole peripatetiche, si possa molto meglio dir sua ragione con la penna che con la lingua, e per ciò mi son risoluto scriverne il presente Discorso : nel quale spero ancor di mostrare che, non per capriccio, o per non aver letto o in¬ teso Aristotile, alcuna volta mi parto dall’ opinion sua, ma perchè le 20 ragioni ine lo persuadono, e lo stesso Ai’istotile mi ha insegnato quietar l’intelletto a quello che in’ è persuaso dalla ragione, e non dalla sola autorità del maestro ; ed è verissima la sentenza d’Alcinoo, che ’l filosofare vuol esser libero. Nè fui, per mio credere, senza qualch’utile dell’ universale la resoluzione della quistion nostra; perciò che trattan¬ dosi, se la figura de’solidi operi o no nell’andare essi, o non andare, a fondo nell’ acqua, in occorrenze di fabbricar ponti o altre macchine sopra P aqqua, che avvengono per lo più in affari di molto rilievo, può esser di giovamento saperne la verità. Dico dunque che, trovandomi la state passata in conversazione di 30 letterati, fu detto nel ragionamento, il condensare esser proprietà del freddo, e fu addotto P esemplo del ghiaccio. Allora io dissi che avrei creduto più tosto il ghiaccio esser aqqua rarefatta, che condensata; poi che la condensazione partorisce diminuzion di mole e augumento di gravità, e la rarefazione maggior leggerezza e augumento di mole, e P acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e ’l ghiaccio già fatto è più leggicr dell’ acqua, standovi a galla. È manifesto guani’ io dico: perche, detraendo il mezo dalla total gra- IV. (ili DISCORSO vità de i solidi tanto, quanto 'e ti peso d' altrettanta mole del medesimo mezo, come. Archimede dimostra nel primo libro Delle cose che stanno su Vacqua, qualunque volta si accrescerà per distrazion la mole del medesimo solido, più verrà dal mezo detratto della intera sua gravità, e meno quando per compressione verrà condensato c ridotto sotto minor mole. Mi fu replicato, ciò nascere non dalla maggior leggerezza, ma dalla figura larga e piana, clic, non potendo fender la resistenza dell'acqua, cagiona che egli non si sommerga. Risposi, qualunque pezzo di ghiaccio, o di qualunque figura, star sopra l’acqua; segno espresso, che Tessero piano e largo quanto si voglia, non ha parte alcuna nel suo galleg- io giare: e soggiunsi che argomento manifestissimo n’era il vedersi un pezzo di ghiaccio di figura larghissima, [tosto in fondo dell’acqua, su¬ bito ritornarsene a galla ; che, s’e’ fosse veramente più grave, e ’l suo galleggiare nascesse dalla figura impotente a fender la resistenza del mezzo, ciò del tutto sarebbe impossibile. Conchiusi per tanto, la figura non esser cagione per modo alcuno di stare a galla o in fondo, ma la maggiore o minor gravità in rispetto dell’acqua; e per ciò tutti i corpi più gravi di essa, di qualunque figura si fussero, indifferen¬ temente andavano a fondo, e i più leggieri, pur di qualunque figura, stavano indifferentemente a galla: e dubitai che quelli che sentivano» in contrario si fossero indotti a ci'edere in quella guisa dal vedere come la diversità della figura altera grandemente la velocità e tar¬ dità del moto, sì che i corpi di figura larga e sottile discendono assai più lentamente nell’acqua che quelli di figura più raccolta, farcen¬ dosi questi e quelli della medesima materia ; dal che alcuno potrebbe lasciarsi indurre a credere, che la dilatazione della figura potesse ri¬ dursi a tale ampiezza, che non solo ritardasse, ma del tutto impedisse e togliesse, il più muoversi; il che io stimo esser falso. Sopra questa conclusione nel corso di molti giorni furon dette molte e molte cose, e diverse esperienze prodotte, delle quali TA. V. alcune intese e vide; so e in questo Discorso avrà tutto quello che è stato prodotto contro alla mia asserzione, e ciò che mi è venuto in mente per questo proposito e per confermazione della mia conclusione. Il che se sara bastante per rimuover quella che io stimo sin ora falsa opinione, mi parrà d avei’e non inutilmente impiegata la. fatica e’l tempo: e quando ciò non avvenga, pur debbo sperarne un altro mio utile pro¬ prio, cioè di venire in cognizion della verità, nel sentir riprovare le 07 INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA KCC. mie fallacie e introdurre le vere dimostrazioni da quelli che sentono in contrario. E per procedere con la maggiore agevolezza e chiarezza che io sappia, panni esser necessario, avanti ad ogni altra cosa, dichiarare qual sia la vera, intrinseca e total cagione dell’ ascendere alcuni corpi solidi nell’ acqua e in quella galleggiare, o del discendere al fondo ; e tanto più, quanto io non posso interamente quietarmi in quello che da Aristotile viene in questo proposito scritto. Dico, dunque, la cagione per la quale alcuni corpi solidi discendono io al fondo nell’ acqua, esser 1’ eccesso della gravità loro sopra la gra¬ vità dell’acqua, e, all’incontro, l’eccesso della gravità dell’acqua sopra la gravità di quelli esser cagione che altri non discendano, anzi clic dal fondo si elevino e sormontino alla superficie. Ciò fu sottilmente dimostrato da Archimede, ne’libri Delle cose che stanno sopra l’acqua; ripreso poi da gravissimo Autore, ma, s’io non erro, a torto, sì come di sotto, per difesa di quello, cercherò di dimostrare. Io con metodo differente e con altri mezzi procurerò di conclu¬ dere lo stesso, riducendo le cagioni di tali effetti a’ principii più in¬ trinsechi e immediati, ne’ quali anco si scorgano le cause di qualche 20 accidente ammirando e quasi incredibile, qual sarebbe che una pic- ciolissima quantità d’acqua potesse col suo lieve peso sollevare e soste¬ nere un corpo solido, cento e mille volte più grave di lei. E perchè così richiede la progressione dimostrativa, io definirò alcuni termini, e poi esplicherò alcune proposizioni, delle quali, come di cose ver* 1 e note, io possa servirmi a’ miei propositi. Io, dunque, chiamo egualmente gravi in ispecie quelle materie, delle quali eguali moli pesano egualmente: come se, per esemplo, due palle, una di cera e 1’ altra d’ alcun legno, eguali di mole, fossero an¬ cora eguali in peso, diremmo quel tal legno e la cera essere in ispecie .io egualmente gravi. Ma egualmente gravi di gravità assoluta chiamerò io due solidi li quali pesino egualmente, benché di mole fussero disegnali: come, per esemplo, una mole di piombo e una di legno, che pesino cia¬ scheduna dieci libbre, dirò essere in gravità assoluta eguali, ancorché la mole del legno sia molto maggior di quella del piombo, ed, in con¬ seguenza, men grave in specie. Più grave in specie chiamerò una materia che un’ altra, della DISCORSO 08 quale una mole ornale a una mole dell' altra poserà ]>iù : e cosi dirò, il piombo esser più grave in ispecie dello stagno, perché, prese ili loro due moli eguali, quella di piombo pesa più. Ma più gravo assoluta¬ mente chiamerò io quel corpo di questo, se quello peserà più di questo, senza aver rispetto alcuno di mole: e cosi un gran legno si dirà j )e . sare assolutamente più d’ima piccola mole di piombo, benché il piombo in ispecie sia più grave del legno. E lo stesso intendasi del men grave in ispecie e men grave assolutamente. Definiti questi termini, io piglio dalla scienza meccanica due prin¬ cipia Il primo è, che pesi assolutamente eguali, mossi con eguali ve-io locità, sono di forze e di momenti eguali nel loro operare. Momento, appresso i meccanici, significa quella virtù, quella fona, quella efficacia, con la quale il mot or muove r 7 mutali resiste ; la qual virtù de¬ pende non solo dalla semplice gravità, ma titilla velocità tiri moto, dalle diverse inclinazioni degli spazii sopra i quali si fa il moto, perchè più fa impeto un grave descendente in uno spazio molto declive che in un meno, Ed in somma, qualunque si sia la cagione di tal virtù, ella tuttavia ritien nome di momento. Nè mi pareva che questo senso dovesse gìugner nuovo nella nostra favella; perchè , s io non erro , mi par che noi assai frequen¬ temente diciamo « Questo è ben negozio prave, ma l'altro è di poco momento »,*o e « Noi consideriamo le cose leggere, r trapassiamo quelle che son di mo¬ mento » : metafore, stimerò io, tolte dalla meccanica. Come, per esemplo, due pesi d'assoluta gravita eguali, posti in bi¬ lancia di braccia eguali, restano in equilibrio, ne s* inclina Pano al¬ zando l’altro; perchè l'egualità delle distanze di ambedue dal centro, sopra il quale la bilancia vien sostenuta e circa il quale ella si muove, fa che tali pesi, movendosi essa bilancia, passerebbono nello stesso tempo spazii eguali, cioè si moverieno con eguali velocità, onde non è ragione alcuna, per la (piale questo peso più di quello, o quello più di questo, si debba abbassare; e per (dò si fa 1 equilibrio, e restano so i momenti loro di virtù simili ed eguali. 11 secondo principio è,- che il momento e la forza della gravità venga accresciuto dalla velocità del moto; sì che pesi assolutamente eguali, ma congiunti con velocità disegnali, sieno di forza, momento e virtù diseguale, e più potente il più veloce, secondo la proporzione della velocità sua alla velocità dell'altro. Di questo abbiamo accomo¬ datissimo esemplo nella libra o stadera di braccia disegnali, nelle » INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 00 quali posti pesi assolutamente eguali, non premono e fanno forza egualmente, ma quello die è nella maggior distanza dal centro, circa il quale la libra si muove, s’ abbassa sollevando l’altro, ed è il moto di questo, die ascende, lento, e 1* altro veloce : e tale è la forza e virtù die dalla velocità del moto vien conferita al mobile die la ri¬ ceve, die ella può esquisitamente compensare altrettanto peso che all’altro mobile più tardo fosse accresciuto; sì che, se delle braccia della libra uno fosse dieci volte più lungo dell’ altro, onde, nel muo¬ versi la libra circa il suo centro, 1’ estremità di quello passasse dieci io volte maggiore spazio che 1’ estremità di questo, un peso posto nella maggior distanza potrà sostenerne ed equilibrarne un altro dieci volte assolutamente più grave che non è egli; e ciò perchè, movendosi la stadera, il minor peso si moveria dieci volte più velocemente che V altro maggiore. Dobbesi però sempre ’ntendere die i movimenti si faccino secondo le medesime inclinazioni, cioè che, se 1’ uno de’ mobili si muove per la perpendicolare all’ orizzonte, che l’altro parimente faccia ’l suo moto per simil perpendicolare ; e se ’l moto dell’ uno dovesse farsi nell’ orizzontale, che anche l’altro sia fatto per lo stesso piano ; e, in somma, sempre amendue in simili inclinazioni. Tal rag- 20 guagliamento tra la gravità e la velocità si ritrova in tutti gli stru¬ menti meccanici, e fu considerato da Aristotile come principio nelle sue Questioni meccaniche : onde noi ancora possiamo prender per ve¬ rissimo assunto che pesi assolutamente diseguali, alternatamente si contrappesano e si rendono di momenti eguali, ogni volta che le loro gravità con proporzione contraria rispondono alle velocità de’ lor moti, cioè che quanto l’uno è men grave dell’altro, tanto sia in constituzione di muoversi più velocemente di quello. Esplicate queste cose, già potremo cominciare ad investigare quali sieno que’ corpi solidi che possono totalmente sommergersi nell’acqua so e andare al fondo, e quali per necessità soprannuotano, sì che, spinti per forza sott’ acqua, ritornano a galla con una parte della lor mole eminente sopra la superficie dell’acqua: e ciò faremo noi con lo spe¬ culare la scambievole operazione di essi solidi e dell’ acqua, la quale operazione conseguita alla immersione ; e questa è che, nel sommer¬ gersi che fa il solido, tirato al basso dalla propria sua gravità, viene discacciando l’acqua dal luogo dove egli successivamente subentra, e l’acqua discacciata si eleva e innalza sopra il primo suo livello, 70 DISCOIDI) al quale alzamento essa altresì, come corpo grave, per sua natura resiste. E perchè, immergendosi più e più il solido discendente, mag¬ giore e maggior quantità d’acqua si solleva, siri che tutto il solido si sia tuffato, bisogna conferire i momenti della resistenza dell’acqua all’essere alzata, co’momenti della gravità premente del solido: e se i momenti della resistenza dell’ acqua pareggerunuo i momenti del solido avanti la sua totale immersione, allora senza dubbio si farà V equilibrio, nè più oltre si tufferà il solido : ma se il momento del solido supererà sempre i momenti co’ quali 1’ acqua scacciata va suc¬ cessivamente faccende resistenza, quello non solamente si sommergerà io tutto sott’ acqua, ma discenderà sino al fondo; ma se, finalmente, nel punto della total sommersione si farà ragguagliamento tra i momenti del solido premente e dell' acqua resistente, allora si farà la quiete, e esso solido, in qualunque luogo dell' acqua, potrà indifferentemente fermarsi. h sin qui manifesta, la necessità di comparare insieme le gravità dell’acqua e de’solidi ; e tale comparazione potrebbe nel primo aspetto parere sufficiente per poter concludere e determinare, quali sieno i solidi che sopranuotino, e quali quelli elio vanno in fondo, pronun¬ ziando che quelli sopranuotino che saranno raen gravi in ispecie 20 dell acqua, o quelli vadano al fondo che in ispecie saranno più gravi : imperocché pare che il solido noi sommergersi vada tuttavia alzando tant acqua in mole, quanta è la parte della sua propria mole soni- meisa ; per lo che impossibil sia che un solido men grave in ispecie dell acqua si sommerga tutto, come impotente ad alzare un peso maggior del suo proprio, e tale sarebbe una mole d‘ acqua eguale alla mole sua propria; e parimente parrà necessario che il solido più grave vada al tondo, come di forza soprabbondante ad alzare una mole d’acqua eguale alla propria, ma inferior di peso, 'l'attavia il negozio procede altramente, e benché le conclusioni sien vere', le ca- » > ni P ei ^ assegnate così, son difettose; nè è vero che ’l solido nel sommergersi sollevi e scacci mole d’ acqua eguale alla sua propria sommersa, anzi 1’ acqua sollevata è sempre meno che la parte del solido eh’ è sommersa, e tanto più, quanto il vaso, nel quale si con- ac.qua, è più stretto : di modo che non repugna che un solido possa sonnnei gei si tutto sott acqua senza pure alzarne tanta, che in mole pareggi la decima o la ventesima parte della mole sua ; sì come, INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ ACQUA ECO. 71 all’ incontro, picciolissima quantità d' acqua potrà sollevare una gran¬ dissima mole solida, ancorché tal solido pesasse assolutamente cento e più volte di essa acqua, tutta volta che la materia di tal solido sia in ispecie men grave dell’ acqua ; e così una grandissima trave, che, v. g., pesi 1000 libbre, potrà essere alzata e sostenuta da acqua che non ne pesi òO; e questo avverrà quando il momento dell’acqua venga compensato dalla velocità del suo moto. Ma perchè tali cose, profferite così in astratto, hanno qualche eli f- tìcultà all’ esser comprese, è bene che vegniamo a dimostrarle con io esempli particulari: e, per agevolezza della dimostrazione, intenderemo, i vasi, ne’ quali s’ abbia ad infonder 1’ acqua e situare i solidi, esser circondati e racchiusi da sponde erette a perpendicolo sopra ’l piano dell’ orizzonte, e ’l solido da porsi in tali vasi essere o cilindro retto o prisma pur retto. Il che dichiarato e supposto, vengo a dimostrare la verità di quanto ho accennato, formando il seguente teorema. La mole dell’ acqua che si alza nell’ immergere un prisma o cilindro solido, o che s’abbassa nell’ estrarlo, è minore della mole di esso solido de¬ morsa o estratta ; e ad essa ha la medesima proporzione, che la superficie 20 dell’ acqua circunfusa al solido alla medesima superficie circa afusa insieme con la base del solido. Sia il vaso A B CI), ecl in esso l’acqua alta sino al livello EFG, avanti che il prisma solido HIK vi sia immerso; ma dopo che egli è demorso, siasi sollevata l’ acqua sino al livello L M : sarà dunque già il solido H I Iv tutto sotti acqua, e la mole dell’ acqua alzata sarà L G, la quale è minore della -mole del solido demorso, cioè di HI K, essendo eguale alla sola parte E 1 K, che si trova sotto il primo livello E F G. Il che è manifesto: perchè se si cavasse fuori, il solido HI K, l’acqua L G tornerebbe nel luogo occupato dalla mole E IK, dove era contenuta avanti l’im- so mersione del prisma : ed essendo la mole L G eguale alla mole E K, aggiunta comunemente la mole E N, sarà tutta la mole E M, composta della parte del prisma E N e dell’ acqua N 1, eguale a tutto ’l solido HIK, e però la mole L G alla E M ara la- medesima proporzione che alla mole HIK: ma la mole L G alla mole E M ha la medesima proporzione che la superficie L M alla superfìcie M li: adunque e manifesto, la mole dell'acqua 72 DISCO USO sollevata L G alla mole del solido denterai/ II I Iv aver la medesima pro¬ porzione che la superficie E M, che è quella dell' acqua ambiente, il solido, a tutta la superficie H M, composta della (letta ambiente e della base del prisma H N. Ma se intenderemo, il primo livello dell' acqua essere secondo la superficie il M, ed il prisma già demorso li I K esser poi estratto ed al¬ zato sino in E A 0, e V acqua essersi abbassata dal primo livello II L M sino in E F fi, è manifesto che, essendo il pristini K A 0 /’ istesso che H I K, la parie sua superiore H 0 sarà eguale all’ inferiore E I lv, rimossa la parte comune E N ; ed, in conseguenza, la mole dell’ acqua E G essere eguale alla mole H 0, e però minore del solido che si trova fuor dell’ acqua, che è lutto ’l io prisma EAO, al quale similmente essa mole d’acqua abbassata EG ha la medesima proporzione che la superficie dell' acqua circuiti fusa LM alla medesima superfìcie circumfusa insieme con la base del prisma A 0: il che ha la medesima dimostrazione che /’ altro caso di sopra. E di qui si raccoglie, che la mole dell' acqua che s’alza nell' immer¬ sion del solido, o che s’abbassa nell’ estrarlo, non è eguale a tutta la mole del solido che si trova demorsa o estratta, ma a quella parte solamente, che nell’ immersione resta sotto il primo livello dell' acqua, e nell' estrazione rimati sopra simil primo livello : che è quello che doveva esser dimostrato. Seguiteremo ora le altre cose. 20 E prima dimosterremo, che quando in uno do’ vasi sopraddetti, di qualunque larghezza, benché immensa o angusta, sia collocato un tal prisma o cilindro, circondato da acqua, se alzeremo tal solido a perpendicolo, l’acqua circunfusa s’abbasserà; e 1’ abbassamento del- 1 acqua all alzamento del prisma avrà la medesima proporziono, che 1 una delle base del prisma alla superficie dell’ acqua ci reti ut'usa. Sia nel vaso, qual si è detto, collocato il prisma A C 1) li, 0 nel resto ^ dello spazio infusa 1’ acqua, sino al livello E A; e alzandosi il solido A D, sia trasferito _ in G-M, e l’acqua s’abbassi da E A in NO: 30 ® ^-g dico c h e scesa dell’acqua, misurata dalla q .. . — —^ nea -A- 0, all» salita del prisma, misurata H L N dalla linea G A, ha la stessa proporzione, D c --che 1» base del solido GII alla superficie dell acqua N 0. Il che è manifesto : perchè la mole del solido GABH, alzata sopra ’l primo livello E A 13, è eguale alla mole dell’ acqua, che si è abbassata, E N 0 A : son dunque due prismi INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 73 eguali, ENOA o GABH: ma de’prismi eguali le base rispondono contrariamente alle altezze: adunque, come l’altezza OA all’altezza A G, così è la superficie o base G H alla superficie dell’ acqua N O. Quando dunque, per esemplo, una colonna fusse collocata in piede in un grandissimo vivaio pieno d’ acqua, o pure in un pozzo, capace di poco più che la mole di detta colonna, nell’ alzarla ed estrarla del- 1’ acqua, secondo che la colonna si sollevasse, 1’ acqua, clic la circonda, s’andrebbe abbassando; e 1’abbassamento dell’acqua allo spazio del- 1’ alzamento della colonna avrebbe la medesima proporzione, che la io grossezza della colonna all’ eccesso della larghezza del pozzo o vivaio sopra la grossezza di essa colonna : sì che, se il pozzo fusse 1’ ottava parte più largo della grossezza della colonna, e la larghezza del vi¬ vaio venticinque volte maggiore della medesima grossezza, nell’alzar che si facesse la colonna un braccio, 1’ acqua del pozzo s’ abbasse¬ rebbe sette braccia, e quella del vivaio un ventiquattresimo di braccio solamente. Dimostrato questo, non sarà difficile lo ’ntendere, per la sua vera cagiono, come un prisma o cilindro retto, di materia in ispecie men grave dell’ acqua, se sarà circondato dall’ acqua secondo tutta la sua 20 altezza, non resterà sotto, ma si solleverà, benché 1’ acqua circonfusa fosse pochissima e di gravità assoluta quanto si voglia inferiore alla gravità di esso prisma. Sia dunque nel vaso G D F B posto il prisma A E F B, men grave in ispecie dell’ acqua, e, infusa 1’ acqua, alzisi sino all’ altezza del prisma : dico che lasciato il prisma in sua libertà, si solleverà, sospinto dall’acqua circunfusa C DE A. Imperocché, essendo P acqua C E più grave in ispecie del solido AF, maggior proporzione avrà il peso assoluto dell’ acqua C E al peso as¬ soluto del prisma AF che la mole CE alla mole AF (imperocché la stessa proporzione ha la mole so alla mole, che il peso assoluto al peso assoluto, quando le moli sono della medesima gravità in ispecie) : ma la mole C E alla mole A F ha la medesima proporzione, che la superfìcie dell’ acqua C A alla super¬ ficie o base del prisma AB, la quale è la medesima che la propor¬ zione dell’ alzamento del prisma, quando si elevasse, all’ abbassamento dell’ acqua circunfusa C E : adunque il peso assoluto dell’ acqua C E al peso assoluto del prisma A F ha maggior proporzione, che 1’ alza¬ ia 10 74 DISI l»KM> mento del prisma AI' all’abbassami-nto di m-quit (’K. Il mo¬ mento, dunque, composto della gravita assoluta dell a< qua l K e della velocità del suo abbassamento, mentre --In la tor/a, premendo, di scacciare e di sollevare il solido A F. è maggior»* del m< ito com¬ posto del peso assoluto del prisma A F e della tardità del «no alza¬ mento, col qual momento egli contrasta allo searriuinento e forza fattagli dal momento dell* acqua : sarà dunque sollevati» il prisma. Seguita ora che procediamo avanti a dine-Arare più particolar¬ mente, sino a quanto saranno tali solidi. in» n gravi dell’ acqua, solle¬ vati, cioè qual parte di loro resterà -omm»*rsa. •• quale sopra la su-io perfide dell’acqua. Ma prima è necessario dimostrar»- il seguente lemma. I pesi assoluti ile’solidi hanno la pro|K>r/.ion composta delle pro¬ porzioni delle lor gravità in specie e delle lnr moli. Siene due solidi A e B: dico, il peso assoluto di A al peso assoluto di B aver la proporzion composta dolio pr»-p«ir/.ioni della gravita iu ispecie di A alla gravità in ispecie di B e della mole \ alla mole 1!. Abbia la linea D alla 1-1 la medesima proporzione eli*- la gravità iu ispecie di A alla gravità in ispecie di B. »• la K alla F sia come la mole A alla mole B; è manifesto, la proporzione I> ad 1* esser coni-# posta delle proporzioni 1) ad K ed K ad F: iii-ogua -linique dimostrare, come I) ad 1*. cosi oMU-ro il p»*so assoluto di A al peso assoluto di lì. Pongasi il solido (' eguale ad A i i lido B: porche dunque \ •• l .nono in inule eguali, il peso assoluto di A al p»>*> a coluto di C avrà la medesima proporzion** eh»* la pravità in ÌHj>t*cie di A alla» gL avita iu ispecie (li (J o di I>, che «• in ìsprcie» la medesima, cioè che la linea 1) alla li» : e penda* C *• Il mhih delia medesima gravità in ispecie, sarà come il peso assoluto *li G al pi*sn assoluto di Ih così*' la mole G, o vero la mole A, alla molo I». • • i«»•’• la linea K alla F* Come dunque il peso assoluto di A al p.-o assoluto di 0, così la linea U alla E, e come il peso assoluto di C al jh-m. assoluto di B, così la linea E alla F: adunque, per la proporziono .guai»*. il peso assoluto di A al peso assoluto di B è come la linea I) alla linea F: che biso- gnava dimostrare. »i. so oia «i dimostrar come: S** un cilindro o prisma solido sarà tnen r* ^ 7l> INTORNO ALI.K C08K CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. grave in ispecie dell’acqua, posto in un vaso come di sopra, di qual si voglia grandezza, e infusa poi l’acqua, resterà il solido senza essere sollevato sin che l’acqua arrivi a. tal parte dell’ altezza di quello, alla quale tutta 1’ altezza del prisma abbia la medesima proporzione che la gravità in ispecie dell’acqua alla gravità in ispecie di esso solido ; ma infondendo più acqua, il solido si solleverà. Sia il vaso MLGN, di qualunque grandezza, ed in esso sia col¬ locato il prisma solido 1) F G E, uien grave in ispecie dell’acqua; e qual proporzione ha la gravità in ispecie dell’acqua a quella del pri- 10 sin a, tale abbia l’altezza DF all’altezza FB: dico che, infondendosi acqua sino all’ altezza F B, il solido I) G non si eleverà, ma ben sarà ridotto all’equilibrio, sì che ogni poco più d’acqua che si aggiunga, si solleverà. Sia dunque infusa 1’ acqua sino al livello A B C ; e perchè la gravità in ispecie del solido D G alla gravità in ispecie dell’acqua è come 1’ altezza B F all’ altezza F I), cioè come la mole B G alla mole Gl), e la proporzione della mole BG alla mole GD con la pro¬ porzione della mole GD alla mole AF compongono la proporzione della mole B G alla mole A F. adunque la mole B G alla mole A F ha la proporzion composta delle proporzioni della 20 gravità in specie del solido GD alla gravità in ispecie dell' acqua e della mole GD alla mole A F. Ma le medesime proporzioni, della gravità in ispecie di GD alla gravità in ispecie dell’acqua, e della mole GD alla mole AF, com¬ pongono ancora, per lo lemma precedente, la proporzione del peso assoluto del solido DG al peso assoluto della mole dell’acqua AF: adunque, come la mole B G alla mole A F, così è il peso assoluto del solido 1) G al peso assoluto della mole dell’ acqua A F. Ma come la mole B G alla mole A F, così è la base del prisma I) E alla superfìcie so dell’acqua A B, e così la scesa dell’acqua AB alla salita del solido D G: adunque la scesa dell’ acqua alla salita del prisma ha la medesima proporzione, che il peso assoluto del prisma al peso assoluto dell’acqua; adunque il momento resultante dalla gravità assoluta dell’acqua A F e dalla velocità del moto nell’ abbassarsi, col qual momento ella fa forza per cacciare e sollevare il prisma DG, è eguale al momento che risulta dalla gravità assoluta del prisma D G e dalla velocità del moto con la quale, sollevato, ascenderebbe ; col qual momento e’ re- sr É" rr «Li ì Jtt d- T> ;-aì B È _I»l/ 7 fi DISCORSO siste all’essere alzato: perchè dunque tali momenti sono eguali, si farà 1’ equilibrio tra 1’ acqua e ’1 solido. Kd é manifesto che, aggiu- gnendo un poco d’acqua sopra 1’ altra A F, a' accrescerà gravità e momento, ondo il prisma D CI sarà superato o alzato, sin che la sola parte BF resti sommersa: elio è quello che bisognava dimostrare. Da quanto si è dimostrato si fa manifesto, corno i solidi men gravi in ispecie dell’acqua si sommergono solamente sin tanto, elio tanta acqua in molo quanta è la parto del solido sommersa pesi assolu¬ tamente quanto tutto il solido. Imperocché, essendosi posto che la gravità in ispecie dell’acqua alla gravità in ispecie «lei prisma 1) G io abbia la medesima proporziono che l’altezza I) F all'altezza F B, cioè che il solido D (1 al solido (1lì, diinostrcrronio agevolmente, che tanta acqua in molo quanta è la mole del solido Dii. pesa assolutamente quanto tutto d solido DB. Imperocché, per lo lemma precedente, il peso assoluto d’una mole d’ acqua eguale alla mole lui, al peso as¬ soluto del prisma 1) G ha la proporzione composta delle proporzioni della mole BG alla molo Gl) e della gravità in ispecie dell’acqua alla gravità in ispecie del prisma: ma la gravità in ispecie dell’acqua, alla gravità in ispecie del prisma è posta come la mole I)G alla mole GB: adunque la gravità assoluta d' una mole d’ acqua uguale» alla mole B G, alla gravità assoluta del solido <1 l> ha la proporzione composta delle proporzioni della mole lì G alla mole (ì I) e della mole 1)G alla mole G B, che è proporzione d' egualità, ha gravit i, dunque, assoluta d’una mole d’acqua eguale alla parte della mole del prisma 13 G, è eguale alla gravità assoluta di tutto’l solido 1)G. Seguita iu oltre che, posto un solido men grave dell’ acqua in un vaso di qual si voglia grandezza, e circum'usagli attorno acqua sino a tale altezza, che tanta acqua in mole, (pianta sin la parte del so¬ lido sommersa, pesi «assolutati uni te quanto tutto d solido, egli da tale acqua sarà giustamente sostenuto, e sia 1' acqua circimfusa in quali- so tità immensa o pochissima. Imperocché, si* d cilindro o prisma M, men grave dell’acqua, v. g., in proporzione subsequiterza, sarà posto ^ __-_—i 111 1 vus<) ' mill0n8 ° ABCD, i e alzatagli attorno l’acqua 6-il—l^Hs---tì s j no quarti della sua altezza, cioè sino al livello AI), sarà sostenuto e equilibrato per appunto: lo stesso gli accadrebbe se il vaso K X S F fusse piccoli®- INTORNO ALLE COSE CIIE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 77 simo, in modo clic tra ’1 vaso e ’l solido M restasse uno angustis¬ simo spazio, e solamente capace di tanta acqua ohe nò anche fusse la centesima parte della mole M, dalla quale egli similmente sarebbe sollevato e retto, come prima ella fusse alzata sino alli tre quarti dell’ altezza del solido. Il che a molti potrebbe, nel primo aspetto, aver sembianza di grandissimo paradosso, e destar concetto che la dimo¬ strazione di tale effetto fosse sofistica e fallace; ma pqr quelli che per tale la reputassei’o, c’ è la sperienza di mezzo, che potrà rendergli certi: ma chi sarà capace di quanto importi la velocità del moto, o io come ella a capello ricompensa il difetto e ’l mancamento di gravità, cesserà di maravigliarsi, nel considerare come all’alzamento del solido M pochissimo s’abbassa la gran mole dell’acqua A BOI), ma assais¬ simo ed in uno stante decresce la piccolissima mole dell’acqua ENSF come prima il solido M si eleva, benché per brevissimo spazio ; onde il momento composto della poca gravità assoluta dell’acqua ENSF e della grandissima velocità nello abbassarsi, pareggia la forza e ’l momento che risulta dalla composizione dell’immensa gravità del- p acqua ABCI) con la grandissima tardità nell’ abbassarsi, avvegna che, nell’ alzarsi il solido M, l’abbassamento della pochissima acqua hi S 20 si muove tanto più velocemente che la grandissima mole dell’acqua, A C, quanto appunto questa ò più di quella. Il che dimosterremo così. Nel sollevarsi il solido M, 1’ alzamento suo all’ abbassamento del- p acqua ENSF circ-unfusa ha la medesima proporzione, che la su¬ perficie di essa acqua alla superficie o base di esso solido M; la qual base alla superficie dell’ acqua A I) ha la proporzion medesima, cho l’abbassamento dell’acqua AC all’alzamento del solido M; adunque, per la proporzion perturbata, nell’ alzarsi il medesimo solido M, P ab¬ bassamento dell’ acqua A B C D all’ abbassamento dell’ acqua ENSF ha la medesima proporzione, che la superficie dell’ acqua E F alla su¬ so perfide dell’ acqua AI), cioè che tutta la mole dell’ acqua E N S F a tutta la mole A B G D, essendo egualmente alte. È manifesto, dunque, come nel cacciamento e alzamento del solido M P acqua E N S F su¬ pera in velocità di moto P acqua A B CI) di tanto, di quanto ella vien superata da quella in quantità: Onde i momenti loro in tale operazione son ragguagliati. E per amplissimi confermazione c più chiara esplicazione di questo medesimo, considerisi la presente figura {e., s’io non ni inganno, potrà 78 DISCORSO servire per cavar d!errore (Unirti meccanici pratici, chi sopra un falso fondamento tentano talora imprese impossibili), nella quale al raso larghi,, simo E 11) F vien continuata l’angustissima canna I C A B, ni intendasi in essi infusa l’acqua sino al livello L (i II; la quale in questo stato si quie¬ terà, non senza meraviglia di alcuno, che non rapirà cosi subito come es¬ ser possa, che il grave carico dello gran nude Urli'acqua G I), premendo abbasso, non sollevi c scaccila piccola quantità dell' olirà contenuto dentro alla canna C L, dalla quale gli vini contesa ed impedita la scesa. Ma tal meraviglia cesserò, se noi rominreremo a fingere I' acqua Gl) essersi di¬ bassala solamente sino a Q 0, e considereremo poi ciò che arerà failo io l'acqua GL: la qual', per dar luogo oli’ altra che si è stonala dal livello G 11 sino al Unii" (*>(), dorerà per ne¬ cessità essersi nell istesso tempo alzata dal livello L sino in A B, ed esser la salita L 11 tanto mtvjginre della scesa G Q, quanti è. l'ampiezza ilei caso (11) maggiore della lar¬ ghezza della roana I. C, che in somma c quanto l'acqua GD r più della L C. Ma essendo che il momento della velocità del mulo in un mobile compensa quello dello gracili) di un altro, qual meraviglia sarà se la ndocissima salita della /Meo acqua G L resisterà alla tardissima sresa della molta GD?M Accade, adunque, in questa operazione lo «tesso a capello elio nella stadera, nella quale un peso di due libbre ne contrappcserà un altro di 200, tuttavolta elio nel tempo medesimo quello si dovesse muo¬ vere per ispazio 1 OD volte maggiore che questo; il clic arcade quando F un braccio della libra sia più cento volte lungo dell'altro. Gessi por tanto la falsa opinione in quelli che stimavano eie* un navilio me¬ glio e più agevolmente fosse sostenuto in grandissima copia d' acqua che in minor quantità (fa ciò creduta da Aristotile ne' Problemi, alla Sezzion 23, Probi. 2), essendo, all’ incontro, vero che è possibile che una nave così ben galleggi in dieci botti di acqua come nell’oceano. Ma. seguitando la nostra materia, dico che da quanto si 6 sin qui dimostrato possiamo intendere, come uno de' soprannominati solidi, quando tasse più grave in ispecio dell acqua, non potrebbe mai da qualsivoglia quantità di quella esser sostenuto. Imperò clic, avendo noi veduto, come il momento, col quale un tal solido grave in ispecie come l acqua contrasta col momento di qualunque mole d’acqua, è potente a ritenerlo sino alla total sommersione, senza che egli si 7!) INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU l/AOQUA ECO. elevi ; resta manifesto, che molto meno potrà dall’ acqua esser sol¬ levato, quando e’ sia più di quella grave in ispecie : ondo, infondendosi acqua sino alla total sua sommersione, resterà ancora in fondo, e con tanta gravità e renitenza all’esser sollevato, quanto è l’eccesso del suo peso assoluto sopra il peso assoluto d’una mole a sè eguale fatta d’acqua o di materia in ispecie egualmente grave come l’acqua. E benché s’ aggiugnesse poi grandissima quantità d’acqua sopra il li¬ vello di quella che pareggia 1 ’ altezza del solido, non però s’ accresce la pressione o aggravamento delle parti circonfuse al detto solido, jo per la quale maggior pressione egli avesse ad esser cacciato ; perchè il contrasto non gli vien fatto se non da quelle parti dell’ acqua, le quali al moto d’ esso solido esse ancora si muovono, e queste son quelle solamente che son comprese tra le due superfìcie equidistanti all’orizzonte e fra (li loro parallele, le quali comprendon l’altezza del solido immerso nell’ acqua. Panni d’ aver sin qui a bastanza dichiarata e aperta la strada alla contemplazione della vera, intrinseca e propria cagione de’ diversi movimenti e della quiete de’diversi corpi solidi ne’diversi mezzi e in particolare nell’acqua, mostrando come in effetto il tutto depende 20 dagli scambievoli eccessi della gravità de’ mobili e de’ mezzi, e, quello che sommamente importava, rimovendo l’instanza oli’a molti avrebbe potuto per avventura apportar gran dubbio e diffieultà intoni’ alla verità della mia conclusione, cioè come, stante che l’eccesso della gravità dell’acqua sopra la gravità del solido, che in essa si pone, sia cagion del suo galleggiare e sollevarsi dal fondo alla superficie, possa una quantità d’acqua, che pesi meno di dieci libbre, sollevare un solido che pesi più di cento : dove abbiamo dimostrato, come basta die tali differenze si trovino tra le gravità in ispecie de’mezzi e de’mobili, e sien poi le gravità particolari e assolute quali esser ao si vogliano; in guisa tale che un solido, pareli’ ei sia in ispezie men grave dell’acqua, benché poi di peso assoluto fosse mille libbre, potrà da dieci libbre d’ acqua, e meno, essere innalzato ; e, all’ òpposito, altro solido, purché in ispecie sia più grave dell' acqua, benché di peso assoluto non fosse più d’ una libbra, non potrà da tutto ’l mare esser sollevato dal fondo o sostenuto. Questo mi basta, per quanto appartiene al presente negozio, avere co’ sopra dichiarati esempli scoperto e dimostrato, senza estender tal materia più oltre e, come 80 DISCORSO si potrebbe, in lungo trattato; anzi, ho non fosse 'tuta la necessità eli risolvere il sopra posto dubbio, mi sarei fermato in quello sola¬ mente clie da Archimede vien dimostrato nel primo libro Delle cose che stanno sopra l’acqua, dov'in universale si concludono e stabi- liscon le medesime conclusioni, cioè che i solidi luca giravi dell’acqua soprannuotano, i più gravi vanno al fondo, gli egualmente gravi stanno indifferentemente in ogni luogo, purché stimo totalmente sotto acqua. Ma perchè tal dottrina d’ Archimede, vista, trascritta ed esami¬ nata dal Sig. Francesco Buonamico nel quinto libro Del moto, ali» cap. 29, e poi dal medesimo confutata, potrebbe dall’autorità di filo¬ sofo così celebre e famoso esser resa dubbia e sospetta di falsità; ho giudicato necessario’1 difenderla, se sarò potente a farlo, e purgare Archimede da quello colpe dello quali par eh' e’ venga imputato. Lascia il Buonamico la dottrina d'Archimede, prima, come non concorde con l’opinion d'Aristotile ; soggiugnemlo, parergli cosa am¬ miranda che l’acqua debba superar la terra in gravità, vedendosi, in contrario, crescer la gravità nell’ acqua mediante la participazion della terra. Sogghigno appresso, non re-u.tr soddisfatto delle ragioni d’Archimede, por non poter con quella dottrina assegnar la cagiono,so donde avvenga che un legno e un vaso, che per altro stia a galla nell’acqua, vada poi al fondo se s’empierà d’acqua; che, per essere il peso dell’acqua, che in esso si contiene, eguale all’ al tr’ acqua, dovrebbe fermarsi al sommo nella superficie; tuttavia si vede andare in fondo. Di più aggiugne che Aristotile chiaramente ha confutato gli antichi, che dicevano i corpi leggieri esser mossi all’ in su, scacciati dalla ’mpulsione dell’ ambiente più grave ; il che se fosse, parrebbe che di necessità ne seguisse, che tutti i corpi naturali fossero di sua natura gravi e ninno leggiere, perchè 1 medesimo accadrebbe au- coia dell aria e del fuoco, posti nel fondo dell’acqua. E benché Ari- w stotile conceda la pulsione negli dementi, per la quale la terra si ì iduce in figura sferica, non però, per suo parere, è tale che oli# possa rimuovere i corpi gravi dal luogo suo naturale; anzi elio più tosto gli manda verso il centro, al quale (come egli alquanto oscu¬ ramente séguita di dire) principalmente si muove V acqua, so già ella non incontra chi gli resista e per la sua gravità non si lasci scac¬ ciare dal luogo suo, nel qual caso, se non direttamente, al mono come INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 81 si può, conseguisce il centro: ma al tutto per accidente i leggieri per tale impulsione vengono ad alto, ina ciò hanno per lor natura, come anche lo stare a galla. Conclude finalmente di convenir con Archimede nelle conclusioni, ma non nelle cause, le quali egli vuol riferire alla facile o difficile divisione del mezzo, e al dominio degli elementi : sì che quando il mobile supera la podestà del mezzo, come, per esemplo, il piombo la continuità dell’ acqua, si moverà per quella ; altramente, no. Questo è quello che io ho potuto raccorre, esser prodotto contro io Archimede dal Sig. Buonamico : il quale non s’è curato d’atterrare i principii e le supposizioni d’Archimede, che pure è forza che sieno falsi, se falsa è la dottrina da quelli dependente ; ma s’ è contentato di produrre alcuni inconvenienti e alcune repugnanze all’ opinione e alla dottrina d’Aristotile. Alle quali obbiezioni rispondendo dico, prima, che l’essere semplicemente la dottrina d’Archimede discorde da quella d’Aristotile, non dovrebbe muovere alcuno ad averla per sospetta, non constando cagion veruna per la quale l’autorità di questo debba essere anteposta all’ autorità di quello. Ma perchè, dove s’ hanno i decreti della natura, indifferentemente esposti a gli occhi 20 dello intelletto di ciascheduno, 1’ autorità di questo e di quello perde ogni autorità nel persuadere, restando la podestà assoluta alla ra¬ gione ; però passo a quello che vien nel secondo luogo prodotto, come assurdo conseguente alla dottrina d’Archimede, cioè che l’acqua dovesse esser più gx’ave della terra. Ma io veramente non trovo che Archimede abbia detta tal cosa, nè che ella si possa dedurre dalle sue conclusioni; e quando ciò mi fusse manifestato, credo assoluta¬ mente elio io lascerei la sua dottrina, come falsissima. Forse è ap¬ poggiata questa deduzione del Buonamico sopra quello che egli sog- giugne del vaso, il quale galleggia sin che sarà vóto d’acqua, ma so poi, ripieno, va al fondo; e intendendo d’un vaso di terra, inferisce contro Archimede così: Tu di’ che i solidi che galleggiano, sono men gravi dell’acqua; questo vaso di terra galleggia; adunque tal vaso è men grave dell’ acqua, e però la terra è men grave dell’ acqua. Se tale è la illazione, io facilmente rispondo, concedendo che tal vaso sia men grave dell’acqua, e negando l’altra conseguenza, cioè che la terra sia men grave dell’acqua. Il vaso che soprannuota, occupa nell’acqua non solamente un luogo eguale alla mole della terra della quale egli IV. ii 82 DISCORSO è formato, ma eguale alla terra e all' aria insieme nella sua conca¬ vità contenuta; e se una tal mole, composta ili terra e d’aria, sarà men grave d’ altrettanta acqua, soprannoterà, e sarà conforme alla dottrina d’Archimede : ma se poi, rimovondo l'aria, si riempierà il vaso d’acqua, sì che il solido posto nell’acqua non sia altro che terra, nè occupi altro luogo che quello che dalla sola terra viene ingom¬ brato, allora egli andrà al fondo, per esser la terra più grave del¬ l’acqua; e ciò concorda benissimo con la mente d Archimede. Ecco il medesimo effetto dichiarato con altra esperienza simile. Nel volere spignoro al fondo una boccia di vetro mentre è ripiena d’aria, silo sente grandissima renitenza, perchè non è il solo vetro quello che si spigne sotto acqua, ma, insieme col vetro, una gran mole d’aria, e tale che chi prendesse tanta acqua (pianta è la molo del vetro e dell’aria in esso contenuta, avrebbe un peso molto maggiore che quello della boccia e della sua aria ; e però non si sommergerà senza gran violenza: ina se si metterà nell acqua il vetro solamente, che sarà quando la boccia s’empierà d’acqua, allora il vetro discenderà al fondo, come superiore in gravità all’ acqua. Tornando, dunque, al primo proposito, dico che la terra è più grave dell’acqua, e che poro un solido di terra va al fondo; ma può20 ben farsi un composto di terra e d’ aria, il «piale sia inon grave il altrettanta mole di acqua, e questo resterà a galla: 0 sarà l’ima e 1 altra esperienza molto ben concorde alla dottrina d’Archimede. Ma perchè ciò mi pare che non abbia difticultà, io non voglio affer¬ mativamente diro che il Sig. Ihionamico volesse da un simil discorso opporre ad Archimede 1 assurdo, dello ’nforirsi dalla sua dottrina che la terra fusse men grave dell acqua: benché io veramente non sappia immaginarmi, quale altro accidente lo possa avere indotto a ciò. lu»sr, tal problema (per mio creder favoloso), letto dal Sii/. Buonamico in altro autore , dal quale per avventura fu attribuito per proprietà sin-» polare a qualche acqua particolare, viene ora usato con doppio errore in confutare Archimede; poiché egli non dice tal rosa, nè da chi la disse fu asserita dell acqua del comune elemento. Era la terza difticultà nella dottrina d’Archimede il non si poter ìendei ingioile, onde avvenga che un legno e un vaso pur di legno, c ìe pei altio galleggia, vada al fondo se si riempierà d’acqua. Ha creduto il signor Buonamico, che un vaso di legno, e di loglio che INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 83 pei’ sua natura stia a galla, vada poi al fondo come prima e’ s’empia d’ acqua ; di che egli nel capitolo seguente, che è il 30 del quinto libro, copiosamente discorre : ma io, parlando sempre senza diminu¬ zione della sua singoiar dottrina, ardirò, per difesa d’Archimede, di negargli tale esperienza, essendo certo che un legno il quale, per sua natura, non va al fondo nell’ acqua, non v’ andrà altresì incavato e ridotto in figura di qual si voglia vaso, e poi empiuto d’acqua. E chi vorrà vederne prontamente l’esperienza in qualche altra ma¬ teria trattabile e che agevolmente si riduca in ogni figura, potrà io pigliar della cera pura e, facendone prima una palla o altra figura solida, aggiugnervi tanto di piombo che a pena la conduca al fondo, sì che un grano di manco non bastasse per farla sommergere; perchè, facendola poi in forma d’ un vaso, e empiendolo d’acqua, troverrà che senza il medesimo piombo non andrà in fondo, e che col mede¬ simo piombo discenderà con molta tardità, ed, in somma, s’accerterà che l’acqua contenuta non gli apporta alterazione alcuna, lo non dico già che non si possano, di legno che per sua natura galleggi, far barche, le quali poi, piene d’acqua, si sommergano ; ma ciò non avverrà per gravezza che gli sia accresciuta dall’ acqua, ma sì bene 20 da’ chiodi e altri ferramenti, sì che non più s’ avrà un corpo men grave dell’ acqua, ma un composto di ferro e di legno, più ponderoso d’ altrettanta mole d’ acqua. Cessi per tanto il Sig. Buonamico di vo¬ ler render ragioni d’un effetto che non è: anzi, se l’andare al fondo il vaso di legno, quando sia ripien d’acqua, poteva render dubbia la dottrina d’Archimede, secondo la quale egli non vi dovrebbe andare, e all’incontro quadra e si conforma con la dottrina peripatetica, poiché ella accomodatamente assegna ragione che tal vaso debbe. quando sia pieno d’ acqua, sommergersi ; convertendo il discorso al- 1’ opposito, potremo con sicurezza dire, la dottrina d’Ai'chimede esser so vera, poiché acconciamente ella s’adatta alle esperienze vere, e dubbia 1’ altra, le cui deduzioni s’accomodano a false conclusioni. Quanto poi all’ altro punto accennato in questa medesima instanza, dove pare che il Buonamico intenda il medesimo non solamente d’un legno figurato in forma di vaso ina anche d’ un legno massiccio, che ripieno, cioè, come io credo che egli voglia dire, inzuppato e pi’egno d’acqua, vada finalmente al fondo; ciò accade d’alcuni legni porosi, li quali, mentre hanno le porosità ripiene d’aria o d’altra materia men grave 84 DISCORSO dell’ acqua, sono moli in ispoeie manco taravi di essa acqua, sì come è quella boccia di vetro mentre è piena d'aria; ma quando, parten¬ dosi tal materia leggiera, succede nelle dette porosità e cavernosità l’acqua, può benissimo essere che allora tal composto resti più gravo dell’acqua, nel modo che, partendosi T aria dalla boccia di vetro e succedendovi 1 ’ acqua, ne risulta un composto d’acqua e di vetro, più grave d’altrettanta mole d’acqua; ina 1 ‘eccesso della sua gravità è nella materia del vetro, e non nell’acqua, la quale non è più gravo di sè stessa: così quel che rosta del legno, partendosi l’aria dalle sue concavità, se sarà più grave in ispecie dell'acqua, ripiene che saranno io lesue porosità d’acqua, s’avrà un composto d'acqua e di legno, più grave doli’ acqua, ma non in virtù dell' ampia ricevuta nelle porosità, ma di quella materia del legno che resta, partita che sia l’aria: e reso tale, andrà, conformo alla dottrina d’Archimede, al fondo, sì come prima, secondo la medesima dottrina, galleggiava. A quello finalmente olio viene opposto nel quarto luogo, cioò che già sieno stati da Aristotile confutati gli antichi, i quali, negando la leggerezza positiva e assoluta e stimando veramente tutti i corpi esser gravi, dicevano, quello che si muove in sii essere spinto dal¬ l’ambiente, o per tanto che anche la dottrina d’Archimede, come 20 a tale opinione aderente, resti convinta 0 confutata; rispondo, pri¬ mieramente, parermi che ’l Sig. Buonauiico imponga ad Archimede e deduca dal suo detto più di quello eli egli ha proposto e elio dallo sue proposizioni si può dedurre : avvegnaché Archimede nò neghi nè ammetta la leggerezza positiva, né pur ne tratti, onde molto meno si debbe inferire eli’ egli abbia negato che ellu possa esser cagione e principio del moto all’ insù del fuoco 0 d altri corpi leggieri; ina solamente, avendo dimostrato come i corpi solidi più gravi dell’acqua discendano in ossa secondo 1 eccesso della gravità loro sopra la gra¬ vita di quella, dimostra parimente come i meli gravi ascendano nella*) medesima acqua secondo l’eccesso della gravità di essa sopra la gra¬ vita loro; onde il più che si possa raccòrrò dalle dimostrazion d’Ar¬ chimede è che, sì come l’eccesso della gravità del mobile soprala gravità dell acqua è cagion del suo discendere in essa, così 1 ’ eccesso della gravità dell acqua sopra quella del mobile è bastante a faro che egli non discenda, anzi venga a galla, non ricercando se del muovei si all in su sia 0 non sia altra cagion contraria alla gravità. INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 85 Nò discorre meno acconciamente Archimede d’alcuno che dicesse: Se il vento australe ferirà la barca con maggiore impeto che non è la violenza con la quale il corso del fiume la traporta verso mez¬ zogiorno, sarà il movimento di quella verso tramontana ; ma se l’im¬ peto dell’ acqua prevarrà a quello del vento, il moto suo sarà verso mezzogiorno. 11 discorso è ottimo, e immeritamente sarebbe ripreso da chi gli opponesse dicendo : Tu malamente adduci, per cagion del mo¬ viménto della barca verso mezzogiorno, l’impeto del corso dell’acqua, eccedente la forza del vento australe; malamente, dico, perchè c’ò la io forza del vento borea, contrario all’austro, potente a spinger la barca verso mezogiorno. Tale obbiezione sarebbe superflua : perchè quello che adduce, per cagion del moto, il corso dell’ acqua, non nega che il vento contrario all’ ostro possa far lo stesso effetto, ma solamente afferma che, prevalendo l’impeto dell’acqua alla forza d’austro, la barca si moverà verso mezzogiorno ; e dice cosa vera. E cosi appunto, quando Archimede dice che, prevalendo la gravità dell’acqua a quella per la quale il mobile va a basso, tal mobile vien sollevato dal fondo alla superficie, induce cagion verissima di tale accidente, nè afferma o nega che sia o non sia una virtù contraria alla gravità, detta da so alcuni leggerezza, potente ella ancora a muovere alcuni corpi all’insù. Sieno dunque indirizzate 1’ armi del Sig. Buonamico contra Pla¬ tone e altri antichi, li quali, negando totalmente la levità e ponendo tutti li corpi esser gravi, dicevano il movimento all’insù esser fatto non da principio intrinseco del mobile, ma solamente dallo scacciamento del mezo; e resti Archimede con la sua dottrina illeso, poi che egli non dà cagion d’ essere impugnato. Ma quando questa scusa addotta in difesa d’Archimede paresse ad alcuno scarsa per liberarlo dalle obbiezioni e argomenti latti da Aristotile contro a Platone e agli altri antichi, come che i medesimi militassero ancora contro ad Ar¬ so chimede adducente lo scacciamento dell’acqua come cagione del tor¬ nare a galla i solidi men gravi di lei, io non diffiderei di poter so¬ stener per verissima la sentenza di Platone e di quegli altri, li quali negano assolutamente la leggerezza, e affermano ne’ corpi elementari non essere altro principio intrinseco di movimento se non verso il centro della terra, nè essere altra cagione del movimento all’insù (intendendo di quello che ha sembianza di moto naturale) fuori che lo scacciamento del mezo fluido ed eccedente la gravità del mobile; 8G DISCORSO o allo ragioni in contrario d’Aristotile creilo che si possa pienamente soddisfare*, e mi sforzerei di farlo, quando lussi totalmente necessario nella presente materia, o non fu sso troppo lunga digressione in questo breve trattato. Dirò solamente che, se in alcuno do’nostri corpi elemen¬ tari fosse principio intrinseco e inelinaziim naturale di fuggire il centro della terra e muoversi verso il concavo della Luna, tali corpi senza dubbio più velocemente ascenderebbono per quo’ mezi che meno contrastano alla velocità ilei mobile; <* questi sono i più tenui e sottili, quale è, per esemplo, l'aria in comparazion dell' acqua, provando noi tutto ’l giorno che molto più speditamente moviamo io con velocità una mano o una tavola trasversalmente in quella che in questa: tutta via non si t.roverrà mai corpo alcuno il quale non ascenda molto più velocemente nell’acqua die nell’aria; anzi, do’corpi che noi veggiamo continuamente ascendere con velocità nell’ acqua, ninno è che, pervenuto a'confin dell'aria, non perda totalmente il moto; insino all'aria stessa, la quale, sormontando velocemente per l’acqua, giunta che è alla sua regione lascia ogn’imputo e lenta¬ mente con l’altra si confonde. K avvegnaché l’esperienza ci mostri che i corpi di mano in mano inen gravi più velocemente uscendoli nell’acqua, non si potrà dubitare che 1’esalazioni ignee più veloce-» mente ascendano per l'acqua che non fa 1' aria ; la quale aria si vede per esperienza ascender più velocemente per 1 acqua, che l'esalazioni ignee per 1 aria: adunque di necessità si conclude, che le medesime esalazioni assai piu velocemente ascendano per 1 acqua che per l’aria, e che, in conseguenza, elle sieno mosse dal discaccianiento del mezzo ambiente, e non da principio intrinseco, che sia in loro, di fuggire il centro al qual tendono gli altri corpi gravi. A quello che per ultima conclusione produce il Sig. lluonamico, di voler ridurre il discendere o no all’ agevole e alla diff'u il divisimi del mezzo e al dominio de gli elementi, rispondo, quanto alla prima parte, ciò non potere in modo alcuno aver ragion di causa, avvenga che in ninno de mezzi fluidi, come l'aria, l’acqua e altri umidi, sia resistenza alcuna alla divisione, ma tutti da ogni minima forza son divisi o penetrati, come di sotto dimostrerò ; sì che di tale resistenza alla divisione non può essere azione alcuna, poi che ella stessa non è Quanto all altra parte, dico che tanto è 1 considerar ne’mobili il piedominio degli elementi, quanto l'eccesso o’1 mancamento di gra- INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ ACQUA ECO. S7 vita in relazione al mezzo, perchè ’n tale aziono gli elementi non operano se non in quanto gravi o leggieri ; e però tanto è ’l dire, che il legno delFabeto non va al fondo perchè è a predominio aereo, quant’è ’l dire perchè è men grave dell’acqua: anzi, pur la cagione immediata è 1’ esser men grave dell’ acqua, e 1’ essere a predominio aereo è cagion della minor gravità ; però chi adduce per cagione il predominio dell’ elemento, apporta la causa della causa, e non la causa prossima e immediata. Or chi non sa che la vera causa è la immediata, e non la mediata? In oltre, quello che allega la gravità, io apporta una causa notissima al senso, perchè molto agevolmente potremo accertarci se 1’ ebano, per esemplo, e 1’ abeto son più o men gravi dell’ acqua : ma s’ei sieno terrei o aerei a predominio, chi ce lo manifesterà? certo niun’ altra esperienza meglio, che ’l vedex-e se e’ galleggiano o vanno al fondo. Tal che, chi non sa che il tal so¬ lido galleggia se non quand’e’sappia ch’egli è a predominio aereo, non sa eh’ e’ galleggi se non quando lo vede galleggiare : perchè, allora sa eli’ e’ galleggia, quand’ e’ sa eh’ egli è aereo a predominio ; ma non sa eh’ e’ sia aereo a pi’edominio, se non quando e’ lo vedo galleggiare; adunque, e’non sa eli’e’ galleggi, se non dopo l’averlo • 2 o veduto stare a galla. Non disprezziam dunque quei civanzi, pur troppo tenui, che il discorso, dopo qualche contemplazione, apporta alla nostra intelli¬ genza; e accettiamo da Archimede il sapei’e, che allora qualunque corpo solido andrà al fondo nell’ acqua, quand’ egli sarà in ispecie più grave di quella, e che s’ ei sarà men grave, di necessità galleg- gerà, e che indiffei’entemente restei'ebbe in ogni luogo dentro al- 1’ acqua, se la gravità sua fusse totalmente simile a quella dell’acqua. Esplicate e stabilite queste cose, io vengo a considerare ciò che abbia, circa questi movimenti e quiete, che fai' la diversità di figura sodata ad esso mobile; e torno ad affermare: Che la diversità di figura data a questo e a quel solido non può esser cagione in modo alcuno dell’andare egli, o non andare, assolutamente al fondo o a galla ; sì che un solido che tìgui’ato, por esemplo, di figura sferica va al tondo, o viene a galla, nell’ acqua, dico che, figurato di qualunque altra figura, il medesimo nella me¬ desima acqua andrà o tornerà dal fondo, nè gli potrà tal suo moto dall’ ampiezza o da altra mutazion di figura esser vietato o tolto. 88 DIMOILO può ben l’ampiezza della figura ritardar la velocità, tanto della scesa, quanto della salita, e più e più secondo che tal figura si ri¬ durrà a maggior larghezza e sottigliezza : ma eh’ ella possa ridarsi a tale, ch’ella totalmente vieti il più muoversi quella stessa materia nella medesima acqua, ciò stimo essere impossibile. In questo ho tro¬ vato gran contradittori, li quali, produeendo alcune esperienze, e in particolare una sottile assicella d'ebano e una palla del medesimo legno, e mostrando come la palla nell'acqua discendeva al fondo, e l’assicella, posata leggiermente su 1’acqua, non si sommergeva ina si fermava, hanno stimato, e con l’autorità d’Aristotile confermatisi io nella credenza loro, che ili tal quiete ne sia veramente cagione la larghezza della figura, inabile, per lo suo poco peso, a fendere e pe¬ netrar la resistenza della erassizie dell’acqua ; la qual resistenza pron¬ tamente vien superata dall’ altra figura rotonda. Questo è il punto principale della presente quintèrno : nel (piale in’ingegnerò di fnr manifesto d’ essermi appreso alla parte vera. Però, cominciando a tentar d’investigare con l'usuine d’esquisita esperienza come veramente la figura non altera punto l’amlare o’I non andare al fondo i medesimi solidi, e avellilo già dimostrato come la maggiore o minor gravità del solido, in relazione alla gravità dolse mezzo, ò cagiono del discendere o ascendere ; qualunque volta noi vogliamo far prova di ciò elio operi circa questo effetto la diver¬ sità della figura, sarà necessario far 1' esperienza con materie nelle quali la varietà delle gravezze non abbia luogo, perchè, servendoci di materie elio tra di lor possano esser di varie gravità in ispecie, sempre resteremo con ragione ambigui, incontrando varietà noli’ef¬ fetto del discendere o ascendere, se tal diversità derivi veramente dalla sola figura, o pur dalla diversa gravità ancora. A ciò trover- rerno rimedio col prendere una sola materia, la qual sia trattabile, e atta a ridursi agevolmente in ogni sorta di figura. In oltre sarà» ottimo espediente prendere una sorta di materia similissima in gra¬ vita all’acqua, perchè tal materia, in quanto appartiene alla gravita, è indifferente al discendere o all’ascendere ; onde spedi tissimamento si conoscerà qualunque piccola diversità potesse derivar dalla muta¬ zione dolle figure. Ora, per ciò fare, attissima è la cera, la quale, oltr’al non ricever sensibile alterazione dallo ni prego arsi d'acqua, è trattabile, e agevo- INTORNO ALLE COSE CIIE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 89 lissiinamente il medesimo pezzo si riduce in ogni figura ; ed essendo in ispecie pochissimo manco grave dell’ acqua, col mescolarvi dentro un poco di limatura di piombo si riduce in gravità similissima a quella. Preparata una tal materia, e fattone, per esemplo, una palla grande quanto una melarancia, o più, e fattala tanto grave ch’ella stia al fondo, ma così leggiermente che, detrattole un solo grano di piombo, venga a galla, e aggiuntolo torni al fondo ; riducasi poi la medesima cera in una sottilissima e larghissima falda, e tornisi a io far la medesima esperienza : vedrassi che ella, posta nel fondo, con quel grano di piombo resterà a basso; detratto il grano, s’eleverà sino alla superficie; aggiuntolo di nuovo, discenderà al fondo. E questo medesimo effetto accadrà sempre iri tutte le sorte di figure, tanto regolari quanto irregolari, nè mai se ne troverrà alcuna, la quale venga a galla se non rimosso il grano del piombo, o cali al fondo se non aggiuntovelo ; e, in somma, circa l’andare o non andare al fondo non si scorgerà diversità alcuna, ma sì bene circa ’l veloce e ’l tardo, perchè le figure più larghe e distese si moveranno più lentamente, tanto nel calare al fondo quanto nel sormontare, e l’altre 20 figure più strette o raccolte, più velocemente. Ora io non so qual diversità si debba attendere dalle varie figure, se le diversissime fra di sè non operano quanto fa un piccolissimo grano di piombo, levato o posto. Panni di sentire alcuno degli avversari muover dubbio sopra la da me prodotta esperienza, e mettermi primieramente in considera¬ zione che la figura, come figura semplicemente e separata dalla ma¬ teria, non opera cosa alcuna, ma bisogna che ella sia congiunta con la materia, e, di più, non con ogni materia, ma con quelle solamente con le quali ella può eseguire l’operazione desiderata: in quella guisa so che vedremo per esperienza esser vero, che l’angolo acuto e sottile è più atto al tagliare che l’ottuso, tuttavia però che l’uno e l’altro saranno congiunti con materia atta a tagliare, come, v. g., col ferro; perciocché un coltello di taglio acuto e sottile taglia benissimo il pane e ’l legno, il che non farà so ’l taglio sarà ottuso e grosso ; ma chi volesse in cambio di ferro pigliar cera, e formarne un col¬ tello, veramente non potrebbe, in tal materia, riconoscer quale effetto faccia il taglio acuto, e qual l’ottuso, perchè nè l’uno nè l’altro IV. 12 90 DISCO KMO taglierebbe, non essendo la cera, perla sua niollizie, atta n superar la durezza del legno e del pane. E però, applicando simil discorso al proposito nostro, diranno che la figura diversa mosterrà diversità d’effetti circa 1’ andare o non andare al fondo, ma non congiunta con qualsivoglia materia, ina solamente con quelle materie che, per loro gravità.sono atte a superare la resistenza della viscosità dell’acqua: onde chi pigliasse per materia il suvero o altro leggerissimo legno, inabile, per la sua leggerezza, a superar la resistenza della crassizie dell’acqua, e di tal materia formasse solidi di diverso figure, indarno tenterebbe di veder quello clic operi la figura circa il discendere» o non discendere, perché tutte resterebbero a galla, e ciò non per proprietà di questa figura o di quella, ina per la debolezza della ma¬ teria, manchevole di tanta gravità quanta si ricerca per superare e vincer la densità o crassizie dell’ acqua. Bisogna dunque, se noi vogliamo veder quello che operi la diversità della figura, elegger prima una materia per sua natura atta a penetrai la crassizie del¬ l’acqua: e per tale effetto è partita loro opportuna una materia, la qual, prontamente ridotta in figura sferica, vada al fondo; ed hanno eletto 1’ ebano, del quale facendo poi una piccola assicella, e sottile come è la grossezza d’una veccia, hanno fatto vedere come questa, so posata sopra la superficie dell’acqua, resta senza discendere al fondo; e facendo, all’ incontro, del medesimo legno una palla non minore d’una nocciuola, mostrano che questa non resta a galla, ma discende. Dalla quale esperienza pare a loro di poter francamente concludere, che la larghezza della figura nella tavoletta piana sia cagione del non discendere ella al basso, avvegnaché una palla della medesima materia, non differente dalla tavoletta in altro che nella figura, va nella medesima acqua al fondo. Il discorso «* 1 esperienza hanno ve¬ ramente tanto del probabile e del verisimile, clic maraviglia non sarebbe se molti, persuasi da una certa prima apparenza, gli pre-30 stassero il loro assenso : tuttavia io credo di potere scoprire conio non mancano di fallacia. Cominciando, adunque, ad esaminare a parte a parte quanto ò stato prodotto, dico che le figure, come semplici ligure, non solamente non opeiano nelle cose naturali, ma nè anche si ritrovano dalla su- >tanza corporea separate, nè io le ho mai proposte denudate della niateiia sensibile; sì come anche liberamente ammetto, che nel voler 91 INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. noi esaminare quali sieno le diversità degli accidenti dependenti dalla varietà delle figure, sia necessario applicarle a materie, che non im¬ pediscano 1’ operazioni varie di esse varie figure ; e ammetto e con¬ cedo, che malamente farei quando io volessi esperimentare quello che importi l’acutezza del taglio con un coltello di cera applican¬ dolo a tagliare una quercia, perchè non è acutezza alcuna che, in¬ trodotta nella cera, tagli il legno durissimo. Ma non sarebbe già prodotta a sproposito 1’ esperienza d’ un tal coltello per tagliare il latte rappreso o altra simil materia molto cedente: anzi, in materia io simile, è più accomodata la cera, a conoscer le diversità dependenti da angoli più o meno acuti, che l’acciaio, posciachè il latte indif¬ ferentemente si taglia con un rasoio e con un coltello di taglio ot¬ tuso. Bisogna, dunque, non solo aver riguardo alla durezza, solidità o gravità de’ corpi che sotto diverse figure hanno a dividere e pe¬ netrare alcune materie; ma bisogna por mente altresì alle resistenze delle materie da esser divise e penetrate. Ma perchè io, nel far l’espe¬ rienza concernente alla nostra contesa, ho eletta materia la qual penetra la resistenza dell’ acqua e in tutte le figure discende al fondo, non possono gli avversari appormi difetto alcuno: anzi, tanto ho io 20 proposto modo più esquisito del loro, quanto che ho rimosse tutte 1’ altre cagioni dell’ andare o non andare al fondo, e ritenuta la sola e pura varietà di figure, mostrando che le medesime figure tutte con la sola alterazione d’ un grano di peso discendono, il qual rimosso, tornano a sormontare a galla. Non è vero, dunque (ripigliando l’esem¬ plo da loro indotto), eh’io abbia posto di volere esperi montar l’effi¬ cacia dell’acutezza nel tagliare con materie impotenti a tagliare; anzi, con materie proporzionate al nostro bisogno, poiché non sono sotto¬ poste ad altre varietà, che a quella sola che dopende dalla figura più o meno acuta. 30 Ma procediamo un poco più avanti : e notisi come veramente senza veruna necessità viene introdotta la considerazione, che dicono doversi avere, intorno all’ elezione della materia, la quale sia proporzionata per far la nostra esperienza; dichiarando con l’esemplo del tagliare che, sì come l’acutezza non basta a tagliare, se non quando c in materia dura e atta a superare la resistenza del legno o d altro che di tagliare intendiamo, così l’attitudine al discendere o non discender nell’ acqua si dee, e si può, solamente riconoscere in quelle 92 discorso materie, che son potenti a superar la renitenza dell’acqua e vincer la sua crassizie. Sopra di che io dico, esser ben necessaria la distin¬ zione ed elezione più di questa che di quella materia in cui s’im¬ primano le figure per tagliare o penetrare questo e quel corpo, secondo che la solidità o durezza d’essi corpi sarà maggiore o mi¬ nore : ma poi soggiungo che tal distinzione elezione e cautela sa¬ rebbe superflua ed inutile, se il corpo da esser tagliato o penetrato non avesse resistenza alcuna, nè contendesse punto al taglio o alla penetrazione; e quando i coltelli dovessero adoperarsi per tagliarla nebbia o il fumo, egualmente ci servirobbono tanto di carta quanto io d’acciaio damaschino. E così, per non aver l’acqua resistenza alcuna all’esser penetrata da qualunque corpo solido, ogni scelta di materia è superflua, o non necessaria; e 1’elezion, ch’io dissi di sopra esser ben farsi, di materia simile in gravità all’ acqua, fu non perch’ ella fosse necessaria per superar la crassizie dell’ acqua, ma la sua gra¬ vità, con la qual sola ella resiste alla sommersione de’corpi solidi: chè, per quel eh’ aspetti alla resistenza della crassizie, se noi atten¬ tamente considereremo, troverremo come tutti i corpi solidi, tanto quei che vanno al fondo quanto quelli elio galleggiano, sono indif¬ ferentemente accomodati e atti a farci venire in cognizion della ve -20 rità della nostra controversia. Nè mi spaventeranno dal creder tali conclusioni 1’ esperienze, che mi potrebbono essere opposte, di molti diversi legni, suveri, galle e, più, di sottili piastre d’ ogni sorta di pietra e di metallo, pronte, per loro naturai gravità, al muoversi verso il centro della terra, le quali tuttavia, impotenti, 0 per la figura (come stimano gli avversari), o per la leggerezza, a rompere e pe¬ netrare la continuazion delle parti dell’ acqua e a distrarre la sua unione, restano a galla, nè si profondano altramente : nè altresì mi moverà l’autorità d’Aristotile, il quale, in più d’un luogo, afferma il contrario di questo che 1’ esperienza mi mostra. 80 Torno dunque ad affermare, che non è solido alcuno di tanta leg¬ gerezza, nè di tal figura, il quale, posto sopra l’acqua, non divida e penetri la sua crassizie. Anzi, se alcuno con occhio più perspicace tornerà a riguardar più acutamente le sottili tavolette di legno, le vedrà esser con parte della grossezza loro sott’ acqua, e non baciar solamente con la loro inferior superfìcie la superior dell’acqua, sì come è necessario che abbian creduto (quelli che hanno detto che tali as- INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. !)3 sicelle non si sommergono perchè non sono potenti a divider la tena¬ cità delle parti dell’ acqua : e più vedrà, che le sottilissime piastre d’ebano, di pietra e di metallo, quando restano a galla, non sola¬ mente hanno rotta la continuazion dell’acqua, ma sono con tutta la lor grossezza sotto la superficie di quella, e più e più secondo che le materie saranno più gravi ; sì che una sottil falda di piombo resta tanto più bassa che la superficie dell’ acqua circunfusa, quanto è, per lo manco, la grossezza della medesima piastra presa dodici volte, e 1’ oro si profonderà sotto il livello dell’ acqua quasi venti volte più io che la grossezza della piastra, sì come io più da basso dichiarerò. Ma seguitiam di far manifesto, come l’acqua cede e si lascia penetrar da ogni leggerissimo solido ; e insieme insieme dimostriamo, come anche dalle materie che non si sommergono si poteva voniro in cognizione che la figura non opera niente circa l’andare o non andare al fondo, avvegnaché l’acqua si lasci egualmente penetrar da ogni figura. Facciasi un cono o una piramide, di cipresso o d’ abeto o altro legno di siili il gravità, o vero di cera pura, e sia d’altezza assai no¬ tabile, cioè d’un palmo o più, e mettasi nell’acqua con la base in giù: prima si vedrà che ella penetrerrà l’acqua, nè punto sarà im- 20 pedita dalla larghezza della base, non però andrà tutta sott’ acqua, ma sopravanzerà verso la punta; dal che sarà già manifesto, che tal solido non resta d’affondarsi per impotenza di divider la continuità dell’acqua, avendola già divisa con la sua parte larga e, per opinione degli avversari, meno atta a dividere. Fermata così la piramide, notisi qual parte ne sarà sommersa ; e rivoltisi poi con la punta all’ ingiù, e vedrassi che ella non fenderà l’acqua più che prima: anzi, se si noterà sino a qual segno si tufferà, ogni persona esperta in geometria potrà misurare che quelle parti, che restano fuori dell’acqua, tanto nell’una quanto nell’altra esperienza sono a capello eguali ; onde manifestamente so potrà raccòrrò, che la figura acuta, che pareva attissima al fendere e penetrar l’acqua, non la fende nè penetra punto più che la larga e spaziosa. E chi volesse una più agevole esperienza, faccia della mede¬ sima materia due cilindri, uno lungo e sottile, e 1’ altro corto ma molto largo, e pongagli nell’acqua, non distesi, ma eretti e per punta: vedrà, se con diligenza misura le parti dell’ uno o dell’ altro, che in ciascheduno di loro la parte sommersa a quella che resta fuori del¬ l’acqua mantiene esquisitamente la proporzion medesima, e che niente 94 DISCORSO maggior parte si sommerge di quello lungo e sottile che dell’altro più spazioso e più largo, benché questo s’appoggi sopra una super¬ ficie d’ acqua molto ampia, e quello sopra una piccolissima. Adunque, la diversità, di figura non apporta agevolezza o difficultà nel fendere o penetrar la continuità dell’acqua, e, in conseguenza, non può esser cagione dell’ andare o non andare al fondo. Scorgerassi parimente il nulla operar della varietà di figure nel venir dal fondo dell’ acqua verso la superficie, col pigliar cera e mescolarla con assai limatura di piombo, sì che divenga notabilmente più grave dell’acqua ; o fat¬ tone poi una palla, e postala nel fondo dell’ acqua, se le attaccherà io tanto di suvero o d’altra materia leggerissima, quanto basti appunto per sollevarla e tirarla verso la superficie; perchè, mutando poi la medesima cera in una falda sottilo o in qualunque altra figura, il medesimo suvero la solleverà nello stesso modo a capello. Non per questo si quietano gli avversari; ma dicono, che poco importa loro tutto il discorso fatto da me sin qui, e che a lor basta in un particolar solo, ed in che materia e sotto che figura piace loro, cioè in una assicella od in una palla d’ ebano, aver mostrato che questa, posta nell’ acqua, va al fondo, o quella resta a galla ; ed essendo la materia la medesima, nè differendo i due corpi in altro 20 che nella figura, affermano aver con ogni pienezza dimostrato e fatto toccar con mano quanto dovevano, e finalmente aver conseguito il loro intento. Nondimeno io credo e penso di poter dimostrare che tale esperienza non conclude cosa alcuna contro alla mia conclusione. E, prima, è falso che la palla vada al fondo, e la tavoletta no: perchè la tavoletta ancora vi va, ogni volta che si farà dell’una e dell’ altra figura quel tanto che le parole della nostra quistione im¬ portano, cioè che ambedue si pongano nell’acqua. Le parole furori tali : Clic avendo gli avversarli opinione che la figura alterasse i corpi solidi circa il descendere 0 non descendere, ascendere 30 0 non ascendere, nell’ istesso mezo, come, v. g., nell’ acqua medesima, in modo che, per esemplo, un solido che, sendo di figura sferica, andrebbe al fondo, ridotto in qualche altra figura, non andrebbe; io, stimando ’l contrario, affermavo che un solido corporeo, il quale, ridotto in figura sferica 0 qua¬ lunque altra, calasse al fondo, vi calerebbe ancora sotto qualunque altra figura, ec. Ma esser nell’ acqua vuol dire esser locato nell’ acqua, e, per la INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 95 difinizione del luogo del medesimo Aristotile, esser locato importa esser circondato dalla superficie del corpo ambiente: adunque allora saranno le due figure nell’ acqua, quando la superficie dell’ acqua le abbraccerà e circonderà. Ma quando gli avversari mostrano la ta¬ voletta d’ ebano non discendente al fondo, non la pongono nell’acqua, ma sopra 1’ acqua, dove, da certo impedimento (che più a basso si dichiarerà) ritenuta, resta parte circondata dall’acqua e parte dal- P aria ; la qual cosa è contraria al nostro convenuto, che fu che i corpi debbano esser nell’ acqua, e non parte in acqua e parte in aria, io 11 che si fa altresì manifesto da V esser stata la questione promossa tanto circa le cose che devono andare al fondo, quanto circa quelle che dal fondo devono ascendere a galla. E chi non vede che le cose poste nel fondo devono esser circondate dall’ acqua ? Notisi, appresso, che la tavoletta d’ebano e la palla, poste che sieno dentro all’ acqua, vanno amendue in fondo, ma la palla più veloce, e la tavoletta più lenta, e più e più lenta secondo che ella sarà più larga e sottile ; e di tale tardità ne è veramente cagione 1’ ampiezza della figura : ma queste tavolette, che lentamente discen¬ dono, son quelle stesse che, posate leggiermente sopra l’acqua, gal- 20 leggiano : adunque, se fusse vero quello che affermano gli avversari, la medesima figura in numero sarebbe cagione, nella stessa acqua in numero, ora di quiete e ora di tardità di moto : il che è impossibile ; perchè ogni figura particolare che discende al fondo, è necessario che abbia una determinata tardità sua propria e naturale, secondo la quale ella si muova, sì che ogni altra tardità, maggiore o minore, sia impropria alla sua natura ; se dunque una tavoletta, v. g., d’ un palmo quadro, discende naturalmente con sei gradi di tardità, è im¬ possibile che ella discenda con dieci o con venti, se qualche nuovo impedimento non se le arreca ; molto meno dunque potrà ella, per so cagion della medesima figura, quietarsi e del tutto restare impedita al muoversi, ma bisogna che, qualunque volta ella si ferma, altro impedimento le sopravvenga che la larghezza della figura. Altro, dun¬ que, che la figura è quello che ferma la tavoletta d’ebano su l’acqua: della qual figura è solamente effetto il ritardamento del moto, se¬ condo ’l quale ella discende più lentamente che la palla. Dicasi per tanto, ottimamente discorrendo, la vera e sola cagione dell’ andar l’ebano al fondo esser 1’ eccesso della sua gravità sopra la gravità del- 96 DISCORSO r acqua ; della maggiore o minor tardità, questa figura più larga o quella più raccolta : ma del fermarsi non può in veruna maniera dirai che ne sia cagione la qualità della figura, sì perchè, faccendosi la tar¬ dità maggiore secondo che più si dilata la figura, non è così immensa dilatazione a cui non possa trovarsi immensa tardità rispondente senza ridursi alla nullità di moto, sì perchè le figure prodotte da gli avversari per effettrici della quieto già son le medesime che vanno anche in fondo. Io non voglio tacere un’altra ragione, fondata pur su l’esperienza, e, s’io non m’inganno, apertamente concludente, corno l’introduzione io dell’ampiezza di figura o della resistenza dell’acqua all’esser divisa non hanno che far nulla nell’ effetto del discendere, o ascendere o fermarsi, nell’ acqua. Eleggasi un legno o altra materia, della quale una palla venga dal fondo dell’ acqua alla superficie più lentamente che non va al fondo una palla d’ ebano della stessa grandezza, sì che manifesto sia che la palla d’ebano più prontamente divida l’acqua discendendo, che l’altra ascendendo; e sia tal materia, per esemplo, il legno di noce. Facciasi dipoi un’assicella di noce simile ed eguale a quella d’ebano degli avversari, la qual resta a galla: e se è vero che ella ci resti mediante la figura impotente, per la sua larghezza, 20 a fender la crassizie dell’ acqua, l’altra di noce, senza dubbio alcuno, posta nel fondo vi dovrà restare, come manco atta, per lo medesimo impedimento di figura, a dividore la stessa resistenza dell’acqua. Ma se noi troverreino e per esperienza vedremo, che non solamente la tavoletta, ma qualunque altra figura, del medesimo noce verrà a galla, sì come indubitatamente vedremo e troverremo, di grazia cessino gli avversari d’attribuire il soprannotare dell’ebano alla figura dell’as¬ sicella, poiché la resistenza dell’acqua è la stessa tanto all’insù quanto all ingiù, e la forza del noce al venire a galla è minore che la forza dell’ebano all’andare in fondo. Anzi, dirò di più che, se noi considereremo l’oro in comparazion dell acqua, troverremo che egli la supera quasi venti volte in gra¬ vità; onde la forza e l’impeto col quale va una palla d’oro al fondo è grandissimo: all’incontro, non mancano materie, come la cera schietta o alcuni legni, li quali non cedono nè anche due per cento in gravità all acqua ; onde il loro ascendere in quella è tardissimo, e mille volte più debole che l’impeto dello scender dell’ oro : tuttavia una sottil INTORNO ALLE COSE OHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 97 falda d’oro galleggia, senza discendere al fondo; e, all’incontro, non si può fare una falda di cera o del detto legno, la quale, posta nel fondo dell’acqua, vi resti senza ascendere. Or, se la figura può vietar la divisione e impedir la scesa al grandissimo impeto dell’ oro, come non sarà ella bastante a vietar la medesima divisione all’altra ma¬ teria nell’ascendere, dove ella non ha a pena forza per una delle mille parti dell’ impeto dell’ oro nel discendere ? È dunque necessario, che quello che trattiene la sottil falda d’ oro o 1’ assicella d’ ebano su l’acqua, sia cosa tale, della qual manchino 1’altre falde e assicelle io di materie men gravi dell’acqua, mentre, poste nel fondo e lasciate in libertà, sormontano alla superficie senza impedimento veruno : ma della figura piana e larga non mancano elleno: adunque non è la figura spaziosa quella che ferma 1’ oro e 1’ ebano a galla. Che dunque diremo che sia? Io per me direi che fusse il contrario di quello che è cagion dell’ andare al fondo ; avvegnaché il discendere al fondo e ’L restare a galla sieno effetti contrari, e degli effetti contrari contrarie debbono essere le cagioni. E perchè dell’andare al fondo la tavoletta d’ebano o la sottil falda d’oro, quando ella vi va, n’ è, senz’alcun dub¬ bio, cagione la sua gravità, maggior di quella dell’ acqua, adunque è 20 forza che del suo galleggiare, quand’ella si ferma, ne sia cagione la leggerezza, la quale, in quel caso, per qualche accidente forse sin ora non osservato, si venga con la medesima tavoletta a congiugnere, rendendola non più, come avanti era, mentre si profondava, più grave dell’acqua, ma meno. Ma tal nuova leggerezza non può depender dalla figura, sì perchè le figure non aggiungono o tolgono il peso, sì perchè nella tavoletta non si fa mutazione alcuna di figura, quand’ ella va al fondo, da quello eh’ eli’ aveva mentre galleggiava. Ora tornisi a prender la sottil falda d’oro o d’ argento, o vero l’assicella d’ebano, e pongasi leggiermente sopra 1’ acqua, sì che ella so vi resti senza profondarsi ; e diligentemente s’ osservi l’effetto che ella fa. Vedrassi, prima, quanto sia saldo il detto d’Aristotile e degli av¬ versari, cioè che ella resti a galla per la impotenza di fendere e penetrare la resistenza della crassizie dell’acqua: perchè manifesta¬ mente apparirà, le dette falde non solo aver penetrata l’acqua, ma essere notabilmente più basse che la superfìcie di essa, la quale, in¬ torno intorno alle medesime falde, resta eminente, e gli fa quasi un argine, dentro la cui profondità quelle restano notando; e se- IV. 13 98 DISCORSO condo che le dette falde saranno di materia più grave dell’acqua due, quattro, dieci, o venti volte, bisognerà che la superficie loro resti inferiore all’universal superficie dell'acqua ambiente tante e tante volte più che non è la grossezza dello medesime falde, come più distintamente appresso dimosterramo. Intanto, per più agevole intelligenza di quanto io dico, attendasi alla presente figura: nella quale intendasi la superfìcie dell’acqua stesa secondo le linee I-'L, DB; sopra la quale se si poserà una tavoletta di materia più grave in ispecie dell’acqua, ma così leggiermente che nou si sommerga, ella non le resterà altramente superiore, io anzi entrerrà con tutta la sua gros¬ sezza nell’acqua, e più calerà ancora; come si vede per la tavoletta AI, 01, la cui grossezza tutta si profonda nel¬ l’acqua, restandogli intorno gli arginetti LA, D 0 dell’acqua, la cui superfìcie resta notabilmente superiore alla superfìcie della tavoletta. Or veggasi quanto sia vero che la detta lamina non vada al fondo, per esser di figura male atta a fender la corpulenza dell’acqua. Ma se ella ha già penetrata e vinta la continuazione dell’acqua, ed è, di sua natura, della medesima acqua più grave, por qual ca-20 gione non seguita ella di profondarsi, ma si ferma e si sospende dentro a quella picciola cavità che col suo poso si è fabbricata nel¬ l’acqua? Rispondo: perchè nel sommergersi sin che la sua superficie arriva al livello di quella dell’acqua, olla perde una parte della sua gravità, e ’l resto poi lo va perdendo nel profondarsi e abbassarsi oltre alla superficie dell’ acqua, la quale intorno intorno li fa argine e sponda; e tal perdita fa ella mediante il tirarsi dietro e far seco discender l’aria superiore 0 a sè stessa, per lo contatto, aderente, la quale aria succede a riempier la cavità circondata da gli arginetti dell acqua; sì che quello che in questo caso discende e vien locato») nell’acqua, non è la sola lamina 0 tavoletta d’ebano, o di ferro, ma un composto d’ebano e d'aria, dal quale no risulta un solido non più in gravità superiore all’ acqua, come era il semplice ebano 0 ’l semplice oro. L se attentamente si considererà, quale e quanto sia il solido che in questa esperienza entra nell’ acqua e contrasta con la di lei gravità, scorgerassi esser tutto quello che si ritrova sotto {fila superficie dell acqua; il che è un aggregato e composto d’una tu- 9 INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 09 veletta io in gravità all’acqua, e siala sua altezza tripla dell’ altezza dell’ argine LB. È già manifesto che tutto fuori dell’acqua non resterà: perchè, essendo il cilindro compreso 11G DISCO SUO dentro agli argini KB. I)P eguale al cono AND, ed emendo la ma¬ teria del cono doppia in graviti all’acqua, è manifesto che il peso di esso cono sarà doppio al peso della mole d’acqua eguale al ci¬ lindro LBDP ; adunque non resteri in questo «tato, ma discenderà. Dico, in oltre, che molto meno si fermerà sommergendone una parte: il che a’intenderà comparando con l’acqua tanto la parte che si som¬ mergerà, quanto l’altra che avanzerà fuori. Sununergjisi, dunque, del cono ABI) la parte NTOS, o avunzi la punta NSF: sarà l’altezza del cono FNS o più che la metà di tutta l'altezza ilei cono FIO, o vero non sarà più. Se sarà più che la metà, il cono FNS sarà più w che la metà del cilindro KNSC; imp rocche 1' alte/za del cono FNS sarà più che sesquialtera dell’ altezza del cilindro KNSC : e perchè si pone che la materia del cono sia in isjxcie il doppio piu grave del¬ l’acqua, l’acqua che si conterrebbe dentro all’ arginetto KNSC sa¬ rebbe assolutamente men grave del cono FNS; onde il cono solo FNS non può esser sostenuto dall’ arginetto. Mi» la parte sommersa NTOS, per essere in ispecie più grave il doppio dell'acqua, tenderà al fondo: adunque tutto il cono FTO, tanto rispetto olla parte sommersa, quanto x all’ eminente, discenderà al fondo. Ma se F altezza /\ della punta FNS sarà la metà di tutta l’altezza del » / \ cono FTO, sarà la medesima altezza di esao cono FNS P /o A E\ sesquialtera all’altezza F.N ; e j>**rò KNSC sarà doppio V J \T \ cono BNS, e tanta acqua ni mole quanto è il ci* " M lindro KNSC, peserebbe quanto la parte del conoFNS. / \ Ma perchè l’altra parte sommersa NTOS è in gravità ^ doppia all'acqua, tanta mole d’acqua quanta è quella che si compone del cilindro KNSC e del solido NTOS peserà manco del cono FTO tanto, quanto è il peso d’ una mole d’ acqua eguale al solido NTOS: adunque il cono difenderà ancora. Anzi, perchè il solido NTOS è settuplo al cono FNS, del quale il cilindro ES è» doppio, sarà la proporzione del solido NTOS al cilindro KNSC come di 7 a 2 : adunque tutto il solido comporto del cilindro KNSC e del solido NTOS è molto meno che doppio del sol ilio NTOS: adun¬ que il solido solo NTOS è molto piu grave che una mole d acqua eguale al composto del cilindro KNSC e NTOS: dal che ne segue che, quando anche si rimovesse e togliesse via la parte del cono FNS, il restante solo NI OS andrebbe al fondo. E se più bì profonderà il INTORNO ALLE COSE CIIE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 117 cono FTO, tanto più sarà impossibile che si sostenga a galla, cre¬ scendo sempre la parte sommersa NT OS e scemando la mole del- T aria contenuta dentro all’ arginetto, il quale si fa sempre minore quanto più il cono si sommerge. Tal cono, dunque, che con la base in su e la cuspide in giù si sostiene senza andare al fondo, posto con la base in giù è impossi¬ bile che non si sommerga. Lungi dal vero, adunque, Inumo filosofato coloro che hanno attribuito la cagion del soprannotare alla resistenza dell’ acqua in esser divisa come a principio passivo, e alla larghezza io della figura di chi l’ha da dividere, come efficiente. Vengo, nel quarto luogo, a raccogliere e concludere la ragione di quello che io proposi agli avversari, cioè : Che è possibile formar corpi solidi di qual si voglia figura e di qual si voglia grandezza, li quali per sua natura vadano a fondo, ma con 1’ aiuto dell’ aria contenuta nel- T arginetto restino senza sommergersi. La verità di questa proposizione è assai manifesta in tutte quelle figure solide le quali terminano nella lor più alta parte in una superficie piana ; perchè, formandosi tali figure di qualche materia grave in ispecie come 1’ acqua, mettendole nell’ acqua sì che tutta 20 la mole si ricuopra, è manifesto che si fermeranno in tutti i luo¬ ghi, dato però che tal materia di peso eguale all’acqua si potesse a capello aggiustare, e resteranno anche, in conseguenza, al pelo del- T acqua, senza farsi arginetto alcuno. Se dunque, rispetto alla materia, tali figure sono atte a restare senza sommergersi, benché prive del- T aiuto dell’ arginetto, chiara cosa è eh’ elle si potranno far tanto crescer di gravezza, senza crescer la lor mole, quanto è il peso di tanta acqua, quanta si conterrebbe dentro all’arginetto che si facesse intorno alla loro piana superficie superiore ; dal cui aiuto sostenute, resteranno a galla ; ma bagnate andranno al fondo, essendo state 30 fatte più gravi dell’ acqua. Nelle figure, dunque, che terminano di sopra in un piano, chiaramente si comprende come l’arginetto, posto o tolto, può vietare o permettere la scesa : ma in quelle che si vanno verso la sommità attenuando, potrà qualcuno, e non senza molta ap¬ parente cagione, dubitare se queste possano far lo stesso, e massima- mente quelle che vanno a terminare in una acutissima punta, come sono i coni e le piramidi sottili. Di queste, dunque, come più dubbie di tutte T altre, cercherò di dimostrare come esse ancora soggiacciono 1)1 SCO uso al medesimo accidente d’ andare e non andare al fondo le medesime, e sieno di qual si voglia grandezza. Sia dunque il cono ABI), fatto di materia grave in ispecie come l’acqua: è manifesto clic, messo tutto sott'acqua, resterà in tutti i luoghi (intendasi sempre quando esquisitissimamente pesasse quanto p acqua, il che è quasi impossibile a effettuarsi), e che ogni piccola a. gravità che se gli aggiunga, andrà al fondo. Ma se A si calerà a basso leggiermente, dico che si farà — 0 / \b___ p arganetto ESTO, e che resterà fuori dell’acqua / y T la punta A ST, d’altezza tripla all’altezza dell’ ar -10 ' \ gineES. Il che si fa manifesto: imperocché,pesando \ la materia del cono egualmente come 1’ acqua, la \ parte sommersa SBDT resta indifferente al muo- \ versi in giù 0 in su; e ’l cono AST essendo eguale __Si in mole all’acqua che si conterrebbe dentro all’ar¬ ganetto ESTO, gli sarà anche eguale in gravità ; e però sarà in tutto fatto l’equilibrio e, in conseguenza, la quiete. Nasce ora il dubbio, se si possa far più grave il cono ABI) tanto, che quando sia messo tutto sott’ acqua vada al fondo, ma non già tanto che si levi all’ arganetto la facoltà del poter sosteuerlo senza 20 sommergersi. E la ragione del dubitare è questa: che se bene, quando il cono ABI) è in ispecie grave come 1’ acqua, 1’ arganetto ESTO lo sostiene non solamente quando la punta AST ò tripla in altezza al¬ l'altezza dell’argine ES, ma più ancora quando minor parte ne re¬ stasse fuori dell’ acqua (perchè se bene, nel discender che fa il cono, la punta AST scema, e scema altresì 1’arginetto ESTO, nientedimeno con maggior proporzione scema la punta che l’argine ; la quale si di¬ minuisce secondo tutte e tre le dimensioni, ma 1’ argine secondo due solamente, restando sempre l’altezza la medesima; o vogliam dire perchè il cono ST va scemando secondo la proporzione de’ cubi delle so linee che di mano in mano si fanno diametri delle base de’coni emer¬ genti, e gli arginetti scemando secondo la proporzion de’quadrati delle medesime linee, onde le proporzioni delle punte son sempre sesquial- tere delle proporzioni de’cilindri contenuti dentro agli arginetti: onde se, per esemplo, 1’ altezza della punta emergente fosse doppia 0 eguale all’ altezza dell’ argine, in questi casi il cilindro contenuto dentro al- 1’ argine sarebbe assai maggiore della detta punta, perchè sarebbe INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 119 o sesquialtero o triplo; il perchè ci avanzerebbe forza per sostener tutto il cono, già che la parte sommersa non graverebbe più niente) ; tuttavia, quando venga aggiunta alcuna gravità a tutta la mole del cono, sì che anche la parte sommersa non resti senza qualche eccesso di gravità sopra la gravità dell’ acqua, non resta chiaro se ’l cilin¬ dro contenuto denti*’ all’ arginetto, nel calar che farà il cono, potrà ridursi a tal proporzione con la punta emergente e a tale eccesso di mole sopra la mole di essa, che possa ristorar l’eccesso della gravità in ispecie del cono sopra la gravità dell’ acqua. E la dubitazione pro¬ io cede perchè, se bene, nell’ abbassarsi che fa il cono, la punta emer¬ gente AST si diminuisce, per la qual cosa scema ancora l’eccesso della gravità del cono sopra la gravità dell’ acqua, il punto sta che l’argine ancora si ristrigne, e ’l cilindro contenuto da esso si dimi¬ nuisce. Tutta via si dimosterrà come, essendo il cono ABI) di qual si voglia grandezza, e fatto in prima di materia in gravità similis¬ sima all' acqua, se gli possa aggiugner qualche peso, per lo quale e’ possa discendere al fondo quando sia posto sott’ acqua, e possa anche, in virtù dell’ arginetto, fermarsi senza sommergersi. Sia dunque il cono ABI) di qualsivoglia grandezza e di gravità 20 simile in ispezie all’ acqua : è manifesto che, messo leggiermente nel- P acqua, resterà senza sommergersi, e fuor dell’ acqua avanzerà la punta AST, d’ altezza tripla all’ altezza dell’ argine ES. Intendasi ora essere il cono ABI) abbassato più, sì che avanzi solamente fuor del- P acqua la punta AIR, alta per la metà della punta AST, con P ar¬ ginetto attorno 01 UN. E perchè il cono AST al cono AIR è come il cubo della linea ST al cubo della linea IR; ma il cilindro ESTO al cilindro CIRN è come il quadrato di ST al qua¬ drato IR; sarà il cono AST ottuplo al cono AIR, e ’l cilindro ESTO quadruplo al cilindro CIRN : so ma il cono AST è eguale al cilindro ESTO: adun¬ que il cilindro CIRN sarà doppio al cono AIR, e P acqua, che si conterrebbe dentro all’ argi¬ netto CIRN, doppia in mole e in peso al cono AIR, e però potente a sostenere il doppio del peso del cono AIR. Adunque, se a tutto ’1 cono ABI) s’ ac¬ crescerà tanto peso quanto è la gravità del cono AIR, cioè quant’ è l’ottava parte del peso del cono AST, potrà bene ancora esser so- * DISCORSO 120 •stenuto dall’arginetto CIRN; ma senza quello andrà al fondo, essen¬ dosi, per 1’ aggiunta del peso eguale all’ ottava parte del peso del cono AST, reso il cono ABI) più grave in ispecie dell’acqua. Ma se l’altezza del cono AHI fusse due terzi dell’altezza del cono AST, sarebbe il cono AST al cono AIR come 27 a 8, e ’l cilindro ESTO al cilindro CIRN come 9 a 4, cioè come 27 a 12, e però il cilin¬ dro CIRN al cono AIR come 12 a 8, e l’eccesso del cilindro CIRN sopra ’l cono AIR al cono AST come 4 a 27 : adunque so al cono ABD s’ aggiugnerà tanta gravità quant’ è li 4 ventisettesimi del peso del cono AST, che è un poco più della sua settima parte, resterà ancoralo a galla, e 1’ altezza della punta emergente sarà doppia dell’ altezza dell’arginetto. Questo, che s’ è dimostrato ne’coni, accade precisamente nelle piramidi, ancor che (5 gli uni e T altre fossero acutissime : dal che si conclude, che il medesimo accidente accadrà tanto più agevol¬ mente in tutte l’altre figure, quanto in meno acute sommità vanno a terminare, venendo aiutate da argini più spaziosi. Tutte le figure adunque, di qualunque grandezza, possono andare e non andare al fondo, secondo che le lor sommità si bagneranno o non si bagneranno : ed essendo questo accidente comune a tutte le sorte di figure, senza eccettuarne pur una, adunque la figura non baso parte alcuna nella produzion di quest’ effetto, dell’ andare alcuna volta al fondo e alcun’ altra no, ma solamente T essere ora congiunte con l’aria sopreminente e ora separate. La qual cagione, in fine, chi ret¬ tamente e, come si dice, con amendue gli occhi considererà questo negozio, conoscerà che si riduce, anzi che realmente è la stessa vera naturale e primaria cagione del soprannotare o andare al fondo, cioè l’eccesso o mancamento della gravità dell’acqua verso la gravità di quella mole corporea che si metto nell’ acqua. Perchè, sì come una falda di piombo grossa come una costola di coltello, che per sè sola messa nell’ acqua, va al fondo, se sopra se le n’ attaccherà una di $ suvero grossa quattro dita, resta a galla, perchè ora il solido che si pone in acqua non è altramente, come prima, più grave dell’acqua, ma meno ; così la tavoletta d’ ebano, per sua natura più gravo clel- 1’ acqua, e però discendente in fondo quando per sè sola sia posta in acqua, se si poserà sopra 1’ acqua congiunta con un suolo d’ aria, la quale insieme con l’ebano vada abbassandosi, e che sia tanta che con quello faccia un composto men grave di tanta acqua in mole quanta I INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 121 è la mole già abbassata e sommersa sotto il livello della superficie dell’ acqua, non andrà altramente, ma si fermerà, non per altra ca¬ gione che per la universale e comunissima, che è che le moli corporee men gravi in ispecie che 1’ acqua non vanno al fondo. Onde, chi pi¬ gliasse una piastra di piombo, grossa, per esemplo, un dito e larga un palmo per ogni verso, e tentasse di farla restare a galla col posarla leggiermente, perderebbe ogni fatica, perchè, quando si fosse profon¬ data un capello più che la possibile altezza degli arginetti dell’ acqua, si ricopirrebbe e profonderebbe : ma se, mentre che ella si va abbas- 10 sando, alcuno le andasse fabbricando intorno intorno alcune sponde che ritenessero lo spargimento dell’ acqua sopra essa piastra, le quali sponde si alzassero tanto, che dentro di loro potesse capir tant’acqua che pesasse quanto la detta piastra, ella, senza alcun dubbio, non si profonderebbe più, ma resterebbe sostenuta in virtù dell’ aria conte¬ nuta dentro alle già dette sponde ; ed in somma si sarebbe formato un vaso col fondo di piombo. Ma se la sottigliezza del piombo sarà tale, che pochissima altezza di sponde bastasse per circondar tant’aria che potesse mantenerlo a galla, e’ resterà anche senza le sponde, ma non già senza l’aria; perchè l’aria da per sè stessa si fa sponde, ba¬ so stanti, per piccola altezza, a ritener lo ’ngombramento dell’acqua; onde quello che ’n questo caso galleggia, è pure un vaso ripieno d’aria, in virtù della quale resta senza sommergersi. Voglio, per ultimo, con un’ altra esperienza tentar di rimuovere ogni difficultà, se pur restasse ancora, appresso qualcuno, dubbio circa l’operazione di questa continuazion dell’aria con la sottil falda che galleggia, e poi por fine a questa parte del mio Discorso. Io mi fingo d’essere in questione con alcuno degli avversarli, se la figura abbia azione alcuna circa 1’ accrescere o diminuire la re¬ sistenza in alcun peso all’ essere alzato nell’ aria ; e pongo di voler so sostener la parte affermativa, affermando che una mole di piombo, ridotto in figura d’una palla, con manco forza s’alzerà che se il medesimo fusse fatto in una sottilissima e larghissima laida, come quello che in questa figura spaziosa ha da fender gran quantità d’ aria, e in quella più ristretta e raccolta, pochissima. E per mostrar come tal mio parer sia vero, sospendo da un sottil filo, prima, la palla, e quella pongo nell’ acqua, legando il filo, che la regge, ad uno de’ bracci della bilancia, la quale tengo in aria, e all’ altra lance vo IV. u 122 DISCORSO aggTUgnendo tanto peso, che finalmente sollevi la palla del piombo e P estragga fuor dell’ acqua; per che fare vi bisognano, v. gr., 30 once di peso : riduco poi il medesimo piombo in una falda piana e sottile, la qual pongo parimente nell’ acqua, sospesa con 3 fili, li quali la so¬ stengano parallela alla superfìcie dell’ acqua ; e aggiugnendo, nello stesso modo, pesi nell’ altra lance, sin che la falda venga alzata ed estratta fuori dell’acqua, mostro che once 36 non son bastanti di separarla dal- P acqua e sollevarla per aria : e sopra tale esperienza fondato, affermo d’ aver pienamente dimostrata la verità della mia proposizione. Si fa P avversario innanzi e, f'accendomi abbassare alquanto la testa, mi fa » veder cosa della quale io non m’ era prima accorto, e mi mostra che, nell’ uscir che fa la falda fuor dell’ acqua, ella si tira dietro un’altra falda d’ acqua, la quale, avanti che si divida e separi dalla inferior superficie della falda di piombo, si eleva sopra il livello dell’aitar*acqua più che una costola di coltello: torna poi a rifar 1’esperienza conia palla, e mi fa veder che pochissima quantità d’acqua è quella che s’attacca alla sua figura stretta e raccolta: mi sogghigno poi, che non è maraviglia se nel separar la sottile e larghissima falda dal¬ l’acqua si senta molto maggior resistenza che nel separar la palla, poiché insieme con la falda si ha da alzar gran quantità d’acqua, il » che non accade nella palla. Fammi, oltr’a ciò, avvertito, come la no¬ stra quistione è, se la resistenza all’ esser sollevato si ritrova maggiore in una spaziosa falda di piombo che in una palla, e non se più re¬ sista una falda di piombo con gran quantità d‘ acqua che una palla con pochissima acqua. Mostrami, in fine, che il por prima la falda e la palla in acqua, per far prova poi delle loro resistenze in aria, è tuoi* del caso nostro, li quali trattiamo del sollevare in aria e cose locate in aria, e non della resistenza che si fa no’confini dell’aria e dell’acqua e da cose che sieno parte in aria e parte in acqua; e final¬ mente mi fa toccar con mano, che quando la sottil falda è in aria so e libera dal peso dell’acqua, con la stessa forza a capello si solleva che. la palla. Io, vedute e intese questo cose, non so che altro faro se non chiamarmi persuaso, e ringraziar 1’ amico d’ avermi fatto capace di quello di che per 1 addietro non mi era accorto ; e da tale acci¬ dente avvertito, dire a gli avversarli, che la nostra quistione è, se egualmente vada al fondo nell’ acqua una palla e una tavola d’ebano, e non una palla d’ebano e una tavola d’ ebano congiunta con un altra INTORNO ARRE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 123 tavola d’ aria ; e, più, che noi parliamo dell’ andare o non andare al fondo nell’acqua, e non di quello che accaggia ne’confini dell’acqua e dell’ aria a’ corpi che sieno parte in aria e parte in acqua ; nè meno trattiamo della maggiore o minor forza che si ricerchi nel separar questo o quel corpo dall’ aria ; non tacendo loro, in ultimo, che tanto per appunto resiste e, per così.dire, pesa l’aria all’in giù nell’ acqua, quanto pesi e resista 1’ acqua all’in su nell’ aria, e che la stessa fatica ci vuole a mandar sott’ acqua un utre pien d’ aria che ad alzarlo in aria pien d’ acqua, rimossa però la considerazion del peso della pelle io e considerando 1’ acqua e 1’ aria solamente. E, parimente, è vero che la stessa fatica si ricerca per mandare, spignendo a basso, un bic¬ chiere e simil vaso sotto 1’ acqua, mentre è pieno d’aria, che a sol¬ levarlo sopra la superficie dell’acqua, tenendolo con la bocca in giù, mentre egli sia pieno d’acqua; la quale nello stesso modo è costretta a seguitare il bicchiere, che la contiene, e alzarsi sopra l’altr’acqua nella region dell’ aria., che vien forzata 1’ aria a seguire il medesimo vaso sotto a’ confini dell’ acqua, sin che in questo caso l’acqua, so¬ praffacendo gli orli del bicchiere, vi precipita dentro, scacciandone l’aria, e in quello, uscendo il medesimo orlo fuori dell’ acqua e per- 20 venendo a’confini dell’aria, l’acqua casca a basso e l’aria sottentra a riempiere la cavità del vaso. Al che ne seguita, che non meno tra¬ passi i limiti delle convenzioni quello che produce una tavola con¬ giunta con molta aria, per vedere se discende al fondo nell’ acqua, che quello che fa prova della resistenza all’ esser sollevalo in aria con una falda di piombo congiunta con altrettanta acqua. Ho detto quanto m’ è venuto in mente, per mostrar la verità della parte che ho pi’eso a sostenere : restami da considerar ciò che in tale materia scrive Aristotile, nel fine de’ libri Del cielo. Nel qual par¬ ticolare io noterò due cose: 1’una, che essendo vero, come s’è dimo¬ ilo strato, che la figura non ha che fare circa ’l semplicemente muoversi o non muoversi in su o in giù, pare che Aristotile nel primo ingresso di questa speculazione abbia avuto la medesima oppinione, sì come dall’essaminar le sue parole parmi che si possa raccorrei bene è vero che, nel voler poi render la ragione di tal effetto, come quegli che non 1’ ha, per quant’ io stimo, bene incontrata, il che nel secondo « luogo andrò esaminando, par che si riduca ad ammetter l’ampiezza della figura a parte di quest’ operazione. 124 DISCORRO Quanto al primo punto, ecco le parole precise d’Aristotile: * Le figure non son cause del muoversi semplicemente in giù o in su, ma del muoversi più tardo o più veloce; e per quali cagioni ciò accag- gia, non è difficile il vederlo». Qui, primieramente, io noto che, essendo quattro i termini che ca- scono nella presente considerazione, cioè moto, quiete, tardo e veloce, e nominando Aristotile le figure come cause del tardo e del veloce, escludendole dall’esser cause del moto assoluto e semplice, par neces¬ sario che egli 1’escluda altresì dall'esser cause di quiete; sì chela mente sua sia stata il dire : Le figure non son cause del muoversi io assolutamente o non muoversi, ma «lei tardo e del veloce. Imperocché se alcuno dicesse, la mente d'Aristotile esser d' escluder ben le figure dall’ esser cause di moto, ma non già dall’ es-er cause di quiete, sì che il senso fosse di rimuovere dalle figure 1’ esser cause del muoversi sem¬ plicemente, ma non già l’esser cause del quietarsi; io domanderei, se si dee con Aristotile intendere che tutt<* le figure universalmente sieno in qualche modo emise della quiete in quei corpi che per altro si moverebbono, o pure alcune particolari solamente, come, per esem¬ plo, le figure larghe e sottili. Se tutte indifferentemente, adunque ogni corpo quieterà, perchè ogni corpo lui qualche figura; il che ò falso:» ma se alcune particolari solamente potranno essere in qualche modo causa di quiete, come, v. gr., le larghe, adunque le altre saranno in qualche modo causa di muoversi; perchè, se dal vedere alcuni corpi di figura raccolta muoversi, che poi, dilatati in falde, si fermano, posso inferir l’ampiezza della figura essere a parte nella causa di tal quiete, così dal veder simil falde quietare, che poi raccolte si muo¬ vono, potrò con pari ragione affermare, la figura imita e raccolta aver parte nel cagionare 1 moto, come rimovente di chi l’impediva; il che è poi dirittamente opposto a quello che dice Aristotile, cioè che le figure non soli causo del muoversi. In oltre, se Aristotile avesse» ammesse, e non escluse, le figure all’ esser cause del non muoversi in alcuni corpi, che figurati d’altra figura si moverebbono, male a pro¬ posito avi’ebbe, nelle parole immediatamente seguenti, proposto con modo dubitativo, « onde avvenga che le falde larghe e sottili di ferro o di piombo si fermino sopra 1’ acqua », già che la causa era in pronto, cioè 1 ampiezza della figui’a. Concludasi, dunque, che ’1 concetto d’Àri- stotile in questo luogo sia d’ affermare che le figure non aien cause INTORNO ALI, E COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 125 del muoversi assolutamente o non muoversi, ma solamente del muo¬ versi velocemente o tardamente : il che si dee tanto più credere, quanto che, in effetto, è sentenza e concetto verissimo. Ora, essendo tale la mente d’Aristotile, e apparendo, in conseguenza, più presto contraria, nel primo aspetto, che favorevole al detto degli avversari, è forza chela ’nterpretazion loro non sia precisamente tale, ma quale in parte intesi da alcun di essi, e ’n parte da altri fu referto ; e age¬ volmente si può stimare esser così, essendo esplicazione conforme al senso d’interpreti celebri : ed è, che 1’ avverbio semplicemente o asso¬ lo latamente, posto nel testo, non si debba congiungere col verbo muoversi, ma co ! 1 nome cause ; sì clic il sentimento delle parole d’Aristotile sia T affermare che le figure non son cause assolutamente del muoversi o non muoversi, ma son ben cause secundum quid, cioè in qualche modo, per lo che vengon nominate cause aratrici e concomitanti. E tal pro¬ posizione vien ricevuta e posta per vera dal Sig. Buonamico nel lib. 5, cap. 28, dove egli scrive così : « Sono altre cause concomitanti, pel¬ le quali alcune cose galleggiano e altre si sommergono, tra le quali il primo luogo ottengon le figure de’corpi, ec. ». Intorno a tal esposizione mi nascon diversi dubbi e difficoltà, per sole quali mi par che le parole d’Aristotile non sien capaci di sfinii costruzione e sentimento. E le difficultà son queste. Prima, nell’ordine e disposizion delle parole d’Aristotile la par- ticula simplicìter o, vogliamo dire, absolute è attaccata col verbo si muovono, e separata dalla parola carne : il che è gran presunzione a favor mio; poiché la scrittura e ’l testo dice: « Le figure non son cause del muoversi semplicemente in su o in giù, ma sì bene del più tardo o più veloce » ; e non dice : « Le figure non sono semplicemente cause del muoversi in su o in giù » ; e quando le parole il’ un testo ricevono, trasposte, senso differente da quello ch’elle suonano portate con l’or¬ so dine in che l’autor le dispose, non conviene il permutarle. E chi vorrà affermare che Aristotile, volendo scrivere una proposizione, disponesse le parole in modo eh’ elle importassero un sentimento diversissimo, anzi contrario? contrario, dico, perchè, intese c-om’ elle sono scritte, dicono che le figure non son cause del muoversi ; ma trasposte, di¬ cono le figure esser causa del muoversi, ec. Pi più, se la ’ntenzione d’Aristotile fusse stata di dire che le figure non son semplicemente cause del muoversi in su o in giù, ma DISCORSO 126 solamente causo secundum quid , non occorreva che soggiungesse quelle parole « ma son cause del più veloce o più tardo •. Anzi, il soggiugner questo sarebbe stato non solo superfluo, ma falso: conciossiachò tutto il corso della proposizione importerebbe questo: «Le ligure non son causa assoluta del muoversi in su o in giù, ma son ben causa asso¬ luta del tardo o del veloce » : il che non è vero ; perchè le cause pri¬ marie del più o men veloce vengon da Aristotile, nel 4 della Fisica, al testo 71, attribuite alla maggiore o minor gravità de’ mobili, para¬ gonati tra di loro, e alla maggiore o minor resistenza de’ mezzi, de¬ pendente dalla lor maggiore o minor crassizie; e queste vengon poste io da Aristotile come cause primarie, e queste due sole vengono in quel luogo nominate; e la figura vien poi considerata, al t. 74, più presto come causa strumentarla della forza della gravità, la quale divide o con la figura o con l’impeto ; e veramente la figura per sè stessa, senza la forza della gravità o leggerezza, non opererebbe niente. Aggiungo che, se Aristotile avesse avuto concetto che la figura fusse stata in qualche modo causa del muoversi o nou muoversi, il cercare, eh’ e’ fa immediatamente, in forma di dubitare, onde avvenga che una falda di piombo soprannuoti, sarebbe stato a sproposito : por¬ che, so all’ora all’ora egli aveva detto che la figura era in certo modo 20 causa del muoversi 0 non muoversi, non occorreva volgere in dubbio per qual cagion la falda di piombo galleggi, attribuendone poi la causa alla figura, e formando un discorso in questa maniera : « La figura è causa secundum quid del non andare al fondo : ma ora si dubita, per qual cagione una sottil falda di piombo non vada al fondo; si risponde, ciò provenire dalla figura » ; discorso che sarebbe indecente ad uu fanciullo, non che ad Aristotile. L dove è la occasione di du¬ bitare? e chi non vede che, quando Aristotile avesse stimato che la figura fosse in qualche modo causa del sopraunotare, avrebbe, senza la. forma di dubitare, scritto: « La figura è causa in certo modo del so soprannotare ; e però la falda di piombo, rispetto alla sua figura sparsa e larga, soprannuota » ? Ma se noi prenderemo la proposizione d’Ari- stotile come dico io e come è scritta, e come in effetto è vera, il pro¬ gresso suo cammina benissimo, sì nell’ introduzione del veloce e del tardo, come nella dubitazione, la qual molto a proposito ci cade; e diià così : « Le figure non son cause del muoversi o non muoversi sem¬ plicemente in su o in giù, ma sì bene del muoversi più veloce 0 più INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA KCC. 127 tardo : ma se così è, si dubita della causa onde avvenga che una falda iai’ga e sottile di ferro o di piombo soprannuoti, ec. ». E l’occasion del dubitare è in pronto, perchè pare, al primo aspetto, che di questo soprannotare ne sia causa la figura, poiché lo stesso piombo, o minor quantità, ma d’ altra figura, va al fondo : e noi già abbiamo affer¬ mato che la figura non ha azione in questo effetto. Finalmente, se la ’ntenzion d’Aristotile in questo luogo fusse stata di dir che le figure, benché non assolutamente, sieno al manco in qualche modo cagion del muoversi o non muoversi, io metto in con¬ io siderazione che egli nomina non meno il movimento all’ in su, che P altro all’ in giù : e perchè, nell’ esemplificarlo poi, non si produce altr’ esperienza che d’ una falda di piombo e d’ una tavoletta d’ebano, materie che per lor natura vanno in fondo, ma in virtù (come essi dicono) della figura restano a galla, converrebbe che chi che sia producesse alcun’ altra esperienza di quelle materie che per lor na¬ tura vengono a galla, ma ritenute dalla figura restano in fondo. Ma già che quest’ è impossibile a farsi, concludiamo che Aristotile in questo luogo non ha voluto attribuire azione alcuna alla figura, nel semplicemente muoversi o non muoversi. 20 Ohe poi egli abbia esquisitamente filosofato nell’ investigar le so¬ luzioni de’dubbi eh’ei propone, non torre’io già a sostenere; anzi varie difficultà, che mi si rappresentano, mi danno occasione di du¬ bitare eh’ ei non ci abbia interamente spiegata la vera cagion della presente conclusione. Le quali difficultà io andrò movendo, pronto al mutar credenza, qualunque volta mi sia mostrato, altra, da quel ch’io dico, esser la verità ; alla c.onfession della quale son molto più accinto, che alla contraddizione. Proposta che ha Aristotile la quistione « onde avvenga che le falde larghe di ferro o di piombo soprannuo tino », soggiugne (quasi forti fi¬ so cando 1’ occasion del dubitare) : « conciosia che altre cose minori e manco gravi, se saranno rotonde o lunghe, come sarebbe un ago, vanno al fondo ». Or qui dubito, anzi pur son certo, che un ago, posato leg¬ giermente su 1’ acqua, resti a galla, non meno che le sottili falde di ferro e di piombo. Io non posso credere, ancorché stato mi sia referto, che alcuno, per difendere Aristotile, dicesse che egli intende d’un ago messo non per lo lungo, ma eretto e per punta : tuttavia, per non la- 128 DISCO KM • sciare anche tal refugio, benché debolissimo e quale anche Aristo¬ tile medesimo, per mio credere, ricuserebbe, dico che si dee intender che 1’ ago sia posato secondo la dimensione che vien nominata da Aristotile, che è la lunghezza. Perché, se altra dimensione che la no¬ minata prender si potesse e dovesse, io direi che anche le falde di ferro e di piombo vanno al fonilo, se altri le metterà per taglio e non per piano: ma perchè Aristotile dice • le ligure larghe non vanno al fondo », si dee intender « posati 1 per lo largo • : e però quando dice j - le figure lunghe, come un ago, benché leggieri, non restano a galla », si dee intender • posate per lo lungo ». H Di più, il dir che Aristotile intese ddl'ago messo per punta, è un fargli dire una sdocchesm grande: perchè in questo lungo dice che piccole par¬ ticelle di piombo o ferro, se saranno rotonde o lunghe comi un ago, vanne in fondo, tal che, anco per suo credere, un granf ilo di ferro non può re¬ stare a galla ; e se egli cosi credette, qual semplicità sarebbe, stata il sog- giugnere, che nè anco un ago, messo eretto, vi sta ? e che altro è un ago tale, che molti sì fatti grani posti l’un sopra ì' altro? Troppo indegno di fanf uomo era il dir, che un sol grano di ferro non può galleggiare, e de nè anco galleggerebbe a porgliene cento altri addosso. Finalmente, o Aristotile credeva che un ago, posato su l’acqua* per lo lungo, restasse a galla; o credeva eh’ e’ non restasse. S’ei cre¬ deva eli’e’non restasse, ha ben potuto anche dirlo, come veramente \ 1’ ha detto: ma s’ e’ credeva e sapeva eh’e’soprannotasse, per qual cagione, insieme col problema dubitativo del galleggiar le figure lar¬ ghe, benché di materia grave, non ha egli anche introdotta la du¬ bitazione, ond’ avvegnu che anche le figure lunghe e sottili, benché di ferro o di piombo, soprannuotano ? e massimamente che l’occasion del dubitare par maggiore nelle figure lunghe e strette che nelle larghe e sottili; si come dal non n’aver dubitato Aristotile si fa ma¬ nifesto. * | Non minore, sproposito addosserebbe ad Aristotile chi, per difenderlo, di¬ cesse che egli intese di un ago assai grosso, e non di un sottile: perche in pur domanderò ciò eh’ e’ credette d' un ago sottile, e. Insognerà risponder chi é credesse eh' e' galleggiasse ; ed io di nuovo /' accuserò dell’ avere sfug¬ gito m problema più maravigliosu e difficile, ed introdotto il più facile e di meraviglia minore. Diciamo, dunque, pur liberamente, che Aristotile ha creduto che INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 129 le figure larghe solamente stessero a galla; ma le lunghe e sottili, coni’ un ago, no : il che tuttavia è falso, come falso è ancor de’ corpi rotondi ; perchè, come dalle cose di sopra dimostrate si può raccorre, piccoli globetti di ferro, e anche di piombo, nello stesso modo gal¬ leggiano. Propone poi un’ altra conclusione, che similmente par diversa dal vero: ed è, che alcune cose per la lor piccolezza nuotano nell’aria, come la minutissima polvere di terra e le sottili foglie dell’oro bat¬ tuto. Ma a me pare che la sperienza ci mostri, ciò non accadere to non solamente nell’ aria, ma nè anche nell’acqua; nella quale discen¬ dono sino a quelle particole di terra che la ’ntorbidano, la cui pic¬ colezza è tale che non si veggono, se non quando son molte centi¬ naia insieme. La polvere, dunque, di terra, e 1’ oro battuto, non si sostiene altramente in aria, ma discende al basso, e solamente vi va vagando quando venti gagliardi la sollevano o altra agitazione di aria la commuove : il che anche avviene nella commozione dell’acqua, per la quale si solleva la sua deposizione dal fondo, e s’ intorbida. Ma Aristotile non può intender di questo impedimento della commo¬ zione, del quale egli non fa menzione ; nè nomina altro che la leg- 20 gerezza di tali minimi, e la resistenza della crassi zie dell’ acqua e del- 1’ aria : dal che si vede che egli tratta dell’ aria quieta, e non agitata e commossa ; ma, in tal caso, nè oro nè terra, per minutissimi che sieno, si sostengono, anzi speditamente discendono. Passa poi al confutar Democrito, il qual, per sua testimonianza, voleva che alcuni atomi ignei, li quali continuamente ascendono per 1’ acqua, spignessero in su e sostenessero quei corpi gravi che fossero molto larghi, e che gli stretti scendessero al basso, perchè poca quan¬ tità de’ detti atomi contrasta loro e repugna. Confuta, dico, Aristotile questa posizione, dicendo che ciò dover- so rebbe molto più accader nell’aria; sì come il medesimo Democrito insta contro di sè, ma, dopo aver mossa l’instanza, la- scioglie lieve¬ mente, con dire che quei corpuscoli, che ascendono in aria, fanno impeto non unitamente. Qui io non dirò che la cagione addotta da Democrito sia vera : ma dirò solo, parermi che non interamente venga confutata da Aristotile, mentr’ egli dice che, se fusse vero che gli atomi calidi, che ascendono, sostenessero i corpi gravi, ma assai larghi, ciò dovrieno far molto più nell’ aria che nell’ acqua ; perchè forse, per IV. 17 130 discorso opinion d’Aristotile, i medesimi corpuscoli caiuli con maggior forza e velocità, sormontano per 1* aria che per l’acqua. K ne questa è, sì come io credo, 1* instanza d’Aristotile. panni d’aver cagione di du¬ bitar eh’ e’ possa essersi ingannato in più d’un conto. Prima: perchè que’ calidi, o sieno corpuscoli ignei, o sieno esala¬ zioni, o in somma sieno qualunque materia che anche in aria ascenda in su, non è credibile che più velocemente salgano per 1’ aria che per l’acqua; anzi, all’incontro, per avventura, più impetuosamente si muo¬ vono per l’acqua che per l’aria, come in parte «li sopra ho dimostrate. E qui non so scorger la cagione, per la quale Aristotile, vedendo che’l i« moto all’ in giù, dello stesso mobile, è più veloce nell' aria che nel¬ l’acqua, non ci abbia tatti cauti che del moto contrario dee accader ì’ opposito di necessita, cioè eh’ e‘ sia più veloce nell’ acqua che nel* 1’ aria: perchè, avvenga che '1 mobile, che discende, più velocemente si muove per 1’ arin che per l’acqua, se noi c’immagineremo che la sua gravità, si vada gradatamente diminuendo, egli prima diverrà tale che, scendendo velocemente nell’aria, tardissimauionte scenderà nell’acqua; di poi potrà esser tale che. scendendo pure ancora per l’aria, ascenda nell’ acqua ; e fatto ancora tnen grave, ascenderà velocemente per 1’ acqua, e pur discenderà ancora per l’aria; e in somma, avantich’ei# cominci a potere ascender, benché tardissimaniente, per 1* aria, velo¬ cissimamente sormonterà per l’acqua. Come dunque è vero, che quel che si muove all’ in su. più velocemente si muova per l’aria che per l’acqua? Quel eh’ ha fatto credere ad Aristotile, il moto in su farsi più velocemente in ai*ia che in acqua, è stato, prima, l’aver riferite le cause del tardo e del veloce, tanto del moto in su quanto dello in giù, sola¬ mente alla diversità delle ligure del mobile e alla maggiore o minor resistenza della maggior o minor crassizie o sottilità del mezzo, nou curando la comparazion degli eccessi delle gravità definibili e demezzi: la qual tuttavia è ’l punto principalissime iti questa materia. Che se» l’incremento e 1 decremento della tardità o velocità non avessero altro rispetto che alla grossezza o sottilità de' mezzi, ogni mobile, che scendesse per l’aria, scenderebbe anche per l’acqua: perchè qualun¬ que differenza si ritrovi tra la crassizie dell’ aequa e quella dell’aria, può benissimo ritrovarsi tra la velocità dello stesso mobile nell’aria e qualche altra velocità ; e questa dovrebbe esser sua propria uel- 1 acqua : il che tuttavia è falsissimo. L’ altra occasione è, che egli ha INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 131 creduto che, sì come c’ è una qualità positiva e intrinseca per la quale i corpi elementari hanno propensione di muoversi verso il centro della terra, così ce ne sia un’ altra, pure intrinseca, per la quale al¬ cuni di tali corpi abbiano impeto di fuggire ’l centro e muoversi all’ in su, in virtù del qual principio intrinseco, detto da lui leggerezza, i mobili di tal moto più agevolmente fendano i mezzi più sottili che i più crassi: ma tal posizione mostra parimente di non esser sicura, come di sopra accennai in parte, e come con ragioni ed esperienze potrei mostrare, se 1* occasion presente n’ avesse maggior necessità, o io se con poche parole potessi spedirmi. L’instanza, dunque, di Aristotile contro a Democrito, mentre dice che, se gli atomi ignei ascendenti sostenessero i corpi gravi ma di figura larga, ciò dovrebbe avvenire maggiormente nell’ aria che nel- p acqua, perchè tali corpuscoli più velocemente si muovono in quella che in questa, non è buona; anzi dee appunto accader l’opposito, perchè più lentamente ascendono per 1’ aria : e, oltre al muoversi lentamente, non vanno uniti insieme, come nell’ acqua, ma si discontinuano e, come diciamo noi, si sparpagliano; e però, come ben risponde De¬ mocrito risolvendo l’instanza, non vanno a urtare e fare impeto 20 unitamente. S’inganna, secondariamente, Aristotile, mentre e’ vuole che detti corpi gravi più agevolmente fossero da calidi ascendenti sostenuti nell’ aria che nell’ acqua : non avvertendo che i medesimi corpi sono molto più gravi in quella che in questa, e che tal corpo peserà dieci libbre in aria, che nell’acqua non peserà mezz’oncia; come, dunque, dovrà esser più agevole il sostenerlo nell’ aria che nell’ acqua ? Concludasi, per tanto, che Democrito in questo particolare ha meglio filosofato che Aristotile. Ma non però voglio io affermare che Democrito abbia rettamente filosofato, anzi pure dirò io che c’ è esperienza mani- 30 festa che distrugge la sua ragione: e questa è che, s’ e’ fosse vero che atomi caldi ascendenti nell’ acqua sostenessero un corpo che, senza ’l loro ostacolo, nuderebbe al fondo, ne seguirebbe che noi potessimo trovare una materia pochissimo superiore in gravità all’ acqua, la quale, ridotta, in una palla o altra figura raccolta, andasse al fondo, come quella che incontrasse pochi atomi ignei, e che, distesa poi in una ampia e sottil falda, venisse sospinta in alto dalle impulsioni di gran moltitudine de’medesimi corpuscoli, e poi trattenuta al pelo della 132 tHUCOKM) superficie dell’ acqua ; il che non «i vede arciere, inoltrandoci l’espe- rienza che un corpo di figura. v gr„ sforn a, il quale a pena e con grandissima tardità va al fonilo, vi roterà e vi discenderà ancora, ridotto in qualunque altra larghissima figura. Bisogna dunque dire, o che nell’acqua non *ieno tali atomi ignei ascendenti, o, se vi sono, che non sierio potenti a sollevare e spignere m su alcuna falda di materia che, senza loro, and* -«> al fonilo lMle quali due posizioni io stimo che la secouda sia v**ra, intendendo dell’ acqua constituita uella sua naturai freddezza: ma noi piglieremo un vaso, di vetroo di rame o di qual si voglia altr i materia dura, pieno d’acqua fredda,» dentro la quale si ponga un solido di figura poma o concava, ma che in gravità ecceda l’acqua cosi fioco che lentamente si conduca al fondo, dico che, mettendo alquanti cartami .uv-ai sotto il detto vaso, come prima i nuovi corpuscoli ignei, penetrata la ««stanzia del vaso, ascenderanno per quella dell’ acqua, *enza dubbio, urtando nel solido sopraddetto, lo spigneranno sino alla «uj>> i tìcie, e quivi lo tratterranno sin che dureranno le incursioni de'detti corpuscoli ; le quali cessando dopo la suttraz.ion ilei fuoco, tornerà il solido al fondo, abbandonato da’suoi puntelli. Ma noti Democrito, rhe questa causa non ha luogo se non quando si tratti d’alzare p -o-tenere falde di materie poco più gravi » dell’ acqua, o vero aommauient» sottili; ma in materie gravissime e di qualche grossezza, come falde di piombo o d’altri metalli, cessa to¬ talmente un tale effetto. In testimonio di che, notisi che tali falde, sollevate da gli atomi ignei, ascendono per tutta la profondità del- 1’acqua e si fermano al confin dell'aria, restando però sott'acqua; ma le falde degli avversari non si fermano se non (piando hanno la superficie superiore asciutta, nè vi mezzo d o{verare che, quando sono dentr all’acqua, non calino al fondo Mtra, dunque, è la causa del soprannotare le co-;e delle quali paria Democrito, e altra quella delle cose delle quali parliamo noi. jìg? Ma, tornando ad Aristotile, panni che egli assai più freddamente confuti Democrito, che lo stesso Democrito non fa. per detto d’Ari¬ stotile, 1 Istanze che egli si muove contro: e l’oppugnarlo condire che, se i caliili ascendenti fn«-.-ro quelli che sollevassero le sottil falde, molto più dovrebbe un tal solido esaer sospinto e sollevato per aiia, mostra in Aristotile la voglia d'atterrar Democrito superiore all esquisitezza del suldo filosofare. Il qual delùderlo in altre occasioni INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 133 si scuopre, e, senza molto discostarsi da questo luogo, nel testo pre¬ cedente a questo capitolo che abbiamo per le mani : dov’ ei tenta pur di confutare il medesimo Democrito, perchè egli, non si contentando del nome solo, aveva voluto più particolarmente dichiarare che cosa fusse la gravità e la leggerezza, cioè la causa dell’ andare in giù e dell’ ascendere, e aveva introdotto il pieno e ’1 vacuo, dando questo al fuoco, per lo quale si movesse in su, e quello alla terra, per lo quale ella discendesse, attribuendo poi all’ aria più del fuoco e all’ acqua più della terra. Ma Aristotile, volendo anche del moto all’ in su una causa io positiva e non, come Platone o questi altri, una semplice negazione o privazione, qual sarebbe il vacuo referito al pieno, argomenta contro a Democrito, e dice : Se è vero quanto tu supponi, adunque sarà una gran mole d’acqua la quale avrà più di fuoco che una piccola mole d’aria, e una grande d’aria che avrà più terra che una piccola d’ acqua ; il perchè bisognerebbe che una gran mole d’ aria venisse più velocemente a basso cho una piccola quantità d’ acqua : ma ciò non si vede mai in alcun modo : adunque Democrito erroneamente discorre. Ma, per mia opinione, la dottrina di Democrito non resta per tale instanza abbattuta; anzi, s’io non erro, la maniera di dedurre 20 d’Aristotile o non conclude, o, se è concludente, altrettanto si potrà ritorcer contro di lui. Concederà Democrito ad Aristotile, che si possa pigliare una gran mole d’ aria, la quale contenga più di terra che una. piccola quantità d’acqua; ma ben negherà che tal mole d’aria sia per andar più velocemente a basso che una poca acqua : e questo per più ragioni. Prima, perchè, se la maggior quantità di terra, con¬ tenuta nella gran moie d’aria, dovesse esser cagione di velocità mag¬ giore che minor quantità di terra contenuta nella piccola mole d’ acqua, bisognerebbe prima che fusse vero che una maggior mole di terra semplice si movesse più velocemente che una minore : ma 30 quest’ è falso, benché Aristotile in più luoghi 1’ affermi per vero ; per¬ chè non la maggior gravità assoluta, ma la maggior gravità in specie, è cagione di velocità maggiore ; nè più velocemente discende una palla di legno che pesi dieci libbre, che una che pesi dieci once e sia della stessa materia; ma ben discende più velocemente una palla di piombo di quattro once, che una di legno di venti libbre, per¬ chè ’l piombo è in ispecie più grave del legno : adunque non è necessa¬ rio che una gran mole d’ aria, per la molta terra contenuta in essa, 134 DISCORRO discenda più velocemente che piccola mole d'acqua; anzi, per Toppo- sito, qualunque mole d’acqua dovrà muoversi più veloce di qualunque ' altra d’ aria, per esser la participazion «Iella parte terrea in Specie !' maggior nell’ acqua che nell’ aria. Notisi, nel secondo luogo, come, nel multiplicar la mole dell'aria, non si multi plica solamente quello che vi è di terreo, ma il suo fuoco ancora: onde non meno se le cresce la causa dell’andare in su. in virtù del fuoco, che quella del venire , all’ingiù, per conto della sua t**rra multiplicata. Insognava, nel ere- jt scer la grandezza dell’ aria, multiplicar quello che ella ha di terreo 1 solamente, lasciando il suo primo fuoco nel suo stato: rhè allora, su- h. } perando ’l terreo dell’ aria augni Dentata la parte terrea della piccola quantità dell’ acqua, si sarebbe potuto più verisimilniente pretender che con impeto maggiore dovesse scender la molta quantità dell’aria ohe la poca acqua. K, dunque, la fallacia più nel discorso d’Aristotile che in quello di Democrito; il quale, con altrettanta ragione, potrebbe impugnare Aristotile, «• dire: Se è vero elle gli «‘stremi elementisieno l’uno semplicemente grave e l’altro semplicemente lieve, e che i medii partecipino dell'una e dell’altra natura, ma l'aria più «lidialeggerezza, e l’acqua più della gravità; adunque sarà una gran mole d’aria la cui gravità supererà la gravità d’una piccola quantità d’acqua, eperèa tal mole d' aria discenderà più velocemente che «quella poca acqua: ma ciò non si vede mai accadere: adunque non è vero che gli ele¬ menti di mezzo sieno partecipi dell’ una «• dell’ altra «qualità. Simile argomento è fallace, non meno che T altro conti-' a Democrito. Ultimamente, avendo Aristotile «letto che, se la posizion di Demo¬ crito tasse vera, bisognerebbe che una gran mole d’uria si movesse più velocemente che una piccola d’ acqua, e qioi soggiunto che ciò non si vede mai in alcun modo; panni che altri possa restar con desi¬ derio d’intender da lui, in qual luogo dovridda 1 accader questo eh’e’de¬ duco contro a Democrito, e quale esperienza ne insegni eh’e’ noiu' v accaggia. 11 creder di vederlo nell' elemento dell’ acqua o ’n quel dell aria, è vano, perchè nè l’acqua per aequa nè l’aria per aria si muovono o moverebbon giammai, q>er qualunque participazione altri assegni loro di terra o di Pinco : la terra, per non esser corpo fluido e cedente alla mobilità d altri corpi, è luogo e mezzo inettissimo a simile esperienza: il vacuo, per detto d’Aeistotile medesimo, nousi dà, e, benché si desse, nulla si moverebbe in lui: resta la region dd 135 INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN' SU L’ACQUA ECO. fuoco • ma essendo per tanto spazio distante da noi, quale esperienza potrà, assicurarci, o avere accertato Aristotile, in maniera eh’ e’ si debba, come di cosa notissima al senso, affermare quanto e’ produce in confutazion di Democrito, cioè che non pivi velocemente si muova una gran mole d’ aria che una piccola d’acqua ? Ma io non voglio più lungamente dimorare in questa materia, dove sarebbe che dire assai : e, lasciato anche Democrito da una banda, torno al testo d’Ari- stotile, nel quale egli si va accingendo per render le vere cause onde avvenga che le sottil falde di ferro o di piombo soprannuotino al¬ io P acqua, e più 1* oro stesso, assottigliato in tenuissime foglie, e la mi¬ nuta polvere, non pure nell’ acqua, ma nell’ aria ancora, vadano no¬ tando; e pone che, de’continui, altri sieno agevolmente divisibili e altri no e che, degli agevolmente divisibili, alcuni sien più e altri meno tali; e queste afferma dovere stimarsi che sien le cagioni. Soggiugne poi, quello essere agevolmente divisibile che ben si termina, e più quello che più, e tale esser più Paria che l’acqua, e l’acqua che la terra. E ultimamente suppone, che in ciascun genere più agevolmente si di¬ vide e si distrae la minor quantitade che la maggiore. Qui io noto, che le conclusion d’Aristotile in genere son tutte 20 vere, ma panni che egli le applichi a particolari ne’ quali esse non hanno luogo, come bene lo hanno in altri: come, v. gr., la cera è più agevolmente divisibile che il piombo, e il piombo che l’argento; sì come la cera più agevolmente riceve tutti i termini che ’l piombo, e ’l piombo che P argento. È vero, in oltre, che più agevolmente si divide poca quantità d’ argento che una gran massa : e tutte queste proposizioni son vere, perchè vero è che nell’ argento nel piombo e nella cera è semplicemente resistenza all’ esser diviso, e dov’ è P asso¬ luto è anche il respettivo. Ma se tanto nell’acqua, quanto nell’aria, non è renitenza alcuna alla semplice divisione, come potremo dire so che più difficilmente dividasi P acqua che P aria ? Noi non ci sappiamo staccare dall’ equivocazione: onde io torno a replicare, che altra cosa è il resistere alla divisione assoluta, altra il resistere alla division fatta con tanta e tanta velocità. Ma per far la quiete e ostare al moto, è necessaria la resistenza alla divisione assoluta ; e la resistenza alla presta divisione cagiona non la quiete, ma la tardità del moto: ma che tanto nell’ aria, quanto nell’ acqua, la resistenza alla semplice division non vi sia, è manifesto ; perchè niun corpo solido si trova, il quale non 136 DISCORDO divida l’aria e 1’acqua ancora. K che l’oro battuto o la minuta poi- vere non sieno potenti a superar la renitenza dell uria, è contrario a quello che 1’ esperienza ci móstra, vedendosi e 1’ oro e la polvere andar vagando per 1’ aria e finalmente discendere al basso, e fare an¬ che lo stesso nell’ acqua, se vi saranno locati dentro e separati dal- 1’ aria. E perchè, come io dico, nè 1’ acqua nò 1’ aria resistono punto alla semplice divisione, non si può dir che 1’ acqua resista più che l’aria. Nè sia chi m’opponga l’esemplo di corpi leggerissimi, come d’ una penna o d’un poco di midolla di sagginale o di canna pa¬ lustre che fende l’aria e l'acqua no, e che da questo voglia poi in-io ferire, l’aria esser più agevolmente divisibile che l’acqua : perchè io gli dirò che, s’ egli ben osserverà, vedrà il medesimo solido dividere ancora la continuità dell’ acqua, e sommergerai una parto di lui, e parte tale che altrettanta acqua in mole peserebbe quanto tutto lui. E se pure egli persistesse nel dubitare che tal solido non si profondasse per impotenza di divider 1’ acqua, io tornerò a dirgli eh’e’lo spinga sotto acqua, e vedrallo poi, messo di’ e’ 1’ abbia in sua libertà, divider l’acqua ascendendo, non men prontamente eh’e’si dividesse l’aria discendendo. Sì che il dire * Questo tal solido scende nell’aria, ma giunto all’acqua cessa di muoversi; e però l’acqua più difficilmente » si divide », non conclude niente; perchè io, all’ incontro, gli proporrò un legno o un pezzo di cera, il quale dal fondo dell’ acqua si eleva e agevolmente divide la sua resistenza, che poi, arrivato all’ aria, si ferma e a pena la intacca; onde io potrò, con altrettanta ragione, dire che P acqua piti agevolmente si divide che 1’ aria. lo non voglio, in questo proposito, restar d’ avvertire un’ altra fal¬ lacia di questi pure che attribuiscono la cagion dell’ andare o non andare al fondo, alla minore o maggior resistenza della crassizie del- 1’ acqua all’ esser divisa, servendosi dell’ essemplo d’un uovo, il quale nell’ acqua dolce va al fondo, ma nella salsa galleggia, e adducendo » per cagion di ciò la poca resistenza dell’acqua dolce all’esser divisa, e la molta dell’acqua salsa. Ma, s’io non erro, dalla stessa esperienza si può non meno dedurre anche tutto l’opposito, cioè che l’acqua dolce sia più crassa, e la salsa più tenue e sottile ; poiché un uovo dal fondo dell’ acqua salsa speditamente ascende al sommo e divide la sua resistenza, il che non può egli fare nella dolce, nel cui tondo resta senza poter sollevarsi ad alto. A simili angustie conducono i INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 137 falsi principii : ma chi, rettamente filosofando, riconoscerà per cagioni di tali effetti gli eccessi della gravità de’ mobili e de’ mezzi, dirà che P uovo va al fondo nell’acqua dolce perchè è più grave di lei, e viene a galla nella salsa perchè è men grave di quella; e senza intoppo alcuno molto saldamente stabilirà le sue conclusioni. Cessa, dunque, totalmente la ragione che Aristotile soggiugne nel testo, dicendo : « Le cose, dunque, che hanno gran larghezza, restano sopra, perchè comprendono assai ; e quello che è maggiore, non age¬ volmente si divide »; cessa, dico, tal discorso, perchè non è vero che io nell’acqua o nell’aria sia resistenza alcuna-alla divisione; oltreché la falda di piombo, quando si ferma, ha già divisa e penetrata la crassizie dell’ acqua, e profondatasi dieci e dodici volte più che non è la sua propria grossezza. Oltre che, tal resistenza all’ esser divisa quando pur fusse nell’ acqua, sarebbe semplicità il dir die ella fusse più nelle parti superiori che nelle medie e più basse: anzi, se diffe¬ renza vi dovesse essere, dovrieno le più orasse esser le inferiori, sì che la falda non meno dovrebbe essere inabile a penetrarle le parti più basse, che le superiori dell’acqua ; tuttavia noi veggiamo che non prima si bagna la superficie superior della lamina, che ella precipi- 20 tesamente e senza alcun ritegno discende sino al fondo. lo non credo già che alcuno (stimando forse di potere in tal guisa difendere Aristotile) dicesse che, essendo vero che la molta acqua resiste più che la poca, la detta lamina, fatta più bassa, discenda perchè minor mole d’ acqua gli resti da dividere : perchè, se dopo 1’ aver veduta la medesima falda galleggiare in un palmo d’ acqua e anche poi nella medesima sommergersi, e’ tenterà la stessa esperienza sopra una profondità di dieci o venti braccia, vedrà seguirne il me¬ desimo effetto per appunto. E qui torno a ricordai'e, per rimuovere un errore assai comune, che quella nave, o altro qual si voglia corpo, so che sopra la profondità di cento o di mille braccia galleggia col tuf¬ far solamente sei braccia della sua propria altezza, galleggerà nello stesso modo appunto nell’ acqua che non abbia maggior profondità di sei braccia e un mezzo dito. Nè credo altresì che si possa dir, le parti superiori dell’ acqua esser le più crasse, benché gravissimo au¬ tore abbia stimato, nel mare 1’ acque superiori esser tali, pigliandone argomento dal ritrovarsi più salate che quelle del fondo : ma io du¬ biterei dell’ esperienza, se già nell’ estrar 1’ acqua del fondo non s’in- 18 IV. IlIM'ORflO m contrasse qualche polla d’acqua dolce, che quivi scaturisse; ma ben vergiamo, all’incontro, Tacque dolci de’fiumi dilatarsi, anche per al¬ cuno miglia, oltre allo lor foci sopra T acqua salsa del mare, senza discendere in quella o con cosa confondersi, se già non accade qualche commozione e turbamento de’ venti. Ma, tornando ad Aristotile, gli dico che la larghezza della figura non ha che fare in questo negozio nè punto nè poco; perchè la stessa falda di piombo, o d’altra materia, fattone strisce quanto si voglia strette, soprannuota nè più nè meno; e lo stesso faranno le medesime strisce di nuovo tagliate in piccoli quadretti, perchè nomi la larghezza, ma la grossezza, è quella che opera in questo fatto. Di¬ cogli, di più, che, quando ben fosse vero che la renitenza alla divi¬ sione fosse la propria cagione ael galleggiare, molto e molto meglio galleggerebbono le figure più strette o più corte che le più spaziose e larghe; sì che, crescendo T ampiezza della figura, si diminuirebbe l’agevolezza del soprannotare, e scemando quella, si crescerebbe questa. K. per dichiarazione di (pianto io dico, metto in considerazione che, quando una sottil falda di piombo discende dividendo l’acqua, la di¬ visione e discontinuazione si fa tra le parti dell’acqua che sono in¬ torno intorno al perimetro e circonferenza di essa falda; e secondo la» grandezza maggiore o minore di tal circuito, ha da dividere maggiore o minor quantità d’ acqua : sì che, so il circuito, v. g.. d’ una tavola sarà dieci braccia, nel profondarla per piano si ha da far la sepa¬ razione e divisione e, per così dire, un taglio su dieci braccia di lun¬ ghezza d’ acqua; e similmente una falda minore, che abbia quattro braccia di perimetro, dee fare un taglio di quat¬ tro braccia. Stante questo, chi avrà un po’di geometria comprenderà non solamente che una tavola, secata in molte strisce, assai meglio so¬ prannoterà ohe quando era intera, ma che tutte» le figure, quanto più saranno corte e strette, tanto meglio dovi‘ranno stare a galla. Sia la ta¬ vola Alt IH-, lunga, per esemplo, otto palmi e larga cinque: sarà il suo ambito palmi venzei; e venzei palmi sarà la lunghezza del taglio, ch’ella dee tar nell acqua per discendervi. Ma so noi la segheremo, v. gii in otto tavolette, secondo le linee EF, fili. oc., facendo sette sega- INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECC. 139 menti, verremo ad aggiugnere alli venzei palmi del circuito della tavola intera altri settanta di più ; onde le otto tavolette, così segate e separate, avranno a tagliare novanzei palmi d’ acqua : e se, di più, segheremo ciascuna delle dette tavolette in cinque parti, riducendole in quadrati, alli circuiti di palmi novanzei, con quattro tagli d’otto palmi 1’ uno, n’ aggiugneremo ancora palmi sessantaquattro ; onde i detti quadrati, per discender nell’ acqua, dovranno dividere censes- santa palmi d’ acqua. Ma la resistenza di censessanta è assai maggiore che quella di venzei : adunque, a quanto minori superficie noi ci con¬ io durrerno, tanto vedremo che più agevolmente galleggerebbono. E lo stesso interverrà di tutte l’altre figure, le cui superficie sieno fra. di loro simili, ma differenti in grandezza; perchè, diminuite o cresciute quanto si voglia le dette superficie, sempre con subdupla propor¬ zione scemano o crescono i loro perimetri, cioè le resistenze eh’ e’ tro¬ vano in fender l’acqua : adunque più agevolmente galleggeranno di mano in mano le falde e tavolette, secondo eh’ elle saranno di mi¬ nore ampiezza. Ciò è manifesto : perché, mantenendosi sempre la medesima altezza del solido, con la medesima proporzione che si cresce o scema la base, cresce ao ancora o scema ristesse solido; onde, scemando più ’l solido che ’l circuito, piti scema la causa dell’ andare in fondo che la causa del galleggiare ; ed all’ incontro, crescendo più 7 solido che ’l arcuilo, più cresce la causa del- V andar in fondo, e meno quella del restar a galla. E questo tutto seguirebbe in dottrina d’Aristotile, contr’ alla sua medesima dottrina. Finalmente, a quel che si legge nell’ ultima parte del testo, cioè che si dee comparar la gravità del mobile con la resistenza del mezzo alla divisione, perchè se la virtù della gravità eccederà la resistenza del mezzo, il mobile discenderà, se no, soprannoterà ; non occorre so risponder altro che quel che già s’ è detto, cioè che non la resi¬ stenza alla divisione assoluta, la quale non è nell’acqua o nell’aria, ma la gravità del mezzo, si dee chiamare in paragone con la gravità del mobile: la qual se sarà maggior nel mezzo, il mobile non vi di¬ scenderà, nè meno vi si tufferà tutto, ma una parte solamente ; perchè nel luogo eh’ egli occuperebbe nell’ acqua, non vi dee dimorar corpo che pesi manco d’altrettant’ acqua : ma se ’l mobile sarà egli più grave, discenderà al fondo, ad occupare un luogo dov’ è più conforme HO DIIU'ORKO alla natura che vi dimori egli, che altro corpo nien grave. E questa è la sola, vera, propria e «.voluta cagiono del soprannotare o andare al fondo, sì che altra non ve n' ha parte: e In tavoletta degli avver- sari soprannuota, quando è accoppiata con tanta d’aria, che insieme con essa fonna un corpo men grave di tanta acqua quanta andrebbe a riempiere il luogo da tal comporto occupato nell* acqua; ma quando si metterà nell’ acqua il semplice ebano, conforme al tenor della no¬ stra quistione, andrà sempre al fondo, benché foase sottile come una carta. Il Futr. INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA ECO. 141 Io Francesco Nori, Canonico Fiorentino, avendo rivista la presente opera, non ho in essa notato cosa alcuna disforme dalla pietà Cristiana nè da’ buon costumi, e la giudico degna delle stampe. 11 dì ultimo di Marzo 1612. Frane. Nori sopr. di man propr. Attesa l’attesta ti one e relazione premessa, concediamo che la soprascritta opera si possa stampare in Firenze, osservati gli ordini soliti. 2 d 1 Aprile 1612. Pietro Niccolini Vie. di Firenze. Ilo riveduto la presente opera per parto del Sant 1 ufizio, e non ci ho trovato cosa re¬ putante alla cattolica fede e a’ buon costumi. Ita attestor ego ir. Augustinus Vigianius, regeus ordini» Servorum, manu propria. Fra Cornelio Inquisitore di Firenze, 5 Aprile 1612. Stampisi secondo gli ordini, questo dì 5 di Aprile 1612. Niccolò delPAntella Senatore. CONSIDERAZIONI DI ACCADEMICO INCOGNITO. CON POSTILLE E FRAMMENTI DELLA RISPOSTA DI GALILEO. CONSIDERAZIONI SOPRA IL DISCORSO DEL SIG. GALILEO GALILEI Incorno alle cole, che Ranno in sii l’Acqua, o che in quella fi muouono. Dedicate ALLA SERENISSIMA D- MARIA MADALENA ARCIDVCHESSA D'AV STRIA Gran Duchefla di T ofeana. FATTE A DIFESA, E DICHIARAZIONE dell’opinione d’Ariftotile DA ACCADEMICO INCOGNITO, In PISA, Apprcflo Gio. Barirta Bofchetci, c Giouanni Fontani, idi 2. Con licenzia do'Superiori. IV. 19 fM ALLA SERENISSIMA T). MARIA MADALENA ARCIDUCHESSA D’AUSTRIA, GRAN DUCHESSA DI TOSCANA. La stima e la fama de gli uomini illustri non meno depende dalla potenza e dall’altezza de 1 Principi regnanti, che si facciano tutte 1 ’ inferiori cose dall’altro superiori, e nell’ esser e nel conservarsi. Così il mondo eiementale dal celeste, il celeste dall’intellettuale, questo dal divino, si regge: e nel governo civile, le per¬ sone private dalle publiche, queste da’ supremi signori, hanno il moto e le leggi. Aristotile, Serenissima Signora, fu quel grand’ intelletto e queir ottimo insegna¬ lo tore de’ misterii naturali morali e politici, che già è noto. E s’è distesa la sua dottrina ad esser in tutte le buone scuole maestra di chi impara e di chi sa. Ma non altronde la gloria del valor suo ricevette il volo sì largo, che dall’aura favorevole d’Alessandro il Magno: e nondimeno, se tal volta dal favore di nuovi Alessandri non fosse sostenuta e rafforzata, o caderebbe o scemerebbe, là rivolgen¬ dosi il più de gli uomini, o pieni di vaghezza giovenile, o vero già emuli, o sazii della continuazione d’ una stessa dottrina, dove cose nuove, benché nien sicure, proposte fossero presso dii regna. Fu impugnato Aristotile nel Discorso del Sig. Ga¬ lileo Galilei: al quale da certe Considerazioni d’autore per ancora incognito essendosi in buona parte latinamente risposto, molti mi hanno fatta forte instanzia 20 di mandarle in luce, tradotte nel nostro idioma, quasi che ufizio fosse di Prove¬ ditore Generale di questo Studio di Pisa publicare le difese d’ altri intorno a quella dottrina che qua si professa, e da eccellentissimi filosofi, a ciò condotti e provisio¬ nati, s’insegna. A sì giusta domanda il negare, dava sospetto di poca stima o di poca cura: ma alla grave mole della dignità e dell’ eccellenza di sì glorioso filosofo, per innalzarla e ampliarla, richiedendosi maestà e virtù superiore, ninna ho cre¬ dula più atta che quella di Vostra Altezza; tanto più che il contrario Discorso è indirizato al Serenissimo Gran Duca, vostro consorte, al quale col nome gratis¬ simo di Lei si potrà rendere questa difesa assai più grata e accetta, e insieme 14 g CONSIDERAEIONI W ACCADEMICO JXUXiNITO. a’leggitori più autorevole e riguardata. Spero che V. A. gradirà di communicare gli effetti della grande**» dell’ amino «no Ter*» »t grand' uomo, quale Aristotile è: e per sua benignità favorirà nm di ricori. .-.cere, incora in deboli segni, la de¬ vozione della mia servitù. E facendo unnli»*tma rivrrrnaa all'A. V., le pre?0 ^ Signore Dio ogni maggiore eaalUuioue. Di 1W, alti 15 di luglio 1612. Di V. A. Sereiiiseima oaiUiMino • 4lT»tu*tao Mmtort A ri tn) ftiMMocAiier-Ai deTonii d'Eki Pr, AL SIGNOR SEVERO GIOCONDI L’ACCADEMICO INCOGNITO. Ragionandosi da alcuni Accademici nostri sopra il Discorso, stampato pochi giorni sono in Firenze, del Sig. Galileo Galilei, Intorno alle cose che stanno in su V acqua o che in quella si muovono ; io, per la fama dell’ uomo e dell’ esperienze e osservazioni sue, mi posi a leggerlo con molto desiderio, e ne continuai la lezione sin aliatine con molto gusto,non poco dilettandosi l’imaginazione di star,al tempo di state, tra Tacque. Leggendo mi vennero notate nella margine del libro, così io alla grossa, alcune considerazioni in diversi luoghi; le quali riandando poi, benché io m’avveggia che la materia è degna di più profonda attenzione, nondimeno, dove la mente ha bisogno di ricreazione e di diporto, non si vuol porre nè troppo studio nè molta fatica ; anzi, se talora, nell’ aprirsi T animo, ne uscisse improvisa- mente qualche scherzo ingegnoso e modesto, si dee raccogliere per gabbo ami¬ chevole e per uso accademico molto utile e molto lodato, dicendosi dal poeta lirico, come ognun sa, Omne tulli punctum , qui miscuit utile ittici ; ed altrove, Ser. 1, quamquam ridentem dicere vermi , 20 Quid vetat ? Ed il morale Plutarco in più luoghi commendò grandemente il mescolare con la severità della filosofia la soavità de’ motti e delle favole, per renderla più grata e più agevole a’giovani, quali i più de’nostri Accademici sono: cosi ancora fu osservato dalla setta Accademica e da altri valentuomini, per sollevamento di sè e d’altrui da gli studi e da gli affari più gravi. Simigliante avviso ho avuto io, in proporzione delle mie forze e del proposto soggetto, ed, appresso me, non in vano del tutto. Poiché V. S. è lontana, per occasione di salutarla e di passar il 150 CONSIDERAZIONI PI ACCADEMICO INCOGNITO. tempo in qualche dolce maniera con lei, la quale ha tanta VHgheaa dello |,„ one 1 lettere, avendo menar insieme le predette brevi Considerazioni, le ne mando uni copia. Io mi penso che già V. S. avcrà ATutn il lopradetto Discorso dal mede¬ simo Autore, per la pratica e corte-' autorità che può aver con lui, overo da nò medesima l’averà procacciato e letto : però, a maggiore facilità di rincon traro i luoghi, citarò solamente il numero della facciata, con alcune poche parole dell’Autore. Spero che V. S. riceverà in grido ijuesto segno dell’ osservanza m verso lei, ancorché io non le venga innanzi sotto altro nome che di Accade¬ mico. E con baciarle la mano, le prego dal Signore Dio ogni felicità. Della valle accademica, il di primo di luglio 1812. L’AUTORE DELLE CONSIDERAZIONI ALLE MEDESIME. Sì come voi, brevi e piacevoli Considerazioni mie, non altronde avete la vostra origine che da alcune esalazioni di animo pieno di cure, così vostra vaghezza era di starvene qua, rinchiuse tra le nostre valli solitarie, solo per far il piacere di me e d’alcuni amici più cari. Ma appena generate sete, che, così aride e scomposte di stile e di materia, a guisa di meteoriche impressioni, superior forza vi tira a luoghi più spaziosi e più aperti, dove, essendo molto diversi i gusti e’vederi io de’mortali, se a noi foste recreazione, forse ad altri non piacerete. Però voi, per mio modesto avviso, non vi lassate veder da presso, se non sforzate : e se alcuno gli occhi e le mani vi metterà addosso, come la vostra placida natura non è per verun danno apportargli, così, nell’usar seco, il voler di lui secondate con ogni destrezza; onde forse, con maniere sì cortesi e sì rimesse, sodisfarete all’altrui curio¬ sità, e scusarete voi dal tedio e dalla noia, se forse, dal vedervi, alcuna gliene venisse nell’ animo. A gli amici litterati e sinceri andate incontra sicuramente, senza al¬ cuno invito aspettare ; anzi, quanto posso vi prego che da gli occhi usiate ogn’ arte di penetrare a’ lor cuori, sperando che da qualche nascosa virtù, che forse dal mio cuor vi traete, si possa destar in loro alcuna memoria di me. Salutarete con cu puro affetto l’Autore del Discorso, che, avendo voi, se non con piena intelligenza, almeno con diletto e con attenzione, considerato questo felice parto del suo ingegno, come persona dotta e cortese gratamente vi raccorrà: e in segno di vero amore, dal suo illustre Discorso non vi scostate punto, acciochè dall’ ombra vostra venga il suo lume accresciuto, e il vostro scuro dalla sua chiarezza difeso. A gli uomini e a’ principi grandi, per quel eh’ io mi pensi, poco o niente calerà di voi, che tanto sete umili, imperfette e disuguali : ma se pur avvenisse, per mercè e bontà loro, che, stanchi da’ più alti affari, talvolta discendessero a rimirar in altrui l’osse¬ quio e la riverenza che loro si porta, gii servirete lietamente, e per ombra e per 152 CONSIDERAZIONI DI ACCADEMICO INCOGNITO. aura la più soave che mai posdati- Ma non perù ceniate (riamai, o lnngi o ricino di riguardare a quel gran Signor, del cui Serenissimo nome va si ornato eglo rioso il Discorso intorno al qual vi raggirate ; poiché V Altezza Sua, sì come nella magnificenza nel valore e nella grandezza dell* animo, particolarmente verso o|j studi e verso i letterati, si rassomiglia a quel grande Alessandro, così nell’ aver in stima e onorare quel gran filosofi» Aristotile vorrà non meno imitarlo, per farea sè un pari acquisto di gloria. Laonde Um voi ancora potrete sperare che parimente debba gradire questa difesa (qu d ella hi uà) ilelU dottrina Aristotelica; alla quale voi colisi fervente e sì lieto animo vi sete me^. Di questo sole a’ potentissimi e chiarissimi raggi, onde voi, come spiritali inalazioni, pò*sete innalzarvi e risplen-K dere, siate pieghevoli e riverenti, pregando che sì vi sieno propizii, che non altrove che nell 1 ossequio di lui la vostra lieve natura si dilegui alla fine e venga meno. Andate dunque felici; ed io qui rimanendo, mere/* del sollevamento vostro, e più lieto e più apedito, alle mie debite occupazioni ritorno. » i . •• • CONSIDERAZIONI SOPRA IL DISCORSO bel Sig. Galileo Galilei INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA 0 CHE IN QUELLA SI MUOVONO, PATTE A DIFESA e a DICHIARAZIONE DELL’OPINIONE ARISTOTELICA. Avendo io preso a leggere, por passare la noia del caldo, il leggiadro Discorso del Sig. Galilei, ultimamente stampato in Firenze, come prima venni alP opi¬ nione tocca da lui sopra il ghiaccio, onde nacque la proposta questione con gli avversari, allettato da materia tanto bramata nella stagione ardente, cominciai, io per mio diporto maggiore, a fare alcune considerazioni sopra diversi luoghi; là talora rallentando V animo, dove il suo piacere e la presa lezione lo richiedevano. f. 5 [pag. 65, lin. 85-80] : Dice dunque l’Autore: il ghiaccio è più leggiero dell'acqua , standovi a galla) Ciò non avviene per la sua rarità, essendo acqua condensata dal soverchio freddo, per la forza clic ha di congregare insieme le cose simili e le dissimili, in quanto, congregandole, impedisce che vadino al pro¬ prio luogo 1 * 1 , al contrario del caldo, disgregante le dissimili e congre¬ gante le si militi e chiaramente si vede, un vaso colmissimo d’acqua poi [1] molti non sanno cavar il senso delle parole puntate [2] Non posso a bastanza ammirare il saldo modo di filosofare di que- 20 sto oppositore, avendogli molto sottilmente osservato esser proprietà del freddo il congregare le cose simili, al contrario del caldo, congre¬ gante le cose simili ; tal che, conforme a questa peripatetica dot¬ trina, il diaccio egualmente si può fare dal freddo e dal caldo, avendo, amendue queste qualità, facoltà di congregare le cose simili. 21. del caldo freddo — ,lj Le parolo puntate sono « iu quanto .... luogo». IV. 20 CONSU>KB AZIONI li')4 non poco scemarsi se quella si conprel"- » n »‘ «tante la copia 'le Rii aliti che den¬ tro vi si rinchiudono. Il freddo, dunque, ambiente, conspirando la propria condizione fredda dell’acqua, scacciate le parti calde' 1 ) e più tenue") e mescolandovUi molti aliti freddi e terrestri. o]x*ra che l’acqua si rappiglia esc ne fa il ghiaccio, misto molto imperfetto; il quale, per contenere quegli aliti, viene a starsene a galla t 1 ', come fa il legno, benché più denso dell’acqua, ed ogn’altro corpo composto di terra e d’aria, secondo 1 Autore, f. 21) lp"«. M, li», ai-28). .Ma n 0l) però assolutamente ad ogni maggiore densità segue maggiore gravità; poiché quanto più il fuoco puro e l’aria pura fussero condensati, Unito meno surebbeno gravi. Nè dalla maggiore rarità ai produce di necessità una maggiore leggerezza ; io poiché si trovano delle pietre molto lucide e rare, secondo alcuniW ( e nondi¬ meno S ono più gravi 1 *'; e nelle stelle si truova maggiore densità che nell’altre parti del cielo, e tuttavia non vi é tra loro differenza di gravità o leggerezza! 1 ), ( 3 i L’ambiento è Lana; in peripatetica dottrina, calda ed umida,e non fredda: onde ella non ha occasione di scacciar le parti calde. m Il freddo e ’l secco sono le qualità della terra, in dottrina di Ari¬ stotile : però gli aliti freddi e secchi, come terrei, devono indur gra¬ vità, e non leggerezza ; e però non possono esser cagioni di stare a galla. 151 questo dir secondo (deuni fa creder che l’Accademico produca un» testimonio, al quale egli stesso non ernia. [0) si desidera di saper più gratti di cht . f7 ' Qui sono molti errori in una sola proposizione. Perchè, prima, è contro ad Aristotile ed alla verità che, condensandosi una materia, non se gli accresca gravità, dicend’ egli che la gravità e la leggerezza se¬ guono la densità e la rarità. Inoltre, è falso che l’aria condensata non cresca iu gravità; ed ècci in contrario l’esperienza ed Aristotile, eli¬ cente che più grava un utre gonfiato che sgonfio. Di più, quando tosse vero che il fuoco condensato fosse più leggiero (il che tocca all’oppo¬ sitore a manifestare ; ma ciò non farà egli già mai), ciò avverrebbe pei’ * esser egli di sua natura leggiero, onde, moltiplicando la sua materia, si moltiplicherebbe la leggerezza: e però, argumontando in contrario, alla condensazione delle cose por sua natura gravi, ne deve seguir augu- mento di gravità; ma l’aqqna è grave per natura; adunque, coiiden- 17-18. indur qualità gravità — (l ' l)i fronte allo parole sottolineate »•, sul margina, il ncguo DI ACCADEMICO INCOGNITO. 155 essendo qualità repugnanti alla semplice natura degli orbi ce¬ lesti t’ 1 . [img.66, Un. 13-18] : posto in fondo dell’acqua, subito ritornarsene a (/alla) Questo modo di argumentare, dallo ascendimento delle cose poste nel fondo dell’acqua al descen- dimento della superficie al fondo, del quale l’Autore molto si vale e dove principal¬ mente si fonda, riesce più fallace che saldo, troppo vallando le circonstanze, come diremo più di sotto ra . In tanto, per fare una scoperta piacevole a tutto il formato discorso, e da lontano penetrare infin al fondo, piantaremo qui nella prima fronte ■ una considerazione generale, la quale ci servirà parimente per un forte e rilevante io bastione contra ogni nemico assalimento. sata, deve aqquistar gravità maggiore. Quanto alle pietre perspicue m e gravi, ciò non fa a proposito, perchè una materia può esser per¬ spicuissima e densissima, come il diamante; e credo che l’Accademico equivochi, stimando il perspicuo perl’istesso che il raro. Finalmente, mentre noi stiamo dubbi ed altercanti della densità del diaccio e dell’ aqqua, che tutto ’l giorno l’aviamo in mano, il produrci l’atte¬ stazione delle stelle e del cielo ambiente, come che le condizioni loro ci siano più cognite, non mostra nell’Accademico tutta la perfezion di logica, la quale non approva, anzi danna, il provare ignotum per ■20 ignotim. l8J 1’ argomento, dunque, non vale ne i corpi inferiori, a i quali le dette qualità non son repugnanti. t#1 No, Sig. Accademico: /tic Rhodos, Me saltus ; tempo di rispondere è qui, e non più di sotto. Gli avversari! dicon qui che una falda di diaccio, benché più grave dell’ aqqua, galleggia rispetto alla figura larga; e l’Autore instando dice: Se ciò fosse vero, molto più dovrebbe, posto che e’ fosse nel fondo, restarvi ; perchè se ’l solo impedimento della figura lo trattimi di sopra, contro alla sua naturale inclinazione di sommergersi, come aqqua ingravita per la condensazióne, come so non rest’ egli in fondo, dove amen due le cause, dico la gravità e la figura, conspirano al ritenervelo? In questo luogo non si tratta altro che questo punto, e qui bisogna scoprir le fallacie dell’Autore e le variazioni delle circostanze, e non tanto di sotto che poi non si ri¬ trovino più. 15. altercanti clic della — 25. diaccio galleggia benché — « porspicuo », in luogo di « lucido » elio ò Considerazioni, a quali Galu.ko apposo la presente nel tosto dell’ Incognito, si legge negli estratti dello postilla. 1515 CONKlhKU.VAlDXl L’Autore ad un’altra dottrina primogenita Mia «opra la luna e sopra le stelle, della cui fece qui nel suo proemio menzione, voli»- con stravaganti arnesi fondare e stabilire un reame negli orbi celesti ; ed ora procura di conquistare un altro impe¬ rio sotto la luna a questa seconda genita sua opinione, la qual è, che del galleg¬ giare le cose gravi nell’acqua ne ria cagione l’aria che di - prn sta unita a quelle. Ma, por quanto scorgo con la vista de gli occhi naturali, ultro non si fa da lui che tentare da diverse bande, con più artificieri strumenti, ili battere e d’espugnare l’opinione Aristotelica, dalla quale, già tanti secoli, fu messa nel possesso del gal¬ leggiare la figura larga. E lodandosi forse 1’ Autore nella forza e nell' ingegno, non si vede che fondi la pretendono per la sua aria in veruna buona ed intera ragione: io poiché alcune prove prodotte, e cavate dalla leggerezza e dalla gravità e da certe proporzioni ed esperienze, chiunque punto vi porrà niente, s’accorgerà che tutte si salvano, o fanno lega con la stessa figura ; nè facilmente si Hollevarebhono contro il dominio di quella, si largo e maeatevole. jier mettervi 1’ aria, altrettanto ventosa od instabile. Sì clic per mantenere nell’antica e giusta possessione questa figurata signora, basta, per mio avviso, che i suoi confederati e seguaci, secondo l’obligo della confederazione e dell'omaggio, l'aiutino u distruggere lo nemiche machine ed a ripararsi da sì pericolosa impugnazione; e cosi, stando ola mente nella difesa, la eonservaranno nella propia iurisdizione, jxjco per altro curando delibarla, poscia- chè, non avendo per sè stessa veruno appoggio solido e dependendo ogni suo impeto a da sole forze straniere, sarà necessitata a ritirarsi in salvo nella propria regione. 7 ii>ig. 6", lin. se): chiamo coitalmente gravi) Per me' filosofare, qui si dee distin¬ guere e dichiarire che cosa s’intende per gravità e per leggerezza. Aristotile, con¬ siderando il movimento retto de gli elementi rihjietto al centro del mondo ed al cielo, corpo soprano e nobilissimo, ditìinl il grave od il leggiero per il moto, perla quiete e per il mezzo, dicendo: Grave es>er quello che di sua natura si muove al centro dell’ universo ; leggiero, quello che si muove dal centro; gravissimo, quello che, fra le cose che discendono, sta di sua natura sotto u tutte l’altre; leggierissimo, per lo contrario, quello che, fra le cose elio ascendono, sta sopra tutte 1 '* 1 : stimando Aristotile, darsi nell’universo per natura della cosa, come dicono i Latini, summ » et deorsum , e la positiva gravità e leggerezza come affezioni del corpo naturale, consequenti alle prime qualità e appartenenti al senso del tatto, e cagioni intrin¬ seche e principali del moto, strumentali però c determinanti l' essenziale forma de gli elementi e de’ composti verso il movimento e la velocità e tardità di quello in essi, come ottimamente dichiara il dottissimo Francesco Ficcolomini tra più luoghi, nel libro Delle difiìnizioni, dedicato al Sermissinio Don Cosimo II, allora Gran Principe di Toscana. E che questa gravità e leggerezza si dia per loro natura 1,01 Piccolomini, De definUionibtts , fol o 181 h ,n . (,) La postilla è riferita alle linee 23-2J. Dì ACCADEMICO INCOGNITO. 157 negli elementi, come parti del mondo, e, per conseguente, ne’ misti, composti di quelli, lo dimostra 1’ esperienza nel fuoco e nelle calde esalazioni ; e la ragione lo persuade. 1. Perciocché, dandosi principio intrinseco di moto verso il centro, si dee pa¬ rimente dare il suo contrario, del centro verso il cielo; 2. e ponendosi il naturai descendimento della terra e dell’ acqua all’ ingiù, perchè non si concederà il sali¬ mento al proprio luogo nel fuoco e nell’ aria? 3. E se dal solo discacciamento dei mezzo fluido e contrario nascesse il salimento, ne seguirebbe ch’ogni moto, così latto, fusse violento; 4. e ch’il fuoco nell’aria, corno non contrarii tra loro nel¬ lo Tattive qualità, non ascenderebbe altrimenti; 5. nò il fuoco nè l’aria, rinchiusi tra la terra, non essendo quella fluida, se ne partirebbero mai. 6. Oltre a questo, se un corpo non può muovere P altro se esso parimente non si muove, non potrà quel sì fatto discacciamento darsi senza qualche movizione dell’acqua: laonde, o quella è mossa violentemente da un altro motore; il qual non ci viene altrimenti assegnato, o noi ce ne nuderemo nell’ infinito : overo, se per propia inclinazione verso il luogo naturale si muove, perchè non dobbiam dire ch’il medesimo, per la sua leggerezza, avvenga del corpo leggiero all’insù [l11 ? 7. E senza dubbio, se noi dessimo sospeso in aria un vaso dove qualche sasso e qualche particella di fuoco insieme si rachiudessero, rompendo poi il vaso, tosto il sasso descenderebbe e 20 ascenderebbe il fuoco di sua natura, come continuamente gli vegliamo fare. 8. Ma troppo sarebbe colpevole e difettiva la natura, se avesse prodotta la gravità e non la leggerezzaovero avesse all’una data virtù di muovere e non all’altra, e se più avesse rimirato al centro della terra che al corpo celeste, il quale circonda il mondo basso e ’1 governa e mantiene. 9. E dove sarebbe la somma sua potenza e previdenza, se non avesse compartita virtù e stronfienti a queste cose di scendere e a quelle di salire ? 10. Anzi la gravità e P ascendi mento stesso delle cose gravi, potremmo dir con ragione che non forza nè atto {ussero di virtù, ma, come di corpi infermi e cadenti, mancanza di vigore e una viziosa caduta. Ma il negare i principii d’ÀristotileP 33 è assai più facile che ’l ri¬ so P'J perchè il moto all’ in giù è naturalmente necessario alla costitu- zion del mondo, e l’altro aborrito, come contrario ad essa costituzione e tendente alla dissoluzione. ll2J anzi sarebbe stata superflua nel produr la leggerezza, bastando la sola gravità. [13J non sono altramente principii ; anzi vi consum’ egli, ma in¬ vano (p , un libro intero per provargli. « ma invano» ò stato aggiunto posteriormente. 158 CONNI DKK AZIONI provarli: e l’inventarne degli altri più «icuri o più senzati é un punto, il quale s*è talora da qualche ingegno tentato, ina spuntato non s è giamai 1U| , I Lasciando, dunque, questo discorso da parte, ritornando al nostro proposito, ' diciamo che la gravitò, e la leggerezza in tre modi si prende da’ filosofanti; 1. Per la forma stessa essenziale delle cose gravi e leggiere, come primo prin¬ cipio naturale del moto al proprio luogo e della quiete in osso. 2. Per le qualità ed affezioni determinanti detta forimi verso il moto, mime strumento prossimo ed intrinseco ad esso. 3. Per quella propensiono al moto, la quale non è altro che un atto secondo e lo stesso moto; della cui Aristotile, al 4 dol Cielo, t. 2, disse non aver nome proprio. Le due prime non si v ariano, se non si varia il tempera- » mento o la densità ; la 3*, essendo «eterna, può variarsi, ed accrescersi e diminuirsi, dalla variazione del mezzo e della figura, delle quali disse Aristotile nell’ultimo del Ciclo, come ancora dalla velocitò del moto, dicendo Aristotile nelle Meccaniche, il corpo grave acquistare più di gravitò mentre si muove che mentre sta fermo. K come questa gravità, nascente dalla velocità del moto del braccio più lungo della bilancia, resiste al peso maggiore del braccio più corto, anzi lo innalza, così il peso maggioro quasi perde di peso, o meno l’esercita, nella figura quadra, come in braccio più corto, e l'angumenta nella figura tonda, come in braccio più lungo 1 " 1 . f. 9 [pai?. 70,lin.-t-5]: bisogna conferire i mono odi detta resistenza dell’acquami momenti della gravità premente del solido) Questa voce momento é latina e toloméida, # [ ma non usata, nel preso significato, dal volgare nostro moderno 11,1 e meno dall’an¬ tico; poiché nel vocabolario copiosissimo ed esquisitissimo della Crusca non vcn'è esempio. Questo dico, non per attendere alla purità e proprietà della lingua, ma perché qui molto importa alla vera intelligenza e dichiarazióne della materia proposta 1 *’ 1 - Ma cosa di maggiore momento si è che l’Autore in questo luogo la forza confessa della resistenza, e poco di sotto, scordando¬ sene 1 " 1 , conclude esser manifesta la necessitò di comparare insieme la gravitò 1,41 No, por quelli che si contentano ili adoperarlo senza punta. [1J1 Considera quello che si contiene nelle carte dell' Autore, dalla fac. 7 sino alla 9 fpag. (57-Toj, « nota quanto faccia a quel proposito quello» che qui viene scritto: nota, in oltre, qual leggiadra conclusione si rac- colga da tutta questa lunga diceria. 1161 Dal vulgare vostro non solamente non è usato questa voce mo¬ mento, ma nè anco niun‘ altra comunissima in tutte le matematiche. ll Nel voler render ragione perchè, contro a) credibile, ai maovino più velocemente lo cose caliti*; per acqua che per aria, adduco la ragione al C00 ‘ trarlo, ciò è quella |il mi.: ciò quella | per ,a ^ ai devono muover più velocemente per aria che per acqua. » DI ACCADEMICO INCOGNITO. 161 do così facilmente a credere che la falda di cera, quando le si ponga sopra nel mezzo un solo grano di piombo, vada perciò subito al fondo, concedendo 1* Autore che quella di ebano non anderebbe p7] : se già noi non ponessimo tanti gradi di peso, che ogni giuntagli desse il tratto; al qual estremo bisognerebbe finalmente pervenire, dandosi P ultimo sommo per necessità nelle cose. f. 26 fpag. 89, lin. io): ch'ella, posta nel fondo) Questo argomento, dal fondo alla superficie dell’acqua, venendo spesso agalla mostra la sua leggerezza. Ma veggiamo se si può affondar di maniera, che più non possa risorgere. 1. Primieramente, la comparazione si deve fare, non dal corpo grave di figura larga nel descendere, ad un io corpo leggiero della stessa figura nell 5 ascendere, ma dal medesimo corpo grave di figura larga, che descenda, ad un altro corpo grave egualmente, in figura tonda, che parimente descenda [isì ; o, per contrario, paragonare insieme un corpo leggiero di figura larga, che ascenda, allo stesso corpo in figura tonda, che parimente ascenda, supponendo sempre lo stesso mezzodì; perciocché a moti sì contrani, dell’ascendere e del discendere, con¬ corrono tante varie circonstanze, che non è maraviglia se rendino fallace la proporzione usata dall’Autore; dove a prò della resistenza della figura si può sempre affermare che, a paragone del corpo tondo, il corpo quadro, o discenda o ascenda, sempre più tardamente si muoverà. 2. Secondariamente, si dice che 20 l’acqua più aiuta alla ascenzione delie cose leggieri che alla discen- zione delle gravi lM| , per sentenza dello stesso Autore in più luoghi. E per ra¬ gione di ciò adduciamo la stessa gravità dell’acqua, con la quale, naturalmente e più velocemente sottentrando ai mobile leggieri, ancora più impetuosamente lo innalza, e quello meno resiste e più tosto sormonta. Per contrario, l’acqua non aggravando tanto il corpo più grave di sè, e questo più resistendo, come denso, [27J Qui ò grand 5 equivocazione. La cera va per la giunta di un grano, quando è in mezo all’ acqua : e V ebano non va, quando è sopra ; ma posto in mezo, va senza giunta veruna, anzi non si ritien se non per forza. so 1281 La comparazion si fa giusto come voi domandate, perche si pa¬ ragona la falda e la palla nell 5 ascendere, e poi la falda con la palla nell' ascendere. [20J ci contentiamo : e questi ascendono tutti egualmente. [30J questo è vero, detto 10 volte dall 5 Autore, nè punto contrario al suo intento. Anzi non pur aiuta, ma è total cagione del loro ascendere, discac¬ ciandole ; chè per altro loro scenclerebbono : ed alle cose che scen¬ dono, è solo d 5 impedimento e ritardanza. IV. *21 162 CON81UKKA SUONI all* impulso, viene il suo naturale distendimento meno esternamente aiutato. 3. Ol¬ tre di questo diciamo, ch’alia figura larga, come sotto le corrono più parti di acqua che la sospingano all’ insù, cosi nel discendere trovano sotto sè maggior resi¬ stenza dalla mole d’acqua, maggiore quanto ò più larga ; e, per contrario, ha sopra minore impulsione, meno gareggiando l’acqua sopra di essa figura. 4. S’aggiunge, esser quasi impossibile porre un quadro di maniera giacente o situato nel fondo M che l’acqua non possa discenderli sotto e sollevarlo, perchè altrimenti non senza violenza si staccherebbe dalla terra, |>or raffiniti de’corpi posta dall’Autore stesso; e quando ascenda, si vedrà spesso- salire per lato o per ta¬ glio o in traverso, e non a perpendicolo’ oltre a che, essendo ba- 1 » guato, già si rende minor la resistenza. Per tutte queste ragioni, dunque, variando le circonstanze, non 6 maraviglia se questo modo di provare poco giova all'Autore per impugnare l’opinione degli avversarli. f. 29 |p»g- 02 , Un. li): per non avere V acqua resisti tua alcuna. ) Contra questo assioma si è 1’ esperienza della mano mossa per traverso nell’ acqua, di sopra addotta Qui bisogna parimente avvertire che al galleggiare non è contrario l’entrare alquanto nell’ acqua lu ), ma l’andare a fondo; e sopra questi due punti contrarii si raggira la disputa. Ma se l’Autore si mostra in questo luogo molto largo ne’termini della questione, altrettanto ristretto e scientifico si dimostra di sotto, 31 [pag. 06 , lin. l-a], dove dice: esser localo importa esser circondalo dalla su-in perfide; poiché nel commune parlare s'hanno da intendere le parole nel lor popolar sentimento, se altro non viene specificato. Anche la nave si dice posta nell’acqua, benché non sia circondata tutta dall'acqua |W1 . E se la ta¬ voletta d’ebano non è sopra la terra, nè sopra l’aria, nò sopra il fuoco, nè sopra o dentro alcuna altra cosa, dunque bisogna dire esser nell’acqua. Ma s’ha da credere che gli avversari, per non immollarsi le mani, non ponessero tutta la palla per entro l’acqua, ma destramente la posassero sopra la superficie, donde 1311 che bisogno ci è di por noi fondo quadri, se si attribuisce alla figura larga facoltà di introdur quieto ? 1321 non mancano modi di farlo ascender piatto e a perpendicolo ; so nè 1’ Autore è sì vantaggioso, che voglia farlo salir per coltello. 13,11 e pur torniamo ne’ primi termini. La mano mossa mostra la resistenza non alla divisione, ma al muover 1’ acqua con velocità: e questa resistenza si pon nell'aria, ina non servo al cagionar quiete. 1341 ... si dico che .. l’entrare alquanto nell’acqua sia contrario il galleggiare; porcile anco le navi galleggiano ... è ben contraria al non si lasciar dividere. 1:1,1 8 i dico anco essere in terra, se ben è tutta fuori della terra. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 103 ella tosto n’ andasse al fondo (la sè medesima, non avendo la cattivella nè braccia da notare nè larghezza da sostenersi. Ancora, poco di sotto, assai discordante si scnopre V Autore dagli avversari, ponendosi da lui una tavola leggiera di noce in fondo, e da loro una d’ebano grave a galla. Ma perchè la tavoletta se n’ entra alquanto iiell 5 acqua, dunque non può nulla la figura? Anzi pare da inferirsi il con¬ trario, cioè: Dunque la figura, in qualsivoglia modo se ’l faccia, è cagione che non finisce di sommergersi, come fa la palla ; la quale non solo penetra la super¬ ficie dell’ acqua, ma tosto del tutto la fende e si profonda. Della cagione, dunque, di questa diversità si questiona al presente, attribuendosi dall’Autore alla forza io dell’ aria superiore unita, e dagli aversarii alla figura ed alla resistenza del mezzo, f. 35 [pag. 99], a gli acuti incontri de’quali, con la risposta dell’Autore par che petatur princìpium. f. 32 [pag. 95, lin. 23] : perche ogni figura particolare) Chi dubita che, denotando la quiete fermezza, alla quale dispone e s’accosta la tardità, non sieno tra loro piè simili? come, per contrario, è al moto la velocità. [pag. 95, lin. 2(»-27] : una tavoletta , verbi gratia f d'un palmo quadro) Se discende con sei gradi di tardità, se fusse di due palmi, discenderebbe più tardi, considerato solo il rispetto del motore al mobile: ma per altre circostanze, avvenenti nella congiun¬ zione della materia, si rendono cotali proporzioni, reducendole all’atto, molto fallaci; 20 crescendo, con l’augumento del quadro, l’intrinseca resistenza e l’intervallo, come si dirà più di sotto. f. 35 [p«g. 98, lin. 23] : Rispondo) Concedasi la risposta, che la tavoletta, arrivando al livello dell’acqua, perdi parte della sua gravità ; ma non già, perdi parte della sua gravità perchè seco discenda e s’ unisca l’aria superiore e questa ne sia la sola primitiva cagione, come diremo. [pag. 99, lin. 2 - 8 ]: ]Ha y signori aversarvi) Ma, signor Autore, pigliate voi solamente l’aria ed il corpo, e lassate stare la sola figura (,) ; ed allora, non succedendo lo stare a galla, averete affatto vinta la lite f3flJ . In tanto non ci scordiamo che, dato un assurdo, [ac] Sig. Accademico, voi vi confondete, e scrivete il contrario di 30 quello che avevi in mente: perchè, concedendo voi alF Autore che e’prenda solamente l’aria ed il corpo, niente curando della figura, se poi non succederà lo stare a galla, averà perduta, e non vinta, la lite, poi che l’aria non sarà bastante a sostener il solido; e vinta ara la lite, quando e’ succeda lo stare a galla, perchè il corpo, che per sua natura andrebbe in fondo, verrò sostenuto dall’ aria. Ma forse 33. a sostcr — 34-35. per altro tua — (p A questo passo Gami.ko aveva postillato, o poi cancellò, quanto segue : « so» molto contento ili premier 1‘ aria o ’l corpo, niente curando della tigura, om > 104 CON81UEKAZIONI ne seguono molti. Overo, reraovete voi, «la matematico, la figura larga, e fatela tonda; ed allora, »«• non va a fondo, c» conferiamo perditori f. 36 (par- 0». Un- 87SB|: ma sr, tolta fnon la t.r.Uta, r tteotua via tutta l'acqua) Ormai essaminiamo brevemente l'opinione dell'Autore. Kgli vuole che l’aria conti¬ gua alla tavoletta asciutta dell'ebano e contenuta dentro a gli arginetti dell’acqua, fatti ed elevati intorno a detta tavoletta, »i» « -««ione clic quella non vada a fondo; perchè, essendo tra l'aria e gli altri corpi una certa affinità, la quale gli tiene uniti, si che non senza qualche i*x-o «li violenza m separano, si viene a fare un corpo solo, composto della tavoletta e di quell’aria, più leggiero che non è la tavo¬ letta separata dall'aria e, tra ambedue, meli grave in specie dell’acqua: il qual r, corpo, composto d'ebano e d’aria, quando -da men grave di tanta acqua in mole quanta è la mole giù sommersa sotto il livello della superfìcie dell'acqua, non anderù a fondo; ed allora sarà meri grave, che 1* eccesso «Iella gravitai del solido sopra la gravità dell’aequa averi la medesima proporzione alla gravità dell’acqua che l'altezza dell’arginetto alla grossezza del solido; ed in qm^to caso detto so¬ lido non si sommergerebbe (i-oine farebb d'ogni altra maggior grossezza), ma entrarehbe con tutta la sua grossezza sotto le superficie, più e più secondo che le materie saranno più gravi: si che, per esempio, una piastra sottile di piombo resta tanto più bassa, quanta è p«?r lo manco la grossezza «Iella medesima piastra presa dodeci volte; e l’oro si profonderà -otto il livello dell'acqua quasi venti volte più a che la grossezza della piastra d’oro. Questa, se ben si raccoglie da diversi luoghi «lei suo libro, è la nuova opinione del Sig. Galileo, la quale con sottile e ingegnoso discorso va più tosto dichia¬ randola, «die fondandola nelle ragioni o prov andola con argomenti bastanti a confutare l’opinione tenuta da'suoi aver*arii e da Aristotile: In quale è, che la figura larga in un solido più grave dell'acqua, come l’ebano, il piombo, l’oro e simili, possa tenerlo a galla, per t*sser meno atta a divider il mezzo, e quello più possente a sostenerla e a r«‘sistere contro la divisione; il che succederà ogni volta 1 Accademico vuol che si levi l'aria e ’1 corpo, e si lasci la sola figura; e se questo è il suo senso, pur *'accetterà’1 partito, «• l’Autore prò- 35 sentera all Accademico una tavoletta con la tijjjvirti, ma senz'aria, od aspetterà che lui produca la figura senz’ari» e senza il corpo. Sig. Ac¬ cademico, voi proponete condizioni impossibili; «> l'Autore le propone non solo possibili, ma quali si ricercano per il tenor della disputa. come voi non volet altro, sete spediti: perchè non si dovendo rimuover 1 aria, non solamente la figura tonda, ma ogn’ altra, starà meglio che la piana. >9 30. e l’Auto - 32. aspettai ì da lui rh* - DI ACCADEMICO INCOGNITO. 1G5 che la gravità del solido non eccellerà di tanto la gravità dell’ acqua, che rimanga superata la resistenza del mobile e del mezzo cagionata dalla figura, o sia da altra circonstanza o da altro esteriore accidente impedita o diminuita. Ma se questa opinione peripatetica porta qualche opposizione, si posa nondimeno sopra fondamento assai piti sicuro e senzato che l’opinione Galilea non fa : la quale, tra un magnifico apparecchio di obbiezioni ad Aristotile e di varie sperienze e di nuove dimostrazioni, viene a farsi vedere a prima vista tutta pomposa e leg¬ giadra ; ina, considerandola bene a dentro e pesandola, le opposizioni facilmente si sciogliono, l’esperienze o vacillano o scoprano più tosto gli effetti particolari che io la cagione delle cose, e le proposizioni e prove matematiche non arrivano a di¬ mostrare la forza e le vere cagioni dell’ operazioni della natura. Laonde il nervo delle sue prove par che finalmente si riduca in un solo assioma, cioè che la leg¬ gerezza sia cagione del galleggiare, come, per contrario, dell’andare a fondo la gravità 1 ” 1 : il che non solo viene insegnato da Aristotile, ma è tanto più vero nella sua dottrina, quanto da Aristotile si concede l’assoluta leggerezza c il movimento naturale all’insù, e si niegadall’Autore. Ma non perciò dal predetto assioma si può inferire che al solido grave, per non andare a fondo, faccia bisogno di mu¬ tarsi in leggieroP* 1 e che 1’ aria superiore si unisca con esso e gli communichi la sua leggerezza: perciochè chiarissima cosa è, che dell’operazioni dependenti da 20 circonstanze particolari, possono le cagioni esser impedite o limitate da molti strani accidenti che l’accompagnano; come propio addiviene, per la con¬ giunta figura 1 ' 01 , al solido grave e largo, del quale l’affermare che, posto nella superficie dell’ acqua, quivi acquisti natura contraria a quella che averebbe dentro 1' acqua 1 " 1 e sopra la terra e nell’ aria medesima, è più tosto invenzione arbitraria clic fondata in necessità o in alcun giudizio del nostro senso e del nostro intel¬ letto. Oltre a questo, per la parte dell’ aria centra questa sentenza molte gagliarde contradizioni e assurdi molto aperti si potrebbeno addurre. 1. Per opinione del- l’Autore, non si dà il moto all’insù naturale, nè leggerezza assoluta : dunque, se ogni corpo è grave o va di sua natura verso il centro, l’aria non potrà far più leg¬ ar» 1881 non è assioma, ma proposizione demostrata; e non sta come è qui profferita, ma si fa comparazione col mobile e col mezo. m anzi sì : in virtù della detta proposizione è necessari issi ino che a quel solido, che non va in fondo, gli sia levato 1’ eccesso della gra¬ vità sopra quella del mezo. 1401 Non è la figura, perchè coti la medesima figura va anco in fondo. 1411 Se, posto nella superficie, non aqquista natura contraria a quella che ha dentro, descenderà. (•OXHIDKR AZIONI 166 giero nò tenere sospeso il corpo grave, ma davantaggio l’aggraverà e lo sospingerà I verso il centro. Secondariamente, domandiamo all'Autore: Non ò l’aria ele¬ mento più tenue e meno atto a resistere, si per sua natura, al per benefizio (lell’uni verso, che non è l’acqua 1,1 ? 3. e l'acqua, |>er lo stesso Autore, non sta così attac- cataa gli altri corpi come l’aria? perchè, dunque, l’acqua non trae più tosto a basso o almeno non sostiene la tavoletta, come l’aria la sospende l** 1 ? 4. Con qual filosofia. 1 '* 1 possiam dare all’aria tanta forza sopra l’acqua, e da chi le T i 0 „ communicatu virtù tanto maggiore, che possa impedire a gli arginetti dell’acqua elevati d'intorno al solido, il Husso naturale sopra di esso? f>. Non è proprio luogo dell’acqua lo staro sotto l’aria? ed, all’ incontro, dell' aria lo star sopra l’acqua ? n, Come, dunque, contra la propensione naturale ili questi elementi e contra la conti¬ guità do’naturali luoghi, l’aria impedisce lo scorso dell’ acqua sopra il solido grave posto tra loro, il quale ancora sarà talvolta, come nelle qualità moventi così nelle qualità alteranti, più simigliante all’acqua che aH’aria 1 ** 1 ? (i. Se l’aria natural¬ mente ha questa forza partieolur calaniitica sopra la tavoletta asciutta, come la perde colà gopra la tavoletta bagnata, dovendo nel luogo naturale, eh’è l’acqua, più tosto conservarla che perderla"' 1 , e più tosto perderla che conservarla sopra il corpo secco, contrario alla sua naturale umidità? 7. Dato che l’aria abbiaque- sta virtù, perchè più tosto ritiene a galla l’ebano il piombo e l’oro in falde larghe, che non fu i medesimi solidi in forma rotonda, posti in una loro piccola si estremità sopra il piano dell'acqua e circondati quasi d’ogni intorno dalla stessa urial" 1 ? 8. Se 1’ aria opera questo sostentamento nelle figure quadre sola¬ mente "'J, dunque bisognu confessare che la stessa figura 6ia cagione in qualche 1421 è vero; e però molti corpi vi si muovono più velocemente .Sei quid ad rem ? 1411 perchè 1' acqua non (Inscenile nell’ acqua, e 1’ aria vi ascende; e perchè 1 acqua sollevata estrude il corpo, che cerca di sollevarla più. 1441 E sciocchezza il cercar filosofia che ci mostri la verità di un ef¬ fetto meglio che l’esperienza e gli occhi nostri. 1451 e pur è così. » (40) e pur è così. Non la perde; ma, come la tavoletta bagnata è finita di entrar nell acqua, la superfìcie dell’ acqua che bagnava la tavo¬ letta si unisce con la superficie dell’ acqua ambiente, e la tavoletta descende, e 1’ aria resta contigua alla medesima acqua di prima. 147) e pur ritien quelle, e non queste ; anzi pur ritien tutte le figure, ogni volta che 1’ aria sia tanta, che faccia il composto men grave dell’ acqua, ,4S) volete dir piane. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 167 modo, o in riguardo dell’aria superiore o del mezzo inferiore, dello stare a galla >'»l, 9 . s e la piastra d’oro sta unita all’ aria d’ogni intorno quando si pone sopra la superficie dell’acqua, facendosi uno stesso composto tra loro, doverebbe per la medesima ragione sostener parimente la piastra che meno entrasse nell’acqua. 10. Se la piastra sopradetta diventa uno stesso corpo con l’aria superiore, dunque non solamente lo fa con quell’ aria scesa e chiusa tra gli arganetti, ma con tutto il resto dell’aria e con tutto l’elemento, essendo tutta un corpo unito e continuo; e per consequenza, diventerà un corpo con essa vastissimo e leggierissimo, da non andar a fondo già mai 100 !. 11. Posto, secondo l’Autore, che la detta piastra io tanto più entri nell’ acqua, guanto sarà di materia più grave in specie di essa acqua, e che della piastra e dell’ aria contenuta fra gli arginetti si componga quel corpo più leggiei'O, seguirà ancora che la piastra di maggior grossezza e gravità più debba entrar dentro l’acqua ; e più entrando, maggior mole di aria s’unirà e comporrà con lei ; e con la maggior mole d’aria, più crescerà la leggerezza ; e come più leggiero, sempre meno potrà sommergersi; ed a questo modo si potrebbono formare larghissime strade nel mare, con altissimi ar¬ gini e quasi montagne d’acqua dalle bande fM1 . Certamente si fatte difficoltà e eontradizzioni non si trovano nell’opinione Aristo- [49] non è la figura; perchè tutte le figure stanno, quando vi è l’aria; 20 o tutte stanno meglio che le piane. l-w] e già mai n0 n andrebbe, se 1’ aria non si separasse. Doventa un istesso corpo con la tavoletta tutta l’aria; e quando di tal corpo se n’ è sommerso tanto, che tant’ acqua pesi quanto tutto, non va più giù: e così accade. Ma nota che tutta l’aria in sè stessa [e] sopra l’acqua non pesa nulla ; ma ben quella poca che è sommersa viene estrusa in su, ed in certo modo leggiera nell’ acqua. Nè si maravigli alcuno che tutta 1’ aria non pesi niente, perchè il simile è dell’ acqua. 1511 Tutto il discorso è vero, ed arebbe effetto, se gli argini non si rompessero : e però ne’ fondi delle nave, che pur son molte braccia so sott’ acqua, vi sono tante pietre che farebbono una strada, ed oltre alle pietre molt’altri pesi gravissimi. Però trovi pur l’Accademico il modo di sostener gli argini, chè 1’ Autore farà il restante. Queste sono 11 instanze che non operano niente, poi che non fami’altro che apportar meraviglie sopra quello che il senso ci mo¬ stra. Ma il meravigliarsi, per la nostra ignoranza., come le serpi pos- sino camminar senza piedi, non le fa andar punto rnen veloci, non che le renda immote. COSMI»» KAZIONI 168 telica, la quale, bene intesa, si trova molto ben fondata ne' priniipii naturali e sen¬ sati. Diciamo, dunque, che l’acqua, come tu»*- l’altre cose, per naturale inclinazione al propio conaervamento, volentieri si unisce e difficilmente si disunisce nelle sue parti : e perciò la reggiamo, sopra il piano secco ridursi subito a forum sferica, e, per contrario, spandersi sopra l’umido; e quindi avviene che sopra la tavoletta bagnata, per etiser fatta simile a si\ facilmente trascorre, non perché sia levato l'impedimento che le faceva l'aria sopra la tavoletta asciutta; la qual aria, essendo molto piò tenue e Huida dell’acqua e stando nel proprio elemento, averebbepiù facilmente ceduto co’l ritirarsi in sé stessa, -»• più tosto l’acqua, ritenendosi quanto più può in sé stessa, non funse cagione che l'aria di scendesse dentro gli arginerò,s Nel caso nostro, dunque, posto un corpi» grave in figura larga sopra l’acqua,» la mole dell’acqua sotto quella figura è maggiore W, cosi fa maggior resi¬ stenza al detto mobile dividente, onde, benché idi i alquanto alla durezza 1 " 1 e gravità di esso, se ne rifugge jx-rò alle estremità e, per -uu natura, non violentata dall’aria, s’unisce nplle sponde e resiste con la sua mole e crassezza all’intera divisione o separazione (M| , mentre elio ila altra cagione esterna non è sa- < 52) tanto farà una reto di fìl di ramo ; e 1* acqua sottoposta e da di¬ vidersi sarà pochissima. 1531 non alla durezza, perchè tanto farà una u... piena d’acqua. (M1 una buona quantità d’ acqua sopra un piano si ritiene senza* spandersi ; ma se con la punta di un ago, partendosi dall’estremità di essa, si noterà una sottilissima -traila bagnata, tutta l’acqua scorrerà per detta strada, ed in conseguenza le sue parti in estremo si disu¬ niranno, e quasi in un lungo e sottil filo si fileranno; e ciò perché non hanno a rimuover aria. 1551 si faranno tavole grosse ‘J braccia, acciò la divisione sia intera, Se 1’ acqua sottoposta alla tavola si ritira alle sponde, è forza chele sue parti si dividano ; e se cosi è, perchè non seguita di dividersi? quest intera separazione e divisione è una semplicità ; perchè io tarò una piramide, che ara diviso con tutta la sua base, anzi con» tutta la sua mole, e pur non descenderà, in virtù dell’ arginetto fatto intorno alla sottilissima sua punta. Si è trovato nuovamente il refugio della divisione intera, dello quale integrità non mai da Aristotile nè da altri, sino all’ anno 1612, è stata latta menzione : ma si leverà anco questa debolissima ritirata col dii e all Accademico eh e' determini quanto deva esser profonda questa apertura, acciò che V aqquisti nome d’intera divisione, e ri- DI ACCADEMICO INCOGNITO. 169 perata la sua naturai resistenza alla divisione e che non prevale alla resistenza cagionata dalla figura la propria gravità, con l’altre esteriori circonstanze che vanno moltiplicando e variando nel ridursi le cose all’atto, sì che gli arginetti del¬ l’acqua scornilo sopra la tavoletta ed essa ne vada a fondo. Non è, dunque, necessario, dove sono sì forti legami ed impeti della natura e cagioni più note e sensate, ricorrere ad aiuti sì leggieri e far dell’aria, corpo sì varo e debole, una colla sì tenaceIl comporre poi e paragonare tra loro minutamente tutte le proporzioni della gravità, della resistenza attiva alla penetra¬ zione o della passiva, e delle inclinazioni, similitudini e dissimilitudini delle cose io naturali, ed altre infinite circonstanze ed accidenti che possono variamente con¬ correre per la connessione della materia in questi casi, troppo difficile alchimia e sottil matematica si richiederebbe, non meno nella nuova opinione dell’ Autore che nella comraune degli aversarii. A noi basta che appaia manifesta la cagione generale in qualche caso più sensato, e considerare la varietà delle circonstanze più note, e perciò, rispondendo all’ obiezzioni in contrario addotte dall’Autore, ap¬ parisca la sua invenzione, sì ampliata e dichiarata, più tosto differente che opposta e contraria, e che Aristotile non abbia detto cosa falsa; come ci serbaremo a mostrar più particolarmente a suo luogo, per tornar, al presente, dove lasciammo. metterò nell’ arbitrio suo l’assegnare una profondità qual più gli piace, so purché non la togga infinita ; ed io poi farò un’ assicella lunga e larga quanto la proposta d’ ebano, ma la farò grossa, o vogliamo dire alta, 2 dita, 4, un palmo, un braccio, dieci braccia, 100, mille, e sarà tale che, posta nell’ aqqua, si profonderà tutta, e farà il suo arginetto, in virtù del quale resterà a galla, ma levatolo via anderà al fondo ; ed all’ incontro, farò un’ assicella della medesima lunghezza e larghezza, e grossa solamente 1’ ottava parte di un dito, e ben che poco pro¬ fondamente divida V aqqua, non però sarà possibile farla restare a galla : or chi dirà che questa, che intacca meno di un quarto di dito, interamente e bene divida, e che quella, che intacca 100 braccia ai- so fondo. non divida interamente? Aggiugni di più, che quella, che re¬ sterà a galla, peserà 100 libre, e questa, che non potrà restare, peserà manco di ima : anzi, di più, questa medesima falda, che non può re¬ stare a galla, con V aggiugnergli 10 libbre di peso e mantenendo l’istessa larghezza, resterà. Piglia un testone ; questo non starà mai : aggiugnigli un cilindro di cera, alto 10 braccia ; starà in virtù del- 1* arginetto, ed averà diviso V aqqua mille volte più che il semplice testone ; e levato V arginetto, andrà in fondo. 1561 sì tenace che alzerà 1000 libbre di peso. IV. 22 170 OON81DKRA3HON1 f. 37 [pmr.ioo, Hn.8l|: n rame, figurato in forma ili raso) Ecco verificarsi, la figura esser cagione del galleggiare. Poiché le sponde del vaso proibendo all’acqua il naturai suo flusso, ella pili facilmente si conserva unita in sè stessa, nò può scac¬ ciarne l’aria che vi è dentro. Ma questi ripari retinenti l’acqua non si trovano altrimente nella assicella piana f. 3!) |piiR. 102, Un. 20): È, dunque, tra l'aria e gli altri corpi > Una politissima pietra, che si unisse perfettamente con un’ altra superiore, restarehhe attaccata a quella, lift si potrobbon, almeno senza gran violenza, dividere e disgiungere in un tempo tutte le parti loro; perchè, non potendo nello stesso momento penetrar l’aria, non che altro corpo, per tutto lo spazio di mezzo tra esse, si verrebbe a dare il H vacuo, ripugnantissimo alla natura, ancorché forse dal Sig. Galileo non negato: ma tirandola u poco a poco da una banda, facilmente si separerebbono, entrando l'aria successivamente ne’ lati, mentre si spiccano. E questa congiunzione de’corpi non può nascere da altra affinità tra loro, iroichè la stessa unione sarebbe 1 ' 1 ) ancora tra i corpi non solo dissimili ma contrarii, ma da quelle ra¬ gioni naturali per le quali si proibisce il vacuo in questa fabrica mondiale. [p**. 103, lin. 20): In oltre, (piai resistenza) Maggior resistenza fa l’acqua alla di¬ visione nella superficie che nel suo mezzo, come più difficile ò lo incominciare il moto che il continuarlo; e maggiori forze esteriori concorrono a muovere il corpo nel mezzo che dalla superficie, come è detto di sopra; e, general-a mente, lù dove 1’ acqua sarà, più crassa e più densa, maggiore, verso questo ri¬ spetto, sarà la resistenza f. 40 [p*8-108, lin. 28-29): (toppo il 4 * o 6 ° gionto) Ritorcendo l’argomento, si può domandare: Perchè stanno quelle minutissime arene quattro o sei giorni a finire di calare al fondo, se non por la repugnanza dell’acqua W? S’aggionge ancora che, contenendo l’acqua torbida molte parti terrestri, se ne fa quasi, come si dice, un misto imperfetto, non solo per aggregazione, ma non senza qualche alterazione. Ma tra per il moto, tra per la quulità dell'ambiento, tra per la vedu¬ tone naturale alla propia qualità ed al propio luogo, si separano a poco a poco dall’acqua le parti più terreo e discendendo s’uniscono nel propio luogo, e, pers» contrario, l’acqua si unisce si rischiara e si perfezziona. lb7) se non vi si trovassero, 1’ acqua scorrerebbe subito. t58) si trova M) . ' %: t59) ma, se, vi è differenza, nella superficie è men crassa. 1601 non è repugnare alla divisione, ma ritardare il moto ; pèrche se vi fosse la repugnanza, non calerebbono mai. 32. vi trovassero — ! Allo stesso passo, & cui si riferisce questa celiò: «ella ben ri è, o 1* aria e ’1 fuoco tireriuiio postilla, Galilko aveva pure annotato, e poi can- seco V sequa e la terra. * DI ACCADEMICO INCOGNITO. 171 j-pag. 101 , lin. 35-36]: ma sì bene all’ esser divisa velocemente) Oprili divisione fatta da altro corpo strano è contra l’inclinazione naturale dell’acqua, di star unita e conser¬ varsi. Nè credo esser dubbio, che il corpo pili crasso resista più alla divisione che il corpo raro e che il corpo più tarpo sia a dividere meno atto che lo stretto o tondo, considerati per sè medesimi come tali 1 ® 21 . E facendosi un navilio triangolare, difficilmente si innoverebbe per la larghezza d’uno de’ suoi lati dinanzit 6 * 1 , per la resistenza anteriore, ancorché cessasse la cagione della larghezza dello spazio posteriore. f. 42 [pa#. 108 , lin. ir>j: Già, signori avversari) Per buona loica, secondo la verità io delle premesse, è forza che scoppi la conclusione. I pax-108, li». 32-35]: Hìnovete per tanto l’aria, e ponete nell’acqua l’ebano solo, e così vi porrete un solido pia grave dell’acqua; e se questo non onderà in fondo, voi bene ave- rete filosofato, ed io male ) Questo ritornare spesso a’ medesimi colpi è un addestrare gli avversari non solo alla difesa, ma nello stesso tempo all’offesa ancora. Anche di sopra [pag. 99 , Un.4*5] l’Autore, proverbiando gli avversar», diceva: rimovete quel - V aria, la quale, congiunta con la tavoletta, la fa diventare un altro corpo men grave dell’acqua, etc. Ma perchè l’Autore talvolta comparisce in abito di matematico e tal volta di filosofo, chi si trova solo deve andar molto cauto a venire alle mani con uno o con due campioni tanto varii e valorosi. Ma ora che qui viene apertamente 20 da solo filosofo ; e si dichiara che la querela sia, chi nel proposto caso abbia meglio filosofato; non si rifiuta per diporto piacevole di venire una volta a duello con lui, senza pregiudizio però degli altri più valorosi guerrieri, militanti sotto lo stendardo peripatetico, che volessono cimentarsi nel medesimo assalto dinanzi a giustissimi e serenissimi giudici. Eccomi dunque in campo: e per fare sicura di¬ fesa e rimanere tosto vittorioso, io non saprei fornirmi d’arme più approposito, che guernir la sinistra mano d’una mentita loicale, e tener nella destra, con un certo artiglio fabricato nella fucina dell’Aquila, una piastra grossa di piombo, meno ampia di quella tavoletta che ci porremo in mezzo galleggiante nell’acqua. Or vegniamo ormai alla prova. 30 Ecco il colpo mortale vibrato più volte dall’Autore: Quella cosa, la quale posta, la tavoletta d’ebano sta a galla, e rimossa va al fondo, è la cagione che la ta¬ voletta galleggia; ma posta l’aria congiunta alla tavoletta d’ebano, quella sta a galla, e rimossa l’aria, va a fondo; adunque l’aria è cagione che la tavoletta gal¬ leggia. Io lascio passare la maggiore prima proposizione, poiché non può ferirmi: 1611 è vero de i corpi che resistono alla divisione, ma non di quei che non hanno resistenza alcuna. 1621 tanto resta la tavola stretta, quanto la larga. m Anzi, per il suo detto di sopra, meglio ; perchè V acqua, stri- gnendo il conio, lo farebbe schizzare innanzi. 17*2 rONftll’KBAZtON! ma crescendo innanzi col pi£ sinistro ed hIzhihIw la sinistra mano alla parata, ribattendo nel secondo terzo l’arme nemiche, nego la minore; e nello stesso tempo, chinando il destro ginocchio, pongo leggiermente con l’altra mano la piastra di piombo dentro a gli arginetti dell’acqua sopra lu tavoletta d’ebano, senza però toccare nè questa t»èquella; e to*to sospinta Tari» quivi rinchiusa, questa fug¬ gendo se ne ritira nel ruo elemento ed abbandona la tavoletta; la quale nondi¬ meno restando salva sopra l'acqua, già la figura tutta galleggiando grida: Vit¬ toria, vittoria 1 '* 1 . f. 43 lp»«. ito, Ila. Mi: ma (Conni maggior >/riuscita ) Crescendo ancora la gra¬ vità, cessa ancora la proporzione della resistenza a quella; ma allargata la figura k, nella medesima grossezza, più facilmente galleggierà: ih! ecco quello a che giova la figura con la gravità del figurato e con la den-itA del mezzo in certa proporzione, astraendo con l’imaginazione matematica da tutte 1*altre circonstanze, che pos¬ sono, alterando la proporzione, diversificare l'effetto della figura. E rifiutare la resistenza dell’acqua per confidarsi nella tenacità deH'ariu, è quasi un persuadere altrui che più tosto si metta a volo nell'aria che a nuoto nell’acquaW; f. 44 |p*g. ili, Ho. ia-17] ; tutte le malerie, ancorché (/rarissime, possono sostenersi in su Vacqua, sino allo stesso oro, grave più (fogni altro car/w conosciuto da noi:per¬ chè, considerata la sua gravità esser (piasi -V) volte maggiore di (pieliti dell’acqua) Di questa esperienza dell’oro, più volte addotta nel presente Discorso, non dispiacendo » aneli’a noi, me ne rimetto all’Autore: il quale, se con inaravigliosi istrumentifa ingrossare insili le stelle ed ha ]>otuto farsi vicine e amiche quelle tanto giovevoli, chi sa che ancora non abbia trovata qualche minerà di miglior lega? In quanto a me, confesso non sapere altre stelle conoscere se non certe volgari che girano tM] opera 1’ istesso quella pochissima aria, che se funse tutto pieno e non vi fusse la falda. E mirabile esempio eri esperienza sarà il pi¬ gliare una bigoncia, eri accomodarvi dentro un maschio, affisso poi fuora in qualche luogo stabile, sì che tal maschio resti 4 dita lon¬ tano rial fondo e mezo dito dalle sponde della bigoncia; perchè, in¬ fusavi poi 4 o 6 fianchi d’acqua, non ni potrà alzare quelle 4 dita,» e peserà come se tutta funse piena ri' acqua. Vedi più distintamente nel principio, al segno )< 1651 questo no ; ma che più animosamente si ponga a notare con 2 vesciche piene d’aria legate alle spalle, che senza. E non si disprezza la resistenza dell’ acqua dependente dalla sua gravità, che è, ma quella che risguarda la divisione, che non è. t*'. l1 ' Questo segno richiama ciò eb« noi pubbli- leggo In da» c«rt« di g.isnli», po*t* appunto nel [>»»• chiamo Osila pag. 182, Un. M alla pag. IM, • eh* si elplo dell'esempi*» postillato da diurno. DI ACCADEMICO INCOGNITO. m sempre vicino al nostro polo con certo carro stellato, le quali sono di movimento sì pigre, che consumano gli anni con tardi e corti progressi, e sono di qualità sì fredde, che influiscono più tosto alla generazione del piombo che dell’oro. f. 49 [p&g.iio, liu. 14-15]: il conio, posto nell*acqua) Il conio e la piramide sono figure e corpi molto diversi dalla figura larga c piana, e perciò possono molto variarsi le proporzioni della gravità verso la resistenza del mezzo e della figura; e dove va¬ riano le circonstanze, non è sicuro 1* argomentare. Il conio con la punta in giù non s’affonda, perchè le parti dell’acqua divisa più facilmente con la sua punta,facendo aneli’esse la medesima figura di conio, hanno maggior forza, mentre vogliono io unirsi, di sostenere e sospingere il conio all 9 insù; e, per contrario, l’istesso conio, posto con la base nell’acqua, verrà talvolta sostenuto, talvolta no, secondo la proporzione dell’altezza grossezza e larghezza sua, f. 50 h>ng. Però lungi dal vero filosofo e matematico deve essere il negare assolutamente una cosa, con¬ fermata dalla ragione naturale, dal senso, dalla sperienza e dalla autorità, solo per qualche diverso effetto che se ne scorga per altro accidente e circonstanza, e addurne la non cagione per la cagione. fpag. 120 , lin. 30-81]: se sopra se le ne attaccherà una di stiverò) Signor mio, questo è il dubbio, che l’aria possa quanto il suvero: e se avesse tal virtù, come più leggiera del suvero, potrebbe, per buona ragion topica, sollevare ancora de’ corpi 20 molto più gravi che non là il suvero. In oltre si dice, il suvero medesimo esser più atto a sostenere in una figura che in un’altra. f. 55 []>ag. 121 , Hn. 28] : se la figura abbia opzione alcuna) La prova addotta dall’Au¬ tore non può, per la diversità delle circonstanze, concludere contra gli avversarli ; anzi pare che apertamente faccia contra, di lui, perciochè altro è fendere l’acqua o la sua superfìcie all’ ingiù, altro è staccarsi ed elevarsi da quella. 2. La detta piastra, se per 1’ aria addiacente e attaccatasele è più leggiera, perchè dunque ricerca, ad esser sollevata, contrappeso maggiore? 3. Sì come la figura trova diffi¬ coltà e resistenza nel calare per entro l’acqua, così in proporzione la truova nel salire nell’aria, come concede lo stesso Autore. 4, che più importa, si è la diffi¬ do colta dolio staccarsi tutta insieme dall’ acqua, e per il pericolo del vacuo, secondo la verità, e per l’unione che hanno fatta insieme, ancor secondo l’Autore; e però si solleva con la stessa piastra parte dell’acqua, la quale se ne cade poi abbasso, avendo V aria modo maggiore di subentrare. Onde non è maraviglia, se contra la maggior resistenza dell’acqua e della piastra ed al peso più grave si richiegga contrappeso maggiore al braccio della bilancia che non si fa ad inalzar la palla, nel cui sollevamento non concorrono li sopradetti medesimi impedimenti. f. 56 [pag. 122 , lin. 35] : dire a gli avversarii, che la nostra questione è) Ci rimet¬ tiamo alle convenzioni fra loro. Ma è certo, per gli esempi suoi, che Aristotile intese principalmente dello stare a galla sopra la superficie dell’ acqua, e di questo, 40 che faceva dubbio, cercò la cagione, non del fermarsi per entro l’acqua. 174 CONSIDERAZIONI f. 58 [p»k- 124, un. 15-16] : io domandarei, se si dere con Aristotile) Aristotile non è superfluo, ma succinto, no’suoi insegnamenti; e nel discorrere sopra una cosa suppone quello che in altro proposito insegnò, o quello che mostra sopra cosa più nota e principale intende insiememente dell’altre simili e connesse, procedendo sempre con ordine maraviglioso. Diciamo, dunque, che nel cap. 7 del quarto del Cielo fece, prima, menzione del moto, come più manifesto della quiete, e del quale voleva cercare la cagione della cessazione nel solido largo posto nell’acqua; e volendo procedere per ordine dot¬ trinale, 1. afferma le figure non esser calme semplicemente del moto o, come vuole l’Autore, del moto assoluto, che ciò poco importa al vero sentimento ed al io proposito nostro; volendo significarci, come il moto dalla forma essenziale trae la prima origino come da intrinseco principio, e dalla gravità e leggerezza depende come da qualità interna e cagione prossima e strumentale. 2. Poi, secondariamente, afferma che le figure possono esser accidental cagione della più tardità e della meno; onde quelle, se non all’atto primo, almeno all'atto secondo concorrono della gravità, il quale è lo stesso moto; nel quale intervenendo spesso molte estranee condizioni, viene ancora, per conseguente, ad esser da quelle accelerato o ritardato o affatto impedito: cosi tolto dalla figura il muoversi al solido, ne segue la sua quiete, altro non essendo la quiete che una cessazione del moto. Data, adunque, una figura larga con tale o tal proporzione al mezzo ed alla gravità del 20 mobile ed all’altre circonstanze, si verrà talvolta a ritardare e talvolta ad impe¬ dire ogni movimento, come apunto fa la figura larga nel piombo, quando sta in quiete e galleggia sopra l’acqua; e, per contrario, nello stesso piombo, cangiandosi quella figura larga in altra figura sferica, tosto da questa si terrà la quiete, e comincerà il globo di piombo a discendere. Per la qual cosa apparisce, la figura essere in un certo modo occasione della quiete e del moto, in quanto da lei for¬ malmente si dà 0 si toglie l’impedimento predetto; nella guisa che l’agente, proibendo il proibente, si dice cagione efficiente accidentale del moto da gli stessi filosofi: ma bene ò vero che più propriamente si dirà, levarsi o farsi l’impedimento rispetto al moto e all’ azzione che rispetto alla quiete, come è per sò manifesto. Sì so che quel sì forte argomento che l’Autore usava, dell’aria, a provar la sua opinione, si può a favore della nostra apertamente formare contra di lui. 3. A dichiara¬ zione di tutto questo proseguì Aristotile, nel terzo lungo, a dubitare, in qual modo e perchè dalla figura un tal rimovimento di moto nascesse, prendendo il moto come cosa più manifesta e per la quale veniva dimostrato ciò che si dee inten¬ dere della quiete; e, parimente, ci propose l’esempio solo delle cose poste sopra l’acqua, come a noi più aperte e più senzate, senza più addurci altro esemplo delle cose poste nel fondo, lontane dall’esperienza e dalla nostra cognizione e meno dilettevoli o necessarie, e nelle quali, quanto è diverso e distante il fondo dalla cima, possono esser differenti e più ignote le circonstanze, secondo che di io DI ACCADEMICO INCOGNITO. 175 sopra già noi abbiamo discorso. Ma però, cocteris parilms , in quanto alla cras¬ sezza del mezzo e alla forma della, figura si può lo stesso effetto inferire nel- T ascendere dell’une che nel discendi mento dell’altre. f. 62 [pftg. 129, lin. i- 2 j : ma le lunghe e sottili, come un ago ) Ancora un ago può esser nella sua specie tanto grosso e pesante, che vada al fondo. E Aristotile ri¬ guardò forse più a gli artifizii delle machine, che a lavorìi di seta delle femine. Oltre a ciò, la figura larga è diversa molto dalla figura lunga, come è la linea dalla superficie [oe J. Ma eh’un piccolo ago e piccolo globicciuolo di ferro o di piombo, posti leggiermente nell’acqua, se ne restino a galla, non è cosa da inara¬ to viglia l67J : perciocché alla loro piccola gravità e densità, benché l’acqua, come liquida, le ceda alquanto, pur resiste che più oltre non calino, come a peso che poco può operare a dividerla, se aiuto non ha di qualche moto gagliardo che la percuota e la ferisca. Ancora una palla grave violentemente tirata ricevendosi destramente con una tal soave cessione, veruna offesa se ne sentirebbe; dove se la mano andasse ad incontrarla o ferma le si opponesse, ne riporterebbe dolorosa percossa. Parimente, i sottilissimi atomi di terra o altre piccole cose si tratten¬ gono per lo mezzo dell’acqua e dell’aria, benché alla fine pur se ne discendino a basso, poiché ancora con la lunghezza del tempo la gocciola fora la pietra. In somma, data la stessa qualità di mezzo e la stessa virtù motrice con le stesse pro- 20 porzioni, si darà ancora pari velocità o tardità ne’movimenti all’insù e all 5 ingiù e in ogni altro. Là onde da uno o da altro sperimento che si vedesse in contrario più tosto si può conghietturare un concorso di alcune circonstanze particolari varianti l’effetto, che mediali ti quelli negare l’altre sperienze e li molto forti motivi per li quali chiaro si mostra non esser falsità nella nostra opinione nè aver alcuna neces¬ sità il filosofo di prendere in prestanza alcuna leggerezza dall’aria. Perciò forse Aristotile, da vero e destro filosofante, se ne stè sodo nella già fatta considerazione, e molto cauto fu a non moltiplicarci gli esempli, per non isporci a pericolo di ur¬ tare. per isciagura in qualcli’occulto scoglio; come in specialtà occorre nell’esempio dell’aria, la quale chi non sa ascendere più velocemente per l’acqua che nella 30 propia regione? posciachò gli clementi naturalmente non si muovono se non quando fuori sono del propio luogo, al qual gli spinge la loro intrinseca natura, e colà poi termine pone al moto loro dove la pace godono e si quietano. Ed in quanto all’esperienza addotta dell’uovo, 69 [pas- iac-i371, per avventura non sa¬ rebbe gran fatto che dalla salsedine e dall’esalazioni che sono nell’acqua ma¬ rina, o da altra agitazione del mare, l’uovo si sollevasse: poiché messo in un vaso pieno di acqua, o sia salsa o no, mai non viene a galla. m Cattivo geometra. l67] P Autore non si è maravigliato di questo, ma sì bene che Aristo¬ tile non lo sapesse. 176 OONMDKR V/.IONI f. 64 lp»g. 181, Un. 12-141 : che, se gli atomi ignei arrendenti sostenessero i corpi gravi ma di figura larga, ciò dorerebbe a rem ire maggiormente nell'aria che nell acqua) Qui s* offeriscono molte cose da considerare, ma noi per brevità ne toccaremo alcune sommariamente. 1. Le opinioni de pii antichi filosofi non sono a noi generalmente tanto chiare, nè così appunto ci non rapportate, che in se non ritenghino spesso di molti sentimenti misteriosi e diversi da quelli che suonano le parole e ne’quali vanno da noi interpretando. 2. Aristotile, là nell'ultimo capitolo del Cielo, mirò principalmente non a riprovare gli atomi ignei di Democrito, ma a farci veduto che del soprastare i corpi gravi nell’acqua falsamente la cagiono egli n’attribuiva a* detti atomi. 3. [/istanza fatta da Aristotile, cioè |ierchè ciò dovrebbe più agevol-lo mente avvenire nell’aria, si traeva forse da’ principii dello stesso Democrito, come si raccoglie dalla sua risposta, nella quale, senza negarsi da lui ohe più veloce¬ mente si movessero gli atomi nel salire per Paria, risponde ciò addivenire perchè andassero manco uniti: refugio da Aristotile stimato assai debole, come poco certo e sicuro. 4. Ma ben è certissimo, secondo i motivi di Aristotile altrove addotti, gli atomi doversi muovere più impetuosamente nelParia; onde da questa maggiore velocità ne segue che in loro accresca parimente la forza di reggere e sollevare il corpo, ancorché fosse cresciuto di peso secondo V Autore. 5. Ma che uno stesso corpo si dica più grave nell’aria clic nell’acqua, in quanto più velocemente si muova nel mezzo più tenue e meno resistente, ben si può concedere: ma che lo» stesso corpo stando nell aria diventi in sé più grave in specie di sé medesimo di quando si stava sopra l’acqua, certo che da gli occhi della testa, e meno da quelli dell’intelletto, non s’approva cosi facilmente. Però faremo il compromesso della causa in qualche stadera approvata, e da lei n'iutpetturomo la sentenza di (Unitiva. In tanto, benché nel fòro della giustizia il fatto fosse dubitabile, nondimeno (qual ella si sia) supponiamo por grazia, esser sufficiente e reale la divisione dell’Autore della gravità in specie e gravità assoluta: noi pur diremo che nel presente caso la comparazione, del più grave in specie e del meno non si dee prendere nel corpo grave con l'acqua o con Paria, |>oichè secondo l’opinione Democratica queste non concorrono del posto corpo Largo al sostenimento e sollevamento; ma s’hanno so da proporzionare gli atomi sostenenti col corpo grave sostenuto, li quali, osieno nell’acqua o nell’aria, sempre sono della stessa natura e tra loro ritengono la medesima proporzione di gravità. 6. I/Autore, non ostante clic prenda la difesa di Democrito per abbattere Aristotile, si compiace poi che dalle sue armi nuova¬ mente inventate rimanga oppresso anche Democrito, cosi muovendosi contra di lui: Se gli atomi ignei sostenessero il corpo largo, preso ancora poco più grave dell acqua, adunque, per consequenza, il corpo che dianzi in figura più ristretta se ne scese al tondo, messo poi in figura larga, facilmente verrà sollevato da gli atomi ragunati in copiosa schiera sotto quella larghezza; ma il conseguente per 1 addotte sperienze veggiamo esser falso: adunque ancora sarà falso l’antecedente. 40 DI ACCADEMICO INCOGNITO. 177 Signori, la prima conseguenza arme è dello stesso Aristotile; e nel riprovar il con¬ seguente, confondendosi il fondo con la superficie ed il salire con T ascendere si commette la solita fallacia, di sopra a bastanza scoperta. Ma finiamo ormai di più tanto puntalmente loicare e filosofare; nelle (piali arti, come che molti anni io impiegasse della mia giovanezza e sempre dilettato mi sia de’loro nobili studi, poco però n’appresi; e già gran tempo da altre cure ritenuto, Iddio voglia clic almeno de’ lor primi elementi io sappia o possa pure ricordarmi : oltre a che, il tanto a lungo raggirarsi intorno alle faville e accesi carboncelli di Democrito troppo ne riscalda, e la noia accresce della state. Però stacchiamoci da lui, di¬ io cendoli piacevolmente che allora verremo nella sua opinione, che 1* acqua si trovarli caldae cotti se ne trarranno i pesci. f. G8 [pag. 135, Un. 80-81] : Noi non ci sappiamo staccare dalla equivoca#ione) Volendo l’Autore tassare gli avversari di parlar equivoco, la verità V induce a dire Noi, come in effetto anch’egli vi cade dentro in diversi esempi e ragioni che adduce, come particolarmente fa qui appresso nell’ argumentare dal diviso al composto. f. 71 fpag. 188, lln. oj : Ma, tornando ad A.ristotilé) Signori peripatetici, ormai non è più tempo da badare alli scherzi. Qui s’offende l’onore e lo stato (lei vostro principe. Già l’Autore a bandiere spiegate ne viene ad assalire animosamente la rocca della dottrina peripatetica, sin ora invincibile e gloriosa. E benché questi 20 ed altri sì fatti argumenti altre volte che ora sieno stati portati a campo contra di lei, nondimeno sono sempre rimasti rotti e sbaragliati da diversi valent’uomini, coinè, tra’ moderni, particolarmente dal Sig. Buonamico, citato nel Discorso, e dal Piccolomini, citato di sopra, nel 2 de gli Elementi, dal cap. 23 per altri seguenti. Nondimeno l’apprezzare in ogni tempo i nemici e non lassar che s’ avanzino troppo di animo nò di forze, fu precetto militare molto laudato, massimamente quando sono pronti di lingua, d’ingegno acuti, sottili nel- 1*invenzioni e cupidi di gloria. Chi sa che molti giovani, d’ingegno vivace e curiosi di sapere molte cose, allettati dalla novità della dottrina non si disviassero incautamente dalla strada piana e sicura della filosofia peripate- 30 tica, ad altra nuova, piena di rivolgimenti, e che sotto diverse facce rappresenta tutte le cose dell’universo? Troppo perderebbono di frequenza gli Studi e le scuole publiche, e poco sarebbono ascoltati i grand’disegnatori che hanno Ari- m P acqua si trovò calda nel principio di questo libro, avanti clxe ’l freddo ambiente scacciasse le parti calde e più tenui, per detto del- V Accademico. X 115 m questo è un contraddirsi 0> il segno rimanda al passo cho è a pag. 154, lin. 2-3. O) La postilla è riferita, con una grappa in mar¬ gino, allo lin. 10-21 e alla lin. 28. iv. 23 178 CON81D ESAZIONI statile per guida e per primo maestro. Orsù, dunque, mentre che questi più vaio- rosi campioni Aristotelici si apprestano, quasi filosofici Marcelli e Neronj, venire ad assalto più stretto e più furto centra le op|*o«te forze, io in tanto, per segno o per uffizio di animo pronto e leale, imitando Fabio il Massimo, mi fermare cosi di nascosto a trattenere 1' assalitore col far dife-a, fortificandomi con pre¬ stezza di certi saldi e veraci fondamenti, onde ogni impugnazione di lui 0 toste si renda vana o in breve si consumi in »è medesima. Saranno adunque le fon- damenta i sequenti notabili : 1 . Quattro cose ai ricercano perché gli elementi si muovimi, cioè la propria forma, il mezzo congruente, la distanzia del proprio luogo e l’assenzi a d’ogni io impedimento. Ed a costituire il moto naturale cinque cose concorrono, ad esso in¬ trinseche e necessarie, secondo Aristotile al ó deile sue Naturali, cioè il mobile, il motore, il termine dal quale, il termina al quale, ed il tempo; nè tra queste numerò il mezzo resistente, poiché pare che più tosto impedisca il moto che 1* aiuti W. 2. A tutte le cose naturali fu dato ed impresso dalla natura si il propagare e generare il simile a sè, per la perpetuità della specie loro, si il resistere a tutte l’offese esteriori, per la propia conservazione; con la qual resistenza il paziento repugna e si oppone all'azione contrari.! dell'agente, con batterla ed impedirla e rintuzzando la sua forza, come si vede il freddo al caldo resistere ed il ferro alla •» sega. Nel moto locale si trova parimente la sua resistenza, la quale è di duo sorti, cioè interna ed esterna. L’interiore o nasce da una diversa propensione che ha il corpo misto, e questa si trova solamente negli animali: overo nasce dalli tre interni e comuni requisiti in ogni movimento locale, i quali sono il mobile e li dite termini, cioè il luogo che si lassa etl il lu-.ju che s’acquista; li quali duo termini e mobile, essendo continui e divisibili, non possono senza la continuazione variarsi nè senza il tempo, implicando in se contradizione che tutto il mobile sia nello stesso momento per tutto lo spazio, e che le parti estreme del quanto mo¬ llilo siano insieme nel medesimo luogo «» iti luoghi tra loro distinti e opposti. Da questa interior resistenza e ripugnanza, accennata da Aristotile nel 6 della » Natura, nel 2 del Cielo t. nel 2 della Generazione t. (>'2, nasce necessariamente nel moto la continiiuzione e la succisione, «• l’impedimento e la privazione di maggior velocità. L'altra resistenza esterna al moto è quella nascente dal mezzo, conceduta comunemente da tutti: la qual rimossa, gli ele¬ menti ed ogni misto si moverebbono con juri velocità, ma jierà sempre con tempo, rispetto alla successimi necessaria, dalla interna resistenza cagionata. Onde quando si desse il vèto ed in esso si conservasse e movesse il mobile, ancora nello stesso vèto si moverebbe con quella successione determinata dalla stessa natura e uni- 1701 il contrario si è detto di sopra. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 179 forme e consimile in tutti i mobili [lì \ posciachè ogni variazione di velo¬ cità o tardità di moto non altronde nasce che dalla resistenza del mezzo 1721 : il che è con tra Democrito ed altri, li quali pensorno, gli atomi noi vóto non muoversi con eguale velocità, e da maggior virtù e da mobile più grave più velocemente trapassarsi quello spazio. 3. Diciamo che ogni cosa quanta senza dubbio è divisibile; e diciamo ancora, esser proprietà dell’ umido, se altro non impedisce, di esser facilmente termina¬ bile ad ogni forma e figura esteriore, corno particolarmente sono l’aria e l’acqua, nelli quali due elementi fu necessaria la facile mobilità e divisibilità per bene- io ficio dell’universo. Ma è da considerare altro essere il divisibile assoluto e in po¬ tenzia eri in atto primo, altro in atto secondo, come dicemmo di sopra della gravità c l’Autore è forzato di confessare. Nei primo modo il divisibile varia l’attitudine solo per la variazione della forma e della qualità propia: ma nel secondo modo può ancor variarsi dalla condizione del dividente verso la condizione del divisibile; e perciò possono da molte cose rendersi diverse la velocità e la tardità del moto, nel quale si fa la divisione del mezzo, come sarebbe la similitudine o dissimili¬ tudine del mezzo co’l mobile, la figura e la forza dello stesso mobile, e la densità rarità durezza unione e mole dello stesso mezzo. 1. Perciochè, o la densità im¬ pedisce la divisione e la rarità la facilita, o no: se no, adunque una cosa densis- 20 sima c dura* 7 ® 1 si dividerà così facilmente come una rara e molle; il che ò centra l’esperienza. 2. Appresso, o l’acqua ha naturale inclinazione e attitudine ad unirsi c allo star unita, o ad esser divisa: se a star unita, come hanno tutte le cose per la conformità delle parti e per la propria conservazione del tutto, adunque per natura propia averà repugaanza all’esser divisa* 741 . 3. Di più, se la [71] e chi non sa che, se si movesse, si moverebbe con successione, non si facendo moto in istante? adunque V argomentare di Aristotile, nel 4 della Fisica, contro al vacuo, depende da premesse false nella dottrina peripatetica; conclu- dendovisi che il vacuo non si dà, perchè il moto vi si farebbe in so istante, che è impossibile. 1721 ciò è falso, perchè il moto si accelera nell’istesso mezo. 1731 il denso e ’l raro si dividono con la medesima facilità, ma non con la medesima velocità. Ma il duro non ha che fare in questo nego¬ zio; e non sendo stato nominato nelle premesse, vien contro alla buona logica introdotto nella conclusione. 1741 ma V esperienza mostra il contrario ; ed Aristotile deride quelli che lasciano V esperienze sensate, per seguire un discorso che può esser fallacissimo. CONISI HKR AZIONI ISO figura larga nel dividente o la mole maggiore nel divisibile resiste maggiormente alla divisione 00 come appare per esperienza, adunque, essendo la divisione moto, lo stesso bisognerà dire nel moto, in riguardo del motore e del mezzo, e conside¬ rando tutto il mobile movente, sì come tutto muove, e tutto il resistente, sì come tutto è quello che resiste. Però il dire < J.a gravitò è cagione del moto; adunque la figura ed il mezzo non importa nulla >, è lo stesso che dire < Il fuoco e il ealor ri¬ scalda; adunque l’essere in una materia o in altra, e l’essere vicina o lontana, o simile altra circonstònza, niente importa alla calefazione ». 4 . S’aggiunge clic l’Au¬ tore stesso confessa o pone nell’aria inclusa dentro a gli nrginetti questa resistenza all’esser divisa: e molto più si manifesta in essa nello spingere che fa le cose vio- io lentemente mosse, il che non si può altramente fare senza propia resistenza ad esser divisa dal corpo denso e duro, che violentemente sospinge innanzi. Ma il porre questa repugnanza maggiore nell’aria che nell’acqua, come si farebbe, se¬ condo l’Autore, nel dubbio proposto, repugna non poco alla ragione ed all’espe¬ rienza ohe veggimno tutto dì dell’acqua, nel muovere e noi giraro velocemente le ruote e le macelline grandissimo. f 4 . Aristotile, nel formar le sue regole, suppose senza dubbio l’interna resistenza, la quale, implicando contradizzione, non si può da virtù naturale, benché si desse infinita, togliere nè superare; e risguardò solamente a quella resistenza manifesta a gli occhi nostri o atta a variarsi e sperimentarsi, non potendosi fare così pruova 20 dell’altra interna, poiché nè si dà il vacuo permanente, nè si dà elemento puro, che almeno sia conosciuto da noi ; e procedendo al modo astraente de’ matema¬ tici, i quali spesso considerano una cosa, l’altre congionte lasciando, diede le re¬ gole solamente sopra la proporzione delia predetta resistenza, separando con la imaginazione ogn’altra circonstanza. Or perchè, mentre le cose si riducono all’atto secondo, si congiungono con tutte V altre per le quali quello si varia, quindi nasce che dette regole, ancorché per sè stesse e secondo quella astrazione sien vere (come ancora e forzato di concedere l’Autore), nondimeno per la congiunzione della materia e d’altre particolarità, le quali lasciò che altri considerasse no’casi par¬ ticolari, appariscono talvolta fallaci; come interviene della sfera, della quale after- so mano i matematici toccare il piano in un sol punto. So dunque le posizioni rì’Ari- stotilo per sè stesse soli vere, si conviene ancora che nell*esser loro attuale abbiano 0 ìitenghino la lor verità, quando per altro non siano impediti' ; e però, nel pro¬ posito nostro, la figura larga e la erassizie e resistenza del mezzo ben mostrano 1 effetto loro nel galleggiare delle cose gravi sopra l’acqua, se altra cosa non concorre in contrario. 0. I11 quanto poi alle proposizioni dedotte da Aristotile e stimate false da altri, resistono maggiormente ne i divisibili che hanno resistenza, ma non in quelli che non V hanno. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 181 quale quella è che il corpo maggiore e più grave più velocemente si muova, si potrebbono dir sopra ciò più cose. 1. Primieramente, si potrebbe addurre che forse ohi ne facesse esperienza da qualche luogo molto alto o sopra l 5 acqua, trova- vebbe la proposta esser vera, ma da un luogo di corta distanza e sopra il sodo ciò non apparisca, per la insensibilità della differenza. Ciò esser vero si conferma, vedendosi da gli occhi nostri, quanto più grave sarà il peso cadente dal luogo alto, altrettanto gravemente percuotere e più profondamente giù ficcarsi nella terra. Appresso, è grandemente da notare, ogni resistenza esteriore avere in sè una latitudine finita, con la quale ben potrà resistere ad una determinata forza, come, io per esempio, diremo di otto gradi, ma da ogn’altra forza maggiore verrà supe¬ rata; e, per conseguente, in riguardo della estrema sua resistenza tanto prevaie¬ rebbe una forza di dieci gradi quanto un’altra maggiore, di quindici, sì che, in quanto all’eccesso, così velocemente si moverebbe quella di dieci quanto questa di quindici. Nel 3° luogo, si potrebbe dire che Aristotile ciò affermò considerando il grave come motore ed il mezzo come resistente: ma perchè la pietra, per esemplo, è non solamente motore dividente il mezzo, ma ancora è lo stesso mo¬ bile, perciò la sua regola, applicata alla materia, riceve qualche eccezzione; e così in tanto di tempo si muoveranno quattro quarti d’ima pietra disgiunti, come se fossero uniti ; poiché quanto il corpo è maggiore, tanto più cresce insiememente 20 la virtù interna della gravezza e la interior resistenza e l’intervallo del mozzo: ma supposta la parità dell'altre cose e l’astrazione geometrica da ogn’altro ri¬ spetto, e solamente la resistenza esteriore considerando, il corpo più grave e mag¬ giore si muoverebbe più velocemente. E con questi fondamenti e dichiarazioni pare che venga risoluta a bastanza ogni obbiezzione che far si potesse contra Ari¬ stotile, e si sia dimostrato l’ordine e la verità della sua dottrina, come noi ave¬ vamo promesso. f. 72 [pa&. 189, Un. 26] : Finalmente, a quel che si legge) Concludiamo, dunque, per le sopradette considerazioni, la gravità, come proprietà nascente dalla forma, essere istromento prossimo del moto; la figura, come corporeo accidente congiunta al mu¬ so bile, e la resistenza del mezzo, come di cosa esteriormente richiesta, concorrere alla maggiore o minor tardità del moto locale e talvolta impedirlo del tutto, e, per con¬ seguente, esser bastevol cagione della quiete e del galleggiare: e perciò lo inventare e ricercare altre cagioni ed aiuti aerei, oltre a che questi ancora dependerebbono in gran parte dalla figura, deve stimarsi invenzione più tosto sottile ed ingegnosa che necessaria e vera. Però, rimettendo il tutto al giudizio de gli intendenti, porrò fine di più il tempo spendere in sì fatte materie, poiché troppo sono oggi lontane dalla mia professione e dalle mie occupazioni, ed acciocliè con la soverchia lun¬ ghezza, ove noi cerchiamo diletto, non forse noia ci recassero queste frivole ( on- siderazioni: le quali per avventura si potrebbono con avviso più savio appellarle 40 ci ance, per non usar qui, oltre la costumatezza filosofica, qualch’ altro più sconcio CO N81DKK AZIONI 182 . volgar vocabolo, quale sogliono aver assai famigliare coloro i quali, poco de’ leg¬ giadri studi sapendo e meno di gentilezza, ciò che si dicesse dagli altri, per bello e ragionevol che fosse, con un cotal riso dispregiano, solamente sò stessi e le propie sentenze approvando e magnificando. Aggiungerò solamente, per fine del presente discorso, che. per compire il piacere ili questo sol lazze voi contrasto, si potrebbe forse concludere, a favore dell’Autore e degli avversari, che e la resistenza della figura e del mezzo, secondo l’opinione di questi, e la leggerezza dell’aria unita, secondo l’opinione del Signor Galilei, fossero unitamente cagione del galleg¬ giare le cose gravi sopra l’acqua. Kd io, che amo la pace, molto volentieri convenirci in questo mezzo termino, se le parti si contentassero della metà della vittoria: io altramente, per non ingaggiar litigi nò dispute, cedo da ora alla causa, rinunziando a tutto l’avanzo, e di più (qual io mi sia) dono anche loro tutto me stesso'". Il Fine. Sia 121 un solido, di piombo o altra materia gravissima. AB, fermato iu A in guisa olio non desumala ; ed intendasi un vaso CDE, capace della mole di esso solido e di un poco più; il qual vaso, collocato prima più basso della base del solido II, empiasi di acqua, e poi lentamente si elevi contro al solido, sì che quello, entrandovi, faccia traboccar l’acqua so ed uscir del vaso : dico che chi sosterrà il vaso, benché per l'ingresso del [solijdo sia partita quasi tutta 1’ acqua, e [benjchè il so¬ lido sia fisso e sostenuto in A, sentirà gra¬ varsi dall’ istesso peso appunto, che quando sosteneva il vaso pieno d’acqua. Il che si farà manifesto, se considereremo come la virtù so¬ stenente il solido, posta in A, mentre tal so¬ lido era fuori di acqua, sentiva maggior peso che dopo che il solido è venuto immerso nel- so 1 acqua; il qual peso, non potendo esser andato in niente, è forza che si appoggi sopra quella virtù che ha sollevato il vaso. Considerando poi 18. solido - 20. mirandovi ue faccia - 24-25. sentirà V ìst urro peso gravarsi - 29-30. peso che qu[ando] dopo— 0) . - cho è mi boi presento » è intinto, di Co».;, lenuioni non postillata ila 0ampio. mano ilei trascrittore, nella copia dogli estratti delle ,«) Cfr. pttK . 172, Un. 81-82. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 183 quanto si sia sciamato di fatica alla virtù che prima sosteneva il solido in aria, avanti che fosse locato in acqua, facilmente intenderemo, tanto essere sciemata la fatica della virtù in A, quanto l’acqua, ha sciemata la gravitò del solido AB : ma già sappiamo che un solido più grave dell’acqua pesa in quella tanto meno che nell’aria, quant’è il peso in aria di una mole d’acqua eguale alla mole del solido demersa : adunque il solido AB grava sopra la virtù sostenente il vaso CI)E tanto, quant’è il peso di tant’ acqua quant’ è la mole del solido demersa : ma alla mole del solido demersa è di mano in mano eguale 1’ acqua che si io spande fuor del vaso : adunque per tale eft'usion d’acqua non si scema punto il peso che grava sopra la virtù che sostiene il vaso. Ed è ma¬ nifesto che il solido AB, se bene scaccia 1’ acqua del vaso, niente di meno, con 1’ occuparvi il luogo dell’acqua scacciata, vi conserva tanto di gravitò, quanta appunto è quella dell’ acqua scacciata. Però, Sig. Accademico, il solido di piombo, che voi collocate nella cavità degli arginetti, scaccia ben 1’ aria che vi ritrova, ma egli stesso conferisce a quel vaso tanto appunto de i proprii momenti, quant’ era ’l momento dell’ aria discacciata. Bisogna, se voi volete vedere ciò che operi o non operi 1’ aria accoppiata con un solido, porvela prima, e 20 poi rimuoverla, ma senza suggerir in suo luogo altro corpo, che possa far P eifetto stesso che ella faceva prima. Ed un modo assai spedito e sensato sarà questo. Facciasi un vaso di vetro, simile all’AB, di qualsivoglia grandezza, il quale abbia in A un foro assai angusto; nel fondo del quale, o dentro o fuori, pongasi piombo, tanto che, messo tal vaso nell’ acqua, sendo il re¬ sto pieno di aria, si riduca all’ equilibrio, o vero che appena descenda al fondo: pongasi poi sopra’l fuoco, sì che 1’ aria contenuta in esso sia scacciata, o in tutto o in gran parte, dalle sottilissime parti so ignee che, passando per la susta nza. del vetro, vi en¬ treranno dentro ; ed avanti che il vaso si rimuova dal fuoco, serrisi esquisitamente il foro A, sì che l’aria non vi possa rientrare : levisi poi dal fuoco, e lascisi stare sin che si freddi, e tornisi poi a metter nell’acqua; e vedrassi galleggiare, per essergli stato rimosso o tutta o gran parte dell’aria 17. appunto quant’ de i — 19. solido rimuo[verla| pondo. — 22. AB ma capace di — 23. angusto e dentro pontfftviai nei — 2G. si riduta — 184 CONSIDERAZIONI che prima lo riempieva, senza che in luogo eli queila sia succeduto altro corpo; sì come per esperienza si vedrà aprendo il foro A, pol¬ ii quale con grand’ impeto bì sentirà entrar l’aria a riempiere il vaso, che, di miQVO posto nell’acqua, come prima andrà al fondo. Ma se il vaso AB fosse tutto aperto di sopra, ed aggiustato col piombo sì, che galleggiasse bene, ma fosse ridotto vicinissimo al sommergersi, se al¬ cuno scaccierà l’aria col porvi dentro un solido poco minor del suo vano, sostenendo però tal solido cou la mano, non aspetti di veder respirar il vaso, nò punto sollevarsi sopra ’l livello dell’acqua, come nell’ altr' esperienza accadeva : perchè il solido postovi scaccia ben, ma io vi mette altrettanto del suo momento. 1. ni osso luogo — 0. galleggiate — DI ACCADEMICO INCOGNITO. 1S5 F. 1 [pag. 153, Un. 13] : Ciò non avviene etc. ; leggasi, fino a : 77 freddo, dunque, ambiente etc. Disse l'Autore, che arebbe creduto il ghiaccio esser più tosto acqua rarefatta che condensata, vedendosi che e’ galleggia nell’ acqua, e che, in consequenza, è men grave di quella ; il cui con¬ trario dovrebbe accadere s’ e’ fosse aqqua condensata. Fu replicato dalla parto avversa, non la minor gravità, ma la figura larga e piana, esser cagione del suo stare a galla: e sopra questa conclusione si rivolse e (1) si continuò tutto ’l ragionamento, senza muover mai parola, se la congelazione fosse per rarefazione, o per condensazione, o con mistion iodi aliti o d’aria, o in altra maniera: tal che chi vuol protegger la parte ed impugnar l’Autore, bisogna che dimostri che il ghiaccio gal¬ leggi mediante la figura, chè in questo ò la controversia, e non eh’e’ sia aqqua condensata, sopra che non è stato conteso. Anzi, chi ben con¬ sidererà le parole dell’Autore, non ne trarrà che egli resolutamente abbia affermato la congelazione esser rarefazione, non avend’ egli dett’ altro se non che più tosto arebbe creduto, il ghiaccio esser acqua rarefatta che condensata, vedendosi galleggiare ; il che potette molto ben esser proposto da lui come un dubbio simulato, per apprender dalle risposte altrui la vera cagione del suo galleggiare, ancor che 20 più denso dell’ acqua. Ora, il declinar che fa l’Accademico in questo luogo la parte principale della questione, attaccandosi a quello che poco importava, dà non piccolo indizio d’esser non men contrario alla persona che alla causa. Ma perchè l’imparare è sempre opportuno, io, che altro non bramo, l’estero molto obbligato all’Accademico se, per mio intero insegnamento, mi rimoverà alcuni dubbii, che mi restano circa questa sua esplicazione della congelazione. Però, volgendomi a lui, dubito in prima così : Se 2. arebbe più tosto creduto — 3. tosto aqqua acqua — 5. accadere se ’l ghiaccio s’e’ — 9. condensazione o por con — 10. proteger — 12. che qui in — 17. vedendosi eh’e’galleggia galleggiare — 22. men cortario — 27. congelazione. E prima : Però — l*) « gì rivolse e » è aggiunto in margine. IV. 24 lg(5 C0NS1DKR AZIONI il ghiaccio è acqua condensata per la virtù che ha il freddo di con¬ gregare le cose simili o le dissimili, perchè non si fa egli anche dal caldo, al quale voi parimente attribuite virtù di congregare le cose simili? Mi direte voi forse, l’acqua esser cose dissimili, ( > p er ò con _ gregari dal freddo e disgregarsi dal caldo? Se tale sarà la risposta 10 cascherò in un’altra non minor difficoltà: ed è elio, Re voi chia¬ mate l’acqua cose dissimili, io non saprò dove volgermi per ritrovar quali sien le cose che, sondo veramente simili, mi servino per accer¬ tarmi con esperienza della verità della propostimi posta da voi, ciò è che il freddo ed il caldo di pari abbino virtù di congregarle. io È il secondo dubbio intorno all’esperienza, posta per molto chiara, di un vaso colmo d’acqua, che nel congelarsi Bcienia non poco, non ostante la copia de gli aliti che dentro vi si racchiudono. Ma a me l’esperienza mostra tutto l’opposito: perchè, avendola fatta più volte con vasi, anco di metallo, angusti di collo o di ventre larghi, ho ve¬ duto prima uscir non poco il ghiaccio ed allungarsi fuor del collo, e poi, nel ghiacciarsi l’acqua contenuta nel corpo, non potendo ele¬ varsi per esser già serrato il collo, è crepato il vaso, o apparsa l’aqqua congelata intorno alle crepature. Ma più accomodata esperienza, e che in ogni tempo si potrà fare, caveremo dal ghiaccio stesso già 20 fatto. Perchè, so V acqua nel congelarsi scieina di mole, è necessario che’l ghiaccio nel liquefarsi torni a ricrescere; altramente io potrei dire che l’aqqua, nel congelarsi, non si condensassi, ma si consumassi, e così l’esperienza dell'Accademico resterebbe senza forza ' 1 : però, se si piglierà un vaso di vetro, di ventre assai capace nè molto angusto di collo, e dentro vi si metteranno molti pezzi di ghiaccio, del più denso e privo di quello bolle che in molte parti del ghiaccio talora si veg¬ gono, e poi, per cacciarne l’aria, s’infonderà nel detto vaso acqua sin che arrivi a mezo il collo, non è dubbio alcuno che, liquefacendosi 11 ghiaccio, quando sia più denso dell’ aqquà, quella che era nel vaso ao doverà alzarsi sopra il mezo del collo, dove arrivava mentre il ghiac¬ cio era ancor duro; ma so all’incontro il ghiaccio era acqua rare- 7. dove ritrovar coso che veramente sien simili, sopra le quali io possa con esperienza accertarmi volgermi — {). roi che parimente ciò r — 10. di congregar lo cobo simili con- gregarle 11. 11 secondo K il fecondo — esperienza che vien / meta —17. Z’uqqua acqua— corpo del vaso non — 21. congelarsi cresce sciema 30. il ghiaccii — (| ) Da » altramente io potrei » a « forza è aggiunto in margino DI ACCADEMICO INCOGNITO. 187 fatta, ritornato che sia in acqua, si doveri veder diminuzione nel contenuto dentro al vaso, ed il primo livello abbassarsi. Facciasi, dunque, l’esperienza; cliè senza dubbio riissimo si vedrà cadere con¬ forme a questo secondo caso, e, per consequenza, in confermazion dell’opinione dell’Autor del Discorso: onde io volentieri sentirò quali distinzioni o variazioni di circostanze saranno addotte dall’Accade¬ mico per reprovar questa esperienza e sostener la sua proposizione. Dubito, oltre a ciò, non poco nel modo col quale l’Accademico fa la congelazione, dicendo che: [pag. 154, liu. 2] 11 freddo ambiente conspi- io rande etc. ; leggasi sino a : Ma non però. Ed è il primo dubbio che, vedendosi apertamente il ghiaccio dis¬ solversi prontissimamente solo per le due qualità caldo ed umido, come contrariissime alla sua consistenza, l’Accademico possa, così fa¬ cilmente e senza alcun disturbo, accomodarsi ad ammettere che l’aria ambiente, e per sua natura, in via peripatetica, umida e calda, operi nella congelazion dell’acqua; in grazia della qual congelazione ella si spogli le sue naturali qualità e si vesta delle contrarie. Dubito, appresso, com’esser possa che il ghiaccio già mai gal¬ leggi; poi che nella congelazione, fatta nel modo che qui si pone, 20 viene per doppia cagione ad ingravidi più che avanti non era: av- vegna che, prima, si partono le parti calde e tenui, e vi succedono le fredde e terrestri ; che tanto è quanto a dire, si partono le parti leggiere, in luogo delle quali subentrano le gravi : secondariamente, l’aqqua si condensa e si ristringe in minor mole; il qual accidente è pur cagione di aqquisto di gravità 11 ’. Noto appresso che l’Accademico poco di sotto, a fac. 4 [pag. 158, li». 2 e seg.], considera la gravità in 3 modi: primo, per la forma stessa essenziale delle cose gravi ; 2°, per la qualità ed affezione determinante la detta forma verso ’l moto, come strumento prossimo ed intrinseco ad ao esso; 3°, come una propensione al moto, ciò è come un atto secondo, inno¬ minato. La qual divisione io ammetterò come vera, se bene io la stimo nè 11. il ca[ldo] ghiaccio —15. ambiente l’acqua e —16. acqua per la in — 111 Dopo * gravità » si leggo, cancel- i caldi e secchi, che si partono ; li quali lato, quanto appresso: * Forse mi potrebbe aliti, benché non cosi leggieri come i caldi, alcuno rispondere che, ristrignendosi l’acqua posson, con la maggior copia, indur tanta in assai minor mole, gli aliti freddi e sec- leggerezza che basti a làr galleggiare il chi succedono in copia molto maggiore che ghiaccio. » 188 CONSIDERAZIONI vera nè falsa ; e solo considererò quello elio l’Accademico soggiug ne ciò è che le due prime gravità non si variano so non si varia il tem- per amento o la densità. Ora, nel farsi di acqua ghiaccio, quanto al temperamento si fa variazione in accrescimento di gravità, mediante l’introduzione degli aliti freddi e terrestri; adunque, quanto all’altro accidente è necessario che si faccia una gran rarefazione, per poter compensare la nuova gravità introdotta da i detti aliti e far che il ghiaccio, in qualsivoglia modo figurato, galleggi nell’acqua, ed, in consequenza, sia di lei men grave; adunque il ghiaccio è acqua ra¬ refatta, e non condensata, anco in dottrina accademica. 1# Che poi ’l legno in universale sia più denso dell’acqua, non credo in modo alcuno che sia vero; ma alcuni saranno più densi, ed altri meno: più densi, quelli che vi descendono e sono in specie più gravi di lei; meno, quelli che vi galleggiano e sono più leggieri. In oltre, che ogni corpo composto di terra e d’aria deva stare a galla, e, più che ciò sia secondo la mente dell’Autore, con pace dell’Accademico è, nell’una e nell’altra parte, falso: perchè l’Autore non è così sem¬ plice che avesse detto una leggerezza così manifesta ; nè è vero che tutti i composti di terra o d' aria galleggino, ma solamente quelli ne i quali l’aggregato della terra e dell’aria compone una mole menai grave in specie dell’acqua; e questo solo trovo nell’Autore. E qui, s’io ben comprendo, nasce un poco di equivocazione nel discorso del¬ l’Accademico : il quale, vedendo come si può facilmente fare un misto partecipante in guisa di terra e d’aria che sia men grave dell’acqua e che perciò in essa galleggi, ha anche compreso ciò potersi far molto più con l’acqua e con 1’ aria, o con cosa non molto differente dall’aria in gravità; e sin qui il discorso camma benissimo: ma quello che io non credo che sia stato interamente avvertito dall’Ac¬ cademico, è che 111 il ghiaccio fatto al modo suo non può in vermi modo esser un di tali composti; perchè, se la mole del ghiaccio sciama dalla») mole dell’acqua, nissuna participazion di aria, ben che grandissima, sani bastante a far che ’l ghiaccio galleggi. Imperò che, se noi in- li>. che secondo l’Autore ogni — 23-24. minio di terra e di aria partecipante — 26. più con 1 aria o con 1’ l’acqua — 30. un composto tale di' — mole dell’ acqua soieina nel l'arsi ghiaccio del 31. acqqua —32. galleggi perchè Imperò che — 11 Qui seguita, come si può distinguere sotto le cancellature: « un tal composto d’acqua e d’aria accresca la mole prima dell’acqua *. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 189 tenderemo due moli di acqua eguali, e, per esempio, di 10 libbre l’una, delle quali una si ghiacci e si riduca in minor mole, già il suo peso non sarà sciemato, non diminuendo la sustanza dell’acqua ma solo condensandosi, anzi, più presto, sarà divenuta in specie più grave, me¬ diante la diminuzion della mole e la mistione de gli aliti freddi e ter¬ restri; sì che almeno peserà le medesime 10 libbi’e, quanto pesa ancora Paltr’acqua: ma un corpo che, sendo in mole minor d’un altro, pesa quanto quello, è in specie più grave di lui : adunque il ghiaccio sarà in specie più grave dell’acqua, e però non potrà galleggiare: al che io repugna l’esperienza. E chi volesse meglio comprendere come è impos- sibil cosa che un misto d’aria e d’acqua condensata galleggi, tutta- volta che la mole di tal misto sia minore della mole dell’acqua avanti la mistione e condensazione, potrà fare la seguente esperienza. Prenda una boccia di vetro di quelle che noi vulgarmente chiamiamo buffoni, e mettavi dentro tant’ acqua che appena resti senza sommergersi, sì che una sola gocciola di più lo mandasse al fondo ; di poi pesi l’acqua in esso contenuta, la quale sia, per esempio, 4 libbre; e votata l’acqua, pongavi libre 4 d’argento vivo, il quale occuperà nel vaso appena, una delle 15 parti di quello che occupava l’acqua, ed il resto sarà 20 pieno d’aria, e sarà fatto un composto di una gran quantità d’aria e d’una piccola mole d’argento vivo, il quale, quanto appartiene alla gravità, opererà l’istesso che se le 4 libbre d’acqua si fossero con¬ densate e ridotte a un quindicesimo della sua prima mole; torni poi a metter la boccia nell’ acqua, e vedrà che ella, come prima, starà per sommergersi all’ aggiunta d’una sola gocciola. E perchè questo com¬ posto d’argento vivo e d’ aria è in mole eguale per appunto alle 4 lib¬ bre d’acqua, e sta come quelle su l’affondarsi, è manifesto che, ri-, ducendolo in mole un poco minore, andrà senz’ altro in fondo. Non è, dunque, possibile far un misto d’aria e d’acqua, quanto si voglia so condensata, il quale galleggi, se la mole sua non divien maggiore della mole della medesima acqua, sola avanti la sua condensazione. [pag. 154, lìn.7-8] Ma voti però assolutamente etc. ; leggasi sino a: posto in fondo dell’acqua. Tra i luoghi che forte mi hanno fatto dubitare che l’Accademico abbia scritte queste Considerazioni più presto per tentar l’Autor del Discorso, che perchè egli abbia creduto di scriver cose vera- 5. mole e della e — 6-7. ancora l’aqqua dell’altro vaso l’altr’ — 7. sendo di in — 16. poi si pesi — 20. una piccola mole d’argento vivo gran — 26. aria non è — alle altre 4 — 190 CONSl DKRAZION1 mente salde e fondate, uno assai manifesto mi par questo: dove ei pro¬ duce alcune proposizioni non Bollimento dannabili, ma reputate per tali da sè e dall’autore da olii egli le ha trascritte, che è il Sig. Piccolomini, filosofo d’illustre faina, nel libro Delle definizioni, a car. 183/;. 11 quale primieramente conclude, con Aristotile e con la verità, che ad ogni maggior densità conseguita gravità maggiore, tanto se si farà com¬ parazione tra corpi di diversa natura, quanto della medesima; e l’istesso afferma della leggerezza conseguente alla maggior rarità. E 1’ argomento di Averroe in contrario, preso dalle gioie (non dirò molto lucide, come dico 1’ Accademico, perchè di tali non so che se io ne trovino, ma dirò, come Averroe, diafane e rare), vien pur confu¬ tato, dicendosi altra cosa esser il raro, altra il perspicuo, e le gemme esser perspicue non per esser rare, essendo più tosto molto dense, ma solo per esser purgate dalle fecce terrestri. 1/ argomento poi preso dalle stelle, che, sendo più dense del resto del cielo, non però son pili gravi, viene immediatamente resoluto e scoperto inefficace e fuor del caso dal medesimo Accademico che lo produce, nel render, che egli fa, la ragiono perchè la densità non partorisca gravità nelle stelle, dicendo ciò avvenire perchè simili qualità di gravità e leggerezza sono repugnanti alla semplice natura de gli orbi celesti ; dal che in 20 consequenza si deduce che ne’ corpi elementari, a i quali dette qualità non sono repugnanti ma naturalissime, il fatto procede altramente, e che la densità può benissimo cagionar gravità, e la rarità leggerezza. Noto di più, che mentre noi stiamo dubbii ed altercanti della densità del ghiaccio e dell’ acqua, che tutta via ci stanno tra le mani, il produr 1’ attestazione delle stelle 0 del cielo ambiente, come che le con¬ dizioni loro ci siano più cognite, fa che nell’ Accademico si desideri qualche cosa attenente all’ intera perfezion dell’ esatto metodo demo- strativo, il quale non approva, anzi danna, il provar iqnotwn per ignotius ( ". L’ argomento, ancora, del fuoco e dell’ aria, che condensati so fossero men gravi, primieramente per mio credere è falso ; e poi, quando ben fosse vero, sarebbe inutile, anzi nocivo per l’Accademico. 1-2. ei propone produce — 2. solamente lalse dannabili -7. quanto comparammo] della — 11. dirò con come diafane e erare —12. perspicuo nè e— 21. che negli elementi ne’— Da « nel render » ad « avvenire » è stelle », che è cancellato, sostituito marginalmente a «poi che egli i*i Da «Noto» (lin. 2-1) a • ignotius » è pice, lu densità non partorir gravità nelle aggiunto marginalmente. m ACCADEMICO INCOGNITO. 101 È falso: perchè, in quella parte che soggiace all’esperienza, il senso ci mostra che 1’ aria condensata cresce notabilmente di peso : avve¬ gnaché se si accomoderà una boccia grande di vetro con un rite¬ gno che, cedendo 1’ entrata all’ aria che con forza ci si può spigner dentro, proibisca poi 1’ uscita, ci si potrà metter aria 2 e 3 volte più di quella che naturalmente vi sta; la quale, posta su bilancia esqui- sita, si troverà di peso assai maggiore che quando si peserà senza P aria compressa e condensata, e la differenza non sarà dubbia, per¬ chè in un vaso grande potrà importare mez’oneia e più. Questo ef- io fetto è vero, e fu saputo e scritto da Aristotile, ma non fu creduto dal Sig. Piccolomini, nel luogo citato di sopra ;. dove, per non avere ad ammettere un errore in Aristotile, si va troppo sottilmente inge¬ gnando d’investigar distinzioni e circostanze, per sostener cosa che non minaccia rovina, anzi è benissimo fonda,ta. Quello che faccia il fuoco condensato, io non lo so : averei ben caro die mi fosse detto qualche modo di vederlo per esperienza; ma opinabilmente credo che farebbe l’istesso che P aria, ciò è che condensato descenderebbe nella sua sfera, ma non per quella 'dell’aria, sì come uè meno Paria si può tanto condensare che scenda per P acqua. Ma posto che e nell’ aria ao e nel fuoco condensati crescesse la leggerezza, che ne caverà l’Acca¬ demico, applicandolo al proposito di che si parla, se non cosa con¬ traria alla sua intenzione ? Perchè, s’ ei vorrà render ragione onde avvenga che ’l fuoco condensato accresce la sua leggerezza, non potrà dir altro se non, perchè, multiplicando la materia del fuoco, si mol¬ tiplica la sua naturale affezzione, e perchè egli è per natura leggiero, però si moltiplica la sua leggerezza: e l’Autore del Discorso, conti¬ nuando l’istessa maniera d’inferire, dirà che per ciò l’acqua, di cui la gravità è propria e naturale affezzione, nel condensarsi aqquista nuova gravità, onde il ghiaccio, quando si faccia per condensazione, :so sarà di necessità più grave dell’ acqua, nè potrà in essa galleggiare. Resta per tanto nel suo vigore la ragione che ci persuade il ghiaccio esser acqua rarefatta, fondata sopra P esperienza, che noi continua- mente veggiamo, del suo galleggiare. Ma essendomi pervenuto all’ orecchie, come questa nuova propo¬ sizione del Sig. Galileo ha, in molti luoghi ed in particolare in Roma, eccitato dubbio non piccolo in quelli che son usi a ben filosofare, anzi 12-13. ingnegnando — 30. gallegiare — 34-35. proposizione dell’Autor del del — 192 CONKIUKKAZIOM noli pur dubbio ma un poco ili confusione ancora, nel concordare insieme due proposizioni molto discordi, ciò è die il ghiaccio sia acqua rarefatta, come dimostra la sua minor gravita, e che la congelazione si faccia in virtù del freddo, la cui facoltà è di ristrignere e conden¬ sare ; mi son preso sicurtà di domandare detto Autore ciò che egli in questo proposito potrebbe dire, e, se bene ho tenuto a memoria, ne ho ritratto questo. Prima, egli ammette (per non produr nuove difficoltà in campo, e trapassar d’ una in un’ altra quistione in infi¬ nito) che il freddo sia veramente una qualità reale e positiva, di fa¬ coltà di ristrignere e condensare : secondariamente, afferma il giaccio io farsi per l’intervento dell' operazione ilei freddo : e con tutto ciò pur ritiene la medesima conclusione, che il ghiaccio sia acqua rarefatta. Per il che dichiararmi, prima mi fece avvertito che nella produzion del ghiaccio assai più operava il freddo dell’aria ambiente che’l proprio dell’ acqua, per esser quello più intenso di questo, benché al senso nostro appaia in contrario, atteso che non par che si trovasse alcuno al quale non paresse più aspro il dover restar per un’ ora o due nell’acqua prossima al congelarsi, che nudo nell’aria circunvi- cina; tutta via altra esperienza più certa determina circa questo particolare meglio del senso del tatto ; perché, se si empieranno di ao acqua 2 vasi eguali, e P uno si terrà nell’ aria, e 1’ altro si profon¬ derà sotto 1’ acqua, quello in poche ore d’ una notte freddissima (!l si congelerà tutto, e l’altro talvolta punto. L’istesso ancora si fa ma¬ nifesto : perchè se ’l freddo dell’acqua non fusse minor di quello del- 1’ aria contigua, la congelazione si farebbe non meno nelle parti di mezo e nelle più profonde, che nelle supreme e contigue all’aria; al che repugna l’esperienza. 11 freddo, dunque, nelle stagioni freddissime è più intenso nell’ aria che nell’ acqua ; e perchè proprietà del freddo è il costipare e ristrignere, e 1’ aria è per natura sua grandemente condensabile e rarefattibile (di che appresso ne produrrò manifeste so esperienze), sendo all’ incontro 1’ acqua ripugnantissima alla conden¬ sazione ed alla distrazione (come pur dichiarerò con esperienze), quindi 5. di pregare domandare - 16. contrarili perchè atteso che — ni trovi trovasse — 18-19. uria prossima alla medesima acqua contigua circonvicina — 19. certa ne mostra il contrario de¬ termina — 20. empieranno 2 vasi eguali di — 21 -20. del aria — 26. profonde, dell’ acqua che — e* * d una notte freddissima » è aggiunto in margine. DI ACCADEMICO INCOGNITO. 193 avviene che 1’ aria vien dall’ immenso freddo immensamente conden¬ sata, ed è sotto minori spazii ristretta. [pag. 155, lin. 3-4] posto in fondo deli' acqua, subito ritornarsene a (falla) Questo modo d’argomentare etc.; leggasi fino a: Intanto per fare una sco¬ perta. No, Sig. Accademico, non vogliate con una scoperta ricoprirvi. Ilio Bhodos, He saltus : tempo di rispondere è qui, e non più di sotto. Gli avversarli dicon qui che una falda di ghiaccio, benché più grave dell’acqua, galleggia rispetto alla figura larga; e l’Autore instando dice : Se ciò fosse vero, molto più dovrebbe, posto che e’ fosse nel io fondo, restarvi ; perchè, se ’l solo impedimento della figura, inetta al fender 1’ acqua, lo trattien di sopra contro alla sua naturale inclina¬ zione di sommergersi, come acqua ingravita per la condensazione, come non rest’ egli in fondo, dove amendue le cause, dico la gravità e la figura, conspirano a ritenervelo ? In questo luogo non si tratta altro che questo punto, nè questo punto si tratta altrove ; però qui bisognava scoprir le fallacie dell’ Autore, e le variazioni delle circo¬ stanze, e non tanto di sotto che più non si ritrovino. [pag. 155, lin. 7] Intanto, per fare una scoperta generale etc. ; leggasi fino a: chiamo egualmente gravi. Non contenendo tutto questo discorso cosa 20 che faccia al proposito di che si tratta, come ogn’ un leggendo può vedere, non occorre consumarci parole. [pag. 156, lin. 22] chiamo egualmente gravi) Per me ’ fdosofare ; leggasi fino a: 1. Perciocché, dandosi etc. Potrebbesi tutto questo, che vien in due facce intere addotto dall’ Accademico e trascritto dal Sig. Piccolo- mini, lasciare intatto senza pregiudizio alcuno della dottrina dell’Autor del Discorso, non ci essendo cosa che contrarii alla parte sostenuta da lui circa ’l punto principal della quistione; perchè, disputandosi di ciò che operi la figura ne i solidi circa 1’ ascendere o ’l descender nel- l’acqua, non vien mai occasione che la leggerezza positiva più che la so privativa, o 1’ ascesa da principio intrinseco più che per 1’ espulsione, possino alterare le ragioni che si adducono ; e massime che del fuoco, nel qual solo, per detto del medesimo Aristotile, risiede la leggerezza positiva, nominando egli tutti gli altri elementi gravi, non vien mai 1-2. ‘immensamente ristretta condensata — 4. fino a: chiamo egualmente gravi Intanto — 26. alla quistione di cui si tratta parte — iv. 25 194 CONSIDERAZIONI cercato quol che in lui operasse lu figura, ma solo in materie che, scen¬ dendo in aria, sono, in dottrina peripatetica, a predominio terree o aquee, ed, in consequenza, per principio intrinseco mobili all’in giù onde resta manifesto che qualunque volta si muovono in su, ciò fanno in virtù di motore esterno, che altro non è che lo scacciamento del mezo, in quanto perù concerne alla presente controversia. Però, quanto fu necessario il definire e distinguere quello che l’Autore intendesse per più o men grave in specie o assolutamente, per poter poi demo- strativamente stabilire i fondamenti della sua dottrina, tanto par che fuor di tempo si produca un lungo discorso per dispiegar la dottrinalo d’Aristotilo circa ’l grave e leggiero, in molt’ altri luoghi nell’istesse maniere spiegata. Pertanto io non credo che l’Accademico proponga questa materia per altro, che per declinar più che si può la causa principale, appigliandosi a quello che incidentemente accennò l’Au¬ tore nel difendere Archimede contro al Sig. Ruonamico, ciò è che averebbe creduto che si potesse sostener e difender V opinione di Platone e di altri antichi contro alla dottrina d’Aristotile : ed io, intendendo tal suo desiderio, cercherò di satisfargli, per quanto le mie forze si estenderanno; procurando insieme, con simili digressioncelle che’l freddo non condensava il ghiaccio come 1*altre cose; o vero egli intendeva, il ghiaccio non essere rarefatto propriamente, ma accidentalmente. E cominciando dal primo modo della distinzione, sarò breve, sì perchè la cosa è assai ben manifesta, sì perchè queste materie sono dillusamente trattate da altri. Ma non per tanto tralascierò le descrizioni d* Aristotile del caldo e del freddo, nel secondo libro della Generazione e corruzione, ove dice : Il caldo è quello che congiugne le cose del medesimo genere, o vero quello che disgiugne le cose del diverso ; e ’1 freddo è quello che congiugne tanto le cose del mede¬ simo genere, quanto quelle del diverso. Ma è (la notare intorno a tale descri- 10 zione, che se bene la cera con la pece e li medicamenti e altre simiglianti cose, tra loro diverse, si congiungono insieme dal caldo, basti che egli fa ancora questo, secondo gl’ interpreti d’Aristotile, per ragion di qualche simiglianza: e ’1 medesimo ristrigne ancora qualche volta per accidente, discacciando le cose umide, come per accidente e non propriamente nel fango avviene, cioè non per la virtù del- 1’ operazione, ma per la disposizione della materia che, avendo poca umidità e quella cacciata dal sole, viene a condensarsi. E venendo alla descrizione del freddo, egli, quantunque propriamente congiunga le cose tanto del medesimo ge¬ nere, quanto quelle del diverso, nientedimeno disgiugne ancora per accidente, scacciando le cose sottili : come si vede nello ’nverno, che, mediante il costregni- 20 mento del gran freddo, vengono premute le lagrime da gii occhi ; dileguandosi nel medesimo modo, per lo agghiacciamento, le parti sottili dall 5 acqua. Ma torniamo alle descrizioni d’Aristotile, chè non è da dubitare s* elle sian vere: perchè, ele¬ vandosi dalla terra e dall’ acqua, riscaldati da’ raggi del sole operanti la rarefa¬ zione, due aliti, esalazione e vapore, le parti della terra per cotali ragioni diven¬ gono rade e si convertono in esalazioni fumose ; il vapore, per lo contrario, levato in alto e congelato dal freddo e per la gelazione condensato, si fa pioggia o ru¬ giada o brina o grandine o neve. E sirniglianternente dal caldo s’allargano i pori ne’corpi degli animali, e li medesimi dal freddo, per contrario, si ristringono ; e queste, con altre simili cose, sono manifeste al senso : come anche è manifesto, la 30 cera liquefatta, rappigliandosi dal freddo, unire mescolatamente insieme sassetti e altre simili materie, le quali sono poi dal caldo disunite. E questo è sì chiaro, che se alcuno lo volesse negare, negherebbe, oltr’alla ragione, ancora il senso; princi¬ palmente considerando che le nature, le quali hanno queste operazioni, sono tali, cioè che il fuoco e 1* aria sono rari e perciò rarefanno, e 1’ acqua e la terra sono densi e perciò condensano, e ciascuno di questi dà solamente quello che ha, e non mai quello che non ha. Onde Simplicio, nel comento 70 del terzo del Cielo, dice a questo proposito eccellentemente in questa guisa: . Nè più oltre, del primo modo della distinzione. E venendo al secondo, se V Autore concede che ’1 freddo condensi, ma non il ghiaccio, sarà una maraviglia elio, condensando egli tutte V altre cose, rare- 20 faccia solamente 1’ acqua; e massimamente perchè, essendo l’operazione d’esso una in numero, come potrebbe mai fare cose contrarie in un medesimo tempo? Ma che il ghiaccio sia acqua condensata, e non rarefatta, dimostrisi con queste ragioni : Il ghiaccio si fa lo ’nverno, quando il freddo costrigne tutte le cose; costri- gnerà, adunque, altresì lo ghiaccio: perchè essendo il freddo una causa, non può produr due effetti, e contrari, in un medesimo tempo. Il ghiaccio, so fosse acqua rarefatta, non costrignerobbe insieme cose diverse: perchè le cose, quanto più son rarefatte, tanto meno ritengono. Le cose più sensibili al tatto e più visibili sono più dense: il ghiaccio è più sen- 30 sibile al tatto e più visibile clic 1’acqua: adunque il ghiaccio è più denso di essa. Le cose, quanto son più dense, tanto più difficilmente si tagliano: il ghiaccio più difficilmente si taglia che l’acqua: adunque è più denso di essa. K tagliansi più difficilmente le cose più dense, per Y union maggiore delle parti, quando però non tossero secche, come il ferro, per la cui durezza il piombo, ben che sia di lui più denso, nulladiineno più facilmente si taglia. Ma parliamo delle cose del medesimo genere: e così sarà vero che mai le cose, diventando più rare, sia* 10 più forti ; perchè vengono a disunirsi, e la disunione partorisce la debolezza. Quello che si raretà e s’assottiglia dal caldo, innanzi è costretto dal freddo : questo avviene nel ghiaccio : adunque non è raro, ma denso. DI GIORGIO C0RK810. 207 Il ghiaccio se non fosse fatto per congelazione, nessuna ragion ci avrebbe per la quale, non essendo cieli’acqua più freddo, e’ si facesse in ogni modo sentir più gelato, come e’ fa ; se questa non fosse la densità, la quale, per aver maggior quantità di parti, opera più, in quanto nella maggior quantità è maggior virtù: come si vede che il caldo abbrucia più nel ferro infocato che nella fiamma. E per la medesima ragione il ghiaccio è ancora secco, e si ditermina da’termini propri, dileguandosi, per lo costrignimento e gran frigidità, contraria all’ umido, le parti umide in esso ; perciochè, sì come 1’ umidità non può stare col gran caldo, com’ ò quel del fuoco, così non può stare con 1’ estremo freddo, io Se ’l ghiaccio non si facesse per costrignimento, qual sarebbe la ragione per la quale Tacque delle nevi e de'ghiacci fossero malsane, se nel costrignimento, come dice Ippocrate e Aristotile, non uscissero le parti più sottili e rimanessero le terree? E da questo nasce che, nel disgelarsi il ghiaccio o la neve, l’acqua non ritorna mai in quella medesima quantità che era innanzi alla congelazione. Il ghiaccio, se fosse più raro dell’ acqua, si dissiperebbe più facilmente di essa; ma veggiamo il contrario, che resiste più; adunque è più denso di essa, e più resiste : come degli elementi, V acqua e la terra resistono più che ’l fuoco e T aria, come che questi abbino maggiore operazione. E, finalmente, se ’l ghiaccio non fosse cosa costretta e condensata, non avrebbe 20 nè da’Greci, nè da’Latini, nè da altri, conseguito nomedi tal concetto: i quali essendo nel corso di tanti secoli stati tanti e di sì gran valore nelle scienze, non sarebbe mai stato possibile che tutti si fossero ingannati. Perchè, lasciando altri argomenti che si potrebbono lare, seguiamo il proverbio che dice: Lascia anche qual cosa a’ Medi. Se poi il Galilei intende, il ghiaccio essere acqua rarefatta per accidente, come diremo poi, è errore il contradire in quella maniera che fa, perchè non si niega mai la proposizione necessaria per accidente alcuno: se egli però non vo¬ lesse ancora negare che Pietro fosse sustanza, perchè come padre o filosofo fosse accidente; perciochè, sì come questo non si dee fare, così ancora non si 30 può negare che ’l ghiaccio non sia condensato, se bene per accidente è rarefatto. Ma è da distinguere la rarità secondo le diverse cause : delle quali una è secondo la sottigliezza delle parti, di cui Giovanni Grammatico, nei secondo della Generazione parlò così : L’ aria diciamo rara e T acqua densa, non perchè le parti dell’aria siano distanti tra di loro e abbino interposti vacui, perchè veramente niente è di vacuo nell’ aria nè altro corpo è interposto tra le sue parti, ma per¬ chè T aria ha sustanza sottile e T acqua grossa. E pare che questa densità pro¬ ceda dalla sustanza del freddo, e la rarità del caldo. L‘ altra rarità è, la quale non consiste nella sottigliezza della sustanza, ma nella distanza delie parti tra di loro, come nella spugna. E questa rarità è quella che si fa nel ghiaccio: poi io che non tutte le parti dell’acqua sono atte a congelarsi, ma' quelle che hanno 208 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE KCC. qualche siccità, per tenere più di terra, che le fa anche più grosse ; e però le parti più sottili, come inette, sono cacciate, e, per supplire al vacuo, parte si costrin¬ gono le grosse, e parte vi restii V aria che 1 ’ agghiaccia. DISCORSO Secondo, nel quale si pruova che Aristotile senta ragione è fùnsi moto dall' Autore intorno a' principi del discendere il solido. Ora, poi che V Autore dice che Aristotile non conobbe che ’l più grave di¬ scendesse più giù, cioè che le parti terree non cercassero d’ andare al luogo loro, cosa veramente che non solo da Aristotile, um nò da niun altro, quantunque rozzo, è 6 tata mai ignorata, toccherò per necessità alcuni luoghi del medesimo 10 Aristotile, da’ quali si cava la vera specolazione di questi principi. E perchè il discendere, come il salire, son moti secondo Tovc, considereremo intorno a ciò alcune coso, per conoscere quello che fa di bisogno in questo proposito. Dico, per tanto, elio nel moto locale degli elementi si hanno da considerare cinque cose: il movente, principio del moto; il mosso; il luogo; la causa finale; e ’l tempo. Quanto al principio, o ver causa, si distingue in due modi: nell’es¬ senziale ed accidentale. E dall’ essenziale, che produce il moto, cominciando, in¬ torno ad essa considereremo cinque opinioni, differenti runa dall’altra. Poiché: Kmpedocle ebbe opinione elio ’l cielo fosse principio, scacciando col suo rapi¬ dissimo moto gli elementi. Che fu in questa guisa rifiutata da Aristotile: Se ’l cielo 20 scacciasse gli elementi, i moti loro sarchiamo violentati. Oltracciò, l’aria non si inuoverebbe in giù, ma sarebbe scacciata dal cielo. Altri dicono che, non avendo il ciclo altro moto che quel della luce, non può muover gli elementi. A questo aggiungo che l’agente sarebbe molto lontano dal mosso. Ma s' Empedocle non avesse detto altro che quello, cioè che ’l cielo fosse principio, senza quell’ altro parole < che scaccia gli elementi >, non direbbe forse una novella; considerando io che Aristo¬ tile, nel terzo delle Meteore, ci insegna che le qualità degli elementi procedono dal cielo, anzi, come saviamente dice Ermino, il mondo inferiore al superiore viene ad essere come materia all’ operante ; e però i filosofi dissero che tutte le cose del mondo sottano si governano dal sovrano, costituite da esso per azione 30 ovver privazione. E la seconda opinione fu di quegli che pensavano che ’l luogo fosse princi¬ pio; perchè il desiderio d’esso muove gli elementi ad acquietarsi e riposarsi in lui. Ma egli non e veramente causa; ma è piuttosto causa di quiete, che di moto. E adunque causa finale, e non efficiente: per lo che Alessandro e Simplicio divi¬ dono il moto dell’ elemento in due modi ; nel proprio, in quello cioè che riceve dal generante per acquistare il suo luogo, e nell’ accidentale, quando uscitone I DI GIORGIO CORESIO. 209 cerca di riacquistarlo ; là onde è manifesto che ’l luogo è causa finale, e non agente. Abbiamo fino a qui veduto il mosso e ’l luogo, lasciata al presente la causa tinaie, di cui parleremo poi. La terza opinione fu di quelli che tennero principio il generante; poi che chi dà la forma, dà ancora le cose che la seguono. Ma questi parlano delle parti degli elementi, che sono generabili e corruttibili, e non del tutto. Generante sarà poi quello che trasmuta da un elemento a un altro, qual che si sia o sole o ele¬ mento. La quale opinione si conferma con due prove: una d’Aristotile, il quale, nell* ottavo della Fisica e nel quarto del Cielo, facendo differenza tra le cose ani- io mate e inanimate, dice 1’ animate muoversi da principio intrinseco e P inani¬ mate da estrinseco, cioè dal generante; e l’altra, ben che sia anzi ragione che autorità, nulladimeno è fondata in Aristotile, ed è questa : che ogni cosa che si muove, è mossa da altra; perchè niuna cosa può da sè medesima patire, nò esser più nobile di sò stessa, conciosia cosa che V agente sia più nobile del paziente. La quarta opinione fu di coloro che vollono, la causa essere il togliente lo impedimento, in quanto, essendo lo elemento impedito da lui nel muoversi, chi lo toglie opera che P elemento vada al luogo suo. Ma questa è causa per accidente, e conferisce a togliere lo ’mpedimento, ma non al moto naturale dell’ elemento : ed èvvi ancora altra ragione, che la causa volontaria non può produrre effetto 20 naturale. La quinta ed ultima ebbero quegli che dissero, muoversi gli elementi dalla propria natura, cioè dalla forma, essendo la materia solamente radice delle pas¬ sioni. Perciò affermarono alcuni che in latino si dice actus, perchè agit; non avendo considerato loro, che in greco si dice èvxeXéx £ '* a > per aver ridotta la cosa nel fine, come la significazione del vocabolo vuole, sì che dice fine per lo quale la na¬ tura opera propriamente, come è Paniina: onde Aristotile chiamava la natura fine di ciascuna cosa. Significa anco P operazione, in quanto aneli’essa è come fine. Ma ritorniamo al nostro proposito. Cotale opinione fu fondata nel testimonio (V Aristotile nel 2 della Fisica, ove dice, a distinzione delle cose naturali dalle co artifiziali, le fatte dall’ arte non avere in sè stesse per sò principio di facimento: adunque le cose naturali avranno in sè stesse principio attivo. E nello stesso libro egli dice, aver detto per sè, e non per accidente, per cagione del medico sanante sè stesso. E tale fu P opinione di Temistio, nell’ottavo della Fisica, ove parla così : < Diciamo, il fuoco da altro esser mosso all’insù e la terra all’ingiù, perchè da altro son fatte queste coso, e non si fanno da sè stesse; ma quando sono gene¬ rate, subito e per quella natura per la quale sono generate operano > ; fondata in quell’ autorità d’Aristotile, nel secondo della Fisica, che vuole che l'effetto esi¬ stente in atto abbia in atto esistente la causa, e nei secondo della Posteriora, ove dice, dell’ effetto passato esserne passata la causa, del presente la presente, io e del futuro la futura. IV. 27 210 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECC. Ma oramai, e forse con brevità, abbiamo palesata la specolazione d’ Aristotile intorno a’principi de’moti : parliamo adunque degli accidenti, come siano loro principi. Ma perchè opera la natura sempre mediante i suoi strumenti, che sono accidenti, di questi noi considereremo solamente quegli che conferiscono a tali moti. Per chiarezza della qual» cosa dico elio la sustanza, di sua natura, non è nè grave nè lieve: si fa, adunque, tale acquistando certi accidenti, i quali Aristotile, nell’ ottavo libro della Fisica e nel terzo del Cielo, riferisce alla densità o rarità, veggendosi manifestamente che ’1 fuoco e l’aria sono rari, e l’acqua e la terra densi; perchè, si come la gravità dipende dalla strettura grande delle parti, così la leggerezza dalla largura di esse. E se mi dicesse alcuno che ’l corpo celeste io è denso, ma non grave, adunque la densità non è causa della gravità ; gli rispon¬ derei che noi non parliamo del corpo celeste, che ha Tessere diverso dalle cose presenti, cioè più perfetto: oltracciò dico che non ogni sustanza esequirà il me¬ desimo eifetto, datole il medesimo accidente; perchè si ricerca tal sustanza. Onde diciamo: I/acqua e la terra solamente, secondo la forma loro, possono fare tal effetto, mediante la maggioro o minor densità, secondo la maggiore o minore inclinazione verso quest’accidente della densità; e così eziandio de’misti, quel che ha più densità è più terreo, per essere la terra densissima, e tanto maggiormente questo interverrà, quanto le parti terrestri sono più pure ; e quel che participa dell’ aqueo, in tal parte è men denso della terra, per esser l’acqua men densa 20 d’ essa. Ma torniamo al proposito. La densità è, adunque, causa della gravità, come la rarità della leggerezza. Or, lasciata quella, dico che la gravità non è al¬ tro che un’ attitudine e naturale inclinazione al luogo inferiore, come la legge¬ rezza è naturale attitudine al superiore; onde, non essendo altro che potenza, non opera, ma sì bene è attitudine della causa nell’ operare. Di più, T operazione si fa da atto; adunque, non da potenza. E perciò non si dice mai che la gravità muova; come a uno che domandasse perchè T uomo rida, non si risponderebbe: < Ride, perchè egli ha la potenza >, ma < perchè lui la razionalità >. Per lo che ab¬ biamo ancora noi detto che la gravità è principio come potenza: la qual cosa con¬ siderò Aristotile ne’ libri del Cielo, ove spesso nominò gravissimo quello che sta di so sotto a tutti, e leggerissimo quello che sta di sopra a tutti; di poi disse, esser grave quello che va al mezzo e all ingiù; e ne ’nsegna che gli elementi gravi si muo¬ vono all’ingiù per la gravità, ed i leggieri per la leggerezza all’insù. Onde è ma¬ nifesto che, pigliandosi la gravità in due modi, 0 secondo la natura 0 secondo il moto, Aristotile no parlò tanto chiaramente dell' uno e dell’altro, che quasi ninno degli interpreti v’ hà che non abbia cavato da lui elio la gravità e la leggerezza sono principi strumentali del moto; poi che c’insegnò come i corpi si muovono mediante 1 interiore inclinazione loro, e tal inclinazione non sia altro che la gra¬ vità e la leggerezza. Rimane il tempo, cioè quando si muove il mosso: conciosiacosa che, essendo 40 DT GIORGIO CORESIO. 211 il tempo numero de 1 moti, non possa mai essere moto senza tempo; e però Pla¬ tone lo ditti ni < immagine mobile dell’ eternità ed intervallo del moto del mondo >, e fece il medesimo Aristotile chiamandolo « numero > : onde il moto si dice tempo¬ rale, non perchè si fàccia in tempo, a guisa d’azione, ma perchè è misurato da esso, facendosi 1’ azione nello istante, come la intellezione, la illuminazione e simili altre cose. Il moto, adunque, non è azione. Ma in che modo è misura il tempo? La misura è, secondo Simplicio, o numero o grandezza o luogo o tempo: il nu¬ mero misura la distinzione; la grandezza misura lo intervallo; il luogo, la posi¬ zione; il tempo, P estensione della generazione, diterminandola secondo il prima io e ’l poi. Ora, presupposto questo fondamento, si tolgono via duo cose: il vacuo c ’l cedere. Il vacuo : perchè se non lèsse la continuità del mezzo, che per la suc¬ cessione delle parti ritarda il moto, non potendo essere in un medesimo tempo in tutte le superiori e inferiori, non sarebbe mai moto; è adunque necessario il mezzo. Si toglie ancora il cedere senza resistenza, più velocemente muovendosi il più grave del meno: all’ incontro, nuotando per 1’ aria alcune cose di minima gra¬ vità e altresì per l’acqua, si farà variazione per la figura e secondo il mezzo; perchè si innoverà una cosa più velocemente nell’aria che nell’acqua, e un sasso si muove ancora più velocemente nel fine che nel principio, e più velocemente da un luogo più alto clic da un più basso; similmente una nave s’immergerà più 20 nell’ acqua dolce che nella marina, e nella sfcess’ acqua un legno quanto sarà più grave si profonderà più : e la causa di questo non dipende da altro che dalla re¬ sistenza del mezzo, in quanto ella più o meno vince; ove se le parti avessero a dar luogo senza resistenza, non si vedrebbe la cagione perchè dessero più luogo ad uno ohe ad un altro e come si facesse la variazione. Onde 1’ opinione di co¬ loro che stimarono clic ’l mezzo e la figura non operasse proporzionatamente al ritardamelo del moto del mobile, fu sempre mai stimata vana dagli uomini savi. Ma trapassiamo oramai all’ altro Discorso. Discorso Terzo, pertinente all' esamine delle cagioni del discendere il solido . so A formare questo Discorso mi muove il dubbio che nasce contro la naturale aspettazione, stimandosi che i corpi più gravi dell’acqua non galleggino, ma di- scendino al proprio luogo, come 1’autorità d’Aristotile e d’Archimede conferma. Ji la ragione di questo è perchè la natura, che diede loro il proprio luogo di sotto come perfezione, gli diede ancora la maggior densità, acciochè, se lo perdessero, 10 potessero di nuovo aheora ^acquistare; il qual fine non conseguirebbono, se per la maggior densità non vincessero, che contiene più forze della minore, da che nasce la pugna : perciochè il corpo più grave dell’ acqua vuole acquistare 11 proprio luogo, e l’acqua non vuol soffrire il suo nimico appresso; in un certo 212 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECO. modo suo nimico, mediante la siccità e la gran freddezza della terra, che se bene non contraddice a quella dell’ acqua, gli è nulla di meno contraria, in quanto la gran freddezza della terra porta seco gran siccità, elio muta la natura o al¬ meno 1’ altera molto, quando però è meno, come nel ghiaccio si vede, perchè Alessandro nel libro primo dello Naturali Quistioni disse l’acqua mancare più di suo essere per la perdita dell’ umido che del freddo, perciochè ella patisce, per passiva qualità che non vuole, come corpo, nò meno patir la sua divisione : come abbiamo già detto. Ma da questo fondamento nasce via più maggior maraviglia perchè il corpo più grave non conseguisca il proprio luogo, ma si stia sopra 1’ acqua. La qual cosa Aristotile considerando, solve riducendone la causa alla io figura piana, come quella del quattrino o della tavoletta d’ebano. La riferisce, dico, a una certa resistenza dell’acqua, non superata da quella: la qual resi¬ stenza è di due sorte ; una, che, ritardando alquanto la vittoria all’ inimico, è alla fine superata; e l’altra, che non è superata. Questa seconda si fa tra l’acqua o la materia terrestre in duo modi : uno, per ragion della figura del solido, il quale, per aver le sue parti distese, è debole ; e 1’ altro per la sua minima forza, per la quale non può vincere le forze inferiori : o questo secondo modo non toglie il detto d’ Aristotile e d’Archimede, se bene in astratto, come di poi diremo, che parlano secondo il proprio modo elei favellare, cioò che, data la medesima pro¬ porzione del più e men grave, il più gravo supera, o ’l meno no. In contrario, la 20 seconda resistenza ò molto sproporzionata, e non fa niente in questo caso. Torno adunque a dire, che chi conoscerà la resistenza del mezzo, non avrà difficoltà a intendere in qual modo le cose gravi galleggino, come si è di già detto : ma chi non conosce questa resistenza, ò necessitato riferirne la causa all’aria; e la ra¬ gione è, perchè se 1’ acqua solamente cede, e non resiste alle parti del solido, non potrà sostenerlo, ma cederà alla sua sommersione ; sarà, dunque, altra la causa che la sosterrà e questa sarà 1’ aria, concluderà un cotal hello ingegno. Ma al- T incontro, se si farà manifesta la verità della resistenza, come s’è fatto in parte e come la esperienza dimostra, cioè che T quattrino non istà in aria ma in su 1’ acqua, si conoscerà che l’acqua lo sostiene perchè non può da forze minori dello so sue esser divisa, tenendosi ella forte, come si vede, c non cedendo solamente. Discorso Quarto. In qual guisa V aria sia 0 non sia vera cagione di far galleggiare il solido. Nega finalmente al tutto il Galilei clic la figura possa far galleggiare solido alcuno, e s oppone ad Aristotile che afferma che ella il possa fare in alcuni. Ed in questo mi pare che 1’ opinion sua pur contraddica alle sue proprie ragioni : perchè, secondo lui, ancora 1’ aria non fa galleggiare i solidi in ogni sorte di figuie, ma in alcune particolari solamente; onde, conseguentemente, ancora ènc- DI GIORGIO CORESIO. 213 cessinato a confessare che la figura ne sia in qualche modo la cagione. Imper¬ ciocché, se P aria mediante questa e non quella figura fa galleggiare il solido, significando la parola mediante causa istruinentale, ne seguirà necessariamente che anche la figura operi qual cosa: che è quello che niega PAutore. Per cogni¬ zione della qual verità, dico ritrovarsi tre opinioni di questa cosa: due estreme, una di mezzo. La prima tiene che V aria solamente operi ; la seconda, P aria e la figura; la terza, la figura sola: la prima abbraccia P Autore, volendo che P aria solamente, che si contiene nella concavità degli arginetti che si fanno intorno al solido dall’acqua, sia la cagione che i corpi più gravi in essa galleggino; la se- 10 concia ò di quegli che vogliono che V aria e la figura insieme faccino P effetto. Ma lasciamo, di grazia, P equivocazione; e notisi non negarsi da noi che Paria ritenga, ma il modo di ritenere che si dice. Può dirsi, P aria in tre modi sfor¬ zare: o per predominio, come si vede nelle cose leggieri ed altri modi che l’aria ritiene; o per moto, come l’aria mossa dalla calamita tira a sè il ferro; o per simiglianza, qual si scorge nelle coppette o vero nelle putrefazioni: fuor di que¬ sti modi, se ne sta l’aria nella sua naturalità. Vediamo ora se Paria toccando ritiene: e pensa P Autore che ritenga per ragione d’ affinità con virtù calamitica. Ma questa non ò men desiderata dall’aria che da qualsivoglia altro corpo; ne seguirà adunque che ogni corpo, toccando P altro, lo ritenga sospeso ed abbia 20 virtù calamitica: il che è falso; perchè il corpo leggiere tocca, non tiene; il corpo grave non solamente tiene, ma di più spinge: adunque argomenta contra di sè medesimo. E dato che questo intervenisse all’ aria sola e non agli altri corpi, do- verebbe questo convenire a tutta P avia ; e ritirandosi ad un effetto particolare, do- verebbe l’Autore renderne la ragione: anzi questa aria, accostandosi più all’acqua, doverà essere più umida, e per questo meno tenace; il che tanto più deve l’Au¬ tore tenere per vero, quanto anche, e contra Aristotile, niega che P aria possa sostenere cose, per minime che elle sieno. Quello poi che si dice dell’ affinità o con¬ tiguità, è molto ambiguo : perchè la natura non abborrisce la contiguità in par¬ ticolare, perchè s’impedirebbono tutti i moti, ma si bene P universale, la quale no consiste nel toccare, non nel tenere, che sono effetti diversissimi : cliò il toccare significa unione estrinseca di due corpi senza violenza veruna, ed il ritenere si¬ gnifica medesimamente unione estrinseca ma con violenza, massimamente che tanto tocca chi tiene, quanto chi spinge ; e notisi come P aria spinge i corpi toc¬ candoli, come si vede ne’ moti: sia che la natura vuole tra le sue parti una certa unione ed armonia, sia che non dà mai cosa alcuna ad esse che non riguardi la constituzione dell’ universo, nè meno da lei si produce cosa alcuna a destruzzione dell’ altra, so non per accidente, volendo conservare sè stessa (perciochè se al¬ trimenti operasse, sarebbe tra le sue parti una certa discordia, simile a quella che nasce tra’ cittadini che si dipartono dall’ unione di loro civiltà), per il che 40 non viene corrotta la forma e l’ornamento primiero; onde dissero i filosofi che ‘214 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECO. cosa ninna opera senza il fine della natura, tutte le cose di alcuna e per qual¬ cuna facendosi; perché Platone, nel dialogo Della natura, distinguendo le causo in due, una chiamò necessaria e V altra divina, ponendo quella necessaria che opera per li mezzi, in quanto senza questa non si può conseguire il fine, e nominò poi il fine divino, come ottimo e simigliante alla causa prima, per il quale tutte le cose, che sono mezzi, s’incamminano; donde viene che nessuna opera contro la in¬ tenzione naturale nè contro l’altra, se non per utilità propria o comune, c per¬ ciò V una non vuole la distruzzionc dell’altra. Concludiamo per tanto che, se l’aria avesse da natura il ritenere in figura piana o in concava le materie terrestri, ne seguirebbono molti assurdi: perciochè questo contraddirebbe principalmente al-io l’ordine di natura, alla intenzione dell’acqua quanto all’ordino, non quanto alla divisione; contradirebbe alla natura terrestre, e, quel che sarebbe inconveniente maggior di tutti, la stessa aria arebbe contrari desiderii in un istesso tempo, parte volendo toccaro P acqua per la somiglianza che ha con essa, e parte volen¬ dola ritenere per 1’ affinità; onde seguirebbe che, per la contrarietà d’appetiti na¬ turali, anche avesse contrarie nature l’aria: ma se V aria è contraria secondo la caldezza e umidità alla materia terrestre, la scaccerà più tosto che terrà, per¬ chè ogni cosa più tosto vuole essere con il suo simile che con l’inimico. Sia, di più, che se, data molto maggior quantità dell’ aria che della terra, vince la terra, per essere molto densa, anzi serva la sua gravità nell’aria, con 20 questo che resista alla divisione la medesima aria; come, adunque, sarà possibile che per contatto solo abbia a vincere la terra nell’ acqua, e impedirla dal pro¬ prio luogo, una minima e così debole virtù, di natura molto rara e dissipatile ? E di poi, so poca aria sostiene poca parte terrestre, come aria, l’aria adun¬ que che circonda la terra la sosterrà tutta; che no seguirebbe che la terra non fusse nel proprio luogo: ma pur vi è: adunque la terra non è sostenuta dall’aria, e, per conseguenza, 1’ aria non sosterrà. Nè meno farà questo una parte di ossa; perciochè quello che ha una parte di essa per natura, l’averà ancora il suo tutto. Ed anche: ogni potenza la quale non viene all’atto, è invano; se adunque tal potenza è naturale, sarà invano nell’ altra aria, poi che non tien mai tal 80 materia. Si dirà con ogni ragione che non è corpo, nel mondo, fatto unito che desideri esser diviso; anzi, cosa che si divide è divisa da altra, e nessuna cosa è divisa da sò medesima. Ora, presupposto questo, domando se l’acqua resiste dividen¬ dosi: se non, adunque non sarà corpo sullunare, perchè il corpo, come corpo, mai si divide da sè; se resiste, dunque l’aiuto dell’aria è invano, perchè se l’aria può sostenere certi corpi sottili, non sarà impossibile che V acqua, corpo molto piu sodo in suo paragone, possa sostenere alcuni corpi deboli senza 1’ aiuto di essa, e, come più soda, abbia a tenergli molto maggiori di quelli. Sia la prima esperienza tale. Pongasi nell* acqua un vaso, di qualsivoglia mate- 4° DI GIORGIO CORESIO. 215 ria pili grave di essa, e, per 1* avversario, galleggi per l’aria contenuta nella sua concavità; pesate due corpi di medesima gravità, ma disuguali di grandezza, e dipoi mettete dentro a quel vaso or rimo or l’altro: tanto si sommerge con l’uno, come con l’altro. Or, se l’aria ritenesse, non doverci)bono ugualmente som¬ mergersi, essendo in uno maggiore copia d* aria che nell’ altro ; l’aria, dunque, o non ritiene, o tanto ritiene la poca quanto la molta: il che è assordo, perchè uni¬ versalmente cresce la virtù dell’operare, estendendosi più la forma nella materia; perchè, sebbene la forma in sè stessa cosi in una quantità come nell’ altra non riceve nè più nò meno, e pur è vero che, in quanto alla potenza dell’ operare, ri¬ io ceve augumento. Presupposto, dunque, che nella maggior quantità s’ accresca la virtù, si concluderà che 1’ aria non ritenga. La seconda esperienza: empiasi un vaso di qualsivoglia materia men grave dell’acqua, sì clic galleggi, e che tocchi per tutto, sì che cacci l’aria: bisognerà dire una delle tre cose, o che, per esempio, il legno sia fatto un composto con quel vaso che lo sostiene, o 1’ aria inclusa nel legno, o vero altr’ aria che sia re¬ stata tra il vaso e ’l legno. Il primo non si può dire, perchè il legno da sò non sostiene, ma aggrava. L’aria inclusa nel legno non tocca il vaso ; come adunque lo tiene? Quella poca aria che si contiene nella parte estrema, non può ritenere ; perchè se tutta 1’ aria inclusa nel legno non lo ritiene per aria, ma discende vio- 20 lentata dalla terrestre parte, come potrà quella poca sostenere insieme il legno ed il vaso? Nè meno l’aria che si possi pensare rimasta tra il vaso e ’l legno, può aver forza di sostenerlo; perchè se tanta poca ha virtù di ritenere il vaso ed il legno, riterrà certo la medesima* gravità o poco minore in figura sferica, perchè un medesimo peso lo porterà uno sotto qualsivoglia figura. Sì che non resta veruno scampo. E notisi pure come un tal solido galleggierà sempre tanto, quanto il peso del vaso lo sommerge sott’acqua. La terza esperienza è, che un catino di rame, fin che non tocca l’acqua, viene in giù con moto continuo; ma arrivato all’acqua, nè anche spinto, nè ripieno di quel corpo grave, si profonda. ;jo La quarta esperienza è, che se l’aria sollevasse peso per la figura piana, do¬ serebbe chi pesa a suo prò o ferro o piombo fuggir la figura piana, quale farebbe per chi compera. La quinta esperienza è, che quelli artefici che accommoclano i legni da editìzio navale, hanno solo riguardo all’acqua, e non punto all’aria. La sesta ed ultima esperienza è, che se l’aria potesse sostenere qualche nave in su, le impedirebbe il corso, perchè ritenuta non si innoverebbe. Non dico per ora de’notatovi, che pur si veggono saldi star a galla non per altro che per la figura. Concludiamo adunque, che il galleggiare, in quanto a’ corpi leggieri, procede principalmente dal predominio dell’aria; quanto a’corpi più gravi dell’acqua, io dalla resistenza del mezzo, perchè in tali 1* aria inclusa può molto poco. OPERETTA INTORNO AL «ARPEGGIARE EOO. •2 Iti Frova che V aria non potrebbe comunicare la leggerezza alla parte terrestre. La comunicanza è, o per natura, o per participazione, o per arte, o ver per uso. L’ aria non può comunicare la leggerezza alle parti terrestri per natura, perchè la tavoletta non 6 trasmutata nell’aria. Nè per participazione: perchè non pos¬ sono gli elementi comunicar gravità o leggerezza se non mediante le qualità alterataci, come sono le quattro prime degli elementi ; e però non è cosa leg¬ giera. che non sia aria o fuoco o cosa che abbia predominio da queste. Nè per uso : perchè 1 * uso non si comunica, ma si fa da sè. Non per arte, propria degli uomini. L’ aria, adunque, non può in guisa alcuna tale comunicare la leggerezza alla materia grave. io Discorso Quinto. Che la figura sola fa galleggiare il solido. Per cognizione della, verità di questa proposizione si ponga, in prima, che niuna sustanza in questo mondo sollunare opera se non mediante gli accidenti che sono convenienti alla sua operazione: in quella guisa che avviene all’artefice che ricerca gli strumenti accomodati alla sua opera, che, non gli conseguendo atti, ne viene in quella più tosto impedito che apperfezzionato ; quantunque l’azione convenga più all’ agente primario che al secondario, come Aristotile insegna nel- l’ottavo della Fisica, dicendo che la causa secondaria non opera per virtù pro¬ pria, ma per virtù della primaria; e per questo nello stesso libro dice che ’l 20 primario agente è più nobile del secondario. Per lo qual fondamento è neces¬ sario che la natura, la quale è produttrice de’ moti, adoperi qualche strumento, senza il quale non opererebbe. E perciò Aristotile, nel sesto della Fisica, per la quarta condizione necessaria al moto : Che l mobile fosse quanto e passibile. Secondo fondamento più particolare pogniamo. Se gli elementi si deono muo¬ vere, conviene che abbiano qualche figura. La figura è quantità terminata da superficie d’una 0 più linee; e questa è quantità continua e figurata. E perchè abbiamo detto che, se lo stromento sarà atto, concorrerà all’ operazione, e se no che la impedirà più tosto ; sarà ancora manifesto (essendo la figura strumento), che se ’l mobile l’avrà conveniente a dividerne il mezzo, facilmente egli se ne so discenderà più veloce, e se disconveniente, non solo discenderà con tardità, ma gliene sarà bene spesso impedito interamente il moto. Là onde, per esplicare la facilità 0 ditìicultà del mezzo, si ha da notare, nel terzo luogo, che, quanto al mobile, tal differenza nasce dall’ essere più e men grave, come Aristotile nel quarto del Cielo afferma, dicendo : < Se la virtù della gravità supererà la resistenza del mezzo, discenderà più velocemente all’ ingiù ; ma se sarà più debole, soprannuoterà il mobile che avrà tal gravità > : e quanto al mezzo, DI GIORGIO C0RE810. 217 se sarà più denso, sarà più difficile alla divisione; se più raro, più facile; e la ragione è che, essendo il denso quello che in poco distendimento contiene gran quantità di materia, e raro quello che in molto ne contien poca, ne succederà, conscguentemente, elio secondo le proporzioni delle forze del denso e del raro ne nascerà la varietà de’ moti più o men veloci. Ed in questo opera la figura. Ne seguirà finalmente elio, non essendo il resistere altro che non essere vinto, che è una privazione, come Teodoro Metochita dice nella sua parafrasi della Genera¬ zione e corruzione, che la. figura non produrrà tardità di moto operando, ma re¬ sistendo, che è privazione. E cosi non solo si dee chiamare strumento della natura io operante che desidera il suo luogo, ma impedimento e cosa operante, non col mobile, ma col mezzo: perchè, sì come la molta virtù dell’agente è impedita grandemente dalla figura, così la poca è totalmente superata da ossa; perlo- chè Aristotile, nel quarto del Ciclo, vuole che la figura piana possa far sopran- notare certi solidi, nel modo che si è detto e si dirà appresso. Perciò piglisi una materia, che nella figura sferica vada al fondo, e ridotta nella piana gal¬ leggi: dico che si farà manifesto che, volendo ritrovar la causa del galleggiare e avendo provato che non puote essere I’ aria, resterà necessariamente elio sia la figura. Perchè le cose, quanto sono più acute e più gravi, penetrano più fa¬ cilmente, e quanto sono più ottuse e meno gravi, dividono più difficilmente: 20 le materie, adunque, piane galleggiano, per lo mancamento dell’ acutezza e della gravità, toccando 1’ acqua per lo lato piano, per tali cagioni non potendo rom¬ pere la superficie della molt’ acqua; come possono fare quella dell’aria, non si potendo in essa sostenere per la debolezza del suo corpo. Là onde, paragonando le forzo dell’ aria e dell’ acqua, si potrà concludere che, se 1’ aria sostiene un corpo in alcuna gravità, 1’ acqua ne sosterrà un altro in una molto maggiore. E con¬ siderata la resistenza dell’un mezzo, maggiore, e quella dell’altro, per la maggior estensione dello parti nella figura del solido non sarà difficile comprendere come l’acqua possa sostenere le materie gravi, in paragon dell’eccesso delle forze di¬ venute, per l’accidente detto, meno potenti delle sue; servata però l’egualità delle so forze della materia mobile in tutte le parti della figura, senza pendere per qual¬ che accidente più da una che da un’ altra parte. Risposta pwrtìcolari alla proposizioni dal Discorso dal Galilei . Posti i fondamenti universali delle nostre ragioni, conviene oramai rispondere in particolare alle proposizioni del Galilei che contengono in sè cose conveniente alla nostra presente materia. Dico adunque che, di quelle che nel proemio si ritruovano, ò da concedergli quella che ‘1 mettere in carta manifesta più la verità o falsità delle opinioni, clic non fa il disputare in voce; sì perchè, tralasciando altre ragioni, colui IV. 28 218 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECO. clic non mette in carta, può sempre mai negare il suo detto ; sì ancora per¬ chè altri non può così facilmente, essendo il tempo della disputa breve e fug¬ gevole, in quel subito trascorso sceverare il vero dal falso e discoprire le fal¬ lacie delle cose che si dicono. Questo provano i proverbi seguenti : < 11 tempo solo è giudice di tutte le cose > ; e 1’ altro : < 11 tempo tutte le cose occulte con¬ duce a luce >. E concedesi altresì la sentenza d’ Alcinoo, che ’l filosofare dee essere libero. Ma che dobbiamo stare nella ragione, e nell’ autorità no, non lo con¬ sentiamo; perchè è palese che gli uomini grandi fecero sempre grande stima del- 1’ autorità, e Aristotile se ben disse : < Amico Socrate e Platone, ma più amica m’è la verità >, nulladimeno citò spesso nelle sue opere diversi autori: ed ènne lara- io gionc, die ’l volersi partire dall’autorità seguita da un consenso grandissimo di savi, e massimamente senza esperienze e ragioni evidentissime, è veramente una cosa temeraria, e porge sospetto e occasione giusta di dire che uomo non intenda la cosa più tosto, o vero abbia mente inchinevole naturalmente al falso. A con¬ fermazione di ciò, è da considerare che da Aristotile, sì come non è mai rifiu¬ tata la ragione per l’eccellenza del senso, così nè V autorità ancor che la ragion prevalesse; perciochè è una maraviglia della natura che ella in ogni scienza e arte abbia prodotto il sovrano maestro, avendo divisamente in alcuni soggetti adoperato 1’ultimo di suo magistero, ed in quelli pur dimostrato le bellezze delle sue idee, additandone gli altri che là si riferiscono c prendano la norma. so Ma lasciamo questi preambuli del Galilei, e vegniamo alle proposizioni clic fu¬ rono cagione che egli componesse il sue» Discorso. E cominciamoci da quella che dice, che in una conversazione di letterati fu detto che ’l condensare era proprietà del freddo, e glie ne fu addotto 1* esempio del ghiaccio; a’quali contraddisse, affer¬ mando che 1 ghiaccio era più tosto acqua rarefatta: il che crede avere primie¬ ramente dimostrato, perchè egli sta agalla (clic se fosse acqua condensata, per esser divenuto, per la condensazion. più grave, non vi starebbe altrimenti) e, l’al¬ tra ragione, perchè Y acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, segno, come dice, di rarefazione. Alle quali ragioni rivolgendomi, dico che la seconda non è vera, cioè che l’acqua nel gelarsi cresca di mole da per s<\ affermandosi il contrario: so ed alla prima dico che ’l ghiaccio, detto dall’ agghiacciamento e costringimento fatto dal gran freddo, si rarefò per accidente, come in molte altre materie in¬ terviene; perchè, ristrignendosi in esse alcune parti, alcun’altre per necessità escono, non essendo atte a congelarsi ; c così le dense si rarefanno, e si generano perciò entro di loro alcune porosità, nelle* quali penetrando l’aria chesi ritruova congiunta al freddo, vi riman rinchiusa (non dandosi il vacuo) ; le quali cose in¬ sieme divengono causo del galleggiamento suo. Ed argomento di ciò è il vedere che 1 cristallo, condensato dal freddo, è trasparente, per la mischianza dell’aria e dell’ acqua, come dice Erraino. Anzi il ghiaccio, per essere un poco più grave dell’acqua e, per conseguenza, dilungato dalla natura di essa per accidente, me- - ,J DI GIORGIO CORESIO. 219 diante la ragione della condensazione, essendo, secondo Alessandro, nel primo delle Quistioni, capitolo sesto, il ghiaccio acqua alterata molto, dovrebbe alquanto discendere; il che non fa, divenuto per l’aria contenuta, che supplisce e supera la gravità acquistata per accidente, più leggieri: ed in questa guisa un accidente va contrappcsando 1’ altro. La quale opinione non è invenzione nuova dell’ Autore, perchè fu innanzi d’ Averroe, nel comento decimo del terzo del Cielo, che volle che ’1 ghiaccio fosse acqua rarefatta; la quale fu da tutti rifiutata. Ma chi sa che egli non volesse dire < rarefatta per accidente >, in quanto, essendo dell’acqua uscito lo spirito e 1’ altre parti più sottili che corrispondono all’ aria, viene, in io quelle parti allargandosi che rimangono nel costringimento, il tutto a rarefarsi? Altrimenti sarebbe contro alla dottrina d’ Aristotile, che spesso esclama 1’ acqua esser condensata dai freddo; e sarebbe contro Ippocrate nel libro Dell’aria acqua e luogo, Teofrasto nel capitolo Se 1’ aria grossa o sottile conferisca alla conden¬ sazione, ad Alessandro Afrodiseo nel libro Della generazione e corruzione, a Ga¬ leno Delle facoltà de’semplici medicamenti, nel primo capitolo, nel 16 e nel 17 e altrove, a Macrobio nel libro settimo de’ Saturnali capitolo duodecimo, e Sim¬ plicio, e altri infiniti. Il Galilei dice che di poi gli fu risposto, che ’l ghiaccio stava a galla per la ragion della figura larga; alla qual cosa contraddisse, asserendo che la figura 20 non era cagione di fai* galleggiare o andare al fondo. Ma di questo parleremo al suo luogo, e volgeremo al presente il nostro ragionamento a quello che egli va ricercando, cioè la intrinseca e vera cagione dell’ ascendere alcuni corpi solidi neH’acqua e in quella galleggiare, o vero discendere; ove egli asserisce, non acquie¬ tarsi interamente nella ragione data, da Aristotile, e perciò conclude, con Archi¬ mede, essere 1’ eccesso della gravità dell’ acqua che supera la gravità di quelli. Nella qual cosa dovrebbe pure acquietarsi, poiché non solo per la ragion d’Ari¬ stotile, ma per la natura ancora della cosa stessa, è noto appresso a tutti gli uomini che, quanto la cosa è più grave, vada tanto più in giù. Anzi Aristotile in poche parole esplica chiarissimamente la cosa ne’libri del Cielo e in altri luoghi: so che le parti per intrinseca inclinazione vanno al proprio luogo, chiamando intrin¬ seca inclinazione la gravità o vero la leggerezza; e la cagione ne’ misti dichiara in una parola, farsi il moto loro dall’elemento predominante. Ma è ben da con¬ siderare, contro ali’ Autore, che non conviene chiamare la gravità intrinseca e vera cagione, concorrendo ella all’ operazione come potenza solamente e non come intrin¬ seca causa, appartenendo questo alla natura della cosa o almeno alla densità, come vera causa se bene accidentale. Ma gli principi sono molti: il cielo, il generante e qualche volta il togliente lo impedimento, la forma (la quale se sia principio sola¬ mente passivo o attivo, o attivo e passivo, non è al proposito), la densità e la gra¬ vità. E Alessandro Afrodiseo, nel primo dell’Anima cap. 2, dice: < Il caldo e ’l secco io facciamo spezie di fuoco, e da questi e in questi è generata la leggerezza >. E ’l 220 OPERETTA INTORNO AL (Ul.LKOOIARK EOO. medesimo si può dire della gravitò, cioè esser generata dalla freddezza ; tralasciando la disputa so la qualità degli elementi siano le forme loro, dicendo solamente che ancora le alteratrici qualità sono principi de’ moti. Però si conclude che, volendo insegnare il Galilei ad Aristotile i principi, vada cercando di portar la luce al sole: il quale, mentre cerca esplicare il più o ’l meri grave, parve che non si curi di abbassare i termini filosofici. E, primo, por formar una spezie ricerca due cose, ugualità di molo e di gravità, che sono tra sò molto differenti, trovandosi l’una senza l’altra: come, dunque, forma un’essenza di due enti così separati? Oltre che, il più e ’l meno non mutano spezie: come, dunque, più o men grave potrà mutarla? K di poi, dà al legno la gravità assoluta; e pure è di sua natura leg- io giere. E nondimeno, acciò che per la varia significazione de’ termini non s’oscu¬ rino i concetti, dicasi di medesima grandezza e gravità, non di medesima gran¬ dezza, nè gravità di medesima grandezza, ma non gravità di medesima gravitò, ma non grandezza. Adduce poi le proposizioni matematiche, le quali sono: I corpi che soprannuo- tono, deono essere men gravi dell’acqua; e quelli che vanno al fondo, più gravi di essa. Queste proposizioni appella l’Autore vere, ina difettose: le quali vera¬ mente non sono difettose, come egli dice, per tal accidente della trave; perchè, ben die la trave fosse di mille libbre, potrà forse galleggiare sopra un’ acqua di cinquanta, por essere per natura più leggiere dell* acqua mediante l’introclusa 20 aria e la resistenza dell' acqua. E ben vero che si ricerca proporzionata quantità di acqua per sostenere la trave, quale è quella di cinquanta» libbre messa in stretto vaso; sì che interverrà il medesimo alla trave come alle navi, che per mare galleggiano sostenute dall' acqua sola che circonda attorno. Al che se avesse avuto riguardo l’Autore, non si sarebbe maravigliato della trave galleggiante in acqua di minor peso, ma più tosto che poca acqua in un bicchiere sostenga un altro bicchiere carico di qualche sasso e, per questo, assai più grave. 11 medesimo interviene negli altri vasi. Clio si dirà adunque? forse che le cose gravi non possi no acquistare il luogo loro naturalmente? non diro io già questo; ma solo per accidente, quale è la figura. L’Autore pone l’aria. 0 qui è la nostra disputa ; e per questo, più acciden- 80 tale che essenziale, egli esclama contro la figura, e la disputa è, se 1’ aria tiene, o vero l’acqua; perchè la medesima ragione che muove Aristotile a riguardare la figura per conto dell* acqua, la medesima poteva persuadere il Galilei a metter la figura per ragione dell’ aria. Anzi nella resistenza dell’ acqua esso da sè stesso discorda in più luoghi; imperocché ora dice clic l’acqua resiste, ed altrove dice che non contrasta punto: basta che l’Autore niega l’invincibile resistenza del- 1’ acqua. Ma perchè il Signor Buonamico, conforme alla dottrina del suo maestro, inse¬ gna che ne’ moti degli elementi siano congiunte 1* inclinazione con la divisione del mezzo, in che riprese Archimede che afferma, i solidi che galleggiano non 40 DI GIORGIO OORE8IO. 221 esser più gravi dell’acqua; ne fu ripreso dal Sig. Galilei: defendendo ora noi la dottrina peripatetica, ne verrà anco difeso il Buon amico. Il quale, nel quinto libro del Moto, non si quieta nel detto di Archimede, essendosi poco innanzi fidato nel detto di Seneca, che i sassi e uomini senza notare soprastiano in cer- t’acque; e pure i sassi sono più gravi dell’acqua. Ora, se l’esempio sia vero o no, cerchilo chi non crede a Seneca: a me basta che la dottrina sia vera. Ma ve¬ niamo noi ad altre sperienze. Si vede che il piombo e F oro galleggiano, sì per la figura, sì per la piccolezza; e puro non è dubbio che sono per natura più gravi dell’acqua: onde assolutamente può esser vero il detto d’Archimede; ma posta io la divisione del mezzo, per molti riguardi può riuscire falso: e però Aristotile, nel secondo della Metafisica, diceva che F esquisitezza del parlare intorno alle cose matematice non bisogna ricercarla in tutte le cose, ma solamente in quelle che non hanno materia. Non basta, dunque, dire che non galleggia il più grave, ma bisogna aggiugnere < che divida il mezzo > ; perchè non lo dividendo, senza dubbio gitllcggerà, e dividendolo si affonderà, come disse Aristotile nel quarto del Cielo. E però F Autore più tosto dorerebbe dimostrare la leggerezza del ghiaccio perchè posto nel fondo ritorna a galla, che perchè galleggi: ed allora avrebbe concluso : < adunque il ghiaccio è aereo alquanto >, poi che ogni solido che sta su F acqua è aereo. E per chiarezza maggiore diciamo che delle cose galleggianti, altre per la 20 sua natura galleggiano, come più leggieri, altre o per la figura o per la piccolezza, ancorché più gravi, non si sommergono. Ora la disputa nostra è di quelle cose che non per la leggierezza, ma per la figura, stanno a galla; il che non solamente conviene alle cose gravi, ma aiuta anco le leggieri, che per la figura si tuffano più o meno difficilmente. E per ritornare alla divisione, guardisi come un legno non solo galleggia perchè è aereo, perchè così l’arerebbe l’aria sostenuto in alto come fa la paglia ed altri minutissimi corpi, ma anche per il sollevamento del- 1’ acqua, in modo che F aria resista per starsene al proprio luogo, F acqua poi resista al terreno del legno per non dividersi, e più per conservarsi che per opporsi ad altri: cliè se l’acqua cedesse, arriverebbe anche il legno fino al fondo, so non essendo V aria bastante a sostenerlo, come già si è detto. Ora, che la gravità presupponga la divisione, con due ragioni si può dimostrare. La prima è : 1’ an¬ dare o non andare a fondo si fa trapassando o non trapassando, che avviene per la maggiore o minore resistenza, e questa dalla maggiore o minor densità, es¬ sendo più o meno parti unite : ma la gravità nelle cose sollunari ò effetto della densità: adunque la densità ò la principal causa della facile o difficile divisione; e non la gravità, se non secondariamente. L’altra ragione è, che, tolta la difficoltà di dividere il mezzo, non ci sarà cagione per che il più grave più presto si muova del raen grave; perchè altrimenti si caccierebbe in giù dal mezzo quello die fusse men grave con prestezza maggiore. Qui fu ripreso il Signor Buonamico, •io quasi abbia detto che un vaso di legno pieno d’acqua se ne vada al fondo: e OPERETTA INTORNO AL UALLKUOIARK ECO. 222 non hì avverte che quel filosofo non afferma che vada o che non vada, ma presui>- posta F esperienza ne rende la cagione, o confessa che questa esperienza è dif¬ ficile a strigare; basta che sia viva la sua ragione, che V acqua, movendosi in giù, aggrava per non essere al proprio luogo. Quanto al sospetto che potrebbe dare Archimede, non avendo fatto menzione della divisione del mezzo, ma solamente toccato il cacciamento dell* acqua, come causa di tornare a galla i solidi men gravi di lei; il Signor Galilei dice che si potrebbe sostenere per verissima la sentenza di Platone e di altri, che megano assolutamente la leggerezza, centra il lhmnamico ed il suo precettore Aristotile. Averci qui desiderato che il Galilei avesse detto, se sa che Anassimandro e De-io mocrito mettevano V universo infinito, dove naturalmente non può dirsi nè su nè giù: il che ancora negò Timeo, appresso Plutone, per cagione dell'assimiglianza; diè, per essere il mondo sferici», ha solamente V intorno e mezzo, de* quali nè Y uno nè l’altro può aver su e giù (poi che il mezzo è nel mezzo: e V intorno, verso il suo antipode, sarebbe sopra e sotto); voleva ancora che tutti gli elementi l'ussero gravi, acciò che potessero restare nel proprio luogo. Ma Aristotile, considerando nel inondo l’estremo e mezzo, chiama l’estremo sopra e’l mezzo sotto, e che na¬ turalmente il sopra prima sia del sotto, sì come il destro del sinistro ; sì che non per l’assiiniglianza circolare, ma per la differenza dell’estremo al mezzo, vuole Aristotile che altro sopra, altro sotto, possa chiamarsi. Ora, essendo tre sorti di 20 moti, cioè secondo la grandezza, secondo la qualità e secondo il luogo, non meno nel moto locale si fa la mutazione da un contrario all’ altro, che la si faccia ne gli altri moti. E contrarii sono, secondo il luogo, sopra e sotto, e ne rende Alessandro la cagione: perchè F istesso, come tale, non può essere in cose contrarie; e però il soggetto allora si dice mutarsi, quando lascia la prima forma e ne piglia un’altra. Ora, essendo il luogo forma, e movendosi il mobile dalla potenza all’atto, ed essendo questo moto naturale, poi che n’ ha il mobile principio in sò stesso, no segue chia¬ ramente che *1 fuoco si muova insù, non per cacciamento de’ corpi più gravi, ma per sua natura. Ed io, conforme ad Aristotile, domando ora se il fuoco abbia moto naturale 0 no: non si può negare ch'egli non l'abbia, perchè si darebbe so natura senza moto; 0 avendolo, non può all ingiù: bisogna, dunque, che abbia po¬ tenza a salire, perchè si muove ((nello che può e non quello che non può: questa potenza chiamiamo leggerezza. Onde se egli non fusse inclinato per natura al suo luogo, ma elio vi andasse cacciato, tal moto non gli sarebbe naturale, ma fuor di natura; poi che tal principio non è a lui intrinseco nè naturale, ma del tutto estrinseco e violento. È, adunque, leggiero il fuoco per sua natura, e non per pri¬ vazione: anzi vediamo, e lo nota Simplicio, che il maggior fuoco più presto si leva in alto che il minore, il quale p ir dovrebbe esser men grave che il maggiore. I* analmente, tutto quello che si è detto della resistenza del mezzo, qua si appar¬ tiene. Si concede bene da noi il cacciamento, per non darsi il vacuo e per la 40 m GIORGIO COKKSIO. 223 continuità che cleono avere le parti ; ma quel che importa è la divisione del mezzo. Quell'esperienza che adduce, che 1’esalazioni ignee più velocemente ascendono per r acqua che non fa l’aria, vorrei ch’egli dicesse donde ha tal esperienza, e se mai ha visto tali esalazioni ascender per 1' acqua ; perchè nè io, nè altri con i quali abbia ragionato di questo, siamo stati di vista tanto acuti, che le ab¬ biamo potute discernere. Dice poi, contra il Bnonamico, clic tanto è considerare ne* mobili il predominio delli elementi, quanto l’eccesso o ’l mancamento di gravità; e però, tnnt’è il dire che il legno dell’abeto non va al fondo perchè ha predominio aereo, quanto il io dire, perchè è men grave dell’acqua. Si risponde, molto meglio essere il dire che galleggia il legno per il predominio aereo che per esser men grave, perchè nel legno notante si donno considerare due cose: 1’una è l’immergersi alquanto nel- Tacqua, l’altra è il non sommergersi: quella viene per ragione della terra, questa per la ragione dell’aria clic si contiene in esso; a quella fa l’acqua resistenza, con questa non ha combattimento veruno, eh è non cerca 1’ aria andar sotto acqua; e pur con questa dorerebbe esser la contesa, se V acqua resistesse al men grave. Oltre che già si è provato che anche i più gravi galleggiano; sì che la cagione immediata del galleggiare non è 1’ essere men grave doli’ acqua, ma il predominio aereo, con la resistenza del mezzo, come si ò detto. 20 Comincia il Galilei con l’esperienze a dimostrare che la figura non operi nel galleggiare. E 1’ esperienze sono : la prima d’un conio o piramide, fatta d’abeto, cipresso, cera, o altra materia simile; ed afferma che ugualmente tanto la parte larga, quanto V acuta, del conio o piramide, penetra 1’ acqua; donde raccoglie clic niente operi la figura. Al che, primo, si risponde, non essere tale esperienza a pro¬ posito; di poi, concludere cosa falsa. Non è a proposito : perchè quando parliamo della figura piana, intendiamo una figura assolutamente tale, quale potria essere una tavoletta d' ebano o un quattrino ; ma quando l’Autore parla del piano del conio o piramide, parla di una sola parte, e perciò non è maraviglia clic ’l piano della piramide, per gravità del resto, si sommerga fin tanto che non ritrova so tant’acqua a sostenerlo. Se poi, rivolgendo la parte acuta verso l’acqua, si vedrà che tanto della parte più larga resterà Inora dell’acqua, quanto ne restava fuori volta per l'altro verso; la ragione sarà, perchè quando le forze del grave im¬ posto superano le forze dell’acqua, tanto vincerà un corpo più grave, quanto un men grave. E bisogna ben notare, che quella parte della piramide che è più fa¬ cile a dividere 1’ acqua, è più difficile a essere sospinta; e per il contrario, la parte clic è più larga, come è più difficile a fendere, cosi è facile ad esser cacciata: tal che simili esempi non fanno a proposito. Poi, che concludono cosa falsa, si vede chiaramente, fermandosi la piramide tutta (piasi in un punto dalla parte acuta, e in larghezza dalla base, cioè in più punti ; e più difficilmente trapassano •io più punti che uno: donde si conosce che lo stesso Autore, forzato dalla verità, dice (li sotto che più velocemente vada al tondo una palla che una tavoletta piana della medesima materia; che da altro non può derivare che dalla figura. Il me¬ desimo si può dire de* cilindri, le parti de’ quali si profondano per la gravità di sopra che gli spinge. Quanto all 1 esperienza della cera, si vede che ella violen¬ temente è portata sotto dal piombo, e sollevato il piombo violentemente dal su¬ ghero; sì che in questo violenze non si può vedere quel che operi la figura. E se tale esempio valesse, varrebbe anco contro la natura, che spesso viene violentata. Kd in tutti questi esempi si vedrà la diversità dell’operare in diverse ligure, se¬ condo il più o inen veloce. In quanto jhh a quello che si dire, tanto andare al fondo una tavoletta quanto una palla quando saranno poste nell* acqua, ed esser io poste nell* acqua intende, secondo la dilfinizione del luogo data da Aristotile, esser circondata dall’acqua, e che la tavoletta non si può dir posta nell’acqua, ma sopra l’acqua, non essendo ella circondata dull’acqua; si risponde che il ricercare se l’ebano quando non ò bagnato sin sopra V acqua o nell* acqua, non fa al pro¬ posito di quel che si ricerca: perchè si tratta chi* cosa sia quello che lo fa gal¬ leggiare quando non è bagnato. Oltracciò, lamentandosi I’Autore de gli avversari che posano 1 ’ebano, non bagnato, sopra e non nell’acqua, possono anche quelli ricercare da lui, perchè, bagnato V ebano, non ni posi nell'acqua, cioè nella super¬ ficie, ma sotto la superficie dell'acqua. Diciamo, dunque, che questi sono rispetti relativi e differenze di lungo, clic non tolgono V essere una cosa nel luogo. Chè 20 essere in luoijo , parlando però propriamente del luogo, si può intenderò in quattro modi: 0 in quiete naturale, cioè quando il mobile si quieta naturalmente; 0 in quiete fuor di natura, (piando il mobile si quieta per essere impedito; 0 nel moto naturale, quando si muove al proprio luogo; o noi moto violento, quando è del proprio luogo cannato: ora 1 ( ebano, o vero il quattrino, si dice essere in luogo, mentre elio è nell*acqua fuori della natura sua; perchè se l’acqua che sostiene tal solido non lusso luogo di quella {iurte che tocca, ne seguirebbe che quella parte contenuta dall'acqua non funse in luogo, cosa pur troppo assorda. Quello poi clic l’Autore aggiugne, dover essere il luogo della medesima natura, cioè tutto aria o tutto acqua, si vede nella natura il contrario: chè la terra è parte circoli-SO data dall’aria, parte dalTacqua. come ed altri* cose patiscono il medesimo. Quello poi che l’Autore sogghigno, che la medesima figura piana non possa essere ora causa di quiete e ora di tardanza di moto; si risponde che il solido molto dila¬ tato perde della sua forza, e sopra di lui 1 ’acquista di modo il mezzo, che lo so¬ stiene e ferina: il che non avvenendo in molti, per non essere molto dilatati, divi¬ dono il mezzo, e tanto più velocemente o più tardamente si muovono, quanto sono più o meno atti a dividere il mezzo resistente. Onde si vede nell’acqua stessa altri corpi galleggiare, altri andare al fondo, chi più presto 0 chi più tardi, secondo la maggiore o minore estensione: tal che la figura giova alla quiete ed alla tardanza, secondo diversi modi e rispetti. 1)1 GIORGIO CO litigio. 225 Dice di poi: < Eleggasi un legno o altra materia, della quale una palla venga dal fondo dell’acqua alla superficie più lentamente che non va al fondo una palla d’ebano della stessa grandezza, sì che manifesto sia che la palla d’ebano più prontamente divida P acqua discendendo, che Y altra ascendendo; e sia tal materia, per esemplo, il legno di noce. Facciasi dipoi un’assicella di noce simile ed eguale a quella d’ebano degli avversari, la qual resta a galla: e se è vero che olla ci resti mediante la iigura, impotente, per la sua larghezza, a fender la crassizie dell’acqua, l’altra di noce, senza dubbio alcuno, posta nel fondo, vi dovrà restare, come manco atta, per lo medesimo impedimento di figura, a dividere la stessa resistenza delPacqua >. Rispondo, secondo io il maestro del Galilei, che l’acqua scaccia in su le cose più leggieri d’essa; e però la figura, non avendo nessuna natura in suo aiuto, non può fare la quiete, conio la fa nelle cose più gravi d’ essa acqua, avendo il mezzo cooperante per non di¬ vidersi. Rispondo, di più, che, secondo il Gallilei, ogni solido penetra l’acqua; onde sarà necessario, per levare il vacuo, che Y acqua sottentri alle cose leggieri e le mandi in su per coltello, il che non interviene nelle cose più gravi dell’ acqua. Rispondo anco, che la cosa leggiera non può stare nel fondo, per qualunque com¬ mozione diesi faccia nell’acqua ne l’intrare il corpo e poi nel ritornare l’acqua nel proprio luogo, le quali parti cercano riunirsi; non così nella parte di sopra, per ragiono delia siccità. 20 Segue l’Autore che < dell’andare a fondo la tavoletta l’ebano o la sottil falda d’oro, ne è cagione la sua gravità, maggiore di quella dell’acqua, e del galleg- i giare la sua leggierezza, la quale, per qualche accidente forse sin ora non osser¬ vato, si venga a congiungere con la medesima tavoletta, rendendola non più, come prima era, mentre si profondava, più grave dell’acqua, ma meno; e tal nuova leg¬ gierezza non può dependere dalla figura, sì perchè le figure non aggiungono o tolgono il peso, sì perchè nella tavoletta non si fa mutazione nessuna della figura, quando ella va al fondo, da quella clic l’aveva mentre galleggiava >. Qui si con¬ tengono più dubbi che parole. Primo, già si è dimostrato che anco le cose più gravi dell’acqua galleggiano in essa; onde non è vero quel elio si dice, che ne no sia cagione la leggerezza, la quale meglio si diceva minor gravezza. Quell’ acci¬ dente, poi, che si dice fin ora non osservato, dall’ Autore forse non è osservato, ma gli altri sanno esserne cagione la figura: la quale assolutamente non muta il peso; ma che ella non trattengala tavoletta, si niega, e tocca a lui provarlo; il che non fece, sì come si è dimostrato, e però potè il principio il Galilei nostro. E per (lare in questa parte qualche sodisfazzione, quando si dice che la figura non dà nè toglie peso, bisogna avvertire che il peso si può intendere in due modi: o al quanto della gravità del corpo in sè stesso, alla quale non importa la figura, perchè un corpo sotto qualsivoglia figura sarà sempre del medesimo peso; o vero in quanto al mezzo, rispetto il quale la figura senza dubbio fa riuscire il corpo 40 più o meno grave: perchè se sarà di figura sferica, toccherà a poca parte del IV. 29 OPERETTA INTOUNU AL GALLEGGIARE ECO. J2G mezzo sostenerlo, ma se sarà di tigura piana, sarà da pia parti sostenuto ; e per questo sarà men grave in questa che in quella figura, non altrimenti che più uomini da un medesimo peso vengono meno aggravati che i pochi. Dice di poi, esser falsa la dottrina d’Aristotile e degli avversari < cioè che la ta¬ voletta resti a galla per la impotenza di fendere e penetrare la resistenza della era* sizie dell*acqua; perchè manifestamente apparirà, le dette falde non solo aver pe¬ netrata l’acqua, ma esser notabilmente più basse che la superficie di essa >. Si risponde che non si farà, quant* al presente, differenza nessuna tra lo spingere ed il penetrare, se bene alcuni la fanno, avendo opinione dm il quattrino o l’ebano più tosto faccia l’acqua essere spinta in giu che penetrata: ma questo poco importa, io perchè si chiama galleggiare il rimanere su l’acqua, cioè non profondandosi il corpo sotto l’acqua: per la qual causa non già si niega mai il subintrare alquanto, secondo le parti, il corpo galleggiante jht ragione della maggiore o minore partecipazione terrena, che ricerca proporzionate parti del mezzo a sostenere le parti terrestri; altrimenti si negherebbe anco che 1 legni stiano su l'acqua, poi che anco quelli subentrano, secondo le parti, nell’acqua: ina sia, di grazia, la nostra disputa del galleggiare, il che vuol dire < non profondarsi tutto il corpo sott’acqua >. Va di poi dicendo: < Ma se ella lui già penetrata e vinta la continuazione del¬ l’acqua, ed è, di Nini natura, della medesima acqua più grave, per qual cagione non sóguita ella di profondarsi, ma si ferina e si sospende dentro a quella piccola cavità 20 che co ’1 suo peso si è fabbricata nell’acqua? Rispondo: perchè nel sommergersi sin che la sua superficie arriva al livello di quella dell’acqua, ella perde una parte della sua gravità, e 1 resto poi lo va perdendo nel profondarsi e abbassarsi oltre alla superfìcie dell’acqua, la quale intorno intorno le fa argine e sponda; 0 tal per¬ dita fa ella mediante il tirarsi dietro e far seco discendere 1 ' aria superiore e a sè stessa, per lo contatto, aderente, la qual aria succede a riempiere la ca¬ vità circondata da gli arginetti dell’acqua; sì che quello che, in questo caso, discende e vien locato nell* acqua, non è la sola lamina 0 tavoletta d’ebano o di ferro, ma un composto d’ ebano e d’ aria, dal quale ne risulta un solido non più in gravità superiore all* acqua, come era il semplice ebano 0 ’l sem- 80 plico oro >. Per risposta diri», come l’Autore si fida troppo nell’aria, refugio troppo debole; e pur sa che la natura non se ne cura troppo, che l’ebano 0 il quattrino 0 altre cose simili stiano a galla, essendo questo effetto della volontà o vero arte, che spesso hi oppone alla natura, con questo che anco la imita: per il die la natura non arebbe dato all’ aria tal proprietà, contro il suo ordine e contro la natura dell’aria istessa, di sostenere su l’acqua le parti terrestri. E che sia contro la sua natura, è manifesto: poi che l’aria più conviene, per ragione del- 1 umidita, con 1 acqua che con la terra, contraria a essa tanto nella qualità at¬ tua (ome passiva; onde la terra più tosto sarebbe scacciata che ritenuta, come impedimento dell ordine della natura. Diamolo, dunque, alla resistenza dell’acqua; 40 DI GIORGIO ('ORtiRIO. 227 flovc meglio si vede la prudenza della natura, che vuole unite le parti, come le lece, e non separate. Non si niega il tenere dell’aria per ragione della resistenza, perchè tal modo veramente è naturale: ma ben si niega il tenere per contatto, poi che. oltra lo dette esperienze in principio, è pure chiaro che, levata la conti¬ guità d’alcuni solidi che galleggiano con qualche cosa fluida, non si vedono pro¬ fondarsi, anche ohe sia il fluido piti grave dell’acqua. K non si vedo con gli occhi nostri che alcune figure, quanto più entrano nell’acqua, tanto maggiormente si sostengono? e pure dovrebbe essere il contrario, poi che si sminuiscono le forze dell'aria negli arginetti. per essere «li minore quantità d’aria e, per conseguenza, io di minore virtù. Nell’ebano galleggiante appariscono tre cose: la prima, che alquanto discende; la seconda, che fa sponde; la terza, che non si sommerge: ora ricerca la causa della terza apparenza, massimamente essendosi così affondato, e dice essere l’aria contenuta in quella cavità che si la tra V ebano e gli arginetti. Contra a questo, argumento così: Nel modo medesimo tocca l’ebano l’aria innanzi che si profondi, che doppo latti gli arginetti: ma innanzi non lo sostiene: dunque nè anche «leppo non si può dir che l’aria, toccanti* gli arginetti, sostenga l’ebano; perchè non lo tocca, adunque non Io tiene. Nè si può dir che quest’aria rinforzi quella che tocca l’ebano: perchè in simili corpi l’una parte non rinforza l’altra, avendo ciascuna 20 la sua perfezzione per natura, e senza nessuna varietà non variandosi la natura. Di¬ ciamo, dunque, che l’ebano discende alquanto, perchè le prime parti dell’acqua non sono bastanti a sostenere quel peso; e però si ricerca più copia di acqua, tanto che lo sostenga. 11 medesimo interviene a’legni ed altri simili, sostenuti dall’acqua che li circonda attorno. Li arginetti poi si fanno, perchè, occupando l’ebano quella parte di acqua, bisogna «die tanta ne salga, quanta è stata 1’en¬ tratura d’esso; onde quanto più s’assottiglierà l’ebano, tantomeno s’alzeranno le sponde. E non voglio tacere che l’acqua non trascorre per quella tavoletta, perchè fugge la siccità, sua contraria; come si vede l'acqua alzarsi versata nella terra secca, e correre per la bagnata. Concludiamo, dunque, che l’ebano non si 30 sommerge per la ragione della figura, nel modo che si «> detto innanzi. Quello poi che dice, clic dell’aria e dell’ebano se ne fa un composto; doveva prima a simil composto trovargli nome, c mostrare come per il solo contatto si faccia composizione. K pur io credevo che la composizione dell’aria e della terra non funse in altro che nel misto, nel quale concorrono i restanti duo elementi a pro¬ durlo tutti insieme; i quali, doppo la pugna ridotti in una contemperanza e per «issa in una concordanza, ancorché siano contrarii c per un rispetto inimici, per un altro divengono poi amici. In questa guisa dice Ermino, nelle sue Quistioni tìsiche, che nella medesima parte di corpo si ritrovano gli elementi contrari; ma che sia un altro modo nuovo di composizione tra l’aria e la cosa terrea, e mas- K> siraamente rimanendo 1’ una e 1’ altra cosa nel suo essere, non credo si potrà mai OPKRKTT S INTORNO U, riAt.M’jUfil AKK KU!. 228 immaginare; perchè Aristotile, nel «Ielle Parti de gli animali, pone tre modi di conip'-i/.iona, ima de gli elementi nal misto, P altra détte parti similari, e la terza delle dissimilali : poi, nel dichiararli in quel Itn .» non fa mai mendoAe alcuna di questa nuova coinpoHÌziovie ; nè menu niuuo de gl'interpreti suoi nel di¬ stinguerla ne’ tre modi, cioè di potenza «• d' atto •• di «ohi |wrf«tte, le quali o si fanno per aggiunzione o per mistione u |*r m. m uglio o vero secondo la concor¬ renza delle parti discrete in un lino, come la città che ai compone di cittadini* P universo delle «uè juirti, hi* Itene che »u tale detta nupropriamente composi¬ zione. K i'Im* questa ootal composizione non aia, dimostriamolo in poche parole. Perché nella composizione •* qualche unione, è ninv^no che consideriamo quattro io cose: cioè la causa, le parti, il fine e’1 tempo. Quanto alla causa, non si ritrova: perchè chi le compone? Le parti come possono convenire n.-niue, eesendo in tutto e per tutto contrarie ? 11 fine, che deve èsser comune alle parti mediante hi composizione, dov'r, una Urne e P altra ita a galla ? queste non sono di¬ verse ? Il tempo, m* non si può mai Paria disgiugnere dalla tavoletta, per non darsi il vacuo, un* m ritrova? Diaamo, dunque, non essere cwniMwiziono veruna tra l'aria e lu tavoletta. Dice l'Autore più «li sotto, e**er falso che la tavoletta vada al fondo in virtù «lei nuovo peso, perchè P acqua nell acqua non ha gravità veruna. Si risponde: Che Pacqua non porti gravità, -a può intendere in dui mudi: o immediatamente, a ••ioè quando l'acqua con l'arqua è unita, •• cosi sarà vera la proposizione: perchè la naturale inclinazione è desoli rm «lei proprio luogo; conseguitolo, ni quieta e, per conseguenza, non aggra\» rà più innanzi. *d come il saziato non desidera più il cibo, come nota Simplicio. f£ pur vrr«» eh* P elemento nel suo luogo aggrava secondo 1 attitudine: e co*u ìntes* Aristotile qu«nd» di**c c he tutti gli elementi, fuor che il fuoco, aggravano nel proprio luogo; inde inteso e peggio ripreso da Tolomeo. O h intende la pro|>osu)ohe mediante un altro c«»r|Mi, e coni riuscirà falsa: parche a questo modo non meno aggrava Yu qua m U’a« «pia che qualsivoglia altro corpo; e per tanto m sommerge il va**», avendo dentro acqua, come se avesse piombo o sa8H ° : # * lu ragione for*e è qu* sta. jendn* in tal raso Ih gravità del vaso e la 30 gravità dell acqua diventa una grotta che Mipern quella dell' acqua, nella Quale per questa causa si protoni U. Replica 1 Autore, che < non è U gravità dell'acqua contenuta dentro al vaso quella che li» tini al fondo, in i l i gr ività pr«»pria del rame, superiore allagra- ^it.i in specie dell acqua: chè ti vaso |’uss«- di materia men grave dell acqua, imn basterebbe l'oceano a tarlo sotnm«rgerr >. Replico anch'io, non esser vero « li** la gravita propria del rame lo tiri al fondo; perchè, risotto Y estensione «*d H88ottigliuxKme del solido (atta dall’ artefice, h «'• in tal modo indebolita]* tnrzii, che non può sommergersi, e cosi il più forte per natura è diventato per arte più del»ole; aiutato poi dalla gravità dell'Acqua infuna, subito comincia ino DI GIORGIO COKESIO. 229 profondarsi, sì che, parte per essere spinto in giù dall’ acqua, come alieno dalla natura acquea, parte per essere in moto, per il qual più aggrava, ed anche per mutare la tigura, descende più presto: e non avvien questo nella materia no¬ tabilmente meno grave dell’ acqua, perchè sì come 1’ acqua spigne in giù le cose più gravi, così caccia in su le cose più leggiere, tanto per evitare il vacuo, quanto per il desiderio dell’unione; dove notabil cosa è il vedere nel medesimo corpo una pugna di chi lo spigne e di chi resiste. Ma se la materia sarà poco meno grave e che per esperienza vada al fondo, come io ho sentito da molti degni di fede che i legni da navigare in Germania, collegati con chiodi di legni e senza io ferro veruno, pieni di acqua vanno al fondo; io non vi saperci trovare altra ra¬ gione che quella del Signor Buonamico. Quanto allo più gocciole che, avendo maggior gravità d’ una sola, non man- dono al fondo la tavoletta, e che l una, bagnando tutta la superficie della tavo¬ letta, raffonda; fu risposto innanzi: e perù si (lice che non fa la maggior gravità al profondare il solido, ma il trascorso dell’acqua sopra osso lo fa andare in giù; per che quelle gocciole, mantenendosi qualche poco di siccità sopra la tavo¬ letta, non la manderanno mai al fondo. Kd è da considerare come l’Autore all’op¬ posizione che ha dato contra la risposta che la tavoletta bagnata andassi al fondo per il desiderio delle parti superiori dell’ acqua d’ unirsi con l'inferiori, non fu 20 vero che, se concludesse la risposta degli avversari, anco le inferiori parte d’acqua spignerebbono in su la tavoletta: perchè l’acqua per sua natura non ascende mai ; filtro clic, le parti hanno bisogno del tutto, e non il tutto delle parti; massima¬ mente che le parti elementari rimanendo in più per fez/ione clic le parti degli animali, non sono tanto desiderose del tutto, perchè senza quello godono le loro operazioni perfette ; e però il tutto non ricerca le sue parti, rimanendo anco questo perfetto senza quelle, per la medesima ragione. Forse alcuno di quei sitinol i etc. (pag. 101. lì«. 86 e seg.] Innanzi che risponda, notisi clic, i principii messi dall'Autore nel principio del suo trattato saranno di poco valore: perchè se l’aria ritiene le cose più gravi dell’acqua, la conclusione non è por 30 sè, ma per accidente; ma i principii d'Archimede parlano per sè; adunque è difettosa l’opera del Galileo, c più tosto contraria a’ principii che favorevole. L’Autore in que¬ sta materia va dimostrando la roteazione dell’aria con tre esempi: il primo è che una palla di cera asciutta va a galla, e bagnata, aggiuntovi un poco di piombo, va al fondo; e di poi, sollevata dall’aria del bicchiere spinto in giù rivolto, sta a galla. Per risposta s'ha da notare contro l’Autore, primo, che egli non vuole che l’aria operi su corpi bagnati, e ora dice che l’aria porta in su la palla bagnata: secondo, erra volendo che l’aria sola la porti in su; e pure tale effetto appartiene principalmente all’acqua, che muovendosi muove le cose in essa; anzi l’aria si porta dalla terra e non porta la terra: terzo, noi disputiamo se l’aria per contatto sostiene; ed egli 40 va mostrando che porta per moto : quarto, che la palla bagnata va al fondo per 230 OPKBBTTÀ INTORNO AL OALLKlHIIAKK EC('. esser bagnata; e pure, parendo miracolo che ritornando dal fondo non abbia ad essere bagnata, non rende la ragione di tale effetto; e pure poteva dire, non essere più interamente» bagnata: quinto, equivoca nel dire che la medesima aria la porti in su; perchè se intende dell’demento, questo è il medesimo; se intende della parte, come lo può sapore? nè si può conoscere una parte dall’altra in tanta quantità iV urial mescolata. Ma tralasciando tale esame e venendo alla causa, dico che ogni corpo nel muoversi, se vince V impedimento che trova innanzi, lo porta seco ; altrimenti, resta impedito e fermo : fierché, adunque, spigrendo in giù il bic¬ chiere, si caccia dal proprio luogo tanta quantità di acqua quanta importa la grandezza del bicchiere e 1' aria contenuta in esso, nel trarre fuori il bicchiere io ritorna l’acqua al luogo suo e l’aria anch'ella ricerca il suo; e così mandono per violenza in su la palla, come anche possono mandare il bicchiere in su, se non si rivolta per coltello. 11 secondo esempio è che, se tufferemo nell* acqua qualche corpo, nel trarlo Inora ella lo seguita. Si ris|Mincle che l’acqua non seguita quel corpo per ragione del contatto, ma perché, avendo quel corpo, per quanto è la sua grandezza, levato l'acqua dal proprio luogo, necessario è che, ritirandosi, 1’acqua sottentri, ac¬ ciò non resti il vacuo. Oltre che, questo non fa a proposito, disputandosi solo come l’aria sostenga: anzi tale esempio averebbe dimostrato corno 1’acqua tiene, se per il contatto un corpo tenga l'altro; e pura l'Autore attribuisco all’aria il te -20 nere per ragione del contatto e lo niega dell'acqua, se bene più difficilmente si separano i corpi dall'acqua che dall'aria, perché li sarebbe forse pericolo di le¬ vare la contiguità in universale, ma non nell’aria, poiché subito toccherebbe l'acqua, come l'aria tocca l’aria ne’ moti, non solamente ritenendo, ma di più spin¬ gendo. In che, adunque, tal esempio gli può giovare V e che vuole concludere? 11 terzo esempio è de’corpi solidi, li quali < se saranno di superficie in tutto simili, sì ('he esquisit issi inamente si combacino insieme, né tra di loro resti aria, che si distragga nella separazione e ceda sin che 1’ ambiente succeda a riempire lo spazio, saldissimamente stanno congiunti, nè senza gran forza si separano >. Si ri¬ sponde, primo, che la disputa è dell’aria contigua al solido, e non di due solidi ; 80 che separandosi difficilmente, non però ne segue che si separi con la medesima difficoltà 1 aria dal solido, come si vede chiaramente per esperienza : oltre che nè questi solidi, per tal difficoltà, uno toccando l'altro lo sospende, ma ben lo trat- tiene alquanto tin che per moto, che ha bisogno di tempo, entra 1’aria, per pe¬ ricolo del vacuo o vero della contiguità universale. K ben vero che può assai qualche simiglianza, dalla quale nasce 1* amor naturale nella natura : e segno manifesto è che non in tutti li contigui esquisitissimamente si fa tale difficoltà, 0 pure da tutti e desiderata nel medesimo modo la contiguità universale. Basta che tra l’aria e 1 solido non interverrebbe tal pericolo, nè è nessuna simiglianza; ed anche che tosse, niente fa al proposito nostro. Ma questo appartiene ad un’ altra materia. 40 DI GIORGIO CORKSIO. 231 Dice l’Autore: < ma perchè l’aria, 1’ acqua e gli altri liquidi molto speditamente si figurano al contatto de’corpi solidi, si che la superficie loro esquisitamente si adatta a quella de’ solidi, senza clic altro resti tra loro, però più manifesta¬ mente e frequentemente si riconosce in loro 1’ effetto di questa copula e aderenza, che ne’corpi duri, lo cui superficie di rado congruentemente si congiungono >. A questo diciamo che, se la contiguità meglio si fa tra corpo liquido e solido che tra due solidi, si staccherà senza dubbio più diflicilmente un solido dall’aria che da un altro solido; e pure la sperieuza è in contrario, conforme alla ragione che non vuole, essere salda la copula del corpo non saldo. Quello poi che si dice della io virtù calamitica, con salda copula congiungente tutti i corpi; non si può udire senza maraviglia che sia tanto la virtù calamitica diffusa e comunicata quasi a tutto l’universo : oltre che la calamita tira da lontano il ferro; non cosi V aria il solido, che, secondo l’Autore, congiunta lo tiene: ed in questo proposito mi sov¬ viene di Blemmida, che nella Parafrasi Politica disse, il tenere della calamità es¬ sere come fine del tirare, come quello che tira ha per fine il godere la cosa tirata. Segue l'Autore: < e chi sa che un tal contatto, quando sia esquisitissimo, non sia bastante cagione della unione e continuità delle parti del corpo naturale ?> lo vorrei che mi si dichiarasse che differenza si faccia tra squisitissimo contatto, unione e continuità. Primieramente, continuo e contiguo non è ristesso ; e due corpi, 20 ancorché esquisitissimamente contigui, non si diranno mai continui, che solo sono quelli che hanno le parti unite con termine comune, quali non sono i contigui: come può dunque la contiguità essere causa della continuità V Oltre a ciò, chiamisi, an¬ corché impropriamente, esquisitissimo contatto nelle cose continue: che differenza sarà tra esso, 1’ unione e la continuitàV Saranno senza dubbio tutt’ uno: perciochè non sarà mai uno causa dell 1 altro. Diciamo, dunque, che potendosi questa parola uno pigliare in tre modi spettanti al proposito nostro, per tralasciare ora l’equivoco e la ragione o secondo il genere o secondo la spezie o secondo il ninnerò ; sì come il genere unisce le spezie tra loro differenti, e la spezie gl’individui, cosi la forma corporea unisce le parti del corpo fra di loro separate, con maggior perfezione clic 80 non fa nè la spezie nò il genere ; onde la parte che si separa dalla forma, non si dirà già mai essere parte del tutto: e la ragione è manifesta, nè fa al pro¬ posito nostro. Ecco, FAutore intorno alla resistenza pare contradire a sè medesimo, parte ne- . gaiulo la resistenza quanto alla quiete, ma non quanto alla tardità, e parte ne¬ gandola in tutto e per tutto, come si vede in qualcuno di questi suoi esempi. Ma se P acqua non camina su V acqua, nè descende per P acqua, nè si divide da sè, nè si muove al moto d’altrui, è necessario concedere che si divide per violenza: e pur chi non sa che niun corpo desidera la propria divisione? essendo ciascuno latto dalla natura non diviso, ma continuo; e ’l contrario, allora è perfetto quando io ha le sue parti unite. Stando adunque la cosa cosi, non è dubbio che, chi volesse operetta INTORNO ai. oallkooiakk eco. 232 dividerlo, esso resisterebbe al dividente <• cederebbe allora quando fosse da forze maggiori superato; perchè cede veramente, non avendo però mancato di lare quanto ha potuto per ritardare almeno la vittoria al nimico : e Unito più resiste nel combattere, quanto è più denso. K si vede ancora per esperienza che, quando si spigne con la inailo l’acqua in giù, si sente qualche resistenza; la quale non si sentirebbe, se le parti cedessero solamente, e non resistessero: conio anche il medesimo avviene a chi va contro al vento o a ehi fende la terra. Ma torniamo allo ragioni del Galilei, elio impugnano la resistenza del mezzo: delle quali la prima é che, se fosse la resistenza, tanto sarebbe nelle parti interne, quanto nelle* prossime alla superficie. Alla quale si risponde che la cosa meno io grave dell' acqua, ancorché galleggi, si sommerge in ogni modo, più o meno se¬ condo la maggiore o minor gravità ; e la stessa acqua, secondo la maggiore o minor grossezza, sostiene più o meno la cosa che le sta sopra : come, per esempio, una nave si solleverà più nell'acqua salata che nella dolce ; come ogif altra cosa atta a salire dal fondo, salirà più presto nel mare che nell'acqua dolce. Ma torniamo alla nave, e diciamo che questo le avviene perché la cosa elio sta sopì'acqua più e meno vince, secondo la proporzione della gravità sua in paragone di quella dell' acqua ; e sosterrà più la maggior quantità che la minoro, delle parti dell’ acqua: e però sosterranno più una cosa grave le parti dell’ acqua che sono prossime alla superficie insieme con quelle che le sono lontane, che loro sole, che potrehbono 20 esser vinte dalla maggior gravità; perché, se bene la cosa ò più lieve secondo la natura, ricerca nientedimeno una certa proporzione del mezzo, in proporzione della figura e della gravità. 11 secondo argomento é che ogni corpo nell'acqua, se è grave va al fondo, se è lieve sta a galla; adunque cede, ma non resiste. Questo argomento è contro di lui: perché, se delli corpi più gravi dell'acqua, che per loro natura vanno al fondo, altri vanno più presto ed altri più tardi, e delli corpi leggieri altri s’immergono più ed altri meno, ne seguirà necessariamente che si dia la resistenza; perochè se T acqua solamente cedesse, come per termine di creanza fa al nobile il ple¬ beo, non ci sarebbe causa alcuna di varietà, perché il cedere sarebbe uno ed 30 indifferente. Adduce, seguendo, V esempio dell’acqua torbida, nella quale dice che le materie intorbidanti stanno sei 0 sette giorni a discendere al fondo: il quale esempio ia simigliantemente per noi; perché, se non fosse la resistenza, quelle particeliuzze non starebbono tanto a discendere al luogo loro, ma vi discenderebbono in un momento. Perlochè, quantunque il Galilei si dimostri di mal animo contro Ari¬ stotile, pure porta le ragioni sue in suo favore. Indi segue dicendo che non si potrà trovare minima virtù, che alla resistenza dell acqua all 1 esser divisa non sia minore : chè < se fosse di qualche sensibil potere, qualche larga falda si potrebbe trovare di materia simile in gravità al- 40 DI (i IO KG IO COKESI0. 233 l’acqua, la quale non solo si fermasse tra le due acque, ma non si potesse senza notabil forza abbassare o sollevare >. Si risponde a questo in due modi : il primo, per contraddizione, che da cose impossibili non ne segue mai niente ; impossibile ( \ che si ritrovi, quanto alla natura, cosa simile in gravità alF acqua, che non sia similmente acqua (imperciochè dato il medesimo effetto, ne seguirà sempre la me¬ desima causa; come, per esempio, data la medesima risibilità all’ uomo ed al leone, ne seguirà che tanto il leone (pianto F uomo sia ragionevole): il secondo che, dato e non concesso che fosso una cosa simile in gravità all' acqua, non avrebbe in essa luogo diterminato, ma per tutto sarebbe il suo. io Ci mancava l’esempio eh’un capello tirasse una trave per acqua: ma rispon¬ diamogli, in ogni modo, negando che nella paura eh’ altri avrebbe che e’ non si strappasse, non si sentisse un poco di resistenza: la quale si pruova manifesta¬ mente; perchè, se la trave che si tirerà avrà dalla parte clic ha da fendere l’acqua la figura più larga o si tirerà per lo traverso, dividerà il mezzo con maggior dif- ficultà che in altra guisa. Sì che questo argomento ancora, non fa contro Ari¬ stotile; perchè mossa la medesima trave secondo diversi moti, se non fosse la resistenza, tanto le poche quanto le molte parti cedendo nel medesimo tempo e nel medesimo modo, non sarchiamo più diflicultà in uno che in un altro modo; la qual differenza è nota nella differente forma di un navilio largo e stretto. 20 E venendo alle sue figure matematiche, diciamo che la proporzione che pruova in esse, non fa al proposito nostro ; perchè egli piglia per concesso in quelle la cosa che si cerca, che è errore di logica. Là onde abbiamo di già provato che la materia che sta sopra l’acqua, galleggia in due modi, o perchè di natura è più lieve di essa, o vero perchè in una certa proporzionata gravità la figura la fa galleg¬ giare. E simigliantemente abbiamo provato che quella vada al fondo, che non solo eccede nella gravità secondo la natura, ma che ha ancora le forze maggiori di quelle del mezzo o le può superare in proporzione. E similmente diciamo che egli non pruova che un solido di più grave materia debba, per galleggiare, aver l’aria che lo sostenga, come era necessario dovendo provare la sua opinione. Si con¬ ilo elude, adunque, universalmente che le parti degli elementi che si muovono al luogo loro, lo fanno combattendo e vincendo; in maniera tale che, non vincendo, non lo conseguiscono mai con la propria loro natura solamente, impedite da maggiori forze, come a un sasso sospeso a un filo avviene. Però le figure sono cagioni di far galleggiare quel solido in cui le parti non sono unite, e perciò non possono superare il mezzo cooperante con esse. Alla fine viene il Galilei a dimostrarsi più che mai inimico d’Aristotile, impu¬ gnandolo, e Democrito difendendo, e dando ancora contro all’ uno ed ali’ altro. Mi sforzerò, adunque, io non di difendere Aristotile, che non ha bisogno di mia di¬ lesa, ma, quanto potrò, dichiararlo solamente; il che farò, non perchè Aristotile 4 o fosse di nazion greca, ma per la verità: imperciochè se questa ragion valesse, IV. 30 234 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECC. nessun valente greco nelle scienze avrebbe mai contraddetto all* altro; a pur veg¬ liamo tante dispute fatte tra loro medesimi. Perloehè dico che chiunque, qual che si sia lo interesse, non pregia e riverisce la verità, non si dee veramente, il bene dello Stelletto abbandonando, stimare uomo, ma più tosto una mala bestia. Torniamocene al nostro proposito, e consideriamo le parole d\A ristatile, che sono : « Le figure non sono causa del muoversi semplicemente in giù o in su, ma del muoversi più tardi o più velocemente; e per quali cagioni ciò avvenga, non è dif¬ ficile il vederlo >. Il Galilei intorno a queste parole dice che Aristotile nomina le figure come cause del tardo «• ilei veloce, escludendole dall’ esser cause del moto assoluto e semplice. Ma io non veggio che Aristotile abbia detto che le figure io siali cause del moto assoluto e semplice, ma dice che sono i\Gx; y cioè sempli¬ cemente, cause: e la ragione è chiara; perchè Aristotile mai distingue i moti as¬ soluti e non assoluti, ma nel retto, nel circolare o nel misto, e parla in questo testo universalmente, dicendo che le ligure non sono cause da per sè di niun moto. Ne meno intende die le figure siano cause del moto semplice e non com¬ posto, ma intende universalmente di qual si voglia moto locale. E venendo al- 1 'esplicazione di quella parola semplicenimte, credo che ci potremo quietare nella dichiarazione d'Ammonio nel capitolo Del genere, esponendola in quattro modi, eioè universalmente, particolarmente, propriamente e vanamente. In questo luogo la prende Aristotile < propriamente >, volendo dire elio ’l moto proceda dall’essenzia 20 della cosa e non dalla figura, come altri avevano detto, seguendola in quella guisa che fa T ombra il corpo, essendo essa accidente, cioè ente imperfetto; e per questa cagione non può produr moto, però che tale opera appartiene alla natura. Anzi essendo il moto più perfetto della figura, ella non può esser causa efficiente d* un effetto più nobile ili sè : però questa serve alla natura a produrre tale effetto, come all’ architetto servono gli strumenti all’opera. E sì nobile è il moto, che rap¬ presenta quasi la natura che lo fa: onde non senza ragione gli antichi filosofi chiamarono i moti termini dello nature, perciochè sì come i termini separano le cose tra loro, cosi i moti distinguono le nature. La figura, adunque, non fa altro clic concorrere più 0 meno alla intenzione del proprio motore, per la maggiore 30 0 minor resistenza, come abbiamo detto. Però conclude Aristotile che la diver¬ sità de' moti secondo il più o meno tempo non può procedere dalla natura, es¬ sendo la stessa, ma dalla diversità delle figure, in quanto sono cagioni che ’l solido più o meno vinca. Siano, adunque, le figure da per sè cause non del moto, ma del modo, cioè del più veloce e più tardo, che si fa per la più e meno re¬ sistenza. Il Galilei segue che, se per Aristotile le figure sono cause del moto più tardo 0 più veloce, adunque non potranno essere cause della quiete. Si risponde, essere tutto il contrario: chè se, per esserq dilatate, alcune figure impediscono il mobile dal suo moto e tanno il moto più tardo, quando saranno molto dilatate lo ini- 40 DI GIORGIO CORE8IO. 235 pediranno totalmente c saranno causa di quiete, come anche si vede per espe¬ rienza: e però Aristotile congiugne, nel quarto del Cielo, il tardo con la quiete e li referisce alla figura come causa. Ricerca poi: Se alcune figure fanno la quiete, adunque alcune raccolte saranno cause di moto; che è conti’Aristotile. Si risponde elio non ci ò conseguenza: per¬ chè le figure non per sè sono cause di moto, ma di modo, cioè più veloce e più tardo, ed anche da per sè sono cause della quiete, in quanto il più forte per na¬ tura, per estensione lo fanno più debole, ed il superante superato. Va ancora investigando V Autore, se quella parola senijrìicernente si debba io congiugnere con la parola causae o vero col verbo feruntur. A questo diciamo, che si ha da congiugnere con la parola ferantur, dove la pone Aristotile; ma ancorché si congiugnesse con la parola causae , non farebbe niente in favor suo: perchè Aristotile, come abbiamo detto, dalla diversità delle figure concludo il più o meno veloce moto, onde se lo figure si dessero, quali appartengono, a gli elementi, aiuterebbono elle bene il moto loro, inquanto la cosa mossa dee avere quantità figurata; ma perchè in tal caso sono indifferenti, la indifferente natura seguendo, non vengono a variarlo secondo il tempo, perchè sì come da indifferenti cagioni procedono indifferenti effetti, così dalle differenti, differenti effetti. Dice più avanti nel suo libro il Galilei, che da Aristotile, nel quarto della Fi¬ so sica, sono attribuite le cause primario del più e men veloce alla maggiore o minor gravità de’ mobili paragonati tra di loro, ed alla maggiore o minor resistenza de’ mezzi dipendente dalla maggiore o minor crassizie, e che la figura vien poi dallo stesso considerata più tosto come causa strumentaria della forza della gra¬ vità, e che da queste cose conclude che la figura per sè stessa non farebbe nò gravità nè leggerezza. La qual conseguenza diciamo esser falsa: perchè Aristo¬ tile nel quarto della Fisica parla di materie diverse, e nel quarto del Cielo della maggiore o minor velocità del moto nella medesima materia per la ragione delle figure. Viene anco l'Autore a battaglia con Aristotile per un ago, e dubita contri esso 30 perchè posato leggiermente su 1’ acqua resti a galla non meno clic le sottili falde di ferro o di piombo. Distrighiamoci di questa ancora, dicendo, in prima, che il Galilei cerca tra queste cosette se alcuna ne potesse trovare, per la quale gli riuscisse còrrò Aristotile in qualche errore, come, per esempio, d’ ortografia, e non in cose gravi; poi, che il fare l’esperienza se un ago sta a galla o no, è tanto facile ad ogn’ uno, che non sarebbe stato men facile ad Aristotile, il quale volle vedere infinite e difficili esperienze. FJ gli intendenti della lingua greca sanno ormai che ’l vocabolo usato da Aristotile in questa materia, peXóvyj, che in lingua latina significa acus, significa 1’ ago da reti, il dirizzatolo de’ capelli, ed altri aghi grandi: perchè, adunque, il Galilei non prese di questi? Ma per fare la sua espc¬ ro rienza ne prese uno che propriamente si dee dire aghetto o aghino, e non ago, e OJT.WKTTÀ INTOUNO AL <» \LLKGU1AUK Ì'X'C. 23G viene in tal maniera striglierò Aristotile, sì come non tosse altro l’ago che nghino: o pure (jlcus significa per metafora ancora nciciilam , cioè £«~{5tov. Oltre che, il pa¬ ragone non si fa mai negli estremi, ma nelle coso più prossime: e però nelle parole d'Aristotile ove dico < e altre cose minori o meno gravi >, cioè de’larghi ferramenti o piombo, che se sono ritonde o lunghe, come 1’ago, vanno al fondo, si deono adunque prendere agili un poco minori de 1 larghi ferramenti c piombo, e non i minimi ; i quali soprai)nuotano nel modo che afferma Aristotile di alcune cose, per la pieciolezza loro nuotano per l’aria e 1’acqua, come la rena d*oro o altro cose terrestri e polverizzate; e non è dubbio che le cose minime si sostengono più nel¬ l’acqua che nell’aria, se non avviene qualche altro accidente. io Contradice ad Aristotile, perchè afferma che foro battuto e la rena d’oro ed altro cose terree e polverizzate nuotano per l’aria, negandone la esperienza e di¬ cendo nuotare commosse «lai vento. Al che pur si risponde, che Aristotile in questo luogo parla tiguratamente, cioè nominando la parte per lo tutto, perchè il vento eontien due parti, l'esalazione e l’aria contigua che è mossa per violenza: e questo è modo comune di parlare; si come si suol dire che l’aria porta alcuna cosa, perchè (piasi sempre indi’aria è alcuna commozione. Ma di¬ ciamola come sta: •■jrtjypx nou s * chiama l’oro battuto, ma la limatura; nè Aristo¬ tile dice che nuoti su l’aria, ma su l’acqua, come osservò Simplicio, e così non occorre fondarsi nel vento. 20 Impugna di nuovo l’Autore la risposta d’Aristotile contri a Democrito: il quale ebbe opinione elio alcuni atomi ignei, che continovamente ascendono per l’acqua, sospingono in su e sostengano quei corpi gravi che sono molto larghi, e che li stretti calino a basso per la poca quantità d’atomi clic contrasta e ripugna loro: perchè rispondendo Aristotile a Democrito, disse che ciò dovrebbe più facilmente avvenire nell’aria; sì come il medesimo Democrito ne muove contro di sè in¬ stanza, ma, dopo averla mossa, la scioglie leggiermente, con dire che i corpuscoli clic ascendono in aria fanno impeto disunitamente. Dico che Aristotile non ha risposto al falso scioglimento di Democrito, perchè ora fondato su principii falsi, cioè su’ calali da'quali voleva si facessero tutte le so cose, e contra quelli altre volte aveva disputato Aristotile e mostratone la vanità loro, tal che sarebbe anco stato vano il trattarne più volte di questi senza pro¬ posito: ed in vero è quella dottrina una tal pazzia, che mi vergogno io, non che Aristotile, a trattarne. E pure, poi che pare se ne tenga conto, dicanosi, di grazia, per qual cagione abbino quei calidi più forza di sostener per acqua che per aria ? Se perchè vengono più uniti, ma perchè più noli’ acqua s’ uniscono che per aria? E dovunque s’ uniscono, necessario è che lascino un luogo e che s’ accostino al- 1’ altro : nel luogo, dunque, lasciato non potranno aver forza di sostenere; e pur la forza si vede uguale a tutte le parti : se giù non vogliamo dare tanto cervello a gli atomi, che, non altrimenti che soldati in battaglia, vadino soccorrendo secondo 40 DI GIORGIO C0RK810. 237 il bisogno ; o non niego però che potessero essere a tempo. Ma, di grazia, usciamo delle pazzie tanto espresse. Dice l’Autore, che s’inganna Aristotile non avvertendo che i medesimi corpi sono men gravi nell’acqua che nell’aria, e però si sosterranno più facilmente in quella clic in questa. S’inganna ben egli doppiamente : prima, perchè non ha inteso Democrito, il quale non attribuiva il sostenere all’ acqua, ma a quei calidi solamente, e però il sostenere più nell’ acqua che nell’ aria non fa a pro¬ posito di Democrito ; dipoi, perchè non vuole la resistenza posta da Aristotile, senza la quale non si può render ragione perchè una cosa pesi più nell’ aria che io nell’acqua, perchè altrimenti un corpo dovunque sia posto ha la medesima gravità. Adesso l’Autore si sforza a confutare Democrito, non stimando in nessuna ma¬ niera la riprensione d’Aristotile contra Democrito. Onde dice che < se gli atomi caldi ascendenti nell’ acqua sostenessero un corpo che, senza ’1 loro ostacolo, an¬ drebbe al fondo, ne seguiterebbe clic noi potessimo trovare una materia pochis¬ simo superiore in gravità all’acqua, la quale, ridotta in una palla o altra figura raccolta, andasse al fondo, come quella clic incontrasse pochi atomi ignei, e che, distesa poi in una ampia e sottil falda, venisse sospinta in alto dalle impulsioni di gran moltitudine de’ medesimi corpuscoli, e poi trattenuta al pelo della super¬ ficie dell’ acqua ; il che non si vede accadere, mostrandoci V esperienza che un 20 corpo di figura, v. g., sferica, il quale a pena e con grandissima tardità va al fondo, vi resterà e vi discenderà, ancora ridotto in qualunque altra larghis¬ sima figura. Bisogna dunque dire, o che nell’ acqua non sieno tali atomi ignei ascendenti, o, se vi sono, clic non sieno potenti a sollevare e spignere in su alcuna falda di materia che, senza loro, andasse al fondo. Delle quali due posizioni io stimo che la seconda sia vera, intendendo dell’acqua costituita nella sua naturai freddezza: ma se noi piglieremo un vaso, di vetro o di rame o di qualsivoglia altra materia dura, pieno d’acqua fredda, dentro la quale si ponga un solido di figura piana o concava ma che in gravità ecceda 1’ acqua così poco che lenta¬ mente si conduca al fondo, dico clic, mettendo alquanti carboni accesi sotto il so detto vaso, come prima i nuovi corpuscoli ignei, penetrata la sustanza del vaso, ascenderanno per quella dell’acqua, senza dubbio, urtando nel solido sopradetto, lo spigneranno sino alla superficie dell’acqua, e quivi lo tratterranno, sin che du¬ reranno le incursioni de’ detti corpuscoli ; lo quali cessando dopo la suttrazion del fuoco, tornerà il solido al fondo, abbandonato da* suoi puntelli >. Intorno alle parole del Galilei è da notare che egli, primieramente, erra vo¬ lendo che la figura ampia e larga, clic tocca il fondo, abbia da esser sollevata da quelli atomi caldi, che nell’acqua, secondo 1* opinione di Democrito, si ritrovano in pochissima quantità; perchè fra la superficie della figura larga e la parte della superfìcie della terra, che si toccano fra loro, non può esser quantità bastante a m muovere tali figure in su. Di poi erra, perchè potrebbe confutare Democrito con il 238 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECO. diro che qualsivoglia gravità, in figura dilatata, che galleggia in su l’acqua, sa¬ rebbe anco sostenuta sotto la superficie dell 1 acqua e, di più, potrebbe anco esser sollevata in alto per la medesima gran quantità, che tanto sarebbe nel mezzo del¬ l’acqua come nella superficie; poi che ristessi in numero che lo potrobbono so¬ stenere in alto, lo potrobbono anco sollevare in alto. Erra, ponendo gli atomi. Erra, ponendo la penetrazione de' corpi. Erra, chiamando la caldezza corpo. Erra, dicendo che il caldo sostenga, del quale è proprio riscaldare e penetrare; e ’1 so¬ stenere, de’corpi. Erra, perchè, ancora che quelli calidi fossero fuoco, ad ogni modo non potrobbono sostenere sopra di loro le cose terrestri, essendo questi per na¬ tura leggieri e quelle per natura gravi. Erra, mettendo il fuoco dentro all’acqua, io senza esser mantenuto da qualche convenevole materia. Erra, perché vuole che sia nell* acqua fuoco, senza vederlo e senza provarlo. Erra, perchè il fuoco, mo¬ vendo, si ricerca il suo luogo, e non resta nell’acqua. Erra, perchè l’acqua calda non sostiene i corpi più gravi d’ essa, se non sia per qualche commozione. Erra, ponendo moto a gl' indivisibili. Erra, perchè tali atomi arebbono sostenuto meglio nell’aria elio nell’acqua; perchè nell’aria non «arebbono così sparpagliati come nell’acqua, per la contrarietà interposta. Erra, mettendo il fuoco nell’acqua senza essere spento. Erra, perchè il fuoco nell'acqua non sosterrebbe, ma più tosto s’ar¬ merebbe contro l’acqua come destruttiva del suo essere. Erra, chiamando la cal¬ dezza atomo; che si distende con la quantità del subietto. Erra, perchè chiama 20 indivisibili i corpi ignei. Erra, ponendo l’acqua mezzo del moto naturale del fuoco. Erra, ponendo i corpuscoli sostenere più in cima che nel mezzo. Erra, perchè dà al fuoco più forza che all’ acqua. Erra, perché l’inconveniente crede essere causa contro Democrito. Erra, dando allo coso indivisibili tatto. Erra, ponendo essere tisico indivisibile. Erra, perchè quelli corpuscoli abbrucerrebbono quelli corpi, c non li sosterrebbono. Erra, perchè i corpi rari non sostengono sopra di sè tali corpi gravi, ma si dividono da loro facilmente. Erra, finalmente, per non ricer¬ care altre minuzie, dicendo che il fuoco partorisca fuoco atomo per servizio di quelli corpi gravi. Concludiamo, dunque, che chi non vuole caulinare alla cieca, bisogna che si so consigli con Aristotile, ottimo interprete della natura; che, nel fino del quarto libro del Cielo, non se la passa solo con addurre un inconveniente, ma con renderne la cagione, bene esplicata da lui: cioè che il tutto depende dalla più e men facile divisione del mezzo; cioè che le cose larghe, essendo più spazioso, sono causa clic la gravità del solido si appoggia in più punti, e, per conseguenza, accrescendo an¬ che le parti del mezzo, pigliano tanta forza contro il galleggiante solido, che così lo fanno stare a galla. Il contrario è nella figura acuta, nella quale, posando la gravità in manco punti, vengono accresciute le forze di sopra e diminuite quelle di sotto, e, conseguentemente, vincendosi il mezzo dal solido, è penetrato in tutte le suo parti ; e si vede per esperienza che quanto più lo figure sono acute, tanto 40 DI GIORGIO CORESIO. 239 più si sommergono. E questo vuole intendere Aristotile, quando dice che le figure piane comprendono molto: donde si cava manifestamente che la figura piana non solo è causa della tardità del moto, ma d’ una intera quiete. Questo non può in¬ tervenire all’aria, per essere molto debole: anzi l’esempio che adduco PAutore, che un legno tanto vincerà l’acqua ascendendo come Paria discendendo, è falso; perchè, con questo che nell’ascendere non solo è mosso dall’ aria, ma anche così scacciato dall’acqua, a ogni modo ascende più tardi per P acqua che non discende per 1 * aria senza comparazione veruna. E chi negherà mai che non si tagli più difficilmente il corpo più sodo che il più debole, per la maggiore resistenza? È io falso, adunque, che non s’ abbia a poter ritrovare o imaginare virtù, della quale la renitenza dell’acqua all’esser divisa e distratta non sia minore; perchè la virtù d’aria è minore. E per ritornare al nostro proposito, benché le strisce fatte d*una falda di piombo o d’altra materia sopranuotino, ciò non è contro quello che scrive Aristotile ; perchè esse galleggiano per la loro piccolezza. E da questo si comprende chiaramente, esser falso quello che asserisce il Galilei dicendo che < quando ben l’usse vero elio la renitenza alla divisione lìisse la propria cagione del galleggiare, molto e molto meglio galleggierebbono le ligure più strette e più corte che le più spaziose e larghe >. Dico esser false simili parole: perchè in questa parola stretto, o intende d’ un corpo continuo che abbia la medesima gravità che 20 aveva la figura piana, o vero intende d’ una figura stretta che soprannuota per la piccolezza: se del primo modo, non solamente non soprannuota meglio tal figura, ma nè meno soprannuota in guisa alcuna; ma lui intende del secondo, come si vede nella tavola A B D C, c però non fa al proposito nostro, perchè noi parliamo (l’una figura piana e d’una raccolta o stretta, come d’un ago, e die abbino la medesima gravità in un medesimo subbietto, cioè in un medesimo corpo continovo. Indi si rivolge pure a esso, che, confutando Democrito, argomentava così : Se una gran mole d’aria avesse maggior quantità di terra che una piccola d’acqua, l’aria senza dubbio sarebbe più grave, e discenderebbe, conseguentemente, in giù più presto dell’acqua: sì clic Aristotile vuole che la maggior parte di terra si muova 30 più presto della minore: il che è falso. Mostreremo noi che non è falso: ma tra tanto dicasi perchè più presto in giù si muova il ferro che il legno, ancor che di grandezza disuguali. Questa opinione, posta dal Galilei, fu avanti del Mazzoni, mosso dallo parole del testo d’Aristotile che si porranno qui appresso, nelle quali afferma che più velocemente si muova il tutto che la parte, per contenere il tutto quantità mag¬ giore; la qual cosa stimando il Mazzoni errore, lasciò nel suo libro scritto che Aristotile vi cascò per non aver conosciute le proporzioni matematico. Per la quale inconsiderata ed arrogante calunnia, siamo sforzati di nuovo a prendere la dichiarazione d’Aristotile: per lo che fare esamineremo prima le parole del testo, 40 e di poi dimostreremo il senso di esse. 240 OPEKETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECC. Il tosto dal Mazzoni addotto, nel terzo del Cielo, è questo : : la qual cosa il Mazzoni dice essere per esperienza falsa; tenendo che Aristo¬ tile affermi ancora il medesimo nel quarto della Fisica, con quelle parole < lo stesso corpo e lo stesso peso, per la parola stesso, che stima che significhi lo stesso , secondo la medesima spezie, cioè secondo la medesima materia. Rispon¬ deremo, adunque, al Mazzoni ancora, e dimostreremo in prima gli errori eh’egli ha commessi, e quindi trapasseremo a far manifesto il restante. Primo error del Mazzoni è stato, aver creduto che Aristotile non abbia conosciute io le proporzioni matematiche. Ma chi dubita che questo sia falsissimo? poi che è noto che gli studiosi della filosofia attendevano in que’ tempi molto più alle scienze matematiche che non fanno oggi i nostri, ne studiava già mai alcuno logica che non avesse prima dato opera a quelle; ma più degli altri facevano questo gli sco¬ lari eli Platone, il cui precetto era che ninno senza la scienza della geometria entrasse nella sua scuola. Come sarà adunque credibile che Aristotile, scolare suo, il maggiore che egli avesse, vi fosse entrato senza la cognizione di essa? E chi crederà mai che uomo di sì eminente dottrina non V avesse appresa? la quale imparavano allora i fanciulli, come fanno ora i nostri le lettere dell’alfabeto. A confermazione di ciò, si vede che quasi in tutti i suoi libri sono sparse molte cose 20 di matematica, e principalmente in quelli delle Meccaniche, ne’ quali egli le usò quanto giudicò necessario a’suoi insegnamenti. Oltracciò, la proporzione apparte¬ nente al nostro testo non era si difficile, che senza una molto esatta cognizione di matematiche non l’avesse potuta intendere e usare. La quale era che, data pa¬ rità di proporzione in cose contrarie, tanto fosse, per esempio, quella del combat¬ tere dodici con quattro, quanto quella di sei con due; perlochè, dati nella mede¬ sima materia di sasso gradi dodici di gravità e nella parte del medesimo sei, di necessità ne avvenisse che ‘1 mezzo avesse a contrastare nella medesima propor¬ zione, e ne seguisse elio 1 tutto si dovesse muovere nello stesso tempo che la parte, quando però nello esperimentarsi la cosa in materia ne succedesse tale so effetto. Ma di questo ne parleremo poi. K concludendo, dico che Aristotile, dato che avesse negata tal proporzione in altri luoghi, non la niega in questo, perchè parla in altro proposito; e ’l Mazzoni stesso lo avrebbe concesso diverso, se avesse inteso il luogo. Dice, adunque, Aristotile in quel testo 26 del terzo del Cielo, primieramente, die i moti de corpi sono naturali, perchè non si fanno nè per violenza nè fuor di natura. Secondariamente (lice, esser necessario che alcuni corpi abbiano in¬ clinazione. a gravità e leggerezza, perochè niuna cosa si può muovere che non sia grave o lieve; e che se sarà grave, si muoverà al mezzo; e se lieve, da esso: parlando in questo luogo solamente del corpo sollunare, e non celeste, mo- 10 DI GIORGIO C0RE8I0. 241 vendosi quello solo circolarmente. E ritornando alla cosa, perchè avrebbe forse alcun dubitato contr’Aristotile elio un corpo non grave potesse anche discendere, volendo egli all’ incontro elio i gravi solo facciano questo, mosso da ciò, a distru¬ zione del dubbio argomentò nella maniera seguente, conduccndo V avversario in uno assordo necessario, cioè che 1 non grave e I grave discenderebbono nel me¬ desimo tempo. A pruova di clic, piglia come concesso che ’l grave debba muoversi più presto del non grave, ed argomenta in questa guisa por lettere : < Sia A non grave, sia B grave ; muovasi il non grave por la linea C I), o ’l grave por la linea C E, cioè per la porzione più veloce per ragion del concesso; e dividasi il corpo grave: io sei tutto si muove per la linea C E, san\ necessario che la parto si muova meno; onde, por conseguenza, avrà la medesima linea del non grave, cioè 0 1), e avverrà elio nello stesso tempo si innoverà il grave e 1 non grave; elio è impossibile >. Ora, per intendere questa cosa, è da notare che Aristotile in questo testo parla d’una gravità minima, della quale non se ne possa dare alcun’ altra minore. Il che si pruova in questo modo: Pigliamo A non grave, che si muova per la linea C I) ; e piglisi per grave, per esempio, un sasso e muovasi per la linea C E, e di esso una parte della quale si possa trovare altra cosa meri grave e muovasi por la linea CD del non grave: ora, perchè, date le lineo uguali, quando una di esse eccede un' altra, necessariamente ancora la sua uguale eccederà la medesima ; 20 e perchè s’ è detto ancora che 1 non gravo e la parte del sasso si muovono nel medesimo tempo; ne seguirà che 1 non grave abbia a muoversi più presto di quel grave che era men grave della parto del sasso, e, por conseguenza, si verrà a concludere che 1 non grave s 1 abbia a muovere più presto del grave; che sarebbe una conclusione contro 1 concesso, che era che ’l grave si muovesse più presto del non grave: il che sarà non solo conclusione diversa a quella che vuol fare Ari¬ stotile, ma concluderà contro ’l concesso, cosa contraria al modo dell’ argomen¬ tare. Onde sarà sforzato il Mazzoni ed ogn’ altro a confessare che Aristotile in¬ tenda in questo luogo una minima gravità, della quale non se ne possa trovare altra minore, e che parli più tosto in astratto che in concreto e, per conseguenza, so ninna altra cosa non possa di essa muoversi più tardi, per corrispondere la mi¬ niina gravità al minimo tempo. Onde, per non dare Aristotile lo infinito, il quale niega nel primo del Cielo, ove fa corrispondente la gravità o leggerezza, piglia il contrario di esso, che è il line, cioè la minima gravità: chè se pigliasse parte proporzionata, non concluderebbe niente, perchè 1* avversario negherebbe sempre che ’l non grave potesse muoversi in un medesimo tempo con la parte proporzio¬ nata del sasso; massimamente che Aristotile vuole che la parte abbia un grado meno del tutto quanto alla gravità, la qual cosa non è vera nel parlar concreto, dove la parte sempre ha assai manco gradi del tutto. Seguita P altro suo errore, che credeva, per quelle parole d’Aristotile nel quarto io della Fisica, che fosse 1 medesimo materia e spezie. E pure Simplicio, che ne sa- IV. / ai OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE KCC. 040 pevii più di lui, fa la gravità una spezie e la leggerezza un’ altra; e niente di meno non direbbe elio tutte le cose gravi fossero della medesima materia, e pur sono della medesima spezie; adunque altro è spezie ed altro materia: perchè, 0 pon¬ gasi la gravità nel predicamento della qualità n della relazione 0 del dove 0 della quantità, inquanto la gravità seguo la moltitudine della materia, sempre sarà una nella spezie, so bene fosse partecipata da diverse materie gravi, secondo i più 0 meno gradi. Commette di nuovo due altri errori d Mazzoni, non di poco momento: il primo, negando l 1 esperienza che in una medesima materia si muova il tutto più presto della parte. Nella quale a* ingannò, perchè ne fece forse l’esperienza dalla sua 10 finestra, la quale perchè fu bassa, da essa tutte le materie gravi andarono forse ugualmente a basso; ma noi l’abbiamo fatta di cima al campanile del Duomo ili Pisa, «sperimentando vero il detto d’Aristotile, che ’1 tutto della medesima ma¬ teria in figura proporzionati alla parte discendeva più velocemente di essa: luogo veramente a proposito fu, poi che il vento, mediante V impulsione, potrebbe variare P effetto, nel qual luogo non sarebbe mai tal pericolo. E così viene avverato il detto (PAristotile noi primo del Cielo, che 1 corpo maggiore si muove più velo¬ cemente del minore della medesima materia, e nel medesimo modo che cresce la gravità, cresce ancora la velocità: c questo testo faceva, molto più per loro, che quegli che hanno citati di sopra. Ma V error del Mazzoni è stato che ha parago-20 nato solamente il mezzo col mobih* secondo la grandezza della materia, e non se¬ condo le forzo sue; e però la sua proporzione non è a proposito. Si dee, adunque, distinguere V eccesso in due modi: o secondo la quantità, 0 secondo la qua¬ lità. Siano, v. g., due sassi, un maggiore e un minore ; sia secondo la quantità il maggiore doppio del minore, ma di qualità sia tre volte più : ora, quanto alla quantità procede bene la proporzione del Mazzoni, ma quanto alla qualità non è vera. Perchè, avendo il maggiore più forze, supererà per conseguenza il minore in proporzione, rispetto al mezzo disuguale; ma non si dee pigliare la quantità senza la qualità: perchè, se bene Paria contrasta secondo V occupamento della figura, si muoverà niente di meno, per le forze maggiori o minori contenute in essa, uno so piu velocemente dell'altro. Onde si vede che, pigliando ferro e sasso della mede¬ sima figura, si muoverà più presto il ferro elici sasso: perchè nei ferro la virtù della gravità è maggior di quella del sasso e, per conseguenza, egli per l’eccesso delle forze supererà più le parti resistenti dell'aria, che non farà il sasso le sue; le quali parti erano tra di loro uguali. Piglisi di poi un sasso il quale pesi dieci libbre, e ferro che no pesi cinque; discenderà indubitatamente più presto il ferro del sasso: perchè, se bene il sasso aveva maggior gravità, per necessità avevaan- eora molto maggiore la figura, e cosi, in proporzione al mezzo, le forzo del ferro erano maggiori di quelle del sasso; onde, se bene nel sasso era maggior gravità, ritrovava niente di meno, per maggior estensione della figura, maggior contrasto nel mezzo. 40 DI GIORGIO CORESIO. 243 Concludiamo, adunque, clic paragonando insieme la quantità, con la qualità rispetto al mezzo, si ritroverà che la proporzione, come abbiamo detto, sarà disuguale. Ma ritorniamo all’Autore, il quale contraddice ad Aristotile che argomentava così contro a Democrito: Che se una gran parte d’aria contenesse più parti di terra clic una picciola quantità d’acqua, l’aria discenderebbe, perle molte parti di terra, più velocemente in già che non farebbe l'acqua per lo poche. A questo s’oppone il Galilei, dicendo non esser necessario che una gran mole d’aria, per la molta terra contenuta in essa, discenda più velocemente che la picciola mole d’acqua; anzi, per l’opposto, qualunque mole d’acqua dovrà muoversi più veloce io di qualunque altra d’aria, per essere la participazione della parte terrea in spezie maggiore nell’acqua che nell’aria. E la risposta a quest’opposizione del Galilei sia oramai la conclusione di questo nostro libro. Per lo che fare, si ha da distinguere la velocità in più modi: cioè o secondo il maggior moto in paragon del minore, o secondo la propinquità del line, o la diversità del mezzo, o della figura, o l’eccesso delle gravità di diverse materie, o quello della gravità della medesima, o vero secondo quello della men grave in paragone della più grave ma ridotta in minima quantità. Ora di qual velocità di moto all’ ingiù intendesse Aristotile nell’ argomentare contro a Democrito, di¬ ciamo che egli | tarlò dell’ultimo modo, cioè dell’eccesso. Per pruova di que- 20 sto, è da notare tre cose : la prima, che Aristotile parla di qualche moltitu¬ dine, ina non di ogni, perchè non fosse intesa ogni moltitudine in paragone di qualsivoglia minor acqua: la seconda è, che Aristotile non pone minor parte (l’acqua di quella d’aria, ma assolutamente dice < poca >, acciochè non fosse presa poca in paragone di qualsivoglia maggior parte d’aria; perchè, dicendosi < poca >, si potrebbe intendere ancora una gran copia, come interviene per lo più ne’ paragoni: la terza cosa lilialmente è, che Aristotile non congiugne la voce greca corrispondente alla dizzione poca con l’articolo. Per la cognizione di che, è da sapere che 1 ’ articolo signilica o la idea universale delle cose differenti da essa, come insegna Ammonio nel libro Della interpretazione; o vero il proprio e :ìo diterminato, a differenza dello ’mproprio; o vero signilica, ma di rado, cosa detta in universale ma ristretta al particolare, come afferma Magontino nel libro della Priora, dove Aristotile dice < il piacere non esser buono >, ed in questo modo con¬ viene con la voce che è senza articolo propriamente, se bene con l’articolo si dice impropriamente. E però Aristotile in questo luogo non piglia ogni poca acqua, ma qualche poca, per non concludere come il Galilei, che conclude : < Adunque ogni maggior parte d’aria si innoverà più velocemente che la minor acqua > : la qual con¬ clusione se Aristotile tacesse, contraddirebbe egli stesso a’ suoi dogmi, tra’ quali uno è che il più grave debba più velocemente muoversi, intendendo più grave o secondo diversa materia o secondo la medesima. Il che si dee prendere in propor¬ lo zione, poiché qualche volta avviene il contrario, cioè quando non si piglia la prò- 244 OPERETTA INTORNO AL GALLEGGIARE ECO. DI GIORGIO COUESIO. porzione uguale, ma disuguale : perchè in tale estremità si può dire che non solo le cose gravi si muovono piò tardi, ina che cessi poi tutto il lor moto, cioè che la terra voli per uria e che la cosa più grave deir acqua nuoti sopr’ essa, si come l’oro battuto, quel minimo, e la rena volano per l’aria, e l’ebano e T aghetto soprastanno all’ acqua. Ed anche si vede per esperienza come un legno si muove più presto in giù che un sasso piccolo, con questo che è più gravità nel sasso che nel legno; e pure è molto maggiore la quantità dell’ aria in quel legno che non è la terra, ne può fare, secondo il Galilei, tanta quantità del fuoco in quel- 1’ aria che la parte terrena, con la quale è unita, non s abbia a muovere più presto d* un sasso o d’altra cosa per natura più grave del legno; molto, adunque, più io presto si muoverebbe dall’acqua, che è meno grave di tali materie, per avere il suo fuoco, secondo 1’ opinione di Democrito. Concludasi, adunque, che non solo la terra in minore quantità porta 1* aria o vero il fuoco in giù, ma anco non può essere così trattenuta, che non possa muoversi più presto da una minima parte di terra o gocciola d’acqua. Ma quello in che dorerebbe fare il Galileo difticultà è più di sotto, dove .Ari¬ stotile argomenta che anche una gran quantità d' acqua si muoverebbe più pre¬ sto in su che poca d’aria: ma se poca terra vince molto fuoco, come adunque manco fuoco porterà in su più terraV Tal dubbio m’induce a credere, che Ari stotile contra Democrito argomenta avendo più riguardo a’ nomi che alla na- 20 tura della cosa. Poi che quelli antichi filosofi andavano dicendo che si muoves¬ sero gli elementi ora per il triangolare, ora per la grandezza, ed ora per il pieno e voto, e non ponevano altrimenti la natura principio del moto: e così diceva Democrito, che la terra si muoveva in giù per il pieno, ed il fuoco in su per il vóto; e dipoi voleva che l’aria participasse più di vóto che di pieno, e l’acqua più di pieno che di vóto. Contro di lui Aristotile argomenta che, se per il pieno 1’ acqua si muove in giù, adunque una gran quantità d’aria, avendo più pieno che poca acqua, si muoverà più presto in giù ; come anche una gran quantità d’acqua, per avere più di vóto che poca d aria, si muoverà più presto in su. E se bene la gran quantità d’aria avesse più di vóto che di pieno e, per il contrario, l’acqua 30 più di pieno che di vóto, non gioverebbe questo punto a Democrito: perchè, se per il più vóto non venisse in giù 1* aria, non sarebbe adunque vero che il pieno fusse causa del moto all’ ingiù, e più di vóto dove non s'accelera il moto all* insù; adun¬ que nò pieno è nell’aria, nè vóto nell’acqua, nò questi possono dirsi principio di moto: sì che la disputa sta ne’ nomi e non in re , come ha creduto il Galilei nostro. Oltre che, si darebbe repugnanza nella natura degli elementi per il pieno e vacuo, se il pieno per il più vóto non facesse il muoversi in giù, nè il vóto per il più pieno non facesse il muoversi in su. Di più, un nome non leva la forza d ’1111 altro. E questo basti a dichiarazione della vera dottrina d’ Aristotile, la quale ho difeso e m’offerisco a difendere. 40 ERRORI DT GIORGIO CORESIO NELLA SUA OPERETTA DEL GALLEGGIARE DELLA FIGURA RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. CON CORREZIONI ED AGGIUNTE DI GALILEO. ERRORI DEI PIÙ MANIFESTI COMMESSI DA MESSER GIORGIO CoRESIO, LETTORE di lingua greca in fisa, NELLA SUA OPERETTA DEL GALLEGGIARE DELLA FIGURA, RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI DI BRESCIA IN 13ADIA DI FIRENZE. Prima, erra Messer Giorgio Corcsio di troppa animosità, arischiandosi dispu- Errore universale in tare senza geometria con un geometra; perchè chiaro ò che, se il geometra ha tutta l’Operetta di detto male, non può esser corretto se non da chi intende, e, se ha detto bene, è essei ,iolRÌO * io una pazzia il riprenderlo. 2, erra nelle due inscrizioni della sua Operetta, c mi manca assai nelle mani, Nelle inscrizioni, avendo nella prima proposto un’ «Operetta intorno al galleggiare de* corpi solidi >, o poi nella seconda (diminuendo assai la (,J prima, con mettersi ancora in sospetto d’animo più desideroso di contradire che di saper il vero) mi promette solo una < Dichiarazione dell’opinione d’Aristotile intorno al galleggiare della figura contro l’opposizione del Sig. Galileo >. Averci voluto che Messer Giorgio avesse sodisfatto al primo titolo, che ò d’una cosa vera bella e che si ritrova in natura, c non m’avesse proposto il secondo titolo, del galleggiar della figura, cosa vana ed impos¬ sibile, come chiaramente ha dimostrato il Sig. Galileo, e che ha del ridicoloso, 20 non meno che il voler trattare del volare della talpa. Erra in quella prima conseguenza che fa nel principio del suo proemio, dedu- fac. prima, nel prill¬ ando che e 1 litterati oltra tutti gli altri starobhono in continua pace e concordia tra di loro, se gli uomini si quietassero ugualmente nel vero. Doveva dedurre : 2oa ’ lm ‘ b ~ ì2 ^' < Gli uomini starebbono in continua concordia tra di loro >, cliò la conseguenza cambiava bene, e non concludere de’letterati solamente, oltre tutti gli altri; pcr- l,] diminuendo molto la l~B Errori dei piu manijciti del Sig. Giorgio C'orctio, raccolti dalla tua Operetta del galleggiare della fii/n)a — 7. La rubrica marginale Errore .... Giorgio e cancellata. —- il Signor invero (li Metter; o così ò sostituito andantemente. — 7-8. ariachiandoti a ditputare — 16. Avrei voluto — 18. fecondo, del — 19-20. e che .... talpa, soppresso — 22. i litterati — 23. egualmente — (l) Lolla parola che sta prima di « in Badia », cancellata più accuratamente che lo procedenti c soguonti, si distinguo solamente, in alto, la finale « se > (monaco Cwinete /). •248 KHKOKI 1>I GIORGIO rORK8IO tac. 2, v. 12. | |iag. 203, liu. 27-30). fac. 2, v. 32. |pag. 204, lìti. 16-17). fac. 3. v. 22. 214, litt. 35 |»ag. 205, liti. 21. far. 3, v. 33. (pag. 205, liu. 6-9J. chè quando gli uomini si quietassero ugualmente nel vero, non saria differenza tra letterati e altri ignoranti, già che tutti aarebbono letterati a un modo 1 ' 1 . Erra in voler introdurre intorbidamento di dispute dove la verità è manifestata con evidentissime dimostrazioni, sotto pretesto che la varietà dello opinioni e le liti de’letterati partoriscliiuo gran bene; perchè simili confusioni sono gran per¬ ditempo, oltre che non poco derogano alla maestà della scienza 1 * 1 . Era più sano consiglio cercare d’intendere il Discorso del Sig. Galileo, e ringraziarlo di aver aperta sì bella strada di filosofare, con maniera tanto salda e sicura, fondata nello cose stesse e nella natura, e non nei libri o forza de’ vocaboli grechi. Erra in pretendere che il Sig. Galileo abbia mandato alle stampe il suo Di- io scorso per risvegliare gli animi de’litterati, e non perchè realmente quello che ha esposto sia sua opinione: prima 1 * 1 , perchè un pari del Sig.Galileo non sta in queste puerizie; poi io, che mediante il suo aiuto ho intese le sue ragioni e con¬ clusioni, so di sicuro e fo ampia fede a Messer Giorgio che l’opinione esposta nel Discorso è veramente del Sig. Galileo, e non occorre pretendere nitro 1 * 1 . Erra ancora volendo contradire al Sig. Galileo, che ha detto creder più tosto il ghiaccio esser acqua rarefatta che condensata, o soggiunti i motivi di questa sua credenza, cioè la diminuzion del peso e l’accrescimento di mole; erra, dico, per im¬ pugnar questo detto, in movere altri punti: se questo sia detto in universale o in particolare, se si. BENEDETTO CASTELLI. 249 rare le cose del medesimo genere; dal ohe non avrebbe poi occasione di 1 * 3 mara¬ vigliarsi che il freddo, ne l’agghiacciare l’acqua, rarefaccia le parti sue. Erra e manca assai nel risolvere il dubio delle cose medicinali di diverso ge¬ nere, unite dal caldo contro la natura del caldo, che è di separare le cose di ili- verso genere. Erra, dico, perchè risponde che il caldo le unisce per ragione di qualche similitudine: ora io dico che resta maggior dubitazione, in che modo sia possibile che il caldo unisca la scamonea con il zuccaro e con l’agarico 171 per qual¬ che similitudine, e non più tosto li separi per la stravagantissima dissiinilitudine. Erra dicendo che il caldo, quando ritrova Tumido in un corpo, constringa quel io corpo: perchè il caldo del forno ritrova Tumido nel pano, e lo rarefà. Erra a prononziare così francamente come fa, che le descrizioni del freddo e del caldo date da Aristotile sono tali, die non è da dubitare se sian vere o false: e questo io dico perchè patiscono gagliardissime opposizioni, oltre le dette; delle quali ne metterò qua una, per insegnamento di Messer Giorgio. E questa è che, mentre si descrive il caldo e ’1 freddo per operazioni che non li competono sem¬ pre, come sono il condensare e’I separare etc., tali descrizioni restano insufficien¬ tissime. Nè si può dire che sia buon riffuggio il ricorrere al per accidente o al da per sè ; perchè in questo modo si lascia libero campo a chi vorrà dire che il caldo condensa propriamente il fango e che è sua natura il condensare, e che rarefà 20 la cera per accidente (se però la cera liquefatta è rarefatta) e non da per sè: e questo potrà egualmente esser sostenuto come l’opposto, prononziato così alla li¬ bera e senza ragione [6J Erra a non s’accorgere che, ponendo esser natura del caldo il con¬ gregar le cose (lei medesimo genere, segue di necessità che '1 suo contra¬ rio, che è il freddo, produca contrario effetto, che è il disgregare le cose del medesimo genere; di che se e’ si fu ss e accorto, non averebbe auto occasione di [Sostituito a (pag. 248, lin. 24; pag. 249, lin. 1 ) Erra .... occasione di] [7] unisca l’aloè con il zuccaro, o ’l mele con V agarico [8J così arbitrariamente e senza ragione. Anzi, di più, accadendo che 30 il caldo abbia proprietà di rarefare ed anco talora di condensare, ed accadendo altresì Pistesso al freddo, Pistessa descrizione converrà egual¬ mente ad ambedue; e sarà vero il dire, il caldo esser quello che tal¬ volta rarefa e talvolta condensa, e parimente il freddo esser quello che talora condensa e talora rarefà. maggtor duìno ~ 0-10. Dicendo (omesso Erra] che .... quei corpo, erra: perchè — 13. < ghetto dico — h. rifugio -17-18. o al per so — 20. e non per tè — 23. ponendosi — fac. t, v. primo, [pus* 206, lin. 9-12J. fac. 4, v. 3. (pag. 205, lin. 12-18], fac. 4, v. lò. [pag. *20ò, lin. 22J. IV. 32 250 ERBORI 1>1 GIORGIO CORESIO fac. 4, v. 32. ||>*g. 205, lin. 34-88). iac. 4, v. 32. fac. 5, v. 13. [pag. 208, liti. G-15J. fac. 5, v. 31. |pug. 208, lin. 25J. fac. 5, v. 31. fac. 5, v. 34. [ptg. 208, lin. 23). Erra, di più, con notabile contradizione, mentre ora dico che ’l fuoco e l’aria sono di natura rari, e perciò rarefanno, nò possono inai dare quel elio non hanno, c di sopra, nella descrizione del caldo, vole che il caldo congreghi. Posso dire io: E come può il fuoco per natura sua congregare, se è raro e non può dare quel ohe non ha? Erra a non considerare che, facendosi il ghiaccio nell’acqua non dall’acqua nò dalla terra, ma dall’aria contigua alla superficie dell’acqua, non è maraviglia che il ghiaccio sia acqua rarefatta dall' aria ; la quale essendo, per il Coresio mede¬ simo, di natura rara, può solo rarefare, e non mai dure quello che o’non lui. Erra d’insipidezza e move nausea, mettendo grossezze e sottigliezze de’ luti io nelle figuro ; non intendendo che tutti e’ lati delle ligure piane sono linee, quali mai si possono chiamar grosse, so non da chi fosse grossissimo d’intelletto; e tutti i lati delle ligure solide pur son linee, e se tal volta si’ntende delle superticie, in ogni modo non hanno grossezza alcuna 1 ’ 1 . Erra a dire, come cosa nota, che il ghiaccio si fa lo ’nverno, quando il freddo constringe tutte le cose; perchè non è vero che il freddo constringa tutte lo cose, rarefaccndo l’acqua nel farla aggiacci&re. Erra ancora in logica, volendo adoprare questa proposizione dubiosissima, anzi falsa, da concludere 11,1 l’intento suo; la quale ha bisogno di tanta prova, che quando questa fosse 1 ” 1 vera, tutta la disputa del ghiaccio sana terminata 1111 . 20 Erra a chiamare costretto le cose che si chiudono nel ghiaccio: anzi, che più presto sono tra di loro dilongate, nel farsi il ghiaccio. E Messer Giorgio stesso, concedendo che, nel farsi il ghiaccio, ci entri dell’aria e accresca la mole, è sforzato a concedere che quello cose siino più separate o dilongate nel ghiaccio di quello che erano prima nell’ acqua. 101 Or vadia il Sig. Galileo a consumar gli anni e la vita intorno ad Archimede c gli altri geometri grandissimi, per dover poi stare a tu per tu con intelletti di questa sorte. 1101 falsa, per concludere 1,11 quando ella fosse 30 1,21 Imperò che chi è tanto sciocco che, conceduto che il giaccio si facesse dal freddo operante nell'acqua e, di più, che l’operazione del freddo fosse di condensare tutto lo cose, mettesse poi in dubbio se l ghiaccio fosse acqua condensata? Questo |òj suppor per vero e noto quell’istesso di che si disputa. . 9 - t,ln no» Art. — IO. di la ti — 11. i lati — 15. il cerno — 17. agghiaeciart — 1S. itMioiiuima — 22. rii■ 1 ungala — 24. $iano — 26. consumar la gli — 33. ilei ghiaccio f retilo — RACCOLTI DA I). HENEDETTO CASTELLI. 251 Erra di grosso a credere, e presumere che altri credino, che le cose che sono più sensibili al tatto e più visibili siino più 1 ' 3 * dense: perché ogn’uno sa che la fiamma è sensibilissima al tatto e più visibile di qual si voglia altro corpo na¬ turale che noi abbiamo, e con tutto ciò è molto più rara. Erra a dire che quello che è più denso, più difficilmente si taglia : perchè la pasta è più densa del pane cotto, e più facilmente si taglia. Erra Messer Giorgio, perchè piglia il duro per denso, ed il molle per raro, che pur sono cose diversissime. Erra affermando che il ghiaccio si rarefacela dal caldo : anzi si condensa e io si riduce in minor mole, come so di certo che il Sig. Galileo ha fatto vedere e toccare con mano a Messer Giorgio stesso, in presenza dell’ Eccellentissimo Prin¬ cipe Sig. D. Aloise d’Este [u] . Erra chimerizaiulo che il ghiaccio si faccia sentir più freddo dell’ acqua, non perchè sia realmente più freddo, ma per la densità della materia. Anzi dico di più, che erra Messer Giorgio nella propria dottrina: perchè, essendo egli per concedere che il ghiaccio sia più raro dell’ acqua per accidente, è necessitato a concedere che per accidente debba parere men freddo di quella. Che le acque de’ ghiacci e delle nevi siino o non siino mal sane, mi rimetto a’ medici. Ma erra ben Messer Giorgio a concludere che della loro malignità ne 20 sia cagione la densità del ghiaccio e della neve, essendo questi rari e non densi. Erra affermando che il ghiaccio resiste più all’ esser dissipato dell’ acqua, es¬ sendo falsissimo : il che si prova, conciosiachè prese due moli uguali, una di ghiaccio e l’altra d’acqua, e di figure simili, esposte che saranno similmente al caldo, di sicuro si dissiperà prima il ghiaccio che l’acqua; ed è cosa assai nota, benché da Messer Giorgio venga detto tutto il contrario : di modo che non si deve acconsentire die il ghiaccio sia più denso dell’ acqua, perchè resista più alla dissipazione, essendo vero che resiste meno. Averei scusato questo errore con dire, che Messer Giorgio non ha voluto intendere che il ghiaccio si dissipi più difficilmente dell’acqua, cioè che finisca d’esser risoluto il ghiaccio in acqua più so difficilmente che 1 ’ acqua in vapore o in altro, ma che la proposizione abbia questo senso: Il ghiaccio resiste più alla dissipazione, cioè all'esser risoluto in vapore. Ma perchè, intesa questa proposizione in questo senso, non ha poi che fare per concludere che il ghiaccio sia più denso, per tanto non ho potuto lài¬ di meno di non avertire questo errore ll >. 1131 visibili sieno più 1141 in presenza di alcuni personaggi grandissimi. [Sostituito a dell'Ec¬ cellentissimo ... cVEstc] 2, 18. «Mino —7. Erra pigliando il duro — 19. ai medici — 22. oj itali — (n Ha « Averci scusato* a 4 errore» è aggiunto in margine. fac. 5, v. 36. fpng. 200, lin. 30J. fac. 5, v. 39. (png. 200, lin. 82j. fac. 6, v. 3. fpag. 200, lin. 33-34]. fac. G, v. 11. [pag. 206, lin. 40J. fac. G, v. 14. [pag. 207, lin. 1 -4|. fac. G, v. 14. fac. G, v. 27. [png. 207, lin. 10-13). fac. G, v. 32. (pag. 207, lin. lft-17). ERRORI DI GIORGIO niKEHIO fac. fi, v. 85. Ipag. 207, Ho. 19-22J. fac. 7, v. 14. |p&g. 207, liu. 31 «seg.]. fac. 7, v. 12. Ipag. 207, liu. 30]. fac. 7, v. 88. [pag. 208, Un. 7-8). fac. 8 e fac. 9. [pag. 208 e »eg.). fac. 10, v. 20. | pag. 210, lin. 9-10). 252 Krra a volere creder a* Greci e altri in una cosa che può essere senza loro co¬ nosciuta; anzi, che potrebbe essere che i Greci in questo, come in molP altre cose e di grandissimo rilievo, si fossero ingannati Essendo state da Messer Giorgio prodotte due sorti di rarità, una che consiste nella sotigliezza delle parti, e V ultra che consiste nella distanza delle parti, e già die questa rarità vieti concessa nel ghiaccio, e questa medesima rarità è cagione, per detto del Coresio, fac. decima Ipm- 2 io, Ho.9-io • 22 ) della sua Operetta, di leggerezza; si conosce chiaramente che Messer Giorgio erra a contradire al Sig. Galileo, che ha detto, creder che il ghiaccio sia acqua rarefatta, perché cresce di mole ed è più leggieri dell’ acqua, standovi a galla. 10 Erra ancora a dire che il ghiaccio sia rarefatto per accidente, e non di ne¬ cessità della sua natura; massime che Messer Giorgio stesso [l#1 confessa che di necessità alla constituzione del ghiaccio è necessaria la distanza delle parti. lo, ancorché più volte abbia letto e riletto, e per me e per sodisfazione di alcuni Signori miei patroni, il Discorso del Sig. Galileo, mai ho 1,71 ritrovato che dica, che Aristotile non conoscesse che 1 più grave descendesse più giù, cioè che le parti terree non cercassero d’ andare al logo loro. Erra, dunque, Messer Giorgio a volere che il Sig. Galileo 1* abbia detto. Erra nel resto di quel Discorso: nel titolo del quale promette di provare che Aristotile senza ragione è biasmato dall 1 Autore intorno a' principii del discendere 20 il solido ; ma poi, in tutto quel progresso, non conclude cosa che faccia a proposito di quanto si è promesso, ma solo si inette a recitare cinque opinioni, diverse tra di loro, intorno alla causa essenziale del moto, con mirabile vanità di empire i foglii, e v’interpone un trattato delli accidenti, che sono (dice lui) principii dei moti ; tutto, 0 direttivamente contro alla propria opinione, 0 falso, 0 spropositato. Poiché, mentre pone che la gravità dependa dalla strettura delle parti e la levità dalla largura di esse, e avendo prima concesso, nel fine del primo Discorso, che la largura delle parti si ritrova nel ghiaccio e la leggerezza nell 1 aria, è forzato con¬ fessare die il ghiaccio sia leggiero e elio 1’ aria sia rara per la largura delle parti ; contro quello che nel medesimo passo after ma, avendo distinto, con Giovanni Grani- 30 matico, dua sorte di rarità, una che consiste nella sottigliezza delle parti, come è T aria, V altra nella lontananza delle parti, come è nel ghiaccio. Erra, parimente, di contradizione : perchè, avendo scritto, nel principio della faccia undecima [pa^. 210 , Hn. 24-26), che non si deve dire che la gravità mova, perchè [ìt>] potrebbe essere che a' Greci .... non fusse (la prestare intera tede. [Sostituito a i Greci .... si fossero ingannati.] llfil che egli stesso [17] mai non ho 7. del 8ig. Coretto — 18. Galileo abbia detto tal rota — 24. fogli — degli deridenti 34. muova — RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 253 la gravità è una potenza, e per conseguenza non può fare il moto, che è azzione ; più a basso poi, nella medesima faccia, scordandosi di sè medesimo, dice che il moto non è azzione altrimente; dal che posso soggiongere io, che ne segue che non sia impossibile che possa dependere dalla gravità. Erra quando, dopo una tediosissima confusione di conclusioni repugnanti tra di loro ed alla medesima opinione ed intento principale di Messer Giorgio, infe¬ risce senza dependenza alcuna la conclusione della destruzion del vacuo e del cedere; con soggionger senza proposito il notar delle cose per aria e per acqua, con la variazione del mezo e della figura, e che un sasso si move più veloce- 10 mente nel fine che nel principio, e più velocemente da un logo più alto che da un più basso, e che una nave s’immergerà più in un’acqua dolce che nella marina, e che un legno nella stessa acqua si profondarà più quanto sarà più grave : e mostra con queste conclusioni, parte false e parte senza proposito, di aver più desiderio d’ empire i foghi, che di dimostrare quello che nel principio del Discorso aveva promesso e proposto. Dice benissimo, che l’opinione di quelli che stimorno che il mezo e la figura non ritardassero il moto, fu sempre stimata vana: ma erra bene, se pensa che il Sig. Galileo non la conceda. Erra, dunque, dicendo il vero e l’istesso a punto che dice il Sig. Galileo, in 20 questo particolare del ritardar il moto per la figura, e non accorgendosi di dirlo 0*]. Erra volendo che la figura, perchè ritarda, possa fare ancora la quiete, non essendo buona conseguenza : Questo ha forza di ritardare ; dunque, di quietare. Erra a incorrere, nel principio del terzo Discorso, in quell’ errore che con fal¬ sità aveva imputato al Sig. Galileo ; cioè pensando che, conforme Aristotile e la [18) L’opinione di quelli che stimaro, che ’l mezzo e la figura operas¬ sero proporzionatamente al ritardamento del moto, fu sempre vana : e maggiormente erra Messer Giorgio a reputarla vera dopo che il Sig. Galileo 1’ ha dimostrata falsa, provando che, se vera fosse, bi¬ sognerebbe che tutti i corpi che descendono in aria, descendessero 30 ancora in acqua; essendo che la proporzione che ha la rarità dell’aria a quella dell’acqua, l’ha la tardità di qualsivoglia corpo in aria a qualche altra tardità, e questa gli doveria competere in acqua. Ma molto più errerei io, s’io credessi poter mai far restar ca¬ pace Messer Giorgio della forza di questa dimostrazione. [Sostituito alle lin. 16-20, che sono cancellate.] 6. itila opinione — 9. muove — 14. fogli — 23. Incorre, nel principio — 27. erra il Sig. Giorgio — 33 34. ca¬ pace il Sig. Giorgio della — 31. la velocità tardità — 34. Messer della — fac. 11, v. 30. Ipag. 211, lin. CJ. fac. 11, v. 35. [pag. 211, lin. 10 e seg.]. fac. 12, v. 15. fpag. 211, lin. 24-27j. fac. 12. v. 15. fac. 12, v. 15. fac. 12, v. 26. Lpng. 211, lin. 30-32J. ERRORI I>I GIORGIO CORKSIO 254 natura stessa, si (liino corpi più gravi doli’acqua, che per quella non descen- dino, ina galleggino. fuc. 13, v. 82. È vero che un bello ’ngegno, nel caso proposto dalli aversarii del Sig. Galileo, Ipar. 212 , lui.'20-27). i | e )| a tavoletta d’ebano, dirà che è l’aria che fa che la tavoletta non discenda, e lo dirà con verità; anzi per l’aria e sua forza in simili occasioni si vedono maggior meraviglie, come quando dal profondo del mare si alzano pesi gravis¬ simi ponendo a poco a poco dell’ aria in un vascello : ma erra bene Messer Giorgio a non intendere come questa risposta sia verissima. tue. 14, v. 12. Erra, nel principio del quarto Discorso, nel dire che il Sig. Galileo contradica lpdg. 212 , ini. So *: se*.). a || 0 sue p ro p r j e ragioni, imputandogli che «‘gli abbia detto che l’aria non fa gal- io leggiare i solidi in ogni sorte di figura, ma solo in alcune particolari ; avendo egli dimostrato tutto V oppoaito, cioè che ogni sorte di figura, che per altro andrà al fondo, può in virtù dell’ aria congiuntagli galleggiare. % far. 14, v. 22. Erra replicando fuor di proposito quello che quattro versi di sopra aveva detto, (pa*. 213 , im. y-ioj. Aveva premessa una divisione trimembre, dicendo trovarsi tre opinioni di questa cosa: la prima tiene che 1’ aria solamente operi; la seconda, l’aria e la figura; la terza, la figura sola. La prima, dice che è dell’Autore; e la seconda, di quelli clic vogliono che 1’ aria e la figura insieme faccino l’effetto: equi pianta il lettore (i) . fac. 14, v. 22. A voler sodisfare al titolo del quarto Discorso, che è < In (piai guisa l’aria [pag.213, Un. u e »eg.]. 8 j a 0 non aia. vera cagione di far galleggiare il solido >, era a bastanza dire, che allora l’aria sarà bastante cagione^ di trattenere un solido che non vada al fondo, ancorché quel tal solido fosse più grave in specie dell’ acqua, quando, con¬ giunta con quello e posta sotto il livello dell’acqua, eonstituirà una mole men grave di altrettanta acqua, ed allora non baste trattenerlo quando, ancorché vi sia congiunta 1’ aria stessa, tuttavia la mole che risulta dal solido e dall’aria, quale sarà collocata sotto il livello dell’acqua, eccederà in peso altrettanta acqua; come saldisEiraamente dimostra il Sig. Galileo nel suo Discorso: e questo fatto sta così, e, poiché Messer Giorgio non intende né poteva assolutamente intendere le essattissime dimostrazioni, ha errato all’ ingrosso a parlarne, fac. 14. v. 24. Erra di molti e grossissimi errori in poche righe, mentre ei si propone ed ao (pag. 2 ia, im. 12 -ioj. essemplifica tre maniere di ritenere, o sforzare, dell’aria; dicendo, uno essere per predominio < come si vede nelle cose leggieri >, e soggiogne < ed altri modi >: sì che comprendendo questo modo molti altri, che meraviglia sarebbe che uno di quelli fosse quello del Sig. Galileo V Di più, come sono tre modi, l,9J sarà suftiziente cagione t20J basta a trattenerlo 1. (Unno 6. i» veggiorto — 0 - 7 . gravitimi /accodo entrar* a poco a poco — 30 . Incorre in motti — (l Le lin. 9*13 sono state aggiunti* po*teriormcut<'. RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 255 se sono tre e molti altri modi ? Il secondo modo dice esser per moto, e ne dà l’essempio dell’ aria mossa dalla calamita e, per tal moto, attraente il ferro : il quale se sia errore o no, non credo che abbia bisogno di grande esplica¬ zione, perchè non credo potersi ritrovare uomo così stupido, fuori che Messer Giorgio, che creda che la calamita attragga il ferro mediante il moto dell’aria; perchè in questa guisa attrarrebbe ogn’altro corpo, e non no attrarrebbe alcuno tutta volta che tra esso e la calamita tramezassc una tavola o una muraglia; e pur si vede nisun corpo, benché densissimo, interposto tra la calamita e ’l ferro, impedire o ritardare la sua azzione. Pone il terzo modo di¬ io cendo essere per similianza, come si scorge nelle coppette c putrefazione : errore spropositatissimo, non si potendo intendere che somilianza caschi tra l’aria, le coppette e la putrefazione t,) . Erra a concludere che l’aria, per esser molto rara e dissiparle, sia di poca e f«c. IR. v. IR debile virtù: perchè, oltre che questo è contro la dottrina della quale Messer Gior- II'**- - l4 > liu - 21) J- gio fa professione, nella quale si afferma il fuoco e l’aria più attivi e, per conse¬ guenza, di maggiori forze dalli altri elementi, soggiongo io di più che il fuoco è assai più dissipabile e raro dell’ aria, e tuttavia ha grandissima e spaventosa forza; dico nel movere e portar pesi, contro la natura loro, in alto, come si vede in mille esperienze. 20 Quando Messer Giorgio introduco quell’ impossibile che seguirebbe se l’ aria fnc. lfi, v. 20. avesse forza di sostenere, che trattonerebbo la terra fuor del luoco suo, erra : 2,4 > lin - perchè non intende niente niente quel che dice il Sig. Galileo, del trattener dell’ aria. E se egli non intende il Sig. Galileo, non meno meraviglioso nella forza delle dimostrazioni che nella chiarezza dell’esplicare il suo concetto, meno potrà intender me: e però, senza farlo staccar troppo dalla gofferia del suo argomento, li dico che vadi pensando da qual parte la terra restarà trattenuta fuora del suo loco, già che da tutte le parti è circondata dall’ aria. Erra a far quella stravagante conseguenza, che l’acqua non saria corpo sol- far. l(ì, v. 33. lunare se non avesse resistenza alla divisione della tavoletta: erra, perchè non li’*s- ai4 > Un.8ò-86|. 30 è vero che tutti i corpi sollunari resistino alla divisione, nè questo è stato già mai provato, nè credo assolutamente che si possa provare; anzi, per la dottrina che Messer Giorgio segue, i corpi sopralunari sono quelli che resistono massima- mente alla divisione. Se Messer Giorgio intendesse che il Sig. Galileo dice, che i corpi più gravi in specie dell’ acqua, tutti, tutti, e sempre, discendono in quella, e i più leggieri, tutti, tutti, e sempre, stanno a galla, e quelli che sono tra di loro egualmente leggieri, egualmente stanno a galla, cioè eguali moli di loro sommergono se in 21. tralU'rrrltlm —~ c Irl tuo luoyn — Da * hrra di molti » (pitg. 254 , lin. 30 ) a « putrefazione » è a p ir in ut. a posteriore. 256 KKKOKl Di QIOKGIO CORE810 fac. 16, v. 38. (|>ag. 214, lin. *40 - [>i*g. 215, Un. 6). fac. 17, v. 15. |p*g. 215, Ila. 12 e «eg.J. fac. 17, v. 32. |pag. 215, lin. 25-26). fac. 17, y. 33. |pag. 215, liu. 27-29J. tutta la mole saranno eguali; ho Messer Giorgio, dico, intendesse questo, osi quietarebbe nel vero, o non produrebbe, con tanti errori, esperienze spropositate. Perchè erra, con questa ignoranza, quando dice: Sia preso un vaso di materia più grave dell’acqua, quale galleggi per l aria ; e poi mino presi due corpi di eguale gravità, ma di mole diseguali, e sii messo dentro a quel vaso or V uno or 1 * altro; che si vedrà che si sommerge tanto dell uno quanto dell altro. Or chi non vede che mentre il peso del vaso è sempre l istesso, e quello delli doi corpi è eguale, e l’aria non pesa niente nell’acqua, che, tanto in una quanto nell’altra espe¬ rienza, il Bolido che è sommerso (sii quanta si voglia l’aria che si ritrova nel vaso) è sempre del medesimo peso in rispetto all acqua e, per tanto, resta di lui io sempre la medesima parte sommersa? E questo tutto non è egli scritto, dichia¬ rato e dimostrato dal Sig. Galileo nel suo Discorso? di modo che non solo, chi intende conosce che non è contro la sua opinione quanto produce Messer Giorgio, anzi, essendo vero le demostrazioni del Discorso, come sono verissime, è neces¬ sario che tutto questo segua. Ma qui nasce un altro errore, mentre egli mette per assurdo che l aria possa ritenere tanto la poca quanto la molta, senza che n' adduca dimostrazione alcuna : il quale errore è tanto maggiore, quanto dal Sig. Galileo è stato molto sotilmcnte dimostrato, occorrere che tanto sostenga moli grandissime una poca quantità di acqua, quanto mezo il mare (l) . Erra pur nella seconda esperienza, e mostra di novo, a chi non so ne fosse 20 acorto avanti, che al tutto non intende niente di quello che dice il Sig.Ga¬ lileo del trattener dell’aria. Ilo detto, e ritorno a dire, che il Sig. Galileo non solo afferma che l’aria è potente a trattener i corpi gravi a galla, ma che questo fanno tutti i corpi leggieri quando, congionti con i gravi, constituiranno moli di minor peso di altrettanta acqua. Or, se vi sian congionti con colla 0 con cala¬ mita o con chiodi, poco importa: basta che siino congionti. E Messer Giorgio stesso, nel produr la sua esperienza, mette nell acqua un solido composto del vaso e di quel corpo di che è ripieno, sì che galleggi : nel qual caso non fa contro al Sig. Galileo; perchè questo sarà un composto men grave di altrettanta d’ acqua, perlochè galleggerà. * 30 Erra ancora, dicendo che galleggerà sempre tanto, quanto il peso del vaso lo sommergerà: perchè, nell esperienza, alle volte la parte che galleggia di quel corpo è maggiore, alle volte minore, alle volte eguale a quella che sarà sommersa; e la ragione di questo, e quando intraverranno questi casi, è chiara nella quarta proposizione del Discorso. Erra nella terza sua ingegnosissima esperienza, del catino di rame che vien giù per aria con moto continovo (ha detto continovo, acciò non si pensi che venga 2. quoterebbe — 4, 26. ciano — 5, 9. iid — 24, 26. eonyiunf» — 37. molo continuo — P» « Ma qui * a « muro» è aggiunta posteriore. RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 257 a saltoni interrotti), sin che arriva all’acqua, nella quale non si profonda nò anche ripieno di quel corpo grave: erra, dico, non perchè la esperienza sia falsa, perchè è vero che il catino vien giù per aria, nè si profonda nell* acqua, quando è ripieno d’ un corpo grave sì che galleggi ; ma erra, perchè pensa che faccia contro il Sig. Galileo: e non s’avede, il poveretto, che il catino descende peraria perchè pesa più di altrettanta aria, e non descende per acqua perchè pesa meno di quella, cioè di altrettanta mole d’ acqua. Non minor errore commette nel produrre l’inconveniente che seguirebbe nel 17 v 38 pesare il piombo o ferro : perchè non è vero che il piombo ridotto in figura piana 215 , Un. ao- 82 ). 10 possa esser sostenuto nell’aria per l’aria congiontagli, dove si pesano simili merci; ma ben potrebbe esser causa di tal fraudo, quando si pesasse ne’ contini dell’ aria e dell’acqua, dove il Sig. Galileo afferma, e con verità, che l’aria trattiene: di modo che questo non ha che fare nulla contro il Sig. Galileo. Erra a dire che gli artefici, che accomodano legni da edificio navale, non abbino fac. 18, v. primo, riguardo all’aria, ma sì bene all 1 acqua: perchè si vede chiaro che per questo li Ip**- 215, Un. 33-841. fanno cavi dentro, non per altro, che, ancorché vi sian poste dentro gran quantità di merci, non per questo si constituisca mole di maggior peso di altrettanta d’acqua. Anzi dico di più, che se Messer Giorgio, quando ha detto che gli artefici non hanno riguardo all’aria ma all’acqua, ha voluto intendere che abbino riguardo 20 alla resistenza che egli pensa che sia nell’ acqua all* esser divisa, erra e s’in- fac. 18, v. primo, gamia: perchè questi artefici doverebhono, conforme alla sua dottrina, fare gli navighi di figura larga, e non cava come fanno; perchè così l’acqua li soster¬ rebbe meglio e con più facilità, essendo le figure larghe e piane meno atte a di¬ videre che le racolte c cupe. Erra nell’ultima esperienza di un novello errore, oltre l’ordinario suo fac. IR, v. 4. (li non intendere niente il trattenimento che opera l’aria quando viene Ipas- 215 , Un. 85-36 j. posta nell’acqua in compagnia di qualche solido. Il novo orrore è questo: che. avendo detto il Sig. Galilei che il composto d’aria e di qualsivoglia materia più grave dell’ acqua, quando sta a galla, vi sta trattenuto dall’ aria, il buon Mes¬ so ser Giorgio s’è imaginato che il Sig. Galileo sia stato tanto inaveduto, che abbia pensato che all’ aria, come a cosa soda e non cedente, sia conficcato il corpo galleggiante, e perciò non vada al fondo; onde egli poi n’inferisce questo as¬ surdo, che i vascelli non potriano moversi: nel qual concetto quanto pueril¬ mente discorra Messer Giorgio, lo lascio giudicare ad ogni persona di me¬ diocre giudicio. Perchè se. egli avesse inteso che l’ aria sostiene i solidi in quel modo che una zucca vòta o un soghero sostiene in su un notatore senza impe¬ dirgli il moto, non si maravigliarebbe che la nave, sostenuta in virtù dell’ aria inclusa, non restasse impedita nel suo corso (l) . 16-17. di mercanti* — 21-22. t narrili — {1 ' Da « Perchè se egli » a * corso > è aggiunta posteriore. IV 33 \ i \ ERRORI DI GIORGIO CORK8IO fac. 18. v. 18. *210, 1 in. 1 e Hojf. ]. fac. 18, v. 25. |p*K- 216, Un. 2-8). fac. 18, v. 32. | pag. 216, liu. 12). fac. 19, v. 12. jpatf. 216, liu. 26-27). fac. 19, in tutto. |pag. 216-217). fac. 20, v. 36. Ipug. 217, Un. 30-38). fac. 21, v. 8. [pag. 218, lin. 6-8). lue. 21, v. 8. fac. 21, y. 20. |pag. 218, liti. 14-17). 258 Krra, non intendendo come un corpo leggieri comunichi la leggerezza a un corpo grave quando se li congionge, qual si sia il modo della congionzione : o per natura elei composto, elio sarà costituito «li gravi e di leggieri; o per arte come quando si legano su le spalle delli uomini vegiche ripiene d’aria, acciò non si sommerghino nell’acque; o per un ©squisito contatto, come è forsi, e dico anche senza il forsi, nel caso della tavoletta d* ebano. Ma erra di più in questo Discorso: perchè prima dice che la comunicanza si fa per uso, e poi. volendo provare che V aria non può comunicare leggerezza per uso, dice che V uso si fa da sé ; il che è sproposito e, come si vede, non con¬ clude nulla. 10 Krra nel titolo del quinto Discorso, che è questo: < Che la figura sola fa gal¬ leggiare il solido > ; erra, dico, e con tra il vero e contro sò medesimo: perchè ha detto, ed è per replicare, che la leggerezza è quella che fa galleggiare; non può, dunque, essere la figura sola, come animosissimamente propone Messer Giorgio in questo titolo, che faccia galleggiare; già diesi confessa che v’abbia parte la leggerezza ancora. Erra nell’assegnare certi suoi fondamenti, e s’imbroglia di modo, che non solo mostra di non avere inteso quello clic dico il Sig. Galileo, ma che non in¬ tende quel che egli stesso si dice. Vedasi la sua definizione della figura, che è questa: < La figura è quantità terminata da superficie d* una o più linee >. Do- 20 veva dire: < La figura è quella che ò terminata da uno o da più termini > ; e va, in cambio, a introdurre ©esorbitanze senza senso e spropositatissime. Erra, finalmente, in questo Discorso, perchè non solo non ha concluso quel che aveva proposto, cioè che la figura sola fa galleggiare il solido, ma meno ne ha parlato; il che è mancamento troppo notabile. Messer Giorgio concede, e con ragione, al Sig. Galileo, che il mettere in carta manifesti più la verità o falsità delle opinioni, che non fa il disputare in voce: fa benissimo ancora, quando concede che ’l filosofare vole esser libero : ma erra ben poi di contradizione, quando s’attacca più all’autorità che alla ragione. Krra ancora nell’ introdur 1’ argomento tolto dalla autorità (che pur è sola- so mente probabile) nella filosofia, la quale, essendo scienza, deve necessariamente dependere dalla demostrazione : nè Aristotile stesso (già clic Messer Giorgio si voi servire della autorità) in tutta la sua Logica, mentre dà e’ precetti del sa¬ pere, introduce mai il mezo dell’ autorità, conio troppo debole. Ma io soggiongo di più, che chi in scienza si vale o serve dell’autorità, oltre che egli non sa, ma solo pensa e riferisce che altri abbia saputo, dà segno manifesto d’essere animo vile, basso ed inettissimo al rettamente discorrere. Krra nel dire che Aristotile non lasciasse mai l’autorità per la ragione; e T errore è chiaro, poiché si vede che Aristotile lasciò in moltissimi loghi l’autorità 2. congiugne — 4. vetciche 6, 6. forte — RACCOLTI I.)A D. BENEDETTO CASTELLI. 259 rlelli antichi per la ragione, ancorché la ragione fosse debolissima: come si vedo in particolare nel primo libro della Fisica, dove per una semplice similitudine di un scanno e un letto (e, sia detto con pace di un tant’ uomo, similitudine bassa, popolare e forse falsa) lasciò l’opinione di quelli che tenevano che la materia prima fosse per se stessa formata. Erra, riprendendo il Sig. Galileo di falsità quando dico che l’acqua nel gelarsi cresce di mole : erra, dico, Messer Giorgio dicendo che la proposiziono è falsa, soggiongendo poi che è vera per accidente ; quasi elio, so per accidente cascando una pietra da alto d’ una torre rompesse la testa a uno, sia lecito con la logica io Coresiana dire: Non è vero che quel povero abbi rotta la testa, nè che sia ca¬ scata la pietra ; perchè si è rotta la testa ed è cascata la pietra per accidente. Erra, di più, contradicendo al precetto che dà a setto faccio [pag.207, Hn.ae-27] della sua Operetta, dove scrive che non si deve mai negare la proposizione necessaria per accidente alcuno. Erra, in oltre, dicendo che il ghiaccio si rarefà per accidente, mentre che, con¬ tradicendo a sé medesimo, soggionge che di necessità alla constituzione del ghiac¬ cio le parti dense si rarefanno. Or, se di necessità della natura del ghiaccio ò questa rarefazione, erra dunque manifestamente Messer Giorgio a dire che sia un per accidente. 20 Erra nel dire, con Ermino, clic il cristallo è trasparente per la mischianza dell’acqua e dell’aria: prima, perchè se il cristallo sarà rotato rozamente nella sua superficie, si vedo elio non è più trasparente; e non ha già persa la mi¬ schianza primiera. Erra, di più, ne’suoi medesimi principii: perchè se il cristallo avesse mischianza aerea, dovrebbe esser leggieri, e star a galla, conseguentemente, nell’acqua; e tut¬ tavia va al fondo. In oltre, il legno, non essendo trasparente, dovrebbe, conforme a questa dottrina d’Ermino, essere senza tanta mischianza d’aria e, per conse¬ guenza, andar al fondo; e tuttavia il cristallo descende, ed il legno galleggia. Bi¬ sogna, dunque, che Messer Giorgio ritrovi altra cagione della trasparenza, che la so mischianza dell’aria. Erra di falsità nel dire che il ghiaccio sia più grave dell’acqua: essendo egli più leggieri di quella, standovi a galla, come ogn' uno può facilissiinamente con¬ prendere. Ed erra, ancora, servendosi della dotta proposizione senza pur assegnarne una minima prova, servendosene, dico, da dedurre un’altra conclusione: che è er¬ rore nefandissimo di discorso, poiché si camina dall'ignotissimo all’ignoto. Erra nel servirsi dell’autorità di Alessandro nel primo delle Questioni, cap. se¬ sto, quale dice solo che l’acqua ghiacciata è alterata molto; erra, dico, in servirsi (li questa autorità, perchè da lei deduce che dovrebbe discendere: conseguenza 1 . degli antichi — 21 . arrotata — fac. 21, v. 36. Ipag.218, 1 in. 27 o sogr.|. fac. 21, v. 36. fac. 22, v. primo, [pag. 218, lin. 31-3IJ. fac. 22, v. 9. fpag. 218, lin. 37-39]. fac. 22, v. 9. fac. 22, v. ]0. (pag. 218, lin. 39-10]. fac. 22, v. 11. [pag. 218, lin. 89-40]. fac. 22, v. 14. (pag. 219, lin. 1-3]. ‘260 ERRORI DI GIORGIO CORK8IO fiio. 22, v. 26. ipa*. ‘21V, liu. 11—17J. fac. 22, v. 36. ||.ag. 219, liu. ‘20-‘2l]. fac. 23, v. 4. | pag. *219, lin. 36-381. fac. 23, v. 14. Ipag. 219, lio. 3*2-34]. fac. 23, v. 14. fac. 23, v. 14. fac. 23, v. 33. Ipag. ‘2*20, lin. 6-8). fac. 23, y. 36. [pag. 220, lin. 9|. fredda e spropositata, quasi che tutta l’aequa che si altera acquisti maggior peso. Il desiderio di mantenere un falso, che ha Messer Giorgio, e la penuria di fondamenti è cagione che il povero uomo si attacchi a queste vanità e puerizie. Erra nel produrre che Aristotile ed altri siino della sua opinione: perchè ora non si tratta se Aristotile o altri abhin auto o no questo pensiero della consti- tuzione del ghiaccio; nò meno si tratta se questa proposiziono della rarità del ghiaccio sia scritta atiirmativa o negativa in Aristotile nò in altri; ma si tratta se nel libro della natura stessa sia il ghia ciò acqua rarefatta o condensata: e avendo il Sig. Galileo detto che in natura il ghiaccio è acqua rarefatta, bisogna che il io contraditore ritrovi la negativa in natura e non su foghi di carta. Erra a trapassare in silenzio in questo passo gli argomenti del Sig. Galileo convincenti che il sopranotare del ghiaccio non nasce dalla tigura larga, impotente a fender l’acqua : perchè, se li ha giudicati buoni, non può con tanta ostinazione introdur la tigura sola causa del sopranotare ; e se li ha giudicati difettosi, era obligo suo il correggerli in questo loco. Erra in attribuire al Sig. Galileo che non si voghi quietare in questo, che lo cose, quanto più son gravi, tanto più vallino in giù ; e, quel che è peggio, Ter¬ rore è tanto volontario, che non lo posso attribuire a ignoranza, perchè da sè stesso Messer Giorgio ha confessato, dua righe più alto, che il Sig. Galileo pone, 20 con Archimede, per cagione del discendere Teccesso della gravità de’mobili sopra i mezi. Quest’errore, dunque, già che non si può attribuire a ignoranza, ò manife¬ sto che depende o da ostinazione o da troppo desiderio di contradire. Erra: perchè dopo che ha detto, con Aristotile nei libri del Cielo, che le parti per intrinseca inclinazione vanno al proprio logo, e soggiunto, col medesimo Ari¬ stotile, che Tintrinseca inclinazione è la loro gravità, imediate, non curandosi contradir al suo Aristotile ed a sè medesimo per contradir al Sig. Galileo, sog- gionge non esser la gravità intrinseca e vera cagione. Erra, ancora, nel dire che la gravità non sia intrinseca e vera cagione, con¬ correndo come potenza: erra, dico, prima, perchè la gravità è atto, e concorre 30 realmente come tale; ma, di più, erra ne’suoi medesimi principii ed in via peri- patetica, perchè la materia nel composto concorre conio potenza solamente, e pur tuttavia è numerata tra lo vere ed intrinseche cagioni del composto. Erra quando pensa che 1 Sig. Galileo, nel ditlinire Tegualianza della gravità in specie, taccia una specie; e l’errore suo essorhitante procede dal non intender niente, niente, niente il Sig. Galileo; infelicità degna di riso e di compassione. Erra di contradizione in dire che ’l più e’1 meno non mutano specie: perchè «1-4. e j/urrizic, cassato — 5. nano - 3. tleeta il ghiaccio uri acqua — 11, « non tu le carte — 16. luogo 17. voglia — 23. contraddire — 25. toggiuntu — 27-*. 8 . *u4-98). fac. 25, v. 35. [ pu£. 2*21, liti. 30-35). fac. 2(5, v. *5. |patf. Sii, Un. 8G-39). che, ancorché rabbi* Aitimi non però Antonini «I il càtare in tuo favore Ari* 8totile non è altro che produrre, in qu^to particolare, un Ul*> testimonio dalla sua Krra affermando ebr il Sif. Gabbo non abbui duuo-trata la leggerezza del ghiaccio dal ritornar a galli quando è po»to nel fondo; già che questo è abito fatto. M 1 'T (liorglo filiali o rii botato di opra por potar dire die il Sig. Galileo T arerà tralasciato, ormi non l'ha inteso. Krra noi proporre quell» divisione, che altri corpi galleggino per leggerezza, altri per la figura, altri per la piooolejxa: e I*errore di Meaacr Giorgio è doppio. Kn errore è, i*rchè in quo«t* dimion* suppone p r vero quello di che ai disputa: pwahè ai disputa se possa mera che U figura «> piccolezza faccia gaUeggiirejf que 1 oorpi che per la loro gravità sono atti al dincendrre ; il che poi al tutto è stato negato, refuUtn e conrinto per falso, dal Sig. Galileo. Im im, in oltre, di contradisione al titolo del tuo quinto l rincorso, nel quale scrire formalmente queste parole: < Che la figura sola fa galleggiare il solido>: or, h«* la figura noia fa galleggiare, non può dunque ora supponere, se non con in,miti ^ta o»ntr filatone, che la leggerete*. aurora fa galleggiare. l.ira e a inganna, pensando e dicendo che la disputa sia di quelle cose che .stanno a galla per la figura: nel che si inoltra di non saper manco qual sia il suggetto di che ai tratta. La disputa A delle cose che stanno su V acqua, e non di quelle cose che stanno a galla per la figura, perchè simil disputa sarebbe 20 d'un niente. 1 /rra assai puerilmente quando dice che il legno, per esser aereo,sa- mbbo sostenuto in alto dall'aria come la paglia; erra, perchè non è vero chela paglia sia sostenuta in alto dall 1 aria. Ann io rt^to meravigliato che Mesaer Gior¬ gio non ai ricordi di quello c he lui detto di sopra, che i corpi, quanto più son gfavi, tanto più vanno a basso, e che in questa proposizione tutti gli uomini si quietano come notissima: il che emendo vero, perchè non dice egli, in questo passo che il legno, ancorché sia aereo, descende più dell'aria, perchè è più grave di quella, e poi il medesimo legno galleggia nell 1 acqua, jHirchò è di quella piu leggieri? chè cosi avrebbe filosofato bene, e non sarebbe incorso in tanto mi-so sere falsità. hrra, perche propone di dimostrare una conclusione, cioè che la gravità pre¬ supponga la divisione, e j>oi, uscendo di tuono, a sproposito meraviglioso, con¬ clude nel primo argomento: «adunque la densità è la principal causa della facile o difficile divisione >; la qual conclusione non ha che fare niente con quella che si era proposta da provare. Non meno spropositata è la seconda ragione: nella quale erra pure, già che in qiull.i ogni altra cosa si conclude, che quello che si ora proposto di provare. Si 1. n(«« “ 7. proporr « — 11. fw«' — | g. rrjiutoto |S. #*/ ;>«rr» — SO. tetti* «8. a tpropOMÌto meraviglio", cma* - . . t provar* — S7. .VWw mm* « rrwu ì - 37-8». pnr* ogni «lini ~ 88. di provare, cassato - RACCOLTI DA 1). BENEDETTO CASTELLI. 263 era proposto di dimostrare die la gravità presupponga la divisione; e si con¬ clude che ò necessaria la resistenza o difficoltà alla divisione. Erra di più, in tutte dua le predette ragioni, perchè si serve di proposizioni dubbiose e false; come, nella prima ragione, che il trapassare o non trapassare nasca dalla facile o difficile divisione del mezo. La qual proposizione è falsa di sicuro quando si trapassa per un aggregato di corpi contigui; perchè, non facen¬ dosi ivi divisione, in conto alcuno non può nascere il trapassare o non trapas¬ sare dalla facile o difficile divisione. Di più il non trapassare può nascere da mil- T altre cose, oltre la difficile divisione. io È errore, ancora, il dire che il trapassare si faccia per la divisione; cioè che la divisione sia cagione del trapassare, e non più presto il trapassare causa della divisione. L’errore di falsità nella seconda ragione è quando dice che, tolta la difficoltà del dividere, si leverebbe la cagione del più o men veloce: il qual detto è falso, perchè la cagione del più o men veloce ne’corpi liquidi, o vogliam dire fluidi, è il doversi mover più o meno parti del mezo con maggior o minor velocitò. Erra, per difender il Buonamico, in dire che egli renda la ragione di una esperienza che può essere che sia falsa; perchè in questa maniera, scusandolo d’un errore, lo fa incorrere in un maggiore inconveniente. 20 Erra, parimente, in volere che il Buonamico per convincere e rifiutare Archi¬ mede proponga un’esperienza incertissima e, se non falsa, almeno difficile da strigare, come ristesso Messer Giorgio confessa: di modo che il Sig. Buonamico è molto mal condotto da questa sorte di difensori, quali nel difenderlo gli ad¬ dossano errori peggio di quelli di Messer Giorgio stesso 0) . Erra in tacere quello die dice il Sig. Galileo in diffesa d’Archimede, contro il Buonamico, intorno al moto allo insù: perchè se quella diffesa è sufficiente, non occorre filtrare in altro ; se è difettosa, doveva Messer Giorgio manifestar il difetto. Erra di sproposito notabile quando desidera che il Sig. Galileo dica se sa che 30 Anassimandro o Democrito mettessero 1’universo infinito: perchè questo non ha 3. due — Di fronte allo lin. 3-10 si legge sul margine, di mano diversa da quolln del Castklm, la nota « lo leverei», e le linee stesso sono cassato. — 17. Erra, con difender — Anche le lin. 17-19 sono cassate, o ad esse è sostituito quanto appresso: Volendo difendere il Sig. Buonamico dell' inganno in che egli incorse nel credere che un vaso di legno, che per sua natura stia a galla, ripieno d’acqua vada al fondo, dice il Sig. Giorgio in questa maniera appunto : « Fu ripreso il Sig. Buonamico, quasi abbia detto che, un vaso di legno pieno d’acqua vada al fondo; c non s’avverte, che quel filosofo non afferma che. vada n che non vada, ma, presupposta l’espe¬ rienza, ne rende la cagione ». Onde considerisi in che errore i caduto il Foresto, volendo che «no abbia ben filosofato rendendo la ragione d’un presupposto falso e che non può mai estere; e che bel discorso deve essere questo del Sig. Buonamico, rendendo ragione d' una cosa che non fu mai, nel medesimo modo che se uno si af¬ faticasse in render ragione perché il sole sia oscuro e V inchiostro sia bianco. — Di fronte alle liti. 26—28 si leggo « leverei », e le lineo stesse sono cassate — ffte. 26, v. 6. |pag. 221, lin. 31-801. fae. 25, v. 38. ll>ag. 221, lin. 81-88). fae. 26. v. 4. (pag. 221, lin. 3G-38J. fac. 26, v. 9. fpagr. 221, lin. 39 — pag. 222, lin. 3). fac. 26, v. 9. fac. 26, a mezo. fpag. 222, lin. ®-9J. fac. 26, v. 20. [pag. 222, lin. 10-11]. t 1 ' Da « di modo » a « stosso » è aggiunta posteriore. 264 ERRORI DI GIORGIO C0RE8I0 fac. 26, v. 18. Jpag. 222, lin. 7 9). fac. 4f>, v. 26. | pag. 236, lin. 33). fac. 27, v. 9. [pag. 222, lin. 31. lac. 27, v. IO. [pag. 222, liti. 32|. fac. 27, V. 17. [pag. 222, liu. 37-38). che fare nulla col saldare la ditfesa d’Archimedc. Dovea bene Messer Giorgio la¬ sciarsi intendere, se la prima diffesa d’Àrehiraede contro la quarta opposizione del Buonamico li bastava, o no : e se li bastava, doveva quietarsi; e caso che vi avesse auto dul>io, doveva procurare d’intendere che il Sig. Galilei non promet¬ teva di voler difendere IMatone, nè Anassimandro, nè Democrito, nelle loro opi¬ nioni, se l’avevano, della infinità dell’universo, n ih solo propone di volergli difen¬ dere nel particolare del negare la leggerezza, come qualità positiva, nei corpi naturali; ed in questo doveva Messer Giorgio, se poteva, contradire al Sig. Ga¬ lileo, e non mettere in campo pretensioni che non fanno a proposito. Erra ancora, in questo medesimo loco, di inosservanza dei proprii precetti: io perchè, avendo di sopra detto che bisogna far stima deH’autorità de’grand’uomini, qui si riduce, ed in altri luoghi ancora, a sprezzare l’autorità di Platone, non senza cagione chiamato divino; di più, tratta per una pazzia l’opinione di De¬ mocrito intorno alti atomi, con tutto che ne venga Democrito lodato da Aristotile stesso nel primo della Generazione; in oltre, riprende Archimede, e senza aver mai intese le sue dimostrazioni, riputate da ogn’uno che le intende essattissime; e, quel che è peggio poi ili tutto, s’attacca all’autorità di Macrobio, di Ermino, di Huonamico e simili. Erra Messer Giorgio, quando, contro quelli che tengono che la leggerezza sii qualità privativa, pronunzia, liberamente e senza prova, che il fuoco non abbia 20 inclinazione naturale d’andare all’in giù ; e l’errore nasce per ignoranza non solo del vero, ma, quel che è peggio, del modo ili argomentare e discorrere, già che in questo detto suppone che la principal conclusione delti aversari suoi sii falsa 0 ’. Erra nell’introdurre la leggerezza per qualità positiva, con dire che < si move quello che può e non quello che non può >: perchè questa proposizione è vera, se s’intende in questo senso: < Si move quello che può 0 moversi o esser mosso >; ed in questo senso presa, non conclude nulla, Messer Giorgio, perchè così non sarà inconveniente il dire che il grave si move perchè può moversi, ed il leggieri si move perchè può esser mosso: ma seia proposizione fosse presa in altro senso, come bi¬ sogna che Messer Giorgio l’intenda per volere concludere, io dico che è falsissima, so Erra e s’inganna, quando crede a Simplicio e soggionge che si vede che il maggior fuoco si muova più veloce del minore. Merita però qualche scusa in questo, perchè l’errore non è suo particolare, ma universale a tutta la scola peri- patetica, nella quale con simile errore, con Aristotile, si crede che mille libre di terra si movano più velocemente di quattro libre, per la diversità del peso: il che è falsissimo, come si vede nell’esperienza far — 1, 2. dìfeta — 4. dubbio — 6. le avevano — 9. che non hanno che fare con le cote che ti trattono. 10. luogo 14. agli atomi — 18. del Jìuonamico — 23. tia —- 24. muove — 26-27. motto »; ma in Le lin. 19-23 tono state Aggiunte posterior- 1*1 I#o lin. 31-86 sono state aggiunte in margina, mente io margine. e poi cassate. RACCOLTI DA 1>. BKNKDKTTO l'ASTKLM. 265 Erra in volere che il Sig. Galileo produca l’esperienza del veder lo essalazioni ascender per l’acqua più velocemente che per l'aria. Può bone il Sig. Galileo (anzi l’ha fatto sotilissimamente) produrre la ragion di questo: ma perchò il Coresio non 1 ’ ha intesa, va dimandando altre cose a sproposito, ed esperienze che mai non sono state proposte. Erra a dire che sii meglio rispondere, la cagione del galleggiare essere il predominio aereo, che la leggerezza: anzi è tutto il contrario, perchè è meglio assegnare una cagiono nota, come è la leggerezza, che una incognita e che implica mille difficoltà, come è qi/el predominio *' . io Erra nella risposta che fa all’esperienza dell’affondarsi egualmente il cono o piramide tanto dalla parte acuta (pianto dalla larga, quando dice che simile esperienza non fa a proposito. Mcsscr Giorgio, por non saper che cosa sia discorrere a proposito, giudica fuori di proposito, per provare che la figura meli atta al dividere non ha che lare nel galleggiare, produr una esperienza che necessariamente esclude il galleggiar per la figura impotente al dividere. Se sia errore, c di quelli grossi, il dire che la detta esperienza con¬ cluda cosa falsa, lo lascio giudicare a’capaci di ragione, non solo dalle ragioni prodotte dal Sig. Galileo, ma dal modo stesso di dire di Messer (Giorgio, nel quale ho notato, oltre tant’altri, gli errori seguenti: 20 Erra insipidamente e senza considerazione, affermando che il piano della piramide si sommerge per sino a tanto che non ritrova tant’acqua a so¬ stenerlo. Che questo sia errore manifesto, si conosco dai considerare che, quant’al piano del cono, ritrova tant’ acqua nel suo principiar a sommergersi, quanta quando che, essendosi già in parte sommerso, si ferma: anzi, che più presto si deve dire che il cono ha maggior quantità d’acqua sotto di sè nel principio dell’immergersi, che quando si ò già fermato; e tuttavia nel principio non può esser sostenuto dalla molta acqua, e di poi viene al tutto quietato dalla manco. Erra ancora, e l’errore è degno d’esser notato, dicendo clic la parte della piramide che è più facile a dividere, è più diffìcile all’esser sospinta, e la parte so più difficile a fendere ò facile a esser cacciata. Dico che quest’errore è degno d’essere notato: perchè, concedendosi per vero questo suo detto, segue pur tutto il contrario di quello che Messer Giorgio stesso amette. Messer Giorgio concedo di sopra (con dire ancora che non fa a proposito) clic tanta parte della piramide o amo si sommerga con la punta allo in giù, quanta con la basa; ed ora nota che la parte più atta al dividere è meno sostenuta: or, se questo tutto è vero, ne segue di necessità che la piramide più si abbia a sommergere con la punta 18-15. giudica fuori di proponilo il produrre una etperienxa che necennariamente delude il galleggiar per la futura impotente al dividere, per provare che la figura tnen atta al dividere non ha che fare nel galleggiare — IO. quei — 22. quanto al — 84. lane — Lo lin. 6-0 nono aggiunte in margine. file. 27, v. 25. |pag. 223, lin. 2-0 j fiio. 27, v. 36. [|>ag. 223, lin. 10-111. fac. 28, v. 13. Ipag. 228, lin. 21-25). fac. 28, v. 13. fpag. 223, lin. 25| fac. 28, V. 20. [pag. 223, lin. 28-30J. far. 28. v. 23. ||Mg. 223, lin. 84-36). IV. 34 266 ERRORI DI GIORGIO CORESIO fac. 28, v. 31. |pAg. 228, liu. 87-40J. fac. 28, v. 34. Ipag. 228, Un. 40 - pag. 224, Un. 8]. fac. 28, v. 34. * fac. 28, v. 37. jpag. 224, Un. 2- 4). fac. 28, v. 40. jpag. 224, liu. 4—4>J. allo in giù che con la basa, ai perchè la punta è più atta al dividere, sì perchè è meno sostenuta: il che poi è contro a quello elio Measer Giorgio ha concesso di sopra, e resane ancora la ragione. Erra, radoppiando contradizioni e confusioni, nel voler provare che lo espe¬ rienze. del Sig. Galileo concludono cosa falsa : e questo fa quando scrive che una piramide con la punta allo in giù si ferma quasi in un punto, e poi immediate soggiunge clic lo trapassa. E qual è quella piramide che si ferma quasi in un punto? e se si ferma in quello, come lo trapassa? Eh, che sono essorhitanzo troppo estreme ! Erra in congiongere a questi spropositi, coinè per deduzione, che il Sig. Galilei io sforzato dalla verità dica che la palla più velocemente descenda che una tavo¬ letta piana: erra, prima, in questo, perchè non si conclude altrimente la quiete della tavoletta dal ritardamento del moto, come ha bisogno o desiderio Messer Giorgio. Gi più, già che Messer Giorgio scrive, ed è verissimo, che il Sig. Galileo sforzato dalla verità (lice che più velocemente si move la palla che la tavoletta, io soggiungo clic il Sig. Galileo non solo in questo, ma in tutto, sempre, parla sfor¬ zato dalla verità, sì come all’ incontro Messer Giorgio mio sempre parla spinto dall' ignoranza. Erra, di più, a credere che questa ritardanza nasca dalla difficoltà al divi¬ dere : perchè non è vero che nasca da questo, nè il Sig. Galileo concedo che da 20 questo dependa, ma sì bene per aversi da movere lateralmente e per maggior spazio più quantità di parti del mezo. Ora, se Messer Giorgio vole concludere T intento suo, Insogna ritrovare ritardamento, e, quel che importa più, quiete, c che mischino dalla ditlicoltà della divisione. Erra di contradizione, quando dice che i cilindri si profondano per la gravità di sopra che li spinge: e l’errore è di contradizione, com’ho detto, perchè di sopra ha voluto che la gravità sia solo potenza e, per conseguenza, non possa faro azzione, nò esser cagione di moto. Erra, volendo rispondere all’ esperienza della cera che con il piombo va al fondo, quando dice che vi va per violenza: perché questa risposta non solve l’ar- w goraento del Sig. Galileo, con diro che con queste violenze non si può conoscere quel che operi la figura. Anzi replico io, che mentre Messer Giorgio pone che la figura abbia forza di sostenere, o dall'altro canto il Sig. Galileo con la piccola violenza di un grano distrugge la forza della figura, resta chiarissimo che la figura era più impotente e debile al sostenere, di quello che era il grano di piombo ài tirare a basso : ed ancorché sii verissimo che non si sia con questa esperienza conosciuto quel che operi la figura (anzi non si può conoscere, non avendo ella che fare in questa operazione), si è però conosciuto che la figura 1. base 7. toggiugne — 10. congiugnere — 17-1S. all' incontro il Sig. Giorgio mostra di fasciarti solfi' menu muover dal suo contrario — ‘>4, nascano — 36. ria verissimo — RACCOLTI DA 1). BEN EDOTTO CASTELLI. 267 non ha più forza di quello che ha un grano di piombo ; e tuttavia quella forza che gli aversarii del Sig. Galileo attribuiscono alla figura, ò le centinaia di volte maggiore di quella del piccol grano. Perchè vedo che spesso Messer Giorgio replica questa verità, che in diverse figure si vede diversità secondo il più e men veloce; ancorché io abbi proposto di notare solo gli errori, tuttavia volentieri trascrivo e sottoscrivo questa propo¬ sizione, massime non essendovi altro di buono: e dico che tengo per verissimo e so di sicuro che il Sig. Galileo, prima di me e del Coresio ancora, ha auto questo pensiero medesimo e l’ha scritto nel suo Discorso, che nei corpi della medesima io materia e di diverse figure nel medesimo mezo si fa diversità nel moto secondo il più e men veloce ; ma non già diversità dal moto alla quiete per la figura, f ac . 29 , v. 38 . nel qual pensiero, errando, trascorre Messer Giorgio. |png. 224 , Un. 32 - 85 ). Erra dicendo che non fa a proposito il cercare se P ebano sia bagnato o non f lV c. 29 , v. 11 . sia bagnato: perchè quando io dicessi che V ebano va a fondo nell’acqua, e die Ina*. 224 , iìd. 18-16|. Messer Giorgio mi (lasse dell’ ebano asciutto, mentre che me lo dà asciutto me 10 dà congiunto o contiguo con deir aria; e se lo vole con qualche maniera, nel posarlo nell’acqua, mantener così asciutto, io posso dolermi e rispondere che, in mantenerlo asciutto, me lo vole mantener congionto con l’aria; dove che non è poi da far caso, contro della mia proposta, che alle volte, essendogli accompa- 20 gnata sotto il livello dell’ acqua una gran quantità d’ aria, sia il tutto, cioè ebano e aria insieme, trattenuto a galla, perchè quell’ aggregato d’ ebano e d’ aria può essere che sia più leggieri di altrettanta mole d’acqua: e tutto questo è stato ingegnosissimamente avertito dal Sig. Galileo nel suo Discorso. Sì che il ricer¬ care se la tavoletta d’ebano sia asciuta o bagnata, fa mirabilmente a proposito per saper la verità del fatto che si cerca; ma non fa mica a proposito per chi volesse persistere nell’errore di Messer Giorgio. Erra in riprendere il Sig. Galileo che abbi detto che il luogo voi esser della f llc 29. v . 32. medesima natura: erra, dico, in riprenderlo, non avendolo inteso. Ed ancorché [pas.224. liu.28-ai]. 11 Sig. Galileo sia nel suo dire per sè stesso chiarissimo, tuttavia, in grazia di so Messer Giorgio e per fargli cosa grata, dico che quando il Sig. Galileo vole che il luogo della tavoletta sia della medesima natura, intende < della medesima natura secondo la quale si dà la denominazione al luogo > ; di modo che egli non nega che un corpo non possa esser circondato e locato parte in oro parte in argento e parte in terra, come sarebbe un liquore posto in un vaso composto di questi tre corpi 0 mischiati 0 distinti : ma dichiara sè stesso quando disse nella disputa: < Sia posto T ebano indi’acqua >; oliò non ha voluto intendere < Sia posto in aria >, nè meno < parte in acqua e parte in aria >, ma in dire < Sia posto in acqua > intende ed ha voluto intendere che il loco nel quale si ha da locare il corpo sia della medesima natura che si nomina, cioè tutto acqua e non L veggio ■ lo. dct$e — 16 . congiunto — 38 . luugo — • % KKKORI DI GIORGIO CORK8IO fac. 29, v. 37. Ipng. 224, liu. 83 8T»]. fac. 30, v. 18. |p&&. 225, liu. li II |. fac. 30, v. 22, v. 20. IpAg. 225, lin. 18-19). fac. 31, v. primo. [pa&. 225, lin. 27-30|. fac. 31, v. 2. [pag. 225, liu. 28-29J. fac. 31, v. 9. (pag. 225, lin. 38-34 J. fac. 31, v. 17. (pa£. 225, lin. 38-40). 2(iS parte ili quella o parto d'un 1 altra cosa: e questo modo di parlare è convenien¬ tissimo, nè merita riprensione. Urrà in dire che il solido molto dilatato perde della sua forza, di modo che eon gran dilatazione finalmente si riduce alla quiete in quel mezo nel quale, per sè stesso, sotto figura più ramila (leucemie: e perchè vedo che a scaponirlo di questo errore non sono atte le dimostrazioni del Sig. Galileo, essendo al tutto im¬ possibile che egli le intenda, eon sforzato rimettergli in mente queir argomento che egli stesso scrive in fine della fac. 17 fp»ic.m, Un.so 32 della sua Operetta, il quale a quel proposito, come ho notato, non conclude nulla, e qua torsi lo potrebbe chia¬ rire. V argomento è questo: che so la figura piana e larga avesse forza di far io perdere il peso, anzi di fermare in tutto un corpo che non descendesse più, do¬ vrebbe chi pesa a suo prò’ o ferro o piombo fuggir la figura piana e larga, quale farebbe per chi compera. La risposta che mette conforme al maestro, come dico, del Sig. Galileo, che T acqua pesante scaccia all’ in su le cose più leggieri di essa, non avendo la figura nessuna natura in suo aiuto, ini piace assai assai: e Dio volesse che Messer Giorgio si fosse accorto d’ aver detta la verità e quello per 1’ apunto che dice il Sig. Ga¬ lileo ; che egli non avrebbe scritto l’errore, che nelle cose più gravi la figura ha forza di sostenerle. Nelle altre due risposte si vede chiaro che erra, e non risolve niente la diffi- 20 colta in che l’ha ridotto 1* esperienza proposta nel Discorso. Krra nel voler contradir alla conclusione del Sig. Galileo, la quale è che del- l’andare a fondo la tavoletta d’ebano o la sottile falda d’oro n’è causa la gra¬ vità maggiore di quella dell’acqua, e del galleggiare la sua leggerezza, etc. Per contradire a questo, Messer Giorgio mette in campo che in questa conclusione sono più duini che parole. K, prima, afferma d’aver dimostrato che anche le cose più gravi doli’acqua galleggiano: il che non è mai stato fatto, ed è sempli¬ cemente impossibile il farlo; anzi io di sopra ho notati parte delli errori e pa¬ ralogismi che commette in questo proposito. Erra, di più, Messer Giorgio di contradizione: perchè ha concesso, nella fac. 23, 30 ver. 7 pn&. 219, Un. 27-28 , che le cose quanto più non gravi, tanto più vanno in giù, e detto che questo è noto a tutti; ed ora, per contradire al Sig. Galileo, si mostra ignorante e contraditto re d* una proposizione tanto certo. Erra a dire che il Sig. Galileo non abbia dimostrato che la figura non trat¬ tiene il peso: è ben vero che non l’ha dimostrato a chi non lo può intendere, come è l’intelletto di Messer Giorgio, privo di geometria. Krra affermando che la figura rispetto al mezo toglie il peso: perchè sia pe¬ sato qualsivoglia corpo, v. g., piombo, di qual si voglia figura; e poi il medesimo 9 . for ir 18 - 19 . la Jiijurtt abbi forti i — 20 . dubbi — 30 . geometria, tenui la i/aa le ? imponibile intendere eoea buona. — RACCOLTI DA D. R KN ED ETTO (CASTELLI. 209 corpo sia ridotto sotto qualunque altra figura, o ripesato nel medesimo mezo ; chò senza dubio si vedrà che la figura non ha mutato peso in conto alcuno, nò anche rispetto al mezo. Erra, non intendendo che la tavoletta d’ebano sia tutta sotto il livello del¬ l’acqua: e quest’errore nasce o dal non aver vista l’esperienza della quale si tratta o, avendola vista, dal non aver ben considerato il fatto. Erra in voler restringere la disputa solo al galleggiare, cioè al non profon¬ darsi tutto il corpo sott’acqua: perchè se Messer Giorgio vorrà trattar solo «li questo modo di galleggiare, non potrà sodisfare alla parte che s’ ha presa a dil¬ lo fendere; perchè, avendo la parte contraria prodotta 1 *assicella d’ebano, e gal¬ leggiando l’assicella con affondarsi tutta sotto il livello dell’acqua, restarà escluso dalla sua Operetta il trattato di questo particolare, con mancamento notabile. Erra e di contradizione e di falsa intelligenza in tutto quello che dice contro al trattener, che fa l’aria, la tavoletta: e l’errore oltre che è per sò stesso ma¬ nifesto, ne ho parimente di sopra fatto menzione; e per tanto non ne dirò altro, solo che chi desidera veder una confusione senza mai concluder cosa che sia a proposito, legga tutta questa Operetta di Messer Giorgio e questo passo in particolare, che avrà l’intento ; perchè ora dice una cosa, poi ime- diate la nega, ora senza dependenza inferisce conclusioni spropositatissime c •20 talor contrarie a sè medesimo. Ma per non passar la cosa digiuno in tutto, noto che: Messer Giorgio erra a dire che la natura non si curi che l’ebano e ’l quat¬ trino stiano a galla quando sono congionti con l’aria: anzi dico io che se ne cura con quella diligenza die sempre fa per non ammettere inai che le cose leg¬ gieri vadino in fondo de’ mezi più gravi. Seguita nell’errore quando dice che sarebbe contro la natura dell’aria trat¬ tener le parti terrestri: e l’errore nasce perché Messer Giorgio è tanto sepolto nella impossibilità di intender il vero, che non vede che l’aria trattiene naturalmente, perchè, essendo naturalmente più leggieri dell’ acqua, non può, se non contro na¬ so tura, discendere nell’acqua l,) . Erra argomentando contro al trattener, che fa l’aria, la tavoletta d’ebano: e l’argomento suo è questo: < Nel medesimo modo tocca L’ebano l’aria inanzi che si profondi, che dopo fatti gli arginetti: ma inanzi nonio sostiene: dunque nè anche dopo si può dire che l’aria lo sostenga >. Nel qual argomento noto principalmente che è falso che l’aria tocchi l’ebano nel medesimo modo avanti che si faccino gli arginetti, come dopo: ed è manifesto quanto dico; perchè l’aria, avanti che si faccino gli arginetti, tocca l’ebano ed a quello sta congiunta in un 7. ristringere - 11. resterà — fac. 31. v. 32. |p:t£. 220 , lin. 1 i-i:q. fac. 31, v. 39. (|>ug. 220, liu. 10-17J. fac. 32, v. 17 ed in tutto, | pAg. *220, liu. SI e sog.|. fac. 32, v. 17. |pag. 220, liu. 82-301. fac. 32, v. 22. [pag. 220, liu. 84-3GJ. fac. 33, v. 8. |pag. 227, lin. H-I8|. Ini. 22-80 sono state aggiunte posteriormente in margine. 270 ERRORI DI GIORGIO 0OKE810 mezo più leggieri del composto deir ebano e dell 1 aria; ma quando si sono fatti gli arginetti, l’aria congiunta e toccante l’ebano lo tocca e li ò congiunta in un mezo, del quale mole eguale all’ebano ed all’aria posta nelli arginetti pesa più dell’ebano e dell’aria che li sta congionta dentro gli detti arginetti. Anzi, sog¬ giungo di più che, se questa ragione di Messer Giorgio valesse, io potrò dire che una palla di segherò legata con una di piombo non la potrà sostenere in acqua, perchè, legata nel medesimo modo, non la sostiene per aria. Sì che la proposizione della quale si serve Messer Giorgio in quest’argomento è falsa e non conclude. lac. 33, v. 20. Erra pensando che gli arginetti si taccino ed alzino perchè, occupando l’ebano io limi?. «27, Un. (JU( q| a parte d’acqua, bisogni che tanta ne salga, quanta è stata l’intratura d’esso: e l’errore di Messer Giorgio è doppio. Primo, non è vero che tant’acqua salga, quanta è l’entratura dell’ebano; perchè la mole dell’acqua che sale nel¬ l’immersione dell’ebano, è sempre minore della mole che si sommerge, come fac. 33, v. 22. chiaramente dimostra il Sig. Galileo. Di più, erra e dice il falso quando afferma Ipajf. 2-27, »in. 26-‘27|. c | ie a p a tavoletta più sotilo si faccino minor arginetti, perchè si abbi da alzar minor mole d’ acqua, corrispondente al solido sommerso. 11 elio si può cono¬ scere da questo : che una laida ili piombo di larghezza eguale ad una d’ ebano v più sottile assai di quella, posata che sarà nell* acqua, alzarà maggiori ar¬ gini di quelli che saranno alzati dalla tavoletta d’ebano; che se fosse vero quel 20 che dice Messer Giorgio, dovrebbe accader tutto il contrario, cioè la tavo¬ letta d’ebano doverebbe far arginetti più alti di quella di piombo, per esser più grossa. fac. 33, v. 20. Erra di spropositato desiderio quando ricerca che il Sig. Galileo ponga e ri- |p«y. 227 , Un. si « seg.). trovi nome al composto della tavoletta d’ebano e d’aria posta sotto il livello dell’acqua. E dico cln* è sproposito questo: perciochè, che vi si trovi 0 non vi si trovi nome, che sia di quella composizione della quale parla il suo firmino 0 altra, poco importa; basta che è verissimo, e si vede con gli occhii, che la ta¬ voletta d’ebano posata su l’acqua, mentre non è toccata dall’acqua nella sua superiore superficie, chiaro è, dico, che l’aria li è contigua (nò in questo occorre so dubitare); ed essendoli contigua l’aria, è ancora verissimo, e si vede sensatissi- mamente, che quello che è attuffato nell’acqua non è nè aria sola nè ebano solo, ma e l’uno e l’altro rongionti insieme; e questo basta al Sig. Galileo. E di que¬ sto aggregato (o sia o non sia un composto, come volo Messer Giorgio ed fir¬ mino), è verissimo che quando galleggia è più leggieri (l’altrettanta d’acqua: il che se fosse inteso eia Messer Giorgio, credo che resterebbe sodisfatto, fac. 35, y. 8. Erra a dire che un vaso di rame, ripieno d’acqua, vadi al fondo per l’acqua. [i>a&. 228, hu. se e ae&.]. p er manifestar meglio l’errore, intendasi una mole d’acqua eguale alla mole del vaso con l’acqua che li è dentro, ed in quella prima mole d’acqua conside- 8. negli — 4. dentro i detti — 5. potrei dire — RACCOLTI 1 >A 1). BENEDETTO CASTELLI. 271 risi tant’acqua, quanta ò quella che è nel vaso: chiaro è che questo due moli d’acqua pesaranno egualmente; non ò, dunque, maggior ragiono che una de- scenda dell’altra. Restaci il rame solo da compararsi col rimanente di queiraltra acqua; e per esser egli più grave di quella, ò manifesto che descenderà. E perciò chiarissimo resta che la cagione del descendere il vaso di rame ripieno d’acqua ò tutta per rispetto (lei rame, cioè per l’eccesso del peso clic egli ha sopra al¬ trettanta acqua. Erra ancora, contradicendosi con confusione estrema, mentre s’affatica provare che il vaso di rame non discende per gravità propria, ma per quella io dell’acqua: o puro di sopra ha concesso che 1*acqua, quando è nel suo loco, non aggrava più; come può, dunque, portare o cacciare sin in fondo il vaso di rame, se, posta nel suo loco, non aggrava più? Credo al sicuro clic Messer Giorgio dica la verità, quando confessa di non saper ritrovare altra ragione che quella del Iluonamico, per rispondere a quella esperienza venuta di Germania per uomini degni di fede. Ma erra ben poi a pensare che non ci sia altra risposta per cotal effetto: e per farli piacere, li dico che quest’esperienza d’andar in fondo sarà vera in quelli legni che sa¬ ranno più gravi dell’acqua, e d’altri non già mai, se venissero bene di Turchia non che di Germania 01 . 20 Erra affermando che l’acqua nel spinger in su abbia a salire: anzi il fatto sta tutto in contrario, perchè ò necessario die l’acqua, quando spinge all’in su, de¬ scenda di mano in mano a occupare il logo clic lascia il corpo clic viene da essa acqua spinto in alto. Erra di maravigliosa confusione e falsità in quella contemplazione che fa delle parti e del tutto. Nella quale, prima, avortisco esser falso che le parti abbin bisogno del tutto, e non il tutto delle parti: anzi che mai si può ritrovare tutto senza parti, ma più presto lo parti possono essere senza il tutto; e si pos¬ sono ritrovare delle rote, molle, chiodi, vite ed altre parti di orivuolo, senza che si ritrovi orivolo; ma orivolo senza parti non si trovarà già mai (i) . so Di più, dico che, concesso clic le parti abbin bisogno del tutto, erra Messer Giorgio a contradirsi imediate, e dire che le parti delli elementi non sono tanto desiderose del tutto. Quello poi che compisce la meraviglia ò che Messer Giorgio ritorna a novello errore di contradizione, dicendo, conio per conclusione, che il tutto non ricerca le sue parti, rimanendo perfetto senza quelle. E come può mai essere un tutto senza parti? e se fosse (il che 6 impossibile), come sarebbe un tutto perfetto? 17. quei - 20. epigner — 21. ipignc — 22. luogo — 31. degli — 33. ohe accrrnce la meraviglia — Da « o per farli » a « Germania » ò aggiunto (*' Da « o si possono » a « giu inai » ò aggiunto in margine. in margino. fac. 35, v. 14. [pag. 228, I in. IO — pag. 220, lin. 11. lac. 35, v. 25. [pag. 220, lin, 7-11J. fac. 35, v. 30. |pag. 229, lin. 20-21J. fac. 35, v. 40. [pag. 220, lin. 22J. fac. 36, v. 3. [pag. 229, lin. 22-24]. lue. 36, v. 4. [pag. 229, lin. 25-26J. fac. 36 , v. IO. Ipar- 229, liu. 29-80! fac. 30, v. 11. (pag. 229, li». 29 80). fac. 36, v. 17. | pag. 229, liti. 35-86J. fac. 36, v. 24. (pag. 229, li». 89—10). fac. 36, v. 20. |pag. 280, Iin. 3-1). fac. 37, v. 11. (png. 230, lin. 20-21). fac. 36, v. 40. lpag.230, li». 11-12). fac. 37, v. 5. (pag. 230, li». 16-17). 070 KKROKl DI GIORGIO CURE810 Erra a dire che, se Paria ritiene le cose più gravi dell’acqua, la conclusione non è per sé. Io dico che, avendo detto il Sig. Galileo che nel caso della tavo¬ letta, proposto dalli avenarii, Paria è quella che trattiene, e dichiarato come trat¬ tiene, che è per non voler andar sott'acqua in buon'ora (è possibile che non la voglia intendere V)* 1 ’, volendo Messer Giorgio contradirgli, bisogna che ritrovi clic il detto del Galilei sia falso, e non dire solo: < Non è vero da per sé >: poiché basta al Galileo che sia vero, o sia per sé o per accidente; e se Paria trattiene per accidente, la resistenza alla divisione non v'ha che fare ’. Ma erra di più, dicendo che l’aria congiunta a un corpo grave, quando lo sostiene, non lo sostiene per sé: perché se Paria é per natura o per sò più leg- io gieri dell'acqua, e se per esser più leggieri di quella sostiene, si deve ancora dire clte necessariamente e per sé sostiene, e non per accidente. Erra per non aver né inteso, né voluto intendere, né fune potuto intendere, il Discorso del Sig. Galileo: ed erra Messer Giorgio, quando ilice che il Sig. Ga¬ lileo non sole che l’aria operi su corpi bagnati; perchè non ha mai detto così. Ila ben detto che nel caso della tavoletta, bagnata che sarà, si viene a separare Paria da quella; ma non per questo ha negato che non si possa congiongere del¬ l’aria a un corpo bagnato, e far il medesimo effetto del sostenere. Erra a non penetrare elio, quando si sarà dimostrato che una forza sarà ba¬ stante a muovere un corpo, resta ancora chiaro e dimostrato che la medesima 20 forza potrà sostenerlo dove di già l’avrà mosso; perché al trattenerlo si ricerca minor forza che al muoverlo, già che questa deve superar la virtù che resiste, e quell’altra basta che la pareggi. Replica l’errore di non aver inteso come Paria porti e trattenga il corpoche li sta congiunto l *\ Erra a pensare 0 scrivere che il Sig. Galileo dimostri che l’aria sostenga per contatto. Per tanto io, per compassiono, di novo Pavertisco, clic il Sig. Galileo dimostra elio P aria sostiene quando, congiunta con corpo grave, vien posta sotto l’acqua, perchè, essendo ella leggieri pili dell’acqua, viene da quella spinta all’in su, ed insieme con lei vien traportato il corpo grave. 80 Erra, non già nel dire elicla palla sin trasferita in alto per violenza dell’aria, essendo questo verissimo; ma erra bone a non accorgersi che questo è stato detto dal Sig. Galileo: anzi, che quando si dice che la tavoletta d’ebano sta a galla per l’aria, senza duino si concede che vi sta por forza dell'aria; e questo è vero c necessario. Replica l’errore notato di sopra, che il corpo nel sommergersi levi dal proprio loco tant’acqua, quanta è la sua grandezza; il che è falso. La replica di questo er- 8. — Di fronto all© lin. 18-18 ò scrit to sul margino « leverei * ; o lo lino© stesse sono cassate.— (l Da « trattiene, che ò » a « intenderò?) * ò ag- 1 *1 « o se Caria ... fare > è aggiunto in margine- giunto in margine. (*' fa |j n . 24 25 sono cassate. « RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 273 rore assicura ogn’uno che Mosser Giorgio non ha inteso uè anche il primo lemma del Discorso del Sig. Galileo. Erra assegnando la causa dol seguire die fa l’acqua quel corpo il quale, es¬ sendo stato nell’acqua, si alza fuori di quella; perchè quella causa, che Messer Giorgio assegna, non ha che fare niente nel proposito di che si tratta: oltre che ò falso rassonto in quella deduzione, come nell’errore precedente ho notato. Erra in dire che il Sig. Galileo non conceda ed all’acqua ed a tutti gli altri corpi che si toccano con esquisito contatto, una certa difficoltà all'esser separati; perchè 10 concede di sicuro. In lede di che Messer Giorgio stesso, in questo luogo medesimo, io confessa che il Sig. Galileo propone la difficoltà dell’esser separati dua corpi solidi che siano contigui; adunque, non la inette solo all’aria, ina alli altri corpi ancora. Erra di stolidità a non intendere che cosa concluda il Sig. Galileo con Pessemplo della falda chesi trasporta dall’acqua in aria; perchè è tanto ef¬ ficace e chiaro quell’essemplo, a concludere l'intento del Sig. Galileo della dif¬ ficoltà all’esser separati i corpi esquisitamente contigui, che ogni intelletto capace di ragione con quel solo essemplo si potrebbe chiarire di tutta questa disputa. il verissimo quel che dice Mosser Giorgio, che la disputa ò dell’aria contigua al solido, e non dei due solidi; ma erra ben poi, quando, per risposta ali’essemplo, nega una conseguenza che non è mai stata dedutta nè dal Sig. Galileo nè da 20 altri; perchè è sproposito negare in un discorso quello che da niuno non è mai stato prononziato. Mi dichiaro meglio. Messer Giorgio dice che, per essere diffici¬ lissima la separazione di dua corpi solidi che esquisitamente si combacino, non ne segue altrimente che sia egualmente difficile la separazione dell’aria dal solido. Or qui dico io: E chi ò stato quello che abbia detto mai che sia egualmente dif¬ ficile la separazione dell’aria dal solido, come del solido dal solido? Non dicono che sia, nè meno che non sia, egualmente difficile; ma dico bene che, a conclu¬ dere l’intento del Sig. Galileo, basta die ancora l’aria abbia qualche difficoltà all’esser separata dal solido, come in fatti ha realmente: dal che ne nasce poi la profondità del 1 i arginetti, non mai intesi, nè forsi visti, da Messer Giorgio. 30 Erra in volere dedurre che più difficilmente si staccarla l'aria da un solido clic un solido da un altro solido, se fosse vero che più facilmente in travenga il contatto de’liquidi che dei solidi: perchè quella conseguenza non ha che fare con quell’antecedente niente, essendoché molte cose si fanno con grandissima diffi¬ coltà e poi si dissolvono facilissimamente in . Erra in quel che dice della virtù calamitica dell’aria contro il Sig. Galileo, e mostra non intendere, nè in questo nè in niuna altra cosa, quello che ha detto 11 big. Galileo, qual non attribuisse virtù calamitica all’ aria. (>. attutito — 11. affli — 21. pronunziato — l)i fronte /ilio lin. 35-37 è scritto sul margino «leverei»; e le linee stesse sono cassate — ([ 1,tt * essendoché » a * faci li ss iuiau leu te » è stato cassato. ftic. 37, V. 7. |pag. 230, lin. 10-1BJ. fac. 37, v. 11. [pag. 230, lin. 21}. fac. 37, v. 17. [png. 280, liti. 25J. fac. 37, v. 25. (pag. 280, lin. 2il-82|. fac. 38, v. 5. fpag. 231, lin. 5-8]. fnc. 38, v. 10. [pag. 231, lin. 9o 8eg.J. IV. 30 274 EKKOKI DI GIORGIO (’OKEHlO ine. 38, v. 19. Ip**. *31, liu. ìb-iyj. fac. 38, v. *10. *31, liu. 83-35). fac. 39, v. 0. Ipiitf. *31, liu. 35-371. fac. 39, v. 15. | . 232, liu. 1-7). fac. 39, v. 24. (pag. 232, liti. 10 e sog.). fac. 40, v. 2. [puff. 232, liu.24 e heg.| Erra a volere che quelli che forse tengono che esquisitissimamente contiguo ne 1 corpi naturali che noi trattiamo, sia il medesimo che Tesser continuo, li di- chiarine la differenza tra il contiguo ed il continuo: ed è grande inconveniente il ricercare che uno assegni la differenza tra due cose, una delle quali viene solo da lui ammessa. Erra a dire che il Sig. Galileo si contradica nella resistenza dell*acqua, ora concedendola, ora negandola. l>i questo errore ho fatto menzione di sopra; ma perchè lo replica di novo, io parimente ritorno a dire che il Sig. Galileo concede la resistenza alla velocità del moto, ma nega poi la resistenza alla semplice divi¬ sione; e non si trovarà mai che il Sig. Galileo neghi in loco alcuno, nè con espe- io rienze nè con essempli, la resistenza in tutto e per tutto, perchè altra cosa è che un corpo resista all essar mosso con tal velocità, altro che resista all’essere di¬ viso; e però non è contradizione nel Sig. Galileo, ina sì bene nella scrittura di Messer Giorgio confusione estrema n . Erra nel concludere che Tacqua, non dividendosi da sè, è necessario elio si diviila per violenza. Dico che ciò non segue, se prima non dimostra Messer Giorgio che l'acqua si divida; il che ho per difficile, anzi impossibile, nel proposito di che si tratta. E quel detto senza prova, all’ordinario di Messer Giorgio, che la natura abbia fatto tutti i corpi continui, è dubbiosissimo e si disputa ora; di modo che non è lecito di servirsene coinè di principio chiaro w . 20 Erra a produrre in favor suo la resistenza che si sente nello spinger in giù una mano nell’acqua: non avertendo che quella resistenza nasce perchè, nelTim- mergersi nell’acqua la mano, si viene a alzare una certa porzione d’acqua, al quale alzamento detta acqua resiste con determinata forza, dependente e dal suo peso e dalla velocità secondo la quale si move nel spinger la mano in giù, come ci insegna mirabilmente il Sig. Galileo nel suo Discorso. Ora, questa resistenza è un’altra cosa, molto diversa da quella che Messer Giorgio pensa, cioè dalla resi¬ stenza alla divisione; tal che questa esperienza, che introduce la resistenza all’es¬ sere alzato un peso, non conclude in modo alcuno la resistenza alla divisione. Nella risposta alla prima ragione vi è un mazzo d’ errori; perchè, ora pi-80 glia proposizioni false, come che la molt’acqua sostenga più che la poca, della quale verità se nc può lare facilmente T esperienza 1 ; o se ne serve a sproposito, come del sollevarsi più il medesimo solido nell’acqua salata che nella dolce; e simili altri errori commette, perchè al tutto non intende punto la materia di che si tratta in questa disputa. Erra, perchè non s’accorge di quant’efficacia sia l’argomento contro alla resi- *1. Mjtiijner — 25. ntllu tpirnjer — Da «o non si trovali» a «estrema* è ag. trinata posteriore*. Da « h quel «letto» a «chiaro» è aggiunta posteriori». (3 « il.-Ila qualo verità ... esperienza » è ag- giunta marginalo. RACCOLTI DA I). GENEDETTO CASTELLI. 275 fac. 40, v. 3. |pag. 232, lin. 25-26]. fac. 40, v. 5. |pag. 232, liti. 26-31], gtenza dell’acqua all'esser divisa, elio ò perchè non può trattener corpo ninno in lei, di qual si voglia figura e momento, elio non si mova all’in su o all’in giù. E duplica l’errore con pretendere elio V argomento clic li è contrario, e clic mirabilmente destruggo la sua opinione, li sia in favor suo. Erra parimente uscendo de’termini, nel volere confirmare che 1*argomento del Sig. Galileo sia contro (lei Sig. Galileo; ed erra perchè piglia la resistenza alla maggiore o minor velocità, e pensa aver conclusa la resistenza alla semplice divisione, segno manifesto che non ha mai inteso quel che dice il Sig. Galileo, mentre in quest’errore inciampa così spesso. Però, acciò nè Messer Giorgio nò io altri abbino regresso di scusa d’ignoranza intorno a questo particolare, dico clic è vero che i corpi più gravi dell’acqua tutti in essa discendono, alcuni più velo¬ cemente, altri più tardi, quando sono differenti di gravità in specie o in figure; e de’corpi più leggieri dell’acqua, altri si attufì'ano più, altri meno; e ne seguila di necessità che nell'acqua si trovi resistenza: e tutto questo ha insegnato il Sig. Galileo. Ma dico poi che questa resistenza non è all’esser divisa, come pensa Messer Giorgio, ma all’esser alzata o mossa lateralmente: e questo doveria esser chiaro a ogn’ uno ; perchè, mentre si mette un corpo nell’ acqua, chiaro è che l’acqua si viene a alzare, al quale alzamento resiste, come ogn’altro corpo gravo resiste all’esser alzato ancorché non si abbia a dividere: e così non occorre in¬ no trodurre resistenza alla semplice divisione. E questo basti per sodisfare alla diffi¬ coltà di questa resistenza, tante*volto mal intesa da Messer Giorgio 01 . Erra parimente, (piando dalla tardità del moto delle particclluzze che scendono nell’acqua torbida, pretende concludere la resistenza alla semplice divisione del- IP tt &* 28 -» Un. 38-36). l’acqua, che ò quella che nega assolutamente il Sig. Galileo; ma perchè quest’er¬ rore è in tutto P istesso che quello che di sopra è stato notato, non ne dirò altro. Replica ancora l'istesso errore, maassotigliato, nella risposta all’essemplo della fac. 40, v. 30. trave mossa per l'acqua da qualsivoglia minima forza, mentre afferma che si sente IP®*** 333 * ,in - 10 ° 8 ®s-J* qualche resistenza: il che è falso, nò si sento resistenza alla divisione; ma a quella cssigua velocità con che si move l'acqua, si sente (se però si può dir sensibile) 30 una essigua resistenza, falsamente da Messer Giorgio attribuita alla difficoltà della divisione. 11 Signor Giorgio in questo luogo dice: < E venendo alle sue figure matematiche, fac. 41, v. 8. diciamo che la proporzione che prova in esse, non fa al proposito ; perchè piglia IP 21 #- 283 < ii«*. 20 - 22 J. per concesso in quelle la cosa che si cerca, che è errore di logica > ; pensando con queste sole parole di aver atterrato, senz’ultra prova, tutti quei meravigliosi di¬ scorsi e progressi. Mi ha fatto restare attonito in pensare come sia possibile che egli, altresì, come intendo, dottissimo nella lingua materna, ma ignorantis- 5. confermare — 12. o di Jbjurt — fac. IO, V. 14. 01 Da « Però * (lin. 9) a c Giorgio» ò aggiunta posteriore. KRROKI 1>! CUOROIO COKKPIn fae. il, v. 12. | i>ii|T. 238, Un. 22-27]. fm\ il, v. 10. [\* a *. 233, liti. 27-2U). Fac. 41, v. 39. | pagr. 284. lin. 2-4]. fac. 42, v. 2t>. | |>Rg. 231, li». 22-23]. fac. 43, v. 2. Ipag. 236, liti. 1J. 2715 Rimo di focometria, iiossa o sappia ed abbia animo di vituperare come di¬ fettose in logica le dimostrazioni del Discorso del Sig. Galileo, le (piali (e lo posso dire perchè le ho intese e esposte ancora a diversi miei Patroni e Signori (,) ) sono tanto easutte, (die non vi casca pur un minimo duhio. Ora, che errore sia stato questo, non dico altro; solo mi rimetto al giudicò) di tutti quelli che ave- ranno intese le dette dimostrazioni. Erra a pretendere d’aver provato due conclusioni falsissime, cioè clic la figura faccia galleggiare, e clic siino corpi, oltre e’ più gravi secondo la natura, quali vadino al fondo; anzi quest’ultima, che di novo Messer Giorgio mette in campo, è tanto falsa, che non credo che altri che egli fosse per darsela ad intendere, io Erra a diro (die era necessario che il Sig. Galileo provasse che un solido di più grave materia debba, per galleggiare, aver l'aria che lo sostenga: erra, dico, perchè questo non è necessario nè al galleggiare nè alla continuazione dell*opi¬ nione del Sig. Galileo, al quale basta aver dimostrato che, so un corpo galleggia, è senza dubio men grave di altrettanta acqua. Che sia poi meri grave per aver con- gionto o sughero, o midolla di sambuco, o aria, o altra cosa leggieri, poco importa nella presenti' questione. K ben vero che nel caso dalli aversarii proposto è Paria che fa galleggiare, ed è stato avertito : ma Messer Giorgio, che non l’ha intesa, gioca a indovinare, e proferisce tutto quel che li vien in capo, senza pensarci, come manifestamente si vede in tutta questa 20 sua Operetta. Ha detto benissimo Messer Giorgio dicendo che < chionque, qual clic si sia lo interesso, non pregia e riverisce la verità, non si dee veramente stimare uomo, ina più tosto una mala bestia >. Se la interpretazione poi del testo (P Aristotile, quanto al significato dolio voci greche, data da Messer Giorgio, sia bona o cattiva, io non lo posso sapere: questo posso ben diro, che Messer Giorgio erra di contradizione, quando dice che, non essendo la figura natura, non può produr moto, per esser il moto effetto della natura, e poi a canto a canto volo che la figura sia causa di quiete; la qual quiete è pure effetto della natura, conforme ai principii del medesimo Coresio. 80 Replica l’errore, più chiaro affermando, contro sò medesimo, contro Aristotile e, quel che più mi preme per P affetto che li porto, contro la verità stessa (qual che si sia lo interesse), che le figure souo cause da per sè della quiete: e pure, essendo la quiete effetto della natura, ne segue, com’ho detto, per la ragione pro¬ dotta da Messer Giorgio stesso, che non possa deptmdere dalla figura come causa da per sè. 4. dubbio — 8. turno — oltre n f ;.»u — 9. nuoro — 10. §u- ,hèro 17. do ,li - 19. giunta — 22. chiunque — 20. buono — 29. vuole — Segue, cancellato: «qua nulla nostra Accademia di Badia *. RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 277 Replica l’errore del dedur dalla ritardanza la quiete; conseguenza insensatis¬ sima, come si è- detto di sopra. Che Aristotile in qualche loco del quarto della t isica parli di materie diverse, non lo nego; ma dico bene che Messer Giorgio erra nel dire che nel logo cittato dal Sig. Galileo, cioè nel testo 72, Aristotile intenda di materie diverse, poiché le parole formali del testo latino (io non intendo il Greco) sono queste: < Yidemus idem pondus atque corpus velocius ferri propter duas causas, etc. >: nel qual testo latino (potrebbe essere elio il greco fosse tutto il contrario) si vede chiaramente, esser falso che Aristotile intenda di materie diverse, mentre dice < idem corpus >. io Belli errori che Messer Giorgio piglia in materia dell’ago, volendo che Aristotile abbia inteso delli aghi grossi, so che il Sig. Galileo ha dato sodisfazione a i capaci di ragione e desiderosi di saper il vero, e 1’ ha fatto con viva voce ed esperienze manifesto: anzi, di più, nella seconda impressione del suo Discorso dimostra clic simili diffese, addotte in favor d’Aristotilo, sono maggiori olìese. Però non dirò altro, solo che ho gran compassione al povero Aristotile, che ha simili difensori. Erra quando, volendo rispondere al Sig. Galileo che nega l’esperienza dell’arena d’oro e polvere che nuotano per aria, ed asserisce che sono traportate dal vento, dice che Aristotile parla figuratamente e che, dicendo aria, vole intender vento , del quale l’aria n’è parte. Questa diflesa ha dell’ insipido, perchè vole clic un filo¬ so sofo nel metter una conclusione usi vocaboli figurati, massime essendovi i pro¬ pria Dico di più. che questa figura, di usurpare la parte per il tutto, in questa occasiono nella quale, conforme a Messer Giorgio, si intende da Aristotile la parti', cioè aria, per il tutto, cioè per il vento, doveva essere tanto più fuggita ed abor¬ rito da Aristotile, quanto egli stesso, nel secondo delle Meteore, smania seconda, capitolo primo, disputando contro gli antichi della sostanza del vento, tiene che non sia aria; di modo che, per fuggir il sospetto di contradizione, doveva abor¬ rire questo parlar figurato, introdotto da Messer Giorgio. E finalmente, che Messer Giorgio erri in introdur questa figura per servizio e diffesa d’Aristotilc, si può conoscere dalle parole soggiunte da Messer Giorgio, no quando dice: < Ma diciamola come sta >; dal che si vede die Messer Giorgio pensa di non aver detta ancora la vera interpretazione, come sta. E degno d'esser notato un altro errore di Messer Giorgio in questo medesimo passo: ed è che, per rispondere al Sig. Galileo in contradittorio, apporta due interpretazioni del testo d’Aristotile, delle quali posta per vera qual si voglia, viene non solo a non contradire, ma a confirmare il pensiero del Sig. Galileo. E per dichiarazione di quanto dico, replico il detto del Sig. Galileo: < L oro battuto e la rena d’oro non notano per aria, ma sono traportati dal vento». Risponde Messer Giorgio, risolutissimo di contradire, e dice: < Non notano per aria, ma notano per il vento >. Or chi non vede che questo non è contradire, ma replicare il medesimo? *ì. Ino i/o 4. Ino i/o citato — II. dtyli — 19. vuote — 37. nuotano — far. 48, v. 0. [pag. 234. Un. 39 |»ng. 235, lin 11. fac. 44, v. 4. limg. 235, Un. 25-20). fac. 44, v. Vaino aioli. Ipag. 285, liti. 29 — pag. 236, li». 10J. fac. 45, v. primo, [pag. 236, lin. 18-14]. fac. 45, v. H. Ipftg. 236, lin. 17 1Sj. nel medesimo loco. *278 KRROKl DI GIORGIO C0RK810 fan. 46, v. 21. (p*g. 286, liti. 29]. fac. 46, v. 26. Ipag. 286, lin. 83). fac. 45, v. *26. fac. 45, v. 29. ( pn.gr. 236, liti. 34-85). fac. 45, v. 29. fac. 45, v. 31. | pag. 286, lin. 30]. fac. 45, v. 32. [pog. 236, lin. 86]. fac. 45, v. 34. | j»ag. 236, lin. 38-891. fac. 45, v. 38. |pag. 237, lin. 1-2]. Così ancora, «e l’interpretazione di Simplicio sussiste, pur resta vero il detto del Sig. Galileo, che simili polveri o limature non nuotano per aria. Erra a dire che Aristotile non risponda al falso scioglimento di Democrito; perchè dalla lettura del testo si vede chiaro che Aristotile disputa contro la solu¬ zione di Democrito. . Erra a pronunziare senza prova nisuna che l'opiniono di Democrito sia una pazzia. Doveva Messer Giorgio provare con qualche ragione una sentenza così risoluta. Ma con questa sentenza erra, ili più, contro il suo Aristotile, il quale, nel prin¬ cipio della Generazione, fa tanta stima di Democrito, che inette la sua opinione, rendendone la ragione, per ingegnosissima: di modo che Messer Giorgio scappalo a questa volta da Aristotile, il quale non ha sdegnato disputare con Democrito; e tuttavia Messer Giorgio con tanto dispreggio ricusa il discorso dalli atomi. La supposizione de’quali, ancorché fosse falsa (il che io non ardirei mai di after- man? così di balzo come fa Messer Giorgio), non deve però essere stimata una pazzia; perché (per servirmi di una autorità alla quale Messer ( riorgio mostra d’aver credito) Aristotile stesso, nel testo 5 del primo libro della Generazione, dice clic Democrito con quella dottrina mostrò curarsi d’ogni cosa naturale, e con tanta maniera che Aristotile, nel testo ottavo del medesimo libro, scrisse queste formate ]iarde in lode di Democrito e de* suoi principii: < Democritus autein videbitur uti- que propriis ac naturalibus rationibus persuaderi >. 20 Erra interrogando per che cagione i calidi, conforme all’opinione di Democrito, sostenghino gli altri corpi più facilmente por acqua che per aria; quasi che sia diffi¬ cile il rispondere, o dire che il medesimo corpo pesa meno nell’acqua che nell’aria. Erra ancora d’ inavertenza, per non aver notato nel Discorso del Sig. Galileo la cagione di questo effetto, tanto minutamente spiegata che per sino dimostra (pianto un corpo più grave dell’acqua perda del suo peso, elio aveva nell’aria, posto che sarà nell’acqua; cioè elio ne perde a punto tanto, quanto pesa nell’aria una mole d’acqua a lui eguale. Erra a proponere la maggiore unione delti atomi per cagione della magior forza clic hanno in sostener per acqua clic per aria: perchè questa cagione non so è proposta, e non sarebbe forai proposta come prodottrice di questo effetto da chi avesse per buona l’opinione di Democrito. Erra a non pensare, che i calidi nell'acqua venghino più uniti clic nell’aria imissime essendo l'acqua contrarissima alla natura del fuoco. Erra di contradizione, dicendo in questo loco che la forza del sostenere è eguale in tutte le parti; e di sopra ha detto che le parti superiori più sostengono. Ritorna a cascare nel temerario errore di sopra notato, tassando per pazzie espresse le considerazioni del li atomi. E da qui io entro in sospetto che.. . (1, 6. — 12. dUprtyìo — 12, 29. — 29. projHtrr* - 31. Jorte — 85. luoyo — (1 « K da qui io entro in sospetto cho » è aggiunta marginalo, o rimane cosi interrotta. RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 279 Nell’imputare al Sig. Galileo che ai sia ingannato, la così bella mostra d’ignoranza, che chi non l’avesse conosciuto sin ora, potrebbe da questo passo soLo comprendere quanto sia privo e di sapere e di attitudine al sapere. Perchè Messer Giorgio non ha inteso quando il Sig. Galileo ha detto che il mezo leva tanto di peso al solido che in esso si sommerge, quanto è il peso di tanta mole di mezo quanta è quella del solido, dice con error notabile che senza la resistenza posta da Aristotile, e non ammessa dal Sig. Galileo, non si può render ragione perchè una cosa pesi più nell’aria che nell’acqua, io Erra ancora spropositatamente a riprendere il Sig. Galileo come che non abbia inteso Democrito, quale attribuisce il sostenere non all’ acqua, ma ai calidi. Io dico che questa riprensione è spropositata, perchè il Sig. Galileo non diceche Democrito attribuisca il sostenere all’acqua: ha ben detto il Sig. Galileo e risposto a Aristotile, per parte di Democrito, che i calidi non sostengono il medesimo corpo nell’aria come fanno nell’acqua, perchè,a essendo men grave in questa che in quella il soste¬ nerlo, viene a essere più difficile dove è più grave ; e questa risposta, che fa il Sig. Galileo, non è in diiVesa di Democrito, come che Democrito abbia detto bene e la verità, e assegnata sufficiente cagione del galleggiar le falde ; ma è detto questo, solo per provare che la ragione d’Aristotile contro Democrito è fredda 20 e di niun valore. Dopo aver copiata una facciata intera del Discorso del Sig. Galileo, per empire i foghi della sua Operetta, nel voler notare gli errori che, alla balorda, pensa che vi siine, ne commette tanti, che è una compassione. Io ne andarò notando, poi- servizio di Messer Giorgio, alcuni de’più manifesti, conforme al mio proponimento primo, non già per diffesa del Discorso, a giudieio d’ogni intendente illeso. Primo, erra a dire che la falda proposta dal Sig. Galileo contro Democrito, se fosse vera la posizione di Democrito, non s’ alzarebbe dal fondo: perchè io dico che quando quella posizione fosse vera, ne seguirebbe quanto deduce il Sig. Galileo; e ancorché pochi calidi siino tra *1 fondo e la falda, non nega però so Democrito che non ne ascendino ancora dalla terra stessa, quali sormontando di mano in mano per l’acqua, dovrebbono portare una cotale falda sino alla su¬ perficie dell’acqua, come rettamente conclude il Sig. Galileo. Erra, di più, quando, volendo insegnare al Sig. Galileo il modo di confutar Democrito, dice che i medesimi atomi in numero che fossero potenti a sostenere a mezo l’acqua una falda, potrebbono ancora sollevarla in alto: perchè questo è talso, nè è vero altrimenti che una forza che sia potente a sostenere in alto un peso, sia ancora potente a trasferirlo più alto; e la ragione è questa, perchè • 10 . «proponitata mente, soppresso — 11 . il /piale—* 12. ripreniione ì fuor ili propesilo — 13 . il Sii/. (Galileo, soppresso — 21-22. per empire ... Operetta) soppresso — 22. tfli errori che inconeiderutanìénte pensa — 28 , 29 _ 28 . ulu lri — fac. 45, v. 39. Ipujf. 237, lin. 3 o sug.|. Aie. 40, v. 6. | pag. 237, Iti). 8-l0|. j’ fac. 40, v. 2. (pfttf. 237, liu. 0-7J. far. 40. [pag. 237, lin. 11 osey.]. fac. 17, v. 5. [pa*. 237, lin. 35-40]. fac. 47, v. 7. |pn*r. *237, lin. 40 — png. 23S, lin. 0). fac. 47, v. 13. |pug. 288, li». 4-61. fac. 17, v. 14. Ipag. 288, Un. 5|. fac. 47, v. 14. |png. 288, )in. 0|. fac. 47, v. 15. Iimgr. 288, Un. 0). fac. 47, v. 1(3. [pag. 288, lin. 0-71. fac. 47, v. 1G. |paif. 288, liti. C-8|. fac. 47, v. 1G. fac. 47, v. 18. Ipajr. 238, lin. 8-1 oj. 280 KRRORI Di (J1OHCSIO CORKSH) ! al mantenere basta egual virtù, ina al muovere e Bollevare si ricerca maggioro E da questo si raccoglie, che Messor Giorgio erra, parimente, a far quella conseguenza tutta al contrario, quando vele clic a’inferisca, dall’aver gli atomi minor forza, che abbino ancora la maggiore, mentre dice che, se gli atomi sostengono a mezo l’acqua, potranno molto più sollevare in alto. Con queste belle cose si confuta il Sig. Galileo e si difende Aristotile Povero Aristotile! Erra a dire elio il Sig. Galilei erri ponendo gli atomi; ed erra, perchè non rendo ragione deir errore. Krra di falso, a imporre al Sig. Galileo che ponga la penetrazione de’corpi, io Krra pure falsamente, a dire che il Sig. Galileo chiami la caldezza corpo. Krra a dire che il caldo non possa sostenere: e che sia erronea questa con¬ clusione, si conosce da questo, che il caldo ha forza di trasferir in alto, come si vede nei vapori pollati in aito dal caldo del sole; ed in moltissime altre espe¬ rienze si può chiarire della forza che ha il caldo non solo in sostenere, ina an¬ cora in movere. Quanto sia inetto discorso quel di Messer Giorgio in questa sua Operetta, si conosce in ogni conclusione, in ogni verso e quasi in ogni parola; nm alle volte tanto più chiaro si vede, quanto che fa certe scappate più essorhi tanti dell’altre. Volo concludere che il caldo non può sostenere ; e 20 1° conclude perchè è sua proprietà riscaldare. Or vedasi se è buona conse¬ guenza questa: h proprietà dell’uomo esser discorsivo; adunque non può saltare, adunque non può portare una balla di lana. Io non mi meraviglio di Mes- seì Giorgio, che abbia messe alle stampe queste insipidezze; ma non so quasi come sia possibile che quest’uomo da bene non abbia auto persona amica, che l’avesse impedito da questa impresa. Se Democrito 0 il Sig. Galileo avessero pensiero che i calidi non fossero corpi, 1011 l l im h*]ie apparente ragione poteva dire Messer Giorgio che è errore a volere thè i calidi sostenghino: ma se i calidi sono posti per corpi, che occorre che Messer Giorgio dica che si erra a volere che i calidi sostenghino, perchè il so- 30 stenere e proprietà de’corpi? Non vede egli che imediate se gli può dire: < Sono corpi, questi calidi. > ? Non credo poi clic, immediatamente, contro ogni verità e con errore più ma¬ nifesto si possa trasgredire in questo proposito, di quello che fa Messer Giorgio quando imputa per errore al Sig. Galileo il volere che i corpi leggieri sosten¬ tino. E poiché ha quasi dell’incredibile che Messer Giorgio abbia commesso questo errore, con curarsi cosi poco (qual che si sia lo ’nteresse) della verità, tra- scii\o a parola per parola il suo detto: < Erra, perchè, ancora che quelli calidi or, Q U(,uto *1 f ••orgia discorra jk>co accortamente in «/i testa sua Operetta — 20. Vuole * ,#f OÌ rere V ueste debolezze - 28. apjmrente, soppresso — 31-32. Non vede ... calidi, soppresso — RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. 281 lusserò fuoco, ad ogni modo non potrebbono sostenere sopra di loro le cose ter¬ restri, essendo questi per natura leggieri e quelle per natura gravi >. Nel qual detto si vede manifestamente che Messer Giorgio pensa, che le cose gravi nel- p acqua (perchè siamo in questo proposito) siino più atte a sostenere che le leg¬ gieri: di modo che una pietra sarà meglio sostenuta augnila (secondo questa meravigliosa dottrina di Messer Giorgio) da un pezzo di piombo che da un pezzo di sughero, perchè il sughero, essendo leggieri, non può sostenere. Erra a negare che nell’acqua siino delle parti ignee, con dire che non vi sono perchè non si vedono. Quest’errore è di semplicità: perchè mostra di non io sapere che moltissime cose sono, e pure non si vedono; anzi, conforme a’ suoi principii si dà il fuoco sopra l’aria, e pure non si vede. Erra, in oltre, nei proprii principii peripatetici: perchè niun peripatetico ne- garà mai qualche mistione di fuoco nell'acqua, non concedendosi nella lor scola l’elemento puro, e massime V acqua, che noi trattiamoci. Erra a scrivere che il Sig. Galileo metta nell’acqua il fuoco quieto e che non vaili continuamente saliendo: c questo errore è commesso maliziosamente non meno che ignorantemente, già che Messer Giorgio ili sopra ha riferito che il Sig. Galileo tiene che questi corpi calidi salghino di continuo per l’acqua. Erra di contradizione, dicendo che l’acqua non sostenga i corpi più gravi di 20 essa se non per commozione: perchè di sopra ha detto (benché falsamente)^ che li sostiene ancora per la resistenza che fa all’esser divisa. Erra, tenendo per errore il concedere moto alli indivisibili; non intendendo nè come siino indivisibili, nè come siino mobili 1 ^.' Erra a dire clic tali atomi avrebbono sostenuto meglio nell’aria che nell’acqua: e l’errore consiste perchè Messer Giorgio non ha avertito che il corpo che si ha ila sostenere è più leggieri nell’acqua che neiraria, e per questa cagione viene a essere più facile il sostenerlo in quella che in questa. Erra ili doppio errore nella conclusione che gli atomi sono più sparpagliati per 1211 potrebbe dir Messer Giorgio, esser mescolata con terra ed aria, «o e non con fuoco ! . hk detto ben 100 volte (benché falsamente) M1 nè sa che gli atomi son cosi detti, non perché siano non quanti, ma perchè, sondo i minimi corpuscoli, non se ne danno altri minori da i quali possino esser divisi. b biotto — 7. e tinnii/ leggieri in compartizione del piombo, non può ~ 10. reggono — 10. udendo — 25. il tener Giorgio, soppresso — avvertilo — 33. senili i minimi — Queste parole si leggono sul margine del quindi cancellate. Ed altresì Ih postilla di Galileo manoscritto, di fronte allo liti. 12-14, clic sono state li stAta poi cancellata. ftic. 47, v. 22. (pag. 238, liti. 11-121. fac. 47, v. 22. fac. 47, v. 23. [pag. 238, liti. 12-18]. fac. 47, v. 25. (pag. 238, liti. 13-141. fac. 47, v. 26. [pag. 238, lin. 14-15). fac. 47, v. 27. (pag. 238, liti. 15-16). fac. 47, v. 28. (pag. 238, lin. 16-17). KliKOlU I>1 U10K0I0 COIAIO fac. 47, v. 31. Un. IS 19]. fac. 47. v. 32. 9IIH. liti. Il» 20|. lao. 47, v. 32. | j>»g. 238, Un. 20 211. tao. 47, v. 34. ||»«*. 238, liu. 2IJ. fac. 47, v. 34. fac. 47, v. 3f>. |]»atf, 238, liu. 221 fac. 47, v. 31. Ipag 1 . 238, Ini. 17-18| 282 racqua che per Paria. Il primo errore é che la conclusione é falsissima; poi de- pencle da falsi principi!, non essendo vero che la contrarietà causi sparpaglia¬ mento. Ansi, in questo particolare non doveva mai errare Messer Giorgio, perchè pare che principalmente abbia voluto, nel principio di questa sua Operetta, man¬ tenere che il freddo condensi c unisca: per lo che doveva pure ammettere che il freddo ambiente dell’acqua possa più unire gli atomi che sparpagliarliM Ma l'interesse di voler in tutti i modi contrai!ire induce Messer Giorgio a simili in¬ convenienti, non solo contro sé stesso, ina contro la verità ancora 1*1. i* fil Erra, vaneggiando (Pannare d fuoco contro l'acqua, e volendo che per questa occupazione non possa sostenere ‘ t15 . io Erra a dire che il Sig. Galileo chiami la caldezza atomo. Erra, non intendendo questi corpi indivisibili, e volendo imputare a errore ilei Sig. Galileo il denominarli tuli. Erra a non volere che P aequa possa esser in ego naturale del moto del fuoco; «• l'errore é tanto più nefando, quunlo 1 * 1 che repugna ancora a'suoi medesimi prin- cipii : perche, concedendosi che m possa generar «li terra fuoco, e affermando Aristotile stesso, nel secondo delle Meteore, nel trattato dei venti, che nella terra si ritrova molto fuoco, non è errore il dire ancora che ne sia nell'acquae che per quella si muova, essendo ine/.o cedente. Erra ancora, imputando al Sig. Galileo che abbili detto che l'acqua sia rnezo 20 naturale del moto del Inoro; il che ancorché forai si possa affermare, tuttavia non è vero che il Sig. Galileo abbia mai dotto questo. Ma Messer Giorgio, per aver che dire e per ridurr*» a qualche grossezza la sua Operetta, va facendo, e qui e altrove, simili imixisture. Erra parimente «1* imputazion falsa al Sig. Galileo, con «lift* che egli ponga che *‘ 41 Altra volta dirà clic il frodilo delle nugole costringe Pesalazioni in virtù dell' ant iperistasi. (i,J contradire P induce a simili inconvenienti, non solo contro sé stesso, ma contro la dottrina (die professa r contro verità ancora. M1 Erra a non supere che nmi il fuoco, ma le cose infocate si spen-ao gol io. E, per vita vostra, Messer Giorgio mio, quando mai sarebbe caldissima 1 acqua, se *1 fuoco in lei si spegnesseV UM e credendo che P acqua destrugga il fuoco, non sapendo che cosa sia destruggere. 1201 più grave, quanto 3. Mriirr Giorno, «oppresso - 21. font - 31 raWrn, Si.,. Giorno mio - 27. andiptrùtwn — re hoji.» < acqua » IIalilku *y*va A£*tìuhUj, o poi cancaUò : « mentre par tendoni dilla ». RACCOLTI 1>A 1). BENEDETTO CASTELLI. *283 i corpuscoli «ostonghino più in cima clic a inezo; perchè non si ritrovarli mai .si¬ mile comparazione nel suo Discorso. Non meno falsa imputazione è quella, quando Messer Giorgio dico che il Sig. ( hi- lileo dà più forza al fuoco elio all'acqua; ed erra Messer (ìiorgio, perchè questa comparazione non è mai stata messa in campo. Erra, di più, nei proprii prineipii a pensare clic sia orrore il dire che il fuoco abbia più forza dell'acqua: perchè, essendo, conforme a’Peripatetici, il fuoco at¬ tivo e r acqua passiva, è necessario che il fuoco ubbia più forza (loll 1 acqua. Erra, volendo notare un errore contro il Sig. (rabico, a scrivere queste parole: io < Erra, perché l 1 inconveniente crede esser causa contro Democrito >. Dico che in questo Messer Giorgio erra: perchè, oltre che il dir suo è assai barbaro ed inintelligibile, si può dire di più che il Sig. (ialileo non ha mai creduto questo, nè dato segno d’averlo creduto. Erra due volte, e nel dire che il Sig. (ialileo dà alle cose indivisibili tatto, e che pone essere tìsico indivisibile. Questo doppio errore nasce da un sol fonte d’ignoranza, di non intendere come questi corpi siino indivisibili. Erra nel chimerizare falsamente che quelli corpuscoli abhrucoierebbono quelli corpi; quasi clu* sii vero che ogni piccolo corpicello ili fuoco possa abbracciare ogni altro corpo nel quale s’incontrasse: e se le scintille ignite, scagliate dal focile, non 20 accenderanno mai un pezzo di legno di noce o di quercia, molto meno è neces¬ sario clic questi atomi ignei, le milliaia e miliaia di volte forsi più piccoli dello scintille, abbraccino quelli corpi nelli quali vanno urtando W. Chi concederà (come in fatti è verissimo) che si ricerchi maggior forza al muovere un medesimo corpo in alto che a mantenerlo, concederà ancora che il fuoco, ancor¬ ché sia raro, essendo potente a spinger in alto pesi grandissimi, come di me/.e mon¬ tagne alla volta, possa ancora, durando la pulsione, sostenerli. Sì che erra Messer Giorgio nostro a dire che gli atomi ignei, per essere rari, non possono sostenere Volendo Messer (ìiorgio concludere errori con errori, imputa al Sig. (ialileo una nova falsità, cioè che abbia detto che il fuoco partorisca fuoco atomo per ser- 30 vizio di quelli corpi gravi; qual d« tto n sentenza non si trovarà mai nel Discorso. A me pare che quando uno, non servendosi della propria virtù dell'occhio, o 1291 È di più credibile che Al ossei* Giorgio non si sin mai scaldato no accostatosi al fuoco, por paura, di non si abbruciare. w nò intendo che i mezzi rari cedono al moto de'corpi solidi; ma, se loro ancora si moveranno velocemente, faranno impeto e porte¬ ranno seco i solidi verso qualsivoglia parto. Iti. mano 17. quei rnrpu arali 17-1*4. quei torjn — 1 A. tifi — 21 .forte — 22. quei — nei — QJy «f>. Il C*. R ™* u RVCVft scritta unne montale intere ; * interi sostituì aGn rotta, ••he velino scritto alte — -S. con errori, addotta al »S ’i'j. 29. nuora 30. il qual — 32. ohe il Siy. Giorgio — fa«*. 17, v. 3U. Ir Air. 23*. lui. 22 23 i. iac. 47, v. 3l>. far. 47. r. 37. |i*»K. 23», lui. 23-24). lar. 47, v. 38 p v. 30. Il'Af. 23S, lm. 21 2.'»). far. 47, v. 40. Ipftg. *238, lui. 2ó-2f»J. lai*. 48, v. primo. lliAg.23», liu. 20-27). far. 48, v. 4. 11»*?. 238, lui. 27 -29). 284 ERRORI DI GIORGIO CORKSIO fac. 18, v. fi. [pag. 238, lin. 30 31 j. fac. 48, v. IO. (pag. 238, lin. 34-37). fac. 48, v. 19. (pag, 238, lui. 40 — pag. 239, lin. I). fac. 48, v. 21. |pa#r. 239, liti. I 5). fac. 48. v. 2ti. [pag. 239, lin. 8-9). fac. 48, v. 34. [pag. 239, lin. 12-14). per averla persa o per qualsivoglia altra cagione, hì servirà della scorta altrui, che questo tale camini alla cieca; e, per il contrario, se uno non vorrà cami- nare alla cieca, tengo li sia 1 ' 1 * necessario avere e servirsi della propria vista. Erra, dunque, Messer Giorgio e dà consiglii repugnauti, quando, per modo di conclusione, inferisce queste parole: < Concludiamo, dunque, che chi non vuole caulinare alla cieca, bisogna che si consigli con Aristotile >; perchè con questo modo di dire non si può intender altro se non che: < Chi non vuole caulinare alla cieca in filosofia, camini alla cieca >, cioè, lasciando da parte fuso dell’in¬ telletto proprio, si serva di quel d’ un altro; il che, come si vede, ò un pro¬ ferire repugnanze essorbitantissime. io Seguita a ripigliare di novo, senza nova ragione, l'errore della figura larga im¬ potente a dividere il ine/.o; del quale errore di sopra si è detto a bastanza. Erra quando dice che le ligure, quanto più sono acute, tanto più si sommer¬ gono: e che sia errore grosso si conoscerà facilmente con far l’esperienza di due corpi eguali dell’istessa materia e di diverse figure, una acuta e l’altra non acuta, i quali siino men gravi in specie dell’acqua; perchè si vedrà manifestamente che eguali porzioni di loro si sommergeranno, e non, come dice Messer Giorgio, più quel di figura acuta. Erra, perchè riferisce con falsa malizia (die il Sig. Galileo propone unesscmplo d* un legno che tanto vince l’acqua ascendendo, quanto l’aria discendendo; il che 20 è falsissimo, non essendo mai stato proposto simile essempio. Erra ancora e s’inganna, nel voler concludere che sia più difficile la divisione dell’acqua clic dell'aria, dal farsi più tarda la penetrazione in quella che in questa; e l’errore di Mosser Giorgio è perchè non pensa, nò ò atto a pensare, che la tardità non nasce per la difficoltà alla semplice divisione. Erra ancora, non conoscendo che l’argomento della tavoletta tagliata in strisce faccia contro Aristotile; il quale, avendo detto che le cose lunghe non sopran- nuotano, resta con quest'argomento etficacissimamentc convinto di falsità, come ogni mediocre ingegno può facilissimamente comprendere. Erra, nelPistesso luogo, a criniere che lo sottili striscio di ferro o so altro corpo più grave dell’acqua galleggino por la piccolezza; non si 1311 A me pare che alcuno veramente camini o voglia camminare alla cieca quando, non avendo propria virtù visiva o ponendosi una benda a gli occhi, si serve della scorta di un altro ; e, per il contrario, a chi non vorrà caminare alla cieca, tengo gli sia t32J T uso del senso e dell’ intelletto 11. nuopn — nuora — 16. tirino — 19. fttcmf/io — 27. contro a Arittntil » — 32. alcuno vera e propriamente vera menu — RACCOLTI DA l>. BENEDETTO CASTELLI. accorgendo che. se ciò fosse, non potrebbono le medesime andar mai in fondo, so non toltagli la piccolezza ; e pur vi vanno come prima vengono bagnate totalmente, e fanno in somma l'infosso che le falde maggiori, quando ben amo fossero più piccolo che gambe di pulci. Erra a chiamare inconsiderato ed arrogante il Mazzoni, mentre egli stesso inconsideratamente ed arrogantissimamente si mette a volere espor le parole d'Aristotilo ed a mostrarne il senso, dairinten- dimento del quale è più lontano il suo intelletto, che un’an¬ cudine dal poter volare. far. 19, v. 2H. gtfU, liti, uhJ. io Da'” porsi nella Dedicatoria, tro Messer Giorgio. nello scusar la maniera risentita con- E chi della nostra città sarebbe quello che, vedendo uno de gl’in¬ fimi dipintori ili Mon tei tipo correre infuriato per voler con sm* pen¬ nellate da imbiancatori dipigner sopra le mirabili storie di Andrea, non corresse là, o con gridi od oltraggi, e, se ciò non bastasse, a furia di buone pugna, non lo rimovesse da sì temeraria impresa? Ha con esquisitezza tale trattata il Sig. Galileo questa materia, che io non paventerò di dire, e V. S. ben 1‘intende, che Archimede stesso forse nè più ingegnosamente, nè con più saldi fondamenti, l’avrebbe potuta 20 spiegare e stabilire; e non sarà olii si muova contro ad uno che, gua¬ stando ciò eh’e’tocca, tenta di lacerarla? 1 . poirchitone -7. senno il dal quale dall * 9. dal volare jtoter — 12-13. infimi [littori dipintori — 14. mirabili pitture* storie — IT), buttasse, con ri— 19. nr più fondatamente uè ingegnosamente (n Ciò che sedilo si legge, rii ninno di Galileo, su! redo di uno dei cartoni che servono di guardia al fascicolo contenente gli Errori. 286 BKUOIU 1)1 GIORGIO CURKhIO RACCOLTI 1>À Ik BKNBDKTTO CA8TKLLI. Concediamo licenza «il multo Reverendo Sig Francesco Xnri. canonico et Teologo Fio¬ rentino, che rivegga la pr« *ente opera, con re Ieri re ho aia expurgata di tutti quelli errori che militasaino contro la Fede christiana et li buoni costumi. *J6 agosto 1613. Piero Xiccolmi. Vicario di Firenze. Io Francesco Non, (annuirò Fiorentino, ho rivinta e letta tutta la presente opera: nella quale non avendo notato cosa alcuna ripugnante nè alla pietà cristiana nè a'imoni costumi, mi pare si possa permettere che »i stampi. K m fede lu> sottoMcritto, questo di 9 di sot- t ombre 1613. Francesco Non. Canonico Fiorentino, di mano propria. Attesa la soprascritta attestazione, concediamo chi* la premessa opera si possa stani- 10 paro in Firenze, osservati gl’ordini soliti, X settembre 1613. Piero Nieeolini. Vicario di Firenze. Al padre Kmanuel X imene*, che rivegga e reHWisca »»1 Santo Fili zio di Firenze. IO settembre 1613. Fra Cornelio, Inquisitore di Firenze. « * LETTERA DI TOLOM 14 0 NOZZO LINI A MONSIGNOR MARZIMEDICI, ARCIVESCOVO 1>I FIRENZE [22 8KTTRMBKK UU2.] Illustrissimo e Reverendissimo Signor e Padron mio Colendissimo, Quanti 1 io venni ultimamente a Firenze a baciar le mani a V. S. Illustrissima, non avevo, per l’impedimento della mia muraglia, ancor potuto vedere il trat¬ tato del Sig. Galilei, nò altra cosa intorno a questo. Gracile io ho auto un poco di comodo, T ho letto con molto mio gusto, se bene non inteso come bisognerebbe; e con la presente ni* è piaciuto, più per mostrar d’averla obbedita in leggerlo che per altro rispetto, dirle qualche cosa in questa materia, se ben tutto sarà cosa frivola e di niun fondamento. Primieramente, sono tutta via col Sig. Galilei, che la figura non sia causa di io stare, o di non stare, sopra V acqua ad alcuna cosa, ma che tutto si deva giudi¬ care dalla gravità. Se sarà grave più che altrettanta acqua, anderà a fondo; se meno, galleggerà. E panni clic la lega e 1’ Incognito procedino centra di lui con ingannucci, e non faccino a buona guerra. La prima cosa, la disputa ha due capi, e mai si viene a cimento se non d’un solo. Vuole la lega che si pigli questo giudizio non dalla gravità, ma dalla figura, e che però la figura raccolta è cagione d’andare al fondo (e questo ò ’1 primo capo), e la figura distesa è cagiono del galleggiare (e questo è il secondo). Del primo capo non si ò mai fatta una parola. Sarebbe pur dovere, a mostrar que¬ sta verità realmente e non con sofisticherie, che si facesse vedere come una ma- 20 teria più leggiera di egual mole d 1 acqua, ridotta in figura raccolta, andasse al tondo ; il che non si mostra, e non si troverà mai. Siche, essendo in questa parte, della figura raccolta, la verità col Sig. Galilei, egli ha vinta la metà della que¬ stione: e anco ò da credere che il simile avvenga nella parte opposta, della figura distesa, se qualche accidente non impedisce. Quanto il 2° capo, di questa figura distesa, tutta la disputa e difficoltà final¬ mente è ridotta a quella esperienza dell’ assicella d 1 ebano, che, essendo più grave d’altrettant’acqua, con tutto ciò galleggia. A questo risponde il Sig. Galilei, e IV. 87 *290 LKTTKUA 1)1 TOLOMKO NOZZOUNI dice 2 coso: una folio fi la principale o più importante), che questo avviene ac¬ cidentalmente, per conto di quegli arginetti etc., come tutto dimostra esquisita- mente nel suo trattato; la seconda t\ che, volendo egli render la ragione perla quale si reggono quegli arginetti, dice che questo avviene per una forza attrat¬ tiva e calamitica dell’aria, in virtù della quale l’aria appiccata a quell’assicella la sostiene che ella non vadia al fondo. L Incognito, di queste 2 cose lascia star la prima; e non distrugge mai in verità questo dogma, ciò fi come, reggendosi quelli arginetti, 1* assicella cresce di mole, o almeno, avendo in virtù di essi fatto alzare tant’ acqua quanta è la sua gravità, non ne può far alzare più, perchè il più leggiero non alza il più grave, e per questo non può andar più giù e non si io profonda. Coni’ io dico, se si guarda bene, questa verità non fi mai distrutta dall* Inco¬ gnito ; ina fa bene una grand invettiva contro al 2*, cioè mostra che la cagione del reggersi quegli arginetti non vini dalla virtù calamitica dell’aria, ma dalla siccità dell'ebano etc., come si vede nel suo libro a fac. 11, ver. 3*2 |pa*. iok. Un.2eteg.]. Ora, dico io, questo non fa a proposito. Ragghiasi questi arginetti con qual ca¬ gione veglino ossi, pur che si reggiano, e, reggendosi, sieno cagione che Tassi- cella abbia alzato acqua pari alla sua gravità, e, non ne potendo alzar più, non possa anco andar più a basso. Contro a questo, che fi T importanza del fatto, do¬ vrebbe proceder T Incognito, e mostrare come quelli arginetti non son causa di 20 questo, e come, levandogli via, l’assicella da altro, la figura non ha parte in que¬ sto galleggiamento. K che ciò non penda dalla figura, fi manifesto; poi che, ba¬ gnando T assicella, la figura rimane quella medesima, 0 nondimeno gli argini non so si reggono e la tavoletta va al fondo. 11 dir poi che, quando si bagna l’assicella, o quando se gli chiuggono sopra quelli arginetti, quell’acqua la pigne affondo, questa è un’ ostinata sofisticheria e una meschinissima fuga, perchè T acqua in proprio loco non (/ravitcU ; e quella cosa che per sua natura non va al fondo, se avesse sopra di sè mille braccia di profondità 101. 291 fermare che questo proceda dalla virtù attrattiva dell’ aria: prima, perchè, ba¬ gnata che sia 1’ assicella, se ben si riporta in alto al contatto dell 1 aria, nondi¬ meno gli arginetti non si reggono più o l’aria perde quella virtù, senza vedersi perchè ; di poi, non si vede mai attrazzione di cosa alcuna contro alla sua naturai propensione, se non per causa di fuggire ’l vacuo, alla qual cosa non si può ridurre il nostro caso. E però a quella esperienza che pone il Sig. Galilei a fac. 38, ver. 32 [pap. 102 , Un. 20 e se*. |, di quel bicchiere rivolto all’ in giù, direi che quella cera seguita in su l’aria di quel bicchiere rottone vana, perchè, tirandolo in su con qualche velocitò, bisogna che quel che v’ò dentro lo séguiti, sì come, alzata con velocità la coperta io d’un libro, si tira dietro due o tre carte, ma alzata lentamente non ne tira alcuna: similmente, se quel bicchiere fosse alzato leiitissimainente, non tirerebbe la cera; dico lentissimamente, perchè quella cera è tanto lieve indi’ acqua, che ogni minima velocitò cagiona in lei il seguitare rat ione vacui. Oltre che, se bagnando F assicella, tutto r elemento doli' aria non può far di nuovo seco il contatto attrattivo, tanto manco lo potrà fare quella poca aria racchiusa nel bicchiere. Sì che, per fuggire ancora quella caravana d* inconvenienti addotti dall'Incognito a fac. 10 ed 11 |pag. 165,lin. 26-pajr. 167,lin. !7|, io non direi t hè l'attrazzione dell’aria fosse quella che ra¬ gionasse gli arginetti e che ritenesse V assicella; ma direi con Io stesso Incognito, fac. 11, ver. 32 |pn*. iss, lin. 2 e «wic.|, che, essendo naturalmente pugna fra l’umido e*l 20 secco, e cercando tutte le cose la sua unioni 1 e conservazione, l'aridità delFassicella ed il desiderio dell'acqua di conservarsi unita fanno che l'acqua va a rilente, a scor¬ rere sopra l’asciutto di quell’assicella, e così forma quegli arginetti; sì comi» ancora una gocciola d’acqua posta su qualche cosa arida si ritonda e si raccoglie, come se non fusse fluida,ma posta sul bagnato subito si spiana o sparge: e però direi che quegli arginetti non fussero altro che una moltitudine «li gocciole unito per lunghezza, che fuggono di spianarsi sopra l'arido di quell’assicella ; ma quando la trovano ba¬ gnata, non reggono argine, ma si spargono, e la tavoletta si profonda. Ma, siasi questa la cagione di questo o non sia, pur che ciò non venga dalla figura, la po¬ sizione del Sig. Galilei con tutto ciò resta illesa: e però tutto è vano quello che ao inquesto proposito gli oppone 1‘ Incognito, a fac. I l, ver. 10 fp**.i7i, lin. 80«■•*.]; perchè se bene con V imposizione di quella falda di piombo sopra 1* assicella si togliesse, come egli pensa (il che però non credo), il contatto dell’aria, non si terrebbe già l’aridità predetta, la quale è la vera cagione ili sostener gli argini e di far gal¬ leggiar T assicella, la quale non dependo dalla figura, come sopra si è detto. E que¬ sto mi basti per ora intorno a questo proposito. Entrando poi in altro ragionamento intorno a questi arginetti, mi assicurerei quasi a dire che il Sig. Galilei si possa in parte esser ingannato in quelle demo- strazioni eli’e 1 fa a fac. 47 (pag. iu), dove mostra che si possi no fare piramidi e coni 0 C. fac. 30, ver. 32 — I 21)2 LETTERA 1>I TOLOMEO XOZZoLltfl che, poste nell'acqua, bagnino solamente la superficie'Iella baso: il ohe io stimo non esser interamente vero, e tutto penso elio proceda da questo, perchè egli dice elicgli arginetti si reggono talmente sopra l'alienila, che lasciano non solo asciutta, ma ancora libera e scoperta, tutta la sua superficie ; come si vede nelle figure che egli no descrive a fac. «14 lp«*. 08] e far. 42 le»*. \ 09 ) % le quali stanno come qui di con¬ tro, dove gli arginetti or, M non cuoprono punto la su¬ perfìcie ah delTaasicella posta nell* acqua; il che se stesse così, sarebbe vero tutto quello che dimostra in detta spe- eola/ionc di piramidi, a fac. 47 le**. iu|. Ma io penso, o così anche mi par «li vedere nell'atto stesso dell' espo-10 rienza, che detti argini si spurghino sopra la superficie dell* assicella a guisa di inezo cerchio, o ne riquoprino, o pili tosto adombrino, senza bagnarla, tutto quello che può ricoprire detto inezo cerchio; come si vede in questa figura, nella quale penso che gli arginetti stiano incurvati sopra l*assicella come stanno mn ed st: e que¬ sti» r conforme a quello che è detto di sopra, che questi arginetti son quelle gocciole d*acqua che, resistendo al¬ l'asciutto dell’assicella, sostengono di rotondarsegli ad¬ dosso più tosto che spargervisi sopra. K però dico che, stando la cosa in questo modo, non può inai una materia alzarsi in figura di 20 piramide 0 di cono, che i suoi lati non perquotino in quel semicircolo delle goc¬ ciole e de gli argini, e lo rompino; e, per consequenza, si bagneranno alquanto. E por questo le piramidi e i coni reggono minori arginetti, elio non fanno quelle figuro clic finiscono di sopra in superficie piana, e tanto minori quanto più sono a uzze e sottili; e perciò po¬ trebbe anco patire qualche difficoltà quello che da lui è dimostrato a fac. 51, ver. 25 |pn*. ns.iin. 8 e *0*4, in materia di queste piramidi. Ma ò cosa tanto minima, che non porta 1 pregio a ragionarne. Resterebbe ora a dire qualche cosa intorno alle parole e autorità d'Aristotile 30 nell’ ultimo (le i libri Del cielo: circa le quali dico, che io le studierò un poco più per agio, l’er ora ho studiato quelle prime, dove dice che le figuro non sono cause che le cose si muovi no in su o in giù assolutamente, ma che le si innovino tarde 0 veloci; e però in questo proposito mi piace di rispondere all’argomento del Hg. Giorgio greco: «Se la figura lata ò cagione di moto tardo, e la più la[ta*| di piu tardo, e così successivamente, bisognerà in ultimo venire alla quiete; altra¬ mente si darebbe processo in infinito in quella tardità di moto. A questo rispondo in più modi. Prima, questo arebbn anco a verificarsi nelle cose che si muovono per l’aria : cioè, se il legno ni ferro in forma lata si muove tardi per 1* aria, e più lata più tardi, e cosi successivamente, giugneremo final* 40 A MONSIGNOR MARZIMKhICI. 203 mente a una tanto lata, che si fermi nell'aria, il che credo che non pii verrà mai fatto : e se questo modo d'argumentare non vale nell'aria, non lo voglio anco ac¬ cettar nell’ acqua. Secondo, la tardità del moto pende dalla latitudine della figura, e la maggior tardità dalla maggior latitudine, e, per eonsequen/.a, V infinita tardità dall’ infi¬ nita latitudine ; e non può mai condurmi all’infinito nella tardità, se prima non pone l’infinito nella latitudine: e però ha a dar di cozzo nell’infinito prima egli che io. È una bella cosa volere che sia impossibile a me ritardare infinitamente il moto, e, pendendo questo dal crescere infinitamente la figura, volere che que- 10 sto accrescimento infinito sia concesso a lui: se. non me ne mostra qualche pri¬ vilegio, non gli voglio credere. Ben pens’egli elio abbino a mancar prima i numeri a me che a lui : egli attenderà a crescer la figura lata da due braccia a 4, e poi a 20, e poi a 100, e così successivamente; e io attenderò a crescere il tempo di quel moto da 2 ore a 4, e poi a 20, r poi a 100, e così successivamente, tanto quanto farà egli; o prima ha a venire 1* impossibile addosso a lui che a me. Ma io non vorrei che per qualche via ini mostrassi d* aver potestà di formare l’infinito nelle figure late, ed io restassi a piedi: però voglio mostrar ancor io un privilegio ottenuto dalla ('orlo della Quantità, «li poter, nella metà di suo di¬ stretto e dominio, formar l’infinito a mio beneplacito. 11 privilegio comincia così: 20 Continuum est divisìbile in infìnitnm etc. Ora io dico così: Quando io vengo a Firenze, piglio un cavallo a vettura; qualche volta me n’ò dato uno che in un'ora fa 3 miglia; un’altra volta qualcun altro più agiato, che ne fa 2; potrei anco averne, che ne facesse un solo, o vero un niezo, e potrebbe anche farne la metà di quel mezo, e forse la metà di quel restante, o così successivamente in infinito, senza che io venissi mai a uno che si movesse tanto tardi che stesse fermo; c tutto in virtù di quel privilegio, (ira facciasi conto che quei cavalli sieno le forme late; chò il resto poi ramina jkt i suoi piedi alla soluzione dell’argo¬ mento. Nè si meravigli V. S.. Monsignore Illustrissimo, che io ragioni così burlando di questa materia; perchè ho imparato dall’Incognito, che propone le sue soluzioni. 30 a fac. 14 ver. 21 \\m- ni, li».34 e p**. 172, Un. i * ***.) e a far. 20 ver. 20 [par- H7, Un. in « con tanto bello apparato di parole marziali, con tanti termini di scherma, che mi pai- di sentirle uscir fuori con la picca in spalla a suon di trombe e di tamburi, e panni di sentir appunto il Capitan ('ardono quando sballa le sue prodezze in scena. Ma, per non la tediar più con questi miei ragionamenti di poca sostanza, vo¬ lentieri fo fine, baciandole umilmente le mani e pregandole da Dio ogni contento. \ 11 dì 22 di settembre. « LETTERA A TOLOMEO NOZZOLINI. [GENNAIO 1613.] V k Molto Illustre e Molto Reverendo Signore, Sendomi occorso filli giorni passati venire a Firenze per servizio particulare del Gran Duca mio Signor, mi sono incontrato in una costituzione di aria tanto nimica alla mia complessione, che mi è stato forza, in capo a 4 giorni, mettermi in letto con acerbissimi dolori di gambe, cagionatimi da freddure ed umidità. Questi, cessati in gran parte, pur mi vanno trattenendo in letto, debole ancora per la febbre che in lor compagnia mi assalì. In tanto mi è accaduto, nell’esser visitato da alcuni gentil’ uomini amici miei, sentir leggere loia copia di una lettera scritta più tempo fa da V. S. all'Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Arcivescovo nostro, in proposito di corte scrittui'e uscito fuori in coutradizione al mio trattato Delle cose che stanno su l’acqua etc.: la qual lettera mi è piaciuta assai, essendo scritta da persona che tanto intende e da me per lunghissimi tempi molto stimata; e tanto più ne ho sentito piacere, quanto ella, con quella libertà che mai non doverebbo separarsi dal vero modo di filosofare, approva quello che gli par degno di assenso, e reprova il contrario. La qual maniera, da ine amatissima, mi ha porto ardire di scrivere a V. S. queste poche righe con simile libertà, stimando so che ella sia per gradirle e forse per aderire più interamente alla mia opinione, dopo che meglio averò aperto il senso de’ miei con¬ cetti in quei pochi particolari ne’quali ella dissente da me; se bene, come ella benissimo nota, quando bone fossero miei errori, poco aiuto apporterebbono alla avversa lega, sendo cose nò essenziali nè prin- ù. 16 . non, G ; aggiunto — 298 LETTURA cipali nella quistione ohe si tratta. K come quello che bisogna che io logga con gli occhi di un altro e scriva con l’altrui mano, non potendo ordinare discorso molto metodico, mi governerò con l’andar toccando quei dubbi che V. S. promuove, e quelle cose nelle quali io mi conosco bisognoso di un poco più manifesta esplicazione, se¬ guendo quell’ordine che tali dubbi tengono nella .sua giudiziosa lettera. E prima, V. S. nomina come mia introduzione certa virtù cala¬ mitica. colla quale io voglia che l'aria, aderendo ull'assicella d’ebano, la sostenga senza lasciarla sommerger sotto l'acqua. Ora, in questo io particolare è bene che V. S. sappia che questo termine di virtù ca¬ lamitica non è mio, ma di uno cavaliere principale, discorde dalla mia oppimene ed aderente alli avversari: il quale, trovandosi pre¬ sente in certa occasiono che piaqque a queste Altezze Serenissime di vedere alcune esperienze in questo proposito, dove assistevano alcuni altri de i miei avversari, mentre io mostrava conio una sottil falda d'argento notava tra gli arginetti dell'acqua, o di tal effetto attri¬ buivo la cagione all’ aria contenuta dentro ad essi argini e contigua alla falda, avvegnaché quello che si trovava sotto il livello dell’acqua era una mole non più grave di altretnnta mole di acqua; nè sendo, 20 per quello che io stimo, restato il detto cavaliere ben capace della maniera con la quale io dicevo esser l’aria «li ciò cagione, proruppe a dirmi, presenti Loro Altezze e molti altri signori : Adunque voi vorrete dare all'aria una virtù ili calamita, con la quale olla possa col semplice toccamente reggere i corpi a sé contigui ? Onde poi, venendomi nel trattato occasione di far menzione del modo col quale 1 ’ aria cagioni la quiete alle falde gravi più doli’ acqua, dissi, vol¬ gendomi agli avversari, de’ quali, come ho detto, più d’imo assiste¬ vano in contraddizione alle sopradette esperienze : * e questa, signori avversari, è quella virtù calamitica, con la quale l’aria de. » al - 34 10. lasciarla sommergersi sommerger — 14. a tutte queste — 16. mostrarci a Loro Altezze conte — IT-gli arginetti dell'acqua, Lì; sostituito a quelli argini, ma sendo inferiore assai alla superfìcie dell’acqua, inferiar, dico, tanto quanto era Valtezza di detti argini — 17—1U. c dì tal ■ falda. Prima era scritto: e dicendo io che l’aria contenuta dentro a gli argini e contigua alla falda era causa del galleggiar di quella; Galileo cancellò e dicendo io che Varia e era causa del galleggiar di quella, e sostituì ili eoa mano e di tal effetto attribuivo la cagione all'aria; corresse pure a gli in ad essi — 19. avvegnaché. G ; sostituito « perché — 20. una mole meli non — 22. dicevo ... cagione. G; sostituito a attribuirò alla delta aria unti tale operazione — 23. dirmi, G; sostituito a dire — signori circostanti: Adunque — 26. nel discorso trattato —- A TOLOMEO NOZZOLINI. 291) ludendo a quell’attributo di virtù calamitica, stato già profferito alla presenza di Loro Altezze. Ma che più ? se io in quel luogo, esplicando assai diffusamente la causa di tal aderenza dell’aria con la falda, la referisco sempre al solo contatto esquisito, e ne adduco esempi di altri corpi di superficie terse o che esattamente si combacino, senza mai nominar virtù di calamita, perchè dove essermi attribuito quel che io non dico? e perchè ai deve pospor quel ch’io dico in termini proprii chiari ed ampiamente diffusi, a una parola sola metaforica¬ mente detta? detta, dico, por rammentarla a i suoi introduttori, acciò io conoscliino come ella non è da me reputata per vera, ed acciò essi ancora possino restar di ciò capaci, considerando quello che nelle parole immediatamente precedenti ho detto. Ma i medesimi avver¬ sari, come poverissimi anzi ignudi totalmente di niuna difesa, s’in¬ ducono, astretti da estrema miseria, a confessare per errori e fallacie le loro medesime proposizioni, non potendo trovarne tra le mie, pur che resti loro un poco di speranza di poterle far credere per cose mie, facendo sovvenire al lettore lo strano partito del rivai di Gri¬ fone alla cena di Norandino. La principal radice di tutti gli errori do i miei avversari e con- 20 traditori depende dal non aver loro mai potuto intendere il modo col quale io dico che l’aria, contenuta dentro a gli arginetti, è cagione del galleggiare della falda: il qual modo non è nè per at¬ trazione, nè per virtù calamitica, ed in Somma non è per ninno nuovo accidente o affezzione, oltre alla prima unica e sola cagione del galleggiare di tutte l’altro cose che galleggiano; la quale, perchè è una sola, vera, propria, conosciuta ed intesa da me e da altri, non ammette distinzion veruna di per se o per accidenti, jyropnc vel im¬ proprie, absolute vel rrsprctivr . alle quali distinzioni sono necessitati di ricorrere per aiuto quelli che non conseguiscono l’intera cogni- 80 zione delle cause vere proprie ed immediate de i loro fìlosotìci pro¬ blemi. Ogni solido che si ponga nella acqua, descenderà sin tanto 2-12. Ma clic più ... ho detto, G ; aggiunto gu di un cartellino incollato sul margine, sul quale Galileo ripetè di sua mano anche le parole già profferito ... Aitate (Un. 1-2) — 2. quell luogo — 7. deve lasciar pospor — dico in senso assai chiaro in — Hi. loro, G; prima era scritto pur che gli recti — 17- 18. facendo ... Norandino, G; aggiunto su di un cartel¬ lino— 20. il modo, G; sostituito a o almeno dal non mi esser io saputo esplicare a bastanza intorno al modo — 24. affezzione. G; sostituito a affetione — 25. V altre, G: sostituito a le — 31. Dopo solido è aggiunto, tra le linee e di una terza inano, galleggiante che manca in B — descenderà, G ; sostituito a descende — 300 LKTTKliA che il luogo ohe da «è verrà occupato sotto 1 livello dell’acqua sarà capace di tanta acqua, che assolutamente pesi quanto il medesimo solido : ondo, semplicemente ed universalmente considerata qualun¬ que indù che galleggi e la buca che ila ossa mole vieu fatta nel¬ l’acqua, sempre, senza bisogno mai di eecezzione alcuna, accade ed è vera questa proposizione, che tanta acqua, «pianta amlerebbe a riempiere quella buca, pesa a capello «pianto tutta quella mole che galleggia; nè mai accade altramente, nò mai si trova cosa alcuna che galleggi e l'accia altro che questo unico solo e semplice effetto. Che se la mole posta nell’acqua sarà di tanto peso, che già mai accader io non possa che l’acqua contenuta nella buca che detta mole farà nel¬ l’acqua pesi quanto tutta la detta mole, ella già mai non galleggerà, ma indubitabilmente o senza alcun rimedio «lesccnderà in fondo. M queste «In»; condizioni torno ancora a replicare «die non ricevono eecezzione alcuna, ed abbracciano tutti i possibili casi di tutte le moli le quali galleggino «> vadino al fondo, senza aver bisogno di altre consideruzioni di ligure, di siccità, di per se, di per accidens, di simpliciter, di respirine, ed in somma di nessun'altra cosa. Un’oncia di piombo figurato in una palla solida e posto nell’acqua con qual si voglia diligenza, non resterà mai a galla. Perchè? perchè mai non 20 può accadere che nella buca, che mediante la sua imposizione si fa nell’acqua, possa capire tant’acipia, clic p«»si quanto quell’oncia di piombo. La medesima palla di piombo, schiacciata e ridotta in una falda sottile come una carta, posata leggiermontt? por piatto sopra l’acqua, si ferma galleggiando «• non va in fondo. Perchè? perchè la detta falda fa nell’acqua una buca capace di tanta acqua, che pesa quanto lei e niente meno. K quale è questa buca? Non già il solo spazio occupato dal piombo; perchè tant’acqua, quant’è quel piombo, non pesa nè anco la duodecima parte di quello che egli stesso pesa. Ma se si considererà l’effetto della detta falda nell’acqua, si vedrà so lei essere molto inferiore alla superficie dell’acqua, ed aver fatto in 1. si, G; sostituito a esso — 2. assolutamente polisse pesi — medesimo, G; sostituito a detto — 3. semplicemente, G ; sostituito a assolutamente 3-4. qualunque, G ; sostituito ft qunliinche —4. galleggi nell'acqua e — ó. ecceirirme. G; sostituito a eccezione — 9. e {e fac¬ cia), (r ; sostituito a nè che — 10. posta, (ì ; so-tituito u che si pone — acqua che mai sarà 12./>esi, G; sostituito a pesasse — 20. «ori (mai non\ G ; aggiunto—23. schiacciata, Gj sostituito a stiacciata — 24. una cra/.ia foglio carta — 27. lei, G; sostituito u hi detta falda — 29. egli stesso, G •, prima ora scritto di quello che pesa il piombo — A TOLOMEO NOZZOLINI. 301 essa una buca capace (li più di do[di]ci di tali falde: sì clic, in somma ed in effetto, l’imposizione di questa falda di piombo si vede aver in¬ cavato nell’acqua una buca giustamente capace di tant’acqua, che peserebbe quanto Pistessa falda; onde, conformo alla universale re¬ gola posta di sopra, ella non si affonda più, ma si ferina e gallcg- o-ia. La buca si vedrà considerando diligentemente intorno intorno al perimetro della falda, dove si vedranno gli arginetti declivi de¬ scendenti dalla universale superficie dell’acqua sino alla superficie della falda, la quale, come ho detto, resta inferiore alla superficie di io essa acqua. Che poi questi argini aquei non si rornpino, scorrendo l’acqua ad ingombrar la detta buca o cavità, io poco mi curerò (come bene nota anco V. S.) che altri lo ascriva o a desiderio che abbino le parti dell’acqua di stare unite, o alla siccità della falda che contrasti con l’umido dell 1 acqua, o alla aderenza dell’aria alla falda, che por un poco resista all'Impulso che gli fa l’acqua circun- fusa, perchè ciò niente importa alla nostra prineipal questione; per la quale solamente basta verificarsi questo, che l’imposizione della falda di piombo fa nell’acqua tanta buca, che capiset 1 tant’acqua che pesa quanto la falda, per lo che ella non può più descendere. Ma 20 quando io dovessi ex professo trattare ’l problema, Onde avvenga che tali arginetti si sostonghino, come anco sopra una superficie asciutta si mantengono eminenti gocciole di acqua in figura di porzione di sfera, ed anco falde larghissime di acqua, profonde quanto è la costa di un coltello, pur si mantengano senza spianarsi interamente; quando, dico, io dovessi di tali effetti assegnar ragioni, veramente non ri¬ correrei a por desiderii di conservarsi o di altro nelle cose inanimato, nè meno a nimicizia che abbia l’umido col secco, perchè non man¬ cano esperienze dei nostrali ti tutto l’upposito, ciò è che l’aridezza e siccità mostra di tirare a sè le cose umide; e più presto ne attri¬ stì buivei la cagione, come ho fatto, all’ambiente, e tenterei di stabilir la mia opinione più diffusamente con ragioni ed esperienze 11 . 1. essa acqua una — falle di piombo s) — 3. giustamente, (t ; sostituito a assolutamente — 7-8. declìvi dell'acqua descendenti — IH. di piombo, (ì; sostituito a plumbea — 2l>. a porro por — Le parole « e tenterei ... esperienze » l'acqua, le quali, come accado a tutti gli altri sono scritte di inano di Galileo, e sostituito corpi che si toccano, resistono al separarsi e al seguente tratto, che è cancellato: « e, di staccarsi. Nè però darei attacco a gli avver¬ rà, al contatto delle particole minime er la strettezza della figura de scendono o vero che, fatte in figura larga, non ascendono dal fondo in su. GaMI.KO di film mano aggiunse (se vera .. . stretta, sostituendo poi ducauiere n descen Inno; come pure sostituì ed all* incontro a o vero che, e sostituì devrebbono ascendere a ascendono — verrei a concedere nell'acqua resistenza alla divisione, onde, in conseguenza, una tal re¬ sistenza venisse a puter esser cagione di vie¬ tare il moto alle falde larghe etc. : perché io fo grandissima differenza tra il separare in¬ teramente due corpi che si toccano, e l’andar essi mutando toecnmenti ; coinè se. pei esem¬ pio, io mi immaginassi due perfettissime sfere di calamita toccantisi, queste resisterebbono molto al separarsi 1’ una dall* ultra, ina mento o insensibilmente farebbono resistenza al sof- fregarsi insieme, mutando in mille modi i lor toccamente pur che altri non le volesse stac¬ care. Ora, così r' immagini WS. l’acqua essere un aggregato di innumerabili sferette minori di ogni nostra immaginazione, le quali, toc¬ candosi ed essendo assolutamente rotonde e tersissime, niuno contrasto fanno all’andar permutando i loro toccamente pur che non reatino prive di altri simili [altri simili è scritto di mano di Gami. so, in sostituzione di tali contatti |, ma resistono bene alquanto quando una parte di loro si ha totalmente a staccare e separare dalle altre. Ma questa è materia assai difficile a essere chiaramente spiegata, e richiederebbe lungo discorso e copioso ili « sperienze e di particolari osser¬ vazioni, dal (piale mi sono astenuto, non essendo più che tanto necessario nel mio trattato, »• ne ho solamente voluto accen¬ nare un piccolissimo raggio a WS.; il che non averei fatto quando questa lettera do¬ vesse e«ser veduta dall’universale, perchè so che nelle persone di intelligenza nou superiore alla mediocrità, col dirne tanto succintamente, più presto averci destato con¬ fusione che aperta la strada al poter filo¬ sofare intorno a tal materia, della quale forse coti opportuna occasione tratterò pm diffusamente. * A TOLOMEO NOZZOI.INI. 303 più gravi dell’acqua, per quello che depende dalla loro gravità, vanno al fondo, ed i men gravi vengono a galla. Si muovono alcuni e di¬ cono esserci un altro accidente, il quale, aggiunto a tali materie, è bastante a faro che esse contrariamente operino, ciò ò che quelle, benché più gravi dell’ acqua, non descendino, o queste, benché men gravi non ascendino; e questo accidente dicono essere la figura, lo soggiungo e domando, se per fare che corpi più gravi dell’acqua, e però (per quanto depende dalla gravità) disposti al descendere, non si profondino, ogni sorte di ligure ò bastante, o pure tal proibizione io depende non da qualunque ligure in universale, ma da alcune par¬ ticolari solamente. Non mi può esser risposto, tale impedimento de¬ pendere da ogni sorte di figura indifferentemente, perché a questo modo niuu corpo più grave dell’acqua si profonderebbe, non si dando corpo che di qualche figura non sia figurato: adunque ò necessario dire, che tale proibizione alla scesa dependa solamente da alcune ligure particolari. Ora, se così è, resta necessario elio tra lo figure ve ne sieno alcune le quali non impedischino i corpi più gravi del¬ l’acqua, sì che essi non esercitino quello puro o semplice talento elio depende dalla loro gravità: onde io, passando un poco più avanti, 20 domando che mi sia assegnata alcuna di quelle ligure le quali non alterano 1’ assoluta inclinazione ed operazione che ilepende dalla sem¬ plice gravità del mobile. Mi viene, per esempio, risposto, una di tali figure essere la sferica. Adunque, soggiungo io, se la figura sferica non altera niente l’inclinazione o 1’ effetto dependente dalla semplice ed assoluta gravità del mobile, impossibil cosa sarà il formare di al¬ cuna materia più grave dell'acqua una sfera, la quale per causa della gravità vadia al fondo, e che poi anco la medesima galleggi, in quella maniera che fa l’assicella o falda degli afwersarii]; perché non eser¬ citando ella altra operazione che quella elio dependo dalla gravità, so impossibil cosa ò che in virtù di essa medesima gravità galleggi ed anco vadia al fondo. Ma io ho dimostrato con ragioni e con espe¬ rienze, potersi fare una palla ed ogn’ altra sorte di figura la quale galleggi e vadia al fondo, nel modo medesimo che la falda dogli av- 4. contrariamente ... quelle, (ì; aggiunto — 5-f>. e queste ... ascendino, G; aggiunto — 0 . sorte di, G; aggiunto — 10. qualunque figura, G; costituito a tutte le figure — 14-ln. ne¬ cessario il dire — 2ti. più grave dell' acqua, (ì ; aggiunto — 2*i-27. per causa della gravità , G; aggiunto — 27. e che . .. medesimi!. G; sostituito a bagnata ed anco — 20. operaiionVj G; sosti¬ tuito a azione — 30. gravità, G ; aggiunto — 304 LKT l'KRA versarli: adunque tale effetto non si può nè si deve in conto alcuno attribuire alla figura. Ma passando più oltre no’ particolari contenuti nella lettera di V. S., od ammettendo quello che ella prudentemente dice, che mai non si vede fare attrazione di cosa alcuna contro alla sua naturai propen¬ sione, so non por causa di fuggire il vacuo, alla qual cosa sogghigno non potersi ridurre il nostro caso; rispondo che io non ho mai auta altra intenzione circa il modo col quale l’aria sia causa del galleggiar della falda, se non perchè, seguendo l’aria la falda descendente sotto il livello dell’acqua, ella insieme con la falda è causa che si alzi tan- io t’acqua, che più non può esserne alzata dal peso di essa falda; sì che la causa prossima ed immediata di tal galleggiamento è la unica e sola già dichiarata, ciò è la gravità dell’acqua e suoi momenti supe¬ riori alla gravità e momenti della falda: e si 1 attentamente si consi¬ dererà ciò che io ho scritto, credo che finalmente apparirà, il tutto risolversi in questo concetto. Non voglio già restare di dichiararmi meglio intorno al modo col quale la palla di cera si solleva dal fondo dell’acqua, in virtù dell’aria che se gli manda col bicchiero inverso: il quale modo non è altramente per attrazione di vacuo, mentre che il bicchiere con velocità si alzasse; anzi è necessario sollevare il bic-8u chiere lentissimarnente, dando tempo che l’acqua possa subintrare a suo bell’agio a proibire il vacuo: ma la causa del sormontare la palla ò la aria che gli resta contigua. Però noti V. S. come procede l’espe¬ rienza. Fossi una palla di cera, grande come una noce in circa, e si proccura farla di superficie liscia al possibile, che si farà con l’andarla ammaccando leggiermente con un vetro terso e lustro; di poi si librerà con un poco di piombo postovi dentro, sì che sommersa sotto l’acqua descenda, ma con poca forza, al fondo: questa medesima palla, posata leggiermente nell’acqua, farà (la sua superfìcie di sopra mentre sia asciutta) i suoi arginetti, i (piali, per l’aria in ossi contenuta, la so-so sterranno; ma rompendo detti argini, descemlorà in fondo, come più grave dell’acqua, e vi resterà: ma spignendogli sopra il bicchiere inverso pieno di aria, come prima detta aria arriva alla palla, l’acqua 3. passando più oltre (ì; sostituito a tornando a gli nitri — 10. insieme con la fatila, G; aggiunto — 2.'). proccura di farla — 2*.l. mentre. (ì ; sostituito a parola illeggibile (stante che?) — 30. la, G; prima diceva contenuta, *terranno la falda — 31-32. Prima era scritto: argini,e mandando la //alla in fondo ella, none più grave dell'acqua, ri resterà. Gai,ILEO di sua niauo sostituì descenderà a e mandando la palla, cancellando poi ella e aggiungendo e — A TOLOMEO NOZZOUNI. 30f> scacciata dall’aria code, lasciando parto della palla scoperta o total¬ mente asciutta, per essere la cera ben tersa o per natura alquanto untuosa; il elie V. S. potrà vedere per la trasparenza del vetro: onde intorno a quella parte di superficie rimasta, come io dico, asciutta, e circondata dall’aria che è nel bicchiere, tornano a farsi li suoi argi- netti; per lo che, ritirando in su pian piano il bicchiere, l’acqua stessa che lo seguita riconduce in su la palla galleggiante, e sostenuta non per attrazione di vacuo o di altro, ma dall’aria contenuta dentro a gli arginetti nel m[o]do dichiarato; ed usando diligenza nel separar il io bicchiere dall’acqua, si che (dia [non] si agiti nè ondeggi, la palla resta come prima a galla. Questo, dunque, è il m[o]do col quale l’aria concorre al galleggiamento de i corpi più gravi dell’acqua. [E] di (pii si potrà raccòrrò quanto semplice cosa sia quella che propone l’In¬ cognito per destruggere l’operazione chi' io attribuisco all’aria, mentre che egli vuol[e], con roceupar lo spazio compreso tra gli arginetti, scac¬ ciarne l’aria, ed, in conseg|uen]za, rimuovere, come egli si persuado, la sua operazione: o non è potuto restar cap[a]ce come io non attri¬ buisco la causa del galleggiare all’aria solamente, congiunta co[n] l’assicella o falda di piombo, in modo tale che io escluda da tal ope- 20 razione tutte l’altro materie; anzi do io tal facoltà ad ogn’altro corpo legg[ie]ro, il quale, congiunto con la falda di piombo, cagioni, nel descender di lei nell’acqua, u[na] buca tanto capace, che l’acqua che bisognasse per riemperla non p(‘s[as|se meno della mole del piombo ed altra materia sua aderente, contenuta nella detta buca sotto il li¬ vello dell’acqua. E se io ho nominato più l’aria che altra mat[e]ria, è stato perchè nell’esperienze prodotte dagli avversari, di falde e di assicelle], il corpo leggiero ad esse congiunto è stata aria; ma il me¬ desimo accaderà se, in ca[m]bio di aria, si accoppierà con la falda di 1. aria esce fuori eli cede e si parte, lasciando — 1-3 Prima era scritto: scoperta, e, per essere la cera ben tersa e per natura alquanto untuosa, l’acqua parte [a parte fu poi sostituito, di mano di Galileo, scende] totalmente dalla atta superficie [«un superficie fu poi corretto, pur di ìuano di Gai.ileo, in superficie di quella ], lasciandola asciutta, Galileo cancella e dnvanti a Iter essere, e cancellò pure tutto ciò che nella prima lezione teneva dietro a untuosa, inserendo poi e totalmente asciutta dopo scoperta — 3. il che, G ; sostituito a come — lì. per lo che, G ; sostituito a onde — 14. destruggere tale l' — 17-18. Prima era scritto : come io attribuisco ... galleggiare non all’aria. Galileo cancellò non davanti a all'aria, inserendolo davanti a attribuisco —19-20. in modo ... facoltà, G; sostituito a ma rii> [ciò corretto poi in tal facilità ] do io — 21-22. Prima era scritto: nelilescendere.il piombo, una buca tanto capace nell’acqua che l’acqua. Galileo corresse descendere in descender, sostituì di lei nell’ acqua, a il piombo, cancellando nell' acqua dopo capace — 28. accollerà, G ; sostituito a cagionerà — IV. \ 39 LKTTKKA 30fi piombo suvero o materia leggerissima : t[al| che 1 * Incognito, per quello' che io comprendo, non lm avvertito che, mentre egli rimuove dal¬ l’assicella l’aria contenuta tra gli arginetti con l’occupare quello spazio con una piastra ili piombo poco minore di esso spazio ma sostenuta con la mano, sì che ella non tocchi nè gli argini nò la assicella, non ha, dico, avvertito [che] nel levargli l’aiuto dell’aria gliene sostituisce un altro maggiore o egnal[e] a quello eh’e’gli toglie; imperò che, rimovendo l’aria, sostituisce in suo luogo altrettanto spazio vacuo, che sicuramente pesa meno dell’aria rimossa; onde se tal ari] a ] in virtù della sua leggerezza sosteneva la falda, che farà altrettanto vacuo, io più leggiero di quella? Ma che in luogo dell’aria (per quello che appartiene all'assicella) se gli contribuisca altrettanto vacuo, è ma¬ nifesto: perchè quel corpo solido che altri sostien con mano sopra l’assicella senza eh’e’la tocchi, non pesa punto sopra di quella, onde resta un semplice spazio senza gravezza alcuna; e pur séguita di man¬ tenere l’istessa buca nell’acqua, capace di tant’ncqua che peserebbe non meno di essa falda. Onde l’Incognito più apparente ragione avrebbe di meravigliarsi come per tale rimozione d’aria la detta as¬ sicella non galleggiasse meglio e, come si dice, respirasse alquanto, che egli non ha di meravigliarsi come olla non si profondi. 20 lo devo restar con obbligo a questo Incognito, poi che con questa sua fallace sottigliezza mi ha dato occasione di trovarne una altra non minore, ma vera, per la quale io posso dimostrare come il rimuo¬ vere nel modo esposto dall'Incognito l’aria contenuta dentro a gli arginetti non opera niente circa l'apportare cagione di profondarsi più o meno l’assicella: anzi dicodi più che, galleggiando qualunque grandissimo vaso di rame o di altra materia più grave dell’acqua in virtù dell’aria contenutavi dentro, il rimuoverla con l’imposizione di un corpo, ma che però non tocchi il vaso, non opera parimente niente. Ma che dirà V. S. se io mostrerò che un vaso che galleggi sondo anco so ripieno di acqua, non farà mutazione alcuna se con l’imposizione di un solido nel modo detto si scaccierà (piasi tutta l’acqua che in esso vien contenuta? Ma per ben dichiarare il tutto, ed insieme accrescer fi. che egli nel — sostituisce, G ; scritto sopra a conferisce, che non è cancellato — 7. Prima era scritto: che egli ; Gami.ko corresse eh' e’ gli — fi. epasio, G ; aggiunto — 12. altrettanto, fi, sostituito a altr 1 e tanto — 32 -38. Prima diceva: l'acqua »» esso vaso contenuta. GamMO aggiunse di sua mano che o firn, cancellando r aso — t A TOLOMEO NOZZOLINl. 307 la meraviglia, intendasi un cilindro solido All, fermato immobilmente e sostenuto in A; di poi intendasi il vaso CDE, capace della mole All e di un poco più, il qual vaso, sondo separato e allontanato da esso cilindro All, sia ripieno di acqua, della quale no capisca, per esempio, 100 libre; di poi posto sotto’l solido fisso AH, lentamente s’innalzi verso esso solido, in guisa che, entrandovi egli dentro, faccia a poco a poco tra¬ boccar fuori 1’ acqua, secondo che esso vaso ODE si anderà elevando. Ora io dico, io che quella persona che anderà alzando detto vaso contro al solido AB, sempre sentirà il medesimo peso, ben che di inano in mano vadia uscendo fuori l’acqua; nè meno si sentirà aggravare doppo che nel vaso non sarà rimasto più di due o tre lib¬ bre d’acqua, di quello che egli sentisse gravarsi quando era del tutto pieno, ancor che il solido AH non tocchi il vaso, ma sia, come si è supposto, fissa¬ mente ed immobilmente sostenuto in A. Ciò potrà per l’esperienza 20 esser fatto manifesto ad ogn uno, ma oltre all’esperienza non ci manca la ragione. Imperò che considerisi come la potenza sostenente il solido in A, mentre esso era fuori di acqua sentiva maggior peso che dopo che il solido si è immerso nell'acqua; perchè non è dubbio alcuno che se io reggerò in aria una pietra legata ad una corda, sentirò maggior peso che se alcuno mi vi sottoponesse un vaso pieno di acqua, nel quale detta pietra restasse sommersa: scemandosi, dunque, la fatica nella virtù che sostiene il solido AH, mentre e’si va immergendo nell’acqua del vaso CDE che lo va ad incontrare, nè potendo il peso di questo andare in niente, è forza che si appoggi nell'acqua, ed, in conseguenza, so nel vaso CDE ed in colui che lo sostiene: e perchè noi sappiamo che ogni solido che si demerge nell’acqua va di mano in mano perdendo di peso tanto, quanto è il peso di una mole di acqua eguale alla mole del solido demersa, facilmente intenderemo tanto andare scemando la fatica della 1. Dopo solido AB è aggiunto, tra lo lineo e di una terza mauo, di materia più grave dell aequa — 2. CDE un poco più capace — 3. e allontanato, G; aggiunto — 15. più di, G ; ag¬ giunto 27. sostiene, G; sostituito a sosteneva — 27 2*. mentre ... incontrare, G: aggiunto — 30. colui, G; sostituito a quello — 31. demerge è cancellato, ed in sua vaco è sostituito, da una terza mano, affondi — 303 • LETTERA virtù sostenente il soliilo All in A, quanto 1’ aequa va scemando la gravità di esso solido; adunquo il solido AH va gravando sopra la forza sostenente il vaso CDE tanto, quant’ è il peso di una mole di acqua eguale alla mole del solido demorsa: ma alla mole del solido demorsa è di ninno in mano eguale la mole dell’acqua che si spande fuor del vaso; adunque per tale effusimi di acqua non si scema punto il peso che grava sopra la virtù che sostiene il vaso, ed è manifesto che il solido AB, se bene scaccia l’acqua del vaso, niente di meno, con l’occuparvi il luogo dell'acqua scacciata, vi conserva tanto di gravità, quanta appunto è quella dell’acqua che si versa. Sul fonda-io mento di tal verità, chi facesse un vaso di legno simile al CI)E e l’em¬ piesse d’acqua totalmente, e lo mettesse poi in altra maggior conca d’acqua, nella quale e’galleggiasse, potrebbe, con l'immergervi un so¬ lido simile ull’AB, sostenuto con mano sì che non toccasse il vaso CDE, scacciarne quasi tutta l’acqua senza veder far[ej una minima muta¬ zione ad esso vaso circa ’l demergersi più o meno: e così verrebbe in certezza che ’1 solido AB, se bene scaccia 1’ acqua del vaso, niente di meno, col solo occuparvi il luogo dell’acqua scacciata, vi conserva tanto di gravità, quanta appunto è quella dell’acqua scacciata. Se questo fosse stato saputo dall’ Incognito, arebbe altresì coni- 20 preso come il solido di piombo, che e’colloca nella cavità degli arga¬ netti, scaccia ben 1’ aria eh’ e’ vi trova, ma egli stesso conferisce a quella che vi resta tanto appunto de’ suoi proprii momenti, quant’era il momento dell’aria discac¬ ciata. Bisognava che l’Incognito, si; desiderava ve¬ der ciò che operi l’aria accoppiata con un solido, gliel’ unisse prima, e poi la rimovesse, ma senza so¬ stituire, in luogo di quella, altra cosa che potesse far l’effetto stesso clic ella faceva prima. Ed un modo assai spedito per veder ciò. serebbe per avventura so questo. Facciasi un vaso ili vetro, simile all’ABC, di qualsivoglia grandezza, con il collo AB lunghetto alquanto, ma stretto: e nel fondo C su gli attacchi tanto piombo 0 altro peso, che messo poi in acqua quasi si sommerga, sì che solo 10-11. Dalle parole Sul fondamento fino ul tornine della lettera è di nmno di Galileo. - 12. in altro vaso di acqua maggiore, sì L-lie e’ vi altra 14. AH sostenendolo sostenuto 15. fare mutazione] una — 20-27. solida unirgliela gliel 1 — 27. e poi rimuoverla la — 28. che operi possa potesse — 33. ni quanto — A TOLOMKO NOZZOI.INI. 30!) avanzi fuori dell’acqua una parte del collo AB, nel qual collo si noti con diligenza, col legarvi un filo sottile, sino a qual parto o’ si de- merge: di poi scaldisi sopra le brucio accese il vaso, in guisa che il fuoco scacci o tutta o la maggior parte dell’aria in esso contenuta, e prima che rimuoverlo dal fuoco serrisi esquisitamente la bocca A, sì che non vi possa rientrar aria: levisi poi dui fuoco e lascisi stare siu che si freddi, partendosi per la porosità del vetro quella esala¬ zione ignea che vi penetrò e scacciò l’aria; di poi tornisi a metter nell’acqua, e vedrassi galleggiar notabilmente più che prima, restando io del collo assai maggior parte fuori, e ciò per essergli stata rimossa o tutta o parte dell’aria che prima lo rioinpiova, senza che in luogo di quella sia succeduto altro corpo. Ma elio altro corpo rientrato non vi sia, manifestamente si vedrà so, tuffando tutto’l vaso sott’acqua e tenendolo sommerso, si aprirà il foro A ; perchè per esso, senza che niente venga fuori, si vedrà entrar l’aeqna con grand’impeto, a riem¬ pier quel tanto di spazio che l’aria nel partirsi lasciò vacuo di -sé. Avertiscasi però nel far l’esperienza, che quel poco di cera o altra materia con la quale si serrerà il foro A, vi si tenga anco avanti che col fuoco si scacci l’aria, ma tengavisi in modo che non turi il foro; 20 perchè, aggiugnendovela solamente dopo lo scacciamento doli' aria, potrebbe col suo nuovo peso aggravar più che non faceva l’aria con¬ tenuta nel vaso, per lo che l’esperienza mostrerebbe il contrario" 1 . Ma se il vaso BC fusse tutto aperto di sopra, ed aggiustato col piombo sì, che galleggiasse bene, ma fosse ridotto vicino al sommergersi, se alcuno scacciasse l’aria col porvi dentro, conforme all’invenzione del¬ l’Incognito, un solido poco minor del suo vano, sostenendo tal solido con la mano, non aspetti di veder respirar il vaso, nè punto solle¬ varsi sopra’l livello dell’acqua, come nell’altra esperienza accadeva: perchè il solido postovi scaccia ben l'aria, ma vi inette altrettanto so del suo momento. Quanto poi appartiene al dubbio che V. S. pone intorno alla ve¬ rità di quel ch’io dimostro de’coni e piramidi, ciò è che si possino fabbricar in maniera che galleggino in virtù degli arginetti senza 1. AB al nel — 5. bocca def 11 .-1 — 7. per la sustanza porosità — 7-8. quella Bastanza esa¬ lazione 12. succeduto altro corpo il che Ma —13. acqua si njiri[rà] e — Ili. partirsi restò lasciò HI. pone sopra intorno — « Avertiscasi » a «contrario » è aggiunto in margine. 810 LBTTEKA A TOLOMKO NOZZOI.IM. bagnarsi altro di loro c he la sola Ime, non risponderò altro che quello che ’l senso o l’esperienza «tessa ci mostra, ciò è che la declività degli arginetti non descende in figura di meno cerchio, come V. S. mostra aver creduto, ma è più proto meno che più di un quadrante, sì che l’angolo contenuto da essa declività e dalla superficie della falda è sempre ottuso; od essendo aiuto quello di tutti i coni retti, seguita di necessitò che il lato del cono sfugga e si allontani da gli arginetti. Anzi dirò di più, che le gocciole e altro piccole quantità d'acqua che sopra una superficie piana si sostengono senza pianarsi, si figurano sempre in forma di einiafcrio o di minor porzione, e non mai di mag-io giure, se già la quantità dell'acqua non funse piccolissima in estremo come le minutissime stille della rugiada che si vede tal volta sopra le foglie o attaccata a quei tili di ragni che *i traversano tra le stoppie e pruni, dove le dette stilb* si veggono di figura sferica, come minu¬ tissime perb-tte. Perù quando ella -i compiaccia ili riguardar atten¬ tamente i detti arginetti, credo che nè anco in queste proposizioni, che ora metti* in dubbio, dissentirà da me. Nel sentir l’argomento che V. S. forma contro al Sig. Covcsio in proposito dell’incorrer nell'infinito, non fu bastante la mia malattia a reprimermi le risa, ma risa di meraviglia cagionatami dalla leg- 20 gi ad rissi m a maniera, con la quale V. S ritorce verso di lui le sue pro¬ prie arme. 1 M (1 piu è H f>t'M a \ . S che — 1 4 prua*, dm U K> quando lei ella — DISCORSO APOLOGETICO DI LODOVICO DELLE COLOMBE. DISCORSO APOLOGETICO DI LODOVICO Delle Colombe, D’INTORNO AL DISCORSO DI GALILEO GALILEI, Circa le cofe , clic Hanno sù l’Acqua , ò che in quella fi muouono; 51 COME. D'INTORNO A L L‘ AG GIV N T E Fané dal nicdcfimo Galileo , nella Seconda lmprclliono. TN FIRENZE, Apprcffo il Pignoni. M. D C X11. Con Licenza de Superióri» vi. 40 ALL* ILLUSTRISSIMO ED KCC KLLKNTIRBI MO Sig. D. GIOVANNI MEDICI. A Lei si doveva dedicar questa mia disputa, Illustrissimo rd Eccellentissimo Signore, quale ella si sia: migerocchi ', essendo della piastra patria nuovo Epa¬ minonda , il qual fu filosofo , capitano e j>rinci/H\ come filosofo, la risolvette in favor mio; come, capitano, l ha posta jnà d' una rotta in pratica, sperimentando in gloriose battaglie qualche possa nell ampia artificio di macchina far polir pipare 0 affondarsi; come principe, rimane adesso che mi difenda da coloro che sono incorsi nell errar di (pici die, vedendo in Apatia la statua che aveva cinto le tempie io duna fascia di bronzo, scrittovi: < A ( alca di Maggio il mio capo sarà d'oro >, attendevano a lacerarla con fiere percosse , non vi trovando inai nulla; ptia un che miglior matematico era degli (diri, osservi) Vombra che faceva il cupo della statua, c dove terminava ritrovo il tesoro. Trattili pur mule Aristotele, gli avversari , e con indiscreti colpi cerchino a tutta lor possa d f annullarlo ; che per questa via non troveranno mai il tesoro. Io, che V ombra e Ir vestigio di lui marariglinsr e divine osservo, a guisa di buon matematico, ho trovato il tesoro della verità nella presente disputa: e conveniva, secondo le leggi, che al Trincipe ne dessi contezza e ne facessi offerta, come faccio. E le prego il tesoro delle celesti grazie da Chi pub dargliele. Di Fiorenza, li 12 di dicembre 1*U2. 20 Di V. S. Illustrissima ed Eccellentissima Cmllissimo Sért ifnr* Lodovico delle Colombe. Perchè le cose nuove fanno i lor ritrovatori di sì gloriosa memoria, che sono, io non dirò ammirati solamente, ma reputati come Dei, di qui è che, essendo a po¬ chissimi conceduto questo particnlar talento, molti, bramosi di correr cotale arringo, per la mala agevolezza dell’impresa non consoguiscono il desiderato line d’in¬ torno al vero. Nondimeno biasimevoli non sono, e giovamento non piccolo n ap¬ portano. Ma che si trovino intelletti che, a somiglianza di costoro, sperino lai- nuove apparir le medesime cose di già tralasciate per la falsità loro, in derisimi degli stessi inventori, e che voghilo oggi, che risplende sì bel giorno di verità, far buio altrui con le tenebre dell' intelletto loro, stimando che Keuba Elena ras- io sembri, e che Aleina piaccia a Ruggiero ; che lode acquistarne, e che giovamento arrecar possono a gli amatori di sapienza? Vorranno costoro contro i primi scrit¬ tori del inondo del pari giostrar, senza sapere di che tempra sien l'armi degli avversari, e senza aver arrotate le sue? Chi mai ha sciolto le loro invitte ragioni? Chi n’ha ritrovate dello nuove per seppellir le vecchie? Ben disse Teofrasto, che la falsità si muor giovane, ma la verità vive di vita immortale. Ora, quantunque il Sig. Galileo quasi in tutte le cose mostri di contrariare ad Aristotile, nel quale è la somma delle filosofiche verità, rinovando molte delle antiche opinioni, non credo già che egli debba annoverarsi tra quegli, stimando io che egli il faccia solo per esercizio di ingegno. Imperochè, se altrimenti fosse, 20 avvenga che per molti suoi meriti e ragioni io il reverisca e reverirò sempre, parendomi che a torto sia doventato un Antiperipatetico, in questo particolare io vorrei poter doventare un Antigalileo, per gratitudine di quel gran principe di tante accademie, capo di tante scuole, soggetto di tanti poeti, fatica di tanti storici, il qual lesse più libri che non ebbe giorni, composene più che non ebbe anni, novello e divin Briareo, che par che con cento mani c penne dettasse sempre cento opere, e di cui finalmente autor famosissimi han detto che n dura 318 DISCORSO APOLOGETICO Incuta est ex ore iìlius. Sostiene il Sig. (Galileo in partieulare, contro Aristotile nel quarto del Cielo, che la figura ne i corpi solidi non operi cosa alcuna circa lo stare a galla o calare al fondo nell’acqua; e dopo averne meco fatta lunga con¬ tesa, ìf ha stampato e detto molto ingegnosamente, per clarini occasione, sì come a molC altri ancora, di maggiormente esercitarsi nelle virtuose dispute. E corno che io sappia, Aristotile non essere in ciò che ha dotto invincibile, nulla dimeno questa cosa tra quelle è che inespugnabili sono, secondo il commi parer de’pru¬ denti. Ma pure, quando egli stimasse vera la sua impugnazione, poi elio molti de’suoi amici al parer di lui s’acquietano, amico non men caro essorli dovere anch’io, poscia che servendo al suo fine, o sia per esercizio, o perchè maggiormente il io vero apparisca, accomodandomi al voler suo, qual forile tento di far che le faville de’ singolari capricci suoi saltino in aria e si facciano scorgere. E se lilialmente avrà contro il forte Stagirita per consenso do’ savi la vittoria, potrà gloriosamente dire: Non invai ex facili leda corona iti(/o. Passarono alcuno scritture tra ’l Sig. (Galileo e me, por istabilimento delle convenzioni e a maggior chiarezza di quello che si affermava da ciascuno; le quali, per non essere state messe da lui in istampa, e parendomi che in alcune cose abbia alquanto diversificato da quelle ne’ presu posti del libro, mi son riso¬ luto stamparle in principio dell’ opera, acciochò dalla verità di quelle si venga in cognizione di chi abbia più rettamente filosofato. La scritta delle convenzioni 20 fu questa, fatta di propria mano del Sig. Galileo: < Avendo il Sig. Lodovico delle Colombe opinione, che la figura alteri i corpi solidi circa il descendere o non descendere, ascendere o non ascendere nell’istesso mezo, come, v. g., nell’ acqua medesima, in modo che un solido, per esempio, sonilo di figura sferica andrebbe al fondo, ridotto in qualche altra ligura non andrebbe; ma, all'incontro, stimando io Galileo Galilei ciò non esser vero, anzi affermando che un solido corporeo, il quale ridotto in figura sferica o qualunque altra cali al tondo, calorù ancora sotto qualunque altra figura; e sondo per tanto, in questo particular, contrario a detto Sig. Colombe, mi contento che venghiamo a farne esperienza. E potendosi iar tale esperienza in diversi modi, mi contento so die il Molto Reverendo Sig. Canonico Nori, come amico comune, faccia eletta, t ra V esperienze che noi proponessimo, di quelle che gli parranno più accommo- date a certificarsi della verità; come anco rimetto al suo medesimo giudizio il decidere e rimuovere ogni controversia che fra le parti potesse accadere nel far la detta esperienza. > Allora io soggiunsi di mia mano sotto la detta scritta : < Che il corpo sia cavato della stessa materia e del medesimo peso, ma di figura diversa, a elezion di Lodovico; c la scelta de’ corpi in quella si scelga più equale di densità che sia possibile, a giudizio del Sig. Galileo; e le figure, a elezione di Lodovico: e so ne faccia l’esperienza in quattro volte, della me- 40 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. B10 desima materia, ma di tanti pezzi della medesima materia quante volte ai farà l’esperienza. > Fu dato di comun consenso per giudice compagno al Sig. fiori il Sig. Filippo Arrighetti. Il prescritto giorno si compari nella casa del Sig. Filippo Salviate gentil'uomo principale della nostra città e cosi ricco de’beni dell’animo come di quegli della fortuna, presente V Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. I). Giovanni MimIìoì, con una nobil brigata di letterati, per sentirci disputare insieme: ma nè si potette far venire a disputa il Sig. (i al ileo, nè volle far V esperienza in conveniente gran- io (lezza di figura e quantità ili materia ; e più tosto si risolvette (giudichi ogn’uno della cagione a suo modo) a mandar in luce un suo trattato intorno a questa materia, sperando far credere altrui col discorrer, quello che non può far veder col senso ; atteso che alterando e aggiugnendo, e levando da i patti e dal vero, si può facilmente con false premesse e supposti cavar la conchiusion vera. Ma, acciò elio si venga in cognizion del vero, e possa ciascuno giudicar chi abbia ragione in questa disputa, sì nel particular nostro tra lui e me, sì ancora (pianto ad Aristotile, facciamo adesso quel che allora non si fece. E primiera¬ mente esaminiamo la scritta e le convenzioni: e per procedere con brevità, comin¬ ciamo da i supposti che fate, acciochò da (pii innanzi io parli con voi, Sig. Galileo. 20 In prima, aveste per fermo che io non potessi elegger la figura ili die gran¬ dezza pareva a me ; che perciò non si diede effetto all’ esperienza. Ma passato quel perieoi presente nel quale eravate, avendo tempo a pensare a qualche re- fngio, e parendovi averlo trovato, benché la figura fosse grande a mia elezione, come dice la scritta, mi mandaste di vostra mano, per dichiarazione di qual fosse stata 1’ ultima vostra intenzione e volontà, questo codicillo: < Ogni sorte di figura fatta di qualsivoglia grandezza, bagnata va al fondo, e non bagnata resta a galla: adunque non è la figura o la grandezza cagion dell’andare al fondo o dello stare a galla, ma 1’ essere o non esser bagnato > : credendo che il bagnarla fosse il vostro Achille. Ma non è vera la proposizione in universale, perchè una 30 palla d’ebano asciutta cala al fondo, e una falda di suvero bagnata galleggia; nò anche nella materia eletta da voi in particulare è vero, come si proverà a suo luogo. Fi tutto fu da voi medesimo registrato nel libro, se ben non cosi ogni cosa, a carte 6 (pag. gg, ita. 16 - 2 S) e 54 |pag. 120 , li». 17-28). Ecco che V. S. faceva un presup¬ posto falso; perchè quanto alla grandezza della figura non potevate rifiutarla, e pure ne faceste si grande schiamazzo. Per secondo, supponete che io m’oblighi a mostrar che la figura assoluta¬ mente operi lo stare a galla o P andare al fondo nell’ acqua, e lo dite a carte ‘24 (pag.87, ita.81-87) e 25 (png. 88, Un. ì-u] e altrove: benché a carte 6 h»ag. gg, lin. 15-16) vi contrariate, dicendo : < Concimisi per tanto, la figura non esser cagione per modo 4u alcuno di stare a galla > ; a tal che, se per qualche modo ella ne fosse cagione, 320 DISCORSO APOLOGETICO avremmo V intento, contro a quello che altrove avete detto ; e, clic più importa, è che in patto abbiamo, se leggete le convenzioni, tutto il contrario. Imperocché, dicendo la scritta elio io son di parer che la figura alteri i corpi solidi, in qua¬ lunque modo clic» dalla figura verranno alterati circa lo staro a galla o calare al fondo, io avrò conseguito ’l line ; nò importerà se altra cagione vi concorre in aiuto, pur elio V effetto segua. 'Ferzo presuposto, che voi late, ò che i corpi si debbano, per virtù della scrittura, sommerger sotto l’acqua per far tale esperimento, come dite a car. 31 [pa*. 94, Un. 87 — pugr. 95, ìin. 9] e altrove; affermando, che le parole di quella importano che ambe due i corpi si pongano nell'acqua, e che esser nell’acqua vuol dire, per la io ditti nizion del luogo del medesimo Aristotele, esser circondato dalla superficie del corpo ambiente; adunque allora saranno le due figure nell* acqua, quando la superfìcie dell’acqua l’abbraccerà. Aggiugneste di più, perchè per altro poco vi importava cotal luogo, che tutte le figure, ili qualsivoglia grandezza, bagnate an¬ davano al fondo, e non bagnate stavano a galla. Ora, io non so veder che nella scritta possiate mostrare che le parole impor¬ tino la sommersinn de*corpi nell'acqua; perchè ivi si dice da voi: < come, v.g., nell’acqua medesima >. Che forse non sarà nell’acqua una nave nel mezo del mare, benché non sia tutta ricoperta dall’acqua? non sarà in casa chi non è circondato e cinto e abbracciato dalle mura di quella per tutto il suo corpo? Se Aristotele 20 facesse per voi, ogni volta che i\ aveste di bisogno, come adesso, io son certo die mai non fareste seco la pace. Perchè dovevate avvertire, che egli considera il luogo in due maniere, cioè luogo proprio e luogo comune. K quanto al proprio, dite benissimo che dee circondar tutto il locato: ma non già il luogo comune; perchè altramente ne seguirebbe che nè voi nò io, quando ci troviamo su la piazza di Santa Maria del Fiore o in casa, fossimo altramente in quel luogo, nò vi potrebbono anche esser molti con esso noi; il che è da ridere. Diciamo adunque, che quando i solidi saranno messi nell’acqua, scoperta la superficie di sopra, saranno nell'acqua, e in luogo conseguentemente; anzi che voi mede¬ simo ve ne contentate e non ne fate scalpore, poiché nell’ intitolazione del libro so stesso dite: < intorno alle cose che stanno in su l’acqua >. Adunque non sotto, ma 1 sopra; purché vi si faccia piacer di bagnar solamente quel corpo che noi inten¬ diamo di far galleggiare, avanti si posi su l'acqua; ma non già ogni sorta di figura, come dite in quella seconda scrittura, e più chiaramente a car. 54 I m - 120, lìn. 17-191, affermando che tutte le figure di qualunque grandezza possono andare e non an¬ dare al fondo, secondo che le lor sommità si bagneranno o non si bagneranno; che ò falso così pronunziato, come si proverà. Volendo veder, adunque, ciò che opera la figura, bisogna lasciarla libera in sua balia, e non affogarla 0 alterarla bagnandola. Ma per ora non voglio entrar nelle ragioni ; stiamo ne’ puri termini de’ patti. Oltr’ acciò non credo che V. S. stimi, Aristotile aver creduto le lamine di ferro 40 321 DI LUDOVICO DELLE COLOMBE. c di piombo soprannotar nell’ acqua poste sotto il suo livello, poi elio subito calano al fondo; che però disse: super natant, e della polvere, perché vaga per entro il corpo dell’aria, disse: natiti. Non è egli vero, che quando si dico una cosa f e un tale effetto, si dee intendere in quel modo adoperata che olialo fa? E Archimede stesso non direbbe, nè dice mai, elio le cose elio soprannuotano si debbano prima bagnare e sommergere, per vederne 1' ottetto. Però questa è invon- zion vostra, por disciorvi dal laccio ned qual siete inciampato. E so la quistione, secondo voi, fu promossa tanto circa le cose che debbono asconder dal fondo, quanto circa quello che devon calare, non per questo ne seguita che tanto V uno io quanto V altre figure si devan bagnare avanti che si posili nell’acqua, o si devan sommergere. La ragione è, perchè Lune di necessità si bagnano, poi obesi met¬ tono in fondo per farle ascendere; e 1’altre, perchè hanno a galleggiare, potendo, non è necessario che si bagnino. Ma il vero è, che la disputa si ristrinse solo itile cose che galleggiano o calano al fondo per causa della figura. E quantunque non lusso ristretta, a noi basta, per vincer la lite, mostrare in un solo partico¬ lare, la deversità dell 1 effetto cagionarsi dalla figura. Di grazia, Sig. Galileo, non cavilliamo perchè elessi materia grave solamente, e non leggiera, se, per tornare a galla dal fondo, non è a proposito, ma leggiera. Non dite voi nella scritta così: < come, per esemplo, un solido di figura sferica andrebbe al fondo, ridotto 20 in qualche altra figura non andrebbe >? ('osi ancora lo confermate in quella istessa scrittura c a carte ò, (i [pai?. sa, Hn.s-15) e 54 [pa*. 120 , Ho. I7-2S|. E che s’è egli mai praticato altramente? Nel vero, Sig. Galileo, voi avete viso di sentenza contro; se nor per altro, almeno perchè avete indugiato a trovar questo ro- fugio nella chiosa alla seconda stampa, che manifesta esser nuovo capriccio, se ben non vi gioverebbe. Vedete quel che opera la falsa opinione, che quanto più si cerca farla apparir vera, tanto maggiormente la verità le cava la maschera. Imperocché, se volete far capitale del concetto dell’ascendere dal fondo del¬ l’acqua ancora, come se fusse in patto, chi dirà mai che abbiate ragione a dir che lo figure diverse non operino diversità d'effetto? Voi pur concedete clic so elle soii causa della tardità e velocità del moto. Nè anche in questo membro della scritta s’ è detto che elle sian causa di quiete. Anzi vi sareste da voi mede¬ simo rovinato fino alle barbe; perchè in queste prime parole si comprendon uni¬ versalmente tutte le figure, fino i vasi concavi che galleggiano. Nè importa clic vi sia l’aria; poiché nella scritta non è eccettuata, e con ragione', perchè l’aria vi sta mediante la figura, come princip&l cagione. Ma io veramente non avrei latto di questo concetto punto di capitale ; perchè la verità è, che il negozio si ristrinse alle figure che soprannuotano o calano al fondo. Che dite adesso? Adunque il luogo comune è quello nel qual si devono posare i corpi, e non nel proprio, come volete voi, dove non posson, bagnati, mostrar quello che opera la figura; io ma asciutti si devon posare, poiché in tal maniera la palla subito, ben che asciutta, IV. 41 322 DISCORSO ÀPOLOUKTICO cala al fondo, e V assicella del medesimo peso e della stessa materia resta a galla, contro il parer vostro. Nò dovete argomentar contro di me, come fate a carte 37 fra*. 101 , iin.o-18), con dir che in principio della disputa gli avversari non curavano che lo figuro non si bagnassero, poiché se nacque dal ghiaccio, che è molle, sarebbe semplicità il dire in contrario: perchè io non mi son trovato a disputa di ghiaccio con voi, nè voglio per me le liti d’altri, nè ini è lecito; però stiamo nelle nostre conven¬ zioni, senza mescolar le dispute loro. Prcsuponete di più, nel quarto luogo, (die la materia sia non solo a vostra elezione, ma anche la più proporzionata, quella che quanto alla gravità o leg- io gerezza non ha aziono alcuna, perchè si possa conoscere quello che opera la sola figura. Ma, por quello elio aspetta alle, convenzioni dintorno all’elezione di essa materia, lasciando per ora la disputa di qual sia più conveniente, riserbandomi trattarla poi a suo tempo, dico: Verini ligant homincs; perchè le convenzioni dicono: < Che il corpo sia cavato della stessa materia e del medesimo peso, aele- zion di Lodovico >. Che più? nel vostro libro, a carte (> Ir**. <‘>6, lin. n-iwj, lo ratificate dicendo: < e perciò tutti i corpi più gravi di essa acqua, di qualunque figura si l’ussero, indifferentemente andavano a fondo >. Io, perchè ho eletto materia più grave dell’acqua, ho eletto la materia conveniente. Tanto più che, se per voi sotto qualunque figura va al fondo, fu accettata la mia materia per convenevole 20 anche da voi, perche 1’ avreste vinta: ma perchè le figuro larghe poste su l’acqua galleggiano, fatte di materia più gravo e del peso che eleggiorò io, e le ligure strette e rotonde del medesimo peso e materia calano al fondo, il che non avreste creduto, però vi contenterete, Sig. Galileo, con vostra pace, darmi la quistion vinta, per quello che al nostro particolare aspetta. Ma perchè le molte ragioni, e molto ingegnose, da voi addotte, potrebbon per avventura far credere altrui che la nostra sperienza patisse difetto e avesse qualche fallacia, per la quale apparisse la ragion dal nostro ma veramente fosse incontrario, come ancora dite voi medesimo a car. 27 (pag. 90, lio. 28-38] (intendo sempre della prima stampa e non dove son raggiunte), sarà ben fatto elio di- so scorriamo intorno a quelle, e fra tanto mostrar che Aristotile in ciò dice benissimo senza errore 0 fallacia alcuna, sì come ancor noi abbiamo seguitata la sua verità, concorde col senso e co’ patti stabiliti fra voi e me : nè per ciò si persuade che il Sig. Galileo non sia quel valent 1 uomo che è, perchè egli resti vinto da altri in qualche cosa particularo. E qual maggior lode aspettare, che quella di sì belle osservazioni fatte nel Cielo? e imparticulare le macchie ritrovate nel sole, di cui pur testimonia un eccellente mattematico di Germania per sue lettere più d’un anno fa, ma non che elle siano propriamente nel corpo del sole. Ora, acciò che noi siam men superflui che sia possibile, io avvertirò che la maggior parte dell’opera vostra, non appartenendo alla disputa, potrà tralasciarsi: 40 1)1 LODOVICO DELLE COLOMBI'. 323 imperò che tra noi solamente è in controversia, se le ligure diverse ne 1 corpi operino diversi effetti, cioè se la figura aiuta la gravità e leggerezza de’ solidi nel galleggiare e nel calare al fondo, e questo per accidente; ma non già di quello clic sia cagione assoluta d’intorno alle coso ohe stanno su 1’ acqua o elio iu quella si muovono, come avete detto nell 1 intitol&zion ilei libro e fattone le dimostrazioni, senza supporle per vere, secondo quel che n* ha detto Archimede, non sendo chi rabbia messo in quistionc fra di noi; imperò che più tosto per inci¬ denza che principalmente si deve trattar dello dimostrazioni di esso Archimede. Veggiarao secondo il vostro ordine adunque, se, dato che la materia non fosse io stata in potestà mia, quanto all’ elezione quella che eleggereste voi sarebbe più convenevolmente presa, per veder quello che operano le ligure diverse, o quella che è stata eletta da me. Di tre sorti materia si può nel caso nostro ritrovare. Leggiera in ispezie più dell’acqua (e avvertasi sempre che questi termini, che io ricevo da voi, se ben tengo che in parte sicn dilettosi, io, per accomodarmi all’intelligenza vostra, non voglio mutarli): questa materia più leggieri non è abile a far P esperienza; imper¬ ciò che, non avendo gravezza che per sò sia bastante a vincer la resistenza del- V acqua per calare al fondo, tanto meno n’avrà per contraporsi alla figura spa¬ ziosa e larga e tirarla sott* acqua; la qual per la sua larghezza, eziandio che 20 fosse in materia grave, non sempre è forzata a discender sott’ acqua c andare a fondo: e perciò, se ogni sorte di figura in questa materia galleggia nell’acqua, voi medesimo la rifiutereste per non buona. Secondariamente, può esser grave in ispezie eguale all’ acqua: nè tal materia, adunque, è atta a mostrar nelle ligure diversità d’effetto, (’onciosiachè, se ha tanta leggerezza che non ha azione alcuna circa il calare a fondo, come Archimede e voi ancora affermate, poi che poste nell'acqua si fermano dove posate sono, chi dirà che tal materia non sia inconvenevole come la prima V Che potrà il suo peso contro la resistenza della figura? Adunque, sotto qualunque figura indiferenteinente opererà sempre il medesimo, quanto al sopranotare, perchè niun corpo di tal peso calerà mai al 30 tondo per sò stesso. Pertanto la terza sorte di materia è quella che, essendo più grave dell’acqua in ispezie, sarà proporzionata per far prova se lo figure diverse operino diversi effetti circa Io stare a galla o calare al fondo ; e quanto più sarà grave, più sarà conveniente e più in favor vostro : perchè, contrapponendosi il peso non solo alla resistenza dell’ acqua, ma della figura larga ancora, potrà far per esperienza vedere se abbia la figura facilità di non calare al fondo, se sarà spaziosa, contro le figure strette ritonde e lunghe, che calano al fondo e non hanno balia di superar la gravezza e farle resistenza. Anzi voi, Sig. Galileo, affer¬ mate a carte f>9 (pa*. I2C, Un. u-uj lo stesso, dicendo: < e veramente la figura, per sè stessa, senza la forza della gravità o leggerezza, non opererebbe niente >. Dite 40 benissimo, perchè in questa maniera escludete P egualità di gravezza in ispezie, DISCORSO APOLOGETICO mostrando non esser materia atta quella così qualificata ; se ben vi dato sul piè della scure, non ven’ accorgendo, poi che confessate la gravità e la leggerezza esser necessaria per veder P operazion delle figure, quella contro lo stare a galla, e questa contro lo stare al fondo, se perù nel fondo si potessero dare in atto le condizioni pari, sì come si vede avvenir quanto allo ascendere e descendere e come si dirà più avanti. Nè vorrei che argomentaste sofisticamente, dicendo che quella materia clic leverà ogni sospesone di poter dubitare se porti aiuto o inco¬ modo all 1 operazion della figura con la gravezza o leggerezza, quella sarà conve¬ nevole per far P esperienza ; o che tale è quella che è in ispezie eguale di peso all’acqua. Imperò che sarebbe vero questo, se V opera della figura dovesse pender io totalmente da lei, sì che le figure larghe avessero assolutamente facilità di galleg¬ giare, e le lunghe e strette di calare al fondo: il elio è falso, iu> da noi si è affer¬ mato, se ben vorreste di sì, contraddicendo al luogo citato a carte f>ff ipEg.i26jin.H-i6]; e a 27 |p*g. 91, liu. 1-3) diti* esser necessario applicar le figure a materie che non impediscano P operazion varie di esse. K perciò, a voler che elle possali mostrar diversità di effetto, che è alcune galleggiare e alcune ululare al fondo, non perchè elle operino effetto di moto, ma solo di più e men resistenza, donde si cagiona il più veloce e più tarili muoversi o non si muovere, di qui è che bisogna dare al corpo gravezza perchè possa calare, e non calando verrà dalla figura, e leg¬ gerezza perchè possa ascendere, e non ascendendo verrà dalla figura, sì come 20 più tardi 0 più veloce, ascendendo o calando, verrà dalla figura; ma tutto per accidente, e non per sè nè assolutamente da essa figura. All’ esempio del col¬ tello, che adducete in prò nostro, non rispondete cosa che vaglia; attesoché P argomentar dal più e meno atto a dividere, non fa che il più atto non sia buono perchè sia più atto del meno. Ma, che è peggio, voi medesimo non sapete che, se non deve la gravità della materia eleggersi per dividersi la crassizie, doverrà al meno per superare il peso dell’acqua in ispezie, acciò che possa il corpo calare al fondo? e non potendo, allora verrà dalla figura. Adunque si dee prender materia più grave dell* acqua, per veder se le figure larghe galleggiano e se le strette si sommergono, come P esperienza no mostra. Chi dirà, Sig. (la- 30 lileo: < Perchè sotto questa materia le figure non mostrano diversità d’effetto, adunque la materia convenevole è questa, e non qualeh’ altra materia», fora’ è buona maniera d‘ argomentare ? Due errori sono in questo argomento: il primo è argomentar da una partieoi ar materia, por concluder di tutte P altre il mede¬ simo: il seminilo è P argomentar per negazione, che non ha virtù di concludere ; perchè il dir: < Questo effetto non si verifica qui, adunque non si verificherà al¬ trove > è ridicoloso. Ma io sento che voi pur fate instanza con certa sclamuzione, dicendo: < 0 chi crederà mai che io non sapessi fin da bambino, che una crazia e un ago da cucire e simili cose di materia grave, posate con molta diligenza su l’acqua, 40 DI LODOVICO DKLLK COLOMUK. 325 galleggiano? K non (limono 1’una ò di figura larga, o l’altro (li figura lunga. E questo per che cagione, so non perché son posati ameudue i corpi asciutti su l’acqua? Ma se V uno e l’altro si bagnerà, subito caleranno al fondo, sì come non bagnati stanno a galla. Adunque non vien dalla diversità di materia o di figura, ma dall’ essere o non esser bagnato, come tlissi in quella seconda scrit¬ tura per (lichiarazion del mio parere; e cosi si dee sanamente intender tutta la scrittura >. A questo io rispondo, Sig. Galileo, che di qui è nata tutta la ragion del mal vostro. Imperocché, per averne fatta esperienza in cose piccole, come dite a car. 02 [pag. 129, lin. iW»l, d’ onde per mancanza di peso hanno galleggiato i corpi io di natura gravi, di qualunque figura, vi siete creduto, senza pensar più là, che così facciano tutti indifferentemente, sotto ogni materia e figura, di qualsivo¬ glia grandezza, come avete affermato a ti (pag. un, lin. r; 20), 31 |p«g. 04, lin. 25-28], -il [pag. 107, lin. 84 pag. 108, Un. 8|, 45 [pa*. IH, lin. 22-87), Ili (pag. 112, lin. 26-28], 47 (pag. 114, lin. i-4], e altrove: il che è falso. Però quando que’coni e V ago e altre ligure che nominate, saranno della grandezza e materia convenevole proposta da noi, e po¬ sati, come dite, asciutti su 1 acqua, e come conviene, come s' è provato da' patti e dalP esperienza, sempre mostreranno esperimento a favor nostro. Quanto alla sclamazione, io non so qual sia da considerar più, o la vostra o quella d’Aristotele, rispondendo egli : < () chi crederebbe mai, che voi aveste cre¬ so (luto da me affermarsi, le lamine di ferro o di piombo posarsi sotto 1’ acqua, e che ad ogni modo sopranno tasserò? > Volete voi che egli soggiaccia a quella menda, che non vorreste soggiacer voi ? Chiara cosa è che il soprannotare, che dice egli non vuol dir tornare a galla, come direbbe se importasse prima tuffarsi. E peggio è che non ci avete scusa alcuna; perchè quando vi dissi che Aristotele nel quarto del Cielo lo (liceva, mi rispondeste sorridendo, che V avevate ben caro, e che in questo particolare eravate di parer tutto contrario a lui, sì come affermato anche nel Discorso a carte 5 (pag. or., Un. il 18 |. E perchè soggiugnete di più, nel medesimo luogo, che volete filosofar libero, e avete molto ben ragione, io vi prometti» di i filosofare ancor io con la medesima libertà, non vi adducendo mai autorità d’Ari¬ do stotele nè d’altri, acciochè la ragione e’1 senso solamente prevagliano nella no¬ stra quistione. Tornando al proposito, dico: < Se lo figure diverse noi corpo solido e di materia grave, posate sopra Y acqua asciutte, mostrano diversità d’ effetto, e per lo con¬ trario tutte calano indifferentemente, bagnate, al fondo senza varietà, perchè non si dovrà far l’esperienza in ([nella maniera che riesce? > Forse perchè non si è dichiarato? Questo mi basta: perchè, come io dissi disopra, non si dichiarando, sempre si intende, in quella maniera affermarsi una (‘osa, nella quale tal cosa può essere; come, v. g., io dirò che il coltello taglia il pane; e voi. per mostrar die non lo taglia, voleste che io lo tagliassi dalla costola del coltello e non dal taglio, 40 perchè non ho dichiarato da qual parte lo taglia; chi mai vi darebbe ragione? DISCORSO APOLOGETICO 326 Due sono gli effetti che le figure adoperano: 1’uno è il dividero o non dividere T acqua; 1’ altro è di calar più veloce o più tardi, poi che é divisa. Ora, se elle si mettessero sotto V acqua, non vi arebbe luogo per isperimentare il primo effetto, ma solamente il secondo, poscia che V acqua di già sarebbe per forza divisa, (pianto al principio parlando ; perché é molto diversa la division superficiale dal rimaso di tutto il corpo, come più avanti si dirà, per cagion del concorso d’altri accidenti, che insieme convengono all 1 operozion della figura, i quali vorreste escludere a carte 24 fpag. &7. Hn. e 2f> li»»*. «8, lin. 17-28], come si disse disopra, con dir che la figura assolutamente e per sé sola, secondo le nostre convenzioni, debba produr cotali effetti; il che s’ò provato esser falso. Adonque la vera, convene-io vole e propria materia per veder se le figure larghe hanno virtù di far sopran¬ notare il solido nel quale elle si ritrovano, sarà la materia in ispezie più grave dell’ acqua, e quanto più grave, più sarà proporzionata; poi che per lo suo peso le figure strette e rotonde subito discendono a basso, e le spaziose non solo non calan subito, ma non dividon V acqua, sì che possali calare, e quando si pongon sotto di quella, tanlissimamente discendono e ondeggianti c quasi per coltello. Ma proviamo, digrazia, a darvi qualche soddisfazione, di veder se, presa la vostra materia, si conchiudesse qualche cosa di buono per voi. Pigliala la cera da voi proposta, la qual veramente, per non esser corpo sem¬ plice e fatto dalla natura, sondo di cera e piombo insieme per arte, non si deve 20 accettare in modo alcuno ; e facciasene una falda larga e sottile, quando il com¬ posto é prima ridotto all’equilibrio di peso con l’acqua, secondo che voi dite: di poi posatela su 1* acqua, e non sotto, come conviene per le ragion dette e che si diranno ancora ; perché altramente non occorrebbe pigliar la cera, poiché doven¬ dosi tuffare, vi contentereste anche doli’ assicella d’ ebano senza far tante bagat¬ tellerie : e se così posta su V acqua cala al fondo, eziandio che vi aggiunghiate non dirò quel grano di piombo, ma anche tanto quanto pesa la stessa cera, io dirò che siete più valente d’Archimede; e così ancora se fate che la palla, col medesimo peso che darò all’ assicella, nuoti. Ma voi, Sig. Galileo, per nascondere il vostro desiderio, che é tutto fondato nel bagnare i corpi che s’hanno da metter 30 nell’ acqua (non dico gli stretti e lunghi, che questo non vi dà una noia al mondo, ma le falde larghe), avete proposto che 1’ esperienza della cera si faccia con met¬ tere i solidi prima nel fondo dell’ acqua, acciò che, senza chieder che si bagnino, la natura faccia da sé; e questo dolce inganno avete tentato più volte: ma io credo che l’ingannatore rimarrà a’ più dell’ ingannato. E dico maggior cosa. Pi¬ glisi, di più, la materia che avete ridotta al modo vostro, fatene falda larga e asciutta; noterà: fate poi di essa una palla e bagnatela; che mai non calerà, se non ci aggiungete peso, il che non conviene. Ed ecco che il bagnare 0 non bagnare non opera, secondo la vostra proposizione, anche nella vostra particolar materia, come dissi di sopra: parlo di quella materia che è quasi ni equilibrio, 40 pi LODOVICO DKLLE COLOMBE. 327 cioè quella che usato voi per le vostre esperienze, pur che non vi si aggiunga altro peso; perchè altramente sarebbe mutata di gravità in ispezio la materia, e fatta più grave dell’ acqua, dove prima era più leggieri, e perciò calerebbe al fondo. E cho gridate voi mai altro contro di noi, se non questa mutazion di leg¬ gerezza e gravitò, in ispezie, mutata per ragion dell’aria? Vorrete che a voi sia lecito mutarla per causa del piombo aggiunto alla cera? Se adunque non vi è lecito non solo con 1* altre materie, ma nò eziandio con la vostra, potrete mostrar che il vostro argomento si rivolge contro di voi, dicendo: Non ogni sorte di figura di qualsivoglia grandezza, bagnata va al fondo, o non bagnata resta a galla, io perchè l’esperienza è incontrario. Veramente i vostri scritti son pieni di fallacie; e perciò non posso creder che non le conosciate, ina sia da voi fatto ad arte. come dissi in principio. Che dite, Sig. Galileo? lo figure alterano i corpi solidi circa il descendere o non descendere, ascendere o non ascendere ? Non fanno anche al¬ terazione per entro lo stesso corpo dell’acqua, ben clic bagnate, poi che operano effetto di più tardo e di più veloce ascendere o descendere, come voi concedete? Ma che direte, se di qui a poco vi farò veder che, anche bagnate, le figure sta¬ ranno immobili nel fondo dell’ acqua? Forse la ragion vi persuade, che la figura, che è cagion del più e men veloce, non possa, come dite a car. fi Jp»«. lin. 25-28; e altrove a 32 Ipag. 05, Un. 20-82|, esser causa della quiete ancora ? Anzi contro la 20 vostra ragiono si oppon la ragione e l’esperienza. K poi che la materia non vi può dar più aiuto veruno, corchiamo di mostrarvi il medesimo anche della figura, pro¬ vando primieramente chi» male argomentate a dir cho la medesima figura in nu¬ mero non può esser cagion nella stessa acqua in numero ora di quiete ora di tardità di moto già mai, perchè dite esser necessario die ogni figura particolare, che discende al fondo, abbia una determinata tardità sua propria o naturale. La ragione del male argomentare è, perchè non volete che una stessa cagione possa prociur diverso effetto nel «abbietto medesimo, contro ogni ragione; perchè ri¬ spetto diversi accidenti e mutazioni si posson dalla medesima causa proibir diversi effetti,come pur concedete voi medesimo dicendo: < se qualche nuovo impedimento 80 non se le arreca >, a c. 32 (pag. 95, Un. 28-29;, bastante a far la quiete, come in effetto si vede: il quale impedimento, perchè concorre e aiuta la tardità del suo muoversi, la riduce a tale, che più non si muove; e questo par che sia sufficiente a darci la vittoria, non negando nè avendo mai negato noi, nè Aristotele, che altre ca¬ gioni concorrano; e il negarlo sarebbe da uomini irragionevoli. L’impedimento, adunque, è quello che dice Aristotele, cioè le molte parti del corpo suhbietto alla tavoletta cosi larga, con gli altri suoi accidenti, che alla sua inabilità del dividere e dissipare fanno tanta resistenza, che rimane in tutto immobile; sì come la forza (1 un uomo potrà sommergere un navicello, che da un fanciullo non si tufferà mai: e così è manifesto, che quello che patisce più e meno resistenza a muoversi e 40 operare, può averne tanta contro la sua virtù, che in tutto quieti dalla sua ope- DISCORSO A 1*01,0(1 KTICO razione. E por chiarezza maggior «li questo, avvertasi che, hì come si debban com¬ parar lo gravità e leggerezze de* solidi con le gravità e leggerezze in ispezie del mezo per sapore sr un solido ascenderà o discenderà o starà a galla, cosi si devon comparar le forze del dividente e del divisibile per causa delle qualità dell*uno e dell’altro, come è la figura e la siccità delle falde, la erassizie o continuità del- racque, atte a cagionare la tardità del moto e la quiete, come attualmente si vede in queste cause por accidente. Qui adunque è la vostra fallacia; perchè par¬ lato del mobile secondo sò, e non per accidente, nè in rispetto al mezzo e al sub- biotto in cui dove operare. Però, se volete elio la virtù delle falde sia finita, per quanto aspetta alla tardità cagionata dalla minor gravezza, conio è veramente, io bisogna dire che possa a quella opporsi una virtù più possente, che impedisca in tutto il suo destrudere o cagioni quiete»: la qual virtù può esser non solo nel mezzo, ma anche nella figura; poi che aneli’essa ha facilità di ritardare il moto,considerata però nel corpo e materia qualificata come naturale, di cui la siccità opera più e meno, secondo elio più e meno spaziosa è la figura a cui repugna l’umidità del- P acqua. Chiunque ha principio di ben filosofare sa clic ogni agente in tanto opera, in quanto il paziente è disposto a ricever V opera zinne ; e quel paziente che non è punto disposto, impedisce totalmente l'opera/.ioii dell'agente; che perciò non tutti gl'infermi di una medesima intirmità guarisce una medicina medesima, perché ha virtù di sanar quel male. Ma a che vo io cercando esempli, s’ io posso con la vo- 20 stra dottrina medesima convincervi, si come in tutti gli altri capi di questa ma¬ teria? Con la medesima cera e piombo voi riducete la gravezza d’un corpo a tal segno e grado eli tardità, che, se ben per se medesimo non è in termino di quiete, la sua virtù di discendere è così ridotta debole e fiacca, elio in comparazione alla resistenza dell* acqua per la sua gravità non può muoversi, non superando quella di peso. Ora supponete elio ella fossi» ridotta a tanta minima gravezza di più del- I'acqua, che ella discendesse al fonilo lentissimamente: chiara cosa è che, se quello che opera la figura ili più tarili fosse aggiuntovi, con mutar quel corpo di rotondo in una falda larga, ella cesserebbe di più muoversi, cagionando per la sua tar¬ danza requilibrio; nè voi il potete negare, concedendo che le figure sian cagione 30 di più tardi o più veloce movimento ne* corpi. E avvertasi, ohe da questo si con¬ dii ude ancora necessariamente contro di voi, che, ben che si prendesse la materia eletta da voi e si sommergesse nell’acqua, ad ogni modo per virtù della figura non calerebbe al fondo. Adunque la figura è ragion della quiete, come del più tardi muoversi, ne'corpi, eziandio sotto l'acqua; nè conchiudono cosa alcuna ì vostri sofistici e fallaci argomenti. Nò mi dite clic, so ciò fosse vero, io lo mostrerei in isperienza e atto pratico: perchè io dirò a voi: Datomi ili atto un corpo che stia sotto il livello dell'acqua senza calar punto o salire, si che stia in equilibrio ap¬ punto; e io vi darò in atto la figura larga star sotto l’acqua senza moto, e la rotonda del medesimo peso e materia calare al fondo. Ma perchè mi risponderete, -io I DI LODOVICO DfiLLK ( OLOMBK. !J2!I ncar. 10fp«p. ‘ 0 , lin. so 3i], elio le coiicluston sien vere e lo cagioni siali difettose, e che perciò il latto riesci* altramente, io vi rispondo il medesimo; e in particolare una delle cagioni difettose, che impedisce belletto, è il mezo lluido co* suoi momenti. Soggiugnete un’esperienza per mostrar elio la figura, con la resistenza del¬ l’acqua airesser divisa, non hanno che far nulla nell’effetto del discendere o ascendere o fermarsi nell’acqua. L’esperienza è, che pigliate, por lo contrario di noi, una falda larga più leggici* dell’acqua, e la ponete in fonda, e ad ogni modo, come è lasciata libera, se ne sale alla superficie dell’acqua senza diffìcultà veruna; e nulladiraeno parrebbe elio, se la figura con la sua larghezza e l’acqua con la io sua resistenza alla divisione operassero, la falda non dovesse poter ascendere, ma si rimanesse in fondo, come la nostra rimane in superficie dell’acqua. Altra, per tanto, volete che sia, dico, la cagione perchè l'assicella nostra d’ebano non cali al fondu, fuor che l’impotenza a fender l’acqua per la sua larghezza. A questo fallace argomento e non simile esperienza, senza riprovar lo ragioni peripatetiche, affermanti l’acqua esser continova e tenace (avvertendovi che questa tenacità, elio si chiamerà alle volte viscosità, non crediate che sia di quella effi¬ cacia elio è la pania o la pece, e però vi paia duro il passarla), si risponde pri¬ mieramente, clic Aristotele non si è ristretto a voler che la resistenza nasca solamente dalla viscosità deil’acqua; anzi, non avendone parlato in questo luogo, 20 si può dir elio non l'affermi o non lo neghi: di maniera che, dicendo egli che il galleggiare c soprannotar delle figure larghe nasca dall’impotenza a divider il mezo, perchè molto parti di quello sotto sì larghe figuro si comprendono, e che però non facilmente si dissipano e distraggono, potreste attribuirlo pur, come a voi piace, alla resistenza che fa la gravezza dell’acqua al calar delle falde, senza pregiudizio alcuno del detto d’Aristotele ; essendo che alla distrazion delle parti del corpo, massimamente del corpo grave come è 1’ acqua, vi ò resistenza, benché l’acqua fosse come un monto di rena o di farina, cioè di parti divise e non con¬ tinue, come affermaste innanzi a Sua Aitozza Serenissima contro il Sig. Papazzone, c che perciò non vi fosse, quanto alla continuità, resistenza alcuna. Ma perchè la so gravità dell’acqua non è sufficiente a resistere a un corpo più gravo di lei, che non la penetri e divida, «li qui è che altre cagioni bisogna che concorrano a far la total resistenza: tra le quali ò principale la figura, delle cagioni estrinseche parlando, siccome intese Aristotele, clic perciò a lei attribuì cotali accidenti, non escludendo l'al tre cagioni. Ora, che la viscosità e tenacità del continuo dell’acqua adoperi resistenza alla divisione, chi mai potrà negarlo? Io, direte voi, il nego, perchè nego che ella sia continua; però bisogna provarlo. Provasi, adunque, in questa maniera. Ogni corpo continovo è tale, perchè lo parti di esso corpo sono unite di maniera, che attualmente una sola superficie lo circonda: ma l’acqua ha una sola superficie, parlo di qualche quantità che noi 4o eleggessimo, posta in un vaso o altro luogo che la contenesse, acciò che non mi iv. 42 330 DISCORSO Al’OLO(iETICX) pigliaste in parole: adunque è corpo continovo. Secondo, tutti i corpi che si me¬ scolano c non tìussibili, massimamente quegli della stessa materia, conio ò l’acqua si confnndon lo lor parti in modo che si fanno un corpo solo e continovo: l’acqua dunque è continova, o non divisa. Terzo, l’aria ha men virtù di resistere alla di¬ visione che non ha l'acqua, c nondimeno è un corpo continovo: adunque la poca resistenza alla divisione non argomenta che l’acqua non sia corpo continoYO. No si può negar nell’aria la continuità ; perchè altramente vi sarebbe il vóto, il che è impossibile: e so voi concedeste il voto, provatelo e vi si risponderà mostrando che v'ingannate. Quarto, i corpi continovi son tali, che non si può innoverò di quegli una parto, che non se ne muovano molte » tutte, secondo la durezza o flussibilità io del corpo; come, v. g., d’ una trave non si può muovere una parte, che non si muo¬ vali tutte e nel medesimo tempo: ma dell acqua, perchè ò tenue e flussibile, se nc nuiovon molte quando il movimento è debole, e tutte quando è gagliardo, anche nel primo impeto. E clic sia vero, gittisi un sasso nel mezo ermi vivaio; a quella caduta si farà un cerchio nell’acqua, e quello ne farà un altro, e così seguitando andrà fino alle sponde. 1 /ondeggiar di quegli arginetti bistondi intorno all’assicella senza rompersi in particelle, che altro lo cagiona clic la corpulenza dell’acqua? Mo¬ strate tale effetto ne’corpi che non son continui. E come farebbe l’acqua del mare quei cavalloni che paioli montagne, se le parti non istessero attaccate e unito in un sol corpo continovo? Quando il vento leva la rena e la polvere in aria, perchè quel 20 globo non è tutto un corpo continovo, non si veggono i grani di essa e i bruscoli di¬ stinti? Voi 110 mostrate V esperienza, dell'acqua essere il corpo continovo, quando mettete il cilindro, cioè una colonna, in un vivaio, per sommergerla dentrovi; per¬ chè quando si parton dal luogo, dove entra la colonna, quelle parti elio occupavan quello spazio, successivamente tutte l’altre parti si mutano, il che non l’ariano se il corpo non fosse continovo, ma disgregate lo parti e divise dal tutto come la rena 0 la farina ammassata. Nè mi si dica che il medesimo farà anche la rena: perchè, acciò che si levi l’occasion di sottilizare, cavato che n’avrete la co¬ lonna, tutte le parti dell’acqua ritorneranno unite a riempiere il luogo, e resterà tutta la superficie pinna; ma non già le parti della rena, anzi nc cadrà parte e 30 non finirà di riempiervi, e anche si faranno delle aperture nella superficie: segno manifesto, da tutti gli cfletti nominati, che 1 * acqua è corpo continovo, e non come la rena 0 come la farina. Non possono in modo alcuno i corpi flussibili, toccando altri corpi della natura loro, star separati come i corpi sodi, ma si mescolano e si uniscono, se non vi è qualità repugnanti per qualche accidente. Ma non si vede questo anche ne misti, che son composti di nature contrarie? Il corpo umano e tutti gli altri corpi degli animali non son continovi? Domili, elio voi diciate che sien le parti separate dal tutto? Se ciò fosse vero, le parti dell’uomo, che, essendo unite col tutto, fanno che è uomo (parlo della parte corporea), non sarebbono al¬ tramente parti di esso, ma ciascuna un tutto da sè; e così l’uomo non sarebbe 40 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 331 uomo ma una massa di più corpi, sì come la rena ammassata non è un corpo, propriamente parlando, ma un monto di più corpi. Siate voi ancor chiaro, che pacqua sia corpo continovo, e che le sin» parti siano unito, e non separato e am¬ massate come la rena r* In conseguenza della continovità, non credo che neghiate la viscosità e cor¬ pulenza: perchè io vi domanderò, donde nasca che i corpi inisti si tengono uniti o attaccati insieme. Non già dalla terra; perchè essendo arida e secca, non ha viscosità nè unione, e perciò non può darla ad altri: adunque nasce dall’acqua, perchè, essendo umida e continova, s’imbaverà nel terreo, e mescolasi bagnando io la sua siccità, e con la sua viscosità ritien le parti della terra insieme, e la terra, come dura e arida, termina il fluente umido dell'acqua; elio perciò si dice: jS'ullum corpus terminatimi est sine terra et chimi. Quelle gocciole d'acqua che pendono dalle gronde de 1 tetti, so non fossero viscose, non ealerebbono appoco appoco allun¬ gando; e non si staccano fin che il soverchio peso non vince la tenacità loro; che però il verno si veggono alle grondo alcuni ghiaccinoli così lunghi, che paion di cera. Aggiungo un esemplo vostro, per provar più chiaramente al senso la cras- siz.ie dell’acqua e insieme la continuità. Ricordatevi, a car. f>G |pa*. 122 , Un. io ìrq, che voi fate abbassar la testa all'amico, e gli mostrate che, nel cavar l’assicella fuor dell'acqua, l’acqua seguita sopra il suo livello, per la grossezza d’una piastra, 20 di stare attaccata alla superficie di sotto di detta assicella, e la abbandona mal volentieri; come anche dite a 39 Iimic. 102 , ilo. 29 34|, concedendo la violenza alla divi¬ sione per la resistenza del divisibile. Segno è che non solo è continova, ma vi¬ scosa ancora; il che non può fare nè la rena nè la farina. E la farina, per dare un esempio che lo sanno le donne, mescolata con l'acqua, non solo si unisce e si fa un corpo continovo, masi fa, mediante l'acqua, viscosa osi attacca; e lo confes¬ saste disputando dinanzi all’AA. SS., non sapendo scapparne. Or so la farina per l’acquasi fa viscosa, l’acqua sarà maggiormente tale, per la regola comune de'filo¬ sofi. Dove trovate mai che veruna cosa fosse tenace, se non le cose umide? L’aride e secche non posson inai attaccarsi e esser viscose, ma spolverano e non si teli¬ no gono insieme. Nè sia chi dica, il pane fatto e cotto e poi biscottato benissimo, sì che a pesarlo si vegga che tutta l’acqua n' è uscita, ad ogni modo si tiene insieme, nè si dividan le sue parti benché l’acqua non vi sia più, e che perciò non sia 1 acqua altramente elio lo faccia stare unito, e continovate le sue parti. Imperoehò si risponde, che è l’umido ad ogni modo che lo tiene insieme, e che, si come 1 umido dell’acqua aggiuntavi, mentre che non fu cacciato, lo tenne unito e con- tuMvo, così con l’aiuto di quello, per forza del calor del fuoco, si venne a eccitar 1 umido innato e radicale della stessa farina, il qual, venendo in superficie e in mani testo, si congiunse con Tumido estrano, e partito poi T estrani) umido, vi nmase egli, facendo T officio medesimo di tener congiunto e unite le parti; il che ui non avrebbe potuto fare senza quell’umido esteriore, perchè il fuoco avrebbe ab- 332 DISCORSO APOLOORTICX) bruciata la farina, non avendo umido bastante a difendersi, per essere le parti separate e, per la piccolezza e poca quantità loro, non atte a difendersi dal fuoco c conservare il proprio umore, che non invanisse. Esemplo chiarissimo ne sia il vedere che 1*argento e l’oro, ridotti in polvere minutissima e posta nel fuoco a fondere, alcuna di quelle particelle e corpicciuoli non si posson fonder nè ince¬ nerire, perchè l’aria li refrigera molto più che un corpo o massa maggioro, si che Pumido radicale non si consuma e non viene in superficie, acciò che si possano attaccar le parti; ma mescolate molto parti insieme, il foco a poco a poco vi s’intensa, e intenerendole fa che elle si ammassano e conferisconsi l’umido, é linalmente si fondono, e fassi tutto un corpo unito; il quale, avanti fosse fuso io affatto, se l’aveste cavato fuora raffreddato, avreste veduto essere un corpo o massa tutta spugnosa, ma però le parti in molti luoghi attaccate, perchè l’umido innato per lo fuoco fu cacciato dal profondo in superficie, e congiunse le parti. Ora vedete che, o per l’umido esterno o per l'umido radicale, le parti si uniscono, e che Pumido, avendo (acuità di unire e attaccare, per conseguenza è corpo unitoe continovo, e viscoso ancora, o conseguentemente la resistenza alla assicella d’ebano larga, che non cali al fondo. Aggiungo elio tutti i corpi che si distendono e son (lussiteli, son continovi e viscosi; che perciò le parti, stando attaccate insieme, se¬ gami tutte le prime che si muovono si dilatano. Quelle bolle che i fanciulli chiamali sonagli, che vedete fare alle volte ne’rigagnoli per qualche grossa pioggia, 20 comesi farebbon se l’acqua non fosse continova e tenace? 11 medesimo mostrano lo spume che fanno l’acque cadenti da alto, perche sono molte bolle attaccate insieme ripiene di aria. Questo non mostrerete voi nella rena 0 nella farina, perchè non son continovi. O se per la vostra virtù calamitica l’aria s’attacca e si unisce all’assicella d ebano più fortemente che le mignatte alle gambe de’buoi, perchè non direte il medesimo delle parti dell'acqua unirsi insieme, poi che vi è più ra¬ gion di 8irniglianza? Adunque l’aria sarà corpo unito e continovo e viscoso, e tanto più l’acqua. Qual corpo giamai s’attacca a un altro, se non è viscoso? L’acqua immolla e s’attacca agli altri corpi; adunque è viscosa. In oltre, se l'acqua non fosse corpo continovo, quando ella ghiaccia non sarebbe tutto un corpo, ma si so vedrebbe una massa di corpicciuoli come la rena, massimamente rarefacenti nel ghiacciar, come credete voi. K chi non vede che, se quei corpiccioli d’acqua così molli e Bussiteli stanno disuniti, secondo il creder vostro, tanto più dovrebbono stare essendo ghiacciati, perchè non possono unir le superficie e mescolarsi per far tutto un corpo? Se quando gli stampatori componevano il vostro Discorso aveste osservato che davano acqua alle fonnette perchè i caratteri si attaccassero in¬ sieme e non si scomponessero, son certo che avreste dato bando totalmente a que¬ sto capriccio di dir che l’acqua non sia viscosa e continova, per ,non mostrar di saperne manco di loro. L’acqua adunque, come tale, può far resistenza alla divi¬ sione ; e perciò l’assicella u'ebano di figura larga, impotente a dividere, sta a galla. 40 333 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. L’esperienza che fate per l’opposto, dissi non esser simile, ma fallace; per¬ chè bisogna dar le condizioni del pari e i termini abili, e vedrete l’effetto riu¬ scire anche nelle falde di noce più leggieri dell’acqua, e starsene al fondo senza ritornare a galla, perchè saranno impotenti a divider l’acqua. Ma perchè poste nel londo son bagnate, e quelle d’ebano poste di sopra all’acqua sono asciutte, sì che l’acqua nelle prime non ha a contrastar con la siccità, sua contraria, perchè son molli, si unisce facilmente, convenendo l’acqua con l’acqua; e per¬ chè nel fondo l’assicella vien sotto, fra la terra e sè, penetrata dall’acqua, come più grave, non può esser ritenuta, o l’assicella d’ebano in superficie dell’acqua io non può dall’acqua, come grave, esser cavalcata per propria inclinazione; e final¬ mente, perchè l’acqua, essendo più grave della falda di noce, ha facultà di scac¬ ciarla a galla, ma non ha giù forza di premere e spinger l’assicella d’ebano al fondo, che non galleggi ; per tutte queste ragioni, Sig. Galileo, potrà ella, e non gli avversari suoi, cessar di attribuire il soprannotar dell’ebano ad altra cagione che alla larghezza della figura e alla resistenza alla division dell’acqua. E quel- P altra cagion non più stata fin ora osservata, crediate pur che, se fosse vera, non toccava a voi ad osservarla, perchè sareste venuto tardi, cioè che per nuovo ac¬ cidente sia fatta più leggier dell’acqua la falda d’ebano: anzi dovreste assoluta- mente cessare e quietarvi, perchè io vi mostrerò che necessariamente P argomento 20 vostro si ritorce contro di voi. La detta assicella di noce, perchè è di figura larga, verrà a galla più tardi che non verrà in figura stretta, è vero? Di questa ritar¬ danza che cosa n’è cagione? Non già la gravità dell’acqua; perchè la maggior gravità non opera se non per la parte di sotto all’assicella, spingendola in su, e quanto è più grave l’acqua dell’asse, tanto più velocemente la spinge, nè può ritardarla, perchè farebbe due effetti contrari nel medesimo tempo. L’acqua che è disopra all’altra superficie della tavoletta, non può con la sua gravezza ritar¬ darla, perchè 1’ acqua nell’ acqua non aggrava, atteso che, essendo tutte le parti congiunte, l’una sostien l’altra, e perciò non pesano: come si prova per esperienza, che un uomo sotto l’acqua non sente il peso di quella che gli è sopra; nè voi lo 30 negate, anzi lo affermate a c. 3G [p»g. 99, Un. 87 - pag. ioo, Ho. 2] ; perchè altramente non avreste cagion di dubitare come possa star che, se la figura è cagion del galleggiar del solido, egli non galleggi anche posto sotto il livello dell’acqua; perchè da voi medesimo rispondereste che non galleggia e cala a fondo, perchè 1 acqua, che ha cavalcato sopra, col suo peso lo facesse calare. Adunque il più ( tardi ascendere, non si cagionando dalla gravezza, poi che l’acqua di sopra non aggrava, è necessario dir che si cagioni dalla larghezza della figura, per la diffi¬ coltà a dividere il continovo dell’ acqua. Digrazia, cessate voi per tanto di più disputare ; e se non volete cessar per grazia, cessate perchè la ragione e l’espe¬ rienza vi forzano. L’aggiunta dell’esempio dell’oro in comparazion della cera., perchè sono svanite DISCORRO APOLOGETICO 334 io vostra ragioni, non avrà che lar nel proposito nostro; perchè ò vero che ala falda della cera manca di quelle cagioni che non mancano all’assicella d’ebano nò alla falda d’oro, come si è provato, o perciò è la figura larga e spaziosa che ferma l’oro e l 1 ebano a galla. Nè si toglie per questo che non sia contrariala cagione de’diversi effetti, se aprirete gli occhi dell’intelletto, levandone la benda della troppa affezione. L'esempio dell 1 acque torbide, elio per molto spazio di tempo reggon la terra avanti che vada al fondo, non argomenta contro la resistenza; perchè se que’ corpi son piccoli, vedete bone che indugiano assai a dividere; e pure, per esser terra, dovrebbon calar subito, por esser molto più grave in ispezie, non si considerando io appresso di voi la grandezza del corpo, ma solo la gravezza in ispezie. Però si ritorce l’argomento. L’esperienza della trave o navicello tirato con un capello di donna, io negherei potersi ben fare, per molti accidenti, anche quando il capello fosse quel di Niso, che era fatato. Ma che volete inferir, quando V esperienza sia vera? Non dite voi, che se ben nel moto veloce si cagiona resistenza, questo accade per cagion delle parti dell’acqua, che dovendo cedere il luogo al corpo della nave, è necessario che elle mutili luogo, e nel mutarlo scaccino l'altro parti contigue, il che non si può fare senza resistenza, facendosi questa mutazione successivamente per ispazio di tempo? E io domando se, quando la nave si tira dolcemente dal capello, essa 20 spinge e scaccia le medesime parti del luogo loro, e quelle scacciali l’altre parti dell’acqua successivamente, come prima. Direte di sì: adunque si fa con resi¬ stenza, ma con minor violenza, perchè si fa con più tempo; però la resistenza non apparisce. 0 perchè non si potrà dire il medesimo della resistenza alia di¬ visione? Che ragion cò egli di differenza? Perchè non vai por me, come per voi, la medesima ragione? Sarà, adunque, falso che la vostra esperienza conchiuda per mostrar che l’acqua non faccia resistenza alla divisione: nò sarà men lecito a me adoperar la medesima esperienza contro di voi, e dire che la resistenza delle parti non ò vera nel cedere il luogo, perché, so ella vi fosse, nel tirar la nave con un capello si strapperebbe, e non varrebbe dovunque io la tirassi, come ella viene 30 senza resistenza alcuna. E se mi rispondete che vi è resistenza, ma non appare, perchè si tira tanto dolcemente e in sì lungo tempo elio le parti si possono ac¬ comodavo senza violenza sensibile a noi, io risponderò lo stesso per provar la resistenza alla divisione; ed è vero, perchè il più e men resistere non fa che non vi sia resistenza, benché non appaia: si come il rodere e consumar che hi l’acqua continovaraente scorrendo e percotendo su la pietra, perchè si fa adagio e con lungo tempo, non appare, nò si vede la resistenza alla divisimi del continovo della pietra, ancorché vi sia e molto maggiore che quella dell’acqua contro la nave; odunque, perchè non apparisce, non sarà vero? Vedete, pertanto, quello che va¬ gliano i vostri argomenti: non ad altro che a convincer voi medesimo. 40 DI LODOVICO DKLLK COLOMIttt. 335 L’aggiunta all’esempio dell’acque torbide non eonchiude, perché rargomento è fallace. La ragion della fallacia consiste in voler che la resistenza alla divi¬ sione importi non si lasciar divider da forza alcuna, o vogliam dire, assolutamente resistere. Ma questo ò falso, perchè, secondo lo diverse forze del dividente, può il divisibile non esser diviso, cd esser più presto o più tardi diviso: come, per esempio, un coltello senza taglio non dividerà la carne cruda, e fattoli il taglio la dividerà, ma con fatica se l’adopera un fanciullo, dipoi facilmente so l'ado¬ pera un uomo; o se la carne sarà cotta, non resisterà che non si lasci punto dividere, ma solo alla presta divisione dalla man del fanciullo, e quasi niente io dalla man dell’uomo in comparazione al fanciullo. Altramente, se intendeste della total resistenza, non solo non farebbe a proposito, come dico in risposta a ear. 38 [pag. 135, Un. 31-33], ma sarebbe contro la vostra dottrina ; imperochè affermate, dove è la resistenza assoluta, esservi anche la resistenza secondo il più e meno resi¬ stere alla divisione, come anche a 32 Ip«k. 96, Ha. i-&), e altrove. Signori lettori, 1’avversario mio comincia dolcemente a calar lo velo n ren¬ dersi vinto; perchè nella aggiunta, elio seguita la sopranominata, non istà più tanto resoluto nel parer suo, che noli' acqua non sia resistenza alla divisione, dicendo egli: < Ora, io non son ben risoluto se l’acqua e gli altri fluidi si devon chiamar di parti continue, o contiguo solamente >. Nò vi paia gran fatto che egli 20 dica di inchinare a creder che sian contigue, perchè la ragion che lo muove, se ben è senza fondamento, non è stata conosciuta da lui per tale; come conoscerà per questi miei scritti, dove s’ è provato eflicacissimamente, l’acqua esser conti¬ nova. Vedcsi ancora che egli arrena nel sostener quella virtù calamitica, poi che egli si riduce a chiamarla un’altra virtù incomparabilmente maggior della union del continovo e del resistere a separar semplicemente le parti contigue del corpo, qualunque ella si sia: e così confessa ancora la resistenza alla divisimi del con¬ tinovo, oltre a quella della divisione e separazion delle parti contigue, ma vor¬ rebbe darle un’altra cagione diversa dal parer comune, perchè gli piaccion le novità. Le ragion clic adduce per provar clic la resistenza alla divisimi del con¬ ilo tinovo non ci sia, consistono nella fallacia tutte del più e del meno in rispetto al divisibile e ’l dividente, nò ci è niente di nuovo che non sia stato riprovato : anzi che egli concede che V assicella galleggi e non divida l’acqua, ma non per causa della resistenza alla division del continovo. E a dirla in una parola, mille volte il dì vuole e disvuole. E pur vero che anche dalla tavoletta in giù V acqua non è però divisa, ed è la medesima, dice il Sig. (ialileo, dalla superficie sino al fondo, di gravità e di spessezza e viscosità, se fosse viscosa; e nondimeno cala senza ritegno alcuno, elio mai non si ferma. Si risponde a questo poco di dubbio, elio la figura si devo considerar congiunta alla materia con tutte le sue passioni, come voi medesimo 40 concedete a c. 27 [pag. oo, lin.84-86|. Ora, mentre ò sopra l’acqua, opera nella figura 336 DISCORSI > A rOLOGKTICO la siccità contraria all’umidità c Husaibilità dell'acqua, sì che quanto più larga e spaziosa sarà la figura, tanto maggiormente sparsa in quella si troverà la sic¬ cità del corpo, e, per conseguenza, maggiore impedimento avrà 1’ acqua alla sua divisione nella superficie che sotto 1* acqua, benché ve ne sia molta da divi¬ dere: però la siccità maggioro, accresciuta per 1’ampiezza della figura, contrasta con l’acqua, e non lascia scorrerla o cavalcar la superficie di sopra o unirsi con tutte le sue parti con la stessa acqua; la qual, fino che non è unita ccon¬ giunta, fa resistenza al calar della tavoletta, che però fa quegli argini bistondi e gonfiati, come violentata dal peso della falda, la quale, per esser larga ancora, donde si cagiona compartimento del peso sopra molte più parti di acqua, non io vince la resistenza: ma quando la vince, come ò riunita l’acqua con l’acqua, allora cessa la resistenza assoluta, e in quell’ impeto del congiungersi dà il crollo col suo momento alla tavoletta, la quale, come più grave dell’ acqua, non avendo più resistenza alla total divisione, scacciando successiva monte dal centro alla cir¬ conferenza di se medesima le parti doli* acqua sottoposta, cala al fondo, ma len¬ tamente, perche ci vuole spazio di tempo, e più e menu secondo che la piazza della falda è larga, per dividerle e scacciarlo tutte dal centro alla circonferenza, per occupare il luogo loro. Ondo che maraviglia se, benché 1’altre parti dell’acqua non siano divise, la tavoletta cula al fondo ad ogni modo, quando avrà superata la difiicultà di dividere il principio e la superficie? Nò si difendo la superficie ao di sotto dell* assicella con la larghezza e siccità che non si sommerga, non solo perchè ò subito tutta bagnata nel ixisar «lolla tavoletta, ma ancora perché il peso ò maggior noi principio (die quando ò alquanto sommersa, perchè di già l’acqua col suo peso le fa resistenza o rendela meno atta ad aggravare, come dite anche voi a car. 35 [pa*. 99, liu. 4 5|. K però non è deboi refugio questa maggior gravez¬ za, come stimate a car. 38 [p«*. lOi, Ilo. 2«), perchè non 1'argomentiamo in quel modo che dite voi ; e perciò meglio contrasta dalla superficie di sopra al calare l’assicella, che dalla superficie di sotto: donde accade che alquanto cali sotto l’acqua, c non tutta; e molto più calerà se il corpo è più grosso, come si vede che avviene a que* vostri conetti. Forse dirà chi che aia che, se ci interviene 30 la siccità a questa resistenza, non sarà, adunque, la figura nè la continuità del- 1’acqua cagion dello stare a galla. Ma si risponde, eh* è da avvertire, come si è «letto disopra, « he non si è mai negato, nè si può negare, che a cotale effetto non concorrono più cagioni ; però si fa menziono della figura, conio principal causa fra tutte 1’ accidentali, benché basterebbe quando ella cagionasse tale effetto ancora come causa secondaria, non ci essendo ristretti ad altro. E che ella sia principal cagione, è manifesto: perchè subito che si rimuove la figura, l’assicella cala al fondo, come convertendola, per esemplo, in una palla, dalla quale non ò già rimossa la siccità, nè levata la qualità dell’acqua. E se bene a bagnarla si leva la siccità e cala al fondo, senza rimuover la figura nè altro, io risponderò, io 337 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. prima, quel che rispondete voi, se ben voi male e io bene rispondo ; cioè che non è più un’ assicella d' ebano, ma un composto d’ acqua e d' ebano, e il corpo si dee prender semplice, con le qualità che gli ha date la natura, e non alterarlo. Secondo, dirò che nò 1*acqua nò la tavoletta posson mostrar la virtù loro runa contro l’altra, a bagnarla; perché l’acqua trova acqua nella congiunzione e non legno, il quale ò duro o non flessibile, ò tenace o secco e non umido, donde deve nascere l’operazione come da qualità contrarie. Terzo, dirò che la superficie del legno non può operar nulla, non sondo in atto scoperta (e ogni filosofo sa che la virtù, che non si riduce all’ atto, non opera) : in atto veramente sarebbe la io superficie dell’ acqua con la quale fossi* bagnata la tavoletta, e non la superficie dell’ebano. Adunque la figura ù causa di far galleggiar la falda d’ebano, e causa principale tra le accidentali, e il bagnarla non ò lecito, si come nò anche il tuffarla. Perché, a dirne il vero, se ella si tuffasse, essendo più grave dell’ acqua, che mai la può far tornare a galla V Oltre che, dicendosi che elle sopranuotano, segno è che si devon posar sopra, e non sotto. Rimane ormai, per le eose dette, in chiaro, che la figura inabile a divider l’acqua, perchè l’acqua ò continova o viscosa, galleggi: e non è vero che l’acqua sia eguale nel fondo e in superficie, come poi si dirà. Ma perché vi ritrovate, Sig. Galileo, ristretto fra l’uscio e’l muro, veggo che volete far prova di quel 20 vostro accidente che è sola cagion del galleggiare, non più stato avvertito, e cercar se fosse bastante a sollevarvi in alto ; che però 1’ attribuite all’ aria, vo¬ lendo che ella abbia facultà di rendere i corpi a cui si accosta più leggieri in ispezie che non son per natura loro, e che questa sia la cagion che l’assicella d'ebano galleggia, stimando che l’aria sia rattenuta per entro quegli arginetti dell’acqua che si fa d’intorno la tavoletta. Imperocché, o sia l’aria insieme con gli arginetti, o sia che altra cosa si voglia, basterà ad Aristotele e agli avversari vostri che non sia falso il dotto loro, ma il vostro, cioè che la figura n’abbia che fare: anzi si prova che tutte, l’altre cagioni accidentali della quiete e galleggia¬ mento della falda larga e distesa abbia» cagione dalla figura, come principale tra so le dette cagioni. Questo non può negarsi; perchè, levata la figura, non opera» più gli arginetti nè l’uria cotale effetto, come si disse disopra. Però, quando chiedete a’vostri avversari che levino l’aria dalla superficie disopra, che farete calare al fondo l’assicella, la domanda non è giusta; perchè si farebbe pregiudizio alle qualità na¬ turali della falda, per le quali Aristotele affermò il ferro e il piombo sopranno¬ tare. l’osso ben farvi piacere di levarvi questo scrupolo della testa, cioè mostrarvi chiaramente, per ragione e per esperienza, che 1’ aria in questo affare non opera cosa alcuna, come se non vi fosse; che perciò Aristotele volle che il soprannotare s’attribuisse all’ ampiezza della figura impotente a dividere il mezo, perchè molto di quello comprende sotto di sè, oggiugnendo che si deve far comparazione 40 ancora con la virtù della gravezza tra ’l dividente e ’l divisibile. IV. 43 « 338 DISCORSO APOLOGETICO 1 / aria, adunque, ai può considerare in tre maniere ritrovarsi con gli altri corpi secondo il proposito nostro: o come locata, o come in misto, o come contigua Nel primo modo si considera, quando, per esempio, è in un vaso di ramo, il quale se sarà messo sopra P acqua, non calerò al fondo, non solo per P ampiezza della ligul a, ma ancora perchè, per tal figura, P aria che vi è dentro non può esser cacciata dal corpo dell* acqua che circonda e regge il vaso, perchè gli orli di esso vaso impediscono P entrata delP acqua, essendo sopra il livello ili quella, sì che non può occupare il luogo dell'aria; la quale aria, per non dare il vóto abbor- rito dalla natura, cala sotto P acqua per lo peso del vaso, centra la sua naturale inclinazione, che è di non potere star sotto l’acqua; e perchè si sento violentata, io fa resistenza, e cagiona che il vaso, quasi da man sollevato, aggrava meno. Ma che dall’aria si cagioni tale accidente non si può dubitarne, perchè P esperienza il dimostra, in particulare nelle trombe da cavare acqua e negli schizzatoi e strumenti simili, i quali tinnì P acqua fuor del luogo suo, non per altra ragione che per non dare il vóto nel luogo che occupava la mazza o pestone dentro quella canna. Il secondo modo di considerar l’aria è come in mistion de* corpi; perchè (piando ella vi si ritrova con tanto predominio che quel corpo sia più leggieri dell’acqua, egli soprannuota e non cala al fondo altresì, come nel primo modo; siavi P aria formalmente o virtualmente, che al caso nostro niente rileva, poiché 20 P effetto è il medesimo. E avvertasi che Paria che si ritrova ne* pori de’corpi attualmente distinta, e non come in misto in composiziono, va sotto la medesima considerazione di quella che è in luogo ; si che se P acqua potrò penetrar per entro quei pori, se prima per tal cagiono il corpo galleggiava, come saranno ripieni quei pori dove era P aria di giò scacciata dall* acqua, calerò al fondo. Nel terzo modo, quando si considera Paria corno contigua 0 vogliala dir congiunta, e che tocca solamente la piana 0 superior superficie d’ un altro corpo, ella non ha facultò veruna di reggerlo sopra l’acqua, si che P assicella d’ebano, per esemplo, non possa calare al fondo, se per altro avesse podestò di farlo, come se P aria non le fosse congiunta. La ragione è, perchè non vi è necessità so alcuna che dia cagione all’aria di non lasciar libera la tavoletta; poi che l’acqua potrebbe scorrer su per la superficie ili essa tavoletta liberamente c occupare il . luogo che lascerebbe Paria, come più gagliarda di essa aria e potente a vincer la resistenza che le facesse. E perciò, se non iscorre sopra di essa assicella, altra cagione è che la ritiene, cioè la mentovata di sopra e delta da Aristotele. Direte che quegli arginetti che fa P acqua (l'intorno all’assicella operano il me¬ desimo che se 1 assicella fosse un vaso concavo con le sue sponde, se è vero che gli cagioni la siccitò ; e che però l’aria si racchiude lò entro, 0 per non dare il vóto, come diciamo noi, o perchè P aria, come volete voi, con una sua virtù cala¬ nutila stia unita con salda copula a quella superficie, e perciò non lasci scorrer 40 339 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. l’acqua acciò faccia calare al fondo quella falda d'ebano: o questa virtù lo do¬ nate voi por mostrar elio possa adivenir V unione dell’ aria inseparabile por altra cagione che per quella di non dare il vacuo in natura; atteso elio lo volete, come Democrito, sostener nel mondo senza incomodo alcuno, e che ad ogni modo stiano i corpi uniti. Ora gli arginetti, so si considerano nel primo modo, por non darò il vacuo, non possono, essendo di acqua labile o fiussibile, fare argine alla stessa acqua che si continova con loro, si che non possa scorrere e coprir Y assicella o cacciarne l’aria, elio non può resistere alla forza dell’acqua, come più sottile, men gravo e più Hussibilc di lei. Però, se l’asse avesse più forza dell*acqua, gli io argini gonfierebbon tanto che la sua corpulenza si romperebbe e coprirebbe, l'as¬ sicella, vincendo V aria : ma perchè il peso dell’ asse non inforza, di qui è che l’aria vi sta dolcemente e non violentata, e però non opera resistenza alcuna. Sì come ancora, so si dicesse che V aria fosse ragion di quegli argini, perchè ritenesse P acqua nel secondo modo che non potesse scorrere, cioè per essere ella attaccata all’assicella con la sua virtù calamitica, non potendo l’aria ritener l’acqua che non iscorra e insieme levi il porieoi del vacuo. Oltre che, se questo fosse, non so io veder perchè gli argini non avessero più virtù calamitica di con¬ giungersi e riunirsi sopra la superficie della tavoletta, per esser di natura simili e più efficaci elio non è l’aria a unirsi con la tavoletta, la quale, essendo di 20 qualità più tosto contraria, non può amar l’unione come l’acqua con l’acqua: anzi perchè V acqua convien con l’aria più che la tavoletta, non può l’aria farle resistenza sì che non si unisca. Adunque non è vero che l’aria operi cosa alcuna nel galleggiar della falda d’ ebano. Nò si può dir che, so ben gli argini non fossero cagionati dall'aria, basterebbe che vi fosse quella concavità, fatta da che altro si volesse, per far che l’aria vi stesse con violenza, per esser sotto* l’acqua, benché non molto: perchè si risponde che, non sentendo V aria violentarsi per sì poco abbassamento, non può far resi¬ stenza alcuna. 1? che sia vero che non senta violenza, almeno bastevole a resistere che l’asse non cali, si vede manifesto; poiché, dovendo far forza di non calare, so vincerebbe prima gli argini e gli tirerebbe sopra l’assicella per congiungerli, elio ritener l’asse, la qual fa più forza per esser più grave e non cedente come l’acqua. Di più, si prova che 1’ aria non opera cosa alcuna al galleggiar della tavoletta, perchè a bagnar solamente quanto una corda intorno la superficie della falda (1 oliano, e lasciar tutto il resto della sua piazza coperto dall’ aria, ad ogni modo cala al fondo. Segno ò clic niente opera 1’ aria, ma la figura con la sua siccità, elio non divide la resistenza del continovo dell’ acqua. E che sia vero, facciasi per lo contrario, con darli pochissimo spazio per l’aria in comparazion del primo, e veelrassi ad ogni modo staro a galla, con tutto che nell’ altra maniera non istesse. 11 modo è lasciare asciutto intorno intorno quanto una corda, e bagnar tutto il ri- 40 rnaso della piazza dell’assicella ; e se così qualificata non va a fondo, dicasi clic non 340 DISCORSO APOLOGETICO r aria altramente n* è cagione, poi che la molta più non ebbe tal balia, ma lo cagioni addotte da noi. Vana, adunque, è la credenza vostra nel giudicar die l’aria faccia tale effetto ne’ corpi, dove ella si ritrova come contigua, e che ella operi con virtù calamitica : della qual virtù, perchè kì è da me ragionato c disputato a lungo con¬ tro i seguaci dol Copernico, che vuol che la terra si muova (e voi 1* avete letto, e non ci rispondete cosa alcuna), però qui non no dirò altro, poi che non l’aveto pur provato, ma supposta per vera. 1/esperienze che avete latte per farla apparir vera non escludono le nostre cagioni; anzi prov&n più debolmente che le vostre altre ragioni, poi elio mostrali che questa aderenza calamitica non abbia virtù più che se ella non vi fosse. Imperocché la palla di cera che prendete, è ridotta io a tanta poca gravezza, che a pena cala al fondo ; e perciò la piccolezza del suo peso è di così poca attività, clic ogni poco che ne resti scoperta dall’acqua è cugion che ella non pesa più dell’acqua, e però galleggia, perchè quel poco d’ar¬ gine che circonda quella parte scoperta la sostiene: onde l’aria che è nel bic¬ chiere che voi tuffate rivolto su 1’ acqua, o lo spingete addosso alla palla, non fa altro effetto che di nuovo levarle dalla superficie 1’ acqua, la quale levata lascia clic la palla torni sopra con quella superficie scoperta a galleggiar su all’aria, mentre così scoperta dal bicchiere si ricongiunge al piano di tutta 1* acqua, tiran¬ dolo in su pian piano. Nò è di poca considerazione che la cera è corpo untuoso e subito si asciuga da 1’ umido, come è scoperta, e malamente convien soco. In 20 oltre, perchè la resistenza della figura opera secondo il peso oppostole, di qui c «die, fatta comparazione, tanto opererà la figura c piazza piccola contro il debol peso, quanto la molto larga contro il gran peso e potente. Questo effetto farà anche 1’ assicella d* ebano, se la scoprirete elio sia asciutta. E per certificar vene, potrete, quando è sopra 1’ acqua, coprirla col medesimo bicchiere rivolto e far calar giù l’acqua e l’asse, spingendolo sotto, e i>oi ritirarlo in su; 0 l’assicella tornerà ancor ella. Che avete, adunque, provato di più con questa esperienza circa la virtù calamitica doli* aria? Non farete già tornar la falda d’ ebano dal fondo col bicchiere, se sarà prima bagnata. Che etiicacia, adunque, ha 1’aria? E per ri¬ spondere a una tacita obbiezione, che è se altri dicesse: < A che fino pigliate lo 30 ligure larghe per far galleggiare i corpi gravi più dell’ acqua, se i medesimi corpi gravi si posson far galleggiare in ogni sorto di figura, 0 tanto stretta quanto larga 0 rotonda, purché si riducano a certa piccolezza di corpo, che appena tuf¬ fati calino al fondo V adunque par che il tutto si debba riconoscer dalla gravità e leggerezza, come dice Archimede, e non da altro >; si dice che per questa ca¬ gione non si dee prender la vostra materia, come si disse disopra, nò della gran¬ dezza che dite voi le figure, poi che non mostrano diversità d* effetto ; ma bisogna pigliar materia grave e in molta quantità, acciò elio, avendo molta attività e peso, faccia tanta forza contro la resistenza delle ligure, clic si possa conoscer la va¬ rietà deili effetti, la qual non può vedersi per le dette ragioni in altra materia 40 » DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 341 non così qualificata, non avendo le ligure cagion di mostrarla: come le larghe, per causa delle quali, dilatandosi il peso, non vion superata la forza o resistenza dell’acqua, e galleggiano ; c le strette son causa del discendere, porchò il peso è unito per causa loro, e contrasta con poche parti d’ acqua, e cosi facilmente dividono il mezo cotali figure. Cessi, adunque, il Sig. Galileo di creder clic lo ligure non operino diversità d’effetto: nò per questo resta clic Archimede non dica il vero, clic dalla gravità e leggerezza si cagioni P andare al fondo e lo stare a galla, perche egli intende delle cause per sò, c noi delle cause per accidente. Cessi an¬ cora di creder che l’aria vi abbia parto in modo alcuno, sì come di attribuire a io quella virtù calamitica, poi che si ò provato esser falso. L’esempio de’conii fatti di materia più leggier dell'acqua, per mostrar che p acqua non faccia resistenza, a car. 30 Ip«*. 93, i»n. 16 - 82 ], non conchiude cosa alcuna per le detto ragioni, e in particulare per lo vostre: poi clic se voleto, a car. 14, [pa*. 76 , Hn. 6-9], che una falda piana più leggici- dell’acqua si sommerga fin Liuto che tanta acqua in mole quanta è la parte (lei solido sommersa pesi assoluta¬ mente quanto tutto il solido, come potrà mai un cono, clic ha per virtù della piramide il peso più unito al centro, non calar con la sua base sotto l’acqua? Ma P error vostro è nel creder che quando l’acqua è divisa in parte, non vi siano accidenti elio impediscano il dividerla in tutto, come si ò provato. Però 2 e non è vero che necessariamente, come dite, abbiamo creduto o dovessimo cre¬ dere che la superficie inferiore del solido dovesse solamente baciar l’estremità della superficie dell’acqua e non sommergersi punto; ma necessariamente vi siate ingannato. L’esempio della cera e piombo, aggiuntovi il suvero, perchè è de la natura di quegli dove aggiugnevate quel poco piombo per mutarli di spe¬ zie in gravità, non vai niente; però potevate lasciarlo stare. L’acqua, adunque, fa resistenza alla divisione per le cagioni addotte, o non vi ha che far l’aria in modo veruno. Voi medesimo il conoscete, Sig. (rabico; poi che vedendo alcune falde non fare arginetti, dentro a’quali volevate racchiudersi l’aria, rifuggiste misera¬ mente a dir che, dove l’acqua non faceva argini, l’aria stessa gli faceva a sè me- 30 desiina, a. car. 55 [pag. 121 , Un. 19-22). Potevasi dir cosa più sconcia di questa? Io torno di nuovo a mostrarvi che l’aria non cagiona quegli arginetti dell’acqua perchè la virtù calamitica la tenga in quella concavità attaccata, e che ella non vi fa resi¬ stenza alcuna. Empiasi un bicchier d’acqua, sì che ella trapassi l’altezza e l’estre¬ mità dell’orlo di esso bicchiere; e vedrete sopra di esso orlo l’arginetto bistondo e alto di maniera, che non è possibile che l’acqua non si rompesse a versare intorno intorno, se non vi fosse qualche accidente che 1* impedisse. Ma non può dirsi elio l’aria come contenuta ne sia cagione, come dite dell’assicella; perchè ella circonda solo di fuora, essendo 1’ argine a rovescio di quel dell’ assicella. Adunque bisogna dire che, sì corno qui si cagiona l’argine per altra cagione che 40 I )0r l’ ar * a i male conchiudiate che nell’assicella gli cagioni l’aria; e perciò diremo DISCORSO APOLOGETICO 342 die ella non v’ abbia elio far nulla altramente. Sig. Galileo, siate voi soddisfatto che l’aria non sia cagion del soprannotar dell’assicella? Sento ohe mi rispondete, come uomo prudente, che le ragioni o l’esperienze addotte e gli inconvenienti mostrati vi persuadon molto ; ma cho più restereste quieto, se io trovassi qualche modo di levare l’aria dalla superficie di quella falda d’ebano, acciò che ogni so¬ spendono venisse levata di mezo. Io voglio tentar di compiacervi. Ungote la falda, e cosi l’aria, non posando immediatamente su la superficie del legno, sarà levata; massimamente che essendo l’olio corpo tenue e sottile, l’aria non può attaccarvisi e far resistenza che la falda non cali: però se ella non cala, dite che l’aria non opera niente; poiché non vi essendo, l’assicella galleggia io in ogni modo, come per esperienza ho veduto. Bene, rispondete voi; ma io ho dubbio cho l’olio, essendo molto aereo, abbia certa convenienza e simpatia con la stessa aria, si che facciano una certa union calamitica maggior che non sa¬ rebbe con la stessa assicella, e cosi, mediante il corpo dell’ olio, venga l’aria a reggere ad ogni modo l’assicella. Sig. Galileo, mettete la stessa assicella così unta nell’ olio, e subito la vedrete calare al fondo ; e pur quando ò asciutta, galleggia come nell’acqua: adunque, se l’aria avesse questa facoltà di unirsi all’olio e attaccarsi maggiormente, ella non lascerobbe calar l’asse nell’olio ancora, si come non cala nell’acqua: e per tanto si dee diro che l’aria non opera nulla. Voi pur tornerete a dire, che sapete chiaro che l’aria si leva a bagnar l’assicella con 20 l’acqua, ma non con l’olio. Orsù, finiamola, perché io vi voglio levar la strada a tutte 1 ’ obbiezioni, acciochò ognuno conosca che, so non v’ acquieterete, si potrà dir che vogliate disputare, 0 non cercare il vero. L’assicella di già s’è detto che, posata su l’olio asciutta, galleggia come su l'acqua. E perchè direste che bisogna levar l’aria, bagnandola, 0 non galleggcrà, io yì dico che l’assicolla bagnata ad ogni modo galleggia e soprannuota nell' olio, benché sia levata l’aria, bagnandosi con l’acqua la tavoletta. Che «lite adesso? Ecco che era levata l’aria anche con l’olio: anzi cho non operava, e non vi era, quanto alla operazione, anche quando la falda era asciutta. E di qui conoscete, che si etimo unta l’asse, nell’olio va al fondo, e bagnata, nell'acqua fa il medesimo, non nasco questo dal levar l'aria, so ma dall’ essere levata la cagion della resistenza dell’una 0 dell’altra assicella; per¬ chè l’acqua con l’acqua convengono insieme, sì come l’olio con l’olio, e si uniscono, e perciò si sommerge la falda, benché larga, perché ò vinta la siccità di essa laida cagionata maggioro c atta a resistere per l’ampiezza della figura: c però non 6 maraviglia che dalla superficie in giù non si trovi resistenza assoluta dalla falda alla division dell’acqua, perchò son cessato le cagioni di tale effetto, per esser l’assicella bagnata. Cessate, dunque, di affermare, a car. 3 !) [p»s- 103 > lin ' che se l’acqua facesse resistenza alla divisione, farebbe la stessa alla tavoletta nel mezo e nel fondo come in superficie. E se mi domandate, perché non cala al fondo nell’acqua la tavoletta unta, sì come non cala anche noli’olio bagnata, poi cho w DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 343 non è cagion l’aria; rispondo clic la cagion dell 1 uno e dell’altro effetto è il me¬ desimo accidente, cioè 1*antipatia e dissenso che è tra l’olio e l’acqua, che non convengono e non si uniscono, o però non affoga l’assicella e non cala al fondo. So che non direste, l’olio non esser mezo convenevole, sì perchè non se ne può addur cagione alcuna, sì ancora perchè la vostra regola è da voi applicata a qua¬ lunque mezo per infallibile; avendo detto a car. 16 [pag.79, Un. 10-19]: < Panni d’aver sin qui a bastanza dichiarato e aperta la strada alla contemplazion della vera, intrinseca e propria cagion de’ diversi movimenti e della quiete do’ diversi corpi solidi ne’diversi mezi e in particular nell’acqua >. E certamente chi dubiterà del io precipizio e rovina de’ vostri fondamenti, se erano fabricati e appoggiati nel¬ l’aria? Niuna cosa credo io che resti da diro intorno a questa materia, so noi non volessimo esser soverchi a sproposito. Dirò solamente, che lo esperienze e demo- strazioni d’Archimede son tali, elio elle paioli d 1 Archimede, ma che elle non hanno che far con la disputa nostra. E però, quando vi lasciaste intendere libe¬ ramente a piena bocca, che tre sorti di persone leggerebbono il vostro trattato, cioè i dotti, e questi direbbon come voi, gli ignoranti, e questi non l’intendendo non direbbon cosa alcuna, i poco intendenti, o questi direbbon contro di voi, perchè si darebbono a creder d’intenderlo e non l’intenderebbono, e che perciò 20 direbbono a sproposito; rispondo, per quello che ò d 1 Archimede, non aver al¬ tro che dire; ma circa quello che di vostro aggiugnete alla sua dottrina, forse si potrebbe dir che non è vero che quegli arginetti serbino la proporzion del¬ l’altezza che dite, in rispetto alla grossezza del solido. Voi medesimo lo fate conoscere, poi che si riducono in alcuni corpi a tal piccolezza, che vi fanno po¬ chissimo argine, e non punto ancora. E che sia vero che non si fanno alla propor¬ zion della grossezza del solido, chi non sa che la medesima grossezza di due corpi può esser congiunta con maggior gravezza nell’uno che noli’altro, la qual farà tuffar maggiormente il solido, e conseguentemente l’argine sarà più alto? Eolie non fosse vero ancora, per la medesima ragione, che tanto si tulli un corpo più 30 leggici- dell’ acqua nella stessa acqua, senza varietà, quanto col suo peso asso¬ luto avanza il peso in ispezie dell’acqua, o vogliam dire che tanto sia l’acqua in mole dove è sommerso, che agguagli il peso assoluto del solido : imperochò può esser che la medesima grandezza di mole del medesimo legno abbia più terra o più densità o più pori Turni che l’altra, e anche la medesima mole esser varia in sè stessa. Sì che in genere e in astratto la regola scudo vera, in pratica è fallace ne’particulari, come voi medesimo affermate a c. 10 [pag. 70, lin. 29-31]. Nè che totalmente penda dal momento l’alzar che fa la poca acqua del pozzo il gran peso del cilindro o colonna, ma dall’angustia delle sponde ancora; e da molti accidenti si varierà anche l’altezza dell’acqua disegnata per sollevar Tuno m più che l’altro, e lo stesso ancora: e Taffermate nel luogo citato. Però Archi- 344 DISCORSO AFOLOGKTICO mede non volle venire a questo tritume, come quegli che non Io stimò utile nè sicuro. E che forse la ragion de’ momenti non sia quella che faccia quegli effetti in ogni esperienza particulare; come sarebbe quella dui vaso grande, col canale stretto o collo sottile, fatto a cicognuola, che sopravanzi! gli orli del vaso, dove stimate che altri reputi maraviglioso che la molta acqua che è nel vaso, benché non sia più su che a inezo, non ispinga col suo peso o momento più alta quella poca che ò passata nel beccuccio sottile e lungo dal più del vaso tino sopravan- zamlo alla cima, ma stia in equilibrio e non trapassi il livello della molta acqua che è nel vaso: imperocché altri farà più tosto maraviglia della cagione addotta da voi, che dell*effetto notissimo a ciascuno, lo crederei che il più veloce moto io o momento della poca acqua della cicognuola, in comparazione del più tardo della molta del vaso, non operasse altro se non che, benché il viaggio del primo sia più lungo, egli si tinissu nel medesimo tempo del secondo, che è più tardo: e ne avete in pronto l'esempio che date delle braccia della bilancia, disegnali; perchè il braccio più lungo va nel medesimo tempo più viaggio che il più corto. Ma non fa già a proposito per voi; perché il pese», che si compara nella bilancia, non può rispondere al peso dell'acqua, poiché non vi è differenza di peso. E però la ragion perché l’una e l’altra parto dell'acqua di quel vaso stia al medesimo livello d’altezza, credo non potere esser cotesta, ma che sia la gravità, che nell'una e nell’altra è la medesima in ispezie; ondo non può l’acqua del corpo del vaso spin-ao ger più su di sò medesima l’altra acqua, che veramente é la stessa, non avendo più azione un mar d’ acqua contro una goccia, che la goccia contro a tutto il mare, perchè l'acqua nell'acqua non pesa, come provato voi medesimo contro il Buonamico per conto di quel vaso «li legno pien d'acqua, mostrando che non perciò cala al fondo, come se pieno non fosse. E il medesimo farebbe se quella cicognuola o cannello fosse nel mezo del vaso circondato dall'acqua, e lo spazio dell'altezza del canaletto, essendo diritto, fosse alto quanto ò il vaso dove si devon fare i momenti : chi non vede che Y acqua del canale e quella del vaso tìnirebbono il moto nel medesimo tempo, e per conseguenza sarebbon di pari velocità e di pari altezza (li livelli? Adunque non é vero, in questo caso, che la so molta acqua del corpo del vaso non prema e non iscacci in alto quella poca del canaletto per rispetto della tardità e velocità de’ momenti, ma perchè l’acqua dell’uno e dell’altro luogo, che è continua, non opera contro a sé stessa, essendo egualmente gravi in ispezie e al medesimo livello, dove non può anche il peso assoluto operare. Provasi che la gravità equalc in ispezie produca tale ottetto: perchè se fosse altro liquor nella cicognuola più leggier dell’acqua, come per esempio olio, sì che ella fosse quasi piena, aggiungendosi acqua nel vaso, non solo rimarrebbe l’acqua più bassa col suo livello, rispetto a quel dell’olio, ma più tosto uscirebbe l'olio dalla bocca della cicognuola. che non avanzar con la sua altezza quella dell'acqua; ma l’acqua molta non può scacciar di quel collo la poca, pei- DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 345 ehè non ha più gravezza di lei, ma si ben dell’olio, e perciò lo scaccia. Di più, si prova questo, perchè se aggiungete acqua dalla bocca della oicognuola, sem¬ pre calerà, fin che il livello sia del pari; perchè quella che superasse peserebbe, essendo fuora c sopra l'altra acqua, perchè l’acqua nell’aria pesa, nia non giù nell’ acqua. Adunque non senza ragione si dubita che male applichiate a 1 parti¬ colari, la cagion de’ momenti produr diversi effetti o simigliatiti, se per quello che aspetta alla nostra disputa particulare nè voi nò io ne dobbiamo esser giudici : ma se pure a voi paresse di dir che io non avessi inteso il vostro discorso, perchè dico il contrario di voi, non so chi meriti più scusa; poi die vi siete messo pol¬ lo tal conto a ristamparlo e a levare e aggiugnere e dichiararvi, non vi essendo in¬ teso, e per mutare in parte parere, come prudente, o parte per lasciarvi intendere, senza esserne da li avversari richiesto ; che por questa cagione non ho stampato prima, acciò che io non avessi di nuovo anche a rispondere allo chiose. Sì che so non l’avrò inteso, con vostra buona grazia sarà pace. Circa la disputa che aveste del ghiaccio, so da quella ebbe origine la nostra, non so io, perchè non l’aveste meco': però quegli clic dite avere affermato, nel ghiaccio operar la figura quanto al galleggiare, non ha bisogno che altri la pigli per lui. So ben che, per quel che allora andava attorno, si disse che dubitati¬ vamente, per modo di discorso, fu dotto: Forse il galleggiar verrà dalla figura. 20 Non pare, adunque, clic debbiate contro ili lui nò d’altri farci fondamento veruno, se ben vi ho mostrato che non vi gioverebbe. Ma (pianto al dir che il ghiaccio sia più tosto acqua rarefatta e non condensata, dirò qualche cosa in contrario, pa¬ rendomi che il vostro parere sia un paradosso. Il ghiaccio, secondo la ragione e la commi sentenza de’ letterati e 1 ’ espe¬ rienza, non ò altro elio acqua congelata e condensata per virtù dell’aria fredda ambiente, che spremendo e constringendo l’acqua, ne scaccia lo parti sottilissime ; onde quel corpo ingrossa e resta più terreo, e perciò si congela. Ma perchè nel constringersi le parti grosso, alcune eli quelle parti aeree e sottili rimangono la entro racchiuse tra i pori dell’acqua giù congelata, non atte a congelarsi, però, so se bene scema di mole e conseguentemente pesa più che "tanta acqua della mede¬ sima mole, ad ogni modo, per quella aria racchiusa, galleggia e sopraimuota nel- P acqua. Ma è bene, avanti che si passi più oltre, per fuggir la confusione, venire a dichiarar che cosa sia densità e rarità e porosità. Densità è quella quando i corpi hanno le parti unite e spesse, ristrette in poca mole; e quanto più son tali, tanto più meritano quei corpi il nome di densi: e questa regolarmente si suol ne’corpi cagionar dal freddo, parlando di quei corpi in particulare che per accidente dal¬ l’aria fredda si condensano. Rarità è quella quando i corpi hanno lo parti loro sottili, attenuate e distese in ampiezza di mole; e quanto più son tali, tanto più io conseguiscono quei corpi d’esser dotti rari: e di coiai rarità per lo più n è causa IV. 44 0 346 DISCORSO APOLOGETICO il calore. La porosità è una scontinuvazion e divisimi di parte del continovo fatta da certi piccoli fori no'corpi: e questa può cagionarsi dal caldo e dal freddo ne’medesimi corpi per uccidente, perché non è necessario che un corpo raro sia poroso nò che un denso non abbia pori, per domandarsi l’uno raro e l’altro denso, poi che vegliamo la terra esser densa e porosa, e l’aria esser rara senza pori; come che Taria non appaia al senso se è porosa o no, ma la ragion lo persuade, poi che se fosse porosa vi sarebbe il vacuo. Da questa distinzione e dichiarazione si viene a manifestare a molti elio si cre¬ dono che raro e poroso siati la medesima cosa, non è altramente vero, e che da que¬ sta equivocazione nascono molti errori e confusimi di dottrina per la confusion io de' termini. Ora, quando affermate, Sig. Galileo, che il ghiaccio s Li più tosto acqua rarefatta, ac intendete per poroso il rarefatto, dite bene, ma con equivocatoli di parole e impropriamente; però n'avete suscitata quistione. Nè crederò che vogliate mantenere di non avere equivocato, per cadere in maggior inconveniente, di soste¬ ner che il ghiaccio sia acqua rarefatta, con dir che hìh tale perchè non solo è cre¬ sciuto di mole, ma ancora è fatto più leggieri, pcrehò soprannuota nell’acqua come più leggier di lei. Imperocché non è vero, primieramente, che il ghiaccio augumenti di mole, poi che per esperienza si vede eh • a mettere una conca d’acqua all’aria nel verno e farla ghiacciare, il ghiaccio si trova intorno intorno staccato da le sponde del vaso, e sotto tra l'acqua e 1 ghiaccio è molta distanza; e perciò bi- 20 sogna dir che egli sia ristretto c diminuito di mole. Nò vi inganni il veder che forse alcune volte nello staccarsi dal vaso j>ossii il ghiaccio essersi sollevato al¬ quanto, 0 perciò vi paia cresciuto di mole; perché il fatto sta altramente. Vedesi avvenire in tutte le cose che ghiacciano e si raffreddano il medesimo, cioè ristrin¬ gimento di mole: e questo afferma 1 ‘ esperienza degli artefici che vendono olio,i quali non voglion venderlo ghiacciato, perchè dicono, come ò in verità, che il baril dell'olio ghiacciato, a distruggerlo, cresce più d un fiasco. La vostra fante vi dirà che quando lui piena la pentola di lardo strutto, a lasciarlo freddare 0 congelare cala di maniera la mole, clic la md uiezo uno scodellino, dove prima era gonfiato. Il medesimo avvien nella cera, nel mele, e in ogni altra cosa simile. Non dico già 30 che. per accidente non possa accader che il ghiaccio alcuna volta faccia certe bolle e vesciche, donde ne séguiti augumcnto di mole: ma questo sarà non per rarefa¬ zione, ma per porosità e cavità, cagionate oltre modo nel ghiaccio per accidente. No si neghi che il ghiaccio >ia poroso tutto, perchè ae ben se no trova di quello e lu* non manifesta al senso d* esser tale, donde vogliate argomentar la leggerezza in lui non ai cagionar dall'aria che si ritrova racchiusa ne' pori, ma dalla rare¬ fazione; perchè noi veggiamo pure alcuni corpi densissimi, e non mostrare al senso e all occhio nostro, benché acutissimo, d’esser porosi, e ad ogni modo son tali. 11 diamante, se non fosse poroso, non gitterebbe odore ; 0 nulliidimeno scrivono i iìcituiali, che il cane o altro simile animale lo ritrova all'odorato. L’argento, l’oro, -io DI LODOVICO PELLE COLOMBE. 347 che son tra i metalli i più densi, hanno le porosità; e pur non si veggono. E che sia vero, quando son caldi succiano il piombo; il che non può farsi dove non son pori, perchè un corpo non penetra l’altro. Adunque il ghiaccio non è leggieri per rarefazione, ina per causa dell’aria racchiusa ne’pori per accidente; perché per sè egli è più grave dell’acqua, atteso che le sue parti son più ristrette o spessate e più terree, benché sia poroso. La ragion pur troppo chiaramente per¬ suade che il ghiaccio sia acqua condensata: iinperochò se fosse rarefatto, chi non voile che egli sarebbe più corrente tlussihile e terminabile che non è l’acqua stessa? e nulladimeno è sodo come pietra. Adunque ò condensato, e non rare- io fatto. Per qual cagione non ghiaccia l’aria, se non perchè, oltre all’esser calda, è rara e sottile più dell’acquaV Perchè ghiaccia manco l’olio dell'acqua e non si indura tanto, se non perchè, essendo più aereo dell’acqua e di natura caldo, non può il freddo scacciarne tante parti sottili e ristringer tanto le parti grosse o terree, che possa indurar come l’acqua? Direte elio il ghiaccio è acqua rarefatta dal freddo, non perchè il freddo non abbia virtù di condensare, ma elio questo accada nel ghiaccio per accidente, e non negli altri corpi, perchè l’acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e trovandosi in quello stato ghiacciata non può condensarsi. Ma io vi domanderò : Che cosa è ca¬ gione del crescer della mole nel ghiacciarsi?Se mi rispondete: < Le porosità che vi 20 si fanno >, io torno a dire che le porosità non son il medesimo che rarefazzione: di più, che elle regolarmente non ampliano la mole, ma solo si ritirali quivi alcune parti sottili e aeree, unendosi insieme quelle della stessa mole, senza che ven’entri di nuovo; e perciò non può la mole crescere per tal cagione, poi clic quello clic era sparso per più luoghi del corpo dell’ acqua, non ha fatto altro che ridursi in manco luoghi, ma più unito. E a quelle che si partono, non è bisogno d’allargamento per farle luogo; poiché il luogo dove sono è tanto, che basta loro per iscappar anche fuora, al restringimento che fa il freddo nell’acqua (in quella guisa che fanno T an¬ guille nello sdrucciolar di mano a chi le stringe senza che si allarghi il luogo), mas¬ simamente che quelle parti sottili si ristringono e rintuzzano per conservarsi. Onde 80 per causa de' pori la mole non è punto maggiore, come se non vi fossero; in quella guisa che non cresce un corpo denso il quale si sforacchiasse tutto con un punte¬ ruolo : altramente, se la mole si ampliasse, non sarebbe così duro, ma frangibilis¬ simo, e più spugnoso che poroso; e voi medesimo dite die c’è del ghiaccio che non è poroso, tanto poco apparisce. Adunque per causa de’ pori non cresce di mole rego¬ larmente, ma forse per accidente; il che non farebbe per voi. Se mi rispondete che non le porosità, ma il rarefarsi veramente è cagione che la mole cresce, bi¬ sognerà che proviate clic il freddo abbia possanza di rarefare il ghiaccio; il che non avete fatto. Il freddo ha virtù di spremere e ristringere ogni cosa, si come il caldo, suo contrario, di assottigliare, dilatare e aprire, benché per accidente 40 l )088a accadere il contrario; il che non si prova da voi. 348 DISCORDO APOLOUKTIC0 Il ghiaccio per tanto non creace di mole nel ghiacciarsi. Anzi, quando esso o qualunque altro corpo per qualche accidente crescesse o scemasse di mole, si potrebbe negar che i>er tale ampliamone o diminuzione fosse divenuto più leggieri o più grave in ispezie dell’acqua, perchè la proposizione in universale è falsa* uè lo dice Archimede altramente, nè si cava da lui in modo alcuno, come vor¬ reste nella vostra aggiunta per uutorizar si bella opinione. Provasi la sua fallacia per esperienza: eia particulare si prenda una spugna, inzuppisi d’acqua, e cre¬ scerà di mole gonfiando, ina calerà al fondo; la medesima spugna spremuta, asciutta e diseccata, scemerà ili mole, e nulladimeno galleggierà nell’acqua; adun¬ que nell 1 umpliazione non divenne più leggieri, e nel ristringimento non si fece più io grave. Non vi libererebbe già da questo argomento se rispondeste, che nel primo modo cagionasse l’acqua die quel rorido facesse tale effetto scacciandone Paria, e nel secondo entrando*i Paria, Paria stessa ne fosse cagione; imperciocché re¬ sterebbe pure in piè Pargomento, cioè t hè non Pampliazion della mole oladimi- nuzion di quella producete infallibilmente leggerezza o gravità maggiore in ispe- zie, come affermato con$tuiitÌMÌmainente adivenire: cosa che tanto più dimostra l’error vostro, quanto, per la \o>tra regola. Paria e l'acqua, venendo in composi¬ zione. Inumo facilità di mutare la gravità e leggerezza de’corpi, eziandio senza mutamento alcuno della mole, come andate esemplificando contro il Ruonamico nei legno pien d’acqua e nella boccia piena d'aria. Piacciavi adunque confessare, 20 il vostro difetto e*sor tutto di voi, e non ci aver parte alcuna Archimede, il qual non merita questo da chi ha tanto apparato ila lui. Sentite. Sig. Galileo, ne per causa di rarefazione il ghiaccio galleggiasse, è im¬ possibile che non galleggiasse ancia* P olio ghiacciato nell’olio ; il che per esperienza è falso, perchè non galleggia, ma cala al fondo. La ragion perchè galleggerebbe è che, la rarefazione cagionando leggerezza, s\ come l'acqua ghiacciata galleggia per esser più leggier dell’ acqua, conio rarefatta, così Polio ghiacciato per esser più leggier dell’olio, come rarefatto, dovrebbe secondo voi galleggiare. Ma perchè va al fondo, è falsissimo che il ghiaccio sia più leggier dell’acqua per causa di rarefazione. 0 perchè va Polio al fondo, mi domanderete voi, quando è ghiac-SO ciato, e il ghiaccio nell’acqua sfa a galla? Rispondo: Perchè l’olio è di natura tanto caldo 0 aereo che, benché nel ghiacciato rimangano delle parti sottili più clic nel ghiaccio dell’acqua, ad ogni modo son meno che quelle dell’olio non ghiacciato, 0 non son tante che abbiano facilità di reggere il ghiacciato a galla, perchè il non ghiacciato rimane molto più aereo 0 molto più leggiere ; oltre che, per non esser molto duro. Polio strutto vi penetra 0 apre la strada a quella aria che v ò racchiusa, e così, non vi stando violentata, lascia calare al fondo l’olio ghiacciato, come più grosso e più terreo; il che non può far Pacqua nel ghiaccio, essendo sì duro. L’argomento, adunque, si ritorce contro di voi così: Il ghiaccio non è acqua rarefatta, nè perciò più leggieri ; perchè se fosse vero, sì come l’acqua 40 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 349 ghiacciata nell’acqua galleggia, così l'olio ghiacciato galleggerebbenell’olio : ma e’ cala al fondo : adunque il ghiaccio non è acqua rarefatta. l)i più, io posso farvi instanza e dirvi : Il ghiaccio non galleggia per causa di rarefazione, ma perchè vi è dentro l’aria. La quale instanza non può già farsi a me, quando affermo che l’olio cala a fondo per causa di densità: perchè so mi rispondeste, che non per la densità discende, ma perchè vi è 1’ aria, fareste più efficace la mia ragione ; poiché l’aria essendovi, ad ogni modo non impedirebbe con la sua leggerezza la gravità cagionata dalla densità, che non tirasse il corpo ghiacciato dell’olio al fondo; e così maggiormente confermereste la densità. Il ghiaccio, adunque, per io causa della figura galleggerobbe e calerebbe al fondo come gli altri corpi, diver¬ samente secondo la diversità delle figure, se non li mancasse la condizion del- l’esser asciutto ; sì come non può anche eleggersi da voi, poiché le figure che hanno da galleggiare volete che non siano molli. Io intendo che, dipoi stampato la vostra scrittura, avete fatta una esperienza per mostrar che il ghiaccio è nel ghiacciar cresciuto di mole, poiché nel dighiac¬ ciare scema in luogo di crescere. Pigliaste una guastada e vi poneste dentro al¬ quanto di ghiaccio, e poi la finiste d’empier d’acqua; e di quivi a poco tempo osservaste che il ghiaccio era strutto, e l’acqua era calata buono spazio dalla sommità della guastada: adunque par che, scemando nello struggersi, il corpo 20 del ghiaccio fosse ampliato, e non ristretto. Ma io vi dirò liberamente : Questa esperienza non P ho voluta provare, perchè io rivolto V esperienza contro di voi doppiamente. E quanto al primo, è da avvertire clic, sì come il ghiaccio è scemato nel ghiac¬ ciare, così non è inconveniente che nel dighiacciarsi scemi altresì, benché il ghiac¬ cio struggendosi alquanto si dilati nelle parti condensate, perchè molto più si ristringe nelle porose, e però scema. La ragione è, perché le parti sottili, per esser men gravi dell’acqua, sono anche più rare; e perciò occupano anche più luogo, v. g., quello che sono un’oncia, che non occupa una libra d’acqua: onde, ancor che l’acqua ghiacciando scemi poco di peso, ad ogni modo scema assai di 30 mole, per la partenza delle parti sottili che pigliali molto spazio. Ora, perchè a congelarsi l’acqua non si fa altro che unirsi le parti grosse e terree, per la se- parazion delle parti sottili e aeree, di qui è che lo parti grosse non occupali manco luogo, se non quello che lasciaron le parti sottili, che vi erano quando era senza ghiacciare, o poco meno; sì che quasi tutto lo scemamento nasce dalla partenza delle parti sottili : altramente ne seguirebbe che un corpo entrasse e penetrasse un altro corpo, il che è impossibile ; e quando fosse possibile che due corpi si penetrassero, sarebbe impossibile che occupassero manco luogo di prima; e però non è in considerazione lo scemar della mole per 1’ union delle parti grosse dell’acqua ghiacciando, rispetto allo sminuire che fa per la mancanza delle 40 parti sottili. Se adunque nel ghiacciare scema assai la mole per la partenza delle 350 1 )ISCI)R80 AJ'OLOUKTICO parti sottili, o pochissimo por lo stringimento delle parti grosse e terree, neces¬ sariamente, per lo contrario, dighiacciandosi dovrà eziandio scemare: perchè poco o niente si dilateranno lo parti grossi* tra vii loro, ma molto scarnerà la mole, occupando esse il luogo delle molte pafti aeree che dentro vi stavano racchiuse, alla partenza loro, nel distruggersi il ghiaccio; perchè non vi rimangon dentro, come prima quando erano compartite per P acqua e che non erano tanto unite e in atto, ma sparse in particelle minime. K forse si potrebbe dire che erano aria più in potenza che in atto, o vero in grado tanto rimesso e imprigionate, che non potevano operare. Ma in particolare è da aggiugnere alla vostra esperienza un’altra cagione di scemamento : cioè che l'acqua, che vi mettete per empier la io guastadu, vapora, e molto più vaporali le parti sottili per la freddezza del ghiac¬ cio aggiuntovi; e perciò scema maggiormente. Nè vi paia che io sia contrario a me medesimo, perchè ho detto che l'olio nel distruggersi cresce: perchè io ri¬ spondo che più importa nell'olio, struggendosi, la dilatazion delle parti grosse, che nella fuga delle sottili il restringimento, ghiacciandosi ; ma nell' acqua fa il contrario: atteso che nell’olio non fuggon le parti aeree dighiacciamfo, anzi si dilatano e ritornano nello stato primiero, perchè elle aon la parte principale dell’olio, quanto alle parti materiali, e perciò, amando la conservazion dell'esser dell’olio, e non sendo cacciati* per violenza, nè essendo alterate nè mutate appena del luogo proprio, se non quanto a certo ristringimento, non evaporano, perchè 20 son ancora parti dell’olio; massimamente che l'olio, come molto viscoso, perchè è più terreo e crasso dell’acqua, ha \irtù ili ritener le parti sottili più dell’acqua; sì come si vede anche nel ghiacciare, che ritien assiti parti sottili contro la vio¬ lenza del freddo. Aggiungo che, come caldo ili natura, si dee credere che il freddo non l'alteri quasi niente; ma sì bene il ghiaccio deH'acqua, perchè, essendo fredda anch'ella, tosto è vinta e alterata dal freddo soverchio esteriore; onde le parti sottili che vengono alterate ni risolvono in aria, e non son più parti dell’acqua ; però da lor medesime si partono. Adunque si conchiude che l’acqua ghiacciata non sia altramente nel ghiacciarsi rarefatta, quantunque sia vero che dighiac¬ ciando scemi di mole. 80 Ora provo, ili più, che l’esperienza dello scemare il ghiaccio distruggendosi non argomenta se non in favore di chi tiene che egli sia acqua condensata, e non rare¬ fatta: ed è la seconda maniera. Prima, se è vero, secondo il creder vostro, che il freddo abbia virtù di rarefare almeno il ghiaccio, e massimamente quando ancora è acqua, poi cheilite a car. 5 [p*r. 6f», Un. sò|: < l’acqua nel ghiacciarsi cresce ili mole>; egli dovrebbe, per l’acqua aggiunta nella guastada, crescere e non iscemare: perchè quell acqua, raffreddandosi grandemente, dovrebbe rarefarsi e ampliar la mole per la medesima cagion del ghiaccio, e con ragione ; perchè, essendo più 1 acqua die il ghiaccio, parrebbe che il crescer dell’acqua fosse più che lo scemar del ghiaccio. Ma por la vostra esperienza segue il contrario: adunque l’esperienza 40 T)I LODOVICO DELLE COLOMBE. 351 prova contro rii voi, cioè che il ghiaccio non è acqua rarefatta. E se aveste dif¬ ficili tà del poco freddo, il che non credo, perchè quello che fa il molto, propor¬ zionalmente fa il mediocre freddo, sì come il poco caldo, benché rarefacela poco, rarefò quanto può; nulladinieno, per levar questo dubbio, caccisi la dotta guastarla nel ghiaccio, sì che V acqua venga freddissima, e vedrassi clic non crescerà l’acqua di mole. Direte che nello stesso tempo che si introduce la forma del ghiaccio, in quel medesimo instante si rarefà V acqua? Questo non può dirsi, perchè non solo si è mostrato che anche fatta ghiaccio scema, ma eziandio perchè, lo alterazioni preparatorie alla forma si fanno in tempo successivamente avanti che la forma io s’introduca : ora la rarefazione per voi è preparatoria alla forma del ghiaccio, avendo detto: < l’acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e ’1 ghiaccio già fatto è più leggior dell’acqua >: adunque si dee rarefar l’acqua avanti che riceva la forma del ghiaccio, il che si fa per V introduzion del freddo a poco a poco; e perciò a poco a poco dee rarefarsi, e non in un istante. Tutto questo si pruova per espe¬ rienza, perchè il fuoco riscalda la mano a poco a poco e non immediatamente, benché eccessivo sia il calore; il simile fa la neve raffreddando: nè io crederò che lo neghiate. Eccovi mostrato, Sig. Galileo, che il ghiaccio è acqua condensata, e clic T esperienza della guastada prova contro di voi, so è vero che scemi; e se non è vero, adunque resta fermo che il ghiaccio sia acqua condensata, per le ra¬ so gioiii dette di sopra. Non posso tenermi che io non dica qualche cosa, per mostrar elio a torto impugnate il Buonamicò, uomo di tanto valore : se ben non dovrà parer maravi¬ glia, poi clic il medesimo fate ad Aristotele senza riguardo alcuno, tassandolo fin nella persona con darli d’ambizioso, dicendo a car. 05 132, li». :ig — pa*. 138, liti. 11 : < mostra in Aristotele la voglia d’atterrar Democrito supcriore all’esquisitezza del saldo filosofare : il qual desiderio in altre occasioni si scuopro > ; e così volete che egli disputi co’grandi non perchè stimi di aver ragione, ma per ambizione, facendo apparir vero anche il falso, purché rimanga superiore. 11 Buonamico, adunque, a cui fate sì gran romore in capo, per non essere so stato inteso da voi, viene da voi senza ragione impugnato. Primieramente egli parla contro a Seneca, il qual referisce che in Siria è uno stagno dove i mattoni soprannuotano, e per lo contrario nello stagno Distorno tutte le cose, che soglion notare, calano al fondo, e in Sicilia sono alcuni laghi che reggono a galla chi non sa notare; e ricercando Seneca la ragione di tante diversità, risponde, con la regola d Archimede, che le cose piè gravi dell’acqua vanno al fondo, le più leggieri galleggiano, e le eguali di peso con 1’ acqua stanno sotto il livello del- 1 acqua, dove son posate, senza scendere o salire. Ora, per tale occasione il Buonamico esamina la dottrina e regola d’Archimede, e finalmente conchiude che volentieri accetterebbe questa regola per buona, se tal regola non discordasse i° dalla dottrina d’Aristotele : la qual maniera di parlare non fa comparazion tra DISCORSO APOLOGETICO 35'J V autorità d’Aristotele e quella d’Archimede, tome vi credete, ma tra la dottrina dell’ uno o dell' altro in cosa che più appartiene al filosofo naturale che alle matematiche; però con molta ragione poteva aver per sospetta la dottrinad’Ar¬ chimede. Dice benissimo il Buonamico, che per la regola d’Archimede ne segui¬ rebbe cho l’acqua fosse più gravo della terra, se il notar de’ mattoni, messo in campo per dubbio da Seneca, si cagionasse da questo, che le cose che nuotano fossero più leggier dell’ acqua, poiché i mattoni son di terra. Ma perchè avete più tosto fatto P indovino che inteso il Buonamico, di qui nasce 1’ error vostro. Nè importa al Buonamico, per rispondere a Seneca, se il problema sia favoloso o vero; perchè a lui basta mostrar clic la regola d'Archimede non solverebbe io il dubbio. Ora, se stimate Seneca (pianto Archimede, potrete a vostra iiosta lasciar tal dottrina coinè falsissima, secondo che avete promosso ; perchè se la regola d’Archimede secondo Seneca solve il dubbio, l’acqua peserà più della terra, il che ò inconveniente grandissimo, lasciate, adunque, P esemplo del vaso di terra, perchè non fa al proposito. V altra obiezion che fa il Buonamico, del legno che per altro galleggia, ma pregno e ripieno d’ acqua nelle sue porosità cala al fondo, non è meno efficace della prima. La ragione è, perchè egli intende di mostrar che non sia vero che il legno galleggiasse come più leggier dell’acqua in ispezie, ma perchè, es¬ sendo Paria nello sue porosità corno in luogo e in sua natura, come sarebbe 20 se fosse in un vaso, non può mutar di spezio quel legno; e però galleggiava, non come più leggieri in ispezie. ma come sostenuto dall’aria più leggici 1 del¬ l’acqua; perchè se, cacciata l’aria, cala al fondo, bisogna dir che fosse in 1 ispezie più grave dell 1 acqua, e cho per accidente dell’aria inclusa ne.’ pori gal¬ leggiasse: che però attribuisce il Huonamico cotali effetti al dominio degli ele¬ menti e alla facilità del inezo, e con molta ragione, poi che questa regola sarà molto più lontana dall’eccezioni che quella d’Archiraede, e conseguentemente sarà migliore; tanto più che voi dito che non vi t» differenza tra l’una o l'altra regola, a car. 24 Ipmt. ss, Un. 86 pa*. S7, linai, se non che vi par che la cagion più imme¬ diata, come ragionata dal predominio dell’elemento, sia la gravità e leggeremin so eomparazion del solido e dell’acqua; oltreché la cagione addotta da Archimede vi pare più nota al senso. Alle quali due cose si risponde rosi. Se bene è vero che la gravità e leggerezza nasce dal predominio dell' elemento, ma però come da causa strumentale della forma ; nondimeno, procedendo da esso anche altre qua¬ lità, come sarebbe nel proposito nostro la siccità cagionante l’antipatia con l’acqua che è umida, e chiamandosi predominio dell’ elemento ancora quando T aria che ò racchiusa e locata ne' corpi li sostimi che non calino al fondo nel- T acqua, benché non siano più leggieri in ispezie, però miglior regola è questa che non è quella, che é tanto manchevole. Oltre acciò si sfuggo quel modo improprio di parlare, cioè grave o leggieri in ispezie, attribuito all’ intelligenza 40 1>1 LODOVICO DELLK COLOMBE. 353 d’Archi mede, che nuoce non poco alla sodezza della dottrina, comesi mostrerà fuor di quel che sen’ è detto, o imparticulare si vede nel patir tante eccezioni, le quali non vi sarebbono senza questo ristringi mento di regola. Alla seconda cosa si risponde che non è meno occulta al senso la ragion dell 9 esser più grave o men grave in ispezie, ma molto più di quel elio si sia quella del predominio dogli elementi. Imperochò allora sapremo elio una cosa sia più grave in ispezie dell 5 acqua, non subito che vi è posata dentro, ma dopo alquanto tempo, acciò che se aria o altro desse impedimento o aiuto, venga a rimuoversi, e lasciare il corpo in sua natura di gravezza o leggerezza, il che non può anche avvenir iu sempre. Ben può conoscersi nella bilancia questo errore, perchè l’aria su la bilancia non fa effetto di leggerezza, come fa nell’acqua. Anzi che il senso anche nella bilancia rimarrà smarrito, poiché quel che sarà più grave in ispezie dell* acqua, galleggerà (se non son favolosi i vostri esempli addotti), e il più leve calerà al fondo, come fa la spugna. Però, dovendosi ricorrere alla ragione, si debbe andare a quelle cause che hanno meno eccezioni, come è il dominio degli elementi e la facilità del mezo; si come ricorrendosi al senso è più sicura questa che la vostra regola, benché fosso più immediata ragione la gravità e leggerezza, procedendo dal predominio, cioè dal denso e dal raro come cause strumentali pendenti dalla materia. 20 L’esempio del vaso di legno, che dite esser per esperienza falso, il Buona- inico se nc rimetto ; e crediamo al vero senza pregiudizio della sua dottrina, bastando clic sia vero il primo esempio per confermarla : e ancorché esso fosse falso, non però sarebbe men vera la dottrina; imperocché ù molto diverso dare esempio non vero circa vera dottrina, e render ragione d’ esperienza falsa cre¬ duta per vera: sì come dicendo io: < 11 sole ha virtù di liquefare >, e per esempio n’adducessi i mattoni fatti allora così molli o il fango, conciosia che egli lo disecchi e non lo liquefacela altramente, nondimeno la verità sarebbe che il sole ha virtù di liquefare, ma non ogni cosa, perchè siintende regolarmente in «ab¬ bietti ben disposti. Non è, adunque, la gravezza o leggerezza in ispezie sempre so causa del galleggiare e dell’andare al fondo, ma il predominio dell’elemento e la facilità del mezo, nel quale si comprende anche la regola d’ Archimede, come iu termine più ampio. Adunque disse bene il Buonamico, e vera e salda riman la dottrina peripatetica, contro il creder vostro. Clic questi termini di più grave o più leggieri in ispezie, allargati e distesi da voi a quelle cose ancora che non son tali propriamente, ma solo per virtù dell’aria o altro corpo aggiunto o levato, siano sconvenevoli a uomo scientifico e cagionino equivoci strani e conclusioni false, si conoscerà nel mostrar la vanità loro ; nè gli avrebbe usati Archimede in modo alcuno : anzi sto in dubbio che quei matematici che hanno voluto intender, la sua regola della gravità o leggerezza in comparazione 40 al mezo doversi ricevere con distinzione specifica, e non semplicemente come è IV. 45 354 HI8CORMO APULIH.IKTICO profferita da lui, siano stati più adoni che utili verso Archimede; poi die non piace anche al Iìuonamico, mostrando che patisce tante eeeezzioni. (Vane volete mai, per quel che aspetta alla vostra ampliamone specifica, c he 1’aria contigua a un corpo o anche come locata in quello, possa farlo differente ili spezie da quel che era prima? 0 se cotali accidenti mutassero Ir cose di spezie, non sarebbon tante varietà e mutazioni di colore nel camaleonte. l T n vaso di rame o d’altra materia pieno d'acqua, sarà mutato di spezie? e poi ripieno d’aria, quando non vi sarà pili acqua, sarà d* un’altra spezie? e così di tutti* le cose. 11 medesimo accadrà ancora ne'corpi piani, secondo che la superficie loro sarà dall'acqua o dall’aria circondata ? Cosi legno con ferri» e ferro con pietra, quello che predominerà di io peso o di leggerezza, secondo la mutazion del inezo, si muterà di spezie? E cosi la mutazion del luogo ancora cagionerà nnlhi medesima cosa mutazion di spezie? Risponderete che non si muta la natura della cosa, si che in sustanzia non sia la medesima, ma si muta quanto alla gravità o leggerezza, senza pregiudizio alcuno dell’essere specifico e naturale. K io torno a dire che nè anche quanto al peso si debile usar questo termine specifico, atteso che il più o men grave o leggieri non muta la spezie della gravità o leggerezza, ma solamente la semplice gravità è differente dalla semplice leggerezza i>er ragion del subbietto in cui risiede, perchè sono i «abbietti differenti di spezie fra di loro; ma se non si muta di spezie il subbietto, non si muterà mai la gravità. Oltre acciò, pesate un vaso 20 d argento pieno d* aria, e poi riducetelo in una massa, che non sia vóto nè incavato; e vedrete che peserà il medesimo, senza esser mutata la natura del¬ l’argento: adunque T aria non li aggiugneva leggerezza, poi che non vi essendo, pesa il medesimo. K *e a metterlo nell acqua appare che pesi manco pieno d’aria, non è veramente così ; ma è che l’aria lo sostiene per non dare il vacuo, come dissi di sopra, non jKitemlo ella ritornarsene al proprio luogo. Ondo non solo non è scientifico il termine di più grave 0 più leggieri in ispezie, ma non ò anche vero che sia più grave o più leggieri, se ben por la mutazion del luogo apparisce tale : e però benissimo il lluon&mico attribuì tali effetti al dominio degli elementi, e non alla gravità, l)omin, che voi vogliate che il semplice muta- 30 mento di luogo, che in vero non pon nienti* nella cosa locata, muti le cose di spezie? Non potete anche rispondere che, se ben questi termini sono impropri al filosofo, soii però tali al matematico, che fanno chiara la dottrina e senza ambiguità più che in altra maniera; perchè si è mostrato il contrario e si mo¬ strerà ancora. Io alzo e sollevo un pi*so di venti libbre; e cosi sollevato, 1 aria non vieti violentata da lui, e par che non pesi in essa : adunque per questo estrin¬ seco reggimento, sarà do ventato più leggier dell* aria in ispezie 0 sarà veramente piu leggiero? Si dirà ben, che egli, per esser sostenuto, non aggrava tanto; ma die egli sia men grave, non già. Cessi per tanto il Sig. Galileo nel dir che l'aria congiunta, come contigua 0 come locata, a i corpi che si uietton su 1’ acqua, li ^ DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 355 faccia più leggieri in ispezie; e confessi eziandio che nè anche impropriamente detto operi cosa veruna di buono in tal proposito, ma nuoca grandemente, e cagioni molti equivoci e stroppiameli di dottrina c conseguenze false. E linai mente voi stesso, a car. 21 [pa&. Si, lin. 9-15], volete che la gravitò specifica del solido non venga mutata per aggiunta del corpo dell’ acqua, o conseguentemente non sia vero elio tali componimenti facciano i corpi più gravi in ispezie o meno; atteso che, par¬ lando dell’ acqua che riempie la boccia di vetro o i pori del legno, donde si scaccia l’aria elio vi era locata, dito che si fa un composto d’acqua e di vetro, c d’acqua e di legno, che rende l’uno e l’altro tale in gravitò quale era natu¬ ro miniente, e non si fa più grave per l’aggiunta del corpo dell’ acqua, perchè l’acqua non è più grave di sè stessa e però non aggiugne peso: e questo si intende rispetto all’ acqua dove si deve posare il solido, perchè altramente non sarebbe vero che T aggiunta dell’acqua non accrescesse gravezza, semplicemente considerata in composizione. Ma io osservo qui grandissima contrarietà circa i vostri fondamenti, e che, se ben si considera, avete rovinato totalmente la Prin¬ cipal machina vostra, solo per rispondere al Buonamico, benché male. State attento digrazia, Sig. Galileo. So voi volete che 1’ acqua aggiunta in composizion del vaso e del legno non faccia altro effetto che scacciarne 1’ aria estranea, acciò che quel corpo rimanga della sua gravezza naturale e specifica, bisognerà dire, 20 per lo contrario, il medesimo quando si aggiugne 1* aria a’ medesimi corpi, cioè che l’aria non aggiunga, entrando in composizione della boccia di vetro e del legno, leggerezza alcuna che li muti di spezie, ma solo siano da lei impediti clic non possan calare al fondo, e non per causa di leggerezza che vi aggiunga « l'aria, essendo che non è naturale nò della composizione speciale di quei corpi l’aria aggiunta; altramente, quando l’acqua la cacciò da loro, avrebbe mutata la leggerezza specifica, contro il vostro detto. Adunque se il legno e la boccia di vetro galleggiano per cagion della composizion dell’aria, avverrà non perchè essi in ispezie siano più leggieri, perchè son più gravi dell’ acqua, come af¬ fermate voi medesimo: adunque malamente affermate che la composizione muti so le gravità e leggerezze specifiche, e massimamente la composizion dell’aria. Per¬ tanto avete contrariato a voi stesso, affermando e negando che l’aria per la sua congiunzione co i solidi muti la gravezza loro in ispezie. Anzi, come si ò detto di sopra, non solo non la muta, ma non aggiugne nè leva di gravità in modo alcuno : ma perchè con la sua presenza regge, si dice aggiugner legge¬ rezza, sì come per privazion di essa i corpi si dicono esser fatti più gravi ; ma non è mutazion vera di gravezza, non che mutazione specifica. Siete voi chiaro adesso? Quel vostro termine o distinzione di gravità assoluta, non è anche egli il miglior del mondo: perchè assoluto si domanda quello che non ha rispetto, nè 40 si considera in comparazione ad altro ; ora, questa gravità si considera respetti- DISCORSO APOLOGETICO :156 vamente, adunque non fi buona distinzione. Ma perchè ella, intesa al senso vostro non nuoce, si potrà passare. All’ ultima obiezion che fate al Huonamico, per tornare a lui, cioè che egli stimi Archimede essere d’opinion clu* il leve non si ritrovi no'corpi naturali credo che vi inganniate indigrosso: concioeiu che egli vuol rispondere a una tacita obiezione, quando afferma che Aristotele ha oomfutato gli antichi e provato falso il creder loro, con mostrar che sì come ci <• il grave bisogna dire che ci sii anche il love assolutamente ; o l’obiezione è che, se gli effetti del calare nel- l’acqua al fondo e ’l galleggiare si devono attribuire al dominio degli elementi insogna mostrar che sia falsa 1' opinion di coloro che dicono non esser nel mondo io il leggiere assolutamente, acciò clic si imi -a ascrivere aziono a tutti gli elementi quanto alla gravezza e leggerezza, secondo »! predominio; perchè altramente ne seguirebbe che la sola gravezza ave-sc azione secondo il più grave verso il moli grave : ondo senza altra prova pareva bastante il dir rhe Aristotele avesse levata questa dubitazione. Ora, perchè 1’ esemplo de’ venti non ci ha luogo, non acca- derà che io mostri che non sarebbe a proposito. Ma se volete che io dica il mio pensiero, voi avete finto di creder cosi per mettere in campo la disputa della leggerezza, se si trovi o no : tna perchè n’ ho detto il parer mio nel discorso cita¬ tovi, che vedeste, contro il Copernico, e non ci avete risposto, aspetterò che fac¬ ciate maggior risentimento di questo che fate adesso; perchè, a dirne il vero, se ss l’altre ragioni che avete non son miglior di quelle che per ora io veggio in favor della vostra opinione, potrete, per onor vostro, non ne parlar mai più. È vero che l’aria ha, per la sua leggerezza, inchinazione a star sopra l’acqua; ma non già nel suo luogo si muover»! per andar più su nel luogo del fuoco, perchè rispetto al foco è grave; però non può ascender nel luogo di quello, e si ferina, uscita dell'acqua, quasi subito o secondo l’impeto con cui fu spinta. Nè è incon¬ veniente alcuno il dir eli»; » corpi levi, come, v. g., il fuoco, benché per sua pro¬ pria inclinazione abbia facoltà d' ascendere verso il concavo della Luna, asconda più tardo quando sia nell'aria che nell’acqua. Iuiperochò. oltre al suo moto naturalo, avendo il moto dell'impulso dell'acqua, elio è più efficace che non è!» Quello dell'aria, che maraviglia se .ascendesse più tardo nell’aria? il che si nega, nè voi mel farete vedere. Ma per questo sarà vero cho non abbiano moto proprio o da causa intrinseca, perchè non andassero così veloci per l’aria come per P acqua, se nell' aria manca quel maggiore impulso V Anzi si può negare, e con ragione, che 1' esalazioni ignee nell’ acqua ascendano più prosto che nei- 1 aria ; perchè, se ben vi è di più accidentalmente il movimento dello scacciar che fa 1 acqua tali esalazioni come più levi, a rincontro cotali esalazioni, come ammortite e rose dall’ umido e freddo, che domina, più gravi e corpulente, non possono speditamente operare emettere in atto la virtù loro d’ascendere in alto: e però si muoveranno più tardi nell'acqua che nell'aria, poiché nell’ aria, per -io DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 357 la simigliala clic hanno seco» si ravvivano e son più in alto e più al proprio luogo vicine; donde nasce che verso il fino del moto lo cose e corpi naturali v an no più veloci. Ma che il fuoco sia assolutamente leggieri da principio intrin- sico, veggasi per esperienza che mi globo di fuoco maggiore ascende più veloce¬ mente per l’aria che non fa un minore; e pur se fosse grave dovrebbe far con¬ trario effetto. Adunque non concilimi» cosa alcuna il vostro argomento, il possibile, Dio immortale, che nè voi, nè chi vi consiglia, conosca queste fallacie V Chi volete che non conosca che voi il fate apposta? Vengo ad Aristotele, circa l’intelligenza del testo: e dico clic ella non consiste io nell’ accoppiamento e positura di quell’avverbio &'implicite)- però siavi concesso il locarlo dove piace a voi, perchè il senso non si muta in modo alcuno, se già la vostra grammatica non fosse diversa dalla nostra, come la filosofia, lo per tanto non so veder elio la mutazion di quell’avverbio inferisca mai se non il medesimo, cioè che le figure non son causa del muoversi o non muoversi semplicemente in su o in giù, masi bene del muoversi più velocito più tardo, come dite voi an¬ cora; con questa intelligenza però, che la figura larga della tardità del moto è cagione perchè 1* impedisce, e della velocità per la sua assenza. Ma non so già che da questo si possa cavare che quello che è causa di velocità e tardità nel moto per accidente, non possa esser cagione anche di quiete per accidente, sì come quel 20 che è causa di moto per sè è causa di quiete per se, come si è provato lunga¬ mente di sopra. Però, quando Aristotele esclude le figure dall’esser causa del moto assoluto e semplice, e conseguentemente dalla quiete, non P esclude dalla quiete che si cagiona per accidente, si come nò anche del tardi e veloce muoversi; nè io ho mai tenuto altramente. Supposto questa verità, vano e a sproposito è fatto intorno a ciò tutto il discorso vostro, per difetto di buona loica. E notisi che quelle parole del Buonamico, De causis adiuvantibus gravitatevi et levitatevi , non voglion dire che siali cause per sè, ma per accidente; nè si può intendere altra¬ mente, come egli medesimo dichiara nel medesimo capo citato da voi, dicendo » causavi gravitatis vel levitatiti per .se esse naturavi (dementonon, e così tutti gl’ili¬ so terprcti famosi d’Aristotele; nò altro vuol diro causa secundum quid , che causa per accidente. Ma, secondo ch’io veggo, questa distinzione per se et per acoidens non quadra alla vostra dottrina; però fingete di non Pintendere. Vedete adunque che Aristotele, nel 4 della Fisica al testo 71, non contraria a questo del Cielo, come vi pareva ; e così in ninna altra maniera vien censurato a proposito da voi. E quando dite che, se le figure son causa di quiete per esser larghe, ne se¬ guirà che le strette siali causa di moto, contro a quello clic afferma Aristotele; si risponde, che è vero per accidente Pano e l’altro : nè questo è contro Aristotele, che non vuol che siali cause per sè, ma cause solamente per accidente, nè è incon¬ veniente alcuno ; sì come io posso per accidente esser cagione clic una trave legata 40 al palco d’una casa si muova in giù, sciogliendo la fune che le faceva impedimento. DISCORSO A PO 1.00 ETICO 358 Circa il dir poi che Arrotatole non abbia ben filosofato nell* investigare le so- luzion de’ dubbi che ci propone, vergiamo se è vero, e se egli ha ben soluto il dubbio dell’ago, che a voi è ancor dubbio. K possibile che stimiate, Aristotile avere inteso che l'ago si ponga nelPacqua u giacere, perchè ha detto che le ligure lunghe o ritonde, si* saranno minori e men gravi delle falde larghe di ferro e di piombo, andranno al fondo? Qual è quel ma¬ tematico che non sappia che le dimensioni del corpo non latitudine, longitudine e profondità? e che la latitudine, per esempio, dell'ago è quella che noi diremo grossezza, e d’una cosa lunga, nella grossezza non rotonda, s’intende quella parte che è più larga, e la longitudine dalla cruna alla punta, e la profondità dalla su- io perfide al suo centro? Ora, se le piastre di ferro si devon mettere su l’acqua per la latitudine e larghezza, per lo contrario la lunghezza dell ago è quella che dev esser la prima a toccar la superficie dell'acqua, che è dalla punta o dalla cruna; altramente, non posereste su 1 acqua l’ago per la lunghezza, ma per la larghezza. Posar i>cr lo lungo vuol dire a perpendicolo e retto; ma per lo largo, si intende a giacere, come si direbbe a giacere una trave distesa in terra. Ma che più ? A voler che Pago e la piastra facciano effetto diverso, bisogna posarli diver¬ samente. E, finalmente, le cose hi debbono usar per fare un effetto in quella ma¬ niera che elle possono operare, e non altrimenti. Io dirò per esempio: < La sega recide il legno > ; ma se voi diceste che non fosse vero, e perciò voleste che io lo re- 20 dilessi dalla costa e non da i denti della sega, fareste ridere i circostanti, perchè di quivi non Intaglia, tirassi per questo che abbiate ragione? Se io la volterò dal taglio e che non lo tagli, allora sì che avrò il torto. Così dico dell’ago; se a metterlo nell’acqua retto, che è quanto dir per lo lungo, non cala al fondo, avrete ragione contro di Aristatile; ma egli vi cala; adunque contentatevi di esser chiaro che dice il vero, e voi il falso. Nè so io vedere, perchè si debba pigliare un ago piccolo, il quale non abbia peso convenevole, acciò possa calare al fondo ogni volta che voleste pur metterlo a giacere; poi che, come dissi disopra, voi stesso volete che si pigli tanta quantità di materia, che possa operare. Direto che si debile prender piccolo, perchè, avendo detto Aristotile che le cose rotonde minor 20 della piastra calano al fondo, come sarebbe una palletta di piombo, se l’ago do¬ vessi prendersi grande, come vogliono alcuni, avrebbe detto uno sproposito; im¬ però che chi non sa che se la palla così piccola va al fondo, vi andrà anche l’ago, die è un cumulo di molte palle? A questo rispondo, primieramente, che avendo Aristotile detto < come rotonde o ver lunghe >, si può dir che intendesse d’un solo di detti corpi, al piacimento di chi volesse provarlo, o non dell’uno dopo l’altro, per rinforzar l’argomento. K meglio si dice, che Aristotile non faceva il dubbio circa il peso fra di loro, ma circa le figure principalmente; e perciò non ci lift luogo la vostra dificultà, nè potete in modo alcuno argomentare ch’egli inten¬ desse differenza di peso tra la palla e l’ago. Onde si poteva con ragione, dopo 40 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 8&U hi palla, dir dell’ago, perchè le figure rotonde son molto diverse dalle lunghe; onde si poteva dubitare anche fra di loro. Però sciocchezza è il creder che, di¬ cendo minora et rninus gravici, faccia comparazion «lei peso fra l’ago e la palla; ma sì bene fra le lamine grandi e questi corpi minori, ma non minimi, come dito voi nella aggiunta. Oltre acciò è da avvertire, che questi esempli son del vostro Democrito, e non d’Aristotile, il quale appo voi non è un balordo. Non è falso, adunque, che l’ago vada al fondo, sì come nè anche le palle di piombo o di ferro, pigliati però l’uno e l’altre di peso convenevole; perchè altramente egli medesimo afferma che per la picciolezza, ben che di materia gravissima come è l’oro, non io solo tali corpi nuotano su l’acqua, ma vagano anche per l’aria. La polvere e il liso dell’oro, e non le foglie dell’oro battuto, nuotali nell’aria, quanto a quel va¬ gamento che dite voi: nè intende altrimenti Aristotile, volendo mostrare che per la picciolezza quei corpicciuoli sono di sì poca attività, che lentissimamente di¬ scendono, come pochissimo abili a dividere il mezo; e questo, eziandio che non tiri vento, accade sempre, se ben molto maggiormente quando l’aria è agitata da’venti. E siavi ricordato che altro è dir notare nell’aria, altro è soprannotar nell’acqua: perchè quello che nuota nell’aria, perchè è nel corpo e non nella su¬ perficie dell’aria, è necessario che non istia fermo, ma cali ai fondo più tardi o più veloce, secondo la sua gravezza; ma quelle cose che soprannuotano, stanno 20 sempre su la superficie senza discendere, se nuovo accidente non sopragiunge, come avviene alla polvere nell’acqua, che, inzuppandosi e bagnandosi, quindi a poco si vede calare; e voi stesso affermate che la minutissima polvere indugia le giornate intere a calare al fondo. E questo dice Aristotile, e non altro, in tal proposito. Aristotile, bene inteso, comfuta Democrito nobilissimamente; ma non è ria ogn’uno. Però (piando volete che non possa accadere che quelle esalazioni ignee più velocemente asciendano nell’aria che nell’acqua, come in parte dite aver di¬ sopra dimostrato, si risponde, come in parte di sopra s’ è risposto, che elle vi ascendono più veloci infallibilmente. so Sopponete adunque per vero, secondo Aristotile, clic ci sia il leggieri, sì come il grave, da lui stato provato ne’medesimi libri del Cielo contro gli antichi; e se non volevate supporlo, era necessario confutar le sue ragioni, le quali ancora po¬ teste vedere ne’ libri della Generazione più ampiamente, e non passarvela alla ma¬ gistrale, con bastar che si dica: < Pittagora l’ha detto >. Supponete di più, per le sopra mentovate ragioni in difesa del Buonamico, che le esalazioni vadano più velocemente in su nell’aria che nell’acqua. Supponete ancora che Aristotele in¬ tenda che i corpi che hanno da esser retti nell’ acqua e nell’ aria da dette esala¬ zioni, abbiano tutte le condizion pari, fuor che quella di che si disputa, cioè 1 esalazioni: e troverete che infallibilmente sarebbon meglio tali corpi sostenuti 4o nell aria che nell’acqua per causa deli’esalazioni solamente; perchè Aristotile lUKOuliSO APOLOGETICO argomenta alla mento di Democrito, clic leva in tal caso ogni facilità all’acqua senza che facciamo eomparnzion dello gravità del mezo e del solido; se già a mente vostra non si facesse un corpo che nell’acqua appena calasse, e un altro elio nell’ aria facesse il simile, acciò fossero pari anche queste condizioni, e allora vedreste L’ottetto se l’esalazioni operassero. La ragione è, perchè nell’acqua ne sono pochissime e fiacchissime, corno si è provato; nell’aria ne sono infinite, sparto per ogni parto, e perciò non possono disgregarsi e sparpagliarsi mai tanto, che ad ogni modo sotto quel corpo non ne rimanesse e non ne sottentrassero dell’altre come reggiamo che fa il fumo alla carta e il vento aU’altre cose che dall’impeto loro son levato in alto. Nè è vero che si sparpuglinoquando l’impeto loro vince io la resistenza del corpo sopraposto; perchè altramente il fumo e il vento non cle- verebbono in alto que’corpi. Data adunque parità de’corpi larghi nell’aria come nell’acqua, pure elio il mozzo non operasse cosa alcuna, se fosse vero che le esa¬ lazioni solamente dovessero sostenere, e non fosse l’acqua, come vuole Aristotele che sia, senza dubbio molto meglio si sosterrelibono nell’aria clic nell’acqua. Oltre che il corpo dell’acqua, per esser contrario di qualità all’esalazioni, bisogna cho le dissipi e travagli, siche non possano rottamente e unite ascendere: altramente sa rei) lion più quelle neH’iicqua che le stesse parti della stessa acqua; il che è incredibile, e voi medesimo provate contro Democrito non esser possibile. Male poi tanto ha filosofato Democrito, o voi con esso lui, e non Aristotele. so L esperienza che adducete del vaso di vetro pieno di acqua bollente, per mo¬ strar ohe pur tale maniera si possa far sostenere qualche cosa grave da i cor¬ puscoli ignei, se bene è vero il sostentamento, non è vera la cagione in modo alcuno. Como volete che i corpuscoli entrino nel corpo del vetro e lo penetrino? Non sapete che è impossibile che un corpo penetri l'altro? E so pur fosse pos¬ sibile, non credete che l’acqua gli affogasse, e spegnesse la virtù loro? Sapete voi donde nasce quel sollevamento di quel corpo che è nell’acqua? Quella qualità calida del fuoco sottoposto al vaso di vetro si comunica, per lo contatto, alla 8U- stanza del vetro, c dal vetro si comunica all’acqua: onde l’acqua, alterata e * commossa ila quella qualità sua contraria, si rarefà e gonfia, c circola in sè me- se desi ma per refrigerarsi o conservarsi contro il suo distruttivo; nè potendo total¬ mente resistere, se no risolve parte in vapore aereo e calido, il quale, facendo forza di evaporare all’aria, solleva quel corpo elicè noli’acqua e gli soprastà, so però non è molto grave. Aristotele, per tornare a lui, ha non solo impugnato benissimo Democrito, ma nel medesimo tempo ha resa la cagione di tutti gli accidenti da lui proposti, ) iducendola alla facile e diffìcil division del mezo e alla facilità del dividente, fatta comparazione ancora tra la gravezza degli uni e degli altri; come che voi neghiate, Aristotele avere avuto questa considerazione, solo perchè non l’avete veduto. io DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 361 Digrazia, mostratemi quest’ambizioso desiderio d’Aristotele di vincere sem¬ pre, Signor Galileo; perchè se voi mi fate veder che sia vero, con provar elio De¬ mocrito sia stato impugnato a torto, io dirò che in questa parte egli non sia men curioso di voi. Dice Aristotele, che se fosse vero, secondo Democrito, che il pieno fosse il grave, e il vacuo si domandasse leggeri non come leggerezza posi¬ tiva, ma come causa dell’ascendere in alto, ne seguirebbe che una gran mole d*aria, avendo più terra che una piccola molo d’acqua, discenderebbe più veloce¬ mente a basso che la poca acqua ; il che non si vede adivenire; adunque ò falso. Fortissimo argomento e insolubile: e a voler conoscerlo, bisogna supporre, alla io mente di Democrito, come argomenta Aristotele, che non si dia se non il grave assolutamente, e sia della terra, e altresì Fazione, e respettivamente de gli altri elementi, e per accidente; in quanto, per esempio, l'acqua è scacciata dalla terra sopra di sè, in tanto l’aria sia scacciata dall’acqua, come men grave, perchè ha meno della terra che l’acqua: secondo, che il vacuo, non sendo altro che un luogo voto dove non è cosa alcuna, egli non sia ente positivo, e che perciò non abbia qualità, perchè non entis nullsie sunt qualità/e$. Ora, da questi supposti benissimo si conchiude da Aristotele contro Democrito, che la molta terra nella molta aria sarebbe cagione che ella discenderebbe più presto a basso che la poca acqua, dove è manco terra. La ragione è impronto : perchè se la sola terra è quella che 20 fa l’azione con la sua gravezza, dove è più terra ivi sarà maggiore azione; adun¬ que più presto calerà l’aria che l’acqua nella proporzion detta. Nè si risponda che tanto è grave un grano di terra, quanto un numero infinito di grani, in ispezie parlando, cioè quando siano le parti egualmente compartite nella lor mole, sì che non siano più spesse in un corpo che nell’altro, benché siano più in numero in un di quelli tra i quali si fa la comparazione; e che perciò saranno di pari velocità questi corpi per quanto aspetta alla terra: imperochè si replica che, sup¬ posto che la vostra distinzione speciale cosi intesa fosse vera, avrebbe luogo la risposta, dove gli altri elementi in composizion con la terra operano, come leg¬ gieri più di lei eziandio comparativamente, che il compostosi faccia men grave; so il che non può avvenire, secondo F opinion di Democrito, massimamente dove il mezo è il vacuo, perchè non può compararsi la gravità o leggerezza di esso con quella de’ corpi che si debbon muovere in quello, non essendo nè grave nè leg¬ gieri: e però la sola teriache è nell’aria, comparata con quella dell’acqua, per¬ chè è molta più, farà il suo moto più veloce nel vacuo, secondo il parer di De¬ mocrito parlando, che vuole che nel vacuo si faccia il moto. E questa maggior velocità concedereste anche voi, almeno per causa della gravità assoluta, che è maggiore dove è maggior mole; e tanto più opererebbe Feffetto nel vacuo, per non vi essere rispetto nessuno col mezo, che possa ritardarla. Aggiungo, chè se tosse vero, come tenete voi, che non ci fosse leggieri assolutamente, ma solo il 40 men grave, che l’aria molta con la molta terra calerebbe più che F acqua, al meno iv. 46 362 DISCORSO APOLOGETICO di gravità assoluta, alla quale non avrebbe rispetto alcuno la pravità del mezo poiché sarebbe il vacuo, che non ha qualità nessuna: onde la gravità assoluta della maggior mole, per la quale voi dite il mobile più leggio»- del mezo profon¬ darsi in esso fin che le forze nono equilibrate, non avendo contrasto col mezo perchè è il vacuo, chi non vede che ella sarà ragion di maggior velocità nel corpo della molta aria, che in quello della jxx-a acqua V Nè può il fuoco, che fosse nel¬ l’aria, cagionar leggerezza, perchè per voi non è leggieri ; anzi è il vacuo, secondo Democrito. Da tal conchiusione e discorso vien manifesto, che contro l’argomento d’Aristotile contro Democrito non ha luogo la vostra distinzione specifica farsi dalla molta terra o poca ne i corpi della medesima grandezza di mole, poi che io riesce fallace la maniera d'argomentar per questa via. Anzi lo provo anche nella disputa nostra, dove è il mezo pieno e non il vóto. Un grano di terra èinispezic grave quanto una zolla di venti libbre ; e nondimeno la zolla cadrà più veloce¬ mente a terra che non farà quel grano, sia nell’aria o sia nell’acqua; e affermate ancor voi che nuotar» nell’acqua e stanno i giorni quei grani di terra nell’acqua a calare. Forse risponderete che in un gruno non è peso sensibile, che per ciò nou può vincere il mezo? E io replico che, benché il peso sia minimo, ad ogni modo il {reso ir» ispezie è il medesimo in un grano che in un monte di terra, e che però non operando l’effetto, altra è la cagione. Direte forse che parlate del peso asso¬ luto, e non dello speziale. K io rispondo di più, che questo sarebbe contrario alla 20 vostra dottrina: oltre a ciò si verifica, come dice Aristotele, che un corpo più grande dell’altro, della medesima natura, cala a terra più velocemente; poiché sarebbe da voi conceduto, almeno per causa della gravezza assoluta. Non potete già dir che quel grano abbia nella sua composizion più aria della zolla; perché io vi lari* pigliare in quella vece dell’oro, acciò si levi Poccasion del gavillare; nè voi direste che, data proporzion ili spessezza tra il grano e la zolla, il grano non fosse in gravità eguale alla zolla; e non di meno il grano cala più tardo. Ulti¬ mamente, ricorrerete voi alla figura, che per esser più larga, dove è più ma¬ teria, opera cotale effetto ? Signor no, perchè dovrebbe seguire il contrario più tosto; e bene ad ogni modo avrebbe detto Aristotele, purché l’effetto sia vero so come è. Ma bisogna far P esperienze, quando pigliate il corpo, benché minore, di qualche grandezza, in luoghi a^sai alti, acciò che la differenza sia sensibile; che pelò non si potendo far il» grande altezza, si può in quella vece far gi-andissima differenza tra la mole o grandezza de' mobili : perchè, se la differenza di velocitò e appai-ente in que’corpi elio son molto differenti, chi dubita che ella non sia an¬ che ne corpi che son eli grandezza jioco differenti, ma men sensibile? Che dà maggior percossa, un sasso grosso 0 un piccolo? Il grosso: adunque aggrava più; e se aggi-ava più, vien più veloce. E se pur vi intestaste di voler che il fuoco, benché sia il vacuo, abbia azione di far Paria più leggiere dell’acqua per lamul- tiplicazion di quello, ad ogni modo non |>otreste scappare; perchè sarebbe vero 10 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 363 adunque, come dice Aristotele, che V acqua in maggior quantità dell’aria ascen¬ desse sopra la poca aria, essendovi più fuoco. Diciamo adunque che Aristotele argomenta nobilissimamente contro Demo¬ crito • e che è vero, che la distinzione specifica non solo non ha luogo controdi lui, ma nè anche tra di noi ; e che non pende detta distinzione sempre dalle molte parti e più spesse di terra in un corpo che in un altro; e che, conseguentemente, sia miglior regola di tutti questi effetti la considcrazion del predominio degli elementi e la facultà del mezo. E che dite voi dell’olio e altri corpi, elio sono molto più terrei doli'acqua, iodata parità di mole, e nulla di meno galleggiano? E acciò elio non attribuiate all’aria cotale effetto, non sapete che anche in bilancia pesati son più leggieri del¬ l’acqua, e nella bilancia non ha che far l’aria? Direte: 0 questo è contro alla buona e peripatetica filosofia, che dalla più terra, e non da altro accidente, si ca¬ gioni maggior leggerezza. K io rispondo, che non dalla terra, ma da altro acci¬ dente che dall’aria, si cagiona ancora, e massimamente in questi e altri simili corpi. Perchè non si può dir che l 1 acqua sia per la sua freddezza più densa e di parti più spesse che 1’ umido dell’olio, e che per ciò pesi più P acqua per la sua maggior porzione in rispetto all’olio, se bene è men terrea dell’olio ? Non è egli chiaro, nell’ anelito vivo esser più acqua e men terra che nel ferro e in altri si- 20 mil metalli, e nulladimeno pesar più di essi di gran lunga? anzi, che Aristotile dice che 1* ariento vivo è a predominio aereo, e ad ogni modo pesa tanto. Adunque non è necessario che dove è più terreo, quivi sia maggior gravità; perché vi può esser tanto più acqua o aria in porzione e così densa, che avanzi la gravezza della terra del corpo a cui si compara, ancor che sia molta più. Vedete se anche l’aria può operar questo, oltre al detto d’Aristotile circa Pariento vivo: imper- ciochè Aristotile, anzi voi medesimo, poiché a lui non credete, affermaste in voce, ed è vero, aver pesata 1* aria, egli in un otro, e voi in una fiasca, col collo di cuoio, ben gonfiata ; soggiungo io, non perchè P aria nell’ aria pesi, si come nè anche l’acqua nell’acqua, ben che divisa dal tutto, mentre che non è più spessa e più 30 densa P una che P altra, ma perchè l’aria cacciata per forza nell’ otro e nel fiasco gonfiati si fa molto più densa e spessa di parti che non è l’altra aria naturalmente; di qui è che pesa l’aria nell’aria, perchè è più grave in ispezie, direste voi. E que¬ sta è la cagione perchè si può in tal modo pesar l’aria nell'aria e non l’acqua nell’acqua, perchè, a cacciarla in un pallone o altro corpo, non si può condensare coiìie P aria ; ma sì bene ghiacciandosi si condensa ed è più grave, con tutto che nell’acqua non appaia, per cagion dell’aria racchiusavi, il che non può avvenir nel condensar 1* aria. Mi piace che circa il luogo nel quale si dovrebbe far l’espe¬ rienza, voi beffiate Aristotile, perchè egli lo merita. 0 voi che avete invenzion da trovar cose maggiori, non sapete trovarlo? Non è egli attualmente sopra la terra, •io dove siamo noi V Domandatene Democrito, e vi dirà che è il vacuo. Ora, perchè DISCORDO APOLOGETICO 364 r effetto elio dice Aristotile dovrebbe seguire nel vacuo, elio sarebbe anche dove siamo noi, e seguendo, noi il vedremmo, però dal dire egli che V effetto non si vedo si inferisce anche esser falso ciò che afferma Democrito, cioè ('he il pieno sia il grave, e il vacuo il leve. Sig. Galileo, chi cammina più freddamente adesso, Ari¬ stotile o Democrito? Voi soggiugnete, a carte 68 le»*, iss, lln. 80-81), che noi non ci sappiamo staccar dagli equivoci; e veramente che il detto calza appunto nella persona vostra: im¬ però die di sopra a’ £ provato che quello che resiste alla divisione fatta con tanta o tanta velocità, può resistere anche assolutamente, e così cagionarsi la quiete al moto. Equivocate ancora nel dir che l’aria e l’acqua non resistendo alla som-io plice divisione, non si possa dir che resista più l’acqua che Paria; perchè, sup¬ posto che alla divisione assoluta non resistessero, se ben dell’ acqua s’ è provato il contrario, nondimeno, resistendo circa il più e men veloce muoversi, non è questa resistenza più nell’acqua che nell’aria? K questa velocità e tardità è pur con¬ ceduta da voi. Anzi, che dove fosse la resistenza assoluta propriamente presa, non si potrebbe dir che vi fosse più e meno resistenza, non sendo in modo alcuno di¬ visibile. Li esempli della penna, la canna, il sagginalo, addotti per noi, provano benissimo la facile e difticii divistoli dell’aria e dell’acqua, se. voi farete capitai delle vostre regole di gravità in ispezie e gravità assoluta; e cosi verranno soluti i vostri fallaci argomenti, per le cose dette anche disopra. E quanto al gnlleg- 20 giare 0 calare al fondo per sè, che è un altro punto, non è quello di che trat¬ tiamo noi, nè si disputa, se non che par che meglio sia attribuirlo al dominio dell'elemento e alla facilità del mezo. Può fare il mondo! elio volete che l’accia il sagginale e la cera quando è giunta su la superficie dell’acqua? Domin, che egli abbiano a cercar di salire in aria, se son più gravi di lei? Quella esperienza dell’ uovo è del medesimo sapor dell* altre. Paionvi addirizzati come prima gli argomenti che avevate citati contro gli avversari? To’su, Aristotele: , dice il Sig. Galileo. 0 poveri Peripatetici, so che avete un valente maestro! 0 andate a impacciarvi con Aristotele! L’error che voi stimate comune, di quella nave 0 altro legno che si crede so galleggiar meglio in molta acqua che in poca, è error particolare, perchè è so¬ lamente vostro, sì come a car. 17 li**, 79 , li», so-só] dite contro Aristotele ancora; mostrando non saper che tali problemi non son d’ Aristotele, conio prova il far mioso Patrizio, tomo I, lib. 4. La ragione è, perchè quel legno che deve scacciar le parti dell’ acqua nel tuffarsi, se elle saranno in maggior copia e più profonde, maggiore ancora sarà la resistenza che nel cacciarne poche, non solo per le ra¬ gion dette di sopra a car. 23 li»**. 334, liu. 13-40J, ma ancora perchè l’acqua che è sotto da i lati, benché non cali più giù il legno, quanto è più, più resiste di sotto e regge, e da i lati ancora ne’ movimenti premendo maggiormente, perchè la virtù più unita è più efficace; si come è più difficile a penetrare e dividere un gran 40 DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 365 monte di rena e alto, che un monticello piccolo, perchè manco parti hanno a ce¬ dere il luogo, se ben nell’ acqua fanno men resistenza per esser fluida : ma non è vero che solo quelle operino che toccano il legno, poiché tutte si muovono. Non dico già elio nella quiete non regga a galla una nave tanto la poca acqua quanto la molta, sì come un canapo grosso un dito, per esemplo, reggerebbe un peso di mille libbre come un canapo di 4 dita di grossezza: ma non sarebbe per questo che nella violenza e forza e lunghezza di tempo non fosse più atto a resistere il canapo grosso; sì che, dato che qualche forza potesse rompere il canapo sottile, non romperebbe già il grosso, perchè le molte fila e parti componenti il canapo io si aiutano più fra di loro che le poche: e però, se ben ciascuno è abile a regger quietamente, quello che è più abile reggerà anche più contro al moto e violenza, e con più efficacia. Per esperienza si vede che un corpo più leggier dell* acqua, quanto si spinge più sotto, tanto più cresce la resistenza: adunque quanto sarà l’acqua più profonda, tanto sarà la forza maggiore nel resistere alla violenza; e questo, perchè nel profondo è più calcata dalle parti superiori, e perchè verso il fondo è più unita e ristretta, come avete in Archimede per la regola delle lineo tirate dal centro alla superficie, che ristringon sempre verso il centro e fanno alle parti dell’ acqua luogo più angusto, onde son meno atte a cèdere il luogo loro. E, per lo contrario, si prova ancora che un corpo più grave dell’acqua, solle- 20 vato dal profondo con la mano, più facilmente si solleva disotto che verso la superficie, perchè, per la ragion detta, 1’ acqua del fondo aiuta più, e più efficace¬ mente spinge, che quella della superficie. Nè dicasi che tanto disaiuta quella su¬ periore, quanto aiuta la sottoposta; imperocché 1’ acqua disopra non pesando, per esser nell’acqua, poco o niente disaiuta. Le navi, adunque, che non si metton nell’acqua del mare perchè stiano ferme e scariche, ma perchè solchino per 1’ onde, che fanno impeto e gran commozione, e alzano le navi di maniera sopra il letto del mare nelle tempeste e i cavalloni, che se, nel tornare a basso, l’acqua non fosse molta e profonda, le navi si fracasserebbono, e massimamente quando son molto cariche. E chi non sa che nella molta acqua più agili e più destramente 30 notiamo, che in quella che appunto ci regge ? E come volete caricar molto le navi, e che vadano veloci, dove non è più acqua che quella che basta per reggerle, e più solamente un mezo ditoV Quella poca acqua che è sotto il cui della nave, non è egli vero che più facilmente ne’ moti si distrae, che non fa la molta quantità? Adunque il vostro pronunziato non è assolutamente vero, ma solo nella quiete potrà essere. Che 1’ acque siano più grosse in superficie, come tiene il Buonamico citato da voi, la ragion lo persuade molto, non solo nell' acqua del mare per la sua salse¬ dine, che è maggiore in superficie, e perciò più terrea, ma anche nell’altre acque, se ben nelle correnti non è tanto sensibile come è nell’acque morte; e questo, perchè il sole in superficie attrae le parti sottili e lascia le grosse e terrestri, il 40 che non può fare nel fondo. i DISCORSO APOLOGETICO ar.fi Sig. Galileo, volete voi il giudizio di tutta questa opera vostra? Pigliatelo dal- 1’ ultimo argomento; il quale dovrebbe, per buona retorica, essere più forte di tutti e nulludimeno chiunque il legge si maraviglia che l’abbiate l'atto, non vi essendo proposito alcuno per argomentar contro Aristotele. Volete provare ad Aristotele in questo ultimo argomento, clic non altramente la larghezza della figura è causa del soprannotare, ma la grossezza del corpo come dite anche a car. 45 <" |p»g. uà, lin. is-sij, che è il medesimo che il peso, come avete dichiarato nell’ aggiunta (e in vero cen' era bisogno, perchè è più difficile a intendersi che a solverlo); di più soggiungendo che, quando ben fosse vero che la resistenza alla divisione fosse la propria ragion del galleggiare, molto e molto io meglio galleggerebbon le ligure più strette e più corte clic le più spaziose e larghe. Ora si risponde, quanto al primo capo, che il vostro argomento è sofistico. Imperochè chi non conosce che la grossezza del solido e il peso si vanno accre¬ scendo e diminuendo per causa della figura? Se quella cresce in larghezza, e questi scemano; se quella si diminuisce, e questi augumcntano. Nè si è detto che la gravità non concorra all’operazione con la figura, ma la figura operar come principale. Che maniera d’argomentare è questa, a car. 45? Dite voi: Io scemo e accresco le figure larghe, e ad ogni modo galleggian conio prima; di poi accresco alquanto la grossezza, e subito calano al fondo : adunque non la lar¬ ghezza ò cagione «li varietà, ma la grossezza solamente. Prima, è sofisticheria il 20 dir che le figure larghe, accresciute e scemate, galleggiano corno prima; perchè, se Itene è vero che 1’ une e 1’ altre galleggiano, le più larghe galleggian con più efficacia, poiché reggerebbono addosso maggior peso le più larghe che le più strette, senza calare al fondo. Secondariamente, chi non vede elio aggiugnendo grossezza s’ accresce il peso assoluto contro la resistenza del inezo, benché fosse il mede¬ simo corpo, senza aggiunta di materia? Che maraviglia, adunque, se il soverchio peso fa calar la figura, poiché è sparso per manco punti e parti dell’acqua che quando la figura è più larga ? Se volete che sia ridotta prima la figura in tale stato col peso, che ogni minimo peso aggiunto la farebbe calare, niuno dubiterà clic aggiungendovclo ella non possa reggersi più. Provate un poco se il peso che 30 darete alla figura larga, in guisa che accrescendolo calerebbe al fondo, sia retto a galla dalla figura larga e rotonda, purché sia peso considerabile? Certamente che no; e questo sostenghiamo noi. È fallacia grandissima il dir che la figura si accresca dilatandola, se abbiamo rispetto al peso, dovendosi mantener, come dite voi, la medesima grossezza : sì come è falso ancora che si scemino le figure fa¬ cendo della assicella quadretti, non si scemando la grossezza nè accrescendola, come voi medesimo affermate, contrariando adesso a voi medesimo per contrad¬ dire ad Aristotele, come ora si proverà. Sentite, Signor Galileo. 11 I. edliione originalo legge, per errore: <» car. *Jó ». DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 30 7 Quanto al secondo capo, egli non ò men fallace del primo. Atteso che, se volevate argomentare clic proporzionabilmente lo figure grandi ridotte in quadretti piccoli e molti, uno di quei quadretti gal leggerebbe più facilmente che quando era tutto un quadro c un sol corpo grande, non è chi ve lo neghi, considerando il quadro grande o il piccolo comparati insieme, il peso o la figura dell 1 uno e 1 peso e la figura dell’altro; perchè, come dite voi, il peso del quadretto, rispetto alla sua larghezza, ò molto minore che il peso del quadro grande rispetto al suo perimetro o larghezza; o per(> resiste maggiormente sopra l'acqua il minore, avuto cotal rispetto, e non assolutamente considerati fra di loro. Ma questo non farebbe io a proposito contro di Aristotele ; perchè ('gli non parla secondo questo rispetto di proporzione, ma assolutamente dice che le figure larghe e piane soprannuo- tano, e le strette e rotondo no; o questo è vero. Però ò vero anche che, fatta comparazione tra le figuro più o meno larghe semplicemente, meglio galleggia la più larga che la più stretta, e maggiormente resiste, so ben cavata del medesimo legno e grossezza. E clic sia vero, mettasi un peso, su la più stretta, di tal gra¬ vezza che la spinga appunto al fondo; dipoi si metta il medesimo peso su la più larga; e vedrassi reggerlo da quella, o non calare altramente. E questo è il con¬ cetto (P Aristotele, cioè considerar le figure, quanto all’ operazion loro, l’una verso l’altra. Ne è inconvenevole che la medesima cosa, secondo diversi rispetti, si 20 verifichi diversamente. Imperocché può benissimo stare die un uomo con un sol braccio, proporzionalmente parlando, sia più gagliardo nell’alzare un peso, che un altro con due braccia; e nulladimeno, fatta semplice comparazione tra V uno e T altro, sia veramente men gagliardo di colui che ha due braccia. E questo è il proprio senso nel quale parla Aristotele, nè si dove intendere altramente. Però, volendo argomentar voi in questa maniera al suo vero sentimento, come par che cercaste di fare avanti la vostra dichiarazione per l’aggiunta, se però intendeste quello che dir volevate, dicendo che la resistenza del divider centosessanta palmi d’acqua è maggior che quella di venzei, non vedete che argomentaste a spro¬ posito? Perchè questo non è altro che dire: < Aristotele, fa’, di questo tuo corpo 30 largo, di molte strisce e quadretti ; e poi tienli uniti tutti insieme, a guisa d’ uno di quei foderi di travi elio si mettono in Arno; e vedrai che galleggerà meglio elio quando era veramente tutto un corpo >. Chi dirà elio questo sia buon modo di provare contro Aristotele, clic meglio galleggi un corpo di figura stretta che uno di figura larga ? Son quegli più corpi, o un solo ? E se fosse un solo, anche Aristotele direbbe che, per aver maggior perimetro, galleggcrehbe meglio. Ma non provate già voi che il minor corpo abbia maggior perimetro del grande, con queste divisioni geometriche dello quali siate tanto intelligente. Fate a mio senno : attendeteci meglio, e poi non vi arrischiate ad ogni modo a fare il maestro ad Aristotele. E avvertite, che la resistenza non consiste solo nel taglio elio si dee 40 * ar nella circonferenza; perchè vi ingannereste di gran lunga a crederlo. Voi non :u»8 DISCORSO APOLOGETICO mi negherete però, che la figura, quanto più è larga, più parti di acqua occupi con la sua piazza; e che a volere sottentrar nel luogo di quelle, bisogni scacciarle più tardamente che se fosse più stretta la piazza ; e che dovendo far moto por cedere il luogo, si faccia con tempo, e conseguentemente vi sia resistenza non meno clic allo stesso perimetro, poiché dal centro della figura alla circonferenza assai pomin le parti dell* acqua a partirsi, per cedere il luogo loro al corpo che suc¬ cede : adunque non si fa solo nel perimetro la resistenza, ma per tutta la lar¬ ghezza della falda. Digrazia, riduciamla a oro, acciò che ogn’ uno l’intenda, lo piglio una falda con dieci palmi di larghezza e una di due palmi, e le metto nell’acqua: qual di lor duo avrà più resistenza alla divisione ? Mi risponderete: io Quella di dieci palmi. Benissimo. Or fate conto che quel di dieci palmi fosse dodici, c poi ne fosse spiccato quel di due, che tornerà nel vostro argomento de’ tanti quadretti : e cosi vien chiaro che l’argomento non vai cosa alcuna, I perìmetri poi, che vengon da voi chiamati col nome di resistenza, non so io vedere perchè si debba» domandar con tal nome; se già non lo faceste per generar maggior confusione, come degli altri termini. E questo tutto segue in dottrina del Sig. Galileo contro la sua medesima dottrina, e non d’Aristotele, come malamente egli si crede. Risolviamo, adunque, che le ragioni dell’ avversario, per esser troppo anguste c sottili, vanno al fondo senza speranza di ritornar mai in su; e quelle cl’ Ari- 20 stotele, per esser di forma larga e quadrata, si piantano a galla nè possono affondare a patto veruno, benché 1 ' aria della sua autorità non lo dia aiuto c non le regga in alcuna guisa: nè si trova scampo nè ordigno matematico o mec¬ canico, il qual possa sostentare gli avversari, se non quel disperato che insegna Quintiliano nella sua Retorica, ed è che là dove non si possono scioglier le ra¬ gioni opposte, facciasi vista di non le stimare, e le dispregi o schernisca: Qim dicendo refutare non possamus, quasi fastidiando calcemus. Làup Dko. DI LODOVICO DELLE COLOMBE. 369 * 1 [avendo rivista con diligenza la sopradetta opra del Sig. Lodovico delle. Colombe, di controversia con il Sig. Galileo Galilei, sopra la figura de i corpi solidi intorno (dio stare a galla o andare in fondo, non ci trovo cos ’ alcioni contro la fede calo - Hca nè contro i buoni costumi, ma buona c solida dottrina filosofica e peripatetica. Pad. Ottaviano Aneisa Min. Oss. Veduta la soprascritta relazione del /'. F. Ottaviano Aneisa , quale per ordine nostro ha considerato questo Discorso Apologetico, concediamo licenza si possa stampare, havuta che si hard in consenso del Mólto li. P. Inquisitore. A di 24 d* Ottobre 1012. io Alessandro Arcivesc. di Firenze. Al Pad. Emanuel Ximenes, che vegga per il S. Offizio et refferisca . Dal S. Offìtio di Firenze, li 25 d' Ottobre 1012. F. Cornelio Inquisit. Ho letto questo Discorso Apologetico del Sig. Lodovico delle Colombe, intorno al Discorso del Sig. Galileo Galilei circa le cose che stanno su V acqua o che in quella si muovono ; et non contiene cosa alcuna contro la fede cattolica o buoni costumi, anzi con molta acutezza discorre, et è opera degna che sia data alla stampa. In Firenze , a Ili 26 d' Ottobre, dal nostro Collegio della Compagnia di Giesù. Emanuel Ximenes. 20 F. Cornelio Inquisitore di Firenze. 29 cT Ottobre 1612. Stampisi secondo gV ordini , questo dì 29 (V Ottobre 1612. Niccolò dell’Antella. IV. 47 CONSTO E R AZIONI 1)1 VINCENZIO DI GRAZIA. CONSIDERAZIONI DI M.VINCENZIO DI GRAZIA SOPRA’L DISCORSO DI GALILEO GALILEI Intorno alle cofe che danno fu l’acqua, e che in quella fi muouono. AITIUuflri/Z. ed Eccellenti^. Stg . DON CARLO MEDICI- IN FIRENZE, MDCXIIL PrefTo ZanobiPignonj. 0 ALL’ ILLUSTRISSIMO HI) ECCELLENTISSIMO SIGNORE E PATRONE OSSERVANDISSIMO ir, Signor Don CARLO DE' MEDICI. Sii/HO) r Eccelle liti ss ini o, Molte sono sfate te cai/ioni che m’hanno indotto a scrivere e dedicarle queste mie Considerazioni sopra il Discorso di Dal ileo (io! ilei intorno alle cose che stanno in sa racqua o che in quella si muovono : delle quali è stata la principale il eog nascere che allei per ragion ereditaria si (Dee la difesa delle buone arti e della filosofia. Impervio - chè ella , per la rivoluzion de’ tempi e per il mancamento della greca favella avendo io molto oscurato il suo antico splendore, fu dalla sua Serenissima Casa, non senza infinita gloria di tanta magnificenza, in quello antico splendore restituita : cose che, per essere note a ciascuno, con troppa ingiuria della generosità di sua stirpe ver - rebbano particularizzate nelle magnifici ntissimc azioni di Cosimo il Vecchio, che con simili mezzi s'aquistò il cognome di Padre della Patria, del magnifico Lorenzo, di Leone il decimo, del gran Cosimo primo (Iran Duca della Toscana, e, nella nostra etadc, del Suo Serenissimo Padre; onde si può dire che questo sia come arredo e pregio dovuto a / (/(morosissimo suo linguaggio. E adunque lei, per obligo di sua nobiltà, tonda preservar le scienzie, le quali, quasi fulgentissime gioie ricevendo la luce dai raggi di Sua Eccellenza , in guisa tale ne ravviveranno loro splendore , che -o elleno re/letteran no alla rista di ciascheduno quella luce che le tenebre di oscure nebbie gli avessero potato offuscare, le quali nebbie, come esalazioni nnbilose, alf'ap- purir del sole di V . E. saranno sforzate al tatto dissolversi e svanire. Prenda dunque questo mio discorso, nel quale io intendo difender la filosofia , in quella guisa che l immortale Iddio prende i pieeoli doni de mortali ; il qual dono soddisfacendole, ludo attribuirò a grazia di I . E., sì come ancora de l'esser da lei con tal mezzo annoverato nel numero de' suoi affezionati servitori, del che ne la supplico . Di Fiorenza, questo d) 2 di (jiugnio Iti 12. Di Vostra Eccellenza Illustrissima l T militi ut o Servo Vincenzio di Grazia. A’ LETTORI. Furono sempre, a presso i saggi, tutto quello azioni in prò della verità adoperate non solamente, gradevoli e care, ma ancora degne di perpetua lode; (pandi e eh' io in difesa di quella e d'Aristotile, nc' Ploblc.ini naturali autor di essa, mi son messo a fare queste mie brevi Considerazioni sopra 7 Discorso di Cai ileo C al ilei intorno alle cose che statino in su V acqua o che in quella si muovono. Felle quali io non presumo di difendere Aristotile (non facendo mestieri a sì grand 3 uomo di mia difesa), ma sì bene in dichiarandolo di mostrare, lui da per sb stesso dalle calante itti postegli esser bastevole a difendersi: impcrcioche tutte le ragioni che in esse si ritrnvono dall'opero io aristoteliche sono raccolte , e se ninna vene c mia propia , sarà qualche esperienza o argomento particulare, che agevolmente dai suoi universali si deduce. Il che acciò a tutti sia manifesto, mi b parato conveniente secondo la vulgata divisione d'Avcrroc citar i luoghi d } Aristotile di donde si trarranno gli argomenti : onde maggiormente apparirà , come diceva Fin turco, Aristotile ninna cosa senza gran ragione affermare , e i Peripatetici alle sue ragioni, e non alla sua autorità , riguardare; aurora vedrà s'il Sig. Galileo , come e 3 dice, per capriccio , o per non aver letto o inteso Aristotile , si parte dalla sua opinione. Nello scrivere filosofiche dubitazioni, di propia natura dificnltosc, nella nostra fa¬ vella, non dirò incapace di esse, ma a quelle per ancora non molto assuefatta, suole 20 essere non piccolo carico a coloro che lo 'mprnnìano a sostenere; il che cognoscendo il Sig. Galileo, quasi un anno intero impiegò nel finire e publiearc il suo doctissimo Discorso: onde non ispcro che 7 troppo indugio nel mandar fuori queste mie Consi¬ derazioni debba essere occasione ad alcuno di darmi biasimo; la quale speranza tanto piu prende vigore, (pianto il mio ritardamelo dalla fortuna e stato favoreggiato . Impcrcioche, parendo al Sig. Galileo essere stato nel suo Discorso alquanto oscuretto, volse, per sua cortesia, doppo cinque o sei mesi con nuove aggiunte molto meglio espli¬ carsi. Il perche, oltre all' avermi reso più cauto , mi ha maggiormente aperto il campo IV. 49 378 CONSIDKRVZloM I>1 VlSTKNZIO DI *;J{AZIA. a rispondere alle sue ragioni, cono ehr mi aUia ancora dato grand' occasione di du bitare die per nitro la mia opera molte inqirrlesioni non si ritrovino, e che io non abbia conseguito il mio intento in quest' nw scritture. Onde mi protesto che, se in essa scrittura dal Sig. Halilco o da altri q alche imperfejrione mi sarà dimostrata non solo Tavrò per nude, ma ne prometto oblu/o e gratitudine, a singular benefizio dovuta. Vi lesto e (picilo, graziosi lettori, rhe mi occorre dire intorno a queste, mie Con¬ siderazioni, le quali spero che a eoi, come desiderosi i Iella verità, non abbino a essere discare. Vivete felici. CONSIDERAZIONI DI M. VINCENZIO Lir GRAZIA sopra al Discorso di Galileo Galilei INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L’ACQUA 0 IN QUELLA SI MUOVONO. Volendo dar principio alle mia Considerazioni intorno a quello che scrive il Sig. Galileo delle cose che stanno in su E acqua o in quella si muovono, mi è partito conveniente prima proporre le parole del suo trattato, e di poi, discorren¬ dovi sopra, dimostrare quanto vagliano contro d’Aristotile. Imperciochè così ado- 10 perando, con più agevolezza il lettore potrà considerare olii di noi più alla verità s’avvicini; oltre a che mal si dubiterà della vera relazione, come, se per altre parole si referissono, far si potrebbe. Cominciando, dunque, dalla prima origine del Discorso del Sig. Galileo, alle mia Considerazioni intorno di esso, secondo il dato ordine, darò principio. Dico dunque che , trovandomi ... Concimisi ... [pa*.05, lin.29 — pag. co, Un. 151 L’origine del suo Discorso fu, secondo che dice, un ragionamento ch'egli ebbe con alcuni letterati intorno alla condensazione, nel quale un di loro affermò, quella essere proprietà del freddo, come si vede nel ghiaccio; la quale sperienza, benché paia verissima, tutta volta fu negata dal Sig. Galileo. Veggiamo ora se a ragione. 2o Egli non è dubbio alcuno che i semplici elementi si condensano dal lreddo, e dal caldo si rarefanno; il che nella generazione dell’acqua e dell’aria sensibilmente apparisce. Si potrebbe a ragione dubitare delle saette, dove pare che il lreddo abbia virtù di generare il fuoco, che è il più sottile degli elementi: la qual cosa non avviene per natura del freddo, ma sì bene per cagione accidentale; coneios- sia che il freddo, condensando le nugole, di tal maniera unisce le esalazioni calde e secche le quali per entro le nugole se ritrovano, che elle ne divengono sotti¬ lissimo fuoco. Il contrario effetto apparisce nella gragnuola, nella quale sembra che ’l calore abbia virtù di condensare. 1 quali accidenti avvengono per lo cir- condamento de’ contrarii, da’ Greci chiamata dcvrirapicrcaocs. Adunque se il ghiaccio Arist., ter. lil>. delle Meteore, al princ. Arist.,quarto dolio Me¬ teore, cap. 2, somma secondai. Arist., 2 lib. dello Me¬ teore, som. 8, cap. 2. CONhl DKK AZIONI 4 li!», dell» Meteore cap. ’J, nomtiia l! Aristotile, 4 delle Met.. dtp. 8. sout* 2. Arist., A della Fisi™ te». 85. 3ÒO fi rarefatto, come il Sig. (ìalileo atfiTma, sarà di necessità rarefatto dal calore non potendo questo tale accidente il freddo di sua nutura generare, generandosi il ghiaccio di semplici elementi, non potendosi il circondamento de 1 contrarii in tal cosa adattare. Non credo sia per e inerì' alcuno che abbia, negando il senso, a diro il ghiaccio esser generato dal calore, essendo egli prodotto ne* più freddi tempi tlel verno, nel quale ogni calore nel noatro emisferici quasi fi mancato; e se pure si trovasse, molto sarebbe lungi dal vero: imperciochè uno agente,operando secondo la sua natura, rum può in un medesimo oggetto esser ragion d’effetti contrarii; adunque se il calore liquefacendo corrompe il ghiaccio, sarà impossi¬ bile che egli lo |>oss:i generar congelando. IVrchò fi manifesto, il ghiaccio essere io dal freddo condensato, e non dal calore rarefatto, (i resta ora a dimostrare le soluzioni de gli argomenti del Sig. (ialileo. lhreva egli che la condensazione par¬ torisce diminu/ion ili mole aguinento di gravità., e la rarefazione maggior leg¬ gerezza e agumento di mole; al che s'aggiugtu* che le cose condensate maggior¬ mente s* assodano, e 1»- rarefatte si rendon più dissipatole : li quali accidenti nell'acqua non appariscono ; adunque il ghiaccio non condensato, ma rarefatto, doverrà dirsi, lmperciochò il ghiaccio, essendo generato d'acqua, doverrebhe essere più grave di quella, dove che egli più leggieri apparisce, galleggiando per essa; ed è ancora, secondo il Sig. (ialileo, molto maggiore di mole dell'acqua ond'e’si produce. K per potere più agevolmente rispondere a queste ragione, notisi che 20 l'aria racchiusa nelle materie che di lor natura nell’acqua hanno gravità, suole renderle più leggieri che non fi l'acqua, onde elleno fuor ili natura in essa gal¬ leggiano. Segno ne sia la pomice, che, essendo ili terra e perciò grave, per l’aria che dentro vi si racchiude, nell acqua galleggia; dove, ridueendola in polvere, l'aria se ne vola via, ed ella perviene al fondo dell'acqua. Onde diceva Teofrasto, che sono dell'isolette nel mare ludico, che per questa cagione galleggiano sopra l'acque. La qual cosa perchè non abbia ila molti, che non danno fede alle fa¬ tiche de' valent’ uomini, a essere riputata favolosa, mi piace nella nostra Italia, non meno dell’altre provincia ili gran maraviglia ripiena, addurne verace espe¬ rienza. E dunque nella ( ampagnia di Roma vicino a Lassamelo un lago, di 30 Bassa nello appellato, l'acqua ilei quale nell’azzurro biancheggia, anzi 6 simile al color verde, nel quale si veggono molte isolette coperte di verdeggianti erbette, che nuotano sopra l'acqua in guisa di navicelle. Questo, come afl’erma fra Leandro nella sua Italia, è quel Iago che da l’iinio primo e secondo di Vadimone fu detto, clu- delle medesimo isoletto fanno menziono; le quali per altra cagione non si deve credere galleggiare, si» non perchè di pietra spungnosa sono composte. Adun¬ que è manifesto che 1 aria racchiusa nelle materie che hanno gravità, può esser cagione che elleno sopra l'acqua galleggino, quantunque più gravi di essa. 11 clic essendo verissimo, dico che, congelandosi il ghiaccio, per entro vi si racchiude alcuna piccola porzione d’aria. Segno ne sia molte bolle e sonagli, li Quali s ‘ DI VINCENZIO DI GRAZIA. 381 veggono nella superficie del ghiaccio, e ancora, quantunque molto minori, dentro a qualsivoglia particella ili esso, ancorché benissimo condensata. Laonde a chi diligentemente considera a quella quantità d’aria elio nel ghiaccio si racchiude, agevolmente si accorgerà, el ghiaccio non essere più leggieri della materia della quale egli si produce. Onde adviene elio egli nell’acqua soprannuoti. 11 simile si può dir della mole: imperciochè se si vedesse l’aria e V acqua che concorrono a comporre il ghiaccio, ci accorgeremmo che molto minor luogo dal ghiaccio che da quelle viene occupato. Al che s’aggiugne che molto più si uniscono le cose umide che Arist., y delia risica, l 1 aride; onde il ferro, benché sia di più terrestre materia che ’l pionbo, e perciò io dovrebbe esser più grave, non dimeno, perchè le particelle del piombo essendo più umide e per questo più unite, in gravità da quello é superato; la qual cosa nel ghiaccio ancora potrebbe seguire. Adunque è manifesto che le ragioni del Sig. Ga¬ lileo non a bastanza dimostrano, il ghiaccio esser acqua rarefatta; e maggiormente perchè la terza condizione clic nel condensare si ricerca, molto gli contraddice; e questa è, che lo cose nel condensarsi molto più sode divengano, il che nel ghiaccio sensibilmente si vede. Quanto a quello disse quel litterato, il ghiaccio galleggiava per la figura, ne lascerò bello e la cura a lui, non mi curando di tor la briga a chi molto ben si può da per sé difendere. Potrebbe, adunque, parere che ’l Sig. Ga¬ lileo alquanto nella primiera origine del suo Discorso dalla verità s’allontani, 20 affermando il ghiaccio essere acqua rarefatta, dove egli sensibilmente si vede esser acqua condensata. Conchiusi per tanto ... E per procedere ... rpng. co, Un. 15 — pag. 07, lin. 3] E tanto maggiormente pare sia lontana dal vero l’universale conclusione fatta dal Sig. Galileo, la figura non essere cagione in alcun modo di stare a galla o in fondo: imperciochè, come per lo senso apparisce e come dimostrerremo, di qual si voglia materia, ben che gravissima, si può, riducendola in figura piana, com¬ porne una mole che galleggi sopra l’acqua. È ben vero che tal cosa c’indusse a credere, oltre alla sperienza, il vedere che la diversità delle figure altera gran¬ demente il movimento de’corpi dove ella si ritrova; onde la figura si riduce a 30 tanta anpiezza e sottigliezza, che non solo ritarda le cose che nell’acqua discen¬ dono, ma ancora le quieta sopra di quella. 11 che, quantunque il Sig. Galileo stimi falso, si vedrà per ragion vivissime esser vero, mentre si considereranno nel suo Discorso tutte le ragioni addotte dall'una e dall’altra parte, e di più quelle che egli di sua invenzione adduce: le quali (fogni intorno considerate e addottone le vere dimostrazioni, potrà da esse prender quell’utile ch’egli desi¬ dera, cioè di venire in cognizione della verità, la quale sino ad ora da lui per falsità è tenuta; mentre le sue ragioni più apparenti che vere saranno riprovate. E per procedere ... cercherò di mostrare. Ip»s. 07, li». 3-1G] Molto bene discorre il Sig. Galileo, proponendo di voler dichiarare la vera e 40 naturai cagione dell’ascendere alcuni corpi nell’acqua e in quella soprannotare, 382 CON8II FRAZIONI o del discendere in essa e in quella rimaner; imperando da questo si dobbe trarre la soluzion di questa nostra diffirultA. E »«• quello ha veduto in Aristotile non lo quieta, forse dello stesso Aristotile tali ragione e dichiarazioni gli pro- potremo, che appieno gli daranno soddisfazione. K venendo a considerare la ca¬ gione del Sig. Galileo, la quale A che le co vanno al fondo par esser più gravi dell’acqua, e in quella all’insù si muovono spinte dalla maggior gravità di essa, affermo questa sua dimostrazione parer*- alquanto manchevole. Imperciochè, do¬ vendosi dimostrare gli accidenti del propio e naturale suggetto, nel quale eglino Ariit.'pr.lib.dpIU Po. storioni, to«t. quin¬ to, arg. 1. naturalmente si ritrovano, fa «li mostiero, volendo assegnar la cagione del movi¬ mento al centro calli circonferenza, e della quiete che segue nell’acqua, il con-IO siderargli primieramente negli elementi dove naturalmente si ritrovano, e non Ari«t. f pr. tisi Cielo, te* at. 7. insieme in quelli e ne* con posti: altrimenti non ni farebbe la dimostrazione uni¬ versale, ed erreremmo; sì come di gran lunga errerebbe colui che volesse dimostrar ruffezion del triangolo in genere, che è aver tre angoli eguali a due retti, in¬ sieme di esso e dell* equilatero, \dunque alquanto par che si parta dal vero il Sig. Galileo, mentre del movimento de'semplici e de* corpi composti insieme ne assegna la cagione. Secondariamente, la cagione del Sig. Galileo non 1*ho in tutto per vera. Imperciochè, ancorché sia ni anifento che la graviti sia cagione che i corpi semplici si muovano al centro, non è già vero che eglino si muovino alla circunterenza spinti dalla maggior gravità d* i mezzo: e questo, per molte ragioni. 20 Arut pr.d.icuie.u. U prima è, che essendo quattro gli elementi, i quali sono corpi naturali, fa di mestieri che abbiano quattro movimenti naturali distinti fra di loro. E perchè alcun potrebbe negare che gli elementi funsero quattro, ben che della maggior parte per lo Benso apparisca, non dimeno, per maggiore evidenza, l’abbiam voluto Arìst .,2 della Genova- mostrare, li manifesto per lo en o che, oltre alle altre qualità, quattro prime nel Siooe • della Comi- in rione, cap. 2,8 e 4. mondo Bullonare se ne ritrovano, cioè caldezza •• frigidità, siccità e umidità; dalla cognizion delle quali sei accoppiamenti si producono, cioè caldezza e siccità, cal¬ dezza e umidità, frigidità o siccità, frigidità e umidità, e caldezza e frigidità, e umidità o siccità. Li due ultimi accoppi,unenti solo sono impossibili, non potendo due contrarii ritrovarsi in un medesimo ^aggetto : e perciò, rimanendo quattro so accoppiamenti di quelli, è necessario costituire quattro corpi naturali, e questi sono i quattro elementi. Imperciochè la terra fredda e secca per lo senso ap¬ parisco, l’acqua Iredda e umida, l’aria umida e calda: adunque è necessario che si conceda un altro corpo semplice elementare, che il quarto accoppiamento delle Arisi .,2 (Min Genera- prima qualità ritenga, c questo è il zione,c:ip.2l;pr.Mo* teore. cap. 4. nostro, che ò una soprabbondanza di fuoco; il quale non altrimenti è come il ealidità e siccità, ma si bene un corpo sem¬ plice, di sua natura caldo e secco. Se dunque sono quattro gli elementi, essendo eglino corpi naturali che per lor naturai propietà debbono avere il movimento, sarà necessario abbiano quattro movimenti naturali distinti, si coma fra diloro sono distinti nelle qualità: ina concedendo solo la gravità assoluta, come lail^ m VINCENZIO DI GRAZIA. 383 Sig. Galileo, non quattro ma un solo movimento naturale ne concederà. A questo s’aggiugne che tutti gli elementi, salvo la terra, stieno nel propio luogo per acoidentc e sforzati, contro la propria natura o contro a quello che dice il Sig. Galileo. Imper- ciochè, se tutti gli elementi son gravi o i men gravi sono spinti alla circunferenza da quelli che hanno maggior gravità, ne avverrebbe che, levando i più gravi, i men gravi di lor natura al centro scendessero; adunque non sono di lor natura nel proprio luogo, ma perchè la maggior gravità ve gli ritiene: come, per esem¬ pio, aria che nell’acqua si muove verso la circunferenza, vien mossa dalla mag¬ gior gravità di essa; o quando di poi ò sopra di quella, doverebbo, come grave, io muoversi al centro, ma la sua maggior gravità ve la ritiene. Roducesi aduriquo da’ principi del Sig. Galileo, elio, fuori della terra, tutti gli elementi stieno nel propio luogo per accidente: il che apparisce falsissimo. Oltre a di che si ritrover- rebbe un movimento che a tutti i mobili fusse fuor di natura: la qual cosa pare ini- Arist.,2doiCioio,cont. 18 possibile. Imperciochè, so il movimento alla circunferenza a’quattro elementi è fuor di natura, ne seguirà quello essere fuor di natura ad ogni corpo naturale, non po¬ tendo il quinto elemento, cioè il cielo, muoversi di tal maniera. Ma chi direbbe giam¬ mai che un moto fusse contro natura a un mobile, se non fusse secondo la natura d’un altro? essendo di necessità l’essenziale prima dell’accidentale, e il naturale del non naturale. Di più, non solo nel mondo essere la gravità assoluta, ma ancora 20 la leggerezza, da quello doviamo dire apparirà. Quelli autori che in tal particularo sono approvati dal Sig. Galileo, per due cagioni affermano, la terra assolutamente Arisi.,4doi dolo,con. esser grave: l’una si è perchè ella sempre si muove verso il centro, e l’altra perchè si concentra sotto tutti gli altri elementi. Se dunque il fuoco si moverà sempre verso la circunferenza o sovrasterà a gli altri elementi, per le contrarie ragioni doverrà essere leggieri, come la terra di gravità positiva è grave. Ma che il fuoco sempre verso la circunferenza abbia il suo movimento, sensibilmente apparisce, reggen¬ dolo noi non solo per la terra e per l’acqua, ma ancora sormontare velocemente per l’aria. È agevole il dimostrare che il fuoco sovrasti a gli altri elementi: im- pcrcioehè un altro corpo, più leggieri e più veloce di esso, per gli elementi sor¬ so montare si vedrebbe. Al che si aggiugne esser necessario il ritrovar nuovo qualità e nuovi accoppiamenti di esse, per constituire questo nuovo e quinto elemento sublimare. Adunque, andando sempre il fuoco verso la circunferenza e sovrastando a gli altri elementi, ne segue, per le contrarie cagioni, che egli sia leggieri di leggerezza positiva, come la terra di gravità positiva è grave. Finalmente, mo- Arisi., pr. del Cielo, vcmlosi la terra e il fuoco a due luoghi contrari, cioè al centro e alla circunfe- 9 1 * renza, e perciò di movimenti contrarii, fa di bisognio che questi contrarii movi¬ menti abbino contrarie cagioni, non potendo una medesima cagione di sua natura nel medesimo tempo produrre due effetti contrarii. Ma il su e il giù sono contrarii, Arist., pr. del Ciclo, non solo secondo la vostra posizione, come afferma il divin Platone, ma di propia io natura; imperciochò, se i contrarii son quelli che, collocati sotto un medesimo « 384 OONBIDER AZIONI Ari»t., Pospredim- ^noro, sono ni possibilo lontani, al certo il «u» «> il più naranno i primi contrarii trarii. C lp ° °* 1 conciossiacliè questa ditftnizione do’ contrarii propriamente a’ oontrarii del luogo b’ adatta, e quindi a pii altri si estende; adunque i contrarii del luogo, cioè il su e il giù, saranno di lor natura contrarii; <* perciò i movimenti a quelli, contrarii: onde adiviene, essere imponibile che da due contrarie cagioni non sien prodotti. Si corrobora maggiormente questa ragione, non apparendo in che maniera il mo¬ vimento al centro abbia ad avere una causa positiva, e quello alla circunferenza privativa. Ma chi, remirando la natura, non vede che quando fa un contrario, un altro simile sempre ne produce? zoppica dunque in questo la natura, non facendo il contrario alla gravitÀ, se nell’altre cos«> cosi perfettamente adopra. Dandosi io adunque la gravità assoluta, in conseguenza seguirà che diamo ancora la legge¬ rezza assoluta. Ma se fu so vero che gli elementi superiori si movessero spinti Vriftt.. pr.del Cielo, tA- dalla maggior gravità degli inferiori, ne seguirebbe che più veloce e più agevol¬ mente se moverebbe una picriobi quantità di foco dall’aria che una grande: e tutta via segue il contrario. veggendoM sempre più velocemente una gran fiamma eli’una picciola sormontare. 11 dire, come molti fanno, cho questo adivieno dalla maggior violenza fattale dall'aria, chi 1 cerca spignoro un suo maggior contrario, è una vanità. Imperciochè, se l'aria, cono» corpo finito, è di forze finite, è impos¬ sibile eh’ ella con più agevolezza alzi un cor|Ki grande che un picciolo, avvenga che, come di forze finite, ella, jx-r < empio, può sollevare dugento mila libbre; adun-20 que quanto più ci accostiamo alle 21XKXX) libre, tanto più si affaticherà e so¬ sterrà con minor forza quel peso, dovendosi arrivare a quel termine precisoie per ciò più agevolmente dovrebbe alzare un peso picciolo che un grande; il che Arut,pr. d©lCielo,70. segue al contrario. In oltre, noi veggiaino che tutte le cobo che si muovono natu¬ ralmente, si muovono più veloci quanto più s’avvicinano al lor centro e al proprio luogo; e quelle che si muovano jx*r violen/.ia, più si muovano al principio cho al fine: adunque doverebb»* seguire che il fuoco si moverà più velocemente vicino a terra chi* vicino al suo centro: ma apparisce il contrario. Di più, se tutti gli elementi si movessino all' in su spinti dalla maggior gravità, ne seguirebbe che vicino al concavo della luna si desso il vacuo: impereiochò se il fuoco è spinto SO dalla maggior gravità dell'aria, ed egli ù grave, ne seguirà che quando egli sarà Inori dell'aria egli più non si muova all’insù, ma al centro, non essendovi la virtù della maggior gravità dell’aria, ma la sua naturai gravità; adunque vicino al concavo della luna sarà ilei vacuo, non essendo chi vi spinga il fuoco. Perle quali cose s’è dimostrato, due essere V inclina/ioni naturali che cagionano il mo¬ vimento al centro e alla circunferenza, e non una, come afl’ernift cl Sig. Galileo, onde è manifesto, la sua cagione imparte esser vera e in parte falsa; vera, quando dice la gravità essere cagione de' movimenti al centro; falsa, mentre egli vuole che il moto alla circunferenza dalla maggior gravità si produca, il quale dalla leggerezza depende. Stabiliscasi, dunque, per verissimo fondamento, che, movendosi 40 i DI VINCENZIO DI GRAZIA 385 gli elementi al luogo proprio, dove ricevono la propria perfezione e la conser¬ vazione, ed alcuni abbiano da natura di fermarsi nel centro, alcuni nella cir- cunferenza, altri ne’ luoghi di mezzo a questi dalla gravità e dalla leggerezza si muovono. La qual cosa non solo confronta con la naturai filosofia, ma an¬ cora con le matematiche discipline, quantunque repugni ad Archimede, quindi a poco vedremo se a ragione o a torto. Per ora, oltre al detto, siami lecito contro a un grandissimo matematico, qual fu Archimede, addurre l’autorità d’ uh più grande : ù questi ò 1’ amirabile Tolommeo, nel libro che egli scrisse de’momenti, referito da Eutocio comentator del vostro Archimede; il qual libro io se per la voracità del tempo non si desiderasse, non solo per autorità servi¬ rebbe, ma ancora ragion gravissime e degne di Tolomeo in esso si scorgereb- bono. Dice dunque Tolommeo, che il genere del momento e dell’ inclinazione, alla gravità e alla leggerezza si estende* il che da noi con vivaci ragioni ò stato provato. Ci rimarrebbe ora a render la ragion de’ corpi composti, che al centro e alla circonferenza si muovono; ma perchè ci sarà migliore occasione, resterò di trattarne. lo con metodo differente... Io dunque... [p»g. 07, Un. 17-2C1 Avanti che vegniamo a considerare le dimostrazioni del Sig. Galileo, ci è pa¬ rato necessario il dimostrare quanto sieno lontani coloro dal vero, che con ra- 20 gioni matematiche vogliono dimostrare le cose naturali; de’ quali, se io non m’in¬ ganno, è il Sig. Galileo. Dico, dunque, cho tutte le scienze e tutte l’arti hanno i Arist., pr. «lolla Posto- propii principi e le proprie cagioni, per le quali del propio oggetto dimostrano rioia ' i propii accidenti. Quindi è che non é lecito co' principi d’ una scienza passare a dimostrare gli effetti d f un'altra; onde grandemente vaneggia colui che si per¬ suade di voler dimostrare gli accidenti naturali con ragion matematiche, essendo queste due scienze tra di loro differentissime. Imperciocché lo scientifico naturale Simplicio, 2 della Fisi- .. , i i «• • •, ea, coni. 11. considera le cose naturate che hanno per propria e naturale anezzione il movi¬ mento, là dove il matematico il proprio suggetto astrae da ogni movimento. A que- Ari#t., nel a della Fisi- 1 . .. , , , v cu, tos. 1Ó. sto s’aggiungile, che il naturale considera la materia sensibile de corpi naturali, 80 e per quella rende molte ragioni de' naturali accidenti; e il matematico di quella niente si cura. Similmente, trattandosi del luogo, il matematico suppone un sem¬ plice spazio, non curando se è ripieno di questo o di quell’altro corpo; ma il naturale grandemente diversifica uno spazio da uno altro, mediante i corpi da clic viene occupato, onde la velocità e la tardità de’ movimenti naturali adiviene. E benché il naturale tratti delle linee delle superficie e de’ punti, ne tratta come finimenti del corpo naturale e mobile; e il matematico, astraendo d’ogni movi¬ mento, come passioni del solido, che ha tre 1 dimensioni. Ma vegniamo a consi¬ derare i principi cosi intrinsechi e cosi immediati del Sig. Galileo, da’quali de- pendon le cagioni de gli ammirandi e incredibili accidenti; dalla difinizione 40 de’ suoi termini incominciando. iv. 49 380 CON81DKRAZ10NI Io dunque... Diffiniti questi temimi... |p«c.e7 t lia.ee-pafr.osjin.9] Quanto alla prima descrizione, ohe due pesi di mole ©quali, che equalmente pesino, aie no ©quali di gravità in iapecie, cioè, mi credo io, che aieno d'una me¬ desima spezie di gravità ; il che se coti è, non è al tutto vero: imperciochè si può ritrovare un adulo di terra ©quale a un solido di qualche misto, che pesino ©qual¬ mente; tutta volta non sono della medesima spezi© di gravità, come di sotto diremo, Nella seconda descrizione, cioè che due solidi diseguali ili moli, eguali di peso, sieno eguali di gravità assoluta, il Sig. Galileo non si serve di questo termine assòluta nè, come Platone e gli altri antichi che egli fa professione di seguitare, nella nostra favella s’usa: imperciocché Platon© chiama quella gravità assoluta, che per tutti io i luoghi è cagione del movimento al cvlitro e sotto tutte l’altre gravità si profonda; u Dante, il divin poeta, se n© serve per contrario di respettiva: « Voglia assoluta non consente al danno •. Quanto alla terza definizione, del più grave in ispecie, dicendo esser quello che un corpo ©quale di mole pesa più, par che si sia alquanto ingannato: primie¬ ramente, perchè si può dare due moli di terra ©quali fra di loro, le quali per essere V una più densa dell’altra pesi più; non |>er questo sarà più grave in ispecie, conciosiacosa che amendue vadano al medesimo centro e perciò eguali in gravità di specie: secondariamente, perchè due moli di terra, diseguali e di pe-o © di mole, ttouo della nu dt rima specie perchè vanno al medesimo centro, e 20 non, come dice il Sig. Galileo, soli tra di lor più gravi in ispecie. Dove fa di ine- stiero notare, cln* il Sig. Galileo non ha distintola maggiore e minor gravità in numero da quella che in sjxrie si chiama: imperciochè due particelle di terra squali di peso e di mole sono della medesima gravità in numero, movendosi al medesimo centro e con la medesima velocità; là dove duo particelle di terra disequali e di mole e eli p©so % o solo di peso, se bone andranno al medesimo centro, tutta volta avranno disuguaglianza di velocità. Quello si è detto del grave assoluto, si può replicare del più grave assoluto, cioè che ’l Sig. Galileo s‘è servito male della dizzione assoluta. Ma per dimostrare in che guisa si debbano descrivere questi ter- \r\nt. t ide\ Cielo, te*, mini descritti dal Sig. Galileo, siculi lecito alquanto di digredire. Dico, dunque, dieso la gravità in genere è una iitciinaziou© del mobili 1 a moversi al contro, dalla quale Arìst., i erieiuui, che una gran inasti di cenere, che nel sommergersi nell’acqua alza il suo livello poco o niente, doverebbe muoversi più velocemente (l’altret¬ tanta materia s#>da, anzi, non avendo resistenza V acqua all’essere alzata, e non ci essendo, secondo il Sig. Galileo, altra resistenza, muoversi inistante; là dove so ella più tardi che altra materia soda e dura si muove. K perciò non si dee far grande stima di questa residenza, se però nell’acqua si ritrova, nel considerare « i movimenti che seguono ne 1’ acqua. Della quale servendosi il Sig. Galileo, la¬ sciando «la parte la vera e naturai resistenza de gli elementi, non ò maraviglia che alle volte convenghiaino nelle conclusioni e discordiamo nelle cause. J)fa jìerchè tali cose profferite ... li»»*. 71, ha. si Seguirebbe ora eh’ io considerassi dimostrazione per dimostrazione, e di esse proposizione per proposizione; ma perchè tutte queste sue dimostrazioni son fon- datc sopra principii falsi, per non perdere temjx) invano, ho giudicato essei bene il tralasciare questa fatica. Il che sarà lucile il dimostrare. 11 primo principio è, 40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 389 ch’egli non fa la sua dimostrazione universale: imperciochè egli dimostra il mo¬ vimento de gli elementi e de i misti sotto una medesima dimostrazione e per una medesima cagiono; la qual cosa quanto sia falsa, abbiamo già detto. Il se¬ condo che egli vuol dimostrare le cose naturali con mathematiche ragioni. A questo s’ aggiugne, che egli suppone per vero che nel mondo sublunare non sia leggerezza positiva, o che gli elementi si muovono alla circunferenza spinti dalla maggior gravità del mezo. Di piti, non vuole clic 1’ acqua, come corpo solido, abbia resistenza all’essere divisa ; il che essere falso vedremo nel luogo dove il Sig. Ga¬ lileo ne tratterà; bastici per ora una sensibile esperienza fatta dal Sig. Galileo, io cioè che con manco forza si muove una mano nell’aria che nell’acqua; onde apparisce, essere alquanto di resistenza e nell’ acqua e nell’aria, ma più in quella che in questa. Nel quinto luogo, egli fa grande stima della resistenza dell’acqua all’essere alzata sopra il proprio livello, che non è nulla, o, so pure è, non è sen¬ sibile. 11 sesto, che egli nel difi ni re i suoi termini, de’ quali si serve in queste dimostrazioni, si parte molto dal vero. Onde faceva molto meglio, in rpiesta sua nuova edizione, a pigliare fondamenti e prineipii veri, o a dimostrare veri quelli di che si era servito, che accumulare nuove e false dimostrazioni : il che ò ap¬ punto maggiormente confermarsi nella sua opinione. Essendo, dunque, le dimostra¬ zioni del Sig. Galileo falsissime, come dipendenti da falsi principii, ci resta a di- 20 mostrare le cagioni di quei problemi che dal Sig. Galileo son proposti, li quali da noi si debbano addurre per dimostrare che non ci siamo messi a questa im¬ presa non solo per contradire per alcuna malcvoglienza o per alcuno lividore di invidia, ma bene per dimostrare la vera ragione delle cose. La cagione onde il Sig. Galileo si è mosso a scrivere queste sue dimostrazioni è statai, com’egli dice, per render la causa onde avviene che dieci libbre di acqua possono reggere cin¬ quanta o cento libbre di peso, verbigrazia una trave che pesi il già detto nu¬ mero : il che da lui è stato stimato accidente imiraviglioso e ragguardevole ; e non si è maravigliato in che modo la terra possa sostenere i tre elementi supe¬ riori, che quasi infinito 1’ eccedano, supponendo, secondo la dottrina di Platone, 80 che tutti i corpi sublimivi sieno gravi. Tutto quello che sotto il cerchio della Ariat., pr. dei Cielo, luna si muove e si quieta, o è semplice elemento, o mistura de gli elementi. Per qual cagione i semplici elementi al proprio luogo si innovino e in quello si quie¬ tino, già si è detto che per la gravità e per la leggerezza hanno questi naturali accidenti. Quindi deve mancare ogni maraviglia, in che modo adiviene che l’acqua sopra la terra si sostenga, essendo per entro quella verso la circunferenza si muova, e Paria rispetto all’acqua, e il fuoco all’aria: iniperciochè, sendo l’acqua leggieri in comparazione della terra, e 1* aria all’ acqua, e ’1 fuoco all’ aria, non solo è maraviglia che sopra quelli si quietino e in quelli alla circunferenza si muovino, ma gran stupor sarebbe che eglino al contrario adoperassino. Adunque f 300 CON8I ITERAZIONI l'unr di osso ritrovandosi, a quello -i muovino; che in due spezie, graviti e le. Forse potrebbe sogghignare che qui non è necessario. Quando sarà dunque? quando tratterà de le sue maraviglie del cielo, dove non è nò gravità nè leggereza nè movimento da quelle dipendente, se ora che si tratta de* movimenti da quelle dependenti non è necessario? E se non voleva fare si « lunga digressione >, ninno ci era che non solo acciò lo sforzasse, ma nè ancora a scrivere questo suo Discorso; ma poi che si era messo a questa impresa, doveva tirarla a line come si conveniva. Onde temo elio non si possa dire a lui quello ch’egli pur testé a torto rinfacciava al Buonamico, eli’egli 20 faceva di bisogno V atterrare i principii d'Aristotile, se egli voleva atterrare la sua dottrina. Dirò solamente ... A quello ... (pmt. 86, Ho.4 28) Segue ora che consideriamo un solo argumento del Sig. Galileo, che quasi nuovo Achille ha potuto fugare tutte le ragioni d’Àristotile; del Sig. Galileo, che non per capriccio, ma perchè la ragione ne lo persuade, si parte dalla sua dot¬ trina. Il quale è di tal maniera: che se alcuno de’nostri corpi elementari avesse naturale inclinazione al movimento alla circonferenza, egli più velocemente si moverebbe nell’aria che nell’acqua, essendo manco resistenza in quella eli’in questa, provando ogni giorno che con manco forza si muove una mano per 1* aria 30 che per l’acqua. 11 che quanto egli è vero, tanto è falso che non si trovi ele¬ mento alcuno che più velocemente non si muova nell’ aria che nell’ acqua. Par bene che altri possa restar con desiderio di sapere, quale esperienza ha potuto accertare il Sig. Galileo che tutti gli elementi si muovon più veloci nell’acqua che nell'aria, se il fuoco, che solo de gli elementi si muove all’insù nell* aria, nell* acqua non si può ritrovare. E che maraviglia è egli, che molti corpi che noi veggiamo muoversi velocemente nell’ acqua, come sugheri e altre cose* a predo¬ minio aeree, pervenuti che son nell’aria non si muovono, se in essa son gravi? anzi 1’ aria ancora, come e' dimostrerà, non è, pervenuta nel proprio luogo, non è grave come prima? Se, dunque, è impossibile che possiamo ©sperimentare con 40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 397 questa esperienza, se il fuoco nell* acqua si muova più velocemente che nell’ aria, con altra simile si potrà dimostrare il medesimo. Chiara cosa è che, se fusse vero il discorso del Sig. Galileo, il fuoco più velocemente si doverebbe muovere nella terra che nell’ aria, per essere più leggieri, secondo il suo parere, in quella che in questa; là dove noi vergiamo che egli quasi imprigionato nelle caverne della terra si quieta: e perciò gli antichi poeti finsano che i venti stessero riserrati nelle vi¬ scere della terra, come quei che sono esalazioni calde e secche, che molto al fuoco s’avicinano, le quali, uscendo delle caverne di essa, nell’aria con gran vemenza si muovano. Adunque, se gli elementi leggieri più velocemente si muovano ne i io mezzi più rari, che ne i più densi non fanno, avverrà, per 1’ argumento del con¬ trario, ch’eglino abbino naturale inclinazione a muoversi all* insù: il che, se il fuoco si potesse ritrovar nell’ acqua, chiarissimamente si vedrebbe. Voglio con¬ cedere al Sig. Galileo che le cose ne’ piezi più rari più velocemente si muovino, avvertendolo se saranno di equal inclinazione; e perciò se 1* esalazioni calde e secche lussino nell’acqua, si moverebbono più veloce dell’aria: e similmente si può concedere che 1* esalazioni si muovino più tardi per 1’ aria, che non fa quella per l’acqua: o li negherei bene la consequenza, < Adunque non ci è elemento alcuno, che non si muova pili veloce nell'aria che nell’acqua»: imperciochè si deve con¬ siderare che F esalazioni sono un misto di terra e di fuoco, e perciò, come mi- 20 stura della terra, hanno del grave; onde non si possano muovere così velocemente come il fuoco, il quale, essendo privo d’ ogni gravità, si muove più velocemente nell’ aria che nell’ acqua. Adunque ci è uno elemento, il quale, per muoversi più veloce ne’mezzi più dissipati e più rari che ne’più densi e più grossi, ha una naturale inclinazione al movimento verso la circunferenza : e questa è la legge¬ rezza positiva. A quello ... Non dispregiamo... [pag.86,lin.28 — pag.87,Un.21] Finalmente, rispondendo alle conclusimi del Buonamico, dice, quanto a che egli referiva le cagione del movimento dei corpi semplici alla maggiore e minore resistenza del mezzo, che questa resistenza non si ritrova nell’ acqua, e perciò non so può aver ragion di causa, come egli dimostrerrà; il che quando da lui sarà di¬ mostrato, gli replicheremo abastanza. Bastici per adesso che da tutti si concede eli’ abbino resistenza. Quanto a che il Buonamico riferiva la cagione del movi- Arist., pr. doi Cioio, mento dei corpi composti al predominio de gli elementi, risponde che, operando gli elementi in quanto gravi, tant’ è dire che i misti si muovino per la gravità quanto per il predominio, anzi che quella è la cagione immediata, e questa la causa della causa. Al che potrei fare senza soggiugnere da vantaggio, non essendo detta tal cosa contra ad Archimede, ma contro a Seneca: ma già ch’il Sig. Ga¬ lileo r ha inpugnata, mi è parso conveniente, Bendo vera, il difenderla. Sendo, dunque, i corpi gravi e leggieri e semplici e conposti, i primi de’ quali, come si Arist., 2 del Cielo, cup 2 40 è detto, per la lor propia natura hanno queste naturali inclinazioni dell’ essere 398 00NHIDEKAZIOM gravi o leggieri, e gli altri perché dei «empiici son composti ; e per ciò dovendo ArUt.,pr. «Iella Ponto- per lare la dimostrazione, che le preposizioni sieno per sè, sarà necessario che or», oap. diciamo che i corpi composti ai muovano in recto perchè l f elemento predomi¬ nante nella lor mistura è grave o leggieri, e non perche loro di lor natura sien gravi o leggieri: onde chi dicale che l'ahrto galleggia perchè è leggieri, erre¬ rebbe, dovendo dire perchè in lui predomina \ uria eh’ è leggieri. E quindi si scorge quanto è lontano dui vero el Sig. (talileu, volendo che la gravità sia ca¬ gione immediata del muoversi al centro ne i composti ; là dove ella non solo non è immediata, ma nè ancora per aè, ma per accidente. K chi non sa che le cagioni devano essere per sé V Adunque chi dice il predominio esser cagione del movi-io mento de i composti, non solo aporta la causa della causa, ma la prossima im¬ mediata. Non sapevo già che lu dimo«trazione pgr 1*» cause notissime al senso lusso vera Ariat, 1 della Toste- e reale, dovendosi formare ht reai dimostrazione dalle cause essenziali, che son riora oap. 9. . . , . , . . ’ contrariamente, lontane dal sen o, che non la nostra cognizione ma riguardano la natura delle cose, che molto «lai nostro intendimento s'allontanano che dal Ariat..|>ri.dulia Poste- senso ha il suo cominciamento: onde quelle dimostrazione che dal senso pren¬ dano origine, non non propie e reali dimostrazioni, ma da gli effetti. Ma se con¬ cedessimo ancora questa dottrina ilei Sig. Galileo, non so veder come si possa pili agevolmente cognoscere la gravità o la leggerezza ile’composti, di’il predo- 20 minio: imperciocché nel medesimo tempo si vede V inclinazione, il predominio; e questo dal galleggiare e dall'andare affondo si uiauifesta; anzi, come dimostrano i dottissimi medici, molte son le maniere per cognoscere il predominio de i com¬ posti, che la gravità e la leggerezza di essi, guanto a quel bell’argumento che Aruu, 2 della Poeti- segue, credo che niuno sia che non sappia che due sono le maniere del cogno- riora. BCere le cose: che sieno in rrntm natura, e perchè le sieno. 11 senso è yoro cogno- scitore del primo quesito; e quando è difettoso, la dimostrazione da gli effetti: il secondo }>er la reai dimostrazione, che per le cagioni procede, si manifesta, Ari«t„ pr. della Poat. Adunque chi per il senso cognosce uno effetto, o i>er la dimostrazione da gli effetti, toH 2 Tas. questi sa che egli sia, ma perchè egli sia gli è ignoto; e chi per reai dimostra-so zione il cognosce, e 1’ uno e V altri» que sto gli è manifesto, e che tigli sia e perchè egli sia. E perciò quando un vede un solido galleggiare, egli sa che egli galleggia, e sa il primo quesito: ma quando e’ sa eh un solido è a predominio aereo, non solo sa che egli galleggia, ma ancora perchè egli galleggia, eh’ è il secondo quesito. E quando 1* argomento non fusai soluto, il che io negherei, il medesimo si può ri¬ torcere contro al 8ig. Galileo: imperciochè nel medesimo modo si cognosce clic un composto sia leggieri, che egli sia aereo a prodominio; anzi molte son le inu¬ merò di cognoscere il predominio, che non sono nel cognoscere la leggerezza. J\on (Imprestiamo ... Esplicate e stabilite queste cose ... Ipar-87, Un. 21 - 28 ) Quantunque la sentenzia d'Archimede non paia intutto e per tutto vera, non io DI VINCENZIO DI GRAZIA. 399 per questo doviamo biasimarlo, anzi si debbo riputare degno d’eterna lode; e se egli non è arrivato all'intera verità, sia a scusare se, essendo uomo, ha errato: forse egli ha dato cagione a Tolommeo o ad altri di ritrovar V intera verità. Ac¬ cettiamo dunque da lui, che so i corpi semplici saranno più gravi dell’ acqua, eglino si profonderanno in essa; e dell’altre sentenzio possiamo prender le con¬ clusioni, e lasciar da parte le suo cause e pigliare quelle cl’ Aristotile. Replicate e stabilite queste cose ... (pap.S 7 , Un.28] Già si è dimostrato, in che maniera sicn vero e false le cose expiicate e sta¬ bilite dal Sig. Galileo: ci resta adesso a considerare quello eh'egli dico intorno io alla figura. Nel quale discorso egli forma questa universa! proposizion negativa: Che la diversità della figura data a questo o quel solido non può essere cagione, in modo alcuno, dell'andare egli o non andare affondo; può bene l’ampiezza della figura ritardare il movimento, tanto nello scendere quanto nel salire, ma non può già quietare mobile alcuno sopra dell’ acqua. La quale universal propo¬ sizione essere falsa, non una sperionza, corno dice il Sig. Galileo dell’ assicella de l’ebano e della palla, ma mill’altre ancora lo dimostrano, come dello piastre del ferro, del piombo, del talco, e finalmente di qual si voglia cosa grave e so¬ lida; onde a ragione o’suoi avversari, continuati con l’autorità d’Aristotile, gli contradicano. Quanto alla seconda proposizione, desidererei clic il Sig. Galileo mi 20 assegnasse la cagione, donde avenga che le figure larghe ritardano il movimento in recto, c le stretto lo fanno veloce, se, come egli dice, 1’ acqua e 1’ aria non hanno resistenza, e perciò la ragione di questo ploblema adotta d’Aristotile va Aristotilo,idoli»Fin- per terra. Doveva il Sig. Galileo renderne la cagione, e non, contradiceiulo, im¬ pugnar quella d’Aristotile, e di poi lasciarsi sulle secce di Barberia; già che, se¬ condo si dice, egli solo ò quello clic intende le cagioni delle cose, e chi non l’in¬ tendo come egli fa, è uno ignorante. Questo è il punto principale ... Preparata una tal materia... |p«&. 88, lin. 16— pag. 80, lin. 5] Avendo sino a ora dimostrato, che del movimento al centro nell’ acqua no è 30 veramente cagione la gravità, e che del movimento alla circunferenza non la minor gravità dei mobili, ma la propia e naturai leggerezza, segue la considerazione delle eseguite sperienze del Sig. Galileo intorno a quello operi la figura nei già detti movimenti. E concedendogli che sia necessario, per far queste esperienze, pigliare materia non solo diversa di gravità in spezie, clic, come si ò eletto, ca¬ giona diversità di movimento, ma nè ancora diversa di numero, che altera solo la velocità di esso (onde non si potrà dubitare che la maggiore o minore incli¬ nazione sia causa di quiete o di diverso movimento, ma farà di mesticro venga da qualcli’altra cagione), onde si può scórre una materia che ora si riduca in figura piana e ora in rotonda: ma non è già conveniente il pigliare materia in 40 gravità simile all’acqua, come dice il Sig. Galileo: imperciochè sempre si potrà 400 ('ON81DKRAZIOM1 dubitare se quel mobile wpranuoti per sua naturai leggerezza o per la fig ura Il perchè è necessario pigliar materia gravurima e che di «uà natura sia molto atta a muoversi al centro. macinio volendo il 8 »g. Galileo impugnare Aristotile eh* in ainiil Bliliril dice aver fatta la epenenxa; conciossia che se si pigliala oera, Aristotile ti potrà sempre ritirare, e adorne nella cera altra cagione. Adun¬ que non par che sia convenevole il pigliare U « era per fare talo esperienza, ma al bene il ferro e il piombo o altra sirail materia. Preparata una tal matrrut ... Pormi d* trntirr... u+g- W, Un.***] Ma perchè il Big. Galileo vegga che non siamo fastidiosi, piglisi una palla di cera mescolata con limatura di piombo, e ridottola Unto grave, che agiuntole io un sol grano ili piombo rimang i infondo, e detrattolo venga a galla, dico che ae bene questa ninni materia ridotta in figura piana o rotonda, e postola nel feudo dell'acqua con quel grano di piombo, rimarrà in quello, e ditrattolo verrà agalla, nondimeno che questa esperienza non prova cosa alcuna: imperciochè si puf» dare in nitro cose dove la figura operi, e i**mò non bisognia da un parti- ciliare argnmentare all* univer-v.de. Ma perchè li figura non quieti le falde della • < ra nel fondo dell’acqua, si come ella fa nella superfìcie di . i. i iìir;\ apresso. Il dubitare «lei Sig. Galilei» non monta nient»*: un|»erciochè su egli ha già preso materia che è più grave dell’acqua, cioè la cera mescolata col piombo, che va in quella al fondo, non si potrà opporr** dagli avversari se non che, essendo la20 cera poco più grave dell’acqua, come *1 è detto, sempre si potrà dubbiare se la figura o la leggerezza oa cagione di quell*» accidente. K perciò è ben vero che egli fa di medierò 1 eleggi re materia più grave dell* acqua, onde le cose leggieri non sono atte a dimostrar* questa esperienza; p**rlochè non hanno operato fuor di ragione nello glU re V ebano, non perchè si può sempre in quello (lai- ragion di sofisticare e cavillare a odoro che stanno in su la parata, con dire che egli sia più denso in luogo eh*in un altr , > più grave: ma notisi che, aendo l’ebano d una mede sima qwie di gravità, non può cagionare diver¬ sità di movimento 0 di quiete, ma di velocità di movimento; e perciò tutte queste cavillazioni vanno a terra. Dico, dunque, che pigliando l’ebano e riducendolo in 31) figura piana e in rotonda, che li piana reterà a galla, e la rotonda 86 ne andrà al fondo. K per tùr via tutto le ivortì*ticheri«\ piglisi una quantità di piombo, 0 riducasi ora in figura pi ina, ora in ritonda : quando ".irà piana galleggerà, e quando tonda si rumerà ai centr** K il Mimi*- avviene nella cera del Sig. Galileo : im- perciochè, pigliata una quantità di cera che in figura rotonda solo un grano di piombo possa fare affondare, dico che redot tela in figura piana, neanco trenta grani di piombo la faranno muovere al centro. I/O quali esperienze non solo hanno tanto del probabile e «lei veririinile, ma del vero e del certo, che pai ma ' raviglia agli uomini intendenti, che il Sig. Galileo abbia ardire di negarle. Tutta volta vergiamo se mancono di fallacia, W DI VINCENZIO DI GRAZIA. 401 Cominciando dunque ad esaminare ... Ma procediamo più avanti... fpng.oo, lin. 83 — pug.91, Un. 80] Quanto a quello elio il Sig. Galileo dice, eli 1 il suo parere non è di collocare le ligure fuora della materia sensibile, e che egli non le vuol collocare in materia dove non possono operare, come se alcuno volesse tagliare una quercia con una scure di cera, sta bene e siam daccordo: ma non c’accordiam già che un col¬ tello di cera nel tagliare il latte rappreso sia egualmente più atto a cognoscere quello che operino gli angoli acuti, eli 1 un coltei di ferro; impercioehè se bene il latte si taglierà dall* uno e dall 1 altro, non dimeno più velocemente si taglierà io col coltello d’acciaio che con quel di cera. Dell’elezion della materia, non pare eli 1 e 1 suoi avversari gli possine opporre altro, se non del dubbio che si è detto, e che eglino abbino eletto più atta materia eli’ il Sig. Galileo, si come più atto è a tagliare il latte un coltello di acciaio damaschino che un di cera, quantun¬ que l’uno e l’altro lo tagli. Ma procediamo più avanti... [pag. 91 • lin - : *°1 Egli non è dubbio che, se lussi vero che l 1 acqua non avesse resistenza alla divisione, non occorrerebbe scèr materia che fusse atta a dividerla, e perciò ogni diligenza sarebbe superflua, onde tutti i corpi quantunque leggieri sarebbano a tal’esperienza accomodati; ma avendo, all* incontro, resistenza alla divisione, è 20 necessario il ricercare materia atta ad operare a simile azione. Perlochè dimostri il Sig. Galileo che 1’ acqua non abbi resistenza, e non ci occorrerà sì gran dice¬ rie. Ma notisi che V esempio del fumo o della nebbia, che egualmente si tagli col coltello di foglio come con quel di ferro, è falso; impercioehè più velocemente con quel di ferro si dividerà. E se in tal cosa Aristotile ha errato, dimostrerrà il line: fra tanto egli potrà dimostrare quei tanti luoghi, dove Aristotile afferma cosa contro la sperienza e contro al senso. Torno dunque ad affermare ... Ma seguitiàn di far manifesto... [pag.92, Un. ai - pag. 93, Un. 101 Non bisogna eh 1 il Sig. Galileo torni a dire, l’acqua non aver resistenza; ma 30 prima bisogna provarlo, altrimenti niente monterà il suo ragionamento: e perciò avvertisca, che non tutte le materie sono atte a dimostrare quello di che si tratta. Il dire clic P assicelle dell 1 ebano e le piastre di piombo sieno sotto l 1 acqua, è una vanità, e come di sotto proverremo; se però il Sig. Galileo non volesse dire che elleno sono sotto il livello d’ arginetti dell 1 acqua, che ritrova intorno intorno all’assicella: impercioehè l’assicella dell’ebano e le piastre dell’oro abbassano tanto la superficie dell’ acqua, quanto comporta la lor gravità, ma non la divi¬ dano; perchè sendo divisa, elleno subito se n’andrebbano in fondo. Ma seguitiàn di far manifesto ... Non per questo si quietano... Ipag. 93 , lin. io — pag. 94, lin. 15J 40 Deve il Sig. Galileo prima cominciare a far manifesto che l’acqua non abbia IV. 51 402 CON8IUKRAZK iN I resistenza, e poi seguitare, non ave ndo mai cominciato. Quanto alla esperienza che da lui si produce, con che egli vuol provare un problema dal quale depende quasi tutta la filosofia, non pare che concluda cosa alcuna; iinperciochè non è la figura piramidale la quale £ cagione per accidente «Iella quiete accidentale de’mo¬ llili posti nell’acqua, onde ella tanto si profonderà per la basa quanto per la punta. Concioaia che presa una piramidi* di legno d'abete, inaino a tanto perla punta e per la basa si profonderà, quanto la leggerezza della piramide e la resi¬ stenza dell’acqua lassino eontrappe*me il terreo i b*in quel legno si trova; quan- tunque ci sarà di lereiumi, mediante la figura; chò linosa per punta, si moverà più veloce sino a quel termine, e per ha*e, più tarda; iinperciochè più agevolmente io fende la resistenza la figura acuta, che 1* ottusa. Ma chi vuol far la spcrienza, bisogna fare d’uno istesno legno una piramide e una figura piana e sottile; e chiaramente si vedrà che la figura piramidale sene andrà per gran parte infondo, e la figura piana resterà quasi tutta nnpra 1*acqua: e se il Sig. Galileo mi repli¬ casse, che la figura piana galleggia per la sua naturai leggerezza, e non per la figura, gli direi che pigliasse ilei piombo incarnino del legno, dove non è legge¬ rezza alcuna, e vedrà che una piramide di esso sene andrà tutta in fondo, e un piano gnlleggerà. Il simile si può diri* de’cilindri, che non essendo figure atto a far soprunotaro, noi» si |xm*oiio addurre per prova, ma solo le figure piane cagionano questo effetto. Segue bone, come abbimi detto, ch’il cilindro lungo 20 e sottile si moverà più velocemente sino al suo naturai lungo, e il largo più tardi; adunque sarà vero che la larghe/za della figura più larga apporta difi- culta, e la stretta agevolezza, nel movimento; olile si può ridurre a Unita am¬ piezza, che cagioni l i quiete accidentali». Ma noti il Sig. Galileo, die a voler pro¬ vare per induzione una proibizione uuiwr^de. bisogna pigliare tutti i particolari sotto di essa contenuti, e non, come egli fa, due o uuperciò che, quantunque la figura piramidale e la cilindrica non ca tioni la quiete, non per questo si può dire che ninna figura la cagioni, ma bisogna ancora che il quadrangolo, il triangolo e il piano non lo cagioni; adunque se la figura pi ina è causa della quiete acciden¬ tale, sarà falsa l’universal proibizione. Quanto alla seconda esperienza, elio presa 80 una quantità di cera, che con la lunatura del ferro sia ridotta molto più grave dell’acqua, posta nel fondo di e^sa sarà sollevata a capello, tanto essendo in una piastra quanto in una palla; il che non pare al tutto vero; iinperciochè, comesi è detto, la palla sarà sollevata più presto, e la piastra più adagio. Ma si ben lusso vero, non è prova a bastanza: iinperciochè quantunque la figura pinna sott acqua non produca la quiet»*, nuli per questo seguirà che sempre ella non la produca, perchè ella la produce fuor dell’acqua; la qual cosa donde adyenga, di¬ remo poco apresso. J\ow per questo si quietano oli avversari ... K prima è falso ... fP R & 91,lin. 15-25) Veggasi se per questo ai debbono quietare e’ vostri avversari, che, come si è 40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 408 manifestato, pare essere in tutto e per tutto falso: e quando tasse vero, non perciò si doverebbono quietare; imperciochò un particolar solo è quel che rende falsa l’univerBal negativa. Avendo dunque l'assicella dell’ebano che galleggia, aranno dimostrato con ogni pienezza, il parere dei Sig. Galileo esser falso; e se egli di¬ mostrerà elio questa esperienza non concluda, si potrà cominciare a credergli qualche cosa. Vadia adagio il Sig. Galileo, adire ch’egli è falso che la tavoletta stia a galla e la palla no; imperciochò se vogliamo stare ancora sulla forza delle parole, pare eh’ egli abbia il torto. Perchè essere nell' acqua ed esser loculo per entro V acqua non è una cosa medesima: conciosia che por nell' acqua significò io sopra dell'acqua, e non dentro di essa , s’e’Sig. Accademici della Crusca dicano il vero nel lor Vocabolario, dicendo ch’il medesimo significa la dizione in che nel, che la dizione in significa sopra , secondo il Boccaccio nella novella di Ni¬ costrato < sarebbe meglio dar con ella in capo a Nicostrato >; anzi il medesimo Boccaccio, vero esemplare della favella fiorentina, si servì della dizione nel per sopra, dicendo nella novella di Tofano < la pietra, cadendo nell' acqua, fece grandis¬ simo romorc ». Ma a dire che esser nell’acqua denoti esser locato dentro l’acqua, non è inconveniente: imperciochò il luogo è comune e propio, secondo Aristotile; Aristotile, i della Fi- e per ciò, quando si dice la tavoletta essere nell’acqua, si piglia il luogo comune- slca » c0 - mente nella nostra favella, dicendosi una nave essere nell’acqua, una torre o 20 simile, quantunque elleno non sieno locate sotto la superficie di essa. Quanto alle sue aggiunte, poco importano: imperciochò in due o in tre luoghi afferma questa uni versai proposizione, che la figura in alcun modo non opera all’andare o non andare affondo, ed ora si vuol ristrignere allo figure poste per entro l’acqua. Notisi , appresso ... Anzi dirò più .. . [pag. 95, lin. 14 — p«g. oo, lin. si ) Egli non ò dubbio, che bagnando l’assicella c la palla, amendue se ne an¬ dranno al fondo (con questa differenza, che la palla piò presto se n’andrà e l’assi¬ cella più adagio), e che quelle assicelle che lentamente per entro l’acqua si muovano, nella superficie di essa ancora si quietano per accidente. Adunque la medesima figura è or cagione di quieto e or di tardità di movimento; il che dal so Sig. Galileo si reputa per inconveniente, se bene non pare che rettamente. Im- pcrciochè, quantunque ogni figura abbia una tardità sua propia, con la quale ella si muove, e che ogni tardità minore o maggiore sia impropia alla sua natura, tutta via, come dice il Sig. Galileo, se ci s’agiugne qualche altro impedimento, ella potrà molto bene cagionare non solo movimento più lento, ma ancora una quiete accidentale. Non per questo doviam dire, che sia altra cosa diversa dalla figura, ma sì bene che la figura agiunta alla difìicil divisione del continuo. E per ciò dicasi che non solo della tardità e velocità sia la figura larga e raccolta, ma ancora clic la figura larga, che se ben ad immensa larghezza si ritrova im¬ mensa tardità, tutta via perchè alla figura s’ agiugne la virtù del continuo, perciò io che ella possa cagionare la quiete per accidente. COSMI PKR AZIONI Arirtt., noi 6 della Figi ca, tefl.46. 404 lo non voglio tacere... Ansi dirò più... In» M. Hn 9 Mi) Considerando la nuova esperienza del Sig. Galileo, quanto a lui par conclu¬ dente, Unto a noi pare priva di conclusone: imperciochò quando si possa dedurre ansai da essa, si deduce che la figura larga non abbia (die fare col quietare le cose per entro l’acqua, ma non già sopra 1 *acqua; il che da Aristotile è stato dimostrato, dicendo che le falde del ferro e del piombo galleggiano sopra del¬ l’acqua, e non che l’assicella del noce n «.tino nel fondo di essa. E se mi si repli¬ casse, che A la medesima ragione nella assicella del noce quando si ritrova nel fondo dell’acqua, che delle falde del ferro quando nono sopra di quella, anzi molto maggiore, concioniti che A mauro 1 ‘ inrtiruuione dell* assicella di noce al ino- io vimento all'insù che quella delle falde del terrò a quello all’ingiù; e li replicherei che, come si è detto più volte, non A solo la figura che cagiona la quieta accidentale sopra dell’acqua, ma ci A ancora la virtù ilei continuo, la (piale non si ritrova nel fondo dell'acqua, come di sotto ni dirà; e se bene nel fondo dell’acqua si ritrova una resistenza, non dimeno, non si ritrovando l’altra, non si può dalla figura cagionar la quiete, ma -t bene la tardità del movimento. Il medesimo che si A detto di questa speranza, si può dire dell’oro o di qual si voglia altra cosa, Adunque la figura, insieme con la resistenza, è cagione della quiete delle cose gravi nell'acqua: anzi non ni può dire che la sia la contraria cagione del profondarsi ; imperciochè ne’ naturali elementi e ne’comporti di quelli la medesima cagione è 20 quella che causa ora movimento e ora quiete, come la gravità nella terra cagiona quiete e movimento, cosi la leggerezza nel fuoco. Adunque non si può dire che, se lo falde del ferrosi muovano naturalmente al centro dell'acqua per la gravità, dalla leggerezza nella superfìcie di » i sopranuotinn. Adunque in questo si deve avvertire, che lo stare naturalmente a galla e l'andare al fondo in un medesimo oggetto non sono effetti contrari, onde non avieno che degli accidenti contrarii contrarie devano essere le cagioni. ImperctocliA 1 movimenti veramente son con¬ trarii ai movimenti, come quello al centro A contrario a quello eh’è alla circun- ferenza: ma non A già il movimento contrario alla quiete, ma son contrarii se¬ condo la privazione; o vero, come a molli piace, la quiete è contraria al movimento so per una certa maniera di mezzo fra la contrarietà e la privazione. Ma non per questo ogni quiete A contraria ad ogni movimento, ma solo la quiete che è fuor di natura al movimento naturale: verbi grazia, al movimento alPingift non è contraria la quiete nel centro, ma la quiete nella circunferenza ; imperciò chela quiete nel centro A perfezione del movimento, adunque non può essere contraria; ma la quiete nella circunferen/.a A imperfezzione di esso, onde ad viene ch’ella sia contraria, nella maniera che si A già detto. Adunque quando il JSig. Galileo diceva clu* de gli accidenti contrari contrarie devono essere le cagioni, e per ciò che la quiete, dell assicella de l'ebano nella superficie dell’acqua sia contraria al movi¬ mento di essa al centro, ora io gli dico se egli intende che la quiete dell assi- M ni VINCENZIO DI GRAZIA. 405 cella sia naturale o fuor di natura. Se è naturale, e il movimento all’ingiù è naturale; adunque non vi sarà tra di loro contrarietà.: se contr’ a natura, adunque quella quiete non può venire dalla leggerezza; iinperciochò ogni quiete depen¬ dente dalla leggerezza, naturale. Bisogna dunque dire, secondo la sua oppinione, che Passicella, per essere un corpo unito con Paria e por tal ragione leggieri, che egli si quieti nella superficie dell 1 acqua; e quando se gli levava via Paria, di¬ venga grave, e per ciò per l’acqua si muova al centro. Ma consideriamo s’egli è vero che la leggerezza sia cagione che le piastre del ferro galleggili sopra del¬ l’acqua, come il Sig. Galileo dice. io Ora tornisi a prendere ... Ma se élla ... (rag.97,Un.28 — png. os, Un. io] Piglisi pure la sottil falda de P oro, del piombo e di qualsivoglia materia ; riguardisi gli effetti che ne seguano mentre leggiermente si posa sopra l’acqua, sì che ella sopranuoti ; quindi si vedrà agevolmente, quanto è saldo il detto di Aristotile, e debole quel del Sig. Galileo. Perchè non solo apparisce che la falda de Poro non abbia penetrata la superficie all’acqua, ma che non ha ancora in¬ taccata la superficie di essa, e solo P ha, costipandola con la sua gravità, abas- sata, e fatta quella poca di cavità; non altrimenti chesi vegga operare qualche peso assai notabile posato sopra la tela di un letto avvento, il quale, ancorché abassi la tela e vi faccia una gran cavità, entro la quale egli si nasconde, non 20 dimeno egli non ha divisa la tela, anzi sino a che egli non l’ha divisa in tutto e per tutto, egli non si muove. Il dire che egli si ritrova sotto la superficie del panno, non par cosa conveniente, se bene egli aparisce sotto la superficie di quello, ma veramente non è. Quanto alla figura, ella non mostra altro se non che P assi¬ cella ha piegato tanto la superficie dell'acqua, che ella resta sotto il livello degli orli di detta superficie, come si è detto; or veggasi, che la assicella dell’ebano non va al fondo, perchè ella non ha rotto la superficie dell’acqua. Onde è falso che ella non si profondi perchè Paria, che ella si tira dietro per lo contatto aderente, la faccia divenire leggieri ; inperciò non essendo più semplice ebano o piombo, ma un composto di tanto piombo e aria, che Paria, essendo leggieri, con¬ so trapesi il grave di esso. E questo per molte ragione; c prima, perchè gli eie- Arist., A del Cielo, tea. menti che per contatto aderente traggano gli aderenti, sono l’acqua e l’aria; iinperciochò l’acqua tira Paria, e Paria l’acqua. In consequenza segue ancora qualche volta il medesimo fra le cose acquee e Paeree; e quindi aviene che l’acqua agevolmente si tira di qual si voglia luogo bassissimo con quelle trombette di vetro, mediante Paria che Punisce a quella. Il simile avien delle coppette dai medici usate, e dei cornetti da trarre sangue. Il che segue perchè, essendo questi due elementi simili nella umidità, la quale facilmente s’unisce, vengano tra di loro a confondere le superficie, e di due quasi farne una; inperciò vengono a muoversi al movimento altrui. Il che non può seguire nella terra, per non avere ella qua- 40 lità simile all'aria e all’acqua, e particularmente l’umidità, laonde le superficie 4(W CONSIPKR AZIONI Arial. 59. non si possano unire; e perno non m può tirare nò dall'aria nè dalla terra, essendo ella ancora, di sua natura, prave assolutamente. Si potrebbe dubbiare della polvere, la quale si tira con gl» achizatoi; onde si (mtrobhe credere ch’ancorala terra con questo instrumonto si potessi* attrarre. Al che si risponde, che non è semplicemente la polveri», ma quella mescolata con Paria ; anzi tirandosi l’aria, nc viene ancora la polvere a quella unita, per esser la jadvere leggieri per accidente rispetto alla terra, ondo quella nell*acqua e nell’uria palleppia, come diremo. Adunque non è iiossihile che la terra e le cose terree attraghino l’aria, o che quella si possa di maniera unire con esse, che se ne faccia di due superficie quasi una sola, non ci essendo la umidità comune, che ragiona tale accidente. Avien io bene, che P assicelle de 1* ebano facendo, mediante la pravità., quel poco di avval¬ lamento nell’acqua, che l'aria, comi* grave e per levare il vacuo tanto dalla na¬ tura odiato, scende a riempier quel luogo: Adunque è solo ebano quello che si pone nell*acqua, e non un roin|M>stn d'ebano e d’aria. 11 che proveremo poco appresso con la esperienza propia del Sig. ( lalileo, bagnando Passicella dell’ebano; fra tanto passando in brieve le delude opposizioni ch’il Sig. Galileo si fa contro, con dire che, bagnandosi P assicella de V ebano, divien più pravo che prima non era, in|K»rciò se ne va al fondo: conciosia che, come egli dice, per esperienza si vede che messe sopra Pasticcila molte gocciole d’acqua, purché non si congiun- pino con l'altra, lo quali eccedimi di gran lunga quello con che si bagna l’as-20 girella, non per quitto la fanno profondare; adunque l’assicella bagnata non sene, va al fondo per la pravità aggiuntale, ma sì bene per altra cagiono, corno poco appresso diremo. Onde avien*» che trattandosi di quello operi la figura, si deve desiderare che i solidi non si pongim» nell'acqua bangnati; nè io domando che si faccia altro della assicella, che della palla : anzi volendo il Sig. Galileo impugnare Aristotile, fa di me.stiero chi* egli le lampa nell’acqua senza bagnarle, avendo così esperi mentalo Aristotile. Il dire che l'acqua aletta gravità... fr^c oo. Hn.37) Questa dubitazione, se P acqua sia grave o no, è stata agitata da gravissimi autori, e da essi diversamente si decide; onde il correre a furia a dire eh’egli è 80 falsissimo che P acqua nel propio luogo sia prave, non pare, che egli sia molto con- .4 Cielo, t più ne i composti la materia che la forma, quindi aviene che gli elementi mezzani sono nel propio luogo gravi, e non leggieri. Alla qual sentenzia quantunque io sottoscriva, non dimeno mi pare che ultra cagione render sene jk<*mì: e questa è, che dovendosi dalla natura, mediante la gravità, porne il centro all’universo, gli fu mestieri non solo servirsi di quella della terra, che, ooiue assoluta, è primi pai cagione della quiete di essa nel centro, ma ancora volse che l’acqua e lana purticipassino nel propio luogo 20 della gravità, quasi uusihatrici ili quello effetto. Si potrebbe ancora dire, che la gravità fus.se stata conceduta all'aria per comodo de' mortali; imperciochè se ella non fusse di tal maniera, sarebbe più sottoposta ai venti, alle tempeste e a simili Arot.. 4 del Ciolo, te*, altri iiufortuni, e perciò imdto linone «la agli uomini. Ihcliiamo dunque che l’acqua e 1 aria nel lor propiu luogo Meno gravi, ma non della medesima gravità che Arisi., 3 Jolcielo, test, elleno luuuio quando sono fuori di esso ; e che in esso eglino sono gravi e leggieri in potenza, non altrimenti che sia il color venie, che al nero e al bianco può ridursi; Amt .,4 del citilo, t.v*. c lucra del propm lu**gu meno gravi e h ggirri m atto : gravi, quando si ritrovano in quelli che gli stanilo sotto; leggieri, in quelli a quali eglino sopra stanno, se però non sono impelliti. Il che ..elido ventuno, credo sarà agevol cosa il rispon- W dere a* contrarii argumenti di l olninnu o e «li Temiatio. K dalla prima esperienza incominciando, dico che, se è vero che colori) che si tuffano sotto l'acqua non sen¬ tirlo gravitò, hi qual cosa appari ce il contrario, vedendosi che coloro che si tui- lano, quando tornano sopra dell'acqua, sono sgravati ila una certa grandissima molestia, quasi che dalla gravità dell'acqua eglino ventino aggravati, non nego già che questo accidente non po^sa essere cagionato dagli spiriti ritenuti: e per¬ ciò par che si possa dire con Simplicio, che quelli che si tuffano nell’acqua non sentine la gravità, perchè le parte di essa tra di loro si sostengliino; non altri¬ menti che noi veggiaino tare a coloro che aprendo un muro si mettano dentro di esso, i quali non sentano la gravità perchè le parte di quello si reggano Ira di 40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 409 loro; e quindi aviene eli’una asta pesa manco ritta che a diacere, e le veste più nuove che vecchie, e particularmente trattandosi di quelle di drappi d’oro. Ma mi credo io, che se uno si mettesse in sulla superficie della terra, e si facesse infon¬ dere sopra venti o venticinque barili d’acqua, sì che ella dovesse reggersi sopra di lui, al certo che sentirebbe grandissimo peso. La qual cosa sensibilmente apparisce dalle conserve dell’ acqua fatte ad uso di anatrare gli orti, le quali quanto piti son piene, tanto più gli zampilli di esse saggono verso il cielo : verbi grazia, se nella conserva sarà un braccio d’acqua, pongiamo che gli delti zam¬ pilli salghino un braccio; quando ve ne sarà quattro, saranno duo braccia: il che io avviene perchè l’acqua gravitando sopra 1’ acqua viene con simil forza a spingnere l’acqua che esce di detta conserva. Al che si agiugne, che l’acqua nel suo luogo ha da natura di non gravitar molto, sì come al Buonamico è piaciuto. Alla con¬ traria esperienza de V otri o de’ palloni gonfiati, ho sperimentato io essere sì come dice Aristotile; e quando non fusse, si deve avvertire, come dice Averroe, non per questo esser falsa la sentenzia di Aristotile, fondandosi ella sopra altre esperienze. Alla terza ditti cui tà, mossa da Temistio, si deve distinguere, che altra è la gravità dell’acqua e dell’ aria nel propio luogo, che fuori di esso; e quindi aviene che nel propio luogo genera quiete, e fuor di esso genera movimento. Onde non segue : < È grave, adunque nel lor luogo si doverrà movere al centro; essendo in esso, si 20 quieteranno per accidente» : imperciocché la gravità non solo è atta a produrre ne’luoghi stranieri movimento, ma ne’ proprii quiete; anzi la gravità respettiva può ciò ottimamente adoperare ; imperciocché cangiando luoghi, ancora il suo sub- biotto si cangia di grave in leggieri, e per ciò viene ad aver gradi di gravità, non si passando da uno estremo ad uno altro senza mezzo. Adunque vegga il Sig. Ga¬ lileo, quanto sia falsissimo il parere di Aristotile. Quanto alle sue dubitazioni, alla prima si potrà rispondere quello si è detto alla dilìicultà di Temistio. Alla espe¬ rienza de l’alzare qualche peso più agevolmente nell’acqua che fuori, ciò mi torna il medesimo ; solo ci ho saputo congnoscere diferenzia quando una cosa si deve profondare nell’ acqua, dove apparisce che più malagevolmente si profonda in essa so che inell’aria; e questo adivieue per la maggior resistenza di essa. Ora io non solo vi replicherò che l’acqua aggiunga gravità alle cose che sono mezzo in aria e mezzo in acqua, ina ancora che sono per entro a quella, come già ho detto : e se il Sig. Galileo vuoi vedere che un vaso di piombo ripieno d’acqua pesa più che non fa il piombo di che egli è composto, per levar via ogni suo refugio e ogni sua parata, pigli due moli eguali di piombo, e di una di esse ne faccia .fare un vaso, e T altra si rimanga nel primo stato, e vedrà che ripieno il vaso d’acqua, nel- 1’ acqua peserà più che ’1 piombo, come abbiam detto. Non credo già io che un vaso di rame galleggi perchè l’aria inclusa lo renda più leggieri dell’acqua, e perciò egli sene stia sopra 1’ acqua, ma per la figura: potrebbe ben ciò adoperare, 40 caso che 1’ aria fussi racchiusa e riserrata dentro al vaso con qualche coperchio, IV. 52 410 CON8IDKR A ZlON I di modo che nel profondare il ao ella facessi forza, per non essere nel proprio luogo e per essere leggieri e corno si e detto. K finalmente, per dimostrare che r assicelle che si pongano nell’acqua sono puro e naturale ebano, e non un com¬ posto di ebano e di aria, sì che Paria possa contrapcsare il grave dell*ebano, pi¬ glisi il rimedio del Sig. (ialileo ; bagnisi funicella dell’ebano quasi tutta, o solo vi si lasci una quantità di aria quanto una corda intorno intorno, e si vedrà che ella a ogni modo galleggia. K notisi che la medesima aria servirà a una assicella d’ un sesto, quanto a una ili dieci braccia ; onde chiarissiimuiiente si vede, non essere Paria che fa galleggiare P assicella : anzi P oro, ch’ai parere del Sig.Galileo è più grave venti volte clic P acqua, con la medesima aria è sollevato a capello, io che quando non è bagnato. Adunque è falso che l’uria aderente sia quella che cagioni il galleggiare, essendo impossibile che di quella che rimane, come si è detto, coll’oro se nr possa fan» un composto più leggieri dell’ acqua, E s’e* nostri avversari da principio non si curavano che P assicella non si bagnassi, questo non badie fare con Aristotile; e se eglino dicevano che il ghiaccio galleggia perla figura, peiisinci loro : solo diro, che non su perché non possa essere che il ghiaccio non si possa dare con la superficie asciutta e inaridita, massimo nel tempo del- P inverno. Potrcl»l>e per avventura .. . Forse alcuni ... fpar 101, Un. io-85] Per qual cagione non si possa h&ngniare tutta P assicella, ma sia necessario 20 il lasciare intorno intorno quelli orli senza bagnarli, diremo poco appresso: fra tanto concediamo al Sig. ssa sostenere le piastre di ferro, (Poro o di qualsivoglia materia grave, Impcrcin che fra la calamita 0 il ferro è una certa naturai simpatia, dependente dalla mistione dell’uno e dell’altro, la quale può cagionare fra di loro quella attrazione, sì come noi veggiamo che più 30 agevolmente uomo si muovi ad amare uno ch'uri altro, anzi molte volte a odiar senza cagione alcuno e senza cagione ad amare altri : ma qual simpatia può essere fra Paria e la terra, se son composti questi dua elementi di qualità con¬ trarie V questi è secco, t* quello è umido; questi participa del calore, e quello della frigidità. Porse se alcuno di loro fusse viscoso 0 tenace, si potrebbe (lire che fra di loro si unissero j>er quella viscosità: ma nè anco questa cagione nell’aria e nella terra si ritrova. Finalmente, se lussi possibile che la superflue dell’aria si unisse con quella della terra e dulie cose terree, si come fa P acqua e 1 aria, si A rht.,4del Cielo,tea. potrebbe considerare qualche attrazione: il che, come ho detto, è falso. Manche \ 0 io cercando cagioni e movendo dilhcultà, se già per esperienza è manifesto 40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 411 che le piastre del ferro e del piombo non son sostenute dall’ aria, c clic 1’ aria agevolmente si separa con V acqua, come il Sig. Galileo desidera ? Io per sodisfare ... Or seguitando il mio ... [pag. 102, li». 3 — pag. 103, lin. 121 Quanto alla esperienza del Sig. Galileo, con la quale egli vuol provare che l’aria non solo può reggere le piastre del ferro sopra l’acqua, ma che qualsi¬ voglia cosa profondata in essa, purché ella non sia in gravità molto disegnale dell’acqua, si può con l’aria sollevarla e ridurla nella superficie di quella; il che egli esperiinenta pigliando della cera mescolata con limatura di piombo, sì che ella divenga poco più grave dell’ acqua, e riducendola in una palla, la di cui 10 superficie sia molto brunita e tersa, la sommerge nell’acqua, e di poi con un bicchiere rivolto la riduce nella superficie de l’acqua c quivi la fa fermare; la quale sperienza non pare che sia molto sicura: imperciocché l’aria non solleva quella palla se non per accidente, nm sì bene 1’ acqua nella quale si ritrova la palla si attrae dall’aria, unendosi agevolmente la superficie dell’ una e dell’altra, che è attratta con tanta forza, eh’ ella può sollevare la palla che in essa si ritrova. Segno ne sia di ciò, che lo palio alquanto più grave dell’acqua non si possano sollevare con quel bicchiere, perchè 1* aria non attrae con sì gran forza 1’ acqua, ch’ella possa condili* seco le cose molto più gravi di essa; il che agevolmente si manifesta con il pigliare cose clic siono così grave nell’aria come quella cera 20 nell’acqua, le quali non si possano sollevare col bicchiere del Sig. Galileo. Adunque la esperienza del Sig. Galileo altro non prova, se non che 1’ aria può attrarre l’acqua con sì gran forza, che ella può sollevare qualche cosa poco più grave di sé stessa : onde fra 1’ aria e la terra e le cose terreo non è simpatia 0 affinità alcuna che gli unisca insieme, sì che non si separino agevolissimamente. E quan¬ tunque mettendo qualche materia solida nell’acqua, e ritraendola, apparisca che molte parte di essa, e seguitando la detta materia, ascenda sopra la sua super¬ ficie, nondimeno non son pari l’aria e l’acqua: imperciocché l’acqua ha una certa tenace viscosità, con la quale ella si attacca alle cose, onde non si può così agevolmente spiccare ; anzi si ritrovano dell’ acque cosi bitaminose, che ser- 30 vono per calcina, onde Semiramis si servì di esso lutarne a far edificare le mura della gran città di Babilonia ; per la qual tenacità adiviene che 1’ acqua, appic¬ candosi alle cose terree, si sollevi sopra la propia superficie : là dove 1’ aria, non sendo viscosa, questo simile accidente non può generare. Adunque nell’ aria non vi si può collocare questa virtù calamitica del Sig. Galileo ; e quando ella vi si potesse adattare, non dimeno, potendosi essa con 1’ acqua separare, sì come il Sig. Galileo desidera, delle assicelle dell’ ebano, ne seguirà che elleno per altra cagione sopranuotino sopra la superficie dell’ acqua. Or seguitando il mio proposito ... [p*g. ioa, lin. 12 ] Adunque occorre che ricorriamo alla resistenza dell’ acqua, a voler render 40 ragione di questo accidente : la quale ò agevol cosa mostrare, essere non solo 412 CONHIPKR AZIONI nell’acqua, ma, come ilice Aristotile, in tutti «li elementi e in tutti i continui Ma si delibo avertire, che queeta resistenza non A tale che repugni all’intera divisione, corno il Galilei si crede, ma stilo repugna alla divisione più facile e più diticile: iraperciocchA noi reggiamo ch’il durissimo marmo si scava da una goc¬ ciola d 1 acqua, come tlissi- l.ucnzio e dappoi lui Properzio; e per ingegno umano abbiam veduti scavare i monti, come nel regno di N a poli apparisce. Adunque fa di mestieri che dichiamo, che niente A in tutto e per tutto è indivisibile, ma si bone che una cosa più ditisibile eli'una altra che con manco forza e manco tempo si divido: anzi Aristotile prova che ogni continuo è divisibile in infinito in mille luoghi, onde non si può dedurre dalla sua dottrina che egli voglia che io l’acqua sia indivisibile, dicendo, nel rapitolo che siamo per dichiarare, che de i continui altri som facili, altri miii ditifili, alla divisione. Ma volendo dimostrare questa resistenza essere in tutti i continui, dal sonno principierò, dal quale nostra intelligenza ha suo con» inda meni». Dico, dunque, che movendosi nell’aria e nel- 1' acqua una bacchetta, sensibilmente si vede ehe con più agevolezza in questa eh’in quella si muove; adunque jier qualche cagiono ciò de’a venire, e questa al mio giudizio, sarà elle 1’ acqua ha maggiore resistenza che l’aria. Non si può già dire che questa agevolezza dejK-nda perchè le parte dell’ acqua bì deano muo¬ vere. e perciò in tempo: inperciocchè tanto si hanno a muovere quelle dell’aria, quanto quelle dell’acqua. K alle ragione venendo, si può dire che, se l’aria e 20 l’acqua non hanno resistenza alla divisione, adunque il movimento si farà inistantc. Arisi., 1 della Fisic». Imperciocché ponghiamo eh’un mobile, eguale di peso e di figura, si deva muo- coni. 2,71. .... ,, ... vere per lapazio ripieno «li corpo eh abbia resistenza, per eguale spazio ripieno di corpo che non abbia resistenza; e ponghiaino che per quello spazio che ha resistonzia egli si muova in un’ora, o per quello die non lo ha, in un centesimo d’ora. Il che ò imponibile: conciosia che si come il tempo ha proporzione al tempo, così lo spazio ileo .iv»*re projMirztone allo spazio; ma la resistonzia alia non resistenzia non ha projiontione alcuna, si ronn* Ponte al niente e il punto alla linea; adunque il tempo non pu«S aver pro|xjmone al non tempo. Onde avverrà, che se l’aria e l'acqua non hanno resistenza, ch’il movimento in loro si farà in 80 istante, h per più agevolezza elei lettore, sia dato il mobile A : muovasi per lo spazio ripieno ili corpo resistente, e aia B, in tempo d’ un’ora, e sia C; e muo¬ vaci il medesimo mobile per lo spazio ripieno di corpo non resistente, e sia D, in un centesimo d ora, e sia E: dico ciò essere impossibile. Imporciochè lamede- fiima proporzione che ù da I» a I), deve essere da C ad E; ma da BaDnonò proporzione alcuna ; adunque da (> ad E non sarà proporzione alcuna: adunque il mobile A si moverà nello spazio ripieno di corpo resistente, in tempo; o in quello ripieno di corpo non resistente, in instante. Adunque se l’aria e l’acqua non hanno Ans., nei med. luogo, resistenza, il movimento in loro si farà in instante : il che ù impossibile. La seconda ragione ò, che un mobile più grave si muove nelle cose nello quali il Sig. Galileo 40 DI VINCENZIO DT GRAZIA. 413 concedo la resistenza, verbi grazia, nel piombo, più velocemente eh* un men grave; ma questo effetto si vede nell’acqua; adunque 1* acqua avrà resistenza. A questo s’aggiugne, di’ un mobile equale di gravità o leggerezza ad un altro, ma disegnalo di figura, si muove più velocemente nell’ acqua che quell’ altro non fa. Non si può dire che il mobile più largo si muova più difficilmente che lo stretto, perchè più parte d’acqua si abbino a muovere a concedere il luogo al largo elio allo stretto, e perchè elleno si devino muovere per maggior spazio; conciosia che se è vero quello che dice il Sig. Galileo, questo non importi niente: imperciocché, non avendo resistenza 1’ acqua alla divisione, ne seguo eh’ il movimento, come ho io provato, si faccia in istante, onde in non tempo tanto si doveranno muovere le particelle dell’ acqua (die son sotto la figura larga, quanto quelle che sono sotto la stretta, quantunque elleno fussino più di numero e si avessero a muovere più spazio; imperciocché sì come mille punti non fanno una linea, così mille istanti non fanno tempo. Adunque sarà vero, elio 1’ acqua abbia resistenza alla semplice divisione. Il che dimostra ancora, che essendo la terra, come il Sig. Galileo vuole, resistente alla divisione, sarà necessario che sia ancora gli altri elementi : imper¬ ciocché eglino son composti della medesima materia e della medesima qualità; adunque non par sia possibile che la terra abbia avere uno accidente e una pro¬ pietà, e non la debba avere 1’ acqua. Dichiamo dunque che tutti gli elementi Aristo., 4 dei CieLo, 20 hanno resistenza alla divisione, e quelli più che sono più densi e meno dissipa- er virtù calamitica, ma sì bene per le già dette ragioni : imperciocché essendo 1' acqua corpo denso e sodo, e perciò resistente, e desiderando di restare unita, viene aver tanta virtù, elio l’ assicella con la sua inclinazione non la può su|>orare. e per tal cagione sopranuota nell’acqua. Quindi 20 agevolmente si scioglie ongni difficoltà: imperciocché la detta assicella non so¬ pranuota nell’aria, perchè ella non è cosi densa e così resistente come l’acqua; e l’assicelle del noce del Sig. Galileo non restano al fondo, perchè non vi è quella resistenza che nella superficie si ritrova, cioè quella che dependo dal de¬ siderio doli’ acqua della Rua conservazione. Adunque fermiamo questa conclusione: che la quiete delle cose gravi nella superficie dell’ acqua sia accidentale, e de¬ penda da uno impedimento che da tre cagioni sia composto, il quale non lasci che le cose gravi, che ili lor natura nell’ acqua se ne andrebbano al fondo, pos¬ sine eseguire il lor movimento; e queste tre cagioni sono la figura larga, la re¬ sistenza dell’ acqua come densa 0 soda, e la resistenza di cosa che depende dal 30 desiderio del suo propio conservamento. Ora, poi cìie... Voglio... [pur. ios, lin.se - pwr 181, Un. 23| Avendo dimostrato, non essere in tutto e per tutto vera la cagion del Sig. Ga¬ lileo, ed avendone addotta quella che ci è parsa più vera, li resterebbe a consi¬ derare le sue demostrazioni ; ma ila poi che elleno si sostengano sopra dua prin¬ cipi falsi, 1’ uno è 1’ aria aderonte con virtù calamitica, 0 1’ altro che l’assicelle abbino già penetrato la superficie dell’ acqua, ho estimato bene il tralasciarle, Anzi essendo ancora veri i suoi prindpii, pare che le sue demostrazioni sieno alquanto manchevoli ; imperciocché egli suppone che gli arginetti dell’ a^qua, che sono intorno all’ assicella dell’ ebano, sieno ad angoli retti, od eglino sono rotondi, W DI VINCENZIO DI GRAZIA. 419 onde vengano a contenere più aria che egli non suppone: il che agevolmente apparisce. Sia, per essemplo, la superficie dell’acqua ABCL), sopra la quale si ponga F assicella, che, profondandosi nell’acqua, fa gli arginetti rotondi B,C, come nella assicella FG apparisce. Supponendo, dunque, il Sig. Galileo che gli arginetti sien retti, viene a pi¬ gliare tanto manco d’ aria, quanto è dal retto al ritondo, come nella figura si vede. Ma chi non sa che ogni minima variazione muta le proposizioni geometrico? Adunque io bisogna che diciamo che le dimostrazioni del Sig. Galileo per questo sieno alquanto difettose. Quanto a quali sieno quei corpi, e di che figura, che possano sopranotare per accidente nell’ acqua, mi riserbo a dirlo quando espricherò Aristotile. Voglio con uri altra esperienza ... ho detto ... |pag. 121, Un. 23— pag. 128, Un. 26] Avanti eh’ io venga a considerare quella parte dove il Sig. Galileo impungna precisamente Aristotile, mi è paruto conveniente il considerare F ultima espe¬ rienza colla quale il Sig. Galileo vuole provare che le piastre del piombo gal¬ leggino sopra F acqua mediante la virtù dell’ aria, quantunque, se mi ricordo, questa è una ragione altre volte da lui proposta. Ma che? questo è il suo solito: onde se per fortuna nel inio trattato ci fusse contra il buon ordine qualche re- 20 pricazioni, spero che mi s’abbia a perdonare, dovendo io rispondere al Sig. Ga¬ lileo, che di esse non si è molto guardato. E questa è, che una falda di piombo eguale di peso ad una palla, poste amendue nella superficie dell’acqua, sì come F assicelle, la falda sarà molto più diliicile a sollevare che la palla ; adunque, sì come F acqua s’ attacca alla piastra di piombo mentre si solleva dalla sua su¬ perficie, così F aria si dovrà attaccare a quella mentre ella si profonda nel- F acqua. La qual consequenza io crederei che si potesse negare : imperciocché, sì come abbiam detto, F acqua ha una certa viscosità, con la quale ella s’ attacca alle cose e particolarmente alle terree, della quale è privata F aria ; onde adi¬ viene che F acqua si attacca alla piastra, e F aria non si può attaccare, la oltre 80 fra F acqua e la terra può esser qualche simpatia, avendo fra di loro una qualità comune, quale è la frigidità, là dove l’aria e la terra, come composte di contrarie qualità, non possono avere alcuna convenienza. E perciò io mi persuado che questo effetto possa accadere nell’ acqua, e non nell’ aria ; e tanto più mi ci confermo, quanto si vede che non ò F aria che è cagione che le piastre e altre cose simile galleggino nell’ acqua, come si è detto. Adunque è manifesto la cagione perchè le piastre del piombo e altre cose simili si quietano accidentalmente nell’ acqua. Ci resta a considerare quello dice il Sig. Galileo contro a Aristotile. Ho detto ... Quanto al primo punto ... [p*&- 123, lin. 26 — pag. 124, lin. 1] Avendo sin qui considerato quello che in questa dubitazione ha detto il Sig. Ga- 40 Ideo, e non ci essendo cosa che sia contro ad Aristotile, ci resta a considerare •120 CONSrDKRAZIOKI quello che egli gli oppone nel fine «lei quarto del Cielo. Nella qual considerazione ho giudicato esser bene addurre le parole del testo greche, e dipoi volgarizzarle al come nella sua Poetica fa il docti-dmo cavalier Salviati; imperciocché in tal maniera adoperando, più agevolmente si vedrà la ’ntenzione del Filosofo e si scor¬ gerà qual siu il vero volgarizzamento. Kgli non è dubbio che Aristotile, sì in questo luogo come in tutti gli altri, è stato ili parere che la tigura non possa cagionare il muoversi e il non muoversi semplicemente al centro o alla circonferenza; e perciò molto mal pare al Sig. Galileo che egli, nel rendere la cagione del sopranuo¬ tare delle piastre di ferro e di piombo, sia stato di contrario parere. La qual cagione a’egli o il Sig. Galileo l’avrà bene incontrata, da quello si dirà si potrà io dedurre agevolmente. Tre sono T esposizioni che si possono darò a questo luogo : la prima, congiu¬ gnendo la disione semplicemente alia dizione fit/urr ; la seconda, alla dizione cause; la terza, alla dizione muoversi ; tutti- le quali son verissime, o niuna di esse ri-20 pugna nè ad Aristotile, nè alla natura di quel che si tratta. E dalla ultima in¬ cominciando, notisi che che nel ti sto d* Aristotile tre sono i termini, e non quattro come dice il Sig. Galileo, cioè movimento, più tardo, e più veloce, non ci essendo la quiete, nè il tardi e il veloce ; e perciò nominando Aristotile le figuro con- cuuse del più tardi e* più veloce, ed escludendole dal movimento semplice e asso¬ luto, ancora 1 ' esclude dalla quiete semplice e assoluta, ma non da ogni quiete. Imperciocché la quiete altra è naturale e altra accidentale, sì come si dice che il fuoco si quieta naturalmente nella sua sfera, e per accidente nelle viscere della terra. Onde è manifesto che Aristotile afferma, le ligure non esser cagione del moto semplice, e in consequente della quiete semplice e assoluta, ina non d’ogni 80 quiete; conciosia clu* la medesima cagione che negli elementi produce il movi¬ mento naturale, produce ancora la quiete naturale. Segno ne sia la terra, che per la gravità al centro si muove, e per quella ancora nel centro si quieta; e il tuoco, che i>er la leggerezza ha il suo naturai movimento 0 la quiete. Là dove la quiete accidentale ha diversa cagione da quella del naturai movimento: im- perciocché il fuoco si quieta accidentalmente nelle viscere della terra per la gran resistenza di essa, e per la propia leggerezza naturalmente si muove. Adunque chi dicesse, le figure non esser cagion del muoversi semplicemente, ma sì bene in qualche maniera della quiete accidentale, favellerebbe dirittamente, be il Sig. Galileo mi domandasse quali sieno quelle figure che cagionano nell* acqua 40 I)T VINCENZIO DI GRAZIA. 421 la quiete accidentale in quei corpi elio naturalmente si moverebbano, gli rispon¬ derei quelle essere le larghe e sottili: e se egli repricasse: < Adunque quelle ri¬ tonde e grosse saranno causa di muoversi >, gli direi ciò esser falsissimo. Imper¬ ciocché quantunque si vegga le falde del ferro e del piombo quietarsi sopra deir acqua, e ridotte in figura rotonda muoversi, non per questo la figura ro¬ tonda sarà cagione di quel moto, nò ancora come rimovente lo ’mpedimento ; con- ciosia che la resistenza dell’ acqua e la figura larga siano lo ’mpedimento che ritiene le piastre del ferro e del piombo ; e perciò chi muta la figura larga in rotonda, è cagione rimovente lo ’mpedimento, e non la figura rotonda. Ma quando to si concedesse ancora che la figura rotonda lusso cagion come rimovente lo ’mpe- dimento, non sarebbe, così come vi pensate, dirittamente contro ad Aristotile : imperciocché egli dice elio le figure non son causa del movimento semplice, e non del movimento in genere ; onde quando la figura rotonda fosse cagione del movimento come rimovente lo ’mpedimento, non sarebbe cagione del movimento semplice e naturale se non per accidente ; e se quella materia clic sotto diverse ligure si ritrova, non l’usse atta a muoversi in recto naturalmente, mal si po¬ trebbe muovere mutandola in qual si voglia ligura. E perciò avendo Aristotile escluse le figure come cagioni del moto semplice e naturale, e in consequenzia della quiete naturale, a ragione dubita perchè le falde del ferro e del piombo si 20 quietino sopra dell’ acqua, potendosi sempre dubitare se si quietano naturalmente, dove eh’ egli dimostra che elleno sopranuotano per altra cagione e accidental¬ mente. Adunque è manifesto che Aristotile conclude, le figure non essere cagioni del movimento semplice, e in consequenza della quiete naturale, ma sì bene del più veloce e del più tardo; e che egli non nega che le figure in qualche guisa possano cagionar la quiete accidentale, come egli poco appresso manifestarà : onde non apparendo la mente di Aristotile inconsequenzia contro a’ nostri aver- sari, non è forza che la loro esposizione non sia precisamente tale; se poi da loro avete altramente inteso, questo può essere agevolmente. La seconda espo¬ sizione, congiugnendo la dizione semplicemente, alla dizione cause , dal Sig. Ga- 30 lileo stimata di celebri interpreti, ma fuori di ragione, quantunque questa possa essere del Buonamico, tuttavia per non averla egli detta nell’ esposizione di que¬ sto luogo, e per essere esposto, come diremo, diversamente da Temistio, Simpli¬ cio, Averroo e San Tommaso, i quali si deono chiamare celebri commentatori di Aristotile, o non la chiamerei di celebri commentatori. Ma sia come si vuole, questa esposizione, o del Buonamico, o de’vostri avversari, o di qual si voglia, è verace e buona, e in tal guisa si può ottimamente intendere Aristotile ; quasi egli dica, che le figure non sien cagioni semplicemente del movimento, ma del più tardi e del più veloce. Intorno questa esposizione ... [pag. 125 , Un. 19 ] 40 Quanto alle difficultà proposte dal Sig. Galileo, è agevole la risposta. E dalla 422 CONSIDERAZIONI prima incominciando, dico che se il Sig. Galileo, si conio si dà ad intendere avesse ben visto e letto Aristotile, poteva far di meno di non addurre questa ragione e questa difficoltà: imperciocché avrebbe ritrovato ne gli Elenchi e nella difesa de* poeti, nel fine de i libri della Poetica, die quando le parole nella testura generai! difficoltà e contrarietà a coloro che le scrivono, si deono correggere xaxà Siacfpcotv, cioè j>er la divisione e col punteggiare ben le scritture; e scegli non credeva ad Aristotile, (lovea legger Quintiliano nel settimo libro, dove e* tratta dell ambiguità. Ma, secondo mi vien referto, il Sig. Galileo si compiace di studiar le cose in su il libro della natura, a non vederlo sopra le fatiche de’valentuomini K perciò se la dizione semplicemente cagionale contrarietà accoppiata con la io dizione muoversi, il che non è vero, ni dovrebbe adattarla in altra maniera sì come fece Aristotile difendendo Empedocle, il quale in un sol verso si contrariava infinitamente, come si è detto. Oltre a che non ci doviam maravigliare che Ari¬ stotile collocasse in lui guisa la dizione irJW*;: imperciochò a chi vuole scriver bene, fa di mestiere) raccomodar le parole dove elle rendono miglior suono; onde Aristotile, che col testimonio di Cicerone scrisse ottimamente tra i Greci, così le volle ordinare, oonciohiaebè il punteggiare sia quello che renda chiara ogni scrittura. l)i più, se r intm*ion*' iT Aristotile ... Aggiungo che , se.., [p**-186,Ilo. 80 — pag. 126 , Ho,161 » Quanto al secondo, affermo che il dire < non son cause semplicemente del moto, ma del moto più tardi e del più veloce >, non solo è superfluo e falso, ma neces¬ sario e vero. 1% notisi che Aristotile dice < più tardi e più veloce >, e non < tardi e veloce > : il che si mette in considerazione, non perché importi alla nostra dubita¬ zione, ma per mostrare che si debbe andar cauto nell*esporre gli autori, e non pigliare un termine per uno altro. Imperciocché tre sono le cagioni assolute del più tardi e del più veloce nel movimento: la maggiore o minore inclinazione del uiobib', la resistenza del mezzo e la varietà della figura. Dellu maggiore o minor inclinazione del mobile, non pare possa cader sotto dubitazione. Quanto alla re¬ sistenza, già si r detto a bastanza, (‘i resta dunque a dimostrare, che la varietà so della figura renda assolutamente, e di sua natura e i>er sé, il movimento pili tanli e piu veloce. 11 che pare che il Sig. Galileo altre volte conceda, come che ura Hì Il ^-^hi per troppa vaghezza di contradire: imperciochò dice a carte 2G (pa*. ss, im. i j); < Può ben r ampiezza della figura ritardar la velocità, tanto della scesa quanto della salita >; e a car. 33 p** w&, Un. 17-18): < e di tal tardità ne è vera¬ mente cagione la tigura > : ma perchè egli potrebbe sfuggire in dicendo che in¬ trude che la figura sia cagione per accidente, e non semplicemente, perciò così mi e punito di provarlo. Pongasi per tanto nel medesimo mezzo due mobili eguali d inclinazione, cioè di gravità o di leggerezza, ma diseguali di figura, verbi giazia 1 uno sferico e l’altro circolare; sensibilmente apparirà, l’uno muoversi più 40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 423 tardi, e l’altro muoversi più veloce : se, dunque, di questo accidente non è cagione la inclinazione, non la resistenza, sarà necessario esserne la figura. Adunque la figura è causa, per sè e semplicemente, d’una specie di più veloce e più tardo. Ma che la figura di questa velocità sia cagione per sè assoluta, non credo che il Sig. Galileo ne debba dubitar punto : imperciocché dando l’inclinazione si darà il movimento, che, come ben dice Aristotile, non può esscro prodotto dalla figura; ma concedendo che un mobile figurato si muova, ne segue necessariamente che ’l suo movimento per quella si è tardo o veloce: onde è ben vero che la figura non cagiona il movimento retto, perciocché ancora le matematiche si moverebbono, io o il cielo al centro e alla circunferenza, come gli elementi, avrebbe il suo mo¬ vimento ; ma è cagione del più tardi c del più veloce. Quanto al testo 71 del quinto della Fisica, ancorché Aristotile in quello non faccia espressa menziono della figura, tuttavia l’include in quelle parole: àv zàXXa, xaòxà urcàpxifl, cioè « se avranno le medesime condizioni » : il che dichiarando nel testo 74, non solo, come si pensa il Sig. Galileo, la mette come causa instrumentale, ma al pari della gra¬ vità e della leggerezza, dicendo : r) yàp ayjj|iaxt 5ia:pet, £>orc?j $)v èx« xb er l<>r natura hi muovono d’un movimento interviene alle tolte, per alcune eireuo»Uii/.-, il muoversi di contrario movimentò' che si chiama moto accidentale ; come il fuoco che di sua natura si muove al- rin su, ma quando è forzato ai muove al centro, come nelle saetto si vede: in oltre che uno agente d'un movimento accidentale non poò esser cagione nel medesimo tempo dell’effetto contrario, verbi grazia, ohe quel che tira le cose gravi alla circunferenza, e perciò è c agione del moto i*r accidente, non può essere cagione della quiete accidentale in un medesimo tempo. K qui si potrebbe dire al Sig. Ga- io lilei, eh’ e’ bisognerebbe, a dar contro gli autor nobili, andar più adagio. Al quarto avvertisca, che Aristotile non ha voluto stabilire in questo luogo che la figura sia cagione in qualche modo della quiete, avendo detto, corno infinite volte si è repli¬ cato, che la figura non è cagione srraphceraerito del muoversi, tua del più tardo e del più veloce, donde m deduce che, non es-etuln cagione del movimento semplice, non è anco cagione della quiete semplice e assoluta; di poi in un particularsolo dimostra come la figura può imlur quiete jmt accidente, e non per sé; e questo è, quando la figura larga, accoppiandosi oon hi resistenza dell’acqua, ò cagione che le piastre di ferro restino sopra dell’acqua: o perciò si può concludere che Aristotile in queste parole non abbia attribuito alla figura assolutamente virtù 20 di muovere e di quietare. Ma non ha negato che per accidente ella non possa questo effetto cagionare ; onde poco appresso egli dimostra, in che guisa ella questo effetto, con la virtù del continuo, i«>trìi produrre. Li terza esposizione, come quella che è de’ migliori commentatori d’Anstoiile, devesi seguitare, cioè che la dizione àrcXùx; si adatti alla dizione figure. Onde diceva Temistio: < la» figure universalmente non son cagione del movimento ile gli •dementi, ma che eglino più tardi e più velocemente si innovino > : a questo s'aggiugne Simplicio, mentre diceva, la figura semplicemente non css.t cagion del moto, ma del più tarili 0 del più veloce: e per non tediare i lettori. Àverroe, San Tommaso, e tutti i commentatori, son di questa opinione, e perciò pare che questa si debba seguitare; quantunque, come si 30 è detto, tntte sien verissime, e in nessuna accaggia alcuna diflìcultà 0 cosa che si possa chiamar errore. Ma se gli argomenti del Sig. (rabici fussono ancora con¬ traquesta esposizione, gli si potranno adattare le medesimo soluzioni che si son dette di sopra. AaopstiK yip vOv, -d. xà r.Xxdx T.rAp. x, xxl |iò).t(35oc, èrc-rde! (bri to5 55orto{, &Xkx 5è èXixrm xxl f^rtov frxpix. àv (jTprppXx 9) |txxp4, olov peXóvvj, xàtto < Imperciocché si dubita ora, perchè le falde di ferro e di piombo sopranuotano sopra 1 acqua, e 1 altre cose minori 0 men gravi, se saranno rotonde 0 lunghe, come l’ago, si muovono all'ingiù. » .ficco cho Aristotile propone il tunto impugnato problema, nel quale lui aver filo- w DI VINCENZIO DI GRAZIA. 425 sofato ottimamente abbiàn dimostrato sino a ora. Ci resta a sciorre le difficultà, che, rappresentandosi al Sig. Galileo, gli danno occasione di dubitare che Aristotile non abbia ritrovata la vera cagione: alle quali si potrebbano dare tali soluzioni, che se il Sig. Galileo sarà più alla confessimi della verità, clic alla contradizione, inclinato, resterà capace di essa. Primieramente, a quello dice, che uno ago posato sopra del¬ l’acqua resti agalla non altrimenti che le falde del ferro e del piombo, che egli stima cotanto contro ad Aristotile, crederei che facilmente gli si potesse rispondere. E prima, non accettando l’esposizion di coloro elio credono che si debba intender dell’ago messo per punta, come contradicente al testo che ragiona delle cose messe io per la lunghezza e non per l’altezza, dico, che quando ne gli autori si ritrovano delle parole anfibologiche, sì come dice Aristotile ne gli Elenchi e ne’libri della Poetica, si debbano distinguere, e adattare al testo quella significazione che più è verace, altrimenti sarebbe, non intendendogli autori, calunniarli conti*’a ragione. Adun¬ que se la dizione (kXóvyj nella greca favella ha molte significazioni, come è veris¬ simo, si dee pigliare quella che è più atta ad esplicare il testo; cioè che Aristo¬ tile si serva di eletta dizione quando significa de gli aghi grossi, e non di quegli da cucir sottigliumi. Quanto sia a sproposito il dar questa interpretazione al testo, o non intendendo gli autori calunniarli, lo lascerò giudicare a lui. Alla domanda, non solo posta nella prima edizione, ma ancora nella seconda replicata, se Ari- 20 stotile credeva che gli aghi piccoli e sottili galleggiassero o no, rispondo che sì. Alla nuova accusa del Sig. Galileo, d’avere sfuggito un problema maraviglioso e difficile, e introdotto un più facile e di maraviglia minore, rispondendo reprico, che, se lussi vera, che cosa inconvenevole sarebbe ella? Era in questo luogo ob¬ bligato ad esplicare tutti i problemi particulari? imperciocché i problemi parti- culari richieggono diversi trattati dagli universali, sì come dimostra Aristotile, Teofrasto, Alessandro e mille altri: tratta dunque solo del primo, e perchè da • Democrito era stato proposto, e perchè molto al trattato delle ligure si apparte¬ neva. Ma quando la dizione (kXów) non avesse altra significazione che di piccolis¬ simi aghi, de’ quali alcuni galleggiassero, corno egli dice, non per questo sarebbe so contro ad Aristotile. Imperciocché poco di sotto ci mostrerà che qual si voglia ma¬ teria, benché gravissima e di qual si voglia figura, riducendosi a sì poca gravità che non possa fendere la continuità dell’acqua, sopranuota; anzi che la polvere non solo nell’acqua, ma nell’aria si regge: e perciò notisi dal Sig. Galileo che Aristotile non ha tralasciato questo problema, che ancora gli aghi che nell’acqua si muovano all’ingiù, se si ridurranno a sì poca gravità ch’eglino non possano fender l’acqua, in quella si reggeranno: adunque, sì come non sarebbe falso se di¬ cessimo che la terra nell’aria si muove al centro, ancorché la polvere, che è terra, in quella sopranuoti, così non sarà f also dicendo che gli aghi al centro nell’ acqua si muovano, quantunque alcuni in quella, per non la poter dividere, si quietano. 40 Onde è manifesto che nell’una e nell’altra maniera si salva il testo d Aristotile, IV. 54 426 CONftlMKRAZIOKI se bene io più aderirei alla temuti* mpOHunmr, rh’egli non :il)l)ia tralasciato questo problema. E che da vero, sentite: xol ivue 5ti 0|Uxpii7,Ta irarJul, oiov tò xal iXXa Yed>87) xoct xovtopr lo non ho perde* il Sig. Galileo «lit i « he Aristotile pru|M>ne una altra conclusione, se conclusione «* quella che du argumiiito depriule, nuli avendo egli fatto argomento alcuno: egli hi doveva più Umto dire, da poi che hi ha da trattare de*termini fanciul¬ leschi, una quehtione, un problema, una proposizione. La quale consideriamo se è di- io versa dal vero, come dice il Sig. Galliti». Ma prima notisi che la dizione 'j/f/YP non significa l’oro in foglie, ma si bene «polverizzato, come dal Sig. (ialileo si pensa, che s’appiglia al tasto di Àverros, chs per giudizio tic’migliori filosofanti in molte cose è corrotto, e al traduttore di Simplicio, il quale è «Ulto ingannato dalle parole ili esso, che egli male intese : Ss'Vtcpov oè, :: xtvtf»v xal xCiv ìxìvtwv Tropamiv xì p£prj èm7cc)i£ei ity Ka?., ia; toO ypoaoO XYl ia T'iXX* xal ti xovtoptw&i) iv xG) xift, < e .secondariamente. \ .■« rch»'* le particelle ih»' corpi che hanno gravità, sopra- nuotano nell'acqua, come la limatura e le foglie dell’oro e le cose pulverulente nell’aria >: 20 dove egli si pensa che Simplicio ave «i posta la dizione foglie come dichiarar zinne dell'altra parola 'yf,yp.x, e perciò nella tradiazione disse cioè foglie dell’oro, il che non è vero. Nel montilo luogo hi debbo avertire, che Aristotile non dice che la limatura dell'uro ^opranuoti nell’aria, ma nell’acqua; il che dimostra cliiarissimamente Simplicio, come aviàri detto, nel dichiarare le pa¬ role di Aristotile; onde fa di nuntieri il distinguere, per la divisione, il testo sì come lo distingue Simplicio. Non dicendo, adunque, Aristotile che la limatura del¬ l’oro per l’aria, ma per l’acqua galleggi, non >«» \edere qual sia quella espe¬ rienza che ci dimostra il contrario. E quando egli lo dicesse, e ch’il testo stesse nella maniera ch’il Sig. Galileo lo traduce, tutta volta le esperienze di Aristotile 80 son verissime. Imperciocché, che la jkilvere sopranuoti nell’acqua, per una facile esperienza apparisce: e questa »\ die spazzandosi e spolverandosi le stanze, dentro delle quali sia un vano pieno d’acqua (come può avere avertito ogni minima lem- rainella), vedesi in esso tanta j>olvere galleggiare, che par propio un velo; e non dimeno inumi particella di quella }>olvore ò invisibile, e ad una ad una si veg¬ gano, là dove nella vostra acqua torbida molte centinaia insieme non appariscono, della quale esperienza si è detto a bastanza, Quanto a che la medesima polvere resti nell’aria come nell'acqua, si vede la mattina a buon’ora, mentre il sole entra per le stanze, che una infinità d atomi per l’aria no va vagando; il che da Lucrezio, tanto dotto filosofo quanto leggiadro poeta, leggiadramente si descrive. 40 PI VINCENZIO PI GRAZIA. Contemplato)' crani, cavi solis lumina cumquc Interdum fundunt radìos per opaca domo rum, Multa minala modis mnltis per inane videbis Corpora nàsceri radiorum lamine in ipso, FA velati aetcrno ccrtamine praelia pugnasque Edere turmatim ccrtuntia, nec dare pausarli. Si deve averti re che questo non adiviene per la commozione de i venti; anzi quanto più il tempo è quieto, tanto più queste particelle nell’aria si veggono, delle quali senza dubbio credo abbia voluto significare Aristotile. Quello che della io polvere si è detto, segue ancora della sottil limatura dell’oro: onde è manifesto, che quanto son vero le esperienze di Aristotile, tanto false quelle del Sig. Galileo. E notisi che il Sig. Galileo dice che i globetti del piombo, gli aghi, sopranuotino nell*acqua, e ora nega che la polvere sopra di quella galleggi: ora io desidererei sapere perchè quelli e non questa sopranuota, se quelli son più gravi che questa; onde par che il Sig. Galileo fusse in obligo di dimostrare perchè questa differenza in questi soggetti si ritrova. Il spi 07 ) xoóxtov àrcàvxiov xò |xèv vo|xf£etv alxtov elvat v àvto cpspo|iéva>v atojxàxov. < Ma di tutte queste cose il pensare esserne la cagione come Democrito, non ha del conveniente. Imperciocché egli dice che gli atomi ignei che si muovano all’ insù per V acqua, ritardano le piastre delle cose che hanno gravità; e le strette si muovano ali' ingiù, essendo pochi V atomi che gli si oppongano. Ma era neces¬ sario che molto più eglino facesseno questo nell’aria, sì come egli a se stesso oppone, e opponendo solve debolmente; imperciocché egli diceche nell’aria non fanno il movimento in un punto, dicendo aoOv il movimento de i corpi che all ingiù 30 si muovano. > Fassa poi a confidare Democrito . . . Quel che ha fatto . . . fpa*- I29.iin.24 — pag. 130, liti. 24] Anzi Aristotile passa a spiegare la sentenzia di Democrito, e non a confu¬ tarla, il quale diceva, gli atomi ignei che si muovano all’ insù per l’acqua, essere cagione della quiete delle falde del ferro e del piombo; ed avendola riferita, ne adduce una instanzia di Democrito con la sua soluzione, la quale egli stimando debole non impugna, facendo molte volte come le saette far sogliano, che sfug¬ gono le cose debole senza nuocergli, e le gagliarde e forte rompano e sfracas¬ sano. È dunque l’instanza che Democrito si fa contro, che se tasse vero che gli •io atomi ignei sostenessero le falde del piombo nell’ acqua, lo doverebbano ancora 427 Libro secondo. i conmiukkazioni 42b sostenere nell 1 aria; il che n«m segue: e il medesimo Democrito scioglie questa dubitazione, dicvmlo che gli ut uni indi';&< qua hanno il movimento unito o nel¬ l'aria si sparpaglimo ; la qual soluzione da Aristotile non si impugna, ma egli solamente dice rii*» è deboi soluzione. K se volersi* sapere perche ò debole solu¬ zione, sarà facile il dimostrarlo. Ma prima si deve avvertire al modo d'Aristotile nel confutare gli * litic hi, il «piai. quasi sempre procede contro di loro con i loro principi, come quello che con le propie armi li voleva superare e vincere: e perciò io, seguitando le mi® vestigi, prima suppongo, secondo Democrito che si dirmi gli atomi ignei, quantunque Armtolile m ila Fisica, nel Cielo, nella Gene¬ razione e nella Melali sica, abbia dimostrato questo principio Dornooritico esser io falso. Suppcmrmlo dunque questo principio, per due cagioni gli atomi ignei do- vrehbanu sostenere tnaggioruiente le falde del ferro nell’aria che nell’acqua. La prima è, che emendo il calore, die da gli atomi «> generato, molto maggiore nel- Paria che nell'acqua, dimostra, quivi ««sere piò atomi dove è maggior calore: e chi non sa clic i molti j»o* nm meglio che pochi adoperare? La seconda è, che gli atomi ignei piò veloci nell’aria che nell'acqua si muovano, come da me si è dimostrato. Adunque, 'tendo più gagliardo il movimento de gli atomi ignei nel- Foria che nell’acqua, |>otranm> più agevolmente sostenere le falde nell’aria che nell'acqua; e perciò Democrito scioglie la sua dubitazione debolmente: e perciò doviam dire che la bigione addotta da Democrito non paia al tutto 30 vera, c che la Mia ist m/.ia resti in vigore c la soluzione sia alquanto debole. Quanto a quello «die gli atomi ignei, come m è detto, più velocemente nell’aria che udì’acqua -a muovimi, io lo stimo verissimo, come credo di sopra aver pro¬ vato; «» alle nuore dillicultà rispondendo, si vedrà se il Sig, (ìalileo o Aristotile si è ingannato in più «Futi conto. K al primo rispondendo, il quale ò eh’essendo il movimento all ingiù più veloci» nell’ aria che nell’ acqua, doveri, per la con¬ traria cagione, il movimento all’insù essere più veloce nell'acqua elio noli’aria (imperciocché i mobili che hanno gravità, quanto più si accostano al termine propio, tanto diminuiscano «li gravità; e perciò si crctle egli elio i mobili gravi si muovono più vcd; onde, come bene diceva Aristotile riprendendo Democrito, egli non solo doveva dire clic quelle cose andranno più velocemente all’ ingiù, che averanuo più pieno, ma manco vacuo. II qual refugio il Sig. Galileo ha preso, parendogli d’aver ritrovato qualche gran cosa di nuovo, e nondimeno, come si è detto, è di Aristotile; c non monta niente, non sondo conforme a i principii di io Democrito; e quando lussi, non per questo arebbe vinto la lite. Imperciocché, se la proporzione del vacuo e del pieno lusso quella die cagionasse che la gran quantità d’ aria non dovesse muoversi più velocemente all’ ingiù che la piccola d’acqua, tutta volta ne seguirebbe che una gran quantità d’acqua nell’aria si dovessi muovere all’ ingiù con equal velocità che una piccola, il che segue al contrario; imperciocché la medesima porzione che è in quella gran quantità, è ancora nella piccola; verbi grazia, un terzo di terra e due terzi di fuoco. Mache una gran quantità di acquasi muova nell’aria più velocemente che una piccola, sì come si è dimostrato della terra, così è facile a mostrarlo dell’acqua. Veggasi quanto più velocemente si muove una gran doccia, che quelle stille di minutis- 20 sima acqua, clic noi chiamiamo da cimatori. Adunque non è fallacia alcuna nel- P argumento di Aristotile. Quanto alla seconda ragione, che ritorce Pargumento contra d’Aristotile, dicendo : Se è vero che gli elementi estremi l'un sia sempli¬ cemente grave, e l’altro semplicemente leggieri, e quei di mezzo partecipino del- P una e dell’altra natura, ma Paria più del leggieri e l’acqua più del grave, adunque sarà una gran quantità d’aria cho sarà più grave elio una piccola d’acqua; si deve considerare, corno bene diceva Temistio, che Democrito voleva clic gli elementi di mezzo fussino composti de gli estremi e mistura di quelli, là dove Aristotile dice che tutti a quattro gli elementi sono composti d’ima materia remota e di quattro materie prossime, delle quali egli ad ogni elemento no assegna 30 una: alla terra, una materia grave assoluta; al fuoco, una leggieri assoluta; all’aria, una leggieri rispetto alla terra o l’acqua, e grave rispetto al fuoco; all’acqua, grave rispetto al fuoco e all’aria, e leggieri rispetto alla terra; ma voleva ancora che l’aria rispetto all’acqua fusse assolutamente leggieri, e l’acqua rispetto all’aria assolutamente grave. Dalle quali ragioni è manifesto la differenza che è fra la posizione di Democrito e quella di Aristotile; onde Pargumento senza fallacia procede contro a Democrito, e non contro d’Aristotile : imperciocché secondo la sua sentenzia gli elementi di mezzo son mistura de i duoi estremi, sì come P esalazione che ò composta di terra e di fuoco, c perciò son gravi e leg¬ gieri ; e secondo Aristotile, son gravi e leggieri perchè così sono atti nati, e così 40 comporta la loro natura. Per la qual cosa non si può mai concedere che una IV. 55 CON8IDKR AZIONI •i:t4 gran quantità d’aria bì i><>*sa muovere più veloce al centro che una piccola d’acqua, per esser questa rispetto all'acqua semplicemente leggieri, e quella rispetto all’aria semplicemente gravo : adunque è manifesto perchè l’argomento conclude contro a Democrito, c non contro d’Aristotilo. Alla dimanda del Sig. Ga¬ lileo, dove si potrebbe fare la esperienza che dimostrasse che una gran quantità d’aria si movesse più velocemente che una piccola d’acqua, gli rispondo che se lussi vera la posizion di Democrito, questo dovcrebbe seguire nel luogo dell’aria. Imperciocché se funse vero che l’aria per l’aria e l’acqua per l’acqua non si movessino, il che è falso, reggendo imi molti tinnii sopranuotare sopra a i laghi e l'aria grossa restar .mito la sottile, anzi scudo spinta all'insù ritornare al suo io luogo; nondimeno, se una gran quantità d'aria fosse più gravo eh’una piccola d’ acqua, si moverebbe per tutti i mezzi all’ ingiù più veloce di quella: onde non bisogna domandare dove si potrebbe fare questa esperienza, e non dove Aristotile l’ha fatta. . .g > ’Ensl ò’ ii- cl tz |ièv eòòwcipstot xfòv Tjvtyfrs, xx 5’ fjxxov, xal Swapextxà 8è xòv aùtòv xp^rzov xx (iàv |LjÙÀov xx 5' f,xxov, xxrix; rivai vojr.TXtov xìxix;. EùÒialpexov [lèv oòv io tùiptTcov, xxl |xiXÀov tò |iiAXcv xqp 5i (LiXXov 05axo$ xaoOxov, ilStop 5è yfjs 1 xat xò SXxxxov 8rj Èv éxxrcm y£vs: cVy.x-pexióxipov xal ò'.xojxxxat £&ov. Tà |isv oùv « i/ovta 5:z x b mXb niptXan^xvc.v Èrcpévei, 5tà xò |LTj 5tao-jtóafrat xò 7xXeiov frqc5u«v tà 5’ èvavn’(i>; Eytma xol; paca Stà xò òX£yov TispiXa|ifìàveiv cpépexai xàia), 20 ài xò Òtatptlv fo&Stov;, xal èv i;pc raXb plXAov, ftatp eù5txtpex<óxepo; iiòaxòs èaxiV. ’Eictl Sì xò x* £/eì xtvi ìay'jv xxiE r^v tpépexxt xàxa>, xal xì auveyfj rcpò$xò |i>] v. zonzo ì> zi, xxOxx 5el npò; àXXr.Xa oo|ifÌxXXciv • èàv Onep^xXXY) f) foyj*; xoO jìxpoiK èv xrT> 'Tjygytl xr,v Òtàoiwwr.v xal rìjv otatpeatv, jìtàoexat xàta) Ovxxxov* èiv % dbihvc'oxèpa 4, èntnoXioct. < Ma perchè de' continui altri sono facilmente, altri (lillicilnicnto divisibili, e i divisibili nella medesima maniera, altri più, altri meno, si dove pensare queste essere le cagioni, Imperciocché quello è pili facilmente divisibile che è più tìussibile, e quello [ùù che più, e 1* aria é più tale dell’ acqua, e V acqua della terra, e in ciaschedun genero il minore è più divisibile 0 si disperge con più so facilità. Adunque quelle cose che hanno larghezza, per occupare molto e per non si disperdere il maggiore, agevolmente sopranuntano; ma quelle che hanno con¬ trarie figure, per occupar poco 0 per dividere più facilmente, si muovano all 1 ingiù, e nell’ aria molto più, perchè è più divisibile dell 1 acqua. Ma avendo la gravità una certa virtù, mediante la quale si muove al centro, e i continui a non essere divisi, fa di mestiero paragonarle insieme; imperciocché se la virtù della gravità alla separazione e alla divisione supererà quella del continuo, si moverà all ingiù velocemente; ma se sarà più debole, sopranoterà. > Ecco il luogo dove Aristotile rende la ragione perchè lo sottil falde di feiro e di piombo sopranuotano nell'acqua, e perchè la limatura dell 1 oro (e non k40 DI VINCENZIO DI GRAZIA. 435 foglie), se però in tal guisa si lui da intendere il testo, e la polvere non pure nell’acqua, ma nell'aria ancora vadia notando; e perchè le falde devano cagio¬ nare quest’effetto nell’acqua, e non nell’aria: e dice che de i continui altri sono più divisibili, altri meno, e che i continui maggiori si dividali meno, e i mi¬ nori più. Qui IO noto . .. fpaer- 1B5, Un. 191 Contro le quali posizioni il Galilei oppugnando dice che le conclusioni d’Ari- stotiie in genere tutte son vere, ma che egli le applica male a i particulari, perchè l’acqua e l’aria non hanno resistenza alla divisione: ma essendosi dimostrato che io non solo i detti elementi, ma gli altri ancora hanno resistenza alla semplice di¬ visione, per rargumento del contrario seguirà, che Aristotile applichi bene le sue conclusioni universali a i particulari. Ma notisi dal Sig. Galileo, che trattando Aristotile delia quiete delle falde del ferro e del piombo, tratta della quiete acci¬ dentale, e il simile è la quiete della polvere nell’aria; e perciò, sondo le cose accidentali di lor natura non durabili, non è maraviglia se la polvere non sta sempre nell’aria, essendo che quando ella ha superato la resistenza dell’aria, ella si muove al suo centro; e perchè più resiste l’acqua che l’aria, perciò più si quieta la polvere e le falde del ferro e del piombo nell’acqua, che non fa nell’aria. E perchè le falde e la polvere, bagnate, nell’acqua calino al fondo, giù si è detto : 20 si possono bene collocar in quella se non in tutto prive dell’aria, almeno con si poca, che ella non può cagionare questo effetto del sopranotare. Quanto alle opo- sizioni che il Sig. Galileo si fa contro, son tanto deboli e fievole, che non pare che metta conto spender il tempo intorno di esse. E ehi non sa che le cose leggieri galleggiano, non per non poter fendere la resistenza dell’acqua, ma per esser più leggieri di essa ? e che sommerse dentro de l’acqua, elleno, rompendo la sua resi¬ stenza, ritornano sopra di quella? Non so chi sien coloro che si credano ch’uno vuovo galleggi nell’acqua salsa, e non nella dolce, per la maggior resistenza; ma bene mi paiano poco esperti nelle cagioni delle cose e nella filosofia, venendo questo accidente perchè 1 ’vuovo è più leggieri dell’acqua dolce, e pili grave della 30 salsa. Ma mi sono molto maravigliato che il Sig. Galileo dica che a simili an¬ gustie deducano i principi falsi d’Aristotile, non sapendo vedere perchè molto meglio si possa rendere la cagione di questo effetto con i suoi principi che con i nostri; anzi molto meglio, perchè oltre al rendere ragione onde avvenga che un vuovo galleggia nell’acqua salsa e non nella dolce, si può ancora dimostrare per¬ chè una gran mole di aria nell’ acqua si moverò, più velocemente che una piccola. Adunque a ragione si può dire al Sig. Galileo: < A queste angustie conducano i falsi principi > : imperciocché la maggior mole dell’aria ha maggior virtù che la pic¬ cola, e perciò si move più velocemente di essa; là dove il Sig. Galileo, che non concede virtù alcuna che produca il movimento all’insù, non può dimostrare 40 tale accidente. 436 C0N81DKRAZI0NI evasa, dico, tal discorso ... |par lai. ilo. »| Emendo, dunque, vero che I niqua e l'uria hanno resistenza, sarà verissimo il discorso tY Aristotile, che le falde larghe eopranuotaiio nell'acqua perchè compren¬ dano assai, e quello elio è maggiore meno agevolmente si divide. Ma il dire che le piastre, quando si fermano, abbino già penetrato la superficie deir acqua, è una vanità, come si è dimostrato. Il simile si può dire della nave; della qual cosa ci rimettiamo a quello si è detto, non volendo, senza osservare metodo, noiare noi medesimi e gli uditori. Perciò faceva meglio a non repl icar Unite volte le mede¬ sime cose. Adagio, Sig. Galileo, non saltiam d’Arno in Bacchigliene, al nostro so¬ lito. Il Buonamico dice che l'acqua del mare è piò grossa nella superficie che nel io fondo; «• il Sig. Galileo subito s'attacca che egli dica il simile nell’acqua dolce. Sapeva ancora il Huonamieo, che ne i fiumi l'acqua grossa sta di sotto, sì conio aviene ilei lago di Barda, dui lago Maggiore e del lago di Como, sopra de i quali senza meschino passano varii fiumi, e die opra ilei mare i fiumi sopranotano per molte miglia ; ma diceva, che paragonando V acqua del mare fra sò medesima, che quella di sopra era più crassa perchè era più amara, straendo il sole del con¬ tinuo de i vapori da quella, e quella di sotto men crassa per essere più dolce e per non potere il sole» cavare di essa le parti più sottili. Quanto al dubitare della sua esperienza, poco importa; perchè il Sig. Galileo potrà farne la sperienza al contrario, e allora gli si potrà credere qualche cosa. E noti il Sig. Galileo, che 20 delle cose sensibili il senso ne è ottimo cognoseitore, e non la ragione. Vaneggia colui, e ha debolezza d ingegno, che vuole le cose sensibili ricercar con ragione. E in questo proposito mi piace ili dimostrare un metodo pellegrino del Sig. Galileo nella sua filosofia: e questi è, che egli nelle cose che son sottoposte al senso, e che noi continuamente veggianio, vuole dimostrarle con matematiche ragioni ; e nelle cose dove non arriva il senso, o almeno ripieno d'imperfezioni, egli le vuol co- gnoscere col senso, come della concavità della luna, delle macchie del sole, e di mille altre cose simili: dove che egli si vorrebbe fare al contrario ; imperciocché dove si può fare la esperienza, son superflue le ragioni, sì come del galleggiare della nave e della salsedine adii iene; ma dove il senso non arriva, se non pieno so d'imperfezione, bisogna correggerlo «• aiutarlo con la ragione; imperciocché, quando noi veggiamo il sole che apparisce della grandezza d’ un piede, se noi non cor¬ reggessimo quel senso, noi crederemmo una cosa falsissima per vera. Perciò quando al Sig. Galileo par di vedere la luna montuosa e il sole macchiato, fa di mestiero che consideri bene se la ragione comporta tal cosa, e se il senso si può ingannare in tanta lontananza e accompagnato da quello instrumento del Sig. Galileo. Ma tornando ad Aristotile ... [p«r. itti. Un. 6| E tornando dove ci partimmo, dico che la larghezza delle piastre del ferro è cagione del sopranotare. Si deve bene avertire che la detta larghezza si deve accompagnare con la sottigliezza : il che dimostra Aristotile dicendo che se la virtù io DI VINCENZIO DT GRAZIA. 437 della gravità supererà la del continuo, le piastre se ne andranno al fondo; onde bisogna che le dette piastre sieno leggieri, e perciò sottili. Quanto alla espe¬ rienza che le piastre del ferro e del piombo, se si divideranno in strisce e in pic¬ coli quadretti, si reggeranno non altrimenti che prima facevano, si debbo aver¬ tili che questa esperienza non conclude per due cagioni: la prima, perchè non è vero (die nel medesimo modo galleggi una gran falda clic una piccola; imper¬ ciocché molto più gagliardamente galleggierà la grande che la picciola, come per esperienza si è provato: la seconda, che il Sig. Galileo, volendo mostrare chela figura piana non cagiona l’effetto del galleggiare, sempre mantiene le falde in io detta figura, ora grande, ora picciola, e perciò non è maraviglia clic ella sempre galleggi ; ma se egli di dette falde ne taglierà qual si voglia porzione, purché sia di sensibil gravità, di qual si voglia figura fuor della piana, subito se ne andrà al fondo. Adunque la figura larga ò quella che sostiene le falde del ferro e del piombo. E per Aicìdarazion di questo... [pag. 138, Un. 17] Quanto a che le figure più corte e più strette dovessino galleggiar meglio, eccoci alle nostre vanità. Se il senso ci dimostra il contrario, perchè ci vuole il Sig. Galileo far stravedere? Ma veggia la cosa dove si riduce: egli, per dimo¬ strare questa stravaganza, entra in una maggiore, supponendo che l’acqua che è 20 intorno intorno al perimetro delle piastre, deva reggerle sopra di essa; il che ò falsissimo, essendo manifesto che è l’acqua eh’è sotto della piastra. Segno di ciò ne è, che sendo diviso tutto il perimetro dell’acqua, ad ogni modo la piastra si regge: oltre a che, non è tant’acqua al perimetro delle figure lunghe, quanto alle larghe, v. g., a una striscia tagliata da una falda di ferro o di piombo, ma così stretta che più non sia di figura piana? e nondimeno, ella non può galleg¬ giare. Onde, se bene è vero, per la sua geometria, che dividendo una falda sempre si fa più superficie, nondimeno la larghezza della piastra sempre sarà la medesima; imperciocché rimessa insieme la detta piastra divisa, overo misurata cosi sepa¬ rata, sarà la medesima. 80 Dicogli di piu... [pag. 138 , lin. 11-12] Con nuovo e ultimo argomento impugna Aristotile il Sig. Galileo, dicendo che, concedendosi ancora la resistenza dell’acqua essere la propia cagione del galleg¬ giare delle piastre del ferro, nondimeno molto meglio non dovrebbe galleggiare una gran falda di piombo che una piccola: il che egli volendo provare, mette in considerazione che le piastre del piombo discendano dividendo l’acqua che è in¬ torno al loro perimetro e alla loro circunferenza; quasi ch’egli voglia dire, che le parte dell’acqua che son sotto la piastra del piombo, da esse non si dividino: la qual cosa è contro alla sperienza e ad Aristotile. Imperciocché sensibilmente si vede che le piastre del piombo qualche volta hanno diviso tutte le parte del¬ lo l’acqua che sono intorno alla loro circunferenza, e nondimeno non si profondano: 438 CONSIDERAZIONI e Aristotele dice che le piastre del piombo galleggiano perchè occupano gran quantità d’acqua, e le rotonde o lunghe, i>er occuparne poca quantità, si muovono all*ingiù; avendo prima detto, che i continui divisibili, quelli che son maggiori più malagevolmente si dividano che i minori; onde è manifesto, Aristotile dire che In falde del piombo in movendosi devino dividere tutte le parto dell’acqua, e non quelle sole che sono intorno al perimetro: e quindi avviene che le falde grandi stanno più gagliardamente sopra l’acqua che le piccole. Segno ne sia di ciò, che elleno sostengano sopra di sè molto maggior peso che quelle non fanno. Anzi, supponendo la sua opinione, il suo argomento non conclude l’intento; e se niente conclude, conclude con condizione. Imperciocché, ponendo la tavola ABCD^, io lunga otto palmi e larga cinque, sarà il suo ambito palmi 20, e 26 palmi ponghiamo che sia il tagliò ch’ella dee fere i>er andare al fondo; dividasi quanto il Sig. Galileo vuole e quanto egli desidera: dico che Targomento non conclude V intento. Imperciocché, se noi pigliamo qual si voglia parte di quelle divise, ninna ve ne sarà che abbia 2**» palmi d'ambito, come quella che si è di¬ visa: adunque ella non j>otrà galleggiare meglio che la già divisa: adunque non sarà vero eli* una piccola falda possa galleggiare meglio che una grande. E se però conclude niente, conclude con condizione. Imperciocché se quelle particelle divise non si uniscano di maniera insieme, che quella superficie che si è acquistata per la divisione ricongiungendole non si |>erda, non concluderà l'argomento; la qual 20 cosa il Sig. Galileo non fa, e non dimostra in che manierasi possa fare: e quando ai riducesse in atto, non proverebta altro se non che la detta asse, divisa e ri¬ congiunta in maniera che non si perda la circonferenza acquistata per la divisione, seguirà, per il supposto ilei Sig. Galileo, eh* ella meglio deve galleggiare che prima non faceva. Notisi, che se bene nel segare una assicella s'accresco la sua circun- ferenza, perchè si fa una superficie che prima non vi era, nondimeno la super- lieie del fondo riman la medesima, anzi si diminuisce, mancandovi lo spazio che nel dividerla si consuma nel segamento: il che è chiarissimo; perchè segandosi una asse di qual si voglia grandezza in cento parti, e riunendola nella medesima maniera che era prima, non solo non divieti maggiore, ma alquanto minore perso la detta cagione, trattandosi della superficie del fondo, che è quella la quale, secondo Aristotile, è la cagione «lei sopranotare. Questo è quello che seguirebbe in dottrina d’Aristotile, contro alla sua medesima dottrina, anzi contro alla dot¬ trina del Sig. Galileo. Finalmente a quel che tri legge... (pi* I8u.lin.2fli Diciamo, dunque, che tutto quello che si quieta e si muove nell’acqua, o si quieta e si muove naturalmente o accidentalmente: in oltre, quello che in queste maniera si quieta e si muove, o è corpo semplice, o è misto. 1 corpi semplici o (l) Cfr. li figuri i ptg. 1$8. DI VINCENZIO DI GRAZIA. 439 si muovono nell’acqua naturalmente al centro, o alla circunferenza. Quelli che si muovono per quella al centro, si muovono per essere più gravi dell’acqua, come la terra; e quelli che alla circunferenza, per essere più leggieri di essa, come l’aria e ’l fuoco. I corpi misti o si muovano naturalmente per l’acqua al centro, e ciò per il predominio dell’elementi più gravi di essa, come l’oro o il piombo; o si muovono alla circunferenza, e ciò per il predominio del li elementi più leg¬ gieri dell’acqua, come i vapori e l’esalazioni; o finalmente si quietano nella su¬ perficie dell’acqua e nel confine di quella dell’aria, e questi sono quei misti che sono a predominio aerei, come i sugheri, le galle, e simili. Di nuovo, quello che si io quieta per accidente nella superficie dell’acqua, o ò corpo semplice, o misto: e ciò in due maniere; o per essere così piccolo e di si poca gravità, elio non possa fendere la continuità dell’acqua, come la polvere e altre cose pulverulente ; o per essere di figura piana e sottile, la quale, per comprender molto continuo dell’acqua e perciò per non poter dividerlo, cagiona a i corpi gravi, ne’ quali ella si ritrova, il sopranotare nell’acqua, come nelle piastre dell’oro, del ferro, del piombo, nel- rassicella dell'ebano, o simili; avendo dimostrato per sensibile esperienza, che dette falde quando si pongano nell’acqua sono semplice oro o piombo, e che non vi è congiunta aria, e se pur ve n’ è, è sì in minima quantità, elio di essa e dello piastre non si può comporre un corpo più leggieri dell’acqua. Adunque dette 20 piastre si quietano sopra l’acqua per la figura piana, sì come era la sentenzia d? Aristotile. Questo è quello che in difesa della verità c di Aristotile mi ò sovvenuto di dire in queste mie Considerazioni sopra ’l Discorso del Sig. Galileo. 11 quale se avesse publicato i libri dove egli pone i principii e fondamenti della sua filosofia, come dovrà fare fra poco tempo, forse mi sarei appreso alla sua opinione, o io con più fondamento gli avrei dimostrato, l’opinione d’Aristotile in questa dubitazione esser vera: imperciocché mal si può impugnare chi ora s’appiglia ad una opinione e ora a un’altra, ora a quella di Democrito, ora a quella di Platone, c ora a quella di Aristotile, non si vedendo come egli da’ sua principi deduca queste so conclusioni. Il Fine. 440 CONSIDERAZIONI HI VINCENZIO DI (ìRA/.IA. Concettiamo licenza al M. fi. So/. Vincenzio Rondmelli, Canonico e Penitenziere Fiorentini, ut e opera, considerando se in essa si t rov i cosa che militi contro la pirla Christiana o li buoni costumi, e riferisci! in piè di questa. Il (fi 23 Aprile 1613. I’ioro Nitrolini Vicario di Firenze. Io Vmenano RondinAU Canonico Fiorentino ho misto il presente trattato del Sii). Vincerano di Oraria circa Ir cose che stanno sopra F acqua o in quella si muo¬ vono, di controversia a qu>l drl Sii). Galileo Galilei, r non ci ho trovato madie sia contro alla Christiana religione e conira bu au costumi. FA in fede ho scritto, questo dì 4 di Maggio 1613. 10 Attesa la premi ssa rela. i ou , concediamo che la soprascritta opera si possa stam¬ pare in Firenze, osservati gli ordini soliti. 4 Maggio 1613. Piero Niccoli ni Vicario di Firenze. Il /*. Maestro FVancesco Vecchi, Urgente di S. Spirito, rivegga per parte del Sant' Offìrio, c referto co eie. Dal Sant'Uffizio di Firenze, 5 Maggio 1613. 1‘. Cornelio Inquisitore di Firenze. Io Fra Francesco Vecchi ho fitto il presente trattato, intitolato Considerazioni del Sig. Vincenzio di Grazia sopra il Discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che 20 stanno su l’acqua e che si muovono in quella , r non ho trovato cosa che repugni alla santa Fede e buoni costumi. In fide di che ho scritta di propria mano, questo dì 7 Maggio 1613. F. Cornelio Inquisitore di Firenze. 8 Maggio 1613. Stampisi secondo gli ordini, questo ifi i) di Maggio 1613. Niccolò dell’Antella. FRAMMENTI ATTENENTI ALLA SCRITTURA IN RISPOSTA A L. DELLE COLOMBE e V. DI GRAZIA. IV. 66 Non mette conto il mettersi a confutare uno elio è tanto igno¬ rante, che, per confutar tutte le sue ignorantaggini (essendo quelle più che le righe della sua scrittura), bisognerebbe scriver volumi grandissimi, con nissuna utilità degl’ intendenti e senza vantaggiarsi niente appresso il vulgo. TI Galileo nello scrivere il suo trattato non ha auto per mira di persuader la sua dottrina a tutti quelli che solamente sanno leggerla ; anzi era molto ben sicuro che più di 80 per 100 non arebbono inteso ciò che egli ha scritto. Per lo che egli non si sente in obbligo di io dover risponder al Colombo, al Coresio, al Grazia, o ad altri che, per non aver intesa punto la sua scrittura, si sian posti a contradirli, at¬ teso che tal fatica sarebbe totalmente inutile : perchè gl’ intendenti non hanno bisogno di altrui confutazioni per conoscer la leggerezza di tali oppositori ; e per gli oppositori stessi ogni fatica sarebbe get¬ tata in vano, perchè se e’ non hanno intesa pur una delle dimostra¬ zioni del Sig. Galileo, scritte anco con somma chiarezza, ben sarebbe stolto chi si persuadesse, con tutti i discorsi del mondo, il potergliele far capir tutte. Però il miglior consiglio sarebbe che i suoi contra- dittori studiassero le matematiche, perchè intenderebbon il libro del 20 Galileo, e senz’ altro rimarrebbono persuasi, sì come P esperienza mo¬ stra in tutti gl’ intendenti di tale scienza. 10. che non intendili punto per — 16. Galileo ben scritte — 19. perchè senz’altro inten- derébbon — 20. rimarrebono — 444 KKAMMKNTI Coinè sarà possibile attutmv i balordi, se mentre voi impugnate una loro sciocchezza, vi si fanno incontro con un’altra maggiore? • facciasi esperienza della velocità dell’acqua e dell’aria, empiendo uno schizzatolo pien d’acqua e lanciandolo versar, notando il tempo; poi mettendolo sott’acqua con la bocca in giù, e notando parimente il tempo dell' uscita [dt.»]ll* aria. Risponder al Colombo e simili oppositori, sarebbe fatica inutile e vana, perchè gl’ intendenti conoscono le gotì'erie di costoro, per lo che appresso di loro non è bisogno di altra risposta; l'assenso di quelli elie non intendo» nulla non -i devo desiderare, ma lasciarlo] per frutto io delle fatiche di situili contradittori. Tollerano meri gravemente la dottrina de i remotissimi di tempo, pendio gli par di potere attribuire la causa del non saper loro a un difetto di natura universale; si come par che altri uien si dogga mo¬ rendo di un contagio universale, che di una intirmità che, toccando te solo, lasci gli altri illesi. Così meri duole la cattiva ricolta univer¬ sale che la tempesta particolare, a chi la tocca. E come che l’altrui scienza e industria sia una peste die flagelli la loro inerzia ed ignoranza, con animo meli turbato sentono gli av¬ visi de i progressi di lei in regioni remote: madie dia fermi il piede 20 ed aqquisti vigore nella provincia loro o nella propria città, vien con tale spavento veduto, e sentito con tanto rancore, cito non si lascia di tentare ogni provisione, benché difficile e pericolosa, per estirparla dalla radice e troncarla nel suo primo allignarsi. K se noi conside¬ reremo i particolari eventi del Caldeo, troveremo il numero mag¬ giore de* suoi contradittori, e quelli che più impetuosamente si sono sollevati per supprbnerlo, esser della sua propria patria: i remoti, ancor dio non ne mancassero sul principio che si risentissero e ne¬ gassero le sue novità, lilialmente, come quelli che da altro affetto non venivano perturbati fuor che 1 dalla qualità delle conclusioni lontane 30 2 sciocrhetca la defendono ri - 23. P'/hi potnibi[leJ jerovitione — 26. che cou impeto mairifiore jriù — 27. esser tutti della — (1 * < fuor che » è scritto sopra « ma solo >, che non è cancellato. ATTENENTI ALLA SCRITTURA ECC. 445 delle concepite opinioni, sentita poi la forza delle ragioni e dell’ espe- rienze manifeste, si sono quietati e con sincerità d’ animo rimessi. Il che non dirò elle sia accaduto a i lontani solamente, anzi pure al numero maggiore de gii studiosi della città di Firenze. I)i che, de i molti particolari testimonii che io produr potrei, voglio che un solo mi basti appresso i forestieri : che ò il veder qual numero di nobiltà si sia nuovamente applicata con gran fervore allo studio della geo¬ metria ; resa ormai sicura, a qual altezza senza le sue ali altri si possa sollevare nella cognizione della natura. 1 contradittori, mantenuti io tuttavia da quell’ affetto che pur troppo chiaramente si scorge negli scritti loro, non lasciano intentato artifizio veruno, di quelli che pos- sino mantenergli certo popolare applauso o al meno la moltitudine indifferente: de i quali uno è il fargli tornar frequentemente all’orec¬ chio l’apparente esorbitanza delle semplici e nude conclusioni, lontane dalle vulgate opinioni de i reputati sapienti, acciò che, continuandosi in loro le prime concezzioni, non gli nasca pensiero di sentir alcuna delle contende ragioni. Un altro artifizio, e che mirabilmente viene usato dal Sig. Colombo, è il rispondere a tutte le ragioni dell’ avver¬ sario, ancor che insolubili : dico rispondere, benché nè egli le abbia 20 intese punto, nè sia chi punto intenda le sue risposte, non intese nè anco da sè medesimo. Ben ha egli, per mio avviso, da buona scuola di retori imparato, di quanta efficacia sia, por guadagnarsi 1’ assenso dell’ universale, il dir molto e con audacia, onde il semplice lettore confuso resti al meno irresoluto nel prestare o negare 1’ assenso a quello che egli reputa per propria incapacità di non intendere. Io non negherò mai al Sig. Colombo d’ aver sentito gusto particolare nel ve¬ der con quanta franchezza e’ trova risposte dove le non sono, forma discorsi di concetti senza senso e produce dottrine non mai vedute, non che studiate, da lui, e tutto con sottile accortezza, per cavar dal- 301’astuzia quell’ utile che e’ non può sperar dalla ragione. hanno, questi signori Peripatetici, usata un’ altr’ accortezza, per mantenersi, quanto è possibile, 1’ aura popolare ; ed è stata di fare scrivere a persone di poco grido nella lor dottrina : acciò che, prima, 2. e rimessi con — 5. particolari argomenti testimonii — 9-10. mantenuti ancora tuttavia —10. scorge nelli negli —11-12. possino al meno mantenergli — 28 .produce autori dottrine — 29. accortezza per mantenersi con astuzia per — 440 FRAMMENTI appaia clip ai è potuta rispondere alle mio dimostrazioni; secondo clic, per ogni evento che anco 1' universale si accorga della fiacchezza delle risposte, resti loro sempre ima ritirata per mantenimento del lor credito, cioè che quando i principali avessero risposo loro, il negozio sarebbe passato altramente. non si accorgono costoro della loro semplicità, mentre stimano grandissima esser la perfezione di un corpo quando egli abbia la figura perfettamente sferica ; il che saria una miseria estrema, simile alla domanda di Mula. Io non posso usar cavilli, perché sostengo il vero, o 1’ arguzie si io mostrano nel difender paradossi ; come le piacevoli lodi del Berma calzano in lodare soggetti magrissimi, come l’orinale, la peste, il debito, Aristotile, etc., ma non tornerebbono bene lodandosi il sole la giustizia, etc. Contro di me a face. 9, versi 10, etc. ' Par che il mio discorso con¬ cluda solamente quando il va o non è pieno d’ aqqua, perchè allora P aqqua -i alza ; ina se il vaso : irà pieno, 1' aqqua traboccherà, e non sarà alzata. Tuttavia, chi ben considererà, P aqqua vion alzata: al¬ tramente. non solo non ne traboccherebbe tanta quanta è la mole del solido demorsa, ma non ne traboccherebbe punto, perchè già stava so senza versarsene quando si cominciò a tuffare il solido; segno chela sua eostitu/.ion non bastava all'effusione, ma bisognava alzarla più. DelPaltr' aqqua, jh>ì, che seguita di spandersi, non si può dubitare se si elevi ; poi che ha ila o r quella che si conteneva dentro del vaso, più e più bassa del su’orlo, -»‘condo che maggior quantità sene versa. Sarebbe cosa molte ridicola alcuno si meravigliassi che gli usurai, ì ladri e gli a^a-mu non re-tasserì» di assassinare per tante e tante evidentissime ragioni elle i iurisperiti e i teologi adducono in detestazione ili qiie ti peccati; e mostrerebbe in corto modo di cre¬ der»* che gli assassini medesimi -timns-ern di aver ragione nell’ assas- so sinare, e che j»er ciò jiersiste-sero negli assassinamenti ; il elio non è. 1 Si rifcro' « al «no />»«<-., r*. > i n'mo alir ree. : visti a pag. 69. lin. 28 e se?' ATTENENTI ALLA SCRITTURA ECC. 447 Non negano gli avversarli che la gravità e la leggerezza del so¬ lido in relazione all’ acqua possino per se sole esser causa del descen¬ dere e del galleggiare, rimossa la considorazione della figura ; e af¬ fermano, ancora la figura poter cagionare l’istesso effetto, rimossa anco 1’ operazion della gravità, sì che non possa esser materia alcuna così grave, che in virtù della figura non si faccia galleggiare. Ora, stanti queste cose, è necessario che tra le figure ve ne siano alcune più atto a produrre il loro effetto, ed altro meno (perchè se tutte fossero egualmente atte, sarebbe l’istesso che se non facessero niente; io perchè tutta la causa dell’ operare si doverebbe attribuire alla ma¬ teria) : onde è forza che, tra le figure differenti, ve ne sia alcuna indifferente al produr questo o quello effetto, dico di descendere o galleggiare, sì che il solido figurato in tal figura eserciti senza alte¬ razione alcuna quella operazione che depende semplicemente dalla sua gravità. Ora io domando a gli avversarli, quale è quella figura che non aiuta o disaiuta ’l descendere. Dichino, per esempio, la sfe¬ rica : e perchè il modo con che opera la figura nel vietare il descen¬ dere è col proibir, con la sua ampiezza, la divisione, adunque bisogna dire che la figura sferica non è nè atta nè inetta al dividere, ma 20 indifferente : e s’è così, adunque le figure più acute della sferica saranno più di lei atte alla divisione ; per lo che sarà qualche solido men gravo dell’ acqua, che ridotto in figura acutissima descenderà ; il che è impossibile : adunque non è vero che la figura operi etc. In oltre, essendo che la figura sferica è quella che non arreca altera¬ zione alcuna alla propension della materia, sarà forza che ogni sfera di materia più grave dell’ acqua descenda, ed in consequenza non sarà possibile fare una palla che galleggi e anco descenda, come fa la falda distesa ; il che è falso : adunque la figura non lia che far nulla nel galleggiare o descendere. 30 non occorre rispondere : per convincer loro o, per dir meglio, per fargli confessar convinti, il tempo è buttato via ; per gli altri, è su¬ perfluo il dir niente. 9. atte non sarebbe — DI » RISPOSTA ALLE OPPOSIZIONI L. DELLE COLOMBE e di V. DI GRAZIA CONTRO AL TRATTATO DELLE COSE CHE STANNO SU L’ ACQUA 0 CHE IN QUELLA SI MUOVONO. IV. 07 RISPOSTA ALLE OPPOSIZIONI Del S.Lodovico delle Colombe,edcJ$. Vincenzio di Grazia,contro al Trattato del Sig.GAitLEO Galilei,delle cofe che Hanno fu l’Acqua, òche in quella hmuouono. ALLILLYSTRI SS. SIG. ENEA P iccolomìni Aragona Signor e di St icciano > &c. Nella quale fi contengono molte conflderazìoni filofofiche remote dalle vulgacc opinioni. Con licenza de SS.Superiori. IN FIRENZE Appreflo Cofimo Giunti M D C XV. ALL’ illustrissimo signore ENEA PICCOLOMINI ARAGONA, SIGNORE DI STICCIÀNO, PRIORE DI PISA DELLA RELIGIONE DI SANTO STEFANO, COPPIERE, CAM ERIER SEGRETO F CAPITANO DI CAVALLI, TRATTENUTO DAL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA SIGNOR MIO COLENDISSIMO. Io non poteva dedicare ad alcuno meglio che a V. S. Illustrissima le mie ■presenti scritture, trattandosi in esse la difesa di persona e dottrina tanto da lei a ragione stimata e onorata, prendendo oltre a questo speranza, che per la sua molta intelligenza di queste materie maggiormente le sieno per esser grate. Nè io si maravigli di non veder particolarmente risposto a tutti quelli che in questo caso hanno scritto contro al Discorso del Sig. Galileo, perche, ciò facendo, m era necessario crescer soverchiamente il volume, e, ritrovando ad ogni passo in piU d’ uno le medesime opposizioni, replicare con troppo tedio le risposte medesime. Imperò m è par ufo a sufficienza V eleggere solamente due, quegli a, chi ho stimato sieno piti a cuore ed in maggior pregio li loro errori, trala¬ sciandone gli altri due, eli a mio credere poco se ne cureranno. IJ uno di essi, che uscì fuori con la maschera al viso, avendo per altra strada potuto cono¬ scere il vero, poca cura dee prendersi di sì fatte cose ; e V altro da quel tempo in qua, per sopir avvenimento di nuovi accidenti ) per avventura è costretto a 20 stare occupato in altri pensieri. Gradisca, dunque, V. S. questa mia offerta, dove in effetto vedrà risposto a quanto è stato contrariato al Discorso delle cose che stanno su V acqua, accettandola in piar te ài dimostrazione de molti obblighi che io le tengo. Ed essendo ella in questi affari sommamente desiderosa del vero , discorrendo io sopra fondamenti da lei conosciuti verissimi, potrà qui dentro, oltre al mio principale intento, ritrovare alcune cose, che forse non le saranno men care che le sia per essere V aver vista difesa la verità. E fa¬ cendole reverenza, le prego da Dio ogni suo pili desiderato contento . Di Pisa, li 2 di maggio 1615. Di V. S. Illustrissima SO Serv. Obblig. D. Benedetto Castelli. CONSIDERAZIONI INTORNO AL DISCORSO APOLOGETICO DI LODOVICO DELLE COLOMBE. Io so, giudiziosi e scienziati lettori, che voi dall’ aver letto e inteso ’l Di¬ scorso del Sig. Galileo Galilei Delle cose che stanno a galla su V acqua o che in quella si muovono , stimerete inutile e non necessaria questa mia im¬ presa, di notar gli errori di chi gli ha scritto contro : e veramente, mentre io riguardo in voi soli, confesso ’l mio tentativo esser superfluo; perche io chi conosce ’l vero, scritto e dimostrato da quello, sarà, senz’ altro avver¬ timento, conoscitore di qualunque falso, proposto da chi si sia, essendo il CONSIDERAZIONI INTORNO AD ALCUNE SCRITTURE USCITE FUORI CONTRO AL DISCORSO del Sia. Galileo Galilei, FILOSOFO E MATEMATICO DEL SERENISSIMO GRAN DUOA DI TOSCANA, DELLE COSE CHE STANNO IN SU 1/ ACQUA 0 CHE IN QUELLA SI MUOVONO. Potrebbe forse più severo lettore clcilV aver visto e inteso il Discorso del Sig. Da- lileo Galilei Delle cose che stanno a galla sull 9 acqua o che in essa si muovono , biasimare questa mia impresa , di notare gli errori di chi gli ha scritto contro : e 20 veramente , se si aveva riguardo a gli intendenti , confesso il mio tentativo esser su¬ perfluo e vano; perchè al sicuro chi conosce il vero, scritto dal Sig. Galileo, sarà, sene 9 altro avvertimento, ancora conoscitore di qual si voglia falso , da chi si sia pro¬ posto, essendo il diritto giudice di se medesimo e del torto. Ma perchè il desiderio CONSIDERAZIONI 150 diritto giudice di stè medesimo e del torto. Ma perché ’t desiderio mio è di (fiorar ancor a quelli che jwtessero restar ingannati dal vedere stampati fogli con inscrizzioni significanti rimiranti (Udirina a quella del Sig, Galileo ho determinato d'avvertir una parÌ4 degli errori, prima del Sig. Lodovico delle Colombe f jm del Sig, Vincenzio di <ìrazia, toccando infine alcune cose dell'Ojk retta del Sig. (Giorgia Corrsio, non senza spiratila di poter esser anrhe di qualcb (fioramento agli stessi oppositori, sì nella dottrina come tu l tennine della rimllà e modestia: già che loro, non saprei dire da (piai affetto spinti , son frequentemente scorsi a offender con punture quello che nella sua scrittura non ha pur con una minima parola offéso nissuno, e io men di tutti loro , li quali ei pur non nomina ; nè credo che gli volgesse mai 7 imisuro, nè forse sajxsse rio tal un di loro fosse al mondo . Questi roti ascendo prima dall / mie rispose particolari la debolezza delle lor instarne, per la quali tanto più irraf/ionrooli si s cuoprono le mordacità che in com¬ pagnia di quelle il più delle volte si leggono, e in conseguenza vedendo quanto ristessi punture in lor medesimi con gran ragione si posson ritor¬ cere, farse, col sentir in sì stessi la meritai'offesa de lor progni morsi , s*ac¬ mi o ì di giovare ancora a quelli che potessero ristare ingannati dal vedere stam¬ piti fogli con insv*icrioni significanti contraria dottrina a quella del Sig. Galileo, ho determinato di avvertire una g irte di lli errori , f(ritmi del Siij. Lodovico delle Co-w lnttd>e, jfoi del Sig. Giorgio ('ore\io t toccando in fine alcune cose del trattato di MS Vincenzo 1 tigni sia, già che questi uomini fautori/ hanno sin ora mandato fuori libri pr contraili ri a quello che ilal Sig. Galileo ì stalo di mostrato, E questo farò io gir lume fido turo r ili chi pdi v*.v dalle loro scritture restare i riffa nnevohnente per¬ suaso : procurando pero di prò* edere c; I» qual co»a addimostra atore egli accettata la corre* nono. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 457 corderanno quanto mal convenga lacerar iiwneritamente 7 prossimo, in ri¬ compensa dell'esser# affaticato per trargli d' errore ; e per i avvenire in altre loro scritture si ridurranno a termini più cortesi e adorni di quella modestia che mai non deve allontanarsi da chi contempla solo per il santis¬ simo fine del ritrovar il vero . E certo io mi son molte volle maravigliato • che questi signori non abbimi compreso di quanto pregiudizio sveno simili mordacità a chi le usa. ìmperochè negl intendenti a capaci della forza delle ragioni e manifesto ch'elle non operano cosa alcuna nel persuadere circa la materia di elicsi tratta; e ne poco intendenti levano quell opinione fa¬ lò vorcvole , la quale da questo concetto generale d } aver risposto e contradetto potrebb’ in loro essersi destata , sapendosi quanto 7 parlar a passione tolga di credito e dì fede . Ma venendo al particolar del Sig. Colombo, certo che par troppo manife¬ stamente si scorge, che avendo egli veramente conosciuto di non poter s'avan- [conviene] a uomo di sincera mente conviene: e così spero che Vacerbità appa¬ rente di qualche mia rigorosa censura doverci essere dal Sig. r Lodovico [da loro] stimata utilità filosofica , [e] non puntura mordace; e ciò potrà [potranno] co¬ noscere dalle occasioni nelle quali io dissentirò dalla sua scrittura [dalle loro scritture ], perche saranno solo quelle dove si fraftara di vero e di falso: dispiacen¬ do domi di più che questi signori non abbian penetrato questo termine , dico di quanto preg indie io siano simili mordacità a chi la usa , c massime in ‘materie tanto aliene dalla, inurbanità . Imperocché nel li [negli] intendenti c capaci della forza delle ra¬ gioni e manifesto che le [elle] non operano nulla /cosa alcuna] nel persuadere circa la materia che si tratta; e ne y valgavi e poco intendenti levano quella opinione fa¬ vorevole , la quale da questo concetto generale di aver risposto c contradetto potrebbe essere [essersi] destata in loro, sapendosi quanto il parlare a passione tolga di credito c di fede. Ma prima che io discenda a i luoghi particolari del Discorso del Sig . Lo¬ dovico delle Colombe , ho giudicato essere necessario far due cose: una di pro- so testarmi , come fo ora , di non volermi mettere a trattare delli [degli] errori grandi che [ci] commette il Sig. Lodovico ogni volta che apre bocca in materie geome¬ triche ; e questo fo perche veggo fveggiof non potersi conseguire nessuno [ninno] di quei fini che mi potrei )bono [potrebbero/ spingere [spignoro] a questa impresa . Verciochè il trattare di questi errori per rimuovernelo sarebbe vano , sì come ancora se altri fossero nel medesimo stato di lui , [il] quale mostra non sapere non solo le minime dichiarazioni dei termini, come che cosa sia cono , piramide , proporzione^ centro di gravità t momenti ed altri , quali mette in questa sua scrittura per mostrarsi IV. 58 i CONH1PER tZIONl 458 ♦ . geometra, ma, quel che e leggio, mostra di uva saper ni' anche la maniera delle diffi- niiioni geometriche , quale [eh ] consiste solo in certe libere imposizioni di nomi a determinate cose per fuggir V equivocartene; s) che fier cavarlo (Terrore bisognerebbe cominciare dai primi jnincipit, fatica immensa e che farebbe [a dismisura] crescere il volume fuor di minimi. Se io poi volessi trattore di questi errori per dar sodisfazione (soddisfazione] filli fagli] intendenti, sarei superfluo; turche le cose geometriche sono tali, che i cavilli [gatnlli] ed [e] i jxìralogismi non possono apportargli perturbazione, essendo vere in un modo solo , ed esposte in un modo solo , e da chi le intende, intese ancora in un modo solo. Onde ogni mia fatica intorno a riii sarebbe o rana o superflua. Mi dichiaro finalmente { come quello che attendi 1 solo all’utile del Sig. Colombo e di quelli io quali solo dalla fama che «‘gli alibi scritto potrebl>ono, anche senza leggerlo, formare, intorno al vero, concetto falso), mi dichiaro, dico, di voler solo notare certi errori, e tali che ogn' uno, ed il Sig. Lodovico stesso , jtotrìi conoscere < he chi scrive alla sua ma- nicra c smia maggiori fondamenti non può dir cosa di momento. Trapassarli pari¬ mente moltissimi errori non solo jn r non crescere il volume in gran mole, ma perche possono facili ss i marnimi e, o jier loro stessi o da (pici che sarà detto nelli [negli] altri , essere conosciuti. Trai a se tarò ' ancora, come cosa appartenente più a gramolici c retori che a filosofi , il notare molti errori che et commette nello spiegare i suoi con¬ cetti e. formare suni triodi, h ne sg ssa mal coerenti [collegati], e che, cominciando un proposito , trapassano e finiscono in un altro; come saria, per cssempio, nelle belle 20 prime parole del Disborso, dove chi vorrà Uno esaminare la disposizione de 1 suoi periodi, levandone, jier meglio scoprire il concetto puro, [le parole non necessarie alla testura c spiegami alo di 1 concetto J verrà a formare un discorso tale : < Tor¬ chi le cose nove fanno reputare i lor ritrovatori come Dei, di qui è che, essendo molti bramosi di correre rotai* arringo, la mala agevolezza dcW inqmesa non conseguiscono il desiderato fine >. Don si vede che la conclusione non ha depen¬ denza o cor ri spomicino con le premesse ; fierche, che altri per la mala agevolezza non consegui&chino feonsegnischano] il lor f ine, non depende dall essere le cose nove tali, che deifichino i lor ritrovatol i. F per darne un altro cssempio, senza voltar carta, un verso solo più a basso , si legge il jh iuhIo che segui*, di conclusione non punto meglio 30 de pendente dalle premesse che la precedente ; il quale , spogliato dalle circuizioni di parole , suona rosi: < Ma che si trovino intelletti che. cogl ino far buio all mi con le tenebre dell'intelletto loro, che lode possono acquistarne ? c che giovamento recare? >. (l ‘ Ter la corrispondami col lotto della stampa, cfr. da paf. 404, lin. 0 a pag. 4C5, li». 18- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 459 zar punto appresso gli uomini intendenti> s y è ridotto a contentarsi di far acquisto di qualche applauso delle persone volgari : la qual deter¬ minazione chiaramente si sempre da gli artifizii clt! egli usa in tutto 7 suo Discorso, i quali , sì com! è impossibile che restili celati a chi intende e si piglia fatica di leggerlo, cosi posson operar qualche cosa in cattivar gli animi de! meno intelligenti ; per benefizio de ’ quali ho giudicato esser ben fatto lo scoprirgli, acciò, fattine prima avvertiti, possiti più agevolmente ri¬ conoscergli nel loro autore. E ho determinato di mettergli qui, avanti alle particolari considerazioni, acciochè , detti una volta : sola, mi levino la ne - io cessità di replicargli molte ne! luoghi particolari, ne quali basterà accen¬ nargli per riconoscer come e quanto frequentemente t se ne serve . Il primo artifizio , con che ampiamente si diffonde per tutto 7 suo libro Dove, oltre alla independenza dei concetti, quel porre < intelletti che faccin buio col- V ombra dell' intelletto loro », ha quel suono che oyrì uno da per sè sente. Simili errori ed altri di altro genere, come sillogismi dì una sola proposizione , di quattro termini, periodi senza senso, non pur senza dependenza, sono tanti , che, volendogli avvertire Udii, si potrebbe fare un longo trattato. Mi ristringerò [ristrignerò] adunque a discorrere solo dove si tratta la materia con concetti filosofici, poiché ivi [quivi] gli fi] paralogismi, fi’]equivocazioni e miti - 20 tiplicità di proposizioni, sì come prima ingannano quelli che li trovano e producono , così possono ingannare chi li ascolta e legge [gli legge e ascolta] ; dove sarà utile loro che siino [siano] liberati da tali falsità, come procurarò [procurerò] fare con ogni mio potere. La seconda cosa, clic io giudico necessaria fare avanti , è manifestare una certa generale intenzione del Sig. Lodovico: e questa è, che avendo egli veramente cono¬ sciuto di non potersi avanzare punto appresso gli uomini intendenti, si è ridotto a contentarsi di far acquisto di qualche applauso delle persone vulgari. Ciò mani¬ festano chiaramente gli artifizii che egli usa in tutto il suo Discorso , i quali, sì come è impossibile che restino celati a chi intende e si prende fatica di leggalo, 80 così possono operar qualche cosa in cattivar gli animi de i poco [meno] intendenti ; per beneficio de! quali ho giudicato esser ben fatto lo scoprir tali arti [artifizii], acciò, fattine prima avvertiti, possino più facilmente riconoscerle [riconoscergli] nel lor propno fonte . Ed ho determinato mettergli equa, avanti alle particolari con¬ siderazioni, acciochè, detti una volta sola qui in principio, mi levino di [ la] neces¬ sità di replicargli molte nei luoghi particolari, nei quali basterà accennargli solo e riconoscere come e quanto frequentemente egli se ne serve. Il primo artifìcio, [con] che ampiamente [ampiamente] si diffónde per tutto il 460 CO N 81U Kit A '/.IONI « e che riesce molto accomodalo al suo proponimento, è Varrecar per lo più risposte /err/u\ snido tali, non ammettono risi>o$tu ulama, mule giurili che m ilitano uti h proferiscono si vantaggiano assai appresso il vulgo, perciò suri sempre gli ultimi a parlare ; e gli uomini di giudizio non [tossono lungamente soffrir la nausea rio simili insipidezze gli arreccano [simili discorsi], onde si guidano e più prt do voglion cedere fili altrui petulanza / protervia], che vanamente consumare il tr/njh) r la fatica [ter fare in fine restare sue ragioni superiori ad altre delle quali ninna rosa i più bassa e frivola /bassa]. • Il st conilo aiiifitto, attissimo a ingannar le persone semplici, che usa il Sig. Co¬ lombo,, è il rejìhrar con franchezza quelle ragioni dell a ver sur io che li pare di avere 30 inteso, ritorcendole con Ir - [nirolr, se bm non con l effetto, contro il primo autore, e, mostrando non solo di jxnuntlerlr, ma che punto non li gionghino nuove, e come che il suo internicele e porle in campo le faccia mutar natura, produrle come fa¬ vorevoli (dia causa sua , benché, li siano ih diametro contrarie e ripugnanti. Ecei il terzo artifizio, pur molto suo familiare; ed è il promuovere egli mede¬ simo obbiazioni e 7 proilur risposte in vece dell avversario, soggiùngendoli poi le soluzioni. Ma se si considereranno tali instanze, si troveranno esser sempre legge- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 401 sempre leggierissime e senza ninna efficacia, e in somma quali bisogna che elle sieno per poter rimaner solide dalle sue risposte ; e tali instanze al si¬ curo non addurrebbe mai il Sig. Galileo. Cade sotto il genere di simili artifizii il non si mostrar mai nuovo di qualunque cosa inopinata e diversa da i comuni pareri, delle quali non picciol numero ne sono nel trattato del Sig. Galileo ; anzi, mostrando d'aver gran tempo avanti sapute, intese e prevedute tutte V esperienze e ragioni contrarie, ributtarle con maestevol grandezza e disprezzo . come cose più presto rancide e messe in disuso per la lor bassezza; e all’incontro, succedendogli ’l io ritrovar qualche cosa di -suo, per insipida ed inefficace che ella sia, por¬ tarla magistralmente come una gemma preziosa. Non dissimile dal precedente, artifizio è il citare autori senza avergli intesi nè forse letti, producendo per dottrina or di Copernico or di Archi¬ mede cose che in essi non si trovano: segno pur troppo manifesto, che il Sig. Colombo non parla se non per quelli che tal autori mai non son per leggere. Ma che. dirò d: un altro suo sesto particolare e inusitato artifizio, al quale, con qualche scapito della generosità d animo, il medesimo Sig. Ca¬ rissime e senza nessuna efficacia, ed in somma quali Insogna che elle sieno per poter 20 rimaner solate dalle sue risposte; e tali instanze di [al] sicuro non addurrebbe mai il Sig. Galileo. Cade sotto ’l genere di simili artifizii il non si mostrar mai nuovo di qualunque cosa inopinata e diversa da ì comuni pareri, delle quali- non pieeoi numero ne sono nel trattato del Sig. Galileo ; anzi, mostrando di aver gran tempo avanti sapide, in¬ tese e prevedute tutte le esperienze- e ragioni contrarie, ributtarle con maestevóle gran¬ dezza e disprezzo, come cose piu presto rancide e messe in disuso per la lor bus- sezza; cd all' incontro, succedendoti di ritrovar qualche cosa di suo, per insipida ed inefficace che dia sia, portarla magistralmente come una gemma preciosa. Non dissimile dal precedente artifizio è il citare autori , ben che falsamente e ho fuori del proposito caso, non mai letti non che intesi da lui [senza avergli intesi nè forse letti], producendo per dottrina or di Copernico or di Archimede cose che in essi non sì trovano : segno pur troppo manifesto, che il Sig. Colombo non parla se non per quelli che tali autori non son per leggere più che se gli abbia letti lui, che assolutamente non ne ha maggior notizia che ’l nome. Ma che dirò di un altro suo. sesto stravagantissimo [particolare e inusitato] artifizio, il die quasi meriterebbe nomedi bassezza di spirito, al quale [con qualche 462 CO N&I DEH AZIONI lombo si v lasciato tra sfittare, per non si scrinare o totalmente annullare 7 campo dove comparir con sur scritture Y Sono Ir proposizioni e le dimo¬ strazioni del Stfj. (i al tiro tonto nre e nenssarir , che è impossibile, a ehi h 'ntendc, il conlradivgli ; ve ne non molle veramente alquanto difficili per lor natura , ma re ne san anco molte assai chiare: quelle , come realmente non intese dal Sig . Lodovico, son del lutto lasciate stare; velie facili ad esser apprese, egli s' induce lu ne sjv sto a finger di non l intendere, acciò che, dandogli senso contrario e in conseguenza falso , s apra V adito alla contradi zzi'‘tu r al poter diffonder parole in caria, le quali, facendo poi vo¬ lume, satisfarci no all aspetta zion del vulgo, che, per non intender i sensi delle io scritture, si quit ta sul ceder t carati'ri e sul poter dire che sia stato risposto . Il settimo artifizio, da lui usato /*r restar superiore, è la maniera dello scrivere incivili t mordace senza ragion alcuna ; p rche così viene a assi¬ curarsi che non gli sarà ris/msto, almcn da quello contro 7 qual egli scrive, il clu può mantenerlo in speranza t hè buona parte delle persone semplici e vulgari credano che 7 tacer Urli' accertano derivi da carestia di risposte e mancamento rii ragioni (se ben i successi d'altre contradizioni state fatte * al Sig. (talileo, alle (pudi egli non ha risposto, passim assicurar ognuno scapito della g> tu r ^ità d'animo] il tarditimo Sig. (Piombo si è lascialo trapor¬ tare, jxr non si sciamare a totalmente annullare il campo dove comparire consueto scritture? Sono le prxq>o$izioni / b demos! razioni del Sig. (lai ileo tanto vere e ne¬ cessarie, che i impossibile, a chi le intende, il contradirgli ; ve ne sono molte ve- r alluni e alquanto difficili ;xr lor natura, ma ve ne sono anco molte assai chiare: quelle, come realmente non intese dal Sig. Lodovico, por lo pili son lasciate stare fsott/ del tutto pasciate sture/ : nelle facili tul essere apprese, egli s'induce [berne spesso] a fingere di non V intendere, acciochè, dandoli senso contrario ed in con - sequenza falso , ci si apra V addo alla conlnulizione ed al potere diffondere parole iti carta, le guidi, facendo jhjì volume, satisfarei no all aspettazion del vulgo, die, j>er non intendere i sensi delle scritture, si quieta sul cedere i caratteri e sul poter dire che sia stato risposto . ' 80 Il settimo artifizio, da lui usato j>rr restar superiore, è la maniera dello scri¬ vere inririb e montare senza ragione alcuna ; jk-rchè così viene ad assicurarsi che non li [gli] sarà risposto, almeno da quello contro 7 quale egli scrive, il che pub man¬ tenerlo in speranza che buona parte delle jiersonr semplici e vulgari crcdino che l tacer dell avversario derivi da carestia di risposte e mancamento di ragioni (se bene i successi di altre contraili rioni fatte (d Sig. Galileo, alle quali egli non ha risposto, può /possonoJ assicurare ogn uno clu e non ha taciuto per difetto di >a~ SOPRA. ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 463 eh’ e’ non ha taciuto per difetto di ragioni o falsità di sue conclusioni). E io con quest? occasione mi protesto al Sig. Lodovico, in caso eh’ e’ rispondesse con i soliti suoi termini, di non gli voler più replicar altro; perchè, se non potrò con questi miei scritti mutare in meglio la sua natura, procurerò al meno col tacere di levargli, quanto potrò, l’occasione di esercitare un così poco lodevol talento. ■ Tra gli artifizii vien numerato per ottavo quello col quale il Sig. Co¬ lombo, con V accoppiamenti) di diverse parole e clausole che sono sparse in differenti luoghi nel Discorso del Sig. Galileo, va formando, a guisa di centoni, io proposizioni ed argumenti falsi, per poter poi aver occasion di contradire, e mantenere che ’l Sig. Galileo proponga paradossi e sostenga conclusioni im¬ possibili. Usa, in oltre, assai frequentemente certa maniera di discorrere, depen¬ dente, per quanto io m’avviso, da mancamento di logica e dalla poca pra¬ tica nelle scienze demostr olive e nel dedurre conclusioni da i suoi principii; la qual maniera è, che egli immobilmente si fissa nella fantasia quella conclusione che deve esser provata, e persuadendosi che ella sia vera e che non abbia a poter stare altrimenti, va fabbricando proposizioni che si ac- gioni o falsità di sue conclusioni). Ed io con questa occasione mi protesto al Sig. Lo¬ ie dovico Colombo, in caso che mi rispondesse con i soliti suoi termini, di non li [gli J voler più rispondere altra... [replicar altro]; perche, se non potrò conquesti miei scritti mutare in meglio la sua natura, pvocurarò [procurerò] almeno eoi tacere di levargli, quanto potrò, l’occasione di esscrcitare sì biasimevole fan così poco lodevol] talento. Tra gli artifizi viene numerato quello con il [col] quale il Sig. Colombo va, con fi’ accoppiamento di] diverse parole e clausule che sono [sparse in diversi luo¬ ghi] nel Discorso del Sig.Galileo, [va] formando fa guisa di centoni] proposizioni false a guisa di centoni [e argomenti falsi], per poter poi aver occasione di con- tradirc, c mantenere che il Sig. Galileo proponga paradossi e falsità [e sostenga conclusioni impossibili]. 30 Quella maniera di discorrere poi, che egli frequentemente usa [Usa, in oltre, assai frequentemente certa maniera di discorrere], dependente, per quanto io m'avviso, da mancamento di logica e dal non avere mai veduto quello che sia di¬ mostrare e dedurre [a dalla poca pratica nelle scienze demostrative e nel dedur] conclusioni da' suoi principii; cioè fissarsi immobilmente [la qual ma¬ niera è, che egli immobilmente si fissa] nella fantasìa quella conclusione che deve essere provata, e persuadersi che [persuadendosi che ella] sia verissima e che non abbia a poter stare altrimenti, e ciò stabilito andar essaminando [va fabbri- I ONHlliKRAZIONI 164 runlino a h i, Ir quali /mi. <> ''inno filine o siano jiià ignote ili essa principal conclusioni o tal eolia, ami lune s/>esso, la medesima cosa, ma delta con nitri termini, coli le prende come n tinnirne e vere, e da esse fa nascer la conclusione, come figliuola di quelle dell, quali dia veramente è stata madre, die è quel difetto immenso do i logici chiamano provare ideili per idem vel i^notum per iguotiiw ; c qui da maniera di discorrere non sarà da me chiamata artifino, j>erchc credo che 7 Sig. Lodovico l'usi senz'arte alcuna e solo come la natura gli porge. Finalmente " , avanti ch'io discenda alle note particolari degli errori del Sig. ('ohimlm, voglio scusarmi c liberarmi dal notarne una sorte che in gran io numero si trovano sparsi ini suo Ihscurso, li quali più ap/mitengono a retori c grammatici che a filosofi; e son quelli eh' e' commette nello spiegar i suoi concetti r fiumare i suoi periodi, heru- spesso mal collegati, e che , comin¬ ciando in un proposito, trapassano e finiscono in un altro. Questi lio de¬ terminato tralasciar /ter la detta ragione, r i>cr non raddoppiar il volume senza necessità: ma jierchc il Sig. Colombo, il quale, già che gli commette, è forza rh' <■' mm gli conosca, rum credessi che io senza fondamento gli im¬ ponessi rotai difetto, mi contento accennarne due n tre .; e acciochè si possa giudicar la frequenza diedi quelli si trova nel suo libro, r che io non gli ho auti a mendicare in qua r in là, propongo il principio c'I fine della 20 sua scrittura. Nel principio (p««. 317. lin. 1-1). se si esaminerà la disposizione delle sue chiusale, levandone, p r meglio scoprir! I corudio puro, le parole non neces¬ sarie alla testura, si verrà a formar un discorso tale: • Perchè le cose nuove fanno reputare i lor ritrovatovi come Ib i, di qui è che, essendo molti bra¬ mosi di correr cotale arringo, /hi hi malagevolezza dell' impresa non colt¬ rando/ /inquisizioni che si accordino a lei, le quali poi, o siano false o siano più ignoti' di < ssa prin r i/ml coio Iasione o tal colta, anzi bene s/tcsso, la medesima [cosa], nui di tta con altri t> riunii, prenderle /< gli prende] come, notissime, fi vere, e do esse far ffiif nascere la conclusione, < ime figliuola di quelle delle quali ella vera- ® mente è stata madre, clic è quel diffetto immenso che i logici chiamano provare idem /icr idem vel ignota in /e r ignotius n i /ictitio principii ; / c] questa maniera di discorrere non sarà dame chiamala artifizio, /urdù’ credo che il Sig. Lodovico Itisi senz'arte alcuna e solo come la semplice natura li [gli/ porge. ,l ’ Cfr. nota 1 » pa#. 458. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 465 scquiscono il desiderato fine ». Dove si vede chela conclusione non ha depen¬ denza o corrispondenza con le premesse; perche, che altri per la malagevolezza non consegui sellino y l lor fine, non depende dall esser le cose nuove tali, che deifichino i lor ritrovatori. Leggesi un verso più a basso [pag. 317, lin. 6-11] il per iodo che segue, dì conclusione non incuto meglio dipendente dalle premesse; il (piale, spogliato delle circuizioni di parole, suona così : « Ala che si tro¬ vino ’ntellctti che voglino far Indo altrui con le tenebre dell intelletto loro, che lode possono aggiustarne? e che giovamento recare? ». Dove, oltre all in¬ dipendenza de concetti, tpiel porre *intelletti che faccino buio con V ombra io dell intelletto loro », ha quel suono che ciascuno da per se stesso sente . I? uUiilta chiusa del libro [pag. 368, lin. 25-26] e una sentenza che il Sig. Colombo traduce da Quintiliano con queste parole : « Là dove non si possono scioglier le ra¬ gioni opposte, facciasi vista di non le stimare, e le dispregi o schernisca » ; dove Cantalizio vorrebbe che si dicesse: « e si dispregino o scherniscano ». Simili errori e altri di altro genere, come silogismi d' una sola proposizione, di quattro termini, periodi senza senso, non pur senza dependenza, son tanti, che, volendogli avvertir tutti, si potrebbe far un lungo trattato: ond’io mi ri¬ stringo a quelli che appartengali principalmente alle cose scientifiche . Comincia il Sig. Lodovico delle Colombe il suo Discorso apologetico f in 2 o cotal forma [ : (pag. 817, lin. i] Perchè le cose nuove etc . Ila tanta forza la verità, che quanto più s’ingegna alcuno di celarla e sommer¬ gerla, tanto più gli vien sempre innalzata e fatta maggiormente palese: sì come avviene al Sig. Colombo nel proemio della sua opera, clic, avendo mira d’atterrare il Sig. Galileo, gli vien data grandissima lode; poi che egli celebra ed assomiglia meritamente alli Dei gl’inventori delle cose, tra’quali convenien¬ temente è annoverato il Sig. Galileo per comun consenso di chi giudica privo d’ogni passione, avendo egli scoperto cose sì maravigliose e di sì gran lume a chi gusta la vera via di filosofare. so Séguita nella prima faccia, v. 11 [pag. 317, lin. fi]: Ma che si trovino intelletti etc . Se il Sig. Colombo non intende parlar qui del Sig. Galileo, son fuori di pro¬ posito queste parole : ma se egli intende di lui, come eh’ | e’ 1 vada suscitando oppinioni vecchie, o egl’intende dell’opinioni esposte nel Discorso, o di altre eli’ fe’j pensi che sieno tenute da lui; se di queste, è parimente fuori di proposito P accennarle, e darebbe segno d’ animo non ben affetto ; se di quelle, era in obbligo di nominar gli autori antichi che abbino auti i medesimi pensieri, altrimenti si reputa falso quanto dice: poi che la causa della principal conclu¬ sione di cui si disputa (cioè che l’aria sia cagione^che alcune sottil falde di ma- iv. 59 (N)NHI DKK AZIONI 4Gt; terie, che per lor natura disceiulerebbon nell acqua, non discendono) è cosa nuova nò inai prodotta da alcun altro; e *1 Sig. Colombo stesso lo sa, e lo scrive a car 22 v. 17 Ma, Un ivni, «1«*1 suo Diacono, dicendo al Sig. Galileo: E quest' dira cagione, uuti più stufa fin ora ourrcata, eredità # pure cfa * fosse vera, non toccava a voi fai osservarla, perché mrtrH vmub tanfi. K non solo questa conclusion principale f* cosa nuova nel trattato del Sig. ( ralileo, ma moltissime altre, se non tutte; coinè chi ha pratica negli altri scrittori e intende questo, può per sè stesso giudicare. Or qui pur tropi** chiaramente si scorge, la primaria intenzione del Sig. Lodovico es er d’abbuiare in ogni immaginabil modo la fama del Sig. Ga¬ lileo, e non punto il ritrovare ’1 vero; perchè in questo particolar luogo, volen- io (ragli tórre al Sig. Galileo la gloria del) v intensione, «li( *‘ ohe le sue conclusioni son cose vecchie, e in queir altro citato, a car. 22, volendo tassare il Sig. Galileo come che non abbia detto ’1 vero, non si cura contradirsi ed ammetter l’istessa cosa per nuova sì, ma falsa. Alla faccia medesima, v. 14 lp»c.si:, ho.Hj: E che vaglino oggi , che risplende etc. Non mi vedere in che maniera posnino arrecar tenebre, come dice il | Sig. | Co¬ lombo, quelli che ^affaticano dietro alla verità e che cercano d’imparare gli effetti naturali dalla natura stessa. Però che il supporre che dagli antichi siastato detto ogni cosa e bene, è grami*errore, essendo gli effetti infiniti ed essendosi )>otuti gli uomini molto ingannare; e *1 diffidar che i moderni possino più filoso -20 fare come facevano gli antichi. «• un chiamare matrigna la natura, perchè non ci abbia dotati d’intelletto e di strumenti atti a ritrovar la verità oche ci sia pili scarsa in dimostrar gli effetti suoi. K in questo non vorrei che chi si trova ina¬ bile a tali speculazioni volesse misurar gli altri con la sua misura. Face, medesima, v. Ih fp**. ai t. Do. il): Varranno costoro de. S*inganna il Sig. Colombo a «lire che ’l Sig. Galileo dia contro ad Aristotile senza averlo mai letto; perchè si vede che nello cose trattate da lui, dove di¬ scorda ila Aristotile, «ramimi con grandissima diligenza ogni minuzia, il che, se non r avesse attentamente studiato, non potrebbe fare. Ardirei più presto dire che ci siano alcuni altri che si mettono a dar contro ad autori che f e’ \ nonno possono di certo avere intesi, per non avere intelligenza alcuna della dottrina sulla quale si fondano; •* si vede che eglino, perchè non gl’intendono, non fanno come il Sig. Galileo nel ribatter le ragioni ili Aristotile, ma o non gli citano o, se ne fanno in qualche modo menzione, dicono ogni cosa a rovescio. Face, medesima, v. 23 «pur ni7, lìn. ic): Ora, quantunque il Sig. Galileo etc. 11 Sig. Galileo non ha per mira nella sua filosofia di dar contro ad Aristotile o di rinuovare opinioni antiche, ma sì bene di dire la verità; e porose accade, pei scoprirla, dar contro ad Aristotile o rinovare opinioni antiche, segue tutto non per sua mala intenzione nè per capriccio, ma per desiderio del vero, il quale, conforme al giuhto, egli antepone a qual si voglia altra cosa: sì come ancora, nelle 40 SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 467 cose naturali, antepone la natura stessa a qual si voglia autorità di celebre scrit¬ tore, come dovrebbe fare chiunque brama dirittamente filosofare (l) . Face, medesima, v. 25 [pag.817. Un. ibj : Non credo già che egli debba etc. Se il Sig. Galileo al parere del Sig. Colombo stesso non deve essere annove¬ rato tra quelli, pare a sproposito il proemio. Face, medesima, v. 28 [pag.317, lin. 18-19|: Stimando io de. L’esercizio d’ingegno che fa il Sig. Galileo, e quello che egli stima, è essercitarsi nel ritrovare la verità, ma non già nel mantenere paradossi o sofismi, come crede il Sig. Lodovico: nò so immaginarmi, qual causa lo possa aver indotto a dir di cre- io dere che il Sig. Galileo non reputi per vere le conclusioni, e per sicure le dimostra¬ zioni, che egli produce; poi ohe si veggono trattate con quella maggior resoluzione c saldezza che usar si possa circa le cose reputate per verissime. Orni’io inclino a pensare che, non potendo il Sig. Colombo in modo alcuno levargli hi lode di aver detto ’1 vero, s 1 induca, mosso da qualche suo particolare umore, a voler per¬ suadere che quando ’1 Sig. Galileo pur ha detto la verità, ciò gli sia accaduto, come si dice, per disgrazia e mentre egli andava scherzando su le. burle. Face, medesima, v. 32 [pai?. 317, Un.su): Il quale lesse piu libri de. Queste iperboli tanto grandi, oltre Tesser false, son di non leve pregiudizio al- Tistesso Aristotile ; perchè ò manifesto che quanti più libri uno legge, tanto meno gli 20 può considerare, e minor tempo ha di filosofare sopra gli effetti naturali intorno a’ quali egli scrive; e quanto più uno dice, tanto più errori può commettere. Di ma¬ niera che le conclusioni del Sig. Colombo tornano a rovescio del suo intento: perchè quelli che egli vuole biasimare, gli vengono grandemente lodati, e quelli che si dà ad intendere di lodare o difendere, son offesi da lui non leggiermente. Sì che pare che sia più tosto da desiderarlo per avversario che per fautore. Face.medesima, v.38 [pu&.8i8, iin.a-4j: E doppo averne meco fatta lunga contesa etc. Io so di sicuro che il Sig. Galileo non ha scritto per il Sig. Colombo, nò in questa scrittura ha voluto trattare con esso lui: ed egli poteva accorgersene non solo dal non esser mai stato nominato, ma dalla maniera con la finale è scritto ’1 Discorso, 30 nel quale la maggior parto delle cose elio si provano, si dimostrano per via di geo¬ metria; cosa che poteva assicurare il Sig. Colombo che questa scrittura era inviata a gF intend enti delle matematiche, e non a chi n’è del tutto ignudo. Face. 6, v. 10 [png. bis, li». 15]: Passorno alcune scritture etc. È fuori di ogni affare del Discorso il produrre queste scritture, quasi che il Sig. Galileo abbia scritto il suo trattato a petizione del Sig. Lodovico, al quale io so certo che non ha mai applicato il pensiero; ma solamente ha auto inten¬ zione di trattare questo argomento, non per contrariare ad alcuno, ma solo per (,) «come.... filosofare* fu sostituito da ehi ò di natura poco abile alla speculazione una terza inano a * e se di questo riceve che si legge, cancellato, di mano del Cà- biasimo, son sicuro che lo riceverà solo da stelli. CONNI DKK AZIONI ritrovare '1 vpro. E se nel progresso ha impugnato l’opinioni o di Aristotile o d’al- Cuno ile' moi interpreti, ciò ha fatto iK-rchè cosi riclnedeva la necessità della materia; e se ciò pareva al Si*. Colombo non essere «tato perfettamente eseguito, o aveva pen¬ siero di coniraildire |n>r difesa d'Aristotile o di qual si sia altro compreso dal Sig.Ga- lileo sotto quel nome generale di avversarli, doveva aver riguardo a quel tanto sola¬ mente rhe il Sig. Galileo ha stampato, convenendo con scritture puliliche impugnare le scritture publiche, e non atti o ragionamenti privati. Però, universalmente tutti gli atti privati prodotti dal Sig. Colo mix» e non |x>sti dal Sig. Galileo nel suo trattato, come fuori del proja.sito ili cui si trutta, ed anco per esser portati molto diversamente da quello che fu in fatto, saranno da me tralasciati ; io e solo procc tirerò di dar satisfazione al Sig. Lodovico nel solver suoi argomenti e redarguir sue ragioni, poi che io le ritrovo tutte tali, quali è necessario che siano quelle che oppugnali conclusioni vere. Enee. 7. v. 2R n» »|: Ogni norie ili figura de. Che ogni sorte di figura, e di qual si voglia grandezza, bagnata vadin al fondo, e la medesima non bagnata stia a galla, ò conclusione proposta e dimostrata dal Sig. Galileo nel suo trattato, ma non già intesa dal Sig. Colombo; o almeno egli, servendosi del 6° artifizio, ha tìnto di non l’intendere, per non si ristagnerò il campo delle con¬ traddizioni: che quando ciò non fosse, egli non arebbe mai scritto, 20 come egli fa in questo luogo, che tal proposizione non sia vera, perchè una jmlla il'ebano annulla cala al fonila e una falda di surero bagnala •folleggia; le quali due esperienze non hanno da far niente col detto del Sig. Galileo, il quale non si astrigne a materia che gli venisse proposta, tua solo alla figura ed alla grandezza. Però il nominar, che fa il Sig. Colombo, l’ebano ed il stiverò, con pretender che ’l Sig. Ga¬ lileo sia in obbligo di far vedere una falda di stiverò bagnata andare in fondo e una palla d’ebano che galleggi, b domanda fuori dell’ob¬ bligo della presente asserzione del Sig. Galileo, nella qual e’non si lega se non all’universalità delle figure e delle grandezze, nè vi si no-so mina materia. Però, se 1 Sig. Colombo vuole con qualche atto parti¬ colare destrugger l’universal proposta, bisogna che egli mostri, la tal figura, come, v. g., la sferica, fatta di tal grandezza, come sarebbe d un palmo di diametro, non esser sottoposta all’universal pronun¬ ziato del 1 Sig. Galileo, ed esser impossibile elio egli o altri possa far una palla d' un palmo di diametro, la quale bagnata vadia al fondò, " 1* stampa: dal. SOPRA ’I- DISCORSO DEL COLOMBO. 469 e la medesima non bagnata galleggi : ma il volergli di più assegnare e limitare la materia ancora, col proporgli suvero, ebano o piombo, è un volerlo tirar di là dall’obbligo, non s’essend’egli astretto a materia nessuna a elezzione d’altri; onde tutta volta ch’egli farà vedere una palla di un palmo di diametro, e qualunque altra figura d’ogni gran¬ dezza assegnatagli, che faccia il detto effetto, avrà pienissimamente satisfatto alla promessa. Ma perchè egli tutto questo evidentemente dimostra nel suo libro a face. 56 [pag. 122 ], resta la sua proposizione verissima, e le obiezzioni del Sig. Colombo di ninna consequenza. Io io non posso dissimulare un poco ili sospetto che ho, che ’l Sig. Colombo, avendo per avventura scorso così superficialmente il trattato del Sig. Galileo, abbia in confuso ritenuto il concetto di 2 proposizioni vere che vi si leggono in due luoghi diversi, delle quali egli poi ne abbia, congiugnendole, formato un concetto falso, ed ascrittolo al Sig. Galileo, per esser fatto di cose sue. Le proposizioni sono, una la sopradetta, cioè che ogni sorte di figura, di qual si voglia grandezza, bagnata va al fondo e non bagnata galleggia etc., e questa si legge alla face. 50 [pag. 117, lin. 12-15] ; l’altra, a face. 48 [pag. 115, lin. 9-13], dice che ogni sorte di figura, di qual si voglia materia, bagnata va in fondo e 20 non bagnata galleggia etc. Ma in quella non si nomina la materia, nè in questa la grandezza, perchè così sarebbono amendue false, dove che in quel modo son verissime : ma il Sig. Colombo, congiugnendole, vuole che il Sig. Galileo abbia affermato che ogni sorte di figura, di qual si voglia grandezza e di qual si voglia materia, bagnata etc. ; e così, facendo un centone di luoghi diversi, conforme all’ottavo arti¬ fizio, senza cagione incolpa la dottrina del Sig. Galileo. Face. 7, v. 36 |p»g. 319, liu. aoj: per secondo supponete che io etc. Non è vero che il Sig. Galileo supponga che il Sig. Colombo si oblighi a mo¬ strare che la figura operi assolutamente lo stare a galla o l’andare al fondo nel- 80 l’acqua; anzi noi Discorso non si fa mai menzione del Sig. Colombo, non avendo il Sig. Galileo che fare con esso lui. I luoghi poi citati alla face. 24 e 25 Ipng. 87o88] non sono stati intesi, ancor elio chiarissimi, dal Sig. Co¬ lombo, se già egli t (conforme al suo sesto artifizio) 1 non dissimulasse l’intelligenza, e a bello studio gli corrompesse. Le parole precise del Sig. Galileo son queste: « Che la diversità di figura non può esser cagione in m modo alcuno, data a questo e a quel solido, dell’andar La stampa : a. ('UNSI DEH AZIONI •170 egli o non andar» 1 assolutamente ni fondo o a palla •; dove essendo con la parola ragione congiunto le parole in modo alcuno, e molto lon¬ tana la 1 .articolili assolutamente, che è congiunta con Vandare o non andare a fondo, nessuno sarà, fuori olio il Sig. Colombo, che non in¬ tornia che» il Sig. Galileo esclude la figura dal poter in modo alcuno, cioè nè per si nè per accùlem ote., esser cagione dol muoversi o non muoversi assolutamente, ma si bene della tardità o velocità, come di¬ chiarano l’altro parole della face. “25 (pu*?.im 1 - 2 ), prese pur al contrario dal Sig. Colombo, le quali parole son tali: • Può ben P ampiezza della figura ritardar la velocità tanto della scesa, quanto della salita etc. *. io Ingomma il Sig. Colombo si là lecito il poter da diversi luoghi rac- còrre parole, ed accozzarle a formare un concetto a modo suo, per addossarlo al Sig. Galileo e confutarlo in accrescimento dol suo vo¬ lume. K con simil licenza die** che il Sig. Galileo in questo luogo con¬ tradice a sé medesimo, avendo scritto il contrario alla face. 6 [pag. 66], c tassi lecito chiamar contradisione il medesimo concetto, dotto anco con ristesse parole. Kcco le parole della face. I. |pai?.6<», lin. 15-16]: « Con¬ chiusi pertanto, la figura non rs-or cagione por modo alcuno di stare a galla o in fondo Ecco le parole della face. 24 [ pag. 87, lin. 31-32] ; • La diversità ili figura non può esser cagione in modo alcuno del- 20 l’andare, o non andare, assolutamente al fondo o a galla etc. ». Or chi non vedrà che il Sig. Colombo non ha scritto so non per quelli che non son mai per leggere di tutte queste scritture altro che i titoli? fé che egli •>’ è accomodato a non tener conto del giudizio che sion per far di lui gl’intelligenti?! Fare. 8, v. ti |p*r sj... im. Terso presupposto eie.. È vcrb-iimo che il Sik. Galileo Hiip|M»n«» elio i corpi si abbino a mettere nel¬ l’acqua come in luogo. ci«m’> circondati dall’acqua, e così si devo intendere in questo proposito, e non altrimenti ; perche, potendosi intendere il termine di esser neU acqua in senso proprio e ristretto, ed in significato comune 30 e largo, se nella presente quistione fusai lecito di pigliarlo, ad arbi¬ trio d’una delle parti, in alcuno di quei sensi elio comunemente te largamente! s’usa di dargli, tal quistione, ili filosofica, si farebbe di¬ venire poco meno che scurrile e ridicola: perchè si costuma di due, esser in acqua anco gli uomini e le mercanzie che sou poste in una barca die sia in acqua; onde si legge nel Boccaccio, Gior. 5 , nov. prima. Cintone eie. con ogni cosa opportuna a battaglia navale si mise in mare; e appresso. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 471 Efigenia , dopo onor fatto dal padre di lei a gli amici del marito , entrata in mare . Se, dunque, esser nell’ acqua si deve nel Discorso intender del luogo in co¬ mune, come si devono intender i citati passi, e non del luogo proprio, non sarà diffidi cosa fare stare a galla qual si voglia figura di qual si voglia grandezza e di qual si voglia materia; e io mi obbligherò a far galleggiar nell’acqua non solo la palla d’ ebano, ma una montagna di marmi ; e ’l Sig. Colombo non mi contradirà, volendo che la parola nell’ acqua si deva prender nel senso comune e non nel proprio, e contentandosi che i monti eie’ sassi si pongliino in acqua nel modo che si pose Cimone o Ifigenia, io Ma, quello che più importa, quando il prender un pronunziato nel senso pro¬ prio e stretto diversifica 1 senso della quistione che si tratta, si deve prendere ’l significato proprio, e non il connine e improprio. Come, quando fussimo in con¬ tesa, se gli uomini posson vivere nell’acqua o no, chi non vede che ’l termine nel - V acqua non s’ha da prender in quel senso comune e largo, nel quale si suol dire che un pescatore, che sia nell’ acqua sin al ginocchio, è nell’ acqua? ma ben si deve intender la quistione in questo senso, se gli uomini posson viver nell’acqua, cioè tuffati dentro, come altri animali vi vivono ? Così nella presente quistione, essendo che la leggerezza è causa che alcuni corpi non descendino nell’ acqua, benché messivi dentro totalmente, così si mette in quistione se’l medesimo ac- 20 cidente, di non profondarsi, può accadere a corpi più gravi dell’ acqua, mercè della figura dilatata. In oltre io dichiaro al Sig. Lodovico, che quando si pigli il termine di messo nell'acqua nel largo significato, non però creda di vantaggiar la sua condizione; perchè dal Sig. Galileo s’è chiaramente provato che nè anco’l galleggiar in tal guisa depende dalla figura dilatata. D qui poi io vorrei finalmente saper dal Sig. Colombo, quel che si sia delle sue scritture, se la proposizione esposta come sta nel Discorso è vera o falsa : e se la reputa falsa, vorrei vederla rifiutata ; e se la concede per vera, cioè se è vero che tutti i corpi pili gravi dell’ acqua, ri¬ dotti in qualunque larghezza di figura, vanno in fondo, cessi una volta d’in¬ so sultar in vano contr’ alla dottrina del Sig. Galileo, e dica liberamente che le figure non bau che fare nel galleggiar d’ un corpo die per sua naturai gra¬ vezza andasse al fondo. Face. 9, v. 4 (l) fp^gr- S2i, lin. 1 - 2 ]: Poi che salito calano al fondo etc . La cagione perchè il Sig. Galileo non deve pensar che Aristotile si creda che le lamine di piombo o ferro poste sotto ’l livello dell’acqua non discemlino, 9. O Ifigenill. Aggiùngo ancora che. la parola « nell'acqua > ha questo senso chiaro; e quando SÌ fttSSC voluto intendere « sopra V acqua », SÌ Sarebbe detto « tu l’acqua », coni’ha detto il Sig. Galileo nel titolo del suo Discorso, imitami Archimede. — (,) La stampa: Va ce. 8, in fine. 472 CONSIDERA ZIONI è (elice il Sig. Lodovico) perchè subito calano al fondo : talché se una proposi¬ zione non sarà vera, il Sig. Galileo non può 1 nè deve 1 pensare che Aristotile 1’ abbia mai detta, come che pur sia notissimo che egli non possa aver detta una cosa falsa. Face. 9, V. 5 (pag. 321, Un. 8-7): Non è egli vero, che quando si dice una cosa far un tal effetto, si dee intender in quel modo culopercda che ella lo fa? E Archi- mede stesso non direbbe, nè dice mai, che le cose che soprannuotano si debbano ba¬ gnare, per vederne Veffetto. Però questa è invernion vostra, per disciorvi dal laccio nel qual sete inciampato etc. Se questa regola del Sig. Colombo fosse vera e sicura, cioè che affermandosi io una cosa produrr’ un tal effetto, si dovessi intender < adoperata in quel modo che essalo produce >, f sarebbe impossibile che non solo Aristotile, ma qual si voglia goffissimo uomo dicesse mai cosa che non fusse vera: el a ine darebbe 1’ animo di mantener per vera qual si voglia esorbitantissima conclusione; come sarebbe che una gravissima pietra non si movesse all’in- giù per l’aria, perchè adoperata in quel modo ch’ella non vi si muove, non vi si muove, che sarebbe sospendendola con un canapo a una trave. Così sarà vero che la campana grossa del Duomo non si sente da Fiesole, ado¬ perata però in quel modo che non si sente, che sarebbe non la sonando, o so¬ nandola fasciata con due materasse o più, se più bisognassero per verificar la 20 proposizione. Quanto a quel che segue, d’Archimede, dico che anco il Sig. Galileo, quando primieramente propose la questione, pronunziò semplicemente esser nell’acqua, nell’istesso modo che anco Archimede intende esser nell’acqua: e che ciò sia vero, tutti que’ solidi che Archimede dimostra galleggiare, galleggiano bagnati, anzi, posti nel fondo, tornano a galla. Ma il Sig. Galileo di poi è stato necessitato aggiugner quella esplicazione, per essers’incontrato in persone che volevano storcere ’l proprio sentimento : nel che è stato manco av¬ venturato d’Archimede, il quale, se altresì avesse auto di cotali contradittori, non lui dubbio che avrebbe fatto l’istesso che ’l Sig. Galileo, f 0 vero, con so più prudente consiglio, non arebbe riguardato a lor opposizioni. 1 t Face. 9, v. 10 [pag. 321, li».7-13] : E se la questione, secondo voi, fu promossa tanto circa le cose che devono ascendere dal fondo, quanto àrea quelle che devoti calare, non per questo ne séguito che tanto fune quanto faltre figure si devan bagnare acauli che si posin nell’acqua. La ragione è, perché l une dì necessità si bagnano, poiché si inetto» in fondo per farle ascendere; e Valtre, perchè hanno a galleggiare, potendo, non è necessario che si bagnino. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 473 die ’l Sig. Colombo scriva solamente per gli uomini vestiti rii gran siinplicita e nudi d'intelligenza, è manifesto da moltissimi luoghi di questa sua opera, sì come andrò additando: e’l presente ne è uno, dove, dopo 1’ aver egli prodotta la scritta, nella quale apertamente si contiene eh’ egli è non meno in obbligo di mostrar che la figura può proibir l’ascender a’corpi più leggiei’i dell’acqua, che’l descen¬ der a’più gravi; nelle presenti parole pon in dubbio se questo sia o non sia stato ; accennando di più, col dir secondo voi, che quando ciò pur sia stato, seguisse non di suo assenso, ma del Sig. Galileo sola¬ io mente. Che poi non per questo séguiti che tanto nell’ uno quanto nell’ altro caso le figure si devili bagnare, è detto assai fuor del caso ; perchè ’l Sig. Galileo non dice che, sì come le figure che devon ascender dal fondo son bagnate, così per necessità si devin bagnar quelle che hanno a descendere ; ma solamente, per mostrar la vanità della fuga di coloro che si riducon a voler che le figure che liann’ a discender sieno non solamente sottili e dilatate ina ancora asciutte, quasi che la dilatazion non possa bastare, gli oppon le falde che in virtù della dilatazione devon, contr’ all’ inclinazion della lor materia, restar in fondo ; le quali non vi si potendo porr’ asciutte, bisogna 20 che gli avversarli per necessità confessino che del tutto sia impossi¬ bile che tal figure si fermino in fondo (e confessili, in consequenza, d’ aver già persa la metà della lite), o che la condizione della siccità sia una chimera che non abbia niente che far col presente proposito : sì coni’ ella veramente è tale, come diffusamente si dichiarerà a suo luogo, e come già dovrebb’ esser chiaro dall’ esser nata la presente disputa dal galleggiar delle falde di ghiaccio, nelle quali sarebbe pazzia ’l pretender che fossero asciutte. Ma passo a considerar quanto accouciamente ’l Sig. Colombo renda ragione di questa disparità, cioè del non esser necessario che le falde so eh’ hann’ a galleggiare si bagnino, ancorché il bagnarsi sia neces¬ sario in quelle che devon ascender dal fondo, o, per meglio dire, che dovrebbon, mediante 1’ ampiezza della figura, restar in fondo. Quanto a questa parte, die’ egli, è necessario che queste si bagnino, poi che si metton nel fondo dell’ acqua. Ma, se ben si considera, questa cagione non ha riguard’ alcun all’ effetto per il quale eli’ è ricercata, ed è appunto come se altri dicesse, che per calafatar le navi già poste in mare, è necessario che ’l calafato ritenga lunga- IV. 60 t 474 CONSIDERAZIONI mente ’1 fiato, la qual retenzione non ha riguard’alcuno all’atto del calafatare, ma solo nll'universal impotenza di poter respirar sott’acqua; e quando ’1 calafato trovasse ’nvenzione di potervi respirare, egli be¬ nissimo farebbe l’opera sua senza ritener lo spirito. E così dell’assi¬ cella che si mette nel fondo acciò vi si fermi, il dir, come fa ’l Sig. Co¬ lombo, che sia necessario eh’ ella si bagni, perchè le cose che si pongon sott’acqua per forza s’immollano, non ha rispett’alcuno all’effetto del restar in fondo o del venir ad alto, perchè l’istesso farebbon quando si potesser mantener asciutte : o poro fuor di proposito gli vien attribuita la necessità del bagnarsi. Quant’all’altra parte, a me io par che’l Sig. Colombo adduca per ragion d’una cosa la cosa stessa per 1’ appunto. Si deve render la ragione perchè le figure, che devon galleggiar mediante la figura, ancor che di materia che por sua na¬ tura andrebbe in fondo, non si devon bagnar avanti che si posin nell’ acqua ; e la ragion eh’ egli n’ assegna è perchè, avend’ a galleg¬ giare, non è necessario che si bagnino. Tasserà poi ’l Sig. Colombo per difettoso di buona logica ’l Sig. Galileo. 1 Face. 9, v. 17 [pag. 321, Un. 13-14]: Ma il vero è, che la disputa si ristrinse solo alle rose dir galleggiano o calano al f ondo per causa della fi gura ete. Séguita ’1 Sig. Colombo di persistere in volersi dis obblig ar dal far 20 veder materie che per causa della figura restin o in fondo dell’acqua : e se ben la scritta, prodotta da sè senza veruna necessit à, s uona in contrario, egli pur la vuol posporre ad alcuni casi seguiti, dicendo che non s’ è mai praticato se non con materie più gravi dell’acqua, nè inteso d’ altro che di queste ; e ne adduce per testimonio sè me¬ desimo, con dir che, per tal rispetto, elesse solamente materie che vann’ in fondo. Ma io veramente avrei stimato eh’ e’ si fosse ritirato alle materie che discendono solamente, per non poter con l’altre mostrar cosa che, ahnen in apparenza, potesse differirgli e asconder¬ gli la dichiarazione della falsità della sua conclusione : e noto che, so 18-23. Fare. 0 , r. 3S. [p»g. 321. Un. 28] : Chi ./irà mni che abbinie de. Che le figure diverte abbino a produrre divertilà di larda e di r etnee, non ai è mni negato ila! Sig.Oalilen: anzi egli l’ha SCI ittO in tanti luoghi del suo traliuto, che in cerio modo mi meraviglio clic ’l Sig. Colombo non /’abbia ossei rato c inteso; ma forse col 6’ urti tìzio dissimula tale intelligenza, per parer di rispondere qual¬ cosa a queste falde men gravi dell’acqua, che in nissuna maniera egli può far restare in fondo. E perchè e’ si trova fusero un suo termine) ristretto tra l’uscio e ’l muro, si riduce itifino a volersi disobbligar da celta scritta prodotta da se medesimo per autonzar la causa sua, e vuo posporla ad — SOPRA ! L DISCORSO DEL COLOMBO. 475 quanto più e’ si trova lontano dal poter sostener la causa sua, tanto più altamente esclama con aggravio del Sig. Galileo, dicendo eh’e’ ga- villa, e trova invenzioni per disdorsi dal lacdo nel quale è inciampalo, e eli’ egli ha viso di sentenza contro, per aver indugiato a trovar questo ri¬ fugio nella chiosa alla seconda stampa, che manifesta questo essere suo ca¬ priccio, ma inidile , e eh’ egli si sarebbe rovinato sin’ alle barbe : e tutti quest’insulti si caricali addosso al Sig. Galileo tanto più ingiustamente, quanto die il Sig. Colombo gl’inserisce nel parlamento eli’e’fa per disobbligarsi dalla scritta da sè stesso prodotta, sena’esserne ricercato io da alcuno e senza che ’l Sig. Galileo abbia mai trattato nè di lui nè di suoi patti. Però doveva, volend’ impugnar la dottrina del Sig. Ga¬ lileo, pigliare ’l suo trattato, e prima procurar d’intenderlo, e poi mettere’ all’ impresa : se poi privatamente eran seguiti atti o parole che nel trattato non fussero, poteva, per sè prima e poi per gli amici particolari, dire che ’l libro non era scritto per lui, poi che nè ’l nome suo, nè le convenzioni, nè gli atti, nè i ragionamenti seguiti tra loro vi si contenevano, e che però egli non aveva necessità di rispondere se non in quanto, in termine di scienza, e’si sentiva discordare da quella dottrina, e che per via di filosofici discorsi voleva tentar di 20 venir in sicurezza del vero. Però, sì come questo solo, e non altro, dovev’ esser da lui effettuato, così questa parte sola vien da me con¬ siderata nel suo libro, perchè non ho altra intenzione che di soste¬ ner la dottrina del Sig. Galileo, parendola’ ella in ogni parte vera. 1 Face. 9, v. 29 [pag. 321, lin. 25-31]: Vedete quel die opera la falsa opi¬ nione, che quanto più si cerca fari’ apparir vera, tanto maggiormente la ventò le cava la maschera. Imperò che, se volete far capitale del concetto delti ascender dal fondo dell’ acqua ancora, come se fosse in patto, chi dirà mai che abbiate ragione a dir che le figure diverse non operino diversità d’effetto ? Voi pttr concedete di’ elle son causa della tardità e velocità di so moto. Nè anco in questo membro della scritta s’è detto ch’elle sien causa di quiete de. In vero non si può negare che la presente sentenza del Sig. Colombo non sia verissima, cioè che quanto più altri s’ affatica in voler sostener il falso, tanto meno conseguisce ’l suo ’ntento, anzi tanto più e più gravi fallacie produce ’n campo: e ’l presente luogo, ch’egli apporta, ma¬ nifèstamente ci mostra la verità di tal sentenza, se però si considererà nella persona sua e non nel Sig. Galileo, dov’ e’ non ha rincontro. 47G CONSIDERAZIONI Vorrebbe pure ’l Sig. Colombo olio non si facesse capitale, anzi che nè anche fuss’ in patto, di dover considerar ciò che operi la iio-ura circa ’l ritener in fondo le ligure di materia, per sua natura ascendente nell' acqua : ina la verità della scritta, da sè stesso pro¬ dotta, le viene a cavar la maschera, e mostrare scopertamente e con parole chiarissime di’ egli ha '1 torto. Egli pur si scontorce, e col testimonio di sè medesimo vuol provar non s’esser mai praticato se non in materie descendenti, e però averi’ elette più gravi dell’acqua, e non più leggieri quali dovrebbon esser per 1’ altra esperienza del farle fermar in fondo: mala verità gli risponde, eh’e’non è venuto a questa seconda esperienza, non perch’ella non sia compresa nel- 1’ obligo, ma perdi’ egli non ha potuto trovar modo di palliarla in maniera, che nè pur le persone semplicissime ne dovessero restar in¬ famiate. E si riduce sin a dir, che ’l Sig. Galileo medesimo nella scritta non apporta per dichiarazione della sua Ritenzione altr’ esem¬ pio che di materie più gravi dell’acqua, e che di queste in partico¬ lare parla ’n diversi luoghi del suo trattato : ma la verità gli replica che nella scritta sarebbe stato superfluo 1’ apportar più esempli : e che, quanto al trattato, il Sig. Galileo, per far tutt’ i vantaggi a gli avversarli suoi, ha fatto ’l contrario di quel che fa ’l Sig. Colombo, cioè si è fermato su quella parte principalmente die in apparenza aveva maggior difficoltà e sembrava più favorir gli avversarli, lasciando l’altra troppo cospicuamente disfavorevol a quelli; dove che il Sig. Co¬ lombo si vuol ingolfar solamente in quella che maggiormente mostra applauder al suo’ntento, o dall’altra si vorrebbe sgabellar del tutto. Si volge a un altro sotterfugio, e dice che, quando pur s’ avess’ a far capitale delle materie ascendenti, a ogni modo ’l Sig. Galileo arebbe’l torto a dir ch’elle non operin diversità d’effetto, anzi che egli stesso confessa la diversità di figure produr diversità circa ’l più e men tardo : ma la verità mostra in questo particolare 2 gravi errori del Sig. Colombo» Il primo è una manifesta contradizion a sè stesso, men¬ tre dice che ’l Sig. Galileo erra a dir che le figure non operin diversità d’ effètto, o subito sogghigno di’ egli ammette eli’ elle producali di¬ versità d’ effetto circa ’l tardo e veloce muoversi. Ma se ’l Sig. Galileo concede questa diversità, su che fondamento gli ascrive ’l Sig. Colombo eh’e’dica, quelle non produr diversità alcuna? L’altr’ errore è d’una irremediabile equivocazione che ’l Sig. Colombo commette sempre in SOVRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. i r* r* questo medesimo particolare, di non aver mai potuto ’ntender la dif¬ ferenza che è tra l’accrescer tardità al moto e l’indur la quiete as¬ soluta: quell’effetto è stato sempre, senza nissun contrasto, conceduto dal Sig - . Galileo depender dalla dilatazion di figura ; quest’ altro, ilei poter indur la total quiete, è stato sempre negato, e di questo solo si parla e si disputa. Non rest’ ancor di tentar, ben eh’ in vano, ’l Sig. Colombo d’ adombrar la ragion sua, e, quasi che per sua difesa bastasse ’l ritardamento di moto, dice che ’n questo membro della scritta non s’è detto che le figure sien causa di quiete: ma la me¬ lo desima verità, accompagnata da Cantalieio, produce le parole precise della scritta, che son tali : Avendo ’l Sig. Colombo opinion, che la figura alteri i corpi solidi circa ’l descendere o non descendere , ascendere o non ascender nell’ istesso mezo eie. ; e dichiara al Signor Lodovico quel che sin ora e’ non ha ’nteso, cioè che il dir ascendere o non ascendere, de¬ scender o non descendere non significa ascender veloce o tardo, descender veloce o tardo, ma, nell’ un caso e nell’ altro, importa muoversi o non muoversi; e non muoversi, Sig. Colombo, vuol dire star fermo, e non vuol dir, come vorreste voi, muoversi adagio. Seguita ’l Sig. Colombo d’ accumular altre cose mal coerenti col 20 resto eli’ e’ tratta ’n questo luogo : tuttavia, per dargli energia e credito appresso gl’ idioti, 1’ accompagna con certa esclamazione al¬ quanto mordace verso ’l Sig. Galileo, e scrive : Anzi vi sareste da voi medesimo rovinato sin alle barbe; perchè in queste prime parole si compren- don universalmente tutte le figure, fino i vasi concavi che galleggiano. Nè importa che vi sia V aria ; perchè nella scritta non è eccettuata, e con ra¬ gione, perchè l’aria vi sta mediante la figura, come principal cagione. Ma io veramente non avrei fatto di questo concetto punto di capitale: perchè la verità è, che 7 negozio si ristrinse alle figure che sopra)/nuotano o ca¬ lali al fondo. In verità, è cosa degna di non picco? ammirazione ’l sentir so il Sig. Colombo declamar per rovinato ’l Sig. Galileo per cagion di cosa, che, ben considerata, è la total rovina solamente di sè mede¬ simo. E acciò che ’l tutto 'apertamente si comprenda, replichiamo bre¬ vemente la continovazion delle presenti cose con le precedenti. Disse ’l Sig. Colombo, parlando al Sig. Galileo, che s’ e’ voleva pur far capitale delle materie ascendenti per lor leggerezza nell’acqua, che ad ogni modo avea ’l torto a dir che la diversità di figure non cagio¬ nasse diversità d’effetto, essendo manifesto produr lei maggior o minor 478 CONSIDERAZIONI tardità ; la qual variazione tanto più doveva bastare, quanto in questo membro della scritta non si trattava dell’indur la total quiete. Seguita e scrive: Anzi vi sareste o leggerissimo che lo sostenga; perchè questo non sarebbe galleggiar mediante la figura. E quando voi dite che non importa che vi sia l’aria, perchè nella scritta non vien eccettuata, adducete una ragion molto frivola ; perchè con altrettanta ragione potreste accom¬ pagnar a una piastra di piombo molte galle o suveri, e anco sostenerla io con quattro spaghi legati al palco, perchè nè le galle nè ’l suvero nè gli spaghi son eccettuati nella scritta. Ma voi, Sig. Colombo, credete che sia conforme alla buona dottrina e alla mente d’Aristotile, che l’aria non deva esser esclusa da i corpi gravi che hanno a galleggiar mediante la figura: o non v’accorgete quanto grande sciocchezza voi gli fareste scrivere ? Eccovi le sue parole : « Dubitasi onde avvegna che le falde di ferro galleggiano, e altre figure, come rotonde o lun¬ ghe, benché minor assai, vann’ in fondo » ; dove, se a me sarà lecito, per vostra concessione, accompagnar con la figura l’aria ancora, io vi farò veder palle di ferro, non solamente piccole, ma grandissime, 20 e figure lunghe, grandi come travi, galleggiare, e molto meglio che le falde piane, anzi le falde piane esser manco atte a sostenersi d’in- fiuit’altre figure. Or vedete se si deve escluder l’aria, o no. Ma, più, chi v’ha detto che dalle parole della scritta non vien esclusa l’aria? Le parole del Sig. Galileo, prodotte da voi, dicono che « un solido corporeo, che ridotto in figura sferica va in fondo, v’ andrà ancora ridotto in qualunque altra figura ». Ora, se quando voi fate la palla, togliete un solido corporeo, quando poi fate l’altra figura non dovete tor due corpi, ma ’l medesimo uno ; sì che la condizione dell’ esser uno esclude tutti gli altri corpi che voi voless’ accoppiargli, e in con¬ so sequenza l’aria ancora. 11 dir poi che l’aria vi stia mediante la figura, è gran semplicità ; perchè se all’ introduzzion di tal figura seguisse necessariamente l’accompagnatura dell’aria, sarebb’ impossibile rimuo¬ ver 1’ aria senza mutar la figura ; or io m’obbligo a mantener qua¬ lunque figura più vi piacerà, rimovendone 1’ aria. Ma quel che vi dà 1’ ultimo spaccio è che, come voi non fate conto dell’ esservi 1’ aria, tutta la considerazion delle figure e, per consequonza, tutta la vostra Principal quistione resta vanissima, avvegna che tutte le figure con ■ISO CONSIDERAZIONI 1’ accompagnatura dell’ aria si faranno galleggiar nell’ istesso modo • adunque bisogna riformar il problema e dire: « Ond’aviene che i corpi più gravi dell’acqua, sotto qualunque figura, vanno ’n fondo; ma se si accompagneranno con conveniente quantità d’aria, galleggiano? e così arem’un quesito d’assai facil soluzione o molto fanciullesco.! Face. 10, v. 7 (puff. 8^2, Un. 3-fi| : Nr dovete argomentar contro di me, come fate a car. 37, con dir che in principio della disputa gli avversorii non curavano che le ligure non si bagnassero, poiché se magne dal ghiaccio, che e molle, sarebbe semplicità il dir in contrario: perche io non mi son trovato a dispute di ghiaccio con voi eie. * V’ ing annato a c reder che il Sig. Galileo argomenti nulla contro di voi: ma ha scritt’un trattato provando, conti-'all’opinione d’alcuni, che la figura non è cagion del galleggiare ete. ; e perchè questa contesa ebbe origine sopra le falde di giaccio, le quali volevan, questi tali, che galleggias¬ sero non per esser men gravi dell’acqua, ma per la figura, i mede¬ simi son in obbligo di provar che le galleggiano por la figura, e, oltre a questo, non posson pretender che lo falde da porsi nell’acqua sien asciutte, poi che le prime, proposte da loro per falde galleggianti in virtù della figura, eran bagnate ; e se voi non eravate di quelli della disputa del giaccio, dovevi t di qui ! accertarvi clic nè questo nò altro argo -20 mento del trattato era prodotto per voi, nò dovreste attribuir al Sig. Galileo gl’ inconvenienti che son vostri : perchè egli molto ragionevolmente può pretender da’ suoi avversarli la risposta all’ instanza delle falde di ghiaccio, poi che queste furon le prime considerate e l’origin di tutta la disputa; ma voi non già potete con ragion biasimarlo eh’ei si vaglia di quest’instanza contro di voi, f perch’ e’ non se ne vale, 1 nè ha mai preteso di trattar con voi. Che poi vogliate esentarvi dal trattar dolio falde di ghiaccio come da cosa non attenente a voi e come che ’l pigliar le liti d’altri vi dispiaccia, e non più tosto perchè non possiate liberarvi dalla forza dell’argomento, non so chi sia perso credervelo ; poiché, sfuggito quest’ incontro, vi mettet’ a disputar lungamente altri particolari del ghiaccio, molto manco attenenti alla Principal disputa, nò vi dà più fastidio l’intraprender le brighe altrui, t nè v’ importa più che tra 1 Sig. Galileo e voi non sia caduta mai contesa se’ 1 ghiaccio si faccia per condensazione 0 per rarefazzione. I Face. 10, v. 12 [pag.322.lin 9-12]: Prcsuponcte di più, nel 4" luogo, che la materia sia non solo a vostra dezzione, ma anche la più proporzionata, SOPRA ’L DISCORSO DHL COLOMBO. 481 quella che quanto alla gravità o leggerezza non ha azzione alcuna, ‘perche si possa conoscer quel che opera la sola figura de. Il Sig. Galileo non ha mai presupposto questo che voi dite, cioè che la materia da far 1 ” l’esperienza deva esser a sua elezzione: ha ben dichiarato quali gli parrebbon le accomodate per venir in cognizion di quant’ operi la figura, ma non però ha mai recusata materia al¬ cuna ; anz’ egli ha più volte detto, e in particolar anco raccolto dalle sua dimostrazioni alla face. 48 [pag. 114-115], potersi d’ogni materia più grave dell’acqua, insin dell’oro stesso, far ogni sorte di figure, le quali io tutte galleggili in virtù dell’ aria contenuta dentro a gli arginetti, nel modostesso che le falde piane. Però con ogni pienezza di libertà è con¬ ceduto che ’l Sig. Colombo, nel dimostrar ciò che la figura operi in far gal¬ leggiare, elegga materia grave quanto li pare e la riduca in che figura più li piace, nè si ricusa 1’ ebano o altro corpo che sia più grave dell’acqua; e quando farà eh’una palla eli tal materia vadia ’n fondo, e f che 1 la tavoletta in virtù della figura, e non dell’ aria o d’ altro corpo leggieri accompagnato con lei, resti a galla, io l’assicuro che ’l Sig. Galileo gli darà vinta la quistione eh’ fé’] non ha mai anta con esso lui. In effetto, Sig. Colombo, vo’non potete negar di scriver solamene a 20 quelli che non hanno veduto, nè posson intendere, ’l libro del Sig. Ga¬ lileo, f ed- è forza che quest’ istessa cagione, che ha indotto voi al contradire, v’ abbia mantenuta la speranza d’ un vano applauso po¬ polare ; 1 perchè altramente è impossibile che voi attribuissi al Sig. Ga¬ lileo tante falsità, ed affermassi e negassi con tanta resoluzione tante cose, che non posson cattivare se non quella sorte d’uomini. Voi qui, in pochi versi, dite prima che ’l Sig. Galileo suppone che l’elezzion della materia sia sua : questo è falsissimo, come già ho detto. Pas¬ sate poi a nominar vostre convenzioni, e dir che verha ligant homi- nes, e che tal elezzion deve depender da voi, quasi che ’l Sig. Ga¬ so lileo l’abbia negata a nessuno; ma poi accant’accanto dite eli’ egli la concede e eli’ e’ la ratifica a face. 6 [pag. 66], dicendo che tutt’ i corpi più gravi dell’ acqua, di qualunque figura si fuasero, indiffe¬ rentemente andavan al fondo : ma s’ egli vi concede e ratifica una cosa, come potete vo’ dire eh’ e’ ve la neghi ? f La concessione è ma¬ nifesta in molti luoghi del trattato del Sig. Galileo ; ma la negativa non vi si legge in luogo veruno, nè credo abbia altr’ esistenza che nella vostra immaginazione. | Soggiugnete d’ aver eletta materia con- La stampa : farsi. IV. 61 482 cussi dkk a zio ni veniente; o questo non è chi ve lo neghi. Seguite, e scrivete così: Tanto più che se per voi sotto qualunque figura va in fondo , fu accettata la mia materia per convenevole anche da voi, perchè l’ avercste vinta. A que¬ ste parole lascierò che la Sfinge vi risponda, perchè non credo che altri che lei ne possa cavar senso. Finalmente, per venir alla con¬ clusione, dite che galleggiando le figure larghe fatto di materia più grave dell’acqua, e le rotonde e strette della medesima materia e peso anelando al fondo (il che, soggiugnete, non avrebbe creduto’l Sig. Galileo), concludete eh’ egli si contenti, con sua pace, di darvi la lite vinta. Al che io, primieramente, vi dico, non poter a bastanza io meravigliarmi con qual ardire voi diciate elio ’l Sig. Galileo non arebbe creduto quel che dite, t cioè che le falde dilatate di mate¬ ria più grave dell’ acqua galleggino, o le figure rotonde calino in fondo ; 1 nò saprei altro che dirvi se non clic voi leggessi il suo trat¬ tato, nel quale si può dir che non si conteng’ altro che l’investiga¬ zione della causa ilei galleggiar materie più gravi dell’acqua se sa¬ ranno ridotte in falde, e del loro andar in fondo se aranno altra figura più raccolta. K voi dite che tal effetto gli è incredibile? Nel resto poi, toccherà a voi, Sig. Colombo, con vostra pace, a cominciar a provare che tali materie galleggino mediante la figura, se vorrete# vincer la lite ; perchè il far vedere 1’ effetto notissimo a ciascheduno non conclude niente per voi, t perche la disputa non è, se tali falde galleggino, ma se ’l lor galleggiare proceda dalla figura. 1 t Face. 10. v. 39 (p#« 322 , im. 33 - 38 ]: Xè per dòsi persuade che’l Sig.Ga¬ lileo non sia (ptel vali ni nonni che è, ju rrhè egli resti vinto da altri in qualche rosa particolare. E guai maggior Imh aspettare, che quella di sì beile oc- serra sioni fatte nd Cielo è t in jutrlindurr le macchie retrovate nel Sole, di evi pur testimonia un tcceWnh mattonati co di Germania per sue lettere più d’un anno fa, ma non che elle siano propriamente nel corpo del Sole. Gran durezza di destino è questa del Sig. Colombo, che egli.così5) rare volte jH)s--a effettuar cosa eh’ egl* intraprenda a fare. Qui ma¬ nifestamente si scorge in lui un affetto molto cortese d’esaltare il Sig. Galileo mediant' i suoi tanti meravigliosi scoprimenti celesti; ma poi, traportato da soverchia brama di conseguir Y intento suo, si scorda in certo modo di tutte V altre cose scoperte da quello, e sola¬ mente nomina le macchie solari, con l'aggiunta dell’ esser le mede¬ sime state osservate più d’un anno innanzi da un altro in Germania. la qual giunta, se ben a chi conosce il Sig. Colombo non caderàmai SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 483 in animo eh’ e’ la ponga ad altro fine che per confermar tanto mag¬ giormente la verità dell’osservazione del Sig. Galileo, tutta via i ma¬ levoli e invidi potrebbono interpretarla come detta più presto per avvisar chi non lo sapesse, che il ritrovamento sia stato del Todesco, cioè del finto Appelle, e usurpato come suo dal Sig. Galileo, e mas¬ sime aggiugnendovi il Sig. Colombo, che Apelle non le mette nel Sole stesso, come crede il Sig. Galileo; la qual posizione essendo, per quanto io sento, reputata per molt’assurda dal Sig. Colombo, potrebbe, coni’ ho detto, chi che sia formarsi concetto che egli avesse voluto manifestare io che quel che è di vero in quest’ osservazione sia del Todesco, e solo resti al Sig. Galileo ciò che v’ è d’ assurdo o di falso : tal che, non avendo ’l Sig. Colombo maniere più avvedute di lodar gli amici e compatriotti suoi, potriano per avventura esser men da pregiarsi le sue lodi che i suoi biasimi. Ma qualunque si sia stata L’intenzion sua, credo che le Lettere del Sig. Galileo circ’ a dette macchie solari, stam¬ pate ultimamente in Roma, aranno a bastanza rimossi tutti gli scru¬ poli da quelli che le avranno lette. \ Face. 11, v. 5 fpag-. 322, lia. 30 4oj : Ora, acciochè noi stani men superflui che sia possibile, io avvertirò che la maggior parie dell' opera vostra, non appartenendo 20 alla disputa, potrà tralasciarsi. 11 Sig. Colombo, per volersi sbrigare dalle proposizioni geometriche o loro de- mostrazioni, f totalmente inintelligibili da lui, 1 scrive, con manifesta falsità, che la maggior parte del Discorso non fa a proposito della disputa. Ma perchè •• egli medesimo, soggiugnendo che le dimostrazioni del Sig. Galileo sono le mede¬ sime con quelle di Archimede t (essendo differentissime), 1 dà segno manife¬ stissimo di non aver nè inteso il Sig. Galileo, nè letto Archimede, si viene ancora mostrar inabile a giudicarle se sieno a proposito o fuori di proposito. Face. 11, v. 7 [pag. 323, iin. 1 - 8 ] ; Imperochè tra noi solamente è in controversia, se le figure diverse ne' corpi operino diversi effetti, cioè se la figura aiuta la gra- so vita e leggerezza de’ solidi nel galleggiare c nel calar cd' fondo ctc. Non è vero che tra ’l Sig. Galileo ed alcun altro sia in controversia (come qui dice il Sig. Colombo), se le figure aiutino la gravità e 1,1 leg¬ gerezza de’ solidi nel galleggiare e nel calar al fondo ; anzi eh’ elle induchino tardità o velocità nel descendere, secondo che le saranno larghe o raccolte, l’ha egli molte volt’ affermato, concordemente con tutt’ i suoi contradittori. (,) La stampa : o. 484 CONSIDERAZIONI Face. 11, v. 21 lp»(t. 828,110.18-14): l)i tre. sorti materia si può nel caso nostro ritrovare. Leggiera in i spezi e più dell ’ acqua etc. Di queste tre sorte di materia, elio’1 Sig. Colombo dice che si può nel caso della disputa ritrovare, cioè più leggici-’in specie dell’acqua, egualmente grave, e più grave, giudica che solo la più grave sia atta all’ inquisizione di quanto si cerca. Al che prima dico, che sellilo in questione so la figura dilatata possa, per la resistenza dell’ acqua, non meno impedir la scesa alle cose più gravi dell’ acqua che la salita alle più leggieri, in questo secondo caso la materia più leggieri dell' acqua è sola accomodata all’esperienza, o la più grave è inetta, come a ciascuno è manifesto, io Dico secondariamente, la materia egualmente grave con l’acqua esser opportunissima per Tana e per l’altra esperienza; il che ha con tanta chiarezza esplicato ’l Sig. Galileo, che non poco mi maraviglio che il Sig. Colombo non l’abbia appreso. Replico dunque, tal materia esser attissima ad amendue 1’esperienze, perchè, librata una spaziosa falda di qualche materia, sì clic stesse immobile a mezz’acqua, come quella ohe gli bisso eguale in graviti, con grand’ esattezza si verrà in co¬ gnizione dell’ oporazion della figura circa ! 1 vietar la scesa o la sa¬ lita ; perchè tanta sarà la sua virtù proibente la scesa mediante la sua larghezza e la resistenza dell’ acqua, quanta sarà la gravità di 20 nuovo peso che se gli possa aggiugnere senza eh’ ella descenda ; e tanta, all’ incontro, s’intenderà esser la virtù proibente la salita, quanta sarà la resistenza che so gli vedrà fare all’impulso di materie leggierissime che so gli aggi ugnasse ro: sì che, resistendo ella al peso, v. g., d’un’ oncia di piombo, ed al sollevamento di tanto sughero quant’ è una noce, tutto questo sarà effetto della virtù della figura nel proibire il moto : la qual virtù allora si conoscerà esser nulla, quand’olia non potrà sostener peso alcuno, benché minimo, 0 resister a niuna minima virtù sollevante. Quanto poi alla materia che sia più grave in spezie dell’acqua, s’ammette ch’ella sarebbe attissima a con-so eluder maggior forza nella figura per trattener a galla, ogni volta che questa tal materia, ridotta in qualche figura, dalla figura restasse trattenuta; perchè all’ora sarebbe manifesto che la medesima figura avrebbe molto più forza a sostener materia men superior all’acqua in gravità. Ma altrettanto mi dev’esser conce¬ duto dal Sig. Colombo, che quando si mostrasse (come ha latto ’ngegnosissnna- mente il Sig. Galileo) che la figura, ancorché larghissima, non è potente a trat¬ tener a galla un corpo che descenda sott’altra figura raccolta solo con la debolissima forza d’un picciol grano di piombo, molto meno quella figura stessa sarà potente a sostenere una materia che avesse maggior eccesso di gravità. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 485 Face. 11, v. 24 [pag. 828, Un. 16-19]: Questa materia più leggieri non è abile a far Vesperienza; imperi) che, non avendo gravezza che per se sia bastante a vincer la resistenza dell* acqua per calar al fondo , tanto meno ri ara per contrapporsi alla figura spaziosa etc. Mentre si vede che la figura, ancor che larghissima, congiunta con materia più leggieri dell 9 acqua, non può mai impedire ’l sormontar a galla, posta che tal figura fosse nel fondo, prima si conclude che l’acqua non ha resistenza alcuna alla semplice divisione ; di poi si rende manifesto che, se la figura non può impe¬ dir una debolissima forza con la qual un leggieri ascendesse, molto meno potrà ’mpe- io dir una maggior forza con la qual un grave discendesse : e da questo ne segue che la materia più leggici- dell’acqua ò conveniente per ritrovar la verità che si cerca nella presente disputa. E così, guadagnate queste conclusioni, quando mi saranno dal Sig. Colombo proposte le tavolette più gravi dell’ acqua galleg¬ gianti in quella, concluderò necessariamente che cotale effetto non può nascer dalla ampiezza della figura, impotente a dividere ’l mezo, e renderò grazie al Sig. Galileo che ha avvertita la vera cagione, cioè la leggerezza dell’ aria con¬ giunta con la tavoletta sotto’l livello dell’acqua, cosa non mai notata da nessun altro, e ora da lui mostrata non meno al senso con 1*esperienze, che all’intelletto con salde e sottili dimostrazioni. 20 Face. 12, v. 6 I pag. 823, li». 37-39: Anzi voi , Sig. Galileo , affermate a car. 50 Ipag. 126 , lin. u- 16 ] lo stesso , dicendo ; < e veramente la, figura, per se stessa , senza la forza della gravità o leggerezza non opererebbe niente >. Non è vero che il Sig. Galileo a car. 59 dica l’istesso, nò che quivi si tratti (come dite voi) dell’ operazioni delle figure contr’ allo star a galla e 10 stare a fondo, parlandovi solamente di quel clic operi la figura circa il tardo e (,) veloce, dove è necessaria la gravità e t la J leggerezza acciò segua’l moto. Ma qui si parla del cagionar la quiete, dove il Sig. Galileo ha sempre detto che la figura non opera niente, sieno pur le materie più o meno o egualmente gravi come 1’ acqua ; e così non si contradice : ma bene ’l Sig. Co¬ no lombo, f o [ non intendendo o mostrando, con l’artificio 6°, di non intender le proposizioni del Sig. Galileo, s’allarga ’l campo per moltiplicar le cose fuor di proposito. Face. 12, v. 16 [pag. 324,lin. 6-8] : JVè vorrei che argomentasti sofisticamente , dicendo che quella materia che leverà ogni sospizio ne di poter dubitare se porti aiuto o incomodo all' operazion della figura con la gravezza o leg¬ gerezza etc . Seguita ’l Sig. Colombo di accumular errori sopra errori ed accusar 11 Sig. Galileo cV argomentato!’ sofistico per voler egli riconoscer gli La stampa: o. 48P> CONSIDERAZIONI effetti della figura in materie che non abbino nè gravità nè legge¬ rezza nell’acqua. La qual accusa è falsa, perchè, come s’è detto di sopra, egli elegge, o, per dir meglio, dice che sarebbe bene eleggere una materia simil all’ acqua in gravità; ma la sua proposta non fini¬ sce qui, dove la termina il Sig. Colombo per non l’avere ’ntesa o per non si spogliar del poter contraddire ; anzi ’1 Sig. Galileo, nel servirsi poi di tal materia, vuolo che, per veder quel che operi la larghezza della figura nel descendere, ella si ingravisca con Paggiugnergli del piombo, perchè tanta sarà nella figura la facilità proibente la scesa, quanta sarà la gravità a chi ella resisterà; ed operando per l’opposito io con 1’ aggiugnergli leggerezza, si conseguirà 1’ altra parte, f cioè si vedrà quant’ operi la figura dilatata nel proibir la salita. 1 Face. 12, v. 37 [pag. 32-1, lin. 25], Seguita con maggior audacia e, per dar credito alle sue falsità, aggiugne parole pungenti, e scrive, parlando al Sig. Galileo [pag. 324, lin. 2f>-28] : Ma, clic è peggio, voi medesimo non sapete clic, se non deve la gravità della materia eleggersi per divider la crassule, donerà almeno per superare il peso dell acqua in spezie, acciò che possa il corpo calare al fondo? e non potendo, allora verrà dalla figura. Macon qual fronte, per vita vostra, dite voi, Sig. Colombo, elio il Sig. Galileo non sa questa 20 cosa, la quale voi medesimo avete copiata dal luogo che avete citato? Eccovi le parole formali del Sig. Galileo, alla face. 29, v. 6 [pag. 92, lin. 13 ]: « L’elezzion, che io dissi di sopra esser ben farsi di materia simile in gravità all’ acqua, fu non perdi’ ella fusse necessaria per superar la crassizie dell’acqua, ma la sua gravità' 1 ', con la quale sola ella resiste alla sommersion de’ corpi solidi ». Se, dunque, il Sig. Galileo elegge materia simile all’ acqua in gravità acciò che si vegga come con ogni minima aggiunta di peso ella descende, ed, all’ incontro, ascende per ogni minima detrazzione, non so come voi possiato dire ch’egli non sappia questa cosa. Venite, dunque, sempre dichiarando di scrivere a 30 ogn’altro che a quelli che posson intendere ’l trattato del Sig. Galileo. Face. 13, v. 1 [pag. 324, lin. 30-331 : Chi. dirà, Sig. Galileo: « Perchè sotto questa materia le figure non mostrano diversità d’effetto, adunque la ma¬ teria convenevole è questa, e non qualche altra materia » ? Due errori sono in questo argomento etc. All’interrogazione fr che voi fate al Sig. Galileo rispondo io cheque- (n La stampa: la gravità. ;5) La stampa: interrogazioni. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 487 st’ argomento, il qual voi ragionevolmente proponete con ammirazione, non sarebbe fatto, per mio credere, se non da chi fosse un grand’ igno¬ rante ; e però mi dispiace che voi lo proponghiate com’ usato dal Sig. Galileo, non avend’ egli dette mai tali esorbitanze. Questo, che proponete, è capace di due sensi : uno è ottimo, ma in questo non può esser preso da voi, perchè non lo attribuireste al Sig. Galileo con detestazione ; l’altro è pessimo, e in questo è forza che voi lo pren¬ diate. Pessimamente discorrerebbe colui che, cercando di veder le di¬ versità de gli effetti di varie figure, eleggesse per soggetto di quelle io una materia, sotto la- quale esse figure non potessero mostrar diver¬ sità veruna, e reputasse tal materia per convenevole a tal bisogno, e non alcun’ altra. E questo vorreste persuadere al lettore che fosse ’l concetto del Sig. Galileo, e forse vi poteva succeder con alcuno di quelli che non fussero per legger altro che ’l vostro libro ; ina chi leggerà quel del Sig. Galileo ancora, chiaramente vedrà eli’ egli ot¬ timamente argumenta in quest’ altro modo : Per veder le diversità d’effetti di varie figure è bene elegger p$r soggetto loro una 0 ’ materia, la qual non possa mostrar tali diversità per altra cagione che per le figure ; e questo acciò che noi restiàn sicuri che ogni diversità che 20 si scorga, dependa dalla figura e non da altra cagione. In tanto voi, Sig. Lodovico, andrete pensando se poteste trovar più onesta scusa del vostro fallo che il conceder di non aver inteso ’l Sig. Galileo, per¬ chè io, quanto a me, non saprei con termine più modesto scusarvi. Seguitate poi e dite: Due errori sono in questo argomento: il primo è argomentar da una particolur materia, per concluder di tutte le altre il medesimo: il secondo è argomentar per negazione, che non ha virtù di con¬ cludere; perchè ’l dir: « Questo effetto non si verifica qui, adunque non si ve¬ rificherà altrove » è ridicóloso. Io potrei lasciar di considerar altro circa questo argomento, poi che ’l Sig. Galileo non argomenta nel senso 30 vostro ; tuttavia mi par di notar non so che di diffetto più presto nelle vostre censure che in quell’ argomento. Nel quale, quant’ alla prima vostra obbiezzione, credo che erriate in tre modi. Perchè, prima, è falso che da una materia particolare concluda di tutte 1’ altre ’l medesimo; anzi non conclude di tutte l’altre, ina di quella medesima sola ; dell’ altre poi non conclude questo medesimo, ma 1’ esclude ; e questo, finalmente, non fa ella di tutte, ma d’alcune. L’antecedente del 111 La stampa : per soggetto una. 4«tì UON8IDKKAZION1 vostro entimema è : Perchè sotto questa materia le figure non mostrati di¬ versità; la consequenza ò : adunque la materia convenevole è questa (ecco che si conclude della sola materia medesima); il resto dell’illazione ò : c non qualche altra materia ; ecco che 1’ altre materie si escludono con la negativa, e non si conclude di loro ’l medesimo, come vi pa¬ reva ; nè questo si dice di tutte, ma di alcune, dicendo voi: e non qualche altra L’altra fallacia che voi gli attribuite, d’argumentar per negazione, non cade in mod' alcuno ’n quest’argomento; e l’esem¬ pio stesso che ’n dichiararvi producete, dimostra ’l vostro inganno. L’esempio è questo: Il dir: « Quest' effetto non si verìfica qui, adunque io non si verifica altrove » è rìdicoloso. Prendet’ora l’antecedente del vo¬ stro argomento, che è: Perchè sotto questa materia le figure non mostrati diversità d'effetto. 11 subbietto di questa proposizione non è egli: le figuri sotto questa materia¥ certo sì. Qual cosa si predica di questo subbietto? bisogna dir che si predica certo accidente, elio è: non mostrar diversità d’effetto. Ora, Sig. Colombo, io vi dico che di questi termini si forma nel vostr’ argomento una proposizione affermativa, e non una nega¬ tiva, perchè delle ligure, che è il subbiotto, s’afferma, e non si nega, l’accidente, che è il non mostrar diversità; e si forma una proposi- zion al contrario di quella del vostr’esempio, nel qual si dice: «(Jw-ao st’effetto non si verifica qui »; ma qua 1 si dice: Quest'effetto (cioè il non mostrar diversità) si verifica qui (cioè nelle ligure di questa materia). Onde, supposto che la materia convenevole sia quella sotto la quale le figure non mostrali diversità, chi argomentando dirà: «Perché! non mostrar diversità compete alle figure sotto questa materia, adun¬ que la materia conveuevol è questa *, concluderà benissimo, e argo¬ menterà per affermazione e non per negazione, nè dirà cosa che sia punto ridicolosa. E in tanto considerate quanto meno indecentemente io potrei esclamar contro di voi, che voi contr’ al Sig. Galileo, e dirvi con ragione quel che senza causa dite a lui a face. 48, v. 1 lpag.357, ^ lin. (i-8| : K possibile, Dio immortale, clic nè voi nè i vostri consultori logia non conosciate una proposizion negativa da un affermativa, fi bini altn (l) Nel tns. qui séguito, di pugno di Ga¬ lileo e cancellato, in questo modo: « Se voi volevi attribuire al Sig. Galileo un argo- mento elio peccasse di questa sorte di fal¬ lacia, bisognava formarlo così : Perchè sotto •mesta materia le figure non mostrano dittr- sita d'effetto, adunque sotto tutte l’altre ma¬ terie non la mostreranno; la qual conseguenza vedete quanto è lontana dalla vostra, c 16 dice : Adunque la materia contenetele è qui- sta, t non qualche altra ». w La stampa: ora. SOPRA 'L DISCORSO DKL, COLOMBO. 489 fallacie ? Chi volete che non conosca che voi ’l fate a posta ? E quando, pochi versi più a basso, voi gli dite Ipag. 357, Un. 24-25] : Supposto questa verità, vano ed a sproposito e fatto ’ntorno a ciò tutto ’l discorso vostro , per e massime non commettendo ’l Sig. Galileo error alcuno nè ’n quello nè in altro luogo. Continua ’l Sig. Colombo ad aggravare il Sig. Galileo de’ non suoi errori, e, come quello che per la maggior parte del trattato non 1’ ha pur letto non che ’nteso, e, oltr’ a questo, si contenta di far impres- ìo sione solamene in quelli che similmente non lo son per intendere, si fa lecito di far dir al Sig. Galileo cose lontanissime dalla sua scrit¬ tura, e di citar suoi luoghi ne’ quali non si trova pur una parola nel proposito per il qual e’gli produce. E per questo nella medesima face. 13, falsamente gl’impone che, per aver veduto (com’egli scrive alla face. 62 [pag. 129 , lin. 3-5]) galleggiare piccoli aghi e piccole monete e globetti ed ogn’ altra sorte di figura mediante la lor minima gravità, so ben fatti di materia assai più grave dell’ acqua, gl’ impone, dico, eh’ egli per questo abbia creduto, senza pensar più là (uso i termini medesimi del Sig. Colombo), che ristesso faccino tutti ’ndifferentemmte, fatti d’ogni 20 materia e di qual si voglia figura e grandezza, com’egli ha affermai’alle face. 6 [pag. 66, Un. 17-20], 31 [pag. 94, lin. 25-28], 41 [pag. 107, Un. 34 - pag. 108, Un. 3], 45 [pag. ili, Un. 29-37], 47 [pag. 114, Un. 1-4] e altrove. Or qui, primiera¬ mente, dico non esser vero che ’l Sig. Galileo dica alla face. 62 d’aver fatto esperienza ’n cose piccole di qual si voglia figura etc., ina ben dice che piccoli globetti di ferro, e di piombo ancora, galleggiano nel- l’istesso modo che gli aghi, sì come da le cose da lui dimostrate (e non da. esperienze) si può raccòrre. 11 che voglio solamente che sia detto per maggiormente assicurarci che ’l Sig. Colombo non ha, non che altro, lette le dimostrazioni del Sig. Galileo; il che ancor altrettanto e più 30 manifesta col dir che di qui è nato tutto ’l mal suo, nel creder che l’istess’accaschi’n tutte le figure d’ogni materia e grandezza, che è falso ; anzi s’ egli avesse lette le dette dimostrazioni, arebbe veduto quanto scrupolosamente vada ’l Sig. Galileo ritrovando quant’ al più poss’ esser la grandezza di varie figure, di diverse materie più gravi dell’ acqua, acciò possili galleggiare ; e s’ egli mai le leggerà, potrà accorgersi quanto fuor di dovere e’ sia scors’ a dir che ’l Sig. Galileo senza pensar più là abbia creduto che così faccino tutte le figure d’ogni IV. 82 490 (■ONSIDKHAZIONI sorte di materia o grandezza, il che non si troverà mai nel suo libro. E de’luoghi citati per questo dal Sig. Colombo, prima, alla face. 6 non c’ è altro so non che i corpi più gravi dell’ acqua, di qual si voglia figura, vanno’n fondo; il che, come si vede, non ha che far nulla col dir o crederò che i corpi di qual si voglia figura e grandezza, fatti di materia pivi gravo dell’ acqua possili galleggiare come gli aghi sottili o i piccoli globetti di piombo. Allo face. 31, 41 e 45 non si trova puro una parola attenuat’ a questo proposito. Alla face. 46 non c’ è parimente tal cosa, o solo vi si leggo coni’ ogni sorte di figura e di qual si voglia materia, ben che più grave dell’acqua (ma non io v’è già scritto di qual si voglia grandezza), può per benefizio del- p arginctto sostenersi etc. E finalmente, alla face. 47 non ci si trova cosa tale, nò vi si legge altro so non che ò possibile di qual si vo¬ glia materia formar una piramide o cono, sopra qual si voglia base, il cpiale posato su 1' acqua non vi si sommergerà etc. ; ma eh’ una tal figura si possa fare anche di qual si voglia grandezza, non v’è. Forse ’l Sig. Colombo ha creduto che, dicendosi di far tal piramide sopra qual si voglia base, importi ’l medesimo che dir di farla di qual si voglia grandezza ; immaginandosi l'orso che lo piramidi, per esser piramidi, devino esser d’ altezza rispondente con qualche determinata so proporzion alle linee della baso 1 ”. 1 Questi e tant’ altri errori commetto ’l Sig. Colombo : e avvenga che’l non aver inteso niente del trattato del Sig. Galileo gli sia stato cagione del commettergli senza conoscergli, io, per l’affezzion che gli porto, non saprei augurargli dal Cielo grazia maggiore elio la con¬ tinuazione e perseveranza nel medesimo stato, sì che nò per questi miei scritti, nò per altra dichiarazione non gli venga arrecata l’in¬ telligenza delle coso contenute nel detto trattato, acciò eh’e’non abbia a provare il cordoglio che necessariamente sentirebbe nel ri¬ conoscer le tante sue fallacie e vanità scritte e pnblicate. 1 30 Face. 13, v. 29 [par- 325,li». 1 &••„>! | ; Quanto all'esclamazione, io non so qual sia da considerar più, o la vostra a quella (VAristotile, rispondendo egli: < 0 chi cre¬ derebbe mai, che voi aveste creduto itti ine affermarsi, le lamine di piombo e di ferro posarsi sotto l'acqua, e che ad ogni modo sopra nuotassero? > etc. 1,1 Qui nel tng. si legge, di mano di Ga- e l’altre figure saranno della grandezza e mleo e cancellato, quanto segue :* Ma final- materia proposta da lui o posati asciutti mente, dopo tutte queste fallacie, si riduce come conviene, sempre mostreranno effetto a concludere che quando que' coni e l’ago in favor suo *. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 491 Io vorrei pur tentar tante volte clie ’l Sig. Colombo intendesse la mente del Sig. Galileo, che almeno una sola mi succedesse’l farlo. Il Sig. Galileo non vuole che nè ’l Sig. Lodovico nè Aristotile inetta le lamine sott’acqua per far che f lo 1 galleggino, ma solament’ acciò venghino ’n cognizione che 1 galleggiare eli’ elle fanno, quando galleggiano, non vien dalla figura, ma dall’aria congiuntagli sotto ’l livello dell’ acqua, poi che quando tuffate non si fermano, ma vanno ’n fondo, non si muta la figura, ma solo si rimuove 1’ aria. E più dirò, che tutt’ i solidi che galleggiano, i medesimi ancora tuffati tornali a galla, e non se ne troverei mai uno che faccia altrimenti; e quando la falda che galleggiasi conservasse la me¬ lo desima, cioè se si tuffasse’n fondo dell’acqua con quella quantità, d’aria rac¬ chiusa dentro gli arginetti, tornerebbe senza dubbio a galla: ma perchè quel che galleggia è un corpo, e quel che si tuffa è un altro, non è maraviglia se produ¬ cono divers’ effetti. E che quel corpo che galleggia sia diverso da quel che si tuffa, è manifesto ; perchè quel che galleggia è una falda, v. g., d’ ebano con¬ giunta con una falda d’aria, e quel che si tuffa è la semplice falda d’ebano. Ma la disputa è di quel clic faccia la figura nel medesimo corpo. Finalmente sog¬ giungo che chi considerasse la mole dell’ aria che ’nsieme con la falda si trova tra gli arginetti sotto’l livello dell’acqua, e quella medesima quantità d’aria congiugnesse con una palla delia medesima materia c quantità che la falda, ella 20 nè più nè meno galleggierebbe e tornerebbe a galla; tal che l’effetto del galleg¬ giare ’n questi casi si vede che nasce dall’aria, e non dalla figura. Face. 14, v. 3 fpag. 825 , Un. 82 - 35 ]: Se le figure diverse nel corpo solido e di ma¬ teria grave, posate sopra V acqua asciutte, mostrano diversità d'effetto, e per lo con¬ trario tutte calano indifferentemente, bagnate, al fondo senza varietà, perche non si dovrà far Vesperienza in quella maniera che riesce? etc. L’esperienza del galleggiar delle figure si deve fare (dice i Sig. Colombo) nel modo che riesce, e perchè riesce con quell’aria congiunta, vuol diesi faccia con quella ; e poi n’ inferisce, i galleggiare depender dalla figura. E chi non vede che questa non è esperienza del galleggiare per cagion della larghezza della figura, 30 ma per la leggerezza dell’aria? Piglio l’esempio del coltello, proposto dal Sig. Co¬ lombo. Se io dicessi: < La costola del coltello non taglia >, e uno contradicendomi tagliasse col filo, e dicesse: < Ecco che tu hai il torto, perchè la costola taglia; e così va fatta 1’ esperienza, perchè così riesce >, io potrei legittimamente rispon¬ dere, c dire clic questo non è un far esperienza del tagliar delia costola, come s’afferma contradicendomi, ma del tagliar del filo, che è notissimo. E cosi, nel proposito nostro, quando si mette dal Sig. Lodovico la tavoletta asciutta su l’acqua, e con essa si demerge ancora l’aria, con dir: < Ecco che la figura fa galleggiare; Questo modo va fatta l’esperienza, perchè così riesce >, io rispondo: < Si¬ gnor no ; questo non è un far 1’ esperienza del galleggiare t i corpi gravi più 492 CONSIDERAZIONI dell’acqua in virtù 1 della figura, come si dubita, ma del galleggiar d’ùn corpo leggieri, cioò del composto d’ebano e d’aria posto sotto’l livello dell’acqua, del che non s’ è mai auto difficoltà alcuna >. Face. 14, v. 7 [(>*«• 326, liu.85-88]: Forse perchì■ non si è dichiarato? Questo mi basta: perchè, coni’ io dissi di sopra, non si dichiarando, sempre s’intende ’n quella maniera affermarsi una cosa, nella quale tal cosa può essere de. Anzi si è dichiaratissimo, quando s’ è detto < il medesimo | più grave del¬ l’acqua, 1 ridotto in ligura larga »;ese si deve pigliare « ’l medesimo» t e « più grave dell’acqua » l , non si prenda un altro t e più leggieri 1 ; e sì come una palla d’ebano descende essendo senza accompagnatura io dell’ aria, così la tavoletta senza 1’ accompagnatura dell’ aria si deve far veder galleggiare, volendo persuadere che tal effetto proceda dalla figura e non dall' aria. K’1 Sig. Colombo deve aver inteso ’l tutto, ma finge di no, servendosi del sesto artifizio; sì come arrecando risposte fuor di proposito per il Sig. Galileo, si vai del terzo. Face. 14, v. 13 [p*g. Sio.iin. 1-4J : Due sono gli effetti clic le figure adope¬ rano: l’uno è il dividere o non divider V acqua ; l’altro è di calar piu veloce o più tardi, poi eh’è divisa. Ora. se elle si mettessero sotto Vacqua, non ti arehhc luogo per esperi meritar il primo effetto, ma solamente il se¬ condo de. 20 Stimando ’l Sig. Colombo che forse le parole degli uomini abbia forza di formar decreti nella natura, si metto a statuire che gli effetti delle figure sien due : l’uno il dividere o non divider l'acqua, sì che alcune figure la dividino e altre no ; 1" altro è di calar più o men veloce, dopo che la division è fatta. Questo secondo è ammesso dal Sig. Galileo e da ogn' uno; ma '1 primo si nega, non si trovando figura alcuna che non divida l’acqua, anzi t (per dar tanto maggior vantaggio al Sig. Colombo) 1 non si trovando che una la divida più o meno del- 1’ altra, ina tutte egualmente, pur che sien congiunte con materia della medesima gravità, come benissimo ha notato ’l Sig. Galileo e’nse-w gnatone diverse esperienze. E che le falde di piombo o d’oro galleg¬ gino perchè non possine divider 1’ acqua, è falsissimo, perchè 1 oro quando si ferma è penetrato nell’ acqua, ed abbassatosi sotto il suo livello 18 o ‘20 volte più della grossezza della falda. Il dir poi che questa divisione non basta, è una fuga vanissima : perchè determini pure il Sig. Colombo a suo beneplacito quanto bisogni penetrar nel- l’acqua per poterla chiamar divisa ben bene a suo gusto, chè io gli voglio conceder poi un palmo di più di vantaggio ; anzi se egli SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 493 determinerà, la divisimi perfetta ricercar, v. g., un braccio di "pene- trazione, io m’obligo a dargliene quattro ; anzi gli farò ad ogni suo piacere veder una picca’ntera, sommersa con la punta all’ingiù sotto ’l livello dell’ acqua, fermarsi non altrimenti che la tavoletta d’ebano, per l’aiuto dell’aria contenuta denti-’ all’ arginetto che gli resterà sopra, e profondarsi poi subito che la dett’ aria sia rimossa. Or vegga quanto sia vero che tal galleggiar dependa dal non poter divider bene la resistenza dell’ acqua. Ma più dico, che se noi pren¬ deremo la falda d’ oro, e faremo in modo che con lei non si profondi io aria nè altro corpo leggieri (il che si schiverà col bagnar solamente la superficie sua), e ponendola nell’acqua la lasceremo, subito ch’ella sarà tuffata sin al livello giusto dell’acqua ella velocemente calerà in . fondo, ancorché non abbia ’ntaccata maggior profondità che quant’è la sua sola grossezza; ma, aH’ineontro, quando con lei descende l’aria, olla penetra nella profondità dell’ acqua venti volte tanto, e poi si ferma.,Or chi dirà che tale accidente dependa dall’impotenza della figura al dividere, e non dall’aria aderente? t E finalmente, qual sem¬ plicità è quella del Sig. Colombo nel dir che la figura, quand’è sot¬ t’acqua, non può mostrar l’effetto del dividere etc. ? Adunque vorrà 20 dire che, divisa che è la parte superficiale, nel resto poi sin al fondo non si fa più divisione? Adunque un corpo che dal fondo dell’acqua ascende in alto, vien senza dividerla, perchè è nella profondità del¬ l’acqua? Queste invero son troppo gravi esorbitanze, f Face. 14, v. 33 [pag. 226 , ìin. 19.22) : Piglimi la cera da voi proposta, la qual ve¬ ramente, per non esser corpo semplice e fatto dalla, natura, sendo di cera e piombo insieme per arte, non si deve accettar in modo (deano ; e facciasene una falda larga e sottile, quando ’l composto è ridotto prima all’ equilibrio etc. Qui il Sig. Colombo non fa altro, servendosi del secondo artifizio, che replicar per appunto quello che ha detto’l Sig. Galileo, con speranza di poterlo so mascherare ’n modo che rassembri qualche cosa contraria alla sua dot¬ trina, almen a quelli che fusser per legger queste scritture con poca attenzione o con poca ’ntelligenza, sopra le quali persone si scorge aper¬ tamente da mille rincontri eh’e’fonda la somma delle sue speranze: e io, per render cauto chi n’avesse bisogno, andrò avvertendo questi artifizii, ma non già per tutto, perchè sarebbe troppo tedios’ impresa. Egli, dunque, doppo aver preparato ’l lettore con promettergli di voler mostrar come nè anco la materia stessa proposta dal Sig. Galileo conchiude cosa alcuna di buono per lui, prima con grand’ acutezza 494 CONSIDKR AZIONI dice che tal materia fatta di cera e piombo, per non esser corpo sem¬ plice f e fatto dalla natura, essendo di piombo e cera insieme per arte, J non si deve accettare ’n modo alcuno, t Al che io non voglio dir altro se non che, per dichiararsi ’n quattro parole lontanissimo dall’inten¬ dimento di questo materie, non poteva ’l Sig. Colombo addur cosa più accomodata di questa. S’ egli avesse rifiutate anco le figure fatte artifiziosamente col torno e con la pialla come non naturali, mi par eh’ avrebbe dato 1’ ultimo compimento a questa sua provida cautela, e mostrato quanto sia difficile ’l poterlo ’ngannar con artifizii o ca¬ villi. 1 Seguita poi scrivendo cose tutte ammesse dal Sig. Galileo, e io nulla concludenti per sè. Imperciochè, che la cera ridotta all’equilibrio con F acqua non cali a basso, è stato detto e dimostrato nel Discorso, non della detta materia solamente, ma di tutt’i corpi che sono equilibrati coni mezzi: cosi ancora, che posata la cera e altri corpi gravi, ridotti in falde asciutte, su l’acqua non calino a basso, ancor clic vi s’aggiunga qualche peso, è stato dimo¬ strato nel medesimo Discorso; e la cn gioii assegnata quivi, e non intesa o dis- m simulata dal Sig. Colombo, è la leggerezza dell’ aria congiuntali sotto ’l livello dell’ acqua, e non la figura. E queste son quelle proposizioni e dimostrazioni, le quali, sodisfacendo maravigliosamente al quesito, son chiamate dal Sig. Colombo bayattellerie e cosò fuor (li proposito, mentre son proposte dal Sig. Galileo : ma 20 ogn’ un che ’ntenda, vedrà che qui dal Sig. Colombo son replicate senza conclu¬ der cosa alcuna. E qui mi piace di notare coni’ avendo ’l Sig. Galileo non solamente dimostrato in universale come e perchè le falde non men gravi dell’ acqua galleggiano, ma tutti gli accidenti particolari, del quanto le possono , non ci mancar delle materie gravi che sono a predominio aquee e ’n conse¬ quenza umide assai : anzi voi stesso affermerete, il piombo esser tale, e ricever la sua grandissima gravità dalla molta umidità che è in lui ; e niente di meno e’ galleggia, benché tenga convenienza con l’acqua nell’umidità. Di più, essendo manifesto non si poter far contrasto o altr’azzione senza contatto, non potrà l’umidità dell’acqua oppugnar la siccità d’una falda, se non dove l’acqua e la falda si toccano ; tal che maggior dovrebbe esser la resistenza quando l’acqua tocca tutta la tavoletta, che quando ne tocca una parte sola: niente di meno io subito che l’acqua ha circondato tutta la tavoletta, ella senza con¬ trasto descende, quando appunto il combattimento dovrebbe esser massimo, essendo i nemici, che prima non si toccavano, venuti, come si dice, alle prese. Io non credo già che voi pensiate di poter porre un’umidità separata dall’acqua, e una siccità disgiunta dalla tavo¬ letta, le quali, lontane da’lor subbietti, venghino alle mani; perchè sapete bene che questi accidenti non si trovano senza la loro ine¬ renza: adunque il combattimento non si può far se non dove l’acqua tocca la tavoletta, e però la siccità o non combatte o è subito vinta; e perciò ella non può vietar in modo alcuno l’operazione della figura sa e della gravità del mobile e dell’acqua. Aggiungo di più che voi medesimo proponete una cert’operazione per convincer di falsità la cagione addotta dal Sig. Galileo circa questo effetto, la qual operazione quanto è lontana dal provar nulla contro al Sig. Galileo, tanto è ben accomodata al redarguir voi medesimo. Voi, per mostrar che non è l’aria aderente alla falda, e contenuta dentro a gli arginetti sotto ’l livello dell’ acqua, quella che proibisce il profon- n lare. 29 darsi, dite che si separi l’aria dalla tavoletta bagnando sottilmente tutta escK.j. la sua superfìcie, eccetto che un filetto molt’angusto intorno’ntorn’al suo perimetro vicino a gli arginetti, che così sarà rimossa l’aria, eccetto so che una piccolissima parte, impotente senza dubbio a sostenerla ; o vero dite che s’unga totalmente con l’olio, perchè così vien rimossa tutta 1’ aria : e perchè poi ella a ogni modo galleggia come prima, con¬ cludete non si poter in mod’alcuno attribuire all’aria la cagione di tal’effetto. Ora io, pigliando la vostra medesima invenzione, vi dico La stampa : ma fiero io vi dico. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 605 iion si potere in modo alcuno attribuire alla siccità della falda la causa del suo galleggiare, poi che rimovendo la siccità, col bagnarla nel modo detto da voi o vero con l’ugnerla, ella nientedimeno gal¬ leggia: e questa esperienza è tanto più efficace contro di voi che contro al Sig. Galileo, quanto che questo bagnare o ugnerò toglie via veramente la vostra siccità, sì che voi non potete dire che ella vi rimanga in modo alcuno; ma non toglie già l’aria del Sig. Galileo, la quale nè più nè meno vi ì-esta come prima, e segue nell’istesso modo l’assicella, ben che bagnata o unta. Io non credo già, Sig. Co¬ lo lombo, che voi siate per dire che l’olio non sia umido, perchè se voi considererete la diffinizion dell’ umido, ella così bene se gli adatta come all’acqua stessa. Di più, io vi domando, Sig. Colombo, onde av¬ viene die la siccità della superficie di sotto della tavoletta non fa re¬ sistenza alcuna al suo profondarsi, come nè anco la siccità delle parti intorno intorno ? Credo che mi direte, per risponder men vanamente che sia possibile, che, quanto alla superficie di sotto, come prima ella bacia l’acqua, subito perde la siccità; e che, restando l’assicella su¬ periore all’acqua ed essendo molto grave, descende e supera la resi¬ stenza dell’acqua e dell’umido, combattente con la piccola siccità delle 20 sue sponde; ma che poi, perchè la falda nell’andar penetrando l’acqua perde assai del suo peso e riman ancora la molta siccità della su- perior superfìcie, però ella si ferma. Ma ora io vi domando, per qual cagione la falda di piombo o d’ oro non si ferma subito che ella è scesa tanto che pareggi appunto il livello dell’acqua, ma séguita di discendere ancora dodici o venti volte più della sua grossezza ? E pure, quanto al peso del piombo e dell’oro, egli finisce la sua diminuzione subito che pai’eggia il livello dell’acqua; e la siccità non si fa mag¬ giore nell’abbassarsi oltre al medesimo livello. Simili difficoltà non solverete voi mai con tutte le limitazioni e distinzioni del mondo ; ma so ben pianissimamente' 11 e con somma facilità e chiarezza si terranno via col dire che l’oro e’l piombo seguitali di descender oltr’al primo livello dell’acqua, essend’ ancora molto più gravi dell’acqua scacciata da loro; e descendendo in lor compagnia anche l’aria che resta tra gli arginetti, si va seguitando di scacciar dell’altr’acqua per dar luogo all’aria aderente alla falda, sin che si trova sotto ’l livello una mole (,) La stampa : pienissimamente. ci IV. r,0(j CON SI DEH AZIONI composta d’oro e d’aria non più grave d’altrettant’acqua, onde la falda non cala più ; perchè, se si abbassasse ancora, venendo seguita dall’aria, si scaccierebbe tant’acqua, e si occuperebbe dalla falda e dall’aria, sua seguace, uno spazio capace di tant’acqua, che peserebbe più di essa falda, il che sarebbe inconveniente; e però di necessità si ferma. Aggiungo di più, parermi, Sig. Colombo, che voi ve la passiate molto seccamente con questa vostra siccità, circa la quale sarebbe stato di bisogno che voi aveste fatta una molto distinta esplicazione, del modo col qual ella vien combattuta dall’umidità ed impeditogli io il descendere, e massime non sondo ciò stato fatto da Aristotile nò da altri, li quali non credo elio nò pur abbino pensato a questa siccità, come interveniente ’n questo negozio. K tanto faceva più di mestier una tal dichiarazione, quanto elio voi proponete nominatamente tre qualità nel mobile da compararsi con tre altre del mezo (ho detto nominatamente, perchè altro ve ne riserbate ’n petto e in confuso, per produrle poi a temp’e luogo, quando queste tre non bastino): e dite che bisogna conferir la’ gravità del mobile con quella del mezo; la resistenza della tenacità e la moltitudine delle parti del mezo da esser divise, con la virtù della figura dilatata del solido e con la forza del 20 suo peso; e nel terzo luogo volete che si metta in ragione l’umidità dell’acqua resistente alla siccità della falda. Ora, quanto alla prima coppia di qualità, egli non è dubbio che l’effetto del muoversi ’l mo¬ bile per il mezo segue tanto più prontamente, quanto maggiore sarà la diversità di peso tra esso mobile e ’l mezo; essendo chiaro che quanto il solido sarà più grave dell’acqua, tanto meglio descenderà; e quanto sarà più leggieri della medesima, tanto più veloce ascen¬ derà; e niente si innoverebbe, quando e’lusso di gravità similissimo a quella. K così parimente, quanto all’altre dua condizioni, si vede die quanto più si scemerà la moltitudine delle parti da dividersi e so la lor tenacità, e si crescerà la. virtù del dividente, tanto meglio se¬ guirà l'effetto del " muoversi. Or perchè non segue l’istesso tra que¬ st’altre due qualità? cioè che quanto maggiore sarà la siccità del mobile oppugnante l’umidità del mezo, tanto meglio segua l’effetto del vincer la sua resistenza e del penetrarlo e discendervi? ma all’in- La stampa : jier. SOPRA ’L DISCORSO DJ5L COLOMBO. 507 contro volete che l’umidità resti superata da una similissima umidità o che allora si faccia ’l moto, e che la quiete segua solamente quando le contrarietà sono nel maggior colmo. Questi punti hanno gran bisogno d’ esser dichiarati in dottrina così nuova, e massime che ’l discorso par che, oltre a questo che si è detto, ne persuada più presto il contrario, facendo un’altra conside¬ razione. Voi sapete che, in via peripatetica, l’umido è quella qualità per la quale i corpi che ne son affetti son facilmente terminabili da termini alieni ed esterni, come bene apparisce nell’acqua, la quale io speditissimamente si figura secondo la forma d’ogni vaso che la con¬ tenga; e però (pianto più un corpo sarà tenue cedente e fluido, tanto più umido doverà stimarsi. Ma, per la ragion de’ contrarii, la siccità sarà quella qualità per la quale i corpi si terminano da loro stessi e non senza gran difficoltà s’accomodono a termini stranieri ; e secchissimi dover- ranno stimarsi quelli che in modo nessuno non si adattano ad altra figura che la prima ottenuta da loro, come sono le gemme, le pietre e altri corpi durissimi : dal che si raccoglie, i corpi consistenti e duri potersi reputar di qualità secca. Ora, essendo quest’atto di descendere per l’acqua un’ azzione di violenza, dovendosi penetrare, dividere, dissipare, scan¬ so dare, muovere, alzare (1) etc., io non so ’ntendere come e’non deva esser meglio esequito da un mobile di qualità contrarie alla mollizie tenuità e cedenza dell’acqua, che da uno che più a lei si assomigli. Or prendete, Sig. Colombo, gli aggravii di parole che voi in questa face. 16 [pag. 327-328] date al Sig. Galileo, dicendo che egli male argomenta, che egli commette fallacie, e che voi potete con la sua medesima dottrina convincerlo in tutti i capi di questa materia; e vedete quanto a torto voi lo tassate, che sete inestricabilmente involto <2) in que’ lacci, da’ quali egli è libero e sciolto del tutto. Ma prima ch’io volti faccia, voglio pur notare in questa mede- 8o sima un altro mancamento del Sig. Colombo, tra molti che tralascio per giugnere una volta a fine di questa impresa: e questo è che egli imputa per fallacia al Sig. Galileo il considerare ’l mobile secondo se, e non per accidente nè in rispetto al inezo e al subbietto in cui egli deve operare, etc. Dove, primieramente, è falso che ’l Sig. Galileo non consideri ’l mobile in relazione al mezo, e qualificato di quegli acci- (1) La stampa : alterare. W La stampa : rivolto. ( 0N8IDKRAZI0NI denti e he se gli ricercano, ed in ciò non erra punto: ma erra ben gravemente il Sig. Colombo, il quale, non avendo preso ’l filo che lo possa guidar senza smarrirsi, si va avvolgendo or qua or là, e sempre più inviluppandosi; e una volta non vuole elio il mobile sia fatto ar- tifìzialmente di cera e piombo, ma vuol una materia sola più na¬ turalo; poi non gli basta eh’e’sia di figura larga, ma vi vuole la siccità con altre sue qualità; ha poi bisogno che ’1 mezo sia continuo, sia viscoso e resistente alla divisione, e altri requisiti secondo che il bisogno ricercherà; e questo, com'ho detto, per andar puntellando il suo mal fondato edilizio. Ma il Sig. Caldeo non ha mai bisogno di io alterar la sua massima e generai proposizione, con la quale toglie tutte le difficoltà; la quale è, che tutti i corpi che posti nell’acqua galleggiano, per necessità bisogna che sieno men gravi dell’acqua: dove primamente si vede oli’ e’ piglia ’l solido qualificato di gravità o leggerezza e lo riferisce al mezo, dicendo dover esser men grave di quello; ma non dirà già eh’e’deva esser di materia naturale e non alterata dall’arte, di questa figura e non di quella, asciutto e non umido ; chè queste cose o non son vere, o non attenenti al fatto, e solo introdotte per reffttgii miserabili (siemi lecito usar questo termine del Sig. Colombo) di chi vuol sostener per ogni via una falsità. 20 Ma passiamo ormai alla face. 17, v. 1 [pag. 328, lin. 22], dove il Sig. Co¬ lombo comincia a provar che la dilatazion della figura può non meno india- la quiete che '1 più tardi muoversi ne i corpi, eziandio sotto acqua, e scrive in cotal guisa: Con la medesima cera e piombo voi, Sig. Galileo, riducetela gravezza d’un corpo a tal segno e grado di tardila, che, se bene per se medesimo non è in termine di quiete, la sua virtù di descendere è così ridotta debole e fiacca, che in comparazione alla resistenza dell'acqua per la sua gravità non può muoversi, non superando quella di )>cso etc. Prima che io passi più avanti, voglio accennare come mi sono’ncontrato in molti luoghi di questa scrittura di natura so tali, che quanto più si considerano manco s’intendono, per lo che ho talor dubitato, loro esser con non molta considerazione stati scritti: e '1 presente ne è uno, dove, per molto che io l’abbia considerato per cavarne ’l senso, non posso sfuggir che non vi sia dentro una contra¬ dizione; la quale in tanto mi fa maravigliare, in quanto ’l Sig. Co- 18. umido, che il meso deva esser continuo, tenace, ed altre circostanze e requisiti, peniti queste cose — SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 509 lombo l’attribuisce falsamente al Sig. Galileo, che mai non ha scritto cosa tale, nè mai ha detto di ridur con piombo o cera corpo alcun a tal segno, che se ben non è in termine di quiete, ad ogni modo non possa muoversi, cioè si quieti, non superando col suo peso la gravità dell’acqua. Ma se tal corpo non supera la gravità dell’acqua (la qual acqua, per vostro detto, Sig. Colombo, impedisce anco ’l moto con la difficoltà de Tesser divisa), come potete voi dire che per sè stesso non sia in termine di quiete? E quando vi sarà? quando col suo peso supererà la gravità dell’acqua? sendo. dunque, tal incongruenza io di parlar vostra, non vogliate attribuirla al Sig. Galileo. Ma riguardando più a quel che avete voluto dire che a questo che avete scritto, vanghiamo a quel che soggiugnete; e concedendovi tutto questo che addimandate, vediamo ciò che ne potret’inferire. Voi, credendo di poter dimostrar contr’ al Sig. Galileo, in virtù delle me¬ desime sue concessioni, che la dilatazion della figura possa non sol cagionar tardità di moto alle cose che descendono per l’acqua ma ancora indur la quiete, scrivete, parlando al Sig. Galileo : « Voi non potete negare (avendolo già detto e conceduto) che la dilatazion della figura induce tardità di moto : ora supponete che un corpo rotondo sia ao prima ridotto, con cera e piombo etc., a tanta minima gravezza di più dell’acqua, che lentissimamente in quella descenda al fondo ; chiara cosa è che, se a questa somma tardità s’aggiugnerà quel che opera la figura, dilatandolo in una falda molto larga, egli cesserà di più muoversi ». Qui, per farvi conoscer la fallacia del vostro argomento, basterà ridurlo sola¬ mente in termini particolari. Intendasi, dunque, per esemplo, una palla di piombo d’un dito di diametro, la quale nella profondità, v. g., di 20 braccia d’acqua descenda in quanto tempo piace a voi, e sia, per caso, in un minuto d’ora; ma dilatata poi in una falda d’un palmo di diametro, discenda per la medesima altezza molto più tardamente •io a vostro beneplacito, cioè, per esempio, in dieci minuti, sì che la di¬ latazion di figura da un dito a un palmo induca nove minuti di tar¬ dità. Prendasi poi un’altra palla del medesimo diametro d’un dito, ma ridotta a tal tardità che descenda per la medesima acqua con quanta lentezza vi piace, come sarebbe in cento minuti; a questa, dilatata in una falda d’un palmo, aggiugnete quella tardità che già avete detto derivar da tal dilatazione; che, se io fo bene il conto, ella descenderà per la medesima acqua in 109 minuti, e non, come Ó10 CONSIDERAZIONI credevi, non descenderà mai. Che dite, Sig. Colombo? è egli possi¬ bile che voi non sappiate ancora elio la quieto dista da ogni moto benché tardissimo, per infinito intervallo, per lo che tanto è lontana dalla (piieto la velocità d’un fulmine quanto la pigrizia della lumaca? Voi credevi, col crescer la tardità, di andar verso la quiete, e vi in¬ gannavi non meno che chi sperasso di trovar l’infinito col passar da numeri grandi a maggiori e maggiori successivamente, non inten¬ dendo che tutti i caratteri de’ numeri elio fin ora hanno scritti tutti i computisti del mondo, ridotti in una sola linea, rileverebbono un numero non più vicino all’infinito elio il 3 o ’l 7 o altro carattere io solo. So io credessi elio voi sapessi che cosa sia proporzion aritmetica e proporzion geometrica, o che differenza sia tra di loro, potrei pen¬ sare che voi, per far Perror vostro apparentemente minore, vi riti¬ rassi a dire elio intendete che tale augumento di tardità, dependente dalla figura, s’abbia a far con geometrica, o non con aritmetica, pro¬ porziono (se bene le vostro parole donotan questa, e non quella); e che importando la dilatazione nel piombo dotto una tardità dieci volte maggior della prima, così s’abbia da intender dell’accrescimento di tardità nell’altra materia poco più grave dell’acqua, cioè che, descen¬ dendo quando ora in figura di palla in cento minuti di tempo, quando 20 poi è ridotta in una falda deva accrescer la sua tardità non minuti nove di più (che tale sarebbe l’agumento aritmetico), ma dieci volte tanto, osservando la geometrica proporzione. Ma intendendo anco in cotal guisa, elio ne seguiterà egli altro se non che tal falda descen- derà in mille minuti d’ora? Ma questa è forse tardità infinita, che possa dirsi quieto ? Coneludovi pertanto elio, pigliando la cosa in questo 0 in quel modo, e mutando tempi, tardità, distanze e figure in quanti modi vi piacerà, sempre il conto tornerà in vostro disfavore. Or vedete quanto meglio s’assesta a voi che al Sig. Galileo, quello che scrivete per sigillo di questo vostro argomento, dicendo [png.328 ,30 lin. 35-3(5] che i suoi argomenti sofistici e fallaci non concludono india. Io non voglio passar più avanti senza notare certo vostr’artifizio, che usate ’n questo luogo per raddoppiar l’errore che attribuite al Sig. Galileo; il che fate col replicar due volte la medesima cosa, por¬ gendola la seconda volta come un corollario dependente dalla prima. Voi cominciate, e dito che il Sig. Gfilileo con cera c piombo riduce un corpo a grandissima tardità; e seguito di dire, eh’e’lo supponga SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 511 • ridotto a tale, clie lentissimamente descenda; e concludete, esser chiara cosa che, aggiuntogli quel di più tardi che vien dalla figura, e’ si fer¬ merà. Passate poi, e dite, come se fosse un’ altra cosa, che da questo si conchiud’ancora necessariamente, che anco la materia eletta dal Sig. Galileo, sommersa nell’acqua per la virtù della figura, si fer¬ merà: il che è l’istesso che il primo detto; onde io vo pensando una delle due cose, cioè o che voi, supponendo di scrivere a lettori che poco sien per applicar la mente alla vostra scrittura, vi contentiate di suscitar in loro solamente certo concetto superficiale d’errori del io Sig. Galileo molto numerosi, o che voi abbiate opinione che il vostro replicar la medesima cosa due volte abbia virtù di farla diventar due cose diverse. Passo ora a considerar quello che soggiugnete doppo P aver con¬ cluso che gli argomenti sofistici e fallaci del Sig. Galileo non concludon nulla; che è che non vi si domandi che voi mostriate in atto pratico una falda che si fermi sotto l’acqua senza descendere e una palla della medesima materia e peso che descenda, sì come in teorica e de- mostrativamente avete concluso ciò esser vero contr’al Sig. Galileo; perchè voi all’ incontro dimanderete a lui che vi dia in aito un corpo 20 che stia sotto ’l livello dell' acqua senza calar punto o salire, sì che stia in equilibrio appunto : dove pare che vogliate ’nferire che, non vi si dando questo, voi non siate in obbligo di mostrar quello. Ma qual ritirata debole e inaspettata è questa? e qual domanda fuor di proposito? Prima vi vantate di convincere ’l Sig. Galileo, e per far ciò supponete una materia che, anco fatta in figura-sferica, descenda lentamente; questa vi si concede, e vi si dà in atto di tanta tardità quanto vi piace: supponete 10 inoltre che la dilatazione accresca la tardità, o questo ancora vi si concede in atto a che misura vi piace : finalmente, sopra queste due concessioni, concludete la quiete dependere dalla so figura, e così dite d’ aver convinto ’l Sig. Galileo. Quando poi altri poteva pretender da voi la verificazione in effetto della vostra con¬ clusimi dimostrata, t uscito di traverso con una nuova richiesta, e [ volete che ’l Sig. Galileo sia quello che trovi un corpo che quieti sotto l’acqua. Ma ora domando a voi se tal corpo fa a proposito per la causa vostra o no : se non fa a proposito, è manifesto che ’l doman- ll) La stampa: questa vi si concede: supponete. CONSIDERA 7, IONI ài 2 darlo è una fuga miserabile per Sgabellarvi dall’ obbligo, e con al¬ trettanta ragione potevi domandar che vi si desse una macine che volasse; ina se è necessario al proposito vostro, prima tocca a voi di fervono provisione, e non al Sig. Galileo. Secondariamente, in qual modo, senza tal corpo t necessario per effettuar la vostra conclusione J avete voi potuto formar l'argomento vostro concludente ? Terzo dovevi al manco dichiarar a che uso voi di quello volevi servirvi- perchè ponghiamo che 1 Sig. Galileo vi desse questo tal corpo diesi fermasse sotto ’l livello dell’acqua, e che ve lo desse, v. g., di figura sferica o d’altra di quelle che paressero più atte a fender la resistenza io dell’acqua (già che voi non lo domandate più d’una che d’un’altra figura); che farete di lui? Se volete servirvene per mostrar la vostra esperienza, ditemi quello che voi credete eh’e’sia per fare ridotto in una falda. Direte forse eli’e’discenderà? questo non già, perchè sa¬ rebbe effetto contrario alla vostra opinione : anzi, per la medesima vostra dottrina, egli nè anco salirà in alto, perchè la figura dilatata tantum alesi che induca moto a i corpi che non l’hanno, ch’ella lo ritarda, e, per vostro creder, lo toglie ’n tutto a quei che l’hanno: adunque necessariamente, figurato di ogni sorte di figura, egualmente resterà in quiete. Ma se voi di tal corpo non volete servirvi (e già no potete intender quanto e’ sia inetto al vostro proposito), perchè lo domandate? Io non veggo che voi possiate risponder altro, se non che voi lo chiedete per intorbidare ’l negozio, e vi fate lecito di do¬ mandar una cosa che sperate non si poter trovare, stimando in cotal modo di disobbligarvi dall'obbligo; non avvertendo, di più, che tal dimanda, oltre all’esser inutile al vostro bisogno, è anco di cosa la quale il Sig. Galileo non ha mai preteso di poterla far vedere, anzi 1’ ha stimata o impossibile o difficilissima ad effettuarsi, f sì che voi non potete nè anco, secondo ’l costume de* fanciulli, opporvi al Sig. Galileo e dirgli: Se tu vuoi ch’io ti faccia veder quest’effetto, fa’tu prima so veder quell’altro del qual ti vantasti. ) Ma più dico, che conoscendo voi ancora tal inipossibilità, dovreste per essa intendere come nel¬ l’acqua non è resistenza alcuna alla divisione; perchè se ve ne fusse, un tal corpo, ridotto quanto al peso alla medesima gravità dell’acqua, dovrebbe, per la di lei resistenza alla divisione, non solamente quie¬ tare sotto l’acqua, ma resistere a tanta violenza che se gli facesse per muoverlo t in giù o in su 1, quanta è appunto la detta resistenza. SOPRA ’i, DISCORSO DEL COLOMBO. D13 Finalmente concludete questa vostra prima confutazione con dire [pag.328, lin.40 — pag.329, lin.3] al Sig. Galileo: Ma perche mi risponderete a car. dieci che le conclusioni son vere e le cagioni sono difettose, e die per ciò il fatto riesce altramente, io vi rispondo il medesimo; e in particolare una delle cagioni difettose, che impedisce Veffetto, è ’l meno fluido co’suoi momenti. Circa questa chiusa io, prima, vi confesso ingenuamente non inten¬ dere nè punto nè poco quello che ella abbia che fare al proposito vostro, e son certo che simil risposta non vi verrebbe mai dal Sig. Ga¬ lileo: il quale al luogo citato, parlando d’ogni altra cosa che della io presente, solo dice che i solidi più gravi dell’ acqua descendono in quella necessariamente, e i men gravi non si sommergono, ma una parte della mole loro resta fuor dell’acqua, del qual effetto potrebbe ad alcuno parere esserne cagione che ’l solido nel tuffarsi vada al¬ zando tant’ acqua, quanta è la mole demorsa; il che soggiugne il Sig. Galileo esser falso, perchè l’acqua che s’alza è sempre manco che la mole del solido sommersa ; e però dice che la conclusione è vera, ma tal cagione addotta è difettosa, benché nel primo aspetto paia vero che il solido nel sommergersi scacci tanta mole d’acqua, quant’è la mole demersa (e veramente ciò ha tanto del verisimile, che Ari- 20 stotile medesimo ci s’ingannò, come si vede nel libro quarto della Fisica, t. 76). Or veggasi ciò che ha da far questa cosa nel presente proposito, dove voi trattate che la dilatazion della figura possa indur la quiete a i corpi più gravi dell’acqua anco sotto ’l suo livello. Voi direte che, sì come quelle conclusioni del Sig. Galileo erano vere, e quella apparente ragione difettosa, così la vostra conclusione, che la figura dilatata induca quiete anco sott’acqua, è vera, benché la vo¬ stra dimostrazione sia difettosa. Tutto sta bene: ma bisogna avver¬ tire che ’l Sig. Galileo non si fonda mai su quella apparente ragione, anzi, avendola scoperta diffettosa, ne trova le vere e concludentissime ; so ma voi, non ne adducendo altra che la fallace, in virtù di quella stabilite per vera la conclusione, o riprendete ’l Sig. Galileo chiamando i suoi argomenti fallaci e nulla concludenti; e immediatamente pas¬ sato questo vostro bisogno, non v’importa più se anco la vostra me¬ desima ragione sia diffettosa. Ma quel che più importa è che voi, per liberarvi dall’obligo di far veder in esperienza un corpo che, de- (1 ' La stampa : rispondete. IV. tS5 CONSIDERAZIONI r>i4 scendendo per l’acqua in figura sferica, rì fermi por entro quella, ridotto che sin in una falda, dite che risponderete come il Sig, Galileo a face. 10, che le conclusioni sien vere e le cagioni difettose, e che per ciò il fatto riesce altramente. Ora io vi domando, Sig. Colombo, qual è la conclusione, e quali le cagioni nella vostra dimostrazione? Certo che la conclusione è che un corpo più grave dell’acqua, di¬ latato in falda, bì ferma sott’acqua; e le cagioni sono che la dila- tazion di lìgura apporta tardità, la qual, aggiunt’ alla minima gra¬ vità del mobile sopra la gravità dell’acqua, cagiona l’equilibrio. Ora non vi si domandando che voi facciate divenir buone le cagioni dif- io fettose, ma solo che mostriate in fatto la quiete della falda, che dite esser conclusion vera, non potete ragionevolmente negar tal dimanda, perchè uè anco il Sig. Galileo, il quale in questo particolar volete secondare, vi contenderà ’1 farvi vedere i solidi men gravi del- l’acqua galleggiare e i più gravi affondarsi, clic sono le sue conclu¬ sioni, benché quella tale apparente cagione di ciò sia difettosa: oltre che, per bene imitarlo, dovevi investigar perfette cagioni della vostra conclusione, come fece egli della sua. E meravigliomi che voi non vi siate accorto della stravolta maniera d’inferire che è nel vostro par¬ lare, mentre dite che le conclusioni son vere eie cagioni diffettose, e che 20 per ciò'l fatto riesce altramente; perchè, avendo il fatto riguardo alla conclusione, e non alle cagioni, purché la conclusion sia vera, il fatto dovrà riuscire, benché le cagioni addotte sien diffettose. E di grazia, Sig. Colombo, non attribuite così frequentemente al Sig. Galileo gli errori che son vostri, dei quali questo è uno; perchè ha bene scritto’l Sig. Galileo che quelle tali conclusioni son vere e le cagioni diffettose, ma l'aggiunta, che perciò il fatto riesca altramente, non si trova nel suo libro. Quanto poi alle vostre ultime parole, che una delle cagioni diffettose, che impediscono l'effetto, è il mezzo fluido coi suoi momenti, io veramente mi sono molto affaticato per trarne senso che si accomodi so al proposito di che si tratta, nè mi è potuto fin ora succedere; però non ci dico altro, e voi ricevete il mio buon volere: dirò solo che, se’l mezo fluido co’ suoi momenti è causa in qualche modo che impedisca l’effetto del fermarsi una falda nell’acqua, nè voi nè altri già mai ve la faranno fermare, non essendo possibile il levare all’acqua i suoi momenti o la fluidità. Vi sete dunque, Sig. Colombo, con grand’animo messo per dimostrar un effetto; e finalmente, dopp’esservi lungamente SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 515 affaticato ’n vano, l’ultima conclusione della vostra dimostrazione è che tale effetto è impossibile a effettuarsi. Or vediamo se forse con più fermi discorsi confutate l’altra spe¬ ranza del Sig. Galileo; e per più facile intelligenza, succintamente descriviamola. Per provar che 1’ ampiezza della figura del solido e la resistenza dell’acqua all’esser divisa non posson indur la quieto, dice ’l Sig. Galileo che si prenda una materia pochissimo più leggieri dcl- P acqua, sì che, fattone una palla, molto lentamente ascenda per l’ac¬ qua; riducasi poi la medesima materia in una larghissima falda, c ve¬ lo drassi che ella parimente dal fondo si solleverà; e pur dovria fermarsi se nella figura e nella resistenza dell’ acqua alla divisione consistesse il poter levar via ’l movimento. A questa, che voi domandate espe¬ rienza non simile ed argomento fallace, rispondete varie cose, Sig. Co¬ lombo, ma tutte, per mio parer, molto lontane dal proposito, come nell’ andarle partitamente esaminando credo che si vedrà manifesto. Rispondete primieramente, al principio della face. 18 [pag. 329, lin. 14-3(5], che Aristotile non afferma e non nega che la resistenza dell’acqua nasca dalla sua viscosità, la qual egli nè pur nomina ’n questo luogo; anzi, dicend’ egli che ’l galleggiar delle figure larghe nasca dall’im- 20 potenza a divider le molte parti del mezo, che non facilmente si dis¬ sipano e distraggono, può il Sig. Galileo attribuir tal cagione alla resistenza che fa la gravità dell’ acqua, senza pregiudicare ad Aristo¬ tile; essendo che alla distrazzione delle parti, e massime del corpo grave com’ ò l’acqua, vi è resistenza, ben che ella fusse di parti divise come la rena, e non continue, come ’l Sig. Galileo affermò innanzi a S. A. S. disputando col Sig. Papazzone. Soggiugnete poi, che non es¬ sendo la gravità dell’ acqua suffiziente a resister a un corpo più grave di lei, sì che non la penetri e divida, bisogna che altre cause concor¬ rine a far la total resistenza, tra le quali, con Aristotile, riponete la so figura, non escludendo anco le altre cagioni. Soggiugnete in ultimo, la viscosità e la tenacità del continuo dell’acqua non potersi negare da alcuno se non dal Sig. Galileo, che nega l’acqua esser continua; e però passate a dimostrar che ella pur sia continua con molte ragioni. Ora io non so vedere che tutto questo discorso faccia altro che moltiplicai’e le fallacie, senza punto risponder alla ragione e all’espe¬ rienza del Sig. Galileo. Noi siamo in fatto; e ’l senso ci mostra, nel¬ l’acqua non esser facoltà veruna, per la quale ella possa tórre a’ corpi 51ti CONSIDERA /IONI m0 n gravi di lei l’asconder per la sua altezza, poi che tutti, benché insensibilmente moti gravi o di figura inettissima per la sua ampiezza ft dividere, v’ascendono, e per l’opposito i medesimi, ingraviti con qualunque minima gravità, vi descendono : onde, con chiarezza molto superiore a quella del sole, apparisce il nulla operar della somma di- latazion di figura o altra resistenza che sia nell’acqua, circa il vietare la salita o la scesa a’ corpi per entro la profondità di quella; onde, per esser l'acqua in tutte le sue parti simile a sè stessa, resta neces¬ sario, la cagione per la quale grandissime falde di piombo e d’oro, non dirò insensibilmente, ma venti volte più gravi dell’ acqua, si fer- io mano nelle parti supreme, esser diversissima dall’ impotenza della figura e dalla resistenza dell’acqua allesser divisa; e tanto più che tali falde, quando si quietano, già si veggono aver penetrata l’acqua. - Ma voi, non mostrando la fallacia di questo argomento e l’incon¬ gnienza di tale esperienza se non col nominarle, vi mettete con l’im¬ maginazione a ritrovar molte cause nell’acqua, per le quali poss’esser impedito o annullato il moto di tali falde, se bene il senso mostra sempre il contrario; e dite che la resistenza dell’acqua alla divisione, la continuità, la tenacità, la viscosità, il non si dissipar facilmente la moltitudine delle sue parti, e, quando ancora così piacesse al Sig. Ga-ai lileo, la sua gravità e la diffidi distrazzione, quando ben le sue parti fosser divise come quelle della rena, poBson levar cotal moto; esti¬ mando di arroccar efficacia alla causa vostra con la multiplicità di questi accidenti, veramente non fate altro che moltiplicar le falsità e raddoppiarvi le brighe; perchè sin tanto che l’esperienza del Sig. Ga¬ lileo resta ’n piede, che al sicuro sarà un tempo lungo, bisognerà confessar, per la vostra dottrina, che nell’acqua non si trovi nè resi¬ stenza alla divisione, nè continuità, nò tenacità, nè viscosità, nè gra¬ vità, nè renitenza'” all'esser dissipata, nè all’esser distratta, f poiché postavi qual si voglia di queste condizioni, dovrebbe di necessità se- guir la quiete, la qual per esperienza si vede non vi si poter ritrovare.! Ma sentiamo un'altra serio d'errori particolari, per entro questo vo¬ stro breve discorso disseminati. Prima, doppo l’aver tassato di fallacia l’argomento e l’esperienza del Sig. Galileo, aggravate l’ error suo con dire che egli P ha prodotta senza reprovar le ragioni peripatetiche, 1,1 La stampa: re*ùlema. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 517 affermanti l’acqua esser continua e tenace: nel che voi doppiamente errate. Prima, perchè dove si ha un’esperienza sensata e evidentis¬ sima, non è obbligo di riprovar ragioni, le quali convien che al sicuro sian fallaci: e io credo pur che voi sappiate che, anco in dottrina pe¬ ripatetica, una manifesta esperienza basta a snervare mille ragioni, e che mille ragioni non bastano per render falsa un’esperienza vera. Secondariamente, io non so quali voi chiamate ragioni peripatetiche confermanti la continuità e tenacità dell’acqua; perchè Aristotile, che io sappia, non prova in luogo alcuno tal continuità, se forse voi non io chiamaste ragioni la sua autorità e l’averlo egli solamente detto ; ma se questo è, 1’ atterrar tal ragione e far che quel che è detto non sia detto, non è in potestà del Sig. Galileo. Ma se per ragioni peri- patetiche voi intendeste quelle del Sig. Papazzone, addotte in voce alla presenza del Serenissimo Gran Duca, o queste che voi stesso pro¬ ducete adesso in questo luogo; prima, quanto a quelle, il Sig. Ga¬ lileo non è così mal creato che si mettesse a publicar con le stampe atti o ragioni o discorsi fatti in voce da chi si sia, e massime per con¬ futargli, non gli parendo onesto il privar alcuno del benefizio del tempo e del poter pensarvi sopra, correggergli e ben mille volte 20 mutargli. Ma non solo i ragionamenti in voce, ma nè anco le scrit¬ ture private de gli altri non farebbe pubbliche senza esserne ricercato da i proprii autori, o almeno senza lor licenza, e solo anco portan¬ dole con laude e con approvazione; e voi medesimo potete esser di ciò a voi buon testimonio, il quale, benché molte volte in voce, e anco per lettere scritte ad amici, abbiate stimolato il Sig. Galileo a do¬ ver parlar di vostre scritture private fatte contro altre sue opinioni, non però l'avete potuto indurre a rispondervi, solo perchè egli non poteva farlo se non con far palesi molti vostri errori ; e se finalmente con questa vostra apologia stampata non fusto tornato più d’una volta 30 a far instanza sopra queste vostre scritture contro al Copernico, glo¬ riandovi che il Sig. Galileo le abbia vedute e taciuto, forse per non sapere risolvere le vostre debolissime e triviali instanze, niuno ne arebbe mossa parola. Però lo stampare scritture particolari, congressi privati, parole referite da questo e da quello, e bene spesso non sin¬ ceramente, e opinioni che voi, senza occasione, vi immaginiate che altri possa tener per vere, per servirsene poi solo per deprimer la reputa¬ zione del compagno, si lascerà far a voi, Sig. Lodovico, senza curarsi 518 CONSIDERAZIONI punto d’imitarvi. Ma se per le ragioni peripatetiche intendete quelle elio appresso producete voi stesso di vostra ’nvenzione, veramente grande sproposito è il dimandarne la soluzione avanti che voi le pro- ponghiate ; o se alla face. 42 [pa*. 852, li». 8] voi date al Sig. Galileo titolo più tosto d’indovino elio d’intelligente, per certa esposizione data da lui a un luogo del Buonamico, veramente che 1’ attributo di mago o di negromante non gli sarebbe da voi stato rispiarmato, so egli avesse voluto solvere i vostri argomenti prima che e’ l’ussero stati prodotti. Seguitate, nel secondo luogo, d’avvertire ’l Sig. Galileo, ch’egli non creda chela tenacità o viscosità dell’acqua sia come quella della io pece o della pania : il qual avvertimento viene a voi, Sig. Colombo, cho attribuite all’acqua la tenacità e resistenza alla distrazione, e non a lui, elio ha sempre detto che l’acqua manca totalmente di tali ac¬ cidenti. Terzo, voi dite cho Aristotilo non fa menzione della viscosità del- l’acqua, e ’nsieme nominate, con osso lui, la resistenza alla divisione per esser di parti che non facilmente si distraggono. Ma che altro è la viscosità, che quella qualità per la qual alcune materie, disunen¬ dosi, resistono alla divisione? a differenza di quelle che resistono alla divisione senza distrarsi, conio ’l vetro freddo, il diaccio ed altre cose 20 simili. Quarto, voi dite che, senza pregiudizio del detto d’Aristotile, il galleggiar delle falde si può attribuir, come piace al Sig. Galileo, alla resistenza che fa la gravità dell’acqua, dicend’Aristotile che tal galleg¬ giare nasce dall’impotenza al dividere lo molte parti dell’acqua com¬ prese sotto, le quali non facilmente si dissipano e distraggono. fMa come non v’ accorgete della grande sciocchezza cho voi fareste dire a Aristotile, quand’o’ volesso metter la gravità dell’acqua a parte di quest’ effetto del galleggiare in compagnia della sua resistenza alla divisione? L’acqua non può resister con la gravità, se non in quanto so una sua parte vien alzata sopra ’l suo livello; alzar una parte d’acqua non si può nel presente caso, se prima la tavoletta non divide e pe¬ netra la continuità eli quella ; adunque la resistenza della gravita non può esser dove prima non sia la cessione alla divisione: onde si mani- lesta, tali due resistenze esser incompatibili nel medesimo soggetto, e però grand’errore commetterebb’Aristotile, che non vuol che la falda divida e penetri l’acqua. I SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 519 La somma di tutta la disputa che voi dite aver co ’l Sig. Galileo, è intorno all’investigar la vera cagion del galleggiare, la qual egli non attribuisce mai ad altro che alla gravità dell’acqua, maggiore in specie di quella di tutte le cose che galleggiano; e voi, che pro¬ fessate di esser altrettanto contrario alla sua opinione quanto con¬ forme a quella d’Aristotile, in qual modo cominciat’ora ad ammetter a parte di quest’effetto la gravità dell’acqua, non mai nominata in tutto questo capitolo da Aristotile? Il quale, ancor che l’occasion di nominarla gli sia venuta in mano, ha nondimeno detto che bisogna io paragonar la gravità del mobile con la resistenza dell’ acqua alla dis¬ trazione; ma della gravità, ne verbum quidem; e pur molto meglio si comparala gravità del mobile con la gravità dell’acqua, che con la resistenza alla distrazzione. To non voglio dire a voi (se ben con molta ragion potrei farlo) quello che senza ragion alcuna, come su ’l luogo proprio vi mostrerò, dite voi in derisione del Sig. Galileo a face. 24 [pag. 335, lin. 15-16], mentre invitate i lettori a vederlo calar dol¬ cemente le vele e rendersi vinto e arrenare; ma lasciando a voi simili scherni, dirò bene, parermi che nel voler voi in certo modo accordare ’l detto del Sig. Galileo con quel d’Aristotile, usiate termini non molto 20 tra sè concordanti ; nè so veder ciò che abbia che far la resistenza dependente dalla gravità dell’acqua, posta dal Sig. Galileo, con la difficultà all’esser dissipato e distratto, posta da Aristotile, poi che queste non son qualità che alternatamente si conseguitino, vedendo noi alcuni corpi gravissimi, come ’l piombo, l’oro e l’argento vivo, molto più facilmente distrarsi e dissiparsi che le gemme, che ’l vetro o l’acciaio, tanto manco gravi ; e ’l diaccio stesso quanto è più re¬ sistente dell’acqua, poiché, senza pur inclinarsi, sostiene gravissime pieti’e e metalli! e pur non è più grave di quella, anzi meno. Con tutto ciò, volendo voi in certo modo render ragion del vostro detto, so dite (ed è il quinto errore) che alla distrazzione delle parti del corpo, e massime del corpo grave, come V acqua, vi e resistenza, benché ella fosse di parti divise, come la rena : dove, oltre alle cose già notate, si scuopre manifestamente che voi avete concetto che la distrazzione sia una cosa molto differente da quello che ella è, stimando che ’l corpo, ben¬ ché di parti divise come la rena, sia in ogni modo distraibile ; il che è falso, non essendo distraibili se non quelle materie che hanno le • 3. alia resistenza della gravità — 520 CONSIDERA SUONI parti attaccate e conglutinate, come la cera, i bitumi e anco i me¬ talli. Seguitate poi, e dite che, non bastando la gravità dell’acqua a resister alla divisione e penetrazion d’un solido più grave di lei bisogna che altre cagioni concorrano a far la total resistenza, tra le quali è principal la figura, non escludendo l’altre. Qui, primieramente io laudo assai quest’ultima clansnla, di non escluder l’altre cagioni acciò se altri investigasse mai la vera, voi ancora possiate dir d’es- servi a parte, come quello che non l’aret’esclusa; e in questo sete stato più cauto d’Aristotile, il quale, senza riserbo alcuno, ha attri¬ buito tutto alla difficoltà delle molte parti dell’acqua alla distrazione io in relazione al poco peso delle falde dilatate. PI già che voi avete cominciato a dar orecchio alla resistenza dependente dalla gravità dell’acqua, potete desister dal cercar più altre cagioni, perchè le figure, le siccità e ogn’altra immaginabil chimera non ci hanno che far niente. Voi già intendete elio la gravità dell’acqua resiste, ma insili ch’ella si trova superiore a quella del mobile; ma vi par poi impos¬ sibile che ella possa resister a gravità snperior alla sua, qual’ è quella del ferro e del piombo e dell’oro etc. Ma il Sig. Galileo vi leva questo scrupolo, se voi voleste intenderlo, e vi dice che mai non avviene il caso che s’abbia necessità di ricorrere ad altri che alla resistenza 20 della gravità dell’acqua, perchè mai non galleggia cosa alcuna che sia più grave di lei, e quella quantità d’acqua che resiste alla falda d’oro pesa più di lui. Ben è vero che bisogna aprir ben gli occhi per veder quanta sia la detta acqua; ma già il Sig. Galileo l’ha palesata a dii la vuol vedere, perchè non è dubbio che tant’ acqua contrasta con la falda, quanta, mercè di lei e per concedergli ’l luogo, si trova scacciata nell’ imposizion di essa falda. Però tornate a con¬ siderar quant’ acqua si conterrebbe nello spazio ingombrato dalla falda (l’oro e da quello che la segue sotto ’l livello dell’acqua; che voi senza dubbio troverete che l’acqua che bisognerebbe per riempier») questo spazio non peserà un pelo manco dell’oro e del resto che con lui’ngombra il medesimo spazio, talché quest’effetto non differisce punto da quel di tutti gli altri corpi che galleggiano; e insieme vi chiarirete quanto miserabil refugio sia ’l dire, che l’ampiezza della falda impedisca '1 far la total divisione. E qual cosa manca a questa total divisione, quando la falda dell’oro non pur si trova tutta sotto 1 14. le siccità, le viscosità e ogn'altra — SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 521 livello dell’acqua, ma si vede profondata diciotto f o venti 1 volte più della sua grossezza? Nò perdete più tempo in voler difender Aristotile in questo particolare, non si potendo per lui addii r miglioro scusa se non ch'egli credette che tali falde non intaccassero la superficie dell’acqua, ma vi si posassero come sul ghiaccio. Ma passo ormai a considerar le ragioni, con le quali vi sforzate di provar V acqua esser un continuo. Face. 18, v. 24 [pag. 329, lin. 37 —pag. 330, lin. 1] : Provasi, dunque, in que¬ sta maniera . Ogni corpo continuo è tale, perchè le parti di esso son unite di maniera, che attualmente una sola superficie lo circonda : ma V acqua io ha una sola superficie; parlo di qualche quantità che noi eleggessimo, posta in un vaso o altro luogo che la contenesse , acdochè non mi pigliaste in parole: adunque e corpo continovo. Il (l) non aver mai nò in sè stesso provato, nò osservato in altri, che cosa sia il dedur la ragion d’ima conclusione da’ suoi principii veri e noti, fa che molti nelle prove loro commetton gravissimi errori ; supponendo bene spesso principii meli certi delle conclusioni, o prendendogli tali che son V istesso che si cerca di dimostrare, e solo differente da quello ne 7 termini e ne' nomi, o vero deducendo esse conclusioni da cose che non han che far con loro ; e, per lo più servendosi, ma non bene, del metodo risolutivo (che, ben 20 usato, è ottimo mezo per l’invenzione), pigliali la conclusione come vera, e ’n vece d’andar da lei deducendo questa e poi quella e poi quell’altra consequenza, sin che sen’ incontri una manifesta, o per se stessa o per essere stata dimostrata, dalla qual poi con metodo compositivo si concluda l’in¬ tento, in vece, dico, di bene usar tal gradazione, formano di lor fantasia una proposizione che quadri immediatamente alla conclusione che di provar intendono, e non si ritirando in dietro più d’un sol grado, quella prendono per vera, benché falsa o egualmente dubbia come la conclusione, e subito ne fabbricano il silogismo, che poi, senza guadagno veruno, ci lascia nella prima incertezza: onde avviene che bene spesso, e massime in questioni so naturali, i trattati interi, letti che si sono, lasciano ’l lettore pien di con¬ fusione e con maggior incertezza che prima, o ingombrato di cento dubbii, mentre da un solo cercava di liberarsi. Esempli di questi errori ne son tanti nel Discorso del Sig. Colombo, quante vi sono conclusioni da osso in¬ traprese a dimostrarsi, come ogni mediocre intendente può comprendere. Ma perchè troppo tediosa e vana ’mpresa sarebbe l’additargli tutti, voglio che mi basti in questa sola parte, che attiene alle prove sue della confci- 4. credette, come il Sig. Dottor Grazia, che — 5. ina V avvallassero solamente- come una tela. Ma — ll) Riguardo alle lin. 13-36 di questa pag. e alle seg. pag. 522-536, lin. 25, cfr. VA vvertiraento. iv. $0 522 CONSIDERAZIONI nuità dell* acqua, al largarmi alquanto, e mostrar di qual confusione è forza riempiersi la fantasia per dar luogo a quanto da quello ci vien proposto. Volendo dunque *1 Sig. Colombo provare, l’acqua esser un continuo, co¬ mincia da una proposizione cavata dall’essenza di esso continuo, dicendo, allora ’1 corpo esser continuo, quando le sue parti son di maniera unite, che attualmente una sola superficie lo circonda; sogghigno poi, l’acqua es¬ sere tale, cioè contenuta da una sola superficie; onde etc., e qui finisce la dimostrazione, tralasciando tutto quel che importa, cioè di provar la mi¬ nore. Porósi può desiderar dal Sig. Colombo d’essere assicurati, o per via del senso o per dimostrazione, che l’acqua sia contenuta da una sola super- lo ficie; perchè io posso pigliar un vaso, e empierlo di qualche polvere im¬ palpabile, qual sanano i colori fini, e caloarvela dentro con un piano ben terso; chè senza dubbio ella resterà tale, elio nessuno, quant’alla visibil apparenza, la giudicherà altro che una superficie continuatissima e una; e soggiungo di più al Sig. Colombo, che quanto maggiore e maggiore sarà la finezza della polvere (elio tanto è quanto a dire che tal corpo sarà più e più discontinuato), tanto la superficie sua apparirà più unita e simile al continuo. Essendo, dunque, che l’apparente unione di superficie compete egualmente al corpo continuo o al discontinuatissimo, l’argumento del Sig. Colombo è egualmente aecommodato a provare la continuità e la somma 20 discontinuità; e però si aspetterà qualche sottil distinzione che rimuova tale ambiguità, perdio il detto sin qui non conclude nulla. Face. 18, v. 29 (pag. 330, lin. 1-4J: Secondo, tutti i corpi che si mescolano e son Jlussibili, massimamente quegli della stessa materia, co in è V acqua, con¬ fondono le lor parti in modo che si fanno un corpo solo e continuo : l'acqua dunque è continua, e non divisa. Nel secondo argomento, avendo prima il Sig. Colombo con grand’acu¬ tezza considerato che P acqua e illuda o che le sue parti si confondono in¬ sieme, forma subito, conforme al nono artifizio, una proposizione, e senza altramente dimostrarla (per non dir, come egli direbbe al Sig. Galileo, 30 senza pensar piu là) y supponendola por vera, l’addatta al suo bisogno, per raccòrne poi nulla. Prende, dunque, per vero, che tutti i corpi che son lluidi e si mescolano, e massime quando sono della medesima materia, come è l 1 acqua, si confondino in modo le parti loro, che si faccino un corpo solo e continuo: conclude poi: « Adunque l’acqua è continua». Tal discorso, com ho detto, non conclude niente. Jmperocliè io, primieramente, domando al Sig. Colombo, se questi corpi fluidi e dell’ istessa materia, che si mescolano e che confondon le parti loro si che si faccia un corpo solo e continuo, avanti elio si mescolassero eran in loro stessi continui o no : se mi dirà che si, prima tutto questo discorso ò buttato via, perchè bastava dire che tutti 40 SOPII A ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 523 i corpi fluidi son continui e che in consequenza l’acqua è continua, essendo fluida ; ma questo poi sarebbe un suppor troppo scopertamente per vero quel che si deve dimostrare : ma se dirà che avanti ’.1 mescolarsi non eran corpi continui, adunque ci sono corpi fluidi, tra’ quali è V istessa acqua, che non son continui, poi che non si fan continui se non dopo il mescola¬ mento. In oltre panni di avvertire, che al Sig. Colombo non basti che i corpi sien miscibili solamente, per far di essi un continuo, avendo forse osservato che i colori ’n polvere si mescolano, nè però si continuano ; nè anco gli basta Y esser fluidi, perchè forse vede l’olio e l’acqua esser fluidi, ione però farsi di loro un continuo; ma ha voluto 1*una e l’altra condi¬ zione, cioè che sien fluidi e miscibili, e di questi ha affermato farsi ’l continuo, mentre si confondono le lor parti. Ma tal assunto, preso con maggiore arditezza che evidenza, ha gran bisogno di prova, non apparendo ragion alcuna per la quale la flussibilità congiunta col mescolamento abbia a produr necessariamente la continuità ne’corpi; la qual continuità nè al mescolamento nò alla flussibilità, separatamente presi, per necessità non conseguita. Face. 18, v. 32 [pagr. ano, lin. 4-9] : Terzo, Varia ha men virtù di resistere alla divisione che non ha V acqua, e nondimeno è un corpo continovo: adunque 20 la poca resistenza alla divisione non argomenta che V acqua non sia corpo con¬ tinovo . Nè si può negar nell- aria la continuità ; perchè altramente vi sarebbe 7 vóto, il che è impossibile : e se voi concedeste ’l vóto, provatelo ; e vi si rispon¬ derà, mostrando che v ingannate. Questa, ch’espone per la terza prova, è più presto una risposta a uno degli argomenti che altri potesse far per provare che nelle parti dell’ acqua non sia continuità, inferendosi ciò dal non resistere ella punto alla divisione, poi che veggiamo ogni gran mole esser mossa per l’acqua da qual si voglia minima forza; alla qual ragione si leva incontro il Sig. Colombo, e dice: L’aria ha men virtù di resister alla divisione che non ha l'acqua ; non dimeno 80 è corpo continuo; adunque la poca resistenza alla divisione non argomenta che Vacqua non sia corpo continuo. Scuopronsi ’n tal discorso molte fallacie: e, prima, e’ suppon per vero quel che ha bisogno d’ esser provato, anzi quello che è in certo modo la proposizione di cui si disputa; poi che e’ suppone che nell’ acqua e nell’aria sia resistenza alla divisione, il che da noi si nega e se ne producon manifeste esperienze; e si è dichiarato che la resistenza che si sente nell’ acqua, mentre che in essa si muove con ve¬ locità una mano o altro solido, non è per divisione che s’ abbia a far nelle sue parti, ma solamente per averle a muover di luogo, in quella guisa che si trova gran resistenza a muover un corpo per l’arena, la qual resiste a 40 tal moto senza che di lei s* abbia a divider parte alcuna. In oltre, qua- i 524 CONSIDERAZIONI lunque si sia questa resistenza, tuttavia il Sig. Colombo discorre al contrario di quel die si dovrebbe per discorrer bene. Egli dice che la poca resistenza non argomenta discontinuità nelle parti : ma ciò non basta, perchè ’l Sig. Ga¬ lileo non argomenta la discontinuità dalla poca resistenza, ma dalla nulla; e però doveva il Sig. Colombo provar ohe la nulla resistenza non arguisce discontinuità; il che egli non ha fatto, nè farà mai. Posso ben io, all’in¬ contro, con maggior verità mostrar che la grandissima resistenza non ar¬ gomenta continuità, perchè veggiamo infiniti corpi sommamente resistere a tal separazione, e esser aggregati di parti solamente contigue. E chi dirà che il feltro sia altro che un aggregato di innumerabili peluzzi, congiunti io insieme per un semplice contatto? e pur è renitentissimo alla separa¬ zione. La saldatura di stagno e piombo, che attacca insieme due pezzi di rame, gli conglutina pure col semplice toccamente; e pur resiston tanto alla separazione. Grandissimo, dunque, è l’error di chi voless’argomentar la continuità tra le parti di un solido dal sentir gran resistenza nel se¬ pararle, potendo bastar alcuni semplici contatti a saldamente congiugnerle. Anzi io non trovo che il Sig. Colombo nomini e proponga corpo alcuno, del quale ci assicuri eh’ e 1 sia un continuo vero; e credo che s’eglio altri si mettesse a voler dimostrar concludentemente la continuità delle parti d’alcun de’nostri corpi, avrebbe che fare assai, e forse inutilmente: tantum io a beat eh’ e’ sia manifestissimo, conv egli suppone, che l’aria sia un continuo. Dico suppone, perchè la prova eh’e’ne produce, è, come l’altre, di niun vigore. La sua prova è, che se alcuno negasse la continuità nell’aria, bi¬ sognerebbe porvi ’l voto ; il che, dice egli, è 'inpossibile, e ne sfida ’l Sig. Ga¬ lileo a disputa, quand’egli pretendesse 1 contrario, e s’offerisce a ribatter le sue ragioni, ila perchè 1 Sig. Galileo non ha mai scritto di darsi o non darsi vacuo per l’aria, l’appello del Sig. Colombo è a sproposito ; e se pur egli aveva desiderio di correre quest’ arringo, toccav’ a lui a essere ’l primo a comparir con sue prove a destrugger ’l vacuo. E qui, discreto lettore, potrai far giudizio quanto il Sig. Colombo sia poco pratico del modo di 30 disputare, perche, sostenendo il Sig. Galileo la conclusione della disconti¬ nuità delle parti dell’acqua, e facendo il Sig. Colombo la persona dell’ar¬ gomentante, in questo caso vuol che ’l Sig. Galileo di cattedrante (per usare ’l proprio termine) diventi argomentante, non sapendo che chi difende conclusioni non argomenta mai : toccava adunque, come si è detto, al Sig. Colombo a produr ragioni contr* al vóto, o non offerirsi a rispondere a chi le producesse. Ma tornando alla materia, dice il Sig. Colombo reso- lutamente, non si poter negare nell’aria la continuità, perchè altramente vi sarebbe il vóto: dove io noto diversi errori. E prima, se l’inconveniente del darsi ’l vóto è mezo bastevole per provar la continuità nell’aria, perchè 40 SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 525 non bast’egli con altrettanta forza a provarla nell’acqua? e perche non dice il Sig. Colombo, non si poter negar nell’ acqua la continuità, perch’ al¬ tramente vi sarebbe ’l voto? anzi, se la discontinuità non può star senza ’l vóto (com’ e’ suppone nel dir che, se 1’ aria non fusse continua, necessa¬ riamente vi sarebbe M voto), la continuità resta molto più evidente nel- Tacqua che nell’aria; perchè molto più si può temer che ’l vóto si ritrovi nell’aria che nell’acqua, poi che l’aria si comprime e condensa assai con poca forza, e l’acqua non punto con forfca immensa. Di più, la conseguenza che ’l Sig. Lodovico si forma, dicendo che se nell’ aria non fusse la con¬ io tinuità vi sarebbe il vóto, è non solo non dimostrata, ma falsa. E donde cava il Sig. Colombo, che in quel corpo dove non è la continuità, neces¬ sariamente vi sia il vóto? non si può forse comporr’ un corpo di parti con¬ tigue solamente, senza lasciarvi il voto? egli ha pur osservate quelle far¬ inette da stampare eh’ e’ nomina nel suo Discorso, le quali, essendo composte di prismetti rettangoli, combaciano ’nsieme di modo, che posson riempier lo spazio senza lasciarvi il voto. E come s’è egli scordato che Platone at¬ tribuisce a’ primi corpuscoli componenti la terra la figura cuba, perchè que¬ sta sola tra’ corpi regolari è atta a riempiere ’l luogo e formar il suo solido densissimo? Ma perdonisi pure al Sig. Colombo un tal errore, che non può 20 esser conosciuto nè schivato se non da chi ha qualche lume di geometria; nè egli si dovrà arrossir di non aver inteso tanto avanti, poi che Aristo¬ tile medesimo, se bene intese questo, tuttavia non meno gravemente s’in¬ gannò, quando, per * tassar Platone in questo luogo, disse che non solo i cubi (confesso Platone avev’affermato), ma le piramidi ancora potevan riempiere ’l vacuo, accomodandole coi vertici di queste contro alle basi di quelle: errore veramente gravissimo, ma però tale che può scusarne un altro in Aristotile, quando e’ disse che i fanciulli potevano esser geometri ; perchè, se per meritar titolo di geometra basta saperne cosi poco, possono i fanciulli, e anco i bambini, esser matematici. Ma passiamo al quarto ar- 30 gomento, e veggiamo se in esso ’l Sig. Colombo si mostra punto miglior geometra che nell’antecedente. Pace. 18, v. 38 [pa^. 330, lin. 9-15] : Quarto, i corpi continui son tali, che non si può muover di quegli una jmrte, che non se ne muovano molte o tutte, se¬ condo la durezza o jlussibilità del corpo ; come, v . g., d’una trave non si può muover una parte, che non si muovan tutte e nel medesimo tempo : ma del - V acqua, perch* è tenue e jlussihile, se ne muovon molte quando il movimento è debole, e tutte quando e gagliardo, anche nel primo impeto . E che sia vero, gittisi un sasso nel mezo d* un vivaio; a quella caduta si farà un cerchio nell* acqua, e quello ne farà un altro eie . 40 Io voglio tralasciare in questo silogismo un error (come minimo), non 526 C0NS1DKRAZIONI so s’ io lo eleva dir di logica, o di memoria, o pur d’amondue ’nsieme: ed è che chi ben lo considererà, lo troverà esser un silogismo d’una proposizion sola, nella quale ’l Sig. Colombo si va diffondendo o allargando tanto, che si smarrisce, nò arriva alla minor proposizione, non che alla conclusione, fingendosi, dunque, un altro sintonia de* corpi continui, differente dall’altro posto nel principio di questo particolar discorso, dice, i corpi continui esser tali, che non si può muover di quelli una parte, elio non se no muova molte o tutte secondo la durezza o flussibilità del corpo (dal che primie¬ ramente, per necessaria consequenza, s’inferisce che quel corpo del quale si potesse muover una parte sola, senza muoverne altre, non sia continuo, io ma discreto, in dottrina del Sig. Colombo). Or, da queste parole si scorge primieramente che ’l Sig. Colombo s’immagina di poter prender nel con¬ tinuo una parte sola, e anco molte; cosa non intesa sin ora da verun ma¬ tematico, nò credo anche filosofo ili qualche intelligenza; i quali, intendendo come il continuo ò divisibile in porti sempre divisibili, comprendono, in consequenza, non si poter di esso prender una parte, che ’nsieme non se ne prendino innumerabili. Ma se quest' ù vero, come ò verissimo e noto ad ogni tenue discorso, il dire’l Sig. Colombo che del continuo non se ne può muover una parte elio non so ne innovino molte, ò ’l medesimo che dire che del continuo non si posson muover parti innumerabili che non se 20 ne muovino molte, poi che non ò nel continuo parte alcuna che non ne contenga innumerabili. Si aspetterà, dunque, che egli insegni il modo di poter prender del corpo continuo una parte sola. In’ oltre, conceduto al Sig. Colombo che si possa d’ un continuo premier una parte sola, e che egli intenda che al moto di quella necessariamente se ne muovino molte fuor di quelle che in lei si contengono, esaminiamo ’l resto delle sue conso- quonzo. Egli ammette esser alcuni continui do’quali al moto di una parte se ne muovon per necessità molte, e altri che al moto di una parte si muove necessariamente ’l tutto: ora io piglio un do’ primi continui, il qual sia AB, del quale mossa una parto sola, come, per esempio, la B, se ne80 muovino necessariamente molte, come, v. g., le C, D, E, restando immobile l’avanzo AF. Perche, dunque, al movimento di B si muovon necessaria¬ mente le C, D, E, ma non più, adunque ò possibile muover la parte E senza chesi muova il resto FA; se dunque si segheranno via le parti D, C, B, si potrà del rimanente EFA muover la parte E senza che si muova’l ri¬ manente FA: ma quel corpo (per dot¬ trina del Sig. Colombo) del quale si può muover una parte sola senza che si muovili 1 altre, ò discontinuato: adunque ’l corpo AFE ò discontinuo, e non continuo: cosa che è contr’ all assunto, che fu che tutto ’l c.oipo AB 40 SOrRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 527 fusse continuo. Bisogna, dunque, che ’l Sig. Colombo trovi altre proprietà del continuo, per ben distinguerlo dal contiguo. Ma posto anco che tanto quello quanto questo fossero aggregati di parti quante e determinate, come bisogna che ’l Sig. Colombo si abbia imaginato, poi che ha creduto potersi del continuo prender una parte sola senza prenderne molte ; o posto ancora che ’l continuo differisse solamente dal contiguo perchè le parti di questo fossero staccate, e di quello attaccate insieme, ond’ egli abbia stimato po¬ tersi nell’aggregato di contigui muover una parte senza muoverli’altre, ma non già nel continuo ; non però dimostr’ egli cosa veruna contro la io discontinuità dell’acqua, e l’esperienze eh’ e’ produce son fuor del proposito e male ’ntese e peggio applicate. Imperò che, se ben, v. g., d’un monte di miglio, che ò un aggregato di parti discontinuate, se ne può muover un sol grano senza muovern’ altri, ciò non si farà operando inconsideratamente, con buttarvi dentro, v. g., una pietra o agitarvi un bastone, perchè ’n questa guisa si muoveranno, oltre a’ grani tocchi dal sasso o dal legno, moltissimi altri, e vi si farà grand’ agitazione e perturbazion di parti : ma chi vorrà muo¬ ver un sol grano, bisognerà che con un piccolo stilo ne tocchi un solo, e con gran diligenza lo spinga da una parte, e tanto maggior ©squisitezza vi bi¬ sognerà, quanto i corpuscoli componenti saranno più sottili ; onci’io credo elio 20 con gran fatica anco il Sig. Colombo stesso potrebb’ andar separando l’un dal- l’altro, movendoli’ un sol per volta, i grani del cinabro e dell’azurro finissimo. Veggasi, dunque, quant’ò vana e fuor del caso l’esperienza del Sig. Colombo per provar la continuità dell’ acqua col gettarvi dentro una pietra, e osservar che al moto delle prime parti tocche dal sasso se ne muovon altre. S’e’ vo¬ leva servirsi di tal prova, bisognava prima eh’e’ ci insegnasse a determinar le parti dell’acqua, sì che noi sapessimo pigliar una sola senza prenderne molto, e che poi ci desse strumenti così sottili e maniera d’operar cosi diligente, che noi potessimo muover una di dette parti, al cui moto ci si facesse poi manifesto che di necessità molt’ altre si movessero. Ma in tal 30 operazione, quando far si potesse, credo che l’esperienza mostrerrebbe ’l contrario di quel che ’l Sig. Colombo si pensa; perchè sì come in un molile di sottilissima polvere si vede un leggier venticello andarne superficial¬ mente levando molte particelle, lasciando l’altre immote, così crederò io che i medesimi venti vadano portando via con i loro sottilissimi aliti le supreme particole dell’acqua d’un panno o d’una* pietra bagnata o dal¬ l’acqua contenuta in un vaso, non movendo altre parti che le sole che si separano da quelle che restano: e se noi volessinv ancora strumenti più sottili e operazion più esquisita, direi che guardassimo i raggi del sole, osservando con quanta di ligonza vanno separando le supreme e minime •io particole dell’acqua, le quali dall’esalazion ascendente vengon subblimate, 5!28 CONSI DKK AZIONI ed essendo ridotte forse ne primi corpieelli componenti, boxi a noi invisi¬ bili a una a una, e Bolo ci si inani testano moltissime ’nsieme sotto specie di quel che noi chiamiamo vapore o nebbia o nugole o fumi o cose tali. Ohe poi vento gagliardo sollevi l’arena e ce la rappresenti discontinua e polverizatu, e ciò non faccia nell onde del mare, le quali ritengon le parti dell’acqua unite (che è un’altra dell’esperienze del Sig. Colombo), ciò non avvien, comV crede, perchè le parti dell’acqua sien continue; anzi procede dall’esser loro sommamente discontinuate, e dall’esser tanto, tanto e tanto piccolo, che tra esse non possono entrar le particole dell’aria commossa per separarle e sollevarle in profondità, ma solo va portando via le superficiali, io e le altre conunovendo con la sua immensa forza : ma perchè i grani del- l’arena son tanto grandi, che tra essi non solamente posson penetrar le particole minime dell'aria, ma continuamente ve no sono mentr’ella è asciutta, quindi è che i cavalloni (per usare ’1 termine del Sig. Colombo) dell’acqua si oommuovon solamente e non si dissolvono, ma quei dell’arena si commuovono e dissolvono ne’ lor primi grani componenti. Mette’n questo luogo alcune interrogazioni il Sig. Colombo, domandando che altro possa cagionar l’ondeggiar di quelli arginetti bistondi intorno al¬ l’assicella, se non la corpulenza dell’acqua; domanda anco chesimileffetto se li mostri ne* corpi che non son continui: ma s’io avessi a mostrargli e ’nse -20 gnargli tutto quello eh’ e’ non vede e non intende, non verrei mai a fine di quest’ opera. Pure non voglio restar per questa volta di avvertirlo d’uri tra¬ passo eli’ e’ fa nella prima delle due ’nterrogazioni, dove, dovendo concluder la continuità dello parti dell’acqua, ne conclude in quel cambio la corpu¬ lenza; quasi che i corpi discontinui manchino di corpulenza, e che aver corpulenza sia altro che esser corpo. Ma rispondendo al suo intrinseco'ri¬ tento, dico primamente, esser verissimo che i corpi che fossero veramente continui, avrebbon le parti attaccate insieme; anzi, quanti’e’voless’anco che le fossero attaccate in maniera che per modo alcuno non si potesser separare, forse ’1 Sig. Galileo gliel’ammetterebbe : ma non vai già’l con-so verso di tal proposizione, che tutti i corpi le cui parti stanno congiunte, si che non si separino senza violenza, sien di necessità continui, come di sopra ho mostrato. E quando nell’ altra ’nterrogazione ’l Sig. Colombo do¬ manda che se gli mostri un tal effetto, cioè d’averle parti coerenti in un corpo che non sia continuo, senza molto dilungarsi gli dico che guardi i medesimi arginetti dell’acqua, i quali si sostengono e son d’un corpo di¬ scontinuo, nou avendo egli nè altri per ancora provato l’acqua esser con¬ tinua. Non vi accorgete, Sig. Colombo, quanto frequentemente incorrete nell'error di suppor quel che è in questione? Face. 19, v. 12 [pa*. 880, lin. *2-23J : Voi no moni rate V esperitimi, dell’acqua^ SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 529 esser il corpo continuo, quando mettete 'l cilindro, cioè una colonna, in un vivaio etc. Séguita il Sig. Colombo di voler convincere ’l Sig. Galileo con T espe¬ rienza addotta, ben che in altro proposito, da lui medesimo ; e produce una colonna che si tuffi successivamente in un vivaio, dove quando si parton dal luogo, nel quale entra la colonna, quelle parti d’acqua che occupavan quello spazio, successivamente tutte le altre si mietano ; il che non furiano se ’l corpo non fusse continuo, ma di parti disgregate e divise (dice egli) dal tutto, come Varena e la farina ammassata. Dato e non conceduto tutto questo di¬ io scorso, io non veggo che il Sig. Colombo mi provasse altro, se non elio V acqua non fa Tistesso effetto nel porvi dentro un solido, che fa l’arena o la fa¬ rina; mache perciò e’possa inferire: « Adunque l’acqua non ha le parti discrete », non segue altramente, se prima e’ non mi prova che tutti i corpi discontinuati, nel mettervi dentro un solido, faccino ’l medesimo elio barena e la farina. Dove io per sua intelligenza 1’ avvertisco, che diversi aggregati di parti discrete fanno diversi effetti nel mettervi dentro un solido, se¬ condo che dette parti saranno di questa o di quella figura, di superficie aspra o tersa, di peso maggiore o minore. Se ’l vivaio fosse pien di glo- betti, meglio vi s’immergerebb’ un solido, che se fusse pieno di dadi, perchè 20 quelli sfuggendo risalterebbon sopra facilmente, e questi con gran difficili tà* più facilmente cederebbe la crusca, che se fussero scaglie di ferro, essendo quella men grave di queste ; ma se i globetti fussero di perfettissima figura sferica e ©squisitamente lisci, nè più gravi in specie del solido che vi ,si dovesse porre, speditissimamente cederebbono, e di più, nel cavarne fuori ’l solido, tornerebbono a spianarsi egualmente senza lasciar cavità veruna, il che non faranno altre figure angolari e scrabrose. Perchè, dunque, io trovo al Sig. Colombo un aggregato di parti discontinuate, che cede fàcilmente all’ immersion d’ un solido e scorre prontamente a riempier lo spazio, può molto ben creder che l’acqua ancor essa poss’ esser un simile. Mi mera- so viglio ben sommamente eh’ e’ soggiunga, per levar (com’ e’ dice) l’occasion del sottilizare (ed .ha ben cagione di sfuggire ’l sottilizare, perchè le prove sue non averanno mai, per mio credere, apparenza di concludenti, se non dove con poca sottigliezza si filosofasse), soggiunga, dico, che la rena, ca¬ vatone la colonna, non fa l’effetto dell’acqua, perchè le parti di questa tornano a riempiere il luogo e resta tutta la superficie piana, ma non già le parti di quella, anzi ne cade una parte e non finisce di riempiervi ; ina- ravigliomi, dico, come il Sig. Colombo sì presto contradica a sè medesimo, o, per dir meglio, voglia che l’istesso accidente serva per provar egualmente conclusioni contrarie. Dieci versi di sopra, dal sostenersi che fanno gli ar- 40 ginetti dell’acqua, ne ha argomentata la sua continuità, e ha creduto che IV. 67 530 CO N SII) KR A Z TONI xm tale effetto non posa’aver luogo in un corpo discontinuato; e ora, dal veder 1* istesso effetto negli argini della rena, cioè che si sostengon senza scorrere a riempier lo spazio tramosso, o che quelli dell’acqua non si so¬ stengono, n’inferisce parimente, l’acqua esser continua e non come l’arena: tal die ’l suo discorso, ridotto al netto, cammina così : « Perchè gli arga¬ netti dell’acqua si sostengono, l’acqua è continua », e in oltre: « Perchè gli arginetti dell’acqua non si sostengono come quei della rena, però l’acqua è continua » : dove che, per maneggiar bene le sue promesse e esperienze, il discorso doveva proceder così: « Se gli argini dell’acqua, perchè si sosten¬ gono, fosser argomento di continuità, molto più continua sarebbe la rena, io die più si sostiene; ma perchè la rena di certo è discontinuata, adunque’l sostenersi dell’acqua può stare con la discontinuità delle sue parti». Bi¬ sogna dunque al Sig. Colombo scoprir altri particolari nell’acqua, e altri in un aggregato di parti sicuramente disgiunte, se vuol produr ragioni al¬ inea apparenti per la sua conclusione. Face. 19, v. 23 Ip^k. 880, li». 33-35] : Non possono in modo alcuno i corpi flambili, toccando altri corpi della natura loro, star separati com’i corpi sodi, ma si mescolano e uniscono, se non vi e qualità repugnauti per qualche acci¬ dente eie. Passa ad un’altra considerazione, e dice che % corpi Jlimibili, toccando 20 altri coipi della natura loro, non posson in modo alcuno star separati com i corpi sodi, ma si mescolano e s uniscono, se non vi sono qualità repugnanti 2 >er qualche accidente etc. Qui se li potrebbe conceder tutto ’l discorso; perchè, primieramente, non inferisce nulla assolutamente, essendo non un silogismo, ma una sola proposizione, independente dalle cose antecedenti e senza connessione alcuna con le seguenti, ond’ella resta sospesa e vana. Secondariamente, (piando ben altri si contentasse di prenderla cosi in aria, non troverà in lei cos’ alcuna attenente al proposito di che si tratta; av¬ venga che, in vece di provar che l'acqua sia un continuo, propone sola¬ mente, lei come flussibile mescolarsi con gli altri fluidi della natura sua, so proprietà che non competo a’ corpi sodi. E finalmente, se tal discorso si considera con attenzione, cavandone quel più di sostanza che trar se ne possa, si troverà concluder tutto l’opposito di quel che era in mente del suo autore, dico stando anco dentro a’ termini della sua medesima dottrina. E prima, io non credo che ’l Sig. Colombo sia pei’ metter difficoltà nel conceder, la continuità esser assai meli dubbiosa ne’ corpi solidi e duri, come sono i metalli, le pietre, le gemme e simili, che ne’fluidi, come l’ac¬ qua, T aria etc., e massime se riguarderà la sua prima definizione, che fu che LI corpo continuo era tale, che di esso non si poteva muovere una parte che non se ne movesser molte 0 tutte ; e a tutti gli uomini credo che sia 40 SOPRA ’li DISCORSO DEL COLOMBO. 531 manifesto che, v. g., al moto di una parte di un diamante si muoverà il tutto, se ben liisse grande come una montagna, il che non seguirebbe con tanta necessità e evidenza in altretant’ acqua o aria, della quale se ne può muover qualche parte senza muover il tutto. Ora, stante questo, e posto di più per vero quel che al presente egli scrive, cioè che i corpi sodi (U quali già in dottrina sua son sicuramente di parti continuatissime), toc- chinsi quanto si vogliono, non per questo si mescolano nè s’uniscono, e che, per T opposito, i flussibili non posson in modo alcuno toccarsi senza me¬ scolarsi e unirsi, si potrà di tali proposizioni formar contro al Sig. Co¬ lo lombo tale argomento : Quei corpi li quali indubitabilmente son continui, toccandosi non si mescolano nè s’uniscono ; ma i corpi flussibili, come l’acqua, toccandosi, necessariamente si mescolano e s’uniscono; adunque il necessariamente mescolarsi e unirsi de’ corpi fluidi molto più probabilmente arguisce in loro la discontinuità che la continuità. Or quali irrisioni areste voi, Sig. Colombo, usate verso il Sig. Galileo, se mai vi fuss’ accaduto ’l ritorcergli contro in simil guisa alcun de’ suoi argomenti ? Ma io altre cose considero in tal discorso. E prima, voi stesso vi scoprite e manifestate manchevole nel vostro argomentare, mentre dite che i corpi flussibili, toc¬ candoli’altri della natura loro, non posson in modo alcuno non mescolarsi, 20 e poi soggiugnete : se però non vi sono qualità repugnanti per qualche acci¬ dente, dal che s’inferisce, che quando vi fosser tali qualità, potrobbono non mescolarsi: e se questo è, cioè che mediante tali qualità potrebbono non mescolarsi, chiara cosa è che ’n qualche modo possono non mescolarsi ; come dunque dite avanti, che non possono non mescolarsi in modo alcuno? In oltre, questo che voi dite è manifestamente falsissimo, perchè il vin rosso, mosso con diligenza sopra il bianco, lo tocca, nè punto si mescola con lui: ma se per sorte voi aveste questa rossezza e bianchezza per di quelle qualità repugnanti per accidente e proibenti il mescolamento, e voleste che tali corpi flussibili fossero della medesim’essenza e qualità per appunto, io so vi proporrò un mezo bicchier d’acqua, e vi dirò potersi sopra quella ag- giugnerne altra, la quale la toccherà senza mescolarsi con lei. Ma senza altre fatture, la metà dell’acqua che è in un vaso, non tocch’ ella l’altra metà senza mescolarsi seco? Non credo però che voi crediate che ella stia in un continuo rimescolamento. Ma più vi dico, per maggior intelligenza, che si posson far due vasi di vetro congiunti insieme, uno superiore all’ altro, li quali communichino per un canaletto non molto largo; e se l’inferiore si empierà di vin rosso e quel di sopra d’acqua o di vin bianco, si vedrà il vin rosso ascendere, e calare il bianco o l’acqua superiore, e passar l’uno per l’altro liquore senza confondersi e mescolarsi; e in somma vedremo ’l 40 solo contatto non bastar per fare ’l mescolamento, ma bisognarvi qualche 532 CON6IHKK AZIONI agitazione e commozione. E più dirò, elio chi bon considera questo mesco¬ lamento, credo che da esso trarrà più presto coniettura di discontinuazion delle parti de’ corpi che si mescolano, che per l’opposito ; perchè, se io metterò due corpi solidi ’nsieme, ancor che alcuno molto gli commovesse o agitasse, mai non si mescoleròbbono; ma se i medesimi si dividessero in molte parti, questo più agevolmente si confonderebbono e ci apparirebbono mescolarsi; e finalmente, molto più farebbon ciò se in sottilissima polvere si risolvessero, che è quant’ a diro che sommamente si discontinuassero. Ora, perchè le parti de i fluidi agitate e commosse assai prontamente si con¬ fondono o mescolano, quindi è che molto ragionevolmente discontinuatis- lo simi si devono stimare: e veramente io non mi saprei mai immaginare come e perchè duo corpi veramente continui, nel congiugnersi si dovessero o potesser mescolar insieme e confondersi ; ina ben senza mima ropugnanza intendo potersi fare il mescolamento tra corpi discontinuati e dissoluti in parti minime innumerabili. Face. 19, v. 27 |pag. sao, Un. 86 - 38 ] : Ma non si vede questo anche ne’misti, che son comporti di natura contrarie? Il corpo limano c tutti gli altri corpi ile gli animali, non son continui ? Domiti, che voi diciate clic sien le parti se¬ parate dal tutto ? etc. Qui passa il Sig. Colombo a voler dimostrare che anco no’ misti si trovi 20 una continuità di parti, benché composti di nature contrarie, e dice: Il corpo umano e tutti gli altri corpi dalli animali non son continui) Domiti, che voi diciate (sóguita egli) che sien le parti separate dal tutto etc. . Io non so a che proposito faccia sì gran trapasso, conforme al suo terzo artifizio, dicendo che gli uomini e gli animali sien corpi continui: e veramente questa mi è giunta la più nuova e inaspettata proposta del mondo, perchè, concedutaglieran¬ che, non però sóguita che l’acqua, della qual sola si disputa, sia un con¬ tinuo. E posso concedergli che gli uomini e gli animali e tutte le altre cose sien continue, eccetto l’acqua, e tanto basterebbe per piena risposta in questo luogo; ma non voglio restar d’ avvertirlo d’altr orrori eh’e’ com- 30 mette. E prima, egli medesimo reprova sè stesso, per non si ricordar di ciò che poc’avanti aveva scritto. Disse di sopra, circoscrivendo ’l corpo con¬ tinuo, quello esser tale, che di esso non so ne poteva muover una parte senza che se ne muovesser molte o tutte; dal che, come notai, per neces¬ saria consequenza, nella sua dottrina ne seguita, che quel corpo del qual se ne potesse muover una parte senza muoverne molte o tutte, non lusso un continuo, ma discreto. Ora, stanto questa determinazione, dico al Sig. Co¬ lombo che io posso muovere un dito di un uomo, un occhio, un orecchio, un capello, il sangue, il fele, la milza e altre parti uno, senza muover-^ SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 533 n’altre; adunque per la sua medesima dottrina, o V uomo non è un con¬ tinuo o egli imperfettamente ha circoscritto osso continuo : e se forse e’ dicesse che queste non son parti urie, ma che ciascheduna ne contien molte, toccherà a lui a dichiarar quali sono lo parti ime, e a mostrar che elle non si posson muover sole. Seguita di meravigliarsi che altri volesse dire che ritorno avesse le parti separate dal tutto, e che esso non fusso un uomo, ma. una massa di piu corpi. Prima, tal meraviglia è superi!ua, non avendo il Sig. Galileo detto mai che ritorno non sia uno nè continuo; di più, io non so come ’l Sig. Colombo possa non conceder che almeno ’l io sangue, gli altri umori e gli spiriti non siano divisi da i vasi che gli con¬ tengono. Nè veggo, appresso, perchè l’uomo non possa esser uno, essendo composto di alcune parti contiguo solamente; in quel modo che le parti che formano un orivolo, e che concorron con diversi movimenti a un mo¬ vimento solo primieramente inteso, son tra di loro solamente contigue, e tali è necessario che sieno, dovendo far tanti moti differenti, non potend’ un vero continuo esser capace d’altro che d’un moto solo : anzi è necessario che la carne tutta, sì come anco l’esperienza stessa ci mostra, sia diversi aggregati di innumerabili filamenti per differenti versi ordinati, altramente non si potrebbon fare i movimenti varii che si fanno; perchè nel corpo 20 che fusse veramente continuo, non cade distinzione di positura di parti, e come questa non vi fusse, un muscolo non potrebbe tirar più per questo verso che per quello, ondo o non si farebbe moto alcuno o inordinatissimo e senza alcuna prescrizione. In oltre, la continua traspirazione e ’1 ricorso che fanno gli spiriti più sottili por tutte le parti, argumentano una somma discontinuazione nella sustanza, non si potendo intendere come un corpo continuo possa penetrar un altro continuo. E in somma, se il Sig. Colombo non m’avesse con sue maniere di discorrere messo in dubitazione, io avrei sempre tenuto per fermo che un uomo non potesse mai esser talmente continuo, che in lui niente fosse di discreto. Da questi argomenti conclude 30 il Sig. Colombo la continuità dell’ acqua, e volto al Sig. Galileo dice: Siate voi ancor chiaro f che V acqua sia un corpo continuo, e che le sue parti sieno unite , e non separate e ammassate come la rena ? Ma di qual valore siano tali sue prove, credo ormai che possa esser noto da quant’ ho detto. Face. 19, v. 38 [pag. 331, lin. 5-7] : Seguita a scrivere : In conseguenza della continuità, non credo che neghiate la viscosità e corpulenza : perchè io vi do¬ manderò, d'onde nasca che i corpi misti si tengono uniti e attaccati insieme. Qui, conforme al resto, argomenta il Sig. Colombo a rivescio di quello che dovrebbe, ponendo che la viscosità nell’ acqua necessariamente conse¬ guiti alla continuità, dove M porla è assolutamente superfluo, nè v’ ha ella 40 che far nulla; perchè ’l corpo che fusse veramente continuo, non ha bisogno 534 CONSIDERAZIONI di visco o colla olio tenga unito le sue parti, ma ben con ragione si può domandare qual sia il visco elio tion attaccate lo parti di un aggregato discreto: o così ragionevolmente domanderà alcuno, qual sia il glutine che tiene attaccate lo parti di una tavola commessa di mille pezzetti di marmi- ma il ricercar tal viscosità in un sol pozzo di marmo, elio torso, secondo il Sig. Colombo, è un corpo solo continuato, sarebbe ben gran semplicità: e però se l’acqua ò un continuo, non si ricerca in lei viscosità alcuna. Non vien, dunque, in vorun conto la viscosità in consequenza della con¬ tinuità. Oltre die, io non so quanto ben in dottrina peripatetica si possili ai corpi semplici o primi attribuir altre qualità che le prime. Porose ilio Sig. Colombo fosse qual e’ pretende di persuadere, cioè filosofo peripatetico, doveva pensare che la viscosità, come qualità non prima, non può compe¬ tere a’ corpi semplici. Quanto poi al quesito che e’ fa, cV onde nasca che i corpi misti si tengati uniti e attaccai' insieme, io non voglio per adesso met¬ termi a determinar questo problema, il (piale io stimo esser molto piu difficile di quello che lo reputi il Sig. Colombo; ma dirò bene che l’attri¬ buirlo alla viscosità dell’acqua nella maniera che egli fa e per gPindizii che e’ n’adduce, non mi par che concluda cosa alcuna, perche con altret¬ tante o più conietture o esperienze si concluderà tutto ’1 contrario. Egli dice che questo attaccamento non può venir dalla terra, perchè, essendo 20 arida, non ha viscosità nè unione, e però non può darla ad altri; e però conclude, nascer dall'acqua. Ora io, fermandomi su questa regola addotta dal Sig. Colombo, che altri non possa dar quello che non ha per sè, dico elio parimente convissi elio di necessità segua ohe, dando altri di quello che ha, non ne possa dar più die egli stesso ne possiedo, perchè se ne desse più, verrebbe in consequenza a dar quello che e’non aveva; il che sarebbe contro alla regola. Se dunque nel misto la terra non apporta te¬ nacità alcuna, non ne avendo per se, ma tutto vien dall’acqua, adunque 0 bisogna diro che l’acqua, contro alla regola, dia quello che non ha, 0 che ella sia più viscosa e tenace di tutti i misti; il che è tanto falso, quanto30 che si vede in infiniti misti una viscosità e tenacità di parti grandissima, e nell'acqua si disputa so ve ne sia punta, anzi, per meglio dire, è mani¬ festo non ven’esser tanta che sia sensibile. Ili oltre, chi di fermo discorso s’indurrà a creder che dall’acqua dependa la tenacità con la quale le parti della terra s’attaccano insieme, vedendo noi per esperienza che le mede¬ sime parti molto più fissamente si tengono dopo che, seccandosi la terra, il sole ne averà estratta l’acqua? Ma più, se noi considereremo quali oftetti cagionerà il fuoco nella medesima massa di terra rasciugata, osservando come prima egli raddoppia la tenacità, poi gliel’accresce ancora eguale a quella dello pietre, e finalmente la vetrifica, chi non dirà esser forza io SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 535 (stante la proposta regola) elio il fuoco sia mille volte piu viscoso dell’ ac¬ qua, conferendo egli una tanta consistenza e tenacità di parti? tutta via io non credo che il Sig. Colombo lo reputi tale. Voglio per tanto inferire che egli è molto lontano dal ben filosofare circa questa materia difficilis¬ sima, mentre va fondandosi sopra tali regolo ed osservazioni, dalie quali (se altrimenti non vengono maneggiate) non si trarrà altro che confusione, mostrandosi piene di contrarietà. Eccovi che l’acqua ammollisce o dissolvo molte gomme, come V arabica e altre di diversi alberi e draganti ; ma un simil effetto fa il fuoco nella cera, nella pece, nel mastice o in cent’ altri io bitumi: l’olio mescolato con la cera gli scema la viscosità, ma aggiunto alla pece greca gliel’ accresce fuor di modo : il fuoco indurisce il pano, e l’acqua lo dissolve; all’incontro il fuoco dissolve quella massa di gesso che poco innanzi con l’acqua s’ora impastato e ridotto duro come una pietra. Quante ragie, colle o bitumi ci sono, che sentendo ogni piccola umidità mai non attaccano, ma vi bisogna ’1 fuoco! Come dunque ne’ misti la viscosità noìi vien se non dall’acqua? Anzi i legni che son attaccati con la colla, sentendo 1’ umidità si staccono : or veggasi ciò che faranno le parti dell’acqua, che non son mai senza l’umido. E per levar al Sig. Co¬ lombo l’occasione di multiplicar gli errori con l’introdur qualche distin- 20 zione di per modum recipientis etc., consideri il zucchero e altre materie che si dissolvono dall’acqua e anco dal fuoco. Dice il Sig. Colombo che l’acqua dà tanta tenacità alla farina, che s’attacca e divien come colla; ma d’ onde sa egli che non sia piu presto la farina che dia la viscosità al- Tacqua? anzi questo ha per avventura più del verisimile, perche questa, che è seconda qualità, con più ragione si può creder che risegga nella fa¬ rina, come corpo misto, che nel semplice elemento dell’acqua; e di più l’esperienza ci mostrorrà, le parti della farina non esser meno coerenti che quelle dell’acqua, perchè io credo che un uomo più facilmente camminerà per l’acqua standovi dentro sino alla gola, che se stesse nella farina. Nè 30 occorre che il Sig. Colombo apporti in contrario l’esperienza delle parti dell’acqua che si sostengono, come si vede nelle gocciole, perchè, per so¬ stenersi così, non ci è bisogno di viscosità, bastando il semplice toccamente ©squisito, come appare in molte falde di vetro ben piane e terse, le quali tutte si sostengono col semplice toccarsi : anzi veggasi quanto sia debole noli’acqua questa virtù per la quale le sue parti si sostengono, che, non se ne potendo sostenere ’n figura di gocciola se non piccolissima quantità, come se gli comincerà a aggiugner della farina, le gocciole si potranno reggere assai maggiori, tal che con molta farina si reggeranno moli gran¬ dissime di pasta, le cui parti resteranno anco tanto più coerenti, quanto 40 più si verrà scacciando l’acqua tra esse contenuta. Non si può dunque dire, 531) CONBlDEIt AZIONI questa tenacità riseder più nell’ acqua che nella farina. Credo bene che con molto più verità si possa dire, che '1 voler argomentar da simili esperienze, e col suppor per vera la regola ilei turno dat etc., o del propter quod unum- quodque tale etc., sia un perdimento di tempo; perché, quanto all’espe¬ rienze, ci porranno, corno ho detto, in grandissimo contusioni, e ci ridur¬ ranno a quelle estreme miserie, per risponder all’opposizioni insolubili, di formarci strane chimere di umidi innati o radicali (a 1 quali ricorre ’l Sig. Co¬ lombo), che eccitati dal fuoco, con l’aiuto dell’umido dell’acqua, vengono in superficie della farina e in manifesto, e si congiungono con l’umido estrano, o partito poi restrano vi rimangon loro a far l’uffizio medesimo io di tener congiunte lo parti, il che non posson fare senza quell’ umido strano, perchè il fuoco abbrucerebbe la farina, non avend’ ella umido a bastanza per difendersi etc.: le quali fantasie se fussero tanto vere e dimostrate quanto son con franchezza profferite, basterebbono per nquistar gran cre¬ dito a’ loro ritrovatori. Quanto poi allo regole, credo che abbino bisogno di tante limitazioni, olio più siono i casi eccettuati elio i compresi sotto quelle. Lo stagno è metallo molto tenero, e pure mescolato col rame gli dà una durezza grandissima : l’acciaio riceve estrema durezza dal fuoco e dall’acqua insieme, anzi dall’aria ancora, con la qual si temperano coltelli e spade di tempera meravigliosa, movendo il coltello infocato con gran 20 velocità conti*’all’aria: un canapo riceve dall'umido gran durezza, e dal caldo si ammollisce : una corda di minugia fa tutto ’l contrario. Posso dun¬ que dir con ragion al Sig. Colombo quello che egli senza ragione dice al Sig. Galileo alla face. 17 [p»k- 328, lin. 30 - 30 J : Non concludono cosa alcuna i vostri sofìstici e fallaci argomenti. Face. 20, v. 10 [|>R(f. sai, Un. 17-20) : Ricordatevi, a car. 5G fp«g. 122, lin. 10-15], clic voi fate abbassar la testa all’amico, e gli mostrate che, nel cavar l’assicella fuor del¬ l'acqua, l’acqua seguita sopra’l suo livello, per la grossezza di una piastra, dì star attaccata alla superficie di sotto etc. Perchè ’l Sig. Colombo ha tolto a impugnare ’l vero e difendere 1 so falso, quindi è che ogni sua ragione e ogn’esperienza semp re 0 si ritorcerà contro di lui o si mostrerà molto lontana dal proposito. Egli ’ntende di voler provare la continuità e viscosità nelle p arti del- Pacqua; per lo che produce l’esperienza d’una falda, che n ell’esser estratta fuor dell’acqua, vien seguita da un’altra falda d’ acqua che gli aderisce : e non s’accorge che quest’ esperienza fa contro di lui. P erch è io non credo già ch’egli stimi che dell’acqua e della falda di piombo 0

    La stampa : aderenza. IV. «8 938 ('ONSU)KR AZIONI loro Altezze, «« bene il Sig. Coloni ho, por avvilirlo, lo propone come esempio di donne; e veramente, come parto di quell’inpegno, muov’assai, parendo di prima fronte che, so l’acqua fa esser continua Infarina, essa dobb’ esser molto più tale. Ma considerando meglio, si vede che da questo modo d’argomentare, f come dif¬ fusamente s’ò discorso di sopra, 1 si può parimente concluder tutto ’l contrario, perchè l’acqua dissolve quei corpi che son tenuti continui, come biscotto, zolle di terra, pezzi di calcina ; anzi tutti i corpi metallici, che pur son di parti coeren¬ tissime, si dissolvono in particole minutissime con liquidi com’acqua: sì che si potrebbe concluder t por i la discontinuità, dell’acqua, ogni volta che il modo d’ar¬ gomentar del Sig. l’apazzoni avoss’auto efficacia, dicendo : Quel corpo che discon-io tinua gli altri corpi, è discontinuo; l’acqua gli discontinua; adunque l’acqua è corpo discontinuo. E sia con paco di quel signore, al quale fu risposto dal Sig. Galileo quanto bisognava o conveniva: o se il Sig. Colombo fusse stato pre¬ sente alla disputa, son sicuro che o’ non arebb’auto occasione di ri¬ dursi a questi termini, di stampare atti e parole di questo e di quello, occorse in congressi particolari, e massime non v’essendo egli inter¬ venuto, o ’n conseguenza non sondo sicuro di scrivere ’l vero; o ve¬ ramente io credo che’n tutti i libri de’ filosofi non s’abbino esempli di così fatti lìlosofamenti. Comprenda ’l giudizioso lettore da questo, e da simili altri luoghi, con qual affetto si sia inesso quest’autore a 20 scriver questo contradizioni, t Che poi ’l Sig. Galileo rispondesse a suf¬ ficienza al Sig. I’apazzone, lo potrà conietturar il Sig. Colombo e ogn’al- tro da queste cose elio ho scritte io, le quali posso chiamar rigaglie d’alcuni ragionamenti che ho sentiti in più volte incidentemente fare al Sig. Galileo; e son sicuro che quand’e’ si mettesse a trattar ex jirofesso quest’argomento, arebbe da dir molto più. 1 Face. 20, v. 29 fpag. sai, lin. sa 36): Impcrochè si risponde, che è Tumido ad ogni modo che lo lieti insieme, e sì come Tumido dell'acqua aggiuntavi, mentre che non !u cacciato, lo tenne unito c continuo, così con l’aiuto di quello ctc. Di quest’umido radicale, che viene in superficie e’n manifesto, non so che 30 altro dire, solo che avrei desiderato che ’l Sig. Colombo spiegasse in che corpo 0 parte di corpo è quella superficie dove l’umido viene, e come egli se n’avvede, e come viene in manifesto: moltitudine 1,1 di conclusioni tutte ignotissime, come quelle che son remotissime e dal senso e dalla ragione, nè, per mio credere, hann’altra 1. avanti S. A., te bene — in Una terza mano sostituì «calcina» a titudino * (cambiato poi nella stampa in « calze », che è di pugno del Castelli. moltitudine) a « faragine », cho aveva sciitto ^ Una terza mano sostituì nel cod. - nuli- il Castelli. SOPRA ’L DISCORSO DEI, COLOMBO. 539 esistenza che la chimera che altri si figura; modi d’argomentare che, se avesser alcun’ efficacia, saria facilissima cosa ’l provare qualsivoglia mostruosa strava¬ ganza. Se dunque ’l Sig. Colombo non ne fa altra prova, dirò che il dubbio risoluto con discorso non intelligibile resta molto più intrigato che sciolto. L’esempio dell’argento fuso non dichiara nulla, anzi riduce sempre a concetti e conclusioni molto più astruse. Face. 21, v. 14 [pai?. 332, lin. 17-19): Aggiungo che tutti i corpi che si distendono e son flussióni, son continui e viscosi; che perciò le parti, stand'attacat’ insieme, seguon tutte le prime che si muovono e si dilatano. io Che (,) tutti i corpi che si distendono e son flussibili, sien continui e viscosi, non solamente non deve esser supposto per vero e noto, ma ha tanto maggior bisogno di prova, quanto molte esperienze ci mo¬ strano ’l contrario. Moltissime polveri finissime si distendono e son flussibili, come, v. g., quelle de gli orivuoli ; nè però sono un corpo continuo, nè viscoso. In oltre, se all’esser continuo e viscoso ne vien • in conseguenza che tutte le parti seguitin le prime che si muovono e si dilatano, come qui scrive il Sig. Colombo, adunque i corpi de’ quali le prime parti che si muovono e si dilatano non son seguite da tutte Paltre, non saranno nè continui nè viscosi: ma tale appunto è l’acqua; 20 perchè se da un vaso d’acqua io ne solleverò una particella, tuffan¬ dovi prima un dito e poi tirandolo fuora e lentamente alzandolo, tutte l’altre parti non seguono altrimenti quella che aderisce al dito, ma l’abbandonano; e, quel che più importa e deve esser considerato, non tutta l’acqua si separa dal dito, ma gliene resta attaccata una parte ; onde si scorge che più facilmente si separano le parti dell’acqua l’una dall’altra, e meno stanno attaccate fra di loro che al dito o ad altro corpo: e perchè non si può dir che dell’acqua e del dito si sia fatto un continuo, adunque molto meno ciò si potrà inferir delle parti del- W In luogo del tratto da « Che tutti i corpi * a « essi metalli » (pag. 541, lin. 25), nel ma. ai legge, di pugno del Castelli, un altro brano, che contiene parecchie delle cose qui dette. Da « Che tutti i corpi » a * nostro intendimento » (pag. 541, lin. 5) si trova invece, di mano di Galileo e con leg¬ gere differenze a confronto della lezione della stampa, in un foglio che forma ora la car. 22 del T. XIII della L\ II. Precedono sul medesimo foglio queste parole, scritte di un carattere che anco altre volte compare ne’co¬ dici galileiani, forse quello d’un amanuense di cui il filosofo si serviva: « Che tutti i corpi che si distendono e son flussibili sieri continui e viscosi, ha bisogno d’esser dimo¬ strato, ne basta il semplicemente affermarlo: ma forse il Sig. Colombo prende di ciò ar¬ gomento da quel che ei soggiugne, dicendo che per ciò le parti susseguenti seguono tut[te] le prime che si muovono e si dila¬ tano. Ma se questo [de] ve esser argumento di continuità e viscosità, manifesta cosa è che Pacqua non sarà ne continua nè viscosa ». 541) CONSIDKRAZIONI l’acqua tra di loro; inferir, dico, dal loro stare attaccate, chele sien tra di loro continue, poi che tale attaccamento è più debole di quello che vien dal contatto dell'acqua e del dito. Di più, quel che dovrà parer più strano al Sig. Colombo, l’acqua che da un piccol foro, che sia nel fondo d’ un vaso, vien fuora e cade al basso, non vien con¬ giuntamente seguita dalle successive parti, se non per brevissimo in¬ tervallo, dopo '1 quale esse parti si separano, e continuandosi ’l moto, più e più si distaccano ; sì che venendo da qualche notabile altezza, si conducono in terra divise in piccolissime stille. E che solo per bre¬ vissimo spazio seendino le dette parti congiunte, si conoscerà riceven- io dole con un bicchiere, nel quale, mentre l’acqua dello spillo cade unita, ella vien riconta senza strepito, non vi facendo percossa; ma abbassando e allontanando a poco a poco ’l bicchiere, subito che si arriva al termine dove le parti dell’acqua cadente si cominciano a dis¬ separar fra di loro, si comincia altresì a sentir lo strepito delle lor per¬ cosse sopra l’acqua contenuta nel bicchiere. Il medesimo effetto, d’andar solamente per breve spazio congiunte, si vede nelle parti dell'acqua d’un zampillo che salti all’insù : tal che, se quel corpo del quale le parti non si mantengono attaccate, nè scambievolmente si seguon tutte l’una l’altra, non è continuo, l’acqua senza dubio sarà discontinuata. In 20 oltre, io non so da quali ragioni o conietture si sia lasciato persua¬ dere il Sig. Colombo, che tutti i corpi che si distendono sien con¬ tinui ; anzi mi par che questo distendimento sia molto più intelligibile in un composto di parti discrete, che in un continuo. Perchè se io vo considerando quel che convien elio si faccia tra le parti d’un pezzo d’argento, mentre si distende in un filo sottile più d’un capello, che prima era grosso com’ un dito, non credo che si possa far di meno di concedere che le sue parti, nell’allungarsi il filo, si vadino per il verso della lunghezza separando, per dar ricetto a quelle che, nel- metter tra quelle che si vanno movendo per lunghezza; onde sia ne¬ cessario che tra le parti di osso argento si vadino mutando posizioni e accompagnature, e ’n conseguenza toccamenti, sì che tal particella che da principio era prossima a un’altra, se gli trovi in fino molte braccia lontana, essendo tra esse succedute molte di quelle che tra- versalmente si muovono nell’assottigliarsi il filo. Questa trasposizion di parti, questo mutamento d’accompagnature e questi diversi con- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 541 tatti si capiscono facilmente potersi fare in un aggregato di particelle minime; ina l’intender mutazioni di toccamenti in un corpo continuo, che tanto è quanto se dicessimo in un corpo che non ha parti che si tocchino, mi par sin qui che ecceda la capacità del nostro intendi¬ mento. f Io non dubito niente, che tutta la difficoltà dell’ intender que¬ sto punto, e quello che sommamente è per perturbare ’l Sig. Co¬ lombo e qualche altro, consiste ne l’aver fatto concetto che in un aggregato di parti contigue solamente non possa ritrovarsi un attac- 10 cainento gagliardo e una coerenza tenace tra esse particelle, rego¬ lando il lor discorso dal vedere gli aggregati di grani minuti e le pol¬ veri sottilissime, le particelle delle quali non hanno coerenza tra di loro, nò può il semplice toccamente ritenerle fissamente congiunte. Ma, com’in parte ho detto di sopra e dirò poco a basso, non ogni tocca¬ mente di parti basta per tenerle fortemente attaccate, ma quelli so¬ lamente che sono tanto esquisiti, che non lasciano tra i corpi che si toccano meati per i quali possa penetrar l’aria o altro corpo cedente, quale è il toccamente di due specchi o della foglia che a essi s’at¬ tacca: e l’istessa tenacità si trova tra le particelle de i corpi, le quali 20 sono di tanto estrema picciolezza, che non ammettono tra di loro l’ingresso dell’aria o dell’acqua etc. ; e tali si deve credere che sieno le particelle componenti i metalli, le quali nè dall’aria nè dall’acqua comune vengono dissolute, ma sì bene da gli atomi sottilissimi del fuoco, o di qualche altro corpo che sia di parti tanto sottili, che possa penetrare tra i pori di essi metalli. 1 Face. 21, v. 16 [pag. 332, lin. 19-21]: Quelle bolle che i fanciulli chia- man sonagli, che vedete far alle volte ne’ rigagnoli per qualche grossa piog¬ gia, come si farebbon se l’acqua non fusse continua e tenace etc. Il Sig. Colombo ha impresso nella fantasia, come di sopra ho detto, so che i corpi tutti che stanno attaccati insieme sien continui ; e, per quel ch’io m’immagino, egli non ha mai posto cura alle tante espe¬ rienze che ci mostrano, infinite materie col solo toccamente restar saldissimamente attaccate, tal che dal saldo congiugnimento non si può in modo alcuno concluder continuità tra le parti congiunte. Basta a tenere due corpi attaccati che tra le loro superficie non resti aria nè altra materia distraibile, nè meati per li quali ella vi possa penetrare, perchè tram ette lido visi e restando aditi patenti da potervene succeder CONSIDERAZIONI 542 altra, secondo che i due"' corpi solidi si vanno separando e allontanan¬ dosi, non ai sente resistenza alcuna nella separazione. Ora io dico che per far die l’aria che ascende per l’acqua in figura di porzion di sfera, nel sormontar sopra ’l livello di essa si levi, come diciamo, in capo un sottilissimo velo d’acqua, basta che i minimi e primi corpu¬ scoli componenti essa acqua sien così piccoli e di figure tali, che i meati che restano tra di loro, per la lor angustia e piccolezza, sien incapaci de’corpuscoli dell’aria; porlo che toccandosi restano attac¬ cati, nè si potendo tra loro frammetter l’aria, non vi è chi gli se¬ pari, e in cotal guisa resterebbon lungo tempo, se l’esalazioni ignee, io molto 12 ' più sottili dell’aria, ascendendo continuamente, non passassero per il velo di esse bollo e lo dissolvessero, subblimando e portando via parte de i corpicelli dell’ acqua : perchè, mostrandoci la continua esperienza che l’acqua de’vasi scoperti, e più sensibilmente de’panni bagnati, se no va ascendendo, non credo che per dir conforme al vero si possa dir altro, se non che ella vien portata via da i U) detti cor¬ puscoli caldi, come la polvere dal vento. Da questo si fa poi mani¬ festo perchè nè la rena nè la farina fanno le bolle; il che avviene perchè i lor corpicelli non son nè di tal figura, nò di grandezza così piccoli, che l’aria non possa penetrar tra essi, anzi ella continua-20 mente vi è e gli tiene staccati, e non gli solleva perchè l’aria nel¬ l’aria non ascende: ma se alcuno con violenza facesse muover del¬ l’aria all’in su per la farina, ne porterebbe in alto molte particelle, nel modo che l’esalazioni ignee sollevano le parti minime dell’acqua; le quali creda pure il Sig. Colombo che mai non si solleverebbono, mai non darebbono il transito ad altri corpi, se bisserò un corpo solo con¬ tinuo, ma resterebbono impermeabili. Face. 21, v. 22 [p*g. 882, Un. 2+-27] : 0 se per la vostra virtù col (mìtica V aria $' at¬ tacca e s’unisce alT assicella iVebano più fortemente che le mignatte alle gambe de’ buoi, perché non direte il medesimo delle parti dell’acqua unirsi insieme, poiché se vi è più ragion di simitflianea? Con qual forza si attacchino lo mignatte alle gambe de’ buoi, non ho io mai esperimentato : però in questo mi rimetto in tutto e per tutto all’attestazion del Sig. Colombo, olio no deve avere esperienze sicure. Ilo ben veduto le lamprede attaccarsi al legno e alle pietre (l) La stampa : che due. [i) La stampa : ìgnee, c molto. W La stampa: portata da t\ SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 543 in modo, clie un uomo ha delle fatiche a staccarle: ma che fanno queste esperienze, altro che contrariare all’opinione del Sig. Colombo e favorir la vera? Crederà egli forse, per veder questo pesce così fermamente attaccato a un sasso, che di amenduo si sia fatto un continuo ? Certo no. Adunque se una così forte congiunzione può farsi senza continuità, chi potrà con ragion dubitare, se quella minima coerenza che si vede tra le parti dell’ acqua, possa derivar da un sol contatto esquisito? Che poi il Sig. Galileo abbia detto che l’aria si attac¬ chi all’ assicella d’ebano per virtù calamitica, non è vero altramente ; io ma quando l’avesse detto (il che assolutamente è falsissimo) non ha però detto, nè egli nè altri, nè il Sig. Colombo stesso lo può dir con verità, che quella unione sia continuazione, essendo solo col toccamento de gli estremi e, in consequenza, union di contatto. Ma che va toccando il Sig. Colombo particolari tutti diametralmente opposti alla causa sua? Egli che crede che lo star due corpi attaccati sia argomento necessario di continuità, nomina f for¬ tissimi attaccamenti per il semplice contatto, e rammemora | la virtù calamitica? Non ha egli veduto nella Galleria di S. A. S. una catena di ferro di più di trenta libbre star attaccata col solo toccamento a una piccola lastretta d’acciaio, e esser da lei sostenuta per questa 20 virtù calamitica ? Ecco dunque un’ altra maniera d’attaccar due corpi insieme senza farne un continuo. Tal che si può conceder al Sig. Lodovico quanto ricerca, e glie lo concedo ; anzi affermo che dice benissimo, e che non ha detto altrettanto di buono nel suo Discorso: gli concedo, dico, tutto quel eh’ e’ do¬ manda, cioè che le parti dell’acqua s’uniscono nel medesimo modo a punto tra di loro, che fa l’aria all’ assicella ; e così ogni mediocre ingegno, e ’1 Sig. Lo¬ dovico stesso, doverà concludere che, essendo l’aria contigua, e non continua, all’assicella, le parti dell’acqua saranno ancora contigue, e non continue, tra di loro. E già che finalmente ’l Sig. Colombo medesimo è forzato da’ suoi propini detti a confessare che l’acqua sia corpo contiguo, non andiamo più avanti in questa ao materia, nella quale pur troppo sono stato necessitato a estendermi per la moltitu¬ dine de gli errori di questo suo discorso: solo noto coni’ egli, alla face. 22, v. 15 (png. 333, Un. 14-15J, vuole che ’l sopranotare dell’ebano dependa solo dalla larghezza della figura e f dalla J. resistenza dell’acqua all’esser divisa, c n’invita’1 Sig.Ga¬ lileo a conceder l’istesso; e di sopra ha introdotta la siccità come cagione del medesimo effetto, con incostanza e contradizione. Face. 21, v. 29 [pag. 332, lin. 29-31]: In oltre, se V acqua non fusse corpo continuo, quand’ ella ghiaccia non sarebbe tatt’ un corpo, ma si vedrebb’ una massa di corpiccioli come la rena etc. Il Sig. Colombo non mi può negare, trovarsi infiniti corpi così 40 piccoli, che non è possibile vedergli a uno a uno; quali son, v. g., i 511 CONSIDERAZIONI minimi grani di terra che ’ntorbidan l’acqua, quelli de i colori finis¬ simi, etc. Ora io gli dico elio quelli dell’acqua posson esser cento volte minori, e poro tanto più invisibili a uno a uno: e se e’ non si veggono mentre che l’acqua è fluida, qual cagione vi muove, Sig. Colombo, a volergli veder in sembianza di rena quando è congelata? Forse doven- tano maggiori ? forse si distaccano, sì che s’abbino a veder come la polvere? Non fanno nè l’un nè l’altro, anzi, come l’esperienza ci mostra, stanno più elio prima attaccati: e so l’attaccamento non potesse star senza la continuità delle parti, veramente al più che voi poteste dire del diaccio sarebbe eli’ o’ fusse continuo ; ma se la continuità produco io questo attaccamento nelle particelle del ghiaccio, non vedete voi come per necessaria consequenza sia forza dire che le particole dell’acqua non siono altramente continuate, non si vedendo in loro saldezza di unione per un centomillionesimo di quella del ghiaccio? Ma io non direi che le particole del diaccio fossero continue, nè anche che si toccassero più elio quando erano in acqua, non ci mancando modo di farlo star così fortemente attaccate senza la continuità. Quando poi voi aveste curiosità di veder i minimi dell’acqua distaccati, direi che voi guardaste quel fumo che si solleva nell'asciugarsi un panno al solo o al fuoco: t ma bisogna che voi deponghiate prima quel falso 20 concetto, che 1 ’ acqua si tramuti in aria o in vapori che sieno altra cosa che l’istessa acqua. 1 Face. 21, v. 35 1p»k- asa, Un. 8. r »-89| : Se quando pii stampatori componevano il vo¬ stro Discorso aveste osservato che ducati acqua alle fonnette perche i caratteri si attaccassero insieme e non si scomponessero, son certo clic areste dato laudo total¬ mente a questo capriccio di dir che l'acqua non sia viscosa e continua, per non mostrar di saperne manco di loro. L’acqua che si dà alle tonnetto dalli stampatori, è vero che tiene attaccate le formette; ma non vi accorgete voi come questo è tutto in vostro pregiudizio? Perchè quel velo d'acqua che resta tra l’un 0 l’altro» carattere, è attaccato con ambedue; nè però è con loro continuato, ma contiguo solamente ; il chi' mostra sicuro che in natura si dà altro at¬ taccamento che quello della continuità. E tale può esser cpiello delle parti del¬ l’acqua t tra di loro, \ cioè contiguità: e con questa considerazione potrà il Sig. Colombo (e non, come dice egli, il Sig. Galileo in questo medesimo luogo) dar bando per un’altra volta al capriccio di voler trattar di materia, che al sicuro non può, 0 almeno dimostra di non aver potuto, intendere 48 noce venghi a galla j>iù tardi per la figura larga, che è tanto quanto dimandare se la larghezza della figura è cagione della ritardanza; e col serrar la sua interrogazione con In parole: è vero'/ mostra d’accettarla per conceduta, cioè che la larghezza ili figura sia cagione del ritardamene. Seguendo poi il discorso, torna a domandare, non so ne accorgendo, un’altra volta il medesimo, scrivendo queste formali parole: E di questa ritar¬ dando che cosa n’ è cagione ? Al elio io, in nome del Sig. Galileo, torno a rispondere, e dico in buon’ora: < La cagione è quella che avete f pur orai detta voi, nè si è da me nè da altri negata mai: la larghezza della figura). Nt> vede il Sig. Colombo, che questo errore è come se uno interrogando di-io cesse: < Il giorno si fa per la presenza del sole, è vero? di questo farsi giorno che 1 " n’ò cagione? >, dove non si fa altro che proporr’un effetto e la sua vera causa come nota ; « poi immediate, come se fosse dubbiosa, vieti di nuovo domandata. Ma quello che appar più reprensibile nel Sig. Colombo è che, dopo una gran confusione di lungo discorso, egli torna di nuovo a con¬ cluder questo medesimo, come eh' e' non funse stato dieci volte con¬ ceduto e scritto dal Sig. Galileo, o chela funse conclusione apportan- tcgli qualche gran comodo ; e scrive alla medesima faccia, v. 37 [pug. 33.1, liti. 3-1 36] : Adunque il piti lardi ascendere è necessario che si cagioni dalla larghezza della figura, non facendo finalmente altro che dedur da un pria- !» cipio supposto per vero il medesimo principio in vece di conclusione. Solamente, non contento di quest’errore, aggiugne alla detta conclusion vera una clausola falsa, dicendo: per la difficoltà a dividere il continuo del- l’acqua: la qual aggiunta è il quarto termine del silogismo del Sig. Colombo, di cui noti si è mai fritto menzione nelle premesse, tal che si può negare, e in effetto si nega, nella conclusione, non si essendo in tutto'1 discorso antecedente provato altro, e anco malamente, clic la ritardunza dependente dalla figura, ma non giù mai per la difficultii a dividere il continuo dell’acqua. Conceduto, dunque, quel tanto che è stato in questo discorso provato, cioè che la figura larga sia cagione di tardanza, reggasi quanto sia fuor d’ogni fio ragione detto al Sig. Galileo, che mai non ha negata questa cosa: ingrazia, cessale voi per (unto di piti disputare ; e se. non volete cessare per grazia, cessate perchè la ragione e l'esperienza vi sforzano. Vien poi da questo autore tassato il Sig. Galileo per uomo che commetta molti errori per difetto di buona logica, come si legge a face. 48, v. 21 Ipag. 357, lin. 25]: e veramente se la loica buona è di questa sorte, il ’’ 11 La stampa: chi. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 549 Sig. Colombo ha mille ragioni, perchè i discorsi del Sig. Galileo son molto lontani da questo stile. Face. 23, v. 1 [pag. 383, Un. 40—pag. 334, lin. 1]: L’aggiunta dell’esempio dell’oro in comparazion della cera, perchè sono svanite le vostre rar/ioni, non arà che far nel proposito nostro ctc. Passa il Sig. Colombo a voler confutar un’ altra esperienza del Sig. Galileo, prodotta per mostrar come non è altramente la figura larga, insieme con la resistenza alla divisione, quella che sostien la falda d’oro a galla: ma la confutazione è portata molto languida- io mente e alla sfuggita, con termini solamente generali, referendosi alle cose dette di sopra, senza ridursi a far menzione d’alcuna espressa- mente ; e questo non per altro che per abbagliar la mente del lettore, e procurar che almanco gli possa rimaner concetto così in confuso, che il Sig. Colombo possa aver prodotto nelle cose sopradette qualche punto che faccia per la sua causa, f se ben non v’ è assolutamente nulla; 1 ma perchè egli veramente, nell’intrinseco suo, conosce di non potere produr cosa che sia di momento contro all’insuperabil verità, va adombrando quel poco che dice, e più tosto mostrandosi gagliardo con l’esclamazioni che con la forza delle ragioni. E per chiarezza di 20 quanto dico, credo che basterà ricordar con brevi parole l’esperienza del Sig. Galileo, e ridurre a termini chiari la risposta del Sig. Colombo. Scrisse il Sig. Galileo [cfr. pag. %, lin.31 — pag.97, lin. 13]: « L’oro, che, per esser venti volte più grave dell’ acqua, ha grandissimo impeto di descen¬ der per essa, ridotto in una sottil falda galleggia; all’incontro, se si ri¬ durrà una palla di cera, o altra materia trattabile, tanto poco inferior di gravità all’acqua, che non resti superata di due per cento, onde ella lentissimamente venga a galla, facendosi poi di questa una falda larghissima e ponendola nel fondo dell’acqua, ella non vi resterà altra¬ mente, ma lentamente se ne verrà a galla, nò sarà bastante ampiezza sodi figura, o resistenza d’acqua all’esser divisa, a proibirgli la salita. Ora, so una palla d’oro ha impeto d’andare a fondo mille volte mag¬ gior della virtù della palla di cera per venire ad alto, e nulla dimeno a quello dalla figura dilatata in falda resta proibito ’l potere affon¬ darsi, e la cera da sfinii figura non viene altramente ritenuta in fondo ; adunque altro che la resistenza dell’acqua e la figura dilatata è quello che ferma il grandissimo impeto dell’oro, poiché la medesima resi¬ stenza e la medesima figura non bastano per fermare la minima prò- 550 C0N8IDER AZIONI pensiono della cera di venire a galla ». Questa esperienza scrive il Sig. Colombo non aver che fare nel proposito nostro, essendo svanite le ragioni del Sig. Galileo; e adducendo la causa per che tale espe¬ rienza non conclude niente, dice così : Perché è vero che alla falda di cera manca di quelle cagioni che non marn ano all’assicella d’ebano nè alla falda d'oro, come si è provato, e perciò h la figura larga e spaziosa che ferma l’oro e l'ebano a galla. Ma di grazia, Sig. Colombo, esaminiamo brevemente questa vostra risposta. Voi dite che alla falda di cera mancano di quelle cagioni che non mancano alla falda d’oro; e poi immediatamente nominate le cagioni della quiete dell’oro, tra le quali io di ragione dovrebbe esser nominata principalissimamente quella che manca alla falda di cera, poiché ili tal diversità, e non d’altro, si tratta in questo luogo: ma quel che voi nominate per l’oro è la figura larga e spaziosa, la qual figura larga e spaziosa l’ha nè più nè meno anco la falda di cera: adunque che potete voi inferire da tal discorso? Qui, Sig. Colombo, non cade altra risposta, se non che voi, come più volte ho detto, non scrivete se non per quelle persone che, sendo lontanissime da questi maneggi, non sien per applicar punto la mente alle vostre risposte, anzi non sien per passar più là del titolo del vostro libro : o vero bisogna che voi confessiate di esservi peritato a 2 0 nominar quella nuova cagione ritrovata da voi, come quella che tra¬ passa di troppo intervallo tutti gl’inverisimili ; dico la siccità, la quale manca alla falda posta ’n fondo dell’acqua. A due particolari vorrei che voi ingenuamente mi rispondeste: l’uno, se voi intrinsecamente e veramente credete che, so la falda di cera fosse posta nel fondo del¬ l’acqua, asciutta, ella vi resterebbe immobile, o pur credete, come tutti gli uomini, che venendo ella a galla quand’ è bagnata, meglio ci ver¬ rebbe se fosse asciutta; l’altro è, so quando da principio voi toglieste a sostenere che la dilatazione della figura potesse annullare il moto de i solidi tanto descendenti quanto accendenti per l’acqua, avesteso concetto che tali figure dovessero anco esser asciutte, 0 pur se questo pensiero vi è venuto somministrato dalla necessità per ultimo refugio, dopo che le ragioni v’hanno forzato internamente 1 ” a credere che la figura non opera niente in questo fatto. Non so già a qual proposito voi soggiunghiate queste parole, par- La stampa: iuteramaite. SOPRA. ’L DISCORSO DEI» COLOMBO. 551 landò pure al Sig. Galileo [pur. 334, lin. 4-6 | : Nè si toglie per questo che non sin contraria la cagione de’ diversi effetti , se aprirete gli occhi dell’intelletto, levandone la benda della troppa affezione. Anzi voi stesso date segno di aver bendati ed abbacinati gli occhi della mente, non v’ accorgendo che appunto per questo si toglie Tesser contraria la cagione di diversi effetti ; poiché essendo il salire e lo scendere per il medesimo me/o effetti contrarii, voi volete che la medesima cagione, cioè T umidità, gli produca amendue, e che la siccità di pari amendue gPimpedisca; e pur se Tumido aiuta il moto all’in giù, doverebb’esser d’impedimento io al suo contrario. E vorrei che per un’altra volta, già che voi non sapete parlar senza punger fuor d’ogni ragione il prossimo, al manco specificaste meglio la dependenza della vostra puntura ; come nel pre¬ sente caso sarebbe stato necessario che voi aveste additato l’error del Sig. Galileo, nel credere o non credere che 01 la cagione d’effetti diversi sia o non sia contraria, e quali sieno questi effetti, e quali queste ca¬ gioni ; perchè altramente voi con poca pietà rimprovererete al misero Tesser cieco, e con manco carità lo lascerete nella cecità, potendolo ralluminare. Face. 23, v. 8 Ip«k- 334, lin. 7-8] : L'esempio dell'acque torbide, che per molto spazio 20 di tempo reggon la terra avanti che vada a fondo, non argomenta contro la resi¬ stenza eie. » 11 Sig. Colombo pensa di ritorcer contro al Sig. Galileo una espe¬ rienza, ma egli dà più presto segno di non aver intesa la sua appli¬ cazione. Qui non si disputa nè si cerca, se nell’acqua sia resistenza alcuna, la quale possa ritardare ’l moto de’ corpi che in essa ascen¬ dono o descendono, perchè questa è conosciuta e conceduta da ogn’uno, e dal Sig. Galileo in particolare in dieci luoghi, se non più, del suo trattato: ma si cerca se nell’acqua sia resistenza all’esser divisa, sì che ella possa non solo ritardare, ma annullar totalmente il muoversi so ad alcun corpo che per sua natura, cioè per la sua gravità o leg¬ gerezza, in lei si moverebbe ; e il Sig. Galileo dice di no, e per con¬ fermazione del suo detto dice che quando nell’ acqua fusse una tal resistenza all’esser divisa, si troverebbono de’mobili di così piccola forza, che non la potessero dividere, e che in consequenza in essa si fermassero ; cercando poi con diverse esperienze se tale accidente si vegga accadere, fra le altre piglia alcuni corpi di così poca gravità, La stampa : del Sig. Galileo nel credere che. 552 C0N61DKK AZIONI che a pena 1*imaginazione v’arriva, quali sono quegli atomi invisi¬ bili e impalpabili che dopo la deposizione d’alcune ore restano ancora a far torbida l’acqua; e mostrando come nò anco questi posson esser fermati dalla resistenza dell’acqua all’esser divisa, poiché essi ancora vi discendono, concludo tal resistenza non esser sensibile. Ma ora il Sig. Colombo si crede aver ritorto l'esperienza contro il Sig. Galileo, poiché detti atomi vi discendono adagio; quasi che il muoversi tardo sia non muoversi, e il dividere adagio sia non dividere. Voi avete bisogno, Sig. Colombo, di mostrar che e’ non si muovino, se voi vo¬ lete persuadere che la resistenza dell’acqua possa indur la quiete ; io perchè, quanto al ritardare il moto, vi si concede quanto voi volete che la figura, la minima gravità, la piccolissima molo lo possa fare, ma questo non fa niente al vostro bisogno, né al vostro proposito. Face. 23, v. 14 [pag. 334, lin. 13-1-4J : 1,'esperienza della trave o navi¬ cello tiralo con un capello di donna, io negherei potersi ben far, per molti accidenti, anche quando ’l capello fosse quel di Niso ctc. Fassa il Sig. Colombo a voler reprovare anco quest’altra esperienza; e conforme al suo costume, poi che ella è tale che non vi è che repli¬ care, la comincia a metter in piacevolezza, perchè dove non si può aprir bocca alle ragioni, è bene aprirla al riso. Nega, primieramente, 20 potersi tal esperienza far esquisitamertto per diversi accidenti, de’quali però non ne vien nominato nessuno; ma, quel che è più considerabile, egli si piglia fastidio degli accidenti e impedimenti che possino diffi¬ coltar F esperienza, i quali non posson esser di pregiudizio se non al Sig. Galileo, al «piai tocca di far veder cotal prova: onde ’l Sig. Co¬ lombo si prende i fastidi d’altri senza necessità. Passa poi dalla piace¬ volezza ad un parlar alquanto più acuto, 0 domanda al Sig. Galileo quel eh’ ei vuole inferire quando ben l’esperienza fosse vera: al che crederei di risponder io conformo all’intenzion del Sig. Galileo, di¬ cendo aver lui preteso con questa sua esperienza persuader la verità so della sua conclusione a chiunque fusse capace di ragione; il che credo anco veramente ch’egli abbia operato nell’interno dell’istesso Sig. Co¬ lombo, ma che egli dissimuli l’aver capita la forza di questa esperienza per non si privar di poter accrescer il volume e, conforme al sesto artifizio, rispondere in qual si voglia maniera allo ragioni del Sig. Ga¬ lileo. Tutta via per non dar occasione a qualcuno di sospettar che questi fosser miei trovati per liberarmi dallo scioglier l’instanze del SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 553 Sig. Colombo, son contento fargli ogni agevolezza, e creder per ora eh’e’ non simuli, ma non abbia inteso veramente la forza dello illazioni che ’l Sig. Galileo deduce dalla presente esperienza; o mi contento di andar con pazienza mostrando le sue equivocazioni e paralogismi. E prima, per vostra maggiore intelligenza, dovete, Sig. Colombo, avvertire, altra esser la resistenza all’esser mosso semplicemente, altra all’esser mosso con tale e tal velocità, altra all’esser diviso. Resistono al semplice moto quei mobili che noi vogliamo muovere contro alla loro inclinazione ; come se noi volessimo alzare una pietra di cento io libbre, la quale col momento di cinquanta o sessanta o novanta so¬ lamente non si moverà punto assolutamente, ma vi bisognerà forza che superi il suo peso. E questa sorte di resistenza è diversissima dal resistere alla velocità del moto ; anzi è tanto diversa, che questa della velocità si trova ancora nel moto al quale il mobile ha naturale in- % diluizione, come nel moto all’in giù d’una pietra, nella quale, se vor¬ rete farla andar con maggior velocità della sua naturale, voi sentirete resistenza, e tanto maggiore quanto il mobile sarà più grave: e cia¬ scuno ne potrà fare l’esperienza pigliando un pezzo di piombo di dieci libbre e altrettanto legno in mole, che in peso sarà manco 20 d’una libbra, e questi con violenza scaglierà da un luogo alto all’in giù; dove nel piombo sentirà molto maggior resistenza all’impulso della mano che nel legno, e facilmente potrà accorgersi che tal volta gli succederà cacciar il legno sin in terra più velocemente che ’l piombo. Or questa tal resistenza non si può dire che dependa da con¬ traria inclinazione del mobile, sendo egli grave e il moto all’in giù; però ella depende solamente dalla velocità che altri gli vuol dare sopra la sua naturai disposizione. Per questo rispetto medesimo una sfera perfettissimamente rotonda sopra un piano esquisito fa resistenza a chi la vorrà muovere, e resisterà più e meno secondo la velocità 30 che altri vorrà conferirgli. E questa resistenza non ricerca una de¬ terminata forza per esser superata ; ma sì come la velocità in sè stessa ha latitudine e si può accrescere e diminuire in infinito, così non è forza così minima che non . possa apportar qualche grado di velocità a’ movimenti non preternaturali, nò forza così grande a cui qualche massima velocità non resista: ma all’incontro, non si dando mezo o latitudine alcuna tra ’l muoversi semplicemente e ’l non muoversi, non ogni virtù può muovere, ma bisogna che ella prima superi la IV. 70 554 CON SI DKK AZIONI resistenza dopondente dalla contraria inclinazione del mobile; e però condilo dotto, cinquanta libbre di forza non alzeranno punto cento libbre di peso. L’isteeso accado della resistenza alla divisione, la quali 1 1 jì ocriii forza t* Slincriltil. non si dando nwv/n n lafì+u/K*»,* cento o di peso. 1 /iswhho accade (iena re.sisi.enzn alla divisione, la quale non «la ogni forza è superata, non si dando mozo o latitudine tra l’essere e ’l non essere attaccato o diviso; e per ciò non ogni forza strappa una corda, nè ogni peso elio calchi sopra un marmo o un vetro lo rompe, ma vi bisogna una forza superiore alla tenacità che tiene attaccate le parti della corda, del marmo e del vetro. Queste tre resistenze tal volta sono separate, tal volta sono due di loro in¬ sieme, e anco tutt'a tre. Se una pietra di cento libbre sarà attaccata io in terra e io vorrò alzarla, prima ci vorrà cento di forza per la re¬ sistenza della gravità del sasso; poi, oltre a questa, ci bisognerà altra forza per superar l’attaccamento, il quale, com’ho detto, non da ogni minima forza è rotto, ma ve ne bisogna una determinata, e non mi¬ lioni: ma superate la resistenza della tenacità e quolla del peBO, resta a considerar la velocità con la quale io voglio che la pietra ascenda; e qui, perchè la velocità ha latitudine in infinito verso il massimo e verso ’l minimo, qualunque forza si applieherà per tale effetto, ope¬ rerà, producendo la poca forza poca velocità, e minima forza gran¬ dissima tardità, forza massima somma velocità, etc. Se io vorrò stac-ao car due corpi, li quali nello staccarsi, e anco dopo Tessero staccati, non s’abbino a muovere di movimento contrario alla loro inclinazione, non ci vuole altra forza che quella che supera la resistenza dell’at¬ taccamento; ma per superarla non basta ogni virtù, ma se ne ricerca una determinata e superiore alla tenacità del glutine che attacca le parti del corpo diesi ha da dividere : fatta poi la divisione, le parti, che non rosiston più nè per esser attaccate nò per contraria inclina¬ zione, saranno mosse da qualunque virtù; e la differenza dell’operar di virtù disegnali non consisterà nello t acuire o non staccare, nè meno nel muovere assolutamente o non muovere, ma solo nell’indur so maggiore, o minor velocità. Dichiarate queste cose, io vengo a mostrarvi come questa resi¬ stenza alla divisione non si trova nell’acqua, e che, in consequenza, non vi è cosa alcuna che a divider s’abbia; e insieme esamino quanto voi adducete contro al Sig. Galileo. Voi primieramente in questo luogo, cioè a face. 23, v. 17 [pag.334* o La stampa : face. 39, ». 37. SOVRA. ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 555 lin. 15-16], cominciate interrogando il Sig. Galileo, e scrivete: Non elite m voi, che se ben nel moto veloce si cagiona resistenza etc. Ri spondo vi, esser vero tutto questo che voi dite, cioè clie il Sig. Galileo concede trovarsi resistenza al moto d’una trave che con un capello si vadia tirando per l’acqua, e questo per cagione delle parti dell’acqua, che, dovendo cedere ’l luogo alla trave, è necessario che esse ancora lo mutino, scacciando l’altre parti contigue; e perchè queste mutazioni si hanno a far dentro a qualche tempo, cioè con qualche velocità, quindi è che, rispetto a tal velocità, si sente resistenza maggiore o minore, io secondo il più e men veloce. Voi domandate secondariamente se, quando la trave si tira dolcemente dal capello, essa spinge e scaccia le medesime parti di luogo, e quelle scacdon V altre successivamente, come prima. E a questo ancora vi si risponde di sì. Concludete poi : adunque si fa con re¬ sistenza, ma con minor violenza, perchè si- fa con più tempo; e però la resistenza non apparisce. A questa conclusione vi si risponde conceden¬ dovi più di quello che n’inferite, cioè farsi con resistenza, e, di più, con resistenza apparente, mentre voi usate quanta forza può venir da un capello, la quale non è cosa insensibile, ma assai notabile. Ben è vero che se voi vi contentaste di muover la trave con la metà manco ~ 2 o di velocità, basterebbe una forza la metà più piccola di quella del capello ; e per una velocità cento o mille volte minore, basterebbe la centesima o la millesima parte della medesima forza; e così in infi¬ nito : e tutto questo deriva dalla resistenza dependento dalla velocità del moto, ma non fa punto per la causa vostra, anzi diametralmente gli contraria. Perchè voi avete bisogno (volendo mostrar, nell’acqua esser resistenza alla divisione) di trovare e mostrare che la medesima trave resti totalmente immobile contro d’alcuna forza che gli venghi usata, e non che ella ceda a tutte, benché più lentamente alle minori, perchè il muoversi adagio è moto, Sig. Colombo, e non quiete; nò so si potrà inai dire che le parti dell’acqua sieno attaccate insieme e fac¬ ciano resistenza all’esser divise, se non si mostra che la trave resti immota sino a uua determinata violenza che se gli faccia, perchè lo staccar due corpi che sieno attaccati, non si fa da ogni minima forza, ma da una determinata, come si è dichiarato di sopra. Però all’altre interrogazioni che voi fate, dicendo: 0 perchè non si potrà dire ’l me¬ desimo della resistenza alla divisione? Che ragion ci è egli di differenza? w La stampa : vedete. 55G CONSIDERAZIONI Perchè non vai per me, come per voi, la medesima ragione?, già le ri¬ sposte sono in pronto : cioè non si poter dire ’l medesimo della resi¬ stenza alla divisione che della resistenza alla velocità, perchè la ve¬ locità del medesimo mobile non è determinata, sì che non possa farsi più e più lenta in infinito; ma una tenacità di due corpi o di molti che sieno attaccati, è determinata e una, e per minima ch’ella sia, non può ne non da una determinata forza esser superata, e non da minore; perchè so a nissuna forza si resistesse, nissuna differenza sa¬ rebbe tra le cose che sono attaccate e le divise: ed ecco vi la ragion della differenza. Perchè poi la medesima ragione non vaglia per voi io come por il Sig. Galileo, avviene perchè la ragione non è la mede¬ sima, supponendo egli una cosa vera, e domandandone voi una falsa ed impossibile. E finalmente, che a voi non sia lecito adoperar la medesima esperienza contro il Sig. Galileo, e dire che la resistenza delle parti non è vera nel mirre il luoyo, pirchè, se ella vi fasse, nel tirar w la trave con un capello si strapperebbe, e non verrebbe dovunque io la tirasse, come ella viene senza resistenza alcuna, il far, dico, questa consequenza non vi è lecito, se non nel modo che è lecito il far le cose che stanno male, come sta questa, essendo piena di equivocazione e falsità; perchè voi lasciate di nominar la velocità, che è quella in che ripone il» Sig. Galileo la resistenza, e non nel muoversi assolutamente. Però, quando dite che la resistenza delle parti dell’acqua nel muoversi e cedere il luogo non vi è, perchè, se vi fosse, il capello si strapperebbe nel tirar la trave, inferite male; perchè la resistenza vi può esser senza che il capello si rompa, il che avverrà quando la resistenza sarà é minore della robustezza ilei capello: e questo facilissimaiuente acca- derà, perchè, consistendo questa resistenza non nel muovere assoluta- mente, ma nella velocità del moto, quando la velocità della trave abbia a esser pochissima, la resistenza sarà poca, e minore della sal¬ dezza del capello, il quale la supererà senza strapparsi. Però se volete so discorrer bene, dite così: «Nelle parti dell’acqua non è resistenza al- l’esser mosse assolutamente, perchè se ella vi fosse, la trave reste¬ rebbe immobile a qualche forza, o di capello o d’altra cosa più debole; il che non si vede, anzi ogni forza la muove » ; dite di poi : « Le parti 5. infinito. ed in conecquensa da virtù minore e minore in infinito; ma — (,) La stampa : ritirar. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 557 dell’acqua hanno resistenza all’esser mosse con tanta velocità; e questo è manifesto, perchè se non l’avessero, la medesima trave potrebbe esser mossa da ogni minor forza con tanta velocità con quanta vien tirata da un capello, o vero la fotza del medesimo capello la potrebbe tirar con ogni velocità maggiore, le quali conseguenze son false: e però è vero che nell’acqua risiede resistenza all’esser mossa con tal velocità ». Ed acciò che maggiormente veggiate quanto voi siate inferior al Sig. Galileo nel inerito di questa causa, considerate elio, volendo voi mostrar che l’acqua resista alla divisione, tutte le prove che vi io affaticate di far per via di discorsi, d’interrogazioni e di similitudini, son buttate via contro alla virtù d’una esperienza; ma sete in obligo di far vedere una trave o un’altra simil mole restar, nell’acqua sta¬ gnante, immobile, contr’ a qualche sensibil forza che la tirasse, sì come il Sig. Galileo ha fatto vedere il contrario: ma di grazia non domandate che vi sien date circostanze o termini abili, o che sia fatto prima da un altro qualche impossibile, come sarebbe che si trovasse modo di metter la trave nell’acqua senza bagnarla, ma prov¬ vedetevi da per voi de’ vostri bisogni, chè così conviene. Ma quando pur vi succedesse (del che però non si teme punto) il mostrar che 20 una trave restasse ferma alla forza, v. g., di un grano di piombo, che pendendo dal capello la tirasse, non crediate per questo d’aver mi¬ gliorato la vostra principal quistione, e di poter dire d’aver dimo¬ strato, la resistenza alla divisione esser quella che sostien la tavo¬ letta d’ebano; perchè se voi piglierete una tavola d’ebano grossa non più d’una veccia, ma tanto grande che posata in su l’acqua ne occupi tanta quanta n’incontra la trave mossa traversalmente, io vi dico che quella non solo resterà senza profondarsi contro alla forza d’un grano di piombo, ma ne sosterrà quattro, sei e diecimila. Or vedete se quel che fa in cotal guisa galleggiare è altro che quella resistenza del- ao l’acqua alla divisione, che non resiste alla forza d’un grano solo ! Che poi il Sig. Galileo fosse per rispondervi, nell’acqua esser resistenza, ma non apparente, perchè si tira col capello tanto dolcemente e adagio, che le parli si possono accomodare senza violenza sensibile a noi; dicovi che non avete da aspettare che simil risposta vi venga fatta da lui, essen- dos’ egli apertissimamente dichiarato di conceder resistenza, non so¬ lamente sensibile, ma grande e grandissima, alla velocità del moto, secondo che altri la vorrà far minore o maggiore ; ed alla trave me- 558 CONSIDERAZIONI desima bisogna la forza del camello, mentr’egli la muove con tanta velocità e si strapperebbe ancora so voi voleste muoverla con mag¬ gioro, t nò reggerebbe uno spago nò una corda a una velocità somma.! Però lascio tal risposta a voi, o considero quello che soggiungete, scri¬ vendo che risponderete l’istmo per provar la resistenza alla divisione, ed, esser vero, perché il più e men resistere non fa che non vi sia resistenza, benché non appaia. Se voi avete a. risponder l’istosso della resistenza alla divisione clic dell’altra alla velocità, bisogna che voi diciate che la divisione si fa dalla tavoletta d’ebano, ma tanto lentamente che non si sente la resistenza. Ma tal risposta è doppiamente falsa e fuor io del caso; perchè la divisione non si fa altramente, poiché la falda rest’a galla i mesi o gli anni interi; e la resistenza è non solo sensi¬ bile, ma grandissima, poiché non si lascia superare da grani e onde e libbre di piombo, secondo l’ampiezza o sottigliezza della tavola. Considero lilialmente la similitudine che voi producete, e quanto ella ben s’assesti al vostro proposito. Voi scrivete [pag.834, Un.85-40]; sì come il rodere e consumar che fa l’acqua continuamente scorrendo e percotendo su la pietra, perché si fa adagio e. con lungo tempo, non appare, né si vede la resi¬ stenza alla divisione del continuo della pietra, ancor che vi sia e molto maggiore che quella dell’acqua contro alla nave; adunque, perché non apparisce, non 20 sarà vero? Vedete, per tanto, quello che vogliono i vostri argomenti: non ad altro che a convincer voi medesimo. L’esorbitanze che si contengono in queste poche parole son tante e sì diverse, elio io mi confondo nel cominciare a farle palesi. E prima, come è possibile che voi trapassiate, senza accorgervene, discordanze così grandi, qual ò il dir che il roder dell’acqua, perco¬ tendo su la pietra, non appare, nò si vede la resistenza alla divisione nella pietra, ancor che ella vi sia? non vedete voi che il non apparire 1 roder dell' acqua ò appunto un far vedere la resistenza grandissima della pietra? e che allora appunto non si vedrebbe la resistenza, quando 30 il roder fosse manifesto? t Come, dunque, accoppiate voi ’nsieme che 1 roder dell’acqua e ’1 resister della pietra di pari non appariscono? 1 Secondariamente, voi, Sig. Colombo, che in questo luogo non avete altro scopo che ’l mostrar, ritrovarsi nell’acqua resistenza all esser di¬ visa dalla falda d’ebano o di piombo, con qual avvedimento andate portando in campo che le pietre si lascino dividere e roder dall’acqua, e confessando la resistenza della pietra esser molto maggiore di quella SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 559 dell’acqua? Chi volete che vi creda che l’acqua resista a quel che non resiston le pietre? Direte forse che per resistere non intendete una resistenza assoluta e totale, ma resistere per qualche tempo e non si lasciare penetrare se non con tardità? Tutto bene: ma una tal resistenza che utile arreca alla causa vostra? Non vedete voi che per fermar la falda di piombo bisogna una resistenza che non gli ceda mai? e che il cedere adagio non annulla, ma solamente ri¬ tarda, il moto? Terzo, come vi sete voi così presto scordato de’ luoghi da’ quali io cavavi gli argomenti per mostrar, l’acqua esser un continuo, tra,’ quali era il continuar le materie discontinuate, come la farina, etc. ? Ma se ora voi conoscete che ella discontinua sino a’ marmi, in ohe modo potrete voi dir che ella non sia discontinuatissima? e perchè non con- glutin’ella le particelle del marmo più che prima? Bisogna, dunque, o che la vostra regola non sia vera, o che la vostra conclusione sia falsa. Direte poi che ’l Sig. Galileo si dà da per sè della scure sul piede. Quarto, io vorrei, Sig. Colombo, che voi v’accorgeste che, mentre vi travagliate di provar che nell’acqua possa esser una resistenza, 20 ancor che non apparisca esservi, vi affaticate in vano, tentando di far quello che è impossibile ad esser fatto, e vi abbagliate in un equi¬ voco, immaginandovi che, sì come può csder che una cosa non resista a qualche azzione e niente dimeno apparisca resistere, com’accade nel marmo contro al roder dell’acqua, così possa accadere, alcuna cosa resister a qualche operazione, benché sembri non resistere ; il che è falso, essendo il non resistere movimento, e ’l resistere quiete. Però per vostra intelligenza dovete notare, che può bene accadere, e con¬ tinuamente accade, che una cosa si muova e apparisca star ferma, come avviene nel l’aggio dell’ orivolo o nella stella polare, che sem- 30 brano, a chiunque gli rimira, star fermi, mercè della lor tardità, se ben sono in continuo movimento ; ma non può già accadere che una cosa che veramente stia ferma ci paia muoversi, il che dall’esperienza e dalla ragione ci vien dimostrato. Imperochè se quello che vera¬ mente si muove, ma lentamente, ci appar fermo, qual ci appari- rebb’egli se veramente stesse immobile? certo che non si può dire che egli apparisse muoversi, perchè se questo fusse, l’altro che lenta¬ mente si moveva, molto più ci apparirebbe muoversi. Ora, Sig. Co- 560 CONSIDERAZIONI « lombo,, il non resisterò è moto, perchè quello che cede alla divisione o alla pulsione si muove; ma il resistere è quieto, perchè quello che non si lascia dividere o spingere resta in quiete: e però, essendo la non resistenza moto, può dissimularsi e apparir resistere, come av¬ verrebbe quando la trave tirata dal capello andasse adagissimo, che apparirebbe star forma, e in conseguenza la non resistenza dell’acqua sembrerebbe resistenza; ma porche la resistenza ò quiete, non può dis¬ simularsi e apparir moto ; o però una cosa che resista alla divisione o alla pulsione non ci può inai apparir non resistere, f e il porfido che non sia roso dall’acqua non ci apparirà mai roso, e una pietra che io non sia fessa non ci parrà mai fessa. | E dunque impossibile che l’acqua resista alla divisione, e apparisca non resistere; ma è necessario che apparendo non resistere, in lei veramente non sia resistenza. Quinto, io mi sono affaticato assai per ritrovar l’applicazione della vostra similitudine al proposito (li che si tratta, e finalmente non la so trovare se non molto stravolta. Voi sete sul maneggio di voler mostrar, nell’ acqua esser resistenza alla divisione, se ben non appa¬ risce d’esservi; o dite ciò accader come il roder dell’acqua nella pie¬ tra, che por la tardità non appare, nò si vede la resistenza alla divi¬ sione di essa pietra, ben che grandissima e molto maggiore che quella 20 dell’acqua contro alla nave. Questa similitudine ha due parti: l’una è il roder dell’acqua, non apparente per la tardità; l’altra è la resi¬ stenza della pietra, impercettibile essa ancora, ben che grandissima. Di queste due parti (perchè io non so ben intendere quale voi appli¬ chiate al vostro particolare) ho tentato di adattarvi or l’una or l’altra, nè d’alcuna m’è riuscito. Imperochè s’io voglio dire: « Sì come il ro¬ der che fa 1’ acqua le pietre ò, se ben per la tardità non appare, così la resistenza dell’ acqua contro alla divisione della trave è, se ben non apparisce », dico un grande sproposito; porche il rodere, essendo moto, può non apparire per la sua tardità, ma la resistenza alla di- so visione, che è quiete, non può mai essere e non apparire; t e sarebbe ben cosa più che stravagante, che la tavoletta non descendesse per l’acqua dividendola, e apparisse descendervi. 1 Ma se io, pigliando l’al¬ tra parte, dirò : « Come la resistenza della pietra alla divisione, benché grandissima, non si vede, e pur è, così la tanto minore resistenza dell’ acqua alla divisione può ben non apparire, ed esservi », com¬ metterò un paralogismo molto maggiore : perchè non essendo la re- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 561 sistenza assolutamente e per sè stessa comprensibile, ma solamente misurabile dall’effetto che in lei produce una violenza esterna, è ma¬ nifesto che quanto essa resistenza sarà maggiore, tanto l’effetto pro¬ dotto in lei dalla forza esteriore sarà men cospicuo, e, all’incontro, più evidente e maggiore sarà quello che da cotal forza sarà prodotto in resistenza minore ; e però (pianto è maggiore la resistenza alla divi¬ sione nel marmo che nell’ acqua, tanto meno apparento sarà l’opera¬ zione della violenza nel marmo che nell’acqua: onde chi dicesse: « Se la resistenza del marmo, che è grandissima, non si vede, e pur io vi è, quella dell’ acqua, che è tanto minore, potrà molto meno ap¬ parire, e esservi », discorrerebbe a rovescio, nè concluderebbe cosa veruna; perchè appunto per esser la resistenza del marmo grandis¬ sima, poco ha da apparire in lui il roder dell’ acqua ; ma ben la resistenza dell’ acqua alla divisione, essendo debolissima in compa- razion di quella della pietra, dovrà tosto manifestar l’effetto che fa in lei la violenza della trave. Vedete dunque, Sig. Colombo, come giudicando voi, come pur fate, la resistenza della pietra dal tardo effètto che in lei fa il perquoter dell’ acqua, e misurando la resi¬ stenza dell’acqua dall’esser divisa dalla trave, quella può esser gran- 20 dissima e non apparente, e questa tanto più cospicua quanto più piccola. Face. 24, v. 4 [pag. 335, lin. 1-4] : L’aggiunta all’esempio dell’ acque tor¬ bide non conchiude, perchè Vargomento è fallace. La ragion della fallacia consiste in voler che la resistenza alla divisione importi non si lasciar di¬ vulse da forza alcuna, o vogliàn dire , assolutamente resistere. Continua il Sig. Colombo di frequentare il sesto artifizio, fingendo d’intendere il Sig. Galileo al contrario di quello che da lui è stato scritto; ed essendo egli solo a errare, impone al Sig. Galileo man¬ camenti tanto grandi, che mi necessitano a credere che l’istesso so Sig. Colombo non gl’ intenda, perchè s’ ei conoscesse la lor somma esorbitanza, non ardirebbe d’ attribuirgli al Sig. Galileo, con rischio manifesto che l’impostura fusse tosto conosciuta, essendo troppo in- verisimile che egli o altri, che non fusse stolto affatto, gli potesse aver commessi. Voi, Sig. Colombo, ascrivete al Sig. Galileo il voler che la resistenza alla divisione importi non si lasciar dividere da forza alcuna? quasi che egli pretenda di aver vinta la disputa tutta volta che o i suoi av- (V. 71 562 CONSTI )F.K AZIONI versarii non mostrassero unti t;il resistenza esser noli acqua, o egli provasse die olla non vi lusso ? Ma, Sig. Colombo, una resistenza che non si lasci divider da forza alcuna, è una resistenza smisurata; e per provar che una simile non resiede nell’acqua, basta mostrar che ella si lascia dividere da colpi d’artiglieria e da una macine che vi cadesse dal concavo della luna. Or voi, che pur ancora avete per le mani le prove e esperienze prodotte dal Sig. Galileo, le quali si ridu¬ cono all’insensibil forza de gl'impalpabili atomi di terra, alla minima robustezza di un capello traenti! per l’acqua una trave, a un minimo grano di piombo che, posto o tratto, caccia in fondo o lascia sormon- io taro una larghissima falda; sopra qual verisimile potete pretender di fondarvi, per far credere che ’1 Sig. Galileo abbia voluto che la resi¬ stenza aliti divisione nell’acqua importi non si lasciar divider da for- z’alcuna? Come non vedete voi che queste prove tendono a dimostrar, neU’acqua non essere resistenza tale, che non sia superata da ogni debolissima forza? Raddirizzando dunque ’1 vostro equivoco, inten¬ dete che ’l Sig. Galileo ha preteso che chi vorrà persuader altrui, nell’acqua trovarsi resistenza alla divisione, sia in obligo di far vedere alcuna forza dalla quale l’acqua non si lasci dividere, e non, come dite voi, sia in obbligo di tur veder che l’acqua non si lasci dividere eo da forz’alcuna; e ha, di più, preteso con gran ragione di poter affer¬ mar, nell’acqua non esser veramente resistenza alcuna alla semplice divisione, ogni volta che non si possa trovar forza nissuna, almeno debolissima, dalla quale tal resistenza non venga superata. Passo a un' altra fallacia, nella quale in questo medesimo luogo vi avviluppate, o vero cercate di avviluppare il lettore: e questa è che voi proponete una distinzione di dividenti e divisibili, dicendo che, secondo le diverse forze del dividente, può il divisibile o non esser diviso o esser diviso più presto o più tardi; poi vi andate allargando in certo esem¬ pio di carne cruda e di carne cotta, e senza più tornare al principal 30 proposito, lasciate il lettore nella nebbia, con speranza che egli, aven¬ dovi perso di vista, possa credere che voi siate camminato per buona strada, bendi’e’non ne vegga la riuscita. Onde io, ripigliando la vostra incominciata distinzione, e concedendovi esser benissimo detto che i corpi veramente resistenti alla divisione, ad alcune forze posson resistere totalmente, ad altre maggiori cedere e lasciarsi divider len¬ tamente, ad altre presto; concedute, dico, tutte queste cose, vi domando SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 563 l’applicazione al vostro proposito, e che mi diciate come queste di¬ stinzioni s’adattino alla resistenza dell’ acqua. Credo che voi non po¬ trete sfuggir di concedere, che l’acqua si lascia prestamente dividere da i solidi molto gravi e di figura raccolta, più tardamente da i men gravi o di figura larga: ma questo lasciarsi divider presto o lenta¬ mente, credete voi che basti per la tavoletta d’ebano o per la falda di piombo, che galleggiano e si fermano senza discender mai ? Non vedete voi che a tòr del tutto ’l moto a questi dividenti, ci vuol di quella prima resistenza, che vieta assolutamente la divisione ? cioè ci io bisogna, come dice il Sig. Galileo, mostrare che nell’ acqua si ritrovi resistenza tale, che da qualche forza non si lasci dividere, e che una tal resistenza sia quella che si oppone alla tavoletta. Vedete ora se la fallacia è nel Sig. Galileo o in voi: la quale io ho voluta mostrare, non perchè io creda che non l’aveste benissimo conosciuta, anzi tanto meglio de gli altri quanto che ella è fabbricata da voi, ma per far avvisato tanto maggiormente il lettore di qual sorte di cose voi vi mettete a scrivere, per dar alle contradizioni numero, non se gli po¬ tendo dar valore. A quello che in ultimo di questa considerazione soggiugnete, che ao se il Sig. Galileo intendesse della total resistenza non farebbe a proposito e sarebbe contro alla sua dottrina, che afferma, dov’ è la resistenza assoluta esservi anco la rispettiva ; vi rispondo (se ben veramente poca sustanza so cavar dalle proposte) che se voi per resistenza totale intendete una resistenza che non si lasci superar da forza nessuna, questa non si trovando, che io sappia, in corpo nessuno, al sicuro non può aver che fare nè in questo nè in altro proposito, nè mai, come si è detto, è stata pretesa dal Sig. Galileo come neces¬ saria a gli avversarii per difesa e mantenimento della loro opinione: ma se per resistenza totale s’intenderà una che a qualche forza resista so totalmente, questa è ben più che necessaria al proposito di chi vorrà sostenere che l’assicella d’ebano si fermi (dico si fermi, e non dico si muova lentamente ) sopra l’acqua per la resistenza alla divisione. Che poi questa possa contrariare alla dottrina del Sig. Galileo, o che ella togga l’esser il rispettivo dove è l’assoluto, non so veder che sia punto vero; perchè la dottrina del Sig. Galileo insegna, nell’acqua non esser resistenza nessuna assolutamente, e però, mancandoci 1’ as¬ soluto, non occorre ricercarci il respettivo. CONSIDERAZIONI 564 Face. 24, v. 20 [p«g. 335, lin. I5-16J: Signori lettori, l’avversario mio comincia dolcemente a calar le vele e rendersi vinto eie., esclama 1,1 il Sig. Colombo contro al Sig. Cai ileo: e perchè l’esclamazione è delle più veementi che abbia usate, è necessario che l’occasione di gridar per vinto il suo avversario sia delle maggiori che da osso sieno stato incontrate; però sarà bone specificarla chiaramente, acciò dallo spro¬ posito o vanità di questa possa ciascuno argomentar l’occasioni Wl dell’ altre, e tanto maggiormente assicurarsi come al Sig. Colombo basta farsi vivo con lo strepitare e col far volume. Già il Sig. Galileo con molte e concludenti esperienze aveva prò-io vnto, nell’acqua non si trovar alcuna sensibil resistenza alla divisione- e questo bastava di soverchio por il suo proposito, cioè per manifestar come all'assicella (l’ebano non vien impedita la scesa da una tal re¬ sistenza, vedendosi massime, la virtù che la forma esser non solamente molto sensibile, ma grande ancora, potendo ella, secondo la sua am¬ piezza e sottigliezza, regger molto peso che la calchi. Tanto, dico, bastava al Sig. Galileo, nò punto progiudicava o progiudica alla sua ragione, elio l’acqua sia o non sia un corpo continuo o discontinuato: di maniera che il dir egli di poi d’inclinar a creder che l’acqua sia discontinuata, non solamente non debilita o snerva la sua prima de -20 terminazione, come vorrebbe persuader il Sig. Colombo, ma è un nuovo soprabbondante stabilimento; perchè, se quando ben l’acqua fusse continua, ciò niente lineerebbe alla causa prinoipal del Sig. Galileo, poiché le sue esperienze mostrano come ella non resiste alla divisione, chi non vede elio ’l dire, che egli fa, d’inclinare a creder ch’ella nò anco sia continua, non è un ritirarsi indietro, ma un maggiormente confermar il primo detto? Su che occasione, dunque, convocate voi, Sig. Colombo, i lettori a veder calar dolcemente le vele al vostro avversario, a vederlo cedere, a vederlo arrenare? termini che odorano più del Vecchio che del Nuovo Mercato. Ma se forse vi paresse fred- 3° dezza biasimevole in uno studioso delle cagioni naturali l’andar tal ora dubitando, e vi gustasse più un’ ardita resolutezza per la quale tn Nel ras. prima di « esclama * si legge, di pugno di Galileo e cancellato, quanto ap¬ presso : « 11 genio del JSig. Colombo inclina tanto a i ridicoli, che e’ non si sa astener (l’an¬ dargli inserendo senza vermi proposito anco nelle materie gravi e degno d’esser trattate con maniere lontanissimo da questo. Potrebbe bene essermi chiusa la bocca da qualcuno col dirmi ». w La stampa : occasione. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 565 mai non si dubiti di nulla, potete ben di questo accusare il Sig. Ga¬ lileo, il quale vi confesserà liberamente di stare i mesi e (1) gli anni in¬ risoluto sopra un problema naturale, e di infiniti esser totalmente fuor di speranza d’esser per conseguirne scienza; e credo che senza in¬ vidia rimirerà quelli die volano, ed in un subito si credono d’inter¬ narsi sino a i più intimi segreti di natura. Dovreste bene almanco in questo particolare della costituzione do’ fluidi scusar la sua irresolu¬ tezza, non l’avend’egli veduta dimostrata nò da Aristotile nè da altri filosofi: ma ora che (come voi medesimo scrivete in questo luogo, in io difetto che non si trovasse altri che lo dicesse) egli da’ vostri scritti, dove s’è provato efficacissimamente Vacqua esser continua, conoscerà la ragione che lo moveva a creder altramente esser senza fondamento , se ben non co¬ nosciuta da lui per tale, forse muterà opinione, e le vostre ragioni ope¬ reranno in lui quello che non hanno operato in me. Ma io ho più presto paura che voi senza necessità vi siate andato intrigando in voler provar, l’acqua esser un corpo continuo ; perchè, quando vi fusse succeduto o vi potesse succedere il persuaderlo, non v’accorgete voi in quanto maggiori difficoltà vi trovereste immerso, mentre non po¬ tete poi in modo alcuno atterrar l’esperienze troppo manifeste che 20 mostrano, nell’acqua non ritrovarsi resistenza alcuna alla divisione? t L’intender che in un aggregato di particelle minime e divise non sia resistenza veruna alla divisione, è cosa più che agevolissima, poiché nulla vi è che a divider s’abbia; ma che in un corpo continuo si possa far la divisione senza trovarvi l’esistenza, è ben cosa inopinabile, e massime quando si abbia a far la divisione non con un coltello ra¬ dente, ma con una trave, mossa anco per traverso. Ma voi, Sig. Co¬ lombo, vorreste, contro il retto discorso, che l’esperienze sensato o manifeste a tutti s’accomodassero alle vostre fantasie particolari ; sì che, avendo voi tolto a mantener che l’acqua sia un continuo, e non so si potendo in modo alcuno intender che un corpo continuo ceda senza resistenza alla divisione, volete, prima che rimuovervi d’opinione, negar 1’ esperienze chiare e affaticarvi in vano per mostrarlo ineffi¬ caci e fuor del caso. 1 Voi seguitate poi scrivendo [pag.335, lìn. 23-26J : Vedesi ancora che egli arrena nel sostener quella virtù calamitica, poiché egli si riduce a chiamarla (l) La stampa: o. 566 CONSIDERAZIONI un’altra virtù incomparabilmente maggiore deli'union del continuo e del resì¬ stere a separar semplicemente le parti continue del corpo, qualunque élla si sìa. Veramente è cosa inestimabile la vostra resoluzione nel ridursi a scriver cose tanto lontane dal vero, e dello quali la confutazione sta in fatto, nè ha bisogno ili maggior sottigliezza del riscontrare i luoghi del Sig. Galileo da voi allegati : da’ quali prima si può intendere che egli mai non fa fondamento su virtù calamitica ; ed è falsissimo che egli nomini, come voi gl’ imponete, virtù nessuna incomparabilmente mag¬ gioro dell’ union del continuo ; nè dico altro, se non che a dividere una massa d’argento in due parti, ci vuol forza incomparabilmente io maggior di quella che basta poi a muoverle di luogo, divise che siano ; che tanto è quanto a dir che la resistenza alla division delle parti del continuo (posto per ora clic una massa d’ argento fusse un continuo) è incomparabilmente maggiore della resistenza delle me¬ desimo pai-ti diviso all’ esser semplicemente mosse. Come, dunque, gl' imputato voi cosa tanto contraria ? o come potrete asconder l'in- tenzion vostra di scriver solamente per quelli che non leggono più là del titolo de’libri? f e se puro è vero che voi veramente non in¬ tendiate queste cose manifestissimo, come potrete persuadere d’esser capace d’ altre intelligenze ? 1 20 Seguitate poi di scrivere che in questo suo arrenare é confessa la resistenza alla di risiane del continuo, oltre a quella della separazione delle parti contigue solamente. Ma quando ha ('gli negata tal cosa? f quando ha egli mai detto clic un corpo continuo non resistesse all’ esser di¬ viso ? 1 e voi per ciò elio volete inferire ? Ma scusatemi, che ora ni' accorgo dove tende la vostra mira. Voi vorreste che ’l lettore si formasse adesso questo concetto universale, che il Sig. Galileo am¬ mette in questo luogo la resistenza alla divisione nelle parti del continuo, arrenando per la contradizione d’ aver negata tal resistenza nel particolar dell’ acqua. Ma voi supponete ben di parlare a gente so tanto grossolana, che Dio voglia che se ne sia per trovar di cosi scempia t quanto richiederebbe '1 vostro bisogno, 1 sì che ella non si ricordi che il Sig. Galileo tien che l’acqua non sia un continuo, e che però la contradizione non abbia luogo in lui, ma sì bene i gavilli in voi. A i quali proccurate di aggiugnerne un alto), e far credere che il Sig. Galileo si renda anco vinto nel conceder che l’assicella d’ebano galleggi senza divider l’acqua, scrìvendo voi in certa maniera SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 5G7 confusetta, nella quale chiaramente si scorge che voi vorreste poter imprimer nel lettore concetto che il Sig. Galileo si fosse intrigato, e nell’istesso tempo vorreste salvarvi qualche ritirata, caso che ? artifizio non facesse colpo ; e però dite: anzi che egli concede che Vassicella gal¬ leggi e non divida l’acqua, ma non per causa della resistenza alla divi¬ sione del continuo : dove (pici le parole e non divida V acqua vorreste che fossero prese come se importassero che ella non possa dividere l’acqua e che ella galleggi senza penetrarla, contr’a quello che il Sig. Galileo ha detto molt’altre volte e che veramente dice anco adesso, che è io che l’assicella non divide l’acqua, non già che ella non la penetri e non ci si demerga tutta, ma non divide perchè tal effetto nell’acqua non si chiama dividere ; non si dividendo in lei cosa alcuna, perchè è divisissima al possibile e discontinuatissima : e le parole del Sig. Ga¬ lileo son tali : Muovono dunque solamente , e non dividono , i corpi solidi che si pongono nell’acqua, le cui parti già son divise sino a i minimi; talché, Sig. Colombo, com’ ho detto ancora, bisogna ben che quelli che hanno • a esser persuasi da i vostri artifizi! sien semplici a fatto, nè abbino pur letto il trattato del Sig. Galileo. Con tutti questi inverisimili, voi ad ogni modo non diffidate di concludere clic egli mille volte il dì vuole e disvuole. 20 Face. 24, v. 30 Ipngr. 805, Hn. 23-29] : Perche gli piacciono le novità etc. Che al Sig. Galileo piaccino le novità, non lo nego, anzi lo tengo per verissimo, e credo che egli studi per ritrovarne, compiacendosi mirabilmente nelle inven¬ zioni; e per ciò scrivendo, scrive solo il suo ritrovato, reputandosi a vergogna il copiare quel d’altri, essendo quello utile, e questo superfluo e vano. Face. 25, v. 3 [pap. 335, lin. 33-40] : Si risponde a questo poco di dubbio , che la figura si deve considerar congiunta alla materia con tutte le sue passioni, come voi medesimo concedete etc . Ma si risponde molto male, mentre, rinovando gli errori contro la propria dottrina, induce di nuovo la siccità | come 1 cagione del galleggiare; c per ciò so voglio più minutamente considerare l’insufficienza di questa risposta. E prima, il dire che si deve considerar la figura congiunta alla materia con tutte le sue passioni, ò grande sproposito ; perchè moltissime son le passioni della materia che non hanno clic far nulla intorno all’effetto di che si tratta, come sarebbe l’esser nera f o I verde, dolce f o ! amara, e ’nfinite altre; anzi, di più, non solo è super¬ fluo il prenderle tutte, ma il prenderne qualunque si sia che non fusse (1) necessaria (l1 11 Castelli aveva scritto: * non solo è superfluo il prenderle tutte, ma ogn’una che non era » : vedesi poi dalla mano d’un terzo essere sostituito * il prenderne qua¬ lunque si sia > a ' ogn’ una •, e * fosse * a * era ». CONSIDERAZIONI all’ effetto di cui si cerca la cagione. In oltre io considero, che mentre il Sig. Colombo vuole che ai pigli la materia congiunta con tutte le sue passioni, fa un errore gros¬ sissimo: ecl è, che ricercando io da Aristotile qual sia la passiono che congiunta con il piombo fa che ei galleggia, e avendomi egli detto che è la figura, e dopo avendomi il Sig. Galileo dimostrato non essere la figura, viene il Sig. Colombo e dice (pre¬ tendendo dichiarare e difendere Aristotile) che Insogna, per saper quel che si corca, pigliar la materia con tutte le sin 1 passioni. E chi è quell’ignorante che non sappia che, pigliandole tutte, si piglia anco quella che è cagion dell’effetto? e chi non vedo che da questa risposta chi desidera sapore non guadagna nulla? perchè era chiaro per avanti, senza clic il Sig. Colombo ce ne facesse av-io ver ti ti, che il piombo preso con tutte le passioni che egli ha mentre galleggia, ha ben ancora quella che lo fa galleggiare. Vanissima, dunque, è questa risposta, perchè ninna cognizione arreca a gl’investigatori «lei vero'". E mentre Aristotile ha assegnata una cagione del galleggiare delle laide* gravi, che è Tesser congiunte con figura larga impotente alla divisione, è segno che non ne sapeva altra; e se avesse saputa quella della siccità, Pavrebbe senza dubbio nominata, perchè non era gran misterio nò fatica il farne menzione. Considero ancora, che avendo il Sig. Galileo ritrovata e mostrata la vera cagion di questo effetto, cioè l’aria rinchiusa tra gli arginetti e congiunta con le falde sotto ’1 livello dell’acqua, il Sig.Colombo, non senza nota d’ingratitudine di questo insegnamento, tentando dichiarar il 30 Sig. Galileo pur ignorante, va e piglia la vera ejigione ritrovata da quello, e mu¬ tandogli ’l nome la mischia con le sue, proeeurando poi vendere mal condizionato e guasto quello elio puro e sincero gli è stato conceduto in dono. Ma quello che maggiormente dove esser considerato, è elio il Sig. Colombo domanda una cosa, e poi ne vuol un’altra molto diversa: anzi, fingendo di non voler in modo alcuno accettar quel che dico il Sig. Galileo, ricerca con istanza un’altra cosa; dico altra quanto al nome, ma in effetto vuol quello stesso che dal Sig-. Galileo vini introdotto per vera cagione del- Peffetto del galleggiare; e il Sig. Colombo, per non gli restar obbli¬ gato, gli vuol mutar il nome, 0 mascherandolo farlo parere un’altra » cosa. Però acciocbè T artifizio si manifest i, quando il Sig. Colombo dimanda e. vuole che la figura si premia congiunta alla materia con tutte le sue passioni, io in nome del Sig. Galileo gliene voglio conce¬ dere; ma insieme voglio farlo consapevole che l’aria none una pas¬ sione o una qualità 0 accidente alcuno dell'ebano 0 del piombo, ma è una sustanza corporea: e però prenda pure il Sig. Colombo quante passioni e qualità egli si sa immaginare, e se non gli basta pigliai in «a gl’investigatori del vero» è aggiunta di mano il'im terzo. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 5G9 la tavoletta asciutta, tolgala arida e arsa, elio tutto se gli concederà, pur che e’ lasci star Paria, che è un altro corpo; e se egli senza l’aria la farà galleggiare, abbia vinta la lite; ma s’e’non può far senza Paria, non la dissimuli, ma t liberamente la domandi, e i confessi che in lei risiede la causa del galleggiare, come ha sempre detto il Sig. Ga¬ lileo, e confessi insieme cP avere ? 1 torto. Ma quancP e’ volesse pur persistere nella siccità, voglio, oltre al già detto, soggiugner qualche altro particolare, per veder di cavarlo cP errore. E prima, perchè io conosco che la sola sua inconstanza è bastante a con¬ io vincerlo, voglio in questo particolare parlar con lui. Voi dunque, Sig. Lodovico, vedendo come la figura larga ritarda ’l moto, credeste semplicemente su ’l prin¬ cipio che ella potesse dilatarsi tanto, che del tutto si levasse il movimento; e questo credeste accadere nelle materie più gravi dell’ acqua descendenti, c non meno ancora nelle meri gravi ascendenti; e perchè l’effetto che fa la dilatazione della figura, quanto al ritardamento, opera nell’istesso modo in tutti i luoghi dell’acqua, cioè tanto nelle parti superiori quanto nelle medie e nell’infimo, non vi ha dubbio alcuno che aveste per fermo, la figura dilatata poter indifferente¬ mente cagionar la quiete in tutti i luoghi: ora vedendo come è impossibile il fermar una falda di materia più grave dell’acqua altrove che nella superficie, non volete 20 esser obbligato ad altro; ma che farete de i corpi men gravi dell’acqua, e dove gli costituirete in dilatate falde, acciò si possa al senso comprendere l’impedimento arrecatogli dalla figura, per il quale elle si fermino? Non comprendete voi, che non potendo ciò esser fatto in luogo veruno, già avete perso la metà della lite, anzi, per meglio dire, i tre quarti ? perchè arrecarsi quiete in virtù della dilatazione alle materie men gravi dell’acqua, non lo farete vedere in luogo veruno, nè verso la superficie nè circa il mezo; ne i corpi più gravi dell’acqua fate veder la quiete solo nella superficie superiore, ma nelle parti di mezo non mai : onde le conclusioni universali, comuni all’ascendere e al descendere de i leggieri e de i gravi, o in tutti i luoghi dell’acqua, che da principio furon proposte, lo avete già ristrette a i :o corpi solo più gravi dell’acqua, locati nella sua superficie f solamente; l e qui dite, che dilatati in falde sono trattenuti e impediti dal sommergersi. Ciò avete per un pezzo detto, con Aristotile, accader per l’impedimento delle molte parti del¬ l’acqua clic si devon divider dal solido in larga superficie dilatato; vi è stato fatto vedere dal Sig. Galileo, ciò esser falso per molte ragioni, e in particolare perchè la medesima quantità di parti si ha da dividere per tutto, e pure non s’incontra impedimento alcuno, benché nella superficie si trovi grandissimo : onde, stretto da grave necessità, avete cominciato a introdurre, oltre alla figura, la siccità del solido contrariante all’umidità dell’acqua, cosa non mai detta nè, per quanto si vede dal testo, pensata da Aristotile, nè da voi medesimo, se non da alcuni iv. 72 570 00NK1DKK AZIONI giorni in qua. Ma corno quello elio vi sete appreso al falso, quanto più parlerete tanto maggior numero (t errori produrrete^ in campo. K prima, qual nuovo con¬ trasto ù questo che voi ponete tra le cose aride e l’acqua? Io non ho dubbio al¬ cuno, che se per qualche vostro proposito voi avesto di bisogno di porre un im¬ menso desiderio di unirsi le cosi» aride con le umide, affermereste niun’altra brama esser eguale a quella con la quale l’arida terra assorbe l 1 acqua, e ([nella abbraccia, o con lei avidamente si congiugne; <* diresti* elio por cotal desiderio V acqua s’induco sino a muoversi contro a natura, come si vedo mettendo il biscotto, o un panno, o anco un loglio arido, parto nell’acqua, che in breve* tempo si vocio bagnato por grande Bpazio sopra 1 livello di io ossa acqua : talché veramente nè voi nè altri potrà, risolversi nel determinar qual dolio duo posizioni sia più vera, cioè che il secco appetisca V umido e quello avidamente attragga, o pure so 1'ahhorisca e lo fugga. In oltre, già sete ridotto a non vi poter più bastare il dire elio la figura larga è causa del gal¬ leggiare, ma bisogna elio ciò attribuiate alla figura larga o arida; e perchè il ritanlainento del moto depondo dalla figura larga senza bisogno di aridità, già si fa manifesto, la cagiono della tardità o la cagiono della quiete dependere da principii differentissimi, il che non areste creduto da principio così di leggieri. Ora, passando più avanti, io vi domando: Uià che per fermar la falda più grave del l’acqua non basta la sola ampiezza della figura, se non se gli aggiugne la sic- 20 citft ancora, tale effetto ili quietare (lenendogli tutto dalla siccità sola, tutto dalla figura larga sola, o pure parte dalla figura e parte dalla siccità? Se tutto dalla figura larga, a sproposito introducete la siccità, perchè tale effetto faranno le falde bagnate ancora, il che sapete esser falso: t so tutto dalla siccità, gran¬ d'errore ò stato d'Aristotile e d'altri il nominar la figura c tacer la siccità 1 : se parte dalla figura larga e parte dalla siccità, sete in obbligo di far vedere separatamente quello che opera la figura larga, per parte sua, senza la siccità; come sarebbe, per esempio, che un’oncia di piombo, so ben, dilatato in una falda (l’un palino quadro, non galleggia senza la sic¬ cità, egli però galleggi senza tale aiuto, disteso in due, in quattro, so o in dieci palmi d'ampiezza ; il che però non farete veder già mai. Ma ben per l’opposito farò io veder a voi tutto le figure galleggiare, pur che sien congiunte con questa che vi piace di chiamar siccità, anzi moltissim'altro figuro galleggiar meglio che la piana; perchè se quella falda di piombo che distesa in piano galleggia, e sostien, per esempio, quattro grani di peso, voi l’incurverete in forma di mezza sfera o di superficie conica o cilindrica, ella galleggerà parimente e sosterrà molto maggior peso, nò però sarà cresciuta la sua siccità. SOrRA ’li DISCORSO DEL COLOMBO. 571 Anzi, acciò die voi conosciate che nè l’ampiezza della figura nè la quantità della siccità hanno che far in questo negozio, io scemerò l’una e l’altra, e vi farò veder restar a galla la medesima quantità di piombo meglio che prima; perchè se si piglierà, per esempio, sei libbre di piombo e si ridurranno in una falda grossa quanto una veccia, ella non galleggerà ; ma se io ne farò un catino più grosso e, in conseguenza, di minor superficie, egli galleggerà, benché occupi manco parti d’acqua e abbia manco quantità di siccità, se però voi misurate la quantità della siccità dalla quantità della superficie io asciutta, come mi par che abbiate fatto sin qui. Ma io mi aspetto che voi vogliate per l’avvenir introdur la siccità non solo della su¬ perficie del piombo, ma di tutta quell’aria che vien compresa dentro al vaso, se ben anco in altre occasioni voi vorrete che l’aria sia umida più dell’acqua stessa; e vi contenterete di dire che ci bisogni vera¬ mente quell’aria, ma non come aria, ma come ricetto di molta siccità; e in somma credo che vi ridurrete a dir tutte le cose prima che mutar opinione, come quello che, per quanto comprendo, stimate il filosofare non tendere ad altro che al non si lasciar persuader mai altra opinione che quella d’Aristotile, o che quella che fu la prima a ca- 20 derci in mente. Di più, se voi osserverete quello che fa l’assicella d’ebano asciutta e quello che fa bagnata, circa l’apportar quieto, vedrete come, quando ella è asciutta, non solo si ferma, mentre è in superficie dell’acqua, ma sostien molti grani di piombo che ci si posino sopra, e potrà sostenere tal volta iS) tanto quanto ella ™ stessa pesa, e due e tre volte più; e all’incontro, come prima è bagnata, non solo non si ferma sostenendo tali pesi, ma descende senza quelli, anzi molti ritegni di materie leggierissime a pena basteranno a far che ella non descenda, e in somma non ci vorrà manco ritegno che se ella fosse una palla dell’istessa materia: talché pur troppo chiaro si scorge, l’effetto del galleggiare depender tutto tutto w da quell’aria congiunta sotto ’l livello dell’acqua, detta da ao voi siccità, e niente niente dalla figura; poi che posta questa siccità, segue l’effetto totale, e rimossa, totalmente si rimuove l’effetto, f E questo particolare, che pur trae in parte origine dal vostro trovato della siccità, dovrebbe darvi chiaro argomento che il filosofare d’Aristotile non è sempre così 4-5. per esempio , una libbra di piombo e si ridurrà in — W La stampa: cadervi . «ella» ò aggiunta di mano d’un « tal volta * è aggiunta di mano d’un terzo, terzo. (4) La stampa : depcnder tutto . 572 CONSIDERAZIONI saldo conio credete : avvegna che delle due cagioni proposte da voi per far galleggiar le falde, si vede manifestamente e col senso che una, cioè la larghezza della figura, non opera sensibilmente cosa al¬ cuna, nè voi, Sig. Colombo, potete dir altramente; l’altra poi, detta da voi siccità, opera assaissimo; con tutto ciò Aristotile, senza pur no¬ minar questa cagione potente ed efficace, va filosofando con l’altra vana e debolissima. 1 E finalmente, come volete voi che 1’ acqua resista alla divisione dell'assicella mediante la sua umidità contrastante con la siccità di quella? Qual delle due superficie della falda deve far la divisione? io non è ella la superficie di sotto? certo sì. Ma, Sig. Colombo, la su¬ perficie di sotto, quando la tavoletta galleggia, è di già bagnata; adunque tra essa e l'acqua non resta più contrasto. Direte voi forse, ’l contrasto nascer tra l’acqua e la superficie di sopra, che non si toccano? non sapete voi che senza contatto non si fa nessuna corpo¬ rale operazione? E se pur voi solo fra tutti gli uomini del mondo vo¬ leste che la siccità della superine superficie contrastasse con l’umido dell’acqua ambiente senza toccarsi, perchè non seguita di calarla tavoletta ancor che l'acqua non se gli serri di sopra ? o vero perchè non si ferma ella subito che pareggia '1 livello, ma si profonda quanto 20 importa l’altezza do gli arginotti? Guardate a quanti assurdi viconvien trovar ripiego per sostenerne un solo, a favor della vostra sola imma¬ ginazione, e non perchè poss’ alcun altro restar da simili fallacie persuaso f Non voglio con quest’ occasione tacere una cosa assai ridicola, che segue da questa vostra dottrina. Voi dite che l’umidità dell’acqua, contrariente alla siccità del Tassi celi a, non la lascia sommergere come ella vorrebbe : ma quando si finisce l’abbattimento, chi resta vitto¬ rioso, Sig. Colombo, l’umido o i secco? è la siccità dell’ebano che vince P umidità dell’acqua, o vero per l’opposito? Credo pure dieso voi porrete la vittoria dalla parte dell’umidità, poiché P acqua bagna la falda, ma non già la falda secca l’acqua: niente dimeno voi con¬ cedete il trionfo al perditore, facendo che l’ebano, la cui siccità resta Dopo « persuaso • c'è nel ihh. un se- unito, e che avrà contenuto il tratto a cui gno di ricliinmo, ma non si trova il passo quel sogno rimandava, cioè, con)’ è verisimile al quale dovrebbe rimandare. Densi su uno supporre, lo lin. ‘25-33 di questa pagina ( - de' margini della pagaia si notano traecie le 1-5 della seguente che appunto mancano evidenti d’un cartellino che vi doveva essere nel ma. SOPRA 'L DISCORSO DEL COLOMBO. 573 superata dall’acqua, conseguisca il penetrar l’acqua, e ottenga quello, perdente, che non potette conseguire mentre era in piede e vigoroso. Forse l’acqua, come d’animo molto generoso, dona nel mezo della vittoria all’inimico atterrato quello che egli non aveva combattendo potuto conseguire. 1 Face. 25, v. 14 [p»g. 33«, lin. 8-ni: Però fa quegli arginetti bistondi e gonfiati, come violentata dal peso della falda, la quale, per esser larga ancora, donde si cagiona compartimento di peso sopra molte più parti d’acqua, non vince la resistenza ctc. Vedesi da queste parole, e un poco più abbasso da quest’ altre : io Onde che meraviglia se, ben che V altre parti dell’ acqua non sien divise, la tavoletta cala al fondo ad ogni modo , quando aveva, superata la difficoltà di dividere il principio e la superficie ? vedesi, dico, che il Sig. Colombo è di parere che la falda, quando galleggia, non abbia nè anco co¬ minciato a dividere ’l principio e la superlicie dell’acqua, ma solamente la calchi alquanto, cedendogli quella come farebbe una coltrice. Ma credo pure che dal poter, quando gli piaccia, veder una tavoletta grossa un palmo, e anco quattro, e venti, esser tutta sotto ’l livello dell’ acqua, nè però profondarsi, ma sostenersi mercè dell’ aria com¬ presa tra gli arginetti, nè più nè meno che la falda del piombo, gli 20 doverrà cessar questa fantasia, nè dovrà più persistere in voler at¬ tribuir la causa di quest’effètto all’impotenza di fender l’acqua. Anzi, s’ e’ volesse (siami lecito usar una sua frase) aprir gli occhi della mente, potrebbe accorgersi che la sua tavoletta d’ebano non fa mai nell’acqua maggior divisione che quando galleggia; perchè allora ha fatto nel- 1’acqua una spaccatura larga quanto è_ lei, e profonda più di tutta la sua grossezza tanto quanto importa l’altezza de gli arginetti, dove che quand’ ella descende non fa altra apertura che quanto basta a capir la sua mole solamente ; la qual differenza importa tanto, che una falda d’ oro galleggiante fa una fessura nell’ acqua venti volte so maggiore che quando cala in fondo. Però, Sig. Colombo, quando voi in questo luogo e altrove nominate total divisione quella che fa 1’ as¬ sicella descendente, e non totale anzi nè anco parziale quella che ella fa quando galleggia, dovreste dichiarar un poco più apertamente quello che in vostro linguaggio importi questa division totale, e qual misura o requisiti o termini abili voi gli assegnate ; perchè di due divisioni e penetrazioni, per un ordinario si chiamerà più totale la maggiore che la minore ; nè si vede ragione alcuna, se voi non 1’ assegnate, 574 CONSUMAR AZIONI per la quale 1’ apertura fatta dalla falda mentre ella galleggia tra la profondità de gli argini si debba chiamare manco totale, che dopo che di lei ne sarà riserrata una parte, o bene sposso la maggiore nel ricongiugnersi gli urginetti, togliendosi via tutta la cavità tra loro contenuta: e perchè non si deve credere che voi non abbiate pensato a tutto queste difficoltà, mi maraviglio che non l’abbiate risolute. Io poi, che in mille rincontri ho osservato che chi s’ appi¬ glia al falso è necessitato a dir tutte le cose non solamente non vere ma diametralmente contrarie alla verità, credo che anco nel presente particolare quello che prima da Aristotile e poi da voi vien portato io per cagione del galleggiar della falda di piombo, sia tanto falso, che por dir cosa più vicina al vero bisogni dir tutto l’opposito; perchè, sendo prima manifesto che la falda di piombo o d’oro, mentre gal¬ leggia, ha fatto nell’acqua una divisione e apertura venti volte mag¬ giori' che quando ella cala al fondo, e vedendosi appresso che ella non descende se prima non se gli serra sopra 1’acqua, chi non vede che molto più conforme al vero filosoferà colui che dirà: « La falda non descende per la resistenza che fanno le parti dell’ acqua al riunirsi e chiudersi dopo che sono state divise e aperte », che quello che pro¬ durrà la resistenza (lidie medesimo parti alla divisione e penetrazione? 20 Voi poi andate pian piano introducendo 0 accoppiando alcune parole e concetti de’ quali io non saprei cavar la connessione e applicazione, nominando compartirne niì di peso, e resisterne assolute, e crolli, e momenti, e divisioni totali, sin clic entrate a scrivere alcune cose vere, ma prima scritte per l’appunto dal Sig. Galileo; e servendovi del secondo ar¬ tifizio, andate innestando questi veri con li' cose false e confusamente dette innanzi, acciò il lettore, restando con quest’ultimo buon sapore di verità, non torni a ruminare le fallacie di già inghiottite. Face. 25, v. ultimo [pa?. 330, lin. 33-85] : Non si è mai negato, nè si può negare, che a rotai effetto non concorrono più cagioni : però si fa so menzione della figura, come principale fra tutte V accidentali. Panni che da queste parole del Sig. Colombo si possa raccòrre, che noi non siamo ancora alla metà delle cause concorrenti a pro¬ ibir l’effetto del galleggiare le falde di materia più grave dell’acqua; perchè dicendo egli che la figura è principale tra le accidentarie, ne seguita in conseguenza che ce no sieno dell’ altre pur accidentali, e che anco vi sien poi le essenziali, delle quali non sen’ è ancora SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMIIO. 575 prodotta nessuna: tal die quando il Sig. Galileo si crederà d’aver finita la quistione col mostrar che la figura non ha elio lare in que¬ sto negozio, il Sig. Colombo so gli farà incontro con parecchie altre cause accidentali, e poi anco, quando questo non bastassero, si verrà alle secondarie, alle istrumentali, e poi all’essenziali, mostrando come al vero e saldo filosofare bisogna aver copia grande di cause e di partiti, e non si fermar sopr’una ragion sola, come ha fatto il Sig. Galileo, mentre non ha introdotto altro che la minor gravità rispetto all’ acqua. io Face. 26, v. 7 [puff. 336, lin. 311 — pa La stampa : del. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 579 questo fatto. | Nel qual discorso considerisi l’errore del Sig. Colombo, in voler che uno che ha tralasciata la vera cagione d’un effetto, abbia rettamente intorno a quello filosofato, pur che egli nominatamente non abbia esclusa quella tal cagion vera. Ma chi non vede che in questa maniera di filosofare, an¬ corché uno pronunziasse grandi stravaganze per cagioni clelli effetti che si cercano, filosoferebbe in eccellenza, pur che, conforme a questa ritirata del Sig. Co¬ lombo, tralasciasse di escludere qual si voglia altra cagiono, tra le quali f neces¬ sariamente 1 si troverebbe ancora la vera? f E così chi dicesse che ’l veleno del capo o della coda del dragone fa doventar livida e oscura la luna, io quando se gli accosta, benissimo filosoferebbe, tutta volta che nomina¬ tamente non escludesse l’interposizion della terra, vera cagione del- 1’ ecclisse lunare. 1 Ma dico di pili : che Aristotile ha fatto una cosa sola, cioè assegnata quella che egli stimava cagione, e non l’ha provata; e il Sig. Galileo non solo dimostra come f la causa addotta da Aristotile, cioè | la figura, non può produr cotal effetto del galleggiare (il che bastava per convincere gli avver¬ sario, ma ancora dimostra la vera cagion dell’effetto; e ne doveva esser ringra¬ ziato. E quando ’l Sig. Colombo argumenta al principio di questa faccia, e re¬ plica nel fine: < Quella è cagione, la quale posta si pon l’effetto, e levata si leva; adunque la larghezza della figura è cagione del galleggiare >, dico che questo 20 modo di argomentare, applicato come conviene, è per sé solo bastante a difinir questa controversia, mostrando tutto ’l torto esser dalla parte del Sig. Colombo. Si dubita, se sia la figura dilatata causa del gal¬ leggiar la falda di piombo, come vuole il Sig. Colombo, o pur l’aria congiuntagli, come vuole il Sig. Galileo: si accordano amendue, quella dover esser reputata vera cagione, la qual posta segue l’effetto, e rimossa non segue: bisogna ora trovar modo di far l’esperienza esat¬ tamente. 11 modo esatto per il Sig. Colombo è il far vedere come un pezzo di piombo, quando gli sia applicata la figura larga, senz’aria galleggia, e che egli non galleggi rimossa tal figura, tenendo sempre so rimossa l’aria ancora; pei’chè chi volesse applicargli la figura larga insieme con l’aria, e rimuovendo poi la figura rimuover l’aria ancora, e dir poi che la cagione della diversità d’effetto, che si vedesse se¬ guire, derivasse dalla figura e non dall’aria, opererebbe e conclude¬ rebbe scioccamente, nè si potrebbe da cotale operazione concluder niente, ma resterebbe sempre dubbio se la diversità dell’effetto de¬ pendesse dalla figura o dall’aria. Il modo esquisito per il Sig. Galileo sarebbe applicare al piombo l’aria, rimuovendo ogni sorte di figura, e poi levar l’aria, tenendo pur sempre rimossa ogni figura : ma perchè CONSIDEKAZIONl DbO non è possibile avere il piombo senza qualche figura, sì come è pos¬ sibile averlo senz’aria, il Sig. Galileo trova rimedio a questa difficoltà; e questo fa egli mentre dimostra che quel pozzo di piombo il quale ridotto in una falda e congiunto con una quantità d’aria galleggia, fa l’istesso ridotto in ogn’altra figura, purché gli resti la medesima quantità d’aria; o elio il medesimo piombo, rimossa l’aria solamente, e lasciatogli qual si voglia figura, non galleggia mai. Ma il Sig. Colombo sin qui ha usato quel modo di esperimontare inutile e fallace, perchè quando egli ha posta la larghezza, vi ha voluto l’aria ancora, e rimo¬ vendo tal figura, lia levata l’aria parimente; operò non ha concluso io niento in prò suo: ma ben ha necessariamente concluso e concludente¬ mente maneggiata la regola e l’esperienza il Sig. Galileo, mentre ha dimostrato al senso o alla ragione, elio congiunta tant’aria col piombo egli galleggia sotto tutte le figure egualmente, e cho rimossa l’aria egli egualmente sotto nessuna figura sta a galla. Però, Sig. Colombo, sin che voi non mostrato elio il piombo dilatato in falda galleggi ri¬ muovendone l’aria o altro corpo leggiero che seco si accoppiasse, pototc esser sicuro d’avere il torto. K so considererete queste cose, potrete conoscere quanto il vostro filosofare ò inferiore a quel del Sig. Galileo; poiché egli, senza aver mai bisogno (li ricorrere a tante 20 cause primarie, secondarie, instrumentarie, per sè, per accidente, a figure, a siccità, a resistenze di continui, a viscosità, f a flussibilità e durezze, a superficie in atto e scoperte, a dissensi e antipatie, a untuo¬ sità, 1 a circostanze, a materie qualificate, a termini abili e a cent’altre chimere, t che sono vostri refugii, I con una sola, semplice creale con¬ clusione, esente da tutto lo limitazioni e distinzioni, rende ragione d’ogni cosa; e questa è che tutti i corpi che si pongono nell’acqua e sono in specie men gravi di lei, galleggiono, ma se saranno più gravi, di necessità vanno al fondo: 0 se nel por nell’acqua la falda di piombo voi non ci mettessi altro corpo leggieri in sua compagnia, so ella se ne andrebbe senz’altro al fondo. Quando poi il Sig. Colombo e altri con esso lui dicono che in ogni modo, an¬ corché sia l’aria cagione del galleggiare, tutto è per benefizio della figura larga, che ammette sopra di sò gran quantità d'aria, non fanno altro in questa fuga cho darmi occasione di dimostrare, che nel voler moderar la prima lor falsità incor- 2-1. abili, e insino a dir che allora si è trovata a bastanza la vera cagione, quando ella non si e. esclusa — SOPRA ’L DISCORSO DEC COLOMBO. 581 rono in inconvenienti maggiori elei primo; perchè, stante questo, io dimostrerò, la figura larga essere inettissima sopra le altre figure a lare quanto loro preten¬ devano in principio die ella sola potcsso fare. E la ragione è manifesta: poi che si vede che una falda di piombo distesa sarà men atta a galleggiare della medesima falda ridotta in figura, v. g., di campana da stillare, che pur per loro è figura tra le più inette al galleggiare, essendo accomodata al fendere e penetrare; sì che non galleggia per altra cagione ( che per esservi dentro più aria che nella falda. Se dunque vogliono ammettere e confessare l’aria come necessaria |,J ai- fi effetto del galleggiare, bisogna che confessino, la figura 1 arga e piana io essere sopra tutte inettissima a produr tale effetto ; anzi, che è più im¬ portante, tutte le figure possono produrlo, onde il nominar la figura è su¬ perfluo : ma se non vogliono ammetter l’aria come necessaria, in questo caso sono in obbligo di mostrar una falda piana che galleggi senza 1’ aria. Il Sig. Galileo ha diligentemente esaminata e esplicata la cagione per la quale le falde di piombo e altri simili corpi galleggiono, e mostrato esser la medesima in tutte le cose che stanno a galla: la quale è, che men¬ tre clic quel corpo che si mette nell’ acqua si va tuffando a parte a parte sotto ’l livello dell’acqua, occupando in essa spazio, è forza che l’acqua gli coda il luogo e si parta, e si sollevi all’in su, non avendo altro 20 luogo dove ritirarsi, al qual sollevamento ella, come grave, va contra¬ stando; e però bisogna paragonare la gravità dell’acqua con quella del corpo che in lei si va demergendo ; e sin che ’l peso del corpo che descende è superiore al momento dell’acqua che viene scacciata, egli séguita di descendere; ma quando l’acqua scacciata contrappcserà la forza del corpo premente, allora si fa l’equilibrio e la quiete. Presa, dunque,la tavoletta d’ebano e posata su ' 21 l’acqua, ella non si ferma, per¬ chè si trova ancora nella region dell’aria, dove ella è grave e descende; però comincia a penetrar dentro all’acqua, discacciandola dal luogo dove ella va entrando, descende sin che è tutta dentro e con la sua so superi or superficie pareggia quella dell’acqua, ma non però si ferma ancora, perchè, essendo quel pezzo d’ebano più grave di altrettanta acqua, il peso e momento suo resta ancor superiore a quel dell’acqua discacciata, e però seguita ancora d’affondai’si, come più grave del¬ l’acqua; e nel suo abbassarsi più del livello dell’acqua, si vede col senso della vista, l’acqua circunfusa al perimetro della tavola rimaner superiore, cioè più alta della superfìcie di essa tavola, e sostenersi {,) Riguardo al tratto da « necessnria * {t) La stampa: d’ebano posta su. a * aria * (Un. 13), cfr. V Avvertimento. CONSIDERAZIONI 582 formando alcuni arginetti, che descendono dalla superficie dell’acqua circonfusa sino a i termini della superficie della tavoletta. Questo spazio circondato da gli arginetti, che in lunghezza e larghezza è cpianto la superficie dell’ assicella, o in altezza, o vogliali dir pro¬ fondità, è quanto l’altezza de gli arginetti, il Sig. Galileo, e, credo, tutti gli altri uomini del mondo, stima elio sia occupato da aria che va seguitando l’assicella; di maniera che nell’acqua si viene a ritro¬ vare uno spazio occupato dalla tavoletta o da quell’aria che l’ha soguita sotto ’l livello, c l’acqua che si trova scacciata, non è più quella sola che fu scacciata dall’ebano solo, ma ci ò di più quella io che ha ceduto’l luogo per l’aria compresa tra gli arginetti: ma perchè quest’aria insieme con la tavoletta già non sono più gravi di quella quantità d’acqua che andrebbe a riempiere lo spazio occu¬ pato nell’acqua da essa tavoletta e aria, però la tavoletta non descende più; perchè so ella avesse a descendere ancora, bisognerebbe (nomi rompendo gli argini, anzi seguitando di sostenersi) che altra acqua si discacciasse e sollevasse, il che è impossibile, avendone di già la tavoletta sollevata tanta, «pianta fu possibile al suo peso ; per lo che la tavoletta si ferma, nè più descende. Questo è il modo col «piale la tavoletta penetra l’acqua, l’acqua20 scacciata gli contrasta, e l’aria aiuta a sostener la tavola: del quale porche il Sig. Colombo non è mai potuto restar capace, però ha scritto tante vanità 0 stravaganze ; 0 ora, benché egli vegga col senso la falda più bassa del livello dell’ acqua, vt'gga gli arginetti, intenda che tra essi è compresa aria, capisca che tutto questo spazio, contenente tal aria e la tavoletta insieme, è maggiore che la mole sola della tavoletta, intenda anco che dove succede l’aria è forza che si parta l’acqua, e sappia che l’acqua, come grave, repugna all’esser alzata sopra’l suo livello, con tutto, dico, che egli capisca tutte questo cose a parte a parte, nell’accozzarle insieme e formarno il discorso e la ragion vera 30 0 reale del galleggiare della falda, egli mostra di confondersi e perder il filo, e in guisa tale si allontana dalle verità patenti e manifestissi¬ me, che egli in questo luogo va formando querele e processi per far condennar come impossibili le coso che il senso ci mette davanti; e dopo una sua inutil considerazione trimembre di modi diversi secondo i quali l’aria può ritrovarsi con altri corpi, non vuole in conto alcuno che quella che è tra gli arginetti e contigua all’assicella gli possa esser SOPRA ’L DISCORSO DEL, COLOMBO. 583 d’aiuto, per il suo galleggiare, più che se ella non vi fusse ; e la ragione è (come egli scrive a face. 28, v. 5 [pag. 338, lin. 30-34J), perche non vi è necessità alcuna che dia cagione all’aria dì non lasciar lìbera la tavoletta; polche Vacqua potrebbe scorrer super la ( " superficie di essa tavoletta lìberamente e occupare il luogo che lascierebbe l’aria, come più gagliarda di essa aria e potente a vìncer la resistenza che le facesse. Sig. Colombo, volete voi dire che queste cose non sono, o pur volete dir che elle son mal fatte? Se voi voleste dir che le non fussero, già la falsità del detto è manifesta al senso; perche nò l’aria lascia libera la tavoletta, ma la segue, nò to l’acqua scorre sn per la superficie di quella, nò occupa quel luogo che lascerebbe l’aria, nò si fa alcuna di queste cose che, f secondo ’l parer vostro, 1 si potrebbon fare. Ma se voi voleste dire che queste cose non stian bene t e che a vermi patto uon dovrebbon seguir così, 1 io son ben con voi, e dico che l’aria dovrebbe lasciar annegar la tavo¬ letta, e che l’acqua non si dovrebbe lasciar ritener dentro ad argini o altro, ma farebbe bene a scorrer sopra la falda e non si lasciar con vergogna occupar il luogo dall’aria, poi che ella è più gagliarda e potente a vincer la battaglia, e l’aria gli cederebbe finalmente il campo : tutto questo ò un ragionevolissimo discorso, e dovrebbe seguir 20 così, e credo che anco il Sig. Galileo l’intenda per questo verso ; ma egli non ci può far altro, e però non vi lamentate di lui, ma quere¬ latene la natura che permette queste ingiustizie. Per qual cagion poi questi arginetti non si rompino e l’acqua non iscorra, e se l’ariasi racchiuda là entro.per non dar il vóto o per virtù calamitica o per altro, io per ora non mi ci voglio più affaticare: basta, Sig. Colombo, che questi atti sono e si veggono e producono P effetto, nè ciò si può negare. Àpplaudo bene all’altra accusa che voi date a gli argi¬ netti, li quali non devono (come voi accortamente considerate) soste¬ nersi e far argine all’istess’acqua per non dar il vacuo, nò meno per 30 virtù calamitica che tenesse l’aria attaccata alla tavoletta; e intendo benissimo, e son dalla vostra, che questa virtù calamitica dovrebbe più presto attrai’ l’acqua de gli stessi arginetti e farli riunire: tutti questi atti stanno male, ma, di grazia, non ne fate autore il Sig. Ga¬ lileo, che mai non ha scritte o pensate simili sciocchezze; biasimate pure chi se l’ha immaginate, che a lui si pervengono le rampogne: (1) La stampa : scorrer sopra la. D84 CONSIDERAZIONI ma quanto alla pratica doli’effetto, o’ bisogna che noi ci accomodiamo a dir elio gli è vero, poi che ci son tanti occhi che lo veggono. Vor¬ ranno poi questi signori accusar il Sig. Galileo, come che egli o non resti capace della dottrina d Aristotile, o non ne faccia quel capitale che si converrebbe: ma io dubito del contrario, mentre veggo ’l Sig. Co¬ lombo affaticarsi di persuader, per via ili discorso e di ragioni, il ro¬ vescio di quel che il senso ci manifesta, scordatosi o non reputando vera la sentenza d’Aristotile contro a quelli che lasciano ’l senso ma¬ nifesto per seguir quello elio il discorso gli detta. Face. 11 ’ ‘29, v. 3 li»»r 889, Ilo. 2 fl 28 ]: Perdi» si risponde die, non sentendo l’aria io violentarsi , non può far resistenza alcuna. La violenza e,ho fa l’aria per non esser abbassata sotto il livello del- l’acqua, non dove nè può misurarsi dall’esser abbassata f molto o poco sotto il livello dell’ acqua, 1 conio si pensa e scrive il Sig. Colombo, perchè la mede¬ sima quantità, d’aria da egual virtù sarà trattenuta sotto il livello tanto un mezo dito quanto cento braccia : sì clu* non dal poco abbassamento, ma sì bene dalla quantità dell’aria, si deve misurare la resistenza; la quale, perchè ha relazione in questo caso alla forza della falda, non si può dire asso¬ lutamente che ella sia nè poca nè molta, ma è appunto tanta, quanto basta per sostenere ossa falda. 20 Face. 29 , v. 8 ìi>»k. 839, iìu. ai) : La quale fa più forza per esser più grave e non cedente come l' acqua. Che 1’ aria sia sotto il livello dell’ acqua nel caso dell’ esperienza della tavo¬ letta, non può essere nè dal Sig. Colombo nè da altri negato mai: il dir poiché ci stia senza violenza, è un dire che il leggieri stia sotto il grave, e che non abbia inclinazione ili ridursi al proprio luogo. Ma quando il Sig. Colombo non voglia altro, io mi piglierò libertà di concedergli, senza repulsa del Sig. Galileo, elio l’aria non riceva violenza alcuna nell’abbassarsi sotto il livello non solo quid brevissimo spazio che importa l’altezza de gli arginetti, ma un braccio e dieci e mille; sì che, abbassandosi la tavo-so letta e sostenendosi gli argini, l’aria l’andrà 1 ’’ seguendo sempre, sema sentir violenza alcuna, giusto come accade quando si cava un pozzo, il quale se si profondasse ben sin al centro della, terra, l’aria scende¬ rebbe a riempierlo sempre, se l’acqua o altro corpo non vi andasse. Ma pei’chò il Sig. Colombo non ha mai potuto capire ’l modo col quale 111 Riguardo al tratto da « Face. » a [i) Fa stampa : Varia andrà. « esser *■ (lin. 13), cfr. V Avvertimento. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. r>85 l’aria concorre al galleggiamento della falda, però ha fatti tanti di¬ scorsi vani e lontanissimi da questo proposito. Figuratevi dunque, Sig. Colombo (per veder s’è possibile che voi re¬ stiate capace di questo punto), d’aver una tavola di piombo quadra, di un braccio per ogni verso, e grossa un palmo, e che gli arginetti del¬ l’acqua si sostengliino sempre in qualunque altezza: intendete poi che ella sia posata su l’acqua ; già, come gravissima, non si fermerà su la su¬ perficie, ma la penetrerà, e quando ella sarà entrata tutta nell’acqua, già avrà scacciata l’acqua che gli ha ceduto ’l luogo. Segue la tavola di ca¬ lo lar sotto ’l livello, e non iscorrendo l’acqua, ma sostenendosi gli argini, fa come un pozzo nell’acqua, e l’acqua, che da quello viene scacciata, si ritira e s’alza, non a verni’ altro luogo dove ridursi: or quando la tavola avrà incavato nell’acqua una caverna, o volete dire un pozzo profondo, v. g., quattro braccia, e in consequenza avrà alzato f circa 1 quattro braccia cube d’acqua, le quali peseranno quanto essa tavola, che volete voi che ella faccia? Volete che ella séguiti ancora di pro¬ fondarsi e di far la caverna maggiore, sollevando ancora dell’altra acqua? non vedete voi che ciò non può farsi, perchè quel piombo non può seguitar d’alzar altr’acqua, avendone alzata quant’il suo peso 20 ha potuto ? Si fermerà, dunque, nè più si profonderà, e il più profon¬ darsi gli vien proibito dal peso dell’ acqua già alzata e che ancor doverebbe alzarsi, nel farsi la caverna maggiore: e questa è la vera e immediata cagione del fermarsi la tavola senza scendei'e sino al fondo, la quale è stata, con quanta chiarezza si poteva maggiore, di¬ chiarata dal Sig. Galileo; il quale ha anco, per maggiore intelligenza e per venire alle dimostrazioni di molti particolari che accaggiono in cotale effetto, considerato quel corpo che succede a riempiere quella cavità, il quale è il più delle volte aria, e l’ha paragonata con l’acqua, servendosene in molte demostrazioni, come nel suo trattato si vede, so Ora il disputare se quest’ aria va a occupar quel luogo con resistenza o senza, se per virtù calamitica o per non dar vacuo, e cercar perchè gli argini si sostengliino, è fatica inutile per quelli che volessero per¬ turbar l’evidenza di questa ragione, la quale acquista tutto ’l suo vigore dall’esser vero che quella falda, insieme con quel corpo che la segue, occupa nell’acqua tanto luogo, che a riempierlo d’acqua ce ne vorrebbe tanta, che peserebbe appunto quanto tutto quel corpo che fa la cavità: che in fine è l’unica e vera causa del galleggiare IV- 74 586 CO N 811)KIi AZIONI di tutto le cose che galleggiano. E ho mi sarà succeduto il far che voi restiate capace di questo discorso, ho elio intenderete, senza che io più mi affatichi, quanto inutilmente voi andiate proponendo di rimuovere quest’aria con bagnar la tavoletta eccetto che una corda intorno al perimetro, o veramente con l’ugnerla, che sono tutte cose troppo ridicolo. Quando il Sig. Galileo dice a gli avversarli: Rimonde l’aria, non vuol dire: • Mettete tra l’aria e l’assicella un velo d’acqua o d’olio, sì clic non la tocchi -, ina vuol dire: « Rimovete l’aria dalla cavità compresa tra gli argini • ; anzi ho voi non troncaste i suoi periodi, ìua gli portaste interi, avreste detto con lui: «Riamo-io vasi l’aria, sì che (pici che si trova nell'acqua sia semplice ebano,e non un composto d’ebano e «l’aria Però ingegnatevi pure per l’av- venire di far vedere, la falda di piombo solo nell’acqua galleggiare; altramente bisogna cedere alla ragiono o all’esperienza. l«’acc. 29, v. 23 1 [pag 3 lo, lin. i-t;| : Della qual virtù calamitica, perchè si è da me ragionalo e disputalo allungo contro i seguaci del Copernico , che vuol che la lena si muova (/• Voi l'avete letto, e non ci rispondete cosa alcuna), però qui non nc dirò altro. Il' 1 ’ presente luogo,e il medesimo replicato a face.47 [pag.356,lin. 18-20], e «pii e là fuor di tutti i propositi, mi sforzano ad allontanarmi alquanto 20 da quei termini che da principio prefissi a questa scrittura, e considerar alcune cose vostre, pur lontane dal caso, intorno a questa virtù calainitica 0 a questo in¬ trudili* dio fate ora di vostri scritti contro al Copernico, veduti senza rispondervi dal Sig. Galileo. E prima, sapendo io l’introduzion della virtù calamitica essere stata di uno di quei signori clic dissentivano dal parer del Sig. Galileo (dico introdotta per un sol transito di parole; non clic quel che l’introdusse*' 1 ci facesse sopra tal refles¬ sione, nò ci si fondasse in maniera, che trovandosi poi tal proposizione esser falsa, dovesse esserne fatto capitale alcuno contro il suo autore, se non da chi fosse, f quid sete voi, più. che 1 mendico di altri attacchi), mi son maravigliato non so ll ' l.a stampa : Face. 2C>, e. ~‘i>. Prima di « Il presente luogo * ni leggo nei in»., di mano di Galileo e rancidiate», quanto appresso : « Una inaspettatissima scappata che voi, fuor di tutti i propositi, fato addosso al Si#. Galileo, mi forza a famo una a ino ancora, fuor dtd mio instituto: ma non sarà senza vostro utile, se vorrete ricever in grado Tesser avvertito di quanto mal con¬ venga l’andar pubblicando al mondo di¬ fetti del prossimo, li quali senza la vostra pubblicazione sarobbon restati occulti, e di quanto non solamente mal convenga, ma passi i termini del decoro, V imporgli man¬ camenti cho egli non ha, ma voi solo vegli figurate e fingete ». i*» 11 Castkllt aveva scritto: «nonché quel cuvagliero • ; o a * cavagli ere » fu sosti tuito, di pugno d’un terzo, nel uis, * c e a produsse ». SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 587 poco nel veder detta virtù calamitica tante e tante volte buttata 01 in occhio al Sig. Galileo in questo vostro Discorso. Ma tra tutti i luoghi (love fuor d’ogiìi pro¬ posito rintroducete, questo è molto notabile, poiché la fate oncino d’attaccarvi uno sproposito maggior de gli altri, dicendo voi aver lungamente trattato della virtù calamitica in una vostra scrittura contro i seguaci del Copernico, \ che vuol che la terra si muova, 1 la quale scrittura dite appresso aver il Sig. Galileo veduta, e non gli aver risposto. Io non so intendere quel che abbia che fare in questo luogo, anzi in questo libro, l’aver voi scritto della calamita e contro al Copernico, e non vi essere stato risposto dal Sig. Galileo. Mosso da cotal meraviglia e, confesso, io da qualche curiosità, mi ridussi, quando incontrai questo luogo, a passare alcune parole circa questo fatto col Sig. Galileo, dal quale ottenni anco, dopo alcune repulse, di veder la nominata vostra scrittura; e avanti che io la leggessi, anzi pur prima che io da lui mi partissi, gli dimandai per qual cagione, stimando egli il sistema Copernicano molto più conforme al vero che il Tolemmaico o Ari¬ stotelico, e’ non avesse tentato di rispondere alle vostre obiezzioni. Di ciò mi ad¬ dusse diverse ragioni ; dicendo, prima, che non sapeva che voi scriveste più contro di lui che contro altri, non nominando nessuno, e che però non sentiva obbligo alcuno a dover rispondere; anzi, di più, non essendo la vostra scrittura publica, ma privata, diceva che ella non poteva obbligare altrui, e che troppo laboriosa 20 impresa sarebbe il voler impugnar quante scritture private vanno in volta. Altra piò forte ragione mi addusse, e fu che ritrovandosi (diceva egli) nella vostra scrit¬ tura molti errori da non poter di leggieri esser difesi, gli pareva impresa non totalmente lodevole il cercar di aggrandirgli col fargli maggiormente palesi e cospicui, e che tale azzione, non eligibile da alcuno, fosse poi totalmente biasime¬ vole in uno della stessa patria; anzi mi soggiunse che volentieri, per sgravarne un gentiluomo della sua città, se ne sarebbe addossati una parte a sò medesimo, e che per tal rispetto, essendo anco veramente gli assunti falsi, gli argomenti fallaci e i paralogismi scritti da voi, non vostri, ma di Aristotile e di Tolom- meo o da essi dependenti, voleva contro di quelli disputargli, e non contro di voi : so in confermazione di che mi fece anco vedere nel suo libro i detti argomenti, in¬ sieme con tutte le instanze e repliche che per avventura far se li potrebbono, sciolti e resoluti senza f pur ! nominar voi, potendo far senz 1 aggravarvi di simili note. Io poi, dopo aver letto la vostra scrittura, m’accorsi, il Sig. Galileo, oltre alle cause dette da lui, mosso da cortese alletto, aver voluto dissimulare, anzi, giusto al suo potere, ascondere un’altra specie di errori molto più gravi, de’ quali la detta vostra scrittura abonda; i quali (e sia detto con vostra pace e per vostro beneficio) troppo palesemente dichiarano il vostro gran desiderio di apparire, ap- La stampa: battila. 588 CONSIDERAZIONI presso l’universale, intendente anco «li «inedie professioni delle quali, essendo elleno"' grandi o difficilissime, voi non ne avete veduti, non che intesi, i primi puri ter¬ mini, i primi e semplici elementi, lo, essendo fuori de gli interessi del Sig. Galileo, voglio far prova di liberarvi ila queste false immaginazioni, ncciochi! per l’ave¬ nire non vi ci immerghiate maggiormente; e già che voi ricercate la medicina con le stampe, in stampa ve la porgo. Voi strepitato elio il Sig. Galileo non risponda alla vostra scrittura contro al Copernico, il cui sistema vien da lui riputato per vero; ma per qual cagione si deve mettere il Sig. Galileo a difendere il Copernieo da uno die punto non l’offende, poi che mai non l’ha veduto, mai non l’ha intesoV Voi, 8ig. Colombo, avete creduto, io con lo scrivere contro un tant’ uomo, di tur maggiormente credere di averlo letto, e avete fatto effetto contrario; perchè chi leggerà la vostra scrittura, toccherà con mano che voi non avete, non dirò inteso le sue demostrazioni, ma nò capite le semplici ipotesi, nò anco i muli termini dell’arte, nò intesa la prima dipintura che mette il Copernico nel principio nel suo libro. E d’onde avete voi cavato che il Copernico faccia muover la Terra in ventiquattro ore in sò medesima al moto del l’rimo Mobile, che seco rapisce tutti gli altri orbi? dove trovato 1,1 che l’orbe magno della Terra sia l’epiciclo della Luna? t* come immaginatovi, clic ponendo il Coper¬ nico le conversioni «li Venere e di Mercurio intorno al Sole, tanto si possa mettere per prima e più vicina a quello Venere, quanto Mercurio? nè sete ancor capacelo che essendo le digressioni di Venere maggiori il doppio che quelle di Mercurio, è impossibile che l’orbe di Venero sia contenuto da quel di Mercurio, che è il me¬ desimo elio non intendere che un cerchio grande non può esser descritto den¬ tro a un piccolo? Ma passo più avanti, e vi dico che chi leggerà quella vostra scrit¬ tura, non solo toccherà con mano clic voi non intendete nulla delle cose del Copernico, ma, di più, che voi meno intendete quello che scrivete voi stesso, e elio solo vi movete a scrivere e contradire per acquistarvi una vana opinione appresso le persone semplici ; perchè so voi intendeste quello che vuol dire, essere 1 epiciclo della Luna il medesimo che l’orbe magno della Terra, muoversi la Terra al moto del primo mobile in ventiquattro ore, esser l’orbe di \ onere contenuto dentro f di 1 80 quel di Mercurio, e l’altro stravaganze che voi mettete in quella scrittura, cheson tante quante son le cose che voi scrivete «li vostra immaginazione; se voi, dico, sapeste quali esorbitanze sien queste, già che voi le avete per cose del Coper¬ nico, sopra di queste fondereste lo vostre più gagliarde impugnazioni, e non le passereste, come possibili f e non ripugnanti in natura, I senza impu¬ gnarle: perchè vi assicuro che una sola «li questo pazzie, che fosse stata scritta dal Copernico, t sì come tutte sono state immaginate da voi, I bastava '*• "elleno» è di mano d’uu terzo, so¬ stituito a - loro - di mano del Castelli. 1*1 La stampa : trovate. SOPRA ’L DISCORSO DHL COLOMliO. 589 a farlo conoscere, non solamente dal Sig. Galileo, ìua da ogn’altro, ancor clic manco che mediocremente intendente, per uno de’ maggiori ignoranti che mai avessero aperto bocca in queste materie. Or se volete ricevere un buon consiglio, desiderando voi d’intendere ’l Copernico per potergli contradire, mettetevi a studiar prima gli Elementi d’Euclide, comin¬ ciando dalla deiinizion del punto; proccurate poi d’intendere la Sfera e le Teo¬ riche; e intese queste, passate all’Almagesto di Tolorameo, e usate ogni studio per impossossarvene bene; e guadagnata questa cognizione, applicatevi al libro delle Revoluzioni del Copernico : e succedendovi il far acquisto di questa scienza, io verrete prima a chiarirvi che la cognizion delle matematiche non è da fanciulli, come dite in quella scrittura, mentre l’andate misurando con quella parte che ne possedete | voi J adesso; ma misurandola con quello che ne seppe Tolommeo e ’l Copernico, e che allora ne intenderete voi ancora, la troverete essere studio da uomini di cent’anni; e, quello che vi sarà più maraviglioso, cangerete opinione intorno al Copernico, e vi accerterete come è impossibile l’intenderlo e non con¬ correr con la sua opinione. Face. 29, v. 27 h>ag. Sto, Un. 7 -ioj : 77 esperienze che avete fatte per farV apparir vera non escludono le nostre cagioni ; anzi provati più debolmente che le vostre altre ragioni , poiché mostrati che quest' aderenza calamìtica non abbia virtù più che s’ella 20 non vi fusse . Di sopra un verso il Sig. Colombo dice che il Sig. Galileo ha supposta la virtù calamitica, e non provata; e ora, contradicendosi, dice die ha fatte esperienze per farla apparir vera, f nè sa die V esperienze son le migliori prove che usar si possino. 1 Poi non è vero che il Sig. Galileo abbia mai trattato tal ma¬ teria; onde si vede che il Sig. Colombo si vale del quarto e sesto artificio. Ma quello che maggiormente noto, è che egli dice che l’esperienza del Sig. Galileo, della palla di cera che galleggia come la tavoletta, e che dal fondo dell’acqua, in virtù dell’aria compresa tra gli arginetti, si riduce a galla, prova più debolmente che le sue ragioni: e io voglio 30 conceder questo al Sig. Lodovico, nè voglio ch’ella provi più di quel che egli stesso gli attribuisce, il che è poi in effetto tutto quel che il Sig*. Galileo pretende; avvenga che egli dice che questa palla di cera, die, per esser più grave dell’acqua va al fondo, tuffata lenta¬ mente fa gli arginetti, dentro a i quali scende alquanto d’aria, la quale accoppiata con la palla, la rende men grave dell’acqua, end’ella più non descende, come appunto accade della tavoletta d’ebano; e tutto questo vien ora ammesso e confessato dal Sig. Colombo, le cui parole son queste : Imperochè la palla di cera che prendete, è ridotta a 590 CONISI I )KKAZION 1 tanta poca gravezza, che appena cala al fondo ; e perciò la piccolezza del suo peso è di così poca attivila, che ogni poco che ne resti scoperta dal¬ l’acqua è cagione che ella non pesa più dell'acqua, e però galleggia, perchè quel poco (l’argine, che circonda quella parie scoperta la sostiene. Ecco, dunque, qui conceduto il tutto dui Sig. Colombo ; perchè, se quel poco che resta scoperto da l’acqua è cagione che la palla non pesi più dell’acqua, e se quel poco di argine che circonda la parte sco¬ perta la sostiene, ciò avviene mediante l’aria compresa dentro all’ar- ginetto, perchè quanto alla parti? scoperta della palla, per sè stessa peserebbe manco se fusse sott’ acqua ; però tal leggerezza non si può io riconoscere se non dall’ aria. Nò occorre elio il Sig. Colombo dica che la cera sia ridotta a così poca gravità de. ; perchè di tali palle che galleggino se ne faranno d’ebano ancora, e d’altre materie se ne fa¬ ranno, che sosterranno quei medesimi grani di piombo che sostien la tavoletta, lo non voglio con questa occasione, che sarebbe gran¬ dissima, chiamar i lettori, come poco fa fece il Sig. Colombo senza causa nessuna, a veder calar dolcemente le vele all’avversàrio eil a ve¬ deri’ arrenare, sì perchè non voglio metter inano negli altrui esercizii, sì perchè io non credo elio la confessione del Sig. Colombo accresca tanto di credito alla causa del Sig. Caldeo, che si deva farne un 20 giubilo così grande: t voglio ben mettergli in considerazione, cheaven- d’egli scritto che tal esperienza prova più debolmente che l’altre ra¬ gioni del Sig. Galileo, bisogna che confessi l’altro ragioni esser effica¬ cissime, poi elio questa esperienza conclude, per confessione sua propria, tutto l’intento elei Sig. Galileo. 1 Segue poi ’l Sig. Colombo ad aggiugner altre verità alle già con¬ fessate, e dichiara benissimo ’1 modo col quale, con il bicchier inverso, si riconduca la palla alla superficie dell’acqua, avvertendo che l’acqua si separa facilmente dalla cera per aver alquanto dell’untuoso, no¬ tando che quanto maggior piazza restasse scoperta, tanto maggior 30 peso si potrebbe sostenere, e che la tavoletta medesima in cotal modo si ritirerebbe dal fondo: proposizioni tutte vere, ma portate dal Sig. Co¬ lombo francamente come se non fossero state scritte dal Sig. Galileo, o fossero contrarie alla sua dottrina ; e in questo, conforme al suo secondo artifizio, fa benissimo, perchè appresso le persone semplici e che non aranno letto '1 trattato del Sig. Galileo, alle quali egli sola¬ mente scrive, si può vantaggiare in qualche cosa. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 591 Face. 30, v. lfi fp«pr. aio, lìn. 3ò-36| : Si dice che per questa cagione non si deve prender la vostra materia de. Si dice che, ritornando il Sig. Colombo a’ primi errori già ribattuti, non 6 ne¬ cessario in questo luogo dir altro, ma basta rimettere il lettore a quanto si è già detto. t Face. 30, v. 34 \ [pag. 311, lin. 11-17] : L’esempio de’ conìì fatti di ma¬ teria piti leggier dell' acqua, per mostrar che V acqua non faccia resistenza, a car. 30 [pag. 93, lin. io 32], non conclude cosa ■ alcuna per le dette ragioni, e in particolare per le vostre: poiché se volete, a car. 14 |pag. 70, lin.6-9), che una falda piana più io leggier dell' acqua si sommerga fin tanto che temi’ acqua in mole quant’ c la parte del solido sommersa pesi assolutamente quanto tutto ’l solido, come potrà mai un cono, che ha per virtù della piramide il peso più unito al centro, non calar con la sua base sotto V acqua ? Io non ho mai veduto il più bel modo d’impugnar esperienze o ragioni, di questo del Sig. Colombo. Egli prima risolutamente dice, l’esperienza dell’ avversario non concluder cosa alcuna ; poi, senz’ ad¬ dili' il perchè, si mette a dichiarar solamente la causa perchè quel¬ l’effetto segua così, e se ne passa ad altro. Il Sig. Galileo, per dimostrar che l’acqua si lascia penetrar egualmente dalle figure larghe e dalle 20 sottili, propon due esperienze : una di un cono di materia men grave dell’acqua, del quale tanta parte se ne sommerge posto nell’acqua con la baso larga in giù, quanto con la punta; e pur se l’acqua resi¬ stesse alla penetrazione delle figure larghe, più se ne dovria demergere quando la punta va innanzi: l’altra esperienza è, che facendosi della medesima materia due cilindri, un grossissimo e 1’ altro sottile, ma tanto più lungo, posti nell’acqua, si sommergon pure egualmente tanta parte dell’uno quanta dell’altro. Di questa seconda esperienza il Sig. Co¬ lombo non ne parla niente, credo per parergli troppo evidente e ne¬ cessariamente concludente : o pur non doverebbe lasciar niente irreso- 30 luto, perchè una ragione o esperienza sola basta a dargli il torto ; niente di meno egli ne tralascia più che la metà, e sagacemente non si è obbli¬ gato a seguitare ’l filo del Sig. Galileo, perchè non così facilmente se gli possa riveder il conto. Ma all’esperienza del cono, egli, dopo aver detto che non conclude per le ragioni allegate (ma però non si trova cosa allegata che facci a questo proposito), si pone a render ragione che l’effetto deve veramente seguire come segue, anco in dottrina del- l’istesso Sig. Galileo; quasi che il dichiarar la causa porche quel cono fa quell’ effetto conforme alla dottrina del Sig. Galileo, sia ’l mede- CONSIDERA ZIO NI 592 simo che dimostrare che tal effetto non segua, come bisognerebbe a voler che la dottrina del Sig. Colombo fosse vera. È ben vero che, por parer di dir qualche cosa attenente alla professione, si riduce a t metter insieme parole senza construtto e senza senso, e | diro che i coni hanno, per virtù della piramide, il peso più unito al centro; nella qual proposta io sto a pensare come hi virtù della piramide dia peso al cono unito al centro, non essendovi la piramide, Che ha che faro la piramide a dar peso al cono unito al centro? nel medesimo modo si potrà t spropositatamente | dire che por virtù del cilindro questo peso si disunisca. K dunque manifesto che il Sig. Co¬ lombo si serve del primo artifizio, e che, so bone egli in sò stesso sa di non io dir nulla, ma di far un cumulo di parole senza senso nessuno, tuttavia tanto gli basta, perchè quelli por i quali egli scrive, se ben non ca¬ veranno costrutto alcuno da queste parole, credorraimo ad ogni modo che le l’abbino, ma da non esser penetrato so non da valenti geometri; ma se e’si risolvessero a imparar solamente il significato de’termini, l’artitìzio del Sig. Colombo resterebbe scoperto e inutile. Face. 31, v. T> ipnK su, lin. 23); // esempio della cera de. So questo esempio, elio è di grandissima etlicacia, fosse stato considerato e inteso dal Sig. Lodovico, bastava a levarlo d’errore nella presente disputa. Per intelligenza di che, basta solo ridurr’ a memoria al lettore la detta 20 esperienza. Il Sig. Galileo, per provare che nell’ acqua non si trova resi¬ stenza nessuna all’esser divisa, por la quale ella possa vietare il moto ad alcuno de i corpi che per essa, rispetto alla gravità o leggio- rozza, si muovono, insogna che si pigli una palla di cera (e questo acciò che prontamente altri la possa ridar sotto tutte le figure), alla quale si aggiungano molti pezzetti di piombo, sì che olla spedita¬ mente cali al fondo; se gli vadino poi attaccando altri pezzetti di sughero o d'altra materia leggiera, sin che i detti sugheri la ritirino lentissimamente ad alto, sì che dalla tardità del moto siamo sicuri so che il momento che la ritira ad alto sia debolissimo e minimo; di¬ stesa poi la medesima cera in una amplissima falda, vedrassi che i medesimi sugheri la ritireranno a galla, nè potranno mai le molte parti dell’acqua che ella ha a penetrare, le quali saranno cento volte più che prima, vietargli il movimento: segno più che manifesto, nel- l’acqua non si poter ritrovare alcuna sensibile resistenza all’esser divisa. Con tutto ciò il Sig. Colombo, con la sua solita acutezza, con¬ futa la iorza di quest’esperienza con questa risposta: L’esempio delle SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 593 cera e piombo, aggiuntovi il stiverò , perche è della natura di quelli dove aggiugnevate quel poco piombo per mutargli di specie in gravità, non vai niente; pero potevate lasciarlo stare: quindi poi ne raccoglie la sua con¬ clusione, soggiugnendo : L’acqua, adunque, fa resistenza alla divisione per le cagioni addotte, e non vi ha che fare Varia in modo veruno. Ma. perdi’ e’ soggiugne cert’ altre parole con una conclusione molto pun¬ gente, è forza registrarle e considerarle. Segue per tanto: Voi medesimo il conoscete, Sig. Galileo; poiché vedendo alcune falde non far arginetti, dentro a i quali volevate racchiudersi V aria, io rifuggisti miseramente a dire che, dove V acqua non faceva argini, V aria stessa gli faceva a sè medesima, a car. 55 [pag. 121, lin. 19-22], Poievasi dir cosa più sconcia di (questa ? Queste son le parole del Sig. Colombo : alle quali rispondendo, e facendo principio dalla sua conclusione, gli dico, una tal proposizione esser veramente cosa molto sconcia, e dar ma¬ nifesto indizio, assai sconcio e stravolto esser il cervello di chi la pronunziasse; e però dispiacerai infinitamente che sin ora nissun altro 1’ abbia detta, se non il Sig. Colombo solo, perchè nel trattato del Sig. Galileo, nè, che io sappia, in altro luogo, non si legge tal cosa. Ma se si prenderà e considererà quel che veramente scrive il Sig. Ga¬ so lileo, dirò che moltissime cose più sconcio di quella si potevano dire, delle quali ne sono a centinaia in questo Discorso del Sig. Colombo, e tanto più sconcio di questa del Sig. Galileo, quanto le cose scon¬ cissime son più sconcie dell’ acconcissime, come credo che ogn’ uomo sensato possa aver sin qui conosciuto ; e questa stessa che ora aviarno per le mani, ne è una, nella quale, per non aver egli inteso punto quel che scrive il Sig. Galileo, gli attribuisce estreme pazzie e con audacia lo biasima, se ben il biasimo e le pazzie, se a nessuno con¬ vengono, convengono a chi senza ragione le produce. Ma acciò che si tocchi con mano lo sproposito del Sig. Colombo in questo partico- 3o lare, basta, come in tutte le altre sue obbiezzioni, ridar a memoria quel che dice il Sig. Galileo, che tanto serve anco per la sua difesa. Volendo il Sig. Galileo, nel luogo citato, dichiarar come l’aria è cagione di sostener la falda di piombo, sì che non si sommerga, dice che se si pigliasse una piastra di piombo che per sè stessa in modo alcuno non potesse galleggiare, ella pur galleggerebbe se intorno intorno se gli facessero le sponde come a una scatola, sì che, nel pro¬ fondarsi la piastra, l’acqua per l’ostacolo di tali sponde non potesse IV. 75 594 CON.SI DKK AZIONI scorrer a ingombrarla, ma si conservasse ’l vaso pien d’aria. È manifesto che tali sponde potrebbono alzarsi tanto, che dentro si conterrebbe tant’ aria, che basterebbe a far che tutto questo vaso galleggiasse benché la piastra del fondo fosse molto grossa. Soggiugne poi e dice che se tal piastra fosse tanto sottile, che piccolissima altezza di sponde a bastasse per circondar tant.'aria che fusse a bastanza per ritenerla galla, non occorrerebbe nè anco fargli tali sponde, perchè nell’abbas¬ sarsi la sottil falda sotto ’l livello dell’acqua, per un piccolo spazio l’aria stessa, elio la segue, si fa sponde, cioè ritegno e ostacolo contro l’ingom¬ bramento dell’acqua, vietandogli lo scorrer sopra la falda e ’l sommer- io gerla. Ma il Sig. Colombo, non intendendo punto questo luogo"’, prima nomina, come prodotte dal Sig. Galileo, falde che non faccino argini; il die non è nè vero nò possibile, parlando ’l Sig. Galileo di falde di piombo, clic di necessità, abbassandosi sotto il livello dell’acqua, non possono non far arginetti: ma egli lui scambiato gli arginetti con quelle sponde di legno fatte per ritegno dell’acqua intorno alla falda, e, seguendo poi quest’ inganno, dico, il Sig. Galileo esser miseramente ricorso a dir che, dove l’ acqua non fa argini, l’aria gli fa a sè stessa; ma il Sig. Galileo non parla mai di argini in questo luogo, ma solo dice che l'aria contigua alla falda serve per sponde (e non che faccia 20 arginetti in cambio dell’acqua) per piccolissimo spazio contraila scorsa dell’acqua. Vedete dunque, Sig. Colombo, quanto la vostra espo¬ sizione è più sconcia del testo dd Sig. Galileo. Face. 31, v. 13 fp&K. 341 , lin. 30 - 82 ): Io torno di nuovo a mostrarvi che Varia non cagiona quegli arginetti dell' acqua perciò: la virtù adamitica la tenga in quella concavità attaccata ctc. Se il Sig. Colombo lasciava questa prova, commetteva dua errori meno: uno, del dire cose fuori di proposito, conformo al primo artifizio, poi che non ci è chi dica di virtù calamitica; l’altro errore ù di dire un falso, mentre dice clic l’aria non trattien l’acqua sopra gli orli del bicchiere, perchè, ancorché non la trattenga 30 come contenuta, la trattiene però come ambiente, nel medesimo modo appunto che contiene le gocciole poste sopra una tavola. Face. 31, v. 27 [p«s. sia, lin. 2-3| : Salto che mi rispondete , come nomo prudente etc. Anzi dall’ esser il Sig. Galileo uomo prudente, si conclude necessariamente che | C 1 non darebbe mai quelle risposte, ciuali vengono introdotte con il terzo artilìzio. (n Qui seguono nel ms., di pugno di Ga- quasi nissun altro del trattato del Sig. ba¬ rn, eo e cancellate,queste altre parole: «come lileo ». SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 595 Face. 31, v. 37 fpng. 342, Un. 7-8]: Ugnete la falda, e così V aria, non posando immedianteniente su la superficie del legno, sarà levetta de. In tutte queste esperienze che il Sig. Colombo produce, considerisi che ogni volta eh’ f e’ 1 leverà gli arginetti, e in consequenza l’aria intrapostavi, sempre la tavoletta descende; e quando gli arginetti (qual sia la cagione della loro con¬ servazione) sussisteranno con l’aria dentro, la falda non descenderà mai: talché è manifesto che con queste esperienze non solo non si conclude nulla in favor del Sig. Colombo, anzi di ben in meglio si va confermando che è l’aria cagion vera di quest’effetto del galleggiar le falde. E in vero è cosa di meraviglia, io che ’l Sig. Colombo non abbia mai potuto capire il modo con elio l’aria cagiona il galleggiare della falda, il quale se egli avesse capito, intenderebbe che l’unger la falda, e l’altre vanità che egli scrive, non levano altramente 1’ aria, nè han che far col proposito di che si tratta. Ma tra l’altre cose ridicole, la cagione, che egli adduce, onde avvenga che la tavoletta unta non cali al fondo, benché ne sia levata la siccità e l’aria (dico secondo il suo modo d’intendere), non deve esser passata senz’ esser avvertita. Egli ciò ascrive [pag. 343, lin. 2-3] aìV antipatia e dissenso clic è tra V olio e V acqua , che non convengono e non s’uniscono, e però non affoga l’assicella e non cala al fondo. Qui, primieramente, io noto 20 che già s’incomincia a introdur dell’altre qualità oltr’alla figura, che prima era sola ; poi venne la siccità; f seguì appresso la durezza, con¬ trastante con la liquidezza ; \ e ora si fa innanzi l’untuosità : e se aspet¬ tiamo un poco e separeremo l’aria con immelar la tavoletta, senti¬ remo introdurre la dolcezza del mele contrastante con la insipidezza dell’ acqua. Ma fermandomi per ora su questa untuosità, vicaria della siccità, dico al Sig. Colombo che se questa antipatia tra l’olio e l’acqua è causa del galleggiare, sarà forza che, se non si leva tale untuosità, la tavoletta non si sommergamai, sì come, f quand’ell’era asciutta, | non si sommergeva se non dopo che s’era levata la siccità: ma io so gli voglio conceder che gli unga la tavoletta non solamente di sopra, ma di sotto e intorno intorno, e che e’ l’unga non solamente con l’olio, ma col sego, acciò che l’acqua non possa mai rimuover l’un¬ tuosità, benché la tavoletta stesse anco sott’ acqua un mese ; e nulla di meno io gli farò vedere che così unta, senza riguardo alcuno d’antipatia, ella se ne andrà in fondo con l’olio e col sego, pur che si rimuova l’aria. Ora staremo aspettando qualche ingegnosa distin- La stampa: sommergerà. 506 CONSIDERAZIONI ziono elio ci dichiari come ò necessario, | por fai* la sommersione, 1 che la siccità si rimuova, ma non già l’untuosità, la quale, se ben resta sempre con la tavoletta, niente di mono opera quando piace al Sig. Co¬ lombo, e non opera secondo che egli vorrà elio olla non operi, f Io m'aspetto di sentire elio l’olio non sia untuoso in atto quand’è co¬ perto dall’acqua, i Face. 33, v. primo [por* 8*3, Un. ia-i4j : Dirò solamente che V esperienze c dimo¬ strazioni di Archimede ctc. In tutto Archimede non si trova pur una sola esperienza; onde mi si accresce il sospetto che il Sig. Colombo non V abbia mai veduto: anzi son sicurissimo io elio s’o’ r avesse letto, non lo nominerebbe mai, perchè il vedersi tanto lontano dal poterli’ int-onder una sola dimostrazione, gli avrebbe troncato in tutto f l’ardire di citarlo, sotto | la speranza di poter dar a crederò a chi che sia d'averlo inteso. Face. 33, v. 4 (pn*. 3ut, li». 16| : Tre sorti di persone ctc . Il detto del Sig. Galileo si è verificato in tutti questi (die gli hanno scritto contro, ma più ned Sig. Lodovico che in alcun altro, f porcile ha scritto più \ : e quando non fosse altro passo nel suo Discorso che confermasse quanto dico, basterebbe a legger questo, dove entra a parlare di proporzioni w geometriche ; nel quale ogni mediocre intendente, delle cose scritte dal Sig. Galileo potrà conoscere 20 quanti e quali errori dal Sig. Colombo si sieri commessi, non solo in non intendere, ma in addossare al Sig. Galileo cose tanto lontane da’suoi concetti quanto è il falso dal vero, come appresso con brevità andrò toccando. In tanto è degna di considerazione l’inconstanza del Sig. Lodovico, il quale, avendo detto non aver cosa contro Archimede, a v. 8 [lin. 20 - 211 , poi si conduce a lacerar come falsa una sua conclusione: segno che egli non ha visto punto Archimede, nè in¬ teso il Sig. Galileo, il quale con metodo più facile ha dimostrato la medesima conclusione. Face. 33, v. 0 (p»r. 348, Un. * 21 -y:q : Ma circa quello che di vostro aggiugnete alla sua dottrina , forse si potrebbe dire che non è vero che qnegli urginctti serbino la 30 proporzioni dell'altezza che dite , in rispetto alla grossezza del solido. I cumuli degli errori f del Sig. Colombo I, nati dal non intendere niente di quello che ha scritto il Sig. Galileo, son tanti e in tanti luoghi disseminati in questo suo Discorso, che chi volesse notargli e correggergli ** senza passarne la maggior parte, non verrebbe mai al fine dell'opera; però mi scuserà il lettore se, trapas¬ sandone gran parte, non mi distenderò se non in alcuni luoghi particolari: uno La stampa: proposizioni . cT un terzo, a - castigargli che è di mano [Vl « correggergli * fu sostituito, di mano del Castelli. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 597 de’quali mi accomoderò che sia questo, massime che da qui avanti pare clic il Sig. Colombo, lasciando stare la disputa se la figura dilatata faccia stare a, galla o no, entri in quella del ghiaccio, scordatosi che a car. 10, v. 7 \m- 322, Hn.7|, astretto da un argomento del Sig. Galileo, per non gli avere a rispondere, disse che quella disputa non era sua, e che non voleva le liti d’altri, e che non gli era lecito. Considerando, dunque, a parte a parte quanto dal Sig. Lodovico qui si pro¬ duce, prima dico che non è vero che il Sig. Galileo abbia mai detto che gli argi¬ nati serbino la proporzion dell’altezza in rispetto alla grossezza del solido; e acciò io | che 1 ogn’un vegga che questa conclusione non ha che fare con la vera e dimo¬ strata dal Sig. Galileo, io scriverò qui di parola in parola quella del Sig. Galileo, elio è questa lpag.no, lin.ii 141 : Ogni volta che Veccesso della gravità del solido sopra la gravità ddV acqua, alla gravità dell 1 acqua arà la medesima proporzione che V al¬ tezza dell 1 arginetto alla grossezza del solido, tal solido non andrà mai al fondo • Or veggasi che il Sig. Lodovico mostra non intendere nè anco che cosa sia pro¬ porzione, poi che, mutando i termini della analogia del Sig. Galileo, forma una pro¬ posizione stravagantissima e falsa. Questo si conosce benissimo, perchè i quattro termini, tra’quali il Sig. Galileo inette la analogia, son questi: il primo, eccesso di gravità del solido sopra la gravità dell’acqua; il secondo, gravità dell’acqua; 20 il terzo, altezza de gli arginetti; il quarto, grossezza del solido. Ma il Sig. Colombo, senza far menzione di eccessi di gravità del solido nò di gravità d’acqua, pro¬ nunzia una proposizione di sua testa, e l’addossa al Sig. Galileo, nel Discorso del quale non è pur una minima occasione di pensare eli e tal conclusione vi sia, nè si può mai da quello dedurre ; onde io credo che il Sig. Colombo la proponga U) senza saper quello che si dica, ma solo per far volume. Maggior errore è quel che seguita; e per manifestarlo più scoperto, replicherò una proposizione dal Sig. Galileo dimostrata, contro della quale il Sig. Colombo aveva animo. La proposizione è questa (pag. 76, iiu.6-9]: I solidi men gravi in specie dell acqua si sommergono solamente sin tanto, che tani acqua in mole, quanta eia 30 parte sommersa, pesi assolutamente quanto tutto 7 solido : come, per esempio, una nave che galleggi, posta in mare carica di modo che ella (Ì1 con tutte le merci, uomini, vele, etc., che vi fossero sopra, pesasse cinquantamila pesi, si tufferà solo sin tanto die una mole d’acqua eguale alla mole sommersa della nave pesi ancor ella cin¬ quantamila pesi, senz’errore di un minimo grano; la qual mole d’acqua sarebbe appunto quella che riempierebbe la Luca fatta dalla nave nel mare. Questa W «io credo» o «proponga» furono so- ^ «ella», qui come poco più a basso a Btituiti, di inano d’un terzo, a «resta chiaro» lin. 33, fu sostituito, di mano d’un terzo, a e « propone», di inano del Castelli. «lei», di mano del Castelli. 508 CONSIDERAZIONI proposizione è la stessa con la quinta d'Archimede nel libro Delle cose che si muovono noli’ acqua, ma da lui dimostrata con altra maniera. Ora, volendo’1 Sig. Lodovico contrariar a tutto quello di’o’ nota nel Sig. Galileo, e non aven¬ ti’inteso nè quel che ha detto Archimede nè quel che lui detto il Sig. Galileo t stesso prima, con un poco di paura, dice di non aver elio dire d’Archimede e loda lo sue proposizioni, poi si mette a biasimar quelle del Sig. (hilileo, non sapendo che son le medesime a capello con quelle di Archimede: segno che non ha letto niente questo, sì conio non lui inteso punto quell'altro. Ma se’l male del Sig. Co¬ lombo non andasse più oltre, sarebbe quasi che sopportabile: poi che di quegli uomini elio non hanno letto Archimede, nò inteso il Sig. Galileo, ce no è una in-io Unità, nè. meritano per questo biasimo alcuno; solo meriterebbe un poco di repren¬ sione chi, essendo di questa sorte l \ volesse parlar della dottrina di quest’uomini. Ma il punto sta che ’l Sig. Colombo mostra f di \ non intendere nò anche sè stesso: perchè avendo voluto referire la nominata conclusione, dopo averla referita male o guasta, anzi con termini tra sè impugnanti, di modo che non ha che faro con quella elei Sig. Galileo o d'Archimede, no sogghigno un'altra in esposizion sua molto più strami ? \ e non solo diversa dalla vera del Sig. Galileo, ma dalla sua medesima, lo le registrerò amenduo, acciò si conosca esser vero (pianto dico. La prima proposizione del Sig. Colombo, proposta da lui come che sia del Sig. Galileo, è che tanto si tuffi un corpo più leggieri dell acqua nella stessa acqua, 20 sema varietà, quanto col suo peso assoluto avanza il peso in spezie (Idi 1 acqua; 0 vogliàn dire (ed è la seconda proposizione, che egli sogghigno in esposizione della prima) che tanto sia V acqua in mole dorè r sommerso, che agguagli il peso assoluto del solido Ipa*. 848 , liu. 2‘.i-82], Notisi nella prima proposizione, primieramente, la com¬ parazione del peso assoluto col peso in spezio, proposta dal Sig. Colombo, ancorché sia impossibile per essere i termini di quella tali che non si possono comparare tra di loro in eccesso 0 difetto o egualità, non potendosi mai dire il peso assoluto essere maggiore o minore o eguale al peso in spezie, sì come è impossibile il comparar la linea con la superficie, e il suono con i colori. I)i più, notisi clic in quelle pa¬ role: un corpo piu leggieri dell 1 acqua , ei ' propone un corpo più leggieri dell’acqua; 30 c poi in queir altre : avanza il peso dell 1 acqua, vuole che ecceda il peso dell’ac¬ qua: repugnanza tale, che in questo proposito non si può, a mio credere^ 1 ,dir mag¬ giore. Se, dunque, il Sig. Lodovico delle Coloni he intendesse quello che egli stesso dice, giù che pensa che il Sig. Galileo lo dica, lo dovrebbe ributtare per questa sorte di errori che contiene il suo dire c non metterlo in dubbio con ragioni lon- « questa sorte* fu sostituito da un terzo W « a mio credere * ò aggiunta di mano a - questo genere», scritto dal Castelli. d’un terzo. strana» è di mano d* un terzo. Il w 11 Castelli aveva scritto: « errori che w Castelli aveva scritto « essorbitanto W La stampa: ci. il suo detto contiene ». Di inano d*un terzo fu corretto come nel testo si legge. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 590 tane dall’esser mai conosciute, come sono quelle elicei produce, cioè perche pub essere che la medesima grandezza di mole del medesimo legno abbia piu terra o più densità o più pori , o perchè sia varia in se stessa de. Perchè, oltre che queste condizioni son tali che è impossibile il poterle mai riconoscere, non fanno altro, nel corpo dove sono, che introdur varia gravità, in specie, quale concorre poi al- reifetto dello stare o non stare a galla, conforme a quanto ha dimostrato il Sig. Galileo: come (per stare nell’esseinpio della nave) quando clla (,) pesasse tutta, con le robbe che vi sono dentro, cinquantamila pesi, si tufferebbe di lei tanta parte, che una mole d’acqua eguale alla parte della nave che è sotto il livello io dell’acqua, peserebbe appunto cinquantamila pesi; nè questo effetto si varierebbe già mai, ancorché la nave fosse carica o tutta di piombo o tutta di grano o tutta di lana o tutta di queste cose insieme, pur che il peso assoluto della medesima nave fosse sempre il medesimo. E questo sia detto della prima proposizione del Sig. Colombo. Quanto a quella oli’ f ei | soggiitgne in esposizione della prima, cioè che tanto sia V acqua in mole dove c sommerso, che agguagli il peso assoluto del solido, non dirò altro, solo che desidero che il Sig. Colombo dichiari come egli intende che un corpo più leggieri dell’ acqua si tuffi in quella sin che tanto sia 1’ acqua in mole dove è sommerso, che agguagli il peso assoluto del solido; perchè questo suo 20 dire, inteso conforme al suono delle parole {i) , non viene a dire altro se non che un legno, per esempio, di venti libbre, buttato in un lago, tanto si tufferebbe sin che tutta l’acqua del lago, dove è sommerso, pesasse quanto esso legno, t cioè venti libbre. 1 Da i quali modi di parlare pur troppo chiaro si scorge, che que¬ sto signore non ha inteso pur una parola di quel che ha scritto il Sig. Galileo, e massime dove niente niente si tocca qualche termine di geometria o si tratta alcuna dimostrazione con metodo matema¬ tico ; e quand’ io credeva che egli, con 1’ occasione d’ aver in mille propositi sentite replicar le medesime cose, dovesse aver capite almeno so le difinizion de' nomi, e intendesse quello che importi gravità asso¬ luta, più o men grave in specie, quello che significhi momento, e molt’ altri termini dichiarati e usati dal Sig. Galileo, io mi trovo fortemente ingannato : il che mi toglie anco ogni speranza di potere arrecargli giovamento alcuno | con queste mie fatiche. | Egli in questo luogo, e nel resto che scrive sino a dove comincia a trattar del ghiac- La parola « ella » fu sostituita, di {i) Il Castelli aveva scritto: < inteso mano d 1 un terzo, a «* lei », che il Castelli come sona » : di mano d’un terzo fu corretto: aveva scritto. «inteso conforme il suono delle parole*. GOO CON8IDK RAZIONI ciò, volendo dar a credere d’ aver letto e inteso almeno parte delle dimostrazioni del Sig. Galileo, scrive tali e tante esorbitanze, che a redarguirle tutte e ridrizzarle ci vorrebbe un lungo trattato, che sarebbe fatica gettata via, perchè per gl’intendenti non ce n’è di bisogno, e i non intendenti resterebbono nel medesimo stato, man¬ cando loro della cognizione sin de'puri terrai ni dell’arte: però me la passerò brevemente, e solo (acciò che il Sig. Colombo, non potesse dir che questa mia scusa fussc un’ invenzione per liberarmi dal ri¬ spondere alle sue ragioni) toccherò qualche luogo di quei più co¬ spicui e atti a confermar com’egli ha voluto por bocca in materie io lontanissime da quella cognizione, che gli altri suoi studii gli hanno t sin qui I apportata. Ripigliando, dunque, quello che avevamo por lo mani, vuol il Sig. Colombo iu incute sua mostrar, non esser vera la proposizione cimi solidi men gravi dell’acqua si tulli no sin tanto che tant’acqua in mole quant'ò la parte elei solido demorsa, posi assolutamente quanto tutto quel solido; o se ben poco sopra e’concedette per vera la dot¬ trina d’Archiinode, ora danna per falsa questa proposizione, perchè, non avendo egli veduto che ella è d’Archimede, ha creduto che la sia del Sig. Galileo solamente, | e tanto basta intender a lui per giudi -20 caria degna d’esser tassata. 1 Nel condennarla poi e assegnar la ragione del suo difetto, scrive [pag. 343, liu. 32 3r>] : imprrochè può esser clic la me¬ desima grandezza di mole del medesimo legno abbia più terra 0 più densità 0 più pori!’una che l’altra , r anche la medesima mole esser varia in sè stessa. Ma poi, che seguita, Sig. Colombo, da queste cose, le quali 10 vi concedo tutte? perchè non fate la vostra illazione? Ma già che voi non la fate, la farò io per voi : - Adunque quella mole di legno che avrà più terra o densità dell’ altra, sarà più grave, e però di lei si tufferà parte maggioro; quella che sarà più porosa, sarà men grave, e se ne tufferà minor parte; e quella che fusse diversa in sè 9° stessa, si fermerebbe nell’acqua con la parte più densa all’in giù, e con la più porosa all’ in su » : consequenze tutte vere, e conformi alla dottrina di Archimede e del Sig. Galileo, contrarie alla vostra, e sopra tutto aliene dal proposito e dall’interiizion vostra, se non in quanto i non intendenti, leggendo queste parole, vedranno crescere 11 volume delle vostre risposte. Soggiugnete poi a questo un altro sproposito maggiore, scrivendo [png. 343 , lin. 35-36] : Sì che in genere e in SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 601 astratto la regola scudo vera, in pratica è fallace nè particolari, come voi medesimo affermate a car. 10 [pap. 70, lin. 29-31]. Dove, prima, non si troverà mai che il Sig. Galileo abbia nè scritto, nè creduto, questo che voi gli attribuite ; nè ha mai veduto regola alcuna, che sia vera in astratto e fallace ne’ particolari : ha ben veduto molti restar ingan¬ nati ne’ particolari, per non vi saper applicar le regolo universali e vere. Secondariamente, quel che scrive il Sig. Galileo, a car. 10, è che una tal conclusione è vera, se bene una apparente ragione, che par buona, è poi in effetto falsa: ma che ha che far il dir: « Questa io conclusione è vera, se ben la tal ragione, che di lei par che si possa assegnare, è falsa », col dir : « Questa regola in genere è vera, ma ne’particolari è fallace »? Non vedete voi che questi son due concetti ti-a di sè differenti come il cielo dalla terra? e voi gli prendete come se fossero una cosa medesima. Seguite appresso in voler tassar la dimostrazione esattissima del Sig. Galileo, nella quale egli prova come un grandissimo peso posa’esser alzato da pochissima quantità d’acqua; nè avendo voi inteso punto tal dimostrazione, accozzate venti parole senza senso, dicendo [pug. 343, lin. 37 —pag. 344, lin. 2] che tale effetto non depende dal momento, ma clol¬ ni’angustia delle sponde, e da molti accidenti che variano foltezza dell!acqua disegnata per sollevare Vun più dell’altro, e lo stesso ancora; e dite che il Sig. Galileo l’afferma parimente : il che se sia vero o no, non posso dir io, perchè non t intendo ciò che voi scrivete, nè 1 so cavar co¬ strutto nessuno da le vostre parole"’. Concludete poi, che Archimede non volle venire a questo tritume, come quegli che non lo stimò nè utile nè sicuro. Ma da qual luogo d’Archimede cavate voi che egli non abbia stimata tal notizia nè utile nè sicura? o dove trovate voi elio egli abbia mai auto occasione di venire a questi particolari, se egli da i primi elementi in poi rivoltò il suo trattato a materie lontanissime da questa ? A questo medesimo passo del Discorso di Lodovico delle Colombe è da riferirsi il seguente frammento, il (piale, di mano di Galileo, si legge su di un fogliettino che ora forma la car. 30 nel T. XIII della P. li dei Mss. Galileiani : * Face. 33, v. 28 [pag.343, Un. ri7j : Nè che totalmente etc. Questo è un di quei luoghi che il Sig. Colombo ha vo¬ luto assicurar dalle risposte, usando il ... artifìcio; sondo un accozzamento di parole le quali mancano non solo di cose che fac¬ cino al proposito, ma di ogni senso ancora. Nè io desidero altro se non che il lettore, se forse scorrendole non vi avesse fatto so¬ pra retlessione, torni a rileggerle, acciò vegga quanto inutilmente si butterebbe via il tem¬ po in reprovar quello (die niente prova c niente in sò contiene, corno accade quasi a tutte V altre cose che hi tutto *1 Discorso si contengono. » IV. 70 602 CONSIDERAZIONI Noi redarguir elio voi fato alla face. 33 o 34 [png. 843-344] il di¬ scorso del Sig. Galileo, in mostrar come la velocità d* un mobile poco gravo può compensare un gravissimo che si muova lentamente, il che egli fa con 1’ esempio delle duo acque comunicanti insieme, ma una in grandissima quantità e contenuta in vaso grande, e l’altra poca e contenuta in un vaso angusto, oltr’ al dichiararvi di non aver ca¬ pito quello che scrive il Sig. (Galileo, avete alcuni particolari notabili, come sarebbe che vi par cosa ridicola che altri si meravigli de gli effetti che son notissimi : di modo che voi, Sig. Colombo, non dovete prender aminirazion veruna noi veder il flusso e reflusso del mare, nel io vedere un pozzo di calamita di dieci libbre sostener f più di j trenta libbre di ferro, nel veder un fascio di legno convertirsi in una ma¬ teria lucida calda e mobili 1 , e risolversi prestamente quasi che in nulla. Ma so voi non vi meravigliate di tali effetti, perchè son notissimi, e se egli è vero che il filosofare trae principio da cotali meraviglie, voi non dovete aver mai filosofato. E ben bellissima e sottilissima osservazione quella che voi fate.nel principio della face. 34 [piu?. 344, lin. 10-13], dove voi dite elio credete die il muoversi una cosa più velocemente d’ un’ altra non operi altro, se non che, se bene il viaggio della più veloce ò più lungo del viaggio 20 della più tarda, elleno niente dimeno lo finiscono nell’istesso tempo: acutissima considerazione, e ben degna d' altra meraviglia che qual si voglia de gli effetti nominati, poiché ella c’ insegna onde avvenga che un che corra faccia nel medesimo tempo più cammino che uu che passeggi. Reputata che voi avete per falsa la ragione che adduce il Sig. Ga¬ lileo, dite [pag. 34-1, fin. l7-2o] che stimate, la causa vera perchè la poca acqua contrapesi la molta, esser perchè le sono della medesima gra¬ vità in specie. Ma come questo è, nè voi avete altro che conside¬ rarci, bisognerà che un bicchier d'acqua, posto in bilancio di braccia 30 eguali, ne contrapesi un barile, scudo della medesima gravità in specie; il che però è falso : però, oltr’ all’ esser egualmente gravi in specie, ci vogliono T altre considerazioni del Sig. Galileo. E per assicurarci meglio che voi non avete inteso 1’ effetto di questa esperienza, non che la ragione, dite |pug. 344, lin. 25-30] die il medesimo accadrebbe se quel cannello sottile fusse nel mezzo del vaso grande, perchè 1 acqua del cannello e quella del vaso tìnirebbono il moto nel mede- SOPRA ’li DISCORSO DEL COLOMBO. G03 simo tempo, e per consequenza sarebbono di pari velocità e di pari altezza di livelli ; le quali parole o non fanno nulla al proposito di che si tratta, o contengono più d’una falsità : perchè per applicarle al proposito, bisogna intender che 1’ acqua del vaso grande si abbassi e faccia salir quella del cannello, nel qual caso per un dito che si abbassi quella del vaso, 1’ altra monterà quattro braccia (se tal sarà la proporzione delle larghezze del cannello e del vaso), e così sarà falso quel che voi dite del conservarsi pari altezza di livello ed esser pari le velocità. Ma forse appresso di voi le velocità si chiamano pari io ogni volta che i moti si finiscon nel medesimo tempo, benché gli spazii passati fossero poi disegnali. La chiusa che voi fate a questa disputa nel principio della face. 35 |pag. 315, liu. 8-14] è un mescuglio senza senso di cose parte false e parte vero. Falso è che il Sig. Galileo si sia messo a ristampare ’l suo trat¬ tato per levarne alcuna cosa, non n’ essendo levato pur una sillaba; nè so qual confidenza vi possa aver indotto a stampar, come vera, cosa della quale una semplice vista del trattato del Sig. Galileo può dimo¬ strare il contrario. Falso è che egli abbia mutato parere in nessuna cosa : non che egli non fusse per mutarlo, sempre che si accorgesse 20 d’aver mal detto, ma in quest’occasione non ha auto tal bisogno. Che egli si sia dichiarato por non si esser da se medesimo inteso, come voi dite, è tanto falso, quanto è vero che voi non avete inteso delle venti parti una del suo trattato, f benché egli molto bene si sia dichiarato. | Falso è che egli per nessuno di questi rispetti l’abbia ri¬ stampato ; ma ben lo ristampò il libraio, per essere in un mese ri¬ masto senza nessuno di quei della prima stampa. Quel che ci è di vero è la vostra medesima confessione di non l’avere inteso; e io sarò sempre pronto a far ampia fede che voi di tutte le cose essenziali non avete intesa parola : ma è ben falsissima l’aggiunta che voi ci fate, d’es- 3o sere del pari col Sig. Galileo in non intender 1’ opera sua ; e il con¬ fessar voi di non V intendere v’ esclude dal poter giudicare se egli o altri l’abbiano intesa; sì come l’intenderla molti, ed io in partico¬ lare, senza che mi manchi da desiderar nulla in tale intelligenza, ci rende sicuri che tanto maggiormente l’intenda il suo autore. Face. 35, v. 11 [pag. 345, lin. 15-16]: Circa la dìsputa che avesti del 15-18. sillaba ; ed è somma temerità la vostra a non vi peritai • di stampare una falsità tanto manifesta c che o(jn > uno in un subito sene può accertare. Jùtlso — (’ONBllU'.UA/.lONI diaccio, se da quella eòlie origine la nostra, non so io, perchè non Vaveste meco He. Di sopra il Sig. Colombo, cimimi’ ora tempo di rispondere all’istanza olio il Sig. Galileo luceva a gli avversarli elio non vogliono che la falda o assicella si bagni, dicendo loro che questa ò una lor fuga nuovamente introdotta, poiché la disputa ebbe principio sopra ’l gal¬ leggiare delle falde di ghiaccio, le quali, benché sien bagnate, gal¬ leggiano; il Sig. Colombo, dico, si liberò con dire che egli non fu presente a tal disputa, o che (pianto al ghiaccio non no voleva saper altro, o così veramente non ne ha mai trattato. Con tutto ciò oralo non solamente s’ingolfa nel disputar se ’l ghiaccio sia acqua rarefatta o no, materia della (piale il Sig. Galileo non ha mai discorso, come lontanissima dall’ instituto del suo trattato; ma quello che piùmifa stupire è, che egli scrive d’aver mostrato al Sig. Galileo che niente gli gioverebbe il far fondamento su l’aver detto gli avversami che le falde di ghiaccio galleggiono per la figura: e pur egli (dico il Sig. Co¬ lombo) di ciò non Ini mai parlato, anzi ha scritto non esser suo ob¬ bligo nò volerne trattare. Ma s’ e' trapassa con silenzio, in materia del ghiaccio, (pici particolari che più sarebbon neeessarii al princi¬ pale scopo della presente disputa, ben posa’io lasciar di più affati-20 carmi nella questiono se si faccia per condensazione o per rarefazione, che nulla appartiene al caso, 0 dui per ben definirla ci sarebbe ne¬ cessario particolare e lungo trattato, tirandos’ dia dietro molt’altre questioni naturali, 0 massime disputandola col Sig. Colombo, che sup- pon molto cose per vere die son molto più dubbie di questa, sì che ciascuna ricercherebbe un altro particolar trattato; 0 io, che sono stanco indio scrivere in reprovar tante vanità, volentieri mi apprcn- . derò al riposo, 0 solo toccherò qualche passo di breve esplicazione. Comincia il Sig. Colombo, secondo che la sua filosofia gl’ insegna, ad accomodar le coso coni’ e' Insognerebbe che elle stessero per il bisogno so suo, supponendo al primo tratto per vero quell’ appunto che è in quistione; e dico a face. 35, v. ili» fpug. 345, lin. 24 27] : Il diaccio, secondo la ragione e la eomun sentenza de intendi c V esperienza, non è altro clic acqua confidata e condensala per virtù dell' aria fredda ambiente, che spre¬ mendo e costringendo Vacqua ve scaccia le parli sottilissime, onde quel corpo ingrossa c resta più terreo, e per ciò si congela eie. 2i. nello scriver, senza utilità nissuna detjl’ intendenti, in reprorar — .SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 605 Ma, Sig. Colombo, come la cosa sta così, la disputa è bell’ e finita, e voi avete tutte le ragioni del mondo. Ma di tutte queste cose, che voi supponete per vere e note, io non son sicuro se non d’una, e questa è che il ghiaccio sia acqua congelata; ma che la sia conden¬ sata non lo so, anzi questo è ’l punto della controversia. Non m’in¬ segnate manco che tal condensazione si faccia per virtù dell’aria fredda ambiente ; anzi, se si deve stare su’ prineipii della vostra filo¬ sofia, questo è un impossibile e una gran contrarietà, che 1’ acqua, la quale voi ponete fredda per natura, poss’ esser congelata per virtù io dell’ aria, che per natura è calda e umida, condizioni amendue con¬ trarie e dissolutrici del ghiaccio ; anzi è anco direttamente contrario a voi medesimo, che alla seguente car. 37, v. 13 [pag. 347, lin. 10-11], scrivete così : Per qual cagione non ghiaccia V aria, se non perchè, oltre all’ esser calda, è rara e sodile più dell’ acqua ? Come dunque dite ora che il freddo dell’aria fa ghiacciar l’acqua ? Voi sicuramente non vi sete accorto di questa contradizione ; niente dimeno m’ aspetto che venglnate con un per accidcns, come se voi ci aveste pensato cento volte : ma perchè non 1’ avete voi già prodotto, se senz’ esso non si poteva far bene? Parimente, che quest’aria fredda sprema e costringa' 11 20 1’ acqua e ne scacci le parti sottilissime, ond’ ella resti più grossa e terrea, è detto, ma non provato, benché tutto sia molto bisognoso di prova per molti rispetti ; anzi di alcune cose l’esperienza e la vostra filosofia ne persuadono più presto ’l contrario ; perchè conceduto che ne’ primi élementi sia diversità di parti grosse e sottili, che pur re¬ pugna alla filosofia, bisogna provar che ’l freddo abbia virtù di spre¬ mer lo parti sottili ; poiché altra volta, contrariando a voi stesso, direte che ’l caldo cava dall’ acqua le parti più sottili e lascia le più grosse, come si vede per le distillazioni t e nell’ acque marine. 1 Pari¬ mente, il conceder le parti sottilissime nell’ acqua e le terree, è un 4o farla un misto, e non un primo 121 elemento. E finalmente, qual ragione vi persuade che l’ingrossarsi l’acqua, e il restar più terrea, la faccia congelare ? non vedete voi che, se ciò fosse, P acque torbide e le salse dovrebbon, come molto terree, esser lo prime a congelarsi ? nulla di meno accade tutto ’l contrario. Voi seguite a face. 35, v. 26 [pag. 345, lin. 27-32] : Ma perchè nel co- (1> La stampa: stringa. W La stampa: ìiuìo. CONSIDERAZIONI stringersi le parli (/rosse, alcune di qnelle, parti aeree e sottili rimangono là entro racchiuse tra i pori dell'acqua giù congelata, non atte a congelarsi, però se bene sdenta di mole c conseguentemente pesa più che tani’ acqua della medesima mole, ad ogni modo, per quell'aria racchiusa, galleggia e sopranuota nell' acqua. Io veggo, Sig. Colombo, ohe nò In lettura del trattato del Sig. Ga¬ lileo, nè l’aver almanco vedute scritte in divorai luoghi alcune pro¬ posizioni di Archimede, non hanno profittato punto nella vostra in¬ telligenza, e restate ancora in opinione che una mole, che pesi più d’ altrettanti’ acqua, possa galleggiare. 0 se voi avete tante volte am -10 messa per vera la dottrina d’Arehimede, nella (piale si trova dimo¬ strato, 0 ben nella prima fronte, che i solidi più gravi di altrettanta mole d’ acqua di necessità vanno al fondo, come ora dite che galleg¬ giano? Voi direte, ciò avvenire solamente di quei solidi che contengono in loro molt'aria. No, Sig. Colombo, (ulti i solidi del inondo, che pesali più d’altrettanta mole d’acqua, vanno al fondo, abbin pur in loro quant’ aria vi piace, che ella non gli porgerà aiuto nessuno. Ma voi non avete mai potuto intender questa cosa, e io mi diffido inte¬ ramente di poterveno far restar capace. Immaginatevi una palla di vetro sottilissimo, la quale piena di 20 cei’a pesi, v. g., dieci libbre c una dramma, ma che tanta mole d’acqua posasse solamente dieci libbre; quella palla, come più grave una dramma d’ altrettanta acqua, andrà senz’ altro affondo. Togliete via la cera e lasciate la palla piena d'aria, e solo mettetevi dentro tant’oro che, tra esso e ’1 vetro, s’abbia il peso di libbre dieci e una dramma; che credete voi che questa sia per fare nell’acqua, t contenend’ in sè tanta gran quantità d’aria? 1 Andrà nè più nè meno in fondo, benché delle venti parti di tal molo ve no sien più di diciotto d’aria (e intanto notate dove vanno i vostri predomini). E perchè andrà in fondo? perchè pesand’ altrettanta molo d’acqua dieci libimi, questa mole di vetroso d’aria e d’oro pesa una sola dramma di più. Però, quando voi dite, un pezzo di ghiaccio pesar più d’altrettanta molo d’acqua, ma non dimeno galleggiar mediante 1’ aria in osso racchiusa, dite una gran falsità : la qual vien poi raddoppiata a sette doppi, mentre che, nel farsi il ghiaccio, dite che non se gli accrescono porosità sopra quelle che si trovano prima nell’ acqua, ripiene di quelle parti sottili che, spremute dal freddo, scappano via come 1’anguille di mano a chi le SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. fi07 stringo ; anzi eh’ elle si scemano per la partenza di queste parti sot¬ tili e per il ristringimento delle più grosse che restano, e solo dite che quella parte di porosità che resta nel ghiaccio, occupata da aria o da altra cosa che siano queste parti sottili che avanzano dopo l’espressione dell’altre, dite, dico, che questo residuo di porosità non fa altro che, dove prima erano disseminate per 1’ acqua in grandis¬ simo numero, si riducono a minor numero, facendosi, come dir, di quattro o sei una sola. Ecco le vostre parole alla-face. 37, v. 25 [pag. 347, lin. 21-25], dove, parlando di queste porosità, dite che elle rego¬ lo tormente non ampliano la mole, ma solo si ritirali quivi alcune partì sot¬ tili e aeree, unendosi insieme quelle della stessa mole, senza che veri entri di nuovo, e per ciò non può la mole crescer per tal cagione, poiché quello che era sparso per più luoghi del corpo dell' acqua non ha fatto altro che ridursi in manco luoghi, ma più unito. Talché chiaramente si vede che voi credete che non solo le parti più grosse dell’ acqua si constipino e condensino, ma che molte dell’ aeree si partirlo, riserrandosi le po¬ rosità dentro le quali erano contenute, e che le porosità che restano si riduchino in manco luoghi, senza farsen’altre di nuovo; e così ve¬ ramente il ghiaccio non è dubbio che sarà più denso, men poroso e, so in conseguenza, più grave dell’ acqua : se non frisse che, f oltre al non provar voi nulla di quanto scrivete, 1 P impossibilità del trovar ripiego al suo galleggiare”* tronca tutto questo vostro discorso, perchè, quando il ghiaccio non diminuisse punto di mole, nò si partissero le parti più leggieri, nò si scemassero le porosità, egli ad ogni modo non po¬ trebbe galleggiare com’ egli fa. E voi potete persuadervi eli’ e’ si ri¬ stringa, che partano le parti aeree, che vi resti meno di porosità, e che in somma si faccia più grave d’altrettanta mole d’acqua, e che ad ogni modo galleggi ? Sig. Colombo, voi avete un ingegno molto docile e facile a capir ogni sorte di dottrina. Egli è forza che voi so crediate che dieci di quelle porosità sparse sostenghin assai meno che le medesime ridotte in una sola, o vero che voi non abbiate ancora fornito di produr tutte le vostre distinzioni, regole e limitazioni, che bisognano per capir queste sottilità ; però aspetterò di sentirle. Voi passate [pag. 345, lin. 33 — pag. 346, lin. 7] alle dichiarazioni del raro e del denso e del poroso. Nelle due prime non ho che dirvi altro, se (1) La stampa : al galleggiare. 608 CON SIlJKK AZIONI non.clie vi ho una grand’invidia, elio con tanta rosolato/,za ponghiate quel clic elle sono, o vi persuadiate d’intender senz’alcuna difficoltà come, senz’ ammetter vacuo, le parti di un corpo possili estendersi in maggior mole e rarefarsi, e, all’ incontro, senza penetrazion di corpi restringersi e condensarsi. A me, o credo anco al Sig. Galileo, queste posizioni, che voi come notissimo supponete, sono delle più astruse cose di tutta la natura ; e a voi non solamente sou facilissime, ma ve Panciate di più aggiustando in maniera (ma però con parole solamente fé senza veruna provai), elio al bisogno poi quadrano a capello al Pintenzion vostra: e però supponete, senza punto titubare, che la condensazione io regolarmente si suol ne’ corpi cagionar dal freddo, parlando di quei corpi in particolare che per accidente dall' aria fredda si condensano. Non si po¬ teva già aggiustarla più puntualmente per il ghiaccio. E non v’ ac¬ corgete, Sig. Colombo, che voi andate continuamente supponendo quel che è in quistione ? Quanto alla porosità, se ella è quel che voi dite, cioè una scotìiinuarione e divisione di parti del continuo, bisogna che tutti i corpi porosi situi discontinui: e perchè voi mettete la po¬ rosità in tutti i corpi, sino ne’ diamanti, adunque non si troverà corpo alcuno continuo ; il che è poi contro alla vostra propria dot¬ trina e opinione. Ho detto che voi mettete la n porosità in tutti i corpi; 20 ma dovevo eccettuarne Paria, la quale voi dite esser senza pori, ben¬ ché la terra, l’argento, Poro, i diamanti e altri corpi densissimi sieno, come voi stesso affermato, porosi. Che poi P aria si deva stimare senza pori, mi par che molto languidamente venga da voi dimostrato, mentre non dite altro se non che, s'ella fosse porosa, vi sarebbe il vacuo. Ma so la terra e l’oro ete. son porosi senza ammetter il vacuo, perché non può P aria ancora essere tale ? Di che son ripieni i pori della terra? se non volete mettergli vacui, bisogna dir che son ripieni d’acqua, o d’aria, o di fuoco? e così, ponendo voi l’acqua ancora po¬ rosa, panni che facciate i suoi pori pioni d’aria; or perchè non si so potrà con altrettanta ragiono dir che l'aria sia porosa, e abbia i pori ripieni di fuoco? Bisogna che voi assegniate hi cause che vi muovono ad affermar queste proposizioni, perchè P attendere, come voi fate, a metter di molte cose in campo senza provar mai nulla, è un perder tempo per voi e per gli altri. (,) La stampa : le. SOPRA ’L DISCORSO I)KI, COLOMBO. 009 Voi producete in questo medesimo luogo [pag. 346, lin. 17-21] un’espe¬ rienza per provar che 1’ acqua nel diacciarsi si ristringa c diminuisca di mole, e dite ciò farsi manifesto perchè a metter una conca d’ acqua all’aria di verno e farla ghiacciare, il ghiaccio si trova intorno intorno stac¬ cato dalle sponde del vaso, e sotto tra Vacqua e ’l ghiaccio molta distanza, c. per ciò bisogna dire che egli si sia ristretto e diminuito di viole. Ma. da tal esperienza, se si considererà attentamente, credo che si possa così ben raccòrrò ’l contrario, come quello che ne vorreste dedur voi. Im¬ però che, se ben voi dite che ’l ghiaccio si trova staccato dalle sponde io della conca, è però forza che egli le tocchi, perchè s’ e’ ne fusse lontano (trovandosi, come voi dite, molto lontano anco dall’acqua di sotto), bisognerebbe eh’ e’ si reggesse in aria, che sarebbe molto più che gal¬ leggiar nell’ acqua ; in oltre, la figura di cotal vaso è tale, che verso le parti superiori si viene allargando. Ora, stanti queste cose che ’l senso ci dimostra, io dirò che quella parte d’acqua che s’è fatta ghiaccio, nel congelarsi non s’ è altramente ristretta, perchè se questo fusse, il ghiaccio si troverebbe separato dalle sponde della conca e appoggiato su 1’ acqua di sotto ; dove che il ritrovarsi, per 1’ oppo- sito, molto lontano dall’ acqua (come voi stesso affermate) e contiguo 20 alle sponde del vaso, ci dà indizio clic la dilatazione e accrescimento della sua mole l’abbia sforzato a sollevarsi in alto, dove lo spazio o la capacità della conca è maggiore. Aveva il Sig. Colombo veduta una simile instanza che gli poteva esser fatta contro, e però la promuove e acutamente la risolve. Nel promuoverla dice [pag. 346, lin. 21-23]: Non vi inganni il veder che forse alcune volte nello staccarsi dal vaso possa il ghiaccio essersi sollevato alquanto, e per ciò vi paia cresciuto di mole. Questa è 1’ istanza. La, risposta e solu¬ zione eh’ e’ n’ apporta è questa: perchè ’l fallo sta altramente ; e niente più. Ma, Sig. Colombo, questo non è modo di rimuover l’obbiezzioni ; 30 però sen’ attenderà più distinta esplicazione. Voi, in questo luogo [pag. 346, lin. 27-2!)], mandate il Sig. Galileo a imparar dalla fante, la quale dite che gli mostrerà 01 che quando ha piena la pentola di lardo strutto, a lasciarlo freddare e congelare cala di ■maniera dì mole, che fa nel meno uno scodellino, dove prima era gonfiato. Veramente, Sig. Colombo, credo che da poco miglior maestro voi 0) La stampa; che mostrerà. tv. 77 (ilo {'UNSI DKK A /.IONI abbiate appresa rotai dottrina, anzi da tanto mon dotto, quanto che la fante del Sig. Galileo, domandata di rotai problema, scoppiò in nn gran riso, e poi, stimando elu* fesse pensiero di qualche altra quoca, disse: • K chi è rotesta tanto balorda, ohe credè e dice che’1 lardo rappreso sia ghiacciato? lo vi farò vedere il lardo far quella fossetta nel freddarsi anco di mezza state, anzi avanti eh’e’sia finito di raffreddarsi ; e voi vi lasciate dar ad intendere eli’ e’ sia ghiac¬ ciato?» l’resa poi, per nostro maggiore avvertimento, una caraffa col collo assai lungo, •• empiutala d' acqua sino a mezo ’l collo, e messala al fuoco, ci mostrò comi» nello scaldarsi ella andava riero-io scendo, sì che avanti clic levasse ’l bollore era ricresciuta più di tre dita; rimossala poi dal fuoco, nell'intepidirsi andava decrescendo e riducendosi al primiero stato; K1< AZIONI 012 forza clol discorso. Nò mi eliciate die il porgerlo così nudo e arido gli tolga r enfasi del persuadere; perchè, Sig. Colombo, gli ornamenti e i colori rettorici son buoni a persuader il probabile, e anco alle persone facili solamente; ma le erosi* della natura o li; necessarie ri¬ chieggono altri termini di dimostrazioni. Nulla dimeno il Sig. Galileo concederà che il ghiaccio sia poroso, dico anco quello che al senso par senza pori (benché voi, a face. 37, v. :’d |imi?. 347, lin. 33 84], scrivete clic egli medesimo dice die r ò del f/hiurrin che non è poroso, tanto poco apparisce, il die non si trova nel libro del Sig. Galileo, massime con quell'ultima particola da stolto; che ben altri che un simile non di-io rebbi*: • Nel ghiaccio non son porosità, perda* apparisco» poco », poiché non solamente è necessario da* le vi sieno, apparendo un poco, ma vi potrebbon essere e non apparir punto): vi si concederà, dunque che egli sia poroso; tua bisogna die voi altresì concediate che simili porosità fossero anco nell’ acqua, benché non si vedessero, e in con- sequenza non bastano per far galleggiare il ghiaccio : vi hì concederà bene die quelle bolle visibili e grandi faccino, quando vi sono, gal¬ leggiar molto più gagliardamente ; ma die le porosità invisibili del- l’acqua, delle quali anco molte si risemino, come voi affermate, nel congelarsi, c* come la diini inizimi ili mole, creduta da voi, nocessa- 20 riamente conclude, possi» esser causa di galleggiare, sin che voi non lo dimostrate in altra maniera, non vi si ammetterà. Alla face. 37, v. !) [p»k. 347, lin. 7 yj, producete un altro argomento per provar il ghiaccio farsi per condensazione, e lo cavate dalla Hus- sihilità. dicendo die se ri fusse rari f ililo, ci/li sarchile più corrente, flus- sihile e terminabile che non è /’ iirijua stesso, r non dimeno è sodo come pietra. Ma, Sig. Colombo, voi non concluderete nulla, se voi non pro¬ vate prima che la ilussihilità con la rarità, e la sodezza con la den¬ sità sempre scambievolmente si conseguitino ; nel die credo che averete die far assai, già che si veggono molti corpi durissimi esser più rari so assai d altri clic son llussibili o men duri. K chi dirà che l’acciaio non sia più raro del piombo e dell oro ? e pur è tanto più duro. L 1 argento vivo non ì* egli tlussibilissimo, e terminabile più del legno o della pietra? 1 * pur creilo che egli sia molto più denso. Ma voi torse vi ritirerete a dire che intendete del corpo comparato seco me¬ desimo, e non con altri, stimando che nel condensarsi deva anco di necessità indurirsi, e farsi fluido nel rarefarsi. Ed io vi dirò, che SOPRA ’L DISCORSO DHL COLOMBO. 613 questo ancora ha bisogno eli prova, non n' avendo voi addotto ragion alcuna, e essendo altrettante esperienze contro ili voi, quante per av¬ ventura ne potrebbono esser in favore. Ma quel che più importa è, che se la sodezza si andasse ugnmentando conforme alla densità, bi¬ sognerebbe che una botte d’ acqua nel farsi ghiaccio si riducesse ad assai minor mole d’ un vuovo, perchè non è dubbio alcuno che molto maggior proporzione ha la flessibilità «dell’ acqua a quella del ghiac¬ cio, che la mole d’ una botte a quella d’ un vuovo. Voglio inferire, che se la durezza del ghiaccio in eomparazion di quella dell’ acqua io non avesse a crescere più di quel che la sua mole diminuisce dalla mole dell’ acqua (concedutovi anco che il ghiaccio scemi di mole, il che è falso), egli doverebbe essere pochissimo meu fluido dell’acqua; niente di meno egli è più di cento millioni di volte più duro; ond’è necessario che tal durezza dependa da altro principio che dalla con¬ densazione. Considerate, dunque, la debolezza de’ vostri discorsi, e quanto rare volte vi succeda il poter fondar un assioma resoluto e chiaro, sì che non sia immediatamente bisognoso di qualche limitazione: onde senza allontanarsi dalla materia, si legge nel vostro Discorso a face. 38, v. 3 so [pag. 347, liu. 38 40): 11 freddo ha virtù di spremere e restrignere ogni cosa , sì come il caldo, suo contrario, di assottigliare, dilatare c aprire ; ma subito vi bisogna soggiugnere, acciò vi troviate in utrumque paratus: « benché per accidente possa accadere 7 contrario, il che non si prova da voi Ma, Sig. Colombo, queste ultime parole, come anco alcun’ altre un verso di sopra, che son queste : bisogna che proviate che il freddo abbia pos¬ sanza di rarefare ’l ghiaccio, il che non avete fatto ; queste parole, dico, son molto fuori di proposito, perchè a voi tocca a provar ogni cosa, essendovi messo a trattar diffusamente del ghiaccio, e non al Sig. Ga¬ lileo, che non si è mai posto a cotal impresa, come nulla rilevante so alla sua prinoipal intenzione. Quanto poi alla limitazion del per acci¬ dente, ehe voi aggiugnete alla regola assegnata, che sapete voi che la congelazione dell’ acqua nou sia appunto un de’ casi eccettuati dalla limitazione? e se lo sapete, perchè non l’avete specificato? Sin che voi non trovate modo di persuadere il contrario, io, Sig. Colombo, crederrò che voi vi siate fatto lecito in filosofìa di attribuire alle cause il nome di per se e per accidente ad arbitrio vostro, e che voi potigli iute nome di per sé a quella che fa più per voi o che è la prima 614 CONSIDERAZIONI «a venirvi in fantasia, lasciando il -per accidens a quella che farebbe per 1’ avversario o che è la seconda a sovvenirvi : e così crederò che voi abbiate detto che ’l caldo per sè ammollisco, e indura per acci¬ dens, perchè prima vi abbattesti a vedergli liquefar la cera che in¬ durir 1’ uova ; e però, sendovi in questa occasione del ghiaccio com¬ posto le vostre regole, concludete, nel fine di questa face. 37 [pa#. 347, lìii. 34-35] : Adunque il ghiaccio-'per causa de’ pori non cresce di mole re¬ golar mente, ma forse per accidente, il che non farebbe per voi. Ma,. Sig. Co¬ lombo, voi seto troppo scarso de’ misteri della vostra filosofia, poi che tanto frequentemente no destate il desiderio al lettore, e il più delle io volte lo lasciate digiuno, anzi in maggior brama che prima; e nel presente proposito io credo che il Sig. Galileo volentieri arebbe in¬ teso, prima, che cosa sia appresso di voi il crescer di mole per causa de’ pori regolarmente, e il crescer per accidente ; poi, qual differenza sia tra questo crescere e quello,--e per qual cagione il crescer per ac¬ cidente non farebbe per lui ; avvenga che io non credo che nè egli nò altri intenda quel che voi vi vogliate dire, ma che abbiate, col vostro primo artifizio, scritto più per far volume che per lasciarvi intendere. Con tutto ciò in virtù de’ vostri discorsi vi persuadete aver dimostrato, contro a quel che porge ’l senso e l’esperienza, il ghiac- 20 ciò non crescer di •mole nel ghiacciarsi : e però lo scrivete alla face. 38, v. 7 [pag. 348, lin. ]]. Ma già che 1’ esperienza della conca, proposta di sopra da voi, non vi par che mostri il contrario, ve ne additerò un’ al¬ tra. Pigliate un bicchier di questi fatti a colonna, cioè largo per tutto egualmente, o vero, per fuggire il pericolo dello scoppiare, pigliate un siimi cannone di banda stagnata, e empietelo d’ acqua sin presso all’ orlo a mezzo dito, e ponetelo a ghiacciare ; che certo voi trove¬ rete che ella, ghiacciata che sia, sopravanzerà 1’ orlo del vaso : e tanto vi mostrerà P esperienza, e questo si domanda crescer di mole. Voi poi poti'ete farci avvertiti con altri discorsi, che questo non si deve 30 chiamar crescer di mole, o che egli è un crescer non regolarmente, ma per accidente, 0 che egli non dovrebbe far così, o che questo non fa per il Sig. Galileo, anzi che è direttamente contro di lui, o qualche altra cosa a me inopinabile. Quanto poi a quel che in questo luogo medesimo [pag-, 348 , lin. 1-6] scrivete, cioè che quando bene il ghiaccio 0 qualunque altro corpo per qualche accidente crescesse 0 scemasse di mole, si potrebbe negare che per tal amplia- sona ’l discorso dei- colombo. 615 zione o diminuzione fosse, divenuto più leggieri <> più grave in specie rid¬ i’acqua, perchè la proposizione in universale 111 è falsa, nè lo dice Archimede altramente, nè si cava da lui in modo alcuno, come vorreste nella vostra ag¬ giunta per autorisar sì bella opinione; qui, prima elio io vada più avanti, son alcune cose da notarsi. E prima, questa clic voi domandate pro- posizion falsa, non è una proposizione, ma è una difinizione, o volete dire esplicazione di termini : secondariamente, non è falsa, perchè tali difìnizioni non son mai false, poi che è lecito a ciascheduno il porle ad arbitrio suo. Che voi non l’abbiate letta in Archimede, uè cavata io da lui in modo alcuno, ne son sicuro, ma non per ciò ue seguita che ella non vi sia, t o che da lui non si cavi ; 1 anzi, avendo egli compreso non si poter trattar di questa materia senza paragonar il poso del solido col peso d’ altrettanta mole d’ acqua, cominciando a dimostrar la prima passione, il che fa nella terza proposizione del primo libro, propose così : / solidi, che essendo eguali in mole con l’acqua, pesano (pianto lei, posti nell’ acqua si tuffano tutti, sì che parte alcuna non resti fuori, ma non però vanno in fondo etc-.; e seguendo poi l’altre sue pro¬ posizioni, sempre paragona ’l peso del solido col peso d’ altrettanta mole d’ acqua, senza ’l quale assunto è impossibile, per quelli che ’n- ao tendono che cosa è dimostrare, il concluder accideute nessuno in tal proposito. Ora, paragonandosi ’l peso d’ un solido col peso d’ altret¬ tanta mole d’ acqua, è ben necessario, o che pesino egualmente, o uno più dell’ altro ; che son appunto 1’ egualmente grave in specie e il più grave in specie del Sig. Galileo. E però, stanti queste defini¬ zioni, darebbe indizio d’intender poco chi credesse di poter negare che per 1’ampliazione o diminuzion di mole il ghiaccio divenisse più leggieri o più grave in specie dell’ acqua ; perchè se, v. g., dieci libbre d’acqua, facendosi ghiaccio, si diminuisce di mole e resta dieci libbre di peso come prima, ò chiaro che, conforme alla difinizione, il 30 ghiaccio sarà più grave dell’ acqua, poi che minor mole di esso pesa 11-23. anzi ri c ella nelle prime parale del suo trattato, dove egli dice che chiama corpi egual¬ mente gravi ciucili che, essendo eguali in mole, son anco eguali in peso; più grave quello di un altro , del quale una mole pesasse più di altrettanta mole dell*altro [seguo cancellato: etc., le quali definizioni il Sig. Galileo ristrinse anco a maggior brevità di parlare , come quello che se n’aveva a servir molte più volte d*Archimedei^ o vero quello del quale una minor mole pesa quanto una maggior mole dell’altro: che son appunto — (1) \ a stampa: la proposizione universale. 00 NSI DKK A ZIO NI quanto una maggior molo d'acqua: e all’incontro, so noi farsi ghiaccio la molo dell’acqua b’ accresce, il ghiaccio sarà mori gravo dell’acqua, poiché maggior mole di esso posa tanto quanto una minor molo d’acqua. K sappiate, Sig. Colombo, che quelli che mettim dilTicoltà sopra questi puri termini posson lasciar andare il lilos«dare a lor [insta, corno me- stioro lontanissimo dalla capacità del lor cervello ; perchè, com’ altre volte v’ho detto, nelle delini/, ioni de’termini non può mai cader fal¬ lacia elio alteri punto lo verità filosòfiche, se non quando nell’appli¬ cargli o usargli altri gli prendesse diversamente da quello che daprin- pio aveva stabilito, si conio piu abbasso con qualche esempio vi io dichiarerò meglio. Voi nulla dimeno vi immaginate elio si possa negare che il ghiac¬ cio, quantunque egli cresca o scorni nel farsi, divagati più o men grave in specie dell'acqua ; e il simile dite accader de gli altri corpi: la qual proposizione voi andate provando etiti un'esperienza, e dite: Prendasi una s/nu/iiti. inzuppisi il' uripui , e crearmi di mule (/enfiando, ma calerà al fondu; la medesima spremuta, asci ulta e diseccata, scemerà di mule, r nulla di menu t/allcr/r/crà nell acqua ; adunque nell’ ampliamone non divenne più leggieri, e nel ristringimento non si fere più grave. Dalla quale esperienza io vo comprendendo elio voi non avete ancor capito 20 ciò clic voglia dire ampliazione o diminuzione di molo, nè meno quel che significhi esser più o men gravo in specie dell’ acqua. Ampliarsi un corpo, Sig. Colombo, o crescer di molo, ò quando la medesima materia, senz' altra clic sopraggiunga, si dilata e distrae in maggior quantità; come se avendo voi uno schizzatoio con del- 1' aria entravi sino a mezo, e che, serrato il foro del suo cannello, con forza tiraste in dietro la mazza ancora quattro o sci dita di più, quell'aria compresa, senza elio altro corpo entrasse nello spazio fatto più grande, si distrarrebbe ed amplierebbe di mole, a occupar tutto quel luogo : e questo, Sig. Colombo, si domanda crescer un corpo 30 di mole. Che se, all’incontro, in cambio di tirar la mazza in dietro voi la calcherete sopra la prima aria, quella cedendo si ristrignerà in luogo più angusto assai, senza che niente se ne parta: e questo si dimanda condensarsi e ristrignersi e diminuirsi di mole. Le quali operazioni non alterano il peso assiduto del corpo distratto 0 com¬ presso, ma sì bene la gravità in specie, in relazione a qualche altro corpo : e per ciò un pezzo di ghiaccio fatto di dieci libbre d acqua, SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 617 pesca ancora l’istesso assolutamente, e senza referirlo ad altro corpo ; ma se nel ghiacciarsi la mole sarà cresciuta, la sita gravità in specie sarà diminuita, comparandosi con tant’ acqua quant’ è la nuova mole acquistata, perchè altrettanta acqua in mole, sì come è manifesto, peserà più di dicci libbre. Ma voi, con modo più ingegnoso, crescete la mole d’una spugna ed insieme la sua gravità, col metter di mol- t’ acqua nelle sue porosità e caverne, e, quel che è più ridicoloso, dite che tale ampliazione è fatta per qualche accidente. Ma a farla per qualche sustanza, di che cosa riempiereste quelle cavità ? Io mi me¬ lo raviglio, che, per far P esperienza più sensata ed apparente, voi non abbiate ordinato che nelle dette cavernosità si vadano stivando quattro o cinquecento lagrime di piombo ; perchè così la mole si amplierebbe ancor più, e molto più si accrescerebbe il peso. Questo, Sig. Colombo, non si domanda ampliar la molo d’un corpo, ma congiugner due corpi insieme, o volete dir rimuovere un corpo da un altro e, in vece del tolto, sostiti!irglieli’ un maggiore e più grave ; la, quale ope¬ razione io non so come voi possiate far che ella faccia punto al vo¬ stro proposito (1) , che è di provare come P ampliazione di mole si può far senza scemar la gravità in specie, come anco la diminuzion della 20 mole senza accrescimento pur della gravità in specie ; la qual cosa è pur tanto facile a capirsi, che basta P aver intesa solamente la di¬ finizione del più e men grave in specie. Quello poi che voi soggiu- gnete per tanto maggiormente aggravar P errore del Sig. Galileo, è tanto lontano dal proposito, che non ricerca risposta nessuna, ma basta Qui Galileo aveva dapprima scritto, e poi cancellò, quanto segue: «Onde,per vostra maggior intelligenza, sappiate che ampliar la mole cV un corpo, veramente e propriamente vuol dire crescerla senza aggiugnerven’un altro, col distrai' solamente le suo parti ; e ristrigiierlo o condensarlo, vuoi dir ridurlo sotto minor mole senza rimuover punto della sua materia : ed in questi atti il peso asso¬ luto, considerato in se stesso senza relazione alcuna nè al mezo nè ad altro corpo, non scema e non cresce ; ma in specie ed in re¬ lazione al mezo o ad altri corpi, che non si sieno alterati, cresce e scema la sua gravità. Ma se voi, come pur fate, volete domandar crescer di mole l’aggiugncrc e mescolar un nuovo corpo col primo, come quando voi IV. empiete ed ampliato le cavernosità della spu¬ gna con dell’acqua, questo non ò ampliar la mole della sustanza della spugna, ma è un allargar le sue caverne con ]’ aggiugnervi un altro corpo. Ma quando pur a voi piaccia di nominar quest’ azzione ancora accresci¬ mento di mole, io vi permetterò l’impor nomi a modo vostro quanto vi piace, pur clic voi intendiate che il Sig. Galileo, parlando nel senso che sino a suo tempo si era parlato, aveva detto bene e propriamente, e non era in obbligo di preveder che a voi fosse per venir pensiero di voler intender le cose in nuovi modi ad arbitrio vostro. Ora ò bene che si esamini qual utilità arrechino alla vostra causa questi termini, intesi a modo vostro. » 78 i CONSIDERAZIONI fi 18 considerar quel elio dito o 1' occasione perchè lo producete. Quel che voi producete è l’aver il Sig. Galileo affermato, elio se le porosità d’un legno saranno pieno d’acqua, ogli si farà più gravo, senza cre¬ scer o diminuir la sua mole, che so le medesime saranno piene d’aria; il che è verissimo, ma non contraria punto nè pregiudica alla verità dell’altra proposizione, cioè che un corpo che si condensi, senza ag- giugnerli o scemargli la muteria, diventi più grave in specie in compa- razion dell’acqua o d’altro corpo. Queste son proposizioni ni tutte vere, diversissime fra loro, uè punto repugnanti 1’ un’ all’ altra, ma, per quel eli io scorgo, nessuna di loro ’ntesa da voi. io Face. 38, v. 3- 348, Un. 23-24] : Sentite, Sir). Galileo, se per causa di rarefazione il ghiaccia galleggiasse, è imjmsibilc che non galleggiasse anco l’olio ghiaccialo urli olio. lo, Sig. Colombo, non posso a bastanza meravigliarmi delle strane consequenze che v’andate formando. 11 Sig. Galileo dico elio ’l ghiaccio galleggia perchè è acqua rarefatta, e voi no deducete in consequenza che se questo fussc vero, anco l’olio ghiacciato galleggerebbe nel- V olio. Ma il Sig. Galileo vi spedirà in una parola, e dirà che se l’olio nel ghiacciarsi si rarefacesse, come fa 1’ acqua, esso parimente gal¬ leggerebbe ; ma perchè quello non si rarefa, ina si condensa, però va 20 in fondo : od è risposta facilissima e vera. Anzi voi medesimo, nella seguente car. 40, v. 27 [pni;. 350, Un. 12 ], avendo bisogno, f per certo vo¬ stro proposito,! che queste vostre espressioni 1 di parti sottili e questo ristrignimento di parti terree, dalle quali fate depender la congela¬ zione, proceda nell'olio diversamente da quel che accade nell’acqua, scrivete alcune distinzioni, ed in ultimo coneludete che nell’acqua si fa ’l contrario che nell’olio; scordatovi che adesso volete elio ne’mede¬ simi liquori gli accidenti vallino tanto del pari, che cominciando voi una dimostrazione circa 1’ olio, ne cavate poi la conclusione applicata all’ acqua, come che tali corpi in niente funsero differenti, dicendo 30 [pnff. 348, lin. 28-30] : Perchè l'olio ghiacciato va al fondo , è falsissimo che’l ghiaccio sia più leggier dell' acqua per causa di rarefazione ; e poco più ab¬ basso, alla face. 31), V. !) Ipag. 348, lin. 30 - pag. 349, lin. 2], dite, parlando al Sig. Galileo: L’argomento, dunque, si ritorce contro di voi così: Il ghiaccio non è acqua rarefatta, «è perciò più leggieri : perchè se fosse vero, si come La .stampa: posizioni. 3 La stampa: operazioni. t SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. G19 V acqua ghiacciata nell’ acqua galleggia, così V olio ghiacciato galleggerébbe nell’ olio ; ma ci cala al fondo ; adunque ’l ghiaccio non è acqua rarefatta : consequenze dedotte veramente con gran sottilità. Ci manca solamente che voi mostriate la ragione per la quale gli atti dell’ acqua si devon regolar da quei dell’ olio, e non, per l’opposito, quei dell’ olio da quei dell’ acqua ; perchè se voi non producete altro, io molto meglio ritor¬ cerò l’argomento contro di voi, provandovi con la regola dell’acqua che 1’ olio ghiacciato non sia condensato, ma rarefatto, formando ’l discorso sopra le vostre pedate in questo modo: L’olio ghiacciato io non è condensato, nò per ciò più grave del non ghiacciato : perchè se ciò fusse vero, sì -come l’olio ghiacciato nell’ olio va al fondo, così l’acqua ghiacciata andrebbe in fondo nell’acqua; ma ella galleggia; adunque 1’ olio ghiacciato non è condensato. lo non ammiro meno di quest’ altri vostri discorsi P avvedimento grande col quale voi tagliate la strada al Sig. Galileo, ributtandogli un’istanza che forse vi arebbe potuta 01 fare, mentre dite [pag. 349, Un. 2-4] di poter far instanza a lui, e dirgli che ’l ghiaccio galleggi non per rarefazione, ma per l’aria che vi è dentro; e soggiugnete [liu. 4-6] che tal istanza non può già far egli a voi, quando affermate che l’olio 20 cala al fondo per causa di densità, perchè se ei vi rispondesse che V olio descende non per la densità, ma perchè vi è dentro l’ aria, farebbe più ef¬ ficace, la vostra ragione ctc. Adunque, Sig. Colombo, voi avete conosciuto il Sig. Galileo dal suo trattato così poco intendente della natura di questi gravi e leggieri e di questi movimenti, che voi aviate a cre¬ dere eh’ e’ vi facesse di queste instanze da stolti ? non vedete voi che simili spropositi non posson cadere in mente se non a gente costi¬ tuita nell’ultimo grado d’ignoranza? Del Sig. Galileo, adunque, che non fa altro mai che replicare che sin le falde di piombo e d’oro galleggiano mediante l’aria, voi avete a credere che ei fusse per dirvi 30 che 1’ olio andasse in fondo per causa dell’ aria inclusa? In somma voi mi andate tutta via maggiormente assicurando, non esser al mondo esorbitanza sì estrema, che non trovi ricetto in una mente alterata ; e massime mentre veggo che alle già dette ne aggiugnete un’ altra peggior assai, mentre scrivete, come in consequenza e conclusion delle cose dette : Il ghiaccio, adunque, per causa della figura galleggerébbe e (l) La stampa: forse si sarebbe potalo. G20 CON 81HEK AZIONI min-ebbi • al fondo comi' gli altri corpi, diversamente secondo la diversità delle fruire, se non gli mancasse la condizione deli esser asciutto. Ma io, Sig. Colombo, vi domando, quel die fanno gli altri corpi secondo la diversità delle figure, a i quali non manca la condizione dell’esser asciutto ? Credo pur olio voi mi confermerete quello che cento volte avete affermato, cioè che l’ebano, il piombo, l'oro e gli altri corpi più gravi dell' acqua, in virtù della figura dilatata e dell’esser asciutti galleggiano, ma che i medesimi bagnati calano al fondo: tal che due sono le diversità d’effetti, che ne’corpi più gravi dell’acqua, trai quali voi annumerate il ghiaccio, si scorgono; 1’una è il calar al io fondo (piando soli bagnati, e l’altra il galleggiare quando sono asciutti (intendendo sempre die sieno ridotti in falde sottili) : e queste diver¬ sità dite che si vedrei>bono anco nel ghiaccio, tutta volta che non gli mancasse la condizione dell’esser asciutto. Ma, Sig. Colombo, es¬ sendo che di questi due effetti uno vien fatto dal corpo quando è bagnato, cioè 1’ andare in fondo, fateci pur veder questo nel ghiaccio, il (piale si può aver bagnato a vostro beneplacito, che dell’altro ve ne mandiamo assoluto : ma per quanto sin qui si è veduto, il ghiaccio bagnato galleggia, e non va in fondo. Tal che egli è forza, già che voi stimate che queste diversità d'effetti si vudrebhono nel ghiaccio 20 come ne gli altri corpi, chi lo potesse aver asciutto, è forza, dico, che voi vogliate dire che le falde di ghiaccio asciutte andrebbono in fondo, già che bagnate galleggiano: e io molto volentieri vi conce¬ derei questa stravaganza, s’io vedessi di potervi sollevar dall’impu¬ tazione d’ un altro errore non meli grave ; avvenga che questo non sarebbe un accader nel ghiaccio (come voi scrivete) il medesimo che ne gli altri corpi più gravi dell’ acquu, ma tutto ’l contrario, poiché le falde di quelli galleggiano asciutte e vanno in fondo bagnate, e il ghiaccio bagnato galleggia e andrebbe in fondo se lasse asciutto. Or pigliate, Sig. Colombo, il vostro libro, e alla face. 31, v. 13 [pag. 341 , so lìn. :•#)], dove, nel sentenziar un detto del Sig. (ìalileo, vero, ma non inteso da voi, scrivete: Poter usi dir cosa più sconcia eli questa ? scri¬ vete nel margine: Leggasi per tutto il mio Discorso Apologetico, che è pieno di sconciature, ciascuna per sè senza comparazione maggiori di questa. Nulladimeno questa vi è parsa una sottigliezza tanto bella, che non avete voluto lasciarla in dietro, se bene vi eri già esentato dall’obbligo del trattar del galleggiar ilei ghiaccio. In somma, Sig. Lo- \ SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 621 dovico, non credo che ci sia più rimedio di poter ascondere 1’ esservi talmente lasciato traportar da un soverchio desiderio di contradire ad ogni detto del Sig. Galileo, che, pur che vi resti speranza di rimaner in concetto a quattro o a sei persone, ignudo totalmente dell’intelligenza di queste cose, d’ aver risposto a un tale avversario, voi non curate il sinistro giudizio di mille intendenti. Su questa resoluzione voi se¬ guitate in questo medesimo luogo di scrivere, e dite [pag. 349,1in. 12-13] che il Sig. Galileo non può eleggere il ghiaccio per far questa espe¬ rienza, poi, che egli vuole che le figure, che hanno da galleggiar, non sieno io molli. Ecco che questa falsità non può essere ammessa da nessuno che abbia letto il trattato del Sig. Galileo, nel quale non si trova mai tal cosa, anzi più presto ’l contrario, e voi medesimo 1’ affermate in altri luoghi, de’ quali per ora me ne sovviene uno alla face. 15, v. 3 [pag. 32G, liu. 30-31], dove voi dite, il desiderio del Sig. Galileo esser tutto fondalo nel bagnar le falde larghe, le quali si hanno a metter nell’ acqua et e. Passate poi, prima, a raccontare un’ esperienza che dite essere stata fatta dal Sig. Galileo per dimostrar come P acqua nel ghiacciarsi cresce di mole, e poi vi mettete a ritorcerla contro di lui. Ma perchè tale esperienza non si trova nel ti’attato del Sig. Galileo, il quale ho 20 preso a difendere, non ci starò a replicar altro ; e massime che basta per sua difesa veder quel che voi gli apponete in contrario, dove voi proponete molto cose, e, conforme al vostro solito, P andate fingendo secondo ’l vostro bisogno, senza mai provar nulla. Dirò bene, esser stata buona fortuna del Sig. Galileo il non aver nò detto nè fatto cosa alcuna a’ suoi giorni che non possa star, come si dice, a martello, perchè voi, come diligente ministro della fama, l’avereste con le stampe publicata a tutto ’l mondo. Dovevi almanco dire, che quest’esperienza fu proposta dal Sig. Galileo a queste Altezze Serenissime per poter ve¬ dere anco di mezza state la verità di quest’ effetto, e come il didiac- 30 darsi si fa con diminuzione di mole, rispondendo al congelarsi che si fa con agumento pari. La vostra confutazione è, come ’l resto dell’ opera, ripiena di molte fallacie, patenti a chiunque la leggerà, e, per quanto ho sin qui scritto, credibili da ogn’uno. E per darne pur un poco di saggio di qualcuna così alla spezzata, veggasi come alla face. 40, v. 9 [pag. 349, liu. 36-37], voi mostrate di non intendere ciò che significhi penetrazione 14 . voi, con termini alquanto remoti dalla filosofica modestia, dite — « I CON HI DEH A/CIGNI \ì'22 di corpi, poi che scrivete che quando fosse possibile che due corpi si pe¬ netrassero, sarebbe impossibile che occupassero manco luoqu di prima. La penetrazione, Sig. Colombo, di due corpi, che vien reputata comune¬ mente impossibile da' filosofi, è che un corpo penetri per la sustanza d’ un altro senza accrescer la mole di quello, si che, fatta la pene¬ trazione, il penetrato e ’1 penetrante insieme non occupino spazio maggiore di quel che occupava ‘1 primo per sè solo ; che è quanto dicessimo, elio nell’ istesso primo luogo stessero e fosser contenuti due corpi, che è quello che ha dell' impossibile. Ma se voi volete intender che un corpo penetri per un altro con dilatarlo e ampliar la sua io mole, in guisa che il luogo occupato da i due corpi dopo la penetra¬ zione divenga eguale a i due luoghi occupati da i medesimi mentre erano separati, tal penetrazione non solamente non è impossibile, ma tutto ’l giorno si fa infinite volte ; e cosi una caraffa d’ acqua pe¬ netra per una di vino mentre si confondono insieme, ma confusi e penetratisi occupano lo spazio di duo caraffe. Le contradizioni, che voi scrivete in poche righe, son molte. Prima [puff..'MO, lin.s?.)-30] voi volete che ’l ghiaccio messo nell’acqua faccia evaporar le parti sottili ; altra volta vorrete che questo sia effetto del caldo. Volete, appresso, che l’aria sia la parte principal dell’olio, poi 20 lo fate più terreo e crasso dell'acqua: e se ben Tesser terreo importa esser freddo, semlo questa la qualità primaria della terra, voi, due versi più di sotto, lo fate di natura caldo; e come calilo, dito che’l freddo non l'altera (piasi niente nel farlo ghiacciare, ma che ben altera assai T acqua, perchè è fredda. Ma chi sarà così semplice che reputi mi¬ nima alterazione quella che si fa dal freddo in un corpo di natura caldo, e granile quella che il medesimo freddo può fare in un corpo di natura freddo? t chi si deve alterar più per diacciarsi, un corpo di natura caldo o un frodilo? ('redo che ogn'uno, eccetto voi, dirà il caldo, anzi, fuori di questo luogo particolare, voi stesso ancora, 1 che 80 avete messo contrasto grandissimo tra ’l secco e T umido, per esser qualità contrarie; e ora volete tutto’l rovescio. Volete, appresso, che 2 13. di prima. Ma, Sir]. Colombo, il nega zio sta tutt' all' apposito : c sappiate che tutto l'impossibilità del potersi dar la penetratoti de'empì nun consiste in altro che nel non potersi /tir penetrar km corpo iti un altro sema ampliar il luogo occupato dal primo; sì che se voi vo¬ leste ammetter che tal leucinizionc s'intendesse farsi senza di min usion degli spazn occupati da 1 corpi j>ct\elrantisi, ella non solamente non sarebbe imjxissibile, ma — 28-31. freddo ? Altra volta, Sig. Colombo, sapete ihe arele messo — SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 623 le parti più sottili dell’ acqua, alterate dal freddo, si risolvi no in aria, che è quanto a dire che elle si rarefaccino sommamente, se ben poi volete che 1’ azzion del freddo sia condensar tutto le cose. Attribuite poi al Sig. Galileo l’aver egli detto e creduto che il freddo abbia virtù di rarefare, cosa che non si trova nel suo libro, nè anco nel suo pensiero ; tuttavia su questo falso fondamento vi andate fabbri¬ cando varie conclusioni strane. Yi fingete poi certe risposto e discorsi del Sig. Galileo, lontanissimi dal suo modo di filosofare, dicendo che egli forse dirà che nell’ istante medesimo elio s’introduce la forma io del ghiaccio, si fa la rarefazione etc. : e io vi dico che egli non vi dirà queste cose, ma ben che e’ butterà (n a terra tutti i vostri vani di¬ scorsi col dirvi, come anco di sopra vi ho accennato, che se voi met¬ terete un vaso quasi pieno d’ acqua all’ aria freddissima, ella prima comincerà a rassodai’si, divenendo simile alla neve mescolata con acqua, e già sarà ricresciuta di mole non poco ; poi ricrescerà an¬ cora, nel finir d’indurirsi ; di più, facendo dighiacciare il medesimo ghiaccio, P acqua tornerà di nuovo al suo primo segno ; e se di nuovo la farete ghiacciare, come prima crescerà nè più nè meno, e scemerà dissolvendosi, sempre all’istessa misura; e quest’effetto sarà così, senza -’o aver punto di riguardo al contrariare a’ vostri filosofamenti ; dal che potrete conoscere la vanità di tutti i vostri discorsi, e come e’ non hanno maggior esistenza che le chimere che altri si va fingendo. Come poi quest’accrescimento si faccia, e come procedino tutte Paltre particolarità attenenti alla congelazione, il Sig. Galileo non P ha, che io sappia, scritto : ma son ben sicuro che se egli lo farà, e voi vo¬ gliate contradirgli, avrete campo e occasione di accumulare altret¬ tanti e più errori di questi che avete scritti nella presente materia. Face. 42, v. 8 [pag. 351 , lin. 29 - 30 ] : Il Buonamico, dunque, a cui fate sì gran romore in capo, per non essere stato inteso da voi, viene da voi so senza ragione impugnato; e nella medesima face., v. 30 [pag. 352 , lin. 7 - 8 ] : Ma perchè avete più tosto fatto l’ indovino che inteso il Buonamico, di qui nasce V errar vostro. Benché da mille esperienze io sia stato l’eso certo che voi, Sig. Co¬ lombo, senza nessun riserbo e (come dite voi del Sig. Galileo) senza pensar più là, attendete a scriver tutto quel che vi viene in mente, (l ' La stampa : batterà . t>24 ('ONSIDKK AZIONI per abbassar non solo la dottrina, ma la reputazione insieme di quello tuttavia il sentirvi qui ancora così resolutaniento dire che egli non ha inteso il Buonanime, m’ ha fatto con un poco più di diligenza ( ” ricer¬ care quali coso di quell’autore «iene state mal intese dal Sig. Ga¬ lileo: e in somma non trovo nulla clic non venga puntualmente portato e interpetruto ; e voi, che l’aggravate di colai nota, dovevi, e anco 121 molto specificatamente, produr i luoghi che egli ha male intesi: perchè 1 ’ offendere con scritture pubbliche uno che non abbia mai offeso voi, e, quel eh’ è più, offenderlo non solo senza occasiono, ma anco senza ragione, è cosa molto brutta, anzi è mancamento tanto grande, eh’è io forza la sua grandezza avervi dato speranza che quelli a’ quali voi scrivete non sicn per persuadersi mai che voi l’aveste commesso, con tassar di poca intelligenza il Sig. Galileo, se. ciò non fusse, al manco in questo particolare, più che vero: però sarà necessario che voi emendiate con altra più distinta scrittura questi falli, già che, come vedete, il vostro libro è letto ancora, contro alla vostra opinione, da qualcuno che intende e voi " e il Sig. Galileo. Intanto veggiamo un poco chi apporti maggior progiudizio al Buonamico, o ’l Sig. Galileo con P impugnarlo, o voi col difenderlo : e già che voi applaudete alla sua dottrina, e Bete vivo, parlerò con voi, lasciando lui nel suo riposo. 20 Aveva Archimede dimostrato, i solidi che nell’ aequa galleggiano esser per necessità men gravi dell’aequa nella quale restano agalla; voi col Buonamico riprovato rotai regola, e in particolare con una ragione fondata sopra certa istoria naturale, la quale procede così: Dicesi in Siria essere un lago, nel quale i mattoni di terra gettativi dentro non vanno in fondo, anzi soprannuotano ; ora, se i solidi che soprannuotano dovessero, conforme alla dottrina d’Archimede, esser men gravi dell’acqua, bisognerebbe che i mattoni 0 ’n consequenza la terra fosse men grave dell’acqua, il elio è grand’assurdo; adunque è forza confessare, la regola d’ Archimede non esser vera, ma poter 30 galleggiare i solidi ancora assai più gravi dell’acqua. In questa ma¬ niera d’ argumenture son molte fallacie. La prima delle quali è il dedurre una conseqiionza universale da un particolar solo, mentre (lite, dover ogni sorte di terra esser più leggiera di tutte P acque, 1,1 La stampa : yiù diligenza. (3) La stampa : dovevi anco . W La stampa : qualche uno die intende voi. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 025 quando fosse vero elio i mattoni siriani galleggiassero nel lago di Siria mediante l’essere loro men gravi di quell’acqua; la qual conse¬ quenza è inettissima, potenti’ esser quell’ acqua e quei mattoni molto differenti dall’ altre acque e da gli altri mattoni. Onde, per mostrarvi la seconda fallacia, io vi domando, so la terra de’ mattoni di Siria e ]’ acqua di quel lago son della medesima natura dell’ acque nostre e della nostra terra. Se mi direte di no, adunque non potete da quelli inferir cosa alcuna nelle nostre acque e nella nostra terra : ma se di¬ rete, loro essere dell’ istessa natura, potrete, senza mandarci in Siria, io farci veder qui i nostri mattoni galleggiar nelle nostre acque ; ma perdio questo non farete voi veder mai, adunque sin qui non avete esperienza alcuna che repugni alla regola d’ Archimede, il quale parla dell’ acque comuni. Terzo, se voi ben penetrerete questo vostro di¬ scorso, v’ accorgerete che egli direttamente contraria all’ intenzion vostra; perchè, se per mostrarci che anco i solidi più gravi dell’acqua galleggiano, avete di bisogno di mandarci in Siria, quest’ è un con¬ fessare che in tutte 1’ altre acque, o al meno in tutte le più vicine di quella, i solidi più gravi di esse vanno al fondo, perchè se anco nelle nostrali e’ galleggiassero, troppo grande sproposito sarebbe il 20 mandarci in sì remote regioni per veder quello che anco in casa no¬ stra potreste farci vedere : là onde, concedutovi anco che l’acqua di quel lago e quei mattoni fusser come 1’ altr’ acque e 1’ altra terra, e che fusse vero che in Soria e’ galleggiassero, ad ogni modo la dot¬ trina. del Buonamico e vostra sarebbe tanto inferiore a quella d’Ar¬ chimede e del Sig. Galileo, quanto quel piccol lago di Siria è infe¬ riore in grandezza a tutte l’altr’ acque conosciute comunemente da gli uomini. Or pensate ciò che tal vostra dottrina rimane, se v’ag- giugnete il poter esser tutta l’istoria favolosa, o, se pur vera, l’esser necessario o che quell’ acqua o quella terra sieno differentissime dalla so nostra di cui si parla. Aveva il Sig. Galileo proceurato di sollevare in qualche maniera il Buonamico da sì gravi esorbitanze, come si vede nel suo trattato ; ma voi non volete conoscer la cortesia. Sig. Co¬ lombo, voi attendete a filosofare sopra i. nomi, e sentendo nominar quello un lago, e quelli mattoni, e sapendo che comunemente i laghi son pieni d’acqua, e che i mattoni si fanno di terra, non vi curate di pensar più là, e massime trovandovi disposto e resoluto ad ammetter per vera e certa ogni stravaganza, prima che confessar vera alcuna, TV. 79 026 CON SI DKK AZIONI benché evidente, dimostrazione del Sig. Galileo: dalla qual resoluzione vi lasciate traportar sino a scrivere [pa*. 852, lin.u-nj che alla dottrina del Buonamico non importa nulla si' il problema del lago di Siria sia favoloso o vero, perche a lui basta mostrar che la redola d'Archimede non salverebbe il dubbio , e che però il SiSig. Galileo, o (love voi trovate scritto, v. g. : facciasi con piombo e cera un corpo egualmente grave in specie con l'acqua, cancellate queste ultime parole, e.scrivete: Facciasi con piombo e ara un corpo tuie, che preso di lui e dell'acqua due parli eguali in mole, elle sinw anco eguali iti j/eso; o parimente quando tro¬ vati» scritto: L' ebano c 7 furo è più grave in specie dell' acqua, muta¬ telo, c dito: L'ebano e 7 ferro son tali, die una mole di qualsia di loro è più grave d'aliti limita mole d'acqua: e fatto rotali mutazioni, seguite di leggere il resto, elio (pianto al senso o la dottrina procederà come prima. 20 Se voi aveste intesa questa definizione, non arosto empiute ora cinque taccio di cosi» fuori di proposito, come avete fatto dalla face. 42 [pag. 351 , lin. -.1 1 in là, t oltre a tant’altri errori sparsi per tutto ’l vostro Discorso ; | e in particolare, alla face. 44, v. 2!) (pag. 354 , li». 2-8], non areste scritto: Come oolite mai,per quel che. aspetta alla vostra ampliamone specifica, che l’aria contigua ad un corpo, e auro come locala in quello, possa farlo differente di specie da quel che era prima V 0 se. colali accidenti mu¬ tassero le cose di spezie, non sarrbbono tante varietà c mutazioni dì colore nel camaleonte. Un vaso di rame 0 d' alita materia, pieno d’acqua, sarà mutato di specie ? e poi ripieno d’aria, quando non vi sarà più acqua, so sarà d’ un’ altra spezie? e cosi di tutte le rose. Un vaso di ramo pieno d’aria o pieno (l’acqua non muta di spezie, nò il rame, nò 1’acqua, nè l’aria; nò mai chi ha intelletto caverà simil concetto dalle cose scritte dal Sig. Galileo : il quale non dice altro se non che un vaso di rame pieno d’ aria, d’ acqua, o di quel che più vi piace, prima è l.a stampa: insieme, comparami». SO Pii A ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 629 manifesto che tutta la sua mole peserà o più o egualmente o meno che altrettanta mole d’acqua, nò di ciò si può dubitare ; di poi, stante questo, soggiugne e dice : Se cotal molo fatta di ramo e d’ aria, o di qual si veglino (l> materie, peserà quanto altrettanta mole d’ acqua, io la chiamerò egualmente grave in specie con 1’ acqua t (e non dice : Io chiamerò tal mole mutata di specie, e esser diventata acqua o altra materia) 1 ; se sarà più grave o meno, io la chiamerò più grave o men grave in spezie dell’ acqua. E qui non casca mai eccezzione o limitazione alcuna, benché voi, tra 1’ altre causo fuori di proposito io che allegate, per le quali tal definizione non vi piace, dite 1’ aver ella bisogno di molte eccezzioni e limitazioni. Non areste anco soggiunta l’altra vanità, con dire | pag. 354, lin. 11-12] che, stante tal definizione, la mutazion del luogo cagionerebbe nella medesima cosa mutazion di specie ; perchè, oltre che questa muta¬ zione di specie non si riferisce alla mutazione essenziale delle materie, preso anco ’l termine spezie nel senso del Sig. Galileo, le mutazioni di luogo non apportano alterazione alcuna f a i corpi che lusserò tra di loro egualmente gravi in spezio j ; di modo che due corpi che, per esempio, in aria sieno tali, saranno ancor tali in ogn’ altro luogo, e so quel che, v. g., in acqua ò più grave in spezio d’ un altro corpo, sarà ancor tale se si costituiranno in aria, f Ma se voi vorrete considerar la gravità di un corpo in sè medesima, ella dal mezzo potrà gran¬ demente esser mutata ; perlochè una pietra assai meno graverà nel¬ l’acqua che nell’aria, e molti legni che nell’aria son gravi e descendono con impeto, nell’ acqua perdono la gravità o velocemente ascendono : ma questa non si domanda, Sig. Colombo, mutazione essenziale, non si mutando 1’ essenzia della pietra o del legno. \ Nò meno areste scritta 1’ altra maggior semplicità a face. 45, v. 3 [pnrr. 354, lin. 16-19], cioè che il più o men grave o leggieri non muta la no spezie della gravità o leggerezza, ma solamente la semplice gravità è dif¬ ferente dalla semplice leggerezza per cagione del subbietto in cui risiede, perchè sono i subbietti differenti di spezie fra di loro. Dove son tre er¬ rori : il primo è il prendere la parola spezie in significato diverso da quello in che si è dichiarato di prenderla il Sig. Galileo. Secondaria¬ mente, pigliandola anco in questo significato, e essendo vero che queste W La stampa: vogliono. CONSIDERAZIONI affezzioni di pravo o di leggieri nmnsimainonto differiscono per le di¬ versità o contrarietà de’ movimenti da quelle dependenti, e essendo lo contrarietà de’ moti determinate dalla contrarietà de’ termini, il più e mcn prave diversificheranno lo spezio di rotali affezzioni; av¬ venga che so io prenderò due moli, v. g., di cera, o una di loro in-, gravirò con 1’ aggiugncrvi limatura di piombo, questi due corpi, se ben in aria non armino mutato spezie di pravità, sendovi amenduo gravi e descendenti, tutta via 1' averanno ben mutata nell’acqua, dove uno descenderà in fondo, o 1’ altro dal fondo ascenderà in alto; i quali movimenti essendo a termini contrarii, dovranno, s’io non m’inganno, io essere stimati da voi differenti e dependenti da diverse affezzioni. IL terzo errore ò, che voi diversificate la pravità o la leggerezza per causa de’ subbietti differenti di spezie iti cui riseggono; dal che ò ma¬ nifesto che non solamente la semplice gravità e la semplice legge¬ rezza, delle quali quella risiede nella terra e questa nel fuoco, saranno differenti di spezie, ma la pravità dell’ acqua e la leggerezza del fuoco dovranno non meno esser differenti, se è vero che 1’acqua differisca dal fuoco ; e parimente, so la terra o 1’ aria non son men differenti che 1’ altre sustanzo die differiscono in spezie, dovranno le lor gra¬ vità e leggerezza esser nell’ istesso modo diverse; anzi e queste e 20 quelle tanto più saranno tra di sò differenti, quanto molto più son contrarie la terra e 1’ aria, e 1’ acqua e 1 fuoco, elio la terra e ’l fuoco. Avreste anco taciuto l'inezzia che soggiugnete [pag. 354, lin. 20-22], del vaso d’argento pien d’aria, il quale pesa 1'istesso appunto che se, rimuovendone l’aria, si ridurrà in un pezzo d’argento massiccio: il che è verissimo, ma non fa al proposito; perchè voi parlate d’una cosa diversissima da quella della quale parla il Sig. Galileo, e credete di parlare della medesima. Voi parlate della materia particolar del¬ l’argento, 0 non d’altro; e il Sig. Galileo parla di quella molo che si ha da muovere 0 sommergere, e che cade in comparazione dolla mole 30 d'acqua elio sarebbe contenuta nel luogo che detta mole d’argento e d’altro occupa nell’acqua, senza la qual considerazione non si può produr altro elio spropositi, volendo trattar della materia di che si parla. La gravità dell* argento, sia in forma di vaso 0 in una massa, è sempre l’istessa, nè si altera punto per l’aria inclusa; ma quello che voi usate poi nel far la vostra esperienza, non è l'argento solo, ma una mole assai maggiore, poiché non fate discender nell’ acqua il solo ar- SOPRA ’L DISCORSO DEC COLOMBO. 031 gento, ma buona quantità d’aria insieme, la quale occupa tanto luogo nell’acqua, quanto se tutto ’l vaso fusse una mole d’argento mas¬ siccio; e credo pure clic voi intendiate che una tal mole d’argento peserebbe assai più del vaso quando è pien d’aria: onde gran dif¬ ferenza è tra ’l por nell’acqua una semplice mole d’argento puro, e ’l porvi una egual mole, ma fatta d’argento o d’aria, poiché quella pesa molto più d’altrettanta acqua, e questa molto meno, onde quella andrà in fondo, e questa galleggierà. Però, Sig. Colombo, non dite che il termine di più o min grave in spezie non sia scientifico nè vero, come io dite alla face. 45, v. 14 [pag. 354, Un. 2G-27] ; cessate anco di dire quel che scrivete diciotto versi più abbasso [pag. 355, Un. 2-3j, cioè eli’ e’ cagioni molti equìvoci e stroppiamenti di dottrina e conseguenze false; potrete anco emendare quel che scrivete appresso, alla face. 46, v. 3 [pag. 335, Un. 14 16 ], cioè che grandissima contrarietà sia circa i fondamenti del Sig. Galileo, e che egli abbia rovinata totalmente la principal sua macchina, solo per rispondere al Buonamico, benché male: perchè se voi arete pur una volta intese questo cose, conoscerete, i termini non scientifichi, gli equivoci, gli stroppiamenti di dottrina, le consequenze false, le mac¬ chine rovinate o le cattive risposte, aver lor propria residenza nel 20 vostro Discorso, e non nel libro del Sig. Galileo. E perchè io vi veggo, Sig. Colombo, molto bisognoso d’esser av¬ vertito, in qual modo le difinizioni posson essere e non esser cause d’equivocazioni e di falsità di dottrine, voglio, per benefizio vostro e d’altri che fussero nell’istesso errore, discorrervi brevemente alcune cose intorno a questo particolare, aggiugnendovi, per maggior dilu¬ cidazione, uno o due esempi. Sappiate, dunque, come anco in parte vi ho detto di sopra, che 1’ esplicazioni de’ termini son libere, o eli’è in potestà d’ogni artefice il circoscrivere e definire le cose, circa le quali egli si occupa, a modo suo, nè in ciò può mai cader errore o fal¬ so 1 aci a alcuna: e quello che chiamò sfrrone la parte che sporge più in¬ nanzi della galera, e timone la deretana, con la quale il vascello si volge e governa, poteva con altrettanta libertà chiamar questa sfyrone, e timone quella, senza incorrere in alcuna nota degna di biasimo; ma se poi, nel trattar l’arte navigatoria, egli confondesse questi ter¬ mini o gli applicasse ad altre parti senza prima essersi dichiai’ato, errerebbe, e darebbe occasione a molto fallacie e equivocazioni. Ec- covene un essempio. Aristotile si dichiara voler nella sua filosofia 632 CONSIDERAZIONI chiamar luogo l’ultima superficie del corpo ambiente, cioè elio circonda il corpo locato; e sin qui egli non potrebbe mai da alcuno esser ri¬ preso d’aver mal definito, nè mai commetterà equivocazione alcuna ogni volta eli’ e’ prenderà il termine luogo come esplicativo di questo concetto. Ma se egli o altri, per aversi in mento sua formato un con¬ cetto del luogo differente da quel che importano le paiole con le quali è stato circoscritte, se no volessero servire in differente senso, arrecherebbono confusione e fallacie non piccole; come appunto ac¬ cade quando ’l medesimo Aristotile ilice, il luogo esser eguale al locato; il qual è grand’errore, perchè, essendo il locato un corpo e’l luogo io una superfìcie, non solamente non posson esser eguali, ma non son comparabili insieme, essendo differenti di genere. Similmente, quando si dice, il medesimo corpo occupar sempre luoghi eguali, benché si figuri in diverse forme, tal proposizione sarà falsissima, se per luogo si ha da intendere quel che è stato definito; avvenga che la mede¬ sima mole corporea, secondo che se gli daranno diverso figure, può esser contenuta ila superfìcie molto disegnali, e maggiori l’una del¬ l'altra, due, quattro, dieci, cento c più volte; alle quali superfìcie son sempre eguali quelle dell’ambiente», cioè i luoghi. Però, chi voleva parlar senza equivocazione, bisognava dire (stante V addotta defini- 20 zione) che il luogo è sempre eguale, non al corpo locato, ma alla superficie del corpo locato, e che ’l medesimo corpo può occupar luoghi disegualissimi tra di loro, secondo che egli sarà sotto diverse figure costituito. Però è forza dire, o che Aristotile nell’affermar co¬ tali proposizioni «'avesse nell’idea formato concetto del luogo come che ei fosse lo spazio misurate dalle tre dimensioni, nel quale il locato vien contenuto e gli è veramente eguale, o che per difetto di geo¬ metria egli credesse che de i corpi eguali le superficie fosser sempre necessariamente eguali. Cosi nascono l’equivocazioni e le fallacie, non dalla prima definizione, ma dal non si contener dentro a i termini so usati nel definire, e dal formar varii concetti della cosa definita. Quindi è gran vanità il quistioneggiare se P Ultimo Cielo sia in luogo 0 no ; perchò se fuor di esso non è altro corpo, e il luogo è la su¬ perficie del corpo ambiente, a chi non sarà manifesto, l’Ultimo Cielo non esser in luogo? Simil leggerezza o maggiore sarebbe di chi di¬ cesse, il Mondo esser in luogo rispetto al centro; perchè chi troverà in un centro una superficie che circondi l’Ultimo Cielo? Eccovi altri SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMUO. equivoci, e le radici onde pullulano le vanissimo controversie sopra i nomi, delle quali si empiono le carte e i libri interi. Ma pigliate un altro esempio. Definisce Aristotile, P umido esser quella qualità per la quale i corpi facilmente si terminano de i termini d’altri. Sin qui non si può oppor cosa alcuna; perchè, trovandosi de’corpi, corno, v. g., è P acqua, che speditamente si terminano e figurano al modo del vaso contenente, era in arbitrio di Aristotile e d’ogn’ altro il dir di voler chiamar tali corpi umidi, e tal qualità umidezza.' Ma stante tal definizione, non bisogna poi dire che ’l fuoco non sia io umido, perchè sarebbe inconstanza e un confessar d’ aver auto in mente un concetto dell’ umidità, il quale con parole non sia poi bene stato esplicato; posciachè in effetto si vede ’l fuoco per la sua tenuità accomodarsi alla figura del recipiente: e però chi chiamerà in dot¬ trina d’Aristotile il fuoco umido, non sarà degno di riso; ma ridico- loso n> sarà quello che non avrà saputo definire e esplicare il concetto che egli avea dell’umidità, dal qual difetto nascono poi le vane e inutili contese. Ora, Sig. Colombo, se volete biasimare il Sig. Galileo e tassarlo pei’ definitor manchevole, non bisogna che vi fermiate su le pure definizioni, perchè così date segno d’esser voi il poco inten¬ so dente ; ma conviene che voi mostriate, quello essersi servito de’ ter¬ mini definiti, diversamente da quello a che per le definizioni egli si era obbligato. Face. 46, v. 29 fpng. 355, lin. 38 — paff. 35fi, lin. i| : Quel vostro termine o distinzione di pravità assoluta, non è aneli'egli il miglior del mondo: perchè assoluto si domanda quello che non ha rispetto, nò si considera in compa¬ razione ad altro; ora, questa gravità si considera respdtivamcnte; adunque non è buona distinzione. 11 non aver intesa l’altra definizione fa che voi non intendiate nè anco questa; o vero il desiderio d’impugnare ogui detto del Sig. Ga¬ so Ideo, vi fa, conforme al 6° artifizio, dissimular P intelligenza di cose che, essendo manifestissime e facilissime, non è possibile che voi non l’aviate intese. Delle quali credo che questa sia una: poiché, preso questo termine di assoluto come piace a voi, cioè in quanto si con¬ tradistingue al respettivo, egli ha luogo benissimo nella definizione del Sig. Galileo; il quale, avendo definito il più grave in spezie con la W I;a stampa: ridicolo. iv. 80 CONSIIlKKAZloNI considerazione dello moli «lo' corpi comparato tra loro, rimossa poi lai relazione di moli, chiama più foravo assolutamente (|Uol che sem¬ plicemente ]>esa più, non avemla rispetto alcuno di moli. Eccovi le parole precise del Sig. (ìalileo, alla face. 7 |pa^. (>«, liu. 3-5] : Ma più finire assoluta-mente chiamerò io qui i corpo ili questo, se /fucilo peserà più ili questo, senz aver rispetto alcuno di mule. Vedete, dunque, come egli usa questo termine d’ assoluto dove e’ leva la relazione delle moli. Ma,'por aggitignor a tunt'altri rincontri del vostro poco intendere e del troppo desiderio *i‘impugnare il Sig. (ìalileo, e sempre senza ragione alcuna, quest’altro indizio, gap]date, Sig. Colombo, che que-ìu sta nota, che voi attribuite* al Sig. (ìalileo, cade non in lui, ma in Aristotile, rum avvertito da voi; il quale, dopo aver definito il grave o il leggieri rispettivo, volendo anco definir l’assoluto e semplice, lo definisce pur con relazione, chiamando grave assoluto quel che sta sotto a tutti gli altri, e assolutamente leggiero quel clic sta sopra tutti: di modo elle so definizioni simili non vi piacevano, dovevi ri¬ sentirvi contro Aristotile, e non contro al Sig. (.ìalileo, che non vi fa errore. Face. ‘17, v. 7 |p«K- 3r><;, lin. ir>-22] : Ora. perchè l'esempio de’venti non ci ha Inolio, non (m uderà che io mostri che irai san òhe a proposito. Ma ai .se volete che io dica il mio pensiero, voi ante finto dì creder così per metter in ramilo la dispaili della leggerezza, se si trovi o ito: via perchè nc ho dello il parer mio nel discorso citatori, che vedeste, contro ’l Copernico, c non ri avete risposto, aspetterò che farciate maggior risentimento di questo che fate adesso; perchè, a dime il vero, se l altre milioni che avete non son migliori di quelli che per ora io veggo in favor della vostra opinione, potrete, per anur l'ostro, non tu parlar mai più. E vero eie* se l'esemplo de’venti non ci ha luogo, non accade mostrar che ei non farebbe a proposito, pere lift il non ci aver' 1 ’luogo e 1 non tur a proposito creilo che sien l’istessa rosa; ma dovevi ben so voi mostrar clic ei mm ci avesse luogo, perchè il vostro semplicemente dirlo non è ancora di tanta autorità che basti. Che poi ’l Sig. Galileo abbia tìnto di creder che’1 Ihionamico attribuisca ad Archimede il negar la leggerezza positiva, per intrudili 1 la disputa se tal leggerezza si dia o no, è manifestamente falso, essendo la imputazione chiara (l ' La starnici : non aver. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. G35 nel testo del Buonamico; ma, all’incontro, è ben più che certo che voi fate eotal tìnta per farvi strada a nominar di nuovo, fuor (Tonni proposito, il vostro discorso contro al Copernico, veduto dal Sig. Ga¬ lileo senza rispondergli. La qual vostra vaghezza mi messe in neces¬ sità di toccarne" 1 quel poco che avete sentito di sopra: il che crederò che vi abbia in parte intepidito il desiderio delle risposte del Sig. Ga¬ lileo, il quale, per quanto appartiene al presente luogo, non si essendo voluto allargar nella questione della leggerezza positiva, come non necessaria principalmente in questa materia, non sarebbe, se non con io occasion troppo mendicata, potuto entrare nelle' 2 ’ vostre ragioni poste nel discorso contro al Copernico; anzi non Farebbe egli fatto in conto nessuno, per non vi levar con mala creanza la comodità di meglio considerare gli scritti vostri non fatti ancor publici : oltreché, non si contenendo in quelli altro che una parte delle ragioni trite e scritte in mille autor publici e famosi, a che proposito intrapren¬ derne contesa con voi? Ma perchè una sola dimostrazione, addotta dal Sig. Galileo per passaggio, vien da voi così poco stimata (se ben assai manco intesa), che voi consigliate il suo autore a non ne in¬ trodurre mai più di simili per onor suo, voglio brevemente esaminar 20 quel che voi gli opponete (:t) . Prima voi dite [pag. 356, lin. 22-26], esser vero che l’aria ha, per la sua leggerezza, inclinazione a star sopra l’acqua; ma non già nel stia luogo si muoveva per andar più su nel luogo del fuoco, perchè rispetto al fuoco è grave. Ma questo a che fine vien da voi proposto? forse il Sig. Galileo dice il contrario? o pure la vostra mira, che è solo di contradirli, sarà bastante a far che insili le cose affermate da lui gli di vanghino contrarie, tutta volta che le sien poste da voi ancora? Voi soggiu- gnete | lin. 2<>-32], non esser inconveniente alcuno il dire che i corpi lem, come, v. g., il fuoco , benché per sua propria inclinazione abbia facoltà so d’ascendere verso 7 concavo della Luna, ascenda più tardo quando sia nel- V aria che nell’ acqua : imperò che, oltre al suo moto naturale, avendo 7 moto dell’impulso dell’acqua, che è più efficace che non è quello dell’arili; che ■meraviglia se ascendesse più tardo nell’aria? il che si nega, nè voi mel farete vedere. Quanto al non ve lo far vedere, ne son sicuro, nè credo che il Sig. Galileo si promettesse di farvi vedere anco dell’altre cose ^ La stani pii : toccar. { ' 2) La stampa : in. r La stampa: quel che voi supponete. u:tf> COSSI HKKA/.ION molto più visibili o chiare di questa. Ma proccuriamo almanco di far vodcro ad altri una vostra contradizione nell’allegate parole : dove voi concludendo negate che ’l fuoco possa ascendere più velocemente por l’ acqua che por 1’ aria, la qual cosa, poi che voi la negate, bi¬ sogna che la stimiate falsa e impossibile; nulladimono nelle prime delle allegato parole avete conceduto, con manifesta contradizione ciò non esser inconveniente. Ma come non sarà inconveniente quel che è impossibile V In oltre, come concedete voi, Sig. Colombo, que¬ st’impulso per estrusione ilei mezo ne’corpi leggieri, più volte e aper¬ tamente negato da Aristotile? Adunque vorrete 1 " contradire a testilo chiarissimi? K se concedete cotale impulso, perchè, moltiplicando le cause il’un effetto senza necessità, volute anco a parte la leggerezza positiva del mobile? Non contento di questo, tornate anco la seconda volta a concedere e poi negare con grand’inconstanza la medesima cosa, scrivendo |pnff. lin. 32 pa«. :ir>7, lin. 3]: Ma per questo sarà vero che n<»i abbaino molo jiroprio e ita etilisti intrinseca, pirrhè non andassero così vrlm i jH-r l'aria anni per l' acqua, se nel? aria manca quel maggior impulso'? Ansi si pai) negare, e con ragione, che l’esalazioni ignee nel- l’ acqua asci mia no più presto che nell' aria ; perche, se ben vi è di più accidentalmente il mnrimnit" dello scardar che fa l'acqua tali esalazioni so come più levi, a rincontro colali esalazioni, ionie ammortile e rese dall’umido e freddo, che donimi, più gravi e corpulenti, non possono speditamente operare e inethr in atto la vil tà loro W ascendere in allo : e però si inno¬ veranno più tardi nell' ai qua che nell' aria, poiché nell'aria, per la somi¬ glianza che hanno seco, si ravvivano e son più in atto e più al proprio luogo vicine ; (houle nasce che verso 7 fine del moto te cose e i cor/n na¬ turali vanno più velavi. Se voi potete con ragion negare elio l’esala¬ zioni igneo ascendali iV più presto nell’ acqua che nell’ aria, perchè non lo negate voi con risolutezza, senz’andar tanto titubando, di¬ cendo speditamente elio Pascendoli più veloci, e che non vi è altra-so mente lo scacciamento del mezzo? Ma duo volto tornate a concedere, o poi a negare, le medesime proposizioni. E ben vero che passato questo pericolo, e allontanatovi alquanto, direte d’aver provato che l'ascendon per aria più veloci infallibilmente, corno scrivete alla face. 50, v. 33 Ipau. lin. 2fl-2i>], e allontanatovi un poco più, in sino (n La stampa: volete. v La stampa: uscendoti. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 637 alla face. 51, v. 12 [png. 360, Un. 5-6], direte aver dimostrato tali esa¬ lazioni nell’acqua esser fiacchissime: con tutto questo la verità è, che ora, che sete sul fatto, voi non sapete risolvervi, ma quando affer¬ mato e quando negate. Direte poi che il Sig. Galileo sia quello che mille volte il dì vuole e disvuole. Ma voi, por non saper quel che vi vogliate, vi riducete a voler (contro a quel che mostra l’esperienza) provar con ragioni che tali esalazioni si innovino più velocemente per l’aria che per l’acqua; le quali ragioni son poi di quell’efficacia che è necessario che sien quello che provano ’l falso; e però vi riducete a fill¬ io gervi che esse esalazioni vengono ammortite e rese gravi e corpulenti dall’umido e dal freddo che domina, e che però ascendono adagio nel¬ l’acqua, ma che poi nell’aria si ravvivano e son più in atto, e però si muovono più velocemente: ma con tutto ciò quando vi bisognasse pro¬ var il contrario, cioè che più velocemente si inuovesser per l’acqua che per l’aria, sapete bene che voi affermereste che la nimicizia grande e l’antipatia che loro hanno con l’acqua, le scaccia con impeto via, e che esse speditamente fuggon le contrarie qualità ; direste anco che per Pantiperistasi 111 dell’umido e del freddo ambiente la lor virtù si con¬ centra e raddoppia, non men che l’impeto de’ fulmini ardenti per il cir- 20 condamento delle nugole umide e fredde; all’incontro poi direste che nell’ aria si quietano, convenendo con quella nel calore, e importando poco la discordia dell’ umido e del secco, non essendo queste qualità attive: o in somma i vostri discorsi procedon con tant’efficacia, che sempre egualmente si accomodano alla parte affermativa e alla ne¬ gativa di tutti i problemi; t argomento pur troppo necessario dell’es¬ ser cotali vostri fi losofamenti fondati sopra vanissimi accozzamenti di parole, nissuna cosa concludenti. \ Voglio ben mettervi in considera¬ zione, Sig. Colombo, che se l’umido e ’l freddo dell’acqua rende, come dite, l’esalazioni gravi e corpulente, ciò sarà molto pregiudiziale alla so causa vostra, perchè ogni piccolo ingravimento che se gli dia basta a renderle gravi quanto l’aria, per lo che elleno poi nell’aria non ascenderebbon punto; ma nell’acqua un tal ingravimento non farebbe quasi differenza sensibile di velocità: f o vero, quando l’ingravimento fusae tanto che notabilmente ritardasse l’ascender per l’acqua, poste 10 - 120 . raddoppia, e n’ addurreste per testimonio le saette; alV incontro — 111 Manoscritto e stampe, : andiperistasi. (HINKI DKK AZIONI poi nell’aria necossa ri amento de-rendi rebboiio a basso, 1 Voglio anco avvertirvi che non vi lasciato persuadere da alcuni Peripatetici, elle la vicinanza del termine e luogo desiderato sia cagione di maggior velo¬ cità nel mobile, perchè questa è una bugia, sì come è anco falso l’ef¬ fetto; avveniva clm non la vicinanza del termine ad qiM'm, ma l’allon¬ tanamento del termine a tino, fa maggiore la velocità; o queste due cose son differentissime, se ben torse vi parranno una cosa stessa. Finalmente, avendo 1 Rig. (ndileo portata una sola ragione per provare die non è necessario por la leggerezza assoluta e positiva voi ancora vi contentate di addurne una sola in contrario, e, per io non parlar se non con gran fondamento, non ve la fingete di vostra fantasia, ma la pigliate dall’ istesso Ari-tot ile, dicendo [pa*. :tf>7, lin.8-6]: .l/u rhf 7 fu> >co 'i>t assai ulaatenU h i/t/ùri, >■ da p-inrijrio intrìnseco, veggasi prr i sjx i i' itzii chi mi t/lobo di funai vutgifuirr ascende jnù velocemente per /‘miti rio non fa un minor< ; r pur si fosse (/rare, dar erti thè far contrario tifilo. Ingegnoso e si>ttil argomento: ma doveva Aristotile, o voi, Sig. Colombo, insegnarci il modo di far questi globi di fuoco grandi c piccoli, c fargli anco visibili per l'aria, o, se non visibili, al manco insegnarci qualche artifizio da poter comprendere li* lor moli e i lor mov dnenti e le lor differenze di velocità ; perchè quant’ a me, coni’ io 20 deva fermarmi mi la sola immaginazione, stimerò che, sì come nel moto delle cose gravi accade che tanto velocemente descenda una zolla di terra di conto libbre e una di due (se litui conforme alla dottrina peripatetica quella si (leverebbe muover cinquanta volto più veloce di questa), così avvenga di due moli di fuoco disuguali, cioè che le si innovino con pari velocità. .Ma fuor dell’esperienza assai difficile a farsi, avete forse qualche ragione concludente, (dio vi persuada es¬ ser necessario che più veloce ascenda una mole grande ili fuoco che una piccola? Direte forse elio nella maggiore risiedo maggior virtù, e che però maggiormente opera. (Questo non conclude nulla, perchè so se vi è maggior virtù, vi è anco nuorgior macchina da esser mossa, e maggior mole del mezzo resistente contrasta a rotai movimento. Se voi, Si#. Colontlm, potaste ridar la forza e vigore di cent 1 uccelli in un uccello solo dediti medesima grandezza, sicuramente egli vole¬ rebbe più velocemente: ma se saranno cent'uccelli insieme, o vero se si farà un uccol solo grande quanto quei cento, io non veggo ra- le Ili. in contrario , ns7, lin. 6-8], dicendo: 1. possibile, Ih» immortale, che ni. voi, nò chi ri consiglia, co¬ nosca queste fallacie'’ ( 'Ili Volete ilo non conosca che Voi il fate a posta? K prima, voi dite, alla face, la, v. :5 Ip.ig. :c>7, lin. U-ll), che, quanto al- l'intelligenza del testo d’Aristot ile, la positura dell'avverbio simpliciter, ,lJ liti 8lampa; dL SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. G'i 1 accoppiato o con la parola causa o col verbo muoversi, inferisce sem¬ pre ’l medesimo, e che però il Sig. Galileo lo può locar dove gli piace, se però la sua gramatica non è differente dalla vostra, come la filosofìa. A questo vi si risponde, la nostra gramatica esser tanto differente dalla vostra, che quella trasposizione del detto avverbio, che voi dite non saper veder che inferisca mai se non Visiessa cosa, io so veder che induce sentimenti cou- trarii, sì che in un modo direbbe che le ligure non son cause, e nel¬ l’altro importerebbe le figure esser cause, della medesima cosa. Imperò che congiugnendosi l’avverbio simplieiter col verbo muoversi, dicendo: io « Le figure non son cause del muoversi semplicemente », si viene a esclu¬ dere totalmente dalle figure l’esser cause di moto; ma se (2> l’avverbio si accoppierà con le cause, dicendo: « Le figure non sono semplicemente cause del muoversi », non determina che le figuro non sien cause total¬ mente, ma solo che le non son cause semplici e assolute, il che importa poi, lor esser cause per accidente, o secondarie, del muoversi: il qual concetto è tanto differente dal primo, che l’uno è vero e l’altro è falso. Face. 48, v. 12 [pag. 357 , lin. 17 - 1 »] : Ma non so già che da questo si possa cavare che quello che è causa di velocità e tardità nel moto per accidente, non possa esser cagione anco di quiete per accidente. ao Io non so con chi voi abbiate questa disputa, perchè ’l Sig. Ga¬ lileo vi concederà molto volentieri, nè mai si trova che egli l’abbia negato, poter esser che una cosa, che sia causa di tardità di moto, possa esser anco causa di quiete; come, per esempio, l’accrescer il ferro dell’ aratro arreca tardità al moto do’ buoi, e si può dilatar tanto che impedisca loro totalmente il più muoversi. Ma egli non concluderà già da questo particolare, nè da molt’altri dove tal regola avesse luogo, che universalmente tutte le cose che inducono tardità possili anco necessariamente apportar quieto; e un de’casi non com¬ presi da tal regola, dirà ’l Sig. Galileo esser quello di cui si tratta; so cioè che, se ben la dilatazione di figura induce tardità di moto alle cose che si muovono nell’ acqua, non però potrà ella di necessità indur quiete. Voi, dunque, Sig. Colombo, e non il Sig. Galileo, come gl’im¬ ponete in questo luogo, vanamente ed a s/rroposito discorrete, per difetto di buona logica, poscia che da uno o più particolari vorreste cavare una regola universale, e stabilire che in ogni caso quella cosa che arreca tardità di moto, possa anco di necessità apportar la quiete. (1) La stampa: causa. W La stampa: di moto; se. iv. 81 (542 CONISI IìKRAZIONI Face. 48, v. 21 fpacr. 357, lin. 25-271 : R notisi che quelle parole del Buo- namieo, De canni* adiuvantibus gravitatimi et levitatem, non voglion dire che sten cause per se, ma per accidente. Quest’è un altro sproposito: perchè dove trovato voi che il Sig. Ga¬ lileo abbia mai detto altrimenti? Leggasi, per manifestamente scor¬ gere la vostra impostura, il suo trattato alla face. r>8 nel fine [pag. 124, lin. so— pag. 125, lin. 4]. 1/ istesso dico a quel che voi soggiugnete, scri¬ vendo |[mg. 357, lin. 32-34]: Vedete dunque che Aristotile, nel quarto della Fisica al t. 71, non contraria a questo del ('ilio, come ri pareva; e cosi in ninna maniera rien censurato a /inquisito da voi. Ma tali censure non si io trovano nel libro del Sig. Galileo; e però voi, con artifizio assai grosso, tacete il più delle volto le sue parole, bastandovi ('ho la vostra scrit¬ tura faccia qualche poco d’impressione in alcuno di quelli che non son mai per leggere '1 trattato del Sig. Galileo. Su la qual confidenza, se¬ guitato di scriver cosi [pur. 357, lin. 35 ;it>] : R quando dite che, se le w figure san causa di quiete per esser larghe , ne seguirà che le strette sicn causa di molo, contro a quel che afferma Aristotile; andate, conformo a l’artifizio ottavo, raccogliendo di (pia e di là parole dette dal Sig. Galileo in propositi e sensi diversissimi da quelli che voi gli attribuite, trala¬ sciando delle dieci cose le nove, e non citando nò versi nè carte, nè 20 anco seguitando almeno per ordine di notare le cosi' dette prima e dopo, come stanno nel trattato: e ciò fato non per altro se non perchè vi mette conto che altri, infastidito di cercare, non possa rincontrar le cose tanto falsamente e fuor di tutti i propositi apportate da voi; il che non doverà con renitenza 2 esser ammesso (la alcuno, veden¬ dosi quante poche volte i luoghi anco additati 1-1 da voi sien legitti¬ mamente e nel lor vero senso apportati. Face. 49, v. 1 [pag. 358, lin. 4-5] : R possibile che stimiate, Aristotile aver inteso che l’ago si ponga nell’acqua a giacere ? Voi fate ben, Sig. Colombo, a cominciar la dichiarazione di questo 30 problema con un’esclamazione, la quale minacci tutti quelli che l’in¬ tendessero diversamente da voi, e gli faccia a ' entrar in sospetto d’esser reputati stolti se non ammetteranno la vostra ingegnosissima interpretazione. Alla (pialo avevo resoluto di non replicare altro, per¬ chè il Sig. Galileo e io ci contentiamo d’esser tenuti per insensati da (1> La stampa: dite che le. La Btampa: resistenza. w La stampa: i luoghi additali. La stampa : facciate SOPRA ’l, DISCORSO DEL. COLOMBO. 643 tutti quelli che applaudessero a uua tal sottigliezza 11 ’: però, Ronza far molto sforzo di rimuovervi da cotal fantasia, andrò toccando sola¬ mente, così alla spezzata, qualche particolare. Voi scrivete, dunque, in questa medesima face., av. 4 [pag. 368, Un. G 8] : Qual b quel matematico che non sappia che le dimensioni del corpo son lalitudine, longitudine e profondità? Ma qual è quel filosofo simile a voi, che sappia delle matematiche più là delle tre dette dimensioni ? anzi tra questi chi potrebbe esser altri che voi, che nè anco intendesse queste? E perchè sia manifesto, quanto io dico esser vero, veggasi in io qual maniera voi l’esplicate, mentre seguite scrivendo : e che la lati¬ tudine, per esempio, dell’ago è quella che noi diciamo grossezza, e d’una cosa lunga, nella grossezza non rotonda, s’intende quella parte che b più larga, e la longitudine dalla, cruna alla punta, e la profondità dalla su¬ perficie al suo centro: maniere di definire nobilissime, dove, dopo che con l’aiuto della Sfinge ne sarà tratto ’l senso, si troveranno più spro¬ positi che parole. E prima, del vostro non intender queste prime minuzie assai chiaro argomento ne era l’averle voi ben due volte nominate disordinatamente, mettendo la larghezza avanti la lun¬ ghezza; che è errore, perchè la larghezza suppon sempre la lunghezza. 20 Onde per vostra notizia sappiate, Sig. Colombo, che la prima dimen¬ sione, che voi vi immaginiate, si addimanda lunghezza, ed è l’esten¬ sione di una linea retta tra due punti; se poi da un punto di tal linea voi <2 ’ produrrete un’ altra linea a squadra, ne nasce la larghezza, la quale non si può intendere senza la lunghezza già supposta; e finalmente, se dal medesimo punto voi produrrete una terza linea per¬ pendicolare alle due già prodotte linee rette, ne nasce la terza dimen¬ sione, detta profondità o vero altezza. La prima dimensione, cioè la lunghezza, per sè sola costituisce la linea; questa con la larghezza determina la superficie ; e tutte tre insieme fanno ’l solido, o volete 30 dir corpo. Queste tre dimensioni nel corpo si determinano ad arbitrio nostro, se ben comunemente, dove esse fosser diseguali, come, v. g., in 2. da cotal frenesia , andrò — W Qui ne! ma. si legge, cancellato, quanto cioè quanto imitil opra sarebbe di chi si appresso: «Solo voglio mettere in conside- mettesse a volervi rimuover da qualsivoglia, razione al lettore clic egli torni a legger tal benché esorbitantissima, ini pressione;, veden- vostro pensiero, traendone quella couse- dosi quanto voi sete disposto ». quenzache mi par che di necessità ne derivi, (2> La stampa: vi. l»44 CONSIDERAZIONI una tavola, la maggioro ai domanda lunghezza, la mezzana larghezza, la minore altezza o grossezza: ma in un corpo lungo o tondo, com’un ago, la lunghezza si dirà, come dite voi ancora, l’estensione dalla punta alla cruna; ma le altro due dimensioni sono eguali, e formano la grossezza, risultante dalla larghezza e dalla altezza o profondità; e ’l diro, la profondità dell'ago esser la distanza dalla superficie al centro, come dite voi, è un dichiararsi ignudo della cognizione di questi puri o puerili termini : perchè io vi domanderò, qual è il centro dell’ago? e voi sicuramente non lo saprete, poiché egli non l’ha; ma voi avete scambiato i termini, o in mente vostra quando diceste centro io volevi diro asse. Ma quando pur voi voleste figurarvi nell’ago un centro, come, v. g., il centro della gravità o altro punto a vostra elezione, conni volete voi che egli vi serva per determinar la profon¬ dità nel modo che scrivete? Non vedete voi cho dalla superficie del¬ l’ago a un tal punto si posson produrre infinite linee diseguali? adunque da qual di queste determinerete voi la profondità dell’ago? Forse direte, da una tirata perpendicolare all’asse. Questo sarebbe il manco male: ma il saggio, che voi avete dato nel resto, del maneg¬ giar questi termini, ci assicura che voi possedete tanto avanti, che voi errastesolamente della metà; che tanto sarebbe il determinar 20 la profondità dell'ago da una tal linea, perchè ella è appunto la metà della vera profondità. Sig. Colombo, se mai vi venisse umore di replicar qualche cosa a queste mie scritture, non fate come avete fatto intorno al trattato del Sig. Galileo, nel quale avete saltato sola¬ mente i novantanove centesimi dodo cose matematiche che vi sono ; ma passatele tutte senza aprirne bocca, perchè gli errori in queste scienze non si posson palliar tanto come gli nitriche commettete in Idosofia, onde almanco un per cento ilo i lettori possino rimanere ingannati; ma in quest’altre scienze farete voi (e non, come dite in quest») luogo, il Sig. Galileo) ridere i circostanti. 30 K chi riterrà il riso leggendo quel che soggiugneto [pag. 358, Un. 11-15]: Ora, se le piastre di ferro si divon metter su V acqua per la latitudine e lar¬ ghezza, per lo contrario la lunghezza dell'ago è quella che deve esser la prima a toccar la superficie dell' acqua, che è dalla punta alla cruna; altrimente, non posereste su Vacqua l'ago per la lunghezza, ma per la larghezza? chi, Cl ’ La stampa: errereste. SOPRA ’L DISCORSO DEI-. COLOMBO. G45 dico, riterrà il riso nel vedervi in modo confuso in questi inconsueti laberinti, che mentre avete in animo di scrivere una cosa che sia con¬ traria all’avversario, scrivete appunto quel che fa per lui, e contraria a voi medesimo? Perchè se la lunghezza dell’ago è quella che deve esser la prima a toccar la superficie dell’ acqua, e la lunghezza è l’esten¬ sione dalla punta alla cruna, chi non vede che questo è metter l’ago a giacere, come vuole il Sig. Galileo, ed anco Aristotile, e anco tutti gli uomini di senso? Se voi lo mettessi per punta, la prima cosa che toccasse 1’ acqua sarebbe un termine della lunghezza, e non la lun- io ghezza. Ma per vostra maggior utilità sappiate, che non si potendo intender in un corpo la larghezza senza prima suppor la lunghezza, quando voi, ed Aristotile ancora, dite di posare su l’acqua le figure larghe, s’intende di posar la larghezza insieme con la lunghezza; e così, posando dell’assicella d’ebano una delle sue superfìcie, venite a toccar l’acqua con le due dimensioni lunghezza e larghezza, ed è impossibile toccarla con manco di due dimensioni, perchè una sola sarebbe una semplice lunghezza, indivisibile per larghezza, nè potrebbe toccar nulla. Ora, non si potendo far il contatto con manco di due dimensioni, ed essendo che, quando si considerano due dimensioni 20 sole, l’una è la lunghezza e l’altra la larghezza, però Aristotile, quando dice le falde larghe, intende larghe e lunghe; e muove il dubbio, onde avvenga che i ferramenti lunghi e larghi galleggiano, ina i lunghi e stretti, come un ago, vanno in fondo; talché dell’ago ancora si hanno a posar su l’acqua due dimensioni, e queste non posson esser altre che la lunghezza e larghezza, le quali importano, l’ago esser posto a giacere. Voi soggiugnete l’altra esorbitanza, e dite [pag. 358, lin. 15-16]: Posar per lo lungo vuol dire a perpendicolo e retto; ma per lo largo, s’intende a giacere, come si direbbe una trave a giacere in terra. Adunque, Sig. Colombo, se voi aveste a misurare la lunghezza d’ una strada con una picca, es- 30 sendo che la misura e ’l misurato devon esser dell’istesso genere, voi non posereste altramente la picca a giacere (perchè così sarebbe un posarla per lo largo, e le lunghezze non si misurano con una larghezza), ma l’andereste fermando di mano iu mano a perpendicolo e retta, per servirvi, nel misurar, della sua lunghezza ? Or vedete quanto questi misuratori sien balordi, che adoprano simili aste a diacere, e credono così di servirsi della lunghezza loro : ma credo bene che per 1’ avve¬ nire, fatti cauti dalle vostre sottili specolazioni, cangieranno stile. ( 'O N811 >K K A ZIO NI (>4t> Io credeva elio non si potessi' andar più avanti nelle semplicità ma quel che voi «oggiuglielo m'Ini latto accorto dell’error mio; però sentiamolo [pag. 868, Un. iti là]: Ma che /mi ? A vd, r chi l’uno e la piastra faerino effetto diverso, bisogna posanti i diversa meati. Ma, Sig. Colombo, come Aristotile non volov’ ' altro che veder effetti diversi con l’inter¬ vento ile i diversi pesamenti, ci ora un modo assai più spedito; perchè, senz’entrar in aghi o in globi, le medesime piastre di ferro facevano il servizio, posandole una volta per piatto e l’altra per taglio. Di maniera che, Sig. Colombo, voi concedete che quando l'ago e la falda di ferro si posano nell’isti sso modo, amendue fanno il medesimo effetto: ed in io tanto si nota, che per veder diversi effetti circa questo galleggiare, già non vi basta più la diversità di ligure, ma ci volete ancora i di¬ versi posavi. Ma se '1 fatto sla così, onde avviene che Aristotile non rha detto, proponendo il problema in cotal guisa: Dubitasi per qual causa le piastre di ferro larghe galleggiano, e le lunghe, come gli aghi, e posate diversamente, vanno al fondo? Ma voi direte: « So ben ei non 1’ ha detto, non importa, perchè ei non ha nè anco dotto il contrario - ; e la vostra filosofia è a bastanza perfetta quando ella non esclude nominatamente le vere cause de gli effetti, so ben quello che ella nominatamente adduce non vi nvesser che fare. so Ma sentiamo pure nlt.r’aggiunto di esorbitanze maggiori, mentre scrivete [pa*. 3.V*. Uu. ls 22J : E, finalmente, fr rose si ilebbon usar per far un effetto in quella miniera che ette /Hxssim opirare, e n»n altrimenti. Io dirò, per esempio: • lui sega reride il legno ina se voi direste che non fosse vero, c per ciò voleste rio io lo ree'ul ssi dalla costa e non da' denti della sega, fareste ridere i circostanti, penili di gitivi non lo taglia. Dir assi per questo che abbiate ragione Y Voi avete molto ben ragione, Sig. Colombo, a voler che per fare un effetto le cose si adoperino in quel modo che le lo fanno: e quando Aristotile avesse -emplieemente detto, * Gli aghi vanno a fondo », e non altro, bastava, per verificar la sua proposizione, che 80 in qualche modo vi andassero; ma se egli stesso mi dirà, « Gli aghi messi nell’acqua per lo lungo vanno in fondo », perchè volete voi mettergli in altro modo? K che egli abbia inteso eh’e’si devin por così, è manifesto dal suo parlare; perché, oltr*alle tant’altre cose dette, trattando Aristotile de gli oflètti di diverse figure, delle quali altre -fi] : Olire a ciò è da avvertire, che questi esempli son ilei vostro Democrito, e non d'Aristotile, il quale appo voi non 20 è un balordo. Ecco un’altra confermazione di quel che ho detto poco fa, cioè che voi conoscete internamente di non poter difender tante vanità: e però le vorreste addossare a Democrito, essendo di Aristotile che le scrive e cerca di sostenerle, nè producete d’onde caviate che le sien di Democrito. Il qual dicendo voi che appresso il Sig. Galileo non è un balordo, par che vogliate inferire che egli sia ben tale appresso di voi: però circa questo giudizio io credo che il Sig. Galileo si con¬ tenterà d’aver per compagno Ippocrate, e lascerà star voi nel numero de’ compatriotti dell’ istesso Democrito. 30 Face. 50, v. 12 [po£. 359, lin. 10 - 12 ] : La polvere e ’l liso dell'oro, e non le foglie d'oro battuto, nuotati nell'aria, quant'a quel vagamento che dite voi: nè intende altramente Aristotile. E tale il desiderio che voi avete di mostrar che il Sig. Galileo non abbia inteso Aristotile, clic per conseguir questo non la perdonate nè anco al medesimo Aristotile nè a’ suoi interpreti, nò vi curate di fargli dire sciocchezze, che lor veramente non hanno detto. Il Sig. Ga- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 649 lileo, conoscendo che se nissuna cosa d’oro poteva trattenersi per aria facilmente, orano le foglie d’oro battuto, o non la rena o la limatura, e pei'ò, con alcuni interpreti, aveva nominato tali foglie, e non la rena, come leggon altri; ma voi, purché s’attraversi al Sig. Ga¬ lileo, non vi curate d’accrescer l’inverisimile d’Aristotile. In oltre, ponendo Aristotile nell’aria resistenza alla divisione, è ben necessario, come egli stesso ancor dice, che ci bisogni qualche forza per supe¬ rarla, sì che da minor virtù non possa esser vinta, ed in consequenza bisogna che corpicelli di minima gravità non la possino superare, ed io in consequenza non vi descendino : questo è ’l vero senso d’Aristotile e de’ suoi interpreti migliori, e così l’ha inteso il Sig. Galileo; ma voi, che avete molto più a cuore il contrariare al Sig. Galileo che la re¬ putazione d’Aristotile, non vi curate di raddoppiar la sua fallacia, e fargli dir fuor di proposito che egli ha voluto affermare che simili corpicelli minimi e leggierissimi non si trattengono per aria senza discendere, ma calano lentamente. Ma questo, che occorreva metterlo per problema degno di nuova considerazione, e che occorreva ridursi a questi minimissimi corpicelli, e che occorreva accoppiarlo con le falde di piombo che si fermano su l’acqua? non avev’egli cent’altre volte 20 scritto che i corpi descendono tuttavia più lentamente, secondo che son minori e men gravi? Da questo chiaramente si vedo che in questo luogo, avendo riguardo alla resistenza del mezo, egli intende di trat¬ tare di quei minimi li quali si riducono finalmente a non poter più superar tal resistenza, e però si fermano, e solo in tanto vagano in quanto l’aria stessa gli traporta. La distinzion poi, che fato de i due termini nature e supernatare, dicendo che supernatare vuol dir fermarsi sopra l’acqua, ma nature s’intende di quei che lentamente descendon per l’aria, è totalmente vana e fuor di proposito; perchè egli usa supernatare alle cose che stanno sopra l’acqua senza descendere, e na¬ so tare vien usato per le cose che stanno non sopra, ma dentro, all’aria, pur senza descendere: sì che la differenza di questi due verbi non importa fermarsi quelle, e muoversi lentamente queste cose, ma fer¬ marsi quelle sopra l’acqua, e queste fermarsi pure, ma per entro la profondità dell’ aria. Ma perchè mi vo io meravigliando che voi, per impugnare il Sig. Galileo, non la perdoniate ad Aristotile, se non la perdonate nè anco a voi medesimo? Voi volete, in questo luogo, che il termine notare non si adatti alle cose che si fermano, ma a quelle IV. 82 650 CONSIDERAZIONI solamente che lentamente descendono, dicendo elio quello che nuota nell'aria, perchè è nel corpo e non nella superficie dell'aria, è necessario che non stia fermo, ma cali al fondo; e pur di sopra scrivete, a face. 42 Or. 851 , lin. 32 - 83 ]: e per lo contrario nello statino Pistonio tutte le cose che sogliono notare, calano al fondo: di maniera che, se quello che voi scrivete ora avesso veramente nel vostro concetto quel senso che ha su la carta, il senso di quel che scriveste di sopra sarebbe tale: e per lo contrario nello stagno Pistonio tutte le rose che sogliono calare al fondo lentamente, calano al fondo. Però, Sig. Colombo, so voi in tanti luoghi o tanto ira- moritamente pugnoto il Sig. Galileo, clic non ha nella sua scritturalo commesso errore pur d'una sillaba; dicendogli, or che i suoi capricci lo fanno scorgere; or, che egli ha viso di sentenza contro; or, che da sò stesso si sarebbe rovinato sino alle barbe; or, che si dà della scure sul piede, non sen’accorgendo ; or, che non risponde cosa che vaglia; or, che egli fu tante bagattelle; altra volta, che i suoi scritti son pieni veramente di fallacie; altrove, che egli miseramente rifugge a dir cose delle quali più sconcio dir non si potrebbono; un’altra volta lo mandate a imparar filosofia dalla sua fante; altrove dito elio i suoi termini non operano niente di buono, ma grandemente nuooono, ca¬ gionano molti equivoci, consequenze false o stroppiamene di dottrina; 20 appresso, che non avendo miglior ragioni per la sua opinione, potrà, per onor suo, non ne parlar mai più; che vano e a sproposito ò fatto tutto ’l suo Discorso, per difetto di buona loica ' , 0 cent’altre ingiurie, non avendogli nel suo trattato punto nessuno, 0 voi non pur nomi¬ nato; dovreste tal volta specchiarvi in questa vostra scrittura, e con¬ siderare elio questi scherni si perverrebbono a voi, 0 molto maggiori ancora a proporzion del poco sapere : e conoscereste quanto mal con¬ venga che uno involto nel fango lin sopra i capelli rinfacci al com¬ pagno una sola minima pillacchera nell’estremità della veste, anzi pure una macchia, che non il suo compagno ha nella veste, ma egli 30 stesso nell’occhio. E quello parole che immediatamente soggiugnete in questo luogo, scrivendo: Aristotile ben inteso confuta .Democrito vo- l') Nel ms. è aggiunta in margine, ili pugno ili Galileo, l'indicazione delle faccie e versi del Discorso Apologetico, dove si leg¬ gono i passi qui accennati : « fac. 6, v. 6 [pag. 318, lin. 11-12] ; fac. 9, v. 26 (pag 321, Un. 22-23]; fac. 9, V. 37 (pag. 321, lin. 31-32]; fac. 12, V. 11, 31 (pag. 824. Ho. 1-2. olii». 23]; fftC. 14, V. 40 [pag.326, Un. 25-26]; fac. 15, V. 26 (pag. 327, lin. 10] ; fac. 31, V. Il (p*g. 341. lin. 28-301 ; fac. 36, V. 29 [pag. 346, Un. 27]; fac. 15, V. 31 (pag. 855, Un. 1-3]; fac. 47, V. 14 (pag. 356, Un. 20-22]; fac. 48, V. 20 lP a S- ,357 > liti. 24-25J ». SOPRA ’T, DISCORSO DEL COLOMBO. 651 Missiniamente, ma non è da ogn’uno, applicatele non al Sig. Galileo, ma a voi stesso, cliè non ci è altri che voi che non intenda bene nè Aristotilo nè altra cosa del mondo ; il che ormai si è veduto per mille esempli, e vedrassi sino al fine. Tornando, dunque, all’esplicazione clic voi date alla confutazione che Aristotile usa contro a Democrito, non intesa per vostro detto dal Sig. Galileo, voi dite che, per intenderla, si supponga primiera¬ mente che ci sia il leggieri ; il che vi si conceda, se ben è falso e supposto in questo luogo da voi inutilmente, poiché non ve ne ser¬ io vite poi a niente. Volete che si supponga, di più, che l’esalazioni ignee più velocemente ascendili per aria che per acqua, il che pa¬ rimente si è provato esser impossibile; ma passiam questo ancora, per veder dove voi vi saprete condurre. Terzo, volete che si supponga che le falde che hanno a esser rette nell’acqua e nell’aria da dette esalazioni, abbiano tutte le condizioni pari: ed io a questo vi ri¬ spondo, che voglio che le sien le medesime per appunto, perchè così intende Aristotile, non nominando egli mai altro che falde di ferro, mentre parla di cose che abbino ad esser rette nell’acqua; talché la glosa che ci aggiugnete voi, di non voler che le sien Distesse, ma 20 che quella che ha da esser nell’acqua sia in essa acqua così leggiera come l’altra nell’aria, è un vostro capriccio, nè se ne trova vestigio alcuno in Aristotile. Però sin che voi non producete un decreto di tutto ’l mondo, che determini che l’intelligenza vera del testo d’Ari- stotile sia quella sola che si confà non con la scrittura di lui, ma con le fantasie che senza fondamento nessuno vi possili d’ora in ora ve¬ nire in testa, io dirò che voi non intendete Aristotile, e non quelli che l’esplicano secondo che suonan le parole sue. Ma considero di più, che, ammesse queste vostre glose, immaginate solo per contrariare al Sig. Galileo, voi, secondo ’l vostro solito, progiudicate per un altro so verso molto più ad Aristotile ; perchè la conclusione del vostro discorso è che 1’ esalazioni ascendenti (contro a quel che dice il Sig. Galileo) meglio sostenghino per aria che nell’acqua. Or tenete ferma questa conclusione, e tornate al discorso che fa Aristotile per confutar De¬ mocrito. Egli dice: Seie falde fosser rette dall’esalazioni ascendenti, come stima Democrito, meglio sarebbon rette per aria che per l’ac¬ qua. Ma è vero (come voi, Sig. Colombo, affermate) che le falde me¬ glio son rette dalle esalazioni per aria che per l’acqua: adunque, per 052 CONSIDERAZIONI la vostra concessione e per quel che argomenta Aristotile, Democrito perfettamente discorre. Niente dimeno Aristotile scrive, che lo stimar corno Democrito circa la causa di tal effetto non sta bene. Face. 51, v. 23 [pag. 360, Un. 15-17): Oltre che il corpo dell’acqua, per esser contrario di qualità all’esala fiotti, bisogna che le dissipi e travagli, sì che non possano rettamente e unite ascendere . Voi v’ingannate nell’effetto e nella causa: perchè, (pianto all’ef¬ fetto, elle ascendono rettamente e unite; e quanto alla causa, quando ben l’acqua o l’esalazioni sapesaer d*esser contrarie, onde nascesse tra di loro odio e nimieizia. non però ne dovrebbon seguir travaglia- io menti e dissipazioni, ma sì bene una fuga o separazion più presta che possili il fosse, che è appunto quella che si fa per linea retta e unitamente. Ma se queste contrarietà dovesser partorir simili trava¬ gli e dissipamenti, non essendo minor contrarietà fra la terra e l’aria che fra l’acqua e cotali esalazioni, doverebbono i corpi terrei nello scender per aria patir grand’insulti ed esser agitati e dissipati: uul- ladimeno simili conturbamenti non si veggono nò in questo nè in quel luogo, nè hanno altra esistenza che nella vostra immaginazione e nel vostro discorso, li quali, se non producete altro elio parole, non lianno autorità di por nulla in essere. 20 Face, al, v. 28 [pag. 860, liu. 19-20]: Male per tanto ha filosofato De¬ mocrito, e voi con esso lui, e non Aristotile. 11 metter qui il Sig. Galileo a parte del mal filosofare di Demo¬ crito è grande sproposito, poiché egli non convien con Democrito, anzi lo confuta. Face. f>l, v. 30 [pag. 360, lin. 21-25] : 7/ esperienza che adducete del vaso di vetro pieno d'acqua bollente, per mostrar che per tal maniera si possa far sostenere qualche cosa grave da i cor pus culi ignei, se ben è vero il so¬ stentamento, yton è vera la cagione in modo alcuno. Come volete voi che i corpusculi entrino nel corpo del vetro e lo penetrino? Non sapete clic è 30 impossibile che un corpo penetri l'altro? Se io volessi, Sig. Colombo, scriver tutto quello che sarebbe ne¬ cessario per liberarvi dalle fallacie in che vi trovate insieme con molt’altri, le (piali hanno riguardo solamente alle cose contenute nelle citate parole e nelle seguenti appresso, mi bisognerebbe cominciare un nuovo trattato, e molto più lungo di quanto sin qui ho scritto, e dichiarar non piccola parte de i fondamenti della buona filosofia, mo- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 653 strando che ’1 fuoco, il caldo, il freddo, ed altre che voi doni andate qua¬ lità, la penetrazione de i corpi, la rarefazione, la condensazione, son cose diversissime da quei concetti che voi di loro avete. E non crediate che ’l Sig. Galileo non intenda quel che di presente vien inteso e sti¬ mato vero da voi, e che egli per tal causa non lo accetti, perche simili cognizioni sono le prime dottrine dell’infanzia della comune filosofia, la quale, come potete aver provato, non è tanto profonda che nel corso di tre o quattro anni giovenili non venga da numerosa moltitudine di studenti trapassata; od il Sig. Galileo non solamente io fu tra questi nella sua fanciullezza, ma ha, come potete sapere, auto occasione di vederne ed ascoltarne i pensieri di molte famose per¬ sone per lo spazio di molt’anni: e se egli ha delle opinioni diverse dalle comuni, ciò è nato dall’aver, per lunghe osservazioni, conosciute queste mal fondate e inabili a sciòr le difficoltà che nascono circa le cause degli effetti di natura, e dal non_ voler mantener sempre sot¬ toposta la libertà del discorso all’autorità delle nude parole di quest’o di quell’ autore, uomo di sensi e di cervello simile a molt’ altri figliuoli della natura; e però doppo l’aversi impennate l’ali con le penne delle matematiche, senza le quali è impossibile sollevarsi un sol braccio 20 da terra, ha tentato di scoprir almeno qualche particella de gl’infi¬ niti abissi della scienza naturale, la quale egli stima tanto difficile ed immensa, che, concedendo lui molti uomini parti colai! aver sa¬ puto perfettamente chi una e chi un’altra e chi più d’una dell’altre facoltadi, crede che tutti gli uomini insieme, stati al mondo sin ora e che saranno per 1’ avvenire, non abbino saputo nè forse sien per sapere una piccola parte della filosofia naturale. Ma tornando a esaminare quanto voi vi sete anco avanzato nel¬ l’intelligenza comune, e ripigliando le vostre citate parole, dicovi che il Sig. Galileo, per accomodarsi alla vostra intelligenza, non vuole nè so ha bisogno in questo proposito della penetrazione de’ corpi ; nè ci è bisogno, per cavar voi d’erroi’e, se non che vi ricordiate d’aver voi stesso detto di sopra che tutti i corpi son porosi, sino a 1’ oro, l’ar¬ gento e, non che ’l vetro, i diamanti stessi, e che per ciò i cani gli trovano all’ odorato : e se questo è, come adesso vi par così strano che ’l fuoco, sottilissimo sopra molti altri corpi, possa passar per tali porosità ? L’ acqua passa per il feltro e per alcuni legni, dove non passerebbe, v. g., la polvere: l’olio, e l’argento vivo, ed altri fluidi più 654 CONSIDERAZIONI sottili trapasseranno per corpi, i quali nè l’acqua nè l’aria potrebbe penetrare; tuttavia il vetro gli potrà ritenere: ma il i'uoco, sottilissimo penetra tutti i solidi e tutti i liquori, senza che nessuno sia bastante a incarcerarlo; e questa è la maniera con la quale e’penetra il vaso e V acqua, e urtando nella falda la solleva. Ma perchè la sottigliezza del fuoco avanza quella del discorso di molti, quindi hanno auto origine quelle qualità caldo delle quali in questo luogo scrivete, dicendo che si comunicano per lo contatto al vetro e poi dal vetro all’acqua onde poi l'acqua alterata si commuove per quella qualità sua con¬ traria, si rarefò, gonfia, circola in sè medesima por refrigerarsi e io conservarsi contro ’l suo destruttivo, nò potendo resistere interamente, si risolve in vapore aereo e calalo, e finalmente, doppo tanti suoi discorsi e manifatture, facendo forza d’evaporare all’aria, solleva le dette falde; alle quali tutte chimere voi sottoscrivete o le producete, non v’accorgemlo come la moltitudine solamente de’ puntelli, con i quali voi avete bisogno d’andarla sostenendo, apertamente dimostra la debolezza de' fondamenti sopra i quali simil dottrina è fabbricata. Io voglio anco in questo particolare, coni' in tant’ altri, veder di arrecarvi qualche giovamento o cavarvi d’errore, se ben temo che, scudo voi assuefatto avivere in tenebre, sentirete più tosto offesa, e so con fastidio riceverete qualche raggio di luce. Pigliate una palla di vetro col collo lungo o assai sottile, simile a quelle che i nostri fan¬ ciulli chiamano gozzi, e empietela d’acqua sino a mezzo’l collo, e segnate diligentemente il termino sin dove arriva l’acqua; tenete poi tal vaso sopra alcuni carboni accesi, ed osservate che come prima il fuoco percoterà nel vetro, l’acqua comincia a ricrescere (nè ci è bi¬ sogno aspettar clic ella bolla por veder tal effetto, come forse vi eri immaginato; e però nel recitar l’esperienza scritta dal Sig. Galileo per veder le falde sollevate da gli atomi ignei ascendenti per l’acqua, a £f?i u & ne8 ti, l’acqua dover esser bollente per dar luogo a quella cir- 30 colazione che introducete): volendo poi veder sensatamente da che de¬ rivi questo ricrescimento, andate con diligenza osservando, e vedrete che secondo che gli atomi di fuoco si vanno nmltiplicando per l’acqua ed aggregandosene molti insieme, formano alcuni piccoli globettini, li quali in gran numero vanno ascendendo per l’acqua e scappando fuori della sua superficie, e secondo che per entro l’acqua ne sarà maggior numero, ella più si alzerà nel collo del vaso; e continuando SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 655 di tenergli sotto i carboni lungo tempo, vedrete molte migliaia di tali globetti ascender e scappar via. Questi, Sig. Colombo, non sono, come vi credete, vapori generati da alcune parti d’acqua, elio, mediante la qualità calda del fuoco, si vadia in quelli risolvendo e trasmutando : il che è manifesto, perchè se, doppo che se ne saranno andate mol¬ tissime migliaia, voi rimoverete i carboni ed aspetterete che anco gli altri, che più sparsamente, e per ciò invisibili, per l’acqua erano disseminati, si partano loro ancora, vedrete l’acqua andar pian piano abbassandosi, e finalmente ridursi al segno medesimo che notaste nel io collo del gozzo, senz’essere scemata pur una gocciola; e se voi mille volte tornerete a far tal operazione, vedrete passar per l’acqua mi¬ lioni di tali sferette di fuoco, senza che l’acqua scemi mai un ca¬ pello. Anzi, se per vostra maggior sicurezza farete serrar con l’istesso vetro la bocca del vaso, doppo che vi arete messa dentro l’acqua, potrete lasciarlo star sopra i carboni i mesi interi, e sempre vedrete i globetti del fuoco ascendenti, li quali poi, passando per il vetro dell’altro capo, se ne vanno per l’aria; nè mai si consumerà anco in cent’anni una sola dramma dell’acqua rinchiusa, ma ben, mentre che tra essa sarà mescolato ’l fuoco, ella rigonfierà per dargli luogo, e 20 partito ’l fuoco, si ridurrà al suo primo stato immutabile. Ma se poi voi piglierete vasi larghi ed aperti e scalderete l’acqua assai, all’ora la grandissima copia del fuoco, il quale dal fondo del vaso voi ve¬ drete salire, s’aggregherà in globi molto grandi, li quali con impeto maggiore ascenderanno, e cagioneranno quell’effetto che noi chia¬ miamo bollore, e nello scappar fuori solleveranno e porteranno seco molti atomi d’acqua, nel modo che aliti gagliardi sollevano la polvere e seco ne portano le parti più sottili : e sì come la polvere così tra¬ portata non si converte nè in vento nè in aria nè in vapori, così anco gli atomi aquei portati via da quei del fuoco restano acqua, e 30 non si trasmutano in un’ altra cosa ; la qual acqua in molti modi si può anco ricuperare, f Questi medesimi atomi ignei, che nello scappar fuori de’ carboni, dove in grandissimo numero eran calcati e com¬ pressi, si movevano con somma velocità e con tal impeto che spedi¬ tamente molti passarono per l’angustissime porosità del vetro, arrivati all’acqua, per entro la profondità di quella più lentamente si muo¬ vono, avendo perduto quel primiero impeto che dalla propria com¬ pressione ricevettero; e se nell’acqua incontreranno qualche falda CONSIDKKAZIONI piana, o di poca pravità por la sua Bottigliezza o per la qualità della materia, sotto quella hì aggregano in piccolissimi globotti, li quali benissimo al senso si scorgono in aspetto quasi di rugiada; e questo aggregato di innuinerabili vescichette di materia leggiera solleva len¬ tamente la falda, o la riporta sino alla superficie dell’acqua: ridu¬ cendosi pur sempre la ragione di tutti questi ottetti al medesimo principio, clic è che i corpi inen gravi dell’acqua ascendono in quella. | Questo, Sig. Colombo, è un poco di vestigio del modo di filosofare del Sig. Galileo; e credo che sia molto più sicuro clic l’andar su per i soli nomi delle generazioni, trasmutazioni, alterazioni ed altre opera- io zioni, introdotti e bene spesso usati quando altri non si sa sviluppare dai problemi eh’e’ non intende. Face. 51, v. 35 Ip«k- 8«\ li»- #>-26] : E se pur fosse possibile, non cre¬ dete che. l’acqua (/li affogasse, e spegnesse la virtù loro? Che gli atomi ignei passino per il vetro, è possibile, come avete inteso per il discorso fattovi; ma non arci già creduto, che mi fosse por venir mai bisogno d’affaticarmi in dichiararvi come o’ faccino a non affogare nel passar per l’acqua. Forse debbon ritenere il fiato por quel poco di viaggio che vi fanno, o forse han più del pesce che doli’animai terrestre. Del non si spegnere non ve ne dovreste mera- 20 vigliare, poi che non vi entrano accesi, t so voi ben considererete quel che importi ardere, spegnere, esser acceso, essere spento. 1 Ma quando ben e’ si spegnessero 0 affogassero, non sapete voi che anco molti corpi annegati vengono a galla ? e per il nostro bisogno basta che cotali atomi venghiu su, o vivi 0 morti. Voi direte poi, non si poter dir cose più sconcio di quelle del Sig. Galileo: a me par che queste vostre sieno sconciature, aborti e mostri, da far trasecolare chiunque gli vede. Face. 52, v. 3 [pag. 360 , lin. 35 - 40 ] : Aristotile, per tornare a lui, ha non solo impugnato benissimo Democrito, ma nel medesimo tempo ha resa la cagione di tutti gli accidenti da lui jtroposti, riducendola alla facile e diffidi so divisione del mezzo ed alla facoltà del dividente, fatta comparazione ancora fra la gravezza de gli uni e de. gli altri ; come che voi neghiate, Aristotile aver auto questa considerazione, solo perche non l’avete veduto. 12. eh’ e’ non intende. Io veti’ito volentier dato questo poco di saggio, il quale se da voi sarà con nausea ricevuto c con disprezzo ributtato, egli avrà pazienza, consolandosi che anco la natura tollera con flemma che uno uccellatore dilaceri e calpesti un vago uccelletto, che ella con sì mirabile artifizio ha fabbricalo e che quel cacciatore non ne farebbe un simile in eterno. 4 SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. G57 Sarebbe stato necessario, Sig. Colombo, che voi aveste dichiarato quello che appresso di voi significa vedere un libro ; perchè io com¬ prendo che ’l leggerlo e intender quel che vi è scritto, non basta; ma panni che vogliate che altri non solamente lo legga e intenda, ma s’immagini quello che passa per la vostra fantasia dover esservi scritto, se ben non ven’ è parola: e però dite ora che il Sig. Gali¬ leo, per non aver veduto Aristotile, non ha inteso come quello, nel render le cagioni de gli accidenti proposti da Democrito, fa compa¬ razione tra la gravità del mezzo e de i mobili; la qual cosa nel te¬ lo sto d’Aristotile non si trova, nè egli paragona la virtù della gravità delle falde con altro che con la resistenza dell’ acqua o dell’ aria all’esser divise o distratte, senza pur nominar la resistenza del mezzo dependente dalla sua gravità. Ora, che voi, o per non aver inteso Aristotile, o per migliorare la causa vostra appresso a quelli che non lo son per veder mai, diciate queste falsità, tra tant’ altri vostri er¬ rori resta in certo modo tollerabile; ma che abbiate a non v’astener di scrivere che il Sig. Galileo sia quello che non abbia nè inteso nè veduto in questo particolare e in tant’ altri Aristotile, è ben altro difetto che d’ignoranza. E perchè sia in pronto a ciascuno la vostra 20 impostura, metterò le parole stesse d’Aristotile, che son queste: « Per¬ chè la gravità ha certa virtù, secondo la quale descende al basso, ed i continui hanno resistenza all’esser distratti, queste bisogna compa¬ rar fra di loro. Imperochè se la virtù della gravità supererà quella che è nel continuo all’esser distratto e diviso dalla forza del mobile, questo descenderà a basso più velocemente; ma se ella sarà più de¬ bole, galleggerà ». E con questa conclusione finisce i libri del Cielo. Face. 52, v. 12 [pag. 361, lin. 4-9] : Dice Aristotile, che se fusse vero, secondo Democrito, che il pieno fosse il grave, e il vacuo si domandasse leggieri non come leggerezza positiva, ma come causa dell’ ascendere in alto, so ne seguirebbe che una gran mole di aria, avendo più terra che una piccola mole d’acqua, discenderebbe più velocemente a basso che la poca acqua; il che non si vede adivenire; adunque è falso. Fortissimo argomento ed insolubile. Ancorché dal Sig. Galileo sia stata manifestamente (,) dichiarata la fallacia di questo modo di argomentare, tuttavia il Sig. Colombo, pen¬ sando di giovare ad Aristotile, lo vuol sostener per insolubile, non che W La stampa: sia manifestamente. IV. 83 i 658 CONSIDERAZIONI furto : però sarà bene che vergiamo, con la maggior brevità che si potrà, quanto Aristotile debba restar obbligato a tal defensore. Il qual cominciando a spiegar la forza di tal argomento, dice che, per cono¬ scerlo, bisogna suppor due cose : 1 ’ una è, che secondo la mente di Democrito, contro ’l quale parla Aristotile, non si dia se non il grave assolutamente , e sia della terra, ed altresì /’ opzione ; 1 ’ altra, che il va¬ cuo non sia ente positivo, e che per ciò non abbia qualità. Venendo poi all’esplicazione, come l’argomento d’Aristotile, in virtù di tali sup¬ posizioni, conelude necessariamente, dico : Se la sola terra è quella che fa V azzione con la sua gravezza , dove è più terra ivi sarà maggior azzime; io adunque più presto roterà V aria che /’ acqua nella proporzion detta. Le fallacie ed errori, Sig. Colombo, che sono nel presente discorso e’n quel che segue, per esser molti o di diversi generi, non mi permet¬ tono di procedere secondo un sol iilo diritto, ma forzano me ancora a piegarmi or qua or là. E prima, nel por le vostre supposizioni"’ voi ne avete lasciata una più. necessaria dell’altre, non avendo proposto dove voi intendevi che si avesse a far tal movimento: il chi'era tanto più necessario doversi dichiarare, quanto che, facendosi tutti i movimenti conosciuti da noi in mezzi pieni o d’aria o d’acqua etc., voi intendete, questo, di cui20 si parla, esser fatto nel vacuo ; assunto molto più recondito de gli altri due specificati e proposti : nulla dimeno voi non lo mettete tra gli assunti, e non ne parlate se non dopo aver lungamente discorso. Secondariamente, mi paro elio da gli altri duo principii voi, equi¬ vocando, ne trngghiate una consequenza non dependente da loro. Imperò elio io vi domando: Qual è l’azzione della terra con la sua gravezza ? Se voi mi risponderete bene, direte esser il muoversi ret¬ tamente verso il centro ed in quello fermarsi: ma ciò non fa al pro¬ posito vostro, porche il muoversi rettamente al centro 0 ’l formarsi in quello non ricevono il più e ’l meno, onde voi potessi concludere ao la più terra muoversi rettamente più al centro e più in quello fer¬ marsi, perchè e la molta e la poca per la medesima retta vi descen¬ dono e nell’istesso modo vi si fermano. Ma se voi risponderete, l’azzione della gravità della terra esser la velocità, e che olla conseguiti in maniera alla terra, che alla maggior mole risponda maggior velocità La stampa : proposizioni. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 659 proporzionatamente, errerete doppiamente : prima, perchè tal cosa non solamente non è in maniera nota, che meriti d’ esser supposta, mostrandoci l’esperienza tutto ’l contrario, cioè che due parti di terra grandemente diseguali si muovono con velocità insensibilmente diffe¬ renti; ma quel che raddoppia l’errore è’l suppor che questo accag- gia anco quando ’l moto si facesse nel vacuo, dove molto ragionevol¬ mente io vi posso negare che tal differenza accadesse, quando ben la si vedesse nel pieno. Ed acciò che voi intendiate che noi non ne¬ ghiamo senza fondamento e solo per travagliar l’avversario, conside- 10 rate come ne’ mozzi pieni, secondo eh’ e’ saranno più tenui e sottili, le velocità de i mobili, anco di differente gravità in specie, son manco differenti: perchè se, v. g., voi farete descendere nell’acqua una palla d’ebano e una di piombo, le lor velocità saranno assaissimo differenti, e se ne potrebbe far una così poco più grave dell’acqua, che l’altra di piombo andasse mille volte più veloce di quella ; niente di meno queste poi nell’ aria saranno tanto simili di velocità, che non ci sarà a pena un centesimo di differenza ; sì che, attenuandosi ancora più il mezzo, ed in consequenza facendosi tal differenza di velocitadi mi¬ nore, molto probabilmente si può concludere che nel vacuo tutti i 20 corpi si moverebbono con la medesima prestezza. Terzo, io non so chi v’abbia insegnato, argumentando ad hominem, far ipotesi contrarie a quelle dell’avversario, che è un perder il tempo e le parole, e un far apparir Aristotile, che fu grandissimo logico, molto poco intendente di questa facoltà. Ed acciò che voi intendiate questo errore, eccovelo specificato. Voi fate dire ad Aristotile così : « Se quel che dice Democrito fusse vero, cioè che il pieno fosse ’1 grave e che ’1 vacuo fusse cagione dell’ ascender in alto, ne segui¬ rebbe il tale assurdo, etc. » ; per provar poi che tal assurdo ne segui¬ rebbe, voi dite che si deve con Aristotile supporre che il vacuo non 30 abbia qualità ed, in consequenza, azzione nessuna : ma se per provare l’assurdo voi avete bisogno di suppor che ’1 vacuo non abbia azzione, come non v’ accorgete che 1’ assurdo non seguirà dalla supposizione di Democrito, ma dal suo contrario, poiché egli suppone 1’ ascender in alto essere azion del vacuo ? Or vedete quali stoltizie fareste dire ad Aristotile, se fusse vero che voi l’intendeste, sì come è falso che il Sig. Galileo, come affermate voi, non l’intenda. Quarto, voi tornate a metter in dubbio se la distinzione speciale (560 CONSIDERAZIONI del Sig. Galileo sia vera; e questo avviene perchè il concetto che di lei vi seto fonnato è lontanissimo da quel che ha detto il Sig. Ga¬ lileo : perchè se voi 1 ’ aveste inteso, troppo ridicolo sarebbe il dubi¬ tare se ella sia vera, perchè sarebbe ristesse che dubitare se si possa concepir duo corpi che sieno eguali in molo ed in peso, e due altri che, essendo pur eguali in mole, sien disegnali in gravità; errore tanto puerile, che, quando ben fosse falso od impossibile il ritrovarsi tali corpi in natura, non per ciò sarebbe inconveniente il definii'gli ed anco il discorrervi attorno ex suppositione, sì come, per esempio, io posso definire il moto fatto por una spirale ed anco dimostrar le io sue passioni, benché tal moto non sia o non fusse al mondo. Or pen¬ sate qual inezzia sia il dubitare circa ’l definir cose che sono in na¬ tura, e molto manifeste. Quinto, voi supponete che Democrito, nel proposito di che si parla supponga elio il movimento si faccia nel vacuo; cosa che credo sia una vostra pura immaginazione, poiché Aristotile non no fa menzione alcuna, anzi dallo suo parole si raccoglie il contrario : poiché egli scrive che, se tal opinione fosse vera, ne seguirebbe elio la molta aria scendesse più veloce elio poca acqua, il elio, sogghigno, si vede non accader mai, ma che sempre si muovo più velocemente qualunque 20 piccola quantità d’ acqua di qualunque gran mole d’ aria, e questo concetto e simili replica molte e molte volte; ed affermando sempre, ciò vedersi per esperienza, è ben manifesto che egli non intende nè può intendere di moti fatti nel vacuo, i quali nè si veggono nè sono. In oltre, replicandogli, come ho detto, molte volte ristessa cosa, mai non dice che s’intenda, tali movimenti dover esser fatti nel vacuo; e pur questo era un requisito da non esser passato come supposizione manifesta. Ma io, Sig. Colombo, ho gran sospetto elio voi equivo¬ chiate, non v’ accorgendo che gran differenza è tra ’l dire che nel vacuo si farebbe il moto, e’l dir che '1 moto si fa nel vacuo; e che, so concedendo per avventura Democrito che, dandosi il vacuo, in quello si farebbe il movimento, questo vi paia ’l medesimo che quello che ora affermate, cioè eli’ e’ voglia che quel che si muove, si muova nel vacuo. Però tornate a studiar meglio Aristotile, 0 non gli fate dir le vanità che egli non dice. Sesto, voi pur tornate a voler, contro all’ opinione del Sig. Ga¬ lileo, sostener per vera quella d’Aristotile, che corpi diseguali, ma SOrRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 661 della medesima materia, si muovino con velocità diseguali tra di loro, e differenti secondo la proporzion de’ pesi ; in confermazione di che proponete che si faccia esperienza con una zolla e con un grano di terra, o pur con un di quegli atomi che intorbidali l’acqua. Ma questo, Sig. Colombo, è un fuggir la scuola : bisogna, se voi volete difendere Aristotile, che voi mostriate, tal proporzion servarsi tra quei mobili che vi proporrò io f (avvenga che la proposta d’Aristotile è universale), 1 e che facciate vedere che una palla di terra di cento libbre venga mille dugento volte più veloce che una d’ un’ oncia, e che io una di mille libbre descenda dodicimila volte più presto della mede¬ sima d’ un’ oncia, sì come, all’incontro, il Sig. Galileo vi farà vedere cho tutte tre queste e tutte l’altre di notabil grandezza scendono con 11 ’ velocità insensibilmente differenti ; e di queste intende e parla Ari¬ stotile specificatamente, e non di paragonare un atomo con un monte, e contro queste discorre il Sig. Galileo. Ma perchè vi sete intestato (uso un termine posto da voi in questo luogo) di far prima tutte lo cose, che conceder d’aver appresa una verità dal Sig. Galileo, vi con¬ ducete a farvi scudo con i seguenti assurdi : Prima, tentando di figurare e far apparire il Sig. Galileo stoltis- 20 simo sopra tutti gli uomini, gli fate dire che, per render ragione onde avvenga che una zolla di terra di venti libbre descende più ve¬ loce d’ un grano, ciò proceda <2) dalla figura, la quale, per esser più larga dov’ è più materia, opera cotal effetto; e poi redarguendolo dite, questa ragion non esser buona, perchè doverebbe seguir tutto ’l con¬ trario, essendo che le figure dilatate ritardono il Vuoto, e non 1’ acce¬ lerano. Sig. Colombo, non cercate d’addossargli queste pazzie, che egli non è così sciocco ; e se pur veramente credeste in mente vostra, che ei potesse produr simil concetti, v’ingannate in digrosso, e fate gran¬ d’errore a misurare gli altri col vostro braccio, so Dite secondariamente, che per veder verificarsi come, secondo la dottrina d’Aristotile, anco i corpi disegnali e di notabil grandezza si muovono con velocità diseguali, secondo la detta propensione, bisogna far l’esperienze da luoghi assai alti, acciò che la differenza sia sensibile. Adunque, Sig. Colombo, voi concedete che da luoghi non così alti 13. velocità pari o insensibilmente — (1) La stampa: di. w La stampa : proceder, il ms. : am>enga. CONSIDERAZIONI (162 tal differenza non può esser sensibile. Or notate quali esorbitanze voi dite e fato dire ad Aristotile, mentre vi pensate di difenderlo. Prima, se tale era la sua mente, doveva dichiararsi, o farci avver¬ titi che da una altezza di centocinquanta o dugento braccia, che sono dello maggiori elio noi abbiamo, tal differenza di velocità non ò sensibile, e doveva determinarci quanta doveva essere un’ altezza acciò che da quella un sasso di mille libbre arrivasse in terra mille volto più presto che un altro d’una libbra sola : perché, per dir il vero, i giudizii ordinarli (benché voi non ci abbiate scrupolo) non s’accomoderanno facilmente a credere che possa esser vero, che io nell’ istesso tempo che la pietra grande, cadendo dall’ altezza, v. g., di mille miglia, arrivasse in terra, l’altra minoro non avesse ancora passato a pena un miglio solo, mentre che si vede che venendo le medesime dall’ altezza di mille palmi, quando la maggiore percuoto in terra, l’altra gli resta addietro appena un palmo o due . 111 In oltre, che questa vostra ritirata sia non solamente vana, ma lonta¬ nissima dalla mente d’Aristotile, è manifesto : perchè egli dice che tal posiziono si vede seguire ; or se ella si vedo, è forza che se ne possa far l’esperienza, e clic, in consequenza, bastino le altezze delle torri per farcela conoscere ; so già voi non diceste elio Aristotile 20 avesse qualche torre più alta di quella elio ebbe Nembrotte nell’idea. Di più, grandissima sciocchezza fareste voi diro ad Aristotile, se il suo sentimento fusse stato simile alla vostra intelligenza; perchè egli si serve di questo principio per destruggere ’l vacuo, per la cui do- struzione egli ha bisogno che sia vero, i mobili di differente grandezza muoversi con disoguali velocità, secondo la proporziono de’loropesi; ma se tal disegualità non si verifica se non in spazii di migliaia di braccia o di miglia, e’ non verrà, in virtù di tal argomento, a provare se non che è impossibile darsi di simili spazii immensi vacui, ma che, in cousequenza, non è assurdo alcuno darsi spazii vacui di cento 0 ao dugento braccia, poiché in questi la detta posizione (21 non si verifica. E finalmente una gran contradizione a voi medesimo in questo pro¬ posito sentirete poco di sotto. In tanto, perché dovunque io mi volgo incontro gran vanità in questo vostro discorso, noto certo compensa¬ mento ingegnoso che voi producete, scrivendo [pag. 3(52, lin. 32-34] che, l,) ba stampa: l’altra non fili resta ad- l’altra non gli è lontana un j>almo o due. dietro appena un palmo o due. Il manoscritto: W La stampa : proposizione. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 663 già che non si possono avere eminenze tanto alte da far vedere la differenza di velocità tra i corpi amendue di notabil grandezza, si può in quella vece far grandissima differenza tra le moli e grandezze de’ mobìli, quasi che voi vogliate dire, che sì come i mobili grandemente diffe¬ renti in piccole altezze mostrali gran diversità di velocitadi, così i meri differenti in grandissime altezze mostrerrebbon la medesima diversità; proposizione detta, ma non provata, nè probabile, nè verisimile, e, quando pur non totalmente falsa, certo non concludente cosa alcuna per voi: perchè se voi piglierete un piccolissimo grano di terra ed un io pezzetto mille volte maggiore, che sarebbe, per caso, t quello quant’ un grano di papavero, e questo I quant’ un cece, e gli lascerete cader da una altezza, v. g., di quattro braccia, vedrete gran differenza nelle lor velocità; ma se piglierete poi un’altra zolla di terra mille volte maggiore d’ un cece, che sarebbe, v. g., grande quant’ un arancio, e così sarebbe conservata la medesima differenza di moli, voi non tro¬ verete più quella disagguaglianza di velocità, nè anco facendogli ca¬ dere da cento braccia d’altezza ; e pur secondo voi doverebbe esser l’istessa, e se intendeste Aristotile, bisognerebbe che fusse mille volte più veloce. Ma sentiamo rinforzar il vostro argomento. Voi scrivete 20 [pa.g-. 362, lin. 36-38] : Che dà maggior percossa, un sasso grosso o un piccolo? Il grosso: adunque aggrava più; e se aggrava più, vien (u piti veloce. È certo, Sig. Colombo, mirabile la vostra incostanza: perchè, se poco fa diceste che non si trovavano altezze tanto grandi che ci potesser far sensibile la differenza delle velocità di tali mobili diseguali, come, sì presto scordatovene, la fate voi ora grandissima ta) , non che sensibile, nelle percosse di questi sassi cadenti ? Bisogna, dunque, o che voi fac¬ ciate cader tali sassi al manco dalla sfera del fuoco, o che voi caschiate in contradizione a voi stesso, o che sia falso che tra tali percosse si scorga differenza. Io non posso, oltr’ a ciò, a bastanza ammirare il vostro 30 avvedimento, poiché, non vi fidando de gli occhi proprii, che mostran 21-23. più veloce. Adunque, Sig. Colombo , se ambedue i sassi si mettessero in bilancio c in quiete, il grosso non graverebbe più del piccolo, poi che non arebbe più veloce moto di quello, già che voi volete che il grosso gravi più per la maggior velocità ; il che sapete se sia vero. In oltre, non producete voi quest'esperienza per confermar che anco i pesi di notabil grandezze son notabilmente differenti di velocità? certo sì. Ma se voi poco fa diceste — 27. al manco dalla Luna o che — (1) La stampa: va. retto nella «Nota degli errori occorsi nello {i) La stampa: voi tra grandissima , cor- stampare • in voi grandissima. $ 664 CONSIItKK AZIONI che (lue sassi disegnali, venendo dalla medesima altezza, arrivano nel- l’istesso tempo in terra, ricorrete per assicuramento del fatto ad una coniettura presa dalla disegualità delle percosse, quasi che la mag¬ gior gravità del percuziente non basti a far il colpo più gagliardo, se non percuote ancor con maggior velocità, t Ma che dico? Voi stesso, nell’ istesso argomento, referite la maggioranza della percossa all’ag- gravar più ; ma per aggravar più non basta che il sasso sia più grosso? non è dunque l’argomento vostro di veruna efficacia. 1 Voi, Sig. Colombo, mandate il Sig. Galileo a imparar da gli stampatori cosa che egli benissimo sapeva; però posso mandar voi da i magnani io f per apprender questo che vi ò ignoto, 1 i quali vi diranno che posson dare in manco tempo cento colpi con un martello di quattro onde die venticinque con uno di dieci libbre, e che, in consoquenza, molto più velocemente maneggiano il piccolo che ’l grande; con tutto questo, quando hanno bisogno di dar gran colpi, adoperano il martello più tardo, cioè il più grave, e non il più veloce. E da questi suoi discorsi vanissimi raccoglie il Sig. Colombo le seguenti conclusioni [pag. 363, Un. 3-8] : Diciamo dunque clic Aristotile argo¬ menta nobilissim amente contro Democrito ; e che è vero, che la distimionc specifica non solo non ha luogo contro di lui, ma nè anco tra 1,1 di noi; e 20 che non pende detta distinzione sempre dalle molte parti e più spesse di terra in un corpo che in un altro ; e che, conseguentemente, sia miglior regola di tutti questi effètti la considerazione del predominio de gli elementi e la facoltà del mezzo. Qui, primieramente, è detto fuor d’ogni proposito che la distin¬ zione di più 0 men grave in specie non dependa sempre dalle molte piarti di terra e più spesse (dico per quel che aspetta alla presente disputa), jierchè ’l Sig. Galileo non ha mai presa tal distinzione nè da terra nò da fuoco, ma solamente ha detto di voler chiamar più grave in spezie quel corpo di un altro, del quale una mole pesa più 30 che altrettanta mole dell’altro, proceda pioi questo da terra 0 da acqua 0 da quel che piace a voi. Ma lasciando da banda quest’errore, già che voi ritornate a dir che miglior regola di tutti questi effetti è la 9-11. a imparar non so che datili stampatori ; però potrei mandar voi con non mino)' de¬ coro da i magnani, i quali — (1> La stampa: contro. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 6G5 considerazione del predominio de gli elementi, come molt’ altre volte avete di sopra detto, veggiamo quanto questo e ’1 detto altrove con¬ suoni con le coso seguenti. Ma prima riduciamoci a memoria alcuni de’ vostri altri luoghi ; e benché ce ne sion molti, bastici per ora di quattro posti nella face. 43 (1) [pag. 352], dove a v. 7 [lin. 25-27] dite che il Buonamico attribuisce cotali effetti al dominio de gli elementi ed alla facoltà del mezzo, e ciò con molta ragione, poiché questa regola sarà molto più lontana dall’ eccezzioni che quella d’Archimede ; sei versi più a basso (lin. 32-39] dite che se ben è vero che la gravità e leggerezza nasce dal pre- ìo dominio dell’ elemento, non dimeno , procedendo da esso ancora altre qualità, come la siccità e V umidità etc., però miglior regola è questa del predominio che quella d r Archimede e del Sig. Galileo, che è tanto manchevole; replicate poi, quattro versi più a basso [pag. 353, lin. 2-3], la medesima mancanza, mediante ’l patir ella tante eccezzioni , le quali non vi sarebbono senza questo ristringimento di regola ; nel line poi della faccia [lin. 14-17] replicate pure che, dovendosi ricorrere o alla ragione o al senso, si debbo andar a quelle cause che hanno manco eccezzioni , come è ’l dominio de gli elementi c la facoltà del mezzo, la qual regola è più sicura che quella della gravità e leggerezza etc. Or mentre io considero questi ed altri luoghi, e leggo poi 20 quel che segue appresso in questa face. 54 [pag. 363, liu. 9 e scg.], resto sì fieramente stordito, che io non so s’io dormo o s’io son desto, non sapendo comprendere come sia possibile che si abbia a trovar un uomo, il quale, scrivendo molte cose e tutte diametralmente contrarie alla sua intenzione, si persuada di dichiararla e stabilirla <2) ; e che rifiutando una W La stampa: 45. W Qui Galileo aveva dapprima scritto, c poi cancellò, quanto segue : « Ma sentiamo lo vostre parole : E clic (lite voi dell 1 olio e altri corpi , che son molto più terrei dell 1 acqua, data parità di mole, e nulla di meno galleg¬ giano ? Dirovvi, Sig. Colombo, elio voi stesso cominciate a mostrar l 1 incertezza, anzi la fallacia, della vostra regola del predominio, poi che de’ corpi che sono piò terrei del¬ l’acqua alcuni galleggiano ed altri vanno al fondo; se già voi non voleste elio tutti gal¬ leggiassero, cho sarebbe poi un destrugger la regola interamente. Per accrescer poi l’er¬ rore soggiugnete : E acciò che non attribuiate (tir aria coiai effetto, non sapete che anche in bilancia pesati son più leggieri dell’acqua, e nella bilancia non ha che far V aria? Che l’aria non abbia (ilio far nella bilancia, non importe¬ rebbe nulla, perche, per far galleggiar un corpo, basta, che l’abbia che far nell’acqua, dove credo pur che concederete, lei esser leggiera. Ma questo fallo ve lo perdono, o ammettevi che nell’ olio operi l’esser più terreo dell’ acqua, o non 1’ esser aereo : ma notate che intanto voi confessate che gli ò più leggieri dell’ acqua, e che e’ galleggia ; adunque la regola d’Àrchimede e del Sig. Ga¬ lileo ci quadra per appunto, e la vostra del predominio non ci si può accomodare. Ma avanti eh’ io passi più oltre, voglio muover un mio dubbio, e ne starò poi aspettando la vostra soluzione. Quando voi dite, Sig. Co¬ lombo, che 1’ olio è più terreo dell’ acqua, IV. 84 66G CONSIDERA ZIO NI regola semplicissima e sicura, gli anteponga non dirò una regola, ma una sregolata confusione; che stimi dubbio il camminar per una breve e diritta strada, e spedito e certo l’avvolgersi per un inesplicabil laberinto; più facile il camminar di mezza notte per una intrigata selva, che per un prato di mezzo giorno. 11 Sig. Colombo, dunque, il quale stima chiaro facile e distinto il filosofare circa i movimenti de’gravi e de’leggieri in diversi mezzi per via de gli elementi domi¬ nanti nelle lor mistioni, e fallace incerto e pieno di confusione il fon¬ darsi, con Archimede e col Sig. Galileo, sn la relazione della gravità del mobile e del mezzo, scrive poi le seguenti cose: io Face. 54, v. 25 [pag. liti.", lin. 9-12] : E che dite voi dell' olio e altri corpi, che son molto più terrei deli acqua, data parità di mole, e nulladiincno palleggiano ? Ed acciochè non attribuiate all' aria colai effetto, non sapete che anco in bilancia pesati son più leggieri dell’ acqua, e nella bilancia non ha che far l’aria? Che altro volete voi che dica ’1 Sig. Galileo, se non che questo vostro primo esempio manifesta la vanità della vostra regola e con¬ ferma la sicurezza della sua? poiché egli dice, anzi con Archimede dimostra, che tutti i corpi men gravi di altrettanta acqua necessa¬ riamente galleggiano; e voi affermate ora che l’olio è più leggier 20 d’ altrettanta mole d’acqua, e che ei galleggia; adunque la regola sua ci quadra a capello, nè 1’ esser più terreo, 0 più aereo, o più tutto quel che piace a voi, apporta scrupolo, difficoltà, eccezzione, limita¬ zione o confusione alcuna a cotal regola, la quale non ricerca altro se non che sia men grave dell’acqua: ed, all’incontro, considerand’egli che voi non sete per negare che molti corpi più terrei dell’acqua vanno al fondo, e che ora dite che 1’ olio, ancorché più terreo dell’ acqua, intendete voi che egli sia tale, solamente comparato con 1* acqua, sì elio in sè stosso o possa essere o aereo o vero igneo a pre¬ dominio, o pure intendete che anco assolu¬ tamente e in so stesso sia terreo a predomi¬ nio ? be voi mi direte che l’olio iu sè stesso sia a predominio aereo o igneo, già sarà nota la causa del suo galleggiare e la vostra fal¬ lacia nel proporr’ il problema, il quale do¬ veva in cotul forma esser proposto : « L’olio, che ò più aereo dell* acqua, e nulla di meno galleggia etc. » ; ma qui cessava ogn’occasion di proporlo, non contenendo nulla di singo¬ lare. Ma so voi direte che egli assolutamente sia terreo a predominio, come sol vere! e poi eh’ e’sia men grave dell’acqua? In oltre, se ogni misto partecipa di tutti quattro gli cle¬ menti semplici, di ciascun di loro sarà vero l’affermare che sia più terreo e anche più aereo e più igneo ancora dell’acqua, non par¬ tici panilo olla, come semplice, punto de gli altri elementi: adunque da tal comparazione fatta con lei che ne potrete raccòrrò, se non che e’ galleggieranno e che parimente an¬ dranno in fondo ? Cfr. questo tratto can¬ cellato con pag. 666, lin. 11—pag.6C8, lin. 11. soruA ’t, discorso dei, cot.omro. 6fi7 galleggia, e di più escludete da tal effetto il poterne esser cagione l’aria, che altro può dire so non che dal vostro esser più terreo o più aereo non si può determinar cosa veruna di certo? Ma considero uno sproposito d’ un altro genere, in queste medesime parole. Voi dite che all’aria non si può attribuire l’effetto del galleggiar l’olio, perchè anco in bilancia, dove l’aria non ha che fare, l’olio ed altri corpi simili sou più leggieri dell’acqua. Se io dovessi dir liberamente il mio parere, Sig. Colombo, direi parermi che voi siete talmente fuor di strada, che non sappiate verso che banda vi camminiate. Che l’aria non abbia che io far nella bilancia, non importa nulla, avvenga che l’effetto del gal¬ leggiare non si ha da far nell’aria, dove è la bilancia; ma basta che l’aria abbia che far nell’acqua, dove non credo che voi (1> neghiate che ella sia leggiera, ed in consequenza che ella possa produr l’effetto del galleggiare. Sig. Colombo, io comincio a non mi meravigliar più che voi così ardentemente vi siate posto a impugnare ’l Sig. Galileo, poiché io veggo che di tante verità che sono nel suo trattato, pur una non v’è stata di profitto; che se, all’incontro, voi l’aveste intese, non dubito che, come d’animo grato, più sareste rimasto obbligato a quel piccol trattatello che a tutto ’l resto de’vostri studii. Ma che si ha da dire so della contradizione a voi stesso, che si legge due versi più a basso? Già, come si è veduto, voi avete scritto che l’effetto del galleggiar dell’olio e d’altri corpi simili, e dell’esser più leggier dell’acqua, uon si deve attribuire all’aria; poi immediatamente, per fuggire l’obbiez- zione di chi volesse inferir che questo, in consequenza, si dovrebbe attribuire alla terra, rispondete ciò non dalla terra, ma da altro acci- 14. (folleggiare. Ma più, chi v'ha dello che Varia non abbia che far nell'aria circa 7 diminuir la gravità ? Una caraffa di vetro piena (Varia non pestila in bilancia assaissimo maio che altret¬ tanta mole (Vacqua ? certo sì. Questo pesar meno depend’egli dal vetro? no, perchè la materia del vetro è assai pia prave delVacqua: ma ben depende dalVaria contenuta nel vaso; e questo, non perchè Varia nell'aria sia leggiera, perche veramente ella non vi ha momento alcuno, ma perchè, am¬ pliando voi la mole della caraffa con fa inoli'aria inclusa, fate che altrettanto si abbia a crescer la mole dell?acqua | il ms.: la mole dell’aria], che a (/nella deve essere eguale ; onde il vetro schietto , che. per se solo pareggia in nude piccola quantità (V acqua, ora, mercè dell’ avia inclusa, chiama in comparazion della sua mole una gran quantità d’acqua: sì che la diminuzion del suo peso rispetto all* acqua non depende dalla leggerezza dell' aria, la quale in aria non è nulla, ma dalla maggior copia (V acqua che si piglia per pareggiar la mole di tutta la caraffa ; la quale è poi quella che, insieme con la sua aria inclusa, si demerge nell? acqua, dov? ella, per virtù dell' aria inclusa, aqquista momento di galleggiare. Sig. Colombo — l,) La stampa: mi. G68 CONSIDERAZIONI dente, cioè dall’aria stessa, cagionarsi, e massime nell’olio ed altri corpi simili. Or qual incostanza è questa? Ma più vi dico: se dall’esser più terreo o aereo dell’ acqua s’ ha da determinare ne’ misti il lor galleggiare e l’andar al fondo, ogni misto farà l’uno e l’altro di tali effetti; perchè, essendo l’acqua uno de gli elementi semplici, ed essendo ogni misto composto de gli elementi, ciascun di loro sarà più terreo e più aereo ed anco più igneo dell’ acqua, e perù dorerà far nell’acqua quell’effetto che da qual si voglia di tali condizioni dopende. Però non tanto sarà necessario comparar il lor terreo o aereo col terreo o aereo dell’acqua, nella quale, se sarà pura, niuna di tali condizioni si tro- io vera, quanto sarà necessario paragonar tali participazioni tra di loro. Poco più a basso [pag. 363, Un. 18-24] scrivete : Non è egli chiaro, nel- Voriento vivo esser più acqua e men terra che nel ferro ed in altri simili metalli, e nulladimeno pesar più di essi di gran, lunga ? anzi, Aristotile dice che Voriento vivo 'e a predominio aereo, ed ad ogni modo pesa tanto. Adunque non è necessario che dove è più terreo, quivi sia maggior gravità; perchè vi può esser tanto più acqua o aria in porzione e così densa, che avanzi la gra¬ vezza della terra del corpo a cui si compara, ancorché sia molta più. Io, per venire alla breve, per ora vi concederò tutte queste cose: ma già che l’ariento vivo è a predominio aereo, e nulla di meno è più grave del 20 ferro e di tant’ altri corpi che sono a predominio terrei, anzi della terra stessa, in cui si deve pur credere che la terra predomini più che in tutti gli altri corpi ; e più, se non è necessario che dove è più terra ivi sia maggior gravità, ed in cotisequenza che l’esser a pre¬ dominio aereo o igneo non inferisca di necessità maggior leggerezza; dov’è, Sig. Colombo, quell’evidenza, quella sicurezza, quella lontananza dall’eccezzioni della vostra regola, di reggersi dal predominio dell’ele¬ mento nel determinar quali corpi sieno per galleggiare meglio e quali per descendere più speditamente? L’argento vivo molto più validamente descende nell’acqua che’l ferro, anzi il ferro galleggia nell’argento so vivo meglio che il legno nell’acqua; e pur questo è terreo, e quello a predominio aereo. Che alcuni corpi a predominio terrei calino al fondo nell’acqua, non lo negherete; ed in tanto concedete che molti di loro galleggiano: che altri a predominio aerei galleggiano, lo con¬ cederete; ma in tanto dite che l’argento vivo è a predominio aereo, e pur va in fondo; e se egli vi va, molt’altri ve n’andranno. E queste son regole lontane dall’eccezzioni? queste son più sicure che il reggersi SOPRA ’L DISCORSO DHL COLOMBO. CG'J con l’eccesso della gravità del mobile o del mezzo comparati tra di loro, che mai non varia un capello? Ma dato che la regola del predominio, anco così sregolata, lusso vera, chi mai se ne potrà servire? Insegnateci, Sig. Colombo, il modo, col quale voi sì speditamente conoscete i pre¬ domina di tutti i misti, o se non volete publicare il segreto, fate al manco un indice per alfabeto a benefizio pubblico, onde noi possiamo veder i predomina, notando, per esempio: Argento vivo, aereo: Piombo, aqueo ; Ferro, terreo, otc. Ma avvertite che bisognerà che lo facciate doppio, perchè semplice non basterà; e converrà che, oltre al pre¬ io dominio, notiate l’effetto che faranno ne’mezzi dove si troveranno, scrivendo, v. g.: Argento vivo, aereo, che va a fondo in acqua; Abeto, aereo, che galleggia; Olio, terreo, che galleggia; Ferro, terreo, che va in fondo ; Piombo, aqueo, che va in fondo, etc., perchè senza un tal vostro aiuto credo che gli altri uomini si affaticherebbono in vano a ritrovar il predominio sicuro anco d’un sol misto; perchè io vi con¬ fesso ingenuamente elio mai non mi sarei accorto che l’argento vivo fusse corpo aereo a predominio. Face. 55, v. 15 [pag. 363, lin. 37-40]: Mi piace che circa 7 luogo nel quale- si dorerebbe far V esperienza, voi beffiate Aristotile, perchè egli lo merita. 20 0 voi che avete invenzione da trovar cose maggiori, non sapete trovarlo? Non è egli attualmente sopra la terra, dove siamo noi? Domandatene De¬ mocrito, e vi dirà eh’ è ’l vacuo. Aristotile fa poco altro, in tutto ’l quarto del Cielo, che provai* la leggerezza positiva, conti*’ a Platone, Democrito ed altri, che volevano che tutti i corpi naturali fosser gravi ; e molte volte replica che, se ciò fosse vero, bisognerebbe che una gran mole d’aria fosse più grave che poca acqua, ed in consequenza che quella scendesse più veloce¬ mente ; il qual effetto, die’ egli, è falso, perchè noi veggi amo qua¬ lunque piccola quantità d’ acqua descender più velocemente di qual ao si voglia gran mole d’aria. Il Sig. Galileo domanda ad Aristotile in che luogo si vede quest’ effetto, di scender più velocemente ogni poco d’acqua di qualunque gran mole d’ aria. Il Sig. Colombo ri¬ sponde, per Aristotile, ciò vedersi noi vacuo, che è il luogo sopra la terra, dove attualmente siamo noi : la qual risposta assai sconcia io non saprei in qual maniera accomodare ad Aristotile, perchè il dirla come sua vera sentenza è gran follia, avend’ egli sempre negato ’l vacuo, e lungamente disputatogli contro. Non si può anco dir che CONSIDERAZIONI «70 ei lo dicesse (i) come posizione di Platone o di quegli altri; poiché in tutto questo libro, dove ex professo tratta questa materia, non si trova che egli attribuisca loro il por vacuo il luogo sopra la terra, dove siamo noi: e pur sarebbe stato necessario il ricordarlo, come punto principalissimo tra gli assurdi 2 loro; o tanto più, che non fa¬ cilmente altri si può indurre a creder di quelli un tanto inconve¬ niente, li quali nominando, pur per detto d’Aristotile, acqua ed aria, è credibile che vedessero ed intendessero l’acqua e l’aria che è intorno alla terra. Però, Sig. Colombo, se voi non vi dichiarate meglio e non rispondete altro per Aristotile, dubito che egli non solo resterà nella io fallacia oppostagli dal Sig. Galileo, ma elio voi glien’ approprierete qualche altra maggiore ; onde ragionevolmente alla domanda che voi fate in questo luogo al Sig. Galileo, dicendo : Chi cammina più fred¬ damente adesso, Aristotile o Democrito ?, si potrà rispondere : Aristotile, perchè 1’ avete stroppiato. Cosa assai ridicola è il sentir il Sig. Colombo, in quel che segue appresso, equivocar sempre, mentre vuol far apparire equivoci alcune proposizioni vere del Sig. Galileo. Egli scrive dunque così, alla face. 55, v. 2G [pag. 364, lin. 6-10], parlando al Sig. Galileo : Voi sogqiugnete, a cur. 68 | pag. 135, lin. 30-31], che noi non ci sappiamo staccare da gli equivoci ; e ve- 20 rumente che il detto calza appunto nella persona vostra: imperò che di sopra s’ è provato che quel che resiste alla divisione fatta con tanta e tanta velo¬ cità, può resistere anco assolutamente, e così cagionarsi la quiete, al moto <3) . Sig. Colombo, voi qui primieramente equivocate da P esser diviso nl- 1 esser mosso ; ed il Sig. Galileo, trattandosi della resistenza che si sente nell’ acqua mentre vogliamo per entro lei muover con velocità qualche corpo, ha dichiarato quella depender non dal doversi divider le parti dell’acqua, essendo divisissime, ma dall’esser mosse; e ne dà 1 esempio del muover un corpo per 1’ arena, la quale resiste, e non perchè parte alcuna di lei si abbia a dividere, ma solo perchè hanno so ad esser mosse verso diverse bande. Ma pigliandosi anco quel movi¬ mento e separazion che si fa delle parti dell’acqua come se frisse un (l > La stampa : disse. W La stampa : assunti . (:ìl Qui Galileo aveva scritto dapprima, e poi cancellò, quanto appresso : « Che al¬ cuni corpi resistenti alla divisione fatta con tanta e tanta velocità, posBino ancora resi¬ stere assolutamente, il Si#. Galileo non l’ha mai negato, anzi ve ne dà diversi esempli; ma voi equivocate mentre volete che tutti i corpi che resistono ». SOPRA 'li DISCORSO DEL COLOMBO. 671 dividere 0 ’, voi doppiamente equivocate nelle sopraposte parole. Imperò che, o voi volete che la vostra proposizione sia universale, o no: so la volete universale, dovevi dire che quid che resiste '* alla divisimi fatta con tanta e tanta velocità, resisto anco necessariamente all’esser di¬ viso assolutamente ; e non dovivi dire puh resìstere, porche il dir puh resistor non esclude il poter esser anco clic non resista, si che sia vero che de i resistenti alla divisione fatta con tanta velocità, alcuni ve ne sian che resistine alla semplice divisione, ed altri no: ma se voi prenderete la proposizione in questo secondo senso, equivocherete io per un altro verso, volendo, senza provarlo, concluder tal accidente dell’acqua in particolare; perchè il Sig. Galileo vi concederà l’un o 1’ altro membro della vostra proposizione, ina vi negherà che il corpo particolare dell’acqua sia di quelli che resistino all’esser divisi asso¬ lutamente, so ben resistono alla tanta e tanta velocità. E perchè tutto ’l vostro errore deriva, dal non esser sin qui restato capace come possa essere che un mobile resista all’ esser mosso con tanta e tanta velocità senza che egli resista all’essere assolutamente mosso, voglio con un’ altra esperienza tentar s’io posso arrecarvi qualche giovamento. Ditemi, Sig. Colombo, non ò egli noto che una palla di 20 piombo non resiste punto all’esser mossa semplicemente all’ingiù? Certo sì, anzi ella naturalmente discendo : nientedimeno se voi la vo¬ leste far venire da una tal altezza sino a terra più velocemente di quel che per sua natura vorrebbe, ella a tal velocità farebbe resi¬ stenza, e tanto maggioro quanto la caduta dovesse esser più veloce; e però volendola 1:1 far descendere con prestezza quasi momentanea, bisognerebbe cacciarla con la forza d’un’artiglieria. Ecco, dunque, che quel mobile elio non resiste punto al moto assoluto t in giù, | repugna e contrasta all’ esser mosso con tanta o tanta velocità. Voi seguitate scrivendo [pag. 3(>1, Un. 10-17J: Equivocate ancora nel dire so che l’aria e II acqua non resistendo alla semplice divisione, non si possa dir che resista più l'acqua che l'aria : porche, supposto che alla divisione assoluta non resistessero, se ben dell’acqua si è provalo il contrario, non dimeno, resi- 1G. all’esser diviso o mosso — l l) Di pugno di Galileo, e cancellato, qui nel ma. si logge : - voi commettete un al¬ ti*’equivoco nelle soprapposte parole, produ¬ cendo una proposizione non universalmente e volendola far passar come universale. Im¬ però che •*. La stampa: quel resiste. w La stampa : dovendola. 072 CONSIDERAZIONI stendo circa ’l pili e men veloce muoversi, non è questa resistenza più nel- V acqua che nell'aria? E questa velocità e tardità è pur conceduta da voi. Anzi, che dove fusse la resistenza assoluta jiropriamente presa, non si potrebbe dir che ci fusse più e meno resistenza, non sondo in modo alcuno divisibile. Come volete voi, Sig. Colombo, elio il più ed il meno si trovi in cpiel che non è? Voi pur sapete, e (li sopra avete ammesso, che non cntìum nullae sint qualitates: se dunque ora voi concedete, la re¬ sistenza alla semplice divisione non essere, come volete che in lei sia il più ed il meno resistere ? La resistenza al più e men veloce muo¬ versi è e si trova nell’ acqua ed anco nell’ aria, ed il Sig. Galileo la io concede ; e parlandosi di tal resistenza, egli non solamente vo la con¬ cederà più nell’ acqua e meno nell’ aria, ma nell’ acqua per sè sola considerata vi concederà il più o men resistere, secondo che si vorrà il più o men veloce muovere : ma voi equivocando trapassate da questa resistenza, che è, a quella che veramente non è, e che voi per ora concedete non essere. Parlate poi non solo equivocamonte, ma fuor del caso, mentre dito: Anzi dove fosse la resistenza assoluta eie . (1) Eccovi l’equivoco e lo sproposito manifesto. Il Sig. Galileo dice: Perchè nell’acqua e nell’aria non è resistenza all’esser semplicemente divise, però non si può dir che 1’ acqua resista più dell’ aria all’ esser seni- 20 plicemento divisa. Voi contro di questo dite : Anzi dov’è la resistenza assoluta (intendendo ora, con equivocazione, resistenza assoluta quella che da forza alcuna non si può superare), non si può dir che vi sia il più e meno resistere, sendo tali resistenze insuperabili ed infinite. Là il Sig. Galileo nega ’l più e 1 meno, perchè non vi è resistenza nessuna; qui negate voi il più e ’l meno, dove la resistenza fosse infinita : amendue dite il vero ; ma il vostro detto equivoca da quello del Sig. Galileo ed è fuor di proposito, nè a lui apporta pregiudizio alcuno, f nè utile a voi. \ Le risposto che dopo questo voi apportato a certo considerazioni che ta il Sig. Galileo circa alcune esperienze addotte da alcuni per so provar che la resistenza alla divisione dell’ acqua sia causa del gal- leggiaie, sono tanto deboli, che per mostrare la lor nullità basta ri¬ cordarle al lettore, senz’ altre repliche. 12-13. ma nell’acqua e nell'aria per sè sole considerale ri concederà — Di pu_,no di Galileo, e cancellato, solutu in senso diverso da quel che 1’ ha qui ne ms. si cgge. « Equivocate, mentre preso il Sig. Galileo, mentre gli volete con- pigliate questo termine di resistenza as- tradire». sona ’l discorso del colombo. G73 Contro a quelli che avesser potuto credere elio un sughero o un pezzo di cera, descendendo per aria e fermandosi poi in superficie del- l’acqua, non calassor più per l’impotenza a dividerla, aveva scritto ’1 Sig. Galileo che anco questi corpi leggieri penetravan 1’ acqua e ne scacciavano quella parte elio era proporzionata a i momenti della lor gravità, nè restavano altramente per inabilità al dividere la crassizie di quella : in segno di che egli diceva che i medesimi, posti in fondo dell’acqua, la dividevano velocemente all’insù, ed arrivati all’aria si fermavano ; dal qual accidente con altrettanta ragione altri arebhe io potuto affermare, lor fermarsi per non poter divider 1’ aria, che sa¬ rebbe stato assurdo. A quest’ argomento risponde ’l Sig. Colombo [pag. 364, lin. 23-25] : Può far il inondo ! che volete che faccia il sagginale e la cera quandi è giunta su la superfìcie dell' acqua? Domili, che gli abbino a cercar di salire in aria, se son più gravi di lei? Il Sig. Galileo non vuol che faccin 1 ” altro se non insegnarvi a scorger quella medesima cosa che voi pur avete innanzi a gli occhi; cioè che, sì come voi intendete che l’esser loro più gravi dell’ aria, e non la difficoltà che abbia 1’ aria all’ esser divisa, è cagiono clic loro non ascendon in quella, così la gravità dell’ acqua maggior della loro, e non la resistenza che sia in 20 lei alla divisione, gli vieta il calare al fondo. A un’ altra esperienza di alcuni Peripatetici, che avevano scritto, un uovo galleggiar nell’acqua salsa e descender nella dolce per esser la salsa più crassa e corpulenta, risponde il Sig. Galileo, questa essere una sciocchezza grande, perchè con altrettanta ragione e con i me¬ desimi mezzi si proverà, 1’ acqua dolce esser più grossa della salsa ; avvenga che 1’ uovo posto in fondo della salsa ascende, dividendo la sua corpulenza, la quale egli non può dividere nella dolce, poiché resta nel fondo : il quale inconveniente non segue nella regola che attribuisco tali cagioni all’eccesso della gravità; perchè senza nessun yo intoppo si dirà, l’uovo descendere nella dolce e non nella salsa, perchè è più grave di quella o non di questa, ascender nella salsa o non nella dolce, perchè quella è più grave dell’ uovo e questa no. A questa ragione il Sig. Colombo risponde così [pag. 364, lin. 25-26]: Quella sperienza dell’uovo è del medesimo sapor dell' altre; nè più oltre si distende la sua risposta. Ma che tal sapor non piaccia al Sig. Colombo, potrebbe per (1 < I.il stampa : faccia. IV. 85 674 CONSIDERAZIONI avventura non esser la colpa nella sua insipidezza) ma in quel clic l’Ariosto scrive di Rodomonte : Ma il Saracin, che con mal frusto nacque, Non pur l’assaporò, che gli dispiacque. Però se voi non mostrate con miglior ragione la sciocchezza di que¬ st’ esperienza, credo clie la risposta del Sig. Galileo resterà, quale ella è, efficacissima. Face. 56, v. 12 [pag. 364, lin. 30-34]: T? errar che voi filmate comune, di quella nave o altro legno che si crede galleggiar meglio in molf acqua che in poca, è errar particolare, perchè è solamente, vostro, sì come a car. 17 io [pag. 79, lin. 30-35J dite contro Aristotile ancora; mostrando non sapere che tali problemi non son d’Aristotile, come prova 7 famoso Patrizio. Il Sig. Galileo non ha mai attribuito a sè stesso, o detto che sia suo proprio, questo errore del galleggiar il legno meglio nella mol- t’ acqua che nella poca : però quello che scrivete qui, o è falso, o le vostre parole son senza senso e costruzione. Se poi i libri de’ Pro¬ blemi sieno d’Aristotile o no, poco importa alla causa del Sig. Ga¬ lileo, il quale vedendogli publicati sotto nome d’Aristotile e per tali ricevuti da i più, non so che sia in obbligo di credere a un particolare quel che può essere e non essere. Panni ben che non so sia senza qualche pregiudizio d’Aristotile il dubitare così d’alcuni libri : perchè se son pieni di buona e soda dottrina peripatetica, porche rifiutargli, e conceder in tanto che altri possa avere scritto di stile simile a quello di colui, per bocca del quale solo dicono aver parlato la natura ? ma se la dottrina non è tale, come hanno uomini intendenti potuto credere che Aristotile ancora abbia scritto cose frivole? Ma venendo a quel che più attiene a noi, io vi veggo, Sig. Colombo, far superfluamente un lungo discorso per riprovar del Sig. Galileo cosa, che con due sole parole poteva esser confutata, anzi voi stesso dentro al discorso la confutate, stante l’interpretazion so che voi date al problema : ma il non vi voler contentare d’attri¬ buire un error solo al Sig. Galileo, ha fatto traboccar voi in mol¬ tissimi. Il problema è : Per qual cagione la molt’ acqua sostenga meglio che la minor quantità, onde le navi manco si tuffino in alto La stampa: ma quel. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 675 mare che in porto? Il Sig. Galileo nega il fatto, dopo aver dimo¬ strato elio ogni mole natante può essere egualmente sostenuta da piccola e da immensa quantità d’acqua; e questo interni’egli acca¬ dere nell’acque quiete i lati ancora ( 3 ' ne’ movimenti premendo maggiormente, perchè la virtù più unita'" e più efficace. Or questo discorso è molto titubante e senza nessuna energia, W La stampa : acqua quieta. W La stampa : regge, da. w Manoscritt o e stampa : la virtù unita. Gir. pag. 364, lin. 10, e pag. 676, 1 in. 10-12. CONSIDERAZIONI 67(5 e pur troppo chiaro si Bcorge che quel che lo produce ha più speranza sopra ’l non si lasciar intendere che su la forza della ragione. Voi dite, Sig. Colombo, che 1’ acqua di sotto quanto è più profonda più regge, e quella da i lati ancora dite far l’istesso, col prèmer più quanto è in maggiore quantità, ed insieme dite elio il legno non cala più nella poca che nella molta. Ma come è possibile che, se la molta resiste più per di sotto e preme più dalle bande, che il medesimo legno penetri tanto in questa quanto nella poca, che resiste men di sotto e preme manco dalle bando? Non vedete voi che questo è un dir cose incompatibili'”? In oltre, che ha che far qui la virtù più unita? E perchè è più unita io la virtù nella molta acqua che nella poca ? la molta può ben aver maggior virtù, ma non già più unita. Secondariamente, voi confermate [pag. 364, lin. 30-37] questa vostra ragione con quel che dite a car. 23 [pag. 334, lin. 18-40]. Ma quello non ha che fare in questo proposito ; perchè quivi si parla della resistenza che fanno lo parti dell’ acqua all’esser mosso da una trave che si vadia tirando per quella, la qual resistenza è maggiore nell’ istess’ acqua ri¬ spetto alla maggior velocità della trave, e qui si parla del resistere diverse acque diversamente secondo la maggiore o minor quantità d’ acqua, nulla importando che il legno si muova tardo o veloce. 20 Terzo, adducete [pag. 364,lin.40—pag. 365, lin. 1] un’altra confermazione, tolta da un esempio di due monti disegnali di rena, de’ quali dite voi che più difficile è ’l dividere il più alto che il più piccolo: il che sarebbe vero quando si avessero a dividere dalla cima al tondo j ma se voi vor¬ rete che quel corpo che ha a dividere, penetri, v. g., non più d’ un palmo nell uno e nell’ altro, come nel nostro proposito fa il legno nel- 1 acqua, il quale già concedete che non cali più nella poca che nella molta, l’istessa resistenza si troverà in ainendue. Q unito, voi tate un supposto talso con dire [pag. 365, lin. 3] che nel mettersi il legno nell’ acqua si muove tutta 1’ acqua, non se ne mo- 30 vendo sicuramente se non pochissima di quella che gli è sotto, e di quella dalle bande non molta, in comparazion del mare. Ma quel che importa più è, che non cade in considerazione so non la resistenza di quella che cede il luogo al legno elio si tuffa, la quale è sempre manco della mole demorsa, come sottilmente dimostra il Sig. Galileo. W lift stampa: impossibili. 677 SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. Quinto, voi concedete [pag. 365, lin. 3-6J, doppo questo discorso, elio nella quiete tanto è retta una nave dalla poca quanto dalla molt’acqua. Ma questo è fuor di proposito, perchè le ragioni e l'esempio della rena, addotte sin qui, quando fosser buone, proverei)borio, del legno costituito in quiete, meglio esser retto dalla molta elio dalla poca : oltre che ci è F altro sproposito detto di sopra, atteso che il Sig. Galileo, ed anco Aristotile, parlano della nave ferma, poiché ne i porti stanno ferme. Sesto, se ben avete conceduto che tanto sia retta la nave da poc’ acqua quanto da molta, nulladimono dite [pag. 365, 1in. 5-12] elio la io molta la regge più validamente; il che esemplificate con due canapi di disegual grossezza, de’ quali so bene il più sottile reggerà un peso di mille libbre non meno che il grosso, mentre tal peso si riterrà in quiete, nulladimeno il grosso sarà poi (,) potente a reggorlo nella vio¬ lenza aggiuntagli, ed anco in più lunghezza di tempo : e così dite che la molt’acqua contro a questo violenze accidentarie resisterà meglio che la poca (ora bene aggiugner « anco contro alla lunghezza del tempo », perchè più presto si rasciugherebbe poca quantità d’acqua che molta). Ora, il discorso e F esempio son molto fuor del caso : prima, perchè si parla di quel che accaggia nella quiete, e non nelle agitazioni : secon- 20 dariamente, la ragione perchè F esempio de’ canapi è fuor di proposito, è perchè noi vediamo sensatamente, al canapo grosso avanzar della forza sopra quella che egli impiega nel leggere il peso di mille libbre, e non avanzarne al sottile, perchè, aggiugnendo altre mille libbre il grosso non si rompe, ma il sottile cede all’ aggiunta di dieci sola¬ mente; argomento necessariamente concludente la maggiore robustezza di quello che di questo. Ora, se F istesso accadesse delle acque, biso¬ gnerebbe che raddoppiandosi il carico alla nave retta sopra gran profondità, ella galleggiasse nell’ istesso modo che prima, e che sopra la poca acqua ella cedesse ad ogni minor peso ; il che non accade, 30 anzi seguiterà di demergersi per F aggiunta di nuovo peso in amendue Tacque nell’istesso modo, indizio manifesto che nella molt’acqua non era virtù di soverchio per sostener la nave, diversamente da quel che si fosse nella poca. Settimo, per istabilir questa vostra dottrina scrivete [pag.365, fin. 12-14], per esperienza vedersi che un corpo più leggier dell’ acqua, quanto si spinge W La stampa : più. 678 CONSIDERAZIONI più sotto, tanto più cresce la resistenza; adunque quanto sarà l'acqua più pro¬ fonda, tanto sarà la forza, maggiore, nel resistive alla violenza. Qui sono fal¬ sità, equivochi e contradizioni in poche parole. Falsa ò l’esperienza che voi nominate: perchè se fusse vero che nell’acqua, quanto più si va in giù, tanto maggior resistenza si trovasse, molti corpi si troverebbono che, descendendo nelle parti superiori, trovando poi nell’inferiori mag¬ gior resistenza, si fermerebbono a mezz’acqua ; il che è falso: e stando nell’istesso vostro esempio, aggiugnendo al corpo più leggier dell’acqua tanto peso che lentamente lo tirasse in giù, (piando incontrasse quella maggior resistenza che dite, (leverebbe fermarsi; il che è falso. Maio voi avete equivocato, nel sentir crescere la resistenza nello spinger sott’acqua un pallon gonfiato o altro corpo leggierissimo, crescer, dico, sin che tutto è tuffato, e vi sete immaginato che tal resistenza si vada sempre agumentando sino al fondo ; nel che v’ ingannate, perchè doppo che egli è demorso tutto sotto la superfìcie dell’acqua, è finito il bisogno di far la forza maggiore, ma quella che l’ha spinto sin lì, lo conduce anco sino al fondo, t Nè potrebbe scusarvi in parte da quest’errore se non chi v’attribuisse un altro ’nganno: il quale è, che può esser che voi, nello spigner sott’ acqua un pallone o una zucca secca, aviate veramente sentito crescer la resistenza non sola- 20 mente sin che la zucca è entrata tutta sotto l’acqua, ma più ancora sin che si è profondata un palmo o due, seguendo voi di spiguerla col braccio. Ma questa, Sig. Colombo, è un’ altra nuova resistenza, dependente non dalla zucca nè dalla profondità dell’acqua, ma da l’altra acqua che voi avete a far alzare per dar luogo al vostro braccio, che, accompagnando la zucca, si va demergendo; alla qual resistenza dell’ alzamento dell’ acqua s’aggiugne lo scemamente di peso del braccio stesso, il quale sott’ acqua pesa pochissimo, sì che il suo peso non spigne più tanto a gran pezzo come faceva mentre era fuor d’acqua, per lo che tutto 1 ' aggravamento deve farsi per 80 forza di muscoli, che accresce la fatica al premente. Ma tale acci¬ dente non ha che far col galleggiar delle navi o d’ altri corpi che per propria gravità si demerghino ; onde resta del tutto inutile per la causa vostra. 1 Vedesi anco manifestamente che voi non avete intesa la cagione del sentirsi maggior resistenza nell’ abbassar più e più tal corpo sin che tutto sia sott’ acqua ; il che procede dalla maggior quantità d’acqua che s’ha da alzare, e non perchè le parti dell’acqua I SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 67 !) più basse (,) resistano più, come avete creduto voi. Di più, voi che avete mille volte detto che i mezzi più grossi resiston più, e che in difesa del Buonamico sostenete, le parti superiori dell’ acqua marina esser assai più grosse dell’ inferiori, come ora accorderete questa contra¬ dizione, che nelle inferiori si trovi resistenza maggiore ? Ma che di¬ rete d’un’altra più sottil contradizione, posta nelle due presenti vostre proposizioni ? Voi dite nella prima, che quanto più sotto si spinge un corpo leggieri, tanto più cresce la resistenza nell’ acqua ; e da questa n’ inferite la seconda, concludendo che per ciò quanto sarà io 1’ acqua più profonda, tanto sarà maggior la sua forza nel resistere alla violenza. Ma ditemi, Sig. Colombo: Il corpo che si demerge, quando ha egli sotto di sè maggior profondità d’ acqua, quand’è nelle parti supreme, o verso 1’ infime ? Certo nelle supreme : or se la maggior resistenza è dove 1’ acqua ò più profonda, ella sarà nelle parti supe¬ riori, e non nelle più basse, dove, contradicendo a voi stesso, la ri¬ ponete voi. Ottavo, inducendo nuovi spropositi e contradizioni seguitate scri¬ vendo [pag.365, liu. 15-18J: e questo, perchè nel profondo è più calcata dalle parti superiori, e perchè verso ’l fondo è più unita e ristretta, come avete in 20 Archimede, per la regola delle linee tirate dal centro alla superficie , che ri- stringon sempre verso ’l centro e fanno alle parti dell’acqua luogo più angusto , onde sono meno atte a cedere ’l luogo. Primieramente, Sig. Colombo, come accorderete voi la contradizione diametrale, che è tra ’1 dire che l’acqua del fondo è calcata dalle parti superiori, e quel che altre volte avete detto, c quattro versi qui di sotto replicate, scrivendo: imperò che l'acqua di sopra non pesando, per esser nell’acqua, poco o niente disaiuta? Or se l’acqua nell’acqua non pesa, in che modo son calcate le parti basse dalle superiori? Qui non si può dir altro se non che ella pesa e non pesa secondo il vostro bisogno. Ma sentitene un’ altra più sottile. Voi so dite che l’acqua del fondo, essendo più calcata e ristretta, cede manco e resiste più; e poi volete che le navi tanto meglio sien rette, quanto sopra maggior profondità si ritrovano. Ma, Sig. Colombo (2 ', le navi co¬ stituite in grand’altezza d’acqua son rette dalle parti superiori, e poco o nulla hanno che far dell’ infime ; ed all’ incontro, dov’ è manco acqua, Idi stampa: bassa. voi costituite le navi lontane dal fondo, tanto (,) Qui Galileo aveva scritto dapprima, meno si servono per lor reggimento delle e poi cancellò, quanto appresso: * quanto più parti dell 1 acqua ». 080 CONSIDERAZIONI galleggiano nelle parti vicine al fondo : adunque, se è vera la vostra dottrina, meglio galleggeranno nella poca che nella molt’ acqua. Nono, voi errate grandemente in proposito d’Archimede, il quale non disse mai che le parti dell’acqua di sotto sien calcate o ristrette dalle superiori per la regola delle linee tirate dalla superficie al centro; ma ben dice, che de gli umidi consistenti non von’ è una parte più calcata dell’altra, e che quando, per qualche peso aggiunto in una parte, l’altre circonvicine restassero men calcate, elle sarebbon da quella mosso e scacciate, nè resterebbe l’umido fermo e consistente come prima; e suppose di più che questi solidi prementi fanno forza io secondo le linee tendenti al centro della sfera dell’acqua: cose tutte molto lontane dall’intelligenza che gli dato voi; il che depende dal non aver veduto di Archimede più là che le semplici supposizioni. In oltre, qual semplicità è il dire che, facendo lo lince verso ’l centro il luogo più angusto alle parti dell’acqua, ella no venga più ristretta ed unita? Queste linee, Sig. Colombo, non son tavolati o muraglie che circondino l’acqua, ma son cose immaginarie: e quando anco elle fusser reali, e potenti a far il luogo più angusto, prima, non sondo la profondità (,) de’ mari cosa di momento rispetto al semidiametro della terra, questo ristringimento che si fa dalla superfìcie dell’acqua sino 20 al fondo è del tutto insensibile ; ma, quel clic accresce la vanità del vostro discorso, quando anco questi luoghi più bassi fossero più an¬ gusti, perchè volete che ristringessero ed unissero le parti dell’acqua contenuta in loro? Si ristringerebbon le parti quando nel luogo più angusto si dovesse contener tant’ acqua (pianta nel più spazioso ; ma quando vi sen’ha da contener manco a proporzione che noi più largo, iò non so vedere che tale strettezza possa far nulla (i) . Decimo, voi seguitate di discorrere a rovescio (:,) ed a introdurre nuove falsità, mentre dite |pag. 3 C 5 , lin. 19-21] che un corpo più prave dd- V acqua, sollevato dal profondo con la mano, più facilmente si solleva di sotto so che verso la superficie: la quale esperienza, facilissima a farsi, è falsa; perchè se legando un tal corpo con un filo, il quale fuor dell’acqua si 111 La stampa : le profondila. m Qui Galileo aveva continuato dap¬ prima: « e quando pur la larghezza e l'an¬ gustia de’ vasi dovesse operar qualcosa circa questi ristrignimenti, crederei che accadesse tntt’ » ; ma poi cancellò. 1,1 Nel ma. qui si legge, di pugno di Ga¬ lileo e cancellato,quanto appresso: - quando anco queste vostre false immaginazioni iusser vere ». SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 681 faccia passar sopra una carrucoletta, con legarvi un peso pendente, quello che lo solleverà dal fondo, lo condurrà sempre sino alla super¬ ficie. Ma più (parlando in particolare dell’ acqua del mare), voi poco di sotto direte che verso la superficie eli’ è di parti più grosse e più terree, come dimostra la lor maggior salsedine, ed in consequenza nel fondo vien a essere più sottile e meno terrea, e però men grave; ed essendo, di più, verissimo che i mezzi fluvidi sollevano con l’eccesso della gravità loro sopra la gravità del mobile, come volete voi che l’effetto non segua all’ opposito di quel che scrivete? Non sapete voi io che l’acqua salsa sostien meglio che la dolce? or se l’acqua marina è più salsa verso la superficie che nel fondo, men facilmente si solle¬ verà un peso nelle parti più basse che nelle supreme. Undecimo, trovandovi, per quant’io scorgo, irresoluto di quel che vogliate affermare o negare, ancor che i discorsi fatti sin qui riguar¬ dino alle navi costituite in quiete, vi risolvete a scrivere [pag. 365, lin. 24-29] che le navi, non si mettendo nell’ acqua perchè stien ferme e scariche, ma perchè solchino p>cr V onde, le quali nelle tempeste con i cavalloni le solle¬ vano, se nel tornare a basso l’acqua non fosse molta e profonda, si fracas- serebbono, e massime quando san molto cariche. E per render ragione 20 di questo segreto, avete, Sig. Colombo, avuto bisogno di far tutto le soprascritto considerazioni e di proporre ’l problema in quella forma ? 0 perchè non dicevi voi (e sarebbe stato un elegantissimo quesito) : Cercasi per qual cagione le navi cariche, nelle tempeste precipitando giù da i cavalloni dell’onde, vanno più a pericolo di perquotere e rompersi nel fondo del mare se tal fondo sarà vicino, come quando l’acqua è poca, die se sarà lontano, come quando l’acque son pro¬ fondissime? che così vi assicuro che avreste auto poca fatica a per¬ suaderlo, e meno a dimostrarne la cagione; e potevi speditamente dichiararlo con l’esempio che adducete, del (,) notar noi più facilmente so dove l’acqua è più profonda, che in quella che appunto basta a reg¬ gerci, perchè in questa poco ci possiamo agitare, se non vogliamo romperci le braccia e le ginocchia nella ghiaia (2) e nel sabbione. Duodecimo, per non lasciar contradizione immaginabile indietro, soggiugnete [pag. 366, lin. 30-33] : E come volete caricar le navi, e che vadano 7. tnezi fluidi sollevano — (,) La stampa : dal . Il ms.: nelle iaia. La stampa: nella tata. IV. sa 682 considerazioni veloci, dove non è più acqua che quella che basta per reggerle, e più solamente un mezzo dito? Quella poca acqua che è sotto il cui della nave, non è egli vero che più facilmente ne’moti si distrae, che non fa la molta quantità? Prima, l’autor (lei problema od il Sig. Galileo non parlano dell’andar veloce, perchè nel porto non si naviga, ma dell’esser sostenuto semplicemente. Secondariamente, se voi vi ricordate di (pialle cose che poco di sopra avete scritte, conoscerete come ora vi contradite. Voi avete affermato che le parti dell’acqua, essendo in maggior copia e più profonde, più resistono ne i movimenti; e replicato, che quanto l’acqua è più pro¬ fonda, tanto è maggior la sua forza nel resistere alla violenza; dal io che, per il converso, ne segue, che quanto manco ella sarà e inen pro¬ fonda, minor sarà la sua resistenza contro a i movimenti e la vio¬ lenza ; e soggiugnendo anco ora che quella poca che è sotto il fondo della nave più facilmente si distrae elio se lusso molta, non vedete voi che questo è un apertamente concedere che più facile e veloce¬ mente ella sarà mossa nella poca acqua che nella molta? Face. 57, v. 30 [pag. 366, Un. ij: Sig. Galileo, volete voi il giudizio di tutta questa opera vostra? Voi dite, Sig. Colombo, in questo luogo che ogn’uno si maraviglia che il Sig. Galileo abbia fatto quest’ ultimo argomento, non essendo 20 in lui proposito alcuno per argomentare contro Aristotile; ed io mi meraviglio molto più che voi abbiate scritto questo concetto in cotal forma, sena’ aggiugnere almanco che tal cosa non genera in voi am- mirazion veruna, come quello a cui pare che tutti gli altri suoi argo¬ menti sien parimente fuor di proposito: ora, poi che voi trapassate la comune meraviglia di tutti gli altri, come ragionevole circa questo particolare argomento, venite a concedere gli altri argomenti essere stati reputati efficaci da ogn’ uno ; ed io voglio brevemente esaminare se nel giudicar questo, vi siate dimostrato punto differeuto da voi me¬ desimo. 80 Voi scrivete [pag. 3(56, lin. 5-9]: Volete provare ad Aristotile in quest’ul¬ timo argomento, che n-on altramente la larghezza della figura è causa del soprannotare, ma la grossezza del corpo, come dite a car. 95, che è il medesimo che il peso, come avete dichiarato nell' aggiunta ; ed in vero ce n’ era di bisogno, perche è più difficile a intendersi che a solvcrlo. E però, Sig. Colombo, col non l’aver soluto vi sete dichiarato d’averlo tanto meno inteso; ma non solo non avete inteso 1 ’argomento, ma nò anco SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. G83 l’intenzione del Sig. Galileo, il quale non lia mai scritto di voler attri¬ buir la causa del sopranotare alla grossezza del solido, avendol’egli sempre referita all’ aria o ad altro corpo che lo renda più leggier dell’ acqua. Quello che ha scritto ’l Sig. Galileo, e che si legge alla face. 45 {,) fpag. 112 , li». 13-21], è che l’ampiezza della figura non solamente non è cagione del galleggiare, ma che nò anche da lei depende il deter¬ minare quali sien quelle falde che possono stare a galla ; e dice che tal determinazione si deve attendere dalla grossezza di esse figure, esclu¬ dendo totalmente la considerazione della lunghezza e della larghezza: io talché la grossezza non viene introdotta dal Sig. Galileo, come paro a voi, per causa del galleggiare, ma solo come segno ed argomento da poter determinare quali solidi sien per galleggiare, e quali no. Che poi, oltre al non aver intesa l’intenzione del Sig. Galileo, non aviate anco inteso 1’ argomento, credo che si farà manifesto col replicarlo, e lasciar poi far giudicio al lettore se possa stare l’averlo inteso col creder di poterlo solvere. E per intelligenza io suppongo m , la determi¬ nazione d’un effetto doversi prendere da quell’accidente, il quale posto, sempre segue l’effetto, e non posto, non segue mai, e non da quello che posto o non posto segue ad ogni modo. Ora, venendo al caso nostro, 20 intendasi, per esempio, una palla di ferro d’una libbra, la quale non galleggia; cercasi come si possa fare che ella galleggi. Risponde Ari¬ stotile: Riducasi in una falda larga, e galleggierà. Io dico che questa risposta è imperfetta 131 ; perchè anco in una striscia stretta e lunga come un nastro, e più in un filo lungo e sottile com’ uno spago, disteso su l’acqua o tessuto in forma di rete, sta a galla. 11 Sig. Galileo inter¬ rogato dell’ istesso risponde: Assottiglisi il detto ferro alla grossezza d’un spago, e galleggierà; sia poi la figura larga, o stretta, o lunga, o come più piace a voi, egli sempre soprannuota, e mai non galleg¬ gierà se non ridotto a tal sottigliezza (intendendo sempre, per l’una so parte e per l’altra, che la figura sia piana, e non concava). (4 ’ Però il Vedi pag. 3(50, nota 1. W Nel ms. seguita, sempre di mano di (2) In luogo del tratto che qui segue : Galileo, ma cancellato : « non abbracciando «la determinazione... modo» (lin. 19), Ga- tutti i particolari». lileo aveva prima scritto, e poi cancellò, W Qui Galileo aveva scritto dapprima, quanto appresso: « quella esser buona regola e poi cancellò, quanto appresso: « Ma più e sicura, la quale comprende sotto di sò tutti vi dico : che la larghezza veramente non ci i casi particolari e non ammette eccezzione al- ha che far nulla. E la ragione è, perchè, fate cuna, e non quella che patisce eccezzioni e non ligure larghe quanto vi piace, mai non gal- comprende se non alcuni casi particolari *. leggeranno, se non quando averanno quella 684 CONSIDERAZIONI problema, per esser vero ed universale, non doveva esser proposto come fa Aristotile: « Per qual cagione il ferro o ’l piombo in falde larghe galleggia etc.? »; ma sì doveva dire: « Per qual cagione il ferro assottigliato galleggia? »: sia poi nell’assottigliarsi ridotto in una pia¬ stra, in un nastro o in un Ilio, questo niente importa, perché sempre e nel medesimo modo per appunto galleggia. Ma perché Aristotile* credette che fatto in un 10 filo non galleggiasse, però s’ingannò nel propor la questione, come anco nel solvorla. Se voi, Sig. Colombo, arete (2> inteso questo, conoscerete che il Sig. Ga¬ lileo ha, in questo ultimo luogo ancora, discorso non men saldamente io che nel resto : che poi l’altra parte di questo medesimo discorso sia parimente vera, credo esser manifesto a chiunque P intende. Egli dice, che quando ben fusse vero che la renitenza w alla divisione fosse la propria cagione del galleggiare, meglio gallcggerebbono le figure più strette e corte, die le più spaziose; sì elio tagliandosi una falda larga in molte striscio c quadretti, meglio galleggerebbono queste parti che tutta la falda intera, intendendo questo non assolutamente, come vorreste voi, sì che ogni striscia per sé sola meglio si soste¬ nesse e maggior peso reggesse che tutta la falda intera; ma fatta comparazione della grandezza della striscia con quella della falda, la 20 striscia a proporzione più reggerebbe elio la falda : e questo depende da quello che dice il Sig. Galileo, cioè perche nel dividere la falda si cresce assai il perimetro, secondo ’l quale si fa la divisione nell’acqua. Ma se voi voleste comparar la forza della striscia con quella della falda larga assolutamente, la proposizion (V ’ sarebbe vera nè più nò meno, piu- che i corpi fussero eguali. Mi dichiaro. Pigliate, Sig. Colombo, due pezzi di piombo d’una libbra l’uno, e di uno fatene una falda quadrata assai sottile, e l’altro tiratelo in una striscia lunga, v. g., dieci braccia, ma di grossezza eguale all’altra falda, sì che di lar¬ ghezza resterà manco d’un dito : dicovi che assolutamente la striscia so galleggerà meglio e sosterrà più peso che la falda (dato però che fusse vera la causa del lor galleggiare posta da voi e da Aristotile). E questo tal grossezza, e non maggiore : e all’incontro, ininazione s’lm da riconoscer dalla grossezza ponete una tal grossezza e, senza riguardo sola, e niente dall’altre dimensioni», alcuno dell altre dimensioni, allungate e di- **i I,n stampa: fatto un /ilo. latate, assai o poco, quanto piace a voi, la W La stampa : aceto. lunghezza e la larghezza; tutte le figure gal- < s > La stampa: resistenza. leggeranno sempre. Adunque tutta la deter- La stampa: proporzione. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 085 ò manifesto : perché quanto alla quantità della, superficie che posa su l’acqua, taiit’ò grande l’ima quanto l’altra; ma quanto al perimetro, la striscia lo potrà avere due, quattro e dieci volto maggiore: adunque la resistenza alla divisione, che si trova nelle parti dell’acqua che sono intorno al perimetro, sarà due, quattro o dieci volto maggiore nella striscia che nella falda larga. Ma il non aver voi capito nè questi termini nè qiielli, v’ha fatto scriver molte fallacie, quali sono le infrascritte: Prima, voi dite [piar. 3<>G, Un. 13-15]: Chi non conosce che la (/rossezza del solido ed il peso si vanno accrescendo e diminuendo per causa della figura? io Se quella cresce w in larghezza, e questi scemano; se quella si diminuisce, e questi augumentano : proposizioni inaudite e falso, non avendo che far niente la mutazion della figura con l’alterazion della gravità. Ma se pur volete, Sig. Colombo, darle qualche azzione, bisogna che voi gli concediate questa che scrivete e la contraria ancora, secondo che sarà necessario per il bisogno vostro, e converrà che voi diciate che la dila¬ tazione di figura scema il peso quando piace a voi, ed anco lo cresce quando n’ avete di bisogno: e così quando il crescer la figura v’ ha da servire per impedir al solido l’andar al fondo, bisognerà che ella gli diminuisca il peso; ma quando poi vi bisognerà che ella gli proibisca 20 il venir a galla, converrà che ella gliel’agumenti. Parv’egli, Sig. Co¬ lombo, che se ne possili dir delle più sconcio di quelle che voi fate dire al Sig. Galileo? Secondo, voi dite fpag. 3(56, fin. 15-17] che la gravità concorre all’ope¬ razione insieme con la figura, ma che la figura opera come princi¬ pale. Ma come vi sete già scordato d’aver letto in Aristotile, e detto più volte voi stesso, tal operazione riseder essenzialmente nella gravità o leggerezza, e secondari am ente e per accidente nella figura? Terzo, voi dite [png. 366, li». 20-24] esser sofisticheria il dir che le figure larghe, accresciute e scemate, galleggiano come prima; perche, se ben è vero so che V une e V altre galleggiano, le più larghe galleggiano con più efficacia, poiché reggerébbono addosso maggior peso le più larghe che le più strette, senza calar al fondo. Questo che dite voi è falso; quel che dice il Sig. Ga¬ lileo è vero e non sofistico, ma non è inteso da voi. E la ragione di tutto questo è, perchè il Sig. Galileo dice che le parti di una gran falda ta¬ gliata galleggiano come prima; ma questo galleggiar come prima non vuol dir che ciascuna di loro sia atta a sostenere tanto peso quanto (l) La stampa: Se quella figura cresce. CONSIDERAZIONI 086 tutta la falda intera, ma vuol semplicemente dire ohe Tesser di minor ampiezza non lo fa andar in fondo. Quanto poi al galleggiar con effi¬ cacia, non pur galleggiano come prima, ma più efficacemente ; perchè una falda che possa regger, v. g., cento grani di piombo, tagliata in cento quadretti, ogn’un di loro reggerà il suo grano e qualche cosa di più, rispetto all’accrescimento del perimetro; o vero se una tal falda si tirasse in una striscia lunga e stretta e della medesima sotti¬ gliezza, ella reggerebbe (conT anco di sopra ho dotto) molto più, avend’ il perimetro molto maggiore (e ricordatevi che ora si parla ad hominem , cioè posto che fusse vero, la causa del galleggiare esser nella io resistenza alla divisione). Ondo resta falso quel che voi soggiugnete [pag. 367, lin. 12-15], cioè che fatta comparazione tra le figure più o meno larghe semplicemente, meglio galleggia la più larga che la più stretta, e maggiormente resiste, se ben cavata del medesimo legno e grossezza. Questo, dico, è falso ; perchè se della medesima tavola voi caverete un’ asse quadrata di dieci dita per lato, ed una striscia lunga cento (2) dita e larga uno, queste quanto alla superficie saranno eguali, coni’anco quanto alla grossezza e quanto al peso; nulladimeno la lunga doverà galleggiar più efficacemente della larga, avendo quella dugento dna dita di perimetro, e questa quaranta solamente. E questo, conto ve- so dete (eli’ è la mente del Sig. Galileo), non solamente fa contro ad Ari¬ stotile e contro di voi, che scrivete il contrario, ma, stando nella sua dottrina medesima, dimostra che egli in questo particolare ha diame¬ tralmente filosofato contro al vero, poiché ei dice che le figuro larghe e piane galleggiano, e le lunghe e lo rotonde no. Quarto, il non aver voi ancora inteso quel che sia il perimetro e l’aver creduto che sia l’istessa cosa in una falda che la superficie, anzi pur il non aver capito nulla di tutta la struttura di questa dimo¬ strazione del Sig. Galileo, ha fatto confusamente, e per lo più senza senso, scriver voi, ed attribuire a lui errori puerili, mentre scrivete 30 [png.367, liu.6-8] (parlando al Sig. Galileo dell’assicella tagliata in quadretti piccoli) -.perchè, come dite voi, il peso del quadretto, rispetto alla sua larghezza, è molto minore che il peso del quadro grande rispetto al suo perimetro o (3) Nella stampa il brano tra parentesi: segui di richiamo o con l’espressa avver- « (e ricordatevi... divisiono) », segue alle tema: « la parentesi va qui », che si por- parole : * all’ accrescimento del perimetro » tasse dove 1’ abbiamo collocato noi. (lin. 6); ma nel ras,, dove pur si legge a <*> La stampa: lunga di cento. questo medesimo luogo, l’Autore indicò, con « La stampa : e. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 687 larghezza; e però resiste maggiormente il minore eie. Dovo, prima, chia¬ ramente si vede che voi stimate, il perimetro e la larghezza del qua¬ drato' 1 ’ esser l’istessa cosa; e pur differiscono in genere, essendo quello una linea e questa una superficie, t pigliando per larghezza la piazza e spazio risultante dalla lunghezza e larghezza della falda, come comu¬ nemente 8’ è preso sin qui, e da Aristotile medesimo, quando propose, Gur lata ferramenta de. 1 In oltre, il Sig. Galileo non arebbe detto una sciocchezza tale, qual è il dir che il peso del quadretto piccolo, ri¬ spetto alla sua larghezza, è molto minore che il peso del quadro grande io rispetto alla sua; perchè cpiesto è falso, avendo (come pur egli scrivo in questo medesimo luogo) i detti pesi la medesima proporzione ap¬ punto tra di loro che le dette larghezze, cioè che le lor basi: ma quel che ha detto il Sig. Galileo, e che è vero, non riguarda le larghezze de’quadretti, ma i perimetri, cioè, Sig. Colombo, i circuiti, gli ambiti, i contorni, i lati, che circondano le lor piazze e superficie; e di questi è vero quel che scrive il Sig. Galileo, che il peso del quadretto pic¬ colo, rispetto al suo perimetro, è minor che il peso del grande rispetto al suo' 2 ’. E questo è molto differente dall’altra sciocchezza che a voi pare che il Sig. Galileo non provi e che abbia auto obbligo o inten- 20 zione di provare, mentre scrivete [pag. 367, lin. 35-39]: Ma non provate già voi che ’l minor corpo abbia maggior perimetro del grande, con queste division i geometriche delle quali siate tanto intelligente. Fate a mio senno: attendeteci meglio, e poi non v’ arrisch iate ad ogni modo a far il ìnaestro ad Aristotile. Qui, Sig. Colombo, è molto fuor di proposito il rimproverare al Sig. Galileo che egli non abbia provato con sue geometriche divisioni che ’l minor corpo abbia maggior perimetro del grande, atteso che non cen’ è stato di bisogno. E benché io penetri l’intenzion vostra, eh’ è di burlar con leggiadria il Sig. Galileo, come che egli si fosse obbligato a cosa che al sicuro a voi par impossibile, con tutto questo io voglio so con due atti di cortesia contraccambiar il vostro affetto contrario, ed insieme farvi conoscere che la nota che in questo luogo date al Sig. Ga¬ lileo, dicendogli [pag. 367, lin. 26-27]: se però intendeste quello che dir vole¬ vi La stampa: quadretto. parola, perchè v’interverrà sempre quel che l!) A questo punto Galileo aveva dap- Unte volte v’è intervenuto in questo vostro prima scritto, e poi cancellò, quanto ap- Discorso, ciò è che mentre vi vorrete mo- presso: «Però, Sig. Colombo, un’altra volta strar intendente, vi dichiarerete totalmente quando volete trascriver materie non intese ignudo di quella cognizione ». Cfr. pag. 688, da voi, non v’assicurate a alterar pur una lin. 11-20. GS8 CONSIDERAZIONI vate, si perviene a voi, che al sicuro non intendete quel che dir vi vo¬ gliate. Il primo atto sia il farvi avvertito di cosa clic vi giungerà molto nuova, cioè che non solamente il Sig. Galileo, ma ogn’uno che intenda i primi e puri termini di geometria, da una di queste falde che abbia, v. g., un braccio di perimetro, no taglierà una parte, che sia a vostro beneplacito la metà, il terzo o ’l quarto etc., la quale parte abbia il suo perimetro maggiore del perimetro del tutto due volte, quattro, dieci, ed in somma quanto volte piacerà a voi: o qui voi stesso sete a voi medesimo consapevole, quanto da tal cognizione fosse lontana la vo¬ stra intelligenza. L’altro sia il consigliarvi, in contraccambio delPuv- io vertimento che dato al mio maestro, che quando volete nelle vostre opere trascrivere qualche parte delle scienze non inteso da voi, ed in particolare di queste tanto scrupoloso geometrie, non v’ assicuriate ad alterar o mutar di vostra fantasia pur una parola di quel che tro¬ vate scritto, perchè v’ interverrà sempre quel che avete veduto inter¬ venirvi tante volte nel presento vostro Discorso, cioè che, dove copiando solamente ad verbum, o vero (e questa sarebbe la più sicura per voi) tacendone totalmente, qualcuno poteva restar incerto so voi ne sapeste o no, l’averne voluto parlare, per mostrarveno intendente, v’ha di¬ chiarato del tutto ignudo di tal cognizione. 20 Quinto, voi soggiugnete [pag. 867, lin. 39 — pag. 368, lin. 8] elio la resi¬ stenza non consisto solamente nel taglio che si dee far nella circon¬ ferenza, ma ancora nelle parti dell’acqua sottoposte alla piazza della falda; il che vi si concederà dal Sig. Galileo, ma questo non è d’util alcuno alla causa vostra: avvenga che in due falde fatte di due pezzi di ferro eguali e ridotte alla medesima sottigliezza, quella che fusse più lunga e stretta troverebbe tanto maggior resistenza dell’altra più larga, quanto il suo perimetro fosso maggiore dell’ambito di questa, restando eguali quanto alla resistenza dependente dalle parti dell’acqua sottoposte alle lor superficie, nelle quali altra differenza non sarebbe, so se non ohe le parti soggetto alla pili larga in più lungo tempo ver- rebbono scacciate dal mezzo all’estremità; la qual tardanza non arre¬ cherebbe aiuto alcuno al galleggiar più validamente, come credete voi, perchè il galleggiar si fa senza moto, ma solo al descender più lentamente la larga che la stretta, accidente conceduto sempre dal Sig. Galileo, e stimato da voi, con equivocazione, favorevole alla parte che sostenete. SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. 689 clic Offri un V intenda. Io piglio una falda con dieci palmi di larghezza ed una di due palmi, e le metto neìVacqua : qual di lor due avrà più resistenza alla divisione? Mi risponderete: Quella di dieci palmi. Benissimo. Or fate conto che quel di dieci palmi fusse dodici, e poi ne fosse spiccato quel di due, che tornerà nel vostro argomento de’ tanti quadretti : e così vien chiaro che 11 argomento non vai cosa alcuna. Qual’ è 1’ argomento che non vai cosa alcuna, Sig. Colombo ? questo vostro ridotto a oro per farlo in¬ telligibile, o quel del Sig. Galileo ? A me par che quel del Sig. Galileo io sia intelligibilissimo e concludente, e da questo vostro non ne so trar costrutto alcuno ; dal quale, t già che è ridotto in oro, 1 facciasi giu¬ dizio de’ precedenti discorsi, lasciati in piombo. Se voi, Sig. Colombo, intendeste questa materia, non fareste simili interrogatorii, e non di¬ reste : io piglio una falda con dieci palmi di larghezza ed una di due, senza determinar nulla delle lor figure ; perchè io vi posso dare una superfìcie di due palmi, che abbia tanto maggior perimetro che un’ altra di dieci, che, rispetto alla divisione da farsi secondo detto perimetro, ella trovi maggior resistenza ; come sarebbe se io vi dessi un quadrato di dieci palmi di superficie, che n’arebbe manco di tre- 20 dici di perimetro, ed una striscia lunga otto palmi e larga un quarto, che arebbe pur duo palmi di superficie, ma di perimetro più di se¬ dici ; o pur questa troverebbe maggior resistenza rispetto alla divisione. Ma quand’anco quest’errore vi si perdoni, e vi si conceda che una superficie di dieci palmi trovi maggior resistenza e più efficacemente galleggi che una di due, che ne volete inferire contro al Sig. Galileo, quand’ e’ v’ abbia conceduto ’l tutto ? assolutamente nulla, come po¬ trete intendere se avete capite le cose dette sin qui (1) . Settimo, posto che la causa del galleggiar le falde gravi depen- 13-11. inierrogatorli. E prima, non direste — 15. nulla delle lor lunghezze ; perchè io farò la stretta tanto }ìiù lumia , che ironf.c al contenuto delle lineo 15-22, si leg- «* si può assimigliare il desiderio, P ap¬ rono, di pugno di Galileo, i due frammenti petito e ’l discorso, che danno i Peripatetici die seguono : alle coso inanimate, alle favole d 1 Esopo che «Dichiara il resistere alla velocità con fanno parlar le piante etc. » IV. 87 690 CONSIDERAZIONI desse dalla resistenza doli’acqua all’esser divisa, avea considerato il Sig. Galileo la divisione che si fa tra le parti dell’ acqua che sono intorno al perimetro della figura e quelle elio gli son sotto, e come, in consequenza, quanto maggior fosse il perimetro, maggior si tro¬ vasse la resistenza; per lo che, parlando in questo proposito, scrisse che crescendosi o scemandosi le superficie, crescono o scemono i lor perimetri, cioè le resistenze che trovano in fender 1 * acqua. Contro al qual dotto voi insurgete, e dite [png. 368, Un. 14-16]: I perimetri poi, che vengon da voi chiamati col nome di resistenza, non so io vedere perchè, si dcb- bon domandare con tal nome; se già non lo faceste per generare maggior con- io fusione, come de gli altri termini. In questo, Sig. Colombo, non voglio tórre a difendere il Sig. Galileo, essendo veramente il maggior errore che egli abbia commesso in tutto il suo trattato, e però meritevole della vostra censura. Solo voglio elio mi concediate che io faccia av¬ vertito ’l lettore eh’ e’ consideri qual sia la disposizione del vostro in¬ gegno all’intendere scienze e snodar lor difficoltà, se cotali nomi e termini generano in voi sì gran confusione : voglio anco che mi cre¬ diate che il Sig. Galileo non arebbe commesso tal errore con usargli, se egli avesse creduto trovarsi al mondo ingegni che fusser per restarne confusi e che non avessero mille volte, non che una, osservato nomi- 20 narsi la causa per l’effetto e 1 ’ effetto per la causa, con metafore tanto più remote di questa, quanto, senza preparamento di parole prece¬ denti, durissima cosa parrebbe che le lagrime d’un amante avesser a importare la sua donna; e pur leggiadrissimamente disse ’l Petrarca: E ’l Ciel elio del mio pianto or si fa bollo. 10 direi che voi medesimo avreste senza nota potuto dir molte volte, e forse V avete detto, v. g. : « crescendo la larghezza della falda, cioè crescendo la difficol tà al dividere V acqua etc. » ; ma non per questo pretenderei con V esempio vostro far men grave la colpa del Sig. Ga¬ lileo, perchè a voi è lecito senza nessuno scapito deviar della dritta so strada del filosofare cento miglia ad ogni passo, elio a lui non s’am¬ metterebbe il deviar un dito solo in tutto il cammino. Credo, Sig. Colombo, che da quanto avete sin qui sentito, e da quello che potrete sentire nelle sequenti risposte agli altri oppositori, assai chiaramente si comprenda quanto puntualmente si sia verificato 11 detto che attribuite al Sig. Galileo in proposito delle qualità de’ con- SOPRA ’L DISCORSO DEL COLOMBO. GDI traclittori e delle contradizioni che si poteva aspettar clic fusser fatte al suo trattato; t il qual detto fu, che di quelli ch’avessero ’nteso ’l suo trattato, nissuno al sicuro si sarebbe messo a contradirgli. | Potete anco vedere coni’ egli non si serve del silonzio per quell’ ultimo e disperato scampo che insegna Quintiliano ; chè se io, che son suo discepolo, ho potuto avvertire una parte de gli errori che commettete in tutte le vostre opposizioni, potete ben credere che egli molti più ne averebbe notati, e molto più gravi, quando si fosse messo a si¬ mile impresa. Staremo ora attendendo il consiglio al quale vi appren- 10 derete voi, già che il tacere, come dite, è da disperati e convinti ; il gettarsi interamente alle mordacità e punture, ha troppo de l’inci¬ vile; le burle e facezie non convengono con la filosofia; il confessar d’ aver errato e ’l mostrarsi docile e grato a chi ci abbia insegnato il vero, da molti vien riputato atto poco generoso (se ben io lo stimo nobilissimo) ; il risolversi a empier le carte di parole lontane da tutti i propositi e prive di costrutto e sentimento, non è partito da pren¬ dersi se non da quelli che si contentano dell’ applauso del vulgo, il quale tanto più stima le cose, quanto meno l’intende, atteso che le inteso da lui son tutte da sprezzarsi ; e finalmente il contradire con 20 ragioni alle verità dimostrate, quali son quelle del Sig. Galileo, è del tutto impossibile, etc. EL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. Perchè (Pillo cose notate di sopra intorno al Discorso Apologetico del Sig. Lodovico dello Colombe dipende la soluzione della maggior parte dell’ instanze del Sig. Grazia, io, per non aver senza necessità e con tedio del lettore a replicar le cose medesime, terrò metodo diverso dal precedente ; e senza esaminar tutti i particolari, ridurrò io sotto alcuni capi quei luoghi no’ quali mi è parso che questo Autore non abbia interamente sfuggito il potere esser notato e avvertito. Anderò, dunque, prima considerando alcuni luoghi ne’quali mi par che egli declini da i buoni precetti logici. Esaminerò secondariamente diversi suoi discorsi e ragioni alquanto frivole e, per mio parere, non ben concludenti. Nel terzo luogo saranno riportate varie esperienze false o contra- rianti all’intenzion dell’Autore. Porrò nel quarto luogo non poche sue manifeste contradizioni. Nel quinto luogo saranno registrati alcuni passi del testo del 20 Sig. Galileo, alterati e non fedelmente prodotti dal Sig. Grazia. E finalmente andrò considerando alcuni luoghi dell’Autore, i quali mi par che sieno senza senso o di senso contrario alla sua mente, ed insieme noterò alcune esorbitanze assai manifeste 1,1 . 111 Da » Considerazioni » (lin. 1) a « ma- propriamente da quella medesima la quale ci infeste - ò scritto da mano di amanuense, e occorse indicare a pag. 539, nota 1. (194 CONSIDERAZIONI ERRORI IN I.OOICA. Che il Sig. Grazia non abbia perfettamente silogizato e conclu¬ dentemente discorso, credo che facilmente si possa raccòrrò da tutti quei luoghi, dove egli di suo proprio ingegno si mette a voler di¬ mostrare alcuna cosa. Ma per additarne (n qualche particolare, comin¬ ciamo a considerare il primo argomento elio egli scrive, che è nella prima faccia [pag. 379] del suo trattato, dove, volendo provare contro al Sig. Galileo che il ghiaccio sia acqua condensata per virtù del freddo, e non rarefatta, suppone per vero e notissimo nell' istessa prima pro¬ posizione quello di che si dubita, scrivendo piu. 20-21] : Egli non è io dubbio alcuno eh’e’semplici elementi si condensano dal freddo, e dal caldo si rarefanno. Ma questo è appunto quello che è in quistione : perché che il ghiaccio si faccia d’ acqua, che si faccia mediante il freddo, e che 1’ acqua sia uno de gli elementi semplici, è conceduto da ambe le parti, e solo si dubita se tale azzione si faccia condensando l’acqua o rarefacendola ; la qual cosa vien presa dal Sig. Grazia per notissimo accadere per condensazione, ponendo per indubitato questa esser az¬ zione del freddo. Aggiugne poi al primo il secondo mancamento, vo¬ lendo confermar quest’ assunto con un’ esperienza molto più ignota, scrivendo ciò sensibilmente apparire nella generazion dell’ acqua e 20 dell’ aria. Ma dove, come 0 quando si vede pur solamente la gene¬ razion dell’ acqua o dell’ aria, non elio sensibilmento apparisca questa o quella tarsi per condensazione o per rarefazione ? In oltre egli me¬ desimo da por sò stesso si condanna e scuopre ’l difetto del suo as¬ sunto, perchè, dovendo esser le proposizioni che si prendono per prin- cipii notissime ed universali, egli stesso doppiamente dubita circa a questa sua, ed è forzato a limitarla. Dubita prima delle saette, nelle quali, contro all’ assioma supposto, pare che ’l freddo abbia virtù di generare ’l fuoco, che è ’l più sottil degli elementi. L’ altra dubi¬ tazione nasce dalla gragnuola, nella quale sembra che ’l calore abbia so virtù di condensare. Ma se questo assunto deve in alcuni casi esser limitato, egli è mal buono per dimostrar nulla necessariamente, per¬ chè altri può sempre dire che la questione particolare di cui si 111 La stampa: additare. APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 695 disputa è uno de’ casi eccettuati, e elio posto che molte cose si con- densino dal freddo, il ghiaccio è di quello che si fanno dal freddo por rarefazione ; il che si vede venir dotto non men ragionevolmente che l’altra proposizione posta dal Sig. Grazia, che la grandine si fac¬ cia dal caldo per condensazione <1) . Dicasi, di più, che la sua medesima inconstanza manifesta quanto debilmente sia fondato il suo discorso; poiché nell’ assegnar la cagione del convertirsi le esalazioni calde e secche in sottilissimo fuoco, egli l’attribuisce ad una gran condensa¬ zione ed unione di esso esalazioni, scrivendo in questo medesimo luogo io [pag. 379, lin. 25-27]: II freddo, condensando le nugole, dì tal maniera unisce Vesalazioni calde, e secche le quali per entro le nugole .si ritrovano, die elle ne divengono sottilissimo fuoco. Ma se ’l fuoco è, come pur egli afferma, il più sottile degli elementi, ed in consoquenza di tutti i misti ancora, dovrebbono l’esalazioni, nel convertirsi in fuoco, rarefarsi, e non gran¬ demente unirsi. Nè più saldamente discorre mentre, per assegnar la ragione come dal caldo possa prodursi la grandine, ricorre all’ an- tiperistasi avendo in pronto, anzi in mano, altra cagione più facile ed intelligibile. Perciò che, scrivendo che il freddo condensa le nugole, e che le nugole uniscono 1’ esalazioni, si che divengono fuoco, ben 20 poteva più direttamente dire che le nugole condensate dal freddo divenivano grandine ; anzi non solo più direttamente, ma senz’ in¬ correr in contradizione, coni’ egli ha fatto, ponendo senza veruna necessità nell’ i,stesso tempo e nel medesimo luogo il caldo e ’l freddo per produrre il medesimo effetto, dico ’l freddo per condensar le nu¬ gole, e ’l caldo per ridurle in grandine : la qual semplicità vien tanto più discoperta, quanto che noi veggiamo la medesima grandine scesa nell’ aria bassa e calda in brevissimo tempo dissolversi ; dove per salvar la dottrina del Sig. Grazia bisognerebbe trovar caldi che per lo eircondamento congelassero 1’ acqua, ed altri caldi che la lique- ao facessero, ed in somma ricorrere a quelle distinzioni che sogliono far tacer altrui, perchè non sono intese nè da chi 1’ ascolta nè da chi le dice. Pecca gravemente in logica nel principio della face. 10 | pag. 381, Un. 12-itì], ed il peccato è di provare idem per idem, ponendo per noto e concesso quello che è in contesa. Il progresso è tale. Vuole il Sig. Grazia Da * il che si vede venir dotto » (lin. 3) mano di (die a pag*. 693, nota 1. a * condensazione» è scritto dalla medesima Manoscritto e stampa: andipertstasi. C96 CONSIDERAZIONI provare die il ghiaccio sia acqua condensata, e non rarefatta; e l’argo¬ menta da un segno, che è che le cose nel condensarsi divengono molto più dure : ma che le cose nel condensarsi divulghino più dure, lo prova col senso, dicendo che ciò sensibilmente si vede nel ghiaccio. Nè maggior intelligenza di logica mostra a face. 11 [pag.382, Hn. 12-13], dove egli, scrivendo tutto l’opposito di quello che è vero, chiama dimo¬ strazione universale quella che assegna la cagione do i movimenti e della quiete nell’acqua de i corpi semplici appartatamente, e particolar quella che ciò dimostrasse di tutti i corpi semplici e de’ composti insieme. Ma chi dirà, altri che ’l Sig. Grazia, che meno universale io sia quella dimostrazione che conclude un accidente di tutti i corpi naturali insieme, che quella che prova l’istesso dogli elementi so¬ lamente ? Quanto sia fuori di proposito nella presente materia quello che il Sig. Grazia va notando intorno a i diversi modi di considerar e dimostrare del naturai filosofo e del matematico, facilmente si potrà da quel che segue comprendere. Egli, alla face. 15 [ pag. 385, lin. 25-37], immaginandosi, per quanto io credo, di poter con un discorso gene¬ rale atterrar tutto ’l trattato del Sig. Galileo, metto in considerazione, quanto s’ingannino coloro che vogliono dimostrar le cose naturali con 20 ragioni matematiche, essendo queste due scienee tra di loro differentissime. Jmperciochè lo scientifico naturale considera le cose naturate che hanno per propria affezione il movimento, dal quale il matematico astrae: il naturale considera la materia sensìbile de ’ corpi naturali, e per quella rende molte ragioni de’naturali accidenti; e il matematico di quella niente si cura : si¬ milmente, trattandosi del luogo, il matematico suppone un semplice spazio, non curando se è ripieno di questo 0 di quell’ altro corpo ; ma ’l naturale grandemente diversifica tino spazio da xvn altro, mediante i corpi da clie u) vien occupato, onde la velocità e tardità de’movimenti naturali adiviene: e benché l naturale traiti delle linee, delle superficie e de’ punti, ne tratta come so finimenti del corpo naturale e mobile ; e ’l matematico, astraendo da ogni movimento, come passioni del solido, che ha tre dimensioni. Ora, posto per vero tutto questo che produce il Sig. Grazia, se ben molte difficoltà ci si trovano, ma vano sarebbe il promuoverle, perchè la confutazione di tali asserzioni sta nell’ esser fuori di propòsito in questo luogo, e (l) La stampa: chi. APPARTENENTI AL LIBRO DHL BIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 697 non nell’esser false; tuttavia ammessele, come io dico, per vere, egli lo lascia sospese in aria, nò punto le applica, come doveva fare, al trattato del Sig. Galileo, mostrando che egli pecchi nelle quattro so¬ prascritte maniere : e veramente è stata sua disgrazia il non venire a tale applicazione, perchè venendovi si sarebbe accorto de’ suoi er¬ rori, nò avcrebbe scritte sì gravi esorbitanze. Voi dite, Sig. Grazia, che ’l Sig. Galileo lia errato, trattando quistioni naturali con metodi non naturali, ma matematici ; dichiarando poi in che differisca il na¬ turale dal matematico, dite prima che 7 naturale considera le cose na¬ ia turate che hanno per propria affezione il moto, dal quale 7 matematico astrae. Ma se voi considererete ’l Discorso del Sig. Galileo, voi tro¬ verete sempre trattarsi de* corpi naturali congiunti col moto in su o (1) in giù, tardo o veloce. Secondariamente, voi non troverete che egli mai gli separi dalla materia sensibile, ma sempre gli considera esser o di legno o di ferro o d’ oro o d’ acqua o d’ aria etc. Terzo, trat¬ tando egli del luogo, mai non lo considera come un semplice spazio, ma sempre ripieno o d’acqua o d’aria o d’altro corpo fluido, più o nien denso, più o inerì grave, e quindi ne arguisce la tardità o ve¬ locità de’ movimenti. E finalmente, egli non considera mai le linee e 20 le superficie se non come termini de’corpi naturali, cioè dell’acqua, dell’ aria, dell’ ebano, del piombo, etc. Attalchè io non so vedere qual cosa vi abbia indotto a voler riprendere il Sig. Galileo in quello dove egli punto non trasgredisce le vostre medesime prescrizioni, anzi pun- tualmonte le osserva ; ed entro in sospetto che voi veramente molto poco abbiate letto il suo libro, meno consideratolo, niente inteso, e che avendo voi sentito dire che il Sig. Galileo è matematico, vi siate persuaso che o’ non possa avere scritto d’ altro che di semplici linee o figure o numeri. Seguita il Sig. Grazia nella seguente face, lfi rP a ff- 386 > l* n - 2-29.1 di so confermar nel lettore 1’ opinione dell’ esser lui poco intendente di logica e di quello che sieno i metodi delle scienze, mentre egli agra¬ mente riprende alcune definizioni proposte dal Sig. Galileo, e si scuopro non sapere che nell’imposizioni de’ nomi e nelle definizioni de’ termini ciascheduno ha liberissima autorità, e che simili definizioni altro non sono che abbreviazioni di parlare : come, per essempio e per sua in- (1) La stampa: c. IV. 88 698 CONSIDERAZIONI teliigonza, facendo di bisogno al Sig. Galileo frequentemente rappre¬ sentarci all’ intelletto corpi affetti talmente di gravità, che prese di essi eguali moli si trovino essere anco eguali in peso, per fuggir questo circuito di parole, si dichiara da principio volergli chiamare corpi egualmente gravi in specie; ed era in arbitrio suo il chiamargli in qualsivoglia altro modo, senza meritar mai biasimo da professore al¬ cuno di quella scienza, purché nel servirsi di tal definizione egli non la prenda mai in altro significato. Ma quando pur sopra i nomi si avesse a suscitar contesa, non doveva il Sig. Grazia abbassar tanto la professimi che e’ fa di filosofo, ma lasciar tal lite a’ grammatici. Ben io è stata ventura di Archimede e d’Apollonio Pergeo, che il Sig. Grazia non si sia incontrato ne i nomi che loro imposero a tre delle sezzioni coniche, chiamando questa parabola, quella iperbole, e quell’altra ellipsi, perchè, avendo egli forso saputo che questi prima furon nomi di figure retoriche che di figure matematiche, ne arebbe loro con¬ teso 1’ uso. Aggiungasi di più, che di queste definizioni veramente il Sig. Grazia non ne ha intese nissuna, e perciò forse le ha volute ri- mutare, ed aggiugnendo errore sopra errore gli è parso poi che il Sig. Galileo non ritrovi nè i veri sintomi nè le buone dimostrazioni; come accaderebbe a quello che prima dannasse Euclide del chiamar 20 cerchio quel che egli vuol nominar triangolo, e triangolo quello che egli vuol chiamar cubo, e poi dicesse che lo passioni dimostrate da Euclide ne’ cerchi, ne’ triangoli e ne’ cubi fosser tutte false, e le di¬ mostrazioni difettose, consistendo veramente tutto ’l male nella sua gravissima ignoranza, e non in Euclide. Pecca non leggiermente in logica alla face. 20 f pa-R- 388-389], dove, per destrugger tutte le dimostrazioni del Sig. Galileo in una volta, si mette a scoprir la falsità de’ principii sopra i quali elleno si appog¬ giano : e benché tali principii sieno f dal Sig. Galileo posti \ due sola¬ mente, cioè che pesi eguali e mossi con eguali velocità siano di pari so virtù nel loro operare, e l’altro che la maggior gravità d’un mobile possa esser contraccambiata dalla maggior velocità d’ un altro men grave, il Sig. Grazia nondimeno ne confuta sei, tra i quali nè anco sono questi due. Scrive dunque così [p»g. 388, lin. 38 - pag. 389, lin. 3] : Perchè tutte le dimostrazioni del Sig. Galileo son fondate sopra principii falsi, per non perder tempo in vano, ho giudicato esser tiene il tralasciar questa fatica. Il 24-25. sua crassissima ignoranza — APPARTENENTI AI, LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. G99 che sarà facile il dimostrare. Il primo principio è, che egli non fa la sua di¬ mostrazione universale : imperdochè egli dimostra il movimento degli elementi e de’ misti sotto una medesima dimostrazione e per una medesima cagione ; la qual cosa quanto sia falsa, abbiamo già detto. Ma io, Sig. Grazia, non solamente non so elio alcuna dimostrazione del Sig. Galileo sia fondata su questo che voi numerate per il primo principio falso, ina non so che sia nè possa esser principio di dimostrazione alcuna. In oltre, non so qual logica insegni che manco universale sia una proposizione che dimostra una passione del corpo semplice e del fnisto insieme, che io quelle che ciò provassero prima dell’ uno e poi dell’ altro separata- mente. Numera il Sig. Grazia per il secondo principio falso, sopra il quale il Sig. Galiloo fonda le sue dimostrazioni, il voler dimostrar le cose naturali con matematiche ragioni. Ma in ciò s’inganna il Sig. Grazia, perchè il Sig. Galileo mai non si serve in alcuna sua dimostrazione di tal principio ; nè questo può chiamarsi principio, nè il Sig. Galileo ha punto errato nel dimostrar cose naturali con altre ragioni che naturali, come di sopra si è detto. Quanto al terzo principio, che il Sig. Galileo neghi la leggerezza positiva e solo affermi, le cose che ascendono 11 ' esser mosse dallo scacciamento del mezzo più grave, credo 20 io ancora che così sia : ma nego bene al Sig. Grazia che di tal pro¬ posizione si serva il Sig. Galileo per principio in alcuna delle sue di¬ mostrazioni, sì che ella ne cadesse in terra quando ben tale assunto fusse distrutto; perchè trattandosi principalmente di corpi gravi, che tutti nell’aria descendono, e la maggior parte anco nell’acqua, è ben certo che non possono esser mossi in su da leggerezza. Quello che nel quarto luogo viene assegnato dal Sig. Grazia per principio supposto dal Sig. Galileo, cioè che nell’acqua non sia resistenza all’esser divisa, non è vero che sia supposto, anzi e’ lo prova con molti mezzi : ma è bene equivocazione nel Sig. Grazia, non solo in questo luogo, ma 30 in cent’ altri in questo suo libro, non avend’ egli mai potuto inten¬ dere che differenza sia tra il resistere all’ esser diviso e ’l resistere all’ esser mosso velocemente ; e negando il Sig. Galileo solamente nel- 1’ acqua la resistenza all’ esser divisa, il Sig. Grazia, credendo di con¬ fermar tal resistenza, sempre conclude di quella che ha 1’ acqua all’esser mossa con velocità, la qual resistenza non è mai stata ne- 1,1 La stampa: ascendino. 700 CONS1DKUÀZIONI gata dal Sig. Galileo. Nota noi quinto luogo, conio principio supposto dal Sig. Galileo, la resistenza che fa 1’ acqua ad esser alzata sopra il proprio livello, e insieme nega la medesima resistenza, dicendo" 1 che non è nulla o cosa insensibile. Questo vien ben supposto per vero dal Sig. Galileo, ma non già nominatamente, essendo cosa tanto mani¬ festa, che ben si poteva creder esser poco meno che impossibile che pur un uomo solo fosse per trovarsi al mondo che non la sapesse e intendesse. E veramente ò cosa mirabile, che il Sig. Grazia non abbia tra mill’ altre esperienze che di tal effetto si possono avere, incontrata quella di mettore un bicchiere sott' acqua, sì che si empia, e osser- io vato come nel tirarlo in alto con la bocca all’in giù, mentre e’va per P acqua non si sente poso nissuno, se non quel poco del vetro, ma ben comincia poi a sentirsi gravità come prima una parte dell’acqua contenuta nel bicchiere comincia a entrare nella region dell’aria, e tanto maggiore (pianto maggior quantità <1’ acqua si inalza ; dove si sente quell’ istesso peso appunto, che se tal acqua fosse del tutto se¬ parata dal resto o posata in aria. Registra per il sosto e ultimo prin¬ cipio falso, l’aver il Sig. Galileo mal definiti i termini de’quali si serve nello sue dimostrazioni: la qual cosa primieramente è falsa, perchè le defìnizion do’ termini, sondo arbitrarie, non possono mai 20 esser cattive; ma poi è fuori di proposito, perchè le definizioni de’ter¬ mini non posson depravar le dimostrazioni, se non (piando essi ter¬ mini tosser definiti in un modo e applicati poi allo dimostrazioni in un altro ; la qual fallacia nou so che sia stata commessa dal Sig. Ga¬ lileo, nè il Sig. Grazia la nota. Viene dal Sig. Grazia, alla face. 37 [pag. 402], imputato il Sig. Ga¬ lileo di mancamento di logica, poiché, volendo egli provare per indu¬ zione che nessuna sorte di figura poteva indur la quiete nei corpi mobili, non aveva dimostrato ciò accadere in ogni sorte di figura, ma nella cilindrica e piramidale solamente ; e scrive così [lin. 24 - 29 ] : il la so noti l Sig. Galileo, che a voler provare per induzione una proposizione uni¬ vo sale, bisogna pigliar tutti i particolari sotto di essa confondi, e non, come 01 Le parole « nel quinto luogo, come principio supposto dal Sig. Galileo - , o lo altre « e insieme nega la medesima resi- Btenza », sono della medesima mano di che a pag. (>‘13, nota 1 . Galileo aveva scritto: - Nota por il quinto principio, ed insieme nega, In resistenza elio fa l'acqua ad essere alzata sopra il proprio livello, dicendo*; e lo parole - per il quinto principio ed insieme nega* sono cancellate. APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 701 egli fa, due o tre ; imperciochè, quantunque la figura piramidale e la cilin¬ drica non cagioni la quiete, non per questo si può dire che niuna figura la cagioni , ma Insogna ancora che 7 quadrangolo, il triangolo e 7 piano non lo cagioni. Lasciando di dichiarare quanto queste ultime parole manife¬ stino il suo autore nudo di ogni minima cognizione di geometria, avvertirò solo quanto si dicliiari cattivo logico, poiché egli non in¬ tende die P induzione, quando avesse a passar per tutti i particolari, sarebbe impossibile o inutile: impossibile, quando i particolari fossero innumerabili; e (piando e’ fnsser numerabili, il considerargli tutti io renderebbe inutile o, per meglio dir, nullo il concluder per indu¬ zione ; perchè, se, per esempio, gli uomini del mondo fossero tre so¬ lamente, il dir : * Perchè Andrea corre, e Iacopo corre, e Giovanni corre, adunque tutti gli uomini corrono », sarebbe una conclusione inutile e un replicar due volte il medesimo, come se si dicesse : « Perchè Andrea corre, Iacopo corre, e Giovanni corre, adunque An¬ drea, Iacopo e Giovanni corrono ». Ed essendo che per lo più i parti¬ colari sono infiniti, come accade nel nostro caso delle figure differenti, assai forza si dà all’argomento per induzione quando l’affezzione da di¬ mostrarsi si prova (M di quei particolari che massimamente apparivano 20 meri capaci di tale accidente, perchè poi, per la regola si de quo minus, si concludo l’ intento. Onde il Sig. Galileo, che doveva dimostrare, contra P opinione de’ suoi avversari, che di tutte le figure fatte della materia medesima si sommergevano eguali porzioni, stimando quelli che delle più larghe minor parte se ne sommergesse, assai sufficientemente aveva provata P intenzion sua ogni volta che egli avesse paragonate le più larghe con le sottilissime e acute, quali sono le piramidi o i rombi solidi, e mostrato tra loro non cader diversità alcuna, tuffan¬ dosi di ambedue le medesime porzioni. Certo errore che si legge alla face. 51 [pag. 413 , lin. 2 - 4 ] è tanto ma- 3o feriale, che merita più tosto nome di errore di non saper parlare, che di error di logica. Le parole son queste: A questo s’aggiugne, che un molile eguale di gravità o leggerezza ad un altro, ma diseguale di figura, si muove più velocemente nell’acqua che quell’altro non fa. E quale, Sig. Gra¬ zia, di questi due mobili è quello che si muove più velocemente del¬ l’altro? Se più velocemente si muove, come dite voi, quello che è La stampa: da dimostrarsi prova. 702 CONSIDERAZIONI (liseguai di figura, bisogna che ambitine si innovino più velocemente l’uno che l’altro, perchè ambulue sono diseguali ili figura l’uno dal- l’altro. Il Sig. Grazia alla face. 69 [pag. 426, lin. 7-10] riprende il Sig. Galileo del non sapere che cosa siano le conclusioni, e scrive così : Io non so perchè il Sig. Galileo dica che Aristotile propone un’altra conclusione, se conclusione è quella che da argumento depende, non avend’egli fatto argo¬ mento alcuno : egli si doveva più tosto dire, da poi che si ha da trattare de’ termini fanciulleschi, una quistionc, un problema, una proposizione etc. Perchè io so che il Sig. Grazia sa che sotto nome di conclusioni si io comprendono non solo le proposizioni dimostrate, ma quelle ancora che si propongono per disputarsi o per dimostrarsi, e so che egli non è stato tanto poco per gli Stridii, che non possa aver veduti i fogli e i libri interi pieni di problemi o proposizioni stampate con nome ili con¬ clusioni, non dopo l’essere state difese disputate e sostenute, ma molti giorni avanti, però non so immaginarmi qual cosa lo possa avere in¬ dotto a scrivere in tal maniera, altro che un desiderio più che ordi¬ nario di contradire. Vegga in tanto il Sig. Grazia chi è quello che pecca d’ignoranza ne’ termini fanciulleschi. DISCORSI E RAUIONI FRIVOLE E MAL CONCLUDENTI. n) 20 Cascano sotto il genere delle ragioni molto frivole e di nissuna efficacia le infrascritte. Dopo che il Sig. Grazia, a face. 12 [pag. 382], concluse che gli elementi son quattro, ne inferisce [lin. SD—iO) esser necessario che loro abbino quattro movimenti naturali distinti, sì come fra di loro son distinti nelle qualità. Questa conseguenza è tanto poco necessaria, che i medesimi che la deducono, nel ricercar poi quali sien questi quattro movimenti, non ne trovano se non due, cioè in su e in giù, e son costretti a ricoi’- rere alle solite distinzioni di sinipliciter o respective per fargli doventar quattro. Onde io stimo che molto meglio filosofi quello che dice, che so dovendo 141 gli elementi formar di loro una sfera, è necessario che tutti kul margino della carta, di fronte a tile non ò un mostrar che la sua dottrina questo titolo, si legge nel manoscritto, di aia buona, ma solamente che egli non si con- pugno di Galileo e cancellato, quanto ap- tradice ». pxesso. «il difender Aristotile con Àristo- (*• La stampa: dice, dovendo. APPARTENENTI A E LIBRO DEL SIG. VTNOENZIO DI GRAZIA. 703 conspirino al medesimo centro, o abbino da natura tale inclinazione, che poi è stata nominata gravità, la quale, perchè non è in tutti eguale, fa che i più potenti più s’abbassano (,) ; e leverei in tutto l’inclinazione verso la circonferenza, come destruttrice della concorde conspirazione al formare una sfera quale è l’elementare. Ed all’argumento che pur in questo luogo produce il Sig. Grazia por confermar che di necessità il moto verso la circonferenza debba esser naturale di qualche corpo, dicendo che se ciò non fusse, tal movimento sarebbe fuor di natura d’ogni corpo naturale, non potendo il cielo muoversi di tal maniera, io il che reputando egli per grand’ assurdo, essaggera con ammirazione, scrivendo [por. 383, Un. 16-19] : Ma chi direbbe r/ìà mai che un moto fosse contr’a natura a un mobile, se non fusse secondo la natura di un altro ? essendo di necessità l’essenziale prima che Vaccidentale, ed il naturale del non naturale, a tal argomento, dico, si risponderebbe negando che quel moto che ò contra natura di un mobile, deva necessariamente esser secondo la natura di un altro, nò di ciò mancherebbon essempli : come, v. g., il desiderio della propria destruzzione è una inclinazione in maniera con¬ traria alla natura di tutti i corpi naturali, che non è secondo la natura di nissuno; l’appetire il vacuo non ò egli, in dottrina peripatetica, in 20 guisa repugnante alla natura di tutti i corpi naturali, che da nissuno ò seguito? Or faccia conto il Sig. Grazia, e gli altri che avanti di lui hanno in tal guisa filosofato, che ’l fuggire il centro sia un tendere alla dissoluzione del concatenamonto dei corpi naturali ed un muo¬ versi ad ampliar lo spazio, con rischio di dar nel vóto, e che però ò un movimento aborrito da tuttala natura. E quanto all’assunto che un moto non possa esser nò dirsi contra natura di un mobile se e’ non ò secondo la natura (li un altro, essendo di necessità l’essenziale prima che l’accidentale e ’l naturale del non naturale, credo che ’l suo primo prolatore vi abbia non leggiermente equivocato, e che per parlare so conforme al vero convenga dire che un moto non può dirsi contro a natura d’ un mobile se un altro moto non gli è secondo la natura, essendo di necessità l’essenziale prima che l’accidentale e ’l naturale del non naturale : e così si ha senso nelle parole, connessione tra l’as¬ sunto e la sua continuazione, e corrispondenza nella natura; nella quale non ben si direbbe, il moto all’ in su esser contr’ a natura La stampa: s 9 abbassavano. 704 COWSIDERAZIONI de 5 corpi gravi, so il moto all’ in giù non fusse a loro naturalo, es¬ sendo necessario che prima sia l’essenziale o naturale all’in giù, che l’accidentale e non naturale all’in su; così l’inclinare alla propria destrimane è non naturale, essendo prima naturale l’appetire il con¬ servarsi. Ma che un’inclinazione non possa dirsi contro a natura di alcuno se la medesima non è prima secondo la natura di un altro, a me par detto senza nessuna necessità di consoquenza, nò so perchè non si possa dire che la vigilia continua sia accidentale e non natu¬ rale all’uomo, se ben non fusse naturale ed essenziale di nissuno altro animale. 10 Seguita poi di voler pur provar l’istesso con le tritissime ragioni confirmanti, esser necessario darsi in natura la gravità o la leggerezza assoluta; le quali ragioni non concludono veramente altro, chi ben le considera, se non che degli elementi altri son più o altri men gravi. È ben vero che il Sig. Grazia in ultimo sogghigno una ragione, la quale io stimo che non sia, come lo altre, trascritta, ma di proprio ingegno ritrovata da lui; la quale, perchè supera in debolezza tutte le altre, mi muove a farne il suo autore avvertito. Volendo, dunque, il Sig. Grazia stabilire che anco il moto all’in su è fatto da causa in¬ trinseca e positiva, e non per estrusione solamente, scrive alla face. 14 20 [pag.384, Un.28-34] questo argomento: Se tutti gli elementi si movessìno 111 all’ in su spinti dalla maggior gravità, ne seguirebbe che vicino al concavo della luna si desse il vacuo : imperò che se il fuoco è spinto dalla maggior gravità dell’aria, ed egli è grave, ne seguirà che quando ei sarà fuor del¬ l’aria egli più non si muova all’in su, ina al centro, non essendovi la virtù della maggior gravità dell’aria, ma la sua naturai gravità; adunque vicino al concavo della luna sarà del vacuo, non essendo chi vi spinga il fuoco. Se questo discorso più che puerile concludesse, io, ritorcendolo contro al suo inventore, gli dimostrerò elio dato elio il fuoco si muova al- l’in su da principio interno, e non per estrusione dell’aria, tra esso so e l’aria rimarrà necessariamente il vacuo; perché se nel fuoco doppo che egli ha trapassato l’aria, non però cessa la cagione di ascendere, ei seguiterà di alzarsi sino al concavo della luna, lasciando sotto, tra sè e l’aria, altrettanto spazio vacuo, quanto il Sig. Grazia temeva che di necessità dovesse rimanere tra ’1 fuoco e ’l concavo della luna, (,) La stampa: innovino. APPARTENENTI AL LIBRO BEL BIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 70f> caso elio il fuoco funse mosso per estrusione; e così il Sig. Grazia non potrà in modo alcuno sfuggire l’assurdo del vacuo. Ma perchè e’ non abbia a restar con questo timore, è bene che sappia che la natura ha così esattamente aggiustata la capacità del concavo lunare con lo moli degli elementi, che ella ne riman piena per l’appunto, sì che il fuoco, sormontato che è sopra l’aria, ha a capello ripieno ogni vacuo. Ma qual più. grossa considerazione potrà ritrovarsi di quella che il Sig. Grazia fa, a face. 18 [pag. 3tì7], intorno a due assiomi che il Sig. Galileo prende dalla scienza meccanica? Suppone per vero il io Sig. Galileo die (lue pesi eguali, e mossi con velocità eguali, sieno di virtù e forza eguali nel loro operare; e ciò essemplifìca nella bilancia di braccia eguali e che in esse pendino eguali pesi, li quali costituiscono l’equilibrio, non tanto per l’egualità de’pesi, quanto por l’egualità delle velocità con le quali si muovono, essendo eguali le braccia di essa bilancia. Il secondo principio è, che ’l momento e la forza della gravità venga accresciuta dalla velocità del moto. Ma il Sig. Grazia danna tali ipotesi per difettose, e dice [lin. 32-3<>] che se gli deve ag- (jiufjnere, volendole adattare alle cose naturali, che lo spazio per lo quale si devono muovere i mobìli sia ripieno del medesimo corpo. Fmperochè, se una 20 bilancia si dovesse muover per Varia e V altra per l’acqua, è impossibile che elle si muovano nel medesimo tempo per spazìi eguali , per la maggiore e minore resistenza del mezzo che occupa i sopradetti spam. Or qui sono in piccolissimo spazio molte esorbitanze. E prima, dicendo il Sig. Galileo di suppor per vero che sieno eguali i momenti e la forza de’ pesi eguali e mossi con eguale velocità, l’aggiunta del Sig. Grazia è molto fuor di proposito, perchè due pesi che semplicemente per lor natura fossero eguali, quando fosser posti in diversi mezzi, già cesserebbono di essere eguali, talché non sarebbono più di quelli dei quali parla il Sig. Ga¬ lileo, perchè eli mobili diseguali eli peso egli non asserisce nè suppone so che sien per esser di forze eguali. In oltre, mancamento di giudizio sarebbe stato quel del Sig. Galileo, se egli, come or vorrebbe il Sig. Grazia, ci avesse aggiunto che tali mobili, per riuscir di momenti eguali, devino non solo esser eguali in peso e velocità, ma esser di più nell’ istesso mezzo : perchè quando due mobili fosser tali che anco in diversi mezzi si trovassero esser gravi egualmente e di velocità |iari, le forze loro senz’altro sarebbono eguali nel loro operare; talché, potendo l’assunto del Sig. Galileo esser generale e vero nell’uno e nel- IV. se 706 CONSIDERAZIONI l’altro caso, cioè tanto quando i mobili fossero in diversi mezzi quanto se fossero nell’istesso, non era bene, contro a'precetti logicali, ristrin¬ gerlo e farlo meno universale. Di piu, io non posso a bastanza me¬ ravigliarmi come il Sig. Grazia si sia potuto immaginare, che i mezzi diversi, come l’acqua e l’aria, possino causare che due posi pendenti dalle braccia f eguali 1 di una bilancia si muovino con diseguali velocità, nè posso intendere che nel medesimo tempo che, v. g., quel peso che è in aria si abbassa un palmo, l’altro che è in acqua possa muoversi più o mono di tanto, anzi son sicuro che egli si moverà nè più nè meno. Io dubito che avendo osservato il Sig. (inizia che l’istesso peso io libero con diseguali velocità si muove nell’aria e nell’acqua, si sia ora nel presente caso scordato che e’ parla non di pesi liberi, ma legati alle braccia f eguali 1 della medesima bilancia, le quali braccia f eguali | gli costringono a passare nel tempo medesimo eguali distanze. E final¬ mente, quando gli assiomi del Sig. Galileo fossero nel proporgli, per sua inavvertenza, stati difettosi o inabili a prestarci ferma dottrina senza la cauzione aggiunta dal Sig. Grazia, doveva il medesimo Sig. Gra¬ zia essaminare i luoghi particolari dove il Sig. Galileo si serve di tali assiomi; e trovando che nell’applicazione quelli erano presi ben cau¬ telati, non dovevano esser messe in sospetto le conclusioni dependen- a» temente da quelli dimostrate, come egli fa e scrive a face. 20 [pag. 388, Un. 38-39], dicendo: Ma perchè le dimostrazioni ilei Sig. Galileo son fondate sopra principii falsi etc. ; e poco sotto [pii#. 389, Un. 11-19], nel numerar tali principii, mette per il sesto 1' aver male definiti i suoi termini, e di nuovo torna a nominar falsissime le dimostrazioni del Sig. Ga¬ lileo, come dependenti da principii falsi. Ma forse il Sig. Grazia si è fermato su gli assiomi, nè si è curato d’internarsi nelle dimostra¬ zioni del Sig. Galileo : del che ne dà ancor segno un’ altra aggiunta eh’ e’ vuol fare in questo stesso luogo [pag. 387, Un. io — pag. 388, Un. 9] alla significazione che il Sig. Galileo dà al nome di momento, per quanto so appartiene alla materia di che si tratta, dicendo che egli ha lasciata quella che più al suo Discorso 1 faceva di mestiero ; cioè che ’l momento denota non solamente quella forza che ha un corpo al muovere un altro, ma anco quella abilità naturale che hanno i mobili a esser mossi. Dove io non dirò che il Sig. Grazia, o chi si sia altri, non (l> La stampa : bisogno. APPARTENENTI AE LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 707 possa chiamar momento tutto quello che piace a lui, essendo i nomi in arbitrio di ciascheduno ; ma dirò bene che grande sproposito sa¬ rebbe stato del Sig. Galileo il definirlo in tal maniera in questo luogo, non gli dovendo poi venir mai occasione di usarlo nel suo Discorso: e il Sig. Grazia, che per tal rispetto biasima il Sig. Galileo, doveva mostrar i luoghi m particolari ne’ quali il momento venga usurpato in questo senso non definito dal Sig. Galileo; altramente lo sproposito sarà tutto suo. Censura non più ingegnosa delle precedenti è un’altra, che pur io in questo stesso luogo, a face. 10 [pag. 388], fa il Sig. Grazia sopra una proposizione del Sig. Galileo, doppo che egli prima falsamente l’ha portata. Egli attribuisce al Sig. Galileo l’aver detto, che un solido nel sommergersi nell’ acqua ne alzi tanta, quanta è la propria mole, e che a tal movimento 1’ acqua, come corpo grave, resiste ; segue poi scri¬ vendo così [lin. 13-18] : Le (piali cose pare che abbino bisogno di gran moderazione. Jmperochè dice bene Aristotile che il mobile, profondandosi nel¬ l’acqua, deve alzare 1 ani’acqua quanta è la sua mole; ma vi aggiugne: « se però V acqua e quel mobile non si constiperanno insieme » : e quindi avviene che molti solidi nel sommergersi nell’acqua non alzeranno la ventesima parte 20 di essi, altri più, altri meno, secondo che fra di loro si uniranno. Io non voglio ingaggiar lite con Aristotile, la cui autorità vien senza bisogno citata qui, dove l’esperienza manifesta può essere di mezzo, e ’l detto del Sig. Grazia di troppo s’allontana dal vero : perchè quanto a i corpi che si considerano demergersi nel presente Discorso, essendo o legni o metalli o simili solidi, è manifesto che questi non si costipano, onde, se vi accade costipazione alcuna, è necessario che sia tutta nelle parti dell'acqua, e che essa si costipi quelle venti volte tanto che vuole il Sig. Grazia; ma dubito che essa non voglia, anzi son sicuro che non solo un solido che si ponga nell’ acqua, la quale liberamente possa so cedergli e alzarsi, non la costiperà venti volte, nè dieci, nè due, ma nè anco un punto solo; anzi a riserrarla anco in un vaso, dove con immensa forza si possa comprimere, non si vedrà che ella sensibil¬ mente ceda e si ristringa; il che ben si vede far all’aria, la quale con violenza si costipa due o tre volte più di quel che ella è libera. Onde P inganno del Sig. Grazia resta infinito. (,) La stampa: mostrar luoghi . 708 CONSIDERAZIONI Seguita appresso, pur con la medesima semplicità, ad aggiugnere altri suoi giudizii dell’ istosso genere, e dice così [pag. 388, Ito. 18-26] : Quanto alla resistenza die fa l’acqua a quel movimento, quando si alza sopra il proprio livello, che ella fussc ■molta non torrei io già a sostenere, hnperdò ohe, se ben V acqua al movimento all’ in su, come corpo grave, è renitente, tutta volta in questa nostra azzione ella non muta in tutto e per tutto luogo, ina si bene ne perde alquanto di sotto e altrettanto ne acquista per di sopra; ed essendo ella di sua natura corpo atto a esser grave e leggiero, quando è nel proprio luogo, come di sotto diremo, può da ogni minima forza esser mossa al centro e. alla circonferenza: il perché ella a questo movimento po- io diissimo resiste. Due ragioni adduce il Sig. Grazia, che lo muovono a creder che l’acqua da ogni minima forza possa esser alzata sopra ’l proprio livello. La prima è, il non mutar olla in tutto e por tutto luogo in questa nostra azzione, acquistandone ella altrettanto per di sopra quanto ne perde di sotto; tal che, secondo il discorso del Sig. Gra¬ zia, chi trovasse modo di fare che una colonna neH’esser tirata in su acquistasse altrettanto luogo por di sopra quanto ella ne perdo di sotto, si alzerebbe senza fatica. Ma quali, Sig. Grazia, sono quei mo¬ bili che nel moto non perdine tanto di luogo por un verso, quanto ne acquistano per l’altro? L’altra ragiono, che l’acqua noi proprio 20 luogo, por esser atta a esser grave e leggieri, possa da ogni minima forza esser alzata, è vera, ma fuori del caso e contrariante (l! a quello di che si parla; perchè qui si tratta d’alzar l’acqua sopra il suo proprio livello, che è muoverla per la region dell’aria, e non di muoverla nell’ elemento suo stesso. L’acqua, dunque, a esser alzata sopra ’l suo livello resiste con tutto ’l peso che ella s’ha nella region dell’aria, come fanno tutti gli altri gravi. L’esperienza, che soggiugne il Sig. Grazia, della cenere messa nel¬ l’acqua, c falsa e fuor di proposito: fuor di proposito, perchè quando ben la cenere e l’acqua si constipassero in maniera clic una gran mole so di cenere alzasse pochissima acqua 0 niente, ciò non accado nel piombo, nel legno, nella cera e nelli altri solidi che in diverse figure si som¬ mergono nell’acqua, intorno a’quali si disputa; ma è poi falso del tutto che una gran massa di cenere nel sommergersi alzi poco 0 niente il livello dell’ acqua, anzi ella fa l’istosso a capello che tutti gli altri (1) La stampa: contraria. APPARTENENTI AL LIBRO DEL MIO. VINCENZIO DI GRAZIA. 709 corpi che si sommergono. Può ben essere che il Sig. Grazia s’inganni nel far 1’ esperienza, e elio noi giudicare la grandezza della massa di cenere metta in conto la molt* aria che tra le sue particelle è me¬ scolata, la quale, come nella semola accade, occupa la maggior parte del luogo, e che poi mettendola nell’acqua e’non tenga conto del¬ l’aria che si parte, onde e’si creda di aver posta nell’acqua una massa grande quant’un pane, che poi non sia veramente stata quant’una noce. Trovi pur il Sig. Grazia modo di far che la massa resti tutta nell’acqua, che io l’assicuro che l’istesso accadeva, quanto all’alzare io il livello, se ella sia di cenere, che se fusse di porfido. Avendo il Sig. Grazia trapassate le dimostrazioni del Sig. Galileo, come false, si apparecchia egli stesso, a face. 21 [pag. 389], a render le vero ragioni del problema, come possa essere che pochissima acqua so¬ stenga e alzi un grandissimo peso, come, per esempio, che dieci libbre d’acqua possino sollevare una trave che ne pesi 500; e disprezzando non solo le dimostrazioni del Sig. Galileo intorno a ciò, ma Pistesso effetto proposto da quello come degno d’ ammirazione, egli si me¬ raviglia [Un. 27-29] come più tosto il Sig. Galileo non ammiri in che modo esser possa che la terra sostenga il peso degli altri tre elementi, 20 che quasi in infinito l’eccedono. E io per terzo non so perchè il Sig. Grazia non si ammiri molto più, come il centro, che è assai meno che ’l globo terrestre, sostenga i medesimi tre elementi o la terra ap¬ presso. Ma se il Sig. Grazia reputa cosa assai triviale il problema del Sig. Galileo, con quali risa deve egli veder disputato da Aristotile, coni’ esser possa che i barbieri con agevolezza maggiore cavano i denti con le tanaglie che con le solo dita? e perchè con instrumenti simili più facilmente si schiacciano le noci, che con lo sole dita ? e perchè meglio ruzzolano le figure rotonde, che le triangolari o le quadre ? o per qual cagiono più comodamente <1) si cammini per la piana che al¬ mi l’erta? Tuttavia, Sig. Grazia, non bisogna disprezzar gli uomini per la qualità delle conclusioni, che non sono di loro 121 , ma della natura; ma bisogna misurare il lor valore dalle ragioni che n’apportano, le quali son opera del loro ingegno. Ma tornando alla materia nostra, sen¬ tiamo con qual sottigliezza renda il Sig. Grazia ragione del problema del Sig. Galileo. (,) La stampa: facilmente. {i) La stampa: sono loro . 710 CONSTI) KRAZION1 Dico per tanto che avendo egli, con assai lungo discorso, con¬ cluso che i corpi misti ne’ moti loro o nella quiete si regolano se¬ condo l’elemento nella mistione loro predominante, da questo scrive [pag. 390 , lin. 11 - 16 ] agevolmente dedursi la cagione perchè una trave di 500 lib¬ bre sarà sostenuta c sollevata da 10 libbre d' acqua : imperciochè essendo la trave a predominio aerea, e /’ aria nell' acqua essendo leggieri, dorerà la trave, come leggieri, sopra Vacqua di sua natura sollevarsi; solo arà bisogno di tant’acqua, che possa compensare il terreo de gli elementi gravi che nella trave si ritrovano. Qui, lasciando da parte che questo di¬ scorso non ha coerenza alcuna nè forza d'inferir nulla, due dubbii io solamente propongo, i quali se non vengono soluti, mostrano in lui gran debolezza. Prima, se questo che dice il Sig. Grazia è vero, cioè che per sollevar la trave ci bisogni tant’acqua che possa compensare il terreo di essa, è forza elio la porzione di questo terreo tn sia nella trave di quantitadi variate in infiniti modi ; perchè, per sollevarla, alcuna volta bastano 10 libbre di acqua, altra volta non son tante 50, altra volta fi libbre son di soverchio, altra volta mille botte non ba¬ stano, e tal ora son poche cento mila; od in somma in tanti modi bisogna variar la quantità dell’ acqua, in. quanti si varia P ampiezza del vaso nel quale si mette la trave, perchè ella non vien mai solle- 20 vata sin che l’acqua non se gli alza attorno sino a una determinata altezza, come, v. g., sino al 1 i due terzi della sua grossezza, o più 0 meno secondo la maggiore o minore gravità del legno in relazione a quella dell’acqua: 0 ciascheduno mi cred’ io che intenda che molto più acqua ci vuol per far, diremo, l’altezza d’un palmo in un vaso grande che in un piccolo, come in un lago che in un vivaio, e qui più che in una fossa stretta e corta. Or da qual di queste innumerabili misure di acqua determinerà il Sig. Grazia il terreo della mistione della trave? e qual sarà la quantità di questo terreo, che ora deve rispondere a dieci libbre d’acqua, ora a cento, ora a mille botte, ora a cento mila? so È egli possibile che non abbia inteso o veduto la necessità del cre¬ scere la quantità dell’ acqua secondo che si agumenta P ampiezza del vaso? e se egli pur l'ha veduto, 0 ha osservato come tal effètto si diversifica secondo la detta ampiezza, come, nell’assegnare la causa, non ne ha fatta menzione? qual logica insegna che si possa in dimo¬ ri La stampa: è forza che. questo terreo. 711 Al'PARTENUNTI AL LIHRO DEL SUL VINCENZIO U1 GRAZIA. stralicio trascurare, e non porre tra le cause della conclusione, un accidente alla cui mutazione sempre si varia V effetto ? Ma seconda¬ riamente, se per sollevar quella trave basta che si compensi il terreo di essa (essendo il suo aqueo indifferente nell’acqua, e l’aereo e l’igneo disposti all’ innalzarsi), gran maraviglia sarà che, potendosi con poca acqua compensare il terreo d’una grandissima trave, non basti poi tutta l’acqua del mondo a compensare il terreo, non dirò d’una massa d’oro o di piombo nè di una trave o travicello d’ebano o d’avorio, ma di quanto facesse un manico a un coltello, il qual pezzetto, messo io in qualsivoglia grandissimo vaso e infusavi qual si sia quantità d’acqua, mai non si solleverà 111 . Ma passando un poco più adentro 121 , mi par che altri potrebbe molto ragionevolmente desiderar dal Sig. Grazia, che egli avesse specificato il modo col quale 1’ acqua compensa quella gravità del terreo che è nella trave, essendo che una tal compensazione può esser fatta in due maniere molto tra sè differenti. Imperochè si può compensare una gravità con della leggerezza, o vero con un’ altra gravità: con della leggerezza, come quando a una mole di piombo, che fosse in fondo dell’acqua, si aggiugnesse tanto sughero o tant’aria, che la facesse sormontare a galla ; ma una gravità sarà compensata 20 con un’altra gravità simile, come quando con l’aggiugnere un peso in una delle bilancio si contrapesa e solleva il peso che fosse prima stato messo nell’ altra. Ora, qualunque di queste due maniere sarà eletta dal Sig. Grazia, credo che gli apporterà gran difficoltà nel- 1’ esplicarsi. Perché se egli dirà che 1’ acqua operi in questo secondo modo, cioè che con la sua gravità compensi quella del terreo della trave, sì che ella ne venga sollevata come accade ne’ pesi della bi¬ lancia, prima, egli dirà un impossibile nella sua propria dottrina ; perchè, affermando egli in molti luoghi di queste sue Considerazioni che l’acqua non ha resistenza alcuna all’essere alzata sopra il proprio so livello, conviene che egli insieme acconsenta che ella non abbia forza ' l| 11 tratto che segue, (la * Ma pas- sanilo » a « al Sig. Grazia » (pag. 712 Un. 10), lu aggiunto dall 1 Autore sopr’un cartellino, che è incollato sul margine ilei foglio. Dap¬ prima, invece, dopo « solleverà * Galileo aveva continuato, e poi cancellò, in questo modo: «Io non voleva notar se non queste due, ma è forza aggiugner la terza. Voi dite, •Sig. Grazia, che per sollevar la trave ci bi¬ sogna compensare il suo terreo, e questo, mi credo io, perchè il terreo, come gravis¬ simo, la riterrebbe a basso, se non si com¬ pensasse. Ora, per compensare il grave, non credo elio voi mi negherete richiedersi del leggiero. Vi domando poi ». Al che faceva séguito: * in che mezo ece. » (pag. 712, lin. 10). i*) La stampa : un poco ackntro. 712 CONSIDERAZIONI alcuna nell’abbassarsi sotto ’l livello medesimo, perché quel corpo che non ha repugnanza a un movimento, non ha anco propensione e forza nel contrario; onde in virtù di tale operazione mai non sarà dal¬ l’acqua circonfusa sollevata la trave: in oltre, un tal moto accade- rebbe alla trave per estrusimi dell' acqua circonfusa, e non per leg¬ gerezza del legno ; che in sua dottrina è assurdo gravissimo. Ma se egli intendesse, 1’ operazion dell’ acqua verso la trave procedere nel¬ l’altra maniera, cioè che ella compensasse il suo terreo con apportargli nuova leggerezza, prima, ammessogli che ciò potesse accadere, benché non s’intenda come, io dimando al Sig. Grazia, in che mezzo si ha io da fare questo alzamento della travi'. Certo che ella, quando si muove, si trova parte in acqua e parte in aria; di più, se egli non vorrà contrariare al vero e a sè stesso, non mi negherà che 1’ acqua nel- P aria è grave, e che nel suo elemento non è leggiera. Ma se queste cose son vere, come volete voi, Sig. Grazia, che si possa mai con nissuna quantità d’ acqua compensare la gravità terrea della trave, che si trova costituita parte in acqua e parto in aria, dove l’acqua non ha leggerezza alcuna, ma sì ben anch’ella ha gravità' 1 ’? Final¬ mente, ditemi, Sig. Grazia : Quello clic deve in tal modo compensare una gravità, non è egli tanto più atto a ciò, quant’ egli è più log- 20 giovi? Credo che mi direte di sì, e che mi concederete anco che l’aria sia più leggiera dell’acqua. Ma la trave, avanti Pinfusimi dol- P acqua, non era ella circondata tutta dall’ aria ? Certo sì : e pur P aria circonfusa non bastava a compensare il terreo, sì che la solle¬ vasse ; e volete poi che ciò possa farsi da altrettant’ acqua? Altra, dunque, bisogna dir che sia l’operazion dell’acqua intorno alla trave, che la compensazione del terreo ; la quale operazione allora solamente intenderete, quando averete intese le dimostrazioni del Sig. Galileo, e non prima. Apportata che ha il Sig. Grazia questa che egli stima vera ca- 110 gione del problema, stimato da sè assai triviale, per mostrar, mi credo io, come sieno fatti i problemi sottili e ammirandi, segue scrivendo così alla face. 22 [pag. 390, lin. 17-23 ): Ma resta ben ora a ine un più dif¬ ficile problema, che, per non lasciar cosa alcuna indietro che alla nostra dubitazione s' appartenga, da me si spiegherà : e quest’ è, perchè una trave La stampa: anch’ella la gravità. APPARTENENTI AL LIBRO DEL BIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 713 di 100 libbre nell' aria b più prave di pravità in penero che un danaio di piombo, e nell’ acqua il piombo divien prave e la trave leggieri. Segno ne sia di ciò, che la trave nell’aria si muove all’in più più velocemente (1) che ’l piombo, e nell’ acqua il piombo conserva il medesimo movimento e la trave si muove all’in su. La soluzione del presente problema credo che dal Sig. Galileo sarebbe stata ridotta a pochissime parole, se però non 1’ avesse stimato tanto popolare, che non mettesse conto nè anco il proporlo o registrarlo fra le cose alquanto separate dalla capacità del vulgo : e credo che direbbe, che essendo il piombo e ’l legno amendue io gravi nell’ aria, in essa descendono, e che per esser 1’ acqua grave più del legno e manco del piómbo, questo in lei descende, e non quello ; e che se ben il piombo è in specie più grave del legno, niente dimeno che, sondo il legno ancora grave nell’aria, si può pigliare una mole di legno così grande, che pesi in aria più d’una piccola di piombo. Crederò bene che il Sig. Galileo, per non dire una bugia, non direbbe, t corno dice il Sig. Grazia, 1 che un legno, benché grandis¬ simo, descendesse in aria più velocemente che una piccola quantità di piombo. E queste stimerò’ <2 io le vere ed immediate cause e ragioni, atte, per la loro evidenza, a solvere il problema, e non quelle del 20 Sig. Grazia (nomino il Sig. Grazia, non perchè io non sappia che egli trascrive questo e tutto il resto delle sue Considerazioni da altri, ec¬ cetto che alcune poche, le quali ben si conoscono esser suoi pensieri ; ma lascio gli altri perchè ho che far con lui, e egli a questo, che tra¬ scrive, presta il consenso), io quali sono tanto più ignote delle conclusioni che si cercano, che, all’ incontro, da queste prendono la cognizione o opinione che di loro si ha: perchè io non so, primieramente, eh’e’non si possa dubitare se ogni misto costi de’ quattro elementi, e non d’altro; e posto anco che ciò fosse vero, non ho per cosa tanto facile il compassar ne’misti le participazioni de gli elementi semplici, che tale scandaglio so si deva poter mettere per assioma manifesto, dal quale dependa la di¬ mostrazione di conclusione ignota; e forse il Sig. Grazia medesimo non ritrova con miglior compasso il predominio nel <3> misto, che con l’os¬ servare come egli in questo e in quell’elemento si muova, e così venga provando poi in ultimo idem per idem o vero ù/notum per ignotius. La stampa: si muove, e la all’in giù correzioni * in si muove piu velocemente, più velocemente ,* elio fu corrotto nella * Nota La stampa : stimerò . degli orrori occorsi nello stampare e loro La stampa: del . iv. 90 714 CONSIDERAZIONI Con poca, anzi nessuna efficacia, oppóne, alla face. 27 | pag. 394, liti. 21-23], il Sig. Grazia ad Archimede e al Sig. Galileo, che loro non posino render piena ragione, onde avvenga che un legno inzuppato d’acqua s’ affondi, il quale asciutto galleggiava, atteso che e* negano all’acqua 1’ aver gravità nel proprio elemento ; e stima elio non basti il partirsi del legno 1’ aria leggiera contenuta dentro a’ suoi pori, se anco quello che succede in luogo di quella non averà gravità nell’ acqua ; nò es¬ sendo quello che succede in luogo dell’ aria altro che acqua, vuol di qui arguir, 1’ acqua nell’ acqua aver gravità. Il qual discorso è fal¬ lacissimo : perchè se il legno non per altro galleggia elio per la leg-io gerezza che ha la sua aria nell’ acqua, rimossa che sia tal leggerezza, non occorro che in suo luogo succeda un’ altra materia che abbia gravità nell’acqua, ma basta, al più che possa pretender il Sig. Grazia, che ella non vi abbia leggerezza ; se però il Sig. Grazia non dimo¬ strasse che quel che resta del legno, partita che se n’ è l’aria, sia ancora più leggiero dell’ acqua, la qual cosa egli non ha fatta, nè, per mio credere, potrà mai fare. Alla face. 38 [pag. 399, lin. 19 22], non so con che ragione desideri il Sig. Grazia, 'che dal Sig. Galileo lusso assegnata la cagione, donde av¬ venga che le figure larghe ritardano il movimento in retto, e le strette lo 20 fanno veloce, se, come egli dice, l’acqua e V aria non hanno resistenza. Fuor di ragione, dico, fa il Sig. Grazia tal domanda ; poiché il Sig. Ga¬ lileo non ha mai negata nell’ acqua la resistenza all’ esser alzata e mossa, ma sì ben all’ esser divisa, e ne ha dato per dichiarazione l’esempio della rena, la qual contrasta al moto chi' per entro lei si fa, e non perchè alcuna cosa s’ abbia a dividere, ma solo a muo¬ vere : onde è forza dire che il Sig. Grazia con poca attenzione abbia solamente trascorso il trattato del Sig. Galileo. Aveva notato il Sig. Galileo che l’esperienza di quello che operino le diverse figure fusse ben farla con la medesima materia in numero, 30 la quale fusse trattabile e atta a ricever tutte le figure ; e questo, acciò nou si potesse dubitare so 1’ una e 1’ altra figura fossero di ma¬ terie egualmente gravi in spezie, come accade se si farà una palla d’un pezzo d’ebano e un’assicella d’un altro. Ma il Sig. Grazia, redar¬ guendo questa cautela del Sig. Galileo, scrive alla face. 35 [png. 400, lui. 27-30] così: Ma notisi clic, scudo l’ebano d’una medesima spezie di gravità, non può cagionare diversità di movimento 0 di quiete, ma di ve- APPARTENENTI AL LIBRO DEL 810. VINCENZIO DI GRAZI A. 715 lecita di movimento ; e perciò tutto queste cavillazioni del Sic/. Galileo vanno a terra. Nelle quali parole sou molti errori. Prima, si vede die egli non diversifica lo gravità fra di loro mediante P esser più o men grave, ma mediante P esser in questo o in quel suggetto ; talché se ben, per essempio, si trovasse che quattro palle di moli eguali di quattro legni differenti di spezie, come rovere, corgnolo, carpine e bossolo, fossero di peso eguali, egli tuttavia le vorrebbe dimandare gravità tra di loro differenti di specie, perchè quelle materie così differiscono ; e all’in¬ contro, due palle eguali in mole, benché di gravità diseguali, purché io fossero della medesima spezie di legno, e’ le vorrebbe nominare della medesima gravità in specie. Ma questo sarebbe errore comportabile, perché ogn’ uno può definire le sue intenzioni a suo modo ; se non che nel servirsi poi di tali termini egli malamente gli applica alla natura, e si persuade che due solidi che sieno della medesima specie di gravità delimita al modo suo, non possino non convenire nella medesima specie di movimento, sì che se una palla, v. g., di rovere va al fondo nel- 1' acqua, tutte vi debbano andare : nel che s’inganna, perchè di cia¬ scheduno dei detti legni si faranno palle, alcune delle quali galleg- geranno e dal fondo dell’ acqua ascenderanno, e altre descenderanno, 2 o e queste saranno quelle che si caveranno di parti vicine alla radice, e quelle di parti più lontane ; anzi tal volta può accadere, che non solo 1’ esser parte del medesimo legno più alta o più bassa cagioni tal differenza, ma 1’ esser fatte 1’ una dalla parte dell’ istesso tronco che riguardava il mezzo giorno, e 1’ altra la tramontana. Noto, finalmente, quanto l’ingegno del Sig. Grazia sia disposto a ammettere il falso e rifiutare il vero. Egli tien per fermo che la dilatazione della figura possa ritardar la velocità del moto, e ritardarla tanto, che finalmente induca la quiete nel mollile, il che è falsissimo ; e nega poi che la maggior o minor gravità possa far l’istesso, purché i mobili sien della so medesima materia in specie, la qual cosa, contro all’ opinion del Sig. Grazia, è verissima. % E forza dire che il Sig. Grazia nè abbia sperimentato cosa alcuna in questo proposito di che egli scrive, nò abbia osservato niente di quel che ha scritto il Sig. Galileo, già che egli persiste in dire, alla face. 36 Ipag. 401, iin. 35-37], che quelle falde d’ebano, d’ oro o di piombo elio si fermano su 1’ acqua, (dibassano solamente la superficie di quella quanto comporta la lor pravità, ma non la dividono, perchè, sondo divisa. 716 CONSIDERAZIONI elleno subito se ri andrébbono in fondo. Ma so egli avesse pur una sol volta fatta questa esperienza, e preso una tavoletta d’ ebano grossa mezzo dito o poco manco, e fermatola su l’acqua, togliendola poi via e guardando i suoi lati intorno intorno, gli avorebbe veduti tutti bagnati ; e se questo non gli bastasse per renderlo ben sicuro che i detti solidi quando si fermano hanno già divisa 1’ acqua, doveva ap¬ prendere dal Sig. Galileo 1’ esperienza di fare un cono d’ ebano alto un dito, che messo nel? acqua con la punta in giù descende sin che * • tutto sia circondato dall’ acqua, la quale anco avanza con gli suoi arginetti sopra la base del cono, il quale in tale stato si ferma senza io profondarsi. Doveva anco apprender dal medesimo, come una palla di cera ingravita alquanto con un poco di piombo e messa con di¬ ligenza nell’ acqua, si sommerge quasi tutta, e 1’ acqua sopra se li chiude quasi interamente, lasciando una piccola eherica discoperta e circondata da gli arginetti : nelle quali esperienze dirà egli che la superficie dell’ acqua non sia divisa, ma solamente abbassata ? S’io credessi di poterlo rimuovere da un error tanto grosso, vorrei fargli vedere una picca messa col ferro in giù fermarsi perpendicolarmente doppo 1’ esser tutta sotto ’l livello dell’ acqua, fermarsi, dico, in virtù dell’ aria contenuta tra gli arginetti, e andar poi al fondo subito che 20 gli arginetti si serrano : ma dubito ancora che tal vista non gli ba¬ stasse a persuaderlo che la picca così posta ha veramente divisa la superficie dell’ acqua e qualche parte di più. Ma se le cose di ma¬ teria più grave dell’ acqua si sostengono, per opinione del Sig. Grazia, senza romper la sua superficie, che faranno i corpi men gravi? (Jei'to meno la romperanno ; onde le travi e le barche che galleggiano, bi¬ sogna che, alla vista del Sig. Grazia, vadino sdrucciolando sopra l’acqua come sopra ’l diaccio. Con poca ragione riprende il Sig. Grazia, alla face. 38 [pag. 403, lin. 6-8], il detto del Sig. Galileo, il qual vuole che, nel proposito di che so si tratta, s intenda delle figure poste sott’acqua, e non parte in acqua e parte in aria; perchè, se bene si concederà, il luogo esser proprio e comune, e che però tanto bene si possa dire, una torre e una nave esser nell’ acqua, quanto un pescie 0 un sasso, se ben questi saranno o in fondo o tutti sott’ acqua, e quelli parte in aria, nulladimeno nella presente quistione si ha da prendere il luogo nel proprio e stretto significato: perchè, volendo gli avversarli del Sig. Galileo che tanto 717 APPARTENENTI AL t LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. il ritardamento del moto quanto la quiete dependino dalla dilatazione della figura, colà si deve intender indursi 11 la quiete, dove s’induce il ritardamento, che è dentro l’acqua; perchè altramente s’incorrerebbe in quell’error di simplicità che commetterebbe colui, che promettendo di aver un artificio in virtù del quale gli uomini potesser viver nel¬ l’acqua, nello stringer il negozio volesse che gli uomini stesser sola¬ mente nell’acqua sino al ginocchio, perchè anco così stando si dice communeinente loro esser nell’acqua. Ma questa contesa poco rileva, poiché ’l Sig. Galileo ha pienamente dimostrato che le falde di piombo io e di altre materie gravi più dell’acqua, se ben si fermano nella su¬ perficie, non però galleggiano in virtù della figura, ma della leg¬ gerezza. Pecca molto frequentemente il Sig. Grazia d’un error assai strano, ed è glie egli adduce un’esperienza per confermare una conclusione, e accanto accanto soggiugne che se ben anche l’addotta esperienza non fusse vera, ad ogni modo la conclusione sarebbe vera lei. Ma se per la verità della conclusione niente importa che l’addotta esperienza sia falsa o vera, perchè addurla? Vuole, alla face. 4G [pag.409], confermar l’opinione d’Aristotile, che l’aria nel proprio luogo sia grave, e scrive 20 cosi [Un. 12-15]: Alla contraria esperienza degli otri o de'palloni gonfiati, ho sperimentato io esser sì coinè dice Aristotile (cioè pesar più gonfiati che sgonfi); e quando non fusse, si deve avvertire, come dice Averroe, non per questo esser falsa la sentenza d’Aristotile, fondandosi ella sopra altre espe¬ rienze. Ma perdonimi Averroe e ’l Sig. Grazia, perchè se l’aria nell’aria avesse gravità, un utro assolutamente e necessariamente peserebbe più gonfiato che sgonfio. Ma s’io devo dire il vero, nè la conclusione d’Aristotile è vera, nè l’esperienza dell’utro o pallone gonfiato ha luogo in questo proposito ; perchè l’aria nell’ aria non è nò grave nè leggiera, e il pallone gonfiato pesa più che sgonfiato, ma ciò accade so solamente quando con violenza vi si spignerà dentro maggior quan¬ tità d’aria di quella che naturalmente vi starebbe, la qual aria, perchè assolutamente e in sè stessa è grave, nel condensarsi nel pal¬ lone tanto più acquista gravità sopra lo stato dell’aria libera, quanto maggior mole se ne racchiude nell’istesso spazio: ma se l’aria con¬ tenuta nell’otre sarà non compressa, ma nella sua naturai costi t.u- 11 La stampa: si (leve intridersi indur. 718 CONSIDERAZIONI zione, tanto peserà gonfio quanto vóto; il che più esattamente si comprenderà, se si peserà una gran boccia di vetro serrandovi dentro l’aria naturale, senza comprimemmo altra, perdio se poi si romperà la boccia e si poseranno i pozzi del vetro, si troverà l’istcsso peso a capello. Seguita appresso a questa un’altra falsità nell’infosso luogo, mentre il Sig. Grazia, per redarguir Temistio che, contrariando ad Aristotile, aveva con molta ragione dotto, elio se l’aria nell’aria o l’acqua nel¬ l’acqua fosso grave, ella descenderobbe, introduce duo gravità, dicendo di’ altra ò la sua gravità nel proprio luogo e altra fuori di osso, e io che la gravità nel proprio luogo genera quiete, e fuori il movimento. Ma se dall* esser l’acqua grave neU'ucqua de pondo il suo quietarvi», che cosa accederebbe se ella non vi fusse nè grave nò leggiera? è pur forza dir che la non vi si moverebbe nè in su nè in giù, e incon¬ seguenza che la vi si quieterebbe. E se così è, perché si deve intro¬ durr’a sproposito questa gravità? anzi come non vi doscendorebb’ella, se grave vi fosse? Seguita, alla face. 47 [pag. 409, lin. 37— pa#. no, lin. 2], di accumulare fallacie sopra fallacie, e scrive: Non credo già io che un vaso ili rame galleggi perche l’aria inclusa lo renda più leggicr dell'acqua, e perciò egli 20 se ne stia sopra Vacqua, ma per la figura: potrebbe ben ciò adoperare, caso che l’aria fusse rinchiusa e serrata dentro al vaso con qualche co¬ perchio, di modo che nel profondare 7 raso ella facesse forza, per non esser nel proprio luogo e per esser leggieri, come si è detto. Vorrei pure, se mai fosse possibile, cavare il Sig. Grazia di qualche errore. Voi dito, Sig. Gra¬ zia, che ’l catino di rame galleggia, non per l’aria inclusa, ma per la figura : e io vi soggiungo elle quel rame non solo con la figura di catino, ma con ogn’altra elio voi gli darete, gal leggerà sempre nel- l’istesso modo, purché in lei si contenga altrettant’ aria quanta nel catino, sia pur ella 0 cilindrica 0 conica o sferica 0 qualsivoglia altra; 30 ed, all’incontro, tutte queste figure, rimossane l’aria, sì che nell’acqua non sia alti’o che ’l rame, subito andranno in fondo: se, dunque, con¬ giunta F aria con qualsivoglia figura tutte galleggiano, e rimossala tutte le medesime si sommergono, adunque la causa del galleggiare non è nella figura, che resta la medesima, ma in quello che si rimuove. Ma già che voi cominciate a comprenderò che quando l’aria lusse racchiusa in un vaso di rame, sì che per nissuno spiratolo potesse APPARTENENTI AL LIBRO DEL RIO. VINCENZIO DI GRAZIA. 719 scappar fu ora, ella in tal caso potrebbe esser cagione del galleggiare, facendo ella forza per non esser 11 ’ nel proprio luogo e per esser leg¬ giera, comincio a entrare in speranza di avervi a persuader qualche cosa. Talché, Sig. Grazia, se l’aria contenuta in alcun vaso non avesse aperture da poter uscir fuora, voi acconsentireste che ella producesse il galleggiar di quello, con la repugnanza elio olla fa all’andar sotto l’acqua mediante la sua leggerezza? Ma ditemi, di graziale la medesima aria fosse costretta a descender nè più nò meno sotto l’acqua insieme col vaso, ancorché ’l vaso avesse qualche apertura, non credete voi che io ella farebbe la medesima resistenza, che (piando era serrata? Credo pur che voi direte di sì: ondo io tanto più volentieri passo a mostrarvi, che l’aria contenuta nel vaso lo segue, nell’esser egli spinto sott’acqua, nel medesimo modo por a punto tanto quando egli è senza spiratolo alcuno, quanto se egli averà qualche apertura, e non fa forza alcuna per uscir fuori, come voi mostrate di credere. Pigliate, dunque, una gran boccia (li vetro, di (pialle che noi chiamiamo buffoni, e serra¬ tegli a vostra sodisfaziono la bocca, e provate poi qual forzaci vuole a spingerlo sott’acqua sin al collo; sturatelo di poi, e tornate a spe¬ rimentarti qual resistenza e’faccia all’esser tuffato sin al medesimo •>o segno; chè sicuramente proverete' 2 ’ la medesima, e non sentirete dalla bocca del vaso uscir un minimo alito d’aria. Del che se voi deside¬ raste certezza maggiore, direi che voi pigliaste di una sottilissima membrana tanta parte, die bastasse a coprir la bocca del vaso, e copertala leggiermente, in modo però che non lasciasse dalle bande alcuno spiraglio, direi che voi tornaste a spinger con forza il vaso sott’acqua, sin presso alla total sommersione, e che voi in tanto po¬ neste mente a quel che facesse la detta membrana; la quale, quando l’aria inclusa usasse violenza nessuna per uscire del vaso, veramente ella doverebbe sollevare la detta membrana; ma se ella non la solle- 30 vera, sì come assolutamente ella non ne darà anco un minimo segno (nè meno solleverebbe una foglia d’oro battuto o un di quei sotti¬ lissimi specchietti di acqua che spesso veggiamo farsi nel collo di simili vasi), potrete cominciare a credere che tanto è che 1 vaso sia serrato, quanto aperto, poiché l’aria nel medesimo modo appunto lo segue; ed in conseguenza potrete comprender come ella è cagione del suo 'e La stampa: del (/alleggiare, per non esser. w La stampa: troverete. 720 CONSIDK RAZIONI galleggiare. Anzi, s’io credessi di potermi dichiarare a bastanza, vi aggiugnerei di più che questa sola esperienza ben osservata e consi¬ derata può bastare a farci toccar con ninno che l’aria nell’acqua ascende, non per sua propria inclinazione o leggerezza che in lei ri¬ segga, ina per estrusione dell’ambiente; perchè quando l’aria avesse tal inclinazione, ella ne doverebbe dar segno col far impeto contro alla detta membrana, allor che la boccia è quasi tutta sott’acqua. Nè sia chi dica che la necessità di restar nella boccia per non am¬ metter il vóto to£ga all’aria il sollevarsi; perchè, essendo l’aria molto distraibile, e la forza che si sente fare alla boccia por inalzarsi gran- io dissima, quando tal forza risedesse nell’aria, ella si distarrebbe in modo, che non solamente solleverebbe la detta membrana, ma sforzerebbe assai più gagliardi ritegni; ma perchè la virtù espultrice è nell’acqua, che dall’iuunersion della boccia venne scacciata, l’impeto vien fatto esteriormente contro a tutto ’1 vaso insieme, e in tutto insieme si riconosce, e non nell’aria contenuta in quello. Continua nell’istesso luogo il Sig. Grazia in voler provare che non è l’aria contigua all’assicella d’ebano quella che la fa galleggiare, e dice che rimovendosi ella, in ogni modo l’ebano galleggia; dichia¬ rando poi il modo del rimuoverla, dice che si bagni sottilmente tutta 20 la superior sua superficie, eccetto che un filetto intorno intorno al perimetro, il quale si lasci asciutto, e così sarà separata l’aria dal- P (l ' assicella, e nuli adimeno ella galleggierà. Veramente questa è troppo gran semplicità, onde non ci dovrebbe esser gran fatica per rimuo¬ verla dal Sig. Grazia. Però noti Sua Signoria, che ’l Sig. Galileo ha detto, che l’aria contigua all’assicella, contenuta dentro a gli argi- netti dell’acqua, fa.insieme con l’ebano un composto non più grave di altrettant’ acqua, e però non si profonda; sì come accade nel ca¬ tino di rame, il quale, descendendo nell’acqua insieme con l’aria contenuta in esso, non si profonda, perchè, considerato il composto so del rame e dell’aria che si trova sotto ’1 livello dell’acqua, egli non pesa più di altrettant’acqua : e sì come sarebbe gran semplicità d’uno che si persuadesse d’aver rimossa l’aria dal ’ catino, quando egli sola- 1. galleggiare; se già voi non vi ritirassi a dire che questo ch’io dico si verifica ed ha uogo nevosi dalla bocca stretta, e non ne’catini di grand’apertura. Ansi — (,) La stampa: dell’. Qu* Galileo aveva scritto dapprima, sempre sarebbono infinite, se l’acqua, come e poi cancellò, quanto appresso: « (se ben voi credete, iusse un continuo) ». APPARTENENTI AL LIBRO DEL STO. VINCENZIO DI GRAZIA. 727 con questa occasione, tentar di cavarvi d’orrore, col mostrarvi l’in¬ compatibilità di duo vostre proposizioni, le quali voi reputate amendue vere. Voi dite die l’acqua è un continuo, e che le sue parti resistono alla divisione: ma se questo fusse, la predetta falda, spinta da qual¬ sivoglia gran peso, non sarebbe potente a dividerle, perchè, essendo le parti del continuo innumerabili, per piccola che fusse la resistenza in ciascheduna nel separarsi dall’altra, ad immensa forza potrebbouo re¬ sistere; al che contraria l’esperienza. Onde mi par di mettervi in ne¬ cessità di confessare, la resistenza delle parti dell’ acqua alla divisione io esser nulla : e se questo è, è forza che niente vi sia che a divider s’abbia; e se niente si ha da dividere, è manifesto non vi esser con¬ tinuità alcuna, od in ultima conseguenza l’acqua esser un contiguo, e non un continuo. lo vengo tal volta in opinione che questi signori oppositori del Sig. (laiileo si legassero, avanti che vedessero il suo trattato, con qualche saldo giuramento a dover contradire a tutto quello che egli avesse scritto, e che lettolo poi, per non divenire periuri, si sieno lasciati traportare a scrivere estremi spropositi, quali sin qui si son veduti esser questi del Sig. Grazia : dai quali non degenera punto 20 questo che segue. Egli, raccontando, e poi confutando, la quarta ra¬ gione del Sig. Galileo, scrive così [pag. 414, lin. 40 — pag. 415, li». 8]: Era la quarta ragione , die una trave molto grande si muove traversalmente per l’acqua tirata da un capello ; onde non pare che V acqua abbia alcuna re¬ sistenza, se non può resistere alla forza fattagli mediante, un minimo ca¬ pello. Alla quale esperienza si deve avvertire, che le cose che si trovano nella superficie dell, acqua, anzi che son mezze in aria e mezze in acqua, non occupando loro molta acqua, si possono muovere per il traverso age¬ volmente ; e quelle che molto si profondano sotto il livello della superfìcie dell'acqua, si muovono meno agevolmente, per occupare molto di essa : onde so avviene che ogni minima forza possa muovere queste, e non quelle. Questo, Sig. Grazia, è un discorso che cammina benissimo ; ma come non vi accorgete voi che, a concluderlo ed applicarlo, egli è direttamente contro di voi ? Voi dite che le cose che occupano manco acqua, più agevolmente si muovono che quelle che ne occupano molta; ma quella superficie d’ una meza trave, che incontra 1 ’ acqua che ella ha da di¬ videre, non è ella maggiore mille volte che la superficie della tavo¬ letta d’ebano? e pur tal forza muoverà quella, che ultra mille volte 728 CONSIDERAZIONI maggiore non caccierà in fondo questa. \ r edete, dunque, che altra cosa è quella che ritien V assicella sopra 1’ acqua, che la resistenza alla divisione. Se 1’ esser quella trave meza, e non tutta, sotto ’1 li¬ vello dell’ acqua vi pare che renda nulla la ragion del Sig. Galileo, caricatela tanto che ella stia sotto tutta, o vero faten’ una di materia più grave, che voi troverete che il medesimo capello la moverà, lo ho gran sospetto che voi stimiate che ogni tutto sia maggiore non solamente d’una sua parte, ma d’ ogni parte di qual si voglia altro tutto, e che una colonna intera sia maggiore d’una meza montagna. Seguita nell’ istesso luogo il Sig. Grazia di persister sempre nella io medesima equivocazione, per non aver mai potuto capire clic altra è la resistenza all’esser diviso ed altra all’esser mosso, e come quella è negata nell’ acqua, e questa conceduta, dal Sig. Galileo, al quale egli vuole attribuire gli errori suoi ; e dice, in questa medesima face. 54 [pay. 415], che egli da per sè stesso s’impugna nel voler render la ra¬ gione perchè i navilii hanno bisogno di tanta forza all’ esser spinti con velocità, se nell’acqua non è resistenza, e scrive così [lin. 16-28] : Onde a ragione il Sig. Galileo da per sè s’impugna, ricercando guai sia la cagione, se i acqua non ha resistenza, clic ì navilii hanno di Insogno di tanta forza di vele e di remi a muoversi ne’ laghi stagnanti e nel mar 20 tranquillo : e rispondendo a questo dubbio, par che supponga una proposi¬ zione dimostrata da Aristotile, che tutto quello che si muove, si muove in tempo. Ma awertisca il Sig. Galileo . che questa proposizione depende da quel principio che egli niega, cioè dalla resistenza de’ mezzi : imperciochè se l’aria e l’acqua non avessero resistenza, seguiterebbe, in dottrina d'Ari¬ stotile, che tutto quello che si muove in esse, si dovesse muovere in uno instante; e perciò quando il Sig. Galileo dire, che non avendo l’acqua re¬ sistenza quello che si muove in essa, si muove in tempo, pare che da per sè stesso destrugga le sue conclusioni, non avvertendo che piglia le propo¬ sizioni demostrate da Aristotile mediante i prineipii che egli niega. Sono so in questo discorso molti errori. Prima, il Sig. Grazia, per mio parere, commette un’equivocazione nel convertire in mente sua una propo¬ sizione non convertibile ; perchè, se bene è vero che le conclusioni delle quali si adduce buona e necessaria dimostrazione non possono essere se non vere, non per questo per il converso è necessario che d ogni conclusion vera qualunque prova si arrechi sia buona e ne¬ cessaria : e però, se bene il moto farsi in tempo è conclusion vera, A1TÀRTBNRNTT AL LIBRO DBL SIG. VrNCRNZrO DI GRAZIA. 729 non por qnonio no seguita olio la dimostrazione addottane da Aristotile debba esser necessaria o dependente da vere supposizioni. Anzi già si è dimostrato elio le velocità dell’ iatesso mobile in diversi mezzi non seguono la proporzione delle resistenze di quelli ; e come questo non è, resta senza efficacia 1* illazione : « Qui non è resistenza alcuna, adunque ci sarà velocità infinita », perchè, oltre al già detto, quando tal progresso fosse concludente, io necessariamente concluderei che un corpo grave che si muova, v. g., per aria, non potrà mai in alcun mezzo quietare ; perchè se la sua velocità decresce secondo che si io accresce la resistenza del mezzo, bisognorà per indnr l’infinita tar¬ dità (qual è la quiete) trovar infinita resistenza, la qual non si tro¬ vando, non si potrà parimente conseguir la quiete. Erra poi, secon¬ dariamente, il Sig. Grazia dicendo che il Sig. Galileo neghi la resistenza nell’acqua o nell’aria; anzi, come ormai cento volte si è detto, egli la concede, o la concede tale, che benissimo può ritardare il moto : ma questa non è resistenza alla divisione, ma sì bene all’ esser mossa e alzata. Passando il Sig. Grazia, nella face. 55 [pag. 4ifi], a voler dimo¬ strar che l’acqua sia un continuo, e non un contiguo, fonda la 20 sua prima ragione sopra una definizione, dicendo [li». 4-5] quello chia¬ marsi un corpo continuo, che ha un medesimo movimento; soggiugne poi [li». 9-15] : Onde se noi ritroveremo che le parti delti acqua si muovino d! un istcsso movimento nel medesimo tempo, sarà manifesto che V acqua sia un corpo continuo. Ma questo si vede manifestamente: imperciochè ca¬ dendo una nocciola d’acqua in terra, veggiamo tutta d’un medesimo 'mo¬ vimento unirsi in sh stessa : il che non segue dei corpi contigui; come, se noi gettassimo in terra un monticello di rena o di polvere, ella non solo si unirà insieme, ma si sparpaglierà. Io credo che questa prima ragione del Sig. Grazia sia por esser bisognosa di molte limitazioni e distin- 30 zioni, come interviene ai discorsi mal fondati. E prima, dicendo egli, continue essere le cose che si muovono del medesimo movimento nel medesimo tempo, cento mila cose sono in una nave, le quali si muo¬ vono del medesimo movimento nel medesimo tempo; adunque saranno continue, il elio è falso : bisogna dunque venire a qualche distinzione. Secondariamente, quando questa dimostrazione concludesse assai, pro¬ verebbe solamente, le gocciole dell’ acqua esser corpicelli continui, cadendo unite ; ma se quello che nel moto si disunisce e sparpaglia IV. 92 730 CONSIDERAZIONI non è un continuo, veggasi quel che fanno l’acquo cadenti da grandi altezze e in gran quantità, e poi si determini quello che si ha da statuir di loro, conforme a questa dottrina. Ma se il Sig. Grazia si fosse abbattuto a veder un’acqua cadente da un’altissima rupe arrivar in terra la maggior parte dissoluta in minutissimo stille, minori assai de’ grani di rena, non arebbe nè anco delle gocciole così assertiva¬ mente pronunziato t quello che ne afferma: I qui, dunque, parimente bisognerà altra limitazione. Terzo, se continuo è quello le cui parti si muovono d’uno stesso movimento, quello necessariamente lo cui parti ■ non si moveranno dell’ istesso movimento non sarà continuo. Ora con- io siderinsi gli effetti dell’ acquo elio noi comunemente veggiamo muo¬ versi; chò io fermamente credo che tutti contrarieranno al Sig. Grazia. Il quale primieramente afferma, alla face. 8'2 [pag. 436, lin. 12-15], esser diversi laghi, come quel di Como, di (iarda, etc., sopra dei quali pas¬ sano varii fiumi senza mischiarsi; onde bisognerà dire, l’acqua supe¬ riore non si continuare con quella di sotto. Ma più: d’un istesso fiume corrente non si muovono più velocemente le parti di sopra che quelle di sotto ? non ve ne sono altre che si torcono a destra, altre a si¬ nistra, altre che ritornano in dietro 1 ", e altre che si volgono in giro? non ve ne son di quelle che s’alzano, mentre che altre se n’abbas-so sano, e che in mille maniere si confondono ? e in questi tanto varii rivolgimenti, e nel passar che fa un fiume corrente sopra un’ acqua stagnante, non è egli necessario che le parti vadano in mille guise mu¬ tando accompagnature, ed ora sien con queste od ora con quell’altre? e se questo è, non è necessario elio continuamente si vadano mutando i toccamenti ? Certo sì ; perchè se lo minime particelle dell’ acqua facesser con le loro aderenti sempre gl’istessi contatti e nel medesimo modo, non seguirebbe alcuno delli accidenti narrati. Ma il mutar toc¬ camenti è delle cose che si toccano, e lo cose che si toccano son con¬ tigue ; adunque, Sig. Grazia, poiché le parti dell’ acqua, come voi 30 sentite e concedete, non si muovono d’un istesso movimento, è forza che loro non sien continue, per la vostra medesima definizione. Segue appresso la seconda ragione, e dice [pag. 416, lin. 15-22]: Anzi il Sig. Galileo dimostra per sensibile esperienza, che l’acqua s’attacca (die cose terree che di quella si traggano; il che non può seguire se l’acqua <1> La stampa: in dentro. APPARTENENTI Al, LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA, 731 non è corpo continuo: hnperciochè i corpi contigui, non essendo uniti , non possono reggersi l'un Valtro, come nella polvere si vede. Adunque se alla falda del piombo del Hip. Galileo s'attacca un'altra falda d’acqua, sarà necessario che Vaccina sia continua; non si vedendo la cagione perchè le parti indivisibili dell' acqua si possino unire insieme in quella falda, essendo contigue. Se io ben comprendo la mente del Sig. Grazia, egli concedo che duo corpi possino col solo contatto star congiunti e reggersi l’un con l’altro, purché loro in se stessi sieno continui, e non contigui sola¬ mente, come la polvere ; e fora’ a ciò ammettere l’induce l’aver ve¬ lo duto due marmi piani ben lisci, o vero due specchi sostenersi scambie¬ volmente l’un con l'altro col solo toccamente.Ed io di tanto mi contento, perchè è vero, e come tale non può mai contrariare ad un altro vero; ma solamonto, non bene inteso nò bene applicato, può eccitare, nella mente di chi l’usa male, opinioni fallaci 111 , come parmi che sia accaduto al Sig. Grazia. 11 quale doveva, primieramente, considerare clic non ogni duo corpi che si toccano rimangono attaccati in modo che possino sostenersi, ma solamente quelli che talmente adattono le lor superficie, che tra esse non resta corpo alcuno di parti sottili e fluide, quale massimamente è l’aria; onde non è meraviglia se le parti della pol- 20 vero o dell’arena non si sostengono, poiché non fanno contatti esqui- siti, e tra loro media molt’aria. Ma quando il contatto è esquisito, non solamente due corpi, ma dieci e cento si sosterranno ; perchè se una piastra di marmo ben liscia ne sostien un’ altra grossa, v. g., due dita, segandosi questa in cento sottilissimo falde, e ciascuna di superfìcie esquisitamente pulita, non è dubbio che la superiore è bastante di sostener con il contatto tutto ’l peso delle cento, perchè l’istessa gravità sosteneva avanti che fussero segate; la seconda poi con un sfinii'toc¬ camente reggerà più facilmente il peso delle altre 9!), e la terza molto meglio le rimanenti 98, e così di mano in mano ciascuna dello seguenti so più agevolmente sosterrà il restante, sendo sempre manco in numero e, per conseguenza, in gravità. È anco, di più, manifesto, che chi di¬ videsse la seconda falda in mille pezzetti, ciascheduno col suo contatto si attaccherà alla prima; e divise le altre similmente, ogni particella aderirà alla sua superiore, e tutte in somma rimarranno attaccate: ma, sì come due tali falde resiston al separarsi, così da pochissima (l ' La stampa : di chi Vusa mate opinioni, c fallaci. 732 CONSIDERAZIONI forza si lasciati muovere superficialmente 1 una sopra 1’ altra, non tro¬ vando, per la lor pulitezza, iutoppo alcuno che gli vieti lo sdruccio¬ lare tra loro speditamente. In oltre è ben notare che, quando questi corpicelli fussero anco di figura rotonda o di molte faccette, ma tanto piccolini che gli spazii lasciati tra loro fossero, per la loro angustia, incapaci delle particelle minime dell’aria, eglino parimente, mediante il solo toccamente, resterebbon congiunti, ancorché essi contatti fos¬ sero secondo minimo superficie. Ora, se il Sig. Grazia intenderà che le particole minime dell’acqua sieno così piccole che non ammettino ne’lor meati le particole dell’aria, e sieno, di più, o rotonde, o della io figura che piacque attribuirle a Platone, doverà in lui cessar la me¬ raviglia, come tra loro possino, col semplice toccamente, sostenersi : se bene, quando egli avesse solamente considerato più attentamente la sua propria scrittura, arebbe veduto molto più chiaramente la so¬ luzione del suo dubbio, che l’occasione del dubitare; perchè, se tanta mole di acqua col solo contatto aderisce e vien sostenuta da una falda di piombo, qual causa gli rest’egli di meravigliarsi che per simil toc¬ camente le particelle minimo dell’acqua si sostenghino fra di loro? Lo non credo però che egli creda, che dell'acqua e del piombo si faccia un continuo, nè che le superficie loro faccino altro che toccarsi t seni- 20 plicemente. I Vegga, dunque, l’inefficacia delle sue ragioni. Adduce, alla medesima face. 56 [pag. 416J, un’ altra ragione per prova della sua opinione, e scrive (lin. 26-32] : In oltre, il Sig. Galileo concede che la terra e le cose terree sieno corpi continui: ma deve avver¬ tire che questo effetto dall'acqua depende ; imperciochè se non fusse Vacqua, la terra, come fredda c secca, non starebbe unita, anzi resterebbe in guisa che si vede la cenere, e la sua gran mole si sparpaglierebbe. Il simile si vede nella cenere, nella farina , nella polvere e in moli’altre cose contigue, che mediante l’acqua si fanno continue. E non doviàn dire che ella sia continua? lo non mi ricordo d’aver letto nel trattato del Sig. Galileo 30 tal cosa, nè so qual sia la sua opinione: so ben che il Sig. Grazia è molto lontano dal sapere qual è P operazione dell’ acqua nel far che le parti della farina, del gesso e di altre polveri non coerenti, diventino, non dirò già continue, ma sì bene attaccate, potendo anco a ciò ba¬ stare l’esquisito toccamente. E per conoscer il nulla concludere del suo discorso, anzi del concluder più tosto il contrario, idonea coniettura poteva essergli il veder altrettanti 0 più corpi, stimati da lui con- AI’l’ARTKNKNTI AL LIBRO DEL 81G. VINCENZIO DI GRAZIA. 733 tónni, discontinuarsi o dissolverai con 1’ acqua e mentre si trovano con¬ giunti con'" lei: dove che quelli eh’ ei credo elio di contigui si faccino, mediante l’acqua, continui, ciò non dimostrano se prima tutta l’acqua non si svapora e scaccia via; anzi ella medesima, rimessavi, gli discon¬ tinua e dissolvo. K l’azzione, così propria dell’acqua, di astergere e mondare non dopend’ella totalmente dal dividere separare o discon- tinuare 1* immondizie? Tal che, so l’argomentar la costituzione delle parti dell’acqua da questi effetti ò concludente, il Sig. Grazia da sè medesimo resta convinto. io Molto fuori di proposito viene accusato dal Sig. Grazia, nel fine della medesima face, òli [pa#. -liti, li», io p ilw . 117, lin. (>], il Sig. Galileo del non aver egli provato con sue dimostrazioni come ’] continuo si com¬ ponga d’indivisibili, e risposto alle ragioni d’Aristotile in contrario; ed è tal accusa fuor del caso, avvegna che nel trattato do! Sig. Ga¬ lileo non cade mai questa occasione, se ben il Sig. Grazia ve la trova, scrivendo cosi: Non .su già ritrovare, in che maniera il Sig. Galileo voglia che i metalli si divùlino quasi in parti indivisibili da i sottilissimi aculei del fuoco, c quali sieri questi aculei che in esso si ritrovano; se però egli non vuole che le cose si componghino di atomi e di parli indivisibili, il che 20 non posso credere, come quel che repugna alle sue matematiche, le quali non concedano che la Unni si componga di punti; oltre a che ci sono infinite ragioni d’Aristotile, alle quali il Sig. Galileo dovea rispondere. Non vedete voi, Sig. Grazia, la nullità dolla vostra conseguenza, e una quasi vo¬ stra contradizione? qual cagione avete voi di dire che non sapete trovare quali sieno gli aculei sottilissimi del fuoco, se già il Sig. Ga¬ lileo non volesse che lo coso si componessero d’atomi e di indivisibili? Gli aghi, Sig. Grazia, son corpi quanti, e però son aghi; ed essendo tali, non hanno che far niente nel suscitar quistione se la composi¬ zione delle linee o di altri continui sia di indivisibili. Dove poi avete :to voi trovato che ropugni alle matematiche il compor le linee di punti? e appresso quali matematici avete voi veduta disputata, simil quistione? Questa non avete voi sicuramente veduta, nè quello repugna alle ma¬ tematiche. Confutata che ha il Sig. Grazia, per quanto egli si persuade, la ragione addotta dal Sig. Galileo del galleggiar le falde gravi sopra 111 La stampa: in. 734 CUNSII >KK A ZIO XI l’acqua, e addottane la stimata vera da sè, si apparecchia, per non lasciar niente indeciso, a render ragione perchè le falde devono esser asciutte, e non bagnate; e dice che l’acqua, oltre alla resistenza alla divisione, ne ha anco un’altra, dependente dal desiderio della propria conservazione. La qual seconda resistenza mentre che io ricerco e aspetto di intendere qual ella sia, sento replicarmi la medesima prima già detta, e trovo scritto in tal guisa alla face. 58 [pag. 417, lin. 36- pag. 418 , lin. 5] : Stando, dunque, questa imposizione (cioè che tutte le cose hanno desiderio della propria conservazione), avviene che tutti gli cle¬ menti devano resistere alla divisione, imperoehè da quella depende il lor io proprio distruggimento ; conciosia che"' gli clementi e i composti di quelli, essendo composti di contrarie qualità, continuamente fra di loro si di¬ struggono: onde passando l’assicella d’ebano per l'acqua, come quella che è un misto terreo, viene a corrompere qualche particella d'acqua, e perciò ella resta unita, non desiderando la divisione, perché da quella ne nasce la corruzione; là dove, quando Vassicella è bagnata , si leva via questa resistenza , e perciò ( ' 2 ', non resistendo l'acqua, come quella che non sente il contrario, può l’assicella scorrere a suo piacere verso il fondo. Qui vera¬ mente doverebbe bastar l’aver registrato questa ragione trovata dal Sig. Grazia di proprio ingegno, lasciando campo al lettore di formar 20 da questo solo il concetto che deve aversi di tal maniera di filosofare; ma perchè ciò passerebbe senza veruna utilità di questo autore, non re¬ sterò di avvertirlo di alcuni particolari. E prima, con qual fondamento dite voi, Sig. Grazia, che dalla divisione depende il di struggimento e la corruzzione de gli elementi, mostrandoci più presto l’esperienza tutto l’opposito, cioè che l’acque e l’aria tanto meno si corrompono quanto più si dividono commovono e agitano? Forse mi direte voi che nel corrompersi gli elementi e trasmutarsi l’imo nell’ altro è forza che e’si dissolvino e in conseguenza si dividine, e elio perciò, se bene ci è una agitazione e commozione nell’acqua, la quale conferisce aliano sua. conservazione, vi è anco una dissoluzione che apporta corruzzione. Io vi concederò tutto questo, ma vi dirò che quell’effetto che si fa con metter l’assicelle e altri solidi nell’acqua, è simile a quella divi¬ sione e connnozzione che fa per il conservamento, e non per la cor¬ ruzzione. Come dite voi che i misti terrei col solo contatto o semplice (1 * Ijìi Btarapa omette le parole: da quella ctonia che. depende il lor proprio di struggimento ; con- <*) La stampa : resistenza, perciò. APRAKTKNKNTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 73ó divisione repentinamente corrompono qualche parte dell’ acqua? Male starebbe l’acqua nelle conserve, ne’pozzi, ne’fiumi, ne’laghi, nel mare, dove è credibile che ella continuamente sia toccata da corpi terrei. Come è possibile che voi abbiate scritto, che passando l’assicella per l’acqua, corrompa di lei qualche parte, onde ella faccia resistenza alla divisione; e poi soggiunto, che quando l’asse è bagnata tutta, l’acqua non sento più il suo contrario, e perciò non resiste alla divisione? 10 non saprei trovar altro ripiego a così gravi essorbitanze, se non 11 dire che nel vostro arbitrio è riposto il far che l’acqua senta o io non senta il suo contrario, quando piace a voi. Egli è forza che voi vi figuriate due acque fra di loro distinte, dello quali una, bagnando l’assicella, serva per difesa all’altra dalla contrarietà, sì come una pelle morta circondando una viva la difende dall’ingiurie esterne. È egli possibile scriverle maggiori? Sento rispondermi di sì, e invi¬ tarmi a legger quel che segue, che è questo [pag 4 i 8 , lin. 5-103 : I n oltre, egli non è dubbio che a voler generare questo accidente ci vogliono due continui, uno è lassicella d'ebano, l’altro è l’acqua: ma non si avvede il Sig. Galileo, che bagnando l'assicella, di due continui se ne viene quasi a far uno, perchè' la superficie dell'assicella, dove che di sua natura è arida, 20 bagnandosi diviene umida sì come è l'acqua. Per le quali ragimi si deve credere, che la detta assicella galleggi sopra dell’acqua. A questo, Sig. Gra¬ zia, io non voglio replicar altro, ma solo scusare il Sig. Galileo se egli non s’è avveduto che, bagnando l’assicella, di due continui se ne faccia uno. Ma essendo non meno necessarii due continui, cioè l’acqua e l’assicella, per fare il ritardamento del moto in tutta la profondità dell’acqua che per far la quiete nella superfìcie, dovevi voi divisargli il modo che tenete, nel caso del ritardamento, per accorgervi che dell’assicella, benché bagnata tutta, e dell’acqua non si faccia un continuo solo, come si fa nel caso del galleggiare, e dovevi assegnare 30 la differenza tra questi due casi ; sì come altresì sarebbe stato bene, che voi aveste dichiarato per qual cagione basti, per far un continuo dell’acqua e della tavoletta galleggiante, che la sua superficie di sotto solamente venga bagnata, e nell’altro caso non basti a far l’istessa continuità l’esser interamente circondata dall’acqua, t Finalmente av¬ vertite, Sig. Grazia, che quando dite cho bagnando l’assicella, di due continui se ne viene quasi a far uno, quella particola quasi importa che non si fa un continuo; sì come chi dicesse: « Gilberto è quasi considerazioni 736 vivo », verrebbe senz’altro a significare che non è vivo, ma morto: talché il vostro discorso resta tutto vano. I Con pochissime parole si sbriga il Sig. Grazia, alla face. 59 [pa*. 418, lin .36 —pag. 419, lin. 11], dall’obbligo di confutar tutte le dimostrazioni del Sig. Galileo, attenenti al provare come ogni figura può galleggiare in virtù dell’aria contenuta dentro a gli arginetti : e la confutazione del Sig. Grazia sta nel negare due prineipii, conio falsi, sopra i quali le dette dimostrazioni, t a detto suo, l si fondano; de’quali dice egli uno esser l’aria aderente alla falda con virtù calamitica, e l’altro che Vassicelle abbino già penetrata la superficie dell’ acqua. Qua rito al primo, io non mi io son accorto che il Sig. Galileo faccia tanto fondamento sopra l’aderir l’aria alle falde natanti per virtù calamitica, che annullata tal virtù restino le suo dimostrazioni senza forza ; anzi ei non la nomina mai, se non una volta come cosa introdotta da altri, ed in maniera che non opera nulla circa le sue dimostrazioni : ma gli avversarli suoi, scarsissimi di partiti, s’ apprendono ad ogni minima ombra di fallacia. Però se questo principio ò falso, bisogna che il Sig. Grazia dimostri che dentro gli arginetti non descenda aria o altra cosa leggiera, se¬ guendo le falde ; che quanto alla virtù calamitica, il porla o negarla è una vanità sciocchissima. Quanto all’ altro principio, ammesso che 90 impossibil cosa sia che il Sig. Grazia vegga o intenda che le falde penetrano la superficie dell’ acqua, non però è credibile che egli stimi l’istesso dei prismi e cilindri molto alti e dei coni e delle piramidi, e che a lui solo sembrino posarsi sopra la superficie dell’ acqua con la punta in giù, come una trottola sopra un fondo di tamburo ; ed essendo che le dimostrazioni del Sig. Galileo sono per la maggior parte intorno a tali figure, nelle quali non si può dubitare se l’assunto del- l’aver divisa la superficie dell’ acqua abbia luogo, non dovevano esser così tutte buttate a monte ; nè credo veramente che ’l Sig. Grazia 1’ arebbe fatto, se si fosse accorto che le trattavano d’ altre figure so che delle piane. Pur ora ho detto che gli avversarii del Sig. Galileo s’attaccano, per impugnarlo, sino alla non sua virtù calamitica ; ed ora il Sig. Gra¬ zia, tratto dal medesimo desiderio, non si cura di peggiorar la sua condizione per opporre al Sig. Galileo 1’ aver usurpati gli arginetti dell’acqua come se stessero elevati pd angoli retti, se ben sono bistondi; nè si accorge che se le dimostrazioni del Sig. Galileo concludono il APPAR TENENTI AL LIBRO DEL SIC. VINCENZIO DI GRAZIA. 737 poter la. poca aria contenuta tra gli arginetti, quando anco fossero angolari, sostener i solidi natanti, molto più ciò acoaderà della mag¬ gior quantità d’ aria compresa dentro a gli arginetti incurvati. Onde si fa manifesto che il Sig. Grazia, quanto più cerca di svilupparsi, più s’intriga. Cominciando'” il Sig. Grazia a esporre il testo d’Aristotile, scrive a face. 61 [pag. 420, liu. 16-17] : Ma le figure non son cause del muoversi semplicemente o in su o in giù, ma del più, tardi o più veloce etc. ; segui¬ tando poi d’interpetrarlo, dice che la dizione semplicemente si può io congiugnere con la dizione figure, e con la dizione cause, e con la dizione muoversi; tutte le quali esposizioni dice esser verissime, e ninna di esse repugnare ad Aristotile, nò alla natura di quel che si tratta : il che se sia vero o falso, e favorevole o pregiudiziale alla dottrina d’Aristotile, facilmente si può vedere. Imperochè se noi con¬ sideriamo la particola semplicemente e la particola ma, non è dubbio che quella ha natura di ampliare e, per così dire, d’universaleggiare, e questa di coartare e particolareggiare. Ora, se congiugnendo la di¬ zione semplicemente con le figure si dirà: « Le figure semplicemente non son cause etc. », per coartare tal proposizione si doverà dire: 20 « Non le figure semplicemente prese son cause etc., ma le figure in tale o tal modo condizionate, come, v. g., le globose e non le piane, le circolari e non le trilatere etc. », overo : « Non le figure, come figure semplicemente ed in astratto, ma le figure congiunte con ma¬ teria sensibile * ; ed in somma quel che segue dopo la limitazione della particola ma, deve aver riguardo a quello che dalla particola semplicemente era stato ampliato. E così se si congiugnesse la dizione semplicemente con le cause, sì che il senso della proposizione impor¬ tasse : « Le figure non son cause semplicemente del muoversi etc. », ristrignendo il pronunziato si doveria dire in un tal modo: « Le figure 30 non son cause semplicemente ed assolutamente etc., ma son cause per Sulla parte superiore della car. 182 r. del 1U8., che contiene le liu. 6-29 di questa pagina, si leggono, di pugno di Galileo e cancellati, i due frammenti che seguono: * Già che le dimostrazioni ed i discorsi non operano nulla, perche non ogni cervello è atto a capirle, ci rimetteremo alla sola esperienza, della quale cantò il Poeta: Quella elio’l. ver dalla bugia 7 [pug. 424, fin. 23-30], egli conclude che delle tre esposizioni sopradette quella di congiugnere la dizione sem¬ plicemente con le figure è da esser più seguita, come quella che è de’ migliori, cioè di Temistio, di Simplicio, d’Averroe, di San To¬ maso, etc., dei quali nissuno ha detto mai tal cosa, nè l’averebbe pur pensata, sendo una somma sciocchezza. E chi direbbe mai, altri che ’l Sig. Grazia, che le figure semplicemente prese, che tanto è quanto a dire preso in astratto e separate dai corpi sensibili, sion cagione di velocità 0 di tardità? poiché intese in tal modo nulla possono operare, e niuna comunicanza hanno con movimenti 0 con le materie naturali? 80 4-5. muoversi in su o in giù solamente o del muoversi tardo o veloce etc. Stanti — ^ Qui Galileo caveva prima scritto, e poi cancellò, quanto segue : » le quali tante sono in numero, che troppo tedio ed inutil Jatica si spenderebbe per confutarle tutte». Sul margine superiore della car. 132 1. del ras., la quale contiene le lin. 29-30 della pag. 737 e le lin. 1-30 della presente pag. 738, si legge, di pugno di Galileo, questo bara¬ meli to : * Al p[adre] Campanella]. Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leg¬ giera, cl\e ’l disputar lungamente dello mas¬ sime questioni senza conseguir verità uis- suna. » APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIQ. VINCENZIO DI GRAZIA. 739 Affaticasi il Sig. Grazia, ancora a face. C>8 [pag.425, lin. 1-is], per sal¬ vare il testo d’Aristotile, come che il filosofare altro non sia che il solo procurar d’intender questo libro e sottilizar per difenderlo dalle sensate e manifeste esperienze e ragioni in contrario : e venendo al problema dell’ ago, che pur si vede galleggiare contr’ al detto del Filosofo, e non approvando l’interpretazion di chi ha detto che l’ago si deve intender esser messo per punta e non a giacere (non perchè e’ non accettasse questa ancora, per mio credere, por un ultimo ro- fugio, ma perchè gli par che ci sia di meglio), dice, prima, che si io deve intender di un ago tanto grande che non stia a galla, e questo è forse il manco male che si possa diro ; ma, non contento di questo, aggiugne che, quando bene le parole d’Aristotile non potessero ricever altro senso se non che parlasse di aghi sottili i quali galleggiassero, non per questo sarebbe difettoso ; imperciochè e’ mostra che qualsi¬ voglia materia, benché gravissima, e di qualsivoglia figura, riducen¬ dosi a tanta piccolezza che per la poca gravità non possa fender la continuità dell’ acqua, sopranuota, e che perciò Aristotile non ha tra¬ lasciato tal problema, ma l’ha compreso sotto la conclusione univer¬ sale delle cose gravi che galleggiano non per la figura ma per la 20 piccolezza. La qual difesa non si deve ammettere in conto alcuno, come troppo pregiudiciale alla dignità d’Aristotile, il quale sicura¬ mente non ha auto in animo di dir simile sciocchezza. E come volete voi, Sig. Grazia, che uomo sensato dica, che gli aghi che noi veggiamo galleggiare, galleggino non per la figura, ma per la piccolezza e mi¬ nima gravità? non vedete voi che, se questo fusse, la medesima quantità di ferro dovrebbe nè più nè meno stare a galla ridotta in qualsivoglia altra figura? il che è falsissimo, perchè se voi del ferro di un tal ago ne farete un globetto o un dado o altre tali figure raccolte, tutte si affonderanno. Adunque l’ ago non galleggia per la so piccola quantità e per il poco peso, ma per la figura, come le falde medesime, conforme alla vostra opinione. Ma più 11 ’ vi voglio dire, che se voi piglierete un’ oncia di ferro e lo tirerete in un filo sottile coni’ è un ago comune, egli, disteso su 1* acqua o tessuto in foggia d’ una rete, starà a galla non meno che se fusse una falda ; e non solo un’ oncia, ma una libbra e cento, così accomodate, si reggeranno. [ì) 1 -il stampa: poco peso, ma come le falde medesime. Ma più. 740 CONSIDERA Z10NI Non può, dunque, Aristotile addur per causa di tal accidente la pic¬ colezza, ma gli bisogna ricorrere alla figura. Ammettete, dunque, che Aristotile si è ingannato nel fatto, credendo che solo le figure larghe, ma non le lunghe e strette, possi no esser causa del galleggiare; e non vi affaticate per liberarlo da questo lieve fallo, perchè al sicuro voi lo fareste incorrere in molto maggiori, se per caso lo vostre inter¬ pretazioni venissero ricevute per conformi alla sua mente. Trovandosi da diversi espositori d’Aristotile diversamente portato un termine nella quistione : « Onde avvenga che alcuni corpicelli mi¬ nimi vanno notando anco per T aria », dei quali alcuni, tra simili io corpicelli pongono l’arena d’oro, e altri leggono non l’arena, male foglie d’ oro battuto ; il Sig. Galileo, per prender la parte più favo¬ revole per Aristotile, aveva preso le foglie, e non l’arena, vedendosi quelle tutto ’l giorno andar vagando per 1’ aria, e questa non mai. Ma il Sig. Grazia, al quale non si può usar cortesia, per impugnar il Sig. Galileo, se ben prima erano di ciò colpevoli Averroe, Simplicio ed altri, vuol T arena, e non le foglie. Ma quel che è più ridicoloso, vedendo come malamente si poteva sostener che T arena o la lima¬ tura d’ oro vadia notando per aria, dice che Aristotile ha detto per V acqua, e non per aria, se ben tal cosa non si trova nel suo testo. 20 Circa questo particolare si diffonde alla face. 69 e 70 [pag. 426, lin. 3 — pag. 427, lin. 16] ; ma perchè questa è cosa che sta in fatto, e ciascuno se ne può chiarire, non ci dirò altro. Solo avvertirò il Sig. Grazia del particolare 01 che desidera sapere dal Sig. Galileo, alla detta face. 70, dove <2) [pag. 427, lin. 12-16] egli scrive così : E notisi che il Sig. Galileo dice che i globcttì del piombo e gli aghi sopranna olino nell’ acqua, ed ora nega che la polvere sopra di quella galleggi : ora io desidererei sapere perchè quelli e non questa soprannuota, se quelli son più gravi che questa; onde pare che ’l Sig. Galileo fusse in obbligo di dimostrare perchè questa diffe¬ renza in questi suggetti si ritrova. Ora sappia il Sig. Grazia, per suo so avvertimento, che avendo il Sig. Galileo letto in Aristotile che la polvere di terra e le foglie dell’oro vanno notando per l’aria; ed avendo inteso che il dir per aria voglia dir per la profondità dell’aria, e non sopra la sua superficie; tanto remota da noi che veder non la possiamo, nè forse vi arriva la polvere ; disse che tali cose non si (l ' La stampa : de’ particolari. 141 La stampa : alla detta face., dove. APPAKTKNKNTI AL LIBRO DHL 810. VINCHNZ10 DI GRAZIA. 711 sostengono non solamente nell’aria, ma nell’acqua, pigliando l’acqua nel modo stesso elio si è presa l’aria, cioè per la profondità dell’acqua: talché dicendo egli clic gli 1,1 agili o i piccoli globetti di piombo gal¬ leggiano nella superficie dell’ acqua, e elio la minuta polvere non si sostiene por la profondità dell’aria nè per quella dell’acqua, ha parlato bene, ma ò stato male intoso dal Sig. Grazia w . Stimò Democrito, elio del non descendere al fondo per l’acqua alcune materie distese in falde sottili, che in figura più raccolta si sommergono, no fosser cagione gli atomi ignei, che continuamente, io conforme alla sua opinione, ascendono per l’acqua, li quali, urtando in gran copia in tali falde larghe, possono sospignerle in alto, il che non può far piccola quantità dei medesimi, che si oppongono alle figure più raccolte ; ed alla obiezzione che alcuno gli averebbe potuto far contro, dicendo che tale effetto dovrebbe accader più nell’ aria che nell’ acqua, egli rispondeva, ciò non accadere perchè i detti atomi nell’acqua vanno più uniti, e nell’aria si sparpagliano. Fu dal Sig. Ga¬ lileo anteposto tal discorso di Democrito, recitato da Aristotile nel fine del quarto del Cielo, a quello d’Aristotile medesimo in questo luogo, e fu opposto ai detti d’Aristotile, come nel trattato del Sig. Galileo 20 si vede. Ora il Sig. Grazia, per opporsi al Sig. Galileo in questi par¬ ticolari, scrive alla face. 74 e 75 fpajy.430, liu. 22-38] così: Essendo Vinstanza di Democrito, s ingannerà Democrito, e non Aristotile: ma avverta il Sig. Qa- W La stampa : dicendo, gli. W Qui Galileo aveva scritto dapprima, e poi cancellò, quanto appresso : * Aveva scritto il SiLf. (ìalileo, por iscusa di Demo¬ crito dall 1 accusa d’Aristotile, che i corpi gravi meno pesano nell’acqua che nell 1 aria, sì clic tal uno che in aria peserà 10 libre, in acqua non peserà raez’ oncia, e però che da minor forza potrà esser sostenuto in acqua che in aria. A queste cose opponendosi il Sig. Grazia, scrive, alla face. 75 ipag. 4so, Hn. 25 - 28 ], così r Imperciochè il piombo e 7 ferro son gravi di gravità assoluta; e il Sig. Galileo argumenta dicendo, che tal corpo peserà cento li¬ bre, che nell’acqua sarà leggieri: ma questi sono di gravità respettiva : adunque Varganiento non conclude. Avendo per tante esperienze conosciuto quanto il Sig. Grazia sia facile a cangiar le sue proposizioni, e bene spesso nelle contrarie, non ardirei di risolvermi a dire, con qual fondamento egli in questo luogo affermi, il piombo e ’l ferro esser gravi di gravità assoluta, e massime avendo egli altre volte nominata la terra e ’l fuoco so¬ lamente, quella grave assolutamente e questo assolutamente leggiero; onde averei creduto che de i misti egli non avesse auto a pro¬ nunziar Pistesso. Ma perchè io non fo un caso al inondo de i nomi, nè ho bisogno di raccòr minuzie per reprovar la scrittura del Sig. Grazia, lascio eh 1 egli nomini le cose a suo modo, e crederò ch’egli così gli chiami perchè descendono, come la terra, pei tutti gli altri 3 elementi, o perchè e’ sieno terrei a predominio, chiamando poi gravi di gra¬ vità respettiva quelli che descendessero in aria, e ascendessero e bisserò leggieri in acqua ». 742 C0NSIDK11ÀZI0NI Meo, che nè l’ uno nè V nitro s’inganna, direndo che le. piastre del ferro e del piombo più si dovcrebbono sostenere nell' aria che nell’ acqua, stando V opinione di Democrito. Imperochè il piombo e il ferro son gravi eli gravità assoluta ; e il Sig. Galileo argumenta dicendo, che tal corpo peserà cento libbre, che nell’acqua sarà leggieri: ma questi son di gravità re- spdtiva: adunque Vargumenta non conclude. Ami le falde del ferro e del ■piombo, sendo gravissime, tanto saranno grave nell'aria che nell’acqua: il che per esperienza agevolmente si può pi-ovare. E per far ciò, piglisi tanto piombo che ne l’aria contrappesi due libbre; dico che nell’ acqua lo contrappcserà: c questo addiviene perchè è grave di gravità assoluta. Ma se io si metterà una bilancia nell’acqua e l’altra nell’aria, quella dell’aria pe¬ serà più per la resistenza: imperciochè la resistenza dell'acqua sostenendo quella bilancia che è in essa, viene a diminuire il peso; e quindi avviene che- molte machine nell’ acqua son sostenute da minor forza che nell’ aria, trattando sempre della gravità non assoluta. Concludasi, dunque, che nel particolare del Sig. Galileo, se nessuno ha filosofato male, egli è stato De¬ mocrito, e non Aristotile, se bene io direi che in questa instanza niuno di loro avessi mal filosofato. Questo è di quei luoghi del Sig. Grazia, che per la multiplicità degli errori può sotto molte classi esser riposto ; dal che mi asterrò, per non l’aver a trascrivere tante volte. 20 E prima, egli dice che l’instanza contro a Democrito non è fatta da Aristotile, ma dall’istesso Democrito: il che è falso; perchè, se ben Democrito mosse l’instanza, la risolvette ancora ; ed Aristotile, repro¬ vando la soluzione, tornò a farsi forte sopra la medesima instanza, ed a reputarla efficace, e 1’ usò contro a Democrito, come apertamente si vede nel testo. Secondariamente, erra il Sig. Grazia con doppio errore nel dire che nè Aristotile nè Democrito s' ingannino, dicendo che le piastre del ferro e del piombo più si doverebbono sostener nell’ aria che nell’ acqua, stando V opinione di Democrito : erra, dico, prima, per non intendere so quello che dica Democrito, il quale non (lice che tali piastre più si devino sostener in aria che nell’ acqua, anzi dice tutto ’l con¬ trario, e risponde a chi volesse dire in quel modo, che è Aristotile solo, e non Aristotile e Democrito : erra, secondariamente, nel cre¬ dere che questo non fusse inganno, stante l’opinione di Democrito ; perchè, sendo 1’ opinione di Democrito che gli atomi ignei per 1’ acqua si muovino uniti ed impetuosamente, e nell’ aria si spax’pa- APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO 01 GRAZIA. 743 glino, è chiaro che tali falde meglio saranno sollevate nell’acqua che nell’ aria. Terzo, che il piombo e ’l ferro sien gravi di gravità assoluta (parlo conforme alla filosofia che professa il Sig. Grazia), non resta senza qualche scrupolo : perchè egli averà altre volte detto che la terra so¬ lamente è gravo di gravità assoluta, ed il fuoco leggiero assolutamente, e gli altri elementi gravi e leggieri respettivamento ; talché, sendo il ferro e ’l piombo misti de’ quattro elementi, ci vuol il decreto di per- 10 forse il Sig. Grazia gli vuol chiamare assolutamente gravi perchè de¬ scendono, a imitazion della terra, in tutti tre gli altri elementi : la qual cosa se è cosi, ogni misto che in tutti i medesimi elementi de¬ scenda, potrà dirsi assolutamente grave ; il che liberamente concederò al Sig. Grazia, non facendo io ditficultà nissuna nei nomi; ma ben dirò elio ('gli in questo luogo gravemente pecca, adulterando la sen¬ tenza del Sig. Galileo, per disporla alle oppugnazioni d’un equivoco che gli vorrebbe addossare, qual sarebbe che trattandosi di misti di gravità assoluta, che anco nell’ acqua per loro natura descendono, egli argomentasse prendendo corpi di gravità respettiva, quali son so quelli che, pesando nell’aria, son poi leggieri nell’acqua. Ma, Sig. Gra¬ zia, voi sete quello che sagacemente commettete l’equivocazione, men¬ tre scrivete che il Sig. Galileo argumenta dicendo, che tal corpo peserà 100 libbre, che nell’ acqua sarà leggieri ; la qual cosa non si trova nel testo del Sig. Galileo, il quale, parlando solo di materie che anco nel- 1’ acqua descendino, scrive così [pag. 131, Hn. 21-25] : « S’inganna, secon¬ dariamente, Aristotile, mentr’ e’ vuole che detti corpi gravi più age¬ volmente fossero da calidi ascendenti sostenuti nell’aria che nell’acqua.: non avvertendo che i medesimi corpi sono molto più gravi in quella che in questa, e che tal corpo peserà 10 m libbre in aria, che nell’acqua so non peserà mezz’ oncia ». Ma, Sig. Grazia, il non pesar mezz’ oncia nel- T acqua è molto differente dall’ esservi leggieri, perchè quello è scen¬ der nell’ acqua, e questo sormontarvi : adunque il Sig. Galileo parla di materie, secondo le vostre fantasie, gravi assolutamente, e 1’ argo¬ mento suo è concludente. Quarto, molto notabilmente s’inganna in creder che ’l ferro e ’1 ' % (n La stampa: 100 744 CONSIDERAZIONI piombo e l’altre materie gravissime tanto sien gravi nell'acqua quanto nell’aria, essendo vero e dimostrato che ogni mole di materia grave pesa manco nell’acqua die nell’aria, quant’è ’l peso in aria di altret¬ tanta mole d’acqua. Ma perchè il Sig. Grazia fa meritamente più conto d’una sensata esperienza che di cento ragioni, io ancora ne farei volentieri l’esperienza che egli insegna a farne, se io sapessi ben raccòrrò dalla sua descrizione come ella procede" 1 . Egli primieramente mi dice: Piglisi tanto piombo che nell'aria contrappesi due libbre: dove io desidererei sapere di che materia hanno ad esser queste due libbre contrappcsate, cioè se di ferro, o di legno, o pur di piombo esse an- io cora; perchè soggingnendo egli: dico che nell’acqua lo contrappeserà, perchè è grave di gravità assoluta, le due dette libbre di piombo non contrappeseranno (mettendosi nell’acqua amendue i pesi) altre due libbre d’altra materia che di piombo; perchè se tal contrappeso fusse, v. g., di legno, mal potrebbe nell’acqua contrappesar due libbre di piombo, sì come l’istesso Sig. Grazia benissimo intende. Che poi, messe dall’ima e dall’altra banda della bilancia due libbre di piombo, faccino l’equilibrio tanto nell’acqua quanto nell’aria, è verissimo, ma non prova niente per il Sig. Grazia, l’intenzion del quale è di provare che il piombo tanto pesi nell’acqua quanto in aria: e questa espe-20 rienza così non prova tal cosa, ma solo che duo piombi di peso eguale fra di loro in aria, saranno anco fra di loro egualmente gravi in acqua; ma non prova già che i lor pesi in aria sieno eguali a i lor pesi in acqua: e questo è un errore in logica, ed un’equivoca¬ zione non minore che se altri dicesse: « Questi son due cerchi eguali fra di loro, e quelli son due triangoli eguali fra di loro; adunque questi due cerchi sono eguali a quei due triangoli ». Bisognerebbe, per verificar la proposizione del Sig. Grazia, che contrappcsandosi in aria una mole di piombo con altrettanto peso, il medesimo peso, e niente manco, ritenuto in aria, contrappesasse la medesima mole di piombo so messa in acqua ; il che non seguirà mai, ed il Sig. Grazia medesimo lo scrive, dicendo che la lance che sarà in acqua peserà manco, per la resistenza maggiore nell’acqua che nell’aria, la qual resistenza dell’ acqua, sostenendo la bilancia, diminuisce il suo peso. Ma se l’acqua diminuisce il peso al piombo che si trova in lei, come dite 1 1 Qui Galileo aveva scritto dapprima, iu sin dove egli dice che si pigli tanto piombo e poi cancellò, quanto appresso : - Io intendo che nell’ aria contrappesi 2 libre ». API’ARTKNUNTI AI, LIBRO DKL BIG. VINCKNZIO DI GRAZIA. 74i> voi, Sig. Grazia, che ’l piombo tanto posa in acqua quanto in aria? quali contradizioni son queste? Quinto, qual altro esorbitanze e contradizioni soggiugnete voi, di¬ cendo che di qui avviene che molte machine nell’acqua son sostenute da minor forza che nell'aria, trattando sempre della pravità non assolutaY Se voi chiamate gravità assoluta quella che descende nell’acqua, la non assoluta sarà, quella elio scende ben nell’aria, ina nell’acqua di¬ vieti leggerezza; onde questo machine di gravità non assoluta saranno loggiere nell’acqua, nè ci vorrà forza alcuna per sostenerle: come, io dunque, contrariando a voi stesso, dite che le saranno in acqua so¬ stenute da minor forza? Passa il Sig. (Irazia, nella medesima face. 75 |pag. 430, lin. 40—pag. 431, (in. 6], a reprovar certa esperienza del Sig. Galileo, come non accomodata alla difesa di Democrito. 1/ esperienza era, che messi carboni accesi sotto un vaso di ramo o di terra pieno d’acqua, nel fondo del qual fosse una falda larga e sottile, di materia poco più grave dell’acqua, essa veniva sospinta in su da i corpuscoli ignei che, uscendo dai carboni, penetrano il vaso e si muovono in su nell’ acqua. Della qual espe¬ rienza 0 ’, prima ammessa o poi revocata in dubbio, scrive il Sig. Grazia 20 così [lin. fi-ft] : Ma quando la esperienza fusse vera, avvertiscasi che ella non è per Democrito; perche, egli parlava delle falde di ferro e di piombo, e questa, segue nelle materie poco più gravi dell’acqua; e perche egli trat¬ tava del soprannotare, e non dello stare sotto dell’ acqua, come segue. 11 Sig. Galileo propose nell’esperienza materia poco più grave dell’acqua, per poterla più agevolmente fare, ma non che l’istesso non si possa, vedere ancora nel ferro e nel piombo, ma questi bisogna assottigliargli assai più che altre materie men gravi : però, come il Sig. Grazia, per sua satisfazione, volesse veder l’effetto in queste ancora, potrà farne falde sottili come l’orpello, o tòr dell’orpello stesso, che egli ne vedrà so l’effetto. Che poi Democrito parlasse del soprannotare in superficie, e non dell’ascender por acqua, è falso: prima, perchè le parole mede¬ sime scritte da Aristotile suonano che Democrito dicesse che gli atomi ignei ascendenti spingono in su le falde larghe; e l’istesso Sig. Grazia, lo sa benissimo, e lo scrive alla face. 76 fpag. 431, lìn. 18-20], dicendo: Egli h Democrito che s’impugna, dicendo che se gli atomi ignei sollevas- (,) La stampa : resistenza. IV. 94 740 CON81PKK AZIONI sero le falde nell’acqua, le dovrebbono sollevare ancora nell'uria: secon¬ dariamente, ciò si raccoglie dall’istanza che si fa, dicendo che ciò dovrebbe maggiormente seguire nell’ aria ; ma quello che noi pos¬ siamo veder nell’aria òse tali falde vi ascondono, e non se si quie¬ tano sopra la sua superficie; adunque Democrito parlò dell’innalzare sottil falde per la profondità dell’acqua, e non del sostenerle sopra la superficie. Talché, se pur ci è mancamento in alcuno, sarà in Ari¬ stotile, che, applicando le cose dette da Democrito a conclusioni dif¬ ferenti dall’intenzione di quello, si volge immeritamente a riprenderlo; potendo esser vero che le falde di pochissima gravità siano in acqua io sospinte in su da gli atomi ascendenti, come stima Democrito, e falso che le falde del piombo e del ferro, assai gravi, sieno dai medesimi atomi sostenute nella superficie dell’acqua, la qual cosa non si vede esser stata dotta da Democrito, ma solo imaginato da Aristotile che Democrito l’avesse creduto, per meglio confutarlo. Fu opinione d'Aristotile, si come in molti luoghi lasciò scritto, che due corpi della medesima materia e figura, ma disegnali di grandezza, si movessero di disegnali velocità, e che più velocemente si movesse il più grave t e maggiore di mole, 1 o tanto più velocemente dell’altro, quanto egli lo superava di gravità: cioè, che se una palla d’oro 20 fusse maggior d’un’ altra dieci volte, ella dieci volte più velocemente si moverebbe; sì che nel tempo che la minore si fusse mossa un braccio, questa ne avesse 1 passati dieci. Ciò conobbe il Sig. Galileo esser falso, e io so che in più d’una maniera e’ dimostra che tali mo¬ bili si muovono con la medesima velocità; non intendendo però che altri si riduca a voler comparare un minimo grano di arena con una pietra di dieci libbre, perchè quei minimi corpuscoli, per la lor somma piccolezza e insensibile gravità, perdono l’efficacia del loro operare. Ora, ben che Aristotile abbia errato di tanto, che dove per sua opi¬ nione un pezzo di terra di cento libbre, che dovrebbe muoversi cento so volte più veloce che un pezzetto d’una libra, si vede per esperienza muoversi nel tempo medesimo, nientedimeno il Sig. Grazia ricorre a i minimi insensibili di terra, quali sono quelli che intorbidano l’acqua, e trovando questi muoversi tardissimamente in comparazione di parti di terra- di notabil grandezza, gli pare ri aver convinto il Sig. Galileo, e difeso pienamente Aristotile; od ingegnandosi di mascherar l’espe¬ rienza dei mobili di notabil grandezza, dei quali veramente ha parlato APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIO. VINCENZIO DI GRAZIA. 747 « Aristotile, scrive alla face. 77 [pag. 432, lin. 21-25] : Ma perche alcuna volta per la poca disuguaglianza e per il poco spazio non si scorge scnsìbil dif¬ ferenza, perciò Giovanni Grammatico, a cui. acconsente il Pendasio, e di poi il Sig. Galileo , si pensò che due quantità di terra diseguali di mole avessino la medesima velocità nel movimento; la qual cosa, come si è di¬ mostrato, è falsa. Ma, Sig. Grazia, il negozio non camina così. Io non voglio che si piglino corpi poco disegnali, nè piccole altezze: pigliate pur due pezzi di piombo, uno di cento oncie e l’altro d’una, e pren¬ dete un’altezza, elio voi possiate credere che non sia minore di quella io onde Aristotile vedile le sue esperienze, e lasciando da quella nel me¬ desimo momento cader ambedue i mobili, considerate quello che fa¬ ranno; perchè io vi assicuro che la differenza non sarà così piccola, che vi abbia a lasciar irresoluto : perchè, secondo il parer d’Aristo- tile, quando il maggior peso arriva in terra, l’altro non doverebbe a [iena aver passata la centesima parte di tale altezza; ma secondo l’opinion del Sig. Galileo, eglino doveranno arrivare in terra nel- l’istesso tempo. Or vedete se è cosa insensibile, e da prendervi errore, il distinguer un braccio di spazio da cento braccia. A quest’espe¬ rienza bisogna, Sig. Grazia, che voi respondiate, che di simili corpi 20 parla Aristotile, e non che voi ricorriate a un atomo impalpabile di terra. Essendo, dunque, vero quanto dice il Sig. Galileo, resta in piedi l’obbiezzione che fa ad Aristotile in difesa di Democrito, la quale vi pareva d’aver sciolta in questo luogo. Il Sig. Grazia, non contento di questo, soggiugne, alla medesima face. 77 [pag. 432, lin. 20-21], che non solamente è vero che de i pesi della medesima materia il maggiore si muove più velocemente del minore, ma anco seguirà che il pili grande si moverà più velocemente, an¬ corché l’altro fosse di materia assai più grave in genere; il qual ac¬ cidente, die’egli [lin. 30-31] che nel danaio del piovilo e della trave di 30 cento libbre nell’acqua, come abbiam detto, si vede, lo però non credo che nè il Sig. Grazia nè altri abbia inai veduto muoversi una trave nel¬ l’acqua più velocemente d un danaio di piombo; perchè la trave non vi si muove punto, e ’l piombo vi descende con molta velocità. Ma forse egli ha equivocato da aria a acqua; il che diminuirebbe alquanto l’errore, ma non però lo toglie. Nè occorre che per difesa d’Aristotile egli si vadia ritirando ancora a corpicelli di piombo piccolissimi, con¬ ferendogli con moli grandissime di legno ; perchè se le proposizioni I 748 C0NSID1CRAZI0NI d’Aristotile hanno ad esser salde, bisogna che un legno di cento libi ire si muova così veloce quanto cento libbre «li piombo, tutta volta che ambidue sieno di ligure simili. Imperciochè una delle proposizioni d’Aristotile afferma, che delle moli eguali in grandezza, ma disegnali in peso, la più grave si muove più velocemente dell’altra, secondo la proporzione del suo peso al peso di quella; l’altra proposizione è, che di due moli della medesima materia, ma diseguali in grandezza, ed in conseguenza in peso, la maggiore si muova parimente più veloce dell’altra, secondo la proporzione del suo peso al peso di quella: con¬ forme alla qual dottrina segue, primieramente, che posto, v. g., che ’1 io piombo sia 20 volte più grave di alcun legno, e sieno di loi-o due palle eguali in mole, e sia il peso di quella di piombo 100 libbre, peserà quella di legno libbre 5, e quella di piombo si moverà 20 volte più veloce di quella di legno; ma in virtù dell’altra proposizione, una palla del medesimo legno 20 volte maggior della prima peserà lib¬ bre 100, c si moverà 20 volte più veloce della medesima ; adunque con la medesima velocità si moverà una palla ili legno di cento libbre c una di piombo pur eli cento libbre, poiché ciascuna di esse si muove 20 volte più veloce che quella di legno di 5 libbre. Or vegga il Sig. Gra¬ zia quali conseguenze si deducono da questa dottrina, ch’egli tien 20 per sicurissima. Aristotile, impugnando Democrito, che aveva stimato che gli ele¬ menti medii fusser più o meu gravi, secondo eh’ e’ participaVan più della terra o del fuoco, dice che se ciò fusse vero, ne seguirebbe che si potesse pigliare una mole d’ aria così grande, che contenesse più terra che una poca quantità d’acqua, per lo che ella doverebbe muo¬ versi più velocemente; il che repugna all’esperienza, vedendosi qual¬ sivoglia piccola quantità d'acqua muoversi più velocemente d’ogni gran mole d’aria. A questo rispose il Sig. Galileo, in difesa di Demo¬ crito, quel che si legge nel suo trattato alla face. G7 f della prima so impressione e 71 della seconda 1 [pu#. 184, Hn. 4-14], cioè: Notisi, nel secondo luogo, come , nel multipUcar la mole dell’ aria, non si moltiplica solamente quello che vi è di terreo, ma il suo fuoco ancora: onde non meno se gli cresce la causa dell’ andare in su, in virtù del fuoco, che quella del venire all’ in giù, per conto della sua terra multiplicata. Bisogneria, nel crescer la grandezza dell’aria, multipUcar quello che ella ha di terreo solamente, lasciando il suo primo fuoco nel suo stalo: che allora, superando ’l terreo 741 ) Al’lWKTKNKNTl Al, I.1BKO DHL SU}. VINCENZIO DI GRAZIA. deli’aria agii mentala la parte tern a della piccola quant ità dell’acqua, si sarebbe potuto più ve.risimilmentc pretender che con impeto maggiore dovesse scender la molta quantità dell'aria che la poca acqua. La qual risposta volendo il Sig. (.Inizia impugnar.», prima l’epiloga in questa sentenza, che si vedi* nel fine della face. 77 Ipn#. 432, liti. 38-88]: E linai incute credo che voglia dire, che nell'aria è mollo maggior porzione di fuoco, che nell'acqua di terra: c perciò, crescendo la quantità della terra nell aria, per crescer la sua mole si agii menta tanto maggiore 7 fuoco, che può compensare quella terra agii mentala ; onde già ma i avviene che una gran quantità d’aria io si muova più velocemente all’in giù elle una piccola d’acqua. Qui, come è manifesto, il Sig. (Inizia non solamente non ha inteso l’argomento del Sig. Galileo, benché scritto molto chiaramente, ma non ha voluto che altri intenda lui: peri) credo che sia superfluo l’aggiugner altro in questo proposito. Solo dirò d'aver qualche dubbio che ’l Sig. Grazia si riduca tal volta a scriver discorsi senza senso (e massime quando egli non trova da poter con tradire in modo alcuno a cose troppo manifeste del Sig. Galileo), per conservarsi 'I credito d'aver risposto appresso a quelli che, senza molta applicuzion d'animo, dessero una scorsa alla sua scrittura; perchè se ciò non lasse, come si savebb’egli mai ridotto a 20 dar a un quesito del Sig. Galileo la risposta che si legge alla face. 79 [paf*.4341V Dove, avendo Aristotile dotto, in confutando Democrito, che se la posizion sua funse vera, bisognerebbe che una gran mole d’aria si movesse più velocemente che una piccola d’acqua, soggiugneva appresso, che ciò non si vede mai in modo alcuno; onde pareva al Sig. Galileo che altri potesse restar con desiderio d’intender da Ari¬ stotile, in qual luogo doverci)he accader questo, e qual esperiènza ci mostra ciò non accader vi : al che risponde il Sig. Grazia così [lin. 4-uj: Alla domanda del Sig. Galileo, dove si potrebbe fare Vesperienza che dimostrasse che una gran quantità d'aria si movesse più velocemente soche una piccola d'acqua, gli rispondo che se fusse vera la posizion di Democrito, questo dorerebbe seguire nel luogo dell aria. Imperciochè se fusse vero che. l’aria per l'aria e l'acqua per l acqua non si movessino, il che b falso, veggendo noi molti fiumi soprannuoiare sopra ai laghi, e l aria grossa restar sotto la sottile, anzi scudo spinta all in su ritornare al suo luogo; non dimeno, se una gran quantità d’aria fusse più grave che una (1) La stampa : e perciò, crescendo la sua mole. 750 CONSIDERAZIONI piccola (V acqua, si moverebbe per tutti i mezzi all’ ingiù più veloce di quella: onde non bisogna domandare dove si potrebbe fare questa esperienza, e non dove Aristotile V ha fatta. Qui, perché non si può rispondere alle cose che non hanno senso, non credo che alcuno pretenda da me risposta al total discorso: e però noto solamente che il Sig. Grazia non solo non mi leva di dubbio, ma men’ aggiugne un altro mag¬ giore, nel dirmi, stante vera la posizion di Democrito, si vedrebbe una gran mole d’aria scender per l’aria più velocemente che una piccola quantità d’ acqua ; ma perchè nella posizion di Democrito non vi è supposto che l’aria si vegga nell’aria, doveva il Sig. Grazia mostrar io il modo da potervela vedere, già che egli afferma di vederla, perchè io nè, per quel che io creda, il Sig. Galileo lo sappiamo: sì come nè anco so ciò che abbia che fare il soprannotar de’ fiumi sopra i laghi col farci veder l’acqua descender o ascender per l’acqua. Il Sig. Grazia sin qui ha trattato con gran resolutezza la parte sua, negando al Sig. Galileo tutte le coso, e redarguendo ogni suo detto : ora non so per qual cagione e’ si vadia più presto ritirando, e con distinzioni moderando le sue conclusioni, ed in somma pallian¬ dole in maniera, che pare eh’ e’capisca in qualche parte alcuna delle verità scritte dal Sig. Galileo, ma che gli dispiaccia eh’ e’ l’abbia 20 scritte lui, e che 1’ abbino ad esser contro a quel che prima egli aveva reputato vero. Egli scrive dunque alla face. 81 [pag. 435, lin. 12 - 21 ]: Ma notisi dal Sig. Galileo, che trattando Aristotile della quiete delle falde del ferro e del piombo, tratta della quiete accidentale, e il simile è la quiete della polvere nell'aria; e perciò, essendo le cose accidentali di lor natura non durabili, non è maraviglia se la polvere non sta sempre nell’aria, essendo clic quando ella ha superato la resistenza dell’ aria, ella si muove al suo centro; e perchè più resiste l’acqua che l’aria, perciò più si quieta la polvere e le falde del ferro e del piombo nell' acqua, che non fa nell’ aria. E perchè le falde e la polvere, bagnate, nell’ acqua calino al fondo, già si ao è detto : si possono bene collocar in quella se non in tutto prive dell’ aria, almeno con sì poca , che ella non può cagionare questo effetto del sopranotare. Che la quiete delle falde di piombo sopra l’acqua, e della polvere per l’aria, sia accidentale o non accidentale, non ha che far niente col Sig. Galileo, il quale ve la lascia chiamar a vostro modo, e solo dice che quelle si fermano mediante l’aria contenuta tra gli arga¬ netti, e che questa non si sostiene altramente nell’aria nè nell’acqua, APl’AK ThNEN'1 I AL LIBRO l>EL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 7L1 ma che nell’un u nell’nitro un-zzo cala al fondo. 11 dir che la pol¬ vere non si ferma sempre per aria, non è contro al Sig. Galileo poiché egli dico elio la non e.i si ferina punto: contrariate ben voi a voi medesimo, avendo molte volto detto che la polvere non può superare la resistenza dell’aria; ed ora dite che quando ella l’ha su¬ perata, si muovo al suo centro. Ma se olla non la può superare, quando Pavera ella mai superata? o se olla vi si ferma per qualche tempo perchè non continuamente? Se la polvere si ferma nell’aria per 1*im¬ potenza al superar la resistenza di quella, certo che sin che la pol¬ io vere sarà polvere, e l’aria sarà aria, ella si doverà fermare; ma se per qualche sopravegnento caso si altererà la scambievole relaziono tra l’aria e la polvere, onde ne segua contrario effetto dal primo nissuno doverà esser tassato, perché sempre si parla con supposizione che la polvere sia tale, cioè di terra o d’oro, e che l’aria sia tale, cioè quieta, etc. Ora, stanti le ipotesi, o descendendo alcuna volta, per w vostra concessione, la polvere al suo centro, è forza che ella vi de¬ scenda sempre, cioè non si quieti mai. L’istesso vi si dice delle falde di piombo galleggiami: cioè, che, sia pur questa quiete accidentaria quanto vi piace, sin che quelle sarau falde, e l’acqua acqua, e gli 20 argini argini, etc., esse galleggeranno sempre; se poi nel successo del tempo segue alcuna alterazione tra questi particolari, già il Sig. Galileo resta disobbligato dal render ragione di ciò che sia per seguire, nè occorre che egli arrechi distinzione con dir che quella quiete era accidentaria e che però non poteva durare, perchè questa sarebbe una cosa interamente lontana dal proposito di che si tratta. Finalmente, avendo voi ben cento volte detto che 1’ aria non ha che far nulla circa l’effetto del galleggiar le dette falde, adesso non vi risolvete a dii- che le si possino collocare nell’ acqua ed ivi gal¬ leggiar senza punto d’aria, ma dite che, se ben le non si posson 30 porr’ in tutto prive d’aria, almeno con sì poca, che non può far l’effetto. Al che io vi rispondo, primieramente, che come voi non mostrate che anco senza punto d' aria elleno posson sostenersi, avrete sempre il torto; perchè, corno l’aria non ha che fare in questa ope¬ razione, ella si potrà rimuover tutta, senza impedirla. In oltre, dal- l’esperienze che voi avete insegnate per rimuover l’aria, non si vede (l) liti stampa: e discendendo, per. 752 CONSIDERAZIONI che se ne scacci la millesima parte di quella che si contien tra gli arginetti : ma, quel che più importa, ben che ci sieno modi più op¬ portuni (,) del vostro per rimuoverla, credo che il Sig. Galileo mo¬ strerà, che ogni minima quantità che vi si lasci (riinovendo il resto nel modo proposto da altri), ella fa. il medesimo che quando vi era tutta. Ma voi (forse perchè così conferiva all’ ampliazione de’ vostri discorsi) non avete mai voluto intender quel che ha detto il Sig. Galileo, quando ha scritto che si rimuova l’aria contenuta tra gli arginetti, che subito la falda si affonderà. Egli ha scritto: « Rimuovasi l’aria, in modo che quello che resta nell’acqua sia solo ebano o piombo etc. » : io ma per far che quel che resta nell’acqua sia ebano solo (come con- vien fare, perchè di quello schietto si disputa), non si può riempier io spazio tra gli arginetti d’altro che di acqua; perchè ogn’altra cosa che ci si metta non sarà più l’ebano solo nell’ acqua, ma l’ebano con la nuova accompagnatura. Or vedete quanto voi sete lontano da star dentro ai convenuti, mentre volete solamente bagnar sotti¬ lissimamente parte della superficie dell’assicella, lasciandovi poi l’istessa aria di prima, e dir che così si è rimossa 1’ aria. Seguita il Sig. Grazia, alla medesima face. 81 [i>ap. 435], di voler pur adombrar quello che non gli par di poter negare, e scrive così 20 [lin. 21-26] : Quanto alle opposizioni clic il Sig. Galileo si fa contro, son tanto deboli e fievoli, che non pare che niella conto spender il tempo intorno di esse. E chi non sa che le cose leggieri galleggiano, non per non poter fendere la resistenza dell’acqua, ma per esser più leggieri di essa ? e clic sommerse dentro dell’ acqua, elleno, rompendo la resistenza, ritornano sopra di quella?- Ecco che il Sig. Grazia, non potendo opporsi alle distanze del Sig. Galileo col negarle, se ne burla come di cose notissime a ogn’ uno; nè si accorge che quanto più elleno son chiare e manifeste, tanto maggiore è la forza loro nel concludere. Ma quello che ci è di peggio è che va nominando per cosa tritissima quella, della quale 30 egli sin qui non può negare di avere stimato vero tutto ’l contrario. Imperochè se le cose leggieri galleggiano perchè son più leggieri dell’ acqua, e non perchè non possino fender la resistenza di quella, adunque è necessario che voi stimiate che loro la possin fendere; 0 (l) Il manoscritto : ben clic ci sieno modi piu operanti . La stampa: ben clic più operanti ci siano modi, che nella *> Nota degli errori occorsi nello stampare, e loro correzioni * fu corretto conforme abbiamo dovuto darò nel testo. APPARTENENTI AL LIBRO DEL SUL VINCENZIO DI GRAZIA. 753 se cosi è, onde avviene che tal resistenza possa esser superata dalle cose più leggieri, ** dalle più gravi no, dicendo voi che le falde di piombo galleggiano per non poter penetrar la resistenza del¬ l’acqua? Segue appresso |p»g. 435, Un. 2H 30] con simile sprezzatura, fingendo non saper ehi sicno coloro che credono che un vuovo galleggi nell'acqua salsa, c non nella dolce, per la maggior resistenza; ma bene mi paiano poco esperii nelle cagioni delle cose r nella filolosofìa, venendo quest'acci¬ dente perchè /' cuoco è più leggìer dell'acqua dolce, e più grave della salsa. io Chiama ora il Sig. (ira/.ia poco esperti nelle cagioni delle cose quelli che ricorrono alla maggior o minor resistenza dell’acqua salsa e della dolce ete., scordatosi che forse nissun altro di simili resistenze ha fatto maggior capitale di lui; ma ora. perchè non gli par d’averne di bi¬ sogno, le disprezza, e vuol il più e nien grave in relazione all’acqua: i quali termini, in segno che gli sicno molto nuovi, egli usa al rovescio, stimando l’uovo esser più leggieri dell’acqua dolce e più grave della salsa, nò si accorge che, se ciò fosse, l’uovo dovrebbe galleggiar nella dolce e profondarsi nella salsa. Ma se ora voi intendete che la mag¬ gior gravità dell' acqua in relazion al mobile può esser cagione del 20 suo galleggiarvi, perchè esclamasti voi tanto intorno al lago di Siria, non volendo in conto alcuno che per altro che per la sua viscosità sostenesse i mattoni ? Ma (pud elio passa tutti i ridicoli è che il Sig. Grazia, doppo aver attribuita la causa di questo effetto alla maggiore o minore gravità del mobile rispetto al mezo, gli par che ella sia doventata. in maniera sua, che il Sig. Galileo non ci abbia dentro parte alcuna, se ben egli non ha mai accettata altra che questa, nè d’altra che di questa sola si c mai prevaluto. Seguita, dunque, nel medesimo luogo lpuK- 435, 1 iii. 30-iu], di scrivere il Sig. Grazia : Ma •mi sono molto so meravigliato che il Sig. Galileo dica che a simili angustie deducano i prìn- cipii falsi d'Aristotile, non sapendo vedere perche molto meglio si possa rendere la ragione di ipu-sto effetto con i suoi principii che con i nostri; anzi molto -meglio, p< rchc oltre al rendere ragione onde avvenga che un cuoco galleggia ned'acqua salsa c non nella dolce, si può ancora dimostrare perchè una gran mole di aria nell acqua si moverà più velocemente che una piccola. Adunque a ragione sì può dire al Sig. Galileo: « A queste angustie conducano i falsi principii * : impcrciochè la maggior mole dell aria ha IV. 0 » I % 754 CON SUPERAZIONI i maggior virtù che la piccola, e perciò si muove più velocemente di essa ; là dove che il Sig. Galileo, che non concede virtù alcuna che produca il movimento all in su, non può dimostrare tal accidente. Sig. Grazia, questi che voi chiamate vostri prineipii, son gli stessi del Sig. Galileo, uè deve dal vostro appopriarvegli " esserne spogliato: egli ha detto avanti di voi che 1’ uovo galleggia nell’ acqua salsa perchè è più leggier di lei, e descende nella dolce perchè è più grave di quella; onde è forza, o che voi non abbiate letto il suo trattato, o che voi ora cerchiate, come di sopra ho accennato, di diminuirgli il credito con palliamenti artifìziosi e poco convenienti al camlor fìlosolìco. Vi concederò bene io che il Sig. Galileo non saprebbe con tal dottrina render ragione di effetti falsi, qual è che la molt’ aria nell’ acqua ascenda più veloce¬ mente c he la minor quantità, non intendendo però di prender piccolis¬ sime minuzie; nè voi a queste dovete ridurvi, perchè, se la vostra, ra¬ gione è buona, ella concluderà di grandissime moli d’aria e di ogn’altra minore di quelle: ma, per mio credere, ella non conclude nè di quelle nè di queste ; perchè se voi attribuirete la causa dell’ascender l’aria alla leggerezza positiva, è ben vero che la maggior mole d’ aria ha maggior virtù che la minore, ma è altrettanto vero che la molt’acqua, che secondo i vostri prineipii ha da esser divisa, resiste più che la 20 poca ; e se voi fate ascendere per estrusione, la molt’ aria vien estrusa da molt’acqua, e la poca da poca: onde le ragioni delle velocità ven¬ gono ragguagliate. ESPERIENZE FALSE, STIMATE VERE DAL SUI. IIKAZIA. Il Sig. Grazia, alla face. 23 [pov. 391], si leva contro ’l Sig. Galileo, per difesa dell’opinione d’Aristotile, circa’l problema, onde avvenga che una nave più galleggi in alto mare che vicino al lido e in porto; il qual problema dal Sig. Galileo vien negato, ed affermato che una nave, ed ogn’altra cosa che galleggi, non più si demerge in una pic¬ cola quantità d’acqua che in quantità immensa: e perchè la verità so della conclusione sta in fatto e nell’esperienza, prima egli accusa il Sig. Galileo ed ogn’uno che volesse dimostrar centra’l senso l2) , scri¬ vendo così flin. 15-20]: Devesi avvertire, che il voler dimostrar conir al senso La stampa: apjyropriarsetjìi. < a> La stampa: conti * n senso. 755 APPARTENENTI Al. MURO DEL BICI. VINCENZIO DI GRAZIA. è debolezza <1 indegno, che delle enne sensibili è il vero compasso e ’l vero conoscitore; e perciò il Sig. ( 1 olii co doveva far V esperienza, o addurre altri che facesse falla, e non voler con ragioni" mostrare il contrario. Imperochè quando io veggo una qualche cosa, se uno mi volesse con ragioni dimostrare altramente, io gli dirci che egli vaneggiasse. Credo elio questa dottrina molto liberamente sarà conceduta dal Si#. Galileo, e che egli si conten¬ terà, purché il Sig. Grazia non refusi il partito, che debolo d’ingegno e vaneggiatore sia stimato quello di loro, che in questa e nell’altre esperienze più si sarà ingannato, o per non l’aver fatte o per averle io male osservate e considerate. Ma perchè il far l’esperienza d’una nave in alto mare e in porto non è sempre in pronto' 2 ’, nè vi si può, per l’instabilità dell’acqua, distinguere ogni piccola differenza (se ben, quando la dottrina di olii tieni questa opinione fosse vera, tal differenza dovorobbe esser grandissima, come si dirà), però, per venire in sicurezza del fatto, proporrò altra esperienza esattissima: ma prima registrerò qui la ragione clic il Sig. Grazia rende di questo effetto. Egli scrive così [pftg.391,lin. ni uh): Essendo l’acqua un corpo continuo, clic ha virtù al non esser diviso, come iti sotto diremo, più agevolmente si dividerà un pic¬ colo che un grande ; anzi essendo, come vuole il Sig. Galileo, ancora contigua, 20 più agevolmente si separerà un contiguo piccolo che un grande U1 : concio- siachè un grande è composto di più parti, e volendo muovere, in dividendolo per il mezzo, le parti del mezzo, sarà necessario che quelle muovino le seguenti; onde, essendo più parti in un grande, ci vorrà maggior forza, ed egli arà mag¬ gior virtù, e perciò sosterrà più che «a piccolo. Ho voluto trascriver questa ragione del Sig. Grazia por levargli ogni fuga nel veder, come temo, la sua opinione confutata, e acciochè e’ non si possa ritirare a dir che egli non parla se non di una nave locata in alto mare e poi vicina al lido o in porto, e che tanto gli basta quando in tutti gli altri casi acca¬ desse il contrario. Ma so ’l discorso del Sig. Grazia è retto, ogni corpo 3o che galleggi, sia grande o sia piccolo, manco si sommergerà in una gran quantità d’acqua che in poca, perchè più parti si hanno a di¬ videre e muovere nella molta che nella poca; anzi, se ciò fosse vero, la differenza del galleggiar il medesimo corpo in quattro libbre d’acqua o in mille botti doverebbe esser grandissima. Ora il Sig. Grazia prenda quel medesimo vaso di legno che e’ nomina, alla face. 27 Li )a g- 394, lin. 14], 111 Ln stampa: ragione. La stampa omette le parole: ansi es- l,) La stampa : sempre pronto. genito.- un granile. 756 CONSIDERAZIONI o postolo in un altro vaso d’acqua poco maggior di lui, vi vadia appoco appoco aggiugnendo tanto piombo, che o’ lo riduca così vi¬ cino al sommergersi, che con un grano di aggiunta e’ si profondi: portilo poi nel mezzo di un altro vaso, cento e mille volte maggiore, come sarebbe in un gran vivaio pien d’acqua, e postovelo dentro con quell’ istesso piombo, osservi quanti grani vi bisogneranno ag- giugnere per farlo affondare; che doverebbono esser molti, secondo il discorso del Sig. Grazia, avendosi a dividere tanto di più; ma se¬ condo la dottrina del Sig. Galileo, quel solo grano doverà bastare come prima a far l’effetto: or faccia il Sig. Grazia tale esperienza, io e poi, conforme al successo, reputi per ingegno debole e vano quello che si sarà ingannato. Tra tanto io, che l’ho già fatta e son sicuro che il Sig. Grazia ha il torto, accennerò brevemente la fallacia della sua ragione: o posto per vero che l’aver a divider più, fosse causa del poter profondarsi m meno, io non veggo che un solido abbi a dividei più, posto nella rnolt’ acqua che nella poca, non avend’egli a divider se non quell’acqua che e’ tocca, e non sendo il toccamente maggiore in un caso 2 che nell’altro; sì come la sega non trova maggior resistenza per aver dalle bande il marmo grosso, ma solo quando il taglio ha da esser più lungo. Se il Sig. Grazia avesse, insieme col Sig. Galileo, so attribuita la causa del galleggiare non alla divisione, ma al moto ed alzamento delle parti dell’ acqua, più del verisimile arebbe auto la sua ragione, perchè veramente più acqua si alza nel tuffar il mede¬ simo corpo in un vaso grande di acqua che in un piccolo, come dalle dimostrazioni del Sig. Galileo si raccoglie; ma già che questa causa ò reprovata dal Sig. Grazia, il quale non vuole che T acqua resista, all’esser alzata sopra ’l suo livello, io non voglio affaticarmi in espli¬ car come si deva solver tale instanza, e tanto meno, quanto che la soluzione è così sottile, che il Sig. Grazia la reputerebbe cosa mate¬ matica, e però forse la trapasserebbe senza leggerla. 30 Aveva il Sig. Galileo negato che un vaso di legno che per sua na¬ tura galleggiasse, andasse poi in fondo quando e’fosse pieno d’acqua; e stimando che forse in alcuno potesse essere invalsa contraria opi¬ nione per aver veduto talvolta una barca nell’ empiersi di acqua profondarsi, aveva ciò attribuito alla copia del ferro che nella sua La stampa : profondar. (,J; La stampa : vaso. 757 APPAh 1 KN KN 1 I AL LIBRO DHL BIG. VINCENZIO DI GRAZIA testura si ritrovava: ma il Si*?. Grazia, volendo pur mantener per vero il primo detto, scrive alla face. 27 fonar- 394, lin. 7-10J, non creder al¬ trimenti che tali ferramenti possine esser bastanti a cacciarla in fondo. impcrochè il leu no è tnnto più leggieri dell’acqua, che può sostenere sopra (li essa molto peso, come si ri i mostra ne foderi, (piali si servivano gli antichi in cambio di navi per trageitnrc le mercanzie da luogo a luogo; ed il me¬ desimo conforma egli con l’esperienza di barche fatte senza ferramenti, le quali ripiene di acqua nel Danubio si profondano. Ma parali che il Sig. Grazia s' inganni in molti capi. E prima, i legni de’quali si io contessono i foderi, sono ordinariamente abeti esimili legni leggieri; de i quali non si lubricano barche, ma per lo più si fanno di pini, di roveri e di quercia, legnami tra gli altri molto gravi. In oltre, se si paragonerà il legname d’ una barca e ’l peso che lei porta, col le¬ gname d’ un fodero e col peso che vien portato da quello, si vedrà facilmente die cento travi conteste in un fodero non porteranno m tanto peso quanto una barca fabricata del legname di dieci delle medesime travi; onde, rimossa l’aria della barca, cioè empiutala d’acqua, poco peso potrà reggere la sua poca quantità del legname; il quale, se di più sarà dei piu gravi por natura, manco peso potrà sostenere: onde so benissimo si può intendere che l’esempio de’ foderi è per doppia ra¬ gione difettoso. Quanto poi allo barche del Danubio, non ci mancando de’legni così gravi che per lor natura vanno al fondo, sarà neces¬ sario (data la verità del fatto) che tali barche sieno di simil legni fabricate. Séguita poi il Sig. Grazia, nell’ istesso luogo [pag. 394, lin. 13-19], in confermazion del detto di sopra: Ansi ho sperimentato io, che preso un vaso di legno e messovi dentro tanto piombo che riduca il vaso all’ equili¬ brio dell’aajua, che egli ripieno (V acqua seti’andrà affondo, e vóto resterà a galla. Nè si può replicare che sia l'aria che lo tiene a galla: imperdo- so che dividendosi detto vaso, e a ciascuna parte dandogli egual porzione di piombo, tutte stanno a galla ; onde apparisce che il vaso sta a galla per la sua leggerezza, e non per quella dell’ aria. In questa esperienza'io non ben comprendo quello che il Sig. Grazia si voglia diro o fare, nè ciò che egli intenda quando suppone un vaso di legno ridotto con del piombo all’equilibrio dell’acqua: cioè se egli intenda di aggiugnei’e l ' ! Ln stanili» : potranno. CONSIDERAZIONI 758 al vaso di legno tanto piombo, che si faccia un composto di legno e piombo, il qual sia in specie egualmente grave come l’acqua; o pure che si riduca all’equilibrio, cioè al livello, dell’acqua, sì che stia, per sommergersi con ogni minima aggiunta di peso. Ma qualunque si sia il concetto del Sig. Grazia, basta che egli conclude che tal vaso sta a galla per la sua leggerezza, e non per quella dell’aria: nella qual cosa egli s’inganna d’assai. E prima, se quanto e’ dice fosse vero, ne seguirebbe che pigliandosi, per essempio, una mezza palla di legno che per sua leggerezza galleggiasse, sì che, essendo, v. g., il suo semi- diametro un palmo, posta che fusse nell’acqua ne restasse fuori quattro in dita, ne seguirebbe, dico, che incominciandola a incavare per formarne un catino, quanto più legno si togliesse via, tanto più ella si affon¬ derebbe, perchè, togliendosi via parte del legno, se gli beva cosa che, per esser leggiera, ha facoltà di galleggiare, e quello che succede nel luogo del legno tolto, essondo aria, non aiuta, per detto del Sig. Grazia, a galleggiare il vaso ; onde quando il legno fusse ridotto alla sotti¬ gliezza del vetro d’ una caraffa ordinaria, tal vaso a pena potrebbe stare a galla, essendo la sua leggerezza pochissima (perchè poco legno ha anco poca leggerezza), e non avendo la leggerezza dell’aria con¬ tenutavi azzione alcuna nel farlo galleggiare : ma perchè l’esperienza 20 segue tutto all’opposito, come penso che ’l Sig. Grazia anco senza pro¬ varla crederà, cioè che quanto più legno si leva, tanto meno si affonda il vaso, è forza che egli intenda e conceda che il vaso non galleggia solo per la sua propria leggerezza, ma per quella dell’aria contenuta. In oltre, che direte voi, Sig. Grazia, d’un vaso di rame (parlo con voi, perchè non credo in questo caso aver bisogno di parlar con altri)? Direte forse che e’galleggi per la sua propria leggerezza, e non per quella dell’aria contenuta? Certo che no: perchè il rame non ha leg¬ gerezza tale, che possa galleggiare nell’acqua. Ricorrerete forse alla figura? Molto meno: perchè, date pure alla medesima quantità di rame so qualunque forma, purché ella contenga tant’aria quanto il catino, tutte galleggieranno uell’istesso modo. Adunque è forza che ricorriate alla leggerezza di quello che è contenuto nel vaso, che in queste espe¬ rienze è aria. Oltre a ciò, quando quello che voi credete fosse vero, cioè che l’aria contenuta nel vaso non fusse cagiono del suo galleg¬ giai^, sarebbe senz’ altre contese spedita contro voi la principal que¬ stione di cui si tratta, perchè fra tutte le figure la piana e larga APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 759 sarebbe inettissima al galleggiare; perchè una falda di piombo, che distesa nell’acqua galleggi a pena, incurvata in forma di un cucchiaio non solo galleggerà, ma potrà reggere molto peso; anzi una piastra di piombo larghissima, ma non così sottile che distesa sull’acqua possa stare a galla, vi starà poi benissimo, ridotta in qualsivoglia altra figura concava, sia questa o di porzion di sfera o di cilindro o di cono o qualunque altra, purché dentro alla cavità si contenga non piccola porzione d’aria. K finalmente, molto v’ ingannate a creder che un vaso di legno, ridotto con del piombo all’equilibrio dell’acqua, sì ebe pieno io d’acqua vadia in fondo e vóto stia a galla, se poi si rompa ed ai pezzi si dia la sua parte del piombo, e’siano per galleggiare: anzi si affonderanno nell’ istesso modo clic ’l vaso 'utero, e non so come ab¬ biate potuto vedere esperienza d’ un effetto falso. Falsa non meno è l’altra esperienza che’l Sig. Grazia produce in questo medesimo luogo |png. 394, lin. 24-2i>], per provare che l’acqua ag- giugne gravità alle cose che per entro lei si pongono, dicendo vedersi che, pigliandosi dar moli ili piombo eguali di peso, l’una delle quali as¬ sottigliandola se tir farcia un vaso, entro al quale si possa racchiudere deir acqua, dico che più pesa quel vaso , che quella materia di che egli è 20 composto : e ristesse replica alla face. 47 [pag. 409, lin. 33-34], Ciò, com’ho detto, è falsissimo; e tanto pesa appunto un pozzo di piombo d’una libbra sott’ acqua, quanto qualsivoglia vaso fatto d’ima libbra di piombo, posto similmente sott’acqua e di quella ripieno. E queste sono di quelle esperienze prodotte dal Sig. Grazia, delle quali mi assi¬ curo che (piando e’ne verificasse pur una sola in fatto, il Sig. Galileo gli concederebbe tutto ’l resto. Per dimostrare che la figura non opera niente circa ’l descendere semplicemente o ascendere nell’acqua, e che nell’acqua non è resi¬ stenza alcuna alla divisione, propose il Sig. Galileo tra le altre questa 30 esperienza : che si riducesse una palla di cera, col mettervi limatura di piombo, a tal grado di gravità, che posta nel fondo dell’acqua, un sol grano di piombo bastasse a ritenervela, il quale rimosso, ella tornasse a galla; e disse che la medesima cera, ridotta poi in una falda quanto si voglia larga, col medesimo grano resta in fondo, e senza torna a galla: e questa aveva stimata esperienza chiarissima per mostrar il suo intento. Ma il Sig. Grazia, a tace. 34 |pag. 400, lin. 14-Kì|, dice che questa esperienza non prova cosa, alcuna: imperciochè si può dare 7(jO CONSIDERAZIONI in altre cose dove la figura operi , e perciò non bisogna da un particolare argomentare all’universale. Qui doveva il Sig. Grazia nominare almanco una delle materie nelle quali la figura operi diversamente da quello che accade nell’esperienza del Sig. Galileo; il che egli non ha fatto nè farà mai, perchè tutte le materie che, ridotte in figura sferica, con l’aggiunta di un grano di piombo si fermano in fondo, e rimos¬ solo tornano a galla, faranno il medesimo ridotte in falda piana ed in o<), liu. 11 12 ]: al che s’aggi ugno, che V acqua nel suo luogo ha da natura di non gravitar molto, sì come al Liuonamico è giaciuto. Ma, Sig. Grazia, quando venticinque barili d’acqua si reggessero sopra un uomo, egli sentirebbe un peso im¬ menso; e se nel mare ni* avessi 1 sopra centomila, non sentirebbe nulla: 10 come dunque concorderete tali discordanze? e che determinerete voi circa questo l'atto, altro se non che, non capendo come egli stia, sete costretto a fluttuare in qua e in là? Alla face. 47 |pag. 109] si mostra veramente il Sig. Grazia troppo ansioso di contrariare ad ogni detto del Sig. Galileo, poiché egli si lascia traboccare a negare esperienze più chiare che ’l sole. Aveva scritto il Sig. Galileo che le cose gravi messe sott’acqua non solo non acquistavano nuova gravità, ma ne perdevano assai della prima che avevano in aria; e elio ciò manifestamente si conosceva nel voler tirar su dal fondo dell'acqua una gran pietra, la quale, mentre si solleva 20 per l’acqua, pesa assai meno"' che quando si ha da alzar per aria: contro a che il Sig. Grazia scrive cosi [lin. 26-30]: All'esperienza di alzare qualche peso più agevolmente, nell' acqua che. fuori, ciò mi torna il mede¬ simo ; solo ci ho sapido cognoscer differenza quando una cosa si deve pro¬ fondar nell'acqua, dove apparisce che più malagevolmente si profonda in essa che nell' aria ; e questo addiviene per la maggior resistenza di essa. La sottigliezza del Sig. Grazia nel far esperienze è arrivata a saper conoscer che più malagevolmente si profonda una cosa nell’acqua che nell’aria. Desidererei ben sapere che materia ha tolto il Sig. Grazia, la quale si profondi ben con qualche difficoltà nell’aria, ma con molto so maggiore nell'acqua; perchè lo sperimentar ciò con un pallon gon¬ fiato o con un sughero o con un legno sarebbe grande sciocchezza, essendo che tali materie non solamente non ricercano violenza per farle profondai- nell’aria, ma ci vuol fatica a far che le non si pro¬ fondino. Che poi egli non senta maggior resistenza a alzare una pietra per aria che per acqua, non ardirei di negarglielo, perchè egli solo W La stampa : più. CONSIDERAZIONI 766 è conscio rii sè stesso; ma gli dirò bene che egli è unico al mondo ad aver lena così gagliarda, che non senta una tal differenza, o che, se non altro, nel l’attignere una secchia d’acqua non la senta pesargli pili per aria, che per 1’ acqua non faceva. E tutte queste esorbitanze s’induce ad ammettere il Sig. Grazia, prima che lasciarsi persuadere che l’acqua aiuti o disaiuti i movimenti dei corpi in virtù della pro¬ pria gravità in rispetto a quella di essi solidi; ma vuole che solo operi con la resistenza alla divisione. CONTEA DI ZIONI MANI FESTE. Per le contradizioni manifeste che sono in questo discorso del io Sig. Grazia, veggasi ciò che egli scrive alla face. 10 [pug. 386]. Egli afferma [lin. 4-6], potersi trovar un solido di terra eguale a un solido di qualche misto, che pesino egualmente; e nella faccia, seguente [pag. 387, lin. 5-7] scrive così : essendo nel misto i quattro elementi, sempre quello che sarà a pre¬ dominio terreo sarà mcn grave della terra, se ben fussino eguali di mole. La qual proposizione, come si vede, è diametralmente 11 ’ contraria alla precedente: perchè se un misto, benché a predominio terreo, è men grave della terra pura, molto pili ciò avverrà degli altri misti, che l'ussero a predominio aquei o aerei o ignei ; talché universalmente ogni misto è mon grave di altrettanta terra pura. Volse il Sig. Grazia 20 forse moderar questa contradizione, ma il temperamento fu inutile. Egli, dopo avere scritto elio ogni misto era mcn grave di altrettanta terra, soggiunse che nell’oro e nel piombo altramente accadeva, ma per accidente, ricorrendo a quelle miserabili distinzioni clie sono gli ultimi refugii di chi si trova involto in mille falsità. E chi sarà di senso e di mente così stupido, che si lasci persuadere che la terra, della quale l’oro è più grave cinque o 6 volte, possa ricever dalla mistion dell’acqua tanto di gravità, che costituisca il peso dell’oro, se l’oro stesso ò più grave diciannove volte dell’acqua? e tanto meno avrà ciò del probabile, quanto i medesimi lilosofi porranno nella sua so mistione anco dell’aria e del fuoco. 2. ad aver un senso così ottuso, che non senta — 4. queste grandissime esorbitanze — 21-22. ma il temperamento fu una somma esorbitanza. Egli — 23. terra (e ciò sarebbe necessarissimo, se nella compnsizion de' misti non entrasse altro che i 4 elementi ), soggiunse — W La stampa: vede diametralmente. AITAK'I'l'NI'.NTl AL LIBRO I>EL .SIO. VINCENZIO DI GRAZIA. 767 Scrive a face. 19 [pag. 388, Un. 23-25], che l'acqua, essendo corpo di sua natura atto ad esser prave e leppi ero, quandi b nel jiroprio Inope può da ogni minima forza esser mossa al centro e alla circonferenza; e quattro versi più basso [tin. 29] afferma, non aver ella resistenza ad esser alzata anco sopra ’l suo livello ; o a face. 20 [pur. 389, Un. 12-14] replica l’istesso, scrivendo: Il Sig. Galileo fa prande stima della resistenza dell'acqua all' esser alzata sopra ’l suo livello, che. non è nulla, e, se. pur b, non è sen¬ sibile. Ma poi a face. 27 [pag. 394, Un. 22 - 2 fi] non più dice così, anzi afferma clic un vaso di piombo che sia nell’acqua, e di acqua ripieno, pesa jo più che ’l semplice piombo; che tanto è quanto a dire che l’acqua nel proprio luogo resiste all’esser alzata: il che egli pur replica a face. 43 [pag. 406, lin. 40 — pag.407, Un. 4], scrivendo così: Noi veggiamo che l’acqua aqpiugne pravità alle cose che si pongono nell’acqua: il che chia- rissimamente si vede pigliando 2 moli eguali di piombo, l’ima delle quali si assottigli assai e si riduca sì che per entro essa si possa racchiudere alquanta porzione d’acqua; dico che librandosi nell’acqua, pesa più quello dove è l’acqua , che l’altro: ed in somma questo medesimo vieu replicato con le medesimo parole alla face. 47 [pag. 409, Un. 31-37], Ma chi volesse metter insieme tutti i luoghi ne’ quali egli si contradice in questo 20 proposito solo, di negare e affermar che l’acqua abbia o U) non abbia resistenza all’ esser alzata dentro o fuori del luogo suo, arebbe una fatica troppo grave e da non finirsi per fretta. Vuole il Sig. Grazia destramente tassare ’l Sig. Galileo, come che ei fondi tal volta qualche sua proposizione sopra esperienze impossibili a farsi; onde alla face. 30 [pag. 396, Un. 32-36] scrive così: Par ben che altri possa restar con desiderio di saper , quale esperienza ha potuto accer¬ tare ’l Sig. Galileo che tutti gli elementi si muovon più veloci nell’acqua che nell’aria , se il fuoco, che solo degli dementi si muove all’in su nell’aria , nell'acqua non si può ritrovare. Ma, Sig. Grazia, qual occasione avete so voi di reputar il Sig. Galileo non atto a veder quello che pur voi af¬ fermate di vedere? Egli ha veduto muoversi il fuoco per l’acqua f e per l’aria | nel modo stesso che lo vedeste voi alla face. 13 [pag. 383, lin. 25-28], dove scrivete: Ma che’l fuoco sempre verso la circonferenza abbia ’l suo movimento, sensibilmente apparisce , reggendolo noi non solo per la terra e per V acqua, ma ancora sormontar velocemente per Varia. Voi, dunque, lo W La stampa : e. CONSIDERAZIONI 768 potete veder sormontar sin per la terra, che pur non è grafi fatto trasparente; e vi parrà impossibile che altri lo vegga muover per l’acqua? Qual fede volete voi che si presti allo vostre esperienze, se queste che voi una volta adducete per di veduta, altra volta dite esser impossibili a vedersi? Molto puerilmente si contradice in due soli versi alla face. 35 [pag. 400, lin. 20-22], mentr’egli scrive che essendo la cera (proposta dal Sig. Galileo) poco più (frane dell'acqua, sempre si potrà dubitare se la figura o la leggerezza sia cagione di quello accidente. Ma se tal cera si suppone esser più grave dell’acqua, chi sarà quello che possa dubitare che la io leggerezza sia cagione del suo ascendere o galleggiar nell’acqua? chi la potrà stimar più grave e più leggiera dell’acqua nel medesimo tempo? Alla face. 4 1 e 42 [pag. 405, lin. 26 —pag. uhi, lin. il], si affatica con lungo discorso per provar che l’aria aderente allo falde di piombo o d’oro non può esser cagione del lor galleggiare, e questo, die’egli, per molte ragioni. Prima, perchè gli elementi che por lo contatto si tirano, sono l’aria e l’acqua; il che procede dall’ umidità comune, la quale facilmente s’unisce : il che non può seguire nella terra, per non aver ella qualità simili all’aria e all’acqua, e in particolare l’umidità, ila ’l Sig. Grazia 20 non deve aver osservato che la mazza dello schizzatolo, se ben non ha 1’ estrema sua superficie nè d’acqua nò d’aria, pur con grandis¬ sima forza tira l’uno e l’altro elemento, e lo tirerebbe sempre con la medesima violenza, se ben. detta superficie fusse di ferro, d’oro, di terra e d’ogn’ altra materia; nè meno deve aver veduto due vetri 0 due marmi ben puliti alzarsi scambievolmente col solo contatto esqui- sito, se bone non sono nè d’aria nò d’acqua; nò forse sa che la foglia di stagno sta attaccata a gli specchi mediante ’l solo toccamente 150 . (1) La stampa: 45. (S1 Qui Galileo aveva dapprima scritto, e poi cancellò, quanto appresso: «Ma co¬ munque la cosa stia, egli pur conclude non esser possibile che le cose terree, come quelle che mancano di umidita, attraggano l’aria; e poi immediatamente, contradicendo a se stesso, scrive così [pag. 400, lin. io-U] : Avvien bene, che Vassicelle d’ebano facendo, mediante la gravità, quel fioco di avvallamento nell’acqua, che l’aria , come grave e 'per levare ’l vacuo tanto dalla natura odiato , scende a riempier quel luogo: adunque h solo ebano quello che si pone nell'acqua, c non un composto d’ebano e d'aria. 1') la contradizione è manifesta; perche, avendo di sopra negato che l’aria non segue per il contatto le coso terree, ora lo concede, dicendo che l’aria doscende nella cavità fatta dalla tavoletta. Ma forse egli si pensa liberarsi dalla contradizione con dire che l’uria segue l’assicella non per il con¬ tatto, ma per fuggire il vacuo e perchè è APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 7G9 Ma qual osservazion vi muove, Sig. Grazia, a credere e diro che l’aria per il contatto aderente non può tirare la terra nè le cose terree? forse il veder voi la terra o le pietre non montar su per i sifoni come l’acqua, nò sollevarsi per l’attrazzione delle coppette, ed altre espe¬ rienze tali? Ma se così ò, sappiate che questa non è minor semplicità, che se voi negaste l’attrazzione della calamita per veder eh’ella non cava i chiodi del muro o del legno di rovere. Ma perchè io so che accostando voi la calamita a un simil chiodo e sentendo la resistenza che ella fa nel separarsi da tal contatto, confessereste che ella ha virtù io di tirar il ferro, se ben ella non muove effettivamente quel chiodo, e credereste, appresso, che ella lo attrarrebbe seco quando la 111 sua virtù superasse la resistenza che lo ritiene ; così vorrei che, tentando voi eh attrarre il porfido, non che la terra, col sifone o con la coppetta, nel modo clic si attrae l’acqua o la carne, e trovando per esperienza come ella non men saldamente si attacca a questo che alla carne, vorrei, dico, che vi contentaste di credere che l’aria attrae la terra e’l por¬ fido, se ben voi non vedeste nè la terra nè ’l porfido muoversi o ri¬ gonfiarsi come l’acqua o la carne. Anzi, se voi prenderete un marino ben liscio, sì che l’orificio della coppetta, esso ancora ben pareggiato, so possa esattamente toccar la superficie del marmo, senza che lasci spi- grave: ma tale scusa è un accumulare er¬ rori sopra errori. Prima, perché anco l 1 acqua, quando nella trombetta di vetro nominata da voi, Sig. Grazia, ascende dietro alParia a sè contigua, la seguo per fuggire ’l vacuo : che so nella parte della canna dove è l’aria, mentre questa si attrae, potesse subintrare alti*’aria, o in qualunque altro modo si po¬ tesse schivare il vacuo, non crediate che l’acqua si alzasse come si fa: ed in questo modo appunto, profondandosi l’assicella del- Pebano sotto ’l livello delPacqua, Paria la segue, e la seguirebbe mille braccia se la cavità che ella fa nell’acqua tanto si pro¬ fondasse prima che l’acqua scorresse ad in¬ gombrarla; del che potresti assicurarvi col demergere una canna di stagno serrata dal capo di sotto e aperta di sopra, la quale resta sempre piena d’aria, sin elio non si tuffa tutta. Il dir poi che Paria scenda sotto ’l livello dell’ acqua come grave, passa tutte l’esorbitanze ; perchè quando pur vi si con¬ cedesse che l’aria nella sua regione lusso grave, tal non sarà ella creduta esser nella regione fieli’acqua, dove ella descende men¬ tre si abbassa sotto ’l suo livello : e voi me¬ desimo ben cento volte P avete detto, se ben ora vorresti che fosse ’l contrario per il pre¬ sente bisogno. Ma come senza accorgervene aggiugnete voi la terza contradizione? Avete scritto che l’aria segue l’assicella d’ebano sotto ’l livello dell’acqua, o sia ciò per fug¬ gire il vacuo o pur per sua gravità; e poi soggiugneto per conclusione: Adunque è solo ebano quello che si pone nell’acqua, e non un composto d’ebano e d'aria. E possibile che voi non comprendiate, da tali e tanti incon¬ venienti, quanto sia difficile impresa il voler oppugnare ’l vero ? - A questo brano can¬ cellato Galileo sostituì il tratto da Ma qual osservazion » (pag. 769, lin. 1) a * al¬ tro che confusione» (pag. 772, lin. 34), che nel ms. si legge sopra un foglio aggiunto. t 1 ) La stampa: attrarrebbe se la. IV. 97 770 CONSIDERAZIONI racolo alcuno, e che, per meglio assicurarvi, tocchiate sottilmente con un poco di cera o pasta detto orificio, sì che, calcato sul inarmo, resti ogni spiracolo serrato, dico che, facendo con la coppetta la solita at¬ trazione, la sentirete in modo attaccarsi al marmo, che, prima che separarsi, l’alzerete da terra, se ben pesasse 20 libbre; ma non vedrete già sollevarsi la parte della pietra contenuta denti*’alla bocca della coppetta, non perch’ ella non venga tirata dal contatto di quella poca aria che in quella si contiene, ma perche per la sua durezza è im¬ mobile. Ma finalmente, perchè io non confido che ’l detto sin qui basti a levarvi ogni dubio, e che sin che voi non vedete montar su per io i sifoni la terra le pietre e i metalli, non siate per deporre la falsa opinione, andate a trovar qualche valente fabbro di canne d’archi- buso, che egli nelle canne esquisitamente lavorate, con la sola: attraz- zione del fiato, alla vostra presenza farà montar una palla di piombo dal fondo della canna sino alla bocca ; e se forse l’esser la palla di piombo vi lasciasse ancor qualche scrupolo, perchè ’l piombo, secondo i vostri principii, è molto aqueo ed umido, e però atto a unir la sua superfìcie con quella dell’aria, il medesimo maestro attrarrà, per vo¬ stra satisfazione, delle palle di ferro, di marmo, d’ebano, ed in somma di che materia più vi piacerà. 20 Ma ditemi una volta, Sig. Grazia, in cortesia : voi scrivete [pag. 405, lin. 36-38] che l’aria e l’acqua si attraggono, perchè, essendo simili nel¬ l’umidità, la qual facilmente si unisce, vengono tra di loro a confonder le superficie, e di due quasi farne una : dove io, lasciando da parte che 1’ umidità opera tutto il contrario di quello che voi dite, perchè le cose che più saldamente stanno attaccate sono le aride e dure, e tutte le colle e bitumi viscosi tanto più ritengono unito quanto più si ri¬ seccano, e umidi tengon pochissimo ; vorrei solamente che mi diceste quello che voi credete che faccino le superficie dell’ aria e di un marmo, quando, sigillando la bocca del sifone, o trombetta che voi 30 dite, sopra detto marmo, si fa poi 1’ attrazzion dell’aria. Credete voi che tali superficie in parte alcuna si separino? certo no, perchè am¬ mettereste il vacuo, tanto odiato da voi e, per vostro detto, dalla natura. E se elle seguitano di toccarsi, e l’aria viene attratta, come non volete voi che tirato parimente ne venga ’l marmo? Questo sa¬ rebbe un darsi ad intendere di poter tirare una corda senza far forza all’oncino ov’ella è attaccata. Conoscete, per tanto, una volta in qual APPARTENENTI AL LIBRO DEL SUL VINCENZIO DI ORA ZIA. 771 selva di confusione e d’errori vi bisogna andar vagando, mentre volete sostener le falsità ; e considerate come mai non vi succede il poter affermar proposizione alcuna resoluta, ma sempre andare (l> titu¬ bando. Voi dite, prima [pag. ior>, lin. 30-32], che l’aria solamente e l’acqua si attraggono; ma accanto accanto [lin. 32-33] dite elio qualche volta segue anco l’istesso fra le cose aquee ed aeree (e già vi scordate elio altri potrebbe dire che le falde di piombo e d’ebano fussero di questa sorte, e che però l’aria le segue tra gli arginetti). Dite, appresso [lin. 36-38], che le superficie dell’ aria e dell’ acqua si confondono, e che io di 2 quasi se no fa una; e vi mettete il quasi, come se tra l’uno e il non uno fusse qualche termine di mezzo: oltre che non so quello che intendiate per confondersi le superficie, e se intendete che questo confondersi sia qualche cosa di più del toccarsi. Fate, appresso [pag. 406, lin. 1-2], gran capitale, per la resistenza della terra all’ attrazzione, dell’esser lei grave assolutamente; e poi non vi darà noia la gravità dell’argento vivo, 5 o 6 volte maggiore ; e pur con la trombetta si attrarrà. Vedendo poi che la polvere si attrae, e pur è terra, dite [lin. 2-7] che ella è fatta leggiera per accidente: e se ben le premesse son tutte titubanti, non per questo restate di stabilir in ultimo la 20 conclusimi salda e resolutissima, scrivendo [lin. 8]: Adunque non è pos¬ sibile che la terra e le cose terree (divaghino l’aria. Venendo poi all’as¬ sicella d’ ebano, confessate [lin. 10-13], contrariando a voi stesso, che l’aria la seguo nella cavità che quella fa nell’acqua, e che ella la segue come grave e per nou dar il vacuo, quasi che l’acqua segua l’aria nel sifone per altro che per non dar il vacuo; e scordatovi che l’aria nell’acqua è leggiera, dite che ella scende sotto ’l livello dell’acqua come grave; ed immediatamente dopo l’aver confessato che l’aria scende sotto ’l livello dell’acqua insieme con l’ebano, non vi spaven¬ tando per una subita e manifesta contradizione, concludete [lin. 13-14J : 3o Adunque è solo ebano quello che si pone nell’acqua, e non un composto d’ebano e d’aria. E quali contradizioni son queste ? e chi le potrebbe scri ver maggiori ? Sento uno che mi risponde, che voi, Sig. Grazia, ne avete potuto scriver delle maggiori; e mi addita alcuni altri vostri luoghi. Voi scrivete alla face. 48 [pag. 410, lin. 30-35], che la calamita può per la simpatia attrarr’ il ferro, sì come noi veggiamo che più agevolmente uomo si muove ad amar uno che un altro, anzi molte volte odiar senza cagione (l) Il ms. : andar. Nella stampa è incerto tra aiutare e andate. I 772 CONSIDERAZIONI alcuno (1> , e senza cagiono ad amar altri: ina qual simpatìa può esser fra l’aria e la terra, se son composti questi due elementi dì qualità contrarie? questo è secco, e quello è umido ; questi participa del calore, e quello della frigi¬ dità etc. Qui, primieramente, voi dite che altri si muove ad amar uno per la simpatia, ed accanto accanto dite die si muove ad amarlo senza cagione; ma l’amar per la simpatia, Sig. Grazia, contradice al- l’amar senza cagione. Ma, più, se voi concedete che altri si muova ad amar uno senza cagione, perchè non potete voi metter un tal caso tra l’aria e la terra, sì che la terra senza cagione aderisca all’aria? Ma passo queste contradizioni come 12 leggiere, e torno a considerare io come voi il ite qui che l’aria e la terra, come composte di qualità contrarie, non posson aderir insieme, sì che ne segua l’attrazione: il che avete detto ancora alla face. 42 [pag 405, lin. 36-40], cioè che l’aria e l’acqua, sendo simili nell’umidità, bì muovono l’una al movimento dell’altra, il che (dite) non può seguire nella terra, per non aver ella qualità simili all’aria: e questo dite, perchè così compii va in questi luoghi al vostro bisogno. Ma poi alla face. 52 (3> [pag. 413] avendo bisogno che un medesimo accidente competa all’aria, all’acqua ed alla terra, cioè il resistere alla divisione, non dite più che tali elementi sieri composti di qualità contrarie o dissimili, ma scrivete così [lin. 15-19]: essendo la terra, 20 come vuole il Sig. Galileo (ma però ’l Sig. Galileo non ha mai detto questo), resistente alla divisione, sarà necessario che sìan ancora gli altri elementi: imperciochè eglino son composti della medesima materia e della medesima qualità; adunque non par possibile che la terra abbia ad avere un accidente ed uva proprietà, e non la debba aver V acqua etc. Ma poi tornan¬ dovi un’altra volta commodo tutto l’opposito, cioè che gli elementi non sien più composti della medesima materia e della medesima qua¬ lità, nè possino aver un accidente comune, scrivete alla face. 58 [pag. 417, lin. 38-40] in questo modo: conciosi a cosa che gli elementi ed i com¬ posti da quelli, essendo composti di contrarie qualità , continuamente fra di 30 loro si distruggono ; e poi alla face. 60 [pag. 419, lin. 31-32] così : là dove l’aria e la terra, come composte di contrarie qualità, non posson aver alcuna convenienza. Or come si potrà diro che nel vostro filosofare si contenga altro che confusione? Dopo aver il Sig. Grazia assai diffusamente, nelle face. 43, 44 e 45 (H 111 La stampa : alcuna. 191 I .a stampa : queste come. w La stampa : 62. 2' La stampa : 43 c 45. 773 APPARTENUNTI Al, 1,1 BEO DEL SIG. VINCENZIO DI (J11AZ1A. [pag. 406 , li». 29 —pag. 403, lin. SO], proposte le opinioni contrarie e le lor ragioni intorno alla questione, se l’aria e l’acqua nelle loro regioni sien gravi o no, si riduce egli stesso a terminar questo dubio in tal conclusione |pag.40B, lin. 24-30] : Di chiamodunque che V acqua e V aria nel lor proprio luogo sien pravi, ma non della medesima gravila che cileno hanno quando non fuori di esso; e che in esso eglino sono gravi e leggieri in potenza , non altrimenti che sia il color verde, clic al nero ed al bianco può ridursi; e fuora del proprio luogo sieno gravi, e leggieri in atto : gravi, quando si ritrovano in quelli che gli stanno sotto; leggieri, in quelli m a' quali eglino io soprastanno, se però non so» impediti, lo veramente trovo gran confu¬ sione in questa sentenza, dove ogni ambiguità dorerebbe esser rimossa, li prima, io non so ciò elio egli determini dell’aria e dell’acqua nel proprio luogo: perchè da principio mi afferma che elleno son gravi, ma di altra gravità elio quando ne son fuori; poi immediatamente mi dice che lo vi sono anco gravi e leggieri, ma in potenza. Dove io, oltr’all’altre esorbitanze, non saprei schivargli una contradizione assai chiara; perchè, avendo egli prima dotto che le son gravi, e poi che le son gravi o leggieri in potenza, è forza che nel primo detto egli in¬ tenda, loro esser gravi in atto; ma dicendo poi, esservi gravi e leggieri 20 in potenza, e venendo la gravità in atto esclusa dalla gravità in po¬ tenza, viene a negare ed affermare ’l medesimo accidente del medesimo subbietto nell’ istesso tempo. Nè men gravemente contradice egli a sè stesso ed al vero nell'altre parole, mentre afferma che l’aria e l’acqua fuori del proprio luogo sieuo gravi e leggieri in atto ; gravi, quando si trovano nell’elemento inferiore a loro, come sarebbe a dire quando l’aria si trova nell’acqua: ma questo è falsissimo e contro all’istesso Sig. Grazia, perchè 1’ aria nell’ acqua è leggieri. Segue poi con un nuovo errore, e dice la medesima aria ed acqua esser leggieri quando si trovano nel luogo di quelli elementi a’ quali elleno soprastanno ; so di modo che, soprastando l’aria all’acqua, l’aria nell’acqua doverà esser leggieri: ma un verso innanzi seguiva’l contrario; talché l’aria nell’acqua è grave e anco leggiera, in filosofìa del Sig. Grazia. Cre¬ derò bene che egli abbia auto in animo di dire altro da quel che egli ha veramente scritto: ma chi volesse entrare a corregger tutto '1 <•> La stampa : Dichiariamo. errore, anche l’edizione originale delle Con- Manoscritto e stampa: leggieri di siderazioni di Vincenzio di Gkazia, al luogo quelli , conio Iia effettivamente, con manifesto citato. 774 CONSIDERAZIONI suo testo, non finirebbe mai, perch’ oltre a gli errori innumerabili che vi sono, li quali si potrebbon attribuire alla poca diligenza dello stampatore e di quello che ha fabbricato la tavola delle scorrezzioni, nella quale ne mancano 99 per 100, gli altri che veramente sono dell’Autore, per difetto di memoria o per non saper serrare i periodi, son parimente tali e di sì gran numero, che non mi par di far poco a indovinar il senso, non che a notargli e castigargli. E chi ritrove¬ rebbe mai la costruzzione in"’ quel che segue del Sig. Grazia nel fine di questa medesima face. 45 [pag. 408, lin. 31 -pag. 409, lin. ì], mentre egli vuol rispondere a certe esperienze e ragioni di Tolommeo e di Temistio, io dove egli scrive : E dalla prima esperienza incominciando, dico che, se è vero che coloro che, si tuffano soli’ acqua non sentina pravità, la qual cosa apparisce il contrario, vedendosi che coloro che si tuffano, quando tornano sopra dell’ acqua, sono sgravati da tona certa grandissima molestia, quasi che dalla gravità dell’acqua eglino vanghino aggravali, non nego già che questo accidente non possi esser cagionato da gli spiriti ritenuti : e perciò pare che si possa dire con Simplicio, che quelli che si tuffano nell’ acqua non sentino la gravità, perchè le parti di essa fra di loro si sostenghino ; non altrimenti che noi veggiamo fare a coloro che aprendo un muro si mettono dentro di esso, i quali non scnton la gravità perchè le parti di quello si reggono tra 20 dì loro ? Qui, oltr’ al mancar la struttura delle parole, è anco molto difficile il determinar a qual parte si apprenda l’Autore, cioè se alla negativa 0 alla affermativa : perchè prima metto in dubbio, se sia vero che coloro che si tuffano non sentino ’l peso dell’ acqua ; poi soggiugne, di ciò apparire ’l contrario, poiché quando tornano sopra 1’ acqua si sentono sgravati da una gran molestia, come se l’acqua gli avesse gravato sopra; ma poi dice che non nega, ciò poter venire dalla retenzion degli spiriti, e poi dice parergli che si possa dir con Simplicio, che color che si tuffano non sentino ’l peso dell’ acqua. Poco più a basso [pag. 409, lin. 2-5] crede, che se uno si mettesse su la 30 superficie della terra, e si facesse infonder sopra venticinque barili d’acqua, sì che dovesse reggersi sopra di lui, al certo sentirebbe grandissimo peso, perchè l’acqua gravita sopra l’acqua; pochi versi più a basso [pag. 409, lin. 11 - 12 ], contrariando a questo detto, dice che l’acqua nel suo luogo ha da natura di non gravitar molto: per lo W 1 /fi stampa: di. APPARTENENTI AL LIBRO DEL BIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 775 che ’1 lettore a gran ragione può restar in confusione. Panni bene, aver occasione di meravigliarmi che ’l Sig. Grazia non abbia scorta la «implicita di Simplicio nel render la ragione perchè non si senta ’l peso dell’acqua da color che gli son sotto, dicendogli ciò accadere perchè le parti dell’acqua si reggono Puna P altra, come accaderebbe a chi facesse una buca in un muro e poi vi entrasse dentro, dove non sentirebbe ’l peso delle pietre, perchè tra di loro si sostengono; la qual similitudine è molto poco a proposito, avvenga che del soste¬ nersi i sassi del muro tra di loro ne è apertissimo indizio il veder io noi, che levatosi colui della buca fatta nel muro, ella resta aperta, nè vi caggion le pietre a serrarla; ma nell’acqua non si tosto si muove l’uomo, che Pacqua scorre a riempier il luogo. A voler che la simi¬ litudine di Simplicio concludesse, bisognerebbe che uno fosse sotto un monte di sassi, li quali, partendosi egli, calassero nella buca elio egli occupava. Alla fine della face. 52 [png. 414, fin. 5-8], egli scrive che l’acqua torbida dura tanto tempo a rischiararsi, non perchè quelle particelle di terra non possine in tanto tempo penetrar la crasmìe dell' ampia, ma perchè sono miste tra di loro la terra e l'acqua, onde ci vuol quel tempo sì grande so a disfar quella mistura: ma poi, 6 versi più sotto, contradicendo a questo luogo, scrive cosi [pag. 414, lin. 14-18] : Se quello spazio che tanta terra quanti una veccia passa per un centesimo d’ora e forse meno, quelle par¬ ticelle che son nell'acqua torbida vi spendono quattro o sei giorni, solo per non poter romper la crassizie dell’ acqua, mi par che si possa dire che l’acqua abbi resistenza, se ella ritarda’l movimento. Vedesi, dunque, che ’l Sig. Grazia (pii attribuisce la causa della dimora nel rischiararsi l’acqua solo al non poter quelle particelle di terra che la intorbi¬ dano, romper la crassizie dell’acqua, se ben di sopra aveva detto che ella tardava tanto a rischiararsi non perchè le particelle della terra 30 non possine penetrar la crassizie dell’ acqua, ma per la mistione etc. È forza confessare che il Sig. Grazia abbia grandissima pratica nel maneggiar le contradizioni, e che con quelle e’ si liberi da grand’ angustie. Egli, prima, non trovando miglior refugio per so¬ stener che P assicella d’ebano e le altro falde gravi galleggino per l’impotenza di divider la continuità dell’acqua, disse 11 ’ più volte reso- W La stampa : dice. 776 CONSIDERAZIONI Ultamente che loro non pure non dividevano, ma nè anco intaccavano, la superficie dell’acqua, ma solamente la calcavano alquanto, cedendo ella come la tela d’un letto a volito ; e però scrisse alla 111 face. 36 [pag. 401, lin. 35-37] : Imperochè Vassicella d'ebano e le piastre dell'oro abbas¬ sano tanto la superfìcie dell'acqua, quanto comporta la lor pravità, ma non la dividono; perchè sendo divisa, cileno subito se ne andrebbono in fondo: ed alla face. 41 Ipag. 405, lin. 13-26] più diffusamente replica ed essemplifìca ’l me¬ desimo, scrivendo : Quindi si vedrà agevolmente, quanti è sodo 121 ’l detto d'Aristotile, c debole quel del Sig. Galileo. Perchè non solo apparisce che la falda dell'oro non abbia penetrala la superficie all’acqua, ma che non ha io ancora intaccata la superfìcie di essa, e solo V ha, constipandola con la sua gravità, abbassata, e fatta quella poca di carità; non altrimenti che si vegga operare qualche peso assai notabile posalo sopra la tela d' un letto a vento , il quale, ancorché abbassi la tela e vi farcia una gran cavità, entro la quale egli si nasconde, nondimeno egli non ha divisa la tela, anzi sino a che non /' ha divisa in tutto e per tutto, egli non si muove. Il dire eh’ egli si trova sotto la superficie del panno, non par cosa conveniente, se bene egli apparisce sotto la superfìcie di esso, ma veramente non è. Quanto alla figura, ella non mostr altro se non che l’assicella ha piegato tanto la superficie dell'acqua, che ella resta sotto’l livello degli orli di della superficie, come s’è detto; 20 or reggasi, che V assicella dell ’ ebano non va al fondo, perchè ella non ha rotto la superfìcie dell’ acqua. Ma poi nel progresso dell’ opera, sendogli venuta in mente un’ altra più bella ragione attenente al medesimo effetto, ma però tale che non concluderebbe se le medesime falde ed assicelle non penetrassero dentro all’acqua, egli liberamente ciò affer¬ ma, e scrive alla face. 58 [pag. 417, lin. 40—pag. 418, lin. 2] molto inge¬ gnosamente così: Onde passando Vassicella dell'ebano per l’acqua, come quella che è un misto terreo, viene a corromper qualche particella dell' acqua, e perciò ella resta unita, non desiderando la divisione, perchè da quella ne nasce la sua corruzione. (Jui dunque pare che ’l Sig. Grazia ammetta, 30 conti’’ a’ luoghi detti di sopra, che 1 l’assicella passi per l’acqua; il che non si può intender clic possa seguir senza penetrarla. Nò contento di questa contradizione a i due luoghi sopraddetti assai remoti, ue (,) La stampa: e. però alla. ,J) Così, e non saldo (come abbiamo stani- pato a pag. 405, lin. 13, e crediamo che sin la vera lezione), hanno tanto il manoscritto quanto la stampa della Risposta. L’edizione originale delle Considerazioni del Grazia ha: soldo . W La stampa : detti di che. AITAK'I'KNENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 777 soggiugne un’altra immediatamente, dicendo che l’acqua resta unita, non desiderando la divisione : ma so 1’ acqua resta unita, come può passar per lei l’assicella d’ebano ? Contradice parimente ai medesimi due luoghi sopraddetti alla face. 84 [pag. 437], dove avendo bisogno, per contradire a certo luogo del Sig. Galileo, che P assicella d’ebano, quando galleggia, abbia già divisa tutta l’acqua che la circonda, prima dice esser manifesto che la falda vien sostenuta dall’ acqua che gli è sotto, o non da quella che gli è attorno, e poi soggiugne [liti, 21 23]: Sci/>w ili ciò »c è, che sondo diviso tutto’l perimetro dell’acqua, io ad ogni modo la piastra si rei/f/e. Ma come può esser, Sig. Grazia, che sia divisa l’acqua di tutto’l perimetro dell’assicella, e che insieme ella non abbia pur intaccata la sua superficie? Se i corpi gravi che si posano sopra le tele dei letti a vento dividessero la tela intorno al lor perimetro, non so quanto bene e’ si reggessero sopra quella che urli restasse di sotto. o Aveva bisogno ’l Sig. Grazia, alla face. 42 [pag. 405], che Paria e l’acqua per attrazzione alternatamente si seguissero, ma che ciò non potesso accadere tra questi elementi e la terra. Di ambedue questi effetti parlò e ne roso ragione, scrivendo, quant’ al primo, così [fin. 36-39] : 20 II che segue perchè, essendo questi due clementi simili nell’ umidità, la quale facilmente si unisce, vengono tra di loro a confonder le superficie, e di due quasi farne una ; imperciò vengono a muoversi al movimento altrui. Parlando poi del secondo accidente, segue di scriver così [pag. 405, fin. 39 — pag. 400, fin. 2) : Il che non può seguir nella terra, per non aver ella qualità simile all’, aria e all’ acqua, e particolarmente l’umidità, là onde le superficie non si possono unire; e per ciò non si può tirare nè dall’acqua nè dall’uria, essendo ella ancora, dì sua natura, grave assolutamente. Ma sendogli poi, alla face. 60 [pag. 419, fin. 13-37], sopraggiunto necessità che l’acqua benissimo s’attacchi e segua la terra e le cose terree, e ciò 30 per contradire al Sig. Galileo, elio aveva detto che sì come l’acqua, aderendo ad una falda di piombo, la segue per breve spazio men¬ ti’’ella vien sollevata dalla sua superficie, così nell’abbassarsi la me¬ desima falda sotto ’l livello dell’ acqua vien per simile spazio seguita dall’aria; per contradir, dico, a questo detto, scordandosi della face. 42, concede che P acqua possa ciò fare, ma non già P aria ; ed assegnan¬ done la ragione, scrive così [pag. 419, fin. 26-33] : Imperciò che, sì come alleiamo detto, l’acqua ha una certa viscosità, con la quale ella si attacca IV. ss 778 CONSIDERAZIONI alle cose e particolarmente alle terree, della quale è privala l'aria; onde adiviene che V acqua si attacca alla piastra, e V aria non si può attaccare. In oltre fra V acqua e la terra può essere qualche simpatia, avendo, fra di- loro una qualità comune, qual è la frigidità, là dove Varia e la terra, come composte di qualità contrarie, non posson aver alcuna convenienza. E per ciò to mi persuado che questo effetto possa accadere nell’acqua, e non nell’aria. Di qui e da tant’ altri particolari veggasi coti che saldezza e resolu¬ zione di dottrina cammini quest’Autore. Io mi son molte volte, nel disporre e ridurre alle lor classi gli errori del Sig. Grazia, trovato confuso in quale fusse conveniente ri- io durre alcuno di essi, peccami’ egli in molte maniere ; come appunto mi accade di questo che segue, il quale in esperienza è falso, nel caso di elio si tratta non è a proposito, e contradice a quello che in altri . luoghi ha scritto 1’ Autore : pure lo porrò tra le contradizioni, essendo gli altri suoi mancamenti tanto manifesti, che non occorre additargli più. Egli, dunque, alla face. 73 [pag. 429], per contradire ad una di¬ mostrazione del Sig. Galileo, scrive molto resolutamente che ’l fuoco e la terra con tanta velocità si muovono per l’aria, con quanta si muovono per l’acqua; e le parole son queste [Un. 18-22J: Trattandosi della terra e del fuoco, l’ima delle quali è grave assolutamente e l’altro leggieri 20 assoluto, che per tutti i luoghi sono egualmente gravi e leggieri, sarà im¬ possibile che sien più e men veloci nell’ acqua 0 nell’ aria, ma in tutti a due i luoghi saranno veloci egualmente, e perciò non ci entra l’argo¬ mento del contrario. Ma nella faccia precedente [pag. 428, lin. 16-17] si legge tutto 1’ opposito, cioè che gli atomi ignei più veloci nell’ aria che nel- V acqua si muovono, come da me si è dimostrato ; e nella seguente faccia, che è la 74 [pag. 430], pur si logge’l contrario, scrivendo egli così [lin. 14-16] : Anzi l’ instanza di Democrito contro a se stesso, c non rVAri¬ stotile, c in vigore, essendo manifesto che ’l movimento del fuoco è più veloce nell’aria che nell’acqua; ed alla face. 31 [pag. 397, lin. 17-18], dopo un so lungo discorso in provar la leggerezza positiva del fuoco, conclude con tali parole : Adunque non ci è elemento alcuno, clic non si muova più veloce, nell’ aria che nell’ acqua. Veggasi dunque l’inconstanza del Sig. Grazia. 8-9. cammini questa sorte di filosofi. To — 33-34. Veggasi dunque come il Sig . Grazia è di$2)0$to a concedere c a negare ogni cosa, pur clic s’impugni 7 Sig. Galileo. APPARTENENTI Al. LII3R0 DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 79 LUOGHI DEI. sili. GALILEO ADULTERATI UAL SIG. GRAZIA. Quanto a 1 luoghi del trattato del Sig. Galileo non legittimamente citati dai Sig. Grazia, leggasi il primo eh’e’produce alla face. 8 [puff. UBO, lì». 1—-17J, scrivendo così: Diceva il Sig. Galileo che la conden¬ sazione partorisce diminuzivn di mole e agumento di gravità, e la rarefa¬ zione maggior leggerezza e agumento di mole; al che $’ aggiugne che le cose condensate maggiormente s'assodano, e le rarefatte si rendono più dissipa- Itili m : li quali accidenti nell’acqua non appariscono; adunque il ghiaccio non condensato, ma rarefatto, deve dirsi. Dove quell’ aggiunta, che le io cose condensate maggiormente s’ assodano, e le rarefatte si rendono più dissi [labili, sì come l’è cosa fuor d’ogni proposito in questo luogo, così non è stata nè scritta nè, por quel che io creda, pur pensata dal Sig. Galileo; a come che io stimi che nissuno la sapessi adattare al senso del presente luogo, così non si può dir altro se non che il Sig. Grazia ce raggiunga solamente per diminuire in ogni possibil modo la saldezza della dottrina di esso Sig. Galileo. Alla face. 19 [pag. 388, liu. 11-12] scrive il Sig. Grazia così : Dice il Sig. Galileo che il mobile, quando si muove per l’ acqua verso ’l centro, dee scacciar tanf acqua quanto è la propria mole. Ma questo è falso : % 20 anzi egli non pur dice, ma dimostra, che qualsivoglia solido nel di¬ scender nell’ acqua alza sempre manco acqua, che non è la parte del solido demorsa ; talché la più modesta accusa che si possa dar al Sig. Grazia, ò che egli non ha considerato quel che scrive il Sig. Galileo. Con troppo aggravio vien imputato il Sig. Galileo dal Sig. Grazia d’aver creduto che tutti gli elementi più velocemente si innovino per l’acqua che per l’aria, sì come da quel che egli scrive alla face, di) [pag. 396, Un. 3‘2-3(>] si raccoglie, dove si leggono queste parole : Dar bene che altri possa restar con desiderio di saper, qual esperienza ha potuto ac¬ certare il Sig. Galileo che tutti gli elementi si muovono più veloci nell'acqua 30 che nell’ aria, se il fuoco, che solo degli elementi si muove all’ in su nel- l' aria, nell’ acqua non si può ritrovare. Ma quando e dove, Sig. Grazia, 14-15. Ino fio, nb anco ristessi) Siq. Grazia, così non si può dir altro se non che eyli cc V aggiunga — 23. considerato o inteso quel — La stampa : si rendono dissipatati. 780 CONS1D15UAZION1 lia dotto il Sig. Galileo d’ esser certo che la terra, che è uno degli elementi, si muova più velocemente per l’acqua che per 1 aria ? Io non so che egli abbia mai scritto tali pazzie : so bene che egli ha detto tutto ’1 contrario, cioè che più velocemente ella si muove per 1’ aria che per 1’ acqua ; la quale è proposizione così trita e manife¬ sta, eli’ io credo che al mondo non ci sia chi non la sappia, altri che voi solo, che affermate la terra muoversi con egual velocità in questo mezzo e in quello, se io bene ho intese le vostre parole alla face. 73 [pag. 429, Un. 18 21], che son queste: trattandosi della terra e del fuoco, l’ ima delle quali è grave assoluta e V altro leggieri assoluto, che per tutti io i luoghi sono egualmente gravi e leggieri, sarà impossibile che sien più e men veloci nell’acqua o nell'aria, ina in tutti dim luoghi saranno veloci egualmente. A face. 33 [pag. 309, Un. 12-14], re ferendo alcune parole del Sig. Galileo, scrive così : Può ben Vampiezza della figura ritardare il movimento, tanto nello scendere quanto nel salire, ma non può già quietare mobile alcuno sopra V acqua. : dove l’ultime parole sopra dell’ acqua non sono nel testo del Sig. Galileo, il quale è tale [pag. 88, lin. 1-5] : Può ben l’am¬ piezza della figura ritardar la velocità, tanto della scesa, quanto della sa¬ lita, e più e più secondo che tal figura si ridurrà a maggior larghezza e 20 sottigliezza: ma che ella possa ridursi a tale, che ella totalmente vieti il più muoversi quella stessa materia nella medesima acqua, ciò stimo essere impossibile. Dove io noto, che il Sig. Galileo non ha detto sopra del¬ l’acqua, ma nella medesima acqua; e ciò noto io, non perchè l’ampiezza della figura sia forse causa del fermarsi sopra dell’acqua, perchè questo ancora è falso, come diffusamente dimostra il Sig. Galileo, ma perchè non conviene che il Sig. Grazia addossi uno sproposito suo al Sig. Galileo: perchè quando la maggior e maggior dilatazione non solo diminuisse la velocità del mobile, ma potesse anco esten¬ dersi a tale che totalmente togliesse il più muoversi, ogni retto giu- 80 dizio dovrebbe intendere e dire, che là si facesse l’annullazione del moto, in virtù dell’ ampiezza della figura, dove si fa la diminuzione della velocità; e facendosi tal diminuzione per tutta la profondità dell’acqua, in ogni luogo di essa dovrebbe potersi indur la quiete, e non nella superficie solamente, dove son forzati di ritirarsi gli av¬ versarli del Sig. Galileo, dopo che l’esperienza gli ha insegnato, non esser possibile l’indur la quiete in virtù della figura là dove per la APPARTENENTI AL L1H110 DEL SIO. VINCENZIO DI GRAZIA. 781 medesima s’induce la tardità: oltre elio il veder loro, die le mede¬ sime falde elio si fermano nella superfìcie dell’acqua, nella profon¬ dità poi velocemente descendono, gli doveva pur esser argomento bastante per fargli avvertiti elle da altro principio dependeva la quiete in superficie, che da quello onde procede la diminuzion di velocità. Ancorché il Sig. Galileo abbia più volte detto, e ancor dimostrato, che nell’acqua non è resistenza alcuna alla semplice divisione, nulla dimeno il Sig. Grazia scrive in maniera, alla face. 50 [pag. 412], che io ogn’ uno che vi leggerà, giudicherà che il Sig. Galileo abbia detto tutto l’opposito, cioè che ella totalmente repugna alla divisione ; poiché quivi si leggono queste parole [lin. 2-4] : Ma si deve avvertire, che questa resistenza non è tale che repugni all’intera divisione, come il Sig. Galileo si crede, ma solo repugna alla divisione più facile e più diffìcile. Alla face. 52 [pag.413, lin. 36-37] attribuisce al Sig. Galileo l’aver detto (per provar che l’acqua non ha resistenza alla semplice divisione) che se l’acqua avesse resistenza, si vedrebbe qualche corpicello sopra quella quietare ctc.: la qual cosa non si trova nel trattato del Sig. Galileo; e il luogo stesso che il Sig. Grazia adduce, nel detto trattato sta 20 così [pur. 103. lin- 20-26] : In oltre, qual resistenza si potrà porre nella conli- nuazion dell’ acqua , se noi veggiamo esser impossibil cosa il ritrovar corpo alcuno, di qualunque materni figura e grandezza, il quale, posto nell’acqua, resti, dalla tenacità delle parti tra di loro di essa acqua, impedito, sì che egli non si muova in su o in giù, secondo che porta la cagion del suo movimento? dove si vede che il Sig. Galileo parla dei corpi posti dentro all’acqua, e non sopra, poiché dice che si muovono in su o in giù etc. Ma il Sig. Grazia, per oppor (come egli fa) la minuta polvere che sopra l’acqua'” si ferma, corroiupe il testo del Sig. Galileo, e rag¬ giusta alla sua contradizione. so Con non dissimile arto procura, alla face. 57 [pag. 417], di far ap¬ parire al lettore errori del Sig. Galileo quelli, che sono alcuni va¬ nissimi refugii di altri suoi contradittori, scrivendo in cotal modo : [lin. 16 - 27 ]: Segue ora che ricerchiamo la cagione, perchè l’assicelle dell’ebano 29 - 30 . contradizione ; costume più proporzionato a un astuto e cavilloso procuratore, che a un reai filosofo. Con — W La stampa : acque . 782 CONSIDERAZIONI e le falde del ferro e del piombo, quando sono asciutte galleggiano sopra l’acqua, e quando sono bagnate se ne vanno al fondo ; non tenendo per vere quelle che ne adduce il Sig. Galileo. Imperochè è falso che quella resi¬ stenza, che abbiavi provato esser nell'acqua, sia più nelle parti superficiali che nelle interne, non apparendo il perche e veggendosi per il senso diri¬ mente. Similmente la seconda, che le falde abbili a cominciare il movimento nella superficie, il quale si comincia più difficilmente che egli non si sé- guita , non pare possa esserne la cagione; quantunque io non nicghi che egli possa adoperare qualche cosa, vedendo noi che se le cose gravi si muovano, si muovono più velocemente quando sono più vicine al centro, movendosi io però d’un w medesimo mezzo. Qui, dunque, si vede che il Sig. Grazia, su la speranza di poter oscurar in qualunque modo la chiarezza della dottrina del Sig. Galileo, si allontana dalla candidezza della vera filosofia: la qual nota egli avrebbe schivata, se dopo le parole: non tenendo per vere quelle che n adduce il Sig. Galileo , egli avesse detto: « nè (21 mi satisfacendo le cagioni addotte da altri suoi oppositori », o cosa tale ; ma l’attaccar subito, con la particola imperciochè, il detto di sopra con quel che segue, è atto pregiudiziale al Sig. Galileo senza alcuna sua colpa. Alla face. Gl [pag\ 120, Un. 22-23] scrive il Sig. Grazia: Notisi che nel 20 testo cVAristotile tre sono i termini , e non quattro come dice il Sig. Galileo, cioè movimento, più tardo, e più veloce eie. Ma il Sig. Galileo non ha mai (letto questa cosa : ha bene scritto che in questa materia (ma non nel testo d’Aristotile) si devono considerar quattro termini; e ’l luogo si può vedere alla face. 57 della prima impressione f e G2 della seconda 1 [pag. 124, Un. 5-6], Però, Sig. Grazia, se non volete riguardare alla repu- tazion del Sig. Galileo, riguardate almeno alla vostra. Alla face. 72 [pag. -128, lin. 22 e seg.J vuole il Sig. Grazia confutare una dimostrazione fatta dal Sig. Galileo per provare che i corpi che ascen¬ dono por l’acqua e per l’aria, più velocemente si muovono in quella ao che in questa : ma perchè egli non 1’ ha ben intesa, nel riferirla nel modo che 1’ ha capita la dilacera in guisa, che d’ogn’altra cosa ha 31-32. egli non ne ha intesa pur una parola , nel referirla nel modo — * l) Così (c non però per un, come po- delle Considerazioni del Grazia : ma la ta- nemmo a pag. 417, lin. 27) leggono tanto il vola degli errori, posta in fine di questa ras. quanto la stampa della Risposta; o così stessa edizione,avverte di correggere per un. ha effettivamente anche l’edizione originale W La stampa: non. APPARTENENTI AL LIBRO PEL SIO. VINCENZIO DI GRAZIA. 783 sembianza che dell’ originale ; onde inutil perdimento di tempo sa¬ rebbe il porsi prima a dichiarargli il senso, benché per sè chiarissimo, di quella del Sig. Galileo, e passar poi a emendar gli errori suoi : però voglio contentarmi di trascriver qui l’una e l’altra, lasciando poi al lettore il giudizio del resto. Scrive, dunque, il Sig. Galileo in tal maniera alla face. 63 Ideila prima impressione, 68 della secondai [pag. 130, Un. 10-24] : E qui non so scorger la cagione, per la quale Aristotile, vedendo elio il moto all'in giù, dello stesso mobile, è più veloce nell’aria clic nell’ acqua, non ci abbia fatti cauti che del moto contrario deve accader io V apposito di necessità, cioè eh’ ei sia piti veloce nell’ acqua che nell’aria: perche , avvenga che il mobile, che descende, più velocemente si muove per l’aria'" che per Vacqua, se noi c’ immagineremo che la sua gravità si vada gradatamente diminuendo, egli prima diverrà tale che, scendendo veloce¬ mente per V aria, tardissimamente scenderà nell’ acqua ; di poi potrà esser tale che, scendendo pure ancora per l’aria, ascenda nell’acqua; e fatto ancora mcn grave, ascenderà velocemente per l’ acqua, e pure descenderà ancora per V aria ; c in somma, avanti che ei cominci a poter ascendere, benché tardissimamente, per Varia, velocissimamente sormonterà per l’acqua. Come dunque è vero, che quel che si muove all’ in su, più velocemente si muova 2 o peri’ aria che per l’acqua? Ma il Sig. Grazia volendo re ferir la mede¬ sima cosa per venir poi a confutarla, scrive così alla face. 72 [pag. 428, lin. 25-32] : Ed al primo (argomento del Sig. Galileo) rispondendo, il qual è che essendo il movimento all’in giù più veloce nell’ aria che nell’acqua, donerà, per la contraria cagione, il movimento all’ in su esser più veloce nell’acqua che nell’aria; imperochè i mobili che hanno gravità, quanto più s’accostano al termine proprio, tanto diminuiscono di gravità; e perciò si crede egli che i mobili gravi si muovono più velocemente nell’aria che nel- l’acqua, onde adiverrebbe che ancora i mobili che hanno leggerezza sì do- vessino muovere più velocemente nell’ acqua che nell’ aria. Or veggasi se so qui è pur un minimo vestigio onde si possa arguire che il Sig. Grazia abbia capito niente della dimostrazione del Sig. Galileo : e senza che io m’ affatichi in reprovar ciò che egli oppone in contrario, che sa¬ rebbe impresa immensa, ma vanissima, credo che ogn’uno molto bene intenderà, che a quello che altri non intende punto, non si può oppor cosa alcuna, se non lontanissima dal proposito. Lascierò parimente I tii stampa : per aria. 784 CONSIDERAZIONI che altri giudichi da questo, quanto il Sig. Grazia abbia intese tante altre dimostrazioni del Sig. Galileo, che egli ha tralasciate, o che sono per lor natura molto più diiìicili ad essere intese che questa non è (,) . LUOGHI SENZA SKNSO, 0 DI SENSO CONTRARIO ALI,’ INTENZION DEL SIO. GRAZIA, 0 ESORBITANZE MANIFESTE. Tra i luoghi, che il Sig. Grazia scrivo, che sono senza senso o l’hanno contrario all’ intenzion sua, veggasi quello che egli scrive a face. 9 [ pog. 381], dove primamente egli forma questa deduzzione : 11 ghiaccio soprannuota nell’acqua, perchè e’ non è più leggieri della materia della quale egli si produce. Le parole precise son queste io [lin. 2-5]: Chi considera a quella quantità d’aria che nel ghiaccio si rac¬ chiude, agevolmente si accorgerà, il ghiaccio non esser più leggieri della materia della quale egli si produce. Onde avviene che egli nell’acqua so- pranmota. Ma se questa conseguenza del Sig. Grazia fosse buona, bi¬ sognerebbe che’l piombo, l’oro e mill’altre cose gravissime galleg¬ giassero, perchè io non credo che l’oro o ’l piombo sien più leggieri della materia della quale e’ si producono. Segue poi dicendo [lin. 6-8] che chi vedesse Varia e l’acqua che concorrono a compor il ghiaccio, si accorgerebbe che molto minor luogo dal ghiaccio che da quelle vieti occu¬ pato. Ma se quest’acqua e quest’aria non si veggono, come ha potuto 20 il Sig. Grazia accorgersi che il ghiaccio occupi minor luogo di quelle? e se si possono vedere, perchè non ci ha insegnato il modo di mi¬ surarle? il che era tanto più necessario, quanto par grand’assurdo che un corpo occupi minor spazio che le parti delle quali egli è composto. Aggiugne nell’istesso luogo alcune altre parole, le quali o man¬ cano di sentimento, o se pur lo hanno, par contrario all’intenzione 5. esorbitanze manifestissime — Ih Qui Galileo aveva dapprima scritto, ma poi cancellò, quanto appresso: -'Alla face. 75 Ipag. -430, li«. 28-27] il Sig. Grazia attri¬ buisce al Sig. Galileo l’aver detto che tal corpo peserà cento libbre, che nelV acqua sarà leggiero . La qual proposizione in universale ò verissima, perchè una trave peserà in aria conto e mille libbre, o in acqua sarà leg¬ giera; ma nel proposito di che si tratta in quel luogo, sarebbe stato mancamento del Sig. Galileo il dir così di materie che vadino al fondo nell’acqua, perchè queste vengono da tal proposizione escluse, non potendo loro descender nell 1 acqua ed esservi leggiere : e però il Sig. Galileo scrisse lp»g. m» Un. 24-25], che tal corpo peserà dieci libre in aria, che neìV acqua non peserà mez’oncia, e non che nell’acqua sarà leggiero. APPARTENENTI AL LIBRO DEL S1G. VINCENZIO DI GRAZIA. 785 doli’Autore. Le parole sou queste [pag. 381, lìn. tì-12]: Mollo più si uni¬ scono le cose umide che le aride; onde il ferro, benché sia di più terrestre materia che ’l piombo , e perciò dovrebbe esser più grave , nondimeno, per¬ chè le particelle del piombo essendo più umide e per questo più unite, in gravità da quello è superato; la qual cosa nel ghiaccio ancora potrebbe se¬ guire. Qui non solo manca la construzione gramaticale, come cia¬ scuno che vi applichi la mente può conoscere, ma non vi è senso reale; e se nulla se ne può ritrarre, è che molto più s uniscono le cose umide che le aride, la qual cosa nel ghiaccio ancora potrebbe seguire, cioè che io egli molto più fosse unito quando era umido che mentre è arido ; il che è poi direttamente contrario al Sig. Grazia e conforme al Sig. Ga¬ lileo, se già il Sig. Grazia non volesse affermare che il ghiaccio sia più umido dell’acqua, e l’acqua più arida del ghiaccio. Nientedimeno da questi discorsi ne conclude il Sig. Grazia, esser manifesto che le ragioni del Sig. Galileo non a bastanza dimostrano, il ghiaccio esser acqua rarefatta. Manca il senso e la costruzione in quello che egli scrive a face. 16 [pag. 386, li». 2-4], dicendo : Quanto alla prima descrizione, che due pesi di mole eguali , che egualmente pesino , sieno eguali di gravità in specie, cioè, 20 mi credo io, che sieno duna medesima specie di gravità; il che se così è, non è al iidto vero: imperochè eie. Un comparativo senza il termine a cui si referisce si vede a face. 18 [pag. 387, lin. 23-24], in quelle parole: una zolla di terra, essendo eguale di mole e di peso, sarà della medesima gravità di numero ; dove non si vede a chi quella zolla di terra deva essere eguale di mole e peso. Forse volse dire: Due zolle di terra, essendo eguali di mole e di peso, sa¬ ranno della medesima gravità in numero. Questo medesimo errore si legge alla face. 50 [pag. 412, lin.22-23], dove egli scrive così: Ponghiamo che un mobile, eguale di peso e di figura, si deva muovere etc., dove non so si trova a chi detto mobile deva esser eguale di peso e figura, ed in conseguenza non ci è senso; se già il Sig. Grazia non avesse voluto intendere che il peso fusse eguale alla figura. Con difficoltà si cava il senso da quel che si legge alla face. 25 |pag. 392, lin. 33 — pag. 393, lin. 8], dalle parole: Queste sono le ragioni etc., sino a: però qmsso. Ma quello che più importa è il vedere il Sig. Grazia impugnare un autore, ed insieme dichiararsi di non l’aver mai ve¬ duto. Aveva scritto il Sig. Galileo che il Buonamico non aveva atter- IV. 99 786 CONSIDERAZIONI rate le supposizioni di Archimede : replica il Sig. Grazia, quelle essere assai atterrate meutr’ egli adduce Aristotile, che tutti questi principii d’Archimede aveva atterrati : nel ricercar poi quali sieno questi principii d’Archimede atterrati da Aristotile, veggo esser attribuito ad Archimede, come suo principio, il voler che gli elementi superiori si movessero all’in su da gli elementi più gravi ; il qual pronunziato, dice il Sig. Grazia essere inconveniente alla natura, essendo mani¬ festo che si muovono dalla lor leggerezza. Ma, con pace del Sig. Grazia, Archimede non ha mai detto, non che supposto, che gli elementi su¬ periori sien mossi all’in su da gli elementi più gravi, anzi egli non io tratta mai nè di aria nè di fuoco, ina solo di corpi solidi che sien posti inacqua; ed il principio che Archimede suppone, è che la na¬ tura dell’acqua sia tale, che le parti di essa che fossero premute e aggravate più dell’ altre, non restino ferme, ma si muovino e scac¬ cino le manco premute; in confutazion del qual principio non si trova pur una parola uè in Aristotile nè nel Buonamico. È parimente falso quello che sogghigno il Sig. Grazia, che Archimede tolga dagli elementi la leggerezza positiva, della «piale egli non parla, come cosa che non aveva che far nulla al suo proposito. Ben è vero che chi aveva intesa la dottrina d’Archimede, intenderà poi ancora le ragioni intrin- sedie del muoversi in su e in giù tutti i corpi, e discorrendo potrà penetrare quanto vanamente s’introduca la leggerezza positiva, se ben al Sig. Grazia par cosa tanto fermamente dimostrata da Aristotile. Quello che segue appresso e nella face. 26 [pag. 393, li». 8-38], è così pieno «li esorbitanze, che a considerarle e confutarle tutte sarebbe im¬ presa troppo lunga; però mi contenterò di resecar le parole, e di rimuover d’errore chi insieme col Sig. Grazia vi fusse incorso. Si va in questo luogo affaticando il Sig. Grazia per mantener per vera istoria, e non per cosa favolosa, che in Siria si trovi veramente un lago di acqua, e acqua del comune elemento, così viscosa, che i mat- 30 toni buttativi dentro non vi posson andar al fondo; e contende che questo effetto venga dalla viscosità, e non dalla gravità di tal acqua, come aveva detto Seneca e come bisognerebbe che fusse, conforme alla dottrina d’ Archimede e del Sig. Galileo, quando l’effetto fusse vero. Ora io non vorrei altro se non che il Sig. Grazia con acqua e colla, che è delle più viscose materie che noi abbiamo, s’ingegnasse di fare una mistura così tenace, che un mattone gettatovi dentro non APPARTENENTI AL UDRÒ DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 787 si affondasse; e succeduto che gli fosse il farla, vorrei che egli ben considerasse a qual grado di tenacità e viscosità gli fusse bisognato arrivare, acciò l’effetto ne seguisse: chè certo io credo che muterebbe fantasia in chiamar acqua del comune elemento quella che in sè contenesse tal grado di viscosità, e nella quale i mattoni interi non possono affondarsi; dove, all’incontro, nell’acqua comune descendono le minuzie impalpabili della terra, come si vede nel rischiararsi le acque torbide. All’ incontro vorrei che si rappresentasse alla mente, come non solo un mattone, ma un’ ancudine, e un pezzo di piombo io di 100 libbre, gettato nell’argento vivo galleggia; e pure se si trat¬ terà con mano l’argento vivo, non credo che si sentirà molta visco¬ sità, ma si troverà ben gravissimo più del ferro e del piombo. E quando ciò non bastasse a persuadergli, la gravità del mezzo esser enmsa che i corpi men gravi non descendono in esso, oomincerei a diffidar del tutto della mia persuasiva. Che poi il Sig. Galileo abbia per favoloso, in Siria esser un tal lago, lo credo, e credo ancora che egli abbia molti compagni, e che"’ sendovi forse un’acqua alquanto ( ’ !l più grave della comune, dovo qualche corpo poco più grave di quelli che galleggiano nell’acque nostre non descenda, la fama poi, »o secondo il suo stile, abbia accresciuto il fatto in maniera, che egli no sia divenuto favoloso; segno di che ci può esser, che un moderno poeta, parlando del medesimo lago, dice che non solo i sassi, ma anco il ferro vi galleggia, volendo egli ancora far maggior la me¬ raviglia. Chi caverà senso dalle parole che si leggono alla face. 73 [pag. 429, lin. 24-27], seguendo dopo un punto fermo in tal maniera: Onde temo che il Sig. Galileo non abbi d’una cosa in un’altra, cioè dalla gravità respet- tiva alla gravità assolala, e dalla velocità che depende dalla resistenza a quella che deila maggiore inclinazione, che non e altro se non far molti no sofismi a si/npliciter a quodammodo 111 < l > La stampa: compagni: crederò che. (J) La stampa : poco. In una delle seguenti carte del ms. si leggono, pur di mano di Galileo, questi frammenti, che, tranne il primo, sono can¬ cellati : ■«costoro, per contradire, daunano an. come le foglie d’oro e gli arginetti rotondi * « Bromi con tedio indicibile condotto sin qui, e, quasi pentito dell’impresa, stavo considerando quanto infruttuosamente avevo speso la fatica e ’l tempo in notare e scri¬ vere » •« Discorsi lunghi, vani k fuori di pro¬ posito IN TROVAR QUELLO CHE NISSUNO NON HA MAI NEGATO. I luoghi poi dove il 788 CONSIDERAZIONI Si#. Grazia senza veruna occasione si dif¬ fonde in provar inutilmente proposizioni non negate nè dal Sig. Galileo nò da altri, sono molti; tra i qua|li| noti usi questi. Prima, a face. 8 [png. 880, Un. 4-11], si pone a dimo¬ strai* con molte parole che il ghiaccio non può esser generalo dal caldo, quasi che ciò sia da alcu[no sta]to messo in dubbio. Po¬ che righe più abasso Ipag. 880, liti. 21-23J, ci avvertisce elio Varia r[iic\chius(t nell e. materie che di lor natura hannn {/rarità nell'acqua, suole rem!e\r\le più leggiere che non è Vacqua, onde elleno fuor di natura (/alleggiano: o qua- fsi] che questo sia stato, o possa esser, da al¬ cuna persona sensata messo in dub|l)io], si diffonde lungamente in provarlo, non solo con Pesempio della pomice, ma con Pauto¬ rità. di Teofrasto, mandandoci nel mar In¬ dico a veder certe isolette [che] nuotano, o vero, con fra Leandro e con Plinio, al lago di IhtsRAnello per ve|der|ne pur di simili, (piasi che in queste isole natanti con p|iù| evidente certezza si scorga P effetto che fa Paria contenuta d[en]tro a materie più gravi dell’acqua, elio non si scorge in una boccia di cristallo |o| di rame. A face. 11 [png. 882, li». 22-871 si mette a provar diffusamente, gli elementi esser 4, [e| adduce la ragione delle combinazioni delle prime qualità, per quelli, cmVio, [che] non Pavessero più sentita.» Il Fine. ì » APPARTENENTI AL LIBRO DEL SIG. VINCENZIO DI GRAZIA. 789 li Sig. Francesco Nari vegga per grazia la presente Opera , e referisca se in essa si contiene cosa che sia contro la Fede Cattolica e contro i buoni costumi. Orazio Quaratesi vie. sost. di Firenze. Ad) li dOttobre 1614. Avendo veduta la presente Opera , mi pare che si possa conceder licenza clic sia data in luce , e la giudico degna 2. Nerone. 178. Niccolini Pietro. 141, 286, 440, 789. Nicostrato. 403. Niso. 334, 552. Norandino. 299. Nori Francesco. 141, 286, 31S, 319, 789. Nozzolini Tolomeo. 287, 295. 222, 240, 264, 383, 386, 388, 389, 396, 429, 431, 439, 525, 669, 670, 732. Plinio I. 380, 788. Plinio II. 380, 393, 788. Plutarco. 149, 377. Proclo. 206. Properzio. 412. Proteo. 51. Quaratesi Orazio. 789. Quintiliano. 368, 422, 465, 691. Rodomonte. 674. Rondinelli Vincenzio. 440. Ruggero. 317. Salviati. 420. Salviati Filippo. 319. Senìiramis. 411. Seneca. 221, 261, 351, 352, 392, 393, 397, 786. Sermartolli Bartolommeo. 199. Simplicio. 205, 208, 211, 222, 228, 236, 241, -34, 278, 385, 407, 408, 421, 424, 426, 738, 740, 763, 774, 775. Socrate. 218. Solino. 393. Orlando. 51. Pannocchieschi de’Conti d’Elei Arturo. 147. Papazzoni. 329, 515, 517, 537, 538. Patrizio. 364, 674. Pendasio. 432, 747. Petrarca. 690. Piccolomini Aragona Enea. 451, 453. Piccolomini Francesco. 156, 177, 190. 191, 193, 194. Pignoni Zanobi. 313, 373. Pitagora. 359. Platone. 85, 133, 194, 204, 211, 214, 218. Temistio. 209, 407, 408, 409, 421, 424, 433, 718, 738, 774. Teodoro Metochita. 217. Teofrasto. 219, 317, 380, 425, 788. Timeo. 222. Tofano. 403. Tolomeo. 228, 385, 388, 399, 407, 408, 587, 589, 774. Tommaso (San). 421, 424, 738. Vecchi Francesco. 440. Vigianius Augustinus. 141. Ximenes Emanuel. 286, 369. ° h ’ $ 1 INDICE DEL VOLUME QUARTO. Delle cose che stanno in su 1’ acqua o che in quella si muovono.... Pag. 3 Diversi fragraeuti attenenti al trattato delle cose che stanno su l’acqua. 17 Discorso intorno alle cose che stanno in su 1’ acqua o che in quella si muovono. 57 Considerazioni di Accademico Incognito. — Con postille e frammenti della risposta di Galileo.143 Operetta intorno al galleggiare de’ corpi solidi di Giorgio Coresio. ... 197 Errori di Giorgio Coresio nella sua Operetta del galleggiare della figura,' raccolti da D. Benedetto Castelli. —Con correzioni ed aggiunte di Galileo. 245 Lettera di Tolomeo Nozzolini a Monsignor Marzimedici, Arcivescovo di Firenze [22 settembre 1G12].287 Lettera a Tolomeo Nozzolini [gennaio 1613].295 Discorso Apologetico di Lodovico delle Colombe.311 Considerazioni di Vincenzio di Grazia.371 Frammenti attenenti alla scrittura in risposta a L. delle Colombe e V. di Grazia.441 Risposta allo opposizioni di L. delle Colombe e di V. di Grazia contro al trattato delle cose che stanno su l’acqua o che in quella si muovono. -149 Ìndice dei nomi. 791 LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME V FLRENZE G. BARBÈRA EDITORE 1932-X LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume V. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO Di S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume V. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 1932 -X. Edizione m seicento esemplari. Esemplare N” 469. FIRENZE, 1] 1-1932-33. — Tijiopmfla Barbèra - Albani k Venturi proprietari. Promotore dei,la Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRETI — G. GOVI — G. V. SCIITAPARFXLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO GLI AUSPICI! DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: ANTONIO GARBASSO. Consultori : GIORGIO ABETTI — ANGELO BRUSCHI. DELLE MACCHIE SOLARI. *r AVVERTIMENTO. L* attenzione di Galileo, por il quello un primo drizzavo del telescopio al ciclo fu fecondo di tante e cosi meraviglioso scoperto, dovette certamente essere subito rivolta anche all’ astro maggioro; e chi sia un poco addentro nella maniera d’in¬ dagine scientifica tutta propria del divino Filosofo, si persuadevi), di leggieri e, quasi diremmo, a priori, che le macchie del Sole non potevano, fin da principio, sfuggire al rocchio acutissimo di lui. Afferma invero il più antico fra i suoi bio¬ grafi, ch'egli < dimorando puro nell’istessa cittù di Padova, e proseguendo col suo telescopio 1’ osservazioni del ciclo, vedde nella faccia del Sole alcune delle macchie; ma per ancora non volle publicarc quest’altra noviti\, che poteva tanto più concitargli Tedio di molti ostinati Peripatetici (conferendola solo ad alcuno de’ suoi amici di Padova e di Venezia), per prima assicurarsene con replicate osservazioni, e per poter intanto formar concetto della loro essenza e con qualche probabilità almeno pronunciarne la sua opinione tÉ) >. Il Viviani ci conservò anche i nomi degli amici ai quali Galileo fece tale comunicazione ; ed ò fra essi il P. Ful¬ genzio Micanzio, il quale molti anni più tardi spontaneamente lo attestava a Ga¬ lileo, scrivendo averne memoria < fresca come se fosse ieri 1,0 >. Clic se in qualche minuto particolare vi ha motivo a dubitare clic i termini nei quali si esprime il Micanzio non corrispondano all’ esatta veritù, questo dubbio non può in alcun modo infirmare la essenza del fatto, cioè dell’essere stato il Nostro < il primo scopritore ed osservatore delle macchie solari, sì come di tutte l’altro lievitò cc- O) Fasti Consolari dell'Accademia Fiorentina di Salvino Salvisi, occ. In Firenze, M.DCC.XVII, pai?. 410. I) T. I della Par. I dei Manoscritti Gali¬ leiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze con¬ tiene duo stesure, autografo e diverse tra loro, della vita di Gai.ilko dottata dal Viviani: nè 1* una nò V altra di osso offro, in questo punto, varianti che interessino il senso in confronto del tosto della V. stampa; salvo elio nella stesura la quale nel mano¬ scritto occupa il primo posto, tra i nomi dello persone a cui Galii.ko comunicò la sua scoperta, segnati, a modo di appunto, in margino, manca (car. 42 /.) quello di Mona. Agucchia, cho nella stampa si logge; o nella stesura seconda mancano tutti i nomi (car. DI /.). < 2 > Mas. Gal., Tar. VI, T. XI, car. 180. 2 * (Va c «*f ^ i ^ ex \\ V <• U 10 AVVERTIMENTO. lesti... e queste scoperse egli l’anno 1610, trovandosi ancora alla lettura dello Matematiche nello Studio di Padova, c quivi ed in Venezia ne parlò con diversi (,ì >. Recatosi Galileo a Roma nel marzo deiranno successivo 1611, col lino di far toccare con mano la verità delle scoperte celesti da lui annunziate, che nella città eterna da non pochi erano ancora messe in dubbio, vi dimostrò anche lo macchie del Sole, come si raccoglie da una quantità di testimonianze tutte fra loro concordi < 3) : tra le quali significantissima ò quella del P. Guidino, gesuita, che affermò ricordarsi, < quanto mai per umana certezza può uno dire di ricor¬ dare >, essere stato esso il primo ad avvisare il suo correligionario P. Cristoforo Scheiner, che nel Sole si vedevano macchie scoperte da Galileo per il primo w . Se dunque Galileo tra il marzo ed il maggio deiranno 1611, tempo del suo sog¬ giorno in Roma, si risolse a mostrare in pubblico questa sua scoperta, ò lecito argomentare che, ripetute le osservazioni, egli fosse ormai uscito dal periodo di quei primi dubbii, sorti quando le macchio avevano cominciato ad offrirsi alla sua vista. Tali pubbliche dimostrazioni delle macchie solari dovevano, com’ era naturale, richiamare V attenzione degli studiosi {M : ed in un tempo che verrebbe esattamente a coincidere con quello dell’avviso ricevutone dal P. Guidino, incominciò ad osser¬ vare le macchie medesime in Ingolstadt il P. Scheiner, il quale ne fece poco dopo argomento di tre lettere indirizzate a Marco Velser d’Augusta: le quali lettere, raccolte in un opuscolo, furono in quella città date alla luce il 5 gennaio 1612, coprendosi V autore sotto lo pseudonimo di < Apellcs latcns post tabulami >. 11 (0 Dialogo di Galileo Galilei, occ., dove nc ì congressi dì quattro giornate si discorre sopra » due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano occ. In Fioronzn, por Ciò. liutista Laminii, MOCXXX1I, piitf. 337. Nalla lotterà a Giuliano i>k’Medici dei 23 giugno 1012 (Biblioteca Palatina di Violina, Cod. 10702, car. 78), Galileo indica pii» proclsa- inonto il luglio 1010 come il tempo della sua prima osservazione. Trovanti raccolto o discusso in una scrittura fluita priorità della scoperta e della osservazione delle macchio solari, elio fa parto (lolla Miscellanea Gali • lciana inedita. Studi e ricerche di Antonio Favaro: nelle Memorie del II. Intitolo Veneto di Scienze, Let¬ tere cd Arti, Voi. XXII, 1887, png. 729-790. <*> Mas. rial.. Par. VI, T. XII, car. 107. k probabile tuttavia elio sia stata in dipen¬ dente dalla galileiana la scoperta dolio macchio fatta da Giovanni Fahricius, ed annunziata con l’opuscolo intitolato: Ioti. Fabiucii Phrysii De macaiis in Sole ohscrvatis et apparente earum cum Sole conversione Narratio, occ. Witoborgno, typis Laurei)tij .Soninoli- cliij, Anno M.DC.XI. Secondo i risultati di indagini monti, la scoperta dolio macchio sarebbe stata fatta dal Faìiriciub addi 9 marzo 1011, o la pubblicazione dell’opuscolo nell’autunno del medesimo anno (Dcr Magister Johann Fahricius und die Sonnenjlcckcn, nehst cìnern Kxcuree uher David Fahricius. Rino Studio von Gerhard Berthold. Leipzig, Vorlag von Voit&Comp., 1894, pag. 13). Noi crediamo che Galii.ro non abbia conosciuto l’opuscolo del Fahricius nò prima nò dopo la pubblica/.iono dolio suo Ietterò sullo macchie solari: non sappiamo poi quale importanza possa attribuirsi al fatto elio egli abbia potuto apprenderne la esistenza dal Mundus Inviali» di Siuonk Mayii, elio vide la luce nel 1GM, o dallo Ephcmcrides Sonar dol Keplero, elio sono, por lo mono, del 1(118; noi- Piu» caso o nell’altro, quindi, dopo ch'egli aveva trattato cosi a lungo doli* argomento nollo lettere pro¬ dotte (Berthold, op. cit., pag. 17-19. — K. Mili.o- FEVICn, Osservazioni storico-critiche sulla scoperta delle macchie solari OCC.: nei Rendiconti della il. Accademia tlei Lincei, Classe di Scienze fisiche, matematiche e natu¬ rali, voi. Ili, 1894, pag. 431). La scoporta del Fa uni¬ ci us, ad ogni modo, non ebbe alcuna conseguenza per gli studi posteriori. Tra Epistolae de maculis solaribui salpine ad Marcum Vclsennn. Augusta*) Vindelicorum, Anno AVVERTIMENTO. 11 giorno successivo alla pubblicazione, il Velser, per cura del quale essa era stata fatta (l \ ne mandava un esemplare a Galileo, richiedendolo del suo parere in proposito w ; e poiché in quel tempo il nostro Filosofo si trovava afflitto da gravi indisposizioni c non rispondeva con la consueta premura, con altra del 23 marzo il Velser lo sollecitava alla risposta (1) . Galileo, il quale in questo mezzo, e, secondo ogni probabilità, prima clic gli ve¬ nissero allo mani le lettere del liuto A pelle, aveva, nel Discorso intorno alle cose che stanno in su Vacqua o che in quella si muovono , accennato alla < osservazione d’alcune macchiette oscure elio si scorgono nel corpo solare lh) >, avvisava sotto il dì 12 maggio 1012, dalla Villa delle Selve, dov’era ospite di Filippo Salviati, il Principe Federico Cesi d’aver compiuta una prima lettera al Velser, annun¬ ziandogliene intanto sommariamente le conchiusioni ed il prossimo invio w ; il quale seguì infatti duo settimane appresso, non prima però elio un esemplare della lettera fosse spedito al destinatario, che tosto manifestava il desiderio «li darla alle stampo Offerte di stampare questa lettera, insieme con un’altra con¬ cernente lo stesso argomento, pervenivano poco appresso a Galileo da parte del Cesi; e poiché nel carteggio che tra Galileo ed il Cosi intorno a questo tempo deve essere stato assai vivo, mancano moltissime delle lettere di Galileo, dob¬ biamo tenerci a notare come quelle a lui indirizzate dal Cesi dimostrino che questi era già in possesso della seconda lettera sulle macchie solari al principio del set¬ tembre 171 . Sul finire di questo stesso mese il Velser mandava a Galileo alcune nuove speculazioni, che, col titolo De maculis solaribus et stellis circa lovrm errati - M .PC.XII,Non. Un.— Alcuni storici scrivono eh© lo Sntr.iNKR non abbi© potuto pubblicar prima lo 7V#t {'pistola* por il ili violo avutone «lai suo provinciale (In. FkioRRICI Wfidlkri, {littoria Aitronomiae, *tv* de ortu et proyrttsu Astronomia* liber Btnyulari*. VitombergAe, aumptibu» llonrici Schwurtzii, Anno CIO IOCC XLI, png. 434. — Hi»toire do* Mathémati- quet, Nouvelle Édition par J. K. Montucla. Tome socoml. A Paris, chez Henri Agamie, An VII, pag. 812). Secondo una narrazione posteriore dello stesso Schf.i- NFH (lioni Urtino, riv* Sol ex admirnndo faeularum et macularum tunrutn phoenomrno variti*, OCC. Bracciani, apud A mi roani Phaoum typographum duodeni. Im¬ pressi coopta anno 1626, finita vero 1630, ld. lenii; pag. terza, non numerata, della Prefazione Ad le - cforrm), il provinciale ai sarebbe limitato ad imporro che la pubblicazione fosse fatta sotto iiu nome finto. U> Uhrittoph Seheiner al* Matheinahker, Phftiker und Astronom von A sto* volt Ita a rie Mitili.. Batnberg, Bucbuersche Verlagsbuchhsndlung, 1891, pag. 12. 1*1 Vedi, in questo volutilo, pag. 93, lin. 11 o seg. Ualii.ro dovette ricovero le Tre* /Spiatola* con qualche ritardo, se la spedizione dell'esemplare a lui desti¬ nato fu fatta (come avvenno di quello mandato a Giovanni Fakkk, con invito di farlo conoscere al Principe Frderio© Cebi) col mezzo dei nipoti del Velser, che, a quanto paro, venivano allora in Italia (cfr. Nuovi Studi Galileiani per Antonio Fa varo. Venezia, tip. Antonelli, 1891, pag. 85). Il Principe Cesi sembra non aver avuto notizia dell* opuscolo prima del 3 marzo 1612 (cfr. A. Fava it >, .S'u/fa prio- rità occ., pag. 784). <•> Mas. (tal., Par. Ili, T. X, car. 53. < 4 > T*e Opere di Galii.ro Galilei. Edizione Na¬ zionale, Voi. IV. Firenze, tip. di G. Barbèra, pag. 64. Più risolutamente si pronunziò intorno a tale osser¬ vazione nelle aggiunte al Di*eor*o introdotte nella seconda edizione (/* Oj*er* ecc., pag. cit.). Gl Memori* e lettere inedite finora o di*/tcr*e di Galileo Galilei ordinate ed illustrato con annotazioni dal cavalior Gio. Batista Venturi, occ. Parte Prima, Modena,per G. Vincenzi o C., M.DCCC.XVIII, pag. 171. !•> Vedi, in questo volume, pag. 114, lin. 20 e seg. Di questa lettera altri esemplari furono inviati da Galileo ai suoi amici e mecenati. m Di aleune relaaioni tra Galileo Galilei e /c- derim Crai, illustrate con documenti inediti per cura di Antonio Favaro: nel Bollettino di Biblit*jrafia « di Storia delle Sciente matematiche e fi riche ; To¬ mo XVII, 1884, pag. 288. 12 AVVERTIMENTO. tibus Accuratior Disquisitio, il liuto Apelle aveva (lato alla luce, pure in Augusta, il 13 settembre (,) ; ed il 5 del successivo ottobre il Velser accusava ricevimento della seconda lettera del Nostro (!) . Di rispondere alla Accuratior Disquisitio Galileo manifestava la intenzione al Principe Cesi in una lettera clic non pervenne sino a noi (5) : ma prima ancora che tale risposta, compresa in una terza lettera al Velser, fosse compiuta, i Lincei convocati in adunanza addì 9 novembre 1012 deli¬ beravano che tutte e tre le lettere solari fossero per cura loro date alle stampo La stampa, per la quale i preparativi erano stati cominciati dal Cesi già prima (8 \ fu condotta in Roma; e sebbene procedesse con qualche lentezza, sia per le oppo¬ sizioni mosse dalla censura riguardo ad alcuni passi, sia per le ditlicoltà mate¬ riali, tuttavia il 22 marzo 1613 era compiuta (8) . 11 titolo, che aveva dato argomento a molte discussioni e proposte fra Galileo e i Lincei (7) , fu il seguente: Istoria e Dimostrazioni intorno alle macchie solari doro accidenti, comprese in tre lettere scritte all' Illustrissimo Signor Marco Velseri Linceo , Duumviro d’Augusta, Con¬ siglierò di Sua Maestà Cesarea , dal Signor Galileo Galilei Linceo, Nobil Fioren¬ tino, Filosofo e Matematico Primario del Serenissimo D. Cosimo II Gran Duca di Toscana (8) . La tiratura fu di UGO copie; e a 700 di esse fu aggiunta nel line la ristampa dello Trcs Fpistolac o doli'Accurati or Disquisitio dello Schei nor di cui gli esemplari erano poco comuni, specialmente in Italia, fin d’allora. Di que¬ st’appendice fu latta menzione nel frontespizio (l0) e nulla licenza di stampa, nella quale, dopo il permesso di pubblicare le lettere di Galileo, il censore soggiunse: « Vidi ctiam nonnullas de cationi materia Apcllis Epistolas ac Disquisitioncs ad eumeloni D. Veiserum missas, quae nihil liabcnt quod offendat; et ideo cas quoque imprimi posse censeo (,1) >. O) De maculi « sularibu* et stelli* circa Iovcm cr- mutilai s Accuratior Disquisitio ad Mar cu m Veiserum .... per scripta. Angus tao Vintici iconun, Anno M.DC.X1I, Mib. Septomi)r. — Cfr., in quosto volume, pag. IS3, Un. 8 c scg. Vedi pag. 18*1, lin. 4. 11 Cesi no accusa ricevimento a Galileo sotto il di 13 ottobre 1G12 (Mss. Gai., Par. I, T. VII, car. 4S). 0) Breve Storia della Accademia dei Lincei scritta da Do meni et) Cakutti. Roma, coi tipi del Salviucci, 1883, png. 32. < 5 > Risulto dallo lettere del Cesi a Galileo dei 29 sottonibro 1612, C o 13 ottobre doli* anno mede¬ simo, occ. (Mss. Gal., Par. VI,T. Vili, car. 158, 162; Par. I, T. VII, car. 48, occ.) Cfr. A. Tataro, Di al¬ cune relazioni tra Galileo Galilei e Federico Cesi occ., pag. 222. <0) Lotterà di Federico Cesi a Gali ero sotto questa data (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 38). (7) Vedi lo citate lettore di Federico Cesi a Ga¬ lileo dei 29 settembre o 6 ottobre 1612, o quello dei 28 ottobre e 10 novembre dolio stosso anno (Mss. Gal., Par. VI, T. Vili, car. 165, 172); nonché quello di Galileo al Cesi dui 4 novembre 1612 (Bi¬ blioteca Boti compagni in Roma, Cod. 580, car. 136) o r» gennaio 1013 (Mss. Gal., Par. VI,T. VI, car. 22). Cfr. pag. 74. questo paiolo sono aggiunto precisamente tra « ìudicavi. » a « In fidem » (lin. 9). AVVERTIMENTO. 13 All’ appendice stessa, che ha numerazione a parte, fu poi premesso quest’ oc¬ chietto : < De l Maculis SoijARiBirs | Trks Epistola e. | De iisdem et stellis circa IoVEM | ERRANTI BUS | Disquisitio | Al) Marcum Velserum 1 Augustno Vind. liVirum I’raef. | APELEIS POST TABULAM LATENTI8. | Tabula ipsa alia- rumque observationum delineationibus | suo loco expositis. » ; o la seguente prelazione: « 1ACOBUS MASCARDUS TYPOGttAPHUS D> LECTOltl S. > Laf entis Apolli» Epistola» ac Disquisitiones liic tibi exponere necessarium oin- nino duxi: illarum cnim exemplaria perpauca ex Germania huc pervenere, panca quoque in aliis regionibus audio fuisso distributa; quare difticilius ea perspicere perpemlerequo posses, ni hic exbiberem recusa; videro autom ac considerare ne- ccsse erat, curii in praemisso Phoebeo voluinine doctmsimi Galilei crebra de illis mentio ac disquisitio intercedat. Indicibus inde notulis in eiusdem margine saepo iam indigitavi, quao harum Kpistolarum ac Disquisitionum loca ac particulae in quaestionem ibidem venircnt, et id quideni dupliciter diversoque charactere, habita prirnum ratione Augustanae, deinde liuius meao editionis. Ad idem spcctant ar~ gumentum, eidem Illustrissimo Velsero mittuntur, meumque erat tibi ita satisfa- cero, ut bisce praedicto volumini additis quaecunquo de solaribus maculis dieta sunt siraul haberes, et fortasse quaecunque dici exeogitarique possunt. Tuum iam erit, illis prò voto perfrui et solaribus contemplationibus exerceri : poteris namque sic vel alienis laboribus ac telescopio helioscopus fieri, illaque coguoscere quae omnem antiquitatem latuerunt. Vale. > Romae, Ivalen. Fcbruar. 1613 w . > Noli’ intenzione dei Lincei non ora senza si¬ gnificato che quosta prefazione alle scritturo schei- neriane si fingesse fatta dal tipografo. « Sun stam¬ pato le primo d* Apollo ....e faremo forse che ristesse stampatore dica averlo aggiunte, come a V. S. pa¬ rerà », scriveva il Cubi a Oalii.ro il 14 dicembre 1012 (Msa. Gal., Par. VI, T. Vili, car. 187); e più espli¬ citamente il medesimo Cesi a Oai.ilp.o, sotto il dì 28 dello stesso nioso : « l'or più gravità del negozio, r aggiunta delle Apollec scritture si farà dallo stesso stampatore, e non dal bibliotecario che fa stampar quelle di V. S. ». Di questa prefazione due bozze manoscritto, che presentano differenze non gravi tra di loro e in 14 AVVERTIMENTO. Anche noi, riconoscendo la necessità, per la piena intelligenza delle Lotterò di Galileo, di non separarne lo scritture dello Scheiner, lo abbiamo ristampato in principio di questo volume: se non elio, fedeli al nostro criterio di seguire sempre l’ordine cronologico o di attingere allo fonti più genuino, lo promettemmo allo Lettere di Galileo, conio richiedono le respettivo date di stampa, e lo ripub¬ blicammo, sia quanto al testo sia quanto allo tiguic, dalle edizioni oi ignudi di Augusta, benché l’edizione Romana sia di quello una materiale ripetizione. Quanto al testo, avendo rispettato alcune irregolarità attenenti per lo più al costrutto, ci limitammo a introdurre pochissime correzioni, elio erano necessario 1 "; quanto alle figure, le quali nelle edizioni Augustane sono molto più accurato elio nella ristampa Romana, le riproducemmo, attesa anche la rarità di quello udizioni, in facsimile. Alle ultimo pagine dell’ Accuralior Disquisìtio fummo poi lieti di poter accompagnare alcune postille di Galileo finora inedite, elio ritrovammo nella car. Tò b r. del T. X della Par. Ili dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazio¬ nale di Firenze. Tali postille sono appunti presi dal sommo Filosofo leggendo l’opera di Apollo, sia per fermare in brevi parole il concetto dell’avversario, sia per notare l’obiezione che balzava pronta al suo intelletto o che alcune volte egli svolse poi nella terza Lettera: c noi le abbiamo pubblicate appiedi del testo dello Scheiner a cui si riferiscono, conforme al già fatto in casi consimili nei volumi precedenti. Allo scritture di Apollo facemmo seguirò la riproduzione d’uno di quegli esem¬ plari dell’ Istoria e Dimostrasi ani ai quali non sono aggiunte in appendice lo scritture stesse; quasi però a titolo di curiosità bibliografica, abbiamo dato in facsimile altresì il frontespizio degli esemplari a’ quali tale appendice non manca. L’ Istoria e Dimostrazioni incomincia (dopo la licenza di stampa) con la de¬ dica a Filippo Salviati e con la prefazione al lettore, elio sono firmate da Angelo De Filiis, bibliotecario de’ Lincei. Di queste due scritturo si conserva una copia manoscritta, che non abbiamo nessuna sicurezza di asserire autografa del De Filiis, nelle car. 75 r.~ 80 r. del codice Volpicelliano B, appartenente, insiome col Volpi- celliano A che dovremo citare fra breve, alla Biblioteca della R. Accademia dei Lincei®: e noi credemmo opportuno di pubblicare anche questa stesura mano¬ scritta, dandole posto nella parte inferiore delle medesime pagine nella cui parte confronto (lolla stampa, o sono ricclio di correzioni, alcune, a quanto sembra, di mano di Federico Cesi od nitro di mano di Giovanni Farmi, si trovano in duo fogli otti ni non numerati, ciascuno di duo cario, insoriti tra le car. 09 e 100 do! cod. Volpicelliano A, del qualo avremo occasione di discorrere tra trovo (cfr. T). IlKim, Antecedenti al procuno Galileiano #? alla condanna della dottrina Copernicana: negli Atti della II. Accademia dei Lincei, Serie tersa, Memorie dediti danne di Scienze morali, storiche e filologiche ; toI. X, 188.% pag. 63-64). 0» Sono lo seguo» ti: pag. 81, Un. 30, hereo cor¬ rotto in hacreo (cfr. pnpr. 69, liti. 34); pag. 41, lin. 8, hea corretto in bac, o, lin. 11, unum corrotto in unum; pag. 42, Un. 13, parallegrnmmum corrotto in jxirallc- logrammum, o, lin. 24, 49' corrotto in 49 v ; pag. 18, lin. 8, acura/intima e corretto in accuratin-imoe ; pag. 65, liti. 34, eadem corretto in eaedem; pag. 58, lin. 14, r.r- jtcticrit corrotto in exptrierin (conformo suggerisco VErratacorrige doli’ ediziono Romana), o, lin. 35, ti- nittra corrotto in *ini*tro. (,ì L’uno o l’altro codiro è stato descritto dal ItRRTi, Antecedenti al progetto Galileiano e alla con- danna ecc., pag. 60-72. AVVERTIMENTO. 15 superiore è riprodotta la lezione a stampa; perchè ciò clic leggiamo a proposito della prefazione c della dedicatoria nel carteggio tra Federico Cesi e Galileo, ci dà fondato motivo di ritenere clic tanto l una quanto l’altra, più ampie o di gran lunga più gonfie nel manoscritto, siano state ridotto a forma più sobria per con¬ siglio o per opera, in parte, «li Galileo, come da Galileo erano stati avvisati i principali luoghi elio si dovevano in esso toccare (l) . Pubblicammo poi la lezione manoscritta nella sua forma originale, cioè senza temer conto nel testo delle corre¬ zioni ed aggiunte fra le linee o su'margini, introdotte, almeno in molti casi, da un’altra mano, nella quale ci parve talora di ravvisare quella del Principe Cesi. Di queste correzioni ed aggiunte, parecchie delle quali furono accettate nella le¬ zione definitiva della stampa, avvertiamo però il lettore nelle noto. Alla dedicatoria e alla prefazione tengono dietro, così noi f edizione Romana come nella nostra ristampa, un ritratto del sommo Filosofo, elio riproducemmo in facsimile, due epigrammi e un sonetto in suo onore, e quindi le lettere del Velser e ili Galileo, alle quali dedicammo cure speciali, attesa la loro speciale importanza e permettendocelo alcuno fortunate combinazioni. Invero di queste lettere pervennero fino a noi gli autografi; che delle lettere del Velser e della seconda e terza di Galileo si conservano nel citato Tomo X (car. 3r.-51 r., e car. 71 r.-12r.) della Parte III dei Manoscritti Galileiani, e della prima lettera di Galileo nelP < Egerton Mss. 48 > (car. 8 r.-15 /.) del Museo Bri¬ tannico w . Inoltre, il codice Volpicelliano A contiene (car. 40r.-97/.) la copia « La minuta d’ ossa (cfcrficafonVi] se le man* derà », scrive il Ckki a Oai.ii.ko il 3 novembre 1012, « prima si stampi, acci*'» Mina suo gusto: o so V. S. vorrà vi s* accenni altri particolari, l’avisi; e se le paro meglio, poi anco marniamo minuta o ristretto o capi ila toccarsi, cho sarà servi Ih ». (Mss. Gal., Par. VI, T. Vili, car. 171 r.) K il modoaimo Casi scriveva pure a Oai.il ito Botto il di l!i febbraio 1613: « I.o mando la profusione sbozzata dal Autore, aven¬ doci procurato toccar tutti i luoghi da V. S. avisati ed altri che son parsi a proposito. S*aspetta rimanili cosi questa conio la dedicatoria, la quale qui anco si va accomodando, corno anco si farà questa. K lo ri¬ mandi casso, aggiunte, mutate, rifatto, e onninamente conio lo paro : oliò, essendo di qualche gran momento situiI public.aziono, a* aspetta il suo giudizio o ordine. Sopra tutto sia ridotta in buon Toscano, chè qui ciò non è fucilo nè proprio. K se lo spesso trasposizioni n lo stilo un po’ poetico dà noia, si riduca >. (Mss. «•al., l’ar. VI, T. IX, car. 28 r.) Cosi puro il 22 feb¬ braio 1613 il Citai scriveva a Gai.ii.ko cho « Popi* htoia dedicatoria, secondo P avertimelito, si smagrirà un poco». (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 30 t.) W 11 Sig. Kokkton Hiiydokd acquistò questo manoscritto, cho contiene anche altri autografi di lì a li ito, da F. Fontani, bibliotecario della Riccar- diana di Firenze. — S’ avverta cho un tratto della car. 10 r. ( 1* intera car. 101. c un tratto della car. 11 r. no) T. X della Par. Ili ilei Mas. Galileiani, ossia dallo parole « Piglisi dipoi » (pag. 122, lin. 3) alle parola « del diametro solare » (pag. 124, lin, 0), non sono di mano di Galilso, ma della mano mede¬ sima dalla quale furono trascritto la prima e la se¬ conda Lettera nel cod. Volpicelliano A. Audio in quo- sto brano porò s’incontrano correzioni ed aggiunte di pugno del Nostro, il qualo, come da qualche par¬ ticolare argomentiamo, dottò forse questo pagine al- P amanuense. Della medesima mano di copista, o non di quolla di Uamlko (ma però con suo corrosioni au¬ tografe), sono pure le prime diciassette lineo della car. 8 r. dell’ « Kgorton Mas. 48 *, che contengono il tratto della prima Lettera da « Illustrissimo Sig.» a « impugnate » (pag. IM, lin. 5-23). Si devo an¬ che induro cho noli’Autografo, come pure nella copia Volpicoiliana, mancano lo postillo marginali, trinino la maggior parto di quollo della terza Lettera cho citano, per faccio o versi delle edizioni A ugnatane, i luoghi delle scritture d’Apollo presi in considera- zione noi testo. La mancanza delie postille nell'au¬ tografo è la ragione per la quale abbiamo conservato ili esse qualche forma di cui si può dubitare se ve¬ ramente sia uscita dalla penna di Uamlro. 10 AVVEllTIMKNTO. delle prime due lettere del Vclscr e delle tre di Galileo, spedita da Galileo al Principe Cesi perché servisse per la stampa w : e tanto gli autografi delle scritture galileiane quanto tale copia di esso ebbero, dalla mano di Galileo, cancellature, correzioni, aggiunte successive, scritto o sui margini, o su fogli inseriti, o su car¬ tellini incollati sia sopra i margini sia talvolta sopra la precedente stesura, in modo da coprirla. S’aggiunga ancora che la corrispondenza tenuta tra Galileo e il Cesi nel tempo che durò la stampa, inette in chiaro non di rado le ra¬ gioni per cui Galileo mutò quello cho originariamente aveva scritto: ragioni che il più delle volte consistono nel corcaro sia eli prevenire o rimuovere le opposizioni della censura, sia di sodisfare allo osservazioni del collega Linceo Luca Valerio. Qualche volta nello lettere di Galileo al Cesi troviamo puro il testo della mutazione eh’ egli voleva fosse introdotta ; o tra le carte appartenute al Cesi, nel codice Volpicelliano B (car. Gl r., 65 r., 74 r.), ci sono rimasti anche tre foglietti, di mano di Galileo, che dovevano essere acclusi in qualcuna dello let¬ tere di questo andato perdute, e contengono appunto tre diverse stesure d’ un sol passo della seconda lettera sulle macchie solari. Con 1’ aiuto di sì copioso materiale noi possiamo seguire, si può diro passo passo, tutte lo successive ela¬ borazioni clic, ricevettero le lettere sulle macchie solari; dello quali poi la definitiva stesura ò rappresentata dalla stampa. Era naturale clic nella nostra edizione dessimo luogo appunto a questa ste¬ sura definitiva : ma volendo, d’altra parte, informare il lettore anche dei fatti più importanti che risultavano dai manoscritti, finora ben poco messi a profitto (,) , appiè di pagina registrammo lo pili notevoli varianti da essi offerte; notammo quali passi si leggono soltanto nella stampa ; raccogliemmo, quando metteva conto, i tratti che nei codici sono cancellati; se dall’autografo appare clic un brano di qualche estensione ò stato aggiunto posteriormente, lo avvertimmo, e, se era il caso, facemmo pur conoscere la lezione precedente a quell’aggiunta ; di alcuni passi potemmo ricostruire più stesure successive; infine, in noto a’ singoli luoghi, furono menzionate lo lettere, quasi sempre tra Galileo e il Principe Cesi, elio pubblicheremo nei volumi del Carteggio e dalle quali sono illustrato alcuno dif- O La car. 63 (lei coti. Voljficollit\no A, elio con* tiene, con notevoli di fin ronzo a confronto do] tosto a stampa, il tratto della seconda Lotterà di Galileo da « dui sito loro > (pag. 110, lin. 15) sino alla lino, ò stata rifatta di inailo di Paolo Youmof.i.m, elio possedette il codice prima elio dal figlio «no Ko golfo fosse donato alla lt. Accademia dei Lincei. La carta originalo, con la sottoscri/.iono autografa di Galileo, fu inviata da Paolo Volpiceli.! « al Sig. Chasles, eolobro geometra a Parigi >, conio ci apprendo una nota scritta, di mano del Yolpicklli stosso, sul mar¬ gino (lolla carta rifatta. (2) Oltro elio dal Pentì, elio nella Memoria ci¬ tata si giovò dei duo codici Volpicolliuni, il Volpi* colliano A fu messo a profitto, porò soltanto per quel che riguarda la seconda Lottora di Galileo, da P. Yol- riGKt.LI : Cfr. Seconda lettera delle tre. tulle mucidi ir *o- lartUi Galileo Galilei a Marco Valecri (sic), nuora mente pubblicata dal prof. VOU'IORI.LI, con oeecronxioni che la precedono, e note che la teguono, del mcdenimo ; negli Atti dell' Accademia Pontificia de 1 Nuovi Lincei, Tomo XIII, Anno XIII. 1859*00, pag. 295-329. Gli autografi furono adoprati ancor mono dell’apografo Volpicelliano, AVVERTIMENTO. 17 forenze tra i manoscritti e la stampa. Se non che la suppellettile manoscritta non servì soltanto a mostrarci la elaborazione successiva dell’opera; poiché, pur ri- producendo il tosto della stampa, credemmo nostro urti ciò di correggerlo, con l’appoggio dei due manoscritti o del solo autografo, in alcuni passi che sono manifestamente viziati, per colpa vuoi del tipografo, vuoi dell* amanuense a cui é dovuto l’apografo Volpicelliano (,) . Più spesso poi emendammo certo forine, le quali sicuramente non sono dell’ uso toscano, e la costante testimonianza dcl- P autografo dimostra che da Galileo dovevano essere riprovate; come pure emen¬ dammo altro forme, attenenti soprattutto alla grafìa, elio, sebbene non si possano escludere dall'uso toscano, e quindi altre volte, dove eravamo costretti ad attingere soltanto a copie, sieno stato da noi stessi accettate, ora l’autografo troppo ripetuta¬ mente faceva conoscere, non essere nelle abitudini e ne'gusti del Nostro, almeno quando egli dettava queste Lettere : così che é da diro elio tanto lo uno quanto lo altre siano rimaste nella stampa soltanto per quella minor precisione con cui i nostri antichi procedevano in siffatti particolari. Nel caso nostro con tanto maggior sicurezza correggemmo, in quanto i lamenti che muovono Galileo e il Cesi nella loro corrispondenza, del non essere toscani gli stampatori e del non po¬ terli ridurre in niun modo alla desiderata esattezza' f) , ci facevano più grave 1’obbligo di sopperire noi al loro difetto. Tuttavia non credemmo che ci fosse lecito ritoccare altre forme della stampa che si diseostano da quello del mano¬ scritto, ma sono egualmente buono in sò ed egualmente familiari a Galileo; perché, altrimenti, non solo la stampa sarebbe stata troppo spesso modificata, ma ci sa¬ remmo esposti al pericolo di correggere anche là dove Galileo, pur se avesse fatto attenzione che il suo testo era lievemente alterato, non avrebbe sentito nessun desiderio di ritornare alla lezione originaria w . Conformo poi al nostro U) Qualche volta riconducemmo U lozione della stampa a quella dell*autografo non tanto perchè la correzione vi potesse dire del tutto necessaria, quanto perchè appariva manifesto dalle condizioni grafiche dell* autografo che la leziono della stampa era nata per mista dell’ amanuense, il quale, esemplando l'apografo, dovette legger male. A pag. 123. lin.fi, Abbiamo aggiunto la macchia II. e a lin. 33 ah* binino corrotto punto /) in punto O, sebbene tali correzioni, evidentemente necessarie, non ci fossero suggerita nè dall'autografo nò dal cod. Volpicolliano. S'avverta perù che questi due passi cadono in quel tratto nel quale il T. X della Far. HI dei Mss. Ga¬ lileiani non è autografo (cfr. pag. 15, nota 2). A pag. 138, lin. fi, abbiamo emendato /Sthoci, dato dal- l’autografo, dall’apografo o dalla stampa, in Pithoei, perchè I’ opera che Galii.ro cita in quel luogo è il se¬ condo tomo degli Annoi imo «I // Glorine Francorum ah mino Chrirti UCOVili od ann, DCCCCXO implora» coarta nei, «mite primum in l netto editi rjj ftibliotkeea P. Pitkori I, C. Parisiis. apud Clnodinni Chappelet via Iacofinea. sub tigno Unicorni*. M.P.LXXXVili. |f| Scrive il Crhi a Cammeo, il 29 dicembre lfiI2, di non maravigliarsi < se i stampatori son poco to¬ scani; che con tutto elio vi si stia sopra ed il cor¬ rettore corregga duo volto e talvolta tre, pur fanno dell! errori * (Msa. Gal., Par. VI. T. Vili, car. 193 r.l: o il 4 gennaio 1G13, che * assicurisi certo che gli s* è sopra [«/ compositore], o si farà più ora, elio lo forzeremo esser toscano, so tarli possibile * (Mst. Gal., Par. VI, T. IX. car. 7 r.). Cosi, por esempio, imagint ed immagine (e de¬ rivati), rtempio (empio) ed riempio, si alternano, tanto nell'autografo quanto nella stampa; ed ò caso non raro che la stampa abbia doppio m o doppio « appunto là dove Pantografo ne ha uno solo; noi ri¬ producemmo di volta in volta la stampa. Anche nello lettere del Vki.sk» abbinino corrotto, conforme agli autografi, quelli elio giudicammo o ni bitrii dello stam¬ patore (per es., continova a pag. 183, lin. 4) o pro- V. 3 18 AVVERTIMENTO. istituto, annotammo appiè di pagina le lezioni della stampa da noi emendate [l \ indicando con la sigla s la stampa stessa, con A gli autografi, con lì le copie contenute nel Volpicelliano A: soltanto avvertiamo che alcune forme le quali abbiamo avuto occasione di correggere molto spesso, non sono registrate appiè di pagina di volta in volta, ma, per maggior brevità, le indichiamo qui ; e sono le seguenti: chiamarti, cominciarono, bastarcele e simili futuri e condizionali, cor¬ retti in chiamerà, convinceremo , basterebbe ecc. (?) ; cominunc, commodo e derivati, corretti in comune l3) , comodo ecc.; acciochc , poiché, impcroehe, siche, falche , cccelfoche, purché, ancorché, benché, onero , sicome, giatnai , corretti in acciò che, poi che, imperò che, sì clic, tal clic, eccetto clic, pur che, ancor che, ben clic (k) , o vero , sì come, già mai; e, aggiungiamo, co 7, su% mutati in col, sul. Nella nostra edizione non mancano, come in qualcuna delle precedenti, le postille marginali che accompagnano il testo nell’edizione Romana: o quando queste postille indicano le faccie e i versi a’ quali si leggono, nelle edizioni Àugu- stane o nella ristampa Romana, i passi delle scritture d’Apollo discussi nel testo, abbiamo distinto, seguendo anche in ciò il tipografo Romano (5> , col carat¬ tere tondo le citazione delle edizioni Augustane, col corsivo quelle della ristampa Romana. Allo uno o allo altre stimammo poi necessario soggiungere lo indica¬ zioni (c furono poste tra parentesi quadre e in carattere più piccolo) delle pagine o linee corrispondenti nella nostra edizione: il che abbiamo fatto non solo nelle postille, ma anche ogni volta erano citate nel testo le edizioni delle scritture scheineriane. Con accurati facsimile riproducemmo i disegni dello macchie solari osservate «lotti di false letture degli autografi stossi (per os., grave a pag. 183, liti. 4); ma non ritoccammo ciò elio forse ora stato cambiato ol resto, questo medesimo lotterò del Vklrkr saranno ristampate conformo agli autografi noi volumi del Carteggio, al posto clic cronologica¬ mente loro spetta. A png. 216, lin. 24, abbiamo corrotto intieri della stampa in interi, e a pag. 225, lin. 5-fi, iutiera- mente in interamente, non solo porchò ci autorizza¬ vano a farlo l’autografo c il Volpicelliano, ma anche perchè a pag. 193, lin. 0, intieramente, pur dato dalla stampa, ò corrotto in interamente ìloW Erralaeorrige (lolla stampa stessa. Cosi a pag. 95, lin. 31, abbiamo corretto mettano in medesimo, a pag. 108, lin. 29, ras • somigli in ras firn igl i, o a pag. 124, lin. 5, quindeei in quindici, con l’appoggio o dei manoscritti e do\- V Erralaeorrige della stampa, cho emenda in alti i passi lo stesso formo. G) Alcuni di cosiffatti futuri e condizionali sono corrotti già nell’ Erralaeorrige dolla stampa. Era ben naturalo, por contrario, cho li conservassimo quando, conio accado qualcho volta soltanto nello lettere del Yklskk, sono dati c dagli autografi c dalla stampa (cfr., per os., pag. 184, lin. 10 o 19). G> Però a pag. 98, lin. 26, abbiamo rispettato cnmmunirato, in cui concordano i duo manoscritti o la stampa. Gì Lo formo cosi staccato non sono costanti nell’autografo, ma però più frequenti cho quello con¬ giunto o sonza acconto. Lo formo congiunto o con l’acconto non s’incontrano forso mal. Gì Cfr. più sopra (pag, 13) la Prefazione foco- bus Mosca editti Tgpographita Lectori 8. AVVERTIMENTO. 19 da Galileo nel giugno, luglio c agosto 1G12, i quali accompagnano la seconda Lettera, e le tavole delle costituzioni elei pianeti Medicei per il marzo, aprile c i primi otto giorni del maggio 1G13, clic tengono dietro alla terza. La breve Poscritto , concernente questo tavole, con cui termina il volume dell* Istoria c Dimostrazioni , fu ripubblicata soltanto di su la stampa, poiché non sappiamo elio se ne sia conservato vermi manoscritto; tuttavia anche qui rettificammo, e an¬ notammo appiè di pagina, alcune forme men buone, avendo già corretto tante volte, con l'appoggio dell’autografo, quelle medesime forme nelle Lettere. AH ’Istoria c Dimostrazioni abbiamo (la, ultimo tatto seguire una scric di fram¬ menti, attenenti allo stesso argomento, che rinvenimmo, quasi tutti autografi di Galileonel più volte citato Tomo X della Parte III dei Manoscritti Gali¬ leiani (1) , e che veggono ora per la prima volta la luce. Consistono essi, anzitutto, nei disegni delle macchie osservate dal Nostro in parecchi giorni del febbraio, marzo, aprile e maggio 1G12; in alcuni dei quali disegni il lettore riconoscerà facilmente quelle macchie, le cui mutazioni Galileo descrive c riproduce con un’ele¬ gante figura nella prima LetteraMegli altri frammenti ravvisiamo di quegli appunti coi quali il Nostro era solito annotare, in forma ora brevissima, ora più ampia e simile ad una prima stesura, i pensieri elio gli brillavano alla mente e che poi svolgeva e collocava a suo posto nello stendere l’opera: il contenuto infatti di quasi tutti questi frammenti si ritrova nello Lettere, anzi alcune volte è passato in esse non solo il pensiero, ma, con lievi ritocchi, anche la forma di cui qui è rivestito. Noi li abbiamo disposti secondo l’ordine con cui s’incon¬ trano nelle Lettere i passi corrispondenti, che, per comodo (lei lettore, abbiamo richiamato nelle note (i) . U) Non suno autografi ili Gaui.f.o, ma fram¬ misti ad autografi suoi, i frammenti elio pubblichiamo a pag. 250, lin. 14 — pag. 200, lin. 8. Hi I disegni dello macchio, cho riproduciamo in facsimile n pag. 253-254, sono a cnr. 08 f.-70r. ; por ciascuno degli altri frani monti indichiamo di volta in volta, in nota, lo cario del manoscritto allo quali si leggono. ( 3 > Cfr. pag. 107. (U Appio di pagina indichiamo alcuni materiali orrori di penna o qualche tratto cancellato, che s* inculi trailo nell' autografo. APELLIS LATENTIS POST TABULAM ICIIRIST0IM10RI SCHEINERI TRES EPISTOLA E DK MACULIS SOLARIBUS. r K E S E ? I S T 0 L AE DE MACVLIS SOLARIBVS. Script£ ad MARCVM YEL- S E R V M. +A V G V S T JE V 1 N D. 7 7 . V /- R V M P R AE F E C T. Cum obferuationum iconismis. A V C V $ T AE VINOELICORVM. Ad infignc pinus. Cum Vriuìtegio (*[.- perpet. Anno M. D C. X 11. Non. Ian. MARCO VELSERO AUGUSTAK VINI). IÌVIKO PltAEFECTO. Phacnomena, quae circa Solem observavi, petenti alloro, mi Vclsere, nova et paeno incredibiiia. Ea inveiitem, non solimi mihi, seti et amici», primum adinira- tionem, deiiule etiam animi voluptntem, peporerunt; quod eorum ope plurima, hactenu 8 astronomi» aut dubitata aut ignorata aut etiam (urtassi» pernegata, in clarissimam ventati» lucem, per fontem lumini» et astrorum ductorem Solem, protraili posse, piane persuasimi habeamus. Ante mensea aeptem, octo circiter, ego unaquo mecum amicus quidam meus io tubimi opticum, quo et nunc utor quiquo obiectum sexcentics aut etiam octin- gentica in superficie amplificat, in Solem direximus, dimensuri illius ad Lunam magnitudinem opticam, inveniniusque utriusque fere aequalem. Et cum buie rei intcnderemus, notavimus quasdam in Sole nigricantes quodammodo maculas, in¬ star guttarum subnigrarum : quia vero timi id ex instituto non investigaviniua, parvi rem istam pcnsitantcs, distulimus in aliud tempus. Redivimus ergo ad line negotium mense praeterito Octobri, reperimusque in Solo apparente» macula», eo modo fere quo descriptas videa l,) . Quia vero res baec omni fido prope maior erat, dubitavimus iuitio, no forte id latente quodam vel oculorum voi tubi voi aeris vitio accideret. Itaque adhilniimus diversissimorum oculos, qui omnes, nullo 20 dempto, eadom, eodemque situ et ordine et numero, vidcrunt: conclusimus ergo, vitiuni in oculis non esse ; alias enim qui fieri possot, ut tam diversorum oculi uniusmodi affectione laborarent, eandcmque cortis diebus mutarent in aliam ? Accedebat, quod si liaec oculi vitio evenirent, oportebat maculas, una cum oculo Solem peragrante, etiam eundem peragrare ; quod tamen minime accidebat. Oculi ergo errore liaec in Solem introduci neutiquam posse, unanimiter a quampluri- mis, et recto, est conclusimi. Vitri itaque malitia nos sollicitos tenebat; time- 0» Yedl la tavola in fino di questo Trt* Epùtolac. V. -4 26 APELLIS LATENTIS POST TABULAM bamus enim no tubus nobis imponcrct. Ad hoc explorandum, tubos divcrsissimao virtutis adhibuimus octo, qui omnes prò suo modulo eadem in Solo ostemlebant ; et si successi! temporis unus aliquid nobis voi novi vel mutati exliibuit, idem pracstabant et caeteri ; praeterea tuborum quilibct circumgyratus, bue illue com- motus, maculas nequaquam seenni loco movit; quae tamen accidere debebant, si id phaenomenon tubus efficiebat. linde recto par iter conclusimus, tubum Ime in re ornili culpa merito vacare. Supcrerat aer, cui quidem visa baco attribuì non potucrunt: primo, quia phaenomena ista motu diurno, quem Sol a primo mobili accipit, pariter cum Sole oriebantur et occidebant; aerem vero gyrari aut aliquid in aere tam constante!*, inaudituin est, praccipue sub tantillo Solis cor- io pore, quod est grad. 0, minut. 30 plus minus. Secundo, quia phaenomena ista nullam admittebant parallaxim ; quae tamen fieri debebat mane et vesperi, si in aere cum Sole rotarentur. Tertio, quia motu proprio, acque constanti, voi sub Solo voi cum Sole vertelmntur, inqno alio alioque Solis loco conspiciebantur ; donec ab eodem ponitus post multos dies disparebant, ab ortu (ut milii videtur) in occasum, vel certe a borea ex parte in austrum : do quo tamen motu ccrtiora dabunt observationes diuturniores et exactiores. Quarto, quia hacc phaenomena invariata aspeximus etiam per nubes, tcmiiorc3 tamen, infra Solem tumultuose transcurrentes. Non igitur sunt in aere, ut taceam plures alias rationes : necessc est ergo, illa esse vel in Sole, vel extra Solem in aliquo cacio. In Sole, corpore 20 lucidissimo, statuere maculas, easque nigriorcs multo quam siili, in Luna unquarn visae (i)raeter unicam pavvulam), mihi inconveniens semper est visum, et vero needum fit probabile : propterea quod, si in Sole essent, Sol necessario conver- teretur, cum ipsae mutentur; redirent ergo primac visae aliquando, eodem ordine et si tu inter se et ad Solem; at nunquam adirne rediorunt, cum tamen aline novae illis succedentes liemisphaerium solare nobis conspicuum absolverint: quod argumento est, eas in Sole non inesse. Quia, nec veras maculas esse existima- verim, sed partes Solem nobis eclipsantcs, et conscqucnter stellas, vel infra Solem vel circa: quorum utrum veruni sit, suo tempore utique, Deo iuvante, patefaciam. Iam via munita est, qua scientiam cvidentem acquiramus, utrum Vonus et so Mercurius aliquando supra, nn semper infra, Solem fcraniur, quod ostendent in coniunctionc diametrali cum Sole; corporibus enim suis maculas in Sole ofìident, siinulque nobis motus suos declarabunt. Et vero apertissima est ialina, qua ad Solis quantitatem intuendam libcrrimc ingrediamur. Et plurima denique alia, quac iam libens subticesco, innotescent ; ista enim paucula mine dogustanda pro- ponerc placuit; quae si sapucrint, de ipso nucleo operam dabimus ut propediem aliquid eruamus, dummodo Solem splendescentem ìiubila nobis non invideant: nani, quo serenior micuerit, eo oculis nostris vel ipso meridie aspcctus accidit iucundior; eum enim haud secus quam Lunam contemplamur. De observationibus ipsis liacc monere habeo. 1, non omnes esse exactissi- 40 TRES EPISTOLA E. 27 mas, soci eo modo ut oculo vidcbatur, manu in cbartain traductas, sino certa et exquisita illarum mensuratione, quae fiori non potcrat, nunc ob cadi incle- mentiam et inconstantiam, nunc ob temporis angustialo, nunc alia ob impedi¬ menti. 2, maculas insigniores et constanter apparentes, notatas littoria iisdom. 3, ubicumque dies aliquos trarujilii, illis Solcai nubibus involutum aspici non potuissc. 4, si quas adiunxi maculas sine litteris, illas vcl constanter non esse aninmdversas propter aeri» turbulentiam, vel, si constanter apparuerunt, nc- gligemlas quodammodo visus, aliaruni coni par atione, propter exilitatem. Sed et baec notanda: niacularuni ad Seleni proportionem ex ddineatione non esse io dosuniendani ; maiores enim illas debito feci, ut essent magia conspicuae, prae- sertim propter parvulas quasdani, quae alias oeulis aegre subiici potuissent. E niultis saepc maculis parvis mirini magnani conflari, ut proindo videatur una lunga aut etiam triangula, sicut lit in maculis A et C, quae tarnen per tubos inultao virtutis discernuntur, sicut ego feci in macula A, quae conflatur ex tribus; at vero C ex quinque, I) ex quatuor; quas proinde, ut et reliquas conilinetas, unieis litteris consigliavi. Maculas quae easdem semper adiunctas retinent litteras, seni per easdom essi', ita tarnen apparuisse timi sicut pingun tur, quando pinguntur; quando aliquae maculae cum suis litteris non amplius appinguntur, illas tunc in Sole apparerò desiisse ; quando vero aline cum aliis litteris consignantur, illas esse 20 alias novi ter apparentes; quando vero aliae, nullis signatao litteris, modo pin¬ guntur, modo non pinguntur, illas aut occubuisse omnino, quando non signantur, aut certo (quod saopo accidit) non apparuisse, propter caclum subcrassiusculum : talea enim, itisi Solo nitidissimo cadoque purgatissimo, conspiciemlas se minime pniebent. Et quoniam memini, te aliquando quaerere, quinam essent isti aqui- larum pulii, qui Solcm recta auderent intueri ; compendia etiam, quae mathe- matici, ([ui propriis in tanta causa oeulis quam alienis credere malent, luto sequantur, expertus monstrabo. 1, Sol matutinus et vespertinus, vicinus liori- zonti, per quartam borao partem mulo tubo, bono tarnen, apertus et serenus uteumque impune aspici tur. 2, Sol ubicumque opertus nobula vcl nube debite 3o perspicua nudo tubo, salvis oeulis, videtur. 3, Sol ubicumque apertus per tu¬ bino, praeter convexum et concavuin vitrum, vitro insuper utrimque plano, cae- rulco aut viridi, debite crasso, munitum ea ex parte qua adraovetur oculus, in- demnes adversos servat oculos vel in ipsa meridie, et hoc amplius si ad ipsuni caerulcum vitrum non satis attemperatum accesserit in aere tennis vel vapor vel nubccula, Solem veli instar subobumbrans. 4, Solis intuitus inchoandus a peri¬ metro, et paulatim in medium est tendendum, ibique paulisper immorandum; lux enim circumstans umbras non statini admittit. His nunc utero, fruere; alia, l)co volente, sequentur. Vale. 12 die Novembris, anno 1011. 28 AriOLLIS IiATBNTIS POST TA BU LAM Die Decombris 11, qui fuit Solis, incaopit, secundum Kphenierules Magini, con- iunctio Veneris cuin Sole, Inora noctis 11, quoti suo loco cxaminabitur, et duravit, supposito Magini calcalo, lioris minimum 40; unde Ut, eam ante lioram tertiam dici Martis sequentis nequaquam cessasse. Sic ergo ratioeimitus sum : Si codimi Veneris, uti communis luictenus astronomorum schola docuit, est infra Solein, sequitur in ornili Veneris cum Sole coniunctione Venerem inter nos et Seleni consistere; et cum liaec coniunctio fiat in 9 latitudiuis gradii, necesso est ut Venus nobis Solein aliqua sui portionc obtcgat, nobisquo maculam multo maiorem (cum diameter cius sit 3' minimum) olierai, quam sit ulla visarum, et insuper sub Solo in ortum centra macularuin ìnotum transeat. llcstabat, ut serenitas io coeli observationem admitteret. Dies Lumie nubilus me valile anxium liabuit; dolebam enim inibì eripi tam paratam occasionem veri inquiremli, intra nuiltos annos, nisi fallor, non redituram: sed Martis dies totus serenus a primo mane usquo in seram vesperam me rursus exliilaravit ; nani pulcliriorem ncque vidi intra duos mcnses, neque prò temporis ratione optare potili. Itaque Solem lim¬ pidissime exorientem laetus salutavi, sedulo inspexi, non ego solus, sed et ubi ìiiecum quam plurimi, Solisque cum Lucifero coniunctionem foto die celcbravimus. Quid expectas? Venerem sub Sole, quae tamen secundum calculum crat sub Sole, nequaquam vidimus. Enibuit scilicet, et proripuit sesc, ne suas intueromur nuptias. Quid bine sequatur, non dico; ipsemet palpas : ctsi carorenius omnilms 20 aliis argumentis, hoc uno evinceretur, Solem a Venere ambiri : quod item a Mercurio fieri nullus ambigo, ncque id simili modo investigare omittam, quam- priinum opportuna se obtulerit coniunctio. Nihil centra dici potest ; nisi voi nos negligenter obscrvasse, quod profecto secus est; voi Magini calculum 7 minutis et lioris quamplurimis a vero deviasse, quod de tam insigni mathematico absur- dum cogitare, et nos suo tempore exquisite indagabimus; vel Veneris astrum umbram sive maculam nobis ideo non offerre, quod luce propria, non a Sole accepta, instar Lunae sit praedituin ; seil hic rcclamabunt experientiae, rationes, et communis omnium matlicmaticorum Yeterum, recentium, sententia. Supcrest ergo, si Venus cum Sole coniuncta fuit, aut eam a nobis videri debuisse, aut, 30 cum visa non sit, in superiori hemispliaerio Soli associatam incessissc. Vale. 19 die Decombris, anno 1011. Mirimi, quam successus audacia© lenocinetur. Mcministi quae superioribus diebus timide attigi; ea mine, certis et compertis rationibus nixus, quas lui indicii facio, piane afiirmare non vereor : lubet enim, corpus Solis a macularum iniuria omnino liberare ; quod hoc arguinento fieri posse, persuasum habeo. 29 TItES EPISTOLA K. Maculas accurate obscrvanti, constat eas, ut multimi, non plus quindccim diebus sub Sole consumere. Posila ergo diametro Solis visuali gr. 0.34’, secundum comnmnem, vidcbimus nos de circulo Solis maximo gr. 179.20'. Iam si macula aliqua porcurrit sub Sole gr. 179.20 spai io dierum quindecim, eadem in opposita Solis parte evolvot gradus ciusdein 180.34' diebus itidem quindecim, Loris duabus, scrupulis vigintiduobus: ergo si iu Sole inesse taluni maculari! ponamus, nccesse est ut, postquam in aversa Solis parto versal i cacperit, revertatur ]>ost dies 15, horas2, scrup. 22: at hactenus, ut inspicienti patet, duuin fere mensium curriculo, eodem situ et ordine nulla rodiit: impossibile itaque est, ut lillà Soli insit. Ubi ergo? io 1, non in aere: quod sic demonstro. Si maculai) Lae versantur in aiire, maioreiii nanciscentur parallaxin quam Luna voi apogaea vel perigaea; at maiorem non nanciscuiitur ; sequitur, in aero non esse. Maior est evidens. Minor expe- rientia constat: nani macula iu perimetro Solis paone versans, qualis est y volò, loto die locum eundem insensibiliter mutatimi occupat; quod impossibile ossei si lantani patcrontur parallaxim quantam Luna, cum Lunae parallaxis, etiam apogaeae, sit fero integri gradus. Necesse ergo esset, ut quucvis macula Sole in quotidie desereret alio atque alio tempore, et sequenti tamen dio sub eodem vidcretur; cui experientia contradicit. Non ergo sunt in acre. 2, non in cacio lunari: quod sic demonstro. Primo, ex parallaxi : priora so cnim contra experientiam acciderent. Scemalo, ex motu Lunae et macularum: nani Ime uniformitcr in occasum, Lunae orbes omnes et singuli, sive per se sivo per accidens, feruntur in ortum quotidie, idque multo celerius Sole. Tertio, ex ipsa experientia: nani alias hae maculae in opposita caeli lunaris parte noeta illustratae viderentur et lucerent ; quod tamen non accidit. 3, non in cacio Mercurii, ob rationes easdem quae allatae sunt de cacio Lunae, in sua tamen proportene. 4, non in cacio Veneris, ob duas postrema», quas do Luna adduxi, rationes: nam parallaxis hic, curii ferme cadérli sit quae Solis, forbisse non admodum urgeat. Restai, ut in cacio Solis hae versentur urnbrae: cumque in Solis eccentrico so osso non possint, co quod ipsius et Solis inotus idem sit, ncque in duobus secundum quid eccentricis aut in ullo alio, si quia alius Solis orbis esset, superest ut mo- veuntur motibus propriis, idque vel fixe, vel erratiee; quorum utrum sit, dicere nondum habeo. Hoc certuni, volvi circa Solem ; ouius rei argumenta tria convin- centia afferò. Primum, omnia macula seorsim spedata, circa Solis limbuni, sivc in ingressu sivo in exitu, graciloscit: phaenomenon hoc defendi nequit, nisi ))er molimi maculae circa Solerli : ergo. Secundum, dune vel tres aut plurcs maculae circa limbuni Solis videntur coire in unam magnani, in medio sese diducunt in plurcs: hoc defendi nequit, nisi per motum earum circa Solem: ergo. Tertiurn, medio celerius moventur quam circa perimetrum Solis: hoc defemli nequit, nisi per mo- 40 tum circa Solem: ergo. Tacco nunc multa alia argumenta, ob angustiam temporis. 30 APELL1S LATENTIS POST TABULACI Sed quid cae tandem sunt? Non nubes : nam quia illic poneret nubes? et si esscnt, quantac essent? quare eodem modo et motti seni per agerentur? quomodo tantas umbras ellicerent? Nubes ergo non sunt. Seti ncque cometue, propter easdem et alias causas, quas modo praetereo.Reliquum ergo, ut sintvel partes alicuius caeli densiores, et sic erunt, sccundum philosopbos, stel- lae; aut sint corpora per se existen- tia, solida et opaca, et hoc ipso erunt io stellac, non minus atque Luna et Ve- nus, quao ex aversa a Sole parte ni- grae apparcnt: et aflirmavit nudius quartus N., ante duodeciin aut plures annos a se et parente suo eonspectam Yenerem sul» Sole, specie cuiusdani maculae. Maculas ergo has sidera esse heliaca, probatur et ex prae- missis et ex iis quae scquimtur. Quia efliciunt umbras valilo densas et ni- 20 gras, mule credibile est Soli valde resistere; ergo probabile eas ab eo¬ dem multimi illustrar]. Quia in mar¬ gine Solis gracilescunt, ut diximus; ncque hoc phacnomenon solo motu circulari defendi potcst: ergo. Alia etiam ratio afferri debet; lutee au- tem est illuminatio, quae partem opacam ad nos inmiinuit, et sic uni- brani gracilcm facit. Quoti sic de- so monstro. Sit Sol ABC DE, cuius cen¬ trimi A, perimeter BOI)E: centro sit descriptus circulus FGHIK, in quo feratur macula L per G in II, ex II in K; quam Sol illustret ra- diis BG, OM (t) , quando macula est in G; quando in II, radiis CN, DII; quando in I, radiis PQ, El: oculus autem in terra R positus, aspiciat macularci L, (*> Nella figura della stampa originalo manca la lettera M. Noi nbhinmo messo al suo posto un astorisco. TRES EPISTOLA E 31 statutam in G, per radios RG, UM; in II, per radi oh UN, UH; in I, per radios RQ, Iti. Experientia autem constans docet, eandem maculalo L sul) angulo minori con¬ spici in G et I, quam in H; item etiam, gracilem et oblongam in G et I, rotundam in II: et hoc acculit ideo, quia macula L versus Solcm vehementer illustratur, et in G atque I posila, oculo magnani illustrationis suae portionem offert, partem vero non illustratam obliquo obiicit, propter circulum FGIIIK suae lationis; in li autem directe opponit sui portionem obscuram; nude fit ut minus de obscuro videatur et minori sul) angulo, quando macula est in G atque I, quam in II; item ut in G et I, ceteris parihus, gracilis et oblunga, uti in figura videro est, in II vero rotunda. 10 K quibus omnibus deducuntur ista corollaria: 1. llas maculas a Sole non multimi recedere. 2. Eas satis niagnas esse; alias Sol magnitudine sua illas irradiando penitus absorberet. 3. Valdo opacas et profundas esse; co quod tam nigras efficiant umbra», in tanta Solis vicinia, tam vehementer ex adversa ad Solcm parte illustratae, et in tanta distantia, vidclicet ad nos usque. 4. Si per splendorem Solis liceret partes illarum collustratas a non collu- stratis discernere, visuras nos plurimas circa Solcm lunulas cornutas, gibbas, novas, et fortasse etiam plenas. 20 5. Eandem fortassis esse rationem, (pio ad sui illustrationem, aliorum astrorum. G. Consentancum lune etiam esse, Iovialos comites, quoad motum et situili, Italici disparis esse naturae: mule nos ferme prò certo tenemus, illos non tantum esse quatuor, sed plures, ncque in unico tantum circulo latos circa Iovein, sed pluribus. Quo dato, facile respondeatur ad quasdam obiectiones, et multae etiam circa illos in motibus diversitates solvantur; apparent enini ii ad Iovem aliquando in austrum, aliquando in boream inclinati. 7. Ncque omnino vereor suspicari simile quid circa Saturnum: quare enim modo oblunga specie, modo duabus steliis latera tegentibus comitatus, apparet? Sed hic adirne me conti neo. 80 Interim an sidera haec erratica, an fixa sint, haereo; inclino tamen in crrones, prò quibus argmnenta non panca, licet subobscura, militanti sed haec suo tempore, quemadmodum et de motu, de figura, quantitate, recessi! a Sole, et reliquia affectio- nibus. Subit opinavi, a Sole usque ad Mcrcurium et Venerem, in distantia et pro- portiono debita, versari errones quamplurimos, e quibus nobis soli ii innotescant, qui Solcm motu suo incurrant. Si fieri posset, de quo needum pcnitus desperavi, ut stollas etiam Soli propinquas contemplaremur, lis haec tota decideretur. Vale. 20 dio Decembris, anno 1011. 1 11U8 Apdles lutrns post iàhnlnm. 32 ÀFELLIS LATENTIS POST TABULAI! ETCJ. la omnibus disciplinis ingens via restat, et inveniondorum minima pars conseri dcbent inventa: cuius rei Sol quoque signa daini: Solem quis ta. bitcricclis obfenuxtionum delincationtbtx. AYGVSTAE V1NDELICORYM Ad infignc pinus. Anno CU. D C, X1I. idib. Schernir. MARCO VERSERO AUGUSTAE VIND. 1IV1KO l’KÀEFECTO. Tametsi quam praefìxi.sti vino moo hederam, ini nominis auctoritatem, tuae celebri tatem lamac, lui generis claritatem, iam splendida est, ut bibulum quemvis voi ad emendimi, aut certe gnstandiim, inducat ; tanti ponderis, ut quemvis nau- seabundum a contemptu laticis Jiuius avertat ; quia tamen mustum nonniliil tur- bidiun atquo facculcntum propinavi, et partu.ni rudem informcniquc effudi, oportet et illud colare honorum viticolarum more, et lume ursarum instar lambere, inque membrorum venustam efiìngere proportionem. Venus enim invenusta iacet adirne, io c cuius massa parte» aline eminent tanquam perfcctae, aliae vel latent vel pro- inicant tantum; ncque enim tam magni res inter astronomo» momenti una pari potilit bora, qua epistolam ad te modo editam exaravi. Unde ad quae ibidem me reieci, ea modo promo, et rem totani do coniunctione Veneris cum Sole perlicio; idquo nonnisi o fundamentis astronomi dirissimi Automi Magini, desumptis ex ipsius Epliemeridibus et Mobilibus Secundis, postquam paucula baec praemisero. Lemma. Si, productis triangolili cuiuscunque rectanguli quaquavorsuni latenbus, agatur per commuiiem illorum sectioneni quandunque perpendieularis ad quodeunque trianguli illius latus, facict, ca in scctione communi versus eanidom seu suime- 20 (ipsius seu lateris cuiuscunque secti partem, tres angulos acquale» tribus dati trianguli angulis, omnes omnibus simili, singulos singulis seorsiin. Sit datum trianguluin abe , angulusquo bac rectus; producantur latera qua- quaversum, ab in d et e , ac in / et g, bc in li et i. Dico iam, si per sectio- nem quainlibet laterum communem a, 6 , c agatur recta quaelibet, quae sit per- pendicularis ad unum aliquod latus trianguli, fore ut anguli tres facti in sectione 40 A FELLI# LATENTIS POST TABULARI illa communi per guani perpendicularis transit, quomodolibet assmnpli ad imam partem, sint aequales tribus dati trianguli angulis, universiiu et singilhitim. Transeat hi perpendicularis priinum coiu- inunom sectioncm a, et inciditi rectae hi in puncto l ad pcrpendiculum: aio tres angnlos, vcl baf, ! ah, Icari, ad imam partem ree tao bel rectao fc factos, vel tres Icari, riac, cal, ail imam partem rectae hi factos, vel riac, cal, lab, ad imam partem db factos, vel cal, lab, baf, io factos tres ad unam partem cf angnlos, vcl do- nique lab, baf, fah, ad unam partem rectae He tres factos angnlos, acqualo» esso tribus dati trianguli rcctanguli abe angulis, tam colloctim omnes omnibus, quam separatila singulos suis singulis. Cum cnim tres anguli baf, fah, Icari acquale» sint, simul sumpti, duobus rectis, per 13 I Euclidis; sint otiam tres interni dati trianguli anguli acquale» duobus rectis, per 32 I Euclidis; erimt etiam inter so aequales tres isti anguli, ad unam. rectae bri partem assumpti, tribus interni» dati trianguli angulis, per premine. 1. Et sic tres quilibet ad camicia unius rectao lineao partem assumpti 20 anguli ostendontur esse aequales tribus dati trigoni angulis. Quod erat primum. Ilursus, cum duo anguli fab, bac ad punctiun a rectae fc sint facti per rectam ha incidentem, erunt ipsi, per 13 I Euclidis, duobus rectis aequales: est autein angulus bac ex liypotliesi rectus: ergo etiam baf illi dcinceps rectus erit, ideoque illi acquali», per proli. 7 et 12: ablatis ergo bis, romanebunt duo anguli fah, Icari, duobus angulis a he, ad aequales, per pron. 3; angulus quidem fah angulo abe, propterea quod uterque eidem angulo lac aequetur, alter quidem fah, ad verticcm oppositus, per 15 1 Euclidis, alter autem quia in triangulo ale angulus ad l rectus est, propter perpcndicularem hi, ideo- quo angulo bac aequalis, angulus vero Ica communis utriquo triangulo, et ale 30 et abc\ igitur et rcliquus lac reliquo abc\ ergo inter se aequales duo anguli abe, fah, per pronunc. 1. Quare et residui icari, acb intcr se aequales sunt, per pronunc. 3. Igitur tres anguli ad unam partem rectae bri facti aequantur tribus dati trianguli orthogoni angulis etiam singillatim: quod erat secundum. Et sic totuin lemma ex bac parte ostensum manet: eodem cnim prorsus modo demon- strabitur de tribus aliis quibusvis ad unam partem assumptis angulis, bunelicio duorum triangulorum ubi, ale . Transeat inaio recta hi per communem sectionem c, et sit 1 perpendicularis a , rcspondens latitudini Votici is quam habebat 1 Decembris; hh vero, itidem perpendicularis ad ///, sit latitudo 9 11 Decembris: ipsa autem ile in / usque producta erit via Vcncris; at recisi hi, io parallela ad eclipticam, abscindet nobis roctam li ex roda gì, quae li crii 17', proptcrca quod tota gi ponatur 26', et segmentimi cius gl, id est Uh propter parallelogrammum hi, ponatur 9': residuimi ergo li erit 17'. Quamobrcm in trian- gulo Idi nota sunt duo Intera, ld et li ; est autem et angulus Idi rcctus, eo quod angulus Idg illi deinccps sit rectus, quia figura hg est parallelogramma, babetque angulum ad g rcctum, propter gì pcrpcndicularem ex hypothesi; igitur, per 47 I Euclidis, innotescet etiam latus tcrtium Tei, videlicct 151' 7 '. Igitur per tria latera, Tel 9010", li 1020", ih 9007", trianguli Idi patefacta, in cognitioncm aliorum necessariorum facile venieinus. Nam, 7, ex hi cognita et li itemque eh, sive mn, perveniet, per regulam auream, 20 recta nh 49 Rursus ex hi et hi nec non mn cognitis, per eaiulem regulam, prodibit recta ình 7'20". Et sic pariter innotuit totum triangulum mnk trian- gulo Idi, propter parallelas hi et mn, leu et il, proportionale. Unde si, 8, subducatur lcn 49" ex hh 9' latitudine 9i residuimi 8' 11" erit recta hn, idest eni, latitudo 9 in cf media scu vera. Quod si ex e contro 8olis ad rectam ini, ACCURATIOR DISQUISITIO. 43 protractam in / usque, erigi cogitetur recta co porpcndiciilaris, crittriangulum coni, propter angulum moe rectum, rectangulum ; ideoque, cum in productarum cm et om communem sectionem in incidat rccta pm fVicicns angulum rectum pmc cum producta cb, eo quod ipsa sit parallela ad latus gi, est, per lemma prae- m issimi, angulus meo acquatta angulo pini ; est autem et angulus ni p i rectus, eo quod dime rectac mp et lei ponantur parallelac; ergo angulo Ili recto acqualis est angulus rupi internus et ad eandem partem oppositus. Igitur duo triangula mpi, co-m, cum liabeant duos angulos duolms singilliitim acquales, etiam reliquum re- liquo habebunt aequalem angulum, videlicct mìp angulo cmo : igitur latera crunt io proportionalia. Nota sunt autem latera mp, pi, im trianguli imp, quia notum est latus ìp, per partes scilicct suas il 1020 7 et lp, quae est nh, 49", totem ergo pi 1009"; latus vero im, per partes ih 90G7" et lem 440", totum ergo im 9507"; latus denique mp, por partes mn 438" et np, idest hi, 9010", totum ergo mp est 9448". Per linee igitur latera, beneficio regnine proportionum, una cum In¬ tere cm cognito, minutorum scilicct 8' 11", acquiremus latus mo 55", latus au¬ tem co 8' 7". Notificato liac ratinile triangulo ano , 9, facile venabor, quod unicum spectatur, viam sub Sole Veneris qr, ope trianguli ano iam cogniti, et lineae vel eq vcl cr assumptae et conflatae e semidiametris visualibus, Solis perigaei maxima hoc tempore, minutoruin 17', co Veneris apogacae minima, 1 scilicct minuti primi, ita ut tota cq statuatur 18'. Quibus factis, quia angulus vel coq vel cor est rectus, et nota recta co, vide- licet 487", item etiam cq vel cr 1080", prodibit etiam, per 47 1 Euclidis, latus, tam oq quam or, 10 3", totaque via Veneris sub Solo qr , sive coniunctionis du- ratio, minutorum 32' 0", id est d. 2, li. 3, 18' 10"; quod universim conficit horas 51, V 3 ferme liorae. 10, Iam latus ino demptum lincile oq relinquit inq latus incidentiac 15' 8", id est horas 24, 11' 11". Additimi vero idem latus ino ad or, clficict nobis li- ncam mr niinutorum 1G' 58" prò casu Veneris, qui est d. 1, li. 3, 0' 59". 11. Itursus, cum 7' 18", quibus Sul Venercm praeccdit, respòndeant liorae 11, 30 40' 3", incidit media coniunctio in diem Deccmbris 11, lioram 11,40' 3" post mc- ricliem; a quibus ablatum tempus incidentiae, relinquit coniunctionis initium 10 Deccmbris diem, lioram 11, 2S' 52" post meridioni, quae est media ferme duo¬ decima nocturna. Additum tempus casus ad d. 11, h. 11, 40'3" Deccmbris, exhi- bet nobis d. 12, li. 14, 47' 2" finem coniunctionis; exivitque Venus a Sole 13 Dc- cembris usuali die, bora ferme 5 matutina. Calculo ita demonstrato, haud absonum fuorit, veruni et germanum huius coniunctionis typum (siquidem ea infra Solcm accidisset) subnectere. Est igitur in adiecto diagrammate AB A Solis discus, cuius centrum C, dia- meter cum ecliptica concurrens partium aequalium 34' ; orbiculus vero D, E, F est •io Veneris circulus, cuius via per Solcm est recta 1)F ; principimi! coniunctionis est I), v. c 44 A PELLI S LATENTIS rOST TABULAM medium E, finis F. Per lineam vero GII minutorum 15 ; , divisam in 24 acqualos partes, secundum dici naturalis nunieruin liorarium, poteris etiam geometrico tam viam Veneris PF, adeoque totani coniunctionis luiius dnrationcm, quam in- cidentiam DE et casum EF atque reliqua, mensurarc per horas. Si igitur ponamus coniunctionem Veneris cum Sole in I) caepisse 11 Decembris, bora noctis 11, 40' 3", tum fatendum est, eam necessario duravissc ultra diem Decembris 13, quo die Venus infra Solcm visa fuisset necessario bora matutina octava circa I, et quarta vespertina circa K, totoque interlapso tempore inter I et K: visa vero est minime, tametsi quaesita diligentissime, frequentissime: igitur ex hoc capite manet et salva est portio epistolae editae. Si dicamus, 2, cum Magino, coniunctionem Veneris mediani cum Sole acci- disse eodem undecimi dici tempore in puncto E, tunc abnui nequaquam ])otest, quin Venils bora 9 versari debucrit in puncto L, bora vero 10 in puncto M, et bora tcrtia in puncto N, eodem undecimo Decembris usuali dio: ai in nullo borum ACCURATIOR DISQUIS1TIO. 15 inventa fuit, diligentissime quaesita, citatis lioris : igitur conclusum est etiam ex hoc capite. Si tandem, tertio, statuamus, coniunetionem Veneris cum Sole die 11 Deccm- bris, bora noctis 11, fuisse ultimam, timo fieri non poterat ut Venus obtutuni nostrum declinaret codoni 11 Deeembris usuali die, liora 0 antemeridiana, in punoto 0, et bora 2 pomeridiana in F, et bora 10 antemeridiana dici 10 Docera- bris in punoto Q, quibus omnibus temporibus, et pluribus etiam, Sol inspectus est, non amo tantum, sed ab aliis etiam, idque per tubos alios aliosqne: at horum dieruni et horum locorum in nullo Venus eomparuit, tamctsi, secuiulum dieta, io solertissime investigata: igitur ex lioc etiam capite argumentum concludit. Cum ergo horum triuin modorum aliquo Venerom sub Sole transivisse sit ne- cessarium e praesuppositis, et in nullo fuerit sul) Sole, idi obsorvationes convin- cunt, aut fatcndum est, totani computationom Magini, utut sumptam, nullam esse (quod ego non credo), aut, cum smini tcneant et obsorvationes nostrao vigorem et dolutimi calculus Magini honorem, Venerem non infra, sed supra cum Solo incossisse. Funieulus triplex diltìculter rumpitur, et ne rumperetur triplicandus fuit: rumpat aliquis primum, rumpat sccundum cum primo, tertium cum secondo, cum tertio primum; omnes tamen tres nunquam rupcrit. Anticipa Venerem uno die, et aniplius eandem a Sole tantundem remorare, 20 aut cicloni cursu aequa; sempcr coniunctio eius cum Sole, si fuit corporalis, in aliciuam voi meam vel amici cuiusdam mei observationem incurret. Diduccndus porro fuit eo modo Magini calculus, cum ut evitari vis argumenti nequiret, tum ut error, si quis in eo commissus esset, trimembri liac dilatatione compcnsaretur. Nani sicut in Sole Mercurius, anno 1007, mense Maio, a Keplero observatus, tam in longitudine quam in latitudine ab Antonio Magino dissensit non parum, ita fieri posse timendum erat, ne et Venus simile quid auderet. Quaro, *vir amplis¬ sime, etiam te atque etiam rogatimi volo, uti prò tuo in rem literariani favore et ea qua polles apud istos viros praeclarissimos gratin, digneris impetrare ab Antonio Plagino, liane Veneris cum Sole coniunetionem uti de novo accuratissime 30 supputandam resumat, et mihi per te communicet; idem etiam ut praestet Kepi a- ras e fundamentis Braheanis, quibus nos utinarn etiam aliquando potiremur: ad idem, etiam ex aliorum liypotlicsibus, praestandum nunc rogavi alium, et ego ipsc etiam per otium tentabo. Quod si omnes calculi condicant in 4 hos aut 5 etiam et plures dics, et Venerem latitudine a Sole nobis non cripiant, paea.na canemus, Sin, quod vix mihi persuadco, coniunetionem corporaleni factam esse negent, oh latitudinem fortassis maiorem quam posuerit Maginus, scias totani meam ratio- cinationem esse hypothetieam, calculoque Magini innixam : data et firmata liypo- thesi, stet argumentum ; eversa vero et destructa hypothesi, ruat etiam quod erat superstructum, erigatur et stet quod veruni est: hoc enim unicum in bisce et •io quaeritur et spectatur. 4G APELLIS LATENTIS POST TABULAM Unicum, quocl lniic argumento labcm afferro praeter dieta posset, est quod Venus, scilicet sub Sole existens, aut umbrani omnino non facerct, aut tantillam certe, uti prae vehementia lucis Solaris attendi acio oculorum non posset. Ad quorum postremum respondeo, umbram Veneris, absque ulla dubitationo sub Sole versantis, non minorem apparituram quam sit lux piena Veneris ciusdem extra, sed proximc, Solem incedcntis; unde, cimi haec videatur maculis solaribus mediocribus (uti suo loco fusius dicetur) aequalis, consequens esse uti illis umbra minor nequaquam sit futura, ideoque aequo atque ipsae maculae contemplanda: praescrtim si verum est quod Christophorus Clavius, mathematicorum hoc tem¬ pore facile princeps, et Tyclio B ralle asserit, Veneris diametrum, visui patentem, io ad solarem esse in proportionc subdecupla ; certuni est enim, maculas innumoras et visus et videndas esse, quarum ad Solis dimeticntem diameter ])roportionem liabeat longo longe minorem, imo vix, et ne vix quidem, subscxagecuplam, aliquando ctiam tantum subeentesimam; quac exploranti cuilibet manifestissimo patebunt. Ad in iimtm dico, Venerem sub Sole incedentem umbram eftìcere, atque adco Solem a Venere, prò portione Veneris sub eodem incedcntis, eclipsari : quod probo: 1. communi omnium, tam antiquorum quam recentium, pliilosophorum et mathematicorum consensi!. Ideo enim Plato cum suis asseclis, quia liane umbram non advertit, Venerem supra Solem stabilivit: ideo Ptolcmaous cum suis sequacibus, Veneris cum Sole concursum directum unquam esse noluit: ideo Clavius, insila 20 Sphacra, umbram liane tantam esse negat, ut al) oculi acio naturali pcrcipiatur; cui consentiunt Conimbricensis, lib. 2 De coelo, cap. 7, quaest. 4, art. 2, et alii passim. 2. similitudine. Quia constat omnibus passim, Lunam, suo sul) Solem incursu, in eodem utnbram nobis apparentcni prò sui portione causare; unde non absoniun videatur, idem etiam a Venero sub Solo commorante cilici, quia experientia idem a Mercurio sub Sole versante fieri proditum est: vidit enim Mcrcurium sub Solo specie nigrae cuiusdam maculae quidam monachus ante annos 804, ut refert in suo Singulari Pbaenomeno Ioannes Keplerus; et ipsemet Iveplerus eundem sub Solo vidit, ut ibidem probatur, anno 1607, mense Maio, die 28; quod idem etiam do se tc- statur Scaliger, Exerc. 72 contra Cardanum, apud Coniinbricensem, lib. 2 Do coelo, 30 cap. 7, quaest. 4, art. 2. Si ergo Mercurius Soli eclipsin inducit, cui* non et Venus? 3. experientia. Eodem enim quasi tempore, quo Galilaeus in variis Italiae urbi- bus Venerem cornutam contcmplatus est, admirati sunt et vere invcncrunt eatulcm sebemate eodent cornuto, bisecto,gibbo, Romae etiam alii mathematici. E quo incre¬ dibili pbaenomeno duo ineluctabilia argumentahabemus: alterum, Venerem, perinde ut Lunam, propria luce carere, et consequenter sub Sole nigram umbram referro; al¬ terum, ab eadern ambiri Solem. De quo, cum omniapbaenomena ita conspirent, omnes rationes ita concinant, dubitare in posterum quisquam cordatus vir vix audebit. Parto igitur hac ratione, et piene, ut opinor, conformato Lucifero, ad ipsum lucis parentem nos referamus, Solem videlicet ; ipsiusquo numerosam prolem a 40 ACCUKATIOR DISQUISITIO. 47 10 Dccembris (non habita ratione quoti nuper aliqiiid spectandum miserilo) usquo ad 12 lanuarii velut in pompam deducainus, quo magis haec tanta familia, uno intuitu spoetata, oculosquo animumque mulceat speetatoris. Kationcs faeti istius ilici sese spunte punto post prodent. Primis quatuor diebus astrum Vencris, cum Sole coniunctum, conspiciendum erat lioris assignatis iu linea cd , Vcneris nimirum cd per Solem via, ad eclipti- 43 A PELLI S LATENTI S POST TABULAM cam AB nonniini inclinata, in magnitudine, sccundum comimmein mathcmatico- rum sententiam, piaesenti iuxta aliquam trium factarum liypothcscon; sccundum primam quidem, uhi Venus gestat D, secundum alternili, ubi E, sccundum postre- mam, uhi F, idque in aspectu et sita qualis Ilio depictus est. Visum est etiam proxime sequentihus niaculis cclipticam AB inscrere, propter causaiu inferius ponendam. Hao ohservationes onines, qualituin quidem per tempestatela licuit (licuit autem ferine semper quando ohservavi), sunt accuratissiiuae, tametsi non tam accurate fortassis in chartam, vitio manuutn, sint traductae; multaque me praeclara uo- cuerunt. Etenim, io 1. Maculac spliacricae ad visum sunt rarissimae, creberrimae mixtae, oblongae, polygonae. 2. Rarissima est macula (si qua tamen est), quae ostensam sul) ingrcssum Solis liguram ad exitum usque retinet; nulla autem, quod sciarn, magnitudinem prorsus eandem. 3. In medio sui sub Sole incessus plcraequo apparent maximae, minimao vero in exitu et ingressu. 4. Pleraeque satis magno a circumferentia Solis interstitio aut conspectui se dant aut subtraliunt, paucissimae in ipsa Solis ora conspectum admittunt; nonnullae autem, eacquo valde magnae, in medio ferme Sole inopinato cxoriuntur; 20 contra aiiac, eaeque similiter corpulentae, satis repente (id est spatio nocturno vel diurno) in medio quodammodo cursu deficiunt, et videri desinunt. 5. Multae e maioribus parvulas subindo ostcntant bine inde, auto post, circum circa, easque ex improviso aspectui nostro denuo surripiunt ; et, quod ini- rabilius, una magna in par coniugum saepissime evadit, duao vero aut plures in imam frequente!’ codunt, et sic ad exitum usque perseverant. G. In ingressa, quae eadem veliuntur orbita, omnes fermo arctissime scsc complectuntur; circa medium, satis longo deserunt interstitio; in (ine vero, quando ad exitum tenditur, sese vicissim praestolari et consociare, ut in ingressu, ordi¬ narie videntur. 30 7. Perimeter macularum quasi omnium est fibrulis voluti quibusdain aspe- ratus, albicantibus, nigricantibus ; et maculac pleraeque circa limbos suos maiori sunt albedine clilutae quam ad sui corporis medium, ubieunque tandem existant. Spccies autem macularum plurimarum in memoriam revocat contemplatori, mine quasi doccimi quondam nivalem sed subnigrum, nunc frustillum quoddam panni nigri dilacerati, nunc conglobatam pilorum massam magnae faculac obtentam, prout varia seilicct est voi crassitudo vel densitas opacitasve istorimi corporum, alias voluti nubeculam nigricantem. 8. Quaedam maculac nigriores sunt ad oras Solis, albiores ad extremum. 9. Omnes apparent celerius ferri in medio quam in extremis Solis partibus. io ÀCCURATIOR DISQUISITO. 49 IO. Motvis omnium vidctur osso parallelus eclipticac, de quo tamcn sen- tcntiam tanquam ccrtissimam nonduin tulerim. IIoc certuni, quae medium Solem transeunte plus morae lacere sul) Sole iis quae magis ad extrema Solis vergunt : nude novuin argumentum et evidens, in Sole has maculas non inesse. Maculae primum conspectae sunt IO Decembris, bora 10; ultimo sunt visac 24 Decembris, bora 11: in utroque autem aspectu, praesertim primo, intervallum lucidum A Si, inter maculas Si etmarginem Solis A visura, fuit amplum satis, unius minimum dici (si quidcm ab exporientia aliarum macularum licet argumentari) : igitur maculae SI sub Sole consumpserunt minimum 1G dics, et transitus illarum io fuit quasi sub ccliptica AB. Maculae vero |i aspectus primus contigit 29 Decem¬ bris, bora 2, cum circumferentiam Solis pene adirne raderet; et visa est oandem contingere et velati secare superiore sui parte die Ianuarii 11, liora 3 pomeridiana, in exitu : igitur totum ipsius sub Sole curriculum, eclipticac tamen (ut inspicicnti jiatet) parallelum, fuit ut plurimum dierum 14. Manifestum igitur, cas maculas quae Solis diametrum eclipticam subeunt, diu- tius sub eo, Sole inquam, versali, quam eas quarum via ab cadcm sive in austrum sivo in borami recedit. Irrefragabile etiam est (Sole invariabili et duro posito, sive rotetur interini sive non), ipsas Soli nequaquam inhacrcre. Eacdem maculae Si, cum in Solis introiti! contractao fuissent, diduxerunt sese 20 in progressi!, et in fine rursiis se contraxerunt. Varias etiam figuras, uti delineatio refert, exhibuerunt; iuxta eclipticam tamen constantcr perrexerunt: inule liabes notabile 6 et alia, praesertim secondimi. E quo rursus valide argumentor prò macularum extra Solem positu : cum enim Sol sit corpus durimi et invariabile (secundum communem pliilosophorum et niatlie- maticonim omnium sententiam; de quo tamen alias ex instituto), impossibile est, istam tantam figurarum obscurarum variationem acciclere, etiam vertigine Solis quacunque concessa, nisi extra Solem. Cuius quidem figurae alteratio multo no- tabilior animadversa est in maculis X, uti intuenti obviam liet: conatus enim sum, eas in oliar tam iidelissime trai icore. Cum enim primo aspectu dici 28 Decembris, co fiora 2 vespertina, apparuisscnt dime tantum maculae a et b, una cum oblungo quo- dam et tenui apiculo c, die tamen sequenti apiculus ilio in duas plenas maculas c, d distractus est; cumquc a et b , 28 et 2!) Decembris, apparuisscnt satis rotundao, versa est macula a paulatim, non tamen in oblongam, sed voluti geminala, in- tercessitque die 30 inter a et c etiam alia e, et inter c et d alia minor /*, habueruntquo multis diebus aliquae illarum lateralcs parvulas adiunctas. Quam quidem apparitionem vitio oculi, tubi, aut meclii, ideo non adscribo, quod iisdem momentis, et aspectu eodem, ad diversas partes adiunctae sint parvulae, et qui- busdain maculis penitus nulla©; vitium autem vitri, medii, aut oculi, eodem modo se habet ad maculas omnes, eademque operatili- versus partem oandem eodem 4o lenipore, uti saepissime expertus sum. Crcvcrunt etiam hae maculae incrcdibiliter 50 ÀPELLTS LATENTIS POST TABULAM usque ad medium sui curriculi, praeter maculam b ì quae hoc peculiare habuit, quod et caeteris nigrior et magnitudine eadem sempcr figuraque sphaerica, ex- copto 2 Ianuarii, perstiterit. Fuerunt autem omnes, etiam 5 Ianuarii die, quo contractae et multum diminutae proceracquc, praeter maculam b ) visebantur, semper instar fere atraincnti nigrac: in medio autem Solis albediuis pius osten- tabant, quod et macula |x, maculao a in diametro dupla, praestitit. Etenim cimi alias aterrima sempcr, instar talpae mortili, dependerct, sub medio tamen Solo voluti rarior et luce passim conspersa apparili!., idque per totum sui corpus, ubi etiam perimctcr ipsius magis lacer et (loccidus quodammodo appariiit. Ex quo phaenomeno efficax iterimi producoargumentum, maculas basco in Sole non inesse: io alias, enim, quae ratio assignabitur, cui* quaedam maculae, qualis et ista jx fuit, in extremis Solis parti bus nigrae, in medio vero subalbidae, compareant? Ego Solis irradiationem in aversam a nobis macularum partem assigno; qui quidem radii cum sint ad nos directiores quando macula circa medium Solis versatili*, fit ut etiam fortius furiant et ipsus maculas nonuihil penctrcnt; quod secus lit, si maculao Solis limbo existant propinquiores. Sit enim, in exposita figura, AB Sol, ex ipsius centro G descriptus ar¬ cua DE, maculae alicuius circa cun- dem cursus. Iam si macula il la existat 20 in I), inter Seleni AB et oculum F in Terra positmn, radii qui a Solo per maculam in oculum descendunt, aut descendere possent, sunt tantum AF, GF, et qui intcr A et G a Sole exeunt, et pauculi practerea e dextra pimeli ex vicinili per maculam ad oculum refracti forsitan: at hi omnes modo (lieti radii, ad oculum derivati, sunt debilissimi, propter Solis sphaericam so deelivitatem AG, etiam nude visi; igi- tur multo erunt debiliores per macu¬ lam transmissi, quam proinde, in hoc situ, oculo minime illustratala osten- dent, et, quod inde sequitur, nigram rclinquent. Quae nigredo multum iu- vabitur a maculae contracta in spa¬ lmili angustius amplitudine, propter motum quem peragit circa Solcm, ut dcmonstrfttuiii in tabula edita. Radius vero CH, qui maculam perpendiculariter 40 ACCURATIOR DISQUISITIO. 51 arradiando una cum vicinis forlis simo illnstrat, ad oeulum F nunquam refrin- gitur, ideoquc albificata etiam macula in hoc positi! non notatur. Secus est, quando macula medium Solis ad punctum 1 subintravcrit ; tunc enim, quia axis CF, una cum IF et KF radiis, tam ad m acuì am quam ad oeulum orthogonaliter pervenit, idei reo fit ut oculus, quidquid sccum radii inferunt in maculam ex obversa Soli parte luminis, id subobscuriuscule notet, idcoque et maculam nonnullo dilutam candore attorni at, alitor quam eveniat in punc-to I) et E, cum radii BFetLF, ob sui debilitatimi, nil aut parum tam in macula quam in oculo possint. Et liane ego phncnomeiu praesentis rationeni assiduo: quae, si maculae in io Solem introducantur, loeum non habet; et tamen, quae causa commoda obvio lune ellectui assignetur, non est. Quin etiam, si maculae Ime essent in Solo voluti lacunae quaedam, oporterot cas directo, quod in medio Sole fieret, visas, obscu- riores multo apparerò (uti experientia quotidiana in aliis attestatili*) quam obli¬ que, quod in extremis accideret: ratio lniius rei est, quod in medio tota spccus illius profunditas, in extremo extima ora solimi, visui obiiceretur. Dices, radios directos a Sole medio in oeulum missos, et antrum illud circumstantcs, efiiccre ut oculus confusam quandam lucem, spocui illi oberrautem, sibi videre vidoatur. Respondeo, 1, cur id etiam non, et multo magis, accidat, macula in exitu vcl in- grcssu constituta, praesertim quod ora tantum antri illius vidoatur V Respondeo, 20 secundo, maculam b , diametro subquadruplam maculae |jl, in medio Sole ni- griorom fuisso quam extra medium, nigriorem etiam quam fuerit macula |t in medio, cum tamen a radiis circumiectis, propter sui parvitatem, tota fuerit absor- benda. Extra Solem, ergo, vagantur corpora ista umbrifora, voi ex hoc etiam phaenomeno non infrequenti, iuxta notabile 8. De Macula |i. Multa habet haec macula insignite peculiaria, mule brevissime percurronda censeo. 1. Ortum et occasum subiit, in ipsa propemodum circumferentia Solis, figura lineolae cuiusdam tenuissimae nigerrimae, ncque plus albieantis a Sole spatii in¬ so ter so Solemque faciens, quam quantam ipsa ostendit oculo crassitiem, quae gra- cilitatem litterae l italicae pictae vix adaequabat : quinetiam dum occideret, su¬ periore sui parte, bora tertia vespertina 11 Ianuarii, peripheriam Solis attigit, inferiore vero in Solem nonnihil intravit. Ex qua ortus et occasus observatione, 2. habetur satis insta maculae liuius sub Sole mora, dies videlicet 13: nani spatio isti tenuissimo, in ortu et occasu relieto, aliquid est tribuendum, et, si multum tribuamus, dabimus dies 14. 3. Scnsibilitcr crevit ab ortu usque in medium, id est ad diem 4 Ianuarii; et a 5 Ianuarii eodem modo decrcvit, ad occubitum usque. v. 7 52 APELL1S LATENTIS POST TAMJLAM 4. Figura eius fuit in principio recta tenuissimaque lineola, cui ad medium usque Solis sensim acero vit in doxtra parto gibbus, a minimo circuii segmento paulatim excrescens in plenum scmicirculum eoque atnplius; a medio vero sui curricolo pedetentim defecit parlo sui doxtra in segmenta scmicirculo minora, diametro ad sinistram angulum quasi quendam rectilineum adiiciens; donec circa exitum in lineasi rursus quodani modo, superne crassiusculam et voluti capita- tara, clavae alicuius instar, evasit. lindo novum liabeas indicium, ferri haec phae- nomena circa Solem ; alias angularis ilio gibbus sinister linde emersisset ! 5. Nigredo ipsius omnium hactenus visarum macularum (sola macula b cxccpta) umbras aliarli in macularum multimi antecessi t; inule coniicimus, eam io admodum crassam et densam fuisse. G. In medio tanicn sui cursus dilutiori fuit albore, quam extra; quod ideo acculerò demonstratum est, quia directiores ibidem radii a Sole immissi tran¬ sitimi nonnullum ad visum nostrum reperire potucrint. E quo suspiceris, liaec corpora non penitus esse àSidqpava, sed crassitudino illorum potissimum radiorum otlicere transitioni. 7. Perimetcr ipsius, in medio praesertiiu, floccis tenuissimis crcberrimis un- dique asperatus albuit. 8. A macula v aeque in extreraitatibus ab fuit, plus ab eadem in medio distitit. 20 9. Ilactenus conspectorum istorimi corporum istud apparuit maximum. Dia- mctor etiam eius visuali» est in proportione suboctodecupla, ut plurimum, ad diametrum Solis visualem; un- de, si veruni est quod scribit Keplerus in suo Sub Sole Mer¬ curio, necessc est liane maculam Mercurio multo maiorem esse, cum in charta per forameli a Sole immisso collustrata maio- reni etiam ostenderit propor- 30 tionemad suum cliscum. Accedit quod, Soli vicina, multo maioro dimidii sui parte sit irradiata; nude cani Veneri acquare non reformido. Et ut rem oculis cer- nas, Mercurius Ivepleri retulit proportionem in Solis inversa imagine inferiorem K, nostra vero macula superiorem p, quam clarissime visendam exbibuit N. mihi et aliis, acccpmuisque eius diametrum circino, studio, minorcni debito; nani si ut sese io ÀCCURATIOR DISQUISITILO. 53 umbra oxcrobat accopissemus, essct ca in Solis diametro dccies et quater. Capo bine novum argumcntum, maculas hasce non esse voi praestigias oculorum voi liulificationem tubi eiusvc vitrorum, cuin sino tubo vidcantur in diaria. 10 . Sola seni per mansi t, practer morem aliarum mngnarum, quae soso baetonus coni ni un iter in plurcs umbras exsinuarunt, uti observationuin iconismi cdocent. In medio tamen nonnullam deorsum cmululam misit, et circa exitum, !) lamia rii, noscio quid appendicis, sinistra inferiore sui parte, monstravit. Mota est aequidistanter cclipticae. At enim de motu istorimi phacnomenon, utpoto cardine principe, enucleatiora multo suo tempore proferam, Deo ita et Musis mi- 10 norumque gcntium Diis faventibus. Quod si umbrarum liarum delineatio in ebarta ad unguem non respondet, oculis meis et manui tribuatur. CONSECTÀRIÀ. Ex hactenus disputatis, non improbabilem quis existimet asperam Galilaei Lunain, cimi plcracque hoc prae se ferant maculae. Sententiam quoque illam, voi iocosam vcl soriani, de Iovis Veneris Saturni Lunaeque incolis facile respuat, cum absurdiim sii., eos in bis tot corporibus reponere. Terrae vero splendorem rellexum aliquem non gravate concedili, nani sidera ista soiaria haoc omnia sua- dent; quemadmodum et illud innuunt, splendorem illuni in Luna, cclipsis tempore visum, esse radios Solis Lunam subobscure penetraiit.es; quod mini usseri fortassis 20 non etiam possit de luce Lunae novae secumlaria, dubium merito fuerit: stellas ctiam non improbabiliter variaruni esse figurar uni, rotundas auteni apparerò propter lumen et distantiam, sieut experimur in candela accensa, cuius fiamma einimis conspecta sphaerica videtur, cominus pyramidalis sive conica. riuribus modo lubens supersedeo: liaec etiam arbitror uteunque satisfactura ' lectori intelligenti. Nani, cum duplex aeinuloriim sii gcnus, alterum corum qui, cum non possint ipsi praeclare quidquam praestare, pracclara quaeque quomo- (locunque carpimi, il Ioni m alterum qui, cum possint sed non fecerint, inox, ut alios insigne quid tentasse animadvertunt, advolant ipsi et involant, ut aliena rapiant; utrosque ali opere nostro arceo hac epistola. Primi enim priora non 30 arguent, si hoc supplemento pleraque perfecta coment; postremi non hacc sibi arrogabunt, si pleraque dicenda dieta, et pleraque obiicienda solata, spcctabunt. Undc, cum pbaenomcnon hoc multo maius quam quispiam facile suspicetur, qne- madmodum progressu ipso intelliges et iam, nisi fallor, mente sagacissima prae- cipis, sit futurum, cuiquo (iudicio meo et pace tamen aliorum) par ostensum sit millum, ncque fortassis etiam ostendendiim ; maturavi has ad tc literas, longo iam tempore coctas, pràesertim quoad priora, ut eas, uti priores, cedro illi- nas, et lume qualem Germaniae nostrae tuaeque Augusiae gloriam serves il- libatam: quod timi fieri confido posse, si editio diutius nequaquam ditterà tur. 54 APELLTS LATE N TI S POST TABULA»! Paria aut maiora bis propediom amo habobis. Ilaec quanta sint, et quo tcndant, una mecum animacivertis; lindo timeo, nisi antevcrtas, c manibus ea nostris paone cxtortum iri : viso enim tanto rei huiusce cxitu, matliematici non crii ut se con- tineant; continobunt autem, si tanto a nobis relictos intervallo scmot perpende- rint ; et sic voi sua et propria proinent, voi certe aliena non avrogabunt. Quod probiberc penes te est totum. Faxit Deus, ut, sicut baco coepinms, ita in glorimi! nominis sui feliciter prosequamur finiainusquc. Vale, vir amplissime, literatorum Moccenas munificentissime. 1G Ianuarii 1012. Solent in magnatum convivia inferri missus non esiles solum, sed spcctabilcs io etiam, qui pascant non ventrem, sed oculos delectent, exhilarent mentem. Ego non ita pridem, uti nosti, Superum divis accumbero mensis admissus, admiramla vidi multa apponi fercula, terris hactenus invisa; gustavi multa liucusque mor- talibus nequaquam concessa, cumquo sapore et aspectu eorum mirifiee caperei*, etiam te eorundem participem esso volui; tu, alios. Proximo elapsis diebus, so- litis deliciatus epulis, ecce tibi, niliil opinanti, magnus quidam regine illius cae- lestis aulicus, Iupiter inquam, novi quid nobis apposuit, quod ego spcctandum tibi pariter niitto : ita etiam me rapait, ut ordinarne obscrvationum dcscriptioni interruptae hanc interiiciendam esse censuerim ; quod utrum recto sit factum, tuo iudicio relinquo. 20 NòTAE. A, stella lovis ; BC, linea eclipticae parallela; reliquae literae, reliquas stellas ad lovem visas insigniunt, in ca quam referunt a love distantia, et ad se ma- gnitudinis proportione, itemque ad oculum e Terra illas conspicientem optico prospectu, bora denotata: B punctum orientale, C occidentale, 1, 2, 3 et reliqui sopra inscripti numeri septentrionem occupant; illis opposita inferior pars au¬ si rum respici t. Observationes omnes sunt factae studio summo, Coelo serenissimo semper, tum cum observatum est, et obscurissimo plerumqiie, in absentia vidciicet Lumie, tubis vero variis et excellcntissimis, quorum uno mediorem bactenus ad stellas Ioviales 30 non vidi. Inspcxerunt stellas easdem etiam alii. Uaoc co disputo, uti apparentiis istis sua constet fides. Circulo comprehendi singulas observationes, ut quae stellae ad quam pertinerent, sino confusione spoctaretur. His igitur ita stabilitis, cum stellulas in linea T> C existontes Ioviales, et non fixas, esse certum sit, de sola inferiore stellula E controvertatur, erratica ne sit ad lovem, an stabilita ACCURATI Oli 1MSQU1SITIO. 55 in firmamento. Postorius hoc ego putabam aliquot diebus, ol> quam otiam rem adscripsoram illi in observationibus < fixa»; at vero si prima mediis, media po- slrcmis conferò, associala Iovis agnoscere bis indiciis cogor. Primus illius contuitus milii obtigit 30 Martii; quo tempore stcllae D longi- tudo a love fuit fi' voluti jo minutoruin, quanta fuit la- titiulo australis stellac E, cuius longitudo a love fuit minutorum ferme 8'. Ulti- mus illius aspectus accidit 8 Aprilis die (nani sequen- tibus diebus, otiam diligen¬ tissime quacsita, visa ultc- rius non est, tametsi aliae stellulae Iovialcs vel mini¬ lo mae comparorent, coelumque et reliqmi omnia faverent), quo tempore latitudo stel¬ lulae li australis fuit eadem quae dio 30 Martii, at vero longitudo ad lovem quasi nulla; centra otiam tam Iovis A quam stcllae Ii concurrisse videntur 8 Aprilis in candom A E pcrpcndicularcm ad rectam BC. Igitur a dio Martii 30 ad 8 Aprilis inclusive, ad coniunctionem usque Iovis et stcllae liuius E, consumpta sunt mi¬ nuta 8'. Iupiter autem, bis ipsis decem diebus, a 30 nimirum Martii ad 8 Aprilis, processit contra signorum consequcntiam ab orto in occasum minutis minimum 14'. Impossibile ergo est ut stella E fuerit fixa: alias 8 Aprilis non fuisset coniuncta levi lateraliter, sed ab eodem porro rotrusa essefc in punctum 1 versus or turo ; hoc autemfactum non est; igitur ncque fixa est: erratica ergo est ad lovem. so Cumque 30 Martii angulus ADE, a love, stella I) et E repraesentatus, fuerit maior recto usque ad 5 Aprilis, et ex ilio tempore seinper minor recto, conse- quens est, motuin stellac E apparcntem velociorem fuisse motti stcllae D. Et baco est ratio una, quae bue me impuliti accipe alterarci, non minus efficacem. Stellac fixac eacdeni semper apparent, coclo sereno et obscuris noctibus, et lucis claritudine et magnitudine molis. At ista stcllula E, cum 30 Martii se nobis praeberet visondam et lueentissimam et maximam per tubimi (utpote tantani, quanta est liberae oculorum aciei stella quaelibet lionoris primi, et quanta liacte- nus quaevis conspecta est stella Iovialis), sensim tamen succedentibus diebus in utrisque defecit, ita ut reliquas stellulas Iovis, quibus ante par fuerat, desereret; 4 o donec tandem vel minimis inferior, 8 Aprilis, per tubum praestantissimum aeger- 56 ÀPELLIS LATENTIS POST TÀBULAM r i m e, cacio licet sudissimo, ultimumque visa est, cum tamen diebus primis suao apparitionis tubis etiam debilioribus semet ingereret luculentam satis et corpu- lcntam ; post 8 autem Aprilis ad lume usque diem, quo hacc scribo, conspici pe- nitus desierit, cum tamen aliae scse stellulae Ioviales, lucis et corporis multo (piani potiebatuv stella E minoris, nobis passim obtruderent. Stella, ergo, firmamenti hoc sidus non est; cur enim modo non amplius apparet? Imo si stella firmamenti est, 21 Aprilis apparebit in eodem ad Iovcm sita, quo apparilit die 30 Martii, cum lupi ter iam sit directus. In firmamento itaque stella baco non est: mule conso¬ nimi est, Iovis iliani esse comitem, eamque lateralcm. Habemus itaque novum mine et quintum Iovis lateronom, quom ego tibi fa- io miliaequo tuae dicatum et donatimi voiuerim; cumque 30 et 31 Martii, item- que 1, 6 et 8 Aprilis, luculenter fulserint quatuor alii Iovis planetae, negari nequit, lume simili allucentem quinarium aulicorum istorimi numerum explevisse. Habemus etiam, ministros hosce dominum suum ad latus etiam circumstaro, non secus atque satellites sui Solem circumcursant. Quod si stella haec suum circa Iovcm curriculum uniformiter perfieit, Decesso erit ut suo tempore revi- deatur: nani, licet Iupiter semper hactenus ascemlat a nobis ìmiltumque mi- nuatur, ncscio tamen an aspectus huins stellae post dics 10 aut 18 non sit red- diturus, cum versari deberot tum in semicirculi sui parto inferiore. Quod si minquam redibit (quod nonniliil vereor, et rcliqui Iovis asseclae utcmique insi- 20 nuant, cum repente quidam appareant, repente alii evanescant, ad cum foro modum quo umbrae in Sole), quid de bis stcllulis statuainus, dilliculter equidem auimadverto. Molimi etiam carimi ordinatum promere ex apparitionum observa- tionibus, quas multas, et meas et aliorum, casque satis exactas babeo, ego arduum existimo, si non etiam impossibile. Itaque non frustra in editis Maculis Solaribus dixi, eandem vidcri rationem et niacularum Solis et stellarum Iovis : sicut etiam aliae et aliao hactenus semper maculac siili succedimi, ita viilentur et stellae Iovis. Quo ergo, inquis, abeunt? undo vernimi? Hoc opus, hic labor est, et hic iubet modo Plato quiescere. Hac enim in tanta re praecipitare scntentiam merito formido: veritatem tamen brevi emendali! non despero, 'fu interim hoc tuo sidere 30 arradiare, et, si potest (ieri, a morbo levare, ut Reipublicae tuae nobisque din luccas incolumis: Apelles miteni tiius tibi soli notus, aliis ignotus luceat. 14 Aprilis 1612. ÀCCtTRÀTIOR DTSQUISITIO. 57 Varie a variis sentitur de maculis solaribus in tabula Apollea a me depictis. Sun t nonnulli, qui adhuc de rei substantia ambigant, et illudi ab oculis, vi tris, aereve inleriecto, formident: plcrique, hoc posito timore, capite relieto membra truncant; alias cnim parallaxin animadverti posso vd non posse negat, alias inacuhis inesse Soli contendit, alias sempcr subessc, alias splendorem illi» adimit, nigrorem alius atque densitatem; noe desunt qui graoilitatem ingrcssis et inox egressuris adimant; motam etiam sub ingrassimi cgrcssunique tardiorem, in medio miteni celorioreni, qui infieietur non deest. Deniqne nil ferme dietimi, quod non ab alitino sit impugnalum. Ego, ut et mihi et tibi et rei veritati omnibnsque, si fieri io potest, satisfaciam, ad omnia obiceta respondebo, brevissime tamen, bac epistola. Alquc, ut ab illusionibus incipiam, omnis quae in usu tubi olitici (quem, ut in Solcm dirigitur, hclioscopium band inepte quis indissi tot) fallacia contingere potest, aut ab oculo, aut a vitris, aut ab eo tpiod est tubimi inter Solcmque cor- pore transpicuo, proveniat oportot. Spectriun igitur, quod oculus in Solem intro- ducore vidotur, apparet modo aranca in centro telarmi! suanim pendola, modo musca, modo subnigra, per integrimi Solcm transversum iluitans et inaequaliter lata, deorsumquo pniesertim lacerata, zona, modo nubccula subumbrosa, modo aliac aliaeque 20 guttulae nonnihil ad nigredinein vergentes: quae omnia in appositis ccrnuntur liguris. In A liabes arancas et muscas, in B zonas undantes, in C nubcculas, in D stillas. Et liaec omnia subinde in Sole apparcnt pur¬ gatissimo per tubimi excellentissimuin : et ab oculi solius lmmore aqueo agitato prove¬ nire inde manifestimi est, quod ciusmodi phantasmata frequenter obiiciantur iis qui sunt oculis lmmidioribus, aut qui sicciore 30 fruuntur visu, ut plurimuni post mensam; deinde, quod alia oculus d ex ter, alia sinister, eodem etiam tempore, per hclioscopium idem referat; quod saepe niliil, nisi purum Solem et quae sub eo visuntur, unus referat oculus, dum alter ista monstra obtrudit; quod alius homo eodem tempore et tubo liaec videat, alias non ; quod idem homo spatio unius vcl duorum primorum minutoruni, plus minus, liaec eadem aut ovanescere, aut locum in Sole, caeteris omnibus invariati», io commutare, sentii; quod visa liaec omnia plenlmque abigantur aut forti cibo- 58 APELLTS latektis post tàbulam rum clausu, aut oculi hallucinantis pcrfrictione ; quod liaec omnia tandem, si in Sole compareant, tubo translato in atiud obiectum quodcunque vel lucidum voi illustratum nobisque vicinimi et probe cognitum, similiter videantur etiam in eodem, dummodo oculum dictis modis non cmendaverinuis ante. Et liaec phaenomena quiclem Indierà non ego tantum experior frequentissime, sed et omnes alii iuxta mecum, qui consuetudinem instnunenti liuius vel exilem sunt nacti. Ulule qui deceptionis liuius ignari sunt, facile Soli aflingant quod oculis illorum inest; et quia liaec oculorum ludibria in dies, quin etiam lioras et mo- nienta ferme, sunt mutationi obnoxia, facile quod in Sole stabiliter inesse ap- paret, visus inconstantiae ipsi adscribant. Quo ex fonte illinl lluxissc arbitro! 1 , io quod iam olim literis tuis significasti, ut in Italia alicubi conspiccretur Sol lineis quibusdam nigris quasi perpendicularibus sectus. Et no quis ambigat, apparen- tias liasce a solo plerumque oculo, non autem a vitris simili aut aere, prolectas esse, ecce tibi: noete obscura experieris liaec omnia in satis magna ad candelaia vel incornami ardentem distantia, in qua eodem tempore, sivo per tubum eumdem sive etiam absque ullo tubo, videbis alia oculo dextro (nani rarissime accidit, ut ambo oculi in idem repracscntandum conspirent), alia sinistro, alia utrisque apcr- tis, alia alterutro tantum, alia tu, alia alias; omnes tamen omnium et singulorum oculi videbunt aut arancas quodammodo nigras, aut fluctuantcs transversim fu» morum in medio igne zonas, aut ncbulas nubeculasvo visum hebetantes, aut 20 guttulas crebras lucem in varia dirimente»: non secus atque per tubum liaec eadem oculus in Sole contemplatur, cimi tamen insint ipsiniet oculo, uti declara- tum est satis. Alter tubi optici error causatur a vitris. Aut enim spliaericae rotunditatis non sunt, et figuram obiecti adulterant : aut ad sullicientem perpolitionem non ad- ducta, et iiubeculas vel aequaliter sparsas ncbulas inducimt, propterea quod spc- cies pyramidis opticae, ab obiecto in vitrum asporum incidens, aut transitimi non inveniat, aut ordinem certe perturbet, ideoque confusioncm in oculo pariat : aut unclis bullisvc sunt infccta, quorum prius vitium in ipsum obiectum adeo redundat, ut quod est in vitro oculus piane siili persiuuleat esse in obiecto, poste- so rius autem bullaruni obstacuhim in contraria peccat : vel enim bullae perspicuae sunt totae, vel non; si primum, effundunt singulao singulos quodammodo visui soles; si sccundimi, singulao singulos veluti carbones oculis ingerunt, idque non nisi per speciei iiiversionem, ut quae bullae sunt in dextra vitri parte, appareant oculo esse in sinistro vitri eiusdem latore. Sed liaec melius in sebematis intelli- gentur, ubi E monstrat undantes vitri tractus, qui totani inficiunt obiecti speciem; quod patet, si Solem per simile vitrum in murimi levem vel transmittas, vel a simili vitro in emulimi rcflectas; etenini tota Solis imago istis tractibus fluctuabit. Haud aliter accidit in oculo, quando per tale vitrum participat rei visae simtila- crura: ex quo etiam rationem róddamus, cui* ab aqua mota res non tam liquide 40 ÀCCURÀTIOR disquisita). reflccfcantur atqilo a quieta. Figura F cxhibet bullarum opacarum ‘ effectus, qui a gultis in oculo decidentibus ot aranearum simulacliris in circuii» A et 1) supc- rioribus cxpressis parimi absunt, nisi quoti illa spcctra facile abigantur, haec autem bullis durantilms nunquam. In vitro G apparent bullac tralucidae; dif- fundunt enim singulae instar Solis parvi radios, et lì quidam visionem multimi remoranlur. Ilacc autem peccata a vitris co inni itti, argumcnto sunt sequentia. Elimini codimi tempore audio unius liominis, aut etiam diversorum hominum, oculi vicissim adliibiti, in vitia cadcm piane incurrunt; aut unus vel ambo quo- rumvis oculi tempore quocunquo in tubuin istum ad in issi in eaclem rursus vitia io impinguii!, et eodem vel diverso tempore, si vi tra ista e tulio amovcantur inque locuiiì alia insorantur, non amplius cerncntur quao prius. Praeterea, si vitiosa ista vitra in tulio gyrenlur, circumngcntur una cimi ipsis, servato interim ordino nu¬ mero et sita et magnitudine, praedicta phantasmata. Amplius, tubila a Sole qua- quaversum alio, etiam in purgatissimi™ aethera, directus, secum defert istas apparitiones; quod mirabilitis, si tubimi in fencstram habitaculi tui ante te po¬ stami, aut sub dio in candidimi parietem proxinuim, obtendas, voi chartam albis- simam eidom obvertas; intueberis tanien niliilominus haec phacnomena omnia, ut prius. Quao satis suporquo convincunt, ea nec ab aspectata re nec ab aere noe ab oculo, sed a vitris, exoriri. Et ut ccrtus ossem, utrum hanc pliantasiam 20 bullae lcntium vitrearum clHcercnt, allevi iuxta nonnullas et sopra aliquas frustilla cerati; et sic inveni alias a suporlita cera penitus occupari, alias cimi eadem iuxta se posita cera ostensa consueta obtrudere: in quo illa mirifìcentissima mihi sunt visa, quoti bullac, alias ita exiles ut aspectuin ferme eflugerint, visae sunt re le ito magna sano carbonu in frusta ; et hoc evenit ob vicinitatem bullae ad oculum, qui cani idcirco sub maioro augulo hausit, tam ob huinoris aquei quam vitrei factam refractionem : in superficie enim sui convoxa anteriore, antequam scusai io eliciatur, refractio spcciei immissae angustas radiationes propter con- vexitatem humorum dilatat, et sic angulus visionis maior rem, alias parvam, valde amplam praebet conspiciendam. Ex quo obiter colligo duo: alterimi, fieri posse co ut rcs in oculo repraescntetur maior multo quam sit ipsa; alterimi, uccidere posse ut oculus percipiat obiectuiu etiam suae tunicae cornac contiguum, cimi bullac istao sint cicloni vicinissimae. Imo vero, huius ipsius rei veritatem ut adi- piscerer, admoto ad oculum tubo, secundum morem, inconniventique eidem (quod fieri potest) immisi levcm calamum, eumque ad tunicam corneam bine inde leniter adinotum traxi, et constantissime vidi. Ex qua experientia certissima, veruni alias Aristotclis dictum, sensibile supra sensum positum non facere sensationem, explicandum est in oculo, si totum occupet ; sic enim lucem omnem ad videndum nccessariam excludit, ut patet in ciliis; aut certe locutus esse dicendus est de ea sensatione quae fit et fiori solet ordinario cum mentis advertentia; plurima 40 enim sentimus, quae tamen non advertimus ncque advertere possuiniis, propter v. 8 ('.0 ÀPELLIS LATENTI3 POST TABULAM sensibile maius, a quo minus in genero ilio ut seutiatm prohibotur. ( uni enim bullarum istarum aspectus, Quom priore amplius mirabar, contingat scnmduin speciei inversionem, ita ut pustulae in vitro concavo superna© videantur infra, et quae sunt in sinistra dextram occupont visae partem; iìt ut specie* Imo in se sint valilo debiles, et quia invertuntur, et quia rarae sunt, propteroa quod lati- tudinem obiecti, a quo promanante excedant, et quia lumino debilissimo utuntur. E quibus rationem do, cur ea quao ab oculo remotiora sunt, vicinissima ista ne advertantur supprimant: illa enim radios directiores, collectiores, lucidiores im- mittunt, baco omnia debiliora. Sed et hoc ipsum oculorum experiinontuin oculis tuis subiicoro placet. In figura enim adiecta sit vitrum concavuin A, cui oppositus io oculus B vidcat duas in concavo bullas, C sinistram in vitro, I) dextram in codoni; itaque sinistra bullaC incidet in E, dextram humoriB cristallini partem, et D in F, ciusdem bumoris partem sinistram, propter G et II inversionuin puneta. Et cum di¬ stantia GC sit minor quam (1 E, idcirco necesse est, basin coni optici GE maiorem esso basi coni GC, idooque bullain (' in E visam maiorem multo apparerò quam sit in C. Sed de bis cxactius alias. Ad liane porro e vitris ortam fallaciam revoco et istud spcctaculum, quod c vitris indebito a se distantibus enascitur. so Aut enim nimium dilata Solem in radios, eosque varii coloris, disposcunt, aut contracta nimis eundem in nube» coudensant; quae ambo considoros in allatis schematis, in quorum altero A refertur Sol nimium ampliatus, in altero B nimis arctatus inque mibcs candicantcs inaequaliterque terminatas compactus: ex quo illud iluxisse arbitror, ut non neino in Solo non con to¬ ni nend am adverterit aspcritatem; do qua taraen otiarn palilo post. Ex iisdom fontiluis quidam in Nodo suo Gordin, mala et praecoci nimis, imo imperita, experientia, qua Iovis sidus in faculam trisulcam accendit, negavit stellas Ioviules. oo Tertium circa maculas erratum inducere potest niodii intcr nos et Solem positi varia temperies; de quo tamen quid con- querar singulariter, non Imbeo. In duobus autem vini suam exerit, aliam quidem in colorando Solo et maculis, aliam in oodem voi exaspe- rando, yoI ibis tremefaciendis. Ktenim nubes tenues maculis nigrorem migent, vapores lenti Solis lucem in colorem deducunt, iidem densi et viscosi eundem nubi candidissima© in perimetro non munditer praecise assimilant, iidem puri sed agitati eundem in peripheria multifariam exasperant; quod in causa potia- simum fuit, ut Solis ambitus nonnullis etiam lacunosus videretur. Sed hoc a solis interiectis vaporibus in Solem introduci certum est ex oo, quod oodem 40 ACCURATIOR DISQU181TI0. 61 tempore disci Solaris terminus, ubi fissus apparebat, inox redintcgvetur, ubi in- teger, inox scindatur, idquo vicissitudinaria fluctuatione, donec aut vapores illi quiescant, aut Sol versus altitudiuem moridianam ex illis emergat; tum etiam stallili perfectissimaque rotunilitate nitct. Figura autem Solis in ambitu suo va¬ cillanti offertili* littera C. Itoliqua prioribus multum sunt aflinia. Inquies autem istorum vaporum in ipsas frequonter etiam maculas resultat: nani et ipsae non raro ebulliunt quodammodo in suo loco, tremunt, et nescio quam nutationem vibrant; sed lineo omnia subiectorum vaporimi malitia contingunt. Et haeo quidem sunt, quae lniius celeberrimi phaenomeni claritatem obscurare, io veritatem labefactare, sanitatem inficerc queant: at ego ex ipsis unibris lucem, ex erroribus scientiam, medicinam confido e veneno. Scorpius etiam iste, etsi nonnihil feriendo videatur laedere, compressus tamen fortiter oleum exsudat, quo vulnus factum clemontcr sanat. Ago ergo, larvas demamus primum portenti isti: talia vitra adliibeamus, quae vitiis dictis careant; oculos diligenter lustremus; tubum illis debite applicemus, tubimi, inquam, numeris suis absolutum ; Solem purgato coelo in illos admittamus: dico, in hoc casti quidquid umbrarum sese offerat, futuras non umbras, sed vera corpora periholiaca, co quod nullam earum subeant conditionum, quas circa ludificationcs retuli, sed sub Sole quotidie sensim ab ortu in occasum, in plano vel eclipticae voi eclipticae parallelo, transeant, 20 contra signorum ordinem; sub Sole inquam, nam in scmicirculo supcriore mo- ventur supra Solem ab occasu in ortum, secundum signorum consequentiam. Et hoc argumentum irrefragabile est. Sed vicissim astringamus visi isti, astronomo glaucomata nescio quae obiicientibus, larvas pressius, et oleum mox salutare eli- ciemus. Etenim delieta aeris maculas solares aut penitus non attingunt, aut omnino aspectui tollunt; ut sic acris vitia nequeant dici maculae. Àpertio vero tubi aut nimia aut nimis parva maculas pariter conspectui adimit; ut etiam ex hoc capito illis periculi niliil immineat. Solao bullae, solae vitrorum arenulae, solac stillarum ex oculo fluitantium aranulae maculas ipsissimas mentiuntur; nam qui hasce muscas una cum maculis cernat, is neutiquam discernat, nisi prioribus ao adliibitis versationis translationis compressioni remediis: et hoc e compresso scorpione oleum vulncratum oculum sanat, mendacium a vero separat. Maculae etiam solares semper et sub solo Sole stabiios, reliquae quaquaversum rotatiles et in omnem locum tralaticiae, spectabuntur. Et hoc argumentum irrefragabile est. E quo noveri iudicare non neino, quid sit illud quod vidit in aere purissimo nigrorum corpusculorum, cum tamen vel ipso teste ea in acre non inessent : in- sunt autem vel oculo, vel vitris. Iam si ostondero, maculas Solares etiam vkleri sine ullo tubo, oculo hominis cuiusvis, quid opponet, quisquis opponit, ut non imponat? Certe nec oculus, nec vitra, nec aer poterunt culpari. Accipe, ergo. Sol per forameli rotundum, liuius 40 circitcr amplitudini — Q— aut paulo maioris, immissus perpendiculariter in oliar- 62 APELLIS LATENTIS POST TABU LA M La in niundam aut aliud planimi album, et so et omnia sul) so corpora ista ostenti it in proportione distantia et situ et numero quom scrvant tam ad se quam ad Solem; et hoc modo obscrvationes quamplurimas poregi, maculas ostcndi qui- busvis volcntibus, quao tam magnao tam densa© tam nigrae quandoque fuorunt, ut per nubos etiam crassas valde transparcrent. Et hoc argumentum «inni fraudis suspicione vacuum est. Nec opus est, ut multi non recto opinaiitur, locum adoo tenebricosum esse: ego enim ista observo in locis talibus, in quibus et scriboro possem et legere. Distantia magna ab inversionis forammo multimi vaici. Rursus, si speculimi tersimi Soli obtondas, inque parictein miindum chartamquo debile distantem speciem Solis a speculo refloctas, videbis maculas Solis, numero ordine io et magnitudine tam ad se quam ad Solem. Et lume observandi modum, din frustra quaesitum, accepi ab optimo quodam amico meo. Quao maculas iiulagandi ratio ornili etiam prorsus errai idi labe caret. Tandem, praeter experientiam, praeter rationum momonta, tam hic quam su- perioribus literis prolata, aecedit virorum hoc aovo doctissimorum adstipulatio: quorum alii auriti sunt testes huius phaenomeni, alii oculati. Àuritorum, id est corum qui aures in Solis arcana erigere quam oculos dirigerò nialunt, tot sunt, ut sua auctoritate pertinacem quemlibet flectcre merito debercnt et ab errore suo doducere: quorum quidem praestantissimorum virorum sententiam et nomina per te nactus, non ingrata, arbitror, memoria refricabo. Ipsam igitur phaenomeni 20 huius substantiam liaud invitis animis admiserunt in Italia huius uovi lumina: Itc- verendissimus et lilustrissiinus Cardinalis Borromacus, Archicpiscopus Mediolanen- sis ; Andreas Chioccus, medicus Veronensis; celeborrimus et suo iarn splendescens iubare, Ioannes Antonius Maginus; admodum Itovercndus Angelus Grillila ; Octavius Brentonus, Leonardus Canonicus, et quidam alii, nomino mihi incogniti: Mogun- tiae, Ioannes Reinhardus Zieglor, Societatis Iesu rector: in Belgio, doctissimus vir Simon Stevinius: in Bohemia, Ioannes Iveplcrus, Caesareus mathematicus: in Germania nostra, Ioannes Praetorius, professor mine Alterili, olim a mathosi imperatori Maximiliano, quemadmoduiu c relatione fide digna habeo; Ioannes Georgius Brengger, doctor medicinae Kaiillburnae, et alii quampluriiui, nunc non va ) co in memorandi. Et hi quidem omnes, licet in senteatiis varient, tum intor so tum a me discrepent, in 00 tamen, quod est caput, nimirum experientiam liane in re existere, et non cani esse vel vitri voi oculi ludilìcationcm, libonter conso- nant, tametsi oculis suismet nunquam usurparint; sapienti* scilicet esse probo perspicui ut, id quod cimi ratione asseritili’, non osso temeraria persuasione refcl- lenduni, sed maturitato iudicii prudenter pensitamluin. Ad illosnunc me conferò, qui cade 111 non assensi! tantum, sed ot sensu, conipro- barunt suo : quorum Italia sat multos dedit. Etenini Christopliorus Gruenberger, Societatis Icsu, insignis mathematicus, eas videro coepit 2 Pebruarii, in feste B. Virginis Purificationis. Sed et Paulus Guldcn , itidem Romao, eiusdem Societatis 40 ACCURAT10R DISQUI8ITIO. G3 mathomaticus nobili», a 18 Martii usque ad 22 eiusdem, in Sole inaculas obser- vavit: quarum obscrvationum maculae, quia animadversiones dignas comprclien- dunt, sunt altius rcpeteiulae; et quia omnes absolutae sunt per forameli inversionis, idcirco tenendum illaruin figurarci et sitnm atque amplitudinem taleni esse, quali» sufiìciat ad multa indo eoncluderula. A die igitur 18 inensis Martii usque ad 4 Apri- lis, isti fuerunt Solis aspectus. llas observationcs apponere rcecessarium visuvn est, ut et tu videas, quam censorem minime tinieam, curii vix ambigam liorum dierum animadversiones ab aliis factas, et Paulus Gulden perspiciat, quam ille mecum, quam ego cum ilio io concordem, quod accidissc ad unguem arbitror; deinde, quia omnia ferme quae in bisce phaenomenis contingiuit miracula, bornia dierum curri culo sunt ostensa. Mଠcula quippe a, decimo sexto Martii a me et doctissiino quodam viro, professore matlicmatico romano, tam tubo quam sine tubo conspecta, Iovcm ilio tempore maximum acquavit diametro: sed sensim et magnitudine et figura defecit; bifida enim visa est 18 Martii et 10, at trilida20; tum ad simplicitatem sese reduxit, donec post 23 conspici desiit. Sed ex hoc apparitene non continuo inferro audeo, 64 APELLIS LATENTI8 POST TABULAM baec corpuscula, imo ingciitia corpora, voi augori et niinui re ipsa, vel nasci pe- nitus ot donasci, cum eadem macula a vigesimo sccundo Martii soso holioscopio subtraxerit, stiterit donuo vigesimo tortio ; at vero f post duuiii dierum occul- tationem roddiderit semet 24 Martii, parva alias et ignobili» umbra. Quao rea cum alias saope accidat etiani in niiniinis et tonuissimis eiusmodi corpuftculis, quemadmodum, si oporteret, prodere possimi horani diem et mensoin, auspicali cogor, contro quam multi opinantur, corpora ista vix nasci et interini posse; sed eiusmodi epiphanias, aphanias, anaphanias, aspcctuumquo reciprocationos, evenire propter alias causas, referendas in niotum, in raritatem et dcnsitatcìn, sitimi ad Solem, illuminationom reciprocali!, medii accodontis varietatem, figuram deniquo io propriam: quae tamen ita omnia dixerim, non ut a sententia hac in aliam abiro non velini aut non possim, si ipsa rei veritas in aliam nos deduxerit; usitatiora autem sequiinur hactenus, et a philosophis magia recepta. Kadem porro ma¬ cula a 17 Martii tum a diete professore rcvisa est, tum etiam a quodnm alio doctissimo viro conspecta, cviius magnani chronologiain propeiliem, uti spero, vi- dobimus; tum donsae porro nigroclinis spociem nobis infudit, uti, cura Solis circulo in cliartam proiecto, ipsa per tales nubes quae solarem (liscimi penitus fermo obfuscabant (quoti in adiecta cernis figura), tamen nigerrima transitimi ad oculum © iuvenerit: tcnebrosior, ergo, orat nubibus; minus enim tenebro- suin per maius liaudquaquam transparot, uti ncque tela toiiuis ao per crassum aliquom saccuin, licct saceus per telimi ad oculum pervadati. IIoc idem praestitit, et amplius multo, macula e; hoc idem eflìciunt pleraeque maiores in hodiernum uaque diojn : rea solimi animadversione indiget, habeoque liuius rei tea tea oculatoa quamplurimos. E macula insuper g et h colligaa difformitatem ino tua: macula enim g ingressa est Solem 20 Martii, quia et ante hunc, aeil viaa non est ; at vero marnine h introitus accidit Martii 28; egressus vero ulriusquo videtur fuisso simili, l seilicet Aprilis. Quid indo fiat, fucilo viiles : has videlicet umbras in Solo non inesao, nisi Solem mari mutabiliorem velis stntucre. Nam cum macula e sub Solo incesaerit \ V ^ ^ minimum duodecim integros dica, at vero g summum undecim, h ut plurimum 30 novem, impossibile est ut insint Soli etiam rotato, non tamen plurimum sccundum quasdam sui partes corrupto. Sicut autem macula a et / ante exitum ilefecit, ita maculae tres l et duac in cum quadam alia in principio non sunt visue. Motua tarditatem in ingressu et exitu, celeritatem in medio, qucmadniodum et meta- morphosin, diacas c plcrisque, potissimum autem ox c macula, quae ab ingressu suo nonnihil auxit per uliquot dies, sed postea aensini inagnitudinem amisit, gra- cilitatem utrinque, uti adpicta est, ostendit. Nam lino observationea fero oinnes exceptae non solum tubo, verum etiam cliarta Soli per foramen dcducto ortbogo- naliter obiecta: itaque verum niacularum situm et motum suppeditavit Solia diacua in ebartam traiectus, figurationem tubus in Solem directus ; linde urbitror basco io ACCURATIOR DTSQUISITIO. 05 observationes tales esse, qualcs desideravi vel a te, in omnibus oxaggeratissimo, possint. Vincentii pariter, (lodi Patavini, circa maculas phaenomena iampridem cum meis contuli, et tibi spectanda remisi. Sed inclyta nobilissimi cuiusdam una- que doctissimi viri Veneti modestia praetereunda non est, qui, suo suppresso, Pro- togenis nomen induit, dignus hoc ipso, tam suo quam alieno nomine, celebravi. Is igitur in suo de maculis iudicio haec inter alia oculatus promit: Consequentiac hnrum obser vati omini sunt hae: 1. Has apparitiones non esso tantum in oculo. 2. Non esse vitri vitium. io 0. Non aeris ludibrium, sed ncque in ipso, ncque in aliquo caelo versari, quod sit Sole multo inferius. 4. Moveri circa Solcm. 5. A Sole propc distare, quod alias in longa ab ipso remotiono illustratae viderentur, ut Luna, Venus et Mercuriua. 6. Esse corpora multum plana sive tenuia, propterca quod in longitudine spliaerae diminuatur ipsarum diameter, at in latitudine conservotur (hoc est, quod gracilcscant iuxta perimetri Solaris extonsionem). 7. Non esso in numerum stellarum recipicndas, 1, quia sint figurae irregularis; 20 2, quia eandem varicnt; 3, quia aequalem omnes subeant motum, et, cum parum absint a Sole, oportebat eas iam aliquotics rediisse, contra quam factum ; 4, quia subinde in medio Sole oriantur, quae sul) ingrossimi oculorum aciem effugerint; 5, quia nonnunquam dispareant aliquae ante absolutum cursum. Et liaec quidem eximius iste Protogenes, pleraque meis conformia, erudite obscrvavit, annotavit ; a quo, si a me nolunt, discant qui pleraque ista labefactare conantur. De istis vero duobus, corpora liaec tenuia esse, at permancntia sive stcllas 30 non esse, astronomi certant, et adirne sub iudice lis est; sicut lis esse amplius vix potest, an inacquali ter moveantur, cum tam saepe id modo deprelienderim. Quod si veruni est, liti esse reor, finis quaestioni buie, cui* eadem corporum istorum ad se conformalo non redeat, est impositus. Sed ncque altcrius tcstis, omni exceptione maioris, oblivisci fas est. Nani Galilaeus Galilaei observavit, 5 Àprilis, maculas hoc sclicmate A; at vero sexto Aprii is, isto B; tandem die Aprilis 7, hoc C: ego vero bisce tribus diebus Solem inveiti talem, estque vera et magnitudimim et ligurarum, tam ad se quam ad Solem, proportio. Ubi patet, Galilaeum in prin¬ cipali figuratione omniumque ad se macularum conformatione a me nequaquam dissidere, sed solum in singularum apta praecisione nonnihil a me abire; quod 40 fieri potuit vel e luminis veliementia, vel tubi inhabilitate, aut medii interiectu, 66 AFELLIS LATENTIS POST TÀBULA*! vel tandem oculorum aegritudine : ego cnim saepissimo lioe exporior, ut oodom fere tempore maculas intcr se discreta», et mox uno quasi tractu confusila sili¬ que connoxas, intucar; quod unde et quomodo eveniat, mine ostondomn, nisi prolixitas epistola© vetarct. Nani quas ilio producit obsorvationes a 2 (i Aprili» u sepie ad 3 Maii, meis ex toto pari ter congruunt: o quo cnmprobatum itmnoat, haec pliaenomena respectu Solis ornili prorsus parallaxi carcro, cum in tam dis- sitis orbis pavtibus, quales sunt nostra (iormania ot Italia, in codoni loco Solis videantur. Praeterco mine innumeros alios pliaenomoni luiiiis testas oculato», liic monim versantes, viros cum in mathematica tum in thoologicis et prudentia iuris ver- io satissimos. Eclipsis impera lunaria, quae mense Maio accidit, liaee ad rem menni, quam mine tracto, edocuit. Cocpit ante bornia nonam vespertinam, dimidio voluti qua- dranto; desiit bora noctis duodecima: sicut ergo duratione, sic et magnitudine, calculum superavit; digitorum enira fuit minimum octo. Scd liaoc modo non ven¬ tilo. IUa nonnihil conferunt: umbra terrena a centro sno remotissima rarior fuit, idcoque nonnullam lucis Solaris admixtionem secum in Lunam detulit, uti viden- tibus manifestum fuit; at vero centro vieinior ita condensata, ut eorporis lu- naris ncque micam conspiciendam praeberet, sive ondo libero, sivo oculnribus communibus, sivo tubo, armato. Umbrac terrestris perimeter circularis fuit, ni- 20 gredinem macularum lunarium antiquarum non superavit: quo factum est, ut umbrae terrenae cum ipsis maculis concursus inaequalem oculis 0 Iter re t perime- trum, ita ut suspicarcmur id a Termo eminentiis provenire ; sed decrescente eclipsi vidiraus illos umbrarum gibbos in Luna rannero, et maculas antiquas osso. Tandem ante lineili eclipseos conspexiraus segmentimi parvum Lunae per ipsam Terrae umbrani cxtcmiatam, adhibito tubo, cum tamen por umbrae meditullium id nequidquam saepe tentassemus. Ex istis concludo, Lunam propriac lucis niliil possidere ; Terrae inaequalitates procul intuenti non esse sensibile» ; maculas so- lares plerasque esse corpora non minus opaca quam sit Terra [1] , cum umbra illa- m ryvi) Maculas solares opacas ut Terra. <*) Con questo segno astronomico e con nientarc da casi consimili, intese probnbil- gli altri premessi a ciascuna delle seguenti mente di indicare, a quali luoghi della Accu- postille, Galileo, secondochò è lecito argo- ratior Disquisitici, nell’esemplarci da lui ado- ÀCCURATIOR DISQUI8ITIO. 67 rum nigrior appareat quam ullae maculae lunares antiquae, quin et novae, uti innumeri, qui mecum cas contuentur, nitro et libenter fatentur, viri sane rerum liarum periti. Inconstans autem umbrae terrene in Luna vacillatio, quam creber- rimo adverti, provenire non potest nisi e vario vaporimi inter Terram Solemque agitata, qui raclios Solis varie secant et ita tremulos vibrantesque reddunt. Eclipsis Solis eodem mense inclioari visa est bora decima antemeridiana quo- dammodo ; desiit bora 12 3 /.* ; duravit universim horis duabus et tribus quadran- tibus circi ter; ad septeni digitos vix acccsserit ; do quibus tamen exactius suo loco. Notata digna et ad rem praesentem facientia sunt haec. Tubus inter eam Lunao io partem quao Solem obtexit, et eam quae exccssit, quoad obscuritatem, nullum penitus discrimen fecit; sed ncque Lunam totani ullo modo distinxit a reliquo Soli circumiecto cacio, vel quali quali tandem corpore. Circa mediam tamen eclipsin, ostendit nobis tubus, dimidiae liorac spatio, eam Lunae perimetrum, qua Solem operuit, aurea quodammodo circumferentia ainictam, exeunte utrinque extra Solem, ad unius quodammodo digiti longitudinem, arcu aureo circulari: neque fuit pbantasma boc ludibrium. Deinde idem tubus ostendit nobis maculas solares aeque nigras, imo, ut omnes ex instituto ad hoc intendimus, nigriores quam ipsa apparuerit Lunari: magis cnim haec ad fuscum colorem appropinquabat. Confirmatur hoc ex eo, quod Sol, per forameli in chartam proiectus, etiam raa- 20 cularum umbras distincte repraesentarit. Et haec quidem tubus efìecit, cacio se¬ renissimo : oculi autem sine tubo, sive soli sive ocularibus communibus adiuti, aliquid alimi et mirabilius deprehenderant ; oculi, inquam, primum..., deinde..., tuin, istorum monitu, mei aliorumque quamplurimi, idque quolibet deliquii huius tempore. Yidimus autem, quotquot videre contendimus, eam Lunae portionem, quae Soli obducta fuit, totani instar cristalli aut vitri alicuius pellucidam, inaequa- liter tamen, ita ut alicubi albicaret tota, alicubi albesceret tantum : totum itaque Solem vidi constanter [3] , sed cum maximo discrimine; nani pars a Luna occupata traluxit remississimo et maxime fracto candore. Et Lane quidem experientiam tubo adhibito stabilire nequaquam licuit, donec unus circa exitum Lunae a Sole so constantissime asseveravit, visam a se per tubimi totani Solis periplieriam, etiamsi Luna nonnullam adirne portionem ipsius occuparet. [2] ^ Pars 3 quao Q obtexit, et ea quae excessit, eodem modo obscurae fuerunt, et tota 3 obscura ut reliquum cadi ambiens, et maculae tunc erant aeque nigrae ut Luna, imo nigriores. [3] @ pars 3 quae Solem obtegebat pellucida fuit ut cristallini), et O i9 corpus per eam conspici poterai. pcrato, le postille si dovessero riferire; e ni luoghi stessi, è da credere che tali segni sopra i margini di quell’esemplare, di fronte fossero ripetuti. v. 9 G8 APELLIS LATENTI8 POST TABULAM Quae plmenomena si ludibria non sunt, qucmadmodum esso non putamus, intelligis, opinor, maculas solares corporanon minila densa atquo opaca esso, quam sit Luna 141 , ideoque prò nebulis nubibusve necdum agnoscemla; Lunani ipanili (quoti et maculis compluribus acrìdi t, et ex quo laceratio multarum dofendatur) per totum esse perspicuam, magia et minus secundum maiorem niinoreinvo den- sitatem. Quo dato, facile illa hactonus agitata quaestio, de secondaria illa novao Lunae luce, dissolvatur: est enim illa niliil aliud quam lux Soli» Lunaui perva- dens 1 ^, et ab eadem in oculos nostros refracta; debilis, quia refracta, et quia penetrans Lunam; at veru altera, quia a Lunae superficie ad nos reflexa 1 * 1 , fortior et illustrior ; quo autem Luna mogia a Sole recedit, hoc refractio illa remiasior, io et, contro, haec reflexio fit fortior: o quibus utrisque causa illius luminis immi- nuti, liuius aucti, patescit. Ncque milii ierrenae lucis, si qua est, reflexio tanta esse videtur, ut illud pbaenomenon procreo! M : liaec autem via rationi opticao et pbilosophiae congruentissima est. Operae igitur pretium fuerit, fu tu rie eclipsibua ad hoc punctum solerter advigilare. Ex liac eadem experientia intelligas, uti Lunam, ita et maculas, absque comparationo ulla nigriores esse quam sit ullum circum- iectuiri Soli corpus coeleste quod non sit stella: cum enim cadein sit natura cius quod est inter nos et Solem, et illius quod est iuxta Solcm positi, Luna autem nigrore superct id quod est inter nos et Solem dirocte interiectum, uti patet experientia, manifestum est, nigriorem esse etiam eo quod est secus Solem, tametsi 20 acquulis utriusque appareat nigredo. Tandem, ut literarum finem faciam, sivc maculas has in Sole sive extra r ' 1] Q Maculae non minus densao et opacao quam 3- r ‘ ,] W 3 ipsara totam transpieuam, magis et minus secundum maio- rem et minorem densitatom. Lucem 3 secundariam esse lumen (£) illuni pervadens. Sed si hoc sit, quomodo montes 3> multo snbtiliores, tam nigras emittunt umbras ? deberent enim convalles illae, termino lucis pro- xiinae, lucidissime apparerò, quibus interpositio tantum montium lumen impedit. Et in quadraturis lux i§ta secundaria deberet esse so ut in 3 nova, et clarior prope luminis confinia. [61 tnj si 3 es ^ transpicua et lumen reilectit validius, oporteret cani non tam diafanam esse ut vitrum : at vitrum tam crassule non est diafanum. [i] ìì[ Dubitat numquid lucis torrenae aliqua sit reflexio, quam sal¬ telli admodum exiguam ponit, et impotens ad 3* m illustrandam. Contra- rium tamen est, tum quia Terra est inaior 3, tum quia dum 3 nm illustrat, ex viciniori loco a (^) illuminatur. A OC U R ATI 0 R DISQUISITIO. G9 cundem, sive generabiles statuauius, sivc non, sive nubes dicamus sive non, quae oinnia adirne vacilla» t, illud certe consequens videtur, secundum conimuncm astro- nomorum sontentiam, duriticm et liane coelorum constitutionem stare non posse, praesertim ad Solis Iovisque coelum; ut proindo iure inerito audiendus sit ma- tlioniaticoruin liuius aeri choragus, Christopliorus Clavius, qui in ultima suoruin opcrum editione monet astronomos, ut sibi, propter baco tam nova et hactenus invisa pliacnomona, antiquissima autem re, sine duino do alio coelorum systemate provideant. Nam si Venus, liti in prima Àpellis tabula insinuatuin, et e quoti¬ diana ipsius metamorphosi paulatim constat, et iam olim hoc Tyclio Bralie docili!., io idemque observarunt codem tempore fere, in loeis tamen diversis, ìnatbematici Romani et Galilaeus et nos iam quotidie experimur, Solcm Circuit; si et Mcr- curius probabilissime idem praestat; unum idemque trium istorum planetarum caci uni est astruendum. I)e quibus omnibus tamen sollicitius suo tempore disqui- rctur. Illud interim taccndum non est, ab bis Solis satellitibus, cuiusquemodi tandem sint indolis, sivevcrnae sive cocmpta aliunde mancipia existant, astrologiae divinatrici, gcncthliacaepraesertim (nam tempestatimi praedictioncs liicnon inorar), ingens inlligi vulnus: cum cnim corpora ista sint vastitatis pracg:randis, diversi- mode utique Soleni afficiunt, lucem ipsius ad nos directam intercidendo, refrin- gcndo, rcllectendo, dilatando, condensando, et simul naturales suas affectiones in 20 baec inferiora derivando, et sic plurimum valent: quod si una alicuius Mercuvii cum Solo conventio tantum in nostratia potost, iudicio astrologorum, quid non potcrunt tot continuac Solis cum istis corporibus (quorum plcraque pianeta» plorosquc aut aequant aut superant) coniunctiones ? De quibus cum hactenus nihil cognorint iudiciarii, manifestum fit, scicntiani ipsorum hactenus ostcntatam, meram fortuitam et temerariam fuisse divinationem, unoque verbo ludicram vani- tatem, quae pueris non cordatis terriculamenta incusscrit. Sed de his et aliis pluribus dabitur, nisi fallor, suus et locus et modus disputandi. Monere liic tantum volili, vidcant quid agant praesagi isti futurorum eventuum enunciatores, si tamen causas praccipuas, iliorum iudicio, quae in bisce pbaenomenis utique latent, ao ignorant. Atquo hoc priorura omnium complement.iim tuac Amplitudini lubens commu- nicavi, uti sentias, quani male hoc magnum phaenomenon a nonnullis in dubium vocetur, a plerisque male discerpatur. Nam reliqua omnia quae in prima tabula exposui, sibi constanti, in unico adhuc haeremus, utrum corpora haec generentur [8J fó Ai t, reliqua omnia quae in prima tabula posita sunt, si[bi constare] Ciò elio in questa e nella seguente dre, ò stato da noi supplito, e manca nell’au postilla abbiamo racchiuso tra parentesi qua- tografo per istrappo della carta. 70 APELLIS LATENTIR POST TABULAM ACCURATIOR PISQUISITIO. et intereantj an vero aeternent ls| : quod dum ea, quao hominis est aut esse potest, industria et sagacitato inquirimus, tu interim, vir Amplissime, bisce sufficienter vontilatis frucre. Vaio Deo, tibi, tuo Apolli, domili nostrae, totiquo literatorum collegio. Monachii, ubi liane epistolam logondam et censcndam doctissimo euiquo, ti- bique amicissimo, ipsemet dedi, ‘Jó lulii anno 1G12. rn IllUS Apdles latrila post tabulavi. Voi, hi I11AVÌN, Ulysscs sub Ai (iris chjpco. [!) i rkì Dixit millies, esso stollas; modo dubitat num[quid] gonercntur ot intereaut uecue. ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI E LORO ACCIDENTI * COMPRESE IN TRE LETTERE SCRITTE A MARCO VEI.SERI. CON LICENZA DE’ SUPERIORI. ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI E LORO ACCIDENTI COMPRESI. IN TRE LETTERE SCRITTE AL L’ ILLVSTR ISS I MO SICNOR MARCO VELSERI LINCEO DVVMVIRO D'AVGVSTA CONSIGLIERÒ DI SVA MAESTÀ CESAREA DAL SIGNOR GALILEO GALILEI LINCEO Nobil Fiorentino,Filofofo,e Matematico Primario del Sere nifi. D. COSIMO II. GRAN DVCA DI TOSCANA. Si aggiungono nel fine le Lettere, c Difquifuioni del finto Apollo. IN ROMA, Apprefio Giacomo Mafcardi . M D C X I 11, ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI E LORO ACCIDENTI COMPRESE IN TRE LETTERE SCRITTE ALL' ILLVSTRISSIMO SIGNOR MARCO VELSERI LINCEO DVVMVIRO D'AV GV STA CONSIGLIERÒ DI SVA MAESTÀ CESAREA DAL SIGNOR GALILEO GALILEI LINCEO Nobil Fiorentino^ Filofofo y e Matematico Primario del Serenift. D. COSIMO IL GRAN DVCA DI TOSCANA. IH ROMA, Appreflo Giacomo Ma/cardi. M D C X111. CON LICENZA D £’ SV P E RI 0 RI. 74 Imprimatur , si videbitur Reverendissimo V. Mugislro Farri Valutii Apostatici . Caesar Fidelis Vicesgercns. Ex ordine Reverendissimi ,P. Magistri Sacri Palatii Apostolici, F. Ludovici Ystella Valentini, tros cpistolas de Maculi» Soiaribus Porillustris ot Kxrcllentissiini 1). Galilei de Galileis ad Illustrissiinmn I). Marcurn Vclscriim, Àugustao Yindeli- corum Duumvirum Praefectuin, scriptas diligente]* vidi; quii» cani niliil quoti Sacri Indieis regulis rcpugnet, inuno rarmn doctrinara, novaa ae mirabile# nbsn vationes liucusqne incognitas inauditasquo, facili ac porpolito stilo esplicata#, contiiiere invenerim, typis dignissiinas iudicavi. In fulcni propria marni scripsi. Romae, die 4 Novombris 1012. io Àntonius Butius Faventinus Civia Rom&nus, Philosophiae ot Medioinae Doctor. Imprimatur . Fr. Thomas Pallavicinus Bononiensis, Magnifici ot Reverendissimi 1\ F. Ludovici Ystella, Sacri Palatii Apostolici Magistri, socius, Ordini# Praedieatorum. ali; illustrissimo signore IL BIG. FILIPPO SALVIATI LINCEO. Kra questo dono al pubblico de gli studiosi destinato per giudizio de 1 Signori Lincei, tul essendone io per mia particela!* cura l’apportatore, considerai dovere dalle condizioni di quello eleggere a chi prima e particolarmente avevo a pre¬ sentarlo. Ondo, rivolgendo meco come sia tratto dalla più nobile e viva luce del cielo, por filosòfica opra e matematica diligenza del dottissimo Sig. Galilei, clic con tali parti celesti tanto adorna la sua patria, riguardando il luogo, Tocca¬ lo sione ed altre sue qualitadi, ed apparendomi sempre più degno e nobile, parali e ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE E PÀDRON OSSERVANDISSIMO IL SIG. FILIPPO SALVI ATI LINCEO. Era questo clono al publico de’ studiosi destinato per giudizio delli Signori Lincei, ed essendone io per mia particolar cura l’apportatore, considerai dovere dalle proprietà e condizioni di quello eleggere a chi prima e particolarmente avevo a presentarlo. Lo veggo, dunque, tratto 10 dal ciclo, dalla più nobil parte c più viva luce d’esso 1 * 1 , per filosofie’opra e matematica diligenza del dottissimo Sig. Galilei, novello Atlante del secol nostro, quale con celesti invenzioni le ter¬ go restri di gran lunga avanzando, reca alla sua più che mai fioritissima patria (1) « Lo veggo, dunque, tratto » ò corrotto in « La cosa, in sò voggo cho ò tratta ». Alinone alcuno dolio correzioni od aggiunte elio si osservano nel ma¬ noscritto e som» registrate in questo note, sembrano dovute alla mano di Fkokiiico Orsi. <*) Fra le lineo, o senza sogno di richiamo cho indichi il luogo dovo debba inserirsi, leggasi : « a par¬ ticolar richiesta dui Illustrissimo Sig. Volseri, di tutto le scienze fornitissimo ». Sotto < richiesta », cho non è cancellato, leggesi < istanza ». V. 10 I 7G ISTORIA E DIMOSTRAZIONI conveniente e necessario cVarrecarlo a V. S. Illustrissima, e a tutta la rcpulihlica de’filosofi avanti a lei presentarlo. Devono i sublimi o celesti ojigi'tti a perso¬ naggi eminenti o di sovrana nobiltà dedicarsi: e chi non sa gli ornamenti, lo splendore, le grandezze della sua Illustrissima Casa, eli’in tanti e tanti soggetti sparse, in lei ancor cumulate rilucono? L’opre di virtù o dottrina agli amatori o seguaci di quella convengono: in lei l’istessa virtù, raccolta dello più scelto matematiche e della miglior filosofia, lo ha fatto tal parto, che mancandole cagioni d’invidiarli’altri, molte altrui ne porge d’esser invidiata; o tanto più deve da ciascuno esserne ammirata e lodata, quanto di tali intelligenze ù raro ne suoi pari l’esempio. L’Illustrissimo Sig. Velseri, fornitissimo d’ogni seienza e virtù, corno io cpiello che ben la conosco ed ama, prenderà contento particolare clic a lei davanti conoscano e godano li studiosi i palesamenti ch’ei gli ha fatt’ avero. Contentis¬ simo veggo il Sig. Galilei che questa sua opra, a’cercatori del vero inviata, prenda tanto d’ornamento. Scorgo poi l’acquisto esser fatto ed elaborata in gran parto l’opra nella amenissima e nobile villa delle Selve: ondo, rivolgendo v meco questo sue qualitadi, e parendomi tuttavia più degno o nobile, non solamente conveniente panni, ma concludo esser anco necessario w , d’ arrecarlo a V. S. Illustrissima ed a tutta la republica filosofica tl) avanti a lei presentarlo. Devono i lucidissimi o nobilissimi celesti oggetti a personaggi d’eminente e sovrana nobiltà approsen- tarsi : e chi non sa 151 gli ornamenti, lo splendore, le grandezze della sua Illustris- 20 sima Casa, ch’in tanti e tanti soggetti sparse, in lei cumulate'*' rilucono? L’opro di virtù a gli amatori e seguaci di quella convengono : in lei l’istessa virtù, raccolta delle più scelte matematiche e della miglior filosofia, le ha fatto tal parto, elio man¬ candole cagione d’invidiar altri, mille altrui ne porge d’esser invidiata m ; 0 tanto più ella deve da ciascuno esserne ammirata e lodata, quanto di si sublimo intelligenza è raro do’ suoi pari l’esempio 181 . Riguardando l’Autore, contentissimo lo veggo 1 ' 1 * (*) « elaborata > ò sottolinoato. W Sopra « rivolgendo », che non è cancellato, si leggo « considerando ». « non solamente ... nocessario > ò indicato (con lineo sotto ad alcuno pardo e con parole scritto intorlinoarmente) elio si corregga in « panni e con¬ veniente e necessario ». « niosofìca » ò indicato che si corregga in « do’ filosofi ». « Dovono i lucidissimi ... c chi non sa » ò indicato elio si corregga in « So i lucidissimi ... ap¬ prontarsi dovono, chi sarà elio non laudi reiezione fatta da ino della persona di V. S. Illustrissima, sa¬ pendo ciascuno ». Tra « lei » e « cumulato » è figgimito, inter¬ linearmente, « ancora ». fT II ina. legge «invidiate». I>opo « esempio * è aggiunto tra le lineo: « Il Sig. Volsero ton sicuro che, sommamente aman¬ dola 0 benissimo conoscendola, riceverà particolar contento che avanti a lei conovchiiio e godano i studiosi l'acquisti ch'egli gli ha fatto avere ». Si devo pure avvertire che sul margine leggimi: « come quello cho ben la ronosco od ama * : ma non è poi indicato il luogo noi quale questo parole si debbano collocaro, o lo parole < sommamente amandola e be¬ nissimo conoscendola » non sono alato cancellate. Inoltre si noti cho sopra « o », elio precide « benis¬ simo », si legge « molto »; o sopra « egli » legge*! « il Sig. Galilei ». t9) « contentissimo lo veggo » ò indicato cho si corregga in * contentissimo veggo il Sig. Galilei ». INTORNO ALLE MACCHIE SOLAIO ECO. 77 così buon porto, li clic meraviglia irò, s’oltre il conoscimento de’ meriti, il legame dell’amicizia, col quale egli rama ammira ed osserva, la Lince, la patria, l’assidua compagnia li congiungono insieme? La nobil città di Fiorenza, fertile tanto di virtuosi ingegni, ricettacolo insigne di dottrina, elio sempre in ogni virtù lui fio¬ rito e fiorisce, ben ragion era clic de'proprii frutti e de’suoi scoprimenti prima gustasse o godessi*. Anzi erano questi prodotti nell’ istcssa villa di V. S. Illustrissima delle Selve, luogo amenissimo, mentre seco l’Autore dimorava e seco godeva de’ce¬ lesti spettacoli; orni'essa v’aveva sopra perciò ragioni particolari. Venendo poi da’ Signori Lincei, benissimo conveniva indirizzarsi a lei, fra loro tanto stimata ed m osservata, facendosi anco questo con tanta loro sodisfazione. Essendo per lo comune do’letterati posta in via, in ottimo luogo avanti a lei v’apparisce, clic non solo d’alto ingegno, assiduo studio, particolar dottrina, fra quelli risplende, ma con eroica magnificenza li favorisce, li protegge, li solleva, promovendo sempre opre di vera virtù. Finalmente, se, per il mio uffizio, ragionevole era eli’in questo dono io avessi qualche parte, grandemente godo valermene, porgendolo a un tanto mio che questa sua opra, filli studiosi inviata, prenda cosi buon porto. 15 che meraviglia ii’c, s*oltre il conoscimento de’ meriti, il legame dell’amicizia, col quale egli Fama ammira ed osserva, la Lince, la patria, F assidua compagnia assieme gli giungono (,) ? La nobil città di Firenze, fertile tanto di virtuosi ingegni, ricettacolo insigne di dot- co trina c propria e straniera, primo ospizio delle greche lettere ch’ora abbiamo, che sotto l’ombra e protezziono de’gran Lorenzi e Cosmi c di tutti i principi Medicei ha vivamente in ogni virtù e grandezza fiorito e fiorisce, ben ragione era elio de’ proprii frutti o do’ suoi scoprimenti prima gustasse e godesse. Anzi erano questi prodotti nell* istessa villa di V. S. Illustrissima, mentre seco l’Autore dimorava o seco godeva de’ celesti spettacoli; onde vi aveva sopra per ciò ragioni particolari. 15 venendo ora da’Signori Lincei, benissimo le (2) conveniva indrizzarsi a lei, tanto fra loro stimata ed osservata, e facendosi questo con tanta loro so¬ disfazione. Essendo poi al publico de’letterati inviata w, in ottimo luogo avanti a lei v’ apparisce ( '\ elio non solo di sublime ingegno, di fervente 0) studio, parti¬ lo colar dottrina, fra quelli risplende, ma con eroica magnificenza li favorisce, li protegge, li solleva, promovendo sempre opro di vera virtù. E se finalmente, per il mio uffizio, ragionevol era (come ragionerai mi pare) (o; eli’ in questo dono io v’ avessi qualche parto, grandemente godo recarlo (7) a un tanto mio Signore. Com- <0 Tra lo Unno si leggo: « L’ama il Sig.Volsoro W Sopra « apparisco * leggasi * arriva ». o conosce benissimo, e sou por ciò sicuro »; nò ò indi* ^ Sopra « forvonto », cho ò sottolinoato, log- calo il luogo Uovo questo parolo si debbano in.sor ir e. gosi « assiduo ». « lo » ò sottolineato. < (corno ... paro) * ò sottolinoato. (3) * Essendo ... inviata » ò indicato elio si cor- * 7 ) Sopra « recarlo », cho òsottolinoato, òscrìtto regga in « Posta in via por lo comune do’letterali ». « portarlo ». 78 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALEE MACCHIE SOLARI ECO. Signore. Comparisce dumpie, da me donatole e dedicatole, a farsi pubblico avanti a V. S. Illustrissima, sicuro d’esser accetto. Prcgola che gradisca anco l’affetto col quale gli si porge. E me lo raccomando in grazia. Di Roma, li 13 di Gennaro 1013. Di V. S. Illustrissima 8orviloro Dovoti*aimo Angelo dk Fi li ih Linceo. parisce dunque, da me donatole o dedicatole, a farsi puhlico avanti a V.S, Illu¬ strissima, sicuro d* esser gradito* 0 . Pregola che gradisca anco Puflutto col quale gli si porgo. E me lo raccomando in grazia. Di Itoma. Di V. S. Illustrissima Bervi loro I)ov<>ti.H«imo Angelo Dk Filiik Linceo. O) Sopra « gradito », olio ò sottolineato, leggo»! « accotto ». ANGELO DE FILItS LINCEO AL LETTORE. So in questa gran ni adii mi doli'universo i celesti corpi per la propria natura sono tra tutti gli altri nobilissimi, dovrà senz* alcun dubbio principalissima an¬ cora e degna d’eroici intelletti esser riputata la contemplazione intorno ad essi, e di non poca gloria degni quelli cbe questa agevolano ed arricchiscono, giovando tanto in cosi arduo e remote materie l’innata avidità ch’abbiamo tutti di cono¬ scere. Per la quale se, mentre gl’istorici dell’inferior natura, eh’a’nostri piedi io soggiace, qualche parto di quella non più veduto, siasi pianta animale o deforme zoolito, ci palesano, tanto piacere ne prendiamo c tanto del ritrovamento gli ANGELO DE FILIIS LINCEO AL LETTORE. Se in questa grande ed ornata machina dell 5 universo i celesti corpi tra tutti gli altri nobilissimi sono per la propria sostanza, purità, luce, ordine, movimento, loco, eminenza, calore, rara ed efficacissima virtù, privilegii e doti maravigliose, sarà senz’alcun dubio principalissima anco la loro cognizione c degna d’eroici intelletti; e quelli che questa arricchiscono agumentano e rendono facile, non poco 20 morto non. poca gloria tra di noi dovranno acquistare. Se poi mentre gl 5 istorici dell’inferior natura, che, da’nostri sensi in ogni parte sottoposta, a’nostri piedi giace, qualche nuovo, ben clic vile, animale, qualche brutto zoofito non più visto 80 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI lodiamo, quanto dovremo godere essendoci appresontati nuovi lumi nella supe- rior natura dell’altissimo cielo, o le faccio de i più nobili scoperto che per prima velato n’ apparivano ? quanto saremo tenuti a’ior sagaci e diligenti ritrovatori, c quante lodi glie ne dovemmo rendere? Ecco, dunque, a gl’intelletti elio il vero studiosamente a i nostri tempi ricercano, grande o celeste materia; e dove nel ciclo con Erculee colonne chiuso o terminato 1,1 era il campo a’cercatori, nè, da i primi astronomi in qua, altro di più ora stato veduto che lo stelle fisso vicino al polo australe, o questo mercé dello nuovo navigazioni, o qualche accidente nell’altro forse vanamente osservato, ora, più oltre penetrando, il Sig. Galilei nuova copia di splendenti corpi ed altri ascosi misterii della natura colè su ci io scuopro: o questo segue sotto l’ombra e felici auspicii del Serenissimo 1 ). Cosimo Gran Duca di Toscana, che per propria virtù e magnificenza o ad imitazione do i gran Lorenzi e Cosimi ed altri croi della regia famiglia de’ Medici, suoi avi, veri Mecenati dello nostrali c peregrine lettere, non cessa mai di favorir le scienze o procurare, a pubblico utile, ogni maggiore accrescimento e illustramento di quelle. Mostraci dunque il Sig. Galileo innumerabili squadre di stello fisse, sparse per tutt’il firmamento, molte nella Galassia e molte nello nebulose, che per prima o sconosciuta piantaci palesano, miniera succo o pietra nuovamente cavala n'ar¬ recano, fresco o nuovo pasto porgendo all’avido e vorace intelletto, tanto piacere e contento no prendiamo, tanto li lodiamo del ritrovamento ; quanto dovremmo 20 godere appresentandocesi nella sovrana natura dell ’ 1,1 altissimo cielo nuovo e splen¬ denti gemme di molo e virtù immensa, di grata e bella vista, e seoprendocesi dello più nobili la faccia sin ora ascosa ? quante lodi alli audaci 0 diligenti ri- trovatori ne doviamo rendere, quante dovergliene? Ecco, a gl’intelletti che il vero studiosamente a’ nostri tempi cercano e pascersi desiderano di nobilissime 0 sublimi contemplazioni, grande e celeste materia; 0 dove nel cielo con altro e più forti Erculee colonne chiuso e terminato a’ cercatori era il campo, nè, da gli primi astronomi in qua, altro di più clic, da terra nuova sottoposta, lo fisso stelle dell’austro erano state vedute, c qualche accidente nell’altre forse vana¬ mente osservato, ora, spinta più oltre la forza umana, 0 oon miglior machine ed 30 instrumenti all’ assalto aperto 1 ” il passo, nova copia di lucidi corpi cd altri ascosi misterii della natura colà su ci scopre. Mostraci il Sig. Galilei nuove ed innumerabili squadre di fisse stello nel più alto del cielo ; ce ne fa scerner molte nell’ annebbiati gruppi e nel candido Da stiimpalm: * chiuso, terminato».Cfr.lin. 27 . Il uis. lia: « del ». Sopra c aperto », cho non ò cancellato, si loffie « fattosi ». Almeno alcuno dolio corrosioni ed aggiunto cho si notano nel manoscritto, «ombrano do¬ vuto alla mano di Fkdkuico Ckhi. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 81 erano offuscato ed indistinte; ritrova la regia compagnia di Giove, de’quattro pianeti Medicei ; scorge la Luna di montuosa e varia superficie : e tutto questo nel suo Avviso Astronomico a ciascheduno palesa e comunica. Ne nasce subito stupore, ogni altra cosa aspettandosi che simil novità nel cielo. Più oltre seguendo l’impresa, scuopre la nuova triforme Venere, emula della Luna; passa al tardo e lontano Saturno, o da due stello accompagnato triplice cc lo mostra: avvisa ciò a’ primi matematici d’Europa e il tutto con parole notifica e, per levar con f esperienza stessa V incredibilità, clic sempre lo cose inaspettate e maravigliose suole accompagnare, dimostra a ciascuno in fatti la via da vedere il tutto c go- 10 dere a suo modo i sopradetti scoprimenti; nò ciò fa in un luogo solo, ma in Padova, in Fiorenza c poi noli’istessa Roma, dove da’ dotti con universal consenso vengono ricevuti e con sua gran lodo nelle più pubiiclie e famose cattedre spie¬ gati. Oltre ciò, non prima si parte di Roma, ch’egli non pur con parole aver scoperto il Sole macchiato vi accenna, ma con folletto stesso lo dimostra, e ne fa campo, pria offuscate ed indistinto; ritrova la nobil compagnia di Giove, de’quattro pianeti Medicei ; scorge la Luna di scabrosa e varia superficie : c tutto questo nel suo Celeste Avviso a chiunque palesa e communica. Ne nasce subito stupore e maraviglia, ogn’altra cosa aspettandosi che novità tale nel cielo, che aggiunger l,) al planotar settenario. Più oltre seguendo l’impresa, trova la nova triforme Ve- 20 nere, emula della Luna; passa al tardo c lontano Saturno, lo scopre da due com¬ pagne stello colto in mezo, c quindi divenuto triplice: avvisa ciò a’ primi matematici d’Europa, e queste o quello con parole notifica e, per levar (2) con l’esperienza stessa f incredibilità, che sempre le nuove inaspettate e maravigliose cose suol seguire, con fatti a ciascuno dimostra, insegna a ciascuno, la via da vederle, da penetrare i cieli; nò ciò fa in un luogo solo, ma in Padova, in Fiorenza prima, e poi nell’istessa Roma, dove a’ dotti, a’studiosi dimostrando, con straordinario consenso e plauso vien ricevuto, da’ maggiori e principi onorato e sopra modo accarezzato, goduti i suoi acquisti e palesati con ogni lode nelle publiche catedre, in mezo de’ più universali collegii. Or, mentre delle sue celesti cose rende tutti :k) partecipi, non s’astiene di procurare il fine di questa celeste impresa, ancorché arduo e diffidi molto, aggiungendosi alla gran lontananza l’ostacolo dell’istessa luce, bastante, se non a reprimere ed ottenebrare, almeno a rintuzzar ben spesso l’audace senso; dico dall’attendere ad illustrarci anco la faccia dell’ istesso Sole. Della quale ragionava egli poco, non avendo compito il conquisto, poi che non aveva ancora cosa certa dell’accidenti delle macchie; non potea però con i più cari amici e signori contenersi di non annunziarle il Sole macchiato, stranissima O) « nggiungor » è corrotto in « aggiugner ». .*) Sopra « lovar » si logge « toglier via *. 82 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI osservare le macchie in pili (l’un luogo, come in particolare nel Giardino Quirinale dell’Illustrissimo Sig. Cardinal Bandini, presente esso Sig. Cardinale con li Reve¬ rendissimi Monsignori Corsini, Dini, Abbate Cavalcanti, Sig. Giulio Strozzi ed altri Signori. E come che si scorga esser a lui solo riservato non solamente li celesti scoprimenti insieme col mezo del conseguirgli, ma di più il penetrar con gli occhi della mente tutta quella scienza che d’essi aver si punte, stavasi con uni versai desiderio aspet¬ tando il parer suo circa di esse macchie: quando linai mento s’intese da’Signori Lincei aver lui di tal materia pienamente scritto in alcune lettore all’Illustrissimo e Dottissimo Sig. Velscri privatamente inviate; quali avute, e visto che con una io novitil! ; glie lo faceva anco vedere, come fé' nel (Lardino Quirinale dell’Illustris¬ simo Cardinal liandini, presente esso col Sig. Cardinal Bianchetti, Monsignor Agucchia, Monsignor Dini, Sig. Giulio Strozzi, Sig. Giovanni Domisismi od altri Kì) . E certo che ben spesso in Doma lo avvenne esser, or di notte or di giorno, ra¬ pito da studiosi principi e schiere di dotti investigatori del vero, quando ne' col¬ loqui quando ne’ più elevati luoghi, a dimostrar con le ragioni o col fatto le cose celesti : onde, poco suo, tutto d’altri, vi fu per molte e molte settimane rattenuto ed impeditoli cortesemente il partire; nel quale lasciò qui a tutti, oltre il gusto, quella speranza che altrove anco lasciata aveva, di superar parimente la solar rocca principalissima w con proporzionato assedio c concederla al publico. uo Quanto bramata si fusse da’ leali filosofi, ogn‘ uno il consideri dal gusto che sente l’umano intelletto nel posseder sottoposti a sua voglia oggetti sì nobili e sublimi, c dall’avvertir quant'importanti a’ buoni studii sono simili scoprimenti. S’aspettava con singoiar desiderio, bisbigliandosi non poco dello macchie solari ne’dotti ragionamenti e fuori e dentro le scuole ", secondo che più o meno no¬ tizia se ne spargeva, non lasciando però intanto molti di contemplarlo secondo la via mostra, altri disputarne a suo modo, alcuni scriverne, come dell'altro cose dal Sig. Galilei (i) scoperte: quando finalmente, saputo da’Signori Lincei che il Sig. Galilei aveva di tal materia pienamente scritto in alcune lettere all’Illustris¬ simo e Dottissimo Sig. Velseri privatamente inviate, e visto che detto lettere con so liO parole « col Si}?. Cardinal Bianchetti » sono sottolineato: lo parolo « Monsignor Agucchia > sono cancellato: dopo « Monsignor Dini > ò aggiunto, tra lo lineo, < Sig. Al>hnto Cavalcanti »: dopo « altri » è aggiunto, pur tra lo linee, « a Monsignor Agucchia, e poi a Monsignor Illustrissimo Cosi lo mostrò di¬ segnato » ; ma questo parolo sono in parto, o noi* l’intenzione di chi lo scrisse dovevano esser tutto, cancellate, poiché é indicato olio ad esso debba so¬ stituirsi : « ad alcuni lo rappresentava in disegnan¬ dolo iu carta, conio To’ a Monsignor Agucchia . In margine, o senza sogno di richiamo elio Ìndichi dove debba essere inserito, si legge nitrosi « Monsignor Corsini » e, cancellato, « Sig. Omero T... Secretarlo di Ilandini >. ( 5Ì « rocca principalissima * è indicato elio si corregga in « principalissima rocca >. I 3 * « ne* dotti ragionamenti o fuori o dentro lo scuoio » è indicato cho si corregga in « o fuori o dentro lo scuole, e no'dotti ragionamenti », ni « Sig. («alile! » è sottolineato, e sopra • Sig. » si leggo * detto *. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 83 lunga serie d’osservazioni il compimento dell’impresa secondo il desiderio appor¬ tavano, stimarono che non lusso da permettere in alcun modo che d’esso e dello solari contemplazioni non potesse ciascuno a sua voglia sodisfarsi, ma che doves¬ sero perciò di private pubbliche divenire, insieme con le proposte del Sig. Velseri. Appreso io il comun volere, diedi (conforme a quello che la mia particolar cura ricerca) ordine accio uscissero in luce, giudicando dovano esser gradite da tutti gli studiosi; da tutti, dico, se però qualche importuna passione ad alcuni particolari non le rende discare, quali, o per pretensioni ch’avessero circa il ri¬ trovamento di esso macchie, o per desiderio che li giudizii loro ed opinioni intorno io allo medesime restassero in piede, o pure perchè tal novità c loro consequenze troppo perturbino molto c molto grandi conclusioni nella dottrina da loro sin qui una longa serie d’ osservazioni il compimento doli* impresa, secondo il desiderio clic ve n* era, apportavano ll) , giudicarono clic non lusso da permettere in alcun modo clic d’esse e delli aspettati acquisti non potesse ciascuno a sua voglia so¬ disfarsi, e per ciò dovessero di private publiche divenire {ì) . Appreso io il commini volere, diedi, conforme quello che la mia particolar cura ricerca, ordine acciò uscissero in luce. 11 nostro filosofico consesso, ch’altro mag¬ giormente non desidera che diligentemente contemplare cd osservare, e quindi, per ricordo o sprone alle studiose fatiche, ha auto il nome, gode molto eh’ in 20 queste si siano instituite ed accuratamente esposto le solari contemplazioni, di- gnissimo fra tutte le celesti. Io m’ accorgo eh’ il Sig. Galilei ha auto gli occhi lincei desiderati c gli aquilini e godendo delle sue fatiche m’assicuro che do¬ vranno esser care a tutti, e per la novità mirabile della cosa, e per l’altezza e dignità del suggetto, e per l’importanza delle conseguenze (4) . A tutti, dico (fa¬ cendomi un po’ a dietro), quelli che qualcli’ importuna passione non le rende discare, poi che mi lece dul)itaro (5) che ve ne siano alcuni, potendo le passioni esservi, c varie ; poi che, per esser li sopradetti celesti fatti si notabili, so alcuno, per participarne almeno con la pretensione, ci si sarà, voluto insinuare, non le piacerà, poi forse che con la perfezzion dell’ opra n* apparisca affatto V autore, 30 quale, se ben non è alcun dubio che per prima era conspicuo, tuttavia, col non aver dato in stampa le novità di Venere e di Saturno nò queste del Sole, non era impossibile totalmente ad alcuno il controverterlo in esse e pretendere, poi che non si trovano in ogni luogo quelli che molto prima dal Sig. Galilei l’han sen¬ tite e per mezo suo viste. È ben chiaro con tutto ciò clic la moltitudine di questi U) Dopo « apportavano » ù aggiunto tra lo lineo: c o di inolt 1 altri particolari davano luco »; e sopra quoste parole, pur tra lo linoo, si logge: «o gli alti scoprimenti maggiorinotito illustravano *. (*> Tra lo linoo ò aggiunto: « instatilo con Tdo¬ gali tissimo o gentilissime proposte del Sig. Velseri ». ( 3 > « gli aquilini » è indicato elio si corregga in c ora con propriotà aquilina ». (*) Dopo « conseguenze » è aggiunto tra lo lince: « il tutto osservato con ogni diligenza, trattato con ogni accuratezza o giudizio ». ( s ) Sopra < dubitare » è scritto « considerare ». V. U 84 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI tenuta per saldissima, forse non riceveranno con candidezza (li monte ciò che dal sin¬ cerissimo alletto del Sig. Galilei e puro desiderio o studio della verità ò derivato : ina la sodisfazzione di questi (so alcuno ve n’ ò) non deve talmente esser riguardata, nè meno da essi, che per loro particolar interesse si devano occultare quegli edotti veri e sensati, che per aggrandimento delle scienze vere c reali ristessa natura va pale¬ sando. A quelli poi clic pretendessero anteriorità nelle osservazioni di tali macchie, non si nega il poter loro averle osservate senza avviso precedente del Sig. Galilei, confò anco manifesto averlo essi prevenuto nel farle publiche con le stampe; ma ò anco altrettanto o più chiaro, a moltissimi averne il Sig. Galilei, molto avanti che scrittura alcuna venisse in luce, data privata contezza (pii in Roma, ed in particolare, io come di sopra ho dotto, nel Giardino Quirinale l’Aprile deiranno 1011, e molti mesi inanzi ad amici suoi privatamente in Fiorenza: dove che le prime scritture che di altri si sieno vedute, che sono quelle del liuto Apollo, non hanno più antiche osser¬ vazioni che deirOttobrc del medesimo anno 1011. era bastante a chiarir il tutto, e ’l non mancar nel mondo leali filosofi, che, mossi dall’amor del vero, palesino da chi c come egli 10 stessi n’abbiano anta notizia. Publica il dottissimo Matematico Cesareo Giovanni Keplero la Teorica ilei Tele¬ scopio 10 , e v’ inserisce quattro lettere dal Sig. Galilei privatamente scritte w in avviso delle cose di Venere e di Saturno, di modo senza saputa del detto, elio un anno dopo 1* impressione 1’ ò capitato alle mani: V istossi primi scoprimenti e 20 primo celeste telescopio e suo primo uso evidentemente il primo autore di tutti manifestavano : e sì come le vario forme di Venero c le macchie del Solo possono forse esser state vedute ed osservate da altri senza che no siano dal Sig. Galilei stati avvertiti, così ò certissimo che le coso avvisato dal Sidereo Nmicio 0 la tri¬ plicità di Saturno niuno potrà dire averlo osservate, se non dopo la notizia da¬ tatane dal Sig. Galilei col predetto libro, lettere o tradizione; ed ù parimente certissimo clic in niuna di dette coso V osservazion del detto sia stata prevenuta, ancorché nelle macchie e Venere possa esser stata prevenuta la publieazione per stampa. K possibile 10 elio lo scrittore elio si fa chiamare Apollo abbia in Ger¬ mania osservate le macchie solari senza averne avuta notizia dal Sig. Galilei: ma 30 ò poi totalmente impossibile elio Rabbia provenuto noli’osservarlo, poi elio esso lo mostrò a molti in Roma 0 le notificò a molti il mese (l’Aprile l’anno 1 (ili, come molto prima aveva latto in bivenze, accortosene nel principio do gli altri scopri¬ menti, menti e, avvicinatosi già col telescopio il cielo, tutti i corpi di quello, 0 massime i più cospicui e nobili, andava ricercando 0 visitando; Apollo poi (l) « °& l * ò corretto in « eglino *. gni i tempi doliti lotterò dato >; 0 «opra « scritto » « Teorica del Telescopio > ò sottolineato, o si leggo « del »: cioè, corno sembra, si indicava di sopra 0 scritto «sua Dioptrica ». aggiungere lo dato dolio quattro lotterò di Qami.ko. 1 In margino si leggo questa avvertenza: « giu- <** Sopra « k possibile * ò scritto « Puoi cssoro ». INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 85 Resti per tanto noto a ciascuno, esser veramente particolare determinazione di’ in un solo soggetto caschi nella nostra età non solo il celeste uso del tele¬ scopio, ma anco gli scoprimenti ed osservazioni di tante novità nelle stelle e corpi superiori. Nò ciò si ascriva, come alcuni pur tentano, per diminuir forse la gloria dell’ autore, a semplice caso o fortuna; poi clic da loro stessi riman¬ gono questi tali convinti e condannati, essendo stati quelli che per lungo tempo negarono e si risero de’primi scoprimenti del Sig. Galilei; ma so, dopo Tesserne stati avvisati, stettero tanto tempo prima che venissero in certezza delle stello le (,) osserva in Germania l’Ottobre e ’l Novembre del 1611, e per ciò no riceve dal¬ lo T innominato Batavo gratula/,ioni. Intendo ben clic vi son stati di quelli, ma duro fatica a crederlo, clic di gran pezzo dopo la publicazione del Nuncio Sidereo hanno in publico tentato di prendersi il possesso della montuosa Luna e misurarne i monti, ricordandosi solo del Sig. Galilei con qualche taccia (!) ; il che se è vero, non ò di bisogno, lettore, che da me ti sia meglio chiarito, acciò sappi i successi veri di queste celesti fazzioni, o meglio puoi conoscere quanto la voglia trasporti avanti a pretendere. In che modo poi da altri, ove vi vien posto mano, e dal Sig. Galilei siano state trattate queste materie, apparisca pure dalla compara¬ zione delle scritture ; e cessi in tanto il cupido affetto di gloriosa invenzione a mento più giusta, nò vaglia impedire a quelli clic d’animo sincero sono il gusto 20 di queste onorate fatiche. Quali posso dubitare 131 riescano per altro titolo ad alcuni 1,1 meli care di quello che dovrebbono. Novo esperienze, nova cognizione ci cagionano, nè, come vorremmo, 1’ opre della natura sempre a’ nostri inveterati dogmi o presupposti rispondono, anzi di raro ; onde, so le cose qui scoperte sa¬ ranno contrarie e di periudizio ad alcune opinioni di quelle iilosofiche sette che oggi giorno sono di più frequenza e più vagliono, non è dubio che da i seguaci di quelle, mentre siano avviluppati ne’ ligacci delle famose 1 ' 1 auttorità do’capi, saranno con mal animo riguardate, veggendone crollare titubare o pur del tutto cadere principali fondamenti con tant’ applauso pria stabiliti. In oltre, ho occa¬ sione di pensare che quell’ invido livore che nell’ umane ( ' 11 menti pur troppo larga- 80 mente suol regnare, cagioni che le siano mal ricevute da altri, e forse con qualche noia. Vedendo tali la communc gratitudine de’ studiosi verso l’autore di questi scoprimenti, conoscendosi privi d’essi e d’ ogni colore da poter pretenderci, po- trebbono procurare d’impedirne il corso e distoglierne l’utile, mentre non le piacesse di dar e veder dare quegli onori ad altri, eli’essi, non meritando, non 0) l) ms. ha: «li*, sopra «crederò * ò scritto « ioiaginarmi ». 1*1 « qualcho taccia * è sottolineato; ed è in- (*) « ad alcuni » è sostituito a «Ino parole, di dicato elio si corregga in « tacciarlo qualcho volta cui la soconda non si distinguo con sicurezza. Forso assai irrazionalmente ». Sopra « irrazionalmonte » ò prima dicova « a molti *. scritto nitrosi « irragionevolmente ». Il ins. ha: « ne’ligaccio dello famosi ». Sopra « dubitare * si leggo « credere »; o W Il ms. ha: « umani ». 86 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Medicee c dell’altre nuove osservazioni, come potrarm’cglino non confessare che, per quanto dipendo dalla possibilità loro, le medesime cose sariano perpetua- mente rimaste occulte? Non devono dunque chiamarsi accidenti fortuiti o ca¬ suali, lo grazio particolari clic vengono di sopra, se gii! non volessimo riputar tali anco l’eccellenza d’ingegno, la saldezza di giudizio, la pcrspicacità del discorso, l’integrità, di mente, la nobiltà dell’animo ed in somma tutto l’altro doti clic per natura o per grazia divina ci vengono conceduto. Ora bo il Sig. Ga¬ lilei per la strana novità de’suoi trovati 6 stato por non breve tempo soggetto del morso di molti, come per tante scritture oppostegli' 0 , ripiene la maggior parto più di affetto alterato elio di fondata dottrina c saldo ragioni, si scorge, non io devono, mentre di giorno in giorno si va maggiormente scoprendo non averci egli proposta cosa clic vera non sia, contendorsegli quello lodi che giusto ed ono¬ rato prezzo sogliono e devono essere di si utili ed onesto fatiche. E tu, discreto lettore, so ben che godendoti (sua mercè) il discoperto cielo, di nuovi giri o splendori arricchito, e contemplandoci a tua voglia l’istesso Sole non possono acquistare o ricevere, e vederli far quei frutti eli’ ossi non boiio atti a produrre. A questi, assieme con gli altri, poi clic facilmente simili affetti s’accom¬ pagnano, non manca nel principio modo 10 d’interpetrar le cose, accrescerlo e minuirle; ondesogliono attribuire a fortuna ben spesso le coso 10 , per defraudar gli autori delle proprio fatiche, non s’accorgendo clic il cercare, l’osservare, il co palesarne il moto, gli accidenti, il filosofarci sopra, ne rendo a quelli il proprio onore, ed a loro apporta biasino di poca giudiziosa malignità. Seguono poi, man¬ candole le ragioni, armati di belle ma Unte distinzioni, di pure o ben spesso stiracchiate e mal intese auttorità, ad aiutarsi nel contrariare, usandole con bel¬ lissimi colori gravità ed (s > efficacia di dire. Appresso, crescendo l'affetto o man¬ cando 1’ effetto, si sfogano con gli ultimi sforzi, col mordere, col motteggiare o proverbiare Mancate finalmente lo forze, mal reggendosi in gambe, accecati dall’ 171 affetto, a strani refugii sogliono gettarsi, c lasciarsi trasportare a pronunciare esorbitanze, pergiudicando a loro stessi cd a cose che carissimo le dovrebbono essere (»> 30 Voglio però credere, lettore, ch’in te di simili affetti ninno possa 1 ” aver luogo, anzi essi in molti pochi possino ritrovarsi ; direi pochissimi c quasi niuno, tanto O La stampa lm: « oppostogli >. « A questi ... modo » ò corretto in « Questi insieme con gli altri ... s’accompagnano, usano nel principio certi modi ». <3) « ondo > ò cancellato, e sopra è scritto * mi¬ rali il me nto, c ». <4> Sopra « lo coso », clic non è cancellato, si leggo « i fatti ». <5) I )o P<> «od» è aggiunto, tra le lineo, «autororolo». Dopo « proverbiare > è aggiunto, tra lo lineo, «con simulato e non spontaneo riso ». ( ;) Il ms. ha : « dal ». Dopo « ossoro » ò aggiunto, tra lo lineo, « o di sommo pregio ». Sopra « possa », elio non è cancellato, si leggo « debba ». INTOUNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 87 men elio gli altri chiari oggetti, glie no sarai gratissimo, e massime se attentamente andrai considerando con qual maniera c fermezza di ragioni (nelle quali il caso parto alcuna aver non puotc) venga il tutto trattato c stabilito. E se in private lettere, clic, ben che scritto a persone di eminente dottrina, pur si scrivono in una corsa di penna, trovi tal saldezza di dimostrazioni, tanto più devi sperare di veder T istosse matcrio o molte altro appresso ne 1 particolari trattati del medesimo autore più perfettamente spiegate. Ora per tuo diletto ed utile si fanno a te pu- bliche queste lettere. Gl’invidi c detrattori s’astcngliino pur da tal lettura, non sondo scritte per loro; anzi, essendo dall’autore inviate privatamente a un solo, io dotato 'di molta intelligenza o di mente sincera, non devo io con suo pregiudizio inviarle a persone contrariamente qualificate. Non perù s’aspetta talmente il tuo favore ed applauso, che si ricusino le tue censure e contradizioni in quello cose clic dubbie o non ben confermate ti apparissero : anzi ti rendo certo che al Sig. Ga¬ mi paiono lontani da ogni umanità, se alcune fresche cognizioni non mel vietas¬ sero. Crederò anco eh’ insieme con altri molti d’intelletto libero e di mente sin¬ cera, nelle contemplazioni naturali cercando puramente della cognizione delle coso il vero, questo da altri palesato non altramenti riceverai, che se da te o tuoi ritrovato fosse, rendendo di leal gratitudine effetti convenevoli; poi clic ovunque virtù s’annida e buona mente, resta indifferente l’affetto alla persona, siasi mo- 20 doma o antica, famosa o meno celebrata (,) , abbia seguaci o no (s) , e solo movesi por la cosa stessa, o propria o di qualunque: per mezo della quale se l’intel¬ letto (,1) il vero arriva, ne gode ; altramente, della facilità e commodità cagionata dal diligente cereamente aggirandosi, e a ciascuna occasione di sensato esperi¬ mento volentieri appigliandosi, son disposti ^ sempre sottoporsi e accomodare i proprii motivi ed opinioni alla realtà delle cose, nò ardir mai di stiracchiare e sforzarsi d’ aggiustar questa alli piantati ed ostinatamente radicati principiò Con disposizioni così lodevoli e giuste, senz’incorrere in alcuna indegna taccia, eser¬ citando libera e schietta, e non servile ed impura, filosofia, potrà ogni nobil in¬ gegno, c de’sopra narrati nobilissimi colesti scoprimenti pascer V intelletto, nova so cognizione acquistando di sublime cose, e, avendone dottrina e diletto, godersi sempre 1 ’ osservazioni ed esperienze, ovunque prenderle lece. Prendano altri, se ciò non gli aggrada, da questi scoprimenti Putii che porge l’erudita discussione di molti particolari, già nella filosofia e matematica addormentati, ora eccitati O) « o mono colobratA » ò sottolinoato, e sopra si leggo : « Molla Peripatetica, Acadcmica, altra sotta o proprio speculazioni ». c ahl»ia sognaci o no > è indicato elio si cor¬ regga in « abbia molti o pochi seguaci ». (M « Pintelletto » ò sottolineato, o sopra log- gesi « lii r&ggione ». « o a ciascuna ... disposti» ò corrotto in « a ciascuna ... volentieri s’appiglia, disposto »; o < disposto » è poi corrotto in < disposta » (cfr. nota 3). 88 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. li lei non meno le correzioni che lo lodi, non meno lo contradizzioni che gli as¬ sensi, saranno sempre care; anzi tanto più quelle elio questi, quanto quelle nuova scienza possono arrecargli, e questi la giù guadagnata solamente confermargli. Vivi felice. ed agitati ; dico la solidità, 1’ incorruttibil perpetuità de’ celesti corpi, la traspa¬ renza, opacità, figura e numero dello stelle, la luce, sui ricetti, produzzioni, reflessi, imprimenti o simili, e, quel che più, il posto ed ordino do’corpi in questo grand’universo: sentano da una parte far la Luna trasparente, dall’altra pezzata o di varii e misti licori c colori, dall’altra corcarsi l’origine del linceo telescopio, e distinguerlo o pur confonderlo con gli altri occhiali, de’ quali pur altrove si io cerchi il principio; questioni, o dotte, o erudite, o dilettevoli: e se n r anco questo gusto gli porgono, ne restino pure a lor voglia privi. K tu, lettore, virtuosamente esercitati per il solo vero, stimando per quello gli altrui osercizii e fatiche. Sta* sano. unnisfta iVHifyfcii BUS ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 91 IN GALILEUM GALILEUM LYNCEUM. LUCAE YALERII LYNCEI, MAX li EM ATIOAE ET CIVILIS riIILOSOPIIIAE IN ALMAK UIU1IS GYMNASIO PllOFESSOltlS. DUM radio, GAL 1 LAEE, tuo eoelum omne retectum Spectat, et insolito murmure Terra fremit, Quae contra tempus solido non aere resistit, io Aeterna in fragili stat tibi fama vitro. IOANNIS FABRI LYNCEI, BAMBBRGBNSIS, BIMPLIOIARII PONTIFICI!, AC B0TAN10AM IN URBE PUBIJCK PHOFITENTIS. NON tibi Daedaleis opus est, GALILAEE, volanti Ad Solem pennis ; Sole tepente cadunt. Nec Ganymedaea velieris super astra volucri ; Imbcllcs pueros haec modo portat avis. Ast tibi, ceu LYNCI. penetrent quae moenia coeli, 20 Lumina praeclaruni contulit ingcnium, Queis nova demonstras tu sydera PUIMUS Olympo, Atque subesso novas Sole doces MACULAS. v. 12 92 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. DI FRANCESCO STELLITI! LINCEO. Son, GALILEO, tuoi pregi or si possenti, Clic da la face del notturno orrore Spuntan, per seggio di tua gloria, fuore Ben cento Olimpi ad onorarti intenti. E qualor co’ tuoi vetri industro il tonti, S’inchinan Balte spero a tuo favore; E per far vie piti chiaro il tuo valore, ■Nascon a mille a mille orbi lucenti. L’apportator del giorno aneli’ ei comparto Prodigo il lume a te, ch’il fura intanto Del suo bel volto a la più chiara parte. Così di macchie asperso il puro manto Tu primier co T additi ; e con tal arte Fregi d’immcrtal luce il tuo gran vanto. io * PRIMA LETTERA DEL SIG. MARCO VELSERI AL SIG. GALILEO GALILEI DELLE NOVITÀ SOLARI. Molto Illustre ed Eccellentissimo Signore, Virtù» t recludens im ut eviti8 mori Coelitm } regala tentili ire via. Giù, pii umani intelletti da dovero fanno forza al cielo, e i pili gagliardi so ’l vanno acquistando. V. S. è stato il primo alla scalata, e ne ha riportato la corona murale. Ora le vanno dietro altri, con tanto maggior coraggio, quanto più cono- % io scono che sarebbe viltà espressa non secondar sì felice ed onorata impresa, poi clic lei ha rotto il ghiaccio una volta. Veda ciò che si è arrischiato questo mio int«ndo — 11. Veda a che, corrotto (cancellando a, o sostituendo intorlinoarmento « ciò) in Veda a ciò che, B; Veda a ciò che, s — 14-16. La mi /accia grazia ... moto manca in A, cho dopo pedate continua: Le bacio le mani CCC. — 17. dì anno, s — 18. nove, 8 — Gl Intorno alla mutazione introdotta nella stani- 17 o 24 novembre 1012, o quella del Vklskr a Gio- pa, vedi lo lotterò di Fsdbbico Cksi a G aulico dei vanni Fabkk dei 15 febbraio 1018. 94 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI PRIMA LETTERA DEL SIG. GALILEO GALILEI AL SIG. MARCO VELSERI CIRCA LE MACCHIE SOLARI, IN RISPOSTA RULLA ITìECliDENTE. Illustrissimo Sig. e Padron Colendissimo, Alla cortese lettera di Y. S. Illustrissiuia, scrittami tre mesi fa, rondo tarda risposta, essendo stato quasi necessitato a usare tanto silenzio da varii accidenti, ed in particolare da una lunga indisposizione, o, per meglio dire, da lunghe e molto indisposizioni ; lo quali, vietan¬ domi tutti gli altri esercizii ed occupazioni, mi toglievano principal- io mente di potere scrivere, sì come anco in gran parto me lo levano al presente, pure non tanto rigidamente, elio io non possa almeno rispondere ad alcuna delle Ietterò de gli amici c padroni, dello quali mi ritrovo non picciol numero, che tutto aspettano risposta. Ilo anco taciuto su la speranza di potere dar qualche satisfazione alla domanda di V. S. intorno alle macchie solari, sopra il quale argomento ella mi ha mandato quei brevi discorsi del fìnto Apollo ; ma la difficoltà della materia e ’l non avere io potuto far molte osservazioni conti¬ nuate mi hanno tenuto e tengono ancora sospeso ed irresoluto : ed a me conviene andare tanto più cauto e circospetto, nel pronunziare 20 novità alcuna, che a molti altri, quanto che lo coso osservato di nuovo e lontane da i comuni e popolari pareri, le quali, come ben sa V.S., sono state tumultuosamente negate ed impugnate, mi mettono in ne¬ cessità di dovere ascondere e tacere qual si voglia nuovo concetto, 1-4. Manca in A 0 B. In B si leggo sul margine, (li pugno di Galilko : Copia di una lettera all'Illustrissimo Sig. Marco Weber 0 , in Augusta. — 10. essercizii, s — 10-11. princi¬ palmente il potere, A, B — 13. padroni principali, delle, A — 20. circonspetto, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOI,ARI ECO. 95 sin che io non no abbia dimostrazione più. elio certa e palpabile ; perché da gl’ inimici dolio novità, il numero do i quali ò infinito, ogni orrore, ancor elio veniale, mi sarebbe ascritto a fallo capitaiis- clie esser singolare nel rettamente discorrere. Aggiugnesi che io mi contento più presto di esser l’ultimo a produrre qualche concetto vero, che prevenir gli altri per dover poi disdirmi nello cose con maggior fretta e con minor considerazione profferite. Questi rispetti mi hanno reso lento in risponder allo domande di V. S. Illustrissima, io e tuttavia mi fanno timido in produrre altro che qualche proposizion negativa, parendomi di saper più tosto quello cho le macchie solari non sono, cho quello che elleno veramente siano, ed essendomi molto più diffìcile il trovar il vero, che ’l convincere il falso. Ma per sa¬ tisfare almeno in parte al desiderio di V. S., anderò considerando quelle cose che mi paiono degne di esser avvertite nelle tre lettere del finto Apollo, già che ella così comanda, e elio in quelle si contiene ciò cho sin qui è stato immaginato per definire circa 1’ essenza il luogo od il movimento di esse macchie. E prima, che esso siano cose reali, e non semplici apparenze o 20 illusioni dell’ occhio o de i cristalli, non ha dubbio alcuno, come ben dimostra 1’ amico di V. S. nella prima lettera ; ed io lo ho osservate da 18 mesi in qua, avendole fatte vedero a, diversi miei intrinseci, e pur l’anno passato, appunto in questi tempi, le feci osservare in Roma a molti prelati ed altri signori. È vero ancora, che non re¬ stano fìsso nel corpo solare, ma appariscono muoversi in relazion di esso, ed anco di movimenti regolati, come il medesimo autore ha no¬ tato nella medesima lettera. È ben vero che a me pare che il moto sia verso lo parti contrarie a quelle che l’Apelle asserisce, cioè da occidente verso oriente, declinando da mezzogiorno in settentrione, 30 o non da oriente verso occidente o da borea verso mezzogiorno ; il (ilio anco nell’osservazioni descritte da lui medesimo, le quali in questo confrontano con le mie e con quante io ne ho vedute di altri, assai chiaramente si scorgo : dovo si veggon le macchie osservate nel tra¬ montar del Sole mutarsi (li sera in sera, descendendo dallo parti su¬ periori del Sole verso le inferiori ; e quelle della mattina ascendendo dalle inferiori verso le superiori, scoprendosi nel primo apparire nello 19. che esse veramente suino , A — 2G. movimenti regolari t s — 31. medemo, s — Lo macchio sono reali. Movimento dolio macchio. % ISTORIA E DIMOSTRAZIONI parti più australi del corpo solare, ed occultandosi o separandosi da quello nelle parti più boreali, descrivendo in somma nella faccia del Solo linee per quel verso appunto che furiano Venero o Mercurio, quando nel passar sotto ’l Sole s’interponessero tra quello e l’occhio nostro. Il movimento, dunque, delle macchie rispetto al Sole appai* simile a quello di Venere e di Mercurio e de gli altri pianeti ancora intorno al medesimo Sole, il qual moto è da ponente a levante, e per l’obliquità dell’orizonte ci sembra declinare da mezzogiorno in settentrione. So Apelle non supponesse che le macchio girassero in¬ torno al Sole, ma che solamente gli passassero sotto, è voro che il moto loro doveria chiamarsi da levante a ponente ; ma supponendo che quelle gli descrivino intorno cerchii, e che ora gli siano supe¬ riori ora inferiori, tali involuzioni devono chiamarsi fatte da occi¬ dente verso oriente, perchè per tal verso si muovono quando sono nella parte superiore de i loro cerchi. Stabilito che ha l’autore, che lo macchie vedute non sono illusioni dell’occhiale o difetti dell’occhio, cerca di determinare in universale qualche cosa circa il luogo loro, mostrando che non sono nè in aria nè nel corpo solare. Quanto al primo, la mancanza di parallasse no- 1. occultandosi e separandosi , B, s — 3. Venere e Mercurio, A — 17. diffet li, s — 19. solare stesso. Quanto, A. Dopo nè nel corpo solare stesso si legge nel coti. A, cancellato, quanto appresso: J£ quanto al primo , se Varia non si estende a maggior altezza intorno al globo terrestre di quello che comunemente sin qui si è creduto, non è dubbio alcuno che tali macchie siano fuori dell'aria, come la mancanza di paralasse notabile par che convinca; ma il punto sta se Varia e gli altri corpi integranti V universo sono, nella sustanza, nella grandezza, nel numero e nell 1 ordine, quali e quanti comunemente stima la popolar filosofìa. Intorno alle quali posizioni io ho grandissimi dubbiti e panni di veder tal maniera di filosofare per molte ragioni e sensate espe¬ rienze or mai in guisa titubante, che vano resti ogni sforzo che venga fatto da % suoi fautori e man- tenitori per accomodar più la natura e ’l mondo alla peripatet ica dottrina ; ma che sia forza di final¬ mente adattare la filosofia al inondo ed alla natura, c ciò con assai minor offesa dì Aristotile, suo principe, il quale se a questi secoli fosse rivo, cangcrcbhc molte sue opinioni, come quello che cono¬ scerebbe esser assai più lodevol consiglio il mutare una falsa credenza in una vera, che Vintro¬ durne cent’altre impossibili e false jicr ostinatamente mantenerne una erronea, il la gl’ ingegni valgavi timidi e servili , che altrettanto confidano, e bene spesso senza saper perchè, sopra Vau¬ torità d 1 un altro, quanto vilmente diffidali del proprio discoi so, pensano potersi di quella fare scudo, nè più oltre credon che si estenda Vobligo loro, clic a interpretare, èssendo uomini, i detti di un al¬ ti’uomo, rivolgendo notte e giorno gli occhi intorno ad un mondo dipinto sopra certe carte, senza mai sollevargli a quello vero e reale, che, fabbricato dalle proprie mani di Dio, ci sta, per nostro insegnamento, sempre aperto innanzi. Non intendo però di connumerar VAprile tra questi: [e] già V esser egli matematico , e curioso c diligente osservato [re. djvllc cose nuove c celesti , lo 1s/epara da i filosofi popolari. Ma tornando al nostro proposito, dico parermi _ Dopo parermi il foglio, per uno spazio (li circa otto lineo, ò coperto da un cartellino, sul quale è scritto il tratto da « Quanto al primo * (lin. 19) a «perché il * (pag. 97, lin.4). Questo cartellino copre altresì quelle lettere del brano ora riferito, che abbiamo racchiuse tra parentesi quadre. — 19. paralasse, A, B — INTORNO ALLE MACCIIIE SOLARI ECO. 97 tabilo mostra (li concluder necessariamente, lo macchie non esser nel- l’aria, cioè vicine alla Terra, dentro a quello spazio che comunemente si assegna all’elemento dell’aria. Ma che le non possin esser nel corpo solare, non mi par con intera necessità dimostrato ; perchè il dire, corno egli motto nella prima ragione, non esser credibile che nel corpo solare siano macchio oscure, essendo egli lucidissimo, non conclude : perchè in tanto doviamo noi dargli titolo di purissimo e lucidissimo, in quanto non sono in lui state vedute tenebre o impurità alcuna; ma quando ci si mostrasse in parto impuro e macchiato, perchè non dove- io remino noi chiamarlo e macolato o non puro? I nomi e gli attributi si devono accomodare all’ essenza delle cose, o non V essenza a i nomi ; perchè prima furon le cose, e poi i nomi. La seconda ragione conclu¬ derebbe necessariamente, quando tali macchie fussero permanenti ed immutabili; ma di questa parlerò più di sotto. Quello che in questo luogo vien detto da Apolle, cioè che le mac¬ chie apparenti nel Sole siano molto più negre di quelle che mai si siano vedute nella Luna, credo che assolutamente sia falso ; anzi stimo che le macchie vedute nel Sole siano non solamente meno oscure delle macchie tenebrose che nella Luna si scorgono, ma che le siano non 20 meno lucide dello più luminoso parti della Luna, quand’ anche il Sole più direttamente l’illustra: e la ragiono che a ciò creder m’induce, è tale. Venere nel suo esorto vespertino, ancor che ella sia di così gran splendor ripiena, non si scorge se non poi che è per molti gradi lontana dal Sole, e massime se amendue saranno elevati dall’ orizonte ; e ciò av¬ viene per esser le parti dell’ etere, circonfuse intorno al Sole, non meno risplendenti dell’ istessa Venere : dal che si può arguire, che se noi po¬ tessimo por la Luna accanto al Solo, splendida dell’ istessa luce che ella ha nel plenilunio, ella veramente resterebbe invisibile, come quella che vcrria collocata in un campo non meno splendente e chiaro della sua so propria faccia. Ora pongasi mente, quando col telescopio, cioè con l’oc¬ chiale, rimiriamo il lucidissimo disco solare, quanto e quanto egli ci appar più splendido del campo che lo oirconda; ed, in oltre, parago¬ niamo la negrezza delle macchie solari sì con la luce dell’ istesso Sole come con l’oscurità dell’ ambiente contiguo: e troveremo, per l’uno e per l’altro paragone, non esser le macchie del Sole più oscure del campo 9-10. doverono, 8 — 15. Quello che vieti da Apclle in questo luogo detto, 13, s —19 20. siano più lucide, A, 13; in B più è corretto, di mano di Galileo, in non meno .— Lo mucchio sono non mon lucide che lo lu¬ minoso parti della Lumi. i 98 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI circonfuso. Se dunque l’oscurità delle macchio solari non è maggior di quella del campo che circonda il medesimo Sole, e se, di più, lo splendor della Luna resterebbe impercettibile nella chiarezza del medesimo am¬ biente, adunque per necessaria consequenza si conclude, le macchie so¬ lari non esser punto men chiare delle parti più. splendide della Luna, ben che, situate nel fulgidissimo campo del disco solare, ci si mostrino tenebrose e nere : e se esse non cedono di chiarezza alle più luminose parti della Luna, quali saranno elleno in comparazione delle più oscure macchie di essa Luna? e massime se noi volessimo intender delle macchie tenebrose cagionate dalle proiezzioni dell’ ombre delle nion- io tuosità lunari, le quali in comparazione delle parti illuminate non sono manco nere che l’inchiostro rispetto a questa carta. E questo voglio che sia detto non tanto per contradire ad Apelle, quanto per mo- Mnioria dolio ime- strare come non è necessario por la materia di esse macchie molto chiu non molto donsn. . • . . . opaca c densa, quale si deve ragionevolmente stimare che sia quella della Luna e de gli altri pianeti; ma una densità ed opacità simile a quella di una nugola è bastante, nell’interporsi tra ’1 Sole o noi, a far una tale oscurità e negrezza. Quanto poi a quello clie l’Apelle in questo luogo accenna e che più diffusamente tratta nella seconda epistola, cioè di poter con quella 20 strada venir in certezza so Venere e Mercurio faccino le loro involu¬ zioni sotto o pur intorno al Sole, io mi sono alquanto maravigliato che non gli sia pervenuto all’orecchie, o, se pur gli è pervenuto, che ei non abbia fatto capitale del mezzo esquisitissimo, sensato e che frequentemente potrà usarsi, scoperto da me quasi duo anni sono, 0 Vonorecornuta, os- communicato a tanti che ormai è fatto notorio: e questo è, che Venere di differenti grande*. va mutando le figure nell’ istesso modo che la Luna ; ed in questi /•13 • potrà Apollo osservarla col telescopio, e la vedrà di figura perfetta circolare e molto piccola, se bene assai minore si vedeva nel suo esorto vespertino; potrà poi seguitare di osservarla, e la vedrà, intorno alla 30 sua massima digressione, in figura di mezzo cerchio; dalla qual figura ella passerà alla forma falcata, assottigliandosi pian piano secondo che ella si anderà avvicinando al Solo ; intorno alla cui congiunzione si 1. circonfuso, A. Dopo circunfuso nel coti. A si legge, cancellato, quanto appresso: sì come olire d questo ci si fa manifesto poi che le medesime macchie, uscite che sono fuori dell'incontro del Sole, restano invisilnli; il che non aoverrebbe se elle fossero del medesimo ambiente più tenebrose. — 12. inchiostro in rispetto, A — 20-21. con questa strada, A, II —32. assotiqlian- dosì, a — « INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 99 vedrà così sottile come la Luna di due o tre giorni, e la grandezza del suo visibil cerchio sarà in guisa accresciuta, che ben si conoscerà l’ap¬ parento suo diametro nell’esorto vespertino esser meno che la sesta parte di quello che si mostrerà noli’ occultazione vespertina o esorto mattutino, ed in consequenza il suo disco apparir quasi 40 volte mag¬ giore in questa positura che in quella: le quali cose non lascieranno luogo ad alcuno di dubitare qual sia la rovoluzione di Venere, ma con assoluta necessità conchiuderanno, conforme alle posizioni do i Pitagorici o del Copernico, il suo rivolgimento esser intorno al Sole, io intorno al quale, corno centro delle lor involuzioni, si raggirano tutti gli altri pianeti. Non occorro, dunque, aspettar congiunzioni corporali per accertarsi di così manifesta conclusione, nè produr ragioni sog¬ getto a qualche risposta, ben che debole, per guadagnarsi l’assenso di quelli la cui filosofia viene stranamente perturbata da questa nuova costituzion dell’ universo ; perchè loro, quand’ altro non gli strin¬ gesse, diranno elio Venero o risplenda per sò stessa, o sia di sustanza penetrabile da i raggi solari, sì che ella venga illustrata non sola¬ mente secondo la superfìcie, ma secondo tutta la profondità ancora; e tanto più animosamente potranno farsi scudo di questa risposta, 20 quanto non sono mancati filosofi e matematici che hanno creduto così (e questo sia detto con pace d’Apelle, che scrive altramente), ed al Copernico medesimo convien ammettere come possibile, anzi pur come necessaria, una delle dette posizioni, non avendo egli potuto render ragione in qual guisa Venere, quando è sotto ’l Sole, non si mostri cornicolata : e veramente altro non poteva dirsi avanti che il telescopio venisse a farci vedere come ella è veramente per sè stessa 3. esserlo, a — 4-5. nell 1 occultazione, ed in consequenza, A, 13. Nel cod. A Galileo ag¬ giunse sul margine: mattutina o esorto vespertino; poi cancellò questo parole, e corresse: vespertina o esorto mattutino W.— 9. revolgimento, s — 12-13. sogctte,n —15. constituzion, 13, s — W Quest'aggiunta, e nella forma incili era sfuggita dapprima dalla penna di Ga¬ lileo, «mattutina o esorto vespertino », fu inviata da Galileo a Federico Cesi nella lettera dei 4 novembre 1012; e ad essa si riferisce pure il seguente appunto, che si legge, di mano del Nostro, sul margino della carta sulla quale incomincia l’autografo della terza lettera sulle macchio solari (Mss.Gal., Par. Ili, T. X, car. 26 r.): «Ricordo. Scri¬ vere al Sig. Marchese che nella prima Let¬ tera, circa 20 versi dopo il principio del ra¬ gionamento di 9, aggiunga alle parole di quello che si mostra nell 1 occultazione « mattu¬ tina o esorto vespertino », cd in consequenza il suo disco cte. ». Nell’ edizione originale del VIstoria e Dimostrazioni leggiamo pure mattutina o esorto vespertino; ma VErratacor- rige avverte di emendare vespertina o esorto mattutino: e all’errore occorso in questo passo accenna Federico Cesi nella lettera a Galileo dei 28 dicembre 1612. v. 13 100 ISTORIA 13 DIMOSTRAZIONI tenebrosa come la Luna, e che come quella va mutando figuro. Ma io 0 ’, oltre a ciò, posso muover gran dubbio nell’inquisizione il’Apollo, mentre egli, nella congiunzione presa da lui, corca di veder Venere nel disco del Sole, supponendo elio veder vi si dovrebbe in guisa d’ una macchia assai maggiore d’alcuna delle vedute, essendo il suo visibil diametro minuti tre, ed in consequenza la sua superficie più di una delle centotrenta parti di quolla del Solo : ma ciò, con sua Venero piecioiìssi- pace, non è vero, ed il visibil diametro di Venere non era allora ma rispetto al Solo. 1 nò anco la sesta parte di un minuto, e la sua superficie era minore di una delle quarantamila parti della superficie del Sole, sì come io io so per sensata esperienza ed a suo tempo farò manifesto ad ogn’uno. Vegga dunque V. S. gran campo che si laseerebbe a coloro che vo¬ lessero pur con Tolomeo ritener Venere sotto il Sole, i quali potrobbon dire che in vano si cercasse diveder un sì picciol neo nell’immensa e lucidissima faccia di quello. E finalmente aggiungo, clic tale espe¬ rienza non convincerà necessariamente quelli elio negassero la rovo- luzione di Venere intorno al Sole, perc hè potrobbon sempre ritirarsi a dire elio ella fosse superior al Solo, fortificandosi appresso con l’autorità di Aristotele che tale la stimò. Non basta, dunque, elio Apelle mostri che Venere nello corporali congiunzioni mattutine non so passa sotto ’l Sole, se egli non mostrasse ancora come nelle congiun¬ zioni vespertine ella gli passasse sotto : ma tali congiunzioni vesper¬ tine, clie siano però corporali, si fanno rarissimo volte, ed a noi non succederà il poterne vedere: adunque Targomento d’Apollo è man¬ chevole per concluder il suo intento. Vengo ora alla terza lettera, nella quale Apelle più risolutemente determina del luogo, del movimento o della sustanza di queste mac¬ chie, concludendo che siano stelle, le quali, poco lontane dal corpo solale, intorno se gli vadiuo volgendo alla guisa di Mercurio e di Venere. , l0 Per determinar del luogo comincia a dimostrar, quelle non esser 7. ci» quelle del, 13, s -10. quaranta mila, 13, s-13. Tolommro, A, 13 - 18. che lei fot- se, A, 13, s; nell’ Erratacorrige della stampa lei è corretto in ella. — 21. sotto il disco so¬ lare, se, A—24. arg", A; argomento, 13 — 2G. resolutamente, A — ,l) Da « Ma io » a « il suo intento * (lin. Lh>) nel coti. A è sostituito, in margine, al seguente tratto, che è cancellato: * Non resti, dunque, Apelle tanto ascosto dietro alla tavola, eh 1 ei non vegga quelli che vanno inuanzi ed in dietro », INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 101 nell’ istesso corpo del Sole, il quale col rivolgersi in sè stesso ce le rappresenti mobili; perchè, passando il veduto emisfero in giorni quin¬ dici, doveriano ogni mese ritornar ristesse, il che non succede. L’argomento sarebbe concludente, tuttavolta che prima constasse che tali macchie fhssero permanenti, cioè che non si producessero di nuovo, ed anco si cancellassero e svanissero; ma chi dirà che altre si fanno ed altre si disfanno, potrà anco sostenere che il Sole, ri¬ volgendosi in sè stesso, le porti seco senza necessità di rimostrarci mai le medesime, o nel medesimo ordine disposte, o dello medesimo io forme figurate. Ora, il provar elio elle sian permanenti, l’ho per cosa Mucchio non por¬ difficile, anzi impossibile ed a cui il senso repugni ; ed il medesimo Apollo no averà vedute alcune mostrarsi, nel primo apparir, lontane dalla circonferenza del Solo, ed altre svanire e perdersi prima che fini¬ schino di traversare il Sole, perchè io ancora di tali ne ho osservate molte. Non però affermo o nego elio lo siano nel Sole, ma solamente dico non esser a sufficienza stato dimostrato che le non vi siino. Nel resto poi, che 1’ autore soggiugne per dimostrare che le non sono in aria o in alcun de gli orbi inferiori al Sole, mi par di scorgervi qualche confusione, ed in un certo modo incostanza, ripi- 20 gliand’ ei, pur come vero, 1’ antico e comune sistema di Tolomeo, della cui falsità ei medesimo poco avanti ha mostrato di essersi ac¬ corto, mentre che ha concluso che Venere non ha altramente la sua sfora inferiore al Sole, ma che intorno a quello si raggira, essendo ora di sopra ed ora di sotto, ed affermato l’istesso di Mercurio, le cui digressioni, essendo assai minori di quelle di Venere, necessitano a porlo più propinquo al Sole ; tuttavia in questo luogo, quasi rifiu¬ tando quella che egli ha poco fa creduta, e elio in effetto è, veris¬ sima costituzione, introduce la falsa, facendo alla Luna succeder Mercurio, ed a lui Venere. Volsi scusar questo poco di contradizione ao con dir che egli non avesse fatto stima di nominar, dopo la Luna, prima Mercurio che Venere, o questa che quello, come che poco im¬ portasse il registrargli preposteramente in parole, pur che in fatto si ritenessero nella vera disposizione : ma il vedergli poi provar per via della parallasse che le macchie solari non sono nella sfera di Mer- 9-10. o delle medesime forme figurate manca in À; in I] ò aggiunto in margine, di inano di Galileo. — 14. traversare il disco solare, perchè, A— 15. molte. Io non, À, 13 — 19. inenv- sìanza, 13, s — 28. constituzionc, 13, s — 34. paratasse, A, 13 — 102 ISTORIA 13 DIMOSTRAZIONI Moti circolari eh© d ascrivono eccentrici ed epicicli. Natura non si servo cìolli orbi. curioj o soggiugner elio tal mozzo non snrebbo por &v\ontuni olile-fico in Venero por lei» piccolezza dolio» pnrullcisso simile a (juolhi (lei Solo, rende nulla la mia scusa, perché Venero averà dello parallassi mag¬ giori assai che quelle di Mercurio o del Solo. Panni per tanto di scorgere che Apollo, come d’ingegno libero o non servile, e capacissimo dello vero dottrine, cominci, mosso dalla forza di tante novità, a dar orecchio od assenso alla vera o buona filo¬ sofia, e massime in questa parto elio concerne alla costituzione doli’uni¬ verso, ma che non possa ancora staccarsi totalmente dallo già impresso fantasie, alle quali torna pur talora l’intelletto abituato dal lungo uso io a prestar 1’ assenso : il che si scorgo altresì, pur in questo medesimo luogo, mentre egli cerca di dimostrare che lo macchie non sono in al¬ cun do gli orbi della Luna di Venero o di Mercurio, (love ei va rite¬ nendo come veri e reali e realmente tra loro distinti e mobili quelli eccentrici totalmente o in parte, quei deferenti, equanti, epicicli etc., posti da i puri astronomi per facilitar i lor calcoli, ma non già da ritenersi per tali da gli astronomi filosofi, li quali, oltre alla cura del salvar in qualunque modo l’apparenze, cercano d’investigare, conio problema massimo ed ammirando, la vera costituzione dell’ universo, poi che tal costituzione è, ed è in un modo solo, vero, reale ed im- ao possibile ad esser altramente, e per la sua grandezza e nobiltà doglio d’esser anteposto ad ogn’ altra scibil questiono da gl’ ingegni spe¬ llativi. Io non nego già i movimenti cii’colari intorno alla Terra e sopra altro centro che quello di lei, nò tanpoco gli altri moti cir¬ colari separati totalmente dalla Terra, cioè che non la circondano c riserrano dentro i cerchi loro ; perché Marte, Giove o Saturno, con i loro appressamenti e discostamenti, mi accertano di quelli, o Venero e Mercurio e più i quattro pianeti Medicei mi fanno toccar con mano questi, o per consequenza son sicurissimo che ci sono moti circolari che descrivono cerchi eccentrici ed epicicli: ma elio per descriverli so tali la natura si serva realmente di quella faragine di sfere ed orbi figurati da gli astronomi, ciò reputo io così poco necessario a cre- dersi, quanto accomodato all agevolezza de’ computi astronomici j o sono d’ un parer medio tra quegli astronomi li quali ammettono non solo i movimenti eccentrici delle stelle, ma gli orbi c le sfero ancora 1. aventura, s - 2. paralasse, A, B - 3. paratassi, A, 11—8. slituzionc, a 24. tun poco, A, li —33. accommodatu , a — conòtituziom , li, e — 19, 20. con INTORNO AU.K MACCIIIK SOLARI KCC. 103 eccentriche, le quali lo conduchino, e quei filosofi che parimente negano e gli orbi e i movimenti ancora intorno ad altro centro che quello della Terra. Però, mentre si tratta d’investigar il luogo delle macchie solari, avrei desiderato che Apollo non P avesse scacciate da un luogo reale che si trova tra gl’ immensi spazii ne i quali si rag¬ girano i piccioli corpicelli della Luna di Venere o di Mercurio, scac¬ ciate, dico, in virtù d’ una immaginaria supposizione, che tali spazii sieno interamente occupati da orbi eccentrici epicicli e deferenti, disposti, anzi necessitati, a portar con loro ogn’ altro corpo che in io essi venisse situato, sì eli’ ei non potesse per sè stesso vagare verso niun’ altra banda, se non dove con troppo dura catena il ciel am¬ biente gli rapisse : e tanto meno vorrei questo, quanto io veggo il medesimo Apello a canto a canto conceder questo stesso che prima avea negato. Avea detto che le macchie non possono essere in al¬ cuno de gli orbi della Luna di Venere o di Mercurio, perchè se in quelli fossero, seguiterebbono il movimento loro ; suppone, dunque, che elleno movimento alcuno proprio aver non vi potessero : conclu¬ dendo poi che le siano nell’ orbe del Sole, ammette che lo vi si muovino con revoluzioni proprie, sì che lo siano potenti a vagar per 20 la solare sfera : ma se mi sarà conceduto che le possino muoversi per il cielo del Sole, non doverà essermi negato che le possino similmente discorrer per quel di Venere; e se mi vien conceduto il muoversi un poco ed il. non ubbidire interamente al rapimento della sfera continente, io non avere per inconveniente il muoversi molto e ’1 non ubbidir punto. Io non voglio passar un altro poco di scrupolo che mi nasce sopra questo medesimo luogo, nel chiuder che fa Apelle la sua ultima illa¬ zione : dove par eh’ ei determini che le macchie siano finalmente nel ciel del Solo (ed è ben necessario il porvele, poi che, por suo parere, le si raggirano intorno ad esso, ed in cerchi molto angusti) ; sog- 30 ghigne poi, quelle non poter essere nell’eccentrico del Sole, nè negli 10. venissi, s — 22. conceduto (li muoversi, s — 26. fa Vautore la, A, B — pag. 103, 1 in. 27 — pag. 104, lin. 4. Nella prima stesura del tratto da « dove par » fino alla lin. 4 della pag. 104, mancava, come dall’«autografo appare, il brano (ed èbeti ... angusti)*, inoltre, dopo fosse (pag. 104, lin. 1) seguitava: e iterò esser necessario che si muovino di movimenti proprii intorno al corpo solare. E veramente , come le si muovono intorno al Sole, è necessario porle nel ciel del Sole; c se questo c, io non so intendere come Vautor non voglia chele siano in orbe alcuno dei me¬ desimo cielo, (tali LEO cancellò poi questo brano, sostituendovi Or qui ... composta (pag. 104, lin. 1-4), « aggiunse in margine il tratto (ed e ben ... angusti). ~ 29. intorno al Sole ed, A, B; in B al Sole è corretto, di mano di Galileo, in ad esso . — 104 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI eccentrici secunclwn quid, nè in altro orbe, se altro ve ne fosse. Or qui non posso intendere, in qual modo le possino essere nel cielo del Sole ed intorno al corpo solare raggirarsi, senza esser in alcun de gli orbi de’ quali la sfera del Sole vien composta. Li tre argomenti elio Apelle pone appresso por necessariamente convincenti, lo macchie muoversi circolarmente intorno al Sole, par elio abbino ben assai del probabile ; non però mancano di qualche ragione di dubitare. Quanto al primo, lo scemar la larghezza delle macchie vicino al lembo del Sole darebbe segno che le l'ussero stelle» che girandosi in cerchi poco più ampli del corpo solare, eomincias- io sero a mostrar la parte illustrata alla guisa della Luna o di Venere, onde la parto tenebrosa venisse a diminuirsi. Se non che ad alcuni che diligentemente hanno osservato, pare che la diminuzione delle tenebro si faccia al contrario di quello che bisognerebbe, cioè non nella parte che risguarda verso il centro del Sole, ma nell’a versa; Lo macchio vicino od a me non apparo altro, se non che le si assottigliano ,n . Quanto al al lombo (tei Solo ai “ . ’ , „ . , assottigliano. socondo, il dividersi quella, che vicino alia circonterenza pareva una macchia sola, in molte, ha questa difficoltà, che anco nello parti di mezzo si scorgono grandissime mutazioni d’accrescimento, di dimi¬ nuzione, di accoppiamento e di separazione tra esse macchio ; ed io 20 porrò appresso alcune mutazioni osservato da me. La differenza poi che si scorge tra la velocità del moto loro circa le parti medie e la tardità nell’ estreme, presa per il terzo argomento, essendo, come pare, molto notabile, parrebbe che arguisse più presto, quelle dover esser nell’ istesso corpo solare e muoversi al movimento di quello in sò stesso, che il raggirategli intorno in altri cerchi ; perchè simil dif¬ ferenza di velocità resterebbe quasi impercettibile al semplice senso, ogni volta che tali cerchi per qualche notabile spazio, ben che non molto grande, si allargassero dalla superficie del Sole, come nella medesima figura posta da Apelle si comprende. E qui par (2) che nasca ao in lui un poco di contradizzione a sè stesso : perchè in questo luogo 15. avversa, B, s—16. assottiglino, B, s — 20. accopiamento, s —30-31. nasca ncll’au- (ore, A, li — <‘> Lo parole « ed a me ... assottigliano * nate a comparirò in due mesi » (pag. 105, sono aggiunte nel cod. A in margino, e nel lin. 11), si leggo, così nel cod. A come nel cod. li tra le linee e d’altra mano da quella cod. li, su di un cartellino incollato sul che ha esemplato il resto della Lettera. margine dei respettivi fogli: noi cod. A (*) Il tratto da « E qui par * a « ritor- ò di inano di Galileo, noi cod. Il di mano I INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 105 • % ò necessario porro i cerchi delle conversioni delle macchie vicinissimi al globo solare ; altramente l’accrescimento della velocità del moto, e la separazione ed allontanamento delle macchie verso il mezzo del disco, le quali presso alla circonferenza mostravano di toccarsi, re- storebbono nulli : all’ incontro, dall’ argomento col quale ei poco di sopra provò le macchie non esser contigue al Sole, bisogna che ne¬ cessariamente ei concludesse, i detti cerchi esser dal medesimo assai lontani ; poi che solamente la quinta parte al più della lor circonfe¬ renza poteva restar interposta tra ’l disco solare e l’occhio nostro, io già che, traversando le macchie l’emisfero veduto in 15 giorni, non erano ancora ritornate a comparire in due mesi. Bisogna, dunque, diligentemente osservare con qual proporzione vada crescendo, o poi diminuendo, la detta velocità dal primo apparir di qualche macchia all’ultimo ascondersi; perchè da tal proporzione si potrà poi arguire, se il movimento suo è fatto nella superficie stessa del corpo solare, o pure in qualche cerchio da quella separato, posto però elio tal mutazione di macchie dependa da semplice movimento circolare. llestaci. da considerar quello che Apelle determina circa l’essenza e sostanza di esso macchie: eli’è in somma, che le non siano nò nu- 20 gole nè comete, ma stelle che vadino raggirandosi intorno al Sole. Circa a cotal determinazione, io confesso a V. S. non aver sin ora tanto di resoluto appresso di me, eli’ io m’ assicuri di stabilire ed affermare conclusione alcuna come certa ; essendo molto ben sicuro, la sustànza , f ? lista '» za m«c- 7 7 fìllio può ossoro u noi dello macchio poter essere mille cose incognite ed inopinabili a noi. j|{^ finita 0(1 in °P ina - 4. disco, clic presso, A — 5. nulle, B, s — 18. considerar questo clic, s — 22. che io mi assi¬ curassi di, A, B — ili copista, diversa da quella clic ha esem¬ plato il resto della Lettera (cfr. pag. 104, nota 1). Sul verso del cartellino che con¬ tiene nel coti. A quest 9 aggiunta si legge, pur di mano (li Galileo : « ... no vicinissimi al corpo solare, ed anco assai lontani: vi¬ cinissimi, per poter render ragione dell’ac¬ crescimento notabile della velocità e degl’ in¬ tervalli tra macchia e macchia verso il mezo del disco; e molto lontani, por poter asse¬ gnar causa dello star tanto tempo senza tornar a riscoprirsi sotto ’l Sole ». A que¬ sta medesima aggiunta si riferisce poi il se¬ guente appunto, elio Galileo scrisse di suo pugno, e poi cancellò, sul margine di una delle carte (Mss. Gal., Par. Ili, T. X, car. 13 t.) lo quali contengono l’autografo della seconda Lettera : « aggiungasi nella prima Lettera una contradizione d’Apellc: il quale, per far di¬ minuire gli spazii ed assottigliarsi le figuro delle macchie etc., è costretto a porle vicinis¬ sime al © ; ina poco avanti fu necessitato a porle assai lontane, quando osservò che le tra¬ versavano il © in 15 giorni e che nello spazio di 2 mesi non erano ancora ritornate : adun¬ que la parte del lor cerchio che s’interpone tra ’l Solo e noi non ò pili che la 5* parte, nella quale non si possono far lo mutazioni di figure, intervalli etc., conformi a che no mostra l’esperienza». Similitudine macchio solari atra nugolo. 106 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI o gli accidenti che in esse scorgiamo, cioè la figura l’opacità ed il movimento, per esser comunissimi, o ninna o poca e molto gene¬ rai cognizione ci possono somministrare: ondo io non ciedeioi che di biasimo alcuno fosse degno quel filosofo, il qual confessasse di non sapere, e di non poter sapere, qual sia la matei in delle macchio solali. Ma se noi vorremo, coti una certa analogia alle materie nostre; fa¬ miliari e conosciute, proferir qualche cosa di quello che le sembrino di poter essere, io sarei veramente (li parere in tutto contrario al- r Apelle; perchè ad esse non mi par elio si adatti condizione; alcuna dell’ essenziali che competono alle stollo, ed all incontro non trovo io delio in quelle condizione alcuna, che di simili non si vegghiuo nelle nostre nugole. Il che troveremo discorrendo in tal guisa. Le macchie solari si producono o si dissolvono in termini più e mon o no brevi ; si condensano alcune di loro o si distraggono grandemente da un giorno all’altro; si mutano di figure, delle quali lo più sono irrego¬ larissime, e dove più e dovo meno oscure ; od essendo o nel corpo solaro o molto a quello vicino, è necessario elio siano moli vastissime ; sono po¬ tenti, per la loro difforme opacità, ad impedir più o meno l’illuminazion del Sole ; o se ne producono talora molte, tal volta poche, ed anco nes¬ suna. Ora, moli vastissime ed immense, che in tempi brevi si producibile ao e si dissolvino, e che talora durino più lungo tempo o tal ora mono, che si distragghino e si condensino, che facilmente vadino mutandosi di figura, che siano in queste parti più denso ed opache, ed in quelle meno, altre non si trovano appresso di noi fuori che lo nugole ; anzi, che tutte l’altre materie sono lontanissime dalla somma di tali con¬ dizioni. E non è dubbio alcuno, che se la Terra fosse per sò stessa lucida, e che di fuori non li sopraggiugnosse l’illuminazione del Sole, a chi potesse da grandissima lontananza riguardarla, ella veramente farebbe simili apparenze : perchè, secondo cho or questa ed or quella provincia fosse dallo nugole ingombrata, si mostrerebbe sparsa di so macchie oscure, dalle quali, secondo la maggior o minor densità dello 2. Dopo movimento si legge in A, cancellato, quanto seguo: (e questo anco non interamente sicuro). 3. sumniinistrare, A, B. Dopo somministrare si legge in A, cancellato, quanto segue : (Iella quale non mi par che si debba far grande stima; sì come quando, per esemplo, deside¬ rando io di sapere qual sia la materia della Luna, mi vieti detto che è una parte più densa del suo ciclo. 11. reggino, li, s; in B ò corretto di inano di Galileo in vegghitio .— 13. in tempi più, A — 21. e si risolvino, A, li; in li i isnlvino è corretto, forse di mano di Galileo, in dissolvino. — 24-25. anzi tutte, A, B — 27. sopragiungette, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 107 lor parti, verrebbe più o meno impedito lo splendor terrestre ; ondo esse dove più o dove meno oscure apparircbbono ; vedrebbonsene or molte, or poche, ora allargarsi, ora ristringersi; e se la Terra in se stessa si rivolgesse, quello ancora il suo moto seguirebbono ; e per esser di non molta profondità rispetto all’ ampiezza secondo la quale comunemente elle si distendono, quelle che nel mezzo dell’ emisfero veduto apparircbbono molto larghe, venendo verso 1’ estremità par- rebbono ristringersi: ed in somma accidente alcuno non credo che si scorgesse, che simile non si vegga nelle macchie solari. Ma per- 10 c.hè la Terra è oscura, e l’illuminazione viene dal lume esterno del Sole, se ora potesse da lontanissimo luogo esser veduta, non si ve¬ drebbe assolutamente in lei negrezza o macchia alcuna cagionata dallo spargimento delle nu¬ gole, perchè queste ancora riceverebbono e re- fletterebbono il lume del Sole. Della mutazion poi di figura, della irregolarità e della dispari densità, prendane Y. S. questi due essempli. La macchia A, che il dì 5 d’Aprile passato, nel tramontar del Sole, s: vedeva tenuissima o so poco oscura, il giorno seguente si vidde, pur nel tramontar del Sole, come la macchia 13, cresciuta in scurità e mutata di figura, ed il giorno settimo fu simile alla figura C, e la positura loro fu sem¬ pre lontana dalla circonferenza del Sole. Il giorno 2G dell’ istesso mese, nel tramon¬ tar del Sole, cominciò ad apparir nella parte suprema della sua circonferenza una macchia simile alla D; la quale il giorno 28 era come la E, il 29 corno la F, il 30 come la G, il primo di Mag¬ ati gio come la H, il 3° come la L: e furon le mu¬ tazioni delle macchie F, G, II, L fatte assai lon¬ tane dalla circonferenza del Sole, sì che l’esser diversamente vedute (il che appresso alla circon¬ ferenza, mediante lo sfuggimento della superficie globosa, fa gran diversità) non poteva cagionar tanta mutazione d’aspetto. 2-3. ora molte, or poche, or allargarsi, s —17. dna, B, s — 30. il 3 come la L, s — 35. caygiotiar , s — Osservazioni . la principale stella di Saturno è stato corretto da Galileo nel cod. A in la stella principale .— w Quanto segue, da « se non forse » a «ma da ogni nostra immaginazione» (liti. 13) nel cod. A ò aggiunto in margine, e nel cod. Il tra le linee e di mano di copista diversa da quella che ha esemplato il resto della Let¬ tera (efr. pag. 104, nota 1). Dapprima, così in A come in li, dopo « avvenire » seguitava: * o quella che pone Apelle ccc. * ; poi * e quella * fu corretto in « Ma quella ». Abbiamo riprodotto queste due figuro dalla stampa. Avvertiamo però che la seconda figura nel l’autografo è così o elio nel cod. Il fu dapprima riprodotta conformo all’autografo, ma poi fu cancellata e sul margine del loglio lu rifatta come si vede nella stampa. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. Ili quando anche il movimento loro fosse mille volte più tardo di qual¬ sivoglia altro di altra stella che vadia vagando per lo cielo. A quello che da Apollo vien posto per ultima conclusione, cioè che tali macchio siano più presto stelle erranti che fìsse, e che tra il Sole e Mercurio e Venere co no siano assaissimo, delle quali quelle sole ci si manifestino che s’interpongono tra il Sole c noi; dico, quanto alla prima parte, che non credo che le siano nò erranti nò fìsse nò Macchie non sono 11 \ i» . . irti* , stello. stello, nè meno eh© si innovino intorno al colo m cerchi separati o lontani da quello; c so ad un amico o padrone dovessi dir in confi, io (lenza l’opinion mia, direi elio lo macchie solari si producessero e dis- cuo credo U'esso. solvessero intorno alla superficie del Sole, e che a quella fossero con¬ tigue, o che il medesimo Sole, rivolgendosi in sè stesso in un mese lunare in circa, le portasse seco, e forse riconducendone tal volta al¬ cuna di loro di più lunga duraziono che non ò il tempo d’ una sua conversione, ma tanto mutate di figura e di accompagnature, che non possiamo agevolmente riconoscerle : e per quanto sin ora s’ estende la mia coniettura, ho grande speranza che V. S. abbia a vedere questo negozio terminato in questo che gli ho accennato. Che poi possa es¬ sere qualche altro pianeta tra il Sole e Mercurio, il quale si vadia l’o movendo intorno al Sole, ed a noi resti invisibile per le suo piccolo digressioni e solo potesse farcisi sensibile quando passasse linearmente sotto il disco solare, ciò non ha appresso di me improbabilità alcuna, # e parrai egualmente credibile che non vene siano e che vene siano : ma non crederei già gran moltitudine, pei’chò se fossero in gran nu- Poche stelle posso- no esser tra '1 .Solo o mero r aziono voli nente spesso se ne doverebbe vedere alcuno sotto il Mercurio, o Mercurio 0 x o Vonoro. Sole, il die a me sin ora non è accaduto, no vi ho veduto altro che di queste macchie; e non lia del probabile che tra quelle possa esser passata alcuna sì fatta stella, ben che questa ancora fosse per mostrarsi, quant’ all’ aspetto, in forma d’ una macchia nera. Non ha, dico, del 30 probabile, perchè il movimento suo doverebbe apparire uniforme, e ve¬ locissimo rispetto a quel delle macchie : velocissimo, perchè, moven¬ dosi in cerchio minore di quello di Mercurio, è verisimile, secondo V analogia de i movimenti di tutti gli altri pianeti, che ’l suo periodo 1. Nel cod. A Galileo aggiunse, interlinearmente, ben prima di mille. — 8-18. Da nò meno a accennato nel cod. A è sostituito in margine al seguente tratto cancellato : e che invano si aspetti il ritorno loro, perchè, come di sopra ho detto, continuamente se ne vanno prodnccndo e dissolvendo. — 10-11. risolvessero, A, D, s; nel YErratacorrige della stampa ò corretto in dissolvessero. — 112 ISTORIA F. DIMOSTRAZIONI fosse più breve ed il suo moto più veloce del moto o (lei periodo di Mercurio; il qual Mercurio noi passar sotto il Sole traversa il suo disco in 6 ore in circa, tal che altro pianeta più veloco di moto non gli do- verebbe restar congiunto por più lungo spazio ; so già non si volesse far muovere in un cerchio così piccolo, elio quasi toccasse il corpo solare, il che par che avesse poi troppo del chimerico ; ma in cerchi pur che fussero di diametro due o tre volto maggior del diametro del Sole, seguirebbe quanto ho detto: ora le macchio restano molti giorni congiunte col Sole : adunque tra loro, o sotto loro spezie, non è cre¬ dibile elio passi pianeta alcuno. Il quale, oltre alla velocità, dovcrobbe io ancora muoversi quasi uniformemente, sondo però per qualche spazio notabile distante dal Sole; percliò poca parte del suo cerchio resterebbe sottoposta al Sole, e quella poca, diretta o non obliquamente opposta a i raggi dell’occhio nostro; porlo che parti eguali di lei sarebbon vedute sotto angoli insensibilmente disegnali, cioè quasi eguali, ondo il moto in essa apparirebbe uniforme : il elio non accade nel moto dello macchie, le quali velocemente trapassano le parti di mezzo, o quanto più sono vicine alla circonferenza, tanto più pigramente carni- nano. Poche, dunque, in numero possono essere verisimilmcnte le stelle che tra il Sole e Mercurio vadano vagando, e meno tra Mercurio e 20 Venere: perchè, avendo queste necessariamente le lor massime digres¬ sioni maggiori di quelle di Mercurio, doverebbono, nella guisa di Ve¬ nere e dell’istesso Mercurio, esser visibili, come splendide, e massimo sendo poco distanti dal Solo e dalla Terra ; sì che per la poca lonta¬ nanza da noi e per l’efficace illuminazione del Sole vicino si farebbono vedere, mediante la vivezza del lume, quando ben fossero piccolissimo di mole. Io conosco d’ aver con gran lunghezza di parole e con poca resolu¬ zione soverchiamente tediato V. S. Illustrissima. Riconosca nella lun¬ ghezza il gusto che ho di parlar seco, ed il desiderio di obcdirla u sor- 30 virla, pur che le forze me ’l permettessero ; e per questi rispetti perdoni la troppa loquacità, e gradisca la prontezza dell’affetto : la irresoluzione resti scusata per la novità e difficoltà della materia, nella quale i vari pensieri e le diverse opinioni elio per la fantasia sin ora mi son pas¬ sate, or trovandovi assenso or repugnanza e contradizzione, m’hanno reso in guisa timido e perplesso, che non ardisco quasi d’ aprir bocca 11-12. per qualche notabile intervallo (Untante, A — 33. difficultà, 8 — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 113 per affermar cosa nessuna. Non per questo voglio disperarmi ed abban¬ donar 1’ impresa, anzi voglio sperar elio questo novità mi abbino mi¬ rabilmente a servire per accordar qualche canna di questo grand’ or¬ gano discordato della nostra filosofia ; nel qual mi par vedere molti organisti affaticarsi in vano per ridurlo al perfetto temperamento, e questo perchè vanno lasciando c mantenendo discordate tre o quattro delle canne principali, alle quali è impossibile cosa che 1’ altre rispon- dino con perfetta armonia. Io desidero, come servitore di S. V., esser a parte dell’amicizia che io ticn con Apollo, stimandolo io persona di sublime ingegno ed amator del vero : però la supplico a salutarlo caramente in mio nome, facen- dogl’ intendere che fra pochi giorni gli manderò alcune osservazioni e disegni delle macchio solari d’ assoluta giustezza, sì nelle figure d’esse macchie come ne’ siti di giorno in giorno variati, senza error d’ un minimo capello, fatte con un modo esquisitissimo ritrovato da un mio discepolo, le quali potranno essergli per avventura di giovamento nel filosofare circa la loro essenza. È tempo di finir di noiarla : però, ba¬ ciandogli con ogni riverenza le mani, nella sua buona grazia mi rac¬ comando, e dal Signore Dio gli prego somma felicità. 20 Dalla Villa delle Selve, li 4 di Maggio 1612. Di V. S. Illustrissima Devotissimo Servitore Galileo Galilei L. Osservazioni o di*o- gni dello macchie da mandarsi. 1-2. abanilonar, B, s — 23. Kel coti. A manca L. ISTORIA li DIMOSTKAZION1 114 SECONDA LETTERA DEL SIG. MARCO VELSERI AL S1G. GALILEO GALILEI.. Molto Illustre od Eccellentissimo Sig. Osservandissima Grossa usura paga V. S. per dilazione di poco tempo, mandandomi in risposta di poche righe di lettera sì copioso e diffuso discorso. Lo lessi, anzi, posso dire, 10 divorai, con gusto pari all’appetito e desiderio che no aveva; e le affermo che mi servì d’alleviamento di una lunga e dolorosa indisposizione che mi travaglia straordinariamente nella coscia sinistra, non avendo sin ora i medici saputo tro¬ varvi eilicaco rimedio, anzi avendomi detto uno de’ principali in termini molto chiavi, che i primi della professione avevano lasciato scritto di questo male: Alii io negre curuntur , alii ninnino non curantur: di che conviene rimettersi alla paterna disposizione della bontà d’iddio: Dominus est; faciat quod est bonum in oculis suis . Ma troppo mi diffondo in materia maninconica. Torno a dire che il discorso mi fu caro sopra modo, e, per quel poco ch’io posso discernere in questo propo¬ sito, mi pare scritto con sì buono c fondate ragioni, spiegato modestissimainonto, die Apelle, con tutto che V. S. contradica per lo più alla sua opinione, se no debbo stimare onorato molto. Ci vorrà del tempo a farlo capace del contenuto, poi che non intende la lingua italiana, c gl’interpreti intendenti della professione, conio 11 bisogno richiede, non sono sempre alla mano; ma si cercherà di superare an¬ cora questa difficoltà. Ilo scritto al durissimo Sig. Sngrcdi, e lo replico a lei, die 20 se io lussi in città dove si ritrovassero stampatori italiani, spererei d'impetrare dalla gentilezza di V. S. di poter publicar subito questa fatica, credendo di po¬ terlo fare sicuramente; poi che essa procede con maniera tanto giudiziosa e cir¬ cospetta, die quando bene si scuopra all’ avvenire in questo proposito cosa alla quale di presente noi non pensiamo, non sarà mai tassata di precipitala nò di aver affermato cose dubbie per certe: e sarebbe benefizio publico che di mano in inano uscissero trattatelli circa questi novi trovati, per tenerne la memoria fresca e per potere inanimire maggiormente altri ad applicarvi la loro industria, 1-2. Manca in A O IL In n si loggO sul margine, (li pugno di OaLII.KO: lettera gronda, da mettere aranti la mia seconda, i un itine con la tersa del medesimo Si;/. Valsero. 0. de/trinciimi i d’essi, A - 20. //« scritto ni Su/. Sat/redi, A — 23-2-1. circi tu saetta, S — 27. nuoci, B — 28. e /‘>r inanimar, A — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 115 essendo impossibile che tanto gran macchina sia sostentata dalle spalle di una sola persona, quantunque gagliarda. Prometterò ad Apelle, sopra la parola di V. S., le osservazioni e disegni dello macchie solari di assoluta giustezza, che so da lui saranno stimate come un tesoro. Io per ora non mi posso più diffondere, e resto con baciarle la mano c pregarle ogni bene. Di Augusta, il primo di Giugno 1012. Di V. S. molto Illustro ed Eccellentissima Sor v i toro A ffozz ionati ss im o Marco Velseui. nf. ISTORIA E DIMOSTRAZIONI SECONDA LETTERA DEL SIG. GALILEO GALILEI AL SIG. MARCO VELSERI DELLE MACCHIE SOLARI. Illustrissimo Sig. e Padron Colonclissiino, Inviai più giorni sono una mia lettera assai lunga a V. S. Illu¬ strissima, scritta in proposito delle cose contenute nelle tro lettere del finto Apelle, dove promossi quello difficoltà elio mi ritraevano dal prestar assenso alle opinioni di quello autore, e più le accennai in parte dove inclinava allora il mio pensiero ; dalla quale inclinazione io non pure da quel tempo in qua non mi sono rimosso, ma total- io Conforina/Aonedoiio niente mi vi sono confermato, mostrandomi le continuate osservazioni cose accomiato nella prima- di giorno in giorno, con ogni rincontro possibile ad aversi e col man¬ camento di qualsivoglia contradizzione, essersi la mia opinione in¬ contrata col vero: di die mi è parso darne conto a V. S., con l’oc¬ casione del mandargli alcune figure di esso macchio con giustozza disegnate, ed anco il modo del disegnarlo, insieme con una copia di un mio trattatello intorno alle cose clic stanno sopra V acqua o elio in essa descendono, che pur ora si è finito di stampare. Replico dunque a Y. S. Illustrissima e più resolutamento conformo, che le macchie oscure, le quali col mezo del telescopio si scorgono 20 Natura e accidenti nel disco solare, non sono altramente lontane dalla superficie di esso, dolio macchio. t 1 ma gli sono contigue, o separate di così poco intervallo, che resta del tutto impercettibile : di più, non sono stello o altri corpi consi¬ stenti e di diuturna dui-azione, ma continuamente altre so no pro¬ ducono ed altre se ne dissolvono, sendovene di quello di breve du- razione, come di uno, due o tre giorni, ed altro di più lunga, come 1-3. Lettera seconda delle Macchie Solari, A; in II manca ogni titolo. — 2G. due, Ire . (fiorili, B, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 117 di 10, 15 e, per mio credere, anco di 30 e 40 e più, come appresso dirò : sono per lo più di figure irregolarissime, le quali figure si vanno mutando continuamente, alcune con preste o differentissime muta- Mutazioni, zioni, ed altre con più tardezza o minor variazione : si vanno an¬ cora alterando nell’ incremento e decremento dell’oscurità, mostrando come tal ora si condensano e tal ora si distraggono e rarefanno : oltre al mutarsi in diversissime figure, frequentemente si vede alcuna di loro dividersi in tre o quattro, e spesso molte unirsi in una, e ciò non tanto vicino alla circonferenza del disco solare, quanto ancora io circa le parti di mezo : oltre a questi disordinati e particolari mo- Moti particolari in filanto alla lor grossezza 0 vogliamo dire altezza; cioè dico che sono assai sottili, in comparazion della lunghezza e larghezza loro. Il che raccolgo dall’apparire che fanno i loro interstizii divisi 5. quhuleci, s — IO. conseguenza n’ c seguita, a — 15. diciaseltc, a — 17. GM fosse WWOO, s — 29. argurnento, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 125 c distinti ben spesso sino all’ultimo lembo del disco solare, ancor che si osservino macchie poco tra loro distanti e poste nell’ istesso pa¬ rallelo, come accade delle 2 Y del giorno 20 di Giugno, le quali co¬ minciano ad apparire, e ben che molto vicine all’estrema circonfe¬ renza del disco, tuttavolta 1’una non occupa l’altra, ma scorgesi tra esse la separazione lucida : il che non avverrebbe quando esse fossero assai elevate e grosse, c massime essendo molto vicine tra di loro, come dimostrali gli altri disegni seguenti de’ giorni 27 e 28. La mac¬ chia M parimente, composta di una congerie numerosa di macchio io ]hcciolo, mostra le distinzioni tra esse sino all’ultima occultazione, ben che tutto l’aggregato vadia molto scorciando mediante lo sfug¬ gimento della superficie globosa, come si vedo no i disegni de i me¬ desimi giorni 26, 27 e 28. Ma qui potrebbe per avventura cadere in opinione ad alcuno, che tali macchie potessero essere semplici superficie o almeno di una sottigliezza grandissima, poi che nel ritrovarsi vicine alla circonferenza del disco non più scorciano gli spazii lucidi che tra quelle s’inter¬ pongono, che si diminuisehino le lunghezze loro proprie ; il che pare che accader non potesse quando la loro altezza fosse di qualche no- 20 tabile momento. A questo rispondo, non esser tal consoquenza ne¬ cessaria ; o questo perchè, quando bene la loro altezza sia notabilo in comparazione della loro lunghezza o de gli spazii traposti tra macchia e macchia, tuttavia potrà apparir la distinzion lucida sino a gran vicinanza alla circonferenza, e ciò per lo splendore del Sole, che illustra per taglio le stesse macchie. Imperò che, se Y. S. intenderà la superficie del Sole secondo l’arco AFJB, e sopra di quella le due macchie C,1)E, ed il raggio della vista secondo la linea retta OC, che venga così obliqua o inclinata che non possa scoprir punto la super¬ ficie del Sole segnata F, che oo resta interposta tra le due mac¬ chie ; tuttavia le potrà scorger distinte, e non continuate come una sola, in virtù del canto D della macchia D E, il quale viene sommamente illustrato dal prossimo splendore della superficie F: oltre che l’occhio così obliquo scuopre alcuna parte della superficie del 5. disco , tutta via runa non occupa ed asconde Valtra, À — 12G ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Solo, cioè quella die vien sottoposta alla macchia DE, la quale non vedeva mentre i raggi visivi andavano diretti. Avvertisco (li più, olio non tutte le macchie tra di sè vicinissime si mostrano separato sino all’ ultima circonferenza, anzi alcune par elio si unischino : il elio può accadere talvolta per essere, la più remota dalla circonferenza, più grossa ed alta della più vicina; oltre che ci sono i movimenti lor proprii irregolati e vagabondi, che possono cagionare varie apparenze in questo Npgro 7 . 7 .a dolio mac-particolare ; ma noto bene universalmente, elio la negrezza di tutte chic si diminuisco noi- 1 # . . , . . llf . x • ì 1 l'estremità del disco. clilTlil 1U1SC0 tlSSclì clSStll CJllftlKlO SOR V1C1I1G dii CSlTORIO tOriniflO QOl disco ; il che accade, per mio parere, dallo scoprirsi il taglio illumi- io nato e dallo ascondersi molto i dorsi oscuri delle macchie, lo cui te¬ nebre restano assai confuse a gli occhi nostri dalla copia della luce. Io potrei addurre a Y. S. molti altri esempli, ma sarei troppo prolisso, e mi riserberò a scriverne più diffusamente in altro luogo; o voglio per ora contentarmi di avergli accennato il mio parere, nato dalla continuazione di molto osservazioni : che ò in somma, elio la lonta¬ nanza delle macchie dalla superfìcie del Sole sia o nulla, o così poca che non possa cagionare accidente alcuno comprensibile da noi ; o che la profondità o grossezza loro sia parimente poca in comparazion dell’altre due dimensioni, imitando anco in questo particolare lo no- 20 stre maggiori nugolate. E questi sono gl’incontri che aviamo dalle macchie che si trovano nell’ istosso parallelo. Le macchio poi che sono posto in diversi pa¬ ralleli, ma sono, per così dire, sotto ’l medesimo meridiano, cioè elio la linea che le congiugno, taglia i paralleli a squadra, e non obliqua¬ mente, non mutano distanza fra di loro, ma quella che ebbero nel loro primo comparire, vanno mantenendo sempre sino all’ ultima U) intervalli frale mne- occultazione : le altre poi che sono in diversi paralleli ed in diversi chio « loro umeronzo ... meridiani, vanno pur crescendo 0 poi diminuendo i lor intervalli, ma con maggiori differenze quelle che si rimirano più obliquamente, cioè 30 che sono in paralleli più vicini ed in meridiani più remoti, 0 con minor varietadi all’ incontro quelle che meno obliquamente sono tra 4. unischino ; che, lì, s — 20. immitando, B, s — circa ’i mutarsi. Sul margine inferiore della ear. 18r. lin. 29, o dalla lin. 23 (Le macchie) a tutta la dell 1 autografo, la quale comprendo ciò elio lin. 27 della pag. 12(5, ò scritto, di mano di nella presente edizione si legge da pag. 119, Galileo, questo appunto: « prova, le mac- lin. 35, sino alla "parolacirconferenza a pag. 120, chie non esser nella profondità del © ». INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 127 loro situate : o chi bene andrà commensurando tutte le simili diver¬ sità, troverà il tutto rispondere e con giusta simmetria concordar solamente con la nostra ipotesi, o discordar da qualunque altra. Devesi però tuttavia avvertire, clic non sondo tali macchie totalmente fisso ed immutabili nella faccia del Sole, anzi andandosi continua- mente per lo più mutando di figura ed aggregandosi alcune insieme ed altre disgregandosi, può por simili picciolo mutazioni cagionarsi qualche poco di varietà no i rincontri precisi delle narrate osserva¬ zioni ; lo quali diversità, per la lor picciolezza in proporzion della io massima ed universal conversione del Sole, non dovran partorire scru¬ polo alcuno a chi giudiziosamente andrà, per cosi dire, tarando l’eguale e generai movimento con queste accidentarie alterazioncelle. Ora, quanto, per tutti questi rincontri, l’apparenze elio si osser¬ vano nelle macchie, puntualmente rispondono all’ esser loro contiguo alla superficie del Sole, all’ esser quella sferica, e non d’altra figura, ed all’esser dal medesimo Sole portate in giro dal suo rivolgimento in sè stesso, tanto con incontri di manifeste repugnanze contrariano ad ogni altra posizione che si tentasse di dargli'”. Imperò che se alcuno volesse costituirle nell’ aria, dove pare che Non 20 altro impressioni simili a quelle continuamente si vadano producendo e dissolvendo, con accidenti conformi di aggregarsi o dividersi, con¬ densarsi e rarefarsi, e con mutazioni di figure inordinatissime ; prima, ingombrando esse molto piccoli spazii nel disco solare mentre fra l’occhio nostro e quello s’interpongono, ed essendo così vicine alla Terra, bisognerebbe che le fossero moli non maggiori di picciolis- simo nugolette, poi che ben minima domanderemo una nugola che non basti ad occultarci il Sole : e se così è, come in sì piccole moli sarà tal densità di materia che possa con tanta contumacia resistere alla forza de i raggi solari, sì che nè le penetrino col lume, nè le so dissolvine per molti c molti giorni con la lor virtù ? Come, generan¬ dosi nelle regioni circonvicine alla Terra, e, s’io bene stimo, per detto sono noll’aria. M Quanto segue, da « Imperò clic se alcuno * a * la più accomodata a satisfarò » (pag. 129, lin. 12), in A c aggiunto su di un foglio a parte. Prima Galileo avova continuato, di seguito a * che si tentasse di dargli’», così: «E prima, al porle lonta¬ nissime dal Sole, come sarebbe sotto il con¬ cavo della Luna » ; appresso cancellò que¬ ste parole, e, pur di séguito a « che si ten¬ tasse ccc. *, scrisse: * tra le quali posizioni la più. accomodata a » ; da ultimo cancellò anche queste, aggiungendo il tratto « Imperò che se «alcuno eco. », che in 13 iu trascritto al suo posto. 12S ISTORIA E DIMOSTRA ZIO M altrui forse delle evaporazioni di quella, come, dico, cascano tutto tra ’l Sole e noi, e non in altra parte dell’ aria ? poi elio ninna se ne scorge sotto la faccia della Luna illuminata, nò si vede separata dal Sole, in aspetto oscuro o vero illustrata da i suoi raggi, come delle nugole accade, delle quali continuamente no veggiamo dell’oscure e dell’illuminato, intorno al Solo ed in ogni altra parte dell’aria? Più, scorgendo noi la materia di tali macchie esser por sua natura mu¬ tabile, poi che senza regola alcuna s’aggregano fra di loro e si sepa¬ rano, qual virtù sarà poi quella elio gli possa communicare e con tanta regola contempcrar il movimento diurno, sì che mai pretori- io sellino di accompagnare il Sole, so non quanto un movimento comune a tutte e regolato le fa trascorrere in 15 giorni in circa il disco so- lare, dove che l’altre aeree impressioni trascorrono in minimi mo¬ menti di tempo non pur la faccia del Sole, ma spazii molto maggiori? A simili ragioni, come molto probabili, risponder non si può senza introdur grand’ improbabilità. Ma ci restano le dimostrazioni neces¬ sarie e che non ammettono risposta veruna : delle quali una è il vedersi quelle, nel tempo medesimo, da diversi luoghi della Terra e molto tra di loro distanti, disposte con 1’ istesso ordine o nelle parti medesime del Sole, sì come per varii rincontri di disegni ricevuti ila 20 Sono lontanissimo diverse bande ho potuto osservare ; argomento necessario della lor dalla Terra. ... ’ ° grandissima lontananza dalla Terra : al elio con ammirabil assenso si accoi’da il cader tutte dentro a quella fascia del globo solare che risponde allo spazio della sfera celeste che vien compreso dentro a i tropici o, per meglio dire, dentro a i duo paralleli che determinano le massime declinazioni de i pianeti ; il che non devo io credere elio sia particolar privilegio della città di Firenze, dove io abito, ma ben devo stimare che dentro a i medesimi contini siano vedute da ogni altro luogo, quanto si voglia più australe o boreale. Di più, il non fare altra mutazione di luogo sotto il disco solare che quella univer- 30 sale o comune a tutte le macchie, con la quale in 15 giorni in circa lo traversano, e quelle piccole ed accidentarie secondo lo quali tal ora alcune si aggregano ed altre si separano, necessariamente convinco a porle molto superiori alla Luna ; perchè altramente, come ben nota ancora Apelle, bisognerebbe che nel tempo tra ’l nascere e ’l tra¬ montar del Sole tutte uscissero fuori del disco solare mediante la 12. in circa al disco, a — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 129 parallasse. E se pure alcuno volesse attribuir loro qualche movimento proprio, per il quale la diversità d’aspetto fosse compensata, non potrebbono le medesime macchie, vedute oggi da noi, tornar a mo¬ strarsi dimane ; il che è contro l’esperienza, poi che non pure ritor¬ nano a farsi vedere il secondo giorno, ma il terzo e quarto, e sino al quartodecimo. Son dunque le macchie, per necessarie dimostrazioni, superiori di Sono superiori nii» . nr i in • . Luna, noi cielo e nella assai alla Luna ; ed essendo nella region celeste, mun’ altra posi- supcrUcio dai Solo, zione che nella superficie del Sole, e niun altro movimento fuori che io la conversimi di quello in sè stesso, se gli può senz’ altre repugnanze assegnare. Imperò che tra tutte l’imaginabili ipotesi, la più acco¬ modata a satisfare alle apparenze narrate sarebbe il porre una sfe¬ retta tra il corpo solare e noi, sì che l’occhio nostro od i centri di quella c del Sole fossero in linea retta, e, più, che il suo diametro apparente fosse eguale a quel del corpo solare, nella superficie della quale sfera si producessero e dissolvessero tali macchie, e dal rivol¬ gimento della medesima in sè stessa venissero portate in volta : tal posizion, dico, che satisfarebbe alle sopradette apparenze, quando però se gli assegnasse luogo tanto superiore alla Luna, che fosse libero 20 dall’ oppugnazione delle parallassi, così di quella che depende dal moto diurno come dell’ altra che nasce dalle diverse posizioni in Terra, e questo acciò che a tutte l’ore ed a tutti i riguardanti i centri di detta sfera e del Sole si mantenessero nella medesima linea retta ; ma con tutto questo una inevitabil difficoltà ci convince, ed è cho noi doveremmo vedere le macchie muoversi sotto il disco solare con mo¬ vimenti contrarii : imperò che quelle che fossero nell’ emisfero infe¬ riore della imaginata sfera, si moverebbono verso il termine opposto a quello verso il quale calumassero 1’altre, poste nell’emisfero supe¬ riore ; il che non si vede accadere. Oltre che, sì come a gl’ ingegni 30 specolativi e liberi, che ben intendono non esser mai stato con effi¬ cacia veruna dimostrato, nè anco potersi dimostrare, che la parte del mondo fuori del concavo dell’orbe lunare non sia soggetta alle mutazioni ed alterazioni, niuna difficoltà o repugnanza al credibile ha apportato il veder prodursi e dissolversi tali macchie in faccia del Sole stesso ; così gli altri, che vorrebbono la sustanza celeste inal¬ terabile, quando si vegghino astretti da ferme e sensate esperienze 1. paratasse, A, 11 — 20. paralassi, A, Il — 22. e da tutti, s — 25. doteremo, 13 ; dovremo, s — 130 ISTORIA K DIMOSTRAZIONI a porre esse macchie nella parte celeste, credo elio poco fastidio di più gli darà il porle contigue al Sole elio in altro luogo. Convinta eh’ è di falsità 1* introduzione di tale sfura tra ’l Solo c noi, che sola, ma con poco guadagno di chi volesse rimuovere le macchie dal Sole, poteva sodisfare a buona parto do i fenomeni, non occorre che perdiamo tempo in riprovar ogni altra imaginabil po¬ sizione ; perchè ciascheduno per sè stesso immediatamente incontrerà impossibili e contradizioni manifeste, tutta volta che sia ben restato capace di tutti i fenomeni elio di sopra ho raccontati, o elio vera¬ mente si osservano di continuo in esse macchie. Ed acciò cho V. S. io abbia esempli di tutti i particolari, gli mando i disegni di 35 giorni, Addita i disegni cominciando dal secondo di Giugno : ne i quali V. S. primieramente dolio macchio elio sono .. , , . . ,, . . , . . v i • 11 alia (in di questa, prò-arò esempli del mostrarsi 1 istesso macchie piu brevi o gracili nello ponendoli per ossompi . n , * ,. , , dolio coso dotto. parti vicinissime alla circonferenza del disco solare, paragonando lo macchie notate A dei 2° e 3° giorno, che sono l’istessa ; le B e 0 del giorno 5° con lo medesime del G° ; le A del 10 o dell’ 11 ; le B pa¬ rimente de i giorni 13, 14, 15, 16 o lo C do i 14,15, 16; le B de i 18, 19, 20 ; le C de i 22, 28, 24; le A del 1°, 2 o 3 di Luglio ; le C e B del 7 ed 8, ed altre ancora, che per brevità tralascio. Quanto alla seconda osservaziono, eli’ ora che gli spazii passati in tempi eguali 20 siano sempre minori quanto più la macchia ò vicina alla circonfe¬ renza, ce ne danno evidenti esempli le macchio A del 2 e 3 ili Giu¬ gno ; le B, C del 5, 6, 7, 8; lo C, A de i giorni 10,11, 12,13, 14, 15,16 ; le F, G do i 16, 17, 18, 19, 20, 21 ; la C del 22, 23, 24, 25, 26; lo A, B del 1°, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 di Luglio, e molte altre. Cho poi gli spazii tra¬ versali tra macchia e macchia si mantengliino sempre gli stessi, ch’era la prima parte della terza osservazione, scorgesi dalle macchie B, C dal dì 5 di Giugno sino al 16, e dalle macchie F, G dal (li 13 sino al 20, dove in ultimo il lor intervallo diminuisce uri poco, perchè lo non sono giustamente locate sotto l’istcsso cerchio massimo cho passa 30 per i poli della conversion del Sole. E l’istesso si scorgo ne gl’ in¬ tervalli tra la macchia A ed il centro della macchia F dal dì 2 di Luglio sino a gli 8, li quali vengono alquanto crescendo, perchè detto macchie si riguardano obliquamente; e l’istesso fanno le macchie E,F de i medesimi giorni, ma con minori differenze, rispondendosi meno 15. del 3 e 3 giorno, s — 10. del giorno 0 colle medesime del s — del 11, s — 18. del 1, s - 25. del 1, A, B, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 131 obliquamente. Ma che gl’ intervalli delle macchie che cascano sotto ’l medesimo parallelo apparentemente si mutino, diminuendo sempre quanto più sono lontane dal centro, lo mostrano apertamente le mac¬ chie B, 0 dal giorno 5 di Giugno sino al 14, dove la lor distanza vien crescendo sino a i giorni 8 e 9, e poi cala sino all’ultimo. Le 3 macchie H del giorno 17 orano nel precedente molto più separate; e l’intervallo FH dal dì 14 sino al 18 va sempre diminuendo, e sem¬ pre con maggior proporzione. Circa poi a gli altri accidenti, vedrà primieramente V. S. gran io mutazioni di figura nella macchia B dal dì 5 di Giugno sino al 14; variazion maggioro vedrà nella G dal giorno 10 sino al 20, con in¬ cremento grande e poi diminuzione. La macchia M cominciò a pro¬ dursi il giorno 18, ed il giorno 20 apparse grandissima, ed era una congerie di moltissime insieme ; andò poi mutando figure, come si vede, sino alla fine. Le macchie II cominciaron ad apparire piccio- lissime il giorno 21, e poi con grand’ agumento e stravagantissime figure si andarono mutando sino al fine. La macchia F si produsse parimente il giorno 13, non si essendo veduta cos’ alcuna in quel luogo i giorni avanti ; andò poi crescendo, ed in fine diminuendosi, 20 e variamente mutandosi di forma. La macchia S cominciò ad appa¬ rire il 3° giorno pur di Giugno, e furon due piccole macchiette, le quali crebbero e formaron altra figura, e poi andaron anco dimi¬ nuendo, come si vede ne i disegni. Nel gruppo delle macchie P, co¬ minciate ad apparire il dì 25 di Giugno, si vede conseguentemente gran mutazione ed agumento in numero e grandezze, e poi anco gran diminuzione dell’ uno e dell’ altro sino al fine. La macchia F, cominciata a scoprirsi li 2 di Luglio, fece, come mostrano i disegni, stravaganti e gran mutazioni ne i giorni seguenti. Nel giorno 8 di Giugno si veddero di nuovo le macchie E, L, N, delle quali le L pre¬ so sto si disfecero, e la N crebbe in molo e numero. Le P del giorno 11, sondo comparse allora, 2 giorni dopo svanirono. La Q, apparsa il dì 24, si divise il seguente in 3, e poi si consumò. La C parimente, del giorno 25, il seguente si divise in 3 ; e nel medesimo giorno si veddero prodotte di nuovo tutte le X. La macchia G del giorno 27 si divise in molte nel seguente giorno, ed altre divisioni e mutazioni di siti fece ne gli altri giorni ; come anco si veggono ne i giorni 1. clic gli altri intervalli, A — 21. il giorno 3 , A, B ; il 3 giorno, s — v. 17 132 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI medesimi gran mutazioni nello macchie intorno al P. Le 7 macchio M. N del 3 di Luglio apparvero quel giórno : o le N il seguente si ridus¬ sero a 2, essendo prima 5 ; e le M crebbero prima in numero, e poi si aggregarono, ed in ultimo tornarono a dividersi ancora. E da tutti 11 ’ questi accidenti e da altri elio V. S. potrà no i medesimi disegni os¬ servare, vedesi a quante irregolate mutazioni siano tali macchio sog¬ gette, la somma dello quali, come altra volta gli ho accennato, non trova esemplo c similitudine in ninna dolio nostre materie fuori elio nelle nugole. Quanto poi alle massime durazioni delle maggiori c più dense, io ben che non si possa affermare di corto so alcune ritornino ristesse in più d’ una conversione, rispetto a i continui mutamenti di figuro Mucchio ritornano che ci tolgono il poterle raffigurare, tuttavia io sarei d’opinione elio alcuna ritornasse a mostrarcisi più d’ una volta : ed a così credere m’induce il vederne alcuna comparire grande assai od accrescersi sempre, sin elio l’emisfero veduto dà volta; e sì come è credibile eli’ ella • si fosse generata molto avanti la venuta sua, così è ragionevole il credere eli’ ella sia per durare assai dopo la partita, sì che la durazion sua venga ad esser molto più lunga del tempo di una meza conver¬ simi del Sole : e come questo è, alcune macchie possono senza dubbio, so anzi necessariamente, esser da noi vedute due volto ; e queste sareb- bono tal una di quelle elio si producessero nell’emisfero veduto vicino all’ occultarsi, e poi, passando nell’altro, seguitassero di prender agu- mento, nò si dissolvessero sin che tornassero ancora a scoprircisi ; o per ciò fare basta la durazione di tre o quattro giorni più del tempo di una meza conversione. Ma io, di più, credo che ve no siano di quelle che più d’una volta traversino tutto l’emisfero veduto; quali son quello che dal primo comparire si vanno sempre agumentando sin che le veggiamo, e fatinosi di straordinaria grandezza, lo quali possono continuar di crescere ancora mentre ci si occultano, e non so è credibile che poi in più breve tempo si diminuiscili no e dissolvili o, G. quanti: sregolate mutazioni, A — 11, Dopo di certo si leggo in A, cancellato, quanto Rogne : se non che molle si veggono comparire grandi ed oscure assai e tali ancora partirsi, ma con aver mutato sempre assai la figura — f' 1 II tratto da « I', da tutti » a « o pas- neo e in parte su di un foglio inserito. Nel sar per 1 istesso parallelo » (pag. 133, Un. fi) cod. Il tale aggiunta ò stata trascritta al nel cod. A è aggiunto in parte tra le li- suo posto. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 133 perchè ninna delle grandissime si è osservato che repentinamente si disfaccia : ed io ho più volte osservato, dopo la partita di alcuna delle massime sendo scorso il tempo di una rneza conversione, tornarne a comparire una, eh’ era, per mio credere, l’istessa, o passar per P istesso parallelo. Dalle cose dette sin qui, parmi, s’io non m’inganno, che neces¬ sariamente si conchiuda, le macchie solari esser contigue o vicinis¬ sime al corpo del Sole, esser materie non permanenti e fisse, ma va¬ riabili di figura e di densità, e mobili ancora, chi più e chi meno, di io alcuni piccoli movimenti indeterminati ed irregolari, ed universalmente tutte prodursi o dissolversi, altre in più- brevi, altre in più lunghi tempi ; è anco manifesta ed indubitabile la lor conversione intorno al Sole: ma il determinare se ciò avvenga perchè il corpo stesso del Sole si converta e rigiri in sè stesso portandolo seco, o pure che, re¬ stando il corpo solare immoto, il rivolgimento sia dell’ambiente, il quale le contenga e seco le conduca, resta in certo modo dubbio, potendo essere e questo e quello. Tuttavia a me pare assai più prò- s«i» ai converte in babile che il movimento sia del globo solare, che dell’ambiente. Ed it mncciiio!’ 01 U M ’ L ° a ciò credere m’induce, prima, la certezza che io prendo dell’ esser 20 tale ambiente molto tenue fluido e cedente, dal veder cosi facilmente mutarsi di figura aggregarsi e dividersi le macchie in esso contenute, il che in una materia solida e consistente non potrebbe accadere (proposizione che parrà assai nuova nella comune filosofia): ora un movimento costante e regolato, quale è l’universale di tutte le mac¬ chie, non par che possa aver sua radice e fondamento primario in una sostanza flussibile e di parti non coerenti insieme, e però sog¬ gette alle commozioni e conturbamenti di molti altri movimenti ac- cidentarii, ma bene in un corpo solido e consistente, ove per neces¬ sità un solo è il moto del tutto e delle parti ; e tale è credibile che so sia il corpo solare, in comparazion del suo ambiente. Tal moto poi, participato all’ambiente per il contatto, ed alle macchie per l’am¬ biente, o pur conferito por il medesimo contatto immediatamente allo macchie, le può portar intorno. Di più, quando bene altri volesse Ciclo fluido. 10. ed ir regolati ed, B, s — 24. constante , B, s — 33. Dopo intorno si legge in A e B (in A ì; scritto di nmno di Galileo), cancellato, quanto appresso: Oltre a ciò par che Vintelletto incontri almeno gran durezza, se non impossibilità, in apprendere e figurarsi che un globo sosjieso, e da ninno ostacolo impedito, possa restare immobile in un ambiente il quale con ve¬ locità se gli raggiri intorno : perche in elìcilo una sfera di qualunque materia similare , collo - 134 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Natura dell! corpi no’ movimenti. che la circolazione delle macchie intorno al Sole procedesse da moto che risedesse nell’ ambiente, e non nel Sole, io crederei ad ogni modo esser quasi necessario che il medesimo ambiento comunicasse per il contatto l’istesso movimento al globo solare ancora. Imperò che mi par di osservare che i corpi naturali abbino na¬ turale inclinazione a qualche moto, come i gravi al basso, il qual movimento vien da loro, per intrinseco principio o senza bisogno di particolar motore esterno, esercitato, qual volta non restino da qual¬ che ostacolo impediti ; a qualche altro movimento hanno ripugnanza, come i medesimi gravi al moto in su, e però già mai non si move- 10 ranno in cotal guisa, se non cacciati violentemente da motore esterno; finalmente, ad alcuni movimenti si trovano indifferenti, come pur gl’ istessi gravi al movimento orizontalo, al quale non hanno incli¬ nazione, poi che ci non è verso il centro della Terra, nò repugnanza, non si allontanando dal medesimo centro : e però, rimossi tutti gl’ im¬ pedimenti esterni, un grave nella superficie sferica e concentrica alla Terra sarà indifferente alla quieto ed a i movimenti verso qualunque parte dell’ orizonte, ed in quello stato si conserverà noi qual una volta sarà stato posto ; cioè so sarà messo in stato di quieto, quello con¬ serverà, e se sarà posto in movimento, v. g. verso occidente, nel- 20 Y istesso si manterrà : e così una nave, por essempio, avendo una sol cala nel suo luogo naturale, non ha principio alcuno intrinseco che repugni all*esser mossa intorno al suo proprio centro, essendo che per tal conversione non ne seguita mutazione alcuna tra le sue parti , ma tutte restano nella medesima costituzione sempre; oltre che difficilmente possiam comprendere che un corpo naturale abbia intrinseca repugnanza a qualche movimento, se ci non ha propension interna al moto opposto : onde gl 9 impedimenti non possati esser se non esterni; ma gV impedimenti esterni non si vede che operino senza contatto (se non forse Voperazione della calamita); quandi), dunque, tutto quello che esteriormente toccasse una tale sfera, si movesse in giro —4. Dopo ancora si legge in A o I] (in A è scritto di mano di Galileo), cancellato, quanto appresso: Impelò che, essendo il Sole di figura sferica, come ogni uno ammetterà , ed essendo di sustanza uniforme e simile a s'e stessa in tutte le parti, e sendo, di più, sospeso c librato nel luogo suo naturale, io non veggo ragione alcuna per la quale ci deva resistere alla participazion del movimento circolare del suo ambiente. Io non pro¬ durrò in con/irmazione di questa mia opinione quello che da infiniti mi sarebbe conceduto, ciò è che un tal rapimento per il contatto non ha difficoltà veruna ne i corpi celesti, scudo, per lor concessione, rapiti gli orbi inferiori senza contrasto dal supremo, mentre anco che e 1 si muovono verso le parti opposte; ma stimerò bene quel che Vesperienza mi dimostra, mentito veggo un globo di legno, messo nel mezo dclVaqqua , la quale circolarmente si rivolga in se stessa, par - tieipar subito della medesima conversione, ancor che il legno non abbia inclinazion naturale a quel circolar rivolgimento: onde per esser mosso alcun mobile naturale di un movimento participatogli da esterno motore, credo che basti che ci non abbia intrinseca repugnanza a isolai moto. 16-17. nella superficie ... lena è sostituito in A a nel piano orizontalo, elio e cancellato. — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI RCC. 135 volta ricevuto qualche impeto por il mar tranquillo, si moverebbe continuamente intorno al nostro globo senza cessar mai, e postavi con quiete, perpetuamente quieterebbe, se nel primo caso si potessero rimuovere tutti gl’impedimenti estrinseci, e nel secondo qualche causa motrice esterna non gli sopraggiugnesse. E se questo è vero, sì come è verissimo, che farebbe un tal mobile di natura ambigua, quando si trovasse continuamente circondato da un ambiente mobile d’ un motq al quale esso mobile naturale fosse per natura indifferente? lo non credo che dubitar si possa, eh’ egli al movimento dell’ ambiente io si movesse. Ora il Sole, corpo di figura sferica, sospeso e librato circa il proprio centro, non può non secondare il moto del suo ambiente, non avendo egli, a tal conversione, intrinseca repugnanza nò impedi¬ mento esteriore. Interna repugnanza aver non può, atteso che per simil conversione nò il tutto si rimuove dal luogo suo, nè le parti si permutano tra di loro o in modo alcuno cangiano la lor naturale costituzione, tal clic, per quanto appartiene alla costituzione del tutto con le suo parti, tal movimento è come se non fosse. Quanto a gl’im¬ pedimenti esterni, non par che ostacolo alcuno possa senza contatto impedire (se non forse la virtù della calamita) : ma nel nostro caso 20 tutto quel che tocca il Sole, che ò il suo ambiente, non solo non im¬ pedisce il movimento che noi cerchiamo di attribuirgli, ma egli stesso se ne muove, e movendosi lo comunica ove egli non trovi resistenza, la qual esser non può nel Sole : adunque qui cessano tutti gli esterni impedimenti. Il clic si può maggiormente ancora confermare: perchè, oltre a quel che si è detto, non par che alcun mobile possa aver repugnanza ad un movimento senz’ aver propension naturalo all’ op¬ posto (perchè nella indifferenza non è repugnanza); e perciò chi vo¬ lesse por nel Sole renitenza al moto circolare del suo ambiento, pur vi porrebbe naturai propensione al moto circolare opposto a quel del- 30 l’ambiente ; il che mal consuona ad intelletto ben temperato. Dovendosi, dunque, in ogni modo por nel Sole l’apparente con¬ versione delle macchie, meglio è porvela naturale, e non per parti- cipazione, per la prima ragione da me addotta. Molte altre considerazioni potrei arrecar per contìrmazion mag- 4. rimovere, s— 5. sopraf/ionfjcsse, s —15-16. naturale consti timone, B, s — 16. alle con - stituzioni, s — 23-24. adunque ... confermare, manca in A; in i> c aggiunto in margine, di mano di Galileo. — 136 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Conio si vedono lo macoli io senza guar¬ dar il Solo. Como si disegnino. g-iore della mia opinione, ma di troppo trapasserei i termini di una lettera ; però, per iìnir di più tenerla occupata, vengo a satisfare alla promessa ad Apelle, cioè al modo del disegnar lo macchio con somma giustezza, ritrovato, come nell’ altra gli accennai, da un mio discepolo, monaco Cassinense, nominato I). llenedetto de i Castelli, famiglia nobile di Brescia, uomo d’ingegno eccellente e, corno con¬ viene, libero nel filosofare. Ed il modo è questo. Domi drizzare il telescopio verso il Sole, conio so altri lo volesse rimirare ; ed aggiu¬ statolo e fermatolo, espongasi una carta bianca o piana incontro al vetro concavo, lontana da esso vetro quattro o cinque palmi; perchè io sopra essa caderà la specie circolare del disco del Solo, con tutto lo macchie che in esso si ritrovano, ordinato e disposto con la medesima simmetria a capello che nel Solo son situate ; o quanto più la carta si allontanerà dal cannone, tanto tale immagino verrà maggioro o le macchie meglio si figureranno, e senz’ alcuna offesa si vedranno tutte sino a molte piccole, lo quali, guardando por il cannone, con fatica grande o con danno della vista appena si potrebbono scorgere. E per disegnarlo giuste, io descrivo prima sopra la carta un cerchio, della grandezza che più mi piace, e poi, accostando o rimovendo la carta dal cannone, trovo il giusto sito dovo l’immagine del Sole si 20 allarga alla misura del descritto cerchio : il quale mi serve anco per norma e regola di tener il piano del foglio retto, 0 non inclinato al cono luminoso de i raggi solari ch’escono del telescopio ; perchè quando o’ fosse obliquo, la sezzione viene ovata, e non circolare, e però non si aggiusta con la circonferenza segnata sopra ’l foglio ; ma incli¬ nando più o meno la carta, si trova facilmente la positura giusta, che è quando l’immagine del Solo s’aggiusta col cerchio segnato. Ritrovata che si è tal positura, con un pennello si va notando, sopra le macchie stesse, le figure grandezze e siti loro : ma convien andare destramente secondando il movimento del Sole, 0, spesso movendo il ao telescopio, bisogna procurare di mantenerlo ben dritto verso il Sole ; il che si conosce guardando nel vetro concavo, dove si vede un pic¬ colo cerchietto luminoso, il quale sta concentrico ad esso vetro quando il telescopio è ben diritto verso il Solo. E per veder le macchie di- 5-6. Dapprima Galileo noi cod. A aveva scritto : monaco negro di S. Bcnelto, gentil nomo Bresciano della famiglia de’ Castelli ; poi corresse conio si logge nella stampa.—8. tele¬ scopio è sostituito in A a cannone, olio ò cancellato. —10. lontano, s 34. è ben diretto, A — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 137 stintissime e terminate, è ben inscurir la stanza serrando ogni fine¬ stra, sì che altro lume non vi entri che quello che vien per il cannone ; o almeno inscuriscasi più che si può, ed al cannone si accomodi un cartone assai largo, che faccia ombra sopra la carta dove si ha da disegnare e impedisca che altro lume del Sole non vi caschi sopra, fuor che quello che vien per i vetri del. cannone. Devesi appresso notare, che le macchie escono del cannone inverse, e poste al con¬ trario di quello che sono nel Sole, cioè le destre vengono sinistre, c le superiori inferiori, essendo che i raggi s’intersegano dentro al cali¬ lo none, avanti eh’ eschino fuori del vetro concavo : ma perchè noi le disegniamo sopra una superficie opposta al Sole, quando noi, volgen¬ doci verso il Sole, tengliiamo la carta disegnata opposta alla nostra vista, già la superfìcie dove prima disegnammo non è più contrapposta ma aversa al Sole, e però le parti destre si sono già ridrizzate, ri¬ spondendo alle destro del Sole, e le sinistre alle sinistre, onde resta che solamente s’invertano le superiori ed inferiori ; però, rivoltando il foglio a rovescio e facondo venire il di sopra di sotto, e guardando per la trasparenza della carta contro al chiaro, si veggono le macchie giuste, come se guardassimo direttamente nel Sole ; ed in tale aspetto 20 si devono sopra un altro foglio lucidare e descrivere, per averle ben situate. Io ho poi riconosciuto la cortesia della natura, la quale, mille e mille anni sono, porse facoltà di poter venire in notizia di tali mac¬ chie, e per esse di alcune gran consequenze ; perchè, senz’ altri stru¬ menti, da ogni piccolo foro per il quale passino i raggi solari viene in distanze grandi portata e stampata sopra qual si voglia superficie opposta l’immagine del Sole con le macchie. Ben è vero che non sono a gran pezzo così terminate come quelle del telescopio ; tuttavia le maggiori si scorgono assai distinte : e Y. S. vedendo in chiesa da so qualche vetro rotto e lontano cader il lume del Sole nel pavimento, vi accorra con un foglio bianco e disteso, chò vi scorgerà sopra le macchie. Ma più dirò, esser la medesima natura stata così benigna, che per nostro insegnamento ha tal ora macchiato il Sole di macchia così grande ed oscura, eh’ è stata veduta da infiniti con la sola vista 5-6. c impedisca ... cannone , manca in A; in B è aggiunto in margino, di mano di Galileo. — lo. contraposta, s — 23. potere, 13, s — 24 (postilla marginale), stromcnto, s — 24-25. stranienti, B, s — Si yotlono aoir/.a .strumento. So no sono veduto coji la semplice vista. Ma cebi a Mercurio. Mncchie vedersi. 138 ISTORIA K DIMOSTRAZIONI naturale ; ma un falso ed inveterato concetto, che i còrpi celesti fos¬ sero esenti da ogni alterazione e mutazione, fece credere che tal mac¬ ereti nt« chia fosse Mercurio interposto tra il Sole e noi, e ciò non senza ver¬ gogna de gli astronomi di quell’ età : e tale fu senza alcun dubbio quella di cui si fa menzione ne gli Annali od Istorie de i Franzesi ex Bibliotheca P. P Uh ori I. C., stampabili Parigi l’anno 1588, dove, nella vita di Carlo Magno, a fogli 62, si legge essersi por otto giorni con¬ tinui veduta dal popol di Francia una macchia nera nel disco solare, della quale l’ingresso e P uscita per l’impedimento delle nugole non potette esser osservata, e fu creduta esser Mercurio allora congiunto io col Sole. Ma questo è troppo grand’ errore, essendo che Mercurio non può restar congiunto col Sole nò anco per lo spazio di ore sette ; tale è il suo movimento, quando si viene a interporre tra ’l Sole e noi. Fu, dunque, tal fenomeno assolutamente una delle macchio grandis- gi-nndi Un sima ed oscurissima ; e dello simili se ne potranno incontrare ancora per 1’ avvenire, e forse, applicandoci diligente osservazione, ne po¬ tremo veder alcuna in breve tempo. Se questo scoprimento fosse se¬ guito alcuni anni avanti, averebbe levat’al Keplero la fatica d’in¬ terpretar e salvar questo luogo con le alterazioni del testo ed altre emendazioni di tempi : sopra di che io non starò al presente ad af- 20 faticarmi, sicuro clic detto autore, come vero filosofo e non renitente alle cose manifeste, non prima sentirà questo mie osservazioni e di¬ scorsi, che gli presterà tutto l’assenso. Ora, per raccòr qualche frutto dalle inopinato meraviglie che sino a questa nostra età sono state celate, sarà bene che per 1’ avvenire si torni a porgere orecchio a quei saggi fdosofi che della celeste su- stanza diversamente da Aristotele giudicarono, e da i quali Aristotele medesimo non si sarebbe allontanato se delle presenti sensate osser- 6. Piatoci, A, B, s — 13. muovinicnto, B, s —17-23. Se ... l’assenso in A è aggiunto in margine; in B manca. —18-19. fatica (lisalvar, A — 20. de tempi, s — pag. 138,1 in. 21, pag. 1<10, lin. 1. Or chi sarà che vedute, osservate e considerale queste cose, voglia più persistere in opinione non solamente falsa, ma erronea c repugnante alle indubitabili verità delle Sacre Lettere ? le quali ci dicono, i cieli e tutto ’l mondo non pure esser generabili e corruttibili, ma generati e dissolubili e transitorii. Picco la Bontà divina, per trarci di sì gran fallacia, inspira ad alcuno melodi neccssarii, A, B. Tu A questo tratto (fino a «inspira») è cancel¬ lato: inoltre, in A le parole « generati o dissolubili o transitorii » furono corrette, di mano di Cìat.it.ko, in « transitorii c da dissolversi ». Una seconda stesura di questo mede¬ simo passo ò contenuta in un loglio, pur di mano di Galileo, che l'orma la car. (il del cod. Voi picei liano B, e suona così : Or chi sarà che, vedute , osservate e considerate queste cose, non . sia per abbracciar (deposta ogni perturbazione che alcune apparenti fisiche ragioni potessero INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 139 vazioni avesse auta contezza : poi che egli non solo ammesse le ma¬ nifeste esperienze tra i mezi potenti a concludere circa i problemi naturali, ma diede loro il primo luogo. Onde so egli argomentò l’im¬ mutabilità de’ cieli dal non si esser veduta in loro ne’ decorsi tempi alterazione alcuna, è ben credibile che quando ’l senso gli avesse mo¬ strato ciò che a noi fa manifesto, arebbe seguita la contraria opi¬ nione, alla quale con sì mirabili scoprimenti vanghiamo chiamati noi. Anzi dirò di più, eh’ io stimo di contrariar molto meno alla dottrina d’Aristotele col porre (stanti vere le presenti osservazioni) la materia io celeste alterabile, che quelli che pur la volessero sostenere inaltera¬ bile ; perchè son sicuro eh’ egli non ebbe mai per tanto certa la con¬ clusione dell’ inalterabilità, come questa, che all’ evidente esperienza si deva posporre ogni umano discorso : e però meglio si filosoferà prestando l’assenso alle conclusioni dependenti da manifeste osserva¬ zioni, che persistendo in opinioni al senso stesso repugnanti, e solo confermate con probabili o apparenti ragioni. Quali poi e quanti sieno i sensati accidenti che a più certe conclusioni c’ invitano, non è difficile l’intenderlo. Ecco, da virtù superiore, per rimuoverci ogni arrecargli) V opinione tanto conforme all* indubitabili veritadi delle Sacre lettere, le quali in tanti luoghi molto aperti c manifesti ci additano Vinstabile e caduca natura della celeste materia? non defraudando però intanto delle meritate lodi quei subbiimi ingegni che con sottili specolazioni seppero a i sacri dogmi contemperar V apparenti discordie de i fisici discorsi. Li quali ora è ben ragion che cedine, rimossa anco la suprema autorità teologica, alle ragioni naturali d’altri autori gravissimi e più alle sensate esperienze , alle quali io non dubiterei che Aristotele stesso avrebbe conceduto , poi che noi reggiamo aver egli non solo ammessa V esperienza tra i mezi potenti a concludere circa i problemi naturali, ma concedutogli ancora il luogo primario : onde se egli argomentò V immutabilità de’cieli dal non si esser veduta in loro ne i decorsi tempi alcuna sen¬ sibile alterazione, è ben credibile che quando il senso gli avesse mostrato ciò eh’ a noi fa mani¬ festo, avrebbe seguita la contraria opinione , alla quale con s'i mirabili scoprimenti venghiamo chiamati noi. Ecco la Bontà divina, per rimuoverci dalla mente ogni ambiguità, inspira ad al¬ cuno etc. Una terza stesura di questo luogo si legge in A, di mano di Galileo e con cassaticci, su di un cartellino incollato sul margine destro della carta che contiene la prima stesura; e fu altresì trascritta al pulito da Galileo sul foglio che ora nel cod. Vol¬ piceli inno B è segnato 65. Questa terza stesura diversifica dalla lezione della stampa per poche varianti, delle quali le più notevoli sono queste: pag. 139, lin. 3, ma gli concedette il primo luogo (mutato nel foglio 65 del cod. Volpicelliano in ma concedette loro il primo luogo) ; lin. 10-11, la volessero difender e sostenere inalterabile ; perchè io son sicuro che Aristotele non ebbe mai; lin. 15, opinione al senso stesso repugnante; lin. 15-16, manca e solo ... ragioni. Da ultimo, il testo quale è dato dalla stampa si legge, anche questa volta di pugno di Galileo, nel carticino segnato 74 del cod. Volpicelliano B W. Dobbiamo (1) A queste successive modificazioni del dei 10 novembre, 14 e 28 dicembre 1612, presente luogo si riferiscono alcuni passi 26 gennaio 1613, e di quella di Galileo al delle lettere di Federico Cesi a Galileo Cesi dei 5 gennaio 1613. % Cielo alterabile ari¬ stotelicamente. Indizii, provo, dimo¬ strazioni doll'altorabi- lità colosto. V. 18 140 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI ambiguità, vengono inspirati ad alcuno metodi necessari^ onde s’in¬ tenda, la generazion delle comete esser nella regione coleste : a questo, come testimonio che presto trascorre e manca, rosta ritroso il numero maggiore di quelli che insegnano a gli altri : eccoci mandate nuove fiamme di più lunga durazione, in figura di stelle lucidissime, pro¬ dotte pure e poi dissolutesi nelle remotissime parti del Cielo : nè basta questo per piegar quelli alla mente de i quali non arrivano le necessità delle dimostrazioni geometriche : ecco finalmente scoperto in quella parte del Cielo che meritamente la più pura e sincera sti¬ mar si deve, dico in faccia del Solo stesso, prodursi continuamente io ed in brevi tempi dissolversi innumerabile moltitudine di inatorie oscure dense e caliginose ; eccoci una vicissitudine di produzioni e disfacimenti che non finirà in tempi brevi, ma, durando in tutti i futuri secoli, darà tempo a gl’ ingegni umani di osservare quanto lor piacerà, e di apprendere quelle dottrino che del sito loro gli possa rendere sicuri. Ben che anco in questa parte doviamo riconoscere la benignità divina ; poi che di assai facile e presta apprensione son quei mezi che per simile intelligenza ci bastano ; e chi non è capace di più, procuri di aver disegni fatti in regioni remotissime, e gli con¬ ferisca con i fatti da sè ne gli stessi giorni, che assolutamente gli 20 ritroverà aggiustarsi con i suoi : ed io pur ora ne ho ricevuti alcuni Confronta zio™ delio fatti in Brusselle's dal Sig. Daniello Antonini ne i giorni 11, 12, 13, macchio vedute da di- # . versi luoghi. 14, 20 e 21 di Luglio, li quali si adattano a capello con i miei e con altri mandatimi di Roma dal Sig. Lodovico Cigoli, famosissimo pit¬ tore ed architetto ; argomento che dovrebbe bastar per sè solo a per¬ suader ogn’uno, tali macchie esser di lungo tratto superiori alla Luna. anche avvertire che, col consenso costante delle duo copie autografe della terza stesura e della car. 74 del coti. Volpicelliano, abbiamo corretto i seguenti luoghi della stampa: pag. 139, lin. 1, avuta; lin. 8, Anzi dico ; liu. 9, stante vere; lin. 18, li moverci .— 26. Dopo Luna si legge in A, di pugno di Galileo, ma cancellato, quanto segue: Resterà per V avvenire campo a i fìsici di specolare circa la sustanza e la maniera del prodursi ed in brevi tempi dissolversi moli cosi vaste , che di lunga mano superano, alcune di loro, in grandezza e tutta V Affrica e V Asia c V una e V altra America. Intorno al (piai problema io non ardirei affermar di certo cosa alcuna , e solo metterei in considerazione a gli specolativi come il cader che fanno tutte in quella striscia del globo solare che soggiace alla parte del ciclo per cui trascorrono c vagano i pianeti , c non altrove , dà qualche segno che essi pianeti ancora possiti esser a parte di tale effetto. E quando , conforme alV opinione di qualche famoso antico, fosse a si gran lampada sumministrato qualche restauramento alV espansion di tanta luce da i pianeti clic intorno se gli raggirano, certo, dovendo correrci per le brevissime strade, non potrebbe arrivar in altre parti della solar superfìcie. Anche in B si legge questo brano, nm cade nella pagina che fu rifatta dal Volpiceli,! (di che vedi V Avvertimento), e presenta INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 141 E con questo voglio finir di occupar più V. S. Illustrissima. Favori¬ scami di mandar con suo comodo i disegni ad Apelle, accompagnati con un mio singolare affetto verso la persona sua ; ed a Y. S. reve- rentemente bacio le mani, e dal Signore Dio gli prego felicità. Di Firenze, li 14 di Agosto 1612. Di V. S. Illustrissima Servitore Devotissimo Galileo Galilei L. Poscritta. Conforme a quello che mi ero imaginato e scritto, seguì 6 giorni dopo l’effetto ; perchè li giorni 19, 20 e 21 del presente mese fu veduta da me e da molt’ altri gentil uomini amici miei, con la semplice vista naturale, una macchia oscura vicina al mezo del disco solare nel suo tramontare, la quale era la massima tra molt’ altre che si vedevano col telescopio : e d’ essa ancora mando a V. S. li disegni M> . queste due differenze a confronto della lezione di A : da i pianeti che ricevendola intorno se, gli raggirano; dovendo un cotal pallilo corrersi per le brevissime strade. — 5. li 34 d’Ago¬ sto 1013, A, B — 6-15. Manca in A. — 14-15, e d’essa ... disegni manca in B. — (*> Sul verso della car. 20 del cod. A, la di Galileo : « 2 lettere delle Macchie So- qualo contiene nel recto le ultime linee di lari al Sig. Marco Velsero, e 3 stampate di questa seconda lettera, si legge, di mauo Apelle ». DISEGNI DELLE MACCHIE DEL SOLE VEDUTE ED OSSERVATE DAL SIG. GALILEO GALILEI NEL MESE DI GIUGNO E PARTE DI LUGLIO 1012, GIORNO PER GIORNO. V. 19 180 ISTORIA li DIMOSTRAZIONI Disegni della macchia grande solare, veduta con la semplice vista dal Sig. Galilei, e similmente mostrata a molti, nelli giorni 19, 20, 21 d’Agosto 1(512. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 183 TERZA LETTERA DEL SIG. MARCO VELSERI AL S1G. GALILEO GALILEI. Molto Illustre ed Eccellentissimo Sig. Osservandissimo, La mia greve indisposizione continua a travagliarmi tuttavia, sì che non posso visitar gli amici con spesse e copiose lettere, come sarebbe mio obligo e desiderio, particolarmente verso V. S., con la quale discorrendo sento tanto gusto; ma l’im¬ possibilità me lo vieta, et in lucro repulandum est quando Iddio mi fa grazia di salutargli brevemente con poche righe, come segue per la presente. Mando a V. S. Manda con quostn alcune nuove speculazioni del mio amico circa res coelcstcs , quali ho consentito d'Apolle. io siano stampate principalmente rispetto alle osservazioni che mi do a credere siano per esser grate a tutti gli amatori cd investigatori del vero, non mi ar¬ rischiando di pender nella decisione del resto più da una parte che dall’ altra, poi che manco il mio affetto non mi permette di applicarvi l’animo debitamente. Intendo che V. S. ha scritto una seconda copiosa lettera sopra questa materia, Precedente ancora _ . . non riceuta. diretta a me, quale non mi è ancora venuta vista, ma la sto aspettando con sin- golar desiderio ; restando fra tanto con baciar a V. S. la mano cordialissima¬ mente e pregarle ogni bene. Li Augusta, a’28 di Settembre 1G12. Li V. S. molto Illustre ed Eccellentissima 20 Affezionatissimo Servitore Marco Velseri L. 1-2. Manca in A. — 4. yrave, s — continova , s — G. colla quale, A — 7. pulandum, s — 9. nove specula-' zioni, A —21. Manca L. iu A. W » V. 164 ISTORIA K MMOSTUAZION1 QUARTA LETTERA DEL STO. MARCO VELSERI Ali SIG. GALILEO GALILEI. Molto Illustre ed Eccellentissimo Sig. Osservandissimo, Comparve finalmente la seconda lettera di V. S. di U Agosto, mandatami dal Sig. Sagredo. Creda pure clic fu ricevuta come manna; tale c tanto era il desi¬ derio di vederla. Sin ora non ho avuto spazio di leggerla consideratamente; ma per un poco di scorsa datale, le affermo sinceramente che ne ricevo grandissimo gusto. E se bene mi conosco sempre inetto per esser giudice in si grave causa, ed ora manco l’infermità, mi permette di applicar gran fatto V animo alla spe¬ culazione, osarò dire che gli discorsi di V. S. procedono con molta vcrisimilitudine io e probabilità. Che arrivino la verità precisamente, non ci permette di poter affer¬ mare la debolezza umana, sino che Iddio benedetto ci farà la grazia di mirare d’alto in giù ciò che ora contempliamo in su in questa valle di miserie. Rendo infinite grazie a V. S. del favore che mi usa in questa occasiono: od il Sig. Fede¬ rico Cesi Principe farà cosa degna del grado c della professione che tiene, di esser protettore delle virtù e buone lettere, facendo si stampi l’una e l’altra let¬ tera quanto prima, come intendo clic ha risoluto. Le figure delle osservazioni faranno un poco di difficoltà; ma se si restringeranno in forma minore, occupe¬ ranno poco spazio. Desiderarci grandemente elio Apollo avesse visto questa scrit¬ tura, prima che stampare gli suoi ultimi discorsi; o pure considero che per qualche 20 rispetto è forse meglio a questo modo. Io non mancherò di communicargliela, saziato che me 11*abbia prima un poco : ma egli patisce una grand’incommodità, di non intendere la lingua italiana; e le traslazioni, oltre clic procedono lentamente, spesse volte perdono non solo l’energia dell’originale, ma pervertono ancora il senso, se V interpetre non ò molto perito. Il Sig. Sagredo ritenne per alcuni giorni il trattato Dello cose che stanno su 1 acqua, così pregato da un senatore suo amico, clic gli fece molta instanza di 1-2. Manca in A. - 4. di 2.? Affatto, A (1 > - 5. che ricevuta, A - 14-15. cd il %. Marche" Ccù farà, A - 15. Prenci)*, s ~ degna della prof tenone, A — 1G. facendo ntampar, A — 20-27. 'opra aqua, A — * 15 Cfr. paj?. Ili, lin. 5, nello varianti. 10 INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 185 poterlo leggere: forse sarà stato Protogene. Io lo ne dispenso tanto più facilmente, quanto clic ho avuto sorte di veder un’altra copia, la cui lettura mi convertì in modo, c non mi vergogno di confessarlo, che ciò che da principio mi parve pa¬ radosso, ora mi riesce indubitato, e talmente munito e fortificato da ragioni ed isperienze, clic certo non so discernere come e dove gli avversarii siano per as¬ saltarlo; se bene sento elio non se ne possono dar pace. V. S. continui di onorar sò cd il secolo nostro, con tirar una verità dietro all’altra dal cupo pozzo del- P ignoranza; e non si lasci sgomentare da gl’invidi ed emuli, conservando a me sempre la sua grazia. Iddio la feliciti. Di Augusta, a* 5 d’Ottobre 1612. Di V. S. molto Illustre ed Eccellentissima Affezzio ! ut t issi m o So r v itoro Marco Velseri Linceo. 4. indubitato, talmente incastellato cd imbaationalo da rayioni, A— G. con ti noi, a — 113. Linceo manca in A -- 186 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI TERZA LETTERA DEL SIG. GALILEO GALILEI AL SIG. MARCO VELSERI DELLE MACCHIE DEL SOLE, NELLA QUALE ANCO SI TRATTA Ul VENERE, DELLA LUNA E PIANETI MEDICEI, E SI SCOPRONO NUOVE APPARENZE DI SATURNO. Illustrissimo Sig. o Padron Colendissimo, Trovomi a dover risponderò a duo gratissimo Ietterò di V. S. Il¬ lustrissima, scritte l’una sotto li 28 di Settembre, o l’altra li 5 d’Ot¬ tobre. Con la prima ricevei i secondi discorsi del finto Apollo, e nel- l’altra mi avvisa la ricevuta della mia seconda lettera in proposito io delle macchie solari, la quale io gl’ inviai sino li 23 di Agosto : ri¬ sponderò prima brevemente alla seconda, poi vorrò alla prima, pon¬ derando un poco più diffusamente alcuni particolari contenuti in questa replica di Apellc ; giù elio l’aver considerate le suo prime lettere, e l’aver egli vedute le mie considerazioni, mi motte in certo modo in obbligo di soggiugnere alcune cose concernenti alla mia prima lettera ed alle sue seconde scritture. Quanto all’ ultima di V. S., lio ben sentito con diletto elio ella in una repentina scorsa abbia trapassate come verisimili ed assai pro¬ babili le ragioni da me addotte per confermar lo conclusioni che io 20 prendo a dimostrare ; ma il punto sta in quello a che la persuaderà la seconda e le altre letture, non essendo impossibile elio alcuni, ben che di perspicacissimo giudizio, possino talora in una prima occhiata ricever per opera di mediocre perfezione quello elio poi, ricercato Più accuratamente, gli riesca di assai minor merito, 0 massime dove 1-5. Lettera tersa delle Macchie Salari, A. In B manca ogni titolo. — 8-9. In A prima aveva scritto: li 5 stante; poi cancelli) stante o sostituì d’ Ottobre. — 9. li secondi, B, s — 16 . oblig°, a - alcuni particolari concernenti, A, B. In B alcuni particolari fu corretto, di mano di (taltleo, in alcune cose. — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 187 una particolare affezione verso l’autore ed una concepita opinion buona preoccupino l’affetto indifferente ed ignudo : onde io con animo ancor sospeso starò attendendo altro suo giudizio, il quale mi servirà per quietarmi, sin clic, come prudentissimamente dice V. S., ci sortisca, per grazia del vero Sole puro ed immacolato, apprendere in Lui con tutte lo altre verità quello che ora, abbagliati e quasi alla cieca, an¬ diamo ricercando nell’altro Solo materiale e non puro. Ma ' 11 non però doviamo, per quel che io stimo, distorci totalmente dalle contemplazioni delle cose, ancor che lontanissime da noi, se già io non avessimo prima determinato, esser ottima resoluzione il posporre ogni atto specolativo a tutte le altre nostre occupazioni. Perchè, o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali ; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d’alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elemen¬ tari che nelle remotissime e celesti : e a me pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle nubi elementari che delle macchie del Sole ; nè veggo che nell’ intender queste sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de’ particolari, ma tutti 20 egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o ninno acquisto dall’uno all’altro. E se, domandando io qual sia la sustanza delle nugole, mi sarà detto che è un vapore umido, io di nuovo desidererò sapore che cosa sia il vaporo ; mi sarà per avventura insegnato, esser acqua, per virtù del caldo attenuata, ed in quello resoluta ; ma io, egualmente dubbioso di ciò che sia l’acqua, ricercandolo, intenderò finalmente, esser quel coi’po fluido che scorre per i fiumi e che noi continuamente maneggiamo e trat¬ tiamo : ma tal notizia dell’acqua è solamente più vicina e dependento da più sensi, ma non più intrinseca di quella che io avevo per avanti 30 delle nugole. E nell’ istesso modo non più intendo della vera essenza della terra o del fuoco, che della Luna o del Sole : e questa è quella cognizione che ci vien riservata da intendersi nello stato di beatitu- 2. preoccupano, A, B; in B è corretto in preoccupino — 15-16. nelle nostre sustanze elemen¬ tari che nelle celesti e remotissime, A —18-19. nè veggo che in quella cognizione aviamo altro vantaggio, A — W Da* Ma» a «ogn'altro vero » (pag. 188, gerito. In B raggiunta ò stata trascritta al lin. 19) in A è aggiunto su di un foglio in- suo posto. Conoscer 1* intrin¬ seco o vero esser <1 olio naturali sustan/.o ù a noi ini possibi lo. 183 ISTORIA K DIMOSTRAZIONI .Si possono conoscer lilcnne adozioni, o non mono nelli lontani ohe udii prossimi corpi. dine, e non prima. Ma so vorremo fermarci nell’apprensione di al¬ cune affezioni, non ini par clic sia da dosperar di poter conseguirlo anco no i corpi lontanissimi da noi, non mono elio ne i prossimi, anzi tal una per avontura più esattamente in quelli che in questi. E chi non intende meglio i periodi de i movimenti do i pianeti, che quelli doli’ acque di diversi mari ? dii non sa elio molto prima e più speditamente fu compresa la figura sferica nel corpo lunare che nel terrestre ? e non è egli ancora controverso se l’istessa Terra resti immobile o pur vadia vagando, mentre elio noi siamo certissimi de i movimenti di non poche stello? Voglio por tanto inferire, che so bene io indarno si tenterebbe l’investigazione della sustanza delle macchie solari, non resta però che alcune loro affezioni, come il luogo, il moto, la figura, la grandezza, l’opacità, la mutabilità, la produzione cd il dissolvimento, non possino da noi esser appreso, ed essorci poi mezi a poter meglio filosofare intorno ad altre più controverse condizioni dello sustanze naturali ; le quali poi finalmente sollevandoci all’ultimo scopo delle nostre fatiche, cioè all’amore del divino Artefice, ci con¬ servino la speranza di poter apprender in Lui, fonte di luce c di verità, ogn’ altro vero. Il debito del ringraziare resta in me con molti altri obblighi che 20 tengo a V. S. Illustrissima; perchè, so avorò investigato qualche pro- posizion vera, sarà stato frutto de i comandamenti suoi, 0 i mede¬ simi diranno mia scusa quando non mi succeda il conseguir l’intero d’impresa nuova e tanto difficile. Circa a quello che ella m’accenna del pensiero dell’Eccellentis¬ simo Sig. Federico Cesi Principe, è ben vero clic io mandai a S. E. copia dello due lettere solari, ma non con intenzione elio fossero pub¬ blicate con le stampe, cliè in tal caso vi arei applicato studio e di¬ ligenza maggiore; perchè, se ben l’assenso 0 l’applauso di V. S. sola è da me desiderato e stimato egualmente come di tutto ’l mondo in- 30 sieme, tuttavia tal indulto mi prometto dalla benignità sua 0 dalla cortese propensione del suo genio verso ino 0 le coso mio, (piale pro- motter non mi devo dalle scrupolose inquisizioni c severe censure di 20. ohlifjhi. s — 24. d'impresa molto di/lìcite per la novità c lontananza, A, lì — 25-2(1. Ec¬ cellentissimo Siy. Marchese Cesi, è ben vero, A, Il — 27. Dopo solari ni logge ili A, aggiunto sul margine e poi cancellato: e sono per mandarle iptcsla ancora. — 27-28. publicate, B, s — 33. scmpulosc, a — * INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 1S9 molti altri. Ecl alcune cose mi restano ancora non ben digeste, nè determinato a modo mio ; delle quali una principale è l’incidenza delle macchie sopra luoghi particolari della solar superficie, e non altrove : perchè, rappresentandocisi i progressi di tutte le macchio sotto specie di lineo rette (argomento necessario, l’asse di tali con¬ versioni esser eretto al piano che passa per i centri del Sole e della Terra, il quale è il solo cerchio dell’ eclittica), resta, per mio parere, degno di gran considerazione, onde avvenga che le caschino sola- z° nn por in quale 7 ^ sì muovono lo macchie mente dentro ad una zona che per larghezza non si allontana più degna

  • « per diversi rispetti, uno de i quali è il non volere in certo modo abusare la ricchezza e perfezion di tal lingua, bastevole a trattare c spiegar e’ concetti di tutte le facoltadi ; e però dalle nostre Acca- 4. Dopo altrove in A si legge. cancellato, quanto seguo: perche, essendo assai manifesto, la conversion del Sole e delle macchie da esso portate essere in cerchi paralleli al piano deh Veclittica —5. ardimento, s — 15. ptddicar, 13, s —16. il Su/. Marchese e padrone, A, B — 21. publicazionc, B, s — 26. Sig. Sagredo, A, B; in B di mano di Galileo c aggiunto Gian - francesco — 31 respetti, s — 100 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Conclusioni vero del Discorso doli’Autore delle Coso elio stanno su l'acqua; o chi le contradica. demie e da tutta la città vien gradito lo scriverò più in questo elio in altro idioma. Ma in oltre ci ho auto un altro mio particolar in¬ teresse, ed è il non privarmi delle risposto di V. S. in tal lingua, veduto da me e da gli amici miei con molto maggior diletto e me¬ raviglia che se fossero scritte del più purgato stile latino ; o parci, nel leggere lettere di locuzione tanto propria, elio Firenze estenda i suoi confini, anzi il recinto dello sue mura, sino in Augusta. Quello elio V. S. mi scrive essergli intervenuto nel leggero il mio trattato Delle coso che stanno su 1 ’ acqua, cioè che quelli che da prin¬ cipio gli parvero paradossi, in ultimo gli riuscirono conclusioni vere io o manifestamente dimostrate, sappia che è accaduto qua a molti, reputati per altri lor giudizii persone di gusto perfetto e saldo di¬ scorso. Restano solamente in contradizziono alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica, li quali, per quel che io posso compren¬ dere, educati o nutriti sin dalla prima infanzia de i lor stmlii in questa opinione, che il filosofare non sia nè possa esser altro elio un far gran pratica sopra i testi di Aristotele, sì che prontamente ed in gran numero si possino da diversi luoghi raccòrrò ed accozzare per le prove di qualunque proposto problema, non vogliono mai sol¬ levar gli occhi da quelle carte, quasi elio questo gran libro del mondo 20 non fosse scritto dalla natura per esser letto da altri che da Aristo¬ tele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua poste¬ rità. Questi, che si sottopongono a così stretto leggi, mi fanno sov¬ venire di certi obblighi a i quali tal volta per ischorzo si astringono capricciosi pittori, di voler rappresentare un volto umano o altra figura con l’accozzamento ora de’soli strumenti dell’agricoltura, ora de’ frutti solamente o de i fiori di questa o di quella stagione : le quali bizzarrie, sin che vengono proposto per ischerzo, son belle e pia¬ cevoli, o mostrano maggior perspicaeità in questo artefice che in quello, secondo che egli averà saputo più acconciamente elegger ed so applicar questa cosa o quella alla parto imitata ; ma se alcuno, per aver forse consumati tutti i suoi stiulii in simil foggia di dipignere, 2. avuto, s /. sino in Germania, A ; e sopra Germania, elio non è cancellato, pur di mano di (■ai,ileo si leggo Augusta. — 13. defemori, s — 22-23. Dopo posterità si logge in À, di ninno di Galileo e cancellato, quanto segue: concetto veramente troppo timido, per non dir basso, e. da persona degna per suo castigo di esser condennata in vita in un’ oscura carcere con un testo d’Aristotele. 2-1. ohìiglii, s — 25. i capricciosi pittori, 1!, 8 — 25 -26. rappresentare ««« figura umana o altro animale con l’accozzamento, A — 2(5. d’agiicoltura, 15, 8 — 28. binarie, 8 — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 191 volesse poi universalmente concludere, ogni altra maniera d’imitare esser imperfetta o biasimevole, certo die ’1 Cigoli e gli altri pittori illustri si riderebbono di lui. Di questi che mi son contrarii di opi¬ nione, alcuni hanno scritto ed altri stanno scrivendo ; in pubblico non si ò veduto sin ora altro che due scritture, una di Accademico Incognito, e 1’ altra di un lettor di lingua greca nello Studio di Pisa, ed amendue le invio con la presente a Y. S. Gli amici miei son di parere, ed io da, loro non discordo, che non comparendo opposizioni più salde, non sia bisogno di risponder altro; e stimano . ISTORIA E DIMOSTRA ZI OKI 194 l’esteriore MCI all’interiore B, ed il rimanente ICC.1 al rimanente ACB, perchè sono alla cima. E so in luogo dell’angolo ACM piglieremo NCG, sarà manifesta l’altra parto del¬ la conclusione, essendo li tre an¬ goli MCI, ICG, OCN dalla mede¬ sima banda della parallela MCN. Accado poi elio nel triangolo particolare rettangolo tali lineo parallele sono anco perpendico¬ lari a i lati del triangolo: e tanto io bastava per l’uso a che Apollo si servo di tal lemma. Anzi dirò pure, con sua pace, clic anco tutto il lemma è stato superlluo, atteso che quello a che egli l’applica poi nel suo prineipal problema, depende immedia¬ tamente da una sola proposizione del primo d’ Euclide. Perchè, ri¬ pigliando la sua figura e la sua dimostrazione, questa ed il lemma non tendono ad altro elio a dimostrar, l’angolo OME esser eguale all’angolo MIP ; il che è por sè noto, essendo angoli esterno od in¬ terno della retta OMI, segante le due parallele EB, Gl. E siami pal¬ anco lecito di dire, elio non solo col rimuovere il detto lemma si doveva abbreviare tutto ’l presente metodo, ma col restringer assai 20 il resto della dimostrazione, della quale 1’ ultima conclusione è il ri¬ trovar la quantità della linea IlQ, supponendo per note ledi, IIE, KH ed IG. Ora, per le cognite K1I, IG si fanno note le IL, LG; e perchè come IL ad LG, così 1K a KF, e GII ad IIF, e son note IL, LG, GII, sarà dunque nota ancora la 11F : ma è data la HE: adunque la rimanente EF si fa parimente manifesta. E perché come FE ad EM, così KL ad LI, per la similitudine de’ triangoli FEM, KLI, 0 son note le tre KL, LI, FE, sarà nota altresì la EM. In oltre, perchè nel triangolo rettangolo KLI i lati KL, LI son noti, sarà noto ancora Ivi. Ed essendo come IK a KL, così ME ad EO (essendo i due trian-so goli KLI, MEO simili al medesimo FEM, e però simili tra di loro), e sono le tre linee IK, KL, ME note, sarà parimente nota la EO: ma è nota la ER, composta de i semidiametri del Sole 0 di Venere: adun¬ que la rimanente RO nel triangolo rettangolo ERO, 0 la sua dop¬ pia RQ, sarà manifesta : che è quello che si cercava. Ma ammessa anco per esquisita tutta la dimostrazione di Apelle, io non però posso ancora penetrar interamente quello che egli abbia, INTORNO ALTRO MACCHIE SOLARI ECO. 105 in virtù di essa, preteso di ottenere da chi volesse persistere in ne¬ gare la conversione di Venere intorno al Sole : perchè, o gli avver¬ sari! ammetteranno per giusti i calcoli del Magini, o gli averanno per dubbii e fallaci ; se gli hanno por dubbii, la fatica d’Apello resta come inefficace, non dimostrando ella che Venere veramente venisse alla corporal congiunzione ; ma se gli concedono por veri, non era necessario altro computo, bastando la sola differenza de i movimenti del Sole o della stella, insieme con la sua latitudine, presa dall’ istesse Eferneridi, a intender come tal congiunzione doveva necessariamente io durar tanto ore, che molte c molte volte si poteva replicar l’osser¬ vazione. Nè meno era necessario il far triplicato esame sopra ’l prin¬ cipio mezo e fine del congresso, essendo notissimo clic i calcoli sono aggiustati al mezo della congiunzione ; li (piali quando ammettessero errore, non però verrebbono necessariamente emendati dal referirgli al principio o al fine del congresso ur,l ‘ che dovendo egli valersi della disegualità de 5 tempi dir passaggi delle macchie corno di argomento necessariamente concludente la notabil io lontananza loro dalla superficie del Soli*, e forza che e’ supponga, quelle essere in una sola sfora elio eli un moto comune a tutte si vada volgendo ; perchè se e 5 volesse che ciascuna avesse suo moto particolare, niente da ciò si potrebbe raccòrrò elio concernesse alla prova della remozion loro dal Sole, perche si potria sempre dire che la maggior o la minor dimora di queste o di quello nascesse non dalla distanza della lor sfera dal Sole, ma dalla vera e reale dine¬ gualità do 5 lor proprii moti. Considero appresso, che le lineo descritte nel disco solare dalle macchie non s’allargano dall 5 eclittica, massimo cerchio della lor conversione, o verso borea o verso austro' 2 ', oltre a 20 1. al centro , clic, A — 2. de’ archi più remoli , A — 3-4, sopra disegni, 11, s — <*>1)11 « no i passaggi» (pag.203, li».32-33) a «remoti» in A e pieno eli cassili ieri, e in II si legge su di un cartellino, scritto
  • si legge sotto il cartellino, e in A si può ri¬ costruire tenendo conto delle cancellature. In A dopo «remoti* seguita, cancellato: « onde per ciò all’ incontro si stabilisce la prossimità delle macchie alla superficie del Sole ». Quanto segue, da « oltre a certo limi¬ tate distanze • fino a « verrebbono interpo¬ sti » (pag. 212, lin. 7), è scritto in A parto sul margine del loglio, o parte su di un car¬ tellino che copre la metà inferiore del fo¬ glio e su di alcuni fogli inseriti. Questa lunga aggiunta fu trascritta in 1> al suo posto. Dap¬ prima in A continuava, di seguito a « au¬ stro * (come si legge parte cancellato e parto sotto il cartellino), in questo modo: «più di 30 gradi : onde, posto che delle macchio prodotte nell’osservazione da Apollo, questo di più lunga dimora traversassero por il diametro in giorni Iti, o quella per ima linea remota dal contro gradi 30 (elio ò la massima remozione sin qui osservala) in giorni li, bisogna investigare quanto grande debba essere al meno quella sfera la (piale, raggi¬ randosi intorno al Sole, traversi col punto interposto tra noi e ’1 centro del Sole il solar diametro in tempo sesquisettimo del tempo nel quale altro punto della medesima sfera traversa la parallela remota dal detto diametro gradi 30; o troverassi, tale sfera dover di necessità aver il suo semidiametro più che doppio del semidiametro del globo solare ; perioditi del cerchio massimo di tale INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 205 corte limitato distanze, die al più arrivano a 28, 29 c, rare volte, a 30 gradi. Ora, poste queste cose, mi par di poter con assai ma¬ nifeste contradizioni de i pronunziati d’Apollo tra di loro medesimi, render inefficace quant’ egli in questo luogo produce per argomento della remozion delle macchie dalla superficie del Sole. Imperò che, concedendogli i suoi assunti anco nel sommo e più favorevol grado che esser possa in prò della sua conclusione, cioè che le prime mac¬ chie traversassero la massima linea, dico il diametro del Sole, in giorni 16 almeno, e che l’altra in giorni 14 al più traversasse una io parallela distante dal diametro non manco di 30 gradi, mostrerò di qui seguire, la lontananza loro dal Sole dover esser tanto grande, che molti altri particolari accidenti manifèsti non potrebbono sussi¬ stere in modo alcuno. E prima, per pienissima intelligenza di questo fatto, dimostrerò che, traversando duo macchie il disco solare, una per il diametro e l’altra per una linea minore, i tempi de’ lor pas¬ saggi hanno sempre tra di loro minor proporzione che le dette linee, qualunque si sia la grandezza dell’ orbe che le portasse in giro : por la cui dimostrazione propongo il seguente lemma. Sia il mezzo cerchio ACDB, convertibile intorno al suo diame- 2 o tro AB, nella cui circonferenza siano presi due punti C, D, e da essi venghino sopra ’l diametro AB le perpendicolari CG, DI; ed inten¬ dasi nel rivolgimento trasferito il mezzo cerchio ACB in AEB, sì che il punto E sia l’istesso che ’l punto C, e 1’ F sia il D, e la linea EG sia la medesima che la GC, ed IF sia la II); e da’ punti sublimi E, F caschino le perpendicolari al piano soggetto EM, FO, le quali cadoranno sopra le prime so linee GC, II): ed è manifesto che se ’l cerchio AEFB si fosse mosso una quarta, e fosse in consequenza eretto al piano dell’altro cerchio ACDB, le perpendicolari cadenti da i punti E, F sarebbono l’istesse EG, FI; 12. manifesti c da lui confessati non potrebbon, A — 17-18. orbe dal quale esse venissero portale: per la cui dimostrazione fa di bisogno imporre il seguente lemma, A — 22. transferito, s — sfera s’interporrebbe tra l’occhio nostro e di clic seguitava con quello che nella pre- ’l disco solare meno di 60 gradi, e molto mi- sente edizione si legge a pag. 212, lìti. 7 nori archi verrebbono interposti ccc. », dopo e seg. ISTORIA. E DIMOSTRAZIONI 2on ma sondo elevato meno d’una quarta, caschino, corno s’ò detto, in M, 0. Dico lo linee CG, DI esser segate da i punti M, 0 proporzionalmente. Perchè ne’ triangoli EGM, FIO i duo angoli EGM, FIO sono eguali, essendo l’inclinazion medesima de i due piani ACP>, AEB; e gli an¬ goli EMG, F01 son retti; adunque i triangoli EMG, FOI son simili: e però come EG a GM, così FI ad IO; e sono le due EG, FI le medesime che le CG, DI; e però come CG a GM, così T)I ad IO, e, dividendo, come CM ad MG, così DO ad 01. Il che dimostrato, intendasi il cerchio II UT, segante il globo so¬ lare secondo il diametro IIT, che sia asse delle revoluzioui delle mac- io chie; e sia dal centro A il semidiametro AB perpendicolare all’asse UT, sì che nella rovoluzione la linea AB descriva il cerchio massimo; e preso qualsivoglia altro punto nella circonferenza TIMI, che sia il punto L, tirisi la linea DI) parallela alla BA, la quale sarà semidia¬ metro del cerchio la cui circonferenza vion descritta nella rovoluzione dal punto L. Ora è manifesto, che quando il Sole si rivolgesse in sè stesso, e fossero due macchie ne’ punti B, L, amendue travcrserobbono nel tempo istesso il disco solare, veduto dall’occhio posto in distanza immensa nella linea prodotta dal centro A perpendicolarmente sopra il piano HBT, che sarebbe il cerchio del disco, o le lince BA, LD so apparirebbono la metà di quelle clic dette macchie B, L descrives¬ sero ne’ lor movimenti. Ma quando le macchie non fossero contigue al Sole, ma fossero in una sfera che lo circondasse e di lui fusse no¬ tabilmente maggiore, non è dubbio che quella macchia che apparisse traversare il solar disco per il diametro BA, consumerebbe più tempo che l’altra che traversasse per la minor linea LD, e la differenza di tali tempi diverrebbe sempre maggiore e maggioro secondo che l’orbe deferente le macchio si ponesse più e più grande : ma non però ac¬ cader potrebbe già mai che la differenza di tali tempi fosse tanta, quanta è la differenza delle linee passate BA, LI); ma sempre av- *> verrà che 1 tempo del transito per la massima linea BA, al tempo del transito per qualunque altra minore, come, per cssempio, per la LD, abbia minor proporzione di quella che ha la linea BA alla LD: clic ò quello che io intendo ora di dimostrare. Perlochè siano prolungate infinitamente le linee DL, AB verso E, C, e l’asse UT verso II, 0; ed intendasi nell’istesso piano HBT il cer¬ chio massimo di qual si voglia sfera, e sia PECO; e per li punti B, L INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 207 siano prodotto le BGF, LN, parallele all’asse OAR; e fatto centro I), descrivasi con l’intervallo DE il quadrante ENlt, la cui circonferenza la quale seghi la BF in F ; c congiungasi la FD, che seghi la cir¬ conferenza ENB. nel punto I, dal quale tirisi la IS, parallela alla FG; e congiungasi la linea retta ND. E perchè il quadrato della linea FD 6. e congiungasi la linea retta ND, manca in A, B W. — (,) Riguardo a questo pardo aggiunte lko a Federico Cesi in data de 1 25 gon¬ nella stampa, veggasi la lettera di Gali- naio 1613. v. 27 208 ISTORIA R DIMOSTRAZIONI è eguale alli due quadrati delle lince FM, MD, essendo M angolo x*etto; ed il quadrato NI) ò eguale alli due NM, MD; l’eccesso del quadrato FD sopra ’l quadrato ND sarà eguale all’ eccesso delli due quadrati FM, MD sopra li duo NM, MD, il quale (rimosso il co¬ mune quadrato MD) è l’istesso che l’eccesso del quadrato FM so¬ pra ’l quadrato MN : ma perchè FM è eguale alla DA, lati opposti nel parallelogrammo, e la NM è eguale alla LD, e l’eccesso del qua¬ drato BA sopra’l quadrato LD è il quadrato DA, adunque l’eccesso del quadrato FD sopra’l quadrato Nl) è eguale al quadrato DA; e però il quadrato FD è eguale alli due quadrati delle linee ND, DA, io cioè delle due ED, DA. Ma a questi due medesimi quadrati è eguale ancora il quadrato del semidiametro CA ; adunque la linea FD è eguale alla linea CA. In oltre, perchè nel triangolo FGI) la linea IS è parallela alla FG, sarà come FD a DG, cioè conio CA ad AB, così II), cioè ED, a DS; e, dividendo, come CD a BA, così ES a SD. Onde, se intorno all’asse PO intenderemo rivolgersi la sfera ed elevarsi il mezo cerchio TCO sin che la perpendicolare cadente dal punto C, fatto sublime, venga sopra ’l punto B, è manifesto, per il converso del lemma precedente, che la perpendicolare cadente dal punto E vorrà in S ; e però quando la macchia C comincerà ad apparire nel eo limbo del disco solare, cioè nel punto B, l’altra E sarà ancora lon¬ tana dalla circonferenza del disco per l’intervallo SL. E perchè, fatta la quarta parte della conversione, i perpendicoli delle macchie 0, E carieranno ne’ punti D, A nel momento stesso, è chiaro che ’l tempo del passaggio per BA è eguale al tempo del passaggio dell’ altra macchia per tutta la SD ; del qual tempo è parte quello del transito per LD. Segue ora che dimostriamo, il tempo del passaggio per BA al tempo per LD aver minor proporzione che la linea BA alla LD: o pei'chè già consta che il tempo del transito per BA è eguale al no tempo per SD, se sarà dimostrato che il tempo per SD al tempo per 1)L ha minor proporziono che la linea BA alla LD, sarà pi’ovato l’intento. Ma il tempo del passaggio per SD al tempo del passaggio per LD ha la medesima proporzione che l’arco IR all’arco RN (es¬ sendo l’arco ENR eguale alla quarta che il punto E descriverebbe nella superficie della sfera nel rigirarsi intorno all’asse PO, nella cui 4. retno 880 , s — 24-25. ’l tempo dui passai)(fio, y — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 209 circonferenza le perpendicolari erette da i punti S, L, D tagliereb- bono ardii eguali alli due IR, NR, ed esse linee SD, LD sarebbono loro sini, sì come sono delli due archi IR, NR); resta, dunque, che dimostriamo, la retta BA alla DL, cioè la FM alla MN, aver mag¬ gior proporzione che l'arco IR all’ai’co RN. E perchè il triangolo FDN è maggiore del settore IDN, arà il triangolo END al settore NDR maggior proporzione che il settore IND al medesimo settore NDR: ma il triangolo medesimo FDN ha ancora maggior proporzione al triangolo NDM che al settore NDR, essendo il triangolo NI)M mi- 10 nore del settore NDR : adunque molto maggior proporzione arà il triangolo FDN al triangolo NDM clic ’1 settore IDN al settore NDR, e, componendo, il triangolo FDM al triangolo MDN arà maggior proporzione che il settore IDR al settore RDN. Ma come il trian¬ golo FDM al triangolo MDN, così la linea FM alla linea MN ; e come il settore IDR al settore RDN, così è l’arco IR all’arco RN : adunque la linea FM alla MN, cioè la BA alla LD, ha maggior pro¬ porzione che l’arco IR all’arco RN, cioè che ’l tempo del passaggio per BA al tempo del passaggio per LD. Di qui può esser manifesto, quanto vicino ad un impossibile as- 20 soluto si conducesse Apelle, nel dir di aver osservato una macchia traversare il diametro del disco solare in giorni 16 al meno, ed un’al¬ tra una minor linea in 14 al più : perché, posto anco che, come di sopra ho detto a favor massimo della sua asserzione, la seconda mac¬ chia traversasse una linea lontana 30 gradi dal diametro, cosa che a rarissime o nessuna delle macchie grandi, qual fu quella, si vedo accadere, se la proporzione de i giorni 16 e 14, che e’mostra ad abbon¬ dante cautela di aver ristretta, si allargasse ore 3 '/> solamente, sì che 1’ un tempo fosso stato giorni 16 e l’altro 13 ed ore 20 ’/s, la pro¬ posizione sarebbe stata assolutamente falsa od impossibile ; perchè so la proporzione di questi tempi sarebbe maggior di quella che ha il diametro alla suttesa di gradi 120, la quale ha il tempo di giorni 16 al tempo di giorni 13, ore 20. 33’. Ma con tutto ciò, ben che si sia sfuggito un impossibile assoluto, pur s’incorre in uno ex supposHione, che basta per mostrar l’inefficacia dell’argomento: onde io vengo a 5. all’arco JIN. Producasi la linea jVD; e perchè, A, B — 2G-27. abondante, s — W Riguardo alle parole « Producasi la la citata lettera di Galileo a Federico Cesi linea NI) », omesse nella stampa, veggasi del 25 gennaio 1613. 210 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI dimostrare, come, posto che una macchia traversasse il diametro del Sole in un tempo sesquisettimo al tempo del passaggio di un’ altra che si movesse per il parallelo distante 30 gradi, necessariamente segua che la sfera che conduce dotte macchie abbia il semidiametro più che doppio al semidiametro del globo solare. Sia il cerchio massimo del globo solare, il cui asse PR, il cen¬ tro A ; e sia la linea ABC perpendicolare alla PR, e pongasi Parco BL esser gradi 30, e sia tirata la DLE parallela alla AC ; e di una sfera che, rivolgendosi intorno al Sole, porti le macchie che traversino la linea BA e la LI), quella in tempo sesquisettimo al tempo di questa, io sia il cerchio massimo FECI!, nel piano del cerchio PBR: dico elio il semidiametro di tale sfera, cioè la linea CA, è di necessità più che doppio del semidiametro del Sole BA. Imperò che se non è più clic doppio, sarà o doppio o meno che doppio. Sia, prima, se è possibile, doppio : ed intendasi per il punto B la BG, parallela alla DA, e fac¬ ciasi come la CA alla EL), così la BA alla li); e perchè CA è mag¬ giore di ED, sarà ancora la BA maggiore della ID. E per lo cose precedenti ò manifesto, che quando la macchia C apparirà in B, la macchia E apparirà in I, ed amendue poi nell’istesso tempo appari¬ ranno in A, D ; perlochè il tempo del transito apparente della mac- 20 chia C per BA sarà eguale al tempo del transito della macchia E 8-13. In luogo del tratto « c di una Riera ... del Sole BA elio nel cod. A si legge sul margino, prima Galileo aveva scritto il brano seguente, ora cancellato : È, primieramente, manifesto clic t se noi intenderemo che stando immobile il diametro P li, il Sole si rivolqa in¬ torno ad essa, due macchie poste in lì ed L appariranno traversare le lince LI) c LA nel- Vistesso tempo; ma se, prolungando V asse Pii in FU, intenderemo un 1 altra sfera maggior del Sole intorno al centro A, convertibile essa ancora intorno al medesimo asse FU, della quale un cerchio massimo FOJl sia nel piano medesimo del cerchio PUR, sino alla circon¬ ferenza del quale, sicno prolungate le linee DLE , ABC , c due macchie s f intendano esser ne* punti E, C, dico che C cd PI, portate dalla circonferenza FECII, si vedranno traversare le lince HA, IjD o vero le toro doppie, ed in tempo maggiore la C traverserà la lì A, ed in minore la PI passerà la LD : il che è manifesto. Ma si deve dimostrare che, se’l tempo del passaggio della macchia C per la linea lì A sarà sesquisettimo al tempo del passaggio della PI per la LD, il semidiametro AC sarà di necessità più che doppio del semidiame¬ tro AB — 15-20. Anche da « e facciasi > lino a < appariranno in A, 1) * nel cod. A si leggo sul maigine. 1 rima Galileo aveva sciatto Quanto segue, clic; ò cancellato: E facciasi come AC alta DE, così la A lì alta DI; c perchè AC e maggiore, della ED, sarà la HA, ciò i la (rlJ, maggiore della D1. Congiungasi la E A, c per il punto I tirisi la IO, paral¬ lela alla E A : è manifesto, volgendosi la sfera FCH intorno all'asse EH, quando il punto C, portato dalla circonferenza FCH, starà elevato sopra’l piano del cerchio PB li, sì che la per¬ pendicolare cadente da esso punto sublime (' sopra il detto piano caschi in B, la perpendicolare ancora cadente dal punto E elevato cadrà in I, avendo la A B alla DI la medesima proporzione che la A C alla DE; ma quando per la medesima conversione il piano del cerchio FC11 verrà cretto al piano PBB, le macchie E, C appariranno [il ms. : apariranno j ne' punti D, A — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI FX'C. 211 per ID, o però il tempo per BA al tempo por LD ara la medesima proporzione che ’l tempo per ID al tempo per LD: la qual propor¬ zione è quella clic ha l’arco del sino ID all’arco del sino LI), presi nel cer¬ chio il cui semidia¬ metro sia la linea DE. E perchè nel io triangolo EAD la 10 è parallela alla E A, sarà come ED a DI, così AD a DO, ed AE a IO : ma ED è doppia di DI, per¬ chè ancora la CA si pone esser doppia della AB: adunque AD sarà doppia di 20 DO, ed AE di IO ; adunque IO è eguale al semidiametro AB. E perchè l’arco BL si pone esser gradi 30, sarà il sino tutto BA, cioè IO, doppio di AD, e per consequenza quadruplo di OD ; posto dunque il sino tutto IO esser 1000, sarà OD 250, e DI 968, e la sua doppia DE 1936: ma di tali ancora è la LD (sino dell’arco LP) 866: adunque di quali EI), sino tutto, fosso 1000, di tali sarebbe ID 500, e DL 447, e l’arco, il cui sino II), sarebbe gradi 30.0', e l’arco, il cui sino LI), gradi 26.33'. Ma bisognerebbe che e’ fosse gradi 25.45' per osservar la proporzione sesquisettima del tempo detto al tempo ; adunque l’arco del sino LD è maggior di quel che bisogna per mantener la detta proporzione, oo Adunque non è possibile che ’l semidiametro CA sia doppio del se¬ midiametro AB; e molto maggiore inconveniente seguirebbe a porlo men che doppio: seguita, adunque, che di necessità e’ sia maggior che doppio; che è quanto si doveva dimostrare. Dalle asserzioni, dunque, di Apelle, che alcune macchie abbino 29. bisognava corretto in bisogna, B; bisognava, s — 33. Dopo dimostrare si legge in A, cancellato, quanto appresso (cfr. pag. 212, lin. 26 — pag. 213, lin. 1, e pag. 212, lin. 26, tra le varianti): Dico, di più, che Apelle poteva altresì venire in notizia di questa massima vicinità delle macchie alla superficie del Sole (vegga V.S. quanta è la fona del vero) — 212 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI traversato il diametro del disco in giorni 16, ed altre la parallela da quello remota al più gradi 30 in giorni 14, seguita, come vede Y.S., che la sfera che le conduce sia lontana dal Sole più del semidiame¬ tro del Sole : la qual cosa poi ò per altri incontri manifestamente falsa. Perchè, quando ciò fosse, del cerchio massimo di tale sfera s’in¬ terporrebbe tra l’occhio nostro e’l disco solare molto meno di 60 gradi, e molto minori archi verrebbono interposti de gli altri paral¬ leli : onde, per necessaria consequenza, i movimenti delle macchie nel Sole apparirebbono totalmente equabili nell’ ingresso nel mezo e nel- 1’ uscita ; gl’ intervalli tra macchia e macchia e le figure e grandezze loro (per quello che depende dalle diverse positure ed inclinazioni) sempre si mostrerebbono l’istesse in tutte le parti del Sole : il che quanto sia repugnante dal vero, siane Apelle stesso a se medesimo testimonio, il quale ha pure osservato l’apparente tardità di moto, l’unione o propinquità, e la sottigliezza delle macchie presso alla cir¬ conferenza, e la velocità la separazione ed ingrossamento molto no- ver» Air. Siìfioj’ tubile circa le parti di mezzo. Onde io per tale contradizione non te¬ merò di dire, essere in tutto impossibile che, traversando una macchia il diametro solare in 16 giorni, un’altra traversi la sopradetta pa¬ rallela in 14. Ma sogghignerò bene ad Apelle, che ritorcendo l’ar¬ gomento, ed osservando più esattamente, i passaggi delle macchie in qual si voglia linea del disco farsi tutti in tempi eguali (sì come io ho da molt’ osservazioni compreso, e ciascuno potrà per l’avvenire osservare), si deve concluder necessariamente, loro essere, come sem¬ pre ho detto, o contigue, o per distanza a noi insensibile separate viRmaggi'orinente elio dalla superficie del Sole. E per non lasciar indietro cosa che possa Ugue Mia superficie confermare e stabilire conclusione tanto principale in questa materia, (l0 ‘ s ° l0, aggiungo che Apelle poteva di ciò altresì accorgersi (vegga Y. S. io fac.17, VOI*. 21 ; fac. 28, ver. 19. t fac. 18, vor. 22; fac. '29, ver. 12. Ipng- K lin. 40] fac. 18, vor. 5; fac. 28, ver. 32. Ipag. 48, lin. 27J 20 7. minor archi, R, s — 19. una altra, B, s — 26. Dopo Sole si lo.qge in A, cancellato, quanto appresso: Di clic poteva egli altresì accorgersi (vegga V.S. quanta e la forza del vero) da un’altra sua osservazione, falla intorno ad una sua macchia insigne, notata u : della quale egli scrive (fac. :>3, n. 7 [pag. si. li... as o mg.)),mere stata la sua prima apparizione in figura di una linea sottilis¬ sima e negra, e cosi vicina alla circonferenza del Sole, che lo spazio lucido tra se e Vestremo limbo appariva di sottigliezza eguale alla sua propria; mostra poi nel disegno del giorno seguente (essendo, coni’io credo c coni'e’ dice, tali disegni fatti con ogni maggior accuratezza), e la macchia e l’inter¬ stizio lucido essersi proporzionatamente, dilatati, ed esser tra loro similmente quasi che eguali c. eh larghezza tripla a quella che ebbero il giorno avanti. Ma un tale accidente non ha luogo se. non dove simil macchia sia contigua o insensibilmente remota dalla superficie del Sole; perché, dove la distanza fosse assai notabile, non potrebbe la grossezza della macchia mostrar- cisi triplicala se non quando l'intervallo lucido fosse apparentemente cresciuto 8 o 10 volle. — 213 INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. quanta è la forza della verità) da due altre conietture necessarie, le quali, per rimuover ogni cagione di dubitare die io, quasi più intentò alla ricoperta de’ miei errori che all’ investigazione del vero, forse non accomodassi le mie figure alle proprie conclusioni, voglio cavar da i disegni medesimi d’Apelle ; se bene più esattamente lo potrei dedurre da alcuni miei, per avventura, almeno rispetto alla maggior grandezza, più giustamente delineati. Prenda, dunque, V. S. le figure de i due giorni 29 Dicembre, ore 2, o 30, ore pur 2, ne’ quali comincia a farsi vedere la macchia [<*, assai io insigne tra le altre : la quale, come referisce il medesimo autore, si mostrò il primo giorno in aspetto di una sottil linea nera, e separata dall’estremità del Sole per un interstizio lucido, non più largo della sua grossezza ; ma, come dimostrano i disegni, il giorno seguente al- l’istessa ora fu la sua distanza quasi triplicata, e la grossezza della macchia parimente agumentata assai. In oltre, egli afferma di questa macchia (tra l’incostanza dell’ altre, assai costante) che il suo vi¬ sual diametro fu una delle 18 parti in circa del diametro del disco solare : e perchè ella crebbe sino alla figura di niezo cerchio, e fu, nel suo primo apparir, col suo diametro intero parallelo alla circon- 20 ferenza del disco, seguita per necessità che la dilatazione apparente della sua figura fosse fatta non secondo la lunghezza del suo diametro intero, ma secondo il semidiametro perpendicolare a quello, e così mostra il disegno ; tal che la dimension di tal macchia, che sul primo comparire fu sottile assai, verso ’l mezo del disco si dilatò tanto, che occupò circa la trentesimasesta parte del diametro del Solo, cioè quanto è la suttcsa di tre gradi e un terzo. Ora, stanti queste due osservazioni, dico non esser possibile che tal macchia fosse per no¬ tabile intervallo separata dalla superficie del Sole. Imperò che sia il cerchio ABD, nel globo solare, quello nella cui 30 circonferenza apparisca muoversi la macchia, ed intendasi l’occhio esser posto nell’ istesso piano, ma in lontananza immensa, tal che i raggi da quello prodotti al diametro di esso sieno come linee paral¬ lele ; ed intendasi la macchia la cui larghezza |a occupi gradi 3.20', il cui sino o la cui suttesa, poco da esso differente in tanta picco¬ lezza, sarà 5814 parti di quelle delle quali il semidiametro AM con¬ tiene 100000; intendasi, appresso, l’arco AB esser gradi 8, e l’arco BD 2. rimover, s — 8. Dcccmbrc, s — 1G. inconstanza, 1), s — constante, 13, s — 214 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI gradi 3.20', cioò quanta si pone la larghezza della macchia; e per i punti B, D passino le perpendicolari al diametro AM, le quali sieno CBG, ODQ: sarà ACO, sino verso dell’arco A HI), 1950; ed AC, sino verso dell’arco AB, 973 ; ed il rimanente CO, 977. Dal che ab¬ biamo, primieramente, la macchia p, posta in BD, apparirci molto sottile, cioè la sosta parte solamente di quello che si mostra circa il mezo del disco, cioè nel luogo p; apparendoci in BD eguale a CO, cioè 977, ed in p si mostra 5814, il qual numero contiene prossi¬ mamente sei volte l’altro 977. Di più, abbiamo l’intervallo lucido AC eguale all’apparente grossezza della macchia,essendo AC 973, e CO 977: io o questi particolari requisiti acconciamente rispondono alle osservazioni di Apelle. Ora veggiamo se tali particolari potessero incontrarsi, po¬ nendosi la conversione delle macchie remota dal globo del Sole sola¬ mente per la ventesima parte del suo semidiametro. Pongasi, dunque, il semidiametro d’una tale sfera MF, sì che AF sia 5000 di quali il semidiametro AM è 100000; sarà, dunque, tutta la FM 105000. Ma di quali parti MF è 100000, di tali FA sarà 47G2, ed AC 927, CO 930, FAC 5G89, ed FACO GG19 : e descrivendo il cerchio FEGQ, e tirando la parallela A E, si troverà l’arco FE esser gradi 17.40', FEG 19.25', EG 1.45', FEGQ 21, GQ 1.35'; e la sua 20 suttesa nel luogo incontro a p sarebbe 2765, essendo stata in GQ eguale a CO, cioè 930, il qual numero non arriva alla terza parte 8. ed in il/ si, s — 16, 17, (le quali, s - 16. dunque, s — 17. de lati, 8 INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 215 di 27G5. Quando, dunque, la macchia p si movesse in tanta lonta¬ nanza dal Solo, non potria mai mostrarsi ingrossata più di tre volte : il che è molto repugnante alle osservazioni di Apelle ed alle mie. E noti Y. S. eli’ io fo la presente illazione supponendo che la mac¬ chia |i fusse apparsa traversare il diametro del Sole, e non, come foce, una linea più breve : che se di questa più breve ci servissimo, la repugnanza si troverebbe ancor maggiore, sì come molto più no¬ tabile si vedrebbe servendoci di macchie più sottili, e notabilissima cd immensa la troverebbe chi volesse por la distanza delle macchie io lontana dal Sole quanto il suo semidiametro o più ; perchè in tal caso niuna deferenza assolutamente si potrebbe notare in tutto ’1 passag¬ gio loro. Vengo ora all’altra coniettura presa dall’accrescimento che fece in un sol giorno l’intervallo lucido e la grossezza della macchia, con¬ forme allo note di Apelle. E ripigliando la figura medesima, e ponendo prima la macchia contigua al Solo, triplico il sino verso dell’ inter¬ vallo lucido AC (che tanto si dimostrò accresciuto nel seguente giorno), ed ho la linea AS 2919 parti di quali AM è 100000 ; onde l’arco AEDL sarà gradi 14, a’quali aggiungo gradi 3.20' per l’arco LP, occupato 20 dalla vera grossezza della macchia, ed ho gradi 17.20' per l’arco ALP, il cui sino verso ASR è 471G, dal quale sottratto AS resta 1797; e tanta apparirà la grossezza della macchia in questo luogo, eh’ è quasi doppia di quello che apparve il giorno avanti in P>D, essendo stata la linea CO 977. Ma se noi intenderemo la macchia esser passata non per l’arco ALP, ma por FÉII, essendo AC adesso parti 927 di quali il semidiametro FM è 100000, sarà il suo triplato AC OS 2781; al quale aggiunto il sino verso FA, eh’è 4762, fa 7543 per il sino verso FAS, onde l’arco FEH sarà gradi 22.20'; a i quali giungendo gradi 1.35' per la vera grossezza della macchia (che tanto si trovò do¬ so ver esser, quando ella passasse per l’arco FEH), si avranno gradi 23.55 per tutto l’arco FET, il cui sino verso FSR è 8590; dal quale sot¬ traendo il sino FS, resta SR 1047, apparente grossezza della macchia locata in HT, la quale supera quella del precedente giorno, cioè la C O, di meno d’un’ ottava parte. Tal che quando la sua conversione fosse fatta in un cerchio distante dal Sole per la ventesima parte del suo semidiametro solamente, la sua visibil grossezza non sarebbe nel 10. il suo diametro o, B, s — 18. de quali , s — V. 23 21G ISTORIA E DIMOSTRAZIONI seguente giorno cresciuta un’ottavo: ma ella ne crebbe più di sette: adunque necessariamente rade la solar superficie. E perchè !i, lin.7ose#.], dalle quali ei pur tenta di persuadere la lontananza dello macchie dal Sole, usando la medesima maniera di argmnentare, tolta dalla disegualità de’tempi della dimora sotto ’l disco solare. La quale quando fosse come Apelle scrive, convincerebbe necessariamente, le macchie non solamente non esser nel Sole, ma nè anco ad esso vicine a gran io pezzo : anzi, di più, pigliando i movimenti di quelle esser in genere equabili ed uniformi, sì come la somma dell’accuratissimo osservazioni mi dimostra, è impossibile assolutamente, come di sopra ho dimo¬ strato, che simili differenze di tempi, quali in questo luogo pone Apelle, possino ritrovarsi già mai, se non quando alcune delle mac¬ chie passassero per linee lontane dal centro del disco non pur li 30 gradi al più da me osservati, ma 50 e G0 e più; il che repugna non solo alle mie osservazioni, ma a queste medesimo che Apelle produce : delle quali la macchia Ct passa per il centro stesso, come si vede nel disegno del giorno 30 di Marzo; la E, come dimostra il disegno del 20 25 di Marzo, non passa lontana 30 gradi, nè anco 24; Pistesso accado alla macchia H, come si vede nel disegno del giorno 30 dell’ istesso mese. Poste queste cose, egli appresso soggiugne, la macchia E essere stata sotto il Sole al meno 12 giorni interi; ma la G, 11 al più; e la H, al più 9. Ma come è possibile che la macchia G, elio traversa tutto il diametro, passi in manco tempo che la E, che passa lontana dal centro più di 20 gradi ? e che tra il tempo del passaggio di questa o dell’altra II vi sia differenza tre giorni o più, ben che pas¬ sino in paralleli poco o nulla differenti? e come 11 ’ s’ò scordato Apelle fi. delle macchie del Sole, s — 24. intieri, s — t*> Da « E perche » fino a « compartito o disposto » (pag. 219, lin. 24), in A si logge .su duo carte inserito. In B questa aggiunta fu trascritta al suo posto. W Da « e come» a «versogli estremi» (pag. 217, lin. 4) in A fu aggiunto da Ga¬ lileo sul margine, e in I», pur di m&uo di Galileo, su di un cartellino incollato sul margine; sul qual cartellino Galileo tra¬ scrisse puro il tratto clic segue dopo « gli estremi », fino a « periodi differenti * (lin. fi), elio era stato omesso per errore dall’ ama¬ nuense. La lezione del cartellino di B ò conforme alla lezione della stampa, dalla quale differisce la lezione di A in questi particolari: pag. 217, lin. 1, che di sopra lin. 3, sotto ’l Sole che quelle; lin. 4-5, asso¬ luti, o vero bisognerebbe dire. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 217 2». di quello cho sopra, a fac. 18, nel X notabile [yng. io, lin. 2-3], scrisse con tanta resoluzione? cioè questo esser certo, clic le macchie clic tra¬ versano il mezo del Sole fan maggior dimora sotto di lui, che quelle che passano più verso gli estremi. Questi sono impossibili assoluti, quando non si volesse diro, i movimenti delle macchie esser tutti di periodi differenti, il che nò è vero nò da Apelle supposto ; e dato che vero fusse, cesserebbe tutto il vigor del discorso nel voler egli da tali passaggi dedurre ed inferir il luogo delle macchie rispetto al Sole. io Ma perchè troppo invincibile è la forza della verità, ripigliamo pure i medesimi disegni, e consideriamogli spogliati d’ogn’ altro af¬ fetto, fuori olio del venire in notizia del vero ; e troveremo, i tempi di detti passaggi essere eguali fra di loro, e tutti circa 14 giorni. E prima, la macchia G, apparsa li 20 di Marzo e non veduta per avanti, è tanto lontana dalla circonferenza, quanto importa il moto di 3 giorni e forso di 4 : del che, senza molto discostarsi, ne è chiaro testimonio nella medesima carta la macchia 13 delti 4 di Aprile, la quale ò men lontana dalla circonferenza della detta G, 26 di Marzo; e pure aveva di già cambiato tre giorni o più, come i 2 suoi precedenti 20 disegni ci mostrano. L’ora poi della sua uscita non fu altramente il giorno 3 d’Aprile, ma due o tre giorni dopo ; tanta rimane ancora la sua distanza dalla circonferenza : perchè (stando pur negli stessi disegni) vedremo esemplificato questo che io dico nella macchia E, la quale il dì 29 di Marzo non è più lontana dalla circonferenza che la G del 3 d’Aprile; e pur si vede ancora per due giorni, se non più. Se, adunque, a gli otto giorni della macchia G, notati nella ta¬ vola, ne aggiugneremo 4 avanti e 2 dopo, aremo giorni 14. Cho poi nè avanti nè dopo li 8 giorni ella non fosse osservata, ciò si devo attribuire al non si esser generata avanti, nè conservatasi dopo. E que- 30 sto dico, perchè suppongo le osservazioni essere state accurate ; che quando non fosser tali, potrebbe alcuno attribuir la causa di tale oc¬ cultazione non all’assenza delle macchie, ma a qualche minor diligenza dell’ osservante. Solo a me par che sia qualche difetto nell’ elezion dell’osservazioni ; le quali dovevano esser di macchie vedute entrare 6. Appelle, s — 6-7. e quando pur fosse, A; e quando pur fusse, B : ma di mano di Ga¬ mi, eo c quando pur fu corretto nel cod. B in e dato che vero. — 21, 27, 28. doppo, B, s — 25 .vede corretto in vedde, A; vedde, B — Tempi de’ passaggi dolio macchie fra loro ogtiaU* Esame nello mne- chic do' loro passaggi. 21S ISTORIA E DIMOSTRAZIONI ed uscire nell’estrema circonferenza, e non di macchie apparse ed oc¬ cultatosi tanto da quella remote, ed, oltre a ciò, di macchie di conti¬ nua durazione per tutto il tempo del transito, per non mettere in dub¬ bio se la macchia ritornata fosse l’istessa che la sparita. La macchia E parimente mostra di aver consumato altri giorni 14 in traversare il Sole, perchè nella sua prima osservazione delli 20 di Marzo vien ella ancora posta tanto remota dalla circonferenza, quanto può ra¬ gionevolmente importare il movimento di tre giorni : il qual tempo con li 11 notati arriva alla somma eh’ io dico. Quanto alla macchia II, dirò, con pace d’Apollo, d’ averla per sospetta in tale attestazione, e io credo che la li delli giorni 1, 2 e 3 d’Aprile non sia altramente la li delli 28 e 30 di Marzo: anzi che ho dubbio ancora, so queste due tra di loro sicno l’istessa, atteso clic l’intervallo tra lo II, G delli 28 è molto maggiore (e pur doveria essere assai minoro, rispetto all’esser tanto più vicine alla circonferenza) che quello delli 30 ; senza che il non si esser ella veduta il giorno intermedio, cioè il 29, è assai ne¬ cessario argomento, lei non poter essere la medesima; e l’istesso dub¬ bio cade tra 1’ II del 30 di Marzo c l 1 II del primo d’Aprilo, non si essendo veduta il giorno di mezo, 31 di Marzo. Ma sicuro argomento di tal permuta si cava non meno dalla diversa situazione : poi che so l’H delli giorni 28 e 30 di Marzo mostra di cambiare nel medesimo parallelo che la G, dalla quale è lontana secondo la longitudine del movimento; ma la H delli 1, 2, 3 d'Aprile è per fianco alla medesima G, e da lei remota solo per latitudine; onde assolutamente ella non è l’istessa che la prima, e perù cessa la sua autorità in questa decisione. E perchè, come ho detto ancora, questo è punto principalissimo in questa materia, e la differenza tra Apelle e me è grande (poi che 10 conversioni delle macchie a me paiono tutte eguali, e traversare 11 disco solare in giorni 14 e mezzo in circa, e ad esso tanto ine¬ guali, che alcuna consumi in tal passaggio giorni 16 o più, ed altra so 9 solamente), parmi che sia molto necessario il tornar con replicato esame a ricercar l’esatto di questo particolare ; ricordandoci che la natura, sorda ed inesorabile a’ nostri preghi, non è per alterare o per mutare il corso de’ suoi effetti, e che quelle coso che noi procuriamo 3. dmraeione tutto, B, s — 4. la ritornata, A, B; in B macchia è aggiunto di mano di Gai.t- i.eo. — 6. 20 dì (li Marzo, B, s — 6-7. vieti lei ancora, A, B, s; nella stampa lei è corretto in ella nell’ Errata-corrige. —11. allrmente, s — 30. 16 c più, B, s; in B e è corretto in o. — 33. sorda o inesorabile , A — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 219 adesso d’ investigare o poi persuadere a gli altri, non sono state sola¬ mente una volta e poi mancate, ma seguitano o seguiteranno gran tempo il loro stile, sì che da molti e molti saranno vedute ed osser¬ vate : il elio ci deve esser gran freno per renderci tanto più circo¬ spetti nel pronunziare lo nostre proposizioni, e nel guardarci che qualche affetto, o verso noi stessi o verso altri, non ci faccia punto piegare dalla mira della pura verità. E non posso in tal proposito Macchie osservato _ r ~ -, • in , « j. -■ il. i , dal TAu toro, prodotto celare a V. S. un poco di scrupolo clic in e nato dall aver voluto poi d» Apollo. Apello in (piesto luogo produr quelle due macchie e loro mutazioni, che mandai disegnato a V. S. nella mia prima lettera : o ben che io bene intenda, ciò esser derivato dal suo cortese affetto, desideroso di procacciar credito a loro col dir che molto s’ aggiustavano con lo suo, c far nascere occasione di mostrar come egli di me ancora teneva grata ricordanza, non però arei voluto eh’ ci passasse poi tanto avanti, che si mettesse in pericolo di scapitare qualche poco nell’ opinione del lettore, col diro che dall’ incontrarsi tanto esattamente i miei di¬ segni con i suoi, e massime quei della seconda macchia, si accertava del mancamento di paralasse, ed in consequenza della loro gran lon¬ tananza da noi ; perchè con gran ragione potrà esser messo dubbio sopra tal sua conclusione, poi che le figure eh’ io mandai furon di macchie disegnate solitarie o senza rispondenza ad alcun’ altra o alla situazion nel Sole, il cui cerchio nè anche fu da me disegnato ; il che mi lascia altresì alquanto confuso, onde egli abbia potato accor¬ gersi dell’ averle io precisamente, o no, compartite e disposte. Io spero che da quanto sin qui ho detto Apelle doverà restar sa¬ tisfatto, e massime aggiugnendovi quello che ho scritto nella seconda lettera ; e crederò eh’ e’ non sia per metter difficoltà non solo nella massima vicinanza delle macchie al globo solare, ma nò anco nella, di lui l’evoluzione in sò medesimo. In confirmazion di che, posso ag- Rivoinzioncdoisoio giugnere allo ragioni che scrissi nella seconda lettera a Y. S., che forma, nella medesima faccia del Sole si veggono tal volta alcune piazzette Piigzotto nciin r«c- . . eia ilo! Solo piu chiaro più chiare del resto, nelle quali, con diligenza osservate, si vede il m i 10 ,u affermerò ; 2(1-27. che ili me più sapienti ; 28. fondate che la ragion <*> — fno. 2f>, ver. 2; ver, 27. [pag. 63, li li. 14] £ nc . he in f|l,e8ti P art «e°lari ] e diffo- naio 1013 mandò n Fkdkiuco Cesi la lezione renze che la stampa presenta sono dovute delle lineo 20-29, del tutto conforme a quella a (_tai.it.eo, il quale con la lettera del 25 geu- della stampa. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 221 corpi, quasi elio il porre animali, per essompio, nella Luna non si potesse far senza porgli anco nelle macchio solari. Nè anco ben ca¬ rne, ac, pisco l’illazione che fa Apelle, del doversi conceder qualche lume fac. .w, reflesso alla Terra, persuadendone ciò le macchie solari : anzi, perchè 'liifiuj' 1 ;L l° r0 reflessione non è molto cospicua, e quello che in esse scor¬ giamo non può esser altro che lume refratto, se nulla convenisse dedur da tale accidente, sarebbe più presto che la Terra fosse di sostanza trasparente e permeabile dal lume del Sole ; il che poi non appai’ vero. Non però dico ohe la Terra non lo refletta ; anzi per 10 molte ragioni ed esperienze son sicurissimo eli’ ella non meno s’il¬ lustra di qualunque altra stella, e che con la sua retìessione luce assai maggiore rende alla Luna di quella che da lei riceve. Ma'” poi elio Apollo si rende così difficile a conceder questa così potente reflessione di lume fatta dal globo terrestre, e così facile ad ammettere il corpo lunare traspicuo o penetrabile da i raggi solari, come in questo luogo ed ancor più apertamente replica verso il fine di questi discorsi, voglio produrre una o due delle molte ragioni che mi persuadono quella conclusione per vera e questa per falsa; le quali, per avventura risolute con qualche occasione da Apelle, potrebbono 20 farmi cangiar opinione. Non tacerò intanto che io fortemente dubito, che questo comun concetto, che la Terra, come opaehissima oscura ed aspra che 1’ è, sia inabile a reflettere il lume del Sole, sì come all’ incontro molto lo reflette la Luna e gli altri pianeti, sia invalso tra ’l popolo perchè non ci avvien mai il poterla vedere da qualche luogo tenebroso e lontano nel tempo che il Sole la illumina, come, per T opposito, frequentemente vediamo la Luna, quando ed ella si trova nel campo oscuro del cielo, e noi siamo ingombrati dalle te- 2. possa , A, B ; in B è corrotto, di mano di Galileo, in potesse. — 5. conspictta, B, « — 7. più presso che, s — 11). aventura, s — 21. opacissima, A — W Da « Ma * a « convenirsi aliti mac¬ chie » (pag. 22(>, Un. 4-5) nel cod. A ò scritto su duo carte inserite, ed ò sostituito al se¬ guente tratto, che è cancellato : « Ma di questo tratterò in altra occasione, dove anco mi riserbo ad esaminare con maggior di¬ ligenza, quanto si possa credere che la Luna sia, come vuole Apelle, in parte traspicua, la quale sin ora ho creduto, e credo tut¬ tavia, che non meno sia tenebrosa ed opaca della stessa Terra : e mi nasce qualche sus- pizione che Apelle, in questo ed alcuni altri particolari, si lasci alquanto trasportar dal desiderio di mantenere il suo primo detto, o che, non potendo puntualmente accomodar vari! accidenti delle macchie agli accidenti per avanti creduti convenire aH’altro stelle, accomodi quei delle stelle alle macchie Nel cod. B il tratto sostituito fu trascritto al suo posto. Terra non s*illustra mono dolio stollo, ri¬ flettendo il lume dol Sole. Cagione elio la Ter¬ ra sia tenuta inabile a rifletter il lume solare. 222 ISTORIA K DIMOSTRAZIONI libbre notturne; od accadendoci'”, dopo aver non senza qualche me¬ raviglia fissati gli occhi nello splendor della Luna e delle stello, ab¬ bassargli in Terra, restiamo dalla sua oscurità in certo modo attri¬ stati, e di lei formiamo una tale apprensione, come di cosa repugnante per sua natura ad ogni lucidezza ; non considerando più oltre, come nulla rileva al ricevere e reflettere il lume del Sole la densità oscu¬ rità ed asprezza della materia, e che T illuminare è dote e virtù del Sole, non. bisognosa d’ eccellenza veruna ne i corpi che devono essere illuminati, anzi più presto sendo necessario il levargli certo condizioni più nobili, come la trasparenza della sustanza e la lisciezza della su- io perfide, facendo quella opaca e questa ruvida o scabrosa: ed io son So in Lumi fosso pò-molto ben sicuro, contro alla comune opinione, che quando la Luna irta o liscia, non ri- , , .. liciterebbe il Unno, nò fosso polita e tersa come uno specchio, ella non solamente non ci re- fletterebbe, come fa, il lume del Sole, ma ci resterebbe assolutamente invisibile, come se la non fosse al mondo ; il che a suo luogo con chiare dimostrazioni farò manifesto. Ma per non traviare dal particolare che ora tratto, dico che fa¬ cilmente m’induco a credere, che se già mai non ci fosse occorso il veder la Luna di notte, ma solamente di giorno, avremmo di lei fatto il medesimo concetto o giudizio che della Terra : perchè, se porremo 20 cura alla Luna il giorno, quando tal volta, sendo più che 1 quarto illuminata, ella s’imbatto a trovarsi tra le rotture di qualche nugola bianca o vero incontro a qualche sommità di torre o altro muro di color mezzanamente chiaro, quando rettamente sono illustrati dal Sole, sì che della chiarezza di quelli si possa far parallelo col lume della Luna, corto si troverà la lor lucidezza non esser inferiore a quella della Luna ; onde se loro ancora potessero mantenersi così il¬ lustrati sin alle tenebre della notte, lucidi ci si mostrerieno non meno della Luna, nò men di quella illuminerebbono i luoghi a loro circon¬ vicini, sin a tanta distanza da quanta la lor grandezza non apparisse 30 minor della iaccia lunare; ma le medesime nugole e 1 ? istesse mura¬ glie, spogliate de’raggi del Sole, rimangono poi la notte, non men 8. rteveno, s 10. avremo, 13, s 25-20. quelli col lume della Tjtnia si possa far paral¬ lelo, certo , A, B ; in II è corretto conforme alla lezione della stampa.—28. mostrerricno , B, s — oi lj a « ed accadendoci » a «che se già che se già mai », elio ò cancellato. Nel mai» (lin. 18) nel cod. A ò scritto sul mar- cod. B il tratto sostituito fu trascritto al gine, e sostituito a « e facilmente crederò suo posto. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 223 della Terra, tenebrose e nere 1 ”. Di più, gran sicurezza doveremo noi pur prender dell’ efficace reflession della Terra, dal veder quanto lume Ri/iession efficnco si sparga in una stanza priva d’ogn’ altra luce, e solo illuminata dalla , s_ INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI KCC. 225 flessione si farebbe ; dove che, all* incontro, grandissima si fa dalla Luna. Secondariamente, il termine che distinguesse la parte illumi¬ nata della Luna dalla parte non tocca da i raggi diretti del Sole sarebbe nullo o indistintissimo, come si può vedere in una gran palla di vetro piena tV acqua, ben che torbida, o d’ altro liquore non in¬ teramente trasparente (elio se fosse acqua limpida, tal termino non si vedrebbe punto). Terzo, essendo tanto trasparente la su stari za lu¬ nare, che in grossezza di duemila miglia desse il transito al lume del Sole, non si può dubitare che una grossezza della medesima ma¬ io teria elio non fosse più di una dello dugento o trecento parti, sa¬ rebbe in tutto trasparentissima ; al che totalmente repugnano lo montuosità lunari, le quali tutte, ben che molte di loro si vegghino assai sottili e strette, oscurano d’ ombre nerissime le parti circonvi¬ cine e basse, come in luoghi innumerabili si scorge, e massime nel confine tra 1’ illuminato e l’oscuro, dove tagliontissimamente e cru¬ damente, quanto più imaginar si possa, i lumi conterminano con le ombre ; il quale accidente in verun modo non può avor luogo so non in materie simili in asprezza ed opacità alle nostre più montagne. Finalmente, quando lo splendor del Sole penetrasse tutta 20 la corpulenza della Luna, la chiarezza dell’ emisfero non tocco da i raggi dovria mostrarsi sempre Pistessa nò mai diminuirsi, poi che sem¬ pre è nell’ istesso modo illuminata la metà della Luna : o se pur di¬ versità alcuna veder vi si dovesse, dovrebbesi nel novilunio veder la parto di mezzo più oscura del resto, essendo quivi maggior la pro¬ fondità della materia da esser penetrata ; e nelle quadrature mag¬ gior chiarezza dovria esser vicino al confin della luce, e minor nella parte più remota. Le quali cose, e molte altre che per brevità tra¬ passo, rendono discordissima tal ipotesi dall’ apparenze ; dove che 1’ assunto dell’ opacità e dell’ asprezza della Luna, e la reflessione del so lume del Solo nella Terra, ipotesi tutte e vere e sensate, con mirabil facilità e pienezza satisfanno ad ogni particolar problema. Ma di ciò più diffusamente tratto in altra occasione. E tornando a i particolari d’Apelle, sento nascermi qualche poco 5-6. intieramente,, s — 7. Dopo punto in A si legge, cancellato: nò punto si distingue¬ rebbe la parte esposta al lume dall 9 aversa. — 8. due mila , 13, s — 9-10. di tal materia, A, B; in B di tal e corretto, ili mano ili Galileo, in della medesima. — 15-17. Voscuro, il quale ta - glient issivi amente ...si possa contermina i lumi con le ombre, A, B; in B ò corretto, di pugno di Galileo, conforme alla lezione della stampa. — 22G ISTORIA E DIMOSTRAZIONI d’inclinazione a dubitar eh’ egli, traportato dal desiderio di man¬ tenere il suo primo detto, nè potendo puntualmente accomodar lo macchio a gli accidenti por l’addietro creduti convenirsi all’ altro stelle, accomodi le stello a gli accidenti che veggiamo convenirsi alle macchie : il che assai manifesto par elio si scorga in duo altri gran particolari ch’egli introduco. L’uno de’quali è, che probabilmente stollo d’Apoiio di si possa dire, anco le altro stelle esser di varie figure, ed apparir fno. 26 , figuro diverso. 1 , 1 . 11 C var.lOj rotonde mediante il lume o la distanza, come accado nella fiamma fae.st, della candela (o ci si potria aggiugnere, in Venere cornicolata): e in vero tale asserzione non si potrebbe convincer di manifesta falsità, io so il telescopio, col mostrarci la figura di tutto le stello, così fisso come erranti, di assoluta rotondità, non decidesse tal dubbio. L’altro particolare è, che non si potendo negare che le macchio si produ- chino e si dissolvono, per non le sequestrar per tale accidente dal- 1’ altre stelle, non dubita d’ affermare clic anco le altre stello si vadino disfacendo e redintegrando ; ed in particolare reputa per tali quello ch’io ho osservato muoversi intorno a Giovo, dello quali torna a re¬ plicare il medesimo che scrisse nelle prime lettere, raffermandolo come is fondatamente detto, cioè che, al modo stesso dell’ ombre solari, al- fac si. ver. 8; tre repentinamente appariscono ed altre svaniscono, sì che, pur come /»«■«, t f » 23 . quelle, altre sempre ad altro succedono, senza inai ritornar lo mede- sime : nò picciolo argomento cava in confirmazion di ciò dalla dif¬ ficoltà e forse impossibilità, come egli stima, del cavare i loro pe¬ riodi ordinati dalle osservazioni, delle quali egli afferma averne molto od esatte, e sue proprie e di altri. Or qui desidererei bene che Apollo non continuasse di reputarmi per uomo così vano e leggiero, elio non solo i’ avessi palesate ed offerte al mondo macchie ed ombre per istelle, ma, quello che più importa, avessi dedicato alla gloria di sì gran Principe qual è il Serenissimo Gran Duca mio Signore, ed al- P eternità di casa tanto regia, coso momentaneo instabili o transito- 30 e pe°r di étuo StelIe v °'° rie> Re P lico n^ P er tanto, che i quattro pianeti Medicei sono stello vere e reali, permanenti e perpetue come 1’ altre, nò si perdono o ascondono se non quanto si congiungono tra loro o con Giove, o si 12. assolutissima rotondità, A; o così paro clic dicesse anche in B, nel qual codico fu corretto conforme olla lezione della stampa. — 17. moversi, s — 11). [andatamente, s — 25-26. Or qui non vorrei che Apcllc continuasse, A ; e così pare die dicesso anche in B, nel qual codico Galileo corresse, di suo pugno, conforme alla lezione della stampa. — 27. aves¬ se, a — 29. Prencipe, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 227 oscurano tal volta per poche ore nell’ ombra di quello, come la Luna in quella delia Terra : hanno i lor moti regolatissimi ed i lor periodi certi, li quali se egli non ha potuto investigare, forse non vi si è affaticato quanto me, che dopo molte vigilio pur li guadagnai, e già gli ho palesati con lo stampe nel proemio del mio trattato Delle cose che stanno su 1’ acqua o che in quella si muovono, come V. S. ara potuto vedere ; od acciò elio Apollo possa tanto maggiormente de¬ porro ogni dubbio, io mando a V. S. lo costituzioni future per duo mesi, cominciando dal dì primo di Marzo 1613, con le annotazioni io de i progressi e mutazioni che d’ ora in ora son per fare, le quali egli potrà andar incontrando, e troveralle rispondere esattamente, so già non mi sarà per inavvertenza occorso qualche errore nel calco¬ larle. Desidero appresso, che con nuova diligenza torni ad osservarne il numero, che troverà non esser più di 4 : o quella quinta che e’ no¬ mina, fu senz’ altro una fissa, e le conietture dalle quali e’ si lasciò sollevare a stimarla errante, ebbero per lor fondamento varie falla¬ cie ; conciosia cosa che le sue osservazioni, primieramente, sono errate bene sposso, come io veggo da’ suoi disegni, perchè lasciano qual¬ che stella che in quelle ore fu cospicua ; secondariamente, gl’ in- 2 o terstizii tra di loro e rispetto a Giovo sono errati quasi tutti, per mancamento, coni’ io credo, di modo e di strumento da potergli mi¬ surare ; terzo, vi sono grandi errori nella permutazione delle stelle, scambiandole il più delle volte 1’ una dall’ altra e confondendo le su¬ periori con l’inferiori, senza riconoscerle di sera in sera ; le quali cose gli sono state causa dell’ inganno. La stella D, notata nella figura delli 30 di Marzo, fu quella che descrive il cerchio maggiore intorno a Giove, od allora si x'itrovava nella massima digressione, cioè nella sua media longitudine, e quasi stazionaria, e lontana da Giove circa a 15 minuti (che tanto è il se- Mollicce sono sola monto 4. Dulia quinta propo sta ila Apollo. 1. ombra sua, A, B ; ma in B sua fu corretto da Galileo in di quello. — 4. ctoppo, B, a — 7-13. vedere; e quando Apélle , per uscir di dubbio, avesse piacere di vederne le costituzioni di sera in sera per 40 o 50 giorni, con la predizione di ogni lor congresso, separazione, declinazioni, eclissi, ed olire minuzie, io volentieri, facendomeVintender V.S., gliele manderò, come ne ho man¬ date per Vaddietro ad altri, cd egli con suo comodo potrà incontrarle con le sensate apparenze. Desidero, A, B — 14-15. e quella che c* nomina, s—19. compie ita, B, s - 27. cd allora si, s — Alla mutazione introdotta nella stani- come avisa ». La lezione dei cod. À e B, pa accenna Federico Cesi nella sua lettera che registriamo tra le varianti, si legge nel a Galileo in data del 23 dicembre 1612, dove cod. B appunto alla faccia segnata origina- scrive: « Nella faccia 53 ho fatto accomodare riamente 53. 228 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI midiametro del suo cerchio), e non 6, come stimò Apelle, giudicando tali intervalli cosi a vista, dove è grande occasione d’allucinarsi. Posta dunque tale, qual veramente fu, la sua distanza da Giove, ed essendo che la stella E fosse veduta un poco più occidentale di lei, benissimo incontra che per la retrogradazion di Giove ella si mostrasse, quanto alla longitudine, congiunta con lui il dì 8 d'Aprilo. Si è, di più, gra¬ vemente ingannato Apelle nel voler concluder che il moto di questa stella E fosse più veloce di quel della stella D. E prima, s’inganna a dir che V angolo contenuto da lei, dalla stella I), e da Giove, li 30 di Marzo, fosse ottuso, cavandosi da i suoi medesimi detti, esser di io necessità stato acuto : poi che la longitudine dalla stella l) a Giove fu allora (dice egli) minuti 0, o tanta fu la latitudine australe della stella E, ed il suo intervallo da Giove minuti 8 ; ma in un triangolo equicrure, che abbia ciascuno de’lati eguali 6 e la baso 8, l’angolo compreso da essi lati è necessariamente acuto, e non ottuso, essendo il quadrato di 8 uien che doppio del quadrato di 0. È falso, oltre a ciò, che tale e’si mantenesse sino ahi 5 d’Aprile: prima, perchè la stella D delli 5 d’Aprile, segnata occidentale da Giove, non è la stella I) delli 30 di Marzo, anzi questa U di Marzo è poi l’orienta- lissima presso all’estremità B delli 5 d’Aprile, con la quale ella non 20 contiene altramente angolo acuto, ma ottusissimo ; ed in consequenza è falso quello clic concludeva Apelle, cioè che il movimento della stella E sia più veloce ; anzi è molto più tardo che quello della D : oltre che, quando ben e’ fusse più veloce, non so quello che ciò con¬ cludesse per mostrar la stella E esser mobile, 0 non fissa, potendosi referir la causa d’ogni disagguaglianza nel movimento della D. Cessa per tanto questa prima ragione; anzi concludo l’opposito di quello a che ella fu indirizzata. Ma più : qual inconstanza è questa d’Apelle a voler, per provare una sua fantasia, suppor in questo luogo che le stelle notato nello sue osservazioni e contrassegnate con i medesimi so caratteri si conservino le medesime; dicendo poi poco più a basso, creder fermamente che le si vadino continuamente producendo e successivamente dissolvendo, senza ritornar mai ristesse? E se questo è, qual cosa vuol egli, o può, raccòr da questi suoi discorsi ? 1. come Aprile , B, s — 11. la longitudine della stella D , s. In B è incerto se debba leg¬ gersi della oppure dalla, poiché l'ima di queste due lezioni fu corretta nel Tal tra, ma non è chiaro quale delle due sia la primitiva. — 26. disuguaglianza , B, s—28. indrizzata , s — 30. contrasegnate, s — co i, B, s — 32-33. producendo successivamente c dissolvendo, B, s — 33-34. In A E se questo è k corretto, (li mano di Galileo, in E se così è. — 229 INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. All’altra ragione elio Apclle adduce pur in confirmazione della vera esistenza del suo quinto pianeta Gioviale, non mi permettendo la fede e 1’ autorità, eli’ ei tiene appresso di ine, eh’ io inetta dubbio nell’ an sii, non posso dir altro se non che io non son capace, come possa accadere che una stella, veduta col telescopio di mole e splen¬ dore pari ad una della prima grandezza, possa in manco di 10 giorni e, quel che più mi confonde, senza muoversi più d’un quarto o di un ottavo di grado, anzi, per più ver dire, senza punto mutar luogo, possa, dico, diminuirsi in maniera, che anco del tutto si perda. Non io so che simil portento sia mai stato veduto in ciolo, fuori che le due, nominate Stelle Nuove, del 72 in Cassiopea, o del G04 nel Serpenta¬ rio : e so questa fu una tal cosa, o tanto inferior di condizione quanto men lucida e più fugace, provido fu il consiglio di Apollo nel procu¬ rargli durazion e lume dall’ Illustrissima casa Velsera. Non son dunque le Gioviali, nè 1’ altre stelle, macchie ed ombre, nò 1’ ombre e macchie solari sono stelle. Ben è vero eh’ io metto così poca difficoltà sopra i nomi, anzi pur so eli’ è in arbitrio di cia¬ scuno l’imporgli a modo suo, che, tuttavolta clic col nome altri non credesse di conferirgli le condizioni intrinseche ed essenziali, poco 20 caso farei del nominarle stelle : in quella guisa che stelle si dissero le sopranominate del 72 e del G04 ; stelle nominano i meteorologici le crinite, le cadenti e le discorrenti per aria, ed essendo in fin per¬ messo a gli amanti ed a’ poeti chiamare stelle gli occhi delle lor ♦ donne, Quando bì vidde il successor d’Astolfo Sopra apparir quello ridenti stello. Con simile ragiono potransi chiamare stelle anco le macchie solari ; ma essenzialmente averanno condizioni differenti non poco dalle prime stelle: avvenga che le vere stelle ci si mostrano sempre di una sola Paragono delio stai- so figura, ed è la regolarissima fra tutte ; e le macchie, d’infinite, ed dei Soie. 2. esistenza di questo suo, A, B; in B di questo fa corretto da Galileo in del. — 3. autiorità, a 4. nel an sii, a — 7-8. o un ottavo , A, B — 26. Dopo stelle, in A eli ai leggo: e più, di un alterato dal vino o stordito da una percossa dire: Vidde mirando in terra alcuna stella 0). A questo luogo, elio nel cod. li si legge 25 gen. 1613, quando scrive : « 11 luogo della alla carta numerata originariamente 57, lin. face. 57, lin. prima e seconda, levisi iutera- 1-2, allude Galileo nella lettera al Cesi del mente ». (Gir. XI, 467, linea 72-73). « 230 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Imitazione dol¬ io macchie. irregolarissime tatto : quelle, consistenti ni 1 ? inai mutatesi di grandezza o di forma; o questo, instabili sempre o mutabili: quelle, ristesse sempre, e di permanenza clie supera le memorie di tutti i secoli de¬ corsi ; queste, generabili e dissolubili dall’uno all’altro giorno: quelle, non mai visibili, se non pieno di luce; queste, oscure sempre, o splen¬ dide non mai: quelle, o in tutto immobili, o mobili ogn’ una per sè, di moti proprii, regolari o tra di loro differentissimi ; queste, mobili di un moto solo, comune a tutte, regolare solamente in universale, ina da infinite particolari disagguaglianze alterato : quelle, costituite tutto in particolare in diverso lontananze dal Solo ; o queste, tutte io contigue, o insensibilmente remoto dalla sua superfìcie : quelle, non mai visibili se non quando sono assai separato dal Solo ; queste, non mai veduto so non congiuntegli : quelle, di materia probabilissima¬ mente densa ed opacissima; questo, raro a guisa di nebbia o fumo. Ora io non so por qual ragiono lo macchie si devino ascrivere tra quelle cose con le quali non hanno puro una particolar convenienza che non ve 1’ abbino ancora cento altro che stelle non sono, più pre¬ sto che tra quelle con lo quali mostrano di convenire in ogni parti¬ colare. Io lo agguagliai allo nostre nugolo o a fumi ; e certo chi volesse con alcuna delle nostro materie imitarle, non credo che facil- 20 mente si trovasse più aggiustata imitazione, che ’l porre sopra una rovente piastra di ferro alcune piccole stille di qualche bitume di difììcil combustione, il quale sul ferro imprimerebbe una macchia nera, dalla quale, come da sua radice, si eleverebbe un fumo oscuro, che in figure stravaganti e mutabili si anderebbe spargendo. E so alcuno' 1 pur volesse opinabilmente stimare, che alla restaurazione dol- P immensa luce che da sì gran lampada continuamente si diffondo per l’espansion del mondo, facesse di mestiero che continuamente fusse somministrato pabulo e nutrimento, ben averebbe non una sola, ma 100 e tutte 1’ esperienze concordemente favorevoli, nelle quali ve- 30 diamo tutte le materie, fatte prossime all’ incendersi c convertirsi in luce, ridursi prima ad un color nero ed oscuro ; 0 così vediamo ne’ le¬ gni, nella paglia, nella carta, nelle candele, ed in somma in tutte lo cose ardenti, esser la fiamma impiantata e sorgente dallo contigue 30. concordemente manca in A; in B è aggiunto (li mano di Galilko. -84 .impiantala scaturire al e contigui, A, B, in B Galileo corresse conformo alla lezione della stampa. — 1)a * E se alcu "° » «• * resolute * (pag. 231, lin. 7) in A è aggiunto in margine. INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 231 parti di tali materie, prima convertite in color nero. E più direi, che forse più accuratamente osservando le sopranominate piazzette, lu¬ cide più del resto del disco solare, si potrebbe ritrovare, quelle esser i luoghi medesimi dove poco 1 ” avanti si fossero dissolute alcune dello macchie più grandi. Io però non intendo di asserire alcuna di que¬ ste cose per certa, nò di obbligarmi a sostenerla, non mi piacendo di mescolar le cose dubbie tra le certe e resolute. Di qua dall’Alpi va attorno, come intendo, tra non piccol numero Opìnìonecheiemao- de i filosofi peripatetici a i quali non grava il filosofare per desiderio stolte miuutUmmo^ q io del vero e delle sue cause (perchè altri che indifferentemente negano ziono. tutte queste novità e sene burlano, stimandole illusioni, è ormai tempo che ci burliamo di loro, e che essi restino invisibili ed inau¬ dibili insieme), va attorno, dico, per difender l’inalterabilità del cielo <2) (la quale forse Aristotele medesimo in questo secolo abbandonerebbe), una opinione conforme a questa d’Apelle, e solamente diversa, che dove egli pone per ciascuna macchia una stella sola, questi fanno le macchie congerie di molte minutissime, le quali con loro differenti movimenti aggregandosi, or in maggior copia, ora in minore, e quindi separandosi, formino e maggiori e minori macchie, e di sregolate e 20 diversissime figure. Io, già che ho passato il segno della brevità con Y. S., sì che ella è per leggere in più volte la presente lettera, mi prenderò libertà di toccare qualche particolare sopra questo punto. Nel quale il primo concetto che mi viene in mente è, che i se¬ guaci di questa opinione non abbino auto occasione di far molte e G. alligarmi, s — 24. avuto, 8 — W Da «E più direi* (1 in. 1) a «dove poco * si legge, così in A come in B, su cartellini scritti di proprio pugno da Gali¬ leo c incollati su’ respettivi fogli dei co¬ dici. La lezione di A differisce da quella di B e della stampa in questo, che a lin. 3 omette solare, e a lin. 4 medesimi. La prima stesura poi di questo passo, la quale nel cod. A si legge in parte cancellala e in parte sotto il cartellino, e nel cod.B tutta sotto il cartellino, è la seguente: «E più direi, aver molte volte osservate nel disco solare alcune [nel disco solare le $oj>ranominate, B; e sopranominate fu sostituito da Galileo ad una parola cas¬ sata] piazzette più lucide del resto; o forse, più accuratamente osservando, si potrebbe ritrovare, queste essere i luoghi dove poco *. w La prima stesura delle lin. 8-13, che si legge, cancellata, nel cod. A, è la seguen¬ te: « Qua ed in Roma, per quanto intendo, va attorno una opinione tra alcuni filosofi peripatetici, por difender l’inalterabilità del cielo ». A questa lezione Galileo sostituì in A, su di un cartellino incollato sul mar¬ gine della carta, quanto appresso : « Di qua dalle Alpi va attorno, come intendo, tra quei filosofi peripatetici ecc. », seguitando poi con¬ forme a quel che si leggo nella stampa : o così V amanuense trascrisse anche in B ; ma Galileo cancellò in B * Di qua ... tra quei », e sostituì di sua mano : « Di qua ... tra non piccol numero de i ». v. 30 232 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI molto diligenti o continuato osservazioni ; perchè mi persuado che alcuno difficoltà gli averebbono resi non poco dubbii e perplessi nel- P accomodare una tal posiziono alle apparenze. Perchè, so bene ò vero in genere elio molti oggetti, ben che per la lor piccolezza o lon¬ tananza invisibili ciascuno per sò solo, uniti insieme possono formare un aggregato che divenga percettibile alla nostra vista, tuttavia non ò da fermarsi su questa generalità, ma bisogna che descendiamo a i particolari proprii dello stelle ed a quelli elio si osservano nelle macchie, e che diligentemente andiamo esaminando, con qual con¬ cordia questi e quelli possino mischiarsi o convenire insieme; o per io non far come quel castellano che, sondo con piceni numero di soldati alla difesa d 5 una fortezza, per soccorrer quella parte elio vede as¬ salita vi accorre con tutto le forze, lasciando intanto altri luoghi in¬ difesi ed aperti, conviene che, mentre ci sforziamo di difender V im¬ mutabilità del cielo, non ci scordiamo de i pericoli a i quali per avventura potriano restar esposte altre proposizioni, pur necessario alla conservazione della filosofia peripatetica K però, se questa deve restare nella sua integrità e saldezza, conviene che, per mantenimento d’ altre suo proposizioni, diciamo primieramente, dello stello altro esser fisse, altre erranti : chiamando fisso quelle che, scudo tutte in un me- 20 desimo cielo, al moto di quello si muovono tutte, restando intanto immobili tra di loro ; ma erranti, quelle che hanno ogn’ una per se movimento proprio : affermando di più, elio lo conversioni non meno di queste che di quelle sono ciascheduna equabile in sò medesima, non convenendo dare allo lor motrici intelligenze briga di affaticarsi or più or meno, che saria condizione troppo repugnanto alla nobiltà ed alla inalterabilità loro 0 dello sfero. Stanti questo proposizioni, non si può, primieramente, dire che tali stelle solari sion fisse ; per¬ chè, quando non si mutassero tra di loro, impossibil sarebbe vedere 2. dubii, s — lO. meschiursi, s - 28. che le stelle solari. A. B — {l) A questo passo si riferisce il seguente frani mento, che si legge, scritto di mano di Galileo e cancellato, sul margine del foglio nel cod. A: « Peripatetici simili a i deboli difensori di una fortezza, li quali, vedendola assalir da una banda, accorrono tutti là, non curando intanto di lasciar senza difesa gli altri luoghi, a i quali T inimico più nu¬ meroso si volta, vedendogli sprovvisti. Ora i Peripatetici, per soccorrer (il manoscritto; soccorer] all 1 imminente pericolo della alte¬ rabili tà del cielo, corrono alla difesa con dir le macchio essero stelle; e intanto lasciano mill’altri aditi aperti agli assalti inimici, perchè non più vien salvato il numero set¬ tenario de i pianeti, non la lor conversione intorno alla Terra, non la regolarità do i lor movimenti, etc. ». INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 233 le mutazioni continue che pur si scorgono nelle macchie, ma sempre vedremmo ritornar le medesime configurazioni. Ilésta, dunque, che le siano mobili, ciascheduna per sè, di movimenti disegnali fra di loro, ma ben ciascuno equabile in sè medesimo : ed in tal guisa potrà seguire 1’ accozzamento e la separazione di alcune di loro, ma non però potranno mai formar le macchie ; il che intenderemo conside¬ rando alcuni particolari che nelle macchie si scorgono. Uno de’ quali è, che vedendosene alcune molto grandi prodursi e dissolversi, è forza che le siano composte non di duo o di quattro stelle solamente, ma io di 50 o 100, perchè altre macchiette pur si veggono, minori della cinquantesima parte d’ una delle grandi ; se, dunque, una di queste si dissolve, sì clic totalmente svanisce da gli occhi nostri, è neces¬ sario che la si divida in più di 50 stellette, ciascheduna delle quali ha il suo proprio e partieoiar moto, equabile e differente da quello d’ ogn’ altra, perchè due che avessero il moto comune non si con- giugnerebbono o non si separerebbono già mai in faccia del Sole: ma se queste cose son vere, chi non vede essere assolutamente impos¬ sibile la formazione dello macchie ? e massime durando esso non so¬ lamente molte ore, ma molti giorni; sì come è impossibile che cinquanta 20 barche, movendosi tutte con velocità differenti, si unischino già mai, e per lungo spazio vadino di conserva. Quando le stellette lusserò disunite, e però invisibili, non potriano essere se non per lunghi or¬ dini disposto, V una dopo 1’ altra, secondo la lunghezza de’ lor pa¬ ralleli, ne i quali (sì come nello visibili macchie si scorge) tutte verso la medesima parte si vanno movendo ; onde tantum àbest che 40 o 50 o 100 di loro potessero tanto frequentemente aggregarsi e così unite per lungo spazio conservarsi, che per 1’ opposito rarissime volte ac¬ cader potrebbe che, tra movimenti diseguali, cadesse sì numeroso con¬ corso di stelle in un sol luogo : ma assolutamente poi sarebbe impossi- 30 bile che e’ non si dissolvesse in brevissimo tempo; e pur, all’incontro ,si veggono molte macchie conservarsi talora per molti giorni, con poca alterazion di figura. Chi, dunque, vorrà sostener, le macchie esser con¬ gerie di minute stelle, bisogna che introduca nel cielo ed in esso stelle movimenti innumerabili, tumultuarli, difformi e lontani da ogni 5. di alcuna di loro, B, s — 12. «tinnisca, 13, s — 20. velocità diseguali, A, B ; ma in B di¬ seguali 6 corretto, di mano di Galileo, in differenti — 27-32. Dalle parole che per V appo¬ sito alla parola figura nel cod. A è sostituito in margine a clic non più di 2 veramente, e quelle per brevissimo tempo , si potrieno accoppiare t che è cancellato. — 234 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI regolarità. ; il elio non ben consuona con alcuna probabil filosofia. Sarà, di più, necessario porlo più numerose (li tutto 1’ altre visibili stello : perchè, so noi riguarderemo la moltitudine e grandezza di tutte le macchie che tal volta si son vedute sotto l’emisforio del Sole, e quelle andremo risolvendo in particelle così piccole che divengliino incospicue, troveremo bisognar elio necessariamente lo siano molte centinaia ; ed essendo, di più, credibile che altre no siano non sola¬ mente sopra l’altro ernisferio, ma dalle bande ancora del Sole, non si potrà ragionevolmente sfuggire di dover porlo oltre al migliaio. Or qual simmetria si andrà conservando tra le lontananze dello stelle io erranti ed i tempi dello lor conversioni, se discendendo dall’immenso cerchio di Saturno sin all’angustissimo di Mercurio non s’incontrano più di 10 o 12 stelle nò più di 6 conversioni di periodi differenti intorno al Sole, dovemlono poi collocar centinaia o migliaia dentro a così piccolo orbo? che pur saria necessario racchiuderlo dentro alle digressioni di Mercurio, poi che già mai non si rendono visibili in aspetto lucido e separate dal Solo. Ma che dico io di racchiuderle dentro all’ orbe di Mercurio ? diciamo pure, che essendosi necessaria¬ mente dimostrato, le macchie esser tutte contiguo o insensibilmente remote dalla superficie del Solo, bisogna, a chi lo vuol far creder 20 congerie di minute stelle, trovar prima modo di persuadere che so¬ pivi la solar superficie molte e molte centinaia di globi oscuri 0 densi Ridìcoli «rii ec«ic» vadino sorpendo con differenti volocitadi, e spesso urtandosi e tra di loro facendosi ostacolo, onde lo scorse de’ più veloci restino per alcuni giorni impedite da i più pigri ; sì che dal concorso di gran moltitu¬ dine si formino in molti luoghi varii drappelli, di ampiezza a noi vi¬ sibile, sin tanto che la calca della sopravvegnente moltitudine, sforzando finalmente i precedenti, si faccia strada 0 si disperda il gi'egge. A grandi angustie bisogna ridursi : e poi, per sostener elio? e con quale efficacia dimostrato? Per mantenere la materia celeste aliena so dalle condizioni elementari, insino da ogni picciola alterazioncella. Aiternzionmonsono Se quella che vien chiamata corruzzione fosse annichilazione, averob- pregiudicio al dolo, bono i Peripatetici qualche ragione a essergli così nemici ; ma se non è altro che una mutazione, non merita cotanto odio ; nò parmi che ragionevolmente alcuno si querelasse della corruzion delP uovo, 6. inconspicue , B, s — ( J. di porle , A, B; in B Galilko aggiunse, di Bua inano, dover. — 27. sopraveynciìlc , B, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 235 mentre di quello si genera il pulcino. In oltre, essendo questa che vien detta generazione e corruzione, solo una piccola mutazioncella in poca parte de gli elementi, e quale nò anco dalla Luna, orbo prossimo, si scorgerebbe, perche negarla nel cielo ? Pensano forse, argomentando dalla parto al tutto, che la Terra sia por dissolversi o corrompersi tutta, in guisa che sia per venir tempo nel quale il mondo, avendo Sole Luna e Paltre stelle, sia per trovarsi senza Terra? Non credo già che abbino tal sospetto. E se le sue piccole mutazioni non minacciano alla Terra la sua total destiamone, nò gli sono d’im- 10 perfezione, anzi di sommo ornamento, perchè privarne gli altri corpi mondani, e temer tanto la dissoluzione del cielo per alterazioni non più di queste nemiche della naturai conservazione? Io dubito che ’1 voler noi misurar il tutto con la scarsa misura nostra, ci faccia in¬ correre in strane fantasie, e che l’odio nostro particolare contro alla morte ci renda odiosa la fragilità : tuttavia non so dall’ altra banda quanto, per divenir manco mutabili, ci fosse caro l’incontro d’una testa di Medusa, che ci convertisse in un marmo o in un diamante, spogliandoci de’ sensi e di altri moti, li quali senza le corporali al¬ terazioni in noi sussister non potrebbono. Io non voglio passar più 20 innanzi, nò entrar a esaminare la forza delle peripatetiche ragioni, al che mi riserbo in altro tempo : questo solo sogghignerò, parermi azione Non seguir schiet- non interamente da vero filosofo il voler persistere, siami lecito dir, filosofare, degno di quasi ostinatamente in sostener conclusioni peripatetiche scoperto ma¬ nifestamente false, persuadendosi forse che Aristotele, quando nell’età nostra si ritrovasse, fosse per far il medesimo ; quasi che maggior segno di perfetto giudizio o più nobil effetto di profonda dottrina sia il difendere il falso, che ’l restar persuaso dal vero. E panni elio simili ingegni dieno occasione altrui di dubitare, che loro per avven¬ tura apprezzin manco l’esattamente penetrar la forza delle pcripa- so tetiche e delle contrarie ragioni, elio ’1 conservar l’imperio all’autorità d’Aristotele, come ch’ella sia bastante con tanto lor minor travaglio e fatica a schivargli tutte P opposizioni pericoloso, quanto è men dif¬ ficile il trovar testi e ’l confrontar luoghi, elio P investigar conclusioni vere e ’l formar di loro nuove e concludenti dimostrazioni. E parmi, 15. Ma non so, A, B; corrotto, di mano di Galileo in tutt 5 e duo i codici, in Tuttavia non so, — 16, per farci più immutabili, A, B; in B Galileo corresse per divenir manco mutabili . — 20. inansi , s — 23G ISTORIA K DIMOSTRAZIONI Conclusione). oltre a ciò, che troppo vogliamo abbassar la comlizion nostra, e non senza qualche offesa della natura e direi quasi della divina Benignità (la quale per aiuto all’ intender la sua gran costruzione ci ha con¬ ceduti 2000 anni più d’ osservazioni, e vista 20 volto più acuta, elio ad Aristotele), col voler più presto imparar da lui quello ch’egli nò seppe nò potette sapere, elio da gli occhi nostri e dal nostro proprio discorso. Ma per non m’ allontanar più dal mio prineipal intento, dico bastarmi per ora l’aver dimostrato che le macchie non sono stello nè materie consistenti nò locato lontane dal Solo, ma che si producono e dissolvono intorno ad esso, con maniera non dissimilo a quella delle nugolo o altro fumosità intorno alla Terra’". Questo è quanto por ora in’ è parso di dire a V. S. Illustrissima in proposito di questa materia, la quale io credeva che dovesse es¬ sere il sigillo di tutti i nuovi scoprimenti che ho fatti nel cielo, o che per P avvenire mi fosso per restar ozio libero di poter tornare senza interrompimenti ad altri miei studii, già che mi era anco fe¬ licemente succeduto Pinvestigare, dopo molte vigilie e fatiche, i tempi Tavole por i calcoli periodici di tutti quattro i pianeti Medicei, e fabbricarne le tavole e de’pianoti Medicei fat- ^ n to dall’Autore. 18. di tutti i quattro pianeti, n, s — /allearne, H, s — <*> Del tratto (la « alterazioncella » (pag. 234, lin. 31) fino a «altre fumosità intorno alla Terra >, i codici A e B ci permettono di distinguere tre successivo stesure. La prima si leggo in A, in parto cancellata e in parto sotto di un cartellino elio è incollato sul fo¬ glio e sul quale è scritto, di mano di Galileo, il tratto da « Se quella * (pag. 234, lin. 32) a « potrebbono » (pag. 235, lin. 19); ed è la seguente: « acciò clic quindi non venisse de¬ strutta la sua durazione: quasi che lo alte¬ razioni terrestri siano per dissolver la Terra o gli elementi, onde sia per venir tempo elio il mondo si trovi senza Terra, ma non senza Luna. Ma se queste particolari e piccole mu¬ tazioni non son per abbreviar la duraziono di questo nostro mondo elementare, perchè temer tanto della dissoluzion del cielo per alterazioni non più di queste mimiche della naturai conservazione? àia non voglio pas¬ sar più innanzi, nè entralo a esaminar la forza dello poripatetiche ragioni, al che mi riserbo in altro tempo, bastandomi por ora l 1 aver dimostrato, conformo al mio princi¬ pale intento, clic le macchie non sono stelle, nò materie consistenti, nè locato lontane dal Sole, ma che si producono e dissolvono in¬ torno ad esso, con maniera assai simile a quella dello nugole o altre fumosità intorno alla Terra ». La prima parte di questo brano, lino a « naturai conservazione *, è cancellata, e ad essa Galileo sostituì, facendo séguito a « alterazioncella » (pag. 234, lin. 31), quanto si legge sul cartellino al quale or ora ac¬ cennavamo; così che la seconda stesura dif¬ ferisce da quella definitiva e dalla stampa solamente in questo, che dopo « potrebbono» (pag. 235, lin. 11)), con cui, come abbiamo detto, termina il tratto scritto sul cartellino, continua e concludo con lo riferite parole della prima: «Ma non voglio ... intorno alla Terra». Tale seconda stesura, infatti, fu trascritta dall’amanuense nel cod. IL ma appresso Galileo coperse, così nel cod. A come nel cod. 11, anche il tratto della prima stesura che era sopravvissuto, o ad esso sostituì, di suo pugno in tutt’o duo i co¬ dici, quanto si legge da pag. 235, lin. 19, alla lin. 11 della presente pagina ( Io ... Terra). INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 237 ciò die appartiene a’ calcoli ed altri loro particolari accidenti ; lo quali cose in breve manderò in luce, con tutto il resto delle consi¬ derazioni fatte intorno all* altre celesti novità : ma ò restato fallace il mio pensiero per l’inaspettata meraviglia con la quale Saturno ò venuto ultimamente a perturbarmi ; di die voglio dar conto a Y. S. Già le scrissi come circa a 3 anni fa scopersi, con mia grande Nuova e ìnnspotta- , tn meraviglia di ba- ammirazione, Saturno esser tricorporeo, cioè un aggregato di tre stelle turno, disposte in linea retta parallela all’equinoziale, delle quali la media era assai maggiore delle laterali. Queste furono ci’edute da me esser io immobili tra di loro : nè fu la mia credenza irragionevole ; poi che, avendole nella prima osservazione vedute tanto propinquo che quasi mostravano di toccarsi, c tali essendosi conservate per più di due anni, senza apparire in loro mutazione alcuna, ben dovevo io credere che le fossero tra di sè totalmente immobili, perchè un solo minuto secondo (movimento incomparabilmente più lento di tutti gli altri, anco delle massime sfere) si sarebbe in tanto tempo fatto sensibile, o col separare o coll’ unire totalmente le tre stelle. Triforme ho ve¬ duto ancora Saturno quest’ anno circa il solstizio estivo ; ed avendo poi intermesso di osservarlo per più di duo mesi, come quello elio 20 non mettevo dubbio sopra la sua costanza, finalmente, tornato a ri¬ mirarlo i giorni passati, l’ho ritrovato solitario, senza 1’ assistenza yuturu0 solitario, dello consuete stelle, ed in somma perfettamente rotondo e terminato come Giove, e tale si va tuttavia mantenendo. Ora che si ha da dire in così strana metamorfosi ? forse si sono consumate le due minori stelle, al modo delle macchie solari? forse sono sparite e repentina¬ mente fuggite ? forse Saturno si ha divorato i proprii figli ? o pure è stata illusione e fraudo l’apparenza con la quale i cristalli hanno por tanto tempo ingannato me con tanti altri che meco molte volte gli osservarono ? è forse ora venuto il tempo di rinverdir la speranza, ao già prossima al seccarsi, in quelli che, retti da più profonde con¬ templazioni, hanno penetrato tutte le nuove osservazioni esser fallacie, nè poter in veruna maniera sussistere ? Io non ho che dire cosa re- soluta in caso così strano inopinato e nuovo : la brevità del tempo, 1’ accidente senza esempio, la debolezza dell’ ingegno e ’l timore del- 22. delle solite, stelle, A, B ; in 13 Galileo corresse solite in consuete. — 29. li forse ora vieti il tempo, A, B; in B Galileo corresse conforme alla lezione della stampa. — 31. le mie osservazioni, A, 11 ; in B mie lu corretto da Galileo in nuove .— 238 ISTORIA E DIMOSTRAZIONI Predizione dolio imi¬ tazioni di Saturno por coniottura. l’errare, mi rendono grandemente confuso. Ma siami per una volta permesso di usare un poco di temerità; la quale mi dovrà tanto più benignamente esser da Y. S. perdonata, quanto io la confesso per tale, o mi protesto che non intendo di registrar quello che son per pro¬ diro tra lo proposizioni dependenti da principii certi e conclusioni sicure, ma solo da alcune mie verisimili conietture, lo quali allora farò paiosi, quando mi bisogneranno o por mostrare la scusabile pro¬ babilità dell’opinione alla quale per ora inclino, o por stabilire la certezza dell’ assunta conclusione, qual volta il mio pensiero incontri la verità. Le proposizioni son queste : Le due minori stelle Saturnie, io le quali di presente stanno celate, forse si scopriranno un poco per due mesi intorno al solstizio estivo dell’almo prossimo futuro 1613, e poi s’ asconderanno, restando celate sin verso il brumai solstizio dell’anno 1G14 ; circa il qual tempo potrebbe accadere che di nuovo per qualche mese facessero di sò alcuna mostra, tornando poi di nuovo ad ascondersi sin presso all’ altra seguente bruma ; al qual tempo credo bone con maggior risolutezza elio torneranno a compa¬ rire, nè più si asconderanno, se non clic nel seguente solstizio estivo, che sarà dell’anno 1615, accenneranno alquanto di volersi occultare, ma non però credo che si asconderanno interamente, ma ben, tornando 20 poco dopo a palesarsi, le vedremo distintissime e più che mai lucido e grandi ; e quasi risolutamente ardirei di dire che lo vedremo per molti anni senza interrompimento veruno. Sì come, dunque, del ritorno io non ne dubito, così vo con riserbo 110 gli altri particolari acci¬ denti, fondati per ora solamente su probabil coniottura : ma, o suc- cedino così per appunto o in altro modo, dico bene a V. S. che questa stella ancora, e forse non men che l’apparenza di Venero cornicolata, con ammirabil maniera concorre all’ accordamonto del gran sistema Copernicano, al cui palesamento universale veggonsi propizii venti indirizzarci con tanto lucide scorte, che ormai poco ci resta da temerò do tenebre o traversie. l'inisco di occupar più V. S. Illustrissima, ma non senza pregarla 1. re mimo, s 21. (loppa, a — le vedremo distintamente e più, a — 29-30. universale tedesi con aura tanto propizia e con tanto lucide scorte indirizzarci la divina Bontà, clic ormai, A. Sopra la divina Bontà Galileo scrisse Nume favorevole ; e in margino scrisse puro indiriz¬ zato ’l nostro cammino, sottolineando indirizzarci la divina Bontà. In II l’amanuense tra¬ scrisse : vedesi con aura tanto propizia e coti tanto lucide scorte indirizarci Nume favorevole c Galileo sottolineò Nume favorevole, scrivendo in margino la divina Bontà.— INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECO. 239 ad offerir di nuovo l’amicizia e la servitù mia ad A pelle : e se lei determinasse di fargli vedere questa lettera, la prego a non la man¬ dar senza 1’ accompagnatura di mie scuse, se forse gli paresse eh’ io troppo dissentissi dallo sue opinioni ; perchè, non desiderando altro che ’l venire in cogtiizion del vero, ho liberamente spiegata l’opinion mia, la quale son anco disposto a mutare qualunque volta mi sieno scoperti gli errori miei, e terrò obbligo particolare a chiunque mi farà grazia di palesargli e castigargli. Bacio a V. S. Illustrissima le mani, e caramente la saluto d’ordine io dell’ Illustrissimo Sig. Filippo Salviati, nella cui amenissima villa mi ritrovo a continuar in sua compagnia l’osservazioni celesti. Nostro Signore Dio gli conceda il compimento d’ogni suo desiderio. Dalla Villa delle Selve, il 1° di Dicembre 1612. Di V. S. Illustrissima Devotissimo Servitore Galileo Galilei Linceo' 1 ’. 7. oblilo , s — 13. Xbre, A ; Xmbre, B ; Decembre, s — L’ultima linea della pag. 238 e lo Un. 1-13 di questa pagina sono scritte di pugno di Galileo anche nel cod. B ; le lin. 14-16 si leggono poi soltanto in B, ed esse pure di mano di Galileo. La lezione di B in questo tratto non presenta alcuna dif¬ ferenza osservabile da quella della stampa; invece la lezione di A se ne allontana in alcuni particolari, dei quali i più notevoli sono questi : pag. 239, lin. 1, a di nuovo of¬ ferir Vamicizia; lin. 2-3, determinerà di fargli veder questa lettera, non gliela mandi senza; lin. 6-7, mi siano scoperte le mie fallacie , e terrò obbligo perpetuo a chiunque; lin. 8, tfra- zia palesarle e castigarle ; lin. 12, compli¬ mento . v. ni ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 241 MOEDICECìRVM PLAATETARVM ad inuicem, et'ad IOVEM ConfHiutwnes^Jutur# in dMmsibus JWariio et Aprile An : M JD CX DJ • a GALI LEO GL. earundem Stellarti ^ nec non l^crio eli e ot'ttttt tpsarutn mofuum CIA y •» Repertori* primo t 'C*kuùs collette ad srLtl-Tty K^HerìJianum 'F lorctthtr. _ he l Kot 3 alOrraru -,—-.-_ J-fae. 4 . _ J-for.f; - )ie.x hc 3 J-C3 — )ic ?— Mc.y.J-C: -_©_ -0-. -4—0_A_ -©— J~C: 3 _ ‘Ìarj-Mcrsuj. Ottimi __»_ r * he 6 K.i. jò---.--- J~C 3 v— t— e- )ec 8 /C.x. G- he o JC r le I 0 . 7 /Z&, lì . bT- X _ f if ixH 7 z. -H: 3_. . JL -e—- © —.— ISTORIA K DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLK MACCHI K SOLARI KCC Alarh) Hoj Xo:.:X Xó' y. xo - -O-- - 0 ..— )/f i *}■ Xo:Z — XV- $ o- ' )n' if.Xo:z~ 0 ic / (fjio :-Z> > - Otc ty.Jfo.x Ù/e tS.Xoz- -—-- - 0 - Jfo: 6 - - 0 - -<•)•-*. - . — Die-tp ------V—- Afo: 3 - ì)i<*.xoXo; 3- Ho: 4.30 _ — 0 - J>io X i jVn. x X 3 . Xo K - J~fo & 'w.U Hi HI ISTORIA E DIMOSTRAZIONI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 217 POSCRITTA. Le costituzioni delle Medicee, che invio a V. S. Illustrissima, sono per li due mesi Marzo ed Aprile e più sino a gli otto di Maggio ; cd altre potrò inviargliene alla giornata, e per aventura più esatte, ma sicu¬ ramente più comode ad esser rincontrate con le apparenti positure, rispetto alla stagione più temperata ed all’ore mono importune. In¬ tanto circa questo sono alcune considerazioni che è bene sieno ac¬ cennate a V. S., e per lei ad Àpelle o ad altri a chi accadesse farne i rincontri. io E prima, è da avvertire che le stelle vicinissime al corpo di Giove, per il molto fulgor di quello, non si veggono facilmente se non da vista acutissima e con eccellente strumento ; ma le medesime nel- 1’allontanarsi, uscendo fuori dell’irradiazione ed in consequenza sco¬ prendosi meglio, dan segno come poco avanti erano veramente pros¬ sime ad esso Giove : come, per esempio, nelle tre costituzioni della prima notte di Marzo la stella occidentale vicinissima a Giove non si vedrà nella prima osservazione delle tre ore ab occasu, sendogli quasi contigua ; ma perchè si allontana da quello, alle 4 ore potrà vedersi, e meglio alle 5 e ’n tutto ’l resto della notte : la stella orien- 20 tale prossima a Giove della notte 9 di Marzo con fatica si vedrà al- l’ora notata ; ma perchè si allontana da esso, nelle ore seguenti si vedrà benissimo: il contrario accaderà della orientale del giorno 15 dell’istesso mese, perchè all’ora notata potrà, sendovi posta diligente cura, esser veduta, che non molto dopo, movendosi verso Giove, si offuscherà fra i suoi raggi. Vero è che una di esse quattro, per esser alquanto maggior dell’ altre tre, quando 1’ aria è ben serena (il che sommamente importa in questo negozio), si distingue anco sin quasi all’ istesso toccamente di Giove ; come si potrà osservare nella pros¬ sima occidentale delli 22 di Marzo, la quale se gli andrà accostando 30 o si potrà scorgere sino a grandissima vicinità. 5. commode, s — v. 32 243 ISTORIA E 1)1 M08TRAZIONI Ma più meravigliosa cagione dell' occultazione di tal una di loro ò quella che deriva da gli eclissi varii a i quali sono variamente soggetto mercè delle diverse inclinazioni del cono dell’ombra del- T istesso corpo di Giove ; il quale accidente confesso a V. S. che mi travagliò non poco, avanti che la sua cagiono mi cadesse in mente. Sono tali eclissi ora di lunga durazione ora di breve, o tal ora in¬ visibili a noi; e queste diversità nascono dal movimento annuo della Terra, dallo diverse latitudini di Giove, e dall’ essere il pianeta elio si eclissa do i più vicini o de' più lontani da osso Giove, come più distintamente sentirà V. S. a suo tempo: in questo anno o ne i due io seguenti non aremo ecclissi grandi ; tuttavia quello clic si vedrà, sarà questo. Dello due stelle orientali della notte 24 d'Aprile, la più re¬ mota da Giovo si vedrà nel modo e nel tempo descritto; ma l'altra, più vicina, non apparirà, ben che separata da Giovo, restando immersa nell' ombra di quello : ma circa lo cinque ore di notte, uscendo dalle tenebre, vedrassi improvisamente comparire, lontana da Giove quasi due diametri di esso. Il 27 pur di Aprile il pianeta orientalo pros¬ simo a Giove non si vedrà sino circa le 4 ore di notte, dimorando sino a quel tempo nell* ombra ; uscirà poi repentinamente, e scorge- rassi già lontano da Giove quasi un diametro e mezzo. Osservando 20 diligentemente la sera del primo di Maggio, si vedrà la stella orien¬ tale vicinissima a Giove, ma non prima che da esso si sarà allonta¬ nata per un semidiametro di esso Giove, restando prima nelle te¬ nebre ; ed un simile effetto si vedrà li otto dell* istesso mese. Altri eclissi più notabili e maggiori, che seguiranno dopo, gli saranno da me mandati con Y altre costituzioni. Voglio finalmente mettere in considerazione al discretissimo suo giu¬ dizio che non voglia prender meraviglia, anzi che faccia mie scuso, so quanto gli propongo non riscontrasse così puntualmente con l’espe¬ rienze e osservazioni da farsi da lei 0 da altri, perchè molto sono le occa- so sioni dell errare.Una, e quasi inevitabile, è l'inavvertenza del calcolo; ol¬ tre a questo, la piccolezza di questi pianeti e V osservarsi col telescopio, che tanto e tanto aggrandisce ogni oggetto veduto, fa che circa i con¬ gressi e le distanze di tali stelle l’error solo di un minuto secondo si fa più appaiente e notabile che altro fallo mille volte maggiore ne gli aspetti dell altre stello; ma, quello che più importa, la novità della cosa e la 10. ne i dui t s —31. inavertenza, s — INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI ECC. 249 brevità del tempo o il poter esser ne’ movimenti di esse stelle altre diversità ed anomalie, oltre alle osservate da me sin qui, appresso gli intendenti dell’ arte dovranno rendermi scusato : ed il non avere an¬ cora gran numero di uomini in molti migliai d’anni perfottamente ritrovati i periodi ed esplicate tutto lo diversità dell’altre stelle va¬ ganti, ben farà scusabile e favorabilo la causa di un solo eli’ in duo o tre anni non avesse puntualmente spiegato il picciol sistema Gio¬ viale, che, come fabrica del sommo Artefice, creder si deve che non manchi di quegli artifìzii, che per la lor grandezza superano di lungo io intervallo V intelletto umano. 6. eh' in (lui, s — FRAMMENTI ATTENENTI ALLE LETTERE SULLE MACCHIE SOLARI FRAMMENTI ATTENENTI ALLE LETTERE SULLE MACCHIE SOLARI. 263 17 . e zr&rfa-t Lr<^y</ CYy^4. 2~<0 fa ■j)ie . ’■ *& .^>i€ ?/• 1 oea*+a \ V 0 ,jrv tfA ' x < t> 0 yr^c^ c/“ lJ>A (/fj^ /5 -Vl^^ìT^ 1/ . /fl y^rÀ wU ^ ouAfrj^ 'kA tA. < \u&4_ %yjy^ xcc 0 ’^-W' W(a uià y/- rn^CxfaA- crfrliJJLr*. ; C A ^yw v/ V .3 *r/ V «fc* «^ . /V. 5 . ^cr^ „£>»O^M~ - j) xJ.Jf] v- Cr*rf t / f y ^i (71 Y ^ Lf.i <7*t*U. £ ja >£ « &■ &r*£ Ma die 11 ’, posto elio una macchia traversasse il diametro del Sole iu tempo sosquisettimo al tempo del passaggio di un’ altra che si mo¬ vesse per il parallelo distante 30 gradi, necessariamente segua che la sfera che conducesse detto macchie avesse il semidiametro più che doppio al semidiametro del Sole, si dimostrerà così. Sia il globo del Sole, il cui diametro PAlt, e ad esso sia perpendi¬ colare il semidiametro All; e sia l’arco BL gradi 30, e tirisi la DL pa¬ rallela alla A11, od amendue si prolunghino verso C, E, e per il punto B sia prodotta la BG, che tocchi il cerchio in B; sarà, in consequenza, pa¬ io rallela alla DA. E notisi, primieramente, che quando le macchie fossero contigue alla superficie del Sole e che e’si rivolgesse in sè stesso intorno ad un asso eretto al piano dell’eclittica, tutto ci apparirebbono de¬ scriver linee retto tra di sè parallele, e trapassar pur tutte il disco so¬ lare in tempi eguali, tanto quello che passassero per il centro, quanto quelle che passassero da esso lontane secondo qualsivoglia distanza; il che è por se stesso manifesto, essendo la Terra ancora nel piano dell’ eclittica. È manifesto, di più, che quando le macchie fossero portate in una sfera che circondasse il globo solare e fosse di lui no¬ tabilmente maggiore, i passaggi di quelle che ci apparissero passare 20 per lo centro del disco si farebbono in più tempo che i passaggi di quelle clic traversassero linee minori e remote dal centro, e le diffe¬ renze di tali tempi si farieno sempre maggiori e maggiori, secondo che le sfere si ingrandissero loro ; ma non però si potrebbe già mai 2. del passaggiu di — 11 f Cfr. pag. 210, lin. 1 e sog. 256 FRAMMENTI ATTENENTI ALLE LETTERE tanto ingrandir la sfera, che ’1 tempo maggiore al tempo minore non avesse proporssiòn minore di (quella che ha la maggior linea passata alla minoro, perchè tal proporzione si osserverebbe solamente quando la detta sfera fosse infinita. E per più chiara intelligenza di quanto dico, intendami 2 macchie traversare il disco solare, una per lo centro, passando per la linea E A, e l’altra per la linea LD, remota dal centro, sì che l’arco BL sia gradi 30 : prima è manifesto, elio quando le mac¬ chie fossero contigue al Sole ed il Sole si rivolgesse in se stesso, quelle passerebbono nel tempo stesso le lineo BA, LI) n . Un’altra dimostrazione' 2 ' possiamo cavare pur da un altro parti-io colare della sua medesima osservazione: il quale è, che la medesima macchia fi, apparsa vicino alla circonferenza molto sottile, intorno al mezo poi si mostrò 6 o più volte più grossa; il quale accidente non seguirebbe se il suo movimento fosso notabilmente lontano. Il che fa¬ remo così manifesto. Sia la macchia x gradi 3.20'; la sua suttesa sarà 5814 parti di quali il semidiametro del corpo solare contiene 100000 : intendasi 1’ arco abd esser gradi 11.20'; sarà il suo sino verso aco 1950: e po¬ nendosi l’arco ab gradi 8, acciò che il rimanente bd sia gradi 8.20', quanta si suppone esser la larghezza della macchia, sarà il sino verso 20 ac 973, ed il rimanente co 977. Dal che aviamo, la macchia x in bd apparirci molto sottile, ciò è la sesta parte di quello che si mostrò verso ’l mezo del disco, ed aviamo l’intervallo «etra essa e l’estre¬ mità del O, prossimamente eguale alla grossezza della macchia ; che sono tutti i requisiti particolari acconciamente rispondenti all’ os¬ servazione di Apelle. Or vegghiamo se sia possibile che tali parti¬ colari potessero accadere ponendo la conversione delle macchie re¬ mota dal globo del Sole per la ventesima parte del suo semidiametro solamente. Pongasi, dunque, il semidiametro di tale sfera maggiore di quel so del Sole la ventesima parte, sì che fa sia 5000 di quali tutto ’l se¬ midiametro am è 100000, ed f in 105000. Ma di quali fin è 100000, sarà fa 4762, ed ac 927, ed oc 930, ed fac 5689, ed faco 6619; e l’arco fc 1. maijiore —23-24. tra essa eli’estremità — <) Mss. Gali]., Par. Ili, T. X, car. 7Or. « Gir. pag. 213-214. SULLE MACCHIE SOLARI. 257 sarà gradi 17.40', feg 19.25', cg 1.45', fcgq 21, gq 1.35'; ma la sua BUttosa nel luogo p sarà 2765: e tanta apparirà la grossezza della macchia, la quale non arriva a esser tripla della apparente grossezza nel luogo di gq !l) . perchè noi non veggiamo (2 ’ così manifestamente il vigor del lume reflesso il giorno, come la notte nella 3 e nelle stelle, non apparendo niente il giorno e molto la notte, e non ci tocca a veder la reflession della Terra se non di giorno, però, tirati da una assai semplice prima apprensione, crediamo la reflession della Terra non esser comparabile io a quella della 3> ctc. Nel tempo che la reflession delle stelle ò vi¬ vissima, la Terra è oscura; e quando la Terra è illuminata, parci di vedere il lume primario mediante la presenza del Sole Drizzando 2 cannoni, uno verso la 3 quasi piena e V altro verso l’occidente subito dopo il tramontar del 0, e ricevendo sopra 2 carte il lume della 3 e quello dell’ aria prossima al corpo solare, si potrà vedere quanto il lume dell’ aria si mostri più chiaro di quel della 3» e secondo elio il Sole si andrà abbassando, si incontreranno 2 lumi della 3 e ( 1 (! 1 crepuscolo egualmente chiari a \ se la 3 fesso penetrabile (!>) dal lume del Sole, bisogneria che la 20 fosse più diafana assai d’uria nugola: ma la nugola ò tanto diafana, che in 3 o 4 braccia di profondità non si scorge la sua opacità ; ma ben si scorgerebbe nel vetro; onde la 3 Coverà esser infinitamente più trasparente del vetro t(i> . Io poi metto <7 ' tanto poca difficoltà sopra i nomi, anzi pur so che è in arbitrio di ciascheduno d’imporgli a modo loro, che non farei caso a chiamarle stelle, e massime chiamandosi con tal nome anco le co¬ mete, li due fulgori del 1572 e del 1604, l’esalazioni cadenti e 18. dell’crepuscolo — 22. scorgcrcbe — 25. (l’imporgli è sostituito a e massime de i pi-imi introduttori ed osservatori delle cose, di nominarle, elio ò cancellato. — 27. fulcjari ò sotto¬ lineato. — W Tomo cifc-, car. 75 r. W Cfr. pag. 221, liti. 20 c seg. W Tomo cit., car. 43 a r. W Tomo cit., car. 75 r. (5) Cfr. pag. 224, lin. 14 e seg. W Tomo cit., car. 43°r. W Cfr. pag. 229, lin. 16 e seg. v. 253 FRAMMENTI ATTENENTI ALLE LETTERE discorrenti per 1’ aria, ed essendo infili conceduto agli amanti ed a i poeti chiamare stelle gli occhi delle lor donne, Quando si vidde il succossor d’Astolfo Sopra apparir quello ridenti stelle; e di più dire di un alterato dal vino o stordito da una percossa, Yidde mirando in terra alcuna stella. Ma saranno queste stelle solari differenti dalle altro in alcune con¬ dizioni pur di qualche considerazione : atteso che quelle ci si mostrano sempre di una sola figura, e quella è la regolarissima fra tutte ; e questo, di infinito, ed irregolarissime tutte: quelle, consistenti nè mai io mutatesi di grandezza e di forma ; o questo, instabili sempre o mu¬ tabili : quelle, l’istesse sempre, e di permanenza che supera le me¬ morie di tutti i secoli decorsi; queste, generabili e dissolubili da Timo all’altro giorno: quelle, non mai visibili, se non piene di luce; que¬ ste, oscure sempre e splendide non mai: quelle, mobili ogn’una per sè, di moti proprii, regolari e tra di loro differentissimi; queste, mo¬ bili di un moto solo, comune a tutte, regolare solo in universale, ma da infinite particolari disagguaglianze alterato : quelle, costituite tutte in particolare in diverse lontananze dal Sole; e queste, tutte conti¬ gue, o insensibilmente remote dalla sua superficie : quelle, non mai vi- 20 sibili se non quando sono assai separate dal Sole; queste, non mai ve¬ dute se non congiuntegli : quelle, di materia probabilissimamonte densa ed opacissima ; queste, a guisa di nebbia 0 fumo rare. E chi sarà quello che le vogli stimar cosa con la quale non hanno pur una minima par- ticolar convenienza, che non 1’ abbino cent’ alti'e cose, più presto che cosa con la quale in ogni particolare convengono? Io le ho aggua¬ gliato alle nostre nugole 0 a i fumi; e certo chi le volesse con alcuna delle nostre materie imitare, non credo che si trovasse più aggiustata imitazione, che lo spruzzare sopra un ferro rovente in piccole stille qualche bitume di difficile combustione, il quale sul ferro imprime- so rebbe una macchia negra, dalla quale, come da sua radice, si eleve¬ rebbe un fumo oscuro, che in figure stravaganti e mutabili si nude¬ rebbe spargendo 01 . <’> Tomo cit., car. 74 r. e t. — Sul mar- Galileo: «creda pur V. S. che quelli clie pine della car. 74 ?•., di fronte a qnesto frani- le stimano stello, è forza che poco abbino mento, si legge altresì, sempre di pugno di osservato i loro accidenti ». SULLE MACCHIE SOLARI. 259 A quelli die volessero mantenere, le macchie esser aggregazioni ili stelle, si opporrà, tra le altre cose, che quando nel disco per molti giorni si veggono pochissime macchie, allora le dovorebbono esser di¬ vise tra loro e sparpagliate; e però vicino alla circonferenza del disco si dovercbbono veder linee oscure per la frequenza delle macchiette, i cui intervalli veduti in scorcio quasi svanirebbono U) . Se le l’ussero stelle o congerie e drappelli di stello che per l’ine¬ gualità do i lor movimenti si accozzassero insieme, conio tali accoz¬ zamenti si farebbon sempre numerosissimi c massimi solamente verso io il mezo del Sole, ed i medesimi verso la circonferenza sempre si an- drebbono diminuendo ? e come, essendo alcuna macchia tal volta ben cinquanta volto maggior in superficie di Venere, non si fa veder luminosa fuori del disco solare <2) ? Se quella <:1! che noi chiamiamo corruzione fosse annichilazione, ave- rebbono i Peripatetici ragione a essergli così nemici : ma se non ò altro che una mutazione, non merita cotanto odio ; nè credo che con ragiono alcuno si lamentasse della corruzione del vuovo, mentre di quello si genera il pulcino (tl . Se mettano maggiore e minore nobiltà e perfezione nell’elemento, 20 per essempio, del fuoco che nella terra o nell’acqua, perchè domandar corruzione quando P animale si dissolve in fuoco o in aria etc. che lor domandano generazione e corruzione solo una piccola mutazioncella in poca parte delli elementi, e quale dal cielo non si scorgerebbe, perchè negarla nel cielo ? temono forse, argomentando dalla parte al tutto, che la Terra sia per dissolversi e corrompersi tutta, e che sia per venir tempo nel quale il mondo, avendo la Luna e 1’ altre stelle, sia per trovarsi senza Terra ? non credo che abbino tal paura : e se le sue piccole mutazioni non mi¬ nacciano la sua total destruzione, nè gli sono di imperfezione, anzi Tomo citi., car. 20r. * 2) Tomo cifc., car. 74 1 . Gir. pag. 234, lin. 32 e seg. W Tomo cit., car. 74 1 . (6) Tomo cit., car. 74 1 . W Cfr. pag. 235, lin. 1 e sog. di sommo ornamento, percliò privarne gli altri corpi mondani? Il vo¬ lere misurare il tutto con la scarsa misura nostra ci fa incorrere in strane opinioni, e 1’ odio che aviamo con la morte ci fa odiare la nostra fragilità: ma non so dall’altro canto se por farci immutabili, (pianto ci fosse caro l’incontrare una testa di Medusa, che ci con¬ vertissi in un marmo o diamante. E chi non vede che quello che noi meritamente tanto stimiamo, che è il nostro intendere e sentire, non si può fare senza le alterazioni 1 ”? W Tomo cit., car. 71 1 . e 701. SCRITTURE IN DIFESA DEL SISTEMA COPERNICANO. AVVERTIMENTO. Le scoperte celesti di Galileo, dalle quali veniva così mirabilmente confer¬ mata la dottrina Copernicana, se le guadagnarono l’assenso entusiastico di pochi studiosi della natura, rivolsero ad un tempo su quell’ argomento 1’ atten¬ zione universale dei lilosoli, dei teologi e anche di molti che pur non facessero professione di studi : e vuoi per la novità di quelle scoperte, vuoi perchè dimo¬ stravano fallaci certe proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole degli Aristotelici, e pareva contradicessero ad alcuni passi della Scrittura, vuoi infine perchè Galileo s’ era attirato l’inimicizia dei Peripatetici anche per altre controversie nelle quali batteva in breccia le loro dottrine (,) , accadde die gli av¬ versarli più o meno dichiarati della nuova opinione fossero assai numerosi. E già il 10 dicembre 1011 Lodovico Cigoli scriveva a Galileo (2) , che una schiera de’ suoi nemici si radunavano c facevano testa in casa dell’ Arcivescovo di Firenze, cer¬ cando se potessero appuntarlo in cosa alcuna sopra il moto della Terra od altro, e che anzi uno di quelli aveva pregato un predicatore < clic lo dovesse dire in pergamo che Galileo dicesse cose stravaganti >, al clic il Padre, < come conve¬ niva a buono Cristiano e buon religioso >, s’ era rifiutato : e appresso il Nostro era venuto a sapere che nel novembre del 1612, in privati colloqui, c sendo da altri cominciato il ragionamento >, il P. Niccolò Lorini, Domenicano, s’era chiarito contrario alla opinione del Copernico, con dire clic < apparisce che osti alla Di¬ vina Scrittura > (3) . In tali ragionamenti la questione astronomica andava diven¬ tando questione teologica : ma Galileo si astenne a lungo dallo scendere su questo 0) Alludiamo in particolare alla fiera contro¬ versia circa le coso elio stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, agitatasi appunto noi modo- simi anni ai quuli appartengono lo scritturo di cui stiamo por discorrerò; di che vedi il voi. 1Y di que¬ sta ediziouo, pag. 5 c sog. Mss. Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Fi ronzo, Par. I, T. VI, car. 231. Lettera di Fra Niccolò Lorini a Galileo, in data (lei 5 novembre 1612, noi Rfss. Galileiani, Far. I, T. VII, car. 58. Cfr. pag. 201, liti. 10-12, di questo Yolumo. AVVERTIMENTO. 204- terreno 0 ’, finché verso la metà del dicembro 1(113 accaddo un fatto che lo persuase a lasciare il riserbo in cui si era fino allora tenuto. Don Benedetto Castelli informava il Nostro con lettera dei 14 dicembre 1G13 ts >, che qualche giorno prima, essendo egli alla tavola granducale, presenti il Gran¬ duca, Madama Cristina di Lorena Granduchessa Madre, l’Arciduchessa o i più cospicui personaggi, il discorso era caduto sui pianeti Medicei : < e quivi si co¬ minciò a dire che veramente bisognava che ... fossero reali, e non inganni del- l’istrumento ». Ne fu interrogato dalle Loro Altezze anche il peripatetico Boscaglia, lettore di fisica nello Studio Pisano e ch’era pure alla mensa, < quale rispose che veramente non si potevano negare > ; ma poi < susurrò un pezzo all’ orecchie di Madama, c concedendo per vere tutte le novità, celesti ritrovate da Galileo, disse che solo il moto della Terra aveva dell’ incredibile e non poteva essere, massime che la Sacra Scrittura era manifestamente contraria a questa sentenza ». Finita la tavola, la discussione su quest’ ultimo argomento continuò in camera della Granduchessa Madre, e quivi il Castelli svolse, con piena sodisfaziono de’ pre¬ senti, le idee medesimo di Galileo su tale materia, tanto clic il Boscaglia si restò « senza dir altro ». Di tutti i particolari occorsi in questo congresso dette al Nostro, pochi giorni dopo, più minuto ragguaglio Niccolò Arrighetti, un altro de’ suoi discepoli. Fu allora che Galileo rispose al Castelli con la famosa lettera del 20 dicembre 1013, < circa ’l portar la Scrittura Sacra in dispute di conclu¬ sioni naturali >, e in particolare sopra il luogo di Giosuè, eli’ era proposto come contrario alla mobilità della Terra e stabilità del Sole. Questa lettera, diffusa dal Castelli mediante copie numerose, destò grande ru¬ more, e tanto più acceso alla contradizione gli avversari : dei quali si fece inter¬ prete il Domenicano Fra Tommaso Cacciai, che nella quarta domenica dell’Av¬ vento, 20 dicembre, del 1614, leggendo nella chiesa di S. Maria Novella in Firenze il capitolo X del libro di Giosuè, no prese occasione per riprovare acerbamente l’opinione Copernicana. Poco appresso, il 7 febbraio 1615, quel P. Lorini che ab¬ biamo mentovato più sopra, trasmetteva al Card. Millini, del S. Uffizio, la lettera di Galileo al Castelli, corrente in Firenze nelle mani di tutti, < dove, a giudizio di tutti questi nostri Padri di questo religiosissimo Convento di S. Marco, vi sono dentro molte proposizioni che ci paiono o sospette o temerarie >, acciocché il Car¬ dinale, se gli sembrasse clic ci fosse bisogno di correzione, mettesse i ripari più opportuni IS) . Galileo seppe ben tosto che la sua lettera al Castelli era letta e commentata (1 ' Egli si ora però già preoccupato della que¬ stiono teologica, corno dimostrano due lotterò a lui diretto il 7 luglio e il 18 agosto 1612 dal Card. Conti (Mss. Galileiani, Par. 1, T. XIV, car. 04 o 08), che rispondeva al quesito mossogli da Galileo « se la Scrittura Sacra favorisca a’principi! di Aristotele intorno la constituziono dell 1 Universo », o quindi anco intorno « al moto della Terra o dol Sole ». t5 ' Mss. Galileiani, Par. I, T. VII, car. 128. Cfr. pag. 281-282 ili questo volume. D. Bruti, lì )>roce*«o originale di Galileo Ga¬ lilei. Nuova edizione occ. Roma, 1878, png. 122-124. AVVERTIMENTO. 205 a Roma, c < dubitando che forse chi l’ha trascritta, possa inavvertentemente aver mutata qualche parola > (l) , deliberò di rivolgersi, con lettera del 10 febbraio 1015, a Mons. Piero Dini, che a lui era affezionatissimo, mandargli copia della lettera a D. Benedetto e pregarlo di leggerla al P. Grunberger e farla pervenire altresì al Card. Bellarmino, al quale i Padri Domenicani si erano lasciati intendere di voler far capo. Nella lettera al Dini, Galileo ritornava pure sugli argomenti svolti in quella al Castelli. Il Dini rispondeva il 7 marzo successivo (2) : che aveva fatto fare molte copie della lettera al Castelli e le aveva poi date al Grunberger, al Bellarmino, a Luca Valerio e a molt* altri ; che il Bellarmino < quanto al Coper¬ nico, dice ... non poter credere che si sia per proibire ; ma il peggio che possa accaderli, quanto a lui crede che potessi essere il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse introdotta per salvar V apparenze, o simil cose, alla guisa di quelli che hanno introdotto gli epicicli, e poi non gli credono > ; che lo dot¬ trine Copernicane < non pare per adesso che abbino maggior nimico nella Scrit¬ tura, clic exultavit ut gigas ad curmidam viam , con quel che segue > ; e elio se Galileo avesse messo insieme in certo suo scritto « quelle interpretazioni clic ven¬ gono ad causavi, saranno vedute da S. S. Illustrissima volentieri >. Tale risposta del Dini porse occasione ad una replica di Galileo, del 23 marzo, nella quale spe¬ cialmente insisteva che il Copernico non era < capace eli moderazione >, ma biso¬ gnava o < dannarlo del tutto o lasciarlo nel suo essere >, e interpretava conforme la costituzione Copernicana il luogo del Salmo XVIII, al quale alludeva il Dini. Ma già fin da quando Galileo indirizzava queste due lettere al Prelato ro¬ mano, egli aveva sui medesimi argomenti composta un’ altra e più larga scrit¬ tura. Nella prima lettera al Dini egli infatti cosi si esprimeva: < Sopra questi capi ho distesa una scrittura molto copiosa, ma non 1’ ho ancora al netto in ma¬ niera che ne possa mandar copia a V. 8., ma lo farò quanto prima > <5) ; e in quella del 23 marzo soggiungeva : < Ma so sopra una tal resoluzione e’ sia bene attcn- tissimamcntc considerare, ponderare, esaminare, ciò che egli scrive, io mi sono ingegnato di mostrarlo in una mia scrittura .... c già V averei inviata a V. S. Re¬ verendissima, se alle mie tanto e sì gravi indisposizioni non si fusse ultimamente aggiunto un assalto di dolori colici clic in’ ha travagliato assai ; ma la manderò quanto prima > {4) . Il Dini, d’altra parte, confortava il Nostro, con le parole più sopra citate, a dar compimento all’opera, assicurandolo che non gli avrebbe potuto < se non giovare assai >. Tale scrittura, clic però nel maggio del 1615 Galileo non aveva ancora mandato all’amico (5) , fu la famosa lettera, che, a quanto sembra, egli ebbe O) Vedi pag. 291, lin. 19-20, di questo volume. Mss. Galileiani, Par. I, T. VII, car. 205. Cfr. in quosto voluino pag. 297 o seg. < 3 > Vedi pag. 292, lin. 22-21, di questo volume. < 4 > Vedi pag. 299, lin. 33 — pag. 300, lin. 10. 11 16 maggio 1615 Mons. Bini scrivo va a Ga¬ mico: « non sarà so non bone elio V. S. dia l’ultima mano a quella scrittura elio mi dico aver abbozzata, so la sua sanità glio lo comporta * (Mss. Galileiani, Par. I, T. VII, car. 231). V. te 2(56 AVVERTIMENTO. dapprima in animo di dirigere ad un ecclesiastico regolare (,) (potrebb’ essere, al P. Castelli), ma che poi si risolse ad intestare alla Granduchessa Madre, e perché questa aveva dimostrato di prendere vivo interesse all’ argomento, o forse perché il Castelli gliela dipingeva come non aliena dalle idee che nella lettera stessa erano propugnate. Dai passi or ora citati risulta manifesto elio anche questa lettera si deve attribuire al 1015, sebbene non se no possa indicare con più precisione la data'*’: c quantunque essa non fosse allora pubblicata per le stampe, fu però diffusa manoscritta (3 ’. Galileo vi riunisce e vi svolge largamente quanto giù aveva esposto nella lettera al Castelli e nelle due al Dini, dalle quali ripete talora non solo i concetti, ma quasi identiche le parole. Non 6 qui il luogo di narrare particolarmente la storia del procedimento che, dopo la denunzia del Lorini, crasi intanto iniziato a Roma contro la dottrina della mobilità della Terra: e per il nostro proposito basterà ricordare clic Ga¬ lileo, ben comprendendo, nonostante lo ripetute assicurazioni degli amici suoi, la gravità della questione, tra la fino del novembre e il principio del dicembre 1015 parti per la città eterna, con la speranza di poter difendere meglio colà la causa alla quale egli era cosi strettamente legato. Le corrispondenze del tempo ci mo¬ strano Galileo, che in Roma, presso i personaggi più cospicui o « in ragunanze d’uomini d’intelletto curioso», discorre intorno all’opinione del Copernico, e fa < pruove maravigliose > contro gli oppugnatori che cercano di atterrarlo w : che anzi, poiché le confutazioni orali non riuscivano il più delle volte efficaci, < al¬ cuni punti > scrive egli stesso a Curzio Picchena da Roma il 23 gennaio 1616 w < alcuni punti mi bisogna distendergli in carta, e procurare che segretamente ven- gliino in mano di chi io desidero, trovando io in molti luoghi più facile conces¬ sione alle scritture morte che alla voce viva ». Anche in altre lettere di quei giorni Galileo accenna che egli non propone < mai cosa alcuna che ... non la dia anco in scritture » (,) , e che quello che egli ha operato < si può sempre vedere dalle sue scritture, le quali per tal rispetto conserva » t7) . Tre di tali scritture Gl Vedi più avanti, a pag. 275. Gl Scopo di tutta la lettera ò di provenire in condanna del sistema Copernicano, del quale Galileo parla come di opiniono di cui si discuto ancora so sia da dannarsi (cfr. pag. 311, lin. 31-32; pag. 313, 1 in• 11-15, o pnm'w): è perciò manifesto che la lot¬ terà ò ante rioro al 5 marzo 1G1G, nel qual giorno fu pubblicato il decroto della Congregazione doli’In¬ dico elio proibiva l’opora dol Copernico. Nella lot¬ terà .a Fra Fulgenzio Micanzio dol 28 giugno 163G (Cod.Marciano Cl.X, num.XLVII, car.2), Galileo ilice che la scrittura « a Madama Serenissima » fu fatta da lui « venti anni sono ». <3) Forse porò non ebbe grondo diffusione, corno fa crederò il fatto del non trovarla menzionata nel Processo del 1G15-1G1G; ovo ciò non sia avvenuto per un riguardo verso la persona alla qualo ora di¬ rotta. Gl Lotterò di Mons. Antonio Qubrkmgo al Card. Alessandro d* Estk, dei 30 dicombre 1015 o 20 gen¬ naio 161G, noi Mss. Galileiani, Par. I, T. XV, car. 38 o 56. (pag. 283, lin. 1G); sec. XVII (1?) ; G ? ~ Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. 47 bis, car. Ir. — 12r.; sec. XVII ; V = cod. Volpicelliano A, già citato, car. 198r. — 201#.; scc. XVII; Pr. = Archivio del S. Ufficio, nell’Archivio Vaticano, Voi. 1181, che contiene il Processo di Galileo, car. 343r. — 346r. ; esemplare acefalo, che comincia con le parole < Quanto alla prima domanda > (pag. 282, lin. 7) ; sec. XVII w ; H = Museo Britannico, Ilariey Mss. 7014, car. 221-222; esemplare acefalo, che comincia con le parole < In continuazione di che > (pag. 285, lin. 29); sec. XVII. M = Biblioteca Marucelliana, nurn. 7 nel cod. miscellaneo A. LXXI; sec. XVII; F = Biblioteca Forteguerri di Pistoia, cod. 139 (C. 197), car. Ir.— 6#. ; sec. XVII; P = codice dell’Archivio di Stato in Pisa, car. 50r. — 54#.; sec. XVIII; A = Biblioteca Angelica, cod. 2303, car. 162r. — 170#.; non anteriore all’an¬ no 1818 ; Cod. 562 della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 14r. — 17r. ; sec. XIX; Num. 13 nel cod. miscellaneo 3805 (Mss. Lami, voi. 43, Scienze naturali, T. XXXI) della Biblioteca Riccardiana; sec. XVIII. Oi Della lotterà al Castrali non potò trovar l’ori¬ ginale, « per diligenze fatto », neppure il Sant’ Uffizio, subito dopo la denunzia del Lorini: il Castrali l’aveva restituito a Galileo, si può credore dietro sua do¬ manda, già prima dolla fino del febbraio 1615. Vodi Bruti, op. cifc., pag. 116, 132 o 141. <*> fe questo il codice dal quale G. Targioni Toz- zetti trasse quel frammento della lotterà al Castelli, cho pubblicò nelle Notizie degli aggrandìnicnti delle scienze fisiche occ. In Firenze, MDCCLXXX, T. II, Par. I, pag. 22-20. Il Targioni dice (T. I, pag. 58) d’aver trovato l’esomplaro di cui si sorvl, « fra i fogli dol dott. Antonio Coooiu, donati da S. A. II. alla Biblioteca Pub. Magliabechiana ». Da questo codice la lettera ò riprodotta diplo¬ maticamente nollacitata opera dolBnim, pag. 124-131. 268 AVVERTIMENTO. Dei duo ultimi manoscritti non ci fu (l’uopo tener conto, perchè tutti e duo sono certamente copie del cod. 6f, di cui seguono la lezione anche nei tratti più caratteristici. Quanto agli altri, si possono anzitutto distinguere in duo classi, ap¬ partenendo alla prima i codici 6f, G l } G 3 , V, Pr., //, e alla seconda i codici il/, F , P, A. Caratteristica della seconda classe è la lezione del passo a pag. 286, lin. 16-26, come è da noi riferita tra lo varianti, nel qual passo è ben chiaro che questi codici compendiano, o male, la lezione genuina: o del pari in molti altri luoghi è innegabile che questa famiglia dà un testo deteriore. Noi ovolo è la concordia, ' e quasi l’identità, dei codici II/, P, P, i quali, quantunque M sia alquanto più corretto, o sono copia l’uno dell’altro, o tutti esemplati da un medesimo origi¬ nale (,) : onde il loro accordo, quante volto si verificava, V abbiamo per brevità indicato con la sigla Z {i} . Il cod. A, sia perchè è recentissimo, sia perchè pos¬ siamo asserire con certezza elio il copista era più erudito che esatto w , merita fede assai scarsa. Quanto ai codici dell’ altra classe, mentre si contrappongono spesso tutti in¬ sieme alla famiglia peggiore, ciascuno di essi ha poi particolari caratteri. Il testo migliore è dato dal cod. G, scritto da mano toscana e la cui lezione, pur avendo tutte le distintive della sincerità, è quasi sempre corretta. Al cod. G si accosta più d’ ogni altro il cod. V, il quale nondimeno ha qualche lezione curiosa (4) e dei grossolani errori che non s’incontrano in G. In un maggior numero di passi c più gravemente si allontana invece da quest’ultimo il testo di Pr. (5) ; e con Pr . (clic, attesa la storia di quel manoscritto famoso, non è probabile abbia avuto alcun discendente) concordano fino ad un certo punto i codici G 1 e IL II cod. G s } infine, ò guasto quasi ad ogni linea dai più insopportabili strafalcioni, così che nella maggior parte dei luoghi non dà senso, e certamente è peggiore anche dei codici della seconda famiglia, sebbene sia stato esemplato, come apparisce, da un originale appartenente alla prima, alla quale vuol essere quindi ascritto. Oltre che dei codici ora indicati, abbiamo dovuto tener conto della prima edi- (*) Perfino, doYO Unno omette una parola, indi¬ cando l’omissione con dei puntolini, gli altri fanno allo stesso modo. Registrando lo lezioni concordanti di M, F, P, sogniamo quanto alla grafia (nel che, coni*è uatn- ralo, i tro codici talora differiscono) il cod. M, salvo che questo abbia qualche materiale orrore, elio cor¬ reggiamo con gli altri due. ,3) Alla lotterà procedo noi cod. A (car. 161 r.) un’avvertenza, scritta dalla stessa mano, nella quale è detto che la lettera fu pubblicata già dal Poggi am « o nuovamente dal eav. Venturi nelle sue Memorie e lettere, inedite eoe. », e che « le varianti por le quali la lettera edita di fieri se e dalla copia attualo, sono riportato in carattere rosso ». Questo varianti sono stato intercalato, tra parentesi, noi contesto stesso della lettera e dalla mano medesima che la esemplò ; ondo ò chiaro che talo codice non può essoro ante¬ riore al 1818, noi qual anno fu pubblicato il primo volume dclPopera del Venturi. Lo varianti sono ap¬ punto a confronto doli’edizione Venturi : ma il co¬ pista ha trascurato di raccòglierò alcuno differenze anche notevoli. Vodi la variante a pag. 287, lin. 1-3. ,S) Anche quanto alla lingua, il tosto di Pr. mo¬ stra rì’ossore stato trascritto da un copista rozzo (vi si incontrano forine come * operando , aggiùngo ecc.), e elio talora losso maio: p. e. a pag. 28t>, lin. 15-16, il cod. Pr. reca: « ft forza rispondere di no, ma che non solo ò suo proprio ecc. ». AVVERTIMENTO. 269 zione della lettera, che è dovuta a Gaetano PoggialiIl Poggiali pubblicò tale scrittura da tin manoscritto di sua proprietà, prima appartenuto al Nelli, che non possiamo identificare con nessuno dei codici a noi noti: bensì aneli’esso appartiene alla seconda famiglia, e, per quanto dall’ edizione apparisce, si deve connumerare co’ testi peggiori ; talune sue lezioni, evidentemente cattive, non hanno il suffragio d’altra autorità. Era naturale clic noi prendessimo per fondamento della nostra edizione il cod. 6r, correggendolo, dove ce n’ era bisogno, con P aiuto di altri codici della prima famiglia c specialmente di K lS) . Nei casi nei quali ci siamo discostati dal codice preferito, abbiamo notato appiè di pagina le sue lezioni e noli’appa¬ rato critico abbiamo altresì raccolto le più notevoli varianti degli altri mano¬ scritti, soprattutto se talora poteva sorgere dubbio che la lezione di questi, o di alcuni di questi, fosse migliore di quella da noi accettata nel testo tv) . Neanche del cod. Fr., sebbene singolarmente importante, non abbiamo registrato tutte le differenze, perchè quel codice sarà a suo tempo riprodotto per intero nel volume dei Documenti : quelle varianti però alle quali abbiamo qui dato luogo, sono suf¬ ficienti per mostrare i rapporti del testo denunziato dal P. Lorini con gli altri. Non credemmo poi che fosse pregio dell’opera annotare tutti gli errori dei codici della seconda famiglia, sebbene moltissimi di siffatti errori si siano perpetuati in 0) Scric de testi di lìngua sUmjmti ecc., pos¬ seduta da Gaktano Poggiali. T. I. Livorno, 1813, pag. 150-158. Richiamiamo V attenzione dol lottoro sopra il passo a pag. 284, lin. 1G — pag. 285, liti. 4, dove il cod, 0 si discosta molto notabilmente da tutti gli altri, la lozione dei quali noi abbiamo accettato noi testo. 11 medesimo passo ò stato riprodotto da Ga¬ lileo, con più ampi svolgimenti, nella lotterà alla Granduchessa Madre, png. 317, lin. 16 o sog., o qui la lezione di questo luogo si accosta, noi complesso, più a quella del cod. G clic a quella degli altri mano¬ scritti della lettera al Castelli : sobbono poi in un corto punto (pag. 317, lin. 19; cfr. pag. 284, lin. 18, noi tosto o nello varianti) non si accordino tra di loro nep¬ pure i vari codici della lotterà a Madama Cristina. Noi pensiamo elio lo diversità siano da attribuirò, qualcuna alla trascura tozza del copista di G (p. o. a pag. 284, lin. 24-25), ma in maggior numoro a Galileo stesso, il quale abbia ritoccato più volto siffatto passo (elio sotto 1*aspetto dottrinalo 6 di capitalo impor¬ tanza), sia in esemplari diversi della lettera al Ca¬ stelli, sia quando lo ricopiava per incorporarlo nella nuova scrittura: e ci sembra elio la maggior parto dei codici della lotterà al Castelli abbia conservato la lozione che usci prima dalla penna doli' Autore, o il testo dol cod. G rappresenti invoco alcune modi¬ ficazioni posteriori; corno è portamento posteriore la lezione offerta dalla lotterà alla Granduchessa, o elio abbiamo detto essere Affino più elio altro a quolla di G. Si avverta puro elio nel punto a cui or ora ac¬ cennavamo, pag. 317, lin. 19, la lezione dol cod.Yol- picolliano della lettera a Madama Cristina, ossia il tosto più antico di questa lettera, tiene conio una via di mozzo tra il testo definitivo della lotterà stossa o lo vario lezioni doi codici della lotterà al Castelli. 11 criterio col quale Galileo avrebbe ripotutamonte modificato tutto questo luogo, sarobbo stato quello di dare al proprio pensiero un’ espressioni) sempre più circospetta. Non abbiamo notato pori», cliò non metteva conto, alcuno grafie erroneo di G. <*> Avvertiamo (o s'intenda dotto anche por lo altre scritturo elio qui si pubblicano) che, so la va¬ riante appiè di pagina indica elio un dato codice, o un gruppo di codici, leggo in quel dato modo, ciò non vuol diro però che tutti gli altri codici leggano conforme al tosto da noi preferito: borisi quolla va¬ riante ò soltanto dei codici indicati, ma gli altri pos¬ sono offrire altre differenze, che non meritava di notare. Quando poi più codici concordano in una variante, salvo leggiere diversità grafiche, non si ò tenuto conto, per il solito, di tali diversità, o si ò riprodotta la variante coni’ò nel codico elio è indicato per primo, tranne il caso elio in questo si leggesse un materiale errore. 270 AVVERTIMENTO. tutte le numerose edizioni della lettera. Singolare invero la storia di questa scrittura, ohe, per la sua grande importanza congiunta con la brevità, fu ripub¬ blicata assai di frequente in molte antologie, vuoi di cose galileiane vuoi ge¬ nerali della letteratura italiana: ma siffatte ristampe, nessuna esclusa, riprodu¬ cono l’edizione del Poggiali, oppure quella del Venturiche copia dal Poggiali correggendo qua e là senza appoggio di codici (1) , oppure, più spesso, 1’ ultima edizione fiorentina dello Opere di Galileo, la qualo alla sua volta toglie dal Ven¬ turi : così che la Volgata della lettera a Don Benedetto, quale ebbe corso fin ora, ha por fondamento un dei peggiori codici della famiglia peggiore, trascritto dal Poggiali forse non sempre esattamente, corretto arbitrariamente dal Venturi. Nessuna maraviglia perciò so tale lezione Volgata in più luoghi non dà quasi senso w ; e non parrà troppo ardimento il nostro, se osiamo affermare che questa scrittura esce ora per le nostre cure così rinnovellata, da potersi quasi dire tratta dall’ inedito. La lettera a Mons. Dini de’ 16 febbraio 1615, com’ebbe, fin da principio, minor diffusione di quella al Castelli, così è rappresentata da minor numero di manoscritti. Noi ne conosciamo i seguenti: G — Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. I, già ci¬ tato, car. 14 r. — 16 r. ; sec. XVII, di mano diversa da quella del cod. Gr della lettera al Castelli (V| ; Mgb = Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano II. IX. 65, car. 41 r. — 45r. ; sec. XVII ; R — Biblioteca Riccardiana, cod. 2146, car. 1 r. — 5 1. ; sec. XVII ; Gl Memorie e lettere inedite finora o dia})erte di Galileo Galilei, ordinate ed illustrate con annotazioni dal cay. Gì ambatista Ventori, ecc. Parte Prima, ecc. Modena, MDCCCXVJII, pag. 203*208. (1 ) P. c., ft pag. 282, liti. 29-30. dovo tutti i co¬ dici leggono « procedendo di pari «lai Verbo divino la Scrittura Sacra o la natura », il Poggiali, forso per falsa lettura, stampa: « procedendo di j>oi dal Verbo ecc. » ; o il Venturi sopprimo quel di poi, elio non dà senso, o stampa « procedendo dal Verbo ecc. »; la qual lezione ò stata riprodotta dagli editori suc¬ cessivi. < 3 > Citiamo, por saggio, alcuno lezioni sproposi¬ tato dellR volgala, tra lo quali ve ir hanno di addi¬ rittura ridicolo: pag. 281, lin. 8, avvenire, a quelli; lin. 11, in effetto biasimevole; pag. 282, lin. 9, dalia D. V. molto reverendissima, no» poter; lin. 17, corfio - rati che umani; lin. 18, d’oblivione. ; lin. 24-25, perché «Uno cotali jtarolc proferite; lin. 27, ma novamente bisognosa ; pag. 282, lin. 32 — pag. 283, lin. 2, ed ca- tendo di piò. convenuto rxe.lle. Scritture accomodarti al- i intendimento dell' universale in molte cosa diverse in aspetto quanto al significato ; ma all incontro; pag. 283, lin. 8-9, per luoghi della Scrittura che avessino mille parole, diverse stiracchiate, poiché non ogni detto; pag. 28-1, lin. 10-12, le quali abbaici)}, ingegnosissime se parlino ispirate da Dio, chiaramente vediamo; pag. 285, lin. 27-28, e non soverchiamente ulcerate da prepost ere passioni rd intercisi; pag. 286, lin. 1*2, nel senso appunto ch’elle sono, cioè; li 11. 4-5, «t che l’av¬ versario non presumerà di legare, ma di restar libero quanto al potere; lill. 27-28, ma da quel primo tuo- bile; pag. 288, lin. 6-11, se, conforme alla posizione del Copernico, noi costituissimo la Terra muoversi al¬ meno di moto diurno, ehi non vede che per fermare laffo il sistema, senza punto alterare il restante delle scambievoli rivoluzioni dei jnaneti, solo si prolungasse lo spazio c il tempo della diurna illuminazione, basta perchè funse fermato il Sole; lin. 11-15, il giorno in¬ tero ; ecc. A pag. 286, lin. 16-26, la Volgata dà il testo compendiato dolla famiglia peggioro dei manoscritti. Su questo codice à condotta, molto probabil¬ mente, l’cdiziono della lettera al Dini fatta dal Tak- gioni Pozzetti, op. cit., T. II, Par. I, pag. 26-29. AVVERTIMENTO. 271 M = Biblioteca Marciana, 01. IV, cod. LIX, car. 2 r. — 4r. ; sec. XV!!! 0 ’; Il = Museo Britannico, Harlcy Mss. 4141, car. Ir. — 8/.; sec. XVII. Questi codici non presentano tra sò così gravi differenze come quelle che distinguono i manoscritti della lettera a Don Benedetto: tuttavia il cod. G ap¬ parisce in generale più corretto, onde noi 1’ abbiamo seguito nella nostra edizione, registrando bensì, conforme siamo soliti, appiè di pagina le varietà più impor¬ tanti offerte dagli altri, o insieme quelle lezioni del codice preferito che non abbiamo accettate nel testo. Quanto al cod. ilf, dobbiamo avvertire eli’ esso è stato corretto in moltissimi luoghi dalla mano dello stesso trascrittore, ed è cre¬ dibile che queste correzioni rappresentino il frutto della collazione con un altro manoscritto: la lezione originaria di M è deturpata da gravissimi errori; invece il testo quale resulta quando si tenga conto delle correzioni, è per lo più pulito, ma talora fa anche nascere sospetto che il correttore abbia emendato arbitra- riamente qualche frase (t) . E caso non raro che la lezione nata da tali correzioni non sia suffragata dal consenso d’ alcun altro manoscritto. Abbiamo indicato con M quelle varianti elio provengono da passi dove non si esercitò 1’ opera del recensore, distinguendo poi, dove yì sono correzioni, con M 1 le lezioni originarie e con ilf 3 le correzioni. La seconda lettera al Dini, de’ 23 marzo 1015, è giunta fino a noi in un mag¬ gior numero di copie che non la prima. Noi possiamo indicare le appresso : G= Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. I, già citato, car. 18r. — 21 b r. ; G 8 = Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. il bis, già citato, car. 12/. — 2Gr. ; V — cod. Volpicelliano A, già citato, car. 193 r. — 197/. ; M = Biblioteca Marciana, Cl. IV, cod. LX, car. 2 r. — 13 r.\ sec. XVII (n) ; F = Biblioteca Forteguerri di Pistoia, cod. 139 (C. 197), già citato, car. 7 1 \ — 15 r.\ P = codice già citato dell’Archivio di Stato in Pisa, car. 55r. — 60/.; A = Biblioteca Angelica, cod. 2303, già citato, car. 172r. — 181/.; R == esemplare acefalo (comincia con le parole « l’avermi V. S. Reverendis¬ sima >, pag. 301, lin. 4), in appendice al num. 12 (antico num. 14, Lettera di Galileo a F. Ingoli) nel cod. miscellaneo 3805, già citato, della Biblioteca Riccardiana ; Cod. 562, già citato, della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 18 r. — 22r . {y) Questo ò il codice dal quale pubblicò la let¬ tera Iacopo Morelli, / codici manoscritti volgari della libreria Iraniana ecc. In Venezia, MDCCLXXYI, pag. 191 - 194 . il Morelli, elio fu il primo editore di tale scrittura, riproduco la lozione del codico corno risulta quando si tenga conto dello correzioni elio sono noi codico stesso o delle quali parliamo più avanti. Vedi, p. e., lo lozioni che registriamo tra lo varianti a pag. 294, lin. 8-9 e 10. Da quosto codico pubblicò la lotterà il Mo¬ relli, op. cit., pag. 195*201. II Taroioni Toezetti, op. cit., T. II, Par. I, pag. 29*81, pubblica le primo pagine della lettera (lino allo parolo « ignudi dell* ossoryazioui >, pag.299, lin. 11) da un codico ch’egli dice aver appartenuto 272 AVVERTIMENTO. Gli esemplari G, G\ V, F, P, A, Il e quello die si trova nel codice Pavese, sono, respettivamente, delle mani medesime che trascrissero pii esemplari della lettera al Castelli contenuti negli stessi codici ; e corno concordano quanto alla scrittura gli uni con gli altri, così si corrispondono press’ a poco, respettivamente, anche quanto al valore della lezione. Il codice Paveso è copia di G <‘>, e perciò non occorse tenerne conto : G sembra il più corretto, e ad esso s’ accostano per bontà di lezione, ma rimanendogli inferiori, V e M ; G* ò spropositato quanto mai ; F e P concordano tra loro quasi sempre, c nel testo e nello piccole lacune, onde il loro accordo fu indicato, per brevità, con la sigla Z; A è copia recen¬ tissima e mal sicura; e copia recente ò pure il cod. II. Noi ci siamo attenuti al cod. G, annotando con le solite norme nell’ apparato critico le principali varianti degli altri e quelle lezioni di G che abbiamo creduto di dover correggere con l’appoggio soprattutto di V 0 M Veniamo alla lettera alla Granduchessa Cristina di Lorena. Come questa scrit¬ tura fu stampata soltanto molti anni dopo eli’ era stata composta, e l’edizione diventò presto assai rara, nè, tranne una ristampa fatta alla macchia (S) , fu più riprodotta fino al 1811 w , così, per contrario, se ne moltiplicarono lo copie a penna; e moltissime ne giunsero fino a noi. Noi abbiamo studiato le seguenti: 1) V = cod. Volpicelliano A, car. 101 r. — 119r. ; sec. XVII; 2) G = Biblioteca Nazionale di Firenze,Mss. Galileiani, Par.IV, T. I, car. 23>\— 57 1. ; sec. XVII ; 3) Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. 47, pag. 1-47 ; sec. XVII ; al Cocchi, c clic noi non sappiamo quale sia. Sic¬ come però il testo edito dal Taroioni è sproposi¬ tato o nulla offre di notevole, non ne abbiamo tenuto conto. Un frammento di questa lettera (dalle parole « dirci, parermi », pag*. 301, lin. 19, alle parole « della natura », pag. 303, lin. 18) ò puro pubblicato, non ò chiaro di su qual codico, noli'edizione Padovana dello Opere del Nostro (voi. II, pag. 563*561). Anche noi codico dal quale il Poggiali pubblicò la lettera ni Castelli, s» leggeva la seconda lettera al Pini, col falso indirizzo al « P. Abate Don Benedetto Castelli > (Poggiali, op. cit., pag. 150); ma, come già abbiamo detto, ignoriamo dovo questo codice si trovi. (l) Le ultime lineo della lettera (da « con elio lo bacio », pag. 305, lin. 20, in séguito), elio mancano nel cod. 0, si leggono nel cod. Pavese, ma vi sono stato aggiunto d’altra mano. A pag. 303, lin. 16, abbiamo corrotto aequa- hiliter acceptaa, dato da tutti i codici, in aequabiliter ai i- ticipatas, come leggo la versione di Dionisio Arroba- gita l'atta dal Pkuionio (Dionybii Arf.opagitak, Opera olimi" ecc. Quao omnia a loicimio Pkrioxio Reno- dictiuo Corinooriaceno ecc. conversa sunticc. Lutctiao Parisiorum, apud Kobcrtum Foiiot. ecc., M.P.XCVllI, car. 53r.), alla quale Galileo si attiene. Lettera itcl Siijnor Galileo Galilei Accade-^ miao Linceo scritta alla Granduchessa di Toscana. In cui teologi cu m ente e con ragioni saldissime, covate da'Padri piti tentiti, ti risponde alle calunnie di co¬ loro, ì quali a tutto potere si sforzarono non salo di sbandirne la sua opinione intorno alla constituzioue delle parti dell' Universa, ina altresì di addurne una per¬ petua infamia alla sua persona. In Fiorenza, MDCCX. Forma come un’ appendice, con frontespizio e ninne- razione a parte, al Dialogo dì Galileo Galilei Lin¬ ceo ecc. dove ne i congressi di quattro giornate si di¬ scorre sopra i due. massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano eoe., in questa seconda impressione ac¬ cresciuto di una lettera dello stesso non più stampata e di vari trattati di più autori, i quali si veggono nel fine del libro ecc. In Fiorenza, MDCCX. I bibliografi dicono elio P ediziono ò stata fatta, invece, a Napoli. Dopo Dedizione or ora citata, fu riprodotta per la prima volta nolla prima ediziono milanese delle Opere del Nostro (Milano, dalla Società Tipografica do’Classici Italiani, voi. XIII, 1811, pag. 5*71). AVVERTIMENTO. 273 4) Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta T, n. 4S, car. Ir. — 19r. ; sec. XVII; 5) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano IL IX. 65, già citato, car. Ir. — 40/. ; della mano medesima clic esemplò il cod. Mgb. della prima lettera al I)ini ; G) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano II. IV. 215, car. Ir. — 39/. ; sec. XVII ; 7) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano Cl. XI, 113, car. I r. — 26r. ; sec. XVII ; 8) Biblioteca predetta, cod. MagliabecbianoCl. XI, 139, car. 83r. — 95r. ; esem¬ plare mutilo, elio termina con le parole < vcritas Sacrarum Literarum veris ra- tionibus > (pag. 320, lin. 5) ; sec. XVII ; 9) Biblioteca predetta, cod. Baldovinetti 236, car. Ir. — 63/. ; sec. XVII; 10) Biblioteca predetta, tra gli stampati della Collezione Nenciniana, con la segnatura 2. 1. 5, pag. 1-101; sec. XVII; 11) Biblioteca Marucelliana, mini. 19 nel cod. miscellaneo B. 1. 20; sec. XVII ; 12) Biblioteca predetta, num. 13 nel cod. miscellaneo C. 1G ; sec. XVII; 13) Biblioteca Riccardiana, cod. 214G, già citato, car. 5/. — 49r. ; della mano medesima che esemplò il cod. Ti della prima lettera al Dini; 14) Biblioteca Ambrosiana, cod. H. 226. Tar. Inf., car. Ir. — 20r. ; sec. XVII ; 15) Biblioteca Estense, cod. Vili. ^. 17, car. 17r. — 44/. ; sec. XVII; 16) Biblioteca Forteguerri di Pistoia, cod. 139 (C. 197), già citato, car. 16 r.— 54/. ; della mano medesima elio esemplò il cod. F della Tetterà al Castelli e il cod. F della seconda lettera al Dini ; 17) Biblioteca Corsiniana, cod. 701, car. 232r. — 290r. ; sec. XVII; 18) Biblioteca predetta, cod. 1090, car. 249r. — 316/. ; sec. XVII ; 19) Biblioteca predetta, cod. 1937, car. 47r. — 69/.; sec. XVII; 20) Biblioteca Angelica, cod. 2302, car. 38r. — 72/. ; sec. XVIII; 21) Biblioteca predetta, cod. 2303, car. 183r. — 212/.; sec. XVII; 22) Biblioteca Casanatense, cod. 675, car. 248r. — 262r. ; sec. XVII; 23) Biblioteca predetta, cod. 2367, car. 13Sr. — 168/.; sec. XVII; 24) Biblioteca predetta, cod. 3339, pag. 1-75; sec. XVIII; 25) Biblioteca Nazionale di Torino, cod. Bc. Mss. varii 11G, car. Ir. — 27r. ; sec. XVII; 26) Biblioteca Marciana, Cl. IV, cod. LIX, già citato, car. 4/. — 25/.; della mano medesima che esemplò il cod. M della lettera al Dini in data 1G febbraio 1615 ; 27) Biblioteca predetta, Cl. IV, cod. CCGCLXXXVII, car. Ir. — 49r.; sec. XVII; 28) Biblioteca Guarnacci di Volterra, cod. LVI. 4. 6, car. Ir. — 23 r; sec. XVII; 29) Codice già citato dell’Archivio di Stato in Pisa, contenente anche la let¬ tera al Castelli o la seconda lettera al Dini, car. 3r. — 48r. ; sec. XVII, di mano diversa da quella che trascrisse le due lettere ora ricordate; v. a5 274 AVVERTIMENTO. 30) Codice di proprietà del Big/Gamurrini di Arezzo, car. Ir. — BGr.; sec. XVII; 31) Biblioteca Nazionale di Parigi, Forni ìlalicn, cod. 212, car. 102r. - 142/. ; scc. XVII ; 32) Biblioteca predetta, Fond italien, cod. 1507, car. Ir. — G8r. ; sec. XVII; 33) Museo Britannico, Harlcy Mss. 4141, car. 9r. — 75 1. ; sec. XVII; 34) Musco predetto, Egerton Mss. 2237, car. 4-52 ; scc. XVIII t,) . Di un manoscritto tiene poi il luogo 1’ edizione principe, alla (piale accenna¬ vamo poco fa. Essa fu pubblicata a Strasburgo nel 1G3G, per cura di Mattia Bernegger, con la traduzione latina di fronte'*', quasi come appendice, con nu¬ merazione a parte e in volume separato, alla versione latina del Dialogo dei Massimi Sistemi, edita pure a Strasburgo nel 1G35 (3) . Cosi il testo italiano della lettera, come la traduzione latina, furono mandati al Bernegger dall’ amico suo e di Galileo, Elia Diodatie questi, in una lettera al Bernegger, in data 6 gen- Non abbinino enumerato in quosta serio quoi manoscritti clic a prima vista si dimostrano conio copio puro o semplici dell’edizione principe, di cui riproducono il frontespizio, lo noto tipografiche, lo lotterò proemiali ecc. Una di queste copio è nel T. I (car, 58i\-96/*.) della Par. IV dei Manoscritti Galileiani, un’altra noi cod. Vuticniio-Ottobouiano 2171, occ. Non dubitiamo poi clic esistano dogli altri manoscritti n noi ignoti, special monto nullo bibllotocho pri¬ vato : noi stossi, ad esempio, alibiamo esaminato in Firenze un nitro codice, di proprietà privata, elio, quanto al testo, è da ascrivere alla socomla fami¬ glia (lolla quale parliamo più avanti. Un altro ma¬ noscritto, elio ignoriamo, nonostante le più diligenti ricerche, dove ora si trovi, è indicato nel Catalogne of tini Manu script Library of thè late Damon Tur - ncr occ. which iodi he aold l>y auction by Mcaare Dui- tirk ami Simpaon CCC. mi Montluy, Jane lì, JS59 and four following day ecc., pag. 301. Soeondo questo Catalogo, tale manoscritto sarebbo nieutemono che autografo di Galileo, o allo ultimo parole del tosto a stampa della lettera, « gli devo raggiraro >, terrebbe dietro in esso un nitro paragrafo, inedito, elio occu¬ però libo una pagina o mozza del codice. Ma che il ma¬ noscritto sia autografo, ò lecito dubitarne; c siffatto paragrafo linaio potrebbe benessere quell’ Ejrcerptum ex Didnci a Stunica Salmanlicenttia Commentarti « tu Job lui illuni* J oletanae ttpuil fotiimeni ltodericum anno 1H84, in 4°, pag. 205 et net / prima, e il frontispizio con le duo lettere proemiali del Diodati e del Berneggor, che pochi giorni avanti gli era stato man¬ dato da Parigi, ma ancora ne stava aspettando un esemplare intero (3) . Fra tutti i manoscritti occupa un posto singolarissimo quello cbe abbiamo in¬ dicato per primo, il cod. V. In questo esemplare infatti si riscontrano non infre¬ quenti correzioni autografe di Galileo ; alcuni brani sono aggiunti (una volta di mano del Nostro) su cartelle separate, e dei segni di richiamo dimostrano a quali posti devono essere inseriti ; altri passi invece, clic pure si leggono in tutti i rimanenti testi a penna, mancano in V. La lezione poi di questo codice, che è assai buona, si allontana spesso, e non tanto leggermente, da quella degli altri: notevolissimo è un particolare, cioè cbe nel testo di V non è mai menzionata la Granduchessa Cristina, ma i luoghi ne’quali, secondo la lezione comune, Galileo rivolge la parola a < Sua Altezza Serenissima >, o mancano nel cod. V, o il discorso vi è indirizzato a una < Paternità >, che, come abbiamo detto più addietro, si può credere sia il P. Castelli. Questi fatti inducono a tenere che il cod. V rappresenti una più antica stesura della lettera, quando l’importante documento era, per così dire, ancora in formazione : tale esemplare, forse spedito, ovvero portato, da Galileo o al Principe Cesi o ad altro suo amico romano, giacque poi inosservato fino ad oggi, nè mai fu trascritto; perciò e certe sue lezioni non pas¬ sarono in nessun altro codice, e certi luoghi che qui Galileo emendò di suo pugno, nkggek mandava, stampate, al Diodati soltanto il -1 aprilo 1G36 (voi. cit., car. 178r.). Cfr. Galilei betref * /aule Handachri/ten dr.r Hamburger StadthiblioGtck.'S Oli D. r Emil Woulwill. Aiis doni Jahrbueh der Ifamburgi- èchen WiuenaehuJ(lichen Anatalten. XII. Hamburg, 1805. Commissions Verlag von Lucas Grftfo und Silloin. — Autore della versiono latina molto probabilmente ò stato, per (pianto risulta dal carteggio del Bkrnkg- o eh, il Diodati stesso, o non già Galileo, come vor¬ rebbe C. Hi In gkh, Mutili ina Hcrneggcr, ein lìild crn« dem geiatigen Lehen Straesburgs tur Zeit dea dreinaigjUhrigen Kriegea. Strassburg, 1893, pag. 89. (, 1 In questa lotterà il Diodati proso il nomo di * Robortus Robcrtimis fìorussus », amico o disce¬ polo dol Bkhnegokr o personaggio noto nella sto¬ ria letteraria tedesca (Cfr. Geachìchte der deutachcn Dichtuug von G. G. GsaviNUB. Drittor Band, ftinfto A allago, Leipzig, 1872, pag. 325-32G). Ma elio sotto 10 pseudonimo di Uubcrtìnua si nasconda il Diodati, 11 qualo vollo così colarsi porchò non si sospettasse che Galileo avosso avuto parto nella pubblicazione, è confermato anche dal citato carteggio del Bku- negger (voi. cit., car. 113»-., 109/. o 178*.). < s > Nella citata lettera del 4 aprilo 168G il Bkr- nkggkr scriveva al Diodati: « Apologiao 200 exem- plaria ... niercator quidam nostras ad vos cu randa suacopit... Elzoviriis misi Francofurtum oxemplaria 300 apologiao ». < 3ì Lottoro di Galileo a Fra F. Mioanzio, dei 28 giugno o 12 luglio 1630 (Biblioteca Marciana, 01.X, cod. XLVJI, car. 2 o 8), o al Bkrnegger, dei 15 lu¬ glio 1G36 (Epistolario Commcrcii M. Beknrggrki chih viria eruditione dori a, fasciculus socundus. Argento- rati, suinptibus Josiao Staodolii, M.DC.LXX, pag. 115j. 276 AVVERTIMENTO. riparando a gravi errori del copista, si perpetuarono invece negli altri codici con le stesse lezioni erronee che nel cod. V si riscontrano corrette. Quanto agli altri manoscritti, mentre hanno tutti più strette affinità, tra sò che col cod. F, si distinguono poi in due classi. La prima e men numerosa offre un testo migliore, elio dà maggiori indizii di sincerità e che meno si discosta dalla lezione di V; appartengono ad essa i codici che abbiamo distinto coi numeri 2, 3, 8, 9, 11, 14, 17, 18, 19, 22, 27, 31. Gli altri codici, che costituiscono, insieme con la stampa del 1636, la seconda famiglia, danno un testo più frequentemente errato, e per certe lezioni od errori caratteristici si può credere che alcuni di essi pro¬ vengano, piti o men direttamente, dalla medesima fonte da cui ù derivata quella stampa, e altri siano addirittura copie, più o meno esatte, di essa. In tali condizioni essendoci pervenuto il testo della lettera alla Granduchessa Madre, noi non credemmo di dover assegnare il posto d’onoro nella nostra edizione al cod. V t perchè, sebbene quel cimelio sia veramente prezioso, non ci offre, nò ci poteva offrire, la lezione definitiva che Galileo volle dare alla sua scrittura. Scegliemmo perciò un codice della prima famiglia, c precisamente il cod. G (num. 2), che tra quelli di questa classe ò senza dubbio un do* mi¬ gliori ed è stato esemplato da copista toscano, e da esso riproducemmo il nostro testo. Non di rado però fu da noi corretta la lezione di Gf o col sussidio degli altri manoscritti della prima classe o, più di frequente, con l’appoggio di F (l) , spe¬ cialmente l«à dove la mano di Galileo conferisce alla lezione di F una particolare autorità. Del testo di F giudicammo poi nostro ufficio rendere conto minuto, e 10 abbiamo fatto appiè di pagina con le varianti che il lettore vedo stampate in carattere più granile t2) : dalle quali abbiamo tenuto distinto, in un altro ripiano o in un carattere minore, le lezioni di G non accettate nel testo, alcune varianti di altri manoscritti che ci sembrarono degno di nota, e le lezioni della stampa del 1636 (contraddistinte con la sigla s), che sebbene si riducano il più delle volte ad errori, pure abbiamo stimato opportuno assai spesso di raccoglierle, sia perchè rappresentano il testo dei manoscritti della seconda famiglia, sia perchè sono passate in tutte le edizioni posteriori. Di qualche altro particolare clic av¬ vertimmo ne’ codici, informano noto speciali. Cosi ci parve di potere, in maniera sobria e senza aggravar troppo l’apparato critico con infinite varianti, informare 11 lettore sufficientemente di quanto di più importante offrono i testi a penna, dai quali finora nessuno aveva tratto partito ; così abbiamo fatto conoscere e la lezione più antica della scrittura e quella della Volgata, e riproducendo la lettera nel testo definitivo voluto dall’Autore, ma corretto dagli strafalcioni dei copisti, 1,1 Lo postillo marginali, allo quali nello moderno audio dal cod. V. Sposso in siffatto postillo abbiamo ristampo orano stato sostituito poco opportiinainonte corrotto, son/.a farne nota, lo citazioni errate, dolio noto, furono da noi riprodotto togliendolo non i*) Racchiudiamo tra pnrontosi quadro alcuno soltanto dal cod. G, ma, quando in questo mancavano, parolo cho mancano in V por guasti dello culto. AVVERTIMENTO. 277 possiamo diro di presentare anche questo documento in forma affatto nuova: chè le precedenti ristampe avevano riprodotto, direttamente o indirettamente e ri¬ toccandola qua e lft, l’edizione, poco corretta, del 1G36. Alla lettera a Madama Cristina abbiamo fatto seguire, come già si ò accen¬ nato, tre brevi scritture circa V opinione Copernicana, clic si leggono a car. 101 r .— 167 r. e 173r. — 17Gr. del cod. Yolpicelliano A {{ \ o elio noi pensiamo siano stato composte, o almeno diffuse, da Galileo durante il suo soggiorna in Roma nella fine del 1615 e nei primi mesi del 1616. Ter vero dire, queste scritture, che nel codice sono prive di titolo, non portano quivi neppure alcun nomo di autore: ma a Galileo ci pare di poterle ascrivere senza esitazione, e perché vi ritornano cosi quel generale ordino di idee come particolari concetti clic sono esposti nelle lettere al Castelli, al Dini, a Madama Cristina (5) , c perchè lo stile ha tutto il sapore del galileiano, e perche già il 23 marzo 1615 il Nostro scriveva al Dini che, oltre all’avere ormai distesa la scrittura la quale poi indirizzò alla Granduchessa Madre, andava allora < mettendo insieme tutte le ragioni del Copernico, riducendole a chiarezza intel¬ ligibile da molti, dove ora sono assai difficili, e più aggiungendovi molte c molte altre considerazioni > l3) ; e ciò si vede essere stato fatto appunto in questo die noi chiamammo Considerazioni circa V opinione Copernicana , < le quali > scrive T Autore « scranno solamente generali e atto a poter esser comprese senza molto studio e fatica anco da chi non fusse profondamente versato nelle scienze naturali ed astronomiche > (i) . Della terza scrittura (pag. 367-370) possiamo determinare anche più precisamente V occasione. Essa infatti risponde punto per punto alle osservazioni contro il sistema Copernicano contenuto in una lettera del Card. Bel¬ larmino in data 12 aprile 1G15 {5) , di cui Galileo, come sappiamo per sua testimo¬ nianza, teneva copia (0) : la qual lettera il Bellarmino aveva scritto al P. Paolo Antonio Foscarini (7) , che gli aveva mandato il suo opuscolo della mobilità della Terra e stabilità del Solo (S) . Nel riprodurre dal manoscritto queste scritture, abbiamo corretto alcune le¬ zioni manifestamente errate, che annotammo appiè di pagina, e le non rare forme m Furono pubblicato da D. Berti, Antecedenti al processo galileiano e. alla condanna della dottrina Copernicana, negli Atti dilla II. Accademia dei Lincei, Serie terza, Memorie della classo di scienze morali, storicho o filologiche, voi. X, Roma, 18S2, pag. 78*01. <*> Cfr., p. o., pag. 352, lin. 10-22, di queste scrit¬ turo, con pag. 321, lin. 7*18, della lettera alla Gran¬ duchessa; pag. 855, lin. 1 o sog., di questo scritturo, con pag. 297, lin. Ilo sog. della seconda lotterà al Diri; pag. 355, lin. 35 o seg., con pag. 298, lin. M e sog.; pag. 859, lin. 27 e seg., con pag. 298, lin. 20 e seg., ecc. Tag. 300, lin. 10-18, di questo volume. ( 4 > Pag. 351, lin. 22-25. Cod. Yolpicelliano vi, car. 159r.—100»-. La let¬ tola sarà da noi pubblicata al suo posto nel Carteggio. Berti, Il processo originale occ., pag. 181. (7 l Continuiamo a chiamare questo famoso Car¬ melitano col nomo di Foscarini, col quale ò univer¬ salmente conosciuto, sobbeno il suo vero nomo fosso Scarini. Cfr. A. Favaro, Serie nona di scampoli Cali- fatarli, negli Atti e Memorie della 11. Accademia di scien¬ ze,lettera ed arti in Padova, Voi. X, 1891, pag. 38-36. Lettera del R. P. M. Paolo Antonio Foscakisi Carmelitano, sopra V opinione de'Pitta gotici e del Co¬ pernico della mobilità della Terra c stabilità del Sole o. del nuovo Pittagorico sistema del mondo GCC. In Na¬ poli, por Ltizaro Scoriggio, 1615. 278 AVVERTIMENTO. o grafie clic si debbono attribuire senza dubbio al copista non toscano (,) . Tra parentesi quadre furono poi stampato quelle parole elio dovemmo supplirò per¬ chè non si leggono nel codice, essendo guasto lo carte o V amanuense avendole omesse per trascuratezza (5) : o di qualche altra particolarità del tosto fu fatto ricordo nello note. O) Abbiamo corrotto (o ci parvo superfluo notarlo volta per volta) formo o grafie corno dunque, lonyo, (fio me, eoggiomc, reità reni no e simili futuri, doi (por citte), raygioni, cagyione, vastema (per itteto (por !*tetto) t troverai!, afngcndo, hypotheni 0 hipotheni, fìloiuphi, throric.a, auihore, mathematiche, CCC., o, ili ci* lezioni latino, auppoiisiione, mondo (por muiu/o), occ. Altro formo, dello quali siamo molto incorti so siano da attribuirò all’Autore o ni copista, proferimmo ri¬ spettarlo. •U Mancano noi manoscritto por pura trascura¬ tezza dol copista la parola natura a png. 367, lin. 18, o i numeri 4« o a pag. 367, lin. 23 o a png. 368, lin. 17. LETTERA A D. BENEDETTO CASTELLI. [21 DICEMBRE 1018.] Molto Reverendo Padre e Signor mio Osservandissimo, Ieri mi fu a trovare il Sig. Niccolò Arrighetti, il quale mi dette ragguaglio della P. V.: orni’ io presi diletto infinito nel sentir quello di che io non dubitavo punto, ciò è della satisfazion grande che ella dava a tutto cotesto Studio, tanto a i sopraintendenti di esso quanto a gli stessi lettori e a gli scolari di tutte le nazioni ; il qual applauso non aveva contro di lei accresciuto il numero de gli emoli, come suole avvenir tra quelli che sono simili d’ esercizio, ma più presto P aveva ristretto a pochissimi; e questi pochi dovranno essi ancora quietarsi, io se non vorranno che tale emulazione, che suole anco tal volta meritar titolo di virtù, degeneri e cangi nome in affetto biasimevole e dan¬ noso finalmente più a quelli che se ne vestono che a nissun altro. Ma il sigillo di tutto il mio gusto fu il sentirgli raccontar i ragio¬ namenti eh’ ella ebbe occasione, mercè della somma benignità di cote- ste Altezze Serenissime, di promuovere alla tavola loro e di continuar poi in camera di Madama Serenissima, presenti pure il Gran Duca e la Serenissima Arciduchessa, e gl’ Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori D. Antonio e I). Paolo Giordano ed alcuni di cotesti molto Eccellenti filosofi. E che maggior favore può ella desiderare, che il 20 veder Loro Altezze medesime prender satisfazione di discorrer seco, di promuovergli dubbii, di ascoltarne le soluzioni, e finalmente di restar appagate delle risposte della Paternità Vostra? 1. MolVIllustre e inolio Reverendo Padre e mio Signor Osservandissimo, Z — 8. ina bene Vaveva, G*, Z, A, Pogg. — 18. Paol, G — ed alcuno di, V — 21. risoluzioni, V, Z, A, Pogg. — 282 LETTERA I particolari elio ella disse, referitinii dal Sig. Arrighetti, m’hanno dato occasione di tornar a considerare alcune cose in generale circa ’l portar la Scrittura Sacra in dispute di conclusioni naturali, ed al¬ cun’ altro in particolare sopra ’l luogo di Giosuè, propostoli, in con¬ tradizione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, dalla Gran Duchessa Madre, con qualche replica della Serenissima Arciduchessa. Quanto alla prima domanda generica di Madama Serenissima, panni che prudentissimamente fusse proposto da quella e conceduto e stabilito dalla P. V., non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma essere i suoi decreti d’ assoluta ed inviolabile verità. Solo io avrei aggiunto, che, so bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de’ suoi interpreti ed espositori, in vari! modi : tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perchè così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedie mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d’ira, di pentimento, d’ odio, e anco talvolta 1 ’ obblivione delle cose passate e l’ignoranza delle future. Onde, sì come nella Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno 20 aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomo¬ darsi all’ incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritano d’esser separati dalla plebe è necessario clic i saggi espositori producliino i veri sensi, e n’ additino lo ragioni particolari per che siano sotto cotali parole stati profferiti. Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’ esposizioni diverse dall’ appa¬ rente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell’ ultimo luogo : perchè, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come 30 dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecu¬ trice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scrit¬ ture, per accomodarsi all’ intendimento dell’ universale, dir molte cose 11-12. errare, possono non dimeno errare i suoi interpeiri cd expositori, Pr. —12. non di meno errare , A, Pogg. — 14. sempre sul puro, V, Pr., G 5 , Z, A, Pogg. — puro senso litlerale, per¬ che, Pr. — 20-21. proposizioni false quant’al nudo senso delle parole, ma porte in cotal guisa, Pr. — 22. del numeroso volgo, Pr. — 23. dalla stolida plebe, Pr. — 27. necessariamente bisogna d’, G — 31-32. eseguiti'ice, G — 32-33. nella Scrittura, G — A P. BENEDETTO CASTELLI. 2S3 diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero asso¬ luto ; ma, all’ incontro, essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d’ operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali elio o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli ocelli o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura eli’ aves- ser nelle parole diverso sembiante, poi clie non ogni detto della io Scrittura è legato a obblighi così severi coni’ ogni effetto di natura. Anzi, so per questo solo rispetto, d’ accomodarsi alla capacità de’ po¬ poli rozzi e indisciplinati, non s’ è astenuta la Scrittura d’ adombrare de’ suoi principalissimi dogmi, attribuendo sino all’ istesso Dio con¬ dizioni lontanissime e contrario alla sua essenza, chi vorrà asseveran- temente sostenere che ella, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra o di Sole o d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i limitati e ristretti significati delle parole ? e massime pronunziando di esse creature coso lontanissime dal primario instituto di esse Sacre Lettere, anzi cose 20 tali, che, dette e portate con verità nuda e scoperta, avrebbon più presto danneggiata l’intenzion primaria, rendendo il vulgo più con¬ tumace alle persuasioni de gli articoli concernenti alla salute. Stante questo, ed essendo di più manifesto che duo vei’ità non posson mai contrariarsi, è ofizio de’ saggi espositori affaticarsi per trovare i veri sensi de’ luoghi sacri, concordanti con quelle conclu¬ sioni naturali delle quali prima il senso manifesto o le dimostrazioni necessarie ci avesser resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come ho detto, che le Scritture, ben che dettate dallo Spirito Santo, per 1 ’ addotte cagioni ammetton in molti luoghi esposizioni lontane dal suono lit¬ uo terale, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’ in¬ terpreti parlino inspirati divinamente, crederei che fussc prudente¬ mente fatto se non si permettesse ad alcuno l’impegnar i luoghi 11-12. (V accomodars’ all’ incapacità del popolo, non s’ astenuta, Pr.— capacità d’uomini rozi, Z ; capacità (leali uomini rozzi, A, Pogg. — 12-13. Scrittura di pervertire de’ suoi, Pr. — adombrare li suoi, V, G*, Z, A, Pogg. — 14-15. asseveratati}ente, G, M — 22. alla sua salute, G, G‘, G J , Z. A, Pogg. — 26-27. o le demostrazioni generali, anzi necessarie, Pr. —28-29. l’addotte ragioni, V, Pr., G*, Z, A, Pogg. — 29-30. dal senso laterale, Pr., G‘, G-, A — 31. inspirati dal divino lume, crederei, V — 31-32. fusse prudentissimamente fatto, Y — 32. a alcun V impugnar i luoghi, Pr. ; ad alcuno V impiegare i luoghi, Pogg. — 284 LETTERA della Scrittura e obbligargli in certo modo a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E olii vuol por termino a gli umani ingegni? olii vorrà asserire, già essersi saputo tutto quello che è al mondo di scibile ? E per questo, oltre a gli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ «piali non è pericolo alcuno clic possa insurger mai dottrina valida ed efficace, sarebbe forse ottimo consiglio il non ne aggiunger altri senza necessità: e so così ò, quanto maggior di¬ sordine sarebbe 1’aggiugnerli a richiesta di persone, le quali, oltre io che noi ignoriamo se parlino inspirato da celeste virtù, chiaramente vediamo eli’ elleno son del tutto ignudo di quella intelligenza che sarebbe necessaria non dirò a redarguire, ma a capire, le dimostra¬ zioni con lo quali le acutissime scienzo procedono nel confermare alcune lor conclusioni? Io crederei che V autorità delle Sacre Lettere avesse avuto sola¬ mente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, scudo necessarie per la salute loro e superando ogni umano di¬ scorso, non potevano per altra scienza nò per altro mezzo farcisi cre¬ dibili, che per la bocca dell’ istesso Spirito Santo. Ma che quel me- 20 desimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo 1’ uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima par¬ ticella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual ap¬ punto è F astronomia, di cui ve n’ è così piccola parte, che non vi si trovano nò pur nominati i pianeti. Però se i primi scrittori sacri aves¬ sero auto pensiero di persuader al popolo le disposizioni e movimenti de’ corpi celesti, non ne avrebbon trattato così poco, che è come 11. inspirate da Dio, chiaramente,Z, A, Pogg.—14-15. confermare le loro conclusioni, Z —16-17. avesse avuto principalmente la mira a persuader, G; avesse auto totalmente la mira a persuadere, G ! ; avesse la mira solamente di persuadere, Z ; avesse la mira di persua¬ dere, A, Fogg.—18. necessarie per la cognizione delle cose divine e per la salute loro, e che superando, G — untati, G — 22-23. le notizie delle cose naturali clic, G — 23-24. conseguire, non veggo come sia necessario, ancor che sia possibile, e massime, G — 24-25. una particella, G 25. conclusioni diverse se, V, Pr., G A, Pogg. — 26 27. che non si trovano neppur (pur, Pogg.) numerati tutti i pianeti, A, Pogg. —27. nominati altri pianeti se non sia il Sole e la Luna, G — 27-28. se primi scrittori avessero auto particolare intento di persuader, G — 27-29. se Moisc avess’ avuto pensiero di persuader ... celesti, non n’avrebbe trattato, Pr., O 1 — A D. BENEDETTO CASTELLI. 285 niente in comparazione dell’ infinite conclusioni altissime e ammirande che in tale scienza si contengono. Veda dunque la I\V. quanto, s’io non erro, disordinatamente pro¬ codino quelli che nelle dispute naturali, o che direttamente non sono de Fide, nella prima fronte costituiscono luoghi della Scrittura, e bene spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali veramente credono d’ avere il vero senso di quel luogo particolar della Scrittura, ed in consequenza si tengon sicuri d’ avere in mano 1’ assoluta verità della quistiono che intendono di disputare, dichinmi appresso ingenua- io mente, se loro stimano, gran vantaggio aver colui che in una disputa naturale s’incontra a sostener il vero, vantaggio, dico, sopra 1’ altro a chi tocca sostener il falso ? So che mi risponderanno di sì, e che quello che sostiene la parte vera, potrà aver mille esperienze e mille dimostrazioni necessarie per la parto sua, o che 1’ altro non può aver se non sofismi paralogismi e fallacie. Ma se loro, contenendosi dentro a’ termini naturali nè producendo altr’ arme che le filosofiche, sanno d’ essere tanto superiori all’ avversario, perchè, nel venir poi al con¬ gresso, por subito mano a un’ arme inevitabile o tremenda, che con la sola vista atterrisce ogni più destro ed esperto campione? Ma, 20 s’io devo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sen¬ tendosi inabili a potere star forti contro gli assalti dell’ avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare. Ma perchè, come ho detto pur ora, quello che ha la parte vera dalla sua, ha gran vantaggio, anzi grandissimo, sopra 1’ avversario, e perchè è impossi¬ bile che due verità si contrariino, però non doviamo temer d’ assalti che ci vengliino fatti da chi si voglia, pur che a noi ancora sia dato campo di parlare o d’ essere ascoltati da persone intendenti o non soverchiamente alterate da proprie passioni e interessi. In confermazione di che, vengo ora a considerare il luogo parti- so colare di Giosuè, per il qual ella apportò a loro Altezze Serenissime tre dichiarazioni; è piglio la terza, che ella produsse come mia, sì come veramente è, ma v’ aggiungo alcuna considerazione di più, qual non credo d’ avergli detto altra volta. Posto dunque, e conceduto per ora all’ avversario, che le parole 4-5. naturali, che 7ion son de Fide, G — 9. dichimmi, G, G 2 ; dichiwnno, M ; dichino, F, F, A, Pogg. — 19. destro cd onorato campione, G — 28. soverchiamente ulcerati da prcpo- stere passioni cd interessi, Fogg. — 30-31. apportò ad alcuni tre, Pr. — 280 LETTERA del testo sacro s’abbino a prender nel senso appunto ch’elle suonano, ciò ò die Iddio a’preghi di Giosuè facesse fermare il Sole e prolungasse il giorno, ond’esso ne conseguì la vittoria; ma richiedendo io ancora, che la medesima determinazione vaglia per me, sì clic l’avversario non pre¬ sumesse di legar me o lasciar se libero quanto al poter alterare o mutare i significati delle parole; io dicoche questo luogo ci mostra manife¬ stamente la falsità e impossibilità del mondano sistema Aristotelico e Tolemaico, e all’ incontro benissimo s’accomoda co ’l Copernicano. E prima, io dimando all’ avversario, s’egli sa di quali movimenti si muova il Sole ? Se egli lo sa, è forza che e’ risponda, quello muo- io versi di due movimenti, cioè del movimento annuo da ponente verso levante, e del diurno all’ opposito da levante a ponente. Ond’ io, secondariamente, gli domando se questi due movimenti, così diversi e quasi contrarii tra di loro, competono al Sole e sono suoi proprii egualmente ? E forza risponder di no, ma elio un solo è suo proprio e particolare, ciò è 1’ annuo, e 1’ altro non è altramente suo, ma del cielo altissimo, dico del primo mobile, il quale rapisce seco il Sole e gli altri pianeti e la sfera stellata ancora, constringen¬ doli a dar una conversione ’ntorno alla Terra in 24 ore, con moto, come ho detto, quasi contrario al loro naturale e proprio. 20 Vengo alla terza interrogazione, e gli domando con quale di que¬ sti due movimenti il Sole produca il giorno e la notte, cioè se col suo proprio 0 pure con quel del primo mobile ? È forza rispondere, il giorno e la notte esser effetti del moto del primo mobile, e dal moto proprio del Sole depender non il giorno e la notte, ma le sta¬ gioni diverse e V anno stesso. Ora, se il giorno depende non dal moto del Solo, ma da quel del primo mobile, chi non vede che per allungare il giorno bisogna fer¬ mare il primo mobile, e non il Sole? Anzi, pur chi sarà ch’intenda questi primi elementi d’ astronomia e non conosca che, se Dio avesse 30 fermato 1 moto del Sole, in cambio d’ allungar il giorno 1’ avrebbe scorciato e fatto più breve ? perchè, essendo ’l moto del Solo al con- 0. di quanti movimenti, Z, A, l’ogg. —10-26. e Votivo b del primo mobile in 24 ore (ote oc., A, 1 ogg.), quasi contrario a i moti de’pianeti clic rapisce. Terso, li domando con qual moto produca (produce, A; produrrà, Pogg.) il giorno e la notte? È forza che risponda, dal (risponda del, Pogg. ; risponda, col moto partecipatogli dal, A) primo mobile ; c dal Sole (c dal moto proprio di esso Sole, A) dependere le stagioni diverse c l’anno istesso, Z, A, Pogg. — 31 32. Vaie¬ rebbe scemato e fatto, Z, Pogg. — A D. BENEDETTO CASTELLI. 287 trario (lolla conversione diurna, quanto più ’l Sole si movesse verso oriente, tanto più si verrebbe a ritardar il suo corso all’ occidente ; e diminuendosi o annullandosi il moto del Sole, in tanto più breve tempo ghignerebbe all’ occaso : il qual accidente sensatamente si vede nella Luna, la quale fa le sue conversioni diurne tanto più tarde di quello del Sole, quanto il suo movimento proprio ò più veloce di quel del Sole. Essendo, dunque, assolutamente impossibile nella costituzion di Tolomeo o d’Aristotile fermare il moto del Sole e allungare il giorno, sì come afferma la Scrittura esser accaduto, adunque o bisogna che io i movimenti non sieno ordinati come vuol Tolomeo, o bisogna alterar il senso delle parole, c dire che quando la Scrittura dice clic Iddio fermò ’l Sole, voleva dire elio fermò T primo mobile, ma che, per acco¬ modarsi alla capacità di quei clic sono a fatica idonei a intender il nascere e ’l tramontar del Sole, ella dicesse al contrario di quel che avrebbe detto parlando a uomini sensati. Aggiugnesi a questo, che non è credibile eh’ Iddio fermasse il Sole solamente, lasciando scorrer 1 ’ altre sfere ; perchè senza necessità nes¬ suna avrebbe alterato e permutato tutto l’ordine, gli aspetti e le disposizioni dell’ altre stelle rispett’ al Sole, e grandemente perturbato 20 tutto’l coi’so della natura: ma è credibile Ch’Egli fermasse tutto’l sistema delle celesti sfere, le quali, dopo quel tempo della quiete in¬ terposta, ritornassero concordemente alle lor opre senza confusione o alterazion alcuna. Ma perchè già siamo convenuti, non doversi alterar il senso dello parole del testo, è necessario ricorrere ad altra costituzione delle parti del mondo, e veder se conforme a quella il sentimento nudo delle parole cammina rettamente e senza intoppo, sì come veramente si scorge avvenire. Avendo io dunque scoperto e necessariamente dimostrato, il globo 1-3. della conversivi divina, per prolungar il giorno, conforme a quello clic abbiamo dalla sacra istoria, non solo non bisognava fermarlo e ritardarlo, ma per V opposito accrescerlo cento e cento più volte del suo naturale e consueto instituto, cioè quanto il moto d’nn giorno c più veloce di quello che si fa in un anno, perchè è manifesto dii diminuendosi, V — 2 .a ritar¬ dare il moto ed il suo corso , G 2 , Z; ritardare il moto del suo corso, À; ritardare il moto con il suo corso , Pogg. — 3. diminuendosi e annullandosi, G, G 1 , G*, F, P — 5-6. di quella del, G —11. il senso litteralc della Scrittura, e dire che quando ella dice, Pr., G‘, li —12. il Sole , doveva dire, Pr., G 1 , Il — 15. uomini più sensati, V; uomini savii c sensati, II — 22. senza confusioni o, G — 24-25. non dover alterare il senso lilteralc del testo , Pr., G \ H — 26. il sentimento delle, Pr., G ! , H; il senso delle, A — 288 LETTERA A D. BENEDETTO CASTELLI. del Sole rivolgersi in sè stesso, facendo un’ intera conversione in un mese lunare in circa, per quel verso appunto che si fanno tutte 1’ altre conversioni celesti; ed essendo, di più, molto probabile e ragionevole che il Sole, come strumento e ministro massimo della natura, quasi cuor del mondo, dia non solamente, coni’ egli chiaramente dà, luce, ma il moto ancora a tutti i pianeti che intorno se gli raggirano; so, con¬ forme alla posizion del Copernico, noi attribuirono alla Terra prin¬ cipalmente la conversimi diurna; chi non vede che per fermar tutto il sistema, onde, senza punto alterar il restante delle scambievoli rela¬ zioni de’ pianeti, solo si prolungasse lo spazio e ’l tempo della diurna io illuminazione, bastò che fusse fermato ’l Sole, coni’ appunto suonai! le parole del sacro testo ? Ecco, dunque, il modo secondo il quale, senza introdur confusione alcuna tra le parti del mondo e senza alterazion delle parole della Scrittura, si può, col fermar il Sole, allungar il giorno in Terra. Ito scritto più assai che non comportano le mie indisposizioni: però finisco, con oflferirmegli servitore, e gli bacio le mani, pregan¬ dogli da N. S. le buone feste e ogni felicità. Di Firenze, li 21 Dicembre 1613. Di Vostra Paternità molto Reverenda co Servitore A ffezionatissimo Galileo Galilei. 2. 1nnar y G — 5. dà, la luce, Pogg. —* 7-8. noi costituiremo ( costituissimo, A, Pogg.), la Terra muoversi almeno di moto diurno; chi, Z, A, Pogg. — 9-10. Nel coti. (I onde (lin. 9) o solo (lin. 10) 8i leggono cancellati, e in luogo di solo è sostituito acciò. — 10. li 22 di Xmhre , V — Dopo il testo della lettera, nel Pr. si legge: Al Molto Itcverendo Padre Colendissimo il Padre 1). Benedetto Castello, Monaco Casinense c lettore delle Mattematiche in Pisa; o nel coti. (j ! si legge: A tergo. Al Molto Reverendo Padre e mio Signore Colendissimo il Padre l>on Benedetto Castelli, lettore delle Matematiche in Pisa .— LETTERE A MONS. PIERO DINE [10 FEBBRAIO e 23 MARZO 1616.J V. 37 Molto Illustre e Reverendissimo Signor mio Colendissimo, Perchè so che V.S. molto Illustre e Reverendissima fu subito av¬ visata delle replicate invettive che furono, alcune settimane fa, dal pulpito fatte contro la dottrina del Copernico e suoi seguaci, e più contro i matematici e la matematica stessa, però non gli replicherò nulla sopra questi particolari che da altri intese : ma desidero bene che lei sappia, come, non avendo nè io nè altri fatto un minimo moto o risentimento sopra gl’ insulti di elio fummo non con molta carità aggravati, non però si son quietate 1 ’ acces’ ire di quelli ; anzi, es- 10 sondo ritornato da Pisa il medesimo Padre che si era fatto sentire quell’ anno in privati colloquii, ha aggravato di nuovo la mano sopra di ino: ed essendogli pervenuta, non so donde, copia di una lettera eh’ io scrissi 1 ’ anno passato al Padre Mattematico di Pisa in propo¬ sito dell’apportare le autorità sacre in dispute naturali ed in espli¬ cazione del luogo di Giosuè, vi vanno esclamando sopra, e ritrovan¬ dovi, per quanto dicono, molte eresie, ed insomma si sono aperti un nuovo campo di lacerarmi. Ma perchè da ogni altro che ha veduta detta lettera non mi è stato fatto pur minimo segno di scrupolo, vo dubitando che forse chi 1 ’ ha trascritta possa inavvertentemente aver 20 mutata qualche parola ; la qual mutazione, congiunta con un poco di disposizione alle censure, possa far apparire le cose molto diverse 4. fatte e contro, R, M, Mgb., H — 9. Veccessive ire, lì, M, Mgb., H — 10. da Pisa il M." dal Padre, G, R, Mgb., Il ; da Pisa il maestro del Padre, M 1 — 11. colloquii aggravalo, G, R, Mgb.. Il colloquii aggravata, M* ; colloquii ha aggravata, M* — 18. non mi è pur stato fatto minimo, G — 292 LETTERA A MONS. PIRRO DINI dalla mia intenzione. E perchè alcuni di questi Padri, ed in particolare quest’ istesso che ha parlatole ne son venuti costà per far, corno intendo, qualche altro tentativo con la sua copia di detta mia lettera, mi è parso non fuor di proposito mandarne una copia a Y.S. Reverendissima nel modo giusto che l’ho scritta io, pregandola che mi favorisca di leggerla insieme col Padre Grembergiero Gesuita, matematico insigne e mio grandissimo amico e padrone, ed anche lasciargliela, se forse parrà, op¬ portuno a S.R. di farla con qualche occasione pervenire in mano del- P Illustrissimo Cardinal Bellarmino, al quale questi Padri Domenicani si son lasciati intendere di voler far capo, con ispcranza di far, per lo io meno, dannar il libro del Copernico e la sua oppinione o dottrina. La lettera fu da me scritta a or cu ti calamo; ma queste ultime con¬ citazioni, ed i motivi che questi Padri adducono per mostrare i de¬ meriti di questa dottrina, ond’ella ineriti di essere abolita, mi hanno fatto veder qualche cosa di più scritta in simili materie: e veramente non solo ritrovo, tutto quello che ho scritto essere stato detto da loro, ma molto più ancora, mostrando con quanta circonspezione bisogni andar intorno a quelle conclusioni naturali che non son de Fide, allo quali possono arrivare P esperienze e le dimostrazioni necessario, o quanto perniciosa cosa sarebbe l’asserir come dottrina risoluta nelle 20 Sacro Scritture alcuna proposizione della quale una volta si potesse aver dimostrazione in contrario. Sopra questi capi ho distesa una scrittura molto copiosa, ma non l’ho ancora al netto in maniera che ne possa mandar copia a V.S., ma lo farò quanto prima: nella quale, quel che si sia dell’efficacia delle mie ragioni e discorsi, di questo ben son sicuro, che ci si troverà molto più zelo verso Santa Chiesa e la dignità delle Sacro Lettere, che in questi miei persecutori ;• poi elio loro proccurano di proibir un libro ammesso tanti anni da Santa Chiesa, senza averlo pur mai lor veduto, non che letto 0 inteso ; ed io non fo altro che esclamare che si esamini la sua dottrina 0 si ponderino so le sue ragioni da persone cattolicliissime ed intendentissime, che si rin¬ contrino le sue posizioni con Pesperienze sensate, e che in somma non 3. con la seco copia, G—7. padrone, c forse lasciargliela, se parrà, 11; padrone, e forse lasciargliela e, se parrà, M 1 , Mpb. ; padrone, e anco lasciargliela, se forse parrà, M* ; padrone, ed anche lasciargliela, se parrà, Il — 7-8. opportuno a V.S. Reverendissima, di farla, M* — 15. cosa scritta di piu, G, M- si ni il materia, lì, M 5 — 18. cognizioni, R, M, Mgb., H — 22. questi casi ho, R - 2G. che ci troverà, Il ; che si troverà, M, Mgb. - 31-32. riscontrino, R, M, Mgb. — 32. posizioni corretto in proposizioni, II; proposizioni, M 1 —cd in somma che (eh’e’, M 1 ) non, R, M, Mgb., II - 1G FEBBRAIO 1G15. 293 si danni se prima non si trova falso, se è vero che una proposizione non possa insieme esser vera ed erronea. Non mancano nella cristia¬ nità uomini intendentissimi della professione, il parer de’ quali circa la verità o falsità della dottrina non doverà esser posposto all’arbitrio di chi non è punto informato c che pur troppo chiaro si conosce essere da qualche parziale affetto alterato, sì come benissimo conoscono molti che si trovono qua in fatto, e che veggono tutti gli andamenti c son informati, almeno in parte, delle macchine e trattato. Niccolò Copernico fu uomo non pur cattolico, ma religioso e ca¬ lo nonico ; fu chiamato a Roma sotto Leone X, quando nel concilio Lateranense si trattava l’emendazione del calendario ecclesiastico, fa¬ cendosi capo a lui come a grandissimo astronomo. Restò nondimeno indecisa tal riforma per questa sola cagione, perchè la quantità do gli anni e de’ mesi de’ moti del Sole e della Luna non erano abba¬ stanza stabiliti : onde egli, d’ ordine del Vescovo Semproniense, che allora era sopraccapo di questo negozio, si messe con nuove osserva¬ zioni ed accuratissimi studii all’investigazione di tali periodi; e ne conseguì in somma tal cognizione, che non solo regolò tutti i moti de’ corpi celesti, ma si acquistò il titolo di sommo astronomo, la cui so dottrina fu poi seguita da tutti, e confonne ad essa regolato ultima¬ mente il calendario. Ridusse le sue fatiche intorno a’ corsi e costitu¬ zioni de’ corpi celesti in sei libri, li quali, a richiesta di Niccolò Scombergio, Cardinale Capuano, mandò in luce, e gli dedicò a Papa Paolo III, e da quel tempo in qua si son veduti publicamente senza % scrupolo nessuno. Ora questi buoni frati, solo per un sinistro affetto contro di me, sapendo che io stimo questo autore, si vantano di dargli il premio delle sue fatiche con farlo dichiarare eretico. Ma quello che è più degno di considerazione, la prima lor mossa contro questa oppinione fu il lasciarsi metter su da alcuni miei raa- ao ligni che gliela dipinsero per opera mia pi’opria, senza dirli che ella fosse già 70 anni fa stampata; e questo medesimo stile vanno tenendo con altre persone, nelle quali cercano d’imprimer sinistro concetto di me : e questo gli va succedendo in modo tale, che, sendo pochi 2. esser, R, M 1 , Mgb., H— possa esser vera ed erronea insieme. Non, M s — 8. ma¬ drine c trattati di questi tali, M 2 — 10. Lione, G — 13. indecisa allora tal , M* — 14. mesi edi moti , G; mesi e de moti , R, M, Mgb.; mesi c dei moti , H —15. di ordine, G — 16. so¬ pra capo, G, M ; sopracapo, R, Mgb. — 22. in 13 libri, G, R, M 1 , Il — 23. Scobergio, G, R, M*, Mgb., Il — 24. veduti e letti publicamente, M* — 29. da certi miei, R, M 3 , Mgb., H — t LETTERA A MONS. FIERO LINI 294 giorni sono arrivato qua Monsignor Gherardini, Vescovo di Fiesole, nelle prime visito a pien popolo, dove si abbatterono alcuni amici miei, proroppo con grandissima veemenza contro di me, mostrandosi gravemente alterato, e dicendo che n’era per far gran passata con Loro Altezze Serenissime, poi che tal mia stravagante oppili ione ed erronea dava che dire assai in Roma ; e forse avrà a quest’ ora fatto il debito, se già non l’ha ritenuto l’essere destramente fatto avver¬ tito, elio l’autore di questa dottrina non è altramente un Fioren¬ tino vivente, ma un Tedesco morto, che la stampò già 70 anni sono, dedicando il libro al Sommo Pontefice. io Io vo scrivendo, nò mi accorgo che parlo a persona informatissima di questi trattamenti, e forse tanto più di me, quanto che ella si trova nel luogo dove si fanno gli strepiti maggiori. Scusimi della prolissità; e se scorge equità nessuna nella causa mia, prestimi il suo favore, chè gliene viverò perpetuamente obbligato. Con che lo bacio riveren¬ temente le mani, e me gli ricordo servitore devotissimo, e dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 16 Febbraio 1614. Di V. S. molto Illustre e Reverendissima Servitore Obbligatissimo Galileo Galilei. 20 Poscritta. Ancorché io difficilmente possa credere che si fosse por precipitare in prendere una tal risoluzione di annullar questo autore, tuttavia, sapendo per altre prove quanta sia la potenza della mia dis¬ grazia, quando è congiunta con la malignità ed ignoranza de’ miei avversari, mi par di aver cagione di non mi assicurar del tutto sopra la somma prudenza e santità di quelli da chi ha da dipender 1’ ul¬ tima risoluzione, sì che quella ancora non possa esser in parte affa¬ scinata da questa fraudo che va in volta sotto il manto di zelo o di 4. che rierano per, G, M ! — 7. il detto, se, M 1 ; il debito suo, se, R, M* — 8 -9. un cattolico Fiorentino vivente, ma un cattolico Todesco morto, M s — 10. Pontefice, capo di tutto il Calto- lichismo, AI 5 — 18. 1614 ab Ine., M ! — 29. va involta, M, Mgb. ; va involata, H — \ 16 FEBBRAIO 1615. 295 carità. Però, per non mancare, per quanto posso, a me stosso ed a quello che dalla mia scrittura vedrà in breve Y.S. Reverendissima che è vero e purissimo zelo, desiderando che almanco ella possa prima esser veduta, e poi prendasi quella risoluzione elio piacerà a Dio (che io quanto a me son tanto bene edificato e disposto, che prima 'che contravvenire a’ miei superiori, quando non potessi far altro, e che quello che ora mi pare di credere e toccar con mano mi avesse ad essere di pregiudizio all’anima, eruerem oculum meum ne me scandalisaret) ; io credo che il più presentaneo rimedio sia il battere alli Padri Ge¬ suiti, come quelli che sanno assai sopra le comuni lettere de’ frati : però gli potrà dar la copia della lettera, ed anco leggergli, se le pia¬ cerà, questa che scrivo a lei ; e poi, per la sua solita cortesia, si de¬ gnerà di farmi avvisato di quanto avrà potuto ritrarre. Non so so fosse opportuno essere col Sig. Luca Valerio, e dargli copia di detta lettera, come uomo che è di casa del Cardinale Aldobrandino e po¬ trebbe fare con S.S. qualche offizio. Di questo e di ogni altra cosa mi rimetto alla sua bontà e prudenza, e gli raccomando la riputazion mia, e di nuovo gli bacio le mani. 1-2. slesso e da quello, 11, Mgb. — 1-3. cd a quello che V.S. Reverendissima vedrà in breve dalla mia scrittura che è vero, M* ; c da quella e dall*altra mia scrittura vedrà in breve V.S. Jie- verendissima che è vero, M 2 — 3-4. possa esser, 11, M, Mgb., II — 5. io per me. II, M, Mgb., II — 6-7. altro che quel che mi par ora di vedere e toccar , M 1 ; altro, e che io temessi che quello che ora mi par di vedere e toccar, M* — 12. poi, con la sua, M 3 —14. opportuno esserne con, M‘ — 15. casa il Cardinale (il Sig. Cardinale, M*), 11, M, Mgb., H — 16. con Sua Santità qualche, R, M — «rtKVK Molto Illustre e Reverendissimo Sig. inio Colendissimo, Risponderò succintamente alla cortesissima lettera di V.S. molto Illustre e Reverendissima, non mi permettendo il poter far altramente il mio cattivo stato di sanità. Quanto al primo particolare che ella mi tocca, che al più che po¬ tesse esser deliberato circa il libro del Copernico, sarebbe il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse introdotta per salvar 1’ ap¬ parenze, nel modo eli’ altri introdussero gli eccentrici e gli epicicli, senza poi credere che veramente e’ sieno in natura, gli dico (rimet¬ tendomi sempre a chi più di me intende, e solo per zelo che ciò che si ò per fare sia fatto con ogni maggior cautela) che quanto a salvar 1’ apparenze il medesimo Copernico aveva già per avanti fatta la fa¬ tica, e satisfatto alla parte de gli astrologi secondo la consueta o ri¬ cevuta maniera di Tolomeo; ma che poi, vestendosi l’abito di filo¬ sofo, c considerando se tal costituzione delle parti dell’universo poteva realmente sussistere in rerum natura, e veduto che no, e parendogli pure che il problema della vera costituzione fusse degno d’esser ri¬ cercato, si messe all’ investigazione di tal costituzione, conoscendo che se una disposizione di parti fìnta e non vera poteva satisfar all’ appa- 2-3. V.S. Illustrissima e Jleverendissima, M — 3. permettendo di far, V ; permettendo di poter fare, A —10. sempre a quelli che più di me intendono, c solo, V —12. aveva di già fatta, M — 15. costituzione poteva, G 5 , Z, A — 16. e veduto clic in modo alcuno V ordine delle parti del mondo non poteva sussistere in quella maniera, c parendoli, Y, G*, Z, A — 17. costituzione dell’universo fosse, M ; conslitueione del mondo fusse, G‘ ! , Z, A — 19. se una costituzione di parti, M — 298 LETTERA A MONS. TIERO DINI ronzo, molto più ciò si arebbe ottenuto dalla vera e reale, o nell’istosso tempo si sarebbe in filosofia guadagnato una cognizione tanto eccel¬ lente, qual è il sapere la vera disposizione delle parti del mondo ; o trovandosi egli, per 1’ osservazioni e stridii di molti anni, copiosissimo di tutti i particolari accidenti ossci’vati nelle stelle, senza i quali tutti diligentissimamente appresi e prontissimamente affissi nella mente ò impossibile il venir in notizia di tal mondana constituzione, con re¬ plicati studii e lunghissime fatiche conseguì quello che l’ha reso poi ammirando a tutti quelli che con diligenza lo studiano, sì che restino capaci de’suoi progressi: tal che il voler persuadere che il Coper-io nico non stimasse vera la mobilità della Terra, por mio credere, non potrebbe trovar assenso se non forse appresso chi non l’avesse letto, essendo tutti G i suoi libri pieni di dottrina dependente dalla mobi¬ lità della Terra, o quella esplicante e confermante. E so egli nella sua dedicatoria molto ben intende e confessa che la posiziono della mobilità della Terra era per farlo reputare stolto appresso l’univer¬ sale, il giudizio del quale egli dice di non curare, molto più stolto sarebb’ egli stato a voler farsi reputar tale per un’ opiniono da sò in¬ trodotta, ma non interamente e veramente creduta. Quanto poi al dire che gli autori principali che hanno introdotto 20 gli eccentrici e gli epicicli non gli abbino poi reputati veri, questo non crederò io mai ; e tanto meno, quanto con necessità assoluta bi¬ sogna ammettergli nell’età nostra, mostrandocegli il senso stesso. Per¬ chè, non essendo 1’ epiciclo altro elio un cerchio descritto dal moto d’ una stella la quale non abbracci con tal suo rivolgimento il globo terrestre, non veggiamo noi di tali cerchi esserne da quattro stelle descritti quattro intorno a Giove ? e non è egli più chiaro che ’l Sole, che Venere descrive il suo cerchio intorno ad esso Sole senza com¬ prender la Terra, e per conseguenza forma un epiciclo? e l’istesso accade anco a Mercurio. In oltre, essendo 1 ’ eccentrico un cerchio che 30 ben circonda la Terra, ma non la contiene nel suo centro, ma da una banda, non si ha da dubitare se il corso di Terra, vedendosi egli ora più vicino ed ora Marte sia eccentrico alla più remoto, in tanto che 1. si sarebbe ottenuto, M, G ? , Z, A — 3. la vera costituzione delle, M — 4 . di tant'anni, V, G , Z, A 15-1G. dedicatoria sa (sapea, A) che tal sua posizione (tal proposizione, Z) era, V, G , Z, A 19. interamente cd aveertentemente creduta, G s ; internamente 0 veracemente credula, A - 22. quanto che con, V, Z, A — 23. ammetterli, mostrandoceli, V, G 1 , Z, A - 2G. noi esserne, M — 30. accade a, M — 32. se il cerchio di, M — 23 MABZO 1G15. 290 ora lo veggiamo piccolissimo ed altra volta di superficie G0 volto maggiore ; adunque, qualunque si sia il suo rivolgimento, egli cir¬ conda la Terra, e gli è una volta otto volte più presso die un’altra. E di tutto queste cose o d’altre simili in gran numero ce n’hanno data sensata esperienza gii ultimi scoprimenti : tal che il voler am¬ mettere la mobilità della Terra solo con quella concessione e proba¬ bilità che si ricevono gli eccentrici e gii epicicli, è un ammetterla per sicurissima, verissima c irrefragabile. Ben è vero che di quelli che hanno negato gli eccentrici e gli epi- 10 cicli io ne trovo 2 classi. Una è di quelli che, sendo del tutto ignudi dell’ osservazioni do’ movimenti delle stelle c di quello che bisogni salvare, negano senza fondamento nessuno tutto quello che e’ non in¬ tendono : ma questi son degni che di loro non si faccia alcuna con¬ siderazione. Altri, molto più ragionevoli, non negheranno i movimenti circolari descritti da i corpi delle stelle intorno ad altri centri che quello della Terra, cosa tanto manifesta, che, all’ incontro, è chiaro, nessuno de’ pianeti far il suo rivolgimento concentrico ad essa Terra; ma .solo negheranno, ritrovarsi nel corpo celeste una struttura di orbi solidi o tra sè divisi e separati, che, arrotandosi e fregandosi insieme, co portino i corpi de’pianeti otc. : e questi crederò io che benissimo discor- i*ino; ma questo non è un levar i movimenti fatti dalle stelle in cerchi eccentrici alla Terra o in epicicli, che sono i veri e semplici assunti di Tolomeo e de gli astronomi grandi, ma è un repudiar gli orbi so¬ lidi materiali e distinti, introdotti da i fabbricatori di teoriche per agevolar l’intelligenza de i principianti ed i computi de’ calcolatori ; o questa sola parte è fittizia e non reale, non mancando a Iddio modo di far camminare le stelle per gl’immensi spazii del cielo, ben dentro a limitati e certi sentieri, ma non incatenate o forzate. Però, quanto al Copernico, egli, per mio avviso, non è capace di so moderazione, essendo il principalissimo punto di tutta la sua dottrina e 1’ universal fondamento la mobilità della Terra e stabilità del Sole: però, o bisogna dannarlo del tutto, o lasciarlo nel suo essere, par¬ lando sempre per quanto comporta la mia capacità. Ma se sopra una tal resoluzione e’ sia bene attentissiinamente considerare, ponderare, 3. la Terra, egli è, G, V, G ? , A — volta circa otto, G — 8. per verissima, sicurissima e, V, M ; per sicurissima, certissima e, Z ; per certissima, sicurissima, irrefragabile, A — inrefragabile, G, G ! , Z — 10. è di coloro che, V, G s , Z, A — 12. fondamento veruno tutto, M — 20. pianeti e que¬ sti, G, G* — 22. eccentrici della Terra, G, F — 24. faticatori della sfera per, Z — 300 LETTERA A MONS. ITERO PINI esaminare, ciò che egli scrive, io mi sono ingegnato ili mostrarlo in una mia scrittura, per quanto da Dio benedetto ini è stato conceduto, non avendo mai altra mira elio alla dignità di Santa Chiesa o non indirizzando ad altro lino lo mie deboli fatiche; il qual purissimo c zelantissimo affetto son ben sicuro clic in essa scrittura si scorgerà chiaro, quando per altro ella fosse piena d’ errori o di cose di poco momento: e già 1’avorei inviata a V.S. Reverendissima, se alle mie tanto e si gravi indisposizioni non si fusso ultimamente aggiunto un assalto di dolori colici clic m’ha travagliato assai; ma la manderò quanto prima. Anzi, per il medesimo zelo, vo mettendo insieme tutte io le ragioni del Copernico, riducendole a chiarezza intelligibile da molti, dove ora sono assai diffìcili, e più aggiungendovi molto e molte altre considerazioni, fondate sempre sopra osservazioni celesti, sopra espe¬ rienze sensate e sopra incontri di effetti naturali, per offerirle poi a i piedi del Sommo Pastore ed all’ infallibile determinazione di Santa Chiesa, che ne faccia quel capitale che parrà alla sua somma prudenza. Quanto al parere del M.R. P. Grembergero, io veramente lo laudo, e volentieri lascio la fatica delle interpretazioni a quelli clic inten¬ dono infinitamente più di me. Ma quella breve scrittura che mandai a Y. S. Reverendissima ò, come vede, una lettera privata, scritta più cu d’un anno fa all’amico mio, per esser letta da lui solo; ma aven¬ doli’egli, pur senza mia saputa, lasciato prender copia, e sentendo io che P era venuta nelle mani di quel medesimo che tanto acerbamente, m’aveva sin dal pulpito lacerato, e sapendo eli’ei l'aveva portata costà, giudicai ben fatto che ve ne fusso un’ altra copia, per poterla in ogni occasione incontrare, e massime avendo quello ed altri suoi aderenti teologi sparso qua voce, come detta mia lettera era piena d’ eresie. Non è, dunque, il mio pensiero di metter mano a impresa tanto superiore alle mie forze ; se ben non si deve anco diffidare che la Benignità divina tal volta si degni di inspirare qualche raggio so della sua immensa sapienza in intelletti umili, e massime quando son almeno adornati di sincero e santo zelo ; oltre che, quando si abbino a concordar luoghi sacri con dottrine naturali nuove e non comuni, ò necessario aver intera notizia di tali dottrine, non si potendo accordar due corde insieme col sentirne una sola. E se io conoscessi di potermi 3. che la dignità, M —1. deboli fovee; il, M — 5-6. si leggerà chiaro, M — 15. del Sommo Pontefice ed, M, Z. A — 26. occasione riscontrare, e, M, Z, A — 23 MARZO 1G15. 301 prometter alcuna cosa dalla debolezza del mio ingegno, mi piglierei ar¬ dire di diro di ritrovar tra alcuni luoghi delle Sacre Lettere e di questa mondana constituzione molte convenienze che nella vulgata filosofia non così ben mi pare che consuonino: e l’avermi V.S. Reverendissima accennato, come il luogo del Salmo 18 è do i reputati più repugnanti a questa opinione, m’ ha fatto farci sopra nuova reflessione, la quale mando a V.S. con tanto minor renitenza, quanto ella mi dico che l’Illustrissimo e Reverendissimo Cardinal Bellarmino volentieri vedrà se ho alcun altro di tali luoghi. Però, avendo io satisfatto al semplice io cenno di S.S. Illustrissima e Reverendissima, veduta che abbia S.S. Il- lustrissima questa mia, qualunque ella si sia, contemplazione, ne faccia quel tanto che la sua somma prudenza ordinerà ; che io intendo so¬ lamente di riverire c ammirare le cognizioni tanto sublimi, e obbe¬ dire a i cenni de’ miei superiori, ed all’arbitrio loro sottoporre ogni mia fatica. Però, non mi arrogando elio, qualunque si sia la verità della sup¬ posizione ex parie naturae, altri non possino apportare molto più con¬ gruenti sensi alle parole del Profeta, anzi stimandomi io inferiore a tutti, e però a tutti i sapienti sottoponendomi, direi, parermi che nella so natura si ritrovi una substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale, diffondendosi per l’universo, penetra per tutto senza con¬ trasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; e di questo spirito par che ’l senso stesso ci dimostri il corpo del Sole es¬ serne ricetto principalissimo, dal quale espandendosi un’ immensa luce per 1’ universo, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, gli rende vividi e fecondi. Questo ragio¬ nevolmente stimar si può essere qualche cosa di più del lume, poi che ei penetra e si diffonde per tutte le sustanze corporee, ben che densissime, per molte delle quali non così penetra essa luce: tal che, 30 sì come dal nostro fuoco veggiamo e sentiamo uscir luce e calore, e questo passar per tutti i corpi, ben elio opaci o solidissimi, e quella trovar contrasto dalla solidità e opacità, così 1’ emanazione del Sole è lucida e calorifica, e la parte calorifica ò la più penetrante. Che 1. cosa della debolezza, G, G”— G. questa mia opinione,, M — 10-11. abbia V. S. Illustris¬ sima questa, M; abbia questa, G', Z. Nel cod. À è incerto se debba leggersi V. S. o S.S .— 12. che alla sua somma prudenza parerà ; che, V — 18. stimandomi inferiore , G, M— 20. si trovi una, V, Z, A — 22. tutte le creature , V — 23-24. essere, G 2 , A — 33. la più potente e penetrante , M — i 302 LETTERA A MONS. PIERO DI NI poi di questo spirito e di questa luce il corpo solaro sia, come ho detto, un ricotto e, per così dire, una conserva che ab extra gli ri¬ ceva, più tosto che un principio o fonte primario dal quale origina¬ riamente si derivino, panni che so n’abbia evidente certezza nelle Sacro Lottere, nello quali veggiamo, avanti la creazione del Sole, lo spirito con la sua calorifica e feconda virtù foventem aquas scu incu- bantem super aquas per lo future generazioni ; c parimente aviarno la creazione della luce nel primo giorno, dove che il corpo solaro vion croato il giorno quarto. Onde molto verisimilmonte possiamo affer¬ mare, questo spirito fecondante e questa luce diffusa per tutto il io mondo concorrere ad unirsi o fortificarsi in esso corpo solare, por ciò nel centro dell’ universo collocato, e quindi poi, fatta più splendida e vigorosa, di nuovo diffondersi. Di questa luce primogenea e non molto splendida avanti la sua unione e concorso nel corpo solare, ne aviamo attestazione dal Pro¬ feta nel Salmo 73, v. 10: Tuus est dics et tua est nox: Tu fabricatus cs auroram et Soletti; il qual luogo vion intorpetrato, Iddio aver fatto avanti al Sole una luce simile a quella dell’aurora: di più, nel testo ebreo in luogo d’ aurora si legge lume, per insinuarci quella luce elio fu creata molto avanti al Sole, assai più debile della medesima rice- 20 vuta, fortificata e di nuovo diffusa da esso corpo solare. A questa sen¬ tenza mostra d’alludere l’opinione d’alcuni antichi filosofi, che hanno creduto lo splendor del Sole esser un concorso nel centro del mondo de gli splendori delle stelle, che, standogli intorno sfericamente dis¬ poste, vibrano i raggi loro, li quali, concorrendo e intersecandosi in esso centro, accrescono ivi e per mille volte raddoppiano la luce loro ; onde ella poi, fortificata, si reflette e si sparge assai più vigorosa e ripiena, dirò così, di maschio e vivace calore, e si diffonde a vivificare tutti i corpi che intorno ad esso centro si raggirano: sì che, con certa similitudine, come nel cuore dell’animale si fa una continua regene-so razione di spiriti vitali, che sostengono e vivificano tutte le membra, mentre però viene altresì ad esso cuore altronde sunnninistrato il pa¬ bulo e nutrimento, senza il quale ei perirebbe, così nel Sole, mentre alt extra concorre il suo pabulo, si conserva quel fonte onde conti- 8. dove il corpo, M, Z — 9. creato il quarto, M, Z, A — 11-12. solare, c quindi, M - 14. pri¬ mogenea ne molto, V, G*, Z, R, A — 16. Salmo 37, G — «. 17, G, V, M, G’, R, A ; v. 73, Z — 30. quote, G. M, G ! 32. quote, M, G s , F — 32-33. viene ad esso quote somministrato altro pabulo , M — 23 MARZO 1 Gl5. 303 imamente deriva e si diffonde questo lume e calore prolifico, clic dà la vita a tutti i membri che attorno gli riseggono. Ma come che della mirabil forza ed energia di questo spirito e lume del Sole, diffuso per l’universo, io potessi produr molte attestazioni di filosofi c gravi scrit¬ tori, voglio che mi basti un solo luogo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus; il quale è talo: Lux duini colliqit con- vertitque ad se omnia, quae videntur, quae movcntur, qitae illustrantur, quae calescunt, et uno nomine ea quae ab eius splendore continentur. Itaque Sol Ilios dicitur, quod omnia eonqreget colligatque dispersa. E poco più a basso io scrive dell’istesso: Si enim Sol hic, quetn vidcmus, eorum quae sub sensuin cadunt essentias d qualitates , quamquam nmltae sint ac dissimiles, tamen ipse, qui unus est acquai)Hitcrquc lumen fundit, renovaJt, alit, tuetur, per¬ fidi, dividit, coniungit, fovet, foecunda rcddit, auget, mutai, firmat, edit, movet, vitalìaquc facit omnia, et unaquaeque res liuius universitatis, prò capta suo , unius atque ciusdem Solis est particeps, causasque niuUoruni, quae participant, in se aequdbiliter anticipatas habet; certe maiorc rat ione eie. Ora, stanto questa filosofica posizione, la quale è forse una delle principali porte per cui si entri nella contemplazione della natura, io crederrei, parlando sempre con quella umiltà e reverenza che devo a 20 Santa Chiesa e a tutti i suoi dottissimi Padri, da me riveriti e os¬ servati ed al giudizio de’ quali sottopongo me ed ogni mio pensiero, crederrei, dico, elio il luogo del Salmo potesse aver questo senso, cioè che Deus in Sole posuit tabernacuhm suum come in sede nobilissima di tutto ’1 mondo sensibile; dove poi si dice che Ipse, tanquam sponsus proccdens de thalamo suo, exultavit utgigas ad currendam vxam, intenderei, ciò esser detto del Sole irradiante, ciò è del lume e del già dotto spi¬ rito calorifico e fecondante tutte le corporee sostanze, il quale, pai’- tendo dal corpo solare, velocissimamente si diffonde per tutto ’1 mondo: al qual senso si adattano puntualmente tutte le parole. E prima, nella so parola sponsus aviamo la virtù fecondante e prolifica ; l’ exuliare ci ad¬ dita quell’ emanazione di essi raggi solari fatta, in certo modo, a salti, come ’l senso chiaramente ci mostra ; ut gigas, o vero ut fortis, ci de¬ nota l’efficacissima attività e virtù di penetrare per tutti i corpi, ed insieme la somma velocità del muoversi per immensi spazii, essendo 8-0. Sol Itjlios dicitur , G, V, M, G*; Sol Ignis dicitur, Z, A —16. acquabiliter acccptas habet, G, V, INI, G\ Z, li, A — 18. si elitra nella, V, G 2 , Z, A — 25. suo, cxultet ut, G, V, M, G 2 , Li [nel cod. li cxultet ò corretto, da altra mano, in exultavit J ; suo, cxultat ut, A — 304 LETTERA A MONS. PIERO DINI 1* emanazione della luce come instantanea. Confermasi dalle parole procedens de thalamo suo, elio tale emanazione e movimento si deve ro- ferire ad esso lume solare, e non all’ istesso corpo del Sole ; poi elio il corpo e globo del Sole è licetto e tanquam thalamus di esso lume, nò torna ben a dire che thalamus proceda! de thalamo. Da quello elio segue, a summo caeli egressio eim , aviamo la prima derivazione o par¬ tita di questo spirito e lume dall’ altissime parti del cielo, ciò è sin dalle stelle del firmamento o anco dalle sedi più sublimi. Et occursus eius usqite ad summum eius: ecco la reflessione e, per così dire, la riema¬ nazione dell’ istesso lume sino alla medesima sommità del mondo. Se- io gue : Nec est qui se ahscondat a calore eius : eccoci additato il calore vivificante e fecondante, distinto dalla luce e molto più di quella pe¬ netrante per tutte lo corporali sustanze, ben elio densissime ; poi clic dalla penetrazione della luce molte cose ci difendono e ricuoprono, ma da questa altra virtù non est qui se ahscondat a calore eius. Nè devo tacer cert’ altra mia considerazione, non aliena da questo proposito. To già ho scoperto il concorso continuo di alcune materie tenebrose sopra il corpo solare, dove cileno si mostrano al senso sotto aspetto di macchie oscurissime, ed ivi poi si vanno consumando e risolvendo; ed accennai come queste por avventura si potrebbono stimar parte 20 di quel pabulo, o forse gli escrementi di esso, del quale il Solo da alcuni antichi filosofi fu stimato bisognoso per suo sostentamento. Ilo anco dimostrato, per 1’ osservazioni continuate di tali materie tene¬ brose, come il corpo solare per necessità si rivolge in sè stesso, c di più accennato quanto sia ragionevol il creder che da tal rivolgimento dependino i movimenti de’ pianeti intorno al medesimo Sole. Di più, noi sappiamo che l’intenzione di questo Salmo è di laudare la legge divina, paragonandola il Profeta col corpo celeste, del quale, tra le cose corporali, nissuna è più bella, più utile e più potente. Però, avendo egli cantati gli encomii del Sole e non gli essendo occulto che egli so fa raggirarsi intorno tutti i corpi mobili del mondo, passando alle mag¬ giori prerogative della legge divina e volendola anteporre al Sole, aggiunge : Lex Uomini immaculata, convertens animas de. ; quasi vo¬ lendo dire che essa legge è tanto più eccellente del Sole istesso, quanto 6, cado, M, Z, R, A — 14. penetrazione molte cose, G—18-10. dove elleno si vanno con¬ sumando, G, V, M—28. celeste del Sole, del quale, M — 29-30. Però, doppo aver etili, V, R; Però, dopo Vavertili, G ! ; Peni, doppo avergli, Z, A — 32-33. Sole sogghigno: Lea-, V, M, Gr, lt — 34. eccellente del Sole, quanto, Gr ; eccellente di esso Sole, quanto, M — 23 MARZO 1615 . 305 1’ esser immaculato ed aver facoltà di convertir intorno a sè le anime è più eccellente condizione die l’essere sparso di macchie, come è il Sole, ed il farsi raggirar attorno i globi corporei e mondani. So e confesso il mio soverchio ardire nel voler por bocca, essendo imperito nelle Sacre Lettere, in esplicar sensi di sì alta contempla¬ zione: ma come che il sottomettermi io totalmente al giudizio de’ miei superiori può rendermi scusato, così quel che segue del versetto già esplicato, Testimonium Domini fidale, sapientiam praestans parvulis, ni’ ha dato speranza, poter esser che la infinita benignità di Dio possa in- ìo dirizzare verso la purità della mia mente un minimo raggio della sua grazia, per la quale mi si illumini alcuno de’ reconditi sensi delle sue parole. Quanto ho scritto, Signor mio, è un pieeoi parto, bisognoso d’ esser ridotto a miglior forma, lambendolo e ripulendolo con affe¬ zione e pazienza, essendo solamente abbozzato e di membra capaci sì di figura assai proporzionata, ma per ora in composte e rozze: se averò possibilità, 1’ andrò riducendo a miglior simmetria ; intanto la prego a non lo lasciar venire in mano di persona che, adoprando, invece della delicatezza della lingua materna, 1’ asprezza ed acutezza del dente novercale, in luogo di ripulirlo non lo lacerasse e dilaniasse del 20 tutto. Con che le bacio riverentemente le mani, insieme con li Si¬ gnori Buonarroti, Guiducci, Soldani e Giraldi, qui presenti al serrar della lettera. Di Firenze, li 23 Marzo 1614. Di V. S. molt’ Illustre e Reverendissima Servitore obi iratissimo Galileo Galilei. 5. esplicar i sensi, G, M —11. per lo quale , M, G*, R— 15. incomposte r. rotte : se, G; inc.omposte: e se, M — 17. a non lo voler lasciar, M — 18. Vaspreza c dureza del, M — 20. Nei cod. G etl M manca da Con che Bino alla tino della lettera: nel cod. G si legge però la sottoscrizione Galileo Galilei. — 23. Nei cod. F e P manca la data. — Nel cod. G 5 si legge, dopo la sottoscrizione, quanto segue: A tergo. Al Molto Illustre c Reverendo Signore mio Colendissimo Monsignore Pietro Dini . — v. 39 LETTERA A MADAMA CRISTINA DI LORENA GRANDUCHESSA DI TOSCANA. (1G15.1 ALLA SERENISSIMA MADAMA LA GRAN DUCHESSA MADRE GALILEO GALILEI. Io scopersi pochi anni a dietro, corno ben sa l’Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune consequenze che da essi dependono, contrariatiti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi, mi eceitorno contro non piccol nu¬ mero di tali professori ; quasi che io di mia mano avessi tali cose io collocate in cielo, per intorbidar la natura c le scienze. E scorda¬ tisi in certo modo, che la moltitudine de’ veri concorre all’ investi¬ gazione, accrescimento o stabilimento dello discipline, e non alla diminuzione o destruzionc, o dimostrandosi noll’istesso tempo più af- fezzionati alle proprie opinioni che alle vere, scorsero a negare e far prova d’ annullare, quelle novità, dello quali il senso istesso, quando avessero voluto con attenzione riguardarle, gli averebbe potuti ren¬ der sicuri ; e per questo produssero varie cose, ed alcune scritture pubblicarono ripiene di vani discorsi, e, quel che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle Sacre Scritture, tolte da luoghi non bene 20 da loro intesi e lontano dal proposito addotti : nel qual errore forse non sarebbono incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento 1-3. Il eod. Y non aveva originalmente alcuna intestazione: d’altra mano iu poi ag¬ giunto: A Madama Serenissima di Toscana G. G. —4-5. come ben ... Serenissima manca in V — 8. scuole de’ filosofanti — 11. in un certo modo — 12. delle scienze , c — 14. scorsero a dannare e far —15. quelle verità delie — 17. questo scrissero varie —19-20. da luoghi da loro non bene intesi e addotti lontani dal proposito : nel quale errore — 4. Io scoperai alcuni anni, s — 9-10. cose nuovamente collocate, s — 13. diminuzione c dcslruzzionc, s — 310 LETTERA che ci dà S. Agostino, intorno all’ andar con riguardo nel determi¬ nar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser compreso per via del solo discorso ; mentre, parlando pur di certa conclusione Lìb.aec.D» dentai ad naturale attenente a i corpi celesti, scrive così: Nunc autein, servata lìleiam, in fine. t semper moderntióne pine gravitatis, mini credere de re obscura temere débemus, ne forte quod postea verìtas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Vcteris sive Novi, nullo modo esse possif adverstm, tanmi propter amoretti nostri etroris oderimus. È accaduto poi che il tempo ò andato successivamente scoprendo a tutti le verità prima da me additate, o con la verità del fatto la io diversità degli animi tra quelli che schiettamente c sena’ altro livore non ammettevano per veri tali scoprimenti, c quegli che all’incre¬ dulità aggiugnevano qualche affetto alterato: onde, sì come i più in¬ tendenti della scienza astronomica c della naturale restarono per¬ suasi al mio primo avviso, così si sono andati quietando di grado in grado gli altri tutti che non venivano mantenuti in negativa o in dubbio da altro che dall’inaspettata novità e dal non aver avuta occasione di vederne sensato esperienze ; ma quelli che, oltre al- 1’ amor del primo errore, non saprei qual altro loro immaginato in¬ teresse gli rende non bone affetti non tanto verso le coso quanto 20 verso l’autore, quelle, non le potendo più negare, cuoprono sotto un continuo silenzio, e divertendo il pensiero ad altre fantasie, inacerbiti più che prima da quello onde gli altri si sono addolciti e quietati, tentano di progiudicarmi con altri modi. De’ quali io vera¬ mente non farci maggiore stima di quel che io mi abbia fatto del- l’altre contradizzioni, dello quali mi risi sempre, sicuro dell’esito elio doveva avere ’l negozio, s’io non vedessi che le nuove calunnie e persecuzioni non terminano nella molta o poca dottrina, nella quale io scarsamente pretendo, ma si estendono a tentar di offendermi con macchie che devono essere e sono da me più aborrite che la morte, 30 nè devo contentarmi die le sieno conosciute per ingiuste da quelli solamente che conoscono me e loro, ma da ogn’ altra persona ancora. Persistendo dunque nel primo loro instituto, di voler con ogni immagi- nabil maniera atterrar me c le coso mie ; sapendo come io ne’ miei 10. la verità prima da me additata — 24-25. t o non farci — 33-34. ogni immaginata maniera — 7-8. adversuut, propter, (i - lO./utto si è fatto potete la, s — 17. e da non, s — 21. l'autore di quelle, 8 — 22.« divertono il, s-— 27. che doreria avere, s — 32.conoscano, (I — 32-33. persona. Pcrsittcndo, s — 34. conte nc',G — A MADAMA CRISTINA DI LO RENA. 311 studi di astronomia e di filosofia tengo, circa alla costituzione delle parti del mondo, che il Sole, senza mutar luogo, resti situato ' nel centro delle conversioni de gli orbi celesti, e che la Terra, converti¬ bile in sò stessa, se gli muova intorno; e di più sentendo che tal posizione vo confermando non solo col reprovar le ragioni di To- lommeo o d’Aristotile, ma col produrne molte in contrario, ed in par¬ ticolare alcuno attenenti ad effetti naturali, lo cause de’ quali forse in altro modo non si possono assegnare, ed altre astronomiche, de¬ pendenti da molti rincontri de’nuovi scoprimenti celesti, li quali apor- 10 temente confutano il sistema Tolemaico e mirabilmente con quest’al¬ tra posizione si accordano e la confermano; e forse confusi per la conosciuta verità d’ altre proposizioni da me affermate, diverse dalle comuni; e però diffidando ormai di difesa, mentre restassero nel campo filosofico; si son risoluti a tentar di fare scudo alle fallacie de’ lor discorsi col manto di simulata religione e con 1 ’ autorità dello Scritture Sacre, applicate da loro, con poca intelligenza, alla con¬ futazione di ragioni nè intese nò sentite. E prima, hanno per lor medesimi cercato di spargere concetto nell’ universale, che tali proposizioni sieno contro alle Sacre Lettere, 20 ed in consequenza dannando ed eretiche ; di poi, scorgendo quanto per lo più l’inclinazione dell’umana natura sia più pronta ad ab¬ bracciar quell’ imprese dalle quali il prossimo ne venga, ben che ingiustamente, oppresso, che quelle ond’ egli ne riceva giusto solle¬ vamento, non gli è stato difficile il trovare chi per tale, ciò è per dannanda ed eretica, 1 ’ abbia con insolita confidenza predicata sin da i pulpiti, con poco pietoso e men considerato aggravio non solo di questa dottrina e di chi la segue, ma di tutte le matematiche e de’ matematici insieme ; quindi, venuti in maggior confidenza, e va¬ namente sperando che quel seme, che prima fondò radice nella mente 30 loi’o non sincera, possa diffonder suoi rami ed alzargli verso il cielo, vanno mormorando tra ’l popolo, che per tale ella sarà in breve di¬ chiarata dall’ autorità suprema. E conoscendo che tal dichiarazione spianterebbe non sol queste due conclusioni, ma renderebbe dan- nande tutte 1 ’ altro osservazioni e proposizioni astronomiche o natu- 14. risoluti di rivolgersi à tentar — 9. molti riscontri di nuovi, s — l i. filosofico; per questi, dico, colali rispetti si son, s — 21-25. ciò il dan¬ nanda, s — 34. c proposizioni manca nella stampa — \ 312 LETTERA rali, elio con esso hanno corrispondenza e necessaria connessione, per agevolarsi il negozio corcano, per quanto possono, di far apparir questa opinione, almanco appresso all’ universale, come nuova o mia parti¬ colare, dissimulando di sapere che Niccolò Copernico fu suo autore o più presto innovatore e conformatore, uomo non solamente cattolico, ma sacerdote e canonico, e tanto stimato, che, trattandosi nel concilio Lateranense, sotto Leon X, della emendazion del calendario ecclesia¬ stico, egli fu chiamato a Roma sin dall’ ultime parti di Germania per questa riforma, la quale allora rimase imperfetta solo perchè non si aveva ancora esatta cognizione della giusta misura dell’ anno e del io mese lunare : onde a lui fu dato il carico dal Vescovo Semproniense, allora soprintendente a quest’ impresa, di corcar con replicati studi e fatiche di venire in maggior lume e certezza di essi movimenti co¬ lesti ; ond’egli, con fatiche veramente atlantiche e col suo mirabil ingegno, rimessosi a tale studio, si avanzò tanto in questo scienze, e a tale esattezza ridusse la notizia de’ periodi de’ movimenti celesti, che si guadagnò il titolo di sommo astronomo, e conforme alla sua dottrina non solamente si è poi regolato il calendario, ma si fabbri- corno le tavole di tutti i movimenti de’ pianeti : ed avendo egli ri¬ dotta tal dottrina in sei libri, la pubblicò al mondo a i preghi del eo Cardinal Caimano o del Vescovo Culmense ; c come quello che si era rimesso con tante fatiche a questa impresa d’ ordine del Sommo Pon¬ tefice, al suo successore, ciò è a Paolo III, dedicò il suo libro delle Rivoluzioni Celesti, il qual, stampato pur allora, ò stato ricevuto da Santa Chiesa, letto estudiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa pur minima ombra di scrupolo nella sua dottrina. La quale ora mentre si va scoprendo quanto ella sia ben fondata sopra mani¬ feste esperienze e necessarie dimostrazioni, non mancano persone che, non avendo pur mai veduto tal libro, procurano il premio delle tante fatiche al suo autore con la nota di farlo dichiarare eretico ; e que- so sto solamente per sodisfare ad un lor particolare sdegno, concepito 4-5. Dapprima il coti. V leggeva come il cod. fi (fuorché a lin. 5 leggeva, e legge, o più tosto innovatore)', poi Galileo cancellò di suo pugno fu dopo Copernico, e lo riscrisse dopo cnnfcrmatore. 16. periodi de gli orbi celesti — 21. e del Vescovo Culmense manca in V — 25. Chiesa e letto — 27. quanto sia —31. per satisfare ad — 5. jivcèto rcnovatorc e, s — fi. sacerdote, canonico, s — A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 313 senza ragione contro di un altro, che non ha più interesse col Co¬ pernico che 1’ approvar la sua dottrina < ”. Ora, per queste false note che costoro tanto ingiustamente cer¬ cano di addossarmi, ho stimato necessario per mia giustificazione ap¬ presso 1’ universale, del cui giudizio o concetto, in materia di religione e di reputazione, devo far grandissima stima, discorrer circa a quei par¬ ticolari che costoro vanno producendo per detestare ed abolire questa opinione, ed in somma per dichiararla non pur falsa, ma eretica, facen¬ dosi sempre scudo di un simulato zelo di religione e volendo pur info¬ io ressar le Scritture Sacre c farle in certo modo ministro de’ loro non sinceri proponimenti, col voler, di più, s’ io non erro, contro l’intenzion di quelle e de’ Santi Padri, estendere, per non dir abusaro, la loro autorità, sì che anco in conclusioni pure naturali e non de Fide , si deva lasciar totalmente il senso e le ragioni dimostrative per qual¬ che luogo della Scrittura, che tal volta sotto le apparenti parole potrà contener sentimento diverso. Dove spero di dimostrar, con quanto più pio o religioso zelo procedo io, che non fanno loro, mentre propongo non che non si danni questo libro, ma che non si danni, come vorreb- bono ossi, senza intenderlo, ascoltarlo, nò pur vederlo, e massime sendo 20 autore che mai non tratta di cose attenenti a religione o a fede, nè con ragioni dependenti in modo alcuno da autorità di Scritture Sacre, dove egli possa malamente averle interpetrate, ma sempre se ne sta su conclusioni naturali, attenenti a i moti celesti, trattate con astro¬ nomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate espe¬ rienze ed accuratissime osservazioni. Non che egli non avesse posto cura a i luoghi delle Sacre Lettere; ma perchè benissimo intendeva, IO. in un certo modo — 2C>. luoghi delle Scritture; ma — 3-1. ccrcono, G, s — 5. e concetto manca nella stampa. — 0. religione, volendo, 0, s — 11. contro al- V intemion, s— 15. luogo di Scrittura, G, s. Il cod. V leggeva puro originariamonto di Scrittura; ma que¬ sta lezione fu poi corretta, forse di mano di Galileo, in della Scrittura. — 1G. di mostrare con, h — 17. fanno enei mentre, s — 24-25. /ondate ... osservazioni manca nella stampa c noi codici che con ossa si accordano; però nella traduzione latina, elio accompagna nella stampa il tosto italiano, si leggo: adiunctis astronomieis et geometrici» demonstrationìOus, quae scnauum cxjìerimcntie et accuratissimi« observationibus innituntur. — Sul margine del cod. G (come pure versia con eretici intorno alla riforma del ca- in qualche altro codice, p. e. nel Magliabc- lendario, non piccola occasione si darebbo chiano Cl. XI, 139 o noi Parigino Fonti ita - loro di più sparlare, mentre vedessero dan- licn 212) si legge a questo punto: «Nota nar la dottrina di colui conforme alla quale come, vertendo di presente qualche contro- fu presa la riforma di esso calendario *. v. 40 3 14 LETTERA che sendo tal sua dottrina dimostrata, non poteva contrariare allo Scritture inteso perfettamente : e però nel fine della dedicatoria, par¬ lando al Sommo Pontefice, dice così : Si forlasse- erunt mataeologi, qui, curri omnium mathematum ignari sint, tamen de illis iudicium assumunt, propter aliquem locum Scripturae, male ad suum proposittm detortum, ausi fuerint hoc meum institntum rcpraehendere ac insectari, illos nihU moror, adeo ut etiam illorum iudicium tanquam temerarium contemnam. Non enim óbscurum est, Lactantium, celebrem alioqui scriptorem , scd mathematicum parum, admodum pueriliter de forma Terrae loqui, cum deridet eos qui Tcrram globi formam habere prodiderunt. Itaque non dcbct mirum videri io studiosis, si qui tales nos etiam ridebunt. Mathemata mathematicis scribun- tnr, quibus et hi nostri labores (si me non fallit opimo) videbuntur etiam Itcipublicae Ecclesiasticae conducere aliquid, cuius prineipatum Tua San- ctitas nunc tenet. E di questo genere si scorge esser questi elio s’ingegnano di per¬ suadere che tale autore si danni, senza pur vederlo ; e per persuadere elio ciò non solamente sia lecito, ma ben fatto, vanno producendo alcune autorità della Scrittura e de’ sacri teologi e de’ Concilii : le quali sì come da me son reverite e tenute di suprema autorità, sì che somma te¬ merità stimerei esser quella di chi volesse contradirgli mentre vengono 20 conforme all’ instituto di Santa Chiesa adoperate, così credo elio non sia errore il parlar mentre si può dubitare che alcuno voglia, per qual¬ che suo interesse, produrle e servirsene diversamente da quello che è nella santissima intenzione di Santa Chiesa; però, protestandomi (e anco credo che la sincerità mia si farà per sò stessa manifesta) che io intendo non solamente di sottopormi a rimuover liberamente quegli errori ne’ quali per mia ignoranza potessi in questa scrittura incor¬ rere in materie attenenti a religione, ma mi dichiaro ancora non voler ncll’istesse materie ingaggiar lite con nissuno, ancor che fussero punti disputabili: perchè il mio fine non tende ad altro, se non che, se in queste so considerazioni, remote dalla mia professione propria, tra gli errori clic ci potessero essere dentro, ci è qualche cosa atta ad eccitar altri a qualche avvertimento utile per Santa Chiesa circa ’l determinar sopra ’l 15. Di questo genere — esser quelli che — 28. dichiaro non voler — i. de ii» iudicium, s — 25. anco che, s. Tale ò nitrosi la lezione di molti dei codici elio fanno famiglia con la stampa, rloi quali altri (p.e. il Riccardiauo 2110, il Marciano Cl. IV, n. L1X, il Parigino Fond italien ir>07, il cod. LVI. 4. G della Biblioteca Guarnacci di Volterra, il Magliabochiano II. IX. 65) leggono anco spero che — 28. religione, mi dichiaro, G, s — A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 315 sistema Copernicano, ella sia presa e fattone quel capitale che parrà a’superiori; so no, sia pure stracciata ed abbruciata la mia scrit¬ tura, eh’ io non intendo o pretendo di guadagnarne frutto alcuno che non fusse pio e cattolico. E di più, ben che molte delle cose che io noto lo abbia sentite con i proprii orecchi, liberamente ammetto e con¬ cedo a chi 1’ ha dette che dette non 1’ abbia, se così gli piace, con¬ fessando poter essere eli’ io abbia franteso ; e però quanto rispondo non sia detto per loro, ma per chi avesse quella opinione. Il motivo, dunque, che loro producono per condennar 1’ opinione io della mobilità della Terra e stabilità del Sole, è, che leggendosi nelle Sacre Lettere, in molti luoghi, elio il Sole si muove e che la Terra sta ferma, nè potendo la Scrittura mai mentire o errare, ne seguita per necessaria conseguenza che erronea o dannanda sia la sentenza di chi volesse asserire, il Sole esser per sò stesso immobile, e mobile la Tetra. Sopra questa ragione panili primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento ; il qual non credo che si possa negare esser molte volte 20 recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno, nell’ esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sa¬ rebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani ed occhi, e non meno affetti corporali ed umani, come d’ira, di pentimento, d’ odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza delle future ; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capa- 30 cita del vulgo assai rozo e indisciplinato, così per quelli che meri¬ tano d’ esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori 4. che non fosse totalmente pio — molte cose — 9-10. T motivi, dunque ... Sole , sono che. Tn luogo di sono prima diceva, a quanto paro, è. —14-15. c la Terra mobile — 16-17. essere savtissimamcntc — 18. la Scrittura — 22. suono gramaticale , potrebbe — 28. dettante così lo — 2-8. scrittura, poi che io, s — 8. di yuadaynanni frutto, G, s — 8. quelle opinione, 8 — 18. La Scrittura Sacra mentire, s — 22. suono grammaticale^ potrebbe, 8 . Oltre elio nella stampa e noi cod. V, grammaticale si legge noi Marucellinno 11. 1. 20, noi Marciano Cl. IV, n. CCCCIjXXXVII, noi Magliabochiano CL. XI, 189 occ. ; col cod. G invoco s’accordano il Casanatense (575 e il Baldovinetti 230. — 28. proporzioni, «t come dettante così lo, s — t 310 LETTERA no producliino i veri sensi, e n’ additino lo ragioni particolari per che e’ siano sotto cotali parole profferiti : ed ò questa dottrina così trita e specificata appresso tutti i teologi, elio superfluo sarebbe il pro¬ durne attestazione alcuna. Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli ò occorso di pronun¬ ziare alcuna conclusione naturale, e massimo delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo medesimo avviso, per non aggiugnero confusione nelle menti di quel medesimo popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio. io Perchè so, come si è detto e chiaramente si scorgo, per il solo rispetto d’ accommodarsi alla capacità popolare non si ò la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all’ istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà as- severantemente sostenere che l’istessa Scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra, d’ acqua, di Sole o d’ altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle parole ? e massime nel pronunziar di esso creature cose non punto concernenti al primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla salute dell’anime, 20 e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo. Stante, dunque, ciò, mi par che nelle disputo di problemi natu¬ rali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scrit¬ ture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perchè, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, 0 questa come osservantissima essecutrice de gli ordini di Dio; od essendo, di più, con¬ venuto nelle Scritture, per accommodarsi all’intendimento dell’univer¬ sale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesora- so bile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impo¬ stogli, come quella che nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d operare sieno 0 non sieno esposti alla capacità degli uomini; pare 2. sotto tati parole — 3-4. sarebbe produrne — 5. assai agevolmente e con ragione dedurre — 21. e cose ... vulgo manca in V. — 22. dispute de’problemi — 8-4. il produrre attestazione, s — 9. di quello medesimo, G —-11. Perchè (*i come ... scorge) per, 8 — 22. di¬ spute de'inolienti, 8 — % / A MADAMA CRISTINA DI LORRNA. 317 clie quello dogli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli ocelli o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non die condennato, per luoghi della Scrittura die avessero nelle parole diverso sembiante ; poi che non ogni dotto della Scrittura è legato a obblighi così severi coni’ ogni effetto di natura, nè meno eccellentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne’sacri detti delle Scritture: il che volse per avventura intender Tertulliano in quelle parole : Nos defi- Tmiuiuamm, Adver- sus Marcionctn, 1 ìib.p.° t nimus, Dmm primo natura cognoscendum, deinde doctnna recognoscendum : «*/>•• m. io indura, ex operibus; doctnna, ex praedicationibus. Ma non per questo voglio inferire, non doversi aver somma con¬ siderazione de i luoghi delle Scritture Sacre; anzi, venuti in certezza di alcune conclusioni naturali, doviamo servircene per mozi accomo¬ datissimi alla vera esposizione di esse Scritture ed all’investigazione di quei sensi che in loro necessariamente si contengono, come veris¬ sime e concordi con le verità dimostrate. Stimerei per questo che 1’ autorità delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere prin¬ cipalmente a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza nè per altro mezo 20 farcisi credibili, che per la bocca dell’ istesso Spirito Santo : di più, che ancora in quelle proposizioni che non son de Fide l’autorità delle medesime Sacre Lettere dova esser anteposta all’autorità di tutto le scritture umane, scritte non con metodo dimostrativo, ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto l’istessa divina sapienza su¬ pera ogn’ umano giudizio e coniettura. Ma che quell’ istesso Lio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, pospo¬ nendo V uso di questi, dai’ci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anco in quelle conclusioni naturali, che o 30 dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all’ intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo, o massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente, ed anco 1-2. pone avanti affli occhi — 17. avesse anta la mira — 19. discorso ed essendo somma¬ mente neccssarii per la salute de Vanirne , non potevano — 32. non credo sia — 7. effetti naturali che, s pare che sui, s — 15-16. come verissimi c, s — 22-23. tutte le scienze umane, s — 82. non mi 318 LETTERA /). Attguslinus, lib. 5 hi Genesi»! ad literani c, 0. 11 medesimo si legge in Pietro Lombardo maestro dolio senten¬ ze. in conclusioni diviso, so ne legge nella Scrittura, ; quale appunto è 1’ astronomia, di cui ve n’ è così piccola parte, che non vi si trovano nè pur nominati i pianeti, eccetto il Solo e la Luna, ed una o due volte solamente, Venere, sotto nome di Lucifero. Però se gli scrittori sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e movimenti de’ corpi celesti, c che in conseguenza dovessimo noi ancora dallo Sacre Scritture apprender tal notizia, non ne avrebbon, per mio credere, trattato così poco, che è come niente in compara¬ zione dello infinite conclusioni ammirande che in tale scienza si con¬ tengono e si dimostrano. Anzi, che non solamente gli autori delle io Sacre Lettere non abbino preteso d’insegnarci le costituzioni e movi¬ menti de’ cieli e delle stelle, e loro figure, grandezze o distanze, ma che a bello studio, ben che tutto queste cose fussero a loro notissime, se ne sieno astenuti, è opinione di santissimi e dottissimi Padri: ed 1 in S. Agostino si leggono le seguenti parole : Q a acri elìcmi solet, quae forma et figura cadì esse credenda sit secundum Scripturas nostras : multi enim multimi disputante de iis rebus, quas malore prudentia nostri authorcs omiserunt, ad beatavi vitam non profuturas cliscentibus, et occupantes (quod peius est) multimi prolixa et rebus salubribus hnpendenda temporum spalla. Quid enim ad ine pertinet, utruvi cadimi, sicut sphera, unclique concludat 20 Terravi, in inedia mundi mole libratavi, an cavi ex una parte desuper, velut discus, operiat ? Sed quia de fide agitar Scrìpturarum, propter Ulani causavi guani non semel commemoravi, ne scìlicct quisquam, eloquia divina non in- telUgens, cum de bis rebus tale aliqnid vel invenerit in libris nostris vcl ex ' illis audierit quod perceptis assertionibus adversari videatur, nullo modo cis ■ cader a utilia monentibus vel narrantibus vel pronunciantibus credat; breviter diccndum est, de figura cadi hoc. sdsse authores nostros quod veritas habet, sed Spiritum Dei, qui per ipsos loquebatur, noluisse ista docere homines, nulli saluti profutura. E pur V istesso disprezzo avuto da’medesimi scrittori sacri nel determinar quello che si deva credere di tali accidenti de’ corpi 30 celesti, ci vien nel seguente cap. 10 replicato dal medesimo S. Agostino, nella quistione, se si dova stimare che ’l cielo si muova o pure stia fermo, scrivendo così : De motti diavi cadi nonnulli fratres quaestionem movent, 2-3. che nò pur vi si trovano nominati — 29-31. Ne! cod. V manca pur l’istesso ... sacri (lin. 30), e dopo replicato (lin. 31) ò aggiunto, di mano di Galileo e sul margine, Vistesso.— 5-0. disposi «ioni o movimenti, G, 8 — 7. Sacre Lettere apjtrendcre, s — 21. an ea ex, G — 28. semel coni • memora vimus, ne, s — 28-29. nulli ad salutati profutura, s — A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 819 utrum stet an moveatur: quia si movetur, inquiunt, quomodo firmamentum est ? si arderti stat, quomodo sydcra, qnae in ipso fixa creduntur, al oriente usque ad occidentem circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta car- dinem peragentibus, ut caelwn, si est alius nobis occidtus cardo ex alio vertice, sicut sphcra, si aidem nullus alius cardo est, velati discus, rotati vidcatur ? Quibus respondeo, multimi subtilibus et laboriosis ralionibus ista per quivi, ut vere perdpiatur utrum ita an non ita sit; quibus ineundis atque tractan- dis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctae Ecclesiac necessariam utilitatem cupimus informati. io Dalle quali cose descendendo più al nostro particolare, ne ségiiita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, nè se la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, nè se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuta intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’ istesso genere, e collegate in maniera con le pur ora nominate, che senza la deter- minazion di esse non se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole. E se l’istesso Spirito Santo a bello studio ha pretermesso d’insegnarci 20 simili proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra salute, come si potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte, o non quella, sia tanto necessario che l’una sia de Fide, e l’altra erronea? Potrà, dunque, essere un’opinione eretica, e nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente alla salute ? Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, Cardinni Baronio. ciò è l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo. Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni naturali so si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate espe¬ rienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi teo¬ logi ; da i quali, tra cent’ altre attestazioni, abbiamo le seguenti : 10. al particolare —16. con le già nominate — 17. di quelle non — 23. una proposizione eretica — 25-28. Io qui dirci ... cielo manca in V.— 2-8. ah oriente in occidentem, 8 — 8-9. suam e Sanctae Ecclesiae necessaria utili tate cupimus, S — 12. cielo muova, 8 — 21-22. di essere questa, s — 82. abbiamo le presenti, G. La lozione seguenti ò non solo del cod. V o della stampa, ma nnclio doi cod. Marucolliano B. 1. 20, Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, Magliabo- chiano Cl. XI, 189, Casanatenso 075, Baldovinetti 280, Parigino Fond italien 212, ecc.— 320 LETTERA Ptreriut, in otnt$im, IllucL diavi dilìgcntcr cavendum et omnino fugiendum est, ne in tradanda Mosis dodrina quidquam affirmate d asseveranter sentiamus et dicamus, quod repugnet manifcstis experimentis et rationibus philosophiae vcl aliarmi disci- plinarum: nainque, cum veruni omne semper cuni vero congruat, non potcst vcritas Saci'arum IAterarum veris rationibus et experimentis liumanarmi a> Epistola aspi ima, dodrinarum esse contraria. Ed appresso S. Agostino si legge : Si mani- mi Munsi/,so,,,. f cs i ae certaeque rationi velut Sanctarum Scripturarum óbiicitur authoritas, non intdligit qui hoc facit; et non Scripturae sciismi, ad quem penetrare non potuit, sed sumi potius, obiicit ventati; ncc quod in ea, scd in se ipso, velut prò ea, invcnit, opponit. io Stante questo, ed essendo, come si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de’ saggi espositori affaticarsi per pe¬ netrare i veri sensi de’ luoghi sacri, elio indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali, delle quali il senso ma¬ nifesto o le dimostrazioni necessarie ci avessero prima resi certi e sicuri. Anzi, essendo, corno si ò detto, che le Scritture per l’addotte cagioni ammettono in molti luoghi esposizioni lontane dal significato delle parole, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’ interpetri parlino inspirati divinamente, poi che, se così fusso, ninna diversità sarebbe tra di loro circa i sensi do’medesimi luoghi, 20 crederei che fusse molto prudentemente fatto so non si permettesse ad alcuno impegnare i luoghi della Scrittura ed in certo modo obligargli a dover sostener per vere queste o quelle conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por ter¬ mino alli umani ingegni? chi vorrà asserire, già essersi veduto e saputo tutto quello che è al mondo di sensibile e di scibile? Forse quelli elio in altre occasioni confesseranno (e con gran verità) che ea qnae scimus sant minima pars eorim quae ignoramus? Anzi pure, se Ecclesia si., cap.° s.° noi abbiamo dalla bocca dell’i,stesso Spirito Santo, che Deus t radidii no nmnduin disputationi eoruni, ut non inveniat homo opus quod operatus est Deus ab initio ad fmem, non si dovrà, per mio parere, contradicendo a tal sentenza, precluder la strada al libero filosofare circa le cose 13 . che indubitatamente saranno — 15 . ci averanno prima — 7. Sanctarum Lìtterarum óbiicitur, 3 — 0. nec id quod in ea, sed quod in, a — 14-15. manifesto e. le, S — 1G. essendo eho le. Scritture (come si ù detto) per, 8 — 22. alcuno Vimpegnar, s — 25. potessero dimostrare ma¬ nifestare il contrario, (i — 28. in altra occasione confesseranno, s — 21). «cijjiu« sint minima, 8 — A MADAMA CKTSTTNA DI LORENA. 321 del mondo e della natura, quasi che elleno sien di già state con cer¬ tezza ritrovate e palesate tutte. Nò si dovrebbe stimar temerità il non si quietare nelle opinioni già state quasi comuni, nè dovrebb’ esser chi prendesse a sdegno se alcuno non aderisce in dispute naturali a quell’opinione che piace loro, e massime intorno a problemi stati già migliaia d’anni controversi tra filosofi grandissimi, quale è la stabilità del Sole e mobilità della Terra : opinione tenuta da Pittagora e da tutta la sua setta, e da Eraclide Politico, il quale fu dell’ istessa opi¬ nione, da Filolao maestro di Platone, e dall’ istesso Platone, come ri¬ io ferisce Aristotile, e del quale scrive Plutarco nella vita di Numa, che esso Platone già fatto vecchio diceva, assurdissima cosa essere il tenero altramente. L’istesso fu creduto da Aristarco Samio, come abbiamo appresso Archimede, da Scleuco matematico, da Niceta filosofo, refe¬ rente Cicerone, e da molti altri ; e finalmente ampliata e con molte osservazioni e dimostrazioni confermata da Niccolò Copernico. E Se¬ neca, eminentissimo filosofo, nel libro De cometis ci avvertisele, doversi con grandissima diligenza cercar di venire in certezza, se sia il cielo o la Terra in cui risegga la diurna conversione. E per questo, oltre a gli articoli concernenti alla salute ed allo 20 stabilimento della Fede, contro la fermezza de’quali non è pericolo alcuno che possa insurgere mai dottrina valida ed efficace, non saria forse se non saggio ed util consiglio il non ne aggregar altri senza necessità : e se così è, disordine veramente sarebbe l’aggiugnergli a richiesta di porsone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino in¬ spirate da celeste virtù, chiaramente vediamo che in esse si potrebbe desiderare quella intelligenza che sarebbe necessaria prima a capire, e poi a redarguire, le dimostrazioni con lo quali le acutissime scienze procedono nel confermare simili conclusioni. Ma più direi, quando mi fusse lecito produrre il mio parere, che forse più converrebbe al de- 30 coro ed alla maestà di esse Sacre Lettere il provvedere che non ogni leggiero e volgare scrittore potesse, per autorizzar sue composizioni, 8-9. da Eraclide ... opinione manca in V.—10-12. e del (piale ... fu creduto manca in V.— 15-18. E Seneca ... conversione manca in V.— 8. setta, (Ut, s — 12-13. abbiamo da Archimede, G. La lozione appresso ò conformata anello dai cod. Ma- rucelliano IL 1. 20, Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXX.VII, Casanatonso 675, Baldovinotti 23G, Parigino Forni italien 212, occ. — 13. da Selouco matematico c lozione del solo cod. V, noi qualo questo pardo furono so¬ stituito di mano di Galilro ad c forse dall 1 istesso Archimede, cho ò accuratamonto cancolluto. Tutti gli altri codici 0 la stampa leggono e forse dall’istesso Archimede. — 14. altri ; finalmente, s — ampliata con molte, G — 22. non aggregar, G — V. 41 322 LETTERA bene spesso fondate sopra vane fantasie, spargervi luoghi della Scrittura Sacra, interpolati, o più presto stiracchiati, in sonsi tanto remoti dal- T intenzione retta di essa Scrittura, quanto vicini alla derisione di co¬ loro che non senza qualche ostentazione so no vanno adornando. Esempli di tale abuso se ne potrobbono addur molti : ma voglio che mi bastino due, non remoti da queste materie astronomiche. L’uno de’ quali siono le scritture che furon pubblicato contro a i pianeti Medicei, ultimamente da me scoperti, contro la cui esistenza furono opposti molti luoghi della Sacra Scrittura: ora che i pianeti si fanno veder da tutto il mondo, sentirei volentieri con quali nuove inter- io petrazioni vien da quei medesimi oppositori esposta la Scrittura, e scusata la lor semplicità. L’altro esempio sia di quello che pur nuo¬ vamente ha stampato contro a gli astronomi e filosofi, che la Luna non altramente riceve lume dal Sole, ma è per sè stessa splendida; la qual imaginazione conferma in ultimo, o, per meglio dire, si persuade di confermare, con varii luoghi della Scrittura, li quali gli par che non si potessero salvare, quando la sua opinione non fusse vera e necessaria. Tutta via, cho la Luna sia per sè stessa tenebrosa, è non men chiaro che lo splendor del Sole. Quindi resta manifesto che tali autori, per non aver penetrato i 20 veri sensi della Scrittura, 1 ’ avrebbono, quando la loro autorità fosso di gran momento, posta in obligo di dover costringere altrui a tener per vero, conclusioni repugnanti alle ragioni manifeste ed al senso : abuso che Deus averlat elio andasse pigliando piede o autorità, perchè bisognerebbe vietar in breve tempo tutte le scienze speculative ; per¬ chè, essendo per natura il numero degli uomini poco atti ad intendere perfettamente e le Scritture Sacre e l’altre scienze maggiore assai del numero degl’intelligenti, quelli, scorrendo superficialmente le Scritture, si arroghcrebbono autorità di poter decretare sopra tutte le questioni della natura, in vigore di qualche parola mal intesa da loro ed in so altro proposito prodotta dagli scrittori sacri ; nè potrebbe il piccol 1. forniate su vane — 2. a più tosto stiracchiati — 10. veder per tutto — 13. contro gli — M. non licer altramente lume — 24-25. abuso che (Deus avertat) se andasse pigliando piede o autorità , bisognerebbe in breve tempo vietar tutte — 27. e le Sacre Scritture e — 29. arroge- r abbono — 1. fondate tu vane, s — 7. contro t, s — 11. riceve il lume, s — 17. si jmteusc salvare, tutte, a — 20. atti all 1 intender, S — 27-28. dd 10. con fjuai nuove, G — 11. oppositori la Scrittura esjuista, G — S 2-I-25. autorità, poi che bisot/ncrebbe in breve leni]>o vietar numero manca nella stampa. — 29. arroyerebbono, G — A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 323 numero degl’intendenti reprimer il furioso torrente di quelli, i quali trovercbbono tanti più seguaci, quanto il potersi far reputar sapienti senza studio e senza fatica è più soave che il consumarsi senza riposo intorno alle discipline laboriosissime. Però grazie infinite doviamo render a Dio benedetto, il quale per sua benignità ci spoglia di questo timore, mentre spoglia d’ autorità simil sorte di persone, riponendo il consultare, risolvere o decretare sopra determinazioni tanto impor¬ tanti nella somma sapienza e bontà di prudentissimi Padri e nella suprema autorità di quelli, clic, scorti dallo Spirito Santo, non pos- 10 sono so non santamente ordinare, permettendo clic della leggerezza di quelli altri non sia fatto stima. Questa sorte d’uomini, per mio credere, son quelli contro i quali, non senza ragione, si riscaldano i gravi e santi scrittori, e de i quali in particolare scrive S. Girolamo : Rane (intendendo della Scrittura Sacra) garrula anus, Itane delirus senex, Epistola a n<- (lentieuimi c sajdentiasinii Padri, s — 13. illazioni, accertassero, s 1 1. Vopinione a, s 13. circa quello che. f* lecito, fi — Quanto segue, da - e elio gran dif¬ ferenza » sino a « e ciò par » (pag. 327, ]in. 25), nel cod. V si leggo aggiunto su di un foglio a parie e con segno di richiamo. Le ultime tre parole di questo brano, «e ciò par », sono scritte di mano di Gali- liKO. Prima clic fosse introdotta tale ag¬ giunta, di séguito a. * ora a questa ed ora a quella », continuava, come si distingue sotto le cancellatine, così: « o clic ciò apparisca molto ragionevole c conforme alla natura, si vede; perchè molto più facilmente si posson trovar le fallacie in un discorso da quelli die lo stimali falso, che da quelli che lo reputali ree.», proseguendo poi con quello clic ora si legge a pag. 327, Un. 27. Nel cod. G, dopo * ora a questa ed ora a quella » se¬ guita: * c ciò par molto ragionevole ccc. » (pag. 327, lin. 25); ma una nota marginale, che dice «vedi nel line», scritta d’altra mano, rimanda all’ultima carta del fasci¬ colo contenente la presente Lettera, sulla qual carta è scritto, della medesima inano della nota citata, il tratto che non si legge al suo posto. Di questa stessa mano sono sparse nel codice alcune poche correzioni e postille, ed è quella altresì la quale esem¬ plò i codici da noi chiamati con la sigla G della lettera al Castklli e della lettera a Mone. Dini in data 23 marzo 1015. A MADAMA CRISTINA DI UORENA. 327 grande studio in confutar molti argomenti o, per meglio dire, molto fallacie filosofiche ci manifesta, e come espressamente si legge appresso alcuni di loro ; ed in particolare aviamo in S. Agostino le seguenti parole : Hoc indubitanter tenendum est, ut quicquid sapientes lmius mundi cap.tn, uh. 1, o«»e- 1 . . # . sis ad literam. de natura veruni veraciter dcinonstrare polucrint, ostendamus nostris Literis non esse contrariti»i ; quicquid aidem illi in suis voluminibus contrarium Sacris Literis docent, sine ulta dubiiatione crcdamus id fabissimum esse, et, qnoquoniodo possiimus, etiuni ostendamus ; atque ita teneamus fidem Do¬ mini nostri, in quo sunt àbsconditi omnes thesauri sapientiae, ut ncque falsae io philosophiae loqmcitate seducami)-, ncque simulatae religionis superstitionc tcrrcamur. Dalle quali parole mi par che si cavi questa dottrina, cioè clic ne i libri de’ sapienti di questo mondo si contcnghino alcune cose della natura dimostrate veracemente, ed altro semplicemente insegnate; e che, quanto alle prime, sia ofizio de’ saggi teologi mostrare che le non son contrarie alle Sacre Scritture; quanto all’altre, insegnato ma non necessariamente dimostrate, se vi sarà cosa contraria alle Sacre Lettere, si deve stimare per indubitatamente falsa, e tale in ogni possibil modo si devo dimostrare. Se, dunque, le conclusioni naturali, dimostrate ve- no raceinente, non si lianno a posporre a i luoghi della Scrittura, ma sì ben dichiarare come tali luoghi non contrariano ad esso conclusioni, adunque bisogna, prima che condannare una proposizion naturale, mo¬ strar eli’ ella non sia dimostrata necessariamente : e questo devon faro non quelli che la tengon per vera, ma quelli che la stimali falsa; e ciò par molto ragionevole e conforme alla natura ; ciò è che molto più facilmente sien per trovar le fallacie in un discorso quelli che lo stiman falso, clic quelli clic lo reputan vero e concludente; anzi in questo particolare accaderà che i seguaci di questa opinione, quanto più andran rivolgendo le carte, esaminando lo ragioni, replicando co l’osservazioni e riscontrando l’esperienze, tanto più si confermino in 2. ci dimostra c —13-14. alcune cose della natura veracemente dimostrale —18-19. falsa, cd in ogni possibil [modo si] deve dimostrar tale. Se dunque — 22. Dopo naturale Galileo aggiunse di sua mano, ira lo linee e con segno di richiamo, è necessario ; ma non cancellò, come ci si aspetterebbe, il precedente bisogna. — 25-27. natura ; perché molto più facilmente si posson trovar le fallacie in un discorso da quelli che lo stiman falso, che da quelli che lo reputan — 30. si con fermeranno in — 5-G. nostris UbrÌ8 non, s — 14. sciupiteissimamente, s — 328 LETTERA Clavius. questa credenza. E l’A. V. sa quel clic occorse al matematico passato dello Studio di Pisa, elio messosi in sua vecchiezza a vedere la dot¬ trina del Copernico con speranza di poter fondatamente confutarla (poi che in tanto la reputava falsa, in quanto non l’aveva mai ve¬ duta), gli avvenne, che non prima restò capace de’ suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, che ei si trovò persuaso, e d’impugnatore no divenne saldissimo mantenitore. Potrei anco nominargli altri ma¬ tematici, i quali, mossi da gli ultimi miei scoprimenti, hanno confes¬ sato esser necessario mutare la già concepita costituzione del mondo, non potendo in conto alcuno più sussistere. io Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina bastasse il serrar la bocca ad un solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co ’l lor proprio, gli par impossibile che tal opinione abbia a poter sussistere e trovar seguaci, questo sarebbo facilissimo a farsi : ma il negozio cammina altramente ; per¬ chè, per eseguire una tal determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro del Copernico e gli scritti degli altri autori che se¬ guono l’istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d’ astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardar verso il cielo, acciò non vedessero Marte o Venere or vicinissimi alla Terra 20 or remotissimi con tanta differenza che questa si scorge 40 volto, e quello CO, maggior una volta che l’altra, ed acciò che la medesima Venere non si scorgesse or rotonda, or falcata con sottilissime corna, 0 molte altre sensate osservazioni, che in modo alcuno non si pos¬ sono adattare al sistema Tolemaico, ma son saldissimi argumenti del Copernicano. Ma il proibire il Copernico, ora che per molte nuove 1-7. Tj VA. V. sa ... nominargli altri manca noi coti. V, nel quale dopo credenza con¬ tinua: come c avvenuto a molti mattematici, i quali mossi eoe., proseguendo con la lin. 8.— 18-19. scienza de Vastronomia intera, e vietar— 20-21. Terra ed or — 25-26. argumenti del Cop. eo Ma — 7. ne diventò saldissimo, s — 12. si persuadano, G — 17. autori manca in G; si leggo porò non solo in V o Delhi stampa, ma altresì noi cod. Municolliano B. 1. 20, Marciano CI. IV, n. CC00LXXXV1I, Uasana- tonso G75, Balclovinetti 23G, Parigino Fond italica 212 oec. — 18. bisognerebbe ò aggiunto tra lo linci! noi cml. V di Diano di Galileo; manca negli altri codici e nella stampa. — 19. d'astronomia interra, e piò, s. Alcuni dei codici elio fanno famiglia con la stampa leggono in terra.-—a gli uomini il guardar, s — 20. or vieini alla, G. La lozione vicinissimi è non solo del cod. o dulia stampa, ina anche degli altri codici. —- 21. In luogo di scorge, il cod. G, altri codici, c la stampa leggono scorgesse; o così era stato scritto audio nel cod. V, ma poi fu corrotto in scorgesse. Scorge ò anche nel cod. Marciano CI. IV, n. CCCCLXXXVI1; si scorgesse in superficie quaranta, s. Lo parole in superficie si leggono anche in qualcuno dei codici elio non sempre con¬ cordano con la stampa (p. o. nel Marucelliano B. 1. 20). — 23. rotonda, ed or, s — or falciata con, G — 25. ma saldissimi, G — « A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 329 osservazioni e per 1’ applicazione di molti literati alla sua lettura si va di giorno in giorno scoprendo più vera la sua posizione o ferma la sua dottrina, avendol’ ammesso per tanti anni mentre egli era men seguito e confermato, parrebbe, a mio giudizio, un contravvenire alla verità, e cercar tanto più di occultarla e supprimerla, quanto più ella si dimostra palese e chiara. Il non abolire interamente tutto il libro, ma solamente dannar per erronea questa particolar proposi¬ zione, sarebbe, s’io non m’inganno, detrimento maggior per l’anime, lasciandogli occasione di veder provata una proposiziono, la qual fnsse io poi peccato il crederla. Il proibir tutta la scienza, elio altro sarebbe che un reprovar cento luoghi delle Sacre Lettere, i quali ci insegnano come la gloria e la grandezza del sommo Iddio mirabilmente si scorge in tutte le suo fatture, e divinamente si logge nell’ aperto libro del cielo? Nè sia chi creda che la lettura de gli altissimi concetti, che sono scritti in quelle carte, finisca nel solo veder lo splendor del Sole e delle stelle e ’l lor nascere ed ascondersi, che è il termine sin dove penetrano gli occhi dei bruti e del vulgo ; ma vi son dentro misteri tanto profondi e concetti tanto sublimi, che le vigilie, le fa¬ tiche e gli studi di cento e cento acutissimi ingegni non gli hanno 20 ancora interamente penetrati con l’investigazioni continuate per mi¬ gliaia e migliaia d’anni. E credino pure gli idioti che, si come quello che gli occhi loro comprendono nel riguardar l’aspetto esterno d’un corpo umano 6 piccolissima cosa in comparazione de gli ammirandi artifizi che in esso ritrova un esquisito e diligentissimo anatomista e filosofo, mentre va investigando l’uso di tanti muscoli, tendini, nervi ed ossi, essaminando gli offizi del cuore e de gli altri membri princi¬ pali, ricercando le sedi delle facultà vitali, osservando le maraviglioso strutture de gli strumenti de’ sensi, e, senza finir mai di stupirsi e di appagarsi, contemplando i ricetti dell’immaginazione, della memoria 5. occultarla e opprimerla , quanto — 22. nel risguardar — 25. investigando gli usi — 1 -2. fi vn ... più ver* le sue posizioni e. vera la Ava, G, s — 4-G. Il cod. Marciano 01. IV, n. CCCCLXXXV11, leggo: parrebbe, a mio giudizio, che «i volesse occultare quello che si va scoprendo c manifestando, e, piti, fa- rebbe più curiosi gli uomini allo studio di esso. — 7-8. In luogo di proposizione, il coll. G, gli altri codici o la stampa leggono opinione; e cosi era pure scritto originariamente nel cod. V, ma Galileo corresse di suo pugno proposizione. — 0. In luogo di jyroposizione, elio è del cod. Y, gli altri codici e la stampa leggono po¬ sizione, — 18-10. che le voglie, le fatiche, gli studi, G — 20. ancora penetrali interamente, G. No gli altri codici nè la stampa concordano in questa trasposizione. — 20-21. I codici, iranno V, o la stampa leggono: per migliaia d’anni. — 24. e diligente anatomista, s — 27. vitali, ri secando ed osservando, G, s. Si avverta però che risccando, che manca noi cod. Y, non ò stato tradotto nella versione latina la quale accompagna il tosto italiano nella stampa. — V. 42 4 330 LETTERA o del discorso ; cosi quello elio ’l puro senso della vista rappresenta, è come nulla in proporzion dell’ alte meraviglie che, mercè delle lun¬ ghe ed accurate osservazioni, l’ingegno degl’intelligenti scoi'ge nel cielo. E questo è quanto mi occorre considerare circa a questo par¬ ticolare. Quanto poi a quello che soggiungono, che quello proposizioni na¬ turali dello quali la Scrittura pronunzia sempre l’istesso c che i Padri tutti concordemente nell’ istesso senso ricevono, debbino esser intese conforme al nudo significato delle parole, senza glose o interpetra- zioni, o ricevute e tenute per verissimo, e elio in conseguenza, per io esser tale la mobilità del 0 e la stabilità della Terra, sia de Fide il tenerlo per vere, ed erronea l’opinion contraria; mi occorro di considerar, prima, che delle proposizioni naturali alcune sono delle quali, con ogni umana specolaziono e discorso, solo se no può conse¬ guire più presto qualche probabile opinione e verisimil coniettura, che una sicura e dimostrata scienza, come, per esempio, se le stelle sieno animate ; altre sono, delle quali o si ha, o si può credere ferma¬ mente che avor si possa, con esperienze, con lunghe osservazioni c con necessarie dimostrazioni, indubitata certezza, quale è, se la Terra o ’l 0 si innovino o no, se la Terra sia sferica o no. Quanto allo prime, 20 io non dubito punto elio dove gli umani discorsi non possono arri¬ vare, e che di esse per consequenza non si può avere scienza, ma solamente opinione e fede, piamente convenga conformarsi assoluta- mente col puro senso della Scrittura. Ma quanto alle altre, io crederei, come di sopra si è detto, che prima fosse d’accertarsi del fatto, il quale ci scorgerebbe al ritrovamento de’ veri sensi delle Scritture, li quali assolutamente si troverebbono concordi col fatto dimostrato, ben clic le parole nel primo aspetto sonassero altramente ; poi che due veri non possono mai contrariarsi. E questa mi par dottrina tanto 4. circa questo — 7-8. i Padri Santi tutti — 9. conforme a che suonano le parole — 11. 5t« di Fede — 121-122. non possano arrivare — 24. Scrittura Sacra. Ma — 25-2G. del fatto, e poi, bi- sognando , ricercare i veri sensi delle — 4. circa quatto, s— G. 7f> nel Parig. Vomì Hai. 212 è scritto nel testo, nè nel Corsili. 701 ; nel cod. G e nell’Ambro9. ma fuori di posto (dopo « contraria •, lin. 3). A MADAMA CRISTINA DT I-ORENA. 337 nenti all’ edificazione della dottrina cristiana : e così parla il Concilio Tridentino alla Sessione IV. Ma la mobilità o stabilità della Terra o del Sole non son de Fide nè contro a i costumi, nè vi è chi voglia scon¬ torcere luoghi della Scrittura per contrariare a Santa Chiesa o a i Padri : anzi chi ha scritta questa dottrina non si è mai servito di luoghi sacri, acciò resti sempre nell’autorità di gravi e sapienti teo¬ logi 1’ interpetrar detti luoghi conforme al vero sentimento. E quanto i decreti de’ Concilii si conformino co’ Santi Padri in questi partico¬ lari, può esser assai manifesto : poi che tantum dbest elio si risolvino a io ricever per de Fide simili conclusioni naturali o a reprovar come erronee le contrarie opinioni, che, più presto avendo riguardo alla primaria intenzione di Santa Chiesa, reputano inutile 1’ occuparsi in cercar di venir in cei’tezza di quelle. Senta l’À.V. S. quello che risponde S. Agostino a quei fratelli che muovono la quistione, se sia vero elio il cielo si muova o pure stia fermo : Jlis respondeo, multimi siibtilibus et laboriosis rationibus ista perquiri, ut vere percipiatur ut-rum ita an non ita sit : quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctae Ecclesiae necessariam utilitatem cupimus informavi. 20 Ma quando pure anco nelle proposizioni naturali, da luoghi della Scrittura esposti concordemente nel medesimo senso da tutti i Padri si avesse a prendere la resoluzione di condennarle o ammetterle, non però veggo che questa regola avesse luogo nel nostro caso, avvenga che sopra i medesimi luoghi si leggono de’ Padri diverse esposizioni : dicendo Dionisio Areopagita, che non il Sole, ma il primo mobile, si fermò ; l’istesso stima S. Agostino, ciò è che si fermassero tutti i corpi celesti; dell’ istessa opinione è l’Abulense. Ma più, tra gli autori Ebrei, a i quali applaude IosefFo, alcuni hanno stimato che vera¬ mente il Sole non si fermasse, ma che così apparve mediante la bre- 30 vita del tempo nel quale gl’ Isdraeliti dettero la sconfitta a’ nemici. Così del miracolo al tempo d’Ezechia, Paulo Burgense stima non essere stato fatto nel Sole, ma nell’ orivuolo. Ma che in effetto sia ne- 2. mobilità e stabilità —- 3. contro i costumi — 4-5. a i Santi Padri — 5-G. servito de i luoghi —13. In luogo di VA. V. S. nel cod. V si leggo la P. V. — 24-25. diverse opinioni: dicendo — 30. Israeliti — 2. Tridentino, Sezione, s — 9. poi che tanto ne manca che, 8 — 13. Senta di nuovo VAltezza Vontra quello, s — 15-16. multimi eubtiliter et, 0, s — 30. Israeliti, s —- 4:i t Concilio Tridentino, boss. 4. In Genesùn ad li/e - vani, lìb. 2, c. IO. V. 338 LETTURA cessarlo glosare e interpretare le parole del tosto di Iosuè, qualunque si ponga la costituzione del mondo, dimostrerò più a basso. Ma finalmente, concedendo a questi signori più di quello elio domandano, ciò è di sottoscrivere interamente al paroro do’ sapienti teologi, giù che tal particolar disquisizione non si trova essere stata fatta da i Padri antichi, potrà esser fatta da i sapienti della no¬ stra età, li quali, ascoltato prima P esperienze, P osservazioni, lo ra¬ gioni e le dimostrazioni do’ filosofi ed astronomi per l’una o per l’altra parte, poi che la controversia è di problemi naturali e di di¬ lemmi necessarii ed impossibili ad essere altramente elio in una delle io due maniere controverse, potranno con assai sicurezza determinar quello che le divine inspirazioni gli detteranno. Ma che senza venti¬ lare e discutere minutissimamento tutte le ragioni dell’ una e dei- fi altra parte, e che senza venire in certezza del fatto si sia per pren¬ dere una tanta resoluzione, non è da sperarsi da quelli che non si curerebbono d’ arrisicar la maestà e dignità delle Sacre Lettere per sostentamento della reputazione di lor vano immaginazioni, nò da temersi da quelli che non ricercano altro so non che si vadia con somma attenzione ponderando quali sieno i fondamenti di questa dot¬ trina, o questo solo por zelo santissimo del vero e dello Sacre Lettere, 20 e della maestà, dignità ed autorità nella quale ogni cristiano dove procurare che esse sieno mantenuto. La quale dignità chi non vede con quanto maggior zelo vicn desiderata 0 procurata da quelli elio, sot¬ toponendosi onninamente a Santa Chiesa, domandano non elio si proibisca questa o quella opinione, ma solamente di poter mettere in considerazione cose ondo ella maggiormente si assicuri nell’elezione più sicura, clic da quelli che, abbagliati da proprio interesse o sol¬ levati da maligne suggestioni, predicano che ella fulmini senz’ altro la spada, poi che ella lux potestà di farlo, non considerando che non tutto quel che si può faro è sempre utile che si faccia? Di questo 30 parere non son già stati i Padri santissimi ; anzi, conoscendo di quanto progiudizio e quanto contro al primario instituto della Chiesa Catto¬ lica sarebbe il volere da’ luoghi della Scrittura definire conclusioni naturali, delle quali, 0 con esperienze o con dimostrazioni necessarie, si potrebbe in qualche tempo dimostrare il contrario di quel che suo- 3 - 4 . che essi domandano — 24 . Chiesa, non domandano che — 3-4. che ci domandano, s — 4. parere di sapienti, s — 20. del vero delle Sacre., 0 — A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 339 iian le nude parole, sono andati non solamente circospettissimi, ma hanno, per ammaestramento de gli altri, lasciati i seguenti precetti : Li rebus obscuris atquc a nostris oculis remotissimìs, si qua inde scripta, etiam divina, legerimus, quae possint, salva fide qua imìmimur, alivi atquc aliis parere sententiis, in indiani carimi nos proccipiti affimiatione ita proiiciamus, ut, si ferie diligenlius discussa verìtas cani recte labefactaverit, corruamus; non prò sententia divinarmi Script unir uni, sed prò nostra ita dimicantes, ut eam vclimus Script tir arti ni esse, quae nostra est, cimi potilis cani, quae Scrìpturarum est, nostrani esse velie debeamus. Sogghigno poco io di sotto, per ammaestrarci come nissuna proposizione può esser contro la Fede so prima non è dimostrata esser falsa, dicendo: Tarn din non est contra Fidem, donec verilate certissima rcfellatur : quod si factum fucrit, non hoc habebat divina Scriptum, sed hoc senserat Humana ignorantia. Dal che si vede come falsi sarebbono i sentimenti che noi dessimo a’iuotrhi della Scrittura, ogni volta che non concordassero con le verità dimo¬ strate : e però devesi con 1’ aiuto del vero dimostrato cercar il senso sicuro della Scrittura, e non, conforme al nudo suono delle parole, che sembrasse vero alla debolezza nostra, volere in certo modo sforzar la natura e negare l’esperienze e le dimostrazioni necessarie, so Ma noti, di più, l’A. V., con quante circospezzioni cammina que¬ sto santissimo uomo prima che risolversi ad affermare alcuna in- terpetrazione della Scrittura per certa e talmente sicura che non si abbia da temere di poter incontrare qualche difficoltà che ci apporti disturbo, che, non contento che alcun senso della Scrittura concordi con alcuna dimostrazione, soggiugne: Si autori hoc veruni esse certa rado demonstraverit, adirne incertum erit, utrum hoc in illis verbis sanctorum librorwn scriplor sentiri voluerit, an aliquid aliud non minus veruni: quod si caetera contexlìo sermonis non hoc cum voluisse probaverit, non ideo falsimi erit aliucl quod ipse intelligi voluit, sed et veruni et quod ao utilius cognoscatur. Ma quello che accresce la meraviglia circa la cir- cospezzione con la quale questo autore cammina, ò che, non si assi¬ curando su ’l vedere che e le ragioni dimostrative e quello che suo¬ nano le parole della Scrittura ed il resto della testura precedente o 20. Tu luogo di VA. V. nel cod. V si leggo la P. V. — 33. ed il restante della — 12. est extra Fidem, s — H. si vedo quanto falsi, G; ina gli altri codici o la stampa loggono conte. — 17. nudo, elio manca nel cod. G e in altri codici, come puro nella stampa, è stato aggiunto noi cod. V di mano di Galilko. — 2fi. esse vera ratio, G, 8. Ma il testo di S. Agostino qui citato (Ve Genesi ad lìteravi, I, L9) loggo, d’accordo col cod. V, certa .— I). Auguatinìtg, lib.p.° De Genesi ad literam, caj). 18 , lì). 340 LETTERA susseguente cospirino nella medesima intenzione, aggi ugno le seguenti parole : Si cintevi contextio Scripturac, hoc voluisse vitellini scriptorem non repugnaverit, adirne restabit quaerere, utrum et alimi non potuerìt; nò si risolvendo ad accettar questo senso o escluder quello, anzi non gli parendo di potersi stimar mai cautelato a sufficienza, seguita: Quod si et aliud poltrisse invenerimus, incertum erit, quidnam eorum ille vola crii ; avi utrumque voluisse, non inconvenienter ereditar, si ntrìque sententiae certa circainstantia suffragatiti'. E finalmente, quasi volendo render ra¬ gione di questo suo instituto, col mostrarci a quali pericoli esporreb- bono sò e le Scritturo e la Chiesa quelli che, riguardando più al man- io tenimento d* un suo errore che alla dignità della Scrittura, vorrebbono estender l’autorità di quella oltre a i termini che ella stessa si pre¬ scrivo, sogghigno le seguenti parole, clic per sè sole doverebbono ba¬ stare a reprimere e moderare la soverchia licenza che tal uno pretende di potersi pigliare : Plerumque eniin accidit, ut aliquid ile Terra, de cado, de caeteris liuius mandi elemcntis, de mota et conversione vcl etiam ma¬ gnitudine et intcrvallis sidcrum, de ccrtis dcfectibus Solis et Lunac, (le circuitilnis annorum et temporum, de naturis animalium, fruticum, lapi¬ dimi, atque huiusmodi caeteris, etiam non Christianus ita noverit, ut cer¬ tissima ratione vel expericntia teneat. Turpe autem est nimis et perniciosum 20 ac maxime cavcndum, ut Christianum eie Iris rebus quasi secundum Chri- stiancis Literas loquentem ita delirare quilibet infidelis audiat, ut, quem- admodum dicitur, tato cado errare conspiciens, risimi tenere vixpossit;ct non tani molestimi est quod errans homo derideretur, sed quod autliores nostri ab eis qui foris suni tedia sensisse creduntur, et, cum magno exitio eorum de quorum salute satagimus, tamquam indodi repraehenduntur atque respuun- tur. Cum enim quamquam de numero Christianorum ea in re quam ipsi optimc norunt errare deprachenderint, et vanam sententiam suam de nostris libris assereni , quo pacto illis libris ereditari suni de resurrectione mortuorum et de spe vitae acternac regnoque caelorum, quando de his rebus quas iam 30 experiri vel indubitatis rationibus percipere potuerunt , fallaciter putaverint esse conscriptos? Quanto poi restino offesi i Padri veramente saggi 0 prudenti da questi tali che, per sostener proposizioni da loro non 4. risolvendo ancora mi accettar 7. utrumque sentiri voluisse — si utriusque sententiae — 11. errore che a quello della dignità della Scrittura — 31. indubitatis numeris percipere. Sopra numeris nel cod. V di mano di Galileo è scritto : alias « rationibus ». — 6. erti, quodnam eorum. G — 7. «»' utriusque eententiae, G, s. Ma il tosto di S. Agostino logge utrique. — 0. col mostrare a, G — 16. molti, conversione, G, s — 28. nomi deprchenderint, s_ t A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 341 capite, vanno in certo modo impegnando i luoghi dello Scritture, riducendosi poi ad accrescere il primo errore col produrr’ altri luoghi meno intesi de’ primi, esplica il medesimo Santo con le parole die seguono : Quid enìm molestiae Irìslìtiaeque ingerant prudentibus fratribus tcmerarii praesumplores, satis dici non polest, cum si quando de prava et falsa opinione sua rcpraeìiendi et convinci coeperint ab eis qui nostrorum librorum authoritale non tenentur, ad defendendum id quod levissiina tc- meritate et apertissima falsitatc dixerunt, eosdem libros sanctos, linde id probent, prof erre conantur ; vcl diavi memoriler, quac ad testimoni um va¬ io lere arbitrantur, multa inde verba pronunciavi , non intclligentcs ncque quac loquunlur ncque de quibus affirmant. Del numero di questi panni che sieno costoro, clic non volendo o non potendo intendere le dimostrazioni ed esperienze con le quali 1’ autore ed i seguaci di questa posizione la confermano, attendono pure a portar innanzi le Scritture, non si accorgendo che quante più ne producono e quanto più persiston in affermar quelle esser chia¬ rissime c non ammetter altri sensi clic quelli che essi gli danno, di tanto maggior progiudizio sarebbono alla dignità di quelle (quando il lor giudizio fosse di molta autorità), se poi la verità conosciuta 20 manifestamente in contrario arrecasse qualche confusione, al meno in quelli che son separati da Santa Chiesa, de’ quali pur ella è zelan¬ tissima e madre desiderosa di ridurgli nel suo grembo. Vegga dunque l’A.V. quanto disordinatamente procedono quelli che, nelle dispute naturali, nella prima fronte costituiscono per loro argumenti luoghi della Scrittura, e ben spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali veramente stimano e interamente credono d’ avere il vero sentimento di un tal luogo particolare della Scrit¬ tura, bisogna, per necessaria conseguenza, che si tenghino anco sicuri d’aver in mano l’assoluta verità di quella conclusione naturale 30 che intendono di disputare, e che insieme conoschino d’ aver gran¬ dissimo vantaggio sopra 1’ avversario, a cui tocca a difender la parte falsa ; essendo che quello che sostiene il vero, può aver molte espe¬ rienze sensate e molte dimostrazioni necessarie per la parte sua, 1. delle Sacre Scritture —16. ne producano e — 23. In luogo di VA.V. nel cod. V. si legge la P. V. — disordinatamente procedino quelli — 25. spesso male da — 26. c internamente credono — 30. e che insieme insieme si conoschino — 1. della Scrittura, s — 2. errore co ’l produrne altri, 8 — 5-6. de falsa et prava, 0, s — 12. panni che sten coloro, che, 8 — 15. che quanto più, G — 28. che ei si tenghino, S — 31. tocca difender, G — 3 42 LETTERA mentre che l’avversario non può valersi d’ altro che d’ingannevoli apparenze, di paralogismi e di fallacie. Ora se loro, contenendosi dentro a i termini naturali e non producendo altre armi che lo filosofiche, sanno ad ogni modo d’ esser tanto superiori all’ avversario, perchè, nel venir poi al congresso, por subito mano ad un’arme inevitabile e tremenda, per atterrire con la sola vista il loro avversario? Ma, se io elevo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sen¬ tendosi inabili a potere star forti contro alli assalti dell’ avversario, tentino di trovar modo di non so lo lasciar accostare, vietandogli 1’ uso del discorso che la Divina Bontà gli lui conceduto, ed abusando io 1’ autorità giustissima della Sacra Scrittura, che, ben intesa ed usata, non può mai, conforme alla commi sentenza do’ teologi, oppugnar 10 manifeste esperienze o le necessarie dimostrazioni. Ma elio questi tali rifugghino allo Scritture per coprir la loro impossibilità di ca¬ pire, non che di solvere, le ragioni contrarie, dovrebbe, s’io non m’in¬ ganno, essergli di nessun profitto, non essendo mai sin «pii stata cotal opinione dannata da Santa Chiesa. Però, quando volessero procedere con sincerità, doverebbono o, tacendo, confessarsi inabili a poter trattar di simili materie, o vero prima considerare elio non è nella potestà loro nè di altri che del Sommo Pontefice o de’ sacri Concilii il dichia- 20 rare una proposizione per erronea, ma che bene sta nell’arbitrio loro 11 disputar della sua falsità ; dipoi, intendendo come è impossibile che alcuna proposizione sia insieme vera ed eretica, dovrobbono occuparsi in quella parte che più aspetta a loro, ciò è in dimostrar la falsità di quella ; la quale come avessero scoperta, o non occorre¬ rebbe più il proibirla, perchè nessuno la seguirebbe, 0 il proibirla sarebbe sicuro e senza pericolo di scandalo alcuno. Però applicliinsi prima questi tali a redarguire le ragioni del Copernico e di altri, e lascino il condenuarla poi per erronea ed ere¬ tica a chi ciò si appartiene ; ma non sperino già d’ esser per tro- 30 varo nei circospetti e sapientissimi Padri 0 nell’ assoluta sapienza di Quel elio non può errare, quelle repentine resoluzioni nelle quali essi talora si lascerebbono precipitare da qualche loro alletto o interesse 2 . apparenze e di — 29 - 30 . erronea o eretica — lì. «e ewi, contenendoti, s — 7. credo che sieno, G — 8. contro gii assolti, s — 13. esperienze ciò le, s — 14. per ricoprir la, (r. Ma coprir ò cosi «lei cod. V, corno degli altri codici <> della stampa. — 20. Pontefice e de', S — 23-24. dovrebbero, dico, occuparsi, s — 20-30. erronea o entità, s —• A MADAMA CRISTINA DI J.ORENA. 343 particolare: perchè sopra queste od altre simili proposizioni, che non sono direttamente de Fide, non è chi dubiti die il Sommo Pontefice ritien sempre assoluta potestà di ammetterle o di condennarle; ma non è già in poter di creatura alcuna il farle esser vere o false, di¬ versamente da quel che elleno per sua natura e de facto si trovano essere. Però par che miglior consiglio sia 1’ assicurarsi prima della necessaria od immutabil verità del fatto, sopra la quale nissuno ha imperio, che, senza tal sicurezza, col dannare una parte spogliarsi dell’autorità e libertà di poter sempre eleggere, riducendo sotto neces- 10 sità quelle determinazioni che di presente sono indifferenti e libere e riposte nell’arbitrio dell’autorità suprema. Ed in somma, se non è pos¬ sibile che una conclusione sia dichiarata eretica mentre si dubita che ella poss’ esser vera, vana doverà esser la fatica di quelli che pre¬ tendono di dannar la mobilità della Terra e la stabilità del Sole, se prima non la dimostrano essere impossibile e falsa. Resta finalmente clic consideriamo, quanto sia vero che il luogo di Giosuè si possa prendere senza alterare il puro significato delle parole, e come possa essere che, obedendo il Sole al comandamento di Giosuè, che fu che egli si fermasse, ne potesse da ciò seguire che 20 il giorno per molto spazio si prolungasse. La qual cosa, stante i movimenti celesti conforme alla costitu¬ zione Tolemaica, non può in modo alcuno avvenire : perchè, facen¬ dosi il movimento del Sole per 1’ eclittica secondo 1’ ordine de’ segni, il quale è da occidente verso oriente, ciò è contrario al movimento del primo mobile da oriento in occidente, che è quello che fa il giorno o la notte, chiara cosa è che, cessando il Sole dal suo vero e proprio mo¬ vimento, il giorno si farebbe più corto, e non più lungo, e che al- l’incontro il modo dell’ allungarlo sarebbe 1’ affrettare il suo movi¬ mento ; in tanto che, per fare che il Sole restasse sopra 1’ orizonte so per qualche tempo in un istesso luogo, senza declinar verso 1’ occi- 4. farle vere — 17. il puro suono dalle — 21. cosa, stanti i — 25. mobile, che è da oriente — 2G-27. dal suo movimento — 28-29. il suo vero e proprio movimento — 8-11. 11 coll. Marciano Cl. IV, n. CCC0LXXXV1I logge: col dannare ni pregiudica dì poter poi sempre eleggere e determinare. E in somma — 9. e libertà, che uol cod. V è aggiunto tra lo lineo di mano di Ualjlko, manca negli altri codici e nella stampa. — 14. la mobilità e la stabilità, s — 15. non hanno dimostrato esser, 8 — 21-25. Lo parolo da occidente verso ... primo mobile mancano nella stampa; ma nella traduzione latina elio l’accompagna, si logge: A«m cum Soli* moine per eclipticam scaniduin ordinali signorino ab occhiente in orientali contrarioijue t notu motui primi mnbìlis {qui est ab oriente in occi denteili, per quem perjicitur diea et 7 »o.r) fiat. — 28. modo di allungarlo, 8 —29-30. sopra l'oriente per, 0 — 344 LETTURA. dente, converrebbe accelerare il suo movimento tanto clie pareg¬ giasse quel del primo mobile, clic sarebbo un accelerarlo circa tre¬ cento sessanta volte più del suo consueto. Quando dunque Iosuò avesse avuto intenzione che le sue parole fossero prese nel lor puro e propriissimo significato, avcrobbe detto al Sole che egli accelerasse il suo movimento, tanto che il ratto del primo mobile non lo poi’- tasse all’occaso: ma perchè le sue parole erano ascoltate da gente che forse non aveva altra cognizione de’ movimenti colesti elio di questo massimo e comunissimo da levante a ponente, accomodandosi alla capacità loro, e non avendo intenzione d’insegnargli la costi- io tuzione delle sfere, ma solo che comprendessero la grandezza del miracolo fatto nell’ allungamento del giorno, parlò conforme all’ in¬ tendimento loro. Forse questa considerazione mosse prima Dionisio Areopagita a dire che in questo miracolo si fermò il primo mobile, e fermandosi questo, in conseguenza si formoron tutte le sfere celesti: della quale iJs&tclafsc’riDUo-ae. °P iniono è l’stesso S. Agostino, e l’Abulenso diffusamente la con- o«a«<.22, ferma. Anzi, che l’intenzione dell’istesso Iosuò fusse che si fermasse h"ùl''‘ hX tutto il sistema delle celesti sfere, si comprende dal comandamento fatto ancora alla Luna, ben che essa non avesse che fare nell’allun- 20 gamonto del giorno ; e sotto il precetto fatto ad essa Luna s’in¬ In Epistola ad Poli/ carpimi. tendono gli orbi de gli altri pianeti, taciuti in questo luogo come in tutto il resto dello Sacre Scritture, delle quali non è stata inai intenzione (V insegnarci le scienze astronomiche. ranni dunque, s’io non nV inganno, che assai chiaramente si scorga clic, posto il sistema Tolemaico, sia necessario interpetrar le parole con qualche sentimento diverso dal lor puro significato ; la quale interpetrazione, ammonito dagli utilissimi documenti di S. Ago¬ stino, non direi esser necessariamente questa, sì che altra forse mi¬ gliore e più accomodata non potesse sovvenire ad alcun alti'o. Ma se so forse questo medesimo, più conforme a quanto leggiamo in Giosuè, si potesse intendere nel sistema Copernicano, con 1 aggiunta di 1 -1. che e pareggiasse 4. avesse anta intenzione — 1G. questo, si fermorono in conseguenza tutte — 20. ben che ella non — 1-2. che e pareggiaste, s — 2-3. circa a trecento. Ma a manca negli altri codici o nella stampa. — 11. che ci comprendessero, s — 17. $ ancora S. Agostino, G. Ma pii altri codici o la stampa leggono conformo abbiamo dato nel Usto. — 20. ben che ella non, s — 23. mai, elio noi eod. V è aggiunto tra lo lincio, e, a quanto paro, di mano di Galileo, manca negli altri codici e nella stampa.— A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 345 un’ altra osservazione, nuovamente da me dimostrata nel corpo so¬ lare, voglio per ultimo mettere in considerazione ; parlando sempre con quei medesimi riserbi di non esser talmente affezionato alle cose mie, che io voglia anteporle a quelle degli altri, e creder che di migliori e più conformi all’ intenzione delle Sacre Lettere non se ne possi no addurre. Posto dunque, prima, che nel miracolo di Tosile si fermasse tutto ’l sistema delle conversioni celesti, conforme al parere de’ sopra no¬ minati autori, e questo acciò die, fermatone una sola, non si con¬ io fondesser tutte le costituzioni e s’introducesse senza necessità gran perturbamento in tutto ’l corso della natura, vengo nel secondo luogo a considerare come il corpo solare, ben che stabile nell’istesso luogo, si rivolge però in sè stesso, facendo un’ intera conversione in un mese in circa, sì come concludentemente mi par d’ aver dimostrato nelle mie Lettere delle Macchie Solaiù : il qual movimento veggliiamo sen¬ satamente esser, nella parte superior del globo, inclinato verso il mezo giorno, e quindi, verso la parte inferiore, piegarsi verso aquilone, nell’istesso modo appunto che si fanno i rivolgimenti di tutti gli orbi de’pianeti. Terzo, riguardando noi alla nobiltà del Sole, ed es- 20 sendo egli fonte di luce, dal qual pur, com’ io necessariamente dimo¬ stro, non solamente la Luna e la Terra, ma tutti gli altri pianeti, nell’istesso modo per sè stessi tenebrosi, vengono illuminati, non credo che sarà lontano dal ben fdosofare il dir che egli, come mi¬ nistro massimo della natura e in certo modo anima e cuore del mondo, infonde a gli altri corpi che lo circondano non solo la luce, ma il moto ancora, col rigirarsi in sè medesimo ; sì che, nell’istesso modo che, cessando ’l moto del cuore nell’ animale, cessercbbono tutti gli altri movimenti delle sue membra, così, cessando la conversion del Sole, si fermerebbono lo conversioni di tutti i pianeti. E come no che della mirabil forza ed energia del Sole io potessi produrne gli assensi di molti gravi scrittori, voglio che mi basti un luogo solo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus; il quale del Sole scrive così : Lux etiam cólligit convertitque ad se omnia, quae videntur, quae moventur, quae iUustrantur, quae calescunt, et uno nomine ca quae ab eiics splendore continentur. Itaque Sol Ilios dicitur, quod omnia 14 . par aver — 27. cuore dell’ ammala, s — 30. potami produrre yli, s — 33. Lux e.iuH cólligit, f i — 35. Sol "JlX(. 0 £ dicitur, s — 346 LETTERA congreget colligatque dispersa. E poco più a basso scrivo doli’i.stesso Sole : Si enim Sol ldc, quem videmus, eorum quae sul scusimi cadimi essentias et qualitatcs, quamquam muìtae sint ac dissimiles, tamen ipse, qui unus est aequàbiliterque lumen fundit, rcnovat, alit, tuetur, perfidi, di- vidit, coniungit, fovet, foecunda reddit, auget, mutat, firmai, edit, movet, vitaliaque facit omnia, et unaquaeque res lruins universitatis, prò captu suo, unius atque eiusdem Soìis est particeps, causasque multorum, quae par- licipant, in se aequabiliter anticipatas habet; certe maio-re rat-ione eie. Es¬ sendo, dunque, il Sole e fonte di luce e principio de’movimenti, vo¬ lendo Iddio che al comandamento di Iosuè restasse per molte ore io nel medesimo stato immobilmente tutto ’l sistema mondano, bastò fermare il Sole, alla cui quieto fermatesi tutte l’altre conversioni, restarono e la Terra e la Luna e ’l Solo nella medesima costitu¬ zione, e tutti gli altri pianeti insieme; nè per tutto quel tempo de¬ clinò ’l giorno vei'so la notte, ma miracolosamente si prolungò: ed in questa maniera col fermare il Sole, senza alterar punto o confon¬ dere gli altri aspetti e scambievoli costituzioni delle stelle, si potette allungare il giorno in Terra, conforme esquisitamonte al sonso lite- vaie del sacro testo. Ma quello di che, s’ io non m* inganno, si deve far non piccola 20 stima, è elio con questa costituzione Copernicana si ha il senso li- terale apertissimo e facilissimo d’un altro particolare che si legge nel medesimo miracolo ; il quale è, che il Sole si fermò nel mezo del cielo. Sopra ’l qual passo gravi teologi muovono difficoltà: poi che par molto probabile che quando Giosuè domandò V allungamento del giorno, il Sole fusse vicino al tramontare, e non nel meridiano; perchè quando fusse stato nel meridiano, essendo allora intorno al solstizio estivo, e però i giorni lunghissimi, non par verisimile che fusse necessario pregar 1’ allungamento del giorno per conseguir vit¬ toria in un conflitto, potendo benissimo bastare per ciò lo spazio di 30 sette ore 0 più di giorno che rimanevano ancora. Dal che mossi gravis¬ simi teologi, hanno veramente tenuto che ’l Sole fusse vicino all’occaso; 18 - 19 . cstiuxsitamente a quello che dicono le parole del sacro testo — 21 - 22 . si lui cof/ni- none (V un altro particolare — 29 - 30 . conseguir la vittoria — 1-2. diserta et panio inferiva, de Sole turava haee addit: Si mitit, s — 3. qualitatcs quacquc. multae, s — 4. est acquaittrrque Imam, s 0. Sole fonte, Q — principio di movimento, 8 — 13. Terra c Luna, <» —30. he- niAcinio per ciò bastare lo ajMizio, 0. Ma in questa tnisposiziono non concordano nò gli altri codici nò la stampa. — A MADAMA CRISTINA DI LORENA. 347 e così par clic suonino anco le parole, dicendosi : Ferma, Sole, fermati: che se fosse stato nel meridiano, o non occorreva ricercare il mira¬ colo, o sarebbe bastato pregar solo qualche ritardamento. Di questa opinione è il Caietano, alla quale sottoscrivo il Magaglianes, confer¬ mandola con dire che Iosuè aveva quell’ istosso giorno fatte tant’ al¬ tre cose avanti il comandamento del Sole, che impossibile era che fossero spedite in un mezo giorno : onde si riducono ad interpetrar le parole in medio cadi veramente con qualche durezza, dicendo che l’importano l’istesso che il dire che il Sole si fermò essendo nel io nostro emisferio, ciò è sopra 1 ’ orizonte. Ma tal durezza ed ogn’ altra, s’io non erro, sfuggirem noi, collocando, conforme al sistema Co¬ pernicano, il Sole nel mezo, ciò è nel centro de gli orbi colesti o delle conversioni de’ pianeti, sì come è necessarissimo di porvelo ; perche, ponendo qualsivoglia ora del giorno, o la meridiana o altra quanto ne pinco vicina alla sera, il giorno fu allungato e fermate tutte le conversioni celesti col fermarsi il Sole nel mezo del cielo, ciò è nel centro di esso cielo, dove egli risiedo : senso tanto più accomodato alla lettera, oltre a quel che si è detto, quanto che, quando anco si volesse affermare la quiete del Sole essersi fatta nell’ ora del mezo 20 giorno, il parlar proprio sarebbe stato il dire che stetit in meridie, voi in meridiano cùcùlo, e non in medio cadi, poi che di un corpo sferico, quale è il cielo, il mezo ò veramente e solamente il contro. Quanto poi ad altri luoghi della Scrittura, che paiono contrariare a questa posizione, io non ho dubbio che quando ella fusse conosciuta per vera e dimostrata, quei medesimi teologi che, mentre la reputan falsa, stimano tali luoghi incapaci di esposizioni concordanti con quella, no troverebbono interpetrazioni molto ben congruenti, e massime quando all’ intelligenza delle Sacre Lettere aggiugnessero qualche co¬ gnizione delle scienze astronomiche : e come di presente, mentre la 30 stimano falsa, gli par d’incontrar, nel leggere le Scritture, solamente luoghi ad essa repugnanti, quando si avessero formato altro concetto, ne incontrerebbero per avventura altrettanti di concordi; e forse giu- 4. quale si sottoscrive — 13. s) come è necess .* di porvelo — 17. ciclo, ove egli — 17-18. acco¬ modato alle parole del testo sacro, oltre a quel — 23. Scrittura Sacra, che — 24. questa opi¬ nione, io — 30. le Scritture Sante, solamente — 1. dicendovi: Fermati, Sole, fermati, s — 5. giorno fatto tante, s— 11. collocando èccondo il sistema, Q. Ma Rii altri codici e la stampa loggono conforme al. — 15. piace vicino alla, 8 — 20. dire, Stetit, s — 27. in- terpetrazione molto ben congruente, c, G — interpretazioni mollo ben congiunte, c, s — 348 LETTERA A MADAMA CRESTINA DI LORENA. diclierebbono elio Santa Chiesa molto acconciamente narrasse che Iddio collocò il Sole nel centro del ciclo e che quindi, col rigirarlo in sò stesso a guisa d’ una ruota, contribuisco gli ordinati corsi alla Luna ed all’ altro stelle erranti, mentre ella canta : Cadi Deus sanclissime, Qui lucidum centmm poli Canèlore pingis igneo, Augcns decoro lumino; Quarto die qui flummctm Solis rotam constUucns, Lunae ministras ordinem, Vagosque cursus sidcrum. Potrebbono dire, il nome di firmamento convenirsi molto bene ad U- teram alla sfera stellata ed a tutto quello che è sopra le conversioni do’ pianeti, che, secondo questa disposizione, è totalmente fermo ed immobile. Cosi, movendosi la Terra circolarmente, s’intendorebbono i suoi poli dove si legge: Nec dum Termiti feci rat, et filmina et cardines orbis Terrae ; i quali cardini paiono indarno attribuiti al globo ter¬ restre, se egli sopra non se gli deve raggirare. 13-14. ad literam manca nel cod. V. — 10. raggirare , eie .— 3. ruoto, contribuirne gli, « — 13. molto bene manca noi cod. fi, ma ò dato dagli nitri codici o dulia stampa. — 14. la conversione, G— 10. 11 cod. G, il Maruodlinno II. 1.20, il Marciano CI. IV, n. CCCCLXXXVII, il Casati attìnse 075, il BaldovinotU 236, r Ambrosiano II. 220. Par. Inf., i Mngliabochiani CI. XI, 113, o II. IV. 215, il Maruccdliano C. XVI. 3, il cod. 139 della Fortoguorri di Pistoia, il cod. 2303 doli'Alcolica di Roma, il cod. Bc. M.ss. varii IIP» (lolla Nazionale di Torino, i Corsi ninni 1987, 1090 o 701, eoe., leggono immobile ad literam movendosi, facendo punto o dopo immobile o dopo ad literam. La stampa leggo: immobile. Ad literam movendosi ; ma la traduzione latina che accompagna la stampa, reca: Tandem, Terra iuxtu hoc idem 81 /sterna, circulariter se movente, ad literam intellùji poternt cine Poli : c il cod. liiccardiano 2146, il Mar¬ ciano CI. IV, n. L1X, il Mngliahoctiiano 11. IX. 65, e il cod. LYI. 4. 6 della Biblioteca Guarnacci di Volterra leggono immobile. Finalmente ad literam movendosi. — Dopo il testo della lettera, nel cod. G si legge: Oh vita paupevum Deus incus, in cuius sititi non est contradictio, pitie mi hi mitiga iònica in cor, ut patienter talee /man, qui non mila hoc dicunt, quia divini sunt et in corde Janiuli fui t nderunt quod dmint, tted quia superbi sunt, nec novera ut Moyei scntcni ium, s< d. umani suant, non quia vera est, sed quia sua est. Fx 10 Con/. I). Aia/., Orati* i, prope flncm ; o così si leggo, salvo differenze insignificanti, anche nel cod. Ambrosiano il. 226. Par. Inf., nei Corsiniani 701 o 1090, nel Casanatenso 675, nel Marciano Cl. IV, u. CCCCLXXXVII, o nel cod. Forni italien 212 (lolla Nazionale di Pa* rigi. Invoco nel cod. Riccardiano 2146, nei Magliaboeliintii 01. XI, 113 o II. IX. 65, nell’ Kstonso Vili. 17, nel cod. 2302 dell'Angelica di Roma, nei Casanatensi 2867 e 8339, nel cod. lic. Mss. va rii 116 della Nazio¬ nale di lei ino, nel Marciano Cl. 1\, n. I,1X, nel cod. L\ I. 4. 0 della Guarnacci di Volterra, nel cudico di prò* pritìta del sig. r Gamijrkim di Arezzo, nel cod. Fond ital, 1507 della Nazionale di Parigi, nel cod. Ilarlingto- nintio 4141 del Museo Britannico, conio puro nella stampa, dopo il testo della lettera si leggo: Naturavi rerum invenire, difficile ; ri ubi inveitene, indicare in vulgue, ne/as. Plato. In fino del cod. Maruccdliano B. 1.20, del Corrimano 193 < e del cod. Nuovi Acquieti (lai il ciani, cass. 1, n. 17, della Biblioteca Nazionale di Fireiize, si trova la citazione di S. Agostino, seguita dalle pardo Natura m renali ccc. 30 CONSIDERAZIONI CIRCA L’OPINIONE COPERNICANA. Per levare (per quanto da Dio benedetto mi vien conceduto) l’oc¬ casione di deviare dal nettissimo giudizio circa la determinazione sopra la pendente controversia, vedrò di rimuovere due concetti, che a me pare che alcuni proccurino d’imprimere in quelle persone alle quali aspetta il deliberare: i quali concetti, se io non erro, sono diversi dal vero. Il primo ò, elio non ci ha veruna occasione di temere che non possa avvenire esito scandaloso ; affermando essere talmente in filosofia dimo¬ strata la stabilità della Terra e mobilità del Sole, che ce ne sia sicura io ed indubitabile certezza ; e che, all’ incontro, la contraria posizione ò così immenso paradosso e manifesta stoltizia, che in venni conto non è da dubitare che nè ora nò in altro tempo sia non solo per poter esser dimonstrata, ma che nè pure sia per trovar luogo nella mente di per¬ sona giudiziosa. L’altro concetto che tentano d’imprimere è: Se bene ella è stata usurpata dal Copernico o altri astronomi, questo è stato fatto ex supposti ione ed in quanto ella può più agevolmente satisfare al- l’apparenze de’movimenti celesti ed ai calcoli e computi astrologici, ma non già elio i medesimi che l’hanno supposta, rabbino creduta per vera de facto ed in natura; onde concludono, potersi sicuramente ve- 20 nire all’esecuzione del dannarla. M[a se] io non prendo errore, questo discorso è fallace e diverso dalla verità, come dalle sequenti conside¬ razioni posso far manifesto : le quali scranno solamente generali, e atte a poter esser comprese senza molto studio e fatica anco da chi non fusse profondamente versato nelle scienze naturali ed astrono¬ miche ; chò quando l’occasione porgesse di dovere trattare questi 352 CONSIDERAZIONI punti con quelli die lusserò molto essercitati in questi s tu dii, o almeno avesser tempo di poterci far quella applicazione che richiederebbe la difficoltà della materia, altro non proporrei elio la lettura dol- l’istesso libro del Copernico, dalla quale e dalla forza delle sue dimo¬ strazioni apertamente si scorgerebbe quanto sion veri o falsi i due concetti de i quali parliamo. Clio, dunque, ella non sia da esser disprezzata come ridicolosa, apertamente ce lo dimonstra la qualità de gli uomini, non meno an¬ tichi che moderni, i quali l’hanno tenuta e tengono ; nò potrà alcuno stimarla ridicolosa, se egli non ha per ridicoli e stolti prima P-ita- io gora con tutta la sua setta, Filolao maestro di Platone, e natone istesso, come testifica Aristotele ne' libri del Cielo, Eraclide Politico ed Effanto, Aristarco Samio, Niceta, Selenco matematico: e Pistesso Seneca non pure non la deride, ma si burla di chi l’avesse per ridi¬ cola, scrivendo nel libro De comctis cosi: Ilio quoque pcrlinebit hoc cxcussissc, ut sciamus, utrum mundus (erra stante circumeai, an viundo stante terra vertatur: fnerunt enim qui diccrent, nos esse quos rerum na¬ tura nescientes farai, nec codi mota fieri ortus et occasus, sed ijms oriri et occidere. Digna res est consiìderatione, ut sciamus in quo rerum stata simus, piqerrimam sortili an velocissimam sedem, circa nos Deus omnia 20 an nos agat. Quanto a i moderni, Niccolò Copernico in prima P ha suscitata ed ampiamente in tutto il suo libro confermata, e successi¬ vamente altri: tra’ quali aviamo Guglielmo Gilberto, medico e filosofo eminente, che diffusamente ne tratta e la conferma nell’ultimo libro De magnete; Giovanni Cheplero, filosofo e matematico illustre vivente, al servizio del passato c del presente Imperatore, segue l'istessa opi¬ nione; Davide Origano, nel principio delle sue Effemeridi, comproba la mobilità della Terra con lunghissimo discorso; nò ci mancano altri autori che ne hanno publicate lo loro ragioni. Ma più, de’ seguaci di tale dottrina, ben che non ne abbino mandato scritture in publico, 30 ne potrei nominare moltissimi viventi in Roma, Firenze, Venezia, Pa¬ dova, Napoli, Pisa, Parma ed altri luoghi. Non ò dunque tal dottrina ridicola, essendo stata di nomini grandissimi ; e se bene il numero ò poco in comparazione do i seguaci della commune posizione, ciò ar- gumenta più presto la sua difficoltà ad esser capita, che la sua vanità. In oltre, che olla sia fondata sopra potentissime ed efficacissime 4 . Copernico , della quale — CIRCA I,’ OPINIONE COPERNICANA. 853 ragioni si può argomentare dall’essere tutti i suoi seguaci stati prima di opinione contraria; anzi che essi ancora per lungo tempo so ne risero e la reputorono stoltizia: di che ed io ed il Copernico, e tutti gli altri che vivono, possiamo render testimonianza. Ora chi crederà che una opinione reputata per vana, anzi stolta, che non abbia ap¬ pena uno per migliaio tra i filosofi che la seguitino, anzi reprobata dal Principe della filosofia corrente, possa esser persuasa da altro che da saldissime dimostrazioni, evidentissime esperienze e sottilissime osservazioni? Certo riissimo si lascierà rimuovere da una opinione io imbevuta col latte e con le prime discipline, plausibile quasi da tutto il mondo, appoggiata su l’autorità di gravissimi scrittori, se le ra¬ gioni in contrario non saranno più che efficaci 11 E se noi attentamente discorreremo, troveremo che più ha da valere l’autorità di un solo che segua l’opinione Copernicana, elio cent’ altri che tenghino la contraria, poi che quelli che hanno a esser persuasi della verità del sistema Copernicano, sono tutti da principio contrariissimi; onde io così discorro: Questi clic hanno da esser persuasi, o sono capaci dello ragioni del Copernico e d’altri suoi seguaci, o no; cd in oltre, esse ragioni o sono vere e dimostrative, o fallaci : se quelli che si hanno 20 a persuadere, saranno incapaci delle domonstrazioni, non resteranno persuasi mai nò dalle vere ragioni nè dalle false; quelli che fussero capaci della forza delle dimostrazioni, non resteranno parimente per¬ suasi già mai, quando esse dimostrazioni fusser fallaci. .. (2) non resto- ranno persuasi nè gli intendenti nè i non intendenti: adunque, non potendo nissuno assolutamente esser rimosso dal primo concetto da ragioni che sieno fallaci, ne seguita per necessaria illazione, elio so alcuno resterà persuaso del contrario di quello che egli prima cre¬ deva, le ragioni sieno persuadenti e vere : ma già de facto si trovano M Sul margine del codice si legge a questo punto, senza alcun segno di richiamo, quanto seguo: « Qui noti il lettore quanto sia da considerarsi o procurarsi che quelli i quali hanno a determinare sopra questa dottrina sieno benissimo informati delle ragioni per runa o per l’altra parte, e non sieno sempli¬ cemente coustituti in quelle prime appren¬ sioni che vengono in mente; poi elio Pautor primario e tutti gli altri suoi aderenti con¬ fessano, tal posizione esser, non solo, nel principio che gli giunse, nuova, ma per molto tempo parsa a loro assurda o impossibile: tuttavia la forza delle dimostrazioni c delle manifeste osservazioni gli ha rimossi dal primo concetto. » 11 ms. : quando esse dimostrazioni fus- scr fallaci, non resteranno persuasi ecc. Evi¬ dentemente il copista nel trascrivere omise, dopo /'alitici, alcune parole, come per modo che dalle dimostrazioni fallaci , ovvero altra simile locuzione. V. 45 354 CONSIDERA ZIONr molti persuasi dalle ragioni Copernicane e di altri : adunque ed esso ragioni sono efficaci, e l’opinione non merita il nome di ridicola, ma di degna d’essere attentissimamente considerata c ponderata. In oltre, quanto sia vano l’argumentar l’applausibilità di questa o di quella opinione dalla semplice moltitudine de i seguaci, si può da questo agevolmente raccòrrò: poi elio non è alcuno die séguiti questa opinione, che prima non fosse della contraria; ma, all’incontro, non si troverà pure un solo, che avendo tenuta questa opinione, tra¬ passi all’altra per qualunque discorso egli ne ascolti ; onde probabil¬ mente si può stimare, anco da chi non sentisse le ragioni nè di questa io nè di quella parte, che le dimostrazioni por la mobilità della Terra sieno molto più gagliarde di quelle dell’ altra parte. Ma più dirò, che quando per scrutinio si avesse a vincere la probabilità dello due posizioni, io non solamente mi contenterei di chiamarmi vinto quando la parte avversa avesse tra cento un voto pili di me; ma mi con¬ tenterei che ogni voto particolar dell’ avversario valesse per dieci de’ miei, tutta volta che il partito fosse fatto da persone che perfet¬ tamente avessero ascoltate ed intimamente penetrate o sottilmente esaminate tutte le ragioni e fondamenti dello parti ; e tali è ben ra¬ gionevole che sieno quelli che hanno a render i voti. Non è dunque 20 ridicola e sprezzabile questa opinione, ma bene mal sicura è quella di chi volesse far gran capitale dell’universale opinione della molti¬ tudine di quelli che accuratamente non hanno studiato questi autori. Clie dunque si deve dire, o qual conto si deve far, de gli strepiti e vani cicalamenti di taluno che nè pure ha veduto i primi e più sem¬ plici principi! di queste dottrino, nè per avventura è idoneo a poterle intendere in alcun tempo mai? Quelli che persistono in voler affermare che il Copernico abbia solamente come astronomo presa ex hi/pothesi la mobilità della Terra c stabilità del Sole, in quanto ella meglio satisfaccia al salvare delle 30 apparenze celesti ed al calculo de’movimenti do i pianeti, ma non già che per vera ei la credesse realmente ed in natura, mostrano (e sia detto con pace loro) d’ aver troppo creduto alla relazione di chi forse parla più per proprio arbitrio, che per pratica che egli abbia nel libro del Copernico o nell’ intender la natura di questo negozio ; circa il quale per tale cagione non del tutto aggiustatamente discorrono. 5 . opinione della semplice — CIRCA L’OPINIONE COPERNICANA. 355 E prima (stando pur solamente sopra le conietture generali), veg- gasi la prefazione di quello a Paulo terzo, Sommo Pontefice, al quale egli dedica P opera ; e troverassi, prima, come per satisfare alla parte elio questi dicono dell’ astronomo, egli aveva fatta e compita P opera secondo 1’ ipotesi della commune filosofia e conforme al- l’istesso Tolommoo, sì che niente ci era da desiderare ; ma poi, spo- liatosi Y abito di puro astronomo e vestitosi quello di contemplatore della natura, si pose a esaminare se questa già introdotta supposi¬ zione da gli astronomi, e elio quanto a i calcoli ed apparenze di io moti a pianeta per pianeta competentemente satisfaceva, potesse anco re vera sussistere nel mondo e nella natura ; e trovando che in ma¬ niera alcuna non poteva essere una tale ordinazione di parti, dello quali, ben che in sè stessa ciascuna fosse assai proporzionata, nel congiugnerle poi insieme si veniva a formare una mostruosissima chimera, si pose, come dico, a contemplare qual potesse realmente essere in natura il mondano sistema, non più per il solo commodo del puro astronomo, a i calcoli del quale già aveva satisfatto, ma per venir in cognizione di sì nobile problema naturale, sicuro oltre a ciò, che se alle semplici apparenze si era potuto satisfare con ipo- 20 tesi non vere, molto meglio ciò si averebbe dalla vera e naturai constituzion mondana. E trovandosi ricchissimo di osservazioni vere e reali in natura, fatte ne i corsi delle stelle, senza la qual cogni¬ zione è del tutto impossibile conseguire una tal notizia, s’applicò con indefessi studii al ritrovamento di tale constituzione : e prima, invitato dall’ autorità di tanti antichi uomini grandissimi, si diede alla con¬ templazione della mobilità della Terra e stabilità del Sole ; senza il quale invito ed autorità, per sè stesso o non gli sarebbe venuto in mente tal concetto, o 1’ averebbe avuto, come egli confessa d’ averlo avuto nel primo apparire, per acroama e paradosso grandissimo ; ma so poi con lunghe e sensate osservazioni, con incontri concordanti e fer¬ missime dimostrazioni, lo scoperse talmente consonante alla mondana armonia, che interamente s’ accertò della sua verità. Non è, dunque, introdotta questa posizione per satisfare al puro astronomo, ma per satisfare alla necessità della natura. Di più, conobbe e scrisse nell’ istesso luogo il Copernico, che il pu- blicare al mondo questa opinione l’averebbe fatto reputar pazzo dal- l’infinità de i seguaci della corrente filosofia, e più dall’ università de gli CONSIDERAZIONI nomini volgari: nuli adii nono, forzato da i comandamenti del Cardinal Capuano e dal Vescovo Culmense, egli la publicò. Ora, qual pazzia sa¬ rebbe stata la sua, se egli, reputando tale opinione per falsa in natura, l’avesse publicata per creduta vera da sè, con certezza di averne a esser reputato stolto appresso tutto il mondo? e perchè non si sarebbe egli dichiarato d’ usurparla solo come astronomo, ina di negarla come filo¬ sofo, sfuggendo con questo protesto, con laude del suo gran giudizio, la nota universale di stoltizia ? In oltre, il Copernico apporta assai minutamente i fondamenti e le ragioni per le quali gli antichi lian creduto la Terra esser immobile, io o poi, esaminando il valore di ciascheduna paratamente, lo dimostra inefficaci: ora chi vidde mai autore alcuno sensato porsi a confutar le dimostrazioni confermanti una proposizione stimata da sè vera e reale ? e qual giudizio sarebbe stato il suo, di reprobare o dannare una conclusione, mentre che effettivamente egli avesse voluto che il lettore credesse che ci la reputasse vera? Simili incongruenze non si possono attribuire a un tanto uomo. Di più, notisi attentamente che trattandosi della mobilità o quiete della Terra o del Sole, siamo in un dilemma di proposizioni contra- dittorie, delle quali per necessità una è vera, nè si può in modo alcuno 20 ricorrer a dire elio forse non sta nè in questo nò in quel modo : ora se la stabilità della Terra e mobilità del Sole è da facto vera in natura, e assurda la contraria posizion, come si potrà ragionevolmente dire, clic meglio si accordi all’apparenze manifeste visibili e sensate, nei movimenti 0 constituzioni delle stelle, la posizione falsa che la vera ? chi è quello che non sappia, concordantissima essere P armonia di tutti i veri in natura, ed asprissimamente dissonare le false posi¬ zioni da gli effetti veri ? Concorderà, dunque, in ogui spezie di con¬ sonanza la mobilità della Terra c stabilità del Sole con la disposi¬ zione di tutti gli altri corpi mondani e con tutte le apparenze, che 30 sono mille, che noi ed i nostri antecessori hanno minutissimamente osservate, e sarà tal posizione falsa ; e la stabilità della Terra e mobilità del Sole, stimata vera, in modo alcuno non potrà con le altre verità concordarsi ? Se si potesse dire, non esser vera nè questa nè quella posizione, potrebbe esser che P una si accomodasse meglio che l’altra al render ragiono dell’apparenze : ma che delle medesime 2. Cai mense — CIRCA L* OPINIONE COPERNICANA. 357 posizioni, delle quali una necessariamente è falsa e 1’ altra vera, si abbia da affermare clic la falsa meglio risponda a gli effetti in natura, veramente passa la mia imaginazione. Aggiungo e replico: Se 1 Co¬ pernico confessa cV aver pienamente satisfatto a gli astronomi con la comm une o ricevuta per vera ipotesi, come si ha da dire clie egli volesse o potesse con una falsa e stolta satisfare di nuovo a’ mede¬ simi astronomi ? Ma passo a considerare internamente la natura del negozio, e a mostrare con quanta attenzione si deva discorrere circa di esso, io Due sorte di supposizioni hanno sin qui fatto gli astronomi: alcune sono prime o riguardanti all’ assoluta verità in natura ; altre sono seconde, le quali sono state imaginate per render ragione dell’ ap¬ parenze ne i movimenti delle stelle, lo quali apparenze mostrano in certo modo non concordare con le prime e vere supposizioni. Come, per essempio, Tolomeo, prima che applicarsi al satisfare all’apparenze, suppone, non come puro astronomo, ma conio purissimo fdosofo, anzi dalli stessi filosofi piglia, clic i movimenti celesti sieno tutti circolari e regolari, cioè equabili ; che il cielo sia di figura sferica ; che la Terra sia nel centro della sfera celeste, sia essa ancora sferica ed 20 immobile, etc. : voltandosi poi all’ inegualità che noi scorgiamo ne i movimenti e nelle lontananze de i pianeti, le quali pare ohe repu- gnino alle prime o stabilite supposizioni naturali, passa ad un’ altra sorte di supposizioni, che ha per mira di ritrovar le ragioni, come, senza mutar le prime, possa esser l’evidente o sensata inequalità ne i movimenti delle stello e nel loro appressamento e discostamento dalla Terra ; per il che fare introduce alcuni movimenti pur circolari ma sopra ad altri centri che quello della Terra, descrivendo cerchi eccentrici ed epicicli: e questa seconda supposizione è quella della quale alcuno potrebbe dire che 1’ astronomo suppone per satisfare a i suoi so computi, senza obligarsi a sostenere che ella sia re vera in natura. Veggi amo adesso tra quali spezie di ipotesi riponga il Copernico la mobilità della Terra e stabilità del Sole : che non ha dubbio alcuno che, se noi ben considereremo, egli la ripone tra lo posizioni prime e necessarie in natura ; poi che, per quanto apparisce, agli astronomi egli aveva dato, come già ho detto, satisfazione per l’altra strada, e solo si applica poi a questa per satisfare al problema massimo 10 . Due sorte eli opposizioni haniìo — 18 . cioè aequabile ; che — 358 CONSLDEKAZIONI naturale. Anzi tanto è falso che egli prenda questa supposizione per satisfare alla parte de’ calcoli astronomici, che egli medesimo, quando viene a colali calcoli, lascia questa posiziono e ritorna alla vecchia, come più accommoclata e facile ad essere appresa e come destrissima ancora per gli stessi computi ; avvenga che, ossendo per sua natura tanto il suppor l’una posiziono quanto l’altra, cioè il far andar intorno la Terra o i cicli, accommodata per i calcoli particolari, nul- ladimeno 1’ aver già tanti geometri ed astronomi in tanti e tanti libri dimonstrati gli accidenti delle ascensioni rette ed oblique dello parti del zodiaco in rispetto all’ cquinozziale, le declinazioni delle io parti dell’ ecclittica, le diversità degli angoli di essa con gli orizonti obliqui e col meridiano, e mille altri particolari accidenti necessairi ad integrare la scienza astronomica, là che l’istesso Copernico, quando viene a considerare detti accidenti de i primi moti, gli considera al modo antico, come fatti ne i cerchi figurati in cielo e mossi intorno alla Terra stabile, ben che la fermeza o stabilità sia nel cielo altis¬ simo, detto il primo mobile, e la mobilità nella Terra : o però nel proemio del 2° libro conclude : Nono vero miretur si adirne ortum et occasum Solis et stellarum atque his similia simpUcitcr nominaveri mas, sed noverii nos consueto sermone loqui , qui possit recipi ab omnibus : semper 20 lumen in mente tenemus quod Qui Terra vclnmur, nobis Sol Lnnaqnc transit, Stcllanmque viccs redeunt, ìtcrumque recedimi. Non si revochi dunque in dubbio in modo alcuno, che il Coper¬ nico non per altra ragione nò in altra maniera prende la mobilità della Terra c stabilità del Sole, che per stabilire, in grazia del filo¬ sofo naturale, questa ipotesi della prima spezie, e, per Topposito, quando egli viene alla parte de i computi astronomici,ritorna a prender Tipo¬ tesi vecchia, che immagina i cerchi de i primi movimenti con i loro accidenti essere nel cielo altissimo intorno alla Terra stabile, come so più facile ad esser appresa da ciascheduno per l’inveterata consue¬ tudine. Ma che dico io ? tanta è la forza del vero e l’infermità del falso, die quegli che in simil modo discorrono, por lor medesimi si scuoprouo non in tutto intelligenti e versati in queste materie, tut- tavolta che si sono lasciati persuadere che la seconda spezie di ipotesi sia reputata chimerica e favolosa da Tolomeo e da gli altri astronomi CIRCA li* OPINIONE COPERNICANA. 359 gravi, e che essi veramente la stimino falsa in natura e solamente introdotta in grazia de’ computi astronomici. Della quale vanissima opinione non addurranno altro fondamento che un luogo di Tolomeo, il quale, non avendo potuto osservare nel Sole più che una semplice anomalia, scrisse che per render ragione di quella si poteva prender tanto l’ipotesi del semplice eccentrico quanto dell’ epiciclo nel con¬ centrico, e soggiunse volersi attenere alla prima come più semplice della seconda; su le quali parole assai debolmente argomentano alcuni, aver Tolomeo reputata non necessaria, anzi totalmente fittizia, questa io e quella posizione, poi che afferma, tanto potersi accomodar 1’ una quanto 1’ altra, mentre che una sola, e non più, si può attribuire alla teorica del Sole. Ma qual leggerezza è questa? e chi sarà quello che, supponendo per vere le prime supposizioni, che i movimenti de’ pianeti sicno circolari c regolari, ed ammettendo (come il senso stesso per necessità ci sforza) che tutti i pianeti, scorrendo il zodiaco, or sicn tardi ed or sien veloci, anzi che la maggior parte non pur tardi, ma stazionarli e retrogradi, si demonstrino, e clic ora grandis¬ simi e vicinissimi alla Terra, ed ora piccolissimi e lontanissimi, gli scorgiamo, chi sarà, dico, della professione che, intendendo queste 20 prime apprensioni, possa poi negare ritrovarsi realmente in natura gli eccentrici e gli epicicli ? Questo che ne gli uomini non professori di queste scienze è molto scusabile, ne gli altri che le professassero darebbe indizio di non ben capire nò anco il significato de’ termini eccentrico ed epiciclo : e con altrettanta ragione uno che confessasse, di questi tre caratteri il primo esser D, il secondo I, il terzo 0, potrebbe poi in conclusione negare, dal computo di essi resultarne DIO, ed affermare che descrivino OMBRA. Ma quando le ragioni discursive non bastassero a far capire la necessità di dover realissimamente porre gli eccentrici ed epicicli in natura, doverà almeno persuader¬ lo glielo il senso stesso, mentre si veggono i quattro pianeti Medicei descrivere quattro piccoli cerchi intorno a Giove, remotissimi dal circondar la Terra, cioè quattro epicicli ; doverà dar Venere, ora piena di lume ed ora sottilissimamente falcata, necessario argomento della sua conversione intorno al Sole, e non intorno alla Terra, ed in consequenza che il suo corso è in uno epiciclo ; e T istesso si argo¬ menterà di Mercurio. Oltre a ciò, dell’ essere i tre pianeti superiori 19 . scorgiamo t che sarà — CONSIDERAZIONI 300 vicinissimi alla Terra quando sono all’ opposizione del Solo, e remo¬ tissimi circa le congiunzioni, intanto clic Marte nella maggior vici¬ nanza ci si mostra al senso cinquanta e più volte maggiore che nella massima lontananza (ondo alcuno lia talora temuto che ei si fosse smarrito e svanito, restando veramente, per la sua somma lontananza, invisibile), elio altro si potrà concludere, se non la loro conversione essere in cerchi eccentrici, o vero in epicicli, o nell’aggregato di questi o di quelli, se si considera la seconda anomalia? Negar, dunque, gli eccentrici e gli epicicli a i moti de’ pianeti è come negar la luce al Sole, o vero è un contrariar a se medesimo. Ed applicando quanto dico io più positivamente al nostro proposito, mentre altri dice, introdurre gli astronomi moderni il moto della Terra e stabilità del Sole ex sup- positione per salvar le apparenze e per servir a i calcoli, sì come si ammettono gli eccentrici e gli epicicli per il medesimo rispetto, sti¬ mandogli però gli stessi astronomi chimerici e repugnanti in natura, dico che volontieri ammetterò tutto questo discorso, pur che loro an¬ cora si contentino di stare alle loro medesimo concessioni, si che la mobilità della Terra e stabilità del Sole sia altrettanto falsa o vera in natura quanto gli epicicli o gli eccentrici. Faccino, dunque, costoro ogni loro sforzo per rimover la vera e reale essistenza di tali cerchi, 20 chè quando succeda loro il rimovergli dimostrativamente dalla natura, io subito m’ arrendo, e gli concedo per gran assurdo la mobilità della Terra : ma se, all’ incontro, saranno necessitati ad ammettergli, con¬ fessino altresì la mobilità della Terra, c confessino sò essere dalle proprie contradizioni convinti. Molte altre cose potrei addurre in questo medesimo proposito ; ma perchè io stimo che chi da quanto ho detto non resta persuaso, non resterebbe nè anco da molte più ragioni, voglio che bastino queste, e solamente soggiungerò qual possa essere stato il motivo, sopra il quale alcuni fondatisi, possino con qualche ombra di verisimile avere so avuta opinione che l’istesso Copernico non abbia veramente creduta la sua ipotesi. Leggesi nel rovescio della carta dell’ intitolazione del libro del Copernico certa prefazione al lettore, la quale non è dell’ autore, poi che parla di esso per terza persona, ed è senza nome; dove apertamente si legge, che non si creda in modo alcuno che il Co¬ pernico stimasse per vera la sua posizione, ma solo che la fingesse CIRCA Li’ OPINIONE COPERNICANA. 3C1 ed introducesse per i calcoli de’ movimenti celesti, e finisce il suo di¬ scorso concludendo elio il tenerla per vera e reale sarebbe stoltizia : conclusione tanto resoluta, elio chi non leggo più oltre, e la reputa per posta almeno di consenso dell’ autore, merita qualche scusa dell’ error suo. Ma qual conto si deva fare del parere di chi volesse sentenziare un libro non leggendo di quello altro che una breve prefazione dello stampatore e libraio, lascio che ciascheduno da per sè lo giudichi: e dico, tal prefazione non poter essere d’altri che del libraio per facilitare la vendita al libro, che dall’ universale sarebbe stato repu- 10 tato per una fantastica chimera quando non se gli fosse aggiunto un simil temperamento, poi che il compratore suole il più delle volte dar una lettura a tali prefazioni prima che comprar 1’ opre. E che questa prefazione non solamente non sia dell’ autore, ma che ella vi sia posta senza sua saputa, non che senza suo consenso, lo manife¬ stano gli errori ne’ puri termini che vi son dentro, li quali 1’ autore non avrebbe mai ammessi. Scrive questo prefatore, non doversi aver per verisimile, se non da chi fosse del tutto ignorante di geometria e di optica, che Ve¬ nere abbia un sì grande epiciclo, che per esso possa or precedere 20 ed or posporsi al Sole per 40 gradi o più, poi clic bisognerebbe che quando ella è altissima, il suo diametro si mostrasse appena la quarta parte di quello che si mostra quando è bassissima, e che il suo corpo si vedesse in questo sito 16 volte maggior che in quello; alle quali coso, dice egli, repugnano l’esperienze di tutti i secoli. Ne i quali detti, prima, si vede che egli non sa cho Venere si al¬ lontana di qua e di là del Sole poco meno di 48 gradi, e non 40, come dice lui. Inoltre, afferma che il suo diametro dovrebbe appa¬ rire 4 volte, ed il suo corpo 16, maggiore in questa positura che in quella: dove, prima, per difetto di geometria, egli non intende che do quando un globo abbia il diametro maggior di un altro quattro volte, il corpo poi è 64 volte maggiore, e non 16, come egli afferma; tal che se egli aveva per assurdo un tale epiciclo e voleva perciò dichia¬ rarlo per impossibile in natura, se avesse inteso questa materia, po¬ teva far 1’ assurdo molto maggiore, poi che conforme alla posizione che egli vuol reprovare e che è messa da gli astronomi, Venere di¬ gredisce dal Sole quasi 48 gradi, e la sua distanza quando è lonta- 2 . il tenerlo per — 24 . V esperienze de tutti secoli — v. 40 CONSIKiiBAZIONF nissima dalla Terra convien che sia maggiore più di G volto elio quando ò vicinissima, ed in consequenza il suo diametro visuale mag¬ giore in questa posizione che in quella più di G volte, e non 4, ed il corpo più di 216 volte maggioro, e non 1G solamente: errori tanto sconci, che non è da credere che fossero commessi da Copernico, nò da altri che da persone imperitissime. In oltre, a che produrre por assurdo grande una tal vastezza di epiciclo, acciò clic por tale as¬ surdo si abbia a stimar che il Copernico non abbia reputate, nò altri dova reputare, per vere le sue posizioni ? egli doveva pur ricor¬ darsi che, opponendo il Copernico nel cap. 10 del libro primo, par- io landò ad hominem, a gli altri astronomi per grande essorbitanza il duro a Venere un epiciclo così grande che eccedesse tutto il concavo della Luna più di 200 volto e che in sò contenesse niente, tal assurdo viòli poi tolto da lui mentre dimostra manifestamente, dentro al- T orbo di Venere contenersi 1’ orbe di Mercurio ed il corpo stesso del Sole, posto nel centro di quello. Qual leggerezza, dunque, è questa, di voler convincere una posiziono per erronea e falsa in vigor d’ un inconveniente il quale quell’ istessa posiziono non solo non introduce in natura, ma intieramente lo leva ? sì come leva ancora i vastissimi epicicli che gli altri astronomi por necessità ponevano nell’ altro si- so sterna. E questo solo ò quanto tocca il prefatore del Copernico: onde si può argomentare, che se altro avesse posto attenente alla profes¬ sione, altri errori avrebbe commessi. Ma finalmente, per levar ogn’ombra di dubitare, quando il non ap¬ parire al senso così gran diversità nello grandezze apparenti del corpo di Venere avesse a revocare in dubbio la sua circolar conversione in¬ torno al Sole, conforme al sistema Copernicano, facciasi diligente osser¬ vazione con stromento idoneo, cioè con un perfetto telescopio, e trove- rassi puntualmente rispondere il tutto in effetto ed in esperienza ; cioè si vedrà Venere, quando ò vicinissima alla Terra, falcata, o di diametro a a ben G volte maggiore che quando ò nella sua massima lontananza, cioè sopra ’1 Sole, dove si scorge rotonda e piccolissima: e come dal non discerner tal diversità con la semplice vista, per le ragioni da me addotte altrove, parerà che si potesse ragionevolmente negar tal po¬ sizione, così ora dal vederne essattissimo rincontro in questa ed in ogn’ altra particolarità, rimovasi ogni dubbio, e si reputi per vera e reale. Ed in quanto appartiene al restante di questo ammirando si- CIRCA E’ OPINIONE COPERNICANA. 363 stema, chiunque desidera di aver accertarsi della opinione Copernico, legga non una vana scrittura dello stampatore, 1’ opera dell’ autore stesso ; che senza dubbio toccherà con il Copernico ha tenuta per verissima la stabilità del Sole bilità della Terra. del stesso ma tutta mano elio e la mo- CONSIDERAZIONI La mobilità della Terra e stabilità del Solo non può mai esser contro alla Fede o allo Scritture Sacre, (piando ella fosse verace¬ mente, con esperienze sensate, con osservazioni estuisi te o con de- monstrazioni necessarie, provata esser vera in natura da filosofi, astro¬ nomi c matematici; ma in tal caso, se alcuni luoghi della Scrittura paressero sonare in contrario, doviamo dire ciò accadere per infir- mità del nostro intelletto, il qualo non abbia potuto penetrare il vero sentimento di essa Scrittura in questo particolare : o questa ò dot¬ trina comune e lettissima, non potendo un vero contrariare a un altro vero. Però chi vorrà giuridicamente dannarla, bisogna prima io che la dimostri falsa in natura, redarguendo le ragioni in contrario. Ora, si cerca, per assicurarsi della sua falsità, da qual capo si deva cominciare : cioè se dalle autorità della Scrittura, o puro dalla confutazione delle dimostrazioni ed esperienze de’ filosofi od astronomi. Rispondo, doversi cominciare dal luogo più sicuro c lontano dall’ap¬ portare scandalo ; e questo ò il cominciare dalle ragioni naturali o matematiche. Imperò che, se le ragioni provanti la mobilità della Terra si troveranno esser fallaci, e le contrarie dimonstrative, già saremo fatti certi della falsità di tal proposizione e della verità della contraria, con la quale diciamo ora che consuona il senso delle Scrit- 20 ture ; sì che liberamente e senza pericolo si potrà dannare la pro- posizion falsa : ma se quelle ragioni si troveranno esser vere e ne¬ cessarie, non però sarà apportato pregiudizio alcuno alle autorità della Scrittura; ma bcu resteremo noi fatti cauti, come per nostra ignoranza non avevamo penetrato i veri sensi dello Scritture, i quali allora potremo conseguire, aiutati dalla nuovamente conosciuta ve¬ rità naturale : tal che il cominciar dalle ragioni è ili ogni maniera sicuro. Ma, all’ incontro, quando fermati solamente sopra quello che a noi paresse il vero e certissimo senso delle Scritture, si passasse a dannar una tal proposizione senza esaminar la forza delle dimostra- so zioni, quale scandalo seguirebbe quando le sensate esperienze e ra¬ gioni mostrassero il contrario ? hi chi arebbe messo confusione in 27. il cominciar delle ragioni — CIECA L’OPINIONE copernicana. 3G5 Santa Chiesa ? quelli che proponevano una somma considerazione sopra le dimostrazioni, o pur quelli che le avessero disprezzate? Veg- gasi, dunque, quale è la strada più sicura. Inoltre, mentre noi concediamo che una proposizione naturale, che sia con dimostrazioni naturali e matematiche dimostrata esser vera, non può mai contrariare alle Scritture, ma che in tal caso la debo¬ lezza del nostro intelletto era quella che non aveva penetrato i veri sentimenti di esse Scritture, chi volesse poi per confutare e dimo¬ strar falsa la medesima proposizione servirsi dell’ autorità de i me¬ lo desimi luoghi di Scritture, commetterebbe quell’errore che si chiama petitio principii; perchè, essendo, in vigor delle demostrazioni, già reso dubbio qual sia il vero senso delle Scritture, non possiamo più pren¬ derlo per chiaro e sicuro per confutar la medesima proposizione, ma bisogna snervare le dimostrazioni e trovar la sua fallacia con altre ragioni, esperienze e più certe osservazioni ; e quando in tal modo si sarà trovata la verità de facto ed in natura, allora, e non prima, potremo esser assicurati del vero senso delle Scritture, e sicuramente ce ne potremo servire. La via, dunque, sicura è il cominciar dalle dimostrazioni, confermando le vere e confutando le fallaci. 20 Se la Terra si muove eie facto, noi non possiamo mutar la natura e far che ella non si muova; ma ben possiamo facilmente levar la repu- gnanza della Scrittura con la sola confessione di non aver penetrato il suo vero sènso. Adunque la via della sicurezza di non errare è di comin¬ ciar dall’inquisizioni astronomiche e naturali, e non dalle scritturali. Sento dirmi che tutti i Padri nell’ esporre i luoghi della Scrit¬ tura attenenti a questo punto convengono nell’interpretargli secondo il senso semplicissimo o conforme al puro significato delle parole, e che però non conviene dargli altro sentimento nè alterare la comune esposizione, perchè sarebbe un accusare i Padri di inavvertenza o 30 negligenza. Rispondo ammettendo sì ragionevole c conveniente ri¬ guardo, ma soggiungo che prontissima aviamo la scusa per i Padri: ed è che quelli non esposero mai le Scritture diversamente dal suono delle parole in questa materia, perchè l’opinione della mobilità della Terra era a i tempi loro totalmente sepolta, nè pure se ne discor¬ reva, non che si scrivesse o sostenesse ; però nissuna nota di negli¬ genza cade sopra i Padri, se non fecero rcflessione sopra quello che del tutto era occulto. E che loro non ci facessero retiessione, è ma- CONBIPKK AZIONI infesto dal non si trovare infioro scritti pur una parola di tale opi¬ nione: anzi so alcuno dicesso elio loro la considerassero, questo ren¬ derebbe molto più pericoloso il volerla dannare, poi elio essi la con¬ siderarono, e non solo non la dannarono, ma non vi posar sopra dubbio veruno. La difesa, dunque, do i Padri è facilissima o pronta. Ma, per l’opposito, sarebbe ben difficilissimo o impossibile lo scusare e liberar da simil nota d’inavvertenza i Sommi Pontefici, i Conoilii ed i rifor¬ matori di indici, li quali per 80 anni continui avessero lasciato cor¬ rere un’ opinione ed un libro il quale, sondo prima stato scritto a i io comandamenti di un Sommo Pontefice, e poi stampato por ordine eli un Cardinale e d’ un Vescovo, e dedicato a un altro Pontefice, o, di più, singolare in quella dottrina, ondo non si può dire clic oi sia po¬ tuto restar occulto, ei fosse ammesso da Santa Chiesa, mentre la sua dottrina fosse erronea e dannanda. Se, dunque, la considerazione del non convenirsi tassare i nostri maggiori di negligenza dove, sì come conviene, militare ed esser tenuta in gran conto, avvertasi clie noi volere sfuggire un assurdo, non si incorra in un maggioro. Ma quando pur paresse ad alcuno inconveniente il lasciar la co- mnno esposizione de i Padri, anco in proposizioni naturali, ben che 20 non discusse da quelli, nò pur cadutogli in consideraziono la propo¬ sizione contraria, io domando quello che si dovria faro quando le demostrazioni necessarie concludessero il fatto in natura per l’oppo¬ sito. Quale de i due decreti sarebbe da alterarsi ? quello clic ci deter¬ mina, riissima proposizione poter esser vera ed erronea, 0 1 ’altro che obliga a reputare come de Fide le proposizioni naturali insignite della concorde interpretazione de i Padri? A me, s'io non m’inganno, pare che più sicuro sarebbe il modificare questo secondo decreto, che il voler costringere a tener per de Fide una proposizione naturale la quale per concludenti ragioni fusse dimostrata falsa in fatto ed in so natura ; e panni elio dir si potrebbe che la concorde esposizione de i Padri deva esser di assoluta autorità nelle proposizioni da loro ven¬ tilate 0 delle quali non si avesse, e fusse certo che non se ne potesso aver già mai, dimostrazioni in contrario. Lascio stare elio paro assai chiaro che il Concilio obliga solamente a convenire con la comune esposizione de i Padri in rebus Fidei et morum de. 1G. convenirsi tassasse i — CIRCA L’ OPINIONE COPERNICANA. 367 1°. Il Copernico pone gli eccentrici e gli epicicli ; nè questi sono stati cagione di rifiutare il sistema Tolomaico (essendo loro indubi¬ tatamente in cielo), ma altre essorbitanze. 2". Quanto a i filosofi, se saranno veri filosofi, cioè amatori del vero, non doveranno irritarsi, ma, conoscendo di aver mal creduto, dovranno ringraziar chi gli mostra la verità; e se la loro opinione rimarrà in piede, aranno causa di gloriarsi, e non di sdegnarsi. I teo¬ logi non si dovranno irritare: perchè, trovandosi tal opinione falsa, potranno liberamente proibirla; e scoprendosi vera, dovranno ralle- io grarsi che altri gli abbia aperta la strada di trovare veri sensi dalle Scritture, e raffrenati dall’ incorrer in un grave scandalo, di dannare una proposizione vera. Quanto al render false lo Scritture, ciò non è nè sarà mai nel- l’intenzione delti astronomi cattolici, quali siamo noi; anzi nostra opi¬ nione è che le Scritture benissimo concordino con le verità naturali dimonstrate. Guardinsi pure alcuni teologi non astronomi dal render false le Scritture con volerle interpretar contro proposizioni che pos¬ sono esser vere e dimonstrate in [natura]. 3°. Potrebbe essere che noi avessimo delle difficultà in espor lo 20 Scritture etc. : ma ciò per nostra ignoranza, ma non già perchè real¬ mente vi sia, o possa essere, difficultà insuperabile in concordarle con le verità dimostrate. [4°.] Il Concilio parla de rebus Fidei et mormn etc. : il dir poi elio tal proposizione è de Fide ratione dicentis, se bene non ratione obiecti, e che però sia delle comprese dal Concilio, si risponde che tutto quello che è nella Scrittura è de Fide ratione dicentis, onde per tal rispetto dovrebbe essere compreso dalla regola del Concilio, il che chiaramente non è stato fatto, perchè avrebbe detto in ovini verbo Scripturarum sequenda est expositìo Fatrum etc., e non in rebus 30 Fidei et mormn ; avendo detto dunque in rebus Fidei, si vede che la sua intenzione è stata d’intender in rebus Fidei ratione obiecti. Che poi 14. Prima era scritto astrolof/i cattolici; poi astroloqi fu corretto, non è chiaro so dalla stessa mano, in astronomi. — 22. la verità dimostrale — 30. avendo dato dunque — CON,SIDERAZIONI molto più sia de Fide il tener che Abramo avesse figli, e che Tubbia avesse un cane, porcili) la Scrittura lo (lice, elio non è il tener elio la Terra si muova, ben elio questo ancora si legga nella medesima Scrittura, o elio il negar quello sia eresia, ma non il negar questo, parmi elio dependa da tal ragione: perchè, essendo al mondo stati sempre uomini elio hanno avuto 2, 4, G agli otc., ed anco nissuno, e parimente citi abbia de’ cani e olii no, ondo sia egualmente credibile elio alcuno abbia figli o cani o elio altri non no abbia, non appa¬ risce ragiono o rispetto alcuno por il quale lo Spi rito Santo avesse ad affermare in tali proposizioni diversamente dal vero, essendo a io tutti gli uomini egualmente credibile la parto negativa o 1’ affirilla¬ tiva ; ma non cosi accade della mobilità della Terra e stabilità del Sole, essendo proposizioni lontanissime dall’ apprensione del vulgo, alla capacità del quale in queste cose, non concernenti alla sua sa¬ lute, è piaciuto allo Spirito Santo di accomodar i pronunciati delle Sacre Lettere, ben che ex parte rei il fatto stia altramente. [5.°] Quanto al porre il Sole nel cielo e la Terra fuori di esso come pare che affermili le Scritture, etc., questa veramente mi pare una semplice nostra apprensione ed un parlar solamente ratione nostri, perchè realmente tutto quello che è circondato dal cielo è nel cielo, 20 sì come tutto quel che vion circondato dalle mura è nella città; anzi, se vantaggio alcuno si avesse a fare, quello è più nel cielo e nella città, che è nel mezo, e, come si dice, nel cuore della città e del cielo. La differenza ratione nostri è perchè noi ponghiamo la regione elementare, circondante la Terra, molto diversa dalla parte celeste : ma tal diversità sarà sempre, pongansi essi elementi in qualsivoglia luogo ; e sempre sarà vero che ratione nostri la Terra ci sia sotto c il cielo sopra, perchè tutti gli abitatori della Terra hanno il ciclo sopra il capo, che è il nostro snrsum, e sotto i piedi il centro della terra, che è il nostro dcorsum. Così rispetto a noi il centro della 30 Terra e la superficie del cielo sono i lontanissimi luoghi, cioè termini del nostro sursum e deorsum, che sono i punti diametralmente oppositi. 6°. 11 non creder che ci sia demonstrazione della mobilità della Terra sin che non vien mostrata, è somma prudenza; nè si domanda da noi che alcuno creda tal cosa senza demonstrazione : anzi noi non ricerchiamo altro, se non che, per utile di Santa Chiesa, sia con 34. Terra si che — CIRCA T,’ OPINIONE COPERNICANA. 369 somma severità essaminato ciò che sanno e possono produrre i se¬ guaci di tal dottrina, e che non gli sia ammesso nulla se quello in che eglino fan forza non supera di grande spazio lo ragioni del- l’altra parte; e quando loro non abbino più di 90 per 100 di ra¬ gione, siano ributtati : ma quando tutto quel che producono i filosofi e astronomi avversi sia dimostrato essere per lo più falso, e tutto di nissun momento, non si disprezzi 1’ altra parte, nè si reputi paradosso, da non dubitar che mai possa essere dimostrato apertamente. E ben si può far si larga offerta: perchè è chiaro che quelli che terranno io la parte falsa, non possono aver per loro nè ragione nè esperienza alcuna che vaglia; dove che con la parte vera è forza che tutte lo cose si accordino e rincontrino. 7°. È vero che non è istcsso il mostrare che con la mobilità della Terra e stabilità del Sole si salvano l’apparenze, e ’l dimostrare che tali ipotesi in natura sien realmente vere; ma è ben altrettanto o più vero che con l’altro sistema comunemente ricevuto non si può render ragion di tali apparenze. Quello è indubitabilmente falso, sì come è chiaro che questo, che si accommoda benissimo, può essere vero : nè altra maggior verità si può o si deve ricercare in una posizione, 20 che il ìùspondere a tutte le particolari apparenze. 8°. Non si domanda che in caso di dubio si lasci l’esposizione de’ Padri, ma solo che si procuri di venire in certezza di quel che è dubbio, e che perciò non si disprezzi quello dove si veggono incli¬ nare, ed aver inclinato, grandissimi filosofi e astronomi: fatta poi ogni necessaria diligenza, prendasi la determinazione. 9°. Noi crediamo che e Salomone e Moisè e tutti gli altri scrittori sacri sapessero perfettamente la constituzione del mondo, come anco sapevano che Iddio non ha mani nò piedi nè ira nè dimenticazione nè pentimento, nè metteremo mai dubbio sopra ciò; ma diciamo quel so che dicono Santi Padri ed in particolare S. Agostino sopra queste materie, che lo Spirito Santo volse dettare così per le ragioni che si allegano etc. 10°. L’errore della apparente mobilità del lito e stabilità della nave è conosciuto da noi doppo l’essere molte volte stati sopra ’1 lito a osservare il moto delle barche, e molte altre in barca a osservare il lito : e così se potessimo ora staro in Terra ed ora andar nel Sole 5 . quando sotto quel —9. offerta: per è — 23 - 24 . dove si vengono inclinare — V. 47 » 370 CONSIDERAZIONI CIRCA L’OPINIONE COPERNICANA. o in altra stella, forse verremmo in ogni cognizione sensata o sicura, qual di lor si muova: se ben quando non guardassimo altro elio questi 2 corpi, sempre parrebbe a noi che fermo stesse quello dove ci trovassimo, sì conio chi non guarderà altro che l’acqua e la barca, gli parrà sempre che l’acqua corra e la barca stia ferma; oltre la grandissima disparità che è tra una piccola barca, divisa da ogni suo ambiente, ed una spiaggia immensa, conosciuta da noi immobile per mille e mille esperienze, immobile, dico, rispetto all’acqua ed alla barca; e molto differente dal far paragone tra due corpi, ambidue per se consistenti o disposti egualmente al moto ed alla quieto : tal che io meglio quadrerebbe il far paragono di duo navi tra di loro, delle quali assolutamente ci parrebbe sempre stabile quella dove fossimo noi, tutta volta che non potessimo far altra relaziono che quella elio cade tra esse 2 navi. Ci è, dunque, bisogno grandissimo di corregger l’errore circa l’apparenza se la Terra o pure il Sole si muova, sondo chiaro che uno cho fosso nella Luna o in qualsivoglia altro pianeta, sempro gli par¬ rebbe di star fermo e che T altre stelle si movessero. Ma queste e molto altre più apparenti ragioni do’seguaci della comune... (,) sono quelle che si devono snodare più che manifestissimamente, pròna cho 20 pretendere pur di essere ascoltati, non che approvati ; tantum ahest che non sia da noi avuta minutissima considerazione di quanto ci vien prodotto contro: oltre che nè il Copernico nè i suoi seguaci si servi¬ ranno mai di questa apparenza, presa dal lito e dalla barca, per provare che la Terra stia in moto e il Sole in quiete; ma solo Tad¬ ducono per un essempio che serve non a dimostrar la verità della posizione, ma la non repugnanza tra ’l poterci parere, (pianto ad una semplice apparenza del senso, la Terra stabile, e mobile il Sole, ben che realmente fusse il contrario. Chè so questa fusse la dimostra¬ zione del Copernico, o le altre sue non concludessero con maggiore 30 efficacia, credo veramente che nissuno gli applauderebbe. Il »'s. : della comune sono ecc. Par certo, doversi soggiungere * opinione» DISCORSO DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. AVVERTIMENTO. All’abate Alessandro Orsini veniva Galileo presentato e raccomandato dal Granduca di Toscana (i) , quando, come già* abbiamo avuto occasione di accen¬ navo (t) , sullo scorcio del 1G15 si recava a Roma, per difendere meglio colà la dottrina Copernicana, eli’ era minacciata di condanna da parte del S. Uffizio. Nell’Orsini, il quale il 22 dicembre 1615, proprio nei primi giorni della dimora di Galileo in Roma, era stato elevato alla Sacra Porpora, il nostro Filosofo trovò < una singolare inclinazione e disposizione» a proteggerlo e favorirlo (3) ; ond’egli faceva grande assegnamento sull’autorità non ordinaria di quel Cardinale, che, da lui < bene informato dell’importanza del negozio >, era < disposto a trattarne sino con Sua Santità > (V) . Fra coteste dimostrazioni di favore di cui Galileo in sui primi del feb¬ braio 1616 ragguagliava, coi termini ora citati, il segretario di Cosimo H, può ben credersi ch’egli annoverasse altresì l’avere il Cardinale, in uno degli ultimi giorni del 1615, prestato benevolo orecchio alla esplicazione da lui data, in pri¬ vati discorsi, degli accidenti del (lusso e reflusso del mare : che anzi il Porporato era rimasto pienamente sodisfatto delle confutazioni addotte contro le ragioni proposte dagli altri scrittori di tal quistione, e aveva ricercato Galileo clic vo¬ lesse porgergli disteso in carta quello che gli aveva spiegato in voce (R) . Il Nostro rispose a siffatto invito col Discorso che qui pubblichiamo : il quale è in forma di lettera, scritta da Roma, l’8 gennaio 1616, appunto al Card. Orsini, e, per lo (•> Lotterà di Cosimo II ad Alessandro Orsini, del 28 novembre 1615, noli’Archivio di Stato Fio¬ rentino, Filza Medicea 87, car. 284. Cfr. A. Wolynski, La diplomazìa tonanti e Galileo Galilei, Firenze, 1874, pag. 19. <*> Cfr. pag. 206 di questo volume. < 3 > Lettura di Galileo a Curzio Pigcubna, iu data di Roma, 6 febbraio 1616, noi Mss. Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Fironzo, Pur. I, T. IV, car. 63. 0> Lettera di Galileo a Cukzio Piociiknà, in data di Roma, 20 febbraio 1616, nei Mss. Galileiani, Tomo cit., car. 65. Cfr. pag. 377-37S di questo volume. 374 AVVERTIMENTO. scopo a cui mira, si congiunge strettamente a ciucile altre scritture in difesa del sistema Copernicano, cke Galileo diffondeva in Roma tra più eminenti perso¬ naggi 01 ; poiché ò noto ch’egli prendeva la mobilità della Terra come cagione del flusso e reflusso, e questo come indizio ed argomento di quella. Del Discorso , che, sebbene non fosso allora pubblicato, pure godette una certa diffusione (1) , non giunse lino a noi l’autografo, per quanto sappiamo: co ne rima¬ sero invece copie numerose, tra cui sono a nostra conoscenza lo seguenti. G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. IV, car. 57 r. — 67 r.; sec. XVII; R = Biblioteca Riccardiana, cod. 2545, car. 231 r. — 237 /.; sec. XV11; A = Biblioteca Angelica, Fondo Novelli, cod. 2229, pag. 1-34; soc. XVII; Am. = Biblioteca Ambrosiana,cod. 1. 169. Par. Infocar. 237262/.; sec. XVII; B = Biblioteca Barberiniana, cod. XLV1II. 39, car. Ir. — 19/. ; sec. XVII; T = Biblioteca Trivuiziana, cod. 595, car. 307r. — 356/.; sec. XV II; Codice di proprietà del sig. r Gamurrini di Arezzo, car. Ir. — 19/.; sec. XVII; Num. 11 (antico num. 23) nel cod. miscellaneo 3805 (Mss. Lami, voi. 43, Scienze naturali, T. XXXI) della Biblioteca Riccardiana; sec. XVIII; Cod. 562 della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 6 r. — 12 r. ; sec. XIX; H = Biblioteca Reale di Hannover, cod. IV. 330, sec. XVII; P* = Biblioteca Nazionale di Parigi, Forni italìcn , cod. 945, car. I r. — 27 r. ; sec. XVII; P* = Biblioteca predetta, Fond italìcn, cod. 956, car. Ir. — 17 r.; sec. XVII; Ta. = Biblioteca Bodleiana di Oxford, Tanner Mss. 300, car. 89 r. — 104 l. ; sec. XVII ; Biblioteca predetta, Digby Mss. 133; sec. XVII. L’ ultimo di questi manoscritti, per quante pratiche abbiamo fatto, non ci fu dato (li poterlo avere in esame : abbiamo studiato invece i rimanenti, i quali non presentano tra di loro differenze cosi notevoli, che permettano di distinguerli in più famiglie. L’ esemplare più accurato è però senza dubbio il cod. Tt, clic, fatta eccezione per pochi passi, offre un testo correttissimo. Quanto agli altri, non es¬ sendo facile, appunto perché molto non differiscono tra loro, dare una precisa (l > Cfr. pag. 200 a 277 di cpiesto volume. tt] Ci limitiamo a citare corno prova della dif¬ fusione elio ricevette il Discorso, oltre allo numeroso copie manoscritte, la traduzione latina fatta da Nic¬ colò Aggiunti, elio si leggo nel T. IV della Par. IV dei Mss. Galileiani (car.f>8r. - 82r.); le opposizioni di Alessandro Fadoani, che, con la data « Hi Porli, li 15 di Febbraio 1618 », si trovano In questo mede¬ simo T. IV (car. 83 6 r.— 100/.); n mi Greve ri tir etto del pensiero del Sig. r Galileo Galilei, primo Filosofo del Sereni esimo Gran Duca di Toscana, intorno al jlu**o H refi lineo del mare. All' Illustrissimo et Eccellentissimo Sig.' Conte di NauaiUre (sic), Ainhaaciator iti Doma per Sua Maestà. Christian issi ma, che è, di mimo del sec. XVII, a car. 24 ir. — 21C/. del cod. Casnna- tcnso 675. Invoco nossuna menziono del Discorso ri¬ mano nollo irò lettore del Card. Orsini a Galileo elio giunsero fino a noi (Mss. Galileiani, Par. 1, T. XIV car. 11G, 133 o 158; con lo date 20 giugno 1616 12 gounaio 1618, 19 luglio 1619), nò noli’Archivio dolla famiglia Orsini in Uomo, elio abbiamo diligili- tonioute consultato. AVVERTIMENTO. 375 caratteristica di ciascuno, basti notare che il cod. G è puro pregevole, restando però inferiore al cod. R; il cod. A molto spesso è scorretto, e non lievemente (t) ; T pure ha gravi scorrezioni, e l’amanuense vi lasciò alcune lacune che altri riempi male ; il codice di proprietà del sig. r Gamurrini concorda quasi sempre, anche negli errori più caratteristici, col cod. A, onde abbiamo indicato il loro accordo con la sigla Z; i codici P\ P 3 , Ta. sono deturpati da tanti e così gravi strafalcioni, che spesso non danno alcun senso, ed è a credere siano stati trascritti da copisti non italiani e che non capivano l’italiano Noi abbiamo preso a fondamento della presente ristampa, com’era naturale, il cod. li, correggendolo, le poche volte che ce n’ era bisogno, con 1’ aiuto degli altri o di alcuno di essb 3) , c giovandoci altresì del riscontro coi passi corrispon¬ denti del Dialogo dei Massimi Sistemi , nell’ ultima giornata del quale Galileo trascrisse, per alcuni tratti quasi a parola, buona parte del Discorso i%} . Appiè di O) Dobbiamo furo una spoeialo menziono del cod. A, porchò loggondovisi, dopo lo ultimo purolo del Discorso, d’altra mano, d’al Irò inchiostro o in linea separata, a modo di fuma, lo pardo « Gali- loo Cai ilei fiorentino », fu creduto elio questa fosso la firma autografa del Nostro; cosi puro si giudichili mano di Galileo la parola « no », elio è scritta sul margino dolla pag. 15, corno correzione della parola « ma », elio si logge noi tosto od ò un manifesto or¬ rore doli’amanuonso (vedi pag. 3S5, lin. 12, di questo volume: « aè porò restano »): o, in vista di quolla firma o di questa corrcziono, si attribuì una singo¬ lare importanza al codice, anello nel rispotto del testo (Cfr. il n° 154 nella Biblioteca Manzoniana. Catalogo ragionato dei manoscritti appartenuti al fu Conte Giacomo Manzoni, redatto da Annibale Tenne- ront. Quarta parte, con dodici facsimili. Città di Ca¬ stello, 1894.). Ora, por quanto la diuturna pratica dol carnttero di Galileo ci permetto di giudicare, noi siamo convinti che quello parole «Galileo Galilei fio¬ rentino » (dolio duo lettore « no » poco si può dire) non siano di mano del Nostro, bensì chi lo ha scritto no al>l>ia imitato non troppo felicemente la scrittura: ad ogni modo poi, tanti o sì gravi orrori s'incontrano, non corrotti, in questo codice, elio il suo progio, quanto al testo, ò di molto in foriero a quollo d’altri mano¬ scritti, nò si può credere che Galileo rivedesse sif¬ fatta copia, lasciando passare inosservati dei passi elio non danno senso. Basti citare, corno osempio, alcune lozioni dol codico: pag. 377, lin. 19-21, « La qual cosa poi elio non ci vien porta ... dalla ra¬ gione. addotti sin qui»; pag. 378, lin. 12-13, « senza alcuna altra attione di osso elemento» o, lin. 25, «Fa¬ remo dtinquo noi nostro discorso » (manca principio) o, lin. 33, « verso la modosinm declività » (manca parte della) o, lin. 34, « indietro, con tal ragiono »; pag. 379, lin. 19, « vorso la prima inclinata » e, lin. 23-24, « in lauto non è in un vaso »; png. 380, lin. 28-29, «poppa: o quanto più manifostamonto » ; pag. 382, lin. 4-5, « in tempi eguali della circonforonza » (manca parti eguali); pag. 384, lin. 33, « verso quella estremità » (manca (pienti i e); pag. 385, lin. 22, « o di ciascheduna »; pag.38f>, lin.22, «esser piti cagiono »; pag. 388, lin. 2-3, « vibrazioni dal 2, 3 o 4 oro » o, lin. 24, « (lidie sei oro »; pag. 389, lin. 18, « dal- ristorica »; pag. 390, lin. 27, o pag. 392, lin. 21, « bor- foro * o «borfori»; pag. 392, lin. 13, «a soffrire vonti *; pag. 391, liti. 2, < no i moti più remoti »; pag. 395, lin. 2, « tu qui » o, lin. 8, « delle con¬ ferenze e rincontri », occ. Noi cod. A si trovano poi, senza elio siano stato corrotte, formo come tango, duoi, no / arii , cessarebbe , OCC. Una particolarità singolarissima dol cod. P* ò elio dopo lo parole «necessità d’obbedire » (pag. 393, lin. 19) continua con lo parole « doU’nrrivo dello navi » (pag. 394, lin. 30), omettendo tutto il tratto intermedio; probahilmonte porchò 1'aumimouso tra¬ lasciò di copiare una o più carte dol codico da cui trascriveva. •— Sobbollo i codici dol Discorso non si possano, come abbiam dotto, distinguere in più fa¬ miglio, tuttavia dimostrano più strotto relazioni tra di loro, così da formare un gruppo, i cod. G, il, 7» II, / ,s , o soprattutto G o />*. Un altro gruppo ò formato dai cod. Z, Am., Ta., P\ o spocialuiento da Z e /**. Soprattutto con 1’ aiuto del cod. G abbiamo riparato a poche omissioni del cod. R, lo quali no¬ tiamo appiè di pagina. Abbiamo poi corrotto, souzu registrarlo volta per volta, alcuno formo che s’incon¬ trano, ina di rado, in R: p. e., lunga, trapassare, me demo, duoi, K Ics ponto, dodeci por dodici, de por dii essente por escute, ccc. I 4 » Dialogo di Galileo Galilei occ. dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sojìra i due massimi sistemi del monda. Tolemaico e Copernicano OCC. In Fiorenza, por Gio. Batista Landini, MDCXXX11. Cfr. speciftlmeuto pag. 421 o sog. del Dialogo eoa 37fi AVVERTIMENTO. pagina notammo le lezioni ilei codice preferito dalle quali abbiam dovuto allon¬ tanarci, e inaiarne le principali varietà degli altri teBti ,,1 1 fatta eccezione dei co¬ dici Riccardiano 3805 o Pavese, che, essendo copie moderne o non olfrendo nulla di più interessante degli altri (,) , ci parve superfluo citare. Per simile ragione, cioò di non accrescere citazioni inutili, non tenemmo conto neppure della prima stampa del Discorso, che ò stata fatto dal Targioni Pozzetti' 31 , non è chiaro su qual codice, ma elio ad ogni modo è assai scorretta. Avendo adoprato siffatte cure intorno al testo di questo scritto, noi lo pre¬ sentiamo molto migliorato da quello elio si leggeva finora ; poiché anco l’ultima edizione fiorentina, mentre si protesta d’ aver ristampato il Discorso non sulle traccio del Targioni, ma da una copia del tempo assai più corretto, che ò quella da noi distinta con la lettera G, in effetto si allontana arbitrariamente da questo codice bene spesso, e riproduce alcuni gravi errori che s’incontrano nella stampa del Targioni. pag. 383 (a partirò da lin. 32) e sog. del presento vo- Iiiiiiq. Tra i passi noi quali ci ò stato utile il confronto eoo la lozione dol Dialogo, notiamo quello n pag. 888, lin. 22*23, dovo abbiamo corrotto lo lezioni diverso dol codici dol Diacono (cho sono registrato appiè di pagina), secondo richiedo la ragione logica o sug¬ gerisco il luogo corrispondente del Dialogo, pag. «120: « Al elio si rispondo, cho talo dotormiustiono non si può in vermi modo avero dalla cagion primaria solamente: ma vi bisogna insoriro lo secondario, cioò la lunghezza maggiore o minoro do i vasi u la maggioro o mitior profondità doli 1 acquo in ossi con¬ tenuto ». 1,1 Quando più codici concordavano in una va¬ riante, «alvo leggiero dlvomità grafiche, cl slamo at¬ tenuti, por brovltà, alla norma sognita altro volto o indicata a pag. 209, nota 4, di questo rotarne. Il cod. Riccardiano 8805 è affine apecialmonto al cod. It, o il faveto al cod. fJ. (S| Notizia degli aggrondi menti dello tri ente fiat- che ecc. raccolte dol dottor QlO. Taro ioni Tozzktti. Tomo II, Parte I, Iu Firenxo, MDCCLXXX, pag. 31-46. DISCORSO DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE ali.’ Illustrissimo e Reverendissimo Sio. Cardinal Orsino. Il favore che mi vien da V. S. Illustrissima e Reverendissima nel ricercarmi che io voglia porgergli disteso in carta quello che dieci giorni fa gli spiegai in voce, è di gran lunga superiore al merito mio ed alla leggerezza de’ miei discorsi : nè porgendomi altro modo di contracambiarlo, almeno in parte, se non con una subita obbedienza, eccomi apparecchiato a servirla ed obbedirla conforme al suo co¬ io mandamento; cioè in quella più concisa e ristretta maniera che ab¬ bracciar si possa problema sì mirabile, qual è l’investigazione della vera cagiono del flusso e reflusso del mare, tanto anco più recondita e difficile, quanto manifestamente veggiamo, tutto quello che sin qui è stato scritto da gravi autori esser molto lontano dal quietar la mente di quelli che desiderano d’internarsi nelle contemplazioni della natura oltr’ alla scorza: la qual quiete allora solamente si conseguisce, quando la ragione prodotta per causa vera dell’ effetto, facile ed apertamente satisfa a tutti i particolari sintomi ed accidenti che in¬ torno ad esso effetto paratamente si scorgono. La qual cosa poi che 20 non ci vien porta, come nei privati discorsi vedemmo, dalle ragioni addotte sin qui da gli altri scrittori di tal quistione, però come inef¬ ficaci le lascierò, sendo Y. S. Illustrissima e Reverendissima pienamente 4. che mi vieti fatto da, G, P 1 — 7. porgendomisi occasione di, G, P s — 10. coti quella più succinta e ristretta maniera, T; iti quella più concisa maniera, II, Am., Tu. — 14. gravi scrit¬ tori, G, T — 15. nella contemplazione,• Z—17. per causa délV, R, Am., Ta.—19. e/fctto par¬ ticolarmente si, Z, P 1 — 22. le lasceremo, Z, P 1 — v. 48 378 DISCORSO restata satisfatta delle confutazioni che a bocca ne apportai, ben che ella stessa nè anco per avanti avesse loro prestato molto 1’ assenso ; concedendomi ella, anzi ordinandomi, che io differisca di diffondermi, per satisfazione dell’universale, in tali confutazioni, quando più dif¬ fusamente tratterò questa materia nel mio Sistema Mondano. Mostraci 1’ esperienza sensata, che il flusso e reflusso dell’ acque marine non è un rigonfiamento o ristringimento delle parti di esso elemento, simile a quello che veggiamo farsi nell’ acqua posta al calor del fuoco, mentre ella per caldo veemente si rarefò e solleva, e nel ridursi alla naturai freddezza si riunisce ed abbassa ; ma è nei mari io un vero moto locale e, per così dire, progressivo, or verso 1’ uno ed or verso 1’ altro termine estremo del seno del mare, senza alcuna alterazione di esso elemento, proveniente da altro accidente che da locale mutazione. Ora, mentre andiamo discorrendo appoggiati sopra sensate esperienze (scorte sicure nel vero filosofare), vediamo potersi imprimer nell’ acque alcun movimento locale in varie maniere : le quali andremo distintamente cssaminando, per veder so alcuna di esse può ragionevolmente assegnarsi per cagion primaria del flusso e re¬ flusso del mare. Ho detto cagion primaria, perchè mentre andremo cssaminando le tante differenze di accidenti che intorno ai flussi e 20 reflussi dei mari divei’si si scorgono, intenderemo impossibil cosa es¬ sere che molte altre cause secondarie e, come dicono, concomitanti non conoorrino con la primaria al produr tali varietà ; poi che da una sola e semplice cagione non può derivar altro che un semplice e determinato effetto. Faremo dunque principio nel nostro discorso dall’ investigazione della causa prima universale, e senza la quale nulla sarebbe di questo regolato movimento dell’ acque marine ; dico regolato, ben che diversi mari osservino diversi periodi nei loro flussi e reflussi. Una tra le cause di movimento è la declività del sito e letto nel so quale vien contenuto il corpo fluido : e per questa i torrenti preci¬ pitano nei fiumi, od i fiumi scorrono ai mari. Ma perchè tal flusso si fa sempre verso la medesima parte della declività, sopra la quale già mai le acque non ritornano in dietro, cotal ragione non fa alla I. cimasa satisfatta, Or 7. o ristringimcnto, R — 21. di mari diversi, Z ; di diversi mari, G, A, 1. H) 1” 23-25. varietà; poi che da un semplice e determinato effetto non può esser altro che una sola e semplice cagione. Faremo, Ta. — 24. sola cagione e semplice, R — 31. e per que¬ sto, Z, Ta., P 1 — DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 379 causa nostra, nè può aver luogo nei reciprochi movimenti verso le parti contraposto, come veggiamo farsi nell’ acque marine. In altro modo s’imprime agitazione nell’ acqua, mediante il moto dell’ambiente o di altro corpo esterno elio l’andasse a ferire : e così veggiamo dall’ impeto de’ venti agitarsi 1’ acque dei mari e dei laghi, c venir sospinte verso la parte dove il vento le caccia. Ma una tale agitazione non si può assegnar per causa nel nostro problema ; poi che simili agitazioni sono tumultuarie, per così dire, e sregolatissime, dove che i flussi e reflussi hanno i lor periodi determinati ; ed oltre io a ciò si fanno anco nelle maggiori tranquillità dell’ aria e cessazioni dei venti ; e, di più, mantengono il corso loro verso il termine pre¬ scritto, quando bene il sospingimento dell’ aria fosse in quell’ oro verso ’l termine contrario. Imprimonsi movimenti locali nell’ acque ancora quando qualche moto locale venisse conferito al vaso nel quale l’acqua vien conte¬ nuta : e ciò può accadere in due maniere, 1’ una delle quali sarebbe con 1’ alzare ed abbassare alternatamente or l’una or 1’ altra estre¬ mità del vaso, al qual moto e librazione ne seguirebbe che 1’ acqua contenuta, scorrendo verso la parte inclinata, vicendevolmente andasse so e ritornasse per la lunghezza del vaso. Ma simile accidente di libra¬ zione non può aver luogo nel caso nostro : avvenga che quando anco la Terra avesse qualche reciproca librazione, non però porgerebbe cagione all’ acqua di scorrere in qua ed in là ; imperò che in tanto scorre in un vaso che si vadia librando, in quanto nel libramento or 1’ una or 1’ altra estremità del vaso si abbassa, cioè si appropinqua al commi centro delle cose gravi, per lo che 1’ acqua per il suo peso vi scorre ; ma quando la Terra si librasse, non però per tal libra¬ zione alcuna parte della sua superficie si avvicinerebbe o allontane¬ rebbe dal centro di essa Terra, che ò quello dove tendono i gravi, M e però non verrebbe pòrta cagione all’ acqua di scorrervi. Oltre che il libramento che può attribuirsi al globo terrestre, è un inclinarsi trasversalmente, cioè da borea verso austro ; dove che i flussi e re¬ flussi son tutti, per 1’ opposito, da oriente verso occidente. E final¬ mente, il libramento che alcuno ha attribuito alla Terra, ha le suo reciprocazioni distanti l’una dall’ altra per molte migliaia d’ anni ; 33. da oriente in occidente , G, Z, B, T, II, P 1 , P 2 — 34. Terra, ed al quale pare che possino rispondere le apparenze celesti, ha. le sue, Il — 880 DISCORSO dove che nelle librazioni e reciprocazioni de i flussi e reflussi si tratta ili tempi brevissimi, cioè di ore. L’ altra maniera d’imprimer movimento nell' acqua mediante il moto del vaso continente è col muover il vaso progressivamente, senza punto inclinarlo, ma solamente con muoverlo di moto ora ac¬ celerato ed or ritardato ; dalla qual variazione ne succede all’ acqua, oltre al muoversi al moto del suo continente, il muoversi ancora con qualche diversità ed anco talvolta contrarietà. Come, per dichiara¬ zione, se noi prendessimo un gran vaso pieno d’ acqua, qual saria, per esseinpio, una gran barca, simile a quello con lo quali vediamo io trasportami di luogo a luogo per 1’ acquo salso altre acquo di fiumi o di fonti, vedremmo prima, nel tempo elio il vaso contenente, cioè essa barca, stosse ferma, star parimente quieta l’acqua contenutavi dentro ; ma quanto prima si cominciasse a muover la barca, non pian piano, ma con notabil velocità, 1’ acqua, contenuta sì nel vaso, ma non, corno le altre parti solido di esso vaso, saldamente a quello col- legata, anzi per la sua ilussibilità in certo modo disgiunta e non co¬ stretta ad ubbidirò ad ogni repentina mutazione di esso vaso, ve¬ dremmo, dico, essa acqua restar in dietro c sollevarsi alquanto verso la poppa, abbassandosi verso la prora, quindi a poco a poco ridursi 20 ad ubbidirò al moto del suo contenente, senza punto variare mentre egli placidamente ed uniformemente cambiasse : ed all’ incontro, quando la barca, o per 1 arrenarsi o per altro sopravognonto in¬ toppo, venisse notabilmente nel suo corso raffrenata, non però l’acqua contenuta nell’istesso modo si raffrenerebbe dall’impeto concepito, ma, conservandolo ancora, come disgiunta dal suo continente, scor¬ rerebbe verso la prora e quivi risalterebbe 0 traboccherebbe, abbas¬ sandosi e deprimendosi verso la poppa: e questo tanto più manife¬ stamente si scorgerebbe, quanto il partirsi dallo stato di quiete e 1’ arrestarsi nel mezo della velocità fusse più repentinamente fatto da so esso vaso ; cliò quando successivamente 0 per gradi lentissimi si tra¬ passasse dallo stato di quiete al movimento accelerato o vero dal moto colere con Pistessa lentezza si ritornasse alla quieto, allora in¬ sensibile o pochissima inobbedienza, per così dire, si scorgerebbe nel- P acqua contenuta, la quale senza contumacia si andrebbe con pari lentezza impressionando, concordemente con tutto il vaso, delle mede¬ sime mutazioni. DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 381 Ora io, Illustrissimo Signor, quando vo essamiuando i sin qui di¬ chiarati accidenti ed altri appresso, che accaggiono in questa ulti¬ mamente considerata cagione di movimenti, inclinerei grandemente a prestar 1’ assenso, che la ragione dei flussi e reflussi dell’ acque ma¬ rino potesse risedere in qualche movimento dei vasi che le conten¬ gono, sì che, attribuendo qualche moto al globo terrestre, da quello potessero trarre origine i movimenti del mare. 11 qual principio, sì come non satisfacendo ai particolari accidenti che sensatamente veg- giamo nei flussi e reflussi, darebbe segno di non esser causa adequata io dell’ effetto, così, satisfacendo al tutto, potrà darci indizio di esserne la propria cagione, o almeno molto più probabile che qualunque altra sino a questa età ne sia stata prodotta. Pigliando, dunque, ex hypothesi la mobilità della Terra secondo quei movimenti medesimi che anticamente da molti ed ultimamente da altri filosofi gli furono, in grazia di altri effetti sensati, attribuiti, andiamo considerando quale azzione e corrispondenza e’ possino .avere con la presente materia : e per maggior lucidezza dichiariamo bre¬ vemente i moti attribuiti al globo terrestre. Il primo e massimo è il moto annuo sotto l’eclittica, da occidente 20 verso oriente, in un orbe o cerchio il cui semidiametro è la distanza dal Sole alla Terra. Il secondo è una conversione in sè stesso e circa il proprio centro di esso globo terrestre, fatta nello spazio di 24 ore, pur verso le medesime parti, cioè da occidente verso oriente, ben che intorno ad un asse alquanto inclinato all’ asse del movimento annuo. Lascio il terzo moto, come poco o india attenente a questo effetto per la sua grandissima tardità in comparazione di questi due velo¬ cissimi, essendo la velocità della già detta revoluzione in sè stessa circa a trecento e sessantacinque volte maggiore di questo movi¬ mento terzo, se però egli così deve nominarsi ; della qual diurna ve- 80 locità, prosa anco nel cerchio massimo del globo terrestre, è la ve¬ locità del movimento annuo più che tripla. t E per più facile intelligenza, sia la circonferenza dell’orbe magno AFG, intorno al centro E; il globo terrestre sia BCDL, intorno al centro A ; il moto annuo intendasi esser fatto dal globo terrestre dal punto A verso la parte F, descrivendo col suo centro essa circon¬ ferenza AFGI in trecento sessantacinque giorni in circa; e tra tanto 12. a quest’ora, Gr, P s — 32. più chiara intelligenza, G, 1” — 382 DISCORSO intendasi la conversione in sò stesso del globo terrestre secondo il movimento da B in C verso D etc.: intendendo elio 1’ uno o l’altro di questi duo movimenti sia per sè stesso ed in sò stesso equabile ed uniformo, cioè che il centro dolla Terra A passi sempre in tempi eguali parti eguali della circunferenza AFG, e similmente elio ’l punto B o qualunque altro della circunferenza BCDL pure in tempi eguali passi spazii tra di loro eguali. Dal che doviamo primieramente con di¬ ligenza avvertire, che se bone l’uno o 1* altro di questi duo movimenti, dico dell’ annuo del centro della Terra per l’orbe magno AFG e del diurno della circoli-io ferenza BCDL in sè stessa intorno al proprio centro A, sono ciascheduno per sò stesso ed in sò stesso equabili ed uniformi, nientedimeno dal composto ed aggregato di essi ne risulta alle parti della superlicie terrena un movi¬ mento molto diseguale, sì elio ciascheduna di esso parti in diversi tempi del giorno si muovo con diverse velocità: il che più manifestamente dichiaro. Avvertasi dunque, che mentre il cerchio BCDL si rivolge in sò 20 stesso por il verso BOI), si trovano nella sua circonferenza movimenti tra di loro contrarii : avvenga che mentre elio lo parti elio sono in¬ torno al 0 descendono, le opposte L ascendono ; 0 mentre le parti intorno 1 J> si muovono aqquistando verso la sinistra, le parti con¬ traposto I) acquistano verso la destra : ondo in una intera revolu- zione il punto segnato I> prima si muove verso la sinistra descondendo ; e quando ò intorno al C, massimamente descende 0 comincia a guada¬ gnare e muoversi verso la destra ; sin elio in D non più descende, ma movendosi assai verso la destra, comincia ad ascendere ; sin che in li, ascendendo molto, comincia a guadagnar lentamente verso la siili- so stra, ascendendo sino in B. Ora, se noi congiugneremo questi movi¬ menti particolari delle parti della Terra col movimento universale di tutto il globo per la circonferenza AFG, troveremo il moto assoluto delle parti superiori, cioè verso il B, esser sempre velocissimo, risul¬ tando dal componimento del movimento annuo per la circunferenza AF e del movimento proprio della parte B, li quali due movimenti con- 1. cUl globo terreno, Gr, B, T, H, P 1 DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 383 cordemento conspirano e guadagnano verso la parte sinistra : ma all’ incontro, il moto assoluto delle parti inferiori verso D è sempre tardissimo, poi die il moto proprio delle parti D, clie in questo luogo è velocissimo verso la destra, viene a detrarre dal moto annuo fatto per la circonferenza AF, che è verso la sinistra : ma il movimento assoluto e parimente risultante dal componimento delli due movi¬ menti, annuo e diurno, alle parti della Terra intorno a i punti C, L ò mediocre ed eguale al semplice movimento annuo, poi che la con¬ versione del cerchio 11CDL in sè stesso, non acquistando nei due io termini C, L nò a destra nò a sinistra, ina solo abbassando ed al¬ zando, non accresce o detrae dalla velocità del semplice moto per l’arco AF. Credo per tanto che sin qui sia manifesto come ciascuna parte della superficie terrena, ben che mossa di due movimenti equabilis¬ simi in sò stessi, nulladimeno dentro allo spazio di ventiquattro ore si muove alcuna volta velocissimamente, altra volta tardamente, c due volte mediocremente, considerando la mutazione risultante dal congiugnimento di essi due moti equabili, diurno ed annuo. Sin ora dunque aviamo, che qualsivoglia ricetto d’acque, o sieno 20 mari o stagni o laghi, avendo un movimento continuo ma non equa¬ bile, poi che in alcuni tempi del giorno molto si ritarda od in alcuni altri molto si accelera, ha ancora il principio e la cagione per la quale 1* acque in ossi ricetti contenute, come fluide e non fissamente annesse a i suoi continenti, devino ora scorrere ed ora ritirarsi verso queste e quelle parti opposte : e questa potremo noi domandare causa primaria dell’ effetto, senza la quale esso del tutto non sarebbe. Se¬ guita adesso che cominciamo ad essaminare gli accidenti particolari, tanti e sì diversi, che in diversi mari ed altri ricetti d’ acque si os¬ servano, procurando di assegnarne le ragioni proprie ed adequate : so per il che fare doviamo essaminare alcuni altri particolari accidenti che accascano in questi movimenti dell’ acqua, comunicatigli dall’ ac¬ celerazione o ritardamento del vaso che la contiene. Il primo è, che qualunque volta 1’ acqua, mercè di un notabile ritardamento o accelerazione di moto del suo vaso continente, ara aqquistata cagione di scorrere verso questa o quella estremità, e si sarà alzata nell’ una ed abbassata nell’ altra, non però resterà in tale stato, ma, in virtù del proprio peso e naturale inclinazione di librarsi 384 DISCORSO e livellarsi, tornerà con velocità in dietro, cercando l’equilibrio delle sue parti ; e, come grave e fluida, non solo si moverà verso l’equi¬ librio, ma promossa dal proprio impeto, lo trapasserà, alzandosi nella parte dove prima era più bassa ; nè qui ancora si fermerà, ma di nuovo ritornando in dietro, con molte e reiterate reciprocazioni di scorrimenti innanzi ed in dietro ci darà segno come ella non vuole da una concepita velocità di moto ridursi subito alla privazione di quello e allo stato di quiete, ma, successivamente mancando, ci si vuole lenta e languidamente ridurre : in quel modo appunto che veggiamo alcun peso pendente da una corda, dopo essere stato una volta rimosso dal io suo perpendicolo, per sè medesimo ricondurvisi e quietarvisi, ma non prima che molte volte 1’ avrà di qua e di là con sue vicendevoli corse e ricorse trapassato. Il secondo accidente da notarsi è, elio le pur ora dichiarate reci¬ procazioni di movimenti vengon fatte e replicate con maggior o minor frequenza, cioè sotto più brevi o più lunghi tempi, secondo le diverse lunghezze de i vasi contenenti 1’ acque, cioè secondo le maggiori o minori distanze dall’ una all’ altra estremità del vaso, sì che ne gli spazii più brevi le reciprocazioni sono più frequenti, e più rare nei più lunghi: come appunto nel'medesimo essempio dei corpi penduti ao si veggono le reciprocazioni di quelli che sono appesi a più lunga corda esser meno frequenti che quelle dei pendenti da fili più corti. E qui casca per terzo notabile da sapersi, che non solamente la maggiore o minoro lunghezza del vaso è cagione di far che l’acqua sotto diversi tempi faccia le sue reciprocazioni, ma la maggiore o minor profondità del vaso ed altezza d’acqua opera la medesima di¬ versità ; sì che dell’ acque che saranno contenute in ricetti di eguali lunghezze, ma di disegnali profondità, quella che sarà più profonda farà le sue librazioni sotto tempi più brevi, e men frequenti saranno le reciprocazioni dell’ acque men profonde. a0 Quarto, vengono degni d’ esser notati e diligentemente osservati due effetti che fa l’acqua in tali suoi libramenti. L’uno è l’alzarsi ed abbassarsi alternatamente verso questa e quella estremità ; l’altro è il moversi e scorrere, per così dire orizontahnente, innanzi ed in- 1-3. Da delle sue parti a verso V equilibrio manca nei cori. Z, Am., Ta., P 1 . — 7-8. subito alla quiete ed alla privazione di quello, ma, R, Z, Ani., Ta., P 1 . Nel Dialogo dei Massimi Si - * sterni ai legge conforme abbiamo dato nel testo. — DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 385 dietro : li quali due moti differenti differentemente riseggono in di¬ verse parti dell’ acqua. Imperò che le sue parti estreme son quello che sommamente si alzano e s’ abbassano ; quelle di mezo niente as¬ solutamente si muovono in su o in giù ; dell’ altre, di grado in grado quelle che son più vicine a gli estremi si alzano e si abbassano pro¬ porzionatamente più delle più remote : ma, per 1’ opposito, dell’ altro movimento progressivo innanzi ed indietro sommamente si movono andando e ritornando le parti di mezo, e nulla aqquistano le acque che si trovano nell’ultime estremità, se non in quanto nell’alzarsi io elleno superassero gli argini e traboccassero fuori del suo primo alveo e ricetto ; ma dove è intoppo de gli argini che le raffreni, solo si alzano ed abbassano ; nò però restano le acque di mezo di scorrere velocemente e per grand’ intervalli innanzi cd indietro, il che fanno anco proporzionatamente le altre parti, scorrendo più o meno secondo che si trovano locate più vicine o remote dal mezo. Il quinto particolar accidente dovrà tanto più attentamente da noi esser considerato, quanto che è se non impossibile, almeno dif¬ ficilissimo, il rappresentarne con esperienza e pratica il suo effetto. E P accidente è questo. Ne i vasi fatti da noi per arte, e mossi, come 20 le sopranominate barche, or più ed or meno velocemente, 1’ accele¬ razione e ritardamento vien sempre partecipato nell’ istesso modo da tutto il vaso e da ciascheduna sua parte ; sì che mentre, v. g., la barca si raffrena dal moto, non più si ritarda la parte precedente che la sussequente, ma egualmente tutte partecipano del medesimo ritarda¬ mento : e l’istesso doviamo intendere dell’ accelerazione ; sì che con¬ tribuendo alla barca nuova causa di maggior velocità, non più si accelerano le parti sue precedenti che le seguenti, ma nell’ istesso modo acquista velocità la prora e la poppa: e questo, per essor il vaso fabbricato e contesto di materia solida e dura, non cedente nè so flussibile. Ma nei vasi immensi, quali sono i letti lunghissimi dei mari, ben elio essi ancora altro non sieno che alcune cavità fatte nella so¬ lidità del globo terrestre, tuttavia mirabilmente avviene che gli estremi suoi non unitamente, egualmente e ne gli stessi momenti di tempo accreschino o scemino il lor moto ; ma accade che quando 1’ una delle 18. con esperienze, R, Z. Anche nel passo corrispondente del Dialogo si legge esperienza. —19. Nei vasi da noi per arte fatti, R, Z, Ara., Ta., P 1 . Nel Dialogo si legge: fatti da no i per cui e» — 4'J V. 386 DISCORSO sue estremità si trova aver, in virtù del componimento do i duo moti diurno ed annuo, ritardata grandemente la sua velocità, l’altra estre¬ mità si ritrovi ancora affetta e congiunta con moto velocissimo. Il che, per più facile intelligenza, dichiareremo ripigliando la figura prece¬ dente. Nella quale se intenderemo un tratto di mare esser lungo, v. g., una quarta, quale è 1’ arco I3C, perchè le parti II sono, come di sopra si dichiarò, in moto velocissimo, per 1* unione do i due mo¬ vimenti diurno ed annuo verso la medesima banda, ma la parte C allora si ritrova in moto ritardato e privo della progressione difen¬ dente dal movimento diurno ; so intenderemo, dico, un sino di mare io lungo quanto è l’arco 13C, già veggiamo come gli estremi suoi si muovano nell’ «tesso tempo con molta disegualità. E sommamente differenti sarebbono le velocità d’un tratto di mare lungo mezo cer¬ chio e posto nello stato dell’arco BC1), avvenga che 1* estremità B bì troverebbe in moto velocissimo, l’altra I) sarebbe in moto tardissimo, e le parti di mezo verso C sarebbono in moto mediocre : e secondo che essi tratti di mare saranno più brevi, participeranno meno di questo stravagante accidente, di ritrovarsi in alcune ore del giorno con le parti loro diversamente affette da velocità o tardità di moto. Sì che se, come nel primo caso, veggiamo per esperienza 1’ accelera- 20 zione e ritardamento, ben clic partecipati egualmente da tutte le parti del vaso continente, esser pur cagione all’acqua contenuta di scorrere innanzi ed indietro, che doviamo stimare che accader debbia in un vaso così mirabilmente disposto, che molto disegualmente venga contribuita alle sue parti ritardanza di moto ed accelerazione ? Certo che noi dir non possiamo altro, so non elio maggiore e più maravi- gliosa cagione di commozioni nell’ acqua e più strane ritrovar si deb¬ bano. E ben che impossibil parer possa a molti che in machine 0 vasi artificiali noi possiamo esperimentar gli off etti di un tal acci¬ dente, nulladimeno non è del tutto impossibile; ed io ho la constru- w> zione di una machina, ed a suo tempo la dichiarerò, nella quale particolarmente si può scorgere gli effetti di queste meravigliose com¬ posizioni di movimenti. Ma per quanto appartiene alla presente ma- 6. una quarta in circa quale i, Z, Ta., P'— l’arco BC in circa, perché, R. Anche nel passo corrispondente dol Dialogo manca »» circo.— 21. ben che partici palo, G, li, P 1 , P*; ben che partecipata, R, Z, Ani., 1, la. La lezione partecipati è del cod. II e del Dialogo. — 25 .moto e d’accelerazione, II, Z, Am., la., P 1 —32-33. gli effetti meravigliosi ili queste com¬ posizioni, G, P f — DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 387 teria, basta quello che ciascheduno sin qui può con l’imaginazione comprendere. Ora passando a essaminare gli accidenti che nei flussi e reflussi dell’ acque per esperienza si osservano, prima non doveremo aver dif¬ ficoltà, d’ onde accaggia che nei laghi, stagni ed anco nei piccioli mari non sia notabile flusso e reflusso : il che ha due congruentis¬ sime cagioni. L’una è, che, per la brevità del vaso, nell’ acquistar egli in diverse ore del giorno diversi gradi di velocità, con pochis¬ sima differenza vengono aqquistati da tutte le sue parti, ma tanto io lo precedenti quanto le sussequenti, cioè le orientali ed occidentali, quasi nell’ istesso modo e tempo si accelerano o ritardano ; e facen¬ dosi, di più, tale alterazione sensim et per gradus, e non con l’opporre un repentino intoppo e ritardamento o una subitanea e grandissima accelerazione al movimento del vaso continente, ed esso e tutte le sue parti vengono egualmente e lentamente impressionandosi dei me¬ desimi gradi di velocità : dalla quale uniformità ne seguita che anco 1’ acqua contenuta, con poca contumacia e renitenza riceva le mede¬ sime impressioni, e per conseguenza molto oscuramento dia segno d’ alzarsi o abbassarsi, scorrendo verso questa o verso quella parte, so La seconda causa è la reciproca librazione dell’ acqua, proveniente dall’ impeto concepito dal moto del suo continente, la qual librazione ha, come si è notato, le sue vibrazioni molto frequenti nei vasi pic¬ coli : dal che ne risulta, che risedendo nei movimenti terrestri cagione di contribuire all’ acque movimento solo di dodici in dodici ore, poi che una volta sola il giorno sommamente si ritarda e sommamente si accelera il movimento de i vasi continenti, nientedimeno 1’ altra seconda cagione, dependente dalla gravità dell’ acqua, che cerca ri¬ dursi all’ equilibrio e, secondo la brevità del vaso, ha le sue recipro¬ cazioni o di un’ ora o di due o di tre etc., questa mescolandosi con la so prima, che anco per sè nei vasi piccoli resta piccolissima, la vien del tutto a perturbare e rendere insensibile : imperò che, non si essendo ancor finita d’imprimere la commozione procedente dalla cagione primaria, che ha i periodi di 12 ore, sopraviene, contrariando, l’altra 3. Ora quanto all’esaminare, G —G-7. congruentissime ragioni, G, B, li; e ragioni si legge pure nel passo corrispondente del Dialogo. — 19. verso questa o verso quella estremità, Bi T, P* ; verso questa o quella parte corretto in verso questa o quella estremità , G ; verso que¬ sta o verso V altra estremità, li. Nel Dialogo si legge conforme al cod. II. — 31. perturbare e manca nei cod. G, B, T, II, P s e nel Dialoyo. — 33. contrariando manca nei cod. G, T. — 3SS DISCORSO secondaria, difendente dal proprio poso dell’ acqua, la quale, secondo la cortezza e profondità ilei vaso, ha il tempo dello sue vibrazioni di 1, 2, 3 o 4 oro etc., e, contrariando alla prima, la perturba o rimuove, non la lasciando ghignerò al sommo nò al mezo del suo movimento. E da tal contraposiziono resta annichilata in tutto, o molto oscurata, 1’ evidenza dol flusso o reflusso. Lascio stare 1’ alterazione accidentata continua dell’ aria, la quale, inquietando anco 1 acqua, non ci lascie¬ rebbe venire in certezza di un piccolissimo ricrescimento o abbassa¬ mento di mezo dito o di minor quantità, che potesse realmente ri¬ seder nei seni e ricotti d’ acquo non più lunghi di un grado o due. io Vengo nel secondo luogo a sciorro il dubbio, conio non risedendo nel primario principio dei flussi e reflussi cagione di commover Tacque se non di 12 ore in 12 ore, cioè una volta per la somma velocità di moto e T altra per la massima tardità, nulladimeno apparisca comu¬ nemente il periodo dei flussi e reflussi essere di sei ore in sei ore. Al elio si risponde, prima, che la determinazione ilei periodi che in ef¬ fetto si fanno, non si può in modo alcuno avere dalla sola primaria cagione ; ina vi bisogna inserire la secondaria, che aviamo detto esser quella che depende dalla propria inclinazione dell’acqua, cho solle¬ vata una volta verso una delle estremità del vaso, per natura del 20 proprio peso scorre per ridursi all’equilibrio, e fa molte reciproca¬ zioni e librazioni, più e men frequenti secondo la minore o maggiore lunghezza del vaso e la maggiore o minore profondità dell’ acqua. Dico secondariamente, il periodo comunemente osservato dello sei oro in sei ore in circa non esser più naturale o principale di alcun altro, ma sì bene esser il più osservato noto e descritto de gli altri, poi che ò del Mar Mediterraneo, intorno al quale sono abitati tutti i nostri scrittori antichi 0 gran parte dei moderni : la lunghezza del qual sino mediterraneo porta le reciprocazioni dependenti dalla causa secondaria di circa sei ore in sei ore; dove che nei liti che termi- so nano dalla parte orientale l’Oceano Etiopico, che si distende sino all’Indie Occidentali, le reciprocazioni sono di 12 ore in 12 ore in circa, come giornalmente si osserva in Lisbona, posta a gli ultimi 2-3. vibrazioni (li 2, I\, Ara., Ta., P 1 ; vibrazioni dal 2, Z. La lezione di 1,2 ò anche dol Dia¬ logo; il cod. II legge di 12 o 13 ore ..— 0. dito e di minor, R, Z, Ara., B, T, II, P 1 , P\ La lezione o di minor è, oltre che dei cod. G, Ta., anche dol Dialogo. — 22-23. secondo la maggiore o minore profondità dell’acqua, R, Z, P 1 ; secondo la minore o maggiore lunghezza del vaso e della maggiore o minore profondità dell’aqqua, G, Ara., B, T, Ta., II, P* — 27. al quale hanno abitato tutti, G — 389 DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. liti di Spagna, contro la quale il mare, che si distende verso l’Ame- riche sino al Golfo Messicano, si trova essere il doppio più lungo del tratto moditerraneo dallo stretto di Gibilterra sino alle spiaggie di Siria, cioè quello gradi 120, e questo gradi 56 in circa. L’esser dunque stato creduto, i periodi dei flussi e reflussi esser di sei ore in sei ore, è stato un’ ingannevole opinione, la quale ha poi fatto favoleggiare gli scrittori con molte vane fantasie. Di qui non sarà, nel terzo luogo, difficile l’investigar le ragioni di tante inegualità di periodi che si osservano nei minor mari, come io nella Propontide e nell’ Ellesponto ed altri, in alcuno dei quali il corso dell’ acque si reciproca di tre ore in tre ore, di due in dua, di quattro in quattro cte., con differenze tali che hanno molto tra¬ vagliato gli osservatori della natura, mentre, ignorandone le vere ragioni, son ricorsi a vane chimere di moti di Luna e di altre fan¬ tasie, non gli cadendo mai in mente la considerazione delle diverse lunghezze e profondità dei mari : le quali, come si è detto, hanno tanto potente cagione nel determinare i tempi delle scorse e regressi dell’ acque, che quando, essendo prima bene assicurati dell’ istorica verità del fatto e di quello che accaggia in diversi mari, si avesse 20 di più le dimostrazioni di quello che far debbono le reciprocazioni dei moti, proporzionatamente allo lunghezze e profondità dei vasi, sarebbe speditissimo e pronto il superar tutte le difficoltà, e massime congiugnendo e contemperando queste ragioni secondarie con la pri¬ maria ed universale, dependente dal moto terrestre. Averemo, nel quarto luogo, molto spedita la ragione, onde av¬ venga che alcun mare, ben che lunghissimo, quale è il Mar Rosso, nulladimeno è quasi del tutto esente dai flussi, e reflussi. La qual cosa accade, perchè la sua lunghezza non si distende dall’oriente verso 1’ occidente, anzi traversa da sirocco verso maestro : ma essendo 30 i movimenti della Terra da occidente in oriente, gl’impulsi dell’ acque vanno sempre a ferire i meridiani, e non si muovono di parallelo in parallelo ; onde ai mari che trasversalmente si distendono verso i poli, o per T altro verso sono angusti, non resta cagione di flussi e reflussi se non per la partecipazione di altro mare col quale commu- nicassero, che fusse soggetto a movimenti grandi. Intenderemo, nel quinto luogo, molto facilmente la ragione, per- 1. che si estende, G, Z, B, T, H, P‘ ; che si stende, Ani., P 1 — DISCORSO 3!)0 chò i flussi o reflussi sieno massimi, quanto all’ alzarsi ed abbassarsi P acque, ne gli estremi dei golfi, e minimi nelle parti di mezo; poi che P esperienza ci mostra, conio di sopra si 6 dichiarato, che P acqua nelle sue librazioni nulla si eleva nel mezo del suo vaso continente, o massimamente si alza od abbassa nell' estremità. Quindi avvieno che nell’ estremità del golfo Adriatico, cioè intorno a Venezia, i flussi e reflussi fanno comunemente diversità d'altezza di circa a tre braccia; ma nei luoghi del Mediterraneo distanti dalli estremi, tal mutazione è piccolissima, conio nell’ isole di Corsica e Sardigna, e nella spiaggia di Roma o di Livorno non passa mezo braccio. io Sesto, riducendoci in mento quello che di sopra si è notato e che dall’esperienza ci vien posto avanti a gli occhi, sarà molto in pronto la cagione, onde avvenga che nei mari vastissimi, ben che l'alza¬ mento ed abbassamento dell’ acquo sia piccolissimo nello parti di mezo, nulla di meno lo correnti dell’ acque or verso ponente ed or verso levanto vi sono molto grandi : il che procede dalla natura stessa dei libramenti dell’ acque, che quanto meno si alzano od abbassano nello parti di mezo, tanto maggiornionto vi scorrono innanzi ed in dietro, accadendo tutto l’opposito verso l’estremità. In oltre, consi¬ derando come la medesima quantità d’ acqua mossa, ben elio lenta- 20 niente, pernii alveo spazioso, nel dover poi passare per luogo ristretto, per necessità scorre con impeto grande, non aremo difficoltà d’inten¬ dere la causa delle smisurate correnti che si fanno nello stretto canaio che separa la Sicilia dalla Calabria ; poi che tutta P acqua che dal- P ampiezza dell' isola e dal golfo Ionio vien sostenuta nella parte del mare orientale, ben che in quello lentamente descenda verso occi¬ dente, tuttavia nel ristringersi nel bosforo tra Scilla e Cariddi fa grandissima agitazione : simile alla quale, e molto maggiore, s’intendo esser tra l’Affrica e la grandissima isola di S. Lorenzo, mentre le acque dei duo gran mari Indico ed Etiopico, che la mettono in mezo, so devono scorrendo ristrignersi in minor canale, tra essa e la costa etiopica. Grandissime ed immense convien che sieno lo correnti nello stretto di Magaglianes, che conununica gli oceani vastissimi Etiopico e del Sur. Seguita che, nel settimo luogo, per render ragiono di alcuni più re¬ conditi ed inopinabili accidenti che in questa materia si osservano, an¬ diamo facendo un altra importantissima considerazione sopra le due DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 391 principali cagioni dei flussi e reflussi, componendole poi e mescolan¬ dole insieme. La prima e più semplice delle quali è la determinata accelerazione e ritardamento delle parti della Terra, dependente dal componimento dei due moti, annuo e diurno ; la quale alterazione ha il suo periodo determinatissimo di accelerarsi in un tempo mas¬ simamente e di ritardarsi in un altro, e quindi velocemente scorrere verso ’l termine opposto, dispensando in queste mutazioni lo spazio di 24 ore. L’altra cagione è quella che depende dalla propria gra¬ vità dell’ acqua, che, commossa prima dalla causa primaria, cerca io poi di ridursi all’ equilibrio con iterate reciprocazioni, le quali non sono determinate da un tempo solo e prefisso, ma hanno tante di¬ versità di tempi quante sono le diverse lunghezze e profondità dei ricetti e seni dei mari ; sì elio da questo avviene che altri mari, per quanto depende da questo secondo principio, scorrerehbono e ritor- nerebbono in un’ ora, altri in dua, in quattro, sci, in otto, in dieci etc. Ora, se noi comincieremo a congiugner la cagion primaria, che ha stabilmente il suo periodo di scorrere ora per un verso e di lì a ore dodici per l’opposto, con alcuna delle cagioni secondarie che avesse il suo periodo, v. g., di cinque in cinque, accaderà che in 20 alcuni tempi la cagion primaria o la secondaria si accordino a far gl’ impulsi amendue verso la medesima parte, ed in questo congiu- gnimento, e per così dire unanime conspiraziono, i flussi saranno grandi : in altri tempi accadendo che l’impulso primario venglii in certo modo a contrariare a quello che porterebbe il periodo secon¬ dario, cd in cotal raffronto togliendo 1’ uno dei principii quello che 1’ altro ci darebbe, si debiliteranno sommamente i moti dell’ acquo, c si farà quello stato che vulgarmente si dice esser il mar di fele: ed altro volte, secondo che i medesimi due principii nè del tutto si contrarieranno nè del tutto andranno uniformi, si faranno altre mu¬ so tazioni circa all’ accrescimento o diminuzione dei flussi e reflussi. Può anco accadere che due mari assai grandi e communicanti per qualche angusto canale, si incontrino ad aver, mediante la mistione dei due principii di moto, 1’ uno causa di flusso nel tempo che 1’ altro abbia causa di movimento contrario; nel qual caso nel canale dove essi mari communicano, si faranno agitazioni terribili con movimenti op- 25. in cotale affronto, G, Ani. ; in cotal raffrontamento, T — 35. comunicano, faranno, G, P 2 — terribili c movimenti, 1\, Ani. Nel Dialogo si legge con movimenti. — 302 DISCORRO posti e vortici e ribollimenti pericolosissimi, de’ quali se ne hanno continuo relazioni ed esperienze in fatto. Da tali discordi movimenti, depondenti non solamente dalle diverso positure o lunghezze, ma gran¬ demente ancora dallo divorse profondità dei mari comunicanti, na¬ sceranno in alcuni tempi vario commozioni nell’ acque, sregolato ed inosservabili, le ragioni delle quali hanno assai perturbato e tuttavia perturbano i marinari, mentre l’incontrano senza vedere che nè im¬ peto di venti o altra grave alterazione dell’ aria ne possa esser ca¬ gione. Della qual perturbazione di aria doviamo in altri accidenti far gran conto, e prenderla corno terza cagione od accidentaria, po- io tcnte a grandemente alterare 1 ’ osservanza de gli effett i dependenti dalle primarie e più essenziali cagioni. E non è dubbio che conti¬ nuando a soffiarci venti impetuosi, per essompio, da levante, soster¬ ranno le acquo, proibendoli il retlusso, onde, sopragiugnendo all’ ore determinate la seconda replica, o poi la terza, del ilusso, rigonfie¬ ranno molto, e così, sostenute per qualche giorno dalla forza del vento, si alzeranno più del solito, facendo straordinarie inondazioni. Doviamo ancora (e sarà come 1 ’ ottavo problema) aver avvertenza d’ un’ altra cagiono di movimento, dependente dalla copia grande del- P acque dei fiumi che vanno a scaricarsi nei mari non molto vasti : 20 dove nei canali o bosfori che con tali mari communieano, l’acquasi vede scorrer sempre per l’istesso verso, come accade nel Bosforo Tracio sotto Costantinopoli, dove l’acqua scorro sempre dal Mar Negro verso la Propontide. Imperò che in esso Mar Negro, per la sua bre¬ vità, di poca efficacia sono le cause principali del flusso e reflusso ; ma all’ incontro, scaricandosi in esso molti e grandissimi fiumi, come il Danubio, il Boriatene e, per la palude Meotide, la Tana ed altri, nel dover passar o sgorgar tanto profluvio di acque per lo stretto, quivi il corso è assai notabile e sempre verso mezo giorno. Dove di più doviamo avvertire che tale stretto e canale, ben che molto an- ao gusto, non è sottoposto alle perturbazioni come lo stretto di Scilla : imperò die quello ha il Mar Negro sopra verso tramontana, 0 la Pro¬ pontide 0 T Egeo col Mediterraneo postigli, ben elio por lungo tratto, verso mezo giorno ; ma già, come aviamo notato, i mari quanto si voglino lunghi da tramontana verso mezo giorno, non soggiacciono 31. lo stretto di Sicilia, G, T, Ta. Nel Dialogo si logge lo stretto di Scilla e Gariddi .— 33. col Mediterraneo postogli, 11, Z, Ani, P 1 , P 1 — DEL FLUSSO li REFLUSSO DEL MARE. 393 ai flussi e reflussi : ma perchè lo stretto di Sicilia è traposto tra lo parti dol Mediterraneo distese per gran distanze da ponente a levante, cioè secondo la corrente dei flussi e reflussi, però in questo le agi¬ tazioni sono molto grandi : e grandissime sarebbono tra le Colonne, quando lo stretto di Gibilterra si aprisse meno; e senza misura infe¬ riscono esser quelle dello stretto di Magaglianes. Tanto fu, Illustrissimo Signor, quello che io, discorrendo seco, * apportai per causa di questi movimenti del mare: pensiero che alter¬ natamente pareva clic accordasse la mobilità della Terra col flusso e io reflusso, prendendo quella come cagione di questo, e questo come indizio ed argomento di quella. E perchè nel discorso mi sovviene che io gli dissi, elio della medesima mobilità, oltre a molti segni che ce ne davano i movimenti de’ corpi celesti, altri ancora ce ne venivano somministrati dalli elementi, cioè dall’ acqua e dall’ aria, penso che non gli sarà discaro se per sua memoria noterò ancora brevemente quello che pur gli dichiarai per T altro argomento preso dall’ aria. La qual, come corpo fluido e tenue e non saldamente congiunto con la Terra, pare che non abbi necessità d’obbedire al suo movimento, se oo non in quanto T asprezza ed inegualità della superfìcie terrestre ne rapisce e seco porta una parte a sè contigua; la qual convien credere che di non molto intervallo superi le maggiori altezze delle montagne : la qual porzione d’ aria tanto meno dovrà esser repugnante alla con¬ versione terrestre, quanto ella è ripiena di vapori fumi ed essalazioni, materie tutte elementari e per consequenza atte nate per lor natura ai medesimi movimenti terreni. Ma dove mancassero le cause del moto, cioè dove la superficie del globo terrestre avesse grandi spazii piani e meno vi fosse della mistione dei vapori terreni, quivi cesserebbe in parte la causa per la quale l’aria ambiente dovesse totalmente obbedirò 30 al rapimento della conversione terrestre : sì che in tali luoghi, mentre che la Terra si volge verso oriente, si doverebbe sentire continuamente un’ aura che ci ferisse spirando da levante verso ponente, e tale spi- 1. Tutti i codici leggono lo stretto di Sicilia; e tale ò la lezione altresì del Dialogo .— 13-14. altri ancora ce ve ducano gli elementari, cioè l’aqqua e Varia, G—14. somministrati da gli elementari , cioè, B, P* — 20. superficie terrena, R. Nel passo corrispondente del Dia¬ logo si legge terrestre. — 21. a sè congiunta, R, Z, P‘. Nel Dialogo si legge contigua .— 27. dove manca nei cod. R, Am.; si legge invoco anche nel passo corrispondente del Dia¬ logo. — terrestre manca nei cod, G, T. — V. 50 394 MSC0K80 lamento dovrebbe farsi più manifesto dove la vertigine terrestre fosse più veloce ; il che sarebbe nei luoghi più remoti dai poli o vicini al cerchio massimo della diurna conversione. Ma già pare che de facto l’esperienza applauda molto a questo filosofico discorso : poi che ne gli ampli mari e nelle lor parti lontane da terra e sottoposte alla zona torrida, cioè comprese fra i tropici, si sente una perpetua aura mo¬ vere da oriente, con tenor tanto constante, che le navi mercè di quella facile e prosperamente se ne vanno all’ Indie Occidentali, e dalle me¬ desimo, sciogliendo dai lidi messicani, solcano con l’istesso favore il Mar Pacifico verso l’Indie a noi orientali, ma a loro occidentali ; dove io che, per V opposito, le navigazioni verso oriente son difficili ed in¬ certe, nè si possono in maniera alcuna fare per le medesime strade, ma bisogna costeggiare più verso terra, per trovare altri venti, per così dire, accidentarii e tumultuarii, cagionati da altri principii, sì come noi abitanti tra terra ferma continuamente sentiamo per prova: delle quali generazioni di venti molte e diverse son le causo, che al presente non accade produrre ; e questi venti accidentarii son quelli che indifferentemente spirano da tutte le parti della Terra, e che perturbano i mari più angusti e rinchiusi tra i continenti, servendo alle navigazioni che si fanno per quelli. E ben che nei mari remoti 20 dall’ equinoziale e circondati dalla superficie aspra della Terra, die tanto è quanto a dire sottoposti a quelle perturbazioni d’ aria che confondono quella primaria espirazione, la quale, quando mancassero questi impedimenti accidentarii, si doverebbe perpetuamente sentire ; ben che, dico, in questi nostri mari paia che indifferentemente le na¬ vigazioni si faccino egualmente tanto verso levante quanto verso po¬ nente, tuttavia chi ponesse diligente cura troverebbe che in generale le navigazioni verso occidente riescono assai più facili e brevi : ed io so che in Venezia tra i mercanti, dove si t.ien diligente registro de i giorni della partita e dell’ arrivo delle navi per Alessandria e per ao Soria, fatta ragione in capo di uno o di più anni, i tempi delle tor¬ nate son meglio di 25 per cento più brevi che quelli delle andate; segno manifesto che sottosopra i venti orientali prevagliono conti¬ nuamente a gli occidentali. L’ esser dunque intorno al globo terrestre, e massimamente verso 1’ equinoziale e dove la superficie è eguale, quale è quella dell’ acqua, una perpetua espirazione di aura da oriento, pare che non meno probabilmente concordi con la mobilità della Terra DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE. 395 (li quello che si faccino i tanti accidenti del flusso e reflusso del mare, e massime so chiameremo in comparazione le vanità prodotte sin qui da gli altri autori per render ragione di questi medesimi effetti. Molte altre considerazioni potrei proporre se io volessi descendere a più minuti particolari, e molte e molte più se ne addurrebbono quando noi avessimo una copiosa distinta e veridica istoria di osser¬ vazioni fatte da uomini periti e diligenti in diversi luoghi della Terra; dalle conferenze e rincontri delle quali con l’ipotesi assunta potremmo più resolutamento determinare e fondatamente stabilire sopra questa io tanto oscura materia. Della quale io per ora pretendo di aver sola¬ mente dato una qualunque si sia abbozzatura, atta, se non altro, a eccitare gli studiosi delle cose naturali a far per P avvenire qualche retìessione sopra questo mio nuovo pensiero ; quando però ei non si rappresenti e manifestamente si scuopra por tanto vano, che a guisa di un sogno seco porti una breve imagine di vero con una immediata certezza di falsità : il che rimetto al giudizio de gli accorti specolatori. E finalmente, per ultima conclusione e sigillo di questo mio breve Discorso, quando l’ipotesi presa, e corroborata per Paddietro solo da ragioni ed osservazioni filosofiche ed astronomiche, fosse, in virtù di più 20 eminente cognizione, dichiarata fallace ed erronea, converrebbe altresì non solamente revocar in dubbio questo che lio scritto, ma reputarlo del tutto vano e fuori di proposito ; e per quanto appartiene alle quistioni proposte, dovremmo o restar con desiderio che i medesimi che avessero mostrata la fallacia de’ discorsi ne arreccassero le pro¬ prie e vere ragioni, o pur reputare queste essere di quelle cognizioni c;lie Iddio benedetto ha voluto ascondere a gli umani intelletti, o finalmente, con miglior consiglio, rimuoverci da queste ed altre vane curiosità, le quali ci consumano gran parte di quel tempo che assai più utilmente potremmo o dovremmo impiegare in studii più saluti- 30 feri. E qui, baciandogli riverentemente la vesta, umilmente me gli raccomando in grazia. Sciitta in Roma, dal Giardino de’ Medici, li 8 di Gennaio 1616. 3. altri scrittori, G, Z, P l — 23. dovremo, R, A, Ani., T, Ta., Il, P 1 , P s — 25. queste cose esser, G, P ! — 29. potremo e dovremo, R, Z, Ani., Ta., P 1 , Il — 32. Scritta ... 1616 manca nel cod. P s ; Scritta manca nei cod. Z. P 1 ; Scritto, T — lì 5 dì Gennaio, Am. — 1616 al Do¬ mano, T —1616 da Galileo Galilei [Galilei manca in H], filosofo e matematico primario del Serenissimo Gran Duca di Toscana, B, Il — Nel cod. A dopo 1616 si legge, d’altra mano o d’altro inchiostro e in nn’ altra linea, a modo di firma, Galileo Galilei fiorentino. f FRANCISCI 1NG0LI DE S1TU ET QUIETE TERRAE % DISPUTAT10. AVVERTIMENTO. Di una scrittura intorno al moto della Terra indirizzata da Francesco Ingoli a Galileo era rimasta memoria soltanto por la risposta di quest’ ultimo, che nella presente edizione sarà pubblicata al posto che le spetta secondo l’ordine crono¬ logico ; del resto, gli stessi biografi dell’ Ingoli U) non fanno menzione alcuna delle relazioni di lui col Nostro, le quali ò molto probabile abbiano avuto principio fin dal tempo del soggiorno di Galileo in Padova, dove 1* Ingoli attese in quegli anni agli studi legali. Occasione alla scrittura dell’ Ingoli, divenuto segretario della Congregazione di Propaganda Fide e che s’ era reso altamente benemerito con la fondazione di quella celebre tipografia, fu una tra le dispute nelle quali, come altra volta ab¬ biamo accennato (2) , le corrispondenze del tempo ci dipingono Galileo occupato in Roma durante il suo soggiorno colà sullo scorcio del 1615 e sul principio del 1G1G. In tale congiuntura sostenne 1* Ingoli contro Galileo, alla presenza di quel Lo¬ renzo Magalotti che più tardi fu da Urbano Vili decorato della porpora cardi¬ nalizia, la inattendibilità della dottrina copernicana; e nella disputa fu pattuito ch’egli avrebbe esposto in iscritto uno degli argomenti da lui addotti, del quale pareva eh’ egli stesso fosse autore, affinchè Galileo potesse portarne più matu¬ ramente la soluzione. L’Ingoli attenne la promessa; ma a quell’argomento ne aggiunse altri, ricordandosi che il Nostro aveva detto, coni’ egli avrebbe udito volenticrissimo chiunque adducesse ragioni contro il Copernico, perchè così fosse O) Effemeride sagra et iatorica di Ravenna antica, erudito tratte ni monto di Gkuolamo Fabbri. In Ra¬ venna, presso li st&nip. Camerali et Arcivoscovali, 1G7Ì), pag. 106-113. — Memorie storico-critiche degli scrittori ravettnati del Rcv. mo Padre I). Pietro Paolo Ginanni. Tomo primo. In Faenza, MDCCLX1X, presso GiosofTantonio Archi, pop. 437-442. < 2 > Cfr. pag. 206
  • , si risponde anche a quei due argomenti. Di qui e da altri indizi, di cui il lettore si renderà conto esaminando le varianti da noi raccolte appiè di pa¬ gina, riesco manifesto che il cod. V } il quale, come risulta anche da altri fatti, non può derivare dal cod. () { *\ rappresenta la scrittura in una redazione posteriore, quasi diremmo in una nuova edizione accresciuta e corretta, a confronto di quella O) Vedi Sitovi Studi Galileiani por Antonio Fa- varo, nollo Memorie, del II , fati luto Veneto di tcicvz , letterali arti, Voi. XXIV, Venezia, tip. Autonelll, 1891, pag. HO o sog. Favaro, op. cit., pag. 105-172. Intorno ad un altro codico della scrittura del- 1* Ingoli, che sospettiamo possa esisterò noli*Ardiivio M arsigli in Bologna, vedi Favaro, op. cit., pag. 154, nota I. O) Memorie itterica critiche delV Accademia dei Lincei e del Principe Federico Ceni, treondo Duca di Arquaeparta, fondatore e principe, della medesima, rac¬ colto o scritto da 1). Balda shake Ode,scalchi, duca di Cori. Ronm, MDCCCVI, pag. 160. P. a pag. 409, lin. 2, il copista aveva lasciato uno spazio hinneo dopo rat ione» ; P Indoli lo riempi con lo parole tjunrum prima rat. Richiamiamo l'attenzione sopra gli orrori (elio si leggono noi cod. O, o non noi Volpicelliano) no¬ tati nell'apparato critico a pag. 400, lin. 21, pag. 407, lin. 21, pag. 400, lin. 18, pag. 410, lin. 2. ,7 ' Favaro, op. cit., pag. 173-184. Cfr. a pag. 170 o 1S2. Infatti alcuni luoghi che noi cod. O furono ritoccati, si leggono noi cod. V conformo alla lezione originale del cod. 0 (vedi, p. e., ciò che osserviamo nell'apparato critico a png. 103, lin. 12-14, pag. 401, lin. 28, pag. 408, lin. 21, eee.); altri invoco si leggono in V conforme alla lezione elio il cod. O presenta •piando si tenga conto dolio correzioni. AVVERTIMENTO. 401 contenuta in quest’ultimo manoscritto; onde, per tale rispetto, acquista maggiore importanza dello stesso esemplare che serba traccio della mano dell’Autore. Siffatto criterio c’indusse a prendere a fondamento della presente edizione il cod. V: siccome però ci proponevamo non soltanto di pubblicare la scrittura nella forma che a nostro giudizio è la definitiva, ma altresì di attenerci nei casi dubbi alla lezione più sicura, così accettammo dal cod. 0 le lezioni auten¬ ticate dalla mano stessa dell’ Ingoli (,) , e seguimmo il cod. V soprattutto in quello varianti che ci parve potessero appunto essere frutto di modificazioni introdotto più tardi dall’Autore. Con 1’ aiuto di 0 correggemmo poi alcuni errori che non mancano neppure in V; e qualche volta abbiamo anche dovuto emendare la le¬ zione di tutt’ e due i codiciw. Delle correzioni introdotte con o senza l’aiuto del cod. 0 Ì come puro delle lezioni dell’uno o dell’altro codico non accettate nel to¬ sto, è reso conto nell’ apparato critico Così a pug. 400, liti. 5 0, abbiamo corretto taratomi», dato da tutt* e duo i codici, in terrena rum (cfr. lin. 2,8, 18-10); a pag. 408, lin. 32-33, ab oriente in meridie»!, puro di tutt* tì due i codici, ili ab oriente in occidente»!, conio suggeriscono, oltre alla ragiono lo¬ gica, il passo di Tycho Bbarb al quale l’Autoro si riporta (Tycuokis Bkaiir Dani spiatola rum Attirano • mica rum libri occ. Uraniburgi, cum Caosaris ot Regimi quorundam privilogiis. Anno CI3I0XCVI, pag. 180), o il confronto col luogo corrispondente dolla rispo¬ sta di Galilko alla Dieputatio doli’ Ingoli; a pag. 409, lin. 9, abbiamo «mondato corum in canon, occ. Invece non abbiamo corrotto nè Iichinoldut in Reinholdua (pag. 404, lin. 31), nò Rothmanua in Iìnlhmannvs (pag. 406, lin. 4; pag. 407, lin. 24 ; pag. 408, lin. 27), parondoci elio quello grafie, comuni ad ambedue i ma¬ noscritti, possano derivare audio dallo stesso Autore. * 3) Non notiamo però, neppure so si incoilirimo noi cod. V, alcuno grafìe che abbiamo corretto, come proemiai», Ptoìomeua, demonum, phiaicu» (accanto a phyaicu*), de, (fende tuia a, attuiti mena, opace.ua, inotesccrr, Terre (pag. 407, li il. 26), de esoneranti a (pag. 408, lin. 33), ecc. Ment.ro poi abbiamo notato quello lo¬ zioni originali del cod. O che P Lnuoli ritoccò nello stesso codico, modificando o la sostanza o la forma del suo pensiero, non abbiamo fatto alcun conno quando la correzione dell*Autore consisto soltanto nel ripararo a un orroro matorinlo commosso dal co¬ pista (p. e., a pag. 411, lin. 9, prima ora stato scritto netjet, o P Ingoli corresse negai ; alla stessa pagina, lin. 19, corresse quod afferuntur, elio ora la lozione originaria, in quac afferuntur, o alla lin. 34 Terrue in Ter rum, ecc.). V. 51 FRANCACI INGOLI ItAVENNATIS I)E SITU ET QUIETE TBRRAE CONTEA COPERNICI SYSTEMA DISPUTATIO AD DOCTISSIMUM. MATHKMAT1CUM D. GALILAEUM GALILAEUM FLORE N TIN U M PUBLICUM PROFESSO RDM MATHEMATICA RUM OLIM IN GYMNA8IO PATAVINO, NUNO AUTEM PIIILOSOPHUM ET MATHEMATICIJM l’IUMAlUUAl IO SERENISSIMI MAGNI DUC1S ETUUltlAE. rROOEMIUM. Tnter multas disputationes quas apud Perillustrem et Reverendissimum D. Lau- rcntium Magalottum, virimi ob prudentiam et litteras in Romana Curia com¬ mendatimi, habuimus, illa praecipua et singularis fuit de situ et mota Terrae iuxta positionem Coperniceam. In qua tu quidera, vir doctissime, Copernici partes defendendas assumens, plurima in medium proferebas, quibus Ptolomaei argu- menta solvero, et systema Copernici comprobare, conabaris : ego autem, con tra, veterum mathematicorum hypothesim sustinere, et Coperniceam assumptionein destrucre, vario argumentandi genere prò viribus nitebar. Tandem, post multa, 20 eo res devenit, ut prò solutione argumenti Ptolomaei experimento, quod pollice- baris, veritas probaretur, et argumentum de parallaxi a mo propositum scripto exkiberetur, ut maturius eius solutionem afferro posses. Annui perquam libenter : 9-10. In luogo di Philosophum ... Ktrvrxae il cod. 0 leggo in Pisano. — 12-14. Lo parolo apud ...com¬ menda tum nel cod. 0 sono accuratamento cancellate. E in luogo di litteras (lin. 13) il cod. 0 logge mrtutem. — 18. mathematicorum hypotyposim, 0. Anche noi cod. V era stato scritto hypotyposim, ma poi fu corrotto in hypothesim. — 404 FRANC1SCI INGOLI iiam cum viris tloctissimis et in disputatìonibus modestissimi®, qualis tu es, agero gratissimum semper niilii fuit ; aliquid enim plerunque uddisco, honoremque non minimum adipiscor. Domum itaquo reversus, promissa imploro cogitavi: sed cum, intor cogitandum, milii to dixisse occurrissct, quod in liac disputarono libentis- simo unumquomque audires, qui rationes contra Copernieum adducerot, ut sic facilius rei veritas investigaretur, deliberavi non solum de parallaxi argnmentum scribero, sed alia quoque, licot non omnia, quao contra systoma Copcrniceum et Terrae motiones, ab co exeogitatas, fieri possunt : quibus si tu quoque scripto satisfacore dignaberis, gratissimum mihi erit, et plurimas tibi luvbebo gratias. Ordo huius scriptionis. io Gap. Primum. Methodus autem in hac disputatione a me servanda erit huiusmodi. Primo, disseram contra situationem Terrae et Solis, quam ponit Copernicus in suo syste- mate; 2°, contra motus terreni orbis et Solis quietem: et in utroque capite triplici argumentorum genere, videlicet mathematico, pbysico et theologico. Mathematica arqumenta contra situm terrae Coperniceum. Gap. 2 m . Proponit Copernicus, Solcm esse in centro universi, Terram autem in circulo in ter Veneris et Martis orbes. Contra huiusmodi positionem, primum, obiicio argnmentum de parallaxi. Nani 20 si Sol esset in centro universi, maiorera admitteret parallaxim quam Luna: sed consequens est falsimi: ergo, et antecedens. Consequentia probatur: quia corpora, quanto remotiora sunt a primo mobili, in quo eorum loca notantur ab astronomis, tanto maiorem admittunt parallaxim, ut ex diversitatis aspoctus theoricis et ta- bulis constat, in quibus Solis apogaei parallaxis minor notatur, quia tunc vicinior est primo mobili, maior autem perigaei, quia remotior: sed Sol, iuxta Copernieum, est remotior a primo mobili quam Luna; quia haec est extra centrimi, ille vero in centro, et centrum est remotior locus a peripheria : igitur Sol maiorem admittet parallaxim. Falsitas vero consequentis facillime probatur : nam ex observationibus manifestum est, Solis parallaxim maiorem esse 2'58", Luna© vero partis 1.6' 21", ut 30 ex Reliinoldo annotavit Maginus, Theoricorum lib. 2°, cap. 20 in fine; ex quibus 2. mi hi semper, 0 — G. rei manca noi cod. 0. — 19. Nel cod. 0 in luojro di inter ... orbea era stato scritto solari; poi solari fu cancellato, e fu sostituito infer ... orbes. — 27. centrum manca noi cod.O. — 28. et centrum, et est remotior, V — admittil, V; admittit corrotto in admittet, 0 — DE SITU ET QUIETE TERRAE DISPUTATIO. 405 observationibus liquet, non Solis parallaxim maiorem esse parallaxi Lunae, sed liane illara longe superare, ut nimiruni numerus 22 superafc unitatem. Nec sati- sfacit si dicatur, ideo Lunam habere maiorem parallaxim, quia nobis vicinior est, cum distet a Terra semidiametris torrenis tantum 52.17' usque ad 65.30' a quarto limite ad primum, ut ex Copernico notat Maginus, Theoricorum lib. 2°, cap. 24 ; quibus Sol distat 1179. Primo: quia si baco solatio valeret, necessarium esset, ut quam proportionem habent luminum distantiao intcr se, eandem haberent et parallaxes eorum, cum parallaxes a distantiis pendeant: hoc autem non videmus; quia distantiae so habent sicut 18 ad 1, ut Maginus notat ex Copernico ubi supra, io parallaxes autem sicut 22 ad 1, ut dietimi est: igitur solutio nihil valet. Secuiulo: quia parallaxis quantitatem non soluni eflicit distantia corporum visorum in su¬ blimi a nobis, sed ctiam distantia ab octavo orbe, ubi notantur parallaxes. Cum itaque Sol distet a cacio stellato plus quam Luna, quando est in Solis opposito, iuxta observationes Copernici, semidiametris torrenis 1244, non videtur mihi fieri posse ut parallaxis Solis sit V 22 parallaxis Lunae. Secundum argumentum est Sacrobusti, in Sphaera, cap. G, dicentis, Terram esse in centro octavi orbis, quia stellae in quacunque elevatione sint supra hori- zontem, eiusdem quantitatis nobis apparenti quod non esset, si Terra centrum non possideret. Quod probatur, tum ex diffinitione circuii; nani solae lineae quao 20 a centro ad circumferentiam ducuntur, sunt inter se aequales : tum ex regula prospectivae, qua dicitur, quae maiora nobis apparent, viciniora esse, quia sub maiori angulo videntur, quae autem minora, remotiora, quia sub minori angulo conspiciuntur. Tertium argumentum est Ptoloinaei, lib. 1, cap. 5, Àlmagesti, dicentis, ideo Terram esse in centro mundi, quia, ubicunque existat homo, semper videt coeli medietatem, hoc est gradus 180 ; quod non esset si Terra cssot extra centrum. Quod autem coeli modietas ubicunque conspiciatur, liquet non solimi ex stellis fixis oppositis, nempe ex Oculo Tauri et Corde Scorpionis, quarum una oritur dum alia occidit; sed etiam ex certa observatione graduum 90, quae potest haheri 30 dum Sol est in punctis Àrietis vel Librae, si notetur elevatio aequatoris meri¬ diana, et cab ea usque ad pollini intcriecta distantia observetur, et tandem cum hac mensuretur portio orientalis et portio occidua circuii verticalis. Quod vero medietas coeli non conspiceretur si Terra centrum non occuparet, constat ex diffinitione semicirculi: sola enim diameter, quae semper transit per circuii cen¬ trum, dividit ipsum circulum in duos semicirculos aequales. Nec solutio qua dicitur, diametrum circuii deferentis Terram in comparatione distantiae maxima© octavi orbis a nobis adeo exiguam fieri, ut in ipso orbe octavo solum 20' sub- 3. ideo manca noi coti. 0.— 4. In luogo di tantum noi cod. V sono dei puntolini. — 17. quia stellae in quantacunquc elevatione, O — 21. esse umica noi cod. V. — 25. mundi manca noi cod. V. — 27. coeli medietas ubique conspiciatur , V — 40G FRANCISCI INGOLI tenda t, omnino satisfacit. Nam si Terra, ut insensibilis magnitudini evadat re- spectu stellati orbis, necesse est ut distet semidiametrorum suarum quatuordecim millibus ab ipso, iuxta Tychonis placita, ut videre est in eius libro Epistolarum Astronomicarum in responsione litterarum Rothmani, pag. 188, oportebit quoque ut circulus deferens Torram (cuius somidiamcter est semidiametrorum terrena- rum 1179, si Magino credimus, qui distantiam Solis apogei a Terra, Theori- corum lib. 2, cap. 24, tantam esso scribit iuxta Coperniceas observationes) distet ab octava sphaera suis semidiametri* m /n, quae faciunt somidiametroB terrenas 16500000: quae distantia adeo magna non solimi asymmetrum esse universum ostendit, sed etiam convincit, aut stellas fixas nihil operari posse in linee infc- io riora, propter nimiain earum distantiam (quod comprobari potest ex iis quae eontingunt in Sole; nam experimur virtutem eius in liyeme, propter distantiam ipsius a Zenith capitis nostri, minimam certe in comparatione distantiae Termo ab octavo orbe, adeo liebotem fieri ut frigus magnimi persentiamus) ; aut stellas fixas tantae magnitudinis esse, ut superent aut aequent magnitudinem ipsius cir¬ cuii deferentis Terram, cuius somidiamcter est, ut diximus, 1179 semidiametrorum terrenarum: quod probari potest ex magnitudine apparenti corporis Solaris; nam si Sol nobis videtur diametrum haberc 32' in distantia a Terra semidiametrorum terrenarum 1179, quanta debebit esso magnitudo fixarum, quae distant a Terra semidiametris terrenis 1G5OG0OO, ut nobis apparcant esse 3', secundum antiquam 20 opinionem, voi etiam 2', secundum placita tua ? Ex bis itaque puto, Sacrobusti et Ptolomaei argumenta minime solvi posse per assumptionem, quod diametcr deferentis Terram subtendat solum 20’ in coeli firmamento. Quartum argumontum est Tychonis in dictis Epistolis Astronomicis, pag. 209, ubi probat certissimis experimentis, reperisse eccentricitates a** 8 et Q u , notatas a Copernico, ali ter longc se babere; sicut et apogeum 9‘ 8 non esso immobile, ut idem Copernicus aflìrmavit, sed sub fixarum spbera nioveri: ex quibus valdc dubium Copernici systema cfficitur, cum phaenomenis, pio quibus salvandis ab eo sic constitutum est, minime satisfaciat. Argumenta Physica. 30 Cap. 3'". Terram esse in medio universi, duo argumenta milii videntur ostendere; quorum alterum est, quod ab ordine ipsius universi desuinitur. Nam in coordinatione cor- porum simplicium videmus, crassiora gravioraquo inferiorem locuin occupare, ut 2. semidicwutrorum suonivi, V — 5-6. terrenarum, 0, V — 7. Copernicas observationes, Y — 15. fl«( aequent noi cod. 0 ò aggiunto tra lo lineo. — 21. vcl etiam 0 — Le linee 24-29 mancano noi cod. 0, e sono ag¬ giunto sul margiuo noi cod V. — DE SITU ET QUIETE TERRA E DISPUTATICI 407 patet de terra respectu aquae et de aqua respectu aeris: Terra autem crassius et gravius corpus est corpore solari ; et locus inferior in universo procul dubio est centrimi : Terra igitur, et non Sol, medium sive centrum universi tenet. Quod si negetur prima pars minoris propositionis huius argumcnti, potest probari, primo, autlioritate Phiiosoplii et Peripateticorum omnium, dicentium cor- pora caelestia nullam habere gravitatela : 2°, ratione saltem logica ; nam propo¬ siti) opposita, hoc est, Sol est corpus crassius et gravius Terra, ipso primo animi conceptu videtur esso falsa, cuna omnia quae habent lucem videamus esse rariora et leviora, ut patet de igne et de iis quae passa sunt ab eo. io Si vero negetur secunda pars, et pbilosopliorum authoritatibus probari potest, dicentium positionem centri universi esse locum deorsum, circumferentiam vero eiusdem esse locum sursum, quod est idem ac si diceretur inferius et superius : et ratione; quia in ipso Terrae globo superiores partes dicimus quae ad peri- plicriam eius, infcriores vero quae infra circumferentiam et versus centrum, locantur, ita ut centrimi ipsum infimam dicamus esse Terrae partem. Centrum igitur est inferior locus in universo. Alterimi argumentum est quod a partilnis ipsius Terrae desumitur. Nam in cribrando tritico videmus quod glebae terrae, quae sunt in ipso tritico, ad nio- tionem circularem cribri ad centrum ipsius cribri reducuntur ; et idem evenit 20 in partilnis sabuli crassioribus, dum aliquo rotundo in vase agitantur ; quo expe- rimcnto multi philosophi voluerunt, Terram in medio universi stare, quia illac a motionibus coeli detruditur : quod si partibus Terrae id contingit, toti quoque Terrae id accidere dicendum est, cimi in homogeneis tencat argumentum a parte ad totum, et Kothmanus in sua epistola, quae est in libro Epistolarum Astro- nomlcarum Tychonis, pag. 185, defendens Copernicum, lioc genere argumentandi a partibus Terrae ad totani Terram utatur. Argumenta Theologica. Cap. 4. Tandem, ut primam huius disputationis partem concludnm, Solem non esse in so medio universi, sed Terram, duo alia argumenta ex Sacris Litteris et ex doctrina theologorum desumpta, mihi ostcndcre videntur. Quorum alterum est ex cap. 1 Genesis, ponderando verba: Dixit Deus, Fiant luminaria in firmamento coeli. Nani, cum in textu Hebraico habeantur loco verbi firmamento nomen J^pH raJcia, quod significat expansum seu extensum vel extensionem, ut probat Sanctes Pa- gninus in Thesauro Linguae Sanctae in radice mica; et huiusmodi significatio 13. et rntione qnidem in ìjìbo, V — 21. quia illic, 0 — 22. quod ni parti Terrae, V — 33. Hebraico habentur, 0 — nomen rukio, 0 — 33-34. raka, quod, V — 35. Tliemturiit, Y — 408 FltANCISCI INGOLI nullo modo possit convenire centro, repugnante ipsius centri natura extensioni seu, ut ita dicam, espansioni; conveniat autem aptissime coeli circumferentiae, quao quodammodo est extensa et expansa supra centrimi (unde, apposita mcta- phora, Psalmo 103-2, dicitur, Extendens (scilicet Deus) coelum sicut pelleni); dum Deus dixit, Fiant luminaria in firmamento coeli, non in centro luminare maius factum esso dicendum est, sed in ipso coeli expanso seu extcnso. Confir- •l matur haec argumentatio ex eo, quod verbum Fiant t quod Deus dixit, respicit aequaliter Solerà et Lunam, cum in textu dieatur, Fiant luminaria in firmamento coeli ; unde sicut Luna non est in centro, sed in coeli expanso, ita quoque Sol in hoc, et non in ilio, esse debet. io Alternili argumentum est ex doctrina theologorum, tenentium ea potissimi!m ratione infernum, idest locum daenionuin et damnatorum, esse in centro Terrae, quia, cum coelum sit locus angelorum et beatorum, oportet locum daemonum et damnatorum esse in loco remotissimo a coelo, qui est centrum Terrae. Unde bene, Psalmo 138, apponuntur infernus et coelum tanquam loca distantissima, dum dicitur: Si ascenderò in coelum, tu illic es ; si descendero in infernum, ades: et, Isaiae 14, dum dicitur regi Babylonis, et in eius figura diabolo: Dixisti, In coelum consceiulain, etc.; vernatameli usque ad infernum detraheris, et in profundum lacum. Legatur lllustrissimus Cardinali» Bellarminus, DeChristo, lib.4°, cap. X°, et De Purgatorio, lib. 2°, cap. 6°. Cum itaque infernus sit in centro Terrae, et debeat 20 esse locus remotissimus a coelo, Terram esse in medio universi, qui est locus a coelo remotissimus, fatendum est. Ex quibus sit impositus finis primae parti liuius disputationis. Argumenta Mathematica contea motum terrae Coperniceum. Cap. V. Contra motum Terrae diurnum multa obiici possunt, quorum aliqua contra Rotlimanum, Coperniceae sententiae defensorem, in duabus epistolis astronomicis refert Tyclio in libro Epistolarum Astronomicarum, pag. 1C7 et 188 : videlicet de casu plumbei globi ab altissima turri perpendicularitor, non obstante praetensa aeris concomitantia, cum tamen deberet esso contrarium, quia Terra motu diurno, so etiairi in parallelis borealibus Germaniae, moveretur sesquiccntum passus maiores in secundo minuto temporis: item de bombardis cxonoratis ab oriente in occi- dentem et a septentrione in austrum, praesertim de exoneratis prope polos, ubi motus Terrae tardissimus est; nam, dato motu Tornio diurno, evidentissima dif- ierentia notaretur, cum tamen nulla animadvertatur. 17. riunì manca in 0. — 21. enne remotiuimu«, V; o così leggeva anche il cod. 0, ma poi fu aggiunto, in questo codice, locu* interlinearmente. — 22. primae parti», V — 29. pr a «tenni corrotto in praetensa, 0; pr attenni, A 31. «equicentum, 0, V — 32-33. ab oriente in meridiem et a nrptentrione, 0, V — DE SITU ET QUIETE TERRÀE DISPUTATI!). 409 Contra vero annuum, multo plura obiici possunt, de quibus per Tychonem ubi supra; sed ego adducam tantum quatuor rationes: quarum prima est ab ortibus et occasibus stellarum fixarum desumpta. Nani si Terra annuo motu movetur, oportet latitudines ortivas et occiduas stellarum fixarum singulis 8 aut 10 diebus sensi- biliter variari ; sed consequens est falsum ; ergo, et antecedens. Falsitas consc- quentis est nota: quia latitudines praedictae non variantur notabiliter nisi in 50 aut CO annis. Gonsequentia vero probatur: quia, cum Terra simili cum liorizonte moveatur sub zodiaco, et sic ab austro ad septentrionem et e contra, in 8 aut 10 diebus sensibiliter, fixae vero insensibiliter propter earum tardissimum motum io sub zodiaco, imo secundum Copernicum sint immobiles, necesse est ut fixae ipsae in spatio 8 aut 10 dierum notabiliter suas latitudines ortivas et occiduas varient. Altera est ab altitudinibus polaribus locorum. Nam si Terra movetur motu annuo, oportet mutari altitudines polares locorum ; sed consequens est falsum ; ergo, et antecedens. Falsitas consequcntis est nota. Gonsequentia probatur : quia, (*um Terra per annuum motum feratur a septentrione in austrum et e contra, simul etiam loca in ipsa existentia sic feruntur; ista autem latio mutat omnino altitudines polares: sicut enim homini qui a meridie ad boream voi e contra iter agit, contigit altitudinem poli mutari, ita loco continget unitari altitudinem poli, si vice liominis ipse moveatur. 20 Tcrtia est ab inacquali tate dierum artificialium. Nam, etiamsi videantur omnia observationibus consentire, dato motu Terrac annuo et Solis quiete, quia liori- zontis rectitudo seu obliquitas eadem sempcr existit, cum praesupponantur hori- zontes simul cum Terra moveri, tamen subtiliter intuenti non ita videbitur : quia, cum per motum annuum transferatur Terra a borea in meridioni et o contra, ne¬ cesse est ut zenitli capitis nostri similiter transferatur, et ex consequcnti ut ali- quando accedat ad aequatorem et aliquando recedat ; a mutatione autem zenitli constat mutari rectitudiiiem et obliquitatem horizontis, quae inaequalitatem dierum potissimum efficit: ex quo consequitur, ut prò inacquavate dierum signanda, non solimi notandae essent differentiae motus annui, parallelos dierum artificialium so elficientis, prò ut lit posito Solis motu et Terrae quiete, sed etiam illae differen- tiae quas eflicerent mutationcs obliquitatis horizontis dato motu Terrae et Solis quiete, et praecipue circa borealissimas habitationes, ubi variationes dierum sunt sensibilissimae : quod tamen non fit, cum solae primae differentiae animadvertan- tur, et illae observationibus satisfaciant. Non obstat, quod liorizontes simul cum Terra transferantur sine sui muta- 2. tantum tren rat ione», O. Anello noi coti. V dicova (ree, ma poi fu corretto in quatuor: cfr. ciò elio os¬ serviamo a pag. *110, liti. 5-9. — 8 .fixarum noi cod. O ò stato aggiunto tra lo lineo. — 6-7. non variantur nini in 50 aut 60 anni» notabiliter, 0. Così dicova anche nel cod. V, ma poi fu corrotto non variantur notabiliter nifi ccc. — 9. propter eorum, O, V — 10. imo ... immobile» manca iu 0; noi cod. V ò aggiunto tra lo lineo. — 12. Alterum e*t y 0 : o cosi paro elio dicosso dapprima anello noi cod. V, nel (pialo ora si leggo chiaramonto Altera. — 13. Noi cod. V prima dicova oportet, poi fu corrotto in oporterct. — 18. ita locorum continyct, A r — ita loco continyct mutari altitudine poli, 0 — 25 *26. contequtnli aliquando. A' — 32. ubi varietale» dierum , 0 — 52 V. 410 FRÀNCISCI INGOLI tione; quia veruni osset hoc quoad inotum Termo diurnum, acd non quoad an- nuum : nani quoad hunc etiam quod transferantur cuni Terra, tamen mutantur quoad obUquitateni et rectitudinom propter nocessariam zenitli mutationem, ut dictum est. Quarta est ex Tychono in libro Epistolarum Astrononiicarum, pag. 149, ubi asserit, cometas caelitus conspectos, et in Solis opposito versantes, motui Terra© annuo minime obnoxios esse, cura tamen esse deberent, quia reapectu ipsorum evanescero motum huiusmodi non est nocosso, sicut in lixis syderibus, cum co- metae praedicti illam maximum fixarum a Terra distantiara non habeant. Centra denique tertium motum, Tycho in allegatis Epistolis obiicit tria : primo, io quod sublato niotu annuo, tertius necessario auferatur ; 2°, quod fieri non potest ut axis Terrao in contrarium motui centri annuatim adeo corrospondenter gyretur, ut quiescere tamen videatur ; 3°, quod non potest (lari in corpore unico et sim- plici axim et centrum duplici diversoquo niotu moveri ; quibus si addatur etiam diurnus motus, maior efficitur difficultas. Argumenta piiysica contra motum terrae. Cap. G m . Plurima possent adduci argumenta physica contra Terrae motionem, quao a philosopliis et a mathematicis prò Terrae quiete afferuntur, etpraccipuo a Tyclione in allegatis Epistolis: sed ego tria tantum in medium proponam. Quorum alterum 20 est a natura corporum gravium et lovium. Nani in universum videraus, corpora gravia minus apta esse ad motum quam levia aut non gravia : quod quidem statini inno teseci* e potest consideranti non solimi simplicia corpora naturai ia, sed etiam mixta, et haec non solimi in ordino ad motum qui a principio intrinseco causatur, sed etiam in ordine ad motum qui fit a principio extrinseco. Rursus videmus, naturam materias ita formis accommodare, ut prò efficientia ipsarum formarum mirara animadvertamus ipsarum materierum aptitudinem : et id accidit tum quia, ut dicit Philosophus, 2° Physicorum, natura agit propter finem, tum quia materiao sunt velut instrumenta formarum ad agendum. Cum itaque Terra omnium corporum nostra© cognitioni subiectorum gravissima sit, oportet dicere naturam ei tot motus 30 nequaquam tribuisse, et praecipuc diurnum, adeo velocem ut in uno minuto tem- poris Terra conficere debeat fere 19 milliaria, ut dicit Tycho in Epistolis Astro¬ nomici, pag. 190. Al tei uni est quod desumitur ab illa physica propositione, unicuiquo corpori natuiali unum esse tantummodo motum naturalem; quod veruni esse, inductione 2. trannfevutur, 0 — Le lineo 5-9 mancano nel cod. 0, e sono aggiunto sul margino nel cod. V. — 10. Cantra dfirmnn tertium , 0 — 12. oorriepondenter, 0-16-17. Arqumenta ... Cap. tf» nel CO(l. 0 Ò aggiunto interli¬ nearmente. — 32. conficere telerei, V. Così diceva dapprima anche noi cod. 0, ma poi deber et, in questo co¬ dice, fu corrotto in debeai.- 32-33. Epist. Astronomica, V - 35. naturalene; quam veram esse, 0 - DE S1TU ET QUIETE TERRA E DISPUTATICI 411 probari facile posset, nisi ageretur cum pliilosoplio praestantissimo. Cum itagli e Terrac motus naturalis sit ad medium, non poterit ei esse naturai» motus circa medium, et multo minus poterunt ei esse naturales tot motus, et omnes non ad medium: si igitur motus ilii Copernicei non suntTerrae naturales, quomodo fieri potest ut Terra, corpus naturale, tauuliu illis moveatur? nani naturae non est praeter naturam agere. Tertium est ab incongruentia quadam : quia scilicet omnibus caeli partibus lucidis, videlicet planetis, motum tribuit Copernicus ; Soli autem, omnium coeli partium praestantissimo et lucidissimo, motum ncgat, ut Terra©, opaco et crasso io corpori, illuni tribuat. Id enim tacere non debuit, discretissima in omnibus suis operibus, natura. AUGUMENTA TlIEOLOGICA CONTRA MOTUM TERRAE. Gap. 7 m . Argumcnta theologica ex Sacris Scripturis et autlioritatibus Patrurn et theo- logorum Scholasticorum infinita possent contra Terrac motionem proponi: seti duo tantum adducam, quae firmiora inibì esse videntur. Altcrum est ex Iosue, cap. X, ubi ad preccs Iosue dicit Scriptura : 8tet.it itaque Sol in medio coeli, et non festi- navit occumbcre spatio unius dici ; non fuit antea et postea tam longa dies, obe- diente Domino voci hominis. Nec responsiones, quae afferuntur, quod Scriptura 20 loquatur secundum modum nostrum intelligendi, satisfacit: tum quia in Sacris Litteris exponendis regula est ut semper litteralis sensus salvetur, cum fieri po¬ test, ut in nostro casu ; tum quia Patres omnes unanimiter exponunt locum hunc, quod Sol, qui movebatur, re vera stetit ad preces Iosue ; ab ea vero interpreta- tione, quae est contra unanimcm Patrurn conscnsum, abhorret Tridentina Syno- dus, scss. 4 a , in decreto de editione et usu Sacrorum Libroruin, § Praeterea. Et licet Sancta Synodus loquatur in materia morum et Fidei, tamen negari non potest, quin Sanctis illis Patribus Sacra© Scriptura© interpretatio contra consen- suin Patrurn displiceat. Alterimi est ab authoritate Ecclesiae: nani in hymno ad vesperas feria© tertiae 30 ita canit : Tellnris ingens Conditor Mundi solum qui eruens, Pulsis aquae molestiis, Terram dedisti immobilem. 8. pianatiti et fui*, motum, 0. Cosi diceva dapprima audio noi cod. V, ma poi et Jixis fu cassato. — 18. «t punte a malica in 0. — 20. modum noatrae intelUgcntiae, V. Noi cod. 0 prima ora stato scritto modum nontrum intelligentiue, poi fu corretto tuteliigeritine in intelligendi. — 27. quin Sacriti illis, 0. Così dicova dap¬ prima, a quanto sombra, anche noi cod. V; ma poi, in questo codice, fu corretto Sacris in Sanctis .— 412 FRANCISCI INGOLI DE S1TU ET QUIETE TEUftÀE DISI'lìTATIO. Ncc levo est huiusmodi argumenti genus : nani, ut videro ost apud Cardinalem Bcl- larminura, in plerisquo locis confutat multos errores hymnis, canticis ot preoibus Ecclesiae, quac in breviariis habentur. Et ex bis absoluta sit liaeo disputalo. Cui respondere aut omnino aut ex parte, videlicet saltem mathematica argumentis et pbysicis, et liis non omnibus sed gra- vioribus, tuum arbitrium esto ; nani liane scripsi non ad tentandam eruditionom et doctrinam tuam, mihi onmibusque tum in Romana Curia tmn extra notissi- mam, sed prò investigationo voritatis, quam to sempor quaorero totis viribus pro- fiteris : et re vera sic decet matUematicum ingenium. 2. In luogo di multoa crrorct, noi cod. 0 prima era stato scritto multai barrati ; poi fu corrotto. PROPOSTE PER LA DETERMINAZIONE DELLA LONGITUDINE. AVVERTIMENTO. Quando Galileo ebbe scoperto i satelliti di Giove, e nell’aprile del 1611 trovò i tempi delle loro conversioni, non tardò molto ad affacciarsi alla sua mente il pensiero di trarre profitto dagli ecclissi di quei pianeti per risolvere un problema del quale le grandi navigazioni, dovuto allo nuove scoperte geografiche, avevano accresciuto in modo particolare V importanza. Vogliamo con questo alludere alla determinazione della longitudine in mare: quesito tentato per 1*innanzi tante volte senza alcun frutto, e di cui il Nostro già prima del 7 settembre 1612 si credette d’ esser venuto a capo, poiché sotto questa data il governo toscano offriva il trovato di lui al Ro di Spagna (l) . Occasiono a tale offerta fu la domanda presentata sul finire del giugno 1612 dal governo di Madrid ai Granduca Cosimo II, elio tenesse armati e facesse na¬ vigare, per sicurtà contro i corsari, certi galeoni i quali galleggiavano inoperosi nel porto di Livorno. Il Granduca si mostrava disposto ad annuire a siffatta richiesta: domandava però in contraccambio alcuni privilegi attinenti ai com¬ mercio con T Indie; e per muovere tanto più il governo spagnuolo a concederli, proponeva anche < di fare rimostrare ed insegnare costì il modo del misurare la longitudine a qualsivoglia ora della notte e quasi tutto il tempo dell’ anno ; che coloro che s’intendono della navigazione, affermano che questo importi infinita¬ mente al servizio del Re per tutta la navigazione delle Indie > l5) . La nota con cui il governo toscano commetteva al proprio ambasciatore a Madrid, conte Orso d’Elci, d’offrire al Re il trovato di Galileo, fu stesa da Galileo stesso: oliò scritta di suo pugno ce ne fu conservata la minuta nell’ Archivio Fiorentino 0) Vedi ampiamente narrati i' particolari dello !flo Favauo, Venezia, 1891, pag. 101-148. trattative tornito da Galileo col governo spaguuolo W Minuta di lettera di Belisario Vinta a Orso a proposito dol suo trovato, così nel 1G12 corno negli d’Elci, da Firenze, 7 settembre 1G12, nell’Archivio anni appresso, nei Nuovi Studi Galileiani por Anto-, di Stato ih Firenze, Filza Medicea 4943. 416 AVVERTIMENTO. di Stato con la postilla . Se non che il governo spagnuolo non prese neppure in esame V invenzione di Galileo, adducendo per iscusa che gifl si era cominciato a nego¬ ziare con un matematico spagnuolo per una simile proposta, < la qual cosa fin che non resti chiarita • • • non si può entrare con nuove proposizioni > Noi pensiamo che alle trattative così iniziate nel 1612 si possa collegare una breve scrittura di Galileo che, col titolo di Proposta della Longitudine, si legge, copiata di mano del secolo XVII, a car. 3 r. — 4 1. nel T. V della Par. JV dei Mano¬ scritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. A vero dire, la Proposta non porta nel codice nò alcun nomo di autore, nò alcuna data; che anzi un passo di questa scrittura potrebbe a prima vista indurci a riportarla per lo meno al 1638, poiché, recandovisi esempio di die cosa sia longitudine, si dice : < sia, per esempio, cercata la longitudine di Roma per un ecclisse lunare che si faccia in Roma a’ 20 Dicembre 1G38 >. A tenere però la Proposta come cosa di Galileo quanto alla sostanza, ci persuade il riflettere che nessun altro, fuori di lui, po¬ teva sapere del suo trovato ; e a far credere clic anche la forma sia veramente sua, è argomento vuoi il non sembrar punto probabile eli’ egli desse incarico ad altri di riferire su questa invenzione della quale era tanto geloso (5) , vuoi lo stile, clic ha tutte le sembianze del galileiano (k) . Quanto poi all’ età a cui tale scrittura sia da assegnare, certamente non è l’anno 1638: poiché non avrebbe senso che il Nostro nel 1G38, quando ormai da un pezzo aveva esposto per lungo e per largo tutti i particolari della sua invenzione nelle trattative con gli Stati Generali d’Olanda, dettasse una scrittura corno la Proposta , nella quale ò ma¬ nifesto che di ciò in cui propriamente consiste l’invenzione, si vuol far mistero, per tema che altri non usurpi il trovato e so ne appropri il merito. Si aggiunga clic nò quel : 1038 , nò alcun’altra indicazione dell’anno, si legge nella prima edi¬ zione della Proposta , che è tra le Memorie e Lettere edite dal Venturi (3) ; e poiché O) Nella Filza Medicea citata. Lettera di 0. d’Elci a B. Vinta, da Madrid, 1G ottobre 1612, nell’Archivio cit.. Filza Medìcea 4942. (a ' S’ avverta a questo proposito che non sol¬ tanto la nota spedita il 7 sottembro 1012 dal go- vorno toscano al conto d'Elci, perchè proponesse al Re di Spagna il trovato galileiano, fu, come ab¬ biamo avvertito, stosa da Galileo, ma probabilmente alla penna di lui è dovuta altresì una informaziono sul medesimo trovato mondata nel giugno del 1616 al conte j>’ Eloi, o un ricordo, elio la accompagnava, por il Segretario del conte di Lemos, sobbolle e l'una o l’altro fossoro in nome della Segreteria di Stato di Toscana: di che vedi A. Favaro, op. cit., pag. 106. |V) Si possono notare anche alcune rispondenze di frasi tra la Proposta, o altre scritturo sicuramente gali¬ leiano: p. e., « l’ingeguo grande o lo fatiche atlantiche del Sig. Galileo Galilei » (Proposta, pag. 121, Un. 21-25) richiama alla mente la frase « con fatiche varamento atlantiche e col suo inirabll ingegno », che si leggo nella Lettera a Madama Cristina di Lorena (pag. 312, lin. 14-15 del presento volume). Memorie e Letture inedite finora o disperse di Galileo Galilei, ordinate ed illustrato con annotazioni dal Cav.OiAMBATiSTA Vf.nturi, occ. Parto Prima, ecc. Modena, MDCCCXVIII, pag. 177-180.— È fatto do- gno di nota, che Gio. Batista Clemente de’Nelli copiando quasi testualmente, nulla Vita « Commercio Letterario di Galileo Galilei occ., voi. II, Losanna, 1703, pag. 656-659, un lungo brano della Proposta (brano elio egli, senza neppur ricordare il titolo della scrittura ga- loiana, inserisce nella propria narrazione), quando riproduco l'esempio dol quale stiamo discutendo, dico: « sia, per esempio, cercata la longitudine di Roma por AVVERTIMENTO. 417 ò molto probabile che il codice del quale il Venturi si valse, fosse diverso da quel¬ l’unico a noi noto (1) , così può credersi che nel manoscritto da lui adoprato siffatta data effettivamente non si trovasse. Non parrò, adunque, troppo lontano dal vero il pensare che il millesimo di cui discorriamo sia dovuto, nel nostro codice, al copista, il quale forse ve lo introdusse (o che l’autore avesse assegnato l’esempio ad un alti*’ anno, oppure si fosse limitato ad indicare soltanto il giorno ed il mese), perché corresse appunto il 1638 quando egli esemplava il codice stesso; mentre la scrittura ò molto verisimile sia stata dettata in una delle prime occa¬ sioni che il Nostro ebbe di offrire il trovato al governo spagnuolo. Anzi può ben darsi che la Proposta, in cui dell’ importante invenzione si parla con tanto prudente riserbo e in termini cosi indeterminati, rappresenti la prima espressione del pensiero di Galileo su questo argomento, sul quale egli ebbe poi a tornare molto volte, ed egli l’abbia stesa nel 1612, forse con l’intenzione che il suo tro¬ vato fosse proposto alla Spagna appunto con questa scrittura: sia poi che essa fosse, o no, mandata effettivamente insieme con quella nota, pure dettata da Ga¬ lileo, a cui sopra accennavamo. Abbiamo pubblicato la Proposta di sul codice sopra citato, che è di buona lezione, così che ci occorse di correggere soltanto podio forme dialettali e qualche grafia w . Appiè di pagina abbiamo poi registrato, e contraddistinto con la sigla V, le varianti più notevoli offerte dalla stampa del Venturi (3) . Alla Proposta facciamo seguire un’ altra scrittura, del medesimo argomento e della medesima indole, che Galileo dettò quattro anni più tardi. Infatti, nella primavera del 1616 egli cercò di riattaccare con la Spagna le trattative, le quali furono condotte molto in lungo, ma nemmeno questa volta portarono ad alcun pratico resultato. Senza narrarne partitamente il corso, basta al nostro proposito il dire che, per consiglio del conte Orso d’ Elei (k) , il quale era pur sempre amba¬ sciatore a Madrid, il 13 novembre di quell’anno Galileo scrisse due lettere su questa materia, una al duca di Lerma e l’altra al conto di Lemos, personaggi molto potenti presso la corte del Ile Cattolico; e a queste due lettere, che mandò al conte d’Elei perchè da lui fossero presentate, unì una < esplicazione in genere del suo trovato >, acciò la conferisse ai due signori (8) . un eclisse lunare clic si faccia in quella città no’20 Di¬ cembre I79G ». E si avverta elio non solo Poponi dol Nelli porta la data di stampa del 1793, ma osso Nelli morì il 25 dicembre 1793. Di II Venturi, op. e lue. cit., dico d’aver tratto la Proponili dalla * regia Biblioteca di Parma >, per mezzo <1’Angelo Pezzana. Nonostante le più dUigeati indagini, non abbiamo potuto trovare nella Palatina di Parma nò la Propoeta nò altri « monumenti dol Galileo g del P. Castelli > che il Venturi cita conio esistenti colà; che anzi tali scritturo noppuro sono registrato negli antichi in volitarli della biblioteca. (2) Abbiamo corrotto forai (che ricorre più volte, ma non è costante) in forno, arjgiongeai (pag. 421, Du. 14) in aggiunyeai, e avounzi e avvanzamentì. Vogliamo avvertire elio il tratto pubblicato dal Nelli, nonostante le alterazioni da lui introdotto per adattarlo al proprio racconto, è più vicino al testo dol codico da noi conosciuto clic alla stampa dol Venturi. ,4) Lettera di 0. d’Eloi a Curzio PicoiiKNA,da Madrid, 13 ottobre 161G, nell’Archivio di Stato in Firenze, Filza Modicoa 4945. (8) Lotterà di Galileo a 0. n’Ki.oi, da Firenze. 13 noYombro 1G16, nelle Opere di Galileo Galilri. 53 V. 418 AVVERTIMENTO. Di questa, dall’ Autore chiamata altresì < generale relaziono > (l) , noi cono¬ sciamo un unico manoscritto, elio è nel citato T. V (car. Ir. — 2 f r.) della Par. IV dei Manoscritti Galileiani, o su di esso la riproduciamo: non ò autografo, ma copia del secolo XVII, di buona lezione per ogni rispetto, tranne elio per la grafia, elio presenta forme erronee e stranissime, le quali furono, com’ ora na¬ turale, da noi emendate (s) . Siccome poi la prima edizione di questa scrittura, che è nella prima edizione fiorentina delle Opero di Galileo (3) , differisce dal mano¬ scritto in alcuni passi, per modo elio resta il dubbio se quegli editori non abbiano approfittato d’ un altro codice rafù»o»ie (pag. 425, lin. 10-11), occ., in longitudini, descrizioni, predizioni, OCC., 0, vico* vorsa, <[uelli (pag. 423, lin. 13), agiuetarli (pag. 425, lill. 12), in quelle, aggiustarle; insegnarli (pag. 425, liu. 11) in insegnerò, sjìcdisse (pag. 124, lin. 26) in spe¬ disce, Q ancho not?o(png.423,)in.2) in iiuopo. A pag. 425, lin. 14, emendammo legni, dato dal codice, in regni; o quell’orrore ci persuaso a correggerò la lezione dol manoscritto Ugni in regni audio pocho riglio più a basso (lin. 19). T. Ili, pag. 131-132. m Diremmo senza esitazione dio il codice su cui fu condotta la stampa fiorentina fosso diverso dal nostro, so non sapessimo quanto audacemente, o con quali criteri, i voce Ili oditorl usavano alterare lo fonti manoscritto. Fra lo carte appartenuto al P. Guido Grandi (di’ obbo gran parto nella prima odiziono fiorentina delle Oporo di Gai.ii.eo), o ora conservato nella Biblioteca Universitaria di Pisa, non trovammo alcun manoscritto della adozione. PROPOSTA DELLA LONGITUDINE. Quel problema massimo e maraviglioso di ritrovare la longitudine ili un luogo determinato sopra la superficie terrena, tanto desiderato in tutti i secoli passati per le importantissime conseguenze che da tale ritrovamento dipendono nella geografia e carte nautiche e nella loro totale perfezione, ha eccitato a travagliare diversi ingegni sino all’ età presente, non solo per riportarne quella gloria che simile in¬ venzione può meritamente pretendere, ma ancora per conseguirne i reali premi e rimunerazioni proposte all’ inventore : ma sin ora tutte io le fatiche sono riuscite vane, nè mai si sono potuti fare maggiori avanzi di quello che dagli antichi, e particolarmente da Tolommeo, è stato con sottile e nobile invenzione ritrovato; e forse era assolu¬ tamente impossibile la soluzione di cotale problema, se prima non erano dagl’ ingegni umani ritrovati altri problemi stupendi, ed a prima apparenza di molto più difficile resoluzione che lo stesso problema di ritrovare la longitudine. E per meglio esplicarmi, supporrò in breve che cosa sia longitudine e latitudine di un determinato loco sopra la superficie della Terra, e come quella sia stata sin ora dagli antichi ritrovata, ed in quante difficoltà involta ed intricata. 20 Latitudine, dunque, non è altro che 1’ arco del meridiano intra¬ preso tra il vertice di un loco e 1’ equinozziale, qual arco è sempre eguale all’ arco del medesimo meridiano preso tra il polo del mondo e V orizonte, cioè alla elevazione del polo di quel loco. Longitudine 9. agli inventori, V —10-11. maggiori avanzamenti di, V — 14-15. ed a prima vista ed apparenza, V — 16. esplicarmi, esporrò in breve, V — 21. il quale arco, V — 420 PROPOSTA poi non è altro che un arco dell’ equinoziale, preso tra il meridiano di un loco ed il meridiano di un altro : e perchè comunemente da’ co¬ smografi si è stabilito elio il meridiano che passa per le Isolo Canarie sia il primo meridiano, pertanto si dirà che la longitudine di un loco sia 1’ arco dell’ equinoziale che viene intrapreso tra il meridiano che passa per l’Isole Canarie ed il meridiano del loco. Ora devesi sapere, elio tutti i modi di ritrovare tale longitudine sin ora proposti, meritamente sono stati riconosciuti vani e fallaci, da due in poi : il primo do’ quali sarebbe la notizia dol viaggio itine¬ rario per il paralello del loco ed il primo meridiano. Ma tal modo io rimane totalmente inutile, se fra i due meridiani fosse fraposto qual¬ che vasto mare, ovvero altro tratto di spazio impraticabile per ca¬ mino. L’ altro modo, sin ora da’ grandi cosmografi adoperato, è col mezzo degli ecclissi lunari, il qual modo è il più esquisito che sin ora sia mai stato praticato : contuttociò patisco ancor egli molte e gra¬ vissime difficoltà. E per spiegarle brevemente e facilmente più cho sia possibile, sia, per esempio, cercata la longitudine di Roma per un ecclisse lunare che si faccia in Roma a’ 20 dicembre 10B8 (,) oro 13, mi¬ nuti 30 dopo mezzo giorno, ed il medesimo ecclisse si faccia allo Isole Canarie a ore 11 dopo mezzo giorno: è manifesto che il meridiano di 20 Roma si ritrova più orientale di quello delle Isolo Canarie per due ore e mezza; e perchè un’ora importa 15 gradi d’equinozziale, però di¬ remo che la longitudine di Roma sia gradi 37 0 minuti 30. Ora, come si è detto, questo modo di ritrovare la longitudine è soggetto a di¬ verso difficoltà : la prima delle quali è la rarità degli ecclissi della Luna ; poi cho non si faranno più che due ecclissi della Luna visibili all’ anno, ed alle volte un solo, e talvolta nessuno. In oltre è assai difficile osservare precisamente il principio 0 il mezzo o il fine del- 1’ecclisse; imperò che quando la Luna comincia a immergersi nel cono dell’ombra terrestre, quell’ombra è tanto tenue e sfumata, che so 1 osservatore resta perplesso se la Luna abbia o no cominciato ad intaccarla. E pertanto non credo che possa restare dubbio nessuno a chi intende queste materie, che quando si trovasse modo di ron- 2-3. cosmografici, V - passa Io Isole, V — 4. che longitudine, V — 9. dclli quali, V 15. sia siedo mai, V — 18. a 20 di Dicembre, a ore, V — 21. si trova, V — 23. <17 gradi o 30 minuti, V — 32-33. dubbio a nessuno che intenda queste, V — (1) Vedi l’Avvertimento a pag. 416-417, DELLA LONGITUDINE. 421 dere questi ecclissi lunari più frequenti, in modo che, dove ne ab¬ biamo così pochi in capo all’ anno che si può dire cho sottosopra se ne faccia un solo, noi ne potessimo avere tre o quattro o cinque ed anco sei per notte, questo negozio sarebbe ridotto in un grandissimo vantaggio, poi che sarebbero tali ecclissi più di mille l’anno : e quando bene non fossero ecclissi lunari veramente, ma cose in ciolo ed apparenze equivalenti e simili agli ecclissi lunari, è manifesto che il guadagno sarebbe grandissimo. Di più, stante, come si è detto, cho gli ecclissi lunari sono precisamente inosservabili ne’ loro principi io mezzi e fini, in modo che si può errare forse più di un quarto d’ ora (che sarebbe errore nella longitudine di quattro gradi in circa), ò manifesto che quando il negozio si riducesse a tanta esquisitezza che non si errasse di un minuto d’ ora, si sarebbe ancora fatto un acqui¬ sto di grandissima considerazione. Aggiungesi di più, che le tavole de’ moti del Sole e della Luna, da’ quali dipende il calcolo degli ec¬ clissi lunari, non sono ancora ridotte a tanta esquisitezza, che non si erri di un quarto d’ora e forse più; in modo che quando ci aves¬ simo da servire di dette tavole, si potrebbe far errore nella longi¬ tudine di otto gradi in circa : e pertanto è manifesto, che quando i 20 nostri ecclissi, o quali si siano altre apparenze, fossero dependenti o regolate con tavole tanto esquisite che non ci fosse errore di un mi¬ nuto d’ ora, tutto il negozio sarebbe, si può dire, ridotto a una totale perfezione, per quanto le nostre cognizioni possono arrivare. Ora io dico che l’ingegno grande e le fatiche atlantiche del Sig. Ga¬ lileo Galilei, primario Filosofo del Serenissimo Gran Duca di Toscana (al quale Sig. Galileo meritamente si deve il titolo di Grande), sono arrivate a scoprire nel cielo cose totalmente incognite a’ secoli pas¬ sati, le quali equivagliono a più di mille ecclissi lunari ogn’ anno, osservabili con minutissime precisioni, e, quello che più importa, ri¬ so dotte a calcoli e tavole giustissime ed esquisite. E tutto questo ne¬ gozio sarebbe consegrato alla gran Maestà del De ... (l> , supplicando che, non essendo per qualsivoglia cagione abbracciata tale offerta, Sua Maestà benignamente inclinasse concedere grazia, che quando ne’ tempi venturi altri più fortunati rappresentassero questa mede- 16-17. a tanta correzione, che non ci sia talvolta errore di mezz’ora e forsi più, V — 21. re¬ golati, V — 31. del Ile Cattolico, supplicando , V— Questi puntolini sono nel manoscritto. 4-22 PROPOSTA DELI.A LONGITUDINE. sima impresa e venisse abbracciata, non per questo dovesse il Sig. Ga¬ lileo o suoi descendenti rimanere privi di quegli onori e grazie che all’ inventore stesso dalla grandezza della benignità regia fossero destinati. È vero che questa proposta in primo aspetto forse può parere paradosso assolutamente impossibile, e però indegno di essere ascol¬ tato : con tutto ciò non pare che l’importanza di così nobilo impresa meriti di essere per una vanità condannata, so prima non sia da per¬ sone intelligenti della professione diligentemente esaminata e conside¬ rata. Devosi ancora mettere in considerazione, che, dovendosi ridurre io alla pratica quanto viene proposto, è necessario distinguerlo in parti, delle quali alcune spettano assolutamente al Sig. Galileo, altre ricer¬ cano le grandezze e potenze regie. Al Sig. Galileo tocca mostrare il modo di operare, avvertire le diligenze elio si ricercano, rappresen¬ tare in disteso tutte le tavole che ci bisognano, o proporre tutto quello che è necessario por conseguirò il nostro intento : ma, dal- 1 ’ altra parte, trattandosi di moltitudine d’ uomini da ossoro impie¬ gata, e prima instrutti e disciplinati, ed ossondo di più necessaria la navigazione con grossi e forti vascelli per vastissimi mari, o biso¬ gnando per l’instruzzione degli uomini erigere accademie, coso tutto 20 che non possono dependere che dallo grandezze de’ monarchi o re grandi, questa parte non devo essere desiderata nò ricercata dalla tenue fortuna del Sig. Galileo, ma dagli ordini di Sua Maestà, corno più minutamente si rappresenterà venendo l’occasiono. Nò si devo tralasciare una importantissima considerazione : la quale ò, che pro¬ ponendosi questa impresa di nuovo, con scienzo od arti nuovo, ancor che tutto venga proposto (come si vedrà) con mezzi già ridotti in alto grado di perfezione, con tutto ciò si può sperare dalla continua pra¬ tica ed esercizio, ogni giorno maggiori ed importantissimi avanza¬ menti, come si vede essere seguito in tutte le maravigliose 0 sottili 30 invenzioni ritrovate dagl’ ingegni umani, così nelle arti come nelle scienze. 21. dejieiulcre. da altro che, V — 23. Nel codice alla parola ordini tien dietro un segno elio gi può interpretare per de. ; la stampa V legge dalli ordini, comandamenti e provvisioni di S. M. — 27. co’ mezzi, V —30. si vede in tutte, V — RELAZIONE GENERALE DEL NUOVO TROVATO DI GALILEO GALILEI IN i'UOI'OSri'O DEL HtENDERE IN OGNI TEMPO E LUOGO LA LONGITUDINE. È noto a ciascheduno intendente delle cose astronomiche e geo¬ grafiche, come sino a questa età non si è ritrovato altro modo per conoscere le differenze delle longitudini de i luoghi grandemente di¬ stanti, tanto in mare quanto in terra, so non per la differenza del- 1’ ore, che si numerano in diverse regioni nell’ istesso tempo che si fa qualche ecclisse della Luna o del Sole, ma molto meglio con quelli io della Luna, per esser reali ed apparenti a tutti nell’ istesso momento. Con questo unico mezzo si sono sin qui descritte tutte le mappe e carte nautiche e geografiche ; le quali però si trovano sparse di grandi errori, ed in particolare quelle dell’Indie Occidentali e di tutte l’al¬ tre regioni lontanissime : e questo procede, per mio parere, non solo dalla brevità del tempo nel quale simili provincie si sono cominciate a praticare, e dalla lontananza, che non permette una continua e frequente corrispondenza di avvisi, quanto dalla rarità de gli eclissi Lunari ; de’ quali a pena uno o due 1’ anno ne accaggiono, e ne sono bene spesso impedite 1’ osservazioni dall’ aria nubilosa, e molto più 20 ancora dalla diffieultà che hanno diversi e tra di sè distanti osser¬ vatori nel notare un medesimo instante di tempo nella durazione d’ uno eclisse, che sarà di 1, 2, 3 ed anco talvolta 4 ore e più. Questo 1-3. Nella stampa F si legge il seguente titolo: Lettera di Galileo Galilei al Conte Orso d’FAci, hnbasciatore del Serenissimo Gran Duca di Toscana in Spagna, per relazione generale del nuovo trovato in proposito del prendere in ogni tempo e luogo la longitudine . Firenze , 13 No¬ vembre 1016. — 5. si c trovato, F — 5-G. per conseguire le, F — 10. cd apparire a, F — 22. sarà di due, tre ed anco talvolta di quattro, F — 424 RELAZIONE GENERALE DEL NUOVO TROVATO uso de gli eclissi, il quale, per le ragioni addotte, è molto lungo ed incerto anclie per le esatte descrizioni geografiche, resta poi del tutto nullo nell’ istesso atto del navigare por mari vastissimi e remoti ; poi che non una volta 1’ anno, ma quasi ogni giorno sarebbe necessario saper puntualmente in quanta longitudine si trovi la nave, per ve¬ nire, col mezzo di lei e della latitudine, in cortezza del luogo pun¬ tuale che ella ottiene sopra il globo terrestre. Questo solo mancava alla totale perfezione di arte così grande e utile, o questo ò quello che io ho trovato, o ne fo offerta a S. M. : alla quale non recuso di darne anche di presente qualche generale informazione, acciò tanto più fa- io cilmente sia prestato orecchio a quanto io sono per dimostrare e par¬ ticolarissimamente dichiarare a suo tempo, quando quella resti servita di accettare o gradire la mia esibizione. Il mezzo che io adopero in questa investigazione ò pure per via di osservazioni celesti, ma di stelle non più state osservate nò vedute da altri avanti di me, le quali hanno movimenti propri velocissimi, i periodi de i quali io ho con lunghe vigilie e fatiche esquisitamento ritrovati e calcolati. Queste stelle hanno tra di loro congiunzioni, se¬ parazioni, eclissi ed altri accidenti, li quali per infinito intervallo su¬ perano nella presente materia 1’ utilità de gli eclissi lunari ; poi che, 20 dove gli eclissi lunari sono così rari, che, ragguagliato, non ne aviamo uno per anno che ci servino, di questi ne aviamo più di mille per ciascuno anno utilissimi, sì che nissuna notte passa che non se ne ab¬ bino 2, 3 ed anco tal volta 4 e più. Quanto poi alla esquisitezza sono tutti così momentanei e veloci, che, sieno congiunzioni, separazioni, occultazioni, apparizioni, o eclissi, ciascheduna si spedisce in un mo¬ mento di tempo, sì che nella loro apprensione non si può errare mai di un mezzo minuto di ora ; ed in somma sono tanto esatti, che non sarà pei’sona alcuna di mediocre intelligenza, che non resti capace come con questo mezzo si descriveranno sopra le mappe e carte nau- so tiche tutti i siti del mondo, senza errore di 4 miglia, anco nelle re¬ motissime regioni. Dipoi, ancora col mezo di efemeridi calcolate da me a ora per ora, nello quali si contenghino per lunghi tempi a ve¬ nire i momenti dello dette congiunzioni, separazioni, eclissi, si verrà 5-6. per poter venire, col mezzo di essa, F - 17. con lunghissime vigilie, F —18. tro- vati, F —22. anno che ci si scopra, di questi, F —24. due o tre, F - 33. contengono, F — 34. eclissi, ec., si, F — IN PROPOSITO DEL PRENDERE LA LONGITUDINE. 425 nell’ istessa navigazione, a qual si voglia ora della notte, in certezza della vera longitudine, ed in consequenza del vero sito dove la nave si trova ; e questo per dieci mesi di ciascheduno anno, avvenga che per due mesi al più restano tali nuove stelle invisibili, che è in quel tempo che il Sole si trova a loro vicino. Io farò vedere le nominate stelle a S. M. ed a chi quella coman¬ derà ; mostrerò i loro movimenti, le continue mutazioni di aspetti, cioè le congiunzioni, separazioni, eclissi ed altri accidenti, sera per sera, per quanto le piacerà, previsti e disegnati da me lungo tempo io avanti, onde ciascheduno resti sicuro della certezza delle mie predi¬ zioni e della giustezza delle mie tavole e calcoli ; insegnerò non solo P uso, ma la composizione di esse tavole, ed il modo di aggiustarlo in tutti i secoli a venire ; dichiarerò P applicazione di queste celesti osservazioni alla esatta e puntuale descrizione di tutti i regni di S. M., e di tutti i continenti, mari ed isole del mondo, e finalmente il modo di servirsi di tali mie invenzioni anco nell’ istessa navigazione, sì che altri in ogni tempo sia certo del luogo dove ei si ritrova : invenzione proporzionata solamente alla grandezza della Corona di Spagna, la qual sola circonda con i suoi regni tutto il globo terreno. 3. si ritrova, F — di ciascun anno, F — 9. sera, quanto, F — 10. ciascuno, F — FINE DEL VOLUME QUINTO. V. 54 INDICE DEI NOMI (I numeri indicano lo pagine.) Àbramo. 368. Abulense. 337, 344. Accademico Incognito. .191. Agostino (Sant 1 ). 310, 318, 320, 327, 331, 337, 339, 344, 309. Agucchia. 82. Aiax. 70. Aldobrandino (Card.). 295. Antonini Daniele. 140. Antonio (D.).— F. [Medici] D. Antonio. A pelle. 21, 31, 32, 35, 69, 70, 72, 84, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 100, 108, 109, 110, 111, 113, 114, 115, 116, 128, 136, 141, 183, 184, 186, 189, 192, 193, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 202, 203, 204, 205, 209, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 221, 224, 225, 226, 227, 228,229,231, 239, 247,256. —F. Schei- ner Christophorus. Archimede. 321,325. Aristarco Samio. 32), 352. Aristotele. 59, 100, 138, 139, 190, 231, 235, 236, 287, 311, 321, 352. Arrigbetti Niccolò. 281, 282. Astolfo. 229, 258. Bandini (Card.). 82. Baronio (Card.). 319. Bellarmino (Card.). 292, 301, 408, 412. Bianchetti (Card.). 82. Boezio. 325. Borroniaeus (Card.). 02. Brahe Tycho. 46, 69, 406, 407, 408, 409, 410. Brengger Ioannes Georgius. 02. Brentonus Octavius. 62. Buonarroti. 305. Burgonso Paulo. 337. Butius Antonius. 74. Cai etano. 347. Canonicus Leonardus. 62. Cardanus. 46. Carlo Magno. 138. Castelli D. Benedetto. 130, 279. Cavalcanti (Abbate). 82. Cesi Federico. 184, 188. Chioccus Andreas. G2. Cicerone. 321. Cigoli Lodovico. 140, 191. Clavio Cristoforo. 46, 69, 198, 328. Conimbricensis. 46. Copernico Niccolò. 99,195, 288, 291, 292, 293, 297, 298, 299, 300, 312, 313, 321, 328, 334, 342, 351, 352, 353, 354, 355, 356, 357, 358, 360, 3G2, 363, 367, 370, 403, 404, 405, 406, 407, 409, 411. Corsini (Mons.). 82. Cosiino II, Gran Duca di Toscana. 72, 73, 80, 89, 281. Cristina di Lorena, Gran Duchessa Ma¬ dre. 281, 282, 307, 309. Culmensc (Vescovo). 312, 356. <128 INDICE DEI NOMI. Demisiani Giovanni. 82. Didaco a Stunica. 336. Di ni Piero. 82, 289. Dionisio Areopagita. 303, 337, 344, 345. Doctus Yincentius. 65. EfTanto. 352. Eraclide Ponlico. 321, 352. Euclide. 40, 41, 43, 194, 324. Ezecliia. 337. Faher Ioannes. 91. Fidelis Caesar. 74. Filiis (de) Angelo. 78, 79. Filolao. 321, 352. Galeno. 325. Galilei Galileo. 35, 46, 53, 65, 69, 72, 73, 74, 75, 76,80, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 89, 91,92,93,94,113, 114, 116, 111, 143, 180, 183, 184, 186, 239, 241, 288, 294, 305, 309,403,421,422, 423. Gheravdini (Mons.). 294. Gilberto Guglielmo. 352. Giosuè. 282, 285, 2SG, 291, 343, 344, 345, 346, 347,411. Giovambattista. 191. GiraldL 305. Girolamo (San). 323, 333. Grembergero. — V. Gruenberger Chr. Grillus Angelus. 62. Gruenberger Christophorus. 62,292,300. Guiducci. 305. Guldcn Paulus. 62, 63. Ilieremias. 333. Incognito. — V. Accademico Incognito. Ingolus Franciscus. 397, 403. Iob. 333, 336. Isaias. 408. Keplero Giovanni. 45,46, 52, 62, 84, 138 198, 352. Leone X. 293, 312. Lombardo Pietro, maestro delle sen¬ tenze. 318. Magaglianes. 347. Magalottus Laurentius. 403. Maginus Ioannes Antonius. 28, 32, 39, 41, 44, 45, 62, 195, 404, 405, 406. Mair Alex. 33. Marcollinus. 320. Marcio. 317. [Maria Maddalena], Arciduchessa [d’Au¬ stria]. 281, 282. Mascardi Giacomo. 72, 73. Matthaeus. 333. Maximilianus (Imperatori. 62. Medici (Famiglia do’). 80. Medici (de’) Cosimo. 80. [Medici] I). Antonio. 281. Medici (de’) Lorenzo. 80. j Medusa. 235, 260. Moisè. 369. Nicota. 321, 352. Numa. 321. Origano Davide. 352. Orsini (Card.). 377. [Orsini] D. Paolo Giordano. 281 Pagninus Sanctes. 407. Pallavicinus Thomas. 74. Paolo Giordano (D.). — V. [Orsini] I). Paolo Giordano. Paolo III. 293, 312, 355. Passignano. 191. Paulinus. 323. Pererius. 320. Pitagora. 321, 352. Pithoeus. 138. Platone. 46, 321, 352. Plutarco. 321. Polycarpus. 344. Praetorius Ioannes. 62. Protogenes. 65, 185. Ptolemaeus. — V. Tolomeo. Rehinoldus. 404. Rothmanus. 406, 407, 408. Sacrobustus. 405, 406. Sagredo Gio. Francesco. 114, 1S4, 189. INDICE DEI NOMI. 429 Salviati Filippo. 75, 239. Salomone. 369. Scaliger. 46. Scheiner Christopliorus. 21, 35. — V. Apelle. Scombergio Niccolò. 293, 312, 356. Seleuco. 321, 352. Semproniense (Vescovo). 293, 312. Seneca. 321, 352. Soldani. 305. Steliuti Francesco. 92. Stcvinius Simon. 62. Strozzi Giulio. 82. T... Omero. 82. Tertulliano. 317. Tolomeo. 46, 100, 101,197, 287, 297, 311, 325, 355, 357, 358, 359, 403, 405, 406. Tommaso (San). 333, 334. Tubbia. 368. Ulysses. 70. Valerio Luca. 91, 295. Velseri Marco. 23, 25, 37, 39, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 82, 83, 93, 94, 114, 115, 11G, 183,184, 185, 186. Vincentius (doctus Patavinus). 65. Ystclla F. Ludovicus. 74. # Ziegler Ioannes Reinhanlus. 62. INDICE DEL VOLUME QUINTO. Delle macchie solari.Pag. 7 Apellis latentis post tabulala [Christopliori Scheiner] Tres Epistolae de maculis solaribus. 21 Apellis latentis post tabulam [Christopliori Scheiner] De maculis solari- bus et stellis circa lovem errantibus Accuratior Disquisito. — Con po¬ stillo di Galileo. 35 Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, com¬ prese in tre lettere scritte a Marco Velseri. 71 Frammenti attenenti alle Lettere sulle macchie solari.251 Scritture in difesa del sistema Copernicano.2C1 Lettera a D. Benedetto Castelli [21 dicembre 1613].279 Lettere a Mons. Piero Dini [16 febbraio e 23 marzo 1615].289 Lettera a Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana [1615]. 307 Considerazioni circa l’opinione Copernicana.349 Discorso del flusso e reflusso del mare.371 Francisci Ingoli De situ et quiete Torme Disputatio.397 Proposte per la determinazione della longitudine.413 Indice dei nomi.427 APPENDICE. .\V AVVERTIMENTO ll ». Nel riprendere in esame i documenti per la revisione di questo volume, nel manoscritto galileiano della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze alla segna¬ tura Mss. Gal. P. Ili, T. X, a car. 104-110 abbiamo ristudiato i sette disegni concernenti le macchie solari collocati di seguito agli altri che Fabio Colonna inviava por lettera a Galileo il 30 settembre 1613, e riportati in scalaridotta nel volume XI a pag. 570-579. Questi sette disegni nell’ indico del manoscritto sono attribuiti al Cigoli, e veramente anche nell’ incertezza della calligrafia restano molte presunzioni (2) per questo famoso pittore che, insieme al Passignani, tanto s’ interessava di osservare l’aspetto del disco solare. In ogni modo è da escludersi clic sieno del Colonna, tuttoché riuniti nello stesso quinternetto con fogli di uguale dimensione o con corchi di poco maggiori, perchè è noto (3 ' che Galileo inviava talvolta i fogli coi cerchi già segnati della grandezza da lui voluta, o corrispondente presso a poco a quella dei facsimUi a pag. 145-182 di questo volume. Per attribuirli al Cigoli ci sono molti argomenti in favore oltre i suddetti, sebbene resti un po’ incerta la calligrafia ; e, nonostante questa, propendiamo per la tesi favorevole, avuto anche riguardo che l’ultimo disegno porta, in data del 25 agosto, la grande macchia al tramonto sul disco solare, in accordo a quanto afferma la lettera del Cesi. In tal caso dei tredici disegni inviati dal Ci¬ goli no mancherebbero sei nel manoscritto posseduto. Comunque il documento è importante por la storia di questa scoperta ; e quindi ci è parso utile riprodurlo tal quale come si trova nel manoscritto, onde possa servire di confronto fra lo apparenze di una stessa macchia, disegnata da Ui Ancho la revisiono di questo volume, come dei precedenti II, III o IV, ò stata curata dal Sig. Pietro P agnini sotto la direzione della Co in in ia¬ sione per la Ristampa. Vedi in particolare l’ affermazione del Orsi del 25 agosto 1612 nel Voi. XI a pag. 883, e la let¬ tera del Cigoli nello stosso a pag. 886. Voi. XI, pag. 862, liti.30 o 31 e pag. 568, lin.27. 430 A V V KUTIM KNTO. duo osservatori difiorenti in stazioni differenti, in particolare riguardo alla collo¬ cazione rispetto al disco solare, argomento che allora dava luogo a discussioni contraddittorie. Avvertiamo che questi nuovi disegni u) sono nel verso contrario l2) a quello delle tavole a pag. 180-182; o perciò nel confronto con queste devesi tener pre¬ sente un’ inversione un po’ obliqua alto-basso, lasciando la stessa posiziono destra-sinistra ; conio pure non devesi dimenticare che lo oro di osservazione, per ciascuna tavola riportato aH’esterno del cerchio, differiscono da quelle a pag. 145-182. Abbiamo approfittato della Ristampa per migliorare la riproduzione delle tavole stesse a pag. 145-182, riprendendole dalTedizione originale del 1612, non essendoci pervenuto il disegno autografo di (ialileo. La tavola a pag. 244 è stata rifatta perchè l’osservazione del 14 aprile Ilo.2 mancava del disco di Giovo. In relazione a quanto si afferma nell’Avvertimento i::) del Discorso dal Flusso e Riflusso del mare , ricordiamo la messa in luce di un autografo di Galiloo (4 ’, ma Tosarne di tale questiono per opera del Favaro (6) , ci ha fatto ritenere inop¬ portuno introdurre varianti al testo doli’ Edizione Nazionale. O» Mss. Ual. Parto III, T. X, (la car. 104 a m Cod. Vaticano latino gii\ 8193, parto 2\ Cftr * HO. (l ' Rendiconti della R. Accademia dei Lincei: l2ì A ol. XI, pag. 362. lin. 29. Classo di Scienze fisiche, matematiche e naturali, ,3> Questo a pag. 371, lin. 5 e fi. Voi. Vili, Sem., Serio V, pag. 350-360. Roma, 1899. MACCHIE SOLARI DAL 18 AL 25 AGOSTO 1G12. * LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME VI FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE 1933-XI LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume VI. I ' K LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO 1>1 S. M. IL RE \y ITALIA E DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume VI. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 19 33 -XI. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 160. FIRENZE, 176-1932-33. — Tipografia linrbòra - Ai.fani k Venturi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale IL 11. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. CERRUTI — G. GOVI — G. V. SCHIAPARELU. Assistente per i,a cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale è posta sotto gli auspicii DEL II. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA II. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore : ANTONIO GARBASSO. Consultori : GIORGIO ABETI'I — ANGELO BRUSCHI. DELLE COMETE. AVVERTIMENTO. Comparvero nell’anno 1618 tre comete, una delle quali, che si vedeva nel segno dello Scorpione, più delle altre notevole per chiarore e durata, continuò a risplendere fino al gennaio del 1619 ; e quantunque Galileo, impedito da lunga e pericolosa malattia, poco avesse potuto osservarle, pure, per gli eccitamenti che da ogni parte e da personaggi ragguardevolissimi gliene venivano, vi lece in¬ torno particolar riflessione, conferendo con gli amici quel che gli pareva di questa materia. L’ arciduca Leopoldo d’ Austria, che trovavasi intorno a quel tempo in Firenze presso la sorella, moglie del Granduca, e volle onorare il Nostro d’una visita fino al letto, tornato in patria gli comunicava materiali per lo studio delle comete, e lo pregava egli pure del suo parere {l) . S’era intanto sparsa la voce che Galileo preparava un discorso su tale argomento, e da Roma riceveva egli V av¬ viso che i Gesuiti n’ avevano pubblicamente fatto un problema, il quale si stava stampando, e che si susurrava come quel fenomeno celeste battesse in breccia il sistema copernicano (l) . Comparsa pertanto la Disputatio astronomica de trihus co - tnetis anni MDCXVITI , che nel Collegio Romano era stata tenuta dal P. Orazio Grassi 13) , Galileo, evitando, almeno in apparenza, di entrare personalmente nella questione, si valse dell 5 opera di Mario Guiducci, suo scolaro, amico e predeces¬ sore nella carica di Consolo dell’Accademia Fiorentina, facendogli tenere in essa un discorso in cui erano esposte le opinioni sue, tanto intorno a quelle soste¬ nute dal Matematico dei Collegio Romano, quanto sull 5 argomento in generale. Lotterà del Principo Leopoldo a Galileo, dol Ve tribùa cornetta anni M.DO,XVIII Dispa¬ io gennaio 1019 (Manoscritti Galileiani nolla Biblio- tatio astronomica puklice Inibita in Collegio Remano toca Nazionale di Firenze, Par. I, T. XIV, car. 146). Sociotatis lesti ab uno ox Patribus oiusdem Societatis. nel novembre del 1021. A compiere il lavoro venivano sol¬ lecitandolo di continuo gli amici di Roma, tra i quali Virginio Osarmi aveva con vivissima gratitudine accettato che fosse a lui indirizzato, in forma di let¬ tera (,) ; e finalmente nel novembre 1G21 Galileo partecipava al Cesi di averlo con¬ dotto a termine (li) . Il manoscritto fu spedito nell’ottobre del lt>22 al O sarmi ’, il quale il 12 gennaio 1623 comunicava a Galileo da parte dei colleghi Lincei che cs-i volevano pubblicar l’opera, e volevano ciò fare in Roma < non ostante la potenza degli avversarii » (10) . La stampa infatti fu incominciata già prima del fi maggio del- l’anno medesimo 00 , e condotta a termine in pochi mesi: il 20 ottobre mancava soltanto la dedicatoria al nuovo Pontefice, Urbano Vili, che fu stc-a dal Osanni " e porta appunto la data di questo giorno e la firma < gli Accademici Lincei > : una (1 1 Dùcono delle comete di Mario GutMiOOT, fatto da lui uell*Accademia Fiorentina nel suo medesimo Consolato. Iu Firenze, nulla stamperia di Pietro Coc- concelli, alle Stelle Medicee, IG19. Libra astronomica ac philotophica, qua Qalilaci Qalitaci opiniones de comctis, a Afario Ouiducio in Fiorentina Academia expotitae atque in lucetn nuper edita*, examinantur a Lothario Sarsio Sigensano. Pennóne, ex typ. Marci Naccarini, M.DC.X1X. Veramente Horatio Orattio Savonenti, poiché il Grassi era di Savona. (4) Lettera di Giovanni Ciampoli a Gaulko, del 6 dicembre 1619 (Mss. Gal., Par. I, T. Vili, car. 87). M Lettera al M. R. P. Tarquinio Galluzzi della Compagnia di Giosfi, di Mario Guiducgi, nella quale si giustifica dell’imputazioni dategli da Lottario Sarsi Sigensano nella Libra A*troftotnicA • Kil r * In Firenze, nella stamperia di Zatiobi Pienoni, ir,;.». ,6ì Lettera di Fair ro Mao alotti a G mimmi, lei 7 maggio 1622 (Mo. Gal., Par. I, 1. Vili, car. !«*:.). •*' Lettera di Giovanni Cummli a Oalimui, d*l 1° agosto 1620 (Ma*. Gal., p Ar . I, T. Vili, ar 1271. fK ' Lettera di Fki'Bkioi Casi a G imi.»:.», «1*1 2 «il- cembro 1621 (Mss. Gal., Par. VI, T. X, «**r. 1 Ut Lettera di Galilko a Pmnueo Cmi, lettera di Giovanni Ciampoli a Galilso, d»l 6 maggio 1628 (Mas. Gal., Par. 1, T. Vili. rar. HH. Lettera di Tommaso Rinuocini aGAtit.ro «1 . 1 20 ottobre 1628 (Mm. Gal., Par. I, T. Vili, car. 197). AVVERTIMENTO. 7 settimana dopo, il volume era compiuto, e un esemplare ne veniva presentato ad Urbano 10 . 11 Saggiatore 0) ricevette dappertutto le migliori accoglienze: Francesco Stellati informava Galileo che anche i Gesuiti ne erano rimasti sodisfatti (r ; il Pontefice so lo faceva leggere a mensa (4) , gli piaceva grande¬ mente (l , ed anzi, scrivevano a Galileo il 2 dicembre, lo aveva letto tutto con gran gusto w . Non con altrettanta sodisfazione l’opera di Galileo fu veduta dal P. Grassi, il quale si può dire che, prima ancora d* averla letta, manifestò il proposito di risponderviParecchie difficoltà, per ottenerne licenza, egli ebbe però ad incon¬ trare da parte dei Superiori iH ; o anche quando la risposta fu compiuta, non potè pubblicarla a Roma: sicché, dopo aver tentato di farlo a Lione (0) , la stampò, sempre con lo pseudonimo di Lothario Sarsio Sigensano o col titolo di Ratio ponderum Librae et Sitnbellac , a Parigi nel 1626 (l0) . Niccolò Aggiunti ne dava rag¬ guaglio a Galileo sul finire deiranno stesso 00 : non pare tuttavia che il Nostro n’ avesse subito diretta conoscenza, poiché la prima traccia che ne troviamo nelle sue lettere sta sotto il dì 2 agosto 1(127, in una lettera al Castelli, al quale co¬ munica il consiglio ricevuto da alcuni amici, ch’egli non dovesse replicare 00 , consiglio che gli fu confermato dal Castelli stesso (IS) e da altri. Non si trattenne egli però dal postillare largamente la Ratio , ed in certa occasione pensò anzi a dare alla luce le sue postille 00 ; ma altre preoccupazioni, e fors’anco il divieto generale de editis omnibus et edendis in tutti i luoghi, nullo cxcepto , dato da Roma in seguito al Processo, gliene fecero abbandonare il pensiero. tu Lotterà ili Francesco Strlluti a Galileo, del 28 ottobre 1023 {Varieggio gallicana inedito, con notti rd appendici p*r cura di Giuseppe Canfori. Mo¬ dena, MDCCCLXXXI, png.204). II Suyyultore, nel quale con bilancia esquisita r giunta "i ponderano le cote contenute urliti Libra A"tvonom ira «• Filosòfica di Lotario Sarei Siifnienno, scritto in forma di lotterà alPIllustrìssimo ot. Reve¬ rendissimo Monsignore P. Virginio Cesarmi, Accade¬ mico Linceo, Maestro di Camera di N.S., dal SigL (»a- i.I Lieo Galilei, Accademico Linceo, Nobile Fiorentino, Filosofo e Matematico Primario del Serenissimo Gran Duca di Toscana. In Roma, M.D.C.XXI1I, appresso Giacomo Mascardi. ,n ’ Lettera del 4 novembre 1028 (Mss.Gal., Par. VI, T. X, cnr. 147). m Lotterà di Yirgixio Cksarini a Galileo, del 28 ottobre 1028 (Mss. Gal., Par. I, T. Vili, car.201). Lotterà di Tommaso Rixuccnn a Galileo, del 3 novembro 1023 (Mss. (vai., Par. VI, T. X, car. 154); o lettera di Giovanni Ciampom a Galileo, del 4 no¬ vembre 1023 (Mss. Gal., Par. I, T. Vili, car. 203). 0 Lettera ili Tommaso Itixrccixi a Galileo, sotto questa data (Mss. Gal., Par. 1, T. Vili, car. 209). Gl Lettera di Tommaso Rincccini a Galileo, dol 8 novembre 1028 (Mss. Gal., Par. VI, T. X, cnr. 145); n citata lettera di Francesco Stelliti a Galileo, del 4 novembre 1023. Lotterò ili Mario Guiducoi a Galileo, del 4 gonnaio 1025 (Mss. Gal., Par. VI, T.X, car. 195), dol- P 11 e del 25 gennaio (Carteggio gallicano inedito ecc., pag. 220-222). r!h Lettera di Bartolomeo Imperiali a Galileo, del 27 febbraio 1020 (Mss.Gal., Par. VI, T.XI, car. 15). liatio ponderimi Librar et Siinhellae, in qua quid e Lotharii Sarei Libra Astronomica , quid quei r. Ga¬ lilei Galilei Simbellatnre, de comelis statuentium sit, coUatis utriusque ratùmum momentin, philosophorum ar¬ bitrio proponitur, Àuctoro oodem Lotiiahio Sa usto Sigensano. Lutotiao Parisiorum, Sumptibus Sebastiani Cramoisy, via Iacobaoa sub Clconiis, M.DC.XXVL f ,! * Lettera di Niccolò Aggiunti a Galileo, del 23 dicembre 1G20 (Mss. Gai., Par. VI, T.XI, car. 49). “•» Mss. Gal., Par. VI, T.VI, car. 03. Carteggio gallicano inedito OCC., pag. 260. < n » Lotterà di Galileo a Fra Fulgenzio Micanzio, del 19 novembre 1034 (Biblioteca Marciana, 01. XI It., Cod. XLVII, car. 1). 8 AVVERTIMENTO. Riassunta così brevemente la storia delle scritture che qui pubblichiamo, ve¬ niamo a dire dei modi tenuti nel ristamparle. Tanto la Disputatio de trilm comdÌ8 y quanto le altre scritture, furono riprodotte di sull’edizioni originali: e per ciò che concerne quel primo opuscolo, non ci oc¬ corre osservare altro se non che abbiamo emendato tre luoghi della stampa, evidentemente scorretti (,) . Del Discorso delle comete possediamo, oltre all’edizione del Itilo, un mano¬ scritto, il quale, sebbene frammentario, ci dà molta luce per risolvere la grave questione che si presenta a chiunque prende in mano quell’ operetta, cioè qual parte nel comporla abbia avuto Mario Guiducci e quale Galileo. Le testimonianze a questo proposito, sì del Guiducci nella Lettera al 1\ Galluzzi si di Galileo nel Saggiatore , non potrebbero essere più esplicite: infatti l’uno e 1’ altro ripetuta- mente e risolutamente confermano quanto nel Discorso stesso ò detto più volte: che le novità scientifiche annunziate sono inerito di Galileo, ina che la scrittura è stata stesa dal Guiducci. Il manoscritto a cui or ora accennavamo è nel Tomo XI della l’ur. Ili dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze: sul trrgo del foglio che in origine doveva esser l’ultimo (car. 12/.) nono scritte, di mano di Galileo, quasi a modo di titolo, queste parole: < S. Mario Guiducci, delle Comete >. Possiamo distinguere nel codice tre parti : I. Le carte dalla prima, segnata col numero 3r., lino a due terzi incirca della Or., contenenti poco più del primo quarto dell’operetta, sono scritte di pugno del Guiducci; ma hanno correzioni ed aggiunte di mano di Galileo, e cor¬ rezioni, quasi sempre attenenti alla forma, dovute alla mano d’ un terzo, che a noi è ignoto chi sia, ma che dal confronto del carattere risulta (-sacre quel me¬ desimo il quale, come a suo luogo avvertimmo introdusse delle correzioni negli Errori di Giorgio Goresio raccolti da 1). Benedetto ( ■ostelli »♦ nella Risposta olle opposizioni di Lodovico delle Colombe e di Vincenzio di Grazio contro al trottolo delle cose che stanno su V acqua o che in quella si muovono . A questo ignoto re¬ visore sono anche da attribuire, nel manoscritto del Discorso delle comete, alcune brevi postille marginali che contengono dei consigli, p. e. di sopprimere qualche tratto. IL Le carte che, essendo state ordinate erroneamente quando il Tomo fu le¬ gato, portano ora i numeri 19' 1 r.-/. (insieme con la car. IT/.), 13' r. — 18/. (insieme con la 13°r.), sono scritte di pugno di Galileo, e comprendono un altro buon tratto dell 1 opera, il quale fa seguito immediatamente a quello clic e scritto di O) Nella postilla marginale di pag. 27 abbiamo retto Die in luogo di 1>Ua, e a pag. SO, lin. 28, ito- corretto Ub. 2 in luogo di Uh. l, che si leggo nella teelem in luogo di i*o»er f«. stampa originale; a pag. 23, lin. 22, abbiamo cor- Ut Vedi voi. IV, pag. 11, u pag. 13, nota 3. AVVERTIMENTO. 9 mano del Guiducci. Per la perdita d’una carta, che verrebbe a cadere dopo quella segnata col numero 10, dobbiamo lamentare una lacuna. IIL L’ultimo terzo della car. 9r. e le car. 9t. — 11 r. comprendono, di mano del Guiducci, un’altra stesura di una parte di ciò che, scritto di mano di Ga¬ lileo, si legge nelle carte or ora indicate sotto il numero li. Anche in questo car. 9 r. — llr. si riscontrano correzioni dovute e alla mano di Galileo e alla mano di quel revisore al quale abbiamo accennato poco fa. È poi manifesto, tanto nelle car. 3 r. — 9r., quanto nelle car. 9r. — llr., che il manoscritto guiducci ano fu cor¬ retto prima da Galileo e poi dallo sconosciuto revisore; anzi quest’ultimo intro¬ dusse talora dello correzioni anche nelle aggiunte scritte dalla mano di Galileo. Questi essendo i dati di fatto che risultano dall’ esame del manoscritto, quali conclusioni ne possiamo noi trarre circa V autore o gli autori del Discorso ? Anzi tutto è ben certo che quanto nel codice si legge di pugno di Galileo, deve essere anche opera sua, e ciò tanto più in quanto clic le cancellature, i pentimenti, le aggiunte marginali, frequenti in quelle carte scritte dalla sua mano, dimostrano cho noi siamo dinanzi ad una prima stesura. Quanto alle altre parti del Discorso t prendendo a considerare quel tratto che ci è pervenuto in una doppia stesura, P una di mano di Galileo e P altra di mano del Guiducci, e confrontando le due stesure tra di loro e con quella definitiva che è rappresentata dalla stampa, ap¬ pare manifesto cho la stesura di mano di Galileo è la prima, e tra questa c la stampa tiene il luogo di mezzo la stesura di pugno del Guiducci. Risulta dunque dal latto, che alcune pagine del Discorso le quali noi possediamo scritte dalla mano del discepolo, sono tuttavia state composte dal Maestro : onde è legittimo sospettare se al Guiducci non si debba togliere anche quel brano, contenuto nelle car. 3;*.—9r., di cui a noi ò pervenuta una sola stesura, di pugno di lui; tanto più che tale stesura, specialmente da principio, ha l’aspetto d’una copia al pu¬ lito. In dubbio poi resteremo altresì circa la paternità di quei tratti dei quali manca ogni stesura manoscritta. Stanti questo coso, ed essendo dover nostro di riprodurre per intero la stesura definitiva contenuta nella stampa del 1G10, e ferma inoltre la massima di riserbarc alle cose di Galileo il corpo di carattere più grande (corpo 11), per distinguere poi con un carattere più piccolo (corpo 9) le scritture non sue, e con un carattere mezzano (corpo 10) quello di cui resti incerto se e qual parte egli vi abbia avuto : 1) Abbiamo riprodotto in corpo 10 la lettera di dedica all’Arciduca Leo¬ poldo d'Austria (pag. 41), che non si trova nel manoscritto, e quegli altri tratti della stampa che pur si desiderano nel codice perchè sono andate perdute delle carte: bili sono le lin. G-28 della pag. 83, la pag. 84, le lin. 1-32 della pag. 85, e le ultime pagine dell’ opera, a partire dalla lin. 7 della pag. 98 sino alla fine. 2) Nella parte superiore delle pag. 43-48, nelle pag. 49-56, e nelle lin. 1-25 della pag. 57, abbiamo pubblicato in corpo 10 il tratto della stampa rispondente vi. 2 10 AVV ERTI MENTO. a ciò che nel manoscritto si legge in una sola stesura, «li pugno del Guiducci (car. 3r. — 9r.). Quanto però, in questo tratto, noi coilice «• scritto di mano di Galileo (aggiunte, correzioni ecc., ora lunghe, ora anche di una ola parola), «e comparisce altresì nella stampa, fu da noi pubblicato in cori*» 11 l; . Restano invece in corpo 10 le differenze della stampa a confronto del manoscritto. Dello quali differenze volendo noi dar notizia, nella parte inferiore delle png. 43-18 pub¬ blicammo, sempre in corpo 10, la lezione del codice rispondente alla lezione della stampa riprodotta nella parto superiore delle pagine stesse, fino alla lin. 7 della pag. 48; e la lezione del codice pubblicammo quale dalla mano del Guidacci era stata scritta, cioè senza accettare lo correzioni introdottovi dalla mano ili Galileo o dal revisoro, dello quali tenemmo conto in apposite note ai singoli passi. In questo brano, che forma come V introduzione del Discorso, le differenze tra le due lezioni, del manoscritto e della stampa, erano tanto gravi, che non era pos¬ sibile renderne conto se non con la pubblicazione per intero dei due t»*sti : invece nelle lin. 8 e seg. della pag. 48, nelle pag. 49-5G e nelle lin. 1-25 della pag. 57, nelle quali le differenze offerte dal manoscritto sono meno gravi, le abbiamo re¬ gistrate in forma di varianti, indicando per ciascuna variante, con le sigle QuUi GaL, rev., se la lezione nel codice era scritta dalla mano del Guidimi, di Ga¬ lileo o del revisore, e in questi due ultimi casi aggiungendo pure la lezione di mano del Guiducci che o Galileo o il revisore avevano creduto opportuno cor¬ reggere (2) . 3) Nelle lin. 25 c scg. della pag. 57, nelle pag. 58-82, nelle lin. 1-6 e 29-34 della pag. 83, nelle lin. 33 e seg. della pag. 85, nelle pag. 86-97 e nello lin. 1-7 e 28-34 della pag. 9S, pubblicammo quella parte del Discorso che nel codice ò scritta di mano di Galileo; e precisamente nella parte superiori* di detto pagine ò ri¬ prodotto il testo della stampa, c nella parte inferiore la stesura manoscritta : T uno e T altra sono in corpo 11; so non elio quei tratti della stampa a cui manca il corrispondente nella lezione del manoscritto, e che perciò rappresentano ag¬ giunte a questa lezione, sono pubblicati in corpo 10, Le lin. 25 e seg. della pag. 57, le pag. 58-65 e le lin. 1-12 c 17-26 della pag. 66, comprendono la stesura di mano 0) Talora la correzione di Galileo consisto uni¬ camente nel trascrivere in ordino diverso lo pardo scritte già dalla mano del Guiducci: anello quosto correzioni di Galileo stampammo in corpo 11. M Con lo siglo Gai. o ree. si annotano appiè di pagina audio alcuno lezioni scritto dalla inano di Galileo o del revisore, elio, tali o quali, il lettore trova nella lozione della stampa: ma si annotano por iudicaro appunto a chi quello pardo o frasi deb- bollai ascrivere, o por soggiungerò la lozione primi¬ tiva, di inauo doi Guiducci. Così che, tououdo d’oc¬ chio l’annotazione critica appiè di pagina, può il lotterò sincerarti por ciascuna parola della stampa, so quella parola si leggo anche nel manoscritto i», in caso positivo, di qual mano vi ai Ugge : in caso negativo, il manoscritto non può porgere alcuna luco por sapore dii ha introdotto nella stampa la lezione diversa. Si tenga poi tempr» ben protonto che con la notazione Guid. intendiamo soltanto notare cho quella parola, o quello parole, tono scritto di pugno del Guiducci, aeuxa pregiudizio della questiono *o ogli semplicemente trascrivono da un originale di Galileo, oppure fotte anche autore di ciò che scri¬ veva. AVVERTIMENTO. 11 di Galileo e la lezione della stampa di quel tratto di cui ci ò rimasta anche una terza stesura, scritta dalla mano del Guiducci; e di questa, intermedia, come si disse, tra quello due, è reso conto mediante varianti alla lezione della stampa, nella quale, oltre a ciò, in questo tratto, abbiamo distinto col corpo 9 quelle pa¬ role o frasi elio rappresentano emendamenti del revisore, da lui introdotti cor¬ reggendo la stesura scritta di pugno del Guiducci. Con queste industrie noi abbiamo conseguito il duplico scopo, di pubblicare per intero il testo definitivo della stampa (clic il lettore trova di seguito nella parte superiore di ciascuna pagina), distinguendo in esso i tratti che certa¬ mente sono di Galileo, quelli ri d.tll’ edizione, ori¬ ginale (,) : e cosi pure stampando lo postille di Galileo all'opera «lei tirassi, sebbene lo togliessimo dall’autografo, abbiamo corretto qualche trascorso'», elio non è maraviglia cadesse dalla penna del n<>Uro Filosofo, il quale segnava cpielle postillo con animo commosso, perchè Mrvinero a lui »•!<•, e senza poter prevedere che un giorno sarebbero stute tratte alla lue®. Tali postille, che disponemmo appiè di pagina sotto il testo a cui si riferì» "no, furono scritte da Galileo sui margini di un esemplare della Libro, il quale ora forma il Tomo XIII nella Tar. Ili dei citati Manoscritti Galileiani ' : e ad esse unimmo jswhe po¬ stillo del Guiducci, che si leggono sui margini di un altro roemplara (Mss. Gal., Par. Ili, T. XIV), poiché in tutto quanto si riferisce a questa disputa dello comete credemmo opportuno di non separare dall’ «q» rii del Mastro quella del fedele discepolo. Lo postille del Guiducci si rk<>»<>»ono ng. volniente, t>er- chè sono stampate nel corpo di carattere più pin do, che rompete alle coso non di Galileo. Como abbiamo fatto altre volte, abbiamo i*<>i indicato con carat¬ tere spazieggiato nel testo della Libra (e cosi pure più avanti, riproducendo la Gl A p&g. 114, lin. 3, abbiamo corrotto UxUndat, cho si leggo nell’edizione originale, in ttrenta* •. t\ pag. 133, lin. 4, e altrove, costare (o forine da e\so derivato) in constare; a pag. 142, lin. 15-16, refaetn* rum in rc/raetorum; a pag. 143, lin. 6, constituas in conatitutas ; a pag. 153, lin. 17-18, quotiamolo in quodammodo, corno altrove si logge; occ. Nella < conda postilla marginalo di pag. 172, abbiamo cor¬ rotto Pag. 33 doll’ediziono originalo in Pag. 28. por¬ che a pag. 33 (lolla prima edizione dol Discorso dell* comete, (pag. 85, lin. 17 — pag. 86, lin. 10, della no¬ stra edizione) non si trova in nessun modo ciò che il Grassi attribuisco a Gai.ii.ko; sebbene, por dir voro, anche a pag. 28 (pag. 80, lin. 1 —pag. 81, lin. 11, della nostra edizione) si trovi qualche cosa che potè forse prestar occasione all’asserzione del Giurai, piuttosto elio propriamente quanto egli afferma. <*> Abbiamo corretto alcuni materiali orrori, che sono da considerare veramente corno lapsus calami: p. e., a pag. 116, lin. 20, •terileni in luogo di stenle, elio fu scritto da Galileo; a pag. 124, lin. 28, giu- dizioso in luogo di giudiziosa; a pag. 127, lin. 17, con l'attribuirgli in luogo di con gl'attribuirgli; a pag. 138, lin. 20, ascititìorum in luogo di ascitiorum; a pag. 163, lin. 33, antichi in luogo di ambi; a pag. 184, lin.24, si strugghino in luogo (li li struyghino; a pag. 165, lin. 25, illius in luogo di iliue; a pag. 17G, lin. 24, {«K-tyaoJi IO loofv di lt*s t mml» { r pag. |7«, lin 15, cks fare eem lu% In leoft» di /«« non «ol* Unto abbiamo roooortalo alcune graia corno queea, lif, rdmm.pkt umm rm m. «/• ipH 136, IÌn.87),ortvrwr%«M (pag. 117, ite (paf .129, lin. 211, poyoraioo*® (p»g 117, Ila. SUI, ècc., ma nep poro abbiamo corrotto »yW»or a pag. 137, Un. 27, pmrimum a paf UT, Ila. Il, m vf msrmim* « paf. 170, lin. 36. Sopra un» carta di guardia in principio di questo prosiuoo esemplare al leggo la seguente an- uotaiinn*, di pugno del Vivi in • \ intontiti* Gali- lami, magni Gallile! Mina, Vincenti© Vivimi dono dedit hune librmn, caia» noti® mamiscripta* anni ipaiwmst Gatllaoi ». Studiando 1 eterni tir* postillalo, »i riconosco, da alcun» particolari, cho Gii .ìleo po¬ stillò talora nn inodorino passo della /.»V (3) . Quanto agli errori sparsi per tutta 1’ opera, essi sommano a parecchie centi¬ naia, e non sono soltanto di ortografia, ma d’ ogni maniera : se alcuni palesano grande negligenza nello Stigliani, altri fanno pensare eh’ egli si credesse lecito di correggere a modo suo il dettato dell’ autore. Giù prima che fosse compiuta la stampa del libro, Francesco Stelluti avvertiva Galileo che colui il quale ne aveva avuto cura, ci aveva lasciato scorrere degli errori, e di ciò il Cesi aveva sen¬ tito < disgusto > ; < che se eravamo noi a Roma > (il Cesi e lo Stelluti ne erano Noli* esemplare postillato dal Gcinucci sono sottolineate soltanto le paiolo Quando poi Galileo, ricevute le prime copie (lei Saggiatore , vide come questo era stato maltrattato, o che degli innumerabili errori appena 16 erano registrati in un breve Errata Corrige col titolo < Errori occorsi nello stampare di maggior consideratione >, aspettò a presentare il libro ai suoi amici e protettori, (indiò ebbe fatto stampare in Firenze < un indice degli errori > e potò aggiungerlo nel (ino dell’opera (,) . Infatti in alcuni esemplari del Saggiatore sono aggiunte (3) duo carto, col titolo < Mota di errori occorsi nello stampare >; la qual Nota , dopo un’avvertenza in cui si correggono, una volta per tutte, certe forme che ricorrono continuamente nella stampa, registra ben 209 errori : < gli altri ... (ed in particolare nel virgolare e punteggiare), elio sono molti, si rimettono alla discrezione del lettore intelligente >. Galileo si af¬ frettò a inviare alcune copie di tale Nota al Cesarini in Roma, perché le distri¬ buisse (l) , corno infatti avvenne (una copia arrivò anche in mano del P. Grassi W), soprattutto dopo che prese a occuparsene Mario Guidacci ; non senza però che lo Stigliani cercasse di impedirlo, tenendosene gravemente offeso, e pretendesse che una parte degli errori notati non fossero errori, o minacciasse di far stam¬ pare < un foglio di forse trenta o trentacinque errori da correggersi >, lasciando passare gli altri come < male avvertiti > (4) . Il Cesarini poi, il quale < con infinito rossore > aveva veduta < espressa la sua negligenza negli errori del Saggiatore >, e si querelava in questo fortemente di colui che aveva avuto carico della stampa, ordinò tosto che si ristampasse in Roma la Nota da aggiungere a ciaschedun volume {7) : e certa Tavola degli errori occorsi nello stampare , (die s’ incontra in qualche esemplare del Saggiatore, deve forse la sua origine a siffatta ristampa ordinata dal Cesarini. Questa Tavola comprendo 13G errori, i quali tutti fanno parte di quei 209 registrati nella Nota compilata da Galileo m . Nonostante tali compensi co’ quali 1’ autore cercò di riparare al mal governo Lettoni di Francesco Stelluti a Galileo, doli’8 settembre 1623 (Mss. Gal., Par. VI, T. X, car. 141). <*> Galileo scriveva il 18 novembre 1G23 al cord. Federigo Borromeo: «Mi vennero 8 giorni sono di Roma alcune copio del mio Saggiatore, ma così scorrotto por negligenza del correttore, che mi è bisognato faro un indico dogli orrori, o stamparlo qui in Firenze e aggiugnerlo nel fino dell* opera ». Vedi Govi, op. cit., pag. 354. ,31 In alcuni esemplari lo duo carto sono aggiunto in fino al volume; in altri invece (e che così si fa¬ cesse, ora l'intenzione di Galileo), la seconda dello due carto ò aggiunta, e la prima ò incollata sulla parte inferiore del!’ultima pagina del libro, dopo lo parole « Il Fino», in modo da coprire l’elenco dei sedici « Errori occorsi nello stampare di maggior consideratione ». Lettera di Viroinio Cesarini a Galileo, del 22 novembre 1628 (Mss.Gal., Par.I, T. Vili, car. 205). {l) Lotterà di Mario Gdiducci a Galileo, dol 18 dicembre 1623 (Mas. Gal., Par. VI.T.X.enr. IBI); o cfr. in fincato volumo pag. 426, lin. 12 o sog., o pag. 400, lin. 25-27. ,6) Citata lotterà dol Gumucci a Galileo, del 18 dicembro 1628. (7) Citata lettera dol Cesarini a Galileo, del 22 novembre 1628. Furono tralasciati molti di quelli tra i 200 orrori, che dipendono soltanto dalla punteggiatura. Alcune volto poi la correzione 5 indicata in siffatta Tavola degli errori con leggiero varietà a confronto di quello che indica la Xota fatta stampare da Ga¬ lileo, alla qualo noi ci siamo Attenuti. Quosta Ta¬ vola si trova, p. os., nell’esemplare segnato 26. C. 4 della Biblioteca Nazionale di Napoli. AVVERTIMENTO. 15 clic della sua opera aveva fatto il poeta di Matcra, restarono però moltissimo altre mende nell* edizione del Saggiatore : onde in molti passi incombeva 1’ ob¬ bligo all’ editore moderno di prudentemente correggere. Ci giovarono a quest’uopo alcuni esemplari del Saggiatore , ne’quali, in fine alla Nota di errori, sono aggiunte a penna, di inano di Galileo, altre voci da correggere (l) , e soprattutto ci fu di molto aiuto un esemplare posseduto dalla Biblioteca Nazionale di Firenze (Mss. Ga¬ lileiani, Par. Ili, T. XV), con la dedica autografa < All’Ecc. mo S. Agnolo Bonelli l’Autore >, in cui quasi ad ogni pagina Galileo corresse qualche errore (5> ; e te¬ nemmo pure a riscontro un’ altra copia della stessa Biblioteca, segnata G. 10 . 5. ll y che già appartenne a Mario Guiducci e da lui fu minutamente correttaci sebbene noi non abbiamo potuto accettare clic in parte le correzioni del Guiducci, poiché i gusti e le abitudini sue in fatto di lingua erano alquanto diverse da quelle di Galileo, ed egli correggeva anche forme e costrutti che a Galileo non dispiace- V vano. E caso poi non infrequente, che ricorrendo molte volte nella stampa una data forma, soltanto una o poche volte sia stata corretta, vuoi nella c Nota di errori >, vuoi nell’esemplare dedicato ad Agnolo Bonelli: noi, tuttavia, credemmo d’interpretare l’intenzione dell’ autore estendendo la correzione a quelle volte nello quali non è indicata, e ciò anche quando la forma clic Galileo, correg¬ gendola, mostrò di non approvare, fosse d’uso, per altro, buono e legittimo, e magari suffragata da autografi di altre scritture dello stesso Galileo (V) . Da O) Quattro voci da correggere sono aggiunto, di mano di Galileo, in fino alla Nota di errori, nel- 1’ esemplare C. G. 2. l'J della Nuzionalo di Fironzo; o duo di questo quattro, Galileo lo sognò anello nel- l’esemplare della Nazionale di Napoli olio, trai ma¬ noscritti, ò indicato con AVA E. 74, o una audio nell’ osumplaro & N. A. VII. 8G dell’ Ambrosiana, mandato da Galileo in omaggio al card. Rohkomeo. Anello in altri esemplari sono aggiunto, di mano antica, altre voci da correggere (p. es., noli’ osom* piare III. 2. 40G della Nazionale di Firenze), oppure sono trascritto nel testo dell’opera, ai singoli passi, le correzioni registrato nella Nota di errori (p. es., nel citato esemplare AVA E. 74 della Nazionale di Napoli ; in un esemplare, di cui parla G. Campoiu, Carteggio gallicano cit., pag. 203, nota 8, con dedica autografa di Galileo a inons. Makzi Medici, arci¬ vescovo di Firenze ; o noli’ oseuiplare Umico rari, Arm. V, Pai eh. l, n. S, della Nazioimlo di Firenze). Quftlcho volta lo correzioni indicato da Ga¬ lileo a pouiia in quest’esemplare sono leggermente diYorso (la quello indicate nella Nota di errori (p. es., a pag. 309, liti. 24, V edizione originale logge dalla Terra poteste esser, la Nota di errori corregge dalla Terra potesse esserle, o Galileo noi citato esemplaro correggo dalla Terra gli potesse esser) : in questi casi noi ci attenemmo alla correzione registrata nella Nota di errori. — Nell’esemplare della Nazionale di Fi¬ renze ricordato por ultimo nella nota precedente, lo correzioni, consistenti, come si disse, più elio altro nel trascrivere ai singoli passi quelle indicato nella Nota di errori, non sono, come da molti fu croduto, di mano di Galileo. Detto esemplare fu rogaiato al Granduca di Toscana Leopoldo II, per la Biblioteca Palatina, dal marchese Francesco Riccardi Del Ver¬ naccia, o porciò fu citato con la indicazione (che si presta ad equivoco) di esemplare iiiccardiano. Sui margini di questo esemplare, il Guiducci scrisse anche alcuno postille, che noi però non cre¬ demmo di dover pubblicare. Di Abbiamo corretto, sempre, riputazione in re¬ putazione, o introddurre in introdurre, come nell' av¬ vertenza che procedo la Nota di errori Galileo indica di correggere, in tutti i luoghi, riputare in repu¬ tare o proddurre in produrre: c cosi abbiamo cor¬ retto, ogni volta 8 1 incontra noli’ediziono originalo, di terminare in determinare, corrcziono indicata una sola volta nella Nota di errori. Lo seguenti correzioni sono indicate, una o più volto, da Galileo nell’esem¬ plare dedicato ad Agnolo Bonelli, o noi lo abbiamo introdotto costantemente noi Saggiatore : apporrà corrotto in apparirà ; constituzionc in costituzione; contiiiovamente in continuamente ; depogniate in depon- ghiaie; ripiovermi in rimuovermi ; riflessione in re- 1G A VVKKTI MENTO. ultimo, alcuno forme abbiam creduto che ci fosse lecito correggerlo, in una stampa così scorretta o arbitraria, anche se non erano stato emendate nè da Galileo nò dal Guidacci 1 ' 1 : c così puro alcune altro correzioni, attenenti alla sintassi e al concotto, non ci siamo trattenuti dall’introdurle, dove fossero strettamente ne¬ cessarie c ben sicure, quantunque ci mancasse l’appoggio delle fonti contempo- rance^ 1 . Che se a questo cure non lievi, con le quali cercammo ili purgare il Saggiatore dallo alterazioni ond’era stato viziato per colpa dello Stigliani, s’ag- flessione o rifletto ili reflesso; ripugnare in repuynars; riverendo in reverendo; ricàndito in recòndito; rimoto ìli remoto; dipendere il) dipendere; antiporte ili aio teporre ; dìfettuoso in dijettoso ; faccenda ili facendo; perpetovo 0 perpetovamente ili perpetuo o perpetua • menta; frapposta ili traposta (pag. 3G7, liti. 11), OCC. Inoltro Galileo correggo a pag. 322, liti. 11, empir in empier, a pag. 329, lin. 4, flammicclla in fumo niella, o a pag. 344, lin. 19, noni! liti in nuove liti. In conseguenza dolio correzioni indicato da Galileo stesso, abbiamo creduto di dover correggere anche appartenuto, apporrebbe ili appariranno, apparireb¬ be; constituirc in costituire; continovo, continovare, coni in ovazione ecc. in continuo, continuare, continua¬ zione OCC.; pugniate in potigliiatc; moversi, move OCC. ili muoversi, muove OCC .; riflettere in reflettere; n/m- gnanza in repugnanta : od altro#) correggemmo rispi¬ rare in respirare; dittidcrarc ili desiderare (cosi ò corrotto anche dal Guiducci nell’ esomplare da lui postillato); dilineare U dirivare in delincare 0 deri¬ vare, che nello stesso foggiatole pur s'incontrano. Dall’esemplare postillato di inano del (iirinucci ac¬ cettammo lo seguenti correzioni, che non s’incontrano nell’esemplare dedicato al Monelli o concernono pur osso fatti grafici o fonetici: a ut tori tà, ippotesi, troj • portare, corretti in autorità, ipotesi, traportare, con lo quali forme quello primo noll’odizione originalo s’al¬ ternano; carro/a o earrafons in caraffa o caraffone; cartilaggini in cartilagini; falgóre in fulgóre (pag. 247, lin. 2G; ma subito dopo, a lin. 33, o altrove, anche l’edizione originalo lui fulgóri ); prìncipi in prìncipi ; sobbriamente in sobriamente; trafiggere in trafiggere, eoe. Quanto allo correzioni attenenti alla sintassi o al senso, lo quali abbiamo ricavato dall’osouiplaro che Galileo dedicò al Donklli, no diamo qui una lunga serie, unendovi quello che accettammo dall'osemplaro postillato dal Guiducci: a quest 1 ultimo facciamo se¬ guire T indicazione Quid. A pag. 200, lin. G, nostrale, che si leggo nell’edizione originale, corrotto in »m- turale •; o, lin. 11, saggiuoli in saggi; pag. 213, liti. G, aggiunto scritto in forma di, elio manca nell’edizione originalo; pag. 230, lin. 36, rette AB corrotto in rette AD (Quid .); pag. 231, lin. 12, da suo in dal suo (Quid.); pag. 250, lin. 22, sia in stia ; pag. 251, lin. 1, adoperare in operare [Quid, ; cfr. appresso, lin. G, S, occ., dove audio 1* edizione originalo ha ofxran); pag. 257, lin. 25, pronunsia in pronunsiun ; pag. 2G2, lin. 27, della disunisti in dalla distonia ; pag. 267, lin. 19, (fedo angolo ili detti angoli ; pag. 20^, liti. Il, vi ì stmpre iti vini sempre, o, lin. 1G, ed ì dire in ed a dire, o, Un. 30, guella si va il) quella va ; pag. 273, lin. 23, la ristringerò in lo ristringerò ; pag. 280, lin. 5, cil ogni in ad ogni ( Quid .), o, lin. 14, li rimirano in lo rimirano, ©, fettunta linea, ad altri ad altri in ad altri e ad altri (Quid.); pag. 2HH, lin. 19, di mostrare ili dimostrare (Quid.) o, lin. 29. E di piti qui in E di qui ; pag. 293, liti. 4, dilla montagne ili delle montagne, 0 , lin. 17, di Tirane in da Tirane [Quid.), e, lin. 32, deli aggetta in dall*oggetto, ©, lin. 37, da i vapori ili ds i Vapori (Quii/.); pag. 297, Iin. HO, da uit in lUi uno (Quid.); png. 301, lui. 21, e questa iu e questa; pag. 302, lin. 19, durasinn della stabilità in dura siane dalla stabilità; pag. 306, lin. 27, prupor- rtoM in proporzioni; pag. 311, lin. 26, snudarmi iu denudarmi ; pag. 312, liti. Il, effetto in tuffetto (Quid.) ; pag. 316, liu. 12, contradire quello il] contrudire a quello, 0, lìll. 34, perfettissima ili jxrfettissimamente ; pag. 317, liu. 15, co n t ra di ss ione, dico di ili contradi *• sione, di, o, lin. 20, c dico vano in ì, dico, vtinu, e, lilì. 27, dell'avversario ili dall'avversario [Quid.); pag. 320, Un. 23, della vostra in dalla vostra (Quid.), o, Un. 27, visivo in vita; pag. 323, lin. G, deli altra in dall' altra (C/uid.); pag.324, liu.31 32, poick'egli, che ne dà in poi ch'egli 2 che tt« dà; pag. 331, lìll. 1, forse in sjorst; pag. 333, lin. 24, non sia iliminuito in «oh solo non sia diminuito; pag. 337, liti. 21, e confe ssrrebbonu ili t» con/esser cibo no ; pag. 338, liti. 28, felicità in celerità; pag. 345, liu. 11, non si struggano in «i si struggano; pag. 353, liti. 18 IO, inumiti a voif in innanti a coi (<7uid.); pag. 362, lin. 22, per esserci raggi iu per essere i raggi; pag. 3G7, lin. 29, quelle ili quellu. Abbiamo corretto altretanto, ungula, simolare, dissimulare, simulacro, edifico, ruoru ili altrettanto, an¬ golo, simulare, dissimulare, simulacro, ellittico, urani. Abbiamo corrotto a png. 249, Jìn. 81, dell'ap¬ parenza in dall' appuratati ; a pag, 250, Il il. 12, ed il concetto in e ilei concetto; n pag. 252, lin. 12, io so certo in io sor i c erto; a pag. 258, lill. 16, no» ci è meno in non ci è nè meno, e, lill. 20, e di diverse in e diverse; a pag. 204, lin. 31, dall' allungare in dtl- T allungare; a pag. 271, liu. G, quanto non in quanto AVVERTIMENTO. 17 giunga l’aver noi ridonato, in tutto il resto, alla scrittura di Galileo le originali forme, state alterate nelle recenti ristampe, o l’aver curato più razionalmente la punteggiatura, si comprenderà di quanto questa nostra edizione si avvantaggi sulle precedenti : e se alcuno ci accuserà forse di aver troppo alterato la prima edi¬ zione, od altri di troppo aver conservato, noi confesseremo volentieri d’essere stali sovente incerti del partito da prendere ; e ben dubitiamo di non aver sempre collo nel segno, mentre sarebbe stalo necessario troppo spesso indovinare, piuttosto che congetturare, 1* intenzione dell’ autore. Quanto all’altro carico che viene fatto, come abbiamo visto, allo Stigliarli, cioò d’ avere interpolato un passo nel Saggiatore per trovar modo di nominare se stesso, tale accusa ò confermata da un’ annotazione di Galileo che si legge in fondo a un esemplare del Saggiatore , oggi posseduto dalla Biblioteca Nazionale di Napoli, da una postilla del Guiducci nei citato esemplare C. 10. 5 . 11 della Nazionale di Firenze, e da altre testimonianze. Noi, com’ era naturale, abbiamo espulso dai testo il passo interpolato, tenendone ricordo in nota nel luogo dove cadeva (pag. 295, nota 1): e della interpolazione abbiamo fissato i limiti conforme Galileo li determina e la buona ragione lo richiede, e non come sono indicati dal Guiducci c da altri (,) . pi iì< non (cfr. pag. 2G1, lin. 21); a pag. 288, lin. 11, alcuno e già che. in alcuno che yià che ; a pag. 289, Un. 1G, cavo in essa (o così a pag. 300, lin. 18, op¬ posto in opposta, 6, lin. 31, istcsso in intesta); a pag. 292, lin. 9, Vimmagine in V immagini (cfr. lin. 7) ; a pag. 297, lin. 12, della contrarietà il) dalla contrarietà, 0, 1)1). 24, seconda figura in terza figura; a pag. 372, lin. 23, rimetto al giudicio in rimetto il giudicio, e, lin. 28, concludente, di quella in concludente di quelle. Inoltro, noi periodo cito comincia a pag. 361, lin. 34, ò ma¬ nifesto elio manca qualche parola, sobbollo nò Gali- mco nè il Guiducci, cogli esemplari da loro corrotti, non abbiano supplito all* omissione. Lo parole da Aggiungerò («mi levato, sia tolto, o simili) cadrebbero, a nostro avviso, dopo la parola sensazione (lin. 3G), alla quale abbiamo fatto seguirò perciò dei puntolini. m Nel già citato esemplare della Nazionale di Napoli, XII. E. 74, Galileo annota, in fino alla Nota di errori: « Quel elio si logge dalla fac. 112, vorsi 30, sino a vorsi 5 della fac. 113 non ò doli’autore ». Da pag. 112, lin. 30, a pag. 113, liu. 5, dell*edizione ori¬ ginalo si leggo il tratto da « Primieramonfco » a € Mondo Nuovo », cho noi registriamo nella nota 1 di pag. 295 : o questo medesimo tratto ò indicato in margino con una grappa nell 1 esompiare tutto cor¬ retto di pugno di Galileo e dedicato al Bonklli. Sembrerebbe pertanto elio dalla interpolazione il Nostro escimi osso lo parole, elio noi vi Abbiamo com¬ preso, « Appresso dico (por rientrar nolla disputa) cb’», lo quali immediatanicnto seguono a «Mondo VI. Nuovo»: ma o le parole «Appresso dico (por rien¬ trar nella disputa) » non bau no quasi senso quando si siano levato quello precedenti « Primieramente... io dico tee. », che formano la interpolaziono o non hanno realmente che far punto con la disputa; c, in secondo luogo, si comprendo di loggiori che Ga¬ lileo indicasse il termino dell’interpolazione alla lin. 5 della pag. 118, piuttosto elio alla lin. G, essendo la lin. 5 tutta compresa noli’interpolaziono, o alla metà della lin. G ripigliando il testo genuino ; o, da ultimo, noi manoscritto del Saggiatore al quale ab¬ biamo accennato (pag. 13, nota 2) manca precisa¬ mente tutto il brano nel quale noi erodiamo elio consista la interpolaziono: di elio vedi Uovi, op. cit., pag. 3G7-3G8. Il Guiducci invoce, nell'esemplare da lui corrotto, cancella soltanto lo paiolo: «Anzi qui soggiungiamo... Mondo Nuovo » o lo parole « (per rientrar nella disputa)», postillando in margine: «Non è roba dell’Autore: ò stata saccenteria, anzi presunzione, dello Stigliani » ; o questi limiti sono assegnati all* interpolaziono anche nel citato esem¬ plerò della Nazionale di Fi rou zo lì anco rari, Arm.9, Palch. I, num. 3, che si credette corretto di pugno di Galileo, nonché nell’ esemplare 1IS. 2. 406 della stessa Biblioteca. Ma elio anche il periodo « Prillilo* ramonto (per rispondere a tutto lo parti), io dico, non occorrere che ’l Sarsi venga sì spossamento ri¬ petendo il rinfacciarci l’Aborrimento dolla poesia, poi cho noi, come già si disse, non l'aborriamo in modo veruno » faccia parto dell’ interpolaziono, Jo dimostra a 18 AVVERTI MUNTO. Riguardo al San (fiat or e dobbiamo anche avvertire che avendo riprodotto im¬ mediatamente prima di esso la Libra del Grassi, non abbini» poi voluto stam¬ pare un’ altra volta quest’ opera, la quale, com’ è noto, ò inserita per intero da Galileo nella sua risposta: o perciò, dove Galileo in capo a ciascun paragrafo del Saggiatore riporta per disteso quello squarcio della Libra che poi prende a esaminare, noi ci siamo limitati a citarno le primo e le ultime parole, indicando le pagine della nostra edizione alle quali il lettore può trovare quel passo. Non nascondiamo che rimanemmo un pezzo incerti a quale partito ci convenisse ap¬ pigliarci per evitare di stampar due volto l’opera del Grassi ; ma, dopo lunga esitazione, quello da noi preferito ci parve, se non scevro d’inconvenienti, almeno il provvedimento migliore. Compie la serie delle scritture polemiche occasionate dallo comete ilei 1018 la Iiatio ponderimi Librae et Sìmbdlae del Grassi, che noi riproducemmo dalla prima e scorretta edizione di Parigi, correggendola però con l’aiuto dell’ esem¬ plare 201. 41. C. 5 della Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, il quale fu della Biblioteca del Collegio Romano o porta numeroso correzioni di mano ilei se¬ colo XVII, se non forse di mano dello stesso P. Grassi; ed altresì correggendola col riscontro della seconda edizione che, un anno dopo la prima, nel llì‘27, usciva a Napoli, molto più emendata o con aggiunte 1,1 : come puro qualche correzione non fummo restii a introdurla anche se non ci era suggerita da questo fonti antiche w , poichò non si poteva di materiali orrori far carico al P. Grassi, clic maneggiava il latino con certa ingegnosa abilità, se anche non voglia dirsi con abbastanza il fatto elio il Grassi, noi tratto (lolla Libra a cui Galileo rispondo in quel paragrafo, non rinfaccia al Nostro in nessun modo nò in nossuna parto 1* abborrimento della poesia. 1/ Alkandiu, op. o loc. cit., ristringerebbe ancora più i limiti dell'in¬ terpolazione. In una risposta inedita dolio Stigli ani alla Difesa dell’ Adone dell' Aleatori, che avova fatto carico audio di altri torti contro Galileo al rima- toro (li Muterà, questi scrisse, a proposito dell' ac¬ cusa deir intorpolaziono : « Replico elio questa ò una maligna favola c trista, composta dallo Aciiili.ini... in Bologna a pessimo fine. Il Galilei è mio amico grando cd antico di quaranta o più anni. E non solo mi favorì spoiitniieanionto della profata onorevole menzione ccc. » (Coti. Casanatenso E. V. 15, car. 222 v.» autografo dolio Stic li ani). Vedi per tutto questo ar¬ gomenta Govi, op. cit., png. 365 o scg. Boria l'identico titolo della prima, o le noto di stampa Neapoli, ExcudeLat Afaithucus Nuccius, JG27. In una breve prefazione, che tion dietro alla dedica al card. Francesco Boncompaoni, il tipografo av¬ verto il lettore: «Ego... oxprcssi iterimi illam [7?«- iionem Fonderum Loiharii Sarsii] tibi meis typis, quos Luteii:inis quiilcin illis elogantos fortassc minus, nt ouiendatos magi*, raporie* ». Nonostante che la se¬ conda edizioni) presenti dolio aggiunto a confronto della prima (o, viceversa, qualche omissione), ab¬ biamo riprodotta la prima edizione, perchè la Da- (io si stampava da noi, più elio altro, in servigio dolio postillo cho vi foco Galileo, o V edizione larga- munto postillata Uà Galileo fu appunto la prima. Lo duo postillo elio, conio tosto avvertiamo, Galileo scrisse sui margini di un onumplaro della aoconda edizione, si riferiscono a pausi noi quali questa noti differisco dalla prima. Registriamo soltanto alcuno d*dlo più note¬ voli correzioni introdotte nel tonto della Iiatio. A pag. 377, lin. C, abbiamo corrotto inapexerint in in- spexerunt ; a pag. 3'<8, lin. 8, con icd uni rum in conieetu- rani ; a pag. 31)5, lin. 28, aequi in }*racqui ; pag. 899, lin. 21, aut quid verino in «u( quiilquùl vrrius; png.400, lin. 6, optasset in aplaeael ; pag. -lui, lin. 18, ujatd pa¬ bulum in ad jtabulum ; pag. 416, lin. 20, Erga in Ego ; pag. *136, liil.27, Eolia fulgsnlibua ili Eolia luce ful- gentibua ; pag. 457, liu. 10, curvabitur in curvnbatur; pag. 474, lin. 16, crani in cru/i(, ccc. : tutto questo correzioni sono indicato a penna noli'osom piare della Biblioteca Vittorio Kmanuolc, o già si trovano intro- AVVERTIMENTO. 10 eleganza. Alla Ratio accompagnammo le numerose postille autografe di Galileo, traducendo così in atto quella che, come si accennò, era già stata intenzione del Nostro, di pubblicare siffatta, quasi diremmo, risposta all’opera del Grassi: lo quali postille sono scritte per la maggior parte sui margini, e su carticini aggiunti, in un esemplare della prima edizione della Ratio, che ora forma tra i Manoscritti Galileiani il Tomo XVI della Par. Ili, e due (l) si leggono sui mar¬ gini d’ un esemplare della seconda edizione, che tra gli stessi Manoscritti è il Tomo XVII della Par. III. Nel primo di questi esemplari le postille di Galileo sono commiste a quelle del Guiducci, e queste pure noi abbiamo stampato, distinguendole col carattere minore (S) . Anche poi nello postille di Galileo alla Ratio, come già in quelle alla Libra, non mancò di presentarcisi occasione di dover correggere qualche trascorso di penna del grand’ uomo 13) . dotto nolla seconda edizione. A pag. 425, Un. ^cor¬ reggemmo cuvi et eincinnatvn in citm et circinatu* et cinciniiatud, o questa correzione, notevolissima, ci fu suggerita puro dal citato esemplerò della Biblioteca Vittorio Emanuelo, nò si riscontra nolla seconda edizione. Cosi puro a pjtg. 400, lin. 20, emendammo, con l’appoggio dolio stosso esemplare, erant ergo omnia mio quoque in crunt ergo omnia huo quaeque, elio cado in un tratto il quale manca nella seconda ediziono. Invoco, dalla ristampa napoletana accettammo mxhi, a pag. 394, liti. 3, in luogo di ?iiÀt7,clio si leggo nolla edi¬ zione di Parigi. Non trascurammo di riscontrare l’osat- tezza dolio numerosissimo postillo marginali in cui il Grassi cita, por faccia e linea, i luoghi dol Rincorro delle, comete, (lolla Libra 0 del Saggiatore dove si legge ciò di elio parla noi tosto; c correggemmo lo citazioni manifostamonto sbagliato (p. os., a pag.421, postilla a, correggemmo Un,21 in luogo di fin. SI ; a pag.442, po¬ stilla h, correggemmo Un. 8, in luogo di Un, 28, occ.). Gl Lo abbiamo pubblicato insieme con lo altro, al posto elio loro spettava ; o sono il socondo capo¬ verso dulia postilla distinta col nuui. 135, o il so- conilo capo verso dol la 154. Talora ò avvenuto elio a una postilla scritta dal Guiducci, Gai.it.ko abbia aggiunto qualche parola: vedi, p. os., la postilla 107, devo i diversi corpi di ca¬ rattere fanno vedere qual parto sia doli’uno, o qtialo dell’altro autore. —Lo linoo sognato sotto a corti passi della Ratio nell* esemplare largamente postillato, lo quali indichiamo, corno si disso, col carattere spa¬ zieggiato, sono stato segnato, a giudicare dalla tinta dell’inchiostro, di solito, da quello dei duo autori di cui ò la postilla relativa al passo sottolineato. — Montro abbiamo pubblicato lo postillo del Guiducci, non abbiamo creduto opportuno unire ad osso o a quelle di Galileo alcuno podio dol Viviani, o però d’un tempo posteriore, lo quali pur si loggono nel- Tosomplare della llatio elio forma il Tomo XVI della Par. Ili doi Manoscritti Galileiani. ( 3 i Por os., a pag. 3S3, lin. 17, Galileo ha scritto che V altri, e, liti. 18, li negavano ; rt pag. 385, liu. 36, alia (cfr. lin. 85); a pag. 3S6, lin. 23, primo vedili; a pag. 387, lin. 15, equilibro (cfr. lin. 14) ; a pag. 391, lin. 29, «opra di ma ben; a pag. 893, lin. 39, ajiro- vato (cfr. lin. 33) ; a pag. 428, lin. 35-36, altinnimo ; a pag. 429, lin. 38, in ntclìc ; a pag. 441, lin. 35, tm peno diaccio; a pag. 456, liti. 31, il inoltra me; a pag. 475, lin. 37, musi raffreddano; a pag. 479, lin. 30, poteva cete, o, li il. 36-37, un corpo non penar, ccc. In¬ vece non abbiamo creduto di dover correggere a pag. -161, lin. 27, ed argomenterò, nò a pag. 465, lin. 28, ntrappannero, DE TRIBUS COMETIS ANNI MDCXVIII DISPUTATIO ASTRONOMICA PUBTìICE HAB1TA IN COLLEGIO ROMANO SOCIETATIS IESU AB UNO EX PATEIBU8 EIUSDEM SOCIETATIS. D E ANNI M.DCXVIII. DISPVTATIO ASTRONOMICA PVBLICE HABITA IN COLLEGIO ROMANO SOCIETATIS IESV B V N 0 EX P A T R 1 B V S EiySDEM SOCIETÀ TIS. R O M AE, ExTypographia lacobi Maleardi. MDCXfX. S VP £ RI OR V Ai PERMISSy . DE COMETA E IMAGINE. Vidisti horriiico volitantem crine cometen ? Aspice quam simili fertur in astra coma. Sed modo nec radiis stellala minitantibus borre Ncc quae delectant, sidora visa. nooent. Si melior, si fausta micat, die, lamine pioto, Sideri* huec veras vincit imago laccs. DE E A DEM. Lumino qui terras turbavit et astra cometeg, Innucuas pictus caepit iniro vias. lloc opifex illi tribuit, (pii callidus arto Adversas parili prospcrat igne facos. Me vero hic doceat naturala sideris, mais Sidera qui facili mutat iniqua manu. DISPUTATIO ASTRONOMICA DE TRIBUS COMETIS ANNI M.DC.XVITT. PROLUSIO. Novarum nsque adeo rerum appetens est humanus animus, N. N., ut, vel ipsarn aliquando bonorum diuturnitatem fastidiens, eandem mali alicuius vicissitudine efficere, seilicet, cupiat meliorem. Ita in cantu ac sono minus modulos illos amamus, quos perpetua ac stabilis vocum concordia comitatur, multoque iucundior musica est, si dissonis consonisque vocibus componatur, si collisis durius sonis concors illa vocum vis enervetur subinde atque frangatur. Cum igitur multis iam ab hinc io annis, Solo caeteraque luce siderea faustis utique luminibus cacio oberrantibus, nullus interim funestus ignis triste splendesceret, pestilens fax nulla crines expli- caret, nullus barbara cometes promitterot, sterile iam piane atque infoccundum caelum novisque gignendis ignibus ineptum querebamur; avaram nimium evani- dorum luminum aetatem nostram incusabamus; optabamus, o iniqua hominum vota, ex hoc portentorum genere oriri aliquid, quod oculos, raeliora iam lumina portaesos, sua saltem novitate oblectaret ac pasceret. Quid enim ? Non amplius, ut priscis illis, lippientes nobis oculi e siderum aspectu continuo fiunt : novimus illos longius eiaculari ; nulla iam cadi pars nostram effugit aciem, ncque tanti, ut antea, apiul nos est Lunae pulchritudo; Yeneris ac Mercurii choreis licuit 20 interesse ; quin et Solem puduit foedum so aliquando a nobis spectatum ; Martis Terrae appropinquantis insidias deteximus ; Iovis ac Saturni stipatores, nequie- quam hactenus sese abdentes, in apertum dcduximus. Soli igitur cometae supererant lynceis bisce oculis spectandi : facile enim iam eam, quae de cometarum loco hactenus fuit, litem dirimi posse sperabamus. Agite igitur, bene est; quando et hoc inter bona numerandum censetis. Supra votum etiam omnigenorum ignium prodigus annus superior extitit, qui trium, non am- VL 4 26 DE TR1BUS C0METI8 ANNI MDCXVIII Fri in us cometa sua 29 Augusti. pii us, mensium spatio trcs sereno caolo, longum syrma trahentos, face» per ocium spectandas oxposuit. Sod quam aegre, Deus bone, nostros in lmi'c portenta con- vertit ocuIob ! Augusto mense iam abeunto, ad postremos l’rsae Maioris pedes primam facem accendit ; at caccia illa resplenduit ; adeo vix ullus fuit, qui oculos a caelo iamdudum aversos eo tandem attolleret. Sed erat fortaaso fax illa altior minorque, quam ut curvos iam ad Terras homines erigerot; bisque accendcndus erat ignis, qui et loco depressero ampliorique mole facile vel in mdentea incur- reret. Veruni ncque boc defuit: adulto enim iam Novembri, longaiu ad llydrao sese spiras explicantem, gladii figura, trabem inspexirnus, sci oppido pauci ; sulmlbi- cans enim ac rara, nulliusque splendoris, non niultos illexit. N’ihil igitur agis, io caelura, dum avarum adeo splendoris ac lucis es. Sensit hoc illud, ni fallor, ac tandem tortio kalendas Deccmbris lucidissimum cometam tanto ab oriente splen¬ dore in altum evexit, ut, conversis ad cum illico omnium oculis suspensisque animis, magni quotidie in montes locaque alia editiora concursus, nulla somni cura, nullo algentis Aquilonis timore, cogerentur : factumque est aliquando, ut nulla iam sollicitudo maior hominum sit, quam caeli suspiciendi ; a • si forte Venua solito splendidius scintillarit, in cometam abierit; si nubes ad Solis oceasum non se subito abdiderit crucemque formaverit, monstri id loco lmbeatur. Sed liaec sibi babeat vulgus, piuma levius: in Ime enim sapientum corona de bis alitcr mihi agendum. Mernor igitur, imam me mathematici sustinero personali!, ea bodierna 20 die discutienda mihi proponam, quae scientiae nostrue tines, solius quantitatis terminis inclusos, non cxcedant. Quare horum ignium locum mot uni ac rnagni- tudinem si exposuero, meas mihi satis explesse partes videbor. Ncque enim si¬ nistra ad vos hodie cornix, aut malus malorum praecentor bubo, ab bisce cometis accedo: pestes, fames, bella praenuncient, quos linee iuvant. DISTANTIAM COMETA E A TERRA PRORE VERAM ISQllIÌKUK. PROBLEMA. Ut igitur ad rem tandem accedaci propius, facti primula voluti retexens bistoriam, edisserain paucis tempora singuloruiu ac motus, quavo caeli plaga l'ulserint aperiam. ao Augusto mense ex pluribus Italiae partibus perlatum ad nos fuit, visum per eos dies cometam Ursae Maioris postremos pedes lambentem. At nos, qui Ve- nerem subindo ignarae plebi cometae loco fuisso audieramus, simile quid etiarn eo tempore suspicati, vigiles illos excubitores facile lmllucinatos oxistimavimus: sed constanter de eodem iterum admoniti, deque eiusdem mota ccrtiores facti, DISPUTATI0 ASTRONOMICA. 27 sapere tandem voluimus, sed sero ; iam enim evanuerat. Rumor interim aliis e locis increbuit, sed inccrtus, cometem fulsisso; dunque ne liic quidem fidem a nobis extorqueret, litterae tandem nostrorum ex Germania perferuntur, quibus ignem cundem eodem ibi visura tempore narrabatur ; collatisque Italiao ac Ger¬ mania© observationibus, repertus est die 29 Augusti inter duas 22 et 39 Ursae Maioris stellas fuisse, suoque motu, quatuor dierum spatio, ad anteriores pedes pervenisse, ita ut sccunda Scptcmbris sub informibus 33 et 34 conspectus sit, duodecimi circiter graduum itinere confecto, ibique tandem evanuerit. Quid enim minim si gelidos inter Trioncs nullus esse possit ignis diuturnior? Magnitudo io vero eiusdem staturam hominis aequabat; cauda omnium testimonio vergebat in africum, quo piane illam Solis splendor dirigebat: qua© omnia in Ursae asterismo descripta licci intueri. Die vero 1S Novembris, ortum inter et meridiem, novus alter ignis emersit, ex corum numero quos *xiphias vocant, gladii figura; tenuissimi ille quidem splendoris, at magnitudinis iantae, ut angulum visualem efliceret graduum cir¬ citer 40. Ilio etiam, quamvis motu primi mobilis ab ortu in occasum raperetur, suo tamen etiam nutu in eandem partem ferebatur ; ex quo fiebat, ut quotidie lixa ipsa sidera cursu pracverterct. Cumque primo, quo nobis visus est, die Cra- tcris astris proxime minaretur, die postea 29 Novembris parum aberat quin ipsum 20 cor Hydrae suo mucrone configeret; pars vero ipsius inferior, cum prius ad hu- meros Centauri pertingeret, sub ipso deinde Hydrae triangulo visa est: ex quo factum, ut suo motu undecim dierum spatio gradus 24 prope percurrerit. Sed nimirum ignes hi, qua magnitudinis, qua splendoris inopia, gelidos eo tempore ex aquilone hominum animos non multum incenderunt, minusque cligni exactio- ribus observationibus habiti sunt: nec proinde diutius in eorum examine nobis crit immorandum. Ad tertium propero, qui, ut caeteros lucis magnitudine ac diuturnitate supe- ravit, utque praeclare, scilicet viae ac vitae suae institutis rationibus, omnium in se, dum vixit, convertit oculos, ita, nupcr extinctus, hanc velati iure suo a vobis 30 funeris sui porapam, a me vitae laudationem, exposcit. Quo in munere quoniam a dicendi magistris minime discedendum rnihi existimo, ab ipsis propterea primum natalibus orationis argumentum sumens, patriam prius cometae ac parentes in- quiram, ac per illustrala postea clarissimae vitae circulum ad non obscurum Alter, die ISNovoin- bris. *Plinius,lib.2,o.25: in nuioroaern fastidia¬ ti, omnium pallidissi¬ mi ot sine uilis rndiis. eiusdem mortis genus viam milii aperiam. Ut autem caelestes inter regiones nostri cometae natalem plagam agnoscamus, statuendum prius est de natali ipsius die aliquid : neque enim omnibus eodem primum tempore conspectus dicitur. Sunt qui die 14 Novembris primum illuxisse dictitant; non desunt qui diem 26 vitae primam illi fuisse asserant; plurimi denique sunt, ac pene oinnes, qui illum non ante 29 sibi conspectum affirmant. 40 At ego illos quidem qui die 14 lucern hanc in lucem editam volunt, deceptos 28 DE TRIBUS C0METI8 ANNI MDCXVIII alterius ac praecedentis trnbis specie facile crediderim, cum praescrtira nullam trabis aut alterius prioris impressionis faciant mentionem ; existiinasso proindo, cundem ignei» fuisso trabom et csometem ; codoni enim pene tempore quo hic videri caepit, illa desiit. Addito hoc otiam, bì placet, cometcm lume suo motu quotidie tres propo gradua porcurrisse; quaro si 29 Novcmliris sub lance boreali visus est, dio 14 in collo Lupi videri debuit, quao cadi pars duubus fermo horis post ÌSolis exortum emergebat, nec in tanto Solia splendore facile conspici potuis- sot; nequo nos aliique astrorum observatores adeo cacci fuimus, co praesertim tempore quo intentissiinis oculis, trabis metientes cursuni, cadimi omne lustra- bamus, ut lucidissimaui facem, vcl in media Soli» luce micantem, non agnosce- io remus. Scd unius, aut certo paucorum, auctoritas facile aliorum nobiscum Ben- tiontium numero obruitur. Itomae enim vix ullus est, qui miti 29 illuni inspexerit; idem nostri Mediolanenses, idem et Parmense» asserunt; idem Oeniponto ex Germania, idem ex Gallia et Belgio pcrlatum. Quamquam minimo reiiciendos illos temere existimarim, qui dio 2(ì sibi coraetam visti in asseverant ; ea enim ratione, si motus illius attendatur, ortus eiusdem in eclipticam incidit, co plano loco quo Sol et Mcrcurius, post longos viarum emensos anfractus, paulo mite, hoc o- est rnensis eiusdem die 4, una apud Scorpium hospitati sunt : par enim fuerat, ad lautiorem ac splcndidiorem coenam tantis hospitibus parandam, facem etiam lucidiorem accendi. 20 Verum, quaecunque tandem ex bis prima cometae lux fuerit, illi sempcr Scorpius patria est. Die siquidem 2G graduili 14 ‘/a prope in ipsa ccliptica at¬ tingiti a t 29 novum lume foetum statuit in longitudine graduimi circiter 11 '/a lan- cem inter utranque, in latitudine vero boreali graduimi fero 7. De cometae parentibus iam si quia ex me quaerat, quamquam hoc non astro¬ nomi, cuius personam sustineo, scd astrologi munus i“st, quantuin tamen mihi, pliysiognomicae artis homini band sane peritissimo, ex ipsius foetus vultu et colore coniicere licet, Mercurii prolem dixerim. Sic enim oculos, sic ilio manus, sic ora ferebat; hoc est, quamvis, cum Soli cometes proximus esset, aureus pene Lucifer eidem praeluceret, ubi tamen longius ab oo roees-.it, expalluit illico, ac so mire varius Mercurium in vultu gessit. Aiunt plerique, principio, Martis se in eo colorerà agnovisse: fuerit hoc sane, cum in Scorpio, hoc est in Martis praecipua domo, natus sit-; pulcra enim facta permutatone inter Mercurium et Martelli, alter alterius tunc domum incolebat, Mercurius videlicet Scorpium, Mars Virginem. Scd nimius hic ego sum ; diligentius ista astrologi perpendant, foetum bonao obstetiices excipiant, vultus delinearaenta considerent attentius, varias ei vitae vicissitudines fatidici Protei praedicant, extremum lucis diem praenuncient : ego, quod ad me attinet, patriam eius inquiro, quam Scorpium fuisse affirmo, cunctis etiam assentientibus. Cum tamen haec plaga, ut reliquae omnes, ab ipsius Terrae medio ad firmamentum usque protendatur, ut astronomie jilacet, quanivis in ea io DISPUTATICI ASTRONOMICA. 29 comotes lucem primum Solis aspexerit suamque diffuderit, quaeri taraen ulterius potcst-, in ima no an in suprema huius domicilii parto editus sit: hoc enim illud est, ut diserte dicara, quod hoc tempore maxime quaeritur, in aere ne fiaut ignes huiusmodi, an vero inter perenne» iilas flammas materiam sortiantur et locuni. Qua in re illud primum apud vos statilo : rem quamcuraque inter firmamontum et Terram constitutam, si diversi» e locis spectetur, diversis etiam eiusdem fir- niamenti partibus responsuram. Sit enim Terrae globus in figura parallaxis QAC, firmamentum HNP, res quaecumque inter utrumque collocata in T, urbcs duae in Terrae superficie di¬ io stantes inter se A, Q : dico, si ex bis duabus urbibus res T spectetur, non in eodem firmamenti puncto videndam esse. Radius enim visualis ex A tendens in rem T feretur recto ductu in P ; radius vero ex Q proccdens per rem eandem T tcrmi- nabitur in M: quare si fuerit in firmamento asinini aliquod, verbi gratin In, spoetanti ex Q res T distare videbitur ab eodem astro N toto spatio MN; spectanti vero ex A, distare eadem res T ab N videbitur toto intervallo PN ; quae inter¬ valla seu distantiae differunt inter se toto arcu MP. Haec igitur differentia parallaxis, seu diversitas aspectus, vocatur. Minuitur autem haec tanto magis, quanto fuerit res visa a Terra reniotior. Si enim, iterimi, res eadem statuatur in S, radii visuales ad illam ducti ex A et Q, productique 20 ulterius, cadent in L et 0; eritque apparens distantia ab astro N, spectanti ex A, arcua ON, intuenti vero ex Q, arcus LN ; quorum differentia est arcus LO, multo minor quam esset antea: erat enim prior differentia arcus MP. Si denique res visa in ipso fuerit firmamento aut ab eodem non admoduni distans, nulla erit aspectus differentia. Quocunique enim e loco spectetur sidus K in ipso firmamento affixum, semper in K apparebit, eritque perpetuo ipsius distantia ab astro N arcus KN. Hinc ergo manifeste deducitur, si cometa e diversis locis spectatus et cum fir¬ mamenti stellis comparatila eandem ubique ab iisdera distantiam servet, illuni aut in ipso firmamento, aut certe ab eodem non longe semotum, existimandura ; so si vero parallaxim patiatur, tanto infra firmamentum collocandum, quanto maior fuerit aspectus diversitas. Quibus positis, affirmo primum, cometam hunc nulla ratione in suprema aeris prima assedio, regione constituendum, quamvis eadem regio a superficie Terrae distare ponatur milliaribus 100, cum tamen communiter solimi 00 ei tribuantur. Hac enim posila distantia, adirne minima parallaxis quae inter observationes Romanas atque An- tuerpierises, verbi gratia, possit accidere, erit arcus maior quam graduimi 56. Si enim in terrestri globo QAC fuerit Antuerpia in A, Roma in C, distantia utriusque gra- in Ogi»» parallaxis. duum 12, minutorum 48, hoc est milliariorum nostrorum 800, posita semidiametro Terrae ex Ptolemeo milliariorum 3579 6 /n ; quoniam in triangulo isoscele ABC 40 cognitus est angulus B graduimi 12, minutorum 48, cogniti erunt et reliqui duo, 30 DE TRIBl’S C0METI8 ANNI MDCXVni acquale» gingilli graduimi 83, minutorum 36: quare fogno-utur *>tiani l.itn AC milliariorum 798. Et quia minima parallaxis in obhervationibu» diversoruiu locorum contingit quando uni lune primum re» visa ab horizouto cmergit, »it ergo radius spectantis ex A recta AK, perpendieuluri» ad AH ac proinde eia- horuonti parallela, aitque E punctuin supreiuae regiouis, in quo rea vis i jmnitur : tendent ergo railii AK, CE, postquam scso intersecuerint in E, in parte» diverga» II, 1, eritquo angulus 1KH angulus iliversitatis aspoctuum, cuius quantità» Imo ratione invenietur. Produca^ tur HA usquo nd D, sitque Al), distantia supremae regioni» a Terra, millinrio- rum 100; orit ergo tota BD, composita ex Terrae semidiametro et hac distantia, milliariorum 3C79 ®/n. Abiecta vero fractione, staluatur BD tamquam situi» totus: io erit tunc AD sinus versus arcua ED, et AK si rum reclus oiu.»deiu. Si igitnr fiat, ut 3679 ad simun totum 10(MX)0, ita 100 ad quartum numerimi, invenietur sinus versus AD in partibus sinus totius partami 2718; ex quo per regala» bìiuiuui invenietur sinus rectus AE partimu 23116. la in si fiat, ut 271* sinus versus AI) ad eandem rectam AD milliariorum 100, ita sinus rectus AK 23146 ad alimi, producetur eadem rccta AE milliariorum 851. Qua Inibita, qimnium in trian- gulo E AC cognita sunt duo latera AE, AG, et angulus EAC bis latoribus con- Seounda asseriio. tentus graduum 6, minutorum 24, utpoto complementum anguli CAH graduum 83, minutorum 3G, cognoscetur etiam angulus CKA, qui invenietur graduimi 56, mi- nutorum 5G : atquc liaec crit minima parallaxis, quae inter observatioius duarum so propositanun urbium uccidere potcst Omnium vero maxima erit graduum 145 et minutorum 56, quae contingit quando radii vignata aese intersecantes in re visa, verbi grati a in T, super basi AG triangulum isoscelern efTiciunt : ut, si fuori t cadem locorum distautia AQ, supremae aeris regioni» remotio a Terra recta TR, radii visuata QTM, A1P efficient angulum MTP, give ATQ (sunt enim acquale», cum sint ad verticem) ; quem triangulorum metiendorum peritus invoniet gra¬ duum 145 et minutorum 56. At in nostri» observationihus, si nini Àntuerpiensibus comparentur, diversitas aspectuum vix unquam excedet gradimi unum. Non fuit igitur in suprema aeris regione lioc phaenomenon : quod erat probanduin. Videtur, secundo, nulla etiam ratione dicenduin, hoc idem sublunare fuisse: 80 quod ut ostendam, suppono distantiam concavi lunari» a centro Terrae continentem semidiametros Terrae 34, paulo maiorem quam assignarit Ptolemeus, ac proinde distantiam eiusdem a superfìcie terrena milliariorum 118125. Si igitur in trian- gulo ABC recta CF supponatur prò tali distantia concavi lunaris, cum etiam notimi sit latus GA milliariorum 798, et angulus FAC graduum 6, minutorum 24, iave- nietui angulus CFA minimao parallaxis lunaris minutorum 3, maxima autem in tiiangulo ASQ invenietur minutorum 24. At si nostras observationes cura observa- tionibus Antuerpianis contuleris, aliquando maior erit differentia, aliquando vero minoi, quam minutorum 24: dies siquidem quinta Decembris minorem ostcndet, minutorum scilicet 16; reliquae vero observationes, maiorem. Itera si cum Farmeli- io DISPUTÀTIO ASTRONOMICA. 31 sibus conferre placuerit, quae distantia capax est parallaxis minutorum circiter 7, aliquando nullam, aliquando maiorem invenies. Accipiatur enim in utrisque dies 2 Decembris: nulla erit observationum discrepantia; ergo, nulla parallaxis: si vero perpeiulantur observationes diei tertiae, dabunt differentiam maiorem minutis 10. Tertio, si conferantur cum observationibus Oeniponti habitis die 13 Decembris, in- venietur in bis distantia cometae ab Arcturo graduum 10, minutorum 53 ; in nostris autcm eadem distantia graduum 10, minutorum 55; differunt ergo tantum mi¬ nutis 2 : maioris autem parallaxis adhuc capax est distantia Oenipontum inter et Romani, etiam si cometa in concavo Lunae statuatur. io Veruni cum lniiusmodi observationes, ut cxactissime fiant, requirant instru¬ menta adeo ingentia, ut in iis non solum gradus, sed graduum etiam minuta satis magna haberi possint, qualia Tycho Bralie regiis piano impensis construxit; liinc necessario sequitur, minus accurate in bisce nostris adscripta saltelli fuissc minuta, cum instrumentis usi simus non admodum magnis : atque liaec ratio po¬ tissima i’uit, cur in barum collatione non adeo diligenti examine usus siili. Scio enim habendam fuisse rationem horarum, quibus observationes liuiusmodi in di- versis locis, quamvis eodem die, liabitae sunt; praeterea refractionum aliarumque rerum, quarum disquisitio multo diligentiores requirobat observationes. Quare si cui etiam ex hoc capite suspcctae videantur, unum proferam ab omni instrumen- 20 torum fallacia remotissimum. Die igitur 13 Decembris cometa decimam Aretini stellam Roinae fere texit. Optavimus enim vero timo alibi hoc idem phaenomenon observari ; si enim in aliis etiam regionibus eodem tempore eadem stella cometae proxima observaretur, nullum maius atque evidentius optari poterat argumentum, quo demonstraretur nullam aut perexiguam parallaxim cometae fuisse, cum boc absque ullo instrumento, unico oculorum intuitu, observari posset. Contigit autem id nobis ex voto : praeteritis enim diebus Coloniensis cuiusdam observationes ad nos pervenerunt, in quibus boc inter caetera advertiraus, eodem die decimam Bootis stellam ex parte sub cometa latuisse. Habetis igitur ex parallaxi uteunque observata, non sublunarem, sed piane caelestcm, fuisse cometam nostrum. 30 Quod si quis nihilominus buie parum fidendum existimet, minusque certo de- monstrari boc putet, illud certe negavi non potest, quando nulla in gradibus dif¬ ferenza reperitili*, sed in minutis tantum, etiam si concederemus illuni sublunarem fuisse, ab eadem tamen Luna non admodum remotum existimandum. At ex hoc ipso ostcndam, sublunarem esse non potuisse. Fuerit enim eius distantia a centro Terrae milliariorum 121704; erit ergo liaec semidiameter regionis cometae, ac proinde circuìus hac semidiametro descriptus, ex geometricis regulis, erit milliario- rura 76499C Vi ; ex quo circulo cum die 12 Decembris sibi cometa, una cum cauda, adscripserit gradus 60, quibus respondent in eodem circulo milliaria 127499 Vs, tantae propterea longitudinis re vera tane fuisse dicendus erit. Et cum latitudo 40 ipsius minima observata sii minutorum 2, hoc est milliariorum 70 l 'h, si liaec po- Minor quam semi* d inmoto r Lunae. y 32 de TRI BUS COMETIS ANNI MDCXVI1K 29 Novembris. 9 Decombris. Sodimi um argu muntimi. nantur prò diametro unius circuii, invenietur eiusdem circuii area milliariorum quadratorum circiter 3850; quae area si ponatur prò basi cylindri, cuius longitudo cometae longitudini sit aequalis, prodibitex multiplicatione tota eiusdem cometae soliditas milliariorum cubicorum 490871150. At si cometa sublunari fuit, ex Terrae halitibus succendi debuit. Ignis autem adeo imraensus, quantum, Deus bone, pabuli tanto tempore consumpsisset V et urnlo Terra vastissimi» tlammis id suppeditari potuissot? Non erit igitur sub Luna collocando*. Non fuisso autem corpus hoc igneuin ac propria clarum luce, illud etiam inter caetera persuadet : quod ipsius cauda in eam fermo partein somp«*r vergeret, in quam linea a Sole por cometnc corpus ducta temlebat. Sole enim posito in io gradii 7, minuto 12 Sagittarii, cauda ferebatur ad atellain 15 Virginia ; cura autem ad graduiti 17 Sol pervenisset, cauda in 29 informerà Ur»ao Maioria dirigelmtur; quod etiam contigit in primo comete inensis Augusti, qui. Sole in Virgine exi- stente, in oppositam partem caudam perpetuo convertit : quae omnia satis osten- dunt, cometae corpus Solis piane, non suo, fulsisso lumino, in quo solare» radii, aut refracti aut repercussi, ulteriua procederent et caudam formarent ; oa flirtasse catione, ut Keplero placet, qua Solis eiusdem radii in crjstallmum globum inci- dentes, refracti ad aliara partem coeuntes, lucidius splendent. Alterum argumentum, quo lioc idem probatur, ex cometao motu desumitur. Inipressiones enim ignitae nullum lmbent regularcm ac certum motuin, sed eo 20 feruntur, quo vel pabulum cas rapit, vel ambiontis rnotus impellit: nostri autem cometae rnotus sibi semper constans fuit, et mutui plnnetarum non absimilis. Ut enim multis obscrvationibus compertiun est, movebatur in Bcptentrionom ad 30 Anguis ardici stellam, absolvcns singulis diebus tres fermo gradua, quamvis postremis diebus tardius movcretur; quo motu circuii in sphaera maximi partem constantissimo dcscripsit, non aliter piane quam Sol suo motu eclipticam, Luna ac reliqui planetae alios circulos maximos sub zodiaco contentos, describant. Et sane non video, mule illi tanta in elementari regione constantia esso potuissot, ut, media semper ac regia insistens via, nullum unquam in partem deflecterct, suique perpetuo propositi tenax susceptum semel iter nunquam desereret. co Viam autem cometae circuii partem maximi dcscripsisse, sic ostando. Descri- batur in plano ea caeli pars quam novus Ine ignis perca ri i t, ea prorsus catione qua plana horologia describi solenti si enim intelligatur tabella aliqua AH glolium sideieum tangere in C, oculo constituto in globi centro D, radii visivi per sin- gulas globi stellas ad planum usquo perducti notabunt in eo puncta in quibus caedem stellae essent describendae. Huiusroodi autem figurarci ante oculos po- sitam habetis. in qua roda III est meridiana linea eiusdem plani ; I, polus mundi; stella agio Arcturi N, punctum in quo erigendus est Stylus, cuius longitudo est OP; linea recta sccans ad angulos roctos meridianam propo 23 Virginis, acquatorem 1 epiaesuitat, linea cui va CNI), tropicum Cancri. Sint ergo in eadera figura in- 40 mmm 1 \ 0 MH Pnntus Jnr cenuria. vifùi eft Ut. ipAMufti ama 1618 viter ix et IMAGO EARVM CALI PARTIVM QVAS MAGNVS COMETAANNIi&a A ^9 DIE NOVEMB.VSa AD F 1 NEM ANNI PER CVRRIT OPTICE DELINEATA IN" SVffiFFIOE PLAttA qu.ce £lobum- stdereum tanfjib in pretura ocuLo -in y' J aioli centro consiituto y^ jr mo tal Steli town. A MAIOJV eie vojtenori L.PofUaiu. est Grtrcij ve n in M. verjtlatjóli /J/jr rm come m Jtdlìs Jrxis vxrijs ' 0 Insertiate ìLLEgiO ROMANO SficAirpA^Vrsaì\\. corona. ì MÌG Mg At HYDRA .LEGiG Parmensi lEgiOMfTVEKPmfSI nm AroAmE ere icctmani idem, coi erti Tiolns ,rf.Arccìm re oììrru, Pirica. DISPUTATI0 ASTRONOMICA. 33 venta loca cornetae, singulis observationum diebus respondentia: (locebit experientia ipsa, lineam rectam a puncto primae observationis ad punctum postremae ductam, transire etiam per puncta reliquarum ; huiusraodi ergo loca in una linea recto constituta sunt. Denionstrat autem Clavius noster, libro primo suae Grnomonices, propositione 11 et 12, circulos maximos in planis repraesentari lineis rectis, non maxiiuos autem lineis curvis. Ita videtis in horologiis planis atque in nostra figura meridianum, aequatorem, coluros ac reliquos circulos maximos lineis rectis de- scribi ; tropicos vero, polarem circulum aliosque non maximos, lineis curvis CND, LBG. Kuit ergo, quod erat probandum, motus cornetae per circulum maximum, io ac motui planetarum persimilis. Iam vero quid illud est, quod tabulati oliin sunt poetae, ex motu incessuque cognosci solitos Dcos, adeo ut qui Deorum incederet more, Deus haberetur ? Ila piane Venerem matrem apud Virgilium agnovit Aeneas. An non igitur etiam lux Aeneìdos 1 . haee suo ilio venerabili augustoque incessu Dea patuit? hoc est, non ex liuius Terrao sordibus in aere succensa, sed caelcstia inter lumina sedem sortita, ubi, morilms caelo plano non indignis, caduco quamvis splendore ac brevi fulserit, nulla tamcn unquam in re, dum vixit, eidem caelo, ex quo caelestem bauserat iudolem, se dcgencrem pracbuit. Illud, tertio loco, hoc idem persuadet: quod cometa, tubo optico inspectus, Tertium nrgumon- 20 vix ullum passus est incrementum ; longa tamcn experientia comportimi est atque opticis rationibus comprobatum, quaecunque hoc instrumento conspiciuntur, maiora videri quam mulis oculis inspecta compareant, ea tamcn lego, ut minus ac minus sentiant ex ilio incrementum, quo magis ab oculo remota fuerint; ex quo lìt ut stellae fixae, a nobis omnium remotissimae, nullam sensibilem ab ilio recipiant magnitudinem. Cum ergo parimi admodum augeri visus sit cometa, multo a nobis remotior quam Luna dicendus erit, cum baec tubo inspecta longo maior appareat. Scio hoc argumentum parvi apud aliquos fuisse momenti: sed hi fortasse parimi opticae principia perpendunt, ex quibus necesse est buie eidem maximam inesse vim ad hoc quod agimus persuadendum. so Ut ergo iam cornetae locum prope veruni statuamus, dicimus probabiliter Cometuo locus. Solem inter ac Lunam illuni statili posse: quoniam enim eomm luminum quae propriis cicntur motibus certa lex est, ut quo moventur tardius, eo altiora sint, cum motus nostri cornetae medius sit inter motum Solis ac Lunae, inter utrumque propterea collocandus erit. Si ergo eius a Terrae centro distantia ponatur millia- riorum 572728, erit circumferentia liuius semidiametri milliariorum 3000004 4 /7 ; Comoino mole*, gradus autem 00 in codem circulo auferent milliaria 000000; et tanta erit cometao longitudo, respondens dici 12 Decembris. Latitudo vero duorum niinutorum auferet milliaria 333 ; quae si ponantur prò diametro circuii, erit liuius circuii area mil- liariorum quadratorum 87127; quae si multiplicentnr per longitudinem cornetae io milliariorum 000000, producent totani eiusdem soliditatem milliariorum cubico- & vi. 34 DE TRIBU8 C0METI8 ANNI MDCXVin DISPt’TATIO ASTRONOMICA. rum 5227G200000. Solidi taa vero solius corporis, abiecU ramili, inv.-nietur milliario- rum cubicorum 19361555 circiter: in bis enim calculis saepe abi<« ta«* Bunt fractionee. Unum postremo loco solvendum remanet, quod nonnullos diu tursit. Nam cum cometa, arctico circulo proximus iam fuctus, numquam occumboret, vidcri proinde tota nocte debuerat: observatum tamen est, non nini post medium noctem in conspectum venisse. Quod ideo ego factum aatialimo, quia cum •*<* tempore tenuis¬ simi esset splendoris, vaporibua, circa horizontem densioribus, facile obdurebatur, in partibus praesertim borealibus: hoc eniui non cometa»* sidum, -ed ip-is quoque steliis in Ursao Maioris cauda positis, contigi-se eo tempore advertimus; hae siquidem horizonti proxinme densis-imos inter vapore* voluti isti lieta e latitabant, io inox ex iisdein paulatim emergentes accendi iterimi videbantur. Habetis igitur quid de coinetau motu, loco ac magnitudine sentimi!. GRATIARUM ACTIO. Cometam, quod eodem prorsus loco omnibus fui-eri t, quod enndem se«e ubique locorum ostemlerit, cacio dignum, ac sideribus proximuni collocnndum, existima- vimus. O utinam idem mihi nunc apud singularem bunianitutmi vestram con- tingat, viri ornatissimi, ut nimirum acque omnibus ojieram bodie meam proba- vcrim, eodem ac plano sublimi omnibus loco fuerint rationum raearum inomenta, aeque apud omnes in cometaruni patrocinio |M*roraverim. Hoc enim si egerirn, nil est quod cometae invideam, ac felici adeo successu laetus 20 Sublimi feriam stilerà perite \ Finis. 35 Imprimatur , si videbitur Reverendissimo P. Magistro Sacri Palatii Apostolici. Caesar Fidolis Vicosgerons. Imprimatur. Fr. Gregorius Donatus Roinanus, Magnifici et Reverendissimi P. F. Ilyacinthi Petronii Romani, Sacri Palatii Apostolici Magistri, socius, Ordinis Predi¬ cato ni m. DISCORSO DELLE COMETE. CON ALCUNI FRAMMENTI Al) ESSO ATTENENTI. DISCORSO DELLE COMETE DI MARIO GVIDVCCI FATTO DA L V I N ELV A CC A DE M 1 A FIORENTINA NEL SV 0 MEDESIMO CONSOLATO. IN FIRENZE Nella Stamperia di Pietro Cecconcelli.Alle Stelle Medicee. u> i p. CON LICENZIA DE' SVFERIORl. AL SERENISSIMO LEOPOLDO ARCIDUCA D’AUSTRIA. Io ho preso animo di dedicare a V. A. S. questo mio brave Discorso dalia Comete, assicurato primieramente dal trovare appo di lei, ne' riposi de suoi reali affari, luogo non vile il favor delle lettere , e in particolare la specula- zion delle cose del cielo, come oggetto più d } ogni altro proporzionato all’ al¬ tezza della sua mente, maggiore dello ’mperio per cui V angusta sua Casa domina così gran parte del mondo. Oltre a questo mi hanno reso ardito V ec¬ cessive significazioni d! a ffetto, che ella, passando di Firenze, si degnò di mo¬ lo strare inverso ’l Sig. Galileo Galilei, Matematico e Filosofo di questa Serenis¬ sima Altezza; poiché, non essendo altro ilprincipal fondamento di questi miei scritti se non V opinioni ch’egli Ita tenuto delle comete, non ho dubitato punto di poterle comparire avanti con questa piccola offerta , come cosa nella quale ha sì gran parte quello ingegno sovrano, cotanto stimato da lei . Finalmente, più d’ ogni altro mi ha fatto risolvere il desiderio di V. A., dimostrato con sue benignissime lettere al medesimo Galilei, d’intendere V opinion sua intorno questa materia: per le quali tutte cagioni ho sperato dalla benignità sua non solo aggradimento, ma protezione. Supplico dunque V A. V. a soddisfare alle mie speranze, e riconoscere in me la divozion dovuta da tutto 7 mondo al¬ zo l’ eroica sica virtù, ma particolarmente da noi, i quali ci gloriamo d’ esser sudditi e vassalli della Serenissima Arciduchessa Gran Duchessa di Toscana, degna sorella di V . A., la quale, come feconda pianta in questo nostro terreno traslata, ha così felicemente que’ frutti prodotti , ne quali, come che non ma¬ turi, si riconoscono però i pregi della reai stirpe Austriaca. La quale, insieme con la Serenissima Persona di V. A., il Datore d’ogni bene per singolare interesse della Cristianità segua di prosperare, sì come ne ’l prego coti tutto V animo, col quale a V. A. fo umilissima riverenza. Di Firenze, il dì 8 di Giugno 1619. SO Di V. A. /Serenissima Umilissimo e Divertissimo Servo Mario Guiducci. DISCORSO SOPRA LA COMETA. Quantunque, valorosi Accademici, la maravigliosa fabbrica di questa universa! macchina del mondo sia esposta a gli ocelli di chiunque la vuol riguardare, nè ninno ci abbia che da così ammirabile spettacolo sia discac¬ ciato ; ci ha nondimeno una parte, la quale, essendo più veneranda del- r altre, non ammette dentro so qualsivoglia, ma solamente si può da co- Sono, valorosi Accademici, de’ naturali effetti così nascoste ed incognite le cagioni, che quanto intorno ad esse dal principio del mondo si è da’ più subbiimi ingegni sin a quest’ora investigato (1) , minima parte può dirsi, e io quasi, per la sua piccolezza, insensibile, verso di quello che ci resta a sa¬ pere. Vero è che non per tanto anno gli uomini scienziati, così ingenua- mente come conveniva, il difetto della nostra natura o la comune igno¬ ranza in loro stessi confessata : ma stimando più V applauso del volgo (cui della loro sapienza, in rispondere con prontezza e risoluzione a qualunque domanda, rendevano ammirato) che M soddisfacimento proprio e de’ più in¬ tendenti, a poco a poco a perversamente discorrere si avvezzarono. E come che da principio ciò artatamente e per mantenersi in cotal credito faces¬ sero, non di meno questo costumo trapassò in natura ; e per giusto giu¬ dizio quelli ingegni i quali, cercandone, avrebbero la verità circa le più 20 dubbie ed ascoso questioni ritrovata, se non 1 ’ avessero vilipesa, ed a lei una vana e fanciullesca ostentazione anteposta, poi, cercandone da senno, ne smarrirmi di maniera la strada, che, a guisa di Tantali, dadi’ acqua e (l> « sin a quest'ora investigato * è stato parliamo nell'Avvertimento, in «investigato corretto, probabilmente dal revisore del quale sin a quest' ora ». 44 DISCORSO loro penetrare, i quali sono a una molto subbiano dignità innalzati. Questo luogo cosi eccelso ò la ragione con la quale tutta questa artilizioHitvdma mole si governa, alla cui contemplazione solamente gl’iniziati nella filo¬ sofia vengono introdotti. Ma nò ancor <*si, quanto loro aggrada, possono gli occhi per ciascuna sua parte a (Usare, a . i ga el a aia Uni inda lo splendore elio da tutti i lati vi si diffonde, e così folta la caligine che riempio la detta parte, oh’ a’ vi ai coni la l 1 animo, quanto ogni da i pomi, cioè dalla cognizione di coso anco triviali c*d ordinarie, furono ributtati o tenuti a dietro. Cossi infelice successo non ha di modo ammaestrati gli altri e fattilo avveduti, elio ogni giorno non si trovino di quelli i quali, millantandosi di loro scienza, dichino di cibarsi alla mensa dogli Ilei o cho gli avanzi l’ambrosia, quando mendicano il pane e a frusto a fruito 1’accattano dal- T autorità eli questo o di quello, la libertà del proprio intelletto, por avorio, impegnando. Altri, senza avvisare presa o vantaggio, alla 'lupaz/.nta 6 con una certa furia con la verità h’ affrontano, la quale, nuda • v ado come eli’ò dipinta, agevolmente dal nostro apprendimento ^guitti? < o : anzi non la può il falcono del nostro intelletto investirò, se lunga traccia non ne anno fatta i sensi; nò può il nostro arco ferire il sogno, se non ci met¬ tiamo in acconcio, se diligentemente non pigliamo la mira, imitando Fi- 20 lotete, valentissimo arcadoro, il quale arrivava Con tardo passo il volator veloce: imporciocchò nelle scienze ù verissimo il proverbio referito da Omero o con esempio confermato : Aggi ugno o avanza il tardo il più spedito, Coni’ or Valcan, benché debile e storto, Marte, del Cielo il piu lesto e *1 più ardito, Solo imprigiona con V avviso accorto. Il tempo e padre della verità, madre la nostra monte; In quale se non si congiugne con lui, non tJ) la genera, ma in quella vece figliuoli spurii parto- ® lisce 0 . Pitagora non per altro il silenzio di cinqu’anni a’discepoli impo- ■« lesto > fu sottolineato, e, a quanto dentemente, contro la sua intenzione, è stato pare, d altra mano, fu scritto in margine aggiunto tra le linee dal revisore. 8n ! t) ° 0i ìl stato corretto, probabilmente dal non , c ìe il Guiducoi omise, evi- revisore: «partorisce figliuoli spimi DELLE COMETE. 45 sua potenza vi si smarrisca. Onde, essendo molto limitata la licenza d’ astrarre da così ricco sacrario alcuna gioia di qualche notizia, quelli che qualcheduna ce ne hanno arrecato, deono, come fortunati e dispensatori magnifici, esser tenuti in grande stima : si come deono essere ancora scu¬ sati, so la scarsità del tempo che e loro stato permesso eli dimorare in tal luogo, non ha loro lasciato, quanto bisognava, scevre le cose migliori dalle peggiori, si elio talora, in vece della ragion d’ un effetto che avevamo (lj nova, se non perchè niulia cosa a caso o inavvertentemente proferissero: e di qui e elio e’ non sono stati mai convinti del tutto di falsità, se non io dove altramente maggior lume elio ’l naturale no persuade, e che la lor dottrina è da molte dotto persone seguitata e tenuta per vera. Questa maturità si dove usare noi determinare la cagiono di qualun¬ que effetto, per noto e famigliare che egli ci sia, ma molto più nelle lon¬ tane e nello celesti, e spezialmente se elio (2) anno in loro alcuna novità. Ma egli avviene, per mio avviso, tutto ’l contrario : perchè non solamente niuno ci ha così soro e grosso che non erga al cielo gli ocelli o la monto, quando alcuno o splendore o prodigio nuovo v’ apparisce, ma nè anco le penne si possono contenere, anzi vogliono con la vista di velocità gareg¬ giare ; nò si tosto si è qualche novità veduta, che, quasi ella fusse molto 20 avanti preveduta, escono in luce scritture, le quali il piu delle volto non meno son mostruose e prodigiose elio ’l loro (s) suggetto. È spenta affatto la stirpe di quel Nino, re d’ Assiria, d’ animo cotanto abbietto o vile, il quale, non che le novità, ma, come referisce Ateneo essere nell’ epitaffio di lui registrato, Uncina non vide stelle !Nò forse al cielo il suo penaier rivolso. Io non ho bisogno, in prova di ciò, di ricorrere all’ antichità per esempli. Non ha molt’ anni che nobile ingegno della nostra patria o della nostra Accademia scoperse intorno a Giove rivolgersi quattro stelle non più ve- so dute, osservò la Luna esser montuosa o scoscesa, la Via Lattea dell’ aggre¬ gato di innumerabili minutissime stelle esser formata e composta ; nè sì tosto celeste messaggio ne ebbe dato avviso al mondo, che si videro di cotal materia pubblicati in gran copia discorsi o libri, ma così sconci e W La stampa: avavamo. stituito « ne i lontani e ne 1 celesti » o « gl’ ». M * nelle lontano o nelle celesti » e «elle » ^ < loro » è stato corretto, probabil- sono sottolineati, e di mano di Galileo è so- niente dal revisore, in * lor ». 4G DISCORSO loro domandata, non ce ne abbiano portata un’ altra. Ma, sì come eglino largamente meritano scusa, cosi non dobbiamo essere incolpati noi, se co¬ tali ragioni diligentemente esaminando, tutte ugualmente non approviamo. Imperciocché non e la mano, la (piale le porge, che lo ci renda pregiate, ma il peso, il colore e tutte V altre condizioni, per cui Toro.della verità si separa dall’alchimia, dalla mondiglia o da tutto V altro imposture. Ora, (pianto le nuove o di rado vedute cose svegghia.no ne’nostri animi mara- ripieni d’errori, che non fu uopo a confutarli imbrigarsi altri che breve tempo, poiché ebbero poco più vita che s’ abbino quegli animaletti i quali in riva al fiume Ipani scrive Aristotile generarsi, elio in uno stesso giorno io nascono, crescono, invecchiano e muoiono. Il medesimo nostro Accademico notò, il Sole essere spesse volto d’ alcune piccole macchie adombrato ed asperso ; nè a pena 1’ ebbe ad amici conferito, elio un falso {1) Apollo so ne volle far trovatore ; ma così male colorì e lineò suo disegno, che e’ fu su¬ bito conosciuto non essere V originale, ma copia, fatta, come si dice, alla macchia e da cattiva mano. E per non andare più lungamente fuor di mio proponimento vagando, la cometa die alla fino di Novembre, poco avanti il nascer del Solo, apparve in levante, può fare ampia testimonianza di quanto poco lo scrivere ceda in prontezza al vedere, essendosi pochissimi giorni doppo sua comparsa veduti andare in volta molti o varii discorsi, 20 manoscritti e stampati, i quali, oltre alla materia, figura, moto, luogo e ca¬ gione, anche la bramata significazione di quella, a quei che stavano in forse se maggior meraviglia o temenza prendere ne dovevano, dierono spe¬ ditamente ad intendere; gli animi de’quali contentandosi per avventura sì fatti scrittori d’ occupare, non anno curato che lor opre a chi le rimira con diligenza apparischino ripiene di cose mal digeste 0 inconsiderate. La costoro tranquillità non voglio io in questo mio breve ragiona¬ mento, nel quale intendo dello comete favellarvi (2) , per verun modo di¬ sturbare w : anzi, non avendo eglino in questi loro scritti cercata, non che trovata, la verità, ma si bene per Forme, o più tosto per V ombre, degli 30 altri autori camminato, se in cosa alcuna sarò loro conforme o contrario, voglio con quelli, onde traggono origine, convenire 0 contrastare. Ma per¬ chè mi potrebbe esser chiesto, se io mi presumo in questi pochi mesi, da che si vide .la prima volta in qua la cometa, averne perfettamente com¬ preso sua natura ed essenza, rispondo, o Accademici, cho il detto di So- (1) « falso » è Btatò cancellato, 0 Galileo sostituì « fìnto ». % (,) E stato corretto, probabilmente dal revisore: « favellarvi delle comete». * disturbare » è stato corretto, pro- babilmeute dai revisore, in « sturbare ». 47 DELLE COMETE. viglia maggiore ohe lo comunali o consuete, tanto ad apprenderne le ca¬ gioni debbono il nostro desiderio infiammare, e per conseguenza intorno a quelle che da altri son recato, o elio alla nostra mente sovvengono, fare il sopraddetto cimento. Onde, essendo a’ mesi passati un nuovo splendore in cielo apparito, si corno c stato degno motivo della vostra maraviglia, così sarà al presente non indegno oggetto della vostra investigazione. Per la qual cosa, proponendo quello che in somiglianti accidenti di comete hanno profferito gli antichi filosofi o moderni astronomi, e le loro opinioni diligentemente esaminando, vedrete se elle lo Stelletto vi appa¬ io gano. Appresso vi porterò quanto io, non affermativamente, ma solo pro¬ babilmente e dubitativamente, stimo in materia così oscura o dubbia po¬ tersi dire : dove vi proporrò quelle congliietture che nell’ animo del vostro Accademico Galilei anno trovato luogo, le quali, traendo origine da quel nobile e sublimo ingegno che, mediante il ritrovamento di tante meravi¬ glie nel cielo, lia non meno il presente secolo che questa sua patria illu¬ strato, non dubito elio non vi debbano al pari delle altrui conclusioni esser graziose e care. Così fosse conceduto a me di saperlevi vivamente spie¬ gare, che io non progerei meno la lode di essere stato buon copiatore, di quella che hanno voluto usurparsi coloro che d’ altre sue opinioni si son 20 orate, Io so di non saper nulla, in me pienamente si verificapoiché, doppo averne veduto 1’ oppinioni de’ più illustri scrittori che anno intorno a ciò speculato, doppo averne udito il parere de’ piu saggi uomini de’ no¬ stri tempi e doppo diligentissime osservazioni, altro non ho raccolto e stretto die dubbi, senza averne pur una piccola certezza acquistata. Spero nondimeno dover esser da voi gradito mio dubitare, come mezo atto a farvi venire in cognizione della verità, la quale non essere pur stata toc¬ cata da molti che intorno a ciò anno risolutamente scritto, penso chiara¬ mente e agevolmente mostrarvi. E por procedere con qualch’ ordine, mi farò dall’ oppinioni più celebri so degli antichi, che verisimilmente sono lo tre referite da Aristotile ; reci¬ terò le confutazioni del medesimo filosofo e insieme quel che intorno ad esso mi parrà degno di considerazione; porterò poi 1’ oppiniono d’ Aristo¬ tile con i sua (2) argumenti o le dubitazioni che sopra di quelli mi sov¬ vengono {3) ; appresso esaminerò il parere de’ moderni astronomi e filosofi ; E stato corretto dal revisore : « ri¬ spondo, o Accademici, elio in ino pienamente si verifica il detto di Socrate, Io so di non saper nulla *. < 5> - con i sua > è stato corretto dal re¬ visore in * co’ suoi *. 11 rovisore corresse: * che mi sovven¬ go» sopra di quelli ». 48 DISCORSO voluti fare inventori e fìngersi Apolli, quando co’ mal coloriti e poggio lineati disegni loro hanno dato a divedere che e’ non pareggiano nella pit¬ tura nè anche i maestri di mezzano valore. Dico dunque che 1 ’ opinioni più celebri dogli antichi sono verisimil- mente, oltre a quella d 7 Aristotile, le tre riferite da lui, d’ Anassagora e di Democrito, d 7 alcuni Pitagorici o Stoici, e d 7 Ipocrate Ohio e d 7 Eschilo, pur aneli 7 essi Pitagorici. Fu parer d 7 Anassagora o di Democrito, che le comete fussero un gruppo di più stelle erranti, le quali unissero insieme il lor lume, conformando ciò l 7 essersi, nel loro disfacimento, osservato alcune stelle apparire. io Altri dissero, la cometa essere una stella, por così dire, coeva all 7 al¬ tre, aneli 7 ella con suo periodo o moto ordinato, o che il suo comparire e ascondersi dependesse dal sommamente avvicinarsi e dall 7 allontanarsi da noi; nella stessa guisa che Marte, por la medesima cagione, ci appare nella sua maggior grandezza, o quindi tanto si sminuisco, elio, perden¬ dosi di vista, ha dato talora occasion di favoleggiare di suo esilio dalla celeste regione. Ipocrate Chio ed Eschilo, araendue Pitagorici, stimarono che, avvici¬ nandosi alla Terra una tal particolare stella, ne attraesse vapore e umi¬ dità, dove rifrangendosi il nostro vedere al Sole, ci facesse apparir quella 20 chioma. Oppone Aristotile contro Anassagora e Democrito, elio non alcuna volta, ma sempre, bisognerebbe, nel dissolversi le comete, vederle dividere in istallo; il che però non accade. Di più, non solo ne 7 congressi de 7 pianeti tra di loro, ma nelle congiunzioni de 7 medesimi con le stelle fisse (che o finalmente vi proporrò quello che (l) io, non affermativamente ma solo probabilmente, stimo in cosi dubbiosa* 2 * materia potersi diro. 8. (truppa, rov.; accostamento, Guid.— 9.t nsicme lor lume. Quid. - 11. per così dire manca noi nis. - aneV dia «ni, rov.; qual* oneste anck' «Mei, Guid. — e che, roy. ; ma che, Quid. — 13. de pendesse. o dui som- *' ìi ** lV y iCi,,ar *i ° allontanarsi, rov.; dependesse ora da sommamente avvicinarsi, ora da allontanarsi, tìuid. .. * mano Guiducxi oi a staio scritto : per la medesima cagione, ora piccolissimo ora grandissimo ci si iimosra, o con Huosto paiolo terminava il capovorso. Gwlu.ko aggiunse di suo pugno: ed ora tanto si dimi - unisce età e. tutto perdendosi di vista, ha tal or dato occasione ccc. », conio leggo la stampa, il revisore corrosso: pn a mu mmia cagione, et. appare, nella sua maggior grandezza, e quindi tanto si sminuisce, che, perdendosi tri ' lal ° " C ~ ° CC - - ltt ‘ m ‘ mi - Guifl - - 20- rov.; tulle Quid. - ei fa,- 2 Tu ??? r ° V;; » auÌd -- 2S - ,e 6 tra lo lino», sembra di mano del revisore- vederle tu tstellc dividersi, Guitì._ (l> * quello che > ò stato corretto dal re¬ visore in «quanto*. ( Dopo «■ probabilmente» Galilbo ag¬ giunse di suo pugno « o, per meglio dire, du¬ bitativamente *, o poi corresse « dubbiosa * in « oscura *. DELLE COMETE. 49 pure, come dice egli, secondo gli Egizzii, si fanno) dovrebbero delle co¬ mete apparire ; e nondimeno aver egli ben due volte osservato Giove con una stella del segno di Gemini unito sì fattamente eh’ e’ V occultava, ne però esserne seguito cometa. In oltre, essere manifesta la ragiono con la quale al tutto si toglie anclie la probabilità di sì fatta sentenza: imper¬ ciocché, die’ egli, le stelle, quantunque appariscano di varia e differente grandezza, appariscono nondimeno indivisibili ; or chi non vedo che, sì come ponendo gran numero di indivisibili insieme non ne verrebbe gran¬ dezza niuna, così por 1* appunto avvicinandosi fra di loro molti corpi che io paiono indivisibili, non parrà che facciano corpo o estensione maggiore che d’ un solo ? A questi argomenti si può rispondere, per Anassagora o per Demo¬ crito, primieramente, non sempre esser la cometa di stelle così grandi composta, che mentre son disunite ci sieno da per loro apparenti e visi¬ bili ; di più, essendo per così grande spazio le stelle fisse superiori all’ er¬ ranti, non esser forse possibile che nel loro congiugnimento uniscano di maniera i lor raggi, che un continuato e luminoso tratto ne rappresen¬ tino; in oltre, la ragione addotta per cotanto chiara e manifesta, esser così a se stessa repugnante e contraria, che, a guisa di Penelope disfa¬ mo cendo di mano in mano da un capo della tela quanto ordisce dall’ altro, abbatte nel fine della proposizione ciò che afferma (1> o stabilisce nel suo principio. La prima parte dell’ entimema racchiude due notabili contradi¬ zioni ; perche non solamente 1’ apparire di differente grandezza toglie 1’ ap¬ parire indivisibile, ma il solo apparire adopra il medesimo, non si potendo quel eh’ è indivisibile in veruna maniera vedere. Ma posto che si fatta proposizione fusse vera, falsa è nondimeno la conclusione : imperciocché dal non prodursi realmente quantità da molti indivisibili uniti insieme, non e lecito inferire che ’l medesimo parimente avvenga nell’ apparenza, quando gran moltitudine di corpi apparentemente, non realmente, indivi- 1. come dice egli ò aggiunta del rcvisoro — 2. dua volte, Guid.— 3. unito al /attamente, rov.; in maniera unito, Guid. — 5. si toglie anco la, Guid. — 0. dice egli (eosi il ms.) ò aggiunta di pugno di Gaj.ii.ro. — 6-7. quantunque apqmrischino di varai ... appariscono non dimeno indivisibili, rev. ; quantunque, di varia c differente grandezza appaiano, appaiano non dimeno indivisibili, Guid.— 9. niuna, rev.; alcuna, Guid. — 10. paiano, Guid.— 12. argumenti, Guid.— 12-13. si può rispondere per Anassagora e Democrito, rov. ; si può per Anassagora e Democrito rispondere, Guid. — 13. non sempre la cometa essere, Guid.— 1*1. composta ... appa¬ renti, rov.; conqiosta, che ci sieno, da per loro c disunite, apjxirenti, Guid.— 16. unischino, Guid.— 17. t, da¬ vanti a lor raggi, fu aggiunto tra lo lineo, probabilmente dal rovisoro.— 21-22. l)i inano del Guinuoci ora stato scritto: ciò che afferma da principio ; il rovisoro corresse: ciò che s’afferma e stabilisce nel suo principio : ma e davanti afferma fu poi cassato, non però in modo che non possa rostar incerto se ancora dobba leg¬ gersi; c cosi avvenne cho la stampa riproducesse *'afferma .— 22. dua, Guid. — 26. Di mano del Guiduoci era stato scritto Z falsa, che fu poi corretto, non ò chiaro da chi, in falsa 2.— W La stampa : s ’afferma (cfr. tra lo varianti la lezione del ms.). VI. 7 50 DISCO RHO sibili, insieme si accozzano e fanno contigui ; perchè 1’ apparire indivisi- bile altro per avventura non t\, eh*essere invisibile e non apparire; ondo se in una distanza di mille braccia un granello di grano non è al nostr’oo» chio visibile, potremo chiamarlo apparentemente indi visi bile; « pure è ma¬ nifesto, che ammassandone molti e molti, si faranno visibili o «i mostrar- ranno in gran mole. Ma non ci parfciam da nostra materia. La Via Lattea ò cotanto alla cometa rassomigliante, ohe Aristotile ha creduto e scritto, essergli, por modo di diro, sorella e d’ una medesima «* aluxion generata. Questa nondimeno, come dai nostro Accademico n’ è stato latto chiara¬ mente vedoro, è composta e formata di piccolissime stelle, ciascuna da per k se al nostr’ occhio invisibile; e pure occupa ella cosi grande spazio del cielo. Onde si potrebbe, per Anassagora e Democrito, ritorcere Y argo¬ mento in questa guisa contra '1 Filosofo : La Via Lattea è cosi alla cometa di coloro o di lume rassomigliante, eh’ ella è, per tuo detto, della stessa materia; ma ella è un aggregato di minutissime stello; la cometa dunque è, conformo al tuo discorso, composta di molte stello. Non però, essendo false Y opposizioni d’ Aristotile, A vera la da lui va¬ namente oppugnata sentenza. Perciocché, come dice Seneca, vedendo noi spesse volto avvenire congiunzion di pianeti, non reggiamo tuttavia co* mete, come dovrebbe accadere s’ elle in tal maniera si producessero : nè 20 elle tanto tempo durerebbono, anzi svanirieno in un tratto, per la velo¬ cita del corso di quelle stelle onde funsero cagionate; che però brevissimi sono gli eclissi, perche la medesima celerità eh avvicina e congiugno, di¬ scosta parimente e disunisce, lo stello. Nò piu francamente vien dal medesimo Aristotile impugnata la se¬ conda opinione, altro non lo portando in contrario se noti che, dovendo necessariamente o per lor natura tutte le stelle erranti far lo loro revo- lozioni sotto 1 zodiaco, dovrebbero anello lo comete, essendo di lor bri¬ gata, apparir sotto 1 medesimo cerchio; e pure essersene molte volte vedute, che si raggiravano fuor di quello. Contra .li ciò esclama, e ragione- » volmente, Seneca; Chi ha posto questi confini allo stelle? chi racchiude 4. potremo ... ayparmUemato, rcv.; potremo dir. «chi gradi, fluid. - del cerchio tua, il quale, rov.; del \uo cerchio, iputle, fluid.— 3-7. I»» K te ji tr.jur o aggiunta di mano di («AULICO. 3. per schivare un tanto, (ini. — 8. a dottate cantra, rer. ; che oprù cantra, fluid. —8-9. cantra la terza, fluid. IO. le quali estendo, fluì.; «ria estendo clic, fluid. —11. tentn tcrarmiti contro, TOT.; « lieva tu, fluid. 18. verso, rev. ; contro, fluid. — vadano, fluid. — 19. m agnato, fluid. — «8. tenda refezioni, fluid. 24. con l csemjno, fluid. 25. delie verghe e de’ porri li è uggimit » di mano di («aulico. — 25-26. i quali scudo, fluid. -- 26-27. recessioni ... loro, r or.; re fi etti ani, «imo con tutto mi comportati ed ? permesso loro specchiarsi, fluid. 29-30. sia appoggiala a più proba!* lì conir dure, ror. ; nu c« più proinibili coniettur* appoggiata, fluid. — 30-31. o pure se non meno ella di quell altre titubi, che egli ha preteso di confutare, fluid.; . o pure se ella non meno titubi di quell altre che egli ha preteso di confutare, («al. — (,) La stampa: è. DELLE COMETE. 53 Egli suppone, la parto del mondo elementare contigua alla regimi ce¬ leste essere una esalazion calda e secca, la quale, insieme con gran parte dell’ aria sottopostale, venga dal movimento del cielo traportata intorno alta Terra ; dal qual moto accade talvolta, che essendo cofcal vapore ben temperato, s’ accenda, e allora si fanno le stelle elio noi ehiamiam discor¬ renti. Ma quando in questa suprema region dell’ aria s’ adunerà e conden¬ serà una materia atta ad incendersi, e dal moto do’ corpi superiori le so¬ pragi ugnerà un principio di fuoco, in guisa temperato di’ e’ non sia tanto veniente eli’ o’ V abbruci e consumi in un subito, nò tanto debole che da io quella s’ estingua, o che insieme insieme da’ luoghi bassi ascenda un alito ben temperato, por fomite e nutrimento; allora, accendendosi, si fa la co¬ meta, di questa o di quella figura secondo eh’ ella dalla materia ardente vion figurata. Segue poi di porre alcuno differenze tra esse comete, fa¬ cendo loro intorno alcune considerazioni, le quali io non reputo esser necessario proporre, perdio quando, com’ io spero, si sia dimostrata vana o favolosa la presupposta loro generazione ed essenza, non accadorà per¬ der tempo in riprovare quelle conseguenze che depondono solamente da cose finte. Dico, dunque, elio 1 discorso d’ Aristotile è, s’ io non erro, tutto pien 20 di supposizioni, se non manifestamente false, almeno molto bisognose di prova : e puro quel elio si suppone nelle scienze, doverrebbe esser manife¬ stissimo. E prima, che 1’ esalazione calda e secca terminata dentro al concavo della Luna, insieme con gran parte doli’ aria a quella contigua (dato che di tali sustanze sia questo spazio ripieno, che pure ò molto dubbio) sia portata in giro dalla revoluzion coleste, credo che non sia agevolmente per essere ammesso. Imperocché, dovendosi alle celesti spere assegnare una perfettissima figura, e di più essendo 1’ esalazione di sostanza tenue e leg¬ gieri, non inclinata per sua natura ad altro moto eli’ al retto, olla sicura- 30 mente non sarà rapita dal semplice toccamento della tersa e liscia super¬ ficie del suo contiuente ; che così ne dimostra 1’ esperienza. Imperocché, se noi faremo con qual si voglia velocità andar intorno al suo centro un vaso concavo, rotondo, di superficie ben liscia, 1’ aria contenutavi dentro 1-2. la parte più contigua (lei inondo elementare alla regione cele.stc y Quid. ; la parte del mondo elementare contigua alla regione celeste, Gal.— 3. sottopostale, rov.; che le sottoposta, Girili.—3-4. ciclo traportata in¬ torno alla Terra, rev. ; ciclo intorno alla Terra portata, Guid.— 4. sendo colai, Cì ilici.— 7-8. sopraggingnerà, Guid. — 0. veemente, Guid.— 10. s’estingua, rcv.; venga estinto, Quid.— 13-14. facendoli intorno, Guid.— 16. la supposta loro, Guid. — 17-18. che da cose finte solamente dependono, Guid. — 21. dovrebbe esser, Guid. — 26-27. non sia facilmente per, Guid. — 27. sfere, Guid. — 27-28. assegnare una perfettissima figura, rcv. ; una perfettissima figura assegnare, Guid. — 28. l’esalazione sustanza, Guid. — 30-31. no» sarà rapita ... del suo continente, rev.; non sarà dal semplice toccamento della tersa e liscia superficie del suo continente rapita, Guid.— 32. andare in volta intorno al suo centro, Guid.— 54 DISCORSO resterà tuttavia nella sua quiete, come chiaramente ci im,-terrà la piccolissima fiammella d’ una candeletta accesa, ablsis-nta dentro alla concavità del vaso, la quale non solamente non verrà spenta, ni» nè anche pomat i dall'aria con- tigna alla superficie di osso vaso; e pure, quando l’ aria con Unta velocità si movesse, dovrebbe qualunque maggior lume restarne estinto. K se Tarin non participa di tal moto, meno lo riceverà altro corpo, di lei più leggieri e sottile. Ora, so posto il rivolgimento itegli orbi col, .ti, n n però ne «.ignita la circulazione doli’osalnzion contenuta, qual resterà « Ha negandoci anche tal rivolgimento? Ed è veramente mestiere rimuoverlo in tutto ed assegnarlo solamente a’nudi e semplici corpi delle stelle, p.»r non incorrer n<> gli inconve- « nienti e contradizioni, per li nuovi scoprimenti e osservazioni, già manifeste. Ma posto ancora il movimento de gli orbi e h-ti , *1 rapimento de’su- premi elementi, io non veggo però come du tuie agitazione si |K>ssa produr calore e accendimento, più tosto che freddo e spegnimento ili fuoco. Nè vorrei che noi insieme con Aristotile ci lasciassimo indurre in questo con¬ cetto, che ’l moto abbia facilità d’eccitar calore; perchè tal proporzione è falsa. Ben è vero che una gagliarda compre- ione confricazione di corpi duri è atta o bastante ad eccitar calore e nm he incendio, ben che ella sia fatta con movimento tardissimo : e rosi le girelle delle taglie in¬ sieme co’canapi s’abbrucerobbono, nientro nell'alzare grandissimi pesi, 5 » ancor elio con moto tardissimo, si sotfregano, so col bagnarlo non fossero rinfrescate; e se noi con somma velocità faremo andare intorno una gran¬ dissima ruota di legno 0 d’ altra materia, ella non si scalderà punto nè nella sua massima circonferenza, dove il moto è veloch-imo, nè in altra sua parte, ma bone s’ ecciterà gran calore nel suo as •«, nello stropicciarsi co’suoi sostegni, benché egli sia molto .sottile o però di moto tardissimo sopra ogn’ altra parte di essa ruota ; ed i fabbri comprimendo con grave martello un ferro, in pochi colpi il riscaldai! si che ne traggono il fuoco. La compressione o confricazione do’corpi solidi e duri non è senza moto; ben sono molti moti senza di lei. E perchè dalla oomprcssione, quantunque» lentissima, ne veggiamo eccitar calore, ma non già dal moto senza frega¬ gione di corpi duri, benché veloce, perciò 1’ effetto dello scaldare dal fre- gamento si de riconoscere, o non dal moto, ancor che Aristotile, avendo 1. mostrerà, Guid. — 3. ni auro piccola, Guid. — 6. reclame elenio, Gal; «.nn.», Gnid. — 0. me *o il riceverà, Guid. — 8. circolano**. Guid. — anco lai, Guid. -0. tid i ... tu ilo. rov ; -—> b - «ai.—n.» La stampa: della cometa accesa depcnda. Cfr. la variante a questo passo e cfr. pag. 58, lin. 32. Ci par molto probabile che il revi¬ sore volesse sostituire della cometa a tutte le parole che sottolineò, e che la sua inten¬ zione sia stata frantesa da chi trascrisse a pulito, o dal tipografo compositore, se è da credere che il manoscritto pervenuto fino a noi abbia servito addirittura per la com¬ posizione. <>0 discorso rata non è punto probabile eh’ osala*ioni lo quali tanto più in alto si elevano e elio però «Irono più sottili o leggieri stimarsi, abbiano poscia a durare ad ardere mesi e mesi, uni proporzione così disforme, che sarà contornila volto maggior di quella. Il diro elio dallo parto inferiori sia continuamente Homministrato nutrimento con simili aliti ascendenti, per un punto solo che si metta al ricuciniento di questa veste, panni che m- le farcia due o tre altri grandi sdruciti. Perchè, essendo il nutrimento e l'altra materia della cometa tutta una cosa medesima tornio e combustibili*, non so inten¬ derò come, appreso eli’eli’avesso il fuoco, non dovesse subito tutta io abbruciarsi. Di più, quell’alito ch’ascende a fomentar qurstn fuoco, non crederrò eli’alcun dica da tutta la superficie del globo terrestre par¬ tirsi, ina beno da alcuna regimi terminata; perchè, quando altro non fosse, dalla superficie del mare non si parte egli sicuramente, non siamo certi*” esser fatti vicinissimi alla Terra, sono «nielli momentanei e queste di brevissima durazione, ha molto dell’improbabile che esa¬ lazioni che tanto più in alto si elevano, e che però più sottili o leg¬ gieri devono stimarsi, devano poi, accendendosi, durare mi ardere i mesi, ciò è centomila e più volto più. 11 dire che gli vonga dalle parti basse continuamente sununinistrato 20 il nutrimento da simili aliti ascendenti, per un punto solo che arrechi al rattoppamento di questa vesto, dubito non gli faccia 2 o 3 altri grandi sdruciti. Perchè, essendo ed il nutrimento «> l’altra materia della cometa tutta una cosa medesima rarissima e tenuissima, non so inten¬ dere come, concepito che olla avesse il fuoco, non dovesse subito ab¬ bruciarsi tutta. Di più, questo alito che ascendi* a fomentar l'incendio della cometa, non crederò che alcuno dica che si parta da tutta la superficie del globo terrestre, ma ben da alcuna regione terminata; perchè, quando altro non fusse, dalla superficie del mare non si parte 2. e che però più tollili e leggiere devono limoni, nUimo, Citili.; e che però d-;,no più tonili t leggiere stimarsi, aliano, rev. — 3-4. ari ardere i mesi, cioè cent,aitila volle più di ./a./ir, tiuiil. |)i ninna dal revisore fa corrotta conio si loggo nella Stampa. — 5. d„lU parti, (Suiii. - B. rke mena, lìuH.; che si m.tla. ror. — 7. r he le faccia, Guid.; che se le faccia, rev- dna o Ire, Quid- lenendo . 7 nuli imeni», Uui3 chioma della cometa esse benissimo traspaiono, e nulla quasi sono offuscate. E finalmente, il volerla mantenere un abbruciamento e co¬ stituirla sotto la Luna, è del tutto impossibile, repugnando a ciò la piccolezza della paralasse, osservata da tanti eccellenti astronomi con dili¬ genza esquisita. Ma siaci per ultimo argomento dell’ improbabilità di tale opinione il pronostico stesso eh’ egli trae dalle comete, il quale è tale : Quell’ anno nel quale si saranno vedute molte comete e grandi, sarà molto asciutto e ventoso, perchè, essendo l’esalazione calda e secca materia comune de’venti io e delle comete, la frequenza e grandezza di queste arguisce la gran copia di tale esalazione, ed in conseqnenza la siccità futura ed i venti. Ma se le comete non sono altro che abbruciamenti di tale esalazione, certo che quanta più sene abbrucia, tanto manco ne resta, non avendo la natura mezzo più violento dello ’ncendio per repentinamente divoraro, distruggere e ridurre al niente; onde alla grandezza e moltitudine delle comete succeder dovrebbe stagione men che mai ventosa ed asciutta, per il gran consumamento fatto della materia arida e flatuosa. Queste sono, o Accademici, l’opinioni più famoso della cometa, elio sin qui mi son venute alle mani; tra le quali mi pareva di potermi 20 assai probabilmente quietare, quanto al suo producimento, in quella cometa esse benissimo traspaiono, e quasi niente vengono offuscate. E finalmente, il volerla mantenere un abbruciamento ed insieme esser sublunare, è del tutto impossibile, repugnando a ciò la piccolezza della paralasse, con tanta diligenza da tanti valenti astronomi osser¬ vata. E cbi non si quieta a questa ragione, sia sicuro o di non l’in¬ tendere, o di non intender che cosa sia necessità di conseguenza. Queste sono, Signori Accademici, le opinioni più famose . come a me paiano, Gold. —R. il rotante del «tetra manto MforM «4. fwrra la Jan* i.Guid.— 0. gli astronomi pii ì celebri , fluid.— 10-11. ma gli Unno anru tra i corpi denti an~r*at" conveniente, Ollid. - 12-1G. effemeridi. Tra quali, come di cedui ehe pili diffusa mente e con maggior confidenti degli altri ne ha trattato, censurando gli scritti di tutti gli altri, ruminerò i fondamenti p, incintali di Tirane /trae, e de 1 Professore, Gllìd.—• DELLE COMETE. 65 scrittura ultimamente pubblicata pare cbe sottoscriva ad ogni detto d’ esso Ticone, aggiugnendovi anche qualche nuova ragione a con- fermazion dello stesso parere. Dico dunque, con questi autori principalmente parlando, che lo Rife¬ rire la molta o poca distanza degli oggetti dalla piccolezza o grandezza della parafasse, che sin qui ò stato riputato argomento tanto sicuro, che niuno di quelli i quali a pieno ir hanno compresa la forza non vi ha posto difficoltà, nondimeno, se noi lo considerremo più acuta¬ mente, lo troverromo metodo esso ancora esposto (l> a molte fallacie, io volendocene noi servire intorno a tutti gli oggetti visibili, tra i quali molti ne sono che, nel determinar loro il sito e la positura, invalido resta cotal effetto. Sono gli oggetti visibili di due sorte: altri, veri, reali, uni ed immo¬ bili ; altri sono sole apparenze, reflessioni di lumi, immagini e simulacri vaganti, li quali hanno nell’ esser loro tale e tanta dependenza dalla vista de’ riguardanti, che non solamente nel mutar questi (2) luogo essi ancora lo ed apresso de i Padri del Collegio Romano, come quelli elio in una loro scrittura ultimamente pubblicata par che sottoscrivino ad ogni detto 20 di esso Ticone, e vi aggiunghino anco qualche nuova ragione in con¬ fermazione del medesimo parere. Dico dunque, con questi autori principalmente parlando, che l’in¬ ferir la molta o poca distanza de gli oggetti veduti dalla piccolezza o grandezza della paralasse, che sin qui è stato reputato argomento così sicuro, che nissuno di quelli che ben hanno capita la sua forza vi hanno posto difficoltà, non dimeno 131 , se noi più acutamente lo con¬ sidereremo, lo troveremo un metodo assai fallace, poi che in natura si trovano molti oggetti visibili, li quali, ben che vicinissimi a noi, non ammettono paralasse veruna. 2. Ticone, c. vi aggiugne anche, Quid. — 3. del medesimo parere, Quid. — 0-12. Di mano (lol Guinunoi : (tegumento co*ì sicuro, che nessuno di quelli i quali bene ne Unno capito la forza, vi ànno (corrotto di pugno di GamLRO in ha) posto dijjicultà, é non dimeno, se piti attentamente il consideriamo, metodo assai fallace, poi che in natura si trovano molti oggetti visibili, i quali, 0) La stampa: la trovcrremo metodo essa ancora esposta. Cfr. lin. 27. W La stampa: questo. (3) lì ms. : difficoltà, e non dimeno. Ma Galileo aveva scritto dapprima, a quanto benché vicinissimi, non ammettono parafasse veruna. — paro : difficoltà, c non dimeno, se noi più acu¬ tamente lo considereremo, un metodo assai fal¬ lace ; poi aggiunse lo troveremo davanti a un metodo, dimenticandosi tuttavia, di can¬ cellare è. vi. o G6 DISCORSO mutano, ma erodo cho, tolto via le visto, «nielli altrui «lei tutto svani¬ scano. Negli oggetti reali e permanenti, nell’ essenza ilo’ «piali non ha che far r altrui vedere, nò, porchò 1’ occhio si muova, oasi di luogo si mutano, opera sicuramente la paralasse ; ma non già nelle semplici apparenze. E per meglio dichiararmi, vorrò agli esempli. L’alone, cho puro ò generato nello sottili nugolo a noi vie inissime, non però desialo da fa diversità veruna d’aspetto a quelli che nel tempo lue- luoghi non poco infra di loro distanti il rimirano, poiché egli circonda in maniera il Solo o la Luna, eli’ a chiunque lo vedo apparisce puntualmente aver con ossi comune il centro; onde mani-io festa cosa ò, che ’l medesimo, riferito alla sfera stellata, non ammetto paralasse maggiore che ’l Sole o la Luna. Non ò egli manifesto cho l’iride, chiamata da noi 1’ arco baleno, si vedo in guisa opposta al Sole, che le linee retto lo quali dal centro di esso Sole per le visto de’ riguardanti si stendono, vanno dirittamente a ferir nel centro dell’istesso arco? E chi non sa che cotali linee, per molto elio i ri- E veramente par cosa di non piccola ammirazione elle questi astro¬ nomi, che tanto curiosamente hanno cercata la distanza delle comete, non abbino avvertito che l’alone, che frequentemente noi veggiamo intorno al Sole o alla Luna, ancor cho generato nelle sottili nugole m 20 a noi vicinissime, non però fa diversità veruna di aspetto a quelli che nel tempo medesimo da luoghi tra di loro non poco «listanti lo rimirano, poi elio ciascheduno lo vedo in maniera circuii fuso alla 3 ed al 0, che il suo centro puntualmente a quello di essi corrisponde; onde manifesta cosa ò, cho il medesimo, referito alla sfera stellata, non ammette paralasse maggiore che la 0 o ’l 0. Non è (‘gli ma¬ nifesto die l’iride, da noi chiamato arcobaleno, si vede sempre in guisa opposto al 0, che le linee rette che dal centro di questo per le viste di tutti i riguardanti si distendono, vanno drittamente a fe¬ rir nel centro dell’istesso arco? E ehi non sa che queste tali linee, perso fi. E veramente par nota di non piccola ammirazione che ,pinti attratt imi, che tanta itomi euriotamente la ditta,na delle comete cercalo, non ahi,ino avvertito che Vaiane, anca- che rjentrate, nrllr toltili. (Iiiiil. IH fronte allo parola che Vaiane, ancor che occ., il revisore postillò In margino: « tlichlar.r.i ri... cmn. sia Paiono 7. divinità d'orpello. fluid. — 8. da luoghi infra di loro m>» p,mo ditt imi. OuM. — 8 11. ,w{ rh, clamino il vede di maniera attorniato al Sole o alla Lana, che lo tuo mitro yuntualmrmr „ otri di ,..i corri,,pomici onde manifesta, fluii.- 11. referito, fluid.-18. madore della lana . del tt, fluid.- (,) Il ma. : nugule. DELLE COMETE. 67 guardanti frissero tra di loro lontani, prodotte sino alla sfera stellata, intraprenderebbero la medesima paralasse, o insensibilmente maggiore, clie quella del Sole ? la quale è nulla, mentre da’ medesimi elio ri¬ guardano la stessa iride frisse osservata. E pure e questa e quella dell’ alone esser dovrebbe grandissima, avendosi alla lor vicinanza riguardo, e alla distanza che possono in Terra varii riguardanti aver tra di loro. Lo stesso avviene de’parelii, cioè di quei tre Soli che talora con tanta meraviglia del volgo si son veduti nel cielo, i quali nel me¬ desimo aspetto sono col Sole veduti da tutti quelli che nello stesso io tempo gli osservano da luoghi por molto miglia tra di loro distanti. Ma vegniamo a cose assai più simili allo comete. Non ci lia alcuno di voi, Accademici, il quale molte volte non abbia veduto, e in par¬ ticolare verso la sera, mentre 1’ aria sia nuvolosa, partirsi da alcuna rottura di nugole lunghissimi tratti e raggi di Sole e scendere sino in Terra, mostrandosi nel lor principio, cioè nella stessa apertura, più lucidi e più stretti che nel rimanente, dove, continuamente al¬ largandosi, per immenso spazio si stenderebbono, quando non s’in- molto che i riguardanti tra di loro fossero distanti, prodotte sino alla sfera stellata, intraprenderebbono l’istessa paralasse, o insensibilmente 20 maggiore, che quella del 0? la quale è nulla, mentre da i medesimi che riguardano l’istesso iride fusse osservata. E pure e questa e quella dell’alone grandissima esser dovrebbe, avendosi riguardo alla vicinanza loro in comparazione della distanza che tra di sè possono aver diversi riguardanti in Terra. L’istesso avviene de i parelii, li quali nel me¬ desimo aspetto col 0 son veduti da tutti quelli che nell’istesso tempo, ancor che da luoghi per molte miglia tra di loro distanti, gli osser¬ vano. Il crepuscolo, che è una illuminazione di aria non più lontana dalla Terra di 60 miglia, non apparisce egli a tutti i riguardanti senza paralasse alcuna, poscia che sempre circonda il luogo del Sole? so Ma vengo a cose assai più simili all’ istesse comete. Non è al¬ cuno di voi, Signori Accademici, il qual molte volte non abbia ve¬ duto, ed in particolare verso la sera, mentre l’aria sia nugolosa, par¬ tirsi da alcuna rottura di nugole «lunghissimi tratti e raggi di 0 e scender sino in Terra, mostrandosi nel lor principio, cioè nell’istessa rottura, e più lucidi e più stretti che nel restante, dove, continua- mente allargandosi, per immenso spazio si distenderebbono, quando 68 DISCORSO contrassero nella Terra. Questi, benché tutto l’orizzonte sia sparso di tali spezzate nugole, giammai non si mostrano al nostr’ occhio se non in quella parto che corrispondo al luogo del Sole, donde pare che discendano compresi dentro un determinato angolo, olir’ al quale angolo nuli’ altro di splendido si rimira. Simile apparenza ò ben cre¬ dibile, anzi sicuramente si sa, che nel medesimo tempo è da diversi luoghi veduta, benché per grande spazio distanti o verso mezzo giorno o verso tramontana, e a tutti nello stesso modo si rappresenta rin¬ contro al Sole ; sì che, quando ciascheduno dovesse dar conto o la¬ sciar memoria del suo spettacolo, direbbe avere in quell’ora vedutolo per aria grandissimi raggi luminosi, dirizzati verso il Sole. E perchè tra ’1 Sole e diversi luoghi in Terra altre e altre aperture di nugole s’interpongono, altri e altri sono i raggi da diversi riguardanti veduti. la Terra non gli facesse ostacolo. Questi, ben che tutto l’orizzonte sia sparso di tali nugole spezzato, già mai non si mostrano all’ occhio di chi gli riguarda se non in quella parte che risponde al luogo del Sole, sì che, mostrandosi parte a destra e parte a sinistra ed altri giustamente all’ incontro del riguardante, tutti però avvicinandosi e ristrignendosi tra di loro nelle parti più alte, chiaramente dimostrano che, prolungati rettamente, andrebbono ad unirsi nel centro del Sole. 20 Tale apparenza è ben credibile, anzi sicuramente si sa, che nelTistesso tempo è veduta da diversi luoghi, ben che per grande spazio distanti o verso mezogiorno o verso tramontana, ed a tutti nell’istesso modo appunto si rappresentano tratti luminosi che, partendosi di ’ncontro al corpo solare, in lunghi spazii si distendono ed allargano ; si che, quando ciascheduno dovesse dar conto o lasciar memoria del suo spettacolo, direbbe aver in quell’ ora veduto grandissimi raggi lumi¬ nosi, distesi parto all’ incontro del Sole parte a destra e parte a sini¬ stra, formando un angolo determinato nel concorso loro, fuor del quale nulla di simili raggi appariva, etc. E perchè non ha dubbio alcuno che 30 a tutti in quel momento rispondeva il Sole al medesimo luogo del fir¬ mamento, ciò è non ammetteva paralasse sensibile, tali raggi ancora verranno reputati da tutti esenti da paralassi <1) : tuttavia l’origine loro è nelle nugole a noi vicinissime e nella caligine sotto quelle diffusa. ( ) Ili incerto se si debba leggere para- luogo la carta; ma par più probabile che lassi 0 paralasse, essendo guasta in quel sia paralassi . DELLE COMETE. 69 Yoi, Uditori, vi siete, s’io non m’inganno, talvolta ritrovati in luoghi eminenti, non molto lontani dalla marina, e in tal costituzion d’ aria, che quasi nulla distinzione appariva tra ’l cielo e la superficie del mare, anzi rimo e l’altro una stessa materia continuata appariva ; o cominciando il Solo a inchinare verso occidente, avrete veduto una lunghissima striscia luminosa diretta inverso ’l Sole, dal cui splendor vien prodotta sopra la superficie del mare. Una similissima ne veg¬ gono altri ed altri nello stesso tempo da qualsisia luogo che scuopre e riguarda la medesima superficie; e pure a tutti si dimostra addi- io ritta nel Sole, o nuli’ altro di lucido apparisce a destra o a sinistra. Questi, dovendo depor ciò eh’ hanno veduto e non altro, tutti con¬ cordemente diranno, aver nel tal tempo osservato un grandissimo lume verso la dirittura del Sole, e conseguentemente verso là mede¬ sima parte del firmamento ; o se, come si ritrova in questo caso il Solo elevato e bassa la superficie del mare, noi c’immaginassimo il Sole sotto 1 ’ orizzonto, e una superficie, in vece di quella del mare, elevata in alto, potremmo in essa scorgere una simil reflessione del lume solare, rimanendo tutto ’l restante indistinto dallo stesso cielo, già che anche la superficie del mare talvolta si confonde in modo col cielo, che niuna distinzion vi si scorge. 20 Clio dunque dobbiamo noi dire intorno a questo fatto? Certamente Yoi, Signori Uditori, s’io non m’inganno, vi sete tal volta ri¬ trovati in luoghi rilevati, non molto lontani dalla marina, ed in tale costituzione di aria, che nissuna quasi distinzione appariva tra ’l cielo o la superficie dell’ istesso mare, anzi 1 ’ uno o 1 ’ altro pareva una stessa continuazione ; e cominciando a declinare il Sole verso occidente, arete veduta una lucidissima striscia diretta verso ’l Sole, dal cui splendore vien prodotta sopra la superficie del mare. Una similissima ne veggono nell’istesso tempo altri ed altri da qualsivoglia luogo che scuoprano e riguardano la medesima superficie ; o pure a tutti 30 si dimostra drizzata verso ’l Sole, e niente altro di lucido gli apparisce a destra o a sinistra. Questi, dovendo deporre ciò che hanno veduto e non altro, tutti concordemente diranno, aver nel tal tempo osser¬ vato un grandissimo lume drizzato verso il 0 , ed in conseguenza verso la medesima parte del firmamento, che è l’istesso che esser senza paralasse ; e pure era tal lume prodotto in luogo a loro vicinissimo. Che dunque doviamo noi dire intorno a questo fatto ? Certo altro 70 DISCORSO altro, non cred’io, so non che veramente tuttala superficie dd mare circonvicino è nel medesimo modo sparsa di luce, la quale resta tutta invisibile a dii da qualche luogo determinato vi guarda, fuor che quella parte qual si reflette dall’acqua rettamente traposta fra l’oc¬ chio e’l Sole: debbesi dire che da tutte lo nugole ** loro rotture o per tutta la caligine e vapori sparsi per aria si diffonde il lume del Sole, del quale ad alcun luogo partieolar non si manifesta se non intorno a quella parto che soggiace direttamente tra’l Sole e’l riguardante o elio secondo un determinato angolo declina a destra o sinistra, oltr’a’quai termini nulla si vede da tali illuminazioni il-io lustrato : sono tutte lo nugole sparso di quel lume elio in esse pro¬ duco i parelii, l’alone o l’iride, ma gli occhi de’particolari riguar¬ danti n‘on ne apprendono so non quella parte eh’a lor s’aspetta: si che, in somma, ciaschedun occhio vede differente iride, differente alone, altri ed altri parelii; non gl’istessi raggi, nè dalle stesse rot¬ ture di nugole, nò dallo stosso parti d’acqua depeudonti, ma da di¬ verse, son quelli che da diversi luoghi vengon veduti. Ora, se in tutte questo refrazioni o reflessioni, immagini, apparenze non credo io che dir si possa se non che veramente tutta la superficie del mare cimmvicino è nel medesimo modo sparsa di luce, la quale 20 resta tutta invisibile a chi da qualche luogo determinato vi riguarda, fuori che quella parte che si refletto dall’acqua rettamente traposta tra 1 occhio c ’l Q : devesi dire elio da tutto le nugolo 0 loro rot¬ ture e per tutta la caligine e vapori sparsi per aria si diffondo il lume del Sole, del qualo ad un luogo particolare non si manifesta se non intorno a quella parte elio soggiace direttamente tra ’l Q e ’l riguardante 0 che secondo un determinato angolo deflette a destra ed a sinistra, oltre i quali termini nulla si vede da simile illumina¬ zione illustrato: sono tutte le nugole sparse di quel lume che in esse produco i parelii, l’alone 0 1 iride, ma gli occhi do’particolari ri-* guardanti uon ne apprendono se non quella parto che a loro si aspetta: sì che, in somma, ciascheduno occhio vede differente iride, differente alone, altri ed altri parelii; non gl’istessi raggi, nò dall’istesse rot¬ tine di nugole, nè dall’istesse parti di acqua dependenti, ma da di- veise, sono quelli che da diversi luoghi vengon veduti. Oia, se in tutte queste refrazzioni 0 rotlessioni, imagini, apparenze DELLE COMETE. 71 od illusioni non ha forza la paralasse per poter determinare di lor lontananza, poiché alla mutazione di luogo del riguardante esse ancora si mutano, o non solo di luogo, ma d’essenza ancora; io credo che ella veramente non sia por aver efficacia nelle comete, se prima non vien determinato ch’elle non sieno di queste cotali reflessioni di lume, ma oggetti uni, fissi, reali e permanenti. E tanto maggiore mi par l’oc¬ casione di dubitare, quanto, per avventura, tra gli oggetti visibili reali non so ne troverrà alcuno così alla cometa rassomigliante, quanto tra questi simulacri apparenti, de’ quali io non so so ci sia io cosa che puntualmente l’imiti come quelle proiezioni di raggi per le iatture delle nugole ; tra le quali e le comete potrei addur molte convenienze, se ’l tempo mel permettesse. E finalmente, acciò la no¬ stra cagion di dubitare si conosca non cavillosa e proposta solo per muover difficoltà dov’ ella non fosse, panni che, so noi anderemo sottilmente considerando quel che riferisce Aristotile dell’ opinioni degli antichi, scorgeremo alcuni Pitagorici nella stessa guisa aver sentito della cometa. Imperocché, nell’assegnar la cagione ond’ avvenga ed illusioni non ha luogo alcuno la parafasse per poter determinar del luogo (1) loro, sì come perfettamente lo ha circa gli oggetti uni fissi e 20 reali, io credo elio ella veramente non sia per aver efficacia nelle co¬ mete, se prima non vien determinato che elle sieno di questo secondo genere, e non del primo. E tanto maggior mi pare l’occasione del du¬ bitare, quanto, per avventura, tra gli oggetti visibili reali non se ne troverà alcuno così simile alla cometa, quanto tra questi apparenti simulacri, de i quali io non so se si possa trovar cosa che più pun¬ tualmente la imiti di quelle proiezzioni di raggi per le rotture delle nugole ; tra le quali e le comete io potrei addur molte convenienze, se il tempo lo permettesse. Ma finalmente, acciò che la nostra occa¬ sione di dubitare si conosca non cavillosa e proposta solo per muover so difficoltà dove ella non fosse, panni che, se noi andremo sottilmente considerando quello che referisce Aristotile delle opinioni de gli antichi, noi scorgeremo alcuni Pitagorici t2> aver in cotal guisa della cometa sentito. Imperò che, nell’ assegnar loro la causa perchè uè tra i tro- W Prima Galileo aveva scritto sito; di- In margino, e con segno di richiamo poi sopra aito, senza però cancellarlo, scrisse a Vi tuffo nei , di mano di Galileo è notato: ìuorjo. Ipocrnte Cliio ed Bachilo , 72 DISCORSO che nò tra i tropici nè oltr’al tropico di Capricorno verso austro appariscali comete, dicevano che tra ossi 1 umori* attratto, in cui si fa la reflession della vista al Solo, veniva dal caler del Solo consumato, e elio oltre al tropico di Capricorno la cometa non si faceva per noi eh’ abitiamo verso settentrione, non perchè quivi non fusae la mede¬ sima copia d’ umore attratto, ma perchè de’ pumi.dii descritti dal moto diurno piccoli archi sopra, e grandi sotto, all’orizzonte resta- vano, onde per tale obbliquitii non si poteva la vista di noi altri [i settentrionali reflettore inverso ’l Sole. Vedesi dunque eh’ eglino sti¬ mavano, le comete non esser oggetti visibili reali, ma solo immaginilo e simulacri apparenti a chi sì o a chi no, secondo che la materia nella quale si producono tali immagini si trova posta o non posta in luogo atto a reflettero al Solo la vista altrui. E avvegna che de’so- prannominati simulacri in alcuni la paralasso sia nulla mi in altri operi molto diversamente da quello eli’ ella fa negli oggetti reali, per far elio la cometa, benché generata dentro alla sfera elementare, apparisca a tutti i riguardanti senza paralasse, basta che in alto sia diffuso ’l vapore o la materia, qual ella sì sia, atta a roflottorci il lume del Solo por regioni o spazi eguali e anche alquanto minori dello provinolo dallo .piali la cometa si scorge: perchè, immaginandoci noi da qualche stalla fissa o altro punto20 del firmamento tirate linee retto a quali o quanti si vogliano luoghi della superficie terrestre, e posto elio in alto sia una distesa ili vapori atti a riflettere o rifrangere il lume del Sole, la quale tagli in traverso la pi¬ pici nò oltre il tropico di fa verso austro apparischino comete, di¬ cevano che tra i tropici l’umore attratto, nel quale si fa la refrazzione della vista al Q, veniva dal calor del (•) consumato, e elio oltre al tropico di la cometa non si faceva per noi che abitiamo verso settentrione, non perché .. . non fusse l’intensa copia di umore attratto, ma perchè de i paralleli descritti dalla lazion diurna piccoli archi restavano sopra l’o... grandi sotto, onde por tale obliquità nonno si poteva la vista di noi settentrionali re . . . verso ’l Q. Vedesi dunque che loro stira .. . (l ' non osser oggetti visibili reali, ma solo imagini e simulacri apparenti a chi sì ed a chi no, secondo che lo materia nella quale tali imagini si producono si trovava posta o non posta in luogo atto a reflettere la vista verso ’l _________ I puntolini indicano che la carta è ntrappi»tu. DELLE COMETE. 73 ramide compresa tra esse linee rette, potranno tutte le viste de’ riguar¬ danti, che secondo alcuna di tali linee camminano, voder la cometa, e tutte sotto la medesima stella o punto del firmamento. Io non dico risolutamente elio la cometa si faccia in tal modo ; ma dico Lene che, come di questo, così son dubbio de gli altri modi assegnati da gli altri autori : i quali, se preten¬ deranno d’indubitatamente stabilir lor parere, saranno in obbligo di mo¬ strare questa e tutte 1’ altre posizioni vane e fallaci. Resta dunque da queste dubitazioni reso assai sospetto l’argomento preso dalla mancanza di paralasse per determinare il luogo della io cometa. Ma di gran lunga più deboli sono, s’io non m’inganno, le ragioni o congbietture prese dalla qualità del suo movimento, e del tutto vana quella che aveva inteso essere da alcuni stata presa dal poco ingrandimento che ricevo il capo della cometa riguardato col telescopio, cioè col moderno occhiale, mentre per molte centinaia di volte aggrandisce le superficie degli altri oggetti visibili ; stimando questi tali, da quello strumento con sì fatta regola aggrandirsi gli oggetti, elio assaissimo sieno accresciuti i vicinissimi, meno e meno i più lontani, secondo la proporzion delle lor maggior lontananze, sì che finalmente le stelle fisse, come lontanissime, non ricevano sen¬ so sibilo aggrandimento. Intorno a queste due ragioni, e particolarmente intorno alla seconda, non aveva io veramente intenzione di dir cosa alcuna, perciocché, parendomi ella vanissima o falsa, non credeva Resta dunque dalle promosse dubitazioni reso assai sospetto l’argo¬ mento preso dalla mancanza di paralasse per determinar del luogo della cometa. Ma di gran lunga più deboli sono, s’io non m’inganno, le ra¬ gioni o conietture prese dalla qualità del movimento loro, e del tutto vana quella che avevo inteso alcuni aver presa dal poco ingrandimento che il capo della cometa riceve riguardato con un telescopio che per molte centinaia di volte ingrandisca le superficie do gli altri oggetti so visibili ; stimando questi tali che tale strumento ingrandisca gli og¬ getti con tal regola, che assaissimo sieno accresciuti i vicinissimi, e gli altri più e più lontani meno e meno, secondo che la lontananza loro è maggiore, sì che finalmente le stelle fisse, corno lontanissime, non ricevino sensibile accrescimento. Intorno a queste due ragioni, ed in particolare intorno alla seconda, non avevo io veramente in¬ tenzione di dir cosa alcuna, perchè, parendomi ella vanissima e falsa, VI. 10 71 DISCORSO eh’ eli’ avesse avuto a trovare assenso so non tra persone di così poca autorità, che poco importasse farvi sopra refleesione. Ma l’avere ultimamente veduto, nel discorso fatto in Collegio Romano circa que¬ sta materia, come da quei matematici vien fatta sì grande Btimadi queste ragioni, elio non solamente gli applaudono, ma tassano chi 1’ ha disprezzate di poco esperto de' principii di prospettiva o degli effetti compresi e osservati da loro nel telescopio per lunghe espe¬ rienze e ottiche dimostrazioni; mi ha fatto alquanto ritirare in me stesso o titubare sopra quelle considerazioni per lo quali dal nostro Accademico fui persuaso della debolezza di tal fondamento: il qual io nostro Accademico, se non è stato solo, almeno 6 stato quelli elio più risolutamente e pubicamente d’ ogni altro ha contraddetto a cotal discorso c 1’ ha riputato di niun valore, molto avanti che la sopran¬ nominata opera si vedesse. 11 perchè, mutato consiglio, ho risoluto di proporre a voi, Uditori, e forse a quei dottissimi geometri, se mai arriverà lor sentore di questo mio ragionamento, lo consideratoli non credeva che ella fosso per trovare assenso se non tra persone di sì poca autorità, elio poco importasse il farvi sopra altra refles¬ sione. Ma P aver ultimamente veduto 1 ", nel discorso fatto nel Collegio Romano in questa materia, come da quei dottissimi Padri vion fatto » tanta stima di queste ragioni, che non solamente gli applaudono, ma tassano quelli che le hanno reputate debili di poco considerati de i principii ottici c degli effetti che essi, e per le lunghe esperienze e per ottice dimostrazioni, hanno compresi ed osservati nel telescopio; mi ha fatto alquanto ritirare in me stesso o titubare sopra quelle considerazioni per le quali dal nostro Accademico ero stato persuaso della debolezza di tal fondamento : il quale, so non è stato solo, al¬ meno è stato quello che più resolutamcnto o più pubblicamente di ogn altro ha contradetto a cotal discorso, molto avanti la publica- zione della sopranominata opera, e l’ha reputato «li nissun momento, so I ci lo che, mutato consiglio, ho resoluto proporre a voi, Signori, e loi se a quei dottissimi e Reverendi Padri, se mai gli arriverà sen- toie di questo mio ragionamento, lo considerazioni del nostro amico, li inni Galileo aveva scritto visto ; poi sopra vitto, c senza cancellarlo, scrisse veduto, DELLE COMETE. 75 del nostro Accademico, acciò o ne sieno col nostro benefìcio le fal¬ lacie emendate, o con loro utile corretti gli errori altrui. Dopo questo verrò a considerar ciò elio si ritragga dalla qualità del moto. Quelli, dunque, che affermano, dal medesimo occhiale aggrandirsi molto gli oggetti visibili vicini, meno i più remoti, e punto o insen¬ sibilmente i lontanissimi, non so a qual cagione sieno per attribuire 1’ esserci dal medesimo telescopio rese visibili innumerabili stelle fisse, delle quali niuna si vede con 1’ occhio libero ; perchè, s’e’ non le ingrandisce, è forza che con altra sua più ammirabile e inaudita io prerogativa le illumini. Ma se pur egli con aggrandir lo loro spezie, come bisogna per necessità confessare, d’invisibili le fa visibilissime, cioè d’insensibili sensibilissime ce le rende, non so perchè tale ag- grandimento si debba poi chiamare insensibile, e non più tosto in¬ finito; che tale è la proporzion del niente a qualche cosa. Gli astro¬ nomi, per mio credere, non avrebber distinte le stelle fisse visibili in molte e varie grandezze, se tale inegualità non apparisse sensibil¬ mente ; anzi la differenza tra le minime della sesta o lo massime acciò sieno emendate con benefizio nostro le lor fallacie, o corretti con util loro gli altrui errori : e spedito questo punto verrò a con¬ so siderare ciò che si possa ritrarre dalla qualità del moto. Quelli, dunque, che affermano, il medesimo telescopio ingrandir molto gli oggetti visibili vicini, meno i più remoti, e punto o insen¬ sibilmente i lontanissimi, quali sono le stelle fisse, non so a qual causa attribuiranno il renderci egli visibili innumerabili stello fisse, delle quali nissuna si vede con l’occhio libero; perchè, se e’non le ingrandisce, sarà forza che con altra sua più ammirabile ed inaudita prerogativa le illumini. Ma se pure egli con l’ingrandir la loro spezie, come per ne¬ cessità bisogna confessare, di invisibili cele rende visibilissime, cioè di insensibili cele fa sensibilissime, non so perchè tal ingrandimento si so debba poi chiamare insensibile, e non più tosto in certo modo infi¬ nito ; chè tale è la proporzione del niente al qualche cosa. L’ aver distinte gli astronomi le stelle fisse visibili in molte grandezze diverse, stimo che non sarebbe stato fatto se le visibili lor grandezze non ci apparissero sensibilmente diseguali; anzi'” la differenza tra le minime <*> Prima Galileo aveva scritto tal clic; poi, senza cancellarlo, scrisse di sopra anzi. DISCORSO rr p il) della prima grandezza si reputa talmente sensibilo, elio tra esse altri cinque sensibili gradi si collocano di disegualità. Onde, non pur sen¬ sibile, ma grandissimo si dovrà chiamare il ricrescimento di quel telescopio il quale ci mostra maggior di quella della prima grandezza alcuna delle stelle invisibili, elio forse por molti gradi è inferiore alle visibili della sosta. E pure quest’effetto si vede tra le stelle fisse, e maggiormente ancora si vedrebbe se noi con l’occhiale potessimo alcuna di esse piccole stelle incontrare mentre l’aria lusso alquanto luminosa, cioè nel primo apparire delle maggiori stelle; il che esqui- sitamento si vedo ne’pianeti Medicei, i «piali, incontrandosi agevol-to mente con la scorta di Giovo, si veggono su ’l tramontar del Solo con perfetto telescopio molto prima dio con la vista semplice le stelle fisse, eziandio della prima grandezza. E perchè le stelle Medicee sono assai men lucide delle fisse, non paro di' altro co lo possa render visibili, se non un grandissimo accrescimento; e puro per la loro piccolezza sono invisibili non solo alla vista semplice, ma ancora a della sesta grandezza e lo massime della prima si reputa" 1 talmente sensibile, che tra esso altri cinque sensibili gradi di disegualità (!1 si collocano. Per lo che, non pur sensibile, ma grandissimo si dovrà chiamare l’accrescimento di quel telescopio il quale ci mostra mag- 20 giore che una della prima grandezza alcuna delle stello invisibili, che forse per molti gradi ò inferiore alle visibili della sosta. E pur questo effetto tra le stello fisse si vede, e maggiormente ancora si vedrebbe se noi potessimo incontrare col telescopio alcuna di esse niinime'stelle mentre che l’aria fosse ancora alquanto luminosa, cioè noi primo ap¬ parire delle maggiori stelle; il elio esquisitamento si vedo no i pianeti Medicei, che facilmente con la scorta di Giovo s’incontrano, li quali con perfetto telescopio si veggono sul tramontar del 0 molto prima 131 che con la vista semplice si scorghino le fisse, anco della prima gran¬ dezza. E perchè esse Medicee sono assai men lucido delle fisse, pare 3» che nessuna altra cosa fuori che un grandissimo accrescimento celo possa render visibili ; e pur per la piccolezza loro sono invisibili non (l) si reputa è scritto, di mano di Gali¬ leo, sopra sarà, clic non è però cancellato. l!) Dapprima Gami.eo aveva scritto di¬ versità; poi sopra questa parola scrisse di- seguatità, senza però cancellare diversità. e> In luogo di prima Gami.eo aveva scritto amati; poi, senza cancellare questa parola, scrisse di sopra prima. DELLE COMETE. 77 gli strumenti clic multiplichino in superficie meno di trenta o qua¬ ranta volte. Ma posto, come anche in parte, benché ingannevolmente, appa¬ risce, che le stelle fisse fossero insensibilmente dal telescopio aggran¬ dite, io non so quanto ciò dovesse reputarsi effetto della loro massima lontananza, sì che si potesse poi per lo converso concludere che qua¬ lunque oggetto il qual venisse insensibilmente dall’occhiale aggran¬ dito, fosse per necessità da noi immensamente lontano ; e panni che possa essere che, essendo vere le amendue proposizioni, il loro con¬ io giugnimento sia falso, nel modo elio per avventura cade nella scin- tillazion delle medesimo fisse : le quali è vero che scintillano, ed è vero die son lontanissimo ; ma che dello scintillare ne sia causa la somma lontananza, dalle due nude proposizioni non si convince. E così, dato che le fisse poco s’aggrandiscano e sieno lontanissime, non però segue che ’l poco ingrandirsi dalla massima lontananza neces¬ sariamente dependa. Imperciocché, so ciò veramente fosse, certo è solo alla vista semplice, ma anco a gli strumenti che multiplichino in superficie meno di HO o 40 volte. Ma posto, come anco imparte, ben che ingannevolmente, apparisce, 20 come appresso diremo, che le stollo fisso insensibilmente fossero ingran¬ dite dal telescopio, io non so quanto ragionevolmente ciò dovesse re¬ putarsi effetto della loro immensa lontananza, sì clic rettamente poi concluder si potesse, per il converso, elio qualunque oggetto die insen¬ sibilmente venisse ingrandito dal telescopio, di necessità fosse immensa¬ mente da noi lontano, o pure se possa essere die, essendo vere amendue le proposizioni, il lor con . .. sia falso, nel modo die per avventura accade nella scintillazione delle medesime fisse : le quali è vero che scintillano, ed ò vero ..son lontanissime; ma che dello scintillare ne sia causa la somma lontananza, dalle due nude proposizioni in modo 30 alcuno non si conclude. E così, posto che le fisse poco ingrandiscano e siano (3) lontanissime, non però segue che il poco ingrandirsi dependa dalla maxima lontananza. Perchè, se ciò veramente da tal causa depen- (I) Cfr. la nota 1 a pag. 72. cliscano oppure ingrandischino. W II manoscritto ha ingrand" 0 ; onde <*> Non è sicuro se debba leggersi strino, resta incerto se si debba leggere ingran- come sembra più probabile, oppure sieno. 78 disco uso che tutti gli oggetti visibili, posti nella medesima distanza, farieno il medesimo: o così non puro le stelle fisse, ma gl’intervalli che bouo tra esse, dovrebbero apparirci gli stessi col telescopio che con l’oc¬ chio libero. Tuttavia l’esperienze nostre ci mostrano il contrario: perchè, se pigliando la canna d’un occhiale, e levatone i vetri, la dirizzeremo a due stello fisse, tanto fra di loro vicine che giustamente si veggano per V estrema circonferenza del foro opposto, mettendoci poscia i vetri e ritenendo la Btessa grandezza di foro, non solo non le comprenderà più amendue un’occhiata medesima, come dovrebbe seguire se gli oggetti remotissimi non ricrescessero, ma per passare io dall’ima all’altra farà di mestiere muover la canna, come se fossero due oggetti da noi non più lontani d’ un miglio ; servando, nel cre¬ scer, la stessa proporzione gl’ intervalli nel cielo, che si facciano in Terra tutti gli oggetti in queste piccole lontananze. Di più, quando tal conclusion fosse vera, ne vedremmo talor s. c.uir mirabile effetto. Im¬ perocché, messo in qualche distanza un oggetto, c< me, por esemplo, un cerchio nero, e un altro di color bianco, alla dirittura in.-d- -ima, quattro o sei volte più lontano, e tanto maggior del primo elio per la sua inter¬ posizione non però ne rimanesse del tutto ricoperto, lua dm intorno in¬ torno restasse apparente una circonferenza bianca, proso poi il telescopio io e drizzatolo verso i cerchi, se il vicino s’ingrandisce più del lontano, si¬ curamente il lontano ne dovrà restar del tutto coperto e ascoso, e nulla desso, certo elio tutti gli oggetti visibili, posti nella medesima distanza, la stessa insensibilità di accrescimento ricever doveriano : e cobI non pur le stelle fisse, ma gl’ intervalli che sono tra esse, doverebbono apparirci i medesimi col telescopio che con l’occhio libero. Tuttavia l’esperienze nostre ci mostrano il contrario: perchè, se pigliando la canna di un telescopio, o levati i vetri, la drizzeremo a duo Btello fisse, tanto fra loro viciuo elio giustamente si vegghino per l’estrema circonferenza del foro opposto, mettendovi poi i vetri e ritenendo la » medesima grandezza del foro, non solo non si comprenderanno più in una occhiata amendue, conio dovrebbo seguire se gli oggetti remo¬ tissimi non ricevessero accrescimento, ma per passare da l’ima all’al¬ tra bisognerà muover la canna, come se fossero due oggetti da noi non più lontani di un miglio, perchè con T istessa proporzione ere- scie V intervallo tra esse che tra questi. DELLE COMETE. 79 si scorgerà della circonferenza bianca : il quale effetto quando vero fosse, potrebbe tal volta con gran maraviglia interporsi la vicina Luna tra l’oc¬ chio nostro e ’l Sole lontanissimo, ed eclissandone una parte all’ occhio li¬ bero, eclissarlo del tutto al telescopio, si che guardando con l’occhiale tro¬ vassimo notte oscura, mentre gli altri godessero con 1’ occhio libero la chiarezza del giorno. Ma non pur questo non accadrà, ma de’due soprad¬ detti cerchi, quando del più remoto ne apparisca all’occhio libero solamente quanto è un sottil filo, lo stesso si scuopre con 1’ occhiale per appunto ; argumento necessario, gl’ingrandimenti di tali oggetti esser fatti puntai- io mente con la medesima proporzione. Da queste esperienze mi pare assai dimostrato come la massima lontananza do gli oggetti non toglie loro punto d’ aggrandimento. Ma perché pur si vede che le stello guardate col telescopio ci appa- riscon poco maggiori che vedute liberamente, non sarà per avventura fuor di proposito l’andare investigandone le vere cagioni, come d’ ef¬ fetto che, uscendo della comune maniera in che ci appariscono gli altri oggetti visibili, può far restare, chiunque non ben attentamente lo miri, agevolmente ingannato. Dico, dunque, che ’l medesimo telescopio aggrandisce tutti gli og- 20 getti visibili secondo la medesima proporzione, sien pur essi costituiti in qualunque lontananza si sia; e quelli eh’altramente hanno creduto, son rimasi ingannati, o perchè, rimirando diversi oggetti e somma¬ mente tra di loro diseguali, hanno creduto di riguardare il medesimo, o perchè, parendo loro d’adoprar lo stesso strumento, si son serviti di diversissimi telescopi. 0 Da queste esperienze mi pare assai fermamente dimostrato come la massima lontananza degli oggetti non toglie punto il loro accre¬ scimento. Ma perchè pur si vede che le stelle guardate col telescopio poco maggiori ci appariscono che vedute liberamente, assai a propo¬ so sito sarà 1’ addur di ciò la vera cagione. Dico, dunque, insieme col nostro Accademico, che il medesimo tele¬ scopio ingrandisce tutti gli oggetti visibili secondo la medesima pro¬ porzione, e siano pur quelli costituiti in qualsivoglino lontananze ; e quelli che altramente hanno creduto, se noi non erriamo, son restati ingannati, o perchè, rimirando diversi oggetti e sommamente tra di loro diseguali, han creduto di rimirar l’istesso, o perchè, parendogli di adoprar l’istesso strumento, si son serviti di telescopii diversissimi. 80 DISCORSO Manifesta cosa è clic le stelle, e non solo le fisse, ma. trattone la Luna, anche l’erranti, assai più grandi appariscono all’occhio libero vedute nell’ oscurità della notte, che nella chiarezza del crepuscolo sul lor primiero apparire; e Venero e Giovo veduti nell'aria illumi¬ nata non sono nò audio la centesima parto di quel che ci s’ appre- sentano nello tenebre: nò perciò cred’io che alcuno stimi la corpo¬ rale e vera grandezza loro, eli’ ò quella cho si vede di giorno, farsi maggior nella notte, ma sì bene ch’olla acquisti un irraggiamento grande, dentro del quale resta indistinto ’l piceni corpicollo di quella stella, onde la notturna visibile immagine è diversi-sima ed incom-io par abilmente maggiore della diurna. Ora, se alcuno, per far prova della multiplicaziono del telescopio, riguarderà di notte una stella, comparando il suo nudo corpicollo aggrandito dallo strumento con l’inghirlandato di raggi veduto con l’occhio libero, veramente er¬ rerà, e farà paragone di diversi oggetti mentre si erede di conside¬ rare il medesimo; o senza dubbio non troverrà Tacer» -cimento cho si vede riguardando ’l medesimo oggetto, perchè quel chi* si vede con l’occhialo è il semplice corpo o reale della stella veduta, e quel elio Manifesta cosa è che le stelle, o non solo le fisso, ma, trattone la 3» le erranti ancora, assai più grandi appariscano all’occhio libero veduto» nell’oscurità della notte, che nella chiarezza del crepuscolo sul lor primo apparire; e Venere e Giove veduti di giorno non ci paiono nò anco la centesima parte di quello che ci si rappresentono nello tenebre : neper- ciò credo io che sia alcuno che creda che la corporale o vera grandezza loro, che ò quella elio si vede per l'aria illuminata, si faccia maggiori! nelle tenebre, ma sì bene che ella nqqui.sti uno irraggiamento grande, dentro al quale resta indistinto il piccolissimo corpicollo della stella, onde la visibile imagine notturna è diversissima ed incomparabilmente maggiore della diurna. Ora, se alcuno, per far prova della multipli* cazione del telescopio, riguarderà di notte una stella, comparando il » suo nudo corpicello aggrandito con lo strumento con Tinghirlandate di raggi veduto con T occhio libero, veramente errerà, c farà para¬ gone di diversi oggetti mentre credo di considerare il medesimo ; e senza dubbio non troverà 1’ accrescimento che si vede riguardando 1 oggetto medesimo, perchè quello elio si vedo col telescopio è il sem¬ plice e reale corpo della stella, e quello che si scorge con la vista DELLE COMETE. 81 si scorge con la vista libera è l’irraggiato : onde lo ’ngrandimento del telescopio par piccolissimo, tal volta nulla, e tal volta ancora può apparire sensibilmente diminuirsi. In confermazione di quant’ io dico, aggiustisi il telescopio, per esemplo, al Cane, avanti giorno: egli ci apparirà non molto maggiore che veduto senza 1 ’ occhiale. Andiamo poi seguitandolo sino al nascer del Sole: sempre lo vedremo nello strumento della grandezza medesima; ma alla semplice vista egli andrà pian piano diminuendosi in guisa, che di qualunque minima stella veduta di notte parrà minore, e fìnal- 10 mente, nascendo ’l Sole, egli, fatto infinitamente piccolo, al tutto si perderà ; e pur tuttavia si vedrà benissimo nel telescopio, e sempre d’eguale apparenza. Venere e Giove, ed in somma ogni altra stella guardata con lo strumento, non ci appariscono niente maggiori la notte che ’l giorno; ma sì bone i medesimi, veduti con l’occhio libero, grandissimi sono nelle tenebre e piccolissimi nell’aria lucida: sicuro argomento, che quel che si vede per lo strumento è l’oggetto puro e spogliato de’ raggi stranieri ; il che anche si raccoglie dalla sua 1 ibera è l’irraggiato : onde l’accrescimento del telescopio par piccolis¬ simo, ed anco tal volta nulla, e può anco apparire diminuzione. 20 Ed in confermazione di quanto io dico, aggiustisi il telescopio, v. gr., al Cane, avanti giorno : ci apparirà non molto maggiore cho veduto con l’occhio libero. Andiamo poi seguitandolo sino al nascer del Sole: sem¬ pre lo vedremo nello strumento della medesima grandezza; ma alla semplice vista egli si andrà pian piano diminuendo in guisa, che di qua¬ lunque minima stella veduta nella notte parrà inferiore, c finalmente, nascendo il Sole, fatto egli infinitamente piccolo, del tutto si perderà; e pur tutta via nel telescopio si vedrà benissimo, e sempre della me¬ desima grandezza. Venere e Giove, ed insomma ogn’altra stella guar¬ dati con lo strumento, niente ci appariscono maggiori di notte che co di giorno; ma sì bene i medesimi, veduti con l’occhio libero, gran¬ dissimi ci paiono nelle tenebre e piccolissimi nell’ aria lucida : argo¬ mento sicuro, che quello che si vede per lo strumento è 1 ’ oggetto puro e spogliato de’ raggi stranieri ; il che anco manifestamente si Il ms. : irragiato. vi. il 82 DISCORSO perfetta e terminata figura, falcata tal volta in Venere, ovata in Saturno, e circolare nell’altre stelle. La fallacia, dunque, dopende non dall’immensità della lontananza, ma dallo splendor dell’oggetto: anzi lo stesso si vede accadere no’nostri lumi terroni, per brevi in¬ tervalli remoti ; sì elio a chi stesse puro ostinato che, per provar l’immensità della lontananza, concludesse l’argomento proso dal poco aggrandimento del telescopio, si potrebbe agevolmente dare ad in¬ tendere che una candela accesa o posta in altezza di cento o dugento braccia fosse tra le stelle fisse, poiché pochissimo viene dall’occhiale ingrandita. io Ma sento oppormi, por atterrar tutto questo discorso, che pal¬ anche gli oggetti non risplendenti, quanto più son vicini, tanto mag¬ giore accrescimento ricevono dal medesimo telescopio ; sì elio se, per esemplo, un oggetto veduto in distanza di cento braccia ci apparisce cento volte maggiore, lo stesso in distanza di dieci apparirà dugento volte, e quattrocento e mille e damila se si porrà in distanza di due braccia d’ uno o d’ un mezzo, ed in somma con avvicinarlo il po¬ tremo smisuratamente ad arbitrio nostro multiplicaro. Tutto ciò è raccoglie dalla sua perfetta o terminata figura, falcata tal volta in Venere, ovata in Saturno, o circolare nell’altro stelle. La fallacia ,20 dunque, depende non dalla immensità della distanza, ma dallo splen¬ dore dell’ oggetto : anzi il medesimo si vede accadere la notte ne i nostri lumi terreni, per brevi intervalli remoti ; sì clic ad alcuno che pur persistesse in reputar concludente 1’ argomento preso dal poco ingrandimento del telescopio, facilmente si potrebbe dar a credere che una candela accesa e posta in altezza di 100 o 200 braccia fusse ti'a le stollo fisse, perchè pochissimo viene ingrandita. Ma sento oppormi, per atterrar tutto questo discorso, elio pure anco gli oggetti non risplendenti, quanto più sono vicini, tanto mag¬ giore accrescimento ricevono dal medesimo telescopio ; sì clic, per so esempio, un oggetto clic veduto in distanza di 100 braccia ci appa- ìisce 100 volte maggiore, il medesimo in distanza di 10 braccia appa¬ nni maggiore, v. gr., 200 volte, 0 400 0 mille 0 duemila se si porrà in distanza di 2 braccia di uno 0 di un palmo, ed in somma con l’av¬ vicinarlo lo potremo multiplicare smisuratamente ad arbitrio nostro. DELLE COMETE. 88 verissimo, c benissimo osservato e inteso dal nostro Accademico, e forse prima elio da niun altro ; ma bene, allo ’ncontro, mi pare elio quei die reputano ciò essere effetto delPavvicinamento dell’oggetto, non s’ avveggano del loro inganno. Però avrei caro d’intender da questi, se quando vogliono distintamente vedere un oggetto posto in distanza di dieci braccia, o ritengono nell’occhiale la medesima lunghezza di canna, e in conseguenza la medesima distanza tra vetro e vetro, che quando il medesimo oggetto ò in lontananza (li conto braccia. Certamente diranno che allungano dotta canna, e che molto più V allungano per vo¬ lo derlo in lontananza di quattro braccia, o por la distanza d’un braccio o cP un mezzo confesseranno allungarlo il doppio, il triplo, o anche il qua¬ druplo di quel che bastava per gli oggetti lontani. Ed io allora gli av¬ vertirò, elio questo non è riguardare con lo stesso strumento, ma con di¬ versi; e che la cagion del maggiore o minore ingrandimento degli oggetti veduti non depende dal loro avvicinamento, ma dal servirsi di maggiori o maggiori telescopi. E che ciò sia vero, provino a fermarne uno a vista di qualche oggetto posto, v. g., in distanza di mille braccia, e non lo movendo di luogo allunghino solamente un dito o due la canna ; subito vedranno accrescimento notabile nell’ oggetto : o pur egli non ci s’ è av- 20 vicinato, anzi più tosto ci s’ ò fatto lontan dall’ occhio quel poco più che ’l cannone s’ò allungato. Ma allo ’ncontro, ritenendo pur fermo lo strumento, facciasi avvicinar l’oggetto, non dirò un dito o due, ma dieci, venti, trenta braccia, e anche conto o dugento; non si vedrà accrescimento veruno, fuor di quello che ’l semplice appressamento arreca sempre mai ancora nell’occhio libero: sì che se nella distanza di mille braccia l’og¬ getto nel telescopio ci appariva, por esemplo, dieci volte maggioro del ve¬ duto naturalmente, nella distanza parimente di novecento, di secento e di quattrocento non ci apparirà se non con lo stesso decuplo accrescimento, ed Tutto questo è verissimo, e benissimo osservato e inteso dal nostro 30 Accademico, e forse prima che da niuno altro ; ma ben, all’ incontro, mi pare che quei clic reputano questo essere effetto dell’avvicinamento dell’ oggetto, non si avvegghino del loro inganno. Però dicliinmi, se quando vogliono vedere distintamente un oggetto posto in lonta¬ nanza di 10. 84 DISCORSO in somma questa xnultiplicazione n«m a nocrmicerà mai, sin che non s’al¬ lunga la canna e s* accresce la distanza fra i v^tri. Ora siemi detto da questi, so quando hanno guardato la Luna, la quale por loro afìermaziono ricresce assai, per vedere di poi gli oggetti piu lontani, o anche lo stollo fìsso, fa lor mestieri d*accorciar la canna? Certo no; anzi che non solamente nelle distanze oltr’ alla Luna, remota da noi tante migliaia di miglia, ma in nessuna da mezzo miglio in là, non fa bisogno scorciarla puro un ca¬ pello, ondo ne venga diminuito Y accrescimento delle coso vedute; ma usata nella medesima lunghezza, perfettamente no mostra ogni oggetto, e tutti con la medesima proporzion gli aggrandisce. u Concludiamo dunque per verissimo, gli oggetti tutti venir dal medesimo telescopio con la medesima proporzione ingranditi; o se i vicinissimi sem¬ brano ingrandirsi più, ciò avviene dall’usure strumento più lungo; o quanto a* lontanissimi, solo gli splendidi mostrano ingannevolmente ingrandirsi mono, merco dell* accidontario loro splendore, ma non già por la grandis¬ sima lontananza: del qual edotto non no essendo sin ora da altri stata assegnata la vera cagione, voglio erodere (dio grato vi pus sa essere il sen¬ tirla. Imperocché non par elio sia sonza maraviglia, coui' esser possa elio accrescendoci sommamente il telescopio tutti gli oggetti visibili, solo i lucidi o che, per certa distanza, di nuovi raggi s’inghirlandano, non ino- » strino nello stosso modo aggrandirsi so non nel lume primiero, ma la chioma, quantunque essa ancora oggetto visibile, nessuno accrescimento riceva. Qui prima ò necessario che noi depogniumo una falsa opinione intorno all’essenza del medesimo irraggiamento, se però ci ha alcuno il quale ab¬ bia prestato fede a quello di’ hanno scritto alcuni filosofi in questo pro¬ posito, cioè che lo stollo, lo fìaccolo n gli altri corpi luminosi, quali egli si sieno, accendano e rendano splendida ancora parto dell’aria circonvicina, la quale poi in debita distanza più vivamente e terminatamente lo suo splendor dimostri, il perché tutta la fiaccola assai ci apparisca maggiore. Il qual discorso ò tanto falso, quanto la verità e, prima, che l’aria non5) s’ accende nè si fa splendida; dipoi, elio tale irraggiamento non ò altri¬ menti intorno all’ oggetto luminoso, ma è cosi vicino a noi, che, se non e dentro all’ occhio nostro stesso, almeno ò nella sua superfìcie, forse ca¬ gionato dal lume principal dell’ oggotto ri fratto in quella umidità elio continuamente è sopra la pupilla dell’ occhio mantenuta dallo palpebro. Di che abbiamo diverse congliietture : qual è eli’ a gli occhi più umidi 6 lagninosi maggiore apparisce cotale irradiazione: in oltre, serrando in parte e comprimendo le palpebre, appariscono parimente raggi lunghissimi; se¬ gno evidente, che tale splendore ha fondamento nell’ occhio ed in esso risiede: il che finalmente si concludo per necessità essere in questa guisa, tó DELLE COMETE. 85 perchè se noi, intraponendo fra rocchio e il lume la mano o altro corpo opaco, T andremo movendo pian piano, quasi che noi volessimo esso lume occultarci, V irradiazione sua mai punto non s’ ascondo fin che la stessa fiamma reale non si cela, ma appariscono i medesimi raggi tra la mano e r occhio, in nessuna parte alterati ; che non avverrebbe se i raggi fussero intorno al lume, cioè di là dalla mano : ma come prima comincia la mano a intaccar parte del vero lume, cominciano anco parte de 1 detti raggi a sparire, quelli cioè eli’ apparivano derivare dalla parte opposta di essa luce, cioè so alzando la mano si verrà ad occultar la parto inferiore della fiamma, io si cominciano a perder que’ raggi che parevano spuntar dalla parte supe¬ riore, e per 1’ opposito so messa la mano più alta del lume si verrà, con abbassarla, ad Occultarne la parto superiore, i raggi inferiori si perderanno. Con altra evidentissima esperienza si prova lo stesso : imperocché so ri¬ guardando tai raggi andremo inclinando la testa or verso la destra or verso la sinistra spalla, ed in conseguenza piegando nello stesso modo gli occhi, vedremo far lo stesso a’raggi, ma non già alla fiammolla dolla can¬ dela, la quale rosta immobile ; argomento elio tanto necessariamente con¬ clude quegli esser negli occhi, quanto ò vero questa esserne fuori o lon¬ tana. Ora, so tale irradiazione ò nell’ occhio nostro, com’ è manifesto, elio 20 meraviglia è se ’1 telescopio non 1’ aggrandisce ? il quale non moltiplica se non quelle spezie che passano po’ cristalli e che sono di là da essi, e non quello che sono verso l’occhio e non passano per i vetri. Queste sono le nostre esperienze, questo le conclusioni depondenti da’ nostri principi o dalle nostre ragioni di prospettiva: se le nostre conclusioni e le nostre sperienze saranno false e difettose, i nostri fondamenti saranno deboli ; ma s’ elio saranno vere, e false quello degli altri, contentinsi gli altri che noi possiamo sospettare della fermezza de’ fondamenti de’ lor principi, e di essi con ragione far quel giudizio eli’ essi di noi avevan fatto senza ragione. Stabilite queste cose, io non veggo che altro si possa nella cometa in- 30 ferire dal suo poco aggrandimento col telescopio, so non eh’ eli’ è cosa luminosa ; delle quali tutte è proprietà di apparire, in certa distanza al- T occhio libero, irradiate e maggiori. Ma vegniamo ormai alla considerazione dell’ argomento preso dalla qualità del moto per dimostrarla coleste : il quale non sarà forse più saldo degli altri, cadendoci intorno molto da dubitare. Ma vanghiamo or mai alla considerazione dell’ argomento preso dalla qualità del moto per dimostrarla cosa celeste : il quale forse non sarà più saldo de gli altri, cadendoci intorno molto da dubitare. 86 DISCORSO E prima, io lascio stare die ’l porro quelle distinzioni di sfere e orbi celesti, ne’ quali fermamente le stelle frissero affisso e elio solo al movimento di quegli andassero in volta, è ormai tanto notoriamente pieno d 5 inverisimili e di repugnanze, clic ’nsino a buona parte de’più ostinati contradittori s’inducono a deporgli, e a crederò i pianeti es¬ ser mobili per loro stessi : ma posto ancora elio altri pur volesse as¬ segnare spora e cielo particolare per lo comete, dal quale, subito nate, frissero portate in volta (non essendo verisimile, elle nascerò con tal pratica e scienza), bisognerebbe porre non un solo orbe, ma molti, rispetto a’ movimenti di quello tra di loro in maniera diversi, non io meno nello inclinazioni elio nelle velocità, elio non bene si possono attribuire a qualunque moto si assegnasse a un partieoi a, r cielo. Di die vi potrei addur molti esempli ; ma per maggiore intelligenza e vostro minor tedio consideriamo solamente qual differenza caschi tra la cometa de’ mesi passati e quella del settanzette, con tanta dili¬ genza descritta da Ticon Brae. La cometa del settanzette appariva muoversi in un cerchio che E prima, io lascio stare che il porre quella già ricevuta distinzione di sfere ed orbi celesti, no i quali le stelle fermamente fussero affisse e che solo al movimento di quelli andassero in volta, è ormai tanto 20 notoriamente pieno di inverisimili ed accidenti repugnanti, che sino a buona parte de i più renitenti contradittori si inducono a depor¬ gli, ed a credere i pianeti esser mobili per sò stessi : ma posto anco che altri pur volesse assegnare sfera e cielo particolare per lo co¬ mete, dal quale, subito nate, fussero portate in volta (non essendo ve- risimilo che esse nascessero con una tale scienza c pratica), bisogne¬ rebbe porne non un solo, ma molti, e forse tanti quante sono le comete che di tempo in tempo appariscono, i movimenti delle quali si scorgono così tra loro diversi, non meno nelle inclinazioni che nelle velocità, che non bene si possono accomodare a qualunque moto so si attribuisse a un particolar cielo. Del che potrei addurvi molti esempi; ma per maggior evidenza e vostro minor tedio consideriamo solamente qual differenza caschi tra la cometa de i mesi passati e quella del 77, con tanta diligenza descritta da Ticone. La cometa del 77 appariva muoversi in un cerchio che segava DELLE COMETE. 87 segava 1’ eclittica intorno al ventunesimo grado del Sagittario ; que¬ sta passata la segava nel grado quattordicesimo dolio Scorpione. 11 cercliio di quella era inclinato all’ eclittica meno di trenta gradi, e questo assai più di sessanta; onde i poli di questi due orbi sareb- bono diversissimi e lontanissimi tra di loro. Quella si moveva nel suo apparente cercliio, nel principio della sua apparizione, più di cinque gradi il giorno ; e questa, tre. E finalmente, i movimenti loro sono stati del tutto contrari, poiché quella si moveva secondo l’ordino de’segni, e questa contro: accidenti che, per essere incompatibili in io una medesima sfera, ci forzerebbono a porne tante quante fossero le comete passate, e anche per avventura le future. Or questa multipli- cità di sfere, oziose m sempre in aspettare che in esse venga, Dio sa quando, una cometa per portarla breve tempo in volta, e anche per poca parte di suo cerchio, non so veder come si possa accordare con la somma esquisitezza che mantien la natura in tutte l’altre sue opere, di non esser nè superflua nè oziosa. Il dire con Ticone, che come a stelle imperfette e quasi scherzi 1’ eclittica circa gradi 21 del ; questa passata la segava nel grado 14 di Tip. 11 cerchio di quella era inclinato all’ eclittica meno di 30 20 gradi, e questo assai più di CO ; onde i poli di questi 2 orbi sareb- bono diversissimi e lontanissimi tra di loro. Quella si moveva nel suo apparente cercliio, nel principio della sua apparizione, più di 5 gradi ; e questa, circa 3. E finalmente, i movimenti loro sono stati del tutto contrarii, poi che quella si moveva secondo l’ordine de’segni, e que¬ sta contro : accidenti che, per esser incompatibili in un medesimo orbe, ci forzerebbon a porne tanti quante fussero le comete pas¬ sate, ed anco per avventura le future. Or questa multiplicità di orbi, oziosi sempre in aspettar che in essi venga, Dio sa quando, una co¬ meta per portarla per breve tempo in volta, ed anco per poca parte so del suo cerchio, non so vedere come si possa accordare con la somma esattezza che mantien la natura in tutte 1’ altre opere sue, in non esser nè superflua nè oziosa. Il dire, che, come a stelle impeidette e quasi scherzi della natura W La stampa : oziosa. Cfr. lin. 27-28. 88 DISCORSO della natura e trastulli dello vero stollo, ma però, benché caduche, d’indolo ad ogni modo o di costumi celesti, basta una tale quale con- dizion divina; ha tanto più (lolla piacevolezza poetica elei della fer¬ mezza e severità filosofica, elio non merita che vi si ponga conside¬ razione alcuna, perdio la natura non si diletta di poesie. L’argomento poi preso dalla regolarità del moto o dall’esser egli fatto in un cerchio massimo, é molto difettoso. Perchè, (pianto alla regolarità, 1’ osservazioni c deposizioni de’ medesimi elio 1’ hanno fatte il mostrano irregolare, essendosi sempre andato ritardando in modo, che la cometa del settanzette era venti volto più veloce nel priuci- io pio che nella fine, e la passata intorno al doppio. K benché Ticone si sforzi di ridurlo a equabilità con assegnarli un orbe d’intorno al Sole, nulla di meno egli non può tanto palliare il vero, di’ egli non confessi esser forzato a porlo, anco nel proprio orbe, ineguale, o an¬ che si lascerebbo andare a porlo per linea non circolare ; dissimu¬ lando ora, per soddisfare a questa sua nuova fantasia, di’ una delle principali cagioni elio hanno fatto partire e lui e ’l Copernico dal sistema di Tolommeo sia stata il non poter salvare P apparenze con e trastulli delle vere stelle, ma però, ben elio caduche, di indole ad ogni modo e di costumi celesti, basta una tal quale condizione di- so vina etc.; lia tanto più della oratoria piacevolezza elio della fermezza o severità filosofica, che non inerita che vi si ponga sopra considera¬ zione alcuna, perché la natura non si diletta dello sceniche poesie. L’argomento poi preso dalla regolarità del moto e dall’essere egli costantemente fatto in un cerchio massimo, é molto difettoso. Perchè, quanto alla regolarità, le osservazioni e deposizioni do i medesimi che le hanno fatto lo mostrano irregolare, essendosi andato sempre ritar¬ dando e ritardando in modo, che la cometa del 77 era 20 volto più ve¬ loce nel principio che nel fine, o la passata circa ’l doppio. E ben che 1 icone si sforzi di ridurlo ad equabilità con l’assegnarli un orbe intorno» al O, nulla di meno egli non può tanto palliare il vero, elio e’ non con¬ fessi di esser necessitato a porlo, anco nel proprio orbo, ineguale, ed anco si lascerebbe andare a poi’lo per linea non circolare ; dissimulando ma, per satisfare a questa sua nuova fantasia, che una delle principali cagioni che hanno fatto partire ed esso e ’l Copernico dal sistema To¬ lemaico è stata il non poter saivaro 1’ apparenze con movimenti as- DELEE COMETE. 89 movimenti assolutamente circolari ed equabilissimi ne’ lor cerchi e intorno a’ lor propri centri ; dissimulando anche 1’ altra non minore disorbitanza, la quale è, che essendo manifesto, in tutti i sistemi, tutti i movimenti propri de’ pianeti esser per un medesimo verso, egli si lascia indurre a por solamente quest’ orbe destinato per le comete a muoversi al contrario : cosa veramente improbabilissima. Al poter con sicurezza chiamar tal moto per cerchio massimo, mancano gran punti da dimostrare, i quali tralasciati danno indizio d’imperfetto loico. Perchè, ancorcli’ e’ sia vero eh’ all’ occhio posto io nel centro della sfera i cerchi massimi e i moti fatti in essi appari¬ scano linee rette, e i cerchi minori linee curve, non però è neces¬ sario il converso, come richiederebbe il bisogno di Ticone e dell’ autor del Problema, cioè che qualunque moto ci appare retto sia per neces¬ sità fatto in un cerchio massimo ; perchè, se questo fosse, un movi¬ mento veramente fatto per una linea retta dovrebbe apparir fatto per una curva ; che è falso. Bisogna dunque dire che, al riguardante, solutamente circolari ed equabilissimi ne’ cerchi loro ed intorno a i lor centri proprii ; dissimula anco 1’ altra non minore esorbitanza, la quale è, che essendo manifesto clic in tutti i sistemi tutti i movi- 20 menti proprii de i pianeti son per il medesimo verso, egli si lascia indurre a por questo solo orbe destinato per le comete a muoversi al contrario : cosa veramente improbabilissima. Ben è vero che tale improbabilità vien resa manco mostruosa dall’ altra de i Padri del Collegio, li quali, volendo porre tal cielo cometai’io, bisogna che ad esso medesimo assegnino di tempo in tempo movimenti diversi e con¬ trarii, o vero che ne faccino tanti quante sono state e saranno lo comete. Al poterlo con sicurezza chiamare per cerchio massimo, man¬ cano gran punti da dimostrarsi, li quali tralasciati danno indizio so d’imperfetto logico. Perchè, se bene è vero che all’ occhio posto nel centro della sfera i cerchi massimi ed i moti fatti in essi appariscono linee rette, ed i cerchi minori linee curve, non però è necessario il converso, cioè che qualunque moto ci apparisce retto sia per neces¬ sità fatto in un cerchio massimo; perchè, se questo fusse, un movi¬ mento che fusse fatto veramente per una linea retta, doverebbe ap¬ parir fatto per una curva ; il che è falso. Bisogna dunque dire che, VI, 12 90 DISCORSO duo sorto di movimenti uppariscon rotti, cioè quelli olio sono real¬ mente retti, e i circolari fatti ne’ cerchi massimi (o questo dico par¬ lando solamente de’ moti semplici, perché, trattando in generale, tutti i movimenti olio saranno fatti in uno stosso piano appariranno per linea retta all’occhio costituito nel medesimo piano): e però chi vo¬ leva senza difetto provare che ’l movimento della cometa fosse per g cerchio massimo, era in obbligo di provare prima eh’ e’ non fusse j realmente e in sò stesso per linea rotta ; il elio non è stato fatto, uè * forse agevolmente poteva farsi. I buoni astronomi per provare che’l I movimento, vei’bi grazia, del Solo da levante a ponente ò circolare, io fc o non rotto, benché sembri fatto in una linea retta, l’argomentano dall’ apparir suo nel mezzo del cielo della medesima grandezza che verso gli estremi, ed in oltre dall’apparirci anello il suo movimento uniforme, supposto che tal egli sia ancora in sò stesso : i quali due rincontri non avrebbon luogo nel movimento por linea retta, che, es¬ sendo in sè stesso uniforme, apparirebbe disforme, cioè veloce nelle parti di mezzo, come più vicine all’occhio (il perchè anche l’oggetto parrebbe maggiore), e più e più tardo verno l’estremo, dove il al riguardante, due sorti di movimenti appariscono retti, cioè quelli che son realmente retti, ed i circolari fatti no’ cerchi massimi (e que -20 sto dico parlando solamente de’ moti semplici, perchè, trattando in generale, tutti i movimenti che saran fatti in un istosso piano appa¬ riranno per linea retta all’occhio costituito nel medesimo piano): e però chi voleva senza difetto provare elio ’l movimento della cometa fosse per cerchio massimo, era in obbligo di provar prima che e’ non fusse realmente ed in sè stesso por linea retta ; il elio non è stato fatto nò forse facilmente poteva farsi. I buoni astronomi por provare che il movimento, v. gr., del Q da levante a ponente è circolare, e non retto, ben che ci sembri fatto in una linea retta, 1’ argumentano dall’ apparirci il Q della medesima grandezza nel mezo del cielo che se vci’so gli estremi, ed in oltre dall’ apparirci anco il movimento suo uniforme supposto che tale egli sia ancora in sè stesso : i quali due rincontri non averrebbon luogo nel movimento per linea retta, che, essendo in sè stesso uniforme, apparirebbe difforme, cioè veloce nelle parti di mezo, come più vicine all’ occhio (perilchù anco 1’ oggetto ci apparirebbe maggiore), e più e più tardo verso 1’ estreme, dove il 91 DELLE COMETE. medesim’oggetto assai minoro si mosterrebbe. Ma se noi vorremo so¬ pra queste buone conghietture discorrer circa la cometa, mi pare elio molto più ragionevolmente potrem venire in pensiero, clic i.1 movi¬ mento di lei fosse un continuo allontanamento da noi, fatto per linea retta; perchè, quanto alla sua visibil grandezza, sempre s’andò dimi¬ nuendo sino alla total perdita, e la velocità sua apparentemente ri¬ tardandosi. Ma le apparenze e rincontri che favorirebbono tale opi¬ nione non son questi soli, anzi pur ve ne son do gli altri : la probabilità do’ quali tanto più manifesta si scorgo, quanto ossi molto aggiustatamente (i) io s’adattano al moderare gli assurdi che par elio seguano al por quest’ orbo cometario. E per chiara intelligenza del tutto, seguendo dico : 1’ aver tanti filosofi antichi creduto, la cometa essere una stella vagante, la quale non apparisse se non quando allontanandosi dal Sole uscisse della sua irradiazione, nel modo che Venere e Mercurio per sirail separa¬ zione si fanno visibili, restando tutto ’l resto del tempo invisibili per la vicinanza di quello; ci ò chiaro argomento che lo comete, per lun¬ ghissime osservazioni, comunemente dal loro primo apparire si vanno medesimo oggetto assai minore ci si mostrerebbe. Ma se noi vorremo 20 sopra queste buone coniotture discorrere circa la cometa, mi par elle molto più ragionevolmente potremo venire in opinione, che ’l movi¬ mento suo fosse un continuo allontanamento da noi, fatto per linea retta; poi che, quanto alla sua visibil grandezza, sempre si andò di¬ minuendo sino alla totale perdita, o la velocità sua apparentemente ritardandosi. Ma lo apparenze e rincontri che favorirebbono una tale opinione non son questi soli, anzi pur vene sono degli altri : tra i quali il seguente è ' .co efficace. L’ avere auto àmti filosofi antichi opinione che la cometa fusse una stella vagante, la quale non apparisse se non quando allontanandosi dal 30 Sole uscisse della sua irradiazione, nel modo che Venere e molto più Mer¬ curio per simil separazione ci si fanno visibili, restando tutto 1 resto del tempo invisibili per la vicinanza di quello ; ci ò chiaro argomento che le comete, per lunghissime osservazioni, comunemente dal lor primo (,) La stampa: aggiuntamente. 92 DISCORSO successivamente allontanando dal Solo, si conio è accaduto di queste dello quali principalmente favelliamo, avendo d’una fresche e sensate osservazioni, o dell’ altra molto diligente storia in Ticone e altri che 1’ osservarono. E perchè alcune hanno il lor nascimento vespertino, come quella del settanzette, e altre mattutino, come la nostra, quindi ò che, dovendosi andar discostando dal Sole, bisogna che quelle si muovano secondo l’ordine de’segni, e questo in contrario: la qual contrarietà di moti è sconvenevolissima cosa a doversi porre o nella medesima sfora, o in diverso destinate per movimento di materie d’una stessa natura. io Ma, olfcr’ a tutto le improbabilità allegato, notisi da voi, Accademici, quali altre sorte d’ assurdi sien trapassate da quelli i quali troppo ansio¬ samente vorrebbono che le cose naturali s’ accomodassero o rispondessero al concetto che essi casualmente di quelle si son formati. Ticone, dal- 1’ avere osservato che la cometa del settanzette, separandosi nel principio dal Sole, da quello digredì sino a corto termino, o poi cominciò n ravvi- cinarsegli, e che, in oltre, successivamente dopo sua apparizione s’ andò diminuendo, e perciò conghietturalmente da noi allontanandosi, imitando le digressioni di Venere e di Mercurio, pensò di ciascuno di questi effetti addurre competente ragiono con assegnarle un rivolgimento intorno al Sole 20 simile a quelli dello due nominate stolle, ma in un orbe tanto maggiore di quel di Venere quanto la digressione della cometa, die fu intorno ses¬ santa gradi, apparve maggior di questa di Venero, che ò intorno a qua¬ rantotto : nè del tutto 1' assunto fu inverisimile, benché altra più semplice e naturai cagione, e più aggiustatamente all’ apparenze corrispondente, se ne può, per mio parere, arrecare, come appresso dirò. Il Matematico del Collegio Romano ha parimente por questa ultima cometa ricevuto la me- apparire si vanno successivamente allontanando dal Sole, sì come è ac¬ caduto di queste delle quali principalmente parliamo, avendone del¬ l’ima fresche e sensate osservazioni, e dell’altra molto diligente istoria so in Ticone ed altri che la osservorno. E perchè alcune hanno il loro nascimento vespertino, come quella del 77, ed altre mattutino, come la nostra, quindi è che, dovendosi andar discostando dal Sole, biso¬ gna che quelle si muovino secondo 1’ ordine do’ segni, e queste in contrario : la qual contrarietà di moti è cosa absurdissima a do¬ versi porre o nella medesima sfera, 0 in diverse sfere destinate per il movimento di matei’ie della medesima natura. Ora, tal centra- DELLE COMETE. 93 desi ma ipotesi ; e a così affermare, oltr’ a quel poco che ir ò scritto dal- T Autore, che consuona con la posizion di Ticone, m’induce ancora il ve¬ dere in tutto ’1 rimanente dell’ opera quanto e’ concordi con le altre Ticonicho immaginazioni. Stante, dunque, elio tale sia 1’ orbe dello comete, quale questi autori si figurano, gran cagiono mi resta di maravigliarmi che quei del Collegio si sieno poi persuasi di poter conservare e nomi¬ nare prole celeste questa che, quasi triforme Dea, bisognerà farla abita¬ trice del cielo, dogli elementi e altresì cieli’ inferno. Perche, avendo lo digressioni della nostra cometa tlal Sole passati novanta gradi, piccola scin- 10 tilla di geometria basta a far vedere elio 1’ orbe di lei, circondando ’l Soie, bisogna elio, dopo lungo trascorrer per lo cielo, traversi gli elementi o penetri anche per 1’ infernali viscere della Terra ; avvegnaché la digres¬ sione precisa di novanta gradi, formando con la linea dol moto solare an¬ goli retti, vieno ad essere la tangente dell’ orbo della stella che digredi¬ sce, e a toccar la superficie della Terra e passar por la vista de’riguardanti. Tal mostruosità non posso credere elio 1’ autor del Problema sia per voler sostenere : e son sicuro che so gli verrà in pensiero, por mantenimento del primo detto, d’ assegnare alla cometa forse una conversione non intorno al Sole, simile a quella di Venere e di Mercurio, ma intorno alla Terra 20 senza comprendere il Solo, imitando la Luna, o pur comprendendolo al modo eie’ tre pianeti superiori, son, dico, sicuro eh’ in ogni maniera, esa¬ minando diligentemente tutte lo conseguenze, incontrerai di duri e peri¬ colosi scogli. A me, al quale non ha nel pensiero avuto mai luogo quella vana di¬ stinzione, anzi contrarietà, tra gli elementi od i cieli, niun fastidio o dif¬ ficoltà arreca che la materia in cui s’ e formata la cometa avesse tal volta ingombrate queste nostre basse regioni, e quindi sublimatasi avesse sor¬ montato 1’ aria e quello che oltre di quella si diffonde por gl’ immensi spazi dell’universo; il che credo certo ella aver potuto fare senza trovar 30 resistenza o intoppi così duri che la ’mpedissero dal suo viaggio, o pure 94 DISCORSO un breve momento la ritardassero. Anzi di simil sublimazioni di fumi, vapori, esalazioni o di qualsisieno altre sottili e leggior materie elemen¬ tari, panni che spesse volte ne abbiamo ancora degli altri rincontri ; e so Accademici, che molti di voi avranno più d’ una volta veduto ’1 cielo nol- 1’ ore notturne, nelle parti verso settentrione, illuminato in modo, che di lucidità non cede alla più candida aurora nò lontana allo spuntar del Sole: effetto che, per mio credere, non ha origine altronde, che dall’ essersi parte dell’ aria vaporosa che circonda la Terra per qualche cagione in modo più del consueto assottigliata, che, sublimandosi assai più del suo consueto, abbia sormontato il cono dell’ ombra terrestre, si che, essendo la sua parte io superiore ferita dal Sole, abbia potuto rifletterci il suo splendore e for¬ marci questa boreale aurora. La quale apparenza ha bollo e probabile in¬ contro, poiché ella si vede solo o più frequentemente la state, quando ’l Sole, fatto settentrionale, per minor distanza resta sotto V orizzonte, o la ’nclinazion del cono dell’ ombra terrestre inverso austro ò tanto mag¬ giore, eli’ assai meno che in altro tempo hanno a sollevarsi i vapori per uscirne fuora o liberarsi dall’ ombra ed esporsi in vista al Solo. Ma per più propinqua conghiettura ricordiamoci che por alcuni giorni avanti il comparir della nostra cometa fu veduta la mattina innanzi giorno, men¬ tre s’ osservava il Trave, tutta la parte orientalo ripiena assai più del so- 20 lito di vapori molto luminosi, anzi tanto poco mono risplendenti della stessa cometa, eli’ olla su ’l principio parova quasi più tosto distinta dal resto del cielo por due strisce laterali alquanto mon lucide, elio perchè ella grandemente superasse di luce tutto ’l rimanente del cielo. In oltre, che per i celesti campi vadano simili fumosità vagando, o producondosi e dissolvendosi, quol che prima sensatamente o poi dimostrativamente e stato proposto e provato dal nostro Accadomico dello macchio del Sole, ce ne rende in modo sicuri, elio ragionevolmente non resta luogo di dubitarne. Ora, venendo a moderar gl’ inconvenienti che seguir si veggono nel- F assegnata sfera dello comete, dico che assai probabilmente e con age- 30 volezza con un solo e semplice movimento viene ogni repugnanza rimossa : imperocché non abbiamo a chiinerizzare altro eli’ un sem¬ plicissimo ed equabil moto per linea retta dalla superficie della Terra verso ’l cielo. i ieta vien con somma facilità e con un solo c semplicissimo movi¬ mento tolta via: imperò che non aviamo a chiinerizzare altro che un semplicissimo ed equabil movimento per linea retta dalla superficie della Terra verso ’l cielo. DELLE COMETE. 95 E ciò, prima, soddisfa, come s’ è detto, all’ apparir per linea retta, essendo egli veramente tale ; ed essendo eguale in sè stesso, ci parrà sempre più tardo mediante il discostamento maggiore, ci mosterrà diminuzione nella grandezza visibile dell’ oggetto, e finalmente, senza bisogno d’introdur ninna contrarietà di movimenti, sia pur la co¬ meta orientale o occidentale, mattutina o vespertina, sempre ci ap¬ parirà discostarsi dal Sole. E per più chiara intelligenza del tutto, veggasi la presente figura : nella quale per lo cer¬ chio ABC intendasi il globo terrestre, e sia in A io 1’ occhio del riguardante, il cui orizzonte sia se¬ condo la linea retta AG-, la qual vada anche verso il Sol nascente; e intendasi, pur verso la regione orientale, la linea retta ascendente perpendicolar¬ mente verso ’l cielo, secondo la quale si muova la materia della cometa, e sia questa la linea DEF, nella quale sieno segnate alcune parti equali SO, ON, NI, IF, che sieno, per esemplo, gli spazi passati di giorno in giorno da essa cometa; e sia 0 il luogo della sua prima apparizione, non si es- E questo, prima, satisfà, come si è dotto, all’ apparirci per linea 20 retta, essendo egli veramente tale ; ed essendo eguale in sè stesso, ci parrà sempre più tardo mediante ’l discostamento maggiore, ci mo¬ strerà diminuzione nella grandezza visibile dell’ oggetto, e finalmente, senza bisogno d’introdur nissuna contrarietà di movimenti, sia la cometa orientale o pure occidentale, mattutina o vespertina, sempre ci apparirà discostarsi dal Sole. E per più chiara intelligenza del tutto, intendasi la figura posta in fine 111 : nella quale per il cerchio dbc intendasi il globo terrestre, e sia in a l’occhio del riguardante, il cui orizonte sia secondo la linea retta ag, la quale vadia anco verso il Sole nascente; ed intendasi, pur verso la regione orientale, la linea so retta ascendente perpendicolarmente verso ’l cielo, secondo la quale si muova la materia della cometa, e sia questa la linea def\ nella quale siano segnate alcuno parti eguali so, on, ni, if\ che sieno, per esemplo, gli spazii passati di giorno in giorno da essa cometa; e sia o il luogo della sua prima apparizione, non si essendo veduta innanzi W Idi ligula manca nel manoscritto, che, come abbiamo notato hq\Y Avvertimento, ò mutilo. 9G DISCORSO sendo veduta innanzi per esser troppo sotto i raggi del Solo ; veggasi poi il secondo giorno inN, il terzo in I, il quarto in V, ecc. È manifesto primieramente die, essendo ella nella sua prima apparizione più che in altro tempo vicina all’occhio, maggiore apparirà in 0 che inN,o in N che in I, so non forse in quanto 1’ essere in 0 più sotto i raggi del Sole e nella chiarezza del crepuscolo offuscasse tanto della sua luce, che per due o tre giorni ci apparisse andar più tosto accre¬ scendosi ; ma poi, uscita dall’ albóre del crepuscolo, s’ andrà ella sem¬ pre diminuendo : e ’l suo moto apparento sarà sempre più tardo, per¬ chè gli angoli OAS, NAO, IAN, FAI, occ., elio sono le misure di essi w moti, son sempre conseguentemente minori e minori, come agevol¬ mente si dimostra. Perchè, essendo nel triangolo ASN l’angolo S ot¬ tuso, sarà la linea AN maggiore della AS ; e però quando 1’ angolo NAS fosse segato in parti eguali dalla linea AG, la parte del lato opposto NO sarebbe maggioro dell’OS; dunque, perchè si pone es¬ sergli eguale, è forza che 1’ angolo NAO sia minore dell’ angolo OAS: e nello stesso modo si dimostra, gli angoli conseguenti esser sempro minori de*precedenti, eli’è cagiono dell’apparente ritardazione del per esser troppo sotto i raggi del Sole; veggasi poi il secondo giorno in n, il 3° in ì, il 4° in f, etc. È manifesto primieramente che, cs-m sendo ella nella sua prima apparizione più elio in altro tempo vicina all’ occhio, maggiore apparirà in o che in n, ed in n che in i, se non forse in quanto 1’ esser in o più sotto i raggi del Sole e nella chia¬ rezza del crepuscolo offuscasse tanto della sua luco, che per 2 o 3 giorni ci apparisse andar più presto accrescendosi ; ma poi, uscita dell’albóre crepuscolino, si anderà ella sempre diminuendo: ed il suo moto apparente sarà sempre più tardo, perché gli angoli oas, nao, ian, fai , ctc., che sono lo misuro di essi moti, son sempre conseguen¬ temente minori e minori, corno facilmente si dimostra. Perchè, es¬ sendo nel triangolo asn l’angolo s ottuso, sarà la linea an maggiore so della as ; e però quando 1’ angolo nas fusso segato in parti eguali dalla linea ao, la parte del lato opposto no sarebbe maggiore della os; adunque, perchè si pone essergli eguale, è forza che 1’ angolo nao sia minore dell’angolo oas: e nell’istesso modo si dimostra, gli an¬ goli conseguenti esser sempre minori de i precedenti, elio è causa della DELLE COMETE. 97 moto. Io oltre, mostrandocisi ella nelle parti orientali, ci apparirà nel suo ascendere acquistar del cielo sempre verso occidente, ed in conseguenza il suo movimento esser retrogrado, cioè contro l’ordino de’ segni, come appunto è accaduto di quest’ ultima ; che s’ ella si mosterrà verso occidente, ci apparirà per lo suo ascendere ritirarsi verso levante, o ’l movimento esser diretto, cioè secondo l’ordine de’segni, come avvenne nella cometa del settanzette. Di più, e nel- 1’ una e nell’ altra positura ci apparirà ella continuamente dilungarsi dal Sole, venendo tale allontanamento misurato dall’ angolo OAG, io NAG, IAG (U , il quale si va successivamente ampliando por l’aggiunta di giorno in giorno dell’angolo del suo moto apparente. Ma però qui cade una differenza degna di considerazione: ed è, che quando la cometa sarà orientale, coni’ è stata quest’ ultima, ella s’andrà discostando dal Sole non solamente mediante il suo moto apparente e retrogrado, ma eziandio per lo moto proprio del Sole, il quale sempre è diretto ; ma quando ella sarà occidentale, e avrà apparente ritardazione del moto. In oltre, mostrandocisi ella nelle parti orientali, ci apparirà nel suo ascendere aqquistar del cielo sem¬ pre verso occidente, ed in conseguenza il movimento suo esser retro- 20 grado, cioè contro all’ ordine de’ segni, come appunto è accaduto di questa ultima; die se ella si mostrerà verso occidente, ci apparirà per il suo ascendere ritirarsi verso levante, ed il movimento suo esser diretto, ciò è secondo 1’ ordine de i segni, come avvenne della cometa del 77. Di più, e nell’una e nell’altra positura ci apparirà ella an¬ darsi continuamente allontanando dal Sole, venendo tal lontananza misurata dall’angolo oag, nag, mg, etc., il quale si va successivamente ampliando per l’aggiunta di giorno in giorno doli’ angolo dol suo moto apparente. Ma però qui cade una differenza degna di considerazione: ed è, so che quando la cometa sarà orientale, come è stata quest’ ultima, ella si andrà discostando dal 0 non solo mediante il moto suo apparente e retrogrado, ma anco per il moto proprio del 0, il quale è sempre diretto ; ma quando ella sarà occidentale, e che però il moto suo sarà (l) La stampa : IAC. vi 13 98 DISCORSO però lo suo movimento diretto, essendo diretto parimente quel del Sole, ella non continuerà a discostarsi da quello so non sin a tanto che ’l suo movimento apparente sarà maggior di quel del Sole; ma andandosi il suo diminuendo, e mantenendosi quel del Sole, potrà accadere che, fatta più tarda, non più s’ accresca, ma si vada dimi¬ nuendo successivamente la sua distanza da quello. E questi due ac¬ cidenti si sono esattamente verificati nello due comete dello quali noi favelliamo : conciossiacosa die quest’ ultima, essendo orientale, sempre si sia andata allontanando dal Sole ; ma 1’ altra del settanzetfce, elio fu occi¬ dentale, su ’l principio s’ andò allontanando circa quattro gradi il giorno, io chè di tanto superava ’1 movimento di quello, andando poi successivamente languendo, si che in poco più di venti giorni si ridusse con velocità egualo con esso Sole, ondo più non se gli allontanava, o dopo, restando vinta, cominciò il Sole a racquistarla, in tanto che nel fino lo si avvicinava quasi mezzo grado per giorno. Io non voglio in questa parte dissimular di comprendere che quando la materia in cui si forma la cometa non avesse altro movimento elio ’l retto o perpendicolare alla superficie del globo terrestre, cioè dal centro verso ’l cielo, egli a noi dovrebbe parere indirizzato procisamonto verso il nostro vertice e zenit; il che non avendo ella fatto, ma declinato verso 20 settentrione, ci costrigne a dovere o mutare il sin qui detto, quantunque in tanti altri rincontri così ben s’ assesti all’ apparenze, o vero, ritenen¬ dolo, aggiugner qualcli’ altra cagione di tale apparente deviazione. Io ni 1 uno saprei, ne V altro ardirei di fare. Conobbe Seneca, o lo scrisse, quanto importasse per la sicura determinazione di questo cose 1’ avere una ferma e indubitabil cognizione dell’ ordine, disposizione, stati g movimenti dello pai ti dell universo, della qualo il nostro secolo riman privo: però a noi diretto, essendo anco diretto parimente quel del ©, ella non conti¬ nuerà di discostarsi da esso se non sin tanto che il movimento suo apparente saia maggiore di quel del 0 ; ma andandosi il suo diini- 30 nuendo, e mantenendosi quel del 0, potrà accadere che, fatta più tau a, non più si accresca, ma si vadia diminuendo successivamente la sua distanza da quello. E questi due accidenti esattamente si sono verificati nelle duo ••• t i • . . DELLE COMETE. 09 conviene contentarci di quel poco che possiamo conghietturare cosi tra T ombre, sin che ci sia additata la vora costituzion delle parti dol mondo, poiché la promessaci da Ticone rimase imperfetta. E già che abbiamo con qualche diligenza esaminato tanti particolari, non sarà so non bene che facciamo alcuna considerazione sopra la curvità della chioma o barba della cometa; intorno al quale accidente non veggo avere scritto altri che Ti- cono, ma, por mio credere, non più veridicamente elio dogli altri partico¬ lari dependenti dall 7 umana conghiettura. Esaminerò dunque quanto egli no scrive, o ritrovatolo al sicuro nulla concludente, tenterò s’ io possa io produr cosa di probabilità. Stima Ticone che ’l tratto della chioma non sia altramente, in sò stesso e realmente, curvo, ma diritto, e elio accidentalmente apparisca piegato e torto : ed in questo credo io aver egli conforme al vero giudicato ; e la cometa moderna si mostrò tal volta con la chioma incurvata, e alcuna volta dirittamente la distendeva. Ma nell’ assegnare eli’ egli fa della ca¬ giono di tal accidentale apparenza, credo eh 7 egli torca dal vero più che la chioma dal rotto. Egli riferisce la cagion di ciò all’esserci gli estremi della cometa di¬ segualmente lontani dall’ occhio, e dice che in tutti gli oggetti visibili, 20 che realmente sien dirittissimi, tuttavolta che un do’ suoi termini sarà più vicino al nostr’ occhio dell’ altro, accade che incurvati, e non diretti, ci appaiano; e soggi ugno, di tale effetto esserne corte dimostrazioni di pro¬ spettiva in Yitolliono c Àlazzeno. Io, essendo primieramente sicuro della falsità della conclusione, volli vedere i luoghi de’ citati autori, parendomi cosa strana che scrittoli di quella fatta avessero tanto solennemente tra¬ viato dal vero, eli’ e’ si persuadessero d’ aver dimostrato quel eli’ e indi¬ mostrabile e falso, e anche parendomi gran cosa eli’ un par di Ticone po¬ tesse essersi abbagliato nello ’ntendere le conclusioni di quegli scrittori. Tuttavia ’l primo ingannato sono stat’ io, perché veramente Ticone non ha 30 inteso quel che nelle da lui cibate proposizioni hanno Vitellione e Alaz- zeno dimostrato, i quali parlano di cosa lontanissima da tal proposito. Quel che i detti autori cercano no’ luoghi addotti è, da quali indizi la nostra virtù giudicativa comprenda quando una superficie piana, veduta da noi, sia esposta rottamente e in maestà alla nostra vista, o pure obbliquamente o in iscorcio : o dicono che noi conosciamo la positura essere in maestà, perdio, essendo le parti estreme dell’ oggetto egualmente dall’ occhio lon¬ tane, cadendo il raggio perpendicolare della vista sopra ’l mezzo dell’ og¬ getto, con simile e eguale distinzione veggiamo le parti destre e le sini¬ stre, perchè di qua e di là son punti egualmente lontani dall’ occhio : ma 40 quando ’l medesimo oggetto sarà esposto in obbliquo, cioè con un’ estremità 100 DISCORSO vicina e 1’ altra remota dall’ occhio, allora, non trovando egli pur due punti egualmente da so lontani, dal veder noi lo parti vicine distintamente e le più remote di mano in mano più confuse, giudica la nostra facilità di¬ stintiva quello esserci vicine e questo lontane, che ò conoscere elio tale oggetto sia esposto all’ occhio obbliquauiente o in isoorcio : sì elio quivi non viene altrimenti scritto elio un oggetto diritto appaia mai torto, e la parola obbliquo non significa curvo, corno richiede ’l bisogno di d'icone, ma vale quel elio noi diciamo in iscorcio e a beando. Se la conclusimi di Ticone fusso pur vera, altri potrebbe più agevol¬ mente scusarlo deir avere, in trascorrendo superficialmente quo’ luoghi, io frantoso ’l lor senso o partitogli al suo proposito accommodato ; ove che la manifesta falsità della conclusione doveva rendergli (pio* luoghi non pur sospetti, ma senz’altro processo dannati. Sono poi tanto e sì frequentilo sperienze che ci mostrano la falsità di tal conclusione, che grandemente mi maraviglio potere alcuno, ancor elio di mediocre senso, rimanere in¬ gannato. Non veggi amo noi continuamente antenne, picche, strado, torri, campanili e mill’ altre cose diritte, le quali da nessuna veduta, quanto si voglia in iscorcio, giammai curvo non appariscono? Anzi tanto e falso eli’ una cosa diritta possa ingannarci e parerci inarcata, mentre una delle suo estremità c’ è più dell’ altra vicina, eh’ alio ’ncontro meglio non ci pos -20 siamo noi accertar di sua dirittura, che co ’l porre una delle suo estremità quanto sia possibil vicina all’occhio, o l’altra più che si possa lontana; e in cotal guisa i legnaiuoli con una semplice occhiata comprendono la dirittura d’ un legno. E di più soggiungo, tanto essere il discorso di Ti¬ cone diametralmente opposto al vero, elio, se mai può accadere eli’una linea diritta paia piegata, ciò avverrà quando lo suo estremità saranno in pari lontananza dall’ occhio : e così, v. g., una cortina di muraglia dirit¬ tissima ci potrà parere che si vada a destra e a sinistra inclinando, men¬ tre noi staremo a dirimpetto al suo mozzo, dove olla apparirà più alta e più larga che verso l’estremità, per la qual cosa il suo tonnine superiore30 apparirà inclinarsi verso gli estremi. Della nullità, dunque, delle ragioni di Ticone siamo noi ben certi. Ora proporrò quel che sopra di ciò mi sovviono, più per darvi occasione di scoprire quel che di buono 0 di reo ci si contenga, che perche io risolu¬ tamente mi reputi d’ interamente soddisfare al dubbio. Dico, dunque, essere assai manifesto 0 comunemente ricevuto, l’am¬ biente che circonda la Terra essere non aria semplice o pura, ma, sino a certa altezza, mescolata con fumi e vapori grossi, da’ quali ella vien resa noi abilmente più densa e corpulenta che’l rimanente dell’etere superiore, il quale poi sincero e limpido per immensi spazi si spande. E perchè tali 40 101 DELLE COMETE. vapori circondano rm corpo di figura sferica, cioè il globo terrestre, essi ancora si fanno a simil figura, si olio la loro superficie esteriore è sferica convessa : onde un oggetto visivo che si ritrovi fuori di tal regimi vapo¬ rosa, dovendo nel venire all’ occhio nostro, constituito sempre entro alla profondità di cota’ vapori, passare por un socondo diafano denso, è forza ohe nella superficie di quello talvolta si rifranga e di figura alterata si rappresenti. Il che acciò meglio s’intenda, doviamo prima ridurci a memoria una generai proposizione da maestri di prospettiva insegnataci, cioè di’ ogni io refrazione si fa nello stesso piano il (piale perpendicularmente sega la su¬ perficie del corpo diafano, elio del rifrangersi è cagiono; sì elio il raggio incidente elio da un punto del! oggetto casca sopra la superficie del corpo diafano, lo stesso punto della ’ncidenza, il raggio rifratto e V occhio, sono sempre in un medesimo piano, il quale passa ancora per la perpendico¬ lare che sopra la superficie del diafano rifrangente dal punto dell’ inci¬ denza si eleva. Ora, fatta questa supposizione, e intendendo noi di parlare ri’ un oggetto di figura lunga e distesa in linea retta, qual è la cometa, dico che all’occhio posto dentro all’orbo vaporoso egli può in due ma¬ niere rappresentarsi. Imperciocché, o 1’ occhio è posto nel piano che pas¬ so sando per la lunghezza dell’ oggetto si distendo anche por lo centro della sfera vaporosa, o vero ò fuori di tal piano. So Y occhio sarà in cotal piano, egli vedrà 1’oggetto, quanto e alla figura, in niuna parto alterato; per¬ chè, segando egli la sfera por lo centro, viene ad osser sopra la di lei su¬ perficie perpendicolarmente eretto, o però le refrazioni di tutti i punti dell’ oggetto nello stesso piano si producono, onci’ egli diritto all’ occhio si rappresenta : anzi, che se 1’ occhio, oltre all’ essere in cotal piano, fosse ancora nel contro, comprenderebbe tutte le parti doli’ oggetto senza niuna rifrazione, perchè di tutti i punti di osso le linee incidenti sarebbono per¬ pendicolari alla superficie del diafano, e perciò rifratte al centro e all’oc- 80 chio perverrebbono. Ma quando 1’ occhio sarà fuori d’ osso piano, è impos¬ sibile die I oggetto gli apparisca piu diritto ; perchè il piano elio passa por l’occhio e per la lunghezza dell’oggotto, non passando per lo centro del! orbe vaporoso, non sega più la superficie di quello perpendicolar¬ mente, ondo in cotal piano non possono più farsi le rifrazioni de’ raggi dependenti da’ punti dell’ oggetto ; nò si faccendo elleno noi comun sega¬ mento di tal piano e della superficie dell’ orbo vaporoso, ma in altra linea, è forza eh’ ella inarcata ali’ occhio si rappresenti, perdio delle linee se¬ gnato nella superficie d’ una sfera ninna apparisce diritta, se non quella che vien fatta dal segamento d’ una superficie piana che passi per 1’ oe- 40 chio. Questo, di che, per quanto in questo luogo si poteva, vi ho assai DISCORSO 102 evidente demos trazione arrecato, può anche da voi, Accademici, per espe¬ rienza esser veduto : perchè, so piglierete una lente di cristallo assai srande colma da una parte o piana dall’ altra, o tenendo il piano verso V occhio porrete incontro al colmo una linea retta, vedroto, col mutare la positura dell’occhio e dell’oggetto l’opposta linea or diritta e ora inar¬ cata ; e comprenderete, essa diritta dimostrarsi, qualvolta il piano per essa e por rocchio immaginariamente prodotto sega la lento ad angoli retti; ma quando tale immaginato piano la sogherà molto obbliquamente, essa linea piogata si scorgerà. Ora nel caso nostro, avvegnaché V occhio non sia al tramonto noi cen- io tro dell’ orbe vaporoso, la cometa, elio in so stessa ò realmente diritta, tale non ci apparirà ella giammai, se non quando ella lusso distesa in un piano che passasse per rocchio nostro e por lo centro do’vapori, eli’è in somma il medesimo elio l’essere in alcuno de’ nostri cerchi verticali; ma quando ella gli taglierà, sempre la vedremo incurvata, e più o mono, se¬ condo elio olla più o meno trasversalmente gli segherà. E però costituito alcuno do’ suoi punti nel nostro zenit, rotta apparirà ; imperocché ella si distenderà necessariamente por un verticale ; o so non molto dal zenit s’ allontanerà, insensibilmente s’ incurverà, benché tagliasse alcuni verti¬ cali; e questo avviene, imperocché ad alcun altro ella resta quasi elio pa- 20 ralella : ma abbassandosi verso V orizzonto, o quasi a quello paralolla distendendosi, più e piu sempre apparirà incurvata : lo quali diversità massimamente accascano, perche il piano che passa per Y occhio o por la lunghezza della cometa, quanto più ella ù elevata dall’ orizzonte, tanto meno obbliquamente sega la superficie dell’ orbo vaporoso ; onde i raggi incidenti, meno dal retto inclinando, con minor rifrazione si conducono all’ occhio, ed in conseguenza mono alterano la retta figura dell’ oggetto. E poiché, virtuosi Uditori, da quanto sin qui si é discorso s’ ò, per mio credere, agevolata non poco la strada a meglio filosofare, intorno allo conclusioni da noi esaminate, di quello che non s’è fatto da Ticone e 30 da’suoi aderenti, io non voglio restare ancora di porger loro la mano in aiuto a distrigarsi d’ un altro forse maggior viluppo, nel quale ritrovan¬ dosi esso Ticone, strettamente no chiedo aiuto se non da alcuno più va¬ loroso, almeno da più fortunato matematico. Egli costantissimamente scrivo, e pretende di dimostrar, la chioma o barba della sua cometa essere stata sempre direttamente opposta non al Sole, ma alla stella di Venere; e Lencli’ egli abbia le relazioni di molti grandi astronomi, affermanti mol¬ tissime altre comete essere da loro state diligentemente osservate aver tutte la chioma opposta sempre al Sole, vuol più tosto mettere in dubbio le attestazioni di tutti e creder che tutti possano essersi abbagliati, forse 40 DELLE COMETE. 103 per non avore avuto strumenti di tanto prezzo quanto i suoi, che dubitar di se solo e dello osservazioni proprie. Dall’ altro canto poi, dovendo la cometa originariamente depender da Venero, gli pare alquanto duro, come il lume suo, che pure ò piccolo e di poca efficacia, possa aver fatta una tanta riflessione o refrazione, o cotanto splendida : e per quanto da que¬ st’ altro accidente depende, non sarebbe renitente a farla prole dell’ im¬ menso lume del Sole ; ma non penetra poi come ella potesse declinare dalla diretta opposizion di quello. Ora, incominciando a sciorre il nodo, dico primieramente, la cometa io non esser in vermi modo refrazion del lume di Venere, il quale e per la piccolezza o per la debolezza, non essendo altro eh’ un lume reflesso del Sole iu piccolissimo corpicello, non può fare un’ altra seconda, cosi grande e lucida, rifraziono. In oltre, se nella materia della cometa si rifrangeva il lume di Venere, porche non anche nel medesimo tempo vi si faceva rifrazione di quel del Solo, formando un’ altra cometa in grandezza e luci¬ dità all’ altra di gran lunga superiore? Certo che nessuno ostacolo veniva interposto tra la cometa e ’l Sole, che potesse impedire la ’ncidonza de’raggi suoi: e non si essendo fitto altro eh’una sola cometa, è ben più credibile che sia mancata la dependente da Venere, che la prodotta dal 20 vSole. E finalmente, chi volesse pur sostenere, la cometa di Ticone esser fatta da Venere, bisogna per necessità che ei dica, tutto 1’ altre parimente dal medesimo fonte esser derivate, o vane e fallaci essere state tutto le conghietture o osservazioni di tutti gli altri autori, che 1’ hanno osservate e riconosciuto dal Sole. La ragiono è assai manifesta : imperocché se al¬ cuno nascessero dal Sole e alcun’ altre da Venere, lo solari sicuramente dovrieno essere infinitamente più splendenti delle venereo, cioè tanto più quanto il Sole è più splendido di Venere; ma non si è veduta nè sentita alcuna notabil differenza, quanto è alla splendidezza, tra cometa e cometa; adunque, se la Ticonica è prole di Venere, tutte 1’ altre ancora da Venero so hanno avuta origine. Il che poi io non credo eli’ alcuno sia per credere, nò per credere che avendo Venere, che pur sempre si trattiene intorno al Sole, mille volte incontrato materia disposta a rifrangere il lume suo e formarne comete, il Sole giammai non abbia avuta una tale occasione : ma crederò bene che, rifrangendosi, i raggi del Sole formino .le comete, alla cui formazione restino que’ di Venere, o d’ ogni altra stella, di grandissima lunga impotenti. Sciolto questo, vengo all’ altro capo, e dico tener per fermo, che Ti¬ cone si sia ingannato nel credere e affermativamente replicar millo volte, che la chioma della sua cometa fosse dirittamente opposta a Venero, e 40 non al Sole : ed ha lo ’nganno suo avuto origine dal non gliele avere 104 DISCORSO addirizzata a ragione; e panni ch’egli troppo d’autorità e d’ arbitrio ri¬ duca la curvità di essa chioma alla dirittura d una linea retta elio si pro¬ duco dal mozzo dell’ estremità do’ capelli por lo centro del capo, potendo olla ridursi alla dirittura d’infinito altre linee rotto, verso altre ed altro parti prodotte ; avvegnaché in tanto guise si possa ridurre a dirittezza una linea incurvata, in quante, mentre fu rotta, si potette piegare. Ora, d’ una linea rotta si può lasciar nel suo stato uno do’ suoi estremi termini, o incurvar tutto ’l resto; o cosi si piega la pertica di quegli che lavorano a tornio: si può anche lasciare immobile il punto di mezzo, ed inclinare il resto all’ una o all’ altra mano ; o cosi si piega un arco : o finalmente io si può fissare qualsivoglia punto di essa linea, e piegar tutte 1’altre parti di qua e di la. Cosi, all’ incontro, noi raddirizzarla possiamo ritener qual¬ sivoglia suo punto immobile, movendo tutti gli altri verso la dirittezza: eh’ ò il medesimo, in somma, corno so noi dicessimo, elio una linea si può ridurre alla dirittura di tutto le rette lineo tangenti V arco in qualunque suo punto, lo quali sono infinite o verso infiniti luoghi riguardano. Se Ticone avesse fatta questa considerazione, e l’avesse poi accoppiata con l’al¬ tro coso che egli scrive, veramente che trovava la chioma della sua cometa esser opposta rettamente al Sole, e non a Venero. Con ciò sia cosa che egli primieramente dice che la sua curvità ò solo apparente, o non reale, e 20 eli’ e una illusione della vista, per essere un* estremità della cometa vicina all’ occhio, e 1’ altre parti più e più lontane ; dal elio depende 1’ apparir curva. Dice poi, che quando la cometa derivasse dal Solo, il capo d’essa sarebbe lontano, e l’estremità della chioma vicina all’occhio del riguar¬ dante ; tal che, procedendo lo ’ncurvamento secondo elio le parti della chioma più o più s’allontanano dall’occhio, osso incurvamento si viene a fare restando nel suo vero essere 1’ estremità verso 1’ occhio 0 inclinan¬ dosi conseguentemente tutti gli altri punti della sua lunghezza; 0 però nel ridirizzarla bisogna ridurla alla tangente dell’arco nel termine verso Tocchio. Ora prendiamo la medesima figura posta da Ticone, e tiriamo » questa tangente, elio la troveremo andar giusto a ferir noi contro del Sole. Questa conclusiou vera poteva Ticone dedurre dal suo principio, ben¬ ché falso in quello eh’ appartiene alla cagion dell’ apparir la chioma inar¬ cata, come di sopra si ò dichiarato : ma perche 1’ effetto, cioè 1’ apparire incurvata, e vero, o vero è ancora elio la curvatura si può ridurre a vario linee rette tangenti, non dovrà appresso di noi rimaner dubbio alcuno elio tra queste vi o anche quella che va a ferirò il Solo, la qual poi è la vera direttrice della curvità. E finalmente, avvegnaché non tutto le cometo sciupi e si mostrino inarcate, anzi elio la medesima è talvolta diritta e ta- loia piegata, secondo eli’eli’e molto o poco elevata sopra 1’ orizzonte e DELLE COMETE. 105 più o mono volta verso il nostro vertice, come di questa ultima è acca¬ duto, poteva Ticone consigliarsi con le dirette, chè sicuramente Y avrebbe trovato die elle riguardano il Solo. Questo è, gentilissimi Accademici, quanto io in suggetto così contro¬ verso o dubbioso, francheggiato anche dell* altrui fatiche, ho saputo arre¬ carvi. Conosco che avanti a questa dottissima corona d’ auditori non con- ghietture, ma sì bene saldissimi discorsi e finissimi componimenti, si suole e debbo portare ; ma non avendo io per ora cosa maggioro, ho amato me¬ glio quanto io ho appresolitarvi, che con lo man vote comparire al vostro io cospetto, perche in materia di scienze e d’ ingegno io non approvo nò se¬ guo il parere di Euripide : Povero essendo, a te ricco non voglio Donare, acciò ’1 dator tu non derida, Nè creda che nel dare io t l ad dimandi. Dall’ esser da voi derisi questi miei poveri doni, n’ assicura la benignità vostra : confesso bene di pretendere di agumentar con essi infinitamente il mio poco avere, non avendo ad altro fine oggi queste dubitazioni po¬ stevi innanzi, se non acciò elle no’ vostri elevati e purgatissimi intelletti, quasi seme in ben fondato e fecondo terreno, apprendendosi, vi acquistino 20 virtù, # e germoglino al mondo certissime dimostrazioni, onde vegniamo in piena cognizion di quel vero Clic puote disnebbiar nostro intelletto. vr. H Suppone V autor del Problema (1) che la cometa, se fusse sullunare, non potrebbe esser altro che un incendio ; e perchè sarebbe vastis¬ simo, adunque non è sullunare : sogghigno poi immediatamente clic non può esser un incendio. Ma se egli ci può persuadere che e’ non sia un incendio, ed in oltre che, se e’ fusse sullunare, non potrebbe essere altro che un incendio, perchò non conclude egli immediata¬ mente che egli non può esser sullunare, perchè non può esser incen¬ dio, senza entrar, fuor di bisogno, a dir cho e’ sarebbe vastissimo ? oltre che, chi dirà che sia sullunare, non lo metterà tanto alto, nè, io in consequenza, tanto grande t2) . Ma che <3) vo io con altri discorsi o esperienze cercando di per¬ suader quello la cui certezza ed evidenza si può avere dalla sola ap¬ prensione della prima e più semplice supposizione della scienza ottica, che ò che i raggi visivi cambiano semper per linee rette, e non mai per curve? dal qual principio immediatamente si conclude, gli og¬ getti visivi in tutte le distanze, quanto si voglia diseguali, essere dal medesimo telescopio sempre secondo la medesima proporzione multiplicati. Imperò elio intendansi due raggi visivi procedenti dall’ occhio li- 20 bero secondo le rette linee ag, bh, tra le quali in diverse distanze siano gli oggetti visivi ab, cd, ef, gli, li quali all’ occhio appariranno (l) Cfr. De tribùs cometis anni m.dc.x vili ec., Mas. Galileiani, Par. Ili, T. XI, car. 17 c r. pag. 32, lin. 4-7. W Gir. Discorso delle co?/iete,pag.79,lin. 19 eseg. 10S DISCORSO DELLE COMETE. p in grandeza figliali, essendo veduti sotto 1 medesimo angolo j inten¬ dasi poi, per mezo d’ un telescopio, aggrandito 1’ oggetto ab sino alla grandezza ile, ed i raggi clie vengono dal te¬ lescopio a i termini i,k si intendino prolun¬ gati secondo lo linee rotto ip, kq u ', sino alle quali si prolunghino lo al, ef, uh, terminan¬ dole no i punti l,m, n,o, p,q, nei quali punti veramente verrohhono a terminare quando dal telescopio fossero ingrandite tutte se¬ condo la medesima proporzione. Ma quando io gli oggetti più remoti fossero di mano in mano ingranditi meno, i termini delle me¬ desimo linee ingrandite caderebbono dentro allo lineo ip, kq, conforme a i punti r,s, i,u, x,y m . Se da l’incontro 131 degli effetti si ha da argomentar la sicurezza delle conclusioni, non essendo gli effetti quali essi affermano, false saranno le loro ottiche conclusioni, e con molto poca considerazione fatte le loro esperienze. E da questo che dico, se altro non ne sa¬ pessero imparare, ne apprcndino al meno la modostia, ed un’ altra volta scrivino, la loro opinione prevalere all’ altrui, se però 1’ altrui 20 ottiche ragione ed esperienze intorno allo strumento non son migliori dello loro ‘ 4l . 9) LI manoscritto: secando le linee rette W Cfr. pag. 85, liti. 29 e Reg. ip, icj. Tomo cit., car. 19 V. Questo frani- W Tomo cit., car. 21 r. mento o cancellato. LOTIIARII SARSII SIGENSANI [HORATII GRASSI SALONENSIS] LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. CON POSTILLE DI GALILEO. Nell’©somplaro doli’edizione originalo della Libra postillato da Galileo, o che ora forma il T. XIII della Par. Ili dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, la parola examinantur del frontespizio è sottolineata, ed in margine Galileo scrisse : exanimantur. E nell’osemplare della medesima edizione elio forma il T. XIV della citata Par. Ili, dopo lo parolo ac plitlosophica , tra la terza o la quarta linea del frontespizio, il Guiducci scrisse : In qua P. Horatius Grassius , cium aliar uni inscitiam et rusticitatm inserta- tur, saam prodit, <&f$> C€4Ì « <£***itàftì a&h C&Jìfrifà) a* $ìO¥§) AD LECTOREM DE OPEItltì INSGRIPTIONE. Dum per minorimi siderum argentea globos Dira Cometes luce caesariem explicat, Gelidasque in Arctos igneam vibrat faeem, Quid ilio Lances inter aequatas niicat, Primosquo Librao consecrat vi tao dica? Agnosco tacitum lucis imperium novae: llac illa trutina lumen expendi suum, His et probari lancibus comam iubet ; His nostra nos et dieta pendami!» licet. EXAMEN PRIMUM EOIUJM QUAE DISPUTATION1 NOSTRAE A GALILAEO OBIECTA FUERUNT. Tribus in cacio facibus insolenti lumino, anno superiore, fulgentibus, nomo liebeti adeo ingenio ac plumbeis oculis fuit, qui utramque in illas aciem non inten- derit aliquando, iniratusque non sit insueti fulgoris eo tempore feracitatem. Sed quoniam est vulgus, ut sciendi avidissimum, ita ad rerum causas investigandas minus aptum, ab iis propterea sibi tantarum rerum scientiam, iure veluti suo, exposcebat, ad quos cadi mundique totius contemplalo maxime portincret. Phi- losopborum igitur astronomorumque Academias consulendas illico censuit. Quid io igitur nostra haec Gregoriana, quae, et disciplinarum et Academicorum multi- tudine nobilis, se inter caeteras designari omnium oculis, se maxime consuli, ab se responsa expectari, facile intelligebat ? Committere enimvero non potuit, no in re, quamquam dubia, suo saltcm muneri et postulantium votis uteumque sa- tislaceret ,3J . Praestitcrc hoc ii, quibus ex munere id oncris incumbebat; noe male, si summorum etiam capitum suffragium spectes. Unus, quod scialli, Disputationem nostrani, et quidem paulo acrius, iinprobavit Galilaeus. Doluimus primuni, quod [15 T essersi (,) il Sarsi mascherato gli ò di gran pregiudizio, por¬ che alle maschere, quando anco fosser principi, si può tirar le me- luzze e i torsi etc. 20 [21 Che concetto plebeo ò questo, di pigliare a considerare ex pro¬ fesso un libro, e poi di 100 cose notabili scierne solamente 5 o 6, che paiono da riprendersi, lasciando tutte V altre in dietro ! Questo è un voler pesar solamente i tarantella (3J cavasi dunque di qui, conforme alla verità stessa, quella scrit¬ tura essere stata fatta per dar satisfazione al vulgo (2) . Questa postilla o la seguente, elio indi- non si riferiscono ad alcun luogo della pagina stessa, chiamo col numero 2, furono scritte da Gai.ilko <*) La postilla ò riferita, con una grappa in sui margini della prima pagina della Libra, ina margine, allo Un. C-13. VI. 15 114 LOTHARII SARSII Pftg. 3. [pfcg. 47, liti. 12 o seg.] rag 1 . 21: [pag. 74, Un. 2 o sog.] magni nominis viro liaec displicerent ; deinde consolationis loco fuit, ab eodem Aristotelem ipsum [4] , Tychonem, aliosque, non multo mitius hac in disputationo liabitos : ut sane non alino iis toxcndao forent apologiue, quibus communis cum summis ingeniis causa satis, vel ipsis silcntibus, apud aequos aestimatoresprose ipsa peroraret [6J . Sed quando sapientissimis etiam viris operao pretium visum ost, ut esset saltem aliquis, qui Galilaei disputationem M tum in iis quibus aliena oppugnat, tum etiam in iis quibus sua promit, paulo diligentius expen- deret; utrumque milii paucis agcndum statui, rem quamplurimis pergratam me facturum sperans, quibus Galilaei factum nullo nomino probari potuit: quoil tamen in hac disputationo ita praestabo, ut abstinendum mihi ab iis verbis per- io petuo duxerim, quae exasperati magis atquo iracundi animi, quam scientiae, indicia sunt. Hunc ego respomlendi niodum aliis, si qui volent, facile concedam. Agito igitur, quando ilio etiam per intormmcios atquo interpretes rem agi iubet, ut propterea non ipse per se, sed per Consulem Academiae Marium sui secreta animi omnibus exposuerit, liceat etiam nunc mihi, non quidem Consuli, sed tamen mathematicarum disciplinarum studioso, ea quae ex Iloratio Grassio Magistro meo de nuperrimis eiusdem Galilaei inveiitis audierim, non uni tantum Academiae, sed reliquis etiam omnibus qui latine norunt, exponere. Neque hic miretur Marius, Consule se praetermisso, cum Galilaeo rem transigi. Primum, enim, Galilaeus ipse, in litio ria ad amicos Romani datis, satis aperte disputa-29 tionem illam ingenii sui foetum fuisse prolitetur ; deimle, cum idem Marius perin- genuc fateatur, non sua se inventa, sed quae Galilaeo velati dictante exccpisset, summa fide protulisse, patietur, arbitror, non inique, cum Dictatore potius me de iisdem, quam cum Consule, interim disputare. Dolet igitur, primo, se in Disputationo nostra male Inibitimi, cum de tubo et 33. [pus. 8B, iiu. 22 o sog.] W au non et tu profiteris, primariam tuam esse intentionem, Ari- stotelem oppugnare ? [5] non sibi constati hic enim videtur eins esse sententiae, ut summo- rum virorum placiti» standum sit; attamen in suo tractatu de cometis maxime Aristotelem impugnat, ut infra quoque pagina 7 [pag. 118 , lin.1-2] so aperte pi'ofitetur. [0] rectius diceretur et verius : ut esset saltem qui aliqua ex multis quae in disputatione etc. Nota etiam quod ipse semet ipsum descri- bit : dum enim dicit ut esset saltem aliquis, fatetur se esse unum sal¬ tati aliquis, nempe obscuri nominis, ac parvi facicndmn, hominem. e però come tale, e di più essendo ancora scolare, potrò io, che Ron maestro vecchio, parlar seco con qualche maggior libertà, e tanto più, comparendo anco mascherato, se gli potrà dar della nove. LIBRA ASTRONOMICA AC PIllLOSOrniCA. 115 optico agerenius nulltim cometac incrementum afferente, ex quo deduceremus cundera a nobis quam longissime distare. Ait enim, multo ante palam affirmasse se, hoc argumentum nullius momenti esse. Scd affirmarit licet : nunquid eius illico ad Magistrum meum pronunciata referrent venti ? [ ’) Licet enim summorum virorum dieta plerunque faina divulget, liuius tamen dicti (quid faciat ?) ne syllaba quidem ad nos pervenite Et quanqunm dissimulavit, novit id tamen multorum etiam testimonio, novit benevolentissimum in se Magistri mei animum, et qua privatis in sermonibus, qua publicis in disputationibus, effusimi piane in laudes ipsius. lllud corte negare non potest, neminem ab ilio unquam proprio io nomine compellatum, neqne se verbis ullis spedatine designatum. Si qua tamen ipsius animum pulsaret dubitatio, meminisse etiam poterat, perlionorilice olim se hoc in Romano Collegio ab eiusdem Mathematicis acceptum, et cum de Mediceis sideribus tuboque optico, ilio audiente et (qua fuit modestia) ad laudes suas erubescente, publice est disputatimi, et cum postea ab alio, eodem loco atipie frequentia, de iis quae aquis insident disserente, perpetuo Galilaeus aeroamate celobratus est. Quid ergo causae fuerit nescimus, cur ei, contra, adeo viluerit huius Romani Collegii dignitas w , ut eiusdem Magistros et logicae impcritos di- 171 o quando pure io mi meravigliassi, non sarebbe senza ragione. E non è egli gran meraviglia, che le cose che io mai non dissi, nè 20 pur pensai, vi sieno appunto state portate da i venti, ma non già quelle ch’io dissi mille volto e scrissi? Ma forse i venti lmn forza di portar le nugole e le chimere che in esso tal volta si figurano, ma non già le coso gravi, sode e reali. [8J il Sarsi ammetto che il Galileo abbia tassato tale argomento molto avanti la pubblicazion del Discorso ; adunque il tassarlo non è stato per offendere il Grassi : anzi 1’ aver il Sig. Mario stimate vere le opposizioni del Galileo, e poi messole in dubio quando senti il Grassi esser contrario, arguisce essere stata fatta stima di esso Grassi più che degli altri. [l] lasciate dire a me e domandare in che modo io sia tanto di¬ gradato, che avendo già con tanta pompa portate le cose mie, possino ora scriver libri interi per tassarle, senza pur mettervi una sillaba di laudo o applauso. Fu dunque la prima una burla e adulazione; o vero si può, con la vostra filosofia, laudare e dannar le medesime dottrine, secondo che la pace o la stizza vi trasporta. più è da meravigliarsi che costui, senza necessità, mi abbia messo in necessità di dover mostrare al mondo, esser pur troppo vero che ne sanno poco. L0TIIAR1I 8AKSII Tag. 18 Pag. 35 ceret, et, nostras de cometis iiositiunes futilibua ac falsia innixjus rationibus non et 2f timide pronunciare! l ‘“ [pag. 73, lin. 22 ] Sed ne tempus quereli» frustra terumus, principio, illud non video, quam ime Mugistro meo obiiciat ac voluti vitio vcrtat, quoti nimirum in Tychonis verba iurasse eiusdemquo vana machinamenta omni ex parte secutus rag. 18 videaturf‘1. Quanquam enim hoc plano falsimi est, cum, praetcr argumentandi [pag. 65, lin. 1 a sog.] m0( j 08 ac ra tione8 quibus cometao Incus inquireretur, niliil alimi in Disputatone [png.92, iiu. 2G o sog.] nostra reperiat in quo lychonexn, ut expressa verba testantur, sectatus sitM; interna vero ipsius animi scusa, astrologua lieet Lynceus, ne optico quidem suo telescopio introspexerit 11,5 ; age tamen, detur, Tychoni illum adhaesisse. w Quantum tandem istmi est orimeli? Quem potius sequeretur? t,4 J Ptolemaeum? cuius sectatorum iuguli» Mars, propior iam factus, gladio exerto imminet? Co- permeimi ?at qui pius est revocalat 0111 nes ab ilio potius, et dainnatam nuper hypothesim damnabit pariter ac reiiciet. Unus igitur ex omnibus Tycho supe- rcrat, quem nobis ignotas inter astrorum vias ducem adscisceremus. Cur igitur Magistro meo ipse succenseat, qui illum non aspermitur? Frustra hic Senecam Pag. 44. invocat Galilaeus, frustra hic luget nostri temporis calanutatela, quod vera [pag.un, lui. A 0 sog.] ac certa m undanarum partium dispositio non teneatur, frustra saoculi huius deplorat infortunium fl6 i, si nil habeat quo liane ipsam aetatem, hoc saltem no¬ mine eius suffragio miseram, fortunet magia l,7) . % Et quoniam hoc loco atque hoc ad disputationem ingressi! confutanda ea raihi [10] Causa est manifesta : veritatis studium. 111J lioc totum falsimi est. [121 ahsit eum a Ticone haec accepisso ; Tico enim hic se penitus geoinetriae ignarum ostendit. Et liinc quoque constat, Sarsium non esse Grassi uni. ll3J io non pretendo di aver modi da penetrar gl 7 intimi segreti nè con gli occhi, nè anche con gli orecchi. 1141 Ine videtur author eius esse sententiae, ut credat, sterilem omnino futuram esse mentem suam, nisi alterius placito maritetur:» verum sic non sponsa, non mater, sed obstetrix potius et aluinna, dicenda erit. lL Miie gratis producitur aut Ptolemaeus aut Copernicus: neuter enim cometarum phenomenis salvandis theoricas construxit ullas. In- telligere antem de integro allindano sistemate, et extra rem esset, et liconis quoque pollicita desiderantur. C 1 nec luget, nec plorat : falsa sunt haec omnia. [17] id penitus falsimi est. LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPmCA. 117 sunt quae minoris ponderis videntur, illud ab hominc perhumano, qualem illuni onines norunt, expcctassem profecto nunquam, ut, vel ipso Catone severior, lepores quosdam ac sales, apposite a nobis intor dicendum usurpatos, fastidiose adeo aversaretur, ut irriderei potius, ac diceret naturam poeticis non delectari. At p acr . 3,1. e g 0 , proli, quantum ab hac opinione distabam ! naturam poetriam ad hanc usque b m £- 8S > liu - a 0 s °e l dieni existimavi. Illa certe vix unquam poma fructusque ullos parit, quorum flores, voluti ludibunda, non praemittat l,8J . Galilaeum vero quis unquam adeo durum existimasset, ut a severioribus negotiis festiva aliqua eorum condimenta longe ableganda censeret? Hoc enim Stoici potius est, quam Academici. Attamen 10 iure is quidem nos arguat, si gravissiinas quaestiones iocis ac salibus eludere, potius quam explicare, tentaroinus ; at vero, rationum inter gravissimarum pon¬ dera, lepide aliquando ac salso iocari quis vetat ? ll9J Vetat enim vero Academicus. Non paremus. Et si illi nostra lutee urbanitas non sapitV Plures habemus, non ininus eruditos, quos delectat. Ncque enim hic fuit sensus virorum, et gcnore et doctrina clarissimorum, qui nostrae disputationi interfuere, quibus sapientcr omnino factum visum est, ut conietes, triste infaustumque vulgo portentum, pla¬ cido aliquo verborum lenimento tractarctur, ac prope mitigaretur. Sed liaec lovia sunt, inquis. Ita est; ac proinde leviter diluenda. Venio nunc ad graviora. Tribus potissimum argumentis cometae locum indagan- 20 dura censuit Magister meus: primum quidem, per parallaxis observationes; deinde, ex inccssu eiusdem ac motu; denique, ex iis quae tubo optico in ilio observarentur. Conatur Galilaeus singulis abrogare fidem, eaque suis momentis privare. Cura enim ostendissemus, cometam, ex variis diversorum locorum observationibus, parvam admodum passimi esse asxiectus diversitatem, ac propterea supra Lunam statuen- dum, ait ille, argumentum ex parallaxi desumptum niliil habere poiuleris, nisi prius statuatur, sint no illa quae observantur vera uiioquc loco consistentia, an vero in speciem apparentia ac vaga. Recto is quidem; sed non erat bis opus [20 b Quid enim, [18] ma voi vi sete fermato su’ fiori, e non avete portati i frutti, mentre per provar P orbe cometario avete etc. [19] Quod displicet, est in questionibus gravissimis et arduis poe- ticas afferro rationes, et praeter iocos nil aliud ; hoc enim non est, inter gravissimarum rationum pondera lepide aliquando iocari ctc. nè ci dispiacciono gli scherzi, pur che altri non si persuada, con gli scherzi aver provate le più gravi conclusioni : e che questo sia il vero, non si è ripreso il natale, P alloggio, P esequie etc. della cometa. 1201 anzi ha luogo più qui che altrove : imperò che non ci arebbe luogo se la cometa fusse quello che dice Aristotile, cioè un reale in¬ cendio ; ma voi che impugnate tale opinione, e stimate che ella non Pag. 17. [pag.63, Un. 2 o Pag. 4. (pag. 48, liu. 18 Pag. 22. [pag. 72, lin.9 o ]1S LOTHARII SAR8II si statutum iam id luiberetur ? Certe, cum certamon nobis praesertim esset curo Peripatetieis, Quorum sententia quamplurimos etiani mine sectatores receuset, frustra ex apparentium numero cometos exclusissemus, euiu nullius nostrum ani- mum pulsar et linee dubitatio. Sano Galilaoua ipse, dum udversus ArUtotelem disputat, non acriori ac validiori u ti tur argumento, quam ex parallaxi desumpto. se &*) Cur igitur, simili atque eadern prorsus in caussa, nobis eodein uti libere non liceret? Scd confutandae etiam fuerint Anaxagorae, Pytliagoraeorum atquo Ilippocratis opiniones. Nomo tamen ex iis, cometam vanuni omni ex parto oculorum ludi- brium affirmarat. Anaxagoras enira stellarum verissimaruin congeriem esse dixit; cum Aesckylo Hippocrates nihil a Pythagoraeis dissentit: Aristoteles profecto, io cum eorundem Pythagoraeorum sententiam exposuisset, qua dicerent cometam unum esso errantium siderum, tardissime ad nos accedens ac citissime fugiens subdit: < Similiter autem bis et qui sub Ilippocrato Olio et discipulo eius Ae- > scliylo enunciaverunt ; scd coniarti non ex so ipso aiunt habere, sed errantem, > propter locum, aliquando accipere, refracto nostro visu ab bumorc attraete ab > ipso ad Solom >. Galilaeus vero, in ipso suao disputationis exordio, dum eorumdem placita recenset, asserii dixisse illos, cometam stellam quandam fuisse, quae, 8fig d Terris aliquando propior facta, quosdam ab eadern ad se vapores extralieret, e quibus sibi, non caput, sed comam decenter aptaret. Minus igitur, ut hoc obiter dicam, ad rem facit, dum postea ex bis iisdem locis probat, l’ytbagoraeos etiam 20 Sòg d existimasse cometam ex refractione luminis extitisse; illi enim nihil in cometis vanum, praeter barbam, existimarunt t * 1) . Intelligit ergo, nulli borimi visum un- quam fuisse, cometam, si de eiusdem capite loquamur, inane quiddam ac mere apparens dicendum. Quare, cum bac in re, ad hoc usquo tempus, convenirent omnes, quid erat causae, cur facem liane lucidissimam larvis illis ac fictis colorum ludibriis spoliaremus, ab eaque orimeli illud avertoromus, quod ei nullus homi- mim, quorum babenda foret ratio, obiecisset? Cardanus enim ac Telesius, ex quibus aliquid ad liane rem desumpsissc videtur Galilaeus, sterilcm atque infe- beem pliilosophiam nacti, nulla ab ea prole beati, libros posteris, non liberos, reliquerunt [22J . Nobis igitur ac Tychoni satis sit, apud cos non perperam dispu-» sia un incendio, sete bisognosi di prova che ella non sia nò anco un fantasma. Bisognosi non saresti di tal prova, se voi convenissi con Aristotile nel credere ebe ella fosse un incendio. [2l] at si illi putabant, caput esse reale, cur dixerunt, cometas me- ridionales non videri a septentrionalibus, co quod visus non poterat refraugi ad 0? et cur non dixerunt, apparerò quidem caput, eo quod reale erat, non autem barbam, quia linee non realis? ,221 Et hoc praestantiae et dignitatis maximum est arguinentum. \ idemus enim et leonum et generosissimorum animalium minus uu- LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPIIICA. 119 tasse, apud quos nunquam vani ac fallacis spechi cometes incurrit suspicionein ; lioc est, ipso Galilaeo teste, apud omnium, quotquot adirne fuerunt, philosoph orimi Academias. Quoti si quis modo inventus est, qui haec phaenomena inter mero apparenza reponenda diserte docuerit, ostendam huic ego suo loco, ni fallor, quam longe cometao ab irido, areis et coronis, moribus ac motibus disten t, qui- busque argumentis confìciatur, cometem, si comam excluscris, non ad Solis impe- rium nutumque, quod apparentibus omnibus commune est, agi, seti liberum movevi protinus ac circumferri quo sua illuni natura impulerit trinceri t-que* 2 ® 1 . Eadem prorsus ratione respondendum mihi est ad ca quae argumento ex io mota desumpto obiiciuntur. Nos cnim ex eo, quod loca cometae singulis diebus respondentia in plano, ad modum horologii, descripta in una recta linea reperi- rentur, motum illum in circolo maximo fuisse necessario inferebamus: obiicit autem Galilaeus, < non deduci iti necessario ; quia, si inccssus cometae revera in Pag. 36. > linea recta luisset, sic etiam loca ipsius, ad modum horologii descripta 1241 , lineata f^* 80 ’ ,lI1 ‘ ‘ 0 > rcctam constituissent ; non tamen luisset motus hic in cimilo maximo >. Seti quamvis verissimum sit, motum etiam per lincam rectam repraesentari debuisse rectum ; cum tamen ad versus eos lis esset, qui vel de cometae motu circolari nihil ambigerent, vel quibus rectus hic motus nunquam venisset in mentem, hoc est centra Anaxagoram, Pythagoracos, Hippocratem et Àristotelem, atque ilbul 20 tantum quaereretur, an cometes, qui in orbem agi crcdebatur, maiores an potius minores lustraret orbes; non inepte sed prorsus necessario, ex motu in linea recta apparente inferebatur circulus ex motu descriptus maximus fuisse: nomo eiiiui adirne motum liunc rectum et perpendicularem invexerat [2D1 . Quamvis enim merosas esse proles ; sed mnrium et fatuorum piscium, e contra, etc. Et quis unquam credat, vere sapientum maiorem esse numerum quam insipientium? [PJhylosophiae autem, quam inte[g]re solus Deus intelli[g]it, arcana erunt [pojpularia? (,) etc. f231 minore offesa è il dire che uno non ha pensato a una cosa, die il dire che un altro, pensandovi, ha detto una scioccheria; e però so era meglio che il Sarsi ammettesse che al suo Maestro non era sov¬ venuto che la cometa potesse essere un 5 apparenza, che il dire : ÀI Galileo è sovvenuta un’ inezzia. [2,] Galileus non scripsit de linea horologii : queso ne illi tribuas hasce pueritias. ° Diminuta est haec responsio : si enim disputatio est adversus eos qui de motu circolari cometae non ambigerent, cum nullus eorum sog.] 1 ' Racchiudiamo tra parontosi quadro le lettore dio non si leggono por guasto (lolla carta. 120 LOTI! A RII BARRII Astronomìa Opti™, KeplerUs ante Galilaeum, in appcndicula (lo mntu onmotarum, por linoas rectas c - 10, eundem motum explicare contendat, ilio tamon niliilominus vidit, in quale» seso difficultates indueret: quare ncque ad To.rram perpendicularem esse voluit motum hunc., sed transversum ; ncque aequalem, sed in principio ac fino remissiorem, celerrimum in medio ; eumquo praeterea fulciendum Terrao ipsius motu circulari existiniavit, ut omnia cometarum phocnoniena exi)licarct; quae nobis catholicia nulla rationc permittuntur. Blgo igitur opinionem illam, quam pio ac sancte tueri non liceret, prò nulla habendam duxeram Quod si postea, paucis mutatis, motum hunc rectum cometis tribuendum putavit Galilaeus, id quam non recte praestiferit inferius singillatim milii ostendendum erit. Intelligat interim, nihilnosio contea logicac praecepta peccasse, dum ex motu in linea recta apparente orbis maximi partem eodem descriptam fuisse ileduximus. Quid enim opus fuerat motum illuni rectum et perpendicularem excluderc (MJ , quem in cometis nusquam reperiri constabat ? ( “l Sed dum illud praeterea hoc loco nobis obiicit: c Si cometes circa Solemage- > retur, cum integro quadrante ab eodem Sole recosserit, fu tu rum aliquandout > ad Terram usquo descenderot >, non venit illi in montoni furiasse, non uno modo circa Solcai cometam agi potuisse 1 ” 1 . Quid enim, si circulus, quo vehebatur, dixerit esse per circulum minorem, frustra contondis jirobaro fuisse per maximum. Si enim valet. tuum dietimi, quoti non agis de motu a recto quia nulli venit in mentano, sic non agendum erat do circulo maximo, quia nuUus unquam dixerat moveri per minorem. [2fl) imo, magis reprobami a. t27] Opus certe fuerat, aaltem ut ostonderes, te intellexisse quod omnia lata in eodem plano in quo sit oculus, secundum lineam re- ctam ferri apparent ; dicendumque tibi erat : Quia cometes apparet latus secundum rectam, ergo aut vero recta fertur, aut in circulo maximo ; sed non recta, quia repugnaret Scripturae ; ergo, etc. insuper, dato quod omnibus perceptum esset, comotem ferri por circulum, tibi certe id ignotum voi saltelli dubium erat; ut patetex» bis quae scribis infra statini, ubi prò possibili liabes, motum eiuspo- tuisse esse non circularem. 1281 si hoc constabat, ergo non defuerunt autliores qui oum mo¬ tum confutarent : sed a te supra dictum est, neniinem, Keplero ox- cepto, de ilio loquutum esso ; Keplerus autem motum rectum posuit, et non confutavit. 1295 veramente non mi venne in mente di poter far tal giudizio, avvenga che esso è impossibile, ed io non son uso a ammetter gl’ini- 121 LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. eccentricus Soli fui sset, et m udori sui parte aut supra Solem existente, aut ad septentrionem vergente? Quid, si motus circularis non luisset, sed ellip- ticus, et quidem summa rniaque parte compressus, longo vero expor- rectus in latera ? [30) Quid, si no elliptieus quidem, sed omnino irregularis, cum praesertim, ex ipsius Galilaei systemate, nullo piane impedimento cometis, quocunque liberet, moveri licucrit ? Ut sane propterea timendum non esset, ne cometarnm lucem Tellus aut Tartarus e propinquo visurus umquam foret [a,) . Sed quando Magistro meo logicae imperitiam Galilaeus obiecit, patiatur expe- riri nos, quam exacte eiusdem ipse facultatis leges servaverit: ncque hoc multis; io uno enim aut altero exemplo contenti erimus. Dixeramus, stellas tubo inspectas minimum, ad sensum, incrementino susce- pisse. < Sed cum stellae, inquit ille, quamplurimae, quae perspicacissimos quosque » oculos fugiunt, per tubum conspiciantur, non insensibile, sed infinitum potius, > incrementum ab ilio accepisse dicendae erunt ; nihil enim atque aliquid infi- > nito piane distant intervallo. > Ex eo igitur, quod aliquid videatur cum prius non •viderotur, infert Galilaeus obiecti incrementum infinitum, incrementum, in- quam, apparens saltelli, quantitatis [,2] . At ego, neque infinitum, ncque inere- possibili, come mi par die siate uso. voi ; poi che poco sopra vi per¬ suadeste di aver necessariamente provato, il moto della cometa esser 20 stato per cerchio massimo, ed ora non avete per assurdo il pronun¬ ziare che e’ possa essere stato per un ovato e anco per altre linee del tutto irregolari. Se voi provavi a far le figure, vi chiarivi de¬ gl’ inconvenienti che seguono : o veramente essendo voi stato così diligente in delinear altre figure assai meno necessarie, dovevi se¬ gnare anco queste ; ma vi metteva conto non le disegnare, perchè disegnandole non areste potuto chiappare neanco lo persone grosso¬ lanissime, dove che così ne areto chiappate alcune. voi poco sopra vi sete servito per scusa del non aver considerato il moto retto, perché altri non 1’ avevano introdotto ; ma io ora molto so meglio potrò scusarmi di non aver per il medesimo rispetto consi¬ derati questi altri moti. ti01 primum, non erit, ergo, per circuìurn maximum; sed, quodpeius est, nunquam digredì poterit gradua 90; et alia absurda sequentur, etc. [,nl a h, messer Lottario, qui era tempo di consumar 6 facce di scrittura, trattandosi di un punto principalissimo, e non nello seguenti arcipedanterie. [M non dicitur, hoc incrementum esse infinitum, sed dicendum esse potius infinitum, quam nullum seu insensibile : id autem coli¬ vi- 10 LOTIIARTI SARSII 122 mentimi quidem ullum, inferri posso existimo. Et primo quidem, quamquam verum sit, intor hoc quod est videri, et hoc quod est non videi i, distantiam esse infinitam, una saltom ex parto, atquc baco duo proportionem illam habere quam nilnl atque aliquid, hoc est proportionem prorsus nullam ; cum tamen id quod non orat, esse incipit, crescere aut augeri non dicitur, quod augmentum oniuc aliquid semper ante supponat, ncque mundum, cum primum a Deo creatila est, infinite auctum dicimus, cum nihil antea praefuisset: est oniin augori, fieri ali- quid maius, cum prius esset minus. Quare ex eo, quod aliquid priua non vide- retur, vidcatur autem postea, inferri non potest, ne in ratione quidem visibilis, augmentum infinitum. Sed hoc interim nihil moror ; vocetur augnientum tranaitusio de non esso ad esse : ulterius porgo. Ipse tamen, cum ex eo quod stellac, antea non visae, per tulmm inspectae fucrint, intulit a tubo illas infinitum incrementum Tag. 27. accepisse, meminisse debuerat, aflirniasso so alibi tubum eundom in eadem pro- A 1ÌH - 19 « s °s-l porticine aligere omnia. Si ergo stellas, quas nudis oculis videmus, anget in certa ac determinata proportione, puta in centupla, illas ctiain minimaa, quae oculos fugiunt, cum in aspectum profert, in eadem proportione augebit: non igitur infinitum erit illarum incrementum, hoc enim nullam admittit proportionemM Secundo, ad hoc, ut intcr visibile et non visibile intercedat augmentum infi¬ nitum in apparenti quantitate, id enim significai vox incrementi ab ilio usurpata, necesse est ostondere inter quantitatem visam et non visam distantiam esse infi-» nitam in ratione quanti; alioquin nunquam inferetur boc augmentum infinitum. Si quis enim ita argu in entelli r : < Cum quid transit de non visiliili ad visibile, > augetur infinite; sed stellac transcunt de non visibili ad visibile ; ergo augentur > infinite >, distinguenda erit maior: augontnr infinite in ratione visibilio, esto; augentur in ratione quanti, negatur. Sic enim etinm consequons eadem distinctione solvetur : augentur in ratione visibilis, non autem in ratione quanti. Ex quibus apparet, terminimi incrementi non codoni modo siimi in maiori propositionc atque in consequentia; in illa siquidem prò incremento visibilitatis accipitur, in hac vero prò augmento quantitatis : hoc autem quam logicao legibus consentaneum sit, videat Galilaeus, s> stat, quia, quando de ipso loquiraur absolute, appellamus maximum, non autem infinitum. ma veggasi come camina il suo discorso, mentre vuol tassare il Galileo di poca logica e sostener vera la sua conclusione. Egli dun¬ que dice così : K vero che molto fisse, di invisibili, si rendono visi¬ bilissime; ma tale effetto non si può chiamare augumento infinito; adunque le stelle fisse non ricevono agumento alcuno, o insensibile. [aa| bene dicis : sed hoc non est error in logica, nisi forte quaeli- bet contradictio error in logica vocanda sit. LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPIIICÀ. 123 Tertio, aio ne ullura quidem augmentum inde inferri posse. Logicorum enim lcx est, quotiescumque effectus aliqnis a pluribus causis haberi potest, male ex effectu ipso imam tantum illarum inferri 1341 : v. g., cum calor haberi imssit ab igne, a motu, a Sole, aliisque causis, male quis inferet, Ilio calor est, ergo ab igne. Cum ergo hoc, quod est videri aliqnid cum prius non videretur, a multis etiam causis pendere possit, non poterit ex illa visibilitate una tantum illarum causarum deduci. Posse autem lume etVcctmn a pluribus causis haberi, apertissimum esse arbitror: manente enim, primum, obiecto ipso immutato, si vel potentia visiva augeatur in se ipsa, vel impedimcntum aliquod auferatur, si adsit, vel instru- 10 mento aliquo, qualia sunt specilla, eadem potentia fortior evadat, vel certe, immu¬ tata potentia, obiectum ipsum aut illuminetur clarius aut propius accedat ad visual aut cius denique moles excrescat; unum ex bis satis erit ad eumdem clTectum produccndum. Cum ergo infertili*, ex eo quod stellae videantur, cum prius laterent, influitimi illas augmentum accepisse, ad logicorum normam id ininus recto colligitur, quod aliac causae omissae sint ex quibus idem eirectus haberi potcrat. Sane niliil est quod tulio hoc incremcntum tribuat Galilaeus; si enim vel clausos tantum oculos semel apcriat, augeri omnia infinite acque vere pronuneiabit, cum prius non viderentur, modo videantur. Quod si dicat, sibi de iis tantum loquendum fuissc, quae a tubo haberi posscnt, cum solum •20 liic de tubo ageretur, potuisso proinde se alias causas omittere ; respondeo, ne id quidem ad roctam argumentationem satis esso: tubus enim ipse non uno tantum modo ea, quae sino ilio non videnlur, in conspectum profert; primo quidem, obiecta sub maiori angulo ad oculum ferendo, ex quo IH ut maiora vi¬ deantur; secundo, radios ac species in unum cogendo, ex quo iit ut ellicacius agant: horum autem aiterum satis est ad lioc, ut videantur ea quae prius aspcctum fugiebant. Non licuit ergo ex hoc effectu alternili tantum illarum cau¬ sarmi! inferro l34] attainen, licet apparens niotus rectus a pluribus causis possit haberi, error fuissefc (ait Sarsius) si Magister suus aliam causain at- 30 tulisset praeter naotum in circulo maxinio. [r ° ] mi par di vedere che il Sarsi vada introducendo questi 2 modi di far vedere, per servirsi deir uno (che lavora senza ingrandire) per lo stelle. Ma e’ bisognava che e’ provassi che quello dell’ ingrandire non operasse nelle stelle, e V altro sì, e non portar proposizioni senza provarle nè per vere nè per operanti. E questo, messer Lottario, ò un errore in logica, ed il maggior che si faccia. [3C] tu sei un solennissimo bue. Dato che queste tue pedanterie avesser luogo, toccava al P. Grassi, che fu il primo a trattar di que- 124 LOTHARII S ARSII Pag. 24. Quarto, ne iti quidem logicorum legibus congruit, «tellas, si por tubum non [pag. 75, jìii. 8 o sog.] augentur) a fc eodoin, singulari sano eiusdem praorogativa instrumenti, illuminari. Ex quibus videtur Galilueus ditobus his membri» adacquate speeillomm efTecta partili, quasi diccrct: Specillimi voi stellas augot, vel eaadoin illuminat; non augct, ergo illuminat. Lcx tamen alia logicorum est, in divisione membra omnia dividente includi debere : sod in Ime Galilaoi divisione ncque omnia specilli efiecta includuntur, ncque ea quao numcrantur eius propria sunt; illuminatio cnim, ut ipse quidem existimat, tubi eftectus esse non potest; et spccierura aut radiorum coactio, quae proprie a specillis liabetur, ab eodom omittitur: vitiosa igitur fuit eiusdem divido. Nec plura hic addo: panca autom liaec, quae uno » ferme loco forte inter legendum offendi, adnotaro volili, aliis interim omissis, ut intelligat, disputationem suam ea culpa non vacare, quam ipso in aliis re- praehendit t37] . Sed quid (libet cnim hoc loco rem Galilaeo adhuc inaliditami non omittcre), quid, inquam, si quam ipse praerogativam tubo suo tribuere non audet, illam ego cidem tribuendam esse ostendoro? Tubus, inquit, voi obiecta auget, vel certe, occulta quadam atquc inaudita vi, cadem scilicet illuminat. Ita est: tubus lumi¬ nosa omnia magis illuminat. IIoc si ostendoro, ime ego magnani me apudGali- laeum indurimi gratiam spero; dum tubum, cuius ampli fica tione merito gloriatur. Ime etiam inaudita praerogativa donavero M. Ago igitur, tubo codem ideo aligeri a dicimus obiecta, quia haec ab eo ad oculum feruntur maiori angulo, quam cum sine tubo conspici un tur ; quaecumque autem sub maiori angulo conspiciuntur, ea sta materia, a produrle, considerarle o distinguerle, quando scrisse che la 3 cresceva molto per la vicinità, o le fìsse poco o niente per la somma distanza. Or questo viene impugnato, preso così corno fu posto, mostrandosi che le fìsso crescono come la Q), qualunque poi si sia la cagione di tale accrescimento. Ed il P. Grassi credo cho, conio giudizioso, lasciasse a posta que¬ ste più che pedanterie. [:57] da questa scrupolosissima esamino può il Sig. Mario rendersi# sicuro di non aver peccato mai nel suo trattato ; perchè se questo errore, che è incorso nella vista del Sarsi, è, come si vede, nullo, chiara cosa è che altri non ve ne sono di più notabili. l88] ciò mi è non solo inaudito, ma chi mi avesso domandato s’io credeva d’ esser per udirlo già mai, gli arei detto di no. [io] perchè questo favore è compagno di quell’ altro, per provar la distanza immensa della cometa mediante il poco ingrandirla, io gli resterò egualmente obbligato di amendui. libra astronomica ac philosophica. 125 uuiiora yidentur, ex opticis: sed tubus idem lumiuosorum species et dispersos radios cium cogit et ad unum fere punctura colligit t40] , conum visivum, seu pira- miclem luminosam qua obiecta lucida spectantur, longc lucidiorem efficit, et proindo laminosa obiecta splondidiore piramide ad ocuLum vehit : ergo pari ratione di- cetur tubus stellas illuminare, sicuti easdem augero dicitur. Quemadmodum cnim angulus maior vel minor, sub quo rcs conspicitur, rem maiorem minoremvc ostondit, ita piramis magis minusvo luminosa, per quam corpus luminosum aspicitur, idem obìectum lucidimi magis aut minus monstrabit [4t) . Fieri autem lucidiorem piramidem opticam ex radiorum coaetione, satis manifeste et expe- 10 rientia et ratio ipsa ostendunt. Haec siquidem docet, lumen idem, quo minori compraehenditur spatio, eo magis illuminare locum in quo est; at radii in unum coacti lumen idem minori spatio claudunt; ergo et hoc idem magis illuminant 14 ’ 1 . Experientia vero idem probabitur, si lentcm vitream Soli exponamus; videbimus cnim in radiis ad unum punctum coactis, non solum Ugna comburi et plumbum liquescere, sed oculos co lamine, ut,polo durissimo, pene excnecari [43) . Quare assero, tam vere dici stellas tubo illnminari, quam easdem eodem tubo aligeri 1 ' 41 . Bene igitur est ac perbeato tubo buie nostro, quando stellas ipsas ac Solcm, clarissima lumina, illustrare etiam clarius per me iam potest. t40] Se il medesimo oggetto ha da esser veduto sotto maggior an¬ so golo, bisogna che il suo lume e raggi si dispergliino. perchè V argomento procederebbe quando si facesse 1’ union de’ raggi, già che 1’ esperienza contraria a epiesta conclusione, biso¬ gna che la dimostrazione sia falsa, e che i raggi non si unischino. 111] se in questo discorso fusse verità, gli oggetti veduti con tra¬ guardi di mano in mano più acuti, sì come appariscono maggiori, così doveriano apparir più lucidi ; ma accade tutto 1’ opposito. 1421 Qui sarebbe occasione di discorrere, che altramente vede l’oc¬ chio di quel che i vetri portano le spezie. [43] qui sono grandissimi spropositi ; perchè 1’ oggetto visto per il so cannone passa per il traguardo concavo, il quale dilatando, c non unendo, i raggi, come mostra 1’esperienza loco, hoc idem persuade!: quod cometa, tubo optico inspectus, vix ullum passus » est incrementimi ; longa tamen experientia compertum est atcjue opticis ratio- > nibus comprobatum, quaecunque hoc instrumcnto conspiciuntur, maiora vide» > quam nudis oculis inspecta compareant, ea tamen lege, ut minus uc minus sen- > tiant ex ilio incrementuin, quo magis ab oculo remota fuerint; ex quo fìt ut > stellae fixae, a nobis omnium rcmotissimac, nullam sensibilem ab ilio recipiant > magnitudinem. Cum ergo parum admodum augeri visus sit cometa, multo a nobis io > remotior quam Luna dicendus erit, cum liacc tubo inspecta longc maior api- > pareat [w] . Scio hoc argumentum parvi apud aliquos fuisso momenti : sed hi for- » tasse parum opticac principia porpendunt, ex quibus neccsse est buie eidera > maximam inesse vira ad hoc quod agimus persuadendum ». Ilio ego pracmit- tore, primum, habeo, quorsum huiusmodi argumentum Disputationi nostrae in- textum fuerit : non cnim velim malori id apud alios in pretio Imbevi, quam apud nos ; neque ii sumus qui emptoribus fucum faoiamus, sed tanti merces nostras ven- dimus quanti valenti 01 . Cum igitur ad Magistrum meum ex multis Europae partibus illustrium astro- nomorum observationes perferrentur, nemo illorum tunc fuit, qui illud etiam po- 20 stremo loco non adderet, cometam a se longiori specillo observatum vix ullum incrementimi susccpisse, ex qua observatione deducerent, illuni saltern supra Lu- nam statuendum ; cumque hoc etiam, ut enotera, variis liominum inter frequen- tium coetus sermonibus agitaretur, non defuere qui pabuli ac libere assererent, nullam buie argumento lideni luibendam, tubum lume larvas oculis ingerere ac variis aninuim deludere imaginibus, quare, sicuti ne ea quidem quae coininus aspicimus sincera ac sine ludificationibus ostendit, ita illuni multo minus eaquae longe a nobis remota sunt, non nisi larvata atque deformia monstraturum. Ut ergo et amicorum observationibus aliquid dedisse videremur f 4 ’J, ac simul eorum inscitiam, quibus instrumentum hoc nullo crat in procio, publice redargueremus, so 1441 nota quod hic dicitur, fixas nullum sensibile recipere incre- mentuin, Lunam vero maximum. 1401 non ci è alcuno che dica che voi vogliate vender questo ar¬ gomento per merce preziosa, se non voi stesso, che dite, maximam in co esse vini etc. ; dove io all’ incontro dico, ncc minimum esse. [47] hoc factum esse hac de qua scribitur causa, ut scilicet ami- corum dictis aliquid daret, const.at mihi voi ex eo quod scripsit, sta- turam homiuis aequasse ; non enim credendum est, tantum virimi hec anilia scripsisse et plusquam vulgaria. libra astronomica ac i’Iiilosopuica. 127 hoc argumentum tcrtio loco apponondum, ac postrema ea verba, quibus oflensum se dicit Galilaeus [48] , addenda, existimavimus, do homine bone potius nos bine meritos, qaam male, sporantes, dum tubum lume, quamvis non foetuin, alumnum certe ipsius, ab invidorum calumniis tueremur (4#J . Caeterum, quanti hoc ar- gumentum apud nos essot, satis arbitror ex eo potorat intelligi |S0] , quod pancia adeo ac piane ieiune propositnm fuerit, cum prius veliqua duo longe ac- curatius ac fusius fuissent explicata. Ncquo Galilaoum baco ipsa latuorunt, si quod res est fateri velit. Cum enim rcscissemus, oo illuni argumento gravitei- commotum, quod existimaret se unum iis verbis peti, curavit Magistcr incus illi io per amicos significari, nihil unquain minus so cogitasse, quam ut cum verbo vel scripto laederet; cumque iis, a quibus baec acceperat, Galilaeus pacatimi iam atque eorum dictis acquiescentcm animum ostendissot, maluit tamen postea, quantum in se fuit, amicum quam dictum perdere t“l. Sed rem ipsam nunc enucleatius disentiamus. Aio, nihil in hoc nrgumento a [48) nullibi iti reperii,ur. [491 mal modo di difenderlo da gl’invidi, elio calunniano in esso gli effetti veri, con 1 ’ attribuirgli operazioni falsissime e che subita¬ mente si convincono di falsità. Ed oltre a ciò, se voi pretendete elio il Galileo vi dovesse restare 20 con obbligo per aver voi voluto sostenere un effetto falso dell’ oc¬ chiale, quanto più ragionevolmente può egli pretendere elio voi re¬ stiate obbligato a lui, mentre egli vi ha insegnato tal effetto esser falso, e cavatovi di errore? Ed egli per questo mi deve doventaro inimico? sì come voi scrivete. ma forse appresso l’ignoranza di costoro ò bene esaltarlo con cose false : il Padre è più mozzina di me. t,0] at ego aliunde intelligo, pai*vi hoc factum fuisse a Grassio ar¬ gumentum ; nempe ex eo, quod ille reponit cometam infra ©, qui tamen maximum recipit' 1 '. Sed cum Marius id non advertisset, egit ex so singrapha, idest ad ipsorum verborum sensum. Nota quod scribitur a Grassio, cometam reponondum esse infra ©, cum tamen © quam maxime augeatur per tubum, nempe ut ©. bum dicitur, maximum inesse vim argumento, non est parvi fieri argu¬ mentum. [ 51 ] si deve dunque perder l’amico per trarlo d’errore? Cosi il ms. Sembra doversi supplire uugmtntum o incrtmenlum. 128 LOTIIARII SAUSII Pftg. 30. [pa£. 83, liti. 4 o Pag. 31. [pag. 84, lin. 12 ventate alienimi reperiri ' 6 ’1 Nani asserimus, priinum, obiecta tubo optico visi, q U0 propinquiora fuerint, eo aligeri magia, minila vero quo remotiora. Nihilve- rius. Galilaeus negat. Quid, si fateatur ? Quaero onim ex ilio, cum tubimi illum suum et quidem optimum in manus acceperit, si forte rem intra cubiculi aut aulae apatia inclusam infuori voluorit, un non is lentissimo produceudus sit? Ita est, alt. Si vero rem longe dissitam e fenestra eodem instrumento spectare libuerit, s0 *-l contrahendum ilbco dicet, atquo ab immani illa longitudine breviorem redigendum in formami 31 . Quod si productionis liuius contractionisque cuussam quaesiero, ad naturam utique instrumenti recurrendum erit; cuius ca conditio est, ut adpropin- quiora intuendo, ex opticae principiis, produci, ad remotiora vero spectanda io contraili, postulet. Cum ergo ex produzione et contractioue tubi, ut ait ipso, »e»d necessario oriatur maius minusvo obiectorum incrementum lM) , licebit iam railii 1521 se questo è vero, gran torto fate a tener poco conto dell 1 ar¬ gomento di sopra, perchè al inondo non si può trovar la più bella cosa. Qual più bolla cosa clic il determinar lo distanze do’pianeti, e misurar con 1 stazione, e ni ili’ altre cose rare? voi bilanciate male. l53] Sig. Lottario, qui si parla di guardar dalla 3 ' u su - Messer Lottario, voi ci vorresti cambiar le carte iu mano; e come la balia toglie il gioiello al bambino, e mostrandoli il cielo dice:» « Ve’ vo’ gli angiolini », e suppone in luogo della gemma una castagna, così vorresti voi con diverticoli gettarci la polvere negli occhi, e trat¬ tarci da insensati. Non è già questa dottrina Giesuitica. Vorrebbe il Sarsi ingannarci, come fa il pittox*e che, nel dipigner l’aurora, passa dal color bianco all’azurro con tal destrezza, chea guardare una striscia di larghezza di 4 dita per volta, par tutta del medesimo colore, ma gli estremi maxime distant : così a legger di 4 versi in 4 versi, etc. [M1 voi vorresti darci ad intendere che il P. Grassi avesse benissimo saputo il tutto, ancor che egb non nomini mai l’accorciare, che è so vera causa, e nomini la distanza, che non è causa. E che fatica era a dir : Gli oggetti diminuiscono per 1’ accertar del cannone, etc. ? adde igitur, ut tuam intelligas ignorantiam, quod, cum causa in¬ crementi et decrementi in productiono et contractioue instrumenti consistat, augumenta et decrementa proportione respondent pro¬ duction i et climinutioni tubi, et non remotioni et propinquitati obiecti; cumque ultra 1000 passus insensibiliter, et ultra 3 nil penitus, con- LIBRA ASTRONOMICA AC PJIILOSOPilICA. 129 exhis argumentum liuismodi confi coro : Quaecumquo non aliter quam prociuotiore tubo spectari postulant, necessario augentur nmgis ; et quaecumque non alitcr quam contractiore tubo spectari postulant, necessario augentur minus ; sed propinqua omnia non alitcr quam procìuctiore tubo, longo vero remota non aliter quam contractiore tubo, spectari postulant : ergo propinqua omnia neces¬ sario augentur magia, longe vero remota necessario augentur minus. In quo ar- gumento si maior minorque propositio vera comprobetur, nec negabitur, arbitror, quoti ex illis necessario conscquitur. Primam vero propositionem ipso, nitro ailmit- tit: altera etiam certissima est; et quidem in iis quae cifra dimidium milliare io spectantur, nulla apud illuni probatione indiget; quod si ea quae ulterius deinde excurrunt, eadem spectari solcnt tubi longitudine, iti lit non quia revera magia semper ac magis contrahendus ille non sit, sed quia maior isthaec contractio adeo exiguis includitur terminis, ut non multimi intersit si omittatur, ac proinde ut plurimum negligatur. Si tamen rei naturaci spectemus atquc ex rigore geome¬ trico loquendum sit, semper maior liaec contractio requiretur : eadem piane ra- tione ac si quia diceret, visibile quodeumque quo magis ab oculo removetur, minori semper ac minori spectari angulo, quae propositio verissima est; nihilo- minus, cum res oculo obiecta ad ccrtam pervenerit distantiam, in qua angulum visivum elliciat valile exiguum, quamvis postea inulto adirne intervallo fiat remo- 20 tior, non minuitur sensibiliter idem angelus t 601 ; et tamen demonstrari potest, illuni semper minorem ac miuorem futurum. Ita, quamvis ultra maximum quan- dam distantiam obiectorum vix varientur anguli incidentiae specierum ad tubi traliendus sit tubus, ergo fixae nil paenitus minus recipiunt incrementum quam 3- Scripsit autem P. Grassius, 3 maximaiii" 1 , fìxas vero nullam sensibilom recipere magnitudinem, seu, ut rectius dicamus, augumen- tum nulhim. [5i>1 Messer Lottario, i vostri argomenti in forma son da farsi a’vo¬ stri condiscepoli, e non a chi ha la barba bianca. 1,101 vide quantum id veruni sit : primo enirn, obbiecta non immi- somumtur secundum rationem angulormn, sed subtonsarum (et hoc no- vum erit Sarsio) ; quae ratio semper eadem est atquo distantiarum. Ij11 u voi non potete concluder, la cometa esser sopra la 3» se voi la potete veder senza alterar Pocchiale dallo stato nel quale voi guardate la 3 : ed universalmente, se il senso nostro non ci necessita a variar lunghezza, non si potrà mai conoscer diversità di lontananza. n 11 WS. : maximum. In luogo (li nullam sensi- ' l * nt **• 1>ìn '«« am sem Hi lem ... magniiudìnem, um non emendò Maximum. VI Questa postilla si leggo sul margine supe¬ riore della png. 17, che comprende quanto nella pro- sonte edizione ò da pag.128, lin.fl, a pag. 129, Un. 21 ; ma non si riferisco specificatamente ad alcun luogo della pagina stossu. 17 130 L0THAR1I 8ARSII specilla (perinde enim tunc est, ac si omnes radii pcrpendiculariter incidcrent)W et consequenter ncque varianda sensibilitcr sit instrumcnti longitudo, verissima tamen adhuc censenda est ea propositio quae assoni, naturam specilli eam esse, ut, quo remotiora fuerint obiecta, co magia ad ea spectanda contraili postulet,et propterea miniis eadem augeat quam propinqua : et si severe, ut aiebam, loquen- dum sit, affirmo stellas breviori specillo spectamlas quam Lunani. Pag. 30. Sed dicet is, hoc non esse, s al t era [b9 \ codoni utì instrumento, ac proinde, [pug. 83, ìm. 12 o sog.] s j ( j e eo j em loquamur specillo, falsam esse positionem illam : quamquam enim eadem sint vitra, idem etiam tubus, si tamen Ine idem modo productior, modo vero fuerit contractior, non idem semper crit instrumentum. Apage liaec tam io minuta. Si quis igitur cum amico colloquens Ioni sono verba formaverit, ut sci- licet e propinquo exaudiatur; inox alium conspieatus o longinquo, contentissima illuni voce inclamarit ; alio atque alio illuni liti gutture atque ore dixeris, quod liaec vocis instrumenta illic contraili, liic dilatari atque extendi nccesse sit? Nos vero cum tubicines aes illud recurvuni ac replicatimi adducta reductaque dextra ad graviorem quidem sommi producentes, ad acutiorem vero coutrahentes, intue- mur, num propterea alia atque alia liti tuba existimamus? w Sed videat Galilaeus, quam non contentioso agam : aliud sit instrumentum tubus nunc productior, nunc contractior; iterimi, paucis mutatis, idem arguraen- tum conficiam. Quaecumque diverso instrumento spectari postulant, diversum so etiani ex instrumento capiunt incrementimi; sed propinqua et remota diverso instrumento spectari postulant; diversum igitur propinqua et remota ex instru¬ mento capient incrementum [6>1 . Maior iterimi ac minor ipsius est; eiusdemsitet [581 vide quam veruni sit quod compraelionditur in parentesi. [59] no, Messer Lottario, io non lio bisogno del saltcm\ tocca a voi a raccomandarsi e a stiracchiare. mi fa costui sovvenire di quel serpe, che, essendo stato tagliato in molti pezzi c morto, pur ancora va divincolando l’estremo pezzo della coda, con speranza di dare ad intendere a i viandanti, sè esser vivo e vittorioso. so [m è forza elio costui creda che la diversità e identità dello stru¬ mento consista nella diversità o identità della materia ; il che ne i propositi di che si tratta, è falsissimo. vorrei saper che differenza e tra 2 occhiali diversi, altro che 1 essere un più lungo dell’altro; perchè la differenzia ha da porsi in alcuna cosa che costituisca in essere. [0,] sed Jj) et fixae non postulant diverso spectari instrumento; ergo hoc argumentum è a sproposito . LIBRA ASTRONOMICA AG PHILOSOPIIICA. 131 consequentia necesso est [ “ 3] . Quibus rebus expositis, satis docuisse videor, niliil nos hactenus a ventato, neque a Galilaco quidem, alienum pronunciasse, cura diximus, hoc instrumento minus remota augcri quam propinqua, cura, natura otiam sua, ad illa spectanda contraili, ad liaec vero pruduci, postulet: dici tamen non incpte poterit, idem quidem esso instrumentum, diverso tamen modo usurpatimi. At dicet : verissima lutee quidem esso, si summo geometriae iure res agatur; Pag. 30. quod tamen in re nostra locum non lialict, et cum saltelli ad Lunam et stellas 81 . lilK 2 0 so b-1 intuemlas nullo longitudinis discrimino spccillum adhibcri soleat, nihil liic ctiain ponderis liabituram osso maiorem minoremvc distantiam ad maius minusve obiecti io incrementum inferendum ; quare si stellao minus augeri videantur quam Luna, ex alio dcducendam liuius plioenomcni rationcm, non ex obiecti remotione. Ita sit; et nisi aliunde etiam habeat tubus hic, stellas minus augerequam Lunam, minus * fortasse ponderis argumento insiti l<1,) . Dum tamen illud praeterea buie instrumento et ego e contra : Quecunque oodem instrumento spectari postu- lant, idem ex instrumento capiunt incrementum ; sed fixae et 3 > etc. [02] m S0 q Sarsi credeva, la sua conclusione esser vera, doveva ri¬ sponder a tutte le esperienze e ragioni del Sig. Mario, e non lasciar senza rispondere all’argomento degl’intervalli, dell’eclisse solare etc. ; perchè una sola dimostrazione che resti in piede, basta ; avvenga che 20 intorno ad una conclusimi vera si posson bene scriver molti argo¬ menti fallaci, ma non si può già scrivere una dimostrazion vera in¬ torno a una conclusion falsa. t03) Sed, omnium stoltissime, quid aliud ex hoc argumento colliges, nisi quod remota, breviori conspecta instrumento, minus augentur quam propinqua longiori? Sed hoc nihil est; nani non minus remota quam propinqua longiori instrumento magis augentur. 1641 notisi 1 ’ artifizio di costui, il quale finalmente, dopo molte gi¬ randole, confessa così alla sfuggita di avere il torto, ma intanto spera che il lettore rimanga con opinione che egli abbia prodotte di so¬ so pra cose molto a proposito. Però se gli replichi a lettere da scatola, che il P. Grassi ha scritto che la 3 ricresce assaissimo, e le fisse insensibilmente ; il che è falso, ricrescendo egualmente. In oltre, quello disse, che secondo la maggior lontananza il ricrescimento era minore : il che parimente ò falso, perchè tal varietà depende dalla lunghezza dol cannone, e non dalla lontananza dell’oggetto. [t1 Questa postilla è scritta sul margino supc¬ riore della pag. 18 (pag. 120, lin.31 -pag.180, Un.23, dolla presento odi/.iono), ma non si riferisco specifi¬ catameli lo ad alcun luogo della pagina stossa. 132 LOTHAlili SAKSII tribuitur, ut luminosa omnia larga illa nuliatione, Qua voluti coronantur, cxpolict, ex quo fit ut, licet stellao idem lortasse re ipsa capiant ex ilio incrementum quod Luna, minus tamen aligeri videantur (cum diversum piane sit id, quod tubo conspicitur, ab eo quod nudis prius oculis videbatur : Ili siquidem nudi et stellam et circumfusum fulgorem spectabant; tubo vero adhibito, solum stellae corpuscu- lum intuendum obiicitur), verissimum etiam est, iis omnibus quao ad opticam spectant consideratis, stcllas hoc instrumento, quoad aspectum saltelli, minus acci pere incrementi quam Tiunam, immo etiam aliquando, si oculis credas, nulla ratione augori, ac, si Deo placet, etiam minui: quod noe ipse Galilaeus negai, Mirari proinde desinat, quod stcllas insensibiliter per tubiiiu aligeri dixeri- io mus ncque onim hic liuiua aspectus causala quaerebamus, sed aspectum ipsum. Àt videat lioc loco Galilaeus, quam non insipiente]* ex bis atquo aliis in Sidereo Nuncio ab ilio traditis inferamus, cometam supra Lunam statucmlum. Ait ipse, caclestia inter lumina alia quidem nativa ac propria fulgero luce, quo in numero fiolcm ac stcllas quas iixas dicimus collocat; alia vero, nullo a natura splendore donata, lumen omne a Sole mutuari, qualia sex reliqiti planetae Labori solcnt. Obscrvavit praeterea, stellas maxime inane illud lucis non suae coronamentum adamasse, ac voluti comam alerò consucvisse ; planetas vero, Lunam praesertim, lovem atque Saturnum, nullo fero huiusmodi fulgoro vestiri ; Martem tamen, Ve -20 nerem atque Mercurium, quamvis nullo et ipsi generis splendore sint praediti, e Solis propinquitate tantum haurire luminis, ut, stellis quodammodo pares, earum- dem et scintillationem et circumfusos radios imitentur. Cimi ergo cometa, vel Galilaeo auctore, lumen non a natura inditum liabeat, sed Soli acceptum referat, nosque illuni tanquam temporarium planetam existiinaremus, cum caeteris non postremae notae viris, de eo etiam similiter philosophandum erat atque de Luna caeterisque errantibus lfi61 : quorum cum ca sit conclitio, ut, quo minus a Solo distant, eo splendeant ardentius, fulgorequo maiore vestiti (quod inde consequiiur) tubo inspecti minus aligeri videantur, duin cometa ex hoc eodem instrumento idem iere quod Mercurius caperet incrementum, an non valde probabiliter inferro 80 inde potuimus, cometam cumdem non plus admodum circumfusi illius luminis admisisse quam Mercurium, nec proinde longiori multo a Sole dissitum inter¬ vallo ; contra vero, cum minus augeretur quam Luna, maiori circumfusum lu- t6o] nunquam miratus sum, fìxas insensibiliter augeri, sed quod Grassiiis dixerit, hnius effectus causam esse remotionem, adeo ut ex converso dixerit, ca quae insensibiliter augentur esse remotissima: quae omnia falsa sunt. t6C] no, Sig. Sarsi, questo è un pianeta dipinto, e non bisogna at¬ tribuire alle pitture le cose che convengono a i vivi. LIBRA ASTRONOMICA AC PIIILOSOPUICA. 133 m j ne [flj] ac Soli viciniorem statuemlum? Ex quibus imo «lixissc nos intelligit, cum p'irum admodum augeri visus sit cometa, multo a nobis rcmotiorem quam Lunam dicQmlum esse r ° e) . Et sane, cum nobis ox parallaxi observata, ex cursu etiain co- metae decoro ac piane sidereo, satis iam de oius loco constaret; cum praeterea eumdein tubus pari pene incremento ac Mercurium afficerot, contrarium certe india ratione suaderet; licnit bine eliain non minimam momenti ac ponderis ap- pendiculam in nostrani derivare sententiam. Quamquam eiiim sciromus ex multis posse ista pendere, ex ea tamen ipsa quam lucidum hoc corpus in omnibus suis pboenomcnis cum reliquis caolestibus corporibus servaret analogiam, satis ma¬ io gnum a tubo nos accepisse beneficium tunc putavimus, quod sententiam nostrani, l67J nota, 3 ascititiis racliis vestiri, sed ob magnitudinem non ap¬ paiare, quod patet si tantum extremitas cornu spoetatili-; tantum vicinitas ©, sod nostri otiam capiliitiurn facit, ut non enini durissimo in candela videro est. exiguum lumen coronatili* circulo radioso; sed si veruni corpus lucidum magnitudine excedat coronamentmn, tunc absquo radiis ap- paret. Exempligratia, a meditullio 3 fit coronameutum, quod ultra orbitam 3 non extenditur; ergo limbus 3 irradiatila non apparet: vel potius, quia species 3 totum occupat locum in oeulo, in quo re- 20 cipitur radiorum ascititiorum irradiatio. l08) Messer Lottario inio, io vi posso concedere che tutto questo vostro discorso sia vero (se ben son fanfaluche da niente); ma sap¬ piate che noi non siamo tanto semplici, che noi non conoschiamo che questo è un argumento diversissimo dall’ altro di cui si parla ; c voi vorresti mascherarlo, e dar a credere al lettore poco attento (de’ quali no avete gran numero) che o’ sia una confermazione bonis- sima del primo. Ma in somma ed il primo o il secondo non vaglion nulla, e dell’ irraggiarsi molto ne è causa anco la vicinanza all’ oc¬ chio, e però 9 perigea s’irraggia assai etc. ma più, quando ben con 100 argomenti voi provassi concluden¬ temente che la cometa fosso sopra il cielo empireo, questo non sol¬ leva punto il vostro Maestro, nè aggrava il Sig. Mario ; perchè noi non aviamo mai detto che la cometa non possa essere altissima, ma solo dubitato circa lo ragioni apportate dal Padre, le quali non aqqui- stau nulla da 1000 altre prove che voi faceste della verità della con¬ clusione, perchè si posson benissimo fare mille paralogismi circa una vera conclusione. 134 LO TU Alili SÀRSII aliorum iam argumcntorum pondero firmatimi, suo etiani suffragio ipso vehemcn- tius confirmaret lwj . Quod autem reliquum est argumonto additimi, ca videlicet verba: c Scio hoc > argumentum apud aliquos parvi fuisse momenti de. >, diserte ingenueque supra memoravimus, quorsum haec addita fucrint; adversus eos nimirum qui, huio instrumcnto fidem elevantes, opticarum diseiplinarum plano ignari, fallax illud ac nulla dignum fide praedicarent. Intelligit igitur, ni fallor, Galilaeus, quam immerito nostram do tulio scntentiam oppugnarit, quam ventati, imnio et suis etiam placitis, nulla in ro adversam agnoscit : agnoscero etiam ante poterat, si pacato magia illam animo aspexisset. Qui igitur nobis in mentem vonirot unquam, io foro aliquando, ut minus haec illi grata acciderent, quae prorsus ipsius esse censeremus ? t70] Sed quando haec prò nostra sontentia satis esse arbitrar, ad ipsius Galilaei placita expendenda graduai faciamus. EXAMEN SECUNDUM QUO GALILAEI OI’INIO DE SUBSTANTIA ET MOTU COMETARUM EXPENDITUB. An comctes de genere sit apparenlium imaginum. Quaestio I. Quamvis ad liane usque diem nemo cometam ornili ex parte inania inter spectra mnnerandum dixerit, ex quo fieret ut necesse non haberemus illuni ab hoc inanitatis crimine liberare quia tamen Galilaeus aliam 20 inire viam explicandi cometae satius sapientiusque duxit, par est in novo hoc illius invento diligentius expendendo commorari. Duo sunt quae ille exeogitavit : alterimi substantiam, alterum vero motum cometae spectat. Quod ad prius attinet, ait pS) lumen hoc ex eorum genere 169] sed scire debes, Sarsi, talium suffragiorum mille longe minori» esse momenti in id, quod intendis, persuadendo, quam in una tan¬ tum observatione Marii. in dissuadendo Così il nis. LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. 135 esse, quac, per alterius luminis refraclionem ostentata verins quam J'acta, umbrae potius luminosorum corporum quam luminosa corpora dicenda videntur; qualia sunt irides, coronae, parelia, aliaque hoc genus multa. Quod vero spectat ad posterius, affirmat [,3) , inotum cometarum rectum semper fuisse ac Terrae superficiei perpendicularem : quibus in medium prolatis, aliorum facile sententias se labefacturum existimavit. Nos, quantum bisce opinionibus tribuen- duni sit, paucis in praesentia ac sine allo verborum fuco (quando satis sibi ornata est, vel nuda, veritas) videainus: et quamquam perdifficile est duo baco dieta complecti singillatim, cum adeo inter so connexa sint ut alterum ab altero pen- 10 dere ac mutuam sibi adiumcnti vicem rependere videantur, curabimus tamen no quid iacturae lectoribus bine existat. Quare contra primum Galilaei dictum adirino, cometam inane lucis figmentum, spectantium oculis illudens, non fuisse : quod nullo alio egere argumento apud eum existimo, qui vel semel cometam ipsum tum nudi» oculis tum optino tubo inspexerit. Satis enim vel ex ipso aspectu se so liuius natura luminis prodebat, ut ex verissimorum collatione luminum iudicare facile quivis posset, fictumne esset an verum quod cerneretSane Tyclio, dum Thaddaei Hagecii observa- tiones examinat, liaec ex eiusdem epistola profert: < Corpus cometao iis diebus Lib. 2, c. 10, par, 2. > magnitudine Iovis ac Veneris stellam adacquasse, et luce nitida ac splendore 20 > eximio eoque eleganti et venusto praeditum fuisse, et puriorem eius substan- > tiam apparuisse quam ut pure elementaribus materiis quadraret, sed potius > caelcstibus ibis corporibus analogam extitisse >. Quibus postea haec Tycbo snb- dit: < Atque in hoc sano rectissiine sensit Thaddaeus, et vel inde etiam non > obscure concludere potuisset, minime elementarcm fuisse hunc cometam > [7r,) . Quia tamen toto eo temporo quo nostcr bic fulsit, Galilaous, ut audio, lecto allixus ex morbo dccubuit, ncque ei unquam fortasse per valetudinern licuit corpus illud pellucidum oculis intueri, aliis proptcrca cum ilio agendum esse duximus 1131 et hoc falsissimum est. [74] quid ex ipso aspectu verius apparet, quam nostra in speculo 30imago? vera ne ob hoc est? i lumi ne i monti che paiono stelle. si ergo ex sùpplici intuitu haec iudicare licet, adeo ut quae veris lmninibus similia sunt, non spectra sed vera lumina iudicanda sint, Solis Lunae stellarmn et reliquorum omnium corporum imagines, quao in aqua et speculis videntur, veri Soles Lunao stellae et vera eor- ]iora erunt: adeo enim vera obiecta repraesentant, ut nulla prorsus, vel minima, quo ad aspectum, intercedat differentia. hie non loquitur nisi quod non fuerit elementaris, non autem non fuisse spectrum. 136 LOTIIARII SARSII l om argiimentum. argumentis. Ait igitur ipso, vaporem saepo fumiiluin ex aliqua Terrae parte in altum supra Lunam ctiam ac Solem attolli, et simul atquo extra umbrosum Terrae commi progressus Solis lumen aspexerit, ex illius veluti luce concipere et cometam parere 1 ’® 1 ; motum autem sive ascensum vaporis buiusmodi,non vagum incertumque, sed rectum nullamque defleotcnteni in partem, existereM. Sic ille: at nos liarum positionnm poiulus ad nostrani trutinam referamus. Principio, materiam liane fumidam et vaporosam per eoa forte dies ascemlisse constat o Terra, cum, vehementissiinis boreae flatibus toto late cacio domiuantibus, dispergi facile ac disiici potuisset; ut mirum profccto sit, impune adco tenuissimi» le- vissimisque corpusculis licuisse inter saovientis aquilonis iras constantissimo gressn io qua coeperant via, in altum ferri, cum ne gravissima quidem pondera tunc aeri semel commissa eiusdem vim atque impotum superare possent. Ego vero adeo pu¬ gnare inter se existimo duo haec, vaporavi levissinium ascendere, et recta ascendere, ut inter instabile» saltem aiiris liuius vicissitudines fieri id posse vix credami Illud etiam adde, auctoro Galilaeo, ne a sublimioribus quidem illis planetarum regionibus abesse concretiones ac rarefactiones lmiusmodi corporum fumidorum, ac proinde nec motus illos vagos incertosque, quibus eadem ferri necesse est, Sed demus l,0) , licuisse per ventos balitibus bisce cooptimi semel cursum te¬ nere, coque contendere ubi Solis radios et directos excipere ac repercussos re- mittere ad nos possent. Cur ibi demum, cum se totis totum piane excipiuntaj Plioebum, parte sui tantum minima eumdom nobis ostendunt 1 ® 01 ? Sane. [7S1 haec non reperitili tur in libro Marii : vide pag. SO [pag.93, lin. 24 o seg.]. di sopra il Sarsi si andava da per sè fabbricando i mezi per pro¬ var le sue conclusioni ; ma cpii si va figurando conclusioni di suo capriccio per potei - ]e impugnare. dallo stomaco si sollevano vapiori torbidi, e saliti al cervello, con¬ giugnendosi con fantasmi alterati, partoriscono mostri e chimere. 1111 haec omnia tauquam probabilia ponuntur. 1781 sed quid? si dicamus, ex aquilone transversim impulsimi fuisse vaporem ascendentem donec per ventosam regionem incederet; illa*) autem superata, tunc recta ascendisse? haec omnia vanissima sunt, cum nec ad altitudinem quorumdam montium extendatur atque ascendat ventornm fluctuatio ; tu autem altissimum ponis cometam. 1111 ne dicas, Sed demus: dicendum est, te nihil dare, cum niliil quod des babeas. [80) et cur parelia, cur alo, cur iris idem praestant ? et cur idem non prestat duna generatur per refractionem, ut in- fula vitrea etc. ? * LIBRA ASTRONOMICA AG' PHILOSOPHICA. 137 vcl ipso Gulilaeo teste, cnm per aestivos tlies non absimilis vapor, ad septem- rag. 39. trionem forte solito altins provectus, Soli so spoetandoli! obiooerit, timo enimvero, f,mK ' 04 ’ li “‘ 11 0 soe ' ] ciarissimo perfusus luinine, candidissimum omni so ex parte exliibet, atquo, ut eius verbis utar, borcalem nobis, nocturnis ctiam in tenebria, auroram refert ; nec mutuati splendoris adeo se avarum praobot, ut, cum toto hauserit Solom sinu, vix una illum e rumila ad nos rclabi patiatur tslJ . Vidi ego in et, non por aestivum tantum tempus, sod Ianuario mense, quatuor post Solis occasum lioris, quocl admirabilius est, vertici fero imminentem, candido ac fulgenti habitu, nube- culam adeo rarain, ut ne niinimas quidom stollas velaret [82 1 ; at illa ctiam, quae io a Sole acceperat lucis dona [M] , largo apertoque sinu liberalissime undique pro- fundebat [8,] . Nubos denique omnes (si quam tamen illae cum cometariun materia affinitatem servant), si densae adeo fuerint atque opacae ut Solis radios libere non transmittant, ea saltem parte qua Solom respiciunt, eumdem ad nos reci¬ proca liberalitate reflectunt [8SJ ; at si rarae ac tennos sint, easque facile lux omni vi dico olio ho la cicala in mano, o non so come la canti ; però posso ben dir della cometa, che così lontana ete. [8I) an non et maris superfìcie?!, ciarissimo perfnsa lamine, non omni ex parte candidissimi am se exibot? seti ex una vix rimala ad aspicientis ocnlum se exliibet? quoti autein reliqmim est, a caelo 20 non distingui tur. et ista borealis aurora stella appareret. ex maxima distantia visa, e così veghiamo una nugola da lontano terminata, la quale, a olii vi è entro, par che occupi tutto ’l mondo; ed un che fussi nella cometa, gli parrebbe esser in un mondo nuovo, so però s’accorgesse d’esservi dentro. * 1821 sed tibi fìdes non est exhibenda, cum sopissimo alluc.ineris. et huius nubeculae lumen longe inferior fuit candori aurorae, cum in eo apparuerint etiaiu minimao stellae. [S31 vide ne potiusa3 ante suum exortum illustrarotur : si enim mi¬ ao liecula fuisset et a 0 illustrata, eadeinmet 3 splendidior apparuisset; id enim manifeste cernitur in c.aeteris nubi bus a 0 illuminatis etc. lM) e die sai tu, elio quel che tu vedevi fosse tutta la nugola ? Inoltre, lo specchio piccolo è illuminato tutto dalla candela; e la nu¬ gola nella quale si fa l’alone sarebbe illuminata tutta, so la non fusse maggior dell’alone; e dell’iride se ne veggon pezzi quando le nugole non lo capiscono intero. attamen inter nubes longissimi illi tractus, cometis persimiles, sepius cernuntur, ex determinatis tantum loeis. VI. 18 138 LOTI (Alili SAttSTI ex parte pervadat, nulla so parto tcnobricosas ostoiulunt, sed clavisainio undifjue perfusas luiuine spectaiulas offerunt. Si igitur coinota non ex alia elucot materia quam ex vaporibus buiusnrodi fumidis, non in unum voluti globum coactig, sed, ut ipse ait, satis amplum cadi spatium occupantibus omnique ex parte Solis luce fulgentibus [86J , quid tandem causae est, cur ex angusto tantum brevique orbiculo spectantilnis sempcr affulgeat, ncque reliquao vaporis eiusdem partes, pari a Sole lumine illustrata^, unquam compareant ? [67] Neque facile id iridis exemplo solvitur, in cuius productione idem contingit, ut videlicet ex una tantum nubis parte ad oculuin relabatur, cum tamen in toto spatio a Sole illustrato eadem colorum diversitas eiusdem lumine procreetur. Illa enim, et si qua alia io huiusmodi sunt, roridam potius bumentemque requirunt materiam r “* 5 et iam in aquam abeuntem [fi9) ; liaec siquidem materia tunc solum cum in aquam solvitur, laevinm ac politovum corporurn perspicuorumque naturam imitala, ea tantum ex parto qua anguli reflexionum refractionumquc, ad id requisiti, fiunt, lumen re- mittit, ut experimur in speculis, aquis ac pilis cristallinis tM] . Si qui vero halitus rariores ac sicciores extiterint, hi neque laevem habont superftoiem, ut specula, neque multam radiorum rofractionem efficiunt l91] . Cum igitur ad rellexiones cor- poris laevitas, ad refractiones vero cum perspicuo densità», requiratur (quae omnia nunquam in meteorologicis impressionibus liabentur, nisi cum earum ma¬ teria aquae multimi habuerit, ut non Aristoteles modo, sed opticae etiam ma-20 gistri omnes docuerunt [92] , ac ratio ipsa efficacius persuadet), bine necessario sc- [8 ° 3 nunquam a nobis detorminatura est, cometam ex fumidis va¬ poribus oriri, nec de eoruin figui’a. [81] solvitur et exemplo iridis, et alonum, et pareliorum, et marie superficiei, et nubium perfractarum etc. [88] e la cometa ricerca una materia diversa da questa, ma non ben conosciuta da noi, la quale non fa la cometa, so non risoluta in cosa ignota a noi. i 8 »] q cristallo triangolare, che non è umido, fa l’istesso ; ed in tutti i corpi si veggon tutti i colori. 30 t90) ego autem dico, posse etiam non levem, ut speculorum, sn- perficiem, sed interdum anfractuosam, ad id prestandum magis esso accomodatam. Sic in fiala oritur cometes, non cum levis est, sed cri- spa ; sic in mari longus fit tractus luminosus, cum sinuosum fuerit. 1013 et hoc falsum est : nam ex ligno, imo et ex pariete, fit etiam imaginis reflexio. [92] bisogna mettere in luogo oportuno coloro che studiano lo ma¬ tematiche e la filosofìa sul Calepiuo. LIBRA ASTRONOMICA AC rHILOSOPHICA. 139 quitur, huiusmodi halitus graviores natura sua futuro», ac proinde rainus aptos qui supra Lunam etiam ac Solein ascendant, cum vel Galilacus ipsc fateatur, tenues valde ac lcves esse eos debere, qui co usquo cvolant. Non ergo ex vapore ilio tumido ac l'aro, et nullius revera ponderi», revibrari ad nos poterit fulgidum iHud lucis simulacrum [03] ; vapor vero aqueus, ut potè gravis, in altum ferri nulla rationo poterit. Quoti si forte qui» nihiloininus affirniaro audeat, nihil prohiliere quominus vapor aqueus ac densus vi aliqua altius proveliatur ab coque refractio liaec atquo reflexio coraetae proveniat (nullum enim aliud buie effugium patere vidotur, cum io longa experientia compertum sit, quo rariora corpora fucrint magisquo perspicua, minus ea illuminari, saltcm quoail aspectum, magi» vero quo densiora et cum plus opacitatis habucrint; cum ergo cometa ingenti adeo luco fulgoret, ut stcllas etiam primac magnitudini» ac pianeta» ipsos splendore superar e den.sior cius materia atque aliqua ex parto opacior dicenda erit : Trabcm enim eodem tempore, quod eius summa esset raritas, albicalitem potius quam splendentem, nullisque radiis micantem, vidimus) ; veruni, si densa» adeo fuit vapor hic fu- midus, ut lumen tam illustro atquo ingens ad nos retorqueret, atque, ut Galilaeo placet, si satis amplam caeli partem occupavit, qui tandem factum est ut stellae, quao per lume subiectum vaporem intermicabant, tulliani insolitam paterentur 20 refractionem [06J , ncque minores maioresve quam antea comparerent ? Certe, cura eodem tempore stellaruin comotam undiquo circumsistentium distantias inter se quam exactissime metiremur nihil illas a Tycbonicis distantiis discre¬ pare invenimus ; variati tamen stellaruin magnitudine» earumque distantias intor l#3] Nota, fieri posso, cometae lumen adeo esso exile, ut si quis in eo esset, vix se inesse sentiret, licet a longe adeo terminatimi et eia- rum appareat : constat id ex illis ignibus qui perpetuo in noctc du¬ cere cernuntur, et multo fortius quam cometa; si quis tum ad illos accedat, vix ac no vix quidem eos percipit. 1941 et candor aurorae stellaruin splendorem superat. 15151 modo vidotur autbor, cometam et densiori ex materia et opa¬ cior i quam stellaruin esse compositum, IM] non iutelligit unde proveniat alteratio in stellarum distantiis ex refractione. notisi qui la debolezza di coloro che voglion levar la multiplicità degli orbi celesti per la mancanza di diversità nello refrazzioni. t91] il suo Maestro dice in contrario, cioè di non aver auto stru¬ menti atti a questo servizio : però si può dire al Sarsi che non gli mediamo elio egli abbia prese queste misure così esattamente. Pag. 30. (pag. 91, lin. 1 e seg.] 2 u,n argomentimi. 140 LOTI! A RII 8 ARSII Vitello, lib. 10, prop. 51 et 52. Halazen, lib. 7, prop. 52, 53,54 3 ‘m» argomentimi. Pag. '10. [pag. 01, lin. 04 o sog.J se ex interpositione vaporimi luiiusmodi, et expericntia nos docuit, et Vitello et Halazen scriptis consignarunt. Aut igitur dicendum est, vapores bosco tennes adeo ac raros fuisse 10 * 1 , ut astrorum lumini niliil otticerent (qui tamen cometae per refractionem huninis producendo miims apti probati iam sunt), vel, q lto d longe verius sit, fuisse nullos [M] . Asserit praeterea Galilaeus, conietae materiam non differrc a materia illorum corpusculorum quae circa Solein certa conversione moventur, ac vulgo solar» maculae nominantur ri001 . Non almuo ; quin àlluci etiam addo, eo tempore quo visus est cometa nullam per monsoni integrimi in Sole maculano, inspectam, perque raro postea in eodem sordes buiusmodi obscvvatas ; ut non immerito poeta- io rum aliquis bine arripere occasioncm ludenili possit, per eos forte dies Solem solito diligentius os lucidissimum aqua proluisse, cuius per caelum dispersis lo- turae reliquiis comotam ipse conformavcrit, miratusquo sit postea clarius multo sordes suas fulgere quam stellas. Sed quid ego etiam nuno poeticas consector nugas ? Ad me redeo. Sit ergo eadom cometae et solarium, ut ita loquar, vario- larum materia: cum igitur buco, cometam pari tura, recto ac perpendiculari sur- sum semper feratur motu, quid illud postea est quod oam circa Solem in orbem agit, cogitque perpetuo, dum Solis vultum maculis illis deturpat, eanidem in partem por lineas eclipticae parallelas circumvolvi ? 11011 Si enim levium natura est sursum tantummodo ferri, quid ergo vapor unus atquo idem modo recta 20 sursum agitur, modo in orbem certis adeo legibus rotatur? Ac si forte quis dixerit, lmnc quidem vi sua summa semper rectissimo cursu potere, at, ubi propius ad Solem accesserit, eius nutibus obsequentem co movcri, quo regia domini virtus annuerit, mirabor profecto, dum reliqua corpora, eadem materia constantia, avide adeo Solem complectuntur, unum cometam, proximum Soli natum, illud votis omnibus optasse, ut a Sole abesset quam longissime ,loal , maluisseque gelidos inter [98) , vel adeo elevato», [9l,J se non vi erano, in qual materia si faceva la coda? 11001 hoc falsum est: dieitur eniin, tantum huiuscemodi fumosifcates pei' celum discurrere etc. 1» prima volse elio io avessi detto che la materia era quella della aurora boreale ; tal che ho fatto bene a mettere il protesto della caraffa. 11011 Sed quid ignem in girimi vertit? quid trabem, post rectum o subbiimi descensum in ilumen rapidissimum, in girum circa Ter- ram convertit? |10wl id potius te doceat, non eandom prorsus fuisse materiam co¬ metae et solarium macularmi!. LIBRA ASTRONOMICA AC Pilli,OSOPI1ICA. 141 Tiiones oliscaro loco extingui, quam, cani posset, Solis inter radios Soli ipsi, obiectu corporis sui, tenebras offendere. Seri haec physica potius sunt quam mathematica. Venio mine ad optic-as rationes, quibus longo probatur efficacius, cometani T"" argomentimi, nunquam vammi spectrum fuisse, nequo larvatum unquam «octurnas inter teno- bras ambulasse ; sed uno se omnibus loco unum cumdemque, vultu quo semper fuit, spectandum praebuisse. Quaeeunque enim ea sunt quao per refractionem luminis appareant vcrius quam sint, ut iris, corona aliaque huiusmodi, ea semper lege producuntur, ut luminosum corpus, ex cuius existunt lumine, quocunque illud sesc converterit, sequaci obsequentiquo motu con¬ io sequantur. Ita iris IHL, quae, Sole existento in horizonte A, verticem sui semicirculi liabet in 11, si Sol intelligatur eievari ex A usque ad D, dc- scendet ipsa ex opposita parte, et verticem sui arcus II ad horizontem inclinabit; et quo altius Sol elevabitur, co magis iridis vertex II depri- metur: ex quo patet, eamdem semper in partom iridcrn moveri, in quam Sol ipse fcrtur Idem observari potest in areis, coronis et pareliis: haec siquidem omnia, cum luminosum, a quo 20 filini, certo intervallo coronent, ad illius etiam motumin eamdem semper partem feruntur. Idem etiam apertissime deprelienditur in imagi ne lu¬ minosa quam Sol, ad occasum flectens, in su¬ perficie maris ac fluminum formare solet: haec enim, quo magis a nobis Sol removetur, eo etiam abscedit magis, donec, ilio occumbente, evancscat. Sitenim 1 " , ‘ 1 superficios maris visa BI, insensibili ter a plana superficie difforens ; Git oculus in litore positus in A, Sol priimim ini*’; ducantur ad D radii FD, DA, facientes an¬ so gulos ADB, FDE incidentale et reflexionis aequales in D: videbitur ergo lumen Solis in D. Descendat iam idem Sol ad G, atque, eadem ratione qua prius, ducantur a Sole G atque ab oculo A duae lineae, facientes cum tl03) eur non dicis in oppositam partem, et non in eandem ? 11011 se il Sarsi non vuol far peggio a me che a sè l,) , dovrà conce¬ dermi la vittoria, poi che questa dimostrazione fa per me. (1) Così il nis. 142 LOTHÀRII SARSIl nrgumentum. rectaBE angulos incidentiao et reiloxionis acquales: Imo coincident in punctoE,et non alio, ut est manifestum; lumen ergo Solis apparebit in E: et propter eamdcm causarli, Sole magie adirne depresso in H, lumen apparebit in I. Contrarium vero accidit quotiescumque idem lumen a Sole oriente in aquis producitur : tunc enim aleuti Sol magisad verticem nostrum accedit, ita et lumen spoetanti fit propius; prius enim, verbi gratin, apparebit in I, sccundo in E, tertio in D. Ex quibus quilibet intelligat, in cani scraper partom isthaec apparentia movori, in quam luminosa ipsa, a quibus producuntur, feruntur. Cura ergo ex Solis lumino cometa sine controversia producatur, Solis etiam motum sequi debuit ; quod si non prac- stitit, inter apparentia lumina numerandus non erit. Aio igitur, in cometa nihil io unquam tale observatum fuisse. Cum enim primo quo visus est die, hoc est 29 No- vembris, Sol in gradii Sagittari G,m.43 reperirctur, atquo ad Capricornum etiam tunc tenderet, necessario singulis sequentibus diobus usque ad 22 Decembrisin quocumquo verticali deprcssior fiori debuit ; et si motus bic attcndatur, Sol ab aequatore magia et magia in austrum movebatur ; quare si do genere refraclo- rum luminum aut repercussorum fuit cometa, in austrum etiam ferri debuit:a quo tamen motu tantum abfuit, ut in septentrionem potius tendere volucrit ; ut fortasse vel ex hoc suam Galilaeo testarctur libertatem, doceretque nihil se ara- plius a Sole Imbuisse, quam homines habeant in eiusdem Solis luce ambulantes et, quo sua illos libido impulerit, libere contendentes. Quoti si quis forte hoc» loco aliani aliquam reflexionis refractionisvo rogulam a superioribus diversa™ invexerit, quam cometis tribuendam, nescio qua occulta prerogativa, existimet; illud saltem statuendum est, ut, quam semel admiserit motus regulam, servet postea exacte. Sit igitur, quando hoc aliquis vult, ut libet. Fuerit cometarum, non Solis motu moveri, sed contrario; ut proindo dura bic in austrum tenderet, illi in septentrionem aufugeront: debuerant ergo iidem illi, Sole ad septentrio* nem redeunte, in austrum contra, propter eamdem rationem, moveri. Cum ergo a die 22 Decembris, hoc est a solstitio brumali, in septentrionem iterum Sol regrederetur, debuit noster cometa in austrum contra, unde discesserafc, reraeare: bic tamen constantissime eumdem semper motus tenorem in septentrionem ser* » vavit : ex quo satis constare potest, indiani cum Solis motu cognationem Imbuisse incessimi cometae, cum, sive in hanc sive in illam partem moveretur Sol, eadem ille, qua primum coeperat, semita progrederetur. Praeterea, si de apparentium simulacrorum numero cometa fuit, debuit ad certuni ac determinatala angulum spedari ; quod in iride, area, corona aliisque huiusmodi accidit: meminisse autem hoc loco debot Galilaeus, se adir masse satis amplum caeli spatiuni huiusmodi vaporibus occupatimi : quod si ita est, aio cir- cui arem vel circuii segmentimi apparerò cometam debuisse. Sic enim argumcii' tari libet. Quaecumque sub uno certo ac determinato angulo conspicinntur, ibi videntur ubi certus ille ac determinatus angulus constituitur ; sed • pluribus in w libra astronomica ac philosophica. 143 locis in circulari linea positis, determinatus liic et certus cometac angulus con- stituitur ; ergo pluribus in locis, in linea circulari dispositi, cometa videbitur. Maior certissima est, neque ullius probationis indigens. Minorem sic probo. Sit Sol infra liorissontem in I, locus vaporis fumidi circa A, cometa vero ipse se se, v g., spectandum ostendat in A, posilo oculo in I) ; occupet autem vapor idem et alias partes circa A constitutas, quod Galilaeus ultro concedit. In telligatur iam ducta linea recta per centrum Solis I et per centrnm visus D ; ex punctis vero I et D ad locum cometae A concurrant radii 1A, DA, constituentes triangnlum 1AD: io erit ergo angulus 1AD ille certus et determinatus sub quo ad nos cometae species remittitur. Concipiamus iam circa axem IDII triangulum IAD moveri; tane vertex illius A describet segmentimi circuii, in quo semper radii Solis, IA di- rcctus et AI) reflexus, angulum eundem IAD officienti cum autem in liac ver¬ tici A circumductione multao ab ilio circumfusi vaporis partes attingantur, in iis omnibus fiet determinatus ille ac certus angulus, ad quem cometa necessario consequitur : in toto ergo circuii segmento BAC, quod vaporem attingit, cometa comparebit; eadem prorsus ratione, qua in roridis nubibus irides et coronas fieri contingit aut circularcs aut circulorum segmenta. Cum ergo niliil tale in cometa 20 observatum f'uerit, non erit proindo in apparentinm simulacrorum numero collo- candus, cum nulla in re hic illis se similem praebeat. Sed placet ex ipsius ctiam Galilaei verbis hoc idem confirmare. Ait cnim ipse 1 ' 051 , quod etiam fortasse verissimum est, spectra lniiusmodi et vana simulacra cani in parallaxi legem servare, quam servat luminosum illud corpus a quo pro- veniunt ; ita, si qua illorum Lunae effecta fuerint, haec parein cum Luna paral- laxim pati ; quae vero a Sole fiunt, eamdem cum Sole aspectus diversitatem sortir!. Praeterea, cium adversus Aristotelem disputat et argumentum ex paral¬ laxi ductum assumit, haec habet : < Denique cometam ignem esse, ac sublunarem > asserere, omnino impossibile est ; cum obstet parallaxis exiguitas, tot insignium so > astronomorum solertissima inquisitione observata >. Ex quibus ita rem confi¬ do. Auctore Galilaeo, quaecumque mere apparentia a Sole producuntur, illani eamdem patiuntur parallaxini quam patitili- Sol ; seti cometa non passus est eamdem parallaxim quam Sol patitur : ergo cometa non est apparens quid a Sole productum. Si quis autem de minori huius argumenti propositione ambigat, Tychonis observationes cum observationibus aliorum conferat, dum agunt de co¬ meta anni 1577 : ipse certo Tycho ex suis observationibus illud tandem deducit, demonstratam nimirum distantiam cometae a contro Terrae die 13 Novembris iuisse semidiametrorum eiusdem Terrae 211 tantum, cum Sol ab eodem centro 110,1 hoc falsum est; non enim liaec dicuntur a Galilaeo. argumentum. Lib. 2, cap. 9. 144 liOTHAltll SAHSI1 7 ,,IU argumeutum. l , " n argumentum. ponatur distare semidinmetris salterà 1150, Lima vero semidiametris 60. De hoc vero nostro, si quis oas observationes inter se contulerit quas in Disputationc ab uno ex Patribus balata edidit in luccio Magister incus, satis illi inde co n . stabit liuius propositionis veritas; nani fere semper longo maiorcm cometaepa- rallaxim invenict, quam Solis. Ncque observationes liuiusmoili Galilaeo suspectae esse mine possunt, cum oasdem suinniorum .astronomorum opera exquisitissime ad astronomiae calculos castigatas tcstntus sit 1 '®* 1 . Denique ncque illud omittendum, quod vel unum, homini vcritatis potiusinve- stigaiulae quam altercandi cupido, satis id quod agimus persuadere possit. Expc- rimur enim quotidie, ea omnia quibus certa ac stabilis species non est, sed vana u colonna ac lucis imagine liominum illudunt oculis, angustissimis vitae spaliis finiri, brevissimo ctiam temporis intervallo varias seso in formas mutare; modo extingui, modo iterum accendi; mine palloscere, mine ardentiori luce micare; partes illorum mine intcrrumpi, mine iterum coalcscero ; nnnquam denique eadem din specie apparerei quac omnia si cum cometac stabili motu aspectuqueconfe- rantur, ostendent quanta demum intor illuni atquc liuiusmodi vanas iniaginea morum ac naturac discordia sit 1 "" 1 . Quaro si niliil piane roperias in quo seillis cometa similem probet, cur non potius indiani cum iisdem naturae affinitatem aut cognationem habere dixeris? Dixerunt enimvero pbilosophorum antiquissimi atque optimi, dixerunt recentiorum eruditissimi; unus mine Galilaeus ilbs repu- 29 gnat ; ut Galilaeo, nisi fallor, repugnare veritas videtur. An conwtae aspcctus per motum rcctum et ad Terrina petpendicularem cxplicuri possit. Quaestio II. Venionunc ad motum: quem rcctum fuisse Galilaeus asserit, ego tamen diserte nego. Ea primum ratio lioc milii persuadet ut faoiam, quam ipse solvere voi nescire se vel non audere, ingenue profìtotur : illa enim ratio adeo aperta est, adeoque ad lume motum dissuadendum eificax, ut, cum forte id maxime vellet, 11081 se posta la cometa lontana da Terra 100 miglia, che è assai più che 1’ altezza della region vaporosa, la parallasse tra Anversa e» Roma è più di 50 gradi, come prova il P. Grassi, ben posso io dire che la parallasse osservata nella cometa, qualunque ella sia, sia tanto piccola che atterri Aristotile. Vedi a face. 10 del Problema [png. 29 , lin.32]. 11071 L’ aurora è eterna, e la refi essimi nel mare etc. LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. 145 dissimulare tamen eam non potuerit [,tìBl . < Si enim (verba eius sunt) solus hic Pag. 44. > motus cometae tribuatur, oxplicari non potest, qui factum sit ut non ad ver- li** 98 » ,iu - 1G 0 s °e-] > ticem solum magia ac magia accesserit, sed ulterius ad polum usque perve- >ncrit [,09] : quare vel praeclarum lioc invcntum abiiciendum, quod sane haud > sciam, vel motus alius addendus llu>1 , quod non ausim. > libi mirandum sane est, hominem apertum ac minime mcticulosum repentino adeo timore corripi, ut conceptum sermonem proferre non audcat. Ego vero non is sum,qui divinare norim. Quaero igitur, an motus hic aliusquo belle explicare omnia posse!, nec eum proferro audet, vapori buie cometico tribuendus sit, an alii cuipiam, ad cuius io postea motum moveri, in specicm tantum, videatur cometa. Non primutn, arbi- tror; hoc enim esset motum illuni rcctum et perpendicularem destruere: siqui- dom, si vapor ex Terra, aequatori, v. g., subiecta, mota perpendiculari sursum ascendat, et motu alio idem ipse in septentrionem feratur, motus hic secundus necessario priorem destruet. Quod si nihilominus ad septentrionem moveri, sal¬ telli in speciem, videatur, ad altcrius alicuius corporis motum id consequi dicen- dum erit. Certe dum Galilaeus ait, eum motum qui addendus esset, causam tantunimodo futurum apparentis deviationis cometae, satis aperte innuit, motum lmnc in alio quara in vapore cometico ponendum esso, cum illuni apparcnter solum acl septentrionem moveri velit. Quod si ita est, non video cuiusnani cor- 20 poris hic futurus sit motus. Cum enim nulli Galilaeo sint caelestes Ptolemaei orbes, nihilque, ex eiusdem Galilaei systemate, in cacio solidi invernatili*, non tP ft s* 98 » Hu.24 o seg.] igitur ad motum eorum orbium, quos nusquam reperiri existimat, cometam mo¬ veri putabit. Sed audio hic milii ncscio quem tacite ac timide in aurem insusurrantem Terrao motum. Apage dissonimi ventati ac piis auribus asporura verbum. Nae, tu caute id submissa insusurrasti voce. Sed si ita rea se haberet, conclamata esset Galilaei opinio, quae non alii quam buie falso inniteretur fondamento. Si enim Terra non moveatur, motus hic rectus cum observationibus cometae non congruità 1 * 1 ; Pag. 44. [pftg. 98, li ii. 23] Pag. 39. n ° 81 neque hoc nec quicquam alimi dissimulare volani veritatis 80 studiosi : deceptoris et calumniatoris est dissimulare. e credo die il dissimularla al Sarsi, non saria stato difficile, il quale, per farmi piacere, credo die arebbe dissimulata la mia dissi¬ mulazione. 11093 non intelligis quae scripta sunt a Guiducio. [110] non dicimus, motum alium addendum, sed causam. 111,1 ^ V hai introdotto, e tu stesso risponditi. [112] e se si accomoda a i moti de ? pianeti, perchè non a quello delle comete? * LOTHARII SARSII 146 Hod Tcrram certuni est, apud Catholicos, non moveri ; erit ergo aeque certuni, motura lume rectum cimi observatlonibus comcticis minime concordare, ac pio- pterea inoptum ad rem nostrani iudicamlum |,13) . Ncque id ego unquam Galilaco in nientem venisse existimo, quem pium semper ac religiosuni novi. Veruni, ni fallor, non quilibet cometae motus Galilaeum torsit, coegitque ali- quid aliaci praeterea exeogitare quod proferre vel nosciat vel non audeat; sedis tantum, quo ultra nostrum verticeni, 8eu zenitli, propius ad polum accessit Si igitur ultra verticem cometa progressus non fuisset, nil erat quod de hoc alio Pag. 44. motu cogitaret. Hoc enim ipsemet verbis illis innuere vidotur, quibus ait, < si nul- [png.98, liii. ir, o sog.] > i us a li us ponatur motus quani rectus ac perpendicularis, timo ad nostrum tantum i» > verticem recta cometam ascensurum, non tamen progressurum ulterius > M oum arguinentum. Demus igitur, nullum unquam cometam verticem nostrum praetergressum : aio tamen, ne sic quidera eius cursuni explicari posse motu hoc recto. Sit enim Terme globus ABC, locus ex (pio vapor ascemlit sit lì, oculus vero spectantis in A, visusquo sit primum cometa, v.g.,inE t et locus eidem respondens in caelo sit G; intelligatur moveri cometa sursuni in linea BO per partes aequa- les EE, FM, MO: ullirmo, quantumvis vapor ille per lineam DO ascendat, etiam in ornili aeternitate nun* quam ad verticem nostrum, no apparenter quidem,» perventurum. Ducatur enim linea All ipsi BO paral¬ lela: nunquam tantus erit cometae motus apparens, quantus est arcus Gli, et nunquam radius visualis coin* cidet cum linea All. Cu ni enim semper radius visivus concurrere debeat cum recta BO, in qua apparet cometa, cumque radius ÀR sit lineae BO parallelus, non poterit cum il la unquam concurrere, ex delinitionc paralielarum : ergo nunquam radius per quem cometa videtur, poterit ad lt pervenire ; et, consequenter, motus apparens cometae non solum non pervemet ad nostrum verticem S, sed ncque ad punctuni 11, quod longissimo adhuc a ver¬ tice distat. Apparebit enim primo in (I, sei-mulo in F, tertio in I, deimle in b, ete.,8 3 ura argu mentimi. sed nunquam pcrveniet ad lt. Praeterea, quoniam, ut Galilaeus ipso iatetur, cometae motus in principio velo* cior visus est, et paulatim postea remitti, videndum est, in qua proportionc lutee motus remissio procedere debeat in hac linea recta. Certe, si Galilaei ligniam expendamus, quando cometa fuerit in E, apparebit in G; cum vero, pana per currens spatia EF, FM, MO, motum siium apparcntem in punctis F, I, b osten* dot, videbitur motus eius decrescere dccrementis maximis ; nam arcus II yìx est i ll l i Penne d’ osso di lanterna. [U41 haec non reperiuntur scripta a Galilaeo. libra astronomica ac piiilosophica. 147 medietas ipsius GF, et IL ipsius FI, attiue ita de reliquia i" 6 ) : debuit ergo co- metae motus apparens in cadera proportione decrescere. Sciendurn autem est, motum cometae observatum non in liao proportione dccrevisse, immo primis dicbus adeo exiguum ipsius decrcmontum fuisse, ut non fucilo animadverteretur. Cum enim in suo esordio tres circiter gradua quotidie percurreret, diebus iain 20 elapsis vix quicquam do illa priori contentione rcmisisso visus est. Immo, si in iudicium advocentur cometae duo Tychonici annorum 1577 et 15S5, ex ipsorum motibus apertissime colligcmus, quam longe abfuerint ab immani hoc decremento. Si quis iam ex me quaerat, quantus tandem futurus sit cometae motus per lineam hanc io rectam ascendenti, respondeo : si cometa tunc primum appareat, cum vapor ex quo producitur non longe abest a Luna, quod valile probabile est lllc) , et prac- terea ponamus locum, ex quo in Tornio globo fumus ilio ascendit, distare a nobis gradibus 60, respondeo, inquam, apparentem cometae motum toto durationis suae tempore non absoluturum gradum unum et minuta 31. Sit enim Terrac globus ABC, Lumie concavum GFII, distans a centro D Terrae semidiametris 33, ex Ptolemaeo ; Tycho enim duplam fere ponit distantiam, quod nmgis e re mea foret; sitquc A locus ex quo spoetatili* cometa, B vero locus ex quo vapor ascendit. Dico, cum visus fucrit cometa in E, futu- rum angulum DEA gradus 1, minuta 31; ac proinde, si 20 ducatur AF parallela ipsi DE, erit etiam angulus FAE gradus 1, minuta 31, cum sit alternus ipsi DAE inter easdem parallelas ; dime ergo lineae AE, AB' intercipient in firmamento arcuivi gradus 1, minutorum 31. Sed ad lineam AF, parallelam ipsi DE, nunquam perveniet co¬ meta, ut probavimus superius: ergo nunquam absolvet motum gradum 1, minuta 31. Quod autem angulus DB!A futurus sit in concavo Lunao gradus 1, minuta 31, probatur. Quia, cum cognitus sit, ex suppostone, angulus EDA graduum 60 in triangulo ADE, et praoterea latus AD unius Terrac semidiametri, et latus DE semidiametrorum 33; si fiat, ut 34, aggregatuni duorum tnj) vis igitur ex figuris, non ex demonstrationibus, proporziones elicere. At si haec ineptissima operatio sic tibi placet, ego in tua sequenti figura angulum AED, quem tu dicis esse gradus 1. 30', osten- dam esse plus quam gradus 15. tll6] hic, Sarsi, ostendis te discipulum Grassii : sicut enim ille, pag. 12 [png. 31, lin. 30 e seg.], ponit cometam altissimum, ut improbet avv ersarium qui cundem Terrae proximum faceret, sic tu hic, ut res tuis rationibus accomodes, ais cometem tunc primum apparere, cum 2) luciit proximum. Sed adversarius contrarium asseret; tu vero tanquam nobulo obmutesces. 148 L0T1IA RII SA USI I 4 ,,m argumentum. 5 l,m argumentum. In Ptolemaeum, lib. 2, tex. 54. laterum AD, DE, ad 32, differentiam eorumdem latcrum, ita 173205, tangens dimidii summao reliquorum (luorum angulorura, hoc est tangens anguii graduum 60 ad quartina numerum, invenietur 1C3016, tangens anguli graduum 58, minutorum 29* qui, detracti ex gradibus 60, hoc est ex dimidio duonun reliquorum angulorura relinquent angulum DEA quaesitum gradus 1, ìnimitoruiu 31, ex regulis tri¬ gonometrici». Iam vero quamvis Terra non moveatur, nequo tutum homini pio sit id asse* rere, si quis tamcn scire ex me copiai, an per motum Terrae possit hic cometae cursus per rectam lineam cxplicari, respondeo : si nullus alius in Terra motus concipiatur praeter eum quem Copernicus excogitavit, no sic quidem inotu hoc io recto saivari cometa© phacnoracna. Quamvis enim per motum Copernici annuum Sol, ex ipsius sententia, videatur ab acquatore modo in austrum modo in septen* trionem Uectere (quem tamen ipso immohilem existimat), quilibet tamcn lioruui inotuum integro semestri completar, et brevi ilio spatio dierurn 40, quo fermo cometa compariti!, parimi admodum Sul movcri visus est, hoc est per gradus tres, ncque multo maior, ex hoc Terrae motu, videri potuit cometae apparens deviatio ; cui etiam si addatiti* totus ilio motus qui ex incessu ilio recto appa- renter oriretur, nunquam motum cometae observatum exaequabit. Àtque ltaec quidem, si omnium, quotquot adhuc fuerunt, comctarum motus acque certus ac regularis fuisset: at si alios etiam in quaestionem vocemus, quorum $ motus longo diversus ab bis fuit, multo clarius ex illis constabit, possit ne co- metis motus hic rectus pracscribi. Adi igitur Cardanum ; ltaec apud illuni, ex Fontano, leges : < Cometes tenui capite comaque admodum brevi a nobis con* > spectus est, qui inox, mirae maguitudinis factus, ab ortu in septentrionem cocpit > deflectcre, lume citato motu nunc remisso ; et quoad Mars Saturnusque regre* » derentur, ipsc aversus, coma progrediente, ferebatur, donec ad Arctos pervenit; > unde, curii primum Saturnus et Mars recto cursu pergere coepcrunt, in occa- > sum iter llcxit tanta celeri tate, ut die uno 30 gradus enicnsus sit; atque ubi ad > Arietem et Taurum commeavit, videri desiit >. Fraoterea apud eunnlem, ex Itegiomoutano, lutee liabes: < Elibus Ianuariis anno Domini 1475 visus est nobis 5) > cometa sub Libra entri stellis Virginis, cuius caput tardi crai motus donec prò* > pinquum esset Spicae ; nunc incedebat per entra 13ootis versus eius sinistrano, > a qua discedendo, die uno naturali, portioneni circuii magni graduum 40 dcscripsit, > ubi, cum esset in medio Cancri, maxime distabat al) orbe signorum gradibus 67; > et lune per duos polos zodiaci et aequinoctialis ibat, usque ad intermedia pedura > Ccphaei, deinde per pectus Cassiopeiae super Andromedae ventrem; post, gra* > diendo per longitudinem Fiscis septentrionalis, ubi valde remittebatur motus > cius, propinquabat zodiaco de. >. Quare in principio ac fine tardissimi fuit motus, in medio vero celerrimi, quod motui isti per lineam rectam apertissime repugnat, hic enim sentper in principio vclocior est, postea sensinr remittitur. w LIBRA ASTRONOMICA AC PIIILOSOITIICA. 149 cui tamen adirne apertius obstat prior cometa Pontani, in principio tardus, in fine velocissimus. Audi illuni in Meteoris ita concincntem : Nani niemini quondam, Icario do sidore lapsum Squalentem prue forre comuni, tardoque meaiu Flectere sul) gelidum borono penetmbilis orbem ; li ine rumini praoferre caput, cnrsuquo secando Vertero in occasuin, nc laxis insistere lmbenis; Donec Agenorei sensit l'era corium Tauri. In bis duobus porro cometis difficilius multo motus ilio rectas explicari potest; io cum hi, brevissimo temporis spatio, integrimi semicirculum maximum motu suo percurrerint, cui motui explicando perexiguo futurus est adiumento quicumque Tcrrao motus. Ncque lioc loco cataloguin comctarurn variorumque illorum 1110- tuum texere mei est instituti : si quis vero cos adoat qui de bis egonint, multa inveniet quac cum motti hoc recto stare nulla rationo possunt. Satis igitur su- perque de cometae substautia ac motu dictum. An caitdae curvitas ex refractione orivi possit. Quaestio III. Reiiqua mine est cometae coma seu barba, voi, si mavis, cauda, quae sua illa curvitate non parum astronomis negotii facessit : in qua tamen cxplicanda 20 triumph&re piane sibi videtur Galilaeus. Veruni illud primum hoc loco ei sug- gerere habeo, niliil esse quod novurn lmnc modum comari!m explicandarum sibi adscribat ; nibil ipsum sua hac in disputatone protulisse, quod Keplcrus multo ante non viderit, et scriptis pianissime consignarit : nani dum rationes inquirit, cui* cométarum caudae curvae aliquando videantur, ait id non ex parallaxi oriri, Astronomia quod alio etiam loco probat, ncque ex refractione, multa in banc sententiam afte- Optica, c. 7 , nuni. 13 C! 9 i i 6 rens; ubi tandem ait, hoc phaenomcnon inter naturile arcana relinquendum. Hoc igitur praemissum volui, quandoquidem ipse ait, se vidisse neminem qui hac do Pag. 45 . re Bcripserit, praetcr Tyclionem. Hoc uno inter se differunt Keplcrus et Galilaeus, lin * quod hic iis rationibus assentitili*, quas non tanti ponderis ille existimavit, ac 50 P r °ptcrea sub iudice litem relinquendam statuit. Scd videamus iam, an ex refractione, quod Galilaeus asserii, huius caudae l utn argumentum. cuivitas orili potuerit. Neque enim eas logos illa servasse videtur, quas eidem ipse praescribit ; ut nimirum quoties ad horizontem inclinaretur eidemque fere incedei et parallela ac plures verticales intersecaret, tunc solum curvaretur, ubi ' ero ac * ver ^ cem nostrum spectaret, illico dirigeretur : nam vix tribus quatuorve diebus suam ili am primam curvitàtem servavit, idque sive horizonti loroxima si ve 150 LOTHARH SARSII 2" m argumcntam. Pag. 47. (png. 100, lin. 40 - pag. 101, lin. 1 o sog.] ab eodem remota; postea vero declinare quidem visa est ab ea linea quao per cometa© caput a Solo recta duceretur, sed nullam curvitatem prae se tulit, cu® tarnen aacpissimc ductus illao caudae ad liorizontem inclinatus compareret. At si ita so res liuberet ut Galilacus asserit, longo rectior videri debuisset in ipso exortu, quam cum altius elevaretur. Saepissime enim ita ab horizonte ascendit ut tota in eodem fero verticali existeret ; in usccnsu vero ipso fiebat ad bori- zontem inclinatior, et pluros verticales intersecabat ut ex globo ipsocogno- scere quivis potest, si observet, esempli grati», in globo aliquo cadesti locum comctae et ductum caudae respondentem dici 2U Decembris. Transibat enim Urne coma inter duas postremas stellaa caudae Ursae Maioris, ipsum vero comctae io caput distabat ab Arcturo gradibus 25, minutis 5-1, a Corona vero gradibus 24 minutis 25. Si igitur locus comctae in globo inveniatur ot ductus caudae duscri- batur, iu ipsa globi cireumvolutiono apparebit cauda, ab horizonte emergens, in uno fere verticali; inox, altius provecta, fiet ferme borizonti parallela: ettamen liaec ne in liac quidem positione curvitatem ullain ostcndit. Praeterea non video, qui fieri possit ut adeo secure nsseveret Galilaeus va- porosam regionem ipsi Terrae sphaerico circumfundi ; cum tarnen ipso huiusmodi vapores altius alicubi dovari quam alibi, constantissime doceat [118) , duin suam de motu recto sententiam astruere nititur. Immo vero cometas ipsos non aliundo quam ex bis ipsis vaporibus, Terrae umbrosum conum practergressis, » formatos dictitat [110) . Quid ergo, si liic, vapor a Tcrrao superficie tribus absit passuum millibus, ibi vero ultra mille leucas protendatur, an sic etiam spbaerac tiguram servabit vaporosa isthaec regio ? Certe qui ad hanc diem sphaerae nidi- menta tradiderunt, ii mediani aeris partem, quao maxime vaporibus constat (si quam tarnen illa ccrtam figuram servat), sphaeroidalem potius seu ovalem esse, quam rotundam, docent [l ™ ) , cum in iis partibus, quae polis subiectae sunt, vapores 1117) quando si alza verso il vertice, sega molti verticali, ed è anco parallela ad alcuno. [118J hoc falsum est. [ll9] hoc falsum est. " - » 11201 noi aviamo imparato da Tolomeo, e non da i pedantuzzi; però non vi maravigliate se noi non aviamo sapute queste cose, e voi sì: e se voi avessi imparato dal medesimo, non direste queste gofferie. E qual differenza volete voi porre tra le diverse altezze de’ vapori, che alteri la loro sfericità? L quando ella sia ovale, sarà ancora tale la curvatura della co¬ meta. IL voi, inesser Lottario, credereste in un arco di 4 o 6 gradi conoscer se si piega in cerchio o in altra forma? Qui potrebbe at- LIBRA ASTRONOMICA AC riIILOSOPIIICA. 151 minus a Sole solvantur, elevcnturque proinde altius, quam in iis quae acqui- noctiali circulo et torridae zonae subiacent, libi a calore finitimi Solis facillime dissolvuntur. Si ergo vaporosa haec regio sphaerica non est, noe acquia ubique intervallis a Terra removetur, ncque aequalem in omnibus partibus crassitiem et densitatem servat, caudae curvitas ex eiusdem regionis rotunditate, quae nusquam est, existere nunquam poteiit. Atque liaec de Galilaei sententia, in iis quae cometam immediate spectant, dieta sint. Plura enim dici vetat ipsemet, qui, in bene longa disputatione, quid sentiret paucis admodum atque involutis verbis cxposuit [m l, nobisque io plura in illuni afferendi bcum praeclusit. Qui enim refelleremus quae ipse nec protulit, ncque nos divinare potuimus? 11 ** 1 Adreliquanunoaccedamus. EXAMEN TERTIUM QUARUMDAM GALILAEI rilOPOSITIONUM SEORSIM CONSIDERATARUM. Prima Propositio. Acr et cxìialatio ad motum caeli movevi non 2)ossunf. Antequam ad nonnullas Galilaei propositioncs accuratius expendendas, quod nunc molior, accedam, illud testatum omnibus velini, niliil bic minus velie me quam prò A risto telis placitis decertare: sint ne vera an falsa magni illius viri dieta, nil moror in praesentia; illud unum interim ago, ut osteiulam, admotas a Gali- eo laeo maelnnas minus finnas ac validas fuisse, ictus irritos cecidisse, atque, ut apertissime dicam, praecipuas propositiones quibus, voluti fundamentis, universa taccarsi a dir, la cometa esser stata più di 30 gradi, o non si ac¬ corger che ella può sottendere anco 100 gradi e non torcere in sè più che si faccia P arco di 1 grado, ed anco niente. tui avvertite, Sarsi, che il Sig. Mario parlò c scrisse a persone dotte, o non al vulgo, come scrisse c parlò il P. Grassi, per quello che si raccoglie da le prime parole di questo libro. [122Ì i* . luit ergo tota tua intentio in refellendis quae prolata essent; ,quod vel indo constat, quod nullum eorum (quae innumera suut) 30 quod et tibi ipsi rectum necessario videbatur, tactura est. Imo, ut plurinium, refellia ea quae nec ipse protulit, nec tu divinare potuisti. ° c in principio Epistolae ponatur. 152 LOTTI ARTI SÀRSII disputationis ipsius moles innititur 11 nonnullam fortasso veritatis spocicm pr t ^ seferre, illas vero si quis diligcntius introspexerit, falsas, ut arbitror, dcprehen- surum. Dum igitur is Aristotelis sentontiam refutaro conatur, iliaci inter caetera habet, ad caeli lunaris motum circumferri aerem non posse; ex quoposteacon- sequitur, neque per liunc motum accendi, quod indo dcduccbat Aristoteles. < Cum > enim, inquit Galilaeus, caelestibus corporibus figura perfectissima debeatur > dicendum erit, concavam huius caeli superfìciem splmcricam esso ac politali) > nullamque admittere asperitatem : politis autem laevibusque corporibus > ncque aer ncque ignis adhaerescit quare hacc ncque ad motumio . > illorum movebuntur. > Quao omnia probat argnmento ab experientia ducto. < Si enim, inquit, circa suuin contrum circumagatur vas aliquod hemisphaericura, > politum ac nullius asperitatis, inclusus aer ad eius motum non movebitur > quod persuadet accensa candela interna© superficiei vasis proxime admota, cuius > fiamma nullam in partem ad vasis motum so se convertet; at si aer ad motum > vasis raperetur, secum etiam flammam illam traberot. > Hactenus Galilaeus. In bis porro quaedam reperias quae tamquam certa assumuntur, et certa non sunt; alia vero quac etiam prò ccrtis habentur, et falsa corri probantur. l um argumcntuni. Primum enim, dictum illud quo asserit, concavo lunari sphaericam et politam figurala deberi, si quis negarit, qua via quave ratione contrariuiu cvincct? ll ^Nam3) si laevitas atque rotunditas caelestibus corporibus debetur, ideo debetur maxime, p233 (1) Se il Sarsi tassa in certo modo il Sig. Mario di copiatore, il quale tutta via scrivo moltissime cose non scritto da altri, come non sarà egli il medesimo elio il P. Grassi, elio non scrive cosa non detta da molti altri? Questo sarebbe un voler perdonare a sòstesso quei difetti die in altri condanna e biasima. 11243 imo ex praecipuis fundamentis nullum a te producitur, nedum refellatur. [,2>1 hoc non legitur in Mario. Dictum igitur est ut locus paretur prò argumento sequentis pagi mie, de lamina vitrea. tl20J fingis te non intelligere, hoc dietimi esse ad hominem: Ari¬ stoteles enim, non Galilaeus, tribnit celestibus corporibus absolutam sphaericitatem. Et non didicisti a preceptore tuo, quid sit argumen- tari ad hominem ? habes talem argumentandi modum pag. 12 [pag. 32 , lin. 4 e seg.], ubi habet quod si cometa fuit sublunaris, fuit quidem in* cendium ; quod quidem non sequitur nisi in doctrina Aristotelis, etc. m Q uesfca postilla ò geritili a png. 42 (pag. liil, sciato bianco dopo la Ano (WV Examentecundvn,Vi lin. 2-11, (lolla proselito edizione), in uno spazio la- non si riferisce ad alcun luogo della pagina stesa- LIBRA ASTRONOMICA AC PIIILOSOPmOA. 153 ne eorumdem motus impediatur. Si onim superfieies socundum quas sese contin- g U11 t orbes illi, asperitatem aliquam admittercnt, asperitas haec proemi dubio re- moraretur eorum mofcum. Praeterea, extima summi cadi Buperficies ideo rotundi- tatem requirit, ex Aristotele, no si forte angulis constet, ad eius motum yacuum existut. Haec autcm omnia nullam prorsus vini liabcnt in re nostra. Si enim con¬ cava haec lunaris cadi superlicies nec rotunda noe laevis sit, scd aspera et tube* rosa, nihil absurdi conseguitili’ [l " 7J , cum eius motui obsistere non possit corpus illi proxiraum, sive aer sivc ignis sit, ncque vacuimi ullum scquatur, succedente seni per uno corporc in alterius locum. Praeterea, si haec asperitas admittatur, longo io melius servatili' corporum omnium mobiliimi nexus: sic enim ad motum caeli moventur superiora elementa [UHJ , ex quorum motu multa gigni, multa (le¬ simi, quotidie videmus. Veruni, dum Galilaeus nobilissimis corporibus rotundain figuram deberi asserit' 12 ®!, numquid homines, caelo longe nobiliores, idcirco teretes atque rotundos optabit? Quos tamen quadratos, ex sapientum oraculis, raalu- mus ll30J . Dixerim igitur potius, cani cuiquo figuram tribuendam, quae ad eiusdem finem consequendum sit aptissima. Ex quo non immerito aliquis sic inferat: Cum ergo Lunae concavuin inferiora haec sublimioribus illis orbibus nectero quodam- modo ac colligare debeat, asperum potius ac tenax, quam politimi ac laeve, fabri- candum fuit. 20 Sed quid ego adversus Galilaeum argumenta aliunde congiuro, quando ea ipso o ,,m argumentum. [127j tu tibi fmg'is ea absurda, quae in promptu credis liabere (1) confutare. Ego autern non talia proferam absurda: verum si dixero, talem asperitatem tolli necessario ex uniforniitate refractionum, quid dices? Est iam tibi laborandum, primum, ut hoc argumentum ever- tas; 2°, ut persuadeas te iampridem illud sensisse, ne quid novi a me intelligere fatearis. llJhl ergo, Sarsi, dempta asperitate conteuctum liquidum non mo- vetur ad motum continentis. Quid ais? Praeterea, non intelligis, te hie potere principinm ? Galilaeus enim ait : Concavum 3> quod leve :ì0 sit, non trabit liquidum conteuctum. Improb&s, et dum vis estenderò concavum esse asperum, dicis : Concavum est asperum, quia sic tra- here potest liquidum conteuctum. 11291 hoc a Galilaeo nusquam dietimi reperi tur. fla01 i° non sfuggo gli uomini rotondi come le palle, nè i quadrati corno i dadi, ma quelli che son fatti come i tamburi, che guardati per un verso paioli tondi, e per V altro D 1 - ‘ 1 Non è del tutto chiaro so si debba leggero hubere. VI. 20 154 LOTIIA RII 8AUSII In Sidereo Nuncio et in Epistolis passim. mihi abunde suppeditut? Nilxil aputl illuni vcrius, quam Lunara non asperam modo esse, sed, alterili» Telluris in modum, Alpe» suas, Olympum, Gaucasuni suum liabere, in vnlles deprimi, in campos latissimos extendi, Lunae certe monte in Luna desideraci non posse tm| . An non caeleste corpus ae nobilissimi® est Luna? Numquid non longe nobilius quam caelum ipsum, quo voluti curru vehitur quod veluti domum inhabitat? Cui- igitur Luna tornata non est, sed aspcraac tuberosa? Stellao ipsao an non, Galilaeo teste, figura varia atque angulariCon¬ stant ? 11321 Quid autem inter sublimes substantius nobilius ? Addo etiam, ne Solca quidem, si aspectui credila, liane adco nobilem figurarci sortitimi ; dum in ilio faculaQ quaedam conspiciuntur reliquis longe partibus clariores, quae yel asperum, u vel non acque undiquo lumino perfusum, eumdom ostcndunt. Quaro si niliil hacc Galilaei ratio persuadet, licetquo in concavo lunari asporitatem admittere, nemo arbitror, negabit, ad oius motura ferri exlialationea atque aerom posse. Asperi- tatem autem liane admittcndam non esso, non fucilo probabit Galilaeus. llluil hoc loco omittendum non est, quoti in Epistola 3 ad Marcum Velserum ipso babet, hoc est, solares macula» fumidos vaiiorcs esso, ad motum Solaris corporis circumductos. Vel igitur solare corpus politura est ac laeve, et non poterit lmius- modi vapores circumferre : vel asperum est et tuberosum, atque ita nobilissimum inter caelestia corpora ncque spbaericum est nec politimi. Praeterea, in Epi¬ stola 2 ad eumdom Marcum ait: < Solerci circa suum centrum ad ambientisi > motum rotali; corpus autom ambiens ipso etiam aero longo tciiuius essedebet>. Quare, si corpus solare soliilum ad motum circumfusi corporis rarissimi et tenuis¬ simi movetur, non video cur postea caelum ipsum solidnm motu suo secum raperò non possit corpus inclusum quamvis tonuissimum, quale est sphaera elementarà 1 '" 1 , 11313 il Sarsi deve credere che il maro sia scaglioso e pieno di li¬ sche, perchè tali sono le balene e i tonni che 1’ abitano. 11323 Non vai P argomentare dallo stelle solidissime a i cieli tenui c fluidi ; e la Terra stessa per la sua durezza è aspra e montuosa, e P acqua sferica perfettamente, rimosse lo causo esterne ecl acciden¬ tali. Di più, dato che la sustanza celcsto fosse diversa dalla elemen-® tare, come vuole Aristotile, è ben necessario che il concavo della 3 fusse pulitissimo, perché altramente lo grandezze e disposizioni delle stelle, facendo diverso refrazzioni nel passar per un diafano di super¬ ficie ineguale, si muterebbono ad ogn’ ora stravagantemente, come accade nel passar per le invetriate di vetri non puliti e lavo¬ rati etc. nasi ]\f on intelligit, maximum esso discrimen inter haec duo. Soli - dum rotari ad motum ambiontis fluidi necesse est, cuin pui’tes solidi libra astronomica ac pniLOSormcA. 155 Scd tlcmus Galilaeo, orbis huius interiorom superfìciom tornatala ac laevcin 3“ m esse: nego, lacvibus corporibus acrem non adhaerescere. Lamina corto vitroa 15 aguao iniposita, quamvis laevissiina sit, non minus quam si foret alterius asperioris matcriao natabit, adbaorensquo illi aer aquam AC, circa vitrum per vim seso attollentem, continebit, ne dil'lluat et laminam obruat. Cur igitur indo non abscodit aer, dum desoendentis aquae pondero e vitrea lamina truditur, scd hacrct illi raor- dicus, noe, nisi maiori vi pulsus, loco oedit? Praeterea, si quis, lapidoam forte tabulanti politissima™ nactus, corpus alimi gravo acque politum eidem impe¬ lo suerit, postea vero subicctam tabulam bue illue trahat, impositum acque corpus quo voluerit traliet; et tamen si pondus quo corpus illud tabulae innititur auferas, id buie non adhaerebit. Tota igitur ratio quae ad tabulae motuni cor¬ pus etiam impositum moveri cogit, ex illa compressione oritur, qua grave illud tabulam subiectam prernit. Iam, sicuti ex co quod alterum liorum corporum ab altero premitur, ad eius motum hoc etiam moveri necesse est, ita asscro, con¬ cavum Lunae quodammodo premi ab aere givo exlialationibus inclusis, si quando cas rarefimi contigorit, quod sempcr contingit |IS4J : dum enini rarefiunt, prioris loci angustiis contcmptis, ampliori extenduntur spatio, atque ambientium cor¬ porum, ac proinde cadi ipsius, partes omnos, si qua obstent rarefactioni, quantum 20 in ipsis est, premunt ; ac propterea non mirum, si ex compressione adhaesio aliqua consequatur, quae duo baco corpora veluti connectat et colligot, ita ut ad eumdem postea motum utrumque moveatur. Sed videamus mine quam veruni sit experimentum illud, cui maxime Guidaci 4" m sententia innititur. < Si catinum, inquit, circa centrum axomque suum moveatur, > aer inclusus minime sequax, sed restitans, nulla sui parte circumagetur. > Au- dieram iam olim a nonnullis, qui Galilaeo familiaritor usi fuerant, idem illuni affannare soUtum de aqua eodem catino contenta; videlicet, no illam quidem ad non distrahantur et separentur; at fluidum circunduci ad motum so¬ lidi non est necessarium, quia partes fluidi disseparantur, et solurri 30 minima pars contingens rapi debet : et sic ventus promovet navem, sed navis non excitat ventum. 1,841 si semper rarefìeri contingit, nunquam fuit, neque adhuc est, repletum spacium contentum intra concavum 3- Scd quid respon- clebis, Sarsi, si dixero, nondum esse adeo rarefactum contenctum in¬ tra concavum, ut premat, et ob id non circunduci? quod certe ac- eidet intra 1000 annos (ipse enim hanc continuam rarefactionem altro introducis) ; transacto deinde hoc tempore, e facta requisita ra¬ refazione incipiet raptus ac circunductionis motus. iirgiimcntum, argu mentimi. 150 LOTIIARII 8ARSII vasis motura circumforri. Argomento orat, quia si consistenti in eo aquae leve aliquod corpus et natane, fcstucam scilieet aliquam aut calaimun, imposuisscs, su- perficici catini proximum, inox, cuui vas ipsum circumduceretur, codoni calami» semperloco perstabat [mì . Ex quibus aliisque experimcntis, scio aliquos ingenium Galilaei commendasse plurimuin, qui ex rebus lo vissi rais, atque ob oculosposife facilitate mirabili in rerum dillicillimarum cognitionem homines manuduceret. Ncque ego in universum liane ei laudem imminutam volo: quoti autem ad rem praesentem attinet, utrumque experimentum (parcat mihi vera narranti Gat laeus) falstun omnino comperi. Kempe ilio semel aut iterimi, credo, catinum circumduccbat 1 ** 1 ; sic cnim io nullus porcipitur aquac motus: at si ulterius movere pergat, tunc enimveroin* telliget, moveatur ne aqua ad catini motum, un vero rcaistat. Calamus enim aut palcae cidem aquao impositae, si non multimi a catini superfìcie abfucrint, citis* sitne circumfcrentur, nec, licei catinum quieverii, illae moveri desinent, seti aquam cum insidentibus corporibus, ex impelli concepto, per longum tempus, tardiori tamen semper vertigine, circumagi comperics. Veruni, ne quisquam incuriose nos ac negligentor id expertos existimet, liemisplmcricuin vas 1 ex orichalco, affabre torno excavatum, accepiiuus; torno item curavimus duci axcinCE catino ipsi iunctum, ita ut per eius contruni, in modum spliae* rici axis, transiret, si produceretur; pedem autem construximus# finnum acstabilem, ne facile vasis motu agitaretur, atque axem perforameli E traductum, et fulcimcnto ima ex parte innixum, perpendicidaritor erectum statuimus: sic cnim, marni axe in gyrum acto, catinum etiam eodem motu ferri ncccsse cr.it. Ve* rum non aqua solimi ad vasis motum fertur, sed aer ipse, ex quo maxime exeinplum desumit Galilaeus. Docct id fiamma can* dclae, proxime superficiei vasis admota, quae in camdem par* toni, in quam vas fertur, exigua sui corporis deelinationo de* flcctit. Docet id longe clarius serico filo tenuissimo suspensac papyro lamella A, cuius latus alterimi proximum sit intcriori# vasis superficiei. Si enim tunc moveatur in unam partem catillum, in camdem quoque sese papyrus convertet; et si iterimi in oppositam partem vas reci* ll3r>1 hic explicandum erit, quid do motu vasis non partecipato ab aqua a me dietimi sit, ad tollondum nompo tertium motum Telluns: experimentum autem in aqua est tanquam exeniplum; aeter enim tenuissimuni multo minus convertot corpus gravissimum. si Galileus semel aut itcrum catinum circunducebat, et vera dixerit, tu autem millies et diligentius, et falsa pronunciabis, quid tibi videbitur de tua crassitie? LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. 157 proca revolutione volvatur, in eamdem cum adhaerente aero etiam papynim secum traliet flM *. Id porro a me non securius dici quam verius, tcstos liabeo nec paucos nec vulgares: Patres primum Romani Collcgii quamplurimos ; ex aliis vero quotqnot ex Magistro meo cognoscere id voluerunt ; >011101-11111 autem multi. Quos inter ille mila silendus non est, cuius, non genere magis quam ornditiono singulari, clarissimum nomen sat mihi meisque rebus luminis all'erre ac dictis l'acero lidem possit; Virginium Caesarinum loquor, qui admiratus enum ero est, rem ad liane diem inter multos constantissime prò certa habitam, falsitatis un quam argui 10 potuisse ; et tamen vidit factum, fieri quoti posse negabant plerique. Atque haec quidem ab experientia certa sunt ; quae tamen experientia si absit, doceat baco quoque ratio ipsa. Cum onim aiir atque aqua de genero humi- dorum sint, quorum peculiare est corporibus adbacrescere, etiam politis etlaovibus, fieri nunquam poterit ut vasis superficiei non adhacrcant: quoti si hoc adliae- sionis vinculum admittatur, motum etiam eorumdem huinidorum admitti necesse est. Primum enim pars illa quae vas contingit, ad vasis ductum movebitur, quippe quae adliaeret vasi * 1331 ; deinde pars baco mota aliam sibi haercntem trahet; secuiula baco, tertiam : cumque inotus liic fiat voluti in spiram, non mirimi si ad imam aut alternili catini circuniductionem aquae motus non pecri- 20 piatur, cum primao buius spiralis partes valile propinquae sint ipsi superficiei vasis, ac proinde motus ad reliquas interiores partes diffusus adbuc non sit, cum liao aliquam patiantur rarefactionem, et propteren non illico trahentis motum sequantur. Ncque miretur quisquam, in bisce nostris experimentis exiguum adco aiiris motum esse, aquae vero maximum. Cum eniin aer facilius et concrescat et rare- scat quam aqua, ideo, quamquam ad motum vasis aiir eidem adbaerens facil- lime moveatur, non tamen alium aerem sibi proximum eadem lacilitato trabit, cum bic a reliquis aiiris consistentis partibus maiori vi contineatur, et exigua sui vel concretarne vel rarefactione vini trahentis aiiris eludere ad breve aliquod 30 tempus possit. Si quis tamen apertius exporiri cupiat, an corpus spbaericum in orbcm actum aerem secum trahat, bic globum A, v. g., suis innixum polis B [l31] ex his omnibus solimi probatur, minimam aiiris partem, vasi contiguam, circunduci ; quoti nihil est prò questiono. • [138] ne credas, quoti si aiiris contigui vasi inovetur pars cuius pro- fonditas sit unius digiti, ut, puta, centesima pars diametri, idem con¬ tingere proportionaliter in maximo vaso et in concavo scilicet moveatur centesima pars diametri : non enim movebitur nisi digiti unius quantitas, aut potius minor, etc. 158 LOTUARII SAItSII et G, manubrio D circuniducat, appensa cliarta ex E filo tenuissimo, ita ut ipsmn fere globura contingat : (lum enim sphaera in unam rotatur partenti, in eamdcm cliarta F ab aero commuto fertur, si praesertim globus satis amplus fuerit, et celerrimo circuinductus Ncque tainen ex eo, quod tum in catino tum in sphaera parvum adeo aeri» motum experianiur, recte quis inferat, in concavo Lunao eiundem motum fore fi perexiguum : ratio enim cur in sphaera A et catino 1 circumductis non magnus aeris motus existat, ea inter caeteras est, quia cum catinum et sphaera intra acrem io posita sint tota, dura eorum motu movendus est aer cir- cumfusus, semper minus est id quod movet quam quod movetur. Si enim,v.g.,ad motum spliaerac A superficies ipsius BC movere debeat sihi adhaerentem aerem, circulo D expressum, cum lue maior sit quam circulus BC, maiusa minori movendum erit; atquc idem accidet dum circulus I) trahere seenni dobet circulum E. At vero in concavo Lunao, opposito plano modo so res liabct, cum semper maius sit id quod movet quam quod movetur. Si enim sit Lunao concavum circulus E, atque liic movere debeat circulum D, I) vero circulum BC, semper movens » moto maius est, et propterca facilior motus llW) . Hoc autom quamquam apud me nullum piane reliquerat dubitationi locum, libuit tamen modum aliquem exeogitare, quo aerem catino circumfusum, ab co qui catino clauditur separarem, sperans haud dubium fore, ut aer idem, qui se- gnius antea ferebatur quam aqua, pari postea celeritato in gyrum ex catini cir- cumductione raperetur. Quaro laininam perspicua»!, ne aspectum impedirete lapide Moscovitico, quem vulgo talcum dicimus, orificio catini amplitudine parem, quam opportune catino ipsi postea iinponerem, paravi, in eiusdem parte media trium fermo digitorum foramine relieto, quod tamen longo minus esse poterai; filum deinde aereum EF accepi, diametro catini aliquanto brevius, quod media s? parte I compressimi ac perforatum, traducto per forameli I filo IG, ex G suspendi adlibrae modum, adiecique extremis E, F alas duas papyraceas; mox additis de- tractisque ex utraque parto ponderibus, in aequilibrio filum aereum EF statuì, [la®] dir qualcosa di questa sperienza, clic è fallacissima. 11401 quod Sarsius vere intra se intclligat, infirmas esse suas ratio- cinationes, patet ex eo, quod multa intacta relinquuntur, reliqua sicco pede attinguntur, et hic, ubi vere aliquid reale producit, exten- ditur in immensum, licet haec conclusio parvi sit momenti et niliil nocens primarie intentioni Marii etc. LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. 159 ita ut fulcimentum I sub catini centro consistere^ alno vero quarta saltem digiti parte ab eiusdem superficie distarent. Tane vase circumacto animadverti, post alterai» evolutionem alas ac libram totani in gyrum moveri, et primo quidem lente, deinde citatiori motu, qui tamen nondum motum aquae aequabat: quare superimposui laminala AB perspicuam, quam para- veram, ita ut aer catino contentila a reliquo separa- rctur, vel solo forammo C eidem necteretur. Tunc enimvero ad vasis motum ferri citius visa est li- io bra F, ac brevi celcritcr adeo agi cocpit, ut ca¬ tini ipsius motum, quamvis velocissimi!!», assequeretur : ut lune videas, quo- tiescumque movens moto maius fucrit, tunc longe faciliorem motum futurum; impositoenim vasi operculo AB, tunc superficie» interior catini et oper¬ coli simul, ad cuius motum movendus est aer, maior est aere proximo movendo; est enim superficies illa continens, aer vero contentila 11411 . Idem denique expertus sum, eventu pari, in spliaera vitrea A, quantum fieri potuit, exactissima, summa tantum parte C perforata ad laminam I induccndam. Eadem enim spliaera axi BD imposita, axeque ipao cir¬ cumacto, non spliaera solimi A, sed et lamina I suspensa, 20 quamvis multimi ab interiore superficie sphaerae distaret, celerrime moveri visa est. Atque ita nulli aut industriae aut labori parcendum duxi, ut quamplurimis idem expe- rimentis quam diligentissime comprobarem. Hacc porro postrema experimenta videre iidem illi qui superius a me commemorati sunt; ut necesse non habeam, eosdem ite¬ rimi testavi. Illud etiam adnotandum duxi, aestivo nos tempore haec omnia expertos fuisse, quo, ut calidior, ita siccior aer existit, magisque proinde ad ignis naturam aceedit ; quom omnium elementorum minime aptum adhaesioni existimat Galilaeus ,ml . Ex quibus 30 omnibus illud saltem colligere licet, timi ad catini motum et aerei» et aquam [U1] iste misellus confert superficiem cuna corpore, appellans super* ficiem vasis continentis maiorem aere contencto. Quae maior stultitia, qnao maior ignorantìa, exeogitari potest? id non modo puerile ac fatuum est, sed falsum : nani superficies continens aequatur superficiei contenctae ; buie autem si addatur solidità» aeris contencti, erit contenctum ipsum infinities maius con¬ tinenti. [l4 “ ] divinas : nani Galilaeus haec nunquam pronunciavit. 160 L0THAR1I SAKS1I Pag. 9 et 10. [paff. 58, lin. 28- pag. 04, Wiì. 7J Pag. 12. ||>ag. 50, liti. 7 o seg.] moveri, tum laovibus etiam corporibus acre ni adliaerescerc atque ad eorummolura agi; quae constante].' adeo pernegavit Galilaeus UU| . Skcunda Propositio. Molus non est causa caloris, sed atlritio, qua corporis attriti partes deperduntur. Air ncque atteri ncque incendi potest. Ait Aristoteles, motum causam esso caloris ; quam propositionera omnes ita explicant, non quasi motui tribuondus sit calor, ut effectue proprius et per se (hic enim est acquisitio loci), sed quia, cum per localein motum corpora atte- rantur, ex attritione nutom calor excitetur, mediato saltem motus caloris causa dicitur: ncque est quod hac in re Aristotolem reprehendat Galilaeus, cum nibii» ipso adbuc afforat ab eiusdom dictis alionnm. Dum vero ait praeterea, non quam- cumquo attntionem satis esso ad calorem producondum, sed illud etiam potis- simum requiri, ut partes attritorum corporum nliquae per attritionem depcr- dantur ; hic plano totus suus est, nec quicquam ab alio mutuatur. Cur autem haec partirmi consumptio ad calorem producondum requiritur? An quod ad etra- dem calorem concipiendum rarescero corpora necesso sit, in ornili vero rare l'actione comminili eadem corpora videantur ac minutissimae quaeque particulae [U8) de aqua nunquam locutus est Galilaeus; nec de adliaerentia, ne verinim quidem. 11441 Somiglia il Sarsi quello, che volendo comprare una pezzai di raso o d’ ermisino, la fa cavar fuor di bottega all’aria aperto,e quivi a falda a falda spiegandola, va con sottilissima diligenza ricer¬ cando se vi è una minima macchiolina, e un piccolissimo tagliuzzo; sopra ’l qual minimo difetto, se assorto velo ritrova, vuole scredito tutto ’l drappo, smarcarlo ed assai diminuirlo di prezzo, non met¬ tendo in considerazione la gran diligenza, pazienza, dispendio di tempo e tatica è stata posta in fabbricare il resto tanto pulitamente: e quel clic ha più del barbaro ed inumano, esclamerà d’ una minima mac¬ chia o tagliuzzo di quell’istesso drappo, che allora, vestendosene, lo la trinciare, anzi dilaniare, con 1000 stracci; o portandolo oin ina-* sellerà o a qualche giuoco o spettacolo, sa clic avanti sera deve es¬ sere tutto imbrodolato di fango e stracciato in pezzi. ( i ucst « postilla è scritta sul margino info- Un. 10, della presento «dizione), ma non si riferii» rioro delle pag. 62 o 63 (png. 1ÒU, li,,. 1G - pug. lui, ud alcun luogo dello pagine stesse. LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPHICA. 161 evolent ? At rarefieri corpora possunt, nulla facta partium separatione ac proindo «eque consumptione. An ideo haoc comminutio requiritur, ut prius particulao illae, utpote calori concipiendo magia aptae, calefiant, hac vero postca reliquo corpori calorcm tribuant ? Nequaquam : licet enim particulao illae, quo minu- tiores fuerint, magia calori concipiendo aptae sint, ex quo lìt ut saepc ex at- tritiono ferri excussus pulvisculus in ignem abeat, illae tamen, cum statini evolent aut decidant, non poterunt reliquo corpori, cui non adhaerent, calorem tribuere, Sed quando ab experientia exempla potere libet, quid si, nulla partium do¬ lo perditione, ex motu corpus aliquod calcliat? Ego certe cum aeris frustulum, ornili prius extersa rubigine ac sita, ne quis forte pulvisculus adhaercret, ad argentarli librano perexiguam exactissiniamquo ponderibus minutissimis expendissem (cum etiam quingentesimas duodecimas unius unciae partes haborem), ac pondus dili¬ gentissime observasscm, validissimis mallei ictibus aes idem in laminami extendi : iti vero inter ictus et malici verbena bis terquo adeo incaluit, ut manibus at- trectari non posset. Cum igitur iam toties incaluisset, experiri libuit eadem libra iisdemque ponderibus, num aliquod ponderis dispendium iacturamque passum fuisset ; et tamen iisdem piane momcntis constare comperi : incaluit igitur per attritionem aes illud, nullo partium suarum detrimento; quoti Galilaeus negat 114 * 1 . 20 Audieram etiam aliquid simile librorum compactoribus evenire, cum plicatas illas chartavum moles malleo diutissime ac validissimo tundunt: expertus enim est illorum non neino, eodem postea illas l'uisse pendere quo fuerant prius, incale- scere tamen easdem inter ictus maxime, ac pene comburi. Quoti si quis forte hoc loco assevat, deperdi quidem partes, sed adeo minutas ut sub librae, quamvis exiguae, examen non cadant, quaeram ego ex ilio, mule norit partes esse deper- [I451 Sarsio, tu parli animosamente di questo calore, e sicuramente non sai quel eh’ e’ sia. 114(51 vanissimum ratiocinium : nam et multorum corporum partes aliquae separari possunt non solum sine ponderis imminutione, ve- 3o rum cum additione; dum enim, gratin exempli, aliquod corpus aquao innatat, potest per ictus aliqua eius pars levior exprimi, qua ablata illud, gravius factum, dcscendet. Amplius : quod ex libra non perc.i- pias decrementum, mirum non est : puta enim ex auro per ictus liorao dimidiatae tantum absumi, quantum ex anulo quem gestave- ns per tlnos menses ; cuius decrementum ex lance non percipies, licet revera absumatur. nel rompere i vetri stessi ne esce un corpo tenuissimo e leggieri come fumo. 1G2 LOTIIAlili SÀURI! Naturai iura Quaestiommi lib. 2, qua est. f>7. ilitas: ncque enim video, quonam alio id modo aptius ac (liligentins inquiram t'* 1 ). Deinde vero, si adeo exigua est liaec partami iaclura ut sensu percipi nequoat, cur tantum caloria excitavit ? Praeterea, dum lemmi lima expolitur, calefit quidem, minus tamen aut certe non plus quam cimi inalleo validissime tunditur; et tamen maior longc partirmi deperditio ex limatura quam ex contusione existit 1 " 5 !. Ego igitur multum conferro arbitror, ad maiorem minoromve calefactionem corporura attritorum, qualitates eoruimlcin, sint ne vidolicet illa calidioraan fri- gidiora* 14 * 1 , remque hanc ex multis aliis pendere, do quibus «tatuerò adeo facile non sit. Nani si ferulas duas, corpora levissima ac rarissima, mutua aut alterina Ugni confricatione attriveris, igncm brevi concipient: non idem in lignis aliis u accidit, durioribus ac densioribus, qunmvis eadem diutius ac vehementius atteri consumiquo contingat. Seneca corte, ; Facilius, inquit, attritu calidorum ignis » existit > ; ex quo fieri ait, ut ausiate plurima liant fulmina, quia plurimum calali est tlM) . Praeterea, ferreus pulvis in Hammam coniectus exardescit, non vero qui- cumque alius pulvis e niarmore. Quare si in aere plurimum exlialationura cali- darum fuerit, eiundemquo ex vehementi aliquo inotu atteri contigerit, non video cur calefieri atque etiam incendi non possiti lune enim, cum rarus sit acsiccusW multumque admixtum calidi liabeat, ad ignem concipiendum aptissimus est. Quamvis autem exemplum Aristotelis de sagitta, cuius ferrum motu incallii!, Galilaeus irrideat atque eludere tentet, non tamen id potost : ncque enim Aristo-3) tcles unus id asserit, sed innumeri pene magni nominis viri huiusmodi exempla (earum procul dubio rerum, quas ipsi aut spectassent, aut a spectatoribus acce- pissent) prodiderunt l ' w J. Vult lue Galilaeus, aliquos mine proferam e plurimisqui fl47] questo si conosce, perché quei corpi de’ quali nulla si perde, non si riscaldano, e tutti quelli de’ quali sensibilmente si perde qual¬ che parte, si riscaldano : adunque di quelli elio si riscaldano è cre¬ dibile che qualche parte, ben che insensibile, so ne perda. [148] bue, non tutto quel che si perdo va in calore. [1491 nobil dottrina, che ridotta in chiaro ci insegna che a scal¬ darsi più o meno giova assai l’esser disposti a scaldarsi più o meno. s> [io°j il 0 accende tal volta la paglia senso’ altra attrizione, anzi quando l’aria è quietissima, che se vi fosso agitazion d’ aria, non s’ accenderebbe. [151] dunque 1’ aria, umida più d’ ogn’ altra cosa, doventa secca, e più essendo più rara : tamen si definisce 1’ umido per esser termina¬ bile; ma quel che è più raro ò più terminabile. bella conseguenza ! il Galileo non può convincere Aristotile, perchè molti altri dicono l’istesso. Adunque, per convincere un au¬ tore bisogna far che nissun altro abbia detto l’istessa cosa ? LIBRA ASTRONOMICA AC IMIILOSOIMIICA. io:) lioc non vere minus quam elcgantcr altìnmuit V Ortliur a poblis, iis contentus quorum auclori tas, quia renimi naturalium cognitionc pori ieri e instructi sant, in relais gravissimis afferri ac magni fieri solet. Et sane Oviilius, non poeticae solimi sed inatliematicorum etiam ac philosopliiac pcritus, non sagittns modo, sed plum- beas glandes, fundis Baleariois oxcussas, in cursu saepo oxarsisse testatili- In libris enim Metamorplioseon baco liabet : Non Becus exarsit, (|iiam cimi llalcavica plumlmm Fundft ifteit: voluti iliaci et incandcscit emulo, Et, quos non habuit, sub nubibus inverni ignes. 10 Paria bis liabet Lucanus, ingonio doctrinaque clarissimus: Indo fucoa et snxa. volalit, spatioquo solutao Aeris et calido liquefactao pondero glandcs. Quid Lucretius, non minor et ipso philosophus quam poeta? nonne pluribus in locis idem testatur ì et alibi : 20 .plumbea vero Giana etiam longo cursu volvonda liqueucit; Non alia longe rat ione, ae plumbea saepo Fervida lit gluns in cursu, cum multa rigori» Corpora demitteus ignem coneepit in auris. Idem innuit Statius, dum ait: .arsii ras cauli por i minia glandes. Quid de Virgilio, poctarum maxime? non ne bis hoc ipsum disertissime affirmat? Dum enim ludos Troianorum describit, de Aceste ita loquitur : Namque volans liquidis in nubibus arsit annido, Signavitque viam flamini», temicsque recessit Consumpta in vento» ; alio vero loco, de Mezcnlio sic: Stridcntem fundam, positis Mezentius annis, 30 Ipso ter addiieta circum caput egit habona, Et media adversi liqucfacto tempora plumbo Diffiditi et multa porrectum extendit arena 11531 I'j gran cosa che quelli arcieri antichi tirassero con più forza che non fanno a’nostri tempi archi di acciaio caricati con marti¬ ni) le frecce de’ quali, nè pur anco le penne, non si abbruciano. 11511 hic totus discursus vanissinius est : non enim dicit Galilaeus, a poétis et aliis multis id non fuisse dietimi, sed ait hoc dietimi fal¬ simi esse; quod experientia comprobat. Lib. 2. Lib. 7. Lib. G. Lib. 5 Acneidos Lib. 9 Acueidos 1G4 LOTHARII SARSII Posse voro corpus durius alterius ìnollioris attritione consumi, probat aqua, din- turila distillatone durissimos etiam lapidea excavans' 1 » 1 , atqueallisae scopiliis undae, quae eosdem comminuunt et mire laevigant; ventorum etiam vi corrodi turrium ac domorum angulos experimur. Si quando igitur aer ipse con- crescat magnoquo impelli foratili-, duriora etiam attorot corpora, atque ipse ali iis vicissim atteretur. Sibilus certe, qui in agitatone fundae exauditur, adden- AcLilleidos lib. 2. sati aeris argumontimi est; quod fortasse voluit Status cum dixit,aerem fundae gyris inclusum distringi : .... et flexae Bulenricus actor habenae, Quo susponsa trahens librarci vulnera tortu, j () Inclusum quotics distringeret aera gyro. Idem etiam probat grando, quae quo ultori e loco deciditi, co minutior acro- tundior cadit ; idem pluviae guttae, maiores cum ex lmmiliori loco, ìniuores cum ex altiori cadunt, cum in aere et comniinuantur et atterantur. Sed ne poetar uni testimonium, vel eo ipso poi: tue nomine, suspectum alieni videatur (quamquam eosdem ex communi saltelli omnium sensu locutos scimu8 l “' 1 ), ad alios venio magnae etiam auctoritatis ac (idei viros t,w b Suidas igitur in Histo- ricis, verbo uepiSivoOvxec, baco narrat : « Babylonii iniecta in fundas ova in orbera > circumagentes, rudis et venatorii victus non ignari, sed iis rationibus quas so- aggiungo, die se quei poeti fussero a sentir le mie ragioni, mu- » terebbono opinione e scriverebbono in contrario. Ma già che i poeti non ci sono, ma ci son ben le scaglie e i piombi e i frombolatori, provate voi, Sig. Sarsi, se potete, con 1* addurgli tante autorità, far che le lor ghiande si strugghino. [issi se q plumbea glans non diuturno tempore fertur, sed brevis¬ simo; quod si per annos 50 aut 60 incessantcr ferretur, forte liquc- sceret aeris attritione. 11501 modo vis aérem addensavi, alias atteri et rarefieri: nescisquid velis. poco sopra ha scritto: iurte enim cum rarus sit ac siccus, ad ignoti » concipiendum aptissimm est. 11511 appunto perchè parlano ex communi sensu, dicon 1000 bugie. 11581 non occorre che voi produciate tanto numero d’autori, per¬ chè non è adesso che molti sono quelli che discorron male, e pochi quelli di buon discorso. E non sapete voi, che più corre un barbaro solo che cento frisoni? i LIBRA ASTRONOMICA AC PHILOSOPIIICA. 105 > jitudo postulai esercitati, etiam cruduin ovum irnpetu ilio coxerunt E 15 ®) ». Haec ille Iam vero si quis tantarum causas rerum inquirat, aucìiat Senecam philo- soplium, quando hic inter caeteros Galilaeo probatur, de bis pliilosopliice dispn- tantem. Ille enim, ex sententia, primum, Posidonii, « In ipso aere, inquit, quid- j quid attenuatili', simul siccatur et calet > ; ex sua vero sententia, < Non est, , inquit, assiduita spiritus cursus, sed quoties fortius ipsa iactatione se accendit, > fugiendi impetum capit ». Sed longo liaec apertius alibi, ubi fulminis causas inquirens, < Id evenit, inquit, ubi ili ignem extenuatus in nubibus aer verti- > tur, nec vires quibus longius prosiliat invenit » (audiat iam quae sequuntur io Galilaeus, sibique dieta existimet 11601 ) : < non miraris, puto, si aera aut motus } extenuat, aut extenuatio incendit; sic liquescit excussa glans funda, et attritu >aeris velut igne distillat ». Nescio sane, an diserte magis aut clarius dici unquain id posset [l81 ). Sive igitur pootaruin optimis, sive pbilosopbis credas [I031 , vides, quicumquo bac de re dubitas, atteri posse per motum aerem, atque ita incalescere, ut voi plumbum eius calore liquescat. Nani quis lue existimet, viros virorum florem eruditissimorum, cum de iis loquerentur quorum in re militari quotidianus erat etiam tane usus, egregie adeo atque impudenter mentiri voluisse ? 11631 Equidem non is sum, qui sapientibus liane notam inuram t , 84 l. Naturai ium Quaestionum lib. 2, quaest. 51 quaest. 58; quaest. 67. uso] necesse est id non ex funda, non ex ovis, non ex circumgi- 20 vatione, sed ex Babilonia accidisse : ca enim omnia apud nos sunt, nec calorem excitant ad ova concoquenda; illud unum deest, quod Babylonii non sumus. [15°] n ihil aliud bine colligitur, nisi Galilaeum omnibus istis ocu- latiorem fuisse ; et quo plures ac maioris autoritatis viros attuloris, eo maior illins gloria. hinc revera nil aliud colligitur, nisi totmn discursum adeo esse veruni, ut vera sunt experimenta ; quae cum falsa sint, falsum etiam manifestant discursum. Sarsius vero, veruni existimans discursum, vera vult esse experimenta quae illi congruerent. so tl01) vi concedo che non è possibil dire nè più elegantemente nè più chiaramente una bugia. ci manca vere. 11621 nec poètis, nec pbilosopbis credo, dum expericntia est in con¬ trarimi!. [163J g ed quis erit adeo fatuus, qui glandes habons ot fundas, nec tamen liquescere illas videat., et tamen liquescere credat? equidem ex ibis non sum. 11641 e io non son tale, che facessi un fregio sì brutto alla natura o a Dio, che avendomi dato sensi e intelletto etc. 16G LOTIIA RII 8 ARSII Lib. 1G. Scd quid adversus liaec afferro possit Oalilueus, non dissimulalo: dicatenìm fortasse, nullam unquam fuisse fundarum aut arcuum vim taiitam, quao scio) aut. rauralis tormenti impulsimi aequare potuerit; quod si plmnbeae glande» hi tormentis excussae non liqueacunt, addito etiain pulvoris incendio, quo vel uno liquesccre deberent, iure auspicavi nos posse, poetarum fuisse connnenta illa li- quofacti plumbi atquo exustarum cxempla sagittarum. Sed 6Ì liaec facile obiiciat Galilaeus, non aeque tamen facile eadom probarit. Quia potius scio, explosas maioribus bombardis plumboas pilas in aere liquesccre aliquando l ‘“). Certo Home¬ rus Tortura, ut nuperrimus ita diligentissimus rerum Gallicarum scriptor, ait, ingentem aliquando tormentariorum globorum vim inutilom nioenibus diruendisn fuisse, quod, cum illi exigui prius'forent atquo ex ferro, superinducto plumbo maiores effecti l'uissent : < cum enim, inquit, in muros exploderentuv, plumbo > in aero liquescente |1C6) , solus interior globulus ex ferro, instar nuclei, abiecto > corticc, murum pertingebat >. Praoterea, audivi ipse ex iis qui viderant, prò- batissimae fidei viris, cum dicerent, globulum plumbeum rotundum sclopeto espio- sum, cum bracino forte alterius inhaosissot, ex codoni postea oxtractum fuisse non rotundum, sed oblongum et vero glandis figurani referontemd w, h quod po- 11851 le migliai’ole non si struggono. una palla di cera tirata con 1’archibuso passa una tavola; segno elio la non si liq uefa. Quanto volontier sentirci lo sottigliezze elio il a Sarsi è per trovare in mantenere il suo primo detto ! perchè io non credo mai eli’ e’ facesse un torto così grando alla sua filosofìa, qual sarebbe se egli si disdicesse : perché il vero filosofar moderno è il non si lasciar mai rimuover dal primo ciotto, ed ostinatamente tener per fermo, assai men grave fallo esser il produr cento carra di paz¬ zie per mantenimento della prima opinione, elio il cedere a qualun¬ que necessaria dimostrazione o manifesta esperienza. [168) si dovrebbon veder di notte, segnando loro la via con lo fiamme, come dice Virgilio. vel id unum falsitatem Imius elicti detegit : quod, scilicet, tempii?* quo fert.ur glans per aérem, adeo exiguum est, ut nec in ardentissimo camino vitrario per temporis spatium etiam decuplum liquesceret; oportet igitur aeris attriti calorem longo maiorem esse quam cuius- vis ardentis8Ìmae fornacis. Addo etiam, quod ilio brevissimo tempore aér debet atteri, deinde in ignom verti, et tandem plumbum ad li- quefactionem incendere. 11871 in che modo cavato voi, dall’essersi allungato, che e’si sia li¬ quefatto ? pare a me, che liquefacendosi dovrebbe spandersi in mimi - tissime parti, e non sene trovar poi nulla. LIBRA ASTRONOMICA AC i'HILOSOPHICA. 167 tidianis etiam exemplis coivi proba tur, (limi irrito saepe ictu glandes plum- l )eae sc i 0 petis excussae, intcr hostium vestes implicitae, figura non ainplius qua fuerant sed compressao ac laciniosao atquo ctiani frustatim comminutae re- periuntur. Quod argumento est, illas, ex calore concepto rariores edectas, inva¬ lido percussisse ictn. At id quotidie uccidere non videmus (l> . Nempe, ncque auctores a nobis citati affirmarunt, quotics Balearicus fundibularius pluinbum funda proiiceret, solitimi illud ex motu liquescere, sed tantum accidisso id non semel, atquc ideo insolitain rem peno miraculo fuisso: nos etiam supra diximus, ad ignem ex io attritu aeris excitandum multara exhalationum copiam in codem aere requiri, quod calidiora facilius ignescant [,M h Sic enim videmus in coemeteriis per aesta- tem accidere non raro, ut ad alicuius hominis advontum aut ad lenissimi fa- vonii evcntilationem agitatus aer ilio, siocis et calidis halitibus infcctus, in flannnam statini abeat. Quaenam porro hic corporum duriorum attritio reperi tu r ? [109] Et tamen ex motu atque attritiono levissima aer ille ignescit. Atipie hoc Yoluit Àristoteles, cum dixit: « Cimi nutem fertur et movetur hoc > modo, quacumque contigerit bene temperata existens, saepe ignitur > : quo textu satis aperte significat, haec non contingere nisi in iis circumstantiis quas superbia enumeravimus. Quare, si quando is aeris status fuerit ut huiusmodi 20 exhalationibus abunde fcrveat, aio pliimbeos orbes, fundis etiam validissime excussos, suo motu aerem accensuros atque ab eodem incenso inceli- |,C8 > et ita illi Ba,l>illonii ova coquere non consueverunt, nisi cum multa exalatiomnn copia in aiire reperiretur : et tane quoque globi Turturae invalidi erant. Si illud raro contingit, mirum est Babilonos fame non perire. 111191 et quis unquam, o stultissime, dixit, ad ignem excitandum sem- per requiri duriorum corporum attritionem? non ne solaribus radiis et aliis modis ignis excitatur ? (noi (2i mo tus est causa caloria, quia, nisi corpuscula ignea movean- ao tur, calor non sentitili-. Et ita multae propositiones verae sunt, ut. : Ornile quod movetur, super aliquid immobile movetur etc. 11111 at quando aeris talis fuerit status, cur a plumbeis orliibus magis quam a face ardenti incenditur ? et cur pars accensa reliquuin non comburit? 1,1 Noli’esemplare postillato di mano di Gai.ii.ro •; richiamata l’attenzione su questo parole sottoli¬ neato, nilìncliù si controllimi» con lo parole, pur sottoli- utatfi, quotidiuuis ctUnn rxcmjrtia cunijìrobatur (pftg. 106, lin. 17 -|iagr. 167, lin. li. ^ Questa postilla .si logge nul margine sinistro della pag. 58 (pftg. 166, lin. 6-pag. 167, lin. 15, (lolla presento odiziono), e più precisamente di fronte allo parole mnenibu* il ir u end ih ... qui viderant, probatis- tnmae (pag. 167, lin. 10-15); ma non si riferisce nè a quo sto nè, specificatamente, ad alcun altro luogo della pagina stessa. Primo Metaorum, c. 4. 168 LOTHARII SARSII dernlos vicissim fo re 1,7,1 ; non esse proinde, cur Galilncus ad expcrimcnta confugiat, cuin non nostro hacc arbitrati], sed casu, evenire asseramus; perdif. ficile autem est casum, cum volueris, accorseroQuod si quis forte dixorit, glandes tormentis bellicis explosas, non ex attrita aeris, sed ex igne veheraentis- simo quo excutiuntur, accendi ; quamquam haud ita facile milii persuadearo, in- gentem plumbi vini ab co igne liquescerc quom brevissimo temporis momento vix attigerit, satis hoc loco habeo ostendisse, nullum ab bis excmplis Galilaeo patere cffugium ad pobtarum et pliilosophorum testimonia evadenda lm l, Pag. 15. Sed obiicit praeterea: Quamvis admittatur, ex motu accendi exhalationes ali- (pag.69, lui.7 O aog.) quaiu | 0 p 0SSC) ne sciro tamon se intclligcre, qui fiat ut statini atque io igncm conceperint, non consumantur [,,s| , sicuti in fulminibus, stellis cadcn- tibus aliisquo huiusmodi fieri quotidie videmus. Ego vero satis id intolligi posse existimo, si quis, ex iis quos homimim ars atque industria invenit ignibus, simi- liter de sublimioribus illis a natura succcnsis pliilosoplictur. Duplicis enimnaturae nostri hi sunt : sicci alii ac rari nulloquo haerentes glutine, qui, ut ignem con¬ ceperint, darò largoquo fulgoro, subito incremento, at caduco brevique incendio, nullis pene rcliquiis, conflagrare solent ; alii tenaciori materia compacti ac picco liquore conflati, in longum tempus duraturi, fiamma diuturniore nocturnas nobis tenebras illustrant. Quidni igitur in supremis illis regionibus simile aliquid con- tingat? Yel enim materia lovis adeo rara et sicca est, ut nullo humidi vincolo» colligetur ; atque haec subito celeriquo fulgore, in suo veluti exortu interitura, succenditur : vel certe viscida est et glutinosa ; quae, si quo casu accendati, non ad interitum illico properet, sed suo plano succo diutius vivat, ac longiore aetate, suspicientibus undique mortalibus, ex alto resplendeat. Satis igitur bine apparet, qui possit fieri ut ignes in summo aere succensi non illico extinguantur aliquando, sed diutius ardeant: apparet etiam, aerem succendi posse, sica tI721 et sic aer incensus longe cali di or erit veementissimo igne for- nacis ardentis, qui certo tara brevi tempore glandes non colliquabit. ' 11131 si dovrebbon al manco veder questi effetti nel tempo delle comete, che allora sono per 1’ aria quei requisiti etc. 11711 nunquam intendi poetarmi! et pliilosophorum testimonia evadere. 11751 non dicit, se nescire intelligei'e, sed probabile non esse. [imi Dmn asserit, cometem non esse ex rellexione, id probat qui» impossibile sit crassiores et magis lmmidos vapores tantum affolli: modo, quia opus liabet diuturniori incendio, admittit crassos illos vapores, quos antea negaverat. Sed si materia diuturna?, durationis debet esse crassa etc., huiusmodi incendia fieri deberent in partibus inferioribus. libra ASTRONOMICA AC PHILOSOPinCA. 169 praesertim adsint quao calori ox attritu excitando plurimum conferunt, veheiuens videlicet motus, exhalationum copia, matcriao attenuatio, et si quid aliud ad ideili conducit. Tertia Propopitio. Irradiano corporum luminosonnn oculi ed alfedio , non aulein aeris illuminali , cinn aèr illuminavi non possit. Dum Galilaeus de fulgoro ilio agit, qui, lurainosis corporibus circumfusug, eminus spectantibus ab ipso luminoso corpore non distinguitur fl771 , ait primo, illuni in oculi superficie per relVactionem radioruin in insidente humore io fieri, non autem circa astrum aut fiammata revera consistere; addit secundo, aerem illuminari non posse; tertio vero, corpora luminosa si per tubimi conspi- ciantur, larga illa radiamone spoliari. Porro ad lumini propositionum veritatem investigandam, illud quod secundo loco posi tu ni est, primo est a nobis expen- dendum, hoc est an illuminari aer possit: ex hoc enim reliqua pendere videntur. Qua in quaestione supponendum, primum, ex opticis ac physicis est, lumen non videri nisi terminatimi ; terniinari autem non posse, nisi corpore aliquo opaco; perspicuum enim, qua perspicuum est, luccm non terminat, sed liberimi eidem transitum praebet: secundum, aerem purum ac sincerum maxime perspi¬ cuum esse, minusque proinde aptum ad lumen terniinandùm ; aerem vero impu- 20 rum, multisque vaporibus admixtum, et luccm terminare ot remittere ad oculum posse [l78] . Et quidem liuius socundae suppositionis prima pars ab omnibus, atque a Galilaeo ipso, ultro conceditur : pars autem altera niultis probatur experi- menfcis. Aurora enim in Solis exortu, atque in occasu crepuscula, satis indicant, impurum aerem illuminari posse; idem testantur coronae, areae, parelia, aliaquo huiusmodi quao ex aere crassiori fiunt. Fateri hoc etiain videtur Galilaeus in Nuncio Sidereo, ubi circa Lunam vaporosum quemdam orbom, ei qui Terrao circunifunditur non absimilem, statuit, quem a Sole illuminari asserii; quod de Ioviali etiam orbe videtur affimi are. Praeterea, si quis Lunam post alicuius domus ho tcctum adirne latitantera, cum proxime emersura est, observot, maximam aeris par- Pag. 32. (l>Ag. 81, liu. 83 o sog.] Pag. 31. [pag. 81, liu. 11 o scg.J lem eiusdem Lunae lumino illustratam, quasi lunarem auroram, prius intuebitur; fulgorem autem hunc magis ac magis crescere comperiot, quo propior exortui Luna 11771 nota che il Sarsi stesso piglia a parlare di quei raggi che non si distinguono dal lume principale e vero. (178J t non est aer qui illuminatile, sed crassiores vapores quos acci- dit esse in aere. VI. 22 170 LOTHARII 8ÀRSII Pag. 31. [pag. 84, liu. 23 o seg.) fuerit. Ridiculum autem esset affirmare, aurorali), crepuacula, aliosque huiusmodi splendores, in insidente oculis Immore per refractionem gigni Q u jj enin) , dum Lunam ac Solem, altius provoctos, brevi inclusos gyro intueor sic- cioribus ne oculis sum, quam cum eosdeni postea, horizonti proximos, in orbem ampliorem extenso9 aspicio ? [IS0 ’ Satis igitur ex bis patet, aiirem impurum ac mixtum illuminari posso ; quod etiam rationo pervincitur. Cum cnim lumen ter- minetur ab co quod aliquam liabet opacitatom ; abr autem per vapores cenere- tior atquc opacior fiat; hac saltem parto, qua opacus est, lumen reflecterepoterit Quibus ita explicatis, ad quaestionem propositam rodeo : in qua, dum auctores nec pauci nec mali asserunt, partem aeris luminosis corporibus in speciem cir- » cumfusi pariter illuminari, non do sincero nullisquc admixto vaporibus loculi existimandi sunt, soci do eo aiire qui, donsioribus lialitibus opacatus, lumen atei- larum sistere ac collibere possit, no ultra progrediatur. Nani dum aiunt, Sclera ac Lunam ampliori sese forma prope horizontem spectandos offerre quam cura altiores fuerint, id ex aiire vaporoso interiecto oriri aflirmant : ex quibus palei illos non de aiire puro loqui, sed de infecto ac proinde opaciori. Quare statuendoci est, non abiiciendam esse (quod Galilaeus iubet) opinionem illam quao asserii, aiirem illuminari a stellis posse; cum tot experimentis verissima comprobetur,si de aere impuriori intelligatur. Quod si illuminari aer potest, poterit etiam pars aliqua luminosi illius coronamenti, quo sidera vestiuntur, in aiirem illuminatimi $ referri. Quamvis non negem (id quod primo loco propositum fuerat), radiosam t illam coronam longis distinctam radiis, quao ad quemeumque oculi motum mo* vetur, oculi affectionem esse 11811 , ex quo fit ut iidem radii modo plures modo pauciores, nunc breviores nunc productiores, fiant, prout oculus ipse movetur; adhuc tamen non probavit Galilaeus, nullam partem illius luminis, quodnosa vera damma non distinguimi», ex aero illuminato existere ,l82) , qua postea neper specillum quidem luminosa spoliari possint. 11791 nullus est qui hoc dicat. 11801 liinc patet, Sarsiura velie © et 3 maiores apparerò in ori- zonte oh illuminationem aeris vaporosi. 11811 Ma questa irradiazione è quella che gli autori sin qui tene¬ vano esser dell’ aria ; e tu, ingratissimo, avendolo imparato dal Ga¬ lileo, lo vorresti nascondere. 11821 ista illuininatio, quao a vera fiamma non distinguitur, est illa sola quao in oculo residet; illa enim quao est in aere, ut aurora et crepusculus, quam maxime distinguitur a stella etc., et perquain maxime et umformiter extenditur in orbem continuatimi et non ra¬ diis intersectum : e questa, bue mìo, non fa al 2 »oposito. » LIBRA ASTRONOMICA AC PIIILOSOPIIICA. 171 Neque obstat experimentum ab eodem Galilaeo allatum. « Si mamma, inquit, Pag. 32. > inter lumen atque oculum collocata™ ita moveris, ac si lumen occultare velles, 85 ’ lin ‘ 1 0 > fulgor ille circumfusus nunquam tegetur, quoad ipsum veruna lumen non abseon- > deris ; seti radii ipsi manum inter atque oculum nibilominus comparebunt ; at > ubi partem veri luminis aliquain texeris, eorumdem radiorum partem oppo- > sitam evanescere comperies ; nani si luminis partem superiorem celaveris, radii > inferiores apparerò dcsinent. > Haeo Galilacus : quae omnia verissima experior, dum radios ipsos tantum considero, radios, inquam, illos quos, ex eorum motu pene perpetuo ac luminis diversitate, satis superque a reliquo vero lumino distin¬ to guo: at dum reliquum lumen, quod ipse verum oxistimo, celare tento, ea prorsus ex parte qua manum interpone), si non omnino abscondo, minuo saltem atque infusco. Infusco, inquam ; ncque cnim ex qualibet manus interpositione celari obiecta possunt, no videantur. Si quis enim, ut dicebam, attente animadvertat, dum veram candelae a nobis remotae flammam tegere manus obicctu nitimur, etiamsi suminam pyramidis accensae partem revera manus texorit, adhuc tamen eamdem illam inter manum atque oculum conspicimus, videturque interpositus digitus ea fiamma comburi ac duas voluti in partes secari ; ea piane ratione quam digitus A ostendit. Qui autem fieri possit, ut ex line di¬ giti interpositione aspectus fiammae non impediatur, sic 20 ostendo. Cum oculi pupilla indivisibilis non sit, sed plures possit in partes dividi, poterit una illius pars tegi, reliquis non tectis; quamvis ergo, parte aliqua pupillae obtecta, ad illam species obiecti luminis non perveniant, si tamen reliquae apertae remaneant et ad illas eaedem species per- tingere possint, lumen adhuc videbitur. Sit enim, v. g., lumen BC, oculi pupilla FA, corpus opacum interpositum sit D, quod quidem speciom puncti C pervenire ad F non permittat, nullo tamen sit impedimento quin ex C alter radius CA perveniat ad partem pupillae A. Per radium ergo CA videbitur apex luminis C ; non videbitur autem 30 adeo fulgens, ut tunc quando totam pupillam sua imagine explebat: idem antem apex C non prius vidcri desinet, quam corpus D totam pupillam tegat, prohibeatque ne ullis radiis apex C ad il- lam leratur. Quod si corpus D multo minus fuerit % quam oculi pupilla, v. g. filimi aliquod crassum, parumque ab eadom pupilla abfucrit, lumino interim longe posito ; quomodocunque inter oculum et lumen idem Slum extcndatur, nullam luminis partem impediet, neque fili eiusdem pars inter oculum et flammam constituta comparebit, ac si prorsus combusta fuissot. quod ex eadem causa oritur. Neque enim filum iliud, cum minus sit 40 quam pupilla, si ab eadem non longe distet, impedire potest quominus omnes 172 LOTI! ARI I SA US II Pag-. 33. [pag. 85, liu. 10 o sog.] Pag. 28. [pag. 81, liu. 1 e scg.] Fag. 33. [pag. 85, lin. 20-22] flammee partes, aliquibus saltelli radiis, ad potentiam ferantur: quare per e(s saltem damma videbitur |lM| . Ad tertium denique dictum, quo ait, «idem hoc splendore accidentario spo¬ llaii, cum tubo optico conspiciuntur ; multa hic etiara sunt, quae non facile sol- vantur. Nani si tubus opticus sidera adscititio hoc fulgore apoliaret non deberet hic fulgor per tubimi conspici : ut conspicitur tamen. Et quidem inter fixas stellas nulla est adeo exigua, quae splendore iato, etiam non suo, a tubo exui patiatur; quod Galilaeus ipse latori videtur, dum a Cano aliisquo stellis fulgorem illuni nunquam oiunino auferri posse aflirniat: semper enirn, etiam per tubuni, scintillantes bosco radios in illis intueniur |l '“. Scd quid dico a stellis? n Flanetae otiam aliqui adeo fulgoris liuius tenaces sunt, ut nunquam sibi illuni eripi patiantur; Mars vidolicet, Vcnus atque Morcurius, quorum lumen nisi colo- ratis vitris, specillo aptatis, retudcris, nunquam nudi comparebunt. Et sane non video, si eadem radiorum illorum causa in superficie oculi reinanet, hoc est humor ille pupillao perpetuo insideus, cur postea, si lumen astri, per specilli vitra re- fractum, in eumdem humorcm incidat, refringi itorum, quanquam diverso for- tasse modo, eosdemque luminis ductus producere, non debeat. Iam vero si illiul admittatur, quod admitti necesso est, ut supra probavimus, aiirem etiam illumi¬ nari, atque ex hoc fiori posse ut sidus maius appareat quam revera sit; non poterit Galilaeus negare, ex hoc saltem capite, circumfusum etiam fulgorati * vidori per tubimi, ac proindo etiam auguri deberc : fatotur quippe omnia illa per tubum videri atque ab eodom augeri, quae ultra ipsum positasunt; cum igitur hic etiam splendor ultra specillum sit, per illud conspici augerique debebit, Quod si nihilominus in stellis hoc incrementimi non percipitur, aliunde petenda eri! liuius aspectus causa, non ex co quod radiatio haec fiat inter specillum et ocu- limi, hoc est in superficie liumida oculi. Hoc eniin, si non do radiis illis vagii ac distinctis, sed de stabili et continuo amplioris luminis coronamento loquamur, ex aere illuminato cxistcre posse, Solis ac Lunao exemplis, prope liorizontem ampliori orbe quam in vertice apparentium, comprobatur l l8C| : si vero de radiis [1831 Attentius considera totum lume discursum, ex quo forte nihil» ad rem faciens colliges. 11841 interdum spoliat, interdum induit, ut patet in dum tubo inverso spectatur. 11851 fulgor quo non spoliantur stellar, fit rursum ex. refract.ione luminis in oculo et palpebris, postquam e telescopio exivit; et hoc lumen non multiplicatur, cum nunquam sit ultra tubum. 11861 id tamen non ex aere illuminato provenit: Sol enim et 3 taro magni deberent apparerò quam aurora etc. Se 1 Sole e la Luna apparisse! nell’ orizonte maggiori per l’uria LIBRA. ASTRONOMICA AC PH1LOSOPHICA. 173 ipsis intelligatur, cum hi etiam per specillimi conspiciantur in stellis, non poterit hoc minimum earumdein stellarmi! incrementimi in racliorum illorum abiectionem referri, cum non abiiciantur. Propositio Quarta. Nullum luminosum est iw'spicmm |,SV| , et fiamma vkìeri ea non patitur, quae ultra illuni posila situi. Sed videainus, quam recto ex Peripatetica disciplina atquo ex experimontis sibi arma contra Àristotelem fabricet Galilaeus. < Praeterea, inquit, cometam p a ^ r > flammam non fuisse, ex ipsa oxperientia et Peripateticorum dicto deducimus, [i )a s- tì2 » sog.] io > quo affinnant, nullum corpus lucidmn esse perspicuum ; experientia vero docct, ì flammam vel minimam unius candelae impedimento esse quominus obiecta > ultraipsam posita conspiciantur ,lHH| : si ergo cometam flammam fuisse quis dixerit, > (licenduin eideni erit, stellas ultra illam positas ab ea celali defluisse : et tamen > per conietae caudarn lucidissime intermicantes casdcm stellas vidimus. » llaec ille: in quibus mirari satis non possimi, hominem, magni alioqui noniinis atquo experimontovum amantissimum, ea diserte adeo asseverasse, quae oflviis uflique experimentis redarguì facile possent Quamvis enim Peripateticorum dietimi, si recto intelligatur, verissimum sit (omnc enim corpus, ad hoc ut illuminetur vel, potius, illuminatum appareat, 20 cxcurrentem ulterius Incoili quasi sistoro ac repreliendere debet; perspicuum autem, utpote eidem luci pervium, eam terminare non potesti ex quo dicendum est, illuminata, le macchie della 3 vedrebbono in mezo, lontane dalla circonferenza. (18?l il perspicuo lascia vedere gli oggetti di là; adunque esso ò invisibile; e quanto più perspicuo, tanto men visibile: adunque, e converso, quel che è molto visibile, è poco perspicuo ; ma i corpi lu¬ minosi son più de gli altri visibili; adunque, men'degli altri per¬ spicui. ricordati che qui si tratta di una grossezza di centinaia di mi- o° glia : in oltre, che quella piccola opacità dell’aria vaporosa impedi¬ sco il veder le stelle, e per detto del Grassi impediva il veder la cometa, quando era bassa, etc. J et vitrum candens perspicuum non est. (189] li * x bastava con una sola esperienza farci veder le stelle per la fiamma. 174 LOTHÀRII SARS11 corpus quodcumque co clariua illuminandum, quo plus opaci minusque habuerit perspicui), nullus tamen est qui negot, reperiri corpora partii» perspicua partira opaca, quao partern lucis aliquam terminent, qua lucida appareant, aliquara vero libere transire permittant; qualia sunt nubes rariores, aqua, vitrum et huius- modi multa, quae et lumen in superficie terminant, et ad aliai» partera idem transmittunt. Quare nibil est, cur ex boc dicto quidquam momenti suis experi- mentis Galilaeus adiectum putet. Experimenta porro ipsa falsa dcprelienduntur. Ailirrao igitur, candclae flam- mam obiecta ultra ee posila ex oculis non auferre, et perspicuam esse. Iluic, primum, dicto adstipulantur Sacrao Littorae, cum do Anania, Azaria n» ac Misaele in fornacem, Regis iussu, coniectis agunt. Sic enim Regem ipsum lo- Daniel 3. queutem inducunt : < Ecce ego video quatuor viros solutos et ambulantes in > medio ignis, et nibil corruptionis in eis est; et species quarti similis fìlio > Dei > [190J . Ac ne quis existimet id prò miraculo habondum, idem probatur iterum Argumentum ex co, quia in candela» fiamma medio loco consisterla videtur ellychnium, seu primum. nigricans seu candens. Praeterea, cum strues aliqua ingens lignorum incenditur, medias inter flammas semiusta ligna et carboncs ncccnsos libere prospectamns, cum tamen saope maxima flammarum vis oculum inter atque eadem ligna inedia consistat. Fiamma igitur perspicua est. 2 um argumentum. Secundo, quodcunque opacum, intcr oculum et obicctum positum, oiusdem« obiecti aspectum impedit, sive magno sive parvo ab eodem distet intervallo l m ); 11901 Messer Lottano, io non sono atto a interpretai'e Scritture, e tale credo die siate voi ancora : onde io non curo le vostre allega¬ zioni, se prima voi non mi mostrate che da persone di suprema au¬ torità sia determinato, die il tener che la fiamma sia trasparente sia opinione eretica o erronea, come repugnante alle Scritture. Voi sapete dove bisogna ricorrere : andatevi, e denunziate come il tale e ’l tale tiene che la fiamma traspaia, e mettete in considerazione questo esser contro alle Scritture ; che subito che sia fatta la dichiara¬ zione, io non sarò il secondo a credere e confessare che la fiamma è» trasparentissima. Se voi fussi dottore ed avessi l’autorità di glosare etc., io vi cre¬ derei ; ma già che voi sete scolare etc. più modestamente aresti parlato dicendo : Se io ho bene intesa la Scrittura, bisogna che questo sia falso ; ma se questo è vero, è forza che io non abbia inteso il vero senso della Scrittura. 1 11 nubes abscondit Q, non autem corpora vicina, cuoi subtilis sit nubecula interposita. libra astronomica ac philosophica. 175 ita v. g., lignum aliquod, sive rein quampiam attingat sive ab illa multum remo- voatur (si tamen inter illam atque oculum substiterit), eam videri non permittet : quod in fiamma non accidit, liaec enim quascumqne res ultra se positas, si non longe distent, sed easdera e proximo vehementer illuminet, seinper videri patie- tur; quod quilibet cxperiri facile potest, si legendam aliquid ultra lumen collo- caverit, unius tantum digiti intervallo, tunc enim characteres illos a fiamma obtectos facile perleget [lo:ì) : fiamma, ergo, perspicua est et luminosa : quod Gali- laeus negat, eiusque oppositum tanquam principium, contra Aristotelem dispu¬ tatimi, assumit. io Quod si quis quaerat, cur obiecta ultra flammam posita, si saltem ab eadem longe semota fuerint, non conspiciantur, liane ego buius rei causam assigno : quia nimirum obiectum movens potentiam vehementius, impedit ne videantur obiecta reliqua, ad eamdem potentiam movendam minus apta ; obiecta autem quaelibet co vehementius, caeteris paribus, potentiam movent, quo sunt lucidiora : quia igitur obiecta, longe ultra flammam posita, multo minus illuminantur quam fiamma ipsa, ideo liaec potentiam veluti totani explet obruitque, nec obiecta alia videri permittit. Et propterea, quo obiecta eadem eidem tìammae fiunt propiora, quia tanto magis illuminantur, eo etiam magia apta sunt movere potentiam, ac proinde tunc conspieiuntur ; maiori siquidem illustrata lumine, cum fiamma pene 20 ipsa contendunt. Quare si aut fiamma obtusiori splendeat lumine, aut obiectum ultra illam positum luminosum ex se sit, aut ab alio veliementer illuminatimi, nunquam illius aspectum interposita fiamma impediet, quamvis longissime obie¬ ctum illud a fiamma distet. Hoc etiam quibusdam experimentis confirmare placet. Incendati»- distillatimi 3 1 "" argumontum. vimini, quod aquam vitis vulgo appellant : eius enim fiamma, cum non admodum clara sit, liberam rerum imaginibns ad oculum viam relinquet, ut etiam ìninu- tissimos quosque characteres perlegi patiatur. Idem accidit in fiamma ex incenso sulplmre excitata, quae, colorata licet sit et crassa, vix tamen quidquam impe¬ dimenti eisdem reruin imaginibus affert. Secundo, sit licet fiamma clarissimo ac micanti lumine, si tamen alterius can- 4 U "* argomentimi, dcbie lumen ultra illam collocatimi longe etiam semoveris, inter vicinioris ftammae lumen remotiorem flammam intermicantem cernes. Cum ergo slellae corpora sint luminosa et quavis fiamma longe clarioranil mirum si non potuit ea- rundem aspectus ab interposita cometae fiamma impediri: ac proinde nihil de¬ trimenti ex hoc Galilaei argumento patitur Aristotelis opinio. 1 adunque le stelle si veggono, perchè son vicine alla chioma a un dito. 11931 hoc falsum est. lloberent igitur stellae inter flammas videri: non tamen videntur. 176 LOTIIAIÌII 8AHSII 5" m argumentuna. Tcrtio, non luminosa solum illa quae propria fulgent luco, ab interposta fiamma velari non possunt, sed no alia quidern corpora opaca, si tamen ab alio lumine illustrcntur. Ita interdiu si quid aspexeris a Sole illuminatum, itullins interpositu flammae impediri oius aspoctus potcrit. Constat igitur satis supcrque, flammas pcrspicuas esse, atquo hoc etiamnoa obstaro quoniinus cometa fiamma osso potuerit 11W1 . G u, “ argumentum. IUud e ti am omitti non debet, eodem, quo Aristotelem urget, argumento Ga- lilaeum premi. Sic enim ilio: < Flammae perspicuae non sunt; cometae autem » coma perspicua est; ergo fiamma non est>. At ego advcrsus Galilaeum sic: Luminosa perspicua non sunt; conietae coma perspicua est; ergo lumi- io uosa non est 1 ' 951 . Esse autom perspicuam indicant stellae, eius interposta nulla ex parte celatae. Praetcrea, comam lume luminosam esse asserit idem Ga- lilaeus, dum illam ex illuminato vaporo existere contendit; vapor enim illumi- natus corpus est lurninosum. Nequo dicat, loqui so do luminosis nativo ac proprio lumino fulgentibus, non autem de iis quae lumen aliundo accipiunt. Nani liaec etiam rerum ultra ipsa positarum aspectum impediunt 1 ' 9 * 1 : si eniiu pila aliqua vitrea, aut amphora, vino aut re alia quacumque piena fuerit, etlu- 11941 Voi avete bisogno di mostrar, elio qualunque fiamma sia assai assai più trasparente, che se fosse altrettanta nebbia : la qual neb¬ bia, in profondità pari a quella della cometa, ci toglie la vista del Q# stesso. il Sarsi lia bisogno di farmi veder le stelle per mezo le fiamme, le quali 1’ esperienza ci mostra che non si veggono : tutta via egli dice : « Per le fiamme si veggono uomini, angeli, lucignoli, tizzoni, » carboni, scritture, candele; adunque bisogna che si vogghino ancora » le stelle »; e ben che in fatto le non si vegghino, vuol che si creda più alla sua illazione che al nostro senso. Costui, per farci veder le suo robe, ha bisogno di una piccolissima fiamma e di oggetti vicinissimi a quella, altramente le sue esperienze non lavorano : poi vuole che si creda l’istesso di fiamme immense e» di oggetti lontanissimi più d’ ogn’ altro. Tu ci vuoi per esperienze mostrar la fiamma esser trasparente, por concluderne poi che per essa si posson veder le stelle, e sempre ci vieni con esperienze fatte intorno ad altri visibili, nè mai nomini le stelle. 0 facci, in malora, veder le stelle. 11951 'dsi apparenter : ea autem quae sunt tantummoilo apparente! luminosa, perspicua sunt, ut baio, per quem stellae micant. |1M| er S° impediunt et non impediunt prout tibi libuerit. LIBRA ASTRONOMICA AC Pili LOSOPIIICA. 177 mini exponatiu*, iis tantum partibus ox quibus lumen non reilectit neo illuminata comparet, yinum ostendet ; ea vero parte qua lumen ad oculum remittit, nil nisi lucidum quid et candens spectandum olierei Idem in aquis etiam a Sole illumi- natis accidit, in quibus pars illa qua Sol ad oculum reflectitur, nihil ultra se positum videri patitur ; reliquae vero partes lapillos atque lierbas in fundo subsi- dentes ostendunt. Quare illuminatorum etiam corporum erit, ulteriora obiecta velare ne videantur ; atque liaec etiam luminosa dici poterunt. Si ergo baec apud Galilaeum nullam admittunt perspicuitatem, per cometae barbain, vel luminosam vcl illuminatam, stellas videre non possumus: at potuimus tamen : ergo et illu- 10 minata fuit cometae barba, et perspicua. Haec ego omnia eo libentius afferò, quod ea facile quivis intelligat, cum non ex illis linearum atque anguiorum tricis pendeant, ex quibus non omnes acque facile se expedire norunt ; liic enim si quia oculos habeat, ingenii etiam buie abunde erit. lllud praeterea a Galilaeo Aristoteli obiicitur, male illuni ex cometis praedi- p a g. 17 . cere, annum fore non admodum pluvium, sed siccum potius, ventorum etiam in- t pft ^ C3 » liu * 7 0 sog l genteni vim ac Terrae motus portendi. Cum enim, inquit, cometae nihil aliud Aristoteli sint nisi ignes, liuiusmodi exhalationum velati eluones voracissimi, si nullas reliquias ab iisdem relinquendas dixeris, longe sapientius prommeiaris. 20 Sed ego longe aliter sentiendum existimo. Nam si qua in urbe per fora ac vias magnani frumenti vini dispersali! negligenter haberi, aut si forte vilissima quae- que capita ac plebeculae sordes opipare semper epulari videas; an non inde tan- tam rei frumentariae ac totius annonae facultatem sapiente!* arguas, ut nulla ibidem in longum tempus metuenda sit inopia? Ita piane dicendum. Atqui bali- tuuin sedes angustis ut plurimum terminis, ac voluti in liorreo frumentum, in- cluditur; neque ad illas plagas, quibus vorax fiamma dominatili*, facile pro- ducitur, nisi quando eorumdem ingcns co])ia infcrioribus sedibus capi non potest, aut forte iidem, sicciores ac rariores effecti, omnem aqueam exuerint qualitatem. Quare non inepte Àristoteles ex cometis, hoc est ex liuiusmodi exhalationibus io ad ignem usque, adeo non parce sed aflluenter, productis, intulit, inferiora haec omnia iisdem maxime abundare. Ncque bine sequitur, ab eo igne nullas eorum- d(!m lialituum reliquias relinquendas: is enim ea tantum absumit, quae supra 110,1 ca P aces inferioris sedis angustias ad ignis plagam elevantur; qui postea ignis 11011 111 a ^ enas re &ioncs irrumpit, sed suo semper lixus in regno ea sibi vindicat quae piopius ad illuni accesserint aut, quasi ab humidioribus impressionibus transfuga, ad illum defecorint: et propterea potuit Àristoteles bine etiam ventos, siccioiem anni temperiem, aliaque liuiusmodi praenunciare t,07J . De nostro certe 1 II fuoco ò troppo vorace, nè mai si sazia. Se si parlasse di altro consumamento, voi aveste ragione. 178 LOTHÀRII SARSII cometa si quia tale aliquid pracdixisset, potuissct ab eventi! ipso iti egregie con- lirmare ; naia et annus siccior solito ex ti ti t, insolentes ventorum veliementesquo flatus experti sumus, Terrae motibus magna Italiae pars concussa, idque alicubi non parvo urbium atquo oppidorum damno. Quid igitur ? an non sapiente!*, ut alia multa, liaec etiam Aristoteles enunciavit? Quid porro ex his omnibus inferri non immerito possit, non ex me, sed ex Galilaeo ipso, audiendum censeo. Ille enirn, cum sua liaec experimenta exposuis* Pag*. 33. set, addidit : < liaec nostra sunt experimenta, nostrae hao conclusiones, ex nostris [pag. 85 , Un. 2li o seg.] y principila nostrisque opticis rationibus deductae. Si falsa experimenta, si vitiosae > fuerint rationes, infirma ac debilia futura etiam sunt dictorum nostrorumfun-io > daraenta >. His ego nihil ultra addendum existimo ll98j . Atque liaec illa sunt, quao mila in liac disputatione, ob meam erga Prae- ceptorem obscrvantiam, dicenda proposui: quibus ostendi corte conatus sum primura, iustam a Galilaeo (atque liic princeps fuit scribendi scopus) querelaruni materiam Pracceptori meo, a quo ille perhonorifice sempor est habitus, oblatain fuisse ; deinde, licuisse nobis, in edita illa Disputatione, per parallaxis ac mota cometici observationes eiusdem cometae a Terra distantiam metiri, atque ex tubo optico, parvum admodum cometae incrementum afferente, aliquid etiam momenti rebus nostris accedere potuisso ; praeterea, non aequo eidem Galilaeo licuisse, cometam e verorum luminimi numero excludcre, ac soveras adco motus rcctis-3) simi leges eidem praescribcre ; ad haec, constare ex his, aerein ad cadi motum moveri, atteri, calefìori atque incendi posse, ex ìiiotu por attritionem calorem exci- tari, nulla licet pars attriti corporis deperdatur, aorem illuminari posse, quoties* cunque crassioribus vaporibus admiscetur, flammas lueidas simul esse atque pcrspicuas, quae Galilacus ita se liabere negavit; falsa denique deprehensa expe¬ rimenta illa, quibus fere unis eiusdem placita nitebantur [199J . Haec autem innuere 11981 Io, Messer Lottario, e non voi, posso concluder così di voi, e dire « Queste sono le esperienze etc. del Sarsi », perchè le ho pro¬ dotte e considerate tutte: ma voi dicendo « Queste sono l’esperienze » e le dimostrazioni del Galileo », dito una gran bugia. E che ciò sia» vero, sarà bene che, dove voi ponete il catalogo delle cose impugnate, .. . l ” registri le tralasciate etc. [ioni Ncm può il Sarsi diro d’aver tralasciato molte cose, perchè sola¬ mente abbia auto intenzione di esaminar quelle che contrariavano al suo Maestro, perchè ne tocca di quelle che non lian che fare con lui. qui sarà luogo e tempo di porre il catalogo delle cose trapassate sotto silenzio. ll ) Lh carta in questo punto ò rotta. / libra astronomica ac piiilosophica. 179 potius quam fusius explioare volui, cum ncque plura exigi viderentur, utpateret omnibus, neque ulli in Disputatione nostra a nobis inittriam illatam, neque nos infirmis rationibus ductos cani, quam proposuinnis, sententiam caeteris omnibus praetulisse t200] . Finis. i ' 2001 quanto al rispondermi, credo che e’ si contenterà d’ andar col mio libro sotto ’l mantello a trovar questo e quell’ amico, mostran¬ dogli spezzatamente qualche periodo interrotto, ed infilzandovi sopra qualche risposta, Dio sa come. 180 Imprimatur . Frator Thomas Margottimi lnquisitor Perusiao et Umbriac. Imprimatur. Alexander Iovius Doputatus prò Reverendissinio Domino Episcopo. LETTERA DI MARIO OTJIDUCCI AL P. TARQUINIO GALLUZZT. [20 GIUGNO 1020.) lettera al m. r. p. TARQVINIO GALLVZZI* DELLA COMPAGNIA DI G I E S V. DI eMAKIO GVIDVCCI. Nella quale fi giuflifìca dell’imputazioni dategli da LOTTARIO S ARS 1 Sigenfanonella Libra Aflronomica^ e Filofofica. __ IN FIRENZE , _ Nella Stamperia di 2, anobi Pignoni. 1620. Con Licenzia de‘Superiori. Molto Reverendo Padre e mio Signore Osservandissimo, Se 1’autore della Libra Astronomica e Filosòfica si fosse tenuto entro a’ter¬ mini di difender Y opinione del P. Orazio Grassi intorno alla lontananza dello comete per lo poco o ninno accrescimento ch’elle acquistali dall’occhiale, impu¬ gnata da me in un mio Discorso a gli Accademici Fiorentini, e ancora si fosse allargato a confutar qualsivoglia altra conclusione fermata da me in detto ra¬ gionamento, ma non fosse poi trascorso nelle imputazioni e mordacità, sì corno egli ha fatto, io mi sarei volentieri conformato col parere della P. V. molto Re¬ verenda, di terminar questa disputa nel mio silenzio. Imperciocché, liberamente io renunziando a quell’aura popolare la quale, in somiglianti controversie di let¬ tere, proclama sempre per vincitore colui che più pertinacemente contende, avrei, con animo tranquillo e senza alcuna ansietà, da i pari a lei, cioè dagli uomini scienziati e discreti, attesone la sentenza. Ma essendomi molto più agevole a disprezzar cotale stima ed applauso, che quell’ opinione qual altri, mediante tai note, avesse potuto concepire, clic ’1 mio proceder fosse lontano dal termine d’uomo costumato ed ingenuo, m’ è convenuto, per 1’ obbligo che ciaschedun tiene alla difesa della propria fama, come tacciato in questa parte, allontanarmi dal suo amore voi consiglio, ma non di tanto die io perda di vista quella moderazione, alla quale ella m’ha confortato. Anzi, essendo io sin al principio che uscì fuori 20 tale scrittura, e per consiglio degli amici e per propria elezione, risoluto di ri¬ spondere, 1’ ho differito sin a quest’ ora, acciocché nella maturità e tardanza più apparisse la mia difesa incolpabile, e io non paressi spinto da un tostali’ impeto e subita celioni, a guisa di can botolo, a volermi riscuotere e vendicare. Ma sì corno colui da Cesare sdegnato appellò a Cesare non isdegnato, comechè io non ubbia mai dato albergo nel mio cuore a quest’ affetto contro Lottario Sarsi, clic lm.se non Iti al mondo giammai, ho voluto nel mio ’ndugio appresso ’l tribunal Mia mia coscienza giustificar da vantaggio la mia rettitudine, purgata non solo vi. U asc LETTERA DI MARIO GUIDUCCI dall’ira, ma ancora da quella giusta indegnazione, detta nemesi, la quale i fa* tori del Sarsi con gl’ inconsiderati applausi, senza aver forse letta la mia scrit¬ tura, in’avessero potuto nell animo concitale, rimettendone il giudizio, come si dice in foro fori , alla P. V. e a gli altri Reverendi Padri di cotesto Collegio, Costituiscono per tanto corno reo avanti allo VV. RU. per render conto del fatto e intenzion mia in quel mio trattato; o francheggiato dalla purità della mia co¬ scienza o dalla schiettezza del lor giudizio, non temo di sfavorevol sentenza, av¬ venga che il Sarsi le faccia, con troppa animosità, parte in questa causa, com’ol¬ traggiato e offeso. Fu V Accademia Fiorentina, come credo benissimo esser noto alla P. V., in- IO stituita da’nostri maggiori a (ine che gli Accademici s’esercitassero nel dire,e coltivassero e aggrandissero la vaghezza della nostra favella; ed in si fatti eser¬ cizi hanno di quando in quando gli Accademici costumato d’imbrigarsi, il Con¬ solo spezialmente, e quelli a’ quali dal Consolo n’ era imposto la carica. 11 per¬ chè, sondo io allora costituito in quel grado, mi misi a far quel trattato, non per acquistar opinione appresso le genti di render responsi a guisa d’oracolo, ma sì bene per esercitarmi, e per eccitar con 1’ esemplo la gioventù a impiegarsi in questo lodevole e nativo talento. Conforme adunque a cotal usanza impren¬ dendo io a discorrer sopra qualche suggetto, non volli in altra che nella nostra materna lingua trattarne, sì perchè così conveniva a quel luogo, sì per l’abilità 20 di quest’ idioma ad esser inteso non solo per tutt’ Italia, ma ancora in ogni parte ove sieno in pregio le buone lettere, essendovi esso curiosamente e con istudio apparato e inteso, e in particolar da quel Serenissimo Principe a cui fu dedi¬ cato il Discorso, il quale, con gran maraviglia di tutti, ottimamente lo parla ed iscrive ; non mi dipartendo in ciò dall’ esemplo del Sig. Galileo, quale ha an¬ eli’egli manifestato i suoi maravigliosi concetti in questa favella, nella poca no¬ tizia di cui non ò rimasta alcuna parte nascosa o sotterrata di quella gloria che egli, con buona grazia del Sarsi, s’ è procacciato nel cospetto del mondo. Per favellar adunque di cosa elio comunemente gradisse, niun suggetto mi parve più a proposito d’eleggere, che quello il quale allora, per la nuova apparenza della* cometa nel cielo, vegliava nella mente e nella bocca di ciascheduno. Intorno a clic esaminando io L’ opinioni de’ più famosi filosofanti antichi e moderni, collocai tra questi il Reverendo Matematico del Collegio Romano, tralasciando molti i quali avevan, con lode non ineguale, scritto e stampato in simil materia. Non mi sarei giammai immaginato che da Sua Reverenza, 0 da alcun suo seguace, si potesse interpretar per ingiuria il discordar dall’ opinion sue, massimamente parlandone io con ogni maggior onoro e riverenza possibile. E chi crederebbe mai, tra 1 umanità delle lettere, ritrovarsi ingegni così tirannici, che volessero costi ignei la libertà degl’ intelletti degli uomini ad approvar i lor capricci c le loi opinioni, e a chi non le crede bandirgli contro, come si fa a’ Saracini c in* AL P. TARQUINIO OALLUZZI. 187 fedeli, la crociata? Stia pur in questo servaggio Lottano Sarsi quant’e’vuole, ma non pretenda (li tirarvi per forza compagni, nè creda elio ciò che egli attri¬ buisce al Maestro, o clic il Maestro attribuisce a sé stesso, sia la legge e la norma clic abbia a governare 1 mondo così a bacchetta in materia di lettere, che il dipartirsene abbia a stimarsi peccato. Troppo sarebbe lontano dalla gen¬ tilezza e bontà clic V. P. m’ha descritto nel 1\ Grassi, se Tesser contrario alle sue opinioni fosse da lui stimato ingiuria; tropp’ alto sarebbe il trono ov’e’si sederebbe, se le sue sentenze non dovesser aver appello. Ma sovente le fazioni o le indiscrete parzialità (le 1 scolari, con lo sconce lodi e con gli smoderati ap¬ io plausi, pregiudicano, senza alcuna lor colpa, a’maestri. E chi si metterà mai in animo che una persona qual faccia professimi di vita religiosa, cioè d’ umiltà o modestia, come il P. Grassi, e che non s’é ancora (vaglia a dire ’1 vero) per al¬ cuna sua opera fatto conoscer così eminente nello lettere, presuma di scrivere, o almeno permetta elio altri scriva di lui, questo parole, che son nel proemio della Libra? < Essendosi nel presenti anno di tre non consueti splendori veduto illustrare e risplendere 7 ciclo, non fu uomo alcuno sì materiale o sì poco curioso, che cólassù non rivolgesse tantosto V un e ti alt?' 1 occhio, ammirando in quel tempo particolarmente la fertilità degti insoliti lumi. Ala comechc è il volgo avidissimo di sapere, così è altrettanto inabile ad investigar da se stesso le cagioni delle cose, 20 richiedeva perciò , iure voluti suo, coloro a 9 quali principalmente perteneva la con - templarion del mondo e del ciclo , che cotali arcani gli disvelassero. Incorrendo per lauto alti accademie de ’ filosofi e degli astronomi , vie più che ad ogni altra aveva gli occhi e la mente rivolta alti Accademia Gregoriana , la quale, fornitissima di scienza e copiosissima d* accademici prodi e valenti, e però sopra d'ogni altra di gran lunga veneranda e famosa , agevolmente comprese se esser quella , onde, come dall'oracolo, attendeva il volgo le risposte a' suoi dubbi. > Le quali parole, benché paian riguardare ’1 Collegio Romano, si verifican però, quanto al render risposte, nella persona del Grasso, unico professore in quel tempo delle Matematiche in detto Collegio, e clic solo tra que’ Padri scrisse delle comete. Queste lodi, o Sarsi, so son troppo pregiudichili al Maestro, ned egli certamente V accetta ; e quel nobil Collegio, ancorché per avventura il potcsso fare, non si mette in così gran po¬ sto. Molto bene, cori le sue dottissime vigilie, se T ha egli procacciato, ma però e’non Tambisce. Quivi, prima che lettere, s’apprende modestia, e s’insegna al mondo la poca stima che si debbo far di sè stesso. Offende dunque il Sarsi così con le lodi come con le imputazioni. Anzi mi paion queste men di quelle noce- voli. Poiché, per trattar di me, a me sarà molto più agevole a difendermi da cotali note, che non sarà al P. Grassi il tor via dal mondo T opinione, che sia di consenso di lui stato scritto da altri sì fattamente in sua lode. Imperciocché non tutti son così intrinsechi conoscitori della disciplina e dello stile di cotesti 40 ^ C0lne son io, che tra essi ho gran parte trapassato della mia giovanezza. 188 LETTERA 1)T MARIO GUIDUCCI Le gran virtutli generano di grand’ emuli, i quali agevolmente si persuadono che i possessori di ciucile attribuiscano assai, e talora più. del convenevole, a lor me¬ desimi. Ma per avventura non mancherà uff al Matematico nò al Collegio ma¬ niera di sgannare chi di loro avesse così falsa credenza. A me tocca la parte mia, che son le scortesie e le mordacità onde ò piena e traboccante la Libra. Questo son di dua sorte : una consiste in attribuir ad altri la mia scrittura; l’altra, in attribuir ad essa scrittura quel che ella non dice. Alla prima creilo fermamente essersi mosso il Sarsi per non lasciar andar male quel vago e arguto scherzo del Consolo e del Dittatore. Dice dunque, che avendo il Sig. Galilei molto apertamente scritto a’suoi amici, ed io molto inge- io imamente confessatolo, che quel Discorso delle Comete ò suo, non mi debbe pa¬ rer grave eh’ ei la voglia più tosto col Dittatore che col Consolo. Io potrei, in quest’ ambiguo, chiaramente dare a divedere la poca erudizion del Sarsi, e la sua poca notizia delle storie romane, poiché, non essendo que’ dua maestrali com¬ patibili, non si dava mai il caso nel quale un nimico del popol romano potesse lasciare il Consolo per combattere il Dittatore. Ma io non voglio entrar in ciò, bastandomi solo, per mio scarico, manifestar quanto sien vere quelle pardo con le quali, dalla mia sincerità di non mi voler avanzar con 1’altrui invenzioni, ha la line e simulata semplicità dei Sarsi tratto 1’ occasione di motteggiarmi. Noti per grazia V. P. la cortese credulità di codestui, o quanto s’allarghi a 20 creder più di quei clic io ho scritto. Nel proemio del mio Discorso io dico che « proporrò a gli Accademici Fiorentini quel che in somiglianti accidenti di comete hanno profferito gli antichi filosofi e moderni astronomi , e te loro opinioni esami¬ nerò diligentemente , onde essi potranno vedere se seri appaghino. Appresso por¬ terò (pianto io, non affermativamente , ma solo probabilmente e dubitativamente , stimo potersi dire in materia così oscura e dubbia: dove proporrò quelle congluel- tnre che nell* animo del nostro Accademico Galilei hanno trovato luogo >. Sin qui io non favello di copiare, ma sì bene di referir 1’opinioni degli antichi e de’mo¬ derni, e tra queste quella del Sig. Galilei, alla quale io più eh’all’altre incli¬ nava. Quel che segue, dov’è la parola copiatore , avendo relazione c corrispon-» denza ad alcuni che hanno tentato di far proprie le ’nvenzioni del Galileo e intitolarsi Apelli, si scorge chiaro esser preso metaforicamente dalla pittura c dal colorire gli altrui disegni, i quali, quando son d’ eccellenti maestri, hanno que¬ sto privilegio, che i più segnalati e valenti professori di quella nobilissim arte si recano a singoiar gloria di colorire e ritrarre ; come spezialmente avvenne dell’ opere di quel cui dice il Poeta, . cV a par scalpo e colora, Michel più elio mortai Angel divino, i cui disegni e cartoni non isdegnò il famoso Iacopo da Puntormc di colorile e metter in opera. Nè solo il colorire i disegni d’ altri ò stato talora a’ pittori o AL P. TARQUINIO GALLUZ2I. 181) onorevole, ma anche il copiar V altrui tavole ha loro tal volta portato pregio e lama non minore che a gl’inventori, si come in una copia che il famoso nostro pittore Andrea del Sarto lece (V un quadro di ita Itaci da Urbino manifestamente si vide; la quale appo gl’intendenti dell’arte fu altrettanto lodata e ammirata che F originale. Ora, sì come si farebbe espresso torto a Iacopo e Andrea da chi g li chiamasse copiatori, posciacliò eglino in quell’ opero mostrarono di ottima¬ mente intendere e posseder la forza del colorito e del disegno, così panni che riceva torto, sendo chiamato copista, quelli clic, in trattando alcuna quistion filosofica, piglia da questo o da quell’autore qualche concetto, e«l intendendolo io (che non è proprio di chi copia 1’altrui scritture), o perciò facendolo suo, al suo proposito giudiziosamente l’adatta, per provare o riprovare una o un’altra sen¬ tenza. E se altrimenti fosse, coloro che ogni giorno stampali sì grossi volumi in diverse scienze e professioni, si dovricn chiamar copiatori, poiché per lo più quelle lor fatiche consistono in scorre da diversi scrittori varie sentenze e argomenti, da’quali, variamente divisati e ordinati, ne risultali quelle maraviglioso compo¬ sizioni e que* dottissimi libri: ed in tal maniera, per dar un esemplo maggior (fogni eccozionc, il P. Cristofano (Invio sarebbe stato un solenne copiatore, es¬ sendo egli stato così diligente in raccòrrò e compilar no’suoi eruditissimi scritti Popinioni e le dimostrazioni de’più chiari ed illustri geometri ed astronomi che 20 fossero stati (in al suo tempo, sì come in quell’egregio comento sopra Y eccelsa Sfera del Sacrobosco e in tant’ altre sue scritture manifestamente si vede. Somigliante impresa, di rappresentare, quasi in una tavola, a que’ virtuosi Accademici le diverse opinioni degli autori intorno alla cometa, non di derisione, mudi lode fu reputata degna; c 1’opera mia tanto più fu grata a quella dotta adunanza, quanto io non solamente le cose scritte o giù pubblicate da altri le misi avanti, ma anche i disegni e pensieri del Sig. Galilei, per ancora a po¬ chissimi, o forse a niun altro, comunicati; i quali, quantunque dubbiosi e solo probabili, sì ebbero non di meno applauso, che mi convenne darli alle stampe. Ove, perché io volli a ciascun autore attribuir le sue dottrine, delle quali io 80 m’era servito in quel ragionamento, quindi colse il Sarai cagion a’suoi motti. Ma dica pur egli ciò eh’c’ vuole. Io ho sempre riputata bolla e generosa lode quella che s’attribuisce Socrate nell’ Ippia Minore (e ho, giusta mia possa, proc- curato di meritarla), di non s’ arrogai* mai per suo l’invenzioni altrui, ma di celebrar cd esaltar sempre i veri inventori e coloro da’ quali s’appara. E se nella vita di Platone cotanto é magnificata la di lui gratitudine inverso ’l mae¬ stro, per averlo ne’suoi Dialoghi sempre con onore introdotto a sostener e difen¬ dei la parte più ragionevole, perché ha da dar a me onta c biasimò V aver oucato con ogni studio d’imitar così ciivin talento di quel grand’uomo? Nè sia dii dica, la natura de’ dialoghi esser sì fatta, che il più delle volte le persone 40 in Gss * Prodotte non hanno nò pur sognato quel che ivi è lor' fatto dire; per- LETTERA DI MARIO GUIDUCCI 190 chè il medesimo Datone, in una epistola a Dionisio, la quale è la seconda, espres- samentc si dichiara di non avere scritto cosa veruna di suo, nò trovarsi, nè esser mai per trovarsi, opera nessuna di Datone, ma elio lo cose scritte c pubblicate da lui vengon da Socrate suo maestro, il quale fu in sua vita uomo molto chiaro ed illustre per virtù e per dottrina. Or non sarebbe grand' impertinenza e teme¬ rità di colui il quale chiamasse Datone copiatore, e sdegnando perciò di pigliarla con lui, disputasse con Socrate come Dittatore? Tale ò la mia ingenua confes¬ sione intorno ad aver copiato quel Discorso. Quanto poi all’ aver il Sig. Galileo apertamente scritto di esser egli 1’autore, imperocché io senza comparazione pre¬ sto maggior fede al Sig. Galileo che lo nega, che al Sarsi che l’afferma, sonsi- io curo della negativa, come da una scrittura, elio in breve si vedrà, del medesimo Galilei più chiaramente si farà manifesto. Passo all’altro capo deli’accuse, dependente dall’attribuir al Discorso quel eli’e’ non dice, ed è di dua fatte: in una io vengo gravemente tacciato d’ingra¬ titudine, per aver senza rispetto favellato de’maestri del Collegio Romano e fatto poca stima della dignità e reputazion di quello; nell’altra mi sono apposte delle conclusioni e dottrine che io non ho tenute: quali punture, benché paiano indi¬ ritte contro al Sig. Galileo, vengon contro di me, mentre io professo che quel ragionamento sia mio. Vano è dunque, quanto alla prima parte, il lungo racconto, che fa il Sarsi,20 degli onori che in diversi tempi e occasioni hanno fatto i Lettori e Matematici del Collegio Romano allo ’nvenzioni e scoprimenti maravigliosi del Sig. Galileo, approvandoli e celebrandoli con somme lodi, insieme con l’autore; e vana è la illazione eh’ e’ fa della ’ngratitudine di lui, già che il Discorso delle Comete è mio. Ben è questa nota tacitamente rivolta a ferir me; e troppo vivamente mi trafiggerebbe, se io conoscessi d’aver pur un tantino, in dicendo troppo libera¬ mente la mia opinione, dato segno di non aver sommamente a cuore la stima e dignità del Collegio Romano, nel quale io, con amore incredibile e veramente paterno, sono stato per molt’ anni sin da fanciullo, allevato e ammaestrato (ben¬ ché per la mia inabilità poco se ne paia) nelle più alte e subbiimi scienze che*) perfezionino l’intelletto degli uomini. Io non istarò qui per mia discolpa a dire d’ aver, prima di far quel ragionamento nell’ Accademia Fiorentina, datolo in mano a più uomini intendenti, tra’quali ven’ ebbe alcuni, non solo d’amistà, ma anche di parentela, strettamente congiunti a de* Padri della Compagnia, con facilità libera di levarne a lor piacimento tutto ciò che in esso Discorso fosse lor paruto d’ aggravio a persona, nò esservi stato notato cosa di pregiudizio a niuno : ma porterò qui fedelmente tutto quello di che Lottario Sarsi si duole, e ne cita i luoghi del Discorso, assicurandomi che V. P« e ogni giudizioso e spas¬ sionato lettore non desiderrà da me emenda 0 discolpa più manifesta. Si duole egli, primieramente, che, alla f.35 [pftg.89, iin.7 esog.], sia dato al suo Mae- < AL P. TÀllQUINIO GALLUZZI. 191 stro titolo cT ignorante di loica. Ecco le mie parole precise : < Al poter con sicu¬ rezza chiamar tal moto per cerchio massimo , mancan di gran punti da dimostrare , i quali tralasciati danno indizio d'imperfetto loico >, e n’assegno. la cagione; e quivi principalmente si parla con Ticon Brae. Alla i. 24 lpaf?.7S, iin .20 o seg.], si favella onora¬ tissimamente de’ Matematici del Collegio, dicendo che, dove prima di saper che l’argomento preso dal poco accrescimento della cometa riguardata col telescopio, per provarla lontanissima dalla Terra, fosse di cjue’ dotti ed elevati ingegni, lo stimai di poco o niun valore, cosi, sentendo il nonio ondo procedeva, cangiai pen¬ siero, e titubai lungamente sopra le ragioni con le quali iL più volte mentovato 10 Accademico m’aveva persuaso in contrario. Alla f. 18 fpng.fit, Hn.15 0 sce.], pur citata, io non dico assolutamente, il professore aver giurato fedeltà a Ticone, ma solo parermi eli’ e’si sottoscriva a’ detti di lui. Alla f. 38 (w.02, Hn.26 0 scg.], dico, indurmi a credere che il Matematico prefato abbia ricevuto la medesima ipotesi di Ti¬ cone, dal vedere quant’egli in tutta quella scrittura consuoni o concordi con la posizione e con 1’ altre immaginazioni Ticoniclie. Questi sono i luoghi notati e citati dal Sarsi, ne’ quali cotanto die’ egli esser stato vilipeso e oltraggiato il Maestro. I quali essendo stati molto diligentemente veduti e ben considerati da uomini dotti e religiosi, non sono stati notati di mordacità, nò s’ ò ravvisato ove consistesse la pretesa puntura, se già il solo aver dissentito dal I\ Grasso non fosse 20 tenuta per onta e ingiuria; il clic assolutamente da’ Padri si nega. Di ciò mi là indubitata fede V. P., la quale, molto avanti che io facessi quel ragionamento nell’Accademia, mi significò che, essendo libero a ciascheduno in somiglianti ma¬ terie d’aderire a questa o a quella sentenza, niun uomo prudente avrebbe in mala parte 0 sinistramente ricevuto, che io avessi dissentito al Problema, purché non si fossero ecceduti i termini del disputare: il qual ricordo da me puntual¬ mente osservato, mi rende sicuro che non odiose, ma ufiìziose e care, sieno state a cotesti Padri le mie contraddizioni; quali io tanto più volentieri ho fatte, quanto io conosceva ch'elle potevan loro servir per un poco di lume a determinar la verità, che in quel caso cotanto m’era rimasa dubbiosa e in ambiguo. Ma il 30 Sarsi, non che prender in grado quel po’ di luce che io offeriva, ha più tosto procacciato d’oscurarla c di spegnerla, acciò altri non se ne vaglia, opponen¬ dole contro diverse accuse e imposture, e in diversi modi irritandomi contro i let¬ tori. Di ciò non mi lascia mentire quella sua doglienza, che io, a f.34 (i>as.S7, Hn. 17 0 scg.l, sfatando l’arguzie e motti del suo Maestro, abbia detto, la natura non dilettarsi di poesie; poiché chiunque vorrà riconoscere ’1 luogo citato, rimarrà cotanto stu¬ pito della franchezza e ardir di cotesto giovane in profferir cosa la quale così presta aveva la riprova, che non avrà più maraviglia d’ altre imposture. Legga, in cortesia, V. P. tutta quella f. 34 [pag. so, Hn. 10 - pag. ss, Hn. 5] del mio Discorso, 0 se in essa ha pur una parola la quale, anche stiracchiatamente, possa inter- 4u Potarsi detta per 1’ autor del Problema, io mi sottoscrivo a quanto ò stato detto LETTERA DI MARIO GU1DUCOI dal Sarai contro (li me in quella sua Libra. Aveva eletto Ticone (non trovando forse modo di salvar V irregolarità del moto dello comete), elle esser vcrisimil- monto pianeti imperfetti o quasi scinde de’ veri, o perciò, sforzandosi elle d’imi- taro ’l moto de’pianeti, non in tutto conseguire i lor movimenti, ma esser in ogni modo prole cedeste. Contro di questo pensiero scrivo io queste puntuali pa- rde : < Il dir con Ticone, che come a stelle imperfette , ma però , benché caduche, ih- dote ad ogni modo e costumi celesti , basta una tal (piale condimon divina, ha tanto più della piacevolezza poetica che della fermezza c severità filosofica, che mi merla porvisi considerazione alcuna, perche la natura non si diletta di poesia . Nò con più verità che le cose predette m’addossa il Sarsi dottrine e con-w ciusioni che io non ho tenute, nò tengo vere, per aver poi campo di convincerle, e crescer in questa guisa il volume. Quanto briga egli a provar che tra gli oggetti i quali ci aon visibili con 1’occhiale, ed i medesimi senza (li quello invisibili, non caschi accrescimento infinito? Ma quando ho io affermato il contrario ? Aveva il P. Grassi nel suo Problema affermato, lo stelle fisse, come immensamente di¬ stanti da noi, non ricever, rimirate col telescopio, ricrescimento veruno : io dal¬ l’altro canto dissi clic elle ci crescevan con la stessa proporzione che gli aggeli vicini, e per prova della grandezza di tal aumento soggiunsi che, vedendo noi chiaramente con l’occhiale i pianeti Medicei o altro stelle che indarno si rimirai) con l’occhio semplice, non sapeva perchò a quell’autore o ad altri dovesse colsi ss accrescimento parere ’nsensibile, che più tosto sembrava infinito. Doveva pure il Sarsi esser chiaro che io non ebbi in quel discorso sì fatta credenza dolio Rifi¬ nito, avendo io più d’ una volta pronunziato che gl’intervalli e oggetti nel cielo ci si mostrai! maggiori con la medesima proporzione che si facciano in Terra tutti gli altri oggetti in queste picciole distanze, la qual proporzione non può esser se non finita. Non ò dissomigliante da tal artifizio il dire clic io affermi, la cometa non esser cosa reale, ma solo apparente, e che io dica, la medesima muoversi di molo retto e perpendicolare alla Terra: le quali dua proposizioni io solo dubitativa¬ mente proposi, avendo detto, quanto alla prima, alla f.22 [ims.TO, Hn.isosecche nelle re frazioni, recessioni, imnuuji nì, apparenze ed illusioni non ha forzale in¬ volasse per determinar dì lor lontananza , poiché alla mulazìon di luogo del liijiw dante aneti esse si mutano, credeva che la paralasse non fosse veramente pei (0 efficacia nelle comete, se prima non veniva detenni nato elicile non fossero di (pietà rotali reflessioni di lume, ma oggetti uni, fissi, reali e permanenti >; e quivi seguii" a mostrar la convenienza e conformità tra que’ simulacri e le comete, lasciando poi a que’virtuosi ascoltanti il risolversi all’ima o all’altra affermativa. Nè pi di ciò affermo il movimento retto e perpendicolare della cometa alla superficie terrena, dicendo solamente, con tal moto sfuggirsi e spianarsi di molti intoppi- i quali a chi suppone quell’orbe cometario di Ticone s’atlraversan a ogniP LbU AL P. TÀRQUINIO GALLUZZI. 193 Io sarei troppo lungo e di troppo trapasserei lo spazio comunal delle lettere, se io volessi andar raccogliendo e riprovando tutte lo note c imputazioni da¬ temi dal Sarsi. Il perchè, lasciandole da banda, farò un poco di cimento delle spcrienze e dottrine con le quali e’ pretende d’ abbattere alcune proposizioni del mio Discorso. Sia la prima quella nella quale egli si è, più clic in tutto ’l rimanente della sua scrittura, sbracciato per convincer di falsità una sperienza che io recai poi- prova che al moto delle sfere celesti non conseguiti il rapimento degli elementi inferiori. Io dissi, che rivolgendosi con qualunque velocità un vaso rotondo in- 10 torno al suo centro, egli non rapisce seco in giro 1 ’ aria contenuta ; manifesto indizio esserne una candeletta accesa, abbassatavi dentro, la quale non pur non si spegno, come dovrebbe avvenire in una grandissima commozion cV aria, ma conserva la sua fiamma eretta, come so ’l vaso non si movesse. Tal prova vidi io già in bottega d’ un vasellaio, ove, essendo posto in su la ruota una conca di terra, c velocissimamente girata (benché rozza o scabrosa interiormente, e non isquisitamcnte aggiustato il suo centro a quel della ruota), non cagionava che un poco di tremolo alla fiamma d* un sottil moccolo postovi dentro; qual piccol moto credetti io proceder dalla scabrosità della interior superficie e dall’ acco¬ stamento c discostamento clic vicendevolmente facevan le sponde del vaso, clic 20 eccentricamente si rivolgeva. Tal prova, udita e veduta doppo dal Sig. Galileo (avvegnaché egli avesse forse per F addietro diversamente sentito o scritto), fu da lui, com’uomo d’ingegno libero e non soverchiamente allo sue opinioni affe¬ zionato, riputata vera : ma mi disse bene clic ella non faceva punto al mio in¬ tento ; posciachè, avendo io necessariamente provato (che che ne dica il Sarsi co’suoi poeti ed istorici), al produr calore mediante ’l moto richiedersi un ga¬ gliardo soffregainentó e arrotamento di dua corpi duri, ne segue che se il moto del ciel lunare tirasse seco le sfere inferiori del fuoco e dell’ aria (come vuol Aristotile), non ne succederebbe arrotamento o stropicciamento veruno, come stando elle ferme c senza rotare. Con tutto ciò la brama d’ addurre una cosa so nuova (tanto più clic lo ’ntento mio, di mostrar che le revoluzioni de’ corpi celesti non potessero esser cagion d’incendio, era soprabbondantemente provato) fece che io non m’attenni al consiglio, datomi. Ora, vegnendo al nostro proposito, io dico che la sperienza addotta da me per vera, e negata dal Sarsi, è come io attenuo, non com’e’vorrebbe dar ad intendere, cioè che l’aria contenuta non seguita il moto del continente se non in quanto il continente si muova accen¬ ti icamentc c non sia ben pulito e terso di dentro. Per prova di questa verità, panni pi ima da notare, che se la fiamma sarà mossa con la medesima velocità C * )ei me desimo verso che F aria, la fiamma non si piegherà in contraria parte ; secondo, che il medesimo effetto per l’appunto succede quando l’aria con una ‘fi velocità percuota nella fiamma d’ una candela ferma e immobile, che quando vr. 25 194 LETTERA LI MARIO GUIDUCCI la fiamma urti con la stessa velocità nell'aria quieta e senza moto. Supposto questo, io dico elio infallibile sperienza di quanto si cerca, sarà Y appiccar una candeletta nel fondo d’ un vaso, accomodato come mostra lo ’ntaglio del Sarsi alquanto lontana dal centro, e rivolger con qualche velocità il catino ; imperoc¬ ché se la fiamma e Paria si moveranno con la medesima celerità del vaso,In fiamma non dovrà piegarsi, o molto poco in comparazione di quel che dovrebbe avvenire se la candela non fosso alfiafca al movente, nel qual caso l’aria conte¬ nuta, che si girasse, percuoterebbe la fiamma della candela che stesse salda. Ma la prova è in contrario, perché nel primo caso, cioè quando la candela è affissa al catino, non solo la fiamma si piega in contraria parte del moto della candela iì ma si spegno anche del tutto, so 1 moto sarà molto veloce ; dove nelP altro caso cioè quando la candela non sia appiccata al movente, o nulla o poco si piegherà quantunque il moto sia rapidissimo, lo potrei ili ciò addurre a Y. P. molti testi¬ moni, se io avessi caro che chi leggo non ne facesse prova da sò o se non mi paresse argomento di poca ragione e giudizio il tentar di provar con testimoni gli effetti della natura. Non ostano a quanto io ho detto gli esperimenti del Sarsi, essendo eglino molto fallaci e non senza sospetto di fraudo. Imperocché, quanto al suo ghiri¬ bizzo di coprire il catino con talco, acciò la superficie movente sia maggior della mobile, tal prova è molto fallace; perchè, essendo il talco di sua natura sca-* glioso, e quel coperchio per avventura di molti pezzi, attaccati insieme con colla o chiara cV uovo, ed in conseguenza un aggregato di diversi piani diversamente inclinati, non è maraviglia che nel rivolgersi porti seco anche di moli’aria, e in tal caso faccia girar la farfalla di carta, sottesavi dentro da un filo. Fallacis¬ sima ancora ò la sperienza della palla di vetro infilata in uno schidiono, la quale nel voltarsi fa sventolar una sottil foglia estrinsecamente sospesa e avvicinata alla sfera, potendosi molto ben dubitare della sua sfericità, e in che maniera cotesto Sarsi s’assicuri d’averla per l’appunto bucata e infilzata pel centro;il che essendo impossibile a metter in pratica, necessariamente palesa la fallacia di quella prova. Io non voglio qui lasciar d’avvertire, clic quando anche le spe-# rienze del Sarsi fosser vere, il che assolutamente si nega, mi rimarrebbe tuttavia dubbio, in clic maniera si potesse poi un tal moto di rapimento accomodare o verificar nelle comete e altro esalazioni die fosser nell’aria: imperocché da que¬ gli esperimenti si scorge che il contenuto si muove o più tardi o non più veloce del continente ; ma le comete e quest’altri fuochi si muovon più veloci che! cielo della Luna ambiente, compiendo elle, e tal volta avanzando, in ventiquat* tr ore un’ intera revoluzione, dove alla Luna mancali quattordici o quindici gialli a finirla in quel medesimo tempo. Tali son lo speranze del Sarsi: nò migliori son le dottrine, come con esa¬ minarne dua o tre farò manifesto, lasciando la cura del rimanente a persona di* AL P. TARQUINIO GALLUZZI. 195 più valore, da* cui scritti, che ben presto verranno in luce, a sue spese s’ accor- c-orà il Sarsi, die differenza sia dal mio allo stile del Sig. Galileo. Tra l’altre cose die io dissi intorno a quel terzo prelibato argomento do P Grassi, una fu, che il telescopio diviene strumento diverso allungandosi e scor¬ tandosi. Qui audacemente esclama il Sarsi che io voglio troppo sottilizzarla, o con dtia istanze tenta cV abbatter la mia proposta, dicendo che in questa maniera si diversificherebbe anche nell* uomo V organo a formar la voce alta e bassa, o nelP istesso modo il sonator di trombone adoprerrebbo vario strumento secondo che Y allungasse o lo rimettesse. Ma, Sig. Sarsi, queste vostre instanze non cal¬ lo zan a cpiesto proposito. Imperocché l'occhiale in rimirare un oggetto s’adopra fermo e sempre a una guisa, nò si ripone o s’allunga come il trombone, che s’adopra in quel modo; nò anche ò simile alla canna della gola, la quale con¬ tinuamente si varia ad articolar la voce c formarla alta o sommessa: anzi non solamente a riguardare un oggetto non s’allunga o si scorta il camion dell’oc¬ chiale, ma nò anche per vederne diversi e in diverse distanze, adoprandosi egli, come più a lungo dissi nel mio Discorso, nel medesimo modo appunto per rimi¬ rar un oggetto posto in lontananza d’ un miglio, che gli oggetti lontanissimi, come le stelle fìsse. Nulle dunque son le istanze che mi fate; nè altri che chi si rego¬ lasse col peso e con la stadera, negherebbe clic 1 ’ occhiale molto lungo fosse dif- 20 ferente strumento dal raccorciato. Sento qui uno da canto che dice, la Libra non esser scritta per uomini da aver tante considerazioni ; e certamente egli dice vero. Perchè altrimenti con che giudizio avrebbe quell’autore impreso a difendere’l Grassi dall’opposizioni che io fo solo contro a un suo argomento, se egli medesimo confessa clic quel terzo argomento, cagion di tutta questa disputa, è di niun valore? E con elio faccia direbb’ egli, anche il suo Maestro averlo stimato inefficace, s’ e’ non avesse fidanza nella semplicità de’lettori? Le parole del Problema, so io mal non mi ricordo, son queste: < Ex demonstrationibus opticis neccsse est huic argumento maxi - man inesse vini ad id quod volumns probandtnn >. Se al Sarsi dà l’animo di provar soche quelle parole significhili poca stima di quell’argomento, io mi lascerò anche persuadere quel eli’e’soggiugne, cioè che il P. Grassi abbia registrato quell’ar¬ gomento con quella giunta, che chi non l’apprezza sia ignorante di prospettiva, per gratificar al Sig. Galileo, il che sin a ora mi pare una carità pelosa. Ma come non s’avvede il Sarsi della conclusione che s’inferisce da una proposizion del Maestro e da questa sua ? Pronunzia il P. Grassi : « Quelli che non apprezzali que¬ st’ argomento, son poco intendenti dì prospettiva >. Soggiugne il Sarsi : < Il P. Grassi non pregia quest 9 argomento*. La conclusione la faccia il lettore. Ma non più di questo. Voglio per ultimo referire un argomento del Sarsi, il quale, per P immensa 40 autorità onde è preso, par a prima vista insolubile, e, in vece di rispondergli, 196 LETTERA DI MARIO GUIDUCCI AL I\ TARQUINIO GALLUZZI. soggiugner alcune parole del libro citato, non so so inavvertentemente o a bello studio tralasciate da lui. Aveva io detto co’ Peripatetici, i corpi luminosi non esser trasparenti, e quindi contro i medesimi inferiva, la cometa non esser una fiamma o un incendio, giti, che per ossa trasparivan le stelle. S’oppone il Sarsi ed afferma il contrario, cioò elio i corpi lucidi son trasparenti ; e per prova della sua proposizione, questo ò il suo primo argomento: < Buie, primum, dido,addi- pidantur Sacrae Lilcrae, min de Anania, Azaria et Misaclc in fornacm . Rcijh iiissu, conicctis ar/unt. Sic cui in Regan ipsum loquentem inducimi: Ecce ego video quatuor viros soìulos et anibulanlcs in medio igniti, et niltil corruptionis incisesi), IL qual luogo della Divina Scrittura noi 3° cap. di Daniele avendo io tosto dili- n gentemente cercato e riverentemente letto, trovai che, avanti elio que* tre santi giovani cantassero il lor cantico dello benedizioni del Signore e fosser veduti dal Re, la Sacra Istoria dice : < Angelus autem Domini dcscendit cutn Azaria et sociis cius in fornacem, et cxcussit flammam ignis de fornace, et fccit medium fornacis quasi ventimi roris flantcm ». Io non intendo d’interporre in ciò il mio parere,ma me ne rimetto in tutto e per tutto allo dichiarazioni cd esposizioni do’sacri dot¬ tori c maestri in divinità: giudichili eglino se da quelle parole si tragga che il re Nabucdonosor vedesse i santi per entro le fiamme, o per mezzo d’un’aura rugiadosa c fresca, quantunque egli passeggiassero sopra ’l fuoco ; e dican so sia lodevole o no il citar in questa guisa la Sacra Scrittura. Son ben sicuro, s quanto al proposito mio, che per mezzo la fiamma, benché piccola, d’una can¬ dela le stello non traspariscono c non si veggono, e ciascuno può a sua voglia chiarirsene, purché abbia, come dice il Sarsi, occhi da vedere. E tanto basti per mostrare a V. P. e a tutti cotesti molto Venerandi Padri la lealtà dell’animo e del proceder mio inverso cotesto virtuoso e nobilCollegio,e per difendermi dalle note e imputazioni di Lottario Sarsi; il quale sofYrisca con pazienza se, per iscolpare ’l mio Discorso da’ difetti o mancamenti imputatili, ni’ è talora convenuto di ravvisargli nella sua Libra Astronomica e Filosofica. A V. P. bacio riverentemente le mani, e lo prego dal Signore Dio agumento di celesti grazie. » Di Firenze, il dì 20 di Giugno 1620. Di V. P. molto Reverenda Servidore Affezionatissimo Mario Guiducci. IL SAGGIATORE. : ti.iiinn.r.\iii«n»i(*.*im'i«4iiM l •MI» SEBp 3 SB»Ìv I L SAGGIATORE N cl quale Con bilancia efquifita egiufta fi ponderano le c.ofe contenute nella L L B R A* AS TROMOMICA £*FI LO SO FICA DI LOTARiO-SA'RSr-.SIGLNSANO Scritto in forma di lettera. , 4 c '%*«€■ ’M'SZÒ. VIRGINIO-C ESARINI Acc°Lmcep M°di CameradiNS* a)aCJy? GALILEO GALILEI Acc°Linceo Nobile Fiorentino Filofbfo eMatemafcico Pani ano del Sctf^Gran DucadiTofcana. yls Pi yY*l lii v | 7" m 1 200 Imprimatur , si vidcbUur Iìevcrendissimo P. Maestro Sacri Paidii Apostolici, A. Episc. Ilieracen. Vicesg, Ilo letto por ordine del Reverendissimo P. Maestro del Sacro Palazzo que- st’opera del Saggiatore; ed oltre ch’io non ci trovo cosa veruna disdicevole a’buoni costumi, nò elio si dilunghi dulia verità sopranaturale di nostra Fediti ho avvertite tanto bello considerazioni appartenenti alla filosofia naturale, ch'io non credo che ’l nostro secolo sia per gloriarsi no’ futuri di erede solamente delle fatiche de’passati filosofi, ma d’inventore di molti segreti della natura ch’eglino non poterono scoprire, mercé della sottilo e soda speculazione dell'au¬ tore, nel cui tempo mi reputo felice d’esser nato, quando non più con la stàden H ed alla grossa, ma con saggi si delicati, si bilancia 1’ oro della verità. Rei Collegio di S. Tomaso sopra la Minerva in Roma, 2 di Febraro 1G23, F. Nicolò Iticcardi. Imprimatur. F. Dominicus Paulaccius Magistor et socius Reverendissimi P. Fr. Nicolai Rodulfii, Sacri Apostolici Palatii Magistri. f ALLA SANTITÀ DI N. S. PAPA URBANO OTTAVO. In questo universal giubilo delle buone lettere, anzi doli’ istessa virtù, mentre la Città tutta, e spezialmente la Santa Sede, più che mai risplende per esservi la Santità Vostra da celeste e divina disposizione collocata, c non vi ò mente alcuna che non s’accenda a lodevoli studi od a degno operazioni per venerare, imitando, essempio sì eminente, vegniamo noi a comparirle davanti, carichi d’in¬ finiti oblighi per li benefizii sempre dalla sua benigna mano ricevuti, e pieni di contento e d’ allegrezza per vedere in così sublime seggio un tanto Padrone io essaltato. Portiamo, per saggio della nostra divozione e per tributo della nostra vera servitù, il Saggiatore del nostro Galilei, del Fiorentino scopritore non di nuove terre, ma di non più vedute parti del cielo. Questo contiene investiga¬ zioni di quegli splendori celesti, che maggior maraviglia sogliono apportare. Lo dedichiamo e doniamo alla Santità Vostra, come a quella c’ha Panima di veri ornamenti e splendori ripiena, e c’ ha ad altissime imprese P eroica mento ri¬ volta; desiderando che questo ragionamento d’inusitate faci del cielo sia a lei segno di quel più vivo ed ardente affetto che è in noi, di servire e di meritare la grazia di Vostra Santità. Ai cui piedi intanto umilmente inchinandoci, la sup¬ plichiamo a mantener favoriti i nostri studi co’ cortesi raggi e vigoroso calore 20 della sua benignissima protezzione. Di Roma, li 20 di Ottobre 1G23. Della Santità Vostra Umilissimi ed 0Rigatissimi Servi Gli Accademici Lincei. Jk\. ijL lijtìj m .il i.:i 1.4,1 IL SAGGIATORE. 205 AD GALILAEUM DATALA E! LYNCEUM PLORENTIMUM MATHEMAT1CORUM SAKCUU NOSTRI PRINCIPEM, UIRABIL10M IN CABLO PER TELESCOPICI!, NOVUM NATDRAE OCllliUll, INVENTORE»!, TOANNES FABER LYNOEUS BAMJBBJUUENS1S, MEDIOUS ROMAN US, SIMPLICIAUIUS PONTIPICIUS. PORTA tcnet primas ; liabeas, GERMANE, secundas; Sunt, GALILAEE, iuus tortia regna labor. Sidera sed quantum Tcrris caelcstia distaili, Ante alios tantum Tu, GALILAEE, nites. Ili TELESCOPIO metantur paucula passùm Millia telluris, vel vada salsa freti ; Quos infinitis, clarum dum scandis Olympum Arte parato OCULO, passibus ipse praeis. Cedas, VESPUCI, cedatque COLUMBUS: uterque io Ignotum saltelli per mare tentat iter; Neo piane antipodum tellus tamen inscia priscis, Nec quondam astronomos fugit uterque polus : Sed tu stellarmi! seriem, nova sydera eaeli, Ilumano generi qui daret, uniis eras. Macie tuo, GÀLILAEE, TUBO; sic itur ad astra, Sic te mortales Orbis et URBIS amant. An, velut in vetulo languentes corpore ocelli, Mente tamen valida, per duo vitra vident, Forte senescenti tu sic OCULARI A mundo J0 Àptasti, mime dexteritatis opus ? • Bis nova progenies caelo demittitur alto Stellarum, innumeras quas VIA LACTIS liabet; II, SAGGIATORE. Frigidus liis etiam noviter, mirabile visu, SATUUNUS geminis auribus aspicitur; Gorniculata VENUS noctu nova Cynthia fu Igei * Stipatur quatuor IUPPITER a sociis. Ili» quoque Y08) magni alarissima lumina mundi, Mutatis vultus, SOIique SOItOUque tua. Tu, qui tam puro nitidissimi!» orbo roluces, Appares MACULIS, SOL, vitiute novis; Et quelli crednliinus laovem LUNAEque rotundum, En globus lue tumidi» montibus onituit. Vidimila illustre», nebulosas ante vocatas, Iloc OCULO stellaa irradiasse polo. Noe dura finis adest: fulgentca crino COMETAE Iloc OCULO sidunt nobilioro loco. Lusit ÀRISTOTELES docta sul) imagine raentes, Àeriam liis facibus dura probat esso domum ; Et putat, innocuo prorsura splendore, COMETEN Aera succensum, noe caruisse nictu : Quern si fatidico credila tamen oro locutum, Acroasi ilio suae nunciat interitura; Cui soli motuo sterilem portendat is annuiti, Scoptra mathematices cui voret ignis odax. Aat TELESCOriI GALILAEUS cuncta coaequat LIBELLA, qualis quidquo COMETA docens; Phaenoraena lue retegit, rairandaque LYNCIS ocello, Credita principibua soinnia vana sopliis. 0 audax factum, penetrasse adamantina caeli Mocnia CRYSTALLI tam fragili auxilio ! Felices animae, Superflui conceditur arces Hoc lustrasse tuo queis, GALILAEE, TUBO! •v IL SAGGIATORE. 207 AL DETTO SIG. GALILEI, DI9L BIG. F li A N C E S C 0 S T E L L l J T L ACCADEMICO LINCEO. Infra tutti i viventi, Ergansi in aria a volo, Guizzili per l’onde algenti, O stampili r orme in sul terreno suolo, L’uom sol discorro; e solo Sa, vale, intende e vede Sì, eh’ agli angeli appena altero ei cede. Emulo di natura, Ciò eli’ ella inai produce Fingerlo aneli’ei procura, E lo fa sì, che meraviglia adduce; L* intelletto ha per duco, Ed alto a la sua destra Somministra valor l’arte maestra. S’ a fera od a sè forma Imago somigliante, Trovar ei sa la norma Onde gli occhi e le man muova e le piante. Fc’ per F aria volante Una colomba Archita, Di legno, e pur senso aver parve e vita ; E quel saggio, che grande Dal suo valor s’appella, Diè con arti ammirande La voce a tinto labro e la favella. IL SAGGIATORE. Forma destra novella Simulato augelletto, E fa elio tragga alta armonia dal petto. Di puro vetro e terso Altri a coni por s’ accinse Un picciolo universo ; E poi cho di pili cieli intorno il cinse, Lo stelle entro vi finse, E lor diò moto e giro Pari a quel eli' i sublimi astri sortil o. Lassù gli aperti ed ampi Spazii del ciel, sonori Strali di foco e lampi Scorron talor, con tema alta de’ cori. Forma volanti ardori L’ uom anco, e con rimbombo Sa fulminar da cavo ferro il piombo. A i confini d’Alcide Sicuro altri le spalle Rivolge, c senza guide Su cavo legno per l’ignoto callo Della lubrica vallo De 1’ Ocean profondo Vassene, e aggiunge un novo mondo al mondo. E più di questi audace, Oltre T uman costume, Con la sua man sagace Ali Dedal si fa di lievi piume ; E cotanto presume, Ch’ a volo s’ erge, c quale Veloce augel per l’aria poggia e sale. E tu, s’io ben riguardo, Vigoroso ed altero Ti festi in guisa il guardo, Che trapassa il mirar d’uman pensiero, Onde talpa il cerviero Appo te, GALILEO, ora, ed Argo senz’ occhi, orbo Linceo. Nè sol de la tua fronte 1 fortunati rai IL SAGGIATORE. 209 Quelle virtù sì conto Han, eli* a lor tu co’ tuoi cristalli dai ; Ma quel bel lume c’ hai Dentro la mento accolto, Quell’ anco vinco ogni veder di molto ; Onde ciò eli’ altrui cela Natura entro nel seno, Aperto si rivela A l’uno e P altro tuo sguardo sereno. Altri si credo appieno Col saggio di Stagi ni Mirarlo ancor, ina un’ ombra sol no mira. Quello c’ or tu n’ insegni, Non da le carte antiche, Non da i moderni ingegni, L’ avesti no, non da le stello amiche ; Le tue lunghe fatiche, Le prove tue, gli studi Fur, che tante destaro in te virtudi. Qualunque i sensi adopra, Se da te non l’apprendo, Come P odor si scopra, E man tocca, occhio mira, orecchio intende, Aperto ei noi comprende, E non ben sa la lingua Altrui ridir coni’i saper distingua; Nò sa ben come il gelo, Com’ il caldo altri senta, Come produca il cielo Ciò che più di stupor su n’ appresenta ; Tu v’ hai sì T alma intenta, Ch’o vicino o remoto Oggetto alcun non miri a te mal noto. Quei che cercò, là presso A la Calcidia riva, Perchè P onda sì spesso Colà <1’ Euripo a variar veniva, Se la cagion n’ udiva Da te, cui non s* asconde, Sommerso non si fora entro quell’ onde. 210 IL SAGGIATORE. E quei di to pria nati Dotti Ipparchi ed Atlanti, S* intenti rimirati Tcco avesser quei seggi alti stellanti, Non detto avrian, quei tanti Lumi eli* in cielo han loco, Passar di mille il numero di poco; Nè dato avriano il dorso Adeguato e polito, Nè dal ver lungo il ('orso, Nè il numero di sette stabilito, Nè concesso quel sito Che non hanno, o confino, A quei eli* errali lassù con aureo crine. Altri erranti aggiungesti A quegli tu, su dove Per quei vani celesti Va con rai sì benigni errando Giove; K vedi in forme novo Chi su men pronto suole Moversi in giro, e chi precorre il Sole; E di quei rai su fissi Tanti gir ne mirasti Per quegli immensi abissi, Ch’ occhio non v’ è eh’ a numerargli basti. In quei confin sì vasti Tanti il cicl ne contiene, Che pòn del mar quasi adeguar P arene. Cedanti pure il vanto Quei novi Tifi arditi, Che glorioso han tanto Perchè scoprir mari novelli e liti ; Poi che tu non additi Terre quaggiù novello, Ma nel sublime ciel lucenti stelle. Novelli solo a noi Quei discoprirò imperi, Non giù novi agli Eoi, Che là per gli ondeggianti lor sentieri Giunti v' ermi primieri: IL SAUGIÀTOKE. Ma acopri tu, più scaltro, Orbi a ciascuni novelli, o pria (Voga'altro. Molto a te ruoli», por tuli Trovati obietti, dove; Ei co* tuoi vetri frali Sei» va fin presso al cicl, spedito e lieve; Molto il ciel, che riceve I)a to beltà più chiare, Più nel sen luci, e in maggior forma appare. E s’a spiar la via Non givan gli occhi tui De 1’ alto ciel, (piai pria Ei fora ancor : tu sei eh’ i globi sui, Colati prima a nui, Orni con aureo chiome, E lor dai moto e loco e vanto e nome. Onde se da la vista De le tuo luci accorte 'fante ’1 ciel pompe acquista, Ei non permetterà eh 1 iniqua t* apporto Il fosco oblio la morte; Ma fin elio gira intorno, Splenderai tu, d’illustre gloria adorno. IL SAGGIATOLE DEL sia. GALILEO GALILEI ACCADEMICO LINCEO, FILOSOFO E MATEMATICO PRIMARIO DEL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA, * SCRITTO IN FORMA DI LETTERA ALL’It,LUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO SIG. DON VIRGINIO CESARI NI ACCADEMICO LINCEO, MASTRO DI CAMERA DI N. S. io Io non ho mai potuto intendere, Illustrissimo Signore, onde sia nato che tutto quello che de’ miei studi, per aggradire o servire al¬ trui, m’è convenuto metter in publico, abbia incontrato in molti una certa animosità in detrarre, defraudare e vilipendere quel poco di pregio che, se non per 1’ opera, almeno per l’intenzion mia m’ era creduto di meritare. Non prima fu veduto allo stampe il mio Nunzio Sidereo, dove si dimostrarono tanti nuovi e meravigliosi discopri- menti nel cielo, che pur doveano esser grati agli amatori della vera filosofia, che tosto si sollevarmi per mille bande insidiatori di quelle lodi dovute a così fatti ritrovamenti : nè mancaron di quelli che, M solo per contradir a’ miei detti, non si curarono di recar in dubbio quanto fu veduto a lor piacimento e riveduto più volte da gli occhi loro. Imposemi il Serenissimo Gran Duca Cosimo II, di gloriosa me¬ moria, mio Signore, eh’ io scrivessi il mio parere delle cagioni del 214 IL SAGGIATORE. galleggiare o affondarsi lo coso nell’ acqua ; e, per sodisfar a così fatto comandamento, avendo disteso in carta quanto m’era sovvenuto oltre alla dottrina d’Archimede, che per avventura è quanto di vero in effetto circa sì fatta materia poteva dirsi, eccoti subito piene tutte le stamperie d’invettive contro del mio Discorso ; nò avendo punto riguardo che quanto da me fu prodotto fusso confermato e concluso con geometriche dimostrazioni, contradissero al mio parere, nè s’av¬ videro (tanto ebbe forza la passione) elio ’l contradire alla geometria ò un negare scopertamente la verità. Le Lettere dello Macchie Solari o da quanti o per quante guiso fur combattute? e quella materia io che cloverebbo dar tanto campo d’aprir gl’intelletti ad ammirabili speculazioni, da molti, o non creduta o poco stimata, del tutto è stata vilipesa o derisa ; da altri, per non volere acconsentire a’ miei con¬ cetti, sono stato prodotto contro di me ridicolo ed impossibili opi¬ nioni ; ed alcuni, costretti o convinti dallo mie ragioni, anno cer¬ cato spogliarmi di quella gloria eli’ ora pur mia, e, dissimulando d’ aver veduto gli scritti miei, tentarono dopo di me farsi primieri iuvontori di meraviglie così stupendo. Tacerò d’ alcuni miei privati discorsi, dimostrazioni e sentenze, molto di esse da me non publi- cate alle stampe, tutto state malamente impugnate o disprezzate come » da nulla ; non mancando anco questo d’ essersi talora abbattuto in alcuni die con bella destrezza si sieno ingegnati di farsi con esse onore, come inventate da i loro ingegni. Io potrei di tali usurpatori nominar non pochi ; ma voglio ora passarli sotto silenzio, avvenga che do’ primi furti men grave ca¬ stigo prender si soglia che do i susseguenti. Ma non voglio già piu lungamente tacere il furto secondo, elio con troppa audacia mi ha voluto faro quell’ istesso elio già molti anni sono mi fece l’altro, d’appropriarsi l’invenzione del mio Compasso Geometrico, ancor ch’io molti anni innanzi l’avessi a gran numero di Signori mostrato e con-*' ferito, e finalmente fatto publico colle stampe: e siami per questa volta perdonato se, contro alla mia natura, contro al costume ed in- teuzion mia, forse troppo acerbamente mi risento ed esclamo colà dove per molti anni ho taciuto. Io parlo di Simon Mario Guntzebu- sano, che fu quello che già in Padova, dove allora io mi trovava, traportò in lingua latina l’uso del detto mio Compasso, ed attri¬ buendoselo lo fece ad un suo discepolo sotto suo nome stampare, o IL SAUGIATOKE. 215 subito, forse per fuggir il castigo, se u' andò allu patria sua, la¬ sciando il suo scolare, come si dice, nelle peste ; contro il quale mi fu forza, in assenza (li Simon Mario, proceder nella maniera eh’ è manifesto nella Difesa eh’ allora foci e publicai. Questo istesso, quat¬ tro anni dopo la publicazione del mio Nunzio Sidereo, avvezzo a vo¬ lersi ornar dell’ altrui fatiche, non si ò arrossito nel farsi autore dolio cose da me ritrovate ed in quell’ opera publicate ; o stampando sotto titolo di Mundus Joviulis eie., ha temerariamente affermato, sè aver avanti di me osservati i pianeti Medicei, che si girano intorno io a Giove. Ma perchè di rado accado elio la verità si lasci sopprimer dalla bugia, ecco ch’egli medesimo nell’ infossa sua opera, per sua inavvertenza o poca intelligenza, mi dà campo di poterlo convincere con testimoni irrefragabili o manifestamente far paleso il suo fallo, mostrando ch’egli non solamente non osservò lo detto stollo avanti dime, ma non le vido nè anco sicuramente due anni dopo: e dico di più, che molto probabilmente si può affermare eli’ ei non 1* lui os¬ servate già mai. E bench’io da molti luoghi del suo libro cavar potessi evidentissime provo di quanto dico, riserbando 1’ altro ad altra occa¬ sione, voglio, per non diffondermi soverchiamente o distrarmi dalla 20 mia principale intenzione, produrre un luogo solo. Scrive Simon Mario nella seconda parte del suo Mondo Gioviale, alla considerazione del sesto fenomeno, d’aver con diligenza osser¬ vato, come i quattro pianeti Gioviali non mai si trovano nella linea retta parallela all’ eclittica se non quando sono nelle massimo digres¬ sioni da Giove ; ma che quando son fuori di questo, sempre decli¬ nano con notabil differenza da detta linea; declinano, dico, da quella sempre verso settentrione quando sono nelle parti inferiori de’ lor cerchi, ed all’ opposito piegano sempre verso austro quando sono nelle parti superiori : e per salvar cotal apparenza, statuisce i lor cerchi » inclinati dal piano dell’eclittica verso austro nelle parti superiori, e verso borea nell’inferiori. Or questa sua dottrina ò piena di fallacie, le quali apertamente mostrano e testificano la sua frauda. h prima, non è vero che i quattro cerchi delle Medicee inclinino dal piano dell’ eclittica ; anzi sono eglino ad esso sempre equidistanti. Secondo, non è vero che lo medesime stelle non sieno mai tra di loro puntualmente per linea retta se non quando rì ritrovano costituito nelle massime digressioni da Giove ; anzi talora accade eh’ esse in 210 IL SAGGIATORE. qualunque distanza, e massima o mediocre e minima, si veggono p er linea esquisitamente retta, ed incontrandosi insieme, ancor che sieno di movimenti contrarii e vicinissime a Giove, si congiungono puntual¬ mente, sì che due appariscono una sola. E finalmente, è falso che quando declinano dal piano dell’eclittica, pieghino sempre verso austro quando sono nelle metà superiori de i lor cerchi, c verso borea quando sono nell’ inferiori ; anzi in alcuni tempi solamente fanno lor decli¬ nazioni in co tal guisa, ed in altri tempi declinano al contrario, cioè verso borea quando sono ne’mezi cerchi superiori, e verso austro nol- l’inferiori. Ma Simon Mario, per non aver uè inteso nè osservatoli questo negozio, ha inavvortentomonte scoperto il suo fallo. Ora il fatto sta così. Sono i quattro cerchi de i pianeti Medicei sempre paralleli al piano dell’ eclittica ; o perchè noi siamo nell’ istesso piano collocati, accade che qualunque volta Giove non averà latitudine, ma si troverà esso ancora sotto l’eclittica, i movimenti d’ esso stello ci si mostreranno fatti per una stessa linea retta, e le lor congiunzioni fatte in qual¬ sivoglia luogo saranno sempre corporali, cioè senza veruna declina¬ zione. Ma quando il medesimo Giovo si troverà fuori del pian dei- fi eclittica, accaderà clic se la sua latitudine sarà da esso piano verso» settentrione, restando pure i quattro cerchi delle Medicee paralleli all’ eclittica, lo parti loro superiori a noi, che sempre siamo nel piano dell’ eclittica, si rappresenteranno piegar verso austro rispetto all’in¬ feriori, cho ci si mostreranno più boreali; ed all’incontro, quando la latitudine di Giove sarà australe, lo parti superiori de i medésimi cerchietti ci si mostreranno più settentrionali dell’inferiori : sì clic le declinazioni delle stello si vedranno fare il contrario quando Giove ha latitudine boreale, di quello che faranno quando Giove sarà au¬ strale; cioè nel primo caso si vedranno declinar verso austro quando saranno nelle metà superiori de’lor cerchi, e verso borea nelle infe- J riori ; ma nell’ altro caso declineranno por fi opposito, cioè verso bo¬ rea nelle metà superiori, e verso austro nelle inferiori; e tali decli¬ nazioni saranno maggiori e minori, secondo che la latitudine di Giovo sarà maggiore o minore. Ora, scrivendo Simon Mario d’ aver osser vato come le dette quatti'o stelle sempre declinano verso austro quando sono nelle metà superiori de’ lor cerchi ; adunque tali 6,|f osservazioni furon fatte in tempo che Giove aveva latitudine borsai®• IL SAGGIATORE. 217 ma quando io foci le mie prime osservazioni Giove era australe, e tale stette per lungo tempo, nè si foce boreale, sì che le latitudini delle quattro stelle potessero mostrarsi come scrive Simone, se non più di due anni dopo: adunque, se pur egli già mai lo vide ed os¬ servò, ciò non fu se non due anni dopo di me. Eccolo dunque già dallo sue stesse deposizioni convinto di bugia d’avere avanti di me tatto cotali osservazioni. Ma io di più aggiungo e dico, che molto più probabilmente si può credere eh’ egli già mai non le facesse : già ch’egli afferma non l’avere osservate nè vedute io disposte tra di loro in linea retta isquisitamente se non mentre si ritrovano nelle massime distanze da Giove; e pure la verità è che quattro mesi interi, cioè da mozo Debraio a mezo Giugno del 1611, nel qual tempo la latitudine di Giove fu pochissima o nulla, la dispo¬ sizione di esse quattro stello fu sempre por linea retta in tutte le, loro posizioni. E notisi, appresso, la sagacità colla quale egli vuole, mostrarsi anteriore a me. Io scrissi nel mio Nunzio Sidereo d’ aver fatta la mia prima osservazione alli 7 di Gennaio dell’ anno 1610. seguitando poi 1’ altre nello seguenti notti : vion Simon Mario, ed ap¬ propriandosi l’istesse mie osservazioni, stampa nel titolo del suo libro, » ed anco per entro l’opera, aver fatto lo sue osservazioni fino del¬ l’almo 1G09, onde altri possa far concetto della sua anteriorità: tut¬ tavia la più antica osservazione eh’ ei produca poi per fatta da sè, è la seconda fatta da me; ma la pronunzia per fatta nell’anno 1601), e tace di far cauto il lettore come, essendo ('gli separato dalla Chiesa nostra, nè avendo accettata 1’ emendazioni Gregoriana, il giorno 7 di Gennaio del 1G10 di noi Cattolici ò l’istesso elio il dì 28 di Decorn¬ are del 1609 di loro erotici. E questa è tutta la precedenza delle sue finte osservazioni. Si attribuisce anco falsamente l’invenzione de’ loro movimenti periodici, da me con lunghe vigilie o gravissime fatiche M ritrovati, e manifestati nelle mie Lettere Solari, ed anco nel trattato die pnblicai delle cose che stanno sopra 1’ acqua, veduto dal detto Simone, come si raccoglie chiaramente dal suo libro, di dove indu- ìtabilmente egli ha cavato tali movimenti. Ma in troppo lunga digressione, fuori di quello che forse richie¬ da la presente opportunità, mi trovo d’ essermi lasciato trascor¬ re. eiò, ritornando su ’1 nostro cominciato discorso, seguirò di dire pei tante chiarissime prove non mi restando più luogo alcuno 218 IX SAGGIATORE. da dubitare d’un mal adotto ed ostinato volere contro dell’opere mie, aveva meco stesso deliberato di starmene cheto affatto, pei- ov¬ viare in mo medesimo alla cagion di quei dispiaceri sentiti nell’esser bersaglio a sì frequenti mordacità, e togliere altrui materia d’esser- citare sì biasmevol talento. È ben vero che non mi sarebbe man¬ cata occasione di metter fuori altro mie opere, forse non meno ino¬ pinate nello filosofiche scuole e di non minor conseguenza nella naturai filosofia delle publicate fin ora : ma lo dette cagioni ànno potuto tanto, che solo mi son contentato del parere o del giudicio d’alcuni gentil’nomini, miei reali e sincerissimi amici, co’ quali coni- w manicando e discorrendo de i miei pensieri, ho goduto di quel diletto che no reca il poter conferire quel che di mano in mano ne sommi¬ nistra l’ingegno, scansando noi medesimo tompo la rinovazion di quelle punture per avanti da mo sentito con tanta noia. Anno ben questi Signori, amici miei, mostrando in non piccola parte d’applau- dere a i miei concetti, procurato con vario ragioni di ritirarmi da così fatto proponimento. E primieramente ànno cercato persuadermi eh’ io dovessi poco apprezzare queste tanto pertinaci contradizzioni, quasi che in effetto, tutte in fine ritornando contro de i lor autori, rendesse!* più viva e più bella la mia ragione, e desser chiaro argo- 9 mento che non vulgari funsero i miei componimenti, allegandomi una commune sentenza, elio la vulgarità e la mediocrità, come poco o non punto considerate, son lasciate da banda, e solamente colà si ri¬ volgono gli umani intelletti ove si scopre la meraviglia e l’eccesso, il quale poi nelle menti mal temperate fa nascer tosto l’invidia, e appresso, con essa, la maldicenza. E ben che tali e somiglianti ra¬ gioni, addottemi dall’ autorità di questi Signori, fusser vicino al disto¬ gliermi dal mio risoluto pensiero del non più scrivere, nulladimeno A prevalse il mio desiderio di viver quieto senza tante contese; e cosi stabilito nel mio proposito, mi credetti in questa maniera d’aver» ammutite tutte le lingue, che ànno finora mostrato tanta vaghezza di contrastarmi. Ma vano m’ è riuscito questo disegno, nè co’1 tacer ho potuto ovviare a questa mia così ostinata influenza, dell’ aver a esserci sempre chi voglia scrivermi contro o prender rissa con esso meco. Non m’ è giovato lo starmi senza parlare, che questi, tanto vo¬ gliolosi di travagliarmi, son ricorsi a far mie l’altrui scritture; e su 219 ir- SAGGIATORE. quelle avendomi mosso fiera lito, si sono indotti a far cosa elio, a mio credere, non suol mai seguirò senza dar chiaro indizio d’animo appassionato fuor di ragiono. E porche non dee aver potuto il Sig. Mario Guiducci, per convenienza o carico ili suo officio, discorrer nella sua Academia c poi publicare il suo Discorso delle Comete, senza che Lottario Sarsi, persona del tutto incognita, abbia per que¬ sto a voltarsi contro di me, e, senza rispetto alcuno di tal gentil uomo farmi autore di quel Discorso, nel quale non ho altra parto che la stima e l’onore da esso fattomi noi concorrere col mio parere, da io lui sentito ne’sopradetti ragionamenti avuti con quo’Signori, amici miei co’quali il Sig. Guiducci si compiacque sposso di ritrovarsi? E quando puro tutto quel Discorso dello Comete fusae stato opera (li mia inailo (che, dovunque sarà conosciuto il Sig. Mario, ciò non potrà mai cadere in pensiero), elio termino sarebbe stato questo del Sarsi, mentre io mostrassi cosi voler essere sconosciuto, scoprirmi la faccia e smascherarmi con tanto ardirò ? Per la qual cosa, trovan¬ domi astretto da questo inaspettato e tanto insolito modo di trat¬ tare, vengo a romper la mia già stabilita risoluzione di non mi far più vedere in publico coi miei scritti ; o procurando giusta mia so possa che almeno sconosciuta non resti la discolivenitmza di questo fatto, spero d’ aver a fare uscir voglia ad alcuno di molestare (corno si dice) il mastino che dorme, e voler briga con chi si tace. E ben eli’ io m’ avvisi che questo nome, non mai più sentito noi mondo, di Lotario Sarsi serva per maschera di chi elio sia che voglia starsene sconosciuto, non mi starò, come ha fatto esso Sarai, a imbri¬ gar in altro per voler levar questa maschera, non mi parendo nò azzione punto imitabile, nò elio possa in alcuna cosa porgere aiuto o favore alla mia scrittura. Anzi ini do ad intendere elio '1 trattar seco come con persona incognita sia per dar campo a far più chiara » la mia ragione, e porgermi agevolezza orni’ io spieghi più libero il mio concetto. Perchè io ho considerato che molte volto coloro clic vanno in maschera, o son persone vili che sotto quell’ abito voglio» farei stimar signori e gentiluomini, e in tal maniera per qualche lor fine valersi di quella onorcvolezza che porta seco la nobiltà ; o talora son gentiluomini che deponendo, così sconosciuti, il rispettoso decoro richiesto a lor grado, si fanno lecito, come si costuma in molte citta ( 1 Italia, di poter d’ ogni cosa parlare liberamente con ognuno, pren- YL 28 220 IL SAGGIATORI’. olendosi insieme altrettanto diletto dio ognuno, sia chi si voglia, possa con essi motteggiare e contender senza rispetto. E di questi secondi credendo io che debba esser quegli elio si cu opre con questa maschera di Lottario Sarsi (oliò quando fusso de’primi, in poco gusto gli tor¬ nerebbe d’ aver voluto così spacciarla por la maggiore), mi credo ancora che, sì come così sconosciuto egli si è indotto a dir cosa contro di ino elio a viso aperto se no sarebbe l'orso astenuto, così non gli debba dovcro esser grave che, valendomi del privilegio conceduto contro le maschere, possa trattar seco liberamente, nò mi sia nè da lui nò da altri per esser pesata ogni parola eh’ io per avventura di- u cessi più libera eli’ oi non vorrebbe. Ed ho voluto, Illustrissimo Signore, ch’olla sia prima d’ogn’altro lo spettator di questa mia replica; imperciocché, come intendentis¬ sima e, per lo suo qualità nobilissimo, spogliata d’animo parziale, giustamente sarà per apprender la causa mia, nò lascerà di reprimer l’audacia di quelli che, mancando d’ignoranza ma non d’affetto appas¬ sionato (che de gli altri poco debbo curare), volessero appo del vulgo, che non intende, malamente stravolger la mia ragione. E ben che fosse mia intenzione, quando prima lessi la scrittura del Sarsi, di compren¬ derò in una semplice lettera inviata a V. S. Illustrissima lo risposte,a tuttavia, nel venire al fatto, mi sono in maniera moltiplicato tra le mani le cose degne d’ esser notato che in essa scrittura si contengono, che di lungo intervallo m’è stato forza passar i termini d’ima let¬ tera. Ho nondimeno mantenuta l’istessa risoluzione di parlar con V.S, Illustrissima ed a lei scrivere, qualunque si sia poi riuscita la forma di questa mia risposta ; la qualo ho voluta intitolare col nome di SAGGIATORE, trattenendomi dentro la medesima metafora presa dal Sarsi. Ma pei’chò m’ ò punito che, nel ponderare egli le proposi¬ zioni del Sig. Guiducci, si sia servito d’ una stadera un poco toppo grossa, io ho voluto servirmi d’ una bilancia da saggiatori, che sono» così esatte che tirano a meno d’ un sessantesimo di grano : e con questa usando ogni diligenza possibile, non tralasciando proposizione alcuna prodotta da quello, farò di tutte i lor saggi ; i quali nuderò per numero distinguendo e notando, acciò, se mai fussero dal Sani veduti e gli venisse volontà di rispondere, ei possa tanto più agevol mente farlo, senza lasciare indietro cosa veruna. Ma venendo ormai alle particolari considerazioni, non saia p* r IL SAGGIATORE. 221 avventura se non bene (acciò elio niente rimanga senza esser pon¬ derato) dir qualche cosa intorno all’ iuscrizzion dell’opera, la qualo il Sig!Lottario Sarei intitola UBILA ASTRONOMICA E FILOSOFICA; rende poi nell’ epigramma, eli’ oi soggiunge, la ragion che lo mosse a così nominarla, la qual è elio Pistessa cometa, col nascere e comparir nel segno della Libra, vollo misteriosamente accennargli eli’ ci do¬ vesse librar con giusta lanco e ponderar le coso contenuto nel trattato delle comete publicato dal Sig. Mario Guiducci. Dove io noto come il Sai-si comincia, tanto presto che più non era possibile, a tramutar io con gran confidenza le coso (stilo mantenuto poi in tutta la sua scrit¬ tura) per accommodarle alla sua intenzione. Gli era caduto in pen¬ siero questo scherzo sopra la corrispondenza di-ila sua Libra colla Libra celeste, o perchè gli pareva che argutamente venisse la sua metafora favoreggiata dall’ apparizion della cometa, quando olla lusso comparita in Libra, liberamente dico quella in tal luogo esser nata ; non curando di contradire alla verità, eag.28, lin.21-22], concludo così: Veruni, quae- cunque tandem ex his prima carnet ne lux fucrit, illi seni per Scorpìus patria scesi; e dodici versi più a basso [pag.2*, lin. 32-33]: Fucrit hoc sane, cani in Scorpio, hoc est in Martis praecipua domo, natus sit ; o poco di sotto [i»&. 28 , lin. 37-39]: Ef/o, quo ad vie allinei, pai riunì cius inquiro, quam Scor¬ ami fumé affirmo, cunctis edam assentientilms. Adunque molto più pro¬ porzionatamente, ed anco più veridicamente, se riguarderemo la sua scrittura stessa, l’avrebbe egli potuta intitolare L’ASTRONOMICO E FILOSOFICO SCORPIONE, costellazione dal nostro sovrau poeta Dante chiamata figura dol freddo animalo Clio colla coda percuoto la gente; e veramente non vi mancano punture contro di me, o tanto più gravi m di quelle degli scorpioni, quanto questi, come amici dell’uomo, non feriscono se prima non vengono offesi o provocati, e quello morde me che mai nè pur col pensiero non lo molestai. Ma mia ventura, die so l’antidoto e rimedio presentaneo a cotali punture ! Intruglierò dunque e stropiccerò l’istesso scorpione sopra le ferite, onde il veleno esorbito dal proprio cadavero lasci me libero e sano. 222 IL SAGGIATORE. 1. Or verniamo al trattato, o sia il primo saggio intorno ad alcune parole del proemio, cioè da Unus, quod sciam, fino a Dolmnus, 11 qual proemio sarà però da noi qui registrato intero, per total com¬ pitezza del testo latino, al quale non vogliamo che inanelli pur un iota. Tribus in cacio facifots ... Unus, quod sciam, Disputationm nostrani, d quidem palilo acrius, improbavit Galilaeus [pag.H3,lin.3-i6]. Nelle quali ultimo parole, cioè Unus, quod sciam, egli afferma die noi agramente abbiamo tassata la Disputazion del suo Maestro. Al che io non veggo per ora che occorra risponder cosa alcuna, av¬ venga che il suo detto è assolutamente falso; poi che, per diligenza» usata in cercar nella scrittura del Sig. Mario il luogo (già ch’egli noi cita), non l’ho saputo ritrovare. Ma intorno a questo avremo più a basso altre occasioni di parlare. 2. Seguita appresso (e sia il secondo saggio) : Doluhnusprimttm .,. prò se ipsa perorar et [pag. 113, lin. 10 — png. 114, lìu. DJ. Qui dice, aver da principio sentito doloro clic quel Discorso mi sia dispiaciuto, ma soggiunge essergli stato poi in luogo di consola¬ zione il veder l’istesso Aristotile, 'l'icone ed altri esser con simile asprezza tassati ; onde non erano di mestieri altro difese a quelli che nell’accuse fussero a parto con ingegni eminentissimi, la causa stessa : de’quali, anco nel lor silenzio, appresso giusti giudici assai da per sè stessa parlava o si difendeva. Dalle quali parole mi par di raccòlte che, per giudicio del Sarsi, di quelli che intraprendono a impugnar autori d’ingegno eminentissimo si debba far così poca stima, che nè anco metta conto che alcuno si ponga alla difesa de gli oppugnati, la sola autorità de’ quali basta a mantener loro il credito appresso gl’ intendenti. E qui voglio elio V. S. Illustrissima noti come il Sarsi, qual so ne sia la causa, o elezziono o inavvertenza, aggrava non poco la reputazion del P. Grassi suo precettore, principale scopo del quale nel suo Problema fu d’impugnar P opinion d’Aristotile intorno alle » comete, come nella sua scrittura apertamente si vede e l’istesso Sarsi replica e conferma in questa, alla fac. 7 [pag. 118, lin. 1-2]; di modo che se i contradittori a gli uomini grandissimi devono esser trapassati, il P. Grassi doveva esser un di questi. Tuttavia noi non solamente non P abbiamo trapassato, ma ne abbiamo fatto la medesima stima che de gl’ingegni eminentissimi, accoppiandolo con quelli ; sì che in cotal particolare altrettanto viene egli da noi essaltato, quanto dal suo disco IL SAiifiIATOltK. )0 lo abbassato. Io non veggo che il Sarsi possa por sua scusa addurre litro se non che il suo senso sia stato che degli oppositori a gl’ in¬ gegni eminentissimi si devono ben lasciar da banda i volgari, ma H°incontro pregiar quegli ch’ossi ancora sono eminentissimi, tra i ([tiali egli abbia inteso di riporre' il suo Maestro, c noi altri tra i popolari, onde per cotal rispetto quello elio al Maestro suo si con¬ veniva fare, a noi sia stato di biasimo. 3. Segue appresso (e sia il terzo saggio): Sai quando sapicntissimis paucis agcndum statui fpng.iH, li«. r»-»]. io 11 senso di queste parole, continuato con quello delle procedenti, mi par ch’importi questo: elio do’contradittnri a gl’ingegni eminen¬ tissimi non si debba, conio già si ù dotto, far conto, ma trapassargli sotto silenzio, o se pur si dovesse lor rispondere, si dia il carico a persone più tosto basse, eli’altrimenti ; e che però nel nostro caso sia parato a uomini sapientissimi elio sia ben fatto che non l’istessoP. Grassi o altro d’egual reputazione, ma elio salt un aliquis rispondesse al Galilei. E sin qui io non dico nò replico altro, ma, conoscendo o confessando la mia bassezza, inclino il capo alla sentenza d’ uomini tali. Ben mi maraviglio non poco elio il Sarsi di proprio moto si abbia eletto »d’esser quel saltcm aliquis ch’abbracci e si sbracci a tale impresa che, per giudieio d’uomini sapientissimi e suo, non doveva esser de¬ ferita in altri che in qualcho soggetto assai basso, nò so ben inten¬ dere come, essendo naturalo instinto d’ ognuno 1’ attribuire a sò stesso più tosto più che manco del inerito, ora il Sarsi avvilisca tanto la sua condizione, che s’induca a spacciarsi per un saltcm aliquis. Que¬ sto inverisimile mi ha tenuto un pozzo sospeso, o finalmente m’ha fatto verisimilmente crodoro eli’ in queste sue parole possa esser un pocod’eiTor di stampa, e che dov'è stampato ut essct saltcm aliquis ?«i Gatilaei dispufationem diligcntius expenderct, si debba leggere ut essct so qui saltem aliqua in Galilaci disputatane paulo diti genti us expenderct : la qual lettura io tanto reputo esser la vera o legittima, quanto ella puntualmente si assesta a tutto ’l resto del trattato, o 1’ altra mal s aggiusta alla stima eli’ io pur voglio credere che il Sarsi faccia di se stesso. Vedrà dunquo V. S. Illustrissima, nell’ andar meco essami- nando la sua scrittura, quanto sia vero questo eh’ io dico, cioè ch’egli delle cose scritte dal Sig. Mario ha solamente essaminato aliqua, anzi pino saltcm aliqua, cioè alcune minuzie di poco rilievo alla principale 224 TI, SAGGIATORE. intenzione, trapassando sotto silenzio le conclusioni o le ragioni prin¬ cipali : il che ha egli fatto perchè conosceva in coscienza di non po¬ ter non le lodare e confessar vero, che sarebbo poi stato contro alla sua intenzione, che fu solamente ili dannare ed impugnare, com’egli stesso scrivo alla fac. 42 [pag. IBI, Un. 7-11] con queste parole: Atqui linee ile Galilaei sentcntia, in iis quac comctam immediate spectant, dieta siili, Plura enim dici vetat ipsemet, qui, in bene lamia disputalione, quid sentirei paucis admodum atipie involulis verbis e.rposuit, nobisque plura in Uhm affé- rendi locum pracclusit. Qui enim refelleremus quac ìpse ncc protulit, ncque ■nos divinare potuìmus? Nello quali parole, oltre al vedersi la già detti io intenzion di confutar solamente, io noto duo altre cose: l’unaè,eh’ci simula di non aver inteso molto coso per esseri; (die’egli) state scritte oscuramente, elio vengon a esser quello nelle quali non lia trovato attacco per la contradizzione; l’altra, ch’egli ilice non aver potuto confutar lo coso eli’ io non ho profferite nò egli ha potute indovi¬ nare : tuttavia V. S. Illustrissima vedrà conio la verità è che la mag¬ gior parte dolio coso eli’ ei prende a confutare sono delle non prof¬ ferite da noi, ma indovinato o vogliala diro immaginato da esso. 4. Rem quamplurìmis pcrijratam ... cum Constile, interim disputare [pug. 114, lin. 8-24]. 3) In tutto questo restante del proemio io noto primamente, come il Sarsi pretende d’ aver fatto cosa grata a molti colla sua impugna¬ zione : e questo forse può essergli accaduto con alcuni elio non ab¬ biano per avventura letta la scrittura del Sig. Mario, masenesieno stati all’ informazion sua ; la quale venendo fatta privatamente e (come si dice) a quatti’’ occhi, quanto o quanto sarà ella stata lon¬ tana dalle cose scritte, poi elio in questa publica e stampata oi non s’ astiene d’ apportar in campo moltissimo coso come scritte dal Sig. Mario, le quali non furon mai nè nella sua scrittura nè pur nella nostra imaginazione? Soggiungo poi, volersi astenere da quelle pa-* role che danno indizio più tosto d’animo innasprito od adirato,che di scienza : il che quanto egli abbia osservato, vedremo nel progresso. Ma per ora noto la sua confessione, d’essere internamente inntòpflw ed in collera, perchè quando ei non fusse tale, il trattar di (l'usto volersi astenere sarebbe stato non dirò a sproposito, ma superfluo, perchè dove non è abito o disposizione, 1’ astinenza non ha luogo. A quello ch’egli scrive appresso, di voler come terza persona riferir IL SAGGIATORI’. quelle coso eh’ ogli ha intese dui 1*. Orazio Orassi, suo precettore, in¬ torno agli ultimi miei trovati, io assolutamente non credo tal cosa, e tengo per fermo elio il detto Padre non abbia mai nò dette nò pensate nò vedute scritto dal Sarsi tali fantasie, troppo lontano per ogni rispetto dalle dottrine che si apprendono nel Collegio dove il P. Grassi ò professore, come spero di far chiaramente conoscere. E già, senza punto allontanarmi di (pii, chi sarebbe quello che, avendo pur qualche notizia della prudenza di quoi Padri, si potesse indurre a credere che alcuno di essi avesse scritto o publicato, di’ io in let- ìotere private, scritto a Roma ad amici, apertamente ini fussi fatto autore della scrittura del Sig. Mario ? cosa che non ò vera ; o quando vera fusso stata, il publicarla non poteva non dar qualche indizio d’aver piacere di sparger qualche senio onde tra stretti amici po¬ tesse nascer alcun’ ombra di ditlidonza. E quali termini sono il pren¬ dersi libertà di stampar gli altrui dotti privati? Ma ò bene che V. S. Illustrissima sia informata della verità di (piusto fatto. Per tutto il tempo elio si vide la cometa, io mi ritrovai in letto indisposto, dove, sendo frequentemente visitato da amici, cadde più volto ragionamento dello cornute, ondo in’ occorse diro alcuno do’ miei 20 pensieri, che rendevano piena di dubbi la dottrina datano sin qui. ira gli altri amici vi fu più volte il Sig. Mario, o signilìcommi un giorno aver pensiero di parlar nell’ Acadomia dello comete, nel qual luogo, quando così mi fusso piaciuto, egli avrebbe portate, tra lo cose eh’ egli aveva raccolte da altri autori e quello che da per se aveva immaginate, anco quelle clic aveva intese da me, già eli’ io non ero in istato di potere scrivere : la qual cortese offerta io reputai a mia ventura, e non pur 1' accettai, ma ne lo ringraziai e me gli confessai obligato. In tanto e di Roma o d’altri luoghi, da altri annoi e padroni che forse non sapevano della mia indisposizione, mi 30 veniva con instanza pur domandato so in tal materia avevo alcuna cosa da. dire: a’quali io rispondevo, non aver altro che qualche abitazione, la quale anco non potevo, rispetto all’ infermità, met¬ ro in carta; ma elio bene speravo che potesse essere che in breve 'eiesseio tali miei pensieri o dubbi inseriti in un discorso d’un gentiluomo amico mio, il quale per onorarmi aveva preso fatica 1 raccor gH ed inserirgli in una sua scrittura. Questo ò quanto ò ,C1 o da uie, il che ò anco in più luoghi stato scritto dal medesimo IL SAGGIATORE. Sig. Mario ; sì che non occorreva che il Sarsi, con aggiungere a vero, introducesse mie lettore, nè mettesse il Sig. Mario a sì picco]» parte della sua scrittura (nella quale egli ve V ha molto maggior
  • ni sentivo in obligo. Mi direte forse eh’ io dovevo tacerne. A questo vi rispondo, primamente, che troppo strettamente ci eravamo posti in j^igo, il Sig. Mario ed io, avanti la publicazion della scrittura del rossi, di lasciar vedere i nostri pensieri ; sì che il tacere poi , 6) e S ^° lln tirarsi addosso un disprezzo o quasi derision gone- G ‘ S0 ogi un go, che mi sarei anco sforzato, o forse 1’ avrei 228 IL SAGGIATORE. impetrato, elio il Sig. Guiducci non publicusse il suo Discorso, quando in esso lusso stato cosa pregiudicialo alla degnila di quel famosissimo Collegio o d’ alcun suo professore ; ma quando V opinioni impugnate da noi sono state tutto d’ altri prima elio del Matematico professore del Collegio, non veggo perchè il solo avergli S. R. prestato l’assenso avesse a metter noi in obligo di dissimulare ed ascondere il vero per favoreggiare e mantenere vivo uno errore. La nota, dunque, di poco intendente di logica cade sopra Tieono ed altri elio ànno commesso P equivoco in quell’ argomento ; il quale equivoco si ò da noi sco¬ perto non per notare o biasimare alcuno, ma solo per cavare altrui « d’ errore e per manifestare il vero : o tale nazione non so clic mai piossa esser ragionevolmente biasimata. Non ha, dunque, il Sarsi causa di dire che sia appresso di ino avvilita la degniti del Collegio Ro¬ mano. Ma bene, all’incontro, quando la voce del Sarsi uscisse di quel Collegio, avrei io occasion di dubitare elio la dottrina o la reputa¬ ndoli mia, non solo di presente ma forse in ogni tempo, sia stata in assai vile stima, poi che in questa Libra ninno de’miei pensieri viene approvato, nè ci si leggo altro elio contradizzioni accuse e biasimi, ed oltre a quel di’ è scritto (so si devo prestar credenza al grido) uno aperto vanto di poter annichilar tutte le cose mie. Ma sì come io» non credo questo, nè che alcuno di questi pensieri abbia stanza in quel Collegio, così mi vo immaginando che il Sarsi abbia dalla sua filosofia il poter egualmente lodare e biasimare, confermare e ribut¬ tar, le medesime dottrine, secondo elio la benevolenza o la stizza lo traporta: e fammi in questo luogo sovvenir d’un lettor di filosofìa a mio tempo nello Studio di Padova, il quale essendo, come talvolta accade, in collera con un suo concorrente, disse che quando quello non avesse mutato modi, avria sotto mano mandato a spiar l’opinioni tenute da lui nelle sue lezzioni, e che in sua vendetta avrebbe sempre sostenute le contrarie. 6. Or legga Y. S. Illustrissima: Scd ne tenipus ... fortunet magi* [pag. Ili), lin. 3-20], Da quanto il Sarsi scrivo in questo luogo, mi par di comprendere eh’ ei non abbia con debita attenzione letto non solo il Discorso del Sig. Mario, ma nè anco quello del P. Grassi, poi che e dell uno c dell’ altro adduce proposizioni che in quelli non si ritrovano. B en 1 vero che per aprirsi la strada a poter riuscire a toccarmi non se II, SAGGIATO!!K. 220 che di Copernico, egli avrebbe avuto bisogno elio le vi lusserò stato scritte ; onde, in difetto, l’ba voluto supplir del suo. E prima, non si trova nella scrittura del Sig. Mario buttato, conio si dice in occhio, nò attribuito a mancamento al P. Grassi P aver giurato fedeltà a Tieono e seguitato in tutto e per tutto lo suo vano machinazioni. Ecco i luoghi citati dal Sarsi. Alla fac. 18 [pag.G-t, lin. 15 — pag.Gu, lin. 8]: « Appresso verrò al Professor di Matematica del Collegio domano il quale in una sua scrittura ultimamente publicata paro che sottoscriva ad ogni detto d’ esso Tieono, aggiungendovi anco qualche io nuova ragiono a confermatoli dell' istesso parere». L’altro luogo a f ac .38 [pag. 92 , lin.26 — pag. 03, lin. 4]: « Il Matematico del Collegio Romano ha parimente per quost’ultima cometa ricovuto la medesima ipotesi; o a così affermare, oltre a quel poco elio n’ ò scritto dall’Autore, che consuona colla posizion di Tieono, m’induce ancora il vedere in tutto il rimanente dell’opera quanto ei concordi coll’altro Ticonicho im¬ maginazioni ». Or vegga V. S. Illustrissima so qui s’ attribuisce cosa veruna a vizio o mancamento. l)i più, è ben chiarissimo elio non si trattando in tutta l’opera d’altro elio de gli accidenti attenenti alle comete, de’quali Tieono ha scritto sì gran volume, il dire che il Ma¬ si) tematico del Collegio concorda coll’altro immaginazioni di Tieono, non s’estende ad altre posizioni eh’a quello eli’appartengono alle comete; sì che il chiamar ora in paragon di Tieono, Tolomeo o Copernico, i quali non trattaron mai d’ipotesi attenenti a comete, non veggo che ci abbia luogo opportuno. Quello poi che dice il Sarsi, che nella scrittura del suo Maestro non vi si trova altro, in che egli abbia seguito Tieono, fuor che lo dimostrazioni per ritrovare il luogo della cometa, sia dotto con sua pace, non è vero; anzi nessuna cosa vi è mono, che simile dimostra¬ zione. Tolga Iddio che il P. Grassi avesse in ciò imitato Tieono, nò esibisse accolgo, quanto nel modo d’investigar la distanza della co¬ meta per l’osservazioni fatte in due luoghi differenti in Terra, si mo¬ do bisognoso della notizia de’primi elementi delle matematiche. Ed acciocché V. 8. Illustrissima vegga eh’ io non parlo così senza fonda¬ mento, ripigli la dimostrazion eh’ egli comincia alla fac. 123 del trat¬ tato della cometa del 1577, eh’ò nell’ultima parto de’suoi Progin- imsmi. nella quale volendo egli provare com’ella non fosse inferiore a Luna per la conferenza dell’ osservazioni fatte da sò in Urani- 230 IL SAGGIATORE. lnirg 0 da Tadeo Agecio in Praga, prima, tirata la subtesa AB a l- 1’ arco dell’ orbo terrestre elio inedia tra i detti due luoghi, e tra¬ guardando dal punto A la stella fìssa posta in D, suppone l’angolo -DAB esser retto; il elio ù molto lontano dal pos¬ sibile, perchè, sondo la linea AB corda d’un arco minor di gradi 6 (corno Ticon medesimo afferma) bisogna, acciò che il detto angolo sia retto, che la fissa 1) sia lontana dal zenit di A meno di gradi 3 ; cosa eli’ è tanto falsa, quanto che la sua minima distanza ò più di gradi 48, essendo, per w detto dell’ istesso Ticone, la declinazion della fìssa 1), eh’è l’Aquila o vogliamo dire 1’ Avvoltoio, di gradi 7.52 verso borea, e la lati¬ tudine di Uraniburg gradi 55. 54. In oltre egli scrive, la medesima stella fissa da i duo luoghi A e 11 vedersi nel medesimo luogo del- 1’ ottava sfera, perchè la Terra tutta, non elio la piccola parte AB, non lia sensibil proporziono coll’ immensità d’ essa ottava sfera. Ma perdonimi Ticone: la grandezza e piccolezza della Terra non ha che fare in questo caso, perchè il vedersi da ogni sua parte la medesima stella nell’istesso luogo deriva dall’essere ella realmente nell’ottava sfera, e non da altro; in quel modo a punto che i caratteri che sono » sopra questo foglio, già inai rispetto al medesimo foglio non mute¬ ranno apparenza di sito, per qualunque grandissima mutazion di luogo che faccia l’occhio di V. S.Illustrissima che gli riguarda:ma ben uno oggetto posto tra 1’ occhio o la carta, al movimento della testa varierà 1’ apparento sito rispetto a’ caratteri, sì che il mede¬ simo carattere ora se gli vedrà dalla destra, ora dalla sinistra, ora più alto, ed ora più basso; ed in cotal guisa mutano apparente luogo i pianeti nell’ orbo stellato, veduti da differenti parti della Terra, perchè da quello sono lontanissimi ; o quello che in questo caso opera la piccolezza della Terra, è clic, facondo i più lontani da noi minor» varietà d’ aspetto, ed i più vicini maggiore, finalmente per uno lon¬ tanissimo la grandezza della Terra non basti a far tal varietà sen¬ sibile. Quello poi che soggiunge accadere conforme alle leggi degli archi e dello corde, vegga V. S. Illustrissima quant’ ei sia da tali leggi lontano, anzi pure da’primi elementi di geometria. Egli dice, le due rette AD, BD esser perpendicolari alla AB : il che è impossibile, per¬ chè la sola retta che viene dal vertice è perpendicolare sopra la tan- IL SAGOIATUltK. 231 te e le sue parallele, o questo non vengono altramente dal vortice, nè p AB è tangente o ad essa parallela. In oltre, ei lo domanda pa¬ rallele e appresso dico elio le si vanno a congiungcro nel centro : dove oltre alla contradizziono dell’esser parallelo o concorrenti, vi è clic prolungate, passano lontanissimo dal contro. E finalmente con¬ durle elio venendo dal contro alla circonferenza sopra i termini dell’AB, elle sono perpendicolari : il elio è tanto impossibile, quanto che delle linee tirate dal contro a tutti i punti della corda All, sola quella elio cado nel punto di me/.o gli è perpendicolare, e quelle olio io cascano ne gli estremi termini sono più di tutto l’altro inclinate od oblique. Vegga dunque V. S. Illustrissima a quali o quante ©esorbi¬ tanze avrebbe il Sarsi fatto prestar 1’ assenso dal suo Maestro, quando vero fusse ciò eli’in questo proposito lm scritto, cioè che quello abbia seguitate le ragioni o modi di dimostrar di Tifone nel ricercar il luogo della cometa. Vegga di più il medesimo Sorsi quant’io meglio di lui, senza adoperar astrologia nò telescopio, abbia penetrato, non dirò i sensi interni dell’ animo suo, perchè por ispiar questi io non ho nè occhi nè anco orecchi, ma i sensi della sua scrittura, i quali son pur tanto chiari e manifesti, che bisogno non ci ò de gli ocelli » lincei, gentilmente introdotti dal Sarsi, credo per ischerzaro un poco sopra la nostra Academia. E perchè e V. S. Illustrissima ed altri Prin¬ cipi e Signori grandi son meco a parte nello scherzo, io, per la dot¬ trina di sopra insegnatami dal Sarsi, non curando molto i suoi motti, mo la passerò sotto l’ombra loro, o, per meglio diro, illustrerò l’om¬ bra mia col loro splendore. Ma tornando al proposito, vegga com’egli di nuovo vuol pure ch’io abbia reputato gran mancamento nel P. Grassi l’aver egli ade¬ rito alla dottrina di Ticono, e risentitamente domanda : Chi oi doveva seguitare? forse Tolomeo, la cui dottrina dalle nuove osservazioni in » Marte è scoperta per falsa? forse il Copernico, dal quale più presto si deve invocar ognuno, mercè dell’ ipotesi ultimamente dannata ? Bovo io noto più cose : o prima, replico eli’ è falsissimo eh’ io abbia mai biasimato il seguitar 'Bicone, ancor elio con ragione avessi pio¬ tato farlo, come pur finalmente dovrà restar manifesto a i suoi ade- iciiti per l’Antiticone del Sig. Cavalier Chiaramente ; sì eho quanto qui scrive il Sarsi, è molto lontano dal proposito ; e molto più fuor del easo s ’introducono Tolomeo e Copernico, de’ quali non si trova 932 IL SAGGIATORE. clic scrivessero mai parola ut telici ito 1 palliare il detto del Sig. Mario, ha voluto abbarbagliar la vista al lettore, sì che gli resti concetto clic il Sig. Mario abbia parlato a io sproposito ; perchè a voler che l’obbiozzioni del Sarsi avessero vigore, bisognerebbe che, dove il Sig. Mario, parlando in generale a tutto il mondo, dice: «A chi vuol elio l’argomento della paralasse militi nella cometa, convien che provi prima, quella esser cosa reale , biso¬ gnerebbe, dico, che avesse dotto: « Se il 1’. Grassi vuole che 1’argo¬ mento della paralas.se militi contro Aristotile, elio tiene la cometa esser cosa reale, e non apparente, bisogna elio prima provi che la cometa sia cosa reale, o non apparento »; e così il detto del Sig. Mario sarebbe veramente, quale il Sarsi lo vorrebbe far apparire, un gran¬ dissimo sproposito. Ma il Sig. Mario non ha mai nò scritte nò pen¬ iate queste sciocchezze. 9. Sed confiitandac etiam . . . natura impulerit traxeritque [pag. 1 18, lin. 7 — pag. 119, lin. 8], Qui volendo anco in universale mostrar, la duliitazion promossa dal Sig. Mario esser vana e superflua, dice, niuno autore antico o moderno, degno d* esser avuto in considerazione, aver mai stimato la cometa potere esser una semplice apparenza, e che per ciò al suo Maestro, il quale solo con questi disputava o di questi soli aspirava alla vittoria, niuu mestier faceva di rimuoverla dal numero de’ puri simulacri. Al che io rispondendo, dico primieramente elio il Sarsi an¬ si coca con simil ragione poteva lasciare stare il Sig. Mario e me, poi che siam fuori del numero di quegli antichi e moderni contro i quali il suo Maestro disputava, ed abbiamo avuta intenzione di parlar so¬ lamente con quelli (sieno antichi o moderni) che cercano con ogni studio d’investigar qualche verità in natura, lasciando in tutto c per latto ne lor panni quegli che solo per ostentazione in strepitoso con¬ tee aspirano ad esser con pomposo applauso popolare giudicati non ritiovatori di cose vere, ma solamente superiori a gli altri ; nè do¬ vi. 80 230 IL SAGGIATORE. veva mettersi con tanta ansietà por atterrar cosa che nè a sène al suo Maestro era di pregiudicio. Doveva secondariamente considerare che molto più è scusabile uno a chi in alcuna professione non cade in mente qualche particolare attenente a quella, e massime quando nò anco a mille altri, che abbiano professato il medesimo, è sovve¬ nuto, che quegli a cui venga in mente, o presti 1’assenso a cosa che sia vana ed inutile in quell’affare; ond’ ei poteva e doveva più tosto confessare che al suo Maestro, com’ anco a nessun de’ suoi anteces¬ sori, non era passato per la monto il concetto che la cometa potesse essere una apparenza, che sforzarsi per dichiarar vana la considera-it zion sovvenuta a noi : perchè quello, oltre che passava senza niuna offesa del suo Maestro, dava indizio d’ una ingenua libertà, e questo, non potendo seguire senza offesa della mia reputazione (quando gli fusse sortito l’intonto), dà più tosto segno d’ animo alterato da qual¬ che passiono. Il Sig. Mario, con isperanza di far cosa grata e pro¬ fittevole agli studiosi del vero, propose con ogni modestia, che per l’avvenire fusse bono considerare l’essenza della cometa, e s’ella potesso esser cosa non reale, ma solo apparento, e non biasimò il P. Grassi nè altri, che per 1’ addietro non 1’ avesser fatto. Il Sarsi si leva su, e con mente alterata cerca di provare, la dubitazione» essere stata fuor di proposito, ed esser di più manifestamente falsa; tuttavia per trovarsi, come si dice, in utrumque paratus, in ogni evento eh’ ella apparisse pur degna di qualche considerazione, per ispogliarnii di quella lode che arrecar mi potesse, la predica per cosa vecchia del Cardano e del Telesio, ma disprezzata dal suo Maestro come fan¬ tasia di filosofi deboli e di niun séguito; ed in tanto dissimula, e non sente con quanta poca pietà egli spoglia e denuda coloro di tuttala reputazione, per ricoprire un piccolissimo noo di quella del suo Mae¬ stro. Se voi, Sarsi, vi fate scolare di quei venerandi Padri nella na¬ turai filosofia, non vi fate già nella morale, perchè non vi sarà ere- Sl duto. Quello che abbiano scritto il Cardano o’l Telesio, io non l’ho veduto, ma per altri riscontri, che vedremo appresso, posso facil¬ mente conghietturare che il Sarsi non abbia ben penetrato il senso loro. In tanto non posso mancare, per avvertimento suo e per difesa di quelli, di mostrar quanto improbabilmente ei conclude la lor poca scienza della filosofia dal piccol numero de’suoi seguaci. 1 ( orso crede il Sarsi, die de’ buoni filosofi se ne trovino le squadre intero dentro 11. SAGGIATORE. 237 0 SAGGIATORE. per la Luna. Dall' apparir, dunque, la coda (lolla cometa direttamente opposta al Sole, altro non si può necessariamente concludere, che l’esser nel medesimo piano coll’ occhio. Or sia, nel quinto luogo, notata certa, dirò così, incostanza nelle parole verso il dine dello lette da V. S. Illustrissima e da me esami¬ nato ; dove il Sarsi si prende assunto di voler più a basso mostrate quanto malamente io, cioè il Sig. Mario, abbia attribuito alla co- meta il moto retto, o poi, tre versi più a basso, dice non esser bi¬ sogno alcuno d’escluder questo moto retto, il qual era certo e ma¬ nifesto già mai non ritrovarsi nello comete. Ma so l’impossibilità h di (presto moto è certa e manifesta, a elio proposito mettersi a vo¬ lerla escludere? ed in qual modo ò ella certa e manifesta, se, per detto del Sarsi, nessuno l’Ira pur mai non solamente confutata, ma nò anco considerata? Al Kopploro solo, die’egli, ò tal moto venuto in considerazione. Ma il Kepplero non lo confuta, anzi l’introduce per possibile e vero. Farmi che ’l Sarsi, sentendosi di non poter far altro, cerchi d’ avviluppare il lettore: ma io cercherò di disfarei viluppi. 11. Sed dum illnd ... visuras umqunm farei [img.120, li». 15—pag.i2l,lk7). Qui, primieramente, se io ammetto l’accusa clic ini dà il Sarsi di» poco considerato, mentre non mi siano venuti in mente i diversi moti ch’attribuir si possono alla cometa, non so com’egli potrà scoi piare dalla medesima nota il suo Maestro, il quale non considerò il potersi ella muover di moto retto; e s’ egli scusa il suo Maestro col dire che tal considerazione sarebbe stata superflua, non senile stato da niun altro autore introdotto tal movimento, non veggo ili meritar d’essero accusato io, ma sì ben nell’istesso modo debbo es¬ sere sensato, non si trovando autor nessuno eli’ abbia introdotti que¬ sti moti stranieri eli’ ora nomina il Sarsi. In oltre, Sig. Sarsi, toccava al vostro Maestro, o non a me, a piensare a questi movimenti pere¬ quali si potesse render convenevol ragione dello digressioni così grandi della cometa ; e se alcuno ve n’ ò accommodato a tal bisogno, do¬ veva nominarlo e quel solo accettare, e non lasciarlo sotto silenzio e introdurre con Ticone il semplice circolare intorno al Sole, inettis simo a salvar cotale apparenza, e voler pioi che non osso in* 1,(11 avessimo commesso fallo, in non indovinare eh’ ci potesse interna mente aver dato ricetto a pensieri diversissimi da quello eh 243 IL SAGGIATORE. scritto. Di più, il Sig. Mario non ha mai detto elio non sia in natura modo alcuno di salvar la digressione d’ una quarta (anzi se tal di¬ gressione è stata, ben chiara cosa ò che ci ò anco il modo corri’ olla è stata); ma ha detto: Nell’ipotesi ricevuta dal Padre non si può far tal digressione senza che la cometa tocchi la Terra, o anco la penetri. Vana, dunque, è sin qui la scusa del Sarsi. Ma fors’ei pre¬ tende ch’ogni leggiera scusa si debba ammettere per lo suo Maestro, madie per me ogni più gagliarda resti invalida; o so questo è, io volentieri mi quieto e liberamente gliel concedo, to Evengo, nel secondo luogo, a produrre altra scusa per me (vestito della persona del Sig. Mario); e con ingenuità confessando, non m’es¬ ser venuti in mente i movimenti per eccentrici o per linee ovali o per altre irregolari, dico ciò essere accaduto perch’ io non soglio dar orecchio a’concetti elio non anno elio fare in quel proposito di che si tratta. E che vuol fare il Sarsi del moto intorno al Sole in una figura ovale, per far digredir la cometa una quarta? cred’ egli forse che, coll’allungar per un verso o stringer per l’altro tal ligura, gli possa succedere l’intento? certo no, quando anco ei l’allungasse in infinito. E la medesima impossibilità cade nell’ eccentrico che sia per sola minor parte sotto il Solo. E per intelligenza del Sarsi, V. S. Illu¬ strissima potrà una volta, incontrandolo, proporgli due tali linee rotte AB, CD, delle quali la Gl) sia perpendicolare all’AB, o dirgli elio supponendo la retta I)C esser quella che va dall’oc¬ chio al Sole, quella per la quale si ha da vedere la cometa digredita 90 gradi, bisogna che di necessità sia la DA o vero I)B, essendo communemente conce¬ duto, il moto apparente della cometa esser nel piano d'un cerchio massimo: lo preghi poi, che per nostro ammaestramento egli descriva l’eccentrico o l’ovato nominati da lui, » per li quali movendosi la cometa possa abbassarsi tanto ch’ella venga veduta per la linea ADB, perché io confesso di non lo saper fare. E sin qui vengono esclusi due do’ proposti modi: ci resta l’altro eccentrico col centro declinante a destra o a sinistra della linea I)C, e la linea ir¬ regolare. Quanto all’ eccentrico, è vero che non ò dol tutto impossi¬ bile a disegnarsi in carta in maniera che causi la cercata digressione ; ma dico bene al Sarsi che s’ ei si metterà a delincar il Sole cogli cibi di Mercurio e di Venere attorno, e di più la Terra circondata QAA ^ t 1 il saggiatori;. dall’orbo della Luna, conio di necessità convien fare l’uno e l’altro e poi si porrà a volervi ingarbare un tale eccentrico per la cometa credo certo che so gli rappresenteranno tali essorbitauze e mostruo¬ sità, che quando bene con tale scusa oi potesse sollevare il suo Mae¬ stro, si spaventerebbe a farlo. Quanto poi alle linee irregolari, non è dubbio nessuno che non solamente questa, ma qualsivoglia altra apparenza si può salvare : ma voglio avvertire il Sarsi che l’introdur tal linea non pur non gioverebbe alla causa del suo Maestro, ma più gravemente gli pregiudicherebbe, e questo non solamente perdi’ei non l’ha nominata mai, anzi accettò la linea circolare regolarissima, 11 per così dire, sopra ogn’ altra, ma perchè maggior leggerezza sarebbe stata il proporla ; il che potrebbe intendere il Sax-si medesimo, tut- tavolta eh’ ei considerasse che cosa importi linea irregolare. Chia- mansi linoo regolari quello che, avendo la lor descrizione una, ferma e determinata, si possono definire, e di loro dimostrare gli ac¬ cidenti e proprietà : e così la spirale ò regolare, e si definisce nascer da due moti uniformi, l’un retto o l’altro circolare; così l’ellittica, nascendo dalla sezzion del cono o del cilindro, etc. Ma le linee irre¬ golari son quello che, non avendo determinazion veruna, sono infinite e casuali, e perciò indefinibili, nè di esse si può, in conseguenza, di- mostrar proprietà alcuna, nè in somma saperne nulla. Sì che il voler dire « Il tale accidente accade mercè di una linea irregolare » è il medesimo che dire « Io non so perchè ei s’ accaggia »; e l’introduz- zione di tal linea non è punto migliore delle simpatie, antipatie, pro¬ prietà occulte, influenze ed altri termini usati da alcuni filosofi per maschera della vera risposta, che sarebbe « lo non lo so », risposta tanto più tollerabile dell’ altre, quant’ una candida sincerità è più bella d’un’ingannevol doppiezza. Fu dunque molto più avveduto il I*. Grassi a non propor cotali linee irregolari come bastanti a sod¬ disfare al quesito, che il suo scolare a nominarle. F ben vero, s’io devo liberamente dire il mio parere, che io credo elio il Sarsi medesimo abbia benissimo ed internamente compresa l’inefficacia delle sue risposte, o che poco fondamento ci abbia fatto sopra; il che conghietturo io dall’essersene con gran brevità spedito, ancor che il punto fusse principalissimo nella materia che si tratta, e le difficoltà promosse dal Sig. Mario gravissime : cd egli di sè me¬ desimo mi è buon testimonio mentre, alla fac. 16 [pag. 127, lin. 4-/], Il, SAGGIATORE. 215 rluido di certo argomento usato dui suo Maestro, scrive: Gadcrnm, pinti hoc argumentum apuil nos cssd, natia arbitrar ex co poterai intel¬ ai (jim i paucis adeo ac piane ieiuuc propositum fiierit, non prius rcli- a ( i no l ol i(jc aerar alias ac fusila s fuissnit esplicala. K con qual brevità c quanto sobriamente egli abbia tocco questo, voggasi, oltre all’ al¬ tre cose, dui non aver pur fatto lo ligure dogli eccentrici o dell’ el¬ lissi introdotte per salvare il tutto; dove elio più a basso incontre¬ remo un mar di disegni inseriti in un lungo discorso, per riprovar poi una esperienza che in ultimo non reca pure un minimo ristoro 10 alla principale intenzione elio si ha in quel luogo. Ma, senz’ andar più lontano, entri pur V. S. Illustrissima in un oceano di distinzioni, sillogismi ed altri termini logicali, o troverà esser fatta dal Sarsi stima grandissima di cosa clic, liberamente parlando, io stimo assai meno della lana caprina. 12. Scd (piando Magistro vico . .. per me inni potest [pag. 121 , lìn. 8 - png. 125, lin. 18]. Qui, come vede V. S. Illustrissima, in contracambio dell’ equivoco noi quale il P. Grassi era, come il Sig. Guidueei avverte, incorso, se¬ guendo l’orine di Ticone e d’altri, vuole il Sarsi mostrare, me aver » altrettanto, o più, errato in logica; mentre elio per mostrare, l’au- gumento del telescopio esser nello stelle fisso (pialo negli altri og¬ getti, e non insensibile o nullo, conio aveva scritto il Padre, si argo¬ mentò in cotal forma : Molte stello del tutto invisibili a qualsivoglia vista libera si rendon visibilissimo col telescopio; adunque talo augu- meuto si doverebbe più tosto chiamare infinito che nullo. Qui insorgo il Sarsi, e con lunghissime conteso fa forza di dichiararmi pessimo logico, per aver chiamato tale ingrandimento infinito: alle quali tutte, perché ormai sento grandissima nausea da quelle alterazioni nelle quali io altresì nolla mia fanciullezza, montr’ oro ancor sotto il » pedante, con diletto m’ingolfavo, risponderò breve o semplicemente, parermi che il Sarsi apertamente si mostri quale egli tenta di mo¬ strar me, cioè poco intendente di logica, montr’ ei piglia por asso¬ luto quello eh’è detto in relaziono. Mai non si è detto, 1'accresci¬ mento nelle stelle fisso esser infinito ; ma avendo scritto il Padre, quello esser nullo, ed il Sig. Mario avvertitolo, ciò non esser vero, poi che moltissime stelle di totalmente invisibili si rendono visibilis- sime, soggiunse, tale accrescimento doversi più tosto chiamare infinito 246 li, SAGGIATORE. che nullo. E chi è così semplice che non intenda che chiamandosi il guadagno di mille, sopra conto di capitale, grande, e non nullo, il medesimo sopra dicco, grandissimo, o non nullo, e’ non intenda, dico elio 1’ acquisto di mille sopra il niente più tosto si deva chiamare infinito che nullo? Ma quando il Sig. Mario ha parlato dell’accre¬ scimento assoluto, sa pur il Sarsi, ed in molti luoghi l’ha scritto, eh’ egli lia detto, esser come di tutti gli altri oggetti veduti col- l’istesso strumento; sì che quando in questo luogo ei vuol tassarii Sig. Mario di poca memoria, dicendo ch’eri si doveva pur ricordare d’avere altra volta detto elio il medesimo strumento accresceva tutti » gli oggetti nella medesima proporzione, 1’ accusa è vana. Anzi, quando anco senz’altra relaziono il Sig. Mario 1’ avesse chiamato infinito, non avrei creduto elio si lusso per trovar alcuno così cavilloso, che vi si lusso attaccato, essendo un modo di parlare tutto il giorno usitato il porre il termine d’infinito in luogo del grandissimo. Largo campo avrà il Sarsi di mostrarsi maggior logico di tutti gli scrittori del mondo, ne i quali io 1’ assicuro eh’ ei troverà la parola infinito presa delle diece volte le nove in vece di grande o grandissimo. Ma più, Sig. Sarsi, se il Savio si leverà contro di voi e dirà : Stultorum infi- nitus est numcrus, qual partito sarà il vostro? vorrete voi forse ingag-» giarla seco, e sostener la sua proposizione esser falsa, provando, anco coll’ autorità dell’ istessa Scrittura, elio il mondo non è eterno, e che, essendo stato creato in tempo, non possono essere nè essere stati uomini infiniti, e che, non regnando la stoltizia se non tra gli uomini, non può accadere che quel detto sia mai vero, (quando ben tutti gli uomini presenti e passati ed anco, dirò, i futuri fussero sciocchi, es¬ sendo impossibile che gl’ individui umani, quando anco la durazion del mondo fusso per essere eterna, sieno già mai infiniti? Ma ritornando alla materia, che diremo dell’ altra fallacia con tanta sottigliezza scoperta dal Sarsi, nel chiamar noi accrescimento# quello d’ un oggetto che d’indivisibile si fa, col telescopio, visibile? il quale, die’egli, non si può chiamare accrescimento, perchè l’ac¬ crescimento suppone prima qualche quantità, e 1’ accrescersi non e altro che di minoro farsi maggiore. A questo veramente io non sa¬ prei che altro dirmi, per iscusa del Sig. Mario, se non eh’egli so n’andò alla buona, come si dice; c credendo che la facoltà del tele¬ scopio colla quale ei ci rappresenta quelli oggetti i quali senz esso IL SAGGIATORE. 247 non iscorgevamo, fusso la medesima olio quella colla quale anco i veduti avanti ci rappresenta maggiori assai, o sentendo elio questa immunemente si chiamava uno accrescimento della specie o dell’og¬ getto visibile, si lasciò traportaro a chiamare quella ancora nell’istesso modo- la quale, come ora ci insegna il Sarto, si doveva chiamar non accrescimento, ma transito dal non essere all’ essere. Si che quando, v g. t l’occhiale ci fa da una gran lontananza legger quella scrittura della quale senz’ osso noi non vergiamo se non i caratteri maiuscoli, per parlar logicamente si devo diro (dio 1’ occhiale ingrandisce le. io maiuscole, ma quanto alle minuscolo fa lor far transito dal non es¬ sere all’essere. Ma se non si può senza errore usar la parola accre¬ scimento dove non si supponga prima alcuna cosa in atto, elio deliba riceverlo, forse che la parola transito o trapasso non vorrà troppo pivi veridicamente usurpata dal Sarsi dove non siono duo termini, cioè quello donde si parto e 1’ altro dove si trapassa. Ma chi sa che il Sig. Mario non avesse ed abbia opinione elio degli oggetti, ancor che lontanissimi, le specie pure arrivino a noi, ma sotto angoli così acuti che restino al senso nostro impercettibili o come nullo, ancor ch’elio veramente sieno qualche cosa (perchè, s’io devo dire il mio parere, » stimo che quando veramente elle fusser niente, non bastereiihon tutti gli occhiali del mondo a farle diventar qualche cosa) ; sì che le spo- cie altresì delle stelle invisibili sieno, non meno che quelle delle visi¬ bili, diffuse per l’universo, e che in conseguenza si possa anco di quelle, con buona grazia del Sarsi o senza orror di logica, predicar l’accrescimento? Ma perchè vo io mettendo in dubbio cosa della quale io ho necessaria e sensata prova ? Quel fulgore ascitizio delle stelle non è realmente intorno allo stelle, ma è noi nostro occhio; sì che dalla stella vion la sola sua specie, nuda o termi natissima. Sap- sicuro eh’ una nuhilosi » molte stelle minute, invisibili a noi; con tutto ciò non ci resta invi¬ sibile quel campo che da loro è occupato, ma si dimostra in aspetto d una piazzetta biancheggiante, la qual deriva dal congiungimento de fulgori di che ciascheduna stellina s’inghirlanda : ma perchè que¬ sti irraggiamenti non sono se non nell’ occhio nostro, è necessario che ciascheduna specie di esse stellino sia realmente o distintamente nell occhio. Di qui si cava un’ altra dottrina, cioè che le nubilose, anco tutta la Via Lattea, in cielo non son niente, ma sono una 248 IL SAGGIATORE. pura affezzione doli’ occhio nostro ; sì elio per quelli che fussero di vista cosi acuta che potesser distinguer quelle minutissime stelle l e nubilose e la Via Lattea non sarei)huno in cielo. Queste, come con¬ clusioni non dette da altri sin ora, credo che non sarehbono am¬ messe dal Sarsi, e ch’egli pur vorrebbe elio il Sig. Mario avesse pec¬ cato nel chiamare accrescimento quello che appresso di lui si devo dir transito dal non essere all’essere. Ma sia come si voglia; io ho licenza dal Sig. Mario (per non ingaggiar nuove liti) di conceder tutta la vittoria al Sarsi di questo duello, e di quello ancora che se¬ gue appresso, dove il Sarsi si contenta che la scoperta delle fisse in-io visibili si possa chiamare accrescimento infinito in ragion di visibile, ma non già in ragion di quanto : tutto questo so gli conceda, pur che ei conceda a noi elio e lo invisibili e le visibili, crescano pure in ragion di quel che piace al Sarsi, crescono finalmente in modo che rendon totalmente falso il detto del suo Maestro, che scrisse ch’elle non crescevano punto in veruna maniera; sopirà il qual detto ora fondato il terzo dello ragioni, colle quali egli aveva intrapreso a provar la pi rim ari a intenzione del suo trattato, cioè il luogo della cometa. Ma che risponderem noi ad un altro errore, pure in logica, chea il Sarsi ci attribuisce? Sentiamolo, o poi prenderemo quel partito che ci parrà più opiportuno. Non contento il Sarsi d’aver mostrato come il piiù volte già nominato scoprimento delle fisse invisibili non si deve chiamare accrescimento infinito, piassa a provar che il dire eli’ ei proceda dal telescopio è gravo errore in logica, le cui leggi vogliono che quando un effetto pmò derivare da più cause, mala¬ mente da quello se n’ inferisca una sola : e che il vodersi quello che prima non si vedeva sia un degli efl'otti elio posson depender da piu cause, oltre a quella del telescopio, chiaramente lo mostra il Sarsi nominandole ad una ad una; le quali tutto era necessario rimuovere,s e mostrar confi elle non erano a parto nell’atto del farci vedere cui telescopio le stelle invisibili. Sì ebe il Sig. Mario, per fuggir f impu¬ tazione del Sarsi, doveva mostrare elio 1’ accostarsi il telescopio ai- fi occhio non era, prima, uno accrescere in sé stessa e per sè stessa la virtù visiva (che pur è una causa p>er la quale, senz’ altro aiuto, si può veder quel che prrima non si poteva) ; secondo, doveva mostrar che la medesima applicazione non era un tor via le nuvole, gl' ^ II, SAGGIATORI'.. 240 beri i tetti o altri impedimenti (li mezo ; terzo, di' ei non era un servirsi d’un paio d’ occhiali da naso ordinarli (o vo, come V. S. Il¬ lustrissima vede, numerando lo causo posto dal medesimo Sarsi, son- i alterar nulla); quarto, elio questo non ò un illuminar l’oggetto più chiaramente ; quinto, elio questo non ò un far venir le stelle in Terra o salir noi in cielo, onde l’intervallo traposto si diminuisca ; sesto, eli’ ei non è un farle rigonfiare, onde, ingrandite, divengano più visibili; settimo, elio questo non ò finalmente un aprir gli occhi chiusi: azzioni tutte, ciascheduna dello quali (ed in particolar l’ul- lotima) è bastante a farci vedere quel elio prima non vedevamo. Sig. Sarei, io non so che dirvi, so non elio voi discorrete benissimo; solo dispiacerai che queste imputazioni cascano tutto addosso al vostro Maestro, senza toccar punto il Sig. Mario o me. Io vi domando se alcune di queste cause, da voi prodotte conio potenti a farci veder quello che senza lor non si vederebbo, come, v. g., l’avvicinarlo, l’interpol* vapori o cristalli ete., vi dimando, dico, se alcuna di que¬ ste causo può produr l’effetto dell' ingrandir gli oggetti visibili, sì come lo produce il telescopio ancora. Io credo puro elio voi rispon¬ derete di sì. Ed io vi soggiungerò elio questo ò un aperto accusare 20 di cattivo logico il vostro Maestro, il quale, parlando in generalo a tutto il mondo, riconobbe l’ingrandimento della Luna e di tutti gli altri oggetti dal solo telescopio, senza 1’ esclusimi di ninna dell’ altre cause, come per vostra opinione sarebbe stato in obligo di fare ; il quale obligo non cade poi punto nel Sig. Mario, avvenga che, par¬ lando solo col vostro Maestro, e non più a tutto il mondo, e volendo mostrar falso quello eli’ egli aveva pronunziato dell’ effetto di tale strumento, lo considerò (nè era in obligo di considerarlo altrimenti) nel modo che 1’ aveva considerato il suo avversario. Anzi la vostra nota di cattivo logico cade tanto più gravemente sopra il vostro Mao¬ isti o, quanto ch’egli in altra occasione importantissima trasgredì la hgge: dico nell’ inferir dall’ apparenza del moto retto la circolazione l wr cerchi o massimo, potendo esser del medesimo effetto causa il mo- vimento realmente retto e qualunque altro moto fatto nell’ istesso piano dove fusse l’occhio, delle quali tre cagioni potevano con gran 'ngione Aitare anco gli uomini molto sensati; anzi l’istesso vostro Maestro. per vostro detto, non ricusò d’ accettare il moto per linea nule o anco irregolare. Ma il dubitare se alcuna delle vostre sette 250 IL SAGGIATORE. cause poste di sopra potesse aver luogo noli’ apparizion delle stelle invisibili, mentre elio col telescopio si rimirano, se io devo parlar liberamente, non credo elio potesse cadore in mento se non a per¬ sone costituite nel sommo ed altissimo grado di semplicità. Nella quale scliiora io non però intendo, Illustrissimo Signore, di porre il Sarsi ; perchè, so ben egli ò quello elio si è lasciato trapor- taro a far questa passata, tuttavia si vede eli’ ei non ha parlato, come si dice, ex corde; poi che in ultimo quasi quasi si accommoda a con¬ cederò che, non si trattando d’ altro elio del telescopio, si potessero lasciar da banda l’altro cause: tuttavia, perchè il conceder poi questo io apertamente, si tirava in conseguenza la nullità della sua già fatta accusa o del concetto, per quella impresso torso in alcuno de’lettori, d’ esser io cattivo logico, per ovviare a tutto questo soggiungo clic nè anco tal cosa basta ad una rotta argomentazione : e la ragione, perchè il telescopio non in un modo solo fa veder quel che non si vedeva, ma in due : il primo è col portar gli oggetti a gli ocelli sotto angolo maggiore, per lo che maggiori appariscono; l’altro, con l’unire i raggi e le specie, onde più efficacemente operano ; e perchè l’uno di questi basta per far apparire quel elio non si scorgeva, non si deve da questo effetto inferire una sola di quello cause. Queste sono» le sue preciso parole, delle quali io non direi di saper penetrar l’in¬ timo senso, avvenga che egli stia troppo su ’l generale, dove mi par che fusse stato di mestieri dichiararsi più specificatamente, potendo la sua proposizione esser intesa in più modi ; do i quali quello eli è per avventura il primo a rappresentarsi alla mente, contiene in sè una manifesta contradizzione. Imperocché il portar gli oggetti sotto maggior angolo, onde maggiori appariscano, si rappresenta effetto contrario al ristringer insieme i raggi e le specie ; perchè, essendo i raggi quelli che conducono lo specie, piar che non ben si capisca come, nel condurle, si. ristringano insieme ed in un tempio formino s angolo maggiore ; imperò che, concorrendo insieme linee a formare un angolo, par clic, nel ristringersi, l’angolo debba più tosto iliaca tirsi che farsi maggiore. E so puro il Sarsi aveva in fantasia qual eh’ altro modo per lo quale potessero i raggi, coll’ unirsi, formare angolo maggiore (il che io non niego pio ter per avventura ritrovarsi), doveva dichiararlo e distinguerlo dall’altro, per non lasciare il ld tore tra i dubbi e gli equivoci. Ma piosto p>er ora che sieno tah due II, SAGGIATORE. 251 modi d’operare nell’ uso del telescopio, io vorrei sapere so oi la¬ vora sempre con ambedue insieme, o pur talvolta coll’uno od altra volta coll’altro separatamente, sì elio quando ei si serve dell’ingran¬ dimento dell’ angolo, lasci staro il ristringimento de’ raggi, e quando ristringe i raggi, ritenga 1’ angolo nella sua primiera quantità. S’egli opera sempre con ambedue questi mesi, gran semplicità ò quella del Sarsi mentre accusa il Sig. Mario per non avere accettato e nomi¬ nato l’uno ed escluso 1’ altro ; ma s’ egli opera con un solo, pure ha errato il Sarsi a non lo nominare, escludendo 1’ altro, e mostrar clic io quando noi guardiamo, v. g., la Luna, elio ricresco assaissimo, ei la¬ vora coll’ingrandimento dell’angolo, ma quando si guardano lo stelle, non s’ingrandisce l’angolo, ma solamente s’ uniscono i raggi. Io, per quanto posso con verità deporre, nello infinite o, per meglio diro, moltissime volte che ho guardato con tale strumento, non ho mai conosciuta diversità alcuna nel suo operare, e però credo ch’egli operi sempre nell’ istessa maniera, e credo elio il Sarsi creda l’istosso ; o come questo sia, bisogna clic lo duo operazioni, dell’ ingrandir 1’ an¬ golo e ristringer i raggi, concorrano sempre insieme: la qual cosa rende poi in tutto e per tutto fuori del caso 1* opposizione del Sarai; » perch’è ben vero elio quando da un effetto il quale può depender da più cause separatamente, altri no inferisco una particolare, commette errore; ma quando le causo sieno tra di loro inseparabili, sì che ne¬ cessariamente concorrano sempre tutte, so ne può ad arbitrio inferir qual più ne piace, perchè qualunque volta sia presente 1’ effetto, ne¬ cessariamente vi è anco quella causa. E così, per darne un essempio, chi dicesse * Il tale ha acceso il fuoco, adunque si ò servito dello specchio ustorio », errerebbe, potendo derivar P accendimento dal bat¬ ter un ferro, dall’ esca e fucile, dalla confricazion di duo legni, e da altre cause; ma chi dicesse « Io ho sentito batter il fuoco al vicino », jmì soggiungesse « Adunque egli ha della pietra focaia », senza ragione sarebbe ripreso da chi gli opponesse che, concorrendo a tale opera¬ zione, oltre alla pietra, il fucile, P esca e ’l solfanello ancora, non si poteva con buona logica inferir la pietra risolutamente. E così, so ingrandimento dell’angolo e Punion do’raggi concorron sempre !* e . °P eraz l°ni del telescopio, delle quali una ò il far veder P invisi- 1 °) perché da questo effetto non si può inferire quale delle duo ausi, più no piace ? lo credo di penetrare in parte la mento del vi. 33 252 IL SAGGIATONE. Sarsi, il quale, s’io non m’inganno, vorrebbe cbe il lettore credesse quello ch’egli stesso assolutamente non credo, cioè ch’il vederle stelle, che prima erano invisibili, derivasse non dall’ingrandimento dell’ angolo, ma dall’ unione de’ raggi ; sì cbe, non perchè la specie di quelle divenisse maggiore, ma perchè i raggi lusserò fortificati, si facesser visibili : ma non si è voluto apertamente scoprire, perchè troppo gli sono addosso l’altro ragioni del Sig. Mario taciute da esso, ed in particolare quella del vedersi gl’ intervalli tra stella e stella ampliati colla medesima proporziono elio gli oggetti quaggiù bassi; i quali intervalli non dovrian ricrescer punto se niente ricrescevo» lo stelle, essendo loro così distanti da noi come quelle. Ma per finirla, io son certo che quando il Sarsi volesse venire a dichiararsi com’egli intenda queste duo operazioni del telescopio, dico del ristringerei raggi e dell’ ingrandir il loro angolo, o’ manifesterebbe che non so¬ lamente si fanno sempre ambedue insieme, sì che già mai non ac- caggia unire i raggi senza ingrandir 1’ angolo, ma eli’ elle sono una cosa medesima ; e quando egli avesse altra opinione, bisogna eh’ei mostri elio ’l telescopio alcune volte unisca i raggi senza ingrandir l’angolo, e elio ciò faccia egli a punto quando si guardano le stelle fisse; cosa ch’egli non mostrerà in eterno, perch’è una vanissima» chimera o, per dirla più chiara, una falsità. Io non credeva, Signor mio Illustrissimo, dover consumar tante parole in queste leggerezze ; ma già che si è fatto il più, facciasi ancora il meno. E quanto all’altra censura di trasgrossion dalle leggi logicali, mentre nella division degli effetti del telescopio il Sig. Mario ne pose uno che non vi è, e ne trapassò uno che vi si doveva porre, quando disse « Il telescopio rende visibili le stelle o coll’ingrandir la loro specie o coll’illuminarle », in vece «li dire « coll’ingrandirle o coll’ unir le specie o i raggi », corno vorrebbe il Sarsi che si dove&f dire; io rispondo che il Sig. Mario non ebbe mai intenzion di far* divisione di quello eh’è una cosa sola, quale egli, ed io ancora, sti miamo esser l’operazione del telescopio nel rappresentarci gli oggetti, o quando ei disse « Se il telescopio non ci rende visibili le stelle col l’ingrandirle, bisogna die con qualche inaudita maniera le illumini », non introdusse l’illuminazione come effetto creduto, ma come mani festo impossibile lo contrappose all’ altro, acciò la di lai veu ^ stasse più certa ; e questo è un modo di parlare usitatissimo, conn li- SAGGIATORE. 2!)3 ■mdo si dicesse « So gli inimici non unno scalala la rocca, bisogna che vi sian piovuti dal cielo ». So il Sarsi adesso credo di poter con lode impugnare questi modi di parlare, so gli apre un’ altra porta, oltre a quella di sopra dell’ infinito, da trionfare in duello di logica sopra tutti gli scrittori del mondo; ma avvertisca, nel voler mostrarsi •tranlogico, di non apparer maggior solista. Mi par di veder V. S. Illu¬ strissima sogghignare ; ma elio vuol olla ? 11 Sarsi era entrato in umore di scrivere in contrndizzione alla scrittura del Sig. Mario: gli è stato forza attaccarsi, conio noi sogliamo dire, alle funi del cielo, io Io per me non solamente lo scuso, ma lo lodo, o panni ch’egli abbia fatto l’impossibile. Ma tornando alla materia, già è manifesto elio il Sig. Mario non ha posto l’illuminare coni’ effetto creduto del telesco¬ pio. Ma che più? l’istesso Sarsi confessa eli’ ei 1' ha mosso come im¬ possibile. Non è adunque membro della divisione, anzi, come ho detto, non ci è nè meno divisione. Circa poi all’ unione dello specie o de’raggi, ricordata dal Sarsi come membro trapassato dal Sig. Mario nella divisione, sarebbe bone che il Sarsi sporificasse corno questa è una seconda operazion diversa dall’ altra, perchè noi sin qui l’ab¬ biamo intesa per una stessa cosa; c (piando saremo assicurati ch’elle so sieno due differenti o diverse operazioni, allora intenderemo d’avere errato; mal’error non sarà di logica nel mal dividere, ma di pro¬ spettiva nel non aver ben penetrati tutti gli effetti dello strumento. Quanto alla chiusa, dove il Sarai dice di non voler per adesso stare a registrare altri errori che questi pochi incontrati così casual¬ mente in un luogo solo, lasciando da banda gli altri, io, piuma, rin¬ grazio il Sarsi del pietoso affetto verso di noi ; poi mi rallegro col Sig. Mario, il quale può star sicuro di non aver commesso in tutto il trattato un minimo mancamento in logica ; perchè, se bene par die il Sarai accenni che ve ne sieno moltissimi altri, tuttavia crederò » almeno che questi, notati e manifestati da lui, sieno stati eletti per li maggiori; il momento de i quali lascio ora che sia da lei giudi- cito, ed in conseguenza la qualità degli altri. Vengo finalmente a considerar 1’ ultima parte, nella quale il Sarsi, pò farmi un segnalato favore, vuol nobilitare il telescopio con una ammirabil condizione e facoltà d’illuminar gli oggetti che per esso rimiriamo, non meno eh’ ei ce gl’ ingrandisca. Ma prima eh’ io passi pw avanti, voglio rendergli grazie del suo cortese affetto, perchè du- 254 IL SAGGIATORE. bito che V effetto sia per obligarmi assai poco dopo che avremo con¬ siderata la forza della dimostraziono portata per prova del suo in¬ tento : della quale, perchè mi par che 1’ autore nello spiegarla si vada, non so perchè, ravvolgendo e più volto replicando le medesime pro¬ posizioni, cercherò di tramo la sostanza, la qual mi par che sia questa. Il telescopio rappresenta gli oggotti maggiori, perchè gli porta sotto maggioro angolo elio quando son veduti senza lo strumento. 11 medesimo, ristringendo quasi a un punto le specie de’ corpi luminosi od i raggi sparsi, rendo il cono visivo, o vogliamo dire la piramide luminosa, perla quale si veggono gli oggetti, di gran lunga più lu-H cida ; e però gli oggetti splendidi di pari ci si rappresentano ingran¬ diti e di maggior luco illustrati. Clio poi la piramide ottica si renda più lucida per lo ristringimento do i raggi, lo prova con ragione e con esperienza. Imperò elio la ragiono ci insegna elio il lume raccolto in minore spazio lo debba illuminar più ; e 1’ esperienza ci mostra die posta una lente cristallina al Sole, nel punto del concorso do’raggi non solo s’abbrucia il legno, ma si liquefa il piombo e si acciccala vista : perlocliò di nuovo conclude, elio con altrettanta verità si può dire che il telescopio illumina le stello, con quanta si dice eli’ ei le accresce. 9 In ricompensa della cortesia o del buono animo che ’l Sarsi ha avuto d’ essaltare e maggiormente nobilitare questo ammirabile stru¬ mento, io non gli posso dar altro, per ora, che un totale assenso a tutte le proposizioni ed esperienze sopradette. Ma mi duol bene oltre modo che 1’ essere esse vere gli è di maggior pregiudicio chesefusscr false ; poi che la principal conclusione che per esse doveva essere dimostrata è falsissima, nè credo elio ci sia verso di poter sostenere che gravemente non pecchi in logica (piagli che da proposizioni vere deduce una conclusimi falsa. È vero che il telescopio ingrandisce gli oggetti col portargli sotto maggior angolo ; verissima è la prova che* n’ arrecano i prospettivi ; non è men vero che i raggi della piramide luminosa maggiormente uniti la rendono più lucida, ed in conse¬ guenza gli oggetti per essa veduti ; vera è la ragione che n’ assegna il Sarsi, cioè perchè il medesimo lume, ridotto in minore spazio, 1 ilh mina più; e finalmente verissima è l’esperienza della lente, che col l’unione de’raggi solari abbrucia ed accicca: ma è poi falsissimo che gli oggetti luminosi ci si rappresentino col telescopio più lucidi IL SAGGIATURE. 255 cito senza, anzi è vero che li voggiamo assai più oscuri; o se il Sarsi nel riguardar, v. g., la Luna col telescopio, avesse una volta aperto l’altr’ occhio, o con esso libero riguardato pur l’istessa Luna, avrebbe potuto fare il paragone senza ninna fatica tra lo splendor della gran Luna vista con lo strumento, o quello della piccola, vista coll’ occhio libero; il che osservato, avrebbe sicuramente scritto, hi luco della veduta liberamente mostrarsi di gran lunga maggiore elio quella del¬ l’altra. Chiarissima è adunque la falsità della conclusione: resta ora che mostriamo la fallacia nel dedurla da promosso vero. E (pii mi iopitre che al Sarsi sia accaduto quello clic aecadorebbe ad un mer¬ cante che, nel riveder sopra i suoi libri lo stato suo, leggesse sola¬ mente le facce dell’ avere, e elio così si persuadesse di star bone ed esser ricco; la qual conclusione sarebbe vera quando all’incontro % non vi fussero le facce del dare. E vero, Sig. Sarsi, che la lente, cioè il vetro convesso, unisco i raggi, o perciò moltiplica il lume o favo¬ risce la vostra conclusione ; ma dove lasciato voi il vetro concavo, che nel telescopio è la contrafaccia della lente, o la più importante, perch’è quello appresso del quale si tiene l’occhio, o per lo quale passano gli ultimi raggi, cd è finalmente 1’ ultimo bilancio o saldo tu dello partite? Se la lente convessa unisco i raggi, non sapete voi che il vetro concavo gli dilata o forma il cono inverso? So voi aveste provato a ricevere i raggi passati per ambedue i vetri del telescopio, come avete osservato quelli che si rifrangono in una lente sola, avre¬ ste veduto che dove questi s’ uniscono in un punto, quelli si vanno più e più dilatando in infinito, o, per dir meglio, por ispazio gran¬ dissimo: la quale esperienza molto chiaramente si vedo noi ricever sopra una carta l’immagine del Solo, come quando si disegnano lo sue macchie; sopra la qual carta, secondo eli’ ella più e più si disco¬ sta dall’estremità del telescopio, maggioro o maggior cerchio vi viene » stampato dal cono de’raggi, e quanto si fa tal cerchio maggiore, tanto è nien luminoso in comparazione del resto del foglio tocco da raggi liberi del Sole. E quando questa ed ogn’ altra esperienza " ^ usse skda occulta, mi resta pur tuttavia duro a credere che voi non a bbiate alcuna volta sentito dir questo, eh’ ò verissimo, cioè che 1 V0 tri concavi, quanto più mostrano 1’ oggetto grande, tanto più lo mostrano oscuro. Come dunque mandato voi di pari nel telescopio illuminar coll’ ingrandire ? Sig. Sarsi, rimanetevi dal voler cercar 250 IL SAGGIATORE. d’ assaltar questo strumento con queste vostre nuove facoltà à am¬ mirande, so non volete porlo in ultimo dispregio appresso quelli che sin qui l’ùlulo avuto in poca stium. Ld avvertite che io in questo conto vi ho passata come cosa vera una partita eli’è falsa, cioè elio la luce ingagliardita mediante l’union de’ raggi, renda l’oggetto ve¬ duto più luminoso. Sarebbe vero questo, quando tal luce andasse a trovar P oggetto ; ina ella vien verso P occhio, il che produce poi contrario effetto: imperò elio, oltre all’offender la vista, rendo il messo più luminoso, ed il mozo più luminoso fa apparir (come credo che voi sappiate) gli oggetti più oscuri; che per questa sola cagione» lo stelle più risplendenti si mostrano quanto più P aria dolla notte dividi tenebrosa, e nello schiarirsi P aria si mostrano più fosche. Que¬ ste cose, come vedo V. S. Illustrissima, soli tanto manifeste, che non mi lasciano credere clic al Sarsi possano essere state incognite, ma eh’ egli più tosto per mostrar la vivezza del suo ingegno si sia messo a dimostrare un paradosso, elio perdi’ egli così internamente ero¬ desse. Ed in questa opinione mi conferma P ultima sua conclusione, dove, per mostrar (cred’ io) eli’ egli ha parlato per isclierzo, serra con quelle parole: « Affermo dunque, con tanta verità dirsi che il tele¬ scopio illumina le stelle, con quanta si dico che il medesimo le in-» grandisce ». Y. S. Illustrissima sa poi die ed egli ed il suo Maestro anno sempre dotto, o dicono ancora, di’ ei non P ingrandisce punto; la qual conclusione si sforza il Sarsi di sostenere ancora, come ve¬ dremo, nelle coso che seguono qui appresso. 13. Legga dunque Y. S. Illustrissima : Ad tertium argmentm.,, quam dietim perdere [pag. I2(ì, li». ì — pag. 127, li». 13], Intorno alle cose qui scritte mi si fa da considerar, nel primo luogo, qual possa esser la cagiono por la quale il Sarsi abbia scritto ch'io grandemente mi sia lamentato del P. Grassi, avvenga che nel trattato del Sig. Mario non vi è pur ombra di mie querele, nè io» già mai con alcuno, nè anco con mo stesso, mi son doluto, nè meno ho conosciuto d’ aver cagion di dolermi ; e gran semplicità mi pan rebbe di chi si dolesse che uomini di gran nome fusser contrari ali sue opinioni, quantunque volta egli avesse modi facili ed evidenti(h poterle dimostrar vere, quali son sicuro d’ aver io : tal che a me non si rappresenta altra cagione, se non che ’l Sarsi sotto questa finzione ha voluto ascondere, non so già perchè, suoi interni motivi chel anno II, SAGGIATORI'’. 257 spinto a volerla pigliar meco ; dui che ho bon sentito qualche fasti¬ dio, perché più volentieri avrei impiegato questo tempo in qualch’al¬ tro studio più di mio gusto. Che il 1\ Grassi non avesse intenzione d’offender me nel tassar (li poco intelligenti quelli che deprezzavano l’argomento preso dal poco ingrandimento della cometa por lo tele¬ scopio, lo voglio creder al Sarsi ; ma se io per me stesso m’ ero già dichiarato essere in quel numero, ben mi doveva esser tollerato eh’ io producessi mie ragioni e difendessi la causa mia, e tanto più quanto ella era giusta e vera. Voglio ancora ammettere al Sarsi che ’1 suo io Maestro con buona intenzione si mettesse a sostenere quell’opinione, credendo di conservare ed accrescere la reputazione ed il pregio del telescopio contro allo calunnio di quelli elio lo predicavano per frau¬ dolente o per ingannato!* della vista, o cosi corcavano di spogliarlo de’ suoi ammirabili pregi : ma in questo fatto, quanto l’intonzion del Padre mi par lodevole o buona, tanto 1’ olezzione o la qualità delle difese mi si rappresenta cattiva e dannosa, mentr’ei vuole contro al- l’imposture de’maligni fare scudo agli ottetti veri del telescopio col- l’attribuirgliene de’manifestamente falsi. Questo non mi par buon luogo topico per persuader la nobiltà di tale strumento, l’or tanto a»piaccia al Sarsi di scusarmi so io non vengo, con quella larghezza che forse gli par elio convenisse, a chiamarmi e confessarmi obligato per li nuovi pregi ed onori arrecati a questo strumento. E con qual ragione protend’ egli che in me si debba accrescer l’obligo e 1’ af¬ fezione verso di loro per li vani e falsi attributi, mentr’ eglino, perchè io col dir cose vere gli traggo d’ errore, mi pronunziali la perdita della loro amicizia? Segue appresso, e, non so quanto opportunamente, s’induce a chiamare il telescopio mio allievo, ma a scoprire insieme come non è altrimenti mio figliuolo. Che fate, Sig. Sarsi ? Mentre voi sete su ’l so maneggio d’interessarmi in obligli! grandi per li beneficii fatti a questo ch’io reputavo mio figliuolo, mi venite dicendo che non è altro di un allievo ? Che rettorie a è la vostra ? Avrei più tosto creduto die in tale occasiono voi a vesto avuto a cercar di farmelo creder figliuolo, quando ben voi foste stato sicuro elio non fusse. Qual parte 10 a ^ a n< d ritrovamento di questo strumento, o s’io lo possa ragio¬ nevolmente nominar mio parto. 1' ho gran tempo fa manifestato nel mio Avviso Sidereo, scrivendo come in Yinezia, dove allora mi litro- 258 II. SAGGIATORE. vavo, giunsero nuovo die al Sig. Conto Maurizio ora stato presentato da un Olandese un occhiale, col quale lo cose lontano si vedevano così perfettamente come so fossero stato molto vicine ; nè più fu a g. giunto. Su questa relazione io tornai a Padova, dove allora stanziavo e mi posi a pensar sopra tal problema, o la prima notte dopo il mio ritorno lo ritrovai, ed il giorno seguente fabbricai lo strumento e ne diodi conto a Vinezia a i medesimi amici co’ quali il giorno pre¬ cedente ero stato a ragionamento sopra questa materia. M’applicai poi subito a fabbricarne un altro più perfetto, il quale sei giorni dopo condussi a Yinezia, dove con gran meraviglia fu veduto quasii, da tutti i principali gentiluomini di quella republica, ma con mia grandissima fatica, per più d’un muso continuo. Finalmente, per consiglio d’ alcun mio affezzionato padrone, lo presentai al Principe in pieno Collegio, dal quale quanto ci lusso stimato e ricevuto con ammirazione, testificano le lettore ducali, che ancora sono appresso di me, contenenti la magnificenza di (pici Serenissimo Principe in ricondurmi, por ricompensa della presentata invenzione, e confer- marmi in vita nella mia lettura nello Studio di Padova, con dupli¬ cato stipendio di quello elio avevo por addietro, eh’.era poi più che triplicato di quello di qualsivoglia altro mio antecessore. Questi atti,? Sig. Sarsi, non son segniti in un bosco o in un diserto: sonseguiti in Yinezia, dove se voi allora foste stato, non m’avreste spacciato così per semplice balio : ma vivo ancora, per la Dio grazia, la mag¬ gior parte di quei Signori, benissimo consapevoli del tutto, da’quali potrete esser meglio informato. Ma forse alcuno mi potrebbe dire, che di non piccolo aiuto è al ritrovamento e risoluzion d’ alcun problema 1’ esser prima in qualclu 1 modo reso consapevole della verità della conclusione, e sicuro di no» cercar l’impossibile, o che perciò 1’ avviso e la certezza elio l’occhiale era di già stato fatto mi fusse d’ aiuto tale, clic per avventuraseli»» quello non l’avrei ritrovato. A questo io rispondo distinguendo, e dico che 1’ aiuto recatomi dall’ avviso svegliò la volontà ad appi** carvi il pensiero, clic senza quello può esser eh’ io mai non v’ avessi pensato ; ma che, oltre a questo, tale avviso possa agevolar l’inven¬ zione, io non lo credo : e dico di più, clic il ritrovar la risoluzion d’ un problema segnato e nominato, ò opera di maggiore ingegno assai clic ’1 ritrovarne uno non pensato nè nominato, perchè in q |ie 259 IL SAGGIATORE. sto può aver grandissima parte il coso, ma quello ò tutto opera del discorso E già noi siamo certi che 1’ Olandese, primo inventor del telescopio era un semplice maestro d’ occhiali ordinari, il quale ca¬ sualmente, maneggiando vetri di più sorti, si abbattè a guardare nell’istesso tempo per due, l’uno convesso e l’altro concavo, posti in diverso lontananze dall’ occhio, ed in questo modo vide ed ossorvò l’effetto che ne seguiva, o ritrovò lo strumento: ma io, mosso dal¬ l’avviso detto, ritrovai il medesimo per via di discorso; e perchè il discorso fu anco assai facile, io lo voglio manifestare a V. S. Il¬ io lustrissima, acciò, raccontandolo dove no cadesse il proposito, ella possa render, colla sua facilità, più creduli quelli che, col Sarei, vo¬ lessero diminuirmi quella lode, qualunqu’ ella si sia, che mi si per- viene. Fu dunque tale il mio discorso. Questo artificio o costa d’un vetro solo, o di più d’ uno. D’ un solo non può essere, perchè la sua figura o è convessa, cioè più grossa nel mezo che verso gli estremi, o è concava, cioè più sottile nel mezo, o è compresa tra superficie pa¬ rallele: ma questa non altera punto gli oggetti visibili col crescergli o diminuirgli; la concava gli diminuisce, o la convessa gli accresco aliene,ma gli mostra assai indistinti ed abbagliati; adunque un vetro solo non basta per produr l’effetto. Passando poi a duo, e sapendo che ’l vetro di superficie parallele non altera niente, come si è detto, conclusi che l’effetto non poteva nè anco seguir dall’accoppiamento di questo con alcuno degli altri due. Ondo mi ristrinsi a volere esperimentare quello elio facesse la composizion degli altri due, cioè del convesso e del concavo, o vidi come questa mi dava l’intento : e tale fu il progresso del mio ritrovamento, nel quale di niuno aiuto mi fu la concepita opinione della verità della conclusione. Ma se il Sarsi o altri stimano che la certezza della conclusione arrechi » grand’aiuto al ritrovare il modo del ridurla all’effetto, leggano l’isto¬ rie, che ritroveranno essere stata fatta da Archita una colomba ohe volava, da Archimede uno specchio che ardeva in grandissime distanze ed altre macchine ammirabili, da altri essere stati accesi lumi per¬ petui, e cento altre conclusioni stupende ; intorno alle quali discor¬ rendo, potranno, con poca fatica e loro grandissimo onore ed utile, ritrovarne la costruzzione, o almeno, quando ciò lor non succeda, ne Cl "eianno un altro beneficio, che sarà il chiarirsi meglio, che Page- ‘>(50 II, SAGGIATORE. volozzo che si promettevano da quella precognizione della verità del- p effetto, era assai meno di quel elio credevano. Ma ritorno a quel elio seguo scrivendo il Sarsi, dove destreggiando per non si ridurre a dire elio V argomento preso dal minimo ingran¬ dimento degli oggetti remotissimi non vai nulla, perdi’è falso, dice che di quello non n’ anno mai fatta molta stima ; il elio manifesta egli dall’ averlo il suo Maestro scritto con assai brevità, dove che gli altri due argomenti si veggono distesi ed amplificati senza risparmio di parole. Al che io rispondo elio non dalla moltitudine, ma dall’ef¬ ficacia delle parole si devo argumentar la stima elio altri fa delle cose i» dette : e, come ogn’ un sa, vi sono dello dimostrazioni che per lor natura non possono esser senza lunghezza spiegate, ed altre nelle quali la lunghezza sarebbo del tutto superflua e tediosa ; e qui, se si deve aver riguardo allo parole, l’argomento è portato con quante basta¬ vano alla sua spiegatura chiara o perfetta. Ma, oltre a questo, lo scrivere lo stesso P. Grassi esser in tal argomento, come necessaria¬ mente si raccoglie da’ principii ottici, forza grandissima per provar l’intento, ci dà pur troppo chiaro indizio della stima eh’ egli almeno ha voluto mostrar di farne : la qual voglio ben credere al Sarsi che internamente sia stata pochissima, ed a questo mi persuade non la s brevità dello spiegarlo, ma altra assai più forte conghiettura; e questa ò, che mentre il Padre fa sembiante di dimostrare il luogo della cometa dover essere lontanissimo, avvenga che nel riceverò dal tele¬ scopio insensibile augumento ella imita puntualmente le lontanissime stelle fisse, quando poi accanto accanto ei passa a più specifica limi¬ tazione d’esso luogo, ei la colloca sotto ad oggetti che ricevono dal medesimo telescopio grandissimo accrescimento ; dico sotto il Sole, che pur ricresce in superficie quelle medesimo centinaia e migliaia di volte, che il medesimo Padre ed il Sarsi stesso sanno. Ma il Sarsi non ha penetrato 1’ artificio grande del suo Maestro, col quale nel- * l’istesso tempo ha voluto cortesemente applaudere a gli amici suoi nè ha voluto amareggiar loro il gusto che sentivano per l’invenzion del nuovo argomento, ed a’ più intendenti e meno appassionati ha in tanto voluto, come si dice, sotto mano mostrarsi accorto ed intelli gente, imitando quel generosissimo atto di quel gran signore, clic gettò il flussi a monte per non interrompere il giubilo nel qtmh vedova galleggiare il giovinetto principe suo avversario, per la ^ IL SAGGIATORE. 201 toria d’un gran resto promessagli dal cinquantacinquo già scoperto 0 gittato in tavola. Ma il Sig. Mario, con maniera un poco più se¬ vera lia voluto a carte spiegato dire il suo concetto e mostrar la falsità e nullità di quell’ argomento, regolandosi da altro fino, eh’ è stato eli voler più tosto medicare i difetti o tor via gli errori con passione degl’ infermi, elio fomentargli o fargli maggiori per non gli disgustare. A quello che il Sarsi scrivo in ultimo, elio il suo Maestro non avesse avuto pensiero di offender me noi tassar quelli elio si burlavan i» dell’argomento, non occorro eli’ io replichi altro, perchè già ho detto die lo credo e che mai non ho creduto in contrario. Ma voglio die il Sarsi creda che nò io ancora, noi dimostrar falso l’argomento, non ho avuta intenzion d’ offender il suo Maestro, ma ben di gio¬ vare a chiunque era in quello orrore ; nè so bene intendere con quale occasiono m’abbia in questo luogo a toccare col motto del volere, per non perdere un boi dotto, perderò un amico : nò so vedere quale arguzia sia nel dir « Questo argumento non è vero », sì elio debba esser proso per detto arguto. 14. Or segua V. S. Illustrissima il leggero : Scd rem ipsam ... so spedandas guani Lunotti [pag. 127, lin. 14 — pag. 130, lin. c]. Qui, com’ ella vedo, si apparecchia il Sarsi con mirabil franchezza a volere in virtù d’acuti sillogismi mantenere, ninna cosa esser più vera della più volte profferita proposiziono, cioè che gli oggetti ve¬ duti col telescopio tanto ricrescon più quanto son più vicini, e tanto meno quanto son più lontani ; ed è tanta la sua confidenza, che quasi si promette ch’io sia por confessarla, ben clic di presente io la neghi. Ma io fo un augurio e pronostico molto differente, e credo ch’egli si sia, nel tesser questa tela, per ritrovare in maniera inviluppato, più di quello eh’ ei pensa ora che egli ò su 1’ ordirla, che in ultimo » da per sè stesso sia per confessarsi convinto; convinto, dico, a chi con qualche attenzione considererà le cose nelle quali egli anelerà a terminare, che facilmente saranno lo medesime ad ungueni che lo scritte dal Sig. Mario, ma orpellate in maniera o così spezzatamente intarsiate tra varii ornamenti o rabeschi di parole, o vero riportato nuscorcio in qualche angolo, che forse alla prima scorsa possano, a dii meno fissamente le consideri, parer qualch’ altra cosa da quello dio realmente sono in pianta. 262 II, SAGGIATOIiK. Ili tanto, por non lo tor strissima, se così le piacerà, potrà con qualche occasione mostrar a lui, acciò, col torgli via, possa tanto più perfettamente stabilire il tutto. Volendo dunque il Sarsi persuadermi che le stelle fisse non rice¬ vono sensibile accrescimento dal telescopiio, comincia dagli oggetti che sono in camera, e mi domanda se per vedergli col telescopio, e’ mi bisogna allungarlo assaissimo; ed io gli rispiondo che sì: pi® II, SAGGIATOKK. 2(13 jj 0 gg e tti fuori della finestra in gran lontananza, o mi dice che r veder ueg fci bisogna scorciar assai lo strumento; ed io l’affermo, 0 gli concedo, appresso, ciò derivar, concesso scrive, dalla natura dello strumento, elio por veder gli oggetti vicinissimi richiede assai maggior lunghezza di canna, e minor per li più lontani; ed oltre a ciò confesso che la canna più lunga mostra gli oggetti maggiori che la più breve ; e finalmente gli concedo per ora tutto il sillogismo, la cui conclusione è elio in universale gli oggetti vicini s’accrescon più, e i molto lontani meno, cioè (adattandola a i nominati partico- lolari) ebe le stelle fisse, che sono oggetti lontani, ricresco!! meno che le cose poste in camera o dentro al palazzo, tra i quali termini mi pare che il Sarsi comprenda lo coso ch’oi chiama vicino, non avendo nominatamente discostato in maggior lontananza il termine loro. Ma il detto sin qui non mi par elio soddisfaccia a gran lunga al bisogno del Sai-si. Imperocché domando io adesso a lui, s’ci ripone la Luna nella classe degli oggetti vicini, o puro in quella de’ lontani. Se la mette tra i lontani, di lei si concluderà il medesimo che dello stelle fisse, cioè il poco ingrandirsi (di’è poi di diretto contrario all' in- tenzion del suo Maestro, il quale, por costituir la cometa sopra la a>Luna, ha bisogno che la Luna sia di quegli oggetti clic assai s’ in¬ grandiscono; e però anco scrisso ch’ella in effetto assaissimo ricre¬ sceva, e pochissimo la cometa); ma s’egli la mette tra i vicini, che son quelli che ricrescono assai, io gli risponderò eli’ ci non doveva (la principio ristringere i termini dello coso vicine dentro alle mura della casa, ma doveva ampliargli almeno sino al ciel della Luna. Or sieno ampliati sin là, o torni il Sarsi allo suo primo interrogazioni, e mi dimandi se per veder col telescopio gli oggetti vicini, cioè che non sono oltre all’orbe della Luna, e’mi bisogna allungar assais¬ simo il telescopio, lo gli risponderò di no ; ed ecco spezzato l’arco, 3)e finito il saettar de’ sillogismi. Pertanto,se noi torneremo a considerar meglio questo argomento, lo troveremo esser difettoso, ed esser preso come assoluto quello ohe non si può intendere senza relazione, o vero corno terminato quello ci' è indeterminato, ed in somma essere stata fatta una divisione diminuta (che si chiamano errori in logica), mentre il Sarsi, senza “ssegnar termine e confine tra la vicinanza e lontananza, ha divisi kli oggetti visibili in lontani ed in vicini, errando in quel medesimo 2G4 IL SAGGIATORE. modo eh’errerebbe quel che dicesse: « Lo cose del mondo o son grandi o son piccole », nella qual proposizione non è verità nè falsità così anco non ò nel dire: « Gli oggetti o son vicini o son lontani»' dalla quale indeterminaziono nasce elio lo medesime cose si potranno chiamar vicinissimo o lontanissimo, grandissimo e piccolissime eie più vicino lontano, o lo più lontano vicine, o lo più grandi piccole o lo più piccolo grandi, o si potrà diro: « Questa ò una collinetta pic¬ colissima », o « Questo è un grandissimo diamante » ; quel corriero chiama brevissimo il viaggio da Roma a Napoli, mentre clic quella gentildonna si duolo elio la chiosa è troppo lontana dalla casa sua, : Doveva dunque, s’io non in’ inganno, por fuggir questi equivochi, faro il Sarsi la sua divisiono almeno in tro membri, dicendo: «Degli oggetti visibili altri son vicini, altri lontani, od altri posti in mediocre distanza », la qual restava come contino tra i vicini ed i lontani; nè anco qui si doveva fermare, ma di più doveva soggiungere una pre¬ cisa determinazione alla distanza d’esso confino, dicendo, v. g.: « Io chiamo distanza mediocre quella d’ una lega ; grande, quella cli’è più d’ una lega; piccola, quella eh’ò meno *: nò so ben capire per¬ di’ egli non 1’ abbia fatto, so non che forse scorgeva più il suo conto e più se lo prometteva dal pioterò accortamente prestigiare con equi-* vocili tra le persone semplici, che dal saldamente concludere tra i più intelligenti ; ed ò veramente un gran vantaggio aver la carta dipinta da tutte due le bande, o poter, per essempio, dire: «Lestelle fisse, perchè son lontano, ricrescon pochissimo ; ma la Luna, assai, perch’ è vicina », ed altra volta, quando vonisso il bisogno, dire: «Gli oggetti di camera, essendo vicini, crescono assaissimo ; ma la Luna, poco, perch’ ò lontanissima ». E questo sia il primo dubbio. Secondo, già il P. Grassi pose in un sol capo la cagione del ri¬ crescere or più ed or meno gli oggetti veduti col telescopio, e questo fu la minore o la maggior lontananza d’ essi oggetti, nè pur tocco» una sillaba dell’ allungare o abbreviare lo strumento ; e di questo, dice ora il Sarsi, nessuna cosa esser più vera: tuttavia, quando eia ristringe al dimostrarlo, non gli basta più la breve e gran lontananza dell’ oggetto, ma gli bisogna aggiungervi la maggiore e la roinor lunghezza del telescopio, e construiro il sillogismo in cotal fonila La vicinanza dell’oggetto è causa d’allungare il telescopio ; ma tal allungamento è causa di ricrescimento maggiore ; adunque la vici IL SAGGIATORE. 2G5 nana dell’oggetto è causa di ricroacimonto maggioro. Qui mi paro che il Sarsi, in cambio di Bollovaro il suo Maestro, l’aggravi maggior¬ mente, facendolo equivocare dal per nccidcns al per se ; in quel modo ch’errerebbe quegli elio volesse metter l’avarizia tra le regolo de sa- nitate lumia, e dicesse : L’ avarizia è causa di viver sobriamente, la sobrietà è causa di sanità, adunque 1’ avarizia mantien sano : dove l’avarizia è un’occasione, o vero un’assai remota causa per accidens alla sanità, la quale seguo fuor della primaria intenzion dell’ avaro, in quanto avaro, il fino del qual è il risparmio solamente. E questo io eli’io dico ò tanto vero, quanto con altrettanta conseguenza io pro¬ verò, l’avarizia essor causa di malattia, perchè l’avaro, per rispar¬ miare il suo, va frequentemente a i conviti degli amici e de’ parenti, e la frequenza de’ conviti causa diverse malattie ; adunque 1’ avarizia ò causa d’ammalarsi : da i quali discorsi si scorgo finalmente che l’avarizia, come avarizia, non ha che far niente colla sanità, come anco la propinquità dell’oggetto col suo maggior ricrescimento ; e la causa per la quale nel rimirar gli oggetti propinqui s’allunga lo strumento, è per rimuover la confusione nella quale esso oggetto ci si dimostra adombrato, la qual si toglie coll’ allungamento ; ma perchè » poi all’allungamento ne conseguita un maggior ricrescimento, ma fuor della primaria intenzione, clic fu di chiarificare, e non d’ingran¬ dir, l’oggetto, quindi è che la propinquità non si può chiamare altro che un’occasione, o vero una remotissima causa per accidens, del mag¬ gior ricrescimento. Terzo, se è vero che quella, e non altra, si debba propriamente stimar causa, la qual posta seguo sempre 1’ ell'etto, e rimossa si ri¬ muove; solo 1’ allungamento del telescopio si potrà dir causa del mag¬ gior ricrescimento : avvenga che, sia pur 1’ oggetto in qualsivoglia lontananza, ad ogni minimo allungamento ne seguita manifesto in- # gradimento ; ma all’incontro, tuttavolta che lo strumento si riterrà nella medesima lunghezza, avvicinisi pur quanto si voglia 1’ oggetto, quando anco dalla lontananza di conto mila passi si riducesse a quella di cinquanta solamente, non pierò il ricrescimento sopirà 1’ appa- renza d e ll’ occhio libero si farà punto maggioro in questo sito elio 111 T ue Uo. Ma bene è vero, che avvicinandolo a piccolissime distanze, fonie di quattro passi, di duo, d’uno, d’un mezo, la specie dell’og¬ getto più e più sempre s’intorbida ed offusca, sì che, pier vederlo 260 IL SAGGIATORE. (listinto 0 chiaro, convien più o più allungar il telescopio, al q M | allungamento no conseguita poi il maggior e maggior ricrescimento- ed avvenga che tal ricrescimento dependa solo dall’ allungamento e non dall’ avvicinamento, da quello, o non da questo, si deve regolare e perchè nelle lontananze oltre a mezo miglio non fa di mestieri per veder gli oggetti chiari e distinti, di muover punto lo strumento niuna mutazione cade ne’ loro ingrandimenti, ma tutti si fanno colla medesima proporzione ; sì elio so la superficie, v. g., d’una palla, veduta col telescopio, in distanza di mezo miglio ricresce mille volte, mille volto ancora, e niente meno, ricrescerti il disco della Luna,» tanto ricrescerà quel di Giove, e finalmente tanto quel d’una stella fissa. Nò accado qui elio il Sarsi la voglia star a sminuzzolare e ri¬ vedere a tutto rigor di geometria, perchè, quando ei l’avrà tirata o ridotta in atomi o presosi anco tutti i vantaggi, il guadagno suo non arriverà a quello di colui elio con diligenza s’andava informando per qual porta della città s’ usciva per andar per la più breve in India; ed in fino gli converrà confessare (come anco in parte pare eli’ei faccia nel fine del periodo lotto da Y. S. Illustrissima) che trat¬ tando con ogni severità il telescopio, si deliba tener manco d’un ca¬ pello più corto nel riguardar le stelle fisso, elio nel mirar la Lima i Ma da tutta questa severità che ne risulterà poi in ultimo, che sia di sollevamento al Sarsi ? Nulla assolutamente ; perchè non ne rac- corrà altro se non elio, ricrescendo, v. g., la Luna mille volte, le stello fìsso ricrescano nove cento novantanove ; mentre che per difesa sua e del suo Maestro bisognerebbe ch’elle non crescessero nò anco due volte, perchè il ricrescimento del doppio non è cosa impercetti¬ bile, ed eglino dicono lo fisse non ricrescer sensibilmente. Io so che il Sarsi ha intese benissimo queste cose, anco nella let¬ tura. del Sig. Mario ; ma vuol, por quanto ei può, mantener vivo il suo Maestro a quint’essenza di sillogismi sottilissimamente disti!-* lati (e siami lecito dir così, perchè di qui a poco ei chiamerà troppo minute alcune cose del Sig. Mario, che sono assai più corpulente di queste sue). Ma per finire ormai i miei dubbi, m’accade dir qualche cosa intorno all’ essempio portato dal Sarsi, preso da gli oggetti veduti naturalmente : de’ quali dice che quanto più s’ allontanano dall oc cliio, sempre si veggono sotto minor angolo ; nientedimeno, quando si ò arrivato a certa distanza, nella quale 1’ angolo si faccia assai pio IL SAGGIATORE. colo per molto poi che si allontani più l’oggetto, 1’ angolo però non si diminuisce sensibilmente ; tuttavia, die’egli, si può dimostrare di’ ei si fa minore. Ma se il senso (li epiesto essoinpio è quale mi si rappro- senta e qual anco convicn che sia so ha da quadrar bene al con¬ cetto^essemplificato, io son di parere molto diverso da questo del Sarsi. Imperocché a me paro eh’ in sostanza ei voglia clic 1’ angolo visuale, nell’allontanarsi l’oggetto, si vada ben continuamente diminuendo, ma sempre successivamente con minor proporzione, sì che oltre a una gran lontananza, per molto che 1’ oggetto si discosti ancora, poco più IO si diminuisca l’angolo: ma io son di contrario parerò, o dico che la diminuzione dell’ angolo si va facondo sempre con maggior propor- zion, quanto più 1’ oggetto s’ allontana. E pur più facilmente dichia¬ rarmi, noto primieramente, elio il voler determinar le grandezze ap¬ parenti degli oggetti visibili collo quantità degli angoli sotto i quali quelle ci si rappresentano, è ben fatto nel trattar di parti (li alcuna circonferenza di cerchio nel centro del quale sia collocato l’occhio; ma trattandosi di tutti gli altri oggetti, è errore: imperocché l’ap¬ parenti grandezze, non dagli angoli visuali, ma dalle corde degli archi suttesi a detti angoli si deono determinare; e queste tali appa¬ ienti quantità si vanno sempre diminuendo puntualissimamento con proporzion contraria di quella dello lontananze ; sì che il diametro, v. g., (l’un cerchio, veduto in distanza di cento braccia, mi si rap¬ presenta giusto la metà (li quello che m’ appaierebbe dalla distanza di braccia cinquanta, o veduto in distanza di mille braccia mi parrà doppio che se sarà lontano damila, e così sempre in tutto lo lonta¬ nanze; nò mai accoderà ch’egli per qualsivoglia grandissima distanza in’apparisca così piccolo, eh'ei non mi paia ancora la metà da dup¬ licata lontananza. Ma so noi pur vorremo determinar l’apparenti grandezze dalla quantità dogli angoli, come fa il Sarsi, il fatto seguirà » ancora più disfavorevole per lui; perchè tali angoli non diminuiranno già colla proporzione colla quale le lontananze crescono, ma con mi¬ nore. Ma quel che contraria al detto del Sarsi è che, paragonati gli an¬ goli fra di loro, con maggior proporzione si vanno diminuendo nello maggiori distanze che nelle minori; sì che, se, v. g., l’angolo d’un og¬ getto posto in distanza di cinquanta braccia, all’angolo del medesimo oggetto posto in distanza di braccia cento, è, per essempio, come cento a assalita, l’angolo del medesimo oggetto in distanza di mille al- :l( 208 IL SAGGIATORE. l’angolo in distanza di duniila sarà, v. g., corno conto a cinquantotto o quello in distanza di quattromila a quello in distanza d’ottomila sarà corno conto a cinquantacinque, o quel della distanza di 10000 a quel di ventimila sarà come cento a cinqunntaduo, e sempre la diminu- zion dell’angolo s’nuderà facondo in maggiore o maggior proporzione senza poro ridursi mai a farsi colla medesima dello lontananze permu- tatamente preso. Tal elio, b’ io non prendo errore, quello che scrive il Sarsi, che l’angolo visuale, ridotto por gran lontananze a molta acu¬ tezza, non continua di diminuirsi per altri immensi allontanamenti con si gran proporzione conio faceva nello minori distanze, è tanto falso u quanto elio tal diminuzione vion sumpre fatta in maggior proporzione, 15. Legga ora V. S. Illustrissima : Seti dicet is ... uti tuba exislìm- mits ? [pag. 130, lin. 7-17) Qui, eom’ ella vedo, il Sarsi introduco me, come ormai convinto dalla forza do’ suoi sillogismi, a ricorrere per mio scampo a qualun¬ que debolissimo attacco, ed a diro, quando pur vero sia che le stelle fisso non ricevano accrescimento conio gli oggetti vicini, che questo saltem non è servirsi dot medesimo strumento, poi che negli oggetti propinqui si deve allungare ; e mi soggiunge, con un Ajmgc, ch’io ricorro a cose troppo minute. Ma, Sig. Sarsi, io non ho bisogno dia ricorrere al sditevi ed allo minuzie. Necessità no avete avuta voi sin qui, e più 1’ avercte nel progresso. Voi avete avuto bisoguo di dire clic saltcm nelle sottilissime ideo geometriche le fisse richieggono ab¬ breviazione del telescopio più che la Luna, dal che poi ne seguiva, come di sopra ho notato, che ricrescendo la Luna mille volte, le fisse ricrescerebbe no novecento novantanove, mentre clic por mantenimento del vostro detto avevate di bisognò ch’olle non ricrescessero nè anco una meza volta. Questo, Sig. Sarsi, è un ridursi al sdlteni, e un far come quella serpo che, lacerata e pesta, non lo sendo rimasti più spiriti fuor elio nell’estremità della coda, quella va pur tuttavia divinco-* laudo, per dare a credere a’viandanti d’essere ancor sana e gagliarda. Ed il dire che il telescopio allungato è un altro strumento da (pel eli’ era avanti, ò, nel proposito di cho si parla, cosa essenzialissima, e tanto vera quanto verissima; nò il Sarsi avrebbe stimato altrimenti, se nel darne giudicio non avesse equivocato dalla materia alla foima o figura, che dir la vogliamo: il che si può facilmente dichiarare ìuic° senza uscir del suo medesimo essempio. ITi SAQOTATO'RK. 200 Io domando al Sarai, ondo avvenga olio lo canne dell’organo non , fnfite all’unisono, ma altro vendono il tuono più gravo ed ]tre meuo p pirìi egli forse, ciò derivare perdi elio siano di materie diverse ? certo no, essendo tutto di piombo: ma suonano diverse note \’cliò sono di diverse grandezze, e quanto alla materia, olla non ha Iwrto alcuna nella forma del suono: perché si faran canno, altro di lepo altre di stagno, altre (li piombo, altro d’argento ed altro di carta a Boneran tutte 1’unisono ; il elio avverrà «piando lo loro lun¬ ghezze o larghezze sieno eguali: od all’ incontro coll’istessa materia 10 in numero, cioè colle medesime quattro libro di piombo, figurandolo "or in maggiore or in minor vaso, ne formerò diverse noto: sì che, per quanto appartiene al produr suono, diversi sono gli strumenti che anno diversa grandezza, e. non quelli elio unno diversa materia. Ora se disfacendo una canna so no rigetterà del medesimo piombo un’altra più lunga, ed in conseguenza di tuono più grave, sarà il Sarsi renitente a dir che questa sia una canna diversa dalla prima? voglio creder di no. Ma so altri trovasse modo di formar la seconda più lunga senza disfar la prima, non sarebbe l’istesso ? certo sì. Ma il modo sarà col farla di duo pezzi e eli’ uno entri nell’ altro, perchè Mcosì si potrà allungare o scorciare, eil in somma farla all’arbitrio nostro divenir canne diverso, per quello che si ricerca al formar di¬ verse note; e tale è la struttura del trombone. Lo corde doli’arpe, benché sieno tutte della medesima materia, rendon suoni differenti, perchè sono di diverso lunghezze: ina quel clic fanno molte di que¬ ste, lo fa una sola nel liuto, mentre elio col tasteggiare si cava il suono ora da tutta ora da una parte, eh* è l’istesso elio allungarla e scorciarla, od in somma trasmutarla, per quanto appartiene alla produzzion del suono, in corde differenti: e l’istesso si può dire della canna dulia gola, la qual, col variar lunghezza o larghezza, accommo- sodandosi a formar varie voci, può senza errore dirsi ch’ella diventi canne diverso. Così, e non altrimenti (perchè il maggiore o minor vicrescimento non consiste nella materia del telescopio, inanella figura, sì clic il più lungo mostra maggioro), quando, ritenendo l’istessa ma¬ teria, si muterà l’intervallo tra vetro e vetro, si verranno a costituire strumenti diversi. 16. Or sentiamo l’altro sillogismo che forma il Sarsi : Sed videat Oa- lilucus ... diverso tamen modo usurpatimi |png. 130, liu. 18—p«g. 131, l> n - 5]. 270 II, .SAGGIATORE. 11 quale argomento io concedo tutto, ma non veggo eli’ ei concluda niente in disfavor del Sig. Mario, nò in lavor della causa del Sai-si’ al quale di niun profitto è elio gli oggetti vicinissimi veduti con uu telescopio lungo ricrescono più. elio i lontani veduti con un corto ch’ò la conclusioni del sillogismo, ma molto diversa dall’ obligo fo. trapreso dal Sarsi, il qual è di provar duo punti principali; l’uno è olio gli oggetti sino alla Luna, e non quei soli che sono nella ca¬ mera, ricrescano assaissimo ; ma lo stello fisso, non poco manco, ma insensibilmente, veduto questo o quelli coll’istesso strumento: l’altro, che la diversità di tali ricruscimenti proceda dalla diversità delle» lontananze d’essi oggetti, e che a quelle proporzionatamente risponda; 10 quali cose ogli non proverà mai in eterno, perchè son false. Ma della nullità del presente sillogismo, per quanto appartiene alla ma¬ teria di che si tratta, siacene testimonio che io su le sue medesime pedate procederò a dimostrar conci udentemente il contrario. Gli og¬ getti che ricercano d’ esser riguardati col medesimo strumento, ri¬ cevono da quello il medesimo ricrescimcnto; ina tutti gli oggetti, da un quarto di miglio in là sino alla lontananza di mille milioni, ri¬ cercano d’esser riguardati col medesimo strumento; adunque tetti questi ricevono il medesimo ricrescimcnto. Non concluda per tantom 11 Sarsi di non avere scritto cosa aliena nò dal vero nò da me; per¬ ché di me almanco l’assicuro ch’egli sin qui ha concluso cosa con¬ traria all’ intenzion mia. Nell’ultima chiusa di questo periodo, dov’egli dice che il telesco¬ pio or lungo or corto si può chiamar il medesimo strumento, ma diversamente usurpato, vi è, s’io non m’inganno, un poco di equi¬ voco ; anzi parali elio il negozio proceda tutto all’ opposito, cioè eoo lo strumento sia diverso, e 1’usurpamento o vero applicazione sia la medesima a capello. Chiamasi il medesimo strumento esser diversa- mente usurpato, quando, senza punto alterarlo, si applica ad usi dif- 5 ferenti : e così 1’ ancora fu la medesima, ma diversamente usurpata dal piloto per dar fondo, e da Orlando per prender balene. Ma nel caso nostro accade tutto l’opposito: imperocché l’uso del telescopio è sempre il medesimo, perchè sempre s’applica a riguardar oggetti visibili; ma lo strumento è ben diversificato, mutandosi in esso cosa essenzialissima, qual è l’intervallo da vetro a vetro. È adunque ma nifesto 1’ equivoco del Sarsi. IL SAGGIATORI'!. 271 17 Ma seguitiamo più avanti : Al dicci ... sed aspedum ipstm [fa*. lin ' 6- 'P af?-132, lu, ‘ 12 ^‘ Qui noti primieramento V. S. Illustrissima come la mia predizione, fatta di sopra al numero 14, comincia a verificarsi. Là animosamente s’esibì il Sarsi a mantener, ninna cosa esser più vera del ricrescer gli oggetti veduti col telescopio tanto più «pianto più ami vitèlli, e tanto meno quanto più lontani: onde lo stelle fìsse, come lontanissime, non ri¬ crescesse! sensibilmente ; ma la Luna, assaissimo, conio vicina. Or «pii mi pare elio si cominci a vedere una gran ritirata ed una confessimi io manifesta: prima, elio la diversità delle lontananze degli oggetti non sia più la vera causa de’ diversi ingrandimenti, ma che bisogni ricor¬ rere all’ allungamento o scorciamento del telescopio; cosa non detta, nè pure accennata, nò forse pensata, da loro avanti 1’ avvertimento del Sig. Mario : secondo, elio nò anco questo abbia luogo nel presente caso, atteso die niuna mutazione si faccia nello strumento, si clic, cessando epiesto rifugio ancora, 1’ argomento che sopra ciò si fondava resti invalido totalmente. Veggo, nel terzo luogo, ricorrere a cagioni lontanissime dalle portato da principio por vero o sole, o diro clic il poco ricrescimento apparente nelle fisso non depomla più nò da gran » lontananza d’esse nò da brevità di strumento, ma elio ò un’illusione dell’occhio nostro, il quale libero vede le stello con un grandissimo irraggiamento non reale e elio però ci sembrano grandi, ma collo strumento si vede il nudo corpo della stella, il quale, ben che ringran- dito come tutti gli altri oggetti, non però par tale, paragonato colle medesime stelle vedute liberamente, in relazion delle quali l’accresci¬ mento par piccolissimo : dal elio ei conclude che almeno quanto al¬ l’apparenza le stelle fisse pur mostrano di ricrescer pochissimo, per- locliè io non mi devo maravigliare ch’eglino ciò abbiano detto, poi ch’ei non ricercavano la causa di tale aspetto, ma solamente l’aspetto istosso. » Ma, Sig. Sarsi, perdonatemi: voi, mentre cercate di rimuovermi la me¬ raviglia, non pur non me la levate, ma con altre nuove cagioni me la moltiplicate assai. ri • l prima, io non poco mi meraviglio nel vedervi portar questo piecedente discorso con maniera dottrinalo, quasi clic voi lo vogliate insegnare a me, mentre l’avete di parola in parola imparato voi dal Sig. Mario ; e di più soggiungete eli’ io non nogo queste cose, credo 0011 Unzione che nel lettore resti concetto eh’ io medesimo avessi 272 li, SAUUIATORR. in mano la risoluzioni'- della difficoltà, ma elio io non l’avessi sapula conoscere nò prevalermene. Meraviglioini, secondariamente, che voi diciate elio il vostro Maestro non andò ricercando la cagione dell’in- sensibil ricresciiuento dello stello fisse, ma solo l’istesso effetto del- l’insensiliilmento ricrescere, aneor eli’ egli più d’ una volta replichi esser di ciò la cagiono l’immensa lont ananza. Ma quello che, nel terno luogo, ni’accresce la meraviglia a cento doppi è elio voi non v’ac¬ corgiate elio, quando ciò vero fosso, voi figurereste, a gran torto, il vostro Maestro privo aurora di quella emù umilissima logica naturale, in virtù della quale ogni persona, per idiota ch’olla sia, discorre e» concludo direttamente lo suo intenzioni. E por farvi toccar con mano la verità di quanto io dico, rinioveto la considornzion della causa ed introducete il solo edotto (già elio voi affermate che il vostro Maestro non ricercò la causa, ma il solo edotto), c poi discorrendo dite: « Lo stello fisse ricrescono insensibilmente ; ma la cometa essa ancora ri¬ cresco insensibilmente » ; adunque, Sig. Sarsi, cho no concluderete? Rispondete: «Nulla», so volete rispondere manco male che sia possi¬ bile : perchè so voi pretenderete di poterne inferire una conseguenza, ed io pretenderò con altrettanta connessione poterne inferir mille; e se vi parrà di poter diro: « Adunque la cometa è lontanissima,per-» oliò anco le fisse sono lontanissime », od io con non minor ragione dirò : « Adunque la cometa è incorruttibile, perchè le fisse sono in¬ corruttibili », ed appresso dirò: « Adunque la- cometa scintilla, perché le fisso scintillano», e con non minor ragione potrò dire: «Adunque la cometa risplende di propria luce, perchè così fanno le fìsso »:o s’io farò di questo conseguenze, voi vi riderete di me come d un logico senza dramma di logica, ed avrete millo ragioni, e poi corte- semente m’ avvertirete eh’ io da quello premesse non posso mlerir altro per la cometa so non quei particolari accidenti che anno ne¬ cessaria, anzi necessarissima connessione coll’insensibil ricrescimeli o# delle stelle fisse ; e perchè questo ricrescimento non dopi onde nè 1» connessimi veruna coll’incorruttibilità, nò colla scintillazione, nè co! l’esser lucido da per sè, però ninna di queste conclusioni si ] )IUI concludere della cometa ; e chi di là vorrà inferir, la cometa esser lontanissima, bisogna cho di necessità abbia prima ben bene stabilito, l’insensibil ricrescimento delle stelle dependere, come da causa neces¬ sarissima, dalla gran lontananza, perchè altrimenti non si saio IL 8A00IAT0RE. 273 potuto servir del suo converso, cioè elio quegli oggetti elio insensi¬ bilmente ricrescono, sieno di necessità, lontanissimi. Or vedete quali errori in logica voi imm ontani onto addossato al vostro Maestro: dico immeritamente, perchè son vostri, o non suoi. 18. Or legga V. S. Illustrissima sin al fino di questo primo essamo: Mvìdeathoc loco Galilacus ... graduiti faciamus [pag. i:ìl>, li». 13 - pag. ìn i. lìn. 13], Qui primieramente, coni’ ella vedo, aviamo un argomento rap¬ pezzato, come si dice, su ’l vecchio, di diversi fragmenti di pro¬ io posizioni, per provar pure, il luogo della cometa essere stato tra la Luna ed il Sole : il qual discorso il Sig. Mario od io gli possiamo, senza pregiudicio alcuno, conceder tutto, non avendo noi mai affer¬ mato cosa veruna attenente al sito della cometa, nò negato eh’ ella possa essere sopra la Luna, ma solamente si è detto che le dimostra¬ zioni portate sin qui dagli autori non mancano di dubitazioni ; per le quali rimuovere di ninno aiuto è elio ora il Sarsi venga con altra nuova dimostrazione, quando bene ella fusse necessaria e concludente, a provar la conclusione esser vera, avvenga elio anco intorno a con¬ clusioni vere si può falsamente arguii imitare 0 commetter paralo¬ gismi 0 fallacie. Tuttavia, per lo desiderio ch’io tengo elio le cose recondite vengano in luce e si guadagnino conclusioni vere, nuderò movondo alcune considerazioni intorno ad esso discorso : e per più chiara intelligenza lo ristringerò prima nella maggior brevità, ch’io possa. Die’egli dunque, aver dal mio Nunzio Sidereo, le stelle fisso, come quelle che risplendono di propria luce, irraggiarsi molto di quel ful¬ gore non reale, ma solo apparente; ma i pianeti, come privi di luce propria, non far così, e massime la Luna, Giove e Saturno, ma dimo¬ strarsi quasi nudi di tale splendore ; ma Venere, Mercurio e Marte, » benché privi di luce propria, irraggiarsi nondimeno assai per la vici¬ nità del Sole, dal quale più vivamente vengon tocchi. Dice di più, clic la cometa, di mio parere, ricevo il suo lume dal Sole, e poi sog¬ giunge, se, con altri autori di nome, aver reputata la cometa come mi pianeta per a tempo, e che però di lei si possa filosofare come degli altri pianeti; de’ quali essendo che i più vicini al Sole più s’ir- 1 aggi ano, ed in conseguenza meno ricrescono veduti col telescopio, ed avvenga che la cometa ricresceva poco più di Mercurio ed assai 274 IL SAGGIATORE. meno che la Luna, molto ragionovolmente si poteva concluder, lei esser non molto più lontana dal Sole elio Mercurio, ma assai più vi- cimi a quello elio la Luna. Questo ò il discorso, il quale calza cosi bono, o così aggiustatamente s’ assesta, al bisogno del Sarsi, come se la conclusione lusso fatta prima do’ prinoipii e de’ mezi, sì che,non quella da questi, ma questi da quella dependessero, e fossero non dalla larghezza della natura, ma dalla puntualità di sottilissima arto stati preparati por lei. Ma vegliamo (pianto siano concludenti. E prima, elio io abbia scritto nel Nunzio Sidereo elio Giove e Saturno non s’irraggino quasi niente, ma elio Marte, Venere eMer-» curio si coronino grandemente do’raggi, è del tutto falso; perchè la Luna solamente ho sequestrata dal resto di tutto lo stelle, tanto fise quanto erranti. Secondariamente, non so so por far che la cometa sia un quasi pianeta, e elio, come tale, so gli convengano le proprietà degli altri pianeti, basti elio il Sarsi, il suo Maestro ed altri autori l’abbiano stimata e nominata per tale: elio so la stima o la voce loroavesser possanza di porre in essere lo cose da ossi stimate e nominate, io gli supplicherei a farmi grazia di stimare nominar oro molti ferramenti vecchi die mi ritrovo avere in casa. Ma lasciando i nomi da parte.a qual condizione induco questi tali a reputar la cometa quasi un pia¬ neta per a tempo? forse il rispondere come i pianeti? ma qual nu¬ vola, qual fumo, qual legno, (piai muraglia, qual montagna, tocca dal Sole, non risplendo altrettanto? Non ha veduto il Sarsi nel Nun¬ zio Sidereo dimostrato, lo stesso globo terrestre risplender più che la Luna? Ma che dico io del risplender la cometa come un pianeta? To, in quanto a me, non ho por impossibile clic la sua luce possa esser tanto debole, e la sua sostanza tanto tenue e rara, che quando alcuno se gli potesse avvicinare assai, la perdesse del tutto di vista, come accado d’alcuni fuochi eli’ escono dalla Terra, i quali solamente ; di notte e da lontano si veggono, ma da vicino si perdono; modo clic le nuvole lontano si veggono termi natissime, che poi da presso mostrano un poco di adombramento di nebbia talmente in terminato, che altri quasi, nell 5 entrarvi dentro, non distingue il su 1 termine, nò lo sa separar dall’ aria sua contigua. E quelle proiezioni de raggi solari tra le rotture delle nuvolo, tanto simili alle comete, quando mai son elle vedute, se non da quelli che da loro non lo 11 IL SAGGIATORE, 275 toni? Convien. forse la cometa co’ pianeti per ragion di moto? E qual cosa separata dalla parto elementare, eli’ ubidisce allo stato terre¬ stre non si moverà al moto diurno col resto dell’universo? Ma se si parla dell’ altro moto traversalo, questo non ha che far col mo¬ vimento de’pianeti, non essendo nò per quel verso, nè regolato, nè forse pur circolare. Ma, lasciati gli accidenti, crederà forse alcuno, la sostanza o materia della cometa aver convenienza con quella de’ pianeti ? Questa si può credere esser solidissima, che cosi ne per¬ suade in particolare e quasi sensatamento la Luna, ed in universale loia figura terminatissima ed immutabile di tutti i pianeti; dove, per l’opposito, quella della cometa in pochi giorni si può credere elio si dissolva; e la sua figura, non circolarmente terminata, ma confusa ed indistinta, ci dà sogno, la sua sostanza esser cosa più tenue e più rara che la nebbia o il fumo: sì elio in somma ella si possa più to¬ sto chiamare un pianeta dipinto, elio reale. Terzo, io non so quanto perfettamente ei possa aver paragonato l’irraggiamento ed il ricrescimento della cometa con quel di Mercurio, il quale, avvenga che rarissime volto dia occasion d’essere osservato, in tutto il tempo che apparve la cometa, sicuramente non la dette egli Minai, nè potè esser veduto, ritrovandosi sempre assai vicino al Solo; sì che io credo di poter senza scrupolo creder, elio il Sarsi non fa¬ cesse altrimenti questo paragone, difficile anco per altro e mal sicuro a potersi fare, ma eli’ o’ lo dica, perchè, quando così fussi, servirebbe meglio alla sua causa. E del non essere egli venuto a questa espe¬ rienza me no dà anco indizio questo, clic nel riferir 1’ osservazioni fatte in Mercurio e nella Luna, colle quali paragona quelle della co¬ meta, ini par cli’ei si confonda alquanto: atteso elle, per voler conclu¬ dere, la cometa esser più lontana dal Sole che Mercurio, aveva bisogno dire ch’ella s’irraggiava meno di lui, o veduta col telescopio ricresceva *> più di lui; tuttavia gli è venuto scritto a rovescio, cioè ch’ella non s’ir¬ raggiava assai più di Mercurio, e eli’ olla riceveva quasi il medesimo ricrescimento, cli’è quanto a dire ch’ella s’irraggiava più, e ricresceva manco, di Mercurio : paragonandola poi colla Luna, scrive l’istesso (ben ch’egli dica di scrivere il contrario), cioè ch’ella ricresceva meno che la Luna, e s’irraggiava più: tuttavia poi, nel concludere, dalla identità di premesse ne deduce contrario conclusioni, cioè che la co¬ meta è più vicina al Sole che la Luna, ma più remota che Mercurio. 276 IL SAGGIATORE. E finalmente, professando il Sarsi d’esser molto esatto logico non so perchè nolla divisimi do’corpi luminosi che s’irraggiano più o meno, e che in conseguenza, veduti col telescopio, ricevono ingran¬ dimento minore o maggioro, oi non abbia registrati i nostri lumi elementari; avvenga elio lo candele, le fiaccole ardenti vedute in qual¬ che distanza, o qualunque sassetto, legalizzo o altro piccolo corpi- cello, insili lo foglie dell’ orbe o lo stille della rugiada percosse dal Sole, risplendono, o da certo vedute s’irraggiano al pari di qualun¬ que più folgorante stella, e visto col telescopio osservano nell’in¬ grandimento l’istesso tenore elio lo stello : periodo) cessa del tutto» quell’ aiuto eli costa eh’ altri si ora promesso dal telescopio, per condur la cometa in cielo e rimuoverla dalla sfera elementare. Cessi pertanto ancora, il Sarsi dal pensiero di poter sollevare il suo Maestro, e sia certo elio per volor sostenere un orrore è forza di commetterne cento, e, quel eh’ è peggio, restar in ultimo a piedi. Vorrei anco pregarlo eli’ei cessasse di replicar, com’egli pur fa nel fino di questa parte, elio questo suo sicno mie dottrine, perdi’ io nè scrissi mai tali cose, nè lo dissi, nò lo pensai. E tanto basti intorno al primo essame. 19. Ora passiamo al secondo. Quamvis ad liane nsque dim ... minime dementar em fuisse lime cometam [pag. 134, liu. 18 — pag. 135, lin. 24]. » Di sopra il Sarsi s’andò figurando arbitrariamente i principiied i mezi accommoclati alle conclusioni di’ egli intendeva di dimostrare; adesso mi par eh’ ei si vada figurando conclusioni, per oppugnarle come pensieri del Sig. Mario o miei, molto diverse, o almeno molto diversamento prese, da quello che nel Discorso del Sig. Mario soli portate. Imperocché, che la cometa sia senz’ altro un simulacro vano ed una semplice apparenza, non è mai risolutamente stato affermato, ma solo messo in dubbio o promosso alla considerazion de’ filosofi cou quello ragioni e conghietture elio par che possano persuadere die così possa essere. Ecco le parole del Sig. Mario in questo proposito:» « Io non dico risolutamente clic la cometa si faccia in tal modo, ina dico bene che, come di questo, così son dubbio degli albi modi assegnati dagli altri autori; i quali se pretenderanno d’indubitatamente stabilir lor parere, saranno in diligo di mostrar questa e tutte l’ altre posizioni vane e fal¬ laci ». Con simil diversità porta il Sarai elio noi con risolutezza ab¬ biamo affermato, il moto della cometa dover necessariamente esser retto e perpendicolare alla superficie terrestre : cosa che non si è prò il saggiatori:. 277 posta in colai forma, ma solo s' è mosso in considera/,ione conio quo- sto più semplicemente, o più contorna; all’ apparenze, soddisfaceva alle mutazioni osservato in essa cometa ; o tal pensiero violi tanto temperatamente proposto dal Sig. Mario, elio noli’ultimo dice queste parole: * Però a noi conviene contentarci di quel poca che -possiamo con- (jUeiturar così tra V ombre ». Ma il Sarsi ha voluto rappresentar que¬ ste opinioni tanto più fermamente esser da ino state credute, quanto egli si è immaginato di potorio con più rlìieaci mezi annichilare; il olio so gli sarà venuto fatto, io gliene terrò obligo, perchè per io l’avvenire avrò a pensare a una opinion di manco, qualunque volta mi venga in pensiero di filosofar sopra t al materia. In tanto, perchè mi pare ohe pur ancora resti qualche poco di vivo nello conghiet- ture del Sig. Mario, nuderò facondo alcuna considerazione intorno al momento (lolle opposizioni del Sarsi. Il quale, venendo con gran risolutezza ad oppugnar la prima con¬ clusione, dice elio a chi avesse pur una sola volta rimirata la co¬ meta, di nissun altro argomento gli sarebbe stato di mestieri per conoscer la natura di cotal lume ; il quale, paragonato cogli altri lumi verissimi, pur troppo apertamente mostrava sò esser vero, e so uou finto. Sì che, come vede V. S. Illustrissima, il Sarsi coufula tanto nel senso della vista, elio stima iinpossibil cosa restar ingannato, tut- tavolta che si possa far parallelo tra un oggetto fìnto ed un reale. 10 confesso di non aver la facoltà distintiva tanto perfetta, ma d’es¬ ser come quella scinda elio credo fermamente veder nello specchio un’ altra bertuccia, nò prima conosco il suo errore, elio quattro o sei volto non sia corsa dietro allo specchio per prenderla: tanto se le rappresenta quel simulacro vivo c vero. F, supporto elio quegli che 11 Sarsi vedo nello specchio non sieno uomini veri o reali, ma vani simulacri, come quelli che ci veggiamo noi altri, grande curiosità so avrei di sapere, quali sieno quelle visuali differenze per lo quali tanto speditamente distinguo il vero dal fìnto. Io, quanto a me, mi sono mille volte ritrovato in qualche stanza a finestre serrate, e per qual¬ che piccol foro veduto un poco di rotlession di Solo latta da un altro muro opposto, e giudicatola, (pianto alla vista, una stella non inen lucida della Canicola e di Venero. E cambiando in campagna con¬ tro al Sole, in quante migliaia di pagliuzze, di sassetti, un poco lisci o bagnati, si vedrà la retlession del Sole in aspetto di stelle splen- 278 IL SAGGIATORE. (lentissimo? Sputi solamente in terra il Sarsi, elio senz’altro, dal luogo dove va la reilession «lei raggio solare, vedrà l’aspetto d’una stella naturalissima. In oltre, qual corpo posto in gran lontananza, venendo tocco dal Sole, non apparirti una stella, massime se sarà tanto alto elio si possa veder di notte, come si voggon l’altro stelle? E chi distinguerebbe la Luna, veduta di giorno, da una nuvola tocca dal Sole, so non fusso la diversità della figura o dell’ apparente gran¬ dezza? Ninno sicuramente. K finalmente, se la semplice apparenza devo determinar doli’essenza, bisogna elio il Sarsi conceda che i Soli, 10 Lune o le stelle, vedute nell’acqua ferina e negli specchi, sienveri» Soli, vere Lune o vere stelle. Cangi puro il Sarsi, quanto a questa parte, opinione, nò creda col citare autorità di Ticone, di Taddeo Agecio o d’altri molti, di migliorar la comlizion sua, se non in quanto 1’ avere avuto uomini tali per compagni rende più scusabile 11 suo errore. 20. Segua V. S. Illustrissima di leggere. Quia tamen loto eo tem¬ pore .. . ferri nccesse est [pag- 135, là». -5 — p»g- 13G, lin. I7J. Che vapori tumidi da qualche parto della Terra sormontino so¬ pra la Luna, ed anco sopra il Sole, e elio usciti fuori del cono del- T ombra terrestre sieno dal raggio solare ingravidati e quindi par- ? toriscano la cometa, non è mai stato scritto dal Sig. Mario nè detto da me, ben olio il Sarsi me 1’attribuisca. Quello che ha scritto il Sig. Mario ò, che non ha per impossibile che tal volta possano elevarsi dalla Terra essalazioni ed altro coso tali, ma tanto più sottili del con¬ sueto, che ascendano anco sopra la Luna, e possano esser materia per formar la cometa; o elio talora si facciano sublimazioni fuor del consueto della materia do’ crepuscoli, 1’ ossemplifica per quella boreale aurora; ma non dice già che quella sia in mimerò la medesima ma¬ teria delle comete, la qual ò necessario che sia assai più rara e sot¬ tile che i vapori crepuscolii o che quella materia della detta aurora» boreale, atteso che la cometa risplende mono assai dell’aurora ; si che se la cometa si distendesse, v. g., lungo l’oriente nel candor dell’ alba, mentre il Sole non funse lontano dall’ orizonte più di sei o vero otto gradi, ella senza dubbio non si discernerebbe, per esser manco lucida del campo suo ambiente. E coll’ istessa, non risolutezza, ma probabilità si è attribuito il moto retto in su alla medesima ma leria. E questo sia detto non per ritirarci, per paura che ci facciano IL SAGGIATO UH. 279 ]’oppugnazioni del Sarsi, ma solo perchè si vegga elio noi non ci al¬ lontaniamo dal nostro costume, eli’ ò di non affermar per corte se non le cose che noi sappiamo indubitatamente, oliò così c’insegna h nostra filosofia e le nostro matematiche. Or, posto elio noi abbiamo dotto come c’impone il Sarsi, sentiamo od essaniinianio le sue oppo¬ sizioni. È la sua prima instanza fondata sopra l’impossibilità del salir va¬ pori per linea retta verso il cielo mentro impetuoso aquilone ili tra¬ verso spinge l’aria o ciò elio per entro lei si ritrova; o tale si sentì io egli per molti giorni appresso all’apparir della cometa. L’instanza veramente è ingegnosa; ma le vion tolto assai di forza da alcuni av¬ visi sicuri, per li quali s’ ebbe che in quei giorni nò in Persia nò in China fu perturbazione alcuna di venti ; ed io crederò elio d’una di (juollc regioni si elevasse la materia della cometa, so il Sarsi non mi prova eh’ ella si movesse non di là, ma di lloma, dov’ egli sentì l’impeto boreale. Ma quando ben anco il vaporo si fusso partito d’Italia, chi sa eli’ ei non si mettesse in viaggio avanti i giorni ven¬ tosi, de i quali ne fussor passati poi molti avanti il suo arrivo al¬ l’orbe cometario, lontano dalla Terra, per relazion del Maestro del 20 Sarsi, 470000 miglia in circa; clic puro a far tanto viaggio ci vuol del tempo, e non poco, perchè P ascender de’ vapori, per quel che si vede qui vicini a Terra, non arriva alla velocità del volo dogli uc¬ celli a gran pezzo, sì che non basterebbe il tempo di quattro anni a far tanto viaggio. Ma dato anco elio tali vapori si movessero in tempo ventoso, egli, che presta intera fede a gl’ istorici ed a poeti ancora, non dovrà negare che la commozion de’ vonti non asconda più di due o tre miglia in alto, già che vi son monti la cima de’ quali trascende la region ventosa ; sì elio il più che possa concludere sarà che dentro a tale spazio vadano i vapori non perpendicolarmente, » ma trasversalmente fluttuando: ma fuor di tal o spazio cessa l’impe¬ dimento che dal camin retto gli disvia. 21. Séguiti ora V. S. Illustrissima. Secl dcnius . . . nulla ratione poterli [pag. 136, lin. 18 — ptig. 139, lin. 6]. farmi d’aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la con¬ dizione umana intorno alle cose intellettuali, clic quanto altri meno llc 'Stende e no sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne ; e che, di incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più 280 IL SAGGIATORE. lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità. Nacque gii in un luogo assai solitario un uomo dotato da natura d’uno ingegno perspicacissimo o il una curiosità straordinaria ; e por suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del lor canto, e con gran¬ dissima meraviglia andava osservando con elio bell’ artificio, colla stesa’aria con la quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, o tutti soavissimi. Accadde che una notte vicino a casa sua senti un delicato suono, nò potendosi immaginar che fusse altro elio qualolio uccelletto, si mosso per prenderlo ; o venuto nella strada, trovò un pastorello, elio soffiando in certo legno forato e movendoti le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi orano, ne traeva quelle diverso voci, simili a quelle d’un uccello, ina con maniera diversissima. Stupefatto o mosso dalla sua naturai cu¬ riosità, donò al pastore un vitello per aver quel zufolo; e ritira¬ tosi in sò stesso, e conoscendo che se non s’abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato elio ci erano in natura due modi da formar voci o canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando dila¬ terò incontrar qualche altra avventura. Ed occorse il giorno se¬ guente, che passando presso a un pieeoi tugurio, sentì, risonarvi dentro una simil voce; o per certificarsi so era un zufolo o pure un ;> merlo, entrò dentro, c trovò un fanciullo che andava con un archetto, eh’ci teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, o senz’altro fiato ne traeva voci diversec molto soavi. Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi partecipa dell’ingegno o della curiosità che aveva colui; il qual, vedendosi so¬ praggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il canto tanto inopinati, cominciò a creder eli’ altri ancora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu la sua meraviglia, quando entrando in certo tempio si mise a guardar dietro alla porta per veder chi aveva so- * nato, e s’ accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle ban¬ delle nell’ aprir la porta ? Un’ altra volta, spinto dalla curiosità, entrò in un’osteria, e credendo d’aver a veder uno che coll’ archetto toc casse leggiermente lo corde d’ un violino, vide uno che fregando il polpastrello d’un dito sopra l'orlo d’un biccliiero, ne cavava soavis simo suono. Ma quando poi gli venne osservato che lo vespe, lo zare o i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, col respirar 6 f orDia II, SAGGIATORE. 281 vano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell’ ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in osso lo stupore, tanto si scemò l’opinione ch’egli aveva circa il sapere come si generi il suono ; nè tutte P esperienze già vedute sarobbouo stato bastanti a fargli com¬ prendere o credere che i grilli, già die non volavano, potessero, non col fiato ma collo scuoter 1’ ali, cacciar sibili così dolci o sonori. Ma quando ei si credeva non potere esser quasi possibile che vi fossero altre maniere di formar voci, dopo 1’ avere, oltre a i modi narrati, osservato ancora tanti organi, trombo, pittori, strumenti da cordo, di » tante e tante sorte, e sino a quella linguetta di ferro che, sospesa fra i denti, si servo con modo strano della cavità della bocca per corpo della risonanza o del fiato por veicolo del suono; quando, dico, ei credeva d’ aver veduto il tutto, trovossi più che mai rinvolto nel¬ l’ignoranza e nello stupore noi capitargli in mano una cicala, e che nè per serrarle la bocca nò per fermarlo 1’ ali poteva nò pur dimi¬ nuire il suo altissimo stridore, nò le vedeva muovere squamine nò al¬ tra parte, e che finalmente, alzandolo il casso del petto e vedendovi sotto alcune cartilagini duro ma sottili, e credendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle por farla chetare, Cecile tutto fu in vano, sin che, spingendo l’ago più a dentro, non lo tolse, trafiggendola, colla voco la vita, si che nò anco potò accer¬ tarsi se il canto derivava da quelle : ondo si ridusse a tanta diffi¬ denza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo potervene essere cento altri incogniti od inopinabili. Io potrei con altri molti essempi spiegar la ricchezza della natura nel produr suoi effetti con maniere inescogitabili da noi, quando il senso e l’esperienza non lo ci mostrasse, la quale anco talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità ; onde so io non superò preci¬ si saniente determinar la maniera della produzziou della cometa, non mi dovrà esser negata la scusa, e tanto più quant’ io non mi son mai arrogato di poter ciò fare, conoscendo potere essere eli’ ella si tac¬ cia in alcun modo lontano da ogni nostra immaginazione; o la diffi¬ colta dell’ intendere come si fornii il canto della cicala, menti' ella ci canta in mano, scusa di soverchio il non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa. Fermandomi dunque su la prima in¬ tenzione del Sig. Mario e mia, eli’ ò di promuover quelle dubitazioni 282 IL SAGGIATORE. che ci ò paruto che rendano incerte 1* opinioni avuto sin qui e x proporre alcuna considerazione di nuovo, acciò sia essaminata e con¬ siderato se vi sia cosa che possa in alcun modo arrecar qualche lume ed agevolar la strada al ritrovamento del vero, anderò seguitando di considerar 1’ opposizioni fatteci dal Sarsi, per le quali i nostri pen¬ sieri gli sono partiti improbabili. Procedendo egli adunque avanti e concedendoci che, quando pur non fusso conteso a i vapori, o altra materia atta al formar la cometa il sollevarsi da Terra od ascondere in parti altissime, dove diretta- monte potesse ricevere i raggi solari e reflettergli a noi, muove dif-s ficoltà in qual modo, venendo illuminata tutta, da una sola sua par¬ ticella venga poi fatta a noi la reflossiono, e non faccia come quei vapori elio ci rappresentano quella intempestiva aurora boreale, i quali, sì come tutti s’illuminano, tutti ancora luminosi ci si dimo¬ strano; ed appresso soggiunge, aver veduto verso la meza notte cosa più. meravigliosa, cioè una nuvoletta verso il vertice, la quale, à come tutta era illuminata, così da ogni sua parte liberalissimamente ci rimandava lo splendore ; e lo nuvole tutte (segu’ egli), se saranno dense ed opache, ci rendono il lume del Solo da tutta quella parte che da esso vengono vedute; ma se saranno rare, sì che il lumeles penetri, ci si mostrano tutte lucide, ed in ninna parte tenebrose;se dunque la cometa non si forma in al tra- materia che in simili vapori fumidi largamente distesi, come dice il Sig. Mario, e non raccolti io figura sferica, essendo da ogni lor parte tocchi dal Sole, per qual cagiono da un sol piccolo globetto, o non dal resto, benché egual¬ mente illuminato, ci vien fatta la rettossione ? Ancor che le soluzioni di queste instanze sieno a pion disteso nel Discorso del Sig. Mario, nientedimeno P anderò qui replicando c disponendole a’luoghi loro, coll’aggiunta di qualch’altra considerazione, secondo che l’opposi¬ zioni di passo in passo mi faranno sovvenire. E prima, non dovrebbe aver difficoltà veruna il Sarsi nel conce¬ der che da un luogo particolare solamente di tutta la materia sub mata per la cometa si possa far la reflessione del lume del Sole alla vista d’ un particolare, benché tutta sia egualmente illuminata ; 3V venga che noi ne abbiamo mille simili esperienze in favore, per 11113 che paia essere in contrario, e facilmente di quelle prodotte dal Sar.i corno contrarianti a tal posizione no troveremo la maggi 01 P ar IL, SAGGIATORE. 28b esser favorevoli. Già non è dubbio, elio di qualsivoglia specchio piano esposto al Sole tutta la superficie ò da quello illuminata ; il simile è di qualsivoglia stagno, lago, fiume, mare, ed in somma d’ogni su¬ perficie tersa e liscia, di qualunque corpo ella si sia : nulladimeno all’occhio d’un particolare non si fa la reflession del raggio solare se non da un luogo particolare d’ ossa superficie, il qual luogo si va mutando alla mutazion dell’ occhio riguardante. L’ esterna superficie di sottili ma per grande spazio distese nuvole, è tutta egualmente illuminata dal Solo ; tuttavia 1’ alone ed i parelii non si mostrano ad io un occhio particolare so non in un luogo solo, o questo parimente al movimento dell’ occhio va mutando sito in essa nuvola. Dice il Sarsi: « Quella sottil materia sublimata elio rende tal¬ volta quella borealo aurora, si vede pur, qual ella è in fatto, illumi¬ nate tutta ». Ma io domando al Sarsi, onde egli abbia questa cer¬ tezza. Ed egli non mi può rispondere altro, so non elio ei non vede parte alcuna che non sia illuminata, sì coni’ ei vede il resto della superficie degli specchi, dell’ acque, do’ marmi, oltr’ a quella parti- cella che ci rende la reflession viva del raggio solare. Sì, ma io l’av¬ vertisi» che quando la materia fiosso in colore simile al resto dol¬ ili’ambiente, o vero fusse trasparente, ei non distinguerebbe altro elio quel solo splendido raggio reflesso, come accade talvolta che la su¬ perficie del mare non si distinguo dall’ aria, e pur si vede l’immagine reflessa del Sole; e così, posto un sottil vetro in qualche lontananza, ci potrà mostrar di sò quella sola particella in cui si fa la reflessione di qualche lume, rimanendo il resto invisibile per la sua trasparenza. Questo del Sarsi è simil all’ error di coloro clic dicono che nessun delinquente deve mai confidarsi che il suo delitto sia per restare oc¬ culto, nè s’ accorgono dell’incompatibilità eli’è tra ’l restar occulto e l’essere scoperto, e che senz’altro chi volesse tener due registri, » uno de’delitti che restano occulti, o l’altro di quelli che si manife¬ stano, in quel degli occulti non ci verrebbe mai registrato e notato cosa veruna. Vengo dunque a dir, clie senza repugnanza alcuna posso credere che la materia di quella boreale aurora si distenda in ispazio grandissimo e sia tutta egualmente illuminata dal Sole ; ma perchè a me non si scopre e fa visibile se non quella parto onde vien al- 1 occhio mio la refrazzione, restando tutto il rimanente invisibile, però «ù par di vedere il tutto. Ma che piu ? I)e’ vapori crepuscolini, che vi. 30 284 TI. SAOCilATOUH. circondano tutta la Terra, non è egli sempre egualmente illuminalo uno emisforio da’raggi solari? Certo si; tuttavia quella parte elio di¬ rottamento s’interpone tra ’1 Sule o noi, ci si mostra più luminosa assai delle parti più lontane : o questa, come 1’ altre ancora, è una pura apparenza od illusimi doli’ occhio nostro, avvenga che, siamo noi in qualsivoglia luogo, sempre veggiamo il corpo solare come centro d’ un cerchio luminoso, ma elio di grado in grado va perdendo di splendore secondo eh’ò più remoto da osso centro a destra o a sini¬ stra ; ma ad altri più verso borea quella parte che a me è più chiara apparisce più fosca, e più lucida quella che a ine si rappresentava » più oscura ; sì che noi possiamo diro d’ avere un perpetuo e grande nlono intorno al Sole, figurato nella convessa superficie che termina la sfera vaporosa, il quale alone, nel modo stesso dell’altro che talora si forma in una sottil nuvola, si va mutando di luogo seconde/lama- tazion del riguardante. Quanto alla nuvoletta che’l Sarsi afferma aver veduta tutta lucida nella profonda notte, lo potrei parimente interro¬ gare, qual certezza egli abbia eh’ ella non fusse maggior di quella eli’ ei vedeva, e massime dicendo egli ch’ella era in modo traspa¬ rente, elio non celava lo stelle fisse, ancor che minime, perlochè ninno indizio gli poteva rimanere onde potesse assicurarsi, quella no# » distendersi invisibilmente, come trasparentissima, molto e molto oltre a’termini della parto lucida veduta: o però resta dubbio se essa an¬ cora fusse una dell’ apparenze, la «piale alla mutazion di luogo del- 1’ occhio, conio 1’ altre, s’ andasse mutando. Oltre che non repugna ch’ella potesse apparir luminosa tutta, ed esser nondimeno una illu¬ sione, il che accaderebbo qimml’ ella non fusse maggior di quello spa¬ zio che viene occupato dall’immagine del Sole, in quel modo clic se, vedendo il simulacro del Sole occupar, v. g., in mio specchio tanto spazio quant’ è un’ ugna, noi tagliassimo via il rimanente, che non ha dubbio alcuno che questo piccolo specchietto potrà apparirci lu cido tutto. Ma di più ancora, quando lo specchietto fusse minoreèl simulacro, allora non solamente si potrebbe vedere illuminato tutto, ma il simulacro in lui non ad ogni movimento dell’ occhio app an rebbe esso ancora muoversi, coni' ei fa nello specchio grande, anzl i per essere egli incapace di tutta T immagine del Sole, seguirebbe elu. movendosi 1’ occhio, vocierebbe la reflession fatta or (la una ed or <• un altra ptarte del disco solare ; e così l’immagine parrebbe h" 1 IL SAGGIATORI*:. 285 bilo sin olie venendo l’occlno verso In parlo devo non si dirizza la flessione, ella del tutto si perderebbe. Assaissimo, dunque, importa il considerar la grandezza o qualità della superficie nella quale si fa la reflessione ; perchè, secondo che la superficie sarà meri tersa, l’im¬ magine del medesimo oggetto vi si rappresenterà maggiore o mag¬ giore sì che talvolta, avanti che l’immagino trapassi tutto lo spec¬ chio molto spazio converrà che cammini 1’ occhio, od essa immagino apparirà fissa, se ben realmente sarà mobile. E permeglio dichiararmi in un punto importantissimo e che forse, io non dirò al Sarsi, ma a qualunqu’ altro sopraggiungorà pensior nuovo, si fio-uri V. S. Illustrissima d’ esser lungo la marina in tempo eli’ olla sia tranquillissima, ed il Solo già declinante verso l’occaso: vederi nella superficie del mare di’è intorno al verticale che passa per lo disco solare, il reflesso del Sole lucidissimo, ma non allargato pel- molto spazio ; anzi, se, come ho detto, l’acqua sarà quietissima, ve¬ derli la pura immagine del disco solare, terminata come in uno spec¬ chio. Cominci poi un leggici- venticello a increspare la superficie del¬ l’acqua: comincerà nell’istesso tempo a veder V. S. Illustrissima il simulacro del Sole rompersi in molte parti, ina allargarsi e. di {fondersi » in maggiore spazio; o benché, mentre ella fosso vicina, potrebbe distinguer l’un dall’altro do i pezzi del simulacro rotto, tuttavia da maggior lontananza non vederebbo tal separazione, sì por 1’ angustia degl’intervalli tra pezzo e pezzo, sì pel gran fulgor delle parti splen¬ denti, che insieme s’ anderebbono mescolando c facendo l’istesso che molti fuochi tra sò vicini, che di lontano appariscono un solo. Cresca in onde maggiori e maggiori l’increspamento : sempre per intervalli più e più larghi si distenderà la moltitudine degli specchi, da’ quali, secondo le diverso inclinazioni dell’ ondo, si reflotterà verso 1’ occhio 1 immagine del Solo spezzata. Ma recandosi in distanze maggiori c M maggiori, e per poter meglio scoprire il mare montando sopra col¬ line o altre eminenze, un solo e continuato parrà il campo lucido: ed io mi sono incontrato a veder da una montagna altissima e lon¬ tana dal mar di Livorno sessanta miglia, in tempo sereno ma ven¬ toso, un’ora in circa avanti il tramontar del Sole, una striscia luci- I dissi ma diffusa a destra ed a sinistra del Sole, la quale in lunghezza occupava molte decine e forse anco qualche centinaio di miglia, la 'inule però era una medesima reflessione, come l’altre, della luce del IL SAGGIATO 11 13. Solo. Ora s’immagini il Sarsi elio della superficie del mare, ritenendo il medesimo increspamento, se ne funse rimosso verso gli estremi gran parto, c lasciatone solamente verso il mezo, cioè incontro al Sole una lunghezza di due o tre miglia : questa sicuramente si sarebbe veduta tutta illuminata, ed anco non mobile ad ogni mutazion che il riguardante avesse fatto a questa o a quella mano, se non dopo essersi mosso forse per qualche miglio, clic allora comincerebbe a perdersi la parto sinistra del simulacro, s’egli cambiasse alla de¬ stra, e rimugino splendida si verrebl>o restringendo, sin che, fatta sottilissima, del tutto svanirebbe. Ma non perciò resta che il siimi -d lacro non sia mobile, al moto del riguardante, anzi, pur vedendolo tutto, tutto lo vederemmo ancor muovere, altaiche il suo mezo rispon¬ derebbe sempre alla drittura del Sole, il (piale ad altri ed altri che noi medesimo momento lo rimirano, risponde ad altri e ad altri punti dell’ orizonte. Io non voglio tacere a V. S. Illustrissima in questo luogo quello che mi è sovvenuto per la soluziou «l’un problema marinaresco.Cono¬ scono talora i marinari esperti il vento che da qualche parte del mare dopo non molto intervallo ò per sopragiunger loro, e di que¬ sto dicono esser argomento sicuro il veder 1’ aria, verso quella parte,# più chiara di quel che per consueto dovrebbe essere. Or pensi V.S. Illu¬ strissima se ciò potesse derivare dall’ esser di già in quella parte il vento in campo, e commosso 1’ ondo, dallo quali nascendo, come da specchi moltiplicati a molti doppi e diffusi per grande spazio, la rette- sion del Solo assai maggioro che so ’l mare vi fesso in bonaccia, possa da questa nuova luco esser maggiormente illuminata quelli' parte dell’ aria vaporosa per la quale tal rellossion si diffonde, la qual, come sublime, renda ancora qualclio refiosso di lume agli occhi de’ma- rinari, a’ quali, per esser bassi, non poteva venir la primaria refiession di quella parte di mare di già increspato da’venti e lontana per* avventura, da loro, venti o trenta o più miglia; e che questo sia il lor vedore o prevedere il vento da lontano. Ma seguitando il nostro primo concetto, dico che non in tutte le materie, o vogliamo dire in tutte lo superficie, stampano i rag- solari 1 immagine del Sole della medesima grandezza ; ma in alcun? fe queste sono le piane e lisce come uno specchio) ci si mostrali disco solare terminato ed eguale al vero, nelle convesse pur lisce w « IL SAGGIATORI'.. 287 jgce minore, o nelle concave talor minoro, talor maggiore, ed ° t ,j vo ita eguale, secondo le diverse distanze tra lo specchio o j’ometto e rocchio. Ma so la suiierlicie sarà non eguale, ina sinuosa ° d’eminenze o cavità, o come so dicessimo composta di gran altitudine di piccoli specchietti locati in varie inclinazioni, in mille o mille modi esposte all’occhio, allora l’istessa immagine del Sole da mille e mille parti, ed in mille o mille pezzi divisa, vorrà all’ oc¬ chio nostro, i quali per grande ispazio s’allargheranno, stampando in essa superficie un ampio aggregato di moltissimo piazzette lucide, la io frequenza delle quali farà che da lontano apparirà un sol campo sparso di luco continuata, più gagliarda o viva nel messo elio verso 4 estremi, dov’ ella va languendo, o lilialmente sfumando svanisce, quando per l’obliquità dell’occhio ad essa superficie i raggi visivi non trovano più onde rcflettersi verso il Sole. Questo gran simulacro è esso ancora mobile al movimento deH’orehio, pur elio oltre a i suoi termini si vada continuando la superficie devo si fanno lo relles- sioni: ma se la quantità della materia occuperà piccolo spazio, e minore assai di quello del simulacro intero, potrà accadere che, re¬ stando la materia fissa e movendosi l’occhio, ella continui ad appa¬ ssir lucida, sin che pervenuto l’occhio a quel termine dal quale, per l’obliquità de’raggi incidenti sopra essa materia, lo reflessioni non si dirizzano più verso il Solo, la luco svanisce o si perde. Ora io dico al Sarsi che quando ci vedo una nuvola sospesa in aria, terminata c tutta lucida, la quale resta ancor talo benché 1’ occhio por qualche spazio si vada mutando di luogo, non perciò si tenga sicuro, quella illuminazione esser cosa più realo di quella dell’alone, de’ pareli!, del¬ l’iride e della reflession nella superficie ilei maro; perchè io gli dico che la sua consistenza ed apparente stabilità può dependere dalla pic¬ colezza della nuvola, la quale non è capace di ricevere tutta la gran- sodezza del simulacro del Solo ; il qual simulacro, rispetto alla posizion delle parti della superficie di essa nuvola, s’ allargherebbe, quando non gli mancasse la materia, per ispazio molto e molte volte mag¬ giore della nuvola, ed allora quando si vedesso intero e che oltre di lui avanzasse altro campo di nubi, dico che al movimento dell’ oc¬ chio esso ancora così intero s’ nuderebbe movendo. Ai’gomento ne¬ cessario ci sia di ciò il veder noi spessissime volte, nel nascere o nel tramontar del Sole, molte nuvolette sospese vicino all’ orizonte, delle 288 li. SAGGIATORE. quali quelle che son vicine all’ incontro del Sole ai mostrano splen¬ dentissime o quasi «li finissimo oro, doli’altre laterali lo men remote dal mo7,o lucido esso ancora più dello più lontane, le quali di grado in grado ci si vanno dimostrando men chiaro, sì che finalmente delle molto remoto lo splendore è quasi nullo: dico nullo a noi, ma a chi fusse in tal sito che questo restassero interposte tra l’occhio suo e’1 luogo dell’occaso del Solo, lucidissimo se gli mostrerebbouo, ed oscure le nostre più risplendenti. Intenda dunque il Sarsi, che quando le nubi non tasserò spezzato, ma una lunghissima distesa e continuata, accaderebbc elio a cinscheduu riguardante la parto sua di mezoappa-ii risso lucidissima, o lo laterali di grado in grado, secondo la lonta¬ nanza dal suo mezo, men chiare, sì elio dove a me comparisce il colmo dello splendore, ad altri è il fino ed ultimo termine. Ma qui potrebbe dir alcuno elio, già che quel pezzo di nube rimai fisso, ed il lume in esso non si vede andar movendo alla mutazione di luogo del riguardante, questo basta a far dio la paralasse operi nel determinar della sua altezza, o elio però, potendo accader ristesse della cometa, l’uso della paralasso resti atto al bisogno di olii cerchi dimostrare il suo luogo. A questo si rispondo elio ciò sarebbe vero quando si fusse prima dimostrato elio la cometa fusse non un intero» simulacro del Sole, ma un pezzo solamente, sì che la materia in cui si forma la cometa fusse non solamente illuminata tutta, ma che 1 simulacro del Sole eccedesse dallo bande, in modo eli’ ei fusse ba¬ stante ad illuminar campo assai maggiore, quando vi fusse materia disposta alla reflessiori del lume; il elio non solamente non s’è di¬ mostrato, ma si può molto ragionevolmente creder 1’ opposito, cioè cho la cometa sia un simulacro intero, o non mutilato e tronco, chò così ne persuado la sua figura regolata e con bella simmetria disegnata. E di qui si può trar facilo ed accolli mudata risposta al- P instanza che fa il Sarsi, mentre mi domanda come possa essere che,> figurandosi, per dotto del Sig. Mario, la cometa in una materia distesa per grande spazio in alto, olla non s’illumini tutta, ma ci n mandi solo da un piccolo cerchietto la refiessione, senza che 1 alh® parti, piu* viste dal Solo, compariscano già mai. Imperò che io fa") la medesima interrogazione ad esso o al suo Maestro, il fi ua ^ e ,10n volendo che la cometa sia un incendio, ma inclinando a credere (s w non erro) clv almeno la sua coda sia una refrazzione de’raggi solari, IL SAGGIATORI'.. 28 !) 10 Mi domanderò s’ ei credono elio Ih materia nella quale si fa tal refrazzione sia tagliata appunto alla misura d’essa chioma, o pur c j, 0 ^ q Ua e di là e d’ ogn’ intorno vo n’ avanzi ; e so ve n’ avanza (corno credo che sarà risposto), perché non si vede, essendo tocca dal Solo? Qui non si può diro che la rofrazziono si faccia nella sostanza dell’etere, la quale, come diafanissima, non è potente a ciò fare, nò meno in altra materia, la quale, quando fusso atta a rifrangere, sa¬ rebbe ancor atta a reflettere i raggi solari. In oltre, io non so con qual ragione chiami ora un piccolo cerchietto il capo della cometa, ,oil quale con sottili calcoli il suo Maestro ha ritrovato contenere 87127 miglia quadre, che forse nessuna nuvola arriva a tanta grandezza. Segue il Sarsi, ed ad imitazion di colui elio por un pezzo ebbe opi¬ nion che ’l suono non si potesse produrre se non in un modo solo, dice non esser possibile che la cometa si generi per reflessione in quei vapori Tumidi, e elio 1’ essompio dell’ irido non agevola la difficoltà, se ben essa veramente ò una illusion della vista : imperocché la procreazion dell’iride e d’ altro simili cose ricercano una materia umida e che già si vada risolvendo in acqua, la quale allora solamente, imitando la natura de’ corpi lisci e tersi, rellette il lume da quella a parte dove si fanno gli angoli della reflessione o della refrazzione, elio a tale effetto si ricercano, come accade negli specchi, nell’ acqua o nelle palle di cristallo ; ma in altri rari e socchi, non avendo la su¬ perficie liscia come gli specchi, non si fa molta refrazzione: ricercan¬ dosi, dunque, per questi effetti una materia acquosa, ed in conse¬ guenza grave assai ed inabile a salir sopra la Luna ed il Solo, dove non possono salire (anco per mio parere) se non essalazioni leggeris¬ sime, adunque la cometa non può esser prodotta da tali vapori fu- midi. Risposta sofficiente a tutto questo discorso sarebbe il dire come 11 Sig. Mario non si ò mai ristretto a dir qual sia la materia precisa snella quale si forma la cometa, nè s’ella sia umida nè lumosa nè secca nò liscia, e so eh’ egli non si arrossirà a dire di non la sapere ; ma vedendo come in vapori, in nuvolo raro e non acquose, ed in quelle che già si risolvono in minute gocciole, nell’ acque stagnanti, negli specchi ed altre materie, si figurano per reflessi e refrazzioni molto varie illusioni di simulacri diversi, ha stimato di non essere impossi¬ bile che in natura sia ancora una materia proporzionata a renderci un altro simulacro diverso dagli altri, e che questo sia la cometa. Il, .SAGGIATORE. Tal risposta, dico, è adeguatissima all distanza, quando anco ciascuna parto d' essa instnnza lusso vera: tuttavia il desiderio (coni’altre volte ho detto) d’ agevolar, por quanto m’ è conceduto, la strada all’in- vestigazion di qualche vero, m’induco a far alcuna considerazione sopra certi particolari contenuti in esso discorso. E prima, è vero che in uno diluvio di minutissime stille d’acqua si fa l’illusion dell’ iride, ma non credo già che, poi converso, simile illusione non possa farsi senza tale diluvio. Il prisma triangolare cri¬ stallino, appressato agli occhi, ci rappresenta tutti gli oggetti tinti de’colori dell’iride; molto volte si vedo l’iride in nubi asciutte, e » senza che pioggia veruna discenda in terra. Non si veggono le me¬ desime illusioni di colori diversi nello piume di molti uccelli, mentre il Solo in varie maniero le ferisco? Ma clic più ? Direi al Sarsi cosa forse nuova, so cosa nuova so gli potesse diro. Prenda egli qualsivo¬ glia. materia, o sia pietra <> sia legno o sia metallo, e tenendola al .Sole, nttentissinmuiente la rimiri, ch’egli vi vederi tutti i colori com¬ partiti in minutissimo particelle; e s’ei si servirà, per riguardargli, d’un telescopio acoommodato per veder gli oggetti vicinissimi,assai più distintamente vederi quant’io dico, senza vermi bisogno che quei corpi si risolvano in rugiada o in vapori umidi. In oltre, quellenu-^ voletto che ne’ crepuscoli si mostrano lucidissime, e ci fanno uua re- ilession del lume del Sole tanto viva elio quasi ci abbaglia, sono delle più rare asciutte e sterili elio sieno in aria, o quelle clic sono umide, quanto più sou pregne d’acqua, tanto più si dimostrano oscure.L’alone e i parelii si fanno senza piogge e senza umido nelle più raro ed asciutte nuvole, o più tosto caligini, elio sieno in aria. Secondo, è vero che le superfìcie torse e ben lisce, corno quelle degli specchi, ci rendono una gagliarda ruIlession del lume del Sole, etato eh’appena la possiamo rimirar senza offesa; ma è anco vero che da superfìcie non tanto terse si fa la rellessione, ma men potente, secondo, che la pulitezza sarà minore. Vegga ora V. S. Illustrissima, se lo spie» dorè della cometa è di quegli ch’abbagliano la vista, o pur di quegli che per la lor debolezza non offondon punto ; e da questo giudichi, se per produrlo sia necessaria una superfìcie somigliante a quella d’ uno specchio, o pure basti un’ assai men tersa. Io vorrei mostrar al Sarsi un modo di rappresentare una rcflession simile assai a cometa. Prenda V. S. Illustrissima una boccia di vetro ben netta. IL SAGGIATORE. 291 avendo una candela accesa, non molto lontana dal vaso, vederà nella sua superficie un’ immagine piccolina d’esso lume, molto chiara o terminata: presa poi colla punta del dito una minima quantità di qualsivoglia materia che abbia un poco di untuosità, sì che s’attac¬ chi al vetro, vada, quanto più sottilmente può, ungendo in quolla parte dove si vedo l’immagine del lume, sì elio la superficie venga ad appannarsi un poco ; subito vederà la detta immagine offuscarsi: volga poi il vaso, sì elio l’immagino esca dell’untuosità e si fermi al contatto di essa, e poi dia una fregata sola per diritto col dito sopra io detta parte untuosa; citò subito vederà derivare un raggio dritto ad imitazioni della chioma della cometa, e questo raggio taglierà in tra¬ verso ed ad angoli retti il fregamento eh’ ella averà fatto col dito, sì elio 8’ella tornerà a fregar per un altro verso, il detto raggio si dirizzerà in altra parto: e questo avviene perchè, avendo noi la polle do’ polpastrelli delle dita non liscia, ma segnata d’ alcune linee tor¬ tuose ad uso del tatto per sentir le minime differenze delle cose tan¬ gibili, nel muovere il dito sopra dotta superficie untuosa, lascia alcuni solchi sottilissimi, no i colmi de’ quali si fanno lo reflessioni del lume, eli’essendo molte ed ordinatamente disposto, rappresentano poi una » striscia Incida ; in capo della quale se si farà, col muovere il vaso, venir quella prima immagine fatta nella parte non unta, si vederà il capo della chioma più lucido, e la chioma poi alquanto meno ri¬ splendente: ed il medesimo effetto si vederà, se in vece d’ungere il vetro s’appannerà coll’alitarvi sopra. Io prego V. S. Illustrissima elio se mai le venisso accennato questo scherzo al Sarsi, se gli protesti per me largamente e specificatamente, eh’ io non intendo perciò af¬ fermar che in cielo vi sia una gran caraffa e chi col dito la vada ungendo, c così si faccia la cometa ; ma eli’ io arreco questo caso o che altri ne potrei arrecare e che forse molti altri ce ne sono in so natura, inescogitabili a noi, come argomenti della sua ricchezza in modi differenti tra di loro per produrre i suoi effetti. terzo, che la reflessione e refrazzione non si possa far da materie e« impressioni meteorologiche so non quando contengono in sè mol- t acqua, perchè allora solamente sono di superficie lisce e terse, con¬ dizioni necessarie per produr tal effetto, dico non esser talmente vero, die non possa esser anco altrimenti. E quanto alla necessità della pulitezza, io dico che anco senza quella si farà la reflession dell’im- 292 II, flAOOIATORE. magi no unita o distinta: dico così, pierchò la rotta e confusa si fa da tutto lo superficie, quanto si voglia scabrose ed ineguali; che però quell’immagino d’ un panno colorato elio distintissima si scorge in uno specchio oppostogli, confusa e rotta si vedo nel muro, dal quale certo adombramento del color di osso panno ci vion solamente ripercosso. Ma so V. S. Illustrissima pigliorii una pietra o una riga di legno, non tanto liscia elio ci renda dirottamento l’immagini, e quella s’esporrà obliquamente all’occhio, conio so volesse conoscer s’ella è piana e diritta, vederà distintamente sopra d’ essa l’immagini do gli oggetti elio fussoro accostati all’altro capo della riga, così distinte chetenen-n dovi un libro scritto, potrà commodamente leggerlo. Ma di più, s’ella si costituirà coll’occhio vicino all’estremità di qualche muraglia di¬ ritta ed assai lunga, prima vederà un perpetuo corso d’essai azioni verso il cielo, e massimo quando il parete sia percosso dal Sole, per le quali tutti gli oggetti oppi osti appariscono tremare; dipoi, se farà che alcun dall’altro capto del muro so lo vada pian piano accostando, vederà, quando lo sarà assai vicino, uscirgli incontro l’immagine sua reflessa da quei vapori ascendenti, non punito umidi nè gravi, anzi aridissimi e leggieri. Ma che più ? Non ò ancor giunto al Sara il rumore che si fa, in particolare da Ticone, delle refrazzioni che si fanno* nell’ cssalazioni e vapiori che circondano la Terra, ancor che l’aria sia serenissima, asciuttissima e lontanissima dallo piogge e da ogni umi¬ dità? Nò mi citi, com’egli fa, l’autorità d’Aristotile e di tuttiimae¬ stri di perspettiva ; pierch’ egli non farà altro che dichiararmi più cauto osservatore di loro, cosa, pier mio credere, diametralmente con¬ traria alla sua intenzione. E tanto basti in risposta al primo argo¬ mento del Sarsi : e vegniamo al secondo. 22. Quod si forte ... fuisse nidlos fpag. 139, lin. 7 — png.140, l in - 5 l Molto coso son. da considerarsi in questo argomento,lo quali® paro che lo snervano assai. E prima, nò il Sig. Mario nò io abbiamo mai ardito di dire, c vapori aquei e densi siono stati attratti in alto a produr la cometa, onde tutta V instanza che sopirà l’impossibilità di questa posi?® 1 ’ s’ appioggia, cado e svanisco. Secondo, che i corpii meno e meno s’illuminino, quanto all app ronza, secondo eh’ ci sono più rari o perspicui, e più e più la seconda e quanto concludente, posto anco che la paralasse 1 tutti i simulacri vani dovesse essere eguale a quella del Sole. 301 TI. SAGOIATOllE. Vuole il Savsi, e coll’ autorità di Ticone e con quella del suo Maestro provare (e così è in obligo di fare) che la paralasse osser¬ vata nelle comete sia maggiore di quella del Sole : ma si astiene poi di produrre l’osservazioni particolari di Ticone e di molti altri astro¬ nomi di nome, fatte circa la paralasso della cometa ; e ciò fa egli perchè il lettore non vegga come quelle sono tra di loro differentis¬ sime. E qualunque elle si sieno, o sono giuste, o sono errate: se giusto, sì che a loro si debba prestare intera fedo, bisogna necessariamente concludere, o che la medesima cometa fosse nell’istesso tempo e sotto io il Sole e sopra ed anco nel firmamento, o vero elio, per non essere dia un oggetto fisso o reale, ma vogo e vano, non soggiace alle leggi dei fissi e reali : ma se tali osservazioni sono errate, mancano d’autorità, nò per esse si può determinar cosa veruna; o T istesso Ticone tra tante diversità andò eleggendo, come so fusse.ro |>iìi certe, quelle che pili servivano alla sua determinazione fatta innanzi, di voler assegnar luogo alla cometa tra il Sedo e Venere. Quanto poi all’altro osservazioni prodotte dal suo Maestro, sono tanto fra sò differenti, ch’egli medesimo le determina inetto a potere stabilire il luogo della cometa, dicendo quelle esser state fatte con istrumenti non esatti e wsenza la necessaria considerazion dell’oro e della refrazzione o d’altre circostanze; per lo che egli stesso non obliga altrui a prestargli molta fede, ma si riduce ad una sola osservazione, la quale, non ricer¬ cando strumento alcuno, ma potendo colla somplico vista farsi esat¬ tissimamente, egli 1’ antepone a tutte 1’ altre : o questa fu la puntimi congiunzione del capo della cometa con una stella fissa, la qual con¬ giunzione fu vista nel medesimo tempo da luoghi tra di sò molto distanti. Ma, Sig. Sarsi, se così ò seguito, questo ò del tutto contrario al bisogno vostro, poi elio di qui si raccoglie, la paralasse essere stata nulla, mentre che voi producete questa autorità per confermar » la vostra proposizione, che dico tal paralasse esser maggiore che quella del Sole. Or vedete come gli stessi autori chiamati da voi testificano contro alla causa vostra. A quello poi che voi dite, clic noi stessi abbiamo confessato, l’os¬ servazioni degli astronomi grandi essere state fatte esattissimamente, vi rispondo che se voi meglio considererete il dove c ‘1 quando sono date chiamate tali, comprenderete che esatte si potevano dire quando elle fussero state anco assai più differenti tra loro di quello che state 302 IL SAGGIATORE. sono. Furou chiamato esatto e sufficienti a confutar 1’ opinione di Aristotile, montr’egli voleva elio la cometa fusse oggetto reale evi cinissimo alla Terra. E non sapete che il vostro Maestro stesso di mostra elio il solo intervallo tra Roma ed Anversa in un ometto reale che fusse anco sopra la suprema region dell’aria, può cagionar paralasse maggiore di 50, ili 00, di 100 ed anco di 140 gradi? E se questo è, non si potranno elleno chiamar osservazioni esatte e po¬ tenti quello che, essendo tutte minori d’ un grado solo, differiscono tra di loro di pochi minuti? 27. Or legga V. S. Illustrissima l’ultimo argumento. Dcniquenquti) Muti omiltendum ... repugnare verità# viddur [pag. 144,Un.8-21], Il qual argomento egli stima tanto, elio gli par eh’esso solo possa esser bastante a persuader l’intento suo : tuttavia io non ci scorgo efficacia elio mi persuada, montr’ io considero che, nel produr questi vani simulacri, v’intorviene il Solo coni’ efficiente, e le nuvole e va¬ pori o altro coso come materia ; e perchè l’efficiente ò perpetuo, quando non mancasse dalla materia, o l’irido e 1’ alone ed i parclii o tutto l’altro apparenze sarobliono perpetue; la breve, dunque,o lunga duraziono dalla stabilità o posizion della materia si deve atten¬ dere. Or qual ragiono ci dissuade, poter esser sopra le regioni eie-» mentavi alcuna materia di più lunga duraziono dello nubi, della ca¬ ligine,. della pioggia cadente in minuto stillo, o d’altre materie elementari, sì che la rellcssiono o rofrazzion del Sole fatta in quelle ci si mostri più lungamente dell’ irido, do’ parelii, dell’ alone? Ma senza partirsi da’nostri elementi, l’aurora, eli’ è una refrazzion de’raggi solari nella region vaporosa, e lo l’eflessioni nella superficie del mare non son elleno apparenze perpetue, sì che se il riguardante, il Sole, i vapori e la superfìcie del maro stessero sempre nella medesima disposi¬ zione, perpetuamente si vederebbo l’aurora e la striscia splendida nel¬ l’acqua? In oltre, dalla minoro o maggior durazione poco conduden-s temente s’inferisce un’ossenzial differenza; anzi delle comete stesse, * *% senza cercar altre materie, se ne son vedute alcune durare 90 cpiu giorni, ed altro dissolversi il quarto ed anco il terzo. E perchè si è osservato, le più diuturne mostrarsi, anco nel lor primo apparire, assai maggiori dell’ altre, chi sa che non ve ne sieno, ed anco fie quentemente, di quelle che durino non solamente pochi giorni, nw anco non molte ore, ma clic per la lor piccolezza non vengano feci! IL SAGGIATORE. 303 mente osservate? E per concluderla, clic nel luogo dove si formano le comete vi sia materia atta nata a conservarsi più della nuvola e della caligine elementare, l’istesse comete ce n’ assicurano, producen¬ dosi di materia o in materia non celeste ed eterna, nò anco che ne¬ cessariamente in brevissimi tempi si dissolva, si che il dubbio resta ancora, se quello che si produco in detta materia sia una pura e sem¬ plice reflession di lume, ed in conseguenza uno apparento simulacro, o pure se sia altra cosa fissa o reale. E per tanto ninna cosa con¬ clude l’argomento del Sig. Sarsi, nò concluderà, s’egli prima non io dimostra che la materia cometaria non sia atta a reilettero o rifran¬ gere il lume solare, perchè, quanto all’esser atta a durar molti giorni, la durazion delle medesime comete co no rende più elio certi. 28. Or passiamo alla seconda questiono di questo secondo ossame. Vario mine ad motiwt ... qui divinare nonni r p ,1 k- H4, liu. 25 — png. 115, lin. 7J. E qui, prima eli’ io proceda più avanti, non posso far eli’ io non mi risenta alquanto col Sarsi della non punto meritata imputazione eh’egli m’attribuisce di dissimulatore, essendo cotal nota lontanis¬ sima dalla professimi mia, la qual è di liberamente confessare, come sempre ho fatto, di ritrovarmi abbagliato e quasi del tutto cieco nel » penetrare i secreti di natura, ma ben d’esser desiderosissimo di con¬ seguir qualche piccola cognizione d’alcuno di essi, alla quale inten¬ sione niun’ altra cosa è più contraria elio la finzione o dissimula¬ zione. Il Sig. Mario nella sua scrittura mai non ha fìnto cosa alcuna, nè ha avuto di mestieri di tìngerla, poi che, quanto egli di nuovo ha proposto, l’ha portato sempre dubitativamente c congliietturalniente, nò ha cercato di fare ad altri tener per certo e sicuro quello ch’egli cd io per dubbio, ed al più por probabile, abbiamo arrecato ed esposto alla considerazion de’ più intelligenti di noi, per trarne, co ’1 loro aiuto, o la confermazione di alcuna couclusion vera, o la totale » esclusion delle false. Ma se la scrittura del Si c l ues ta doveva il Sarsi procurar prima d’intendere perfettamente, c poi, non gli parendo concludente, mostrar la sua fallacia o nella IL. SAGGIATORE. 314 falsità dogli assunti o noi progresso della dimostrazione: del non ha fatto niente o pochissimo. La nostra dimostrazione provaci V oggetto veduto, essendo disteso per linea retta e costituito fuori della sfera vaporosa, vicino ed inclinato all’orizonte, necessariamente si dimostra incurvato all’ occhio posto lontano dal centro di essa sfera vaporosa; ma se quello sarà eretto all’orizonte o molto sopra quello elevato, del tutto diritto o insensibilmente incurvato ci si rap¬ presenterà. La presente cometa per quei primi giorni che si vide bassa ed inclinata, si vide anco incurvata; fatta poi sublime, restii diritta, e telo si mantenni', perchò sempre s’andò dimostranti#» grande elevazione: la cometa del 77, la qual io continuamente vidi, porcile sempre si mantenne bassa e molto inclinata, sempre si vide incurvata notabilmente: altre minori, elio io ho viste altissime,sem¬ pre sono state dirittissimo: si elio l’ottetto si troverà conformarsi colla conclusione dimostrata, qualunque volta d’osso si abbiano veridiche relazioni. Ma sentiamo quanto il Sarsi oppone alla nostra dimostrazione, e di quanto momento siano le sue distanze. 3(>. Pr aeterea non video... Ad reliqua mine acccdamus [pag. 150, Un. 16- pag. 151, lin. 11]. Alla dimostrazione, come V. S. Illustrissima vede, viene oppostos dal Sarsi P essere ella fabbricata sopra un fondamento falso, cioè che la superficie della regimi vaporosa sia sferica, la quale egli in diverse maniere prova essere altrimenti. E prima, egli dice clic noi stessi constantissimamonto affermiamo, tali vapori elevarsi più in un luogo die in un altro. Ma tal proposiziono non si trova altrimenti nel libro del Sig. Mario : v’ è ben, che in alcun tempo è accaduto che alcuni vapori si innalzino più del consueto, ma ciò di rado e per brevissimo tempo ; onde, per tal rispetto, il dire che la figura della region vaporosa non sia rotonda, ò detto arbitrario del Sarsi. Il qml soggiunge, appresso, P altra falsità, cioè elio noi abbiam dotto che* la cometa si formi di quelli stessi vapori che, sormontando il cono dell’ ombra, formano quella boreale aurora ; cosa che non si trova nel libro del Sig. Mario. Aggiunge nel terzo luogo e dice: * Se coti vapore in un luogo s’elevasso tre miglia, od in un altro mille leghi domili’se anco in questo modo riterrebbe la figura sferica? ». Sig nl)r no, Sig. Sarsi, e chi dicesse tal cosa sarebbe, per mio avviso, un già® balordo; ma io non trovo ni uno che l’abbia mai nè detta, nè, credo. 315 IL SAGGIA.TOKK. Hir sognata. Nominate voi 1’ autore. A quello eh’ ei mette nel quarto luogo cioè che quelli elio insognano i primi abbozzamenti della sfera, insegnano la figura di tal region vaporosa esser più tosto ovale che rotonda rispondo che il Sarai non si meravigli s’ egli ha saputa questa cosa, ed io no ; perché la verità è che io non ho imparato astronomia da questi maestri delle primo bozze, ma da Tolomeo, il quale non mi sovviene che scriva questa conclusione. Ma finalmente, quando fosse vero e certo, cotal figura essere ovale, o non rotonda, che ne cavereste, Sig. Lottario ? niente altro se non che la chioma io della cometa non frisse piogata in arco di cerchio, ma di linea ovale; la qual cosa, senza un minimo pregiudicio della nostra intenzione e del nostro metodo per dimostrar la causa di tale apparente curva¬ tura, io vi posso concedere, ma non già quello che ne vorreste dedur voi, mentre concludete così : « Se dunque questa region vaporosa non è sferica, nò per tutto egualmente lontana dalla 'Terra, nò in tutto le parti egualmente grossa (proposizione replicata tre volte con di¬ verse parole, per spaventare i sempliciotti), la curvità della chioma non può derivar da cotal rotondità, la quale non è al mondo ». Non ne segue, dico, in buona logica questa conclusione, ma il più che »ne possa seguire è che tal curvità non è parto di cerchio, ma di linea ovale: e questo sarebbe il vostro infelice o miserabil guadagno, quando voi poteste aver per sicurissimo, la region vaporosa essere ovata, e non isterica. Se poi in fatto tal piegatura sia in figura d’arco di cerchio, od’ellisse, o di linea parabolica, o iperbolica, o spirale, o altre, non credo eli’ alcuno possa in vermi modo determinare, essendo le diffe¬ renze di cotali inclinazioni, in un arco di due o tre gradi al più, del tutto impercettibili. Mi restano da considerare 1’ ultime parole, dalle quali vo racco¬ gliendo misticamente varie conseguenze o varii sensi interni del Sarsi. m E prima, assai apertamente si comprendo ch’egli si messo intorno alla scrittura del Sig. Mario non con animo indifferente circa il no¬ tarla o lodarla, ma con ferma risoluzione di tassarla ed impugnarla (come notai anco da principio) ; clic però si scusa di non le aver fatto più numerose opposizioni, dicendo : « E come potev’ io con¬ futare le cose eh’ ei non ha profferite e eli’ io non ho protute indo¬ vinare?», se ben la verità è tutta all’ opposito, cioè eh’ei non ha impugnato altre cose, per lo più, che le non profferite dal Sig. Mario •IO 31G li. SAGGIATORE. e ch’egli s’ è messo per indovinarle. Dice insieme, che il Sig.Mario ha scritto con parole oscure ed inviluppate, e che in una ben lunga disputatone non si comprende (piai sia stato il suo senso. A questo gli rispondo che il Sig. Mario ha avuta diversa intenzione da quella del Maestro del Sarsi. Questo, conio si raccoglie dal principio della scrittura del Sarsi, scrisse al vulgo, e per insegnargli con suoi resqionsi quello che per sò stesso non avrebbe potuto penetrare ; ma il Sig. Ma¬ rio scrisse a i più dotti di noi, e non per insegnare, ma per impa¬ rare, o perù sempre dubitativamente propose, e non mai magistral¬ mente determinò, ma si rimise alle determinazioni do’più intelligenti:» e se la nostra scrittura pareva così oscura al Sarsi, doveva, prima che censurarla, farsela dichiarare, e non mettersi a contradire a quello eli’ ei non intendeva, con pericolo di restarne a bocca rotta. Ma s’io devo dir liberamente il mio parere, non credo veramente che il Sarsi trapassi senza impugnare la maggior parte delle cose scritte dal Sig. Mario perdi’ ei non 1' abbia benissimo capite, ma sì bene perchè, per 1* opposito, elle situi troppo apertamente chiare e vere, e ch’egli abbia stimato miglior consiglio il dire di non l’intendere, che contro a suo gusto prestar loro applauso e lode. Vengo ora al terzo essamo, dove il Sarsi in quattro proposizioni, s spezzatamente cavate di più di 100 che ne sono nel Discorso del Sig. Mario, si sforza di farci apparire poco intelligenti: l’altretutte, assai più principali di queste, lo chiudo egli sotto silenzio, e queste, o con aggiungervi o con levarne o con torcerlo in altro senso da quello in elio son profferito, le va aceommodando al suo dente. 37. Vegga ora V.S. Illustrissima. Anletjuum ad nonmdlas ... fahricm- dumi fllit [png. 151, lin. Ili — jiap. 153, liu. IH], Qui, senza passar più oltre, si ritrovano le solite arti del Sara. E prima, non si trova nella scrittura del Sig. Mario che noi abbiamo detto mai che a i corpi lisci e puliti nè l’aria nè il hioco aderiscano! e s’attacchino: il Sarsi ci impone questo falso di suo capriccio,per l’arsi strada a poter dir, poco di sotto, di corta piastra di vetro. Di piu» finge il Sarsi di non s’ accorgere che il dir noi che ’l concavo dolo Luna sia (li superficie perfettissiinamente sferica tersa e pulita, uni è perchè tale sia la nostra opinione, ma perchè così vuole Aris ed i suoi seguaci, contro al quale noi argomentiamo ad e fingendo di trovar nel libro del Sig. Mario quello elio non v 5 IL SAGGIA TOUR. 317 simula di non vedere quello che più volte e molto apertamente v’ è scritto cioè che noi non ammettiamo quella sin qui ricevuta molti- plicità d’orbi solidi, ma die stimiamo diffondersi per gl’ immensi campi dell’universo una sottilissima sostanza eterea, per la quale i corpi solidi mondani vadano con lor proprii movimenti vagando. Ma che dico? pur ora mi sovviene ch’egli aveva ciò veduto e notato disopra, a car. 34 [png. 145, lin.20-21], dov’egli scrivo: Cum enini nulli Gu¬ idato sint caelestes Ptolcmaei orbes, nihilque, ex eiusdem Galilaci systemate, in coelo solidi inveniatur. Qui, Sig. Sarsi, non potete voi mai nasconder iodi non avere internamente compreso, che il dir noi che il concavo lunare è perfettamente sferico o liscio, sia detto non perchè tale lo crediamo, ma perchè tale lo stimò Aristotile, contro al quale ad homi¬ nem noi disputiamo; perchè se voi creduto aveste, ciò essere stato detto di propria nostra sentenza, non ci avereste mai perdonata una tanta contradizzione, di negare in tutto le distinzioni degli orbi e la soli¬ dità, e poi ammettere 1’ una e 1’ altra : errore di molto maggior con¬ siderazione, che tutte P altre vostre note, prese insieme. Vanissimo, dunque, è tutto il restante del vostro progresso, dove voi v’ andate ingegnando di provare, il concavo lunare dover più tosto esser si- 20 mioso cd aspro, che liscio e terso: è, dico, vano, nè m’ obliga a ve¬ runa risposta. Tuttavia voglio elio (corno dice il gran Poeta) Tra noi per gentilezza si contenda, c considerar quanta sia l’energia dello vostre prove. Voi dite, Sig. Sarsi : « Se alcuno negasso che la concava superfì¬ cie lunare sia liscia e tersa, in qual modo o con qual ragione si pro¬ verebbe in contrario? ». Soggiungete poi, come per prova prodotta dall’avversario, un discorso fabbricato a vostro modo e di facile di¬ scioglimento. Ma se V avversario vi rispondesse, e dicesse : « Sig. Lot¬ tario, posto che gli orbi celesti sieno di materia solida e distinta da » quella che dentro al concavo lunare è contenuta, vi dico asseveran- temente, doversi di necessità dire, tal superficie concava esser pulita e tersa più di qualsivoglia specchio : imperocché quando ella fusse sinuosa, le refrazzioni delle specie visibili delle stelle, nel venire a noi, farebbono continuamente un’ infinità di stravaganze, come accade a punto nel riguardar noi gli oggetti esterni per una finestra ve¬ nata, nella quale sieno vetri altri spianati e puliti, ed altri non la- 318 ir. SAGGIATORE. vorati ; che, o perchè gli oggetti si muovano, o perchè noi moviamo la vista, lo spedo loro mentre passano per li vetri ben lisci niuna alterazione ricevono, nò quanto al sito nè quanto alla figura, ma nel passar por li vetri non lavorati non si può dir quali e quanto stra¬ vaganti sieuo le mutazioni; e così appunto quando il concavo lunare fosso sinuoso, mirabii cosa sarebbe il veder con quante trasformazioni di figure, di movimenti e di situazioni le stello erranti e fisse di mo¬ mento in momento c.i si mostrerei dumo, secondo che or per una or per un’altra parto del sottoposto orbo lunare passassero a noi le loro specie; ma niuna cotal difformità si scorgo; adunque il concavo è» tersissimo » ; a questo elio direte, Sig. Sarsi? Bisogna che v’affati¬ chiate in persuader elio tal discorso non vi giunga nuovo, e che l’avete trapassato come super tino, o finalmente che non sia mio, ma d’altri, o già dismesso conio rancido e muffo, e eli’in ultimo l’atterriate. Sia, dunque, questa la mia ragiono per provare, il concavo lunare esser liscio, o non sinuoso. Sentiamo ora quella elio producete voi per prova del contrario, e ricordiamoci clic noi siamo in contesa degli elementi superiori, se sicno rapiti in giro dal moto celeste o no(chè tal è il vostro titolo della conclusione elio voi impugnate, cioè : Mt et exhalntio ad motum cadi moveri non possunt), e ch’io ho detto di» no, perchè il concavo lunare è liscio, o questo ho provato por l’uni¬ formità dello refrazzioni. Voi, provando il contrario, scrivete così: «Se si pone il concavo sinuoso, molto meglio si conserva la connession di tutti i corpi mobili, perchè così al moto del cielo si muovono gli elementi superiori *. Ma, Sig. Lottario, questo è quell’errore che i logici eliiamorno petizion di principio, mentre che voi pigliate per conceduto quello eh’è in questione o ch’io di già nego, cioè che gli clementi superiori si muovano. Noi abbinili quattro conclusioni, due mie e due vostre. Le mie sono : « 11 concavo è liscio », e questa è la prima; la seconda è: « Però gli elementi non son rapiti». Che ih) concavo sia liscio, lo provo por le refrazzioni delle stelle, e concludo benissimo. Le vostre sono, prima: « 11 concavo è aspro»; seconda: « Però rapisce gli elementi ». Provate poi che il concavo sia aspro perchè così, al moto di quello, vengon rapiti gli elementi, e lasciate l’avversario nel medesimo stato di prima, senza niun vostro guada¬ gno, il qual nè più nò meno persisterà in dire che il concavo non è aspro nè rapisce gli elementi. Bisognava dunque, por isfuggi re IL. SAGGIATORI - .. 319 circolo che voi aveste provata l’ima dello due conclusioni per altro ez0 Nè mi diciate, avere a bastanza provata 1’ inegualità di super¬ ficie mentre dite elio così meglio si collegano le cose inferiori colle superiori, perché per connetterlo basta il semplice toccamente, e voi stesso più a basso ammettete l’istessa aderenza ed unione quando bene il concavo sia liscio, e non aspro, tal che frivolissima resterebbe cotal prova. Nò di più forza sarebbe l’altra, quando per avventura voi pretendeste d’aver provato il ratto degli elementi superiori per¬ chè per cotal moto si fanno quaggiù le generazioni e le eorrnzzioni, m e forse perchè per esso viene spinto a basso il fuoco e l’aria supe¬ riore, che son pur fantasie fondate appunto in aria ; e tardi ci riscal¬ deremmo se avessimo aspettare l’espulsione del fuoco verso la Terra e massime che voi stesso adesso adesso direte eh’ei fa forza all’in su, e che però spinge, e, spingendo, aggrava in certo modo e più salda¬ mente aderisce alla celeste superfìcie: pensieri e discorsi appunto fan¬ ciulleschi, che or vogliono ed or rifiutano le medesime cose, secondo che la sua puerile incoustanza loro detta. 38. Ma sentiamo con quali altri mozi noi seguente secondo argo¬ mento e’ provi l’istessa conclusione. Scd quid ego .. . sphaera elenien- 30 laris [pag. 153, lin. 20 — pag. 154, lin. 24). E prima che più avanti io proceda, torno a replicare al Sarsi, che non son io che voglia che il ciclo, come corpo nobilissimo, ab¬ bia ancora figura nobilissima, qual ò la sferica perfetta, ma l’istosso Aristotile, contro al quale si argomenta dal Sig. Mario ad liomìnem: ed io, quanto a me, non avendo mai lotto lo croniche e le nobiltà particolari delle figure, non so quali di esse stono più o men nobili, più o men perfette ; ma credo che tutte sieno antiche e nobili a un modo, o, per dir meglio, che quanto a loro non sieno nò nobili e perfette, nè ignobili ed imperfette, se non in quanto per murare credo »> che le quadre sien più perfette che le sferiche, ma per ruzzolare o con¬ durre i carri stimo più perfette lo tonde che lo triangolari. Ma tor¬ nando al Sarsi, egli dice elio da me gli vengon abbondantemente somministrati, argomenti per provar 1’ asprezza della concava super¬ ficie del cielo, perchè io stesso voglio che la Luna o gli altri pia¬ neti (corpi pur essi ancor celesti ed assai più dell’ istesso cielo no¬ bili e perfetti) sieno di superficie montuosa, aspra ed ineguale ; e se questo è, perchè non si deve dire tale inegualità ritrovarsi ancora 320 TI, SAGGIATORI'.. nella figura celeste ? Qui ]>uò l'intesaci Sarsi metter per risposta quello eh’ ei rispomlerehbo ad uno elio gli volesse provare che il mare do- vrobho esser tutto pieno di lische o di Ripiani me, perchè tali sono lo balene, i tonni o gli altri pesci elio 1’ abitano. All’ interroga/, ione, ch’egli mi fa, per «piai cagione la Luna non è liscia e tersa, io gli rispondo elio la Luna o gli altri pianeti tutti che, essendo per sò stessi tenebrosi, rispondono solamente per l’jl- lumina/,ione del Sole, fu necessario elio fossero di superficie scabrosa perché, quando fossero di superficie liscia o tersa come uno specchio niuna rollession di lume arriverebbe a noi, essi ci resterobbon deli tutto invisibili, ed in conseguenza, del tutto nulle rcstcrebbonol’az- /doni loro verso la Terra o scambievolmente tra di loro, ed in somma essendo ciascheduno anco per sò stesso come nulla, per gli'altrisa- rebbon del tutto conio se non l'ussero al mondo. All’incontro poi, quasi altrettanto disordine seguirebbe quando i cieli fussero d’una sostanza solida o terminata da una superficie non perfettissimamente pulita o tersa: imperocché (come ili sopra ho pur detto), mediante lo refrazzioni continuami Mite perturbato in cotal sinuosa superficie, nò i movimenti de i pianeti, nò lo lor figuro, nò lo proiezioni de’lor raggi verso noi, ed in conseguenza gli aspetti loro, altrimenti elici) confusissimi o disregolati non si ritroverebbono. Eccovi, Sig. Sarsi, un’ efficace ragione in risposta del vostro quesito ; in premio della quale cancellate ili grazia dalla vostra scrittura quelle parole dove voi dito che io ho scritto in molti luoghi elio le stelle son di figure varie ed angolari, che sapete lame in coscienza clic questa è una bugia e ch’io noti ho mai scritta cotal proposizione; ed il più che voi po¬ tete avere inteso o letto, ò che lo stelle fisso sono di lume così vivo c folgorante, che. il lor piccolo corpieello non si può scorgore distinto e circolato tra così splendenti raggi. Quanto poi a quello elio il Sarsi scrive nel fine, del Sole e dello» fumosità che in esso si generano e dissolvono e del suo ambiente, io non ho mai risolutamente parlato se questo al moto di quello o pur quello al moto di questo si raggirino, perchè non lo so, e potrebbe essere anco clic nè 1’ ambiente nò il corpo solare fusser rapiti, ma che d’ambedue fusse egualmente naturale quella conversione, per la quale son ben sicuro, perchè lo veggo, eh’ esse macchie si raggi ' 311 ' 1 in quattro settimane in circa. Ma quando di ciò s’ avesse anco per- rr, SAGGIATOKK. 321 fetta scienza, non veggo quale utilità no arrecasse allu presente con¬ tesa dove solamente ad hominem ed argomentando ex mppositione, o fatte anco supposizioni sicuramente false, in materie diversissime dal Sole e suo ambiente, si cerea se il concavo lunare, duro e liscio, elio tale non ò al mondo, girandosi (elio pur è un’altra falsità), rapisce seco il fuoco, che forse aneli’ esso non v’ è. Aggiungasi 1* altra dis- similitudine grandissima, la (pialo il Sarsi dice di non saper vedere, anzi la stima una identità, o elio egualmente o coll’ istessa natura¬ lezza e facilità possa esser eli’ un corpo fluido contenuto dentro la io concavità d’un solido sferico, il (pialo si volga in giro, venga da quello rapito, come se il contenuto fosse una sfera solida e 1’ ambiento un liquido; eh’è quasi ristesse elio se altri credesse, che sì come al moto del fiume vico portata e rapita la nave, così al moto della nave do¬ vesse esser rapita 1’ acqua di uno staglio, il elio è falsissimo: perchè, prima, quanto all’esperienza, noi veggi amo la nave, ed anco mille navi che riempissero tutto il fiume, esser mosso al moto di quello, ma all’incontro il corso d’una nave spinta da qualsivoglia velocità non vieu seguito da una minima particella d’acqua: la ragion poi di questo non dovrebbe esser molto recondita; imperocché non si può so far forza alla superficie della nave, che non si faccia similmente a tutta la macchina, le cui parti, essendo solide, cioè saldamente attac¬ cate insieme, non si possono separare o distrarre, sì elio alcune ce¬ dano all’impeto dell’ambiente esterno, o l’altro no; il che non av¬ vimi così dell’acqua o di altro fluido, lo cui parti, non avendo in sè tenacità o aderenza appena sensibile, facilissimamente si separano e distraggono, sì clic quel sol velo sottilissimo d’acqua che tocca il corpo della nave vicn per avventura forzato ad ubidire al moto di quella, ina l’altre parti più remote, abbandonando le più propinque, e queste le contigue, in piccolissima lontananza dalla superficie si liberano del sdutto dalla sua forza ed imperio. Aggiougesi a questo, clic l’impeto eia mobilità impressa, assai più lungamente e gagliardamente si con- serva De 1 corpi solidi e gravi, che ne i fluidi o leggieri : e così veg¬ gano in un gran peso pendente da una corda, per molte ore conser- wsi l’impeto e moto conununicatogli una volta sola; ed all’incontro, Ma ( l uau to si voglia agitata l’aria rinchiusa in una stanza, non prima C(ssa ^ impeto di quel che la commoveva, ch’ella totalmente si quieta, Uu l ™ eu P™to V agitazione. Quando, dunque, 1’ ambiente e movente 322 IL SAGGIATORE. è liquido, o fa forza in un contenuto solido, corpulento e grave va imprimendo la mobilità in un soggetto atto nato a ritenerla e con¬ servarla lungo tempo ; per lo elio il secondo impulso sopravenentc trova il moto impresso di già dal primo, il terzo impulso trova 1%. poto conferito dal primo e dal secondo, il quarto sopragiunge alle operazioni del primo, secondo e terzo, o così di mano in mano onde il moto nel mobile vien non pur conservato, ma augumentato an¬ cora: ma quando il mobile sia liquido, sottile o leggiero ed in con¬ seguenza impotente a conservare il movimento impresso, e che tanto è quello che s’imprime quanto quello che si perde, il volergli invn primer velocità è opera vana, qual sarebbe il volere empier il crivello dello llelidc, che tanto versa quanto vi si rinfonde. Or eccovi, Sig. Lottario, mostrato somma diversità ritrovarsi tra queste due opera¬ zioni, che a voi parevano una cosa medesima. 39. Passiamo ora al terzo argomento. Scd demos Galilaeo...utm que moveatur [pag. lift, tin. ì -22]. Continua il Sarsi in questa sua fantasia, di voler pur ch’io ab¬ bia detto clic Paria non aderisca a i corpi lisci e tersi: cosa che non si trova scritta nò da me nò dal Sig. Mario. In oltre, io non ben capisco che cosa intenda egli per questa sua aderenza, S’eglist intende una copula elio resista al Repararsi del tutto e spiccarsi l'una dall’altra superficie, sì elio più non si tocchino, io dico tal aderenza esservi, ed esservi grandissima, sì elio la superficie, v. g., dell’acqua non si staccherà da quella d* una falda di ramo o di altra materia so non con un’immensa violenza, nò in questo caso importasela] superficie sia o non sia pulita o liscia, o basta solo un esquisito con¬ tatto; il qual tien tanto saldamente uniti i corpi, elio forse le parti de’corpi solidi e duri non ànno altro glutine di questo, che le tenga attaccato insieme : ma questa aderenza non serve punto al bisogno del Sarsi. Ma s’ egli intende una congiunzion tale, che le due super- fide, dico quella del solido e quella dell* umido, non possano, nè anco strisciandosi insieme, muoversi l’una contro all’altra, che sarebbe se¬ condo il bisogno suo, dico cotale aderenza non v’essere non solo tra un solido e un liquido, ma nò anco tra due solidi: e cosìvedertmo in due marmi ben piani o lisci la prima aderenza esser tanta, che alzandone uno, l’altro lo segue, ma la seconda esser così debole, che se le superficie toccantisi non saranno ben bene equidistanti all on IL SAGGIATORE. 323 /.onte ma un sol capello inclinate, subito il marmo inferiore sdruc¬ ciolerà verèo la parte inclinata ; ed in somma al muover 1’ una su¬ perficie sopra P altra non si troverà resistenza, ben che grandissima si senta nel volerle staccare e separare. E così il toccamente del¬ l’acqua colla barca ben elio facesse grandissima resistenza a chi vo¬ lesse staccare e separar P una dall’ altra superficie, nondimeno mi¬ nima è la resistenza che si sento nel muoversi P una superficie sopra l’altra, fregandosi insieme; e come di sopra ho dette ancora, la nave mossa velocissimamente non conduco seco altro elio quel velo d’acqua io che la tocca, anzi forse di questo ancora si va ella continuamente spogliando e rivestendone altro ed altro successivamente: e so che il Sarsi mi concederà, che ponendosi in maro una nave bagnata con vino o con inchiostro, ella non averà a pena solcate P onde per mezo miglio, die non gli resterà più vestigio del primo licore che la cir¬ condava; il che si può creder con gran ragione elio accaggia pari¬ mente dell’acqua che la tocca, cioè elio continuamente si vada mu¬ tando: e senz’altro, il sevo con che ella si spalma, ancor che assai tenacemente vi sia attaccato, puro in breve tempo vien portato via dall’acqua che nel suo corso le va strisciando sopra; il che non av¬ verrebbe se l’acqua che tocca la nave restasse l’istessa continua- mente senza mutarsi. Quanto alla piastra di vetro che rosta a galla tra gli arginotti dell’acqua, io dico che detti arginotti non si sostengono perchè P ade¬ renza dell’ aria colla piastra non lasci scorrer P acqua sopra la pia¬ stra; perchè se questo fusse, dovrebbe seguir Pistesso quando si po¬ nesse nell’ acqua la medesima falda alquanto umida, oliò non è credibile che P aria aderisca meno a una superficie umida che a una asciutta; tuttavia noi veggiamo che quando la piastra è umida, non si formano argini, ma subito scorre P acqua. Del sostenersi, dun¬ que, detti argini altra no è la cagione clic l’aderenza dell’aria alla superficie d’essa falda ; e noi veggiamo frequentissimamente gran pezzi d acqua sostenersi in particolare sopra le foglie de i cavoli e d altre erbe ancora, in figure colme e rilevate, in maggiore altezza u^ai che quella degli arginotti che circondano la falda notante. All ultima prova, dov’ ei vuole che il premere o aggravare, sen- ‘ a la a( erenza ) inozo bastante a far eli 1 un corpo segua V altro, ° 0m essem plifica di due tavole di pietra ben liscie poste V una vi. 41 324 II> SAGGIATORE. sopra l’altra, dolio (piali la supcriore o premente segue il moto del- l’inferiore elio venga tirata verso qualche parte, io concedo l’^pe- rienza, ma non veggo eli’olla abbia elio far noi caso nostro: primi perchè noi trattiamo d’ un corpo liquido e sottile, le cui parti non Anno tal connessione insieme, che al moto d’ una si debba muovere il tutto, come accade in un corpo solido ; secondariamente il Sarsi troppo languidamente prova che ’l fuoco, l’aria o l’essalazioni con¬ tenute dentro al concavo lunare facciano impeto e gravino soprala superficie d’esso concavo, mentr’egli introduce, come causa di que¬ sta compressione, una continua rarefazzion d’esse sostanze, le quali » dilatandosi, o perciò ricercando sempre spazii maggiori, fanno fora contro al loro contenente o così vengono in certo modo ad attac- carsegli, si elio poi seguono il movimento suo. Languidissimo vera¬ mente è cotal discorso, perchè dove il Sarsi risolutamente afferma che lo sostanze contenuto si vanno continuamente rarefacelo e di¬ latando, P avversario con non minor ragione (dico non minore, per¬ chè il Sarsi non ne adduco ninna) dirà ch’elle si vanno continua- mento condensando o ristringendo. Ma dato anco eli’elle si vadano pur continuamente rarefneondo o che por talo rarefazzione nasca l’attaccamento al concavo o finalmente il rapimento, si può crederei che cento e mille anni fa, quando la rarefazzione non era a gran segno al termine d’oggidì (elio così bisogna in dottrina del Sarsi), il rapimento non ci fusse, mancando la causa del farsi. Anzi niuna ragione mi può ritenere ch’io non dica al Sarsi clic questa sua ra¬ refazzione, che continuamente si va facendo, non è ancora giunta a grado di far violenza e premer sopra il concavo della Luna, ma che ben potrebbe giungervi tra due o tre anni; al qual tempo io • concedo elio la sfera degli elementi superiori comincerà a muoversi, ma in tanto conceda asso a ino che sino al dì d* oggi non si sia mossa. Io non vorrei che il Sarsi, se per avventura sentisse queste « ed altre simili risposte veramente ridicole, si mettesse a ridere, poi eh’ egli è elio no dà occasiono di produrle tali col lasciarsi scappai dalla mente, e poi dalla penna, ohe alcune sostanze materiali si u dano rarefacendo e dilatando in perpetuo. Ma io voglio aiutare il tue (Icsimo Sarsi ed insegnarli un punto nella causa sua, dicendogli c t questa rarefazzione eterna o pressione contro al concavo della Luna ò superflua, tuttavolta eh’ei possa mostrar che l’aria vien rapita da! IL SAGGIATORE. 325 catino, sopra il quale ella non preme o non grava punto, essendo ecrli posto nella medesima ragion dell’ aria. ° 40 . Sed videamus mine .. . pernegavit Galilaeus Rmg. ir> 5 , liu. 23 —pag. 160 , Un. 2]. Entra ora il Sarsi nel copiosissimo apparato d ! esperienze per confermare il suo detto 0 riprovare il nostro : le quali, perchè furon fatte alla presenza di V. S. Illustrissima, io me ne rimetto a lei, come quello che più tosto devo aspettarne il suo giudicio che interporvi il mio. Però, so le piacerà, potrà rilegger quel che resta sino alla 10 fino della proposizione ; dov’ io le anelerò solamente toccando alcuni particolari sopra vario cosetto cosi alla spezzata. E prima, questo che il Sarsi cerca d’ attribuirmi nel primo in¬ gresso delle sue esperienze, è falsissimo, cioè eh’ io abbia detto che l’acqua contenuta nel catino resti, non mon clic l’aria, immobile al movimento in giro di esso vaso. Non però mi meraviglio clic l’ab¬ bia scritto, perchè ad uno elio continuamente va riferendo in sensi contrari le cose scritte e stampate ila altri, si può bene ammettere ch’egli alteri quelle eli’ci dice d’aver solamente sentito diro; ma non mi par già elio resti del tutto dentro a’ termini della buona so creanza il pubblicar colle stampe ciò ch’altri sento dire del prossi¬ mo, e tanto più quando, o per non P avere inteso bene 0 pur di pro¬ pria elezzione, ei si rapporta molto diverso da quello che fu detto, come di presente accade di questo. Tocca a me, Sig. Sarsi, e non a voi 0 ad altri, lo stampar lo cose mie 0 farle pubbliche al mondo : e perchè, quando (come pur talora accado) alcuno nel corso del ra¬ gionar dicesse qualche vanità, deve esser chi subito la registri e stampi, privandolo del benefìcio del tempo e del potervi pensar so¬ pra meglio, c da per se stesso emendare il suo errore 0 mutare opi¬ nione, ed in somma fare a suo talento del suo cervello e della sua »)penna? Quello che può aver sentito dire il Sarsi, ma, per quanto veggo, non ben capito, è certa esperienza eli’ io mostrai ad alcuni let¬ terati costì in Roma, e forse fu in camera di V. S. Illustrissima stessa, parte in dichiarazione e parte in confutazione d’ un terzo moto at¬ tribuito dal Copernico alla Terra. Pareva a molti cosa molto impro¬ babile, e che perturbasse tutto il sistema Copernicano, il terzo moto annuo eh’ egli assegna al globo terrestre intorno al proprio centro, al contrario di tutti gli altri movimenti celesti, i quali col figurarsi 326 IL SAGUIATOllE. fatti tutti, tanto quelli ddli eccentrici quanto quelli clelli epicicli,ed il diurno c l’annuo d'essa Terra, nell’orbo magno da ponente verso levante, questo solo dovesse nell ostessa leiia esser latto da oriente verso oceideute, contro agli altri due propri e contro agli altri tutti di tutti i pianeti. Io solevo levar .presta difficoltà col mostrare che tal accidente non solo non era improbabile, ma conforme alla na¬ tura e quasi necessario; o che qualsivoglia corpo collocato e soste¬ nuto liberamente in un ìnezo tenue o liquido, se sarà portato per la circonferenza di un gran cerchio, acquisterà spontaneamente una conversione in sò medesimo, al contrario dell’altro gran movimento: » il qual effetto si vedeva pigliando noi iu inano un vaso pien di acqua e mettendo in osso una palla notante; perdio, stendendo noi il brac¬ cio o girando sopra i nostri piedi, subito v uggiamo la detta palla gi¬ rare in sò stessa al contrario o finir la sua conversione nell’istesso tempo clic noi finiamo la nostra: onde cessar doveva la meraviglia, anzi meravigliarsi quando altrimenti accadesse, so essendo la Terra un corpo pensilo e sospeso in un mezo liquido e sottile, od in esso portata per la circonferenza d’ un gran cerchio nello spazio d’un anno, ella non avesse di sua natura o liberamente acquistata una conversione parimente annua in sò medesima al contrario dell’altra,* E tanto dicevo per rimuover l’improbabilità attribuita al sistema del Copernico: al c.ho soggiungevo poi, die dii meglio considerava,co¬ nosceva che falsamente veniva da esso Copernico attribuito un tono moto alla Terra, il quale non ò altramente un muoversi, ma un non si muovere od una quieto; perdi’ ò ben vero che a quello che tiene il vaso apparisco muoversi, e rispetto a sè o rispetto al vaso, c gi¬ rare in sò stessa la palla posta in acqua; ma la medesima palla pa¬ ragonata colle mura della stanza e collo coso esterne, non gira altri¬ menti nè muta inclinazione, ma qualunque suo punto die da principio riguardava verso un termine esterno segnato nel muro o in altro: luogo più lontano, sempre riguarda verso lo stesso. E questo è quanto da me fu dotto : cosa, come V. S. Illustrissima vede, molto diversa dalla riferita dal Sarsi. Questa esperienza, o forse qualch’altra, potè dare occasione a chi più volto si trovò presente a’ nostri discorsi di dir di me quello che in questo luogo riferisce il Sarsi, cioè elio per certo mio naturai talento solevo alcuna volta con cose minime, facili e patenti, esplicarne altre assai difficili e recondite ; la qual lode il 327 IL SAGGIATORI!. Sarei non mi nega in tutto, ma, come si vede, in parto m’ ammette: la tpial concessione io devo riconoscere dalla sua cortesia più che da una interna e verace concessione, perchè, per quanto io posso com¬ prendere, egli non ò di quelli che così di leggiero si lascino persua¬ dere dalle mie facilità, poi eh’ egli stesso, reputando che la scrittura del Sig. Mario sia mia cosa, dice nel fino del precedente ossame, quella esser stata scritta con parole multo oscure, o tali eh’ egli non h potuto indovinare il senso. Già, come ho detto, quanto all’ esperienze ino no rimetto a V. S. io Illustrissima, che le ha vedute, o solo, incontro a tutte, ne replicherò ima scritta di già dal Sig. Mario nella sua lettera, dopo che averò fatto un poco di considerazione sopra certa ragiono che il Sarsi ac¬ coppia coll’ esperienze : la qual ragiono io veramente pagherei gran cosa che fusse stata taciuta, per reputa/,ion sua e ilei suo Maestro ancora, quando vero fusse eli’ ('gli fusse discepolo di chi egli si fa. Oimè, Sig. Sarsi, e quali essorbitunzo scrivete voi ? Se non v’ è qual¬ che grand’ error di stampa, le vostro parole son queste : /line vulcas, ijuolicscunque movens moto mains fuerit, fune lomje faciliorem molimi fu¬ lmini: mposito cnim vasi operculo Alt, lune superfides interior cuti ni et moporculi simili, ad cuius motum movendus est olir, imior est arre proximc movendo; est enim superficies illa continens, olir vero contentus. Or rispon¬ detemi in grazia, Sig. Sarsi: questa superficie del catino o del suo coperchio con chi la paragonato voi, colla superficie dell’ aria con¬ tenuta o pur coll’ istessa aria, cioè col corpo aereo ? So colla super¬ ficie, è falso che quella sia maggior di questa ; anzi pur sono elleno egualissime, che così v’ insegnorà 1’ assioma euclidiano, cioè elio Qnac mutuo congruunt, sunt acqnalia. Ma se voi intendete di paragonar la superficie contenente coll’ istessa aria, come veramente suonali lo vo¬ stre parole, fato due errori troppo smisurati : prima, col paragonare «insieme due quantità di diversi generi, e pierò incomparabili, che così vuole una diffinizion cV Euclide : Rat io est duarum magnitudi mnn mdrn generis ; e non sapete voi che chi dice « Questa superficie è Maggior di quel corpo » erra non meri di quel che dicesse « La set¬ timana è maggior d’ una torre » o « L’ oro è più grave della nota lefautte »? L’altro errore è, che quando mai si potesse far paragone ra una superficie ed un solido, il negozio sarebbe tutto all’ opposito fi' quello che scrivete voi, perchè non la superficie sarebbe maggior .128 IL SAGGIATORE. del solido, ma il solido più di conto milioni di volte maggior di lei. Sig. Sarsi, non vi lasciato persuaderò simili chimere, nè anco lage- uoral proposizione die 1 contenente sia maggior del contenuto, celiando lume ambedue si prendessero di quantità comparabili fra di loro; al¬ trimenti bisognerà che voi crediate elio, d’una balla di lana, ilgu. scio o invoglio sia maggior della lana elio vi ò dentro, perchè que¬ sta è contenuta o quello è il contenente; e perchè sono della medesima materia, bisognerà anco elio il sacco pesi più, essendo maggiore.lo fortemente dubito che voi abbiate preso con qualche equivocazione un pronunciato elio ù verissimo (piando violi preso al suo diritto senso,» il qual ò elio il contenenti) ò maggior del contenuto, tutta volta ohe per contenente si prenda il contenente col contenuto insieme: e così un quadrato descritto intorno a un cerchio è maggior di esso cer¬ chio, pigliando tutto il quadrato; ina so voi vorrete prenderselo quello clic avanza del quadrato, detrattone il cerchio, questo non è altrimenti maggiore, ma minoro assai d’esso cerchio, ancor eh’ei lo circondi e racchiuda. Aimè, e non m’accorgo del fuggir del- l'ore? o vo logorando il mio tempo intorno a queste puerizie?Orsù, contro a tutte l’esperienze del Sarsi potrà V. S. Illustrissima fare ac- commodare il catino convertibile sopra il suo asse ; e per certificarsi a quello clic segua dell’ aria contenutavi dentro, mentre quello veloce¬ mente va in giro, pigli duo candelette accese, ed una n’ attacchi dentro all’ istesso vaso, un dito o duo lontana dalla superficie, e l’al¬ tra ritenga in mano, pur dentro al vaso, in simil lontananza dalla medesima superficie; faccia poi con velocità girar il vaso: che se in alcun tempo l’aria anderà parimente con quello in volta, senza al¬ cun dubbio, movendosi il vaso l’aria contenuta e la candeletta attac¬ cata, tutto colla medesima velocità, la fiammella d’essa candela noe si piegherà punto, ma resterà come se il tutto fesse fermo (chè eoa a punto avviene quando un corre con una lanterna, entravi rac-> chiuso un lume acceso, il quale non si spegne, nè pur si piega, av¬ venga che 1’ aria ambiente va con la medesima prestezza; il qi' fl l e *‘ lotto anco più apertamente si vede nella nave elio velocissimi aniente camini, nella quale i lumi posti sotto coverta non fanno movimento alcuno, ma restano nel medesimo stato che quando il navilio sia fermo) ; ma 1’ altra candeletta ferma darà segno della circolazion del- 1 aria, che ferendo in lei la farà piegare : ma se l’evento sarà al IL SAGGIATORE. 32!) contrario, cioè se V aria non seguirà il moto del vaso, la candela ferma manterrà la sua fiammella diritta o quieta, o l’altra, portata dall’impeto del vaso, urtando nell’aria quieta si piegherà. Ora, nel- l’ esperienze vedute da me è accaduto sempre che la fiammella ferma è restata accesa e diritta, ma 1’ altra, attaccata al vaso, si ò sempre graudissimamente piegata e molte volto spenta: ed il medesimo «li sicuro vederà anco V. S. Illustrissima ed ogn’ altro che voglia farne prova. Giudichi ora quello che si deve dire che faccia 1’ aria. Dall’esperienze del Sarsi il più che se ne possa cavare è, eh’una io sottilissima falda d’aria, alla grossezza di un «pi arto di dito, conti¬ gua alla concavità del vaso, venga portata in giro ; e questa basta a mostrar tutti gli effetti scritti da lui, c di questo ne può esser ba¬ stante cagione 1’ asprezza della superficie o qualche poco di cavità o prominenza più in un luogo eh’ in un altro. Ma finalmente, quando il concavo della Luna portasse seco un dito di profondità dell’ essala- zioni contenute, che ne vuol fare il Sarsi? E non creda che se il ca¬ tino ne porta, v. g., un mezo dito, che un vaso maggioro ne abbia a portar più; perchè io credo più tosto eh’ ei no porterebbe manco: e così anco non credo che la somma velocità colla quale detto coli¬ si cavo lunare passa tutto il cerchio, diciamo in 24 ore, abbia a far più assai ; anzi io mi voglio prenderò ardir di diro, clic mi par quasi ve¬ dere per nebbia eli’ ei non farebbe più, ma più tosto manco, di quello clic si faccia un catino clic puro in ore 24 desse una rivolu¬ zione sola. Ma pongasi pure e concedasi al Sarsi elio ’l concavo lunare rapisca quanto si è dotto dell’essalazion contenuta: che sarà poi ? e clic ne seguirà in disfavor della principiai causa che tratta il Sig. Mario ? sarà forse vero che pier questo moto si abbia ad accender la materia della cometa? o pmr sarà vero ch’ella non si accenderà nè movendosi nè non si movendo? Così cred’io: perchè se il tutto sta fermo, non s’ecciterà l’incendio, per lo quale Aristotile ricerca il moto; ma se il tutto si muove, non vi sarà 1’ attrizione e lo stropic- ciamento, senza il quale non si desta il calore, non che l’incendio, ili' ecco, e dal Sarsi e da me, fatto un gran dispendio di parole in emear se la solida concavità dell’ orbe lunare, clic non è al mondo, movendosi in giro, la qual già mai non s’ è mossa, rapisce seco l’ele¬ mento del fuoco, che non sappiamo se vi sia, e per esso l’essalazioni, k perciò s’ accendano e dien fuoco alla materia della cometa, 330 II, SAGGIATORE. che uon sappiamo se sin in quel luogo e siamo certi elio non è roto, eh’ abbruci. E qui mi fa il Sarsi sovvenire del detto di quell’ arg(h tissimo Poi*tu : Por la spada cì’ Orlando, elio non i\nno K forse non «on anco per averci, Queste mazzate da ciechi si danno. Ma è tempo che vogniumo alla seconda proposizione; ami pure, prima elio vi passiamo, già che il Sarsi replica nel fine di questa eh’io abbia constantemente negato che 1’ acqua si muova al moto del vaso o che l’aria o gli altri corpi tenui aderiscano a’corpi lisci,»» plicliiamo noi ancora di' ei non dico la verità, porche mai nè il Sig, Mario ned io abbiamo dotta o scritta alcuna di queste cose, ma bene il Sarsi, non trovando dove attaccarsi, si va fabbricando gli uncini da por sò stesso. 41. Passi ora V. S. Illustrissima alla seconda proposizione. AHM stoteles .. . calorcm tribucre (pag. 1G0, lin. G—-pag. itii, liu. 8], Vuole il Sarsi nel primo ingrosso di questa disputa concordare il Sig. Mario od Aristotile, o mostrar elio ambedue àn pronunziato l’istessa conclusione, mentre l’uno dico eli’il moto è causa di ca¬ lore, e P altro, cho non il moto, ma lo stropicciamento gagliardo di» due corpi duri; o porche la proposiziono del Sig. Mario è vera,nè ha bisogno (li chioso, il Sarsi interpreta P altra con dire, che se bene il moto, corno moto, non è cagiono del caldo, ma P attrizione, nul- ladiineno, non si facendo tale attrizione senza moto, possiamo dire elio almanco secondariamente il moto sia causa. Ma se tale fu la sua intenzione, perchè non dissi' Aristotile l’attrizione? io non so vedere « • ■ * porche, potendo uno dir bone assolutamente con una semplicissima e propizissima parola, ei debba servirsi ■' nocchieruto nò della radice, ma della parte più rara e che per sè •stessa è men grave in ispecio dell’ acqua, sì che in parte sosteneva tutta la molo, può esser, dico, che il rimanente pesi più che prima nd medesimo mezo ; e così parimente può essere che nel limarsi o nel fregarsi insieme due ferri o due sassi o due legni, si separi da ' oro q ua lcho particella di materia men grave dell’ aria, la quale, quando sola si rimovesse, lascerebbe quel corpo più grave che prima, h che quanto io dico sia detto con qualche probabilità, e non per 334 II, HAUUIATORK. una semplice fuga e rit irata, lasciando la fatica all’avversario di ri¬ provarla, faccia V. S. Illustrissima diligente osservazione nel romper vetri o pietre o qualunque altro materie; chò ella in ciascheduno spezzamento no roderà uscirò un fumo manifestisi,smaniente appa¬ rente, il quale por aria se no ascendo in alto: argomento necessario dell’essere egli più leggieri di lei. Questo osservai io prima nel ve¬ tro, mentre con una chiavo o altro ferro 1’andavo scantonando e tomlando, dove, oltre a i molti pozzetti elio saltano via in diverse grandezze, ma tutti cascano in terra, si vedo un fumo sottile ascen¬ dente sempre ; od il medesimo si vedo accadere nel frangere in siniiln modo qualsivoglia pietra; o di più, oltre a quello che ci manifesta la vista, l’odorato ci dà argomento ed indizio molto chiaro che per avventura si partono, oltre al detto fumo, altre parti più sottili e perciò invisibili, sulfuree o bituminoso, lo quali per tale odore cheti ammano si fanno manifesto. Or vegga il Sarsi quanto il suo filosofare è superficiale e poco si profonda oltre alla scorza. Nò si persuada di poter venir con ri¬ sposto di limitazioni, di distinzioni, di per accidens, di per se, di «■ diate, di primario, di secondario o d’altro chiacchiere, ch’io fasi- euro elio in voce di sostenere un errore no commetterà cento piùs gravi, e produrrà in campo sempre vanità maggiori: maggiori,dico, anco di questa elio mi rosta da considerare nel fin della presento particola; dov’egli, prima, si meraviglia come possa esser che, sendo quel che si consuma cosa impercettibile alla bilancia, possa nondi¬ meno produr tanto calore; dapoi soggiungo che d’un ferro che si lima, gran parto so no consuma, e assaissimo maggiore che quando ci si batto col martello, nulladimeno non più. si scalda limando che battendolo. Vanissimo ò questo discorso, mentre altri vuole col peso misurare la quantità di còsa che non ha peso alcuno, anzi è leggie¬ rissima o nell’aria velocemente sormonta; e quando pure quello che» si converto in materia calda, mentre si fa una gagliarda confrica¬ zione, fusse parte dell’ istesso corpo solido, non clovorà alcuno mara vigliarsi che piccolissima quantità di quello possa rarefarsi ed iston dersi in ispazio grandissimo, s’ gì considererà in quanta gran n10 ' e di materia ardente e calda si risolve un pieeoi legno, della quale Ir» fiamma visibile ò la minor parte, restando di gran lunga maggi° n l’insensibile alla vista, ma ben sensibile al tatto. Quanto poi ^ IL SAGGIATORE. 335 ( l0 punto, averebbo qualche apparenza l’instanza, so il Sig. Mario avesso inai detto che tutto quel ferro che si consuma, limando, do- ventasso materia calorifica, perché così parrebbe ragionevol cosa che molto più scaldasse il ferro consumato colla lima che il percosso col martello: ma non è la limatura quella clic scalda, ma altra sostanza incomparabilmente più sottile. 43. Ma seguitiamo innanzi. JO/n igitur miilium ... ad ignem conci- pcndum aptissimus est [p«g. 162, fin. 6-18]. Qui, dove pare clic il Sarsi si apparecchi per produrre con dot¬ trina più salda migliore esplicaziono dulie difficoltà che si trattano, non veggo nè che venga apportato molto di nuovo, nò di gran pre- giudicio alle cose del Sig. Mario. Imperocché il dire che molto confe¬ risce al maggiore o minor riscaldamento de’corpi che si stropicciano insieme, l’essere essi di qualità calda o fredda, e che anco da molto altre cose non così ben manifesto depende questo negozio, lo credo io purtroppo; ma non mi par già di farci acquisto veruno, per esser, di questo che mi vien detto, la seconda parto troppo recondita, o la prima troppo manifesta e notoria, atteso elio in sostanza non mi dice altro se non che più si scaldano quei corpi che son più calili o più » disposti allo scaldarsi, e meno quelli che son più freddi. Così pari¬ mente quello che segue appresso, elio per la confricazione alcuni le¬ gni, cioè i più leggieri e rari, s’ accendano più facilmente che altri più duri e densi, ancor che questi più gagliardamente e più lungo tempo s’annotino insieme, lo credo parimente, ina ciò non veggo che faccia contro al Sig. Mario, clic mai non ha detto in contrario ; e non è adesso eh’ io sapevo elio più presto s’infiammava un pen¬ necchio di stoppa in un fuoco ben elio lentissimo, che un pozzo di ferro nella fucina ben ardente. A quello eli’ ei soggiungo, o fortifica col testimonio di Seneca, » cioè che la state sia per aria maggior copia d’essalazioni secche, o che perciò si facciano molti fulmini, io ci presto l’assenso; ma du¬ bito beilo circa 1 modo dell’ accendersi cotali essalazioni insieme col- 1 aria, e so ciò avvenga per 1’ attrizione cagionata per alcun movi¬ mento. Io reputerei vero quanto viene scritto dal Sarsi, se prima ^ 111 avesse accertato, non essere in natura altri modi di suscitar incendio fuori che questi due, cioè o col toccar la materia combu- stibile con un fuoco già attualmente ardente, come quando con un II. SAliUIATORK. moccolo acceso s’accende una torcia, o vero con l’attrizion dì d ltó corpi non ardenti: ma perchè altri modi ci sono, come perla reflex siono de’raggi solari in uno specchio concavo, o per la refraz?.i on do* medesimi in unii palla di cristallo o cV acqua, ed anco s’è veduto talvolta infiammarsi por le strallo, mediante l’eccessivo caldo, le pa¬ glie od altri corpi sottili, n questo farsi senza alcuna commozioneo agitazione, anzi solamente «piando l’aria è quietissima, e che per av¬ ventura b’ ella lusso agitata o spirasse vento, l’incendio non ne se¬ guirebbe; perche, dico, ci sono questi altri modi, perchè non pos’io stimar elio ve no possa esser qualcho altro diverso da questi, per lo k « pialo l’ossidazioni per aria «■ tra lo nubi si accendano ? E perchè debbo io attribuirò ciò ad un veemente movimento, se io veggo, prima, che senza 1’arrotamento de’corpi solidi, quali non si trovano tra lo nuvole, non si suscita l’incendio, ed oltre a ciò niuna com¬ mozione si scorgo in aria o nelle nuvole (piando ò maggior la fre¬ quenza de’lampi e de’fulmini ? Io stimo elio il dir questo non abbia in sè più di verità, elio (piando i medesimi filosofi attribuiscono il gran romor do’tuoni allo «tracciamento dello nuvole o all’urtarsi in¬ sieme l'una contro l’altra; tuttavia nello splendor de’maggiori ba¬ leni, o quando si produce il tuono, non si scorge nelle nuvole pure» un minimo movimento o mutazion di figura, il quale ad un tanto squarciamento doverebbo esser grandissimo. Lascio stare che i mede¬ simi filosofi, quando tratteranno poi del suono, vorranno nella sua produzzione la percussione do’ corpi duri, o diranno che perciò la lana nò la stoppa nel percuotersi non fanno strepito ; ma poi, quando n’ averanno bisogno, la nebbia o lo nuvolo percuotendosi renderanno il massimo di tutti i rumori. Trattabile e benigna filosofia, che così piacevolmente e con tanta agevolezza si accommoda alle nostre vo¬ glie ed alle nostro necessità ! 44. Or passiamo avanti a essaminar 1’esperienze della freccia ti¬ rata coll’ arco e della palla di piombo tirata colle scaglie, infocate e strutte per aria, confermate coll’ autorità d’Aristotile, di molti gran poeti, d’altri filosofi ed istorici. Quamvis attieni exemphim .. .d commi- nuantur et aitcrantur [pag. ir, 2, Un. 19 — pag. 1G4, Un. 14]. Che io o '1 Sig. Mario ci siamo risi o burlati dell’ esperienza prò* dotta da Aristotile, è falsissimo, non essendo nel libro del Sig. Mario pur minima parola di derisione, nò scritto altro se non che noi non IT. SAGGIATORE. 337 crediamo eh’ una freccia fredda, tirata coll’ arco, s’infuochi ; anzi ero¬ diamo elio, tirandola infocata, più presto si raffredderebbe che tenen¬ dola ferma : e questo non è schernire, ma dir semplicemente il suo concetto. A quello poi eli’ ei soggiunge, non esserci succeduto il con¬ vincer cotale esperienza, perchè non Aristotile solo, ina moltissimi altri grand’ uomini anno creduto e scritto il medesimo, rispondo cho se è vero che per convincere il detto d’ Aristotile bisogni far che quei molti altri non 1’ abbian creduto nè scritto, nè io nò ’l Sig. Ma¬ rio nè tutto il mondo insieme lo convinceranno già mai, perchè mai io non si farà che quei che 1’ ànno scritto e creduto non 1’abbian cre¬ duto e scritto : ma dico bone, parermi cosa assai nuova che, di quel che sta in fatto, altri voglia anteporre 1’ attestazioni d’ uomini a ciò che ne mostra 1’ esperienza. L’ addur tanti testimoni, Sig. Sarsi, non serve a niente, perchè noi non abbiamo mai negato che molti ab¬ biano scritto o creduto tal cosa, ma sì bene abbiamo dotto tal cosa esser falsa ; e quanto all’ autorità, tanto opera la vostra sola quanto di cento insieme, nel far che l’effetto sia vero o non vero. Voi con¬ trastato coll’ autorità di molti poeti all’ esperienze che noi produ¬ ciamo. Io vi rispondo e dico, che so quei poeti fossero presenti alle a nostre esperienze, muterebbono opinione, e senza veruna repugnanza direbbono d’avere scritto iperbolicamente o confesserebbono d’essersi ingannati. Ma già che non è possibile d’ aver presenti i poeti, i quali dico che cederebbono alle nostre esperienze, ma ben abbiamo alle inani arcieri e scagliatori, provato voi so, coll’ addur loro queste tanto autorità, vi succede d’ avvalorargli in guisa, che le frecce ed i piombi tirati da loro s’ abbrucino e liquefacciano per aria ; e così vi chia¬ rirete quanta sia la forza dell’ umane autorità sopra gli effetti della natura, sorda ed inessorabile a i nostri vani desideri. Voi mi direte che non ci sono più gli Acesti e Mezenzii o lor simili Paladini va¬ rienti: ed io mi contento che, non con un semplice arco amano, ma con un robustissimo arco d’ acciaio d’ un balestrone caricato con mar- tinelli e leve, che a piegarlo a mano non basterebbe la forza di trenta Mezenzii, voi tiriate una freccia o dicci o cento ; e so mai accade dio, non dirò cho ’l ferro d’ alcuna s’infuochi o ’l suo fusto s’ ab¬ bruci, ma che le sue penne solamente rimangano abbronzate, io vo¬ glio aver perduta la lite, ed anco la grazia vostra, da me grande¬ mente stimata. Orsù, Sig. Sarsi, io non vi voglio più tener sospeso: 338 IL HAOaiATORK. non ni’ abbiate por tanto ritroso che io non voglia cedere all’auto- riti od al testimonio di tanti poeti ammirabili, e eh’io non voglia credere elio tal volta sia accaduto 1' nbbrueianionto delle frecce eia fusione de’ metalli ; ma dico bone, di cotali meraviglie la causa es¬ sere stata molto diversa da quella che i filosofi n’ànno voluta ad¬ durre, mentre la riducono ad attrizzioni d’arie ed essalazioni e simili chimere, elio son tutto vanità. Volete voi saperne la vera cagione? Sentito il Poeta a niun altro inferiore, nell’incontro di Ruggiero con Mandricardo e nel fracassamento dello lor lance: I tronchi bino al ciel no sono ascosi; U Scrivo Turpin, vorace in questo loco, Clio duo o tro tfiù no tornaro accesi, Cir orali saliti ullu sfera del loco. E forse che il grand’Ariosto non leva ogni causa di dubitar di cotal verità, mentr’ ci la fortifica coll’attestazione di Turpino? il quale ognun sa quanto sia veridico o quanto bisogni credergli. Ma lasciamo i poeti nella lor vera sentenza, e torniamo a quelli che riducono la causa all' attrizion dell’aria: la quale opinione io reputo falsa; o considero quello che producete voi, volendo mostrai» come i corpi durissimi per l’attrizione d’altri più molli possano eoa-* sumarsi, c dite, ciò apertamente scorgersi nell’acqua e nel vento an¬ cora, rodendo e consumando questo i cantoni delle saldissime torri, e quella, con una continua distillazione e frequente picchiare, sca¬ vando i marmi o i durissimi scogli. Tutto questo vi concedo io, per¬ di’ ù verissimo; o più v’ aggiungo clic non dubito punto che le frecce o le palle, non solo di piombo, ma di pietra e di ferro ancora, cac¬ ciate fuor d’una artiglieria si consumano, nel ferir l’aria con quella somma celerità, più che gli scogli o le muraglie nelle percosse, del- 1’ acqua o del vento ; o dico, elio so por fare una notabile corrosione o scortecciamento negli scogli e nelle torri ci vuole il ferir ili d°‘* cento o trecento anni dell’ acqua o del vento, nel roder le fi ecce e le palle d’artiglieria basterebbe ch’elle durassero ad andar per aria due o tre mesi soli: ma il tempo di duo o tre battuto di polso so¬ lamente non intendo già come possa fare effetto notabile. Oltre c e mi restano due altre difficoltà indi’ applicar questa vostra, veramen ingegnosa, considerazione al proposito vostro: l’una è, che noi pa 1 IL SAGOTATOItE. 339 liarao di liquefare e struggere per via di calore, e non di consumare per via di percosse ; 1’ altra ò, elio nel caso vostro voi avete bisogno che non il corpo solido, ma il corpo molle e sottile, sia cpiello che si stritoli ed assottigli, cioè 1’ aria, eh’ è quella che s’ha poi ad accen¬ dere: ora l’esperienze addotte da voi provano che i sassi, e non l’aria o l’acqua, ricevon 1’ attrizione; e veramente io credo che l’aria o l’acqua, picchino pure se sanno picchiare, non però si assottiglie- ranuo mai più che prima. Per tanto io concludo, poco aiuto e sol- levamento per la causa vostra derivar da queste cose, come anco da io quel eh’ aggiungete della gragnuola e dello gocciole dell’ acqua : delle quali io vi concedo che nel cader da alto si vadano rappiccolendo; ve lo concedo, dico, non perdi’ io non creda che possa esser vero anco tutto 1’opposito di quel die dito voi, ma perchè non veggo che nè nell’uno nè nell’altro modo abbia elio far col proposito di diesi tratta. Che la frombola poi co’ suoi liscili e scoppi sia argomento d’aria condensata nella sna agitazione, la lascerò esser quel che piace a voi; ma avvertite che sarà una controdi/.zione a voi medesimo e un disastro alla vostra causa : imperocché sin (|ui avete sempre detto che per l’agitazione c commozione gagliarda si fa 1’ attrizione, ra¬ so refazzione e finalmente 1’ accendimento nell’aria, ed ora, per render ragione del sibilo della scaglia, o vero per trovare il senso delle pa¬ role assai offuscate di Stazio, volete la condensazione ; sì che quella medesima commozione che, por servire allo struggere ed abbruciare, rarefà l’aria, per servizio de’ frombolatori e di Stazio la condensa. Ma passiamo a sentire i tcstimonii degl’istorici. 45 .Sednepoetarmi... liane notavi vmram[ pag. 1G4, lin. 15 — pag. 165, Un. 18]. Io non posso non ritornare a meravigliarmi, che pur il Sarsi vo¬ glia persistere a provarmi per via di tcstimonii quello eh’ io posso iid ogn’ora veder per via d’esperienze. S’essaminano i testimonii snelle cose dubbie, passate e non permanenti, e non in quelle che sono mfatto e presenti; e così è necessario che il giudice cerchi per via di testimonii sapere se è vero che ier notte Pietro ferisse Giovanni, 0 no11 se Giovanni sia ferito, potendo vederlo tuttavia e farne il visu xpoto. Ma più dico che anco nello conclusioni delle quali non si potesse venire in cognizione se non per via di discorso, poca più stima mei dell attestazioni di molti che di quella di pochi, essendo sicuro C ' e numero di quelli che nelle cose difficili discorron bene, è mi- 940 Ti, SAGGIATORE. nore assai elio ili quei clic discorron mulo. So il discorrere circa problema difficile lusso corno il portar posi, dove molti cavalli por toranno più sacca, di grano elio un cavai solo, io acconsentirei che i molti discorsi facessor più elio un solo ; ma il discorrere è come il correre, e non come il portare, ed un cavai barbero solo correrà pii che cento frisoni. Però quando il Sarsi vien con tanta moltitudine d’autori, non mi par elio fortifichi punto la sua conclusione,«Biche nobiliti la causa del Sig. Mario e mia, mostrando elio noi abbiamo discorso meglio elio molti uomini di gran credito. Se il Sarsi mole ch’io creda a Snida elio i Bnbilonii cocesser 1’uova col girarle velo-a cernente nella fionda, io lo crollerò; ma dirò bene, la cagione dital effetto esser lontanissima da quella olio gli viene attribuita, e por trovar la vera io discorrerò così : * So a noi non succedo un effetto elio ad altri altra volta è riuscito, è necessario clic noi nel nostro operare inanelliamo di quello elio fu causa della riuscita d’esso effetto, o elio non mancando a noi altro elio una cosa sola, questa sola cosa sia la vera causa: ora, a noi non mancano uova, nè fiondo, nè uomini robusti elio le girino, o pur non si cuocono, anzi, so fusser calde,li raffreddano più presto; e porcliò non ci manca altro che l’esser di Babilonia, adunque 1’esser Halliioni è causa dell’indurirsi l’nova,es non l’attrizion dell’aria», di'ò quello ch’io volevo provare. È pos¬ sibile elio il Sarsi nel correr la posta non abbia osservato quanta!»- schezza gli apporti alla faccia quella continua mutazion d’aria?e se pur l’ha sentito, vorrà egli creder pili lo coso di damila anni fa, succeduto in Babilonia o riferite da altri, che lo presenti e eli’egli in sè stesso prova? Io prego WS. Illustrissima a farli una volta veder di meza stato ghiacciare il vino per via d’una veloce agitazione, senza la quale egli non ghiaccierebbe altrimenti. Quali poi possano esser le ragioni che Seneca ed altri arrecano di questo effetto, eli è falso, lo lascio giudicare a lei. All’ invito che mi fa il Sarsi ad ascoltare attentamente quello eli" concludo Seneca, e di’ egli poi mi domanda se si poteva dir cosa più chiaramente e più sottilmente, io gli presto tutto il mio assenso, e confermo che non si poteva nè più sottilmente nè più apertamente dire una bugia. Ma non vorrei già eli’ei ini mettesse, com’eicero di fare, per termine di buona creanza in necessità di credere (p* ch’io reputo falso, sì che negandolo io venga quasi a dar una mea IL SAGGIATORE. 341 tita a uomini die sono il fior do’ letterati e, quel eh’ è più perico¬ loso a soldati valorosi ; perdi’ io penso eh’ eglino credesser di dire il vero e così la lor bugia non è disonorata : o mentre il Sarsi dice, non volere esser di quelli die facciano un tal affronto ad uomini sapienti, di contradire e non credere a i lor detti, ed io dico, non voler esser di quelli così sconoscenti cd ingrati verso la natura o Dio che avendomi dato sensi o discorso, io voglia pospor sì gran doni alle fallacie d’ un uomo, ed alla cieca o balordamente creder ciò ch’io sento dire, e far serva la libertà del mio intelletto a chi io può così bene errare come me. 4G. Sed quid adversus haec ... invalido percttssisse ictu [pag. igg, lin. 1 — pag. 167, lin. 5]. Continua pure il Sarsi nel cominciato stile, di voler provar col¬ l’altrui relazioni quello che sta in fatto o elio ogn’orasi può vedere per T esperienza ; o come per autorizar gli antichi arcieri o from¬ bolatori ha trovato uomini per altro insigni, così, per render cre¬ dibile il medesimo effetto di liquefarsi le moderne palle d’ archibuso e d’artiglieria, ha ritrovato un moderno isterico non mon degno di fede nò di minore autorità di qualunque altro antico. Ma perche non a punto deroga di fede nè di dignità all’ istorico l’arrecare d’ un effetto naturale vero una ragiono non vera, essendo che all’istorico appar¬ tiene il solo effetto, ma la ragione è officio del iilosofo ; però, cre¬ dendo io al Sig. Omero Tortora che le palle d’ artiglieria, per essere state incamiciate di piombo, facesser poco effetto nel batter la mura¬ glia nemica, piglierò ardire di negargli la ragione eh’egli, riceven¬ dola dalla commune filosofia, n’ adduce ; con isporanza che P istesso istorico, sì come sin qui ha creduto quello che ha trovato scritto da tanti altri uomini grandi, 1’ autorità de’ quali è stata bastante ad acquistar fede ad ogni lor detto, così, sentendo le mie ragioni, sia “per cangiare opinione, o almeno per venire in pensiero di voler vedere coll’esperienza qual sia la verità. Credo dunque al Sig. Tortora, che le palle di ferro covertate di piombo nella batteria di Corbel faces¬ ser poco effetto, e che di loro si ritrovasse!’ l’animo di ferro spogliato di piombo ; e questo è tutto quello eh’ appartiene all’ istorico : ma non credo già p altra parte filosofica, cioè che il piombo si liquefa¬ cesse, e che perciò si trovasser nude le palle di ferro ; ma credo che giungendo con quello estremo impeto che dal cannone veniva cac- 342 IL SAGGIATORE. cinta la palla sopra la muraglia, la coverta di piombo in q Ue || a parto elio rimaneva compressa tra’l muro esterno e l’interior palla di ferro si ammaccasse e sbranasse, o elio l’istesso o poco meno fa cesse anco V altra parte del piombo opposta, schiacciandosi sopra il ferro, e che tutto il piombo, dilaniato e trasfigurato, saltasse in di¬ verse bande, il quale poi, imbrattato da calcinacci e perciò simile ad altri fragmenti della mina, malagevolmente si ritrovasse, o forse anco per avventura non fusso con quella diligenza ricercato, die richie¬ derebbe la curiosità di chi volesse venire in cognizione s’ei si fuse strutto o pur dilacerato ; o così servendo il piombo quasi come riparo» e guanciale alla palla di ferro, onde olla minor percossa dava e rice¬ veva, con ingrata ricompensa no restava egli in guisa dilacerato c guasto, elio nè il cadavere ancora si ritrovava tra i morti. E perchè io intendo elio il Sig. Omero si ritrova costì in Roma, se inai acca¬ desse elio s’incontrasse con V. S. Illustrissima, la prego a leggergli epiesto poco clic ho scritto o quel resto che scriverò appresso in que¬ sto proposito ; imperocché grandissima stima farei del guadagnarmi 1’ assenso di persona meritamente pregiata assai all’ età nostra. Dico dunque, clic so noi considereremo in quanto tempo va la palla dal cannoue alla muraglia, o quello elio dentro a tal tempo a deve operare per far la fusione del piombo, gran meraviglia sari eh’ altri voglia persistere in opinione elio pur tal effetto segua. Il tempio è assai meno d’ una battuta di polso, dentro al quale si ha da fare l’attrizione dell’aria, si lux poi d’accendere, ed in ultimo si devo liquefare il piombo ; ma se noi metteremo la medesima palla di piombo nel mezo d’ una fornace ardente, ei non si struggerà nè anco in venti battute : resterà ora al Sarsi di persuader altrui, che 1’ aria attrita e accesa sia uno ardore incomparabilmente maggiore di quel d’ una fornace. Di più, ci mostra l’esperienza come una pialla di cera tirata coll’ archibuso passa una tavola, ch’è argomento# eh’ ella non si strugga per aria : bisognerà dunque che il medesimo Sarsi renda ragione, perchè si liquefacela il piiombo, ma non Iacea Di più, so il piiombo si liquefa, sicuramente, arrivando sopirà un coi- saletto, poca botta potrà fare ; ondo gran meraviglia mi resta che questi moschettieri non abbiano ancor picnsato di far le palle di ferro, acciò non così facilmente si struggano ; ma tirano pur con palle ili piombo, alle quali pioche piiastre di ferro sono che resistano, ed m Il, SAGGIATORI-:. 343 quelle che reggono si trova una ben profonda ammaccatura e la palla schiacciata, ma non già liquefatta. Negli uccelli ammazzati con le migliamole si ritrovano i grani di piombo dell’ istessa figura per p a pp U ]ito : toccherà al Sarsi a render ragione come si liquefacciano i pezzi di piombo di quindici o venti libre 1’ uno, ma non quelli che ne va trentamila alla libra. Clio tutto il giorno si trovino tra i vesti¬ menti de’ nemici lo palio diversificate (li figura, crederò clic alcune si sieno schiacciato nell’ armadura, e tali rimaste tra i panni ; altre possono avere urtato per iscancio in una celata e perciò allungatesi, io e giungendo stracche ne’panni di un altro, restatevi senza offen¬ derlo : ed in somma possono in una scaramuccia accadere mille acci¬ denti, dico senza liquefazione ; la quale quando fusse, bisognerebbe che il piombo, disperdendosi in più minute stille che non fa 1’ acqua (come sa il Sarsi), da luoghi altissimi, c però con gran velocità, ca¬ dendo, si perdesse del tutto, sì elio niente d’ esso si ritrovasse. Lascio star di dire che la freccia c la palla accompagnate dall’aria ardente doverebbono, la notte in particolare, mostrar nel lor viaggio una strada risplendente, come quella d’ un razo, giusto nella maniera che scrive Virgilio della freccia di Aceste, che segnò il suo cammino collo «fiamme; tuttavia tal effetto non si vedo se non poeticamente, ben che gli altri accidenti notturni, come di baleni, di stelle discorrenti, per gran lume si facciano molto cospicuamente vedere. 47. At id quoUdie ... philosopliorum testimonia evadenda [pag. 167, lin, 6 — pag. 168, lin. 8]. Questo liquefarsi le palle di piombo, che quattro versi di sopra disse il Sarsi che si conferma con esempli cotidiani, adesso dice acca¬ der così di rado, che, come cosa insolita, vien reputato quasi un miracolo. Or questa gran ritirata ci assicura pur di vantaggio eh’ ei si conosco molto bisognoso di schermi o di fughe ; il qual bisogno » va egli confermando colla propria inconstanza, di voler or questa cosa ed or quella : ora dice che per accender 1’ aria basta 1’ agitazione d’un piccol venticello, ed anco il solo arrivo d’un uomo vivo sopra un cimiterio di morti ; altra volta (come ha detto di sopra, e replica nel fine di questa proposizione) vorrà un moto veemente, una copia grande d’essalazioni, una grande attenuazione di materia, e se altra cosa è che conferisca a questa fattura ; ed a quest’ ultimo inquisito sottoscrivo più che a tutti gli altri, sicurissimo che non solo questi IL SAGGIATORE. acconci unenti, ma qualunciue altro più meraviglioso e recondito effetto di natura seguo quando vi non quei requisiti elio si convengono. Vor¬ rei ben saliere a che proposito mi doma ndi il Sarsi, dopo aver detto delle fiamme elio sopra i cimiteri a’accendono per lo semplice arrivo d’un uomo o per un lento venticello, ini domandi, dico, dove sia qui l’attrizion do’corpi duri? Io ho boa detto elio l’attrizion potente ad eccitare il fuoco è sola quella elio vien fatta da’corpi solidi;ora non so qual logica insegni al Sai-si a ritrae da questo dotto ch’io voglia che, qualunque si sia 1’ accendiniunto, non si possa cagionar da altro elio da cotale attrizione. Replico dunque al Sarsi che l’inceu-it dio si può suscitare in molti modi, tra i quali uno ò l’attrizione e stropicciamento gagliardo di due corpi duri ; e perché tale attrizione non si può far da’corpi sottili c fluidi, però dico elio le cometee baleni, le saette, le stelle discorrenti, od ora aggiugniamoci le fiamme do’ cimiteri, non s’ accendono per attrizione nò d’ aria nò di venti nò d’esalazioni, anzi elio ciascheduno di questi abbruciamene sids il più dello volte nelle maggiori tranquillità d’aria e quando il vento ò del tutto fermo. Voi forse mi direte: t^ual dunque è la causa dì questo incensioni? Vi risponderò, per non entrare in nuove liti, che non la so, ma che so bene che nò l’acqua nò l’aria si tritano nè si» accendono nè s’abbruciano già mai, non essendo materie nò tritatili nè combustibili : e so dando fuoco ad un sol lil di paglia, a un capello di stoppa, non resta V abbruciumento sin elio tutta la stoppa e tutto la paglia, se ben fusse cento milioni di narra, non ò abbruciata ; anzi, se dato fuoco ad un picco! legno abbrucorebbe tutta la casa eia città intera e tutte le legna del mondo che fussor contigue alle prime ardenti, se non si corresse prestamente a i ripari, chi riterrebbe mai che 1 aria, così sottile e di parti tutte aderenti senza separazione, quando se n' accendesse una particella, non ardesse anco il tutto? Riducasi finalmente il Sarsi a dire con Aristotile che se mai ac-* caderà che 1 aria sia abondantemente ripiena di tali essalazioni ben temperate, e con altri riquisiti detti, allora si liquefanno le palle di piombo, e non solamente quello dell’ artiglierie e degli archibusi, ma le tirato colle fiondo ancora. Dunque tale bisogna che fusse lo stato dell aria al tempo che i Babilonii cocevan 1’ uova ; tale fu, con gran ventura degli assediati, mentre si batteva la città di Corbel ; ed al¬ lei a che tuie si ritrova, si può allegramente andar contro all’archi- IL SAGGIATORE. 34!) bucate : ma perche 1’ affrontare una tal costituzione è cosa di ven¬ tura e che non accade così sposso, però dice il Sarsi elio non si deve ricorrere all’ esperienze, attento die questi miracoli non si fanno ad arbitrio nostro, ma del caso, eli’ è poi difficilissimo a incontrarsi. Tanto che, Sig. Sarsi, quando belio 1’ esperienze fatte mille e mille volte, in tutte le stagioni dell’ anno ed in qualsivoglia luogo, non ri¬ scontrassero mai co ’l detto di quei poeti filosofi ed istorici, questo non importa niente, ma dobbiamo credere allo lor parole, e non a gli occhi nostri. Ma se io vi troverò una costituzion d’ aria con tutti io quei requisiti che voi dite che si ricercano, e che ad ogni modo non si cuocano l’uova nò si struggano le palle di piombo, che direte voi allora, Sig. Sarsi? Ma aimè ! io fo troppo grando oblazione, e sempre vi rimarrà la ritirata con diro che vi manca qualche requi¬ sito necessario. Troppo avvedutamente vi recaste voi in un posto si¬ curo, quando diceste esser di bisogno per 1’ effetto un moto violento, gran copia d’ essai azioni, una materia bene attenuata d si quid alitili ad idem conducit : quel si quid alimi è quel che mi sbigottisce, ed ò per voi un’ ancora sacra, un asilo, una franchigia troppo sicura. Io avevo fatto conto di sospender la causa e soprassedere sin che ve- w nisse qualche cometa, immaginandomi che in quel tempo della sua dilaziono Aristotile c voi foste per concedermi che 1’ aria, sì come si trovava ben disposta per 1’ abbruciamento di quella, così si ritro¬ vasse anco per la liquefazzione del piombo e per cuocer 1’ uova, pa¬ rendomi che voi aveste per ambedue gli effetti ricercato la medesima disposizione ; cd allora volevo che noi mettessimo mano alle fionde, all’uova, agli archi, ai moschetti cd all’artiglierie, e ci chiarissimo in fatto della verità di questo negozio ; anzi pure che, senz’ aspettar comete, il tempo dovrebbe essere opportuno di meza state, e quando l’aria lampeggia e fulmina, venendo a tutti questi ardori assegnata sol'istessa causa: ma dubito che quando ben voi non vedeste in cotali tempi liquefarsi le palle, nò pur cuocersi 1’ uova, non però cedere¬ ste, ma direste mancarci quel si quid aliud ad idem conduccns. Se voi mi direte che cosa sia questo si quid aliud, io mi sforzerò di pro¬ vederlo; quanto che no, lascerò correr la sentenza, la qual credo senz’altro che sarà contro di voi, se non in tutto e per tutto, almanco 111 c i ues ta parte, che mentre elio noi andiamo ricercando la causa naturale d’un effetto, voi vi riducete a voler ch’io m’appaghi d’una IL RAGOIATORE. 31 fi oh’ è tanto rara, che voi sfosso la nominate finalmente e la rii) tra i miracoli. Ora, si conio nò per girar di fiondo nè per tirar d’ 6 chi nò d’ archibusi nò d’artiglierie noi non veggiamo mai farsi Ir effetti più volto nominati, o pur, so già mai ò accaduto un tale accidente, è stato cosi di rado che dobbiamo tenerlo come miracolo e conio tale più tosto crederlo all’altrui relazione che cercar di ve¬ derlo per prova; perchè, dico, stanti queste cose così, non vi dovete voi contentar di conceder che veramente per uno ordinario le co¬ mete non si accendono por un’attrizione d’aria, e contentarvi an¬ cora di passar come cosa di miracolo so pur alcuno vi conceder,Uhi) tal una si sia, una volta in mill’ anni, accesa per quella attrizione bon corredata di tutto quello circostanze che voi ricercate? Quanto all’in stanza elio il Sarsi si promuove e risolve, cioè clic alcuno forse potrebbe diro elio non per attrizion d’aria, ma pel fpoco veemente die lo caccia, si struggono lo palle d’nrchilmso e d’arti¬ glieria; io, primieramente, non sarti di quelli elio oppongano in coki guisa, perchè dico ch’olle non si struggono nè in quello nè in modo veruno: quanto poi alla risposta dell’ instanza, non so perchè il Sani non abbia arrecata quella di’è propizissima e chiara, dicendo chele palle o lo frecce cacciate colla fionda o coll’arco, dovo non è fuoco,» mostrano la nullità dell’inst anza apertamente. Questa pare a me clic fusse risposta assai più diretta che la portata dal Sarsi, cioè che'l tempo nel quale la palla va col fuoco, gli par troppo breve per lique¬ fare un gran pezzo di piombo: il clic ò vero, ma vero è ancoraché assai più brevo è l’altro tempo ch’ella spende nel suo viaggio,por liquefarlo con 1’ attrizion dell’ aria. All’ ultima conclusione eli’ ei no raccoglie, non so che rispondere, perchè non intendo punto ciò ch’ei si voglia dire mentr’ei dice,ba¬ stargli aver mostrato ch’io, por questi essompi, non ho ritirata al¬ cuna per isfuggire i to-t imunii do’ poeti o do’filosofi; i quali testimoni^ essendo scritti e stampati in mille libri, io non ho mai cercato di s ^ ll SS' r ^h 0 ben mi parrebbe privo di discorso affatto chi tenta® una tale impresa. Ilo ben detto che 1’attestazioni son false, e tali mi par che siano tuttavia. 43. Sed obiicit praeterea ...ad idem conducil [pag. 168, lin.9 ~ ^ Legga or V. S. Illustrissima quel che resta fino al fine di qu^ta proposizione ; nel qual proposito poco mi resta che dire, avendone IL SAGGIATORE. 347 detto assai di sopra. Ter tanto metterò solo in considerazione, come il Sarsi por mantenere elio P incendio della cometa possa durare mesi e mesi ancor che gli altri che si fanno in aria, come baleni, fulmini, stelle discorrenti e simili, sieno momentanei, assegna due sorti di ma¬ terie combustibili : altre leggieri, rare, secche e senz’ alcun collega¬ mento d’umidità; altre viscoso, glutinose, e in consequenza con qualche umidità collegate : delle prime vuol clic si facciano gli abbruciamenti momentanei ; delle seconde, gl’ incendii diuturni, quali sono le comete. Ma qui mi si rappresenta una assai manifesta repugnanza e contradiz- 10 zione : perchè, se così fusse, dovrebbono i baleni e i fulmini, conio quelli che si fanno di materia rara e leggiera, farsi nello parti altissime, e le comete, come accese in materia più glutinosa, corpulenta, ed in conseguenza più grave, nelle parti più basse ; tuttavia accade il con¬ trario, perchè i baleni ed i fulmini non si fanno alti da terra nè anco un terzo di miglio, sì come ci assicura il piccolo intervallo di tempo che resta tra il veder noi il baleno o ’1 sentire il tuono, quando ci tuona sopra il vertice; ma clic le comete sieno indubitabilmente senza comparazione più alte, quando altro non ce lo manifestasse a ba¬ stanza, l’abbiamo dal lor movimento diurno da oriente in occidente, » simile a quello delle stelle. E tanto basti aver considerato intorno a queste esperienze. Restami ora che, conforme alla promessa fatta di sopra a Y. S. Illustrissima, io dica certo mio pensiero intorno alla proposizione « 11 moto è causa di calore », mostrando in qual modo mi piar eh’ ella possa esser vera. Ma prima mi fa di bisogno fare alcuna considerazione sopra questo che noi chiamiamo caldo, del qual dubito grandemente che in universale no venga formato concetto assai lontano dal vei’o, mentre vien creduto essere un vero accidente affezzione e qualità che realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci. 50 | Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito die concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, eh’ ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, eh’ ella si muove o sta ferma, eh’ olla tocca o non tocca un altro corpo, eli’ ella è una, poche o molte, nè per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni ; ma eh’ ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, VI 41 348 IL RAGGIATORK. (li grato o ingrato odore, non salito farmi forza alla mente di 4 verla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata anzi, so i Bensi non ci funsero «corta, forse il discorso 0 1» immagina¬ zione per 8è stessa non v'arriverebbe già mai. Per lo che vo io pen¬ sando elio quosti sapori, odori, colori etc., /per la parte del soggetto nel quale ci par elio riseggano, non ninnò altro che puri nomi ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità] tuttavolta però che noi, sì come gli abbiamo imposti nomi particolari e diffe¬ renti da quelli do gli altri primi 0 reali accidenti, volessimo crederei eh’ esse ancora fossero veramente e realmente da quelli diverse. lo credo che con qualche essetnpio più chiaramente spiegherò il mio concetto. Io vo movendo una mano ora sopirà una statua di marmo, ora Bopra un uomo vivo. Quanto all’ azzione che vien dalla mano, rispetto ad essa mano è la medesima sopirà l’uno e l’altro soggetto, eli’è di quei primi accidenti, cioè moto e toccamente, nò pier altri nomi vien da noi chiamata: ma il corpo animato, che ri¬ ceve tali operazioni, sente diverse affezzioni secondo elio in diverso patti vien tocco; e venendo toccato, v. g., sotto le piante de’piedi, sopra le ginocchia o sotto 1’ ascelle, sente, oltre al coramun tocca-» mento, un’altra afTozzione, alla quale noi abbiamo imposto un nome particolare, chiamandola solletico : la quale afTozzione è tutta nostra, e non punto della in ano ; e panni dio gravemente errerebbe chi vo¬ lesse dire, la mano, oltre al moto ed al toccamente, avere in se un’al¬ tra facoltà diversa da queste, cioè il solleticare, sì che il solletico fusse un accidente elio risedesse in lei. U11 pioco di carta 0 una penna, leggiermente frogata sopirà qualsivoglia parte del corpo nostro, fa, quanto a sè, pier tatto la medesima operazione, oh’è muoversi e toc¬ care ; ma in noi, toccando tra gli occhi, il naso, e sotto le narici, eccita una titillazione quasi intollerabile, ed in altra parte a p®- si fa sentire. Or quella titillazione è tutta di noi, e non della penna, e rimosso il corpio animato n sensitivo, ella non è più altro che ut puro nome. Ora, di simile e non maggiore essistenza erodo io che piossano esser molte qualità che vengono attribuite a i corpi nato rali, come sapiori, odori, colori ed altre. U11 corpo solido, e, coinè si dice, assai materiale, mosso ed app' cato a qualsivoglia parto della mia piorsona, produce in nie d l ir- SAGGIATORE. 349 sensazione che noi diciamo tatto, la quale, se bene occupa tutto il corpo, tuttavia pare che principalmente risegga nello palme delle mani, o più ne i polpastrelli delle dita, co’ quali noi sentiamo picco¬ lissime differenze d’ aspro, liscio, molle o duro, che con altre parti del corpo non così bene le distinguiamo ; o di queste sensazioni altre ci sono più grate, altre meno, secondo la diversità delle figure de i corpi tangibili, lisce o scabrose, acute o ottuse, dure o cedenti : e questo senso, come più materiale de gli altri o eh’ è fatto dalla soli¬ dità della materia, par che abbia riguardo all’ elemento della terra, io E perchè di questi corpi alcuni si vanno continuamente risolvendo in particelle minime, delle quali altre, come più gravi dell’ aria, scendono al basso, ed altre, più leggieri, salgono ad alto ; di qui forse nascono due altri sensi, mentre quelle vanno a ferire duo parti del corpo nostro assai più sensitive della nostra pelle, che non sento l’incursioni di materie tanto sottili tenui e cedenti : e quei minimi che scendono, ricevuti sopra la parte superiore della lingua, pene¬ trando, mescolati colla sua umidità, la sua sostanza, «arrecano i sa¬ pori, soavi o ingrati, secondo la diversità de’ toccamenti dello diverse figure d’essi minimi, e secondo che sono pochi o molti, più o men 20 veloci ; gli altri, eh’ ascendono, entrando per lo narici, vanno a ferire in alcune mammillule che sono lo strumento dell’ odor.ato, e quivi parimente son ricevuti i lor toccamenti e passaggi con nostro gusto o noia, secondo che le lor figure son queste o quelle, ed i lor mo¬ vimenti, lenti o veloci, ed essi minimi, pochi o molti. E ben si veg¬ gono pavidamente disposti, quanto al sito, la lingua e i canali del naso : quella, distesa di sotto per ricevere l’incursioni che scendono ; e questi, accommodati per quelle elio salgono : e forse «all’ eccitar i sa¬ pori si accommodano con certa analogia i fluidi che por aria discen¬ dono, ed a gli odori gl’ ignei che ascendono. Resta poi 1 ’ elemento so dell’ aria per li suoni : i quali indifferentemente vengono a noi dallo parti b«asse e dall’ alte o dalle laterali, essendo noi costituiti nel- l’aria, il cui movimento in sè stessa, cioè nella propria regione, è egualmente disposto per tutti i versi ; e la situazion dell’ orecchio è accommodata, il più che sia possibile, a tutte le positure di luogo ; ed i suoni allora son fatti, o sentiti in noi, quando (senz’altre qua¬ lità sonore o transonore) un frequente tremor dell’ aria, in minutis¬ sime onde increspata, muove certa cartilagine di certo timpano eh’è 350 IL SAGGIATORE. nel nostro orecchio. I.o maniere poi esterne, potenti a far questo i crespamente nell’aria, sono moltissime ; lo quali forse si riducono ' gran parte al tivnmr* di qualche corpo che urtando nell*aria V W crespa, e per essa cou gran velocità si distendono l’onde, dalla fre quenza delle quali nasce l’acutezza del suono, e la gravità dalla r riti. Ma elio ne’corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori o i suoni, si richiegga altro elio grandezze, figure, moltitudini et®, vanenti tardi o veloci, io non lo credo ; o stimo che, tolti via g]i orecchi le lingue e i nn-i, restino bene le ligure i numeri e i moti ma non già gli («lori nè i sapori nè i suoni, li quali fuor doli’ani -h mal vivente non credo che sieno altro cho nomi, come a punto al¬ tro elio nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle intorno al naso. K come a i quattro sensi considerati anno relaziono i quattro elementi, cosi credo cho per la vista, senso sopra tutti gli altri eminentissimo, abbia relazione la luce, ma con quell proporzione d’eccellenza qual ù tra ’1 finito o l’infinito,tra’ltempo¬ raneo e P istantaneo, tra ’l quanto e l’indivisibile, tra la luce e le tenebre. Di questa sensazione o delle cose attenenti a lei io non pre¬ tendo d’intenderne se non pochissimo, e quel pochissimo per pa¬ garlo, o per dir meglio per adombrarlo in carte, non mi basterebbe» molto tempo, e però lo pongo in silenzio. E tornando al primo mio proposito in questo luogo, avendo già veduto corno molte affezzioni, che sono reputato qualità riseteli no’ soggetti esterni, non ànno veramente altra assistenza che in noi o fuor di noi non sono altro che nomi, dico che inclino assai a cre¬ dere che il caloro sia di questo genere, o cho quelle materie che is noi producono e fanno sentire il caldo, lo quali noi chiamiamo» nome generale fuoco, siano una moltitudine di corpicelli minimi,in tal e tal modo figurati, mossi con tante e tanta volocità; li quali, incontrando il nostro corpo, lo penetrino con la lor somma sottilità, e * che il lor toccamente, fatto noi lor paesaggio per la nostra sostanza o sentite da noi, Bia 1’ affozziono cho noi chiamiamo caldo, gratoo molesto secondo la moltitudine o velocità minoro o maggiore d ®> minimi cho ci vanno pungendo e penetrando, sì che grata sia qudh penetrazione per la quale si agevola la nostra necessaria insensibil traspirazione, moleste quella per la quale si fa troppo gran diviste® o risoluzione nella nostra sostanza: sì cho in somma l’operazion è- 351 IL SAGGIATORE. fuoco per la parte sua non sia altro che, movendosi, penetrare colla sua massima sottilità tutti i corpi, dissolvendogli più presto o più tardi secondo la moltitudine e velocita de gl’ ignicoli e la densità o rarità della materia d’ essi corpi ; de’ quali corpi molti ve ne sono de’ quali, nel lor disfacimento, la maggior parto trapassa in altri mi¬ nimi ignei, e va seguitando la risoluzione fin che incontra matorie risolubili. Ma che oltre alla figura, moltitudine, moto, penetrazione e toccamento, sia noi fuoco altra qualità, e che questa sia caldo, io non lo credo altrimenti; e stimo che questo sia talmente nostro, che, lorimosso il corpo animato e sensitivo, il calore non resti altro che un semplice vocabolo. Ed essendo che questa affezzione si produce in noi nel passaggio e toccamento de’ minimi ignei per la nostra sostanza, è manifesto che quando quelli stessero fermi, la loro operazion reste¬ rebbe nulla : e così veggiamo una quantità di fuoco, ritenuto nelle porosità ed anfratti di un sasso calcinato, non ci riscaldare, ben che lo tegniamo in mano, perdi’ ei resta in quiete ; ma messo il sasso nell’acqua, dov’egli per la di lei gravità ha maggior propensione di muoversi che non aveva nell’ aria, ed aperti di più i meati dal- p acqua, il che non faceva 1’ aria, scappando i minimi ignei ed in- 20 contundo la nostra mano, la penetrano, e noi sontiamo il caldo. Perchè, dunque, ad eccitare il caldo non basta la presenza de gl’ignicoli, ma ci vuol il lor movimento ancora, quindi pare a me che non fusse se non con gran ragiono detto, il moto esser causa di calore. Questo è quel movimento per lo quale s’abbruciano le frecce e gli altri legni e si liquefà il piombo e gli altri metalli, mentre i minimi del fuoco, mossi o per se stessi con velocità, o, non bastando la propria forza, cacciati da impetuoso vento de’ mantici, penetrano tutti i corpi, e di quelli alcuni risolvono in altri minimi ignei vo¬ lanti, altri in minutissima polvere, ed altri liquefanno e rendono fluidi so come acqua. Ma presa questa proposizione nel sentimento commune, sì che mossa una pietra, o un ferro, o legno, ei s’ abbia a riscaldare, l’bo ben per una Solenne vanità. Ora, la confricazione o stropiccia¬ mento di due corpi duri, o col risolverne parte in minimi sottilissimi e volanti, o coll’aprir l’uscita a gl’ignicoli contenuti, gli riduce final¬ mente in moto, nel quale incontrando i nostri corpi e per ossi pene¬ trando e scorrendo, e sentendo 1’ anima sensitiva nel lor passaggio i toccanienti, sente quell’affezzione grata o molesta, che noi poi abbiamo 352 IL SAGGIATORI-:. nominata caldo, bruciore, o scottamento . E forse mentre l’assottiglia- mento e attrizione resta e si contiene dentro a i minimi quanti il moto loro è temporaneo, e la lor operazione calorifica solamente- che poi arrivando all’ultima ed altissima risoluzione in atomi real¬ mente indivisibili, si crea la luce, di moto o vogliamo dire espansione e diffusione instuntanea, e potente per la sua, non so s’io debba dire sottilità, rarità, immaterialità, o pure altra condizion diversa da tutte queste ed innominata, potente, dico, ad ingombrare spazii immensi. Io non vorrei, Illustrissimo Signore, inavvertentemente ingolfarmi in un oceano iniìnito, onde io non potessi poi ridurmi in porto ; nè u vorrei, mentre procuro di rimuovere una dubitazione, dar causa al nascerne cento, sì come temo elio anco in parte possa essere occorso per questo poco elio mi sono scostato da riva: però voglio riserbarmi ad altra occasion più opportuna. 49. Ikon Galilaeus ... cum non abiiciantur [png. 109, lin.7—pag.173, la 3). Passi ora V. S. Illustrissima alla terza proposizione, la quale leggi e rilegga tutta con attenzione: dico con attenzione, acciò tanto più manifestamente si conosca poi, quanto artificiosamente vada pure il Sarsi continuando suo stilo di voler, coll’ alterare levare ed aggiun¬ gere e più col divertire il discorso o mescliiarlo con cose aliene dal : proposito, offuscar la mento del lettore, sì elio in ultimo, tra le cose da sò confusamente appreso, gli possa restar qualche opinione che il Sig. Mario non abbia così stabilita la sua dottrina, che altri non v’ abbia potuto trovar elio opporre. Essendo stata opinione di molti eli’una fiammella ardente appa¬ risca assai maggiore in certa distanza perdi’ ella accenda, ed in con¬ seguenza renda egualmente splendida, buona parte dell’aria sua cir¬ convicina, ondo poi da lontano e 1’ aria accesa o la vera fiammella appariscano un lume solo ; il Sig. Mario, confutando questo, disse che l’aria non s’accendeva nè s’illuminava, e che l’ irraggiamento, per* cui si faceva l’ ingrandimento, non era intorno alla fiammella, nw nella superficie dell’ occhio nostro. Il Sarsi, volendo trovar che opporre a cotal vera dottrina, in vece di render grazie al Sig. Mario d aver gli insegnato quello che di sicuro gli era sino allora stato ìgao , si fa innanzi, e si pone a voler provare come, contro al detto Sig. Mario, l’aria s’illumina: nella quale impresa egli, pei ni *° ^ rere, erra in molte maniere. IL SAGGIATORE. 353 E prima, dove il Sig. Mario, redarguendo il detto di quei filosofi, disse che 1’ aria non s’ accendeva nò s’illuminava, il Sarsi inetto sotto silenzio quella parte dell’ accendersi, e solo tratta dell’ illuminarsi : onde il Sig. Mario con ragion può dire al Sarsi d’ aver parlato d’ una cosa, ed esso aver preso ad impugnarne un’ altra ; aver parlato, dico, dell’aria circonvicina alla fiammella o dell’illuminazione che le può venire dal suo accendersi, e quello aver parlato dell’ illuminazione che senza incendio viene sopra 1’ aria vaporosa, posta in qualsivoglia distanza dall’ oggetto illuminante. Inoltre, egli medesimo sul primo io ingresso dice che i corpi diafani non s’illuminano, trai quali mette nel primo luogo 1’ aria, e poi soggiunge che, mescolata con vapori grossi e potenti a reflettere il lume, ella ben s’illumina. Adunque, Sig. Sai-si, sono i vapori grossi, e non 1’ aria, quelli che s’illuminano. Voi mi fate sovvenir di quello che diceva che il grano gli faceva venir capogiroli e stornimenti di testa, quando però v’ era mescolato del loglio. Ma è il loglio, in buon’ora, e non il grano, quello ch’offende. Voi volete insegnarci elio nell’ aria vaporosa s’illumina 1’ aurora, che raill’ altri ed il Sig. Mario stesso 1’ ha in sei luoghi scritto innanzi a voi. Ma che più ? voi medesimo in questo medesimo luogo dite 20 che io l’ammetto insino intorno alla Luna ed a Giove ; adunque tutte le prove ed esperienze di aurora, d’ aloni, di parelii e di Luna ascosta dopo qualche parete sono superflue, non avendo noi già mai dubi¬ tato, non che negato, che i vapori diffusi per aria, le nuvole e la caligine s’illuminano. Ma che volete voi, Sig. Sarsi, far poi di cotale illuminazione? dir forse (come in effetto dite) che per essa appari¬ scano i primarii oggetti illuminanti maggiori ? e come non v’ accor¬ gete voi che, quando ciò fusse vero, bisognerebbe che il Sole e la Luna si mostrassero grandi quanto tutta 1’ aurora e gli aloni interi, imperò che cotanta è 1’ aria vaporosa elio del lume loro è fatta par¬ tecipe? Voi dunque, Sig. Sarsi, perchè avete trovato scritto (dico così, perchè voi stesso citate i filosofi e gli autori d’ ottica per con¬ fermare ed autorizare cotali proposizioni) che la region vaporosa 8’illumina, ed oltre a ciò che il Sole e la Luna vicini all’ orizonte appariscono, mediante tal regione vaporosa, maggiori che inalzati verso il mezo cielo, vi siete persuaso che da cotale illuminazione de¬ penda il loro apparente ingrandimento. È vera 1’ una e 1’ altra pro¬ posizione, cioè che 1’ aria vaporosa s’illumina, e che il Sole e la Luna 354 II, SAGGIATORE. presso all’ orizonte, mercè della region vaporosa, appariscono mag¬ giori ; ma ò falso il connesso dello duo proposizioni, cioè che la mag¬ gioranza dependa dall’esser tal regione illuminata, e voi vi sete molto ingannato, e toglietevi da così erronea opinione ; imperocché non pel lume de’ vapori, ma per la figura sferica dell* esterna loro superficie, e per la lontananza maggiore di quella dall’occhio nostro quando gli oggetti son più verso 1* orizonte, appariscono essi oggetti mag¬ giori della lor connnune apparente grandezza, e non i luminosi sola¬ mente, ma qualunque altro posto fuor di tal regione. Traponete tra l’occhio vostro o qualsivoglia oggetto una lente convessa cristallina » in vario lontananze : vedrete elio (piando ossa lente sarà vicino al- l’occhio, poco si accrescerà la specie dell’oggotto veduto; ma disco¬ standola, vedrete successivamente andar quella ingrandendosi. E per¬ chè la regimi vaporosa termina in una superficie sferica, non molto elevata sopra il convesso della Terra, lo linee rette che tirate dal- V occhio nostro arrivano alla detta superficie, sono disuguali, e minima di tutte la perpendicolare verso il vertice, o dell’ altre di mano u mano maggior sono lo più inclinate verso V orizonte che verso il zenit. Quindi anco (e sia detto per transito) si può facilmente raccorrà la causa dell’ apparente figura ovata del Sole e della Luna presso» all’orizonte, considerando la gran lontananza dell’occhio nostro dal centro della Terra, eh’ è lo stesso che quello della sfera vaporosa; della quale apparenza, come credo elio sappiate, ne sono stati scritti, corno di problema molto astruso, interi trattati, ancor che tutto il misterio non ricerchi maggior profondità di dottrina che l’intender per qual ragiono un cerchio veduto in maestà ci paia rotondo, ma guardato in iscorcio ci apparisca ovato. Ma ritornando alla materia nostra, io non so con che proposito dica il Sig. Sarsi, essor cosa ridicolosa il dire che l’alba e ì crepu¬ scoli ed altri simili splendori si generino nell’umore sparso sopra» 1* occhio, e molto più ridicoloso se alcuno dicesso che guardando noi verso il vortice, avessimo gli occhi più secchi che guardando 1 ori- zonte, e che però la Luna o ’l Solo ci paresser minori in quel luogo che in questo: non so, dico, a che fine sieno introdotte queste scioc chezze, non si trovando chi già mai 1’ abbia dette. Ma mentre il Sara ci figura per troppo semplici, veggiamo se forse cotal nota più ad esso die a noi s’ accommodi. Qui si tratta di quello irraggia®^ IL SAGGIATORE. 355 avventizio per lo quale le stelle ed altri lumi inghirlandandosi appa¬ riscono assai maggiori che se lusserò visti i loro piccoli corpicelli spogliati di tali raggi, tra i quali, perchè sono poco men lucidi della prima e vera fiammella, resta esso corpicello indistinto, in modo che ed esso e V irraggiamento si mostra come un sol oggetto grande e risplendente. A parte di questo irraggiamento ed ingrandimento vuole il Sarsi mettere il lume cho per refrazzione si produco nell’ aria vapo¬ rosa, e vuole che per questo il Sole e la Luna si mostrino maggiori verso l’orizonte che elevati in alto, e, quel di’ è peggio, vuole che ìol’istesso abbiano creduto molti altri filosofi: il che è falso, nè ìtnno sì altamente errato. E che questo sia grandissimo errore, lo doveva molto speditamente mostrare al Sarsi la grandissima distinzione che si vede tra le luci del Sole o della Luna e 1’ altro splendore circon¬ fuso, dentro al quale incomparabilmente più lucido o meglio deter¬ minato questo e quel luminare si discerno : il che non accade del¬ l’irraggiamento delle stelle, tra ’l quale il corpicello della stella resta da pari splendore ingombrato ed indistinto. Ma sento il Sarsi che risponde e ilice, cho quel Sole e Luna grandi non sono i corpi reali nudi e schietti, ma uno aggregato e composto » del piccol corpo reale e dell’irraggiamento che l’inghirlanda e rac¬ chiude in mezo con luce non minore della primaria, onde ne risulta • il gran disco apparente tutto egualmente splendido. Ma se questo è, Sig. Sarsi, perchè non si mostra la Luna cosi grande nel mezo del cielo ancora? vi manca forse l’aria vapoi’osa atta ad illuminarsi? Io non so quello che voi foste per rispondere, nò me lo potrei immaginare, perchè non si potendo contra a un vero venir con altro che con falla¬ cie e chimere, le quali, come voi sapete, sono infinite, io non potrei indovinar la vostra eletta. Ma per troncarle tutte in una volta e cavar voi ed altri, se vi fussero, d’errore, basti, a farvi toccar con mano che » la gran Luna che voi vedete nell’orizonte è la schietta e nuda, e non aggrandita per altra luce avventizia e circonfusa, basti, dico, il vedere le sue macchie sparse per tutto il suo disco sino all’ estrema circon¬ ferenza nella guisa a capello che si mostra nel mezo del cielo ; chò se fusse come avete creduto voi, le macchio nella Luna bassa e grande si doverebbon veder raccolte tutte nella parte di mezo, lasciando la ghirlanda intorno lucida e senza macchie. Adunque, non per isplen- dore aggiunto, ma per uno ingrandimento di tutta la specie nel refran- VI. 45 850 IL SAGGIATORE. gorsi nella remota superficie vaporosa, si mostrano il Sole o la Luna maggiori bassi che alti. Or vedete, Sig. Sarsi, quanto è facil cosa 1* atterrare il falso e sostenere il vero. Questa pur troppo grand’ evidenza della falsità di molte proposizioni elio si leggono nel vostro libro, non mi lascia inte¬ ramente credere elio voi non 1’ abbiate compresa ; e vo pensando che possa essere che, conoscendovi voi internamente dalla realtà delle ragioni convinto, vi riduciate per ultimo partito a far prova se l'av¬ versario, col eroder vere quelle coso elio voi stesso conoscete false, si ritirasse e cedesse ; e che perciò voi arditamente le portiate avanti ,k imitando quel giocatore che, vedendosi d’aver a carte scoperte per¬ duto l’invito, tenta con altro soprinvito maggioro di far credere al- P avversario gran punto quello che piccolissimo vede egli stesso, onde, cacciato dal timore, ceda e so no vada. E perchè io veggo che voi vi siete alquanto intrigato tra questi lumi primarii, refratti e reflessi ne’vapori o nell’occhio, comportato voi, conio scolare, ch’io, come professore o maestro vecchio, vi sviluppi ancora un poco meglio. Por tanto sappiate che dal Sole, dalla Luna e dalle stelle, corpi tutti risplendenti e costituiti fuori e molto lontani dalla superficie della region vaporosa, esce splendore elio perpetuamente illuminai la metà di tal regione; o di questo emisferio illuminato l’ estremità occidentale ci arreca la mattina 1’ aurora, e la parto opposta ci lascia la sera il crepuscolo: ma ninna di queste illuminazioni accresce o scema o in modo alcuno altera 1’apparente grandezza del Sole,Luna e stelle, che perpetuamente si ritrovano nel centro o vogliamo dir nel polo di questo emisferio vaporoso da loro illuminato; del quale le parti direttamente traposte tra P occhio nostro e ’l Sole o la Luna ci si mostrano più splendide dell’altre che di grado in grado da queste parti di mezo più si diseostnno, lo splendor delle quali vidi mano in mano languendo ; e questo è quel lume che dà seguo del l’appressamento della Luna allo scoprirsi, mentre dopo qualche tetto o parete ci ai nasconde. Una simile illuminazione si fanno intorno intorno anco lo fiammelle posto dentro alla sfera vaporosa ; ma queste è tanto debile o languida, che so di notte asconderemo un lume dopo qualche parete e poi ci anderomo movendo per scoprirlo, di c niente scorgeremo splendore alcuno circonfuso o vedremo alti» sin che si scuopra la fiamma principale; e questo debolissimo IL SAGGIATORE. 357 nuUa assolutamente accresco la visibile specie di essa fiammella. Ci è un’altra illuminazione, fatta per refrazzione nella superficie umida dell’ occhio, per la quale 1’ oggetto reale ci si mostra circondato da un cerchio luminoso, ma inferiore assai di splendore alla primaria luce; e questo si mostra allargarsi per maggiore o minore spazio, non solamente secondo la maggiore o minor copia d’umore, ma secondo la cattiva o buona disposizion dell’ occhio : il che ho io in me stesso osservato, che per certa affezzione cominciai a vedere intorno alla fiamma della candela mio alone luminoso o di diametro di più ìod’un braccio, e tale che mi colava tutti gli oggetti posti di là da esso; scemando poi l’indisposizione, scemava la grandezza e la den¬ sità di questo alone, ma però me no resta ancora molto più di quello che veggono gli occhi perfetti : o questo alone non s’ asconde per l’interposizion della mano o d’ altro corpo opiaco tra la candela o l’occhio, ma resta sempre tra la mano e l’occhio, sin che non si occulta il lume stesso della candela. Per questo lume parimente non s’ingrandisce la specie della fiammella, del cui splendore egli ò assoi men chiaro. Ci è un terzo splendore vivacissimo e chiaro quasi al par dell’ istesso lume principale, il qual si produce per reflessione » de’raggi primarii fatta nell’umidità de gli orli ed estremità delle palpebre, la qual reflessione si distonde sopirà ’l convesso della pupilla : della qual produzzione abbiamo argomento sicuro dal mutar noi la positura della testa ; imperò che secondo che noi la inclineremo, alze¬ remo, o vero terremo dirittamente opposta all’ oggetto luminoso, lo vederemo irraggiato nella parte superiore solamente, o nell’ inferiore solamente, o in ambedue ; ina dalla destra o dalla sinistra già mai non vederemo comparirgli raggi, perchè le reflessioni fatte verso gli angoli dell’ occhio non possono arrivar sopirà la pupilla, sotto 1’ ori¬ ente della quale, mediante la piegatura delle palpebro su la sfera » dell’occhio, esse parti angolari si ritrovano ; e se altri, calcando collo dita sopra le palpebre, allargherà 1’ occhio e discosterà gli orli di quelle dalla pupilla, non vedrà raggi nò sopirà nè sotto, avvenga elio le reflessioni fatte in essi orli non vanno sopirà la pupilla. Questo solo 6 0 IL SAGGIATORE. Luna : ora figuratovi la piccolissima falce di Venere, inghirlandata di una chioma elio so le sparga o distenda intorno intorno in distanza di quattro suoi diametri, od insieme la grandissima falce della Lana con una chioma non più lunga della decima parte del suo diame¬ tro; non doverà esservi ditlicile a intendere come la forma di Venere del tutto si perderà tra la sua capellatura, ma non già quella della Luna, la quale pochissimo s’altererà: od accade in questo quello a punto elio accederebbe in vestire una formica di pelle d’agnello,di cui la configurazione dello piccolino membra in tutto e per tutto si perderebbe tra la lunghezza do i peli, si elio l’istossa apparenza fa- » rebbo elio se fusso un bioccolo di lana; nulla dimeno l’agnello,per la sua grandezza, assai distinte mostra lo membra sue sotto la pc- corde spoglia. Ma dirò, di più, elio ricevendo il capillizio splendido, elio risiedo nell’occhio, la limitazion del suo spargimento dalla co- stituzion dell’occhio stosso più che dalla grandezza dell’oggetto lu¬ minoso (e così viaggiamo stringendo lo palpebre, si che appariscano surger dall’oggetto luminoso raggi molto lunghi, non si veggono maggiori quei elio vengono dalla Luna, elio quei di Venere od’ una torcia o d’uua fiaccola), figuratovi una determinata grandezza fi’una capellatura; nel mezo della quale se voi intenderete essere un picco-» lissimo corpo luminoso, perderà la sua figura, coronato di troppo lunghi crini ; ma ponendovi un corpo maggiore o maggiore, final¬ mente potrà il simulacro reale occupar tanto nell’occhio, che poco o niente gli avanzi intorno del capillizio; e così l’immagine, v.g., della Luna potrà esser che ingombri nell’ occhio spazio maggiore dolla commune irradiazione. Stante questo cose, intendete il disco reale, per ossempio, di Giovo occupar sopra la nostra luce un cer¬ chietto, il cui diametro sia la ventesima parte dello spargimento della chioma raggiante, onde in sì gran piazza resta indistinto il pic¬ colissimo cerchietto reale: viene il telescopio, o m’aggrandisce la» specie di Giove in diametro venti volte; ma già non ingrandisce 1 ir¬ raggiamento, che non passa per li vetri : adunque io vedrò Giove non più come una piccolissima stella radiante, ma come una Lum rotonda, ben grande e terminata. E se la stella sarà assai più P> c cola di Giove, ma di splendore molto fiero e vivo, qual è, per essem pio, il Cane, il cui diametro non è la decima parte di quel di Giove, nulla di meno la sua irradiazione è poco minor di quella di Giove, 301 IL 8AGGIATOUE. il telescopio, accrescendo la stella ma non la chioma, fa elio, dove prima il piccolissimo disco tra sì ampio fulgore era impercettibile, gii fatto in superficie 400 e più volto maggiore, si può distinguere ed assai ben figurare. Con tal fondamento andate discorrendo, chò potrete disbrigarvi per voi stesso da tutti gl’ intoppi. E rispondendo alle vostro instanze, quando dal Sig. Mario e da me è stato detto che ’l telescopio spoglia le stelle di quel corona¬ mento risplendente, ciò ò stato profferito non con intenzione d’ avere a staro a sindicato di persone così puntuali come siete voi, che, non io avendo altro dove attaccarvi, vi conducete sino a dannar con lunghi discorsi chi prende il termine usitatissimo d’infinito per grandissimo. Quando noi abbiamo detto che il telescopio spoglia le stelle di quello irraggiamento, abbiamo voluto dire eli’ egli opera intorno a loro in modo che ci fa vedere i lor corpi terminati o figurati come se fussero nudi e senza quello ostacolo che all’ occhio semplice asconde la lor figura. È egli vero, Sig. Sarsi, elio Saturno, Giove, Venere e Marte all’ occhio libero non mostrano tra di loro una minima differenza di figura, e non molto di grandezza seco medesimi in diversi tempi? e che coll’occhiale si veggono, Saturno come appare nella presente figura, e Giove e Marte in quel modo sempre, e Ve¬ nere in tutte queste forme diverse ? e, quel eli’ è più meraviglioso, con simile di¬ versità di grandezza ? sì che cornicolata mostra il suo disco 40 volte maggiore che rotonda, e Marte 60 volte quando è perigeo che quando » è apogeo, ancor che all’ oc¬ chio libero non si mostri più che 4 o 5? Bisogna che rispondiate di sì, perchè queste son cose sen¬ sate ed eterne, sì che non si può sperare di poter per via di sillogismi flavo ad intendere che la cosa passò altrimenti. Or, l’operare col tele¬ scopio intorno a queste stelle in modo che quell’ irraggiamento, che per¬ turbava l’occhio libero cd impediva l’esatta sensazione, [.], la qual opera è cosa massima e d’ammirabili e grandissime conseguenze; è quello 8G2 TI, SAGGIATORE. dio noi abbinili voluto significare nel (lire spogliar le stelle delfina giumento, che boti parole solamente di niun momento, di ni UDa C0I1 . Boguenza: le quali ho a voi, che siete ancora scolaro, danno fastidio potrete mutarle a vostro beneplacito, come cambiaste già quello mi- atro accrescimento nel vostro transito dal non essere all’essere A quello elio voi dito, parervi pur ragionevole che, sì come l’og¬ getto lucido, venendo per lo mezo libero, produco nell’occhio l’ir- raggiamento, egli debba ancor far l’istesso quando viene passando per li cristalli del telescopio ; rispondo coucedendovelo liberamente e dicovi che accade a punto ristesso do gli oggetti veduti col tele-» scopio che do’ veduti senza : o sì come il disco di Giove, per tem¬ pio, veduto coll’ occhio libero rimane per la sua piccolezza perduto nell’ampiezza del suo irraggiamento, ma non già, quello della Luna, che colla sua gran piazza occupa «opre la nostra pupilla spazio mag¬ giore del cerchio raggiante, per lo che ella si vedo rasa, e non cri¬ nita ; così, facendomi il telescopio arrivar sopra l’occhio il disco di Giove sci conto o mille volte maggiore della specie sua semplice, (a ch’egli colla sua ampiezza ingombri tutta la capellatura de’raggi,e comparisca simile ad una Luna piena : ma il disco piccolissimo del Cane, ben che mille volte ingrandito dal telescopio, non però adegua* ancora la piazza radiosa, si che ci apparisca tosato del tutto; niente¬ dimeno, per essere i raggi verso l’estremità alquanto meli forti e tri loro divisi, rosta egli visibile, o tra la discontinuazion de’raggi si vede assai commodamento la continuazion del globetto della stella, il quale con uno strumento che più e più 1’accrescesse, più e piè sempre distinto e meno irraggiato ci si mostrerebbe. Sì che la cosa, Sig. Sarsi, sta così, e questo effetto ci venne chiamato uno spogliar Giove del suo capillizio: le quali parole so non vi piacciono, già vi si è dato licenza che le mutiate ad arbitrio vostro, ed io vi do pa¬ rola d’usar per 1’avvenire la vostra correzzione ; ma non v affati¬ cate in voler mutar la cosa, perchè non farete niente. E già che voi in questo fine replicate che pure è necessario con¬ ceder che l’aria circunfusa s’ illumini, e che perciò la stella appari sca maggiore; ed io torno a replicarvi che i vapori circunfusi s il luminano, ma non perciò il corpo luminoso s’ accresce punto, essendo che il lume de’ vapori è incomparabilmente minore della primaria lucer per lo che il corpo lucido, se è grande, resta nudo, e se® P IC IL SAGGIATORE. 363 colo rimane, col suo irraggiamento fatto noli’ occliio, terminatissimo e distintissimo tra ’1 debolissimo lume dell’ aria vaporosa. E vi re- , jj c0 anC ora, poi che voi medesimo me no porgete replicata occa¬ sione elio totalmente deponghiato quella falsa opinione che ’l Sole e la Luna presso all’ orizonte si mostrino maggiori per una ghirlanda d’aria illuminata che s’ aggiunga al lor disco, porche questa è una grandissima semplicità, conio di sopra ho detto o provato. E per non lasciar cosa intentata per cavarvi d’ errore e far che voi restiate ca¬ pace di questo negozio, alle vostre ultime parole, dove voi dite che io vedendosi pur pel telesoopio essi raggi luminosi intorno alle stelle, non si potrà ridurre il minimo ricrescimento di quelle nella perdita di questi, essendo che non si perdono ; vi rispondo che 1’ accresci¬ mento è grandissimo, conio in tutti gli altri oggetti, e che il vostro errore sta (come sempre si è detto) nel paragonar voi la stella in¬ sieme con tutto il suo irraggiamento, visto coll’ occhio libero, col corpo solo della stella veduto, collo strumento, distinto dalla sua piazza radiosa, della quale egli talvolta compar maggiore e tal volta eguale, secondo la grandezza della stella vera e la moltiplicazion del telescopio; e quando comparisce minor di esso irraggiamento, tutta- jo via si scorge il suo disco, come ho detto, tra l’estremità della capel¬ latura. Ed una accommodatissima riprova doli’ accrescimento grande, come in tutti gli altri oggetti, è il pigliar Giove coll’ occhiale avanti giorno, o andarlo seguitando sino al nascer del Sole e più oltre an¬ cora; dove si vede il suo disco, pel telescopio, sempre grande nel- l’istesso modo: ma quel elio si vede coll’occhio libero, crescendo il caudor dell’ aurora si va sempre diminuendo, sì che vicino al nascer del Sole quel Giove che nelle tenebre superava d’assai ogni stella della prima grandezza, si riduce ad apparir minore di quelle della quinta e della sesta, e finalmente, ridottosi quasi ad un punto indivisibile, «nascendo il Sole, si perde del tutto: nulla dimeno, sparito all’occhio libero, si seguita egli pur di vederlo tutto il giorno grande e ben circo- lato ; ed io ho uno strumento che me lo mostra, quando è vicino alla Terra, eguale alla Luna veduta liberamente. Non è dunque cotal ricre- scimento minimo o nullo, ma grande, come di tutti gli altri oggetti. Io vi voglio, Sig. Sarsi, pigliare alla stracca, se non potrò pren¬ dervi correndo. Volete voi una nuova dimostrazione, per prova che gli oggetti in tutte le distanze crescono nella medesima proporzione? VL 40 364 IL 8A.UUIAT0HE. Sentitela. Io vi domando Be, posti quattro Bei o dieci oggetti visibir in varie lontananze, ma in guisa però che tutti si veggano nella dee ima linea retta, hì che il più vii-ino occupi tutti gli altri vi do¬ mando, dico, 80 tenendo l’occhio nel medesimo luogo e riguardand i medesimi oggetti co '1 telescopio, voi gli vedrete pur posti in linea retta o no, bì elio il vicino non vi asconda più gli altri, ma ve gli lasci vedere? Credo pur che voi risponderete eli’ ei vi compariranno per linea retta, essendo realmente per linea retta disposti. Ora stante questo, immaginatovi quattro, sei o dieci bacchette diritte, tra di lor paralelle, poste in distanze disuguali dall’ occhio, ed esse di lunghezzei pur disuguali, e lo più lontane maggiori, o ili mano iu mano le pii vicine minori, in modo elio gli estremi termini loro si veggano po¬ sti in due linee rette, una a destra e l’altra a sinistra; pigliate poi il telescopio, e riguardatele con osso : giù, per la coucession fatta, i medesimi termini, tanto i destri quanto i sinistri, si vederanno pure in due linee rette come prima, ma aperte in maggiore angolo. K come ciò sia, Sig. Sarsi, questo, appresso i geometri, si domanda ricrescer tutte quello linee secondo la medesima proporzione, e non ricrescer più le vicine elio lo lontano. Codete dunque, e tacete. 50. Secl videamus ... fiamma esse potuerit [pag. 173, lin. 7—pag. 176, lia s). a È tempo, Illustrissimo Signore, di venir a capo di questi pur troppo lunghi discorsi : però passiamo a questa quarta ed ultima proposizione. Qui, com’ella vede, dice il Sarsi non potersi a bastanza stupire che io, avendo qualche nomo d’ avveduto osservatore ed ap¬ plicato assai idi’ esperienze, mi sia ridotto ad affermar constante- mento quelle coso che si possono agevolissimaiuente confutare con esperimenti manifesti ed apparecchiati per tutto; de’quali poin’ap- porta molti, ond’egli apparisca altrettanto veridico e diligente spe¬ rimentatore, quant’ io mal accorto e mendace. Dirò prima brevemente quello che persuase il Sig. Mario a scrivere, o me a prestargli as** senso, che quando la cometa fusse una fiamma, ilovesso asconderci le stelle ; poi onderò considerando l’esempio e ragioni del Sarsi, la¬ sciando in ultimo a V. S. Illustrissima il giudicar qual di noi sia più difettoso e mal avveduto nel suo esperimentare e discorrere. Considerando noi, il trasparire d’un corpo non esser altro die un lasciar vedere gli oggetti posti oltre di sò, ci persuademmo che qua»- t esso corpo trasparente fusse men visibile, tanto potesse meglie II, saggiatore. 365 trasparere ; onde 1’ aria trasparentissima è del tutto invisibile, l’acqua ' jj ra pida ed i cristalli ben tersi, traposti tra oggetti visibili, poco per sè stessi si scorgono : dal cho ci pareva che assai a proposito si potesse all’ incontro inferire, i corpi quanto più per sè stessi fusser visibili dover esser tanto meno trasparenti ; e perchè tra i corpi vi¬ sibili per sè stessi, le fiamme per avventura parevano non ossor do¬ gli infimi, però giudicammo quelle dovere esser poco trasparenti : p au torità poi di Aristotile o de’ Poripatetici, aggiunta a questo discorso, ci confermò nell’opinione. Circa la qual autorità mi par da )o uotaro come il Sarsi le vuol dare altra interpretazione da quella che apertamente suonan lo parole ; o dice che intesa bene è verissima, c che il senso è che i corpi, acciò che si possano illuminare, non de- von esser trasparenti ; e non, che i corpi lucidi non son trasparenti. Ma se il Sarsi la piglia in (pici senso, perchè così gli par la propo- sizion vera, adunque bisogna eh’ oi lasci 1’ altro perchè in quello gli paia falsa (perchè quanto allo parole, meglio si adattano a questo che a quello) : tuttavia egli medesimo poco di sotto non pure afferma, ma con più esperienze conferma, i corpi luminosi impedir la vista delle cose poste oltre di loro, dove scrive : Navi haec etiam rerum ul¬ to tra ipsa positarum aspeclum iinpedmnt, e quel cho segue. Ma tornando al primo discorso, dico che oltre all’ autorità de’ Peripatetici ci con¬ fermò ancora più il veder finalmente per esperienza un vetro info¬ cato impedirci assai la vista degli oggetti, che freddo distintamente ci lascia scorgere, e V istesso far la fiammella d’ una candela, e mas¬ sime colla sua Buperior parte, più lucida dell’ inferiore eh’ è intorno al lucignolo, la qual è più tosto fumo non bene infiammato che vera fiamma. Di più, avendo noi osservato, la grossezza del corpo, ben che per sè stesso non molto opaco, importar tanto, che, v. g., una neb¬ bia, la quale in profondità di venti o trenta braccia non ci leva la » vista d’un tronco, moltiplicata all’altezza di 200 o 300 ci toglie del tutto anco la vista del Sole stesso, pensammo non esser lontano dal ragionevole il creder che la non trasparenza ed opacità d : una fiamma non potesse mai essere così poca, che ingrossata in profondità di cen¬ tinaia e centinaia di braccia non ci dovesse impedir 1’ aspetto delle minute stelle. Concludemmo per tanto, la profondità della chioma (lolla cometa (che pur bisogna che sia non dirò col Sarei e suo Mae¬ stro 70 miglia, ma al manco tante canne), quand’ ella fusse una S6(ì IL SAGGIATORE. fiamma, doverci ascondere lo stello ; il che vedondo noi eh’ ella noe faceva, ci parve avere argomento aiwai concludente per provar ch'eli non fusso uno incendio. Ora il Sarei, curando poco o niente la prin cipal sustauza «li tutto questo ragionevolissimo discorso, appiccandosi a quel sol detto del Sig. Mario, che la fiammella d’una candela non ò trasparente, si persuade e prometto la vittoria, tuttavolt* ch’ei possa mostrare, la «letta fiammella aver pur qualche trasparenza• e dice che chi avvicinerà a quella un foglio scritto, sì che quasi la fo¬ chi, e porrà diligente cura, potrà vedere i caratteri: al che io ag¬ giungo « tutta volta ch'ut .sia di vista perfettissima », perchè io eie» però non son losco, stento a poterli vedere, servendomi anco degli occhiali, quanto più posso «la vicino. È ben vero che oltr«* alla «h-tta, niolt’altre esperienze adduce il Sarei: tra le quali, e p<-r riverenza o per religiosa pietà e per esser olla di suprema autorità, ilebbo primieramente far considerazione»- pra quella che il medesimo Sarsi ripone noi primo luogo, pigliandola dalle Sacre Lettere. Dove, insanito co ’l Sig. Mario, noto le parole della Scrittura preccd«*nti alle citate dal Sarsi, lo quali mi par che «beano che avanti che il He vedesse P angolo e i tre fanciulli cam¬ minar per la fornace, le fiamme funsero state rimosse; chè tanto mi* par che importino lo parole del Sacro Testo, che son queste: Antjk autem Domini descendit cum Agarici et sociis cius, et exrnsit jìamm iffnis de fornace , et fedi medium fornacis quasi ventum roris {lanim, E noto, che dicendo la Scrittura (lammam ignis, par che voglia far distinzione tra la fiamma e 1 fuoco; e quando poi più a basso si legge che il Re vede caminar le quattro porsone, si fa menzione del fuoco, o non della fiamma : Ecce ego video quatuor viros solutos et amòtUti in medio ignis. Ma perchè io potrei grandemente ingannarmi nel pe¬ netrare il vero sentimento di materie che di troppo grand’intervallo trapassano la debolezza del mio ingegno, lasciando cotali deterrai* nazioni alla prudenza de’ maestri in divinità, anderò semplicemente discorrendo tra queste inferiori dottrine, con protesto d’esser sempre apparecchiato ad ogni decreto de’ superiori, non ostante qualsivoglia dimostrazione ed esperimento che paresse essere in contrario. L ritornando all’esperienze del Sarai, per le quali ei ci fa vedere ti asparir per varie fiamme diversi oggetti, dico che posso liberamente concedergli, tutto questo esser vero, ma di nessuno sollevamento all* IL SAGGIATORE. 367 . -ner lo stabilimento della quale non basta che la fiamma interposta sia profonda un dito, e elio gli oggetti altrettanto vicini li s i en0) nè molto più lontano il riguardante, o vero che gli og- (>• tti sieno dentro alle stesse fiamme ed anco nella parte bassa, po¬ chissimo lucida ; ma ha di bisogno (altrimenti resterà a piè) di farci toccar con mano eh’ una fiamma, ancor che profonda centinaia e cen¬ tinaia di braccia e lontanissima dal riguardante e da gli oggetti visi¬ bili non però ce n’ impedisca la veduta ; eh’ è quanto se dicessimo, che gli faccia di mestier provare che la fiamma arrechi assai mono io impedimento che se fusse altrettanta nebbia, la qual nebbia ò tale, che trapostane non solo alla grossezza d’un dito, ma di quattro e sei braccia, non arreca impedimento veruno, ma in profondità di 100 o 200 asconde l’istesso Sole, non elio le stelle. E finalmente, io non mi posso contener di rivolgermi un poco al medesimo Sarsi, che si stupisce del mio inescusabil mancamento nell’ uso dell’ esperienze. Voi dunque, Sig. Sarsi, mi tassate per cattivo sperimentatore, mentre nel- l’istesso maneggio errate quanto più gravemente errar si possa? Voi avete bisogno di mostrarci che la fiamma interposta non basta, con¬ tro alla nostra asserzione, ad occultarci lo stelle, e per convincerci a con esperienze dite che provando noi a riguardar uomini, tizzoni, carboni, scritture e candele posti oltre alle fiamme, sensatamente gli vederemo : nè mai v’ è venuto in pensiero di dirci che noi proviamo a guardar le stelle? e perchè, in buon’ ora, non ci avete voi detto alla bella prima : Interponete una fiamma tra 1’ occhio e qualche stella, che voi nè più nò meno la vederete ? Mancano forse le stelle in cielo ? e questo è esser destro ed avveduto sperimentatore ? Io vi domando se la fiamma della cometa è come le nostre, o d’ altra natura. Se d’altra natura, l’esperienze fatte nelle nostre non ànno forza di con¬ cludere in quella : se è come le nostre, potevate immediatamente so farci veder le stelle per le nostre, lasciando stare i tizzoni, funghi e l’altre cose; e quando dito che dopo la fiammella d’una candela si scorgono i caratteri, potevate dire che si scorge una stella. Sig. Sarsi, chi volesse trattarla con voi, come si dice, mercantilmente, cioè con una bilancia sottilissima e giustissima, direbbe che voi foste in obligo di fare accendere una fiamma lontanissima e grandissima quanto la cometa o farci per essa veder le stelle, atteso che e la grandezza della fiamma e la lontananza dell’ occhio da quella importano assais- 368 IL SAGGIATORE. Bìmo in questo fatto o se ne deve tener gran conto : ma io, per farvi ogni agevolezza e vantaggio, ini voglio contentare d’ assai meno, e voglio prepararvi mozi accomniodatissimi per vostro bisogno. E pri¬ ma, perchè 1 ’essere la fiamma vicina all’occhio importa assai per ve¬ dere gli oggetti meglio, in vece di porla remota quanto la cometa, mi contento d’una distanza di cento braccia solamente : in oltre, per¬ chè la profondità e grossezza del mezo similmente importa assais¬ simo, in vece della grossezza della cometa, eli’ è, come sapete, tante centinaia di braccia, mi basta quella di dieci solamente: in oltre, perchè Tesser l’oggetto, elio si ha da vedere, lucido arreca pari-io mente vantaggio grandissimo, come voi medesimo affermate, mi con¬ tento che tale oggetto sia una stella di quelle che si vider per la chioma della nostra cometa, lo quali stelle, per vostro detto in que¬ sto luogo, sono di gran lunga più chiare di qualsivoglia fiamma: e poi, se con tutti questi tanto per la causa vostra vantaggiosi appa¬ recchi voi fate vedere per la trasparenza di cotal fiamma la stella, voglio confessarmi per convinto o predicar voi pel più cauto e sot¬ tile sperimentatore del mondo ; ma non vi succedendo, non ricerco altro da voi se non elio col silenzio ponghiate fine alle dispute, come spero che siate per fare: perchè se mai v’ accaderà di veder questa mia» . scrittura, la qual rimane nell’ arbitrio di questo Signore, a chi scrivo, di mostrarla a chi pili gli piacerà, vedereto come devo fare chi si piglia, per impresa di volere essaminar gli altrui componimenti, ciré non lasciar cosa veruna senza considerarla, e non (come avete fatte voi) andar a guisa della gallina cieca dando or qua or là tanto del becco in terra, che s’incontri in qualche grano di miglio da mor¬ derlo e roderlo. E per finir questa parte, non potete negar d’ aver voi medesimo compreso e confessato che dalle fiamme interposte qualche sensibile impedimento anco per l’occhio vostro ne deriva ; imperò che se niente » assolutamente d’ offuscamento arrecassero, senz’ altri avvertimenti e cautele, d’ esser gli oggetti più o men lontani dalla fiamma, più n men lucidi, ed esse fiamme nate più da zolfo o d’ acquavite che da paglia o da cera, avreste risolutamente detto : « Sia la fiamma e 1 og getto qualunque si voglia, nessuno impedimento ne nasce, ma si vede come per P aria libera e pura » : ed oltre a questo, poco più a basso parlando delle cose che non risplendono per sè stesse, come le fiamme, IL SAGGIATORE. 369 ma sono illuminate da altri, dite che queste ancora impediscono la vista degli oggetti, dove la particola ancora mostra che voi conce¬ dete qualche impedimento nelle fiamme. Ma che più ? se elle non punto impedissero, a chi mai sarebbe caduto in pensiero di dire eh’ elle non sieno trasparenti ? Ci è dunque, anco per voi stesso, qualche sen- àbil offuscazioncella (dico per voi stesso, perchè per noi e gli altri l’impedimento è assai grande), e le vostre esperienze son fatte intorno a fiammelle così piccole, che risolutissimamente l’impedimento d’ al¬ trettanta nebbia sarebbe stato del tutto insensibile ; adunque le vostro io fiamme impediscono più che altrettanta nebbia: ma tanta nebbia quanta è la profondità della cometa, vela e totalmente toglie la vista del Sole; adunque, quando la cometa fusse una fiamma, dovrebbe esser bastante ad asconderci il Sole, non che le stelle : le quali ella non asconde ; adunque non è una fiamma. E perchè quanto per sostenere un falso sono scarsi tutti i partiti, tanto per istabilimento dol vero soprabondano i contrari veri, io voglio accennare a Y. S. Illustrissima certo particolare per lo quale mi par che si confermi, l’opinion d’Aristotile esser falsa. Avvenga che natura di tutte le fiamme conosciute da noi è di dirizzarsi all’ in ai su, restando il lor principio e capo nella parto inferiore, se la barba della cometa fusse una fiamma ed il suo capo fusse la materia ond’ ella traesse origine, bisognerebbe che la chioma direttamente si diriz¬ zasse verso il cielo ; dal elio ne seguirebbe una delle due cose, cioè o che la chioma si vedesse sempre a guisa di ghirlanda intorno al capo (il che sarebbe quando il luogo della cometa fusse altissimo), o vero (e questo accaderebbe quand’ ella fusse poco lontana da terra) bisognerebbe che, nel nascere, prima nascesse 1’ estremità della barba, ed in ultimo il capo, ed alzandosi verso il mezo del cielo, quanto più il capo fusse vicino al nostro zenit, tanto la barba dovrebbe appa¬ ile rire più breve, e nel vertice stesso dovrebbe apparir nulla o circon¬ dante il capo intorno intorno, e finalmente nell’ andar verso l’occaso la barba dovrebbe parere rivolta al contrario, sì che il capo si vedesse inclinare all’ occidente prima di lei ; altramente, quando la barba andasse avanti come nel nascere, converrebbe che la fiamma, contro alla sua naturale inclinazione e contro a quello che faceva quand’ era nelle parti orientali, riguardasse all’ ingiù. Ma tali accidenti non si U! ggono nella cometa e suo movimento ; adunque non è una fiamma. 370 IL SAGGIATORE. 51. lllud elioni ... ottunde erti [p*k. 176, Ito. 7—pag. 177, Ito. 14 ] Qui, com’olla vedo, vuol il Sarai ritorcere il mio medesimo argo¬ mento contro ili ine ; ma quanto felicemente questo gli succeda, ac¬ romo brevemente eissarainando. E prima, noto coni’egli, per effettuar questa sua intenzione, incorro in qualche contradizzione a sè mede¬ simo, e, quello di che più mi meraviglio, senza necessità. Di sopra perchè così compliva alla sua causa, fece ogni sforzo di provar come 10 fiamme sono trasparenti, sì che per esse si possono veder le stelle; qui, per convincermi collo mie armi, avendo ogli bisogno che icorpi luminosi non sieno trasparenti, si mette a provare così essere con» molte esperienze; onde paro elio e’ voglia che i corpi luminosi sieno o non sieno trasparenti secondo che ricerca il bisogno suo: ed in questo inconveniente cad’ ogli senza necessità alcuna, atteso che, senza dar pur ombra ili contradi/.ziono col mostrar di voler ora quello cho poco fa aveva negato, bastava eh’ ei dicesse (senza porsi egli steso a dimostrarlo) cho noi medesimi avevamo affermato generalmente,i corpi luminosi non esser trasparenti : nò aveva occasione di temer eh’ io fussi per venire a distinzioni di luminosi per sè o per altri, imperò che io ho sempre creduto cho tal ricorso non serva se non per quelli che da principio non si son saputi ben dichiarare; e tes 11 Sig. Mario avesse fatto differenza tra questi corpi e quelli, si sarebbe dichiarato a tempo, e non avrebbe aspettato cho 1’ avversario l’avesse avuto a fare accorto del suo mancamento. Dico dunque eh’ è veris¬ simo che qualunque illuminazione, o propria o esterna, impedisce la trasparenza del corpo luminoso; ma non bisogna, Sig. Sarsi, che voi intendiate che dicendo noi così, vogliamo inferire elio per ogni minima luce il corpo che la riceve debba divenir così opaco coni’è una mura¬ glia, ma che secondo la maggiore o minor lucidità perda più ouiw della trasparenza: o così veggiamo nel principio dell’ aurora,secondo cho la region vaporosa comincia a partecipare un pochette di arnia, s perdersi le minori stelle ; dapoi, crescendo lo splendore, perdersi anco le maggiori ; o finalmente, nella massima illuminazione, celai® 1 quasi la Luna stessa. In oltre, quando per qualche rottura di nuvoe noi veggiamo scendere sino in Terra quei lunghissimi raggi di se voi porrete ben cura, vedrete notabil differenza circa lo scorgi le parti d’un monte opposto: imperò che quelle che sono oltre ai raggi luminosi si scorgono più offuscate dell’ altre laterali, che no IL SAGGIATORE. 371. vengono da essi raggi traversate. E così parimente, scendendo un raggio di Sole per qualche finestrella in una stanza ombrosa, come tal or si vede per qualche vetro rotto in alcuna chiesa, tutti gli oggetti opposti, in quella parte dove il raggio gli traversa, si veg¬ gono meno distintamente, mentre però il riguardante sia in luogo onde ei vegga il raggio luminoso distinto, il che non avviene da tutti i siti indifferentemente. Ora, stanti queste cose vere, dico (e così si è sempre detto) potere esser che la materia della cometa sia assai più sottil dell’ aria vaporosa, o meno atta ad illuminarsi, cliè così ne w persuade il vederla noi sparir nell’ aurora e nel crepuscolo, trovan¬ dosi il Sole ancora assai sotto 1’ orizonte ; sì che, quanto alla luci¬ dità, non ci è ragione perch’ ella debba asconderci lo stelle più della region vaporosa. Quanto poi alla profondità, prima, la region vapo¬ rosa è grossa molte miglia ; dipoi, noi non siamo in necessità di por la barba della cometa di smisurata profondità, non avendo deter¬ minato nè quanto sia il diametro del capo, nò s’ egli ò rotondo, nò quanta sia la lontananza. Con tutto ciò, quando anco altri volesse porla profonda 8 o 10 miglia, non si vede nascerne inconveniente alcuno ; perchè anco 1’ aria vaporosa in tanta e maggior profondità, a ed illuminata quanto la barba della cometa, lascia veder le stelle. 52 .llludpraeterea ... Aristoteles cnunciavit? [pag.l77,lm.i5 — pag.i78,lin.5]. L’essempio in virtù del quale crede il Sarsi di poter difendere Aristotile e mostrar 1’ obiezziono del Sig. Mario invalida, a me par che non molto s’ assesti al caso essemplificato. Che il veder per le strade e por le piazze copia di biade arguisca esser di quelle mag¬ giore abbondanza che quando non se ne veggono, ha molto ben del ragionevole, imperò die è in potere ed in arbitrio de i padroni l’esporle ed il celarlo, e, di più, il farne mostra non le consuma o diminuisce punto; i quali due particolari non ànno luogo nel caso della cometa. * E per avventura essempio più proporzionato sarebbe se alcuno dicesse in cotal modo : Che l’isola Cuba abbondi di cinnamomi e cannelle, ce ne sia grand’ argomento il sapere che gl* isolani fanno fuoco di quelle coutinuamente. Il discorso è concludente, perchè, essendo in arbitrio loro 1’ arderle o no, quando ne avesser penuria 1’ userebbon per condimento solamente, come noi. Ma quando venisse avviso che 1 mesi passati per certo accidente si fusse attaccato fuoco nella gran Se bu de’cinnamomi, e cho gl’isolani non furono potenti ad estinguer vi « 372 IL SAGGIATORE. lo fiamme, ritrovandosi in questo tempo assai lontani dal l U0 g 0 s ] oh’ olla irreparabilmente arse ; se alcun mercante da tale accidente insolito volesse a i nostri aromatarii pronosticare una straordinaria abbondanza, poi che, dove por 1’ ordinario se no abbruciano a fastelli questa volta si è fatto a boscaglie intero ; io erodo eli’ ci verrebbe reputato persona molto semplice: e quello che vedendo dalle fiamme divorar le biade mature della sua possessione, si rallegrasse e si pro¬ mettesse d’ essere por empire assai più del solito i suoi granai, poi elio ven’ò da abbruciare a moggia, credo che sarebbe tenuto stolto affatto. La materia di elio si fa la cometa o è della medesima diete » si producono i venti, o è diversa: se ò diversa, non si può dalla copia di quella arguire abbondanza di questa, più che se alcuno dal veder molt’uva si promettesse gran ricolta d’olio; so è dell’istessa, attaccato che vi sia il fuoco, arderà tutta. 53. Quid porro . .. omnibus praelulisse [pag. 178, lin. 6 — pag. 179, lin.4], Qui, coni’ ella vede, il Sarsi fa duo coso : la prima contiene impli¬ citamente il giudicio che altri dove fare della debolezza de’fonda¬ menti della nostra dottrina, appoggiandosi ella sopra esperienze false e ragioni manchevoli, coni’ egli pretende d’ aver dimostrato; aggiunge poi, nel secondo luogo, un catalogo e racconto dolio conclusioni con- ' tenute nel Discorso del Sig. Mario o da sò impugnate e confutate. In risposta alla prima parte, io, ad imitazion del Sarsi, liberamente rimetto il giudicio da farsi circa la saldezza della nostra dottrina in quelli elio attentamente avranno ponderate lo ragioni e l’esperienze dell’ una e 1’ altra parto ; sperando elio la causa mia sia per esser favoreggiata non poco dall’ aver io di punto in punto essaminato e risposto ad ogni ragione ed esperienza prodotta dal Sarsi, dov egli ha trapassata la maggior parte o la più concludente di quelle del Sig. Mario. Le quali tutte io avevo fatto pensiero (od era in con- tracambio del catalogo del Sarsi) di registrar nominatamente in (pie-' sto luogo ; ma postomi all’ impresa, mi è mancato e l’animo e 1* forze, vedendo che mi saria stato bisogno trascriver di nuovo P of0 meno che l’intero trattato del Sig. Mario. Però, per minor tedio di Y.S. Illustrissima e mio, lio risoluto più tosto di rimetterla ad un alti 1 lettura di quello stesso trattato. Il Fine. LOTHARII SARSII SIGENSANI [HOliATII G1USSI1 SALONKNSIS] RATIO PON DERUM LIBRAR ET S1MBELLAE. CON POSTILLE DI GALILEO. RATIO PO N D ERVM LIBRAI ET SIMBELL/E: I N Q_V A OVID è lotharii sarsii LIBRA ASTRONOMICA, QVIDQVE E' GALILEI GALILEI SIMBELLATORE, DeCometis ftatucndum fit,collatisvtriufque rationum momcntis , Philofophorum arbicrio proponitur. AuClorc codem LOTHARIO SARSIO Sigenjano. LVTETIA PARISIORVM, Sumptibus Sebastiani C r a m o i s y , via Iacobxà, fub Ciconijs. _ M. D C. XXVI. CV M PRIVILEGIO RE G I S. ILLUSTRISSIMO PRINCIPI FRANCISCO BONCOMPAGNO S. R. E. CARDINALI AMPLISSIMO LOTHÀRIUS SARSIUS FELTOITATBM. Qui cometas illos curiosius inspexerunt , quibus caclum serio iam ab Itine anno ad se mortalium oculos , illeccbra scilicet novitatis , illexit , ?d observamnt in primis, dm 7Wos per odia astronm signa vagatos ac dcbacchatos impune , aZ ufti primum ckrìssimos cadi Dracones conti-gore, extinctos ittico desiissc. Trdbs enim, quaeprior io einicuit, vix Htjdram propior attigit , cttrn interiit : cometa inox alter clarior et ditdumior , cum a Librae sideribus per Arcturum atque Helicen progressus usque in Draconcm boreum pervenisset incolumis } htiius quasi spirita difflatus evanuit. Qmcn agnosco, Gardinalis lllustnssime : co namque mortis genere settis illi ipsi nos ioccnt, cuius tandem arbitrio ca dirimcnda sint betta , qxiae, non corporum sed in - tjeniorum viribus exercenda, inter philosophos cxcitarant. Quando igitur in cometas , hoc est in parentes altricesque discordiarum flammas ì Draconum tanta vis est, non aito profecto , me guidoni volente, dirigentur hi nostri , gruam ad Draconem istuin turni vere aurewn, hoc est ad illuni cui ab omni disciplinar uni genere, ac mathematicis in primis, Romana eliam in purpura splendor acccdit ; quo tandem indice, litibus 20 rilc compositis, inutilinm altercati onutn fax omnis , ni si per alios steterit , restili - ji latur.Quin si cometas Jiosce nostros, victrìcibus implexos atque illigatos serpentibus , /iws /de forte insideat Draco, caduceum Ubi , Mercuriali ilio félicius, exprimet ; ut illi ipsi, qui belli quondam quasi fccìalcs cxtitcrant , iaw l)raconi tuo subiecti, pacis Miìuceutorcs habeantur. Tu igitur , eaeZo terragne potcns Draco , quando hae tibi tont artes, Discordes animos compone, hasque opprime tìammas l ‘ J . Vale. lU Simula il viso pace, ma vendetta Chiama il cor dentro, e ad altro non attende. KATIO PONDERUM LIBRAE ET SIMBELLAE. Cometa, partus ille cooli abortivus et foetus luminis immaturus, ut brevi tem¬ pore mortalium oculos novitatis illecebva distinuerit, multos tamen iam annos eorum torquet ingenia, nec sileri se pati tur, furia silentum sedibus digna 1 * 1 ctbellorum rabida Erynnis, de qua uè dicere quidem liceat sine iurgio et rixa. Quid agimus miseri? caduco ac fluxo, suopte ingenio, igni in nostrani perniciem alimenta suggerimus, et quem natura din esse non patitur, litteris aeternum mansuris consecramus ? Attigerat olim Iloratius Grassius Magister meus, ne solus in re nova videretur incuriosus, liane flanunam, sed curriculo piane ac le- ìoviter, ne illuni pestilens afflaret aura 131 : niliil tarnen profuit abstinuisse; in sinum subito illius quos effugerat ignes congessere alii, ne soli arderent. Est nempe hoc ignium omnium vicina corripere, perque ea ad illa quoque pertingere, quae, longe seposita, spoetare, secura sui. aliena incendia poterant. Sic ei, ut nulli mortalium infenso, ita vicissim pacata erga se omnia existimanti, subito flagrare visus est sinus incendio non suo. Has ego fi am mas dum ab ilio conarer dcpellere, iisdem pene involutus interii. Quid agam? ardebo tacitus, nec saltelli ^ Voi dite che la cometa è una furia degna d’inferno, mentre pure la po¬ nete in Cielo. Chi volesse usare il vostro maligno modo d’ argumentare, potrebbe dire che voi biasimate la natura, o più tosto l’ Autore di essa, che avesse posto ’^in Cielo una cosa degna d’Inferno. 1,1 Se voi aveste detto questa scusa o difesa vostra nella Libra, forse si sa¬ rebbe accettata, ciò è clic voi nel Problema non aveste considerato nò ponde¬ rato con diligenza la cometa, acciò ella non vi appestasse nè vi nocèssc. Ancor- c ‘tó si lusse potuto dire che voi vi riputaste troppo gran personaggio, a aver l )aura delle comete, le quali pare che sien formidabili solo a i grandissimi prin- c 'Pi> e non a i pari vostri. 380 LOTHARII SABSII Sag., f. 9, 1. 3. [pag. 220, lin. 6] Sag., f. 32, 1. 12, [pug. 286, liti. 20) Sag., f. IO, 1. 4. [pag. 221, liti. 2J has a me quoque propere avertam ? Autlebo id sane, ac, nisi per alios steterit, extinguam oranino, nulli ut in postcrum noxiae, nulli ut sint amplius iniuriosae Alimenta certe atque irritamenta subducam omnia: sic enim fiet,ut voraxma- luna inedia absumatur ot faine? Kt "quamquam is, qui Libram meain exactis- simus consor expendit, loquenti indiani sibi legem imponi voluit, sed, ut verbis eius utar, licentta potius baccanali usururn se in nos^ minatus initio, toto dein opere praestitit quod promisit, ego (amen, qui in hoc Romano Colle¬ gio W non ò eam solum philosopliiao partem edoctus sani quae rerum naturala spectat, sed illam etiam quae mores aniinmnque componit, id iam a ìiiultis annis ago, ut iniuria ad me pervenire non possit., aut, si forte pertingat, lentam nacta io materiam, levius luctetur in molli. Sic pila, duro allisa marmori, multiplicicasu ac salta resilit reciditque ; oadem, molli allisa culcitrae, vel primo iminoritur ictu. Est autem, ut ait Seneca, ingenii natura infirmi, muliebris ot delicati, facile contumcliis commovcri ; quaruin plerumque pars maxima constat vitio inter- pretantis. Ago igitur, et veram scribendi methodum r a Galileo edocti, ne quid inexpen- siiiu aboiit 1 * 1 , ab ipso operis nomine exordiamur; cui latinitati donando haud sane panini mild laborandum fuit, ut nesciam an quicquam alimi, in toto hoc volli- mine confutando, milii molestili» acciderit. Quamquam enim permultae occurrebant voces, e latinitatis foecundissimoperni?) depromptae, idem re ipsa sonantes, iis tamen hetruscae vocis sapor minns exprirui videbatur. Norain hoc nomine SAGGIATORE, si prima eius repetatur origo, eum signilicari qui vina degustat, libat, pitissat l7J ; sic etiam eavoce SAGGITJOLI exprimi W Le maschero non sono permesse so non liccntia bacchanali , onde a trat¬ tare con esse fa mestiero della medesima licenzia. 151 Voi in cotesto Romano Collegio andate pure in maschera; adunque in co¬ testo Romano Collegio avete imparato a servirvi della licenzia baccanale. Mi fate sovvenire d* un verso di un poeta comico: Qui Curios fingunt, vivunt bacchandk [ftl Questo non è il vero metodo insegnatovi da me per non la¬ sciare niente non considerato ; perchè io trascrivo tutta la vostra» scrittura senza lasciarne sillaba, e voi per dare un poco di vita alle vostre calunnie e falsità, almeno appresso quelli clic non hanno il mio libro, non producete (ed anco troncatamente) altro che quei luo ghi da i quali vi par di poter rappresentar contradizzioni o albo fallacie, la falsità delle quali troppo chiaramente si conoscerebbe da chi avesse in pronto 1 ? opera mia. t?1 voi, per darmi titolo d’imbriaco, avete finto di non intenderò quello che significhi Saggiatore, lo, alla vostra imitazione, potrei (Ino RATIO PONDERUM UBRAE ET 81MBELLAE. 381 oenophora illa parvula, quibus cuiusque vini specimen degustandum ac libandum emptoribus circuiti fertur. Haoc porro omnia M Galilei librum Pracgustato- m làbatorcm, seu Pitissatorem, ut ita dixerim, appellandum suadebant. Ilis ipsis nominilms favebat haud raoilicum ternpus vindemiarum, cpio liber in lucem prodierat, adulto quippe Octobri ipso se typographorum e torcularibus expres- smn profitetur in calce epistolae nuncupatoriae t8) . Sed nimirum minus lionesta, philosopbo praesertim, ea nomenclatura videbatur, et sobriam magia optabam. Quare cimi eadem illa nomina, a Galilaeo usurpata, translata postea invenerim ad significandam collibistao simbellam I10J , atquo illuni ipsum qui ea aurum gein- io elle il nome Simlcllatorc vieti dii i zimbelli, che sono alcuni piccoli sacchetti pieni di crusca, legati in capo di una cordicella, con i quali i nostri fattori il carnovale soglion Bacchettare e zimbellavo le ma¬ schere, c che così inavvertcntemente aveste augurato a voi medesimo scherzi più aspri ; ma non voglio otc. ra Enee porro omnia etc. Questo è contro A [ristofilo] (,) , che nel prin¬ cipio de’ libri del Cie[lo] non vuol che omnia si possa dir di manco che di 3 ; e qui vien detto di uno. [9) nuova ed arguta occasion d’intitolare i libri da gli eser[ci]zii che si fanno in campagna nel tempo che si finiscono di stampare. 20 mi avete ben per un giudizio più clic insipido, a creder che io cavassi il titolo d’ un mio libro da così sciocca occasione, se bene a voi si rappresenta salata e arguta. I libri si sogliono denominare dalle coso che in essi si trattano ; ma che hanno qui che far i sag¬ giali o le vendemie ? etc. [l0] Se voi aveste cognizione della lingua toscana, avesti, senza più oltre leggere nel mio libro, inteso come il nome Saggiatore senza traslazione significa l’istesso che colìibista, e non quello che praegn- Mor vini, il quale noi chiameremmo assaggiatore, poi [che] si dice assaggiare il vino, e non saggiare. In oltre, già che voi dite che, av¬ vertito del significato in che io lo prendo, comprendeste che il pi¬ gliarlo per assaggiator di vini era non pur falso, ma indecente] e poco sobrio, perchè scriverlo? non si può, per mio parere, dir altro, se non per darmi, con ricoperta assai [tra] spar ente, titolo di briaco, con assai poca modestia : cosa che ho sfuggita io, ben che ne avessi assai largo campo, come poco di sotto intenderete. 1,1 Racchiudiamo dentro parentesi quadro quelle r ir H, o quelle sillabo, lo quali non si leggono nel- Tautografo, perché in quel punto vi è guasto della carta. 382 I.OTIIARJI 8ARS1I niasque perpeiulit; malui ab ip-.i umbella, novo quarnvis vocabulo, torem w dicere. Sic enim a libra l.ibratornn dixissem, nisi nomea hoc Uh « Sa#., f. 9, 1.29. Galilaeo plus nimio molestimi atque etiam "suspectum esset, quod, ut ipse ah [png. 220 , li". 2 »J exaftiftgiinam illam in «pendendo diligentiam, quatn ipso protìtetur, minus ei redolere vid. atur. H<>c ìprittir utemur nomine in posterum, si quando operisi», men exprimendum fuerit Sarmuf, inquit, libra grandiuscula aliena dieta perpetuiti ; ego iìlìus exttmm collibislae xiniMlu, a ([ua nomen libro indilli, expctidam. linee enim mda udeo est, ut vd stxagcsimar grani ttnius particulae pondero deprimati. Beno habet. Fausta bine ominuri libet I.ibrae moae, cuius si qua sant u cala, exigua adeo censentur, ut eorum ponderi libra grandior non succunito. quaeque non nisi minutissima simbolla, quam voi atomtis pressoi, examiuaripos- » Sa#., f. 1G7, 1. 31. RÌnt 1 '* 1 . At non hoc est quod agit Simbellator, ‘qui id unum toto contenditopere, [ P »g. s-27, lìn. io) ufc a pp arca t Librar racac errata gravissima omnino fuisso, quibus pensandismulto saneaptior vidrri possit vel immanissima molitorum staterà, quam atomostatmin liaec libella. Sed nimirum Simbellator papulas demum observat in eo,quemulce- ribus piti ri m i« obsitum proclamai, et naevos ac verrucas vostigat, cum euniden foeda scaldo de pasci contendat. Sarsii errala imttiania mnt, inquit; ergosidà penscntur. Nego conseqnentiam. Vide, sia, quam belle opori conveniat nomcn. quuniqne auctoris proposito sit opjiortunum. * Versus Lyncoorum in Galilnft lauderò operi praofixi mihi abibunt intacti, cub Galilaei non sint. CJuin est, quod Inaimi Fabro gratina habeam, quod rebus mes; non semel faverit, ut suo loco ostendain. Ad librimi vonio. ( Sag., f. 1, 1.22. r IIuius expostulatorium initium est Queritur G&lilaeus ingenii sui pattuì, rài [png.213, lìn. 18 omi-I prinmm luccm aapexerunt, ita in se omnium oculos atque animos converte, atque ad furta, sui fulgori» illecebra, provocasse, ut per summam impudente non dnbitarint plurimi eosdom iactare prò suis. 0 factum inique! Sed quid,si et illos quos Simbellator accusat, eadem mordcat cura ? quid, si illorum simili; 11,1 Male habet. Infausta bine orni nari potes: imperò che zimbellatori son quelli che con i zimbelli Bacchettano le maschere. ttS) Voi non intendete questo mestiero, mentre che voi credete olir i saggiatori si servino delle bilancino per posar l’oro o 1 argento, essendo che V uffizio 6 di ritrovare so ’l metallo che vion propw per oro puro o per argento, è tale, o puro tiene di rame o altra n teria men perfetta, o è alchimia etc. : e così il Saggiatore scuopre^ vostri errori mascherati con molte molte fraudi e’nganni, ® n0D ^ pesa altramente, lasciando che tal giudizio si faccia da chi si S1 con qualsivoglia stadera ben grossa. lì ATI 0 PONDElìUM LIBRAE ET SIMBELLAE. 383 xaudiatur querela, par luctus et ilulor? duin, quod omnium oinnino hominum est caelurn tueri et. crectos ad sidera tollere vultus «ibi non bollisse intclligunt, quin illico e tanta suspicientiuin turba unus Galilaeus existeret, qui uni sibi ea visa contenderet, quae eodem plano tempore in omnium poterant oculos incur- rissc. Enimvero lis lutee digna prorsus Salomone eiusque arbitrio dirimenda vide- retur qui sapienter adeo ac solerter, intcr mulierculas de litio superstite disceptan- tes veram matrem agnovit; nisi dispar liuius partus conditio pluresetiam matres admitteret. Par certe omnibus tuendi erat aviditas, aeies oculorum aeque omnibus perspicax, telescopiorum par copia ; quidni igitur in idem tot oculorum ictu de- 10stillato collimarent plurimi ? 1 ' 31 Potuit, si Galilaeo “credimus, in Belgio Batavus tclescopium primus concinnare, idemque, ubi inaudiit, Galilaeus pracstare Vene- tiis, ita ut neuter tanti inventi gloriam alteri imminucret, possetque uterquo pulcherrimi instrumenti vcrus auctor baberi : non ergo plures siderei nuntii cen- « Sair., f. 62, 1.15. [l>ng. 258, lin.2 o seg.J [ ,3) E che volete far, Sig. Sarsi, se a me solo è stato conceduto eli scoprir tutte lo novità celesti, ed a uhm altro nissuna? E questa è verità da non si lasciar supprimore da malignità o invidia. Io primo, e solo, ho scoperto la 3 montuosa, etc. E tantum ubest clic altri avanti di me abbiano tali co[se] osservate, che infiniti le negavano, e molti le negano ancor [a], dopo essergli state molte volte mostrate, etc.; e voi » medesimo, per non intendere ancora che cosa si[e]no le proiezioni dell’ ombre e 1’ altre apparenze per le quali necessariissimamente si conclude la montuosità della 3> C °1 parlarne scherzevolmente mo¬ strate di non la crederò. Di più, io non ho mai detto, esser impos¬ sibile che altri avanti di me abbia scoperto etc., ma clic Simon Ma¬ rio, nel volersi attribuir 1’ anzianità nelle Medicee, si mente, c no adduco la ragione manifesta. E perchè niuuo, altri die lui, si è attri¬ buito tal cosa, se voi volevi parlare a proposito, non dovevi in ge¬ neralo rispondere al mio particolare, ma dimostrare che poteva be¬ nissimo essere che Simon Mario avesse osservate le Medicee avanti sedi me, e che io e non esso si lussi ingannato circa la loro declina¬ zione, etc. La vostra, dunque, considerazione è un grande sproposito, accompagnato da malignità e invidia. Aggiungasi di più: voi dite che ogn’ uno à gli occhi, e che molti sono i telescopii, e però che molti potevano osservare ctc. E non v sorgete che tanto vien ad esser maggior la lode mia e ’l biasimo ( l e gli altri? li quali sarebber degni di scusa se io solo avessi auto occhi e telescopio. 884 L0THÀR1I «ARSII 0 Sag., f. 7, 1. 31. [jmg. 210, lin. 7J * Sag., f. 16, 1.18. [pag. 225, lin. 25] c Disp. cl. c., f.3,1.2. [pftg.47, li». 12] seantur, bì eodem la-rie tempore «• siderei» regionibuB citatissimi» ad nos eq ' profecti oniiH'8 eudem quae viderant enarrarint ? < W J Sed haec in aliorum caua. Nuncad me venio, «cui inurbunitati», primo, vitium obiicitur,quodMariiGai duceii Dwputationein de comedo alii lulscripaerim, nullaque honestissimiacdoctìs- situi viri Inibita ratione, librarioli euin loco ac de.scriptoris habuerim. Quamquam vero nihil accusa tiene iota aflertur, quod cometarura naturam loctim niotumve expediat (quod unum prat-tari par fuerat), quia tamen, Urbano Principe inurbanitatis vitium maxime dedecetl u J, pauca prò me in M tana loquar. Aio igitur, Marii iiiBeniuni atque eruditionem non vulgarem perspectam mihi a iu ultis anni» fuii.se, eumque mihi setnper co loco habitum, quo illum p»r d nobilitati virtus collooarat, ncque unquam dubitasse me, an oa Disputatila BlyluK dispositio ac «criptio uiii>.rsa Hpoctetur, Marii forot. Caeterum, quia pia- cita solum atque sententiao fuerant expondendao, quas et suas nunc quoque futotur ‘Galiluous, et 'Marius suac I)isputationis initioeius- doni esse affimi ara t 11 * 1 , cum quid liac in re sensisscnt alii, se prius expo- situruin dixissot : Appresso vi projiorrò quanto io, non affermativamente, m «lo jrrobubilmente e dubitativamente, stimo in materia coA oscura c dubbia potersi din: dove vi proporrò quelle conghidturc che nell' animo (lei vostro Acadmco Goliici hanno trovato luogo, le quali, traendo origine ila quel nobile e sublime ingegno fa, mediante etc., non dubito che non vi debbano al pari delle altrui conduzioni graziose e care. Così funse conceduto ri me di saperlcvi vivamente spiegare, cìiè h non pregerei meno fa lode di essere stato buon copiatore li, \diqudlackhm [,4) non veggo di potere scusar la malignità vostra manifesta, se non con l’ignoranza, dicendo elio è necessario che voi non abbiate intesa la ragione con la (inalo io dimostro la bugia di Simon Mario, ed in consequenza che voi non intendiate come, essendo 3). australe, bisogni etc. Qui si vede che voi scrivete solamente per quelli che non sono atti a rivedervi il conto. t ,8 l Non mi maraviglio punto elio la Libra sia piena di inurbanità, pò® l’autore s’è accorto che l’inurbanità si disdice, dopo l’essere assunto al priaoi- 1 pato Urbano. Mi maraviglio bene della presento scrittura, che n’è più copiosi di quell’ altra. U»] Leggasi il Saggiatore ed il mio Discorso, e si vedrà se sia vero che oil Sig. Galileo o io affermiamo che 1’opinioni portate da me siano tutte del Sig. Galileo, come voi dite ; e si conoscerà quanto voi siate stato inurbano e scoi tese, anzi siate tuttavia, in persistere d’attribuire ad altri quello che io non attribuito. r,?1 cioè dell’opinioni del Sig. Galileo, non dell’altre cose che sono nel m Discorso. ratio pondeiium librae et simbellae. 385 -liuto usurparsi' coloro clic (Taltre sue opinioni si son voluti far inventori. Mariua ergo iti unum magno sibi decori ac laudi futurum asserit, si summa fide atque "sdem plano lineamentis quibus ca acceperat a Galilaeo, suis auditoribus expli- arct Ego vero eum mihi refellendum duxi cuius essent dieta, non eum qui ea retulisset. Atque, ut hac in re nihil a me minus urbane factum appareat, cau¬ simi alio transferam, non absimili tamen exemplo. En tibi, in arte pingendi (quando et bine Marius suum desumpsit exemplum), si graphidem praesertim spectes, Michaelem Angelum Bonarotum principem sisto ; sunt tamen qui, ad absolutissimi pictoris laudem, in ilio colorimi suavitatem, decoranti in composi- 10 tionibus et in corporibus mollitudinem desiderent. Fac igitur Andrearn Sartium, et ipsum inter artis principes numoranduni, tabulam aliquam Bonaroti marni pictam imitandam atque exprimendam sumpsisse, in eaque non solum lineamenta illa vere egregia, sed, ut ipsum plano mentiretur auctorem, colores, etiam illos insuaves etasperos, lacertosa plus nimio corpora et tuberosa 118] , gestus fractos et indecoros, itti oxpressisse, similemque adeo tabulae tabulam finxisse, ut esset tam similis sibi noe ipsa : an idcirco Andrene quisquam coloros minus belle digestos, torosos plus nimio bomines, et inconditos eorum gestus, obiecisset ? Non, arbitrar : sed Bonaroto ea vitio tribuissct, cuius erant vitia, quaeque, tam belle expressa, laudem potius imitanti peperissent. Ita, dum quid alius de cometis «o sentiret exposuit Marius, ut laudem non modicam meritus sit quod erudite ac summa fide id praestiterit, si qua tamen in iia dictis minus probarentur, non erant Mario tribnenda, qui eam tantum laudem aucupabatur, ut ea ad vivum, sicut acceperat, explicarct. linee ego prò me, ut cum honestissimo viro in gra- tiam redire liceat, cuius iacturam non nisi aegerrime laturus sim. • Lotharii nomai, inquit, inauilitum adiate, non nisi persona ac larva est alieni '• >Sng., f. 8, 1.17. mposita. Venuti si quem tegit liaec larva, non usqnc adeo immutat ut inter- u"**- 219 ' 1|U - 238 “f-1 nosci attcntius intuenti 110 ! non possit. Sed nimirum conniventi nil prodest lvnceis esse oculis, et, perinde ac cacco, buie omnia in tenebria iacent: ubi illud ‘Tertulliani venit in mentali: ]\taluni ncscirc, quia iam odorimi; quoti si sciant, 4 Apolog. udv.geut. "disse non poterant, quando mdlum in co odii débitum tlcprach cada tur [M| . Cui dicto !IS1 pensate che i muscoli si dipingano a capriccio, e non a imitazione della natura. 1101 non vi dolete poi, se siate riconosciuto. m Voi vi querelate eli quello eli die dovreste ringraziarmi : im¬ però che ponete che io vi abbia, ben che mascherato, conosciuto; non par egli che io vi abbia molto rispettato e tenuto conto della re¬ putatoli vostra, mentre che, sendo messo in necessità di rispondere a lk V0B tw opposizioni, e per ciò scoprir molti vostri errori, lio dis¬ uniate il vostro nome e vi lio lasciato occulto sotto quella ma- 380 I.OTII A RII SARSn « Sag., f. 8, ]. 20, etiam ipsiu» * Simbellatori» oonsonant vt-rba, quibus ideo nulle se fidi kmmk», [png. 219, Un. 28 o *«*.] «W cletrahere, asserit, ut sibi Mac rottone liberius liccntmque sii potestas. Veruni, ut ue ros habeat, scio honeatisaimis otiam viris, si quando festiviorts acturi die» sese publico committunt, icl moris esse, ut persona tantisper simulata Indierò indulgeant operi. At vero in viis ot compiti» nuda fronte apertamente seae cuin larvati» componare, et cura iis de dicacitatis palma contendere, ne- minera credo deceat, uisi forte cura qui «‘tiara nativum illud ingenui oria vela- montum abiocerit, quod honesti» viri» natura conccssit, pudorem et verecundia Miaua igitur hoc ipsum cura decuit virum, quem genere honestura, merita» graYoxn, aetate Honoin, professione philosophutu uovimuB 1 ” 1 . Tamen qui Librm Bchorn che voi medesimo vi ponesti al volto? E già che mi porgete bì oportuna occasione di mostrarvi quanto io più cortesemente ini sia portato verso di voi, che voi verno di me, non la voglio lasciare, Voi di sopra, per darmi, con arguzia assai fredda, del bevitore e briaco, dite che, sondo la prima origine di questa parola Saijgièv. presa dall’assaggiare i vini, ondo sagginoli etc., fuste per esprimerla con il tonnine pitissator, libai or, etc.; ma che poi avendo dalla letta del mio libro compreso che io la pigliavo per significar quelli cIh fanno i saggi dell’ oro, parendovi anco elio la prima denominazione fusse poco onesta e indegna di filosofo, o clic per ciò ne desideravi una più sobria, lasciata la prima, pigliaste quest’ altra. Io, quando prima voddi il libro vostro, mi accorsi il nome esser finto, e potere esser che sotto di quello si contenesse in qualche modo il vero nome cognome o patria dell’autore; e nel tentare se per sorte era un ana¬ gramma, veddi che si risolveva in Horatio C/ras[sio] Salonense. Nel ri¬ cercar poi accuratamente qual patria fusse questa Satana, veddi in Strabo ne, quella essere un luogo in llitinia assai celebre per es^r fecondissimo produttore e ingrassator di buoi. Or questo encomio non mi piaqque punto, e per fuggire ogni ombra di scherno, doler * minai di lasciar la maschera nel suo essere, etc. Voi di sopra ardo scritto quello che non si cava da mie parole, e voi stesso lo confo sate, e dite che ò ignominioso; e pur lo scrivete. Io taqqui queo che dalla vostra medesima deposizione si cavava ; e solamente pf fuggire ogni sospetto di irreverenza, lo taqqui. 1211 Addio, Sig. Lottario : ora comprendo il vostro astuto avve mento di mascherar voi e affrontar me smascherato, chefup er P ratio ponderum librar et simbellae. 387 meam cum Simbellatore contulerit, intelliget, nisi fallor, quanto minus milii, io ter liberamente burlarmi ed anco pugnermi, senza paura che io fussi per aprir bocca. Nò potete in conto alcuno negare di non 1’ aver fatto a tal fine, perchè, dalle punture in poi, non è altra cosa nel vostro libro (dove non si tratta altra cosa elio di quistioni filosofiche e matematiche, studii onestissimi) per la quale voi vi aveste auto a nascondere : adunque a questo solo fine vi mascheraste. Ora, perchè voi qui mi tassate di svergognato, lascierò elio altri giudichi chi sia men modesto, o quello che, per tassare chi inai non 1’ offese, certa di ascondere la sua ingiuria sotto la maschera, o P altro che, ingiu¬ stamente provocato, col viso scoperto rispondo alla maschera. E no¬ tate appresso, Sig. Lottario, clic P ingiurie non si pesano nè pareg¬ giano con la bilancia, ma con la stadera ; tra le quali è questa differenza, che dove la bilancia sta in equilibrio quando nelle 2 lanci si pongono pesi eguali, per far P equilibrio nella stadera bisogna per 1 contrappeso del romano, che peserà, v. gr., 10 libre, mettere 100 e talvolta 500 e 1000. L’incarico del primo è tanto grave, che non solamente conviene che P incaricato si scarichi con risposto più gravi, ma talvolta è anco tale che, ben che profferito con parole, si stima jo non si poter contrappesare se non con i fatti. Voi sete stato il primo apugner me, e senza ninna occasione o ragione. Nè vale il dire che ’l Discorso del Sig. Mario fusse mia farina; perchè, quando pur que- | sto fusse, la dottrina solamente potrebbe aver presa da me ; ma quelle che voi chiamate punture, qual cagione vi muove a credere che anco in queste il medesimo Sig. Mario abbia auto bisogno del dettatore? In oltre, le maschere alle (piali non si risponde, son quelle che vanno appuntando tutti quelli che incontrano ; e perchè la burla è comune, non si risponde : ma voi paidate a ine solo, e per molte ore, e però etc. Che voi siate comparito in maschera per poter liberamente pu- 50 gnermi, e non per altro, è manifesto, perchè azzione troppo scurrile sarebbe il montar sopirà le cattedre o i pulpiti, immascherato, a in¬ segnar filosofia o interpretar le Sacre Scritture, che sono le 2 azzioni che sole, oltre alle punture, esercitate : e se a questo fine solo, per¬ chè almeno non lasciare star me ancora coperto dalla maschera sotto la quale voi medesimo affermate che io ero comparito in piazza ? e perchè, appiattando voi, esclamare al popolo : Avvertite che questo, VI. 40 38ti I.OT1I ARI1 «ARSII - f. 10 , 1 . 6 . (j»«.SiI, Un. >| * Libra, f. 2. IPH ut] * Fig. p- rei ut. alien* front*, ut Gelila»» cxisiimat, licrro voluerim, quara sibi Ok buI» sua 1 " 1 . Nunc ud di*putatio»«-iu imam r<-d- j: cui primum obiicitur, perperani in front? potare LIBRAR noni. u. Me iniv.rum ! prò moo lmcteuus nomino mihi certandnn fuit: inni in* op< ri quidem imo tuta est nomenclatura, cacio licot inditi Sej mini impressa nimis alte . -it, imo deieri amplius potost. Vidcamus ergoquasLuk nomini erudendo niftchiimn adhil.eut, atque ex hi», si placet, primis adorarmi oonieoturiim faeianiu». ■ Nom',i li »-, inquit, ideo op>ri suo im/ioMiit Sarsius, quia, ut inprae/uistifa i Iteri vernò** i mitra vii, cometa ih in tigno Librar tuitum existimvit ; pod ti m * tati et Mayistn tilt** ditti» repugmti, i/uorum Usti monto in tigno Scorpiindv uKScntur. Sed afe, citati a «ìalilaeo Yeruu* recitentur: » I luiu |>«r nnnoruui «idorutn arilontes globoa Pira Conici** laro caraariem explicat, (iriliila• pie in Areto* igneatn vibrat facein, Vmd ilio ljine«'» inter acquata* micat, Pntnoaque Libine con*»rrat vitae die*? etc. t*»l Inter 'aequata* igitur Libra.- lane. \ natum coiuetnm araerunt versus ntei,A[i igitur, (talìUei*, vorax astrorum interprete ago, siderea© nunoiu» ftiiìae^i con chi i garreggio, «• (iulileo (ialilci, mascherato da Mario Guiducci.' Questo scoprir la faccia ini altri «i chiama siacciatezza e temerità, ma non conosciuta ila voi, perche vi ci Bete troppo abituato, e/ irf assuetis rie. Che um» provocato ila un altro gli risponda con qualche w bità maggiore, è cosa consuete o permessa; ma che altri si pongt a incaricare uno cln* mai non parlò ili lui, nè forse seppe eh e fu® al inondo, questo è bene mancamento grande o che eccede tutti, termini di modestia. Il Saggiatore risponde alla Libra, sendo pni^ stato aggravato da lei ; ma da chi lu provocata la Libra a o $ dere il Saggiatore, il cui autore nò pure aveva aperto bocca, nèM peuaato all’ autor della j? Volete dunque farvi lecito \oidim il nome e la persona mia in campo, che mai non fiatai di voi, sfogar sopra di me lo sdegno causatovi da un altro, e non ch’io mi risenta? , bisogna recitare i verni del vostro Maestro, e non sidus iacebat Arietis, inde illi parti nomea factum est Arieti» signum; ita, quia quale è inscritto Sidereus Nuncius, che vuol dire Ambasciata o Avviso Sidereo, e non Ambasciaci ore. 1251 Che ’1 firmamento si muova lentamente in praecedentia, è no¬ tissimo, sì che ormai dalle antichissime osservazioni in qua le stelle fisse abbino trascorso quasi un intero segno : con tutto ciò i segni assegnati per domicilii a i 7 pianeti sono li antichissimi e riten¬ gono pur gl’istessi nomi, ancor die le costellazioni dalle quali furono prima denominati, sieno trascorse avanti, tanto che dove prima abi¬ tava, v. gr., il C Q, ora vi stanzia il 6c), etc.; e queste antiche case son » talmente compartite tra i pianeti, che mai si troverà appresso gli astronomi che si abbia rispetto alcuno alle costellazioni ; e voi solo sete quello che volete che egualmente si possa dire, un pianeta es¬ sere in @ ed in in Libra e nello 11{, etc. Ed io vi ringrazio di questa dottrina : in ricompensa della quale voglio pur dirvi, che molto migliore scusa era per voi, nel presente caso, il dire che le costellazioni del zodiaco sono veramente 11, e non 12; delle quali come grandissimo, occupa 2 case, e che la Libra non è altro c ^ e le due bocche dello ]]\. 390 LOTHARII SARSII alteri, in quam aequinoctimn autumnale inciilit, subiecta respondebat imagoLi- lirae, Librae signum ea «lieta est. At postica, cum firmamentum una cum suis ideribus in ortum, tardissime licei, excurrerit, bine factum, ut partes illaeprimi mobilia, Bidoribux illis priuribus in orlimi subterlabentibus destitutae, eorum tan¬ tum servarmi nomina, singulis seilicet sideribus in aedes proximas dilapsis. Ita iam multai- harum imaginutn, suis sedibus digrnssae, alias habitant aedes, ante- cedontis sidoris nomino nuncupatas. Harum una Libra est-, quae domum illam i.uain priorem, inscriplo tamen prue furibus nomine, LlBRAE Siginosi, Virgini iam loca vii, atque in Scerpi i aedes migravit, quarum tamen etiam nunc in limine litteris grandioribu > incisum, legitur domini nomo», SiGNUM SOORPII. In signo io igilur Scorpii Librae sidus haliitat; atqno Ime ratione quidquid iu Libra est, pariter in Storpio est, neo venenatno incula ciiudae pertimescit. Scorpius onim, noccntissima sui parte bac domo extorria, iam a multo tempore cum Sagittario pracliatur, ut ex ipsa figura facile constai, Sed quid ageret Simbellator ? Venerat illi in mcntem, gratum se quamplu- rimis facturum, si pruesentisaimum advorsus venenatos scorpionum ictus reme¬ dium proferret in publicum, atque, ut merci suao fidem faceret, in se ipso et bestiolae vulnera adiuitteret et vim medelao potentissimae experiretur. Sicenim » Sag., f. 10, 1.28. ipso: “Aptius iyitur multo libellmn illuni suum Sarsius Philosophiwm alque Astro- (pag.eu, ìm.-jie seg.j uom j cum Scorpium appellatici: sic enim nomini fuchi mclius convenirmi, cimine co nihil pruder venenatas punctiunculas et verba aculeala rcperias. Sed opportune mi hi cauta ni est, qui praesetUissimum advcrsns huiusmodi vulnera remedimnovi. Hoc ergo animalculum coni usimi probe atque contri finn vtdneribus appi imam : a quo fkt, ut suttm ccuia ver il Imi venenum rcsorbcat, ineque incohmitaii restiM. Iluic igitur operi explendo, quatti ego occasione!» non feceram, ipso sibi, qua licuit qua non licuit, concinnavit. Sed nimirutn, ut iis qui praegrandes serpente brachila colloque iniplcxos, suao pretium merci facturi, popello ostentant, fami¬ liare est edoutatos aut mites auguos saepe prò vonenatis supponere, ita, prò noxio et vulnifico Scorpio, Galilaous eatn zodiaci partem accepit, cui iam praeter nomen niliil pene suporcst Scorpii. At Scorpius hic venenatus non est: quid igitur » iuvat tritissimum teremli apprìmendique vulneri noxii animalculi remedium iactare? Apprimat, atterat, ut libet; so unum preinet, non Scorpium, qui nullus est, ncque proinde vulneri, si quod est, faciet medicinam. Sed quam vereor, ne, quod dici vulgo solot, pio Scorpio Galilaous Cancrum acceperit ! cui nisi caudini adduUsset de suo, nunquam profecto is abiisset in Scorpium. Et sane non admi b Sag., f. 10, 1. 9. [pag. 221, liu. GJ rari non possum, o tam multis, quibus so in Libra mea tam male habitum que- ritur Galilaeus, ne unum quidein prolatum, quo ineam usquo adeo acerbam testa rotar maledicentiain. Sed, ut arbitror, nimium delicatus videri noluit. Hacc igitur interim maneant: visum cometam in Librae lancibus, et, quod idem est, in signo Scorpii; nunquam in ineis versibus usurpatum esse Librae signum, ac proinde e- 35)1 RATIO PONDERUM LIBRAR ET SIMRELT,AE. id falso nubi a Galilaeo adscriptum; nihil a “veritate ncque a Magisfcri mei dictis 0 Sng., f. io, 1. 12 alienimi a me prolatum, cum in Librae lancibus cometa esse non potuerit, quin ,p " t; ' 221 ' lin - 9 l siraul esset in signo Scorpii ; ex eo porro quod in Librae lancibus natus sit., tig inde opportunam mihi occasionem oblatam, operi illi meo Librae nominis inscribendi. Hino praeterea discant qui liaec legent, ocquis nostrum alterius dieta pervertat, quia confidontius falsa prò voris iactet, quia denique verius omnia suis usibus aptefc : quae mihi hoc ipso loco ac toto opere subinde obiicit Galilaous [se b (26] questo discorso è fuor di tutti i propositi, gettato via, c non serve se non per nuocere alla causa vostra. Il Saggiatore vi lecita tre luoghi (che son poi tutti quelli dove il vostro Maestro ripone il nascimento della cometa), dovo sempre vien nominato lo lì), e non mà la mJ; anzi, per assicurar il lettore elio egli in modo nissuno intende eh’ e’ sia o possa esser la LQJ, scrive così : Fuerit hoc sane, cm in Scorbio, hoc est in Martis precipua domo, natus sit. Or[a], se la cometa nacque nella principili casa di cT, cioò in quella parte dol cielo dovo cf si rende più vigoros[o] potente e felice, come vorret[e], senza una manifestissima contradizziono, assegnarli anco la lqj, elio è l’esilio, l’infortunio, o ’l massi imo] detrimento del medesimo cf ? Invano dunque, Sig. Sarsi, fate questa lunga sbracciata per dimostrarvi 20 (ma solo appresso la moltitudine de i s[em]plici) astronomo assai so¬ pra di m[e] eminente, col produr cose tritissime anco a i principianti dell’arte; ma bisogna che confessiate come, per dare oncino al vo¬ stro scherzo (ancor che non molto acuto '”), non vi sete curato di con¬ tradire a voi medesimo : e so voi vi sete proso tal licenza, ben poteva esser molto più lecito a me far luogo allo scherzo mio, cavan¬ dolo da voi medesimo, senza punto alt[e]rare, non che senza contra- dire a[lle] cose scritte da voi. Tal che non io (co[me] mi attribuito voi) sono il ciurmator[e] elio, per vendere i miei bussoli, fo T esperienzfa] de’morsi venenati sopra di me; ma ben se[te] voi il bagattelliero o » prestigiatore, cho [vojlete cambiarci le carte in mano, etc. La rovina vostra è stata quel diro che ella comparve nello Tt|, cioè nella casa principale di etc. : questo vi ha troncati tutti i puntelli da potervi più sostenere, etc. ; se già voi non trovate ripiego al dire, che raffermare che ella comparse nella casa e nella regia dove cf è potentissimo, sia ’l medesimo che dire che ella comparse nell’ esilio e nella carcere dove ò abbietto, miserabile e infelicis- 8 ' mo > c hè tale è per lui il segno di LQJ. Prima Galileo aveva scritto salso; poi, senza cancellare questa parola, scrisse di sopra acuto. LOTIIAlili SAKSII « Sng., ni, 1.32. [png. 222, lin. 10) * Sag., f. 10, 1. :\± [|mg. 22S, liu. 7] r Disc. d.c., f. 3. r », 1.28. [pag- 89, lin. 7) * Sftg., f. 11, 1.31. [png. 222, lin. 9] * Sag., f. 12, 1. 20. [pag. 222, lin. 29] 392 Qu< niiam vero opus ipsum tribus et qninquiiRinta examinibus distinxifc, quibis totidem Librili- parte* i-xpi-mlit, li-vioiil,us iam cursim perstrictis, ad ipsj tandem veniamns i>xumina : in qnibus, rum Simliellator dcberet nucleuni statim quaraliunis, si possi-t. inlVilibere, maluit nuteaturiis, iocosis et iiiliil ad rem facien- tibus quacwtiuiM'iilis librimi ninspirare, ni? milii, i[uani maxime sector, brovitatom servare liceret. Statucram immilli; ea umilia praetnriro quao nihil ad come | as spectarent ; at quandu aliia alitei - vistila, in unum ca eolligam quacprimisexa- minibus coiitineiitur. Negai, “primo, Magistri nifi Disputatimieiii a bo tquod questus fucrani, acrius impugnatali!. Knimvero liuiminissimum dietimi itimi est, quo euro logicump, imperitum appellat 1 ! O. vocimi incili-uni ! At, fc inquit, Tychonm m m petiit, non P. Itoratium. Sihil ergo est, mr hoc nomine Sarsius (isserai viluisst mi hi Rimani t'ollcgii Aignitatcm. Seti huuo exeusntionem no ipsc quidom ad- mittat ; qui, eodem lupo esplicali* quilm» eum imtain inustam vcllet, eo vaiolata raro asserit Tyclumeiu et euinetici I’rubleniatis auetorein, hoc est Patrein Hora- tinnì, quibu>eum maxime negotium sibi esse proli telili* : e Al poter con sicurtm chiamar tal moto per cerchio imissimo, mancano gran plinti da dimostrare, iqm!i tralasciati (tanno indizio (l'imperfetto laico . Perche, ancorché sia vero eli alt odh posto nei centro (itila sfera i archi massimi e. i moti fatti in essi apparimi liner rette , e i cerchi minori liner carro , non però è necessario il converso, comi richiederebbe, il bisogno di l icerne r dell' antor del Problema. d Ncque miretur nihil se in illa Disputarono Divenisse, quo, ut ipso quidem existimat, offendi melilo possemus: vulnera enini laosus sentit'- Jl , non is qui infligit; ac saepe ri- bratus gladius alte doseeinlit in peetus, neo vulnus prodit auctori, cnm acies acutior inoras nullas vestium patitur, et ferit celorius, ipsumque ad tempustallii quem perdidit. Ncque 'tamen quod in Galilaeo ropreliendinius, Magistro meo tribuenduin est, quod et adversus Aristotelein dispularit : id onim usque adeo modesteprae* stitit, ut, sententia tantum illius improbatn, ne A risto tei ia quidem nomenunqnam usurparit. Quamquam ego non is su ni, qui scvcras adeo leges feraw,» nihil ut quisquam adversus suminorum virorum placita sentisi, nihil ut dicati 30 !. Scio illos multa praoteriisse, quao pone sequentiumoculosfaci* non a se, sed a me. dà indizio A' imperfetto logico con la vostra solita fedeltà tradotto in fo* gieum imperitum. 1201 Gli uomini delicati o leziosi reputano molte volto gran ferita una kg gierissima puntura. Vuol poi 1* autore clic io non reputi ottusa, ma piacevolezza» il concetto di Dittatore e di Console. t ,mi So quattro versi di sopra voi confessate di riprendere in ciò il Sig. * lileo, come ora dite di non metter questi» leggi? che importa il nominare n statile, mentre in effetto se gli dà contro? RATIO rONDEUUM UHIiAF, ET R1MBF.LLAE. lius feriant; scio nos voritatera, non aliorum «lieta, studiis nostris sectari. Veruni et illud scio, darissimos illos pulchcrrimarum opinionum conditores ita nobis natos esse, ita vitara ac studia nobis preparasse, ut ad rea piane admirabiles e tenebria in lucem eruemlas eorum interim labore ducamur, idquo a nobis pro- meritos ut, nisi ingratissimi esso velimus, cosdem tamquam sapientiac antistites revereamur; si quid igitur illi non viderint, si quid etiam peccarint, aut cxcu- sandos, aut cum honoro etiam corrigendos: ac si milii contingat, temporis potius ijiiam ingonii beneficio, aliquid intelligcre quod illos effugerit, non ita in me unnm conversus vivam, ncque me unum ita suspiciam, ut dcspiciam prae me universos; io qui enim sibi unus placet, sibi etiam uni placeat necesso est. Contra vero, in- genii quantumvis magni modesta dissimulatione, plus honoris amorisque sibi quisque conciliat, quam si in eo summum decus positum existimet, ut viros viro- rum maximos ea de sede ac grado doturbet, quem tot anno» mundi pene totius suffragio occuparunt, ac, velati novus Hercules, illos, tamquam ingeniorum tyrannos acsapientiae monstra, conviciis «lomet ac iurgiis. Commiserationem enim ac sto- maclium movet vir lionestus ludibrio habitus, ncque potest huiusmodi commiseratio sinemixtura odii esse, dum uterque spectatur et qui patitur et «pii inferi; iniuriam. Me “mox arguit, quod non omnia cometici Discursus dieta impugnaverim, sed, perstrictis breviter levissimis quibusque, potiora ne attigerim quidem. Putabam, 20 vel hoc nomine gratias acturum. Ut se res liabeat, effecit ipse ut liane adversus illuni accusationem afferro non possini, dum ne nomea quidem Librae mene inexpensura reliquit. Ego vero ne Calvini quidem libros hac lego oppugnandos suscipiam, ut aut nulla, aut omnia, eius dieta relVllam. Ecquis enim libar est, si Libram meam, Galilaei iudicio cumino possi ma ni, excipias, qui nihil boni verique contineat? Sed quid liic ais, (ialilaecV Egono is suoi, qui in Dispututione illa expendenda, levissimis quibusque tantum delibatis, a gravioribus abstinui? Hoc si veruni est, non video qua rat ione veruni acquo illud alterimi esse possit, quod ‘examine quinto de me meaquo Libra asseris: poi che. in questa Libra ninno de 1 miei pomeri viene approvato, ni ci si legge altro clic contradizioni, accuse e toliasmi etc. Si ergo nullum dictorum tuonila, nulla cogitationuni abiit a me non improbata ,SI1 , quid hic me tantum Icvissima quaequo ac minutissima deli- i « Sa#., f. 14, 1.4. [pag. 221, liti.‘2 o seg.] 6 Slip., f. 20, 1. 7. (pag. 228, li». 17 osog.] l3,] Sig. Sarsi, se il din»: ninno tic pensieri del mio discorso viene approvalo, è il medesimo che il dire nulla cofjitulionwn incavimi abili improbata (come puri» alla vostra logica, poi elio cosi lo tradu¬ ce), questo basta a confutar tutto 1 discorso, perchè milioni |e| milioni di uomini, od in somma tutti quelli elio non l’hanno lotto, non l iai uio approvato alcuno de 1 mici pensieri, ciò è (per vostro detto) gli hanno reprovati tutti ; tal che, sonilo più i milioni degli uom[i]ni ( ho 1 hanno reprobato, che i singolari che 1 hanno approvato etc. LOTHARII BARATI a Sa#., f. 15, 1. 22. [|>*g.22-4, Un. 33 o iftf.) * Sftff., f. 10, 1. 2. [pag. 223, !in. 0-10) « Sa#., f. 24, 1. 32. [patr- 202, liti. 8-4] d Sng., f. 22, 1. B. [pag. 220, Ho. 20] 304 basse qu. ivmV Et tamen scis, arbitrar, qiiom maximo memorem esse oporteat lnl . Àbstiiiendum. praetorea, mihi perpetuo (lixoram ab iis vorbis, quae iratimagis animi quam sdentiae indicia sunt 4 l'rgo Sarsi tts commotus est animo, intuite/ mbiratus: ah iis emm taniumtnodo abstinrmus ì ad quae aut nostro propendeiim ingeniOy aut vehnnenti aliqua unititi affedione impcllimur. At ego non latine minus dixerim, abstinere me ab igne manura.et ab ainaris oh, a quibus tamen etiam natura abhorroo; nequo proptereamihi qumquam graiainaticoru m iure succenseat ,,3! . 6 Caetoruin,an inurbane se gesserit Sarsius cura Disputationis cometicae aucto- io rem fecit (Jalilueum, satin suj>erque ostensum est supra. Quoniam vero ad nostra* de cometis quaestiones ex pi icandas primo loco sta* tuendum «rat, quacnam aptior hvpotlusis et mundi dispositio Ibrct, dixeram,ei me adhaesisse quae Tychoni arriserat magis, hoc est ei quao coelos fluidos ad- mitteret: nani solido» inter et adamantino* orbes, quales plerique Ptolemaeo fiiisse ooehm existimant, haud facile discorrere ac vagari cometae poterant; Coper¬ nico*, utpote damnatae sententiae, praetoreundus sileiitio fuerat. Ilio vero inepte (’opernicum et Ptolemanum nominari assorit, quod ii nunquam de cometis ege- rint : iiumo vero, r Quin tu , inquit Simbollator, atipie Bartolum aut Livium allegai in tua causa? QuaerisV illi riempo, quod e re nostra erat et quod unum quaere*» bainus, coelestium corporata texuerant ordinem; corporum vero civilium textu liartolus occupabatur ; Ilio torri*, illi coelo lego* ponebant; astra illi sub signa, Livius castra cogebat;illi aotates ac tempora disponebant Orbis, hic Urbis. Vide sis attentius aliquanto, quorsurn (opernici et Ptoleinaei inciderit rnentio; adverte forbisse non frustra, ned prorsus nece ssario, nominato* fuisse : non enim de co¬ metis tono agobam, seti de mundi hypothesi, quam uterque assignarat, ut Libram legenti constabit. Ex Tychone vero, praoter bypotliesiin, id unum desunipsimus, ut per parallaxis exiguitatem, et motura in cimilo maximo apparentem, cometao distantiam mete remur : haec tamen ipsa demonstraiuli longo aliam inivimus viam. d Erraventne» non vi viene approvato ni[u|no dispensieri del Sig. Galileo, perchè quelli che non si riprovali) o| espressamente, o si tacciono o si attribuiscono ad altri.In olltre], quando disse che voi avete trapassato con silenzio, non dice i suoi pui sieri, ma le ragioni e lo conclusioni del mio Discorso: questo ricordo bisogna a voi, come in più luoghi vi si mostrerrù. ^ Se si chiamasse astinenza dallo cose che s’ aborriscono per natura, non sarebbe lode nè virtù. Non so giù come i grammatici vi passa[sJsino, se voi di ceste < Io mi astengo da gettar)ini) in fiume >, o simili cose, o se delP*Oraz 1 Grassi si dicesse elio egli questo carnovale si è astenuto da fare il zanni pel Cot 8 RATIO PONDKRUM LIBRAR ET BIMBELLAE. 395 idem Tycho in sua illa demonatratione, ut contendit Galilaeus, un non, haud acat hic quaerero ; quaorent fortnsse ulii: mea nunc, non aliorura dieta, tueri consilium est. Sed videamus quam libile quamque artificioso Galilaeus, quog in Magistri mei Probiemate prius non carpserat sales ac ìocob, nunc donmm, ciani licet atque obiter perstringat. "Haud ila sci-eri sunna , inquit, ut a iocis et poetica suonila- « f. 27, 1.12. tibus abhorreamus. Quin polita in Pulris lloratii l'roblematc ddeclamnt nos co- ‘ 38 ’ '"'- 2 ' 0 80 »-] mtue ambula, patria, funus et fax ij>sa ad Mercurii Solisqitc saettani cohoncstan- dmaccensa; ncque, proplerea ea nobis mima proluda sunt, quoti 20 post cocnam ](| rfjfbus fax illa succensa sit, quod scircmus, ubi Sol adsit, frustra faccs accendi, qml idem non cocnct unquiim, sed prandi-ut semper, hoc est inlerdiu, non miteni noctu, cibwn surnat. llacc omnia libetUer audivimus, ncque per iocum dieta serio apenilenda putavimus. Acuto. At mila non indiscussa abibunt. Vigilili post Solis ac. Mercurii con¬ cessimi diebus, inquis, fax illa succensa est. Krras, in ipso congresso succensam puta. Quaeris cui* ca non compareretV eadein qua Morcurius latebat in umbra, hoc est in clarissima Solis luce, ncc ante visa nobis est quam a Solo ranotior oriretur lieliace. Sic auctor ipso conietici Discursus: k E sia 0 il luogo della sua b Disc. d.c., f. 41, prima apparizione, non si essendo veduta innanzi per esser troppo sotto i raggi ^ o s . r j so id Sole. At ubi Sol est, inquia, frustra faccs accenti imu$ . Ita piane, si ideo adhi- beantur, ut quasi in tenebria laboranti praeluceant. At nunquid ignoras, priii- cipibus viris ac regibus id moris esse, ut non nisi accensis facibus potent, pran- deantlicet in meridie? Regi igitur sideruin non ad lucem, sed ad honestamentuin qualecumque, facera liane succensam scito. Quid, quod non cornare, sed pr under e Soli mos est? is enim noctcm neseit, quae sóla come destinatur. Ut video, erit tibi, (ralilaee, negotium cum Sosia, cui una cum Mercurio os pugnis occilles, quod Solem appotum probe invitasse in coena se pluscuhim dixit. Ago sis, omitte ista persequi, quae matheuiaticis eli arac teribus, luos tu apprimo calles, mundano hoc in volumine exarata non sunt: ex liisto- ® rie» aut poetis lutee petuntur, quibus ipse haud multimi lidis. Vis nosse, qua bora comare mos esset anliquis? tenax autein propositi Sol est, et moris anti- Quiservator perpetuus. Adi c Martialem, horas diurnas percurrenteni versibus, et c ldb. 4, epigr. 8. quibusque sua tribuentem negotia: Sufficit in nonam nitidis octava pai estri* : Imperat extructos frangere nona toro*. Ilora libollorum decima est, Eupheme, meorura, Tempera t ambrosia* cum tua cura dapes. ^ides igitur accumbendi boram nonam fuisse in decimam usque totam; coena- biitui ergo interdiu: hae siquidem borao, si ex inaequalibus, quibus antiqui V L 50 396 LOTHARn RAR8TI utebantur, ad nostra» revocentur, aestivo quidem tempore vigesimae ac vigesimac prima* congruente Eterne vero vigeaimae aecundae ac tertiae. Non est ergo nox aola ooenae destinata, potuitque Sol coenare, quamvis noctem nesciat. Abaolve Sosiam [H K Kxamrn Vili. Ab hoc estimine, in quo (valihieua, rum a proposito dia multumque aberrasse! in viam redin* vìmis rat. re poitsinncni quoque meara ad certuin redigam oi ncm. Quaeritur in hoc, an l\ doratici, cometae distantiam ex parallaxiindaganti oximendua priun e.»t cometa ex apparentium et inanima simulacrorum nu mero, quod (ìalilamis conteiulrbat : rum «*nim huiusmodi simulacra parallaxisio legibtis non sint obnotiu, nini prins statuì rotur cometam inane lucis figmentuiu non iwsi», frustra nu distantia per parallaxis nbservationos investigar! videbatur. llc^pondi, Mugistrnm rncum advenm-* Aristotelom disputasse, apud quomnulkn cometa vani piretri suspinonem incurrerat, Roti fiamma liabebatur verissima; nihil proinde fui*se, cur legcm hanc ipso nobis imponeret. « Sag., 1. 20. Mie vero Galileo*, * Nulla, inquit, Sarsii argumentis vis inest. Ncque m (pAf.aas, liu. io • pairrm lloratium alloqucnlts statuimus, eximendum prius cometamexm nium simulacrorum mimerò, ut in ro mettendo vim suam parallaxis excrccat; iticplt siquùicm ilh, adversus Arislotrtem disputanti, id otieris impositum a nobis fasti; seti generativi ac Mi mundo eam posuitnus legati W. * Sei! nimirum haud disbeile ait indagare, quibuscum ii loquerentur, toti ne mundo atque univer ini, an vero ningulatim Patri Iloratio leges illas positas vel- lent. Ulani ergo ipsam do cometin DiapuL&tionem adeamus, in qua, cum prius * l)i»c. d. c., f. IH, auctor inultoriun eiiuincrasset sententi;!*, liaeo addit: ' Tra queste esamineròpm- l* 11 * ripalmcnte i maggior fondamenti di Ticon tirar, come di quegli che, cemrrnh (paf. C4, id.12 • *** ) scritti di tatti, n ha trattato più diffusatnetde e con maggior confidenza de altri . Apf>rrsso verro al Prof ssant di Matematica del Collegio Romano, il qiiolt in una sua scrittura ultimamente pullicata jnire che sottoscriva ad ogni dello ies» Tii-or. ìiungendoci anche qualche nova ragione a confennazion dello sta® parere . IHco dunque, con questi nidori principalmente parlando (vides, arbitro^) quosnara hic alloqualur), eh? lo inferire la molta o poca distanza de gli oggdh dàlia piccai essa o grandezza della introitasse, etc. Ex bis constat, haec Qum parallaxis argomento Bubtexuntur, Tychoni et Magistro meo obiici. Magistm» iM] Questo è detto fuor di proposito, perdio il Saggiatore B ammette tali scherzi poetici, ancor che in rei ventate sieuo c false. queste non eon parole del Saggiatore. KàTIO PONDERUM MIMÀE ET 8IMRELLAE. 397 vero rneurn in eo Problemato adversus Aristotelem maxime disputasse, si mihi, i Disputationi ipsi non ereditar, Gulilaeo saltelli id asserenti credatur: rt Aggrava a s a #., f. 12 , 1. 20 il Sarti non poco la riputatoti del P- Orassi suo precettore , principale scopo del [P n &* 222 > Ha. ss oso*; ,[wlc nel suo Problema fu d 1 impugnare V opinione dAristotele intorno alle comete. Quibus ita explicatis, linee facile Constant: Aristoteli cometam realissiimun rem esse ac proinde ei, qui udversus Aristotelem agat, non esse cometam ex intimimi simulacrorum numero eximenduni; Patroni Ilorutium ad versus Aristotolem toto iOo Proveniate disputasse ; ei ergo non fuisse oxiinondum eomotam 0 numero inanima et apparentiura simulacrorum ; Itane vero nihilowinus legem oidem, in 10 illa de cometis Disputationo, ab auctore importuni fuisse, quod tam diserto negat Galilaeus. Examen IX. Si 1 Sarsii Magistcr , inquit Galilaeus, cos tantum inscctatur , apud quos indiani b s a g., f. 31, 1. 8. mides vani spectri incurrit suspicionem , dcbucrat nos quoque Sarsius praetcrire, [pag.235, Un. 30j qui in eorwn numero non Burnus. Multo sano melius. Si Galilaeus, aut alias quispiam, univorsim eos impugnat, qui ex parallaxis qnantitato absolute distantiam cometae metiuntur, non dobue- rat disputationem suam ad duos tantum, Tyelionem et Patrem Iloratium, diri¬ gere, qui, cum non univorsim et absolute, sed adversus Aristotelem disputent, 20 ciusdem Galilaei iaculis expositi non sunt Kt ii tamen mihi abiissent intacti, nisi provocassent. Quid enim, si nobis alio itinere pergentibus atquo al) iis declinan- tibus, ultro ac studioso nostroa ipsi seae indiderant in pedes ? Caeterum, quid mehacinre deceret, cautum et provisum est ninnale. Dixerara, Gardanum ac Tilesium, quibus cometa inane spectrum fuerat, «te¬ rileni atque infelicem philosophiam nactos, libros posteris, non liberos, reliquisse. Quid liic Galilaeus ? At'quac pietas est , inquit, Sarsi, ( 'arda ni oc Tylcsii splendori tenebras offa ridere, c Sag., f. 32, 1. 10. ulvdnamm Magistri lui alieno malo conte gas ? I tosta nullius ponderis philoso- Ip**- 23 °» Un. 27 0 seg.] phos, infirmos ac débiles , hos tu jrarurn philosophiae prritos vocas? At quae porro to pietas est, Galilaee, eorum par tea suscipere (dietim multo qmun antea liberius) quorum damnata multis partibus, ut parimi catholicis rebus amica, philosophia aeterna potiiis oblivione sepolienda iam fu ora t ? En, ut illos ingenii illa libertas toties decantata, commendata toties, sine lege excurrentes ac vagos tandem de- v °lvit in praeceps! Hae d sunt dortrinae homi turni et daemonionm, ut cum Tertul- d De Pinoseli p. ad v. liano loquar, prurientibus auribus naiae, de ingenio sapientiae succidi, quum Domi- Haoics. m dultitiam vocans, stidta mundi in confusionali diavi philosophiae ipsius elogi/ : « est enim materia sapicntiac saecularis temeraria interpres divinar, naturar et fàposìtionis. Cardanum igitur ac Tilesium laudent qui volent, ego laudationum 308 I.OTIIARII 8ARSII religiosi ua aniumuntuiu vx|m>*co Nihilo tamen rainus in hac ipsa, q uam ^ obiicit, urbani''ima inurbuiiitato non s.-mel Galilaous errat: primurn cum ea mihi uiUeribat qua»* ninquam in in.-a Libra rejierias; deinde, cum latini vima», moni* aut non plano iiit.lli.;.it, quod affirmarc non ausimi, aut potiusdissimulai ■So»., f. :w, 1.0. Kn, .libito salt. -m Imam moniti, t, in quo " infirmata et imbccillam eorum diierii» ptuloaophiam, aut, qu<> a v °l er elio la scusa * J non dice di maravigliarsi. di ine detto che l’iride e T alone valesse. « Srtg., f. 32, 1. 30. ll>ng. 237, Iin. 7 o ueg.] 6 Sag., f. 33, ]. 23 [pag. 237, lin. 35 o seg ) ' Sftg., f. 199, 1. 30. [pag. 330, lin. 10) d Sng., f. 34, 1. 1. [pag. 238, lin. 10] * Pise. d. c., f. 18, 1. 28. [png. 05, lin. 13] 400 LOTI! A RII 8ARSII Srttf., f. 31, 1.25. [[*£. 238, Un. 32] Sai»*., f. 84, 1. 32. [pag. 239, lin. l| Sag., f. 37, I. 15, et f. 8S 1. 12. (png. 240, lin. lft o pag. 241, lin. 9] talsuin autom nummo exihtiino, « quemquam u priscis ìllis existima... „ ....... .. . . ' J “*ibbe cometae caput mano luci* ludibri uni. Quem omm ul sensisse putes? non Anaxagoram Deinocrituin, quibus cometa stellarum congeries fuit; non Pythagoram q U j c „ (lem planetam aliquem, brevi tempore comparentnm ac latitantam diutius osse voluit ; non Hypocratem aut Kschylum, qui planetam, natura calvum, ubi ab humoribus lieta in siili romana aptassot, in comotam abire, inox ouindein, decidente coma, in planetam rtnlire solitum, aftìrmarunt. Nullus igitur e numero ilio extitit qui clarituiimn lumini vani capiti» notam inureret. ‘Quoti vero, recedente coma abire pariter cometam ilixcrunt, nibil mirum : cum enira cometa tnm ex vero pianeta, tum ox lieta coma, con»taro diceretur, horum altero abscedente come-m tam perire nere.- .e fuit; sic otiam coniata* esse desinet, cui coma decidcrit. Licuit igitur Magia tro moo, adversus Ariutotelem disputanti, cometae distantiam ex parallnxi investigare, quamvis prius ex apparentinm imaginum numero illum non exemiaset: exiinit tamen, ut ex ipsa eius loquendi forma constat, quod supta ostendiraus. Ex AMEN X. Argutnentuin altorum. quo I*. Iloratius comotam flammam non esse adversus A ristotelem contenderàt, ex ipso eomotao inotu dosuinptum fuerat, qui in circolo maximo fuisse inferebatur ex oo, quoti loca observ&tioniun omnia lineam tlescri- lierent rectam. Ilio vero, • F.rras, inquit (ìalilaous: ex motu in linea roda ttpin- si retile iti unum cvinalur, tnolutn sellic i illuni in plano fuisse circuii marni, k quo melos omnes, quii unu/uc illi tatuimi fwrint, nobis recti videbuntur. Quid mimi sì cometae motus retini rcctus fuissel, un non loca observationum omnia lime quoque rectam cunsiituissml ? Falliris er««- 211, «»■*- »l fieri non jiotest, ni-i ii emuli in «uperfida eiusilem splmerae descripti sint H» • Sa#., f. 88, 1.5. potiti•,•/’>«/>■. in.iuit, rjneycli Ventris rf ilrrcurii circuii nummi mi suni ned minores. Nego corisequeiitiam: ii eniiu in superficie splmerae descripti non sunt» Sun.! non minua apte inferro Galilaeua poterat: Ergo curruum rotae circuii maxiini non sunt l “>. Si ergo epicycli Veneria et Mercurii ad sphaeram mundi referantur, neque maxiini sunt inaine minore», cum in eius superficie descripti non sint: i vero inleiu epioyoli sua. sphuerulus spectent, circuii maxiini sunt’ niinus igitur apta est ea illutio. Circulua automi quilibet, cpiantumvis mole mini- iiiu>. ai tu inoli ad aphaoraui oadom diametro dcscriptam referatur, maximus crit Ita z<*liucus, aequator, horizon, roluri, in sphaeris ligneis ant aerois, quibuspreio exemplis utiumr, circuii maximi dicuntur, (pii tamen lungo minorea sunt quam veri epicycli Velieri» et Mercurii. Niliil ergo impodit circulorum exiguitas, ne iidem maximi dieantur ; -ed haliemla est ratio splmerarum, in quarum superficie deneripti ii minL * Traetemi, Stniuumus ergo, inquit, ex diciis, molti in linea recla apparali non mogia inferri posse min in j>,r ri retini fermi iam maximam ductum, guani ptr < irrumfen niiam minorem. Se.l hoc quoque falsi ssiinum est. Si quis eràm ex motu in linea ree tu apparente info rat illuni per circumforentiam maximam descriptum, infer. t aliquid quod rovera e->e poti si, quamvis non necessario, contingentar saltem: at qui inferat, motum illuni lui-so por circulum minorem, falsum asseret eo M’itqHT, cum impossibile omnino sit, motum per circulum minorem ductum ci qui bit in ceuitro bphaerae videri rcctum ,a| . Ao proinde aptiu» aliquuiulo locutus is videatur, in casu nostri cometae,qui c*x motu in linea recta apparente intulit co descriptam circumferentiam maxi- munì, quam is qui inde motum per lineai» rectain et perpendicularem productum 14,11 Non intendo che il cerchio ò differente dalla circonferenza. Ma » quello che più importa, la sua induzzione non conclude se non in virtù della sua giunta; nò si può in modo a|l]cuno cavar dalle line parole che io abbia chiamato cerchi minori quelli di 9 e c ^‘ cerchi minori quali son quelli che, termi[nan]do con la lor circon- 91 ferenza nella superficie della sfera, non la dividono egualmente], W ho detto quelli esser piecoli[ ssi mi ), comparati a i massimi della sfefra.j o chi ne dubita mostra d’ essere un gran goffo. Noi parliamo de’cerchi massimi nella sfera del mondo, la quale, per quel eli iom> creda, non ò divisa in parti egufajli dalle ruote del carro. twl Voi sete o ignorante o falsario, perchè non intendete, 0 » gote di non intendere, che per cerchi minori io piglio quelli che s0 più piccoli de’massimi assolutamente. ratio fondkrum librar et simbellae. 403 inveat' illius siquidem dictum contingenter saltcm veruni esse potuit., huius vero e contingente! quidem, vel ipsius Guidaci «confessione, cometae motibus potest «Disc.d.o.,f. 44,1.13. , . tpair- 98, lin. 10 ] àccommodan. Nibil igitur est quod b aegre feram, docte scilicet usque adco atque erudite, b Sag., f.38, 1.21. reconditum illud geometriao secretum utilitati omnium a Galilaeo evulgari, Non 2U > ,iu * l9 J ìnferi scilicet, necessario , Solem, cometae caput et caudam ipsius per eamdem j jf{m rec t m duci , ex co quod in una eadetncpie rechi linea noìris posita videantur. (Posilo enim arca circuii maximi ABC et Sole in A, capite cometae in B et c Fig. 2. mila desinente in C, oculo nihilominus posilo in J), tria illa , Sol A, caput B i ulextremitas caudae C, in eadetn linea rechi CA compar cluni. Ncque video quao inde mihi doloris causa possit existere, cuui nulli dictorum meorum id adver- seturImuio vero, si Galilaeus Mogigtri mei verba paulo diligentius expen- derit, intelligct fortassc, d venisse illi in muntein quod hic quasi quid novum et d Sag., f.38, 1.33. iaanditam profertur, potuisso nimirum comeUte caput et caudae extremitatem [pa&. 211 , lin. 20 ] una cum Sole in eadem recta linea spectari, quanivis revera triangulum consti- tuerent. Ait enim ipso: •Quae omnia satis ostcndunt, cometae corpus Solis piane, «Probi, f. 12, 1.29. fiottio, fulsisse limine , in quo solares radii aut refradi aut rcpercussi ultcrius l p,lg * 32 » lin - 14 0 se s-l procederesti et caudam formarmi . Qui autom fieri potest, ut rcpercussi ultcrius radii producantur, nisi reflexionia loeus 1>, hoc est cometae caput, Sol A, lumini» ^)fons, et reflexi radii extremitas C, triangulum constituantV Si quid igitur negre ferendum, id unum scilicet est, quasi 0 tripode et cortina proferri quao iam ab aliis prolata et vulgata, minori quamvis fasta ac verborum ambita, fuerant. Quinto, /mir&tur cur, cum dixissem constare iam satis rnotuin illuni rectum / Sag., f. 39, 1.9. et perpendicularcm cometis non esse tribuendum, tanto nihilominus studio cum- li>a&. 242 , in». 4 ] icmposte» impugnare deereverim. Sed miretur hic otiam, quod, cum Fidei nostrae capita certissima sint et credibilia piane nimis iam facta, eorumdem tamen veritas adversus eiusdem Fidei hosteB quotidie variis rationibus comprobetur. Postremo, ncque illud veruni est, lectoribua me fucum facere voluisso: v Panni o Sag., f. 89, 1.23. 'l Sarsi, sentendosi di non poter far altro , cerchi d' avviluppare il lettore . Ala [r a s- 1,M * U, J cercherò di disfare i viluppi . Nempe iis ipsis scribebam [4IJ , quibus Ga- Waeus ipse; qui porro ii non sunt, quilms adeo facile imponatur. Norit boa quoque lynceo» fuisse et perspicaces, noe opi» alien&e indigos ad tricas, si quas in nieis ìcnptis oilendissent, evadendas : suam proinde operaia iis hac ipsa in re cluni °tTert, nimiae credulitatis cosdem, ciani licet, accusat, et se unum supra lynceo» omnes Epidaurium profi tetur. 431 Voi parlate sempre a sproposito: io non ho detto di farvi dis¬ iacele perche quel eh’ io scrivo sia contro a voi, ma perchè l'ini- P&rar voi da me vi trafigge. 1441 scrivevi al vulgo. 404 LOT1URU BARRII - Sag. t f. Il, 1.7. [p«f. 84S, liti. 20) * Fig. 3. ' Sag., f- 41, 1.2 (l»ag. 243, lin. 81) •' ]. 81. [|>ag. 244, Un. 4] Examen XI. Quonìaxn I\ Iloratius cometa*' opicycluui circa Solem adscripserat, seti eccen- tricuin, iil unum loto hoc rxaraine inolitur Galilaous, ut ostendat non posse circa Solem cimilutu ecccntricum uut ellipaim ili-scribi, quibus cometac digressio quadranti par «altari possit. Sic enim is Virginium Cacsarinura alloquitur: • 7m viro, J'ir Illustrissime, si forte in Snrsium inddtris alìqwndo, dm hm lui-a* ridi ih offerta, quin tini altera ( '1> alteri All perpendiculariter mistat, Sìl¬ ique Di' radia* ab oeulo in Salem eductus : radius cnim, quo postea cometa a Mi ;x-r inteff rum qtuuìntnietH digressus conspicitur, necessario futurus est DA, velarli DB. liogabis max illuni, ut, nostro scilicet documento, ecccntricum Uhm smi epì- w egei uni ani cllip.iiin deseriUit circa Salem C, per quac progressiis cometa, alqw integro quadrante dign us a C, /# r riulios DA seu 1)11 conspiciatur. Ego eiim jiraestare hoc tantum, fate-or , hauti mìo Ilaec ipso. Conabor igitur, quantum in me erit, oa oiuni.i prue.-, ture quac titilli a (ìalilaeo imperali tur; nepo buie ego operi geometria!' medullam exiuilarira, quoti circinus ipse sua tantum arte per- feoerit Memi neri t turni n cuoio in liquido, ut planutas, ita cometas, vagari. Sii ergo punctura I) lcllus, circulu* K lunaria orbis, Solaris vero KOB; circa Solem uutem C rit orbis Murcurii (», Veneri» I: quos omnea iis plano magnitudinim proportionibus dcscriptos vi dui, quas orbes illi veri, ex astronomorum placitis, inter su servant Sitquc MNK pars circuii cometici Soli eccentrici, v.g. centro In dcscripti. Contigcrit ortus come tao in N et in radio DC ad Solem pertinente; progressus auU*m sit ad A, ubi sjiectubitur radio DK sive DA. At lineae DC, DK intercipiunt quadrantem inU-grum KC; solo igitur motu NA potuit cometa a Sole digredì integro quadrante, et supru Lunain nihiloniinue perpetuo vagari: negl» inetuendum fuit, n»* Terram aliqiiando aut exureret cominus aut pestifero aliti inlìceret. Iam vero si are ss alter KLM priori siiuilis eique obversus describatur, absolvetur quasi ellipsis MNKL, quac idem efiìcict quoti circulus. Sic fieri pos- sunt, fieri quae pusse negabas IttJ . Erravi. Galilaous ipse \ idit posti a,et confessus est ingenue,eccentricumli describi posse, sud instar * monstri futuruni asseruit; quasi vero nilril boni monstns s inesse possit. At ip«e, nisi ingratus esse velit, aequior aliquanto Ima nomini sit oportet. Cometa ipse monstruin est, et rarissimum mundi spectacu l4sl Gran cosa, Sig. Sarsi, che conoscendo voi esser impossibile c c la cometa si movesse por altra linea che per questa, non 1 a ,a mai più nominata, ma sì bene altre per le quali era impossibi e a < muovere. Io vi ho avvertito ed insegnato molte altre cose ancor 1 voi, da ingratissimo, volete mostrar d’ averle sapute innanzi. 40!) RATIO rONDEIIUM MURAR ET 81MBERLAK. niliil igitur Jiiirun», si quia ci motus tribuutur, praotcr eos quos stabiles ac tuos aeternis illis incsso intuemur. Ipnorat enim uaturao potcntiam, tait"Seneca, qui illi non putat uliquamlo licore nisi quod saepius facit. «Nat. Quacst. lib. 7. EX AMEN XII. Dixeram, in logicalo peccasse (ìalilaeimi, cinti ex co, quoti stellulae nonnullao quaeaciem nostrani fugiunt, adhilùio postmodmn telescopio conspiciantur, intnlit, cas ex codom telescopio infinituin acci pere incrementimi : peccasse, inquam, cum neque infinituin, ac nequo incrementimi quidem, accepisse dici posaint; quamvis enim iiiter rem visara et non visain distuutia cpiodammodo intercedat infinita in io ratione visibili», non intercedit tamen in ratione quanti, quam requirere videtur ipsa ratio incrementi quod ex telescopio liubctur. 1 tóndo vero, quidquid primo esse incipit, aligeri non dicitur; ergo, cum quid primo visibile tit, cum prius visibile non esset, non dicetur augeri ne in ratione quidem rei visibilio, cum augeri in aliquo genere ca solum dicantur, «piae prius in eodein genere aliquid erant. h Atqui tu, inquit Galilaous, Salomonan quoque arguas, qui stultorum infi - * Sag., f. 48, 1.3. nitum esse numerimi dixit . Sut, errilo , vide*, nisi dissimulas, idem nobis hoc loco ^ ,ln * I9 1 m infinituin quod maximum. ' Iriulma, si qui.s nitllius sortis homo aureos mille < Sag., f. 17, 1. 23. hcrelur, annon lucrum hoc, si ami nulla sorte confcralur, infinituin dicetur ? [pasclo,H Aio sane, millenorum compemlium ex nulla sorte posse aliqua ratione dici so infinituin, cum inter se conforuntur termini, ex una sultcm parte, infinite distantes, hoc est nihil atque aliquid, sive sors nulla et compedium millenorum. At vero impossibile omnino est idem in incremento contingere ; quia nihil incrementi capax est, nisi ante ipsum incrementum aliquid hit: ac proinde inter id quod augetur et augumentum ipsum non potest eailcra esse distantia, quae inter nihil atque aliquid. Non fuissc autem vobis hoc loco infinituin idem quoti maximum, vos ipsi satis ostendistis ex eo, quod hoc infiniti nomine eum distantiam significar! voluistis quae est inter nihil atque aliquid, hoc est vere in fi riita in : é Non so perche tale in - rf Pi8c.d.c., f.25,1.2. Stendimento si debba poi chiamare insensibile, r non più tosto infinito, che tale è la Iin * 12 0 scg '^ $) propormn del niente a qualche cosa Si ergo eadem per vos proportio est inter stellas non visas et visas, quae inter nihil atque aliquid, erit piane nulla, ac propterea distantia infinita. Non ergo vobis hoc loco fuit infinitum idem quod maximum. Salomon aliique perinulti, cum per hyperbolem infiniti nomen usur- ^ il chiamar un grandissimo accrescimento infinito , è cosa usata; ma insen- «Kfe, no: e però più tosto si debbo chiamare infinito , che insensibile* Ma dal- 1 esser chiamato all’essere ha poi la differenza che mostra qui la vostra sotti¬ lissima logica. 406 LOTI!A RII 8ARSII • Rag., f. 48, 1, 30. [pttf. 247, Ho. B) * Sa*.. f. 4 \ 1. 35. [pq. 247, Im. Il) f Rag., f. 49, 1. 4. [p*f. 247, Un. 15) d Sag., f. 49, 1. 2l>. (pn*. 247, li». 36] ' Rag., f. 19. 1. 1 1. (pa*. 217, lin. 22] l'.irunt, vini toc» illias non probsnwt rationibus vere intìnitum evincentìW quoti i- ft-u— «Ifpr t-l • mlitur, qui incrcineiitum illud eodom modo se tlixit quo nihil «Iquo aliquid. I " d 1; < uni quid i id-hn . un pi ,,, n ,n ndn, tur, nonvocctur hoc wj m-' 1 ' tum, ted transitus de non esse visibili ed ette visibile. Sic enim postea infere»: aug-ri in n.s, vi>iia!i di >„!ur m in , idi, nunu idi uro transire de non m visì¬ bili ad esse visibile: quoti vcrifmimuru nL At ‘u augeri r> ir litui dr dar, iuquit, ni si quod prius aliquid est, haud tré redius vox trausdus usurpabdur, quae et ipsa geminum teminum, a quo scilicd d ail quest, rrposeit. Aio, nettali .-.mutui c-.se toqu.ndi birmani, qua dicimur omnes a DcoexnMo o.liu ti, cam Uunen eduetio haec nullum haboat terminimi a quo positivum.Quio ha«-. q us-. ; m.i verbo, tran tu d< non e-.o ad esse, familiarissimaphilosophis«rat: i.unquiiu tam mi quMiiqM.i:u il bruni audiuB augeri ea dicentcm, quao primo essai iliciI>iunt. Si ti... aiiquid j.riii* . per teleM opium ridetur quod nulla priusratione ci riu batur, non i ■ t**rit «i; i am tuin in ratinile visibili, dici autem poterit traa- sisse de non esse visibili ud esse visibile. S- d * quid, itnjuis, >.'• .arimi i ‘..un tinnulissinuintm SpeCÌCS aliquid CSM efl- stini, m, quattri\ non vut.-anlar ? inique tutu : etiam ad nostros oculos pcrtingm, non tann a rùderi, qw-l mi b esiguo udm >ditni ungula cui illos pcrveniant? Profocto, vi id i \ isti in os, et mocum et cum sapientibus omnibus sen¬ tii'-. An forte et boi- quasi novnin nobisquo inauditum profers? quasi ego, p toh i-opiorura vitri stollarum minutb .imarum species ac radios excipi atipie ad oculum cogi, et proinde clarior-s effici, totics adhuc disertissime dixi, dubitareó» nliquando poturrim, an ea--lom sp.-oios ad telescopii vitra atque ad oculos ipsos pertingant ? Quid igitur me... f u jt j nebulosas et Galaxiam, quasi huius veritatis ti-stes, adducere, de qua nonio non stolidissimus ambigat? Sane vel lusciosi hoc vident, quorum o<-ul"s, attingunt licet rertim species ac piene imbuant, non tarae» ab iis vidontur m->i sp. filli s admotis, quorum beneficio satis intelligunt non pur creari in oculo rerum species, sed apte tantum disponi. Nihil enim specillorum ope qui-quarti cernerot, cuius anlea imago ad oculum non pertingeret 'At, iuquis, si tidennn horum species, atdequam videantur, edam in oculo u quid suni, pobTunt, cum per telc-icopium videntur, dici mcrementwn recepisse, S itól ^ id unum ohi*ubai, ne dècerentnr augni, quia antea nihil esse videbantur. IUTIO PONDERUM LIRRAE ET RIMRELLAE. 407 Kr^o mi Galiluee, paucissimis in verbis pugnantia dicis. Si enim tara visa qnara non risa sidera aliquid sunt in ratione visibili», non ergo (quod modo volebas) inter eadcm visa et non visa illa intercedit distantia, quae inter niliil atqno ali- quid Nisi igitur pugnare trami velia, dico», tara stella» quara stellaruin specie», ìamdiu visibiles non sunt, nihil plano esso in ratione visibili», ac proinde, cura per t eles copiv m conspiciuntur, eaadeni tranaire de non esso visibili ad esso visi- iòle. Naia alioqui, ut raultuni buie rei allabores, nunquam tamen elHcies, ut quod in aliquo genore primo esso incipit, in co dicatur auguri. Sed quid ego in Iliaco logicoruin salcbris diutius lectorem teneo? Nomo est io qui ignoret, nullum usque adeo cogons arguiuenlura adversus quemquam afferri [tosse, quod versutae dialocticoruin lubricitati apparcns saliera non relinquat effu- qiura; ac proinde nullum inutili» et damosac altercationis linera futurum, si por¬ gere velimus, et por contontiosnm funem in soecula (nani in lustra iam duxiinus) disputationem alternis vicibus protraharaus. Perraittara igitur volons libensque, si qua supersunt e logicis, Ioduri discutienda, aul ea tantum parte libabo qua logicare transiliunt. «Falsum autem est quod hoc loco Gali Incus obiicit, nimirura ex Magistri moi a Sng., f. DO, 1.9. dictis nullum stella» incremontura a telescopio accipero : nihil illi tale unquara 248 > lin - 1G 1 excidit. Eius tantum illa vox fuit, non esse buiusmodi siderum incrementimi aadmodum sensibile: a qua lnqucndi forma non discrepat ‘Sidereus Nuncius, cura n Ntinc. Sid., f. 16, ait: Si rcliqua obiecta co instrumento centies aligeri vid cantar, eodem stcllas non 1-24. mi qrnter aut quinquics auctas apparire; quod augraentum sensibile admodum^ vol ' III ' ri ' K ' 16,lìn ' 18 ^ non osi Non ergo falsum evincitur Magistri inni dictum. Dixeratn, in Galilaei scilicet gratiam, gerninam telescopio praerogativam esse triliuendam : tura quod species et radio» ad unum punctum cogit, ut efficacius agant; tum etiam quod species et radios eosdem sul» raaiori angulo ad visivam potcntiam defert, ex quo fìt ut obiecta raaiora compareant. Hic enimvero miratur c Galilaeus, qui fieri possit ut cogantur radii, ut maior e Sag., f. 52, L 28. nihilominus ex iis angulus constituntur : videntur enim illi pugnantia duo haec, 250 > lln - 2 °1 » cogi radios, atquo ex. bis angulum constitui [4T] . Ego vero mirarer potius, si quis non coactis radiis angulnm constitui posse aftìrmaret. Sed nimirum is idem osso existimavit, ad unum punctum cogi radios, et radios eosdem, quasi virgas, in fasciculos colligari ac se totis simili min; ut in ipsa versione Galilaei indicat forma illa loquendi, ristringer insieme 1 r W- Quam ergo tìdeliter dictum latinum in hetruscuin verterit, grammatico- rum esto iudicium l<9 t Norit interim, cogi radios ad unum punctum idem opticis 11 augerì,ampliavi, maiorem fieri, bisogna (lire, niesser bue, non constitui. Dal mio parlare, che tu stesso citi nel dir che io mi meravi- °^° fi eri possit ut cogantur radii et angulus constituatur maior, non 408 LOT11ARII 8AR.SII esse atque radiorum, ex ropercussu aut refractione convergentium, estrema ad unum punctum concurrere, ac proinde angulum constituore h*J. Sed mine demum video quid maxime line egerit examine homo face- tiarum et urbanitatum omnium: ut nimirum ridiculis urgutiolis et iocosis dicte- riis in me salsi* vibrati» Illustri ssi mum Virginiuni Caesftrinum, virmn Gratiis et scilicet bonis omnibus carum, lunga inm molestaque tvegritudine fatigatura atque ad moeatitudinem iam proclivom, exhilnraret Cum eniin, id unum agens, non inepto tantisper in me iocatUB essrt, ut tandem operae constaret fructus, liaec •< 8ng., f. 55, 1.10. subdidit: «Mi jxir ili vaiar V.S. Ili tal rissila sogghignare; ma che vuol ella? Il 253 ’ h “* 01 Sarsi era entralo in umore di scrivere in coni induzione alla scrittura del Big. Mark: io gli è stato forza attaccarsi, comi noi sotjliamo dire, ulte funi del ciclo. Et lusisset, utinani, liberalius, vel malo meo. Non eram ego usque adeo insulsus atquo infa- cctus, ut, semper auditor tantum, nunquam rcponerom, no do co pariter aegrum dominum hilararem. Seti qui eius subrisit ad sale», moestissima sui commemo- ratione nane inibì lucryinas exprimit, iubetquo lino saltelli loco facctiis parcere et importuni» interim iocis abstinere. Detur igitur.ot hoc illi. Sed pergamus. <> Sag., f. 50, 1.11. * Postremo beneficium iocoso a ine collntum serio reiicit. Cmn enim cometici [psg. 253, lin. 33) comprendi tu elio io «fili suppongo che i raggi che si hanno a ristri- gnere contengono angolo? come dunque di’tu che io intenda, che il ristringer, ch’io dico do’raggi, sia come strignore un fascio di bac-a chotte ? Clic cogcrc significhi quel che noi diciamo lislrign&re, lo dice il Sarsi a car. 148, v. 4 [pag. 471, lin. 7]. 1481 aiutati, baratteria ! Tu sei stato quello che hai detto che, ri- strignendosi i raggi, 1' angolo elio da essi si forma si fa maggiore: ora, perchè io impugno questo detto, non si sapendo egli sbrigare, cita lo mie parole mozze, o dico che io dico esser repugnante il dire, ristrignersi i raggi o farai angolo, mentre io dico, farsi angolo mag¬ giore; e perchè egli non ha penetrato come possano ristrignersi ì raggi e farsi l’angolo maggiore, si ferma sul farsi angolo, e pargliso avermi dichiarato balordo montre e’ dice : Che meraviglia sarebbe che l’angolo non si facesse? I)i più, ben che io non abbia detto in¬ solutamente, esser impossibile elio i raggi si ristringhino e l’angolo si faccia maggiore, per lo elio poteva pensafre] ciò potersi fare, tuttavia, non avendo egli trovato il modo, sfacciatissimamente e da furbo bene ilivertÌ8ce a volermi insegnare che cosa sia cogerc radios. t501 Da f. 52 a 55 [p»g. 260, lin. l — p**. 268 , lin. 22 ] v’ 6 pure altro che cose da far ridere, le quali voi tacete, e ve la passate voi con questa buffoneria, che è tutta vostra- RATIO PONDKUUM LIBRAR ET SIMBELLÀE. 409 Discursus auctor, ostcnsurus stellala» illas quao telescopi tantum ope cernuntur maximum ex ilio capere incrementimi, illud addidisset : «perche, se non V ingran - " Disc. d. c., f. 21, di$ce, c forza che con altra sua più ammirabile c inaudita prerogativa le illumini , ^ 8 (lixeram magnani ino forte apud illuni gratinili initurum, si, quam ipso telescopio praerogativam tribui posso diffiderei, sidermu videlicet illuminationem, cani merito illitribuendam ostenderem. Hoc tainon quam serio a me diceretur, satis inde colligi poterai, quod illuminationem telescopii e f Tee tu m non esso multi» ante conten- deram. Sed quando beneiiciuni hoc qualecumquo proiecisso ino video (* gratino b Sag., f. 57, 1.2 enim, si quae mihi a Galilaeo actao sunt, bonura tantum animimi menni coni- tpflÉr ’ 254 » lin * 2, J lopensant), id saltelli expondamus, quo potissimum nomine niliil se mihi hacinro debere contendat. e Lminosae pyratnidis radii, inquit, in unum punctum coacti cf/kacius agunt, r - Sag., f. 57, 1.14. d propterea, ut ait Sarsius, laminosa ubicela per camionpyramidon inspecta luci -“‘ i,, ,,,,, 511 0 se ^ iiora jndantur. Nihil verius . Verissima quoque eius rei ratio est ab eodem Sarsio migliata, quia lumen idem minori spatio comprchensum hoc illuminai magis ; lentis mlem experimentum, quae radiis coactis inccndit et speriantes vi lucis iinmodicac mccat, haec omnia verissima ostendit. Al falsimi nìhilominus est quod infertur : Ergo telescopium luminosa ubicela magis illuminai; quin potius , ut esperimento constat, ea reddit obscuriora. Ratio porro est , quia haec omnia a Sarsio enumerata nsdins convexae lentis effecta sant : cara enim rudios dispergit , et propterea lumen iminuit. Cum ergo telescopi um ut rogne constct vitro, convero scilicet et cavo, quan- lm illud luminis acqui ri t, hoc tantumdem ac plus etiam dispergit : ex quo /ìly ut luminosa per telescopium inspecta obscuriora compareant, quam si nudis oeulis mspiccrcntur. Haec ipse. At ego buie malo facile remodium invenerim. Si enim quantum clarissimorum honorum convexa lens, providus quasi pater, cxaggerat, tantumdem cava, ubi ad ill&m t&m pulchra pertingat liaereditas, prodigus quasi iilius, dispergit ac dissi¬ pai; in manu piane mea est prodiguni dccoctorem, domo abactum, exhaeredaro iantisper, ut aureis illis lucis divitiis expleantur largo oculi, et clarius interim wmihi Luna resplendeat. Telescopium igitur, si ab co cava lens removeatur, voi ipsis sklcribus addet splendorem d/, dicet, si buie instrumento altera lens desit , telescopium a/mplitts non est . Hoc enim ex utraque componi!ur. hi tamen musicum illud organimi, quod multis variisque tuborum ordinibus (registra vocant) constituitur, non usque adeo omnium illorum tenax est, ut non Potutili’ subinde, adactis abactisque euneta moderanti bus regulis, modo nos sin- puis separatini ludere, modo iunctim universis; neque illi interim nomen organi dc-peiit. Ita, si telescopium gemina lente componitur, poterit et quod singulae et (M1 Adoperate il telescopio con una sola lente, e guardate bene. 410 LOTI! A RII fi ARSII quod simili ambae lM1 . Sed «it ut libet, rem benefico a mo oblatam animo respue- rit licet Galilaeus, non ideo Cacti me poonitei Haud ita mecum se gerit ip*c, qui, quod modo ultro largitus est, mine deraum Sag., f. 58,1. 28. puerorum quasi more, re petit. Vide % *ais, inquit, et illud quasi veruni aìmp. lm,a| miti, quod fulsum nihilominus est : rmìiis nimirum in unum coactis , obieda ostenti lue idiota; aggirata siquidem mi unum punctum lux illa , cum maxime oculosm • buerit t tunc obruit magia et inieriedum medium clarius effìcti ; quibus ftt ut obieek ol)Scuriora compareant. Tunc drmum coactus hic splendor obiccta illustrarci vwjis, si ad Ula , non ad oculum, pertinycrct. Male igitur non mimi* usseri», Ualilaee, hoc instruniento obiccta augeri, quia io incrementimi istud in oculo est» non in obiectis. Nani si vere obiccta tubus liic augeat, nae ilio compendios&m divitiarum comparandarum artem invonit, quisquis buina instrumenti auctor fuit ; aureus «iquidom nuininus illi semel inspectus mil- Iìch evadet maior, inapectua iterum in milionem excrescet: nec erit cur efficaces raoas yoccs exoptcs, quibus scruta ac rumenta domus tuae in aumm converlam; b Sag., f. 8-1, 1.34. fc quod infra contende*. (paj.2,4, im. i‘j] Quomadmodum igitur si «leni ra incrementum per angulura ad oculum tenni- natum et in ipso oculo lit, ita maior oorumdem iilurainatio existet, si illoruru specie*, oculum attingens, multorinn oggeratione radiorum ovadat illustrior.Tale enim quodeumque obicctum ( x isti mani us, quale inoculo est; utque amplitudo ilk so maior non ipsum oontingit obiectura, sed oculum, at nihilominus dicimus obietta ipsum excrescero, ita, q unni vis lux illa maior oculum illustrai, non sidera, eia- reacere t&men inde dieeinus ut sidera : est enim par causa apparentis tuin magni* tudinÌ8 tuui eplendoris. Praeterea, verissimum quidem est, lucidum quodquo tunc minime videri,cum oculoa maxime impleverit; male tamen indo infertur, Ergo videtur obscurnis. Quin potius inde maxime sideris cuiusquo splemloreni arguimus, cum nostro?, quainvia avido», avertit obtutus. Sol, omnium planetarum lucidissimi^, Quanto clarior e«t, tante minus \ i«li*ri se patitur; addo, neque illa quae circa ipsum con aistunt, oculÌ8 nostri* permittit. Nunquid tamen eimdem ideo obscuriorem existi $ mamuaV Immo vero vel hinc illi luci* addicimus principatuin. Ergo, si quando luminoaum quodpiaiu ita oculoa ac medium suo aplendore compleverit, ut ncque se ncque sibi propinqua vidrri patiatur, longe illud clariua mi hi erit, quaiu si oculos non conniventea admittat linee igitur Galilnei argumenta si beneficio a me, etiamper iocum, oblato beneficii nomea non ahrogant, ridenteni dicere verum quis veta Ne igitur in auquivuco iterum laborenius, aio, tuia vere a me dictum, si era [521 Adunque, Sig. Sarsi, quando voi dicesti che ’1 telescopio i ^ minava, voi volevi diro ciò accadere quando si adoperava con la sola. Alla fa’, che io non vi avevo pensato. ratio ponderum librae ET SIMBELLAE. 411 instrumcnto, qua convoca constat lente, illuminari magia, quam ab omnibus hoc • a mia lentem utramque complectitur, eadem augeri dicuntur ipSO, 4 Uì * Examen XIII. Omissa prima liuius examinis parte excusationum pinna, ad accusationos pro- >r. Nam cum forte dixissem, magnani me apud Galilaeum gratiam initurum, si telescopium, quamvis non foetum, alumnuni corte ipsiua, ab invidorum ca- luinniis vindicarem, a Quid ayis, inquit, Sarsi? dum de me meoque instrumento tc n Sng., f. 62, 1.2. opime meritimi profUeris , meque Ubi rei hoc nomine devinctum estendere contendis } ^ “ :,7> J,n * “ J 0 fa imm, quod foetum marni haberi colui, tu meum tantum alumnum inclamas ? io Veruni, si aequior aliquanto interpres esso velit, intolliget, eurn qui ait, Quamvis non foetum, alumnum certe ìpsius, alterum quiclem corto ailiriuare, altorum tamen liaud omnino negare, sed quod cuutroversum est, iudiois relinquere arbitrio, quasi dicat, Si non foetum , alumnum certe . Qui enim Guidaci foetum telescopium dixe- rim, orbe pene reclamante universo ? Ades tu mihi primuin, Faber, vere candide, Yere germane, numquam tuae simplicitatis tenacior, quam cum ventati accorn- raodas Yerba. Tu noe vultum veroris Galilaoi, cuius ante ora viri, in ipso libri limine daedalea artificis maini (lepiota, olor vere candidus occinis: Porta tenet priuiaa ; Imbea», (formane, aecuudaa; Sunt, Galilaee, tuua tortia regna labor. » Non tu illuni, credo, Plutonein facis, sortitimi tertia regna, hoc est inferorum sedes; sed tertii regni nomine tcrtium a Porta eum fuisse intelligis, qui tele¬ scopium concinnarit. Ilio *enim in sua Naturali Magia, annis ab hinc supra tri- & Lib. 17, cap. 11. gmta, modum telescopii confioiendi, opticae saltem peritissimis, qualis haud dubium Galilaeus est, obscure licot vulgaverat, addita epigraphe DE SPECILLIS QDIBUS SUPRA OMNE COGITÀTUM QUI» CONSPICERE LONOISSIME QUEAT, quod pc-stea specillimi ab ipsa figura columnaro appellai Secundara laudem Germano, hoc est Datavo, tribuis, cuius artificio vulgare indoctioribus quoque factum iam fuerafc, quod Porta solis opticao peritissimis scripserat. Ki quid igitur reliquum un ringraziato sia Dio, elio pur lo dicesti ! Voi l’avevi taciuto Afilla Libra por non ce l’insegnare ; ma io, da cattivo e sagace, beilo ve 1’ ho cavato di Locca, o contro a vostra voglia mi avote in¬ segnate die ’1 telescopio illumina gli oggetti tanto quanto gl’ in¬ grandisce, con questa cauzione però, che quando si vogliono Uluini- naie 81 a( l°pri una lente sola, e per ingrandire amendue. 0 bene, 0 be ne, o bene ! u 52 Sag., f. 64, L 13. [pi*. 259, lin. 31] & Snida)!, verbo it«pt8ivo0vT*s. Sag-., f. G2, 1. 35. ||>ag. 258, Un. 22] 412 LOTHA.RI1 H.VK81I est luudis, Galilaeo tertio loco tribuendum censii : neo abnuo. At enim exemplo- rum magna vis est, et animo® gloriue cupido# ad paria audeada facile pertiahunt Incessit igitur animum cupido imprimendorum librorum artis investigandae At ìikiuìh, vulgarem iam et omnibus nolani rem tentas. Quid inde? Si eamiterum nullo magistro, marte ineo invonerim, ni primi», alter Baltem egrcgiae artis in¬ vento»*, dicar. Quid ni? si Galilacua eodem nomine tertius telescopii auctor dici poluit? Itale» ? llaec tamen exempla lungo molius ad rem nostram faciunt, quam Ardiitac «columbae aut specula Archimedis, quae, solo nomine cognita,mihiinve- nienda proponi», llaec enim constanti solimi mendacio fortasse ad nosperrcne- runt; certe haud maiori ea fide narrant historici, quam ego tibi ex ''iisdem Baby- io lunioH fundaruin vertigine ova percoquente» protulerim : aut si visa aliquando ea bunt, mine tamen muquam babentur venalia. Cuin vero reperisse te modumtele- stupii oonficiendi narra», Galilaeo, id saltelli in Belgio vulgare iam erat. Da mihi igitur Architao columbas, Archimedis specula, aut in Belgio aut usquam gen- tium emptori exjKJsita, et ego, nihil cunctatus, haud infoliciori eventu, columbas llomae quoque volantes publico in theatro omittam, et specula flammas cminus eiaculantia Syracusiis non invidebo. Equidem 'Venetiis non fui, dum quae de telescopii inveniendi ratione a te inita mirrila agerentur; fuerunt tamen haud pauci M , et sane non vulgares viri, quibus tunc ipso familiarissime utebaris, quorum auotoritas etiam a nolente fidem extorquoat. Ab bis si quantum in hanc a rem accepi, tantundem oxponam, nihil quidem fortasse falsi a te dictum con- stet, aliquid tamen vori omissum appareat, quod e re tua non lue- rat. Sed malo interim quid me deceat, quam quid alius de me sit meritu8, cogitare. Quod porro ad argumentum attinet desumptum ab exiguo stellarum et co- metae incremento, ex quo inferebamua cometam snpra Lunam probabiliter sta- tuendum, satis in Libra mea exposni, non quod multum ei tribuendum existima- remus aliatimi a nobis fuisse seil in gratinili id potius amieoruin dictum, quod ingratam nulli futarum timeremus; postremis autem iis Yerbis, quibus panini opticae periti dicebantur qui id argumenti parvi facerent, non eos notatos qui 0 ) illud ideo vitiosum ducerent quod telescopio revera aeque omnia augeantur, sed eos qui ideo id minns probarent quod universim omnes cius instrnmenti opera- 1541 non già do’ vostri. l55J scrive nel Problema, questo argomento essere tenuto di poco momento da alcuni, o sogghigno questi tali considerar poco i pi 111 cipii ottici, per i quali necessariamente si prova clic vi è grandissima lorza. Ora, dicendo egli qui di non 1’ avere stimato molto, viene a confessare sò esser nella schiera di quelli elio poco hanno considt rato i principii ottici. RATIO PONDERUM LIBRAR ET 8IMBELLAE. 413 liones fallaces ac ludificatioiiihua cxpositas volobant, niliilquc ci proindo, quasi infido oculorum duci, fidendum asserebont; quibuacum paulo ante lia fuerat Ma- gistro meo, quosquo ideo publice arguendos duxit, nihil interim praccavens, nc forte hos dum pcterot, alinrum incurrerot invidiam : ictum enim oo tantum por- venturum putavit, quo oum destinarat. Si enim Galilaeua unquam eiusque dieta illi venissent in mentem, aliter animi sui scusa prodidisset : sic enim potius fuisset locutus ; Scio hoc instrumentum ita plerisque suspeclum esse, mllam ut ei fìdem kkndam existiment : si enim quae cominus per illud aspietmus, non sine ludifica- lionìhus ostcndit, multo magia ea quae lungi: seposita sani, deformia atque larvata ioni onstraturwn; sivc igitur rcrum mi hi imagines yrandìat, sive e tenebria antea non risa proferat, non sinc ludihrii suspicione case posse inaitela spcctcìcula. Sed nimi- rm hi panini opticae principia perpendunt, ex quihus quaecumque hoc instru¬ mento videntur, verissimae obiectorum specics esse comprobantur, nullamque ci, si ululili canon incrementimi cxcipius, fullaciutn suhesse constili i. Haec autem ita sunt, ut ingenue proforuntur. Vix enim iis vorbis Galilaeum commotum audivimus, cum quo a nobis sonsu prolata ea fuisscnt, illi significan- dum curavimus, quod nec ipso dissimulai. Quae cum ita sint, nihil crat cur in co argtìmonto prodigando tantum verborum impendoret, quod noa ipsi haud pluris faceremus. 20 Kxamkn XIV. Quamquam vero argumentum ipsum haud magni ponderis duxeram, illud taraen addideram, propositionein illain, seiunctim ao secunduin se consideratala, qua dixi telescopium id h abere, ut obiecta quo propio ra fuerint niagis augeal, minus vero quo remotiora, verissimam esse, ennuplo ad nullam oertam rcrum distantiam coarctandam, si in telesoopii usa ea, quam rigor geoinotricus postulai, regula adhibeatur. Curii enim ex productiore tubo imagines maiores reddantur, non avrei mai dotto in questa maniera, cioè che ’1 telescopio ci inganni nel farci veder gli oggetti più grandi di quello che ci mostra V occhio libero; ma detto avrei solamente che ei ce li nio- a sfratali nella distanza, v. g., di 1000 braccia, quali rocchio libero co le rappresenta nella distanza di 50 ; sì che so V occhio libero ci mostra le cose più giuste nella minor distanza che nella maggiore, bisogna concluderò elio ’l telescopio non solamente non è fallace, ma che è correttore delle fallacie delP occhio libero. Qui è luogo di nar- lar modi con i quali si chiariscono veramente i balordi accusa¬ tori di tale strumento. 414 LOTTIAHIT 8AR8II Siitf., f. 70, 1.6. I pn^. 2G;1, Un. 31] Sa#., f. 70, 1. 26. [png. 264, liti. 12] Sag., f. 68, 1.19. [pa$. 262, liti. 13] quanto nutem propius obiectura fuerit tanto longior tubns, et quo obiectum rc- motius tanto bretior sit adhibendns, ut distincta rerum visio consequatur bine necessario tìt, ut quanto reraotior re* quaelibet fuerit, tanto minus crescat ere- scat vero magis quo propior: seni per autem duo obiecta, si inter se conferantur ant eodern ab oculo diitant «patio, et r> quircnt eandein tubi longitudinem eodeni- que augebuntur incremento ; aut distant inacquali ter, et tuno remotius brerius requiret telescopium et ere:rct minus, propius autem telescopium productius expost*ot et creseet magi*. Nulli *• ir itur mihi statuendi fuorant termini propin- (juoruin ac remotorum obi< etorum ; atquo ideo distinctionem illam obiectorura in remota propinqua etniedia omisimus, (piasi ineptam. Praeteroa, 6 remotis spa- io tium amplius, mediis medium, propioribus minimum non tribuimus, quia univer- sim et absoluto loquentibus haec opus non eranb Nostrorum igitur dictorum ea est stimma. Obiecta, quo propiora fuerint, augeu- tur magia, quia, rum inspiciuntur, productius requirunt telescopium; quo vero remotiora, augentur minus, quia telescopio broviore spectantur tH) . Ex bis porro constai, f nec admirandis adhue inventi» ullam a me viam aporiri, nequetnale as.signatnm obiuctonun distinctionem in remota et propinqua; quae primo Sim- bellator obiecit f “>. - l57) Voi dite nel Problema che la cometa ora lontanissima dalla Terra, per¬ ché rimirata col telescopio non riceveva accrescimento sensibile : avvertito poi » nel Discorso delle Comete che le cose remotissime ricovono accrescimento gran¬ dissimo, o insieme avvertito del modo col quale, benché inettissimamente, si po¬ teva dire che le coso più remoto abbiano minore accrescimento, accettaste su¬ bito questo refugio, ancorché al vostro bisogno non facesse giovamento ninno: vediamo se voi ve ne potete esser servito. Si cerca se la cometa òelementareo celeste. Per valervi di questo argomento, voi rimirate lo cose elementari, legnali vi ricrescono assaissimo; rimirate poi la cometa, ed ella non vi ricresce sensi¬ bilmente : vi domando, scemaste o scortaste voi 1’ occhiale quando rimiraste la cometa? Se dite di no, adunque non vi doveva apparir di minorericrescimento per esser sopra la Luna che sotto: so dite di si, vi dico che anche le cose lon-* tane cinquanta braccia, con iscortare il cannone scemeranno in apparenza nota¬ bilmente; e si può scortare tanto, che ci sarà differenza grandissima da un modo all’altro. Adunque, sorbaudo la medesima distanza dell’ oggetto, allungando unir volta il cannone, io potrò concludere che quello sia assai vicino, perchè ricresco molto; e scortando il cannone, potrò parimente concludere che egli sia remotis simo pili di Giove, poiché mi ricresce con minor proporzione di esso Giove. Ciò logica è questa? ** [ " sl ab pezzo d’ainnaccio, questo è il ringraziamento che tu mi a > dell’averti io tante volte cavato di errore ? Tu da bufolaccio scrìve.' PATIO PONDERI'M LIBRAI' ET SIMDEEEAE. 415 H «quod est alterimi, solatii obiectornm disi andarli minoris incrementi causimi i-sévoh(ìt Pater Horatius. Falsimi. Aliarti non protulit. Sed ncque exclusit' M| . Àn non saepissiine remotain causimi iuter loquendum iisurpamus, proxima interim omissn si praesertim seenni illam remota afferat? ut cum perditorum hominum familiaritatcm plerisque aotcrni exitii causam esse dicimus, cuius tamen verior ausa propria scolerà sunt, non aliena. Erijo, ‘inquit, distantia obiectorum timi cuusa est minoris incrementi, quam honac valetudinis avarili a : ut ni ini ururuiì sobri us est, atipie inde sanus, ita remo¬ tissima tubo breviorc spedantiir, atipie Itine, augesmnt minus. Stai ncque lioc veruni uest. Nulla enini sobrietatis ator me, qui volet, Bit tricepa Cerberus vel centimanus Ilriareu8 ; me ista delectant singularia vel bina, prout exposcit natura, Mae» natis exemplo. Examen XVI. Ilanc ego unam positionem probaudam susceperam, obiecta scilicet quanto remotiora fuori ut. tanto minus a telescopio accipereincromentum 1 ] , quain, si geometrico iure ag.itur, veruni fa tea tur (ìalilaeus Decesso est: semper enim, nullo longinquitatis obiectorum statuto termino, magie remota contraete tubo spectari postulunt, et, qu<>d inde consequitur, minus crescunt. Ad argumcn n Sag., f. 78, 1.16. tum igitur Galilaei, quo "ait: Quiu'runu/HS cottevi spectaniur tubo, idem db ido affi [t>ag. 2 ,o, lin. i, ì>ere i ncremetl i urH . onda vero omnia , ultra trecento^ passusposila, eodem smpff tubo spectari ; actiperc proinde omnia idem incretnentum, neganda est mino propositio. Est enim falsimi, obiecta omnia altra trecentos passus posita eade tubi longitudine BpccUinda esse, bì ex rigore geometrico loquendum sit- e nerit Galilaeus pili illius, ad cuius mensurarn contralienduw telescopium, tM] Voi avete a provare che gli oggetti remotissimi, come le stelle, no vono accrescimento sensibile. HAT IO PONDERUM LIBRAR ET SIMBELLAE. 419 verilatis adigente, confessus est: hoc oniin voi uno pilo arreptum illum quo vo- ] uer0 ve l renuentem, pertraham Est igitur ea positio verissima, si in telescopii usti non spectetur quid fiat, sud quid o rigore geometrico vel ad exactissimam sperici terminationem fieri debeat Seti quoniam et illud addidoram, varia illa tubi contractione nihil offici aliud, n jsi ut instrumentum quidem Romper idem sii, diverso tamon modo usurpatimi, omnino contrario id modo so liabere Galilaeus assoverat. Sic enim ille: “Chiamasi “ Sng., f. 78, 1 . 28. il medesimo strumento esser diversamente usurpato, quando , senta punto alterarlo, * pftg * - 7u » u "< si applica ad usi differenti : e così Vancora fu la medesima, ma diversamente usur- dal piloto per dar fondo , e da Orlando per prender balene. Ma nel caso nostro fuso del telescopio è sempre il medesimo, perche sempre s' applica a riguardar oggetti visibili ; ma lo strumento è ben diversificato, mutandosi in esso cosa essen¬ zialissima, quale è V intervallo da vetro a vetro. Errat tamon, cium anchoram idem instrumentum Rolando ac nautae finisse putat Galilaeus, sed diverso modo usur¬ patimi: errat, inquam, quia instrumenta ex fino specificationem et nomen sor- tiuntur, quae pliilosopliorum vox est. Ita ergo ferrimi, quod ad sistendas naves, ancliora fuit nautae, balenis expiscandis hanuis Rolando finit, ex fine prorsus divemo. Atque ut saepe militibus in lcbotes et cacabos galeae, in lances et pa- tinas abeunt scuta, et prò verubus gladii aut liastao sunt, ita ferrum idem nautis «anchora, hamus Rolando est; id quod etiam in hoc exemplo aptius dicitur, quod hamus, immanibus adeo piscibus expiscandis aptus, ab ancliora nec materia dif- ferrc nec figura possit. Noster vero tubus, vario licot modo usurpetur, tubus [amen est Examen XVII. Vaticinium quoddam, examine 14 ;l1i se editimi, Galilaeus mine tandem eventu probat. Gratulor magno alioqui viro divinum boc donum, nini forte ex iis vatibus unus sit, qui divinant falsa. l*rius f h inquit, solatn ahicctorum distantiam minoris incrementi causavi affirmarat Sarsius; nane, ad productionem contraclioncmque telescopii confugit : quod futurum, sttpra praedixeram. At hoc est loco cedere ac 5) rcceptui canere , mi Sarsi. Dignum piane Tiresia vaticinium ! Cui onim potius similem Galilaeum dixerini, W foia tantum abest a lynceo, ut ncque grandioribus impressa cbaracteribus kgere potuisse videatur? An non vel unus ilio Incus examinis 14 ab eo recitatila illuni falsi apertissime arguìt? an non is totus in eo est ut ostendat, ideo ex [65) ma chi ti ha insegnate tutte queste cose, altri che io? od ora fu me le vuoi opporre, quasi come cose non pensate da me. ^ così ancóra fi àncora sarebbe tubus , anche se se ne facesse una cerbottana. 53 & Sag., f. 79, 1. 26. [pfiK. 271, lin. 5) VI. 420 LOTI!AKIl BARRII « Libra Astro»., f. 16, 1. 25. [pag. 128 , liu. 1 o 80g.] raaiori rainorivo distantia maius minusvo obiectorum incrementum oriri, quia iuxta distantiae raonsuram, contraili produciquo postulat instrumentum ? En, illum recitari iterum iuboo: a Asservivi us, obiccta tubo optico viso, quo propinguiora fuerint, eo augeri magis, minwt vero quo remotiora. Nihil verius. Galilaeus negat. Quid, si fateatur? Quaero anni ex ilio, cum tubum illum siwm et quidein optimum in manus acccpcrit, si forte rem intra cubiculi aut aulae spatia inclu¬ semi inlucri voluerit, an non is longissimc produemdus sit ? Ita est, ait. Si vero rem longe dissitam c fenestra eodem instrumento spedare libuerit, mtrahm- dum illico dicci, atqtic ab immani illa longitudine breviorem redigendum in formavi. Quod si produci ionis huius coni rad ionisque causavi quaesim, ad mi- io turam utique ìnstruinenti recurrendum erit ; cuius ea conditio est, ut ad propin¬ guiora intuendo, ex oplicac principiò, produci, ad remotiora vero spedando contraili, postulet. Cum ergo ex productione et contradione tubi, ut ait ipse, necessario oriatur maius minusve obiectorum incrementum, liccbit iam mihi ex bis huiusmodi conficere argumcnium: Quaccumque non alitcr quanti production tubo spedati postulami, necessario augcnlur magis; et quaccumque non aliter quam contrudiore tubo spedati postulant, necessario augcnlur minus; sed pro¬ pinqua omnia non aliter quam produdiore tubo, longe vero remota non aliter quam coniradiore tubo, spedati postulant: ergo propinqua omnia necessario augcii- tur magis, longe vero remota necessario augcnlur minus. Hic ergo locus ilio ai est tM) , ubi confidenter adeo in sola obiectorum remotiono minus eorumdem incre¬ mentum repositum a me asserit Galilaeus. Rine suao vatioinationis prima ducit rudimenta; nempe ego sum, qui perpetuo in alienis dictis exponondis mentior, qui non dieta prò dictis allego, qui mihi quae oppugnem contingo; Galilaeus vero, verax perpetuo vates, colliniat semper. Mirum sane artificium ! Dixeram, longe posita minus augeri quam propinqua, [67] non è questo il luogo ; ma è nel fine del Problema, dove, senza mai pensare non che parlare di allungamento del telescopio, la causa del più e meno ricrescer gli oggetti tutta si attribuisce alla mag- gioi’e e minor lontananza, e, quello che ò il punto, si dice cho le ^ * fisse non ricrescono sensibilmente (cho è il medesimo che dire, non ricrescono niente), mentre che esso ricrescono quelle 100 e 1000 e più volte che ricresce il (*) la 3 6 tutti gli altri oggetti che si ri¬ mirano col medesimo strumento. E qui vi potete, Sig. Sarsi, sbattei quanto volete, che sempre farete maggior la vostra balordena , « tutto quello che dopo avete scritto di vero in questo proposito, 1’ aveto imparato da me : ed ora, in cambio di ringraziarmene, voi reste far apparire il balordo me e ’l saputo voi. ratio pondeuum librar et SIMBKLLAE. 421 pia ad illa tulnis contrahitur, ad haec produciti»-. Sed cura positio liaec longior aliquanto esset, quam ut illam totam simbolln tam cxigua caporot, socanda Sim- bellatori fuit in parte», quas seiunctim expendcrct. rrimam igitur partem examini primum admovit, hoc est oa verità : minus Unge posila augentur, quatti propin¬ qua, cuin subito, fin, a inquit, Sarsius in sola distaniia causam minoris incrementi " Sag., f. 71, 1. 21. re p 0 nU ; sed distantia causa est per accidcns ; acquivocat ergo a causa per accidens l|,a8 ' 264 ’ 28 0 sog ] ad causam per se. Mox partom altoram simbellae imposuit, hoc est tubi productio- nem contractionexnque examinavit, atquo illico exiliens, Un, 4 inquit, Sarsius loco h Sa 8-> f - 70 > h 36. calti et receplui canti, alìasque nondim allatas minoris incrementi causas affai. ^ im8 ' “ 71> l '"' io Arguto profecto ! At si grandior aliquanto fuisset ‘umbella, ac totius positionis siroul capax, advertisset Galilacus, causam simili remotam ac por accidens, hoc est distantiam, et proximam ac per se, con trac tionem videlicet tubi, a me allatam. Sed nimirum perinde fecit atquo is, qui solus in pugna relietus, gemino adhuc hosto superstite, astu (quando alitor non poterat) nunierosum hostem seiunxit, quo fa- cilius cum singulis pugnaturus utrunique confoderot. Sed liic non astu pugnatili-, sedrationum pensatur pondus. Tu ergo ne diviseris, quae a me simili prolata sunt: sic enim me nunquam loco motum, sed meo semper in gradii stetisse, comperies. Caeterum ubi dixi, c Magistrum meum, cum in suo Problemate ex pari in- e ^ng., f-80, 1.31. [pag. 272, liu. 3] cremento intulit parerti planetarum et cometae remotionem, non tam qnaesisse so incrementi causam, qxiam eflectum ipsum, nil alimi volili, nisi ipsuin eo loco non multum laborasse, essetno rlistantia vera ac propria minoris incrementi causa an non, nihilque voluisse demonstrativc ac voluti per causas statuere, sed ex quadam tantuinmodo apparentium aspectuum similitudine probabiliter similem arguere obiectorum distantiam, sive illa causa vera esset ac proxima, sive saltelli vcrae ac proximae, ut plurimum, aimcxa. Ut enim, cum oris lineamenta similia acpeneeadem in pluribus intuemur, probabili quadam coniectura ducimur ut suspicemur, iisdem illos parentibus genitos, ncque perperam nos id coniecisse quis dixerit, quod ea oris similitudo diversissimis etiam natis parentibus saepe con- tingat ; ita ex ilio cometae ac siderum simili aspectu similem prope distantiam » non omnino perperam intulimus, cum id non quasi necessario, sed probabiliter tantum intulerimus. Nihil igitur est, cur tanto studio contendat Galilaeus, e pari luminosorum incremento demonstrative inferri non posse parem eorum distan¬ ti^ 1 » quam non nisi inde probabiliter coniiciinus. Nam, si nihil ex cometa per tclcscopium inspecto inferri potest ad dindoni inter superna illa lumina proba- biliter reponendum, quid est quod Johannes Faber, milii semper aequissimus, opportune canit non olor modo, sed et aquila ac plano lynceus mihi prospicit, ( lum enumeratis reliquis telescopi laudibus etiam illam addit, eius scilicet bene- fcio cometam coelo asserti!in : d Nec dnm finis adest : fnlgentes crine cometae Hoc oculo siduut nobiliore loco? à Sag., in versibus operi praefixis. 422 L0THÀRI1 BARSII Quo eiiiin alio modo ni bioscopio accrptura referat cometa, quod siderum uobi- liore loco donatu* >it, nini qui i e iioIhh pari rum aiti ori bus incremento mon- stravit? An ot buie sibi amicissimo ideo buccenseat (Jalilaeus, quoti eius durn laude* peraequitur, ineis r aequionni rebus osteiulerit? Caetera buiusexaminis lcvibbimu bunt, uni «imboline pen*auda. Examen XVIII. Miro luictonus artificio, quae diuul a me prulata fuerant, seiunctim expendit Simbollaior; nuuc separatila a me dieta, qu.ud iuncta sugillat. Cum enirn dixissem, ex Sidereo Nuntio uudn> e me, inter corintia lumina quaedam propria luce fui- pere, hoc e*t Solem ar lixa in tiriuainento Riderà, alia a Sole lumen mutuari,io hoc est Pianeta* ; inox, alio voluti gradu facto, addidissem, obaervattim praeterea ah codoni Galilaoo, strila* maxime inane illud lucis coronamentum adamasse, pianeta* vero, Lumini prae^ertim, lovcm at4|ue Saturnum nullo fere huiusmodi fulgore vestiri, Marti ni tu toni, Wneroin atquo Mereurium, ex Sobs viciaia, ratte « Sng., f.B4, 1.26. saia Ulani >tellaruin ve^tem et >vintillationem otiam imitali; respondet, fl mentiti [p.g. 2 . 1 , \m. 9 « u*.] nunQ q U(J q Ue , n0 dum baco omnia ah se in Nuntio Sidereo dieta pronuncio; solavi Lunam tUionsam sibi ci orinivi «empir /visse; plandas vero reliqm d fixa siderOy cornata. Seti, priinum, nec ip e quiilcm asserui, omnia haec ex Nuntio Sidereo haberi, • «ed illud unum, coelestia scilicet inter lumina, quaedam propria, quaedam Solis 20 luce, fulgore; enotera nliunde me Imbuisse protitoor: ex hac igitur parte nihil mentior. Quamquam, si ad Sidereuui Nuntium illas quoque Epistolas spectaredixc* . rimus, quibus Solis maculai ac enotera omnia ah so in coelo observata prose- quitur (quid enira nuntii uomon sibi n» quius vendicet quam epistola?), lutee omnia ex Nuntio Sidereo Imbuisse me dix»*riin. Est autom quoti Keplero etiam hoc no¬ mino gratias again, quod inibì in nummo discrimine laboranti manum atquearma opportune porrigat. Nunc igitur Cialilaeuin ipsum, in epistola ab eodem Keplero in praefatione suae Dioptricae ed ibi, loquenteni audiamus; in qua cum pnus affìrmasset, stella* propria luce fulgore, quod ad eas Solis lumen, utpote remotis¬ simi, pertingere nequeat, ita porgit : Il principale fondamento del inio discorsoci ndV osseri are io malto evulnricmenic con V occhiale, che quelli pianeti di mn0 1,1 inano che si troi ano più ricini a noi od al Sole, ricevono maggior splendore e p illuslrementc ce lo riverberano (ex Solis igitur vidnift illustnus splendent platìetae et micant acutius; idque probatur Marti* exeinplo): e perdo Marte perigeo, et noi vicinissimo, si vede assai più splendido che Giove, ben che a quello di mole ossei queste mentite voi le portate troppo spesso, mentre il Galileo non fa tro che negare una proposizione. BATTO rONDERUM MUR A E KT STMBEI-LAE. 423 inferiore, c difficilmente se gli può con V occhiaie levare quella irradiazione che impedisce il vedere il suo disco terminato e rotondo ; il che in Giove non accade, r adendosi esquisitamente circolare (Iuppiter ergo ralvum so ostentiit, et minus radiati' Saturno poi pei- la sua gran lontananza si vede esattamente terminato, si la stella maggiore di mezzo, come le due laterali jnccioìissime, ed appare il suo lume languido ed abbacinato, senza ninna irradiazione che impedisca il distinguere i suoi tre piccioli globi terminalissimi (Suturnus ergo, et ipso calvus, ne famuli* ijuidem suis comam permittit). Si ergo Lunae, quiun ultro depilatala et calvam Galilaeus profitotur, Saturnina quotine ac lovem addideris, quos aut dopiles aut io lanuginosos tantum linee ipsa epistola prodidit, niliil falsi asseiuit qui dixit, ex Galilaco Lunam, Ioveni atque Sftturnum. nullo fere huiusmodi fulgoro vestiri. Fal¬ simi tamen is usserit, qui liaco se iiusquam ac nuuquam prodidisso confidentissime asseverat* Ml . Non ergo neget Galilaeus, "Saturaum ac Iovom un- " Sag., f. 84, 1. 25. , *i i [i>nc:. 274, Un. 0 o sog.1 quam ab so inter detonsa smura nutneratos. J Illud quoque addiderani, quando iain tot argumontis noti» constarci, comotam apra Lunam statuenduni, ac proindo quasi tomporarium planctam habonduni, si veruni praeterea id esset, corpora seilicot Solis luco fulgentia quanto minus ab Solo abfuerint tanto fulgero clarius, mirare fortius, cum idem fero hac ex parte cometae quod Mercurio contingoret, hoc est non multo minus radiarot, 20 eunidein etiam non multo remotiorern a Solo statuondum. Sed obiicitur primo, Id a 'vie prius statnlum esse quasi certum, quod crai prò- b Sag., f. 81, 1. 20. hmdum, cometam scilicet coclestem esse et Soli proximtm; inox inde celiavi ei a ^ pft? * “ rl * lin ' ^ Soie distantiam assimilatavi, quod est ipsant concìtisionem supponerc , non probare . Sed falsum est, id a me quasi certum poni quod crat probandum. Illud a ino adversus Aristotelom poni tur, cometam sublimami! flammam non esso, quod ncc ipse Galilaeus ex parallaxi a nobis observata evidentissimo demonstratum nega- verit: E finalmente il volerla mantenere uno abbruci amento, c costituirla sotto la Luna, è del tutto impossibile, repugnando a ciò la piccolezza della parallasse , osser¬ va da tanti eccellenti astronomi con diligenza esquisita : ac propterea illuni quasi 30temporarium planctam habondum statui, quod etiam ex similitudine non una, quae inter ipsum et planetas intercedi^ probavorani. Hoc deincle posito, ex quan¬ di 6 radiationis certam a Sole cometa© distantiam comici posso existimavi. Non ergo conclusio ante principia posila est. Sed obiicitur secundo, nulla in re comotam se planetis similem praebuisse, ^proinde nihil fuisse cur ex bac similitudine temporariufl haberetur pianeta. 'hmquid enim simili, fulsit splendore? inquit: at quod lignuin , quacnubes, quac tfipuh, Solis imbuto, lumino, non aeque rospiendeat ? Ego vero, si una cum turno c Sag., f. 85, 1. 2. [pag. 274, lin. 22J f^sum asseris tu : ego enim non dixi, me nusquam aut nun- tiuarn dixisse etc., sed tantum in Nmicio Sidereo. Vide verba mea. 424 LOTHÀRII 8AR8II fumantia quoque Ugna ad Solein usque pertingerent, indegne nobis pari cum pianeti» splendore fulgerent, si rotunda praesertim constarent figura, ac proprios cierent motus, nisi oliunde milii se Ugna proderent, planotas dicerem. Sano si Galilaeo credimua, si quia o lunari globo Terram despiciat, liane quoque planetani Luna clariorem dicturus est. Si quid igitur rotundum supra Lunara collocatum Solis splendore diu luceat, ao certo proprioque agatur motti, id ego planetamassero. Cum ergo huiusmodi fuerit cometa, nih.il mirum si instar planetae habitus sit Sag., f. 85, 1.19. Sed “ncque planetarum motum imitaius cometa est , inquit: ncque cnim iitqm ( P Ag. 275, Un. 1) cadevi , ncque in orbem progrcssus est , ncque ullum denique ordinem in motti sonavi!. Non iit qua cucin i. Sed si vini vocis simbolla sustinet, voi ex hoc uno se io magis planetam probat, quod erravit. Sai ncque orbem mota descripsit . Hoc vero tam pronum est negare, quamaffir- raaro: utrumque enim cum mota in linea recta apparente stare potai Si tamen non (minino orbem descripsit, fecit quod planetarum nonnulli sibi licere voluerunt, cum ne ipsi quidem lineas circulares doscribant, sed alitar curvas. Sed quid , quod nullum in mota ordinem scrvavit ? Iluic Galilaei diete omnes omnino omnium observationes repugnant, ex quibus constat certis semper proportionibus cometae motum decrevisse. Quia ipsemet, nisi cometico illi Discursui repugnot, idem fateri cogitur, cum in ilio motus come- * Fig. 8. tici partes fc S(), ON, NI, IF in recta linea DF aequales ponantur, et anguli visivi * certis proportionibus docrescentes. linee de splendore ac motu. Sag., f. 85, 1. 2P>. Sed c nutnquid materìam planetis similem sortitus est cometa? At illorumqmim h ,a £* ,m - *1 solidam ac durata csse t fortuita et stabilis figura vel ad sensum prodit ; liuius vero, hoc est cometae , fluxam atque instàbileni, confusa et indistincta facies persuadi Esto sano fluxa ac labilis cometarum materia : nego tamen inde apte inierri, illam a planotarum materia diversnm esse, quamvis illorum stabilis ac perpetua sit. Certe si crystallus ex aqua concrescit, aqua est non minus quam glacies; haec tamen Solis calore liquescit, illa fervot impune et micat ardentius. Argilla incocta, ac Solis tantum durata fervore, ubi immaduerit, solvitur; eadem, for- nacis experta calorem, inter maria etiain procellas et undarum reciprocantium 30 motus suam servat figurarli. Potuit ergo eadem esse cometarum et planetarum materia, maneant licet hi, solvantur illi. Sag., f. 85, 1. 32. Iam, quod figuram attinet, fuit haec cometae rotunda atque distinct-a. Negai [png. 27 o, im. io] Galilacus. Neinpe illi integrum ampliits id non est; iam enim disertissime affir mavit. Nimirum id illi nunc recte conducit; at inox, ubi discrimen se evasisse putaverit (namque et me iuvat vaticinari), disertissime id concedet. Atque ut vaticinimi! evadat illustrius, locuin, pogellam ac lineam, verba etiam ipsa, prae g., f. 103, 1. 33. signabo: ( Ma si può ragionevolmente creder che la cometa sia un simulalo intero , mg. 288 , Hn. 2 fi] e non rtmtilato c tronco (Solis scilicet) ; chè così ne persuade la sua figura regolai e con bella simmetria disegnata. Si ergo cometa fida atque integra Solis imago e , RATIO PONDERI)U LIBltAE ET SIMBELDAI’.. 425 et cii'cinatus et cincinnatila sit Sol, erit et cometa crinibus quidem longio- nbas ornatus, tornato tamen capito ac rotando Haeo igitur, quando ita sunt, cometam adeo planetis similem ostendunt, ut non pianeta pictus, «quod Galilaeo videtur, sed verus piane, ai praesertim visus « Sag., f. 85, 1. 35. Ltius fuisset, inerito appellari potuisset. [png ' 275 - 1B] Sei tu, Sarsi, inquit Galilaeus, b Mercurium cum cometa conlulissc te as- i> Sag., f. 85, 1. 35. «ris? «w» consiet Mercurium eumdem totos eos ities solares inter radios ita deli- ^ ,ag ' 27 °’ lil1,16 0 Iute, ut Meri nulla rationc pota erit ? Audistis meram astronoiniae medullam ? Ecquis est qui ex hoc conlidentis- i) simo loquendi modo me Galilaeo piane depraehensum non existimet? At enim pudet me crimen adeo ineptum diluere, quoti ipsis astronoiniae tyronibus falsuin illìco appareat, et in caput statini recidat obtendentis. Dilueiulum est tamen, quando sapientibus atque insipientibua debitor sum. Aio igitur cum astronoiniae magistris, Mercurio visionis angulum assignari graduum deceiu, ita ut quoties- cumque is ab horizonte einerserit, Sole deceni adirne gradibus depresso, tunc con¬ spici possit: primis autem coinetae diebus, hoc est die 29 Novenibris anni 1618, fuit Mercurius in gr. 19.35' Scorpii, cum latitudine boreali gr. 1. 5', Sole interim gr.6.43' Sagittarii percurrente, ac proinde a Sole aberat gr. 17.8'. Ex bis, si bene rationes subduxerit Galilaeus, inveniet in Romana latitudine, Sole 10 adhuc gra- 5 )dibus sub horizonte depresso, Mercurium gradus iam quinque in verticali sopra borizonlem obtinuisse : ex quo liquido intelliget, licuisse tunc nobis per otium et quietem eumdem cum cometa componere, quod audacter adeo pernegavit. Keple- rus certe eimdeni Mercurium die 21 iam yiderat Augustae, hoc est in plaga wagis boreali, in qua eclyptica horizontem secat obliquius, ac proinde diflicilius qiiam Romae conspici poterai Sic enim ipae: e Mercurius apparuit in dura au- c Lib. 1, De tribua m durissime, sed aurorae terminus multo superi or Mercurio, quae non delcbat coinetis, f. 55,1.8. Jferctfmim, délevit reliquum inferius liuius tractus . Tractus hic illi Trabs erat, qoani observabat. Distabat autem tunc a Sole Mercurius gr. 17.44'; erat enim in gradii 10.53' Scorpii, Sole posito in 28.37' eiusdem signi; par igitur semper »foit Solis et Mercurii distantia. Si ergo Keplero videri tunc Mercurius potuit, pount multo facilius nobis etiam die 29, utpote in sphaera rainus obliqua col- (,&1 dalle mie parole non si cava altro se non elio la cometa (inton¬ ando il capo e la chioma insieme) è di figura regolata e disegnata C0n simmetria : dalle quali parole non so ciré altri elio ’l Sarsi potesse cavare clic io abbia voluto diro che il capo della cometa sia Circolare. E questo è quell’ autore elio sì fedelmente interpreta le pa- r °k altrui ! Oltre che, per suo detto, bisognerebbe che il 0, che è iotondo, avesse ancora una immensa coda. 426 LOTI! A RII SARSn a Sag., f. 86, L 12. [puff. 276, liti. 28] * Sog., f. 88, 1. 0. [pag. 276, Ha. 21] Sag., f. 89, 1.15 277, Un. 23] Sag., f. 8, 1.16. [png. 210, Un. 22] locatis. Quia etiam addo, eunulem Mercurìum Roma© degontibus, ex astronomiao regulis, ad diem usque 10 Decembris videri potuisse. « Postremo loco confusionem quaiulain verborum mihi obiicit, quod niminnn ubi non ininus adtnodum dicendum fnorat, non plus adtnodum incauto irrepserit Sed confusionem hanc facile beneYoluB lector excuset, aut etiam tollat, si fa illud expungat, ac tninus reponat, ut sit sensus. Dum cometa ex hoc codoni instru¬ mento idem fere, hoc est non multo maius quam Mercurius, caperet incremen¬ timi ; an non valde probabiliter inferro inde potuimus, cometam eumdem non ininus admodum circumfusi illius luminis admisisso quam Mercurìum, noe proinde longiori multo a Sole digitimi intervallo? contra vero, cum minus augereturio quam Lumi, maiori circumfusum lumino ac Soli viciniorem statuendum? Opportune sane Galilaeus suo praecavit Simbellatori, cui erratorum opuscu- luni (nani pagellas aliyuot inipleverant) in calce assuit [7l b vidit enim, quam latus mihi se campus aperirct ludeiulo ac deludendo aptissimus. Sed quamvis lynceus sit, multa tamen illuni et gravia praeterierunt, quibus opusculum iusti iam operis posset mensuram acquare. Sed lutee carperò eius sit cura: huiusmodi accusatione illud scilicet promeritus est, ut quieumquo benevolo lcctori libros inscripserit,ex oorum numero illuni exemptum velit, qui lingua©, aut etiam calami, apertissima lapsus durissimus censor incuset. EX AMEN XIX. 20 In b hoc exami ne hoc primum nomine arguor, quod quae quasi coniecturas et dubitanter ipsi proposuissent, ego quasi ab iis certo definita impugnaverim. Sed nimirum, qui falsimi aliquid essi' ostenilerit, illuni ego utrique satisfecisse exi- stimo, tum scilicet ei qui dubitanter, tum etiam ci qui certo illud, quasi veruni, aflìrmarat. Sit ergo Galilaeus utor libuerit. N line ad rem ipsam. Dixerani, ex Tyclione ac Tbadaeo Ilagecio, tam multis argumentis, ac prac* sertim suae splendore lucis, naturam simili cometam prodidisse, ut quicumque illuni attentius inspexisset, ex verissimorum collatione luniinum indicare facile posset, fictumne esset an veruni quod cernerei. .Ego c vero, inquit Galilaeus, non (ideo me lynccum ayiiosco, ut si solis oculis agendutn sii , linee inter se distinguere ® vedeam. Qtiin potius simioìum me illuni piane profiteor ( d canem se initio, et quidein mollissimi, dixerat : Proteum, credo, vides), qui , cum sitavi in speculo bnagìnent intuetur , c erto credit alium se latore post speculimi, nec unte falli se intelligil* guow saepius ad gnu eli um suum curiosius perquirendmn nequicqiuivi accurw il. ,s aurora; sì che se la cometa si distendesse , v. glungo l'oriente nel condor ddValba y mentre il Sole non fosse lontano dall ’ orìzonte più di G o vero 8 gradi , ella senza dubbio jdno» si disamerebbe 4 , per esser manco lucida del campo suo ambiente. Quae si suas digerantur in partes, has ferme proposiiiones continent: Prima, materiam cometarum non esse eamdem numero cum materia aurorae et crepusculorum, sed rariorem inulto et subtiliorem ; Secunda, materiam hanc, quanto rarior fuerit, tanto minus lucere ; cum eius raritas probetur ex co, quia minus splcndet; Tertia, cometam aurora et crepusculinis vaporibus minus lucidum esse; Quarta, cometam in aurora et crepusculis non apparerò, quia ab ambiento lucido splendore superatur. Hic vero quot dieta, tot errata censentur. In prima propositiono quasi in ter 20 se opposita ponuntur, non esse eamdem numero materiam, sed rariorem multo ac subtiliorem ; cum tamen maior vel minor raritas individualem substantiae rationem mutare non possit, cum accidens sit. Sano cera, eadem numero, calore rarescit, concrescit frigore; aqua ebullit eadem, subsidit eadem; fumus ipse, dum asccndit, idem perpetuo rarescit magis. Ilaec uriivorsim. Illud ex Galilaeo ipso : e corporibus odoratis multa emanant corpuscula; haec, dum magis ac magis rarefiunt, domos ac vias implent; sunt tamen eadem semper numero corporis illius odorati substantia. Potuit ergo cometae materia rarior multo ac subtilior esse quam materia crepusculorum, quamvis ab illa ne numero quidem differret. 30 Secundam positionem milii interim sepono, usui milii alibi futuram. Tertiam vero et quartam sinuil expendain ; quarum postrema praecedentis fundamentum esse videtur. Ex co enim quoti cometa in aurora dispareat, infertur rarior eius ma¬ teria, ac proinde etiam lumen debilius : nani nude Galilaeo cometam lucere minus constai, nisi quia in aurora ipsa disparet? Neque enim video, quonam alio ex capite coniecerit. Veruni ex hac argumentandi forma, si ea admittatur, haec panter inferre licebit: disparent in aurora stellae ; bae igitur rariori Constant materia, et lucent minus, quam aurora 1741 : planetae omnes, praeter Lunam, in non ò vero che le stelle spariscliino nell’ aurora. Sparisce la capellatura (e questa risplende meno), e non il disco della ;a|c : il che 430 LOTIIARn 8ÀR8II « Sog., f. 01, 1.10. [png. 278, lin. 35| 1 Delle macchio del Sole, f. 13, 1. 2. [rol.V, pag. 97, lin. 20] crepusculis clarioribus lalcnl ; ergo rariores et ip.si sunt quam vapores crepuscu* lini, et languitimi micant: con tra vero, quaelibet candela© ilamma, sui interiectu planetas et stellai videri non patitur; liaec igitur fiamma planetis ac stellis densior et lucidior est' 151 . Novimus tamen, si vera fatori velimus,densiorcs longe planetas esse, ac proinde orepusculinis vaporibus clariores: nam densiorcs illos alquo opaciores ex co colligimus, quod lumen non transmittunt, sed ea tantum parte splendent qua Solem rcspieiunt 1 " 1 . Quod si densior planetarum materia est quam crepuseuloruni, clarius illa splcndescet quam haec, cum ex secunda propositione constet, luminosorum materiam quanto rarior fuerit,tanto debilius radiare. Si ergo nihiloininus non comotao solum, sed etiam planetae in io aurora disparcnt, aliunde liuius ratio petenda est, non ex eo quod luceant minus. Falsa igitur est ea illatio : in media aurorae luce cometa disparet; ergo luci- dior aurora est quam cometa. Quaero enim, quaenam aurorae pars ea sit, cuius splendore comotao lumen obruitur. Àn forte illa quue ipsum comotam videtur ambire? id enim significare vidcntur verba illa‘: "per esser ella manco lucida iti campo suo ambiente. Sed ambiens lucidius non obstat quin partes minus lucklae videantur : nam solares maculae, et ipsae, si Hìalilaeo credimus, lucidissimac, in lucidiori tamen Solis disco distinctissime dignoscuntur. Quin et lunare» maculae luci» non modicum liabcnt ; at niliilominus in eadem Luna lucidiore conspicuae sunt. Idem, ut esempla desint, ratio ipsa persuadete Si enim ambiens lucidius sit, quidquid in eo lucidum minus statutum fuerit,vel ipso lucÌ8 defectu bo prodet. Dixisaet saltem Galilacus, ideo cometam in aurora ò manifesto, perchè, secondo elio 1’ aria si va schiarendo, la )|c si mo¬ stra minoro. spariscono le stelle nell’ aurora per la piccolezza, e non perchè sieno men lucido: o che ciò sia, non solo nell’ aurora, ma per tutto '1 giorno si veggono riguardandole col telescopio, che l’ingrandisce; e Venere stessa si vede tal volta di mozo giorno, con 1’ occhio libero, più lucida dell’ ambiente. Ma la cometa, essendo grandissima, non può sparir per altro se non perchè sia superata, o vero pareggiata, » la sua luce da quella dell’aurora. 1151 è sicuramente a noi più lucida ; giù che al lume di una sola piccolissima candeletta leggerò lettere, che tutte le stelle del cielo c 10 volte altrettante non mi renderebbon lume a bastanza. 111,1 metto il denso e 1’ opaco come condizioni che vadino in con¬ seguenza 1’ una dell’ altra : o così la cera sarà più densa del diamante. In oltre, ei raccoglie il non trasmettere il lume dalla densità, che è falso ; perchè il vetro è denso, o pur trasmette il lume. RATIO PONDERUM LIBRAR ET SIMBELLAE. 431 confundi, quod par utrique sit splendor ; tane enim, si id veruni esset, lucis illa parilitas lucida adeo simili» internosci non sineret. Non ergo ambiens lucidiua o listare potcst. Sed nunquid obstabit illa aurorae pars, quae oculum et cometam interiacet ? Nequaquam. Nani ex altissimis puteis, vel in ipso meridie, stellae oonspiciuntur, eodem tamen vapore lucido oculum inter ac Riderà interlucente, An non " Galilaeus ipse, diem integrum, Iovem tote coelo fugitantem telescopio «Sag., f. 220, 1.8. insecutus est? et tamen inter Iovem et Galiluoi oculos, ctiam telescopio armatos, lr " fc '- 803 > Uq - 23 J idem ille perpetuo fulgebat vapor, qui inermibus ac -midis oculis intuenti Iovem cuiudem tegere videbatur [J7J . Nimirum, Galilaee r vis nosse uter clarius fulgeat, io <”) Voi dite grandi spropositi. Voi sete sul voler provare come il mezzo più lucido non devo occultar un oggetto mon lucido, e che la cometa, se fusse men lucida dell’ aurora, pur come tale dovrebbe ve¬ dersi; che come tali si veggono le macchie del © o della ©. E prima, fuori del caso ò il dire : « I pianeti si veggono tutto ’l giorno, nè può l’ambiente intermedio occultargli » ; e questo è uno spropo¬ sito, perchè questi si veggono come più lucidi del mezo, e noi trat¬ tiamo del vedersi i più oscuri. Le macchio del © hanno il campo Incido dopo di loro, e non è il mezo lucido tra esse e 1’ occhio. Le macchie della ©, che sapete voi che non venghino offuscate e total- 3)mento celate dal mezo, che forse è più lucido di loro? forse perchè le vedete? ed io vi dico che può essere elio il mezo sia più luminoso di loro, e che come tale co lo occulti, e che ad ogni modo noi lo vegghiamo, ma in virtù delle parti più lucide della medesima ©, in relazione alle quali lo men lucide si distinguono : levate le lucide o lasciate le fosche solamente, o se allora si vedranno, potrete diro che ’l mezo non le occulta. Ma però questo sarebbe senza vostro profitto ; perchè io subito vi direi che si veggono perchè sono vera¬ mente più lucide del mezo ambiente. Il Sarsi ha creduto die il mezo possa egualmente occultare o lasciar visibili gli oggetti, tanto i men «lucidi quanto i più lucidi di sè : il che è falso; e per cavai’lo di er¬ rore gl’ insegno (ben che a persona ingratissima) il modo da chiarirsi, come gli oggetti più oscuri, e non i più chiari, possono restare offu¬ scati. Osservi una mattina avanti giorno la ©, quando sia sottil¬ mente falcata ; vedrà il resto del suo disco assai lucido, per lo splen¬ dore contribuitogli dalla Terra : séguiti di osservare mentre l’aurora comincerà a schiarirsi ; vedrà, nell’ illuminarsi il mezo, abbacinarsi d detto disco 3 ro (die pure in sè stesso continua nell’ istessa chia- 432 LOTHABII S ARSII vapor ne orepuaculinus an cometa ? tantum lucidi illius vaporis in iudicium advoca, quantum so tilii estendit cometa, ut sint mole parca ; sio enimintelliges quanto cometa Bit clarior. Hoc autom egregie praestat telescopica, dumperexi- guani lucidi vaporis portoni demittit ad oculum. Ego sane id ausila affirmare si eadern so molo ostenderent stellao qua Luna, nullius unquam aurora® ac nè meridiei qiudem, luce extinguemlas. Luna enim, quamvis hebotiori splendore fui- gcat quam stellao, toto conspieua die candicat; quod non splendori, seti magni¬ tudini acceptum referL Nihil igitur mirum, si exiguae admodum stellao, quamvis lucidissimae, totius aurorao splendore obliterentur l78j : quibus tamen si pari molo eiusdem aurorao particulao conferantur, lungo obscuriores deprehendantur. io Ex his igitur inulto vorius atque aptius hoc inferas : ex puteis altioribus atque etiam ex aperto loco, telescopii beneficio etiam in meridie spectantur sidera; ergo lutee clariora sunt omni interiecta materia. Atque haec fortasse altior ali¬ quanto ac profundior erit idiilosoplinndi ratio. rezza, e più tosto realmente 1’ accresco), sin elio 1’ albore circunfusosi ridurrà puntualmente simile a quello, ed allora si perderà la vista di esso disco: e ben che l’ambiente séguiti di illuminarsi più e più, ed in conseguenza a farsi assaissimo più chiaro del disco, non però vi si scorgerà egli mai più come più scuro, ancor che la falce ap¬ parento ci sia scorta a corcarlo con la vista. Ma che? la 3 prossima» a entrar sotto ’l © non si vede, e, più, quella sola parte di lei die sia congiunta col© apparisce negrissima, o ’l resto, che rimane fuori del disco solare, non si vede punto. So il Sarsi avesse osservato non solo con gli ocelli (lolla fronte, ma con quelli della niente insieme (conio egli dice di me), elio i pittori nel dipigner paesi, di mano in mano che vogliono imitare lo montagne più lontane, le fanno simili al colore dell’ ambiente, sì che lo lontanissime si accennano appena distinto dal mezo, arebbe imparato corno il mezo diafano, secondo che più e più si profonda, più o più tigne gli oggetti opposti del suo colore, e così i monti lontani doventano azzurri e chiari, ben che » realmente sieno così oscuri come i vicinissimi ; ed arebbe inteso elio 1’ azzurro del cielo non è altro che il color dell’ aria vaporosa inter¬ media, etc. 1781 ma la cometa è una mole incomparabilmente maggiore di o $ veduti col telescopio ; adunque non per la piccolezza si peidt. RATIO PONDERUM LIBRAE ET SIMBELLAE. 433 Examen XXI. Oinissa 11 vocali fabula, GXftggGiftiulo volinomi t autuni adhibita, si quid ego in liac Librae meae parte dixerim, quidque sibi maxime impugnanduin foret atten- tiu9 inspexisset Galilaeus, li and ita longum instituisscfc examen, ac brevius multo reni totani absolvisset. Sed nimirum, cum simbellator inultus in nummi alicuius ^pensione fuerit, id ipsum argumonto est, aut niliil aut vix quicquam iusto deesse ponderi. Suimna igitur meae argumentationis haec est, qua comctam ex fumidis va- poribus sive exhalationibus constare non posse contenderai». Imagines rerum io distinctae atque integrae ex laevibus tantum ac politi» superficiebus redduntur ; at cometa, Galilaei iudicio, Solis imago fuit integra atque distincta; ergo ex superficie aliqua laevi ac polita remitti debuit: sed vapor rarus aut fumida exlia- latio neque laevcm ncque aequalem liabent superlìciem ; ergo ex bis cometa remitti non potuit. Haec, inquam, sunnna est ratiocinationis meae; in qua si maior primi sillogismi admittatur, cui reliqua maxime nituntur, cum minor etiam ex ipso Galilaeo sit vera, consequentia negari non poterit. Antecedens porro ftdncxi entbymcmatis haud erat probatu difficile, tuin quod lacvor omnis ac poli¬ tura ex unione ac constipatione partiinn existat, quae in huiusinodi fumidis ma- teriis desideratur ; tum vero maxime, quod experimento constat, nullam ex bis 20 directe oculo oppositis distillatala atque integrai» imaginem reddi. Ex bis autem ultima consequentia necessario inferebatur. Quare satis erat Galilaeo primi sil¬ logismi maiorem propositionem, aut antecedens subsumpti enthymematis, falsimi estendere, ncque ulterius illi laborandum erat. Nihil igitur iuvat, imagines ex 1 aquis speculis ac roridis vaporibus remissas adducere, cum de bis nemo ambigat; nihil item, imagines 'mutilas, dispersas atque informes, etiam o nubibus, nebulis, rarioribusque fumis, proferre, cum nos de integris, distinctis atque affabre deli¬ neata loquamur, qualis haud dubium fuit cometa. Si ergo ex hoc examinc ca tollantur quae nihil ad rem faciunt, quantulum tandem id erit quod mi hi expen- dendum relinquetur ? Videamus igitur, quid e tanta rerum, aut potius verborum, turba dictis meis opponatur. llaec erat propositio dilueiula: Imago integra atque distincta non nisi ex laevibus corporibus recidi tur. ll Parclia, inquit, quae integras Solis ima - ifìnes referunt, eorpora rarissima sunt , sicca et nullius Lievitaiis [7J] . Lignea dùiua legala, oblique impecia , imagines rerum> alteri eiusdem estremo applica - fauwi, integras atque distinctas reddi t. S Vapores a Sole e pari elibus e due ti, ci qui Vt u ^ cro punetis estremo oculos statuai , imaginem alteri us ex ad verso adventantis J non è vero che sia tal parola nel Saggiatore. a Sag., f. 94, 1. 8. [pntT. 280, lin. 1] b Sag., f. 97, 1. 21. [pag. 283, liu. 3J c Sag., f. 100, 1. 2. [pag. 286, lin. 9] d Sag., f. 10G, 1. 5. [pag. 290, lin. 24J ' Sag., f. 107, 1. 30. (pag. 292, lin. 6] Fig. 4. /Sag., f. 107, 1. 3G [pag. 292, Un. 11] AM LOTHARIl 8ÀR8II regeruni. Atqui , wec lignea regala laevis est^\ necvaporeslmusmodis «. perfieiem poliiam acqualemve liabcnt: imago igitur integra ex rebus etiam mfo- vitm rcddxtur; quod negai Sarsius. Haoc Galilaeus in summa. At ego, priinum, halonum, pareliorum atque iridum materiam siccarn nul- liusque laevitatis osso, diserte nego, Sidereus licet Nuntius affirmet Aio quippe, humentera potius ac roridam eara esse, ac proinde, quod aqueis omnibus commune est, alicuius laovitatis. Hoc mihi voi illud unum persuadet quod non niai in pluviis aut rorantibua nubibuB irides fiunt, quidquid Galilaeus sentiat; quod halones et parelia pluviarum imminentium argumenta philosophis habeantur, ac propterea ab bis adirne inter impressiones humidas numerentur: io quamquam, quid hic nobis cum baione atque iride, quao Solis integra* imagines atque distinctao non sunt ? Vapores item illi, a Solo e parietibus educti, niliil sunt alimi, nisi liumor quom e recenti pluvia paries imbibit. Hinc crebriores a pluviis et donsiores eztrahuntur. Ili igitur, cura a superficie parietis non multimi discedant, sed eam quasi lambentes ascendant, aliam quasi superficiem eidem parieti voluti superinductam constituunt, sed humentera et nonnullius laevitaiis; quao licet tanta non sit, ut o directo spoetanti eius reddere possit ixnaginem, oblique tamen intuenti reddit alienam : quod ut fiori possit, ex ligneae regulae, oblique etiam inspectae, explicatione constabit. Aio igitur, ligneam regulam, seu quameumque tabellam, si dolata probe sit20 atque e ligno praesertim duriori constet, oblique inspicienti laevissimam esse; ac proinde nihil mirum, si integram atquo distinctam reddat imaginem. Quod ut apertius fiat, statuendum illud est, corporum asperitatem omnem aut oztuberantibus particulis, aut al) 8 ceden.tibus introrsum cavitati¬ li u s fieri h,J : sed inacqualitas, quao partium ilio dissidio, poris intersidentibus, inducitur, haec earundem partium constipationo tollitur et laevatur. Nobis igitur planas superficies e directo inspieiontibus, quidquid in poris subsidit elatiorcs parte» dispergit atque seiungit, ac propterea quidquid imaginum in iis pingitur concisum dispersumque diluitur; at vero casdcm superficies oblique speculantibus, dura quidquid cavum est ac depressimi occulitur, nullo so prodente dissidio, da* ^ tiores partes connexao nulloque intervallo seiunctao videntur, et laevorem simu* lant, quo integras reddunt imagines. Caeterum aciem illa aspectus obliquità* iallit : quas enim partes liaec ipsa in unum congesserat, directus inox itcìum seiungit obtutus, et cavia iterimi disiuncta lacunulis rarescunt data, sicque, laovore Omni pereunto, dissipatile oblittorantur imagines. Idem etiam evenire videfcur in illa vaporum parietos lambentiura superficie, si oblique inspiciatur, [80) Il Saggiatore dice : una riga di legno non tanto liscia che ci renda direi tamente le immagini. t 811 Conclusione da Graziano. RATIO PONDERUM LIBRAE ET STMBELLAE. 435 laevor enim ille, qui satis non erat ad imaginom e directo remittendam, in illa aspectus obliquitate apparet maior, ac proinde obiectae rei reddit simulacrum. Sive ergo vera sive simulata, semper roquiritur corporis laevitas, ut integrali! atquo distinctam rei imaginem reddat; ac verissima tandem ea positio comprobatur, quae asscrit, non nisi a laevibus ac politis corporibus sinceras imagines remitti posse. Ut enim si quis asserat, cuiusque rei aptam imaginem eanulem, in partibus, magnitudinum situs ac distantiarum proportionem servare debere, quam, cuius imago est, exemplum in se contineat; atquo buie, ut eius dictum lalsum osten- datur, illae obiiciantur imagines, opticorum artificio sectis angulatimque iunctis io partibus compaginatae, quae, cimi forte bine spoetanti cquum ostenderint, mox inde intuenti hominem reddunt ; aut etiam aline immodicissimis membris ita deli- neatae, ut e directo inspectao niliil Immani referant vultus, sed, gcographicarum instar tabularum, marium anfractus, sinuosos portus, montes ac sylvas (quam¬ quam ne liaec quidem probe depicta) ostendant, at vero si in latus abscesseris, atque obliquius semper propiusquQ tabulae eiusdom extremae orno adnioveris oculos, longissimi illi terrarum tractus paulatim contractione mirabili fomentili* in frontem, nasum, mentum ac labra, sinuosi portus ac lacus evadant in oculos, ripisque una cuni adnatis arboribus in palpebras abeuntibus et supercilia, montes mutentur in malas, barba et capillitium existat e sylvis, ac pulchre humani con¬ io dnnitas vultus et venustas e deformi illa linearum textura consurgat ; si Iniius- modi, inquam, obiiciantur imagines, in quibus nulla servali videtur partium ma¬ gnitudinum ac distantiarum proportio, respondendum erit, si obliqui tantum aspectus ratio habeatur, ad quelli solum recta et concinna imago consequitur, exactissimam in illis servali partium omnium proportionem, cimi picturae partes omnes, in illa aspectus obliquitate, iisdom conspiciantur radiorum angulis, quibus re ipsa veri oris membra directe inspicientibus sese ingerent oculis: ita in lignea regula, ac similibus, si obliquissime inspiciantur, illa eadem videntur, quae in corpore laevissimo cernerentur, cum sic in illis nulla partium distinctio, pori nulli cernantur, et aequalem se superficies oculis exhibeat; laevorem enim, qui ^incorporo vitreo, v. g., undique intuenti conspicitur, in ligno, quamvis poroso ntquo aspero, visus obliquitas simulat. Veruni liaec oculi ac rei inspectae obliqua dispoBitio in nostro cometa locum liabere non possunt. In lignea enim regula et vaporibus parietem lambentibus, semper imago rei visae inedia inter rem visam •dque oculum consistit; at cometa, elapsis praesertim primis diebus, inter oculum ac ^°* enì > cuius imago esse ereditili*, nunquam fuit. Obiicit praeterea Galilaeus a sphaerae vaporosae superficiem, quam nec lac- ' em esse n ec humidam, sed siccam et raram asserit, cura tamen stellarum ln ca refractiones producantur. Ego vero spliaeram vaporosam nec siccam nec nmnino asporam existimo ; quin potius aliquara repugnantiam implicare vi- en Ul ^ termini, vaporosum et siccum, cum vapor nihil alimi sit nisi aqua vi. a Sag., f. 108, 1. 8. fpa g. 292, li». 19] 55 436 LOTI! A RII BAR8II attenuata. Quiclquiil autom sit de refractiono, nos de reHoxione integrae imaginis loquimur. Nane quaedam attingam loviter, quae in huius decursu examinis mihi non orimino praetereunda visa sunt. « Sftff., f. 100, 1.2. Priinuni ■ est: ea quae de Solis imagine e mari reddita, sive e tranquillo inte- [j>ug. 285, lin. 9] g ra ac pura, sive o commoto dispersa late atque informi, eruditissime, tamquam quid novum, protulit Galilaeus, mihi quidem iam pridem fuisse cognita; ac de his ipsis publice multos ante annos in Romano Collegio disputatimi, proposito ctiam rei totius emblemato utramque Solis efligiom referente, quae postea pictura parieti aftìxa, ad lume usquo annum tostem se huius veritatis exhibuit. ](l 6 Sng., f. 104, 1.15. Secunduin est: ex 6 Ualilaeo, hoc loco, substantiam aetheream, utpote sumnia (w- 289 * lin. 5) perspicuitatc praeditam, incapaccm refractionum esse; quod equidem veruni exi- c f. 13, 1.4. stimo, Vidotur tamen repugnare iis quae idem Galilaeus habet, e Epistola prima [voi. v, jmg.97, lin. 22 ] j 0 m aculis solarilnis ad Marcum Velserum: Venere, nel suo esorto vespertino , ancor che ella sia di sì gran splendor ripiena, non si scorge se non poi che c per molti gradi lontana dal Solo, c massime se amendue saranno elevati dall 1 oruonte: c ciò avviene , per esser le parti dell 1 etere circonfuse intorno al Soie non meno re- splendenti dell 1 istcssa Venere ctc. Si ergo aetheris partes Soli circumfusas tanti luminis capacos existimat, easdem refractionibus reflexionibusque olmoxias esse necesse est. Viderit igitur Galilaeus, qua sibi ratione constet. Kgo interim verius 20 existimo, caeli substantiam, lumini maxime perviam, nihil ad se lucis sensibilis derivare ; sed quam a Sole aliisque luminosis acceperit, illam omnem, nulla obiecta mora, qua suo fertur nutu, libere euntem dimittere. Tertium. Quoniam et illud addideram obieceramque Galilaeo, Si cometa non ex alia elucct materia, quam e vaporibus huiusmodi fumidis, non in unum globum coactis, sed, ut ipse ait, satis amplimi cauli spatium occupantibus, omniqueex parte Solis luce fulgentibus, quid tandem causae esset, cur ex angusto tantum Sng., f. 104, 1.19. brevique orbiculo spectantibus semper afTulgerot, ,l Qua lege, inquit Galilaeus, wt Ipag. 289 , ini. yj y lw morCì Sarsi , brevissimum orbiculum comctam dicis, quem Pater Horatius, ila- gister tuus, quadrata milliaria 87127 conti nere iam ostendèral? Scis, Galilaeo, s») qua lege, quo more ? eo piane, quo tu Saturnum eiusque satcllites minutissimo^ « Dioptr., f.24,1.19. globulos dixisti, in epistola supra ex Keplero recitata: senza t che impedisca fi distinguere i suoi tre piccioli globi terminalissimi: qui tamen, nisi fsillor,aliquanto grandiores sunt, quam cometa. Saturni certe apparcns area, in media remotione a Terra, iuxta recentiorum mensuras, milliaria quadrata 396859662 compìehen dit, ac proinde coraeticani arcani propositam continet quater millics quingenties quinquagies quater. Illuni tu arcani exiguam atque angustam nominas, solerti, postea in me Cato, quod cometam, tanto minorem Saturno, angustum bieiein que orbiculum dixeriin ? Quartum. Ut probet Galilaeus, iridem non in roridis tantum nubibus gW RATIO PONDERUM LI.BRAE ET S1MRELEAE. 437 «columbarum mihi obiicit colla, in quibus, etiam siceis, eosdein colores intuemur. « Sag., f. 105, 1. 26. Sed meminerit, ideo ine roridam nubcra poscere, ut scilicet laevor superficiei (?“«■ 200 , Un. u] lumen repercutienti adsit ; quod si aliunde laevor idem habeatur, facessere inte¬ rim pluvias iusserim. Plumulae columbarum ac pavonum laevissimis Constant villis atque ad lumen remittcndum aptissimis, noe omnino carent perspicuitate ; niliil igitur mirum, si colores illos pariant. Addo tamen mihi probabile admodum videri, colores illos non fictos atque inanes cum luco nasci, cum luce pariter iuterire, sed stabiles potius ac vcros esse, tura quod ii non nisi in coloratis certa ratione coluinbis visuntur (in candidis enim, io v. g., nulla colorimi varietas cernitur, sed in ornili aspectu unus cnitet candor), tum etiam quod non iidem plumarum atque iridis colores sunt, inumo nec iidem columbarum omnium, nec omnium item plumarum: ut hinc merito suspicari pos¬ sili!, geminis plumulas illas tinctas esse coloribus, quorum alter extimam, intimam alter partem infecerit ; atque bine, 0 diversitate aspectus, modo unum, modo alte¬ rimi gingillatici videri, modo permistos in tertium quendam degenerare : quod etiam in pannis versicoloribus accidit, qui, cum duplici revcra colore constent, utrnmque e vario aspectu reddunt, ac tertium etiam ex utroquo compositum non % semel ostcndunt. Sed b iiraetcrea , quicquid tandem inspexeris , inquit, seti Ugnimi , sm saxum y *Sag., f. 105, 1.29. 20 j ìarticulas in iis quamplurmas dcprchendcs , cosdcm illos iridis colores minntis - li>»s- 290, ho. HJ sinic rcfcrcntcs. At qui particulas easdem attentius inspexerit, laeves omnino illas, perspicuas etiam, ac lumini tum regerendo tum etiam refringendo aptissimas, deprchendet. Quintina. Ut osteiulat, ad cometam producendum non requiri corpus laevis- simae superficiei, En c tibi , inquit, excmplum aptissimum afferò. Vilream suine c Sa#., f. 100 ,1.17. mpullam : huìc tu jringuis alicuius materiac particulain aspergito, quam inox leni t pag ' " J0 ' lm ‘ 0 8Cg ’-* digiti ductu per vitrum dispergas. Iam si accensam candelaia Inde amputine ita obieccris, ut quac ex vitro remittitur hiviinis imago partivi puram partita oblitam attingat ampullam , cgrcgium cometae simulacrum intueberis. Pars enim purior to caput, pinguior barbavi , referet. At quid agis, Galilaee V nondum vides, quam male in rem tuam hoc exem- pluin cadat? Ampullae pars purior caput refert cometae . Esto sane: quid inde? ergono lune infcras, quod e re tua foret, Ergo ad caput cometae producendum non requiritur laevis superfìcies? Non potes, quando oppositum omnino hoc exemplo evincitur. Annon vides te tuia iaculis confici? nimirum pura ampullae superficies laevissima est, et non nisi ex hac caput cometae eniicat^ 21 . t82) Solennissima bestia ! quasi che il medesimo sia dire, che per for¬ mare il capo della cometa non è necessario la superficie tersa, che il dire che nella superficie tersa non si può formare il capo della cometa. 438 LOTHÀUIJ «ARSII Examen XXII. Quoniain igitur ad integram Solis imaginem reddendam laevem rcquirì super- fìciem iam multis ostenderam ; in iinpreBsionibus autom vaporosis, ex quilras co- metani existero miniere visus fuerat Galilaeus, laevor huiusmodi haberi non solet nisi cum, denaiores, aquei multimi habuerint ; minus tunc easdem cometae for¬ mando aptas afiìrinaveram, quod, utpote graviores, eo conscendere minime pos- sint, mule comotae fulgent. Ilis ©tiara illa addideram: quod si quis nihilominus affirmaro audeat, nihil prohibore quo minus vapor aqueus ac densus vi aliqua altius provehatur, ab coque refractio liauc atquo rellexio eometao proveniat (nul- lum enim aliud buie effugiuin patere videtur) ; cum longa experientia comporta , 0 sit, quo rariora corpora fuerint magisque perspicua, minus ca illuminari, saltem quoad aspectum, magia vero quo densiora et cum plus opacitatis habuerint; cum cometa ingenti adeo luce fulgeret, ut stellas otiam primae magnitudinis ac pia- netas ijisos splendore superaret, densior oius materia atque aliqua ex parte opa- cior dicenda erit: Trabem enim eodem tempore, quod oius summa esset raritas, ulbicantem potius, quatn splendentom, nttllisque rudiis micantem vidimila, Veruni si densus adeo fuit vapor hic fumidus, ut lumen tam illustre ad nos retorqueret, atquo, ut Galibieo placet, si satis amplimi cadi partom occupavit, qui tandem lactuin est, ut stollao, quao per lume subiectum vaporem interinicabant, nullam insolitam paterentur refructionem ? Haec ego. ai “ Sng., f. 109,1.10. Scd "negat, primo, Galilaeus, excidisso sibi unquam dictum adeo ineptum, va- [pog. *. 02 , ìm. ,u] p 0reg fic ili cc t aqueos ac densos ad cometam producendum a Sole fuisseelevate. Sed neque id a ino Galilaoo adscriptum ; illam, ni fallor, loquendi formam secutus sum : Quod si quis nihilominus affirmare audeat etc., ubi illud si quis lata, credo, aliquanto patet quam unus Galilaeus. 6 Sng-, f. 109, 1.14. 4 Iiemoiissimum quoque a vero illud est, inquit, corpora scilicet quo rama (i>ag. -'J-, im. u „] j' uerin ( > Mtnus i n speciem illuminari. Nubes certe non minus splendetti quam inontes c. durissimo marmore, sint licct illue saris rariores. Scd meminerit hoc loco Galilaeus, quo de genere corjiorum loquamur, de vapo¬ rosis scilicet ac fuinidis, de iis, uno verbo, quae per aera ac cnelum ipsum ad ao Solem usque pervolunt. Inepta igitur est hoc loco raontium ac nubium compa- ratio 1 ** 1 . Aio igitur, inter haec rapida ac l'umida corpora eorum raritati ac tenui- tati lumen quoque certa proportene respondere, ut, quo fuerint rariora, eo luceant l ’ v)1 Memineris tu quod hoc in loco scribis, materiam cometae den- siorem esse dicendam materia planetarum : ergo, Sarsi, existimas pla- netas ex materia non densiori quain sit nubium vaporum ac exala¬ ti onum materia. RATIO PONDEKIJM MBRAE ET 8IMBELLAE. 439 Mentiar, nisi vox liaeo Galilaei est. An non in supra, examine 20, cometam rariori longe materia constare ilixit, quam aurorali), quod linee longe etiam clarior appareret quam cometa?: La « materia tirile rimate è necessario che sia assai 0 Sor., f. 91, 1, 13.. .. a e sottile che i vapori erepuscolini e che. la materia della detta aurora rpng “' 8 ' lin -«'■«e l Areale atteso che la cometa risplcnde meno assai dell’aurora. Atquo haec illa fuit secunda positio, quam milii ex ilio examine in lume locum seposuoram. Si ergo ex minori cometae luce maior oius tenuitas et raritas necessario, ut ait Galilaeus infertur, constat ad raritatis monsuram corporilius huiusmodi luccm quoque distribuii quod hoc loco negavit Simbellator. Addo tamen, ne id quidera io mihi usqueadeo compertum esse, nubes videlicot quovis monte clariores apparerò, 4 tamen montes pario et candido marmore constent parique aspectu Solis luce feriantur : id ipsum et ratio persuadet. Lux enim, in corpora rariora incidons, multum sui ultra corpus transmittit, ncque tota reflectitur: cum ergo ea tantum pars luminò; ab oculo conspiciatur, quae ad ipsum regeritur, a corporibus autem opacis et densioribus pene tota resiliat, bine fit ut necessario illustrius, caoteris pibus, apparerò debeat opacum ac densum corpus, quam tenue ac rarum. Neque illud admittit Galilaeus, ‘cometam stellis primao magnitudini ac pia - b Sog., f. 109, 1. 25. . r 1 . 1 |»J* |pag. 293, liti. 8J uetis ipsis fulsisse splencimius. Quid mirum? ‘Lcctulo nilìxus co tempore ac decumbens ex morbo, fenestras * Sag., f. 16, 1. 9. «non nisi provecto iam die pandoro solitus est. Testantur tamen lu>c ii, qui primis 225 * 1,u - 1 d illuni diebus, sumnio mane, dubio adirne die, intuiti, lucidioris aurorae aemulum obstantes domorum parietes suo inaurasse splendore mirati sunt. ^Keplerus certe, d Lib. 1 De cornetta, cum eumdem quamvis tantulum inspexisset, eo tamen splendore praeditum adir- ^ lj ’ mavit, ut Lunae vigesimae septiiuae lucera exaequaret: ai quao stella quisve pianeta tantum luminis ad nos romittit? Sed'dcmus , inquit, fumidum densumque vaporetti cum fuisse, ex (pio fulsit # Sag., f. 109 et 110. meta: non tamen Itine sequitur, huius mai crine interpositu ingente# stellarum li>^ r ‘ 2y3 2 * )1 1 refractiones locorumquc mutationes existcre dcbuissc. Jtadii enim, qui diaphanum ìftterpcsitum ad angulos rectos seenni, non refringuntur ; ex quo fit, ut refractiones in spìiaera vaporosa non nisi in maxima ad horùrontetn itici inali one contingant. M cum Sarsius comctarum materinm in plaga remotissima ac proxitnam Soli rtpoìiot, nullae ex illa haberi refractiones potcrunt ; cum , hac rat ione, radii ac H^cies per illuni materiata ad nos pertin gentcs, ad ceninoti rei ufi spJiaerac ten¬ to™ videantur. Cum ergo ìiaee asserii, non satis videtur ini di tg ere quid refractio aut quomodo haec fiat. Noverinole quid refractio sit, quave ratione fìat, aliorum esto iudicium \ nihil mterim id moror. Illud unum satis habeo hoc loco quaercre, an maxima come- bcae materiae distantia refractionem tollere possit. Scio igitur, si materia haec in superficiem Terrae concentricam, non longe ab ipsa Terra, affundatur, refra- ^ctiones non nisi in maxima radiorum inclinatione parituram, quod, ut Galilaeus 410 LOTHÀRII 8ARSII ' Sag., f. UO, 1.4. [puff. 293, Un. 22] Frobl., f. 11, 1. 19. [pag.31, lia. 18] ipae advertit, in sphaera vaporosa quotidie accidit ; atque ubi sidera, v K ^ provecta fuerint, ea so fidelissiuie suo loco ostonsura. Illud etiara interim abi ■ perniiscrim, quod tarnen non sempor veruni existimo, quamvis eadem materia ' superficiem Terrai- concentrica™, sed ab eadom Terra remotissimam, explicetur in nulla inclinatioue, quamvis maxima, refractiones siderum producturam Sei! quis nobulis, vaporibus, aut halitibus levioribus legem liane posuit, ut in aura etiam aetherea, qua© Terra© figurae non attemperatur, Terrae ipsi seni per sphae- rice circumfundantur ? Nos certe liaec omnia, quandiu oppositu solidioris alicuius corporis ulteriori non proliibentur ascensu, in globum cogi videmus M ut iti ne- bulis, nubibus ac fuinis quotidio exporimur. Cum ergo materia liaec cometarum m Galilaeo annuente, ascensu semper recto in altum, nullo prohibente, contendat globatam potius quain in superficiem Torrae concentricam extensain ascendere illuni cxÌBtimeni. Quod si in globum, instar nubium, coacta est, nunquam non refractaria fuisso dicenda est. Globus certo vitrous, quantumvis a Terra remotis- simus Btatuatur, stellaruni radios obliquo exceptos nonnisi refractos transmittet Atque liaec quidem, non soluin quamvis cometae materia remotissima statuatur, sed si non longc etiara a Terra eonsisteret, non solimi in maxima radionun inclinationo ac propc horàontem stellarlim imagines refringeret, sed etiam in ipso vertice. Undo enim nobis balones et parelia, Solo in maxima altitudine posito? Sano vel bine intelligi potest, aut etiara prope vcrticem refringi posse 20 sidera, aut non usque adeo in spbaericam superficiem lmiusinodi vapores expli- cari, ut refractiones parere nequeant. Sed “practerea, inquit, Sursius stellarum distantias inter se tunc a Magistro suo exactissime observatas asserit, cum 4 Mayister ipsc minus exactas suas cornette observationes fuissc affxrmct , quod aptis carcrct instrumentis. Scio, Magistrato meum cometae observationes minus certas asserisse, tura quod instrumentis careret grandioribus, tum vero maxime (quod Galilaeus oniisit) quia nulla liorarum, quibus quaeque observationes contigissent, Inibita fuisset ratio. Sed tanien non est par ratio observationum cometicarum et siderearum ; et facilius nobis fuit, iteratis quotidie observationibus, stellarum inter se distan- ® tias metiri, cum Ime non mutarentur, quam stellarum et cometae, cum lue «al¬ tera quotidie locum mutaret. Negavit igitur Pater Iloratius, cometae ac stellarum distantias exactas fuisse adeo, ut omni care.rent suspicione ; non autem idem de distantiis stellarum inter se dicendum voluit, quas, collatis multorum diernm observationibus, maiori voluti numero testium confirmare potuerat. Nihil igdur a Magistro suo discrepat Sarsius. Ma io veggo distenderle non in globi, ma in falde amplissime e tali che in lunghezza conterranno centinaia di miglia, ma in P 10 fondita forse nè anco Va. ratio pondebum librar et simbellae. 441 Sed videannis, postremo loco, quanto aptius eos arguat, qui caolorum solidi- latera ex eo impugnare solent, quia, si solida atquc in singulis diversa caeli con- slarent materia, et, quod inde consequitur, divorsae omnos porspicuitatis essent, perpetuo stellarum sedcs ac loca multiplici radiorum refraotione mutarentur. >Ermnt hi, inquit, et nulla prontis linee ratio est; quia orlium illonm amplitudo n „Uas jmtitur ad nos imaginum refractiones pertingere, quatnvis superficiebus varine ftrspicuitatis cadi constent. Jpsa tuimque raclorum amplitudo eccentricilaiem sniiiri non patitur fB41 , perindeque est atquc si in munì centro constituti tssmus. At ego, si eccentrici caeli sint diversaeque porspicuitatis, validissimum omnino «rgumentum illud existimo, quod Galilaeo nullum est. Statuatur enim, primo, caeli soliditas tanta, v. g., quanta est vitri aut corporis cuiuspiam durioris atque per¬ spicui; si ergo capax refractionis est caelum, iisdem subiacebit legibus, quibus et vitrum. His positis attirino, Galilaei dictum veruni fortasse futurnni in caelis remotioribus ; at vero in Inumo eccentrici» ingente» adirne rcfractioncs siderum existere posse, ncque horum distantiam tantani esse, ut cccentricitatem sentiri non patiatur [M) . Sit 6 enim eccentricus defercns Lunae cpicyclum FECG, cuius centruin B remotum a centro Termo A semidiametris eiusdem Terrao decem, ‘ut ii statuunt; eccentrici autem ipsius Bcmidiameter BO contineat Terrao semi- » diametros 44. Erit ergo centrimi B a superficie Terrao remotum aemidiame- tris 9. Iungantur centra linea AB, et ad B ducatur ad angulos rectos IB se- cans circumferentiam ECG in C, et per C ex 11 ducatur radius IICI). Dico in peto C ab oculo II nullum sidus videri posso non refractum. Si enim Valeri potest, videbitur radio HCD; sed, si ex trigonometria rationes ineantur, inve- nietur angulus HCB gr. 11.34': radius ergo IIC tantumdem a perpendicu- lari BC declinat : dum igitur ad medium divorsae densitatis et perspicuitatis transit, refringetur ea refractione, quae inclinationi gr. 11.34' debetur, plus roinus, pront densius aut rarius fuorit medium ad quod transit. Huiusmodi autem inclinationi satis sensiliilis debetur refractio, ut ex omnibus opticao magistris ^ constai ; refringetur igitur in C imago siderum: quod erat ostendendum. Atquo Sag., f. Ili, 1. 7. [|>ag. 294, Ita. 20] b rig. 5. « Ex theoricis planetarum. 1851 questa eccentricità è aggiunta dal Sarsi. w voi sete adietro un pezzo. Siano quanti si vogliano eccentrici, anco quanto si voglino corpi irregolari ; quando siano della me¬ desima materia e contenuti l’uno dentro l’altro, non rifrangono: o C0S1 Ul1 pezo di diaccio sregolarissimo, immerso noli’ acqua, non al- * era punto le figure de i corpi posti nel fondo del vaso. Bisogna dunque che voi introduchiate (die gli eccentrici e gli epicicli siano di altra materia del resto del cielo ; cosa alla quale non avete pensato. 442 LOTHARII RAR8II hic quidam rigor adhibendus orit, si ratio tantum eccentricorum habeatur Nani ai epicycli etiam in iudicium advocentur, ridioulum piane est ad eoruin dùrian tiaiu racurrero, quae nullo modo refractiones impedire, ac proinde nulli adiu mento (ialilaeo esse, potest Si enim epicydus Lumie, v.g. E, instar vitreacsphaerae fuerit, in quocumque distantia inter sidera atque oculum reponatur, atellanuu ultra ipsum poaitaruiu radio» obliquo exceptos Barn per refringet. Radiorum autem obliquità» et inelinatio in bis epicyclia non intra terininos 11 aut 15 graduum sesc continet, sed ulterius lungo progreditili-, ut cuicumquo optici* vel medio- criter instructo perspicui uni essi* potest. Quare, si ndmittamus caelos diversae densilatis et perspicuitutis et refractionis capaces, nihil proderit refractionibus io tollendis ipsa oaolorum distantia, saltem in lunari eccentrico atque epicyclisom¬ nibus; ac proinde inest adirne adversariorum argumento vis sua. Sed fortasse non venerant Galilaeo in montoni eccentrici onines atque epicycli, cum audacter adeo nulla» refractiones ex orbium multiplicitate existereposse pronunciavit. Quo* a Sag., f. 100, 1. 28. niam vero hoc n etiam exainine repetit Galilaeus quod supra iam dixerat, vapores (pag.im. il] crepU8cuiino8 lungo clarius mienre quam stella»; monendus ismilii ite- rum est, ne in re Lini gravi sententiam adeo properet, sed suum in Ime re tele- 6 Sag., f. 220, 1.8. scopiuni consulat, a quo audiet, ' lovom vaporibus non solimi crepuscnlinis sed [pace, so», Hn. 3o) iner jfli an £ s etiam clarioreni esse, quando voi in meridiana luce, telescopi! eiusdem beneficio, cernitur. 20 Examen XXIII. En antiquae iterimi recurrunt querela©, et repetita toties accusatio, r Sag., f. 112, 1.13. semel abunde. e Nunquum asseruimtu s', inquit, cometarum materiam eandm esse [pfttr. fi94, Un. 33) materia solarium maeularum. At si non eamdem asseruistis, similem certe ,l Lisc.^ d^.e., f. 39, esse voluistis: d Ansi ili simili sublimazioni di fumi, vapori, esalazioni, odi qual si (i>ag. 94 , Hihi o seg.) sieno a ^ re aitili c leggier materie elementari ctc. [%1] Quoniam vero cometae et solarium macularum materiam sursum ferri ad per- pendiculum dixerat Galilaeus, quaesieram, quid illud posto» esset, quod mate- e ^‘^•riam eamdem in orbem ageret circa Solem. Quid hic Simbellator? ‘Existimt ^ g ' Sarsius , tenuetn ali quam materiam ad Solem usque recto cursu provedaw, ibi a so Sole in gymm agi non posse. Sed linde tibi, Galilace, liaec de me tam absurda Bubrepsit auspicio? An quod quaesieram, a quonam vapores illi, recto semper cursu, naturae duetti, tendentes, Soli deinde proximi agerentm ^l’attributo simile si referisce alle gubblimazioni, e non a i fumi,, vapori, etc. dal vostro modo di dire, che fate la domanda con tanta maravigliai mostrate apertamente di tenere il contrario o di non lo sapere. RATIO PONDKRUM LIBRAR ET SIMBKLLAE. 443 ingyrum? Ergo si quis ex te quaerat, quanam vi ferrimi ad magne tem feratur, crit tibi perinde atque si ferrum ad raagnetem ferri non posso dixerit?Ergo si quis etiam ot illud intorroget, quidnam illud sit quod iridem circinat et colorat, idem tuo quidew iudicio fecerit assorditi, iridem neque in gyruni curvali noe pingi posse? 1 " 3 Immo vero, nisi me inea faliit dialectica, cimi quis rei alicuius causam inquirit, rem ipsam supponit. Si ergo id unum quaesivi, quid nimirum illud esset quod vapores, sursum vi sua tendentes, circa Solein ageret, ex te saltem supposui, illos et nutu suo sursum ferri, ac inox etiam circa Solem rotavi M Examf.n XXIV. io Sud ad geomctricas tandem rationea veniamus, quibus, miserimi me! quantum mihi creavi nogotii ! in quas memet angustias indui ! lmic scilicot armorum generi impar, et adhuc liuius arenae imperitus. Dixeram, si cometa ex app&rentium ima- ginurn genere sit, illum earum quoque naturam imitari debuisse, ut, quam in partera Sol moveretur, in illam obsequenti mobilitato ferretur et ipse. Sic enini iris, corona, et marinis aquis impressa Solis imago, spectra lucis inania, illud perpetuo servant-, ut, quocumque Sol agitar, ilio sequiuitur aut praecedant: quod cuincometae non acciderit, boc saltem argomento illum sese ex inanima simu- lacrorum numero eximere potuisse. Ilio vero, Si 'ergo, inquit Galilaeus, osiendero " Sng., f. 117, 1. 21. metani vani alicuius simulacri mores sccutum, licebit, hac etiam lege, mihi eun- ^ l>ne ' “ 97, lin ' 1G * afa inanimi siimtlacrorutn numero adderò. Ita sane. Sii 1 igitur, inquit, Sol 4 Fig. 6. in H primum, inox elevetur ad G, perveniat deinde, ad F; videbitur, ergo, primum in mari radio AI, inox AC, tedio AD: al si huiusmodi radii non in superficie mris terminati intelligantur, ut voluti Sarsius, sed ad caelum usque, ut par est, pndumtur, respondebunt eiusdem curii partibus L, Al, N; ascendente igitur Sole snpra hrizontem 0, imago sub eodem horizonie acquis passibus descendct. Non ergo in quam partem Sol fertur, fertur et Solis imago. Cornila aulem buie ipsi ottuplo se similem praebuit, dum, Sole in ausimin abeunte, in boream fi exit ; ibi igitur hoc nomine spedrum se inane, probavit. Nae ego in angusto deprehensus valori passim ! per linee tamen ipsa, qune Rifugio, tentabo fugam. Principio quidem, etiam Ino se plus minio exiguam prodit umbella, dura positionem menni longiusculam, in partes tantum dissectam, plu- ribus exauiinibus expendit; at vero si omnia dieti inei verba simili pensentur, 191 Questi son casi e interrogazioni molto diverse da quella elio fate nella Libra. 1801 Or sia come vi piace, e concedavisi che voi domandassi di sa- P er e come ciò poteva essere, confessando intanto di non lo sapere ; 6 ^graziatemi almeno dell avervi io cavato d’ignoranza con tanta a gevolezza, come ho fatto. Vi 444 LOTH A RII SARSII 0 Libra Àstron., f. 30, t 12. [pag. 142, lin. 20] facile constabit, nihil Ilio mihi a Galilaoo obiici, quod ipse milii non propo- suerim, atque etiam, ni failor, diluerim, iis maxime verbis: «Quod si quis forte aliam re/lexionis refractionisve regulam cometis tribuendam existimet , il lud saltem statuendum est , ut , quam semel admìserit motus legem , servet per¬ petuo: videram enim rationein haberi posse tum marinae superficiei BO, in qua imago Solis, ilio ascendente, accedere videtur ad 11, ac proinde in eamdem partem ferri in quam Sol movetur ; tum etiam caeli sub horizontc latentis ON, ad quod si referatur imago, Sole ascendente, illa descendet [9,] . Quare, ut buie occurrerem obiectioni, illa subdidi : Fucrit ergo comctamm lex 7 non Solis motti moneti , sed piane contrario ; ut proinde dum hic in austrum tenderet } itti in io septentnonem aufugerent: debuerant iidem dii , Sole ad septentrionem redeunte , in austrum cantra , propter eamdem rationem , movcri. Ut ergo constet, ne liane quidem legem servasse cometani, in eadem figura persistami^: in qua, esto sane, Sole ex 0 ad V usque ascendente, eius imago descenderit ad N; ergo, ex indiata lege, e contrario, Sole ad 0 iterimi ex F descendente, imago ex N ascen- det ad 0. Cum ergo a die 22 Decembris, hoc est a brumali solstitio, Sol in septentrionem iterimi regreileretur, debuit noster cometa in austrum, undedisces- serat, remeare, ut contrariis motibus, uti coeperat, cum Sole moveretur. Hic ta- men constantissime eumdem motus tenorem in septentrionem servarit: ergo ne Lane quidem inanium siinulacrorum legem sibi imponi cometa passus est ; nihil-2C que proinde tam valido scilicet argumento Galilaeus cvicit. Praeterea, ex eiusdem vi legis id servat Solis imago, ut aequis semper pas- sibus, in casu nostro, cum Sole progrediatur. Spatia enim OL, LM, MN, ab inia- ginc confecta, aequalia omnino sunt Solis gressibus OH, IIG, GF : at in nostro cometa nihil tale accidit. Ilio enim, a suo exortu heliaco ad solstitium usque brumale, Sole toto eo tempore gradibus tantum tribus in austrum dilapso, in septentrionem gradus absolvit sexaginta; ut bine apparcat, quam scilicet mori- gerum aurigae suo Soli se praebuerit. Hic ego nihil profero, quod in Libra mea disertissime expressum videro non potuerit Simbellator, si legisset attentili. Sed fecit fortasse quod solent nonnulli, et obiecta a me mihi, tacitis responsionibus, so protulit quasi sua. Sed enim meos ipse partus agnosco, vel sub aliena veste. fc Sag., f. 118, 1.25. Obiicit, h praeterea, mihi fovmas loquendi, geoinetris inusitatas etminuspro- [juvj. -OS, lui. li] p r j as ^ a me usurpatas : quod videlicet dixerim, Solem propius ad verticem 0 actum, ad nos quoque propius accessisse, hoc est ad verticem mensoris A (nani • » l81] Ma, ser balordissimo, se voi avevi compreso che la posizione scritta da voi non faceva a proposito, ma sì ben la taciuta, pei elio tacer questa e scriver quella ? Ecco delle vostre solite ingratitudini. io vi addito la vostra buassaggine, e voi, in cambio di ringraziai mene, dite che ve lo sapevi prima. # RATIO TONDERUM L1BRAE ET 81MB1CLLAE. 445 (juod ille alh s ver ^“ s dixissc me, idem esse ad verticem et ■ul ccntrum ferri, commentum ipsius est, non dictum meum 1 ” 1 ). IjO- tiuendi tamen modus a me usurpatus usitatissimus est, et si ad geometriao scveritatem referatur, verissimus. Nam, quod ad usum spcctat, Aethiopes pro- j oro gole denigratos dicimus, quia eorum vertici Sol propius imminet. Hiemem practerea aestatemque accessu ad iios recessuque Solis fieri affirmamus, qui accessus recessusque respectu tantum verticis desumitur lwJ . Haec de usu. Id autcm etiam verissime dici, satis ei constabit, qui propositionem 7 libri III Eu- clidis aliquando viderit. Sit " enim Terrae centrimi A, oculus mensoris in su- io perfide eiusdem Terrae sit I), cius vertex E, a quo ad ccntrum ducta sit EA ; sitque AB horizon verus, DO horizon apparens, ac proinde Sol in horizonte appa¬ renti sit in C: affirmo, quanto propius Sol ascendendo accesserit ad E, tanto etiam propius acccssuruin ad D. Ex illa enim Euclidis propositione, linea DC roli- quarum omnium DII, DG, DE, DE maxima est, DE minima, rcliquae maiores seu minores prout maximae vel minimae propiores sunt. Ergo neque inusitatis, neque falsis loquendi formis, usi sumus. Illud autcm, ut aiebam, falso mihi tri- buitur, idem scilicet esse ad centrum et ad verticem ferri. Neque enim punctum B in illa mea figura prò centro Terrae ponitur, scd prò loco mensoris in Terrae superficie, qualis est in ultima hac figura locus D. Neque hoc dissimulare debuit 20 Galileus, cum punctum B ibi in eadem maris superficie, quasi in littore, sta- tuatur. Non est igitur B centrum ; et, velit nolit, idem est accedere ad verticem P>2) Leggasi la Libra, e si vedrà se sia invenzione del Galileo o detto vostro. [mj è g ran fastidio 1’ avere a sbalordire balordi. Il dire « La state è caldo per 1’ accostamento del 0 » è usi tato, mentre per tale ac¬ costamento s’intende l’alzamento sopra l’orizonte verso il nostro vertice. Ma è anco vero e più propriamente detto : « Il 0 la stato si allontana da noi, e ’l verno si avvicina », perchè il verno, venendo verso ’l perigeo, veramente si avvicina, e la state, andando verso l’apogeo, veramente si allontana. Ora, essendo vera 1’ una e 1’ altra 3o proposizione, « 11 0 » cioè « la state si accosta », ed « 11 0 la state si discosta da noi », è necessario addurre or l’una ed or l’altra, secondo ’l proposito di cui si parla. Ma parlandosi di un vero proprio e reale avvicinamento di qualche oggetto, che veramente si avvicini a noi, sì che l’intervallo tra esso e noi si faccia minore, grande sproposito è ’l dire che il 0 ancora fa l’istesso la state, perchè si alza verso >1 nostro vertice, e sarebbe bene a proposito il dire che il 0 la stato •a il contrario, perchè veramente si discosta da noi. Imparate dunque a parlare, ignorante. a Fig. 7. 446 LOTIIÀRJI SARSII « Sag., f. no, L 3. [pii g. 298, liti. 25] 6 Fig. 6. et ad punctura B, hoc est ad mensoris locum. In quem, ergo, rccidit illud; Ad t '(tesar, aiti nihil9 Pergamus ad ultimam obiectorum. Si a imago, inquit, Solem cmcquitur, ergo Sol quoque suam consequetur imaginm. At videat Sarsius quid Itine dentimi se- quatti)-. Ducutili- b linea Oli, ad quam proilueantur radU DF, EG, IH, desinente in li, Q, P. Tarn si Sol per lineam OR mover* intelligatur, in maris superfìcie imago nihilominus per I, E, D progredit iti)- a liu - 2 0 *«*•] piccolezza della parallasse, osservata da tanti eccellenti, astronomi con diligenza (squisita. Audin* quid ilio dicat? Evinci igitur ex bis observationibus potuit, come¬ tam sublunarem non esso l,00] . Atqui id unum ox iisdem inferri voluit Magister meus, ut cometa supra Lunorn statueretur. Naia locum postea inter Solem ac ijLunam ideo illi tribuit, quia motus eiusdom cometae medius quasi inter utrum- que, nec ita velox ut Lunae, nec ita lentus ut Solis, fuerat : quae etiam ratio multum apud astronomos valuit ad locum planetis altioribus assignaudum, in quorum dimensione parallaxis vires suas amplius oxercere non poterat. Age igitur, quando productis iam tabollis id evicimus, per vos inanium simu- lacrorum a Sole productorum eadem est parallaxis quae Solis : At observationes, quas fide dignas, cum id vobis coiuluceret, esse vuluistis, plerumque, quod satis est, maiorem cometae parallaxim produnt, quam Solis : cometa igitur inailo spo- ctrum a Sole non est. Examen XXVII. 4 so Dixeram, experientia constare, mania linee oculorum ludibria, irides, halones, coronas et reliqua huiusmodi, et brevissimos habere vitae terminos, et parvo temporis intervallo varias sese in forinas mutare ; niliil autem huiusmodi obaer- vatum in cometa, qui dies plurimos, motu semper ac mole, certa proportene, decrescente, eadem figura ac specie constantissimum se praebuit. His iliaci obii- citur, Solem 6 coraetarum parentem diuturnum esse; quare, si diuturnior aliqua b Sng., f. 125, 1. 13. materia Solaris luminis repercutiendi capax in cacio «tatuatili*, ex qua deiiule ao2 ’ 1,u ’ 15 ^ existat cometa, hunc quoque fore diuturnum: sic , r iuquit, aurora quotidie rubo - r i. 24. quod eius materia perpetuasti; Solis in muri species, eadem ex causa , quo - 8a2 ’ lm * 25 ^ lidie visitur. * ^ sane duliium numquam fuit, an si materia inanium simulacrorum con- stans fuerit, ipsa quoque simulacra diutius mansura sint: quia tamen quotidie expenmur, perpetua illa esse, quibus materia perpetua est; quibus autem materia Perpetua non est, sed vaga atque instahilis, his ne diuturnam quidem esse vitam, wd brevissimo tempore interire; cum constaret cometae materiam perpetuala non 1 questa ragion concludo ad hominem ; cioè, posto che fusse un ruciamento, la piccolezza della paralasso lo mostra superiore * 3 . 1 YL 57 452 LOTHARn SARAH esse; reliquum erat ut no diuturna quidenx foret. Sic enim aurora, crepuscula ac marina Solis imago perpetua sunt, quod maria, stagna ac sphaera vaporosa materia constent non defectura; iris, contra, halones et coroime, quibus stabilis materia non est, ne diem quidem integrum vivunt, nec ullum umquam huiuamodi simulacrorum plures Soles videt, sed quo die, immo plerumque qua bora nascitur eadem occidit. Cimi ergo cometa non aurorae, non crepusculorum aut maris per¬ petua constet materia, sed halones, irides et coronas imitetur, inter horaria is quoque reponendus erit : quod si per multos fulsit dies, non inter vana simulacra numerandus erit, cum illa, quantum experimento didioimus, aut vivant perpetuo aut vix nata occidant Tosse autem in cacio aliquid reperiri, quod diutius ad nos io lumen a Sole acceptum remittat, nemo est qui neget: sunt enim vero planetae omnes; sed hi ncque ex vaporibus aut halitibus siccioribus Constant, nisi et horum nos species fallit: quare et bis similem ad tempus cometam dixi. Examen XXVIII. De cometae motu Ino agitur: quaeritur enim an cometae motus per lineam rectam et ad Terrani perpendicularem progredì potuerit. Ubi, ut omnia paucis expediam, pono (quod extra controversiam est) huius nostri cometae motum, ultra verticem progressmn, ad arcticum usque polum pervenisse. Cum igitur quaere* retur, quaenam ratio aptior excogitari posset huius motus explicandi, allatus est a Galilaeo motus perpendicularis ad Terram et rectus: sed motus hic, vel ipso, 20 qui illuni induxit, teste, no ad verticem quiilem cometam perducit ; ergo belle minus in rem nostrani lue cadit. Atque Ilio erat quaestionis nucleus, quern nec potuit, nec poterit umquam, infringere Galilaeus. Reliqua nugae merae sunt et querelae inutiles. Dixeram, adeo certo constare, motum illuni rectum ac perpendicularem satis non esse ad motum oometicuin explicandum, ut cum is maxime vellct, dissimu¬ lare id taraen non potuerit; quam loquendi formam aequior aliquantointerpres ita vertat: quando ben anco V avesse voluto dissimulare , non avrebbe potuto. Sic enim nihil affirmatur de dissimulatione, quasi id ipsum dissimulare vehementer 0 Sag., f. 125, 1. 33. optarot, ut «Galilaeus interpretatur. Ipajff. oos, im. a-3 0 so?.] ^ 6 quii tu, Sarsi, ut nos geometriae piane ignaros ostendas, ca nobis falso h Sag., f. 128,1. 7. adscribis, quae ne cogitavimus quidem? IUa nostra vox est: Se la cometa si mo- [pftg. 304, Un. 22 ] vesso di moto retto, ci apparirebbe muoversi verso il vertice: tu vero hoc motu incedentetn, ad verticem tandem pcrvoiturum dixisse nos asseris. Ergo qui dixerit nautas ad polum navigasse , eos in caelum usque pervenisse, tuo udivo, dixerit . Profecto, si Discursus coni et ici verba attentius aliquanto excutiantur, constabit, non ineptam omnino inibì ex iis oblatain occasionem suspicandi, ex isti ni asse * RATIO PONDEIIUM LIBRAR ET 8IMBELLAE. •153 1. 17. lime. uà, lìu. ìyj licum eo iuo tu cometam ud verticem pervenire potuisse ; cuna ibi, praeter verba iGalilaeo citata, addatili’ illud, ° precisamente verso il nostro vertice, quod ipsum " Dise. d. c., f. 44, verticem attingi potuisse significare videtur ; quod etiam sequentibus verbis con- firniatur : il che non avendo ella fatto, ma declinalo verso settentrione, quasi diceret, At cum non praccise ad verticem venerit ibiquo constiterit, sed ulterius ad septen- trionem progressus sit. Addo tamen, quia ex iisdem verbis non satis aperto illud colligi videbatur, ideo id a me non quasi ipsius dietimi prolatum, sed quasi suspicionem meam; ut indicant mea illa verba examinis 30 b Veruni, ni fallor, eie. b Sag., f. 130, 1. il. Dixerat praeterea, et confessus ingenuo fuorat, is qui motum hunc rectum et [pas- 805 ’ lio ' 27 J id pcrpendicularem cometae tribuerat, non satis illuni esse ad motum comctae expli- candum; addendam propterca esse alinm causam. Ego vero, cum huius verba refenem, non causam aliam, sed motum alium addendum dixi. Quare, c Gur, in- <= Su,?., f. 12S, 1. 28. quit Galilaeus, cum causam aliam addendam diximus digrcssionis comcticae, vocem h mg - 30ù > lin - *1 causam aliam tu motum alium interpretaris, Sarsi? Nempc, ut minime audenti animos adderem: satis enim apparebat quid vellet, quidve timeret; neque ulla milii finis esso poterat divinanti in re manifesta. Prius enim is aperte dixerat: d Quando la cometa non avesse altro movimento che il retto e perpendicolare alla superficie del globo terrestre, cioè dal centro verso il cielo, egli dovrebbe a noi parere precisamente indirizzato al nostro vertice : ubi illa verba 11 ^ J8 ’ h "‘ 17 0 Scs '^ 20 altro movimento satis indicant quid tacite innuat, cum aliam postea declinationis eius causam addendam asserit. Haud enim dubium, quin motum alium : id enim postea optatur, quo prius cometam carere dictum fuerat : hoc est motus alius, Quando la cometa non avesse altro movimento ll01) . d Disc. d. c., f. 44, 1. 15. Examen XXIX et XXX. In 29 examine nihil impuguat Galilaeus ; nihil igitur tuebor. In 30 autem sit, 'demonstrationem illam, qua ostenderam, cometam perpendiculariter a Terra « Sag., f. 131, 1. 27. adcaelum sese inferentem ad verticem pervenire non posse, puerilem piane esse, (p«k- soe, im.8] quod solis parallelarum definitionibus innitatur. Sed, si haec puerilia sunt, haud graviora multo illa erunt, quae examine 740 a Simbellatore afferuntur, quibus / Sag., f. 168, 1. 3. »intelligendis vel ipsa superficiei delinitio satis est. Iam sumus ergo paresi 021 . [P a «- 327 > lm - 22 J 11011 ma se tu dal detto del Sig. Mario raccogli, che quando la co¬ meta non avessi altro movimento che il retto etc., bisognerebbe at¬ tribuirgliene un altro, perchè poi ci vuoi addossare il moto della Terra? non vedi che questo non verrebbe attribuito alla cometa? 11021 Io chiamo la vostra dimostrazione puerile, perchè la conclu¬ sione è tanto nota, che non ci è bisogno di dimostrazione ; nè voi la mettete come che io non 1’ abbia saputa : ma quello che dico io nel 454 LOTHARn SARSII Quamquam non inde existimo demonstrationum pondus pensandum esse o recondita ac difficillimia pendeant: quin potius tunc sibi quisque georaetraru^ felicius aliquid demonstrasse videbitur, cum ex ipsis principiis, naturae 1 ^ jiotis, id cvicerit. Unum addit Galilaeus, quo sibi fortasse non parum placuit; cui tamen assen « Sag., f. 131, 1.36. tiri non possum. Si « cometea , inquit, ex ipso metisoris loco in cadimi i- aoo, iin. 9] 7 .. j. . . , 7 , • , pe'pmcu- lanlcr fcrulur, fune demum ad verttcem perventurum affamo. At si vini vocis illius pervonturum Simbellator expondat, intelliget id, quod uno in loco nascitur non dici ad illum pervenire. Motus ergo ab ipso vertice mensoris exorsus, sempet in vertice fuit, ac natus in ipso vertico : non ergo pervenire dicetur ad verticem. i 0 Examen XXXI. Quid lue non tentat, quid non molitur Simbellator, ut ventati fucum faciat? Sed facile est illum nitori suo restituero. Nunc igitur, quod permagni interest statuamus quid illnd sit quod quaerimus. Cometa per dies ferme 20 quotidie, in suo circulo magno, tres circiter gradus percurrisso visus est. Quaerebatur iam, num per raotum illum rectum et ad Terram perpendicularem, nullo alio motu addito, saivari potuerit lue aspectus. Et quoniam statuendus, exempli gratia, locus aliquis fuerat, tum unde hic rectus vaporum motus inciperet, tum etiam mule Solis lucem ad nos primo remitterent, et cometam producerent; posueram ascen- sus primi locum Roma dissitum gr. 60, plagam autem, unde se nobis in caelo 20 1 Sag-. 136, 1. 20. aperuit, remotam a Terra eemidiametris eiusdem Terrae 32. Sed l exemplum hoc lln ' '* piu8 nimio rebus meis accominodatum asserit Galilaeus, utramque distantiam im- manem nimium queritur, et breviorem reposcit. Ego igitur, ne querelarum ansam posthac arripiat, affirmo, null&m reporiri posse distantiam, sive ascensus primi e Terra, sive primi aspectus in caelo, qua rectus hic et perpendicularis motus cometam oculis nostris tres quotidio gradus, per dies multos, percurrentem osten- dat. Satisne hoc aperto dictum ? Hic saltus, hic Rhodua. Placet tamen etiam singula refutare, quao causac praetexit Simbellator. c Sag., f. 134, 1. 26. Nam quoniam eius figuram examinandam dixeram, c me quasi ridiculum geo- [p»g. so., im. 18 ] me (, rftni circino figura» metiri voluissc asserit. At ego figuras quidem expendendas» existimavi, non tainen circino, sed, quod geometrarum est, trigonometricis ratio- nibus ; quas si Galilaeus adhibuerit, inveniet a vero me nihil aberrasse. d Sag., f. 133, 1. 35. Noveram praoterea, non rf easdem ubique motus cometici fore diversitates, et, [pag. soe, im. no] T errae proximus Btatuatur, futurum, ut magis inter se differant singnlorum dierum motus, quam si ponatur remotior. Noram tamen etiam, nuuiquam exiguas luogo da voi citato è ben cosa tritissima, ma ignorata da voi, ed io la scrivo per vostro documento. RATIO PONDERICI L1BRAE ET SI RI BELL AE. 455 posso horum motuum differentias, ubi motuum diurnorum quantitas tres ’ntegros gradua per multos dies coiupleat. «Veruni quidem est, incedente per lineam llam perpendicularem cometa, futuruin aliquando, ut dici unius incessus ab in- cessu alterius proximi parum differat: at id continget cura singulorum dierum motus perexigui fuerint; non antera dura trinili graduimi iter expleverint. Quam- vis ergo variae accidere possilit apparcntium coraetae motuum diversi tates, prout is remotior aut vicinior mensori ac Terra© fuerit, numquam tamen ac nusquam fict ut cometa per illam rectam lineam inccdcns diurnum ruotimi graduimi trium per'dies multos constante!* servet; quod nostro cometa© contigit. Frustra igitur io breviores distantias requirit Galilaeus, quando nulla assignari potest huic trium graduum constanti motui explicando apta. Mila sano, cura saepius id tentavorim, numquam contigit invenire. Galilaeo igitur, artis lraius magistro, libens volensquo permitto, assignet in Terra cometici ascensus initium, eiusquo primo fulgentis a Terra distantiam, quibus trium ille graduum quotidianus decursus aptetur. En igitur, ut veritatis aestu flos ilio logica© cxcoctus elanguit, et tcrrao afflictus interiit! fe Sic enim ipse existimavit, Sarsii argumontum facile ab eo retorqueri posse, qui vel florem olfecerit logicae. At ego ne ab eo quidem id praestari posse existimem, qui logicao ctiam fructum gluticrit. Sarsii argumentum distorquere Galilaeus potest, retorquere non potest, quando, sive exigua sivo magna ea po¬ so natur distantia, numquam tìet ut motus cometici periodo accoramodetur. Ego certo eius arbitrio permitto, praescribere cursus cometici carccres et metara. Quare, bis ita explicatis, si iam me interroges, Galilaeo: c Ma, Sig. Lottar io, se Vav- imario dirà che la cometa non era tanto lontana a molte migliaia di miglia , e l'osservatore parimente assai più vicino, che farete voi del vostro sillogismo ? che \\e concluderete ? vis dicam quid illaturus siili? Dicam mitissime : inferam te non ita memorem esse. In vigesimo examine d o Sinarum regno, aut minimum e Per- side, cometae materiara ascendisse volebas: Sinenses autem quadrante toto Roma distant, Persae sextante: nuiiC sexaginta graduimi distantia tibi nirais ampia videtur. Praeterea, r in orbe cometario, a Terra dissito passuum millibus 470 000, fttunc, ex me, coraetam reponcre placuit; mine multo viciniorem Terrae statuis: vides, credo, vaticiniutn nieum eventu iam probatum. Libet hoc loco et illud ite¬ rare: 0 miram loquendi iuxta ac sentiendi libertatem ! o ductilem, o ceream philosophiam ! Sed age, sit ut libet, vicinius multo Romae fuerit cometici ascensus initium, multo igitur remotius erit ab Indis. Sed illis eadem quotidiani motus constantia visa est: fac igitur illorum, non incuni, illud esse argumentum; quaenam supe- rerit evadendi via ? Male Glenique nos quoque ad versus Aristotelem egisso pronuntiat, quod ilio reclamante cometara Lunae proximum statuerimus, atque inde postea iinmensam ^ cius magnitudine!!! intulerinuis, cui, si fiamma luisset, ne tota quidem Tellus « Sag., f. 136, 1.11 [pag. 308, Jiu. 3GJ b Sag., f. 135, 1. 26. [pag. 30S, lin. 17) c Sag., f. 136, 1. 20. [png. 309, lin. 7j d Sag., f. 91, 1. 35. [pag. 279, lin. 12J 9 Sag., f. 92, 1. 5. [pag. 279, lin. 19] / Sag., f. 137, 1. 5. fpAg. 309, lin. 26J 456 LOTITARII 8ARSII Buflicere pabulum potuisaet. Stai piane fallitur Galilaous. Macisti-imo;» fr ® gvu argumen* tum hoc fuit: Si cometa fiamma est, Termo proximus esse non potest cumho parallaxis exiguitas ac motuB diurnus (id quoti alii ante Galilaeum observar « aperte demonetret, scd Lunae ealtom quam proximus statuendus est 1 at si aLu non longe absit, molis immenaae futurus est, et cui pabulum a Terra sudici nequeat. Non igitur iam liberum est Aristoteli reclamare, et cometam elemen- tnrem flammam elicere, quando parallaxU evicit oppositum, annuente otiam G,v « Disc. d.e., f. 17,1.7. lilueo, "cuius sententia cometa, si fiamma sit, ex parallaxi ne sublunari quidem [pag, 03, Iin. 2 ] e83e poniiittitur. Si quid igitur intulit Magister meus, ex datis et pritis proba- tis intulit. ' Examen XXXII et XXXIII. * Sng., f. 133, 1.26. Niliil hic morabor. Quid de Torme motu Copernicano 4 noverim, quidvenasse (pag. 310, im.'JO] et j ara posgim, non est hic opus exponere. Quod sentire non licot, ubi nulla urgeat necessita», nec. loqui lihct. Quod ad dispositionem cometicae materiac spectat,in r Sng., f. 140, 1. 27. qua rem c oninem positam asserit Galilaeus, ipsius, por me, cura sit illam statuere. (pag. 311, liu. 18J Examen XXXIV, XXXV et XXXVI. Cometicae curvitatis caimani in refractionem in sphaera vaporosa factam referendam dixerat Galilaeus: adversus hoc dietimi nihil priuium ab co hoc loco prolatum dixeram, quod Keplerus ante non vidisset et scriptis consignasset. Qua i Sag., f. 142, 1. 33. in re fateor d errasse me, simili diotorum specie deceptum; neque adeo prolatae » [p»g. 313, im.2] 8eme l vocia (, enax 8um , u t ubi lux aliqua erranti affulserit, non resipiscam, et in castra protinus transeam veritatis. Sod non in hoc cardo vertitur quae- stionis |,M) . Sit sane Galilaei, non autem Kepleri, vox illa, quae curvitatem caudae cometicae in refractionem sphaerao vaporosae referendam affirmat ; veritas inte¬ rim oxquiritur dicti, non auctor expetitur. Adirino igitur, Marii demonstrationem geometricam puram ac neccssariani esse, si secundum se consideretur, et si sphaera vaporosa rotunda utounque statuatur, et cometao curvitas tunc solum observata sit, cum is, ad horizontem maxime inclinatus, plures verticales inter- secaret. Nullum tamen horum ccrtum videtur, ut ex iis quae in Libra propositi * ^ a ^'> ^ b 12. videre est. Neque ' video, quam iure fidem nostri» observationibus denegandam 9) (pag. 813, lin. 6] 1 i'°si Anzi vertitur principalmente in questo, che è il mostrar me non esser rubatoro dell’ altrui cose, ma ben voi o maligno o ignorante. Voi più volte mi tassate di poco intelligente della lingua latina, or vedete dal sentimento che voi cavate dalle parole del Keplero, chi sia meno intendente. RATIO PONDEliUM LIBRAE ET SIMBELLAE. 457 irtirmct cum eo tempore editae sint, quo nulla futuri huiua certaminis auspicio inerat Addo etiam, alterius cometae, seu Trabis, figurala eadem ratione expli- cari non ita facile posse 1,041 : illa enirn duplici llexu curvata, cum totum sinura plicaret ad Terram, summa tantum parto revolvebatur in caelum, et palniae seu barbarae machaerae figurarci simulabat, ut mirari quis merito possit, utriusque ilexurae eamdem vaporimi rotunditatem causam esse potuisse. Scio tamen fieri etiam posse, ut, per convexam vitream lentem rectam virgam inspicienti, eadem partim ad Terram partim ad caelum curvari videatur ; sed opposito prorsus modo id eveniet: ima enim pars in caelum, summa flectetur ad Terram ; at in cometa 10 ^ caelum summa pars, ima curvabatur in Terram. Praeterea, non ita libere affirmari posse, vapores ubique Terme sphaerice cir- cumfundi, non ex astronomiae tantum magistris, fl quos Galilaeus non «Sag., f. 14(5, 1.20. audivit [I05j , sed ex magistra rerum experientia, immo ex ipso Simbellatore, dedu- liu - 2 3 citur. Ab experientia illud liabetur, nubeculas saepe candidas, vel media in nocte, vertici fere imniinentes videri, etiam in noviluniis, quas propterea multis a Terra leucis distare necesse est, ut Solem aspiciant: quod ne Simbellator quidem neget; quin potius addat, halitus tenuiores ultra sphaeram liane vaporosam in summa eievari ac suspendi non semel, immo perpetuo, atque ft ex bis cometas quamplu- ^Sag., f. 125, 1. 36. rimos fortasse gigni, quos, utpoto minutiores ac brevioris vitae, non advertiraus, lpag * 302, l,n * 3G1 soauroram etiam illam borealem, solarium c praeterea macularum materiam, per- c De Mac. Sol., petuum voracissimae flammae pabulum, ab universo subministratum. Haeccine ^ 22, laevem, tornatala aequalemque vapornm sphaeram efticiunt? Cum ergo quaerit ìin. 25 o seg.] ’ ex me Galilaeus, quis ille sit, qui vaporosam sphaeram alicubi altius quam alibi elevavi affirmat, se coiisulat ; inveniet apud se fortasse uiule ista deducat. Interim norit Galilaeus, mihi in hac pugna nec labra contusa, ncque usque adeo com- minutos esse dentes cestibus (ut ipsi fortasse videtur) suis, nihil ut iam reli- quuni sit quod expuam ; ac, nisi severior modestiae lex milii praescripta provo- catas strangulare argutiolas iuberet et iocos, non esset etiam nunc mihi difficile, alieno malo risimi ab lectore mercuri. Sed iam cum Simbellatore ad 37 exanien so propero. Examen XXXVII. Illud mihi primum, hoc loco, Galilaeo in memoriam revocandum video, quod seu studiose seu negligenter, ut alia multa, mea in Libra praeteriit; inde llu41 E chi lia mai detto elio la flessura della Trave derivasse dalla sfericità della regione vaporosa ? 1 Maestri delle prime bozze non ha sentito ; e voi, solita fide , gli tradu¬ cete magistn astronomiae. 458 LOTUAUU SÀR81I enim omnium fermo reliquorum exammum pendet solutio. Eco anim* » huius viri positionea revocatimi» ad libram, illud ante praemiseram, nihil minus ibi velie me, quam prò Aristoteli* aliorumve placiti» decertare; viderent alii verune an falsa ea esaent ; satis inilii futurum si Ostenderem, admotas a Gali* laeo machinas minus lirmas ac valida* fuisae, ictus irrito» cecidisse. Noram enim pleraque eorum t quoe in Aristotele reprehemlercntur, roagnfa re vera premi diffi- cultatibus, ex quibus evadere haud ita facile quisquam possit; quaedam etiam ex iis quae nuper teleecopii beneficio vidimila, tantum ponderis amisisse, ut prò falsis pluriinum habeantur. Non erat proinde animi mei illa mordicus tueri, quo¬ rum in fido i&m fluttuane, aut ab eadom piane iam profugus, idem animus dissi- io debat. Fuerit igitur instituti mei id unum ostendere, rationes nonnullas adversus Aristotelem aliosque a (lalilaeo allatas nihil prorsus Imbuisse ponderis, ac proinde, nisi potiori irapulsu decidant, stare adirne illorum dieta inconcussa, ncque in posterum amplili* casura. linee tu, amico loctor, memoria serva. Advertes enim plerumque Galilaoum id unum conari, ut Aristotelis dieta falsa demonstret: qui labor frustra suscipitur, dum id unum quaeritur, an ratio adversus illa a Galilaeo aliata valida sit. Nuno singola expendamtis. Dixerat Aristotelea, cometas tunc produci, cum elementaris altior regio plu- rimum haberot exhalationum : cum enim omnis illa regio caeli latione raperetur in gyrum, ilio motu attenuati halitus illi simili incendebantur, et cometas for-» mabant. Negaverat Galilaeus fieri id posse : primum, quod caelum, utpote laevis- Biinum ac politissimum, tenue* adeo substantiaa secum raperò in gyrum nonposset. Ilio ego, quamquam cometas nec fiamma* esse ncque caeli latione rotarisatis intelligam, falsimi niliiloiuinus esse dixi, laevibus ac politis corporibus aèrem atque exhalationes non adliaerescere ; quod si adlmereant, rapi etiam ad eorum « Sag., f. 1*19, 1. 34. motum necesse erit. Quid hic Galilaeus? «Numquwn asseruimus , inquit, laevibus [pag. an., im. 29] ac p 0 im s corjwribu-s ignem a ut aèrem non adliaerescere. Quid ergo illud est : E di h l)isc. d.c.,f.9,1.27. ''più, essendo icsscdationc di sostanza tenue e leggiera , non inclinata per sua natura [pa*.5,J,lui.28oso*.] oH ro mo i Q e j iC a j re tt 0ì e fl a non sar £ rapita dal semplice toccamento della tersa e liscia superfìcie del suo continente; che così ne dimostra Vesperima ?$o Si ergo sequacitas nulla admittitur exhalationum ignearuni ad caeli motuni, utpote laevissimi, nulla quoque tenacità* aut adhaesio admittetur: quidquid enim adhaeret alteri, ad eius quoque ruotimi moveri necesse est; ac propterea qui sequacitatem negat, adliaesioneni etiam consequenter tollit (10fll . Sed et illud addiderat Galilaeus, caelestibus corporibus, utpote nobilissimis, non intende il Sarsi come un corpo può saldamente aderire ad un altro, senza poter da quello esser rapito : e pure un ferro gra¬ vissimo e brunito aderisce a i ferri che armano la calamita, ed ogni minima inclinazione gli fa sdrucciolare e staccarsi. ratio ponderum librar et simbellae. 459 nonlaevem solum, sed sphaericain, quae nobilissima est, figuram deberi, ac proinde lunari concavo et rotunditatom et laevorem tribuenduin : quod dictum cum expli- c arem subdidi : Numquid ergo Galilaeus homines, caelo longe nobiliores, idcirco teretes atque rotundos optabit ? quos quadratos potius requiret sapiens. Hic, “lunari concavo rotundam ac laevem superficiem non ex meo scnsu, inquit, a Sag., f. 150, 1. 2. optavi, sed id Aristoteli , ex ipsiusmet dictis , obieci. Non erat igitur , cut hoc 3lG ’ Jm * a3J timius dictum, quasi menni, carperei, quando eiusdem Sarsii vox est, nihil , ex Galilaei systemate , in cacio solidi invalivi . Sit ita sane. At ego dictum illud, qua Àristotelis est, nihil Aristoteli obesso ioiam ostendi. Laevor enim atque aequalitas caelestium corporum ideo ab eo exigi- tur, ut cadi unius rnotus alterius alio conversi cursum ne remoretur : hoc autem in lunari concavo locum non habet, cum lioc, fluida omnia ac sequacia continens, hoc est regionem elementarem, nullam suo motui moram vereri lmbeat ex illa superficiei asperitate atque inacquali tate. Sed ino potior nunc petit machina. Quucris, h Sarsi, si quis lunari concavo laevitutem aequdlitatcmqne denegarit , h Sag., f. 150, 1. 33. qua via contrarium suasurus sii Galilaeus . Audi igitur id ex codoni ,, si placet. ^ ajr * 31,1 hn ‘ M OSOfi ^ Ego quippe id constanter ussero, laevissimam acquissimamque lunari concavo deberi superficiem, si materia solida constet atque a sublunari clistincta; si enim sinuosa atque aspera fuerit lutee superjìcics, non din sili, ncc forma me loco, so stelhrum constabunt imagines ; quac, dum ad nos per aspcram deflucrent super- ficiem , inmmeris pene niodis mutavi necessario cogcrcntur : ut accidit cum per mequalia fencstrarum vitra extema intuemur obiccta, quac, ad omnem oculorum n\olum, et locum mutant et formam. Cum ergo huiusmodi mutationes non obser- ventur in stcllis, nihil in caelis aspcrum, oculos inter ac sidera explicari dicen- dum est. Ilio tu quid ais, Sursi ? Sudandum enimvero Ubi est: meum hoc dictum est, non alterius cuiuspiatn; reccns ac novum , non senio ac sita obsolctum et piane subrancidum. liane tu, si valcs, ma¬ lli in am d i rue ; evade, si p o t e s 1107] . Papae, quid hoc rei est V Galilaeus, qui nihil hactenus certo asseruit, qui so comecturas tantum protulit, non scntentias, signatis adeo verbis, mine deinum, ac tam diserte pronuntiat? Bene est; non ero igitur postime mcntitus, cumhanc illi sententiam adscripsero. Ego interim non diserte minus assero, si semper idem sentiat Galilaeus, asperrimo quainvis lunari concavo, millas in stellis observari posse locorum mutationes : idque a me nullis ambagibus, more maiorum, sine fuco ac fallacia dictum volo. Satin’aperte ? Ad examen vigesimum secundum ledeamus. Ibi Galilaeus adversus eos, qui ex orbium caelestium excentricitate, ac altitudine epicyclorum, immanes stellarum refractiones inferehant, haec [107i II Sarsi, qua solet fide , ha messo questi versi di suo, che non sono così nel fiatare, ma diversissmiamente. E questo è un traduttor fedele ! vi. 56 4G0 LOTHARU SARSIT n Sag., f. Ili, 1.13. liabet : La ''grandetta di essi orbi, quando box tutti fussero diafani tra loro diver¬ ti'*- m > lin ' 25J sissimi, non permetterebbe alcuna refrattarie agli occhi nostri, mie riposti v}- V istesso centro di essi orbi. Tot igitur excentricorum cpicyclorumque multitudo non alio distrahet stellarum species ac radica, sed ad oculos, si Galilaeo credi- mas, perpetuo fidatissime transraittent. Fac ergo concavi lunaris superticiem ita sinuosa umlosaque superficie constare, ut partes tum prominentes tum absce- Fig. 10. dentea introrsura lunaris ‘epicycli A. servont aphaericitatem ; tuberosa profecto futura tunc est ea cauli superficies atque inaequalis ; nulla tamen inde stellis continget ref'ractio ; quando cavitatea illae ac prorainentiao ad lunaris epicycli formam cusao sunt, ex (pio indiani stellarlitn radiis rol'ractionem provenire io posse tam Bcilioet apte demoiiBtravit eo loco atipie examine Simbellator. Hanc tu, si vai ea, in adii naia dirne; evade, si potes [,tB1 . Ergono, Galilaee, cae- lorum excentricitas, epicyclorum multiplex ac varius incursus, nullas modo re- fractioneB tibi pari tura videbantur ; mine vero quaocumquo inaequalitas, ad quara longe minor sequatur radiorum inelinatio, refractiones inimanissiinas parit?! 1 ") Hoc est cameluni glutire, excolaro culicem. Sed quoniam argumentum hoc adversus Galilaeum ex ipsius tantum dictis vini habet, caetera nullum, affé rum quid ex me, dum Peripateticum ago, respon- dero possini. Principio igitur aio, si quis eam solam in caelo asperitatein admi- serit, quae iis partibus constet quas ipsa longinquitas spectantibus insensibiles 20 efficiat, nullas indo refractiones producendas. Idem in fenestrarum vitris contin¬ get, si partes proininentes ipso spectantis abscessu insensibiles evadant, si cae¬ tera perspicuao sint 1 ’ 1 * 1 . Sed demus etiain, longe maioribus attolli montibus, deprimi vallibus, concavi lunaris superficiem : nullae tamen inde refractiones provenient. Hoc ut apertius fiat, ineminerit Galil&eus, Peripateticum ino hoc loco agere; huius autem scholae liane, inter caeteras, vocem esse, caeluni quintana quandam essentiam esse, ab inferioribus bisce natura et conditione divorsam : nddo ego, purissimam etdefne- catissimam, ita ut, dura licet ac solida, nullas radiis ac speciebus moras iniiciat. linee igitur luci se omnino perviam ac facilem praobet, nihil ab illa, publica-» norum more, prò traduzione pulclierrimae mercis exigit; uno verbo caeli sub- stantia, utpote purissima ac maxime perspicua, refractionum capax non est 1 tu»] alla biacca co 11 ’ avvedremo, chi sarà gonfiato meglio. [io®] l> insegnare a persone grate sarebbe veramente gran gusto, ma’l levar di ignoranza uomini sconoscenti è veramente una pena, tuttavia insegniamo a costui cose da esso non avvertite 0 sapute. 11101 credo che non saranno perspicue. 11111 ma dove lasciate voi la materia elementare, la quale, figuiata dal contatto della celeste, farà essa il fatto ? RATIO rONDERUM LIBRAE ET SIMBELLAE. 461 g 1 quid ego me ^ l0C ^ oco P c ”P atet ‘ cum a 6 01 '° aflirmo? Gnlilaei ipsins dietimi ■ unnon is supra, examino "vigesimo primo, cum quaereret, unde nam « Sag., f. 101, 1. 15. ^metile coma existerct, quam ex refractiono luminis ortam plerique contenderent, f 1 "* 8 ' 289 ' ll "‘ ^ lacc habet : Qui non si può dire che la refreiezione si faccia nella sostanza del- feltri!, la quale, come diafanissima, non c potente a ciò fare ? Imi idem sentire Peripateticos de caeli substantia existimct Simbcllator. Satis ' iutelliget, si caeli substantia incapax refractionum sit, cuiuscumque tandem ligurae ea fuerit, seu inaequalis seu plana, stella» semper nobis tìdelissime osten- . sive igitur leniter aspera, sivo etiam montibus ac vallibus inaequalis io lunaria concavi superficics fuerit, nullam cognatae luci moram faciet, sed quasi gradientem in suo libere ac celerrime vagari permittot. Quidquid autem lunari concavo proxime continetur, ex nostrato licet constet materia, et proinde hac ex parte specierum refractionibus sit obnoxium, rarum tamen adeo ac tenue est, ut nullam unquam sensibilem parere refractionem possit, ne in obliquissima quidem radiorum inclinatione. Cum ergo caelestis substantia lucem sistere apta non sit, utpote purissima et summe perspicua, corpus vero contentimi, tenuissimum raris- simumque, nihil amplius habeat virium eidem luci remorandae ; sint licet horum corporum inaequales superficie», nulla stellarum continget refractio. Videat nunc Galilaeus, quam pacate, nullo labore, sudore nullo, siccus » piane atque indefessus, machinam illam evaserim, qua mihi fu- giendi vias omnes intercoptas existiiuavit [UJ1 . Quam ergo mihi hoc loco principii petitionem obiicit? Illa measunt: Lunao concavum asperum esse potest, quia nulla ratio opposituin persuadete nam quid- quid caelis aliis asperitatem negat, illam buie permittit; neque enim vereudum est, ne corporis contenti tactu aspero lunaria orbis motus impediatur ; quod unum reliquia orbibus laevorem atque aequalitatem tribuendam ostendebat. Ilanc ipse rationem subticet; id producit quod non quasi rationem, sed veluti corol- larium, protuli ; inique agit. Obiicit denique, ex illa lunaris orbis asperitate varias stellarum rofractiones consecuturas : ego nullas sequi posse iam ostendi, quod so cadi substantia, lucis quodammodo consanguinea et maxime perspicua, incapax sit refractionum. Appondix autem et quasi corollarium dictorum est, cum addi- tur, si talis admittatur asperitas in lunari concavo, melius servari corporum omnium nexum, dum ea ratione suporiorum motu melius inferiora cientur. Asperum ergo licet caelum sit, non ideo defonnes ad nos stellarum ferentur imagines, non dissilient ad oculi motum, nec choreas agent, sed suis legibus movebuntur. 11121 A dire delle scioccherie non si suda nè si affatica. Ed i pari vostri vi 5 ’ ingrassano. 462 LOTEA.RII SARSII EX AMEN XXXVIII. Lovia quaedam toto hoc examiue sparsilo oontinentur; difflanda sunt tainen. Primum igitur, quoniam Aristoteles nobilissiroam figurarum omnium rotundam • Stig., f. 153, 1.36. dùcerai, lue Galilueus “nusquam so figurarum historias legisse asserii, neque sibi sia, un. 25] pl . 0 j I1( ] 0 tutum esse, do carimi nobilitate quidquam statuere. At si mundi legisset annales ox Moyse, creata primum a Deo caolino et Terram invenisset, atquelmec quidem rotunda et sphaerica, cum et gyrum caeli circuisse tunc se, et in orbe Terrarum lusisse, divina Sapientia non semel aflìrmot. Vidct igitur figurarum omnium antiquissimam rotundam esse, quod primum in nobilitate pensatur i'" 1 . Sed et omnium amplissima est, quoti est alterimi nobilitata caput: summam io onim laudem ac splendorom rebus parit amplitudo. At figurarum omnium isope- rimetrarum, lioc est quae aequalis circuitus sint, capacissima atquo amplissima est circularis et sphaerica : ergo et hoc nomino nobilissima. Tertio, quo quid sim- plicius est, co etiam, caeteris paribus, censetur nobilius; at fìguras inter omnes, circularis aut sphaerica simplicissirna est, cum hacc unica tantum superficie, illa unica linea, constct 1 " 41 . Ex his igitur aliisque constat, figurarum nobilissimam rotundam esse. Cum autem dixissot Galilaeus, sivo suo sivo alieno e sensu, caelestibus cor- poribus, utpote nobilissimis, rotundam deberi superficiem ac laevem ; obieceram Solem ac Lunam, caclis ipsis nobiliora corpora, non tamen laevi aequaliye su- 20 perfide, sed aspcra ; nihil profilile mirimi, si cacio, hoc est corpori nobili minus, 11131 Questo è un grande sproposito, mentre che noi parliamo delle figure, introdurre il ciclo e la Terra. La sfera, il cubo, la piramide etc. sono egualmente eterne ed innanzi alla creazione del cielo e della Terra, e però, quanto a questo capo, egualmente nobili. imi p er difetto di geometria, non si accorge il Sarsi di pronunziar 2 cose repugnanti e tra di loro distruggentesi, mentre vuol cavar la nobiltà una volta dalla simplicità, e un’ altra dalla capacità. Impelò che se ’l cerchio è nobile perchè è contenuto da una sola linea, dove T altre figure son contenute ila molte, adunque il 3angolo sarà piò 80 nobile del □, del pentagono etc. ; ma se le figure son più nobili se condo che son contenute da manco linee, bisogna diro che lo men capaci sien più nobili delle più capaci, perchè quelle di manco lati son men capaci di quelle di più. Inoltro, la Terra, la 3> e altri pianeti, saranno, quanto alla figura, ignobilissimi, essendo la 1° 10 sfericità, mirabilmente guasta dalle loro asprezze, etc. I RATIO PONDERtTM LTBRAE ET ZIMBELLAR. 4G3 asperitas pcrmittatur. Hic ilio: "Ergo, quia pisces squumis abundant,pari ratiotic « Sag., f. 154, 1 . 15 f tSarsius, mare quoque universum squamosum esse debere. Uhi non semel [pag. 820, Jiu, ij errat Simbellator: primo quidem, quia mari ac piscibus nulla assignatur com- munis causa squamositatis ac propterea non pò test ex squamosis piscibus squamosum etiam inferri maro; in caelis autem et sideribus communis causa rotuuditatis ac laovitatis assignatur nobilitas; ex quo fìt, ut, cui maxime nobi- litas competit, rotunditas ac laevitas maxime etiam convenire debeat. Valet igi- (ur 8 ic.,usa rotuuditatis est corporis nobilitas, ex pari nobilitate parem quoque votunditatem caelis ac sidoribus tribuere. Nulla autem communis causa squamo- B jitatis, ut aiebam, piscibus ac inari affertur; ergo nequo utriquo squamositas tribuenda. Secondo, errat etiam in eo non mediocriter, quod, cum argumentum meuiR-aminori ad maius proccdat, ipsius consequentia, 0 contrario, a maiori progredite ad minus. Menni illud est : Si caelum rotundum ac laevo est, quod lamon voluti currus est Solis ac Lunae, quanto magie liaec ipsa sidcra laevorom istum requirent, cum hoc ipso vohantur curru, ac propterea nobiliora censean- tur? Galilaeus contra, Ergo, inquit, quia pisces squamosi sunf, mare quoque squa¬ mami erti. Nego consequentiam : ncque enim quod nobiliori tribuitur, ignobiliori quoque tribuendum est; nobiliores autem mari pisces sunt. Ego sane, non quia Sol rotundus ac laevis sit, intuii laeve et caelum ; sed contra, quia caelum, ideo joet Solom. At Galilaeus, quia squamosi pisces, ideo intulit et mare. Bis igitur in hoc ridiculo risum, sed do se, movet 1 “* 1 . |m| anzi et piscibus et viari assignatur communis causa squamositatis, «ewpe nobilitas, quae iunior est in piscibus quam in mari ; ac omnino si- « ito in planetis et cacio communis causa aspentatis est ignoìnlUas iunior, seti nobilitas minor, in cacio quam in planetis : unric igitur ista tua dùtpa- li/fls rationis ? |uc| ae quel che è più semplice è ancora più nobile, bisogna dire che i pesci sien più semplici dell’ acqua, elio pure è uno de i 4 corpi a i quali si attribuisce più che a tutti gli altri la semplicità. Inol¬ tre, quest’uomo 0 si ò imbrogliato o vuole imbrogliar noi in queste Ricali distinzioni, mentre dice di argomentare a minori ad maius, ^ *° fl maiori ad minus. Ma egli, o per inavvertenza 0 per malizia, scambia il suo primo argomento in un altro, per faro apparire il mio contrario al suo ; e dove di sopra egli argumentava così : « I pia¬ neti, più nobili de’cieli, sono di iigura aapera; e però al cielo, men t 0 Me, si conviene assegnare tal asprezza », ora dice d’ aver argu- wontato così : « Se ’l cielo è rotondo e liscio, elio puro è veicolo de i Pinoti, quanto si ricercherà tal pulitezza ne i pianeti, che di quello 464 LOTHÀRTI 8ÀR8II « Sag. t f. 154, 1. 28. 320, Un. 141 6 Sng., f. 155, 1. 4. [pag.320, Un. 25) c Nunfc. Sii!., f. 16, l. 60. [voi.Ili, png. 70, liti. 14J d 1. 48. (p«S. 76, Ilo. G] Quoil autcm hoc loco Henna de “refractionibus stelhirum innuitur, ex inaequa- 1 ita Le lunaria concavi orituris, BatiB id Buperque superiori examine refractum est Negat, ‘praeterea, dicium a so unquam, stellas forma rotonda non esse; quod a mo quasi dictum illius allatum fuerat. Quid ergo illud est in Nuntio Sidereo: 'Sfiline fijrae pmpheria circulari terminatile nequaquam conspiciuntur, sul véli fulgorcs quidam radios drcum circa vibranles, atque udmodum scintillantes ; con¬ simili tandem figura apparent, cum specillo et am naturali intuita spectantm? Si ergo so ni per nulla circulari peripheria terminntao conspiciuntur, cui- eas sphaericas dixeris?l ,,Tl Praeterea, oodoni ‘'loco asserit, specillimi accidentah fui- gores a stellis auferre, sicque illurum simplices globulos, si (amen figura fucrini io globosa, ungere. Si ergo do stellami» rotunditato certus fuisset Galilaeus, niliil erat cur de cadeui ambigerot hoc loco: ambigit autem dum ait , si tamen figura fuerint globosa l "* J . Ke igitur haec a so unquam neget dieta, quae cuique obvia iam sunt, et posterorum memorine, typographorum opera, consignata. Praeterea, quoniam in Epistolis do maculis solaribus inter caetera id quoque asserit Galilaeus, posse corpus solare solidum, ad motum tenuissimi corporis cir- cuinfusi, hoc est aethereae substantiae nioveri, intuleram ipse: Ergo multo faci- lius ad caeli solidissimi motum rapietur inclusum corpus tenuissimum atque rarissimum, hoc est sphaera elementaris, cum usu atque experientia constet, si servono per veicolo, e per ciò son piti nobili ? ». Ma dite così senza» inganno : « I pianoti, più nobili del cielo, perchè si servono di lui per veicolo e abitazione, sono scabrosi e aspri ; adunque molto più al cielo, men nobile, si converrà talo asprezza » (e così argomente¬ rete a malori ad minus) ; ed io dicendo su lo medesime pedate: «I pesci, più nobili dell’ acqua, perchè ò lor veicolo e abitazione, sono squamosi ; adunque l’acqua, men nobile, doverà pur essere squa¬ mosa », ed argomenterò io ancora come voi. E così il Sarai, e non il Galiloo, sarà il ridieoloso. Temerità somma ! 11171 gràn differenzia è tra 1’ essere o ’l parere. Non conspìcmtw, per vostra intelligenza, non vuol dire appresso i latini non sono, ina » non si veggono ; o nel presente caso io dissi che col telescopio non si scorgevano le stelle fisse terminate in cerchio, ma radianti, come con P occhio libero : il che accadeva allora per P imperfezzione dello stili mento ; ma avendolo, col progresso del tempo, ridotto a perfezzion maggiore, si è poi scorto distintamente il lor disco rotondissimo. 11181 dicesi si tamen, perchè, non P avendo io riguardate tutte, non ero, nè ancor sono, sicuro che tutte sieri rotonde ; e giusta causa di dubitare mi ha dato Saturno. lìATIO PONDEHUM MB RAF. KT R1MBFXLAK. 465 solidis ac duris difficilius motuni imprimi, quam liquidi» ot tonuibus. Maro enim aerem vel levis aura commovet ; Baxum vero ingens, quamvis libratum suspcnsum, non niai validissimis flatibus agitatur I ,w >. Si ergo Sol, durus solidus tenuissimi aetheris affusi motu cietur, multo facilius clementaris regio, lenuissimae corpus substantiae, durissimi cauli motibus rapietur in gyrum. Hic (jilittìalilaeus; nec satis (quod paco illius dicitura velini) intelligens quid dixerim, ‘/•Vi/o inquit, pari rattorte coneludel Sarsius, quia navis ad fluminis rapitur ino- " Sur., f. 155, 1. 31. )w ita q ltll quc stagnimi aut fluvium ad navis molimi rapinai am. Sed ncque, hic tl>ag 821 ’ lin- l2) nostrarum illationum dissimilitudinem advertit Galilaeus. Ego sano a minori argu- KBientabar ad niaius, a maiori ipso ad ininua. Mea illasunt: Aethorea substantia conUnens, sed subtilissima ac tenuissima, hoc est nullis pene ad impellendum niibus, solare corpus contentimi, sed soliduni ac durum, hoc est niinus mobile, ne’ corpi durissimi o gravissimi, montro sieno sospesi o librati, in più lungo tempo si fa l’impressione del moto che no i liquidi, ma non più difficilmente, perchè ogni minima forza dell’ ambiente, con¬ tinuando di far impoto, gl’ imprimerà moto eguale al suo : ma il mo¬ tore solido non imprimerà mai al mobile liquido la sua velocità fuori die a piccola parte e vicina, per esser le parti sue non coerenti, etc. E che lungo tempo si ricerchi per far l’impressione ne i corpi duri »e gravissimi, ancor che non abbiano resistenza a quel moto, è ma¬ nifesto in una barca carica e gravissima, che, legata in un fiume correntissimo, sciolta poi la corda, non piglia il corso se non dopo lungo tempo. Ma che più? una pietra gravissima, scendendo natu¬ ralmente al basso, è tardissima nel principio, e non riceve l’impeto grande se non dopo lungo tempo, anzi fa gran resistenza a chi vo¬ lesse sul principio cacciarla con velocità grande, ben che in giù : e chi sospendesse un gran sasso con corde che appena lo sostenessero, sì che ogni minima giunta di poso le strappassero, percotendovi poi sopra con un gravissimo martello, prima spezzerebbe la pietra elio » cacciarla impetuosamente a basso ; e puro col progresso del tempo aqquista per sò stessa velocità maggioro assai elio quella con la quale il martello la percosso ed alla quale (dia contrastò come se fusse po¬ sato sul terren duro. Argomento di quanto dico ò il vedere come una grandissima pietra posta sul corpo d’ uomo diacente supino si spez¬ zi con le percosse di un gravissimo martello senza offesa del sot¬ toposto uomo. Non ha mai pensato il Sarsi, quel che sia necessario kre al mobile partendosi dalla quiete. 466 LOTO A RII 8AKSII rot&t t&men in gyrum ac rapit; ergo multo facilius caelum, quod et ipsum continens est, sed durimi ae solidum, hoc est inagnis ad impellendum viribus, exhalatioues oontentas ot tcnuiores, hoc est facile mobiles, secum suo mota ilistrahet [ì%ù \ Ilaoc ego. At Galilaoua sic: Fluvius , liquidimi corpus et conti- nnis, contentimi navim , hoc. est solitimi corpus , suo impctu deorsum trahit. Bene hactenus habet: recte aetliereae substantiae rapienti fluvius et ipse rapiens, vapto autom Soli navia opponitur ; atque ut illic aetherea substantia continens est, Sol vero contentila, ita hic continens fluvius, contenta est navis. Sed perge, ac vide iam quid caido continenti utquo exhalationibus contontis opponas : Ergo nam scarni suo molli staijnum rapiet. Navim tu cacio continenti assimilai? at nayis io respectu stagni contenta est. Mihi som per quod movet continens est, quod mo- vetur contentini) : tibi vero, primo, quod movet continens est-, hoc est fluvius; mox iterum quod movet contentimi, hoc est navis: sic etiam, secando, quod rapitili* contentimi, hoc est navis; inox etiam quod rapitili* continens est, stagliimi yide- licet. Nulla ergo parte illationi meae tua se similem probat: niliil ergo mirum, si nulla sit [l5l) . u Sag., f. 156, 1. 1. Quidquid autem sit de iis quae postea subduntur, de H motu solidorum ac [pag. 32i, Un. i»l liquidorum, solida videlicet diutius impressimi servare motum quam liquida, quamvis liaec facilius, ilifìicilius illa eumdem concipiant; affirmo, nullum inde rationibus meis detrimentum provenire. Esto enim: liquida, qualis est aer atque 2) exhalatio, tandiu solum motum retineant, quandiu moventi iuncta sunt; ergo, si numquam absit movens, movebuntur perpetuo. At nunquam ab elementari regione caelum movens abest: non erit igitur verendum, ne forte olxlormiscentc motore exhalatioues pariter conquiescant. Concentum enim caeli quis dor¬ mire facit ? 1 Sag., f- 156, 1. 10. Sed b $icuti ad navis motum , inquit Simbellator, velum tantum illud aqtteuin [png. 821 , far tur > quod navim proxime lambii , reliqua autem aqua resistiti ita ea tantum exhalationum pars cadi mota rupictur, quae caelum proxime contingiti inmotis ac quiescenttbus reli quis. Non ita erit, Galilaee: sed ad caeli quidem motum proxima tantum corporis contenti pars rapitili*; at vero ad huius quoque prioriaS) partis motum adnexa ipsi alia feretur pars ; inox etiam alia atque alia, quamvis [l2ùl e perchè non dite rapiet ? questo non si domanda arguuien tare a minori ad maius, ma da un effetto a un altro diverso. 11211 non fit comparatio contencti et continentis, sed solidi et fluidi, et asseritur facilius moveri soliduin ad motum fluidi, quam e conto. nò mai si è detto che V ambiente rapisca il © P er essei ^ ue 0 continente e questo contenuto, ma si è considerato quello come quido e questo come solido ; tal che la vostra logica è qui tutta a sproposito. RATIO PONDERUM UBRAE ET RIMBEELAE. 467 semper tardiore, rapietur, ubi primum sui distensione atque deflexione vim ■ f eludere ulterius nequivorit. Naiu bì ad solidi caeli motum pars exha- um hoc est liquidi corporis, proxima fertur, necesse erit ad huius prioria . lationum J)artÌ8 i a ti 0 nem agi illi proximam alteram ; magie enim, etiam Ga- lilaeo teste liquidum liquido adliaeret, quam liquidum solido atque arido: che •se» è credibile che V aria aderisca meno a una superfìcie umida che a una ° Sng., f. 159, 1.9. oscillila I 1 ** 1 . Quod si maior, aut certo par, adhaesio est duorum liquidoruin ei 32!t ’ llu-2C| quae liquidi ac sicci, maior erit adhaeaio partium exhalationum inter se, quam ahalationum ac cadi. Si ergo ad cadi motum prima exhalationum pars fer¬ tur ad huius etiam primae lationem secunda rapietur; atque ita de reliquis. Quòniam tamen id habent liquida, ut distendantur facile atque densentur, non aequis passibus partes ornnos ferentur, sed, quanto a cado rapiente magia abfue- rint, tanto etiam tardius agontur. Ilae enim, quandiu nonnulla deelinationo distensione aut contractione caeli vim rapientis eludunt, dum etiam nonnun- quara Solis aliorumque planotarum occulta vi rarescunt, alioque distrahuntur quam quo rapiuntur cadi motu, non acqua omnes feruntur celeritate. Argu- men ta autem Galilaei tunc solum vim aliquam haberent, cum quis caelum uni- wrsamque elementarem regionem, caelo contentalo, eadern velocitate movcri aftìr- tnaret: id autem, quod sciam, nomo asserit. Esto igitur, liquida tandiu motum iserrent, quandiu moventi adhaeserint: elementari» ergo regio, qua ex parto caelo sese moventi semper adliaeret, ea ergo parte movebitur semper; buie autem parti pars alia proxima non minus nectitur ; huius ergo et illa motum, tardius Ito, assequetur. Ita tertia atque aliao pone sequentur, quanquam non passibus aequis. His igitur Galilaei argumentis niliil adhuc Aristotelis doctrinae detri¬ menti accidit. Examen XXXIX. Quoniam de solidorum ac liquidorum adhaesio ne agebnmus, k quaerit hoc loco 6 S ft g-i f- tb/, 1. 33. Galilaeus, (quid adhaesionis nomine intelligi velini. Aio igitur, illuni me nexum * pai< ’ * wrporum intelligere, (pio fit, ut ncque alterimi ab altero omnino separari, neque, •twqtactu manente, moveri alterimi, altero ornili ex parte immoto, possit; atque adbaesionem hanc inter duo liquida maxime, semper etiam inter liquida ac solida, eonnmiquam etiam inter solida tantum, sed rarius, reperiri. Quod igitur ad rem ■tornai attinet, solida inter ac liquida semper reperitur liic nexus. Ita nunquani 111 mari navis movebitur, quin ad eius motum aquae pars proxima moveatur, quocunque tandem motu navis agatur. 1 questa aderenza s’intende quanto al doversi separare total- !nenttì i 6 non quanto al mutar contatto strisciandosi, ignorantone ! 4fi8 L0THAR1I SARSII « Sag., f. 158, 1. 28. | puff. 823, Un. IO) ‘ Sag., f. 159, l. 2. Ipag. 32», liti. 20] «• Fig. 11. * Sag., f. 159, 1. 4 [pag. 883, lin. 22] iSed “quid, quod illudi ipsum vclutn aqueum navi proximum, quo illa q m [ pròno vestitur, in ipso cursu, alterine luìventu aquae, perpetuo mutatur? A’on ergo aquae illa pars navi proxima ita navi adhaeret, ut ab ea avelli non possit Nani si quis nuviculam vino oblitam in mare propcllut, vix quingentis passihus emensris, absltrso penitus mero, abstmiam sese ólfacientibus exhibcbit, et meras redólcbii undas. Sed quii» tu porgiti, Galilaee, ac maiora etiam addi»? longo sci- licet undarum affrictu piceum etiam tegumentum abstergi, ergo, ne illud quidem navi adhaerescere ? tl *** mox etiam, abatersa pice, ex tinniti tabularmi» partes exedi, ergo neque illas tabuli» reliquia adliaeaisse? Ego vero intuie ri in potius, si quin- geutoa atque ampliua passus in mari cymba sulcavit antequam vinuni dilueret, io non igitur perpetuo unitari vesto ni illuni aut velum, cui exuendo satis futurura erat spatium cymbae longitudini aequale. Quii» potius, vi multa opus fuisse ad vinum illud detergendum, quis inferat; quando tantum spatii ac teniporis emen- sum est, antequam id advenientis incursu aquae tergeretur. Caeterum, si ex co, quod tandem vini vestigium omne obliteratur, inferro licet id navi non adhae- sisse ; idem, ut dicebam, de piceo tegumento, idem de tabularum extimis par- tibus, quae longo aquaruux nppulsu corroduntur, inferri liccbit: quae tamennemo, arbitrar, asscret navi non adhaerescere. Nolim tamen, quasi ame‘prelatura, im- pugnet Galilaeus, aquam semel navi adhaerentem nunquam ab illa in cursu discedero : disceilet piane, sed ubi assedila din fuorit; noe simul abscedet tota, a sed partili» ac minutatim ; ut vel sic testetur, non sponte, sed maiore vi actam, navis se ab nmplexibus distraili. Ut auten» liane ipsam aeris ac laevium corpormn adhaesionem, de qua lo- quebamur, aliquo ostenderem esperimento ; liane inde satis constare dixerara, quod, si lamina aliqua vitrea r H aquae imponatur, natat, adhaerensque illi aer aquam AG circa vitrum sese attollentem continet, ne diilluat et lauiinam obruat. Negare id prinium videtur Galilaeus; sed post quusdam verborum ambages atque circuitus, nisi mecum falluntur qui id legerunt, disertissime concedit . quod prius uegarat. Sic enim ilio: d Quanto alla piastra di vetro che resta a gallo tra gli arginetti dell’acqua, io dico che detti arginettì non si sostengono perchè *> 11231 Puossi trovar temerità maggior di questa? Io dico elio 1 aqqua non aderescit alla nave, ma la va strisciando senza restar niuua padi d* acqua attaccata alla nave ; segno di che ne è che anco il sev0 _ c ° n che ella si spalma (ed il Sarsi dice, la pece) vien portato via (a strisciar dell’ acqua, il che non avverrebbe se 1’ acqua aderissi ein mente al sevo. Qui si può trascriver quello ch’io ho detto, e P presso V impostura del Sarsi, il quale ad arte non ha seguita o portar le mie parole. RATIO FONDERUM LIBRAR ET 8IMBELLAE. 4C9 falieremo, dell’aria con la piastra non lasci scorrer V acqua sopra la piastra; ftirchc se questo fusse, dovrebbe seguir l'istmo quando si ponesse nell’acqua la metlesiiiia falda alquanto umida, che non è credibile che l’aria aderisca meno a una superficie umida che u una asciutta; tuttavia noi reggiamo che quando la piastra è umida, non si formano argini, ma subito scorre l’acqua. Bel soste- tursi, dunque, detti argini ultra non |ut| è la cagione, che l’aderenza dell’uria dia superficie di essa falda. In bis, si suinmis ima iunga»tur, constabit, quidquid in primis verbis negatimi fuerat, in postremis concodi. In illis siquidem Imbottir, non ideo seso circa lami mini aquam attollcre, quod lauiinao aor adliaerescat ; l*in his rero attollentis so circum aquao sola asseritili - causa adhaesio aéris et Luninae ipsius : ut mirari satis non possila, pauois adeo in verbis seenni tam predare pugnare Galilacum r ' 351 . Male '‘autem infert et illud : Si adhaesio aeris ac laminao ea sit. quae lami- « Sag., f. 159, 1. 7. nani sustinct et aquaruin circum aggores attollit, idem l'oro etiam si laminam fi>«g- » 20 , im. 2 o] hunientem aquis iinpouamus. Male, inquam ; quia, si madida lamina sit, non laminae, sed aquao, qua lamina madet, aor adhaerescit t 138 ': non poterit ergo aer laminam sustinere, cui non adliaerct. Iluius autem vera ratio non longe petenda est. Nani tandiu humor A, v. g., ab huuioro C seiungitur, quandiu corpus ali- pod dissimilo intcrnicdiat: dum ergo aer laminao siecao B proxime ac valido Mnectitur, ita ut marginimi A, (J pondus vini adhaesionis illius pervincere nequeat, margincs se circum attollunt ; at ubi Iota maducrit lamina, tunc humor A lui- mori C iungitur, medio ilio liumore B quo lamina ipsa madet, litquo ex bis tri- bus A,B,C continuus quidam humor; omnis autem humor continuus ad aequi- semper se nutu suo redigit, ac, proinde partes aquae aitiores A, C in 1,241 ah furbo! tu simuli di non aver veduto l’indice degli errori, che pur operai che ti fusso consegnato ; e tu stesso di sopra confessi d’averlo veduto, dicendo che era non so quante faecie, etc. (l) 11251 ed io non posso a bastanza meravigliarmi che voi siate così temerario e sprezzator della vostra reputazione. ® 11261 Si adhaesio aeris ac laminae ctc.: se non si può dire che l’aria aderisca alla lamina bagnata, ma si debbo dire all’ acqua, non si potrà dire ancora che pietra aderisca o stia attaccata al muro incalcinato, ma alla calcina ; e si¬ milmente quando voi attaccate le conclusioni, e dite di averle attaccate a un pila¬ stro del Collegio, non parlate bene, ma dovreste dire di averle attaccate alla colla. 111 Nell'edizione originalo dol Saggiatore, pag. 169, l’AvvcTtimento, è indicato di correggere non in ne (cfr. ‘ B |3, si leggo appunto: « Dol sostenersi, dunque, pag.823, lin. 30, della presento edizione). E Qami.ro -iti argini altra non la cagiono * ; ma nella Nota di nell’esemplar© della prima edizione della Batto da lui wrioceani nello ttampare, cho ò aggiunta in fino di postillato, a pag. 144, lin. 80, sottolineò il no»» cho gli ta, »iesemplari del Saggiatore e di cui parliamo nel* diode occasione alla postilla, e scrisse in margino »> Sag., f. 160, 1. 2. Sed b quibus argu mentis, inquit, Sarsius clcmcntorum rarefadionem snudare co- [pus. 324, ìm. ic] na far t haud diffidltus iisdem corundcm arguti densationem. Ita plano utrumque nffirniat Sarsius: hic quidem rarescere, illic densari; rarescere iterum quaedu- « Sog., f. ICO, 1.7. ruerant, atque olim tcnuata durescere. Ncque c milii lepidum usque adco caput [pag. 324, Un. 2ij ea ^ U £ existimem, elementa, ab ipso mundi nascentis cxordio, aeque sccnnduni » partes omnes caepis.se rarescere, quod quasi a me dietimi hoc loco carpitili, nc toto orbe omnique ex parte magia ac magis quotidie tenuari, ut tandem, m omnem cadi plogam impressione facta, Lumie caelum, quasi bullam, mima in flatione disrumpant: quod nondum quidem accidisse, Galilacus per iocum ad' t 127 l Supposto per vero, elio guttac in orbem coaclae consistavi, at veto, didas frondes nactae, dispergantur, quia, qua parte madida contingunt de., corti» humori iunguntur, inferirò con pari ragione elio 1’ aria aderente a i empi i trovando altr’ aria, si confonda con essa, e così non ne seguirà il moto del corpo liscio. » RATIO PONDERUM LIBRAR ET 8IMBELLAE. 471 futuruin iti fortasso intra paucos annos, cuna amplius aliquanto exluilationum mo ies incrcvcrit. Somnia tara ridicula no raatutina quidem mihi ingorit quies, idque ego animo volvo, quoti oculis intucor : rareseero scilicet alicubi elomenta, atquo bine vapores oxlialationesquo ascendere ; quaro, si liacc aliquando Lunao concavum, altius evolatura, presserint, tenacius aliquanto eidom adhaesura, ac l'acilius oiusdem motum secutura. Dixi, alicubi rarescere; nam alibi fortasso den- santur, eademquo illa, quao tenuiora altius cvolarunt, coguntur iterura ac descen- (] un t!>“]. Haec ego, nisi fallor, non usquo adco risu digna. Scd iam ad catini experimentum veniamus. 10 v. ' Examen XL. Ula hoc loco mihi orna Simbollatoro lis est: an vidclicet, si laovissimuin atque sphaericitatis exactao catinum, suo impositum axi ac polo, circumagatur, contentus aer pariter ad eius motum rapiatur in gyrum. Nam, «dixeritne ali- quando, etiam aquam ad eiusdom catini motum movori (quocl nunc diserte negat), ii quaerant, a quibus id tamquam Galilaei dictum acceperam ; quorum cum codem ncccssitudo nullum mihi relinqueret ea fc do ro ambigendi locum; quorum doctrina atquo eruditio par esset tanti viri dictis, mira praesertim facilitate expo- sitis, non aegre percipiendis ; quorum auctoritas si quando privatas etiam eius cpistolas, needum limam expertas, typis c mandasset, haud ilio inique laturus esset ; 20 quorum denique urbanissima humanitas, dum aperto ac palam, non ut temere 'palatura, sed ut consultissime nobili in corona a Galilaeo admirationi propo- situm, dictum illud referret, omnem quoque a me inurbanitatis notara removeret, si rem vulgatissimam meis quoque scriptis insererem. Nempe hoc magnorum viro- rum est, latere plerumque eorum dieta non posse, nihil ab iis proforri, quod oraculum omnibus non sit; ex quo fit, ut, si quando aliqua in re peccarmi, difìi- cilior eos subeat paenitentia, cum resipiscero soli non possint magnorum ducto- res populorum. Quod ergo ad experimentum catini attinct, rem totani paucis absolvam ; ubi me prius non usquo adeo Euclidianorum principiorum ignarum ostcndero. Dixe- wram, catini, sire, quod idem in re nostra est, vitreae sphaerae interiorem super- ficiem, ad cuius motum inclusus aer movendns est, maiorem esse aere proximo movendo. Hic vero, Non *advertis , Sarsi, inquit Galilaeus, quid tibi malum exci- ierit, quod Magistro tuo non mìnus quarti Ubi dedecori vcrtatur ? Itane vero tyft'ti catini aut sphaerae vitreae interior superficies a’èris contenti superficie tibi 11281 Leggasi ii testo del Sarsi, dove mai non si fa menzione di condensazione, ma solo di rarefazione, ed apertamente si dice che la sempre e che la preme tutte le parti del cielo della 2)* Sng\, f. 165, 1. 19. [png. 325, li II. 12 J * h 20. [png. 325, lin. 13) « 1 . 27 . [png. 325, lin. 10) * 1. 34. [png. 325, lin. 261 Sag., f. 167, 1. 30. [pag. 827, li». 13J 472 LOTHABII SARSII inaiar est? nrquc Eudidùmum ittud saltcm venti in mentati: Quae sibi congruunt, suni acquatili? Ai interior catini seu sphaerae superfìdes a'èris (enti super/iciei congrmt ; sunt ergo acqualrs. Quod si forte catini superficie, n cum toto aere contento confcras, louge turpius erras : tum, quod superficiem cum carpare componis, hoc est ilicersi generis magnitudincs inter se confcrs, cum tamen ex codcm Euclide, ratio sii dttarum inagnitudinum eiusdem generis, corpus vero ac superfìcie genere differitili; tum edam, quod in hac comparationelongemam scraper sit corpus contentimi, quarti corporis contincritis superfìdes. Sic ille. Scio tumcn positionia mene sensum ncque Galilaeum, neque alium quamquam ohm similoro, latore intuisse: satis enim apparebat, quid superficie io nomine intelligi oo loco veliero, «v.perficiem videlicet physicam, non matkoma- ticaro hoc est aliquid ìlli simile, quod in aqua navi adhaerente aqueum velina Galilaeus appellavit, cui postoa aliam neri» contenti superficiem, hoc est aeris velum eiusdem crnssitiei, conferrem ; atque ideo non dixeram, superficiem catini maiorem esse toto ni ; ro contento (sommimi Simbollntoris illud est 1 '*'), sed aere proxime movendo, hoc est. ip»a physica superficie aeris coutenti. Hoc autem modo si accipiantur superficie», seni per continens maior eri t quam contenta. Et quamvis in catino etiam aperto id veruni sit, non solimi in operto, aut sphaera vitrea integra; quia tamen in bis magi» separator aSr contentus a roliquo aere circum- fuso, a quo quiescente veluti tonebatur ne catini niotuni sequeretur, ideo etiam 20 in operto catino, aut sphaera integra, facilior aeris inclusi inotus existit, quam in aperto. Nihil igitur Kuclidi debeo, cum bic non matbematicarum, sed pliysi- carum, superficierum fiat comparatio, neque superficiei et corporis, sed corporum, Nunc demura Galilaei experimenta pensanda sunt, quibus conatur probare, aerem catino inclusum ad catini inotum non moveri. Quibus facilius refellendis [129] no, Sig. Sarsi, il tosto vostro è troppo chiaro, nè vi si trova mai scritto di superficie fisiche. E poi, che distinzioni son queste? e voi, che sete matematico, voleto ammetterle? Se il catino non avesse la sua superficie arcimatematica, 0 parimente 1’ acqua, ma solamente le superficie loro fusser fisiche, pur pure la vostra risposta varrebbe » qualche cosa ; ma se amendue hanno le lor superficie matematiche (chè di altre non se ne trovano al mondo), chi volete che indovini che dicendo voi superficie, cho solo hanno lunghezza e larghezza, in¬ tendesse che voi volesse che V avessor profondità ancora, cioè che fusser corpi? Voi per coperta d’un errore ne scoprite un altro, che nè anco ricuopre quello, ma scuopre voi e vi palesa più imperfetto matematico che non apparivi avanti. uso] jq v08 tro testo è chiaro ; però trascrivasi. RATIO PONDKUUM LIBRAR ET 81MBELLAE. 473 id uaura prius poncndum est, quod toties a mo iteratimi fuit : hoc est, ncque halitus aut exhalationes lunari concavo inclusas eadom cclcritate moveri qua caclum ipsum ; neque inclusimi catino aiirem eadein qua catinum velocitate ro¬ tóri sed lentius multo ; idque co magia, quo illae a cacio, lue a superficie catini continenti abfuerit. Hoc posito, nullam vini liabent Galilaei argumenta ; quae id unum conantur suadcre, inclusum scilicet catino aiirem non aequali cum catino impetu circumvolvi, quod nitro concesserim. Sic emm ille: Ut "appareat, inquit, an a'ér ad vasis circumducti motum rapiutur, dum id a,ci -imposi tum suo tderrim vertitur, candelas accensas duas stimilo, quartini aiteram interme super¬ iti fi dei vasis affiglio, aiteram vero manu praehensam eidetn superficiei proximam laido: tane enim, sì aèr catini motum asseqtiilur, atquc (ut ipsius verbis utar) se i» alcun tempo V aria anderà parimente con quello in volta, senza alcun dub¬ bio, movendosi il vaso V aria contenuta e la candeletta attaccata, tutto colla mede- ma velocità, la fiammella d’essa candela non si piegherà punto, ma resterà come se in tutto fusse ferma; che così a punto avviene quando un corre con una lan- « Siig., f. 169, 1. 5. [pag. 328, liti. 10 o bog. /mw, entravi racchiuso un lume acceso, il quale non si spegno, nò pur si piega, meliga che Varia ambiente va con la medesima prestezza, ctc. Ex quibus appa¬ ri, vini argomenti ox co pendere, quod falso a me dictum supponit Galilaeus; aerem videlicet, catino clansum, oadem ferri velocitate qua catinum ipsum. Ego ìnero tum aerem tum etiam fìammam tardius moveri volui [mJ : ad lume autem motum aiiris tardiorem redarguendum, ineptum est Galilaei experimentum. Cum enim candela catino affixa non possit catini motum non sequi, candelae vero fiamma non catini sed aeris motui attemperatili* ; si catinum feratur cele¬ rà, aer vero tardius, celerius etiam movebitur candela quam fiamma, atquc liaec, ubi trahentem se candelaia asseti ui amplius non possit, ab illa di valsa extinguetur (,) . Motum autem aeris, sed tardiorem, satis superque meum probat experimentum: si enim alia candela accensa inaiai retineatur, cuius fiamma non longe ab intcriori catini superficie absit, liaec, ubi vas circumagi caeperit, in eamderaquoque partem suam eventilabit (lanmmin ; liaec autem eventilatio aliunde borili non potest, nisi ex aiiris se.se in gyruni agentis incursu. 1 lane vero fìammam ll31ì Ego autem tum aerem tum etiam fìammam tardius moveri volui etc. Ap¬ plicate questa vostra volontà al moto della cometa o altre impressioni sotto il ciclo della Luna, c troverrete clic ella non vi ha obedito, porcini non si moveva più tardi, ma più veloce, del cielo della Luna. 1 ' A questo passo il Guxnucoi avova postillato pse, scilicet, et pingui Minerva homo), non satis assecutus sit, eius denium sen- (i m ff- 83I > liu - 8 l ac vini, Galilaeo multa post succida explanante, percepturus, pudet me pluribus inquirere : id unum tamen scio, scholam illam, quam bonam praeclaro (I30j • nnpropriissimamento si dice, Motus est causa caloris; il die ò manifesto, perchè con altrettanta verità si può dire che motus sit tousa fngoriS' L accpia calda commossa si raffredda, 1 ? aria e 1 vento l,,ossi si raffreddano. vi. 60 476 LOTHAKII 8ARSII nomine appellat Galilaeus, Epiouri scholam fuisse hominis eo omnia diri gentis, ut aut Deum tolleret, uut illum mundi cura levaret. Caetera a me in mea Libra producta, quando e Galilaei sensu prolata non sunt, ut ait ipse nihil erit cur iterum ad pondus revocentur. Quoniam vero, inter disserendum, etiam illud quasi certum produxeram rare¬ fi Sng., f. 173, 1.7. fieri, scilicet, corpora, nulla partium separatione facta, “non satis se intelligere l f ,ag. sai, 1ÌH.27J p ro fitetur Galilaeus, qua id ratione fieri possit. Ego vero id quidem fieri quotidie video ; modum autem, ut alia quaroplu- rima, pianissime ignorare me fateor. ltarescero autem corpora, nulla partium separatione facta, multa noe docent experimenta : illud maxime obvium, quod si io pneumaticum illum tubulum, quo lusoriao inflantur pilae, in manus acceperis, adactoque introrsum epistomio, foramen etiam fistulao summum ita occluseris, nihil ut inde dimittere aut admittero aeris possit ; inox epistomium, quasi edu- cturus, magna vi attraxeris ; id, aegro licet, manum tamen trabentem sequetur, et locum intra tubulum arapliorem relinquet, quem idem ille aer necessario occu- pabit, qui prius angustioribus terminis claudebatur. Idem ergo aer nunc maio- rem nunc minorerà occupat locum, ncque partes eius separantur, cum nullum succedere corpus possit, quod inter illas mediet: nullus enim relictus est aditus. Quin etiam, aerem illum, per vini maximam manubrii attractione extenuatum, nullum aliud sibi corpus adiunxissc ad amplius illud spatium explendum, vel 20 illud argumento est: quia, si epistomium manus descrat, illud se magno impeto intro rccipit, et priores aeri terminos statuit. l’raeterea, in bombardaruin explo- sione, exigua pulveris sulphurei moles, concepto igne, totani occupat bombardae cavitatelo, quao prius palmari tantum spatio claudebatur: nec lillà ibi potest esse partium separatio ; haoc enim alterius corporis interpositione fit, nulla autem parte corpori alteri aditus patet. Ilaec igitur assero, quia video fieri; modum, quem non satin intelligo, non prode. Examen XLII. Disputationis liuius illa erat. summa : quaerobatur, an ad calorem ex attriti! corporum excitaiulum, in ipsis attritis coriioribus partium consuìnptio ac deper- M b Disc. d. c., f. 13, ditio requiratur. 1 Assorit enim Galilaeus, negat Sarsius. Assertionem is prob.it 1.17. Ipag. bc, ini. ..s e scg.] [ìaa] j Q veramente, come quello che non ho mai studiato i libri d’Epicuro, non sapevo clic esso ne funse 1’ autore ; ma il Sarsi, come molto pratico ne’ suoi dogmi, 1’ ha riconosciuto subito. 11 Sarsi seguita in qualche parte l’opinione e ’l modo di argomentare di j cone, il quale fu Calvinista : non però io direi mai che voi leste segu ace 1’ opinione o de’ modi d’ argomentare de’ Calvinisti. RATIO TONDERUM LIBRAR ET SIMRELLAE. 477 sperimento : Id enim quotidiano discimus usa, inquit, tigna, oleum, cu- r eli qua ■ 0 ( utic calorem excitare, cum al/su ni untiti-. Ego vero, contra, experi mento alio opposifcum evincere conatus sum. Aerea enini lamina inter mallei ictus ac ver¬ terà maxime incalescit ; scraper tamen ad libollam idem pondus probat [134] . Quia (amen videram, multa insensibiliter fortasso minui posse, quorum propterea dispen- dium nullo librae examine explorare possem, ideo id ipsum mila obieceram, iis verbis: Q ll0 deperdi quidem partes, seti adco mm tcs, ut sub librae, quamvis cxitjuac, examen non cadant de. Àddidi tamen, gratis omnino liane partami incturani invela, nisi aliquo saltom arguraento illa io se prodat ; cum ergo in lamina, in ter malici verbera incalesconte, nullo deprclien- datur indicio haec partium indura, aflirraari proinde necessario non debere. Ex (liiibus satis intelligoro poterat Galilaeus, non usquo adeo rudem me atque liebe- tem fuisse, ut ignorarem, multa consumi posso, nullo tamen sensibili indicio, quando id ipse milii obieceram. I)uin igitur tot tamque obviis oxperimcntis cona- lur ostemlere, minui posse quaniplurìma, nullo decrementi manifesto argumento, oleum atque operaia perditi cur enim tanto negotio probot, quoti negetnomo? Cum ilio igitur Ime in ro sentio: glolnilus inauratus lungo usu atteritur ; odo- ramenta, nullo sensibili decremento, vias ac domos complcnt. Quamvis, si cum Peripateticis loqui velini, odorem tam multimi in species ìnagis odorati cor¬ so poris, quam in ipsius substantiam tam late diffusala, referendum dixeriiri ; quae etiam specierum sese lato fundontium vis multis allatorum exemplorum accom- modari facile posset. Sint liaec tamen ut libet ; illa corto non disputatami, quae ea non poscebat, soci aliquantulae ostentationi, si veruni fateri velit, data sunt. Ex bis nihilomimis aliud uiliil infert, nisi multa consumi posso, quamvis dccre- mentum deprehendi non possiti quod iain in Libra nitro concosscram. Nego (amen inferri ex bis, etiam in illa laminae contusione, qua fervet, aeris partes deperdi : quaero enim, quibus argumontis illa partium iactura constet, quando ne simbellae quidem beneficio indagari potost. lluc ergo (lisputntionis devene- ramus, cum Galilaeus, h Acute tu quidem, Sarsi, inquit, intcrrogas, unde mihi haec $ partium iactura in incalcscentilms attritionc corporibus constare possit, si ne 1W) Avvertasi che mi par che e’dica d’ essersi accorto e sapere che alcuni corpi possono diminuirsi in parte e crescer di peso, etc. Ma se voi sapevi ciò potere essere, perchè, per vedere se il rame bat¬ tuto sciemava, vi servivi del pesarlo in bilancia? non vedete voi cho tale esperienza era fallace? 11 > '*** posti,]» fa scritta da G*ut*o , W'o mo cho ora, inserito nell’ esemplare « del1 * Arti. da lui postillato, fora a « quel Tomo doi Manoscritti Galilei sul qual fogliolino, uo poco più in su e con uno spazio bianco in mosso, egli scrisse altresì la postilla cho noi abbiamo riprodotta qua addietro sotto il nu* mero 128. a Libra Àstron., f. 54, 1. 10. [pag. 101, lin. 23] * Sag., f. 175,1. 16. (pag. 333, lin. i] 478 LOTII Alili SAR8II exacHssimae quidam UbéUae examen subit ; non tamen usque adeo incxtricabilitcr me illigat hoc argumentum, ut, aliquantulae logicac beneficio, ex bis angustia evadere non passim. En libi filum, si postulas, Ariadnae ; progressum vuldkit logicum porrigo. lutei- attrita corpora, quaedam constat nulla ratìone mimi; ipm- dum maxime consumi etiam sensu experimur; alia denique insensìbtìiter ubsu- muntur. lam vero, quae nulla ratìone attrita minuuntur, ca ncque incalescunt , cuiusmodi sunt specula duo plana ac polita, quorum affrichi, ut nulla parimi ioduro, ita nullus calar, existit ; quae consumuntur maxime, ea plurimim inedie- scunt, ferrimi, v. as- 333 ’ hn ‘ 27J rariores et porosiorcs partes adiunctas habeat, quorum Indiate in aquis sustineatur; iis ddradis, partes reliquae, nipote graviores in specie, dcscendcnt atque mergentur. At ego gratias quidem, quas debeo Galilaeo, prò hac habeo gratia : sed norit, iamdudum in liaec nos naturae secreta penetrasse. Certo non semel hac de ro » disscrentmn audivi Magistrum meum, atque ea maxime occasione, cum aurcam sphacram eius ponderis confici docuit, ut eo intra aquam staret loco quo loca- retur, summo, imo, medio. Horum igitur ac similium memor, Galilaei documento carere facile poteram (U5] . Iam vero in ro nostra, in qua quaeritur, an ad calorem ex attritione exci- tandum necessaria sit partium consumptio, nihil iis probatur argumentis, quae tantum id esse posse evincunt, non autem re vera ita esse; quod unum quaeri¬ tur. Esto enim, in ferri percussione pondus semper idem non sit evidens nullius iacturaeargumentum, quod potuerit ex eo aliquid ©volare, quod levius 11551 Ma, ser balordissimo, so tu avevi saputo prima, e to ne ricor¬ davi, cioè che poteva esser che alcuna materia sciemasse di mole o crescesse di poso, non vedi tu ora quanto, sei stato ignorante, men¬ tre hai asseverantemente scritto che il rame battuto non sciema di mole, poi elio per esperienza Pluvi trovato non sciemare di peso? tanto è peggio per voi, poi che, avendolo saputo, non ve no f “te saputo servire, ma senza distinzione alcuna avete affermato, Mn intendere come con altro che col vedero alla bilancia un corpo pesar meno che prima, si possa comprender che di lui sia scemato qualche parte. 480 LOTI! A RII BARRII essot in specie quam ferrimi P**!: nullo tamen, ac no probabili quidem argomento eflicitur, ut haec consumptio re vera extitisse dicenda sit. Nob autem' nisi ratio alimi suadeat, sensu ad scientiain duciinur: sensus autem promestat' ratio seu logica progressi tìalilaei ipso in ingressa concidit, ut ostensum est Biipra : gratiB igitur haec partium ubsuniptio ailirmatur. Ut autem ostenderet Galilaeua, vere in attritione multas corporis attriti partes evolare, reliquia corporis partibua in specie leviorea, ab experimentis dictis suis «Sng., f. 176,1.10. «idem facit. Ne •videar, inquit, haec quasi fuyitum dixissc, si quis intra autdurio- 333, Un. 87j res lapida frcgerit, ad confradionem omnem ftimum quendam ex iis ascendenitm apertissime cemet ; qui suo ilio ascensu necessario ostcndit, esse se aere leiiorm, io Id ego primum eupertus sum, cuoi specillonim vitra clavi fcrrove alio rotundarem. Ilio ego tria notato digna animadverto : primum est, id quod e fractis erumpit vitris, fuinum esse; alterum, ex eius ascensu necessario ostcndi, esse illuni aero leviorem ; tertium, experinientum desuraptum esso ex illa spccillorum rotunda- tione, quao ex levi clavis fcrrivo alterius corrosione cfficitur. Ego vero nequo futnum illuni esse, ncque aere leviorem, ascendat licet, exi- stimo. Primum probo eodem Galilaei experimento, scd cxactius aliquanto insti- tute. Laminam vitream utraque manu arreptam in duas ipscmet partes effrin- gat; advertet, nullum inde fumuin erumpere. At si ex fractione inclusus poris fumus aut exhalatio ascenderet, harum copia maior ex totali illa propemodum 20 vitreae laminae confractione erumperet, quam ex levissima eiusdem vitri corro¬ sione, cuna pori ibi plures, quam hic, aperiantur: sit enim licot lamina, utraque manu duas in partes difl’racta, amplissima, nullus fumus existet; sit licet vitri corrosio levissima, pulvisculus ilio seinper eruinpet. Hoc igitur argumento est, quidquid ascendit non fumum esse, sed eiusdem vitri pulvisculum, qui ex illa cor¬ rosione ac comminutione vitri a reliquis partibus seiungitur; quae comminuto cum non accidat, si duas tantum in partes vitrum effriugatur, nihil propterea evolat 11 " 1 . ( ,3# l Quanto questo poveraccio sia lontano dall’ intender quello clic vorrebbe persuader d’ aver saputo avanti di me, comprendasi da quello che scrive adesso; mentre, in cambio dire che il restare nella » percussion del ferro sempre il peso medesimo, non è argomento neces sario del nulla consumarsi di esso, potendo essere che da esso si sepa rasse alcuna cosa più leggiera in specie del mezo nel quale si pesa ferro, dice più leggiera in specie di esso ferro. Vuol questo temerario per suadere di aver saputa ed avvertita una cosa innanzi a me, la qua egli non intende dopo che io gliel’ ho più che chiaramente dichiara tW) nel rompersi la lastra in 2 parti, vola il fumo 0 esaazio^ invisibile, perchè non ha la sottil polvere da portar seco, pe' 1 ma 481 RATIO PONDERUM LIBRA E ET 8IMBELLAE. PuJvisculum autem illuni, quamvis in specie aero graviorem, supra aerem cerniere nihil vetat (attiue lice est alterimi, quoti expendendum posuoram). E/perimur plus nimio, nobis polverulenta incedentibus via, ac subiectum podibus ulverem suspenso quamvis gradii, calcantibua, pulveream illico nubem ascen¬ dere atque in altum evebi ; ut e longinquo spectantes etiam illud efl'ari cogat : ()Hti globus, o cives, caligine volvitur atra ? An, quaoso, levior propterea aere est pulvis ille, qui aerem tamen exscemlitV an, quaeso, et hic fumus est? Aio igitur, quidquid e vitri aut saxi confractione ovolat, minutissimas esse vitri aut saxi particulas, quae aeri» ipsius motu feruntur tantisper in altum; mox tamen w iterimi subsidunt ac decidunt. Si enim is fumus esset aut halitus inclusi poris, maior, ut dicebam, eiusdem materiae copia ex toto vitro Infarinili dissueto existeret, quam ex levissima eiusdem corrosione ; cum tamen oontrarium espe¬ rimento constet. Reliquu ex bis facile etiam diluuntur tl “>. Examen XLI1I. Ut eoa hoc loco prorsus conficiat Galilaeus, qui o nnbium attritione fulgora ac fulmina emicare contendunt, telum hoc intorquet, aitque, “lune eos maxime" Sng., f. 179, 1. 23. ignea accendi, cum suspcnsae et quietile nubes, nullo actao turbine, conquiescunt. 83tì ’ 1|U - 18 1 Sed ii vel levissima corporis dedinatione ictum eludent; dicent onim, attritio- eem, quae nubem incendit, non tam alterius incursu nubis existere, quam interna sparlami cuiusque nubis agitatione compressioneque vebonionti : bic porro par- tium motus adverti non potest, fieri enim potest manente totius nubis eadem figura. Praeterea, in troclearum funibus, quamvis lentissimo atque omnom sen- suiu fugiente motu actis, ex sola partium valida compressione calor atque incen- diuui excitatur |13 *l. Nubium ergo partes agitari intus vehementissime poterunt, ac proinde etiam incendi, nullo tamen totius nubis motu percepto. Neque Aristoteles, quod sciam, in numero est eorum, qui tonitrua nubium, quasi montium, incursu fieri asseverant : satis ilio sonitus illius causani assignat, cum exhalationum vim magnani, motu agitatane incensamque, per obstantes nu¬ biani cuneos erumpere, fragoremque illuni excitare, diserte scribit, aguale si fa visibile : e còsi il vento si fa visibile per la polvere sol¬ levata; e la polvere non si solleva se non portata dall’ aria commossa, ma nell’aria quieta desceiule. 1 arei desiderato che voi aveste diluto le altre cose, e in parti¬ colare quella dell’ odor sulfureo che si sente. 1 nelle taglie vi è la compressione validissima di 2 corpi duri; •"a nulle nugole dove è, o come vi può esser, siimi compressione i 482 LOTHÀRII 8ÀRSII « Sag., f. 179, 1.28. Quod «autem phiiosophorum pierique, ad aonos edendos, corporum Bolidormn [ptiff. 886 , Un. 22] . t jij s i on em requirant ; inox nubes atque arreni maximo fragori edondo statuant aptissima; nihil est, cur miretur Galilaeus, eosque tamquam pugnantia asserentes arguat. Ncque enim pugnantia haec sunt, si aer ac nubes nonnumquam vim soli- dorura, mollia licei ac liquida, exploant: explent autem quotiescumque motus celeritas ac subita incursio corporum loco cedere non permittit. Dura siquidem sommi ideo suscitant, dum motui attenua corporis obluctantur ; cui si quando aer aut nebula pariter reluctctur, solidi partes omncs explebit ac duri. Ita, si virgam lento per aera niotu egeris, nullus sibilus cxaudietur; si celerrime excus- seria, maximus: ibi siquidem mollia aer, impulsus molliter, tempus aptuni re- io ceptui nanciscitur ; liic pressus propere, atque, ut ita dicara, inopinate (quod in subita saepe fuga evenit), stupet, ipsa fugae necessitate fugam remorante. Haec igitur si, quo aensu prolata sunt, intelligantur, mbil in se absurdi continent, sed purae consonant ventati. Examen XL1V. Quaorebatur hoc loco, an aer, utpote corpus tenuissimum, atteri possot. Ne- garat Galilaeus; id ego, quasi Peripateticum agens, timi ratione, tum magnorum b Sag., f. 181, 1. 31. auctoritate virorum probaveram. Sed hic, ‘primo, obiicitur, frustra afferri Senecae, fpag. su?, iin.4 esce.] gytffa aliorumque suffragi a, atteri aerem experimentis probantium, quando in mm nostra est , ili a ipsa tam all miranda praestare , qtuxe ab iis aliisque narrantur . 20 Veruni, si quae a nobis scribuntur aequiore legantur animo, constabit, nos aliud nihil ea testium aggerationo voluisse, nifli, ut quae ratione ipsa prius firmata fuissent, aliorum etiam testimonio firmarentur. Itatio porro illa fuerat, quia, quamvis inter corpora tantum aliquo modo solida attritio sit, aer tamen, et quod- cumque aliud tenue corpus, in ipsa motus oeleritate vini solidi nanciscuntur, cuni obluetentur impellenti nec ccdant : tota autem attritionis ratio in solidis ab illa resistentia est ; haec igitur cum reperitur in liquidis, eadera attritionem pati coget, ac proinde etiam incalescere. Quamvis autem in aeris atque exhalationum exarsione, et plumbi fundis ex¬ cussi liquatione, aeris ipsius attritione, non autem corporis solidi, opus sit, non so < Sag., f. 184, 1. 3. ideo, ut Galilaeus c ait, minus aptum censendum est aeris exemplum, parietes (pag. 339 , im.3] jp S0S Jonga pulsatione corrodentis. Eo enim loco satis nubi erat ostendere, aerem, si magno feratur irapetu, durioris naturam corporis induere, ac proinde dimora atterere, atque ab iis vicissim atteri. Sane quantum a vero distefc Galilaei dictmn, ^ Sag., f. 184,1. 8. quo d ncque aerem ncque aquam attritioni obnoxiam asserit, vel illud m a fi ua experimentum ostendit, quod liaec, vi maxima scopulis allisa, non in spumai modo frangitur, sed e longinquo etiam prospectantes tenuissima atque omnen acieni fugiente irrorat aspergine. Non solum igitur atteri atque distendi aq (pag. USO, Hn. 7] ItATIO PONDERUM LIBRAR et 81MBELLAE. 483 test seti etiani comminui, ac, nini alimi obstitorit, hoc saltem nomine in- calescet ' 1<0 t Dixerain cum Statio, fundae gyris aerom quasi constringi ac densari, indeque incalescere ac plumbum liqnare. En, a inqoit Galilaeus, Sarsius modo a'èris attc- mdione calorem gigni assentii, mine, una cum Statio, ciusdem constipatione glan- desplwnbcas igniri canit: id quam constante? At ego liaec ita semper inter so connexa putaveram, ut ex uno semper etiara inferri alterum posset. Ncque enim unqnam pars una aeris concrescot, quin aline rarescant illuni ambientes, in su- bitis praesertim concrctionibus ; ncque centra in celeri solidi motu adhaerens, io quasi distractus, rarescot aer, quin pressus circumstans donsetur Nos igitur hoc loco aeris attritionem inquirinius, qua© tum in rarescentibus tum etiam in sese densantibus corporibus reperitili-, immo vero in donsatione maxime. Examkn XhV, XLVI et XLVII. Quaecumque cxamine quadragesimo quinto obiiciuntur, satis superque supra dilata sxm t. In quadragesimo soxto illud peculiare milii a Galilaeo imponitur : quia enim inter enotera exempla attriti aeris et durissima corpora liquantis, illud addiderani, ex bistonda fide dignis luiberi, plumbcas pilas torinentis bel- licis excussas nonnunquam in aero liquescere, atquo invalido ictu ferire, negat ‘ipse id fieri posse, (piando perexiguo tempore, quo per aerem fertur , liquori ab aere i) «cceiiso non potest ca pila, qttac in fornacetn conicela diutius eius flammas , nihil mollita, toleraret. Iiationem proptereu mihi aliquam excoyitundam esse, qua ostcn- dam, accesso aere vchementius ac celerius posse plumbum liquori, quam vche- mitissimis fornacis flammis. Noe abnuo: aio enim, fiammam quameumque, validi spiritus vi actain et in cuspidem acutissimam tenuatam, non plumbum modo, sei aes quoque cuspidis illius igneae attactu liquare illico posso. Hoc mihi pol- licetur quotidianum experimentuin, in quo exigua Incerane fiamma, quae oris ipsins lialitu per tubulum tenuissimum inspirato difilato, atque in acumen tenuis- siraum evibrata, vitrum ipsum subito liquat et solvit, atque artificum forcipibus stylisque formandum emollit : usque adeo veliemens ignis ille est, qui aeris velie- » menti impulsu citatur. Aiir igitur ignitus, et valido concitatus impulsu, validius dam uret quam fornacis fiamma, sed quieta [U1 '. Sed f addit praeterea : Cereus 11401 adesso scaldarsi importa l’istesso che sminuzzolarsi. 1411 è gran cosa che l’aria compressa e rarefatta estremamente "silo schizzatoio, non faccia differenzia niuna di caldo o di freddo. 1 Ingegnoso trapasso dal fuoco all’ aria : il fuoco cacciato dal- 1 a ùa abbrucia più ; adunque 1’ aria infocata, mossa velocemente, ab- ' Sag., f. 181, 1. 20. [pag. 88‘J, liu. 18J Sag., f. 189, 1. 24. fpiig. 312, liu. 27] e 1. 2G. [pug. 842, liu. 30] LOTHARII SÀR8II « SRff. f f. 102, i. :t fpaj. 314, liti. 0] 484 globulus sclopeto excussus tabulavi diavi crassiorcm perforat ; non ergo in nére liquescit : so aere leviori substontatur, hoc est ab exhalatiònibus igneis. Ergo, si quid etiam omni subiecto acro lovius, hoc est igneum, materiali) illam viscitlam et glutinosam cometarum '"’l sua olevet levitate, ex altiori spc- cula, lougiun in tempus, nobis comctao fulgebunt, fulminibus interim subiectis in nubibus dirum intermicantibus, quod ab aqua aliaque graviori materia cui admiscentur, vel invita deprimantur. Nunc "me illa vocat de calore digressio, in qua se e scholaDemocritiatque Epicuri unum profitetur Galilaeus. Quia tainen iciune admodum, hoc loco, dispu- io tationem libro dignam paucis absolvit versibus, ncque mihi pronum est cum co disputare, cuius ignori lo principia, niliil ideo do Ime sententia statuo. Habe&t liane ille sibi sine rivali ; illorum hac ilo re arbitrium esto, qui, recte sentiendi aequo ac loquendi magistri, incorruptao fidei tutelile cxcubant. Nonnullus tamen, qui ine angit, scrupulus aporiendus est. Ilio mihi ex iis nascitur, quac ex Patinili, CJonciliorum, ac totius Ecclesiae placitis, de Eucbaristiae Sacramento apud nos indubitata censontur; qualia illa sunt, abscedente, verborum potentis- simorum vi, panis ac vini substantia, superesse uihiloininus eoruindem sensibiles species, colorem scilicet, saporero, calorem aut frigus; has vero divina tantum vi, atque, ut ipsi loquuntur, miraculose, sustenturi. Haec illi. Galilaeus vero diserte 20 aaserit, calorem, colorem, saporemque ac reliqua lmiusiuodi, extra sentientem, ac pronube in pane ac vino, pura esso nomina : ergo, abscedente panis ac vini substantia, pura tantum qualitatum nomina remanebunt. Quid ergo perpetuo opus miraculo est, puris tantum nomimbus sustentundis? Videat ergo hic, quam longe ab iis distet, qui tanto studio lumini speciorum veritatem ac durationem firmare conati sunt, ut etiam divinimi buie operi potentiam impenderint. Scio equidem lubricis ac versutis ingeniis videri posse, patere lune etiam effu- giuin aliquod t ,w) , si fas sit sanctissimorum fidei praesidum dieta ad libitum in- « so ben mi ricordo, sopra fu negato, vapori aquei e grossi po¬ tere ascendere a formar la cometa. 80 iH'jj Nonnullus tamen qui vie angit scrupulus apcricmlns est eie. Questo seni- polo si lascia tutto a voi, perchè il Saggiatore ò stampato in Roma, con pei mis¬ sione de 5 superiori, e dedicato al supremo capo della Chiesa; ò stato riveduto da coloro che cxcubant inCOìTuptae fidei tutelar , i quali, avendolo approvato, avranno anche pensato al modo coi quale si può levare tale scrupolo, nè si sgomente ranno per vostro dire che lubricis ac versutis ingeniis pateat cffugiuni. maniera di parlare propria di coloro che stampano, come avete latto voi, senza licenza de’ superiori, e che si dimostrano male affetti alle stampe di Roma. Pudct impudentiae tuac, cuius te ipsuvì non pudet , disse un valentuomo. RATIO PONDERI»! MBRAE ET 8IMBELLAE. •187 tari, eaquo a vero et communi sensu alio detorquere. Veruni, quod in Terrao ta suadendo non licuit, cuius tameu quies inter Fidei nostrae capita oxpressa non habetnr, minus id, nisi fallor, licobit in eo, quod aut summum est, aut ma q U aeque coraploctitur. Remnnent, aiunt illi, in hostia sensibiles specics, calor sapor et reliquao: Galilaeus vero, Calor, inquit, et s:tpor extra scntientem, ac proinde in bestia, pura sunt nomina, hoc est nihil. Inforendum igitur ex Ga- lilaeo erit: Calor et sapor in hostia non remanent. Ilorret animus cogitare. Libet tamen, ut de re tota non disputai), quaedam, rem ipsam voluti circuinsistentia, cxamini admoverc. Ac, primo, quidom, illa niilii discutienda ratio est, quae maxime I0 Galilaeum in cani adduxit sentontiam, ut colorem reliquasquo sensibiles quali¬ late nihil, extra sentientora, esso existimarct. Sic enim ilio: “Titillatio illa , quae a Sag., f. 198, 1.2. hi piume adductionc circa nares aut labia maxime in nobis cxcitalur , tota in tl>ag * 348 » Hn * 2C| est; non in piuma aliavo levi materia praeexistit , quaepostea suo contadu tmilenì nobis imprimati rari igitur ratione adducor ut credavi , evenire et aliis miitatibus, quae naturalibus carpari!) us iribuuntur , qualcs sunt odores , saporcs (tcolores, (diacque id gcnus multar , qua» extra scntientem pura h tantum nomina b Sag., f. 199, 1.31. (xistimo. Sed, ut veruni fatear, cum hoc argumentum a particolari progrediate, li >a &- 3o °» 1,l, - 10 l nihil oranino probat: liccret enim etiam mihi adversus Galilaeum inferro: Leni ilio plurnae ad nares affrictu, existit in sentiente titillatio, nulla licet plumae «partìcula pellem nostrani aut cameni pormeet; pari ergo ratione adducar ut credam, attriti corporis attuctu calorcm in nobis produci, nulla licet ex ilio cor- pore erumpant corpuscula, quae molli suo pellem et cameni nostrani minutatimi perforent. Ut autem constet disputationis arguinontuin, nulli ogo quidem dubium esse existimo, an ipse caloria sensus extra scntientem sii; liaec enim ridicula prorsus essct dubitatio, cum extra sentientem sensus esse, non possit : quaeritur ergo, an, quidqukl calor, praetor ipsam caloria sonsationem, est, in calefaciente praeexi- stat. an vero sit in sentionte tantum. Negat f autem Galilaeus, quidquid calor est, praeter ipsam sensationem, calefacienti inesse. At ego, vel ex ipsius verbis, calo- » rem, hoc modo sumptuin, tam calefacienti quam calefacto inesso contendo. Vel «, ex Peripatcticis, calor qualitas est ; atque lutee, ex eadem schola, agenti inest et passo : vel, ex Galilaeo aliiaque, est divisiti continui, quam corpuscula illa in sentiente elficiunt, in quae corpus calefaciens solvitur; atque hac etiam labore calor in agente est et in passo. Dum enim calefaciens corpus solvitur, %ie ex eo erumpunt corpuscula ignea, liaec illud quoque permeant dividuntque non minus quam cum postea cameni nostrani pervadimi, ita ut si attrito ferro, T> g*> sentiendi vini addideris, non minus caloris sensurum sit, quam qui maini ninnimi perfricat. Ut enim, cum eo motu calorem excitamus, erumpentes igni- W0S ^ b^lein dissecantes sentimus, ita, si ferrimi vi polleat sentiendi, idem tiet quod nos ipsi ; atque ut manus manutu caiefaeiens idem in se experitur SAg., f. 200, 1. 36. [paff.351, lin.9] 488 LOTHARII SARSII quod alteri iraprimit, ito attritom ferrum quidquid calorie alii praebet, ipsumniet patitur. Si ergo cairn* non pio ipsa sensatione sumatur, quidquid calor est in calefaciente aeque atque in calefacto est: non est ergo extra sentientem purum nomen. Scemalo, dietimi illud, Molli# est causa caloris t cuius vis non satis Ari¬ stoteli porspecta olim fuit, nunc tandem Galilueus genuino ac vero exprimitsensir « Sag., f. 201, 1.14. En, «inquit, hic illc motus est , qui calorem cfftdt ; motus viddicet corpusculorum [png.grii, im. 2SJ v j va C0rì)0ra permeantium . At, M hililaeo, motus hic otiam frigoris causa est, sapo- 6 Sag., f. 198, 1. 82. rum, atque odorimi omnium, idque to indico; niliil ergo erat, cur signanter adco [pag.sio, ini. ir>] cu | or j 8 caU8a diceretur, non autem saporis aut odoris. Ego vero non ita ineptos existimem priscos illos fuissc, ex quibus liane yocem Aristoteles tibi desumpsisse io videtur, ut, quam omnium prorsus sensationum causam putarent, liane uni cale¬ fazioni, quasi propriam, tribuerent: ni mi rum peculiarom quemdam nexom inter motum et calorem vidisso credendi sunt, cum motum caloris causam esse dixe- runt. Sane si quis, quasi commune quoddam efFatum, pronunciaret, Solem cau¬ sam esse betarum, ime ilio maximam brassicis, fabis, ac rcliquo olerum populo, iniuriam faceret, quando aequo omnia tam elaro genita parente se iactant. Non existimet igitur Galilaeus, ita iniquo» priscos illos fuisse, ut eam calori quasi peculiarem causam assignarent, quam sibi qualitates omnes apud ipsos vindica- rent, hoc est inotum corpusculorum, in quae corpora niaiora solvuntur. f Sng., f. 200, 1.15. Praeterea, c Sensationum, inquit, diversilas ex diversis corumdem corpusculorum 20 Ipag. 850, Un. 2$] ^g Ur j s 0 ritur : fortasse enim rotonda ac laevia dulcem, anguiosa et scabra ama- runi, saporem efficiunt. Ergo sensatio eadem eamdem corpusculorum figuram requiret: calor igitur al) eiusdem figurae corpusculis semper producetur. Atcum lux calefaciat, haeo autem Galilaeo nihil sit alimi, nisi luminosi substantia in d Sag., f. 201, 1. 3G. atomos ^indivisibiles dissoluta; indivisibilia igitur, dum cameni permeant,eamdem [ P ag. 3u2, im. i] diyidunt ac proinde calefaciunt: sed indivisibilia nullius Iigurae sunt; non ergo eiusdem cuius sunt igniculi, qui, divisibile» cum sint, figuram aliquani admittunt. Praeterea, indivisibile, ex communi pliilosophorum sensu, non dividit, cum locum non occupet : lux ergo cameni non dividet, cum ex indivisibilibus distinctis et separatis constet : neque ergo calefaciet, cum calefactio sit carnis nostrae divisio. so Sed et illud admirationi est, ita scilicet corpuscula illa suarum tenacia tìgli- rarum esse, ut contusione atque attritione nulla easdem mutare cogi possint. Sac- carum enim, y. g., natura dulce, teratur licet in dies ac menses, numquam attritione illa fict, ut corpuscula, quac in eo dulcedinem secreto inellificio figu rabant, mutato forma, in amaritiem degenerent : id quod in amaris etiam ( xpc rimur. Itane vero credibile est, nihil tam longa attritione corpusculorum illorum angulos deteri, nihil aliorum laevorem exasperari ? Quod si Iigurae mutentin, debet et sapor variari: manet tornea idem seu dulcis sive etiam amarus. Qui é Sftg., f. 201, 1. 31. plura? ‘Galilaeus ipse corpus calorificum dissolvi paulatim asseritili coipusciia^ [png. 3o-, hn.\) m i n0 ra ac minora, ac demum, quasi per gradus, ad uitimam summanique n RATIO PONDERUM LIBRAE ET SIMBELLAE. 489 1 tionein in atomos piane indivisibiles pervenire. Dum ergo corpuscula illa is magisque solvuntur, ut indivisibilia tandem fiant, eonim figuras perpetuo "'uteri credibile est: semper tamen calefaciunt: non ergo liaec figurae varietas s^nsationum efficit diversitatem. Lucem autem, ut aiebain, tunc fieri asseriti Galilaeus, cimi quid in atomos indivisibiles solvitur; linee autem indivisibilia non, ut olim alii, physica Resse sed mathematica ac vere nullarum partium: in «atomi realmente « Sag., f. 201, 1. 35. ^divisibili- liinc porro non una mihi exoritur difficultas< 1MJ . Prima rwr. 3 “ 2 > hu. 4] illa est, quam supra exposui. Nani si lux ex diapersis indivisibilibus existit, cum io indivisibilia continuum corpus non dividimi, omnis autem sensus ex divisione con¬ tinui sit, ex Galilaeo ; nullus evìt a luco sensus : est autem etiam a luce calor : ergo vel lux ex disperate indivisibilibus non est, voi non est calor continui divisio. Sed quoniam, in hac nova philosoplumdi rationc, plus aliquid audendum vide- tur quam in veteri illa ac religiosa nimis, quid, si Galilaeo quispiam positionem illam negaverit, cui imi tota dissertationis huius moles incumbit? Titillatio , inquit, txtra sentientem nihil est. Fac me, hoc loco, novarum magia rerum studiosum, quam veritatis indagatorem : nihil cunctatus, propositionem illam diserto nego. Al iAcontra communetn omnium sensum est , inquies. Sod nos nova sectamur, ac piane incredibilia. Àio igitur, titillationem, non minus quam calorem, qualitatem ioquandam esse extra sentientem, atque liane cuicumque corpori inesse, eius tamen sentiendae organum circa genas maxime ac nares, alas et plantas, a natura con- stitutuni : bis igitur partibus ubi leniter, hoc est apta ratione, sensibile appli- citum fuerit, sensum illuni ab ea qualitate excitari, medium inter molestum ac iucundum. Itane vero, inquis, in papyro aut piuma, per genas leviter ducta, est? Ita plano, si titillationis nomine non sensationem, cuius solimi ani¬ mai est capax, sed qualitatem ipsam, hoc est totum id a quo sensatio illa existit, intelligas: ea piane ratione, qua ncque calorem igni inesse dixi, si caloris nomine sensus ipse suniatur ; inesse autem, si vox liaec illuil significet, a quo caloria sensus existit. liaec autem in gratinili tantum Galilaei dixerim. *) Praeterea, ncque illud usquo adeo mihi certuni videtur, quod ilio innuit: tactus 6 nimirum sedem toti quidera inesse corpori; maxime autem b Sag., f. 198, 1.16 , • j • rpRg. 349, Un. 1] volae ac pulpulis digitorum 9 5 *3, Naui, cum hae partes callosiores ac durio- res semper natura sint quam reliquae, minus aptae sentiendo videntur. Expe- * 1W)J non asserit, dum dicit forse etc. Voi vi servite di questa dottrina, benché a sproposito, a c. 53 [pag. Ho. 2 l o 8og.] } e qui la biasimate. ^ qui il Sarsi non referisce nè in volgare nè in latino le parole del Sag- giatore, perchè non si veda qual fusse la sua intenzione. 400 LOTI! A RII 8ARSIT « Sag., r. 201, 1. 3G. [pag. 352, lin. 5J à l 7. [pag. 351, Hn. 1G] « 1. 33. [pag. 352, Jiu. 3J rimur certe, facilius aliorum corporati! frigus aut calorem sentiri, si iis partem manus exteriorem admoverimuB, quam si volani aut pulpulas digitorum. Sed, ne quid in luce non videamus, si lux «celerrimi est motus, ac vere momen¬ tanei, ex Galilaeo, omnium etiam maxime orit activa, 6 quia omnis vis atque acti- vitas a motu est. Traetemi, cum indivisihilibus constet, pervadet omnia cum penetrationi sola obstet corporis magnitudo. Alia vero parte, igniculi, quia cor- puscula 8 unt, ac c motus proimle tardioris et temporarii, etiam minus erunt activi et ad corpora pervadenda minus idonei. Experimur tamen bis omnino contraria: lux enim, laterna occlusa, foraa non emicat, cum tamon calorifica erumpant cor- puscula. Sunt igitur corpuscula liaoc activa magia, et penetrationi magis idonea; io celerioris proinde motus, et lucis particulis minutiora, censebuntur. Sed et illud infertili* ex dictis, omnia scilicet constare indivisihilibus: in ea enim unuinquodquo solvitur, ex quilms est; si ergo in indivisibiles atomos sol- vuntur omnia, ex his pariter sunt omnia. Quaerero igitur iam libet, finitane aint huiuBmodi indivisibilia, an infinita. Non finita: inde enim inmimerasequun- tur absurda, mathematicia demonstrationibus iugulata, ut vel ipsi Galilaeo constat. Sed neque infinita : vel enim ea ita inter se disposita sunt, ut singola extra locum alterius aint, vel certe idem multa occupant spatium. Postremum hoc, cuiuslibet etiam arbitrio, falsum evincitur. In linea enim palmari indivisibilia extrema non sunt ubi medium ; nec contra, medium ubi extrema; erunt ergo omnia suo quaeque 20 loco disposita, atque unum extra aliud. Quare in quacumque linea, primum indi- visibile pone sequitur alterimi, inox tertium, quartum, etc. Abscindatur linea haec post quintum indivisibile; constabit linea abscissa indivisibilibus quinque; non poterit igitur linea abscissa bifariam dividi, cum tamen Euclides omnem lincam bifariam partiri nos iloceat. Quod si quia asserat, non omnia indivisibilia eodem modo se liabcre, sed non¬ nulla quidem extra alia esse, alia vero eodem consistere loco, buie primum assi- gnanda est ratio, cur liaec eodem, illa diverso loco, sint. Nani si qua eodem se loco penetrant, id habent ex ipsa ratione indivisibilitatis, quia indivisibile addi¬ timi indivisibili non efiicit quid maius, cum liaec copulentur se totis, ac proinde 30 tantum occupant spatii indivisibilia duo (piantimi unum. At hoc cum de ratione omnium indivisibilium sese tangentium sit, etiam indivisibilia infinita, ubi sese contigerint, non plus occupabunt spatii quam indivisibile unum; nullamque propterea extensionem eflficient : rerum enim naturam non mutat intìnitas. liaec obitcr et cursim in re non satis aperta. Ex AMEN XLIX. Cum sidera, libero oculo inspecta, maiora vidcantur interdilla, quam si per telescopium inspiciantur, certe non aeque atque alia per telescopium au £ ul kàtio ponderum librae et simbellae. 491 rideantur, quaerebatur, an amplius illud siderum lumen libero oculo ostensuin inde oriretur, quod pars aeris sideribus in speciom circumfusi, ab ipsis side- ribus illuminata, unum veluti corpus cuin ipso sidero constituere videretur, ac proinde maius illud efficeret sui adiectioiie. Quod inane commentimi ut refelleret Discursus cometici auctor, illam, inter cuetoras, rationem attulit: luois illud addi- tamentum sideribus ab aere illuminato esso non posse, quia aer ncque incendi ncque illuminari potest. Hoc igitur loco, quamquam non ignorarem illorum dietimi falsum esse, ad illud tamon refellendum rationera hanc idoneam non existi- uiavi, cuius propteroa vini inihi expendemlam propositi ; eamquo nullam esso io ostendi, opposito piane, sed seriori, argumcmto. Hoc est. Constat, aerem. vereillu- minari, ex aurora, crepusculis, aliisque exemplis iniiunieria : falsa igitur haec ratio est; ac proinde per illam non stabit, quin sidora ex illuminato aere pin- piescant et maiora conipareant ; quin Sol ipso, homonti propior, ox eodom aero clariori maiorem crescat in orbem, otc. Atquo liaec Bumma dictorum meorura. Q uar e hoc unum Galilaeo praostandum fuerat, ut ostenderet aerem illuminari non posse: quidquid enim praeter hoc molitur, non est ad rem. Nani revera sidera ex additione illuminati aeris non augeri; Solerai in horizonte non indo maiorem apparerò, quod crepusculorum quasi vestem luminosam induerit; ac reliqua omnia a Galilaeo hoc examine docte admodum et copiose ingesta, facile ì)> admitto. Illud unum falsum esse affinilo, aerem scilicot illurainari non posse. In hac probanda propositione omnis erat impendendus conatus; liane enim si veram ostendisset, omne tulisset punctum. Videamus ergo quid in Lane rem afferat. Quid “tu mihi auroram obitcis et crcpuscula , Sarsi ? Non aèr in Iris, sed vapora * 1 tmiores iìluminantur. Sed libet ex (ìalilaeo quaerere hoc loco quid ipse aeris nomine intelligi velit. Auctores enim illi, adversus quos disputat, aeris nomine liquidum hoc et tenue corpus intelligi volunt, quod oculos nostros et caelura interiacet, quod aerem vulgo dicimus, quodque, nusquaui vaporimi expers, ibi purissimum censetur, ubi quam paucissimis deturpatur. Aer enim purus et vapo¬ ri expers, queni illuminari non posse contendit Galilaeus, nusquara, quod sciarli, »reperitur ; neque ulla parte cadi ad nos siderum lux defluit, quin per impurum aerem et lumini obnoxium transeat. Ut ergo dederim, purum aerem illuminari non posse, satis illis ac mihi est, si hic saltelli quem ducimus, per quem caelum mtaemur et sidera, riunquam non vaporosus, semper lumen sistat, remittat et frangati quod aurorao, crepusculorum ac perpetui circa Solem splendoris exem- plis ostenditur. Addo etiarn, Solem, dum maior in occasu cernitur quam cimi media regnaret in aula, aeris illuminati argumentum esse certissimum : cum e nim liaec amplior Solis forma ex refractione fiat solarium radiorum in aere vaporoso, non possit autem radiorum rcfractio esse sino illuni inationo corpo ris 1[l Quo refringuntur, si in aere vaporoso franguntur, aer ergo huiusmodi illu¬ di 1 minatur. Sag., f. 207, 1. 20. [pag. 853, Jin. 12] VI. 62 \ 492 LOTHAKII SARSII Quoti si nusquam purus aor habetur, impurua autem illuininatur, abaolute « Sag., f. 207, 1. 33 dici potest, aBrem illuminari. Ac "pari ctiain ratione, si nusquam frumentum rcpe- iw 353 » liu * 141 rias non aerineum et loliacoum, atque utrumquo genus frugis ita permi&tum nasca- tur, ut nullo cribro, evcntilatioue nulla, secerni possint; haud inepte quia dixerit, frumenti esn capitia existere vertiginem, ac proindo tritico abstinendum ei, qui id morbi genus experiri nolit, quamvis lolium, non autem triticum, hanc yer- tat rotaiu. 6 Libra Astro»., Dixi ex communi sensu in mea Libra, 6 Solis ampliorem formam ad horizon- f. ()2, 1.3. tem ex interiecto ai ; re vaporoso coque illuminato nasci, idque auctores olim nec paucos neo vulgares sensisse. Dietimi hoc Ualilaeus ita c interpretatili*, quasi dixe- io c Sag., f. 209, 1.84. rim, ex Solo atque illuminato aere, e duolms voluti luminosis, conficimaiusillud (pa^.355, lin.c] [ uc j s simulacruin, cum nihil unquam tale comnientus sini. Nempe id unum age- bam, ut ex iis auctoribus ostemlerem, illuminari aerein posse; nihilquepraeterea, nini lioc unum, ex illa tuaiori Solis apparento forma mihi poscebam. Sciebam quippc, phaenomenon illuci ex refractiono solarium radiorum in vaporosam spliaeram incidentiuin existere. Sed quia ex hac ipsa eorumdem radiorum refractiono efiìcitur, aerein vaporosuin illuminationi obnoxium esse, ideo am¬ pliorem Solis facieni, etiam suminorum virorum consensu, in illuminatimi aerern referendum asserui, non quod illuminatorum vaporimi adiectione moles Solis oxerescat, sed quia, il uni ex lucis refractiono apparcnter tumescit, ostendit, aerern 20 illuni illuminari in (pio suam frangit imaginem. Quibus etiam summis viris d Sag., f. 208,1. 30. Galilaeum ipsuin addo, diserte * / asserentem, incremcntum illud figurae Solaris ex (par. 354-, eadeni refractiono in aere vaporoso produci. Sag., f. 207, 1.22. Sed'cum dùrimus , inquit, uèrem illuminat i non posse, de co aere loculi suntus, [im b '.3o3, im.fr] fiammata proximus ambii, ac de ca illuminai ione , qme inde iUi accidat, quod ab eadam fiamma inccmlalur . Sarsius autem de acris illuminatione agii , im. i] illis sint opaca corpuscula, ad incrementimi molis totius crescit etiam opacitas. Ant ergo neget Galilaeus, vitra, aquas, aerem ipsum esso perspicua, aut bis addat et flammas. Video tamen quo me angiistiarum redigere tentet. En, ‘ inquit, Sarsi, quam e Sag., f. 227, 1.30. non severe ac rigorose tecum agata. Nani, si mercatorum more ad libellam poi- l |,ag ' 3G| ' Iia- sundae res forcnt, ne causa excidercs, accendcndu libi esset fiamma cometuc ma¬ gnitudini par, eaque longissimc ab ondo stutuenda, ac per cam dentimi nobis S) sidera ostcndenda. Ego tamen non bare abs te reposco ; longe faciliorem sterno imi : flammam, non illam immensam, sed tdnarum dccetn ; huius ab oculo distan- tim, non multaruin Terrae diametrorum, sed tdnarum centum, requiro : per liane si cuiquam stella itila transparcat, vietimi me fuleor; si vero nulli conlingat stellus per huiusmodi flammam infuori, Itane unatn libi mulctam itnpono, silcntiuin. Haec ilio, perbenigne sane in speciem, sed nec callide minus. Ego vero, quae Galilaeus 11551 gli oggetti luminosi s’incoronano di raggi ascitizii, e però se bene, v. g., 9 è visibile di mezo giorno, il capellizio dell’ ambiente lucido occupa il piccolo meato per il quale dovria passare la piccola spezie di 9. 4% LOTHARII 8ARSII ad lioc experimentum fuoilius capiomlum tara largo donat, non liberaliter rninus reiicio, ac incorna plano inercatorum more agi volo, et rem omnera ad lihellam expendi : sed iti unum repoaco, quod ii»so cautus uc nimium tenax nec protulit nec dedit; quod unum si habuero, eodem, quo cometa constitit loco, eademque molo, flammam succendam, no minima quidern sidera contegentem. Quaeris Ga- lilaee, quid illud sitV Materia nimirum illa, qua cometas accendi putavit Aristo- Sag., f. 231, 1. Sii. teles. Illa enim, si momini, vox etiain tua est: “Rebus longeposilis vclandiseanuìm Ipag. 870, Un. 23j j )ìess( , „, w seu flamini* sm corporibus illuminatis. Sed, tuo etiam suffragio, cometa corpus est illuminatum; ergo, quae buie cometae, corpori illuminato, vis fuit ad obtegenda ultra ipsum pò-ita sidera, eadem piane erit eidem corpori succenso : io sed corpus hoc illuminatum sidera non tegebat; ergo ncque succensum texisset. Quare, si eamdem illuni in ili i aut similem materiam obtuleris ei, ex qua illu¬ minata tibi fulxit coniota, illuni ego ondimi molo eodemquc loco succendam, inter- micantilius per illuni impune sideribus, nullo eoriun velato, pallente nullo. Hoc ergo unum si dederis, caetcra per me tibi liaboas licet. Aio igitur, dum Peripateti- cum ago, cometae pabulum, luci concipiendae parum aptmn, succensum licet, mi¬ care languide, ac proinde stellarmi! aspectum minimo impedire. Cur enim fiamma reperiri non possit, cuìus splendor cometae nostri lucem non superet? ac proinde Sag., f. 227, 1. 17. nec stellas velet? 6 Punì ergo ex me quaeris, situo cometae fiamma nostris similis, [p»g.307, ìin.cr,] respondeo, tenuioris illam longe splendoris esse, et propterea, cura luminosa, 20 Sag., f. 231, 1. 31. te etiam f auctore, iuxta luminis sui modum opacitatem induant, longe minus [pag.3i0, Un. 28 ] 0 p acani) ideoque nihil stellarum as poetili olticere. Non igitur mirum, si cum nostras adbibui flammas, per eas non stellas conspici iusscrim, sed carbones, ligna atque id genus alia, quod hao lucidioris materne sint quam cometae. Haec autem omnia, quae do cometae perspicuitate diximus, de sola coma intelligenda Bunt, non autem do ipso cometae capite, quod densius multo et opacius est. Sed vocant me tandem Hebraoi pueri, per innoxios Babylonicae fornacis ignes, spoetante Rege, ambulantes. Curii enim ex eo quoque loco flammarum perspicui- tatem arguissein, quod Itex eosdem videre se in medio ignis ambulantes testa- retur, ait Galilacus, non frustra verbis a me citatis etiam illud praemissum. so d I>ani dia 3. d Angelus autem Domini descendit cum Avaria et sociis eius in fornacem , et excusstt flammam ignis de fornace, et fecit medium fornacis quasi ventum roris flantem: quibus verbis innui aperte videtur, excussa prius atque amota omnino ab Angelo fiamma, per purum aerern Ilegis aspectui transitimi patuisse. Kgo vero nulluw ex < In Danielem, c. 3. verbis illis causae ineae detrimentum accidere arbitror. Tlieodoretus 'sane, lume 1 explicans locurn, ab ea tantum parte, in qua pueri ambulabant, excussam Angelo flammam asserit, ut eam scilicet ab eorum corporibus removeret. M, inquit, qui foris erant , flammam incendebant, sed sanctus Angelus flammam dissipabat , et medium fornacis partem (non enim ait totani) ignitis carbonihus ^ nudans , auram quondam frigidam et humidam t quae Sanctis multam afferre RATIO PONDERUM LIBRAE ET 81MBELLAE. 497 volitatemi * n eorum corporei immittebat. Rex sane tunc obstupuit, cuna eos ain- bulantes et canentes intuitus est. Quod autem, cum laudes Deo canerent, iamque Angelus flammam dissipasset, adhuc tamen illos circumsisterent flammae, quam- vis eminus, ex eodem Theodoreto sic accipe : jLearias, a flammae fluctibus cir - cmspersns , apertiti os suum , dteens tic. lluic addo Chrysostomum. u Ignis , inquit, « t/te murus factus est, et vestis fiamma. Cui etiam consonat Cypriauus: b Quomodo et cm tribus puerts in camino ignis fuit, et quia in Derni simplices atquc inter se Hnan imes permanebant , flammis ambimiibus , meclios spirita roris animavit. Quod si Patribus etiam probatos addiderimus interpretes, omnem piane summo- io vcrimus scrupulum. Gaspar Sanchez in eumdem locurn, Media, inquit, pars for- mcis vacua eroi a flammis , ubi crani pucri : neon partem aliam , quae ad for¬ naci ostimi pertinebat , occnpabat ignis , cjuem late ad cubitos 49 evomebat fornax. Huic denique Cornelium a Lapide addamus, cuius liaec sunt: Ili pucri ab igne servati sunt, quia Angelus excussit ignem, curnque ab eis ubegit, et rmovit ad htera fornacis et extra formicene Ex quibus omnibus constat, mediam tantum fornacis partem flammis vacuam, Angeli ministerio, effectam ; quod satis etiam iis verbis exprimi tur : Fecitque medium fornacis quasi ventimi roris (lantem. Sane, si Angelus omnem a fornace ilammam abegisset, et praeterea, ut ait Thoodore- tas ignitis etiam carbonibus nudasset, cum eos postea o fornace Rex evocaret, SO non dixisset, Egrcdimini de medio ignis. Quod si vis adhuc magna flaminarum occnpabat quidquid reliquum erat fornacis, credibile est, proximas ostio partes, linde illae erumpebant, et mule ad Regis oculos patebat aditus, reliquis velie- raentius exarsisse. Sed quid erat necesso flammas abigere, ut ambulantes inter ignea pueri libero spectarentur ? quando et prunas et ambusta ligna ingentes etiam inter flammas spectamus. lam, quod ad quinquagesiinum primum examen attinet, aio, flammis non mi- nus perspicuitatis esse, quam fumo acnebulao: quemadmodum igitur si hae aut rarissimae aut exiguae fuerint molis, rcrum aspeetmn non impediunt, ita, iuxta flammae materiam, eidem lux et perspicuitas inerit. An non materia, ex qua socometae coma resplenduit, aut nebula aut aliquid rarissimae nebulae simillimum fuit? per illam tamen sidera cernebantur. Ergo per tenuem aeque flammam, similisque fulgori», non dittìcilius eadem sidera spectarentur. Neque mihi mens unquam fuit, flammas al) ornili opacitate absolvere, qui aerem ipsum, nostratium rerum rem maxime perspicuam, huiusmodi semper infectum labe volili, ad lumen aliqua ratione sistendum. Licuit f igitur mihi flammas perspicuas dicere, cum id libuit, eisdemque, ac reliquis luminosi», opacitateni aliquam tribuere, cum utrum- W iis conveniat, si cum diversis conferantur. Addo etiam, optime a me retortum iu ipsum Galilaeuin eius argumentum. Cum enim eaindem opacitatem inesse luminosis omnibus asserat, quam tribuit flammis, si valet interre: < Cometa fiamma ^ est, ergo perspicuus non est >, valebit etiam tantumdem, si dicas: < Cometa luini- irom. 4 ad popul. Ant. b Libi*, de unit. Ecclesiao. c Sug., f. 231, 1. 6. (pag. 370, lin. G] 498 LOTHARII SAR.SIL nosuin (iuiil est, ergo perspicuua non est». At hoc est falsuin; cum coraetaecoma ut luminosa et perspicua fuerit, etiarn Gali buso asaentiente: falsumigitureritet illml, Non ergo pugnantia ilicimus, si luminosa, e nostro sensu, perspicua esse aflirnuinms, mox eadem non perspicua, ex Galilaei placitis, pronunciamus. Quam vero rationem invenit Galilaeus ad Àristotelis sententiam kbefactan- Sng f. 229 , 1 . 18 . datti, ex coinae ductu, quod "lince, si ilamma foret, in altura semper attolleretur, [ P ag. aco, li», is] non aulom a Sole aversa porrigoretur in latus, et laudo et probo. Misi tamen fiamma eadem vi aliqua Solis occulta impelloretur, atquo in oppoaitam partem voluti ditHarotur, tunc «mini nequo sursura illa tenderet, nisi cum Soli oppositus cometa consisterei, ncque, verticein licot praetergressa, mutaret aspectum ; sed io in aversam a Sole partem, in quam urgoretur, perpetuo vergerei Ut igitur quue liactenus semper diximus nunc etiain ad oxtreinum repotamus, aflirmo fieri posse, ut fiamma aliqua nequo opaciori ncque clariori constet ma¬ teria, quam halitus ilio, in quo, si Galilaoo credimus, ex Solaris luminis refractione aut rofiexiono cometao capillitium emicuit: liane mihi flammam si quis accenderit, eamdemque voi ultra Lumie plagas statuorit, mole etiarn amplissima, nullum stel- larum aspectui impedimentum allaturam existimo 1 ‘"b Examen LII. Aristoteles ex cometis annum non pluvium sed siccum, ventorum vira ingen- b r>Ì8c. a. c., f. 17, tem, ac Terrae motus, portendi asseruit. Aliter Galdaeo visum, b quod, cum co- 20 i. 18- metac huiustnodi nutriantur haliti bus, uh ilio incendio aut nullas aut certe pau- K '' ciores eorumdem halituuin rclinqucndas reliquia ts credibilius sit, quam maiorem illorum copiarti praesignari. Ego vero illud contra attuieram: si qua in urbe per fora ac vias magnimi tritici vini dispersaci nogligenter liaberi, ac vilissima quae- que capita candidissimos panes depasci videa», merito rei frumentariac facilita* tem lantani arguas, ut nulla in ea urbe penuria in longum tempus metuatur. Ita, cum earum exhalationum sedes, quibus, ex Aristotele, cometa succenditur, liumilioribus plerumque plagis contineatur, ncque altius evolent, nisi cum, suis sedibus ampliores maiorisque loci indigentes, eo usque fcruntur, quo illas sola copia .prodigit; potuit ex iis ad illas usque plagas perductis maxima earumdem copia so in bis iuferioribus designari : sic enim, si e puteorum ore exundantem late aquam tias) corpora omnia perspicua esse, licet nobis videantur lucem non trasmittere, probari potest ab experientia specillorum, uinbram, ve* luti si lapidea essent, emittentiura. (1) Questa postilla, la quale si riferisce generica* gine inferiore dolili P a &* IS^ P r ' mft c ^‘ ^ mento agli argomenti di cui è discorso in Kxamim L risponde alle pag. 490, Un. 30 — P a S* ’ «< LI\ si legge, 80 uz'alcun sogno di richiamo, sul mar- della presento ristampa. RATIO PONDERUM LIBRAR ET ttlMBKLLÀE. 499 quis videafc, ingentem in imo aquarum aflluentiam arguat necesse est. Et quam¬ quam nihil apertius dici poterat, quasi non satis perceperit Galilaeus quid dixe- r im Merces, a inquit, frumentarias in foro ac viis cxponcre , non est id demum fru- mntm consumere. At, Galiluee, triticum por fora ac vias dispergere ac negligenter haberi, panem non nisi similagineura vilisaimae etiam plcbeculac apponi, non est id demura triticum consumare? Haoc mea vox fuit, non quam tu mihi ad- scribis. Sed b aptins multo , inquis, cxemplutn , et rei nostrac accommodatius fuerit , sidicamus: quod Oubac cullores insulae cinnamomum prò lignis perpetuo inceri - iant lumi sane immerito quis infcrat , ca merce insulam abundare. At vero , si luiéios in ipsis cinnamomi sylvis , incendio , riescio quo casu } excitato , arbores pror- sus omneSy indio opportune occurrente , conflagrasse , ineptus piane sis , si e tam mto odoratele mercis incendio maiorem inde eius copiavi portendi asseras. Ita piane est, ut dicis ; sed Aristotelis dictis ac moia prior huins similitudinis pars accommodatur, non posterior. Ncque cnim dicimus, coinetas ex incendio exliala- tionum omnium existere ; ncque hanc flammam in exhalationum veluti sylvis excitatam : sed, sicuti ex cinnamomi maxima copia in sylvis fit ut Cubenses ex eodem ligno c sylvis asportato sibi ignem domi nutriant, ita ex insucta exlia- lationuin affluenza in regionibus humilioribus oritur ut partes nonnullae leviores allius evolent, ubi caelestibus illis orbibus propiores eorum rotatu incendantur: ■ttetquoniam eo halitus lmiusmodi non ascenduut, nisi cum inferioribus amplius non capiuntur plagia, nulli dubium esse poterit, an eorum ascensu maior eorum- deiu copia in inferioribus significetur. Aio igitur, cometas, ex Aristotele, eadem qua ventos materia constare : non tamen hinc sequitur, si quid huius materiae arserit, eodem incendio absumen- dam pariter universam ; cum nimirum in eadem materia una pars ad ignem con- eipiendum aptior esse possit, quam alia, ac, proinde una ardere, non alia. Certe si arbor aliqua, aut ramus saltem, una cum foliis incendatur, abibunt illico in Ifommam folia, iisquo ambustis, omnis illico fiamma subsidet, nullis ignis reliquiis, q«od truncus, quamvis ex eadem materia constet, humidi tamen adhuc multum Madniistiun habeat, ncque igni coneipiendo sit aptus. Ita neque quidquid ex li al a- tionum ignearuin nube Claudi tur, si qua pars illius micucrit, ardebit pariter uni¬ versum, sed paulatim alia parto disponetur, qua subitam iterum abibit in flam- raara > reliquia interim salvis adhuc atque integris, quao nondum aptae sunt ignibus, aptissimae tamen ventis ac Terrae motibus excitaudis. Ex AMEN LUI. Mhil amplius supererat expendendum, ncque proinde quicquam Galilaeus ixpendit. Disputationum tantum nostrarum iudicium eorum relinquit arbitrio, utriusque scripta diligontius expenderint: quod praestare iis, etiam per me, yl « Sag., f. 233, 1. 35. [pag. 871, lin.28] «'Sag., f. 234, 1.1. [pag. 371, liti. 30] 63 500 LOTIIAR1I BAR81I RATIO PONDERUM LIBRAR ET SIMBELLAE. licebit. Quoniam vero duo mihi imposita a Galilaeo fuerant, inter se quasi « Sag., f. 9, 1.30. gnantia, «ad «iugula videlicet examina peculiari ac distincta responsio, mox etiam [p»g. 220 , Hn. 85J & 8 ilentium, utriquo ita a me satisfieri volui, ut, cum rebus omnibus ac plerumque tSag., f. 221, 1.2, etiam verbis responderim, nunc demum, quamdiu licuerit, conticescam, atque [pag. 804, liu. 10 ] interim inecum ipse libro meo submurmurem : Ubo iam satis est, ohe libelle Dieerem etiam libella, si vcrsu* permitteret. Finis. LETTERA A FRANCESCO INGOIA IN RISPOSTA ALLA DISPUTATI0 DE DI TU ET QUIETE TERRAE. [ 1624 .) AVVERTIMENTO. * Quand’anche sia stato desiderio di Galileo di dar pronta risposta alla Destili d quiete Terrete cantra Copernici syslema Dispulatio , elio Francesco ingoli gli aveva indirizzato nel 1G1G (l% , tuttavia da questo pensiero dovette distoglierlo il decreto della Congregazione dell’Indice che, il 5 marzo di quell’anno, sospen¬ deva il De revólntionibus orbiwn cadesti uni del Copernico (lance corri (fatar , e proi¬ biva alios omnes libros pariter idem docentes: ondo se più tardi parve al Nostro di poter uscire dal riserbo che si era imposto, ò da crederò vi fosse spinto da altri e gravissimi motivi Appena infatti fu eletto Pontefice il cardinale Maffeo Barberini, Galileo pensò di recarsi ad inchinarlo, e ciò tanto più come seppe quanto Urbano Vili gli si fosse conservato benevolo : al elio s’ erano aggiunte, per risolverlo al viaggio, lo sollecitazioni degli amici, eccitati anche dal recente successo del Saggiatore , e sopra ogni altra cosa la deliberata volontà di approfittare di tanta occasione per veder di far togliere il decreto pronunziato contro V opera copernicana. Fe¬ stose furono le accoglienze ch’egli ebbe in Roma, dove giunse il 23 aprile del 1624 {3) nel corso di sei settimane, che rimase nella città eterna, ebbe sei udienze dal Pontefice; ne ricevette regali, un breve onorevolissimo e promessa di una pen¬ sione per il suo figliuolo Vincenzio : ma quanto all’ opinione del Copernico, Ur¬ bano Vili si limitava a dire al Cardinale di Zoller (e questi ne informava Galileo), 1,1 il voi. V rli quest’odiziono, pag. 307 o seg. ^ Intorno alla risposta di Galileo air Ingoli ve f; Studi Galileiani per Antonio Fa vaso. Mie Memorie del R. Istituto Veneto di 'dente, lettere ed “rt»,voi. XXIV, Venezia, tip. Antonolli, 1691, pag. 149 se#., dove si discorro a lungo dell’ argomento. I 5 ' Galileo a Roma nel 1624. Nota del Dott. AAVo- LYNSKI, negli Atti della R. Accademia dei Lincei, Anno CCLXXXVI, 1S89, Serio quarta, Rendiconti, Sedata del 7 aprilo 1889, voi. V, pag. 578-580. fu Lotterà di Galileo a Federico Cesi, del- l’S giugno 1624 (Mes. Gal., Par. VI, T. VI, car. 8S). 5f)4 AVVERTIMENTO. So, adunque, può dirsi che il precipui» scopo del viaggio di Galileo andasse fallito, non è porò improbabile elio egli, il quale non di rado si faceva delle illusioni in tutto ciò elio grandemente gli stava a cuore, n’avesse ritratta la convinzione che il decreto proibitivo non sarebbe stato mantenuto in tutto il suo rigore. Pertanto, appena tornato a Firenze, fors’anco stimolato dall’ossersi sentito ripetere in Roma lo argomentazioni doli’ Ingoli, divisò di rispondervi; e non trovando più, dopo otto anni, presso di sè la scrittura del prelato ravennate, si rivolse a Mario Guiducci in Roma, porcliè glieno procurasse una copia. L’oblio infatti ( ‘ , ) nel luglio del ’24, con la raccomandazione, alla quale si attenne, che si limitasse a rispondere agli argomenti matematici e filosofici, lasciando da parto i teologici (8) : e dentro il sottombro dello stesso anno ora compiuta la risposta (:i) , ch’egli si affrettò a man- daro al Guiducci, al quale poco dopo inviava altresì un’aggiunta e una correzione da introdurre nel manoscritto 14 . Intorno alla diffusione data a questa scrittura, elio non fu, vivonto l’autore, pubblicata per lo stampo, troviamo molto notizio nollo lottoro dol Guiducci a Ga¬ lileo, o molto più so no troverebbero in quello di Galileo al Guiducci, se questo ultime non fossero andato tutto miscramonto smarrito. Al principale interessato, cioè all’Ingoli, si cercò, por motivi di prudonza, di tenerla celata, o pare ch’egli non abbia potuto vederla : del che è argomento anello il fatto che, corno l’Ingoli replicò al Keplero, il quale, quantunque non chiamato in causa, aveva per conto suo risposto alla Disputatio , così molto probabilmente non si sarebbe trattenuto dal replicare a Galileo, qualora avesse avuto tra mano la scrittura di questo !s) . Nondimeno n’ebbero cognizione molti in Roma, tra gli altri anche il Pontefice; o il buon numero di copie manoscritto che tuttora rimangono di tale risposta, è pure una prova ch’ossu fu diffusa abbastanza largamente. Le copio elio noi conosciamo (l’autografo ò andato smarrito) sono le se¬ guenti : G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, 1.1, car. 98 — 117 ; sec. XVII ; della mano medesima ebo esemplò il codice della lotterà di Galileo a Don Benedetto Castelli in data doi 21 dicembre 1613, contenuto nel medesimo Tomo e da noi distinto con la sigla G o il codice, sempre nel Tomo stesso, ll > Da Casaro Marcili: efr, n.n. 1G42, 1050, 1652, 1661. Dottore di Mario Guiducci a Galileo dol 21 giugno o dol 6 luglio 1624 (Mss. Gal., Par. VI, T. X, car. 163 o 167). Lottoro di Mario Guiducci a Galileo del C o dol 18 settembre 1624 (Mss. Gal., Par. VI, T. X. car. 171 o 173); e lettera di Galileo a Federico Orsi del 28 settembre 1624 (Cod. Boncompagni 580, car. 157). Sicchò erroneamente il Venturi (Memorie « lettere inedite finora o disperse dì Galileo Galilei ecc., Parte Seconda, Modena, per G. Vincenzi e Couip., CC.XXJ, pag. 6), od altri, attribuirono a (inolia ura la data < ltoma, nella primavera del m ». »» Lettera di Manin «nimicar a Gauuo del ;obre 1624, nei Mss. Gal., Par.VI,T. X, car. He reggerò conforme a che V. S. mi scrive qtie dee i del vaglio ; ina prima voglio diro un mio du • dio mi nasce intorno alla seconda correzione, o jsto aggiunta, dove dice: /In*»* v0% a ** ° 0 considererete l'effetto 6CC. » (cfr. pag- » di questo volume). Vedi A. Fa varo, op. cit., pag- 16 e ; Yodi il voi V di questa ©dizione, - * AVVERTIMENTO. 505 della lettera a Mons. Piero Dini ilei 2.3 marzo Dii ■>, che puro abbiamo indicato con la sigla Gr (,) ; B= Biblioteca Boncompagni in Roma, cod. 483, car. 6-49; sec. XVII <*> ; V=Biblioteca della R. Accademia dei Lincei, cod. Volpicelliano A, car. 203 — 230; sec. XVII ; T=Biblioteca Trivulziana, cod. 595, car. 437-553 ; sec. XVII ; Val. = Biblioteca Vallicolliana, cod. I*. 131, car. 1 —46; sec. XVII; M-Biblioteca della Scuola di Medicina di Montpellier, cod. H. N. 475, car. 49 -98; sec. XVII ; Gv= Biblioteca Ginori-Venturi in Firenze, filza CXLI. G., di carto 24 non nu¬ merate; sec. XVII ; Num. 12 (antico num. 14) nel cod. miscellaneo 3805 (rasa. Lami, voi. 43, Scienze naturali, T. XXXI) della Biblioteca Riccardiana; sec. XVIII ; della mano che tra¬ scrisse gli esemplari dello predette lettere al Castelli e al Dini legati nel mede¬ simo volume miscellaneo ; Cod. 562 della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 24 —49 ; sec. XIX ; della medesima mano che trascrisse nello stesso codice lo lettori», or ora citate, al Ca¬ stelli e a Mons. Dini (S) . Degli ultimi due codici non abbiamo tenuto conto, perchè, oltre ad essere di mano recente, derivano senza dubbio dal cod. U, di cui riproducono anco le lezioni e gli errori più caratteristici. Quanto ai restanti, i codici Gr, li , V, Te Gv costituiscono una sola famiglia, avendo però ciascuno propri distintivi. 11 cod. G è di lezione, in generale, ragionevole ; certamente fu trascritto da copista toscano ; non manca, è vero, di errori, e talora omette qualche linea, perchè 1’ occhio del¬ l’amanuense trascorso da una data parola a quella medesima elio si ripete poco più in giù: ma tuli difetti, clic non è difficile sanare con l’aiuto degli altri ma¬ noscritti, non sono di quelli che corrompano profondamente il testo, e dimostrano bensì clic il copista qualche volta non era abbastanza accurato, ìua non ch’egli alterasse per deliberato proposito. Una particolarità, per la quale il cod. G si distingue da tutti gli altri, consisto in ciò: che esso solo ci olire quell’aggiunta e quella correzione clic Galileo mandava, come si disse, al Guiducci, perchè le in¬ troducesse nel manoscritto giù. antecedentemente inviatogli I codici 7?, T r , T 111 Vedi voi. V, pag. 271. |!| Questo codi co foco parte già del cod. CXLI della Biblioteca Ginori-Venturi in Firenzi»: redi il Ciiii/*/ 0 dei ma note ritti Ginori-Venturi, compilato da I,mai Passkrini o che si conserva manoscritto «dia Biblioteca Nazionale di Firenze (Mimi. Fa* erini, Ma. 161). l5 ' Intorno n questo codice vedi il voi. II di q^sta odizione, pag. ir»0. **' Ywì « voi. V, pag, 267 o 271. i*» Vedi toI. V, loc. ciL 1/ aggiunta, che il Guidbcci nella citata let¬ tera del 15 ottobre 1624 riporta por intero, è for¬ mata dallo liu. 2-7 della pop. 642: « Anzi, so voi .. . movimento circolare ». Anche noi end. (f la le¬ zione di questo tratto è guasta, avendone l'ama¬ nuense ontoso circa due linee, porche dallo parole centro ilei tmjlio (lin. 4) trascorso allo parola me¬ desimo che ai ripetono poco più in giti (lin. 6 : eir. Fapparato critico appiè di pagina); cjsì cho noi co- 506 AVVERTIMENTO. formano, nella famiglia sopra accennata, come un gruppo a parte, che spesso si contrappone al cod. fr, emendandone gli errori e supplendone le omissioni, mentre per il contrario, in nessuno di essi mancano altri errori, così che non torni agevole il dire se la lezione di questi oppure quella di (1 sia, nel complesso, più cor¬ retta. Invece il cod. (rv } sebbene appartenga alla prima classe, lui frequenti spro¬ positi e lezioni arbitrarie, elio accusano un copista poco esatto. I due rimanenti esemplari, ciuè Val . ed il/, formano una seconda e ben distinta famiglia : carat¬ tere di essa sono le numerosissimo lezioni che non s’incontrano in nessuno degli altri manoscritti e palesano l’opera di un rimaneggiatore, il quale di sua testa e senza gusto e discernimento, volle mutare anche dove non ve ne fosse alcuna ragione, tralasciando di correggere, all’ incontro, passi veramente scorretti, e anzi qua e hi introducendo nuovi errori. 1 codici Val. ed M concordano fra loro con singolare esattezza, sia nel complesso della lezione sia nelle varianti arbitrarie e ad essi peculiari (,) ; ma il cod. M è peggioro e dà a vedere un amanuense più ignorante. La lingua di questi duo esemplari lui frequenti forme non toscane. Era naturale che noi prendessimo a fondamento della nostra edizione un co¬ dice della prima famiglia: nella quale ci parve da preferire il cod. G; e su ili esso è condotto il presente testo, non però con sì scrupolosa fedeltà che, con l’aiuto degli altri esemplari, non abbiamo corretto gli errori e supplito alle omissioni le quali, come si disse, s’incontrano anco in quel manoscritto. Che anzi non solo ci discostammo da esso quando la sua lezione tosse manifestamente errata, ma anche in quei passi in cui, sebbene offriva una lezione clic desse buon senso, tutti insieme gli altri codici leggevano in maniera diversa e non meno ragione¬ vole (4) ; sia perché in molti di tali casi la lezione degli altri codici ci parve intrin¬ secamente preferibile, sia altresì perchè quell’accordo di testi, i quali sembrano rami diversi di un tronco piuttosto che derivazioni dirette l’uno dell’altro, in¬ duce a credere che la lezione da loro appoggiata sia più probabilmente genuina. Appiè di pagina abbiamo, conforme al nostro istituto, notato la lezione di b, quante volte ce ne siamo discostati, e le principali varianti degli altri codici, nasciamo la lozione buona di tata aggiunta (e por la prima volta si logge nella nostra edizione) sol¬ tanto per via dalla lettera do! tìumucGi. Quanto alla correzione, elio Galu.ko aveva pura mandato al Gui- duogi, sobbollo questi non dica qualo sia, nò a qual passo dulia scrittura precisamente si riferisca, cre¬ diamo di non andar errati pausando che si tratti del luogo a pag. 541, liu. 19-24, relativo puro all’argo¬ mento del vaglio, e cho nel cod. (ì si leggo in forma diversa dalla lezioni) di tutti gli altri codici. S’av¬ verta che il Gui nuoci parlando dell’aggiunta, di cui sopra, la indica come « la feconda correzione » ; o appunto il luogo al quale noi pensiamo debba ri¬ portarsi la prima correzione, s’incontra poco avanti queir aggiunta. Noi, com’era naturale, nel tosto ab¬ biamo dato conformo al cod. G il passo di pag. 541, liu. 19-24, o raggiunta di p&g. 512, liu. 2-7 (quo- st’ultima, integrata col sussidio della lettera del Girinucci), rendendo conto tra le varianti dolio lezioni degli altri manoscritti. ih 1*) medesimo omissioni s* incontrano nei duo cedici; perfino, dove l’uno tralascia una parola a lacuna. (*> Molte volto in questi casi si trattava so • tanto di trasposizioni «li parole, oppure di omissione di qualche parola la qualo non fosso necessaria a seuso. A V V KRTIMENTO. 507 te ondo in ciò lo norme che altrove furono indicate l,) . Avvertiamo però che non edemino prezzo dell’ opera registrare tutto le lezioni per cui i codici Val., M _ g j ^scostano dagli altri ; oliò sarebbe stato un fare soverchio onore ad al¬ terazioni arbitrarie di poco felici copisti. Con queste cure il testo della risposta di Galileo a Francesco Ingoli, quale noto per le stampe, è stato nella presente edizione rinnovato siffattamente, clic possa quasi dirsi tratto dall’inedito. Ora, por la prima volta, la scrittura di Galileo che anche nel dettato porta impressi i segni manifesti di un’ accurata elaborazione, è messa in luce conforme la tradizione autorevole e genuina dei manoscritti • anzi per la prima volta ò offerto al lettore un testo che non sia in troppi luoghi mostruosamente privo di senso. Tristissima infatti ò la sorte che aveva corso quest’operetta. Rimasta inedita fino al principio del nostro secolo, nel 1814 fu stampata in un giornale m , e la fonte da cui venne tratta fu, come ci sembra certo, il cod. Riccardiano sopra citato cioè un manoscritto nel quale già erano stato alterate notabilmente, soprattutto per quel che risguarda la lingua, le fattezzo originali della scrittura, ed accresciuto il numero degli errori di cui non è scevro neppure il cod. G, che del Riccardiano predetto è V apografo. Ma l'editore, di cui ignoriamo il nome, avendo franteso in molti luoghi il pensiero di Galileo, e d’altra parte non essendosi giovato d’altri manoscritti per correg¬ gere gli spropositi del cod. Riccardiano, con intollerabile licenza rimaneggiò il testo che aveva dinanzi, bene spesso peggiorandolo, (ili editori che venncio ap¬ presso, riprodussero quella prima stampa, ritoccandola qualche volta (e, proba¬ bilmente, senza ricorrere allo fonti manoscritte), ma sanando ben poche dello gravissime piaghe orni’ ora afflitta. Cosi continuò a leggersi, deformata in modo sconcio, l’opera galileiana ( ‘ ! , di cui oggi soltanto potrà apprezzarsi conveniente- M Vedi voi. V, pftg. 209, nota 4. t*l Giornale Enciclopedico, voi, 6°, num. 02, flen* mio 1814,Firenze, presso Niccolò Carli o Coinp., 1813, pag. 122-130 ; e num. f>3, pag. 172-189; o num. 05 (rol. 7®, Firenze, presso Niccolò Carli e Coinp., IMI), pg. 3-60. ,S) L’editore non dico di qual codice si vaiesso ras ciò risulta chiaro dall'esamo della loiione. S’av- verta puro elio nel Giornale Enciclopedico, dopo la risposta di Galileo all' Inooli, ò pubblicata (num. (lo, pag. 60-68) un'altra scrittura galileiana, la quale non ò altro che un frammento della lotterà di (ìa- lilro a Mona. Piero Pini in data 23 marzo 1015, e precisainonte a partirò dallo paralo « V avermi VS. Reverendissima > (vol.V dellA presento edizione, pag. 301, lin. 4) : ora questo frammento tien dietro lotterà all'I no.oli appunto anello noi coti. Itic- mdiano (cfr. voi. V, pag. 271). 111 Citiamo por saggio i soguenti passi della le¬ vi. rione che possiamo chiamaro Volgata ; il lettoro vo¬ glia confrontarli col nostro testo. Pag. 517, lin. 9, Che poi ne Begua ; pag. 517, lin. 22-23, volete mirare la paroline" ; pag. 518, lin. 24-20, dima U» EF in mento del punto (), jxtnei la perpendicolare ; pag. 518, lin. 33, che le altrettante prodotte} pag. 525, lin. 24-25, anche della eterna grandma ; pag. 526, lin. ll.jrorc* in con- traddinione: pag. 532, Un. 2G, coni grandi che tutte andati* ro a tre minuti; pag. 535, lin. 31, pel luogo vero inferiore ; pag. 537, Un. 11, abbiano qualità, cioè inclinazione; pag. 537, Un. 15, porre Vintene coneide- ranioni nella Luna; pag. 538, Un. 81-32, per centro il punto di calai cor}>o grave; pag. 541, Un. 11-13, dalla circolazione del crivello, debba già eeeert etata riepinla nel centro di eneo crivello; pag. 543, lin. 1, r. pare che e * comunichino : ma io; pag. 545, lin. 22, io nono ntato nicuro ; pag. 516, lin. 15, di ambedue un bel moto; pag. 553, lin. 5-0, me* altrettante miglia e miglia di miglia; pag. 50U, lin. 21, corpi immutabile 04 508 AVVERTIMENTO. mente il valore : o nutriamo fiducia che apparirà, non indegna della mano alla quale son dovute lo pagine immortali del Dialogo dei massimi sistemi. mente molili; ccc. Inoltro, quoi passi noi quali 11 Volgata: si vegga, por osoinpio, la l e 2 j ono di Q coti. 0 (o, por cotiseguon/.ft, audio il Riccardiano) dolla Volgata noli’apparato critico a pag. 526, jj n 4.5 omotto qualcho tratto, «1 leggono con tali omissioni, n pag. 527, Un. 10-18, a pag. 586, lin. 30-81 °à che beno spesso li rendono privi di senso, anello nulla pag. 542, lin. 4-6, 0 a png. 557, lin. 15-17, AI, MOJìT' If.I.USTRE E MOf,T' ECCRM.ENTE SIG. FRANCESCO INGOLI RAVENNATE. Otto anni sono già decorsi, Sig. Ingoli, eli* io, ritrovandomi in Roma, ebbi da voi una scrittura, in forma quasi di lettera, indiriz¬ zata a me, nella quale v’ ingegnavi di dimostrar falsa l’ipotesi Coper¬ nicana, intorno alla qualo in quel tempo assai si tumultuava ; falsa, dico, principalmente quanto al luogo e movimento del Sole e della Terra, sostenendo voi, questa esser nel contro dell’ universo e del io tutto immobile, o quello mobilo o tanto lontano dal detto centro quanto dalla Terra stessa : in confermaziono di che producevi tre generi d’ argomenti, i primi astronomici, i secondi filosofici, i terzi teologici ; poi molto cortesemente mi sollecitavi a dovervi rispondere, quando io vi avessi scorto drento alcuna fallacia o altra men con¬ cludente ragiono. Io, mosso dalla vostra ingenuità e da altri cortesi affetti in voi per altri tempi a dietro scorti, e sicurissimo che lon¬ tano da ogni invidia e con animo sincero mi avevi conferiti i vostri pensieri, doppo averli una e due volte considerati, desideroso di con¬ traccambiare nel meglio modo eli’ io potessi la sincerità dell’ animo » vostro, conclusi meco medesimo, niun altro mezzo esser più oppor tuno per effettuar tal mio desiderio, elio il silenzio ; parendomi che in questa guisa io non venissi ad amareggiare il gusto che pur voglio credere che voi sentiste nel persuadervi d’aver convinto un tant’ uomo 16. voi per Vaddictro scorti, T; voi per li tempi addietro scorti, G\ —16-17. lontanissimo V, Gv — 19. megliur modo, V ; miglior modo, B, Yal., M — 22. io non venisse, (j 23. nel persuadermi, V, Gv — 510 LETTERA A FRANCESCO INGOLI quale è il Copernico, o che insieme insieme io lasciassi, per quanto dependeva da me, intera la vostra reputazione appresso quelli elio avesser letta la vostra scrittura. Non dirò già, che la stima della vostra fama mi facesse divenir dispregiatore della mia propria, la quale non credetti mai cho dovessi esser così tenue, che potessi avvenir caso onde alcuno che bene avesse esaminate le vostre contradizioni a quella opinione eh’ io allora reputava vera, avesse dal mio tacere ad infe¬ rire in me intelligenza minore di quella che bastava per confutarle tutte ; tutte, dico, trattone le teologiche, intorno alle quali parrai che assai diversamente procedere si deva che intorno all’ altre, come quelle io che non alle confutazioni soggiacciono, ma solo delle interpretazioni son capaci. Ma essendo io ultimamente rivenuto a Roma, per pagar quell’ obbligo a’ santissimi piedi del Sommo Pontefice Urbano Vili, al quale antica servitù ed i moltiplici favori ricevuti dalla Santità sua mi tenevano legato, ho scoperto e toccato con mano, essermi, nel con¬ cetto eh’ io teneva, ingannato d’ assai, atteso che ferma e generale opinione è eh’ io abbia taciuto come convinto dalle vostre dimostra¬ zioni, le quali anco da tal uno vengono stimate necessarie ed inso¬ lubili. E ben che 1 ’ esser credute tali sia di qualche sollevamento alla reputazion mia, nulla di meno, perchè in generale tanto gl’ intelli- 20 genti quanto i non intendenti hanno del mio sapere formato un assai tenue concetto, quelli perchè comprendono la poca efficacia dell’oppu¬ gnazioni e pur mi veggono tacere, e questi che, per non esser bastanti a giudicar d’ altro che dall’ esito, dal mio silenzio pur argomentano l’istesso, io mi son trovato posto in necessità, ben che, come vedete, assai tardi e contro a mia voglia, a dover rispondere alla vostra scrittura. Ed avvertite, Sig. Ingoli, eh’ io non intraprendo quest’ impresa per pensiero o disegno eh’ io abbia di sollevare e sostener per vera quella proposizione che già è stata dichiarata per sospetta e repu- so gnante a quella dottrina la quale di maestà e d’ autorità è superiore alle naturali ed astronomiche discipline ; ina follo per mostrare che mentre eli’ io era alle mani con astronomi e filosofi, non fui nè cosi cieco d’intelletto nè così debile di discorso, che per non aver vedute o comprese le da voi prodotte instanze io fussi restato in opinione 1. e che insieme io, B, V, T, Gv — io lasciasse, G — 14. e i multiplicati favori, Val., Or' — 23. e questi, per non essere, Val., M — IN RISPOSTA ALLA DISPUTA TIO ECO. 511 che la Copernicana ipotosi potessi e dovessi esser vera, e non V altra Tolemaica e comune. Aggiugnesi a questa un’ altra cagione : ed è, che essendo stato fatto non liovo stima dello ragioni da voi addotte anco da persone di tanta autorità che hanno potuto spronare il rifiuto dell’ opinione Copernicana fatto dalla Congregazione dell’ Indice ; ed essendo, per quanto intendo, pervenute tali scritture in varie nazioni oltramontane, e forse anco in mano d’eretici ; mi par condecente alla reputazion mia, ed anche di altri, il levar loro 1’ occasione di far della dottrina nostra minor concetto di quello che si deve, quasi io che tra i Cattolici non sia stato chi abbia conosciuto che molto si può desiderare in esso scritture, o vero che su la confidenza di quelle sia stata abbracciata la confutazione dell’ opinion del Copernico, senza punto temere che giammai sia per accadere che alcuno di quelli che son separati da noi possa della di lei verità arrecare alcuna sicura c concludente dimostrazione o manifesta esperienza. E più soggiungo, che, a confusione degli eretici, tra i quali sento quelli di maggior grido esser tutti dell’ opinion del Copernico, ho pensiero di trattar questo argomento assai diffusamente, e mostrar loro che noi Catto¬ lici, non per difetto di discorso naturale, o per non aver vedute 20 quante ragioni, esperienze, osservazioni e dimostrazioni si abbiano vedute loro, restiamo nell’ antica certezza insegnataci da’ sacri autori, ma per la reverenza che portiamo allo scritturo de i nostri Padri o per il zelo della religione o della nostra fede ; sì che quando loro abbino vedute tutto le loro ragioni astronomiche e naturali benissimo intese da noi, anzi, di più, altre ancora di maggior forza assai delle prodotte fin qui, al più potranno tassarci per uomini costanti nella nostra oppimene, ma non già por ciechi o per ignoranti dell’ umane discipline : cosa che finalmente non deve importare a un vero cri¬ stiano cattolico ; dico, che un eretico si rida di lui perdi’ egli ante¬ ponga la riverenza e la fede che si deve agli autori sacri, a quante ragioni od esperienze hanno tutti gli astronomi e filosofi insieme. Aggiugnerassi a questo un altro benefizio per noi, che sarà il com¬ prendere quanto poco altri si deva confidare negli umani discorsi e nell’umana sapienza, e quanto perciò noi siamo obbligati alle scienze 9. minor stima di quello, Val., M — 12. delle opinioni, V —21. antica credenza insegna¬ taci, 1 — 26-27. costatiti della nostra, G — 28-29. a veruno cristiano, Gv — 29. lui eh' egli, G, 1 31. tulli quelli astronomi, G — 33. si debba fidar negli, Gv — 512 LETTERA A FRANCESCO INDOLI superiori, le quali sole son potenti a dissottenebrar la cecità della nostra mente ed ad insegnarci quelle discipline alle quali per nostre esperienze o ragioni giammai non arriveremmo. Questi rispetti posson essere, s’io non erro, non solamente idonee scuse appresso P universale, ma urgenti cagioni ancora dell’ essermi io risoluto a risponder alla vostra scrittura. Quanto poi alla persona vostra in particolare, io non so s’io debba domandarvi scusa della troppa dilazione (avvenga che voi stesso di risposta mi facciate richie¬ sta e instanza), o pure s’io devo pregarvi a perdonarmi e ricever benignamente e con quiete d’ animo, se forse assai chiaramente ve- io drete scoperte quelle fallacie, onde i vostri discorsi vi avevano acqui¬ stato applauso. Nè dovrete negarmi un tal indulto, mentre che dal mio silenzio di otto anni potete esser assicurato che io non ho mai desiderata la diminuzione della vostra fama ; e dalla qualità delle mie risposte potrete comprendere, che non in loro, ma nelle vostre proprie opposizioni, ha radice quel frutto, che, non senza mio disgu¬ sto, forse potrebbe amareggiarvi in qualche parte il gusto : chè ben dovevi, Sig. Ingoli (e sia permesso dalla vostra filosofica ingenuità alla mia antica affezione verso di voi di dir tanto liberamente), met¬ tendovi, come si dice, le mani al petto, e sapendo in conscienza clic 20 Niccolò Copernico aveva speso più anni in queste difficilissime spe¬ culazioni, che voi non vi avevate consumati giorni, dovevi, dico, meglio consigliar voi stesso, e non lasciarvi leggiermente persuadere di poter atterrare un tant’ uomo, e massime con quella sorte di armi con le quali voi P affrontate, che finalmente son parte delle più comuni e trite obiezioni che si faccino in questa materia, e se pure vi è qual¬ che cosa di vostro, questa è di meno efficacia dell’ altre. Adunque voi avete sperato che Niccolò Copernico non abbia penetrato i misterii del leggierissimo Sacrobosco ? che e’non abbia inteso la parallasse? che e’ non abbia letto e inteso Tolomeo ed Aristotile ? To non mi so maraviglio che voi vi siate confidato di poterlo convincere, poi che tanto poco P avete stimato. Ma se voi P avesse letto con tutta quella attenzione che vi è necessaria per bene intenderlo, quando altro non fussi stato, almeno la difficultà della materia avrebbe in modo intorbidato in voi quelli spiriti contradittorii, che dal pren- 1. distenebrar, G — 8-9. mi fate richiesta, Val., M — 15. potrete apprendere che, Val., M — 22.,non v’avete consumati , Val., M — 25. son parli delie, G — IN RI8P08TA ALLA DISPUTA TIO KOC. 513 dere una tanta resoluziono vi sareste raffrenato ed anco del tutto astenuto. Ma già che il fatto è fatto, veggi amo, por quanto è possibile, di provedere che voi od altri non moltiplicasse gli errori. Vengo por tanto agli argomenti portati da voi per provare che la Terra, e non il Sole, è collocato nel centro doli’ uni verno : il primo de’ quali, preso dalla parallasse del Sole e della Luna, perchè è nuovo o vostro proprio, andrò più minutamente considerando elio gli altri comuni o antichi; e perchè da quello vi scorgo bisognoso di alcune più minute ed esatto i# cognizioni, concedete elio io più minutamente ed esattamente le vadia esplicando. So che vi è noto elio la nostra vista si fa per linea retta, e che se questa medesima si prolunga oltre all’ oggetto ed in essa si cou- stituiscono altri oggetti visibili, questi tutti ci appariscono congiunti tra di loro ; ma lo cose elio son poste fuori della detta linea, ci si mostrano separato da essa, e postegli o a destra o a sinistra, secondo che le sono o in questo o in quel modo collocate. E cosi se, riguar¬ dando alcuno, v. g., la stella di Venere, s’ immaginerà una linea retta tirata dal suo occhio per il centro della stella, e prolungata sino al jo cielo stellato, gli apparirà Venere congiunta con alcuna stella, se alcuna s’abbatterà ad essero in quella tal linea; o se questa tal linea per avventura andasse a ferire il primo grado d’Ariete, si dirà Venere apparir congiunta, o sottoposta, al primo grado d’Ariete. In oltre, perchè rarissime volte accade che due che riguardino il medesimo oggetto sieno amendue posti in una medesima linea retta con 1’ og¬ getto, ma quasi sempre accade che, essendo loro separati, mandino la vista per diverse linee, le quali s’incontrino in esso oggetto e quivi s’interseghino, e, prolungate, si vadino sempre più e più tra di loro separando, e finalmente vadino a terminare, v. g., nel firma- amento in punti differenti ; quindi è che a i due riguardanti apparirà l'istesso oggetto congiunto o sottoposto a due diversi punti del cielo. Ora, questa diversità di luogo apparente, causata dalle differenti posi¬ ture de i due riguardanti, è quella che comunemente si addomanda parallasse o vero diversità di aspetto. Passo ora ad applicare questa considerazione a i due visibili °ggetti nominati da voi, cioè al Sole ed alla Luna : li quali, mentre 7-S. e vostro pensiero andrò, Val., M — 23. e sottoposta, li, T — 2U-27. mandano la vista, ir 514 LETTURA A FRANCESCO INGOLI da diversi luoghi della Terra, e molto tra di loro distanti, sono da varii osservatori riguardati, non ha dubbio alcuno che essi ad altri ed altri luoghi del cielo altissimo appariranno esser sottoposti; onde, v. g., la Luna, che ad uno posto verso oriente si dimostrerà sotto il primo grado di Tauro, ad un altro, nell’ istesso momento di tempo, che la rimiri dall’occidente, si dimostrerà nel secondo o nel terzo- ed in somma a quanti da diversi luoghi della superficie terrestre la rimireranno, si mostrerà ella in variate parti del firmamento esser collocata. Ora, perchè una delle primario intenzioni degli astronomi è di potere determinare sotto qual luogo del firmamento ad ogni io tempo assegnato si dimostrino a qualunque riguardante sottoposti essi luminarii, acutamente conobbero ciò esser impossibile a farsi, se tra gl’innumerabili siti apparenti non se n’eleggesse un fisso està- bile, al quale poi gli altri si referissero e per esso si regolassero. Però convennero e stabilirono, il luogo vero e reale nel firmamento, nel quale o sotto il quale veramente si debba dire esser collocato il pia¬ neta, esser quel punto dove va a terminare la linea retta che, par¬ tendosi dal centro della Terra, passa per il centro del pianeta: sì che colui solamente vede la Luna e ’l Sole nel luogo vero, l’occhio del quale si ritrova in cotal linea ; la quale, perchè viene dal centro 20 del globo terrestre, sega la sua superficie ad angoli retti, e nel cielo determina quel punto che soprastà perpendicolarmente al vertice di esso riguardante, 0 punto verticale, in lingua araba zenit, si addimanda. Due sono dunque i luoghi del pianeta nel firmamento, cioè 1 ’ appa¬ rente e veduto, che è quello che vien determinato dalla linea retta prodotta dall’ occhio del riguardante per il centro del pianeta, ed il vero, che è quello che vien segnato dalla retta tirata dal centro della Terra per lo centro del pianeta ; e questi due luoghi si uniscono e divengono l’istesso solamente quando 1 ’ occhio del riguardante è nella linea del vero sito, che è quando il pianeta è nel vertice e zenit : so fuori di qui, il luogo vero e l’apparente sono sempre separati; e l’inter¬ vallo che è tra essi si addimanda la parallasse del Sole o della Luna. Perchè dunque la parallasse altro non è che quello spazio nel cielo 4. ad un posto, G, I}, M — 8. in varie parti, Val., M - 15. del firmamento, T -19- «de solamente, G 20. si trova, G — 23. e in lingua araba, T, Gv ; che in lingua arabica, Val., V 27. vien terminato dalla, Val., M — 32. si addimanda parallasse, Gv — Sole e della Luna, Val., INI, Gv 33. Perchè dunque parallasse, Gv — spatio del cielo, T — IN RISPOSTA ALI,A DISPUTAVO ECO. 515 che vien comproso tra le due linee del luogo vero e del veduto, è manifesto che secondo che le due linee più o meno tra di loro si (^sghigneranno, la parallasse diverrà maggiore o minore: sì che in somma la quantità di quella si regola e determina dalla quantità dell’angolo che da esso due lineo vien constituito nel centro della stella ; il quale perchè è sempre eguale all’ altro che gli è alla cima, possiarn con l’istessa verità determinare la quantità della parallasse dall’angolo che le duo linee prodotte, 1’ una dal centro della Terra, e l’altra dall’occhio del riguardante, costituiscono nel centro della stella, io Riceve cotal angolo, ed in conseguenza la parallasse, accrescimento e diminuzione per due cagioni : e una è la maggior o minor lonta¬ nanza, in Terra, del riguardante dalla linea del vero luogo della stella ; e l’altra è la minor o maggior altezza, o vogliamo dir lontananza dalla Terra, della medesima stella. E per più chiara intelligenza del tutto notinsi le due seguenti figure : nella prima delle quali sia il punto A centro della Terra, ed il cerchio massimo nella sua super¬ ficie DFE ; la stella sia in B, od il riguardante in D : sarà la linea AEBC quella del vero luogo, e la DBG quella del luogo visto ; all’angolo della parallasse sarà CBG, o vero 1’ altro che gli ò alla cima, e però ad esso egua¬ le, DBA. Ma se il riguardante sarà più vicino alla linea del vero luogo, come, v. g., in F, prodotta la linea del luogo vi¬ sto, cioè FBII, sarà la parallasse minore, cioè determinata per l’angolo HBC o vero FBA. Ma sia, nell’ altra figura, la linea AEBC so quella del vero luogo, e l’angolo CBG, o vero DBA, la quantità della parallasse, mentre la stella sia in B: ma quando ella fusse in S, cioè più vicina alla Terra, tirisi la retta DSII, la quale sarà la linea del luogo visto ; e 1’ angolo CSH, o vero DSA, sarà la quantità della paral¬ lasse, e sarà maggiore dell’ altro DBA, essendo egli esterno nel trian¬ golo DSB. La vicinanza, adunque, maggiore della stella alla lena 1-2. che vien compreso tra le due linee, quanto esse due linee più o meno, ^ al-, M H. E per chiara, G — vi. 05 516 LETTERA A FRANCESCO INGOLI fa la parallasse maggiore ; ed il considerare. se le linee DB ed AB prolungate verso 0 e G vadano a terminare in un orbe o vicino o ,c lontano o lontanissimo, non ha che far niente col far la parallasse mag- ^ s - -c 8'i° re o minore, sì come e’ non al- / tera punto l’angolo CBG; che è la / / \ 11 misura e la quantità della paral- lasse considerata dal Copernico e da tutti gli altri astronomi nel Sole \ / e nella Luna. 10 Di qui si può facilmente cono- ' scere l’equivoco, il quale, s’io non erro, è nel discorso, mentre per provare che il Sole non può essere nel centro del firmamento, argomentate così : Il centro è il più remoto punto dalla superficie della sfera di tutti gli altri contenuti dentro ad essa sfera ; se dunque il Sole fusse nel centro, sarebbe più lon¬ tano da esso firmamento cbe non è la Luna; e però la parallasse del Sole dovrebbe esser maggiore di quella della Luna : ma ella, per detto del Copernico e di tutti gli astronomi, è assai minore : dunque non può il Sole esser in detto centro. Qui 1’ equivoco è assai chiaro, 20 atteso elio non la lontananza della stella dal firmamento 0 altro che voi pongliiate per termine della parallasse, la rende maggiore, ma la vicinanza di essa stella all’ occhio del riguardante, cioè alla Terra. Ora, se la parallasse doveva perturbare la posizione del Copernico, bisognava che voi mostrasse che in tal sua posizione il Sole restasse vicino alla Terra più che la Luna ; cosa che egli nè disse nè pensò mai ; anzi gl’ intervalli in fra i tre corpi, Sole, Luna e Terra, gli pone egli i medesimi a capello con li altri astronomi : e però il nego¬ zio delle parallassi resta il medesimo che prima ad ungum, nè ha che far nulla nel debilitare il sistema Copernicano. Questo equivoco ha, per quanto io comprendo, auto origine da un altro paralogismo, che è stato tale. Voi, ritenendo sempre infisso nella mente cbe la Terra sia situata nel centro del firmamento, ne avete poi (e ciò per necessaria conseguenza) inferito dentro di voi, che la Luna, come vicinissima alla Terra, sia molto più distante dal firmamento cbe il Sole, cbe è tanto e tanto più lontano dalla Terra cbe non è la Luna ; cbe è poi il medesimo cbe dire, il Sole esser IN RISPOSTA ALLA DISPVTATIO ECC 517 molto più vicino al firmamento che la Luna. Sentendo poi che gli astronomi osservano nella Luna parallasse maggiore assai che nel Sole vi sete formato il concetto che la maggior lontananza dal fir¬ mamento sia causa di maggior parallasse ; il qual discorso conclude tutta via però che la Terra, cioè 1’ occhio dell’ osservatore, sia nel centro del firmamento, altrimenti no. Ora, elio la Terra, e non il Sole, sia nel centro del firmamento, e quello che è in quistione ; e voi lo supponete per noto. Che poi non segua per necessità che il Solo si possa dire più vicino io al firmamento elio la Luna, se non supposto prima che la Terra sia nel centro, io ve lo esplico ; ed in tanto vi avvertisco d’un altro equivoco. Noi, con Tolomeo e col Copernico, parliamo del firmamento in quanto in esso voi voloto notare la grandezza e quantità delle parallassi del Sole c della Luna, le quali non sono altro che quello spazio che resta intorcetto tra lo duo linee do i duo luoghi, vero e visto. In oltre, l’uso primario della parallasse ò por calcolare gli eclissi del Sole, nella precisione de’ quali la parallasse della Luna è di somma importanza. Tali eclissi poi si fanno, come sapete, solamente nelle congiunzioni del Sole e della Luna. Ma quando la Luna è alla con¬ io giunzione col Sole, ella si trova, nella posizione del Copernico, molto più lontana dal firmamento elio il Solo (dico dal firmamento, cioè da quella parte del firmamento nella quale voi volete misurare la paral¬ lasse), perchè, tirando allora dal centro della Terra la linea retta per i centri della Luna o del Sole, che è quella che determina i loro veri luoghi nel firmamento, ognuno intenderà che il Sole è a quella parte tanto pili vicino che la Luna, quanto è la distanza tra la Luna e ’l Sole : onde, ancora conforme al vostro medesimo concetto, che è che la stella più remota dal firmamento faccia maggior parallasse che la men remota, la parallasse della Luna dev’ esser maggiore di quella Mdel Sole. Scorgete dunque l’equivoco che prendete, quando dite che il più remoto di tutti i punti dalla circunferenza del cerchio è il centro : imperò che qualunque altro punto si sia, se bene a qualche parte della circunferenza ò più vicino, ad altra però ne è altrettanto 5. Vocchio del riguardante sia, Gv — 8. Nel coti, (x prima era stato scritto per noto, come negli altri codici; poi noto fu corrotto in vero. — 9. Che poi tte segua, G. Nel cod. Gv pare che prima fosse scritto non, o poi corretto ne; o forse prima iti scritto ne, e poi corretto non. — 1G. della parallassi, G — 17-18. è di molta importanza, G 25. ogniuno, G vicino, altra però, G — 518 LETTERA A FRANCESCO INGOLI più lontano, e porta il caso in vostro disfavore ; che la parte della cir¬ conferenza intorno la quale noi consideriamo la parallasse, è quella alla quale il centro è più vicino degli altri punti : e questo dico perchè ne i calcoli degli eclissi lunari, quando la Luna potrebbe dirsi più vicina al firmamento elio il Sole, le parallassi non vengono con¬ siderate, nè vi hanno uso veruno. Ma, per meglio anco rimover 1’ equivoco, posto che il firmamento sia racchiuso dentro a una superficie sferica (ben che nè voi nò altro uomo del mondo sappia o possa umanamente sapere, non solo qual sia la figura sua, ma se egli ha figura veruna), qual ragione vi per- io suade elio il centro sia da quella più lontano di qual si voglia altro punto ? Io, quanto a me, non credo questa cosa. Imperò che quando voi affermate, il centro esser il più remoto punto dalla superficie, o voi intendete da tutta la superficie intera, o da qualche parte: se da tutta, io dico che tutti i punti contenuti dentro alla sfera sono egualmente lontani da tutta la superficie ; imperò che tra ciascheduno di essi e tutta la superficie, media tutta la solidità di tutta la sfera : ma se voi intendete non di tutta la superficie presa insieme, ma di parti prese separatamente, la cosa procede più in vostro disfavore; imperò che più sono le parti alle quali il centro è più vicino di qua- 20 lunque altro punto, che quelle dalle quali egli è più lontano : il che facilmente si può dimostrare. Imperò che sia il cerchio ABCD, il cui centro E, e prendasi qual si voglia altro punto F, e per esso e per il centro passi il diametro FEA; e divisa laEF in mezzo nel punto 0, per esso passi la per¬ pendicolare al diametro BOI), e congiungansi le linee rette BE, BF, EU, I)F : e perchè le due EO, Olì sono eguali alle due FO, OB, e gli angoli al punto 0 retti, saranno le basi EB, BB eguali, sì come ancora le ED, DF. Le linee, so dunque, tirate dal punto Fai punti B e D sono eguali al semidiametro ; ed è manife¬ sto, per la settima del terzo, che 1’ altre tutte prodotte dal mede¬ simo punto F a qual si voglia punto della circonferenza BCD saranno 8. sia rinchiuso dentro, G — 2(5. congiungasi, G — 27-28. e perche due EO, OB sono eguali a due, G — 30. la ED, DF. Le linee, G — 33. per la ... del terzo, G, B, V, Gv - 34. punto a a i punti qual si sictio della, G — C À IN RISPOSTA ALLA DISPUTATICI KCC. 519 minori elei semidiametro : ma tutte le altro tirate dal medesimo punto F «a i punti qualsisieno della circonferenza BAD saranno mag¬ giori delle FB, FI), cioè del medesimo semidiametro : e perchè la por¬ zione di cerchio BAI) è maggiore della rimanente BCD (essendo in quella il centro), adunque più sono le parti della circonferenza del cerchio alle quali il punto F è più distante che non è il centro, elio quelle alle quali egli ò del medesimo centro più vicino. E questo che si è dimostrato del cerchio, potete intendere della sfera. È adunque falso il supposto che il centro sia più lontano dalla io superficie di qual si voglia altro punto; anzi tutti gli altri punti da tutta la circonferenza insieme sono eglino egualmente lontani, e dalle parti separatamente prese, in generale, sono più lontani. Conveniva dunque, por fuggir 1 ’ equivoco, dire che il contro era più lontano da alcune parti della circonferenza, elio altro punto dalle medesime parti. Ma questo poi non era bastante a liberarvi dall’ errore, come di sopra ho dichiarato, o come anco por voi stesso (quando il desi¬ derio di contradire non vi avessi un poco traportato a prendere i termini usituti dell’ arte in senso diverso dal suo proprio) avreste dal vostro parlar medesimo potuto scorgere. Voi stesso scrivete che il 20 Sole apogeo ha minor parallasse che quando è perigeo ; interpretate poi che apogeo e perigeo sia quanto a dire vicino o lontano dal firmamento : e pur (questi termini importano vicino e lontano alla Terra; ed il Magino stesso, che in quest’occasione e nel luogo da voi citato tratta diffusamente dello parallassi, mai non riconosce la loro alterazione dall’ ottava sfera, ma ben sempre dalla Terra, come anco tutti gli altri astronomi. Ma che più? Ditemi, Sig. Ingoli : Credete voi che giammai possa accadere che una stella che sia pili remota dalla Terra, abbia parallasse maggiore che una più vicina ? Bisogna necessariamente che rispondiate di no : onde io vi fo la se- soconda interrogazione, che è se nel sistema Copernicano la Luna è mai più remota dalla Terra che il Sole. È necessario che rispondiate parimente di no ; ma che restano le medesime distanze ad unguevi 2 '.punto F a qual si voglia punto della, G — 3. della FB, FI), cioè, G — 7-8. I<1 quanto Sl e > » (il, M 8. potrete intendere, Val., M — 12. prese separatamente, G — 14. punto delle imi esinie, G, Val., M — 16. ho dimostrato, e, Val., AI — 17-18 i termini usitati dall’arte, G; germini dell’arte, Gv — 20-21. poi interpretate, G — 22-23. impoiiano vicino e lontano dalla wn, B; importano lontano e vicino alla Terra, V, T, Gv ; importano lontano c vicino dalla «ria, Val,, M 24-25. le loro alterazioni, Val., M — 520 LETTERA A FRANCESCO INGOLI che quelle dell’ nitro sistema Tolemaico. Ora, se voi avete, sì come io credo, intese sempre questo cose, non so come vi sia venuto scritto che nel sistema Copernicano, se e’ fosse vero, accaderobbe che la parallasse del Sole fusse maggiore elio quella della Luna. Chi crede che la maggiore o minor lontananza dall’ ottava sfera faccia esser la parallasse maggior o minore, bisogna che creda parimente che la parallasse e 1’ altre distanze che si osservano tra stella e stella con quadranti, sestanti, astrolabi ed altri strumenti, esse ancora sien maggiori o minori secondo che altri adopra strumenti più grandi o più piccoli ; perchè nell’ istessa maniera appunto si considerano i gradi io nella circonferenza del quadrante, cho nella circonferenza del zodiaco o d’ altro cerchio immaginato in cielo. Ma perchè la verità è che tali quantità si misurano dagli angoli fatti nel centro dello stru¬ mento, elio si prendo per centro ancora de i cerchi celesti, e tali angoli non crescono o diminuiscono per accrescere o diminuire le circonferenze sopra lo quali insistono, però le quantità delle paral¬ lassi e degli altri intervalli restono sempre le medesime, sien pur numerate sopra strumenti grandi o piccoli, e riferite in cielo a cerchi vicini o lontani quanto si voglia. E se questo non basta per rimuo¬ vere altrui d’ opinione, io terrei per fermo e sicuro eli’ ei credesse 20 che 1’ ore mostrate nell 1 oriuolo da un razzo più lungo in una mag¬ gior circonferenza sien più lunghe dell’ altre che un più breve indice mostra in un minor cerchio. Più, voi allegate Ticono nelle sue tavole delle parallassi : ma perchè non avete voi cercato di sapere se egli, nel calcolarle, si serve delle distanze de’ luminarii dalla Terra 0 pure dal firmamento ? chè vi sareste accorto del vostro fallo ; perchè are¬ sti trovato che mai non si tratta di lontananza dal firmamento, e vi sareste accertato che il metterla tre 0 quattro 0 mille volte più vicina o più remota, non altera un capello le parallassi. Ma, senza veder Tieone o altri, pur doveva cadervi in mente che in un esatto sa calcolo delle parallassi non poteva in modo alcuno aver luogo la di¬ stanza del firmamento, la quale è ignota a ciascheduno ; e quello che è incognito, non può servire per fondamento di sicura dottrina. 1-2. sì come credo, G — 5. dell’ottava sfera, B, Val., M, Gv — 15. crescono ni dmtnui - scotto, B, V, T — 16-17. però la quantità ... restano, G, B, (tv — 18. jnccoli o grandi, * 20. e sicuro manca in B, V, Val., M — 25. nel calcolare, G, T, Val., M, Gv — 29. la parallassi, U — 32-33. e quello che è ignoto, non, T —33. di vera dottrina, Val., M — IN RISPOSTA. ALLA DISPUTATICI ECC. 521 Restami finalmente, in questo primo vostro argomento, da con¬ siderare quel che voi scrivete contro a chi volesse dire che, per libe¬ rare il Copernico dalla vostra instanza, basta che la Luna sia più vicina alla Terra che il Sole ; al che voi opponete (ed anco assai indirettamente) e dito che tal soluzione non vale, perchè le paral¬ lassi devono esser tra di loro come le distanze, le quali sono come 18 a 1 ; ma le parallassi sono come 22 al; adunque etc. Ora, se voi credete di poter concludere contro di me, perchè le parallassi non osservano quella proporzione che vi pare che le dovessero osservare, io adunque (stando nel vostro modo di discorrere), tutta volta che la verità fusse che le parallassi non dovessero osservare quella tal pro¬ porzione che voi dite, sì come elle veramente non l’osservano, il mio progresso camminerebbe benissimo: ma la verità, è che le parallassi non hanno ad osservare quella proporzione, ma un’ altra, che è poi quella che esse veramente osservano : adunque voi avete il torto. Inoltre, qual leggerezza è il dire : « Le parallassi diminuiscono mediante l’allontanamento dalla Terra; adunque, perchè tale allontanamento è causa della diminuzione, le parallassi devon osservare la propor¬ zione medesima delle lontananze » ? Qual geometria insegna che gli 20 effetti debbano proporzionalmente rispondere alle cause loro? Io vi potrei mostrare mille particolari in contrario ; ma per brevità ne addurrò uno, che pure è forza che frequentemente 1’ abbiate auto per le mani nel far vostri calcoli e computi astronomici. Pigliate il cerchio, il cui semidiametro AB e la tan¬ gente BD, e di grado in grado venendo da B verso R, tirate le secanti AC, AD, AR: è ma¬ nifesto che il muovere il razzo verso R è causa di far crescer lo tangenti e le secanti, e però il loro accrescimento deve esser proporzionato » agli accrescimenti degli archi; ma gli ai’chi, crescendo di grado in grado, crescono egual¬ mente ; adunque, nella vostra dottrina, le dette secanti e tangenti devono crescere esse ancora egualmente : la qual cosa è poi tanto falsa, che 1’ une e 1’ altre vanno continua- 2. che voi dite contro, Val., M; che voi contro, B, V, Gv — 5. e dite tal, G — 7. adunque. Ora, G —U. osservare questa tal, B — 17. l’allontanamento della Terra, G, Val., M, Gv — 19. la medesima proporzione, G —26. tirate la secante AG, AD, AH; è, G — 522 LETTERA A FRANCESCO INUOLI mente variando la proporzione do i loro accrescimenti, e non pure non crescono equabilmente, ma sono gli accrescimenti e2e3e4el0 e 100 e 1000 e 10000 volte maggiori 1’uno dell’altro. Or vedete quanto il vostro discorso è lontano dalla buona strada. Ma più dirò : so le parallassi devono osservar la proporzione delle distanze, e la parallasse della Luna è ventidue volte maggiore di quella del Sole, e le parallassi, per voi, dependono dalle lontananze che sono tra i corpi veduti e 1’ ottava sfera, adunque bisogna che nel vostro con¬ cetto voi aviate stimato che la Luna sia 22 volte più lontana dal- P ottava sfera che il Sole, eh’ ò l’istesso che dire che l’intervallo tra io la Luna e ’l Sole sia ventilila volta maggiore di quello che resta tra ’l Sole e 1’ ottava sfera ; esorbitanza più che massima, atteso che, ponendo che una stella lissa di mediocre grandezza sia grande quanto il Sole, la distanza tra ’l Sole e 1’ ottava sfera sarà più di 400 volte maggiore dell’ intervallo tra ’l Sole e la Luna. Or vedete quanto possa l’interesse e 1’ affetto proprio ! Dico (per vostra più chiara intel¬ ligenza e d’ altri) che a voi pare assurdo potentissimo per destrug¬ gere la dottrina del Copernico, 1’ opporli che la sua posizione non può esser vera perchè quella misura elio è 22 dovrebbe esser 18: nella posizione poi vostra e di Tolomeo non vi dà uno scrupolo al 20 mondo che questa medesima misura, che dovrebbe esser 400, sia un ventunesimo, cioè che quella che dovrebbe essere 8400 sia uno. E final¬ mente, per levarvi, Sig. Ingoli, ogni sutterfugio, anzi pur per libe¬ rarvi dall’ occasione di poter aggiugnere errori sopra errori, con lo sforzarvi di venire, con distinzioni o dichiarazioni, mostrando che la parallasse, intesa in quello e non in questo modo, può fare che in questo e non in quel senso voi abbiate pai'lato bene ; dicovi che la parallasse della quale parla il Copernico e gli altri astronomi tutti, è quella che si considera nell’ angolo fatto nell’ intersezione delle linee del vero luogo e del veduto : 0 questa è sempre la medesima, tanto so nel sistema Copernicano quanto nel Tolemaico, nè da essa si può trarre un minimo minimissimo sussidio nè in prò nè in contro di quella o di questa ipotesi ; ed il venire voi in campo con qual si voglia dichiarazione limitazione o altra fantasia, produrrà per voi simile effetto a quello che produsse la sua attestazione a colui che, sentendo 2. non crescono egualmente, ma, Val., M, Gv — ma sono per gli, G—17 .pare modo po¬ tentissimo, Val., M — IN RISPOSTA ALLA D1SPUTAT10 KCC. 523 come un notaio suo nimico era in carcero con querela di falsario, e che quando egli no fussc ben convinto glio il’ andava la man destra, andò con alcuni testiiiionii, li quali senz’aldina eccezione testilicavano colui esser andato in maschera, il qual atto diceva egli esser una falsificazione ; ondo il magistrato con molte risa lo licenziò, dicendogli che la destra si mozzava a’ falsilicatori di contratti o di testamenti, e non a chi con maschera falsava la sua persona, e che per tanto la sua accusa non progiudicava punto al povero notaio, sì come la vostra non ha che faro col Copernico. E tanto basti intorno al vostro primo io argomento. Quanto al secondo, col quale voi pretendete, insieme col Sacro¬ busto, di poter dimostrare, la Terra esser nel centro del firmamento avvenga che lo stollo fisse, posto in qual si voglia parte dui cielo, ci si mostrano della medesima grandezza, vi dico che li mancano non una sola, ma tutto quelle condizioni che son necessarie per ben concludere. E prima, voi supponete clic le stollo del firmamento sieno collocate tutte in un medesimo orbe : il che ò tanto dubbio a sapersi, che nè voi nò altri lo proverà mai in eterno ; e stando su ’1 coniet- turale e su ’1 probabili*, io dirò elio nè anco quattro delle stello fisse, Miion elio tutte, sono da qual punto più vi piacesse assegnar nell’uni¬ verso egualmente lontane ; od a voi toccherà a provaro il contrario. Ma posto ancora che vero lusso che il firmamento fusse un orbo sfe¬ rico, con qual certezza affermate voi olio una stella ci apparisca sem¬ pre della medesima grandezza, dal che voi possiate argomentare che l’occhio nostro e la Terra sia nel centro di cotal orbe? Questa osser¬ vazione è piena di difficultà, che la rendono incertissima. Prima, pochissime sono le stelle fisse che si vegghino quando son vicine al- l’orizonte. Secondariamente, di queste le grandezze apparenti ven¬ gono sempre in varii modi alterato da’ vapori e altri impedimenti. 50 * erzo ) quando non ci l'ussero tali alterazioni, qual occhio libero potrà mai accorgersi di una minimissima mutazione che potessi farsi in due 0 tre o quattro oro ? o con quale strumento si distingueranno tali minuzie ? anzi e gli occhi e gli strumenti sono stati sin qui tanto mabili a simil giudizii, elio anco nel determinare 1’ apparente dia¬ metro delle fisse si sono gli osservatori ingannati di più di mille per G- c testamenti, G— 28-29. sempre vent/ono, G—31. una minima mutazione, G, Gv— J l-32. due, tre, G, V, T, Gv — 60 524 LETTERA A FRANCESCO INDOLI cento ; or vedete se i medesimi non si potranno ingannare di uno per mille, anzi di manco assai. Quarto, se i medesimi autori che pon¬ gono la Terra nel centro, affermano che, per essere il suo semidia¬ metro del tutto insensibile rispetto alla gran lontananza della sfera stellata, le Btello non ci appariscono maggiori verso il mezo del cielo che presso all’ orizzonte, ancor che in quel sito sieno veramente più vicine a noi che in questo quasi un semidiametro terrestre, voi pur dovreste concedere che vicinissima bisognerebbe por la Terra all’orbe stellato, acciò che 1’ appressamento o allontanamento d’ una fissa alla Terra fatto per il moto diurno (il quale è meno d’ un semidiametro) io facesse una notabile mutazione nell’apparente sua grandezza : ma il Copernico non rimuove tanto dal centro, nò avvicina tanto la Terra all* orbe stellato, che 1* appressamento d’ un semidiametro possa cagio¬ nare sensibile accrescimento nell’ apparente grandezza d’ una stella, atteso che nella lontananza che è tra la Terra e le fisse vi può entrar molte centinaia di volte la distanza che è tra la Terra e T Sole, senza ammetter nessuna di quelle coso che a voi, a 'bicone ed ad altri paiono esorbitanze grandi : il che a suo luogo e tempo dichiarerò diffusa¬ mente, ma per ora, per tor voi ed altri di errore, ne toccherò qual¬ che cosa brevemente, e massime perchè in ciò si contiene la risposta 20 ad un’ altra vostra instanza. Trovano questi avversari del Copernico, per calcoli fatti da loro, che, a voler elio il movimento della Terra fatto nell’ orbe annuo, il quale ne i pianeti produco grandissime alterazioni ed ammirande, non cagionasse alcuno di simili effetti nelle stelle fìsse, bisognerebbe che 1’ orbe stellato fusse così lontano, che una fissa, per rendersi visibile a noi della grandezza ohe ci si mostra, fusse in sè stessa molte volte maggiore che tutto 1’ orbe annuo, che sarebbe poi un esser maggiore per molte migliaia di volte elio l’istesso Sole ; il che reputano essi per assurdo grandissimo. Ma a me i calcoli miei mostrano, il negozio so proceder molto diversamente ; cioè mi mostrano, clic ponendo una stella fissa mediocre grande quanto il Sole e non più, basta a tor via tutti gl’ inconvenienti che, per loro proprii errori, hanno costoro attribuiti al Copernico : e gli errori loro sono stati nel por le gran- 3-4. il suo diametro del tutto, lì, V, Val., M, Gv — 7-8. voi pur dorerete concedere, Val.,M — 18. (.'esorbitanze grandissime, Val., M — 19-20. qualche cosa lievemente, e massime, Gv — 21. ad una altra, G — 28. che V orbe, G — IN RISPOSTA ALLA DI SPUTATICI ECC. 525 dezze apparenti dello stollo, tanto fisso quanto erranti, assai maggiori di quello eli’ elio sono ; la qual falsa posiziono gli ha fatto errar di Unto, elie, dovo hanno creduto di poter con verità affermare, Giove esser 80 volte maggior della Terra, la verità è che la Terra è mag¬ gior di lui trenta volto (o questo si chiama errare di 240000 per 100). Ma tornando al nostro proposito, dico elio misurato esattamente il diametro di Giove, egli non arriva a pena a 40 secondi, sì che il diametro del Sole vien ad esser 50 volte maggioro di quello; e il diametro di Giovo è ben dieci volte maggioro di quello d’ima lìssa ìoraediocro (come tutto questo ci mostra un perfetto telescopio), tal che il diametro del Sole contiene 500 volto quello d’una lissa medio¬ cre: dal che immediatamente no segue, la lontananza del cielo stel¬ lato esser 500 volte maggiore ili quella clic è tra noi e ’1 Sole. Or, che volete che faccia il rimuover la Terra dal centro dell’ orbe stel¬ lato per una o duo cinqueccntesime parti del suo semidiametro, circa ’l farci apparire le stelle minori nell’ orizonte che nel meri¬ diano? E chi sarà quello così semplice che si persuada, gli astronomi comuni poter conoscere 1’ accrescimento e la diminuzione d’ una tal parte nel diametro d' una stella, mentre noi tocchiamo con mano, i » medesimi in simili osservazioni essersi ingannati tanto gravemente, come di sopra ho avvertito ? Le instanze, dunque, degli avversari si tolgono, come vedete, col por solamente le fisse mediocri, come, v. g., della terza grandezza, eguali in grandezza al Sole. Ma scorgendone col telescopio altre innumerabili, minori assai di quelle, anche della sesta grandezza, e potendo noi ragionevolmente credere esservene altre molte non osservabili con i telescopii fabbricati sin qui, e non essendo altresì inconveniente alcuno il credere che le sieno eguali ed anco tal una maggiore del Sole, in quale altissima profondità, per vostra fe’, potremo noi senza esorbitanza affermare, quelle dover esser so collocate ? Le fìsse, Sig. Ingoli, risplendono per loro medesime, come altrove ho provato, sì che nessuna cosa gli manca per poter esser 3. creduto il poter, G — 5. Nel roti. G si legge, scritto sul margine, a modo di postilla quanto segue: « perchè Giove vien a esser la 30““ parte d’un fcO“‘°, cioè 241X1 \olte minoro,^ sragione di 240000 per cento». Evidentemente si deve riferire allo parole * e questo si chiama errare di 240000 per 100 ». — 6-7. esattamente 01, il suo diametro non arriva a 40 , Val, M — 8-9. di quello; il diametro, G, V, T, G v - di quello che ì il diametro di 91; « ben S“«to « 10 volte, Val., M - 9-10. fissa di mediocre grandetta (come, Gv - 15. o due cinquan¬ tine parti, Val., M — 15-16. suo diametro, circa, B, V, Val., M, Gv - 24- 26. anche della *b** a grandezza, G, M — 526 LETTERA A FRANCESCO INGOLI chiamate e stimato Soli ; e ho è vero, come comunemente si stima clie lo parti altissime dell' universo siono ricetti ed abitazioni delle sustanze più pure e perfette, esse saranno ancora non meno lucide e splendenti dell' is tesso Sole : tutta via la luce di loro tutte insieme,come ancor la lor visibil grandezza, dico pur di tutto prese insieme, non arriva alla decima parte della visibil grandezza e della luce che dal Sole ci viene comunicata; e doli’ uno o dell’ altro di questi effetti n’ è sola cagione la lontananza loro: quale dunque e quanta deviamo noi credere eh 1 ella sia ? Vengo ora al vostro terzo argomento, preso da Tolomeo. Dove io prima mi pare di porvi in considerazione, che delle ragioni che intorno al medesimo problema si producono, alcuno son vero e altre son false; e tra lo false alcuna tal volta ve ne può essere elio abbia qualche sembianza ili verità, in comparazione di altro che ad ogni mediocre discorso si rappresentano subito quali elio sono, cioè false e fuori del caso : ora è accaduto che nel voler voi reprovare la posizione Coper¬ nicana, produciate cose tutto veramente false (non parlo degli argo¬ menti teologici), i* le più di quel genere di falsità die è assai scoperto. Di quelle che nel pruno aspetto abbino qualche sembianza di verità, ne è questa elio voi prendete da Tolomeo, si come sono anco altre 20 prodotte dal medesimo nel suo Almagesto, le quali non solamente hanno aspetto di vero, ma dirò elio sono anco concludenti nell’intera posizione Tolemaica, ma bene nulla concludenti nell’intero sistema Copernicano. Adunque, direte voi, possono lo medesime proposizioni concludere e non concludere, ad arbitrio altrui? Signor no, prese assolutamente ed in tutta l’università della natura; ma attaccate tal volta ad un’ altra proposiziono falsa, possono esser, con quella supposizione, concludenti: esempio di che vi sarà il discorso che ora avi amo alle mani. Voi dite con Tolomeo : So la Terra non fusse nel centro della sfera so stellata, noi non potremmo veder sempre la metà di essa sfera ; ma noi la veggiamo ; adunque eto. Che poi quello che noi veggiamo sia la metà, e non più o meno, lo provate in varii modi : il primo de’quali è preso dall’ osservazione di due stelle fisse tra sè opposte, quali sono 3. e più perfette, Val., M - ancora saranno, G -4-5. come ancor ... prese insieme nani» ' u ò. — 7-8. n’ è solo cagione, G — lo. alcuna colta ve ne può essere chi abbia, G • M que. Che, G — TN III SPOSTA ALLA DISPVTATIO KCC. 527 l'Occhio del Tauro ed il Cuor dello Scorpione, delle quali mentre runa nasce, l’altra tramonta, o tramontando l’una, 1’ altra vicende¬ volmente nasce ; argomento necessario che la parte del cielo che è sopra Terra è eguale a quella che è sotto, ed, in conseguenza, cia¬ scheduna un emisferio, e la Terra posta nel suo centro, già che tale accidente accado in tutti gli orizonti. Il discorso è bello e degno di Tolomeo, ed accoppiato con un’ altra sua supposizione, conclude neces¬ sariamente ; ma negata quella, 1’ argomento resta nullo : e veramente io mi sono maravigliato elio altri astronomi di gran nome e seguaci io elei Copernico abbino auto ad affaticarsi non poco por levar questa instanza, nè gli sia venuta in niente la vera o facilissima risposta, che è il negar quell’ altro assunto ili Tolomeo, dal quale acquista forza questo argomento. Però notate, Sig. Ingoli, che è vero elio nascendo e tramontando alternamente appresso tutti gli orizonti due stelle fisse, bisogna por necessità dire, la Terra esser nel mezzo della sfera stellata, tuttavolta però che la Terra stia immobile e eh’ il nascere e tramontare dorivi dal moto e conversione della sfera stel¬ lata: ma se noi (come fa il Copernico) faremo star ferma la sfera e rivolgere in sé stesso il globo terrestre, ponetelo pur poi dove più » vi piace, che sempre avverrà dello due stelle fisse quello che si è detto, cioè il nascere e tramontare alternamente. E per più chiara intelli¬ genza, sia la sfera stellata, il cui contro D, e la Terra A remota quanto si voglia da esso centro, e sia 1’ orizonte secondo la retta linea BC. Ora se noi, stando ferma la Terra ? el’orizonte, intenderemo la sfera stellata muo- ^ j \ versi intorno al suo centro I), ed una stella /_ /^p\ nascere in C mentre 1’ altra tramonta in B, è j T manifesto che quando la C sarà in B, la B non i sarà altramente ritornata in C (essendo l’arco \ j sopra Terra CEB minore del rimanente sotto / Terra), ma sarà in S (posto 1’ arco BS eguale all’ arco CEB) : tarderà dunque la stella B a ® nascere, doppo il tramontar della C, quanto è il tempo dell’arco SC. Ma ponghiamo adesso che la sfera stellata sia fissa, e mobile la Terra in sò medesima, la quale seco porterà l’orizonte CB : e’ non è dubbio 4’ sopr’a Terni, G—12-13. dal quale piglia forza, G—16-18. tuttavolta ... stellata Branca in G. — 3*1. la Terra mobile, G — 528 LETTERA A FRANCESCO INGOLI alcuno che quando il termine dell’ orizonte li sarò in C, l’altro C sarò in U ; o dove prima delle duo stello C, li una era nel termine orientale e l’altra nell’occidentale, fatta tal conversione dalla Terra ritorneranno nello stesso momento di tempo scambievolmente ne’me¬ desimi termini: tal che, come voi vedete, questo scambievol nascimento o occultamento non prova nulla circa il sito della Terra. Come nè anco da quello che soggiugnote, cioè dal notarsi nel cerchio verticale sempre 90 gradi dal zenit all’ orizonte, si può inferir che noi veg- giamo la metà del cielo; perchè, rappresentandoci nella medesima figura la linea lìO qual si voglia orizonte, se dal centro A si dim-io zerà sopra la BC una perpendicolare elio andrà a terminare nel punto verticale, questa conterrà (li qua e di là due angoli retti, ciascuno de’ quali è gradi 90 : quello poi elio sieno li due archi BE, EC, nè si vede, nè si sa, nè si può sapere, nò servo a niente il saperlo. Falso è parimente quello che soggiugnete appresso, mentre dite elio quando la Terra non fusse nel centro, non si potrebbe veder la metà del cielo: imperò elio, posto che il cielo fusse sferico e la Terra lontana dal centro, pur veilrebbon la metà del cielo tutti quelli abitatori della Terra 1’ orizonte do’ quali passasse per il centro del cielo. Quello poi che soggiugnete in redarguir la risposta di quelli che 20 dicessero, insensibilmente esser più o meno del giusto emisferio quella parte del cielo che noi voggiamo, perché 1’ orbe magno deferente la Terra è d’insensibil grandezza rispetto all’ immensità della sfera stel¬ lata, non occorrerebbe che da me fusse considerato altramente, av¬ venga che altra ragione vien da me arrecata del medesimo effetto, cioè 1’ essere il moto diurno della Terra, e non del cielo ; tutta via non voglio lasciar di considerarvi alcuni particolari degni d’esser notati. E prima, l’affermare che voi fate con tanta resoluzione, appog¬ giato su 1’ autorità di Ticone, che a voler che 1’ orbe magno del Coper¬ nico restasse come insensibile rispetto all’immensa grandezza della so sfera stellata, bisognerebbe che esse stelle fusser lontane 14 mila semi¬ diametri di esso orbe magno, che son poi quei 16 milioni e mezzo di semidiametri terreni, è veramente detto con troppa confidenza, e voi attribuite troppo alla semplice autorità d’ un uomo, usandola in riprovare conclusioni tanto grandi in natura. Se il presente luogo e la qualità delle cose che noi trattiamo lo permettessero, io vi potrei 24. fusse considerata altramente, G — 2S-2V). resoluzione, appoggiata, G — IN R18P08TA ALLA JUSl'l’TATIO ECC. 529 mostrare quanto in questa parte si «in ingannato Ticone, o come g „li n on produce cosa veruna di momento contro al Copernico, anzi mostra di non si aver formata la vera idea del sistema Copernicano, uè di quali apparenze dovano vedersi o non vedersi nelle stelle lisse mediante il movimento annuo attribuito alla Terra. Ma di questo ne intenderete altra volta ; e per ora, acciò non paia eh’ io sfugga la forza di quanto adducete, ponghiamo che vero sia che l’orbe magno si mostri insensibile rispetto alla sfera stellata, e che per mostrarsi tale bisogni che lo lisse sieno lontane 1650600U semidiametri terreni : uquale impossibile o inconveniente ci trovate voi, Sig. Ingoli? A me pareche tutta la sconvenevolezza sin nell'immaginazione degli uomini, e non punto nella natura stessa : o che ciò sia vero, andiamo esami¬ nando gli assurdi che voi mettete in campo. Prima voi dite che, posta tanta immensità, l’universo sarebbe asimetro : il qual termine asinietto, se voi, come geometra, lo pren¬ dete nel suo vero significato, vuol dire incommensurabile: equi non si può sfuggire uno di duo errori; imperò che, essendo l’incommen¬ surabilità una relazione che cade tra due termini, voi non ne portate se non uno, poi che non dite a chi questa immensa mole resulti incom- smensurabile ; ma se pure avete dentro di voi voluto intendere che, comparando 1* orbe stellato con il deferente della Terra, egli sarebbe a quello incommensurabile, voi pur non meno errate, poi che voi stesso mettete tra i numeri, cioè fato commensurabili, i loro semi¬ diametri, dicendo quello contener questo tanto volte ; e se i semidia¬ metri sono commensurabili, molto più saranno tali le loro sfere. Ma se pigliando il termine asimetro impropriamente, avete voluto inten¬ der quello che noi diremmo sproporzionato, il detto ò pure arbitrario c senza necessità di conseguenza. K non sapete voi eh’ ò ancora inde- ciso (e credo che sarà sempre tra lo scienze umane) se 1’ universo sia ^finitoopure infinito? E dato clic veramente fusse infinito, come potre- 8 voi dire die la grandezza della «fera stellata funse sproporzionata *11 orbe magno, so essa medesima in rispetto dell’universo sarebbe meno che un grano di miglio rispetto di lei? Ma posto che i ìui ^ usso l’universo finito o terminato, che ragiono avete voi (li dire • uè di quali apparctize devono valersi, ( ì : nè di quell* apparenze che debbono vedersi , \ al., M Lnnr°’ aceiò> G ~’ 8 * stellata, che , Val., M - 17. uno dclli due , Val., M - 530 LETTERA A FRANCESCO INQOLI che la sfora stellata sarebbe sproporzionata rispetto all’orbe magno della Terra, salvo che il dire che lo vorrebbe a contenere troppe volto, comprendendo il diametro suo 14 mila volte quello dell’orbe magno ? 1*1 se questa ragione vale, sproporzionate saranno tutte quelle coso che, essendo del medesimo genere, una sia maggior dell’altra tante o più volte : e così, perchè in mare vi sono pesci così piccoli che una balena ne può contener molti più, e un elefante molti più pelliccili, adunque e le balene e gli elefanti sono animali troppo spro- porzionati ; e però anco, per vostra opinione, non si trovano al mondo, perchè tali sproporzionalità non sono ammesse dalla natura. In oltre, io il Sole (come ho già detto) non lui condizione alcuna per la quale noi lo possiamo sequestrare dal gregge dell’ altre stelle fisse, sì che il dire elio ciascheduna fissa sia un Sole è cosa ragionevolissima : ora cominciate a considerare quanto spazio nel mondo voi assegnate al Sole per suo ricotto ed abit azione propria, nella quale ei resti scapolo e libero dall’altre stelle sue consorti ; considerato poi T innumerabil mol¬ titudine dolio stelle, ed andate assegnando a ciascheduna, come suo pa¬ trimonio, altrettanto di spazio; che assolutamente voi vi troverete in necessità di por la totale sfera di quelle, assai maggiore di quello elio adesso vi par troppa vastità. In quanto a ine, mentre vo conside- 20 rando il mondo che da i nostri sensi vien compreso, non posso asso¬ lutamente diro se sia grande o piccolo : dirò bene che sia grandissimo in comparazione al mondo de i lombrichi e di altri vermi, i quali, non avendo altri mezzi da misurarlo che il senso del tatto, non lo possono stimare più grande di quello spazio che essi occupano; od a me non repugna che il menilo compreso da i nostri sensi, in coni- punizione dell universo possa esser così piccolo come il mondo de 1 vermi rispetto al nostro. Quanto poi a quello che l’intelletto, oltre a i sensi, possa apprendere, il discorso e la mente mia non si sa acco¬ modare a concepirlo nè finito nè infinito ; e però in questo mi rimetto 30 a quello che ne stabiliscono le scienze superiori. È adunque sin qui il giudicare troppa una tanta immensità, effetto della nostra imma¬ ginazione, e non difetto in natura. Quello che scrivete appresso, cioè che una tanta lontananza delle stelle fisse, quando ella fusse, destruggerebbe il poter loro opeiaic 2. che la verrebbe a contenere, G, lì, V, T, Val., M, Gv - 14-15. ul Sole manca m (i.- 31. adunque in sin qui, G — IN KISI'OSTA ALLA DISPUTATIO ECC. 531 in queste cose inferiori (il che confermato poi con 1’ esempio dell’ ope¬ razione del Solo, tanto diminuita per 1’ allontanarsi egli dal nostro vertice l’inverno, ancor cito 1’ allontanamento sia piccolissimo in com¬ parazione a questa distanza delle stello tinse), per parlar liberamente, non vorrei, per vostra reputazione, che voi 1’ aveste scritto, o massimo confermandolo con 1’ esempio del Sole. Imperò che, o tal esempio fa al vostro proposito, o no : se no, giti confessate 1’ errore ; ma se lo stimate a proposito, incorrete in altri e vie maggiori mancamenti. E prima, il poter voi iuridicamente dire che 1’ azione del Sole iemale io e lontano sia debili', suppone 1’ aver provata quella della state, quando esso ò vicino ; che quando 1’ azione funse stata sempre del medesimo vigore, mai non potevate dir, questa o quella esser debile: nell’esem¬ pio dunque si suppone per necessità l'aver voi provato 1’ effetto del Sole in due distanze ; e cosi pur potere con tal similitudine arguire delle stelle, bisogna averle ante in duo diverse lontananze. Queste due diverse lontananze sono, una In vostra, e 1' altra quella del Coper¬ nico; e perchè voi dite, la Copernicana non esser atta all’azioni, bisogna che voi supponghiate, 1’ azioni esser fatto con la vostra. Ma questo è quello eh’ è in quistione, ed il vostro discorso resta una peti- azione di principio, perchè io con altrettanta ragione posso dire elio la lontananza delle fisso è quanta glieli’attribuisce il Copernico, ed è a punto quanta bisogna acciò che le stelle operino al modo eli’ elle operano; e so voi dite che in tanta lontananza non potrebbon ope¬ rare, ed io con non minor ragione vi dico che se la distanza fusse stata minore, già avrebbon operato con tanta violenza, che avreb- bono distrutto il mondo. Egli è forza che quando prima vi giunse all' orecchio la novità di questa ipotesi Copernicana, voi vi formaste concetto che per dargli luogo in natura fusse necessario ampliare 1 orbe stellato smisuratissinunnente, la quale operazione non potendo » esser in potestà del Copernico nè d’ altro uomo, vi ha confermato Noli antica prima opinione, nella quale ancor fissamente vi ritiene. Questi discorsi dunque, conin fondati sopra vane immaginazioni, non Sl devono produrre in quistioni di cose reali e magne; nò meno si ^ eve P°i i* 1 ultimo diro d'aver saldamente dimostrato e concluso cose. dire iuridicamente, G — lo. subitone aver, V al., M — 12. quella o questa, U 33. di ***raliemayne , Gv- vi. 07 532 LETTERA A FRANCESCO INDOLI Quanto poi all’ esempio dol Solo elio scalda più la stato che l’in¬ verno, per esser allora più vicino al nostro vertice, il quale voi pro¬ ducete per autorizare la vostra proposizione, se io non piglio errore, o non bene si adatta al concetto esemplificato, o vero è direttamente contro di voi. Imperò che, sii voi attribuite il più o ’l meno operare alla maggior o minor elevazione verso il vertice, questo è fuori del caso in tutto e per tutto, perchè 1’ ampliamone della sfera stellata non accresce o diminuisce la declinazione delle stelle dal vertice, ma la ritiene nel suo stato. Ma se voi volete riconoscere l’azione del Sole dall’ avvicinamento ed allontanamento dalla Terra, il Solo è molto io più lontano la state che T inverno, ritrovandosi in quel tempo intorno al suo auge; tal elio se voi volevi pronunziare delle stelle fisse con¬ forme all’esperienza ed all’esempio del Solo, dovevi dir che l’allon¬ tanarlo quanto dice il Copernico, 1’ nrebbo fatte non manco efficaci, ma troppo attive, ed i loro influssi, a guisa delle pietre o della gran¬ dino da più sublimi regioni cadenti, troppo vigorosi, ed in somma più atti alla dostruziono elio alla conservazione delle cose terrene. Ed eccovi, Sig. iuguli, i frutti che nascono da i discorsi fatti sopra fan¬ tasie vano o sopra concetti senza coerenza e senza fondamento. Resta che consideriamo quanto bene dal vostro progresso resti 20 convinta 1’ altra parte della vostra illazione, cioè che le stelle fìsse dovrebbon esser maggiori dell' orbe magno, posta una tanta lonta¬ nanza. Ma già di sopra vi ho detto, nel progresso che fa Ticoneed altri, nel convincere tal esorbitanza, esser molte fallacie, le quali m altro luogo io fo palesi : e per ora vi dico che, dato, come dite voi, che per mostrarcisi lo lisso cosi grandi che sottendessero a tre minuti o a due, poste in lauta lontananza, bisognasse che le fussero grandi quanto 1’ orbe magno, non però seguita che in effetto elle sien tali, atteso elio il loro apparente diametro non occupa nè anco la sessan¬ tesima parte di tre minuti; sì che già da questo si fa manifesto che so Ticone o voi fate, di vostro arbitrio e per non aver ben notata 1 ap¬ parente grandezza delle fìsse, la sfera stellata CO volte più lontana di quello che bisogna per tor via la posizione del Copernico : e que 8. non cresce, — il. se volete, <1 - 0 11. del Soie dai maggiore o minore dlontanamento d„Ua Terra, In verità è che r molto più lontano, Val., M — 12. se voi dovevi gommare, h Ù* V, 1, (rv — 15-16. delle grandini, (i — 19. e sopra concetti malica in tr.— ól >1- l'apparente, G, T, Gv — 33. tor ria l'assurdo dilla posizione del Copernico, Val., M- IN RISPOSTA ALLA D/8PUTATIO ECC. 533 sto non è uno stralcio o diilalco «li poco momento, dico lo scemai' la distanza da voi dannata più di :)8 por 100. Che io poi abbia mai detto che una fissa suttenda a «lue minuti, come voi in’imponete, con vostra pace non può esser vero ; perchè sono molt’ unni elio io sen¬ satamente conobbi che nessuna fissa sottende nò anco a 5 secondi, e molte nè anco a -1, n innmnorabili nè anco a 2. Quanto al quarto argomento, nel «piale voi reprovate il sistema Copernicano dicendo, con 1'autorità di Tioone, che 1’eccentricità di Marte e di Venero sono altramente «li quello che poso il Copernico, ioe parimente che 1’ unge «li Venero non è immobile, come il mede¬ simo credette, panni elio voi vogliate immitar colui elio voltava rovinar sin da i fondamenti la sua casa, dicendo eh’era d’architettura falsa ed inabitabile, solo perchè il cammino faceva fummo; e l’avrebbe fatto, se il suo comparo non 1' avvertiva che bastava accomodare il cam¬ mino, senza rovinare il resto. (Wt «lice a vei, Sig. Ingoli: «lato che il Copernico si abbagliasse in quella eccoutricità o in quell’auge, emendisi questo, clic non ha che fare niente coi fondamenti e con la massima struttura di tutta la fabbrica. Se gli altri astronomi anti¬ chi fussero stati dell’ umor vostro, cioè di buttar a terra tutto quello Jichcs’era costruito, ogni volta che s’incontrava qualche particolare che non rispondessi all’ ipotesi prosa «li quello, non solo non si sarebbo edificata la gran costruzione di Tolomeo, ma si sarebbe restato sem¬ pre allo scoperto cd in una cecità delle cose celesti : ed avendo sup¬ posto Tolomeo elio la Terra fusse immobile nel centro, «V iusensibil grandezza rispetto al cielo, il Solo e 1 firmamento mobile, etc., o detto poi, v. g., che gli anni erano tutti tra «li loro eguali, voi, ritro¬ vata l’inegualità degli anni, avreste buttato sottosopra il Sole, la Terra e T cielo, e negato tutto quello che di essi ora stato sino allora preso per vero. So i pittori, ad ogni piccolo errore che gli venisse » mostrato in un dito «> in un occhio <1 una figura, avessero a dar di bianco a tutta la tavola, tardi si vedrebbe rappresentata uu intera istoria. Il Copernico, non per aver conosciuta una qualche piccola Macia in qualche particolar moto d’ un pianeta s’indusse a rilìu- 9- di quelle che, B —13. perchè un camino faceva un p'-co di fumo, Ini., M ^ che, G — 16. il Copernico in quella eccentricità sbagliasse e in quell’auge. G - 21. * Vitto manca in Gv. — 25-2(5. mobile, e detto, G, B — 82. aver conosciuta gualche, G ; avere sco- l in una sferica superficie, sì che elle sieno da un punto determinato, come «la un «'entro <ìell’ orbo loro, egualmente lontane ; anzi 1 >i«» sa e più di tre si trovino da un istesso punto egual¬ mente lontane. Ma pongasi, in grazia vostra, che pur sieno esse fisselo disposte tutte in «'-uni distanza da un sol centro: sì che noi aremo nell' università «lei mondo tanti centri «■ tanti luoghi inferiori e supe¬ riori, «pianti sono i gioia illuminili «> gli orbi che intorno a diversi punti si raggirano. Ripigliamo ora il vo tr<> argomento: nel «piale, primieramente,è necessario o che voi pecchiate in forma, o vero che in materia voi non concludiate niente per il vostri» proposito. Perchè, a non pec¬ care in forma, bisogna ordinarlo cosi : Do i corpi semplici (quali sono aria, acqua, terra) i più crassi e gravi occupano le parti più basse, cioè più vicine al centro «Iella Terra, come l’esperienza ci so mostra, essendo V acqua superiori; alla terra, o 1’ aria all’ acqua ; ma la Terra «'■ più crassa «* grave «lei Sole ; adunque la Terra, e non il Sole, occupa le parti inferiori, «dò ì* «pici luoghi inferiori che è mani¬ festo esser occupati dalla terra in relaziono all' acqua ed all’ aria : sì che T argomento non viene a concludere altro, so non che la Terra, o non il Sole, occupa il luogo inferiore e pili vicino al proprio centro della Terra; il che io vi «'oncoilo, e ve 1’arei conceduto anco senza silogistno. Ma se voi, nella conclusione, por luogo inferiore vorrete intendere non, come indie premessi', il centro della Terra, ma il centro dell' universo, o farete il silngismo di quattro termini, equivocandolo dal centro «Iella Terra a «piollo dell' universo, o voi supporrete per noto quello eli'è in quistione, ehm che la Terra, come corpo gra¬ vissimo, occupi il centro dell' universo ; od io, se a voi sarà lecito trapassar dal centro della Terra a quello della sfera stellata, con non 1. delie circolazioni. G — fi di sopra. G, B — 17-18. a non voler peccare, B - 22. grate e crassa, G —30-31. o farete . .. umren manca in G. — 34. a quello dell’universo, io co » non, Val., M — IN RISPOSTA ALLA DISPUTATIO KCC. 537 minor ragione di voi potrò concludere elio la Terra occupa il centro di Giove o della Luna, porche questi ancora noi mondo son luoghi inferiori, non meno che il centro della Terra. Ma voi direte d’ aver nello premesse supposto, non come noto per sé, che i corpi più crassi e gravi occupano il luogo inferiore del¬ l’universo, ma come dimostrato con l’esempio dell’aria, acqua e terra, de i quali la terra occupa il più basso luogo che sia in sè mede¬ sima; e so tale fu il vostro intonto, voi pur errerete più gravemente in molt’ altri particolari. E prima, bisognerà che voi ponghiate in io questi corpi mondani due inclinazioni: una, delle loro parti, le quali abbino gravità, cioò inclinazione verso i proprii centri de’ lor globi : e l’altra, di essi globi totali verso il centro dell’universo; perchè così, e non altramente, le parti della terra e dell’ acqua cospireranno a formare il lor globo, ed esso poi ad occupar il centro del mondo. E nessuna ragione arete voi di non dover por l’istesse condizioni nella Luna, nel Solo o ne gli altri mondani globi, nelle parti de’ quali voi non potete dire che manchi quella medesima inclinazione di cospi¬ rar a formare i lor globi, che voi conoscete nelle parti della Terra a formar il suo : e se questa medesima inclinazione è bastante a fare so appetire alla Terra il centro dell’ universo, la medesima opererà V istesso negli altri globi; tal che, stante vera questa filosofia, bisognerà dire che tutti i globi mondani, come crassi e gravi, hanno inclinazione al luogo basso dell’ universo, cioè al centro : e così, a farvi ogni mag¬ gior agevolezza possibile, si potrebbe diro che la Terra, per esser più crassa e grave della Luna, del Sole e dell’ altre stelle, occupa detto centro; ma gli altri, perchè non cascano al manco addosso alla Terra, per avvicinarsi quanto potrebbono al desiderato centro? Non vi accor¬ gete voi (e sia un altro errore) che, per concludere, bisogna che, dove voi dite nella minor proposizione « ma la Terra è corpo più » crasso e grave del Sole ■>, bisogna che diciate che non solo la Terra, ma anco 1’ acqua e 1’ aria sien corpi più crassi e gravi del Sole, per¬ chè essi ancora per voi sono in luogo inferiore ? cosa che credo che voi non persuaderete mai ad alcuno, uè meno a voi stesso interior- 5. occupino, V^l., M - (ì. dimmi rato dall’ essempio, Val., M — 8. voi pure errale, Val., M, 'V-10. mondani manca in II, V, Val., M. (tv. — 11. abbino qualità, cioè, (i, li — 15. ragione iwle toi, \ al., RI 15-1(1. ristest e considerazioni nella, li — 21. bisogna dire, V, T, Val., M, v -22. tutti i corpi m„„d,mi, Val., M — 30. Sole, eliciate, T — 538 LETTERA A EHANCE8C0 INC10LI mento parlando. Ma che dico ? \ oi pur mostrato d’esserne persuaso e vorreste persuader me ancora, dall’ autorità d’Aristotile e di tutti i Peripatetici, che dicono che i corpi celesti non hanno gravitò alcuna. Or qui, prima eh’ io passi più oltre, vi dico che, nelle cose naturali, 1’ autorità d’ uomini non vai nulla ; ma voi, conio legista, mostrato farne gran capitale: ma la natura, Signor mio, si burla delle costi¬ tuzioni e decreti de i principi, degl’ imperatori e do i monarchi, a ri¬ chiesta de’ quali ella non muterebbe un iota delle leggi e statuti suoi, Aristotile fu un uomo, vedile con gli occhi, ascoltò con gli orecchi, discorse col cervello, lo son uomo, veggo con gli occhi, e assai piu io che non vedile lui : quanto al discorrere, credo che discorresse intorno a più cose di me ; ma se più o meglio di me, intorno a quelle cho abbiamo discorso ambedue, lo mostreranno le nostre ragioni, e non le nostre autorità. Voi direte: • Un taut’uomo, che ha auto tanti seguaci? » Ma questo non è nulla, perchè l’antichità e’l numero degli anni decorsi gli dà il numero degli aderenti; e ben che il padre abbia venti iigliuoli, non però si può necessariamente concludere che e’sia più fecondo di quel suo figliuolo elio n’ ha un solo, mentre che il padre è di 00 anni, e questo di 20. Ma torniamo alla materia. Voi agli errori d Aristotile n’ aggiuguete un maggiore, che pur# è il supplir vero quello eli’è in disputa. Prima concluse Aristotile nel suo filosofare, che la Terra, come gravissima, occupasse il centro della sfera rideste ; e da questi) poi, vedendo che la Luna, il Sole e gli altri corpi celesti non cadevano a questo, di’egli stimò esser appe¬ tito da tutti i corpi gravi, concluse quelli mancare di gravità. Ma voi ora, commettendo il circolo, supponete per noto, i corpi celesti mancar di gravità, per provar quello die sorci per prova di tal man¬ canza, ciò è che la Terra è nel luogo inferiore del mondo e che ella vi è per esser grave.. 1/error comune vostro n d’Aristotile, è questo. Quando voi dite - I)e'corpi gravi propria inclinazione o naturale è # ili andare al centro -, o voi intendete per centro il punto di mezzo di*l total corpo grave, quale è de i corpi terrestri il centro della Tena, o voi intendete il centro di tutta la sfera mondana: se voi intendete 1. fmer K rmuo, T 1 3. Ma d* dio? Voi, ver mostrare d'essere V ei ' su " s0 ^ or ^ l>erf.midtre me ancora con Vattioriià, Val . M 6. Pavtorità de gli tlOffltwi, ’ Tn f>-6. morirai* dì font, D, V, T, 6? - 6. gran conio capitale, Vdi M* ^ éTk Val., M — 14- autorità. * I ti toni'uomo » voi dite • che ha auto, Gr ; autorità. Vot t ini uutuo, die lui aiuto Gt — 9 IN RISPOSTA ALLA DISPUTA TIO ECC. 539 nel primo modo, io dico elio la Luna, il Sole, e tutti gli altri globi del mondo sono gravi non meno della Terra, e che le parti loro cospi¬ rano tutte a formar il proprio globo, sì elio quando altri ne sepa¬ rassi una parte, ella ritornerebbe al suo tutto, in quel modo che noi veggi 41110 fare allo parti della Terra, nò voi mai proverete in con¬ trario; ma se voi intendete nel secondo modo, vi dico che nò anco la Terra ha gravità nessuna, nè aspira al centro del mondo, ma sta nel luogo suo, come la Luna nel suo. Oltre a queste cose, io vi veggo, Sig. Ingoli, intrigato in uno io strano labirinto, insieme con i vostri Peripatetici, nel ritrovare e determinare dove sia questo prelibato centro dell’ universo. Aristotile stimò, quello essere il punto intorno al quale si raggirassero tutti gli orbi celesti ; dico non pur la sfera stellata, ma gli orbi di Saturno, Giove, Marte e di tutti gli altri pianeti : anzi, stimando egli tutti questi orbi esser concentrici, in tanto stimò poter assegnare il centro della sfera stellata, in quanto gli pareva di poter asserire, e di quelli e di questa esser P isteBso ; che quanto all’ orbe stellato per sè solo, difficile, anzi impossibile, era, per la sua smisurata vastità, il poterne trovare il mezzo. Fu dunque assolutamente riconosciuto da Aristotile jo per centro dell’ universo quello che è centro degli orbi de’ pianeti, ed in questo collocò egli la Terra. Ora, a’ tempi nostri, non la Terra, ma il Sole esser in cotal centro collocato, è pivi chiaro e manifesto che il Sole stesso, sì come credo che voi ancora intendiate : tutta via,- ben che voi tocchiate con mano aver Aristotile altamente errato nella realtà del fatto, cercate pur (mosso da soverchia affezione) di man¬ tener in piedi il detto suo in parole, e più tosto vi sforzate di andar mettendo sottosopra il mondo per trovare un centro all’ universo (già che quello d’Aristotilo s’è perso), che confessar 1’ errore, e più vi confidate e sperate aiuto alla causa vostra dall’ autorità vana d’un so uomo, che non temete della suprema forza della natura e della verità. Se luogo alcuno nel mondo può chiamarsi suo centro, questo è il centro delle celesti conversioni ; ed in questo ò noto a ciascheduno che intende questo materie, ritrovarsi il Sole, e non la Terra. 3. si che aìtri quando ne, G — 12-13. tutti i corpi celesti, Val., M —14. Giove, Mercurio e di, lai., M — 14-15. tutti gli orbi, (ì ; tutti quegli orbi, Gv — 16. pareva poter, G 10-1 1 ■ e di ideila e ili questi esser, G, Gv; e di quella e di (questa esser, B; e di quella e di quest’ esser, V; * di quello e di questi esser, T — 17. quanto all’orbe della sfera stellata per sè sola, Val., M 21. in quello collocò, G — 22. è egli più chiaro, G — 26. in piede, G — VI. 08 540 LETTERA A FRANCE8C0 INOOU Esplicato queste coso, non importa niente il porre il Sole più 0 mono crasso, cioè denso, e gravo della Terra, la qual cosa nè io uè voi sappiamo, nò possiamo sicuramente sapere, ma opinabilmente cre¬ derei più presto di sì che di no ; e questo anco nella dottrina peri- patetica, la quale stimando i corpi celesti inalterabili ed incorrutti¬ bili, c la Terra por 1 ’ opposto, par che questa densità e solidità di parti conferisca più ad una lunghissima durazione, che non fa la rarità o la fissezza minoro : oliò per tali qualità veggiamo l’oro, gra¬ vissimo sopra tutto le materie elementari, o’ diamanti solidissimi, e l’altro gemme, avvicinarsi più all’ incorruttibilità, che gli altri corpi io imm gravi e men fìssi. Intorno poi a questi nostri fuochi, a i quali, per esser lucidi, voi assimigliate il Sole, e vorreste, in conseguenza, inferirne, elio bì come questi sono di suBtanza tenue rara e leggiera, tale dovesse parimente esser il Sole, panni che voi non saldamente discorriate ; perchè io all* incontro, con assai più verisimil discorso, potrò dire che, vedendo noi come i nostri fuochi, per esser materie così rare, sono ancora ili brevissima, anzi pur di momentanea, dura¬ zione, così, all’ incontro, ponendo voi il Sole, insieme con Aristotile, eterno ed inconsumabile, bisogna eh’ei sia d’una sustanza densissima e solidissima: oltre che io credo che il suo risplendere sia diversis-20 simo dal risplendere dello nostre materie ardenti. Che voi in ultimo (quello che fate nel fine del vostro argomento) produciate le solite autorità di filosofi por provarmi che il centro bì abbia a chiamare la parte infima, e la superficie, o vero circonferenza, la parte suprema, vi rispondo che queste son parole e nomi che non risultano in niente, nè hanno che far nulla col por le cose in essere ; perchè tanto vi ne¬ gherò, la Terra esser nel luogo infimo, quanto 1 ’esser nel centro. E se pure nel vostro concetto questo nome di centro vi pare che deva aver forza di tirarvi la Terra, perchè non la mottete voi nel firmamento, che vi sono i centri a migliaia, essendo che ogni stella è un perfetto 30 globo, ed ogni globo ha il suo centro ? Or sentiamo finalmente l’argomento tolto dal crivello; al quale se voi pur (come credo) prestate fede, vi prego che glie la manten- ghiate anco doppo che io vi arò mostrato che ei prova tutto l’oppo- sito di quel che vi pare che 0’ provi adesso ; e non vogliate fare quello 10. più avvicinarti, G —19-20. tosiama duri stima e solidissima, Val., M — 20. io crederò che, V, 1, A al., M, Gv — 25. tono parole rafie t non risultano, Val., M IN RISPOSTA ALT-A DISPUTA TI0 ECC. 541 che i più do’ moderni disputatori tanno, che prima s’imprimono nella mente la conclusione, senza sentire altre ragioni o dimostrazioni, e fatta l’impressione, ad ogni bone sciocca e grossolana ragione che venga in sua confermazione danno un totalo e liberalissimo assenso, ed all’incontro a quali e quante si voglino manifeste e concludenti dimostrazioni in contrario, sono eglino immobili ed impersuasibili, avendosi formato questo concetto, elio il perfetto e vero filosofare sia il non si lasciar mai convincere da veruna, ben che chiarissima, ra¬ gione o esperienza. Voi dite elio al moto circolare del crivello i pez- ìczetti di terra mescolati tra il grano si ritirano al centro di esso vaglio, e però che in simil guisa la Terra, quasi che crivellata dalla circolazione del cielo, devo già esser stata rispinta nel centro di esso cielo. Or vaglia la similitudine : ma avvertite, Sig. Ingoli, che mentre il crivellatore crivella il grano, egli non gira altramente il crivello intorno al suo centro nò punto nò poco ; il che" ò manifesto, perchè, ritenendo egli lo mani sempre nel medesimo luogo del vaglio, è impos¬ sibile, che il vaglio potesso girare intorno al suo centro senza che le mani o le braccia non si staccassero dal vagliatore. 11 moto del vaglio in questa operazione ò, che egli vicno agitato o mosso in modo tale, soche il suo centro cammina por la circonferenza d’ un cerchio imma¬ ginario, paralollo al pavimento, il centro del quale resta immagina¬ riamente sospeso in aria tra le braccia e lo stomaco del vagliatore, e per tale agitazione si radunano l’immondizie del grano nel mezzo del vaglio ; ma cotal movimento non ha che fare col moto del cielo, che è intorno al proprio centro fisso e stabile. Però, acciò che 1’ espe¬ rienza sia tale che si possa accomodare al proposito, bisogna che voi, ritenendo il centro del vaglio sempre nel medesimo luogo, facciate girare intorno ad esso velocemente il crivello, e mentre che egli in questa maniera va girando, gettatevi dentro do’ sassetti o pezzetti di » terra, e osservate ciò che e’faranno : che senz’altro voi gli vedrete ritirarsi verso la circonferenza, sino che tocchino la cassa del crivello, e quivi si fermeranno. Or, poi che 1’ esperienza del vaglio vale ap- 4. e liberissimo assenso, V, T, Val., M, f» v — G-7. immobili ed imi>ertransibiH, avendosi, Val., M — 8-9. ben che verissima, ragione, 0 — IO. mescolati col (con il, Ci v) grano, B, Civ 17-18. le mani e le braccia, Val., M — 19-24. in questa operazione è che tutto il vaglio e il suo centro insieme descrive un cerchio intorno a un centro imagi nato in aria, che cade tra le bi ac¬ cia c il petto del vagliatore, tal che questo moto tion ha che fare, B, V, 1, Val., M, Gv 27. sempre manca in G, B. — 542 LETTERA A FRANCESCO 1NQOLI presso di voi, mutate opinione, e dite elio por necessità bisogna die la Terra sia lontana dal centro. Anzi, so voi più acutamente cousi dorerete T effetto do i sassetti nell’ esperienza prodotta da voi mede simo, scorgerete che il ritirarsi loro nel centro del vaglio non è altro che il ridursi verso la circonferenza del moto che si fa, poi che il centro del vaglio cammina per la circonferenza di esso movimento circolare. Io potrei anco dirvi elio 1’effetto che voi attribuite al va¬ glio, segue quando egli si muova, ma non quando stesse fermo : ora il vaglio che sicuramente sappiamo che si muove, è quello chevien compreso dentro all’orbe di Saturno, cioè gli orbi de i pianeti nello centro do i quali non è altramente la Terra, ma il Sole; adunque o T esempio non è vero, o non ò al proposito, o il Sole è più grave della Terra. Seguono nella vostra scrittura gli argomenti coi quali voi pre¬ tendete di poter dimostrare la stabilità della Terra e spogliarla di tutti i movimenti assegnatili dal Copernico, cioè del diurno in sè stessa e delli duo annui, uno intorno al Sole sotto 1’ eclittica, e l’altro pure in sè stessa, ina quasi contrario al diurno ; e ben che il moto annuo intorno al Sole resti convinto, tutta volta che voi abbiate dimo¬ strato, la Terra esser locata nel centro dell’ universo, tutta via (credo so per abbondare in cautela) voi pur producete altre ragioni contro di quello. Quanto al movimento diurno, cioè al moto in sè stessa in 24 ore da occidente verso oriente, delle molte ragioni ed esperienze che da Aristotile, da Tolomeo, da Ticono e da altri vengono prodotte, voi assai leggiermente ve la passate con T accennarne solamente due, cioè quella citatissima do i corpi gravi cadenti u perpendicolo sopra la superficie della Terra, e l'altra do i proietti, li quali senza diffe¬ renza veruna per eguali spazi si muovono tanto verso levante quanto verso ponente, e tanto verso austro quanto verso tramontana ; e ve 30 la passate così brevemente, creilo, forse per la molta evidenza e 2-7. I>a Ann" a circolare manca noi codici B, V, T, Val., M, Gv; e (la non è altro a il centro del vaglio (lin. 4-6) manca anche nel cod. G. Nella lettera di Mario Guiducci a GaIiIMK) del 15 ottobre 162-1 il presente passo si legge cobi: Anzi, se voi più acutamente considererete l’effetto de i sassetti eie., scorgerete che il ritirarsi nel centro del vaglio non ì altro che il ridursi verso la circonferensa del moto che si fa, poiché il centro del vaglio cammina per la circonferetua di esso movimenta circolare. Intorno a questo luogo vedi l’Avvertimento, pag. 504, nota 3, o pag. 505, nota 6. — 19-20. abbiate mostrato, G — 26. l’accennare, G — IN RISP08TÀ ALLA D1SPUTATJ0 ECC. 543 necessità con la quale vi pare che e’ convinchino. Ma io, e questi ed altri, molto bene conosciuti ed esaminati dal Copernico ed assai più curiosamente da me, conosco in tutti o non esser nulla che possa concludere nè per la parte affermativa nò per la negativa, o se in alcuno vi e qualche illazione, questa esser per 1’ opinione Coperni¬ cana; ma più dico, aver altre esperienze non osservate sin qui da alcuno, le quali (restando dentro a i termini de i discorsi umani e naturali) necessariamente convincono la sicurezza del sistema Coper¬ nicano. Ma tutto queste cose, come bisognose per la loro esplicazione io di più lunghi discorsi, le riserbo ad altro tempo; e in tanto, per rispondere quanto basta allo coso toccate da voi, torno a replicarvi che voi, insieme con tutti quegli altri, per avervi prima saldamente impresso nella mento la stabilità della Terra, incorrete poi in due gravissimi errori : 1’ uno è ili raggirarsi sempre tra equivochi, suppo¬ nendo per noto quello eh’ è in quistione ; e 1’ altro è, che sovvenen¬ dovi esperienze da potersi fare, per le quali voi potesse venir in luce del vero, senz’ altramente farle le ponete come fatte e le portate come rispondenti a favore della vostra conclusione. Io, con la maggior bre¬ vità che potrò, cercherò di farvi toccar con mano questi due errori ; 30 ed altra volta potrete vedere assai diffusamente trattato questo punto, con le risposte a tutte le iustanzo elio a prima faccia sembrano aver qualche probabilità, e non no hanno punta. Voi, con Aristotile ed altri, dite : Se la Terra girasse in sò stessa in 24 ore, le pietre e gli altri corpi gravi cadenti da alto a basso, dalla cima, v. g., d’ un’ alta torre, non verrebbono a percuotere in Terra al piede della torre ; avvenga che nel tempo che la pietra si trattiene per aria, scendendo verso il centro della Terra, essa Terra, procedendo con somma velocità verso levante e portando seco il piede della torre, verrebbe por necessità a lasciarsi a dietro la pietra per m tanto spazio, per quanto la vertigine della Terra nel medesimo tempo fusse scorsa avanti, che sarebbero molte centinaia di braccia. Il qual discorso confermano poi con un esempio preso da un’ altra esperienza, dicendo ciò manifestamente vedersi in una nave, nella quale se, men¬ tre ella sta ferma in porto, si lascia dalla sommità dell’ albero cader liberamente una pietra, quella, scendendo a perpendicolo, va a per¬ cuotere al piede dell’ albero, ed in quel punto precisamente che ri- 1(). poteste, B, Y, T ; potresti, Val., il ; potreste, Gv— 17. le ponete per fatte, G 544 LETTERA A FRANCESCO INGOLI sponde a piombo sotto il luogo di dove si lasciò cadere il sasso- il quale effetto non avviene (soggiungono essi) quando la nave si muove con veloce corso ; imperò che nel tempo che la pietra consuma nel venir da alto a basso e elio olla, posta in libertà, perpendicolarmente descende, scorrendo il navilio avanti, si lascia per molto braccia il sasso per poppa lontano dal piede dell’ albero ; conforme al quale effetto dovrebbe seguire del sasso cadente dalla cima della torre quando la Terra circolasse con tanta velocità. Questo è il discorso; nel quale pur troppo apertamente scorgo ambedue gli errori de’ quali io parlo. io Imperò che, che la pietra cadente dalla cima della torre si muova per linea retta e perpendicolare alla superfìcie terrestre, nè Aristotile nè voi da altro lo raccogliete, nè potete raccòrrò, se non dal vedere come nel suo scendere ella vien, per così dire, lambendo la superficie della- torre, eretta a perpendicolo sopra la Terra ; sì che si scorge, la linea descritta dalla pietra esser retta essa ancora e perpendico¬ lare. Ma io qui vi dico che da questa apparenza non si può altra¬ mente inferir cotesto se non supposto che la Terra stia immobile mentre la pietra descende, che è poi il quesito che si cerca ; perchè, se io col Copernico dirò che la Terra va in giro e seco in conse -20 guenza porta la torre e noi ancora che osserviamo 1’ effetto della pie¬ tra, diremo che la pietra si muove d’ un moto composto dell’ universal diurno circolare verso levante e dell’ altro accidentario retto verso il suo tutto, da i quali ne resulta uno inclinato verso oriente ; de i quali quello eh’ è comune a me, alla pietra ed alla torre, mi resta in queste caso impercettibile e come se non fusse, e solo rimane osservabile P altro, del quale la torre ed io manchiamo, cioè 1’ avvicinamento alla Terra. Eccovi, dunque, P equivoco manifesto, se però io mi sono saputo a bastanza esplicare. E più v’ aggiungo che, sì come voi, con Aristo¬ tile, argomentando dalle parti al tutto, dicevi che vedendosi le parti so della Terra naturalmente muoversi rettamente al basso, tale si poteva inferire essere la naturale inclinazione di tutta la Terra, cioè d’ appe¬ tire il centro ed in quello, avendolo ormai conseguito, essersi fer¬ mata ; così io molto meglio, argomentando dal tutto alle parti, diro che essendo naturale inclinazione ed operazione del globo terrestre 9. apertamente scuopro ambedua, Gv — 11. Imperò che la pietra, G, M — 18. la Terra sia immobile, Val., M — 23. e d’un altro accidentale retto, Val., M — IN RISPOSTA ALLA DlXl'lTTATIO ECC. 545 il circolare in 24 ore intorno al mio centro, tale ancora è 1* inclina¬ zione delle parti, e elio però per sua natura hanno di circondare il centro della Terra in 24 oro, o che questa ò la loro ingenita, pro¬ pria e naturalissima azione, alla quale (ma accidentariamente) si ag¬ gine l’altra del discendere, quando per alcuna violenza elle fos¬ sero dal suo tutto stato separate : e tanto più perfettamente discorro ^Aristotile e di voi, quanto voi attribuite per moto naturale alla Terra quello del quale ella nò si ò giammai mossa nò si è per muo¬ vere in eterno, dico il moto retto verso il centro ; ed io ad essa ed io a tutte le sue parti fo naturale un perfettissimo movimento, che per¬ petuamente gli conviene o viene da loro esercitato. Quanto all’ altro errore, che ò del produrre esperienze come fatte e rispondenti al vostro bisogno senza averle mai nè fatte nè osser¬ vate, prima, se voi o Ticoue voleste sinceramente confessare il vero, direste non aver mai sperimentato (e massime no i paesi vicini al polo, dove 1’ effetto sarebbe, per quanto voi dite, più cospicuo) se accaggia o non accaggia diversità alcuna di quelle che vi par che dovessero apparire nel tirar con V artiglierie or verso levante, or verso ponente, or verso settentrione, or verso austro ; ed a così credere, » anzi all’ essorno sicuro, mi muove il vedero portar per certe e chiare altre esperienze assai più facili a farsi ed ad osservarsi, delle quali poi io sono tanto sicuro che provate non le Inumo, quanto elio a chi le prova 1’ effetto segue al contrario di quello che con troppa con¬ fidenza e’ dicevano. Ed una di tali esperienze è appunto questa del sasso cadente dalla sommità doli’ albero nella nave, il quale va sempre a terminare e ferire nell’ istosso luogo, tanto quando la nave è in quiete quanto mentre ella velocemente cammina, e non va, come essi credevano (scorrendo via la nave mentre la pietra per aria vien a basso), a ferir lontano dal piede verso la poppa ; nella quale io sono sostato doppiamente miglior filosofo di loro, perchè loro, al dir quello eh’è il contrario in effetto, hanno anco aggiunto la bugia, dicendo d aver ciò veduto dall’ esperienza, ed io ne ho fatto 1’ esperienza, avanti la quale il naturai discorso mi aveva molto fermamente per¬ suaso che l’effetto doveva succedere come appunto succede : nè mi 3-4. la loro genuina, propria, Val., M — 8. quello dal quale, G — IO. un perfettissimo »»lo, G — 14 - 15 , se Wl - f Ticone volete ... direte, non avere, Val., M — lf>. sarebbe e per, G — «•sono «Iato sicuro, G — 29. nella quale ctq*rienta io, Val., M; nella qual cosa io, Gv — • ohe è contrario, Val., M, Gv — 33-34. molto perfettamente persuaso, B — 546 LKTTRRA A FRANCR8C0 INUOLI fu difficil cosa il conoscer l’inganno loro, i quali, figurandosi uno che, stando ferma la nave, fusse in cima all’albero, e così, stando il tutto in quieto, ili lì lasciasse cadere un sasso, non avvertirno poi, che quando la nave era in moto, il sasso non si partiva più dalla quiete, atteso che e l’albero e 1’ uomo in cima o la sua mano e ’1 sasso ancora si mo- veano con la medesima velooitù che tutto il vasselloj ed ancoi’a ancora mi danno sposso per le mani ingegni tanto materiali, che non se gli può cacciare in tosta che, tenendo colui eh’ è su 1’ albero il braccio ferino, la pietra non si parta dalla quiete. Dicovi per tanto, Sig.Ingoli, che, mentre la nave è in corso, con altrettanto impeto si muove io anco quella pietra, il qual impeto non si perde perchè quello che la teneva apra la mano o la lasci in libertà, anzi indelebilmente si con¬ serva in lei, sì clic mediante questo eli’ ò bastante a seguitar la nave ; e per la propria gravità, non più impedita da colui, se ne descende al basso, componendo di ambedue un solo moto (e forse anco circo¬ lare), traversale e inclinato verso dove cammina la nave ; e così vien a cadere in quell’ istosso punto ili ossa nave dove cadeva quando il tutto era in quiete. Di qui potreste voi comprendere come le mede¬ sime esperienze prodotte dagli avversarli contro il Copernico fanno assai più per lui che per loro ; perché so il moto comunicato dal 20 corso della nave al sasso, il quale è ad esso indubitabilmente acci- dentorio, tutta via in lui talmente si conserva, che 1’ effetto mede¬ simo a capello si scorge sì nella quiete come nel moto della nave, qual dubbio dovrà restare che la pietra, portata, sopra la sommità della torre, con la medesima velocità che tutto il globo terrestre, conservi la medesima nel suo venir poi a basso? la medesima, dico, la quale non, come quella della nave, gli è accidentaria, ma è la sua naturale primaria e coeterna inclinazione. Quanto a i moti proietti dell’ artiglierie, ancor che io non no abbia fatte 1’ esperienze, non ho dubbio alcuno che ne è per succedere quello appunto che ne dice Tifone, e voi con esso lui, cioè che non si vedrà diversità veruna e che i tiri riusciranno sempre i medesimi, fatti verso 30 1. fu cosa difficile il, G — 2. aure, stesse in cima dell' albero, G - 6-7. ed ancora mi danno, V, T, Val., M, Gy -7. per le mani arsone ed ingegni, Val., M - 9. Nel cod. G era stato scritto non si parta, e poi non fa cassato. — 13. mediante quello eli’è, G 1®. MW e moto, G, B, V, T, Gv — 17. dove e’cadeva, G; dove ex cadeva, V, T, Gv; dove ella cadeva, B - 19. contro al Copernico, G — 25. che ha tutto, Val., M — 26. venir più a basso, G; venire al basso, \ al., M — 30. n’i per riuscire e succedere, Val., M — IN RISPOSTA ALLA DISPUTATIO F.CC. 547 uai 8 i voglia parte del mondo ; ma aggiungo bene (quello che Ticone uon ha inteso) che ciò accaderà perchè così è necessario che avvenga, o muovasi o stia ferma la Terra, nò veruna immaginabil differenza vi si può scorgere, come con evidenti ragioni intenderete a suo tempo. E tra tanto per rimuovervi queste o tutte 1* altre difficultìì di questo genere, quali sono il volar degli uccelli e come possino seguire un tonto moto, come anco lo nugole sospeso in aria, le quali non però scorrono sempre verso occidente, come a voi altri pare elio dovesse avvenire quando la Torra si movesse ; per levarvi, dico, tutte queste io apparenti difficoltà, vi dico elio mentro l’acqua, la terra o l’aria, loro ambiente, facciano concordemente P istesse cose, cioè o unita¬ mente si muovino o unitamente stiono ferme, necessariamente le medesime apparenze tutte ad unguem ci s’ hanno a rappresentare sì nell’ uno come nell’ altro stato, tutto, dico, quello che riguardano i nominati movimenti di gravi cadenti, di proietti in alto o lateral¬ mente verso questa o quella parte, di volar di uccelli verso levante o ponente, di movimenti di nugole, etc. Ma guardatevi, Sig. Ingoli, da qualcli’ altro effetto che in aria, in acqua, in terra o puro in cielo avessi a scorgersi, potente a farci venire in cognizione certa del fatto ; so guardatevi, dico, che ho grand’opinione che e’succedesse a vostro manifesto disfavore : e quanto a questi nominati, prendete questa sola esperienza, attissima a incamminarvi per la strada retta, col mostrarvi, corno ho detto, esser impossibil cosa a ritrar da essi nulla che serva un iota a disvelare questo dubbio. Nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio rÌ8orratcvi con qualche amico, e quivi fate di aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti ; pigliatevi anco un gran vaso con acqua, e dentrovi do’ pescetti ; accomodato ancora qualche vaso alto che vada gocciolando in un altro basso o di angusta gola : e stando ferma la so nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutto lo parti della stanza ; i pesci, gli vedrete andar vagando indifferentemente verso qual si voglia parte delle sponde del vaso ; lo stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottopo¬ sto; e voi, gettando all’amico vostro alcuna cosa, non più gagliar¬ damente la dovrete gettar verso quella parte che verso questa, quando 1 3.ftaano da rappresentare, O —17. etc. manca inG.—21. a questi muovimeli ti, prendetegli , M ~ 2a (i ’ w» !/ran naviglio, VulM — 34. vostro una cosa, G — 35. verso quella parte che questa, G — VI. 69 548 LETTERA A FRANCESCO 1NGI0LI 10 lontananze sieno eguali ; e saltando, come si dice, a piè giunti eguali spazii passerete verso tutto lo parti. Osservate che averete bene tutte queste cose, fato muover la nave con quanta si voglia velocità ; oliò (pur olio il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e ’n là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutte le nomi¬ nate coso, nè da alcuna di quelle, nè mono da cosa che sia in voi stesso, potrete assicurarvi se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, nè, perchè la nave si muova velocissimamonte, farete voi maggior salti verso la poppa elio verso la prua, ben elio, nel tempo che voi state in aria, io 11 tavolato scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando un frutto all’ amico, non con più forza bisognerà gettarglielo, per arrivarlo, so egli sarà verso la prua e voi verso la poppa, clic se voi fusto situati per 1 ’ opposito ; le goccio cadranno nel vaso inferiore senza restarne pur una verso poppa, ancor clic, mentre la goccia è per aria, la nave scorra molti palmi ; i pesci nella loro acqua non più fatica dureranno per notare verso la precedente che verso la sus- sequente parte del vaso, ma con pari agevolezza andranno a prender il cibo die voi gli metterete su qual si voglia parte dell’orlo del vaso; e finalmente le farfalle o lo mosche dureranno a volare indif- 20 ferentomente verso tutte lo parti, nò si ridurranno mai a ritirarsi verso la parte che risguarda la poppa, quasi elio lo lusserò stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo esse saranno state separate, cioè mentre restarono sospese in aria; 0 se abbruciando alcuna lagrimetta d’incenso farete un poco di fumo, vedrete quello ascender in alto e quivi trattenersi, ed a guisa di nugo- letta indifferentemente muoversi non più verso questa che quella parte. E se voi di tutti questi effetti mi domanderete la cagione, vi rispon¬ derò per ora : « Perchè il moto universale della nave, essendo comu¬ nicato all’ aria ed a tutte quello coso elio in essa vengono contenute, 30 e non essendo contrario alla naturale inclinazione di quelle, in loro indelebilmente si conserva » ; altra volta poi ne sentirete risposte particolari e diffusamente spiegate. Or, quando voi abbiate vedute tutte queste esperienze, 0 come questi movimenti, ben che acciden- 1. eguali; come si dice. (} — 3 -4. con qualsivoglia velocità, Val., M -- 7. potete assicurarvi, G — 8. nel tavolato manca in (r. — 15. la gocciola è, V, T, Val., (tv — 26. e quivi trattenere manca nei codici J3, V, T, Val., M. ( tv . — 27. muoversi indifferentemente, G —che terso pie a parte, Gv — 20. per ora che è perchè, Val., M — IN RI8P08TÀ ALLA DISPUTATICI ECO. 549 tarii ed avventizi, ci si mostrano i medesimi appunto così quando la nave si muova quanto so olla stia ferma, non lascerete voi ogni dub¬ bio che l’istesso deva accadere intorno al globo terrestre, tutta volta che l’aria vadia insieme con quello ? e tanto più ancora, quanto quel moto universale, elio nella nave è accidentario, noi lo ponghiamo, in Terra e nelle coso terrestri, come suo naturalo e proprio. Aggiri¬ gliele di più, che nella nave noi, ben elio cento volto abbiamo pro¬ vato a farla muovere e a farla star ferma, nò però mai abbiamo potuto imparare a conoscere dalle coso interne quello eli’ ella faccia : 10 come sarà possibile conoscer questo nella Terra, la quale noi abbiamo auta sempre in un medesimo stato ? Passo agli argomenti che voi, con Ticone, portate a destruzione del moto annuo : ne i quali più chiaro che mai scorgo che nò voi uè esso vi siate formati perfetta idea della mondana costituzione del Copernico e dell’ apparenze ed accidenti che ad essa conseguono e che agli occhi nostri si hanno a dimostrare, ma, confondendo gli antichi ed abituati concetti con le nuove posizioni, continuato pure di discorrerò equivocando. Voi portate 4 argomenti contr’ al moto annuo sotto ’l zodiaco. 11 m primo è dal non veder voi variar punto lo latitudini ortive e occi¬ due delle stelle fisse, le quali affermate che al moto detto dovrebbon ogn’ otto giorni variarsi notabilmente, atteso che, movendosi la Terra insieme con l’orizonto da austro verso borea con movimento che di 8 in 8 giorni si fa sensibile, e stando (come afferma il Copernico) le stelle fisse immobili, è necessario che nel medesimo tempo si varino notabilmente le loro latitudini ortive ed occidue ; la qual cosa dito voi non vedersi ; onde etc. Questo argomento è per molti capi inef¬ ficace. E prima, io non so quanto io mi debba credere che voi o Ticone so abbiate fatte diligenti osservazioni nello latitudini ortive ed occidue delle stelle fisse, o dubito elio più tosto T immaginata stabilità della Terra vi abbia persuasa l’immutabilità di quelle latitudini, che 1’ os¬ servata immutabilità vi abbia assicurati della terrestre stabilità. Con¬ fermami, secondariamente, in tal opinione T incertezza di tal osser- 19-20. il primo ile’quali r dal, Val., M — 23. con V orizonte dell’austro, (x — 27. onde imio argomento, G, B — 31. delle stelle fisse manca in G. — 33. assicurati delle terrestre sta- Miti, G- 550 LETTERA A FRANCESCO 1NGOLI vazione, difficilissima, se non impossibile, a potersi fare con l’esattezza che si richiederebbe, sì perchè pochissime sono le stelle che si scor- ghino nell’ orizonte, bì perchè in tal luogo le refrazioni grandemente impediscono il vederle nel sito loro vero o reale : e l’impedimento è tanto, che più volto ò occorso il vedere i luminarli amendue sopra 1’ orizonte e la Luna già eclissata, accidente che ci rende certi poter esser ancora veramente una stella sotto 1’ orizonte, quando ella ci si mostra non poco elevata; sì che il nascere e tramontar suo può ren¬ dersi fallace per tale alterazione di assai maggior divario che non è quella minima differenza che potessi notarsi mediante il movimento io annuo della Terra. Terzo, voi affermate che, quando il movimento frisse della Terra, movendosi ella insieme con 1’ orizonte, la mutazione dovrebbe ogn’ otto giorni o dieci esser notabile, e però scorgersi come tale indie stelle fisse : al che vi rispondo, essor cotal moto notabile e notabilissimo dove bisogna che e’ sia tale, ma non già dove egli tale non dove mostrarsi. E non vi par egli notabilissimo nel Sole, variando le suo latitudini orizontali le cinquantine e le sessantine do’gradi? Io voglio con uno accomodatissimo esempio agevolarvi l’intera intel¬ ligenza di questo negozio : e questo sarà il ridurvi a memoria un accidente che credo esser da voi molte volte stato osservato nell’ andar 20 in barca da Padova a Venezia ; dovo voi, riguardando gli alberi pian¬ tati lungo la riva della Brenta, ed altri più lontani, ed altri ed altri ancora più e più distanti, sino a i gioghi dell’Alpi, vi ò parso i più vicini velocemente correre contro al moto della barca, altri alquanto più lontani muoversi pur contro al movimento vostro, ma più lenta¬ mente do i vicini, ma, in comparazione di quelli e di questi, altri più lontani vi son parsi muoversi al contrario e seguitare il corso della barca, e finalmente i lontanissimi, conio se fossero soguaoi della barca, dimostrarvisi sempre nell’ istesso aspetto; in quel modo appunto che fa la Luna, la quale vi pare che la notte si muova sopra lo gronde so de i tetti quanto voi camminate por la strada, ancor che ella vera¬ mente resti in dietro, e questo per la sua gran lontananza. Lasciasi, dunque, la barca del nostro orizonte il Sole, suo vicino, in dietro d’ assai, mentre trapassa il diametro dell’ orbe magno ; ma, in coni¬ li. della ì'erra manca in G, II. — 14-15. notabile, notabilissimo, G—22 23. ed nitri più lontani, e iù perfetti ed assai diversi, potrebbero un giorno esser compirose. Se voi arete inteso quanto ho detto sin qui, potrete da pier voi stesso comprendere la fallacia del vostro terzo argomento, pi’eso dal¬ l’inegualità do i giorni, la qual fallacia ha radice ne i medesimi so equivochi. L’equinoziale, torno a replicarvi, gli orizonti, il zenit, Passe, i poli e la conversimi diurna, pier la quale si descrivono gli archi diurni e notturni, cioè i paralelli all’ equinoziale, son tutte cose della Terra, nè vi ha che far nulla il firmamento nè le sue stelle, come se in questo caso elle non fussero in natura ; il movimento poi annuo, 4. intendesse quando, G — 5. non solo 120 o 30 passi, G —9. ed immaginati in ciclo, G. «I immaginabilmente in cielo, T ; ed imaginatamente in cielo, M — 14. Aiutiamoci, B, Val., M 20. oltre a questo, lin altre, Val., M — 27-28. da voi stesso, tì — 554 LETTERA A FRANCESCO INGOLT ed il mantenersi sempre 1’ equinoziale o ’l suo asse con la medesima inclinazione e direzione rispetto al zodiaco, cioè al cerchio del moto annuo, fanno che l’irradiazione do’raggi solari (che è quella che fa il giorno) taglia quei paralelli or tutti in parti eguali (che è quando il suo termine passa por li poli doli’ equinoziale), ed ora in parti dise¬ gnali (trattone l’equinoziale, che, per esser cerchio massimo,sempre dall’altro vien tagliato egualmente), lasciando maggiori ora gli archi diurni ed ora i notturni : i diurni quando la Terra è verso austro, i notturni quando ò verso borea. Ma so bene che queste son materie di tale astrazione, che altra più lunga esplicazione ci vuole per farsi io intendere : ma la sentirete a suo tempo. Il quarto argomento è un puro arbitrio di Ticone, e profferito in cosa che egli, per mio parere, non ha mai osservata nè potuta osservare : dico del movimento dello comete poste in opposizione al Solo, delle quali se ò vero, sì come io stimo verissimo, che disten¬ dano sempre la chioma in opposto al Sole, ò impossibile che alcuna ci si mostri in opposizione al Sole, avvenga che in tal caso la chioma o coda resterebbe invisibile. In oltre, che sicurezza ha auta mai Ticone del movimento propino della cometa, ond’ oi possa francamente asse¬ rire che quello, mescolato col moto della Terra, abbia a fare altra 20 apparenza di quella che si ò veduta? Egli assai inverisimilmeutesi è figurato una teorica cometale, e corno quello che si è costituito arbi¬ tro e regolatore di tutti gli affari astronomici, sì che quelle coso solo sieri vero e giuste che rispondono alle suo osservazioni 0 fan¬ tasie, dal non vedere apparenze nella cometa che potessero soddisfare all’ ipotesi Copernicana ed al suo vano capriccio, ha più presto voluto negare 0 rifiutare quella, che rimuoversi da questo. Restami da considerare 1’obbiezioni elio Ticone e voi fate contro al terzo movimento annuo circa il proprio centro, al contrario del- 1’ annuo nell’ orbe magno : dove, prima, voi dite che, tolto quello del- so 1’ orbe magno, si leva questo ancora ; il che siavi por ora conceduto : ma quello per ancora non è rimosso : adunque questo rimane pari¬ mente. Voi per la seconda instanza mettete per impossibile che 1 asso della Terra si muova, 0 possa muoversi, con tanta corrispondenza al 4-5. che è quanto il, G — 9-11. Ma perchè queste sono materie di tale astrazione che ... « vote per farle intendere, le sentirete a suo tempo, Val., M— 15-10. distendono, Q — ¥l~ • a chioma e coda, G, Il — 24. sole manca iu G. — IN RISPUNTA ALLA DI8PT1TAT10 ECO. 551. moto annuo del centro, che e’ sia come so egli stessi fermo : ed io vi dico, questo non solamente non esser impossibile, ma esser necessa¬ rio 0 che un tale effetto si vede munifestissimamento seguire in ogni corpo che stia liberamente sospeso, come a molti ho io fatto vedere ; e voi stesso potrete farne la prova col metter una palla di legno notante in un bicchier il’ acqua, il (piale se voi terrete in mano, e steso il braccio vi volgerete sopra i vostri piedi, vedrete detta palla rigirarsi in sè stessa con movimento contrario al vostro, e finire una conversione nell’ iste sho tempo dm voi avrete finita la vostra. Questo io vedrete voi seguir di nncessith ; altra volta poi intenderete, la palla veramente non si rivolger punto, anzi ritener sempre la medesima direzione a qual si voglia punto stabile e fuori della vostra circola¬ zione, che ò poi l’istesso accidente che il Copernico attribuisce alla Terra. Da questo viene anco satisfatto al terzo argomento, molto simile se non l’istesso che il secondo : poi che voi replicate, non esser possibile che in un istesso corpo il centro c 1’ asse si muovino di movimenti contrarii ; la qual cosa non solamente non è impossibile (figurando i moti tali quali gli figura il Copernico), ma è necessaria. Nè diciate, la diffieultìì farsi maggioro con l’aggiugnervi anco il no moto diurno, quasi clic voi abbiate per grand’assurdo che un mede¬ simo mobile nel medesimo tempo si muova con tanti moti differenti ; perchè io non ho per assurdo nessuno il muoversi non solamente di 3, ma di 10 e di 100, come altra volta intenderete; ben elio in ultimo dal composto di tutti non ne risulta poi altro che un movimento solo, sì che se il corpo mobile lasciasse con alcuno suo pianto il vestigio di tutti i suoi movimenti, non lascerebbe altro elio una semplicis- sima linea. Passo a i tre argomenti fisici addotti da voi per provar la quiete della Terra : il primo de’ quali in sustanza (posti da banda gli orna- 30 menti che voi gli date) è tale. I corpii gravi son meno atti al moto che i non gravi, oliò così ne mostra 1’ esperienza ; ma di tutti i corpi conosciuti da noi la Terra è gravissima ; adunque bisogna diro ebe la natura non gli ha attribuiti tanti moti, e massime il diurno, tanto veloce che in un minuto d’ ora dovrebbe piassare 19 miglia. Lun- 3. manifestamente, G, Gv —4. che sia liberamente, 15, Gv —11. non si volger punto, G, Val.,M — ansi tener sempre, lì — 14. Da questo anco vien , G, lì — 18. ma ì necessariissimo, V al., M "21. in un medesimo tempo, G — 24. non ne risulti poi, 15 - 31. che i meno gravi, \ al., M 556 LETTERA A FRANCESCO 1NGOJJ ghissima diceria mi converrebbe fare so io volessi notar tutte le fai- lacie elio sono in questo o simili discorsi : toccherò quanto basta per mostrar la nulla efficacia. E prima, agli occhi miei si rappresenta tutto il contrario che a i vostri. Voi vedete i corpi gravi esser renitentissimi a tutti i movi¬ menti, sì naturali come violenti, ed i leggieri osservi altrettanto più disposti ; od io veggo (cominciandomi da i moti naturali) più veloce¬ mente o prontamente muoversi un sughero che una penna, più un legno che un sughero, più del legno una pietra, e più di questa un pezzo di piombo. L’intenso veggo no i moti violenti : e veggo che io messo in un’ artiglieria palle di diverso materie e cacciatele dal mede¬ simo fuoco, molto più velocement e o por più lungo tempo muoversi una palla di piombo che una di legno, ed assai meno un zaffo di paglia o di stoppa ; veggo elio se da tili eguali si sospenderanno palle di bambagia di legno e di piombo, ed a tutte si conferirà egualmente principio di movimento, quella di bambagia in brevissimo tempo si fermerà, più assai durerà a muoversi in qua e ’n là 1’altra di legno, e più quella di piombo ; ed all’ incontro, se nel fondo d’ un vaso pien d’ acqua s’ attaccherà un l'ilo alquanto più breve della profondità del¬ l’acqua, al quale dall’altro capo sia legata una galla o altro corpo 20 leggiero, e che rimossolo dal perpendicolo si lasci in libertà, questo, ridotto al perpendicolo, subito si fermerà nè farà reciprocazione al¬ cuna, conio fanno i pendoli gravi nella medesima acqua e più in aria. Veggo gli scodellai e i tornitori de i piatti di stagno aggiugnere a i loro ordigni ruote di legno gravissimo, acciò più lungamente riten- ghino l’impeto conferitogli; e l’istesso si fa con,le volande in molte altre macchine. Veggo elio 1’ aria d’ una stanza, dopo 1’ essere stata agitata, immediatamente si ferma; ma non così fa l’acqua d’un vivaio, elio, cessando l’agitatore, per lungo tempo ritiene l’impeto e si commuove. Arci volentieri sentito quali sieno 1’ esperienze (delle 80 quali voi non ne adducete alcuna) che vi hanno persuaso il contrario. • % Secondariamente, onde avete voi elio il globo terrestre sia cosi grave? Io per me o non so che cosa sia gravità, o il globo terrestre non è nè grave nè leggiero, conio anco tutti gli altri globi dell uni- 5-6. a tutti i movimenti reni lentissimi. (i 10-11. che. messe in, (x — H* un V eze0 ( ar ~ tigliaria , Val., M — 12. molto manca in 0. 21. r che rimosso dal , (x, Gv — 24. o 7 notti, \, T, \ al., M, Gv; tornitori tic inatti , li — 26. si fa con le volanti in molte, >u M U2. onde avete voi cavato che, Val., M — TN RISPOSTA ALLA DlSrUTATIO KCC. 557 verso. Gravità, appresso di me (<>, erodo, appresso la natura), è quella lunata inclinazione per la quale un corpo resiste all’esser rimosso dal luogo suo naturale, o per la quale, quando forzatamente ei ne sia stato rimosso, spontaneamente vi ritorna: e cosi una secchia d’ acqua, levata in alto e lasciata in libertà, ritorna in mare ; ma chi dirà che r acqua medesima nel mare sia gravi?, poi che, scadevi ella in libertà, non però vi si muovo? Voi, dicendo elio i corpi non gravi sono più atti al moto do i gravi, dito, al parer mio, una proposizione diame¬ tralmente opposta al vero, perchè la verità è che i corpi non gravi io sono inettissimi sopra tutti gli altri. Imperò elio, non si potendo fare il moto se non in qualche mezzo, nò meno conoscer gravità o leg¬ gerezza se non in relazione al mezzo, i corpi non gravi son quelli solamente li quali sono in specie egualmente gravi o leggieri col mezzo nel quale si trovano : e così un corpo che nell’ acqua non sia nò gravo nè leggiero, sarà quello eh’ in specie sarà egualmente grave con l’acqua ; ma un tal corpo non si moverà punto di moto natu¬ rale in quel mezzo, non vi essendo nò grave nò leggiero ; nò meno vi si moverà di moto violento, so non tanto quanto sarà congiunto col movente, ma, abbandonato da quello, subito cesserà di muoversi: 20 dove che un corpo elio nel medesimo mezzo sia grave, e vi discen¬ derà naturalmente, o vi si moverà conservando la virtù impressali dal proiciente, e l’uno e l’altro farà egli tanto più, quanto sarà più grave. Quello che aggiugneto nel fine, segue pur di mostrare il dominio che in voi tiene V affetto sopra la ragiono, mentre tassate per gra¬ vissimo assurdo il voler che la Terra si rivolga in sè stessa in 24 ore c parvi questa una troppa esorbitante velocità, ed all’ incontro laudate e concedete come cosa facilissima il lar muover conto mila corpi mag¬ giori della Terra con velocità cento mila volto maggiore di quella ; e tali sono le stelle fisse e la diurna revoluzione attribuita alla loro 30sfera. Ma se voi, per persistere nella vostra opinione, o, per dir meglio, nel vostro primo detto, vi riducete ad ammettere simili stravaganze, quale speranza lascereto voi a chi che sia di poter mai con tutte 1. e, cmlo, anco appresso, li — 2. innata qualità e inclinazione, Val., M — 4. vi ritorna spontaneamente, G — 8. moto che i (traci, (f— 8-0. apposta diametralmente, G — IO. gli altri (il moto; imperocché, Val M M — lf>-17. sarà (pi elio eh'in specie ... ne leggiero manca in G. — -2. quanto più sarà grave, G — 24. sopr’àlla ragione, G 24-25. per grandissimo assurdo, Val., M -21». una troppo esorbitante, il, V, T, Gv 32. a chi desia di poter , G; a chi si sia di po¬ tere, Val., M — 558 IATTURA A FRANCESCO INCOIA 1’ evidenze del mondo persuadervi una palpabilissima verità, la quale voi una volta abbiate negata ? È il vostro secondo argomento preso da una lìsical proposizione olio vuole olio di ciasclieduu corpo naturale un solo, e non più, possa essere il suo moto naturalo ; ed essendo naturai moto della Terra il muoversi al centro, non potranno in modo alcuno naturalmente con¬ venire ad essa tanti movimenti circolari ; e non gli essendo naturali come potrobb’ ella muoversi così lungo tempo ? A questa instanza sarebbe risposta assai competente quello che voi rispondereste ad uno che interrogasse voi e dicessi : Voi dite, Sig. Ingoli, che naturai moto io del globo terrestre è il muoversi al centro ; ma come può egli ciò esser naturalo, se olla giammai di cotal moto non si è mossa nò mai si è per muovoro ? Por i vostri medesimi filosofi il moto circolare non ha movimento che li sia contrario, ma ben la quiete ò contraria ad ogni movimento. Or, perchè vi ha egli a dar gran fastidio che la Terra duri tanto a muoversi circolarmente, che non è movimento contrario a quello che voi chiamate suo naturale, e non vi dà una noia al mondo il dire clic olla eternamente sia stata e sia per staro immobile, contro alla sua naturale inclinazione, eh’è di muoversi? Quanto era manco male il dire, che naturale della Terra è lo starso ferma, poi che, secondo voi, così ò stata sempre ! Questo che ho detto, soprabbondanteinante rispondeva alla vostra instanza ; ma io vi ag¬ giungo di più, o dicovi elio so i corpi naturali hanno aver da natura di muoversi di movimento alcuno, questo non può esser se non il moto circolare, nè è possibile che la natura abbia dato pro¬ pensione ad alcuno de’ suoi corpi integrali di muoversi di moto retto. Di questa proposizione ho io molto confermazioni, ma per ora basti uua sola, la quale è questa. Io suppongo, le parti dell’universo esser costituite in ottima disposizione, sì che nessuna sia fuori del luogo suo, eh’ è quanto a dire che la natura e Dio abbino perfettamente 30 ordinata la lor fabbrica. Stante questo, è impossibile che alcuna di esso parti abbia da natura di muoversi di movimento retto o di altro che circolare, perchè quello die si muove di moto retto, muta luogo, e se e’ lo muta naturalmente, adunque egli era prima in un luogo 6. naturalmente manca in G. — 9. assai competente risposta, G— 19- contro la sua, 22. soprabbondantemente risponde alla, Val. — 23-24. dalla natura, B, M 30-31 . abbino ot dittalo perfettamente la lor, G — IN B18r08TÀ ALLA DISPUTA 770 ECO. 559 a sè preternaturale, che è contro alla supposizione. Adunque, se lo parti del mondo sono bene ordinate, il moto retto è superfluo e non naturale, o solo potrà aver uso quando por violenza fusse rimosso qualche corpo dal suo lucido naturale, elio allora torse per linea retta vi tornerebbe ’, che così ci par elio faccia una parto di Terra sepa¬ rata dal suo tutto. Ilo detto ri pare, perchè io non sono alieno dal credere che nò anco per simile effetto la natura si serva dol moto retto. Tali inconvenienti non seguono nel moto circolare, il quale, senza punto disordinar 1 ’ ottima costituzione delle parti, può esser di io uso in natura, perchè quello che in sè stesso si rivolgo, non muta luogo, o quello elio va per una circonferenza, non impedisco gli altri e sempre va verso devo e’ si parte, sì che il suo è un perpetuo par¬ tire e un perpetuo ritornare : ma il moto retto è un muoversi verso dove è impossibile a pervenire, essendo la linea retta di sua natura estensibile in infinito, ma la circolare, di necessità, terminata o finita, ben che i Peripatetici reputino il contrario, cioè la linea e il moto circolare infinito, e la retta u ’l moto rotto finito e terminato. Nè mi diciate, esserci il contro o la circonferenza corno termini delle lineo rette: prima, perchè ninna circonferenza termina in modo la linea 20 retta, che ella oltre di lei dirittamente non si possa prolungare in infi¬ nito; oltre che il por questo centro o questa circonferenza ò cosa arbitraria degli uomini, ed è un volere accomodare l’architettura alla fabbrica, e non un fabbricare conforme a i precetti d’ architettura. Concludo per tanto che, su la Terra ha da natura inclinazione al moto, questa non può esser so non al moto circolaro, lasciando il moto retto por uso delle parti, non solo della Terra, ma della Luna, del Sole e di tutti gli altri corpi integrali dell’universo, le quali se per violenza saranno dal tutto separate, ed in conseguenza ridotte in mala e disordinata costituzione, al suo tutto per la più breve ritor¬ so neranno. Resta il terzo od ultimo vostro argomento ; ma avanti eh’ io P esa¬ mini, voglio arrecarvi una certa congruenza, della quale io già solevo servirmi per quelli che, per esser d’ altro professioni, non erono capaci di più recondite dimostrazioni, por esser fatti capaci come assai più probabilmente era da stimarsi, il Sole, e non la Terra, esser ixnmo- cosi par, (ì —9. l’ottima conétruiii>/ne delle jnirti, Val., M — IO. si volge, Val., M — ' e non fabbricare, G; e non ìa fabbrica conforme ai precetti del!’architettura, Va)., M 500 LETTERA A FRANCESCO INGOLI bile, e collocato nel centro dello colesti circolazioni. Dicevo dunque così : Noi abbiamo otto corpi mondani, cioè la Terra ed i sette pia¬ neti ; de i quali 8, sette assolutamente ed irrefragabilmente si muo¬ vono, ed uno solo, o non più, può essere che stia ferino; e questo solo di necessità bisogna elio sia o la Terra o ’l Sole. Si cerca ora so da qualche molto probabile coniettura si potesse venire in cognizione, qual di essi si muova ; e perchè il moto e la quiete sono molto prin¬ cipali accidenti in natura, anzi per ossi vien ella definita, e sono tra di loro sommamente diversi, è forza elio molto differente sia la con¬ dizione di quelli che incessabilmente si muovono, dalla condizione io dell’ altro che eternamente sta fermo. Stando, dunque, noi in dubbio, se sia la Terra, o puro il Sole, immobile (ossendo certi che gli altri sei si muovono), quando noi per qualche gagliardo incontro venissimo in sicurezza qual di essi, Terra o Sole, più si conforma con la natura degli altri sei mobili, a quello molto ragionevolmente potremmo attri¬ buir il moto. Ma la cortese natura ci fa strada per venir in tal cogni¬ zione con due altri accidenti non men grandi e principali di. quel che si sieno la quiete e ’l moto, e questi sono il lume e le tenebre; che ben somma conviene che sia la diversità di natura tra un corpo splendentissimo d’ un’ eterna luce, ed un altro oscurissimo e del tutto 20 privo di lume: ma de’sei corpi indubitabilmente mobili, noi siamo sicuri che essi sono, in loro essenza, privi totalmente di luce ; e siamo parimente certi elio tale è per appunto la Terra ancora : adunque grandissima esser la conformità della Terra con gli altri 6 pianeti, od all’ incontro non minore la disconvenienza del Sole da i medesimi, possiamo noi resolutissimaulente affermare. Ora, se la natura della Terra è similissima a quella de i corpi mobili, 0 diversissima l’essenza del Sole, come non sarà egli grandemente più probabile (quando non ci sia altro che osti) che la Terra, e non il Sole, immiti col movimento gli altri 6 suoi consorti ? Aggiugnesi 1’ altra non men notabil con- so gruenza, che è che nel Copernicano sistema tutte le stelle fisse, corpi essi ancora, coni’ il Sole, per sè stessi luminosi, si stanno in un’ eterna quiete. Questo ordinatissimo progresso vien da voi disordinatamente ritorto per concluderne il contrario ; e dovrebbe bastarvi, per tram d’errore e scoprirvi i suoi difetti, il semplice inferirlo. Voi dite cosi: 3. assolti lissimanu»U e, V, T — 11. noi dunque, G — 12. il Sole, Vimmobile, V, T, Val, M, — 20. splendidissimo, G, B — 22. totalmente di lume, e siamo, Val., M — 34. per concludere, 1, Val., M, Gv — IN RISPOSTA ALLA DTSPUTATTO ECO. ftfil Il Copernico attribuisce il moto a tutte le parti lucide del cielo, cioè a i pianeti ; e al Sole, lucidissimo più di tutti, lo nega, per attri¬ buirlo alla Terra elio è un corpo opaco e crasso ; ma la natura, discreta in tutte le sue opere, non fa queste cose. Riordinatelo, Sig. In- goli, e dite : Il Copernico attribuisce la quiete a tutte le parti lucide del mondo, che sono le stollo fisse od il Sole ; e fa mobili tutte 1’ opa¬ che e tenebrose, che sono i pianeti o la Terra, essa ancora fatta come loro ; e così dovea far la natura, discretissima in tutte lo sue opere. Questo è quanto por ora mi occorre dirvi in risposta alle vostre io obbiezioni fisiche ed astronomiche contro al sistema di Niccolò Coper¬ nico : molto più diffusamente potreto veder trattato questo argomento, se mi sarà conceduto tempo e forze di poter condurre a fine il mio Discorso del flusso e reflusso del mare, il quale, prendendo per ipotesi i movimenti attribuiti alla Terra, mi dà in conseguenza largo campo di esaminare a lungo tutto quello che è stato scritto in questa materia. Restami a pregarvi a ricever in buona parte queste mie risposte ; il che spero che siate per fare, sì per la vostra ingenita cortesia, sì ancora perchè così conviene farsi da ogni amatore della verità : per¬ chè se io avrò con fondamento risoluto le vostre instanze, il guada- 20 gno vostro non sarà stato poco, cambiando cose false con vere ; e se, psr 1’ opposito, io avrò errato, tanto più chiara si mostrerà la dot¬ trina de’ vostri discorsi. 9 S C RI r r T U R E CUNCBltNKNTI IL QUKSITO IN PROPOSITO DELLA STIMA D’UN CAVALLO. VI. 71 AVVERTIMENTO. < Un cavallo vaio veramente 100 scudi : da uno ò stimato 1000 scudi, e da un altro IO scudi : si domanda, chi abbia di loro stimato meglio, e chi abbia fatto manco stravaganza nello stimare. > Talo < punto di mattematica >, elio era stato disputato < alli giorni passati in una conversazione >, veniva proposto da Andrea tienili, gentiluomo fiorentino, con sua lettera in data di Firenze 24 aprile 1G27 tn , a Tolomeo Nozzolini, pievano di S. Agata in Mugello, quel mede¬ simo clic già era stato in controversia con Galileo nella ben nota questione delle cose che stanno in su 1’ acqua o olio in quella si muovono (:) . Il Nozzolini, a cui Andrea tìerini s’era rivolto sapendolo uomo dotto e die si dilettava < di curiosità >, rispose due giorni dopo, da S. Agata, che maggiore stravaganza faceva lo sti¬ matore del 1000 che quel del 10. Di diversa opinione fu invece Galileo, al qualo < perchè la gente si pugnova, mino ricorsi por la sentenza > già prima che il Ge- rini scrivesse al pievano di S. Agata: il Nostro infatti, in una decisione (k) scritta in sullo scorcio dell’ aprile, concludeva che i due stimatori avevano egualmente esorbitato. Il Nozzolini replicò il 1° maggio (5) con altra lettera al Gerini, e quindi con altra ancora, dopo eli’ ebbe preso parto alla disputa anche Don Benedetto Castelli, che si schierò dalla parte di Galileo. Questi allora ribadì lo proprie ra- Opero
  • Lettera citata di A.ndrra Cerini a Tolomeo Nozzolini. |k| Così la chiama Galileo a pag. 582, lin. 18, e a pag. 588, lin. 85. 151 La seconda lettera del Nozzolini è datata, nella citata edizione Aorentina del 1718 (la quale, corno tosto diremo, è l’unica fonte che no conosciamo), 10 Maggio 1027. Ma a questa data contraddico quanto scrive Galileo (pag. 588 di questo volume, lin. 32*33), che la seconda lettora del Nozzolini ò di 6 giorni posteriore alla prima, dol 26 aprilo. La leziono 6 giorni par sicura, porchè in essa concor¬ dano o i codici e la stampa Aorentina, nè, d’ altra parte, ci si prosenta alcun emendamento probabile. Invece non è inverosimile che 10 Maggio sia stato lotto dove il Nozzolini avesse scritto 1° Maggio, o perciò assegniamo quest’ultima data alla lettera. Cfr. ancho quello cho scrive il Nozzolini nolla terza let- torà al Gerini : «Quando io scrissi Tultima lettora a V.S., scrissi tanto in fretta, che io non ebbi agio a dichiararmi così chiaramente come io avroi vo¬ luto > (pag. 578, lin. 9-10). AV VESTIMENTO. 566 giorni, o più ampiamente le svolse, in una lunga lettera del 10 giugno al suo amico o discepolo Andrea Arrighetti, che, a quanto sembra, era tra quelli i quali ave¬ vano primamente mosso la questiono ed elettone arbitro Galileo (l) , onde a lui aveva scritto anche il Castelli : o il Nozzolini, alla sua volta, ribattè gli argomenti di Galileo con due lettore al Cerini, a cui non sappiamo che Galileo abbiadato ulteriore risposta (1) . Questo sono lo lettore che, potendosi considerare, specialmente alcune, come piccoli trattati sotto forma epistolare, abbiamo creduto opportuno riunire nel pre¬ sente volume alla Decisione di Galileo, riserbando al Carteggio soltanto la lettera, brevissima, del Cerini al Nozzolini. Purtroppo della maggior parte di tali scritturo a noi non sono giunti, per quanto ci è noto, nò gli autografi nè copio manoscritte; e abbiamo ragione di sospettare elio lo lettere a proposito della stima d’un cavallo abbiano corso quella medesima sorto infelice elio incontrarono parecchie delle scrit¬ turo pubblicate, come queste, per la prima volta nell’edizione fiorentina del 1718<•>, delle quali i manoscritti andarono perduti por colpa di quegli editori Soltanto della Decisiono di Galileo noi conosciamo infatti 1’ autografo, che la parte oggi dell’Autografoteca Morrmori in Londra ; e su di esso abbiamo esem¬ plato fedelmente la nostra ristampa, nella quale perciò il testo anche di questa breve scrittura si legge diverso qua o lil da quello clic correva finora per le edi¬ zioni. Tuttavia, delle differenze clic presenta la leziono dello stampe a confronto di quella da noi ristabilita sull’ autografo, credemmo non inopportuno tener conto, per il caso che tali differenze potessero rappresentare, almeno in parte, delle mutazioni introdotte da Galileo stesso o in un altro autografo o in un apografo, da cui, direttamente o indirettamente, derivasse la prima stampa di Firenze, che fu seguita dalle più recenti. Perciò appiè di pagina annotammo, con la sigla F, le varianti della stampa fiorentina, e insieme, per la stessa ragione o distinguen¬ dole con la sigla G, quelle d’una copia manoscritta e sincrona, per quanto scor¬ retta, che è nel Tomo III (car. 44 r. — 45 r.) della Par. VI dei Manoscritti Gali¬ leiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (s *. Cfr. pag. 582, lin. 18-10; pag. 583, lin. 12-13; pag. 586, lin. 31-82. Bolla curiosa controversia in proposito della stima d'un cavallo e dol lunghissimo séguito eh’ossa obbe tra i giuristi, circa un secolo dopo eh' era stata discussa da Galileo o dal Nozzolini, discorrono lun¬ gamente lo Memori* Ittoriche di più uomini illustri PUani, Tomo IV, Pisa, MDCCXC11, pag. 424 o seg. Vedi anche Jlicordi etorici di Sant’Agata in Mugello raccolti c commentati da Ranieri Ajazzi, Firon zo, 1875, pag. 24-25; Storia antica e moderna del Mugello scritta dal P. Lino Chini, Voi. Ili, Firen¬ ze, 1876, pag. 289 O seg.; Sant'Agata in Mugello e la Storia del P. Lino Chini, Considerazioni critico-sto- richo per Ranieri Ajazzi, Firenze, 1876, png. 20-25. i 8 > Tomo III cit., pag. 55-89. (M Cfr. Per la edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei ecc., Esposizione e Disegno di Antonio Favaro, Firenze, Tip. di G. Barbèra, 1888, pag. 13, nota 2. Fra le carte appartenuto al P. Guido Grandi (uno dei principali collaboratori dell'edizione fioren¬ tina del 1718), o ora conservato nolla Biblioteca Uni¬ versitaria di Pisa, non trovammo alcuna copia degli scritti elio qui pubblichiamo, e neanche fra altre re¬ centemente acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Firenze o che puro hanno attinenza col Gbahdi. ( R ) Contrariamente addiziono fiorentina del 171» e allo più receuti, abbiamo collocato la Docisiono di » AVVERTIMENTO. 567 Della lettera di Galileo ad Andrea Arri ghetti conosciamo due copie manoscritte, del secolo XVII, di cui 1’ una, che chiamiamo G, ò tra i Manoscritti Galileiani, nel citato Tomo III della Par. VI (car. 47 r. — 56 r.) ; l’altra è in un quaderno di otto carte, non numerate, posseduto dalla Società Colombaria di Firenze, o la distinguiamo con la sigla G. Esse non presentano molto differenze, e sono tutt/ e due di buona lezione, sebbene tutt’ o due non prive di mende : onde con qualche incertezza ci siamo risoluti a dar la preferenza, prendendolo per fondamento della nostra edizione, al cod. 6r, corno quello che ci parve alcun poco più genuino. Abbiamo però tenuto a continuo riscontro anche P altro esemplare, e ce ne siamo valsi per correggere gli errori del cod. G : dalla lezione del quale quante volte ci siamo discostati, la abbiamo registrata appiè eli pagina, insieme con le più notevoli varianti di C o con quello (indicato con la sigla F) della già ricordata edizione) fiorentina (,) , elio non paro derivi nò dall’ uno nò dall’ altro dei due codici a noi noti. Rarissimo volte ci ò occorso di doverci discostarc (Papparato critico di volta in volta lo fa sapere) e da tutt’ o due i manoscritti e dalla stampa del 1718 (,) . Da questa stessa edizione fiorentina abbiamo, infine, dovuto riprodurre tutte le altre lettere che qui pubblichiamo e delle quali non conosciamo alcuna fonte manoscritta. Nonostante che si possa con sicurezza affermare che gli editori del 1718 non hanno proceduto con quella fedeltà agli originali e con quei buoni criteri clic sarebbero desiderabili (S) , tuttavia noi credemmo il meglio, per non aggiungere arbitrii ad arbitrii, di ricondurre a quella edizione il testo, clic da altri editori era stato ritoccato : e però ci limitammo a migliorare la punteg¬ giatura e a correggere soltanto dove la correzione era non meno necessaria che sicura (4) . In qualche altro passo in cui è ben chiaro clic l’edizione di Firenze Galileo subito dopo la prima lotterà dol Nozzomni, perchè è manifesto elio la Decisione e stata scritta, o pervenne in mano dol Nozzomni, prima elio questi dettasse la seconda sua lettera (cfr. p&g. 574, lin. 0-10, o pag. 582, lin. 10-10), dopo dolla qnalo è stampata nello precedenti edizioni. 1,1 Nel registrare tali varianti ci siamo attorniti allo norme altre volte indicate o seguito (vedi voi. V. pag. 260, nota 4), o, come sempre, non abbiamo te¬ nuto conto degli orrori manifesti nè del cod. C nò della stampa. Una fonte di varietà di lozione, in questa lettera, è il segno col quale nei manoscritti di quell’età si indicavano gli scudi, o che fu tradotto alle volte, dal copista di C o dagli editori del 1718, in piastre o ducati. Avviene poi talvolta elio il cod. G o la stampa non vadano d’ accordo col cod. G noi premettere o posporre lo parole scudi, òraccia, ecc. al numero con cui s'accompagnano (por es., «rudi 700 0 100 scadi, ecc.), o addirittura neH’ometterlo o ag¬ giungerlo, dovo sia facile il sottin tenderle : credemmo superfluo toner conto di tali varianti, a generar le quali non dovottoro ossoro cstranoi i segni o Io ab* breviftzioni indicativo di quello moneto o misure. Noancho abbiamo annotato l’omissione, elio qualcbo volta ba luogo noi cod. Q, doli’articolo %l davanti a S.N., abbreviativo di Sig. Nottolini. (*> A pag. 592, lin. 20-22, non abbiamo creduto di dover correggerò la lezione doi duo manoscritti, sebbene sia manifesto l'orrore (lei calcolo. La loziono dolla stampa fiorentina, in quel luogo, elio notiamo tra le varianti, è chiarissimauiento peggioro di quella dei codici. Non solo s’incontrano dogli spropositi elio senza dubbio sono da attribuirò all’incuria degli editori, ma, per di più, queste lettere non sono ri¬ prodotto per intero; nò mancano solamente lo in¬ testazioni, le sottoscrizioni e sposso lo date, ma an¬ che lo stesso tosto, a quanto paro, è stato mutilato qua o là. , la quale é geometricliissima. A questo si risponde, che é vero che detta regola del tre ci serve a ritrovare i conti e i prezzi delle mercanzie, ma nell’ aggiustare le disuguaglianze delle commutazioni non ha luogo, come abbiamo mostrato di sopra. Ma di nuovo potrebbesi opporre che nell’aggiustare i traffichi delle compagnie, dove uno inette 1000, l’altro 2000 e l’altro 3000, o altra somma di scudi, quando si viene a bilanciare il guadagno die si perviene a ciascuno, non si adopra altro che la geometrica regola del tre. 40 A questo risponderei, che questa azione, di vedere qual parte di guadagno tocchi vi. 72 SCRITTURI? 572 a ciascuno degl’ interessati, ò nazione di giustizia distributiva, poicliò in essa si ha riguardo di merito o di retribuzione di premio e di guadagno, secondo che altri ha meritato, sicché non ò maraviglia che vi si adopri la proporzione geo¬ metrica. E questo è quanto ora mi occorre dire per soluzione del dubbio proposto: dove se avrò detto molto semplicità, V. S. dee in un medesimo tempo scusar me, cho non ho saputo piò là, e accusar sò stessa, che in quolle difficultà, che fanno dubbio agli elevati ingegni fiorentini, si ricorra a un pretazzuol di contado, cho ne dia sentenza definitiva. E le bacio le mani, pregando Nostro Signore Dio per ogni sua prosperità. io Per la decisione del caso che si disputa tra le parti, che è chi de’ due stimatori meglio abbia stimato o minore stravaganza abbia fatto circa la stima d’ una cosa che veramente vai cento, quello che la stimò mille o quello che la stimò dieci ; pormi che prima si debba stabilire ciò che importi stimar giusto e bene, e quello che importi stimar ingiusto e stravagantemente. Stimerà giusto e bene quello che stima cento la cosa che giusta¬ mente vai cento ; devieranno dalla giusta stima e stravaganteranno quelli che la stimeranno più o meno del giusto: e di questi colui commetterà maggiore stravaganza, che più esorbitantemente dal giu- 20 sto prezzo, o nel più o nel meno, devierà. E perchè parrà forse ad alcuno che deviare egualmente dal giusto nel più e nel meno possa intendersi in due modi, cioè o in proporzione aritmetica (che è quando 1’ eccesso del più sopra ’l giusto è oguale all’ eccesso del giusto sopra la minore stima; come se il giusto sia dieci e 1’una stima sia 12 e V altra 8, dove le differenze sono eguali, cioè 2), 0 in proporzione geometrica (che è quando la maggiore stima al giusto ha la mede¬ sima proporzione che ’l giusto alla minore; cho sarebbe quando uno stimasse 20 quello che vai 10 e 1’ altro lo stimasse 5, dove l’uno stima il doppio più e 1’ altro la metà meno), e che così, in conseguenza, so deviar più dal giusto s’intenda quando, nel primo modo, l’uno eccesso 14. la stimi mille o quello che la stimi dieci, F — 17-18. cento quello che realmente vai cento, G — 18-19. stima e stravagantemente quelli, F — 22. giusto o nel più o nel meno, G — 20. o veramente in, G — IN PROPOSITO DELLA STIMA I)’ UN CAVALLO. 573 sia maggi° r dell’ altro, o, nel secondo, la maggiore dolio due stime riguardi ’1 giusto con maggiore proporzione di quella che avesse il giusto alla minore stima ; ò necessario stabilire in qualo delle due maniere si debba ’ntendero noi presento caso. Dico portanto che assolutamente si dove intendere della propor¬ zione geometrica, o non dell’ aritmetica. Imperò che (stando pure nel- ]’istesso caso) quando della proporzione aritmetica intender si do¬ vesse, non solamente quello elio stimasse mille la cosa che vai cento sarebbe più cattivo stimatore dell’ altro che la stimasse dieci, ma colui ! 0 ancora che la stimasse dugento commetterebbe stravaganza maggiore che quello che la stimasse uno, essendo che l’eccesso del dugento sopra ’l cento, che è 100, ò maggioro dell’ eccesso di cento sopra uno, che è 99 ; o così lo stimatore cho stimasse 200 scudi un cavallo che giustamente valesse conto, meriterebbe d’ esser chiamato più cattivo stimatore di quello cho lo stimasse un solo scudo, che ò quanto so altri dicesse cho quello che stima il cavallo il doppio di quel che veramente vale, commetto maggiore stravaganza nella stima che quello elio lo stima la centesima parte : cosa del tutto irragionevole e che non cado quando lo differenze hì considerano nella proporzion io geometrica, secondo la quale quello che stima uno, esorbita tanto più dello stimatore di 200, quanto la proporziono di cento a uno è mag¬ giore di quella di 2 a 1, cioò di 200 a 100. Lo deviazioni dunque delle stime dal giusto si devono giudicare secondo la proporzione geo¬ metrica: o così quello che stima una roba la centesima parte di quello che ella vale, ò assai più esorbitante stimatore cho quello che la stima il doppio più ; ed in conseguenza egualmente deviano dal giusto quelli due che stimano, uno il doppio più, e 1’ altro la metà meno, uno il decuplo del giusto, e 1’ altro la decima parte solamente. Aggiugnesi cho non si può ragionevolmente credere che le parti so nel principio della presente controversia intendessero della propor¬ zione aritmetica, perchè ciò sarebbe un voler supporre due troppo gravi mancamenti, uno nell’ una o 1’ altro noli’ altra parte, cioò che l’uno ignorasse che 000 è più di 90, o che 1’ altro, con poca coscienza. 4. intendere il piatente eneo. F — 8. che stimi mille, F-10-11. maggiore di quello, (i - H. giustamente vale 100, G—15-16. che e quanto se altri dicesse che fu sostituito da Ga- ulbo nell’autografo a cioè, cho aveva Bcritto prima e poi cancellò. 19- si considerano se¬ condo la proporzione, G — 20. uno, fa esorbitanza tanto, F — 28. decuplo, e l’altro, G 20. Ag- mgasi, F- 32-33. che l'una ignorasse ... e che l'altra con, G; il 900 è più del 90, F — 574 SCRITTURE sopra tale ignoranza dell’ avversario cercasse di guadagnarsi il premio della scommessa. Concludo per tanto che li due stimatori abbiano egualmente esor¬ bitato e commesse eguali stravaganze, nello stimare l’uno mille, e r altro dieci, quello che realmente vai cento. Io Galileo Galilei scrissi m. pp? Tolomeo Nozzolini ad Andrea Pierini. Di S. Affata , il dì 1° Maggio 1627. Ilo ricevuto la lettera di V. 8., insieme col parerò del Sig. Galilei sopra il quesito clic ora si va disputando per Firenze: ed in verità se io avessi da prin- io cipio saputo che una persona di tanta stima o di tanto sapere avesse sopra di ciò pubblicato sue scritture, io non avrei in modo alcuno scritto a V. S. quel elio io me no giudicassi, perchè io debbo ben credere che più vaglino i sogni di un tal uomo, che lo più esquisite considerazioni eli’ io sapessi inai fare. Ma poiché io ne ho di già scritto a V. S., e poiché ella mi comanda clic io consideri questa scrittura del Sig. Galilei, e che, essendo ella contraria alla mia, io dica se altro ho da dire per confermazione del mio detto; e perchè io so che gli uomini dotti non si sdegnano se qualunque minima persona produca in mezzo i suoi pensieri per investigazione della verità; non mi periterò a dir di nuovo qualche cosa in¬ torno a questo quesito, nel qual si corca qual sia maggior stravaganza stimar 1000 ,20 ovvero stimar 10, quel che veramente vai 100. Per decisione di questo dubbio, il Sig. Galilei primieramente distingue che in questo caso si può adopraro o la proporzione aritmetica ovvero la geometrica, e che adoprando la prima farà maggior stravaganza lo stimator del mille che quel del 10, e adoprando la seconda le stravaganze saranno eguali; poi deter¬ mina e dice clic assolutamente qui si dee adopraro la proporzione geometrica, e di ciò non adduce altra ragiono che questa : clic se noi volessimo in questo caso servirci della proporzione aritmetica, no seguiterebbe che chi stima 200 una cosa che vai 100, farebbe maggior stravaganza che chi la stimasse uno scudo solo, poiché il primo si parte dal giusto aritmetico per 100 scudi, ed il secondo so per 99; ma questo, dice egli, è cosa del tutto irragionevole; c vuole che minore stravaganza faccia quel del 200 che quel dell’ uno, perchè il primo stima sola¬ mente due volte più, ed il secondo 99 volte meno, del dovere, etc. 6. Manca in F — IN PROPOSITO DELLA STIMA 1)’ UN CAVALLO. 575 A questo io rispondo» che* quello elio dal Sig. Galilei ò stimato cosa irragio¬ nevole, appresso di me non <• inconveniente alcuno, n penso che minore strava¬ ganza o minor lontananza dal vero commetta lo stiraator dell’uno che quel del 200: e por provarlo dico così. Quando si ragiona di due numeri, o linee o altre magnitudini, dolio quali si vadia cercando qual sia maggiore e qual minoro ovvero se elle siano eguali, per volerne rettamente giudicare bisogna ricorrere alla misura, e in misurando si ha da aver riguardo a due cose: prima, di adoperar la medesima misura, e non diverse misure ; la seconda, di guardar quante volte la detta medesima misura io entri nello proposte coso: se si adoperassero diverse misure, v. g. in una cosa il braccio o nell’ altra la canna, sebbene entrasse tanto volte il braccio nell’ una quanto la canna nell’ altra, non por questo lo suddette cose sarebbero eguali. Stando forma questa verità, della quale non è da dubitare in modo alcuno, dico clic la proporzione geometrica non è il caso a giudicar la maggioranza o eguaglianza di duo cose, come quella elio non adopera la medesima misura, ma diverse, e solamente ha riguardo che 1’ una misura entri tanto volte in una cosa, quante l’altra misura noli* altra cosa, corno si vedo in questo esempio: 1190 ha la medesima forza sopra il 30, che il 30 sopra il 10; o però questi tre numeri, 90,30, 10, sono proporzionali geometricamente: ed in quanto al numero delle 20 misure la cosa sta pari, perchè il IO entra tre volte nel 30 ed il 30 entra tre volte nel 90; ma la misura è diversa, poiché il 10 misura tro volte il 30 con una misura di dieci braccia, ed il 30 misura tre volte il ( JO con una misura di trenta braccia. Inoltre, la proporziono geometrica non solamente nelle sue misure adopra di¬ versità specifica, ma ancora diversità generica, cioè si serve di misure tra loro tanto diverse, che non hanno niente che fare insieme: conio si vede in quel teo¬ rema nel quale si prova che in quei triangoli che hanno la medesima altezza, tanta forza ha la base sopra la base, quanta il triangolo sopra il triangolo, dove le basi si misurano con una linea e i triangoli con una figura; e questa diver¬ so sitò di misuro non dà fastidio alla proporzione geometrica, alla quale basta clic tante volte entri la linea nella linea, quanto la figura nella figura; ma non ò già buona a vedere che abitudine abbia la linea colla figura. Piglio un altro esempio nella materia della giustizia distributiva, alla quale ò appropriata la proporzione geometrica. Voi avete servito alla republien 10 mesi, ed io venti mesi; onde se a voi si conviene di premio 50 barili di vino, ovvero 30 staiora di terreno, ovvero 12 libbre di argento. Qui il merito si misura col» mese, ed il premio col barile, o collo staioro, o colla stadera. Tutto questo dico per mostrare che di quelle due cose che si ricercano *0 a misurare perfettamente, la proporzione geometrica non ha riguardo se non a SCRITTURE 576 una sola, cioè al numero delle misure; ma di adoperare diversa misura, di di¬ versità specifica o generica, non fa caso nessuno. Ora, applicando questa verità alla soluzzione del dubbio, dico che è vero che quello che stima 1000, stima 10 volte più, e quello elio stima dieci, stima dieci volte meno ; e così, quanto al numero delle misure, sono in eguale stravaganza. Ma la misura ò molto diversa: il primo ò lontano dal vero per dieci misure grandi, di 100 scudi, o il secondo è lontano per dieci misure piccole, di dieci scudi; e però non si possono domandare eguali questo duo stravaganze e lonta¬ nanze, siccome noi non diremmo elio da S. Maria del Fioro lusserò egualmente lontani il Campanile ed il S. Giovanni, por esser il Campanile lontano dieci passi io di bambino, ed il San Giovanni dieci passi di gran gigante. Similmente, nel se¬ condo esempio, ò vero elio chi stima 200 quel che vai 100 ò lontano per un doppio solo, e chi lo stima uno ò lontano per 99 meno; ma quel doppio solo è una misura tanto grande, che supera quelle 99 misure del meno. Ma se noi ci serviremo della proporzione aritmetica, noi troveremo clic questa è accomodatissima a giudicare di questo stravaganze, poiché ella adopera la me¬ desima misura: v. g., questi tre numeri, M, 10, 0, sono in proporziono aritmetica, poiché il 14 avanza tanto il 10, quanto il 10 avanza il G ; o questi tali avanzi si misurano colla medesima misura dell* unità, la quale entra quattro volte nel- P avanzo del 14 sopra il 10, e quattro volte nelP avanzo del 10 sopra il 6. Siinil -20 mente, se nella stima del 1000 0 del 10 noi facessimo che il vero prezzo fusse 505, allora queste stravaganze e lontananze sarebbono eguali, misurate colla suddetta misura delP unità, che entra 495 volte nella lontananza fra il 1000 e il 505, e similmente entra 495 volte nella lontananza fra il 10 e il medesimo 505. Per la qual cosa panni che si possa conchiudere, che nel nostro caso ci dobbiamo ser¬ vire della proporzione arimetica, e non della geometrica: la qual ragione, aggiunta a quelle che io dissi nell’ altra lettera, tanto più dovrà confermar questa verità. E questo mi basti aver detto in questa materia. Ma con tutto ciò, per modo di facezia e per burlar un poco con V. S., mi pare di aggiugnere in quest’ ultimo, che se questa mia decisione non le piacesse, so io la indrizzerò a un giudice e a un foro competente, il quale ogni giorno deter¬ mina e giudica sopra tal questione, 0 ne ha la soluzione prontissima, che ogni dì la mette in atto pratico. Questo tal giudice è il foro de’ beccai. Io ho veduto molte volte che i beccai, e con i contadini e fra lor medesimi, entrano in dispute ed in iscommesse di chi si appressa più alla stima del peso di un porco 0 di una vitella; e ho veduto che se uno la stimerà libbre 48 e P altro libbre 12, quando si viene al giudizio della stadera, se si trova che quella tal cosa pesi libbre 30, si determina che nessuno vinca ; ma da 30 in giù si dà la vittoria a quel dei 12, e da 30 in su a quel del 48 : e non ho veduto che la propor¬ zione geometrica appresso questi giudici sia di momento alcuno ; e sebbene geo- 40 577 IN PROPOSITO DELLA STIMA D’UN CAVALLO. metricamente fra il 48 e il 12 il numero mezzano proporzionale è il 24, nondi¬ meno da questo foro il 24 e gli altri fino al 29 inclusivamente sono aggiudicati a favore di quel del 12. E pure questi .... c queste scommesse sono non sola¬ mente simili, ma anco una cosa stessa col caso nostro ; attalchò mi par gran maraviglia elio appresso a i nobili spiriti fiorentini si abbia a rovocare in dubbio con tante dispute o scritturo quel problema che appresso a’beccai è deciso, noto c manifesto già mille anni sono. E però so in questa lito da alcuno mi sarà dato la sentenza contro, io prometto a V.S. di volere muovere appello al foro de’ beccai; sua per il qual particolar prerogativa inerita di esser chiamato il foro della giti¬ lo stizia, poichò ogni beccaio sa così bene adoperare con una mano la bilancia e colf altra il coltellaccio, che paro che si possa con verità affermare che ciascuno di loro sia una Giustizia. E con questo fine a V. S. bacio le mani, pregandole da Dio ogni contento. Benedetto Castelli ad Andrea Arrighettt. Con mio particolar gusto ho letta la lettera di V. S. e la decisione del Sig. Ga¬ lileo, nella quale non solo ho notata la rettitudine del giudizio, ma la chiarezza ancora de’motivi, solita del Sig. Galileo; o in segno della replicata da me let¬ tura, ho preso ardire di significare a V. S. alcune cosette, non in maggior con- fìrelaziono della decisione, ma per mostrare che la verità ha i riscontri da tutti 20 i YCrsi. Prima, dunque, supponendo nel caso nostro che il cavallo che vai cento sia stimato male nel più, o sia la stima 200, io domando all amico suo quanto si doverebbe stimare nel meno con eguale errore. È forza rispondere che bisogna stimarlo nulla, per servare la proporzionalità aritmetica, perchè tanta differenza è dal nulla al cento, quanto dal 100 al 200. Ora, il voler poi dire che tanto abbia fatto stravaganza quello che stima il doppio, quanto quello che stima nulla, mi par troppo gran debolezza ; massime che, fortificando il mio dubitare, sup¬ pongo che il cavallo che realmente vai cento sia stimato scudi trecento, e di¬ mando di nuovo quanto si dee stimare nel meno coll’ eguaglianza aritmetica, so dove bisogna rispondere spropositi immensi. Inoltre, io considero che essendo stimato un cavallo, che vai cento, da uno stimatore un scudo, e da un altro cento novanta nove scudi, queste due stime dal¬ l’amico suo deono essere tenute egualmente esorbitanti, essendo in tutte a due Li differenza novanta nove ; ma dall’ altro canto, se noi consideriamo il negozio mei- cantilmente, le perdite e il guadagno nella prima stima sono a ragione di 9900 pei cento, e le perdite e i guadagni nella seconda stima vengono solo a esser a ragione 578 SCRITTURE di novantiinove por conto: attalché in conto alcuno le stime fatte con egualità aritmetica non possono esser egualmente esorbitanti. Io ([ili scuserei l’amico suo volentieri, se non resta persuaso, non essendo egli mercante, e avendo tralasciati li studi della mattematica per attendere a’più sicuri delle leggi; ma vorrei elio almeno considerasse la trita legge Beni maioris p re (H (\ dr rcscind. vmdiL, dove si vede che l’Imperatore considera la strava¬ ganza del prezzo colla proporzionalità geometrica, non aritmetica, età Tolomeo Nozzolini ad Andrea Gerini. Quando io scrissi 1’ ultima lettera a V. S., scrissi tanto in fretta, clic io non ebbi agio a dichiararmi così chiaramente corno io avrei voluto: perù le mando io la presente, la quale contiene il medesimo, ma più apertamente esplicato. Con la lettera di V. S. ho ancora ricevuto quella del suo amico di Roma, nella quale sono opposte tre opposizioni contro la nostra opinione. La prima è questa : Quando quel cavallo che vai cento scudi fu stimato, con eccesso nel più, scudi dugento, a voler nel meno adoperar la proporzione aritmetica, cioè allon¬ tanarsi dal giusto per scudi cento, bisognerà stimarlo niente; la qual cosa ò uno sproposito immenso, perché dal conto al dugento è pur qualche abitudine o ra¬ gione o rispetto, ma dal conto al nulla non ò abitudine nò rispetto alcuno. A questa opposizione mi ò facil cosa rispondere, perchè io mi ricordo che fin quando io era fanciulletto, sapeva diro simili stimo coll’ eccesso nel meno corri- 20 spondente a quello del più. Quando io andava in mercato a comprar delle pere, mentre io sapeva che elle valevano un quattrin runa, se il venditore me ne chie¬ deva due quattrini dell’ una, io gli diceva non giù di volergli dar nulla deH’una, perche ben vedeva che avrei detto uno sproposito, ma di voler duo pere per un quattrino; 0 se egli mi chiedeva tre quattrini dell’una, ed io diceva (li volerne tre per un quattrino : e queste mi paiono le risposto convenienti, coll’eccesso del meno corrispondente all* eccesso del più. Per tanto, nel proposito del cavallo che vai cento etc., alla stima soverchia del dugento corrisponde domandar due cavalli per cento etc., perchè, siccome il primo vuol due paglie per un cavallo, così il secondo vuol due cavalli per una paga : e non per questo segue che volendo due eo cavalli per cento scudi egli venga a stimarli cinquanta scudi l’uno, ma dice questo per fare una stima elio gli giovi tanto nel meno, quanto gli nuoceva quel- 1’altra nel più; il qual giovamento non poteva trovare sopra un cavallo solo, sebben l’avesse stimato il meno die si potesse. Ed in amenduo queste stime viene in virtù a esser nascoso quel niente o nulla che ci era di sopra opposto; perciocché lo stimatore del dugento chiede due paghe, per 1’ una delle quali vuol 579 IN PROPOSITO DELLA STIMA ]>’ UN CAVALLO. dare un cavallo, e per 1’ altra non vuol dar nulla, e lo stimator del meno chiede due cavalli, per l’uno de’ quali vuol dar la giusta paga, c per l’altro non vuol dar nulla: ma questo tal nulla non apparisce così spropositato conio sarebbe a dire di stimar nulla quel cavai solo. La seconda opposizione è questa : So il cavallo di cento scudi da uno stima¬ tore fosse stimato centonovantnnove, o da un altro uno scudo solo, qui sarebbo la proporzione aritmetica, perché di tanto il centonovantanovo supera il conto, di quanto il cento supera l’uno; ma mercantilmente poi i guadagni e le perdite verrebbono molto diverse: perchè, secondo la prima stima, quando il cento diventa 10 centonovantanovo, si guadagna novantanove per cento; ma nella seconda, quando l’uno diventa cento, si guadagna 9900 per cento, perché se uno mi dà cento, il centinaio mi darà, 10000, che detrattone il capitale do’ conto scudi, ci resterà di guadagno 9900 per cento. A questo io rispondo che qui si scambiano le carte in mano, cioè si entra di un proposito in un altro. Noi abbiamo la stima giusta, clic é cento; o no abbiamo due ingiuste, una nel più, che é centonovantanovo, e una nel meno, elio è uno. Nel primo processo si va dalla stima giusta verso l’ingiusta, dicendo: Se cento mi diventa centonovantanovo, si guadagna novantanove per cento. Nel secondo processosi doverebbe similmente andare dalla giusta verso l’ingiusta, dicendo: 20 Se cento mi diventa uno, si perde novantanove per cento: e così la cosa torne¬ rebbe esquisitamente del pari. Ma 1’ oppositore, dopo elio nel primo processo é ito dalla stima giusta all’ ingiusta, cioè dal cento al centonovantanove, poi nel secondo processo va, al contrario, dalla stima ingiusta verso la giusta, dicendo: Se uno mi diventa cento, il cento guadagnerà 9900. Ma che sproposito ò questo? quando si è mai ragionato nel caso nostro che 1* uno ci abbia a diventar cento ? si è ben ragionato che il cento per una stima diventi centonovantanove, e per un’altra stima diventi uno ; e così, come per la prima si guadagna novantanove per cento, così per la seconda si perde novantanove per cento : e così la cosa torna del pari. * Ma perchè forse potrebbe dir l’oppositore di voler accomodar questi numeri a suo modo e far questi processi a suo beneplacito, o pigliar per antecedente e per conseguente qual gli torna più comodo, io non voglio pigliar contesa con lui sopra di ciò, ma gli voglio conceder liberamente elio secondo queste stime non rifischino bene i conti de' guadagni e delle perdite del tanto per cento. Ma che inconveniente ne segue per questo? Chiara cosa è che il guadagno di tanto per cento si trova per la via della regola del tre, la quale è geometrica in tutto e per tutto. Or che maraviglia sarà se da un fondamento di numeri disposti secondo la proporzione aritmetica, non seguitino beno i conti clic procedono per da di proporzione geometrica ? questo non è inconveniente nessuno. Anzi incon¬ veniente non piccolo si vedo nel suo argomento e nella sua opposizione, che ha vi. 73 580 SCRITTURE in sé quel difetto elio da i logici è domandato petit io prmcipn, cioè assume come noto e manifesto quello di che si disputa e che si dee provare : perciocché noi siamo ora su questa disputa, se in queste stime si deva adoperare la proporzione aritmetica ovvero la geometrica; ed egli argomenta così: Non si dee adoperare la proporzione aritmetica, perchè non vi è dentro la geometrica regola del tre. Quanta forza abbia questa ragione, giudichilo ciascuno. La terza opposizione è posta in una legge citata dall’ oppositore, nella quale dice che l’Imperatore considera la stravaganza del prezzo secondo la proporziono geometrica. Qui io non posso dir cosa alcuna : io non ho mai studiato legge, c non ho pur un libro di tal professione ; e qui intorno a molte miglia non posso io ricorrere ad alcuno che mi mostri le parole della detta legge, le quali se io ve¬ dessi, forse troverei qual cosa da rispondere. Ter tanto V. S. le faccia vedere, e considerare se ci valesse alcuna di queste due fughe: o che l’Imperatore tratti in quel luogo di cose appartenenti alla giustizia distributiva, la quale si serve di tal proporzione geometrica; ovvero che ragioni quivi del modo di trovare il prezzo di alcuna cosa, e non di agguagliare le disuguaglianze; perchè sebbene le di¬ suguaglianze do’ prezzi si aggiustano colla proporzione aritmetica, nondimeno quando si vanno cercando i prezzi delle cose, si cercano per via di proporziono geometrica. Dopo questo che ho detto qui nel suddetto proposito, mi par di aggiugnere 20 quattro parole nel proposito della stima del mille e del dieci, in confermazione di quel che ho scritto nell’ altre lettere, ctc. La stravaganza dello stimare pare a me che sia la medesima che quella del vendere e del comprare, poiché la stima e la compra non sono differenti intrin¬ secamente, ma solo nell’ essere 0 ratificata 0 non ratificata, essendoché la stima, subito che è accettata, diventa compra e vendita ; sicché nell’ altre cose il me¬ desimo giudizio dovrà farsi dell’ una che dell’ altra. Per tanto ora lasciamo stare lo stimare, e consideriamo quello che accade nelle stravaganze del vendere e del comprare. Chi vende la roba più che ella non vale, si parte tanto dal giusto e fa tanta stravaganza, quanto è quell’ eccesso ; e volendo nelle medesime ven- 80 dite ritornare al giusto e ricompensare la fatta stravaganza, bisogna che un’ altra volta, nel vendere la medesima cosa al medesimo compratore, si allontani dal giusto verso il meno quanto se ne allontanò verso il più : come, per esempio, io vendo grano ; il suo prezzo è soldi cento lo staio ; voi ne comprato uno staio da me, e io ve lo fo pagare soldi centoventi ; se io vorrò far la giusta ricom¬ pensa, quando voi tornerete pel secondo staio, bisognerà che io ve lo dia per soldi ottanta. Ora, se io vi avesse fatto pagare il primo staio soldi mille, vi domando se, quando voi tornate pel secondo staio, io farei la debita ricompensa, o stravaganza nel meno, a darvelo per soldi dieci. Certo che no; perchè avendo io, nel primo pagamento, ricevuto prezzo per dieci staia e datovi uno staio solo, 40 IN PROPOSITO DELLA STIMA iV UN CAVALLO. 581 bisognerebbe elio la seconda volta io ricevessi un prezzo solo o vi dessi dieci staia: attalchò 1* utile del pagar soldi dieci il secondo staio non ricompensa il danno dell’ aver pagato mille quel primo, perché nel primo io mi allontano dal giusto nel più per novo centinaia, e in questo secondo non mi allontano verso il meno per un centinaio intero ; a tale elio queste stravaganze o lontananze non possono esser eguali. Se adunque nel venderò o nel comprare fa maggiore stravaganza chi vende mille quel elio vai cento, elio non fa nel meno chi lo vende dieci, il medesimo ancora si dovrà dire dello stimatore. Inoltre, per un’ altra via mi piace di aggiugnore un poco di chiarezza a questa IO verità. Quando noi facciamo lo stravaganze nel più e nel meno, a voler che esse procedano di pari passo o sieno fra loro corrispondenti, bisogna adoperare i me¬ desimi nomi di parte o di moltiplico, perché variandoli non possono ben corri¬ spondersi tra loro. Mi dichiaro più apertamente così : Dichiamo che un baril di vino vaglia dodici lire, e che voi nello stimare vogliate eccedere nel più, ed io nel meno: quando voi lo stimerete quindici lire, che altro vuol dir questa stima se non < Io ti voglio usurpare una quarta parto di paga > ? ed a questa stima del più elio si può egli risponder nel mono, so non < Io ti voglio usurpare una quarta parte di barile > V sicché al quarto nel più corrispondo il quarto nel meno. Similmente al terzo nel più, cioè a* sedici, corrisponderà il terzo nel meno, cioè 20 otto. Ora, se si vanno guardando quei tre numeri, 15,12, 9, e (pici secondi, 16, 12, 8, sono fra loro in proporzione aritmetica; similmente alla stima della metà più, cioè 18, corrisponderà la metà meno, cioè 6 ; a quella di due terzi pili, cioè 20, quella di duo terzi mono, cioè 4 : come si vede nella dicontro tavoletta, nella quale si vede cho tutti i predetti numeri son disposti con proporzione aritme¬ tica. Ora scendiamo più abbasso, e facciamo che voi lo stimiate il doppio, cioè ventiquattro : àssi egli a dire che a questa corrisponda nel meno quella della metà, sei V 30 Non già, perché questo sei fu posto a corrispondere al dicidotto, e però non può egualmente corrispondere a quella del dicidotto e a quella del ventiquattro. Similmente a quella del triplo nel più non può rispon¬ dere quella del terzo nel meno, cioè il quattro, perchè questo quattro fu posto corrispondente al venti ; e finalmente al quadruplo nel più, cioè a’ quarantaotto, non può corrispondere nel meno il quarto, cioè tre, il quale corrispondeva al ventuno. i } er la qual cosa bisogna diro che al doppio più, cioè a due cotanti più, corrisponda non la metà, ma due cotanti meno, cioè due barili per dodici lire; e al tre cotanti più corrisponda non la terza parte, ma tre cotanti meno, cioè tre barili per do¬ dici lire; e finalmente al quattro cotanti più risponda quattro cotanti meno, cioè 40 quattro barili per dodici lire. Per la qual cosa, ritornando al proposito nostro, 8TIIAVAOANZB riti MENO di un quarto 15 12 0 di un torzo IO 12 8 di un mezzo 18 12 0 di duo torzl 20 12 4 di tro quarti 21 12 3 dol doppio 21 12 0 do! triplo 30 12 4 del quadruplo 48 12 3 582 SCRITTURE quando uno stimerà mille un cavallo che vai cento, la corrispondente stravaganza nel meno sarà il dire che dieci cavalli vaglino cento scudi, e questo per avere sopra dieci cavalli quella tanta stravaganza nel mono elio corrisponda a quella del mille, la quale non si sarebbe potuta avere sopra un cavai solo, ancorché si fusse stimato meno che un granel di rena. Galileo Galilei ad Andrea Arrioiietti. Molto Illustre Signore e Padrone Osservandissimo, Io lessi, corno ben sa V. S., la prima lettera scritta in proposito della controversia che nacque tra lei e ’l Sig. Nozzolini circa ’l deter¬ minare intorno alla grandezza dello stravaganze delli dua stimatori, io uno do’quali aveva stimato scudi 1000, e l’altro 10, un cavallo il cui giusto prezzo era veramente scudi 100 ; e ben elio a me restasse incognito il nomo dello scrittore di essa lettera, essendovi, da chi si fusse, stato cancellato, non però mi s’ occultò il suo molto intendere, che tanto chiaramente resta apparento nella dotta ed insieme adorna e cortese sua scrittura. Ilo di poi letta ancora la seconda, scritta pure nel medesimo stile, dove 1’ autore, con 1’ occasione di avere veduta quella decisione che io, come arbitro eletto di comune consenso da V. S. e dalla parte, messi in carta, fa così onorata menzione della per¬ sona mia, che, ben che e’ continui d’ esser contrario al mio parere, 20 tuttavia la modestia e gentilezza del suo trattare continua di accre¬ scere in me V affetto che già ho tutto rivolto ed applicato al rive¬ rirlo e, per quanto io potessi, onorarlo. In segno di che mi paro al presente d’ essere in obligo di rispondere a quanto egli mi oppone in dette suo lettere ; chè troppo gran mancamento sarebbe o ’l simu¬ lare di non 1’ avere vedute 0 lette attentamente, o col silenzio mo¬ strare ombra di non avere fatto quella stima che pure di necessità convien farsi di scritture con tanta acutezza e dottrina spiegate, e condite di tanta cortesia. Solo mi dispiace che io non saprò con la mia rusticità corrisjiondere al merito della gentilezza sparsa in esse 30 scritture, e bisognerà che 1’ autore per sè stesso, a guisa d’ ape che sa convertire in dolcezza 1’ austerità che da talun flore va delibando, 13 14. essendovi .., cancellato manca in F. — 25. nelle dette, C, F — 27. di non ne aver, F -- 5S3 IN PROPOSITO DELLA STIMA o’UN CAVALLO. rivolga in soavità quello che non già dalla volontà, ma dalla penna, otesse con meno soave stile scapparmi. Aggiunto a tale obligo il indamente di V. S., dio sotto titolo di desiderio m’impone ohe i — * _ :..A. .. Il * __ _ - 10 debba dire quanto mi occorro intorno allo detto scritturo, vengo, con quella libertà che molto ragionevolmente deve potersi usare tra quelli che più ansiosi sono della verità dio dell’ ostentazione, e che 11 medesimo autore dello 2 lettore domanda che a sò conceduta sia, vengo, dico, a spiegare a V. S. quello di più che, per confermazione della prima mia scrittura, che tutta via mi pare veridica, mi anno fatto sovvenire lo 2 lettore del Sig. Nozzolini. E prima, io ro che V. S. benissimo si ricorda di quello che io gli risposi la prima volta che ella mi propose in voce il quesito sopra ’1 quale nacquo la controversia, che fu, quale de* 2 stimatori avesse più stravagantemente stimato, 1’ uno de’ quali stimassi 1000 scudi, e l’altro 10, quello che giustamente valeva scudi 100 ; e sa che io corsi subito a giudicare molto più esorbitante la stima de’ 1000, come quella alla quale seguiva molto maggior danno e perdita ; e potrebbe forse essere accaduto, che quando il discorrere sopra tal quesito fosse terminato allora, io non mi bissi altramente mutato di parere. Ma ’l 20 significarmi V. S. che la domanda ora in controversia tra uomini non vulvari, col soggiugncrmi appresso che i medesimi disegnavano che io dovesse sopra di ciò di-porro ancora in carta il mio giudizio, mi fece con attenzione maggiore considerare la qualità del quesito, ed in effetto mutare open ione e cadere nella sentenza che poi messi in scrittura. Dubito che il medesimo sia accaduto al Sig. Nozzolini, e tanto più quanto, oltre a quello che ho sperimentato in me mede¬ simo, ho sentito rispondere l’istesso da tutti quelli a i quali ho fatta la proposta, non 1’ avendo anco fatta fuori eh’a persone molto accorto. Clic dunque dal Sig. Nozzolini uscisse la prima lettera, nata da quel¬ li l’apprensione elio nel primo aspetto si presenta alla mente, e di più scritta, per quanto intendo, in una scorsa di penna, io non me ne maraviglio punto. Ma ben ini nasce un poco di scrupolo per la se¬ conda, scritta 0 giorni doppo, dove si scorge elio nè 1’ aver potuto più posatamente discorrere sopra il quesito, nè quel poco che egli aveva letto nella mia decisione, 1’ hanno rimosso dalla prima opinione, 16. del 1000, G, F — 22. deporre anco in, C, Pater potuto, G, 0 — F — 28. ancor fatta, F — 33. che nel- 584 SCRITTURE secondo la quale egli persiste in affermare che 1’ esorbitanza delle stime si deva misurare dall’ assoluto allontanamento dal giusto prezzo, e si fonda sopra certo politico decreto, che vuole che nella giustizia commutativa si proceda, nell’ aggiustare lo disuguaglianze, con la proporzione aritmetica, e nella distribuitiva con la geometrica ; e sti¬ mando egli che la questione proposta sia delle attenenti alla giustizia commutativa, vuole con la proporzione aritmetica misurare la quan¬ tità dell’ esorbitanze de’ 2 stimatori. Ora, poi che Y. S. così comanda, dovendo dire il parere mio, cominciandomi da questo capo, che è ’l Principal fondamento delle 2 scritture, confesso liberamente di non io restar capace di questo negozio, e dubito che qui avvenga quello che accade in molt’ altre proposizioni scritte da uomini communemente stimati grandissimi, le quali non sono intese, nè forse sono intelligi¬ bili, ma quelli che lo profferiscono, ed anco quelli che le ascoltano, fatti creduli dall’ autorità de’ loro primi prolatori, simulano d’inten¬ derle, e per non si dichiarare di capacità inferiori a quelli che le adducono, gli danno 1’ assenso. Ora io; deposta questa sorte d’ ambi¬ zione, mi dichiaro bisognoso d’ esser fatto capace di questa materia, e resterei con obbligo grandissimo al Sig. Nozzolini se egli, col par¬ lare più chiaramente e distintamente, mi traesse di questa confu- 20 sione ; e la chiamo così, perchè non so, per molto che io mi ci sia affaticato, applicare al nostro proposito 1* esempio che egli nella prima lettera arrecò sotto titolo di commutazione o baratto, c che poi, cor¬ reggendo 1’ errore da se commesso, mutò in una divisione di mer¬ canzia comune, mantenendo però sempre la medesima opinione, che in cotali traffichi mercantili si devono aggiustare le disuguaglianze con la proporzione aritmetica. E la confusione mia nasce di qua. Nella prima lettera egli propone una commutazione di lana in seta, dicendo : « Io do a voi lana, e voi a me seta ; e troviamo che io ho dato a voi lana per scudi 24, e voi a me seta per scudi 6 etc. » ; e credendo 30 che la disuguaglianza di tal baratto si possa 0 deva aggiustare serven¬ doci della proporzione aritmetica, trova il numero mezzano tra ’l 24 e ’l 6, secondo tal proporzione, che è 15, e dice che dandomi voi tanto che, fra i 6 scudi di seta e’ danari che ricevo da voi, io abbia scudi 15, saremo aggiustati ; e però detratti 9 scudi da i 24 che vi ho dati 8. stimatori etc . Ora, C, F — 22-23. nella presente lettera, G — 25. comune, ma tenendo però, G— 30. etc. manca in G. — 31. tri deca e possa agi listarne, G — IN PHOPOBITO DF.I.LA STIMA I)’UN CAVALLO. 585 in tanta lana, e datigli a me, io fra seta o lana averò 15 scudi, ed a voi resteranno 15 in tanta lana. Accortosi poi dell’errore (perché io con l’avere dato 24 -rudi «li mia lana, ne ricovo solamente 15 tra danari e seta), mutò il quisito, •• non fece più me padrone della lana e sò della seta, ma pose la seta e la lana esser mercanzie comuni, non più da barattarsi, ma da dividersi tra di noi. Ma, Sig. Nozzolini, l’aver voi scoperto il vostro errore non vi sottrae dall’obligo intra¬ preso di mostrare coinè nelle permutazioni lo disuguaglianze s’aggiu- stono con la proporzione aritmetica; e se bene la disuguaglianza del io nostro baratto non veniva ristorata col resarcimonto di 9 scudi, non è per questo che in qualche altro modo non possa esser raggua¬ gliata : però ditemi pure come noi possiamo aggiustarci, e mostra¬ temi ciò che abbia che faro in tale aggiustamento la proporzione aritmetica. E per venire alle corte, se io ho dato a voi lana por 24 scudi, o voi a ine seta per fi, il modo facilissimo per fare che io abbi il conto mio f» che voi mi diate scudi 18 di denari, che così ci saremo agguagliati: ma qual corrispondenza ànno tra di loro i numeri 24, 18 e fi ? e come entra qui proporzione aritmetica, nè altra? Ma se noi prenderemo il quesito emendato, non lo chiamando » più un baratto, ma una divisione di mercanzie comuni, mi pare che ’1 Sig. Nozzolini commetterà un più grave errore, perchè il caso non sarà più delli attenenti alla giustizia commutativa, ma alla distri- buitiva, trattandosi «li distribuire tra di noi mercanzie comuni; e così, contro al decreto de' politici e al parere del Nozzolini, non la pro¬ porzione geometrica, ma 1’ aritmetica, entrerà nella giustizia distri¬ buitivi, o vi entTerrà con doppio errore, poi elio ella entra qui dove non doveva entrare, e non entra nel quesito quando era di giustizia commutativa, dove entrare doveva se i decreti politici sono retti. Ma finalmente, posto che* simili aggiustamenti fossero sotto la giustizia so commutativa e si ragguagliassero con la proporzione aritmetica, io non però resto capace «li quello che si abbino da fare con la materia di che si tratta, la quale ò di misurare 2 esorbitanze prese in 2 stime ; azzione lontanissima dal dovere dividere scudi 30, che sono il prezzo d’alcune mercanzie, in due parti eguali. E quando il Sig. Nozzolini sogghigno e dice, che allora sarebbono 5. tela, e li — 17. n «iremo aggiustati, C, F -18. projinrcione nè aritmetica, C 30- e che ni, C, F — 31. che s'abbin ehe fare, C, F — 586 SCRITTURE egualmente esorbitanti le due stime del 1000 e del 10, fatte sopra quel cavallo o altra cosa vendibile, quando il vero suo prezzo fusso scudi non 100, ma 505, dal quale per eguali intervalli distano il 1000 e ’1 10, io dico che egli pure equivoca, co ’l supporre quello elio è in questione, avvenga che il suo detto non è vero se non supposto che dell’ esoi'bitanza delle stime misura sia 1’ eccesso e mancamento di esse stime dal vero prezzo, misurati con proporzione aritmetica, il che ò quello che io tutta via niego, e pure questo medesimo caso mi dà occasione di ragionevolmente negarlo : perchè qual semplice fanciullo non resta capace e non conosce, che se io darò in mano a io due un sacchetto, dentrovi 505 scudi, acciò eglino a giudizio stimino quanti ve ne siano dentro, incomparabilmente esorbiterà più quello che dirà, stimare esservi 10 scudi, elio quello che dicesse esservene 1000 ? perchè il peso, se non altro, dichiara lo stimatore del 10 essere stol¬ tissimo, essendo che il peso di 505 scudi è più di libbre 50 ed esso 10 giudica una sola e a’ inganna di più di 50 tanti, ma 1’ altro, che lo stima scudi 1000, si inganna di meno del doppio. Ma più dico : il Nozzolini dice avere ridotte le due esorbitanze all’ egualità quando si facesse il prezzo del cavallo esser non 100, ma 505 scudi: ora io gli domando che lasci stare il prezzo del cavallo ne’ 100 scudi 20 e la maggiore stima ne’ 1000, e dicami quale doverebbe esser la stima nel meno acciò la stravaganza fusse, secondo la sua regola, eguale all’ altra. Qui bisogna trovare uno tanto esorbitante, che dica il giu¬ sto prezzo del cavallo parergli che fusse questo, che il padrone del cavallo gli facesse un fornimento che costasse scudi 810, 0 poi desse 11 cavallo così fornito per 10 scudi, perchè così il venditore scapite¬ rebbe scudi 900, come nell’ altra stima del 1000 il compratore pure resta al di sotto di scudi 900. Oltre a quanto ho detto, mi viene ancora da considerare come dell’ equivoco, in che'persiste il Sig. Nozzolini, ne è causa quell’ istesso so errore nel quale io ancora incorsi quando V. S. la prima volta mi propose il quesito, che fu il giudicare l’esorbitanza delle stime dalla 5. questione, imperciocché il, F — il dello, G — G. e il mancamento, F — 7. misurate, G — 11. 505 piastre, acciò, C, F: e così il cod. O e la stampa F leggono quante a lin. 12, 10 pia¬ stre a lin. 13, 505 piastre a lin. 15; ma a lin. 17 il coti. O legge Io stima scudi mille e la stampa F legge lo stima mille. — 14. dichiarerà lo stimutar, F — 19-20. ma 105: ora IO gli do¬ manda, G— 20. per ducati dieci, F — 30. Sig. è aggiunto in G tra le lineo e, forse, d’altra mano ; e manca in C. — IN PROPOSITO DELLA STIMA D’ UN CA VALLO. 587 grandezza dello perdite pecuniario del compratore o del venditore del cavallo, il che ò dol tutto falso : perchè quando le perdito fus- sero misure dello stravaganze delle stime, dove non fusse perdita ve¬ runa, nò anco vi sarebbe stravaganza alcuna ; o così le stravaganze delle due stimo del 1000 e del 10 intorno alla valuta del cavallo non sarebber nulla so non seguisse la vendita e compera del cavallo, per¬ chè senza questo non vi ò perdita ; ed in oltre, nello stimare, v. g., pesare 1000 libbre quello che ne pesa 20, o giudicare quella torre esser alta 400 braccia, che ò alta solamente CO, non vi sarebbe pari- io mente esorbitanza, perchè nò nello braccia nè nelle libbre vi è sca¬ pito o perdita por nessuno. Oltre a quanto ho sin qui detto intorno alla prima lettera, mi pare di sogghignare, come cosa assai notabile, che il Sig. Nozzolini chiaramente afferma prima, in generale, ne’ traffichi mercantili non aver luogo la proporzione geometrica, ma 1’ aritmetica, il qual detto egli prova con 1’ esempio portato prima sotto nome di baratto di lana e seta, o poi corretto col mutarlo in una divisione di mercan¬ zia tra due etc., il quale aviamo di già mostrato erroneo e fuori del caso ; all’ incontro poi egli si muove dua instanze, per le quali si 2 « mostra ne’ traffichi mercantili entrare 1’ uso della proporzione geo¬ metrica : l’una ò che tutti e’ conti de’ mercanti son fondati su la regola delle 3 cose proporzionali ; e 1’ altra, delle compagnie, delle quali tutti i ragguagli si trovano pure con la medesima regola del 3 : e questi dua casi non ànno opposizione alcuna che sieno traffichi e negozi mercantili, e risoluti giustissimamente con la proporzione geo¬ metrica, e non con altra. Ora, come si è lasciato il Nozzolini per¬ suadere che la mercatura si governi con la proporzione aritmetica, indotto a ciò credere per un esempio erroneo e falso, e non più tosto ha detto, la mercatura governarsi con la proporzione geometrica, 30 mentre egli stesso adduce esempi verissimi che dimostrano, e’ più importanti e principali negozi mercantili risolversi tutti per la pro¬ porzione geometrica ? Oltre cho si potevono addurre altri conti non meno principali, la resoluzione de’ quali depende dalla geometrica proporzione, come dell’ interessi semplici, degli interessi sopra inte- 1. della perdita pecuniaria, C, F — 4. e così la stravaganza, F — 5-6. non sarebbe nulla, G, 1' — 13. Sig. è aggiunto in G tra le linee e, forse, d’altra inano. — 17-18. di mercanzie, L, 1' 19. egli ci muove, G — 2o. guati tutte i, G — 32. si poterono, G ; si potevano, F — VL 74 588 SCRITTURE ressi, che cliiamono interessi a capo d’anno, delle G cose proporzio¬ nali, della regola del 3 inversa ; e per concluderla in breve, io non so ritrovare in tutti o’ negozi mercantili conti o ragioni alcune di momento ne’ quali abbia luogo la proporzione aritmetica, ma sì bene la geometrica. Ora venghiaino a considerare lo cose contenute nella seconda let¬ tera, dove primieramente mi pare che il Sig. Nozzolini aberri in un principalissimo punto, che ò poi la radice di tutta l’equivocazione: od è che ogli, noi misurare (inolio cose della maggioranza delle quali si disputa, adopra misure inette a ciò, come quelle che differiscono io plusquam genere dalle cose da misurarsi ; e pure la misura deve esser della medesima spezio che la cosa misurata, perchè e’tempi si misu¬ rano con un tempo, i pesi con un peso, i prezzi con un prezzo. Ma ’l Nozzolini nel giudicaro qual sia maggiore esorbitanza dello 2, quella stima di 200 scudi del cavallo che veramente vai cento, o quella dell’ uno, vuol servirsi per misura d’ una moneta, che differisce dal- 1’ esorbitanze plusquam genere. Misura atta a misurare le stravaganze è una stravaganza, e non uno scudo, una libbra, una canna : come poi tal misura si trovi, dirò qui appresso, doppo elio averò mostrato, il medesimo Nozzolini servirsi anco di tal misura inetta malamente, 20 prendendola assolutamente, e non in relazione al vero valore della cosa stimata. E considerando solamente ed assolutamente i guadagni c le perdite e la semplice differenza tra di loro, ha giudicato peg¬ giore stimatore quello dalla cui stima proveniva maggiore danno al compratore o venditore; e così, seguendo questa regola, più esorbi¬ tante stimatore sarà colui secondo la cui stima il compratore scapi¬ tasse 100 scudi, che quell’ altro alla cui stima si perdesse scudi 10, e siano pure qualsivogliono cose quello in cui s’investono i denari. Or tal discorso è molto erroneo per gli assurdi innumcrabili che ad esso ne vengono in conseguenza: tra e’ quali uno sarebbe questo, che, se- 30 guitandosi tal regola, potrà accadere che stimatori esorbitantissimi e del tutto stolti siano degni d’ essere anteposti a stimatori d’acu¬ tissimo giudizio e perspicacissimo avvedimento. Io non credo che il 1. che chiamo interessi, G, O; che chiamano interesse, F — 4. nelle quali, F — 7. Nozzolini erri, F —14-16. quella che. [che è aggiunto nel coti. G tra le linee e, forse, d’altra mano] stima 200 scudi il cavallo che ... o quella che lo stima 1 scudo, vuoi, O, F—lti-17. dalle disorbi¬ tarne, F— 10. si ritrovi, C, F — 22. stimata. Considerando, F — 24. quello della cui, (x 31. potrebbe accadere, F — IN l'KoposiTo UFI,LA STIMA I»’ UN CAVALLO. 5S9 Sig. Nozzolini mi negherà che uno che stimasse una noce, di quelle che se ne danno 10 al quattrino, valere uno scudo, sia uno esorbi¬ tantissimo stimatore ; cd all' incontro, so uno nello stimare un gioiello di valore «li 400 scudi erralo ili un solo scudo, credo che dal mede¬ simo Nozzolini e da tutti <•' periti del mondo sarebbe reputato uno stimatore puntualm-Mim ; tuttavia, se doviamo seguire la soprascritta regola, bisogna dire lo stimatore del gioiello commettere maggiore stravaganza die quel della noce, poi che chi seguendo la sua stima pagasse il gioiello scudi 401, reterebbe in danno di scudi 1, e quello io che desse scudi 1 per prezzo di una noce, perderebbe tanto meno dell’altro quanto è il valore d’ una noce, che pure è qualcosa. Ma dimostriamo piu chiaramente ancora come non si possono giu¬ dicare in mudo alcuno lo -travagauzn delle stimo senza la relazione di quello al giudo valore della cosa stimata. Io domando al medesimo Nozzolini, quale ile' 2 limatori è stato più esorbitante, quello che nello stimare 1' alt*-/./.a d' un monte s’ingannò di 100 braccia, o quello che nello stimare il peso d'un giovenco s’inganna di libbre 10. Qui non si può, primieramente, diro che non ci sia in nessuno degli sti¬ matori esorbitanza, poi che ciascheduno, per difetto di giudizio, stima a»lontano dal giusto, ed il difetto del giudizio è la materia dell’esor¬ bitanza; nc si può dire, quello esser più esorbitante di questo, per¬ chè alla stima sua segua, perdita maggiore che alla stima dell’altro, atteso che le 100 braccia noli vaglino nè più nè mono nè tanto quanto le libbre 10 ; adunque bisogna necessariamente ridursi a dii'e che per giudicare delle qualità e quantità di tali stravaganze sia forza sapere qual lussi* la vera altezza del monte o quale il vero peso del gio¬ venco. Ora pongasi che la vera altezza del monte fosse 1000 braccia, e 1 vero peso del giovenco libbre 1U0. Chi dirà il Sig. Nozzolini che si sia maggiormente ingannato delli 2 stimatori ? forse quel del monte, soperchi'* s’inganna di 100, che è più di 10, che è l’inganno della stima del giovenco ? Ma se dalla grandezza del numero nominato si deve attendere la grandezza dell’ esorbitanza, e dire che più esorbita lo stimatore del monte che lo stimatore del giovenco perchè quello 1. che M un,, «tim.MM. F - 4. (ti 4000 teudi, C, F: e cosi il coti. C e Ift stampa F Leg¬ gono 4001 ft Un 9. - 5. sarMt Mimato uno. F- (5-7. m vogliamo seguire la sopraddetta regola. F - 17. t> à. <’. F 32. segue, F - 23. vagliano, C; vagliano, F -25. «MI»- lilà 0 guani, là. C. F 29-» 1 monte, ohe inganna, G - 30. perche s’ingannò, I* - ói-àà. elle ^ più esorbititntr l • 1 590 SCRITTURE errò di 100 e questo di 10, io muterò il nome delle 10 libbre in 120 once, e così quella che secondo il Nozzolini era stimata meno erronea, do- venterà più erronea. Ora, non sono queste pure troppo puerili vanità ? E chi non vede che per determinazione di questa controversia biso¬ gna ricorrere alla proporzione geometrica, e dire : « Lo stimatore del monte, che errò di 100 braccia, essendo 1’ altezza del monte brac¬ cia 1000, s’ingannò della decima parte della vera altezza; o lo sti¬ matore del giovenco, eh’ aberrò di libbre 10 dal vero peso, che fu libbre 100, puro s’ingannò della decima parte del vero peso ; adun¬ que questi furono stimatori egualmente erronei » ? Ed applicando io questo rottissimo discorso a gli stimatori del cavallo, si doverà dire : « Perchè lo stimatore del più errò del decuplo del vero prezzo, il qual vero prezzo fu decuplo della minore stima, adunque l’esorbi¬ tanze furono eguali ». E qui mi par luogo di considerare quel che dice il Nozzolini circa la proporziono geometrica, rifiutandola come non accomodata a giu¬ dicare nel nostro caso, ma sì bene P aritmetica ; atteso che quella, dice egli, non ha riguardo all’ identità numerica delle misure che si adoperano nel misurare, ma solamente riguarda se le misure, qua¬ lunque elle sieno, sono contenute altrettante volte, o più, o meno, 20 nelle cose che si misurano. Adunque, Sig. Nozzolini, se io mostrerò che nel misurare le cose delle quali noi disputiamo, niente importi che le misure convenghino nè anco in genere, non che in specie 0 in numero, la proporzione geometrica ci potrà benissimo aver luogo. Ora, negherete voi che la stravaganza di colui che stima 150 brac¬ cia l’altezza d’ una torre che, misurata, poi si trova esser braccia 100, non sia eguale alla esorbitanza di quell’ altro che stima un vitello pesare libbre 150, che poi alla stadera si trova esser 100 e non più? Certo bisognerà dire, questi esorbitare egualmente quanto al giudi¬ care, ancor che le misure che essi adoperano differischino plusquam 30 genere, servendosi 1’ uno del braccio e 1’ altro della libbra, sì che non si può dire che errino egualmente perchè tanto vagliono 50 braccia d’ altezza quanto 50 libbre di peso. Ora finalmente da quanto sin qui ho detto possiamo concludere, la misura delle esorbitanze non esser quella medesima che misura lo 1. erra, C — di 100 e quello di 10, G — 4. per determinare la controversia, F — 8. che errò dieci libbre dal vero, che fu, F — 23. convengono, G ; convengano, F — 32. vagliano, F — IN PROPOSITO DELLA STIMA D 1 UN CAVALLO. 591 cose, ma esser in astratto una generai relazione ed abitudine che ha la stima falsa verso il vero valore delle cose stimate ; e così perchè le stime ne’ dua proposti esempli unno ameridue relazione di mag¬ gioranza in ragione o proporzione sesquialtera verso le vere magni¬ tudini di esse cose stimate, però si deve dire che gli stimatori anno egualmente esorbitato : ed essendo la misura delle stravaganze quale aviamo detto, secondo che la proporzione delle false stime verso il vero valore andrà variandosi, crescerà ancora o scemerà la grandezza dell'esorbitanza. E qui possiamo concludere, che per misurare la gran- io dezza delle stravaganze, che sono difetti di giudizio, bisogna servirsi della proporzione geometrica, e l’aritmetica servirà per misurare sem¬ plicemente le perdite, elio sono danni della borsa, cose differentissime dall’ esorbitanze ; anzi pure, se vogliamo parlare più. propriamente, possiamo lasciare di nominare la proporzione aritmetica, perchè nel misurare la quantità della moneta, come anco quella delle libbre, delle braccia etc., per la quale le stime false distono dal vero valore, non ci bisogna altro che semplicemente numerare. Qui dunque con¬ siste l’equivocazione del Nozzolini, nella quale incorso da principio e che poi ha voluto mantenere : che se ’l primo quesito fusse stato 20 proposto sopra stime fatte circa cose nelle quali l’esorbitanza non avesse apportato danno o perdita, dicendo, e. g., due stimando 1’ al¬ tezza del Gigante, elio è 10 braccia, uno lo stimò 100 braccia e 1’ al¬ tro uno, non sarebbe seguita controversia veruna, perchè bene egual¬ mente stolti appariscono amondue, l’uno stimandolo più alto del Palazzo lì appresso, e 1’ altro giudicandolo così piccolo che non gli arriverebbe alla cintola. Nò, per mio credere, arebbe il medesimo Nozzolini commesso un isteron prolcron, facendo dato quello che era quesito, e quesito quello che era dato. Egli ha prima supposto per cosa retta che 1’ esorbitare più o meno si deva determinare dal disco¬ so starsi dal giusto per intervalli maggiori o minori aritmeticamente misurati, cioè assolutamente e senza riferirgli alla giusta grandezza della cosa misurata ; e stabilito questo e volendo poi sostenere per ben fatto, s’ è ridotto a dover dire che più aberri chi stima 200 quello che vale 100, che ehi lo stima lo ’/a ; il che credo fermamente che 5. che quelli stimatori, F — 21. dicendo, v. g., due, C, F — 25. e l’altro stimandolo cosi, F 20-27. il Nozzolini, F — 29. Nel eod. C prima era stato scritto retta, che poi fu corrotto, forse d’altra mano, in vera. — 29-30. determinare del discostarsi, G 33. più erri, F 34. lo stima 1 7?, G: e così a lin. 2 della pag. 592 il cod. G legge di 1 7* • 592 SCRITTURE non arebbe detto quando tal quesito gli fosse stato fatto dal prin¬ cipio, ma averebbe risposto quel di 1, e fatta questa chiarissima sup¬ posizione, arebbe poi potuto conoscere, la deviazione dalle vere stime dovere esser regolata non dalla proporzione aritmetica, ma dalla geo¬ metrica : dovo ora, se egli vorrà persistere nella medesima opinione bisognerà sostenere infinite cose lontanissime da ogni ragionevol di¬ scorso, e diro che migliore stimatore di 2 chiamati a giudicare a occhio quanto doppio erono quelle poste in un mucchio sopra una tavola, e cho veramente erano 10000, fu quello che disse parergli che potessero essor 2 o al più 3, che 1’ altro che 1’ avesse giudicate io potere esser, a suo giudizio, 20000 ; dove il primo senz’ altro verrebbe subito sentenziato per cieco al tutto di mente, ma por condennare 1’ altro sarebbe necessario contaro la moneta, perchè l’ingannarsi del doppio può a molti accadere, ma 1’ errare in 4 o 5 mila doppi è cosa da stolti affatto. Ma più bisogna che il Sig. Nozzolini dica che colui che stima Montemorello esser alto braccia 10000, sia più esorbitante stimatore cho un altro cho dicesse che al suo giudizio e’ non è non solamente alto punto, ma ò una laguna o voragine profonda 100 brac¬ cia ; il che accaderebbe quando si trovasse che la vera altezza del monte fusse un palmo meno di 5100 braccia, dal qual numero lo 20 stimatore del 10000 s’ allontana 4000 braccia e un palmo, e l’al¬ tro 4900 braccia meno un palmo. E per rispondere in ultimo anco alla facezia de’ beccai, che affer¬ mano essersi egualmente ingannati nella stima del peso quei due, de’quali uno stimò libbre 110 quel vitello che si trovò poi pesare libbre 100, e quell’altro che lo stimò 90, dico che ciò procede per¬ chè loro, per poca intelligenzia, erodono veramente che egualmente s’ingannino nello stimare quelli che egualmente si scostono, uno nel più e 1’ altro nel meno, dal vero peso, il che è falso, nè essi inten¬ dono il perchè : e di tal loro ignoranza ne è causa 1’ esser per lunga 30 pratica divenuti così esatti stimatori, cho rare volte s’inganneranno anco di 10 per 100, come qui fanno li 2 stimatori del 110 e del 90; 0 perchè tra due numeri poco tra di sè differenti pochissima è la 1-2. C, F - IO. che abbia tre, G — 11. grillo; de 1 vitelli, F - 29. di una lettera de Vamico, C — 594 SCRITTURE Scrisse 1’ amico (li Roma, confutando 1’ opinione di chi vuol misu¬ rare P esorbitanze con gli allontanamenti dal giusto misurati aritme¬ ticamente, che so ciò fusse vero, bisognerebbe che quel cavallo clic con P eccesso nel più fusse stimato scudi 200, valendo veramente 100, frisse, por faro un’eguale esorbitanza nel mono, stimato nulla ; il che ò inconvenientissimo, essendo che dal 100 al 200 si trova pure qual¬ che abitudine o ragione o rispetto, ma dal 100 al nulla non è abi¬ tudine o rispetto alcuno. A questo risponde il Sig. Nozzolini (conce¬ dendo prima che lo stimarlo nulla sarebbe veramente non solo una stravaganza maggiore dello stimarlo 200, ma uno sproposito e mera io stoltizia), che per trovare una stravaganza la quale nella stima del meno pareggi P altra del più quanto è di 200, bisogna domandare dua cavalli per 100 scudi; ma accortosi cho il dire così viene ad esser direttamente contro di sò, perchè, servando la proporzione geo¬ metrica, viene a stimare un cavallo scudi 50, conformo a che dichiamo noi, sogghigno ciò non esser uno stimare e’cavalli 50 scudi l’uno, ma un volere pagare uno . clic per quello 1 1 conto, C 17. in conformazione, G 18. da altre stime, G, F. Nel cod. C era stato scritto altre, e fu poi corretto, di mano di¬ versa, tali. — 25. disvantaggio, F. Ma più avanti anche la stampa F ha disavvantaggio. — 27. come quelle che, G — 27-28. giudizio o perizia, C — 29. essere misura, C, F — 32. si crn- ducca a, C ; si conducesse a, F — 32-33. questo guadagno è novecento scudi, c quello i mille, F — 69G SCRITTURE negoziatore, quanto il guadagnare 900 por 100 ò più vantaggioso negozio elio quello dove si guadagna 100 per 100, elio è il medesimo che guadagnare 1000 por 1000. Se poi lo scapitare dal 100 a 1 sia, come dice 1’ amico di Roma, per appunto simile al guadagnare 9900 per 100, io non lo so ; crederrò bene che, venendo scritto da persona molto intelligente, no abbia la sua dimostrazione. Ma per quanto appartiene al presente negozio, a me basta mostrare che l’imperizia e disavvantaggio nel trafficare di quello che da 100 si riduce a 1, sia assaissimo maggiore della perizia di quello che, negoziando, da 100 si riduce a 200 : il che provo così. L’imperizia nel trafficare di quello io cho da 100 si riduce alò assaissimo maggiore dell’ imperizia di quello che, negoziando, da 2 si riduco a 1 ; e l’imperizia di chi da 2 si riduce a 1 mi pare assai simile alla perizia di chi, negoziando, da uno si riduce a dua ; e però l’imperizia di chi da 100 si conduco a 1 sarà assaissimo maggioro della perizia di chi da uno si riduce a dua ; la quale perizia ò la medesima che quella di colui che, nego¬ ziando, con 100 si conduce a 200: adunque l’imperizia di colui che con 100 si riduce alò assaissimo maggiore della perizia di quello che con 100 si conduco a 200. Segue appresso il Sig. Nozzolini e, digredendo alquanto, soggiu- 20 gne, in confermazione di quello ha detto indi’ altre due lettere, parer¬ gli che la stravaganza nello stimare sia la medesima che quella del comprare e vendere; e però, lasciato da parte lo stimare, considera ciò che accade nelle vendite e nello compero, dove se io fo pagare 120 soldi uno staio di grano che vaglia veramente 100, per ristorare il vostro danno devo un’ altra volta (larvalo por soldi 80 ; e se io vi avessi fatto pagare 1000 soldi uno staio, non vi ricompenserei con darvene poi uno staio per soldi 10, ma, sì come volsi prima per un solo staio il prezzo di 10 staia, converrebbe che poi dessi a voi staia 10 per il prezzo di uno staio. La risposta a questo è di già manifesta nella »o lettera, dove ho mostrato, la misura delle stravaganze essere divei’- sissima da quella con che si misurono gli scudi, le braccia, le lib¬ bre, etc. : e nel presente caso il rendere al compratore quello che dette sopra più, persuaso da una stima esorbitante, ristora bene il suo danno, ma non medica punto 1’ esorbitanza della stima, la quale 10. proverò così, F — 13. riduce 1, G — 14. uno si conduce a dua [due, F] ; e però, C, F 21. di quanto ho detto, C — 24. io vi fo, F — 32. da quelle con, F — 32-33. le libbre : c nel, G IN PROPOSITO DELLA STIMA D’ UN CAVALLO. 597 è incurabile. Se la grandezza dell’ esorbitanza lusso la medesima che la grandezza del danno, dove fusse il medesimo danno sarebbe ancora la medesima esorbitanza: e perchè il restituirmi un soldo ristora il danno fattomi dal venditore nel farmi pagare 101 soldo un’oncia di zafferano elio valeva solamente 100, o con la restituzione di un soldo sono rifatto del danno che ricevei dal venditoro mentre pagai dua soldi un limone che valeva un soldo e non più, si dove però dire, l’esorbitanza nello stimare 101 quello clic vale 100 essere eguale a quella elio valuta 2 quello elio vaio uno ? E chi è così cicco che non io vegga che se io investo i mia danari in zafferano, perderò sola¬ mente 1 per 100, o se io gl’investo in limoni, perderò 50 per 100? Dove il Sig. Nozzolini dice, la stravaganza dello stimare essere la medesima elio quella del comprare e vendere, meglio era dire, essere la medesima che l’inganno nel comprare e vendere ; e perchè quello che mi vuol faro paguro soldi 2 i limoni che vagliano solamente un soldo 1’ uno, mi vuole ingannare del doppio, o quello del zafferano si contenta del- guadagno di uno per 100, però tanto quanto l’inganno di quello è maggioro, di tanto la sua stima si deve dire essere più esorbitante. Ho dotto di sopra che il restituire il sopra più ristora il so danno al compratore, ma non emenda la stravaganza dello stima¬ tore, la quale dissi essere incurabile ; il che maggiormente si mani¬ festa con figurare la stravaganza nella stima d’altro che di prezzi. E che ciò sia vero, dicami il Nozzolini in qual maniera egli emen¬ derà la stravaganza della stima fatta sopra 1’ altezza d’una torre, che, essendo alta solamente braccia 100, fu stimata 180. Dirà egli forse, tal esorbitanza correggersi quando un’ altra simile venga stimata alta braccia 20 ? A me pare elio chi dicesse così, non solo non emende¬ rebbe la prima esorbitanza, ma no commetterebbe un’ altra maggiore. A quello che il Nozzolini dice per aggiugnere chiarezza alla sua so verità, che ò elio quando s’ esorbita nel più e nel meno con i mede¬ simi nomi di parto o di moltiplico, sempre si trova la proporzione aritmetica, o clic egli esemplifica dicendo « Posto che una cosa va¬ glia 12, e elio uno se n’allontani nel più per 7» e un altro nel meno pure por 7», ne vengono e’ dua numeri 14 e 10, dove apparisce la 8. l’esorbitanze, G — che valeva cento, F — 11. 100, se io, G limoni, 50, C 1.). mi voi fare, G — vagliono, C; vaglion, F —16. mi vole ingannare, G —20. ma non amenda, G — 2G. simile fusse stimata , V — 503 SCRITTURE proporzione aritmetica », dico elio questo è tanto vero quanto il dire die i numeri posti in proporzione aritmetica son posti in propor¬ zione aritmetica. E elio ciò sia, diffimamo die cosa sia il disporre numeri in proporziono aritmetica, o si vedrà chiaramente, dispor nu¬ meri in proporzione aritmetica essere 1’ ordinarli con differenze eguali fra di loro, cioè por tra di loro l’istesso numero; ma la medesima parte d’ un numero ò sompro P istesso numero (come, per esempio, la sesta parte di 12 è sempre 2, ete.) ; adunque tanto è dire por tra essi la medesima parto di un numero, elio por tra essi il medesimo numero: tal die io non intendo elio guadagno ci apporti il nomi-io nare di parti cto. Ma posto che alcuna novità o acquisto ci fesse, io non però resto capace come, perchè V aggiugnere e ’l sottrarre la medesima parte dispone e’ numeri in proporzione aritmetica, ne dova in conseguenza seguire che 1’ esorbitanza delle stime s’ abbia a rego¬ lare con la proporzione aritmetica. Questo ò un tornare a supporre sempre d’ arbitrio quello elio tutta via io nego od ò in questione. E qui di nuovo gli bacio le mani. Tolomeo Nozzolini ad Andrea Gerini. Ter mano del fattore di V. S. ho ricevuto il libro ed insieme le opposizioni del Sig. Galilei, alle quali risponderò brevemente, per obbedire a V.S. 20 Io non so con quale intenzione ella mi faccia scrivere sopra tal materia, nò a me tocca il ricercarla ; so bene clic oltre all’ obbedirla, clic la mia intenzione in questo caso non ò se non il’ imparare. So io stessi in Firenze, cercherei ogni oc¬ casione di poter praticare col Sig. Galilei, per apprender sempre qual cosa da’ suoi dotti ragionamenti : poiché ciò non mi ò conceduto, ora clic mi ò nata occasione di ragionar seco per lettere, la piglio volentieri per la causa detta : se poi egli ne riceva briga e perdimento di tempo nello scrivere, bisogna che egli abbia pa¬ zienza. Gli uomini ricchi hanno sempre molti poveri all’ uscio, c bisogna che lo comportino ; e così le persone dotte sono infastidite da quelli che cercano il’ im¬ parare da loro. E quanto a (inolio che V. S. mi dice di aver operato, clic in questa 30 sua lettera sia taciuto il mio nome, forse per mia ricoperta, poiché in essa spesse volte vien replicato che le cose che io ho detto sono sciocche, vane, puerili, erroneo, inette, stoltissime, e altre simili parole, io rispondo che non occorreva avermi 3. che cosa il, G — IN PROPOSITO DELLA STIMA lV UN CAVALLO. 599 questo rispetto : io non mi «doglio elio da lui mi sia detto così, perchè, sapendo io che il mio sapere è piccolissimo e il suo è in altissimo grado, non mi ho da vergognare che da lui mi sieno date quelle riprensioni che meritamente si ven¬ dono alla mia ignoranza. Per tanto, venendo ora al proposito delle opposizioni fattemi, rispondo così. La prima veramente non è opposizione, ma è una domanda che io spieghi e dichiari in che modo la proporzione aritmetica entri negli atti della giustizia commutativa, cioè nel vendere, comprare, barattare, prestare etc., attesoché a lui pare clic detta proporzione aritmetica non abbia cosa alcuna che fare con io simili faccende. Questo fu da me esplicato, ma brevemente, nella prima lettera : ora, per soddisfare a tal domanda, la qual mi vien replicata più di una volta con lunga solennità di parole, bisogna che io V esplichi un poco più a lungo. Aristotile, nel quinto libro dell’Etica, al capitolo terzo, dichiara che la pro¬ porzione geometrica si osserva in quella parte di giustizia che si chiama distri¬ butiva, alla quale si appartiene giustamente distribuire i premi o le pene, le pub¬ bliche imposizioni, gabelle, e retribuzioni, a ciascuno, non già con indifferente egualità, ma con tal proporziono che come si ha merito a merito, così si abbia retribuzione a retribuzione : e dichiarando come si chiami questa tal proporzione, dice così : liane vero proportionem mathcmutici geomctricam vocant. Ma nella giu- 20 stizia commutativa questa proporzione geometrica non ha luogo, ma sibbene r aritmetica, come chiaramente insegna il medesimo Aristotile, nel medesimo libro quinto, al capitolo quarto, dovo tratta de iure commutativo , c dice così : Ius vero , (piod in conmcrciis est, non illa constat propovtione, sed arithmetica: e questo va poi di sotto dichiarando con molto ragioni od esempi. Ter soddisfazione della sopraddetta domanda, se io non aggiugnessi altro, credo che questo mi potesse bastare: nondimeno non mi parrà fatica seguitar più oltre cogli esempi, per mag¬ gior manifestazione di questa cosa. Di questo elio di sopra si ò detto, io nella prima lettera posi questo esempio. Suppongasi che noi facciamo una divisione di mercanzia comune: voi avete roba 30 per ventiquattro scudi, ed io per sei; nell’aggiustare questa disuguaglianza, se noi la riducessimo alla mezzanità geometrica, cioè alli dodici, colui che avesse dodici, resterebbe aggravato, perchè essendo tutta la mercanzia trenta, mentre che uno ne ha dodici, l’altro n’ ha dicidotto ; ma se noi la riducliiamo alla mezzanità aritmetica, cioè alli quindici, ciascuno avrà il conto suo. È vero clic questo tale esempio fu allora per inavvertenza da me chiamato baiatto, ma poco dipoi coi ressi 1 * errore. Per tanto non posso negare che non mi sia alquanto punito dui etto che il Sig. Galilei, avendo veduto la correzione, in ogni modo più eli una volta sia entrato a biasimare detta inavvertenza. Che occorre feiiie i morti ? che accade confutare quello che da me ò stato reprobato e corretto? Parevano che Ciò 81 40 potesse facilmente dissimulare ; ma transeat. GOO SCRITTURE Presi questo esempio di divisione di mercanzia comune perche più facilmente vi si vedeva questa verità ; ma non è por questo, che la medesima proporzione aritmetica non entri anco non solo nello compre, ne’ baratti, nelle prestanze e altro commutazioni volontarie, ma ancora nello involontarie, come sono l’usurpa¬ zioni, l’ingiurie o 1’ offese, nelle quali in qualche modo entra l’ius commutativo. Allora non mi posi a ciò esplicare per evitar prolissità, ma ora, per obbedienza, non guarderò a questo. Nel predetto capitolo quarto, ci insegna Aristotile che nella giustizia commu¬ tativa non si ha rispetto a dignità o merito di persona, ma tutti si stimano eguali; e quando uno vende o baratta, non ha a riavere più o mono del giusto por esser io più ricco o più nobile, ma ogni cosa si ha a ridurre all’ egualità, come se noi fussimo tutti del pari. Ora, quando noi vanghiamo a contrattare insieme, ci ab¬ biamo a stimare eguali. Però dichiamo, per esempio, che io vaglia dieci, e voi dieci : subito che contrattiamo, io do a voi, o in vendita o in baratto o in pre¬ stanza o in altro modo, sei della mia roba: voi diventate di sedici, ed io di quattro. Qui bisogna aggiustare questa inegualità : se noi ricorriamo alla mezzanità geo¬ metrica, cioè all’otto, col restituirmi quattro io non avrei il mio conto; nò anco ò dovere, elio avendo voi dodici più di me, vi si tolga tutto quel dodici per darlo a me, pcrchò io diventerei di sedici e voi di quattro, o così tornerebbe la mede¬ sima disuguaglianza : ma riducendosi al numero che tra il sedici e il quattro ò 20 mezzano aritmetico, cioè al dieci, allora sarà fatta la giusta agguagliala. Aristotile in detto luogo, per mostrare elio nello commutazioni tutti gli uomini si stimarono eguali, quando vuole esemplificare, assomiglia i contrattanti a due linee eguali. V. g., supponghiamo che AB ed EH siano due contraenti eguali, e per via di alcuna commutazione da AB si levi la parte GB e si aggiunga all'EH, che crescerà in EM : por aggiustare questa --- * disuguaglianza, si ha da trovare il mezzo aritmetico tra EM e CA, il quale sia DI), e questo è quello che si chiama il giusto ; c poi dall’ EM si ha da tagliare non tutta 30 itf n * quella parte con che supera la AC, ma so¬ lamente tutta quella con elio supera il giusto DO : però tagliandone I1M, ed aggiugnendola ad AC, essa ritornerà All, come era prima. Inoltre pone altri esempi negli atti involontari doli’ offese e dell’ ingiuria, e chiama l’offendere acquisto, c 1’ esser offeso perdita, la quale vien poi dal giudice stimata o in danari o in altro, per poter ridurre la cosa all’egualità; onde, come dice qui Eustrazio nel comento, pare che il giudice chiami a sò l’offenditore, dicendo: < Voi eravate prima del pari; v. g., tu eri quindici, ed egli quindici; ora, per l’offesa che tu gli hai fatta, la quale da me è stimata nove, tu sei diventato ricco di ventiquattro, ed egli è restato povero di sei : ora bisogna ridurre la cosa al giusto, 40 IN PROPOSITO DELLA STIMA D 1 UN CAVALLO. 601 il quale è mozzo Ira questi duo ingiusti, ventiquattro o sei. » Se egli fusse mozzo geometrico, cioè dodici, non si farebbe la debita uguaglianza, ma sibbene col pi¬ gliar mezzo aritmetico. Kd in questa mamora Aristotile ed i suoi conientutori dimostrano, la giustizia commutativa governarsi colla proporzione aritmetica, etc. Ora non pare a me elio mi resti altro da faro so non mostrare che l’aggiusta¬ mento della disuguaglianza dello stimo si appartenga alla giustizia commutativa, c per conseguenza si serva della proporzione aritmetica. Questo assai efficace¬ mente pare che si possa provare coir uso inveterato, comunemente accettato da ognuno. Quando si radducono duo stimatori alla stima di alcuna cosa, v. g. di io un podere, e che, avute tutte lo debite considerazioni, sono in differenza, per esempio, di cento scudi, e non si vogliono accordare, allora si chiama un terzo : al quale se apparirà alcuna ragiono da appressarsi più all’uno che all’altro, la dirà, ed accomoderà il negozio ; ma posto che a lui non apparisca alcuna proba¬ bile ragiono contro alcuno di loro, si vedo che, secondo un citatissimo costume, questo chiamato dà in quel mezzo colla proporziono aritmetica: e non a torto; perchè, non gli apparendo alcuna evidente ragione in favore più dell’ uno clic dell’altro, perchè debb* egli accostarsi più all’uno che all’altro ? Onde, nel caso nostro, se li duo stimatori del dieci e del mille stessero ostinati, c si desse loro un tal terzo, elio non vedesse cosa alcuna che lo persuadesse ad approvare più 20 Tuna stima che l’altra, che altro farebbe egli se non dare in quel mezzo? per qual ragione si debb 5 egli accostare più al dicci che al mille? Questo ragioni prese dall’uso comune, conservato sempre insino da’ nostri antichi, appresso di me sono di grandissimo momento : e però io stimo assai ben provata questa cosa. Conosco che io dovrei fermar qui il mio ragionamento, perchè, se le cose dette son vere, tutte 1* altre opposizioni cascano a terra, e se elle non son vere, non saranno anco di momento alcuno quelle che io sia per dire : nondimeno, per eser¬ cizio lilterario, andrò seguitando l’altro opposizioni. SECONDA OPPOSIZIONE. 9 Mi si oppone clic io abbia mal determinato che la divisione di mercanzia comune so appartenga alla giustizia commutativa, perchè, secondo lui, appartiene alla distri¬ butiva. Rispondo, che la giustizia distributiva colla sua proporzione geometrica ha riguardo al valore e al merito delle persone, e dove trova diversità di merito, non distribuisce mai egualmente: ma quando due mercanti dividono una meicanzia comune, se 1’ uno di loro avesse più prerogative che non furon mai, non avi a mai nella divisione pur un quattrino più della metà. R qui non diiò altio. TERZA OPPOSIZIONE. Quando io diceva che le due stime del dieci e del mille sarebbono egualmente stravaganti quando il giusto prezzo fusso cinquecentocinque, dice che questo sa- 602 SCRITTURE rubile vero quando la stravaganza dello stime si pigliasse dalla lontananza dal giusto prezzo, ma ella si dee pigliare dall' esorbitanza. Per rispondere a questa cosa, bisogna che io mi rifaccia un po’ più da alto. Quando V. S. mi propose il presento dubbio, me lo propose con questo pre¬ cise parole : < Una cosa vai veramente cento scudi : da uno ò stimata mille scudi, e (la un altro dieci scudi : si domanda chi abbia di loro stimato meglio, e chi abbia fatto manco stravaganza nello stimare. > Quanto a quelle parole, < meglio stimato >, mi pensava elio < migliore stimatore > si dovesse interpretare conio nell’ altro coso : v. g., miglior tiratore di arco, di balestra o di stioppo, si chiama chi col tiro più si appressa al bersaglio; miglior giuocatoro di pallottole o di io trucco, colui ohe, caeteris paribus , si appressa più al sogno: e con questi ini pa¬ reva che avesse conformità il caso nostro, o però migliore stimatore fosse quello che più si appressa al giusto prezzo della cosa. Considerando quell 1 altra parola di < stravaganza >, pensava clic < stravagare > non volesse dir altro che andar vagando fuori di qualche cosa, e che tanto maggiore o minore fosse la strava¬ ganza, quanto più o meno altri si allontanasse da quella tal cosa: il qual signi¬ ficato veniva a tornare il medesimo come quel di sopra. Ora questa stravaganza vien chiamata esorbitanza, e guardando io di cavare dalle parole di questa scrit¬ tura quel che da lui sia inteso per < esorbitanza >, mi par di raccorre che non voglia dir altro che sciocchezza e balordaggine; poiché quando il Sig. Galilei bia- 20 sima una di queste stime esorbitanti, le chiama sciocche, stolte, 0 da uomo cieco di monte, c con altri simili vocaboli: sicché il ricercare quale stima sia più esor¬ bitante, non vorrà diro altro se non, (piale stima sia più sciocca 0 balorda. Prima che io passi più oltre intorno alla sciocchezza e balordaggine delle stime, io voglio supporre quello elio si suppone della sciocchezza e balordaggine dello dispute dialettiche. È vero clic il dialettico professa di disputare con qua¬ lunque di qualsivoglia problema : ma discaccia dalle sue dispute quegli clic af¬ fermassero cose tanto empio elio meritassero gastigo, come chi negasse che Dio sia buono, o che il padre si debba onorare, e altre simili ; ovvero negasse cosa tanto chiara che quel tale mostrasse di esser privo di sentimento, come chi ne- 30 gasse che la neve fusse bianca, o che il fuoco lusso caldo. Nel medesimo modo tengo che non si debba aver considerazione di quelle stime che senza alcuna scusa mostrino elio lo stimatore sia privo di cervello, come sarebbe che uno, ve¬ dendo scoperte sopra una tavola diecimila (loppio, dicesse che fussero una 0 due, ovvero che Montemorello gli paresse una laguna, oche un vitello pesasse quanto un grillo, o che cinquecentocincpie piastre fiorentine pesassero una libbra, 0 altre simili : però da simili sciocchissime stime non voglio che si piglino argomenti contro di me. Però da certi estremi non si può giudicare della natura della cosa: sebben si vede che una gocciola di acqua sta rotonda come una palla sopra un mattone, ovvero sta pendente da un tetto senza cadere, non si può poi arguire 10 IN PROPOSITO DELLA STIMA D’UN CAVALLO. 603 che un baril di acqua sia por fare il medesimo : e sebben nelle precedenti lettere ho ragionato di quelli stimatori che stimano uno scudo, ovvero dieci, quel cavallo cho vai cento, nondimeno ho supposto elio questi conoscessero qualche probabil cagione di stime cosi basse ; come dire, pensassero che quel cavallo avesse tale ' fermiti!, cho in breve diventasse una carogna, o che dovesse morire la sera me¬ desima, o altre simili. Avendo dunque, per nostro supposto, scacciato da’ nostri ragionamenti queste sciocchissime stimo, noi vedremo cho la stravaganza non vuol dir altro che lontananza dal giusto : il che apparo così. Quando 10000 doppie da uno stimatore son giudicate due, e da uno 20000, sebben ò più vicino al vero io quel di due che quel di 2DOOO, nondimeno confesso cho sari! più sciocco: ma partianci da questi estremi, non mi si argomenti da una gocciola di acqua a un barile sia lecito a ino quello cho ò lecito a ogni disputante, partansi da noi questi sciocchissimi stimatori, o parliamo di due stime più giudiziose : una cosa, che vale sessantacinque, da uno ò stimata sessanta, e dall’ altro settanta ; qui non è esorbitanza nò sciocchezza : ora, so il giudizio della stima non si ha da pigliar dalla vicinanza del giusto, da qual altra cosa si avrò egli a pigliare ? Si vede puro che quella stravaganza vuol dir lontananza dal vero, poichò in tutto lo stime ò stravaganza o poco o assai, ma non giù in tutte ò sciocchezza. Ora, se il giudizio di questo duo stime di sessanta e settanta si piglia dalla vicinanza M del giusto, perché non avverrò, il medesimo anco nell’altre? Inoltre, supponghiamo che si disputi del peso di una cosa che in verità pesi libbre sessanta, e da uno sia stimata libbre cinquantacinquc, o dall’ altro cin¬ quanta: qui ambidue hanno stimato meno, e puro si dà la vittoria a chi più si appressa al giusto. Se quella cosa fusso in verità pesata quaranta, amendue avieb- bon detto più, o nondimeno sarebbe stimata miglioro quella stima che più si appressasse al giusto. Ora, se quando amendue pendono nel più, ovvero amendue nel meno, si misurano le stime colla vicinanza del giusto, qual sarà la cagiono che quando un pendo nel più e 1' altro nel meno, non si abbia a osservare il me¬ desimo ordine? *) Inoltre, io considero lo parole del dubbio proposto, dove, dato che uno stimi dieci, e uno mille, quel cho vai cento, si domanda due cose: una, chi abbia meglio stimato; l’altra, chi abbia fatto minore stravaganza. Quanto a quel < me¬ glio stimato >, dico cosi : Dove è il buono e il meglio, bisogna ancora che sia 1 ot¬ timo, perché dove ò una cosa buona e poi un’ altra migliore, se non si terminasse nell’ottimo, si darebbe il processo in infinito: trovato l’ottimo, gli altri buoni tanto sono stimati migliori, quanto più s’appressano all’ottimo: nelle stime 1 ot¬ timo è il giusto; adunque quanto 1’altre stime manco s’allontanano dal giusto, tanto saranno migliori : sicché la lontananza dal giusto determina quel < meglio stimato >. Ora, se il fare manco stravaganza fusse il medesimo che meglio stimare, io non ci sarebbe più dubbio alcuno. Qui io voglio credere che siano cose diveise, vi. 78 604 SCRITTURE acciò io non noti (li superfluità il propositore del dubbio, che abbia fatta la me¬ desima domanda due volte, ovvero in due modi. Però è verisimile che si debba, distinguendo, dire che, delle stime, alcune sono vicino al giusto, ed alcune molto lontane, e elio queste seconde sieno chiamate le stravaganti, e che il detto pro¬ positore abbia veduto che amendue lo stime sieno molto lontane, c però abbia domandato quale di loro sia manco stravagante. Per determinare il vero in questo caso, panni che si debba di nuovo distinguere, dicendo : Di queste stimo strava¬ ganti, alcuno hanno la loro stravaganza chiara manifesta ed espressissima a i sensi, senza alcuna probabil cagione di tanta sciocchezza, come chi stima due quelle doppie clic son 10000 ; alcune altre hanno la loro stravaganza più coperta io e con qualche probabil ragione, come chi vedendo una balletta di piombo che pesa dugento libbre, pensando che sia stoppa, la stima dicci. Se noi parliamo di queste seconde, dove sia bisogno venire al pesare, misurare o contare, dico che in queste procedono benissimo tutti i miei ragionamenti fatti di sopra; perchè a che effetto si vien egli al peso e alla misura, se non per vedere chi più si sia appressato al giusto? Se noi parliamo di quello prime esorbitanze sciocche, dico che di queste ninno artefice o scientifico dovrebbe parlare o dar regola, perchè debbono essere scacciate da gli uomini giudiziosi : quando mai viene in disputa se un grillo pesi quanto un vitello, o se monte Morello sia una laguna? Ma caso eh’ e* se ne debba ragionare, per isminuzare anco un po’ più questa faccenda, io 20 voglio farne un’ altra divisione, dicendo : Di queste esorbitantissime stime, alcuno hanno 1’ esorbitanza manifesta da una parte sola, 0 del meno 0 del più, come quella delle 10000 doppie stimate duo nel meno e 20000 nel più, dove apparisco più sciocchezza nel meno che nel più : alcune altre hanno la sciocchezza mani¬ festa dall’una e dall’altra parte, corno se il Gigante di Piazza fusse stimato un braccio, nel meno, e alto quanto il Palazzo, nel più, nelle quali amendue stime si vede apertissima la stoltizia. Se noi parliamo di quelle da una parto sola, dico che da quella parte sempre apparirà la sciocchezza non solo in proporzione aritme¬ tica, ma anco in geometrica. Do questo esempio : Io sto appoggiato a una torre alta trenta braccia, 0 la stimo, e dico che essa non ò niente alta più di me, c so un altro dice eli’ ella è alta trecento braccia : qui ò la proporzione geometrica, e non di mono la mia stima sarà sempre tenuta più sciocca, perché senz’ altra mi¬ sura si vedo che io dico un estremo sproposito, dove a voler vedere di quell’ altro bisognerà venir alla misura. Ma se noi parliamo di quelle elio hanno la scioc¬ chezza dall’ una e dall’ altra parte, dico che, poiché in queste la stravaganza e la sciocchezza non decide la questione, bisognerà venire alla misura del Gigante e del Palazzo, e guardare quale delle due stime si sia più appressata al vero. Sicché in tutti i modi pare che la cosa torni qua, che la stravaganza delle stime s’abbia a misurare colla vicinanza del giusto. IN PROPOSITO DULIA STIMA D’ UN CAVALLO. G05 QUARTA OPPOSIZIONE. Questa proposizione è intorno al ritrovar le stime coll’eccesso del meno cor¬ rispondente all’ eccesso del più in proporziono aritmetica. Mi è domandato così : Quando il cavallo di cento scudi sarà stimato nel più mille, qual sarà la stima del meno? A questo rispondo che, senza fare a quel cavallo una covertina si ricca, ci è un altro modo, col dir cosi : Come tu per un cavallo, chiedendo mille scudi, vuoi dieci prezzi, o cosi io por un prezzo solo voglio dieci cavalli ; e però stimo che dicci cavalli vagliano cento scudi, e questo non perchè io stimi che essi vagliano dieci scudi 1’ uno, ma per avere sopra dieci cavalli quella tanta io stravaganza nel mono, che corrispondesse a quella del più. Questa medesima domanda fece l’amico di Roma, dicendo: So il cavai di cento fusso stimato dugento nel più, a volerlo con pari proporzione stimar nel meno, bisogna diro che egli vaglia nulla. A questo io risposi che, senza venire a questo sproposito del nulla, ci era un’ altra via, col dire che, così come tu, chiedendo dugento, chiedi due prezzi per un cavallo, così io per un prezzo chiedo due cavalli, stimando che duo cavalli vagliano cento scudi. Ora dal Sig. Galilei, nella poscritta, mi viene opposto che io abbia mosso in campo l’offerta del nulla. Leggasi la mia terza lettera; non si troverà che io dica questo: anzi per non aver a discender a questo, di stimar nulla un cavallo, ho trovato l’altro modo, so di chiedere e stimar duo cavalli cento scudi. È ben vero che io soggiunsi che in questo modo, di stimar cento due cavalli, vi era nascoso il nulla, ma non già aperto e spropositato, come sarebbe dicendo < Io stimo nulla questo cavallo > ; perchè, mentre io stimo duo cavalli cento scudi, non vedo che si faccia alcuna menziono del nulla. Però tutto quello che nella poscritta è detto contro di me in questa materia, è detto a torto, per non aver ben guardato la mia lettera. QUINTA OPPOSIZIONE. Mi oppono eh’ io abbia detto che la stravaganza delle stime si abbia a pi¬ gliare dalla perdita pecuniaria ; e però in quello dove non sia perdita pecunia¬ ria, sehhen sieno stravagantissime, a mio detto, non sarà errore nessuno. Io ho 30 guardato un po’ di bozza clic io ho quassù della mia prima lettera, e non ci trovo questa cosa : ma io voglio concedere eh’ ella ci sia, e rispondo che io non considero quella perdita pecuniaria se non quanto ella ò lontana dal giusto, dalla qual lontananza tengo ohe si debban giudicare le stravaganze delle stime. 8KSTA OPPOSIZIONE. Fa instanza clic tutti i conti de’ mercanti son fondati sulla regola del tre, e però malamente io ho scacciato la proporzione geometrica da i traffichi mer- G06 SCRITTURE cantili. Rispondo olio ò vero elio nel trovare i prezzi di tutte le cose, P acquisto de’ cambi o ricambi, nel ritrovare il merito di ciascuno che ha capitale nella compagnia, o nel ritrovare tutte lo difficoltà de’conti do’mercanti, si adopera la proporzione geometrica: ma nello suddetto azioni non consiste la commutazione; quando noi verremo all’ atto di commutare e di aggiustare i nostri debiti, allora ci entra la proporzione aritmetica. Piglio questo esempio: Quando voi mi vendete trenta libbre di seta, mentre che si va cercando per ora, colla regola del tre, a lire venticinque la libbra, quanto varranno libbre trenta, noi non siamo ancora nella commutazione; ma quando si sarà trovato che io sia debitore di lire 750 e elio noi verremo all’atto di pareggiarci, allora si fa la commutazione: e qui si io adopera la proporziono aritmetica, nel modo che ci ha insegnato Aristotile. SETTIMA OPPOSIZIONE. Mi risponde che a voler giudicar lo stravaganze elei li duo stimatori del mille e del 10, io adoperi per misura una moneta. Ed io rispondo che così si dee fare: le misuro hanno a esser convenienti al misurato; qui si tratta di misurar que¬ ste due lontananze dal giusto, che consistono in danari, e perciò ci vuol misura di moneta; quando si tratta di stime che consistono in braccia, si adoperali braccio; quando in barili, si adopera il barile; e così in tutte P altre: stando sempre fermo qui, elio queste stravaganze s’abbiano a ponderare secondo la lon¬ tananza (lai giusto; e secondo clic sarà, questo giusto, o moneta o tempo o linea 20 0 superficie 0 altra cosa, so gli hanno ad appropiaro lo sue convenienti misure. OTTAVA OPPO8IZIONK. In quest’ottavo luogo, con una sola cauziono mi difenderò da molte opposi¬ zioni a un tempo. La cauzione ò questa : Io non voglio uscire della quistione proposta: la quale ò fondata sulla considerazione di duo stime di una cosa sola; e però quello clic mi si opporrà intorno allo stime di cose diverse, non ha che fare col nostro proposito. Tutto quello che io ho detto, determinato 0 concluso, è in considerare due stimo d’una cosa sola, i quali detti non si posson poi verificare in diverso proposito, quando si va comparando insieme stimo di cose diverse: però tutti quelli inconvenienti elio sono addotti da lui, quando va comparando so insieme la stima della noce e del gioiello, la stima del monte e del vitello, la 8 tini a della torre o del giovenco, non hanno che fare niente contro di me. A me basta che i miei detti si verifichino nelle duo stime di una cosa sola: se poi in altro proposito patiscono difficoltà, non ha a parer maraviglia. NONA E DECIMA OPPOSIZIONE. La nona opposizione ò intorno a colui che, vedendo 10000 piastre sopra una tavola, le giudicasse due 0 tre ; la decima, di quello elio giudicasse monte Mu- IN PROPOSITO DELLA STIMA r>’ UN CAVALLO. 607 reHo una laguna: allo quali non intendo di rispondere, per la ragion dotta noli’op¬ posizione terza, attesoché di simili sciocchissime stimo non si dee entrar in disputa. UNDECIMA OPPOSIZIONE. Questa è intorno all’ uso comune che ordinariamente si suol conservare nella decisione delle dispute di simili stime: il qual uso fu da me esemplificato col¬ l’esempio delle scommesse elio i beccai soglion fare a chi più s’appressa alla vera stima del peso di alcun loro animale; dove se 1’ uno dirà quarantotto, l’al¬ tro (lodici, solo il trenta è lasciato di parità, ma da’ trenta in giù la vittoria è del dodici, da quivi in su del quarantotto ; e non si ò mai veduto che in simili io casi si vada cercando mezzanità geometrica. Contro a questo mi sono dette due cose: l’una, che quelli che così giudicano sono ignoranti; il che quando sia vero, comprenderà una grandissima parte degli uomini di questo mondo, che pur fanno professione di giudicar bene in questo caso: l’altra, che questi beccai, come esperti e pratichi in simili scommesse, si appressano colla stima al vero peso, e se una cosa sarà cento libbre, a discosta™ molto, 1’ uno dirà novanta, c 1’ al¬ tro 110; ma in questi due numeri poca differenza ò dal mezzo geometrico al- Taritmetico, e questa poca differenza non ò da loro considerata; però se ne stanno al mezzo aritmetico. Questo non mi acquieta, perchè, se non ci fusse dif¬ ferenza so non un’ oncia sola, se fusse dovere attaccarsi al mezzo geometrico, 20 quello a chi e* fusse favorevole, per vincer la scommessa vi si appiglierebbe. Inoltre, facciamo che questi medesimi beccai vengano in disputa d’ un’ altra cosa, a loro non tanto nota ; v. g., supponghiamo che due di costoro vedino una bal¬ letta ammagliata, e l’uno, credendola stoppa, la stimi libbro dieci, e l’altro, credendola zecchini, la stimi libbre mille, c sopra di ciò facciano scommessa a chi piò s’appressa al vero : è egli da credere che essi fussero per lasciare il lor solito costume, o che volessero andar cercando il mezzo geometrico? Io credo di no; e ancora quando si venisse alla stadera, io non credo mai che alcun giudice desse il torto a quel del dieci, ogni volta clic si trovasse che il vero peso fusse da 505 in qua : e di quest’ uso tanto comune e tanto approvato, come ho detto 30 di sopra, mi pare clic si abbia a fare grandissimo conto. Di quell’ esempio che qui è da lui addotto, che un beccaio stimi un vitello manco di un’oncia, non fo caso nessuno, per la ragion detta di sopra all’opposizione terza: si ha a ragio¬ nar di stima che abbia faccia di stima, e non d’una estrema pazzia. DUODECIMA OPPOSIZIONE. Seguono ora le opposizioni della poscritta : la prima delle quali ò intorno a quell’offerta del nullq, della quale abbiamo di già ragionato nell’opposizione quarta; però non occorre qui replicarlo. L’altra sta intorno a un’opposizione G08 SCRITTURE fattami nella lettera dell’amico di Roma, intorno a’guadagni e alle perdite de’ mercanti : la quale opposizione era questa. Quando il cavallo di cento scudi ò stimato nel meno uno scudo, a servar la proporzione aritmetica dovrà nel più essere stimato 199 : e così verranno questi tre numeri, uno, cento, 199, ne’ quali andando dalla sinistra verso la destra, cioò dall’ uno al cento, e dal cento al 199, si fa due processi di guadagno, ma molto differenti; perché quando l’uno di¬ venta cento, si guadagna 9900 ; ma quando il cento diventa 199, si guadagna solamente novantanove per cento : andando poi dalla destra verso la sinistra, cioò dal 199 al cento, o dal cento all* uno, si fa due processi di perdita, ma si¬ milmente molto diversi; perchè quando il 199 diventa cento, si perdo inaino a io cinquanta per cento; ma quando il cento diventa uno, si perde novantanove per cento : e però questa cosa non può star bene. A questa opposizione io diedi nella terza lettera due risposte. La prima sia questa: I guadagni del tanto per cento son fondati sulla regola geometrica del tre, e questi tre soprascritti numeri son disposti in proporzione aritmetica : or come può da un fondamento di numeri aritmetici nascer la proporzione geometrica? queste sono spezie diverse di pro¬ porzione, e non può l’una nascer dall’altra: sarebbe appunto voler che dalle gatte nascessero i cani. L’ altra risposta, che io diedi, fu questa : che a voler pro¬ ceder bene ne’ sopraddetti tre numeri, non bisogna andare da sinistra a destra, nè da destra a sinistra, ma dal mezzo a gli estremi, cioè dal giusto verso amen- 20 due gl’ingiusti, cioò dal cento verso l’uno e verso il 199; e allora saranno le perdite e i guadagni eguali, perchè quando il cento diventa uno, si perde novan¬ tanove per cento, e quando il cento diventa 199, si acquista novantanovo per cento. Ora il Sig. Galileo, lasciando stare la prima risposta, la quale io stimo la buona, dà contro alla seconda, col dire che sebben la perdita di novantanove per cento è eguale all’ acquisto del novantanove per cento, nondimeno in questi due processi il mercante non apparisce egualmente perito e giudizioso ; e in dimo¬ strar questa cosa fa una lunga dimora. Ma io brevemente me ne spedisco, di¬ cendo che io non fo caso se il mercante in questi guadagni e perdite apparisca più giudizioso o no. Che importa a me questa cosa ? io dissi così per mostrare 30 che in qualche modo, secondo i tre numeri posti di sopra, si trovava egualità di perdita e di guadagno. Ma quando ancora questa mia seconda risposta non va¬ lesse nulla, io non me ne curo, pur che resti buona la prima, contro la quale non mi vien detto cosa alcuna. Quando a un dubbio fattomi io do due risposte mi basta che me ne sia menata buona una sola, perchè in virtù di quella sola penso d’ aver soddisfatto all’ obbligo. DECIMATRRZA OPPOSIZIONE. Questa è intorno a un mio detto contenuto nella mia terza lettera, dove con quell’ esempio dello staio del grano, che vai cento soldi, venduto una volta cen- IN PROPOSITO DELLA STIMA D’UN CAVALLO. <309 tovcuti e un’ altra ottanta, voleva dalla egualità della restituzione argumentare all’egualità della lontananza delle stime del più e del meno. Il Sig. Galilei mi oppone duo cose. Prima dice, e dice bene, clic questa mia ragione varrebbe so la stravaganza delle stimo si misurasse colla lontananza dal giusto, ma che que¬ sto, appresso di lui, è falso. In questo ha ragione, in quanto che bisogna prima decidere se la stravaganza delle stime si ha da misurare colla lontananza dal giusto o no ; poi si potrà determinare se questo mio detto sia falso o no. La se¬ conda cosa, che mi oppone, ò elio a questo mio detto ne seguiterebbero molti inconvenienti, quali sono da lui tutti fondati sulla comparazione di stime di cose io diverse. Ma a questo io dico, che tutto quel die io dico ed ho detto in questa materia, mi basta che abbia verità nelle stime di una cosa sola, perché di que¬ ste stime di una cosa sola lio sempre inteso e ragionato ; e quello che è detto a un proposito, non ò maraviglia che trovi e patisca diflicultà in un altro. ULTIMA OPPOSIZIONI*!. L’ultima opposizione ù contro a un altro mio detto della medesima terza let¬ tera: il quale essendo similmente fondato sul medesimo fondamento, chela stra¬ vaganza delle stime si misuri colla lontananza dal giusto, a ragione vien ribut¬ tato dal Sig. Galilei, che tiene che questo fondamento sia falso. Bisogna dunque aspettare la decisione della verità o falsità di quel fondamento, e poi si deter- 20 minerà della verità o falsità di questi miei ultimi detti. Questo ò quanto mi occorre diro intorno allo predette opposizioni. E di tutti questi miei ragionamenti in tutto e per tutto mi rimetto al giudizio del Sig. Ga¬ lilei, il quale io onoro e reverisco e osservo con tanto affetto, che egli non ha da pensare che questo clic io scrivo sia scritto ad altro fine che per imparare da lui. Mi sa ben male che per conto mio abbia avuto briga di questa sua scrit¬ tura così lunga, massimamente essendo egli spesso infastidito da simili molestie, come egli dice nell’ ultimo ; ma pure, come io dissi in principio, bisogna che egli abbia pazienza, e gli convien far conto d’ esser a similitudine d’ una finissima pietra di paragone, sopra la quale ogni studioso desideri dare un’ arrotatura al 30 coltellino dell 1 ingegno suo per acquistarne sottigliezza e perfezione. E con questo line, a V. S. ed a lui bacio le mani. Tolomeo Nozzolini ad Andrea Gerini. Nell’ ultima lettera di V. S. mi vien significato come ella dubita che la mia ultima scrittura sia per ritrovare inciampo, in quanto che 1’ autorità di Aristo¬ tile appresso a’ mattematici moderni è di poco momento. A questo io dico, che 610 SCRITTURE quando mi abbia a esser opposto questo, qual cosa risponderò io: ma in tanto, acciocché la mia causa non resti al tutto priva di patrocinio, poiché per me non ha a valere nò autorità di Aristotile nò alcuno uso inveterato, mi piace di ad¬ durre a mia difesa un’altra ragione, la quale io riserbava per ultimo refugio; ma poiché io vedo che ogni altra cosa pcriclita, 1’ addurrò di presente. V. S. si servirà di essa secondo clic più le parrà opportuno. Nella predetta mia scrittura mi sono affaticato in mostrare conio nella no¬ stra disputa si dee adoperare la proporziono aritmetica : ora con una ragion sola voglio mostrare elio in nessun modo vi si può adoperare la proporzione geome¬ trica. E per provarlo, la prima cosa io suppongo che se noi siamo appresso a io una scala, o ragioniamo di salire, noi intendiamo andare dall’ infimo grado verso il supremo; se noi ragioniamo di scendere, noi intendiamo andar dal supremo verso il più basso: similmente, se noi abbiamo due numeri disegnali, come otto o quattro, so noi ragioniamo di maggioranza o di tutto o di multiplice, noi riguardiamo dall’otto verso il quattro; se noi ragioniamo (li parte e di mino¬ ranza, noi riguardiamo dal quattro verso 1’ otto. Questa cosa manifestamente ci dimostra Euclide, quando, nel principio del quinto libro, definendo la parte, dice: Pars est magnitudo magnitudinis minor maioris, cioè un rispetto della minore verso la maggiore ; e poi, definendo il multiplice, dice: Multiplex autem, maior minoris, cioò un rispetto della maggiore verso la minore. 11 medesimo appunto so va replicando nel principio del settimo libro, dove parla de’ numeri : Pars est numcrus numeri minor maioris ; multiplex vero , maior minoris. In somma la mag¬ gioranza importa andare dal maggiore al minore, e la minoranza importa an¬ dare dal minore verso il maggiore. Dipoi io piglio le parole del Sig. Galilei, dette da lui nella prima scrittura mandatami da V. S., nella quale era posta la decisione del nostro dubbio se¬ condo la sua sentenza: dove dice così: < Egualmente deviano dal giusto quei due che stimano, uno il doppio più, e 1’ altro la metà meno, uno il decuplo, e 1’ altro la decima parte > : e per questa ragiono vuole che qui sia proporzione geometrica, perché come si ha il mille al cento, così si ha il cento al dieci. so Ora, per lo contrario, io dico così : Quando io considero la prima stima, che è di maggioranza, cioè del decuplo più, io vo dal maggiore al minore, cioò dal mille al cento ; ma quando io considero la seconda stima, che ò di minoranza e della decima parte, io vo dal minore al maggiore, cioò dal dieci verso il cento : ma se la cosa sta così, dove si ò mai trovato che proporzione alcuna geometrica si ritrovi tra due processi, de’quali uno vadia dal maggiore al minore, e V altro dal minore al maggiore ? Questo non si troverà mai. Piglinsi tutte le spezie di proporzione geometrica raccontate da Euclide nel principio del quinto libro, e guardisi la omologa, V alterna, la inversa, la composita, la divisa, la conversa, la ex acquali, la ordinata, la perturbata, e se altre ve ne sono : in tutte mani- 40 IN PROPOSITO DELLA STIMA D’ UN CAVALLO. Gli fastamente si vedrà, che se nel primo processo si va dal maggiore al minore, nel secondo si ha da lare il medesimo ; so nel primo dal minore al maggiore, nel secondo si fa il medesimo. Ma qui, noi caso nostro, se nel processo della prima stima si considera il decuplo pivi di maggioranza, cioè si va dal mille al cento, e nel processo della seconda stima, che è di decima parte e di minoranza, si va (lai dicci al cento, come si può dire elio sia geometrica proporzione nel dire: Come si ha il mille al conto, così si ha il dieci al cento? Questo non sarà mai vero. Se voi vorrete dire che la proporzione geometrica si salvi disponendo i nu¬ lo meri così < mille, cento, dieci >, e col dire < Come si ha il mille al cento, così si ha il cento al dieci >, rispondo che questa non sarà la nostra disputa. Noi ra¬ gioniamo di due stime di una cosa, delle quali ci sia una del meno, cioè vadia dal minore al maggiore ; ma nel modo predetto ambedue sono del più : quando si va dal mille al cento, questa è del più ; quando dal cento al dieci, questa è del più. Quando saranno due stime di cose diverse, che ambidue pendano nel più ovvero ambedue nel manco, confesso che vi si possa trovare la proporzione geometrica; ma nelle stime di una cosa sola, delle quali una penda nel più e l’altra nel meno, so vi si trova mai proporzione geometrica, voglio che mi sieno cavati gli occhi. 20 Nella proporzione aritmetica non dà fastidio alcuno che una stima sia del più e una del meno, perchè quivi non si guarda se non la lontananza, e tanto è an¬ dare dal maggiore al minore, quanto dal minore al maggiore : tanta lontananza ò dall’ otto al quattro, quanta dal quattro all’ otto ; tanto è da casa mia a casa vostra, quanto da casa vostra a casa mia. Ma nella proporzione geometrica non è così : non è vero che così si abbia l’otto al quattro, come il quattro all’ otto, perchè 1’ uno è doppio e 1’ altro è metà. E questo mi basti intorno a questa ra¬ gione: la quale se mi sarà soluta e abbattuta, prometto di non voler più diro una parola. vi. v 612 SCRITTURE IN PROPOSITO DELLA STIMA 1)’ UN CAVALLO. Io ho un ferraiolo che vale scudi cento ; qual ferraiolo m’ è stato stimato da due, uno de’ quali 1’ ha stimato scudi dieci, e 1’ altro scudi mille : si domanda chi meglio di loro l’abbia stimato, e chi abbia fatto maggiore stravaganza. Affermo io Galileo Galilei, per lo ragioni addotte nella mia scrit¬ tura, li due stimatori nel soprascritto caso aver egualmente deviato dalla vera stima, ed aver commesse stravaganze eguali. SCRITTURE ATTENENTI ALL’IDRAULICA. AVVERTIMENTO. Con decreto del 20 dicembre 1630 (,) Galileo, quale Matematico primario del Granduca di Toscana, veniva invitato, a nome del Granduca stesso, ad interve¬ nire, insieme con Giulio Parigi, architetto di Sua Altezza, e con gli ingegneri Ales¬ sandro Bartolotti e Stefano Fantoni, in una visita del fiume Bisenzio, per poter poi, col Parigi, riferire intorno allo proposte elio i detti ingegneri avevano pre¬ sentate con V intendimento di rimediare alle frequenti inondazioni di quel corso d’acqua. Tal visita fu dipoi differita per pili cagioni, tra cui una fu Pessersi voluto che Galileo cd il Parigi esaminassero prima le scritture fatto dai due inge¬ gneri; dei quali il Bartolotti pensava che l’ottimo provvedimento fosse di levare le tortuosità del fiume, riducendolo in un canale diritto, laddove il Fantoni giudi¬ cava questo spediente di nessun utile effetto o proponeva invece altri restaura¬ meli. Galileo, che inclinava nella sentenza del Fantoni, adempì l’incarico ricevuto esponendo V opinione sua intorno a questa materia in una lunga lettera diretta il 1G gennaio 1630, di stile fiorentino, a Raffaello Staccoli, auditore della Camera del Granduca, la quale, già più volte stampata {t> , qui riproduciamo. Alla lettera del 1G gennaio 1631 abbiamo però fatto precedere alcuni appunti, attenenti a questo medesimo argomento, elio si leggono, autografi di Galileo, nel Tomo III (car. 13 r. — 15£.) della Par. V dei Manoscritti Galileiani presso la Bi¬ blioteca Nazionale di Firenze. Essi rappresentano molto probabilmente le osser- Mss. Galilei Ani nella Biblioteca Nazionale di Firenze, Par.V,T. Ili, car. 45. Il decreto del 20 di¬ cembre fu provocato da un « memoriale » presentato noi sottombre a S. A. o « soseritto da numero 168 persone », lo quali ai lagnavano dolio disastroso inon¬ dazioni a cui soggiacevano i torroni da esse posse¬ duti, per causa del Bisenzio e di altri corsi d’acqua. Detto memoriale ò nell’Archivio di Stato in Fi¬ renze, Capitani di parte ed Uffxtiali de'Fiumi, Filza 00 di Suppliche, 1080, 800, car. 288 c seg. ; noi citato Tomo dei Mss. Galileiani vi sono poi anche altri documenti relativi a questa materia. <*> Por la prima volta nello Opere di Galileo Galilei, In Firenze, MDCCXVI1I, T. Ili, pag. 7-22. Venne anche inserita in alcune edizioni della celebre Raccolta d'autori che trattano del moto dell' acque ecc. 616 AVVERTIMENTO. vazioni clic al Nostro suggeriva 1’ esame dello scritture del Bartolotti e del Fan- toni, o ch’egli, secondo il suo costume, segnava sulla carta di mano in mano gli si affacciavano alla mente, preparando così la materia per la lettera allo Staccoli elio aveva in animo di stendere* 0 . Di questa lettera ò pervenuta (ino a noi la minuta autografa, che, col titolo, pur autografo, di < Scrittura sopra Bisenzio >, è nel citato Tomo (car. 3r. — \2t.) dei Manoscritti Galileiani; inoltre noi no conosciamo tre copio del secolo XVII: una, nello stesso Tomo che contiene 1’ autografo (car. 18r. — 25 L ); un’altra, in un quaderno di sedici carte non numerate, appartenente all’Archivio Bichi-Ruspoli- Forteguerri in Siena; ed una terza, nel cod. 293 (car. 45 e seg.) della Libreria del Comune e dell’ Accademia Etnisca di Cortona. Questo copie, confrontate con l’autografo, presentano non solo di quelle leggiere differenze, fonetiche grafiche morfologiche, che ò impossibile non incontrare tra manoscritto e manoscritto, ma anche diversità più gravi, concernenti ora la forma ora la sostanza, che dobbiamo considerare corno correzioni, o modificazioni, ed aggiunte introdotto dall’autore stesso e delle quali l’abbozzo non serba traccia. A noi parve pertanto clic doves¬ simo, ripubblicando la lettera sopra il Bisenzio, attenerci, bensì, alla sicura scorta della bozza autografa per tutto quel clic risguarda quelle minori varietà, ma accet¬ tare, ad un tempo, dalle copie quanto apparisce frutto di posteriori correzioni attribuibili a Galileo. Nelle varianti e nei passi nei quali abbiamo seguito le copie, abbiamo dato la preferenza, per regola, al codice Senese, clic dei tre ci parve il migliore 10 . Coiulucendo in tal modo la nostra edizione, e, forse per i primi, ap¬ profittando dell’autografo, che altri editori, a quanto sembra, si limitarono a citare, abbiamo però registrato appiò di pagina, con la sigla G, quelle lezioni dell’abbozzo che non furono introdotte nel testo, e insieme alcune varianti, alquanto notevoli, delle copie, che non abbiamo osato sostituire alla lezione dell’autografo, perchè dubitammo che fossero dovute non, come le altre, al Nostro, ma a trascuratezza o ad arbitrio dei copisti. Nel segnare tali varianti, indicammo con la sigla A la copia che ò nei Manoscritti Galileiani, con B il codice Senese, con G il Cor- tonese, e con Z 1’ accordo di A, B e (3. Anche il testo (li questa scrittura pos¬ siamo sicuramente affermare che ha guadagnato di molto sulle precedenti edizioni. Alla lettera sopra il Bisenzio facciamo seguire tre altre brevi scritture, pure Questi appunti furono dati por la prima rolta alla luco negli Inedita Galilaeiann, Frammenti tratti dalla Bibliotoca Nazioualo di Firenze, pubblicati od illustrati dal prof. Antonio Fa varo, nelle Memorie del R. Istituto Veneto di eoienze, lettere ed arti, voi. XXI, Vonozin, 1880, pag. 454-459. Il cod. -4 o il cod. D concordano nella lo- ziono quasi sempre, ma B è più corrotto. Il cod. G offro nn testo molte volto raffazzonato, a quanto sombra, arbitrariamente : singolarità notevoli di esso sono, com’ è indicato ai rospottivi luoghi tra lo va¬ rianti, Fomissiono delle lin. 16-18 doli a pag. 030, o, in conseguenza, la sostituziono di due a tre alla lin. 7 (lolla stessa pagina,o l’omissione del tratto da pag.636, liu. 11, a pag. 639, lin. 33. Il cod. G potrobbo ossoro qnollo stesso cho è ricordato dal Takoioni Tozzktti, Notizie degli aggrandimcntx delle ecienze Jieiche OCC., Tomo primo, In Firenzo, MDCCLXXX, pag. 137, noi quale la lettora allo Staocoli portava l’erronea data c 1640 », come appunto noi cod. C. AVVERTIMENTO. G17 attenenti all idraulica, le Quali stimiamo (sebbene due siano prive di data) che non si debbano allontanar troppo da quella nemmeno per il tempo della composizione. Abbiamo trovato la prima, scritta di mano di Galileo, nel più volte citato Tomo dei Manoscritti Galileiani, subito dopo gli appunti autografi relativi alla lettera allo Staccoli (car. 16 ;*.-£.). Con questi però non ha altro rapporto che quello di riferirsi pur essa a provvedimenti da prendere circa il Bisenzio e altri corsi d’acqua elio col Bisenzio hanno attinenza, intorno a’ quali provvedimenti Galileo espone il proprio parere, secondo che ne era stato ricercato (t) . La seconda è la relazione, più volte pubblicata (1) , che Galileo presentò il 22 luglio 1631, in forma di lettera, al Granduca Ferdinando, essendo stato ricer¬ cato del suo parere sopra l’invenzione di ridurre il fiume d’Arno in canale, no- vamente proposta da Gismondo Coccapani, pittore e architetto fiorentino, e in-' torno alla quale il Coccapani aveva anche steso una particolareggiata scrittura (S) . Della relazione di Galileo, di cui inanca V autografo, sono note a noi tre copie: una, che chiamiamo C, è di mano dello stesso Coccapani c si trova tra i Ma¬ noscritti Galileiani, nel volume 9° dei Contemporanci , a car. Ir. — 9r.; un’al¬ tra Gl) si leggo nel Tomo III (car. 67r. — 68A) della Par. VI pur dei Mano¬ scritti Galileiani, e la terza (iì) nel codice Riccardiano2411,a car. 182r. — 184r. Anche A ed li sono del secolo XVII, sebbene forse un po’più recenti di C; A poi è molto scorretto, o C'è più completo delle altre due copie. Noi pertanto ci siamo attenuti al cod. C; «li questo però non abbiamo riprodotto le spropositate grafie, le quali fanno credere elio il Coccapani maneggiasse meglio il pennello e le seste che non la penna. Qualche volta abbiamo corretto, con 1’ aiuto degli altri codici, anche più gravi trascorsi del bravo artefice, e in questi casi abbiamo registrata la lezione di C appiè di pagina, dove sono notate altresì le varianti più osservabili di li ed A. L’ultima scrittura che pubblichiamo è stata data in luce per la prima volta nella prima edizione fiorentina delle Opere di Galileo (V) ; e da questa noi la fi¬ rn Sul tergo dui foglio elio contiono questa scrit¬ tura (car. 17 t.) sono sognato, non di mano di Gali¬ leo, queste parole, quasi a modo di titolo: « circa il niottur il fosso in Bisenzo >. Forso talo scrittura, la quale fu pubblicata por la prima volta negli Inedita Qalilaeiana cit., png. 459-461, potrobbo aver rela¬ ziono con un disogno di lavori che fu proposto agli Uffizioli doi Fiumi noi 1631, o intorno al qualo venne deliberato il 3 luglio di quell’anno (Archivio di Stato in FircilZO, Ojjìziali dei Fiumi, Rapporti 1631, Filza 1042, o Giornale de (/li Offìziali dei Fiumi, 1630-1632, Filza 201, car. 36 1. o 37 r.). (lì Per la prima volta dal Taroioni Tozzetti, op. cit., Tomo II, Par. I, pag. 13G-138. fe molto pro¬ babile che il Taroioni si sia giovato dol codice che noi chiamiamo C, però ritoccandolo. Vedi anche ciò cho il Taroioni scrive, a proposito del codico da lui adoprato, nel Tomo I, pag. 137, dovo riporla il ti¬ tolo della scrittura, elio ò qualo si leggo noi cod. C. (3) II Trattato dì ridurre il fiume di Amo in ca¬ nale, inventato da me Gismondo Coccapani Pittore et Architetto fiorentino, di nation lombarda, ò, autografo, tra i Manoscritti Galileiani, noi volume 9° dei Con¬ temporanei, car. 62 — 121 r. Circa la proposta del Cocoapani o P intervento di Gammco, invitato dal Granduca, vedi Alcune lettere inedite di Galileo Ga¬ lilei pubblicate ed illustrate da Gilbkrto Govi, nel lìullcttino di bibliografia e di storia delle scienze ma¬ tematiche e fisiche, Tomo XVI, 1881, pag. 374—879. m Tomo lì, pag. 719-722. G18 AVVERTIMENTO. produciamo, non essendocene nota alcuna fonte manoscritta. Gli editori del 1718 la intitolarono < Lettera di Galileo Galilei in risposta al Bertizzolo », perchè il Nostro risponde in essa ad alcune considerazioni di un < Sig. Bertizzolo >, che noi ignoriamo chi fosse, le quali contrariavano allo opinioni di Galileo circa il moto dell’acque: del resto, non è, a quanto pare, in forma di lettera, e, se mai ò indirizzata a qualunque altri che al Bertizzolo, di cui si parla in terza persona Essa tratta di una questione di cui discorre anche la lettera sul Bisenzio, e noi pensiamo che possa aver attinenza con le discussioni che le nuove dottrine di Ga¬ lileo in materia d’idraulica devono certamente aver suscitato, È da considerarsi elio nel canale ac l’impeto e velocità si rappre¬ senta maggiore che nell’ ad. Ma a chi ciò paresse, domandisi quanta è maggiore la co¬ pia dell’ acqua che carica sopra lo sbocco d, che quella che carica sopra il c; la quale senz’ altro è tanta più, quanto il canale ad è più lungo dell Vie, ondo tanto è il carico nell’uno quanto nell’altro canale. Figuriamoci una campagna allagata, la quale, cessato il concorso dell’ acque, si vadia asciugando e scolando : è manifesto che gli ultimi io residui resteranno ne’luoghi più bassi; in modo che l’acqua per sè stessa si elegge il sito più opportuno per fare inondazioni al resto della campagna, o elio quel luogo per dove ella cominciò a scolare l’acque ultime, è quello che è il più naturale per smaltire tutte le altre acque sopravvenenti. Che ’l fiume ritorni indietro per lungo spazio, non importa nulla, se già non ritornasse per l’istesso canale. Circa P inegualità del fondo e ’l correr più veloce in questa parte che in quella, il considerarlo mentre l’acqua è bassa poco importa: ma quando il letto è colmo (che in tal tempo è il pericolo), le ine¬ gualità in gran parte si pareggiano, e fassi la superficie dell’acqua spianata ed uniforme ; e P esperienza mostra che quasi si ascondono le gran cadute delle pescaie. / VI. 78 (120 SCOTITURE I cespugli, inegualità e altri intoppi delle ripe ritarderebbero il corso alle materie solide elio vi urtassero dentro ; ma sondo l’acqua fluida e di parti non coerenti, ella stessa, riempiendo i cavi delle inegualità delle sponde, come anco del fondo, si fabbrica un alveo così terso o pulito, come se fusse di lame di argento bene spianato e più che brunito. Si domanda se dopo che fu allargato il letto, già 44 anni sono, il fiume foco manco danno per qualche tempo, o pure continuò di danneggiare come so non si lusso fatto niente. So il danno sciemò, adunque non viene il nocumento dalla tortuosità, la quale non si io rimosse : ma il benefizio ricevuto venne dal rimedio applicato, che fu 1’ allargamento del letto ; e forse fin ohe il letto si mantenne largo, i danni furon minori. Stante questo, veggasi chi ristrigne l’alveo, e se tal causa si può rimuovere ; che credo di no, perchè penso che le torbide lo riempino, le quali è impossibile il levare : e però sarà necessario andar di tempo in tempo levando quel soverchio che causa l’inondazione. Per ciò bisogna informarsi se per qualche tempo, dopo il rimedio fatto, lo inondazioni si mitigorno. Informarsi se Bisenzio rimane mai senza acqua corrente. £( "Ricordarsi che si dove considerare quello che fa il fiume cpiando è pieno e minaccia il trabocco, e non mentre ò basso, perchè l’ine¬ gualità di fondo e di declività allora vanno a monte. 11 declive va misurato non nel fondo del fiume, ma nella superficie superiore dell’acqua; il che è manifesto, perchè nel letto livellato una palla vi sta ferma, e 1’ acqua vi corre e si fa il declive da sè stessa. In oltre, ne’ fluidi non va la regola della declività rispetto alla velocità come no’ solidi ; come si vede in Arno, clic aggiugnondo- gli 4 braccia di declivo in 100000 di lunghezza, che per la scesa di una palla solida accrescerebbe insensibilmente la velocità, nell’acqua so la cresce a 4 doppi e più : poco dunque ini che fare il declive nella ragione dell’ accelerazione. Mettasi in considerazione che la velocità vicino al principio del moto che comincia dalla quiete, cresco con gran proporzione ; sì che ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 621 lo spazio passato nel secondo minuto m , è 3plo del passato nel primo, ma lo spazio passato, v. gr., nel 21esiino minuto, è insensibilmente più del passato nel ventesimo ; od il contunesimo accresce poco più della centesima, e manco della OOcsima parte sopra lo spazio passato nel minuto centesimo: tal che la velocità dopo un notabile accresci¬ mento si riduce vicinissima all’equabilità. Onde ne seguo clie entrando la piena con velocità somma nell’ uno e nell’ altro canale, non cresce la sua velocità nel più declive cosa sensibile sopra quello clic la cre¬ sco nel mon declive. io Considera, nello svolto curvo gli urti essere ad angoli più che ottusissimi, o però non differire dal semplice contatto fatto senza reilessione alcuna. L’ essere il letto dove più e dove men declivo non altera il corso dell’ acqua mentre il fiume è pieno, perchè 1’ acqua stessa, col riem¬ piere le bassure, si spiana il letto e se lo rende uniforme. Domandisi al Bartolotti so 1’ acqua, scendendo per un canale, si muove sempre con la medesima velocità. Bisogna rispondere che sul principio va più lenta ; e però noi muover diversi edifizii si fa scen¬ derò da grand’ altezza. Come dunque dice che dove è maggior pen¬ so denza, è maggior velocità? non possiam noi nel canal lungo trovar luogo dove il moto sia più veloco elio nel breve ? cioè verso ’l fine del lungo, rispetto al principio del breve ? non (i) Dico il Sig. Andrea Arrighetti : Nel canale diritto ab il moto è più voloco elio noi torto aedb ; sì che presa una parte del torto eguale al diritto, qual sarebbe aed, essendo di a_ egual tenuta o passando l’acqua per ab più presto, necessariamente si alzerà più nel torto, e vi bisogneranno argini più alti etc. Si risponde clic le velocità per li 2 canali saranno assai diffe- 3o retiti quando il principio del moto sia in a, ma se l’acqua averà in a (1) Da prima Galileo aveva scritto ♦ tempo * : e poi, senza cancellare quosta parola, sostituì in margine « minuto (*> Rimane così in tronco nell’autografo G22 SCRITTURE una gran velocità acquistata per moto precedente, i movimenti seguenti per i 2 canali torto e diritto saranno meno differenti in velocità, e meno e meno secondo che il moto precedente sarà più e più veloce. Si deve considerare quel che può accadere nel maggior colmo de i canali, cioè quando stanno per traboccare, perchè quello che segue nell’ acque basse non importa niente al presente caso. Ora, nel colmo dell’ acque, entrando velocissimamente nell’ uno e nell’ altro canale, conservano quasi la medesima velocità. La velocità nell’ acqua non cresco solo per 1’ alzamento che dia maggior declività, perchè alzandosi l’acqua, v. gr., d’Arno qui 10 brac- io eia, poco più velocemente scorrerebbe al mare, lontano (>0 miglia; tuttavia la velocità cresce assaissimo. Bisogna dunque investigar la causa del cacciarsi con tanto impeto le parti dell’ acqua, oltre a la velocità che depende dal declive. Vedere quello che importino gl’ intoppi opposti al corso del fiume, e considerare che possono impedire solamente quella poca acqua che tra le loro scabrosità si ritrova ; ma 1’ altra gran quantità si serve per canale egualissimo della stessa sua acqua ambiente, sì clic scorre per un letto e condotto sommamente terso c pulito. Considera 1’ equivoco del Bertolotti, o come il canale corto arre- 20 olierebbe vantaggio grande nello scaricare una palla dopo 1’ altra, sì che non si desse 1’ andare alla seconda se non dopo 1’ arrivo della prima al fine del canale, perchè così il canale che fusse lungo 10 volto più doli’ altro arebbe scaricata una palla sola mentre 1’ altro ne avesse scaricate 10 ; tal che nel corto si scaricherebbono 1000 palle, mentre nel lungo si scaricassero 100 solamente. Ma se lo scarico si farà con palle che scorrano toccandosi 1’ una 1’ altra, posto, per esempio, che la lunghezza del minor canale fusse capace di 10 palle, e l’altro canale di 100, nel minore si sarebbero scaricate 90 palle quando nel maggiore si coinincerebbe a scaricarne la prima ; ma continuandosi so lo scarico, e clic gli sbocchi si facessero con pari velocità, nel tempo che nel minore si scaricassero le rimanenti 910 palle, si scarichereb¬ bero nel grande pur altrettante 910 ; tal che finito lo scarico nel canal corto, resterebbero nel lungo da scaricarsi solamente 90 palle, ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. G23 le quali portano noi loro scarico mono che la decima parte del tempo passato nello scarico della somma intera delle 1000 nello scarico fatto nel canal corto. Ma lo scarico dell’ acquo è simile a questo secondo delle palle elio si toccano : tal che lo scarico del canal lungo non trattiene più, nello scaricar tutta V acqua della piena, che si sia quella piccola quantità che si conterrebbe di acqua stagnante nell’ eccesso del canal lungo sopra ’1 canal corto ; il quale è avanzo piccolissimo, anzi ben considerato, è assolutamente nullo, atteso che questa tale acqua non può traboccare, sondo contenuta nel letto stesso del gran io canale: e più presto apparisco che il trabocco sia tanto men peri¬ coloso nel canal lungo che nel corto, quanto il suo proprio letto è capace di contener più acqua che ’l lotto del corto. Mettasi per tanto in considerazione quanti canali di acqua pas¬ sino in una piena, e quanto poco sarebbe il guadagno di rispiar- juarsene un solo, quando puro questo si avanzasse con 1’ aiuto del canal corto, il elio, conio si ò detto, non si avanza. Dico il Bartolotti : Su bene il Fantoni suppone che Bisenzio abbia auto le medesime tortuosità, e elio con tutto ciò 50 anni fa non dan¬ neggiava, veggasi elio 44 anni fa fu allargato, e con tutto ciò in 20 breve è tornato conio prima o peggio; perché la svolta vien sempre più acuta, tal che il supposto diversifica dal vero. Dice il Bartolotti : Dove ò maggior pendenza, ò maggior velocità. Questo è falso ; perché può esser velocità non minore anco dove non è pendenza: nell’ orizontalo (w non e minor velocità che nel declive ca, anzi in tempo eguale si passa doppio spazio. E pei'ò nota che sarebbe bene dar maggior pendenza alle parti più remote dallo sbocco ; con 1’ esempio dell’ arco che si passa più presto che la corda, se ben la pen¬ so denza è la medesima e F arco più lungo. Nota che il Bartolotti dice, esser contra natura che dove è maggior viaggio o manco pendenza, lusso maggior \ elocità di corso, e sogghigno, sopra ciò doversi far gran reflessione, perché qui consiste il tutto. 624 SCRITTURE Dice il Sig. Arrighetti per il Bartolotti, prima che gl’impedi¬ menti alterano gli eventi delle cose dimostrate. Bene : ma chi vi assi¬ cura che le alterazioni caschino più a favor vostro elio mio? 2", io dico contro a quello che afferma il Bartolotti, mostrando lo ragioni addotte da esso non concludere ; e tra le ragioni che egli allega non ci fa mai menzione di impedimenti, ma dice puramente che nel canal corto e più declive si fa maggior gotto per la maggior declività, nè mai introduco impedimenti aceidentarii. 3°, la fune nel passar tra gl’ impedimenti vien ritardata incomparabilmente più dell’ acqua, per¬ chè, per essere solida, impedita la superficie, è impedito tutto ’l corpo; io ma le parti dentro alla superficie dell’ acqua si fanno tersissimo canale di essa superficie aquea ; e quell’ impedimento che potesse essere in un cannone sottile è grande rispetto a quello di un canale di un fiume, perché i solidi non seguon la proporzione delle superficie, etc. 4°, nel caso di Bisenzio non si tratta mai dal Bartolotti che ’l tortuoso e ’l retto siano nel medesimo piano. 5°, gl’ impedimenti detraggono con maggior proporzione al moto quanto più è veloce, come è manifesto; perchè se io vorrò muover per 1’ acqua un solido scabroso con gran velocità, P impedimento che vien dall’ acqua tanto sarà maggiore quanto il moto si farà più veloce. E nota elio i medesimi impedi- 20 menti trova una trave scabrosa per il canal dell’ acqua, che 1’ acqua del canale per le scabrosità della superficie di esso canale ; e però nel canal più declive, dovendo essere il moto più veloce, più viene impedito dalle sponde scabrose. Si cerca di sfuggir le spese da farsi, e non le già fatte : però domando se quando fu restaurato Bisenzio, fu proveduto alle svolte, sì che non traboccassero. Bisogna dir di sì, tal che la spesa è già fatta ; ma i ripari hanno patito ; basta dunque resarcire il danno. Già in quel tempo furono alzati gli argini tanto più nelle svolte, quanto bisognava ; e non è da credere che ora sian così demoliti, 30 che sien ridotti al pari do i più bassi, che bastavano fuor delle svolte. In oltre domando al Bartolotti s’ e’ credo che minore spesa fusse in cavare un nuovo letto e arginarlo etc., ci volesse manco spesa che a restaurare il patimento de i vecchi ; o pur se quella sarebbe una spesa 10 volte maggioro. t ATTIGNENTI ALL 1 IDHAtJLJCA. 625 Al Sig. Arrighetti dico elio il rialzamento che fa 1’ acqua impe¬ dita da svolte o altri ostacoli non cagiona alzamento in tutta la lun¬ ghezza dell’ acqua seguente, ma in piccola parte, come si vede lungo le imposte de gli archi do’ ponti molto manifestamente, che mostrano un tale effetto ab: che se l’alzamento si compartisse per tutte le seguenti parti conforme alla linea cd, non si discernerebbe differenzia nessuna lungo le imposte ; ma si vede la sciesa distintamente. Si spianerebbe loia superficie cd se 1’ acqua stessi forma; ma nel corso veloce veggasi quel che fanno i cavalloni, e come si alzano molto c abbassano molto in brevissimi spazii, così, —— -- 7 v - effetto che non farà mai 1' acqua stagnante o lentamente mossa. AL MOLTO ILLUSTRE ED ECCELLENTISSIMO SIG. RAFFAELLO STACCOL1 auditor della camera del serenissimo gran duca. Molto Illustro od Eccellentissimo Signore Colendissimo, Sotto ’1 dì 22 di Dicembre mi fu significato da V. S. molto Illustre ed Eccellentissima, esser volontà del Serenissimo Gran Duca nostro Si¬ gnore, die per li 26 detto, insieme col Sig. Giulio Parigi e con li 2 in¬ gegneri Bartolotti e Fan toni, io dovessi intervenire in una visita del fiume di Bisenzio, per sentire le relazioni de i detti ingegnieri e poter io poi col Sig. Parigi referire quanto ci paresse giusto in questa mate¬ ria, che verte intorno alla resoluzione da pigliarsi per rimediare a i danni che detto fiume apporta a i terreni adiacenti etc. Tale visita fu poi differita per le cause ben note a V. S. Eccellentissima : tra le quali una fu, che per avventura dal vedere ed esaminare alcune scrit¬ ture fatte da i detti ingegneri e sopra di esse dir nostro parere, si potrebber sopire quelle difficoltà e controversie che rendono dubbii quelli a i quali sta il determinare e risolvere quanto si deliba fare. Per lo che, avendo io veduto quali siano i pareri delli 2 ingegneri, dirò, con quella più chiarezza e brevità che mi sarà possibile, 1’ opi- 20 niou mia intorno a questa materia, stata sempre da me tenuta per difficilissima e piena di oscurità, e nella quale sono stati commessi molti equivoci ed errori, e massime avanti che i professori fossero stati resi cauti da gli avvertimenti del M. R. P. Abate Don Benedetto 5. Sotto li 20 Dicembre, 0 — 13. poi manca in G. — Eccellentissima manca iti G. 14. «mi è, che, G — 17. quelli a chi sta, G — 19- con quanta più chiarezza c brevità mi sarà, G — 20. siala tenuta sempre da me, G — f>28 SCRITTURE Castelli, in quel suo libretto veramente aureo che Sua Paternità scrisse e pubblicò 3 anni sono intorno alle misure dell’ acque correnti. È stato il parere dell’ ingegner Bartolotti, ed in una sua scrittura P espone, di ridurre una parte del fiume, che corre con molte tor¬ tuosità, in un canal diritto, stimando di potere in questa maniera ovviare alle inondazioni. Esamina P ingegner Fantoni tale scrittura, e molto avvedutamente gli oppono : replica P ingegner Bartolotti alle opposizioni, cercando di sostenere esser il consiglio suo P ottimo che prender si possa in questo partito. Ora, perchè io inclino nell’ altra opinione, che è di lasciar in loro essere le tortuosità e far quei restau- io ramenti che propone P ingegner Fantoni, anderò esaminando P ultima replica del Bartolotti, mostrando, per quanto potrò, quanto facil sia P abbagliare in questi oscurissimi movimenti dell’acque. Persisto dunque P ingegner Bartolotti in reprovar come inutile ogni provedimento elio si facesse, fuor che quello del levar le tor¬ tuosità, riducendo il fiume in un canal diritto, con dire, il rimedio pro¬ posto dall’ ingegner Fantoni esseri» stato fatto altre volto, cioè 44 anni fa, ed essersi pur ritornato al medesimo stato di prima. Ma io vorrei sapere se la restaurazione fatta in quel tempo nel fiume così tortuoso fu di qualche profitto, o pur del tutto inutile ed 20 infruttuosa. Non credo clic si possa dire che ella fusse totalmente vana, perchè nè P altro ingegnere la proporrebbe, nè ci sarebbe al¬ cuno del paese che non reclamasse a tal proposta. Se dunque i prov¬ vedimenti furou giovevoli, e furon fatti senza rimuover le tortuosità, adunque P esser dopo qualche tempo ritornati i medesimi danni non depende dalle torture, ma da altra cagione ; elio in somma si trova esser che il letto si è ripieno e ristretto, c questo mediante le tor¬ bido che vanno deponendo : c perchè il rimediare alle torbide e lor deposizione è impossibile, però bisogna contentarsi ed accomodarsi a dovere di tempo in tempo rimuovere il deposto. In oltre, se già si 30 vede che le provisioni fatte nelle tortuosità giovano, e di questo siamo 1. suo manca in G. — 1-2. scrisse e manca in G.— 7-8. replica a tali opposizioni Vin¬ gegner Bartolotti, G 8 9 Vottimo che far si possa in questo proposito, G; V ottimo che prender si possa in questo particolare .0 — 11. esaminando questa ultima, G — 13. Vabbagliare nell’in¬ telligenza di questi , G — dell' acqua, G — 14. dunque inanca in G e C. — 14-15. inutile c vano ogni* G—15. si faccia , G —15-16, tortuosità e ridurre il fiume in un canal dritto, dicendo, il rimedio, G — in canal, f — 19-21. le restaurazioni fatte ... furono ... inutili ed infruttuose, G — 21-22. che le fussero in tutto vane, G — 22. wè V ingegner Fantoni le proporrebbe, G — 23. a una tal, Lt 28-29. e lor deposizione manca in G; e loro deposizioni, C — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 629 fatti sicuri dall’ esperienza, perchè si deve tentare un rimedio dubbio e che potrebbe, oltre al non apportar giovamento maggiore allo sfogo dell’ acque, arrecar altri accidenti dannosi, itili quali l’antiveder nostro non ha potuto forse arrivare? Ma dirà qui il Bartolotti, avei’e esso scorti vantaggi tali nel canal diritto o breve, che l’inducono ad attenersi a tal partito : e però noi anderomo conseguentemente esaminando essi vantaggi, cioè quelli che egli stesso produce. E perchè il medesimo afferma, di più, ne i vantaggi che appresso siamo per esaminare consister tutta la somma di questo io negozio, e le altre coso esser tutte pannicelli caldi (che così le nomina) e altorcazioni di poco momento e da non lo finir mai, però in questi ci fermeremo, o gli andererno resecando al vivo con flemma e curio¬ sità, e non senza speranza di poter arrecar qualche giovamento, col mostrar, conio pur di sopra ho detto, quanto sia facile l’equivocare o l’ingannarsi. l)a quanto scrive l’ingegner Bartolotti circa questa materia, si raccoglie due esser le principali o massime imperfezzioni le quali egli attribuisce al canale tortuoso, e delle quali, per suo parere, manca il canale diritto, mentre amendue si partano dal medesimo principio 20 e vadano a terminare e sboccare nel medesimo fine, sì che la total pendenza e declività sia l’istessa in quello ed in questo. La prima delle quali è, che dovendosi distribuire l’istessa pendenza in un canal lungo, quale necessariamente è il tortuoso in comparazion del retto, le parti di esso vengono meno inclinate, ed in consequenza il moto fatto in esse più lento, o lo scarico dell’ acqua più tardo. La seconda è, che 1 ’ acqua, ripercotendo nelle svolte del canal tortuoso, vien ribat¬ tuta e grandemente impedita nel suo corso : tal che venendo ritar¬ data doppiamente, cioè per la poca pendenza e per gl’ incontri delle torture, più facilmente rigonfia e trabocca sopra gli argini, o gli so rompe ed allaga le campagne adiacenti. Ora, per più chiara intelli¬ genza di ciò che in tal materia mi occorre dire, andrò separando e 3. dell’acqua, G — 4. no» ha forse potuto arrivare, G — 5. Dirà qui l’ingegner Bartolotti, G -5-6. canal retto e breve, (i — 6-7. a cotal partito: e noi onderemo, G /-8. che esso mede¬ simo produce. E perche egli stesso afferma, ne i vantaggi, G —11. e alterazioni di poco, A 16. scrive ’l Bartolotti circa questo particolare, G — 21. ?» questo ed in quello, A, 13 25. in esse riesce più lento, G — e lo scarico dell’acqua piu tardo manca in G ; e lo scarico del- V acque, A, G —27-28. doppiamente ritardata, G — 30. Galileo nel cod. G prima scrisse le campagne adiacenti, poi, avendo dovuto trascrivere il medesimo passo sul margine del loglio, trascrisse i campi adiacenti. — 31. di quello che, G — andererno separando, G 030 SCRITTURE dividendo 1’ una dall’ altra di questo duo imperfezioni, considerando prima quello olio arrechi di tardità al moto la sola istessa declività, ma compartita in un canal lungo, in comparazione della velocità che F istessa pendenza induce in un canal corto, posto che amendue fosser diritti ; di poi andremo esaminando quali e quanti siano gl’ impedi¬ menti delle tortuosità. Quanto al primo, io produrrò tre proposizioni, le quali non dubito che nel primo aspetto parrei.)bon gran paradossi a chiunque le udisse dire: tuttavia procurerò di renderle credibili, sì come in effetto son veraci. E prima, dico che in 2 canali de i «piali la total pendenza sia io eguale, lo velocità del moto saranno eguali, ancor che 1’ un canale sia lunghissimo e 1' altro breve. Dico secondariamente, che in questi medesimi canali con egual verità si può diro, il moto esser più veloce nel meno inclinato, cioè nel più lungo, che nel più corto e più inclinato. Terzo, dico che le diverse velocità non seguitano la proporzione delle diverse pendenze, come par che l’ingegner Ihirtolotti stimi, ma si diversificano in infiniti modi anco sopra le medesime pendenze. Vengo alla prima proposizione: per dichiarazione e confermazione della quale non credo elio dall’ ingegner Bartolotti nò da altri mi 20 sarà negato, verissimo essere il pronunziato di colui che dirà, le velo¬ cità di due mobili potersi chiamare eguali non solamente quando essi mobili passano spazii eguali in tempi eguali, ma quando ancora gli spazii passati in tempi disegnali avessero tra di loro la proporzione de i tempi de’ lor passaggi ; e così, per esempio, quello che in 4 ore andasse da Firenze a Pistoia non si può chiamar più pigro di un altro che in 2 ore andasse da Firenze a Prato, tutta volta che Pistoia fusse lontana 20 miglia o Prato solamente 10, perchè a ciascheduno tocca sottosopra ad aver fatto 5 miglia per ora, cioè avere in tempi eguali passati spazii eguali. E però qualunque volta 2 mobili, scen- 30 dendo per 2 canali diseguali, gli passassero in tempi che avessero la medesima proporzione che le lunghezze de gli stessi canali, si potranno veracemente chiamare, essere egualmente veloci. Ora bisogna che 2. 1’istessa sola declività, G — 4. corto, rimosse le tortuosità, cioè posto, G—7. io pro¬ durrò due proposizioni, C. (Jfr. lin. lli-18, in queste varianti. — 7. le quali credo che, G — 8. dire manca in G. — 10. la totale inclinazione sia, G — 13-14. con non minor verità, G — 16-18. Manca in 0. — 23. mobili passassero spazii, G —27. andasse a Prato, G — 32. di essi canali, G — 32-33. si potranno veramente [veramente si potranno, 0] chiamare, A, 0 —33. essere stuli egualmente, G — Ora qui bisogna, G — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 631 quelli a i quali sin qui è stato ignoto, sappiano che 2 canali, quanto si voglia diseguali in lunghezza, pur che le totali pendenze loro siano eguali, vengono dall’ istesso mobile passati in tempi proporzionali alle loro lunghezze : come, per esempio, posto che la linea retta BD sia il livello o piano orizontale sopra il quale si elevino i 2 canali diritti e diseguali BA, maggiore, e CA, minore, do i quali le totali pendenze siano eguali, cioè mi¬ surate dalla medesima perpendicolare AD, dico che il tempo nel quale un mobile scenderà dal io termine A sino in B, al tempo nel quale il me¬ desimo scenderà da A in C, arà la propor- zioue medesima che gli stessi canali, cioè sarà tanto più lungo (pianto il canale AB è più lungo dell’AG: e questa è proposizione da me dimostrata ne i libri do i moti naturali e do i proietti : ondo resta manifesto, le velocità pur amendue i canali esser sottosopra eguali, lo ben comprendo donde ha origine l’ equivoco che altri piglia ntdlo stimar falso quello che io affermo per vero; per lo che in’ ingegnerò di rimuoverlo. Dico uno : Come non si muove più velocemente, v. g\, una palla 20 per il declivo AG elio una simile per l’AD, se, quando quella, par¬ tendosi dal punto A, sarà arrivata al termine G, questa non averà passata una parte della AB a gran segno grande quanto AC? Ma questo concedo io por verissimo, e consequentementc concedo ancora che quando la velocità nel resto della linea AB fusse quale nella prima parte verso il principio A, il moto resolutamente e con assoluta verità si dovrebbe chiamar più lento per AB che per AC. Ma per levar le tende all’ equivocazione, dico che la fallacia del discorso depende dal figurarsi con errore i movimenti fatti sopra esse linee AB, AC come equabili ed uniformi, e non come inequabili e continuamente acce¬ so levati, quali sono in effetto : ma se noi gli apprenderemo quali sono di 2 mobili che, partendosi dalla quiete nel punto A, vanno succes¬ sivamente aqquistando maggiori e maggiori gradi di velocità, secondo la proporzione che veramente osservano, troveremo esser vero quanto io affermo. In dichiarazione di che, è primieramente da sapersi che un mobile grave, partendosi dalla quieto e scendendo per un canale 2-3. in lunghetta, ma di total pmdenta eguale, G— 22-23. quanto AG? E questo, G 27-28. depende dal pigliar con errore , G — 31-32. vanno necessariamente aggiustando, Z 632 SCRITTURE diritto, in qualsivoglia modo pendente, o vero cadondo a perpendi¬ colo si va con tal proporzione accelerando, che dividendo il tempo della sua sciesa in quali e quanti si voglino tempi eguali, come, v. gr., in minuti di ora, so lo spazio passato nel pi imo minuto sarà, por esempio, una picca, il passato nel secondo minuto sarà 3 picche, nel terzo minuto passerà 5 picche, nel quarto 7 ; e così successivamente gli spazii passati ne i sussequenti minuti andranno crescendo secondo i numeri dispari 9, 11, 13, 15 etc. E questa pure ò delle proposi¬ zioni vere e da me dimostrate. Ripigliamo adesso la medesima figura di sopra, nella quale il io canale AR sia, per esempio, lungo il doppio dell’ altro AC ed inten- dansi 2 mobili, quali sarebber 2 palle, scender liberamente per essi, e ponghianio, il mobile nel più declive AC in un minuto d’ ora avere sceso una picca: (u ara, nel secondo minuto, passato 3 picche, nel terzo 5, nel quarto 7, come di¬ mostrano gli spazii notati e se¬ gnati con i numeri 1, 3, 5, 7 ; e così in 4 minuti averà passato tutto ’l canale AC, posto che sia 20 lungo picche 16. Ma P altra palla nel canal AB, pivi lungo il dop¬ pio, ed in consequenza la metà men declive, pongasi essersi mossa la metà men veloce (c questo conforme al vero ed all’ opinione del- l’ingegnerò), sì che nel primo minuto abbia passato meza picca ; ma continuando di accelerarsi conforme alla regola assegnata e dimo¬ strata, passerà nel secondo minuto 3 meze picche, nel terzo 5, e con- sequentemcnte negli altri minuti, 7, 9, 11, 13, 15 meze picche. E per¬ chè nel canale AC si contengono picche 1, 3, 5, 7, che fanno la sopra detta somma di picche 16, nell’ altro AB, che è doppio dell’AC, con¬ viene elio in numero sieno picche 32, cioè meze picche 64, quante 30 appunto sono le notate 1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, passate in 8 minuti di tempo; e le 16, contenute in AC, passate in minuti 4; dal che è manifesto, le velocità ne i 2 canali interi esser sottosopra eguali, 1. modo inclinato, 0 vero, G— 3-4. eguali, quali sarebbero, v. g., minuti, G — 4-5. per esempio, una canna, G —5 .3 canne, G — 6. 5 canne, G —8. 13 etc., G— 14. d’ora manca in G. — 17. e nel quarto, A,B — 28-29. che in tutto son sedici, G — 29. doppio di esso AC, G — 30-31. 64, e tante sono, G — 33. le velocità de i 2, G — U) Cfr. voi. Vili, pag. 401. ATTENENTI ALT,’ IDRAULICA. 633 poi die nell’ uno si passano 16 picche in 4 minuti, e nell’ altro 32 in 8 : se bene è anche vero, per sodisfazion della parte, che la velo¬ cità nell’AC è maggiore, poi che nel tempo che il mobile partendosi da A ha passate le 16 picche AC, 1’ altro passa solamente le 16 supe¬ riori meze picche. Ma è ancor vero, all’ incontro, che in altrettanto tempo si passano le 48 meze picche, cioè le 24 intore, inferiori verso B ; sì che con altrettanta verità si potrà dire, il moto per AB esser più veloce che per AC, che era la seconda proposizione che io avevo proposto di voler dimostrare. Concludiamo per tanto, che pigliandosi io i canali interi, le velocità in amendue sono eguali ; ma nella parte superiore del canal lungo (che in questo esempio è solamente la sua quarta parte) il moto è più tardo, ma nelli 8 / 4 rimanenti è altrettanto più veloce, passandosi nell’ istesso tempo spazio una volta e mezo mag¬ giore di tutto ’l canale AC. E perchè per lo scarico di una piena si ha da considerare il corso dell’ acqua per tutta la lunghezza del canale, non mi par che resti più luogo all’ ingegnere di dubitare che (per quanto depende dalla maggiore o minor lunghezza, minore o maggior pendenza delle parti de i canali) tanto scarica il più lungo e men declive, quanto il più corto e più pendente, cioè tanto il tor- » tuoso quanto il diritto. E qui non voglio lasciar di mettere in considerazione a V. S. Eccel¬ lentissima, come potrebbe essere che alcuno, equivocando per un altro verso, prendesse errore, mentre si persuadesse non esser possibile che passando un mobile con tanta maggior velocità il canal più corto e più pendente, non si avesse per esso a scaricar maggior quantità della medesima materia, ed in più breve tempo, che per il più lungo e meno inclinato. Al che io rispondo, e con particolare esempio dichiaro, che dovendo noi scaricar, v. gr., m /io palle d’ artiglieria con farle passare per questo so o per quel condotto, ed essendo che una palla scorre il breve in un minuto di tempo, ma il lungo in 2 minuti, è vero e manifesto che quando lo scarico s’ avesse a far d’ una palla per volta, sì che non si lasciasse andar la seconda sin che la prima non fusse giunta al fine del condotto, nè la terza se non scaricata che fusse la seconda, e così conseguentemente tutte, 1’ una con tale intervallo dopo 1’ altra, 19. e men declive manca in G. — e pia pendente manca in G. —33-34. non fusse condotta ai fine , A, Li ; non fosse al line . 0 — r>34 SCRITTURE torno a replicarci die è vero die lo scarico per il condotto breve si farebbe nella metà del tempo die per il lungo : ma se le palle si lasciassero andare 1’ una dopo 1’ altra senza spazio intermedio, sì die si toccassero, il fatto succederebbe d'altra maniera. Perchè posto, v. gr., che la lunghezza del canal corto funse capace di una fila di 100 palle solamente, ed il canal lungo di 200, è vero che il corto arebbo sca¬ ricate le sue prime 100 palle quando il lungo comincerebbo a scaricar la sua prima ; ma continuandosi poi lo scarico, e deponendosi le rima¬ nenti palle con egual getto da amendue i condotti, si troverà il canal breve non si essere avvantaggiato in tutto lo scarico salvo che di 100 io delle "'/io palle, perchè 100 sole resteranno da scaricarsi nel canal lungo, finito che sia tutto lo scarico nel corto : e così P avanzo del tempo non sarà della metà, ma di un centesimo; e di meno ancora sarebbe, quanto maggiore fusse il numero delle palio da deporsi o scaricarsi. Ora, lo scarico dell’ acque si fa in questa seconda maniera, cioè con esser perpetuamente le succedenti parti contigue alle prece¬ denti ; talmente che lo scarico fatto per il canal corto non si van¬ taggia (essendo la metà del lungo) di altro che di una sola sua tenuta d’ acqua, e duri la piena quanto si voglia. Veggasi ora quante di tali tenute passano nel tempo che dura essa piena, e si conoscerà P avanzo 20 esser tenuissimo, anzi pure esser nullo e di nissun rilievo, sì la prima tenuta che scarica anticipatamente il canal corto, come di nessun danno P ultima che resta nel canal lungo, perchè i danni non ven¬ gono dalle prime acque die cominciano a alzare, nè dall’ultime che si partono, ma da quelle di mezo, mentre il fiume è nel suo maggior colmo. Anzi, quando si 111 il civanzo fusse di considerazione, P utile si trarrebbe dal canal maggiore, essendo che P acqua che in esso si con¬ tiene, come più lontana dal trabocco, quanta più sarà, tanto ci scan¬ serà dui danno. Da quanto sin qui ho detto, panni elio assai manifestamente si 30 scorga che il vantaggio il quale l’ingegnerò si prometteva dalla bre¬ vità del canale e dalla maggior pendenza, non sia so non debolis¬ simo, anzi nullo. Ma la sua nullità molto più ancora si estenua (se però il niente è capace di diminuzione) mentre che io leverò certa 2. nella metà meno del tempo , G — 3-4. si toccassero, il caso succederebbe, (r —10-11. di 100 pai le delle perche, G —14. sarebbe, quando maggior, Z—14-15. e scaricarsi manca in G. — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 635 supposizione ammessa sin qui a favor della parte, la quale nel nostro caso non lia luogo. Ed il supposto ammesso gratis è tale. Si è couceduto come universalmente vero, che nel canale la metà più corto, e di parti il doppio più pendenti, il moto sia, almeno nello prime parti del canal lungo, più tardo il doppio che nel canal corto ; poi che si è veduto che nel tempo che ’l mobile passa le 10 picche assegnate per la lunghezza del canal corto, nel lungo non si passano più che 10 meze picche. Ma ciò non avviene se non quando il suo moto comincia dalla quiete : ma se i mobili entreranno ne i 2 canali io mentre amendue abbiano già impresso un comune grado di velocità, 1’ accelerazione che se li aggiugnerà, mercè delle pendenze diseguali de i due canali, non saranno altramente più tra di loro differenti, come se si partissero dalla quiote ; e lo spazio che si passerà nel canale lungo, nel tempo che si passa tutto il corto, non sarà sola¬ mente la metà della lunghezza del corto, ma più e più secondo che T impeto e la velocità comune precedente sarà stata maggiore e mag¬ giore : nella maniera che segue. Ripigliamo la precedente figura, dove si era concluso che, posti i mo¬ bili nel termine A in quiete, e di lì scendendo per i canali AG, AB, nel 20 tempo elio il mobile per AC .avesse pas¬ sato tutto lo spazio AG, 1’ altro per AB non arebbe passato più che la quarta parte di esso AB, che è la metà di AG ; cioè, come allora si esemplificò, in AC si passavano 1G picche in 4 minuti, ed in AB 8 solamente. Ora ponghiamo elio i mobili entrando, per il comun ter¬ mine A, 1’ uno nel canale AB, e 1’ altro nell’AC, si trovino non in quiete, ma, per aver già scorso per altro 30 canale AE o per qualsivoglia altra cagione, già impressi di tal grado di velocità, che con quello passassero, v. gr., 10 picche per minuto, che sarebbe il passar comunemente 40 picche in 4 minuti : aggiun¬ gaci al mobile che scorrerà per AG le 16 picche da passarsi, mercè della nuova pendenza, in que’ 4 minuti, ed al mobile per AB le 8, 8-9. Ma ciò non accade se non quando il moto, G — 24-25. in AG si passe)anno 16pic¬ che, 7, — 33-34. mercé della nuova pendenza manca in G. — 34. ed al mobile AB le 8 clic, B ; e al mobile AB otto picche che, 0; ed al mobile che scorrerà per AB le otto che, A vi. 80 636 SCRITTURE che passerebbero quando partissero dalla quiete in A ; ed averemo che 1’ un mobile per il declive di AC passerebbe 56 picche, mentre P altro por la pendenza simile alla AB ne passerebbe 48 : e cosi si fa manifesto che la velocità per AC non sarà più doppia della per AB, ma sesquisesta, cioè la sesta parte solamente di più. E se noi faremo la precedente comune velocità essere ancor maggiore, la dif¬ ferenza per i canali si farà ancor minore ; si come è manifesto che ponendo, v. gr., che nell’ entrare i mobili per i canali AB, AC si tro¬ vassero aver impeto di far 50 picche al minuto, la velocità per AC non differirà dalla velocità per AB più di quello che differisca 216 io da 208, o vogliàn dire 27 da 26. Veggasi adesso, se nel tempo delle piene, cioè de i colmi altissimi, P entrata dell’ acqua per il canale, o corto e più pendente, o lungo o di minor pendenza, si faccia come dall’ uscita d’ un lago quieto, o pur se tal ingresso sia impetuoso e velocissimo, che senz’ altro lo troveremo sommamente veloce, e però di guadagno o scapito o nullo o insensibile, il quale possa provenire dalla maggiore o minor pendenza, la quale anco non può esser se non pochissima rispetto alla lunghezza de i canali. Di qui si vegga quanto sia sottile il filo di queste pendenze, dal quale pendeva la soma o la somma di questo negozio. Ma voglio che 20 con altra sottilità P assottigliamo ancor più, mostrando come questa decantata pendenza non ha quella assoluta autorità di decretare in questa causa, quale comunemente mi par che gli venga attribuita, e spezialmente dall’ ingegner Bartolotti, mentre egli regola il più e ’l men veloce corso de i fiumi dalla sola maggiore e minor pendenza. La quale limitazione io stimo non esser interamente adequata all’ef¬ fetto, nè tale che (come scrive P ingegnerò) oltre a quella non si possa assegnar altro : perchè, se, come egli asserisce, i laghi mancano di moto, ed i fiumi si muovono, perchè questi hanno pendenza, e quelli ne mancano ; ed oltre a ciò alcuni fiumi corrono con velocità mag- 30 giore, ed altri più lenti, solo per esser quelli più e questi men declivi, e non per altro ; ne seguiterebbe che dove non è pendenza, già mai 1. clic passerelle quando partisse, A —11. Dopo lo parole 27 da 26 il cocì. C continua: Altre considerazioni poterci produrre : via mi pare che il detto fin qui sia assai ecc., proseguendo con quel che si legge a pag. 640, lin. 1 e seg., e omettendo tutto il tratto intermedio. — 12. l'entrata per il, A, B — 14. d’un lago quiescente, G — o pur l’ingresso, A, B —16. o nullo o insensibilissimo, che possa, G — 17-18. o minor declività, la quale anco non può tutta insieme esser se non, G —19. Veggasi adunque quanto sia, G — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA, 637 non fu sso moto, e dove la pendenza non è maggiore, mai non fosse maggior velocità, e dove le pendenze lusserò eguali o la medesima, quivi fusse sempre la velocità eguale, ed in somma che le velocità gì andassero regolando secondo la proporzione delle pendenze : le quali consequenze ben seguono ne i mobili solidi, ma ne’ fluidi credo che procedano assai differentemente. Dichiarerò quello che trovo accadere ne i solidi, per vedere se l’istesso accaggia ne’ fluidi. E prima, per solido voglio che intendiamo una palla di metallo durissimo, perfettamente rotonda e pulitissima, e che ci figuriamo il io canale, dove si deve fare il moto, pur di materia solida ed esquisi- tamente pulito e terso. In questo canale, se sarà locato in perfetto livello orizzontale, si che manchi del tutto di pendenza, non è dubbio elio posatavi la detta palla, resterà in quiete, trovandosi indifferente al muoversi più innanzi che in dietro, o vogliamo dire perchè moven¬ dosi non aqquista migliore stato, poi che non si appressa al centro, dove la natura sua, come grave, la tira. Ma così non avverrà del- 1’ acqua : perchè so noi ci immagineremo esser quella palla una mole di acqua, si dissolverà, e verso 1’ una parte e 1’ altra scorrerà spia¬ nandosi ; e se le bocche del canale saranno aperte, scolerà fuora tutta, 20 salvo che quella minima particella che riman, solamente bagnando il fondo del canale. Ecco dunque che anco nel canale che manca di pendenza, e dove i corpi solidi stanno fermi e quieti, i fluidi si muo¬ vono. È anco assai manifèsta la cagione del muoversi, essendo che l’acqua nello spianarsi aqquista, avvicinandosi più le sue parti al centro, ed ella stessa si fa in certo modo pendenza ; servendo le sue parti inferiori per letto declive alle superiori, o vogliàn dire sdruc¬ ciolando le parti superiori sopra le inferiori. E qui comincia a farsi manifesto come non è la pendenza del letto o fondo del canale quella che regola il movimento dell’ acqua. Veggiamo ora quello che avviene so ne i canali di pendenze varie, e quali siano le differenze di velocità in ossi. Di sopra si è esaminato quello che accade di 2 canali di lunghezza diseguale, ma di egual pendenza, dichiarando che i tempi de’ pas¬ saggi per ossi hanno fra di loro l’istossa proporzione che le loro lun- 2-3. la medesima, sempre fusse la velocità, (1 —12. manchi totalmente di pendenza, G — 13. che postavi la detta, A, B —18. e verso Vana e V altra parte, G <— 32-33. Ai lunghezza disegnali, A, B — SCRITTURE ghezze. Ora convien determinare de i canali egualmente lunghi, ma di pendenze diseguali: ne i quali dico che i tempi de i movimenti fatti per essi hanno la proporzione suddupla di quella che hanno le lor pendenze contrariamente prese. Ma perchè questi termini son forse alquanto oscuri, è ben dichiarargli. Però segneremo due canali egual¬ mente lunghi AB, AD, ma di pendenze disuguali, sì che il più inclinato sia l’AD ed il meno AB, . / e sia la pendenza dell’ AD determinata dalla per- B * .. /- c pendicolare AE, e quella di AB dalla pei’pendi- / f colare AO ; o pongasi, per esempio, tutta la io pendenza di AD, cioè la perpendicolare AE, im- 11 h portare 9 soldi, e la pendenza di AB, cioè la perpendicolare AG, esser soldi 4 : dico, che essendo le pendenze tra di loro nella proporzione di 9 a 4, la proporzione do i tempi ne i quali i mobili passeranno i canali AB, AD esser non come 9 a 4, ma come 9 a 6, pigliando tra 9 e 4 il numero medio proporzionale, che è 6 (perchè sì come il 9 contiene il 6 una volta e mezo, così il 6 con¬ tiene il 4 ; e questa proporzione del primo numero a quel di mezo si chiama appresso i geometri suddupla della proporziono del primo al terzo numero) ; dico per tanto che la proporzione de i tempi de i ao passaggi per i canali AB, AD sarà come 9 a 6, ma contrariamente presi ; cioè che il numero 9, pendenza del canaio AD, determina il tempo della sciesa non per esso AD, ma per AB, ed il numero medio, cioè il 6, determina il tempo della sciesa per AD ; sì che il tempo per AB al tempo per AD sarà come 9 a 6, quando le pendenze di AD e di AB siano come 9 a 4. La dimostrazione di questa proposizione è pur posta da me nel mio trattato del moto, e tanto si rincontrerà puntualmente accadere nel moto de i corpi solidi ; ma non già così risponderà ne i fluidi, ne i quali si vede far grandissime variazioni di velocità non sola- so mente per piccolo accrescimento di pendenza che si faccia nel letto del canale, ma ancor che questa non si accresca punto, e pochissimo quella della superficie superiore dell’ acqua. Imperò che se conside¬ reremo qual accrescimento di pendenza possa arrecare al nostro fiume 4. forse sono, G — 10-12. per esempio, tutta la perpendicolare di AD, cioè AE, impor¬ tare, B; per esempio, tutta la perpendicolare AI' importare, A — ltì. e 4 un numero, (ì — 21. come i numeri 9 e 6, G— 33-34. so noi considereremo, G — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 639 d’Arno 8 o 10 braccia che egli si alzi qui da noi, da compartirsi in CO miglia di lunghezza, quale è quella del suo alveo sino alla sua foce, non ha dubbio che piccolo dovrebbe esser 1’ agumento della velocità sopra quella che le sue acque hanno mentre son basse, le quali forse non si conducono al mare in 50 ore, dove nelle piene alte arrivano per avventura in manco di 8 ; che regolandoci secondo la ragione della semplice pendenza accresciuta, tal differenza di tempo dovrebbe esser pochissima: perchè, posto che la pendenza del letto del fiume nel tratto di G0 miglia, che sono braccia "'iso, sia, v. gr., io braccia 100, e tale sia della superficie dell’acqua bassa, nelle piene sarà 108 ; onde, conforme alla regola dell’ accrescimento di velocità, pigliando fra 108 e 100 il numero proporzionale di mezo, che è meno di 104, la velocità nella piena dovrebbe avanzar quella dell’ acque basse di manco di 4 per 100 ; e così se l’acqua bassa corre al mare in 50 ore, nella piena dovrebbe mettervene 48 e più ; ma ella ve ne metterà meno di 8. Bisogna dunque ricorrere ad altro, per causa del grande agumento nella velocità, che al solo accrescimento di pen¬ denza, e dire che per una delle potenti cagioni è che, nell’ accrescer in tal modo la pendenza, si accresce sommamente la mole e ’l cumulo 20 dell’ acqua, la quale, gravando e premendo sopra le parti precedenti col peso delle sussequenti, le spinge impetuosamente : cosa che non accade ne’ corpi solidi, perchè quella palla sopranominata è sempre la medesima in tutte le pendenze, e non avendo agumento di mate¬ ria sopravegnente, tanto solo più speditamente si muove nel canale più inclinato, quanto il meno inclinato gli detrae più del suo peso, ed in consequenza del momento, che la spigne a basso. Ora, perchè nell’ accelerazione del corso delle acque più colmo poca parte vi ha la maggior pendenza, e molta la gran copia dei- fi acqua sopravegnente, considerisi che, nel canal corto se ben vi è so maggior pendenza che nel lungo, fi acque inferiori del lungo si trovali ben tanto più caricate dalla maggior copia dell’ acque superiori pre¬ menti e spingenti, dal quale impulso può soprabbondantemente esser compensato il benefizio che potrebbe derivare dalla maggior pendenza. Altre considerazioni potrei produrre per dichiarar maggiormente ancora, la brevità del canale non essere apportatrice di quel bene- 2. del suo canale sino, G — 12. che sarà meno, G — 15. mettervene più di 48, G — 16. manco di ti, G — 17. che all’accrescimento, A, 13 — 26. che lo spigne, G — 28. poca parte ve n’ ha, A, B G40 SCRITTURE fizio elio altri si immagina ; ma mi pare che il dotto sin qui sia assai quanto a questa prima parte. Per lo che verrò alla seconda, esaminando gl’ incomodi elio molti stimano provenire dalle tortuosità del canale. Quanto alle tortuosità e flessioni del canale, io non sarei spu¬ gnante a concedere, che quando elle fusser fatte di angoli rettilinei, e massime se fussero acuti o retti o anco presso che rotti, il ritar- damonto del corso fusso considerabile, o anco notabile ; ma quando gli angoli fussero ottusi, ancor che contenuti da linee retto, erodo bene che ’l ritardamelo sarebbo poco ; ma quando il fiume andasse, conio si dice, serpeggiando, e che le storto fussero in arco, credo io resolutamente che l 1 arresto sarebbe quasi che impercettibile : o quello che mi muove a così credere ò questo. Nel canale diritto, per concessione dell’ ingegner Bartolotti, o credo di ogu’ altro, nissuno ostacolo trova 1’ acqua corrente ove per- quotero, e però non vien doviata o impedita dal suo corso. Ma so il canale si romperà, piegandosi ad angolo acuto o retto, come dimo¬ stra la presente prima figura, nella sponda ABC, non ò dubbio che 1’ acqua che scorreva lungo la riva Ab, intopperà nell’ opposta BC, rice¬ vendo notabil ritardamento nel reflottere il suo 20 corso lungo la bC ; ma è anche manifesto, clic so la flessione AbO fusse ad angolo ottuso, come dimostra la seconda figura, per venir l’acqua men deviata dal precedente corso lungo la ripa Ab, assai più age¬ volmente si svolgerà secondando la bC ; e di mano in mano, quanto più 1’ angolo che la sponda bt' la sopra la AB sarà ottuso, tanto più facile sarà il volgersi l’acqua, attalchè il piegarsi per un angolo ottusissimo sarebbe senza vermi contrasto o renitenza, e però senza diminuzione alla velocità. Ora notisi, prolungando la linea AB in 1), so che l’angolo acuto Obi) è quello che determina la deviazione della linea Cb dalla dirittura di ABI); il quale angolo quanto più sarà stretto, tanto più 1’ ot¬ tuso AbC sarà largo, e la flessione più dolco e facile. Notisi per 2. parie. Però verrò, G — 11. l’arresto e ritardamento sarebbe, <ì — quasi che nel cod. G fu aggiunto in margina da Galileo, e manca in Z. — 19. intopperà nella HI', G — 19-20. rice- t tendo qualche ritardamento, Z. Così aveva scritto dapprima anche Galileo in G, ma poi corresse qualche in notabil. — 29. ed in consequenza senza, G H4. sarà aperto, e In, G — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 641 tanto il terzo canale ABC, piegato in arco sopra ’l punto B secondo la circonferenza BC, e prolungando a dirittura la retta AB in D, si osservi quanto sia grande l’angolo CBD, il quale, come è noto a chi possiede i primi elementi della geometria, è minor di qualsivoglia angolo acuto rettilineo; per lo che resta chiaro, l’inflessione che si fa nel punto B dall’arco BC sopra la retta AB, esser più ottusa di tutti gli angoli ottusi rettilinei, ed in somma il passaggio per il punto B dalla io retta AB nell’ arco BC non esser sensibilmente differente dal cammino diritto. E se noi piglie¬ remo qualsivoglia altro punto nell’arco BC, qual sia, per esempio, il punto E, tirando la retta tan¬ gente EF, aremo parimente 1’ angolo CEF minor rettilinei, e la flessione delle 2 parti di arco BE, CE nel punto E niente differente dal camino per BE e per la retta EF. E perchè questo medesimo accade in ogni punto della circonferenza BEC, però possiamo concludentemente affermare, insensibile esser la difficultà nella conversion del corso dell’ acqua dal 'canal retto AB per il 20 curvo ABEC, e però impercettibile il ritardamento. Qui potrebbe per avventura far difficoltà 1* ingegnerò, opponen¬ dosi con dire che il mio discorso sia concludente solamente in quella parte d’ acqua che vien rasentando la sponda ABEC, ma non già nelle parti di mezo, quali sono le GE, le quali, venendo impetuosa¬ mente a dirittura percuotono nella parte opposta E, e sopra la tan¬ gente FE costituiscono 1’ angolo rettilineo GEF, al quale si può dir che sia eguale il misto GEO, e però apportatore di impedimento al corso. A questo si risponde che ciò potrebbe accadere nel tempo che 1’ acqua fusse bassissima, sì che qualche rivoletto separato scorresse so per mezo del canale ; ma quando 1’ alveo sia pieno (che è quello stato che noi solo consideriamo), nel piegarsi che fanno le parti del- 1’ acqua prossime alla sponda ABE, conviene che le propinque sue laterali si pieghino esse ancora e vadano cedendo ed accomodandosi alla medesima svolta. Ma quando pure l’impeto e l’incontro le ren¬ desse alquanto contumaci, che danno ne potrebbe seguire ? Io non 15-1G. nel punto E non punto differente, G — 22. concludente solo in, G — 26. costituiscono angolo, G — 30. V alveo sarà pieno, G — di tutti gli acuti 642 SCRITTURE veggo altro, che il fare alquanto più violenza nella sponda opposta circa ’1 punto E, ondo fusse bisogno fortificarsi un poco più con gli argini in quel luogo cho ne gli altri : e forse potrebbe accadere che l’acqua regurgitando rigonfiasse alquanto su la svolta ; ma questo nou diminuirà punto la sua velocità, perché tal alzamento gli ser¬ virà per far divenir la sua pendenza maggiore nella parte del canale seguente EC, dove, col crescer velocità, verrà a compensare il ritar- damento patito sul principio della svolta, operando un effetto simile a quello che noi giornalmente veggiamo accadere ne i fiumi assai colmi, mentre noi passar sotto gli archi de i ponti, urtando nelle io pile o imposte di essi archi, gli convien ristrigner 1’ acque, lo quali, rialzandosi nello parti di sopra, si fanno pendenza tale sotto li archi, che, correndovi velocissimamente, senza scapito alcuno continuano il corso loro, nò consumano un sol momento di tempo di più nel loro intero viaggio, che se avessero auto il canaio libero. Io so, Eccellentissimo Signore, cho in questa mia scrittura sono alcune proposizioni, le quali, per aver nel primo aspetto sembianza di paradossi e di impossibili, mi manterranno, anzi mi accresceranno, nel concetto di molti 1’ attributo che mi vien dato, di cervello stra¬ vagante e vago di contrariare alle opinioni e dottrine comunemente 20 ricevute anco da gli stessi professori delle arti; e per questo non mi è ascoso che meglio sarebbe (conforme a quell’ utile documento) tacer quel vero che ha faccia di menzogna, cho, pronunziandolo, esporlo alle contradizioni e impugnazioni, e tal volta anco alle derisioni, di molti. Tutta via in questo ancora sono di parer diverso dal comune, e stimo più utile il proporre ed esporre allo contradizioni pensieri nuovi, che, per assicurarsi da i contradittori, empier le carte di coso trascritte in mille volumi : ed in questa occasione V. S. mi riceva 0 mi spacci per censore, offizio che pur viene ammesso nella repub¬ blica, e forse tra i più utili e necessarii ; e quollo cho ho detto e so quel che son per dire sia ricevuto non come parto della mia ambi¬ zione, acciò che ’1 mio consiglio sia anteposto a i pareri do i più intelligenti di me, ma come nato dal desiderio di essere a parte nelle migliori deliberazioni se non positivamente, almeno negativamente, cioè con 1’ avere additati quelli inconvenienti che si devono fuggire ; 4. rigonfiasse gualcite poco su la svolta, G — 20. Tutta via anco i n questo sono, G — 30-31. e questo che ho detto e son per dire, G — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 643 e vagliami il protesto e la dichiarazione che fo, d’ esser meno intel¬ ligente de gli altri, a poter più liberamente portare in mczo le mie fantasie. Tornando dunque su le tortuosità del fiume, dirò un altro mio concetto, il quale penso che sia per giugner nuovo ed anco esorbi¬ tante all’ ingegnerò, e forse a de gli altri ; ed è questo : che, posta l’istessa pendenza tra due luoghi tra i quali si abbia a far passare un mobile, affermo, la più spedita strada e quella che in più breve tempo si passa non esser la retta, ben che brevissima sopra tutte, io ma esservene delle curve, ed anco delle composte di più linee rette, le quali con maggior velocità ed in più breve tempo si passano. E per dichiarazione di quanto dico, segniamo un piano orizontale secondo la linea Ali, sopra ’1 quale intendasi elevata una parte di cerchio non maggiore di un quadrante, o sia OFED, sì che la parte del diame¬ tro DC, che termina nel toccamento C, sia perpendicolare, o vogliamo diro a squadra, sopra la orizontale Ali ; e nella circonfe¬ renza CFE prendasi qualsivoglia punto E : dico adesso, che posto che E fusse il luogo 20 sublime di dove si avesse a partire un mo¬ bile, e che C fusse il termine basso al quale avesse a pervenire, la strada più spedita e che in più breve tempo si passasse non sa¬ rebbe per la linea o vogliati dire per il canale brevissimo EC, ma preso qualsivoglia punto nella circonferenza F, segnando i 2 canali diritti EFC, in più breve tempo si passeranno questi che il solo EC; e se di nuovo no gli archi EF, FC si noteranno in qualsivoglia modo 2 altri punti G, N, e si porranno 4 canali diritti EGFNC, questi ancora si pas¬ seranno in tempo pili breve che li 2 EFC; e continuando di descrivere so dentro alla medesima porzion di cerchio un condotto composto di più e più canali retti, sempre il passaggio per essi sarà più veloce, e finalmente velocissimo sopra tutti sarebbe quando il canale fusse curvo secondo la circonferenza del cerchio EGFNC. Ecco dunque trovati canali che hanno la medesima pendenza (essendo compresi tra i mede¬ simi termini E, C), e che son di differenti lunghezze, ne i quali i tempi 5. concetto che penso che sia, G —6. all’ingegner Barlolotli, G —18-19. punto E: dico, G, Z 23. in manco tempo, G — 27. si notassero, G — 28. e si ponessero, G — 28-29. si passerebbero, G — 644 SCRITTURE de’ passaggi sono (al contrario di quello che comunemente si stime¬ rebbe) sempre più brevi ne i più lunghi elio ne i più corti, e final¬ mente lunghissimo è il tempo nel brevissimo, e brevissimo nel canale lunghissimo. E queste son conclusioni vere, e da me dimostrate ne i sopradetti libri del moto. Questo che io dico è vero universalmente, non solo quando la superficie del quadrante DCFE frisse eretta a squadra sopra 1’ ori- zonte AB, ma anco quando fusse quanto si voglia inclinata, pur che il punto E sia elevato più del C, acciò vi sia qualche pendenza, e che la EI), perpendicolare alla CD, sia posta parallela all’ orizon- io tale AB. Ma per levar in parte 1’ ombra che nel primo pronunziare di tal concetto forse occupò la mente dell’ uditore, rappresentandolo come paradosso e manifesto impossibile, consideriamo quello che ac¬ cade ne i canali segnati, e come nel principio loro, sotto ’l punto E, l’inclinazione del canale EF è maggiore che quella del canale EC, sì che l’impeto per quella deve esser maggiore che per questa : e tale ancora deve continuarsi per tutto il tratto FC ; che se ben poi la pendenza nella parte FC è minore della pendenza EC, tutta via la velocità già concepita, per il vantaggio di EF, è più potente per conservar 1’ aqquisto fatto, che non è la declività della rimanente 20 parte di EC a ristorare il danno della perdita già fatta. Vedesi pari¬ mente che nelle altre figure, composte di più linee, la pendenza supe¬ riore è sempre maggiore, e finalmente nell’ istesso quadrante è mag¬ giore che in tutte le altre figure. Avevo pensato in questo luogo di tacer altro accidente più strano in aspetto, e che maschera il vero con faccia di menzogna più che 1’ altre cose dette ; ma già che mi viene in taglio, dicasi, e gl’ incre¬ duli aspettinne in breve la dimostrazione concludente con necessità, onde essi restino appagati ed io sincerato e conosciuto per veridico. È parsa esorbitanza il pronunziare che i due canali EFC si so passino in manco tempo che ’l solo EC ; ma quale assurdo parrà il sentire che amendue si passino più presto che un solo di loro ? cioè 2. ne i più lunghi c più lunghi che ne i più corti, G — 2-4. e finalmente tardissimo nel cortissimo, e velocissimo nel lunghissimo, Z — 18. paradosso e grande esorbitanza, conside¬ riamo, G — In luogo delle lin. 25 e seg. lino a tutta la lin. 3 della pag. 645, uel cod. G si legge: Avevo pensato di tacere che il medesimo mobile passa in più breve tempo i 2 canali FF, FG partendosi da JS, che tl solo FC partendosi da C [sic], come pure io dimostro: ma già che mi è scappato della penna, restici, c siami ascritto tra le altre stravaganze . — 27. già che ne viene ■il taglio, C — 30. È parso esorbitante, G — 32. che uno di loro, A — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 045 che partendosi il mobile dal termine E, in tempo più breve si con¬ duca al termine C per li due canali EFC, che per il solo FG parten¬ dosi dal punto F ? E pure tal accidente è vero. I)a quanto ho di sopra detto, voi’rei che i signori ingegneri e periti ne cavassero un avvertimento (ma forse di già 1 ’ hanno osser¬ vato) circa il compartir la pendenza ne i canali e letti de i fiumi : che è di non la distribuire egualmente per tutto, ma andarla sempre diminuendo verso il fine del corso. Come, per esempio, dovendosi cavare un alveo di fiume dal principio À sino al termine C, tra i io quali estremi sia la pendenza notata AB, io non giudicherei P ottimo compartimento di essa pendenza esser il distribuirla per tutto egualmente, cavando il fondo del letto se¬ condo la linea ÀDC, sì che le sue parti tutto fussero egualmente inclinate, la qual linea non sarebbe retta, ma colma in mezo, do¬ vendo quasi secondare la curvità del globo terrestre ; ma crederei esser meglio fare il compartimento secondo la circonferenza ÀEC, cioè dando maggior pendenza nelle parti verso A o diminuendola 20 sempre verso il fine C, dove non arei per disordine quando bene per qualche spazio P acqua dovesse andar senza pendenza, nè temerei che olla fusse per allentare il suo corso, essendo sicuro che nel piano orizontale (quando non vi siano impedimenti esterni ed accidentarii) la velocità concepita dal mobile nel moto precedente sopra un piano declive si conserva uniforme, e tale che nel piano passerà spazio doppio del passato nell’ inclinato in tempo eguale al tempo del passaggio per P inclinato, mentre il suo principio fu dallo stato di quiete, come io dimostro nel mio sopranominato libro del moto. E qui voglio mettere in considerazione, come il temere che un’ acqua so corrente, nel passare per una parte del suo canale la quale avesse minor pendenza che le parti precedenti, possa ritardare il suo corso e farla rigonliare e finalmente traboccare, è, s’io non m’inganno, timore soverchio e vano, perchè io stimo che non solo la minor pen- 2-3. partendo dal punto F, C — 4. Da quanto ho detto, G — 5. V hanno di già, G — 7. non la compartire egualmente, G — 8-9. dovendo cavare, G — 9-10. di fiume dal termine A sino al G, tra i giudi termini sia, G —17. secondare quasi, G—19. cioè manca in G. — 21. senza pendenza alcuna, nè, G — 27. mentre ... quiete manca in G. — 27-28. come io pur dimostro del mio, G — 32. e finalmente farla traboccare, A — 33. e vano manca in G. — perchè io credo che, G — 046 SCRITTURE (lonza non ritardi l’impeto concepito nella precedente maggiore, ma che nò anco il puro livello sia bastante a ritardarlo. E per dichia¬ rarmi, posto il canale inclinato AB, per il quale sia scorso il mobile, e che oltre al B deva passare nella parte BC meno inclinata, dico A . che la velocità concepita per AB non si diminuirà altramente nel seguente ca¬ nal BC, anzi continuerà di crescere so vi sarà punto di pendenza, o si conserverà quando sia posto a livello. Dubito bene che potrebbe forse accadere che alcuno io con un poco di equivoco si persuadesse che diminuendosi la pendenza in BC in relazione ad AB, si dovesse anco diminuir la velocità; cosa cho è falsa in relazione al corso precedente per il medesimo canaio AB, ma ben è vera in relazione a quello che seguirebbe nel canale BD, continuato all’AB con l’istessa pendenza. Ritarderà dunque il mobile il corso che farebbe per BD, ma non il fatto per AB, anzi seguiterà di accrescerlo, ma ben con proporzion minore. Però il dubitare che per le svolte, lo quali nel canale che va serpeiulo possono aver minor pendenza che altre parti cho più si distendono, secondo la inclinazione del piano ao suggetto, si possa far tal diminuzione di velocità, cho l’acqua trat¬ tenuta rigonfi e trabocchi, 1’ ho per evento da non temersi, perché non è vero cho la velocità si scemi, anzi siva sempre agumentando; se già la svolta non fusse tale, che convertisse la pendenza in salita, al qual caso converrebbe provedere : ma non credo che ciò avvenga nel fiume di Bisenzio, nel quale l’acqua, ancor che bassa, si muove sempre : oltre che il colmo alto trova ben esso modo di farsi la pen¬ denza, dove ne fusse scarsità o mancamento. Io arei alcune altre considerazioni da proporre intorno ad altri particolari ; ma perchè la somma del presente negozio, come pruden- 8° temente nota l’ingegner Bartolotti, consiste in questo punto princi¬ palissimo, sin qui assai ventilato, mi riserberò ad altra occasione a discorrer circa tal materia più copiosamente, non convenendo anco 3. sia corso il mobile, Z—4. nella parte men declive BC, G — 5-6. non diminuirà, G — 7. anzi crescerà , G — 13. velocità: il che è falso, G — 14. precedente per AB, G — 14 15. e vero in, G — 15-16. in relazione al conseguente che seguirebbe per la BD, continuata alla AB, G — 18. con minor proporzione, G — 20. distendano, G — 20. ancor che bassissima, G — 30. del negozio, G — 32. sin qui assai ventilato manca iu G. — ATTENENTI ALE’ IDRAULICA. 647 il tener V. S. Eccellentissima, occupata sempre in negozii gravissimi, più impedita in cose meno importanti. Dirò solo, per concluder qual¬ cosa intorno alla deliberazione da prendersi per il restauro del fiume di Bisenzio, che io inclinerei a non lo rimuovere del suo letto antico, ina solo al nettarlo, allargarlo, e, per dirlo in una parola, alzar gli argini dove trabocca e fortificargli dove rompe. E quanto alle tor¬ tuosità, se ve n’ è alcuna oltremodo cruda, e che con qualche taglio breve e di poco incomodo e danno alle possessioni adiacenti si possa levare, la leverei, ben che il benefizio che si possa ritrarne non sia di gran rilievo. Ci sono molte altre incomodità e difficoltà quasi insuperabili, pro¬ mosse e messe in considerazione dall 1 ingegner Fantoni nella sua scrit¬ tura, le quali non mi è parso di dover replicare, ma solo confermarle come importantissime nel presente negozio. Questo che ho dotto è stato per obbedire al cenno del Serenissimo Gran Duca nostro Signore, significatomi da Y. S. molto Illustre ed Eccellentissima, alla quale, dedicandomi e confermandomi servitore, con reverente affetto bacio le mani e prego felicità. Da Bellosguardo, li 16 di Gennaio 1630. 1. occupatissima, G —3. circa la deliberazione, G — 7. alcuna che sia oltremodo, G — 9. ancor che il benefizio, G — Nel cod. G mancano le lin. 11-14, e dopo di gran ri¬ lievo (lin. 10) continua: Ho detto guanto al presente mi è parso oportuno per obbedire al cenno del Serenissimo Gran Duca nostro Signore, significatomi per lettera da V. S. molto Illustre ed Eccellentissima, alla quale confermandomi servitore devotissimo, con reverente affetto bacio le mani [e] prego felicità. Da Bellosguardo, li 13 <’> di Gennaio 1630. G. G. —19. Nel cod. C la lettera ha, per errore, la data il dì 16 Gennaro 1640. — IO A quanto sembra, prima Galileo aveva scritto * Il » che poi corresse in *13 ». Veduti li G punti che si propongano, e ricercato del mio parere intorno di essi ; quanto al primo, nel quale si propone di metter il fosso reale in Bisenzio vicino alla bocca d’Arno, dove al presente egli vi entra assai più alto, e questo acciò che abbia maggior caduta e maggiore scolo ; dico che non mi pare altramente che se gli accre¬ sca nulla di caduta oltre a quella che ha di presente : imperò che quella caduta che averà dal principio del suo taglio alto sino al- 1 ’ entrata bassa in Bisenzio, la medesima ha egli dal medesimo taglio sino alla medesima entrata scorrendo per Bisenzio ; tal che quella io caduta che par che se gli accrescessi col nuovo taglio, non è altra che quella che di presente egli ha nell’ istesso Bisenzio. E tutta volta che in quel pezzo di fosso che resta tra Bisenzio e ’l principio del nuovo taglio, ha la sua pendenza a proporzione di quello che ave- rebbe il nuovo fosso sino alla bocca bassa, dove si rimetterebbe in Bisenzio, non si può dire che se gli cresca pendenza, poi che se gli cresce lunghezza con la medesima proporzione. Quanto al secondo punto, concorro che le cateratte fatte all’ en¬ trata del fosso in Bisenzio rimuovino il danno delle torbide d’Arno; ma questo è un rimediare a uno inconveniente che seguirebbe allora, che 20 è cosa diversa da i disordini presenti. Circa ’l terzo, mi occorre due che il ponte canale (invenzione veramente bellissima) servirà per dare il transito all’ acqua del fosso reale sotto ’l fosso di S. Moro ; ma che questo possa dare maggiore scolo all’ acque dell’ Ormannoro, mi resta assai dubbio. 650 SCRITTURE ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. Intorno al quarto, concorro al tutto; cioè di restaurare gli argini ed alzargli, anche manco di quello che si propone, con allargar 1* alveo etc. Approvo, intorno al quinto punto, tagliar gli alberi delle sponde e rimuover gli altri impedimenti nominati, fuori che il levar la pescaia del mulino, atteso che il danno che nel presente caso possa derivar da lei lo reputo piccolissimo. Imperò che è vero che la pescaia trat- tien P acqua o la fa rialzare mentre il fiume è basso, e per ciò in tal tempo se ne cava benefizio per il macinare, sostenendo P acqua poca e bassa e facendola rigonfiar quelle 2 o 3 braccia, onde poi, cadendo, io acquista forza per fare andar le roste del mulino ; ma quando il fiume è colmo, e che di assai altezza sopraffà la pescaia, non credo che P intoppo di quella progiudichi cosa di momento al corso del fiume : ed il caso nostro verte solamente in cercar di rendere il corso spe¬ dito nell’ acque altissime. Quanto al sesto, P ovviare che sopraggiugnendo le piene di Bisen- zio, proprio non trovino occupato parte dell’ alveo loro da P acque dell’ Ormannoro, possa esser di qualche poco di profitto, come si pro¬ pone, concorro a dire che tal giovamento sarebbe poco, anzi pochis¬ simo, e quasi insensibile. E qui è da notarsi quel gravissimo errore 20 non stato avvertito da alcuno degl’ ingegneri antichi e moderni, ma scoperto dal M. II. Padre D. Benedetto Castelli nel suo trattato del corso de’fiumi : il quale errore era, che entrando un fiume in un altro con acqua che sia, v. gr., la terza parte di quella del princi¬ pale, debba accrescergli la terza parte di più della prima altezza ; cosa che è falsissima, imperò che P acqua sopravveniente, con alzar la prima, gli dà tanto maggior pendenza ed impeto, cioè velocità, che amendue si smaltiscono e scaricano con poco più di alzamento. Onde, al nosti’o proposito, quell’ acqua dell’ Ormannoro la quale averà alzato quella di Bisenzio avanti P arrivo della sua piena, per essem- so pio, un braccio, non importerà talvolta in far ricrescer la soprave¬ gnente piena di Bisenzio 4 dita : con tanta furia correrà quella di Bisenzio, e porterà seco quella dell’ Ormannoro. Serenissimo Gran Duca, In esecuzione del comandamento di V. A. S. ho veduto la scrittura di M. Gismondo Coccapani, fatta in esplicazione di quanto egli pre¬ tende d’ aver nuovamente trovato in proposito di poter ridurre il fiume d’Arno in canale, sì che sia navigabile dalla sua foce sino a Fiorenza, ed insieme liberar lo campagne adiacenti dalle inondazioni non solo che da esso derivano, ma ancora da quei fiumi e torrenti che in lui si scaricano ; ed oltre alla scrittura ho sentito il medesimo autore in voce, e veduto in modello parte dei suoi pensieri. E perchè io l’Altezza Vostra ricerca sopra tale invenzione il mio parere, questo liberamente e sinceramente gli espongo. Quattro mi si rappresentano esser i punti principali che nel pre¬ sente caso ò necessario che siano esaminati. Il primo è se l’invenzione sia nuova, sì che il privilegio conceduto all’ autore sia valido. Il se¬ condo è se si possa restar sicuri, che dal mottei’la in atto no seguino i promessi e desiderati effetti e benefizii. Il terzo è vedere se, nell’ ef- Iu capo alla scrittura, noi cod. 0 si leggo: Copia della scrittura che detto il Sig. Ga¬ lileo Galilei sin sotto li 22 di luglio 1631. Al Sig. Raffaello auditore Staccoli; e nei cod. R od A: Relazione del Sig. Galileo Galilei a Sua Altezza Serenissima sopra [di Galileo Galilei fatta a Sua Altezza sopra, cod. A] il modo di ridurre Arno in canale, ritrovalo [trovato, cod. A] da Gismondo Coccapani, pittor [pittore, cod. A] fiorentino. 1. Manca in R o in A. — (i. ed insieme liberi le, C — 9. e veduto il modello c parte, R, A. Nel cod. A pare che e davanti a parte sia cancellato. —10. sopra di ciò il mio, R — 13. è necessario esaminarsi, R; è necessario essere esaminati, A — Il primo, se, R, A — 14-15. Il se¬ condo, se, R, A —15. se possa, G — restar sicuro, R, A — 16. Il terzo, vedete [sic] se, A — vi. 82 652 SCRITTURE fettuarla, si debba o non debba temere intoppi e diffieultà insu¬ perabili, sì per causa dell’ artifizio stesso, sì ancora per la spesa, se fusse di tanto superiore all’utile elio non mettesse conto l’applicar¬ vi, e finalmente per i reclami e aggravi de’ particolari, sopra i quali la benignità del principe non usa esercitar l’assoluto imperio. Nel quarto luogo vi è da considerarsi il tempo nel quale coniet- turalmento si potrebbe sperare che l’opera lusso ridotta all’intera perfezione, in modo che i promessi comodi ed utili si potesser godere. Quanto al primo, essendo che i mezzi dei quali l’autore si serve per effettuar 1’ opera sono molti o varii, e pure in tutti i tempi pas- io sati si è atteso alla restaurazione e correzione dei fiumi, ò impossibile elio alcuno dei detti mezzi non sia stato altre volte e da altri ado¬ perato : ma perchè alcuni, e tra questi il principale, sopra ’l quale vien fatto il maggior fondamento, a me giungono nuovi, stimo che 1’ autore sia meritamente stato privilegiato. Quanto al secondo, facendomi prima scudo del detto ricevuto da tutti i sapienti, elio (le fiduris coniingcnlibus non est determinata veritas, e liberamente dicendo clic non terrei ad assicurar nessuno di quello che sia per operare un morso sopra un torrente, forse per natura indomito e sfrenato, dirò che il pensiero dell’autore, tra quelli che 20 dall’ artifizio umano possono essere effettuati, mi si rappresenta più riuscitale di ogn’ altro, come quello che veramente mi par che cor- regga errori importanti, sin qui (che io sappia) non avvertiti da alcuno. Quanto al terzo, nel quale 3 punti vengono in considerazione ; circa ’l primo, non iscorgo nell’artifizio stesso incontri o impedimenti insuperabili, poi che non si hanno a tagliar montagne, o riempier valli, o seccar laghi ; intorno poi alla spesa, o a i reclami degli aggra¬ vati, non so ne può recar giudizio so prima, sopra una pianta esat¬ tamente di tutto ’l fiume levata 0 disegnata, non si notano e misurano no tutti i luoghi dove si devono far alterazioni, con aggiugnere, levare, fortificare ed altre mutazioni. Resta il quarto punto, per mio parere principalissimo, atteso che so in nessuna impresa da mettersi in esecuzione si ricerca prestezza, 1. intoppo o dif/icultà, R, A — 4. e se finalmente, C — di particolari, 0 — 6. Il quarto r considerare [ti considerare, A] il tempo, R, A -9-10. l’autore si vale per, R, A — 16. riceuto, 0 — 25. nel quale manca in 11. — 80. notorio, C — 32. e fare altre mutazioni, R — ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. 653 questa del correggere il corso di un fiume quale è questo, mi pare che’l richiegga più che molte altre: e sì come quando si potessero mettere al lavoro, come potettero in fabriche immense antichi signori di regni amplissimi, centinaia di migliaia di schiavi, io non ci penserei punto di mettermi all’impresa e ne spererei felice esito, così l’avere a esporre a moltissimi assalti del lìuine iracondo ripari imperfetti, mi arreca qualche spavento. E con questa occasiono mi viene considerato, come il tempo con¬ ceduto all’ autore, di dover dentro al termine di 2 anni aver dato io saggio della riuscita della sua invenzione, altramente il privilegio a’ intenda annullato, ò veramente spazio troppo breve, perchè appena credo che possa bastare a levar la pianta e diligentemente livellare l’alveo e ietto di un fiume die pur si stende intorno a 00 miglia: le quali due operazioni vengono rese difficultose e prolisse dal non potere esser esercitate fuor che in alcuni mesi dell’ anno, o quelli anco incomodi rispetto a i caldi. Aggiugnesi che noi tempo presente il porsi a tale impresa è molto pericoloso, dovendo per necessità pas¬ sare, ed anco fermarsi ed alloggiare, in luoghi contagiosi, onde non si possa talmente sfuggire il commercio, che non si resti in pericolo. 20 E se, doppo levata la pianta e livello, si vorrà sopra la pianta dise¬ gnare tutte lo mutazioni da farsi, per ritrarre il giudizio dello spese, e dei danni e degli acquisti, e poi sperimentar la riuscita dell’inven¬ zione sopra una parte del fiume, che sarà cominciando sopra la pescaia di Rovezzano sin sotto quella della Porta al Prato, non credo che tal fattura possa spedirsi in manco di 5 o G anni, perchè li anni di questo negozio sono di 3 mesi l’uno. 2. richiegga molto giù, A — 3. gli antichi signori, Il — 4. io non penserei, R, A 5-6. cosi avendo a esporre, R, A — 8. occasione vie» da me considerato, R —12. bastare per levar, II, A —13. si estende, R, A — circa a sessanta, R; circa CO, A — 15-16. anno, incomodi, R, A — 16-19. Dii Aggiugnesi a, pericolo malica in 11 e in A. — 20. la pianta e (o, A) livelli, 11, A — 20 -21. si verrà sopra la pianta a disegnare, 11, A — 21. per ridurre il giudizio, 11, A — 25. in meno di, 11, A — Tra fi anni e perche nel cod. 0 si leggo o mesi, ma queste ultime parole sono distinte con un segno, elio, a quanto sembra, indica clic si debbano levare. — 25-26. perchè ... l ’uno manca in R e in A. — Molto vivamente e con gran sottigliezza risponde il Sig. Bertizzolo alle mie difficoltà per mantenere in piede la sua conclusione, che secondo che cresce l’altezza dell’ acqua sopra il medesimo declive, o per conseguenza la gravità, debba ancora crescere la celerità del suo moto ; il che era stato da me messo in dubbio, pigliando occasione di dubitare da quello che vedo per esperienza farsi nelli altri movi¬ menti naturali, ne’ quali i mobili omogenei, ancorché disegualissimi in mole, e per conseguenza in peso, si muovono tuttavia con pari velocità, come ciascheduno può ad ogn’ ora vedere in due palle di io ferro o d’altra materia grave, delle quali una sia grandissima e l’altra piccolissima, che cadendo a perpendicolo, ovvero sopra il medesimo piano inclinato, si muovono colla medesima velocità: del quale effetto, come altra volta dissi, ne ho ancora trovate due dimostrazioni, lo quali però tralascio al presente, potendosene tanto facilmente vedere mille esperienze, le quali prego il Sig. Bertizzolo a vedere, acciò non abbia a negare quello che è più chiaro che il sole. Ma perchè, rispon¬ dendo, sottilmente soggiugne che i predetti mobili diseguali, quando non avessero l’impedimento dell’ aria, non pure si muoveriano dise- gualmente, ma che manterrebbero anco nelle loro velocità la propor- 20 zione medesima che fosse tra le gravità loro, quasi che dal mezzo detta proporzione venga alterata ; avendo io opinione in ciò molto diversa, e facendo questa considerazione molto a proposito al moto dell’ acque, il quale non ha repugnanza d’altro mezzo, mi ci fermerò alquanto : e dirò che indubitatamente stimo che in uno spazio dove G56 SCRITTURE non fusse resistenza alcuna del mezzo, non solamente i gravi disegnali ed omogenei, ma ancora gli eterogenei, si niuoveriano colla medesima prestezza, sicché non più velocemente discenderebbe una gran palla di piombo, che una di leggiero legno. Al che credere mi muovo per due ragioni, fondate pure sopra l’esperienza. E la prima è questa: che io vedo mobili eterogenei, come sariano due palle, una di piombo o 1’ altra di pietra, muoversi con velocità disuguale, e tal disugualità esser maggiore ne i mezzi più gravi e resistenti che ne i più sottili o leggieri ; e così il piombo e la pietra con gran disegualità vanno al basso nell’acqua, e con pochissima io differenza nell’ aria, e con minore, per conseguenza, amleriano in un mezzo più raro, c filialmente con nessuna nel vacuo. L’altra mia ragione è questa, clie è pur fondata sopra l’esperienza: clic se funse vero che le velocità no’ movimenti naturali seguitassero la proporzione della gravità de’ mobili, ogni volta elio l’impedimento del mezzo non P alterasse, adunque tutta volta die si potesse levare tale alterazione del mezzo, seuz’ alcun dubbio si doveria coll' esperienza poter vedere la detta proporzione: ora, tanto è vero elio si levi assolutamente l’impedimento del mezzo, quanto il fare elio i mobili non ne vengano impediti più P uno che P altro ; il che (piando fusso, dovriano detti ai mobili diseguahneute gravi mostrar nella loro velocità la proporzione die hanno in gravezza : al che però non accorda P esperienza. La quale potremo fare pigliando due palle di mole uguali, ma di peso inuguale, come saria una di piombo e l'altra di legno, le quali, quando sieno in grandezza uguali, saranno di [teso disuguali, sicché quella di piombo potrà pesare talvolta trenta volte più di quella di legno : se dunque queste due palle uguali in mulo si lasceranno cadere da un’ altezza, v. g., di cento braccia, già il contrasto dell' aria sarà il medesimo all una ed all’ altra, sicché saranno come denudate dall’ impedimento esterno e solo prevaierà in loro la virtù motiva so che viene dalla gravezza ; per lo che se fusse vero P assunto del Sig. Bertizzolo, doveria quella di piombo muoversi 30 volte più veloce dell’ altra, sicché quando quella di piombo avesse finito il suo moto, P altra dovria essersi mossa per poco più di tre braccia : il che è tanto falso, che non pure, mentre che il piombo averà camminato le cento braccia, il legno ne averà camminate tre o quattro, ma ne averà anco passate più di 98, ed in somma con pochissimo intervallo sarà ATTENENTI ALL’ IDRAULICA. G57 prevenuto dal piombo. Onde io concludo, potersi senza fallacia affer¬ mare, la proporzione delle velocità de’ diversi mobili, omogenei o ete¬ rogenei, o uguali o disuguali, non aver clic far niente colla proporzione delle gravità loro, ed esser grandemente minor di quella; e perché è piccolissima tal differenza ne’ mezzi pieni, dove il mezzo impedisce un poco più il men grave, stimo che nel vacuo, o dove non fusse tal impedimento, quella non saria cosa alcuna, ma di tutti i mobili saria la velocità medesima. Nè sono li esempi di pietre e colonne tagliate addotti da me fuori di proposito; perchè, essendo stato profferito dal io Sig. Bertizzolo 1’ assioma universalmente, che crescendo la gravità debba crescere il moto, doveria verificarsi in tutti i particolari, il che non fa nelli esempi addotti : anzi dirò di più, non si verificare nè anco nell’acqua, nè accadere a quella altro da quello che accada agli altri mobili naturali, cioè die sopra il medesimo declive con tanta velocità anderà un’ acqua alta 100 braccia, con quanta una che sia alta un solo. Ma perchè (come anco accennai nell’altro mio discorso) mi si potria instare coll’esempio del corso de’ fiumi, i quali, crescendo l’altezza dell’acque, vanno sempre più rapidamente, e vedo che il Sig. Bertizzolo si riduce a questa esperienza,, però son contento di so allargarmi un poco più e scoprire quale sia la causa di questo effetto, da me molto bene osservato. Dico, dunque, die le acque de’ fiumi, quando o per pioggie o per nevi disfatte si alzano, non crescono per tutto ugualmente ; anzi se lontano dal mare, dove si scaricano, 20 o SO miglia si alzano 10 o 12 braccia, intorno alla foce, dove entrano in mare, non si alzano nè anco un sol braccio, come ciascuno può aver osservato. Il che se è così, chi non conoscerà che questo è un accrescer grandemente il declive ? e crescendo tanto questo, non sarà necessario che cresca ancora il moto? certamente sì. Però se alcuno vorrà pervia d’espe- 8o rienze mostrare che alzandosi l’acque, ancorché si muovano nel mede¬ simo declive, debba crescer la loro velocità, bisognerà ricorrere ad altro esempio che a quello de’ fiumi, ne i quali non è possibile alzar 1’ acque per tutto ugualmente, come dovria farsi se si ha da man¬ tenere la medesima decaduta e provare clic l’altezza dell’acqua faccia crescere la velocità sopra il medesimo declive. E per avventura un’espe¬ rienza opportuna per veder ciò saria la seguente. Sieno due canali serrati AB, CD larghi ugualmente, ma sia il CD due volte più alto 65« SCRITTURE ATTENENTI ALL’IDRAULICA. dell’AB, ed abbiano la medesima inclinazione, e da vene inessiccabili passino per essi acque dalle pai’ti B, D verso A, C : è manifesto che se 1’ altezza maggior dell’ acque accresce sopra il medesimo de¬ clive la velocità del moto, doverà il canale Cl) render quattro botti d’acqua in quel tempo che l’al¬ tro AB ne butta una ; imperocché se l’acqua per esser nel canale CI) due volte più alta che nell’AB, io dee muoversi con doppio moto, essendo inoltre il canale CD due volte più capace dell’AB, ne seguirà di necessità che, come ho detto, 1’ uno porti fuori quattro volte più acqua dell’altro. La qual cosa indubitatamente non si troverà esser così, nè si vedrà buttare il canale DC una goccia più che il doppio di BA: segno necessarissimo che 1’acque nell’uno e nell'altro vanno con pari corso. FINE DEL VOLUME SESTO. T INDICE DEI NOMI. (I numeri indicano le pagine.) A. Episc. Ilieracen. 200. Aceste. 163, 337, 343. Aeneas. 33. Agecio Taddeo. — V. Hagecius Thad- daeus. Alazzeno. 99, 140. Alcide. 208. Ananias. 174, 106. Anassagora. 48, 49, 50, 118, 110, 400. Angelica. 310. Apollo [Scheiner Cristoforo]. 46,48,188. Apollo. 296. Archimede. 214, 259, 412. Archita. 207, 259, 412. Argo. 208. Ariadna. 478. Ariosto. 338. Aristotile. 40, 47, 48, 50, 52, 53, 54, 55, 57,58, 59, 71, 114, 117, 118, 119, 138, 143, 114, 151, 152, 153, 154, 160, 162, 167, 173, 175, 176, 177, 178, 206, 222, 234, 235, 238, 239, 292, 293, 295, 302, 309, 317, 319, 329, 330, 331, 336, 337, 344, 345, 365, 369, 371, 381, 392, 396, 397, 400, 401, 423, 455, 456, 458, 459, 462, 467, 474, 475, 481, 485, 488, 496, 498, 499, 512, 538, 539, 540, 542, 543, 544, 545, 599, 600, 601, 606, 610. vi. Arlotto (Piovano). 415. Arrighetti Andrea. 577, 582, 621, 624, 625. Ateneo. 45. Atlante. 210. Austria (cV) Leopoldo. 41. [Austria (cP) Maria Maddalena.], Gran Duchessa di Toscana. 41. Azarias. 174, 196, 366, 496, 497. Bartolo. 232, 394. Barilotti. 621, 622, 623, 624, 627, 628, 629, 630, 636, 640, 646. Bertizzolo. 655, 656, 657. Bonarotus Michael Angelus. 385. Boncompagnu8 Franciscus. 377. Brahe Ticonc. 31, 64, 05, 86, 87, 88, 89, 92, 93,99,100,102,103,104, 105, 114, 116, 118, 135, 143, 149, 191, 192, 222, 228, 229, 230, 231, 232, 233, 234, 239, 242, 245, 278, 292, 301, 312, 392, 394, 395, 397, 400, 426, 476, 520, 524, 528, 529, 532, 533, 534, 542, 545, 546, 547, 549, 552, 553, 554. Briareus. 418. Calepino. 138. Calvino. 393, 398. eo 660 INDICE DEI NOMI Cardano. 118, 148, 230, 397, 398. Castelli Benedetto. 577, 628, 050. (lato. 117, 436. Cecconcelli Pietro. 39. Cerberus. 41S. Cesare. 185, 290, 416. Cesarmi Virginio. 157, 199, 213, 404, 408, 474. Chiaramente. 231. Chrysostomus. 497. Ciampoli Giovanni. 474. Clavio Cristofano. 33, 189. Coccapani Gismorulo. 651. Columbus. 205. Copernico Niccolò. 88,110, 148, 229, 231, 232, 310, 325, 326, 394, 510, 511, 512, 516, 517, 521, 522, 523, 524, 527, 528, 529, 531, 532, 533, 542, 543, 544, 546, 549, 552, 553, 555, 561. Corneliua a Lapide. 497. Cosimo li. 213. Cramoisy Sebastiani^. 375. Cyprianus. 497. Daniele. 174, 196, 490. Dedalo. 20S. Democrito. 48, 49, 50, 400, 480. Dionisio. 190. Donatus Gregorius. 35. Epicuro. 470, 486, 493. Escliilo. 48, 52, 118, 400. Euclide. 377, 445, 472, 490, CIO. Euphemus. 395. Euripide. 105. Eustrazio. 600. Faber Ioanncs. 205, 382, 411, 421. Fantoni. 623, 627, 628, 647. [Ferdinando II], Gran Duca di Toscana. 199, 203, 213, 627. Fidelis Cassar. 35. Filotete. 44. Galilei Galileo. 41,47,109, 110, 11 1 , H 3 , 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 126, 127, 128, 130, 131, 132, 134, 135, 136, 137, 139, 140, 142, 143, 144, 145, 146, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 159, ICO, 161, 162, 103, 165, 166, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 186, 188, 189, 190, 193, 195, 199, 201, 203, 205, 206, 207, 208, 213, 222, 223, 224, 269, 273, 294, 317, 322, 325, 352, 373, 375, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 388, 390, 391, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402, 403, 401, 405, 407, 409, 410, 411, 412, 413, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421,422, 423, 424, 425, 426, 427, 428, 429, 430, 431, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441, 442, 443, 444, 445, 446, 447, 449, 450, 452, 453, 454, 455, 456, 457, 45S, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 471, 472, 473, 474, 475, 476, 477, 478, 479, 480, 481, 482, 483, 484, 485, 486, 487, 488, 489, 490, 491, 492, 493, 494, 495, 496, 497, 498, 499, 500, 574, 575, 577, 582, 593, 59S, 599, 602, 605, 608, 609, 610, 612. Gallimi Tarquinio. 181, 183. Gerini Andrea. 569, 574, 578, 598, 610. Giuliano Apostata. 493. Gran Duca di Toscana. — V. Ferdi¬ nando II. Grau Duchessa di Toscana. — V. Au¬ stria (d’) Maria Maddalena. Grassi Orazio. 109, 110, 111, 113, 114, 115, 116, 119, 121, 123, 124, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 134, 136, 139, 141, 144, 145, 147, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 158, 160, 161, 164, 165, 166, 169, 170, 173, 174, 176, 17S, 183, 185, 186, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 194, 195, 196, 199, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 231, INDICE DEI NOMI. G61 232, 233, 234, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267, 268, 269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 279, 282, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 292, 293, 294, 295, 296, 297, 298, 299, 300, 301, 303, 304, 305, 306, 307, 30S, 309, 310, 311, 312, 313, 314, 315, 316, 317, 318, 319, 320, 321, 322, 323, 324, 325, 326, 327, 328, 329, 330, 331, 332, 333, 334, 335, 337, 339, 340, 341, 342, 343, 344, 345, 346, 347, 352, 353, 354, 355, 356, 357, 359, 361, 362, 363, 364, 365, 366, 367, 370, 371, 372, 373, 375, 377, 379, 382, 383, 385, 386, 387, 388, 390, 391, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 399, 400, 403, 404, 408, 409, 410, 411, 415, 419, 420, 421, 425, 428, 431, 432, 434, 436, 438, 439, 440, 441, 442, 443, 446, 447, 450, 452, 453, 454, 45S, 459, 462, 463, 464, 470, 471,472, 474, 476, 477, 483, 489, 491, 492, 493, 495. Graziano. 434. Guiducci Mario. 39, 41, 110, 111, 114, 115, 124, 127, 131, 133, 134, 136, 145, 151, 152, 158, 181, 183, 196, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 232, 233, 234, 235, 236, 239, 240, 242, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 251,252, 253, 256, 261, 266, 270, 271, 273, 276, 277, 278, 281, 282, 288, 289, 292, 294, 295, 300, 303, 304, 305, 306, 307, 308, 311, 312, 313, 314, 315, 316, 319, 322, 327, 329, 330, 331, 332, 335, 336, 337, 340, 352, 353, 358, 301, 364, 366, 370, 371, 372, 384, 385, 387, 38S, 408, 427, 429, 450, 453, 456. Hagecius Thaddaeus. 135, 230, 278, 426. Ingoli Francesco. 501, 509, 510, 512, 519, 522, 525, 527, 529, 532, 533, 539, 541, 546, 547, 551, 553, 558. lovius Alexander. 180. Ipocrate Chic. 48, 52, 118, 119, 400. lpparco. 210. Keplero Giovanni. 28, 32, 120, 149, 238, 240, 242, 311, 312, 313, 401, 422, 425, 436, 439,456. Livio. 232, 394. Lucanus. 163. Lucretius. 163. Magiiio. 519. M and ricardo. 338. Marcus Aurelius. 389. Margottimis Thomas. 180. Mario Sirnone. 214, 215, 216, 217, 383, 384. Martiaiis. 395. Mascardi Giacomo. 23, 199. Maurizio (Conte). 258. Mezentius. 163, 337. Misaeles. 174, 196. Moyses. 462. I Nalmcdonosor. 196. Naccarinus Marcus, 111. Nino. 45. Nozzolini Tolomeo. 5G9, 574, 578, 582, 583, 584, 585, 586, 587, 588, 589, 590, 591, 592, 593, 594, 595, 596, 597, 598, 610. Omero. 44. Orlando. 270, 330, 419. Ovidius. 163. Parigi Giulio. 627. Paulaccius Dominicus. 200. Penelope. 49. 062 INDICE DEI NOMI. Petronius Hyacintlius. 35. Pignoni Zanobi. 183. Pitagora. 44, 100, 493. Platone, 189, 190. Plinius. 27. Pluto. 411. Pontanus. 14S, 149. Porta. 205, 411. Posidonius. 105. Proteus. 28, 426. Puntormo (da) Iacopo. 188, 189. Regioinontanus. 148. Riccardi Niccolò. 200. Rodulphius Nicolaus. 200. Rolandus. — V. Orlando. Ruggiero. 310, 338. Sacrobosco. 189, 512, 523, 552. Salomon. 383, 405. Sanipso. 416. Sancii ez Caspar. 497. Sarsi Lotario. *— V. Grassi Orazio. Sarto (del) Andrea. 189, 385. [Scheiner Cristoforo]. — V. Apollo. Seneca. 50, 52, 98, 116, 162, 165, 233, 340, 380, 405, 482. Socrate. 189, 190. Sofocle. 232. Sosias. 395, 396. Staccoli Raffaello. 627, 651. Stazio. 163, 164, 339, 483. Stelluti Francesco. 207. Strabono. 3S6. Suida. 164, 310, 412. Tetano. 118, 236, 397, 398. Tortulliamis. 385, 397. Theodoretus. 496, 497. Theseus. 478. Tiresias. 419. Tolomeo. 29, 30, 88, 116, 145, 147, 148, 150, 229, 231, 232, 315, 317, 394, 512, 517, 522, 526, 527, 533, 542. Tortora Omero. 166, 107, 341, 342. Turpino. 338. Urbano Vili. 199, 201, 213, 384, 510. Urbino (da) Raffaello. 189. Vclserus Marcus. 154, 436. Vespucius. 205. Villanioena F. 199, 203. Virgilio. 33, 163, 106, 343. Vitellione. 99, 140, 312, 494, 495. Vulcano. 44. INDICE DEL VOLUME SESTO. Dello comete.Pag. 3 Do tribus comotis anni MDCXVIII Disputatio astronomica publice habita in Collegio Romano Sociotatis lesu ab uno ex Patribus ciiisdem Societatis. 21 Discorso delle comete. *—Con alcuni frammenti ad esso attenenti. 37 Lotharii Sarsii Sigensani [TIoratii Grassii Salonensis] Libra astronomica ac philosophica. — Con postille di Galileo.109 Lettera di Mario Guiducci al P. Tarquinio Galluzzi. [20 giugno 1620.]. . 181 11 Saggiatore.197 Lotharii Sarsii Sigensani [Horatii Grassii Salonensis] Ratio ponderum Librac et Simbellae. — Con postille di Galileo.373 Lettera a Francesco Ingoli in risposta alla Disputatio de sita et quieto Terme. [1624.]. 501 Scritture concernenti il quesito in proposito della stima d* un cavallo .... 5G3 Scritture attenenti all’ idraulica.613 Indico dei nomi.659 APPENDICE. AVVERTIMENTO (1 \ In conseguenza del ritrovamento di un Codice assai importante del Fondo Conventi Soppressi nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, viene un poco a modificarsi resposto dell’Avvertimento da pag. 5 e seg. ; dobbiamo (piindi riassumere in breve quanto è necessario allo studio comparativo fra i nuovi elementi ed il testo degli scritti concernenti questo volume, ed in par¬ ticolare del Discorso delle Comete e della Lettera al Padre Tarquinio Galluzzi. Il Codice in parola porta oggi la segnatura SS. Annunziata 1443. A. 5, e rindicazione Elementi di geometria d'Euclide , e Teme volgarizzato di Benedetto Varchi ; Sfera di Giovanni del Sacro-Busco ed altri opuscoli. Cod. cari, in fol. con fig. La semplice lettura di questa indicazione, non potendo menomamente su¬ scitare il sospetto di racchiudere scritture galileiane, spiega perchè tali docu¬ menti fino ad oggi fossero sfuggiti alle ricerche di quegli studiosi che non avevano esaminato dirottamente il codice stesso. Lo scritture che hanno richiamata la nostra attenzione sono per la mas¬ sima parte di Mario Guiducci, discepolo affezionatissimo di Galileo, o quasi coadiutore nella stesura di buona parte dei lavori riflettenti la vertenza sulle comete. Dal Codice stralciamo un elenco dei manoscritti guiducciani, per estrarre da questi ciò che interessa gli argomenti trattati in questo volume, e faro una cernita di (pianto, a nostro giudizio, riguarda con sicurezza argomenti trat¬ tati da Galileo, e può quindi servire di illustrazione al testo adottato. n. 1, da car. 24r a car. 25r : Due proposizioni sul moto rettilineo uniforme c quattro proposizioni geometriche di mano del Guiducci, tutte in lingua italiana ; hanno una certa attinenza con proposizioni dei volumi VII e Vili. Saranno prose in considerazione a suo tempo. ,I1 Dalla Direziono proposta alla Ristampa Pietro Pagnini al qnalo si dove anche il ritrovamento la revisiono di quosto volume, come quella dei del manoscritto guiducciano del Fondo Conventi procedenti li, III, IV, V, è stata affidata al sig. Soppressi. G68 AVVERTIMENTO. il. 2, ria car. 28r a car. 29r : Otto proposizioni sulla sfera, di mano del Gui- ducei. n. 3, ila car. 33r a car. 33t : Proposizione geometrica di mano del Guiducci con la segnatura Del tir. Galileo. Più. un’altra dimostrazione della stessa proposizione. n. 4, car. 34r : Proposizione geometrica di mano forse di Andrea Arriglietti. n. 5, da car. 35r a car. 45r : Diverse proposizioni geometriche di mano del Guiducci. n. 0, car. 46r : Proposizione geometrica, testo latino, mano ignota ; è parte della dimostrazione che si trova nel voi. Vili, pag. 262. n. 7, da car. 47r a car. 49r : Proposizioni geometriche, parte di mano del Gui¬ ducci e parte di mano ignota. n. 8, da car. Gir a car. 84t : Copia del tempo di mano ignota della lettera di Galileo alla S. ma Madama la Granduchessa Madre, u. 9, da car. 8Gr a car. 90r : Due abbozzi di un discorso di stilo accademico nel quale, con la finzione della favola del topo dolla rana e del falco, si viene a mettere in contrasto le dottrine astronomiche di Aristotile, Ticone e Galileo sulla natura delle comete. Ì5 di mano del Guiducci. n. IO, da car. 91r a car. lOOr : Una stesura della lettera al P. Tarquinio Gal- luzzi, col testo assai differente da quello pubblicato. Di mano del Guiducci. u. 11, da car. lOlr a car. 108r : Altra stesura della stessa ; ma con minori va¬ rianti del testo pubblicato. Di mano del Guiducci. n. 12, da car. 109r a car. 122t : Frammento assai lungo del Discorso delle Co¬ mete, corrispondente agli argomenti che in questo volume si trovano da pag. 52, lin. 28 a pag. 91, liu. 18, cioè da Ma è tempo clic sentiamo.... a comunemente da loro ; porta molto varianti, è di mano del Guiducci, ma con correzioni ed aggiunte di mano di Galileo, n. 13, da car. 123r a car. 138r : Altro frammento dello stesso Discorso corri¬ spondente al testo di questo volume da pag. 64, lin. 8 a pag. 105, lin. 20, cioè da tiara dunque il restante.... a secondo certissime dimostrazioni...., con varianti e lacune notevoli rispetto al testo definitivo ; di mano del Guiducci, ma con correzioni o aggiunte di mano di Galileo, e correzioni di quella mano ignota che corresse il Ms. P. Ili, T. XI (1) . n. 14, da car. 140r a car. 149r : Discorso che per l’identità di molti passi ri¬ corda la lettera al P. Tarquinio Galluzzi ; ò una replica del Guiducci al Sarsi, e forse, in una prima intenzione, dovova sostituire la lettera ; è tutta di mano del Guiducci. m Vedi questo volume, pag. 8. AVVERTIMENTO. 669 n. 16, (la car. 150r a car. 161r : Postillo alla Ratio ponderum del Sarsi ; sono di mano del Guiducci. n. 16, da car. 162r a car. 155r : Discorso di stilo accademico in cui si com¬ batto Ticono ; è di mano del Guiducci. n. 17, da car. 166r a car. 171t : È una compilazione molto differente da quella del Ms. Gal. P. VI, T. IV, la quale porta l’indicazione « Opposizioni di » Mario Guiducci a certa prefazione fatta nel Collegio Romano intorno » all’anno 1625 e 26, copia piuttosto moderna di pag. 37. Questo oppo- » sizioni si credono di Galileo, e sono inedite ». Questa scrittura è invoco di mano del Guiducci (l) . n. 18, da car. 172r a car. 181t : Osservazioni sul disegno e referto del Barto- lotti circa il fiume Bisenzio, tutto di mano del Guiducci. n. 19, da car. 182r a car. 186t : Altra copia delle medesime con qualche dif¬ ferenza dalla prima ; è di mano del Guiducci. n. 20, da car. 189r a car. 192r : Esordio al discorso dello Comete in forma alquanto differente ; è di mano del Guiducci. Anche dalla lettura di questo elenco possiamo rilevare l’importanza dei nuovi documenti, soprattutto di quelli che riguardano la questione dello Co¬ mete, apertasi, come è noto, nel 1619 colla De tribus eometis Disputatio , e chiusa nel 1626 colla Ratio ponderum , lasciando strascico di passioni sopite ma non spente. Anche le altro scritture di argomento geometrico, o quello attinenti alla sistemazione del Bisenzio, ci sono apparse degne di considerazione ; ma mentre por le prime ne abbiamo rimesso l’esame più accurato neH’occasione della ristampa dei volumi seguenti VII e Vili, per quelle relative al fiume Bisenzio non ci e stato possibile, per quanto ricerche fatte, trovare prove con¬ vincenti per far prendere una decisione differente da quella adottata nella precedente Edizione. Tralasciando dunque Tesarne dei documenti segnati coi nn. 1, 2, 3, 4, 6, 6, 7, 8, 17, aggiungiamo queste poche osservazioni sui numeri restanti. N. 9. Ha relazione molto indiretta col Discorso delle Comete e non porta tracco della mano di Galileo. N. 10 c 11. Della lettera al Padre Tarquinio Galluzzi finora non si cono¬ sceva nessun manoscritto e lo stesso l'avaro (2) ne lamentava la perdita insieme a quella dello carte guiducciano. Di qui Timportanza non trascurabile di questi documenti per la storia della vertenza. Ma per non accrescere eli troppo la n Vedi Antonio Favaro, Amici c corrispon¬ denti di Galileo, XXVII, Mario Guiducci. Estratto dagli atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lcttcro cd Arti. Anno Accademico 1915-1916, da pag. 1395 (39) a pag. 1418 (62). <*> Antonio F avaro, loo. cit. 670 AVVERTIMENTO. molo doli 'Appendice con ripetizioni superflue, non abbiamo credulo opportuno riportare ciò che in sostanza non altera il tosto, stampato dalPautoro stesso. N. 12 o 13. Di questi duo frammenti del Discorso abbiamo riportato solo quelle correzioni ed aggiunto ohe con sicurezza si possono attribuire alla mano di Galileo, perché nella forma non dànno nessuna differenza col tosto già conosciuto. N. 14. Non è scritto in forma di lotterà, ricorda più il n. 10 ohe il n. 11 od il testo definitivo; non presenta interesse diverso dal n. 10, nè porta nessun nuovo contributo alla vertenza. N. 16. Queste postille del Guiducci si completano e si aggiungono alle sue già pubblicate insieme con quelle di Galileo : lo riportiamo a corredo di alcuni passi della Balio richiamati con note opportune. N. 16. Non reca nessun segno di mano di Galileo, ha solo un legame molto indiretto cogli argomenti (li questo volume. N. 17. Sarebbe, Be mai, da pubblicarsi in confronto coll’altro del Ms. Gal. P. IV, T. VI, ma ci sembra addirittura superfluo in questo luogo. N. 18 e 11). Queste due copie di mano del Guiducci hanno richiamato la nostra particolare attenzione, in ispecie per mettersi in contrasto con quanto ò dichiarato nell’indice del Ms. Gal. P. V, T. Ili che assegna al Puntoni la rela¬ zione da car. 26r a car. 29r. E di fatti le frequenti correzioni, alcuno varianti o pentimenti che si riscontrano in queste due stesure guiducciane, fanno piut¬ tosto ritener questi essere gli originali, e copia l’altra più calligrafica e scritta senza pentimenti e correzioni. Ma per quante ricerche abbiamo fatte, anche nell’Archivio di Casa Ginori-Lisci, non ci ò stato possibile trovar nessun indizio ebe accertasse una corta influenza diretta di Galileo, e completare con questa relaziono quanto già è pubblicato a pag. 619 o seg. in riguardo alla sistema¬ zione dello acque del Bisenzio. Pino ad oggi riteniamo che questa relazione, attribuita al Fantoni, sarebbe estranea all’opera di Galileo. N. 20. Questo breve frammento, esordio al Discorso , è di poca importanza. L’esame accurato dei documenti ai nn. 12, 13, 20 ci ha portato a conclu¬ dere che, la successione cosi ordinata nel codice non debba corrispondere a quella naturale cronologica, ma che queste scritturo vengano ad inserirsi con le altre del Ms. Gal. P. Ili, T. XI, con le quali, c con altro a noi non perve¬ nute, costituiscono tutta la trasformazione di un Discorso di cui forse ci manca la forma primitiva. La presenza di correzioni e aggiunte, autografi di Galileo, porta ad asse¬ gnare ai nn. 12 e 13 un valore non trascurabile, perchè, anche se non possono alterare il testo della Edizione, (la quei frammenti si riconferma, che il Discorso intero è stato compilato, non solo sotto l’ispirazione del Maestro, ma per la massima parte col suo intervento diretto. AVVERTIMENTO. 671 11 frammento al n. 20 è tutto di mano del Guiducci, e porta pochissime correzioni della sua stessa mano ; la calligrafia è rapida senza pentimenti ed arresti ; si può ritenere fosse una trascrizione da altra preesistente. È scritta in quattro carte retto o tergo, formato piccolo, e si riferisce all’esordio del Discorso da pag. 44 a pag. 47, linea 28, ma alquanto differente dalla copia, del Ms. Gal. P. Ili, T. XI, la quale alla fine del capoverso dopo la parola mo¬ strarci (vedi questo volume, pag. 47, linea 28) porta un segno j>) forse di mano di Galileo. A differenza degli altri due frammenti nn. 12 e 13, riportati solo in quello che ò di inano di Galileo, questo n. 20 lo abbiamo trascurato, anche se nella prima parto presenta varianti tanto da quei due come dal testo definitivo, perchè non ci resulta l’intervento della inano di Galileo. Onde stabilire una probabile successione di questi nn. 12,13, 20, con i fram¬ menti già noti del Ms. Gal. P. ili, T. XI, ci è sembrato necessario separare questi ultimi in tre gruppi : B) da car. 13r a car. 19 a t del Ms. Gal. P. Ili, T. XI, tutto autografo di Galileo ; D) la sola car. llr del Ms. Gal. P. Ili, T. XI, autografo del Guiducci ; E) da car. 3r a car. lOt del Ms. Gal. P. Ili, T. XI, autografo del Gui- ducci con correzioni di Galileo. Se indichiamo colle lettere A, 0, E , rispettivamente i frammenti ai nn. 20, 12, 13 del Ms. Convoliti Soppressi citato, e con O il testo definitivo pubblicato dal Guiducci, riteniamo probabile quest’ordine dei suddetti frammenti che ri¬ guardano quanto si trova in questo volume : A) da pag. 44 a pag. 47 linea cc cq B) » 57 » O oo ** 0) » 52 linea 28 a pag. 91 linea . 18, V) » 64 » 8 » 66 » 12, ■ E) » 44 » 7 » 64 » 7, F) » 64 » 8 » 105 » 20, 0) » 44 » 1 » 105 » 22. Considerato il problema nuovo sorto col ritrovamento di questo codice, ben ponderate tutte le ragioni rispetto al lavoro guiducciano del Discorso delle Comete , siamo venuti nella conclusione seguente : Siccome si tratta solo di scritture da Galileo preparate per la stampa di una scrittura che prese già forma definitiva, lui vivente, nel testo pubblicato, sarebbe stato temerario modificare il testo del Discorso secondo postille ancorché sue. D’altra parte, essendo queste autografe, e costituendo un’altra prova del contributo diretto di Galileo nel lavoro che passa sotto il nome del Suo discepolo, non si po¬ tevano trascurare : da ciò l’opportunità di riprodurle nell ’Appendice : perchè AVVERTI»! KNTO. 672 non sarebbe stato conveniente allegarlo a piò
  • Vedi questo volume «la pag. 2M linea 21 a pag. 217 linea 33. <•> Vedi le affermazioni sulla latitudine. POSTILLE DI GALILEO GALILEI AL DISCORSO DELLE COMETE DI MAEIO aUIDUCCI. Frammento a. 12. car. 109r [Pag. 53 lin. 10] bassi ascenda un alito, car. 109t [Pag. 53 lin. 26] portata in giro dalla circolazione celeste, car. 113r [Pag. 65 lin. 9] lo consideriamo metodo esso ancora esposto alle fallacie. car. lldr, 114t e 115 [Pag. 69 dalla lin. 14 alla lin. 19] .... parte del fir¬ mamento che ò l’istesso che esser senza paralasse. E pure tal lume prodotto in luogo a lor vicinissimo. E si come in questo caso si ritrova il sole ele¬ vato, e bassa la superficie del mare, noi ci immaginassimo il Sole sotto l’orizonte, et una superficie invece di quella del mare elevata in alto, potremmo in essa scorgere una simil reflessione del lume so¬ lare ; rimanendo tutto il restante indistinto dall’ istesso cielo, già che anco la superficie del mare talvolta si confonde in modo col cielo che nissuna distinzione ci si scorge ll> . car. 114t [Pag. 71 lin. 1] non ha Forza la paralasse, car. 117r [Pag. 71 lin. 16] Pitagorici nell’iRtessa guisa car. 117r e 116 [Da pag. 72 lin. 13 a pag. 73 lin. 8].... reflettere la vista verso ’l solo. A far che la cometa benché generata dentro alla sfera elementare apparisca a tutti i riguardanti senza paralasse, basta che in alto sia diffuso il vaporo atto a rifletterci il lume del Sole per regioni e spazii eguali, et anco alquanto minori delle provincie dalle quali la cometa si scorge : perchè immaginandoci noi da qualche stella fissa o altro punto del firmamento tirate linee rette a quali e quanti si voglino luoghi della superficie terrestre, e posto die in alto sia una distesa di vapori atti a reflettere il lume del sole la quale tagli in traverso la piramide compresa tra esso linee rette, potranno tutte le viste de riguardanti, che secondo alcuna di tali linee caminano, voder la cometa, e tutte vederla sotto la medesima 11 * Questo passo ò in foglietto a parte alla segnatura attuale c. 115 ed è incollato a car. 114t. 67G POSTILLE DI GALILEO GALILEI stella, e punto del firmamento, lo non dico resolutamente che la cometa si faccia in cotal modo, ma dico bene che come di questo così sen dubbio degl’altri modi assegnati da gl’altri autori: i quali se pretenderanno di poter indubitatamente stabilir lor parere sa¬ ranno in obbligo di dimostrar questa e tutte l’altre opinioni vane, e fallaci. Resta dunque da queste.... Ir car. 117t [Pag. 74 lin. 4] .... materia, come da quei dottissimi Matematici vien fatta tanta stima.... car. 117t [Pag. 74 lin. 15] .... di proporre a voi S. Uditori e forse a quei dotti, e religiosi Matematici, se man¬ car. 118r [Pag. 75 lin. 6], non so a qual cagione attribuiranno l’esserci (2 ’. car. 118t [Pag. 77 lin. 9 c 10], immensamente lontano. 0 pino se possa esser che essendo vere amcndue lo proposizioni il loro connettimonto sia falso, nel modo che.... car. 119r [Pag. 80 lin. 22], non ci paiono neanco la.... car. 120t [Pag. 84 lin. 3 c 4] per loro confessione si accresce assai, per ve¬ dere poi gl’oggetti più lontani car. 120t, [Pag. 84 lin. 40] (dopo «risiede» si trova un segno ^ ripetuto in margine, sembra di mano di Galileo ; si riferisce forse a qualche postilla a noi non pervenuta) car. 12.1r [Pag. 85 lin. 27 c 28] o principi loro e di essi con ragione far quel giudizio, che essi di noi senza ragione fatto haveano ,3) car. 121t [Pag. 87 Un. 1] .... segava l’Eclittica intorno al ventunesimo grado del Sagittario.... car. 122r [Pag. 89 lin. 23] resa manco mostruosa dall’altra de Matematici del Collegio.... <4) ~~ car. I22r [Pag. 89 lin. 12 o 13]. ... necessario il converso come ricerche¬ rebbe il bisogno di Ticone, e de Matematici del Collegio, cioè che qualunque moto Frammento n. 13. car. 123r [Da pag. 65 lin. 27 a pag. 66 lin. 21] da.... « poiché in natura si trovano».... a.... «nello sottili nuvole a noi vicinissime», tutto il passo in questa copia è di mano del Guiducci, ed è cancellato e posto in testa con sogno di richiamo (p a ) di mano di Galileo. Tutto il passo di Galileo si trova in un lo- L’aggiunta di Galileo si trova in margine glictto incollato colla sognatura car. 116. della ear. 121r. <*> Corretto da Galileo da «attribuiscano*. Aggiunto in margino da Galileo. Ali “DISCORSO DELLE COMETE” DI MARIO GUIDUCCI. 677 ear. 124r [Pag. 68 lin. 4 o 5] .... discendine) compresi dentro un deter¬ minato angolo, oltre al quale angolo nuli’altro di splendido si ri¬ mira (1 '. Simile apparenza ò ben.... car. 124r [Pag. 68 lin. 8 e 9] .... rappresenta ricontro al Sole : si che quando.... car. 124r [Pag. 08 lin. 10, 11, 12 e 13] .... direbbe avere in quell’ora ve¬ duto por aria grandissimi raggi luminosi drizzati verso ’l Sole. E perché tra ’l Sole et divei’si luoghi in terra altre et altre aperture di nugole s’interpongono, altri et altri sono i raggi da diversi riguardanti veduti. car. 125r [Pag. 71 lin. 1, 2, 3, 4, 5, 6] .... per poter determinare di lor lon¬ tananza, poiché alla mutazione di luogo del riguardante, esse ancora si mutano, e non sol di lugo, [sic] ma di essenza ancora. Io credo elio olla veramente non sia por avere efficacia nelle Comete, se prima non vien determinato, che olle non siono di queste cotali reflessioni di lume, ma oggetti uni, fissi, reali, e permanenti. E tanto maggiore car. 125t [Pag. 72 da lin. 13 a lin. 18] .... luogo atto a reflettere verso il solo la vista altrui. Et avvenga che dei sopranominati simulacri in al¬ cuni la paralasso sia nulla, et in altri operi molto diversamente da quello che ella fa negli oggetti reali per ( ~’ far clic la Cometa, benché generata dentro alla sfera elementare, apparisca a tutti i riguardanti senza pa- ralassc, basta clic in alto sia diffuso il vaporo o la materia qual ella si sia atta a rifletterei il lume del Sole.... car. 125t [Pag. 72 lin. 23] .... reflettere o refrangere il lume car. 126r [Pag. 73 lin. 14 e 15] .... mentre per molte centinaia di volte aggrandisce.... car. 127r [Pag. 77 lin. 8 c 9] .... immensamente lontano, e parali che possa essere.... car. 127r [Pag. 77 lin. 15 e 16] .... lontanza necessariamente dependa car. 128r [Da pag. 78 lin. 14 a pag. 79 lin. 10] Di più quando tal con¬ clusione fosse vera mirabile effetto vedremmo tallior seguire. Imperò che messo in qualche distanza un’oggetto come per esempio un cer¬ chio nero, et un’altro di color bianco alla dirittura medesima 4 o 6 volte più lontano, e tanto maggior del primo che per la sua in¬ terposizione non però ne rimanesse del tutto ricoperto, ma che in- (*) Galileo avova scritto «scorge* o la mano (*) Passo aggiunto in margine da Galileo, ignota corresse « rimira *. G78 POSTILLE DI GALILEO GALILEI torno intorno restasse apparentò una circonferenza bianca : preso poi il telescopio e drizzatolo verso i cerchi, se il vicino s’ingrandisce più del lontano, sicuramente il lontano ne doverà restar del tutto coperto, et ascoso, e nulla si scorgerà della circonferenza bianca: il qual’effetto, quando vero fosse potrebbe talvolta, con nostra inlinit a meraviglia, interporsi la vicina Luna tra l’occhio nostro, et il Sole lontanissimo, et eclissandone una parte all’occhio libero, eclissarlo del tutto al Telescopio, si che guardando con l’occhialo trovassimo notte oscura, mentre gl’ altri godessero con 1’ occhio libero la chia¬ rezza del giorno. Ma non pur questo non accederà, ma de i due so¬ pradetti cerchi, quando del più remoto ne apparisca all’occhio libero solamente quanto è un sottil filo, l’istesso si Bcuopre con l’occhiale per appunto: argomento necessario gl’ ingrandimenti di tali oggetti esser fatti puntualmente con la medesima proporziono (l) . car. 129r [Pag. 82 lin. 11] Ma sonto opporrai per atterrar tutto questo discorso car. 130r [Pag. 84 da lin. 11 a lin. 19] Concludiamo dunque verissimo esser gl’oggetti tutti venir dal medesimo Telescopio con la mede¬ sima proporzione ingranditi; e se i vicinissimi sembrano ingrandirsi di più, ciò avviene dall’usare strumento più lungo; o quanto a i lon¬ tanissimi solo gli splendidi mostrano ingannevolmente ingrandirsi meno, mercè dello splendore accidentario, ma non già per la somma lontananza : del quale effetto non ne essendo sin’ora da altri stata assegnata la vera cagiono, voglio creder S. ri uditori che grato vi possa essere il sentirla ; imperò che non par che sia senza meraviglia come esser possa, olio accrescendoci sommamente il telescopio.... ’ 2 ' car. 132r [Pag. 85 da lin. 13 a lin. 19] Con altra evidentissima espe¬ rienza si prova l’istesso, imperò elio se riguardando tali razi an¬ dremo inclinando la testa hor verso la destra hor verso la sinistra spalla, et in conseguenza piegando nell’ istesso modo gl’ occhi, ve¬ dremo far l’istesso a i razzi, ma non già alla fiammella della can¬ dela la quale resta immobile, argomento che tanto necessariamente conclude quolli esser no gl’occhi, quanto è vero questa esserne fuori, e lontana t3 \ ,1 ' E un foglietto incollato a oar. 127t. 1,1 Anche questa postilla ò scritta su un Io- È un loglietto incollato alla c. 131r. giretto incollalo alla c. 1011. AL “ DISCORSO DELLE COMETE ” DI MARIO GUIDUCCI. 679 car. I33r [Pag. 8(> Un. 10] .... rispetto a i movimenti di quelle tra di loro in maniera diversi car. 134r [Pag. 89 lin. 13] .... qualunque moto ci appare.... car. 134t [Pag. 91 liu. 8, 9, 10, 11, 12] .... ve ne sono dcgl’altri, la proba¬ bilità de quali tanto più manifesta si scorge, quanto essi molto ag¬ giustatamente si adattano al moderare gl’assurdi che par che seguino al por quest’orbe Cometario, e per chiara intelligenza del tutto seguendo dico l’avere tanti.... car. 135r [(Pag. 93 lin. 2] .... clic consuona con la posizion.... car. 135r [Pag. 93 lin. 0] .... che quei dello Collegio si sieno car. 135r [Pag. 93 Un. 7-8].... bisognerà farla abitatrice del Cielo.... car. 135r [Pag. 93 lin. 21] A me, cui mai non ha nel.... car. 135t [Pag. 94 lin. 6].... candida Aurora, e non lontana allo spuntar car. 135t [Pag. 94 lin. 8] .... daU’essersi parte dell’aria vaporosa car. 135t [Pag. 94 da liu. 17 a Un. 24] Ma per più propinqua coniet- tura ricordiamoci che per alcuni giorni avanti’l comparir della no¬ stra Cometa fu veduta la mattina avanti giorno mentre si osservava il trave tutta la parte orientale ripiena assai più del solito di va¬ pori molto luminosi anzi tanto poco meno risplendenti dell’ istessa cometa, che ella sul principio pareva quasi più tosto distinta dal re¬ sto del cielo, per due strisce laterali alquanto mel [sic] lucide, che per che ella grandemente superasse di luce tutto ’l rimanente del cielo (1) . car. I36r [Pag. 94 Un. 29, 30, 31 e 32] Hora venendo a moderar gl’in¬ convenienti che seguir si veggono nell’assegnata sfera delle Comete, dico che assai probabilmente e con agevolezza con un solo, c sempUce movimento viene ogni repugnanza rimossa .... car. 13(ir [Pag. 95 lin. 7] E per più chiara intelligenza etc. (qui è in tronco, e in margino si trova il segno « 2 a » di chiamata di mano di Galileo). car. 136r [Pag. 98 alle prime lince] Ricordarsi di notare che il moto della cometa dovrebbe apparire verso il zenit (2; . car. 136r [Pag. 98 Un. 7 e 8].... verificati nelle due comete delle quaU si parla ,s) car. 136r [Pag. 99 Un. 5] che facciamo alcuna considerazione (*) Aggiunta in margino. i*' Qui c’ò una chiamata di mano ili Questa osservazione marginale ò stata can- Galileo o poi il Ms. è in tronco o riprendo « 1*5 gii! celiata da Galileo. che abbiamo * a pag. 99 linea 3. G80 POSTILLE DI GALILEO GALILEI AL “ DISCORSO DELLE COMETE ” ECC. car. 137r [Pag. 100 da lin. 29 a lin. 32] più alta, e più larga ohe verso l’estremità, per lo che il suo termino superiore apparirà inclinarsi verso gl’estremi. Della nullità.... 111 car. 137t [Pag. 101 lin. 2] simil figura si elio la loro superficie car. 1371 [Pag. 101 lin. 7] .... rappresenti, (qui ò in tronco ed in margino una chiamata col segno [J) 4“ questo di mano di Galileo) lal . <*» Aggiunta in margine. linea 20 •certissimo dimostrazioni*, dove termina 11 Ms. riprendo a pag. 105 linea 4 tino alla collo parole Lqum Deo. AGGIUNTE ALLE POSTILLE DI MARIO GUIDUCCi ALLA RATIO PONDERUM LIBRAR ET SIMBELLAE. VI. 8ft Si ò sentito la dichiarazione dell’Anagramma, nella quale l’autore si fa non da Savona, città nobilissima, ma do Grassi da Salone, la qual patria secondo Strabono si confà non tanto al casato quanto alla dottrina, pronostico di essa. Vedasi il [... ] fl) . A niuno si disdiceva per avventura più che a lui Io stampare in Parigi contro a un opera stampata in Roma e dedicata al Papa (2) . Ha imparato dal Galileo quanto è di buono nella sua opera perchè, da quanto si comprende dal primo discorso non sapeva ne anche geometria, come af¬ ferma il Cavalier Chiaramonti. La digressione della cometa per linea ovale non può tornare con il moto della medesima verso il vertice. La cometa ha influito più gagliardamente negli ingegni, che in quest’ altro cose materiali, poiché se denotò le guerre d’Italia, come molti vogliono, queste; sono quietate, essendosi ridotti sotto le gloriose insegne delle Api i forti di Valtellina cagione di tutti i romori, ma le dispute della cometa non sono state così, non si essendo acquietate col ridursi sotto l’insegna delle medesime Api, come era seguito mediante il Saggiatore, ma sono ricorse ad un Drago, et dalle stampe di Francia implorasi soccorso contro all’edizione Romana (3Ì . Dice che la cometa è cosa degna d’inferno e d’abitar tra le furie, mentre l’ha posta in cielo. Se si volesse usare il suo modo di fare, si potrebbe dire al Sarsi, che biasima tacitamente la natura, poiché erra a mettere in cielo quello che meritava l’inforno (4 ’. I Il telescopio è invenzione di Galileo. Di quel tedesco o fiammingo non si sa ne anche il nome. Il Sirturi di mento di tutti i tramontani l’attribuisce al Galileo. Il Porta stampò la sua Magia più di sessanta anni fa, e non dimeno nò lui nò altri hanno fabbricato tale strumento. Vedasi come egli insegna tal modo (5) . 11 ' Seguo parola inintelligibile. Vedi anche pa¬ gina 386 lince 27-29. <») Vedi il frontespizio a pag. 375, e la dedica a pag. 201. Vedi lettera dedicatoria a pag. 377. ««> Pag. 379 lineo 2-5 o la nota [2]. Pag. 411 linee 26, 27 , 28. 684 AGGIUNTE ALLE POSTILLE DI MARIO GUIDUCCI L'autore seguita in qualche parte l’opinione di Tioone che fu calvinista nò però si debbo dire che egli seguiti [sia seguace al ] i Calvinisti. Epicuro lo¬ dato da Seneca (2 \ 170. la palla di cera non si strugge se ne vede resperienza. In oltre se si struggesse romperebbe una tavola, ma vi farebbe uno straccio, come fa racqua, quando l'arehibuso si carica con l'acqua, ma ella vi fa un foro tondo coni ella ò [solida] (8 ’. 174. S’ò stampato in Roma con permissione de’ superiori, rivista Peperà anche da quelli, che eccmbant incorruytae fidai tutelar , et essendo stata appro¬ vata, avranno anche pensato alla soluzione del vostro argomento, ne si sgomen¬ teranno per vostro dire, che chi presume sia ingegno lubrico e vomito. Ma¬ niera di parlare da persona, clic stampa come avete fatto voi in Francia, senza licenza di superiori, e che si dimostra male affetto alle stampe di Roma t4) . 144. Il Galileo non nega rattaocamento dell’aria a corpi lisci, o tersi, dice bene non esser tale che lo due superficie cioè del solido, e dell'aria, strisciandosi insieme non possano muoversi runa contro l'altra lM . Qui il Sarsi non dico se non bugie. In fino della faccia si attacca a un’errore di stampa chiarissimo per far dire il Galileo a suo modo, e por most rare che si contraddica : Del #o- Ht&nersi adunque detti arg inetti altra ne è la cagione ; lo stampato altra non è la cagione l6) . 14B. Se l’aria non aderisco alla lamina bagnata, ma all'acqua, non si dovria anche dire che una pietra aderisca a un'altra pietra, ma alla calcina ; e quando voi dite ch'avete attaccato lo conclusioni al muro, non ò vero, ma sono attac¬ cate alla colla; sciocca considerazione 17) . 146. So è vero quello che dite che, guitae in orbcm coactae comixlunt , ma madidas frondes nactae disperguntur si potrà inferire anche delParia aderente a’ corpi lisci, che trovando altr’aria, si confonderà ad essa, e cosi non seguiterà il moto del corpo liscio lM . 151. E pure o lo comete o altre impressioni che siano nell’aria non si muo¬ vono più tarde, ma molte volte più veloci del cielo della Luna. Tutta l'esperienza del catino ò falsa (0) . 114. Vedasi il Discorso il quale non dice che abbiano la medesima paral¬ lasse, ma che apparisca così 10 ’. Notisi che il P. Gio. Batta. Oisati Matematico di Ingolstadio osservò la cometa esser congerie ili stelle. Notisi che il Sarsi stampa in altro carattere per parole del Saggiatore molte che non sono, e. av- •) Pag. 450 lin. 10. ALLA “RATIO PONDERUM LIBRAR ET SIMBELLAE 685 vertasi il lettore, che quando non le cita nella lingua, clic sono scritte, sono falsificate. f. 22. cita il Discorso delle comete e cita il Problema. Vedasi l’uno e l’altro (1) . f. 41. Vedasi il Problema se dice come qui. E vedasi anche il Nuncio Si¬ dereo (2 ’. Nota che il Sarsi difende in qualche modo Simon Mario, ma il Ga¬ lileo dimostra clic è posteriore a lui molto tempo in vedere le stelle. Qui dicasi di Apelle che ebbe fretta di dar fuora le macchie solari scoperte prima dal Ga¬ lileo, ma dal medesimo indugiate a pubblicarsi con le stampe per considerare maturamente le loro qualità, c non avere a fare come il detto Apelle, che avendo detto molte cose intorno a esse, s’ebbe poi a disdire. Come ancora della stella Velsera, quac nimis properc minus prospere . Nota. Facciasi in principio clic quando si dirà, la tale vostra proposizione è falsa, non s’intende di dar mentite nò ingiuriare il Sarsi, perche egli a ogni parola rinfaccia, mentivi me asserii. So un religioso dicesse di volersi astenere da. correre por le strade, dal tirar sassi, e anche dal correr lance, o simili leggerezze, ohe ne parrebbe a’ anima¬ tici? dall’andare in maschera. Nella Libra (come nel Saggiatore a 20) si dice : praeter argumentandi tnodos ac rationes quibus cometae locus inquireretur , nihil aliud in Disputationc nostra reperiatur quo Tyeonem sccutis, e nella scrittura nuova ex Tycone praeter hypo - tìiesim , id unum desumpsimus , ut per paraUaxi exiguitatem , et motum in circulo maximo apparentem , cometae distantiain metiremur : haec tamen , ipsa dertxon- strandi loiuje aliud inivimus viani Nella Libra non disse di aver tenuto altra strada ma lo dice bora dopo d’essere stato dal Galileo mostrato falso il modo di Ticone, il quale egli però non vuol confessare, che abbia errato. pudet me impudentiae tuae cuius te ipsum non pudet dice Cic. nella 2 a Filipp. a Marcantonio. in Pag. BUG lin. 22 o lin. 23. (a) Pag. 304 lin. 28, 29, 30 c la Libra cn Pag. 407 lin. 20. giim 116. a pa DAL “MUNDUS JOVIALIS” DI STMONE MARIO. Mumlus - Jovialis - Anno MDCIX - Detcctus opo - Perspicilli - Belgici; Hoc est, - Quatuor Jo viali - una Planetaruin, cuna - Tlieoria, tum tabulae, propriis ob - servationibus maxime lundatae, ex quibus - situa illorum ad Jovem, sui quoti vis tompus datum - promptissime et facilóne supplì - tari potest. - Inventore et Autliore - Simone Mario Guntzen - lituano, Marchionum Branden - BurgenBium in Franconid matlie - malico, puriorisque Medici - mie studioso. - Gum gratia et privil. Sac. Caes. Majest. - Sumptibus et Typis Job anni s Lauri Civis et Bibliopolac - Uorinbergensis, Anno - MDOXIV. Dopo viene la dedica. Illustrissimis Principibua sic Domino Obriatia.no, ac Domino Ioachimo Erne¬ sto, Pratribus, Marcliionibns Brandcrburgiois. Dopo Praefolio ad Candidimi lectorcm. Constitueram apud me, candide lector, pluribus in liac praefatione teciim agere, et de iis omnibus, qusie bactenus, per instrumentum belgicum, vulgo perpicillum vocatum a me in Sole, Luna, caeterisque sideribus atque adeo in loto coelo, observata snnt, longam ora- tionem instituere, prout diversia in locis buina libelli videre licet. Veruni cum non tantum adversa valetudo aliaque negocia intervenientia a proposito me detinuerint, sed et nundinae francofurtenses appropinquarent, et libellus ipso iam sub praelo versarefcur, promissis stare non potili, sed in alimi tempus lume observationum mearum publicationem praeter voluntatem meam dif- fenc coactus sum. In sequentibus nunc, quando et quomodo in cognitionem et usum buius instrumenti inciderim, paueis expbcabo. Anno 1608, quando eelebrabantur nundinae frsmcofurtenses autumnales, versabatur etiam ibidem nobilissimi^, fortissinius, maximeqne strenuus vir Joannes Philippus Fuchsius de Bimbacb in Mòbrn, Dominus et Eques Auratus, intrepidus belli Dux, ete., lllustrissimorum meorum Principimi Consiliarius intimus, totius Matheseos, aliarumque similium scientiarura non saltelli fautor et amator, sed et eultor maximus. Intel* alia quae tunc ibi gerebantur, aecidit, ut mercato!* quidam modo nomination nobilissimum virum convenirci, euius notitiam ante babuerat, et referret quondam belgam nunc Francofurti esse in vi. 87 690 DAL “MUNDUS JOVIÀLIS nundinis, qui excogitarit instrumentum quoddam, quo mediante remotissima quaeque obiecta, quasi proxima essent, intueri liceret. Quo cognito multum roga- vit dictum mercatorem, ut belgam illuni ad se adducerot, quod tandem obti- nuit. Multum igitnr disputans cum belga primo inventore, et de inventi novi veri tate nonnihil dubitane nobilissimus vir, tandem belga producto instrumento, quod seenni attulorat, et cuius alterimi vitrum rimani egerat, rei veritatem experiri iussit. Accopto itaque instrumento in manus, et ad obiecta directo, ea aliquot vicibus ampliali et multiplicari vidit. Deprehensa itaque ventate in- strumenti, quaesivit ex ilio, prò quanta pecuniae summa simile instrumentum parare vellet ; belga magnani pecuniae summam poposcit ; cum vero intel- lexerit, quod primum habere nou possi!, ideo rebus infectis invicem discessum est. Bediens ergo Onoltzbacliiuin dictus nobilissimus vir, mihi ad se vocato retulit, excogitatuili esso istrumentum, quo remotissima quasi proxima eer- norentur. Quao nova ego cmn summa admiratione audivi. Curnque liac de re post eoenam saepius meeuin dissereret, tandem conclusi!, necessum sci- lieet esse ut instrumentum tale duobus coustaret vitris, quorum unum esset coucavum, alterum vero convoxum, et creta aceepta a propriis manibus in mensa, quae et qualia intelligeret vitrea, delineavit. Accepimus post vitra duo e perspicillis communi bus, concavum et con- vexnm, et unum post alterimi in conveniente distantia eollocavimus, et rei yeritatem aliquomodo deprehondimus. Veruni cum convoxitas vitri amplian- tis nimis alta esset, ideo veram convexi vitri figuram gypso impressam Norim- bergam misit, ad artifices illos, qui perspicilla communia conficiunt, ut similia pararcnt vitra, at frustra, destituebantur enim instrumentis idoneis, et veram conficiendi rationem illis revelare noliiit. Hac ratione nullis interim pareens sumptibus, elapsi sunt mcnses aliquot. Si modus poliendi vitra nobis cognitus l’uisset, statini post roditum a Francofurto, perspicilla optima paravissemus. Interim divulgantur in belgio einsinodi ])erspicilla, et transm itti tur unum satis boiium, quo valile delectabamur, quod factum est in aestato Anni 1609. Ab hoc tempore caopi cum hoc instrumento inspieere codimi et sidera ; quando noctu apud saepius memoratum nobilissimum virum fui, iterdum dabatur mihi potestas portandi domum, praesertim circa finem novembris, ubi prò more in meo observatorio considerabam astra. Time primum aspexi Jovem, qui versabatur in opposito Solia, et deprekendi stellulas exiguas, modo post, modo ante Iovem in linea recta cmn love. Primum ratus sum, illas esse ex numero illarum fixarum, quae alias absque instrumento hoc cerni nequeimt, quales in via lactea, pleiadibus, hyadibus, Orione, aliisque in locis a me depre- hendebantur. Cum autem lupiter timi esset retrogradus, et ego nihilominus liane stellarum concomitanti am viderem per decembrem primum valde ad- miratus sum, post vero palliatili! in liane descendi opinionem, vidolicet quod DI SIMONE MARIO. 691 steli ac haec circa lovem ferrentur, prout quinquc solare» pianeta© $ 2 c? % et li circa Solein circumaguntur, itaque coepi annotare observationes, quarum prima fuit die 29 decembris, quando tres eiusmodi stellae in linea recta a love versus occasuni cernebantur. Hoc tempore quod ingenue fateor, credebam saltem tres eiusmodi stella» esse, quae lovem comitentur, cum aliquoties tres ordine collocata» eiusmodi steli as prope lovem viderim. Interini ctiam mitte- bantur o Venetiis duo vitra egregie polita, convexum et concavum, a Claris- simo et prudentissimo viro domino Iohanne Baptista Lenccio, qui e Belgio post factam pacem reversus Venetias conccsserat, et cui instrumentum hoc jam notisaimum fuerat. Haec vitra tubo ligneo coaptata fuerunt, et a prius no¬ minato nobilissimo maximeque strenuo viro mihi tradita, ut quid in astris, stellisquo prope lovem praestaret, experirer. Ab boc itaque tempore usque in 12 janua. diligcntius attendebam bis iovialibus sideribus, et deprehendi aliquo modo quatuor eiusmodi corpora esse, quae lovem sua circuitione spec- tarent. Tandem circa finem februarii et initium martii do certo numero bo¬ rimi siderum oninino eonfirmatns sum. A decimo tertio januarii usque in 8 februarii fui Halae suevorum, et instrumentum domi reliqui, veritus ne in itinere damnum aliquod acciperet. Postquam igitur domum redii, ad consueta» observationes me accomodavi, et ut exactius et diligcntius sidera jovialia ob- scrvare possem, ex singulari affectiono erga haec studia mathematica saepius citatus celeberrimus et nobilissimus vir, milii plenam instrumenti copiam fecit. Ex lioc itaque tempore usque in praesens cum hoc instrumento et aliis postmodum constructis, observationes continuavi. Haec est historia veris¬ sima : non eiiim do tanto viro, vivo praesente, sic in publico scripto mentili impune mihi liceret, ut qui non saltem ob stemma nobiiissimum et antiquis- simum, sed etiam imprimis ob rea fortissime gestas, li eroica facta, et summam belli pcritiam, per Galliam, Ungariam, Belgium et Germaniam sit celeberri- mus. Ideo quidquid bac in parto a me observatum, elaboratum et jam publici iuris est factum, illud totum buie excellcntissimo et nobilissimo viro, patrono et promotori meo suinmo colendo accoptum refero. Non autern haec a me eo recensentur, quasi ego existimationem Galilaei extenuarc et inventionem borum siderum jovialium apud suos italos ipsi praeripere velini, neutique sed potius ut intelligatur, liaec sidera a nullo mortalium mihi ulla ratione com- monstrata sed propria indagine sub ipsissimum fere tempus, voi aliquanto citius quo Galiiaeus in Italia ca primum vidit, a me in Germania adinventa et obser- vata fuisse. Merito igitur Gaiilaeo tribuitur et manet lans primae inventionis horum siderum apud italos. An autem inter ineos Germanos quispiam ante me ea invenerit et viderit, hactenus intelligere non potili, nec facile credidero : quin potius piane contrarium expertus sum, nempe fuere, qui Galilaeiun mequo errori» impudentor accusare non erubuerunt. Veruni non dubito, quin ilio»- DAL “MUNDUS JOVIALIS ” 692 melip,sos iam fui erroris et praecocis judicii de aliorum laboribus pocniteat pudeafcque. Si itaque meus bic libellus ad Galilaeum Fiorenti am vonerit, rogo ut eo animo haec a me accipiat, quo sunt a me scripta. Tantum enim abest, ut per mo aliquid ipsius autboritati et inventis decedere velini, ut potins ipsi magnas agam gratina prò publicatione sui Ntmoii Siderei, eo enim ipso plu- rimum confirmatus sum : Inprimis autom ipsius observationes mibi utiles fuere, quia emetipso quasi tempore factae sunt, quo ego Halao suaevorum fui, et ab observationibus vacavi, licot mihi illae non undiquaque exaetao videantur, tamen quo ad orientahtatem voi occidentalitatem, et liabitudinem borum siderum inter scmetipsa, me plurimum juvarunt. Modus ipsius Gali- laei acoipiendi distantias a Tovo mihi non successi!-, sed retinui meum modum, quem etiam ante notitiam Siderei Nuncii sum usua, quemque alibi, in publi¬ catione praecipuarum mearum observationum explicabo. Acturus mmc oram de maoulis in Sole, uti ante hac proposueram, quid- quid etiam in eia a 3 augusti anno 1611 usquo bue obsorvavi manifestare. Veruni non saltem ob causas ab initio indicatas in praesenti nil do eia certo determinare volo nee possum, sed quia etiam doctissimos de iis dissentire, et egometipse mibi satifacere nequeam. Quare relictis iis, quatuor aba mine su- biungam, de quibus in dedicationibus meis annuornm prognosticorum hacto- nns nullara feci mcntionem. Inter illa primum est, quod mediante pcrspicillo a die 15. decemb. anni 1612, invenerim et viderim fixam vel stellam quandam • admirandae figurae, qualem in toto cacio depreliendere non possum. Ea au- tem est prope tertiam et borealiorem in cingulo Andromedae. Absque instru- mento cernitur ibidem quasi nubeeula: at cum instrumento nullae videntur stellae distinctae, ut in nebulosa Cancri et aliis stelli» nebulosis, sed saltem radii albicantcs, qui quo propriores sunt centro eo clariores evadimi, in centro est lumen obtusum et pallidum, in diametro quartana fere gradus partem occupai. Similis fere splendor appare!, si a longinquo candela ardons, per cornu pellucidum de nocte cernatur ; uon absimilis esse videtur Cometae illi, quem Tyclio Brabo Amio 1586 observavit mense septembri anni suporioris, quando mecum erat doctissimus vir M. Lucas Brunnius Illustrissimi Electoris Saxouici Mathematicus, inter alia timo mathematica colloquia, quia se offerebat grata serenitas, etiam hanc ipsi stellam monstrosam commonstravi, quam summa cum admirationc vidit. An autem nova sit nec ne, certo asseverare nequeo, di- spiciant- et judicent id alii. De oculatissimo domino Tychonc miror, qui bor- ealiori fixae cingulo Andromedae, instrumentis suis loeum secundum longum et latrun praefinivit, banc tamen nobulosam intactam reliquit, quao tamen proxima est illi. Secundum est, do quo omnes pbysici et astronomi inter se dissentiunt : uimirum quae sit causa, voi qui modus seintillationis stellarum. Autecessores DI SIMON E MARIO. 693 nostri fere omnes existimarunt scintillati onom solis fixis competere, pia¬ neti» vero minime. Ad hoc falsum esse experientia et observatio per instru¬ mentum belgicum convincit. Omnes enim stellae in cacio scintillanti, etiam ipse Sol, Luna sola excepta, at quaedam plus quaedam minus. Inter planetas om¬ nium minime scintillat Saturnus, post Iupiter, tertio Mara, bmic sequitur 9 : Morcurius vero validissime scintillat, quod cura et absque perspicillo manifeste deprelienditur. De Sole post agam. Hic iterum non deerunt scioli, qui pieni» buccia inclamabunt, et insania© ac crassissimi erroris me accusabunt : faciant sane quod illis libuerit, ego nihilominus, quae oculis meis vidi, quaeque di¬ ligentissime observavi, candido lectori communioabo. Cui igitur perpicillum bonum ad manus est, quique rei veritatem explorare cupit, is c perspicillo vitrum concavum exirnat, partem instrumenti vitro vacuam oculis admo- veat, et porspicillum dirigat in stellam vel planètam, euius scintillationein considerare vult. Tunc cura admiratione videbit ea, de quibus hic ago, modo eoolum sit clarissimum et aer defaccatissimus. Licct enim corpora fixarum et planetarum appaTeant multis perforata foraminibus, quod fit ob materiam vitri convexi, nihilominus maximae fiunt moles corporum fixariun et planetarum et scintillatio videbitur esse quasi quaedam fulminatio sive ebullitio materiae stel- larum, interim (amen apparcbunt ordine per vices certi et distincti colores, in aliis plus, in aliis minus. Et quae stellae hact-enus creditae sunt natura© Marti», in illis cantori» praecellit color rubeus, utpote in Marte, Aldebaran et aliis fixis similibus. In Cane vero maiore omnes colores, viridis, aureus, sanguineus et cae- ruleus in eodemque vigore et copia eadem ordine sibi succedunt, ita ut intuenti maximam pariant admiratìonem cum summa delectatione coniunctam. Hos colores liberi» oculis se vedisse scribit dominus Koiilerus in opticis, idemque Bali sbollire post coenam Illustri Viro, Domino, D. Iohanni Matthiae Wackero a Wackenfels, S. C. Maiest. Consiliario Imperiali Aulico, etc. et mihi confir- mavit, cum liao eadem de re verba fiebant inter nos. Non ego liic sontentiam rneam dico de scintillatione, qua ragione ea fiat, sed quid viderim fideliter ostendo, aliisque subtilioribus ingeniis discutiendum id et explicandum re- linquo. Luto tamen naturam et qualitatem fixarum hac ratione securius et cortius explorari et definiri posse, quam liactcnus factum est. Tertium est, quod non ita pridem, videlicet post reditum a lìatisbona mihi pararim instrumentum, quo non solum planetae, sed etiam omnes fixae in- signiores oxquisitae rotundae cernuntur, inprimis autem Canis maior, minor, luci diore» in Orione, Leone, Ursa maiore, etc. quod antehac numquam mihi videro contigit. Miror equidem Galilacum cum suo instrumento admodum oxcellente idem non vidisse. Scribit enim in suo Sidereo Nuncio, fixas stollas periphaeria circolari nequaquam terminatos apparerò, id quod quidam postea maximi argumenti loco liabuerunt, nimirum hoc ipso sistema mundauum Co- DAL “ MUNDUS JOVIALIS ” 694 pernioanum confirmari, nempo quod ob immensam distantiam fixarum a Terra-, figura globosa fixarum stellarli ni nequaquam in Terris ullo modo porci pi possit. Cum vero nunc certissime constet, etiam fixas orbiculari in Terris hoc porspioillo videri, cadit profecto haec argumentatio, et piane contrarium astrui- tur, nimirum sphaeram stellarum fixarum nequaquam adeo incredibili di- stantia a Terris removeri, uti fert speculatio Copernici, sed potius talem esse segregationem sphaerae fixarum a Terris, ut nihilominus moles corporum il- larum hoc instrumento figura circulari distincte videri possit, consentiento ordinationo spliaerarum coelestium, tychonica et propria, ut inferius parte secunda huius libelli, pliaenomeno quinto confirmabitur. Veruni liaec alibi disputanda et explicanda sunt. Quod autem fixae proprio luceant lumino, Qalilaeo facile concessero, quia longe excellentiore splendore et claritate sunt praeditae, quam planetae. Quartum est peculiaris quaedam observatio in Sole, praeter macula», de qua inter me et Dominum Davidem Fabricium tlieologum in Frisia orien¬ tali, et astronomum excellentissimum amicum menni singularem, per literas aliquotios disceptatum est. A multis cnim jam anni» vidi in tempiis aliisque locis obscuris, ubi per foramen, voi orbem vitreum fractum incidebat radili» Soli» in oppositum parietem, satis longo intervallo a dicto foramine distantem, tremulum admodum radii Solaris, ita ut non aequaliter progrederetur, sed tremendo, undulando et saliondo quasi provenerotur. Cumquo modo norni- natus Dominus Fabrieiu» niihi semper contradixerit, affirmando liunc motum radii non a Sole ipso existere, sed in aero intermedio : ideo diligentius luiic rei attendi, adliibito etiam perspicillo, quod ad foramen parietis fixum et immobile adaptavi, ita quidem ut nullus alius radius in cameram obscuram, nisi per perspicillum intrare posset. Excepi etiam radium in tabula radio e satis longo intervallo opxiosita, et charta alba obduct-a, quae etiam fixa nianc- bat. Quibus sic ordinati.» diligentissime observavi radium cum maculis sola- ribus, et deprehendi tres distinctos motus in ipso radio : Unum in superficie radii, quasi fulminantem quandam alterationem splendoris Solaris, quali» fere apparet in fixis, praecipue in Cane maiore, ut antea ostensmn est. Hunc motum ego scintillationem Solis esse credo, et milii persuadeo, si qui» Solem ex Saturno intuerotur, timo procul dubio Solem validissime scintillare videret-. Nani lumen et moles Solis ibidem non est tanta, quanta apud no» in terris exliibetur, cum diameter ipsius trium saltelli minutorum circiter appareat, et praeterea angulus huius fnlminantis et ebullientis niotus longe maior apud Satiunum fiat, quam apud no». Eundem hunc motum absque instrumento non raro liberi» oculi», et quidem melius quam per instrumentum, vidi, quando Sol declivior erat, por ebartam nigram oblique convolutam, cuius angustum foramen ad oculum dirigebatur, amplum vero ad Solem. Hae ratioue vidi su- DI SIMONE MARIO. G95 perficiem Solis cominoveri, non aliter ac aurum a summo calore liquefactum, in quo fluxu similis commotio et quasi fulminatio existit in superficie miri, ubi tamen superficies sernper manet eadem, noe ita ebullit ut aliae res liquida© vel aqueao. Secundus motus est et observatur in extrema circumferentia radii Solaris, quem proprie ondulationem aliquam vocari jiosse puto. Hicque meo iudicio existit ab acre moto extra forameli. Similis commotio supra segete» aestivo tempore observatur, quando calor est intensissimus. Idem etiam cum perspi- cillo deprehendi liac nevosissima et frigidissima liieme, in campis et silvis tem¬ pore serenissimo et frigidissimo. De tertio motu valde miror, qui admodum inaequalis deprehenditur. Nani qui diligente!* attendit, licet radius paulatim provehatur, ea tamen promotio non aequalis existit, sod admodum sibi dissimilis. Interdum enirn quasi stare videtur radius, quo ad rnotuin illuni, qui alias diurnus vocatur, interdum vero quasi in momento saltu quodam facto in consequentia ferri. Eidein motui inac¬ quali etiam obnoxiae sunt maculae solarcs, lume saltimi motus radii Solaris, post multiplicem experimentationem, deprehendi ducentesimam partem dia¬ metri radii non attingere. Sit autom sane pars radii ducentesima. Hic igitur motus aut iuest Soli, aut Terrae, aut denique aeri. Ab aere existere non posse puto, quia hic motus piane diversus est ab ilio altero, quem ondulationem aliquam vocavi. A Terrae motu diurno liane inaequalitatem motus existere dicent forsan Copernicani, quod tamen ego nego, ductus liac probabili ratione. Si diamoter Solis est 8876 mill. gemi, qualem inferius parte tertia usurpo, duaequo lineae ex centro Terrae ad contactum Solis ducantur, tunc duae liac lineae comprehendent de superficie Terrae 7 mill. germ. et passus geometrico» 3595, qui arcua est diameter radii in camera obscura aceepti : buina ducente¬ sima pars sunt geometrici passus 192, vel pedos 960, quibus turris aiiqua in momento quasi ab occasu in ortum proveberetur. Quia aliena motus inaequalis superficiei Terrae procul dubio scntiretur in altissimis montibus, si vera esset speculatio Copernici. Praeterea si liic motus inesset Terrae, deprelienderetur etiam in radio Lunae licet difficilior sit observatio, sed id non fit, ergo inest Soli. Yerum baec a me non ideo jiroponimtur, quasi paradoxum esse velini, sed ut et alii in liane diligenter attendant, cum neminem adirne sciam, qui lume motum radii Solaris vel Solis ipsius observàrit. Ilaec ita sunt de quibus hoc tempore atque per liane occasionem te, candide Lector, commonefacere volili, simul rogans, ut ea omnia, quac in hoc libello bono animo et summa fide a ine publicantur, candide interpreteris, atque ita accipias, ut prima fundamenta Mundi Iovialis, super quae sempor correc- tore aedificare licebit. Bene vale, et bis moia vigiliis et laboribus feliciter fruere. 69G DAL “MUNDUS JOVIALIS ” i)I 8IM0NE MARIO. I «Primmn phaenomenum seu apparenza in bis planetis osi, quod non fixa » imo in loco et in lina a iovo distantia perpetuo versantur, sed movenlnr circa » lovem, modo orientales, modo ocoidentales al) ilio existentcs. II » Quilibet ex liis quatuor Ioyialibus pcoiiliarem sivo maximao olongationis » a love terminimi utrinquo agnoscit. Id inde observatum est, quia nunqnam » duos vel plures congrodi vidi circa maximam distantiam quarti. Quanta » autem uniuscuiusque vel elongatio, partim ex iam supra elicti» constati, et » paolo post ea de re pluribus agam. ITI » Prope lovem sunt velocissimi, in terminis vero maximao distantiao, tardi i> et quasi station arii. IV » Periodicas restitutiones circa lovem inaequales depreliendi, prò prioria » celeriorem, remotioris tardiorem. V » Post plnrimas observationes factas, atque post deprehensas cuiuslibet »qnam proxime pcriodos revolutionnm, animadverti etiam alimi phaenomenon. t Nimirum quod aequalitate motus sui principali ter quidem lovem, cimi Tove » autem non Temoli sed Solerà respiciant. VT »Moventur quidem hi secuudarii loviales pianeta© in linea ad eclipticam » parallela, quoad totani revolutionem, interim tarnen al) hac parallela deflec- » tunt, modo in boream, modo in austrum, differentia peneptibili, praecipuo » quando duo coniuncti cemuntur, altcrquo est iu accesali, alter vero in discesali » a love. VII »Non semper acquali magnitudine cemuntur hi loviales erronea, sed modo » maiores, modo minores. INDICE DELL’APPENDICE. Avvertimento.Pag* 667 Postille di Galileo Galilei al Discorso delle Comete di Mario Guiducci . . 673 Aggiunto alle Postillo di Mario Guiducci alla Ratio ponderimi Librae et Simbellae .681 687 Dal Mundus Jovìalis di Simone Mario •» LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME VII FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE 1933 - XI . LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume VII. i k o r BUE VII. >■ , f , LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO di S. M. IL RE D’ITALIA E DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume VII. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 1933 -XI. ElJlZIONK DI SKICKNTO KSKMt'LAIU. Eskmpukk N° 169 FIRENZE, 200-1032-33. — Tipografia ltarbèra - Alfani k Vkntuhi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale II- II. MINISTERO DKI.LA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario: ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTr — G. COVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale è posta sotto gli auspicii BEL 11. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA 11. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. f Direttore: ANTONIO GARBASSI). Consultori : GIORGIO ABETTI — ANGELO BRUSCHI. I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. VII. 1 AVVERTIMENTO. Il < Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo > ò fra le opere più celebri che si hanno alle stampe in ogni ordine di letteratura, e forse assai più a motivo delle vicende che per causa di esso l’autore sostenne, per il metodo d’indagine scientifica che vi è così luminosamente insegnato, e per lo splendor della forma, che non per l’intrinseco valore, il quale è superato da altri scritti del sommo filosofo. Come ci attesta il Viviani (,) , Galileo lo andava volgendo nella mente fin dai primi tempi del suo soggiorno in Padova : ed infatti molti e molti degli argomenti, la trattazione dei quali trovasi coordinata nel Dialogo , hanno stret¬ tissime attinenze con quegli studi di cui egli si occupò mentr’ era agli stipendi della Serenissima (S) . Scrivendo al Keplero, nel 1597, che ormai < multis abbine annis > egli aveva abbracciato P opinione Copernicana, aggiunge : « multas con- scripsi et rationes et argumentorum in contrarium eversiones.... Auderem pro- fecto meas cogitationes promere, si plures, qualis tu es, extarent; ac cum non sint, huiusmodi negotium supersedebo > (3) ; e fra i titoli delle opere che stava meditando, come scriveva a Belisario Vinta il 7 maggio 1G10, e divisava di pubblicare quando una condizione più tranquilla di quella che occupava nello Studio di Padova gliene avesse concesso agio, sono in prima linea < 2 libri de sistemate seti constitutione universi , concetto immenso e pieno di filosofia, astronomia e geometria > (k) . La pubblicazione di un < Systema mundi > era stata del resto ripetutamente promessa da Galileo nel Sidereus Nuncius ' o) , ed a questa promessa egli si era richiamato nelle prime linee del Discorso in¬ torno alle cose che stanno in su V acqua o che in quella si muovono {b) e nella corrispondenza col Principe Cesi (7) . Ma, mentre questi lo confortava a rivelare al mondo il « sistema massimo >, da altri invece, che aveva penetrato coni’ egli avrebbe affermata e dimostrata la mobilità della Terra, ne era trattenutoe quantunque nelle varie scritture che andavano uscendo dalla sua penna, e che furono date in luce o fatte correre manoscritte per le mani degli amici e dogli (il J ?((sti consolari dell'Accademici Fiorentina di Salvino Salvixi. In Firenze, M.DCC.XYII, pag. 415. Galileo Galilei e lo Studio di Padova per AN¬ TONIO Favauo. Vo). I. Firenzo, Successori Lo Mon- nier, 1883, pag. 321. (*i Lettera del 4 agosto 1597 (Cod. 10702 della Biblioteca Palatina di A'ienna, car. 62). O) Mss. Gal., nella Biblioteca Nazionale di Fi- ronzo, Par. VI, T. V, car. 81. » 5 > Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Na¬ zionale. Voi. Ili, Par. 1. Firenze, G. Barbèra, 1892, pag. 75, 9G. <®> Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Na¬ zionale. Voi. IV. Firenze, G. Barbèra, 1894, pag. 63. O) Lettera di Federico Cesi a Galileo del 4 agosto 1612 (Mss. Gal., Par. VI, T. Vili, car. 185). ,8j Lettera di Paolo Gualdo a Galileo del G maggio 1611 (Mss. Gal., Par. I, T. VI, car. 19G). 4 AVVKKTIMKNTO. scolari, non aia dilìicile seguirò lo svolgimento successivo «lei suo pensiero a questo proposito, pure egli differì dall’occuparsi ex professo di tale materia e dal mani¬ festare pienamente in pubblico le suo idee, nò compì per allora quel lavoro spe¬ dalo elio meditava : o questo fu gravo danno, perchè nel frattempo andarono accumulandosi diiìicottA ed opposizioni più o meno aperte, che resero tanto più malagevole, ed anzi impedirono, l’esplicita od incondizionata sua adesione al nuovo sistema del mondo. Ad ogni modo, noi crediamo di non cadere in errore argo¬ mentando elio quelle medesime cause che lo indulsero a rispondere, dopo lungo silenzio, alla I)c siiti et quiete Tenue centra Copernici si/stema disputai io di Fran¬ cesco Ingoli abbiano puro contribuito a fargli riprendere la intermessa, ma non mai pretermessa, fatica. Della forma dialogica e del titolo < Del flusso o reflusso > elio Galileo in¬ tendeva di dare al ripreso lavoro, troviamo per la prima volta menzione in una lettera a Cesare Mnrsili del 7 dicembre 1024"'; o sembra elio il Nostro ai pro¬ ponesse allora di recarsi a Roma e di presentare per l’approvazione soltanto una bozza dell'opera, o di ottenere in generalo elio non si avversassero le dottrine in essa professato: dal qual partito lo distolsero il Cesi o il Ciampuli Il lavoro, elio nell’agosto del lt»25 egli scrive di andar tirando innanzi ", appa¬ risce intermesso nel dicembre dell’anno successivo ‘ ; ed anello Bei mesi dopo gli amici sentono che procelle con lentezza, la qual cosa dà argomento alle loro doglianze 1 ". Nonostante che, in occasione della gravissima malattia dalla quale Galileo fu colto nel marzo ilei 1628 e clic lo condusse in fin di vita, preso da timore ebe l’opera rimanesse incompiuta, egli facesse risoluzione ili portarla a tino nel più breve tempo possibile^ tuttavia nel 1629, per ragioni a noi sconosciute, il lavoro soffrì un nuovo ritardo. Fu ripreso nell'ottobre, c il 24 dicembre Galileo partecipava al Cesi d’averlo < condotto vicino al porto» 1 * 1 : al principio dell’anno successivo i dialoghi erano < felicemente terminati > si leggevano in casa del cano¬ nico Cini i,#> , e 1’autore ne incominciava la revisione, dandone avviso agli amici ed aggiungendo che in breve li avrebbe avuti < in pronto per dargli alla luce o la stampa si proponeva di farla in Roma, dov’egli stesso si sarebbe recato a curarla, < per non affaticar altri nelle correzioni > In questa determinazione egli era venuto, come par molto probabile, perchè, dovendo l’opera esser pubbli¬ cata per cura dell’Accademia dei Lincei, cioè a spese del Principe Cesi lU| , fossi! evitato il pericolo di troppe scorrezioni e d’interpolazioni, coni’ era avvenuto per il Saggiatore l,4) . Contemporaneamente però Galileo faceva tastare in Roma il terreno per prepararsi all’accoglienza ch’egli ed il suo libro vi avrebbero ricevuto, e ne scriveva in proposito, in una lettera elio lamentiamo smarrita, sotto il di 28 gen¬ naio 1630 al fido Castelli, il quale si era giù abboccato intorno a questo parti- (l > l.e Opere di Galileo Galilei. Edizioni) Na¬ zionale. Voi. VI. Firenze, G. Barbèra, 1896, jmg. 50ò. Archivio Marcigli in Bologna. Lettera di Federico Ceri a Galileo del 26 aprilo 1625 (Mss. Gal., Par. VI, T. X, car. 210). Lcttora di Giovanni Ciappoli a Galileo del 30 agosto 1625 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 23). Lotterà di Niccolò Aggiunti a Galileo del 23 dicembre 1626 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 19). 11 > Lettera di Giovanni Ciampoli a Galileo del 10 luglio 1627 (Mss. Gal.» Par. I, T. IX, car. 65). Lettera di Niccolò Aggiunti a Galileo del 27 aprile 1623 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 85). <*> Lotterà di Galileo a Federico Cesi (Biblioteca Bj.vconpagni in Iìoiiia, cod. 580, car. ICO). Lettera di Giovanni Ciampoli a Galileo del 5 gennaio 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 158). * l0t Lettera di Niccolò Aggiunti e Pino Peri a Galileo del 21 gennaio 1630 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, rar. 991. ,ll > Lettera di Galileo a Cesare Marrili del 12 genuaio 1630 (Archivio Makbioi.i in Bologna). ,,4 > Lettera di Galileo a Federico Cebi del 13 gennaio 1630 (Biblioteca Boncompaoki, cod. 580, car. 159). ,3 » Lettera di Galileo ad Andrea Cigli del 7 marzo 1631 (Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 73). |U > Le Opere di Galileo Galilei. Ediziono Na¬ zionale. Voi. VI. Fironzu, G. Barbera, 1896, pag. 1617. AVVERTIMENTO. coiaio col Padre Maestro dol Sacro Palazzo, Niccolò Riccardi (quello stesso da cui era stato dato il nulla osta alla stampa del Saggiatore ), ed aveva anche scandagliato V animo dol Card. Francesco Barberini, nipote del Papa e, come allora dicevasi, Cardinal Padrone. Quanto al P. Riccardi, partecipa il Castelli a Ga¬ lileo « che era tutto suo o che sempre averebbe fatta la dovuta stima della virtù di V. S., o che non no dovesse dubitare » ; o quanto al Card# Barberini, che taceva delle difficoltà, ma pure, quando Galileo avesse provato che la Terra non ora una stella, « noi resto lo cose, potevano passare » (1) . Questa lettera incoraggiò il nostro filosofo nella correzione del suo lavoro ; ond’egli scriveva, nel febbraio al Marsili U) o nell’aprilo a Gio. Francesco Buonamici l3) , ch’era occupatissimo nel rivederlo e elio lo faceva copiavo, con intenzione di trasferirsi a Roma por pubbli¬ carlo subito. Viepiù fiducioso nello sorti della sua diuturna fatica dovette poi sen¬ tirsi dopo la famosadichiaraziono clic, circa la proibizion del Copernico, il Pontefice stesso ebbe a fare a Tommaso Campanella e della quale il Castelli dava notizia al suo Maestro, cioè elio: «Non fu mai nostra intenzione, o so fosse toccato a noi, non si sarebbe fatto quel decreto » 14> . Il 28 aprile del 1630 Galileo partiva da Firenze (5) e due giorni dopo giun¬ geva a Roma* 6 ’, dovo, per ordino del Granduca, era ospitato dal Marchese Fran¬ cesco Niccoli ni, ambasciatore di Toscana, il quale, per antiche relazioni di fa¬ miglia (7) , era già disposto a favorirlo nelle pratiche ch’era venuto ad intrapren¬ dere, ed in ciò era aiutato assai efficacemente dalla moglie Caterina Riccardi, pa¬ rente del Padre Maestro del Sacro Palazzo. Nessuna delle lettere che Galileo avrà scritto e alla Corte c agli amici, per informare sull’ andamento delle trattative iniziate con la consegna del manoscritto, eh’ era stato affidato per la lettura al P. Raffaello Visconti (t> , giunse insino a noi: soltanto i dispacci diplomatici ci danno notizia di difficoltà che si andavano sollevando rispetto alla licenza di stampa, a togliere le quali si stimò opportuno di agire, oltre che sul P. Riccardi, anche sul Visconti, interponendo altresì la mediazione del Principe Gio. Carlo de’ Medici (9) . Alcune modificazioni furono infatti concordate tra Galileo ed il P. Visconti, e questi sotto il dì 16 giugno scriveva al Nostro che il Dialogo era piaciuto ai P. Maestro, il quale all’indomani avrebbe parlato al Papa < per il frontispizio dell’opera >, e che del resto, < accomodando alcuno podio cosette, si¬ mili a quelle che accommodammo insieme >, il P. Maestro gli avrebbe restituito il libro (,0) . Addì 26 giugno Galileo partiva da Roma e, secondo apprendiamo da un di¬ spaccio di tre giorni dopo del Niccolini al Gioii, < con intera sua satisfazione, o con la spedizione intera, inerita dal suo valore e dalle sue gentilissime maniere, di quel suo aromatico negozio > (n) . Ed infatti riebbe Galileo il suo libro « sot¬ toscritto e licenziato > di mano del P. Maestro <12) : licenza e sottoscrizione però tutt’altro che definitive, e delle quali sembra che Galileo dovesse servirsi appresso il Granduca e per poter cominciare a trattar col tipografo. <»> Lotterà del 0 febbraio 1630 iMss. Gal., Par. I, T. IX, car. 162). <*i Archivio Marsigm in Bologna. Mss. Gal., Par. VI, T. V, car. 61. <*) Lotterà del 16 marzo 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 167). (Jó Trotterà di Gerì Bocciiixbri a Galileo del 28 aprile 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 175). Lettera di Francesco Niccolini ad Anduea Cioli del 4 maggio 1G30 (Archivio di Stato in Fi¬ renze, Filza Medicea 3342). (U Lettera di Francesco Niccolini a Galileo dol 21 luglio 1611 (Biblioteca Estense di Modena, Autografoteca Camporì, Busta LXXXI.1, 106). ( g i Lotterà di Galileo ad Andrea Cioli dol 7 marzo 16PX (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 73). Lettera di Filippo Niccolini a Galileo dol 20 maggio 1630 (Mss. Gal., Par. J, T. IX, car. 181). < l0 > Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 108. GL Archivio di Stato in Firenze,FilzaMedicea 8347. Lotterà di Galileo ad Andrea Cicli del 7 marzo 1631 (Mss. Gal., Par. 1, T. IV, car. 78). G AY VKRTIMENTO. Qual parto in tutto ciò abbia avuta Federico Cesi, non risulta affatto: certo è che, se Galileo contava sull’ appoggio (li lui, questo gli venne meno improv¬ visamente, poichò il 1° d'agosto il Principe dei Lincei mancava ai vivi. K di appoggi por condurrò a felice conclusione lo iniziate trattative Galileo avera gran¬ dissimo bisogno, chò le coso non erano cosi lisce come avrebbero potuto far cre¬ derò il surriferito dispaccio dell 1 ambasciatore e la ottenuta licenza. Galileo stesso no doveva essere convinto, se, partendo da Roma, aveva annunziato agli amici die presto vi sarebbo tornato : di tornarvi infatti aveva preso impegno col 1\ Riccardi, per accomodare con lui < alcune coselle nel proemio ! e dentro l'opera stess*a > ' 8) . E forse con questi ragionevoli timori si connette il tentativo fatto da Galileo appresso il Italiani, nelPagosto del per far stampare il suo libro a Genova (k> . Intanto, che dopo la partenza del Nostro da Roma nuove difficoltà fossero sorte, appare da quello clic il 24 agosto 1(530 il Castelli scriveva a Galileo: < l’or molti degni rispetti, che io non voglio mettere in carta ora..., crederei die fosse ben fatto che V. S. M. 1. facesse stampare il suo libro costi in Firenze, e lo facesse quanto prima >. Il Castelli aggiungo d’aver trattato in proposito eoi 1\ Visconti, c d’aver ricevuto in risposta che a ciò non v’ era < difficoltà ili sorte alcuna, o elio desidera sopra modo die venga alla luce questa opera > '. Galileo rispondeva con una lettera, la quale ne accompagnava un’altra per il I\ Maestro: in queste lettere (oggi ambedue perdute) doveva egli pregare d’essere esonerato dal recarsi a Roma, allegando il motivo della peste elio andava serpeggiando, e chieder l’as¬ senso (li stampare il libro in Firenze; poichò il P. Maestro gli faceva sapere, esser necessario, prima die fosse data tale licenza, < mandare una copia del libro qui in Roma, per agiustare insieme con Mons. Ciampoli quanto bisogna >, ed il ('astelli aggiungeva, da parto sua, stimare tale invio < assolutamente necessario > i# . Tal cosa però non piaceva a Galileo, ed era inoltre resa malagevole dalla difficoltà dei passi, a motivo del contagio. Qui entra direttamente in campo la ('aterina Ric¬ cardi Niccolini, la cui mediazione Galileo interpose appresso il P. Riccardi, otte¬ nendo, almeno in parte, Feffetto desiderato; poichò l’ambasciatrice di Toscana gli scrive, sotto il dì 19 ottobre, elio il Padre Maestro < ò veramente, al solito, tutto suo, e per servirla in quel che può, dice che si contenterà elio V. 3. non mandi il libro intero da rivedersi, ma solo il principio ed il fino, con questa condi¬ zione però, die il medesimo libro sia rivisto da un Padre teologo della sua religione costì in Firenze, il quale sia solito di riveder libri ed adoperato a quest'effetto da’ Superiori di cotcsta città > (71 . Il revisore, scelto da Galileo, fu il I\ Giacinto Ste¬ fani, e la scelta fu, dopo qualche difficoltà w , ratificata dal P. Riccardi, il quale però insistè per vedere egli stesso il proemio e la fino del libro e per mandare al revisore < un poco d’instruzzione in questo proposito > \ So non che, non ostante lo promesse fatte all’ambasciatrice e ripetute anche al Castelli 10 , l'ordine al P.Stefani, col quale tali promesso avrebber dovuto aver seguito, non giungeva da Roma. Con m Lotterà di Gio. Ciampoli a Galileo del 18 lu¬ glio 1030 (Mss. Gai., Par. I, T. IX, car. 202). <*> Copia del proemio Galileo aveva lasciata al P. Castelli. Cfr. la lettera di Caterina IGccakdi Niccolini a Galileo del 17 novembre 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. XIII, car. 132). < 3 » Lotterà di Benedetto Castelli a Galileo dol 21 settembre 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 220). Lotterà di G. B. Bali ani a Galileo del 26 ot¬ tobre 1630 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 146). <* Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 212. !•> Citata lettera del 21 settembre 1630. G» Mss. Gal., Par. I, T. XIII, car. 125. Lottora di Fìancehcu Niccolini ad Andrea Cioli de! 16 marzo 1681 (Mss. Gal., Par. I, T. II, car.21). «»> Lettera di Caterina Kiocardi Niccolini r Galileo del 17 novembri 1630 (Mss. Gal., Par. I, T. XIII, car. 13-1. l*°» Lotterà di Benedetto Castelli a Galileo del 80 noveinbro 1680 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 224). AVVERTIMENTO. 7 siffatto ordine o senza, ebbe effetto ad ogni modo la revisione dello Stefani 10 : ma il proemio ed il fine, che il P. Riccardi s’era riservato di accomodare a sua intera sodisfazione, non venivano, cosicché al principio del marzo del successivo anno 1631 Galileo si risolse ad invocare l’intervento del Granduca < 2) ; e questi ordinò « di scrivere efficacemente al Sig. ambasciatore Niccolini, acciò l'accia con ogni vivezza e quanto prima V offizio col Padre Maestro del Sacro Palazzo > (3) . Il 19 aprile 1631 partivano da Roma due lettere : una del Castelli a Galileo, nella quale si diceva che il P. Riccardi « in ristretto vorrebbe il libro nelle mani, e promette che assolutamente lo licenziarli 05 >; l’altra del Niccolini al Gioii, in cui si legge: < Fu combattuto lunedì prossimo in questa casa assai a lungo il Padre Maestro del Sacro Palazzo dall’ambasciatrice e da me per l’interesse del Sig. Galileo, e finalmente fu accordato che ordinarebbe che ella {V opera) si stam¬ passe, però con ceri’ ordine o dichiarazione per suo discarico, del quale restò in appuntamento di scrivermene una poliza, perchè io potessi riferirlo puntualmente, e senza alcuna alterazione di parole, a V. S. Illustrissima » ; e il Niccolini conclude: < Ma vero è che queste opinioni qua non piacciano, in particolare a’ Superiori > ,r) . Ma la < poliza > annunziata non compariva, ed in luogo di essa il P. Riccardi man¬ dava, sotto il dì 28 aprile, all’ ambasciatore una lettera, nella quale, riservandosi pur sempre di vedere da sé il proemio e la fino, promette di scrivere all’Inquisitore di Firenze, < significandoli quello clic ha da osservar nel libro, distendendo quello che mi è stato commandato, acciochè, vedendo che si sia osservato, lo lasci cor¬ rere e stampar liberamente > (fl) . Circa un mese dopo il P. Riccardi, che in questo affare andava < un poco di male gambe >, come scriveva il Niccolini (7) , spediva al- P Inquisitore di Firenze le sue istruzioni, dalle quali risulta, anzitutto, che il titolo < Del flusso e reflusso > non era stato approvato, e che era mente del Pontefice clic il titolo o soggetto proposto fosse < assolutamente della matematica considerazione della posizione Copernicana intorno al moto della Terra, con fine di provare che, rimossa la rivelazione di Dio o la dottrina sacra, si potrebbono salvare le apparenze in questa posizione, sciogliendo tutte le persuasioni contrarie che dall’esperienza e filosofia peripatetica si potessero addurre, sì che non mai si conceda la verità assoluta, ma solamente la ipotetica e senza le Scritture, a questa opinione. Deve ancora mostrarsi clic quest’ opera si faccia solamente per mostrare che si sanno tutte le ragioni che per questa parte si possono addurre, e che non per mancamento di saperle si sia in Roma bandita questa sentenza, conforme al principio e fine del libro, che di qua mandarò aggiustati. Con questa cauzione il libro non averà im¬ pedimento alcuno qui in Roma, e Y. P. M. R. potrà compiacere l’autore e servir la Serenissima Altezza, che in questo mostra sì gran premura > (8) . Erano state compiute infatti, in via diplomatica, nuove sollecitazioni, causate da nuove istanze del Nostro <9) , il quale aveva già spedito al P. Riccardi, col mezzo del Nicco- lim (,0) , il proemio c il fino dell’opera. Ma intanto Galileo, insofferente dei ri¬ in Nella lotterà a Elta Diodati o Pietro Gas- bendi Lotterà di Galileo ad Andrea Cioli del 7 marzo 1G31 (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 73). i 3 » Lettore, di Gerì Boochikkri a Galileo dol- 18 marzo 1681 (Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 16G). (*> Mss. Gal., Par. I, T. IX, car. 217. Mss. Gal., Par. I, T. II, car. 33. <■» Mss. Gal., Par. I, T. XV, car. 07. Lettera di Francesco Niccolini a Galileo del 12 luglio 1G31 (Mss. Gal,, Par. I, T. IX, car. 260). Domenico Berti, Il protesto originale di Ga¬ lileo Galilei. Nuova odiziono. Roma, Voghera, 1878, png. 166-167. Lotterà di Galileo ad Andrea Cioli dol 3 maggio 1G81 (Mss. Gal., Par. I, T. IV, car. 78). Lettera di Francesco Niccolini ad Andrea Cioli dol 17 maggio 1631 (Mss. Gal., Par. I, T. li, car. 41). 8 AVVERTIMENTO. tardi, faceva por mano alla stampa : e così, mentre il 5 luglio 1031 egli comuni¬ cava al Marsili elio erano già stampati dei fogli del Dialogo ll \ di che questi si congratulava come so ogni ostacolo fosso ormai tolto di mozzo ’, ancora il giorno 12 il Niccolini scriveva al Nostro che il P. Riccardi poneva sempre nuove dilazioni a consegnavo il proemio c la lino aggiustati 3| , e soltanto il Itigli par¬ tecipava che il Padre Maestro, < tirato, conio si suol dire, per i capelli >, aveva acconsentito a liberare il proemio e sotto la medesima data lo stesso P. Ric¬ cardi inviava ali’Inquisitore di Firenze il < principio o prefazione da mettersi nel primo foglio, ma con libertà dell’autore di mutarlo e fiorirlo quanto alle parole, come si osserva la sentenza del contenuto >, ed aggiungeva: < 11 fine dovrà es ier dell’ istesso argomento > Tale a noi risulta dai documenti pervenutici la narrazione dei fatti occorsi circa la licenza di stampa del Dialogo ; non interamente conforme, per verità, alle due contenute nel volume del famoso processo, a cui la pubblicazione del libro diede luogo Superati tutti gli ostacoli, si proseguì con maggiore alacrità la stampa, che fu compiuta il 21 febbraio 1632 (7) . Nel proemio dell’opera ft data ragione della forma dialogica preferita dall’autore; nulla ù detto del tempo nel quale si Un¬ gono tenuti i ragionamenti; quanto al luogo, è la città di Venezia, e precisa- mente il palazzo Sagredo sul Canal Grande. Tre sono gl’interlocutori, Salviati, Sagredo c Simplicio: in due di essi Galileo volle immortalare amici carissimi, rapiti al suo alletto nel fiore degli anni; il terzo ù un personaggio immaginario; e di essi, e della parte che nel Dialogo rappresentano, accenneremo brevemente, prima di venir a discorrere della nostra ristampa. Filippo d’Averardo Salviati era nato di nobile famiglia in Firenze il 29 gen¬ naio 1583: si crede sia stato discepolo di Galileo in Padova, e certamente con lui si legò in intima amicizia, tanto da volerlo a suo diuturno ospite nella Villa ilolle Selve, dalla quale sono date la prima e la terza dello Lettere al Volsero sulle macchie solari, e dove, come egli stesso scrive in tale occasione, proseguiva in compagnia dell’ospite le osservazioni celesti. Dietro proposta di Galileo il Sal¬ viati venne aggregato all’Accademia dei Lincei nel 1612, e morte immatura lo coglieva il 22 marzo 1611 in Barcellona, mentre viaggiava por distrarsi da un’ umi¬ liazione sofferta in una questione di precedenza, avuta con un principe di Casa Medici. Nel Dialogo il Salviati rappresenta Galileo stesso, il quale soltanto in al¬ cuni casi, c dove più esplicitamente si accenna alle scoperte da lui fatte od alla O) Archivio Marbigli in Bologna. Lettera di Cesare M ausili a Galileo del* 1* 8 luglio 1C31 (Mas. Gal., Par. V, T. VI, car. ISO). Mas. Gal., Par. 1, T. IX, car. 260. ni Mss. Gal., Par. T, T. IX, car. 262. ni Mss. Gal., Par. I, T. II, car. 49. — Nel volume- dei Processo di Galileo è allegata copia dol proe¬ mio (vedi D. Berti, op. cifc., pag. 168*171); ma il tosto dell’edizione dol 1632 non prosenta differenze da sif¬ fatta copia, tranne alcuno lievissimo varietà attenenti unicamente alla forma {prole, a pag. 30, lin. 18, della presente edizione, in luogo di parto, elio si legge nella copia allegata al Processo; (ìiovun Francesco, a lin. 36 della stessa pagina, in luogo di Francesco; o rag¬ giunta, a pag. 31, lin. 10, dell’ inciso per quanto va¬ gliano le tuie (Ubili forze, che manca nella copia dol Processo), o che non si può crederò siauo stato intro¬ dotte dai revisori ecclesiastici, mu probabilmente rap¬ presentano correzioni fatto dall’autore all’atto della stampa, socondo chu gliene era stata concessa li¬ barti). t6) I). Berti, Il processo originale ccc., pag. 117* 116, 162*165. ,7 > Lotterà sotto questa data dol tipografo Gio. Battista I,andini a Cesare Marnili (Archivio Marioli in Bologna). Vedi A. Kavaro, Nuovi contri¬ buti alta storia i/d processo (/* Galileo, Venezia, tip. Fer¬ rari, J89t>, pag.lt). — In Ano dei dialoghi avrebbe dovuto essere stampata una canzono di Iacopo Cico¬ gnini in lodo di Galileo, secondo die Annunziava il tipografo 1.andini, che pubblicava questa canzono in ULl opuscolo a parto {Alla Sacra Maestà Cesarea dell'Im¬ peratore. In lode ilr.1 famoso Signor Galileo Galilei Matematico del •Serenissimo Gran Duca di Toscana. Canzono del dottoro Laoopo Cicognini. —-Jn Firenze, nella Stamperia di Gio. Batista Landini, 1631), moti* tro i Dialoghi erano «di con tino vo ... sotto il tor¬ chio * : ma poi non fu aggiunta nltiimouti. AVVERTIMENTO. i) sua persona, ò indicato col nomo di Accademico Linceo , o anche semplicemente Accademico , o, talora, nostro amico comune , ecc. Giovanfrancesco di Niccolò Sagredo, di famiglia patrizia veneta, nacque in Venezia il li) giugno 1571, o fu in Padova scolaro di Galileo, c poscia a lui stretto della più cordiale amicizia, cementata da altissima e reciproca stima: gli venne pure frequentemente in aiuto, sia con potenti raccomandazioni appresso la Se¬ renissima, ogniqualvolta a Galileo occorressero anticipazioni od aumenti di sti¬ pendio, sia ancora nelle frequenti circostanze in cui era molestato o da pai-enti o da plagiari o da avversari. Egli vive immortale non solo nelle pagine di Ga¬ lileo, ma anche nel copioso carteggio col Maestro, carteggio in cui si palesa osservatore finissimo ed una dello menti più acute del tempo, tale insomma da meritare il titolo di c suo idolo > datogli da Galileo 11 ’, che assai probabil¬ mente non avrebbe effettuato il disegno di abbandonare lo Studio di Padova, se quand’egli prendeva tale determinazione, il Sagredo non fosso stato console per la Repubblica in Seria. Nel Dialogo il Sagredo si dico talvolta < semplice ascol¬ tatore >, ma in verità fa lo parti del cólto profano fra i duo competenti Salviati o Simplicio : ò disposto favorevolmente allo nuove dottrine, e non mette alcun limite al suo entusiasmo quando ne rimane convinto; spesso riassume gli argo¬ menti più difficili, già addotti, o li espone di nuovo in forma più piana; aggiunge anche ragioni proprie, c soprattutto vengono messe in bocca a lui quelle idee dello quali l’autore non vuole assumere la piena responsabilità, ma elio tuttavia stima opportuno siano introdotte nella discussione. Filippo Salviati e Giovanfrancesco Sagredo, il primo con la. soda dottrina e con la stringatezza delle argomentazioni, il secondo con l’acume delle osservazioni e con l’umore arguto c talvolta satirico, integrano con sintesi mirabile il carattere cd il personaggio di Galileo. Il terzo interlocutore, Simplicio, che col suo nome ricorda il famoso interprete degli scritti Aristotelici, ò il rappresentante della scienza conservatrice, clic pone il suo fondamento nell’ autorità degli scrittori e che non riconosce altri argo¬ menti se non quelli che dalie opero loro possono desumersi; ma non sembra clic in esso il Nostro abbia voluto rappresentare una determinata persona, e tanto meno il Papa Urbano Vili, corno i nemici del sommo filosofo vollero far credere ( % prendendone occasiono da ciò, che Simplicio ripete nel Dialogo l’argo¬ mento del quale il Pontefice soleva servirsi quando si discuteva innanzi a lui il moto della Terra. Passando ora a parlare dei modi tenuti da noi nel riprodurre quest’opera, di¬ remo anzitutto clic abbiamo seguito 1’ edizione originale (3) , poiché nessun auto- in Lettera di Galileo a Fra Fulgenzio Mioan- zjo del 12 aprilo 1G3G (Biblioteca Marciana, Cl.X Ital., cuci. Xl/Vll, car. G). Lettera di Benedetto Cartelli a Galileo del 22 dicembre IG85 (Mss. Gal., Par. i,T. XI, car. 161). < 8 > Diulotjo ili Galileo Galilei Linceo, Matcmn- l i*co aopraonlinario dello Studio di Pian c Filosofo e Mi tematico primario del Sere ni a.si tuo Or. Duca di J'o- Benna. /Ione ne i congressi di quattro in principio della linea seguente, onde ò più facile che la sillaba ni mauchi per orroro di stampa. < S| Infatti il passo a cui Gai.ii.ro ivi allude ò a pag. 1G7 dell’opera Tyciionis Braue ecc. Epùtolurum Aulronomicarvm libri ecc. Imprimcbantur Yraniburgi Daniao ecc. M. DCX. 12 AVVERTIMENTO. ]in. 38) —pag. 292, post. 2>, nell 9 in luogo ili nel (ofr. pftg. 496, Un. 29) - pag. 2'U, post. 1* , apparisce in luogo di apparisele — pag. 497, lin. 20, e illutazione c perfezion in luogo di c alterazione, e perfezion — pag. 498, lin. 10, parte in luogo di parti — pag. 500, lin. 38, eclisse del Sole non in luogo di eclisse, non — pag. 501, lin. 8, le più chiare montuose in luogo di le più oscure montuose — pag. 505, lin. 28 21, lucido non m n in luogo di lucido mcn — pag. 505, lin. «32, osservarono in luogo di ossi nano — pag. 50(1, lin. 25, y rpduamcnle in luogo di per natura — pag. 507, lin. 28, Moto retto pur in luogo di Moto jui r- - pag. 508, lin. 27, dell 9 animale in luogo di de gli alterabili — pag. 509, lin. 5, nelle in luogo di alle— pag. 509, lin. 12, molo annuo della in luogo di moto della — pag. 512, lin. 18, per la linea in luogo di per linea — pag. 511, lin. 11, assi mobili tutti in luogo di ossi tutti (<-ii\ lo post. 4* o 5 31 della pag. 288)—pag. 514, lin. 18-14, facilmente in luogo di naturalmente pag. 516, lin. 30, nelle parti in luogo di nella parte — pag. 516, lin. 35, può reciprocamente operare, in luogo ili più reciprocamente opera — pag. 517, lin. 1, dal mure che dalla in luogo di del mitre che della —pag. 517, lin. 11, La in luogo di Le — pag. 517, lin. 28, Si in luogo ili Mi — pag. 519, lin. 17, inescusabile in luogo di scusabile. Mentre stimammo dì dover sanare, in questi modi diversi, quei trascorsi del- 1 edizione principe clic, a nostro giudizio, sono da attribuire al poco accurato tipografo, abbiamo, per contrario, restituito in tutto il resto la lezione originale, clic, più o meno, era stata ritoccata nello precedenti ristampe, specialmente quanto alla lingua: non abbiamo poi avuto alcun dubbio circa la legitti¬ mità di molti altri passi, no’ quali ben si avverto clic per la limpida espressione del pensiero manca qualche parola, oppure si desidererebbe una sintassi più ìegolare; poichò siamo d’avviso, clic certo procedere men preciso o addirit¬ tura un po’ negletto, certi anacoluti viziosi, elio in altri autori non verrebbe tatto il incontrare e che nella prosa moderna sarebbero incomportabili, siano invece propri della prosa di Galileo, la quale, o in ciò sta molta parto del suo valore artistico, tiene assai (in questo Dialogo più forse che in altre opere) degli atteggiamenti bonari e punto aristocratici con cui potrebbe configurare il proprio pensiero una colta persona nella conversazione, non avendo nò tempo nò voglia di ricercare una forma di perfezione squisita**. Dall’edizione principe ci siamo L’indice dolio materie, cho ò in fino del¬ l’opera, è stato in parti colar modo alterato nollo pre¬ cedenti edizioni. — In quel tratto della Giornata quarta nel quale Galii.ro si giovò del suo Diacono ilei Jt M »o C. njluHKo <1(1 mare G no trascrisse quasi alla lettera dei lunghi brani (cfr. specialmente da png. 454, lin. S, ii» poi di questo volume con pag. 8S3, lin. 33 e seg.] df'l \o]. \ ) } i| confronto col iJiscorso ci suggerì qual* cho emendamento elio abbiamo indicato piò sopra; ma dove non era necessario correggo ro, ri spot toni mo lo differenze di lezione offerto dal Dialogo. '* A pag. 8'J, lin. 86, conserviamo tanto, sobbollo correlativo di quantu (lin. 35), avvisando che sia stato attratto dal genero doi seguenti quanto (lin. UT) o (auto (pag. 90, lin. 1). A pag. 215, lin. 3, rispettiamo la singolare omissione di cominciò davanti ad a dir, AVVERTIMENTO. 13 distaccati invece (conforme al già fatto nei precedenti volumi) per ciuci che risguarda la punteggiatura, la quale abbiamo resa più razionale, sì che tenesse, lino a un certo punto, le veci d’un commento continuo; e nel collocar le po¬ stille marginali (omesse per lo più nello ristampe) di fronte alle linee del testo a cui si riferiscono, abbiamo altresì usata maggior esattezza che non si vegga fatto nell’ edizione originale. Por tali cure la nostra edizione si avvantaggia, come a noi sembra, su tutte le anteriori, mentre è riproduzione ragionevolmente fedele della stampa assistita dall’autore medesimo. E per rispetto a questa stampa non abbiamo voluto inserire nel testo, diversamente dai precedenti editori, le aggiunte che Galileo stese più tardi e che si leggono, autografe di lui, nel già citato esemplare del Dialogo , che appartiene al Seminario di Padova: ma quelle aggiunte, e quelle che meglio si possono chiamare esplicazioni o postille, delle quali Galileo indica precisa¬ mente i luoghi a cui attengono, le abbiamo pubblicate in note a 5 respettivi passi (l) ; invece altri pensieri che hanno relazione col Dialogo , e talora sono anche in forma dialogica, ma de’ quali forse neppure l’autore stesso aveva determinato, nonché abbia indicato, in qual posto dovessero essere inseriti, poiché sono più che altro appunti di materie da svolgersi, segnati alla rinfusa, per ricordo, su alcune carte legate dinanzi al frontespizio dei libro, li abbiamo raccolti tra i Frammenti attenenti al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che fac¬ ciamo seguire al Dialogo stesso. E questo ci parve partito migliore che disse¬ minarli arbitrariamente qua e colà nell’opera, con la sola guida incertissima dell' alìinità, talora lontana, degli argomenti. Sotto tale titolo di Frammenti abbiamo infatti riunito dei materiali che deri¬ vano da fonti diverse, e non sono d* un medesimo tempo, ma die tutti si rife¬ riscono al Dialogo , c perciò ne formano naturale appendice. Vengono in primo luogo (pag. 523-536) alcuni appunti o calcoli che si trovano, autografi di Galileo, nelle car. 14r.-24. del T. II della Par. Ili dei Manoscritti Galileiani (2) , e in cui è fa¬ cile riconoscere una raccolta di materiali messi insieme dal Nostro quando si pre¬ parava a stendere quella parte della Giornata terza che tratta (lolle stelle nuove Sono infatti ricordi di pensieri che troviamo poi svolti nel Dialogo , dimostrazioni abbozzate o lasciate a metà, calcoli di varie specie, cose eterogenee (3) , scritte ma¬ nifestamente sotto ispirazioni diverse c come si fa quando si profitta del primo o pensiamo cito così sia avvenuto (por virtù (lolla locuzione contestuale o chi altro si J'ussc il primo) all’autoro (li scriverò; o notisi elio la postilla mar¬ ginalo suggerirebbe la Tacilo correzione. A pag. 227, lin. 35-30, si aspetterebbe la parola volte; a pag. 228, liti. 20, dopo 'trave desidereremmo che pesi, o a pag. 177, lin. 18, il confronto con pag.474, lin.32, e con pag. 478, lin. 13, indurrebbe ad aggiungere monti dopo mobili; a pag. 251, liti. 35, o a pag. 272, lin. 3, in luogo di tempo accelerato ed error del Copernico lo oppressioni preciso sarebbero tempo del moto accelerato ed errar del «c- yuace del Copernico (efr. pag. 271, lin. 4-6,13, 21-22); o poco accurata ò l’elocuzione a pag. 254, lin. 3-5 (ti mobile ... conduce il mobile ), a pag. 2S2, lin. 4-6 (ma con ìstrumenti diversi . ., ma con istrumenti diversi), a pag. 283, lin. 36-37 (nel muover l'animale uno delle sue membra non lo separa dall'altro suo conterminale ): tuttavia in questi ed altri passi non potevamo che conservare la lo/.iono della stampa originalo, la qualo del resto giudichiamo che sia prodotto non di errori del tipografo, ma di trascuratezza dell'autore. Costru¬ zioni che possiamo chiamare anacolutiche, o elio al¬ tresì abbiamo creduto di dover rispettare, sono a pag. 70, lin. 7-10 (che si sanerebbe facilmente sop¬ primendo si a lin. 9, conio consiglierebbe il conciti’ delo di lin. 13), a pag. 205, lin. 10-13, a pag. 220, lin. 20-22, a pag. 221, lin. 7-10, a pag. 238, lin. 9-12, a pag.239, lin. 31-35, a pag.278, lin. 13-15, a pag. 231, lin. 13-14, a pag. S77, lin. 3-8, a pag. 383, lin. 15-20, a pag. 392, lin. 26-30, a pag. 419, lin. 28-30, a pag. 421, lin. 25-33, occ. U) Nell’ aggiunta «litografa elio pubblichiamo nella nota a pag. 54-55 abbiamo corrotto, alla lin. 31 della pag. 55, maygiori in luogo di minori, cito a Ga¬ lileo venne fatto (li scrivere. a) Duo facce di questo autografo sono grave¬ mente deteriorato da una macchia giallastra (vedi a pag. 524 o 525 della nostra riproduzione); o inoltre in alcuni luoghi la carta ò stata forata dall’ inchiostro, o questo traspare in modo sonsibile dall’una all’al¬ tra faccia del foglio. C*b Vi sono anche degli appunti elio uou riguar¬ dano lo stollo nuovo,ina altri argomenti; vedi, per es.,a pag.531 o a pag. 536. 14 AVVKBTIMEKTO. pezzo di carta bianca che viene fra le moni : materiale greggio » quavi infurine, e certamente anteriore anche a quella stesura autografo, e non definitiva, «li cui ab¬ biamo parlato più sopra. Una distribuzione di siffatta materia in un ordine qual¬ siasi, quand’ anche fosso stata tempre poeaibile, avrebbe tolto a questi franitw quel carattere cho era bene conservare; perciò preferimmo, ad alti * maniera di riproduzione, quella a facsimile. Tuttavia nella dwp>->izn>ne di tali ripr >lu zioni non credemmo opportuno di seguire quell’ordinamento atlntrarm •• ad¬ ii quale i fogli autograti, in origine l’uno stuccato dall*altro, f i. . i: . o nel manoscritto clic ora li accoglie; che anzi, prendendo p> r norma d< .a n a d:-(*> 8Ìzione, per quanto era possibile, il contenuto delle singoi» pagine, e pr j- : • mi di accostare quello tra le quali vi fosse maggior affinità di matrrm, abbiamo talora separato anche il redo dal versa di una stessa carta, giudo andò « - la circostanza dell’essere scritto certo coso sulle due facce del m»d -in». bigio tesse essere del tutto casuale. lai pagine della nostra riproduzione ri*p o.dono pertanto nel seguente modo allo sedici facce scritto ' del codice: pa.;. àj.i car. 15t>.; pag. 524 — car. 23r. ; pag. 52.'i car. .. in.; psg. 52tì car. tr. ; pag. & , car. 24».; pag. 528 = car. U;\ ; pag.529 — car. lt./\; ]>ag. 530 car. 1'/.; pag. 531' car. 19».; pag. 532 = car. 17r. ; pag. 533 car. 17r. ; pag. !.:t| - c ir.. ; p.,g . »:» car. 19r. ; pag. 536 = car. 22r. ; pag. 5.37 car. 1 ■ ; I,e pag. 523-527, cho formano corno un primo gruppo, comprendono -p- talmente il confronto dello osservazioni di osservatori diversi, pr» ■ a du» a dii», » il v ai- plico calcolo della parallasse cho ne risulta (cfr. nel Duil xjo dalla lui. -<'< della pag. 309 in giù) : lo poche righe della pag. 527 ripetono quasi alla lette» il con¬ tenuto della parte superiore della prima colonna della p ig. 5JC. I.» p i». . costituiscono un secondo gruppo, che comprende i calcoli trigoiiomrt; a i p i lunghi o complicati, fatti da Galileo per un certo numero delle O'ialnru. ; m binari» indicato nel primo gruppo, 0 da’quali deduce la distanzi dell» «Iella (cfr. da pag. 320, lin. 10 in poi) : ma vi sono mescolate materie ct»ri-„u in e, appai ' n»nti in parto al gruppo primo, c non mancano ripetizioni, cosi elio ri» » » imp. ululo sta¬ bilire un ordino assoluto tra i fogli elio lo comi «ingoilo. Noi abbiamo (.ut» pi dere la pag. 528, perché nella parto inferiore vi -i legge una sp»ci» d’iiitr.Mlu/mnc Appiè di pagina abbiamo registrato alcune particolarità cidi* autografo. Questi frammenti occupano il vergo d’una catta (bianca sul retto) o il rrrto o il vergo di duo altro, cho sono legato, in quell’esemplale, davanti ffiirantiporta taci** da STaravo dilla Bau.*. Inol- tr**, in alto a tinutra del trr«# delia prima di qur sto tre carte è luco’.'sto par un lombo un nrlolhno, rhe è Kritto pure di proprio pugno (UUaLIM,. tanto sul recto (chcconticne ciò che pubblichiamo a paf. MO, jm. 1-11) quanto *ut t» w a qu«.U> propano la nota 1 a pag. 540). AVVERTIMENTO. 15 concio il medesimo ordino con cui si seguono nell’autografo; ma por la tristissima condizione) di alcuno di quelle carte, le quali vanno ogni giorno più deperendo, la no^tia lezioni) presenta qualche lacuna, nò potò sempre esser sicura. 11 lettore ò peio avvertito d ogni incertezza: poiché lo parole o lettere che non si leggono piu nel manoscritto, almeno intere, ina elio o si ricostruiscono con sicurezza sullo reliquie rimaste, o, ad ogni modo, si congetturano senza che possa rimanere alcun dubbio ((piando sia andata perduta una sola lettera tra altre conservate), le abbiamo racchiuse tra parentesi (punire, stampandole in carattere tondo ; quello paiole invece che oggi nò si leggono nò si possono congetturare per indizi di fatto, ma die noi accogliamo sulla baie di altri studiosi, i quali si giovarono di quel ma¬ noscritto prima di noi, furono stampate in carattere corsivo o pur racchiuso tra parentesi quadre, o per ciascun frammento fu avvertito in nota sull*autorità di chi furono supplite quelle lacune* 11 ; da ultimo, abbiamo indicato con puntolini altre, lacune elio non potemmo in alcun modo riempire, o perchè neppure a coloro che ci precedettero riuscì di legger nulla in quei luoghi, o anche perchè non ci parvo probabile che essi avessero letto esattamente. Appiè di pagina annotiamo qualche materiale errore caduto dalla penna ili (laiileo o che correggiamo nel testo, nonché qualche altra particolarità dell 9 autografo. Al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo o ai frammenti elio gli ap¬ partengono, seguono nel presento volume due scritturo di due oppositori del sistema Copernicano, elio fornirono materia a note e postillo ili Galileo. Mentre infatti questi attendeva alla sua opera, andava raccogliendo, col mezzo degli amici, ciò che su quegli stessi argomenti s’era pubblicato c si pubblicava: quindi i suoi corrispondenti Elia Diodati e Pietro Gasseiuli, avendo saputo da Giovanili Battista Moria, professore di matematiche in Parigi w , ch’egli pre¬ parava una scrittura sulla questiono della quiete e del moto della Terra, accetta¬ rono ben volentieri la sua proposta, di mandarne un esemplare a Galileo. Il Morin, il quale pretendeva di addurre ragioni nuovo contro il Copernico o ambiva che lessero veduto quanto prima da Galileo, si affrettò a inviare l’opera mentre ancora non era per intero stampata: ma, nonostante che la Famosi et antiqui próblmatis de Tcllnris mota vel quiete hactcnus optata solatio siastata pubblicata nel 1031 (5) , hi copia spedita al Nostro non pervenne nelle suo mani che quando da sei mesi il Dialogo era uscito alla luce; del clic Galileo mostrò rincrescimento,.dichia¬ rando, in una lettera del 15 gennaio 1633 al Diodati ed al Gassendi, elio se il libro del Morin gli fosse giunto in tempo, no avrebbe tenuto conto < 4) . Allorché Di NeU'odiziono padovana dui 1744 [Opere di Ga- lii.ro Galilei occ. Tomo IV. In Padova, MDCCXLIV. Nulla Stamporia dol Seminario, appresso dio. Manfrò), procurata dall’ah. Giuseppe Toaldo, che por primo si giovò doli’ esomplnro dol Sommario di Padova, fu¬ rono omessi alcuni frammenti. 1/ edizioni posteriori seguirono la padovana, ma non ripresero in osarne quell'esemplare, anzi trascurarono taluno aggiunto elio nella padovana si loggono. Tutti i frammenti au¬ tografi furono pubblicati por la prima volta noi 1870 da A. Favaro nolla citata memoria Le aggiunte «u- togra/e occ. Por quei frammenti che furono dati nel- Podiziono del 1711 o poi riprodotti dal Fa varo, ci¬ tiamo tutt' u duo P edizioni quando alcuno paro lo o lettore, oggi illeggibili, poterono ossor lotto anche dal più mento editoro; quando invoco questi già si riporta aU'odizione dol 1744, citiamo quest'ultima senz'altro. Intorno al Morin puoi vedere La vìe de maiatre Jean Paplistc Morin, nati/ de Ville—Franche en 7/a- violai a, ecc. A Paris, eboz Jean Honault, M.DC. LX. Di Fot notti et antiqui prttblematis de Teliuria motti vel quiete h attenua opiniu solatio. Ad Fmincntissimum Cardinalom Itichelium, Uuconi et Franciao Parem. A Ioannk Battista Morino, apud Gallo» o Belloiocon- sibila Francopolitauo, Dottoro Medico ntquo Regio Parisii*8 Matlieiiiatum Professore. Terra ntul in neter- wumi, Sol oritur ri acculit. Kccleaiaat. cap, J. Parisiis, apud Authorcin, iuxta Pontein novum, in platea Del- pbinn, domi cui nomen l'Fscu de Frante. M. DU.XXX1. — LM pprohatio aperte, iu fino del libro, ò dol 2 set¬ tembre 1G31 ; il Privilege. du Roy, del IO novembre; la dedica al card. Bionrci.TRU, doli 1 8 dicombre. Di Biblioteca dTnguiinbert a Carpontras, Coll. PoirosCjXLI, II. — Il Morin in una lettera a Galileo dol 15 novembre 1684 (Mss. Gal., Par. IV, T. V, car. 84) 16 AVVERTIMENTO. scriveva questa lettera, il Nostro aveva già letta l’opera dal professore parigino ; e possiamo credere eli’ egli stendesse allora certo iWo per il Morino , «!• Ile quali ò pervenuto sino a noi 1*autografo. Consisto questo in un quadernetto, ;q p irtnu nto alla Biblioteca Nazionale di Firenze o legato in c;ilce all* inpiare della Sdutia elio giìl fu di Galileo e elio porta oggi la segnatura IL A. 6. IL /. ». /- : a pag. - ili quest’esemplare è puro scritta, di mano del Nostro, una pnstiil.i ; o di fronte ai passi a cui si riferiscono lo Note del quadernetto, ^i veggono d« i ^-gni mar¬ ginali di richiamo, pur dovuti a Galileo c che si ripetono alcune volte di fronte .ilio Note stesso, o talora altri segni grafici mon elio onesti, traducibili in t*piu*tt di scherno triviali accoccati all'avversario; i quali segni accompagnano anche altri passi elio non sono presi in considerazione nello Note. Per riguardo unicamente a queste Note noi abbiamo dovuto dar luogo nella nostra edizione al libro del Moria: siccome |>erò la Solatio contradie * in geli* rale al sistema Copernicano, ma non ad alcuna opera di Galileo, il quale vi ò ap|>eria ricordato poche volto (,) , o meno che mai al biologo sopra i ila uni r mi ji'frurj, elio ò posteriore alla scrittura Moriniaim, e d’altra parte i jw di questa -ti’ quali il Nostro fermò la sua attenzione sono, relativamente, a* ai p->clu; i M m* Inumo sufficiente presentare al lettore alcuni estratti della Solatio , coi quali non intendiamo in nessun modo ili damo un’idea compiuta, chi* quieto imn appar¬ teneva airullicio nostro, ma abbracciamo, con larghe//-! bastante p«*n lu N |«Mi*ano essere capiti, i luoghi da Galileo postillati sia con le Note, sia anche «dLanto con quei segni fallici a cui accennavamo poco fa 11 ’. A questi iati atti facciamo seguire scrivo: < cnm... DD. Gasse tidus ot Duodatus, lui «?t mei ornici, ino mouuiwHjut, to tua^num prò Telluri» mota moliri opus, quoti Torto Inni tvjd» mandatimi ossot, dixi illis ino altorum tjpls mandalo prò Tel¬ luri* quieto, noria rationi bua inatructum, qua* auto libri tui oUitioiiom porpendero molesto minima Torre*; Ulule inoatll /Vi musi illitis J’raUemntìt .WN|i»a«ai Ubi foro traiismittomlftin rati, primum «xomplar, nequidun abaolutuin, illis «lenii in oum linoni : quoti Umori lut postoa didici) non prilla accepiatl, quaui tui Iiialo/i doctiasimi in lucoin prodiiasent, indoquo non panini dolui ». K in un’altra dello stesso Mori* a iìalilko, in data del 4 aprile 1G35 (Mas. Gai., Par. IV, T. V, car.HJ) : « l tinaia vidisses Sotulionrm in cui» auto lhah>^oruin tuoruin editionem ». Nell’opera poi ICee/Hmtio /*n# T.l- /uriJ quieto mi Incolti I.ttnaiergix /fortori* Mulini Apo- loffiam prò Tellurit niotu, PaVÌ»iÌM ere, M. DC.XXXIV, pajf. 64, il Mori* scrive: c Primum esemplar rnoi libri adversue Terrae motnui mUsutn fuit II. tìalilaeo, ili • neqnidem integro impresso, id neinpo offla/itantihu * diarissimo li. Uu-s-mlo et l>. Diodato, utrivjm- Uà- lilaeo uecossltudluo devinoti», ut, quia, vulysrib^ spreti» rationlbus, nova* prò Telluri* quieto att il* rum, Gallinomi, illis visi», mature sibi couxuleret auto sui libri publieam editionem, «piod oliata pero pia* bara. Tardius vero quara par esst?t ad Illuni porvonit mea Soluti o, indoquo doluit, ut testa tu» «*t littori i ad l». Gassondum postoa «cripti» in ibi quo u tenda; qui- bus aiobat, quod si auto sui libri editionem nwum vidissot, bonorificam in ipso feciaset nud meutionem *. ,l * quost’esemplare presenta alcune particolari! i bibliografiche, elio devono forse la loro ragiono al- Pcssore stato spedito a Galileo prima che l’edUiono fosso pubblicata. Il frontespizio, elio abbiamo ripro¬ dotto a pag. 549, è alquanto diverso da quello dejrli esemplari comuni, citato poco fa; altre differenze sono nello ultime paria* del volarne. XoUnbo pare che nel front.- (.ino «Il altre r«p » delie \ lutto il lu re e la data di «tamps sono coperti c a un cartelline incoi, lato, su cni è stampato : « Parisi!*, ape*! Petrosi Me- nani, vià Voleri* Knodatmm». lotta t. rairmm ponti* II. MichselU, *ub Ufn * ti ni Pastori*, I! Ih* 1.V1I »: V ed ir ione però è sempre qe-lls del IftJl. *** Pif. 16: « et «ipUrat (K#^j4«r%»| in appen¬ dice et Tnatinator* Uslilaei ». Pif 1(0: * tofana* confesso* est ( Ktpyiero*] in appendice et Tmtiaatore Galilei ». I‘af. od • « Porro, q j | *r.*rott 'tri flutto 9 rc/fu«.-• , e furono argomento non solo di brevi postille, ma anche di una distesa risposta (sebbene non compiuta) da parte del Nostro; onde siamo stati costretti a riprodurle per intero. Lo Esercitazioni Filosofiche l3) del peripatetico Antonio Roccosono una tra lo parecchio scritture degli Aristotelici clic furono suscitate dalla pubblicazione del Dialogo, in cui la loro dottrina era con tanto armi oppugnata. Uscite alla luce in sulla line del 1G33 (la dedica ad Urbano Vili ò del 7 dicembre), Bona¬ ventura Cavalieri in una lettera del 10 gennaio dell’anno seguente ne dava notizia a Galileo 131 , elio si affrettava a leggerle e ne riceveva subito la più sinistra im¬ pressiono [t \ sia per le insulso argomentazioni dell’avversario, sia per i termini con cui questi parla di lui. Il Nostro, che sempre era stato assai sensitivo alle contradizioni e lo era più elio mai in questo momento, in cui, penitenziato dall’ Inquisizione, avrebbe voluto clic gli avversari si astenessero da qualunque opposizione la quale potesse ritardare la grazia attesa da Roma, deve aver subito formato il concetto di rispondere: e alla risposta s’aiulava preparando nel modo eh’ (‘gli soleva, cioè col postillare sui margini il libro del Rocco. Fra Fulgenzio Micanzio scriveva su tal proposito a Galileo il 25 febbraio 1G34: < Il pensiero di V. S. di non far altro che note brevi o marginali al libro mi piace, e si potrà far ristampare con quelle. Ma perchè in alcuni luoghi la margine non bastarà, direi che facesse legare il libro con alcune carte bianche fra mezo li fogli, oliò così averà comodità di notare il puoco o ’1 molto, e puoi si risolverà > [1) . Pos¬ siamo diro che Galileo si attenesse appunto al consiglio di Fra Fulgenzio ; poiché, oltre allo note marginali alla scrittura del Peripatetico, stese alcuni tratti di una più ampia risposta, alla quale però mantenne il carattere di postillo (e così egli stesso lo chiamava {< 0 a singoli passi delle Esercitazioni: postillo non di poche parole o di poche linee, ma che si allargano per più pagine e in cui sono a pa^.55!, liti. 38 — pag. 555, lin.4, o clic sono presi in considerazione nelle Note; o inoltro i seguenti passi, a' quali non si riferisco alcuna Nota: pag. 553, Un. 30 o sog M pag. 551, liti. 1-7 e liu. 13-14, pag. 550, lin. 11- 14, pag. 5511, lin. 23-24. tu Furono pubblicato per la prima volta da B. BoNCOil PAONI, Note (ti Galileo 0aitici ad un'opera di Giovanni Lottista Morin , noi lì allettino di Jiihlio - grafia e di Storia delle ecietiMC matematiche e fisiche. Tomo VI, 1873, pag. 52-00. <*> Abbiamo racchiuso tra parentesi quadro lo pa¬ role o lettore elio non si possono più leggero por guasti del manoscritto, ma elio si suppliscono con sicurezza. Ideereit Mss, Gal., Par. VI, T. XII, car. 55. Vedi in questo volume, pag. 721, lin. 15. Anche il Micanzio, nollo lettore a Galileo, lo chiama sempre postille 0 apostille. « VII. 3 18 AVVKRTIM EKTO. svolte a lungo le dottrino che nelle noto marginali sono appena accennate; destinato aftaputàlicazionc, c per questo un po io ri lento i lei prei ioni; tali, ingomma, clic si possono assomigliare, quanto al piurr, ai piragniti del Saggiatore o della liisjmta al Discorso apologetico di I/mìo vico il ile Colombe. Ai primi di marzo del 34 Galileo spediva al Mie.t!i/iu un tratto ili hifl.itt- po¬ stille^, cd altri gliene inviava appresso nel corso di queir unno 1 ; tua poi, sia olio gli stesse a cuore raffrettarsi al compimento dei dialoghi dello -V»< n t Snn\zr y sia che giudicasse non valere il pregio dell* opera insi t«*r<* con t.de uvv« r um», no distolse il pensiero : di che più tardi doleva^ Fra Fulgeluio, scrivendogli: < Tutte le cose di V.S., anco i fragtnenti, sono come le minucciole d'uro.... Quell.* due apostille del Rocco mi fecero ben conoscere il gran piacere e profitto tl» 'virtuali se ella le seguitava» 1 ”. Di mano in mano che il Micanzio rie» vevu i tratti di lla risposta, della quale egli era ghiottissimo, li andava coniunic.ind » agli amici in Venezia c li partecipò allo stesso Rocco, che pres»* a ^t nd» r >ul ito, alla sua volta, una replica*”: questa però fu poi forse intornierà , e Jioi n *n ne ab¬ biamo notizia die dalle lettere di Fra Fulgenzio. Le Esercitazioni del Rocco furono da noi riprodotto di sull’edi/iuiu* originale. Questa ò scorrettissima: tuttavia le strane forme linguistiche elio s incontrano molto di frequente, furono per regola da noi rispettate , poich»’* può ben darsi che siano da attribuire all’Autore stesso, nato nrir.Vhriiz/o, rdm.it-» a Roma, a Perugia ed a Padova, c vissuto la maggior parte d»*lla sua vit t n \ » m/i.i : » guai- mente abbiamo rispettato i singolari e viziosi co trulli, e soltanto abbiamo cor¬ retto quelle forme e quei passi nei quali ci parve di jK»ter, con sutlicirnU* sicu¬ rezza, riconoscere errori di stampa: spesso anche siamo stati incerti, com’era naturale, se dovessimo conservare o piuttosto emendare la t ■•stu.il dicitura. Dell»* correzioni da noi introdotto ci limitiamo a registrare 1»* seguenti : Pag. 675, lin. 21, ed i costumi in luogo di e di cacumi, r!»»* si I»-,v •» urli' rdìnnne ori¬ ginale— pag. 576, 1 in. 1, addottemi in luogo di allottami - p.ig. VO, lm » .'H .» rnnn u • • dola in luogo di aggiungendole — pag. 58-1, lin. 21, inferite in luogo di inferir* p »g ■ r **T», 1 in. 14, delle cose in luogo di dall-' cose — pag. M), lin. 36, moto retti* ì m luogo di Moto è (cfr. pag. H», lin. 12)—pag. 690, lin. 21, quella m luogo di quello j ; In». 5, massi in luogo di messi — pag. 507, lin. 24, disordini in luogo di diserri tne pag. »«oò, lin. 36, aggiunto 5. (cfr. pag. (ili, lin. 38) — pag. 607, lin. 31, della in lungo di dilla (etr. | »g (‘*7, lin. 1) — pag. 60S, lin. 23, viantttato, d'» o di per dti. Audio doro il Kfu'Cu traecrif® «lai Dialogo galileiano, e non di rado i»<* natala la dici¬ tura, abbiamo creduto opportuno cmserYir» le alte¬ razioni dui Boero. ,H ' Non metterebbe conto toner n-»ta «lei piti sconci orrori di stunpa (come •!•»»*» por •tmn i, con- irevortia por controvent i, OCC.), che, n a tu ral meli te, ab¬ biamo corrotto. AVVERTIMENTO. 19 lin. 21, quelle della Terra in luogo di quella Terra (cfr. lin. 25-26) — pag, 653, lin. 33, sfere in luogo di schiere (cfr. pag. 146, lin. 20) — pag. 654, lin. 3, 11. Di più in luogo di 12. Di pia — pag. 658, lin. 24, s* impedissero in luogo di Vimpedissero (cfr. pag. 652, liu. 23) — pag. 659, lin. 14, lungo in luogo di breve (cfr. pag. 652, lin. 28) — pag. 661, lin. 2, farcirono in luogo di sarebbono — pag. 666, lin. 6, del in luogo di dal (cfr. pag. 158, lin. 20) — pag. 666, lin. 29, moli in luogo di modi —■ pag. 668, lin. 34, solo non impossibile in luogo di solo im¬ possibile — pag. 670, lin. 40, cotal in luogo di total (cfr. pag. 16 J, lin. 13) — pag. 671, liu. 23, esclude in luogo di escluda — pag. 674, lin. 29, grossa in luogo di grosse — png. 681, lin. 34, essa in luogo di esso — pag. 681, lin. 22, molo in luogo di modo — pag. 688, lin. 18, scesa in luogo di stesa — pag. 699, lin. 37, fuoco venire. Il Mole (< lite poi) in luogo di fuoco, fi Sole venire (dite poi) — pag. 702, lin. 27, dalV in luogo di dell* (cfr. lin. 24) — pag. 703, lin. 2, dall 9 in luogo di dell 9 (cfr. lin. 3) — pag. 703, liu. 9, situala in luogo di situato — pag. 704, lin. 32, del in luogo di dal — pag. 706, lin. 28, trattate in luogo di tratte (eli*, pag. 452, lin. IO) — pag. 711, lin. 37, precipitalo in luogo di prccipatalc (sic) — pag. 711, lin. 39, seguano tali in luogo di seguano in tali — pag. 712, lin. 23, offendervi in luogo di offendermi. Le postille brevi di Galileo ci furono conservate, autografe di lui, su’ margini del¬ l'esemplare che gli appartenne e elio forma ora il T. Ili della Par.IV dei Manoscritti Galileiani ; e noi le riproducemmo a’ piedi de’ singoli passi delle Esercitazioni a’rjuali si riferiscono. Nel testo di queste abbiamo stampato in carattere spazieggiato i luoghi che in quell’esemplare furono sottolineati da Galileo; c di altri segni, i quali pure sono, con tutta verosimiglianza, da attribuire a lui, rendiamo conto in singole note. Delle postille più ampie, invece, non conosciamo 1’ autografo, ma soltanto al¬ cune copie : 1’ una, di mano di Vincenzio Viviani, è nelle car. 3r. — 22t\ del T. IV della Par. IV dei citati Manoscritti; è però mutila, arrivando soltanto lino alla parola panico , a pag. 733, lin. 24, della presente edizione; un’altra occupa lo car. 88 r. — 120. del cod. Magliabecliiano XXV. IO. 360 (!> , ed una terza le car. Ir. — 62r. (non numerate) del cod. 436 della Biblioteca Pubblica di Lucca. Noi abbiamo preso a base della nostra edizione il codice di mano del Vi- viani, che indichiamo con la sigla F, poiché ci parve di lezione quasi sempre corretta, senza che per questo dia segno di modificazioni arbitrario o eli concieri saccenti : dal momento poi che ci venne a mancare la guida di V, abbiamo se¬ guito a preferenza il codice Magliabechiano, che distinguiamo con la lettera il/, il quale è bensì molto meno corretto di V, ma le suo scorrezioni sono eli natura tale che si può credere dipendano da ignoranza o poca accuratezza dell’amanuense, piuttosto che da deliberata intenzione di ritoccare il testo; laddove nel codice Lucchese ( L) appai* chiaro che la lezione originale ò stata quasi ad ogni linea alterata, talvolta anzi parafrasata (2) , da un copista semierudito, elio ha preteso di migliorare il dettato di Galileo, forse anche in certi passi perchè, avendo di¬ nanzi a sè una copia già scorretta, non riuscì ad afferrare il pensiero dell’ au¬ tore. S’aggiunga che il cod. M è del secolo XVII, laddove L ò del XVIII. Dal codice preferito (fosse V, fosse il/), del quale rispettammo di volta in volta le forme linguistiche, ci siamo allontanati, per correggerlo con V appoggio degli al¬ tri, soltanto quando la sua lezione era manifestamente errata, o quando per gravi motivi la lezione degli altri giudicammo migliore: in siffatto giudizio però procedemmo con somma cautela e, perchè fosse conservata maggior unità al no¬ stro testo, sacrificammo talora l’impressione soggettiva all’autorità del codice preso per guida (3) , del quale ad ogni modo annotammo sempre appiè di pagina 0» È questo il codice citato (non però esatta- i 2 > Vedi, por esempio, la lozione di £ riferita tra monto) dal Targioni Tozzetti, Notizie (ic^li aggrandì- le varianti a pag. 722, lin. 17-20. menti delle scienze fatiche ccc. In Fironze, MDCCLXXX. 11 lettore potrà rodere dogli esempi di ciò Tomo I, pag. 112. confrontando lo varianti col testo. 20 AVVERTIMENTO. la lezione scartata (l) , insieme con lo altro varianti di ciuci passo elio non fossero state accolte nel testo, cosi clic il lettore è messo in irmelo di rifare da per sò la critica del luogo controverso. Anche dove abbinili potuto essere fedeli al co¬ dice proferito, annotammo lo più osservabili varianti degli altri ' ; siamo stuli però assai parchi a registrare le singolari varietà del codice L, perchè spesso questo si riconoscono a prima fronte per correzioni arbitrario, o perciò quel co¬ dice merita scarsissima fede. Della prima stampa di questa scrittura, elio è nella prima edizione fiorentina delle Opero del Mostro (,1) , non tenemmo conto por quel tratto clic ci è conservato dal codice V, parendoci probabile elio essa derivi appunto da questo codice o clic, dove se nc allontana, lo differenze possano dipendere o da false letture del ca¬ rattere, non facile, del Vivami 15 ’, o da arbitrario correzioni degli editori: invece per la parto clic manca in V abbiamo avuto riguardo anche alla stampa fioren¬ tina ( F ), la quale certamente non ha alcun rapporto nò con Al nè con L, o perciò no abbiamo annotato le principali varianti, o qualche volta accolto anzi la lezione nel testo. Ben di rado siamo stati costretti a correggere per congettura, come dalle varianti risulta, la lezione di tutti i codici e della stampa fiorentina in¬ sieme W. Quest’ultima clic, qualunque no sia il fondamento, lascia moltissimo a desiderare, era stata riprodotta, salvo lievi ed arbitrari ritocchi, nelle seguenti ri¬ stampo; così elio il testo di tale scrittura era in più luoghi privo di senso, ed ora soltanto rivedo la luce restituito a sò medesimo o degno veramente degli elogi che a queste postillo tributava Fra Fulgenzio Alicauzio, quando le chiamava < gemme preciose >, < oro puro >, < cosa divina >. <*> Soltanto abbiamo trascurato di notaio alcuno formo conio prccìpilarcte,longhÌ8*imo, forti,dio s’incon¬ trano, ma di rado, in V, o andnrete, tegtuirebbono, ecc., elio si leggono noi cod. M, lo quali abbiamo corrotto, sapendo, por la pratica degli autografi di Galileo, cho non orano da lui usate (cfr. voi. V, pag. 18). Noppure abbiamo registrato cresci elido, crete te, conoicùre, tc ten¬ dere, elio non sono rari nel cod. M. <*> Nel registrare lo varianti ci siamo attenuti sposso allo norme indicato nel voi. V, pag. 200, nota i. < H > Opere di Galileo Galilei ecc. In Firen¬ ze, MDCCXVIII. Nolla Stamp. di 8. A. K. Per Gio. Gae¬ tano Tartiui e Santi Franchi. Tomo III, pag. 91-110. Gli editori si giovarono, per lo scritture elio, conio questo Postille, non erano stato pubblicato per lo innanzi, appunto di manoscritti dol Vivi asci : vedi nel Tomo I di quolP odi/.iouo, pag. XIII. 16 'Possono dipondore,por esempio, da falso letture, come Posarne dei singoli passi nel cod. V fa pensare, lo seguenti lezioni della stampa fiorentina: pag. 713, lin. 12, della nostra odiziono, e fosse in luogo di c forte; pag. 714, lin. 2, vista ec.per in luogo di vinta per, e,alla stessa pagina, lin. 12, immaginabili in luogo di mi* maginabili, o, lin. IH, rettissimi in luogo di certissimi; pag. 715, lin. 11, ricavo in luogo di ti rara, e, lin. 26, seguaci in luogo di tue seguaci; pag. 716, lin. 11, spe¬ cificarvi in luogo di specificarci, o, lin. 31, «u in luogo di ma; pag. 718, lin. 10, prora h lo ili luogo di mo- girando, a, lin, 14, affaticarmi in luogo di a flati dirvi; pag. 720, lin. 0, Ah in luogo di Peh, ©, lin. 11, le collaterali in luogo di de* collaterali (o forse Favor lotto le persuaso quegli editori ad aggiungerò poi quelle davanti fi della curie di Giove), *», Iin. 15, conci¬ tarne in luogo di coNfiWm», e, lin. 18, varie in luogo di rane, o deducessi in luogo di deducevo, o, lin. 22, penetrano in luogo di pescano; pag. 721, liti. 1, spac • ccrete ora in luogo di spaecrrete loro («• può ben darsi che essendo stato lotto Wn in luogo di loro, sia poi stato aggiunto g'i davanti a spaierete), e, lin. 11, scemarvi in luogo di schivarvi, ecc. Vedi, por os., a pag. 734, Un. 5 (cfr. pag. 741, lin. 2); a pag. 737, liu. 4 (dorè la lezione do* codici potrebbe essere bene un trascorso di penna doli*au¬ tore, da confrontare con quolli di cui nolla nota 6 di pag. IO); a pag.711, lin.27 (cfr.pag.721, lin. 19-20, nel¬ le varianti); e a pag.748, lin.22 (cfr. pag.GS8, lin. 2). DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. iti i'vt-Ttt.j] (J .'ATi ERd.il Gran J ; DIALO G O D I GALILEO GALILEI LINCEO MATEMATICO SOPRAORDINARIO DELLO STVDIO DI PISA. E Filo [ufo , c Matematico primario del SERENISSIMO GRJDVCA DI TOSCANA- Doue ne i congreffi. di quattro giornate fi difeorre fopra i due MASSIMI SISTEMI DEL MONDO TOLEMAICO, E COPERNICANO; Troponenào indeterminatamente le ragioni Filofojiche , e Naturali tanto per l’vna , quanto per l’altra parte . IN FIORENZA, Per Gio:Batifta Landìni MDCXXXII* CON LICENZA DE * SV-PEEJORL 26 Imprimatur , Imprimatur. Imprimatur Imprimatur. stampisi. si indebitar Reverendissimo I 1 - Magistro Hatri Solatii Apostolici. A. Episoopus Bellioa»tcn*i» Vietfiffrivnii. Fr. Nicolaua Riocariliu» Sucri l'alatii AjioMnlici MagiAter. Fiorenti ae , or dini bus con* tot in servatis. Il SrpUmbr òr 1630. Petrus Nicolinua Vicaria» (funerali» Fiorentine. Die 11 Septembris 1630. Fr. Clementi Elidili» Inquisitor Omerali» Fiorentine. A d) 12 di Settembre 1630. NieColÒ dell'Aliteli.!. Serenissimo Gran Duca, La differenza che è tra gli uomini e gli altri animali, per gran¬ dissima elio ella sia, chi dicesse poter darsi poco dissimilo tra gli stessi uomini, forse non parlerebbe fuor di ragione. Qual proporziono ha da uno a mille? e pure ò proverbio vulgato, che un solo uomo vaglia per mille, dove mille non vagliano per un solo. Tal differenza depende dalle abilità diverse degl’ intelletti, il che io riduco all’ es¬ sere o non esser filosofo ; poiché la filosofia, come alimento proprio di quelli, chi può nutrirsene, il separa in effetto dal comune esser io del volgo, in più e men degno grado, come che sia vario tal nutri¬ mento. Chi mira più alto, si differenzia più altamente ; e ’1 volgersi al gran libro della natura, che è ’l proprio oggetto della filosofia, è il modo per alzar gli occhi : nel qual libro, benché tutto quel che si legge, come fattura d’Artefice onnipotente, sia per ciò proporziona¬ tissimo, quello nientedimeno è più spedito e più degno, ove maggiore, al nostro vedere, apparisce 1’ opera e 1’ artifizio. La costituzione del- P universo, tra i naturali apprensibili, per mio credere, può mettersi nel primo luogo : che se quella, come universal contenente, in gran¬ dezza tutt’ altri avanza, come regola o mantenimento di tutto debbe 20 anche avanzarli di nobiltà. Però, se a niuno toccò mai in eccesso differenziarsi nell’intelletto sopra gli altri uomini, Tolomeo o ’l Coper¬ nico furon quelli che sì altamente lessero s’affisarono e filosofarono nella mondana costituzione. Intorno all’ opere de i quali rigirandosi principalmente questi miei Dialoghi, non pareva doversi quei dedi¬ care ad altri che a Vostra Altezza ; perchè posandosi la lor dottrina 28 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. su questi due, eli’ io stimo i maggiori ingegni ohe in simili specula¬ zioni ci abbian lasciate loro opere, per non far discapito di maggio¬ ranza, conveniva appoggiarli al favore di Quello appo di me il mag¬ giore, onde possan ricevere e gloria e patrocinio. E so quoi due hanno dato tanto lume al mio intendere, che questa mia opera può dirsi loro in gran parte, ben potrà anche dirsi di Vostr’Altezza, per la cui liberal magnificenza non solo mi s’ è dato ozio o quiete da potere scrivere, ma per mezo di suo efficace aiuto, non mai stancatosi in onorarmi, s’ è in ultimo data in luce. Accettila dunque FA. V. con la sua solita benignità ; e se ci troverrà cosa alcuna onde gli amatori del vero io possan trar frutto di maggior cognizione o di giovamento, riconoscala come propria di Sè medesima, avvezza tanto a giovare, che però nel suo felice dominio non ha niuno che dell’universali angustie, che son nel mondo, ne senta alcuna che lo disturbi. Con che pregandole pro¬ sperità, per crescer sempre in questa sua pia e magnanima usanza, le fo umilissima reverenza. Dell’Altezza Vostra Serenissima Umilissimo e Devotissimo Servo e Vassallo Galileo Galilei. AL DISCRETO LETTORE. Si promulgò a gli anni passati in Roma un salutifero editto, che, per ovviare a’ pericolosi scandoli dell’ età presente, imponeva oppor¬ tuno silenzio all’ opinione Pittagorica della mobilità della Terra. Non mancò chi temerariamente asserì, quel decreto essere stato parto non di giudizioso esame, ma di passione troppo poco informata, e si udi¬ rono querele che consultori totalmente inesperti delle osservazioni astronomiche non dovevano con proibizione repentina tarpar l’ale a gl’ intelletti speculativi. Non potò tacer il mio zelo in udir la teme- io rità di sì fatti lamenti. Giudicai, come pienamente instrutto di quella prudentissima determinazione, comparir pubicamente nel teatro del mondo, come testimonio di sincera verità. Mi trovai allora presente in Roma ; ebbi non solo udienze, ma ancora applausi de i più emi¬ nenti prelati di quella Corte ; nè senza qualche mia antecedente infor¬ mazione seguì poi la publicazione di quel decreto. Per tanto è mio consiglio nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia se ne sa tanto in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa mai averne imaginato la diligenza oltramontana ; e rac¬ cogliendo insieme tutte le speculazioni proprie intorno al sistema 20 Copernicano, far sapere che precedette la notizia di tutte alla cen¬ sura Romana, e che escono da questo clima non solo i dogmi per la salute dell’anima, ma ancora gl’ingegnosi trovati per delizie de¬ gl’ ingegni. A questo fine ho presa nel discorso la parte Copernicana, proce¬ dendo in pura ipotesi matematica, cercando per ogni strada artifiziosa 30 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEI MONIm». di rappresentarla superiore, non a quell» della fermezza «Iella Terra assolutamente, ma secondo elio si difende da alcuni che, di profue- siono Peripatetici, no ritengono solo il nome, contenti, n-nza pas- seggio, di adorar V ombre, non filosofandoceli l’avvertenza propria, ma con solo la memoria di quattro principii mal iut -ù. Tre capi principali si tratteranno. Prima cercherò di mostrare, tutto l’esperienza fattibili nella Terra essero mezi insufficienti a con¬ cluder la sua mobilità, ma indifferentemente [Hitersi adattare così alla Terra mobile, conio anco quiescente ; o spero dio in questo caso si paleseranno molte osservazioni ignoto all’ antichità. Secondariamente io si esamineranno li fenomeni celesti, rinforzando 1* ipotesi copernicana come se assolutamente dovesse rimaner vittori»'-a, aggiungendo nuove speculazioni, le quali però servano per facilità d'astronomia, non per necessità di natura. Noi terzo luogo proporrò una fantasia ingegnosa. Mi trovavo aver detto, molti anni sono, che l’ignoto problema del flusso del maro potrebbe ricever qualche luce, anmv"'> il moto ter¬ restre. Questo mio detto, volando per lo bocche degli uomini, aveva trovato padri caritativi che se l’adottavano per prole «li proprio in¬ gegno. Ora, perchè non possa mai comparire alcuno -trainerò che, fortificandosi con 1’ armi nostre, ci rinfacci la poca avvertenza in uno » accidente cosi principale, ho giudicato palesare quelle probabilità cho lo renderebbero persuasibile, dato che la Terra si move-se. Spero che da questo considerazioni il mondo conoscerà, che ;»> altro nazioni hanno navigato più, noi non abbiamo speculato meno, e che il rimet¬ tersi ad asserir la fermezza della Terra, e prender il contrario sola¬ mente per capriccio matematico, non nasce da non aver contezza di qua ut’altri ci abbia pensato, ma, quando altro non funse, «la quello ragioni cho la pietà, la religione, il conoscimento della divina onni¬ potenza, o la coscienza della debolezza dell’ ingegno umano, ci som¬ ministrano. 80 Ho poi pensato tornire molto a proposito lo spiegare questi con¬ cetti in forma di dialogo, cho, per non esser ristretto alla rigorosa osservanza delle leggi matematiche, porgo campo ancora a digres¬ sioni, tal ora non meno curiose del principale argomento. Mi trovai, molt’ anni sono, più volte nella maravigliosa città di Venezia in conversazione col Sig. Giovali Francesco Sagredo, illustris¬ simo di nascita, acutissimo d’ingegno. Venne là di Firenze il Sig. Fi- DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 31 lippo Salviati, nel quale il minore splendore era la chiarezza del sangue e la magnificenza delle ricchezze ; sublime intelletto, che di ninna delizia più avidamente si nutriva, che di specolazioni esquisite. Con questi due mi trovai spesso a discorrer di queste materie, con l’intervento di un filosofo peripatetico, al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per l’intelligenza del vero, che la fama acquistata nell’ interpretazioni Aristoteliche. Ora, poiché morte acerbissima ha, nel più bel sereno do gli anni loro, privato di quei due gran lumi Venezia e Firenze, ho risoluto io prolungar, per quanto vagliono le mie debili forze, la vita alla fama loro sopra queste mie carte, introducendoli per interlocutori della presente controversia. Nò mancherà il suo luogo al buon Peripate¬ tico, al quale, pel soverchio affetto verso i conienti di Simplicio, è parso decente, senza esprimerne il nome, lasciarli quello del reverito scrittore. Gradiscano quelle due grand’ anime, al cuor mio sempre venerabili, questo publico monumento del mio non mai morto amore, e con la memoria della loro eloquenza mi aiutino a spiegare alla posterità le promesse speculazioni. Erano casualmente occorsi (come interviene) varii discorsi alla 20 spezzata tra questi Signori, i quali avevano più tosto ne i loro ingegni accesa, che consolata, la sete dell’ imparare : però fecero saggia riso¬ luzione di trovarsi alcune giornate insieme, nello quali, bandito ogni altro negozio, si attendesse a vagheggiare con più ordinate specula¬ zioni le maraviglie di Dio nel cielo e nella terra. Fatta la radunanza nel palazzo dell’ Illustrissimo Sagrodo, dopo i debiti, ma però brevi, complimenti, il Sig. Salviati in questa maniera incominciò. GIORNATA PRIMA. INTERLOCUTORI SALVI ATI, SAGÙ EDO e SIMPLICIO. Salv. Fu la conclusione e 1’ appuntamento di ieri, die noi doves¬ simo in questo giorno discorrere, quanto più distintamente e parti¬ colarmente per noi si potesse, intorno alle ragioni naturali e loro efficacia, che per V una parte e per 1’ altra sin qui sono state pro¬ dotte da i fautori della posizione Aristotelica e Tolemaica e da i seguaci del sistema Copernicano. E perchè, collocando il Copernico io la Terra tra i corpi mobili del cielo, viene a farla essa ancora un globo simile a un pianeta, sarà bene che il principio delle nostre considerazioni sia 1’ andare esaminando quale e quanta sia la forza e F energia de i progressi peripatetici nel dimostrare come tale as¬ sunto sia del tutto impossibile ; attesoché sia necessario introdurre iu natura sustanze diverse tra di loro, cioè la celeste e la elemen¬ tare, quella impassibile ed immortale, questa alterabile e caduca. 11 quale argomento tratta egli ne i libri del Cielo, insinuandolo prima con discorsi dependenti da alcuni assunti generali, e confermandolo poi con esperienze e con dimostrazioni particolari. Io, seguendo l’istesso 20 ordine, proporrò, e poi liberamente dirò il mio parere ; esponendomi alla censura di voi, ed in particolare del Sig. Simplicio, tanto strenuo campione e mantenitore della dottrina Aristotelica. È il primo passo del progresso peripatetico quello dove Aristotile prova la integrità e perfezione del mondo coll’ additai'ci corn’ ei non è una semplice linea nè una superficie pura, ma un corpo adornato V Copernico reputa la Terra esser un glo¬ bo simile ad un pia¬ neta. Sustanzo celesti inalterabili, ed ele¬ mentari alterabili, ne¬ cessarie in natura, di mente d*Aristotile. 34 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MOSTRI. Aristotile f«il mon- di lunghezza, (li larghezza e di profondità ; »* ix-n-kt* le dimensioni In trina dimensione. noli BOI1 J)ÌÙ dlO qUOiito trO, aVOlldolo egli, 1'* Ila tutto, *'d ilVtTldo il tutto, ò perfetto. Clio poi, venendo dalla semplice lunghe/*» costi¬ tuita quella magnitudine elio si chinina linea, aggiunta la larghezza si costituisca la superficie, o sopragiunta 1’ alte/z.i o profondità no risulti il corpo, c elio doppo questo tre dimensioni non ni dia paesag¬ gio ad altra, sì che in questo tre sole si termini 1' integrità n per cosi dire la totalità, averci hen decide rat*» che da \n-ti>iile mi fiiHge stato dimostrato con necessità, o massime putendi -i ciò < ■ quire as¬ sai chiaro o speditamente. io Dimostrazioni d'A ri- SlMP. ManCIlllO lo (lÌlIH)'trazÌonÌ bellissimi» Ind 2', 3’e J te To, doppo siotilo por prò varo, lo , . , . dìmonsioni essoro tro la definizione del continuo? Non avete, ])riimeraniente, eli.- oltre alle o non più. t i tre dimensioni non vo n v altra, perche il tri' v ogni n«;i, »•'1 tre 6 Numero tornarlo ìior tutte lo bande? e ciò non vieti egli confi nn.it » rim r autorità 0 celebre appresso i Pi¬ tagorici. dottrina do i Pittagorici, (‘ho dicono eli*' tutle rose -<>11 determi¬ nate da tre, principio, mezo o fine, elio ò il numero d« l tutto? K dove lasciate voi l’altra ragione, cioè elio, quasi jht leggo naturale, rotai numero si usa ne'sacrifizi degli Dei? e che, dettante pur così la natura, alle coso elio son tre, o non a meno, attribuiscono il titolo di tutto? perche di duo si dico amentiuè, «• non si dice tulle; ma» di tre, sì bene. E tutta questa dottrina Pavete nel te-to 2’. Nel 3° poi, ad plcniorcm scientiam , si legge ehe 1* ogni cosa, il tutto, t* '1 per¬ fetto, formalmente son V istesso ; e elio però solo il corpo tra le gran¬ dezze e perfetto, perché essi) solo è determinato da 3, che ò il tutto, ed essendo divisibile in tre modi, h divisibile per tutti i versi: ma dell’ altre, chi è divisibile in un modo, e chi in dua, perche secondo il numero che gli è toccato, cosi hanno la divisione o la continuità; e cosi quella e continua per un verso, questa per due, ina quello, cioè il corpo, por tutti. I)i più nel tosto I , dopj>o alcuno altro dote trino, non prov’ egli ristesse» con un’altra dimostrazione, cioè che» non si facendo trapasso se non secondo qualche mancamento (e così dalla linea si passa alla superficie, porche la linea è manchevole di larghezza), ed essendo impossibile che il perfetto manchi, essendo egli pei tutte lo bande, però non si può passare dal corpo ad altra magni¬ tudine ? Or da tutti questi luoghi non vi par egli a sufficienza provato, coni oltie alle tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità, non si dà transito ad altra, e che però il corpo, che lo ha tutte, è perfetto? GIORNATA PRIMA. 35 Saia-. Io, per dire il vero, in tutti questi discorsi non mi son sen¬ tito strignere a concedere altro so non che quello che ha principio, inezo e fine, possa e deva dirsi perfetto : ma che poi, perchè prin¬ cipio, mezo e fine son 3, il numero 3 sia numero perfetto, ed abbia ad aver facultà di conferir perfezione a chi 1’ averà, non sento io cosa che mi muova a concederlo ; e non intendo e non credo che, v. g., per lo gambe il numero 3 sia più perfetto che ’l 4 o il 2 ; nò so che’l numero 4 sia d’imperfezione a gli elementi, eolie più per¬ fetto fusse eh’ e’ fusser 3. Meglio dunque era lasciar queste vaghezze •o a i retori o provar il suo intento con dimostrazione necessaria, clic così convien fare nelle scienze dimostrative. Simf. Par che voi pigliate per ischerzo queste ragioni : e pure è tutta dottrina de i Pitagorici, i quali tanto attribuivano a i numeri ; o voi, che sete matematico, e, credo anco, in molte opinioni filosofo Fittagorico, pare che ora disprezziate i lor misteri. Saly. Che i Pittagorici avessero in somma stima la scienza de i numeri, e che Platone stesso ammirasse l’intelletto umano e lo sti¬ masse partecipe di divinità solo per l’intender egli la natura de’nu¬ meri, io benissimo lo so, nè sarei lontano dal farne l’istesso giudizio ; 20 ma che i. misteri per i quali Pittagora e la sua setta avevano in tanta venerazione la scienza de’ numeri sieno le sciocchezze che vanno per le bocche e per le carte del volgo, non credo io in veruna maniera ; anzi perchè so che essi, acciò le cose mirabili non fussero esposte alle contumelie e al dispregio della plebe, dannavano come sacrilegio il publicar le più recondite proprietà de’ numeri e delle quantità in¬ commensurabili ed irrazionali da loro investigate, e predicavano che quello che le avesse manifestate era tormentato nell’ altro mondo, penso che tal uno di loro, per dar pasto alla plebe e liberarsi dallo sue domande, gli dicesse, i misterii loro numerali esser quelle legge- 30 rezze che poi si sparsero tra il vulgo ; e questo con astuzia ed accor¬ gimento simile a quello del sagace giovane che, per torsi dattorno l’importunità non so se della madre o della curiosa moglie, che l’as¬ sediava acciò le conferisse i segreti del senato, compose quella favola onde essa con molte altre donne rimasero dipoi, con gran risa del medesimo sonato, schernite. Simp. Io non voglio esser nel numero de’ troppo curiosi de’ misterii de’ Pittagorici : ma stando nel proposito nostro, replico che le ragioni In t oli otto umano partecipe di divinità porchò intende i nu¬ meri, oppimeli di Pla¬ tone. Misteri do' numori Pitagorici, favolosi. Dimostrazione g metrica (lolla trina mensiono. [>o- di- 30 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. prodotte da Aristotile per provare, lo dimensioni non esser, nè poter esser, più di tre, mi paiono concludenti ; e credo che quando ci funse stata dimostra/,ione più necessaria, Aristotile non 1 ’ avrebbe lasciata in dietro. Sagù. Aggi tigne te vi almanco, se l’avesse saputa, o se la gli lusso sovvenuta. Ma voi, Sig. Salviati, mi farete ben gran piacere di ar¬ recarmene qualche evidente ragione, se alcuna no avete cosi chiara, elio possa esser compresa da me. Salv. Anzi, o da voi e dal Sig. Simplicio ancora ; e non pur com¬ presa, ma di giù anche saputa, so ben forse non avvertita. 13 por io più facile intelligenza piglieremo carta e penna, che già veggio qui per simili occorrenze apparecchiate, e ne fa¬ remo un poco di figura. E prima noteremo questi due punti A, II, e tirate dall’uno al- 1 ’ altro le linee curve AGII, ADII o la retta AI 1 , vi domando quid di osso nella monte vo¬ stra ò quella che determina la distanza tra i termini A, B, e perché. Sàgr. Io direi la retta, e non le curve; sì perché la rotta è la più breve; sì perchè l’è una, sola e determinata, dove lo altro sono infi¬ nito, ineguali o più lunghe, o la determinazione mi paro che bì deva so prendere da, quel che ò uno o certo. Sai.v, Noi dunque aviamo la linea retta per determinatrice della lunghezza tra due termini : aggiungiamo adesso un’ altra linea retta e parallela alla AB, la quale sia CIT, sì che tra esse resti frapposta una superficie, della quale io vorrei che voi mi assegnaste la lar¬ ghezza. Però partendovi dal termino A, ditemi dove e corno voi volete andare a terminare nella linea Cl) per assegnarmi la larghezza tra esse lineo compresa; dico se voi la determinerete secondo la quan- so tità della curva AE, o pur della retta AF, o puro.... Simp. Secondo la retta AF, o non secondo la curva, essendosi già escluse le curve da simil uso. Sagr. Ma io non mi servirei nè dell’ una nò dell’ altra, vedendo la ietta AI andare obliquamente; ma vorrei tirare una linea che fusse a squadra sopra la CD, perchè questa mi par che sarebbe la bre¬ vissima, ed unica delle infinite maggiori, e tra di loro ineguali, che GIORNATA PRIMA. 37 dal termine A si possono produrre ad altri ed altri punti della linea opposta CD. Salt. Farmi la vostra elezione, e la ragione che n’ adducete, per¬ fettissima : talché sin qui noi abbiamo, che la prima dimensiono si determina con una linea retta ; la seconda, cioè la larghezza, con un’ altra linea pur retta, e non solamente retta, ma, di più, ad angoli retti sopra l’altra che determinò la lunghezza; e così abbiamo definite le due dimensioni della superficie, cioè la lunghezza e la larghezza. Ma quando voi aveste a determinare un’altezza, come, per esempio, io quanto sia alto questo palco dal pavimento che noi abbiamo sotto i piedi ; essendo che da qualsivoglia punto del palco si possono tirare infinito linee, o curve e l'ette, o tutte di diverse lunghezze, ad infiniti punti del sottoposto pavimento, di quale di cotali linee vi servireste voi? Sagr. Io attaccherei un filo al palco, e con un piombino, che pen¬ desse da quello, lo lascerei liberamente distendere sino che arrivasse prossimo al pavimento ; e la lunghezza di tal filo, essendo la retta o brevissima di quante linee si potessero dal medesimo punto tirare al pavimento, direi che fusse la vera altezza di questa stanza. Salv. Benissimo. E quando dal punto notato nel pavimento da 20 questo filo pendente (posto il pavimento a livello, e non inclinato) voi faceste partire due altre linee rette, una per la lunghezza e F altra per la larghezza della superficie di esso pavimento, che angoli con¬ terrebbe!’ elleno con esso filo ? Sagr. Conterrebbero sicuramente angoli retti, cadendo esso filo a piombo ed essendo il pavimento ben piano e ben livellato. Salv. Adunque se voi stabilirete alcun punto per capo e termine delle misure, e da esso farete partire una retta linea come deter- minatrice della prima misura, cioè della lunghezza, bisognerà per necessità che quella che dee definir la larghezza si parta ad angolo so retto sopra la prima, e che quella che ha da notar F altezza, che è la terza dimensione, partendo dal medesimo punto formi, pur con le altre due, angoli non obliqui, ma retti: o così dalle tre perpendicolari avrete, come da tre linee une e certe e brevissime, determinate le tre dimensioni, AB lunghezza, AC larghezza, AI) altezza. E perchè chiara cosa è, che al medesimo punto non può concorrere altra linea cho con quelle faccia angoli 33 DIAI.OQO SOPRA I l'UK MAKSIMI RIMIMI DKl. MOKIx). retti, e le dimensioni dalle sole linee r.-tte che tra di l»an tirare altre linee?© jwrchè non posa’io far venir di sotto un'altra linea sino al punto A, che sia a squadra con 1’altre? Salv. Voi non potete sicuramente ad un i>t- i punto far concor¬ rere altro elio tre linee retto sole, che fra di loro costituiscano an¬ goli retti. io Saor. Sì, perché quella che vuol dire il Sig. Simplicio par a me che sarebbe ristessa DA prolungata in giù: ed in questo modo si po¬ trebbe tirarne altro due, ma sarebbero le medesime prime tre, non differenti in altro, che dove ora si toccano solamente, all’ora si se¬ gherebbero, ma non apporterebbero nuove dimensioni. Sivir. Io non dirò elio questa vostra ragione non p>» ma dirò beno con Aristotile elio nelle cosi- naturali non si ir a i r J. CSRUczza g00,n0 ‘ deve 8eni P ro ricercare una necessità di dimostrazion matematica. Saor. Sì, torse, dove la non si può avere ; ma se qui ella ci è, perché non la volete voi usare? Ma sarà bene non ispender più pa- ao role in questo particolare, perché io credo rhe il Sig.Salviati ari Ari- stotilo ed a voi senza altre dimostrazioni avrebbe conceduto, il mondo csspi* corpo, ed esser perfetto e perfettissimo, come opera massima di Dio. S.u.i, Così é veramente. Però lasciata la generai contemplazione del tutto, vengliiamo alla considerazione dell*' parti, le quali Aristo- por Arisulùió”c'òfeste ne ^ a I ,r *ina divisione fa due, o tra di loro diversissime ed in certo ioro^Tt" a U H: ,tra dimodocontrar ie; dico, la celeste o la elementare: quella, ingenera- bile, incorruttibile, inalterabile, impassibile, ete. ; o questa, esposta ad una continua alterazione, mutazione, etc. La qual differenza cava ao egli, come da suo principio originario, dalla diversità ile i moti locali: o camina con tal progresso. Uscendo, por così dire, del mondo sensibile o ritirandosi al inondo ideale, comincia architettonicamente a considerare, che essendo la natura principio di moto, conviene che i corpi naturali siano mobili neri,retto,Circolareo ] ni °t'° locale. Dichiara jìoi, i movimenti locali esser di tre generi, ms c ^ rco ^ are > retto > 0 misto del retto e del circolare; e li duoi primi GIORNATA PRIMA. 39 chiama semplici, perché (li tutte lo linee la circolare e la retta solo son semplici. E di qui, ristringendosi alquanto, di nuovo definisce, de i movimenti semplici uno esser il circolare, cioè quello che si fa intorno al mezo, ed il retto all’insù ed all’ingiù, cioè all’insù quello elio si parte dal mezo, all’ ingiù quello che va verso il mezo : e di qui inferisce come necessariamente conviene che tutti i movimenti semplici si ristringano a queste tre spezie, cioè al mezo, dal mezo ed intorno al mezo ; il che risponde, dice egli, con certa bella pro¬ porzione a quel che si è detto di sopra del corpo, che esso ancora io è perfezionato in tre cose, e cosi il suo moto. Stabiliti questi movi¬ menti, segue dicendo che, essendo, de i corpi naturali, altri semplici ed altri composti di quelli (e chiama corpi semplici quelli che hanno da natura principio di moto, come il fuoco o la terra), conviene che i mo¬ vimenti semplici sieno de i corpi semplici, ed i misti de’composti, in modo però che i composti seguano il moto della parto predominante nella composiziono. Saab. Di grazia, Sig. Salviati, fermatevi alquanto, perchè io mi sento in questo progresso pullular da tante bande tanti dubbi, che mi sarà forza o dirgli, s’io vorrò sentir con attenzione le cose che 20 voi sogghignerete, o rimuover 1’ attenzione dalle cose da dirsi, so vorrò conservare la memoria de’ dubbi. Sai,v. Io molto volentieri mi fermerò, perchè corro ancor io simil fortuna, e sto di punto in punto per perdermi, mentre mi conviene veleggiar tra scogli ed onde così rotte, che mi fanno, come si dice, perder la bussola : però, prima che far maggior cumulo, proponete le vostre difficoltà. Sagr. Voi, insieme con Aristotile, da principio mi separaste al¬ quanto dal mondo sensibile per additarmi 1’ architettura con la quale egli doveva esser fabbricato, e con mio gusto mi cominciaste a dire 3o che il corpo naturale è per natura mobile, essendo che si è diffinito altrove, la natura esser principio di moto. Qui mi nacque un poco di dubbio ; e fu, per qual cagiono Aristotile non disse che de’ corpi naturali alcuni sono mobili per natura ed altri immobili, avvengacliò nella definizione vien detto, la natura esser principio di moto e di quiete ; che se i corpi naturali hanno tutti principio di movimento, o non occorreva metter la quiete nella definizione della natura, o non occorreva indur tal definizione in questo luogo. Quanto poi al dichia- Moti rotto o circo- laro, «duplici, porchò si fanno por lineo sem¬ plici. T)cfinizion della na¬ tura o difettofm,o fuor di tempo indotta da Aristotile. 40 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI 818TEMI DEL MUNIR). rarmi, quali egli intenda esser i movimenti semplici v come ei gli determina da gli spazi, chiamando semplici quelli che si l'anno per lineo semplici, che tali sono la circolare e la retta solamente, lo ri- •cevo quietamente, nò mi curo di «ottilizargli l’instanza della elica Elica intorno «1 ci- intorno al cilindro, che, per esser in ogni sua parte simile a hò stessa, 1 Indro può dirai linea • . ì • % i • » semplice par elio si potesse annoverar tra lo linee semplici. Ma un risento lume alquanto nel sentirlo ristrignere. (mentre pur che con altre parole voglia replicar le medesime definizioni) a chiamarti quello, movimento intorno al mezo, o questo, sur suiti et dcorsum, cioè in su o in giù ; li quali termini non si usano fuori del mondo fabbricato, ma lo sup- io pongono non pur fabbricato, ma di già abitato da noi. Che so il moto retto ò semplice per la semplicità della linea retta, e se il moto semplice è naturalo, sia pur egli fatto per qualsivoglia verso, dico in su, in giù, innanzi, in dietro, a destra ed a sinistra, e se altra dif¬ ferenza si può immaginare, purché sia retto, dovrà convenire a qual¬ che corpo naturale semplice; o se no, la supposizione d'Àristotile è manchevole. Vedesi in oltre che Aristotile accenna, un soli) esser al mondo il moto circolare, ed in conseguenza un solo centro, al quale solo si riferiscano i movimenti retti in su e in giù; tutti indizi che Aristoiiioaccomoda egli ha mira di cambiarci le carte in mano, e di volere accomodar 20 tura alla fabbrica doi 1 » architettura alla fabbrica, e non costruire la fabbrica conforme a mondo, o non la fab¬ brica a* precotti. i precetti dell’ architettura : clic so io dirò elio nell'università della natura ci posson essere mille movimenti circolari, od in conseguenza mille centri, vi saranno ancora mille moti in su e in giù. In oltro ci pone, come e dotto, moti semplici o moto misto, chiamando sem¬ plici il circolare ed il retto, e misto il compoeto di questi ; (lo i corpi naturali chiama altri semplici (cioè quelli elio hanno principio natu¬ rale al moto semplice), ed altri composti ; ed i moti semplici gli attri¬ buisce a’ corpi semplici, ed a' composti il composto : ma por moto com¬ posto e non intende più il misto di rotto o circolare, elio può essere al 30 inondo, ma introduce un moto misto tanto impossibile, quanto ò impos¬ sibile a mescolare movimenti opposti fatti nella medesima linea rotta, sì die da essi no nasca un moto che sia parte in su o parte in giù; o per moderalo una tanta sconvenevolezza e impossibilità, si riduce a dire che tali corpi misti si muovono secondo la parto semplice prc- 861)1 pi ice, o tal volta dominante ; elio finalmente necessita altrui a diro elio anco il moto misto, Aristotile, fatto per la medesima linea retta è alle volte semplice e tal ora an- GIORNATA PRIMA. 41 che composto, sì elio la semplicità del moto non si attende più dalla semplicità della linea solamente. Simp. Oh non vi par ella differenza bastevole se il movimento semplice ed assoluto sarà più veloce assai di quello elio vien dal pre¬ dominio ? e quanto vien più velocemente all’ ingiù un pezzo di terra pura, che un pezzuol di legno ? Sagr. Bene, Sig. Simplicio : ma se la semplicità si ha da mutar per questo, oltre che ci saranno centomila moti misti, voi non mi saprete determinare il semplice ; anzi, di più, se la maggiore e minor io velocità possono alterar la semplicità del moto, nessun corpo semplice si inoverà mai di moto semplice, avvengachè in tutti i moti retti naturali la velocità si va sempre agumentando, ed in conseguenza sem¬ pre mutando la semplicità, la quale, per esser semplicità, conviene che sia immutabile ; e, quel che più importa, voi graverete Aristotile d’una nuova nota, come quello che nella definizione del moto com¬ posto non ha fatto menzione di tardità nè di velocità, la quale ora voi ponete per articolo necessario ed essenziale. Àggiugnesi che nè anco potrete da cotal regola trar frutto veruno ; imperocché ci sa¬ ranno de’ misti, e non pochi, de’ quali altri si moveranno più lenta- 20 mente, ed altri più velocemente, del semplice, come, per esempio, il piombo e ’l legno in comparazione della terra : e però tra questi mo¬ vimenti quale chiamerete voi il semplice, e quale il composto ? Simp. Chiamerassi semplice quello che vien fatto dal corpo sem¬ plice, e misto quel del corpo composto. Sagr. Benissimo veramente. E che dite voi, Sig. Simplicio? poco fa volevi che il moto semplice e il composto ni’ insegnassero quali siano i corpi semplici e quali i misti ; ed ora volete che da i corpi semplici o da i misti io venga in cognizione di qual sia il moto sem¬ plice e quale il composto : regola eccellente per non saper mai cono- ao scer nò i moti nè i corpi. Oltre che già venite a dichiararvi come non vi basta più la maggior velocità, ma ricercate una terza condi¬ zione per definire il movimento semplice, per il quale Aristotile si contentò d’ una sola, cioè della semplicità dello spazio ; ma ora, se¬ condo voi, il moto semplice sarà quello che vien fatto sopra una linea semplice, con certa determinata velocità, da un corpo mobile sem¬ plice. Or sia come a voi piace, e torniamo ad Aristotile, il qual mi definì, il moto misto esser quello che si compone del retto e del cir- VII. a 42 DIALOGO SOPRA I DUK MA8S1MI SIBTLMI DKL RONDO. colaro ; ma non mi trovò poi corpo alcuno cho fuKM< naturalmente mobile (li tal moto. Sai,y. Torno dunque ad Aristotile, il (pialo, avendo molto bone e metodicamente cominciato il suo discorso, ina avendo più la mira di andare a terminare o colpire in uno scopo, prima nella mente sua stabilitosi, che dove dirittamente il progresso lo comlueeva, inter¬ rompendo il lìlo ci esce tra vernalmente a portar come cosa nota e manifesta, elio quanto a i moti retti in su e in giù, questi natural¬ mente convengono al fuoco od alla terra, e che però ò necessario cho oltre a questi corpi, che sono appresso di noi, no sia un altro in natura io al quale convenga il movimento circolare, il quale sia ancora tanto più eccellente, quanto il moto circolare è più perfetto del moto retto: Linea circolare por- quanto noi quello sia più perfetto di questo lo determina dalla per- fotta, 8ocomlo Ariato- 1 1 . . . . . . tuo, « la rotta impor-fozion della linea circolare sopra la retta, chiamando «Mirila perfetta, fotta, o perché. . ed imperfetta questa ; imperfetta, perche se e infinita, manca di tuie o di termine ; se ò finita, fuori di lei ci è alcuna co-a dove ella si può prolungare. Questa è la prima pietra, buse e fondamento di tutta la fabbrica del mondo Aristotelico, sopra la quale si appoggiano tutto 1 ’ altre proprietà di non grave nè leggiero, d'ingeiierabile, incorrut¬ tibile ed esente da ogni mutazione, fuori della locale, ctc. : e tutte 20 queste passioni afferma egli esser proprie ilei cori>o semplice e mo¬ bile di moto circolare; e le condizioni contrarie, di gravità, legge¬ rezza, corruttibilità etc., le assegna a* corpi mobili naturalmente di movimenti retti. Là onde qualunque volta nello stabilito sin qui si scuopra mancamento, si potrà ragionevolmente dubitar di tutto il resto, che sopra gli vien costrutto. Io non nego cho questo, elio sin qui Aristotile lui introdotto con discorso generale, dependente (la principi universali e primi, non venga poi noi progresso riconfer¬ mato con ragioni particolari e con esperienze, le quali tutto è neces¬ sario che vengano distintamente considerate e ponderato; ma già30 clic nel detto sin qui si rappresentano molto, e non picciolo, diffi- culta (e pur converrebbe che i primi principi e fondamenti funsero sicuri fermi e stabili, acciocché più risolutamente si potesse sopra (li quelli fabbricare), non sarà forse se non ben fatto, prima che si ac¬ cresca il cumulo do i dubbi, vedere se per avventura (sì come io stimo) incamminandoci per altra strada ci imbuzzassimo a più diritto e sii ino cammino, e con precetti il architettura meglio considerati GIORNATA PRIMA. 43 potessimo stabilire i primi fondamenti. Però, sospendendo per ora il progresso d’Aristotile, il quale a suo tempo ripiglieremo e partita- niente esamineremo, dico elio, delle cose da osso dette sin qui, con¬ vengo seco ed ammetto che il mondo sia corpo dotato di tutto le dimensioni, e però perfettissimo ; ed aggiungo che come tale ei sia Momio si suppone 711 i ^ dall minore esser por- necessariamente ordinatissimo, cioè di parti con sommo e perfettis- rettamente ordinato, siino ordine tra di loro disposte : il quale assunto non credo elio sia per esser negato nò da voi nò da altri. Sun 1 . E chi volete voi elio lo neghi? la prima cosa, egli è d’Ari- ìo stotile stesso ; e poi, la sua denominazione non par che sia presa d’ al¬ tronde, che dall’ ordine che egli perfettamente contiene. Salv. Stabilito dunque cotal principio, si può immediatamente con¬ cludere che, se i corpi integrali del mondo devono esser di lor natura Moto rotto ìmpos- . . . sibilo esser nel mondo mobili, è impossibile che i movimenti loro siano retti, o altri clic ben ordinato, circolari : e la ragione è assai facile e manifesta. Imperocché quello che si muove di moto retto, muta luogo ; e continuando di muoversi, si va più e più sempre allontanando dal termine ond’ ei si partì o da tutti i luoghi per i quali successivamente ei va passando ; e so tal moto naturalmente se gli conviene, adunque egli da principio 20 non era nel luogo suo naturale, e però non erano lo parti del mondo con ordine perfetto disposte : ma noi supponghiamo, quelle esser per¬ fettamente ordinate: adunque, come tali, è impossibile che abbiano da natura di mutar luogo, ed in conseguenza di muoversi di moto retto. In oltre, essendo il moto retto di sua natura infinito, perchè infinita Moto rotto di sua o indeterminata ò la linea retta, ò impossibile che mobile alcuno Moto rotto impossi- abbia da natura principio di muoversi per linea rotta, cioè verso bll ° 1>er nntm ' 11, dove è impossibile di arrivare, non vi essendo termine prefinito ; o la natura, come ben dice Aristotile medesmo, non intraprende a fare Natura non intrn- qucllo che non può esser fatto, nè intraprende a muovere dove è im- olio'* 6 impossibile 11 * so possibile a pervenire. E se pur alcuno dicesse, che se bene la linea retta, ed in conseguenza il moto per essa, ò producibile in infinito, cioè interminato, tuttavia però la natura, per così dire, arbitraria¬ mente gli ha assegnati alcuni termini c dato naturali instinti a’ suoi corpi naturali di muoversi a quelli, io risponderò che ciò per avven¬ tura si potrebbe favoleggiare che fusse avvenuto del primo caos, dove confusamente ed inordinatamente andavano indistinte materie vagando, Moto retto forse nei per le quali ordinare la natura molto acconciamente si fusse servita pnm ° ca ° 8 ‘ u DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. do i movimenti rotti, i quali, sì come movendo i corpi ben costituiti Moto rotto nccomo. senz ’ esser impedita, tutto il suo impeto in quella sola ope- iazione, di ricondur sé medesima, o altro eguale a sò, a quella me- Il mobile grave scendendo a (|iiistn i al¬ tezza. GIORNATA PRIMA. 47 desima altezza : come sarebbe se la Terra fusse perforata per il cen¬ tro, o che, lontano da esso cento o mille braccia, si lasciasse cader la palla ; credo sicuramente che ella passerebbe oltre al centro, sa¬ lendo altrettanto quanto scese : e così mi mostra 1’ esperienza acca¬ dere d’ un peso pendente da una corda, che rimosso dal perpendicolo, che è il suo stato di quiete, e lasciato poi in libertà, cala verso detto perpendicolo e lo trapassa per altrettanto spazio, o solamente tanto meno quanto il contrasto dell’ aria e della corda o di altri accidenti l’impediscono. Mostrami l’istesso 1’ acqua, che scendendo por un si- io fono, rimonta altrettanto quanto fu la sua scesa. Sai/v. Voi perfettamente discorrete. E perch’ io so che non avete dubbio in conceder che 1’ acquisto dell’ impeto sia mediante 1’ allon¬ tanamento dal termine donde il mobile si parte, e 1’ avvicinamento al centro dove tendo il suo moto, arete voi difficultà nel concedere che due mobili eguali, ancorché scendenti per diverse linee, senza veruno impedimento, facciano acquisto d’impeti eguali, tutta volta elio rav¬ vicinamento al centro sia eguale? Sagr. Non intendo bene il quesito. Salv. Mi dichiarerò meglio col segnarne un poco di figura. Però no- 20 terò questa linea AB, parallela all’ orizonte, e sopra il punto B driz¬ zerò la perpendicolare BC, e poi congiugnerò questa inclinata CA. Intendendo ora la linea CA esser un piano /ic inclinato, esquisitamente pulito e duro, so- pra il quale scenda una palla perfetta- s' mente rotonda e di materia durissima, ed una simile scenderne liberamente per la . x _l 11 perpendicolare CB, domando se voi con- A cedereste che l’impeto della scendente per il piano CA, giunta che la fusse al termine A, potesse essere eguale all’impeto acquistato dal- 30 1’ altra nel punto B, doppo la scesa per la perpendicolare CB. Sagr. Io credo risolutamente di sì, perchè in effetto amendue si impeti sono eguali sono avvicinate al centro egualmente, e, per quello che pur ora ho avvicinatisi ai centro, conceduto, gl’impeti loro sarebbero egualmente bastanti a ricondur loro stesse alla medesima altezza. Sat/v. Ditemi ora quello che voi credete che facesse quella mede¬ sima palla posata sul piano orizontale AB. Sopra il piano ori- zontalo il mobilo sta Sagr. Starebbe ferma, non avendo esso piano veruna inclinazione. ferm0 W 48 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI 8I8TKMI DEI. MONDO. Salv. Ma sul piano inclinato C'A scenderebbe, ma con muto più lento che per la perpendicolare C lì. Sagr. Sono stato por risponder risolutamente ili si, parendomi pur necessario che il moto por la perpendicolare CU debba esser più ve¬ loce che per l’inclinata CA : tuttavia, so questo è, come putrii il ca¬ dente por l’inclinata, giunto al punto A, aver tanto iinjwto, cioè» taL grado ili velocità, quale o quanto il cadente per la perpendicolare avrà nel punto B? Queste due proposizioni par diesi eontradicano. Sai.v. Adunque molto più vi parrà falso se io dirò che assoluta- Voiocìtà por il piano mente lo velocità de’cadenti per la perpendicolare o per l’inclinata io incl imito ctgun lo alla , ,, * • • •• % . velocità poi* in por- siano uguali. L pur questa o proposizione verissima; si conio vera è pendlool we,ed II molo itimi • 1 por la porpondlcolaro (j^uefita ancora Clic) (llCC CUO il cariente si UlUOVO pili Velocemente J)Gr più veloce elio por l'in- ti i . , .. dittala. la perpendicolare che per la inclinata. Sagù. Queste al mio orecchio suonano proposizioni con trai littorie; ed al vostro, Sig. Simplicio ? Simi». Kil a me par l’istesso. Sai.v. Credo che voi mi burliate, Ungendo di non capire quel elio voi intendete meglio di me. Perù ditemi, Sig. Simplicio: quando voi v’immaginate un mobile esser più veloce d’un altro, che concetto vi lìgurate voi nella mente? so Simp. Figuromi, P uno passar noli’ istesso tempo maggiore 8]>azio dell’altro, o vero passare spazio eguale, ina in minor tempo. Salv. Benissimo: e per mobili egualmente veloci, che concetto vi lìgurate ? Simp. Figuromi che passino spazi eguali in tempi eguali. Salv. E non altro concetto che questo ? Simp. Questo mi par che sia la propria definizione de’ moti eguali. Sagr. Aggiunghiamoci pure quest' altra di più : cioè chiamarsi egu«ìVqunndo^giDipn* ancora velocità esser eguali, quando gli spazi passati hanno la zionTa inedesiraa proporziono clini tempi ne’ quali son passati, e sarà defi-« nizione più universale. Salv. Così è, perchè comprende gli spazi eguali passati in tempi eguali, e gl ineguali ancora, passati in tempi ineguali, ma propor¬ zionali a essi spazi, il concetto che vi Ripigliate ora la medesima figura, eil applicandovi figurate del moto più veloce, ditemi perchè vi P al 'o ohe la velocita del cadente per tilt sia maggioro della velocità dello scendente per la CA. GIORNATA PRIMA. 49 Simp. Parmi, perché nel tempo che ’1 cadente passerà tutta la GB, lo scendente passerà nella CA una parte minor della GB. Sapv. Così sta; e così si verifica, il mobile muoversi più veloce¬ mente per la perpendicolare che per l’inclinata. Considerate ora se in questa medesima figura si potesse in qualche modo verificare l’altro concetto, e trovare che i mobili fussero egualmente veloci in amendue le linee CA, GB. Simp. Io non ci so veder cosa tale, anzi pur mi par contradizione al già detto. io Salv. E voi che dite, Sig. Sagredo? Io non vorrei già insegnarvi quel che voi medesimi sapete, e quello di che pur ora mi avete arre¬ cato la definizione. Sagù. La definizione che io ho addotta è stata, che i mobili si possali chiamare egualmente veloci quando gli spazi passati da loro hanno la medesima proporzione che i tempi ne’ quali gli passano : però a voler che la definizione avesse luogo nel presente caso, bisognerebbe che il tempo della scesa per CA al tempo della, caduta per GB avesse la medesima proporzione che la stessa linea CA alla GB ; ma ciò non so io intender che possa essere, tuttavolta che il moto per la GB sia 20 più veloce che per la CA. Sai,v. E pur è forza che voi l’intendiate. Ditemi un poco : questi moti non si vann’ eglino continuamente accelerando ? Sagù. Vannosi accelerando, ma più nella perpendicolare che nel- l’inclinata. Salv. Ma questa accelerazione nella perpendicolare è olla però tale, in comparazione di quella dell’ inclinata, che prese due parti eguali in qualsivoglia luogo di esse linee, perpendicolare e inclinata, il moto nella parte della perpendicolare sia sempre più veloce che nella parte dell’ inclinata ? so Sagù. Signor no, anzi potrò io pigliare uno spazio nell’ inclinata, nel quale la velocità sia maggiore assai che in altrettanto spazio preso nella perpendicolare ; e questo sarà, se lo spazio nella perpendicolare ' sarà proso vicino al termine C, e nell’ inclinata molto lontano. Salv. Vedete dunque che la proposizione che dice « Il moto per la perpendicolare è più veloce che per 1’ inclinata » non si verifica uni¬ versalmente se non de i moti che cominciano dal primo termine, cioè dalla quiete ; senza la qual condizione la proposizione sarebbe tanto VII. 7 50 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. difettosa, che anco la sua contradittoria potrebbe esser vera, cioè che il moto nell’ inclinata è più veloce che nella perpendicolare, perchè è vero che nell’inclinata possiamo pigliare uno spazio passato dal mobile in manco tempo che altrettanto spazio passato nella perpendicolare. Ora, perchè il moto nell’inclinata è in alcuni luoghi più veloce ed in altri meno che nella perpendicolare, adunque in alcuni luoghi dell’ inclinata il tempo del moto del mobile al tempo del moto del mobile per alcuni luoghi della perpendicolare avrà maggior proporzione che lo spazio passato allo spazio passato, ed in altri luoghi la proporzione del tempo al tempo sarà minore di quella dello spazio allo spazio. Come, per esem- io pio, partendosi due mobili dalla quiete, cioè dal punto C, uno per la perpendicolare CB e 1’ altro per l’inclinata CA, nel tempo che nella perpendicolare il mobile avrà passata tutta la CB, l’altro avrà passata la CT, minore; e poro il tempo per CT al tempo per CB (che gli è eguale) ara maggior proporziono che la linea TC alla CB, essendo che la me¬ desima alla minore ha maggior proporzione che alla maggiore : e per l’opposito, quando nella CA, prolungata quanto bisognasse, si prendesse una parte eguale 20 alla CB, ma passata in tempo più breve, il tempo nell’inclinata al tempo nella perpendicolare arebbo proporzione minore che lo spazio allo spazio. Se dunque nell’ inclinata e nella perpendicolare possiamo intendere spazi e velocità tali che le proporzioni tra essi spazi siano e minori e maggiori delle proporzioni de’ tempi, possiamo ben ragio¬ nevolmente concedere che vi sieno anco spazi per i quali i tempi de i movimenti ritengano la medesima proporzione che gli spazi. Sa.gr. Già mi sent’ io levato lo scrupolo maggiore, e comprendo esser non solo possibile, ma dirò necessario, quello che mi pareva un contradittorio : ma non però intendo per ancora che uno di questi so casi possibili o necessari sia questo del quale abbiamo bisogno di presente, sì che vero sia che il tempo della scesa per CA al tempo della caduta per CB abbia la medesima proporzione che la linea CA alla CB, onde e’ si possa senza contradizione diro che le velocità per la inclinata CA e per la perpendicolare CB sieno eguali. Salv. Contentatevi per ora eh’ io v’ abbia rimossa l’incredulità ; ma la scienza aspettatela un’ altra volta, cioè quando vedrete le cose GIORNATA PRIMA. 51 dimostrate dal nostro Accademico intorno a i moti locali : dove tro¬ verete dimostrato, che nel tempo che ’l mobile cade per tutta la CB, 1’ altro scende per la CA sino al punto T, nel quale cade la perpen¬ dicolare tiratavi dal punto B ; e per trovare dove il medesimo cadente per la perpendicolare si troverebbe quando 1’ altro arriva al punto A, tirate da esso A la perpendicolare sopra la CA, prolungando essa o la CB sino al concorso, e quello sarà il puuto cercato. Intanto vedete come è vero che il moto per la CB è più veloce che per l’incli¬ nata CA (ponendo il termine C per principio de’ moti de’ quali fac- ìo damo comparazione); perchè la linea CB è maggiore della CT, o T altra da C sino al concorso della perpendicolare tirata da A sopra la CA è maggiore della CA, e però il moto per essa è più veloce che per la CA. Ma quando noi paragoniamo il moto fatto per tutta la CA, non con tutto ’l moto fatto nel medesimo tempo per la per¬ pendicolare prolungata, ma col fatto in parte del tempo per la sola parte CB, non repugna che il mobile per CA, continuando di scen¬ dere oltre al T, possa in tal tempo arrivare in A, che qual propor¬ zione si trova tra le linee CA, CB, tale sia tra essi tempi. Ora, ripi¬ gliando il nostro primo proposito, che era di mostrare come il mobile 20 grave, partendosi dalla quiete, passa, scendendo, per tutti i gradi di tardità precedenti a qualsivoglia grado di velocità che egli acquisti, ripigliando la medesima figura, ricordiamoci che eramo convenuti che il cadente per la perpendicolare CB ed il descendente per l’incli¬ nata CA, ne i termini B, A si trovassero avere acquistati eguali gradi di velocità. Ora, seguitando più avanti, non credo che voi abbiate difficultà veruna in concedere che sopra un altro piano meno elevato di AC, qual sarebbe, v. g., DA, il moto del descen¬ dente sarebbe ancora più tardo che nel so piano CA : talché non è da dubitar punto che si possano notar piani tanto poco elevati sopra l’orizonte AB, che ’l mobile, cioè la medesima palla, in qualsivoglia lunghissimo tempo si condurrebbe al termine A, già che per condurvisi per il piano BA non basta tempo infinito, ed il moto si fa sempre più lento quanto la declività è minore. Bisogna dunque necessariamente confessare, po¬ tersi sopra il termine B pigliare un punto tanto ad esso B vicino, che 52 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MORDO. tirando da osso al punto A un piano, la palla non lo passasse nò anco in un anno. Bisogna ora elio voi sappiate, elio l’impeto, cioè il grado di velocitò, elio la palla si trova avero acquistato quando arriva al punto A ò tale, dio quando ella continuasse di muoversi con questo medesimo grado uniformemente, cioè senza accelerarsi o ritardarsi, in altrettanto tempo in quanto ò venuta per il piano inclinato pas¬ serebbe uno spazio lungo il doppio del piano inclinato; cioè (per esempio) se la palla avesse passato il piano DA in un'ora, continuando di muoversi uniformemente con quel grado di velocità che ella si trova avere nel giugnere al termine A, passerebbe in un’ora uno io spazio doppio della lunghezza DA : e perchè (conio dicevamo) i gradi di velocità acquistati ne i punti B, A da i mobili che ai partono da qualsivoglia punto preso nella perpendicolare CI1, o che scendono l’uno per il piano inclinato o 1’ altro per essa perpendicolare, son sempre eguali, adunque il cadente per la perpendicolare può partirsi da un termine tanto vicino al D, elio '1 grado di velocità acquistato in B non fusso bastante (conservandosi sempre l’iste.>?><>) a condurre il mobile per uno spazio doppio della lunghezza del piano inclinato in un anno nò in dieci nò in cento. Possiamo dunque concludere che so è vero che, secondo il corso ordinario di natura, un mobile, rimossi «o tutti gl’ impedimenti esterni ed accidentarii, si muova sopra piani in¬ clinati con maggioro e maggior tardità secondo elio P inclinazione sarà minore, sì che finalmente la tardità si conduca a essere infinita, che ò quando si finisco P inclinazione e s’ arriva al piano orizontale; e so è vero parimente elio al grado di velocità acquistato in qualche punto del piano inclinato sia eguale quel grado di velocità elio si trova avere il cadente per la perpendicolare nel punto segato da una parallela all’orizonte che passa per quel punto del piano inclinato; bisogna di necessità confessare che il cadente, partendosi dalla quiete, passa per tutti gl’ infiniti gradi di tardità, e che, in conseguenza, per so acquistar un determinato grado di velocità bisogna eli’ e’ si muova prima per linea retta, descendendo per breve o lungo spazio, se¬ condo che la velocita da acquistarsi dovrà essere minore o maggioro, e secondo che ’l piano sul qualo si scende sarà poco o molto incli¬ nato : talché può darsi un piano con sì poca inclinazione, che, per acquistarvi quel tal grado di velocità, bisognasse prima muoversi per lunghissimo spazio ed in lunghissimo tempo; sì che noi piano orizontale GIORNATA PRIMA. 53 qual si sia velocità non s’acquisterà naturalmente mai, avvenga die il mobile già mai non vi si muoverà. Ma il moto per la linea orizontale, che non è declive nè elevata, è moto circolare intorno al centro : adun¬ que il moto circolare non s’acquisterà mai naturalmente senza il moto retto precedente, ma bene, acquistato che e’ si sia, si continuerà egli perpetuamente con velocità uniforme. Io potrei dichiararvi, ed anco dimostrarvi, con altri discorsi queste medesime verità; ma non voglio interromper con sì gran digressioni il principal nostro ragionamento, e più tosto ci ritornerò con altra occasione, e massime che ora si ò io venuto in questo proposito non per servirsene per una dimostrazion necessaria, ma per adornare un concetto Platonico : al quale voglio aggiugnere un’ altra particolare osservazione, pur del nostro Accade¬ mico, che ha del mirabile. Figuriamoci, tra i decreti del divino Archi¬ tetto essere stato pensiero di crear nel mondo questi globi, che noi veggiamo continuamente muoversi in giro, ed avere stabilito il centro delle lor conversioni ed in esso collocato il Sole immobile, ed aver poi fabbricati tutti i detti globi nel medesimo luogo, e di lì datali incli¬ nazione di muoversi, discendendo verso il centro, sin che acquistas¬ sero quei gradi di velocità che pareva alla medesima Mente divina, 20 li quali acquistati, fussero volti in giro, ciascheduno nel suo cerchio, mantenendo la già concepita velocità : si cerca in quale altezza o lontananza dal Sole era il luogo dove primamente furono essi globi creati, e se può esser che la creazion di tutti fusso stata nell’ istesso luogo. Per far questa investigazione bisogna pigliare da i più periti astronomi le grandezze de i cerchi ne i quali i pianeti si rivolgono, e parimente i tempi delle loro revoluzioni : dalle quali due cognizioni si raccoglie quanto, v. g., il moto di Giove è più veloce del moto di Saturno ; e trovato (come in effetto è) che Giove si muove più velo¬ cemente, conviene che, sendosi partiti dalla medesima altezza, Giove 30 sia sceso più che Saturno, sì come pure sappiamo essere veramente, essendo l’orbe suo inferiore a quel di Saturno. Ma venendo più avanti, dalla proporzione che hanno le due velocità di Giove e di Saturno, o dalla distanza che è tra gli orbi loro e dalla proporzione dell’ ac- celerazion del moto naturale, si può ritrovare in quanta altezza e lontananza dal centro delle lor revoluzioni fusse il luogo donde e’ si partirono. Ritrovato e stabilito questo, si cerca se Marte scendendo di là sino al suo orbe [.] si trova che la grandezza dell’ orbe e la Moto circolare non si può acquistare» nini naturai m ente senza il moto rotto prece- dento. Moto circolare per¬ petuamente uniforme. 54 DIALOOO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI I'KI. Orandozzo do gli or¬ ili o velocità dei moti dei pianoti rispondo¬ no proporzionatftmon- to al Tesser discesi dal medesimo luogo. velocità del moto convengono con quello che dal calcolo ci vion dato; ed il similo si fa della Terra, di Venere e di Mercurio, de 1 quali le grandezze do i cerchi e le velocitò ile i moti s*accontano tanto pro«- Bimamente a quel elio no danno i computi, che è cosa maraviglioea. Saor. Ho con estremo gusto sentito questo pensiero, e s.* non ch’io erodo elio il far quoi calcoli precisamente sarebbe impresa lunga e laboriosa, e forse troppo difficile da esser compresa da me, io yc ne vorrei faro instanza. Sai.v. L’operazione è veramente lunga •• difficile, el moto circolare, atto alla conservazione dell’ ordine. Ed r ori più, io non son» mai restato ben capace di questa trasmutazione sostanziale (restando sempre dentro a i puri termini naturali), per la quale una materia venga talmente trasformata, che si deva per necessità dire, quello ossei si del tutto destrutta, sì che nulla del suo primo essere vi ri¬ manga e di’ un altro corpo, diversissimo da quella, se no sia dotto ; ed il rappresentarmisi un corpo sotto un aspetto o di lì a sotto un altro differente assai, non ho per impossibile che possa se- pro¬ poco GIORNATA PRIMA. 65 guire per una semplice trasposizione di parti, senza corrompere o sompiico trnspoai- generar nulla di nuovo, perchè di simili metamorfosi ne vediamo noi presentar? corpi sotto tutto il giorno. Sì che torno a replicarvi che come voi mi vorrete tlv01! ’ 1 aspottl ‘ persuader che la Terra non si possa muover circolarmente per via di corruttibilità e generabilità, averete che fare assai più di me, che con argomenti ben più difficili, ma non men concludenti, vi proverò il contrario. Sagr. Sig. Salviati, perdonatemi so io interrompo il vostro ragio¬ namento, il quale, sì come mi diletta assai, perchè io ancora mi trovo io involto nelle medesime difficultà, così dubito che sia impossibile il poterne venire a capo senza deporre in tutto e per tutto la nostra principal materia ; però, quando si potesse tirare avanti il primo di¬ scorso, giudicherei che fusse bene rimettere ad un altro separato ed intero ragionamento questa quistione della generazione e corruzione, sì come anco, quando ciò piaccia a voi ed al Sig. Simplicio, si jiotrà fare di altre quistioni particolari, che il corso de’ ragionamenti ci porgesse avanti, delle quali io terrò memoria a parte, per proporle un altro giorno e minutamente esaminarle. Or, quanto alla presente, già che voi dite che, negato ad Aristotile che il moto circolare non 20 sia della Terra, come de gli altri corpi celesti, ne seguirà che quello che accade della Terra, circa P esser generabile, alterabile, etc., sia ancora del cielo, lasciamo star se la generazione e corruzione sieno o non sieno in natura, o torniamo a veder d’investigare quel che faccia il globo terrestre. Simp. Io non posso accomodar P orecchie a sentir mettere in dub¬ bio se la generazione e corruzione sieno in natura, essendo una cosa che noi continuamente aviamo innanzi a gli occhi, e della quale Ari¬ stotile ha scritto due libri interi. Ma quando si abbiano a negare i Negandosi i princì- prmcipn nello scienze e mettere in dubbio le cose manifestissime, può sostenere qual si so chi non sa che si potrà provare quel che altri vuole e sostener V °° m P " at qualsivoglia paradosso ? E se voi non vedete tutto il giorno ge¬ nerarsi e corrompersi erbe, piante, animali, che altra cosa vedete voi ? come non vedete perpetuamente giostrarsi in contro le contra¬ rietà, e la terra mutarsi in acqua, P acqua convertirsi in aria, P aria in fuoco, e di nuovo P aria condensarsi in nuvole, in piogge, gran¬ dini e tempeste? Sagr. Anzi veggiamo pur tutte queste cose, e però vogliamo con- VII. 9 CG DIALOGO 801’KA I DUE MA88IMI SISTEMI DEL MONDO. 1 « codervi il discorso d’Aristotile, quanto a questa parto dulia genera- alone o corruzione fatta da i contrari ; ma se io vi concluderò, in virtù delle medesimo proposizioni conceduto ad Aristotile, che i corpi celesti sieno essi ancora, non meno che gli elementari, generabili e corruttibili, che cosa direte voi ? Simp. Dirò olio voi abbiate fatto quello clu* è impossibile a farsi. Sagr. Ditemi un poco, Sig. Simplicio : non -ono queste affezioni contrarie tra di loro ? Simp. Quali ? Saur. Eccovele : alterabile, inalterabile, pa sibilo, impassibile, ge-u nerabile, ingenerabile, corruttibile, incorruttibile ? Simp. Sono contrarissime. Sagr. Come questo sia, o sia vero ancora che i corpi celesti sieno ingenerabili o incorruttibili, io vi provo che di necessità bisogna che i corpi celesti sien generabili o corruttibili. Simp. Questo non potrà esser altro che un soflisma. Sagr. Sentito 1 ’argomento, e poi nominatelo u solertelo. I corpi Corpi colesti gono-celesti, perchè sono ingenorabili ed incorruttibili, hanno in natura rubili o corruttibili, , , _ perchò sono ingunoru- do i contrari, elio sono i corpi generabili e corruttibili; ma dove è bili © incorruttibili. . . . contrarietà, quivi ò generazione e corruzione ; adunque i corpi celesti 20 son generabili e corruttibili. Simp. Non vi diss’ io che non poteva esser altro eh’ un sofisma? Argumonto comu-Questo è un di quelli argomenti cornuti, che si chiamano soriti: come to, dotto altrimenti * . 30lit0 * quello del Candiotto, elio diceva elio tutti i Cani botti orano bugiardi, però, essendo egli Candiotto, veniva a dir la bugia, mentre diceva elio i Candiotti erano bugiardi ; bisogna adunque elio i Candiotti fos¬ sero veridici, ed in conseguenza esso, come Candiotto, veniva ad esser veridico, g però, nel dir che i Candiotti erano bugiardi, diceva il vero, e comprendendo sò, come Candiotto, bisognava che e* fusse bu¬ giardo. E così in questa sorte di soffiami si durerebbe in eterno a» rigirarsi, senza concluder mai niente. } Sagk. Voi sin qui V avete nominato : resta ora che lo sciogliete, mostrando la fallacia. Simp. Quanto al solverlo e mostrar la sua fallacia, non vedete voi, pi ima, la contradizion manifesta? i corpi celesti sono ingenerabili Tra non ò • • A U e incorruttibili; adunque i corpi celesti son generabili e corruttibili? contnuìotà. ® l )t«> del ciclo; il che è manifesto dall’ essere il cielo sommamente trasparente, e le -t.-lle som¬ mamente opache, o dal non si trovare la-sii altre qualità elio ’1 più o ’l meno denso o raro, che della maggiore o minor trasparenza pos¬ sano esser principii. Essendo dunque tali contrarietà tra i corpi ce¬ lesti, è necessario che essi ancora sion generabili o corruttibili, in quel medesimo modo che son tali i corpi elementari, o vero che non la contrarietà sia causa della corruttibilità, etc. Simp. Non è necessario nò l’un nè l’altro: perchè la densità e io rarità no i corpi colesti non son contrarie tra h>r<>, conio ne i corpi elementari; imperocché non dependono dalle prime qualità, caldo e freddo, che sono contrarie, ma dalla molta o poca materia in propor¬ zione alla quantità ; ora il molto o '1 poco dicono solamente una oppo¬ sizione relativa, che è la minor elio sia, o non ha che fare con la generazione e corruzione. Sagr. Talché a voler elio il denso e ’l raro, che tra gli dementi devo ossei cagione di gravità c leggerezza, le «piali possali «■- mt emme di moti contrari sursum et deorsum, da i quali dependano poi le contrarietà pei la generazione o corruzione, [.], non basta che siono di quei to densi e rari che sotto la medesima «piantiti!, o vogliam dir mole, con¬ tengono molta o poca materia, ma è necessario che e’ siano densi o ìaii mcicò dello prime qualità, freddo o caldo ; altramente, non si fa- ìebbe niente. Ma, se questo è, Aristotile ci ha ingannati, perchè do¬ veva dircelo da principio, e lasciare scritto che son generabili e cor- luttibili quei corpi semplici che son mobili «li movimenti semplici in su e m giù, dependenti da leggerezza e gravità, causate da rarità o densità, fatta da molta o poca materia, mercè del calilo o del freddo, e non si feimaio buI semplice moto sur su tu et dcorsum; perchè io vi assiemo clic quanto al laro i corpi gravi e leggieri, ondo e’ sien poi» mo 11 di movimenti contrari, qualsivoglia densità o rarità basta, venga ella per caldo e freddo o per quel che pili vi piace, perchè il a o e 1 fluido non hanno cho far niente in questa operazione, e voi ìete che un leuo infocato, cho pur si può chiamar caldo, pesa il medesimo e si muove nel medesimo modo cho freddo. Ma lasciato ì coi questo, che sapete voi cho il denso e ’l raro celeste non depen¬ nano dal freddo e dal caldo? J GIORNATA PRIMA. 60 Simp. Sollo, perchè tali qualità non sono tra i corpi celesti, li quali non son caldi nè freddi. Salv. Io veggo che noi torniamo di nuovo a ingolfarci in un pelago infinito da non ne uscir mai, perchè questo è un navigar senza bus¬ sola, senza stelle, senza remi, senza timone, onde convien per necessità o passare di scoglio in scoglio o dare in secco o navigar sempre per perduti. Però, so conformo al vostro consiglio noi vogliamo tendere avanti nella nostra principal materia, bisogna che, lasciata per ora questa generai considerazione, se il moto retto sia necessario in na- 10 tura e convenga ad alcuni corpi, venghiamo alle dimostrazioni, os¬ servazioni ed esperienze particolari, proponendo prima tutte quelle che da Aristotile da Tolomeo e da altri sono state sin qui addotte per prova della stabilità della Terra, cercando secondariamente di solverle, e portando in ultimo quelle per le quali altri possa restar persuaso che la Terra sia, non men che la Luna o altro pianeta, da connumerarsi tra i corpi naturali mobili circolarmente. Sagr. Io tanto più volentieri mi atterrò a questo, quanto io resto assai più sodisfatto del vostro discorso architettonico e generalo che di quello d’Aristotile, perchè il vostro senza intoppo veruno mi quieta, 20 e l’altro ad ogni passo mi attraversa qualche inciampo; o non so come il Sig. Simplicio non sia restato subito persuaso dalla ragione arrecata da voi per prova che il moto per linea retta non può aver luogo in natura, tuttavoltachè si supponga che lo parti dell’ universo sieno disposte in ottima costituzione e perfettamente ordinate. Salv. Fermate, di grazia, Sig. jSagrcdo, chè pur ora mi sovviene il modo di poter dar sodisfazione anco al Sig. Simplicio, tuttavolta però che e’ non voglia restar talmente legato ad ogni detto d’Aristotile, che egli abbia per sacrilegio il discostarsene da alcuno. E’ non è dubbio che per mantener 1 ’ ottima disposizione e 1 ’ ordine perfetto delle parti so dell’ universo, quanto alla locai situazione, non ci è altro che il movi¬ mento circolare e la quiete ; ma quanto al moto per linea retta, non veggo, che possa servire ad altro elio al ridurre nella sua naturai costi¬ tuzione qualche particella di alcuno de’ corpi integrali che per qualche accidente fusse stata rimossa e separata dal suo tutto, come di sopra dicemmo. Consideriamo ora tutto il globo terrestre e veggiamo quel che può esser di lui, tuttavoltachè ed esso e gli altri corpi mondani si devano conservare nell’ ottima e naturai disposizione. Egli è necessario 70 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI 8I8TKMI DEL MONDO. dire, o elio egli resti o si conservi perpetuamente immobile nel luogo buo o che, restando pur sempre nell’ istigo luogo, si rivolga in sè . % • i • - 7 / * stesso, o che vadi a intorno ad un centro, movendosi per la circonfe¬ renza di un cerchio: do i quali uccidenti, eil ArUtotilu u Tolomeo e Avistotile o Telo- tutti i lor seguaci dicou pure che egli ha osservato sempre, ed è per te?rMtròTmmob!i l e. b ° mantenere in eterno, il primo, cioè una perpetua quiete nel mede- Naturalo doi globo simo luogo. Or, perché dunque in buon’ora non si dev’egli diro che lorrustro dovei dirsi . ^ • % *i \ ’i ir più tosto la quieto che sua naturalo affezione e il restare immobile, piu tosto che far buo il moto retto all'ingiù. ... , « • ì ■ • naturale il moto all 5 ingiù, del qual moto egli già inni non hi e mosso ned è per muoversi? o quanto al movimento per linea retta, lascisiit che la natura se ne serva per ridar ni suo tutto lo particelle della terra, dell’ acqua, dell’ aria o del fuoco, e di ogni altro corpo integrale mondano, quando alcuna di loro, per qualche caso, se ne trovasse separata, o però in luogo disordinato trasposta ; se pure anco per far questa restituzione non si trovasse elio qualche moto circolare fusso più accomodato. Panni che questa primaria posizione risponda molto meglio, dico anco in via d’Aristotile medesimo, a tutte le altre conse¬ guenze, che l’attribuire come intrinseco e naturai principio de gli clementi i movimenti retti. Il che è manifesto : perchè a’ io domanderò al Peripatetico, se, tenendo egli che i corpi celesti sieno incorruttibili» od eterni, ei crede che ’l globo terrestre non sia tale, ma corruttibile e mortale, sì clic egli abbia a venir tempo che, continuando suo essere o sue operazioni il Solo e la Luna e le altre stello, la Terra non si ritrovi pili al mondo, ma sia con tutto il resto do gli elementi de¬ strutta e andata in niente, son sicuro elio egli risponderà di no; adunque la corruzione e generazione ò nello parti, o non nel tutto, e nelle parti ben minime e superficiali, le quali son come insensibili in comparazion di tutta la mole : o perché Aristotile argumonta la generazione e corruzione dalla contrarietà de’ movimenti retti, la- ragione Attribuiti Z scinsi toU movime nti alle parti, che solo si alterano e corrompono, ed » elementi? “ gU interi aU ’ intero globo e sfera de elementi attribuiscasi o il moto circo¬ lale o una perpetua consistenza nel proprio luogo, affezioni che solo sono atte alla perpetuazione ed al mantenimento dell’ ordine perfetto. Questo che si dice della terra, può dirsi con simil ragion del fuoco o della maggioi parte dell aria ; a i quali elementi si son ridotti i Peripatetici ad assegnare per loro intrinseco e naturai moto uno del quale mai non si sono mossi nè sono per muoversi, o chiamar fuor GIORNATA PRIMA. 71 della natura loro quel movimento del quale si muovono, si son mossi, e son per muoversi perpetuamente. Questo dico, perchè assegnano all’ aria ed al fuoco il moto all’ insù, del quale già mai si è mosso alcuno de i detti elementi, ma solo qualche lor particella, e questa non per altro che per ridursi alla perfetta costituzione, mentre si ti’ovava fuori del luogo suo naturale ; ed all’ incontro chiamano a lor preter¬ naturale il moto circolare, del quale incessabilmente si muovono, scordatisi in certo modo di quello che più volte ha detto Aristo¬ tile, che nessun violento può durar lungo tempo, io Simp. A tutte queste cose abbiamo noi lo risposte accomodatissime, le quali per ora lascerò da parte per venire alle ragioni più parti¬ colari ed esperienze sensate, le quali finalmente devono anteporsi, come ben dice Aristotile, a quanto possa esserci somministrato dall’ umano discorso. Sagù. Scrvanci dunque le cose dotte sin qui por averci messo in considerazione qual de’ due generali discorsi abbia più del probabile : dico quello di Aristotile, per persuaderci, la natura de i corpi sul- lunari esser generabile e corruttibile, etc., e però diversissima dal- 1’ essenza de i corpi colesti, per esser loro impassibili, ingenerabili, 20 incorruttibili, etc., tirato dalla diversità de i movimenti semplici ; o pur questo del Sig. Salviati, che, supponendo le parti integrali del mondo essere disposte in ottima costituzione, esclude per necessaria conse¬ guenza da i corpi semplici naturali i movimenti retti, come di niuno uso in natura, e stima la Terra esser essa ancora uno de i corpi ce¬ lesti, adornato di tutte le prerogative che a quelli convengono : il qual discorso sin qui a me consuona assai più che quell’ altro. Sia dun¬ que contento il Sig. Simplicio produr tutte le particolari ragioni, espe¬ rienze ed osservazioni, tanto naturali quanto astronomiche, per le quali altri possa restar persuaso, la Terra esser diversa da i corpi celesti, 30 immobile, collocata nel centro del mondo, e se altro vi è che T escluda dall’ esser essa ancora mobile come un pianeta, come Giove o la Luna etc. : ed il Sig. Salviati per sua cortesia si contenterà di rispon¬ dere a parte a parte. Simp. Eccovi, per la prima, due potentissime dimostrazioni per prova che la Terra è differentissima da i corpi celesti. Prima, i corpi che sono generabili, corruttibili, alterabili, etc., son diversissimi da quelli che sono ingenerabili, incorruttibili, inalterabili, etc. : la Terra Poripatotici asse¬ gnano con poca ragio¬ ne por naturali quei moti a gli elementi do* quali non si muo- von mai, e por pre¬ ternaturali quelli do' quali si muovon sempre. Esperienze sensato devono anteporsi a i discorsi lumini. 72 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Corpi Incieli por un tura, divorai da i nebrosi. è generabile, corruttibile, alterabile, etc., e i corpi celesti, ingenera¬ bili, incorruttibili, inalterabili, etc. : adunque la Terra è diversissima da i corpi celesti. Sagù. Per il primo argomento, voi riconducete in tavola quello che ci è stato tutt* oggi ed a pena si ò levato pur ora. Simi\ Piano, Signore; Bentite il resto, e vedrete quanto e’ ma dif¬ ferente da quello. Nell’ altro si provò la minore a priori, ed ora vela voglio provare a posteriori; guardate se quieto è essere il medesimo. Provo dunque la minoro, essendo la maggiore manifestissima. La sen¬ sata esperienza ci mostra corno in Terra si fanno continue genera-» n oieio immutami, zioni, corruzioni, alterazioni, etc., delle quali nè per senso nostro n» porche non si ò veduta ... . . > mutazione in osso già per tradizioni o memorie de’nostri antichi, se »’ è veduta veruna in mai. # u cielo ; adunque il cielo ò inalterabile eto., e la 'ferra alterabile etc., o però diversa dal cielo. 11 secondo argomento cavo io da un princi- . pale ed essenziale accidente ; ed è questo. Quel corpo che è per sua na¬ tura oscuro e privo di luce, ò diverso da i corpi luminosi e risplen¬ denti: la 1 erra è tenebrosa o senza luce ; ed i corpi colesti, splendidi o pieni di luce: adunque etc. Hisj>onda.si a questi, per non far troppo cumulo, o poi no addurrò altri. Salv. Quanto al primo, la forza del quale voi cavate dall’ espe- » rienza, desidero che voi più distintamente mi produciate le altera¬ zioni che voi vedete farsi nella Terra e non in cielo, per lo quali voi chiamate la Terra alterabile ed il cielo no. Simi\ Veggo in 1 erra continuamente generarsi e corrompersi erbe, piante, animali, suscitarsi venti, pioggie, tempeste, procelle, ed in somma esser questo aspetto della Terra in una perpetua metamor¬ fosi, niuna delle quali mutazioni si scorge no’ corpi celesti, la costi¬ tuzione e figurazione de 1 quali è puntualissimmuente conforme a quello di tutte le memorie, senza osservisi generato cosa alcuna ili nuovo, nè corrotto delle antiche. » Salv. Ma, come voi vi abbiate a quietare su queste visibili, o, per in meglio, vedute, esperienze, è forza che voi reputiate la China e melica tssei corpi celesti, perché sicuramente in essi non avete vedute mai queste alterazioni che voi vedete qui in Italia, e che però, quanto alla vostra apprensione, e’ sieno inalterabili. iMP. Ancorché io non abbia vedute queste alterazioni sensata- in quei luoghi, ce ne son però le relazioni sicure: oltre clic, GIORNATA PRIMA. 73 am eadem sit ratio totius et partkm, essendo quei paesi parti della Terra come i nostri, è forza che o’ sieno alterabili come questi. Salv. E perchè non P avete voi, senza ridurvi a dover credere al- P altrui relazioni, osservate e viste da per voi con i vostri ocelli propri ? Simp. Perchè quei paesi, oltre al non esser esposti a gli occhi no¬ stri, son tanto remoti che la vista nostra non potrobbo arrivar© a comprenderci simili mutazioni. Salv. Or vedete come da per voi medesimo avete casualmente scoperta la fallacia del vostro argomento. Imperocché se voi dite cho io le alterazioni, che si veggono in Terra appresso di noi, non le potreste, per la troppa distanza, scorger fatte in America, molto meno le po¬ treste vedere nella Luna, tante centinaia di volte più lontana : e so voi credete le alterazioni Messicane a gli avvisi venuti di là, quai rapporti vi son venuti dalla Luna a significarvi che in lei non vi è alterazione ? Adunque dal non veder voi le alterazioni in cielo, dove, quando vi fossero, non potreste vederle per la troppa distanza, e dal non ne aver relazione, mentre che aver non si possa, non potete ar¬ guir che elle non vi sieno, come dal vederle e intenderle in Terra bene arguite che le ci sono. 20 Simp. Io vi troverò delle mutazioni seguite in Terra così grandi, che se di tali se ne facessero nella Luna, benissimo potrebbero esser osservate di qua giù. Noi aviamo, per antichissime memorie, che già, allo stretto di Gibilterra, Abile e Calpe erano continuati insieme, con altre minori montagne le quali tenevano 1’ Oceano rispinto ; ma es¬ sendosi, qual se ne fosse la causa, separati i detti monti, ed aperto 1’ adito all’ acque marine, queste scorsero talmente in dentro, che ne formarono tutto il mare Mediterraneo ; del quale se noi considere¬ remo la grandezza, e la diversità dell’ aspetto che devon fare tra di loro la superficie dell’ acqua e quella della terra, vedute di lontano, so non ha dubbio che una tale mutazione poteva benissimo esser com¬ presa da chi fosse stato nella Luna, sì come da noi abitatori della l'erra simili alterazioni dovrebbero scorgersi nella Luna : ma non ci è memoria che mai si sia veduta cosa tale : adunque non ci resta attacco da poter dire cho alcuno de i corpi celesti sia alterabile etc. Saly. Che mutazioni così vaste sieno seguite nella Luna, io non ardirei di dirlo ; ma non sono anco sicuro che non ve ne possano esser seguite : e perchè una simil mutazione non potrebbe rappresentarci 74 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI 8I8TEMI DEI. MONDO. altro che qualche variazione tra le parti più chiare e le più oscure di essa Luna, io non so elio ci sieno stati in Terra Bolinografi curiosi, elio per lunghissima serio di anni ci abbiano tenuti provvisti di se- linografìe così esatto, che ci possano render sicuri, nissuna tal mu¬ tazione esser già mai seguita nella faccia della Luna ; della figura¬ zione della quale non trovo più minuta descrizione, che il dire alcuno che la rappresenta un volto umano, altri che l’ò simile a un ceffo di leone, ed altri clic 1’ ò Caino con un fascio di pruni in spalla. Adunque il diro « Il cielo ò inalt- rubile, perchè nella Luna o in altro corpo celeste non si veggono lo alterazioni che si scorgono in Terra*» non ha forza di concluder cosa alcuna. Sagù. Ed a me resta non so cho altro scrupolo in (presto primo argomento del Sig. Simplicio, il quale desidero che mi sia levato. Però io gli domando so la Terra avanti 1* innondazione mediterranea era generabile o corruttibile, o pur cominciò allorn ad esst-r tale. Simp. Era senza dubbio generabile e corruttibile ancora avanti; ma quella fu una mutazione tanto vasta, cho anche nella Lunari sarebbe potuta osservare. Sagr. Oh se la Terra fu, pure avanti tale alluvione, generabile o corruttibile, perchè non può esser tale la Luna parimente Bonza una so simile mutazione? porche è necessario nella Luna quello che non im¬ portava nulla nella Terra? Salv. Argutissima instanza. Ma io vo dubitando cho il Sig. Sim¬ plicio alteri un poco l’intelligenza de i testi d’Aristotile e de gli altri 1 eiipatetici, li quali dicano di tenere il cielo inalterabile, perchè in esso non si ò veduto generare nò corromper mai alcuna stella, che forse è del cielo parto minore che una città della Terra, o pur in¬ numerabili di queste si son dostrutte in modo che nò anco i vestigli ci son rimasti. Sagr. Io certo stimava altramente, e credeva elio il Sig. Simplicio» dissimulasse questa esposizione di testo per non gravare il Maestro ed i suoi coudiscopoli di una nota assai più deforme dell’ altra. E qual vanità ò il dii e. « La parte celeste ò inalterabile, perché in essa non si generano e conompono stello»? ci ò forse alcuno che abbia ve- cu o corrompersi uu globo terrestre o rigenerarsene un altro? e non eg i ricevuto da tutti i filosofi, che pochissime stello sieno iu cielo ìmnon ella Terra, ma bene assaissimo molto e molto maggiori? GIORNATA PRIMA. 75 Il corrompersi dunque una stella in cielo non è minor cosa clie de- È non mono impos- . • j jj t i j i > i j sibilo corromperà 4 un a struggersi tutto il globo terrestre : pero, quando per poter con ve- stella, dio tutto il , n, • i . . 1 . . globo terrestre. nta nitrodur nell universo la generazione e corruzione sia necessario che si corrompano e rigenerino corpi così vasti come una stella, to¬ glietelo pur via del tutto, perchè vi assicuro che mai non si vedrà corrompere il globo terrestre o altro corpo integrale del mondo, sì che, essendocisi veduto per molti secoli decorsi, ci si dissolva in ma¬ niera, che di sè non lasci vestigio alcuno. Sai/v. Ma per dar soprabbondante soddisfazione al Sig. Simplicio io e torlo, se è possibile, di errore, dico che noi aviamo nel nostro se¬ colo accidenti ed osservazioni nuove e tali, eh’ io non dubito punto che se Aristotile fusse all’ età nostra, muterebbe oppinione. Il che ma- Aristotile mntoreb. . i - -| ., p. p . be opinione vedendo infestamente si raccoglie dal suo stesso modo di nlosoiare : impcroc- le novità dei nostro ohe mentre egli scrive di stimare i cieli inalterabili etc., perchè nis- suua cosa nuova si è veduta generarvisi o dissolversi dello vecchie, viene implicitamente a lasciarsi intendere che quando egli avesse ve¬ duto uno di tali accidenti, averebbe stimato il contrario ed antepo¬ sto, come conviene, la sensata esperienza al naturai discorso, perchè quando e’ non avesse voluto fare stima de’ sensi, non avrebbe, almeno 20 dal non si vedere sensatamente mutazione alcuna, argumentata l’im¬ mutabilità. Simp. Aristotile fece il principal suo fondamento sul discorso a priori, mostrando la necessità dell’ inalterabilità del cielo per i suoi principii naturali, manifesti e ciliari ; e la medesima stabilì doppo a posteriori, per il senso o per le tradizioni de gli antichi. Salv. Cotesto, che voi dite, è il metodo col quale egli ha scritta la sua dottrina, ma non credo già che e’ sia quello col quale egli la investigò, perchè io tengo per fermo eh’ e’ proccurasse prima, per via de’ sensi, dell’ esperienze e delle osservazioni, di assicurarsi quanto ao fusse possibile della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezi da poterla dimostrare, perchè così si fa per lo più nelle scienze dimostrative : e questo avviene perchè, quando la conclusione è vera, La cortezza nza veruna contradi¬ zione altissime sopra tutti i pianeti; ed in faccia doli’ istesso Sole si Macchie cho bì g0 -veggono, mercè del telescopio, produrre e di - livore materie denso ed» in faccia del Soie, oscure, in sembianza molto simili allo nugola intorno alla Terra, o molte di queste sono così vaste, che superano di gran lunga non solo Macchie solari mag- il sino Mediterraneo, ma tilt t ii PAflrica e l'Asia aurora. Ora, quando giori di tutta l'Asia ed , . . .. -, . Affrica. Aristotile vedesse queste cose, che credete voi, Sig. Simplicio, ciré*di¬ cesse o facesse? Sirp. Io non so quello che si facesse nò dicesse Aristotile, che era padrone delle scienze, ma so bene in parte ([nello elio fanno e dicono, o elio conviene che facciano e dicano, i suoi seguaci, per non rimaner senza guida senza scorta g senza capo nella filosofia. Quanto alle co¬ mete, non son eglino restati convinti quei moderni astronomi, che le Astronomi convìnti volevano far celesti, dall’Àntiticono, o convinti con lo loro medesimo daH'Antiticone. . armi, dico per via di paralassi e di calcoli rigirati in cento modi, concludendo finalmente a favor d Aristotilo cho tutte sono elementari? c spiantato questo, che era quanto fondamento avevano i seguaci dolio novità, che altro più resta loro per sostenersi in piedi ? Salv. Con flemma, Sig. Simplicio. Cotesto moderno autore che cosa dice egli delle stelle nuove del 72 o del 604 e delle macchie solari ? GIORNATA PRIMA. 77 perchè quanto alle comete, io, quant’ a me, poca difficultà farei nel porle generate sotto o sopra la Luna, nè lio mai fatto gran fonda¬ mento sopra la loquacità di Ticone, nè sento repugnanza alcuna nel poter credere che la materia loro sia elementare, e che le possano sublimarsi quanto piace loro, senza trovare ostacoli nell’ impenetra¬ bilità del cielo peripatetico, il quale io stimo più tenue più cedente e più sottile assai della nostra aria ; e quanto a i calcoli delle para¬ lassi, prima il dubbio se le comete sian soggette a tale accidente, o poi P inconstanza dolio osservazioni sopra le quali son fatti i coni¬ lo putì, mi rendono egualmente sospette queste opinioni e quelle, e mas¬ sime che mi pare che l’Antiticone talvolta accomodi a suo modo, o L’AntìUoono anco- . . . , - moda le osservazioni metta per fallaci, quelle osservazioni che repugnano al suo disegno, astronomiche a i suoi Suir. Quanto alle stelle nuove, PAntiticone se ne sbriga benissimo in quattro parole, dicendo che tali moderne stelle nuove non son parti certe de i corpi celesti, e che bisogna che gli avversari, se voglion provare lassù esser alterazione e generazione, dimostrino mutazioni fatte nelle stelle descritte già tanto tempo, delle quali nissuno dubita che sieno cose celesti, il che non possono far mai in veruna maniera. Circa poi alle materie che alcuni dicono generarsi e dissolversi in 20 faccia del Sole, ei non ne fa menzione alcuna ; ond’ io argomento eh’ e’ P abbia per una favola, o per illusioni del cannocchiale, o al più per affezioncello fatte per aria, ed in somma per ogni altra cosa che per materie celesti. Salv. Ma voi, Sig. Simplicio, che cosa vi sete immaginato di ri¬ spondere fili’ opposizione di queste macchie importune, venute a in¬ torbidare il cielo, e più la peripatetica filosofia? egli è forza che, come intrepido difensor di quella, vi abbiate trovato ripiego e solu¬ zione, della quale non dovete defraudarci. Simp. Io ho intese diverse opinioni, intorno a questo particolare, so « Chi dice che le sono stelle, che ne’ loro propri orbi, a guisa di Ve- Opinioni diverse t • • i •. t o i i circa le macchie so- » nere e di Mercurio, si volgono intorno al Sole, e nel passargli sotto lari. » si mostrano a noi oscure, e per esser moltissime, spesso accade che » parte di loro si aggreghino insieme e che poi si separino ; altri lo » credono esser impressioni per aria ; altri, illusioni de’ cristalli ; ed » altri, altre cose. Ma io inclino assai a credere, anzi tengo per fermo, » che le sieno un aggregato di molti o vari corpi opachi, quasi casual- » mente concorrenti tra di loro : e però veggiamo spesso che in una 78 Nello scienze urtili» vali è ineflìcnco l'arto oratoria. niALono som i ite massimi sistemi pei. mondo. » macchia si posson numerare dieci e pi»» 'li tali corpieelli minuti, che » sono eli figure irregolari e ci si rappresentano corno fiocchi di neve » o di lana o di mosche volanti ; variano sito tra di loro, ed or si di». » grogano ed ora si congregano, e massimamente -otto il Solo, intorno » al quale, come intorno a suo centro, si vanno movendo. Ma non però » ò di necessità dire elio lo si generino o si corrompano, ma che alcune » volto si occultano doppo il corpo del Sole, ed altre volte, benehò allon- » tanate da quello, non si veggono per la vicinanza della smisurata » luce del Solo: imperocché nell’orbo eccentrico del Sole vi ò costi- » tuita una quasi cipolla composta di molte grò- •>•//.*», una dentro 19 » all’altra, ciascheduna dello quali, e-sendo tempi -tata di alcune pic- » colo macchie, si muove; e benché il movimento loro da principio sia » parso inconstante ed irregolare, nulla dimeno si dice »•-sorsi ultima- » mento osservato elio dentro a tempi determinati ritornano le mede- » sime macchie per 1 ’ appunto. • Questo paro a me il più accomodato ripiego che sin qui si sia ritrovato per render ragione di cotale appa¬ renza, ed insieme mantenere la incorruttibilità ed ingene rabilità del cielo ; 0 quando questo non bastasse, non inanelleranno ingegni più elevati che ne troveranno de gli altri migliori. Salv. Se questo di elio si disputa fusse qualche punto di logge 020 di altri studi umani, no i quali non è nè verità nò falsità, si potrebbe confidare assai nella sottigliezza dell’ ingegno e nella prontezza del diro e nella maggior pratica ne gli scrittori, e sperare che quello che eccedesse in queste coso, fusse por far apparirò o giudicar la ragion sua superiore; ina indio scienze naturali, le conclusioni delle (piali son vero e necessario nò vi ha che far nulla l’arbitrio umano, bisogna guai darsi di non si porro alla difesa del falso, perché mille Demosteni e mille Aristoteli resterebbero a piedi’ contro ad ogni mediocre inge¬ gno che abbia auto ventura di apprendersi al vero, l’ero, Sig. Sim¬ plicio, toglietevi pur giù dal pensiero e dalla speranza che voi avete, no che possano esser uomini tanto più dotti, eruditi e versati ne i libri, che non siamo noi altri, che al dispetto della natura sieno per far divenit veio quello che è falso. E già che tra tutte le opinioni che sono state prodotte sin qui intorno all’ essenza di queste macchie so¬ lari, questa esplicata pur ora da voi vi par la vera, resta (se questo è) che 1 altre tutto sieri false; ed io, per liberarvi ancora da questa, che pure è falsissima chimera, lasciando miU’ altre improbabilità che GIORNATA PRIMA. 79 vi sono, due sole esperienze vi arreco in contrario. L’una è, che Argomento elio ne- A t eessnriamonto prova, molte di tali macchie si veggono nascere nel mezo del disco solare, e lo macchie solari g o- 00 ' iterarsi o dissolversi. molte parimente dissolversi e svanire pur lontane dalla circonferenza del Sole ; argumento necessario che le si generano e si dissolvono : cliè se senza generarsi e corrompersi comparissero quivi per solo movi¬ mento locale, tutte si vedrebbero entrare e uscire per la estrema circonferenza. L’altra osservazione a quelli che non son costituiti Dimostrazione con- . . . in €Ì1i4®lSit©f lo macchio nell’infimo grado d’ignoranza di prospettiva, dalla mutazione del- esser contigue ai -re un bellissimo ,0 cose - diamante, perchè assimiglia 1* acqua pura, •• poi non lo cambierebbe con dieci botti d’ acqua. Questi che esaltano tanto V incorruttibilità, F inalterabilità etc., credo elio si riduehino a dir queste coso per il Tncorruttibiiitii co- desiderio grande di campare assai e por il terrore che hanno della «mor^oiin mortoì 1or morte ; o non considerano elio quando gli uomini funsero immortali, i dot ruttori doli» a loro non toccava a venire al mondo. Questi raoriterebbero d’in- corruttibilità merito- . .. i i*a a • • , . robbor d’osser can-contrarsi in un capo di Medusa, elio gli triimiutuxso m ìstatue di giati diaspro o di diamante, per diventar più perfetti elio non sono. » Salv. E forso anco una tal metamorfosi non sarebbe so non con qualche lor vantaggio; oliò meglio creilo io elio sia il non discorrere, che discorrere a rovescio. Simp. E’ non ò dubbio alcuno che la Terra è molto più perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile etc., cho se la fusse una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, duris¬ simo ed impassibile. Ma quanto queste condizioni arrecano di nobiltà alla Terra, altrettanto renderebbero i corpi celesti più imperfetti, nei Corpi colesti, ordi- quali esse sarebbero suporllue, essendo che i corpi celesti, cioè il Solo nati por servìgio della r . ni , , . . , Terra, non hanno bi-la Luna o 1 altre stelle, elio non sono ordinati ad altro uso che al 20 sogno d’altro cho del . . moto © del lume. servizio della terra, non hanno bisogno d’ altro pt*r conseguire il lor fine, che del moto e del lume. Sagr. Adunque la natura ha prodotti od intirizzati tanti vastissimi perfettissimi o nobilissimi corpi celesti, impassibili, immortali, divini, non ad altro uso che al servizio della Terra, passibile, caduca e mor¬ tale? al servizio di quello cho voi chiamate la feccia del mondo, la sentina di tutte lo immondizie ? e a elio proposito far i corpi celesti immortali etc., per servire a uno caduco etc.? Tolto via questo uso di servire alla Terra, l’innumerabile schiera di tutti i celesti corpi Corpi colesti nmn-resta del tutto inutile e superflua, già che non hanno, nò possono» cano di operazione * scnmbieY 01 © tra di avere, alcuna scambievole operazione fra di loro, poiché tutti sono inalterabili, immutabili, impassibili : chò se, v. g., la Luna è impas¬ sibile, che volete che il Solo o altra stella operi in lei? sarà senz’alcun dubbio operazione minoro assai che ([nella di chi con la vista o col pensiero volesse liquefare una gran massa cV oro. In oltre, a me pare che mentre che i corpi celesti concorrano alle generazioni ed altera¬ zioni della ferra, sia forza che essi ancora sieno alterabili; altramente GIORNATA PRIMA. 85 non so intendere clie l’applicazione della Luna o del Sole alla Terra per far le generazioni fusse altro che mettere a canto alla sposa una statua di inarmo, e da tal congiugnimento stare attendendo prole. Simp. La corruttibilità, l’alterazione, la mutazione etc. non son nel- l’intero globo terrestre, il quale quanto alla sua integrità è non 1 /aUorabUitjinon è . ... ., noli’intero globo ter- meno eterno che il Sole o la Luna, ina e generabile e corruttibile rostro, ma iu alcuno quanto alle sue parti esterne; ma è ben voro che in esse la genera- rutl zione e corruzione són perpetue, e eome tali ricercano 1’operazioni celesti eterne ; e però è necessario che i corpi celesti sieno eterni, io Sagr. Tutto cammina bene ; ma se all’ eternità dell’ intero globo terrestre non è punto progiudiziale la corruttibilità delle parti super¬ ficiali, anzi questo esser generabile, corruttibile, alterabile etc. gli ar¬ reca grand’ ornamento e perfezione, perchè non potete e dovete voi ammetter alterazioni, generazioni etc. parimente nelle parti esterne Corpi colesti nUora- . . ii* i . • . -, , . ...... bili nello parti ostorno. de i globi celesti, aggiugnendo loro ornamento, senza diminuirgli per¬ fezione o levargli l’azioni, anzi accrescendogliele, col far che non solo sopra la Terra, ma che scambievolmente fra di loro tutti operino, o la Terra ancora verso di loro ? Simp. Questo non può essere, perchè le generazioni, mutazioni etc. 20 clic si facesser, v. g., nella Luna, sarebber inutili e vane, et natura miài frustra facit. Sagr. E perchè sarebbero elleno inutili e vano? Simp. Perchè noi chiaramente veggiamo e tocchiamo con mano, che tutte le generazioni, mutazioni etc. che si fanno in Terra, tutte, Generazioni « imi- t i i • -»• , i 1 lozioni fnHe in Torni o mediatamente o immediatamente, sono indirizzate all uso, al co- son tutto per benofì- n ili p • i in iti* •• • ^io doli uomo* modo ed al benefizio dell nomo : per comodo de gli uomini nascono 1 cavalli, per nutrimento de’ cavalli produce la Terra il fieno, e le nu¬ gole 1’ adacquano ; per comodo e nutrimento de gli uomini nascono le erbe, le biade, i frutti, le fiere, gli uccelli, i pesci ; ed in somma, 30 se noi anderemo diligentemente esaminando e risolvendo tutte queste cose, troveremo, il fine al quale tutte sono indrizzate esser il biso¬ gno, 1’ utile, il comodo e il diletto de gli uomini. Or di quale uso po- trebber esser mai al genere umano le generazioni che si facessero nella Luna o in altro pianeta ? se già voi non voleste dire che nella Luna ancora fussero uomini, che godesser de’ suoi frutti ; pensiero, o favoloso, o empio. Sagr. Che nella Luna o in altro pianeta si generino o erbe o 86 r.lAI.Or.0 SOPRA I DUI MASSIMI MUTIMI M I. MUSISI. L„n, «... sì «► piante o animali simili a i nostri, o vi ». ravvi,.no pioggie, venti, SStltJtfUKwom, come intorno alla Terra, io non lo so e non io vivilo, o molto da uomini. men0 c j 10 e p a g j a abitata (la uomini : ma non int< mio gin come tutta* volta che non vi si generino coso simili allo nostro, si dova di neces¬ sitò concludere che niuna alterazione vi si faccia, nò vi possano essere Nella Luna possono altro coso cho si mutino, ai generino 0 M ih.* -Ivano, non solamente Se dtóìii no. diverse dallo nostro, ma lontani limo dall» nostra immaginazione, ed str0 - in somma dol tutto a noi inescogitabili. K si conio io son sicuro che a uno nato e nutrito in una solva immoli a. tra fioro od uccelli, e die non avesso cogniziouo alcuna dell’elemento doli’acquo, mai non gli» chi m «nc«s»o delia potrebbe cadere nell’ immaginaziono ersero in natura un altro mondo to^doU'»(^pìa, # noìr*ìdiverso dalla terra, pieno di animali li quali s nza gambe e senza ]nn?nùVpesci n#r ale velocemente camminano, e non sopra lo superficie solamente, come lo fiero sopra la terra, ma por entro tutto In profondità, e non so¬ lamente camminano, ma dovunque piace loro immobilmente si fer¬ mano, cosa che non posson fare gli uccelli per aria, e che quivi di più abitano ancora nomini o vi fabbricano palazzi o città, ed hanno tanta comodità nel viaggiare, che senza niuna fatica vanno con tutta la famiglia c con la casa o con le città intere in lontanissimi paesi; sì come, dico, io son sicuro che un tale, ancorché di perspicacissima» immaginazione, non si potrebbe già mai figurare i p«sc.i, l’oceano, le navi, le flotte o le armate di mare ; così, e molto più, può acca¬ dere che nella Luna, per tanto intervallo remota da noi o di ma¬ teria per avventura molto diversa dalla Terra, sietio sostanze e si facciano operazioni non solamente lontane, ma del tutto fuori, d’ogni nostra immaginazione, come quello che non abbiano similitudine alcuna con le nostre, o perciò del tutto inescogitabili, avvengaci^ quello che noi ci immaginiamo bisogna che sia o una delle cose già vedute, o un composto di coso o di parti delle cose altra volta ve¬ dute ; che tali sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri, etc. * SAhv. Io son molte volto andato fantasticando Rnprii questo coso, c finalmente mi pare di poter ritrovar bene alcuno dolio cose che non siano nò possan esser nella Luna, ma non già veruna di quelle cho io creda che vi sieno e possano essere, se non con una larghissima gè nei alita, cioè coso che Y adornino, operando e movendo e vivendo sir\suitanzo^efivei-io e? forse con modo diversissimo dal nostro, vergendo od ammirando la giandezza c bellezza del mondo e del suo Facitore e Rettore, e con Ghiior dalle nostro. GIORNATA PRIMA. 87 encomii continui cantando la Sua gloria, ed in somma (che è quello che io intendo) facendo quello tanto frequentemente da gli Scrittoi’ Sacri affermato, cioè una perpetua occupazione di tutte le creature in laudare Iddio. Sagii. Queste sono delle cose che, generalissimamente parlando, vi possono essere ; ma io sentirei volentieri ricordar di quelle che ella crede che non vi sieno nè possano essere, lo quali è forza che più particolarmente si possano nominare. Salv. Avvertite, Sig. Sagredo, che questa sarà la terza volta che io noi così di passo in passo, non ce n’ accorgendo, ci saremo deviati dal nostro principale instituto, e che tardi verremo a capo de’ nostri ragionamenti, facendo digressioni ; però se vogliamo differir questo discorso tra gli altri che siam convenuti rimettere ad una particolar sessione, sarà forse ben fatto. Sagk. Di grazia, già che siamo nella Luna, spediamoci dalle coso elio appartengono a lei, per non avere a fare un’ altra volta un sì lungo cammino. Salv. Sia come vi piace. E per cominciar dalle cose più generali, io credo che il globo lunare sia differente assai dal terrestre, ancor- ao chè in alcune cose si veggano delle conformità : dirò le conformità, e poi le diversità. Conforme è sicuramente la Luna alla Terra nella figura, la quale indubitabilmente è sferica, come di necessità si con¬ clude dal vedersi il suo disco perfettamente circolare, e dalla maniera del ricevere il lume del Sole, dal quale, se la superficie sua fusse piana, vei’rebbe tutta nell’ istesso tempo vestita, e parimente poi tutta, pur in un istesso momento, spogliata di luce, e non prima le parti che riguardano verso il Sole e successivamente le seguenti, sì che giunta all’ opposizione, e non prima, resta tutto T apparente disco illustrato ; di che, all’ incontro, accaderebbe tutto l’opposito quando la sua vi¬ so sibil superficie fusse concava, cioè la illuminazione comincierebbe dalle parti avverse al Sole. Secondariamente, ella è, come la Terra, per sè stessa oscura ed opaca, per la quale opacità è atta a ricevere ed a ri- Prima conformità tra la Luna o la Tor¬ ni, elio ò quella (lolla figura : il elio si prova dal modo doli'essere illuminata dal Solo. Seconda con fornii là ò Tesser la Luna te¬ nebrosa coni o la 'Ton a. percuotere il lume del Sole, il che, quando ella non fusse tale, far non potrebbe. Terzo, io tengo la sua materia densissima e solidis- Terza > la materia . 1 n rn ,. , . , .... dolla Luna densa co- sima non meno della ferra ; di che mi e argomento assai chiaro V es- me ,a 'Terra o mon- i p a . , , tuosa. ser la sua superitele per la maggior parte ineguale, per le molte emi- nenze e cavità che vi si scorgono mercè del telescopio : delle quali 88 DIALOGO BOFIIA I DUE MASSIMI BI8TEMI DEL MONDO. eminenze vo ne son molte in tutto e per tutto simili alle nostre più aspre e scosceso montagne, o vi se ne scorgono alcune tirate e con¬ tinuazioni lunghe (li centinaia di miglia; altro sono in gruppi più raccolti, o sonvi ancora molti scogli staccati o solitari, ripidi assai o dirupati ; ma quello (li che vi è maggior frequenza, sono alcuni argini (userò questo nome, per non me ne sovvenir altro che più gli rappresenti) assai rilevati, li quali racchiudono o circondano pianure di diverse grandezze, e formano varie figure, ma la maggior parte circolari, molte dello quali hanno nel mezo un monte rilevato assai ed alcune podio son ripiene di materia alquanto oscura, cioè simile» a quella delle gran macchie che si veggon con l’occhio libero, c queste sono dello maggiori piazze ; il numero poi dello minori e mi- Quarta, Lonndistin- nori ò grandissimo, e pur quasi tutte circolari. Quarto, sì come la ta in dua partì diffe- . . . . rontì por chiare/.» O superitele del nostro globo è distinta in duo imissime Darti cioè rifili A oscurità,conio il globo lorrostro noi maro o terrestre e nell acquatica, cosi nel disco lunare vccuiamo una (listiti noi Ir superficie ter- . . '«»*>• zion magna di alcuni gran campi più risplendenti e di altri meno' all’ aspetto do i quali credo che sarebbe quello della Terra assai si- superiicie ad maro migliante, a dii dalla Luna o da altra simile lontananza la noterà apparirebbe da lolita- 1 .... 4 * r°J i na^Si , ii dlquel " vedere J ^ U8 trata dal bolo, ecl apparirebbe la superficie del mare più Quinta, mutazioni oscura, g più chiara quella (lolla terra. Quinto, hi come noi dalla Terrai di figuro nella Terra . , T . ., . simili a quello delia reggiamo la Luna or tutta luminosa, or ineza, or più, or meno talor so periodo. talenta, o talvolta ci rosta del tutto invisibile, cioè quando è sotto i raggi solari, sì elio la parto che riguarda la Terra resta tenebrosa; così appunto si vedrebbe dalla Luna, coli* istcsso periodo a capello 6 sotto le medesime mutazioni di figure, V illuminazione fatta dal Sole sopra la faccia della Terra. Sesto .... Sagù. Piano un poco, Sig. Salviati. Che V illuminazione della Terra, quanto alle diverse figure, si rappresentasse, a chi fusso nella Luna, simile in tutto a quello che noi scorgiamo nella Luna, V intendo io benissimo; ma non resto giù capace come olla si mostrasse fatta» coll istesso periodo, avvenga che quello che fa V illuiuinazion del Sole nella superficie lunare in un mese, lo fa nella terrestre in ven- tiquattr’ ore. Sàlv. L vero che V effetto del Sole, circa V illuminar questi due coipi e riccicar col suo splendore tutta la lor superficie, si spedisce nella lena in un giorno naturale, e nella Luna in un mese; ma non da questo solo depende la variazione delle figure, sotto lo quali dalla GIORNATA PRIMA. 89 Luna si vedrebbero lo parti illuminate della terrestre superficie, ma da i diversi aspetti che la Luna va mutando col Sole : sì che quando, v. g., la Luna seguitasse puntualmente il moto del Sole, e stesse per caso sempre linearmente tra esso e la Teri’a in quell’ aspetto che noi diciamo di congiunzione, vedendo ella sempre il medesimo emisferio della Terra che vedrebbe il Sole, lo vedrebbe perpetuamente tutto lucido ; come, per 1 ’ opposito, quando ella restasse sempre all’ oppo¬ sizione del Sole, non vedrebbe mai la Terra, della quale sarebbe con¬ tinuamente volta vei’so la Luna la parte tenebrosa, e perciò invisi- 10 bile ; ma quando la Luna è alla quadratura del Sole, dell’ emisfero terrestre esposto alla vista della Luna, quella metà che è verso il Sole è luminosa, e 1 ’ altra verso 1 ’ opposto del Sole è oscura, e però la parte della Terra illuminata si rappresenterebbe alla Luna sotto figura di mezo cerchio. Sagr. Resto capacissimo del tutto ; ed intendo già benissimo che partendosi la Luna dall’ opposizione del Sole, di dove ella non vedeva niente dell’ illuminato della terrestre superfìcie, e venendo di giorno in giorno verso il Sole, incomincia a poco a poco a scoprir qualche particella della faccia della Terra illuminata, e questa vede ella in 20 figura di sottil falce, per esser la Terra rotonda ; ed acquistando pur la Luna col suo movimento di dì in dì maggior vicinità al Sole, viene scoprendo più e più sempre dell’ emisfero terrestre illuminato, sì che alla quadratura ne scuopre la metà giusto, sì come noi di lei veg- giamo altrettanto ; continuando poi di venir verso la congiunzione, scuopre successivamente parte maggiore della superficie illuminata, e finalmente nella congiunzione vede l’intero emisferio tutto lumi¬ noso. Ed in somma comprendo benissimo che quello che accade a gli abitatori delia Terra, nel veder le varietà della Luna, accaderebbe a chi fusse nella Luna nel veder la Terra, ma con ordine contrario : so cioè che quando la Luna è a noi piena ed all’ opposizion del Sole*, a loro la Terra sarebbe alla congiunzion col Sole e del tutto oscura ed invisibile ; all’ incontro, quello stato cho a noi è congiunzion della Luna col Sole, o però Luna silente e non veduta, là sarebbe opposi¬ zion della Terra al Sole, e per così dire Tei’ra piena, cioè tutta lumi¬ nosa ; o finalmente quanta parte a noi, di tempo in tempo, si mostra della superficie lunare illuminata, tanto dalla Luna si vedrebbe esser nell’ istesso tempo la parte della Terra oscura, e quanto a noi resta vii. 12 90 DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI SJSIKMI DEL MONDO, della Luna privo ili lume, tanto alla Luna ò 1 illuminato della Terra; si elio solo nello quadrature questi veggono mrao cerchio della Ltu» luminoso, e quelli altrettanto della Terra. In una cosa mi par che differiscano queste scambievoli operazioni : ed che, dato o non con¬ cesso che nella Luna fusso chi di là potere rimirar la Terra, vedrebbe ogni giorno tutta la superficie terrestre, mediante il moto di essa Luna intorno alla Terra in ventiquattro o venticinque ore ; ma noi lumeg¬ giamo mai altro che la metà della Luna, ixiichè ella non si rivolge in sè stessa, come bisognerebbe per potercLi tutta mostrare. Salv. Purché questo non aceaggia p- r il contrario, cioè che il ri-» girarsi olla in sò stessa sia cagione che noi non veggiamo mai l’altra metà; elio così sarebbe necessario elio fu-se, quando ella avesse l’epi¬ ciclo. Ma dove lasciate voi un'altra differenza, in contraccambio di questa avvertita da voi ? Sagk. E qual è? che altra por ora non mi vien in monte. Tutta la Torri» vedo Salv. È che, so la Terra (corno lume avete notato) non vede altro <{eiu!"uunn, S o iu'm'otA die la metà della Luna, dove che dalla Luna vien vista tutta la Terra, vodo'tutu''laToVr'». 0 all’incontro tutta la Terra vede la Luna, ma della Luna solo la metà vede la Terra; perchè gli abitatori, p le stella penetrabile, por Ari- , v , i i • i > l i • , stot ile. parti piu dense del cielo, » ben mve.H-.uno che le siano saldissime ed impenetrabilissime. Saok. Clio bella materia sarebbe quella ilei cielo per fabbricar pa-» lazzi, olii no potesse avere, così dura e tanto trasparente ! Sai.v. Anzi pessima, perchè sendo, per l.t soniuia trasparenza,del tutto invisibile, non si potrebbe, senza gran | ieri colo di urtar nogli stijnti e spezzarsi il capo, camuiinar per le tanze. Saou. Cotosto pericolo non si correrebbe egli, se è vero, comedi- tangibile*' coleste in ‘ coll o alcuni Peripatetici, cbt> la sia intangibile; e la non gi può toccare, molto meno si potrebbe urtare. Sai,v. Di ninno sollevamento sarebbe cotesto; couciwiachè, se ben la materia celeste non può esser toccata, perchè manca delle tangi¬ bili qualità, può ben ella toccare i corpi elementari; e jter offenderci,» tanto è elio ella urti in noi, ed uncor peggio, che se noi urtassimo in lei. Ma lasciamo star questi palazzi o per dir meglio castelli in aria, e non impediamo il Sig. Simplicio. iSimi’. La quistione che voi avete così incidentemente promossa, è delle diffìcili che si trattino in filosofia, tal io ci ho intorno di bel¬ lissimi pensieri di un gran cattedrante di Padova ; ma non è tempo di entrarvi adesso. Pero, tornando al nostro proposito, replico che stimo la Luna solidissima più della Terra, ina non 1’ argomento già, come fate voi, dalla asprezza e scabrosità della sua superficie, anzi dal contrario, cioè dall essere atta a ricevere (come veggiamo tra noi» nelle gemme più dure) un pulimento e lustro superiore a qual si sia specchi0 piÙ ters °; chò tale è necessario che sia la sua superficie, per poterci fare sì viva reflessione de’ raggi del Sole. Quelle apparenze poi che voi dite, di monti, di scogli, di argini, di valli etc., son tutte illusioni, ed io mi sono ritrovato a sentire in publiche dispute sostener gagliardamente, contro a questi introduttori di novità, che ai appaienze non da altro provengono che da parti inegualmente specchio. GIORNATA PRIMA. 95 opache e perspicue, delle quali interiormente ed esteriormente è compo¬ sta la Luna, come spesso veggiamo accadere nel cristallo, nell’ ambra ed in molte pietre preziose perfettamente lustrate, dove, per la opacità di alcune parti e per la trasparenza di altre, appariscono in quello varie concavità e prominenze. Nella quarta congruenza concedo che la su¬ perfìcie del globo terrestre, veduto di lontano, farebbe due diverse apparenze, cioè una più chiara e 1’ altra più oscura, ma stimo che tali diversità accaderebbono al contrario di quel che dite voi ; cioè credo che la superficie dell’ acqua apparirebbe lucida, perchè è liscia io e trasparente, e quella della terra resterebbe oscura per la sua opa¬ cità e scabrosità, male accomodata a riverberare il lume del Sole. Circa il quinto riscontro, lo ammetto tutto, e resto capace che quando la Terra risplendesse come la Luna si mostrerebbe, a chi di lassù la rimirasse, sotto figure conformi a quelle che noi veggiamo nella Luna ; comprendo anco come il periodo della sua illuminazione e va¬ riazione di figure sarebbe di un mese, benché il Sole la ricerchi tutta in ventiquattr’ ore ; e finalmente non ho difficultà nell’ ammettere che la metà sola della Luna vede tutta la Terra, e che tutta la Terra vede solo la metà della Luna. Nel sesto, reputo falsissimo che la Luna 20 possa ricever lume dalla Terra, che è oscurissima, opaca ed inettissima a reflettere il lume del Sole, come ben lo reflette la Luna a noi ; e, come ho detto, stimo che quel lume che si vede nel resto della faccia della Luna, oltre alle corna splendidissime per l’illuminazion del Solo, sia proprio e naturale della Luna, e gran cosa ci vorrebbe a farmi credere altrimenti. Il settimo, de gli eclissi scambievoli, si può anco ammettere, se ben propriamente si costuma chiamare eclisse del Sole questo che voi volete chiamare eclisse della Terra. E questo è quanto per ora mi occorre dirvi in contradizione alle sette congruenze; alle quali instanze so vi piacerà di replicare alcuna cosa, l’ascolterò vo- ao lenti eri. Saly. Se io ho bene appreso quanto avete risposto, parmi che tra voi e noi restino ancora controverse alcune condizioni, le quali io faceva comuni alla Luna ed alla Terra; e son queste. Yoi stimatela Luna tersa c liscia com’ uno specchio, e, come tale, atta a refletterci il lume del Sole, ed all’ incontro la Terra, per la sua asprezza, non potente a far simile reflessione. Concedete la Luna solida e dura, e ciò argumontate dall’esser ella pulita e tersa, e non dall’esser mon- Kminoii/.o o cavità nella Luna sono illu¬ sioni di opaco o di perspicuo. 96 DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI SISTKMI DHL MONDO. tuosa ; e dell’apparir miintuaaa no augnate jht eau*a r eeaere di parti più o mono opache e perspicue. K finalmente stimate, quella luce secondaria esser propria della Luna, e nuli per reflesaion della Terra; se ben par che al mare, por e**er ili HU)H*rtìcie pulita, voi non neghiate qualche reilessiono, Quanto al torvi ih errore, che la retta sion della Luna non ni faccia come da uno »|H cohio, ci ho poca spe¬ ranza, mentre veggo che quello che in tal proposito hì legge nel Saggiatore e nelle Lettere Solari del nostro amico comune non ha profittato nulla nel vostro concetto, se perù voi avete attentamente lotto quanto vi ù scritto in tal materia. . .J Simi*. Io r ho trascorso così Huperlicialiiieute, conformo al poco tempo che mi vien lasciato ozioso da .studi più nodi : j^rò, se col re¬ plicare alcune di quelle ragioni o coll'addurmi altre voi pensateli* solvermi le difficultà, le ascolterò più attentamente. Salv. Io dirò quello che mi viene in menti» al predente, e }>otrebbta sere che fusse una mistione di concetti mici propri e di quelli che già lessi ne i detti libri, da i quali mi sovvien bene ch'io restai interamente persuaso, ancorché le eonchiKioni nel primo aqn tto mi paresser gran paradossi. Noi cerchiamo, Sig. Simplicio, se per fare una rellession di lume simile a quello che ci vien dalla Luna, sia necessario chela» superficie da cui vien la retlessione sia coni tersa e liscia come di uno specchio, o pur sia più accomodata una superficie non tersa o non liscia, ma aspra e mal pulita. Ora, quando a noi venisser due refles- sioni, una più lucida e 1 altra meno, da due superficie opposteci, io vi domando, qual delle due superficie voi credete che si rappresen¬ tasse a gli occhi nostri più chiara e qual più ose*ura. Simp. Credo senza dubbio che quella clic più vivamente mi reflet¬ tesse il lume, mi si mostrerebbe in appetto più chiara, e V altra più oscura. Saia. Pigliate ora in cortesia quello specchio che è attaccato < I il e l muro, ed usciamo qua nella corte. Venite, Sig. Sagredo. Attac¬ cate lo specchio la a cpiel muro, dove batte il Sole ; discostianiocio ì iteriamoci qua alP ombra, ficco la duo superficie percosse dal Sole, cioL il muro e lo specchio. Ditemi ora qual vi si rappresenta più chiaia. quella del muro o quella dello specchio? voi non rispondete? Sagr. Io lascio rispondere al Sig. Simplicio, che ha la difficultà; clic io, quanto a me, da questo poco principio di esperienza son GIORNATA PRIMA. 97 persuaso die bisogni per necessità die la Luna sia di superfìcie molto mal pulita. Salv. Dite, Sig. Simplicio : se voi aveste a ritrar quel muro, con quello specchio attaccatovi, dove adoprercste voi colori più oscuri, nel dipignere il muro o pur nel dipigner lo specchio ? Simp. Assai più scuri nel dipigner lo specchio. Salv. Or se dalla superficie che si rappresenta più chiara vien la retìession del lume più potente, più vivamente ci refletterà i raggi del Sole il muro che lo specchio. io Simp. Benissimo, Signor mio ; avete voi migliori esperienze di que¬ ste ? Voi ci avete posti in luogo dove non batte il reverbero dello specchio ; ma venite meco un poco più in qua : no, venite pure. Sagù. Cercate voi forse il luogo della refiessione che fa lo specchio ? Simi\ Signor sì. Sagù. Oh vedetela là nel muro opposto, grande giusto quanto lo specchio, e chiara poco meno che se vi battesse il Sole direttamente. Simp. Venite dunque qua, e guardate di lì la superficie dello spec¬ chio, e sappiatemi dire se 1’ è più scura di quella del muro. Sagù. Guardatela pur voi, chò io per ancora non voglio accecare ; so e so benissimo, senza guardarla, che la si mostra vivace e chiara quanto il Sole istesso, o poco meno. Simp. Che dite voi dunque che la reflession di uno specchio sia men potente di quella di un muro ? io veggo che in questo muro op¬ posto, dove arriva il reflesso dell’ altra parete illuminata insieme con quel dello specchio, questo dello specchio è assai più chiaro ; e veggio parimente che di qui lo specchio medesimo mi apparisce più chiaro assai che il muro. Salv. Voi con la vostra accortezza mi avete prevenuto, perchè di questa medesima osservazione avevo bisogno per dichiarar quel che so resta. Voi vedete dunque la differenza che cade tra le due reflessioni, fatto dalle due superfìcie del muro e dello specchio, percosse nel- F istesso modo per 1’ appunto da i raggi solari ; e vedete come la re¬ flession che vien dal muro si diffonde verso tutte le parti opposteli, ma quella dello specchio va verso una parte sola, non punto maggioro dello specchio medesimo ; vedete parimente come la superficie del muro, riguardata da qualsivoglia luogo, si mostra chiara sempre egualmente a so stessa, e per tutto assai più chiara che quella dello VII. 13 \ 98 ■DIALOGO SOPRA I PUF, MASSIMI SI8TKMI DEL MONDO. specchio, eccettuatone quel piccolo luogo solamente dove batte il Deflesso dello specchio, che di lì apparisce lo specchio molto più chiaro del muro. Da queste così sensato o palpabili esperienze mi par elio molto speditamente si possa venire in cognizione, so la Deflessione elio ci vien dalla Luna venga corno da uno specchio, o pur conio da un muro, cioè se da una superficie liscia o puro aspra. Sagr. Se io fussi nella Luna stessa, non credo elio io potessi con mano toccar più chiaramente 1’ asprezza della sua superfìcie di quel eli’ io me la scorga ora con 1’ apprensione del discorso. La Luna, veduta in qualsivoglia positura, rispetto al Solo o a noi, ci mostra io la sua superficie tocca dal Sole sempre egualmente chiara ; effetto elio risponde a capello a quel del muro, che, riguardato da qualsivoglia luogo, apparisce egualmente chiaro, e discorda dallo specchio, che da un luogo solo si mostra luminoso o da tutti gli altri oscuro. In oltre, la luce che mi vien dalla reflession del muro è tollerabile e debile, in comparazion di quella dello specchio gagliardissima ed offen¬ siva alla vista poco meno della primaria e diretta del Sole : e così con suavità riguardiamo la faccia della Luna; che quando ella fusse come uno specchio, mostrandocisi anco, per la vicinità, grande quanto l’istesso Sole, sarebbe il suo fulgore assolutamente intollerabile, e ci 20 parrebbe di riguardare quasi un altro Solo. Salv. Non attribuite di grazia, Sig. Sagredo, alla mia dimostrazione più di quello che le si perviene. Io voglio muovervi contro un’ in¬ stanza, che non so quanto sia di agevolo scioglimento. Voi portate per gran diversità tra la Luna e lo specchio, clic ella rimandi la reflessione verso tutte le parti egualmente, corno fa il muro, dove che lo specchio la manda in un luogo solo determinato ; 0 di qui con¬ cludete, la Luna esser simile al muro, e non allo specchio. Ma io vi danoTa’il^Moi^Tn ^ ico c ^° specchio manda la Deflessione in un luogo solo, per- sferlcTpor' tutto ‘ K sU sua su P ei ’ficie ò piana, e dovendo i raggi reflessi partirsi ad so angoli eguali a quelli de’ raggi incidenti, è forza che da una su¬ perfìcie piana si partano unitamente verso il medesimo luogo ; ma essendo che la superficie della Luna è non piana, ma sferica, ed i raggi incidenti sopra una tal superficie trovano da Deflettersi ad angoli eguali a quelli dell’ incidenza verso tutte le parti, mediante la infinità delle inclinazioni che compongono la superficie sferica, adunque la Luna può mandar la reflessione per tutto, e non è ne- / GIORNATA PRIMA. 99 10 cessitata a mandarla in un luogo solo, come quello specchio elio è piano. Simp. Questa è appunto una delle obbiezioni che io volevo fargli contro. Sagù. Se questa è una, è forza elio voi ne abbiate delle altre ; però ditele, che quanto a, questa prima mi par che ella sia per riuscire più contro di voi che in favore. SiMr. Voi avete pronunziato come cosa manifesta, che la relìession latta da quel muro sia così chiara ed illuminante come quella che ci vien dalla Luna, ed io la stimo come nulla in comparazion di quella : imperocché « in questo negozio dell’ illuminazione bisogna aver ri- » guardo e distinguere la sfera di attività ; e chi dubita che i corpi » celesti abbiano maggiore sfera di attività che questi nostri elemen- » tari, caduchi e mortali ? e quel muro, finalmente, che è egli altro Sfora di attività no i corpi colasti mag¬ gioro elio nogli ele¬ mentari. » che un poco di terra, oscura ed inetta all’ illuminare ? » Sagù. E qui ancora credo che voi vi inganniate di assai. Ma vengo alla prima instanza mossa dal Sig. Salviati : e considero che per far che un oggetto ci apparisca luminoso, non basta che sopra esso ca¬ schino i raggi del corpo illuminante, ma ci bisogna che i raggi re¬ so flessi vengano all’occhio nostro; come apertamente si vede nell’esempio di quello specchio, sopra il quale non ha dubbio che vengono i raggi luminosi del Sole, con tutto ciò ei non ci si mostra chiaro ed illustrato se non quando noi mettiamo 1’ occhio in quel luogo particulare dove va la reflessione. Consideriamo adesso quel che accaderebbe quando lo specchio fusse di superficie sferica : che senz’ altro noi troveremo che della reflessione che si fa da tutta la superficie illuminata, pic¬ colissima parte è quella che perviene all’ occhio di un particolar ri¬ guardante, per esser una minimissima particella di tutta la superficie sferica quella l’inclinazion della quale ripercuote il raggio al luogo so particolare dell’ occhio ; onde minima convien che sia la parte della superficie sferica cl e all’ occhio si mostra splendente, rappresentan¬ dosi tutto il rimanente oscuro. Quando dunque la Luna fusse tersa come imo specchio, piccolissima parte si mostrerebbe a gli occhi di un particulare illustrata dal Sole, ancorché tutto un emisferio fusse esposto a’ raggi solari, ed il resto rimarrebbe all’ occhio del riguar- _ ■ . .«..*! r* ■] j • • XjII Ijlin A 80 fllS96 dante come non illuminato e perciò invisibile, e finalmente invisibile come uno specchio n . .. , _ , v, .. n -i • sferico, sarebbe invi- ancora del tutto la Luna, avvenga che quella particella onde venisse sibiie. 100 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. la ritiossione, por la sua piccolezza o gran lontananza si perderebbe; e sì conio all’occhio ella resterebbe invisibile, così la sua illumina¬ zione resterebbe nulla, che bene è impossibile che un corpo luminoso togliesse via lo nostre tenebre col suo splendore e che noi non lo vedessimo. Sat.v. Fermate in grazia, Sig. Sagredo, perché io veggo alcuni movimenti nel viso o nella persona del Sig. Simplicio, elio mi sono indizi ch’ei non resti o ben capace o soddisfatto di questo elio voi con somma evidenza od assoluta verità avete detto ; e pur ora mi è sovvenuto di potergli con altra esperienza rimuovere ogni scrupolo, io Io ho veduto in una camera di sopra un grande specchio sferico: facciamolo portar qua, e mentre che si conduce, torni il Sig. Sim¬ plicio a considerare quanta ò grande la chiarezza che vien nella pa¬ rete qui sotto la loggia dal reflesso dello specchio piano. Sustr. Io veggo elio 1’ è chiara poco meno elio se vi pcrcotesse di¬ rettamente il Sole. Sai.v. Così ò veramente. Or ditemi : se, levando via quel piccolo specchio piano, metteremo nell’ istesso luogo quel grande sferico, qual effetto credete voi che sia per far la sua retlesxiono nella medesima parete ? Suur. Credo che gli arrecherà lume molto maggiore e molto più ampio. Sai.v. Ma se l’illuminazione sarà nulla, o così piccola che appena vo ne accorgiate, elio direte allora ? Simp. Quando avrò visto 1’ effetto, penserò alla risposta. Saly. Ecco lo specchio, il quale voglio che sia posto accanto al- 1’altro. Ma prima andiamo là vicino al refiosso di (pud piano, o rimi¬ rate attentamente la sua chiarezza : vedete come è chiaro qui dovo e’batte, e come distintamente si veggono tutte queste minuzie del muro. Simp. Ilo visto e osservato benissimo: fate metter 1’ altro specchio» a canto al primo. Salv. Eccolo là. Vi fu messo subito che cominciaste a guardare le minuzie, e non ve ne sete accorto, sì grande é stato 1’ accresci¬ mento del lume nel resto della parete. Or tolgasi via lo specchio piano. Eccovi levata via ogni reliessione, ancorché vi sia rimasto il grande specchio convesso. Rimuovasi questo ancora, e poi vi si ri¬ ponga quanto vi piace : voi non vedrete mutazione alcuna di luce \,j »' » ^ GIORNATA TRIMA. 101 in tutto il muro. Eccovi dunque mostrato al senso come la refles¬ sione del Sole fatta in ispeccliio sferico convesso non illumina sensi¬ bilmente i luoghi circonvicini. Ora che risponderete voi a questa espe¬ rienza ? Simp. Io ho paura che qui non entri qualche giuoco di mano. Io veggo pure, nel riguardar quello specchio, uscire un grande splen¬ dore, che quasi mi toglie la vista, e, quel che più importa, ve lo veggo sempre da qualsivoglia luogo eh’ io lo rimiri, e veggolo andar mutando sito sopra la superficie dello specchio, secondo eh 5 io mi io pongo a rimirarlo in questo o in quel luogo : argomento necessario, che il lume si reflette vivo assai verso tutte le bande, ed in conseguenza così potente sopra tutta quella parete come sopra il mio occhio. Sai/v. Or vedete quanto bisogni andar cauto e riservato nel pre¬ stare assenso a quello che il solo discorso ci rappresenta. Fon ha dubbio che questo che voi dite ha assai dell’ apparente ; tuttavia potete vedere come la sensata esperienza mostra in contrario. Simp. Come dunque cammina questo negozio ? Salv. lo vi dirò quel che ne sento, che non so quanto vi sia per appagare. E prima, quello splendore così vivo che voi vedete sopra 20 lo specchio, e che vi par che ne occupi assai buona parte, non è così grande a gran pezzo, anzi è piccolo assai assai ; ma la sua vivezza cagiona nell’ occhio vostro, mediante la reflessione fatta nell’ umido de gli orli delle palpebre, la quale si distende sopra la pupilla, una irradiazione avventizia, simile a quel capillizio che ci par di vedere intorno alla fiammella di una candela posta alquanto lontana, o vo¬ gliate assimigliarla allo splendore avventizio di una stella; che se voi paragonerete il piccolo corpieello, v. g., della Canicola, veduto di giorno col telescopio, quando si vede senza irradiazione, col medesimo veduto di notte coll’ occhio libero, voi fuor di ogni dubbio comprenderete Corpieello dello ;so che l’irraggiato si mostra più di mille volte maggiore del nudo e reai risco mille vo 11o'niag- corpieello: ed un simile o maggior ricrescimento fa l’immagine del gloro Sole che voi vedete in quello specchio ; dico maggiore, per esser ella più viva della stella, come è manifesto dal potersi rimirar la stella con assai minor offesa alla vista, che questa reflession dello specchio. Il reverbero dunque, che si ha da participare sopra tutta questa parete, viene da piccola parte di quello specchio ; e quello che pur ora veniva da tutto lo specchio piano, si participava e ristrigneva v 102 dialogo sopra I dui: massimi sistemi del mondo. Lume reflesso do i corpi aspori più uni¬ versa lo elio quello do i torsi, o porchò. Luna so lusso tersa o liscia, sarebbe invi¬ sibile. a piccolissima parte della medesima parete : (piai meraviglia è dun¬ que che la reflcssiono prima illumini molto vivamente, o che quest’al- tra resti quasi impercettibile ? Simp. Io mi trovo più inviluppato elio mai, e mi sopraggiugno l’altra difficultà, corno possa essere elio quel muro, essendo di mate¬ ria così oscura e di superficie così mal pulita, abbia a ripercuoter lume più potente e vivace elio uno specchio ben terso o pulito. Salv. Più vivace no 11 ’, ma ben più universale ; che, (pianto alla vi¬ vezza, voi vedete che la reflessiono di quello specchietto piano, dovo ella ferisce lù sotto la loggia, illumina gagliardamente, od il restante io della parete, elio riceve la refiession del muro, dove è attaccato lo specchio, non è a gran segno illuminato come la piccola parte dovo arriva il refiosso dello specchio. E so voi desiderate intender l’intero di questo negozio, considerate come l’esser la superficie di (pici muro aspra, è l’istesso elio l’esser composta di innummibili superficie pic¬ colissime, disposto secondo innumerabili diversità di inclinazioni, tra le quali di necessità accade clic no sieno molte disposte a mandare i raggi, reflessi da loro, in un tal luogo, molte altre in altro ; ed in somma non è luogo alcuno al (piale non arrivino moltissimi raggi reflessi da moltissime superliciettespar.se per tutta l’intera superficie ao del corpo scabroso, sopra il quale cascano i raggi luminosi : dal che segue di necessità cho sopra qualsivoglia parte di qualunque super¬ ficie opposta a quella cho riceve i raggi primarii incidenti, perven¬ gano raggi reflessi, ed in conseguenza l’illuminazione. Seguene ancora, che il medesimo corpo sul quale vengono i raggi illuminanti, rimi¬ rato da qualsivoglia luogo, si mostri tutto illuminato e chiaro: e però la Luna, per esser di superficie aspra o non tersa, rimanda la luce del Sole verso tutte le bande, ed a tutti i riguardanti si mostra egual¬ mente lucida. Che se la superficie sua, essendo sferica, fusso ancora liscia come uno specchio, resterebbe del tutto invisibile, atteso che so quella piccolissima parte dalla quale potesse venir reflessa l’immagine del Sole, all’ occhio di un particolare, per la gran lontananza, reste¬ rebbe invisibile, come già abbiam detto. 01 L’edizione originalo leggo « abbia a ripercuoter maggior lume che uno specchio ccc ‘ * 0* n * 6-7), e « Salv. Maggior lume no* ; ma nell’esemplare che di detta edizione è posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, Galileo corresse di sua mano, nel¬ l’uno o nell 1 altro luogo, come noi abbiamo stampato. GIORNATA PRIMA. 103 Simp. Resto assai ben capace del vostro discorso ; tuttavia mi par di poter risolverlo con pochissima fatica, e mantener benissimo che la Luna sia rotonda e pulitissima e che refletta il lume del Sole a noi al modo di uno specchio : nò perciò l’immagine del Sole si deve ve- dor nel suo mezo ; avvengachè « non per le spezie dell’ istesso Sole » possa vedersi in sì gran distanza la piccola figura del Sole, ma sia » compresa da noi per il lume prodotto dal Sole l’illuminazione di tutto # » il corpo lunare. Una tal cosa possiamo noi vedere in una piastra » dorata e ben brunita, che, percossa da un corpo luminoso, si mostra, io » a chi la guarda da lontano, tutta risplendente ; e solo da vicino si » scorge nel mezo di essa la piccola immagine del coi-po luminoso. » Saly. Confessando ingenuamente la mia incapacità, dico che non intendo di questo vostro discorso altro che di quella piastra dorata ; e se voi mi concedete il parlar liberamente, ho grande opinione che voi ancora non 1* intendiate, ma abbiate imparate a mente quelle parole scritte da qualcuno per desiderio di contraddire e mostrarsi più intelligente dell’ avversario, mostrarsi, però, a quelli che, per ap¬ parir eglino ancora intelligenti, applaudono a quello che e’ non in¬ tendono, e maggior concetto si formano delle persone secondo che 20 da loro son manco intese; e pur che lo scrittore stesso non sia (come ai clini scrivono . quel elio non inton- inolti ce no sono) di quelli che scrivono quel che non intendono, o dono, operò non s*in- ' tendo quel che essi che però non s’intende quel che essi scrivono. Però, lasciando il resto, scrivono, vi rispondo, quanto alla piastra dorata, che quando ella sia piana e non molto grande, potrà apparir da lontano tutta risplendente, men¬ tre sia ferita da un lume gagliardo, ma però si vedrà tale quando l’occhio sia in una linea determinata, cioè in quella de i raggi reflessi ; e vedrassi più fiammeggiante che se fusse, v. g., d’argento, mediante 1’ esser colorata cd atta, per la somma densità del metallo, a ricevere brunimento perfettissimo : e quando la sua superficie, essendo benis- so simo lustrata, non fusse poi esattamente piana, ma avesse vario in¬ clinazioni, allora anco da più luoghi si vedrebbe il suo splendore, cioè da tanti a quanti pervenissero le varie reflessioni fatte dalle diverse superficie * che però si lavorano i diamanti a molto facce, acciò il lor Diamanti sì lavora- 1 7 1 -, i • ± ^ no a mo,to tacco, o dilettevol fulgore si scorga da molti luoghi : ma quando la piastra perché, fusse molto grande, non però da lontano, ancorché ella fusse tutta piana, si vedrebbe tutta risplendente. E per meglio dichiararmi, in¬ tendasi una piastra dorata piana e grandissima esposta al Sole: ino- 104 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. strerassi a un occhio lontano l’immagine del Sole occupare una parte di tal piastra solamente, cioè quella donde viene la reflessione de i raggi solari incidenti; ma è vero che per la vivacità dol lume tal immagino apparirà inghirlandata di molti raggi, e però sembrerà occupare maggior parte assai della piastra che veramente ella non occuperà. E che ciò sia vero, notato il luogo particolare della piastra donde viene la reflessione, e figurato parimente quanto grande mi si rappresenta lo spazio risplendente, cuoprasi di esso spazio la maggior parte, lasciando solamente scoperto intorno al mezo: non però si di¬ minuirà punto la grandezza dell’ apparento splendore a quello che io di lontano lo rimira, anzi si vedrà egli largamente sparso sopra il panno o altro con che si ricoperse. Se dunque alcuno col vedere una piccola piastra dorata da lontano tutta risplendente, si sarà imma¬ ginato che l’istesso dovesse accadere anco di piastre grandi quanto la Luna, si è ingannato non meno elio so credesse, la Luna non es¬ ser maggiore di un fondo di tino. Quando poi la piastra fusse di su¬ per ticie sferica, vedrobbesi in una sola sua particella il reflesso ga¬ gliardo, ma ben, mediante la vivezza, si mostrerebbe inghirlandato di molti raggi assai vibranti : il resto della palla si vedrebbe come colorato, e questo anco solamente quando e’ non fusse in sommo grado» pulito; che quando e’fusse brunito perfettamente, apparirebbe oscuro. Argento brunito Esempio di questo aviauio giornalmente avanti gli occhi no i vasi apparisce piu oscuro ° die il non brunito, e ( p argento, li quali, mentre sono solamente bolliti nel bianchimento, perché. ... ' son tutti candidi come la neve, nò punto rendono V immagini ; ma so in alcuna parte si bruniscono, in quella subito diventano oscuri, e di lì rendono P immagini come specchi: e quel divenire oscuro non procede da altro elio dall’ essersi spianata una finissima grana che taceva la superficie dell’ argento scabrosa, e però tale clic rifletteva il lume verso tutte le parti, per lo che da tutti i luoghi si mostrava egualmente illuminata; quando poi, col brunirla, si spianano esqui-w sitamente quelle minimo inegualità, sì che la reflessione de i raggi incidenti si drizza tutta in luogo determinato, allora da quel tal luogo si móstra la parte brunita assai più chiara e lucida dol restante, che ò solamente bianchito, ina da tutti gli altri luoghi si vede molto aicune n vodute 1 'a.p}>ar oscura - ^ noto clie la diversità delle veduto, nel rimirar superficie chiarissimo o da altre brunite, cagiona differenze tali di apparenze, che per imitare e rap- oscurissimo. # * x 7 x presentare in pittura, v. g\, una corazza brunita, bisogna accoppiare GIORNATA PRIMA. 105 neri schietti e bianchi, 1’ uno a canto all’ altro, in parti di essa arme dove il lume cade egualmente. Sagr. Adunque, quando questi Signori filosofi si contentassero di conceder che la Luna, Venere c gli altri pianeti fussero di superfìcie non così lustra e tersa come uno specchio, ma un capello manco, cioè quale è una piastra di argento bianchita solamente, ina non brunita, questo basterebbe a poterla far visibile ed accomodata a ripercuoterci il lume del Sole ? Salv. Basterebbe in parte ; ma non renderebbe un lume così po¬ lo tonte, come fa essendo montuosa ed in somma piena di eminenze o cavità grandi. Ma questi Signori filosofi non la concederanno mai pulita meno di uno specchio, ma bene assai più, se più si può im¬ maginare, perchè stimando eglino che a’ corpi perfettissimi si con¬ vengano figure perfettissime, bisogna che la sfericità di quei globi celesti sia assolutissima ; oltre che, quando e’ mi concedessero qualche inegualità, ancorché minima, io me ne prenderei senza scrupolo alcuno altra assai maggiore, perchè consistendo tal perfezione in indivisibili, tanto la guasta un capello quanto una montagna. Sagr. Qui mi nascono due dubbi : 1’ uno è l’intendere, perchè la 20 maggior inegualità di superficie abbia a far più potente reflession di lume ; l’altro è, perchè questi Signori Peripatetici vogliali questa esatta figura. Salv. Al primo risponderò io, ed al Sig. Simplicio lascerò la cura di rispondere al secondo. Devesi dunque avvertire che le medesime ^ Superficie più scn- superficie vengono dal medesimo lume più e meno illuminate, secon- flessione dUume’Vifo I IX • , In meno scabrosa. dochè i raggi illuminanti vi cascano sopra piu o meno obliquamente, sì che la massima illuminazione è dove i raggi son perpendicolari. Ka sg‘ perpondico- Ed ecco eh’ io ve lo mostro al senso. Io piego questo foglio tanto obbli< * ui > 0 che una parte faccia angolo sopra 1’ altra ; ed esponendole alla re¬ so tìession del lume di quel muro opposto, vedete come questa faccia, che riceve i raggi obliquamente, è manco chiara di quest’altra, dove la reflessione viene ad angoli retti ; e notate come secondo che io gli vo ricevendo più e più obliquamente, l’illuminazione si fa più debole. Sagr. Veggo 1’ effetto, ma non comprendo la causa. Salv. Se voi ci pensaste un centesimo d’ora, la trovereste; ma por non consumare il tempo, eccovene un poco di dimostrazione in que¬ sta figura. VII. 14 106 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Sacir. La sola vista della figura mi ha chiarito il tutto, però Beguite. Simi\ Dite in grazia il resto a me, che non sono di sì veloce ap¬ I raggi più ohbliqui illuni inailo mono, o porclià. prensiva. Salv. Fate conto che tutte le lineo parallele elio voi vedete par¬ tirsi da i termini A, B, sieno i raggi che sopra la linea CD vengono ad angoli retti: inclinate ora la medesima CD, sì che penda come DO : non vedete voi elio buona parte di quei raggi che ferivano la CD, passano senza toccar la DO ? Adunque se la DO io è illuminata da manco raggi, ti ben ragione¬ vole che il lume ricevuto da lei sia più debole. Torniamo ora alla Luna, la quale, essendo di figura sferica, quando la sua superficie fusse pulita quanto questa carta, le parti del suo emisferio illuminato dal Sole che sono verso l’estremità, riceverebbero minor lume assaissimo che le parti di mezo, cadendo sopra quelle i raggi obliquissimi, e sopra questo ad angoli rotti; per lo che nel plenilunio, quando noi veggiamo quasi tutto 1’ emisferio illuminato, le parti verso il mezo ci si dovrebbero mostrare più ri- splendenti, che 1’ altre verso la circonferenza : il che non si vede. 20 Figuratevi ora la faccia della Luna piena di montagne ben alte: non vedete voi come le piagge e i dorsi loro, elevandosi sopra la convessità della perfetta superfìcie sferica, vengono esposti alla vista del Sole, ed accomodati a ricevere i raggi, assai meno obliquamente, e perciò a mostrarsi illuminati (pianto il resto ? Sagr. Tutto bene : ma se vi sono tali montagne, è vero che il Sole le ferirà assai più direttamente che non farebbe l’inclinazione di una superfìcie pulita, ma è anco vero che tra esse montagne resterebbero tutte le valli oscure, mediante l’ombre grandissimo che in quel tempo verrebber da i monti ; dove che le parti di mezo, benché piene di 30 valli e monti, mediante l’avere il Sole elevato, rimarrebbero senz’om¬ bre, e però più lucide assai che le parti estreme, sparse non men di ombre che di lume : e pur tuttavia non si vede tal differenza. Simp. Una simil difficultà mi si andava avvolgendo per la fantasia. Salv. Quanto è più pronto il Sig. Simplicio a penetrar le difficultà che favoriscono lo opinioni d’ Aristotile, che le soluzioni ! Ma io ho qualche sospetto che a bello studio e’ voglia anco talvolta tacerle : GIORNATA PRIMA. 107 e nel presente particulare, avendo da per sè potuto veder l’obbiezione, che pure è assai ingegnosa, non posso credere che e’ non abbia an¬ cora avvertita la risposta, ond’ io voglio tentar di cavargliela (come si dice) di bocca. Però ditemi, Sig. Simplicio : credete voi che possa essere ombra dove feriscono i raggi del Sole? Simp. Credo, anzi son sicuro, che no, perchè essendo egli il mas¬ simo luminare, clic scaccia con i suoi raggi le tenebre, è impossibile che dove egli arriva resti tenebroso ; e poi aviamo la definizione, che tenebrae sunt privatio luminis. io Salv. Adunque il Sole, rimirando la Terra o la Luna o altro corpo opaco, non vede mai alcuna delle sue parti ombrose, non avendo altri occhi da vedere che i suoi raggi apportatori del lume ; ed in con¬ seguenza uno che fusse nel Sole, non vedrebbe mai niente di adom¬ brato, imperocché i raggi suoi visivi andrebbero sempre in compagnia de i solari illuminanti. Simi*. Questo è verissimo, senza contradizione alcuna. Salv. Ma quando la Luna è all’opposizion del Sole, qual diffei’enza è tra il viaggio che fanno i raggi della vostra vista, e quello che fanno i raggi del Sole ? 20 Simp. Ora ho inteso ; voi volete dire che caminando i raggi della vista e quelli del Sole per le medesime linee, noi non possiamo sco¬ prir alcuna delle valli ombrose della Luna. Di grazia, toglietevi giù di questa opinione, eh’ io sia simulatore o dissimulatore ; e vi giuro da gentiluomo che non avevo penetrata cotal risposta, nè forse V avrei ritrovata senza l’aiuto vostro o senza lungo pensarvi. Sagr. La soluzione che fra tutti due avete addotta circa quest’ul¬ tima difficultà, ha veramente soddisfatto a me ancora ; ma nel me¬ desimo tempo questa considerazione del camminare i raggi della vista con quelli del Sole, mi ha destato un altro scrupolo circa l’altra parte : so ma non so se io lo saprò spiegare, perchè, essendomi nato di presente, non l’ho per ancora ordinato a modo mio ; ma vedremo fra tutti di ridurlo a chiarezza. E’ non è dubbio alcuno che le parti verso la cir¬ conferenza dell’ emisferio pulito, ma non brunito, che sia illuminato dal Sole, ricevendo i raggi obliquamente, ne ricevono assai meno che le parti di mezo, le quali direttamente gli ricevono; e può essere che una striscia larga, v. g., venti gradi, che sia verso 1’ estremità del- l’emisferio, non riceva più raggi che un’altra verso le parti di mezo, 108 DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. larga non più di quattro gradi ; onde quella veramente sarà assai più oscura di questa, e tale apparirà a chiunque le rimirasse amendue in faccia o vogliane dire in maestà. Ma quando 1’ occhio del riguar¬ dante fusse costituito in luogo tale che la larghezza de i venti gradi della striscia oscura se gli rappresentasse non più lunga d’ una di quattro gradi posta sul mezo dell’ emisferio, io non ho per impossi¬ bile che se gli potesse mostrare egualmente chiara e luminosa come 1’ altra, perchè finalmente dentro a due angoli eguali, cioè di quattro gradi 1’ uno, vengono all’ occhio le reflessioni di due eguali moltitu¬ dini di raggi, di quelli, cioè, che si retìottono dalla striscia di mezo, io larga gradi quattro, e de i reflessi dall’ altra di venti gradi, ma ve¬ duta in iscorcio sotto la quantità di gradi quattro : ed un sito tale otterrà 1’ occhio, quando e’ sia collocato tra ’l detto emisfero e ’l corpo che l’illumina, perchè allora la vista e i raggi vanno per lo mede¬ sime linee. Par dunque che non sia impossibile elio la Luna possa esser di superficie assai fieno eguale, e che non dimeno noi plenilunio si mostri non men luminosa nell’ estremità che nelle parti di mezo. Salv. La dubitazione è ingegnosa e degna d’esser considerata: e comechè ella vi è nata pur ora improvisamente, io parimente rispon¬ derò quello che improvisamente mi cade in mente, e forse potrebb’es- 20 sere che col pensarvi più mi sovvenisse miglior risposta. Ma prima che io produca altro in mezo, sarà bene che noi ci assicuriamo con V esperienza se la vostra opposizione risponde così in fatto, come par che concluda in apparenza. E però, ripigliando la medesima carta, inclinandone, col piegarla, una piccola parte sopra il rimanente, pro¬ viamo se esponendola al lume, sì che sopra la minor parte caschino i raggi del lume direttamente, e sopra 1’ altra obliquamente, questa che riceve i raggi diretti si mostri più chiara : ed ecco già 1’ espe¬ rienza manifesta, che 1’ è notabilmente più luminosa. Ora, quando la vostra opposizione sia concludente, bisognerà che, abbassando noi so 1’ occhio tanto che, rimirando l’altra maggior parte, meno illuminata, in iscorcio, ella ci apparisca non più larga dell’altra più illuminata, e che in conseguenza non sia veduta sotto maggior angolo che quella, bisognerà, dico, che il suo lume si accresca sì, che ci Bembri così lu¬ cida come l’altra. Ecco che io la guardo, e la veggo sì obliquamente che la mi apparisce più stretta dell’altra; ma con tutto ciò la sua oscu¬ rità non mi si rischiara punto. Guardate óra se l’istesso accade a voi. GIORNATA PRIMA. 109 Sagr. Ilo visto, nè, perchè io abbassi 1 ’ occhio, veggo punto illu¬ minarsi o rischiararsi davvantaggio la detta superficie ; anzi mi par più tosto che ella si imbrunisca. Salv. Siamo dunque sin ora sicuri dell’inefficacia dell’opposizione. Quanto poi alla soluzione, credo che, per esser la superficie di que¬ sta carta poco meno che tersa, pochi sieno i raggi che si re flettano verso gl’ incidenti, in comparazione della moltitudine che si reflette verso le parti opposte, e che di quei pochi se ne perdano sempro più quanto più si accostano i raggi visivi a essi raggi luminosi in- 10 cidenti ; e perchè non i raggi incidenti, ma quelli che si reflettono all’occhio, fanno apparir l’oggetto luminoso, però, nell’abbassar l’oc¬ chio, più è quello che si perde che quello che si acquista, come anco voi stesso dite apparirvi nel vedere il foglio più oscuro. Sagr. Io dell’esperienza e della ragione mi appago. Resta ora che ’l Sig. Simplicio risponda all’ altro mio quesito, dichiarandomi quali cose muovano i Peripatetici a voler questa rotondità ne i corpi celesti tanto esatta. Simp. L’ essere i corpi celesti ingenerabili, incorruttibili, inaltera- sfeneitò perfetta * . .perché si ponga bili, impassibili, immortali etc., fa che e’ sieno assolutamente perfetti ; p®^p^ ti “ ,C8ti - da 1 20 e P essere assolutamente perfetti si tira in conseguenza che in loro sia ogni genere di perfezione, e però che la figura ancora sia per¬ fetta, cioè sferica, e assolutamente e perfettamente sferica, e non aspera ed irregolare. Salv. E questa incorruttibilità da che la cavate voi ? Simp. Dal mancar di contrari immediatamente, e mediatamente dal moto semplice circolare. Salv. Talché, per quanto io raccolgo dal vostro discorso, nel co¬ stituir 1 ’ essenza de i corpi celesti incorruttibile, inalterabile etc., non v’ entra, come causa o requisito necessario, la rotondità ; che quando so questa cagionasse l’inalterabilità, noi potremo ad arbitrio nostro far incorruttibile il legno, la cera ed alti’e materie elementari, col ridurle in figura sferica. Simp. E non è egli manifesto che una palla di legno meglio e più s /^ 1 ?' i , " 0 n r ®" t è ti c b n ^; lungo tempo si conserverà che una guglia o altra torma angolare, ^mn^di più lunga fatta di altrettanto del medesimo legno ? Salv. Cotesto è verissimo, ma non però di corruttibile diverrà ella incorruttibile ; anzi resterà pur corruttibile, ma ben di più lunga du- HO DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Il corruttibile .ice- rata. Però è da notarsi che il corruttibile ò capace di più e di meno manou ù rtncomTuUale, potendo noi dire: « Questo ò men corruttibile di quello », come, hile ' per esempio, il diaspro è men corruttibile della pietra serena; ma P incorruttibile non l'icevo il più e ’l meno, sì che si possa dire : « Questo è più incorruttibile di quell’ altro », se amenduo sono in- Laperfezion diftgu. corruttibili ed eterni. La diversità dunque di figura non può operare nu 0 ubnl n ma°non C già so non nelle materie elio son capaci del più o del meno durare ; ma Mogi, oienu. nelle eterne, clic non posson essere se non egualmente eterne, cessa 1’ operazione della figura. E per tanto, già che la materia celeste non per la figura è incorruttibile, ma per altro, non occorre esser così io ansioso di questa perfetta sfericità, perché, quando la materia sarà incorruttibile, abbia pur che figura si voglia, ella sarà sempre tale. Sagù. Ma io vo considerando qualche cosa di più, e dico che, con- so i.i figura sforici, ceduto che la figura sferica avesse facilità di conferire 1’ incorrut- tutta corpi sarebbero’tibilità, tutti i coi-pi, di qualsivoglia figura, sarebbero eterni e in¬ corruttibili. Imperocché, essendo il corpo rotondo incorruttibile, la corruttibilità verrebbe a consistere in quelle parti che alterano la perfetta’ rotondità : come, per esempio, in un dado vi ò dentro una palla perfettamente rotonda, e come tale incorruttibile ; resta dunque che corruttibili sieno quelli angoli che ricuoprono ed ascondono la 20 rotondità ; al più dunque che potesse accadere, sarebbe che tali angoli e (per così dire) escrescenze si corrompessero. Ma se più internamente andremo considerando, in quelle parti ancora verso gli angoli vi son dentro altre minori palle della medesima materia, e però esse ancora, per esser rotonde, incorruttibili ; e così ne’ residui che circondano queste otto minori sferette, vi se ne possono intendere altre ; talché finalmente, risolvendo tutto il dado in palle innumerabili, bisognerà confessarlo incorruttibile. E questo medesimo discorso ed una simile resoluzione si può far di tutte le altre figure. Salv. Il progresso cammina benissimo : sì elio quando, v. g., un so cristallo sferico avesse dalla figura 1’ esser incorruttibile, cioè la fa¬ cilità di resistere a tutte le alterazioni interne ed esterne, non si vede che l’aggiugnerli altro cristallo e ridurlo, v. g., in cubo l’avesse ad alterar dentro, nè anco di fuori, sì che ne divenisse meno atto a resistere al nuovo ambiente, fatto dell’ istessa materia, che non era all’ altro di materia diversa, e massime se è vero che la corru¬ zione si faccia da i contrari, come dice Aristotile ; e di qual cosa si GIORNATA PRIMA. Ili può circondare quella palla di cristallo, che gli sia manco contraria del cristallo medesimo ? Ma noi non ci accorgiamo del fuggir del- 1’ ore, e tardi verremo a capo de’ nostri ragionamenti, se sopra ogni particulare si hanno da fare sì lunghi discorsi ; oltre che la memoria si confonde talmente nella multiplicità delle cose, che difficilmente posso ricordarmi delle proposizioni che ordinatamente aveva proposte il Sig. Simplicio da considerarsi. Simp. Io me ne ricordo benissimo ; e circa questo particulare della montuosità della Luna, resta ancora in piede la causa che io addussi io di tale apparenza, potendosi benissimo salvare con dir eh’ ella sia un’illusione procedente dall’esser le parti della Luna inegualmente opache o perspicue. Sagr. Poco fa, quando il Sig. Simplicio attribuiva le apparenti inegualità della Luna, conforme all’ opinione di certo Peripatetico amico suo, alle parti di essa Luna diversamente opache e perspicue, conforme a elio simili illusioni si veggono in cristalli e gemme di più sorti, mi sovvenne una materia molto più accomodata per rappresen¬ tar cotali effetti, e tale che credo certo che quel filosofo la paghe¬ rebbe qualsivoglia prezo ; e queste sono le madreperle, le quali si la- 20 vorano in varie figure, e benché ridotte ad una estrema liscezza; sembrano all’ occhio tanto variamento in diverse parti cave e colme, che appena al tatto stesso si può dar fede della loro egualità. Salv. Bellissimo è veramente questo pensiero ; e quel che non è stato fatto sin ora, potrebbe esser fatto un’ altra volta, e se sono state prodotte altre gemme e cristalli, che non han che fare con P illusioni delle madreperle, saran ben prodotte queste ancora. Intanto, per non tagliar 1’ occasione ad alcuno, tacerò la risposta che ci an¬ drebbe, e solo procurerò per ora di sodisfare alle obbiezioni portato dal Sig. Simplicio. Dico per tanto che questa vostra è una ragion so troppo generale, e come voi non 1’ applicate a tutte le apparenze ad una ad una che si veggono nella Luna, e per le quali io ed altri si son mossi a tenerla montuosa, non credo che voi siate per trovaro chi si soddisfaccia di tal dottrina ; nè credo che voi stesso nò 1’ autor medesimo trovi in essa maggior quiete, che in qualsivoglia altra cosa remota dal proposito. Delle molte e molte apparenze varie che si scor¬ gono di sera in sera in un corso lunare, voi pur una sola non ne po- ■ trete imitare col fabbricare una palla a vostro arbitrio di parti più Madreperle atto a imitar Tapparonto inegualità della su¬ perfìcie della Luna. Lo apparenti ine¬ gualità della Lumi non si possono imitar por via di più o meno opaco e perspicuo. 112 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Veduto varie della Luna imitabili con qualsivoglia materia opaca. Apparonzo vario dallo quali si argo¬ menta la montuosità nella Luna. « e meno opache e perspicue e che sia di superficie pulita; dove che, al- F incontro, di qualsivoglia materia solida o non trasparente si fabbri¬ cheranno palle le quali, solo con eminenze e cavità e col ricevere va¬ riamente F illuminazione, rappresenteranno F istesso viste e mutazioni a capello, che d’ ora in ora si scorgono nella Luna. In esse vedrete i dorsi dell’ eminenze esposte al lume del Sole chiari assai, o doppo di loro le proiezioni dell’ ombre oscurissime ; vedretele maggiori e mi¬ nori, secondo che esse eminenze si troveranno più o mono distanti dal confine che distingue la parte della Luna illuminata dalla tene¬ brosa ; vedrete F istesso termine e confine, non egualmente disteso io qual sarebbe so la palla fusse pulita, ma anfrattuoso e merlato ; ve¬ drete, oltre al detto termine, nella parte tenebrosa, molte sommità illuminate e staccate dal resto già luminoso ; vedrete F ombre sopra¬ dette, secondochè F illuminazione si va alzando, andarsi elleno dimi¬ nuendo, sinché del tutto svaniscono, nè più vedersene alcuna (piando tutto F emisferio sia illuminato ; all’incontro poi, nel passare il lume verso F altro emisfero lunare, riconoscerete F istesso eminenze osser¬ vate prima, e vedrete le proiezioni dell’ ombre loro farsi al contrario ed andar crescendo : delle quali coso torno a replicarvi che voi pur una non potrete rappresentarmi col vostro opaco e perspicuo. 20 Sagr. Anzi pur se ne imiterà una, cioè quella del plenilunio, quando, per esser il tutto illuminato, non si scorge più nò ombre nò altro che dalle eminenze 0 cavita riceva alcuna variazione. Ma di grazia, Sig. Salviati, non perdete più tempo in questo particolare, perchè uno che avesse avuto pazienza di far V osservazioni di una o due luna¬ zioni e non restasse capace di questa sensatissima verità, si potrebbe ben sentenziare per privo del tutto di giudizio; e con simili, a che consumar tempo e parole indarno ? Simp. Io veramente non ho fatte tali osservazioni, perchè non ho avuta questa curiosità, nò meno strumento atto a poterle fare; ina so voglio per ogni modo farle : e intanto possiamo lasciar questa que¬ stione in pendente e passare a quel punto che segue, producendo i motivi per i quali voi stimate che la Terra possa reflettere il lume del Sole non men gagliardamente che la Luna, perchè a me par ella tanto oscula ed opaca, che un tale effetto mi si rappresenta del tutto impossibile. Salv. La causa per la quale voi reputate la Terra inetta all’illa- GIORNATA PRIMA. 113 ininazione, non è altramente cotesta, Sig. Simplicio. E non sarebbe bella cosa che io penetrassi i vostri discorsi meglio che voi medesimo ? Simp. Se io mi discorra bene o male, potrebb’ esser che voi meglio di me lo conosceste ; ma, o bene o mal eh’ io mi discorra, che voi possiate meglio di me penetrar il mio discorso, questo non crederò io mai. Sai.v. Anzi vel farò io creder pur ora. Ditemi un poco : quando la Luna è presso che piena, sì che ella si può veder di giorno ed anco a meza notte, quando vi par ella più splendente, il giorno o la notte ? io SrMP. La notte, senza comparazione, e parrai che la Luna imiti L»n* apparisce più ’ x ’ -r risplendente In notte quella colonna di nugole e di fuoco che fu scorta a i figliuoli di 01,0 ’i giorno. Isdraele, che alla presenza del Sole si mostrava come una nugoletta, ma la notte poi era splendidissima. Così ho io osservato alcune volte di giorno tra certe nugolette la Luna non altramente che una di J^mavwhrtaaigtor- esse biancheggiante ; ma la notte poi si mostra splendentissima. Sai.v. Talché quando voi non vi foste mai abbattuto a veder la Luna se non di giorno, voi non 1’ avreste giudicata più splendida di una di quelle nugolette. Simp. Così credo fermamente. so Salv. Ditemi ora : credete voi che la Luna sia realmente più lu¬ cente la notte che ’1 giorno, o pur che per qualche accidente ella si mostri tale? Simp. Credo che realmente ella risplenda in sé stessa tanto di giorno quanto di notte, ma che T suo lume si mostri maggiore di notte perchè noi la vediamo nel campo oscuro del cielo ; ed il giorno, per esser tutto 1’ ambiente assai chiaro, sì che ella di poco lo avanza di luce, ci si rappresenta assai men lucida. Sai.v. Or ditemi : avete voi veduto mai in su la meza notte il globo terrestre illuminato dal Sole ? so Simp. Questa mi pare una domanda da non farsi se non per burla, o vero a qualche persona conosciuta per insensata affatto. Salv. No, no, io v’ho per uomo sensatissimo, e fo la domanda sul saldo : e però rispondete pure, e poi se vi parrà che io parli a spro¬ posito, mi contento d’ esser io l’insensato ; chò bene è più sciocco quello che interroga scioccamente, che quello a chi si fa interro¬ gazione. Simp. Se dunque voi non mi avete per semplice affatto, fate conto 114 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. eh’ io v’ abbia risposto, o detto che è impossibile che uno che sia in Terra, come siamo noi, vegga di notte quella parte della Terra dove è giorno, cioè che è percossa dal Solo. Salv. Adunque non vi ò toccato mai a veder la Terra illuminata se non di giorno ; ma la Luna la vedete anco nella più profonda notte risplendere in cielo : o questa, Sig. Simplicio, è la cagione che vi fa credere che la Terra non risplenda come la Luna; che se voi poteste veder la Terra illuminata mentrechò voi fuste in luogo tene¬ broso come la nostra notte, la vedreste splendida più elio la Luna. Ora, se voi volete che la comparazione proceda bene, bisogna far io parallelo del lume della Terra con quel della Luna veduta di giorno, e non con la Luna notturna, poiché non ci tocca a veder la Terra illuminata se non di giorno. Non sta così ? Simi*. Così è dovere. Salv. E perchè voi medesimo avete già confessato d’aver veduta la Luna di giorno tra nugolette biancheggianti e similissima, quanto all’ aspetto, ad una di esse, già primamente venite a confessare che Nugolo ulte ad os- quelle nugolette, che pur son materie elementari, son atte a ricever Solo non mono eh© la 1 illuminazione quanto la Luna, ed ancor piu, se voi vi ridurrete m fantasia d ! aver vedute talvolta alcune nugole grandissime, o candì- 20 dissime come la neve ; e non si può dubitare che so una tale si po¬ tesse conservar così luminosa nella più profonda notte, ella illumine¬ rebbe i luoghi circonvicini più che cento Lune. Quando dunque noi fussimo sicuri che la Terra si illuminasse dal Solo al pari di una di quelle nugolette, non resterebbe dubbio che ella fusse non meno ri- splendente della Luna. Ma di questo cessa ogni dubbio, mentre noi veggiamo le medesime nugole, nell’ assenza del Sole, restar la notte così oscure come la Terra ; e, quel che è più, non è alcuno di noi al quale non sia accaduto di veder più volte alcune tali nugole basse e lontane, e stare in dubbio se le fussero nugole 0 montagne : segno 00 evidente, le montagne non esser men luminose di quelle nugole. Sagr. Ma che più altri discorsi? Eccovi là su la Luna, che è più Muro illuminato dai di meza ; eccovi là quel muro alto, dove batte il Sole : ritiratevi in Solo.© paragonato con x 1 la Luna, lucido non qua, si che la Luna si vegga accanto al muro: guardate ora: che meno di quella. . , x . 7 0 vi par piu chiaro ? non vedete voi che, se vantaggio vi è, l’ha il muro ? Il Sole percuote in quella parete ; di lì si reverbera nelle pa¬ reti della sala; da quelle si reflette in quella camera, sì che in essa GIORNATA PRIMA. 115 arriva con la terza reflessione : e ad ogni modo son sicuro elio vi ò illumina più la tor- • % i -ì v ij . . • •» i _ za roilessiono d'un piu lume, che se direttamente vi arrivasse il lume della Luna. muro che in prima Si mi’. 0 questo non credo io, perchè quel della Luna, e massime ' ' una- quando eli’ è piena, è un grande illuminare. Sagk. Par grande per l’oscurità de i luoghi circonvicini ombrosi, ina assolutamente non è molto, ed è minore clie quel del crepuscolo Lume della Luna di mez’ ora doppo il tramontar del Sole ; il che è manifesto, perchè oroputcoio.* 11 quel . In somma io sento in me un’ estrema repugnanza nel potere ammettere questa società che voi vorreste persuadermi tra la Terra e la Luna, ponendola, come si dico, in ischiera con lo stelle ; chè, quando altro non ci fusse, la gran separazione 0 lontananza tra essa e i corpi celesti mi par che necessariamente concluda una grandis¬ sima dissimilitudine tra di loro. Salv. Vedete, Sig. Simplicio, quanto può un inveterato affetto ed una radicata opinione ; poiché è tanto gagliarda, che vi fa parer fa¬ vorevoli quello cose medesime che voi stesso producete contro di voi. 20 Che se la separazione e lontananza sono accidenti validi per persila- Affinità tra la Terra 0 la Luna rispetto alia vicinanza. dervi una gran diversità di nature, convien che per T opposito la vicinanza e contiguità importino similitudine: ma quanto è più vi¬ cina la Luna alla Terra che a qualsivoglia altro de i globi celesti? Confessate dunque, per la vostra medesima concessione (od averete anco altri filosofi per compagni), grandissima affinità esser tra la Terra e la Luna. Or seguitiamo avanti, e proponete se altro ci resta da considerare circa le difficultà che voi moveste contro le congruenze tra questi due corpi. Simf. Ci resterebbe non so che in proposito della solidità della so Luna, la quale io argumentava dall’ esser ella sommamente pulita c liscia, e voi dall’ esser montuosa. Un’ altra difficultà mi nasceva por il credere io che la reflessiou del mare dovesse esser, por 1 ’ egualità della, sua superficie, più gagliarda clic quella della terra, la cui su¬ perficie è tanto scabrosa ed opaca. Salv. Quanto al primo dubbio, dico che, sì come nelle parti della I erra, che tutte per la lor gravità conspirano ad approssimarsi quanto GIORNATA PRIMA. 123 più possono al centro, alcune tuttavia ne rimangono più remote elle 1’ altre, cioè le montagne più delle pianure, e questo per la lor so¬ lidità c durezza (che se fusser di materia fluida si spianerebbero), così il veder noi alcune parti della Luna restare elevate sopra la sfe¬ ricità delle parti più basso arguisco la loro durezza, perchè è credi¬ bile che la materia della Luna si figuri in forma sferica per la con¬ cordo conspiraziono di tutte le sue parti al medesimo centro. Circa l’altro dubbio, parmi che per le cose che aviamo considerate accader negli specchi, possiamo intender benissimo che la reflession del lume io che vien dal maro sia inferiore assai a quella che vien dalla terra) intendendo però della reflessione universale ; perchè quanto alla par¬ ticolare che la superficie dell’ acqua quieta manda in un luogo de¬ terminato, non ha dubbio che chi si constituirà in tal luogo, vedrà nell’ acqua un reflesso potentissimo, ma da tutti gli altri luoghi si vedrà la superficie dell’ acqua più oscura di quella della terra. E per mostrarlo al senso, andiamo qua in sala e versiamo un poco di acqua sul pavimento : ditemi ora, non si mostr’egli questo mattone bagnato più oscuro assai degli altri asciutti ? Certo sì, e tale si mostrerà egli rimirato da qualsivoglia luogo, eccettuatone un solo, e questo è quello 20 dove arriva il reflesso del lume che entra per quella finestra : tira- •Solidità del globo lunare si argomenta dall* esser montuoso. Roflession del lume più debile dal mare elio dalla terra. Esperienza che mo¬ stra la reflession del- l'acqua men chiara di quella dolla terra. tevi adunque indietro pian piano. Simp. Di qui veggo io la parte bagnata più lucida del resto del pavimento, e veggo che ciò avviene perchè il reflesso del lume, cho entra per la finestra, viene verso di me. Salv. Quel bagnare non ha fatto altro che riempier quelle piccole cavità che sono nel mattone e ridur la sua superficie a un piano esquisito, onde poi i raggi reflessi vanno uniti verso un medesimo luogo : ma il resto del pavimento asciutto ha la sua asprezza, cioè una innumerabil varietà di inclinazioni nelle sue minime particelle, 30 onde le reflessioni del lume vanno verso tutte le parti, ma più debili che se andasser tutte unite insieme ; e però poco o niente si varia il suo aspetto per riguardarlo da diverse bande, ma da tutti i luoghi si mostra l’istesso, ma ben men chiaro assai che quella reflession della parte bagnata. Concludo per tanto che la superfìcie del mare, veduta dalla Luna, sì come apparirebbe egualissima (trattorie le isole e gli scogli), così apparirebbe men chiara che quella della terra, montuosa e ineguale. E se non fusse eh’ io non vorrei parer, come si dice, di 124 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Luco secondaria dolla Luna più chiara innanzi la congiuri¬ no no elio doppo. volerne troppo, vi dirci d aver osservato nella Luna quel lume secoli- (lario, ch’io dico venirle dalla rcflession del globo terrestre, esser nota- b il monte più chiaro due o tre giorni avanti la congiunzione elio doppo, cioè quando noi la veggiamo avanti 1 alba in oriente elio quando si vede la sera, doppo il tramontar del Sole, in occidente ; della qual dif¬ ferenza ne è causa che 1’ emisferio terrestre che si oppone alla Luna orientale ha poco mare ed assaissima terra, avendo tutta l’Asia, dovecliò, quando ella è in occidente, riguarda grandissimi mari, cioè tutto l’Oceano Atlantico sino allo Americhe : argomento assai probabile del mostrarsi meno splendida la superficie dell’ acqua che quella della terra, io Simp. Ma credete voi forse che quello gran macchio elio si veg¬ gono nella faccia della Luna, siano mari, c ’l resto più chiaro, terra o cosa tale?’” Saly. Questo che voi domandate è il principio dello incongruenze eh’ io stimo esser tra la Luna e la Terra, dallo quali sarà tempo che noi ci sbrighiamo, elio pur troppo siamo dimorati in questa Luna. Dico dunque che quando in natura non fosse altro che un modo solo per far apparir due superficie, illustrate dal Sole, una più chiara del- 1’ altra, e che questo fosse por esser una di terra o 1’ altra di acqua, bisognerebbe necessariamente dire che la superficie della Luna fosse 20 parte terrea e parte aquea ; ma perchè vi sono più modi conosciuti da noi, che posson cagionare il medesimo effetto, ed altri por avven¬ tura ne posson essere incogniti a noi, però io non ardirei di affer¬ mare, questo più che quello esser nella Luna. Già si è veduto di sopra come una piastra d’ argento bianchito, col toccarlo col brunitoio, di candido si rappresenta oscuro ; la parte umida della Terra si mostra più oscura della arida ; ne i dorsi delle montagne, lo parti silvose ap¬ pariscono assai più fosche delle nude e sterili ; ciò accade, perchè tra ll) Le lin. 11-13 erano state omesse, per Ma nell' esemplare posseduto dalla Biblio- errore di stampa, nell’ edizione originale, 0 teca del Seminario di Padova, in vece del in molti esemplari di questa si trovano ag- cartellino stampato, è scritto di mano di giunte su di un cartellino stampato, che è Galileo, pur sul margine, quanto ap- incollato sul margine sinistro della pagina, presso : « Simp. Adunque, per vostro credere, ella farebbe un aspetto si¬ mile a quello che noi veggiamo nella Q)> delle 2 parti massime. Ma «o credete voi forse tee. continuando poi come nel cartellino stampato. GIORNATA PRIMA. 125 lo piante casca gran quantità di ombra, ed i luoghi aprici son tutti illuminati dal Sole ; e questa mistione di ombre opera tanto, che voi vedete ne i velluti a opera il color della seta tagliata mostrarsi molto più oscuro che quel della non tagliata, mediante le ombre dissemi¬ nate tra pelo e pelo, ed il velluto piano parimente assai più fosco che un ermisino fatto della medesima seta : sì che quando nella Luna fos¬ sero cose che imitassero grandissime selve, l’aspetto loro potrebbe rappresentarci le macchie che noi vcggiamo ; una tal differenza fa¬ rebbero s’elle fusser mari ; e finalmente non repugna che potesse io esser che quelle macchie fosser realmente di color più oscuro del rima¬ nente, che in questa guisa la neve fa comparir le montagne più chiare. Quello che si vede manifestamente nella Luna è che le parti più oscure Le parti più oscuro . , , , dolili Luna son piane, son tutte pianure, con pochi scogli e argini uentrovi, ma pur ve ne « >•> ciliare mon- • • • % t . , tuono. son alcuni : il restante più chiaro è tutto pieno di scogli, montagne, arginetti rotondi e di altre figure ; ed in particolare intorno alle mac- intorno alio m« c - ° . - Ghie delle Luna sono chie sono grandissime tirate di montagne. Dell’ esser le macchie su- iungho tirato in mon- . . . . . . . taglio. perfide piane, ce ne assicura il veder come il termine che distingue la parte illuminata dall’ oscura, nel traversar le macchie fa il taglio eguale, ma nelle parti chiare si mostra per tutto anfrattuoso e merlato. 20 Ma non so già se questa egualità di superficie possa esser bastante per sè sola a far apparir 1’ oscurità, e credo più tosto di no. Reputo, oltre a questo, la Luna differentissima dalla Terra, perchè, se bene io mi immagino che quelli non sien paesi oziosi e morti, non affermo Ndk Lun11 ° x A ... generano coso simili nero che vi sieno movimenti e vita, e molto meno che vi si generino a . lle . «ostie, m» divor- a 1 w sissimo, quando pur piante, animali o altre cose simili alle nostre, ma, se pur ve n’ è, fus- vi sin generazione, sero diversissime, e remote da ogni nostra immaginazione : e muo- vorni a così credere, perchè, primamente, stimo che la materia del globo lunare non sia di terra e di acqua, e questo solo basta a tor Luna non composi» via le generazioni e alterazioni simili alle nostre ; ma, posto anco che so lassù fosse acqua e terra, ad ogni modo non vi nascerebbero piante ed animali simili a i nostri, e questo per due ragioni principali. La prima è, che per le nostre generazioni son tanto necessarii gli aspetti ce ^f i tt p i 0 r°]e“Joit“ó variabili del Sole, che senza essi il tutto mancherebbe: ora le abi-f® 1 , ? 0 “f l i “ , ^° n nsono tudini del Sole verso la Terra son molto differenti da quelle verso la Luna. Noi, quanto all’ illuminazion diurna, abbiamo nella'maggior Dar te della Terra ogni ventiquattr’ore parte di giorno e parte di Giorni naturali noi- 1 ° ... la Luna sono di un notte, il quale effetto nella Luna si la in un mese ; e quello abbas- mone r uno. 126 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEE MONDO. samouto ed alzamento annuo per il quale il Sole ci apporta lo diverso stagioni o la disegualità de i giorni e dello notti, nella Luna si finisco Aiin Luna il Solo pur in un mese ; e dove il Solo a noi si alza ed abbassa tanto, olio divoraitò cu gradi io, dalla massima alla minima altezza vi corre circa quarantasette gradi ed Mia rena d t grn-di ^j£f erenza> c i 0 è quanta è la distanza dall’uno all’altro tropico, nella Luna non importa altro che gradi dieci o poco più, che tanto importano le massime latitudini del dragone di qua o di là dall’eclit¬ tica. Considerisi ora qual sarebbe l’azion del Sole dentro alla zona torrida quando e’ durasse quindici giorni continui a ferirla con i suoi raggi, elio senz’altro s’intenderà che tutto le piante lo erbe o io gli animali si dispergerebbero; o so pur vi si facessero generazioni sarebber di erbe piante ed animali diversissimi da i presenti. Secon- Noiia Luna non so-dariamente, io tengo per fermo elio nella Luna non siano uioo-fre no piogge. # # 1 oc ) perchè quando in qualche parte vi si congregassero nugole, conio intorno alla Terra, ci verrebbero ad asconderò alcuna di quelle coso che noi col telescopio veggiamo nella Luna, od in somma in qualcho particella ci varierebbe!’ la vista ; effetto elio io per lunghe o dili¬ genti osservazioni non ho veduto mai, ma sempre vi ho scorto una uniforme serenità purissima. Sagr. A questo si potrebbe rispondere, o elio vi fossero grandis- 20 sime rugiade, 0 che vi piovesse ne i tempi della lor notte, cioè quando il Solo non la illumina. Salv. Se per altri riscontri noi avessimo indizii che in essa si fa- cesser generazioni simili allo nostre, e solo ci mancasse il concorso delle piogge, potremmo trovarci questo o altro temperamento che supplisse in vece di quelle, come accade nell’ Egitto dell’ inondazione del Nilo ; ma non incontrando accidente alcuno che concordi co i nostri, de’ molti che si ricercherebbero per produrvi gli effetti simili, non occorre afifaticai’si per introdurne un solo, e quello anco non perchè se n’ abbia sicura osservazione, ma per una semplice non re- 30 pugnanza. Oltre che, quando mi fosse domandato quello che la prima apprensione ed il puro naturale discorso mi detta circa il prodursi là cose simili o pur differenti dalle nostre, io direi sempre, differentis¬ sime ed a noi del tutto inimmaginabili, chè così mi pare che ricerchi la x’icchezza della natura e 1’ onnipotenza del Creatore e Governatore. Sagr. Estrema temerità mi è parsa sempre quella di coloro che voglion far la capacità umana misura di quanto possa e sappia operar GIORNATA PRIMA. 127 la natura, dove che, all’ incontro, e’ non è effetto alcuno in natura, per minimo che e’ sia, all’ intera cognizion del quale possano arrivare i più specolativi ingegni. Questa cosi vana presunzione d’intendere il tutto non può aver principio da altro che dal non avere inteso inai nulla, perchè, quando altri avesse esperimentato una volta sola a intender perfettamente una sola cosa ed avesse gustato veramente come è fatto il sapere, conoscerebbe come dell’ infinità dell’ altre con¬ clusioni niuna ne intende. Saly. Concludentissimo è il vostro discorso ; in confermazion del io quale abbiamo 1’ esperienza di quelli che intendono o hanno inteso qualche cosa, i quali quanto più sono sapienti, tanto più conoscono e liberamente confessano di saper poco; ed il sapientissimo della Gre¬ cia, e per tale sentenziato da gli oracoli, diceva apertamente conoscer di non saper nulla. Simf. Convien dunque dire, o che 1’ oracolo, o l’istesso Socrate, fusse bugiardo, predicandolo quello per sapientissimo, e dicendo questo dì conoscersi- ignorantissimo. Saly. Non ne seguita nè 1’ uno nè 1’ altro, essendo che amendtie i pronunziati posson esser veri. Giudica 1’ oracolo sapientissimo So- 20 crate sopra gli altri uomini, la sapienza de i quali è limitata ; si co¬ nosce Socrate non saper nulla in relazione alla sapienza assoluta, clic è infinita ; e perchè dell’ infinito tal parte n’ è il molto che ’l poco e che il niente (perchè per arrivar, per esempio, al numero infinito tanto è 1’ accumular migliaia, quanto decine e quanto zeri), però ben conosceva Socrate, la terminata sua sapienza esser nulla all’infinita, clic gli mancava. Ma perchè pur tra gli uomini si trova qualche sa¬ pere, e questo non egualmente compartito a tutti, potette Socrate averne maggior parte de gli altri, e perciò verificarsi il responso del- l’oracolo. 30 Sagr. Panni di intender benissimo questo punto. Tra gli uomini, Sig. Simplicio, è la potestà di operare, ma non egualmente partici- pata da tutti : e non è dubbio che la potenza d’un imporadore è maggiore assai che quella d’una persona privata ; ma e questa e quella è nulla in comparazione dell’ onnipotenza divina. Tra gli uo¬ mini vi sono alcuni che intendon meglio 1’ agricoltura che molti altri ; ma il saper piantar un sermento di vite in una fossa, che ha da far col saperlo far barbicare, attrarre il nutrimento, da quello scierre Il non avor mai in¬ toso nulla perfetta¬ mente fu elio alcuni erodono d’intender il tutto. Responso doli’ ora¬ colo voro in giudicar Socia tosnpientissimo. 128 pialooo sornA r due massimi sistemi del mondo. questa parte buona per farne lo foglio, quest’ altra per formarne i viticci, quella per i grappoli, quell’altra por l’uva, ed un’altra per i fiocini, che son poi l’opere della sapientissima natura? Questa ò una sola opera particolare dello innumerabili elio fa la natura, ed in essa Sapor divino infili!- sola si conosce un’infinita sapienza, talché si può concludere, il saper lo volto infinito. ... . . n .. . n divino esser infinite volte infinito. Sady. Eccone un altro esempio. Non direni noi elio ’l sapere sco- Buonmruoti d'ingo- prire in un marmo una bellissima statua ha sublimato l’ingegno del gno subbi imo. , , . i** • *ii*ia_* , , * Buonatruoti assai assai sopra gli ingegni comuni degli altri uomini? E questa opera non è altro elio imitare una sola attitudine o dispo- io sizion di membra esteriore e superficiale d’ un uomo immobile ; o però elio cosa è in comparazione d’ un uomo fatto dalla natura, composto di tante membra esterne ed interne, do i tanti muscoli, tendini, nervi, ossa, che servono a i tanti o sì diversi movimenti ? Ma elio diremo de i sensi, dello potenze dell’ anima, e finalmente dell’ intenderò ? non possiamo noi dire, e con ragione, la fabbrica d’una statua cederò d’infinito intervallo alla forinazion d’ un uomo vivo, anzi anco alla formazion d’ un vilissimo verme? Sagr. E qual differenza crediamo elio fosso tra la colomba d’Àr- chita ed una della natura ? 20 Simp. 0 io non sono un di quegli uomini che intendano, o ’n que¬ sto vostro discorso ò una manifesta contradizione. Voi tra i mag¬ giori encomii, anzi pur per il massimo di tutti, attribuito all’uomo, fatto dalla natura, questo dell’ intendere ; 0 poco fa dicovi con So¬ crate che 1 suo intendere non era nulla ; adunque bisognerà diro che nè anco la natura abbia inteso il modo di fare un intelletto che intenda. Salv. Molto acutamente opponete ; e per rispondere all’ obbiezione, convien ricorrere a una distinzione filosofica, dicendo elio l’intendere si può pigliare in due modi, cioè intensive o vero extensivc : e che exten- 20 l uomo intendo «s- sive, cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili, elio sono infiniti, extensive. 1 intender umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perchè mille rispetto all’ infinità è conio un zero ; ma pigliando V intendere intensive, in quanto cotal termine importa inten¬ sivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, dico che V intel¬ letto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così asso¬ luta certezza, quanto se n’abbia l’istessa natura ; e tali sono le scienze GIORNATA PRIMA. l‘29 matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica, delle quali 1* in¬ telletto divino ne sa bene infinito proposizioni di più, perchè le sa tutte, ma di quelle poche intese dall’ intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore. Simp. Questo mi pare un parlar molto resoluto ed ardito. Salv. Queste son proposizioni comuni e lontane da ogni ombra di temerità o d’ ardire e che punto non detraggono di maestà alla di¬ io vina sapienza, sì come niente diminuisce la Sua onnipotenza il diro che Iddio non può fare che il fatto non sia fatto. Ma dubito, Sig. Sim¬ plicio, che voi pigliate ombra per esser state ricevute da voi le mie parole con qualche equivocazione. Però, per meglio dichiararmi, dico che quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l’istessa che conosce la sapienza divina ; ma vi concederò bene che il modo col quale Iddio conosce le infinite prò- Modo dì conosco™ . . # diDiodivorsoda quel- posizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche, e sommamente piu io de gii uomini, eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e con passaggi di intenderò umano ^ x t . . fatto por discorso. conclusione in conclusione, dove il Suo è di un semplice intuito : e 20 dove noi, per esempio, por guadagnar la scienza d’ alcune passioni del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle più semplici e quella pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un’ al¬ tra, e da questa alla terza, e poi alla quarta etc., l’intelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza comprende, senza tem- lo quali anco Definizioni com¬ prendono virtualmen- poi in effetto virtualmente si comprendono nelle definizioni di tutte to tutto io passioni 1 x dello coso definite. le cose, e che poi finalmente, per esser infinite, forse sono una sola Passioni infinite so- 1 % .. . .. no forse una sola. nell’ essenza loro e nella mente divina. Il che ne anco all intelletto umano è del tutto incognito, ma ben “da profonda e densa caligine so adombrato, la qual viene in parte assottigliata e chiarificata quando ci siamo fatti padroni di alcune conclusioni fermamente dimostrato e tanto speditamente possedute da noi, che tra esse possiamo velo¬ cemente trascorrere : perchè in somma, che altro è 1’ esser nel trian¬ golo il quadrato opposto all’ angolo retto eguale a gli altri due che gli sono intorno, se non 1’ esser i parallelogrammi sopra base co¬ mune e tra le parallele, tra loro eguali ? e questo non è egli final¬ mente il medesimo, che essere eguali quelle due superficie cho adat- 17 poraneo discorso, tutta la infinità di quelle passioni ; VII. 130 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. tate insieme non si avanzano, ma si raccliiuggono dentro al medesimo Pnssiij’j'i fatti co» termine? Or questi passaggi, elio 1 intelletto nostio fa con tempo q umano,l’intoilèttocii° con moto di passo in passo, l’intelletto divino, a guisa di luce, tra- oioè gii hu ‘"omino scorre in un instante, elio è l’istesso che dire, gli ha sempre tutti piesontl ‘ presenti. Concludo per tanto, l’intender nostro, e cpianto al modo e quanto alla moltitudine delle cose intese, esser d’infinito intervallo superato dal divino ; ma non però 1’ avvilisco tanto, eli’ io lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando io vo considerando quante e quanto maravigliose cose hanno intese investigato ed operato gli uomini, pur troppo chiaramente conosco io ed intendo, esser la mente umana opera io di Dio, e delle più eccellenti. Sagù. Io son molte volte andato meco medesimo considerando, in ingegno umano mi- proposito di questo che di pi esente dite, quanto grande sia 1 acu¬ itilo m acute/n. £ ez;za c ] e q> ingegno umano ; e mentre io discorro per tante o tanto maravigliose invenzioni trovate da gli uomini, sì nelle arti come nelle lettere, e poi fo reflessione sopra il saper mio, tanto lontano dal po¬ tersi promettere non solo di ritrovarne alcuna di nuovo, ma anco di apprendere delle già ritrovate, confuso dallo stupore ed afflitto dalla disperazione, mi reputo poco meno che infelice. S’io guardo alcuna statua delle eccellenti, dico a me medesimo : « E quando sapresti 20 levare il soverchio da un pezzo di marmo, e scoprire sì bella figura che vi era nascosa? quando mescolare e distendere sopra una tela o parete colori diversi, e con essi rappresentare tutti gli oggetti vi¬ sibili, come un Michel agnolo, un Raffaello, un Tiziano ?» S’io guardo quel che hanno ritrovato gli uomini nel compartir gl’ intervalli musici, nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con diletto mirabile dell’ udito, quando potrò io finir di stupire ? Che dirò de i tanti e sì diversi strumenti ? La lettura de i poeti eccellenti di qual meraviglia riempie chi attentamente considera l’invenzion de’ con¬ cetti e la spiegatura loro ? Che diremo dell’architettura? che dell’arte so navigatoria ? Ma sopra tutte lo invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s’immaginò di trovar modo di co- h c h voi-')uì“Zor segreti da far melanconico, tutti i piu elovati ingegni del mondo non aver veramente scritto mai d’ altro che del modo di far 1’ oro, ma, per dirlo senza palesarlo al volgo, esser andati ghiribizando chi questa e chi quel- P altra maniera di adombrarlo sotto varie coperto : e piacevolissima cosa è il sentire i conienti loro sopra i poeti antichi, ritrovando i misteri importantissimi che sotto le favole loro si nascondono, e quello io che importino gli amori della Luna, o ’l suo scendere in Terra per Endimione, P ira sua contro Atteone, e quando Giove si converte in pioggia d’ oro, e quando in fiamme ardenti, e quanti gran segreti dell’ arte sieno in quel Mercurio interprete, in quei ratti di Plutone, in quei rami d’ oro. Simf. Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de’ cer¬ velli molto stravaganti, le vanità de’ quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d’Aristotile, del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto ; e la sola antichità, e ’l gran nome che si è acquistato nelle menti di tanti uomini segnalati, dovrebbe bastar 20 a renderlo riguardevole appresso di tutti i lettorati. _ . Saly. Il fatto non cammina così, Sig. Simplicio : sono alcuni suoi piatoti lo sciamano la . reputazione di quello seguaci troppo pusillanimi, che danno occasione, o, per dir meglio col troppo volargliela , , ,, . ,. . \ . , . ’ che darebbero occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze. E voi, ditemi in grazia, sete così sem¬ plice che non intendiate che quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano ? Avete voi forse dubbio che quando Aristotile vedesse lo novità scoperto in cielo, e’ non fusse so per mutar opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine, discacciando da sò quei così poveretti di cer¬ vello che troppo pusillanimamente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando tutti gli altri come pecoi'e stolide, volesse che i suoi decreti fussero anteposti Alcuni 8oguapi d’A* accrescerò. GIORNATA SECONDA. 137 «a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno data 1’ autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usur¬ pata o presa ; e perchè è più facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che ’l comparire a faccia aperta, temono nè si ardiscono d’ al¬ lontanarsi un sol passo, e più tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente negar quelle cho veggono nel cielo della natura. Sagù. Questi tali mi fanno sovvenire di quello scultore, che avendo ridotto un gran pezzo d i marmo all’ immagine non so se d’ un Ercole io o di un Giove fulminante, e datogli con mirabile artifizio tanta vi¬ vacità c fierezza che moveva spavento a chiunque lo rimirava, esso ancora cominciò ad averne paura, se ben tutto lo spirito e la mo¬ venza era opera delle sue mani ; e ’l terrore era tale, che più non si sarebbe ardito di affrontarlo con le subbie e ’l mazzuolo. Salv. Io mi son più volte maravigliato come possa esser che questi puntuali mantenitori d’ ogni detto d’Aristotile non si accorgano di quanto gran progiudizio e’sieno alla reputazione ed al credito di quello, e quanto, nel volergli accrescere autorità, gliene detraggano ; perchè, mentre io gli veggo ostinati in voler sostener proposizioni le quali 2 o io tocchi con mano esser manifestamente false, ed in volermi persua¬ dere che così far convenga al vero filosofo e che così farebbe Ari¬ stotile medesimo, molto si diminuisce in me 1’ opinione che egli abbia rettamente filosofato intorno ad altre conclusioni a me più recon¬ dite : che quando io gli vedessi cedere e mutare opinione per le ve¬ rità manifeste, io crederei che in quelle dove e’ persistessero, potessero avere salde dimostrazioni, da ine non intese o sentite. Sagh. 0 vero, quando gli paresse di metter troppo della lor re¬ putazione o di quella d’Aristotile nel confessar di non aver saputa questa o quella conclusione ritrovata da un altro, non sarebb’ ei 30 manco male il ritrovarla tra i suoi testi con 1’ accozzarne diversi, conforme alla prattica significataci dal Sig. Simplicio ? perchè se vi è ogni scibile, è ben anco forza che vi si possa ritrovare. Salv. Sig. Sagredo, non vi fate beffe di questo avvedimento, cho mi par che lo proponghiate burlando ; perchè non è gran tempo che avendo un filosofo di gran nome composto un libro dell’ anima, nel quale, in riferir l’opinione d’Aristotile circa l’esser o non essere immortale, adduceva molti testi, non già de i citati da Alessandro, VII. 18 Caso ridicolo di cer¬ to acuitolo. 138 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. perchè in quelli diceva che Aristotile non trattava nè anco di tal materia, non che determinasse cosa veruna attenente a ciò, ma altri da sè ritrovati in altri luoghi reconditi, che piegavano al senso per- nizioso, e venendo avvisato che egli avrebbe avute delle difficultà nel Oportuna vosoiu-farlo licenziare, riscrisse all’amico che non però restasse di procu- ziono <ìi un filosofo / , 1 poripatetico. rame la spedizione, perchè, quando non se gli intraversasse altro osta¬ colo, non aveva cìilftcultà niuna circa il mutare la dottrina d’Aristo- tile, e con altre esposizioni e con altri testi sostener l’opinion contraria, pur conforme alla mente d’Aristotile. Sagr. 0 questo dottor sì, che mi può comandare, che non si vuol io lasciar infinocchiar da Aristotile, ma vuol esso menar lui per il naso e farlo dire a suo modo ! Vedete quanto importa il saper pigliar il tempo opportuno ! Ei non si deve ridurre a negoziar con Ercole men¬ tre è imbizarrito e su le furie, ma quando sta favoleggiando tra le Pusillanimità di al- Meonie ancelle. Ah viltà inaudita d’ingegni servili ! farsi spontanea- cuni seguaci d’Ari- 0 ° 1 stotiie. niente mancipio, accettar per inviolabili decreti, obligarsi a chiamarsi persuaso e convinto da argomenti che sono tanto efficaci e chiara¬ mente concludenti, clic gli stessi non sanno risolversi s’ e’ sien pure scritti in quel proposito e se e’ servano per provar quella tal con¬ clusione ! Ma dichiamo la pazzia maggiore : che tra lor medesimi sono 20 ancor dubbi, se ristesso autore abbia tenuto la parte affermativa 0 la negativa. È egli questo un far loro oracolo una statua di legno, ed a quella correr per i responsi, quella temere, quella riverire, quella adorare ? Simp. Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia ? nominate voi qualche autore. Salv. Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida ; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. Nò perciò 30 dico io che non si dova ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e AriltoTii^'ò ^iashue- diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in ma- vol °* nicra che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile ; il che ò un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d’intender la forza delle sue dimostrazioni. L qual cosa ò più vergognosa che ’1 sentir nelle publiche dispute, men- GIORNATA SECONDA. 139 tre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir un di traverso con un testo, e bone spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all’ avversario ? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria ; che non conviene che quelli che non Non conviono elio filosofano mai, si usurpino 1’ onorato titolo di filosofo. Ma è ben ritor- «ì'UurpMrtitotedi nare a riva, per non entrare in un pelago infinito, del quale in tutt’ oggi non si uscirebbe. Però, Sig. Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, o non con testi io e nude autorità, perchè i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta. E perchè nel di¬ scorso di ieri si cavò dalle tenebro e si espose al cielo aperto la Terra, mostrando che ’1 volerla connumerare tra quelli che noi chia¬ miamo corpi celesti non era proposizione talmente convinta e pro¬ strata che non gli restasse qualche spirito vitale, seguita che noi andiamo esaminando quello che abbia di probabile il tenerla fissa e del tutto immobile, intendendo quanto al suo intero globo, e quanto possa avere di verisimilitudine il farla mobile di alcun movimento, e di quale : e perchè in tal quistione io sono ambiguo, ed il Sig. Sim- 20 plicio risoluto, insieme con Aristotile, per la parte dell’ immobilità, egli di passo in passo andrà portando i motivi per la loro opinione, ed io le risposte e gli argomenti per la parte contraria, ed il Sig. Sagredo dirà i moti dell’ animo suo ed in qual parte e’ si sentirà tirare. SiYGTt. Io son molto contento, con questo però che a me ancora resti libertà di produrre quel che mi dettasse talora il discorso sem¬ plice naturale. Salv. Anzi di cotesto io in particolare ve ne supplico ; perchè delle considerazioni più facili e, per così dire, materiali, credo elio poche ne sieno state lasciate indietro da gli scrittori, talché solamente so qualcuna delle più sottili e recondite può desiderarsi e mancare ; e per investigar queste, qual altra sottigliezza può esser più atta di quella dell’ ingegno del Sig. Sagredo, acutissimo e perspicacissimo ? Sagr. Io son tutto quel che piace al Sig. Salviati, ma di grazia non mettiam mano in un’ altra sorte di diversioni di cerimonie, per¬ chè ora son filosofo, e sono in scuola e non al Broio. Salv. Sia dunque il principio della nostra contemplazione il con¬ siderare che qualunque moto venga attribuito alla Terra, è neces- 110 DIALOGO SOrRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. sario elio a noi, come abitatori di quella ed in conseguenza partecipi i moti delia Tona del medesimo, oi resti del tutto impercettibile e corno s’ o’ non fusse, gii abitatori in quella, mentre elio noi riguardiamo solamente allo coso terrestri j ma e bene, all’ incontro, altrettanto necessario elio il medesimo movimento ci si rappresenti comunissimo di tutti gii altri corpi ed oggetti visibili che, DoiiaTonanonpos-essendo separati dalla Iona, mancano di quello. A tal elio il vero vimeuti dio quelli olio metodo por investigare so moto alcuno si può attiibuiro alla terra, M?°oom un unta tt o° i e, potendosi, quale e’ sia, è il considerare ed osservare so ne i corpi trattone la Tomi, separati dalla Terra si scorge apparenza alcuna di movimento, il quale egualmente competa a tutti ; perche un moto che solamente io si scorgesse, v. g., nella Luna, e che non avesse che. far niente con Venere o con Giove nè con altre stello, non potrebbe in veruna ma- Molo diurno si mo- mera esser della Terra, nè di altri che della Luna. Ora, ci è un moto tutto l’universo, trat- generalissimo e massimo sopra tutti, ed e quello per u quale il Sole, la tono il globo terrestre. T ■* . n n i • i> • ... Luna, gli altri pianeti e le stelle nsse, od m somma 1 universo tutto, trattane la sola Terra, ci appariscono unitamente muoversi da oriente verso occidente dentro allo spazio di venti quatti-’ ore, o questo, in quanto a questa prima apparenza, non lui repugnauza di potere esser tanto della Terra sola, quanto di tutto il resto del mondo, trattone la Terra ; imperocché le medesime apparenze si vedrebbero tanto 20 AristotileoToiomoo nell’ una posizione quanto nell’ altra. Quindi è che Aristotile e Tolo- argomentano contro n* ì . . , . al moto diurno attri-meo, come quelli che avevano penetrata questa considerazione, nel Imito alla Terra. , i m • i , voler provare la terra esser immobile, non argumentano contro ad altro movimento clie a questo diurno ; salvo però che Aristotile tocca un non so che contro ad un altro moto attribuitogli da un antico, del quale parleremo a suo luogo. Sagk. Io resto molto ben capace della necessità con la quale con¬ clude il vostro discorso, ma mi nasce un dubbio, del quale non so liberarmi : e questo è, che attribuendo il Copernico alla Terra un altro movimento oltre al diurno, il quale, per la regola pur ora di- 30 chiarata, dovrebbe restare a noi, quanto all’ apparenza, impercetti¬ bile nella Terra, ma visibile in tutto il resto del mondo, panni di poter necessariamente concludere, 0 che egli abbia manifestamente errato nell’ assegnare alla Terra un moto del quale non apparisca in cielo la sua generai corrispondenza, o vero che, se la rispondenza vi è, altrettanto sia stato manchevole Tolomeo a non reprovar questo, sì come reprovò 1’ altro. GIORNATA SECONDA. 141 Salv. Gioito ragionevolmente avete dubitato ; e quando verremo a trattare dell’ altro movimento, vedrete di quanto intervallo abbia il Copernico superato di accortezza e perspicacità d’ingegno Tolomeo, mentre egli lia veduto quello che esso non vedde, dico la mirabil corrispondenza con la quale tal movimento si reflette in tutto il resto de i corpi celesti. Ma per ora sospendiamo questa parte e torniamo alla prima considerazione ; intorno alla quale andrò proponendo, co¬ minciandomi dalle cose più generali, quelle ragioni che par che favo¬ riscano la mobilità della Terra, per sentir poi dal Sig. Simplicio le jo repugnanti. E prima, se noi considereremo solamente la molo im¬ mensa della sfera stellata, in comparazione della piccolezza del globo Moto .diamo pereto . . . piti pròbabUmón tede- terrestre, contenuto da quella per tanti milioni di volte, e piu pen- va esser delia Tona 7 _ . . . «ola, che del resto dei- seremo alla velocità del moto che devo in un giorno e in una notte rumverso, fare una intera conversione, io non mi posso persuadere che trovar si potesse alcuno che avesse por cosa più ragionevole e credibile che la sfera celeste fusse quella che desse la volta, ed il globo terrestre restasse fermo. Sagr. Se per tutta V università degli effetti che possono aver in natura dependenza da movimenti tali, seguissero indifferentemente 20 tutte le medesime conseguenze a capello tanto dall’ una posizione quanto dall’ altra, io, quanto alla mia prima e generale apprensione, stimerei che colui che reputasse più ragionevole il far muover tutto l’universo, per ritener ferma la Terra, fusse più irragionevole di quello che, sendo salito in cima della vostra Cupola non per altro che per dare una vista alla città ed al suo contado, domandasse che se gli facesse girare intorno tutto il paese, acciò non avesse egli ad aver la fatica di volger la testa : e ben vorrebbero esser molte o grandi le comodità che si traesser da quella posizione e non da questa, che pareggiassero nel mio concetto e superasser questo assurdo, sì che mi 3o rendesser più credibile quella che questa. Ma forse Aristotile, l olo- meo e il Sig. Simplicio ci devono trovare i lor vantaggi, li quali sarà bene che sien proposti a noi ancora, se vi sono, o mi sia dichia¬ rato come e’ non vi sieno nè possano essere. Salv. Io sì come, per molto che ci abbia pensato, non ho potuto trovar diversità alcuna, così mi par d’ aver trovato che diversità al¬ cuna non vi possa essere ; onde io stimo il più cercarla esser in vano. Però notate : il moto in tanto è moto e come moto opera, in quanto 142 dialogo sopra r dui: massimi sistemi del mondo. Il moto por lo coso olio di osso egualmen¬ te si muovono ò conio so noi» fosso,ed in tan¬ to opera in quanto lm relazione a cose elio di osso mancano. Proposiziono presa da Aristotile da gli an¬ tichi, ma altorata. Primo discorso per provar,il moto diurno esser della Terra. ha relazione a cose che di esso mancano ; ma tra le cose clic tutte ne partecipano egualmente, niente opera ed ò come s’ e’ non fusse: e cosi lo mercanzie dello quali ò carica la nave, in tanto si muo¬ vono, in quanto, lasciando Venezia, passano per Corfù, por Candia, per Cipro, o vanno in Aleppo, li quali Venezia, Corfù, Candia etc. restano, nò si muovono con la nave ; ma per lo hallo, casse od altri colli, de’ quali è carica c stivata la nave, e rispotto alla nave mede¬ sima, il moto da Venezia in Soria è corno nullo, c niente altera la relazione che ò tra di loro, e questo, perchè ò comune a tutti od egual¬ mente da tutti è participato ; o quando delle robe che sono in nave io una balla si sia discostata da una cassa un sol dito, questo solo sarà stato per loi movimento maggiore, in relaziono alla cassa, che ’l viag¬ gio di dua mila miglia fatto da loro di conserva. Sin?. Questa è dottrina buona, soda o tutta peripatetica. Sai,v. Io l’ho per più antica; e dubito elio Aristotile, nel pigliarla da qualche buona scuola, non la penetrasse interamente, e elio però, avendola scritta alterata, sia stato causa di confusione, mediante quelli che voglion sostenere ogni suo detto : e quando ('gli scrisse che tutto quel che si muove, si muove sopra qualche cosa immobile, dubito che equivocasse dal dire elio tutto quel clic si muove, si muovo rispetto 20 a qualche cosa immobile, la qual proposizione non patisce difficoltà veruna, e 1’ altra ne ha molte. Sagr. Di grazia, non rompiamo il filo, 0 seguite avanti il discorso incominciato. SaIìV. Essendo dunque manifesto che il moto il quale sia comune a molti mobili, è ozioso e come nullo in quanto alla relazione di essi mobili tra di loro, poiché tra di essi niente si muta, e solamente è operativo nella relazione che hanno essi mobili con altri che man¬ chino di quel moto, tra i quali si muta abitudine ; ed avendo noi di- A r iso l’universo in due parti, una delle quali ò necessariamente mobile, so 0 1 altra immobile ; per tutto quello che possa depender da cotal movimento, tanto ò far muover la Terra sola quanto tutto ’l resto del mondo, poiché 1 operazione di tal moto non è in altro che nella relazione che cade tra i corpi celesti e la Terra, la qual sola relaziono ò quella che si muta. Ora, se per conseguire il medesimo effetto ad unguem tanto fa se la sola Terra si muova, cessando tutto il resto dell universo, che se, restando ferma la Terra sola, tutto l’universo GIORNATA. SECONDA. 113 si muova di un istesso moto, chi vorrà credere che la natura (che i» natura non opo. ,, . . . ,. , . rft con molto coso pur, per commi consenso, non opera con 1 intervento di molte cose quello cho può oporar quel che si può fare col mezo di poche) abbia eletto di far muovere 1 un numero immenso di corpi vastissimi, e con una velocità inestima¬ bile, per conseguir quello che col movimento mediocre di un solo intorno al suo proprio centro poteva ottenersi ? Simp. Io non bene intendo come questo grandissimo moto sia come # nullo per il Sole, per la Luna, per gli altri pianeti e per l’innume¬ rabile schiera delle stelle fisso. E come direte voi esser nulla il pas- 10 sare il Sole da un meridiano all’ altro, alzarsi sopra questo orizonte, abbassarsi sotto quello, arrecare ora il giorno ora la notte, simili variazioni far la Luna e gli altri pianeti o le stelle fisso ancora? Salv. Tutte coteste variazioni raccontate da voi non son nulla, se Dai movimento . . _ - diurno nissmm muta- non m relazion alla terra. E che ciò sia vero, muovete con Pimma- z«°ne nasce tra tutti i corpi colesti, ma tutto orinazione la 1 erra : non resta più al mondo nè nascere nè tramon- si reforiscono alla & . . . ... . Terra. tar di Sole o di Luna, nè orizonti nè meridiani, nè giorni nè notti, nè in somma per tal movimento nasce mai mutazione alcuna tra la Luna e ’1 Sole o altre qualsivoglino stelle, sian fisse o erranti ; ma tutte le mutazioni hanno relazione alla Terra; le quali tutte in somma 20 non importano poi altro che ’1 mostrare il Sole ora alla Cina, jioi alla Persia, dopo all’Egitto, alla Grecia, alla Francia, alla Spagna, all’Ame¬ rica etc., e far l’istesso della Luna e del resto de i corpi celesti, la qual fattura segue puntualmente nel modo medesimo se, senza im¬ brigar sì gran parte dell’ universo, si faccia rigirare in se stesso il globo terrestre. Ma raddoppiamo la difficoltà con un’ altra grandis¬ sima : la quale è, che quando si attribuisca questo gran moto al ciclo, ^.^acoiici» c^mfVnm- bisogna di necessità farlo contrario a i moti particolari di tutti gli 110 sia dolIa Terra. oi'bi de i pianeti, de i quali ciascheduno senza controversia ha il movimento suo proprio da occidente verso oriente, e questo assai 30 piacevole e moderato, e convien poi fargli rapire in contrario, cioè da oriente in occidente, da questo rapidissimo moto diurno ; dove che, facendosi muover la Terra in sè stessa, si leva la contrarietà de’moti, ed il solo movimento da occidente in oriente si accomoda a tutte le apparenze e sodisfà a tutte compiutamente. Simp. Quanto alla contrarietà de i moti, importerebbe poco, per¬ chè Aristotile dimostra che i moti circolari non son contrarii fra di loro, e che la loro non si può chiamar vera contrarietà. Moti circolari non son contrarii, per Ari- stotilo. 144 = DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Sa.lv. Lo dimostra Aristotile, o pur lo (lice solamente perchè così compliva a certo suo disegno ? So contrarii son quelli, come egli stesso afferma, che scambievolmente si destruggono, io non so vedere come due mobili che s’incontrino sopra una linea circolare, si abbiano a offender meno che incontrandosi sopra una linea rotta. Sagr. Di grazia, fermate un poco. Ditemi, Sig. Simplicio, quando due cavalieri si incontrano giostrando a campo aperto, o pure quando due squadre intere o duo armate in mare si vanno ad investire e si rompono e si sommergono, chiameresti voi cotali incontri contrarii tra di loro ? Simp. Diciamoli contrarii. Sagr. Come dunque ne i moti circolari non è contrarietà? Questi, essendo fatti sopra la superficie della terra o dell’ acqua, che sono, come voi sapete, sferiche, vengono ad esser circolari. Sapete voi, Sig. Simplicio, quali sono i moti circolari che non son tra loro con¬ trarii? son quelli di due cerchi elio si toccano per di fuora, che, girandone uno, fa naturalmente muover l’altro diversamente; ma so uno sarà dentro all’altro, è impossibil che i moti loro fatti in diverse parti non si contrastino 1’ un 1’ altro. Salv. Ma contrarii o non contrarii, queste sono altercazioni di 20 parole ; ed io so che in fatti molto più semplice e naturai cosa è il poter salvare il tutto con un movimento solo, elio l’introdurne due, se non volete chiamarli contrarii, ditegli opposti : nè io vi porgo questa introduzione per impossibile, nè pretendo di trar da essa una dimostrazione necessaria, ma solo una maggior probabilità. Si rin- Torxa conformazìo- terza l’inverisiiuile col disordinare sproporzionatissimamente l’ordine ne pei* il mcaosimo. . x L che noi veggiamo sicuramente esser tra quei corpi celesti la circola¬ toli de’quali non ò dubbia, ma certissima. E l’ordine è, clic secondo Gii orbi mnggìori in clic un orbe ò maggiore, finisce il suo rivolgimento in tempo più lungo, io loro conversioni, ed i minori in più breve: e così Saturno, descrivendo un cerchio mag- so gioì* di tutti gli altri pianeti, lo complisce in trent’ anni ; Giove si rivolge nel suo minore in anni dodici, Marte in dua ; la Luna passa il suo, tanto più piccolo, in un sol mese ; e non men sensibilmente sionT*do’filinou 1 Mo- v °diamo, dello stelle Medicee la più vicina a Giove far il suo rivol- dice1, gimento in brevissimo tempo, cioè in ore quarantadua in circa, la seguente in tre giorni e raezo, la terza in giorni sette, e la più re¬ mota in sedici: e questo tenore assai concorde non punto verrà al- ■V GIORNATA SECONDA. 145 tarato mentre si faccia die il movimento delle venti quatti*’ ore sia del globo terrestre in se stesso; che quando si voglia ritener la Terra immobile, ò necessario, dopo T esser passati dal periodo brevissimo della Luna a gli altri conseguentemente maggiori, fino a quel di Marte in due anni, e di lì a quel della maggiore sfera di Giove in anni dodici, e da questa all’ altra maggiore di Saturno, il cui periodo è di trent’ anni, è necessario, dico, trapassare ad un’ altra sfera in¬ comparabilmente maggiore, e farla finire un’ intera l’evoluzione in vintiquattr’ ore. E questo poi è il minimo disordinamento che si possa io introdurre ; perchè se altri volesse dalla sfera di Saturno passare alla Moto delio 21 oro n . _ _. n attribuito alla sfera stellata, e tarla tanto piu grande di quella di saturno quanto a prò- altissima disordina il ‘ . 1 » . periodo dolio inferiori. porzione converrebbe rispetto al suo movimento tardissimo di molte migliaia d’anni, bisognerebbe con molto più sproporzionato salto trapassar da questa ad un’altra maggiore, e farla convertibile in ven- tiquattr’ ore. Ma dandosi la mobilità alla Terra, T ordine de’ periodi vien benissimo osservato, e dalla sfera pigrissima di Saturno si tra¬ passa alle stelle fisse, del tutto immobili, e viensi a sfuggire una quarta difficoltà, la qual bisogna necessariamente ammettere quando la sfera Quarta conferma- stellata si faccia mobile : e questa è la disparità immensa tra i moti Difformità grande 20 di esse stelle, delle quali altre verranno a muoversi velocissimamente stelle fisJé par eco 1 ari* in cerchi vastissimi, altre lentissimamente in cerchi piccolissimi, se- à"» mobile. lor ° af ° ln condo che queste e quelle si troveranno più o meno vicine a i poli ; che pure ha dell’ inconveniente, sì perchè noi veggiamo quelle, del moto delle quali non si dubita, muoversi tutte in cerchi massimi, sì ancora perchè pare con non buona determinazione fatto il constituir corpi, che s’ abbiano a muover circolarmente, in distanze immense dal centro, e fargli poi muovere in cerchi piccolissimi. E non pure le grandezze de i cerchi ed in conseguenza le velocità de i moti di queste stelle saranno diversissimi da i cerchi e moti di quell’ altre, ma le so medesime stelle andranno variando suoi cerchi e sue velocità (e sarà Moti dalie stollo , _ _ _ . p fisse accelerano o 11 quinto inconveniente), avvengachò quelle che due nul anni la erano ritardano in diversi . . , . , . , , , . tempi,quando la sfera nell equmoziale, ed in conseguenza descrivevano col moto cerchi mas- stellata sia mobile. simi, trovandosene a i tempi nostri lontane per molti gradi, bisogna che siano fatte più tarde di moto e ridottesi a muoversi in minori cerchi ; e non è lontano dal poter accader che venga tempo nel quale alcuna di loro, che per 1 ’ addietro si sia mossa sempre, si riduca, congiugnendosi col polo, a star ferma, c poi ancora, dopo la quiete VU. 19 146 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. \ di qualche tempo, torni a muoversi : dove che 1’ altre stelle, che si muovono sicuramente, tutte descrivono, come si è detto, il cerchio massimo dell’ orbe loro, ed in quello immutabilmente si mantengono. ^Sostn conformftzio-Accresce l’inverisimile- (e sia il sesto inconveniente), a chi più salda¬ mente discorre, 1’ essere inescogitabilo qual deva esser la solidità di quella vastissima sfera, nella cui profondità sieno così tenacemente saldate tante stelle, che senza punto variar sito tra loro, concorde¬ mente vengono con sì gran disparità di moti portate in volta : o se pure il cielo è fluido, come assai più ragionevolmente convien cre¬ dere, sì che ogni stella per sè stessa per quello vadia vagando, qual io legge regolerà i moti loro ed a che tino, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera ? A me pare che por conseguir ciò, sia tanto più agevole ed accomodata maniera il costi¬ tuirle immobili che T farle vaganti, quanto più facilmente si tengono a sogno molte pietre murato in una piazza, che lo schiere de’fan- . Settima conferma- ciulli che sopra vi corrono. E finalmente, per la settimainstanza.se zione. ... L * noi attribuiamo la conversimi diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virtù, che seco porti Pinnumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi e maggiori assai della Terra, e di più tutte le sfere de i pianeti, ancorché e questi o quelle per lor 20 natura si muovano in contrario; ed oltre a questo è forza concedere che anco 1’ elemento del fuoco e la maggior parte dell’ aria siano parimente rapiti, e che il solo piccol globo della Terra resti contu¬ mace e renitente a tanta virtù: cosa che a me pare che abbia molto Tona, pensilo e li- del difficile nè saprei intender come la Terra, corpo pensile e librato brata in un mezo fini- 7 L A do, «on pur ci.e possn sopra ’l suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, posto e cir- resisterò a) rapimento ... x 7 x doi moto diurno. condato da un ambiente liquido, non dovesse cedere ella ancora ed esser portata in volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far muo¬ ver la Terra, corpo minimo ed insensibile in comparazione dell’ uni¬ verso, e perciò inabile al fargli violenza alenila. so Sagk. Io mi sento raggirar per la fantasia alcuni concetti, così in confuso destatimi da i discorsi fatti ; che s’io voglio potermi con attenzione applicar alle cose da dirsi, è forza eli’ io vegga se mi suc¬ cedesse meglio ordinargli e trarne quel costrutto che vi è, se però ve ne sarà alcuno : e per avventura il pi’ocedere per interrogazioni mi aiuterà a più agevolmente spiegarmi. Però domando al Sig. Sim¬ plicio, prima, se e’ crede che al medesimo corpo semplice mobile pos- GIORNATA SECONDA. 147 por pnrticipnziono. Il moto non ò senza sano naturalmente competere diversi movimenti, o pure clie un solo convenga, che sia il suo proprio e naturale. Simp. D’un mobile semplice un solo, e non più, può essere il moto num mobile som- die gli convenga naturalmente, c gli altri tutti per accidente e per Jmturaio, 0 «u altri participazione ; in quel modo che a colui che passeggia per la nave, suo moto proprio è quello del passeggio, e per participazione quello che lo conduce in porto, dove egli mai col passeggio non sarebbe arrivato, se la nave col moto suo non ve 1’ avesse condotto. Sagù. Ditemi, secondariamente : quel movimento che per partici- ìo pazione vien comunicato a qualche mobile, mentre egli per sè stesso si muove di altro moto diverso dal participato, è egli necessario clic risegga in qualche suggetto per sò stesso, o pur può esser anco in natura sena’ altro appoggio ? Simp. Aristotile vi risponde a tutte queste domande, o vi dice che sì come d’ un mobile uno ò il moto, ‘così di un moto uno è il mobile, ed in conseguenza die senza l’inerenza del suo suggetto non può nè » . . • il suggetto mobile. essere ne anco immaginarsi alcun movimento. Sagr. Io vorrei che voi mi diceste, nel terzo luogo, se voi credete che la Luna e gli altri pianeti e corpi celesti abbiano lor movimenti 20 proprii, e quali e’ siano. Simp. Hannogli, e son quelli secondo i quali e’ vanno scorrendo il zodiaco: la Luna in un mese, il Sole in un anno, Marte in dua, la sfera stellata in quello tante migliaia ; e questi sono i moti loro pro¬ prii e naturali. Sagr. Ma quel moto col quale io veggo lo stelle fisse, e con esse tutti i pianeti, andare unitamente da levante a ponente e ritornare in oriente in ventiquattr’ore, in che modo gli compete? Simp. Hanuolo per participazione. Sagr. Questo dunque non risiede in loro ; e non risedendo in loro, so nè potendo esser senza qualche suggetto nel quale e’ risegga, è forza farlo proprio e naturale di qualche altra sfera. Simp. Per questo rispetto hanno ritrovata gli astronomi ed i filosofi un’ altra sfera altissima senza stelle, alla quale naturalmente compete la conversion diurna, e questa hanno chiamata il primo mobile, il quale poi rapisce seco tutto le sfere inferiori, contribuendo e parti- cipando loro il movimento suo. Sagr. Ma quando, senza introdurr’ altre sfere incognite e vastis- 148 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. siine, senza altri movimenti o rapimenti participati, col lasciare a ciascheduna sfera il suo solo e semplice movimento, senza mescolar movimenti contrarii, ma fai’gli tutti per il medesimo verso, come ò necessario di’ e’ sieno dependendo tutti da un sol principio, tutte le cose calumano e rispondono con perfettissima armonia, perchè rifiutar questo partito, e dar assenso a quelle così strane o laborioso condi¬ zioni ? Simp. Il punto sta in trovar questo modo così semplice o spedito. Sagù. Il modo mi par bell’ e trovato. Fato che la Terra sia il primo mobile, cioè fatela rivolgere in sè stessa in ventiquattr’ ore e io per il medesimo verso che tutte le altre sfere, elio senza participar tal moto a nessun altro pianeta o stello, tutte avranno i lor orti, occasi ed in somma tutte 1 ’ altre apparenze. Simp. L’ importanza è il poterla muovere senza mille inconvenienti. Salv. Tutti gli inconvenienti si torranno via secondo clic voi gli andrete proponendo : e lo cose dette sin qui sono solamente i primi c più generali motivi per i quali par che si renda non del tutto improbabile che la diurna conversione sia più tosto della Terra che di tutto ’l resto dell’ universo ; li quali io non vi porto come leggi infrangibili, ma come motivi che abbiano qualche apparenza. E per- 20 Una soia esperienza chè benissimo intendo che una sola esperienza o* concludente dimo- o forma dimoatrazio- , . . ne abbatto tutto lo ra-strazione che si avesse in contrario, basta a battere in terra questi gioni probabili. . , ed altri centomila argomenti probabili, però non bisogna fermarsi qui, ma procedere avanti e sentire quel che risponde il Sig. Simplicio, e quali migliori probabilità o più ferme ragioni egli adduce in con- trario. Simp. Io dirò prima alcuna cosa in generale sopra tutte questo considerazioni insieme, poi verrò a qualche particolare. Panni che universalmente voi vi fondiate su la maggior semplicità e facilità di produrre i medesimi effetti, mentre stimate che quanto al causargli so tanto sia il muover la Terra sola quanto tutto ’l resto del mondo, trattone la Terra, ma quanto all’ operazione voi reputate molto più facilo quella che questa. Al che io vi rispondo che a me ancora par l’istesso, mentre io riguardo alla forza mia, non pur finita, ma de¬ bolissima ; ma rispetto alla virtù del Motore, che è infinita, non è meno agevole il'muover l’universo, che la Terra e ebe una paglia. E se la virtù è infinita, perchè non se ne deve egli esercitare più GIORNATA SECONDA. 149 tosto una gran parte che una minima? Per tanto pormi che il di- LP una virtù infinita . i . rtf» par elio si clobba csor- scorso in goner&ie non sia onicacG. citarne più tosto una rt ri . • i i j i • • gran parto che poca. Saly. oc io avessi mai detto che 1 universo non si muove per man¬ camento di virtù nel Motore, io avrei errato, e la vostra correzzione sarebbe oportuna ; e vi concedo che a una potenza infinita tanto è facile il muover centomila, quanto uno. Ma quello che ho detto io non ha riguardo al Motore, ma solamente a i mobili, ed in essi non solo alla loro resistenza, la quale non è dubbio esser minore nella Terra che nell’ universo, ma a i molti altri particolari pur ora con¬ io siderati. Al dir poi che d’una virtù infinita sia meglio esercitarne una gran parte che una minima, vi rispondo che dell’ infinito una Doli’infinito non è . una parte maggior parte non e maggior aelr altra, quando amendue sien finite; nò si dell'altra, bonchò esso 1 . ,. , ,, . , . siano tra di loro di- può dire che del numero infinito il centomila sia parte maggiore seguali, che’l due, se ben quello ò cinquantamila volte maggior di questo; o quando por muover l’universo ci voglia una virtù finita, benché gran¬ dissima in comparazione di quella che basterebbe per muover la Terra sola, non però se n’ impiegherebbe maggior parte dell’ infinita, nè minore sarebbe che infinita quella che resterebbe oziosa; talché l’ap¬ plicar per un effetto particolare un poco più o un poco meno virtù 20 non importa niente : oltre che 1’ operazione di tal virtù non ha per termine e fine il solo movimento diurno, ma sono al mondo altri movimenti assai che noi sappiamo, e molti altri più ve ne posson essere incogniti a noi. Avendo dunque riguardo a i mobili, e non si dubitando che operazione più breve e spedita è il muover la Terra che 1’ universo, o di più avendo 1’ occhio alle tante altre abbreviazioni ed agevolezze che con questo solo si conseguiscono, un verissimo as¬ sioma d’ Aristotile che c’ insegna che Frustra fit per plura quoti potest fieri per pancioni ci rende più probabile, il moto diurno esser della Terra sola, che dell’ universo, trattone la Terra, so Smr. Voi nel referir 1’ assioma avete lasciato una clausula che importa il tutto, e massime nel presente proposito. La particola la¬ sciata è un aeque bene : bisogna dunque esaminare se si possa egual¬ mente bene sodisfare al tutto con questo e con quello assunto. Sai.y, Il vedere se l’una e l’altra posizione sodisfaccia egualmente bene, si comprenderà da gli esami particolari dell’ apparenze alle quali si ha da sodisfare, perchè sin ora si è discorso, e si discorrerà, ex hypothesi, supponendo che quanto al sodisfare all’ apparenze amen- 150 DIÀLOGO S0P1U I DUK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Noli* assioma Fru¬ stra fit per piura ole. l’aggiuguoro «eque be¬ ne ò superfluo. Ragioni fi'Aristotile per la quieto della Terra. due le posizioni siono egualiniiilo accomodate. La particola poi, clic voi dite essere stata lasciata ila me, ho più tosto sospetto che sia superfluamente aggiunta da voi : perchè il dire « egualmente bone » è una relazione, la quale necessariamente ricerca duo termini almeno, non potendo una cosa aver relaziono a sò stessa, e dirsi, v. g., la quiete esser egualmente buona come la quiete; e perchè quando si dice « Invano si fa con più mezi quello che si può fare con manco mezi », s’intende che quel elio si ha da fare deva esser la medesima cosa, e non due cose differenti, e perchè la medesima cosa non può dirsi egualmente ben fatta come sè medesima, adunque 1’ aggiunta io della particola « egualmente bene » è superflua od una relazione che lia un termine solo. Sagr. Se noi non vogliamo che ci intervenga come ieri, ritornisi di grazia nella materia, ed il Sig.'Simplicio cominci a proibir quello difficoltà che gli paiono contrariane a questa nuova disposizione del mondo. Simp. La disposiziono non è nuova, anzi antichissima ; e che ciò sia vero, Aristotile la confuta, e le sue confutazioni son queste. « Prima, » se la Terra si movesse o in sè stessa, stando nel centro, o in cer- » chio, essendo fuor del centro, è necessario che violentemente ella si 20 » movesse di tal moto, imperò che 0’ non è suo naturalo ; che s’ e’ fus.se » suo, P avrebbe ancora ogni sua particella ; ma ognuna di loro si » muove per linea retta al centro : essendo dunque violento e pre- » ternaturale, non potrebbe essere sempiterno: ma l’ordine del mondo » è sempiterno : adunque etc. Secondariamente, tutti gli altri mobili » di moto circolare par che restino indietro e si muovano di più di » un moto, trattone però il primo mobile : per lo che sarebbe neccssa- » rio elio la Terra ancora si movesse di due moti ; e quando ciò fosse, » bisognerebbe di necessità che si facessero mutazioni nelle stelle fisse: » il che non si vede, anzi senza variazione alcuna le medesime stelle 30 » nascono sempre da i medesimi luoghi, e ne i medesimi tramontano. » Terzo, il moto delle parti e del tutto è naturalmente al centro del- » P universo, e per questo ancora in esso si sta. Muove poi la dubi- * tazione se il moto dello parti è per andare naturalmente al centro » dell’ universo, 0 pure al centro della Terra ; e conclude, esser suo » instinto proprio di andare al centro dell’ universo, e per accidente » al centro della Terra : del qual dubbio si discorse ieri a lungo. GIORNATA SECONDA. 151 » Conforma finalmente l’istesso col quarto argomento preso dall’ espe- * x’ienza de’ gravi, li quali, cadendo da alto a basso, vengono a per- » pendicolo sopra la superficie della Terra ; e medesimamente i proietti » tirati a perpendicolo in alto, a perpendicolo per le medesime linee » ritornano a basso, quando bene fussero stati tirati in immensa al- » tozza : argomenti necessariamente concludenti, il moto loro esser » al centro della Terra, clic senza punto muoversi gli aspetta c ri- » ceve. Accenna poi in ultimo, esser da gli astronomi prodotte altre » ragioni in confermazione dell’ istesse conclusioni, dico dell’ esser la io » Terra nel centro dell’ universo ed immobile ; ed una sola ne pro- » duce, clic è il risponder tutte le apparenze, che si veggono ne’ mo- » vimenti delle stelle, alla posizione di essa Terra nel centro, la qual * rispondenza non avrebbe quando ella non vi fusse. » Le altre, pro¬ dotte da Tolomeo e da altri astronomi, le potrò arrecare ora, se così vi piace, o dopo die arete detto quanto vi occorre in risposta di queste di Aristotile. Sai.v. Gli argumenti die si producono in questa materia, son di due generi : altri hanno riguardo a gli accidenti terrestri, senza re¬ lazione alcuna alle stelle, ed altri si cavano dalle apparenze ed osser- 20 vazioni delle cose celesti. Gli argomenti d’Aristotile son per lo più cavati dalle cose intorno a noi, e lascia gli altri alli astronomi ; però sarà bene, se così vi pare, esaminar questi presi dalle esperienze di Terra, e poi verremo all’ altro genere. E perchè da Tolomeo, da Ti- cone e da altri astronomi e filosofi, oltre a gli argomenti d’Aristo- stile, presi confermati e fortificati da loro, ne son prodotti do gii altri, si potranno unir tutti insieme, per non aver poi a replicar le medesime o simili risposte due volte. Però, Sig. Simplicio, o vogliate referirgli voi, o vogliate ch’io vi levi questa briga, son per com¬ piacervi. 30 Simp. Sarà meglio che voi gli portiate, che, per averci fatto mag¬ giore studio, gli arete più in pronto, ed anco in maggior numero. Sai.v. Per la più gagliarda ragione si produce da tutti quella de i corpi gravi, che cadendo da alto a basso vengono per una linea retta e perpendicolare alla superfìcie della Terra ; argomento stimato irre¬ fragabile, che la Terra stia immobile : perchè, quando ella avesse la conversion diurna, una torre dalla sommità della quale si lasciasse cadere un sasso, venendo portata dalla vertigine della Terra, nel Argomenti eli dim generi intorno alla »>' pmticipazionf. 1 ™ mento del fuoco ed alla maggior parte dell’ aria ; se dunque e’ non ha per impossibile mescolare il retto in su col circolare, comunicato al fuoco ed all’ aria dal concavo lunare, assai meno dovrà reputare 20 impossibile il retto in giù del sasso col circolare, che fusse naturalo di tutto ’l globo terrestre, del quale il sasso è parte. Simp. A me non par cotesta cosa, perchè quando T elemento del fuoco vadia in giro insieme con 1’ aria, facilissima anzi necessaria cosa è che una particella di fuoco, che da Terra sormonti in alto, nel passar per 1’ aria mobile riceva l’istesso movimento, essendo corpo cosi tenue e leggiero e agevolissimo ad esser mosso ; ma che un sasso gravissimo o una palla d’ artiglieria, che da alto venga a basso e sia già posta in sua balìa, si lasci trasportar nè da aria nè da altro, ha del tutto dell’ inopinabile. Oltre che ci è T esperienza tanto so propria, della pietra lasciata dalla cima dell’ albero della nave, la qual, mentre la nave sta ferma, casca al pie dell’ albero, ma quando la nave camma, cade tanto lontana dal medesimo termine, quanto la nave nel tempo della caduta del sasso è scorsa avanti ; che non son poche braccia, quando ’l corso della nave è veloce. Salv. Gran disparità è tra ’l caso della nave e quel della Terra, quando ’l globo terrestre avesse il moto diurno. Imperocché mani- festissima cosa è che ’1 moto della nave, sì come non è suo naturale, doli» terrò. 168 DIALOGO SOTOA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. così ò accidentario di tutte le coso che sono in essa ; onde non ò meraviglia che quella pietra, clic era ritenuta in cima doli’ albero lasciata in libertà scenda a basso, senza obligo di seguire il moto della nave. Ma la conversimi diurna si dà per moto proprio e natu¬ rale al globo terrestre, ed in conseguenza a tutte le sue parti, o conio impresso dalla natura ò in loro indelebile ; o però quel sasso che ò in cima della torre, ha per suo primario instiate 1’ andare in¬ torno al centro del suo tutto in ventiquattr’ oro, o questo naturai talento esercita egli ctoniamente, sia pur posto in qualsivoglia stato. E per restar persuaso di questo, non avete a far altro elio mutar io un’ antiquata impressione fatta nella vostra mente, e diro : « Sì come, per avere stimato io sin ora che sia proprietà del globo terrestre lo stare immobile intorno al suo centro, non ho mai auto difficoltà o repugnanza alcuna in apprendere elio qualsivoglia sua particella resti essa ancora naturalmente nella medesima quiete ; così ò ben dovero che quando naturale instinto fusse del globo terreno 1’ andare intorno in ventiquattr’ oro, sia d’ ogni sua parte ancora intrinseca e natu¬ rale inclinazione non lo star ferma, ma seguire il medesimo corso » : o così senza urtare in veruno inconveniente si potrà concludere, elio per non esser naturale, ma straniero, il moto conferito alla nave dalla 20 forza de’remi, e per essa a tutte le cose (die in lei si ritrovano, sia ben dovere che quel sasso, separato che e’ sia dalla nave, si riduca alla sua naturalezza 0 ritorni ad esercitare il puro 0 semplice suo infório^aUo'plìi alte lia ^' Ura ^ talento. Aggiuguosi elio è necessario elio almeno quella parte nìoto^doUn Tonn° ** ai ’' a ohe ò inferiore allo maggiori altezze de i monti, venga dal- 1’ asprezza della superficie terrestre rapita e portata in giro, 0 pure che, come mista di molti vapori ed esalazioni terrestri, naturalmente séguiti il moto diurno ; il che non avviene dell’ aria elio ò intorno alla nave cacciata da i remi : per lo elio 1’ argomentare dalla nave alla torre non ha forza d’illazione ; perchè quel sasso che vien dalla so cima dell’ albero, entra in un mezo che non ha il moto della nave ; ma quel che si parte dall’ altezza della torre, si trova in un mezo che ha l’istesso moto che tutto ’l globo terrestre, talché, seuz’esser impedito dall’ aria, anzi più tosto favorito dal moto di lei, può se¬ guire l’universal corso della Terra. n portar seco coaoieg- Simp. Io non resto capace, clic 1’ aria possa imprimere in un gran- gravìssimc. dissimo sasso o in una grossa palla di ferro o di piombo, che pas- GIORNATA SECONDA. 169 sasse, v. g., dugento libre, il moto col quale essa medesima si muovo e che per avventura ella comunica alle piume, alla neve ed altre cose leggierissime ; anzi veggo die un peso di quella sorte, esposto a qualsivoglia più impetuoso vento, non vien pur mosso di luogo un sol dito : or pensate se 1’ aria lo porterà seco. Salv. Gran disparità è tra la vostra esperienza e ’l nostro caso. Yoi fate sopraggiugnere il vento a quel sasso posto in quiete ; e noi esponghiamo nell’ aria, che già si muove, il sasso, che pur si muove esso ancora con l’istessa velocità, talché 1’ aria non gli ha a conferire io un nuovo moto, ma solo mantenerli, o per meglio dire non impe¬ dirli, il già concepito : voi volete cacciar il sasso d’ un moto straniero e fuor della sua natura ; e noi, conservarlo nel suo naturale. Se voi volevi produrre una più aggiustata esperienza, dovevi dire che si osservasse, se non con 1’ occhio della fronte, almeno con quel della mente, ciò che accaderebbe quando un’ aquila portata dall’ impeto del vento si lasciasse cader da gli artigli una pietra ; la quale, per¬ chè già nel partirsi dalle branche volava al pari del vento, e dopo partita entra in un mezo mobile con egual velocità, ho grande opi¬ nione che non si vedrebbe cader giù a perpendicolo, ma che, se¬ co guendo ’l corso del vento ed aggiugnendovi quel della propria gca¬ vità, si moverebbe di un moto trasversale. Simp. Bisognerebbe poterla fare una tale esperienza, e poi secondo l’evento giudicare ; in tanto 1’ effetto della nave sin qui mostra di applaudere all’ opinion nostra. Salv. Ben diceste, sin qui ; perchè forse di qui a poco potrebbe mutar sembianza. E per non vi tener, come si dice, più su le bac¬ chette, ditemi, Sig. Simplicio: parv’ egli internamente che 1’ esperienza della nave quadri così bene al proposito nostro, che ragionevolmente si debba credei-e che quello che si vede accadere in lei, debba an¬ so cora accadere nel globo terrestre ? Simp. Sin qui mi è parso di sì ; e benché voi abbiate arrecate al¬ cune piccole disuguaglianze, non mi paion di tal momento che basti a rimuovermi di parere. Salv. Anzi desidero che voi ci continuiate, e tengliiato saldo che 1’ effetto della Terra abbia a rispondere a quel della nave, purché quando ciò si scoprisse progiudiziale al vostro bisogno, non vi ve¬ nisse umore di mutar pensiero. Voi dito : Perchè, quando la nave 170 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. sta ferma, il sasso cade al piò doli’ albero, e quando oli’ è in moto cade lontano dal piede, adunque, per il converso, dal cadere il sasso al piede si inferisce la navo star ferma, o dal cadérne lontano s’ar¬ gomenta la nave muoversi ; e perchè quello che occorre della nave deve parimente accader della Terra, però dal cader della pietra al piè della torre si inferisco di necessità l’immobilità del globo ter¬ restre. Non è questo il vostro discorso? Simi>. È per appunto, ridotto in brevità, che lo rende agevolis¬ simo ad apprendersi. Salv. Or ditemi : se la pietra lasciata dalla cima dell’ albero, quando io la nave cammina con gran velocità, cadesse precisamente nel mede¬ simo luogo della nave nel quale casca (piando la nave sta ferma qual servizio vi presterebbe!’ queste cadute circa V assicurarvi se ’l vassello sta fermo o pur so cammina ? Simp. Assolutamente nissuno : in quel modo che, per esempio, dal batter del polso non si può conoscere se altri dorme o ò desto, poi¬ ché il polso batte nell’ istesso modo no’ dormienti che ne i vegghianti. Salv. Benissimo. Avete voi fatta mai l’esperienza della nave? Simp. Non l’ho fatta; ma ben credo che quelli autori elio la pro¬ ducono, T abbiano diligentemente osservata: oltre che si conosce tanto 20 apertamente la causa della disparità, che non lascia luogo di dubitare. Salv. Che possa esser che quelli autori la portino senza averla fatta, voi stesso ne sete buon testimonio, che senza averla fatta la recate per sicura e ve ne rimettete a buona fedo al detto loro : sì come è poi non solo possibile, ma necessario, che abbiano fatto essi ancora, dico di rimettersi a i suoi antecessori, senza arrivar mai a uno che 1’ abbia fatta ; perché chiunque la farà, troverà 1’ esperienza . .P'® 1 ™. «adonto mostrar tutto ’l contrario di quel che viene scritto : cioè mostrerà «all albero «olla nave x go ni! o v ^ jT°iì a ve c ^ e P* e ^ ra casca sempre nel medesimo luogo della nave, stia ella o stia forma. ferma o muovasi con qualsivoglia velocità. Onde, per esser la mede- 30 siina ragione della Terra che della nave, dal cader la pietra sempre a perpendicolo al piè della torre non si può inferir nulla del moto o della quiete della Terra. Simi\ So voi mi rimetteste ad altro mezo elio all’ esperienza, io credo bene che le dispute nostre non finirebbe!* per fretta; perché questa mi pare una cosa tanto remota da ogni uman discorso, che 31011 lasci minimo luogo alla credulità 0 alla probabilità. GIORNATA SECONDA. 171 Salv. E pur r hit ella lasciato in me. Simp. Ohe dunque voi non n’ avete fatte cento, non che una prova, e 1’ affermate così francamente per sicura ? lo ritorno nella mia in¬ credulità, e nella medesima sicurezza cho 1’ esperienza sia stata fatta da gli autori principali che se ne servono, e che ella mostri quel che essi affermano. Salv. Io senza esperienza son sicuro che P effetto seguirà come vi dico, perchè così è necessario che segua ; e più v’ aggiungo che voi stesso ancora sapete che non può seguire altrimenti, se ben fingete, io o simulate di fingere, di non lo sapere. Ma io son tanto buon cozzon di cervelli, che ve lo farò confessare a viva forza. Ma il Sig. Sagredo sta molto cheto : mi pareva pur di vedervi far non so che moto, per dir alcuna cosa. Sagh. Volevo veramente dir non so che ; ma la curiosità cho mi ha mossa questo sentir dire di far tal violenza al Sig. Simplicio, che palesi la scienza che e’ ci vuole occultare, mi ha fatto deporre ogni altro desiderio : però vi prego ad effettuare il vanto. Salv. Purché il Sig. Simplicio si contenti di rispondere alle mie interrogazioni, io non mancherò. 20 Simp. Io risponderò quel che saprò, sicuro che avrò poca briga, perchè delle cose che io tengo false non credo di poterne saper nulla, essendoché la scienza è de’ veri, e non de’ falsi. Salv. Io non desidero che voi diciate o rispondiate di saper niente altro che quello che voi sicuramente sapete. Però ditemi : quando voi aveste una superficie piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come P acciaio, e che fusse non parallela all’ orizonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla per¬ fettamente sferica e di materia grave e durissima, come, v. g., di bronzo, lasciata in sua libertà che credete voi cho ella facesse ? non so credete voi (sì come credo io) che ella stesse ferma ? Simp. Se quella superficie fusse inclinata ? Salv. Sì, chè così già ho supposto. ,Simp. Io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro eli’ ella si moverebbe verso il declive spontaneamente. Salv. Avvertite bene a quel che voi dite, Sig. Simplicio, perché io son sicuro eh’ ella si fermerebbe in qualunque luogo voi la posaste. Simp. Come voi, Sig. Salviati, vi servite di questa sorte di sup- 172 DIALOGO SOPRA I DDK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. posizioni, io comincierò a non mi maravigliar elio voi concludiate conclusioni falsissimo. Salv. Avete dunque per sicurissimo di’ ella si moverebbo verso il declivo spontaneamente ? Simp. Clio dubbio? Salv. E questo lo tenete per fermo, non perchè io ve l’abbia inse¬ gnato (perché io cercavo di persuadervi il contrario), ma per voi stesso e per il vostro giudizio naturale. Simp. Ora intendo il vostro artifizio: voi dicevi così per tentarmi o (conio si dico dal vulgo) per isealzanni, ma non che in quella guisa io credeste veramente. Salv. Cosi sta. E quanto durerebbe a muoversi quella palla, e con che velocità? E avvertito che io ho nominata una palla porfottissi- mamento rotonda ed un piano esquisitamonte pulito, per rimuover tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii : e cosi voglio che voi astragghiate dall’impedimento dell’aria, mediante la sua resistenza all’ essere aperta, e tutti gli altri ostacoli accidentarii, se altri ve ne potessero essere. Simp. Ho compreso il tutto benissimo : e quanto alla vostra do¬ manda, rispondo che ella continuerebbe a muoversi in infinito, se 20 tanto durasse la inclinazione del piano, e con movimento accelerato continuamente ; che tale è la natura de i mobili gravi, che vires acquirant eundo : e quanto maggior fosse la declività, maggior sa¬ rebbe la velocità. Sai.y. Ma quand’altri volesse elio quella palla si movesso all’insù sopra quella medesima superficie, erodete voi che ella vi andasse? Simp. Spontaneamente no, ma ben strascinatavi o con violenza gettatavi. Salv. E quando da qualche impeto violentemente impressole ella fusse spinta, quale e quanto sarebbe il suo moto ? Simp. 11 moto andrebbe sempre languendo e ritardandosi, per esser contro a natura, e sarebbe più lungo o più breve secondo il mag¬ giore o minore impulso e secondo la maggiore 0 minore acclività. Salv. Parafi dunque sin qui elio voi ini abbiate esplicati gli acci¬ denti d’ un mobile sopra due diversi piani ; 0 che nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente descende o va continuamente acce¬ lerandosi, e che a ritenervelo in quiete bisogna usarvi forza; ma sul GIORNATA SECONDA. 173 piano ascendente ci vuol forza a spignevvelo ed anco a fermarvelo, e che ’l moto impressogli va continuamente scemando, sì che final¬ mente si annichila. Dite ancora di più che nell’ un caso e nell’ altro nasce diversità dall’ esser la declività o acclività del piano, maggiore o minore ; sì che alla maggiore inclinazione segue maggior velocità, e, per 1’ opposito, sopra ’l piano acclive il medesimo mobile cacciato dalla medesima forza in maggior distanza si muovo quanto 1’ eleva¬ zione è minore. Ora ditemi quel che accaderehbe del medesimo mo¬ bile sopra una superficie che non fusse nè acclive nè declivo. io Smr. Qui bisogna ch’io pensi un poco alla risposta. Non vi es¬ sendo declività, non vi può essere inclinazione naturale al moto, e non vi essendo acclività, non vi può esser resistenza all’ esser mosso, talché verrebbe ad essere indifferente tra la propensione e la resi¬ stenza al moto : panni dunque che e’ dovrebbe restarvi naturalmente fermo. Ma io sono smemorato, perchè non è molto che ’l Sig. Sa- gredo mi fece intender che così seguirebbe. Sai/v. Così credo, quando altri ve lo posasse fermo ; ma se gli fusse dato impeto verso qualche parte, che seguirebbe? Simp. Seguirebbe il muoversi verso quella parte. 20 Salv. Ma di che sorte di movimento ? di continuamente accele¬ rato, come ne’ piani declivi, o di successivamente ritardato, come negli acclivi ? Simp. Io non ci so scorgere causa di accelerazione nè di ritarda- mento, non vi essendo nè declività nè acclività. Salv. Sì. Ma se non vi fusse causa di ritardamento, molto meno vi dovrebbe esser di quiete : quanto dunque vorreste voi che il mo¬ bile durasse a muoversi? Simp. Tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie nè erta nè china. 30 Salv. Adunque se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimente senza termine, cioè perpetuo ? Simp. Panni di sì, quando il mobile fusse di materia da durare. Salv. Già questo si è supposto, mentre si è detto che si rimuo¬ vano tutti gli impedimenti accidentarii ed esterni, e la fragilità del mobile, in questo fatto, è un degli impedimenti accidentarii. Ditemi ora : quale stimate voi la cagione del muoversi quella palla spontanea¬ mente sul piano inclinato, e non, senza violenza, sopra l’elevato ? 174 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Simp. Perchè V inclimizion do’ corpi gravi è di muoversi verso ’1 centro della Terra, o solo per violenza in su verso la circonferenza ; e la superficie inclinata ò quella elio acquista vicinità al centro, e l’acclive discostamento. Salv. Adunque una superficie elio dovesse esser non declive e non acclive, bisognerebbe che in tutto lo suo parti lusso egualmente di¬ stante dal centro. Ma di tali superficie ve n’ ò egli alcuna al mondo? Simp. Non ve ne mancano : ùcci quella del nostro globo terrestre, se però ella fusso ben pulita, e non, quale ella è, scabrosa e mon¬ tuosa ; ma vi è quella dell’ acqua, mentre è placida o tranquilla. io Salv. Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, è un di quei mobili che scorrono per una di quelle super¬ ficie che non sono nè declivi nò acclivi, o però disposta, quando le fusser rimossi tutti gli ostacoli accidentarii od esterni, a muoversi, con l’impulso concepito una volta, incessabilmente o uniformemente. Simp. Par che deva esser così. Salv. E quella pietra eli’è su la cima dell’ albero non si muov’ella, portata dalla nave, essa ancora per la circonferenza d’ un cerchio intorno al centro, e per conseguenza d’ un moto indelebile in lei, rimossi gli impedimenti esterni ? o questo moto non è egli così ve- 20 loce come quel della nave ? SiMr. Sin qui tutto cammina bene. Ma il resto ? Salv. Cavatene in buon’ ora 1’ ultima conseguenza da por voi, so da per voi avete sapute tutto le premesse. Simp. Voi volete dir per ultima conclusione, che movendosi quella pietra d’un moto indelebilmonte impressole, non P è por lasciare, anzi è per seguire la nave, ed in ultimo per cadere nel medesimo luogo dove cade quando la nave sta forma ; e così dico io ancora che seguirebbe quando non ci fussero impedimenti esterni, che stur¬ bassero il movimento della pietra dopo esser posta in libertà : li quali so impedimenti son due ; 1’ uno ò P essere il mobile impotente a romper P aria col suo impeto solo, essendogli mancato quello della forza de’ remi, del quale era partecipe, come parte della nave, mentre era su 1’ albero ; 1’ altro è il moto novello del cadere a basso, che pur bisogna che sia d’impedimento all’ altro progressivo. Salv. Quanto all’ impedimento dell’ aria, io non ve lo nego ; e quando il cadente fusse materia leggiera, come una penna 0 un fiocco GIORNATA SECONDA. 175 di lana, il ritardamento sarebbe molto grande ; ma in lina pietra grave, è piccolissimo : e voi stesso poco fa avete detto die la forza del più impetuoso vento non basta a muover di luogo una grossa pietra ; or pensate quel che farà 1’ aria quieta incontrata dal sasso, non più veloce di tutto ’l navilio. Tuttavia, come ho detto, vi con¬ cedo questo piccolo effetto, che può depcndere da tale impedi¬ mento ; sì come so che voi concederete a me che quando 1’ aria si movesse con l’istessa velocità della nave e del sasso, l’impedimento sarebbe assolutamente nullo. Quanto all’ altro, del sopra vegnente moto io in giù, prima è manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro o ’1 retto verso ’l centro, non son contrarii nò destruttivi 1’ un dell’ altro nè incompatibili, perchè, quanto al mobile, ei non ha repugnanza alcuna a cotal moto : cliè già voi stesso avete conce¬ duto, la repugnanza esser contro al moto che allontana dal centro, e l’inclinazione, verso il moto che avvicina al centro ; onde neces¬ sariamente segue che al moto che non appressa nè discosta dal cen¬ tro, non ha il mobile nè repugnanza nè propensione nè, in conse¬ guenza, cagione di diminuirsi in lui la facultà impressagli : e perchè la causa motrice non è una sola, che si abbia, per la nuova opera- 20 zione, a inlanguidire, ma son due tra loro distinte, delle quali la gravità attende solo a tirare il mobile al centro, e la virtù impressa a condurlo intorno al centro, non resta occasione alcuna d’impe¬ dimento. SiMv. 11 discorso veramente è in apparenza assai probabile, ma in essenza turbato un poco da qualche intoppo mal agevole a supe¬ rarsi. Voi in tutto ’l progresso avete fatta una supposizione, che dalla scuola peripatetica non di leggiero vi sarà conceduta, essendo con- trariissima ad Aristotile : e questa è il prender come cosa notoria e manifesta che ’l proietto separato dal proiciente continui il moto per so virtù impressagli dall’ istesso proiciente, la qual virtù impressa è tanto esosa nella peripatetica filosofia, quanto il passaggio d’ alcuno acci¬ dente d’ uno in un altro sugget.to : nella qual filosofìa si tiene, come n proietto, secondo credo clic vi sia noto, clic ’l proietto sia portato dal mezo, che nel so da virtù impressa, , N , i • j i n 11111 ^ moz °* nostro caso viene ad esser 1’ aria ; e pero se quel sasso, lasciato dalia cima dell’ albero, dovesse seguire il moto della nave, bisognerebbe attribuire tal effetto all’ aria, e non a virtù impressagli : ma voi sup¬ ponete che 1’ aria non séguiti il moto della nave, ma sia tranquilla. 176 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Oltre che colui clie lo lascia cadere, non 1' ha a scagliare nò dargli impeto col braccio, ma dove semplicemente aprir la mano e la¬ sciarlo : e così, nò per virtù impressagli dal proibente, nò per be¬ nefizio dell’aria, potrà il sasso seguirò '1 moto della nave, e però resterà indietro. Sai.v. Panni dunque di ritrai' dal vostro parlare, che non venendo la pietra cacciata dal braccio di colui, la sua non venga altrimenti ad essere una proiezione. Simil Non si può propriamente chiamar moto di proiezione. Salv. Quello dunque elio dice Aristotile del moto, del mobile e del io motore de i proietti, non ha elio fare nel nostro proposito ; e se non ci ha che fare, perché lo producete ? Simil Producolo per amor di quella virtù impressa, nominata ed introdotta da voi, la quale, non essendo al mondo, non può operar nulla, percliò non entium nnllae su ut operationes : e però non solo del moto de i proietti, ma di ogn* altro che non sia naturale, bisogna attribuirne la causa motrice al messo, del quale non si è avuta la debita considerazione ; e però il detto sin (pii resta inefficace. Salv. Orsù tutto in buon’ ora. Ma ditemi : già elio la vostra in¬ stanza si fonda tutta su la nullità della virtù impressa, quando io 20 vi abbia dimostrato che ’1 niozo non ha che fare nella continuazion del moto de’ proietti, dopo che son separati dal proicieute, lascierete voi in essere la virtù impressa, 0 pur vi moverete con qualch’ altr’ as¬ salto alla sua destiamone V Simp. Rimossa 1’ azione del mezo, non veggo elio si possa ricorrere ad altro elio alla facilità impressa dal movente. Salv. Sarà bene, pur levare il più elio sia possibile le cause del- P andarsene in infinito con le altorcazioni, che voi quanto si può di¬ stintamente spianiate qual sia l’operazione del mezo nel continuar il moto al proietto. 8(1 Operazione o,l0Ul ' 0 ' bussando sotto una tangente elio restasse immobile, così anco il pezzo per la medesima l’agiono si va continuamente inclinando, e segui- io tando di rimirar sempre l’istosso scopo, ondo i tiri no riescon giusti. I sognaci del Coper- Ma qui mi par opportuna occasiono di avvertir certa larghezza che nicotroppolargamen- , n . 1M . . « to ammettono come vien fatta, torso con soverchia liberalità, da 1 seguaci del Copernico zioni assai dubbioso, alla parto avversa : dico di concedergli come sicuro o certe alcuno esperienze che gli avversarli veramente non hanno mai fatte, come, v. g., quolla de i cadenti dall’ albero della nave mentre è in moto, ed altre molte ; tra le quali tengo per fermo che una sia questa del far prova se i tiri d’artiglieria orientali riescon alti, o gli occidentali bassi. E perchè credo elio non 1 ’ abbiano mai fatta, vorrei elio mi dicessero qual diversità e’ credono che si dovrebbe scorgere tra i medesimi tiri, 20 posta la Terra immobile o postala mobile ; e per loro risponda adesso il Sig. Simplicio. Simp. Io non mi voglio arrogere di risponder così fondatamente come forse qualche altro più intendente di me, ma dirò quello che penso così all’ improviso che risponderebbero, che ò in effetto quello che già è stato prodotto : cioè che quando la Terra si movesse, i tiri orientali riuscirebbe!’ sempre alti etc., dovendo, come par verisimile, muovei’si la palla per la tangente. Salv. Ma s’io dicessi che così segue in effetto, come faroste a re¬ provare il mio detto ? - so Simp. Converrebbe venir all’ esperienza per chiarirsene. Salv. Ma credete voi che si trovasse bombardici’ così pratico, che togliesse a dar nel berzaglio ogni tiro nella distanza, v. g., di cin¬ quecento braccia? Simp. Signor 110 : e credo che non sarebbe alcuno, per esperto che fusse, che si promettesse di non errar ragguagliatamente più d’un braccio. GIORNATA SECONDA. 207 Salv. Come dunque ci potremmo con tiri così fidiaci assicurar in quello di che dubitiamo? Simf. Potremmoci assicurar in due modi : 1’ uno, co ’l tirar molti tiri ; e 1’ altro, perchè rispetto alla gran velocità del moto della Terra la deviazion dallo scopo sarebbe, per mio parer, grandissima. Salv. Grandissima, cioè assai più d’ un braccio ; già che il variar di tanto, ed anco di più, si concede che accascili ordinariamente anco nella quiete del globo terrestre. Simp. Credo fermamente che la variazion sarebbe assai maggiore, io Salv. Or voglio che per nostro gusto facciamo così alla grossa Calcolo dì quanto ...... » . . . . , .. i tiri d’ai'tigliorin. FX MONDO. di sopra o noli’ aria aperta o non seguace del corso della nave, dif¬ ferenze più e men notabili si vedrebbero in alcuni do gli effetti no¬ minati : e non è dubbio che il fumo resterebbe in dietro, quanto l'aria stessa; lo mosche, parimente o le. farfalle, impedite dall’aria, non potrei)ber seguir il moto della nave, quando da essa per spazio assai notabile si separassero; ma trattenendovisi vicine, perchè la nave stessa, come di fabbrica anfrattuosa, porta seco parte dell’aria sua prossima, senza intoppo o fatica soguirebbon la nave, o per simil cagiono veggiamo tal volta, nel correr la posta, le mosche im¬ portune e i tafani seguir i cavalli, volandogli ora in questa ed ora io in quella parto del corpo ; ma nelle gocciole cadenti pochissima sa¬ rebbe la differenza, o no i salti e ne i proietti gravi, del tutto im¬ percettibile. Sauu. Queste osservazioni, ancorché navigando non mi sia caduto in mente di farle a posta, tuttavia son più elio sicuro che succede¬ ranno nella maniera raccontata : in confermazione di che mi ricordo essermi cento volte trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra fan¬ tasia, ho creduto elio ella andasse por un verso, mentre il moto era al contrario. Per tanto io sin (pii resto sodisfatto e capacissimo della 20 nullità del valore di tutte 1’ esperienze prodotte in provar più la parte negativa che P affimiativa della conversion della Terra. Resta ora P instanza fondata su’l veder per esperienza come una vertigine ve¬ loce ha facilità (li estrudere e dissipare lo materie aderenti alla ma¬ china che va in volta ; per lo che pareva a molti, od anco a Tolomeo, che quando la Terra si rigirasse in sò stessa con tanta velocità, i sassi e gli animali dovessero esser scagliati verso lo stelle, e che le fabbriche non potessero con sì tenace calcina esser attaccate a i fon¬ damenti, che esse ancora non patissero un tale eccidio. Salv. Prima che voniro allo scioglimento di questa instanza, non so posso tacer quello che mille volto ho osservato, 0 non senza riso, cadere nella mente quasi di tutti gli uomini nel primo motto che sentono di questo muoversi la Terra, creduta da loro talmente fissa ed immota, che non solamente di tal quiete mai non hanno dubitato, ma fermamente creduto che tutti gli altri uomini insieme con loro P abbiano stimata creata immobile e tale mantenutasi in tutti i se¬ coli decorsi ; e fermatisi in questo concetto, stupiscono poi nel sen- GIORNATA SECONDA. 215 tire clic alcuno le conceda il moto, quasi che, dopo averla egli tenuta stupidità di alcuni . _ . . • n • • n die «limitilo, Ir Torni immobile, scioccamente pensi, allora, e non prima, essersi ella messa onerai cominomhi n . , i -pv i • u . n -a• -, niuovero quando Più in moto, quando Pitagora o chi altro si lasse il primo a dir clic ella tagoracominciò a diro si muoveva. Ora, che tale stoltissimo pensiero (dico di credere che C ' u quelli che ammettono il moto della Terra, l’abbiano prima creduta stabile dalla sua creazione sino al tempo di Pitagora, e solo fattola poi mobile dopo che Pitagora la stimò tale) trovi luogo nelle menti de gli uomini vulgari e di senso leggiero, io non me ne maraviglio ; ma che gli Aristoteli e i Tolomei siano essi ancora incorsi in questa io puerizia, mi par veramente assai più strana ed inescusabil sem¬ plicità. • Sagr. Adunque, Sig. Salviati, voi credete che Tolomeo pensasse di dover, disputando, mantener la stabilità della Terra contro a uomini li quali, concedendo quella essere stata immobile sino al tempo di Pitagora, allora solamente affermassero essersi ella fatta mobile, quando esso Pitagora le attribuì il moto ? Salv. Non si può credere altrimenti, se noi ben consideriamo la Aristotile o Toio- maniera eh e tiene in confutare il dotto loro: la confutazione del in mobilità delia Ter- quale consiste nella demolizion delle fabbriche, e nello scagliamento creduto ciie, essendo a m . . a • t i t . . . . , ellastata lungo tempo 20 delle pietre de gli ammali e de gli uomini stessi verso il cielo; e ferma, cominciasse a perchè tal rovina e sbalestramento non si può fare di edilìzii e di Piiagoru! " '"" P ° animali che prima non sieno in Terra, nè in Terra possono collo¬ carsi uomini e fabbricarsi edifizii se non quando ella stesse ferma, di qui dunque è manifesto che Tolomeo procede contro a quelli che avendo per alcun tempo conceduto la quiete alla Terra, cioè allora che gli animali le pietre e i muratori potetter dimorarvi, e fabbricar i palazzi e le città, la fanno poi precipitosamente mobile, alla rovina e distruzione delle fabbriche e de gli animali etc. Chò quando egli avesse preso assunto di disputar contro a chi avesse attribuito alla Terra 30 tal vertigine dalla sua prima creazione, P avrebbe confutata co ’l diro che se la Terra si fusse sempre mossa, mai non si sarebbe potuto costituir in essa nè fiere nè uomini nè pietre, e molto meno fabbri¬ care edifizii e fondar città etc. Simp. Non resto ben capace di questa Aristotelica e Tolemaica sconvenevolezza. Salv. Tolomeo o arguisce contro a quelli che hanno stimata la Terra mobile sempre, o contro a chi ha stimato che ella sia stata 216 DIALOUO SOI’RA I DUE MA881MI SISTEMI DEI, MONDO. por alcun tempo ferina e elio poi si è messa in moto : so contro a i primi, doveva dire : « La Terra non si ò mossa sempre, perchè mai non sarebbero stati uomini nè animali nè edilìzi i in Terra, non per¬ mettendo loro la terrestre vertigine il dimorarvi » ; ma già che egli argomentando dico: «La terra non si muove, perchè le fiere gli uomini e le fabbriche, già posto in 'ferra, precipiterebbono », suppone la Terra essersi una volta trovata in tale stato, che abbia ammesso alle bere e a gli uomini il dimorarvi e ’l fabbricarvi ; il che si tira in conseguenza V essere stata ella alcun tempo forma, cioè atta alla dimora de gli animali ed alla fabbrica de gli editizii. Restate voi ora io capace di quanto io ho voluto dire ? Simp. Resto e non resto : ma questo poco importa al inerito della causa, nè un erroruzzo di Tolomeo, commesso per inavvertenza, può esser bastante a muover la Terra, quando ella sia immobile. Ma la¬ sciati gli scherzi, vanghiamo pure al nervo dell’argomento, elio a ine pare insolubile. Salv. Ed io, Sig. Simplicio, lo voglio ancora annodare e strigner da vantaggio, co ’l mostrar ancor più sensatamente come sia vero La vertigine veloce che i corpi gravi, girati con velocità intorno a un contro stabile, lui faciliti «li oslriulo- . , .. . , . , . . , ve e dissipalo. acquistano impeto di muoversi allontanandosi da (pici centro, quando 20 anco e’ siano in stato di aver propensione di andarvi naturalmente. Leghisi in capo di una corda un secchiello, dentrovi dell’acqua, e tenendo forte in mano V altro capo, e fatto semidiametro la corda e ’l braccio, e centro la snodatura della spalla, facciasi andare intorno velocemente il vaso, sì che egli descriva la circonferenza di un cer¬ chio ; il quale 0 sia parallelo all’ orizonte, o siagli eretto, 0 in qual¬ sivoglia modo inclinato, in tutti i casi seguirà che 1’ acqua non ca¬ scherà fuori del vaso, anzi colui che lo gira sentirà sempre tirar la corda e far forza per allontanarsi più dalla spalla ; e so nel fondo del secchiello si farà un foro, si vedrà T acqua zampillar fuori non 30 meno verso il cielo che lateralmente e verso la terra ; e se in cambio d’ acqua si metteranno pietruzze, girando nell’ istesso modo, si sentirà far loro l’istessa forza contro alla corda ; e. finalmente si veggono i fanciulli tirar i sassi in gran lontananza co ’l muover in giro un pezo di canna, in cima della quale sia incastrato il sasso : argomenti tutti della verità della conclusione, cioè che la vertigine conferisce al mo¬ bile impeto verso la circonferenza, (piando il moto sia veloce; e per- GIORNATA SECONDA. 217 chè, quando la Terra girasse in sè stessa, il moto della superficie, o massime verso il cerchio massimo, come incomparabilmente più ve¬ loce che i nominati, dovrebbe estruder ogni cosa contro al cielo. Simf. L’instanza mi par molto bene stabilita e annodata, e gran cosa ci vorrà, per mio credere, a rimuoverla e sciorla. Salv. Lo scioglimento suo depende da alcune notizie non meno sapute e credute da voi che da me ; ma perchè elle non vi sovven¬ gono, però non vedete lo scioglimento. Senza dunque eli’ io ve lo in¬ segni, perchè già voi le sapete, co T semplice ricordarvele farò che io voi stesso risolverete l’instanza. Simf. Io ho posto mente più volte al vostro modo di ragionare, il quale mi ha destato qualche pensiero che voi incliniate a quella opinion di Platone, che nostrum scire sit quoddam reminisci : però, di grazia, cavatemi di questo dubbio, dicendomi ’l vostro senso. Salv. Quel eh’ io senta dell’ opinion di Platone, posso significar- velo con parole ed ancora con fatti. Già ne’ ragionamenti avuti sin qui mi son io più d’ una volta dichiarato con fatti : seguirò l’istesso stile nel particolare che aviamo per lo mani, che potrà poi servirvi come esempio a più agevolmente comprendere il mio concetto circa 20 P acquisto della scienza, quando però ci avanzi tempo per un altro giorno e non sia di noia al Sig. Sagredo che noi facciamo questa digressione. Sagr. Anzi mi sarà gratissimo, perchè mi ricordo che quando stu¬ diavo logica, mai non potetti restar capace di quella tanto predicata dimostrazion potissima di Aristotile. Salv. Seguitiamo dunque : e dicami il Sig. Simplicio qual sia il moto che fa quel sassetto stretto nella cocca della canna, mentre il fanciullo la muove per tirarlo lontano. Simp. Il moto del sasso sin che è nella cocca è circolare, cioè va so per un arco di cerchio, il cui centro stabile è la snodatura della spalla, e il semidiametro la canna co ’l braccio. Salv. E quando la pietra scappa dalla canna, qual è il suo moto r séguit’ ella di continuare ’l suo precedente circolare, o pur va per al¬ tra linea? Simf. Non séguit’ altrimenti di muoversi in giro, perchè così non si discosterebbe dalla spalla del proiciente, dove che noi la veggiamo andar lontanissima. Il nostro sapore ò un corto ricordarsi, so- conilo Plalonu. VII. 29 218 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Sai.v. Di die moto dunque bì muove ella? Simp. Lasciate di’ io ci pensi un poco, perchè non ci ho più fatto fantasia. Saly. Sig. Sngredo, udito all’ orecchio : ecco il quoddam reminìsci in campagna, bene inteso. Voi ci pensate molto, Sig. Simplicio 1 Simp. Secondo me il moto concepito nell’ uscir della cocca non può esser se non per linea retta ; anzi pur è egli necessariamente per linea retta, intendendo del puro impeto avventizio. Mi dava un poco di fastidio il vedergli descriver un arco ; ma perchè tal arco piega sempre all’ ingiù, e non verso altra parte, comprendo elio quel de- io clinare vion dalla gravità della pietra, elio naturalmente la tira al basso. L’impeto impresso dico senz’ altro di’ è per linea retta. Saly. Ma per qual linea retta? perchè infinito o verso tutte le bande so ne posson produrre dalla cocca della canna e dal punto della separazion della pietra dalla canna. Simp. Muovosi per quella che è alla dirittura del moto che ha fatto la pietra con la canna. Saly. Il moto della pietra, mentre era nella cocca, già avete detto che è stato circolare ; ora repugna l'esser circolare e a dirittura, non essendo nella linea circolare parte alcuna di retto. 20 Simp. lo non intendo che ’l moto proietto sia a dirittura di tutto il circolare, ma di queir ultimo punto dovo terminò il moto circo¬ lare. Io mi intendo dentro di me, ma non so ben esplicarmi. Sai.v. Ed io ancora mi accorgo che voi intendete la cosa, ma non avete i termini proprii da esprimerla : or questi ve gli posso ben insegnar io ; insegnarvi, cioè, delle parole, ma non delle verità, che son coso. E per farvi toccar con mano che voi sapete la cosa e solo vi mancano i termini da esprimerla, ditemi : quando voi tirate una palla con 1’ archibuso, verso che parto acquist’ ella impeto di andare? Simp. Acquista impeto di andare per quella linea retta che segue so la dirittura della canna, cioè che non declina nè a destra nè a sini¬ stra, nè in su nè in giù. Sai.y. Che in somma è quanto a dire, elio non fa angolo nessuno con la linea del moto retto fatto per la canna. Simp. Così ho voluto dire. Saly. Se dunque la linea del moto del proietto si ha da continuar senza far angolo sopra la linea circolare descritta da lui mentre fu GIORNATA SECONDA. 219 co ’1 proidente, e se da questo moto circolare deve passar al moto retto, qual dovrà esser questa linea retta? Simp. Non potrà esser se non quella clie tocca il cerchio nel punto della separazione, perchè tutte 1’ altre mi par che, prolungate, seghe- rebbono la circonferenza, e però conterrebber con essa qualche angolo. Salv. Voi benissimo avete discorso, e vi sete dimostrato mezo geo¬ metra. Ritenete dunque in memoria che il vostro concetto reale si spiega con queste parole : cioè che il proietto acquista impeto di muoversi per la tangente l’arco La lettera H, la quale nell’edizione già più volte citato, di detta edizione, olio originale manca nella figura, è stata aggiunta è oggi posseduto dalla Biblioteca del Semi- fi penna di mono di Galileo nell’ esemplare, nario di Padova GIORNATA SECONDA. 225 gente e la circonferenza si vanno diminuendo in infinito verso ’l con¬ tatto ; ma è anco vero, all’ incontro, che la propensione del mobile al descendere si va facendo in esso sempre minore quanto egli si trova più vicino al primo termine della sua scesa, cioè allo stato di quiete, sì come è manifesto da quello che voi ci dichiaraste, mo¬ strando che il grave descendente partendosi dalla quiete debbe pas¬ sar per tutti i gradi di tardità rnezani tra essa quiete e qualsivoglia segnato grado di velocità, li quali sono minori e minori in infinito. Aggiugnesi che essa velocità e propensione al moto si va per un’altra io ragione diminuendo pure in infinito, e ciò avviene dal potersi in in¬ finito diminuire la gravità di esso mobile : talché le cagioni che di¬ minuiscono la propensione allo scendere, ed in conseguenza favori¬ scono la proiezione, son due, cioè la leggerezza del mobile e la vicinità al termine di quiete, ed amendue agumentabili in infinito; le quali hanno, all’ incontro, il contrasto di una sola causa del far la proie¬ zione, la quale, benché essa parimente agumentabile in infinito, non comprendo come essa sola non possa restar vinta dall’ unione ed ac¬ coppiamento dell’ altre, che son due pure agumentabili in infinito. Salv. Dubitazione degna del Sig. Sagredo ; e per dilucidarla, sì 20 che più chiaramente venga da noi compresa, poiché voi ancora dite d’ averla in confuso, la verremo distinguendo con ridurla in figura, la quale anco forse ci arrecherà agevolezza nel risolverla. Segniamo dunque una linea perpendicolare verso il centro, e sia questa AC, ed ad essa sia ad angoli retti la orizontale AB, sopra la quale si fa¬ rebbe il moto della proiezione e vi continuerebbe d’ andare il proietto con movimento equabile, quando la gravità non lo inclinasse a basso. Intendasi ora dal punto A prodotta una linea retta, la quale con la AB contenga qualsivoglia angolo, e sia questa AE, e notiamo sopra la AB alcuni spazii eguali so AF, FH, 1IK, e da essi tiriamo le perpendicolari FG, HI, KL sino alla AE. E perchè, come altra volta si è detto, il grave cadente, partendosi dalla quiete, va acquistando sempre maggior grado di velocità di tempo in tempo, secondo che l’istesso tempo va crescendo, possiamo figurarci gli spazii AF, FH, IIK rappresentarci tempi eguali, e le perpendicolari FG, HI, KL gradi di velocità acquistati in detti tempi, sì che il grado di velocità acqui¬ vi!. 23 226 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. stato in tutto il tempo AK sia come la linea KL rispetto al grado HI acquistato noi tempo All, o ’l grado I-'G nel tempo AI*’, li quali gradi KL, III, FG hanno (conio ò manifesto) la medesima proporziono cho i tempi KA, IIA, FA; o bo altre perpendicolari si tireranno da i punti ad arbitrio notati nella linea FA, sempre si troveremmo gradi minori e minori iti infinito, procedendo verso il punto A, rappresen¬ tante il primo instante del tempo e il primo stato di quiete : e questo ritiramento verso A ci rappresenta la prima propensione al moto in giù, diminuita in infinito per ravvicinamento del mobile al primo stato di quiete, il quale avvicinamento è agumentabile in infinito, io Troveremo adesso 1’ altra dimiuuzion di velocità, che pure si può faro in infinito per la dimiuuzion della gravità del mobile; o questo si rappresenterà col produrre altre linee dal punto A, le quali conten¬ gano angoli minori dell’angolo HAK, quid sarebbe questa AD, la quale, segando lo parallelo KL, HI, FG ne’punti M, N, 0, ci figura i gradi FO, UN, KM acquistati ne i tempi AF, All, AK, minori de gli altri gradi FG, III, KL acquistati ne i medesimi tempi, ma questi come da un mobile più grave, e quelli da un più leggiero. Ed è ma¬ nifesto che col ritirar la linea FA verso AH, ristrignendo l’angoloEAB (il che si può fare in infinito, sì come la gravità in infinito si può 20 diminuire), si vien parimente a diminuire in infinito la velocità del cadente, ed in conseguenza la causa che impediva la proiezione: e però paro che dall' unione di questo duo ragioni contro alla proiezione, diminuite in infinito, non possa ella esser impedita. E riducendo tutto l’argomento in brevi parole, diremo: Col riatrigner l’angolo EAB si diminuiscono i gradi di velocità LK, III, Gl*' ; ed in oltre col ritirar lo parallele KL, III, FG verso l’angolo A si diminuiscono pure i me¬ desimi gradi, e 1’una e l’altra diminuzione si estende in infinito: adunque la velocità del moto in giù si potrà ben diminuir tanto e tanto (potendosi doppiamente diminuire in infinito), elio ella non basti so por restituire il mobile sopra la circonferenza della ruota, e per fare, in conseguenza, che la proiezione venga impedita 0 tolta. All’ incontro poi, per far che la proiezion non segua, bisogna cho gli spazii per i quali il proietto deve scendere por riunirsi alla ruota, si facciano così brevi ed angusti, che per tarda, anzi pur diminuita in infinito, che sia la scesa del mobile, ella pur basti a ricondurvelo ; e però bisognerebbe che si trovasso una diminuzione di essi spazii non solo GIORNATA SECONDA. 227 fatta in infinito, ma di una infinità tale che superasse la doppia in¬ finità che si fa nella diminuzion della velocità del cadente in giù. Ma come si diminuirà una magnitudine più di un’ altra che si dimi¬ nuisce doppiamente in infinito ? Ora noti il Sig. Simplicio quanto si possa ben filosofare in natura senza geometria ! I gradi della velocità diminuiti in infinito, sì per la diminuzion della gravità del mobile sì per 1’ avvicinamento al primo termine del moto, cioè allo stato di quiete, sempre son determinati, e proporzionatamente rispondono alle parallele comprese tra due lince rette concorrenti in un angolo, con¬ io forme all’ angolo BAE o BÀI) o altro in infinito più acuto, ma però sempre rettilineo ; ma la diminuzione degli spazii per li quali il mo¬ bile ha da ricondursi sopra la circonferenza della ruota è proporzio¬ nata ad un’ altra sorte di diminuzione, compresa dentro a linee che contengono un angolo infinitamente più stretto ed acuto di qualsivo¬ glia acuto rettilineo, quale sarà questo. Piglisi nella perpendicolare AC qualsivoglia punto C, e fattolo centro, descrivasi con l’ intervallo CA un arco AMP, il quale taglierà le parallele determinataci de i gradi di velocità, per minime che elle siano e comprese dentro ad angustis¬ simo angolo rettilineo ; delle quali parallele le parti che restano tra 20 1’ arco e la tangente AB sono le quantità de gli spazii e de i ritorni sopra la ruota, sempre minori, e con maggior proporzione minori quanto più s’ accostano al contatto, minori, dico, di esse parallele, delle quali son parti. Le parallele comprese tra le linee rette, nel ritirarsi verso 1’ angolo, diminuiscono sempre con la medesima pro¬ porzione, come, v. g., essendo divisa la AH in mezo nel punto F, la parallela III sarà doppia della FG, e suddividendo la FA in mezo, la parallela prodotta dal punto della divisione sarà la metà della FG, e continuando la suddivisione in infinito, le parallele sussequenti sa¬ ranno sempre la metà delle prossime precedenti : ma non così avviene so delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza del cerchio ; imperocché, fatta l’istessa suddivisione nella FA e posto, per esem¬ pio, che la parallela che vien dal punto H fusse doppia di quella che vien da F, questa sarà poi più che doppia della seguente, e conti¬ nuamente quanto verremo verso il toccamento A troveremo le pre¬ cedenti linee contenere le prossime seguenti tre, quattro, dieci, cento, mille, centomila, e cento milioni, e più in infinito. La brevità, dun¬ que, di tali linee si riduce a tale, che di gran lunga supera il bisogno 228 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. per far che il proietto, per leggerissimo che sia, ritorni, anzi pur si mantenga, sopra la circonferenza. Sagk. Io resto molto ben capace di tutto il discorso o della forza con la quale egli striglie : tuttavia mi paro che chi volesse trava¬ gliarlo ancora, potrebbe muoverci qualche diiìieultà, con dire che delle due cause elio rendono la scesa del mobile più e più tarda in in¬ fluito, ò manifesto che quella elio dependo dalla vicinità al primo termino della scesa, cresce sempre con la medesima proporzione, sì conio sompro mantengono l’istessa proporzione tra di loro le paral¬ lele etc. ; ma elio la diminuzion della medesima velocità dependentc io dalla diminuzion della gravità del mobile (elio era la seconda causa) si faccia essa ancora con la medesima proporzione, non par così ma¬ nifesto. E chi ci assicura che olla non si faccia secondo la propor¬ zione delle linee intercetto tra la tangente o la circonferenza, o pur anco con proporzion maggioro ? Sàly. Io avevo preso come per vero elio le velocità do i mobili naturalmente descendenti seguitassero la proporzione dello loro gra¬ vità, in grazia del Sig. Simplicio e d’Aristotile, elio in più luoghi l’af¬ ferma come proposizione manifesta ; voi, in grazia dell’ avversario, ponete ciò in dubbio, ed asserito poter esser elio la velocità si ac- 20 cresca con proporzion maggiore, ed anco maggioro in infinito, di quella della gravità, onde tutto il discorso passato vadia per terra ; resta a me, per sostenerlo, il diro che la proporziono dello velocità è molto minore di quella dello gravità, 0 così non solamente sollevare, ma fortificare, quanto si è detto : 0 di questo ne adduco per prova 1 ’ espe¬ rienza, la quale ci mostrerà che un gravo anco ben trenta e qua¬ ranta volte pili di un altro, qual sarebbe, per esempio, una palla di piombo ed una di sughero, non si moverà nè anco a gran pezzo più veloce il doppio. Ora, se la proiezione non si farebbe quando ben la velocità del cadente si diminuisse secondo la proporzione della gra- 20 vità, molto meno si farà ella tutta volta elio poco si scemi la velo¬ cità per molto, che si detragga del peso. Ma posto anco elio la ve¬ locità si diminuisse con proporzione assai maggiore di quella con che si scemasse la gravità, quando ben anco ella fusso quella stessa con la quale si diminuiscono quelle parallele tra la tangente e la circon¬ ferenza, io non penetro necessità veruna che mi persuada doversi far la proiezione di materie quanto si vogliano leggierissime, anzi affermo GIORNATA SECONDA. 220 pure che ella non si farà, intendendo però di materie non propria¬ mente leggierissime, cioè prive di ogni gravità e che per lor natura vadano in alto, ma clic lentissimamente descendano ed abbiano pochis¬ sima gravità : e quello che mi muove a così credere ò che la dimi¬ nuzione di gravità, fatta secondo la proporzione delle parallele tra la tangente e la circonferenza, ha per termino ultimo ed altissimo la nullità di peso, come quelle parallele hanno per ultimo termine della lor diminuzione l’istesso contatto, che è un punto indivisibile ; ora la gravità non si diminuisce mai sino al termine ultimo, perchè così io il mobile non sarebbe grave; ma ben lo spazio del ritorno del proietto alla circonferenza si riduce all’ultima piccolezza, il che è quando il mobile posa sopra la circonferenza nell’istesso punto del contatto, talché per ritornarvi non ha bisogno di spazio quanto : e però, sia quanto si voglia minima la propensione al moto in giù, sempre è ella più che a bastanza per ricondurre il mobile su la circonferenza, dalla quale ei dista per lo spazio minimo, cioè per niente. Sagr. Veramente il discorso è molto sottile, ma altrettanto con¬ cludente ; ed è forza confessare che il voler trattar le quistioni natu¬ rali senza geometria è un tentar di fare quello che ò impossibile ad 20 esser fatto. Salv. Ma il Sig. Simplicio non dirà così ; se bene io non credo eli’ ei sia di quei Peripatetici che dissuadono i lor discepoli dallo studio delle mattematiche, come quelle che depravano il discorso e lo rendono meno atto alla contemplazione. Simp. Io non farei questo torto a Platone, ma direi bene con Ari¬ stotile che ei s’immerse troppo e troppo s’invaghì di quella sua geo¬ metria ; perchè finalmente queste sottigliezze mattematiche, Sig. Sal¬ viate son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono : perchè dimostrerranno ben i mattematici con i lor so principii, per esempio, che sphaera tangit pìanum in puncio, proposi¬ zione simile alla presente ; ma come si viene alla materia, le cose vanno per un altro verso : e così voglio dire di quest’ angoli del con¬ tatto e di queste proporzioni, che tutte poi vanno a monte quando si viene alle cose materiali e sensibili. Salv. Adunque voi non credete altrimenti che la tangente tocchi la superficie del globo terrestre in un punto ? Smr. Non solo in un punto, ma credo che molte e molte decine 230 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. «In (1 e forse centinnia di braccia, vadia una linea retta toccando la super¬ ficie anco dell’aequa, non che della Terra, prima elio separarsi da lei Sai.v. Ma h' io vi concedo questa cosa, non v’accorgete voi cho tanto poggio è per la causa vostra ? perchè, se posto cho la tangonto da un sol punto in fuori, lusso separata dalla superficie della Terra si ò ad ogni modo dimostrato elio per la granilo strettezza dell’an¬ golo della contingenza (se però si deve chiamar angolo) il proietto non si separerebbe, quanto meno avrà egli causa di separarsi se quel- T angolo si chiuda affatto o la superficie o la tangente procedano unitamente? Non vedete voi elio a questo modo la proiezione si fa- io rebbe su V istossa superficie della Terra, cho tanto ò quanto a diro n vero uioj a acqui-che ella non si farebbe? Vedete adunque qual sia Inforza del vero la forse dallo contro* ìzio,li - che mentre voi cercato il’ atterrarlo, i vostri medesimi assalti lo sol¬ levano e T avvalorano. Ma già che vi ho tratto di questo errore, non vorrei già lasciarvi in quest’altro, che voi stimaste che una sfera materiale non tocchi un piano in un sol punto; e vorrei pur che la conversazione, ancor che di poche ore, avuta con persone cho hanno qualche cognizion di geometria vi facesse comparir un poco più in¬ telligente tra quei che non no sanno niente. Or, per mostrarvi quanto sia grande P error di coloro che dicono che una sfera, v. g. di bronzo, 20 non tocca un piano, v. g. d'acciaio, in un punto, ditemi qual concetto voi vi formeresti di uno che dicesse e costantemente asseverasse cho la sfera non fusse veramente sfera. Simp. Lo stimerei per privo ili discorso affatto. Sai.v. In questo stato è colui che dico che la sfera materiale non orinV.' l tocca°’i' C )iii ^ occa pi ail0 > P ur materiale, in un punto, perchè il dir questo è nnteri’nie in un sol p istesso che dire che la sfera non è sfera. E che ciò sia vero, ditemi ito. / in quello elio voi costituito V essenza della sfora, cioè elio cosa ò quella che ia differir la sfera da tutti gli altri corpi solidi. Simp. Credo che V essere sfera consista nell’ aver tutte le linee rette, so prodotte dal suo centro sin alla circonferenza, eguali. Salv. Talché quando tali linee non funsero eguali, quel tal solido non sarebbe altrimenti una sfera. Simp. Signor no. Salv. Ditemi appresso, se voi credete che «lolle molte linee che si posson tirar tra due punti, ve ne possa essere altro che una retta sola. Simp. Signor no. L inni no ma punto. Definizione della sfera. GIORNATA SECONDA. 231 Saly. Ma voi intendete pure che questa sola retta sarà poi per necessità la brevissima di tutte 1 ’ altre. Simp. L’intendo, e ne lio anche la dimostrazion chiara, arrecata da un gran filosofo poripatetico; e parmi, se ben mi ricorda, ch’ei la porti riprendendo Archimede, che la suppone come nota, poten¬ dola dimostrare. Salv. Questo sarà stato un gran matematico, avendo potuto dimo¬ strar quel che nè seppe nè potette dimostrare Archimede ; e se ve ne sovvenisse la dimostrazione, la sentirei volentieri, perchè mi ri¬ io cordo benissimo che Archimede ne i libri della sfera e del cilindro mette cotesta proposizione tra i postulati, e tengo per fermo che l’avesse per indimostrabile. Siili’. Credo che mi sovverrà, perdi’ ella è assai facile e breve. Salv. Tanto sarà maggior la vergogna d’Archimede, o la gloria di cotesto filosofo. Simp. Io farò la sua figura. Tra i punti A, B tira la linea retta AB Dimostrazione a’tm , Peripatetico por pro- e la curva AOB, delle quali ei vuol prò- -^ var cho la linea retta è la brevissima di vare la retta esser più breve ; e la prova / \ tutto. è tale. Nella curva piglia un punto, che / _——■'—‘X 20 sarebbe C, e tira due altre rette AC, CB, J _— - _Ab le quali due sono più lunghe della sola AB, che così dimostra Euclide ; ma la curva ACB è maggiore delle due rette AC, CB ; adunque a fortiori la curva ACB sarà molto maggiore della retta AB, che è quello die si doveva dimostrare. Salv. Io non credo che a cercar tutti i paralogismi del mondo si Paralogismo dei _ . medesimo Peripateti- potesse trovare il più accomodato di questo per dare un esempio co, che prova ìgnoium della più solenne fallacia che sia tra tutte le fallacie, cioè di quella p 9 che prova ignotwn per ignotius. Simp. In che modo? 30 Salv. Come in che modo? la conclusione ignota, ohe voi volete provare, non è che la curva ACB sia più lunga della retta AB ? il mezo termine, che si piglia per noto, non è che la curva ACB sia maggior delle due AC, CB, le quali è noto esser maggior della AB ? e se vi è ignoto che la curva sia maggiore della sola retta AB, come non sarà egli assai più ignoto che ella sia maggiore delle due rette AC, CB, che si sa esser maggiori della sola AB ? e voi lo prendete per noto ? Simp. Io non intendo ancor bene dove consista la fallacia. 232 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Salv. Corno lo due rette sien maggiori della All (sì come è noto per Euclide), tuttavoltu che la curva sia maggior delle due rette ACB, non sarà ella molto maggiore della sola retta AB? Simp. Signor sì. Salv. Esser maggiore la curva ACB della retta AB è la conclu¬ sione, più nota del mezo termine, che è 1’ esser la medesima curva maggior delle due retto AU, CB : ora, quando il mezo è manco noto della conclusione, si domanda provare ignotum per ignotius. Or tor¬ niamo al nostro proposito : basta che voi intendete, la retta esser la brevissima di tutte le lineo elio si posson tirare fra due punti, io E (pianto alla principal conclusione, voi dite che la sfera materiale non tocca il piano in un sol punto: qual è dunque il suo contatto? Simp. Sarà una parto della sua superficie. Salv. E il contatto parimente (l’un’ altra sfera eguale alla prima, sarà pure una simil particella della sua superfìcie ? Simf. Non ci è ragiono che non dova esser così. Sai.v. Adunque ancor lo due sfere, toccandosi, si toccheranno con le duo medesime particelle di superficie, perchè, adattandosi ciasche¬ duna di esse all’ istesso piano, è forza che si adattino ancor fra di Dimo#irR7.ton*como loro. Ini aginate vi ora le due sfere, i cui centri A, B, che si tocchino, e 20 1a sfera tocca *1 piano . . . , . . , . . ,. ahi i v in un «ci punto. eoiigiungami i lor centri con la retta linea AH, la (inalo passera per il ^-toccamente». Passi por il punto C, r \ e preso nel toccamente un altro \/ \ punto I), congiungansi le due retto — ( 1 -I AD, BI), sì che si constituisca il -7 ' triangolo ADB, del quale i duo \ N lati AD, DB saranno eguali all’al¬ tro solo ACB, contenendo, tanto quelli quante questi, due semidiametri, che per la definizion della sfera sono tutti eguali : e così la retta AB, tirata tra i due contri A, B, so non sarà la brevissima di tutte, essendoci le due AI), DB eguali a lei; il che per le vostre concessioni ò assurdo. Simp. Questa dimostrazione conclude dello sforo in astratto, e non delle materiali. Salv. Assegnatemi dunque in che cosa consiste la fallacia del mio argomento, già che non conclude nelle sfere materiali, ma sì bene nelle immateriali e astratto. GIORNATA SECONDA. 233 Simp. Le sfere materiali son soggette a molti accidenti, a i quali Perciò la sfora in astratto tocchi il pia¬ nori soggiacciono le immateriali. E perchè non può esser che, po- no in un punto, ma 00 # . . il* non l * 1 ma tornilo o in sandosi una sfera di metallo sopra un piano, il proprio peso non calchi concreto, in modo die il piano ceda qualche poco, o vero che l’istossa sfera nel contatto si ammacchi? In oltre, quel piano difficilmente potrà esser per¬ fetto, quando non per altro, almeno per esser la materia porosa ; e forse non sarà men difficile il trovare una sfera così perfetta, che abbia tutte le linee dal centro alla superficie egualissime per 1 ’ appunto. Salv. Oh tutte queste cose ve le concedo io facilmente, ma elle 10 sono assai fuor di proposito ; perchè mentre voi volete mostrarmi che una sfera materiale non tocca un piano materiale in un punto ( voi vi servite d’una sfera che non è sfera e d’un piano che non ò piano, poiché, per vostro detto, o queste cose non si trovano al mondo, o se si trovano si guastano nell’applicarsi a far l’effetto. Era dunque manco male che voi concedeste la conclusione, ma condizionatamente, cioè che se si desse in materia una sfera e un piano che l'ussero e si conservassero perfetti, si toccherebber in un sol punto, e negaste poi ciò potersi dare. Simp. Io ci’edo che la proposizione de i filosofi vadia intesa in cotesto 20 senso, perchè non è dubbio che 1 ’ imperfezion della materia fa elio le cose prese in concreto non rispondono alle considerate in astratto. Sa t/v. Come non si rispondono? Anzi quel che voi stesso dite al presente prova che elle rispondon puntualmente. Simp. In che modo ? Salv. Non dite voi clic per l’imperfezion della materia quel corpo che dovrebbe esser perfetto sferico, e quel piano che dovrebbe esser perfetto piano, non riescono poi tali in concreto quali altri se gli immagina in astratto ? Simp. Così dico. so Salv. Adunque, tuttavolta che in concreto voi applicate una sfera materiale a un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un piano non perfetto ; e questi dite che non si toccano in un punto. Ma io vi dico che anco in astratto una sfera immateriale, che non sia sfera pei’fetta, può toccare un piano immateriale, che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua super¬ ficie ; talché sin qui quello che accade in concreto, accade nell’istesso Lo coso in astratto 1 ± x . . 1 riowcono procisnmon* modo in astratto : e sarebbe ben nuova cosa che i coiti putì e le ra- to quali in concreto. VII. 30 234 DIALOGO 80PKA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Toccarsi in un pun¬ to non ù proprio ilo Ilo «foro porfotto so¬ lamente, ma di tutto lo figuro curvo. È più diflicilo il trovar figuro, elio si tocchino con parte di lor superficie, elio con un punto .solo. gioni fatto in numeri astratti, non rispondessero poi allo monete d’oro e d’argento e allo mercanzie in concreto. Ma sapete, Sig.Sim¬ plicio, quol elio accade? Si conio a voler elio i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete o le lane, bisogna elio il computista faccia lo sue tare di casso, invoglio ed altro bagaglio, così, quando il filosofo geo¬ metra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna elio difalcbi gli impedimenti della materia ; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che lo cose si riscontreranno non meno aggiusta¬ tamente che i computi aritmetici, (ili errori dunque non consistono nò nell’ astratto nò nel concreto, nò nella geometria o nella fisica, io ma nel calcolatore, che non sa fare i conti giusti. Però, quando voi aveste una sfera ed un piano perfetti, benché materiali, non abbiate dubbio che si toccherebbero in un punto ; o so questo era ed è im¬ possibile ad aversi, molto fuor di proposito fu il diro che spliaera aenea non tangit in puncto. Ma più vi aggiungo, Sig. Simplicio : con¬ cedutovi che non si possa dare in materia una figura sferica perfetta nò un piano perfetto, credete voi che si possano dare duo corpi ma¬ teriali di superficie in qualche parte e in qualche modo incurvata, anco quanto si voglia irregolatamente ? Simp. Di questi non credo che ce ne manchino. 20 Sai.v. Come ve ne siano di tali, questi ancora si toccheranno in un punto, che il toccarsi in un sol punto non ò miga privilegio par¬ ticolare del perfetto sferico e del perfetto piano. Anzi chi più sot¬ tilmente andasse contemplando questo negozio, troverebbe che più difficile assai ò il trovar due corpi elio si tocchino con parte dolio lor superficie, che con un punto solo : perchè a voler che duo super¬ fìcie combagino bene insieme, bisogna o che amendue sieno esatta¬ mente piane, o che se una è colma, 1’ altra sia concava, ma di una incavatura che per appunto risponda al colmo doli’ altra ; le quali condizioni son molto più difficili a trovarsi, per la lor troppo stretta «0 determinazione, che le altre, che nella casual larghezza son infinite. Simp. Adunque voi credete che due pietre 0 due ferri, presi a caso e accostati insieme, il più dello volte si tocchino in un sol punto ? Salv. Ne gli incontri casuali 1,1 credo di 110, sì perchè per lo più (l) L’edizione originale ha causali; ma già Gai.ileo, nell’esemplare posseduto ora dalla Biblioteca del Seminario di Padova, corresse a penna casuali. GIORNATA SECONDA. 235 sopra essi sarà qualche poco d’ immondizia cedente, sì perchè non si usa diligenza in applicargli insieme senza qualche percossa, ed ogni poca basta a far che 1’ una superficie ceda qualche poco all’ altra, sì che scambievolmente si figurino, almeno in qualche minima parti- cella, 1’ una all’ impronta dell’ altra : ma quando le superficie loro fus- sero ben torse, e che posati amendue sopra una tavola, acciocché P uno non gravasse sopra all’ altro, si spingessero pian piano P uno verso P altro, io non ho dubbio che potrebbero condursi al semplice contatto in un sol punto. io Sagr. Egli è forza che con vostra licenza io proponga certa mia difficoltà, natami nel sentir proporre al Sig. Simplicio la impossibi¬ lità che è nel potersi trovare un corpo materiale e solido che abbia perfettamente la figura sferica, e nel veder il Sig. Salviati prestargli in certo modo, non contradicendo, P assenso. Però vorrei sapere se la medesima difficoltà si trovi nel figurare un solido di qualche altra figura, cioè, per dichiararmi meglio, se maggior difficultà si trovi in voler ridurre un pezzo di marmo in figura d’una sfera perfetta, elio d’una perfetta piramide o d’un perfetto cavallo o d’una perfetta locusta. 20 Sai,v. Per questa prima, risposta la darò io : e prima mi scuserò dell’assenso che vi pare ch’io abbia prestato al Sig. Simplicio, il quale era solamente per a tempo, perchè io ancora avevo in animo, avanti che entrare in altra materia, dir quello che per avventura sarà P istesso o assai conforme al vostro pensiero. E rispondendo alla vostra prima interrogazione, dico che se figura alcuna si può dare Figura sferica più A . .. , * . facilmonte s'imprimo a un solido, la sferica e la. facilissima sopra tutte 1 altre, si come è di ogn'aitra. anco la semplicissima e tiene tra le figure solide quel luogo che il cerchio tiene tra le superficiali : la descrizion del qual cerchio, come più facile di tutte le altre, essa sola è stata giudicata da i matema- 30 tici degna d’esser posta tra i postulati attenenti alle descrizioni di Figura circolare, po- 0 1 x . fttft soia tra i postu- tutte T altre figuro. Ed è talmente facile la formazion della sfera, che i»ti. se in una piastra piana di metallo duro si caverà un vacuo circo¬ lare, dentro al quale si vadia rivolgendo casualmente qualsivoglia solido assai grossamente tondeggiato, per se stesso senz’ altro arti¬ fizio si ridurrà in figura sferica, quanto più sia possibile perfetta, purché quel tal solido non sia minore della sfera che passasse per quel cerchio ; o quel che ci è anche di più degno di considerazione DIALOGO SOPRA I PUH MASSIMI SISTEMI PEL MONDO. 2^6 Figuro «fericho di è che dentro a quel medesimo incavo si formeranno sforo ili diverso Josoono& d »“° C on grandezze. Quello poi che ci voglia por formare un cavallo o (come un solo strumento. uua i ocus t aj \ 0 lascio giudicare a voi, elio sapete che po¬ chissimi scultori si troverranno al mondo atti a poterlo faro; e credo elio il Sig. Simplicio in questo particolare non dissentirà da me. Simi\ Non so se io dissenta punto da voi. li’ oppinion mia è che nessuna dello nominato figure si possa perfettamente ottenere ; ma per avvicinarsi quanto si possa al più perfetto grado, creilo che in- comparabilmente sia più agevole il ridurre il solido in figura sferica, che in forma di cavallo o di locusta. Sagr. E quosta maggior difficilità da che credete voi elio ella de¬ penda ? Simil SI come la grand’agevolezza nel formar la sfera deriva dalla Formo irregoinri sua assoluta semplicità ed uniformità, così la somma irregolarità rende aifhcili n introdursi. ^jfg c j]' sg j m0 p intTOdUT 1’ altre. figUl’0. Sagr. Adunque, come l’irregolarità è causa di difticultà, anco la figura di un sasso rotto con un martello a caso sarà dello difficili a introdursi, essendo essa ancora irregolare forse più di quella del cavallo ? Suip. Così deve essere. Sàgr. Ma ditemi : quella figura, qualunque ella si sia, che ha quel sasso, hall’ egli perfettissimamente o pur no ? Simp. Quella che egli ha, l’ha tanto perfettamente, che nessun’altra le si assesta tanto puntualmente. Sagr. Adunque, se delle figuro irregolari, e perciò difficili a conse¬ guirsi, pur se uè trovano infinite perfettissimamente ottenute, con qual ragione si potrà dire che la semplicissima, c por ciò facilissima più di tutte, sia impossibile a ritrovarsi? Salv. Signori, con vostra pace, mi par che noi siamo entrati in una disputa non molto più rilevante che quella della lana caprina, so o dove che i nostri ragionamenti dovrebber continuar di esser in¬ torno a cose serie e rilevanti, noi consumiamo il tempo in altera¬ zioni frivole e di nessun rilievo. Ricordiamoci in grazia che il cercar Costituzione dei- la costituzione del mondo è de’ matreriori e de’ più nobil problemi 1 univerno ò dei più . 00 1 1 nobili problemi. che sieno m natura, e tanto maggior poi, quanto viene indrizzato allo scioglimento dell’ altro, dico della causa del flusso e reflusso del mare, cercata da tutti i grand’ uomini che sono stati sin qui e GIORNATA SECONDA. 237 forse da niun ritrovata : però, quando altro non ci resti da produrre per P assoluto scioglimento dell’ instanza presa dalla vertigine della Terra, che fu V ultima portata per argomento della sua immobilità circa il proprio centro, potremo passare allo scrutinio delle cose che sono in prò e contro al movimento annuo. Sagr. Non vorrei, Sig. Salviati, che voi misuraste gl’ingegni di noi altri con la misura del vostro: voi, avvezzo sempre ad occuparvi in contemplazioni altissime, stimate frivole e basse tal una di quello che a noi paiono degno cibo de’ nostri intelletti ; però talvolta, per io sodisfazione nostra, non vi sdegnate di abbassarvi a concedere qual¬ cosa alla nostra curiosità. Quanto poi allo scioglimento dell’.ultima instanza, presa dallo scagliamento della vertigine diurna, per sodi¬ sfare a me bastava assai meno di quello che si ò prodotto ; tuttavia le cose elio si son dette soprabbondantemente, mi son parse tanto curiose, ebe non solo non mi hanno stancata la fantasia, ma me V hanno con le loro novità trattenuta sempre con diletto tale che maggior non saprei desiderarne : però se qualche altra specolazione resta a voi da aggiugnervi, producetela pure, eh’ io per la parte mia molto volentieri la sentirò. 20 Salv. Io nelle cose trovate da me ho sempre sentito grandissimo diletto, e doppo questo, che è il massimo, provo gran piacere nel conferirle con qualche amico che le capisca e che mostri di gustarle : or, poiché voi sete uno di questi, allentando un poco la briglia alla mia ambizione, che gode dentro di se quando io mi mostro più per¬ spicace di qualche altro reputato di acuta vista, produrrò, per colmo e buona misura della discussion passata, un’ altra fallacia de i se¬ guaci di Tolomeo e d’Aristotile, presa nel già prodotto argomento. Sagr. Ecco che io avidamente mi apparecchio a sentirla. Salv. Noi aviamo sin qui trapassato e conceduto a Tolomeo come so effetto indubitabile, che procedendo lo scagliamento del sasso dalla velocità della ruota mossa intorno al suo centro, tanto si accresca la causa di esso scagliamento, quanto la velocità della vertigine si agumenta ; dal che si inferiva che essendo la velocità della terrestre vertigine sommamente maggiore di quella di qualsivoglia macchina che noi artifiziosamente possiam far girare, l’estrusione in conse¬ guenza delle pietre e de gli animali etc. dovesse esser violentissima. Ora io noto che in questo discorso è una grandissima fallacia, mentre DIALOGO SOPRA I IUTE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 238 noi indifferentemente od assolutamente paragoniamo lo velocità tra di loro. È vero elio s’io fo comparazione dello velocità della medesima ruota o di duo ruoto eguali tra di loro, quella che più velocemente sarà girata, con maggior impeto scaglierà lo pietre, e crescendo la velocità, con la medesima proporziono crescerà anco la causa della i.n c««sn n aito, non gii 0 men . . . n naturale che la gra- mentre il mobile è congiunto co ’l proiciente ; ma separato, che cosa, via cho gii muovo ni esterna rimane per motore della freccia o della palla ? Bisogna pur necessariamente dire che quella virtù che la conduce in alto, sia non meno interna che quella che la muove in giù ; ed io ho così per na¬ so turale il moto in su de i gravi per T impeto concepito, come il moto in giù dependente dalla gravità. Simp. Questo non ammétterò io mai ; perchè questo ha il principio interno naturale e perpetuo, e quello, esterno violento e finito. Salv. Se voi vi ritirate dal concedermi che i principii de i moti de i gravi in giù ed in su sieno egualmente interni e naturali, che fareste s’io vi dicessi che e’ potessero anco essere il medesimo in numero ? 262 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Simp. Lo lascio giudicare a voi. Principi! conirnrii Salv. Anzi voglio io voi stesso por giudice. Però ditemi: credete non possono riseder - . naturalmente nei me- voi che nel medesimo corpo naturale possano riseder principn interni deaimo suggotto. _ . . ^ che siano tra di loro contrarii? Simp. Credo assolutamente di no. Salv. Della terra, del piombo, dell’ oro, ed in somma delle mnterio gravissime, quale stimate voi che sia la lor naturale intrinseca inclina¬ zione, cioè a qual moto credete voi che ’l lor principio interno le tiri ? Simp. Al moto verso il centro delle cose gravi, cioè al centro del- V universo e della Terra, dove, non impedite, si condurrebbero. io Salv. Talché, quando il globo terrestre fusse perforato da un pozzo che passasse per il centro di esso, una palla d’artiglieria lasciata cader por esso, mossa da principio naturale ed intrinseco, si condur¬ rebbe al centro ; o tutto questo moto farebbe ella spontaneamente o per principio intrinseco : non sta così ? Simp. Così tengo io per fermo. Salv. Ma giunta al centro, credete voi eli’ ella passasse più oltre, o pur che quivi cesserebbe immediatamente dal moto ? Simp. Credo che ella continuerebbe di muoversi per lunghissimo spazio. 20 il moto naturalo si Salv. Ma questo moto oltre al contro non sarebb’egli all’insù e, converto por sò «totwo . • _ .. ... in quello ohe si chia- per vostro detto, preternaturale o violento? e da qual altro principio ma preternaturnlo © ., , . , _ ... . in violento. lo farete voi dependere, salvoche da queir istesso che ha condotta la palla al centro, e che voi avete chiamato intrinseco e naturale ? tro¬ vate voi un proiciente esterno, che gli sopraggiunga di nuovo per cacciarla in su. E questo che si dice del moto per il centro, si vede anco quassù da noi : imperocché l’impeto interno di un grave ca¬ dente per una superficie declive, se la medesima, piegandosi da basso, si refietterà in su, lo porterà, senza punto interrompere il moto, anco all’ insù. Una palla di piombo pendente da uno spago, rimossa dal so perpendicolo, descende spontaneamente, tirata dall’ interna inclina¬ zione, e senza interpor quiete trapassa il punto infimo, e senz’ altro sopravvegnente motore si muove in su. Io so elio voi non negherete che tanto è naturale ed interno de i gravi il principio che gli muove in giù, quanto de i leggieri quello che gli muove in su : onde io vi metto in considerazione una palla di legno, la quale scendendo per aria da grande altezza, e però movendosi da principio interno, giunta GIORNATA SECONDA. 263 sopra una profondità d’ acqua, continua la sua scesa, e senz’ altro motore esterno per lungo tratto si sommerge ; e pure il moto in giù per 1’ acqua gli è preternaturale, e con tutto ciò depende da prin¬ cipio che è interno, e non esterno della palla. Eccovi dunque dimo¬ strato come un mobile può esser mosso, da uno stesso principio in¬ terno, di movimenti contrarii. Simp. Io credo che a tutte queste instanze ci sieno risposte, benché per ora non mi sovvengano. Ma comunque ciò sia, continua 1’ autor di domandar da qual principio dependa questo moto circolare de i io gravi e de i leggieri, cioè so da principio interno o esterno, e se¬ guendo dimostra che non può esser nè l’uno nè 1’ altro, dicendo : Si al externo, Deus ite Uhm excìtat per continuum miraculum ? an vero an¬ gelus ? an acr ? Et hunc quidem multi assignant. Sed contro.... Sai/v. Non vi affaticate in legger l’instanze, perdi’ io non son di quelli che attribuisca tal principio all’ aria ambiente. Quanto poi al miracolo o all’ angelo, più tosto inclinerei in quella parte ; perchè quello che comincia da divino miracolo o da operazione angelica, qual è la trasportazione d’ una palla d’ artiglieria nel concavo della Luna, non ha dell’ improbabile che in virtù del medesimo principio 20 faccia anco il resto. Ma quanto all’ aria, a me basta che ella non impedisca il moto circolare de i mobili che per essa si dice che si muo¬ vono ; e per ciò fare, basta (nè piiv si ricerca) che essa si muova del- l’istesso moto, e che con la medesima velocità finisca le sue circola¬ zioni che il globo terrestre. Simf. Ed egli insurgerà parimente contro a questo, domandando chi conduce intorno l’aria, la natura o la violenza? e confuta la na¬ tura, con dire che ciò è contro alla verità, all’ esperienza, all’ istesso Copernico. Sai.y. Contro al Copernico non è altrimenti, il quale non scrive so tal cosa, e quest’ autor glie 1’ attribuisce con troppo eccesso di cor¬ tesia : anzi egli dice, e per mio parer dice bene, che la parte dell’ aria vicina alla Terra, essendo più presto evaporazion terrestre, può avel¬ la medesima natura, e naturalmente seguire il suo moto, o vero, per essergli contigua, seguirla in quella maniera che i Peripatetici dicono che la parte superiore e 1’ elemento del fuoco seguono il moto del concavo della Luna ; sì che a loro tocca a dichiarare se cotal moto sia naturale o violento. 204 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. La propensione de i corpi elementari in seguir la Terra ha una limitata sfora. Simp. Replicherà l’autore, che ku ’l Copernico fa muovere una parte dell’ aria inferiore solamente, mancando di cotal moto la superiore, non potrà render ragione come quell’ aria quieta bùi per poter condur seco i medesimi gravi e fargli secondare il moto della Terra. Salv. Il Copernico dirà che questa propunsion naturale de i corpi elementari di seguire il moto 'terrestre ha una limitata sfera, fuor della quale cesserebbe tal naturale inclinazione: oltreché, come ho detto, non è 1’ aria quella che porta seco i mobili, i quali, sondo se¬ parati dalla Terra, seguano il suo moto ; sì elio cascano tutte le in¬ stanze che questo autor produce per provar che 1’ aria può non cagio- io nar co tali effetti. Simp. Come dunque ciò non sia, bisognerà diro che tali effetti dependano da principio interno ; contro alla qual posizione oboriuntur difficillmae, immo inextricàbiles, quaestiones secundae, che sono le se¬ guenti : Prìndpium illud intermm vel est aeddens , vel substantia : si prìmum, quale nani illud? navi qualitas loco motiva circum hadenus nulla videtur esse agnita. Sai„y. Como non si ha notizia di alcuna ? non ci sono queste, che muovon intorno tutte questo elementari materie, insieme con la Terra? Vedete come quest’autore suppon per vero quello eh’è in quistione. 20 Simp. Ei dice che ciò non si vede, e panni che abbia ragione in questo. Salv. Non si vede da noi, perchè andiamo in volta insieme con loro. Simp. Sentite 1’ altra instanza : Quae di am si cssd, quomodo tamen inveniretur in relms tam contranis ? in igne ut in aqua ? in aere ut in terra? in viventibus ut in anima carentibus? SaTìY. Posto per ora che 1’ acqua o il fuoco sion contrarii, come anche P aria e la terra (che pur ci sarebbe da dire assai), il più elio da questo ne possa seguire, sarà elio ad essi non possono esser co¬ muni i moti che tra loro sion contrarii ; sì che, v. g., il moto in su, so che naturalmente compete al fuoco, non possa competere all’ acqua, ma che, sì come essa è per natura contraria al fuoco, così a lei con¬ venga quel moto che è contrario al moto del fuoco, che sarà il moto deorsum : ma il moto circolare, che non ò contrario nè al sursum uè al deorsum, anzi che si può mescolare con amendue, come il mede¬ simo Aristotile afferma, perchè non potrà egualmente competere a i gravi ed a i leggieri? I moti poi che non posson esser comuni a i GIORNATA SECONDA. 265 viventi ed a i non viventi, son quelli che dependon dall’anima ; ma quelli che son del corpo, in quanto egli è elementare, ed in conse¬ guenza participante delle qualità degli elementi, perchè non hanno ad esser comuni al cadavero ed al vivente ? E però, quando il moto circolare sia proprio degli elementi, dovrà esser connine de i misti ancora. Sagk. È forza che quest’ autor creda, che cadendo una gatta morta da una finestra, non possa esser che anco viva ci potesse cadere, non essendo cosa conveniente che un cadavero partecipi delle qualità che io convengono ad un vivente. Sat.v. Non conclude, dunque, il discorso di quest’ autore contro a chi dicesse, il principio del moto circolare de i gravi e de i leggieri esser un accidente interno. Non so quanto e’ ,sia per dimostrare che non possa esser una sustanza. Simp. Insurge contro a questo con molte opposizioni, la prima delle quali è questa : Si secundum (riempe si dicas, tale principimi esse sub- stantiam), illud est aut materia, aut forma, awt compositivi : sed repugnant iterimi tot diversae rerrnn naturae, quales sunt aves, limaces, saxa, sagittae, nives, fumi, grandines, pisces, ctc., quae tamen omnia, specie et genere 20 differentia, moverentur a natura sua circidariter, ipsa naturis diversis¬ sima, ctc. Salv. Se questo cose nominate sono di nature diverse, e le cose di nature diverse non possono aver un moto comune, bisognerà, quando si debba sodisfare a tutte, pensar ad altro che a due moti solamente in su e in giù ; e so se ne deve trovar uno per le freccie, uno per le lumache, un altro per i sassi, uno per i pesci, bisognerà pensare anco a i lombrichi e a i topazii e all’ agarico, che non son men differenti di natura tra di loro che la gragnuola e la neve. Simp. Par che voi ve ne burliate di questi argomenti, so Salv. Anzi no, Sig. Simplicio ; ma già si è risposto di sopra, cioè che se un moto in giù o vero in su può convenire alle cose nomi¬ nate, potrà non meno convenir loro un circolare. E stando nella dot¬ trina peripatetica, non porrete voi diversità maggiore tra una cometa elementare e una stella celeste, che tra un pesce e un uccello ? e pur quelle si muovono amendue circolarmente. Or seguite il secondo ar- gumento. Simp. Si Terra starei per voluntatem Dei, rotarentne caetera annon ? si VII. 34 266 DIALOGO 80PKA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. hoc, falsum est a natura gyrari : si illud, rccleunt priores quaestiones ; et sane miruin esset, quoti gavia pisciculo, alauda nidulo suo .et corvus limaci petraeque, etiam volcns, imminerc non posset. Saly. Io per me darei una risposta generale : che, dato per volontà di Dio che la Terra cessasse dalla vertigine diurna, quegli uccelli fa- rebber tutto quello che alla medesima volontà di Dio piacesse. Ma se pur cotesto autore desiderasse una più particolar risposta, gli direi che e’ farebber tutto l’opposito di quello che e’ facessero quando, men¬ tre eglino separati dalla Terra si trattenesser per aria, il globo ter¬ restre per volontà divina si mettesse inaspettatamente in un moto io precipitosissimo : tocca ora a quest’ autore ad assicurarci di quello che in tal caso accaderebbe. Sagr. Di grazia, Sig. Salviati, concedete a mia richiesta a quest’ au¬ tore, che fermandosi la Terra per volontà di Dio, 1 ’ altre cose da quella separate continuasser d’ andar in volta del naturai movimento loro, e sentiamo quali impossibili o inconvenienti ne seguirebbero : perchè 10 per me non so veder disordini maggiori di questi che produce 1 ’autor medesimo, cioè che l’allodolo, ancorché lo volessero, non si poti’ebber trattener sopra i nidi loro, nè i corbi sopra le lumache o sopra i sassi ; dal che ne seguirebbe che a i corbi converrebbe pa- 20 tirsi la voglia delle lumache, 0 gli allodolini si morrebber di fame e di freddo, non potendo esser nè imbeccati nò covati dalle lor ma¬ dri : questa è tutta la rovina eh’ io so ritrar che seguirebbe, stante 11 detto dell’ autore. Vedete voi, Sig. Simplicio, se maggiori inconve¬ nienti seguir ne dovessero. Simp. Io non ne so scorger di maggiori, ma è ben credibile che 1’ autore ci scorga, oltre a questi, altri disordini in natura, che forse per suoi degni rispetti non ha volsuti produrre. Seguirò dunque la terza instanza : Insuper, qui fit ut istae rcs timi varine tantum moveantur ab occasu in ortum parallelae ad aequalorem ? ut seniper moveantur, numquam so quiescant ? Sai/v. Muovonsi da occidente in oriente, parallele all’ equinoziale, senza fermarsi, in quella maniera appunto che voi credete che le stelle fìsse si muovano da levante a ponente, parallele all’ equinoziale, senza fermarsi. Simp. Quare quo sunt altiores célerìus, quo hmiliores tardius ? Sai,v. Perchè in una sfera o in un cerchio che si volga intorno GIORNATA SECONDA. 267 al suo centro, le parti più remote descrivono cerchi maggiori, e lo più vicine gli descrivono nell’ istesso tempo minori. Simp. Queir e quae aequinoctiali propiares in malori, quae remotiores in minori, cimilo feruntur? Salv. Per innnitar la sfera stellata, nella quale lo più vicino al- P equinoziale si muovon in cerchi maggiori che le più lontane. Simf. Quare pila cadevi sub aequinoctiali tota circa centrwn Terrae am- Utu maximo , celeritate incredibili, sub polo vero circa ceni rum propr imi gyro nullo, tarditate suprema, volveretur ? io Salv. Per immitar le stelle del firmamento, che farebbon V istesso se ’l moto diurno fusse loro. Simf. Quare cadevi res, pila v. g. plumbea, si semel Terram circuivit descripto circulo maximo, eamdem ubique non circummigret secundum cir- culum maximum, sed translata extra aequinoctialem in circulis minoribus agetur ? Salv. Perchè così farebbero, anzi pure hanno fatto in dotti-ina di Tolomeo, alcune stelle fisse, che già erano vicinissime all’ equinoziale e descrivevan cerchi grandissimi, ed ora, che ne son lontane, gli de- scrivon minori. 20 Sagr. Oh s’io potessi tenere a mente tutte queste belle cose, mi parrebbe pur d’ aver fatto il grand’ acquisto ! Bisogna, Sig. Simpli¬ cio, che voi me lo prestiate questo libretto, perchè egli è forza che perentro vi sia un mare di cose peregrine ed esquisitissime. Simp. Io ve ne farò un presente. Sagr. Oh questo no, io non ve ne priverei mai. Ma son finite an¬ cora le interrogazioni ? Smr. Signor no ; sentite pure : Si latio drcularis gravibus et levibus est naturalis, qualis est ca quae fit secundum lineavi rectam? nani si na- turalis, quomodo et is moius qui circuiti est, naturalis est, cum specie dif- 30 ferat a recto ? si violentus, qui fit ut missile ignitum, sursum evolans, scin- tillosum caput sursum a Terra, non autem circum, volvatur, etc. ? Salv. Già mille volte si è detto che il moto circolare è naturalo del tutto e delle parti, mentre sono in ottima disposizione : il retto è per ridurr’ all’ ordine le parti disordinate ; se ben meglio è dire che mai, nè ordinate nè disordinate, non si muovon di moto retto, ma di un moto misto, che anco potrebb’ esser circolare schietto ; ma a noi resta visibile e osservabile una parte sola di questo moto misto, > Dol moto misto, noi non veggiamo la par¬ te circolare, porchò di quella siamo parte¬ cipi. 268 DIALOGO SOrUA I DUE massimi sistemi del mondo. cioè la parto ilei rotto, restandoci 1 ’ altra parto del circolare imper- cettibilo, perchè noi ancora lo participiamo : e questo rispondo a i razzi, li quali si muovono in su e in giro, ma noi non possiamo di¬ stinguer il circolare, perchè di quello ci moviamo noi ancora. Ma quest’ autore non credo elio abbia mai capita questa mistione, poiché si vede conio egli resolutamonto dico elio i razzi vanno in su a di¬ ritto o non vanno altrimenti in giro. Simp. Quare centrum spherae delapsae sub aequatore spiravi describit in eiics plano, sub aliis parallclis spiravi describit in cono ? sub polo de- scendit in axe, lineavi gyralem decurrens in superfìcie cylindrica consi- io guatavi ? Salv. Perché dello linee tirate dal centro alla circonferenza della sfera, elio son quello per lo quali i gravi descendono, quella elio ter¬ mina nell’ equinoziale disegna un cerchio, o quello elio terminano in altri paralleli descrivon superficie coniche, o 1 ’ asso non descrive altro, ma si resta nell’ esser suo. E so io vi debbo diro il mio parer libe¬ ramente, dirò cho non so ritrarre da tutte queste interrogazioni co¬ strutto nissuno che rilievi contro al moto della Terra; perchè s’io domandassi a quest’ autore (concedutogli che la Terra non si muova) quello che accaderebbe di tutti quosti particolari, dato che ella si 20 movesse come vuole il Copernico, son ben sicuro che e’ direbbe che ne seguirebbon tutti questi effetti, che egli adesso oppone come in¬ convenienti per rimuover la mobilità; talché nella mente di que¬ st’ uomo le conseguenze necessarie vengon reputate assurdi. Ma, di grazia, se ci è altro, spediamoci da questo tedio. Simp. In questo che segue, ci è contro al Copernico e suoi seguaci, che voglion che il moto delle parti, separate dal suo tutto, sia solo per riunirsi al suo tutto, ma che naturalo assolutamente sia il muo¬ versi circolarmente alla vertigine diurna ; contro a i quali insta di¬ cendo che, conforme all’oppinion di costoro, si tota Terra, una cum 30 aqua, in nihilum redigeretur, nulla grando aut pluvia e nube deciderei, sed naturaliter tantum drcumferretur ; neque ignis villus aut igneum ascen¬ derei, cum, illorum non improbabili sententia, ignis nullus sit supra. Sai.v. La previdenza di questo filosofo è mirabile e degna di gran lode, attesoché e’ non si contenta di pensare alle cose che potrebbon accadere stante il corso della natura, ma vuol trovarsi provvisto in occasione che seguissero di quelle cose che assolutamente si sa che GIORNATA SECONDA. 269 non sono mai per seguire. Io voglio dunque, per sentir qualche bella sottigliezza, concedergli che quando la Terra e 1’ acqua andassero in niente, nè le grandini nè la pioggia cadessero più, nè le materie ignee andasser più in alto, ma si trattenesser girando : che sarà poi ? e che mi opporrà il filosofo ? Simp. L’ opposizione è nelle parole che seguono immediatamente ; eccole qui : Quibus tamen experìentia et ratio adversatur. Salv. Ora mi convien cedere, poiché egli ha sì gran vantaggio sopra di me, qual è 1* esperienza, della quale io manco ; perchè sin io ora non mi son mai incontrato in vedere che ’1 globo terrestre, con 1’ elemento dell’ acqua, sia andato in niente, sì eli’ io abbia potuto osservare quel che in questo piccol finimondo faceva la gragnuola e 1’ acqua. Ma ci die’egli almanco, per nostra scienza, quel che facevano? Simp. Non lo dice altrimenti. Salv. Pagherei qualsivoglia cosa a potermi abboccar con questa persona, per domandargli, se quando questo globo sparì, e’ portò via anco il centro comune della gravità, sì coni’ io credo ; nel qual caso, penso che la grandine e 1’ acqua restassero come insensate e stolide tra le nugole, sonza saper che farsi di loro. Potrebbe anco esser che, 20 attratte da quel grande spazio vacuo, lasciato mediante la partita del globo terrestre, si rarefacesser tutti gli ambienti, ed in particolar P aria, che è sommamente distraibile, e concorressero con somma ve¬ locità a riempierlo ; e forse i corpi più solidi e materiali, come gli uccelli, che pur di ragione ne dovevano esser molti per aria, si riti¬ rarono più verso il centro della grande sfera vacua (che par ben ragionevole che alle sustanze che sotto minor mole contengono assai materia, sieno assegnati i luoghi più angusti, lasciando alle più rare i più ampli), e quivi, mortisi finalmente di fame e risoluti in terra, formassero un nuovo globettino, con quella poca di acqua che si tro- 30 vava allora tra’ nugoli. Potrebbe anco essere che le medesime mate¬ rie, come quelle che non veggon lume, non s’accorgessero della partita della Terra, e che alla cieca scendessero al solito, pensando d’incon¬ trarla, e a poco a poco si conducessero al centro, dove anco di pre¬ sente andrebbero se l’istesso globo non l’impedisse. E finalmente, per dare a questo filosofo una meno irrisoluta risposta, gli dico che so tanto di quel che seguirebbe dopo 1’ annichilazione del globo terre¬ stre, quanto egli avrebbe saputo che fusse per seguir di esso ed in- 270 DIALOGO SOPII A I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. torno ad esso avanti che fusse creato : e perchè io son sicuro eli’ e’ di¬ rebbe che non si sarebbe nò anco potuto immaginare nissuna delle cose seguite, delle quali la sola esperienza P ha fatto scienziato, do¬ vrà non mi negar perdono e scusarmi s’io non so quel che egli sa delle cose che seguirebbero doppo P annichilazione di esso globo, at¬ teso che io manco di quest’ esperienza che egli ha. Dite ora se ci è altra cosa. Simp. Ci è questa figura, che rappresenta il globo terrestre con una gran cavità intorno al suo centro, ripiena d’ aria ; e per mo¬ strare che i gravi non si muovono in giù per unirsi co ’l globo ter- io rostro, come dice il Copernico, costituisce questa pietra nel centro, e domanda, posta in libertà quel che ella farebbe ; ed un’ altra ne pone nella concavità di questa gran caverna, o fa P istessa interro¬ gazione, dicendo quanto alla prima : Lapis in centro constitutus aut ascenclet ad Terram in punctum aliquod, ani non: si secundwn, falsum est partes oh solavi seiunctioncin a toto adillud moveri ; si primum, omnis ratio et caper ientia renititur, ncque gravia in suac gravitatis centro conquic- scent. Itevi, si suspensus lapis liberal us decidat in centravi, separabit se a toto, contra Copernicani ; si pcndeat, ref'ragatar omnis expcricntia, cum videamus integros fornices corraere. 20 Salv. Risponderò, benché con mio disavvantaggio grande, già che son alle mani con chi ha veduto per esperienza ciò che fanno questi sassi in questa gran cavorna, cosa che non ho veduta io, e dirò che Primi» sono io cose credo che prima siano le cose gravi che il centro comune della gra- gravi che il contro ¥ • .... doli» grnvith. vit-à, sì che non un centro, che altro non è che un punto indivisibile, o però di nessuna efficacia, sia quello che attragga a se le materie gravi, ma che esse materie, cospirando naturalmente all’ unione, si formino un comun centro, che è quello intorno al quale consistono parti di eguali momenti : onde stimo, che trasferendosi il grande ag¬ gregato de i gravi in qualsivoglia luogo, le particelle che dal tutto so Trasponendosi il fusser separate lo seguirebbero, e non impedite lo penetrerebbero sin grand'aggregato de i t 7 1 L gravi, io particelle so- dove trovassero parti men gravi di loro, ma pervenute sin dove s’in- parato da easo lo se- .... guirebbono, contrassero in materie più gravi, non scenderebber più. E però stimo che nella caverna ripiena d* aria tutta la volta premerebbe, e solo violentemente si sostenterebbe sopra queir aria, quando la durezza non potesse esser superata e rotta dalla gravità ; ma sassi staccati credo che scenderebbero al centro, e non soprannoterebbero all 1 aria : GIORNATA SECONDA. 271 nè per ciò si potrebbe dire che non si movessero al suo tutto, mo¬ vendosi là dove tutte le parti del tutto si moverebbero, quando non fussero impedite. SiMr. Quel che resta è certo errore eh’ ei nota in un seguace del Copernico, il quale, facendo che la Terra si muova del moto annuo e del diurno in quella guisa che la ruota del carro si muove sopra il cerchio della Terra ed in sè stessa, veniva a fare o il globo ter¬ restre troppo grande o l’orbe magno troppo piccolo ; attesoché 3G5 re- voluzioni dell’ equinoziale son meno assai che la circonferenza del¬ io T orbe magno. Sai.v. Avvertite che voi equivocate, e dite il contrario di quello che bisogna che sia scritto nel libretto : imperocché bisogna dire che quel tale autore veniva a fare il globo terrestre troppo piccolo o l’orbe magno troppo grande, e non il terrestre troppo grande o 1’ annuo troppo piccolo. Simf. L’ equivoco non è altrimenti mio : ecco qui le parole del libretto : Non videt quod vel circuitivi annuum acquo minorem, vel orbem t errami insto multo fabrìcet maiorem. Salv. Se il primo autore abbia errato, io non lo posso sapere, poi- 20 chè 1’ autor del libretto non lo nomina ; ma ben è manifesto e ine¬ scusabile 1’ error del libretto, abbia o non abbia errato quel primo seguace del Copernico, poiché quel del libretto trapassa senza accor¬ gersi un error sì materiale, e non lo nota e non lo emenda' 1 ’. Ma questo siagli perdonato, come errore più tosto d’inavertenza che d’altro. Oltre che, se non eh’ io sono ornai stracco e sazio di più lun¬ gamente occuparmi e consumare il tempo con assai poca utilità in Non ropugna n pò- ° * , tersi con la circonfe- queste molto lcnarieri altercazioni, potrei mostrare come non è impos- i-cnza di un cerchio A OD 1 L piccolo, o poche volto sibilo che un cerchio, anco non maggior d’ una ruota d’un carro, rivoltato, misuraro o 7 00 # . descrivere una linea co’l dar non pur 865, ma anco meno di 20 revoluzioni, può descn- mng^oro di qual si x 7 . voglia grandissimo 30 vere o misurare la circonferenza non pur dell’ orbe magno, ma di cerchio. W Nell 7 esemplare dell 7 edizione origi- nario di Padova si legge, di pugno di Gà- naie posseduto dalla Biblioteca del Semi- lileo, la seguente postilla: « Qui è attribuito l’errore ali’autor del libretto, ma veramente l’er¬ rore non vi è * la quale è riferita, mediante un segno mar- si legge dalla lin. 11 alla lin. 23 della pre¬ giale, a ciò che in questa nostra edizione sente pagina. 272 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. uno mille volte maggiore : e questo dico per mostrare che non man¬ cano sottigliezze assai maggiori di questa, con la quale quest’ autore nota 1’ error del Copernico. Ma, di grazia, respiriamo un poco, per venir poi a quest’ altro filòsofo, oppositor del medesimo Copernico. Saok. Veramente ne ho bisogno io ancora, benché abbia solamente affaticato gli orecchi ; e quando io pensassi di non aver a sentir cose più ingegnose in quest’ altro autore, non so s’io mi risolvessi a an¬ darmene a i freschi in gondola. Simp. Credo che sentirete cose di maggior polso, perchè quest’è filosofo consumatissimo, e anco gran matematico, ed ha confutato Ti- io cone in materia delle comete e delle stelle nuove. Salv. È egli forse 1’ autor medesimo dell’Antiticono ? Simi 1 . È quello stesso : ma la confutazione contro alle stelle nuove non è nell’Antiticone, se non in quanto e’ dimostra che elle non erano progiudiziali all’ inalterabilità ed ingenerabilità del cielo, sì come già vi dissi ; ma doppo l’Antiticone, avendo trovato per via di parallasse modo di dimostrare che esso ancora son cose elementari e contenute dentro al concavo della Luna, ha scritto quest’ altro libro : De tribus novis stellis etc., ed inseritovi anco gli argomenti contro al Copernico. Io 1’ altra volta vi produssi quello eh’ egli aveva scritto circa queste 20 stelle nuove ncll’Antiticone, dove egli non negava che le fussero nel cielo, ma dimostrava che la lor produzione non alterava l’inaltera¬ bilità del cielo, e ciò facev’ egli con discorso puro filosofico, nel modo eh’ io vi dissi ; e non mi sovvenne di dirvi come di poi aveva tro¬ vato modo di rimuoverle dal cielo, perchè, procedendo egli in questa confutazione per via di computi e di parallassi, materie poco o niente comprese da me, non 1’ avevo lette, e solo avevo fatto studio sopra queste instanze contro al moto della Terra, che son pure naturali. Salv. Intendo benissimo, e converrà, doppo che avremo sentite le opposizioni al Copernico, che sentiamo, o veggiamo almeno, la ma- 80 niera con la quale per via di parallasse dimostra essere state elemen¬ tari quelle nuove stelle, che tanti astronomi di gran nome costituiron tutti altissime e tra le stelle del firmamento ; 0 come quest’ autore conduce a termine una tanta impresa, di ritirar di cielo le nuove stelle sin dentro alla sfera elementare, sarà ben degno d’ esser gran¬ demente esaltato e trasferito esso tra le stelle, o almeno che per fama Bia tra quelle eternato il suo nome. Però spediamoci quanto prima GIORNATA SECONDA. 273 da questa parte, elie oppone all’ oppinion del Copernico, e comin¬ ciate a portare le sue instanze. Simf. Queste non occorrerà leggerle ad verhum, percliò sono molto prolisse ; ma io, come vedete, nel leggerle attentamente più volte, ho contrassegnato nella margine le parole dove consiste tutto il nervo della dimostrazione, e quella basterà leggere. 11 primo argomento comincia qui : Et primo, si opimo Copernici redpiatur, criterium natu- Nella opinion del ralis philosophiae, ni prorsus tollatur, vchcmenter saltem labcfactari vulctur. il criterio (lolla fllo- II qual criterio vuole, secondo l’opinione di tutte le sette de’ filosofi , H " ' io che il senso e 1’ esperienza siano le nostre scorte nel filosofare ; ma nella posizion del Copernico i sensi vengono a ingannarsi grande¬ mente, mentre visibilmente scorgono da vicino, in mezi purissimi, i corpi gravissimi scender rettamente a perpendicolo, nè mai deviar un sol capello dalla linea retta ; con tutto ciò per il Copernico la vi¬ sta in cosa tanto chiara s’inganna, e quel moto non è altrimenti retto, ma misto di retto e circolare. Salv. Questo è il primo argomento che Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci producono : al quale si è abbondantemente risposto, e mostrato il paralogismo, ed assai apertamente dichiarato come il 20 moto comune a noi ed a gli altri mobili è come se non fusse. Ma n moto comune ò perchè le conclusioni vere hanno mille favorevoli rincontri che le con¬ fermano, voglio, in grazia di questo filosofo, aggiunger qualche altra cosa ; e voi, Sig. Simplicio, facendo la parte sua, rispondetemi alle domande. E prima, ditemi : che effetto fa in voi quella pietra la sì confuta in altra quale, cadendo dalla cima della torre, è cagione che voi di tal mo- preso e,IK)ndu ' ol °' operasse in voi di quello che si operava la sua quiete in cima della torre, voi sicuramente non vi accorgereste della sua scesa, nè distin¬ guereste il suo muoversi dal suo star ferma, so Simp, Comprendo il suo discendere in relazione alla torre, perchè or la veggo a canto a un tal segno di essa torre, poi ad un basso, o così successivamente, sin che la scorgo giunta in Terra. Salv. Adunque, se quella pietra fusse caduta da gli artigli d’una volante aquila e scendesse per la semplice aria invisibile, e voi non aveste altro oggetto visibile e stabile con chi far parallelo di quella, non potreste il suo moto comprendere? Simf. Anzi pur me n’ accorgerei, poiché, per vederla mentre è al- VII. 35 ) 274 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Ondo si comprenda tissima, mi converrebbe alzar la testa, e secondo eh’ olla venisse ca- il moto di un cadente. , , . . . . , ... , 3 • landò, mi bisognerebbe abbassarla, ed m somma muover continua- mente o quolla o gli ocelli, secondando il suo moto. Sàlv. Ora avete data la vera risposta. Voi conoscete dunque la quinte di quel sasso, mentre senza muover punto P occhio ve lo ve¬ li moto doirocchio deto sempre avanti, e conoscete eli’ ei si muove, (piando, per non lo doiroggetto veduto." perder di vista, vi convien muover P organo della vista, cioè P occhio. Adunque, tuttavoltacliè senza muover mai P occhio voi vi vedeste continuamente un oggetto nell’ istesso aspetto, sempre lo giudiche¬ reste immobile. io Simp. Credo che così bisognasse necessariamente. Sa.lv. Figuratovi ora d’ esser in una nave, e d’ aver fissato P occhio alla punta dell’ antenna : credete voi clic, perchè la nave si muovesse anco velocissimainente, vi bisognasse muover P occhio per mantener la vista sempre alla punta dell’ antenna e seguitare il suo moto ? Simi>. Son sicuro che non bisognerebbe far mutazion nessuna, e che non solo la vista, ma quando io v’ avessi drizzato la mira d’ un archibuso, mai por qualsivoglia moto della nave non mi bisognerebbe muoverla un pelo per mantenervela aggiustata. Salv. E questo avviene perchè il moto che conferisce la nave al- 20 P antenna, lo conferisce anche a voi ed al vostro occhio, sì che non vi convien muoverlo punto por rimirar la cima dell’ antenna ; ed in conseguenza ella vi apparisce immobile'”. Ora trasferite questo discorso alla vertigine della Terra ed al sasso posto in cima della torre, nel quale voi non potete diseernere il moto, perchè quel movimento che bisogna per seguirlo, P avete voi comunemente con lui dalla Terra, nò vi convien muover P occhio ; quando poi gli sopraggiugne il moto all’ ingiù, che è suo particolare, e non vostro, e che si mescola co ’l circolare, la parte del circolare che è comune della pietra e dell’ oc¬ chio, continua d’ esser impercettibile, e solo si fa sensibile il retto, so (1) Nell’esemplare dell'edizione origi- rio di Padova, Galileo annotò, in margine, naie posseduto dalla Biblioteca del Semina- di buo pugno : * E tanto è che il raggio della vista vadia dall’ occhio all’ antenna, quanto se una corda fusse legata tra due termini della nave : ora, cento corde sono a diversi termini fermate, e negli stessi posti si conservano, muovasi la nave o stia ferma ». GIORNATA SECONDA. 275 perchè per seguirla vi convien muover 1’ occhio abbassandolo. Vor- Esperienza cho ma- rei, per tor d error questo tilosoio, potergli dire che, una volta an- mimo 0 imporoeui- dando in barca, facesse d’ avervi un vaso assai profondo pieno d’acqua, ed avesse accomodato una palla di cera o d’altra materia che lentissimamente scendesse al fondo, sì che in un minuto d’ ora ap¬ pena calasse un braccio, e facendo andar la barca quanto più velo¬ cemente potesse, talché in un minuto d’ ora facesse più di cento brac¬ cia, leggiermente immergesse nell’ acqua la detta palla e la lasciasse liberamente scendere, a con diligenza osservasse il suo moto : egli 10 primieramente la vedrebbe andare a dirittura verso quel punto del fondo del vaso dove tenderebbe quando la barca stesse ferma, ed all’ occhio suo ed in relazione al vaso tal moto apparirebbe perpen¬ dicolarissimo e rottissimo ; e pure non si può dir che non fusse com¬ posto del retto in giù e del circolare intorno all’ elemento dell’ acqua. E se queste cose accaggiono in moti non naturali, ed in materie cho noi possiamo farne 1’ esperienze nel loro stato di quiete e poi nel contrario del moto, e pur, quanto all’ apparenza, non si scorge di¬ versità alcuna e par cho ingannino il senso, elio vogliamo noi distin¬ guere circa alla Terra, la quale perpetuamente ò stata nella medesima 20 costituzione, quanto al moto o alla quiete ? ed in qual tempo vogliamo in essa sperimentare se differenza alcuna si scorge tra questi acci¬ denti del moto localo ne’ suoi diversi stati di moto e di quiete, so ella in un solo di questi due eternamente si mantiene ? Sagk. Questi discorsi m’hanno racconciato alquanto lo stomaco, il quale quei pesci e quelle lumache in parte mi avevano contur¬ bato ; ed il primo m’ha fatto sovvenire la correzione d’un errore, il quale ha tanto apparenza di vero, che non so se di mille uno non l’ammettesse per indubitato. E questo fu, che navigando in Soria, Considerazione Rot¬ ei trovandomi un telescopio assai buono, statomi donato dal nostro s'uVn edoslopio^on . . .. la meriosinm facilità so comune amico, che non molti giorni avanti 1 aveva investigato, prò- tanto in cima deii’ai- . . . , _ . , r . ,, . boro della nave quun- posi a quei marinari che sarebbe stato di gran benefizio nella navi-to ai piede, gazione 1’ adoperarlo su la gaggia della nave per iscoprir vasselli da lontano e riconoscergli : fu approvato il benefizio, ma opposta la dif- ficultà del poterlo usare mediante il continuo fluttuar della nave, o massime in su la cima dell’ albero, dove 1’ agitazione è tanto mag¬ giore, e che meglio sarebbe stato chi 1’ avesse potuto adoperare al piede, dove tal movimento è minore che in qualsivoglia altro luogo 27G DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. del vassello. Io (non voglio ascondere F error mio) concorsi nel me¬ desimo parere, e per allora non replicai altro, nè saprei dirvi da che mosso, tornai tra me stesso a ruminar sopra questo fatto, e finalmente m’ accorsi della mia semplicità (ma però scusabile) nell’ ammetter per vero quello elio è falsissimo : dico falso, che F agitazion massima della gaggia, in comparazion della piccola del piede doli’ albero, dobba render più difficile F uso del telescopio nell’ incontrar l’oggetto. Salv. Io sarei stato compagno do i marinari ed anche vostro, su ’l principio. Simp. Ed io parimente sarei stato, e sono ancora ; nè crederei co ’l io pensarvi cent’ anni intenderla altrimenti. Sagr. Potrò dunque io questa volta farvi a tutti duo (come si dice) il maestro addosso : e perchè il proceder per interrogazioni mi par cho dilucidi assai le cose, oltre al gusto che si ha dello scalzare il compagno, cavandogli di bocca quel che non sapeva di sapere, mi servirò di tale artifizio. E prima io suppongo che lo navi, fuste o altri legni, che si cerca di scoprire e riconoscere, sieno lontani assai, cioè 4, 6, 10 o 20 miglia, perchè per riconoscer i vicini non c’è bi¬ sogno d’ occhiali ; ed in conseguenza il telescopio può, in tanta di¬ stanza di 4 o 6 miglia, comodamente scoprire tutto ’l vassello, ed 20 anco machina assai maggiore. Ora io domando, quali in ispezie e quanti in numero siano i movimenti cho si fanno nella gaggia, de¬ pendenti dalla fluttuazion della nave. Salv. Figuriamoci cho la nave vadia verso levante : prima, nel mar tranquillissimo, non ci sarebbe altro moto che questo progres- Movimontidiffcron-sivo ; ma aggiunta 1’ agitazion dell’onde, ce ne sarà uno che, alzando fluttuazione doiu ed abbassando vicendevolmente la poppa e la prua, fa che la gaggia inclina innanzi e indietro ; altre onde, facendo andare il vassello alla banda, piegano F albero a destra e a sinistra ; altre posson girare alquanto la nave e farla defletter, diremo con 1’ artimone, dal dritto so punto orientale or verso greco or verso sirocco ; altre, sollevando per di sotto la carina, potrebber far che la nave, senza deflettere, sola- Duomufazioni fatte mente si alzasse ed abbassasse: ed in somma parrai cho in spezie noi telescopio, depen* . i ì ji* denti dairagita/.ion questi movimenti sien due, uno, noe, elio muta per angolo la dire- zion del telescopio, e 1’ altro cho la muta, diremo, per linea, senza mutar angolo, cioè mantenendo sempre la canna dello strumento pa¬ rallela a sé stessa. dolla nave. giornata seconda. 277 Sagù. Ditemi appresso : se noi, avendo prima drizzato il telescopio là a quella torre di Bnrano, lontana di qua sei miglia, lo piegassimo per angolo a destra o a sinistra, o vero in su o in giù, solamente quanto è un nero d’ugna, die effetto ci farebbe circa l’incontrar essa torre ? Salv. Ce la farebbe immediate sparir dalla vista, perchè una tal declinazione, benché piccolissima qui, può importar là le centinaia e le migliaia delle braccia. Sagr. Ma se senza mutar 1’ angolo, conservando sempre la canna io parallela a sè stessa, noi la trasferissimo 10 o 12 braccia più lon¬ tana, a destra o a sinistra, in alto o a basso, che effetto ci cagio¬ nerebbe ella quanto alla torre ? Salv. Assolutamento impercettibile ; perchè, Bendo gli spazii qui e là contenuti tra raggi paralleli, le mutazioni fatto qui e là convien che sieno eguali ; e perchè lo spazio che scuopre là lo strumento è capace di molte di quello torri, però non la perderemmo altrimenti di vista. Sagr. Tornando ora alla nave, possiamo indubitabilmente affermare, che il muovere il telescopio a destra o a sinistra, in su o in giù, ed 20 anco innanzi o indietro, 20 o 25 braccia, mantenendolo però sempre parallelo a sè stesso, non può sviare il raggio visivo dal punto os¬ servato nell’ oggetto più che le medesime 25 braccia ; e perchè nella lontananza di 8 o 10 miglia la scoperta dello strumento abbraccia spazio molto più largo che la fusta o altro legno veduto, però tal piccola mutazione non me lo fa perder di vista. L’impedimento dunque e la causa dello smarrir 1’ oggetto non ci può venire se non dalla mutazion fatta per angolo, già che per 1’ agitazion della nave la tra- sportazion del telescopio in alto o a basso, a destra o a sinistra, non può importar gran numero di braccia. Ora supponete d’ aver due te¬ so lescopii fermati uno all’ inferior parte dell’ albero della nave, e 1’ altro alla cima non pur dell’ albero, ma anco dell’ antenna altissima, quando con essa si fa la penna, e che amendue sien drizzati al vassello di¬ scosto 10 miglia : ditemi se voi credete che, per qual si sia agitazion della nave e inclinazion dell’ albero, maggior mutazione, quanto al- l’angolo, si faccia nella canna altissima che nella infima. Alzando un’onda la prua, farà ben dare indietro la punta dell’antenna 30 o 40 braccia più che il piede dell’ albero, e verrà a ritirar indietro * 278 DIALOGO SOPRA I DUE MAS8IMI SISTEMI DEL MONDO. la canna superiore per tanto spazio, e la inferiore un palmo sola¬ mente ; ma 1* angolo tanto si altera nell’ uno strumento quanto nel- T altro : e parimente un’ onda che venga por banda, trasporta a de¬ stra ed a sinistra cento volte più la canna alta elio la bassa ; ma gli angoli o non si mutano o si alterano egualmente : ma la muta¬ zione a destra o a sinistra, innanzi o in dietro, in su o in giù, non reca impedimento sensibile nella veduta de gli oggetti lontani, ma sì bene grandissima 1’ alterazione dell’ angolo : adunque bisogna ne¬ cessariamente confessare che 1’ uso del telescopio nella sommità del- P albero non è più difficile che al piede, avvenga che le mutazioni io angolari son eguali in amendue i luoghi. Salv. Quanto bisogna andar circospetto prima che affermare o ne¬ gare una proposizione ! Io torno a dire, che nel sentir pronunziar resolutamente che per il movimento maggioro fatto nella sommità dell’ albero che nel piede, ciascuno si persuaderà che grandemente sia più difficile 1’ uso del telescopio su alto che a basso. E così anco voglio scusar quei filosofi elio si disperano e si gettan via contro a quelli che non gli voglion concedere elio quella palla d’artiglieria, che e’ veggon chiaramente venire a basso por una linea rotta e per¬ pendicolare, assolutamente si muova in quel modo, ma voglion che ’l 20 moto suo sia per un arco, ed anco molto e molto inclinato 0 trasver- sale. Ma lasciamogli in quest’ angustia, e sentiamo 1* altro opposizioni che l’autore che sviamo a mano fa contro al Copernico. Simf. Continua pur l’autore di mostrare conio in dottrina del Co¬ pernico bisogna negare i sensi, 0 le sensazioni massimo, qual sarebbe Molo nnnuo delia se noi, che sentiamo il ventilar d’una leggierissima aura, non abbiamo 1 erra dovrebbe engio- ... • nar vento perpetuo e poi a sentire l’impeto d’ un vento perpetuo elio ci ferisce con una gagliardi Mimo. . A A velocità che scorre più di 2529 miglia per ora; chò tanto è lo spazio che il centro della Terra co ’l moto annuo trapassa in un’ ora per la circonferenza dell’ orbe magno, corno egli diligentemente calcola, so e perchè, come ei dice pur di parer del Copernico, curri Terra mo- vetur circumposilus aèr ; motus tamen cius, velocior licet ac rapidior ce¬ lerrimo quocumque vento, a nobis non sentiretur, sed stimma tutti tranquil- litas reputaretur, nisi alias motus accederet. Quid est vero decipi sensum, nisi haec esset deceptio ? Salv. È forza che questo filosofo creda che quella Terra che il Copernico fa andare in giro, insieme con l’aria ambiente, per la cir- GIORNATA SECONDA. 270 conferenza dell’orbe magno, non sia questa dove noi abitiamo, ina un’altra separata, perchè questa nostra conduce seco noi ancora, con la medesima velocità sua e dell’aria circostante: e qual ferita pos- siam noi sentire, mentre fuggiamo con egual corso a quello di chi ci vuol giostrare ? Questo Signore s’ è scordato che noi «ancora siamo, non inen che la Terra e l’aria, menati in volta, e che in conseguenza sempre siamo toccati dalla medesima parte d’ aria, la quale però non v aria toccandoci sempre con la modo- CÌ fei'ÌSCG. .sima parto, non ci fo- risco. * Smr. Anzi no : eccovi le parole die immediatamente seguono: Prae- 10 Urea nos quoque rotamur ex circunductione Terrae ctc. Salv. Ora non lo posso più nò aiutare nè scusare ; scusatelo voi e aiutatelo, Sig. Simplicio. Simp. Per ora, così improvvisamente, non mi sovvien difesa di mia sodisfazione. Sai.v. Ombè, ci penserete stanotte, e difenderotelo poi domani : in¬ tanto sentiamo 1’ altre opposizioni. Simp. Séguita pur l’istessa instanza, mostrando die in via del Co- In via dei Copor- * ... . n ‘ eo hisogun negar lo permeo bisogna negar le sensazioni proprie. Imperocché questo prin- sensazioni, cipio, per il quale noi andiamo intorno con la Terra, o è nostro 20 intrinseco, o ci è esterno, cioè un rapimento di essa Terra : e se questo secondo è, non sentendo noi cotal rapimento, convien dire che ’1 senso del tatto non senta il proprio obietto congiunto, nè la sua impressione nel sensorio ; ma se il principio è intrinseco, noi non sentiremo un moto locale derivante da noi medesimi, e non ci accor¬ geremo mai di una propensione perpetuamente annessa con esso noi. Salv. Talché l’instanza di questo filosofo batte qua, che, sia quel principio, per il quale noi ci moviamo con la Terra, o esterno o in¬ terno, dovremmo in ogni maniera sentirlo, e non lo sentendo, non è nè l’uno nè l’altro, e però noi non ci moviamo, nè in conseguenza so la Terra. Ed io dico che può essere nell’un modo e nell’ altro, senza 11 m °to nostro può che noi lo sentiamo. E del poter esser esterno, 1’ esperienza della osterno, senz’esser essendo manifesto, per lo ragioni di Aristotile, che ella si muove al suo centro, come mostrano le sue parti, che scendono ad angoli retti itila superficie sferica della Terra. 20 menti*ccmtro*ài moto Salv. Molte cose sarebbon da dirsi e da considerarsi intorno alla w testura di questo argomento ; ma già che noi lo possiamo in brevi parole risolvere, non voglio per ora senza necessità diffondermi, e tanto più, quanto la risposta mi vien dal medesimo autore sommi¬ nistrata, mentre egli dice, nell’ animale da un sol principio esser pro¬ dotto diverse operazioni : onde io per ora gli rispondo, con un simil modo da un sol principio derivare nella Terra diversi movimenti. Simp. A questa risposta non si quieterà punto 1’ autore dell’ in¬ stanza, anzi vien pur ella totalmente atterrata da quello che ei sog- giugne immediatamente per maggiore stabilimento doli’ impugnazion 30 fatta, sì come voi sentirete. Corrobora, dico, 1’ argomento con altra tro ll a\ l motosa e Ua dignità, che è questa: che la natura non manca, nè soprabbonda, lerrn - nelle cose necessarie. Questo è manifesto a gli osservatori delle cose naturali e principalmente degli animali, ne’ quali, perchè dovevano mui^nacossàrie'poriii muovers i di molti movimenti, la natura ha fatte loro molte flessure, mentiVort. d m ° v l " 6 c l u ivi acconciamento ha legate le parti per il moto, come alle gi¬ nocchia, a i fianchi, per il camminar de gli animali e per coricarsi GIORNATA SECONDA. 283 a lor piacimento ; in oltre nell’ uomo ha fabbricate molte flessioni o snodature al gomito ed alla mano, per poter esercitar molti moti. Da queste cose si cava 1* argomento contro al triplicato movimento della Terra : o vero il corpo uno e continuo, senza essere snodato da flessura nessuna, può esercitar diversi movimenti, o vero non può senza aver le flessure ; se può senza, adunque indarno ha la natura fabbricate le flessure negli animali, che è contro alla dignità ; ma se non può senza, adunque la Terra, corpo uno e continuo e privo di flessure e di snodamenti, non può di sua natura muoversi di più moti, io Or vedete quanto argutamente va a incontrar la vostra risposta, che par quasi che 1* avesse prevista. Saly. Dite voi su ’l saldo, o pur parlate ironicamente? SiMr. Io dico dal miglior senno eh’ i’ m’abbia. Salv. Bisogna dunque che voi vi sentiate d’ aver tanto buono in mano, da poter anco sostener la difesa di questo filosofo contro qual¬ che altra replica che gli fusse fatta in contrario : però rispondetemi, vi prego, in sua grazia, già che non possiamo averlo presente. Yoi primieramente ammettete per vero che la natura abbia fatti gli arti¬ coli, le flessure e snodature a gli animali, acciocché si possano muover 20 di molti e diversi movimenti ; ed io vi nego questa proposizione, e dico che le flessioni son fatte acciocché 1’ animale possa muovere una o più delle sue parti, restando immobile il resto, e dico che quanto alle spezie e differenze de’ movimenti, quelli sono di una sola, cioè tutti circolari : e per questo voi vedete, tutti i capi de gli ossi mo¬ bili esser colmi o cavi ; e di questi, altri sono sferici, cho son quelli che hanno a muoversi per tutti i versi, come fa nella snodatura della spalla il braccio dell’ alfiere nel maneggiar l’insegna, e dello stroz¬ zare nel richiamar co ’1 logoro il falcone, e tal è la flessura del go¬ mito, sopra la quale si gira la mano nel forar col succhiello ; altri 30 son circolari per un sol verso e quasi cilindrici, che servono per le membra che si piegano in un sol modo, come le parti delle dita b' una sopra 1’ altra, etc. Ma senza più particolari incontri, un solo generai discorso no può far conoscer questa verità ; e questo è, cho di un corpo solido che si muova restando uno de’ suoi estremi senza mutar luogo, il moto non può esser se non circolare : e perchè nel muover 1’ animale uno delle sue membra non lo separa dall’ altro suo conterminale, adunque tal moto è circolare di necessità. Altro argomento contro ni triplicato moto della Terra. Lo flessioni no gli animali non son fatto per la diversità de i movimenti. Moti degli animali son tutti d’una sorte. I capi do gii ossi mobili sono tutti ro¬ tondi. Si mostra la neces¬ sità dell' esser i capi de gli ossi mobili ro¬ tondi, ed i moti del- Tanimale tutti circo¬ lari. 284 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Simil Io non l’intendo por questo verso ; anzi veggo io V animalo muoversi di cento moti non circolari o diversissimi tra loro, e cor¬ rere e saltare e salire e scendere e notare e molt’ altri. Moti fecondarli doi- Saly. Sta bone: ma cotesti son moti secondarii, dependenti da i daTprimL °^ 0,u '° n * 1 primi, che sono de gli articoli e dello flessure. Al piegar delle gambo alle ginocchia e dello cosce a i fianchi, che son moti circolari delle parti, ne viene in conseguenza il salto o il corso, che son movimenti Por ii moto delia di tutto ’l corpo, e questi posson esser non circolari. Ora, perchè del Terrn non si ricerca . . _ flossuro. globo terrestre non si ha da muovere una parte sopra un altra im- mobile, ma il movimento deve esser di tutto il corpo, non ci è biso- io gno di flessure. Smr. Questo (dirà la parte) potrebbe esser quando il moto fusse un solo ; ma 1 ’ esser tre, e diversissimi tra di loro, non è possibile ebo s’ accomodino in un corpo inarticolato. Salv. Cotesta credo veramente elio sarebbe la risposta del filosofo ; contro alla quale io insurgo per un’ altra banda, o vi domando se voi stimate che per via di articoli e flessure bì potesse adattare il globo terrestre alla participazione di tre moti circolari diversi. Voi non rispondete ? Già che voi tacete, risponderò io per il filosofo : il quale assolutamente direbbe di sì, perchè altrimenti sarebbe stato 20 superfluo e fuori del caso il metter in considerazione che la natura fa le flessioni acciocché il mobile possa muoversi di moti differenti, 0 che però, non avendo il globo terrestre flessure, non può aver i tre moti attribuitigli ; perchè, quando egli avesse stimato che nè anco per via di flessure si potesse render atto a tali movimenti, arebbe liberamente pronunziato, il globo non poter muoversi di tre moti, si desidern sapero Ora, stante questo, io prego voi. e per voi, se fusse possibile, il filo- per mezo di quali - 1 flessure il globo tor- soto autor dell argomento, ad essermi cortese d’insegnarmi in qual rostro potrebbe mo- . 0 versi di 8 moti di- maniera bisognerebbe accomodar le flessure, acciocché i tre moti co- versi. modamente potessero esercitarsi ; o vi concedo tempo per la risposta 30 Un solo principio quattro e anco sei mesi. Intanto a me pare che un principio solo può cagionar più moti , iti A nella Terra. possa cagionar nel globo terrestre più moti, in quella guisa appunto, come dianzi risposi, che un sol principio, co ’l mezo di varii stru¬ menti, produce moti multiplici e diversi nell’ animale : e quanto al- 1 articolazione, non ve n’ è bisogno, dovendo esser i movimenti del tutto, e non di alcune parti ; e perchè hanno ad esser circolari, la sem¬ plice figura sferica è la più bella articolazione che domandar si possa. GIORNATA SECONDA. 285 Simi\ Al più che vi si dovesse concedere, sarebbe che ciò potesso accader d’ un movimento solo ; ma di tre diversi, al parer mio e del- 1» autore, non ò possibile, come egli pur continuando, e corroborando P instanza, segue scrivendo : Figuriamoci co ’l Copernico che la Terra Altra instanza con- si muova, per propria taciuta e da principio intrinseco, da occidente delia Terra, in oriente nel piano doli’ eclittica, od oltre a ciò che ella si rivolga, pur da principio intrinseco, intorno al suo proprio centro da oriento in occidente, e per il terzo moto eli’ ella per propria inclinazione si pie¬ ghi da settentrione in austro ed all’ incontro ; essendo ella un corpo io continuo e non collegato con flessioni e giunture, potrà mai la nostra stimativa e ’l nostro giudizio comprendere che un medesimo principio naturale e indistinto, cioè che una medesima propensione, si distragga insieme in diversi moti e quasi contrarii ? Io non posso credere che alcuno sia per dir tal cosa, se non chi a dritto e a torto avesse preso a sostenere questa posizione. Salv. Fermato un poco, o trovatemi questo luogo nel libro ; mo¬ strate. Fingamus modo cum Copernico, l'erram aliqua sua vi et ab indilo principio impelli ab occasu ad ortuin in eclipticae plano, tum rursns re- volvi al) indito ctiam principio circa suimet centrimi ab orlu in occasum, 20 tedio deflccti rursns suopte nutu a septentrione in austrum et vicissìm. Io Error g™ vo ilo o questi immo- muovono, e la quiete di chi da ì medesimi piu dissente ; ed essendo bili, che un’ eterna quiete e perpetuo moto sono accidenti diversissimi, è manifesto che la natura del corpo sempre mobile convien che sia di¬ versissima dalla natura del sempre stabile ; cerchiamo dunque, mentre stiamo ambigui del moto e della quiete, se per via di qualche altra rilevante condizione potessimo investigare chi più convenga con i corpi sicuramente mobili, o la Terra, o pure il Sole e le stello fisse. Ma ecco la natura, favorevole al nostro bisogno e desiderio, ci som¬ ministra due condizioni insigni, e differenti non meno che ’1 moto e so la quiete, e sono la luce e le tenebre, cioè 1’ esser per natura splen¬ didissimo, e 1’ esser oscuro e privo di ogni luce. Son dunque diver¬ sissimi d’ essenza i corpi ornati d’un interno ed eterno splendore, da i corpi privi d’ogni luce : priva di luce è la Terra ; splendidissimo per sé stesso è il Sole, e non meno le stelle fisse ; i sei pianeti mobili mancano totalmente di luce, come la Terra; adunque l’essenza loro convien con la Terra, e dissente dal Sole e dalle stelle fisse : mobile dunque è la Terra, immobile il Sole e la sfera stellata. 292 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Simp. Ma P autore non concederà che i sei pianeti sien tenebrosi, e su tal negativa si terrà saldo, o vero egli argomenterà la confor¬ mità grande di natura tra’ sei pianeti e il Sole e lo stelle fisse, e la difformità tra questi e la Terra, da altre condizioni che dalle tenebro o dalla luce ; anzi, or eli’ io m’ accorgo, nell’ instanza quinta, che Altra differenza tra seguo, ci è posta la disparità somma tra la Terra e i corpi celesti: je*ti,°pro«a'da'ìu'pu- nella quale egli scrivo, die gran confusione e intorbidamento sarebbe riti» « impuntii. ^ g j g £ ema un j ver80 e tra le sue parti secondo P ipotesi del Co¬ pernico ; imperocché tra corpi celesti immutabili ed incorruttibili, secondo Aristotile e Ticone ed altri, tra corpi, dico, di tanta nobiltà, io per confessione di ognuno o dell’ istesso Copernico, che afferma quelli esser ordinati e disposti in un’ ottima costituzione o che da quelli rimuove ogni inconstanza di virtù, tra corpi, dico, tanto puri, cioè tra Venere e Marte, collocar la sentina di tutto le materie corrut¬ tibili, cioè la Terra, P acqua, P aria o tutti i misti ! Ma quanto più prestante distribuzione e più alla natura conveniente, anzi a Dio stesso architetto, sequestrar i puri da gl’ impuri, i mortali da gl’ immor¬ tali, come insegnano P altre scuole, elio ci insegnano come queste ma¬ terie impure e caduche son‘contenute nell’ angusto concavo dell’ orbe lunare, sopra ’l quale con serie non interrotta s’ alzano poi le cose 20 celesti ! Copernico motte Salv. È vero che ’l sistema Copernicano mette perturbazione nel- perturhn/iono nell’u- . _ . . mvorso d'Aristotiie. r universo cr Aristotile ; ma noi trattiamo deir universo nostro, vero e reale. Quando poi la disparità d’ essenza tra la Terra e i corpi ce¬ lesti la vuol quest’ autore inferire dall’ incorruttibilità di quelli e cor¬ ruttibilità di questa, in via d’Aristotiie, dalla qual disparità e’ con¬ cluda il moto dover esser del Sole e delle fisse e P immobilità della Paralogismo dei- Terra, va vagando nel paralogismo, supponendo quel che è in qui- v autor dell’ A otiti* ® , , . , eone. stione ; perche Aristotile inferisce 1 incorruttibilità de’ corpi celesti dal moto, del quale si disputa se sia loro o della Terra. Della vanità so poi di queste retoriche illazioni, se n’ è parlato a bastanza. E qual stoltamente par cosa più insulsa che dire, la Terra 0 gli elementi esser relegati e (ietto, ni 1 erra esser ruor dei cioio. separati dalle sfere celesti, e confinati dentro all’orbe lunare? ma non è P orbe lunare una delle celesti sfere, e, secondo il consenso loro, compresa nel mozo di tutte P altre ? nuova maniera di separare i puri da gl’impuri e gli ammorbati da’sani, dar a gl’infetti stanza nel cuore della città ! io credeva che il lazeretto se le dovesse sco- GIORNATA SECONDA. 203 stare più che fusse possibile. Il Copernico ammira la disposizione dello parti dell’ universo per aver Iddio costituita la gran lampada, che doveva rendere il sommo splendore a tutto il suo tempio, nel centro di esso, e non da una banda. Dell’ esser poi il globo terrestre tra Venere e Marte, no tratteremo in breve ; o voi stesso, in grazia di quest’ autore, farete prova di rimuovornelo. Ma, di grazia, non intrec¬ ciamo questi fioretti rettorici con la saldezza dello dimostrazioni, o lasciamogli a gli oratori o più tosto a i poeti, li (piali hanno saputo con lor piacevolezze inalzar con laudo cose vilissime ed anco tal volta io perniziose ; e se altro ci resta, spediamoci quanto prima. Simp. Ci 6 il sesto ed ultimo argomento : nel qual ei pone per cosa molto inverisimile che un corpo corruttibile e dissipabile si possa muovere d’un moto perpetuo e regolare ; c questo conferma con Y esempio de gli animali, li quali, movendosi di moto a loro natu¬ rale, pur si straccano, ed hanno bisogno (li riposo per restaurare le forze ; ma che ha da fare tal movimento con quel della Terra, immenso al paragon del loro? ma, più, farla muovere di tre moti discorrenti e distraenti in parti diverse ? chi potrà mai asserir tali cose, salvo che quelli che si fussero giurati lor difensori ? Nò vale in 20 questo caso quel che produco il Copernico, che per essere questo moto naturale alla Terra, e non violento, opera contrarii effetti da i moti violenti ; e che si dissolvon bene, nè posson lungamente sus¬ sister, le cose alle quali si fa impeto, ma le fatte dalla natura si conservano nell’ ottima loro disposizione ; non vai, dico, questa rispo¬ sta, che vien atterrata dalla nostra. Imperocché 1’ animale è pur corpo naturale, e non fabbricato dall’ arte, ed il movimento suo è naturale, derivando dall’ anima, cioè da principio intrinseco ; e violento è quel moto il cui principio è fuori, cd al quale niente conferisce la cosa mossa : tuttavia, se 1’ animai continua lungo tempo il suo moto, si so stracca, ed anco si muore, quando si vuole sforzare ostinatamente. Vedete dunque come in natura si incontrano da tutte le bande ve¬ stigli contrarianti alla posizione del Copernico, nè mai de’ favorabili. E per non aver a ripigliar più la parte di questo oppositore, sentite quel eh’ ei produce contro al Keplero (co ’l quale ei disputa), in pro¬ posito di quello che esso Keplero istava contro a quelli a i quali pare inconveniente, anzi impossibil cosa, V accrescer in immenso la sfera stellata, come ricerca la posizion del Copernico. Insta dunque il Ke- Argomento proso (la gli Animali, elio hanno bisogno ili ri¬ poso, benché il moto loro sin imtunilo. 204 DIALOGO SOPRA I I>UK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. lornico. L'autor doli cono insta coni Keplero. Argomento d.>i Ko- pierò dicendo : Difficilius est accidenspraeter modulum subiedi intendere pieni Ji favor del ( '<»• , » . . . , . é , .... ) quam subircitun me accidente augere: Copermeus tgiiur vermmilius facit qui auget orbem stdlanm fìxarum absque motu, quam Ptolaemeus, qui auget 'Auliti- inolimi fìxarum immensa velocitate. La qual instanza scioglie l’autore maravigliandosi di quanto il Keplero s’ inganni nel diro che noli’ ipo¬ tesi di Tolomeo si cresca il moto fuor del modello del subietto, im¬ perocché a lui paro che non si accresca se non conformo al modello, o cho secondo il suo accrescimento si agumonti la velocità del moto : Orosco la voiocitii il che prova egli con figurarsi una macina che dia una revoluziono noi moto circolar© so- # , . , # # condo cho erose» il m 24 ore, il qual moto si chiamerà tardissimo ; intendendosi noi il io diametro dol cerchio. , , 1 suo semidiametro prolungato sino alla distanza dol Solo, la sua estro- mità agguaglierà la velocità del Sole ; prolungatolo sino alla sfera stellata, agguaglierà la velocità delle fisse, benché nella circonferenza della macina sia tardissimo. Applicando ora questa considerazione della macina alla sfera stellata, intendiamo un punto nel suo semi- diametro vicino al centro quant’ è il semidiametro della macina ; il medesimo moto, elio nella sfera stellata ò velocissimo, in quel punto sarà tardissimo : ma la grandezza dol corpo é quella che di tardis¬ simo lo fa divenir velocissimo, ancorché e’ continui d’ esser il mede¬ simo ; o così la velocità cresce non fuor dol modello del subietto, anzi 20 cresce secondo quello 0 la sua grandezza, molto diversamente da quel che stima il Keplero. Salv. Io non credo che quest’ autore si sia formato concetto del Keplero così tenue e basso, che e’ possa persuadersi che e’ non abbia inteso che il termine altiasimo d’ una linea tirata dal contro sin al- 1’ orbe stellato si muove più velocemente cho un punto della mede¬ sima linea vicino al centro a duo braccia : e però è forza che e’ ca- Espiìca/.ione dei ve pisca e comprenda che il concetto e l’intenzione del Keplero è stata ro senso del (lotto del . Kopien», o sua difesa, di dire, minoro inconveniente esser V accrescer un corpo immobile a somma grandezza, che 1’ attribuire una somma velocità a un corpo so pur vastissimo, avendo riguardo al modulo, cioè alla norma ed al- V esempio, de gli altri corpi naturali, no i quali si vede cho crescendo la distanza dal centro, si diminuisce la velocità, cioè che i periodi i,a grande*» n pie- delle lor circolazioni ricercano tempi più lunghi ; ma nella quiete, coiezadol corpo fanno , # , A .° diversità nei moto, che non è capace (li farsi maggioro o minore, la grandezza o picco- ma non nella quiete. , . . # > °° j o . lezza del corpo non fa diversità veruna. Talché, se la risposta del- 1 autore debbe andar ad incontrar 1’ argomento del Keplero, è neces- GIORNATA SECONDA. 295 savio che esso autore stimi elio al principio movente l’istesso sia muover dentro al medesimo tempo un corpo piccolissimo ed uno immenso, essendo che 1’ augumento della velocità vien senz’ altro in conseguenza dell’ accrescimento della mole : ma quest’ è poi contro allo regolo architettoniche della natura, la quale osserva nel modello orni no della natura , . „ \ . . . . . . è il far circolare gli delle minori sfere, si come veggiamo no 1 pianeti e seiisatissnnamente orbi minori in tempi nelle stelle Medicee, di far circolare gli orbi minori in tempi più gion br fiì'' uhiiIì"' pili brevi, onde il temilo della revoluzion di Saturno è più lungo di tutti i tempi dell’ altro sfere minori, essendo di 30 anni : ora il passar da io questa a una sfera grandemente maggioro, e farla muover in 24 ore, può ben ragionevolmente dirsi uscir delle regole del modello. Sì die, se noi attentamente considereremo, la risposta dell’ autore va non contro al concetto e scuso dell’ argomento, ma contro alla spiegatura e ’l modo del parlare ; dove anco 1’ autore lia il torto nè può negare di non aver ad arte dissimulato l’intelligenza dello parole, per gravar il Keplero d’ una troppo crassa ignoranza : ma l’impostura ò stata tanto grossolana, che non ha potuto con si gran tara difalcar del concetto che ha della sua dottrina impresso il Keplero nelle menti do i litterati. Quanto poi all’ instanza contro al perpetuo moto della 20 Terra, presa dall’ esser impossibil cosa clic; ella continuasse senza strac¬ carsi, essendo che gli animali stessi, che pur si muovon naturalmente e da principio interno, si straccano ed hanno bisogno di riposo per relassar le membra.... Sagr. Mi par di sentire il Keplero rispondergli, che pur ci sono Risposta finta del de gli animali che si rinfrancano dalla stanchezza co ? 1 voltolarsi per coperta, terra, e che però non si dove temer che il globo terrestre si strac¬ chi ; anzi ragionevolmente si può dire che e’ goda d ! un perpetuo e tranquillissimo riposo, mantenendosi in un eterno rivoltolainento. Saly. Voi, Sig. Sagredo, sete troppo arguto e satirico : ma lasciamo so pur gli scherzi da una banda, mentre trattiamo di cose serie. Sagr. Perdonatemi, Sig. Salviati : questo eh’ io dico non è miga così fuor del caso quanto forse voi lo fate ; perchè un movimento che serva per riposo e per rimuover la stanchezza a un corpo defatigato dal viaggio, può molto più facilmente servire a non la lasciar venire, > L . . .. .. . , , . Gli animali non si si come più. facili sono i rimedii preservativi che 1 curativi. tej io tengo st!inchcrobboi»o,quan- x . do il lor moto proco- per fermo, che quando il moto de gli animali procedesse come questo dosso come quello die . . . ° . viene attribuito al glo¬ rie viene attribuito alla Terra, e’ non si stancherebbero altrimenti, bu terrestre. 296 DIALOGO 80PRA I DUE MA8SIMI SISTEMI DEL MONDO. cagiono dolio «tan- avvenga che lo stancarsi il corpo doli* animale deriva, per mio cre- uum gii amm.iii. j ere> ( ] u ]p impiegare una parte Boia per muover sé «tessa e tutto il resto del corpo : come, v. g., per camminare si impiegano le cosce e le gambe solamente, per portar loro stesse e tutto il rimanente ; al- 1* incontro vedrete il movimento del cuore esser come infatigabile, Moto do»'Mnmaio perchè muove sò solo. In oltre, non so quanto sia vero che il movi- più tosto ò da chia- . n ... , . . , , • -v , , • i , . , maral violento chena- mento dell allunalo sia naturalo, e non piu tosto violento ; anzi credo che si possa dir con verità che 1’ anima muove naturalmente le mem¬ bra dell’ animale di moto preternaturale : perchè, se il moto all’ insù è preternaturale a i corpi gravi, 1’ alzar le gambe o lo coscio, che io son corpi gravi, per camminare, non si potrà far senza violenza, e però non senza fatica del movente ; il salir su por una scala porta il corpo grave, contro alla sua naturale inclinazione, all’ in su, onde ne segue la stanchezza, mediante la naturai repugnanza della gra¬ vità a cotal moto. Ma per muover uu mobile di un movimento al quale e’ non ha repugnanza nissuna, qual lassezza o diminuzion di Non sì scoma la for- virtù e di forza si deve temer nel movente ? e perchè si deve scemar zu dove non «o no osercita punto. la forza dove non se n’ esercita punto ? Simi*. Sono i moti contrarii, do i quali il globo terrestre si figura muoversi, quelli sopra i quali 1’ autore fonda la sua instanza. 20 Sagk. Già si è detto clic non sono altrimenti contrarii, e che in questo P autore si ò grandemente ingannato, talché il vigore di tutta L'instanza dei cuia-p insta nza si volge contro P ini pugnator medesimo, mentre e’voglia ramonte ai ritorce con- .... 1 tro a lui stosso. che il primo mobile rapisca tutte le sfere inferiori contro al moto il quale esse nell’ istesso tempo e continuamente esercitano. Al primo mobile, dunque, tocca a stancarsi, che, oltre al muovere sè stesso, devo condur tant’ altre sfere, le quali, di più, con movimento con¬ trario gli contrastano. Talché quell’ ultima conclusione che P autor inferiva, con dir che discorrendo per gli effetti di natura s’incon¬ trano sempre coso favorabili per P opinion d’Aristotilo e Tolomeo, e so non mai alcuna che non contrarii al Copernico, lia bisogno d’ una gran considerazione ; e meglio è dire, che scudo una di queste due Per io proposizioni posizioni vera, e P altra necessariamente falsa, è impossibile che per vore hi incontrano ai -. ri)* ... . gomonti concludenti, Ja talsa s incontri mai ragione, esperienza o retto discorso che le sia ma non por lo false. r 1 01 iavorevole, si come alla vera nessuna di queste cose può esser repu¬ gnante. Gran diversità dunque convien che si trovi tra i discorsi e gli argomenti che si producono dall’ una 0 dall’ altra parte in prò e GIORNATA SECONDA. 297 contro a queste duo opinioni, la forza de i quali lascerò clic giudi¬ chiate voi stesso, Sig. Simplicio. Salv. Voi, Sig. Sagredo, traportato dalla velocità del vostro ingogno, mi tagliaste dianzi il ragionamento, mentre io volevo dire alcuna cosa in risposta di quest’ultimo argomento dell’autore; e benché voi gli abbiate più elio a sufficienza risposto, voglio ad ogni modo aggiugner non so che, elio allora avevo in mente. Egli pone per cosa molto inverisimilo clic un corpo dissipabile e corruttibile, qual è la Terra, possa perpetuamente muoversi d’ un movimento regolare, io massime vedendo noi gli animali finalmente stancarsi ed aver neces¬ sità di riposo ; o gli accresce l’inverisimilo il dover essere tal moto di velocità incomparabile o immensa, rispetto a quella de gli ani¬ mali. Ora io non so intenderò perchè la velocità dolla Terra 1’ abbia di presente a perturbare, mentre quella della sfera stellata, tanto o tanto maggiore, non gli arreca disturbo più considerabile che se gli arrechi la velocità d’ una macino, la quale in 24 oro dia una sola revoluzione. Se per esser la velocità della conversimi della Terra su ’l modello di quella della macine non si tira in conseguenza cose di maggior efficacia di quella, cessi l’autoro di temer lo stancarsi della 20 Terra, perchè nè anco qualsivoglia ben fiacco e pigro animale, dico nò anco un camaleonte, si straccherebbe col muoversi non più di cinquo o sei braccia in 24 oro; ma so e’vuol considerar la velocità non più ri» ò Sa temersi la su ’l modello della macine, ma assolutamente, ed in quanto in 24 ore il stellata ohe nei globo mobile ha da passaro uno spazio grandissimo, molto più si dovrebbe mostrar renitente a concederla alla sfera stellata, la quale con velocità incomparabilmente maggiore di quella della Terra deve condur seco migliaia di corpi, ciaschedun grandemente maggiore del globo terrestre. Resterebbe ora che noi vedessimo le prove per le quali T autoro conclude, le stelle nuove del 72 e del 604 essere state sublunari, o so non celesti, come comunemente si persuasero gli astronomi di quei tempi, impresa veramente grande ; ma ho pensato, per essermi tale scrittura nuova, e lunga per i tanti calcoli, che sarà più espediente che io tra stasera e domattina ne vegga quel più eh’ io potrò, e do¬ mani poi, tornando a i soliti ragionamenti, vi referisca quello che avrò ritratto : e se ci avanzerà tempo, verremo a discorrere del movi¬ mento annuo attribuito alla Terra. Intanto, se voi avete da dire al¬ cuna cosa, ed in particolare il Sig. Simplicio, intorno alle cose atte- VIL « 38 298 DIALOGO SOPRA l DUE MASSIMI 8I8TEMI DEL MONDO. nenti al moto diurno, assai lungamente da ine esaminato, ci avanza ancora un poco di tempo da poter discorrere. Simp. A me non resta altro che dire, se non che i discorsi auti in questo giorno mi son ben parsi ripieni di pensieri molto acuti e ingegnosi, prodotti per la parte del Copernico in confermazion del moto della Terra, ma non mi sento già persuaso a crederlo ; perchè finalmente le cose dette non ooncludon altro so non elio lo ragioni per la stabilità della Terra non son necessario, ma non però si è pro¬ dotta dimostrazione alcuna per la parte contraria, la quale necessa¬ riamente convinca e concluda la mobilità. io Salv. Io non ho mai preso, Sig. Simplicio, a rimuovervi dalla vo¬ stra opinione, nò meno ardirei di definitivamente sentenziar sopra sì gran litigio ; ma solamente ò stata, e sarà anco nello deputazioni seguenti, mia intenzione di farvi manifesto, che quelli elio hanno cre¬ duto che questo moto velocissimo dello 24 oro sia della Terra sola, e non dell’ universo trattane la sola Terra, non si erano persuasi che in cotal guisa potesse e dovesse essere, come si dice, alla cieca, ma che benissimo avevano vedute sentite ed esaminate le ragioni della contraria opinione, ed anco non leggiermente rispostole. Con questa medesima intenzione, quando così sia di gusto vostro e del Sig. Sa- 20 gredo, potremo passare alla considerazione dell’altro movimento, prima da Aristarco Samio e poi da Niccolò Copernico attribuito al mede¬ simo globo terrestre, il quale è, come credo che voi già abbiate sen¬ tito, fatto sotto il zodiaco, dentro allo spazio d’ un anno, intorno al Sole, immobilmente collocato nel contro di osso zodiaco. Simp. La quistione è tanto grande e tanto nobile, che molto cu¬ riosamente sentirò discorrerne, presupponendo d’ aver a sentir tutto quello che in tal materia si possa dire. Andrò poi meco medesimo facendo con mio comodo reflession maggiore sopra le cose sentite e da sentirsi ; e quando altro io non guadagni, non sarà poco il po- so terne con più fondamento discorrere. Sagù. Adunque, per non stancar più il Sig. Salviati, faremo punto a i ragionamenti d’ oggi, e domani ripiglieremo, conformo al solito, i discorsi, con isperanza d’ aver a sentir gran novità. Simp, Io lascio il libro delle stelle nuove, ma riporto questo delle conclusioni, per riveder quello che vi è scritto contro al moto annuo, che deve esser la materia de’ ragionamenti di domani. GIORNATA TERZA. Sagb. Il desiderio grande con che sono stato aspettando la venuta di V. Signoria, per sentir le novità de i pensieri intorno alla con¬ versione annua di questo nostro globo, mi ha fatto parer lunghis¬ sime le ore notturne passate, ed anco queste della mattina, benché non oziosamente trascorse, anzi buona parte vegliate in riandar con la mento i ragionamenti di ieri, ponderando le ragioni addotte dallo parti a favor delle due contrarie posizioni, quella d’Aristotile e To¬ lomeo, e questa di Aristarco e del Copernico. E veramente panni, io che qualunque di questi si è ingannato, sia degno di scusa ; tali sono in apparenza le ragioni che gli possono aver persuasi, tuttavolta però che noi ci fermassimo sopra lo prodotte da essi primi autori gravis¬ simi : ma, come che 1’ opinione peripatetica per la sua antichità ha auti molti seguaci e cultori, e 1’ altra pochissimi, prima per l’oscu¬ rità e poi per la novità, mi pare scorgerne tra quei molti, ed in particolare tra i moderni, esserne alcuni che per sostentamento del- 1’ oppinione da essi stimata vera abbiano introdotte altre ragioni assai puerili, per non dir ridicole. Salv. L’ istesso è occorso a me, e tanto più che a V. S., quanto 20 io ne ho sentite produrre di tali, che mi vergognerei a ridirle, non dirò per non denigrare la fama de i loro autori, i nomi de i quali si posson sempre tacere, ma per non avvilir tanto 1’ onore del ge¬ nere umano. Dove io finalmente, osservando, mi sono accertato esser tra gli uomini alcuni i quali, preposteramente discorrendo, prima si stabiliscono nel cervello la conclusione, e quella, o perchè sia propria Alcuni, discorren¬ do, prima si fissano nella mento la con¬ clusione da lor cre¬ duta, o poi adattano a quella i discorsi loro. 300 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. loro o ili persona ad essi molto accreditata, sì fissamente a’ imprimono elio dol tutto ò impossibile 1’ eradicarla giammai ; od a quelle ragioni elio a lor medesimi sovvengono o elio da altri sentono addurre in confermazione dello stabilito concetto, per semplici ed insulse che elio siano, prestano subito assenso ed applauso, ed all’ incontro, quelle che lor vengono opposto in contrario, quantunque ingegnose o conclu¬ denti, non pur ricevono con nausea, ma con isdegno ed ira acerbis¬ sima : o taluno di costoro, spinto dal furore, non sarebbe anco lon¬ tano dal tentar qualsivoglia machina per supprimero e far tacer P avversario ; ed io no ho veduta qualche esperienza. io Saor. Questi dunque non deducono la conclusione dallo premesse, nè la stabiliscono per le ragioni, ma accomodano, o per dir meglio scomodano e travolgon, le premesse o lo ragioni alle loro già stabi¬ lite e inchiodato conclusioni. Non è ben adunque cimentarsi con simili, e tanto meno, quanto la pratica loro è non solamente ingioconda, ma pericolosa ancora. Per tanto seguiteremo col nostro Sig. Simplicio, conosciuto da mo di lunga mano per uomo di somma ingenuità o spogliato in tutto e per tutto di malignità ; oltre che è assai pratico nolla peripatetica dottrina, sì elio io posso assicurarmi che quello elio non sovverrà ad esso per sostentamento dell’opiniono d’Aristotile, 20 non potrà facilmente sovvenire ad altri. Ma eccolo appunto tutto ane¬ lante, il qualo questo giorno si è fatto desiderare un gran pezzo. Sta¬ vamo appunto dicendo mal di voi. Simp. Bisogna non accusar me, ma incolpar Nettunno, di questa mia così lunga dimora, che nel reflusso di questa mattina ha in ma¬ niera ritirate 1’ acque, che la gondola che mi conducova, entrata non molto lontano di qui in certo canale dove non son fondamenta, è re¬ stata in secco, e mi ò bisognato tardar lì più d’ una grossa ora in aspettare il ritorno del mare. E quivi stando così senza potere smon¬ tar di barca, che quasi repentinamente arrenò, sono andato ossei’- so valido un particolare che mi ò parso assai maraviglioso : ed è elio nel calar P acque, si vedevan fuggir via molto velocemente per diversi t rìn re/lusso o" f <1 1 ^ v °l°tti, sendo già il fango in più parti scoperto ; o mentro io at- quietc" interrotto dn tendo a considerar quest’ effetto, veggo in un tratto cessar questo moto, e senza intervallo alcuno di tempo cominciar a tornar la medesima acqua in dietro, e di retrogrado farsi il mar diretto, senza restar pure un momento stazionario : effetto, che per tutto GIORNATA TERZA. 301 il tempo che ho praticato Y'enezia, non mi è incontrato il vederlo altra volta. Sagr. Non vi debbe anco esser molte volte accaduto il restar cosi in secco tra piccolissimi rivoletti, per li quali, per aver pochissima declività, F abbassamento o alzamento solo di quanto è grossa una carta, che faccia la superficie del maro aperto, è assai per fare scor¬ rere e ricorrer F acqua per tali rivoletti per ben lunghi spazii ; sì come in alcune spiagge marino F alzamento del maro di 4 o 6 braccia solamente fa sparger F acqua por quelle pianure per molte centinaia io e migliaia di pertiche. Simp. Questo intendo benissimo; ma avrei creduto clic tra l’ultimo termine dell’ abbassamento o primo principio doli’ alzamento dovesse interceder qualche notabile intervallo di quiete. Sagr. Questo vi si rappresenterà quando voi porrete mente alle mura o a i pali dove queste mutazioni si fanno a perpendicolo; ma non è che veramente vi sia stato di quiete. Simf. Mi pareva, che per esser questi due moti contrarii, dovesse tra di loro esser in mezo qualche quiete ; conforme anco alla dot¬ trina d’Àristotile, elio dimostra che in putido regressus mediai quies. 20 Sagr. Mi ricordo benissimo di cotesto luogo, ma mi ricordo ancora che quando studiavo filosofia, non restai persuaso della dimostrazione d’Aristotile, anzi che avevo molte esperienze in contrario; le quali vi po¬ trei anco addurre, ma non voglio che entriamo in altri pelaghi, es¬ sendo convenuti qui per discorrer della materia nostra, se sarà possibile, senza interromperla, come abbiamo fatto quest’altri giorni passati. Simp. E pur converrà, se non interromperla, almanco prolungarla assai, porche, ritornato iersera a casa, mi messi a rileggere il libretto delle conclusioni, dove trovo dimostrazioni contro a questo movimento annuo, attribuito alla Terra, molto concludenti; e perchè non mi fidavo so di poterle così puntualmente riferire, ho voluto riportar meco il libro. Sagr. Avete fatto bene : ma se noi vogliamo ripigliare i ragiona¬ menti conforme all’ appuntamento di ieri, converrà sentir prima ciò che avrà da riferirci il Sig. Salviati intorno al libro delle stelle nuove, e poi senz’ altri interrompimenti verremo al moto annuo. Ora, che dice il Sig. Salviati in proposito di tali stelle? son ellen veramente state 34-35. Il frammento autografo, del quale è parola nell’Avvertimento, comincia : Saor. Ma che ci dice il Sig. Salviati in proposito delle stelle nuove? son ellen .— 302 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. traportate di ciclo in queste più basso regioni in virtù de’ calcoli dell’ autore prodotto dal Sig. Simplicio ? Sai.v. Io mi messi iersera a logger i suoi progressi, e questa mat¬ tina ancora gli ho data un’ altra scorsa, per veder pure se quel elio mi pareva aver letto la sera, vi era scritto veramente, o so erano state mie larve e imaginazioni fantastiche della notte: ed in somma trovo con mio gran cordoglio esservi veramente scritto o stampato quello che per riputazion di questo filosofo non avrei voluto. Che e’ non conosca la vanità della sua impresa, non mi par possibile, sì perché 1 ’ è troppo scoperta, sì perchè mi ricordo averlo sentito no- io minar con laude dall’Accademico amico nostro ; parrai anco cosa troppo inverisimile che egli a compiacenza di altri si possa esser in¬ dotto ad aver in così poca stima la sua riputazione, eli’ o’ si sia in¬ dotto a far pubblica un’ opera, della quale non poteva attenderne altro che biasimo appresso gl’intelligenti. Sagr. Soggiugnete che saranno assai manco elio un per cento, a ragguaglio di quelli che lo celebrerranno ed esalteranno sopra tutti i maggiori intelligenti che sieno o sieno stati già mai. Uno elio abbia saputo sostener la peripatetica inalterabilità del cielo contro a una schiera d’ astronomi, e clic, per lor maggior vergogna, gli abbia atter- 20 rati con le lor proprie armi ! E che volete che possano quattro 0 sei per provincia, che scorgano le Bue leggierezze, contro a gl’innume¬ rabili che, non sendo atti a poterle scoprire nò comprendere, se ne vanno presi alle grida, e tanto più gli applaudono quanto manco l’intendono ? Aggiugnete che anco quei pochi che intendono, si aster¬ ranno di dar risposta a scritture tanto basse e nulla concludenti ; e ciò con gran ragione, perchè per gl’ intendenti non ce n’ è bisogno, 0 per quelli che non intendono è fatica buttata via. Salv. Il più proporzionato gastigo al lor demerito sarebbe vera¬ mente il silenzio, se non fusser altre ragioni per le quali è forse quasi 30 G. immaginazioni — 8, 13. reputai non, reputazione. Quanto alla desinenza -azione, si av¬ verta che siffatto raddoppiamento della z è, in questo autografo, frequentissimo e quasi costante : e così troviamo contradizzione, dissimulazione, correzzione , dimostrazioni, confu - t azioni, o8servazzioni, interrogazzioni, mutazioni, approssimo azioni, ecc. ecc. ; o anche, a pag. 303, lin. 33, pazzienza, a pag, 311, lin. 31, giudiziosi. — 12. a compiacenza di chi che sta si possa — 10-17. che uno per migliaio, a ragguaglio — 17. celebreranno — 18. t maggiori in¬ telletti che siano o sieno stati — 21-22. che j?ossino uno o due per provincia — 22. leggerezze 23. scoprire nò intendere, se ne — 29. castigo — GIORNATA TERZA. 303 necessario il risentirsi : 1* una dello quali è, che noi altri Italiani ci facciamo spacciar tutti per ignoranti e diamo da ridere a gli oltra¬ montani, e massimo a quelli che son separati dalla nostra religione ; ed io potrei inostrarvene di tali assai famosi, che si burlano del no¬ stro Accademico e di quanti matematici sono in Italia, per aver la¬ sciato uscire in luce e mantenervisi senza contradizione le sciocchezze di un tal Lorenzini contro gli astronomi. Ma questo pur anco si po¬ trebbe passare, rispetto ad altra maggior occasione di risa che si po¬ tesse porger loro, dependente dalla dissimulazione de gl’ intelligenti io intorno alle leggerezze di questi simili oppositori alle dottrine da loro non intese. Sagù. Io non voglio maggior esempio della petulanzia di costoro e dell’ infelicità d’ un pari del Copernico, sottoposto ad esser impu¬ gnato da chi non intende nè anco la primaria sua posizione, per la quale gli è mossa la guerra. Salv. Voi non meno resterete maravigliato della maniera del con¬ futar gli astronomi che affermano, le stello nuove essere state supe¬ riori a gli orbi de’ pianeti, e per avventura nel firmamento stesso. Sagr. Ma come potete voi in sì breve tempo aver esaminato tutto so cotesto libro, che pure è un gran volume, ed è forza che le dimo¬ strazioni sieno in gran numero? Salv. Io mi son fermato su questo prime confutazioni sue, nelle quali con dodici dimostrazioni, fondate sopra le osservazioni di do¬ dici astronomi, che tutti stimarono che la stella nuova del 72, ap¬ parsa in Cassiopea, fusse nel firmamento, prova per l’opposito lei essere stata sullunare, conferendo a due a due l’altezze meridiane prese da diversi osservatori in luoghi di differente latitudine, proce¬ dendo nella maniera che appresso intenderete : e perchè mi par, nel- l’esaminar questo primo suo progresso, d’avere scoperto in quest’ au- 30 tore una gran lontananza dal poter concluder nulla contro a gli astronomi, in favor de’ filosofi peripatetici, e che molto e molto più concludentemente si confermi l’opinion loro, non ho volsuto appli¬ carmi con una simil pazienza nell’esaminar gli altri suo’ metodi, ma gli ho dato una scorsa assai superficiale, sicuro che quella inefficacia 4. potrei mostrarvi autori oì travi ontani, che si burlano — 7. contro a gli —13. Copernico, soggetto ad— 17. che affermarono t le — 21. siano — 24-26. stimarono, la stella ... Cassiopea, esser nel firmamento, prova ella per ropposito essere — 304 DIALOGO SOPRA 1 DUE MASSIMI SISTEMI DHL MONDO. fatar dal tur lui. ohe ù in queste prime impugnazioni, sia parimente nell’ altre : e sì come vodroto in fatto, pochissime parole bastano a confutar tutta quest’ opera, benché construtta con tanti o tanti laboriosi calcoli, Metodi osservati iù giusto o mon errato, lo quali con la giunta o sottra¬ zione di manco minuti restituiscono la stella in luogo possibile ; e tra io i luoghi possibili, il vero sito convien credere che fusse quello intorno al quale concorre numero maggiore delle distanze, sopra le più giuste osservazioni calcolate. Simf. Io non resto ben capace di questo che voi dite, nè so per me stesso comprendere conio possa essere elio nello distanze massime maggior esorbitanza possa nascere dall’ error d' un sol minuto, elio nelle piccolo da 10 o da 100 ; o però arei caro di intenderlo. Salv. Voi, so non per teorica almeno per pratica, lo vedrete da questo breve sunto eli’ io ho fatto di tutte lo combinazioni e di parte dello indagini tralasciate dall’ autore, lo quali io ho calcolate, e no- 20 tate sopra questo medesimo foglio. Sagr. Convien dunque che voi da ieri in qua, che pur non sou passate più di 18 ore, non abbiate fatto altro che calcolare, senza prender nè cibo nò sonno. Salv. Anzi ho io preso l’uno e l’altro ristoro: ma io fo simili calcoli con gran brevità; e s’io debbo diro il vero, mi son maravigliato non poco che quest’ autore vadia così per la lunga ed interponendo tante computazioni non punto necessarie al quesito che si cerca. E per piena intelligenza di questo, ed anco acciò speditamente si possa conoscer quanto dalle osservazioni de gli astronomi, do i quali si servo l’autore, so più probabilmente si raccolga, la stella nuova potere essere stata su¬ periore alla Luna ed anco a tutti i pianeti, 0 tra lo stelle fisse 0 più alta ancora, ho trascritte sopra questa carta tutte l’osservazioni registrate dal medesimo autore, che furon fatte da 13 astronomi, dovo son notate le elevazioni polari e le altezzo della stella nel meridiano, tanto le mi¬ nime sotto il polo, quanto le massime e superiori : e son queste. 2. terrestri manca in G.— 6-7. La stampa legge dell’esito; l’autografo, dall’esito ,— GIORNATA TERZA. 319 Ticone. Altezza del polo gr. 55. 58 ni. p. Altezza della ^ gr. 84. 0 la massima ; 27. 57 ni. p. la minima. E queste sono del pri¬ mo scritto ; ma del secondo la minima è 27.45 ni. p. Ainzelio. Altezza polare gr. 48. 22 in. p. io Altezza della gr. 76.34 m. p. 76.33 m. p. e 45 sec. 76. 35 ni. p. 20. 9 ni. p. e 40 sec. 20. 9 m. p. e 30 sec. 20. 9 ni. p. e 20 sec. Peucero e Sculero. Landgravio. Altezza polare 61.54 m. p. Altezza polare 51. 18 m. p. Altezza della stella 79.56 in. p. Altezza della stella 79. 30 m. p. ( ” 23. 33 in. p. 20 Camerario. Altezza polare gr. 52.24 m. p. della stella 80. 30 m. p. 80. 27 m. p. 80. 26 m. p. 24. 28 m. p. 24. 20 ni. p. 24.17 m. p. 3, 4. la massima . la minima mancano in G.—7. La starnila legge la massima; ma l’autografo, la minima. — (1) Così, senz’altro, l’autografo e l’edi- notata l’altezza della stella di gr. 23.3 m. p,, zione originale: nè in quello nè in questa è registrata a pag. 321, lin. 23 e 29. 320 DIALOGO SOPRA I DUK MA88IMI 8I8TKMI DEL MONDO. Agocio. Altezza polare gr. 48. 22 in. p. della stella 20. 15 m. p. Munosio. Altezza polare 39. 30 ni. p. Stella 07. 30 m. p. 11. 30 ni. p. Ursiuo. Altezza polare Stella 49. 24 m. p. 79. 22 . Maurolico. Altezza polare gr. 38. 30 m. p. della stella 62. Gemma. Altezza polare 90. 90 m. p. Stella 79.45 ni. p. B liscino. Altezza polare 91.10 m. p. Stella 79. 20 m. p. io 22. 40 m. p. Roinoldo. Altezza polare 91. 18 in. p. Stella 79.30 ni. p. 23. 2 ni. p. Ora, per veder tutto il mio progresso, potremo cominciar da questi calcoli, che son 5 trapassati dall’ autore, forse perchè fanno contro tli lui, atteso che costituiscono la stella sopra la Luna per molti semi¬ diametri terrestri. Il primo do’ quali è questo, calcolato sopra l’os¬ servazioni del Landgravio d’Assia o di Ticone, che sono, anco perso concessimi dell’ autore, do i più esquisiti osservatori : ed in questo primo dichiarerò 1’ ordine che tengo nell’ investigazione, la qual no¬ tizia vi servirà per tutti gli altri, atteso che vanno con la medesima regola, non variando in altro che nella quantità del dato, cioè ne i numeri do i gradi dell’ altezze polari o dello elevazioni sopra 1’ ori- zonte della stella nuova, della quale si cerca la distanza dal centro della Terra in proporziono al semidiametro del globo terrestre ; del quale in questo caso niente importa il saper quante miglia sia, onde il risolver quello e la distanza de’ luoghi dove furon fatte l’osserva¬ zioni, come fa quest’ autore, ò fatica e tempo gettato via, nè so per- 30 chè 1’ abbia fatto, e massimo che in ultimo e’ torna a riconvertir le miglia trovate in semidiametri del globo terrestre. 17. L’edizione originalo: die son 4 trapassati; ina l’nntogrufo ha 5 .— GIORNATA TERZA. 321 Simi*. Forse fa questo per ritrovar, con tali misure più piccole e con lo loro frazioni, la distanza della stella determinata sino a 4 dita ; perchè noi altri, che non intendiamo lo vostro regole aritmetiche, re¬ stiamo stupefatti nel sentir lo conclusioni, mentre leggiamo, v. g. : « Adunque la cometa, o la stella nuova, era lontana dal centro della Terra trecento settanta treni ila ottocentosette miglia, e più dugent’un¬ dici quattromilanovantasettesimi 373807 ^ », e sopra queste tanto precise puntualità, dove si registrano tali minuzie, formiamo concetto che sia impossibil cosa che voi, che ne’ vostri calcoli tenete conto d’un io dito, poteste in ultimo ingannarci di 100 miglia. Salv. Questa vostra ragione e scusa sarebbe accettabile, quaudo in una distanza di migliaia di miglia un braccio di più o di meno russe di gran rilievo, e quando le supposizioni che noi pigliamo per vere fusser così certe, che ci assicurassero che noi fussimo per ritrarre in ultimo un’indubitabil verità: ma qui voi vedete, nelle 12 inda¬ gini dell’ autore le lontananze della stella, che da esse si raccolgono, esser differenti 1’una dall’altra (e però lontane dal vero) di molte centinaia c migliaia di miglia ; ora, mentre io sia più che sicuro che quel eh’ io cerco deve necessariamente differir dal giusto di centinaia 20 di miglia, a che proposito affannarsi nel calcolo, per la gelosia di non ismagliar d’un dito? Ma venghiamo finalmente all’operazione, la qual 10 risolvo in tal modo. Ticone, come si vede nella nota, osservò la stella nell’altezza polare di gr. 55.58 m. p. ; e l’altezza polare del Landgravio fu 51.18 m. p.: l’altezza della stella nel meridiano, presa da Ticone, fu gr. 27.45 m.p.; 11 Landgravio la trovò alta gr. 23. 3 m. p.: le quali altezze son queste notate qui appresso, come vedoto. Ticone Polo 55.58m.p. Landgravio Polo 51.18m.p. 3o Fatto questo, sottraggo le minori dalle maggio¬ ri, e restano queste dif¬ ferenze qui sotto: 4.40m.p. Parallasse 2 m. p. 21. Dopo d’un dito nell’autografo si legge, cancellato, quanto seguo: Ma più, quanto VII. Il >|c 27.45 m.p. sfe 23. 3 m.p. 4. 42 m.p. 322 DIALOGO 80PKA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. dove la differenza dell’ altezze polari, 4. 40 m. p., è minore della dif¬ ferenza dell’altezzo della sfc, 4.42 m. p., e però c’è differenza di pa¬ rallasse gr. 0.2 m. p. Trovato queste cose, piglio ristessa ligura del¬ l’autore, cioè que¬ sta'”, nella quale il punto B è il luogo del Landgravio, D il luogo di Ticone, C luogo della A centro della Terra, io ABE linea vertica¬ le del Landgravio, ADE di Ticone, o l’augolo BOI) diffe¬ renza di parallasse. E perchè l’angolo BAD, compreso tra le verticali, è egua¬ le alla differenza dell’ altezze polari, 20 sarà gr. 4.40 m.p., e lo noto qui da parte ; e di esso tro¬ vo la corda, dalla tavola de gli archi e corde, 0 la noto ap¬ presso, che è 8142 parti di quali il semidiametro AB è 100000. Trovo poi l’angolo BDC facilmente: imperocché la metà dell’angolo BAD, che è 2.20 m.p., giunta a un retto dà l’angolo BI)F 92.20 ni. p., al quale giugnendo «o l’angolo CDF, elio è la distanza dal vertico della maggiore altezza sarebbe più vana ed inutile una tal fatica quando, senza risolver la comune misura, con lun¬ ghezza di tempo e tedio nelVoperare, in miglia o in braccia , noi, servendoci dell 1 intero semi- diametro, ritrovassimo la lontananza cercata più sicura assai e con le medesime approssimazzioni ài braccia e di dita ? — ( l) La retta BD non è segnata nella ligura deir edizione originale, ma bensì nell’autografo. Ang.BAD 4.40 in. p. Corda sua 8142 parti quali il semid.AB ò 100000. BDF 92.20 m.p. BDC 154.45 m.p. ) . . 42057 BCD 0. 2 m.p. 1 8im 58 58 42657 8142 8142 85314 170628 42657 341256 • 59 58|3473 113294 571 5 GIORNATA TERZA. 323 della stella, che qui è 62. 15 in. p., ci dà la quantità dell’ angolo BDC 154.45 in. p. il quale noto insieme co ’l suo sino, preso dalla tavola, il quale ò 42G57, e sotto questo noto l’angolo della pa¬ rallasse BCD 0.2 m. p., co ’l suo sino 58. E perchè nel triangolo BCD il lato I)B al lato BC è come il sino dell’ angolo opposto BCD al sino dell’ angolo opposto BDC, adunque quando la linea BD fusse 58, BC sarebbe 42657 ; o perchè la corda DB è 8142 di quali il semi¬ diametro BA è 100000, e noi cerchiamo di sapere quante delle me¬ desime parti sia BC, però diremo, per la regola aurea : Se quando io BD è 58, BC è 42657, quando la medesima DB fusse 8142, quanto sa¬ rebbe la BC ? Però multiplico il secondo termine per il terzo ; mi viene 347313294 il quale si deve dividere per il primo, cioè per 58, od il quoziente sarebbe il numero delle parti della linea BC di quali il semidiametro AB è 100000 : e per sapere quanti semidiametri BA con¬ tenesse la medesima linea BC, bisognerebbe di nuovo dividere il me¬ desimo quoziente trovato per 100000, od aremmo il numero de’ semi- diametri compresi in BC. Ora, il numero 347313294 diviso per 58 dà 5988160 ; j, come si vedo qui: 5988160 j 20 58 | 347313294 5717941 54 3 c questo diviso per 100000 ci dà 59 88160 100000 1(00000 | 59 |88160 7. L’edizione originalo ha de 1 quali ; ma 1’ autografo, di quali .—* 154°. 45' leggono, o qui e preceden¬ temente, così T autografo come V edizione originale; ma è evidente che dovrebbe cor¬ reggerai in 154°. 35 : e la tavola che si trova nel Copernico alla fine del duodecimo ca¬ pitolo del primo libro delle Revolutiones, usata da Galileo già altre volte in questo Dialogo (pag. 207, lin. 34-35), dà appunto per P angolo BDC 154°. 35’, e quindi 42920 per il respettivo seno, in luogo di 42657 (lin. 3). Ma nò in questo, nò in altri luoghi appresso, ne’ quali siffatti errori di calcolo si riscontrano anche nell’ autografo, non era a noi lecito correggere, perchè ed è manifesto che l’errore non è di penna, ma devesi attri¬ buire a inavvertenza o inesattezza dell’ au¬ tore, e ad esso si collega 1’ ulteriore svolgi¬ mento del calcolo. <*) L’autografo e l’edizione originale leggono 3473294. 324 DIALOGO SOPI1A I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Ma noi possiamo abbreviare assai 1’ operazione, dividendo il primo prodotto trovato, cioè 347313294, per il prodotto della multiplica- zione delli due numeri 58 e 100000, che è 59 58|00000 | 3473|13294 571 5113294 e ne vien parimente 59 à^xxx»' E tanti semidiametri son contenuti nella linea BC, a i quali ag¬ giuntone uno per la linea AB, averemo poco meno che 61 semidia-io metri por le duo linee ABC, e però la distanza rotta dal centro A alla stella C sarà più di 60 semidiametri ; adunque viene ad esser superiore alla Luna, secondo Tolomeo più di 27 semidiametri, e se¬ condo il Copernico più di 8, posto che la lontananza della Luna dal centro della Terra in via di esso Copernico sia, «piai dico T autore, semidiametri 52. Con questa simile indagine trovo, dall’ osservazioni del Camerario e del Munosio, la stella tornar situata in una simil lontananza, cioè essa ancora più di 60 semidiametri: o queste sono lo osservazioni, e questo appresso il calcolo. 20 Altezza (Camerario 52.24m.p. altezza ^ 24.28 m.p. polaredeUMunosio. . 39.30m.p. della5j< 12.54m.p. Differenza di parallasse 0. 4 m.p. ed angolo BCD. f BAD 12. 54 m. p. ; e la sua corda 22466 Angoli j BDC 161.59 m.p. } . . 30930 ( BCD 0. 4 m.p. 1 Sim 116 1-2. L’autografo e l’edizione originale leggono il primo quoziente trovato. — 19-20. e que¬ sto appresso è il —23-24. L'edizione originale ha Differenze dell’altezze polari; 1' autografo. Differenza. L’edizione originale ha della alt. della l’autografo, dell’altezze .— GIORNATA TERZA. 325 Regola aurea 22466 116 30930 22466 673980 202194 67398 59 distanza BO semidiametri 59 e 116 | 6948 (73380 quasi 60. 1144 La indagine appresso è fatta sopra due osservazioni di Ticone o del Munosio ; dalle quali si calcola, la stella essere stata lontana dal centro della Terra semidiametri 478 e più. Altezze Ticone 55.58 m.p. altezze \ 84. Om.p. poiaridi Munosio 39.30 m.p. della ^ 1 67.30 m.p. Differenza dell’al- 16.30 m.p. differenza dell’al- tezze polari 16.28 m.p. tozze della 16.28 m.p. Differenza di parallasse 0. 2 m.p. ed angolo BCD. 20 f BAD 16.28 m. p. ; la sua corda 28640 Angoli | BDC 104.14 in. p. | . . 96930 ( BCD 0. 2 m. p. ) sini 58 Regola aurea 58 96930 28640 28640 387720 0~ 58158 77544 19386 so 478 ’ 58| 27760|75200 4506 53 14-15. L’edizione originale: altezza della a)c; l’autografo: altezze. —16-17. L’edizione originale: differenze dell’altezze polari; l’autografo: differenza. — L’ edizione originalo: della alt. della % ; l’autografo : dell’altezze. — 326 DIALOGO SOPRA I DDK MASSIMI SISTEMI DHL MONDO. Quest’ indagine die segue, dà la stella remota dui contro più di 358 semidiametri. Altezze ( Peucero 51.54 m. p. altezza \ 70. 56 m. p. polari ( Munosio 39.30 ni. p. della jfc 1 67. 30 in. p. 12. 24 m. p. 12. 26 m. p. 12. 24 m. p. 0. 2 m. p. / BAD 12.24 m. p. ; corda 21600 Angoli ' RDC 106. 16 ni. p. ) . . 95996 ( BCD 0. 2 m. p. ' hUU 58 io Regola aurea 58 95996 21600 21600 57597600 95996 191992 357 58| 20735113600 3339 42 20 Da quest’ altra indagine la stella si ritrova esser lontana dal cen tro più di 716 semidiametri. Altezzo \ Landgravio 51. 18 ni. p. della polari ( Ainzelio . . 48. 22 m. p. stella 2. 56 m. p. BAD 2. 56 m. p. ; corda 5120 BDC 101. 58 m. p. < . . ^7845'' , BCD 0. 0 15 sec. \ 8im 7 79. 30 in. p. 76. 33 m. p. e 45 sec. 2. 56 m. p. e 15 sec. 2. 56 m. p. 0. 0 15 sec. so 3. altezza manca in G. — (l) Il seno è veramente 97827, non 97846, GIORNATA TERZA. 3 27 Regola aurea 7 97845 5120 5120 1956900 97845 489225 715 5009 134 CG400 i) io Queste, coinè vedete, son cinque indagini le quali rendon la stella assai superiore alla Luna : dove voglio clic voi facciate considerazione sopra quel particolare che poco fa vi dissi, cioè che nello distanze grandi la mutazione, o vogliam dir correzione, di pochissimi minuti rimuove la stella per grandissimi spazii ; come, per esempio, nella prima di queste indagini, dove il calcolo rese la stella 60 semidia¬ metri remota dal centro, con la parallasse di 2 minuti, chi volesse sostenere che ella fusse nel firmamento, non ha a corregger nelle os¬ servazioni altro che 2 minuti o anco meno, perchè allora cessa la parallasse, o divien così piccola che rende la stella in lontananza im- 20 mensa, quale si riceve da tutti esser quella del firmamento. Nella se¬ conda indagine l’emenda di manco di 4 in. p. fa l’istesso. Nella terza o nella quarta, pur come nella prima, due minuti soli ripongon la stella anco sopra le fisse. Nella precedente un quarto d’ un minuto, cioè 15 secondi, ci danno l’istcsso. Ma non così avverrà nelle altezze sublunari : imperocché figuratevi pure qual lontananza più vi piace, e fate prova di voler corregger le indagini fatte dall’ autore ed ag¬ giustarle sì che tutte rispondano nella medesima determinata lonta¬ nanza ; voi vedrete quanto maggiori emende vi bisognerà fare. Sagr. Non sarà se non bene, per nostra piena intelligenza, veder so qualche esempio di questo che dite. Sai.y. Stabilite voi a vostro beneplacito qual si sia determinata lontananza sublunare, dove costituir la stella ; chè con poca briga potremo assicurarci se correzioni simili a queste, che abbiamo veduto bastar per ridurla tra la fisse, la ridurranno nel luogo da voi stabilito. 14. rimuovon la stella — 17. non ha (la corregger — 31-32. qual più vi piace lontananza — (l) L’ autografo e 1’ edizione originale hanno 4 in luogo di 134. 328 DIALOGO SOI'HA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Sauk. Per pigliare la più favorevole distanza per l’ autore, por¬ remo elio sia quella che è la maggiore di tutte le investigate da esso nello suo 12 indagini ; imperocché, mentre si è in controversia tra gli astronomi ed esso, e che quelli dicono la stella essere stata superiore alla Luna, e questo inferiore, ogni poco spazio elio o’ la provi essere stata sotto, gli dà la vittoria. Salv. Pigliamo dunque la settima indagine, fatta sopra le osser¬ vazioni di Ticone e di Taddeo Agecio, per le quali trova P autore la stella essere stata lontana dal centro 32 semidiametri, il qual sito è il più favorevole per la parto sua ; e per dargli ogni vantaggio, vo- io glio che, oltre a questo, la ponghiumo nella più disfavorevole lonta¬ nanza per gli astronomi, (piai è il collocarla anco sopra il firma¬ mento. Posto dunque ciò, anditun ricercando quali correzioni sarebber necessarie applicare all’altro sue 11 indagini, acciò sublimassero la stella sino alla distanza di 32 semidiametri ; e cominciamo dalla prima, calcolata sopra P osservazioni dell’ Ainzelio e del Maurolico, nella quale 1’ autore trova la distanza dal centro circa 3 semidiametri, con la parallasse di gr. 4.42 m. p. e 30 sec. : veggiamo ora se co ’l ri¬ tirarla a 20 m. p. solamente, si eleva sino alli 3‘2 semidiametri. Ecco P operazione, brevissima e giusta : multiplico il sino dell’ angolo BPC 20 per la corda BD, e parto P avvenimento, detrattone le 5 ultime figure, per il sino della parallasse; ne viene 28 semidiametri e mezo: talché né anco per la correzione di gr. 4.22 m. p. 0 30 secondi, tolti da gr. 4.42 m. p. 0 30 secondi, si eleva la stella sino all’altezza (li 32 semidiametri; la qual correzione, per intelligenza del Sig. Simplicio, è di m. p. 262 e mezo. Ainzelio Poi. 48. 22 * 76. 34 m. p. e 30 soc. Maurolico Poi. 38. 30 ^ 62 9- 52 14. 34 in. p. 0 30 sec. 9.52 a» Parallasse 4. 42 m. p. 0 30 sec. BAD 9.52 m.p. corda 17200 BDG 108. 21 m. p. e 30 sec. sino 94910 BCD 0.20 m.p. sino 582 14. subblimassero 19. solamente, la stella si eleva sino alli 32. Ecco — 21. L’edizione ori¬ ginalo ha per il sino della corda JiD; ma l’autografo, per la corda BI). — 27. L’edizione originale ha 48. 32; ma l’autografo, 4B. 22. - GIORNATA TERZA. 329 94910 17200 18982000 66437 9491 28 ‘ 582| 16324|52000 4688 2 )0 Nella seconda operazione, fatta sopra l’osservazioni dell’Ainzelio e dello Sculero, con parallasse di gr. 0. 8 m. p. e 30 sec., trovasi la stella in altezza di 25 semidiametri in circa, come si vede nella se¬ guente operazione. BD corda 6166 97987 BDC \ . . f 97987 6166 BCD j ( 247 587922 587922 97987 587922 20 24 247 | 6041|87842 1103 11 E ritirando la parallasse 0. 8 m. p. e 30 sec. a 7 m. p., il cui sino ò 204, si eleva la stella a 30 semidiametri in circa : non basta dunque la correzione di 1 ni. p. e 30 sec. 29 204 | 6041 | 87842 1965 so 12 Or voggiamo qual correzione bisogna per la terza indagine, fatta su 1’ osservazioni dell’Ainzelio e di Ticone, la qual rende la stella alta circa 19 semidiametri, con la parallasse 10 m. p. Gli angoli soliti e lor sini e corda, trovati dall’ autore, son questi ; e rendono (come anco nell’ operazione dell’ autore) la stella lontana circa 19 semidiametri ; 10. Nella seconda dimostrazione, fatta — 25-26. non basta ... e 30 sec. manca in Or. — 27. L’edizione originale ha 20; ina l’autografo, 21 ).— 330 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. bisogna dunque, por alzarla, scemar la parallasse, conformo alla regola che egli ancora osserva nella nona indagine : ponghi amo per tanto la parallasse esser 6 m. p., il cui sino è 17o ; o fatta la divisione, si trova ancor meno di 31 semidiametri per la distanza della stella. È dunque la correzione di 4 in. p. poca por il bisogno dell’ autore. (BAI) gr. 7.3G corda 13254 Angoli]BDC 155.52 m.p. sino 40886 (bOD 0.10 m.p. sino 291 13254 4088G 79524 106032 10G032 53016 18 2911 5419|03044 2501 18 175|5419 16 io Vengliiamo alla quarta indagine ed alle rimanenti con la mede¬ sima regola, o con le cordo o sini ritrovati dall’ autor medesimo. In 20 questa la parallasse è 14 m. p., e l’altezza trovata manco di 10 se¬ midiametri ; e diminuendo la parallasse da 14 m. p. a 4 m. p., ad ogni modo vedete come la stella non si eleva nò anco sino a 31 semidia¬ metri : non basta dunque la correzione di 10 m. p. sopra 14 m.p. BD corda 8142 BDC sino 43235'” BCD sino 407 43235 8142 86470 172940 43235 345880 30 116| 3520|19370 4 1. sciemar —G. Nell’autografo dopo BAD, in luogo di gr. 7.36, si veggono dei pun- t clini.—17-18. L’edizione originale ha 250 e 181; ma l’autografo, 2501 e 18 .— 19. Tasco clic 7 calcolo Velerà — (*) In luogo di 769328, V autografo ha 739328, e 1’ edizione originale 639328. W In luogo di 1899086X68,. .l’autografo e l’edizione originale hanno 1099036168. <*> In luogo di 36, Tautografo e l’edi¬ zione originale hanno 56. 334 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. La duodecima, con la parallasse dì gr. 1.36 m. p., rende la stella alta meno di G semidiametri : ritirando lu parallasse a 20 m. p., con¬ duce la stella a meno di 30 semidiametri di lontananza ; non basta dunque la correzione di gr. 1. 16 tu. p. BD corda 17258 17258 BDC sino 96150 96150 BGD 1.36 m.p. Bino 2792 862900 ^ 17258 103548 155322 28; 582 16593 56700 4957 29 io Queste sono le correzioni delle parallasse * dello 10 indagini dell’autore, por ridur la stella in altezza di 32 semidiametri. Gr. I II Gr. I II 4. 22 m. p. e 30 sec. . . . . . . sopra 4. 42. 30 4. . . . . sopra 0. 10 10. . . . • sopra 0. 14 37. . . . . sopra 0. 42. 30 7. . . . . sopra 0. 8 42. . . . . sopra 0.43 14 ... e 50 sec. . . . . . sopra 0. 15 4. 28. . . . . sopra 4. 30 35. . . . . sopra 0. 55 1. 16. . . . . sopra 1. 36 216 296 60 540 540 9 756 836 540 Di qui si vede corno per ridur la all’altezza di 32 semidiametri, bisogna dalla somma delle paral¬ lassi 836 detrarne 756 o ridurle a 80, nò anco basta tal correzione. <0 Anche l’autografo legge 17258; ma 1,1 Nell'autografo mancano oggi la tavola la corda BD, che corrisponde ad un augolo delle correzioni delle parallassi e le lin. 32-35; di 9° 54 . è veramente 1725 7. ma sul margine sinistro del foglio si vedono GIORNATA TERZA. 335 Di qui si vede (sì come ho notato qua dreto) che quando l’autore stabilisse di voler ricever per vero sito della stella nuova la distanza di 32 semidiametri, la correzione dell’altre sue 10 indagini (e dico 10, perchè la seconda, essendo assai ben alta, si riduce all’altezza di 32 se¬ midiametri con 2 m. p. di correzione), per far elio tutte restituissero detta stella in tal distanza, ricercherebbe un ritiramento di parallassi tale, che tra tutte lo sottrazioni importerebbero più di 756 m. p.: dove che nelle 5 calcolate da me, che rendono la stella sopra la Luna, por correggerle sì che la costituiscano nel firmamento, basta la correzione io di minuti 10 e un quarto solamente. Ora aggiugnete a queste, altro 5 indagini che rendono la stella precisamente nel firmamento senza bisogno di veruna correzione, ed avremo 10 indagini concordi a costi¬ tuirla nel firmamento, con la sola correzione di 5 di loro (come s’è ve¬ duto) di minuti 10 e un quarto: dove che per la correzione dell’altre 10 dell’autore, per ridurla in altezza di 32 semidiametri, vi bisogneranno l’emendazioni di minuti 756 sopra minuti 836; cioè bisogna che dalla somma di 836 se ne detraggano 756, a voler che la stella si elevi all’ altezza di 32 semidiametri, ed anco tal correzione non basta. Le indagini poi, che immediatamente senz’ altra correzione ren- 20 don la stella senza parallasse, e perciò nel firmamento ed anco nelle più remote parti di esso, ed in somma alta quanto l’istesso polo, son queste 5 notate qui. Camerario . ) . . ( Gr. 52.24 m.p. ) ... 111 ^ ( 80.26 Peucero . . ! Alta6 P ° larl t Or. 51.54 I A ' tMZe fW ' a * ì 79.06 Landgravio; ... . . A . Altezze polari Amzelio . . ) 0.30 Gr. 51.18 Gr. 48.22 2.56 0.30 ( 79. 30 Altezze della ^ j ^ ^ 2.5G 3-5. (e dico IO, perchè la 7 a , essendo prossima alli 32 semidiametri, non ricerca coi rczzione), per far — 9. coslitinsellino —15. vi bisognano — 17. detraggano ancora tracce d’un cartellino, che doveva esservi incollato, o che probabilmente con¬ teneva siffatta tavola, poiché dopo le parole Di qui si vede (pag. 335, lin. 1) Y autografo, in luogo di (sì come ho notato qua dreto), legge: (sì come ho notato qui da parie). Nella tavola, alla lin. 23, l’edizione originale legge 0* 18, che abbiamo corretto in 0.8, come ri¬ sulta da pag. 331, lin. 30; o con questa cor¬ rezione torna esatto il totale 290. Alla lin. 22 dovrebbe pure correggersi 37 m.p. in 37 m.p. e30 sec. (cfr. pag. 331, Un. 15-1G), e alla lin.25, a quanto sembra, 50 sec. in 54 sec. (cfr.pag.332, lin. 30 — pag. 333, lin. 3); ma nò con le ci¬ fre che si leggono nell 1 edizione originalo e che abbiamo riprodotto, nè con alcuno di siffatti emendamenti, riesce poi esatto il to¬ tale 216. 336 DIALOGO SOl’HA 1 DUK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Ticone , . ( Gr. 55. , ! Altezze polari „ _, Peucero . . ) r (Gr. 51. Altezze della 3 ^ 4. 4 JEtomoldo . . ) ... , . Gr. 51.18 1 A . Altezze polari n ta nn \ Altezze della 3k Ainzelio . . ) Gr. 48.22 ) Camerario . 1 . \ ur. oa. ** . . 1 Altezze polari , Agecio . . . ) ( Gr. 48.22 2.56 . * Gr. 52. 24 4. 2 )- ( 79.5G _4. 4 ! Altezze della 79,30 ) _ ^ ( 76.3 4 _ 2.56 | Altezze della 3k j 2 ^‘ ^ ) __J 20,15 4. 2 Del resto de gli accoppiamenti che si posson fare delle osserva -10 zioni di tutti questi astronomi, quelli che rendon la stella per infinito spazio sublime son molti più in numero, cioè circa 30 di più, che gli altri che danno, calcolando, la stella sotto la Luna ; e perchè (sì come siam convenuti) è da credere che gli osservatori abbiano errato più presto di poco che d’ assai, manifesta cosa è che le correzioni da applicarsi all’ osservazioni che danno la 3^c alta in infinito, nel riti¬ rarla a basso, prima e con emenda minore la condurranno nel fir¬ mamento che sotto la Luna : talché tutte queste applaudono all’ opi¬ nione di quelli che la mettono tra le fìsse. Aggiugnete che le correzioni che si ricercano per tali emendo, sono assai minori che quelle per le 20 quali la stella dall’ inverminii vicinità si può ridurre all’ altezza più favorevole per questo autore, come per gli esempi passati si è ve¬ duto : tra le quali impossibili vicinità ce no son 3 che par che rimuo¬ vano la stella dal centro della Terra per manco distanza d’un semi- diametro, facendola in certo modo andar in volta sotto Terra ; e queste son quelle combinazioni nelle quali, essendo 1’ aitozza polare d’ uno de gli osservatori maggiore dell’ altezza polare dell’ altro, 1’ ele- vazion della stella presa da quello è minore dell’ elevazione della stella di questo. E sono tali combinazioni le notate qui appresso. Questa prima è del Landgravio con Gemma: dove l’altezza po-so lare del Landgravio, 51. 18 m. p., è maggiore dell’altezza polare (li Gemma, che è 50. 50 m. p. ; ma 1’ altezza della stella del Landgra¬ vio, 70. 30 m. p., è minore di quella della stella di Gemma, 79. 45 m. p. 5. L’ edizione originale ha 36.34; ma l’autografo, 76.34. — 12. subbiime — 23-24. che rimuovon la stella — 21 25. semidiametro , si che la fanno andar in volta — GIORNATA TERZA. 337 Landgravio ) Gemina. . . \ Altezza polare 51.18 50. 50 Altezza della >|c 79. 30 79.45 Le altre due sono queste di sotto. Buschio . . Gemma. . . Reinoldo . . Gemma. . . Altezza Altezza polare polare 51. 10 ) 50.50 ) 51. 18 | 50.50 ) Altezza Altezza della 5$e della >)c 79. 20 79.45 79. 30 79. 45 Da quello clie sin qui v’ ho mostrato, potete comprendere quanto questa prima maniera d’investigar la distanza della stella e provarla io sublunare, introdotta dall’ autore, sia disfavorevole por la causa sua, e quanto più probabilmente e chiaramente si raccolga, la lontananza di quella esser stata tra le più remote stelle fisso. Smr. Sino a questa parte mi par che assai manifestamente sia scoperta la poca efficacia delle dimostrazioni dell’ autore ; ma io veggo che tutto questo vien compreso in non molte carte del libro, e po- trebb’ esser che altre sue ragioni fusser più concludenti che non son queste prime. Salv. Anzi non posson esser se non men valide, se vogliamo che le passate ci siano esempio per le rimanenti ; attesoché (sì come è 20 manifesto) 1’ incertezza e poca concludenza di quelle chiaramente si comprende derivar da gli errori commessi nelle osservazioni strumen¬ tali, dalle quali si è creduto le altezze polari e della stella essere state prese giustamente, essendo in effetto errate facilmente tutte ; o pur per trovar 1’ altezze del polo hanno avuto gli astronomi secoli di tempo da impiegarvisi a lor agio, e le altezze meridiane della stella sono le più agevoli da osservarsi, come quelle che sono terminatissime e concedono qualche spazio all’osservatore di poterle continuare, come quelle che non si mutano sensibilmente in tempo brevissimo, come fanno le remote dal meridiano : e se questo è, sì come è, verissimo, L’autografo nel passo che è alla lin. 23 della pag. 336 legge: ce nc son 4 che; alla lin. 3 della presente pagina, Le altre 3 sono; e dopo la lin. 7: Ursino Agecio Altezza polare 49.24 48.22 Altezza 22.0 22.15 10. sullunare — 24. auto — 26. L’edizione originale legge sono più agevoli; ma l’autografo, sono le più agevoli. — VII. 43 338 DIALOGO 80FRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. qual fedo vorrem noi prestare a calcoli fondati sopra osservazioni più in numero, più difficili a farsi, più momentanee nel variarsi, con la giunta appresso di strumenti più incomodi e più fallaci ? Per una semplice occhiata che ho data alle dimostrazioni seguenti, i computi son fatti sopra altezze della stella preso in diversi cerchi verticali, che chiamano con voco arabica a eimutti : nelle quali osservazioni si adoprano strumenti mobili non solo no i cerchi verticali, ma nol- P orizonte ancora nel medesimo tempo ; in modo che convien, nel- l’istosso momento che si prendo 1’ altezza, aver nell’ orizonte osser¬ vata la distanza del verticale, nel qual ò la stella, dal meridiano ; in io oltre dopo notabile intervallo di tempo convien reiterar 1’ operazione, e toner minuto conto del tempo decorso, fidandosi o d’orivuoli o d’ altre osservazioni di stelle : una tal matassa di osservazioni va poi conferendo con un’ altra simile, fatta da un altro osservatore, in un altro paese, con diverso strumento ed in diverso tempo ; o da questa cerca P autore di ritrar quali sarebbono stato 1’ altezze della stella e le latitudini orizontali accadute nel tempo ed ora dell’ altro prime osservazioni, e sopra un tale aggiustamento fabbrica in ultimo il suo calcolo. Lascio ora giudicar a voi quanto sia da prestar fede a ciò che da simili indagini si ritrae. Oltre elio io non dubito punto che so quando altri si volesse martirizare sopra tali lunghissimi computi, si troverebbe, sì come ne i passati, esser più quelli che favorissero la parte avversa, che P autore : ma non mi par che metta conto pren¬ dersi una tal fatica per cosa che non è tra le primario intese da noi. Sagr. Io son dalla vostra in questa parto ; ma sendo questo nego¬ zio circondato da tante confusioni incertezze ed errori, sopra qual confidenza hanno tanti astronomi asseverantemente pronunziato, la nuova stella essere stata altissima? Salv. Sopra due sorte di osservazioni, semplicissimo facilissime o verissime, una sola delle quali ò più che a bastanza per assicurarne so dell’ essere stata locata nel firmamento, o almeno per lunghissimo tratto superiore alla Luna : una delle quali ò presa dall’ egualità o poco differente inegualità dello sue lontananze dal polo, tanto mentre eli’ era nell’ infima parte del meridiano, quanto nella suprema ; l’altra ò T aver lei conservato perpetuamente le medesime distanze da alcune stelle fisse, sue circonvicine, ed in particolare dall’ undecima di Cas- 4 . dato 8 . immodo che — 12 . orinoli — 10 . sarebbero — 29 . sorti — 31 . esser ella stuta — GIORNATA TERZA. 339 siopea, non più da essa remota di gradi 1 o mozo : dalli quali duo capi indubitabilmente si raccoglie o 1* assoluta mancanza di parallasse, o una piccolezza tale, elio ne assicura con calcoli speditissimi della sua gran lontananza dalla Terra. Sagr. Ma queste cose non sono state comprese da questo autore ? o se egli le lia vedute, in che modo so ne difende? Salv. Noi sogliamo dire che quando altri, non trovando ripiego elio vaglia contro a i suoi falli, produco frivolissimo scuse, corca di attaccarsi allo funi del cielo ; ma quest’ autore ricorre non alle corde, io ma alle fila de’ ragliateli del cielo, conio apertamente vedrete nel- l’andare esaminando questi duo punti pur ora accennativi. E prima, quello che ci mostrino le distanze polari ad uno ad uno de gli osser¬ vatori, T ho io notato in questi brevi calcoli ; per piena intelligenza de’ quali devo primamente avvertirvi, come, tuttavolta che la stella nuova o altro fenomeno sia vicino a Terra, girando al moto diurno intornio al polo, più distante si mostrerà da esso mentre si trovi nella parte di sotto nel meridiano, elio quando è nella supcriore, come in questa figura si vede : nella quale il punto T denota il centro della Terra, 0 il luogo dell’ osservatore, il firmamento 1’ arco VPC, il polo P ; 20 il fenomeno, muovendosi per il cerchio ES, vedesi or sotto il polo, per il raggio OFC, ed or sopra, secondo il raggio OSD, sì che i luoghi veduti nel firmamento siano D, C ; ma i veri, rispetto al centro T, sono E, A, lon- • tani egualmente dal polo : dovo già è manifesto, il luogo apparente del fenomeno S, cioè il punto D, esser più vicino al polo che non ò P altro appa¬ rente luogo 0, veduto per il raggio OFC; che è la prima cosa da notarsi. Conviene che nel secondo luogo voi notiate, come 1’ eccesso della apparente inferior distanza dal ao polo sopra l’apparente superiore distanza, pur dal polo, è maggiore che non è la parallasse inferiore del fenomeno ; cioè dico che l’eccesso dell’ arco CP (distanza inferiore apparente) sopra l’arco I J D (distanza apparente superiore) è maggiore dell’ arco CA (che ò la parallasse inferiore). Il che si raccoglie facilmente : imperocché di più eccede l’arco CP il PD che il PB, essendo PB maggiore di PD ; ma PB è eguale a PA, e 1’ eccesso di CP sopra PA è 1’ arco CA ; adunque 5 - 6 . comprese da lui? e se egli — 29 . inferior distanza apparente — 340 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO, 1’ eccesso dell 5 arco CP sopra P arco PI) ò maggioro dell’ arco CA, che è la parallasse del fenomeno posto in F : che è quel che bisognava sapere. E per dar tutti i vantaggi all’ autore, voglio che suppon- ghiaino, la parallasse della stella in F esser tutto P eccesso dell’ arco CP (cioè della distanza inferiore dal polo) sopra P arco PI) (distanza su¬ periore), Vengo adesso ad esaminare quel che ci danno le osserva¬ zioni di tutti gli astronomi prodotti dall’ autoro : tra le quali non ce n’ ò pur una che non gli sia in disfavore o contraria al suo intento. E facciamo principio da queste del Buscliio, il qualo trovò la distanza della stolla dal polo, quando gli era superiore, esser gr. 28. 10 m. p., io o la inferiore esser gr. 28. 30 m. p., sì che l’eccesso è gr. 0. 20 m. p., il quale voglio elio prendiamo (a favor dell’ autore) come so tutto fusse parallasse dolla stella in F, cioè P angolo TFO ; la distanza poi dal vertice, cioè Parco CV, è gr. 67. 20 m. p. Trovato queste due cose, prolunghisi la linea CO, e sopra essa caschi la perpendicolare TI, o consideriamo il triangolo TOI, del quale l’angolo I ò retto, el’IOT noto, per esser alla cima dell’ angolo VOC, distanza della stella dal vertice ; inoltro nel triangolo TIF, pur rettangolo, è noto P angolo F, preso per la parallasse : notinsi dunque da parto li due angoli IOT, IFT, e di essi si prendano i sini, che sono come si vede notato. E per- 20 che nel triangolo IOT di quali parti il sino tutto TO è 100000, di tali il sino TI ò 92276, e di più nel triangolo IFT di quali il sino tutto TF ò 100000, di tali il sino TI è 582, per ritrovar quante parti sia TF di quelle che TO è 100000, diremo, per la regola aurea: Quando TI è 582, TF ò 100000 ; ma quando TI fusse 92276, quanto sarebbe TF? Multiplichiamo 92276 per 100000; ne viene 9227600000: 0 questo si deve partire per 582 ; ne viene, come si vedo, 15854982 : 0 tante parti saranno in TF di quelle che in TO sono 100000. Onde per voler sapere quante lineo TO sono in TF, divideremo 15854982 per 100000 ; no verrò 158 e mezo prossimamente : e tanti semidiame- so tri sarà la distanza della stella F dal contro T. E per abbreviar P opera¬ zione, vedendo noi come il prodotto del multiplicato di 92276 per 100000 si deve divider prima per 582 e poi il quoziente per 100000, po¬ tremo, senza la multiplicazione di 92276 per 100000 e con una sola divisione del sino 92276 per il sino 582, conseguir subito Pistesso, come si vede lì sotto; dove 92276 diviso per 582 ci dà Pistesso 158 21-22. di tali è il sino TI VM76 — GIORNATA TERZA. 341 e mezo in circa. Tenghiamo dunque memoria, corno la sola divisione del sino TI, come sino dell’ angolo TOT, diviso per il sino TI, come sino dell’ angolo IFT, ci dà la distanza cercata TF in tanti semidia¬ metri TO. Angoli ( IOT 67. 20 m. p. ) . . ( IFT 0. 20 m. p. ' 8im 92276 582 TI TF TI TF 582 100000 92276 0 582 15854982 9227600000 3407002246 49297867 325414 100000 I 158 I 54982 582 158 92276 34070 492 3 Vedete ora quel che ci danno le osservazioni del Peucero : del quale la distanza inferior dal polo è gr. 28. 21 m. p., e la superiore gr. 28. 2 m. p., la differenza gr. 0. 19 m. p., e la distanza dal vertice gr. 66. 27 m. p.; dalle quali cose si raccoglie la distanza della stella «0 dal centi’O quasi 166 semidiametri. Angoli IAC 66. 27 m.p. ) . . 91672 IEC 0. 19 m.p. ) 81111 553 553 1 n r 427 165 553 91672 36397 312 4 Ecco quel che ci mostra 1’ osservazione di Ticone, presa la più favorevole per l’avversario: cioè, la distanza inferiore dal polo, gr. 28. 13 m.p.; e la superiore, 28.2 in. p., lasciando la differenza, che è 0.11 m. p., come se tutta fusse parallasse ; la distanza dal vertice, so gr. 62.15 m.p. Ecco qui sotto l’operazione, e la lontananza della stella dal centro ritrovata semidiametri 276 ~. 7. L’edizione originale ha 3407002746; nm l’autografo, 3407002246 .— 19. L’edizione originale ha gr. 66.22 m.p.; ma l’autografo, gr. 66.27 '.— 342 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Angoli IAC 62. 15 ni. p. '/ . . 88500 IEC 0. 11 m. p. ) 320 320 276 f 6 88500 2418 21 w Tj’ osservazione dui Reinoldo, eh e la seguente, ci rendo la distanza della stella dal contro semidiametri 793. Angoli IAC 66. 58 m. p. I . . 92026 IEC 0. 4 m. p, ) ' 116 116 700 38 IJii ile 92026 10888 33 io Dalla seguente ossorvazion ilei Landgravio si ritrae la distanza della stella dal contro semidiametri 1057. Angoli IAC 66. 57 m.p. / . . 92012 IEC 0. 3ni.ii.) Sim 87 1057 | 92012 5663 5 Prose dal Camerario due delle suo osservazioni più favorevoli per l’autore, si trova la lontananza della stella dal centro semidia¬ metri 3143. Angoli IAC 65. 43 m.p. ) . . 91152 IEC 0. lrn.p. j 29 29 3143 91152 4295 I* 20 L’osservazione del Munoeio non dà parallasse, e però rende la stella nuova tra lo fisse altissime: quella dell’Ainzolio ce la dà re¬ mota per infinito spazio, ma con emendazion di un mezo minuto primo la ripon tra le fisso : o 1* istesso si ritrae dall* Ursino con la correzione di 12 m. p. De gli altri astronomi non ci sono le distanze 12. dal centro manca in G. — <*> L’autografo e T edizione originale in W 1 manca così nell’autografo conio luogo di 21 hanno U nell'edizione originale. d TORNATA. TKRZA. 343 sopra e sotto il polo, onde non si può ritrar cosa veruna. Or vedete come tutte le osservazioni di tutti convengono, in disfavor dell’ au¬ tore, in collocar la stella nelle regioni celesti e altissime. Sagù. Ma che difesa trov’ egli contro a sì patenti contrarietà ? Sai,y. Uno di quei debolissimi fili : dicendo che le parallassi ven¬ gono diminuite mercè delle refrazioni, le quali, operando contraria¬ mente, sublimano il fenomeno, dove lo parallassi V abbassano. Ora, quanto vaglia questo miserabil refugio, giudicatelo da questo, che quando quest’ effetto delle refrazioni fusse di quella efficacia elio da io non molto tempo in qua alcuni astronomi hanno introdotto, al più che potesse operar circa 1’ elevar più del vero un fenomeno sopra l’orizonte, mentre egli sia di già alto 23 o 24 gradi, sarebbe il di¬ minuirgli circa 3 minuti di parallasse ; il qual temperamento è scar¬ sissimo per ritrar la stella sotto la Luna, ed in alcuni casi è minoro che non è il vantaggio conceduto da noi nell’ ammetter che l’eccesso della distanza inferior dal polo sopra la superiore sia tutto paral¬ lasse, il qual vantaggio è cosa assai più chiara e palpabile che l’ef¬ fetto della refrazione, della grandezza del quale io dubito, e non senza ragione. Ma più, io domando quest’ autore s’ oi crede che quelli astro- 20 nomi, dello osservazioni dei quali egli si serve, avessero cognizione di questi effetti delle refrazioni e vi facessero sopra considerazione, o no : se gli conobbero e considerarono, è ragionevol credere elio di essi tenesser conto nell’ assegnare le vere elevazioni della stella, fa¬ cendo a quei gradi di altezze, che sopra gli strumenti si scorgevano, quelle tare che erano convenienti mercè dell’ alterazioni delle refra¬ zioni, immodo che le distanze pronunziate da loro fussero poi le corrette e giuste, e non lo apparenti o false ; ma s’ ei crede che tali autori non facessero reflessione sopra le dette refrazioni, convien con¬ fessare che eglino abbiano parimente errato in determinar tutto quello so cose le quali non si possono perfettamente aggiustare senza la mo¬ dificazione delle refrazioni : tra le quali cose una è l’investigazione precisa delle altezze polari, le quali comunemente si prendono dallo due altezze meridiane di alcuna delle stelle fisse sempre apparenti, le quali altezze verranno alterate dalla refrazione, nell’ istesso modo 3. c allissime manca in G. — 7. subbimano —14. per ritirar la stella — 19. 11 tratto da Ma più, io domando a però ditemi (pag. 314, lin. 18-19) manca nell’autografo, che dopo e non senza ragione continua; Sagh. In (piai maniera si liberi egli poi da qucWaver mantenuta ... fisse sue circonvicine ? ecc. — 344 DIALOGO SOPRA I I)UF. MASSIMI 8I8TKMI DEL MONDO. appunto cho quello della stella nuova ; talché 1’ altezza polare, che da esse si deduce, verrà difettosa, e partecipe dell’ istesso mancamento che quest’ autore ascrivo alle altezze assegnate alla stella nuova, cioè o quella o queste poste, con pari errore, più sublimi del vero. Ma tale (?rrore, per quanto appartiene al nostro presente negozio, non pro¬ giudica punto, perchè non avendo noi bisogno di saper altro che la differenza tra le duo distanze della stella nuova dal polo, mentre ella gli fu inferiore e poi superiore, chiara cosa è che tali distanze saran l’istesso posta 1’ alterazion della refrazione comunemente per la stella e per il polo, eli’ è comunemente emendata por questo e per quella, io Arebbe qualche momento, benché debolissimo, l’argomento dell’au¬ tore, se egli ci avesse assicurati che 1’ altezza del polo fusse stata assegnata precisa e emendata dall’error dependente dalla refrazione, dal quale non si fossero poi guardati i medesimi astronomi nell’asse- gnarci 1’ altezze della stella nuova ; ma egli di ciò non ci ha fatti sicuri, ne forse ce ne poteva fare, e forse (e questo ò più credibile) tal cautela è stata tralasciata da gli osservatori. Sagù. Farmi soprabbondantemente annullata questa instanza ; però ditemi in qual maniera e’si libera poi da quell’aver mantenuta sempre la medesima distanza dallo stelle fisse suo circonvicine. m Salv. Apprendendosi similmente a due fili ancor più deboli del- 1’ altro : l’uno do’ quali è pur legato alla refrazione, ma tanto men saldamente, quanto e’ dice che, pur la refrazione operando nella stella nuova e sublimandola sopra il vero sito, rende incerto le distanze veduto dalle vere, comparate allo stello fisse sue vicino ; nè posso a bastanza maravigliarmi come e’ dissimuli d’ accorgersi che la mede¬ sima refrazione lavorerà nell’ istesso modo nella stella nuova che nel- 1’ antica, sua vicina, sublimando amondue egualmente, onde da tale accidente l’intervallo tra esse resti inalterato. L’altro refugio è an¬ cora più infelice e tiene assai del ridicolo, fondandosi sopra 1’ errore so che può nascere nell’operazione stessa strumentale, mentre che l’os¬ servatore, non potendo costituire il contro della pupilla dell’ occhio nel centro del sestante (strumento adoprato nell’ osservare gl’ inter¬ valli tra due stelle), ma tenendolo elevato sopra detto centro quant’ è la distanza di essa pupilla da non so che osso della gota, dove s’ap- poggia il capo dello strumento, si vieno a formar nell’ occhio un an- 21 . debili — 24 . 8ubblimandola — 28 . subblitnando — GIORNATA TERZA. 345 golo più acuto (li quello che si forma da i lati del sestante ; il qual angolo de’ raggi differisce anco da se stesso, mentre si riguardano stelle poco elevate sopra V orizonte e le medesime poi poste in grande altura. Si fa, dice, tal angolo differente, mentre si vadia elevando lo strumento, tenendo ferma la testa : ma se nell’ alzar il sestante si piegasse il collo indietro e si andasse elevando la testa insieme con 10 strumento, 1* angolo allora si conserverebbe 1’ istesso : suppone dunque la risposta dell’ autore che gli osservatori, nell’ uso dello stru¬ mento, non abbiano alzato la testa conforme al bisogno, cosa che io non ha del verisimile. Ma posto anco che cosi fusse seguito, lascio giudicare a voi qual differenza può essere tra due angoli acuti di due triangoli equicruri, i lati dell’ uno de i quali triangoli siano lunghi ciascuno quattro braccia, e quelli dell’ altro quattro braccia meno quant’ è il diametro d’ una lente ; cliò assolutamente non maggiore può essere la differenza tra la lunghezza delli due raggi visivi mentre la linea vien tirata perpendicolarmente dal centro della pupilla sopra 11 piano dell’ aste del sestante (la qual linea non è maggiore cho la grossezza del pollice), e la lunghezza de i medesimi raggi mentre, elevandosi il sestante senza alzar insieme la testa, tal linea non cade 20 più a perpendicolo sopra detto piano, ma inclina, facendo 1’ angolo verso la circonferenza alquanto acuto. Ma per liberare in tutto e per tutto questo autore da queste infelicissime mendicità, sappia (già cho si vede che egli non ha molta pratica nell’ uso de gli strumenti astro¬ nomici) che ne i lati del sestante o quadrante si accomodano due traguardi, uno nel centro o l’altro nell’ estremità opposta, i quali sono elevati un dito o più dal piano dell’ aste, e per le sommità di tali traguardi si fa passar il raggio dell’ occhio, il quale occhio si tiene anco remoto dallo strumento un palmo o due o più ancora ; talché nè pupilla, nè osso di gota, nè di tutta la persona, tocca nè si ap- 3° poggia allo strumento ; il quale strumento nè meno si sostiene o si eleva a braccia 01 , e massime se saranno di quei grandi, come si co- 21. la circonferenza del sestante alquanto — Dopo alquanto acuto nell’autografo continua E con questi miserandi suttcrfugii, che non lo possano sollevare di un centesimo di un minuto, si persuade di darci a credere ccc. (cfr. pag. 346, lin. 5), mancando il tratto da Ma per li¬ berare a svanisce (pag. 346, lin. 3). — (1 ) L’edizione originale legge si eleva del Seminario di Padova, Galileo corres- in braccia; ma nell’esemplare di quest’edi- se di suo proprio pugno in braccia in a zione, eh’ è oggi posseduto dalla Biblioteca braccia. vu. A4 340 DIALOGO SOPRA I DUR MA8KIMI SISTEMI DEL MONDO. starna, li quali, pesando le decine e le centinaia ed anco lo migliaia delle libbre, si sostengono sopra basi saldissime : talché tutta 1> in¬ stanza svanisce. Questi sono i sutterfugii di questo autore, i quali, quando ben fussero tutto acciaio, non lo potrebbero sollevare d’un centesimo di minuto : o con quosti si persuade di darci a credere d’ aver compensata quella differenza che importa più di conto mi¬ nuti, dico del non bì esser osservata notabil diversità nelle distanze tra una fissa e la nuova stella in tutta la lor circolazione, che, quando ella fusso stata prossima alla Luna, doveva farsi grandemente cospicua anco alla semplice vista, senza strumento veruno, o massime parago- io nandola con l’undecima di Cassiopea, sua vicina a gr. 1 e mezo; che di più di due diametri della Luna doveva variarsi, come ben av¬ vertirono i più intelligenti astronomi di quei tempi. Saqr. Mi par di vedere quell’ infelice agricoltore, che dopo l’es¬ sergli state battute e destrutte dalla tempesta tutte lo suo aspettate ricolte, va con faccia languida e china raggranellando reliquie così tenui, che non son per bastargli a nutrir nò anco un pulcino per un sol giorno. Salv. Veramente che con troppo scarsa provisiono d’ arme s’è le¬ vato quest’autore contro a gl’impugnatori della inalterabilità del20 cielo, e con troppo fragili cateno ha tentato di ritirar dalle regioni altissime la stella nuova di Cassiopea in queste basse ed elementari. E perchè mi pare che assai chiaramente si sia dimostrata la diffe¬ renza grande che è tra i motivi di quelli astronomi 0 di questo loro oppugnatore, sarà bene che, lasciata questa parto, torniamo alla no¬ stra principal materia ; nella quale segue la considerazione del mo¬ vimento annuo comunemente attribuito al Solo, ma poi, da Aristarco Samio in prima, e dopo dal Copernico, levato dal Sole e trasferito nella Terra : contro alla qual posizione sento venir gagliardamente provisto il Sig. Simplicio, ed in particolare con lo stocco e con lo scudo so del libretto delle conclusioni o disquisizioni matematiche, l’oppugna¬ zioni del quale sarà bene cominciare a proporre. Simp. A oglio, quando così vi piaccia, riserbnrle in ultimo, come quelle elio sono le ultime ritrovate. Salv. Sarà dunque necessario che voi, conforme al modo tenuto 11. sua prossima a 16-17. coal scarse, die —19. provvisione. — 25-26. Con le parolo alla nostra pnnctpal materia termina il frammento autografo. — GIORNATA TERZA. 347 sin qui, andiate ordinatamente proponendo lo ragioni in contrario, sì d’Aristotile come di altri antichi, il die son per far io ancora, acciò non resti nulla indietro senza esser attentamente considerato ed esa¬ minato ; e parimente il Sig. Sagredo con la vivacità del suo ingegno, secondochò si sentirà svegliare, produrrà in mezo i suoi pensieri. Sagr. Lo farò con la mia solita libertà ; e perchè voi così coman¬ date, sarete anco in obbligo di scusarla. Saly. Il favore obblighei*à a ringraziarvi, e non a scusai’vi. Ma cominci or mai il Sig. Simplicio a promuover quelle difficultà che lo io respingono dal poter credere che la Terra, a guisa de gli altri pia¬ neti, si possa muover in giro intorno ad un centro stabile. Sinr. La prima e massima difficultà è la repugnanza ed incompa¬ tibilità che ò tra l’esser nel centro e l’esserne lontano : perchè, quando il globo terrestre si abbia a muover in un anno per la circonferenza di un cerchio, cioè sotto il zodiaco, ò impossibile che nell’ istesso tempo e’ sia nel contro del zodiaco ; ma che la Terra sia in tal centro, è in molti modi provato da Aristotile, da Tolomeo e da altri. Saly. Molto bene discorrete; e non è dubbio alcuno che chi vorrà far muover la Terra per la circonferenza di un cerchio, bisogna prima 20 che e’ provi che ella non sia nel centro di quel tal cerchio. Seguita dunque ora che noi vegghiamo se la Terra sia o non sia in quel centro, intorno al quale io dico che ella si gira, e voi dite eli’ eli’ è collocata ; e prima che questo, è necessario ancora che ci dichiariamo se di questo tal centro abbiamo voi ed io l’istesso concetto o no. Però dite quale e dove è questo vostro inteso centro. Simp. Intendo per centro quello dell’ universo, quello del mondo, quello della sfera stellata, quel del cielo. Saly. Ancorché molto ragionevolmente io potessi mettervi in con¬ troversia, se in natura sia un tal centro, essendo che nè voi nè altri so ha mai provato se il mondo sia finito e figurato, o pure infinito e in¬ terminato ; tuttavia, concedendovi per ora che ei sia finito e di figura sferica terminato, e che per ciò abbia il suo centro, converrà vedere quanto sia credibile che la Terra, e non più tosto altro corpo, si ri¬ trovi in esso centro. Simp. Che il mondo sia finito e terminato e sferico, lo prova Ari¬ stotile con cento dimostrazioni. Saly, Le quali si riducono poi tutte ad una sola, e quella sola al Non ò ain ora stato provato da alcuno se il mondo aia finito o infinito. 318 DIALOGO SOPRA I DUE MÀ881MI SISTEMI DEL MONDO. Lo dimostrazioni d’Aristotilo per pro¬ var che l'universo sia finito calcano tutto negandoci che e' aia mobile. Àrihtotil® fa contro dell’universo quel punto intorno al qua- lo tutto lo sforo cele¬ sti si girano. Si dubita, di il pro¬ posizioni repugnanti alla sua dottrina, qua¬ le nnimetterobho Ari¬ stotile, necessitato a riceverne una. niente ; perchè so io gli negherò il suo assunto, cioè che l’universo sia mobile, tutto lo suo dimostrazioni cascano, perchè e’ non prova esser finito e terminato se non quello dell’ universo che è mobile Ma por non multiplicar lo dispute, concedasi per ora elio il mondo sia finito, sforico, ed abbia il suo centro : o già che tal figura e cen¬ tro si è argomentato dalla mobilità, non sarà se non molto ragione¬ vole se da gl’ «tessi movimenti circolari de’ corpi mondani noi an¬ dremo alla particolar investigaziono del sito proprio di tal centro- anzi Aristotile medesimo ha egli pur nell’ istessa maniera discorso o determinato, facendo centro dell’ universo quell’ istesso intorno al io quale tutte le celesti sfero si girano e nel quale ha creduto venir collocato il globo terrestre. Ora ditemi, Sig. Simplicio : quando Ari¬ stotile si trovasse costretto da evidentissime esperienze a permutar in parte questa sua disposizione ed ordine dell’ universo, ed a con¬ fessare d’ essersi ingannato in una di questo due proposizioni, cioè o nel por la Terra nel centro, o nel dir che le sforo celesti si moves¬ sero intorno a cotal centro, qual dello duo confessioni credete voi eh’ egli eleggesse ? Simi\ Credo elio quando il caso accadesse, i Peripatetici.... Salv. Non domando do i Peripatetici, domando d’Aristotilo mede- 20 situo ; chè quanto a quelli so benissimo ciò che risponderebbero. Essi, come reverentissimi ed umilissimi mancipii d’Aristotilo, neghereb¬ bero tutte P esperienze e tutto P osservazioni del mondo, e rechereb¬ bero anco di vederle, per non le avere a confessare, e direbbero che il mondo sta come scrisse Aristotile, 0 non conio vuol la natura; perchè, toltogli P appoggio di quell’ autorità, con che vorreste che comparissero in campo ? E però ditemi puro quel che voi stimato che fusso per far Aristotile medesimo. Simp. Veramente non mi saprei risolvere, qual de’due inconve¬ nienti e’fusso per reputar minoro. 30 Salv. Non usate, di grazia, questo termino di chiamar inconve¬ niente quel che potrebb’ esser necessario elio fusse così. Inconveniente fu il voler por la Terra nel centro dolio celesti revoluzioni. Ma già che voi non sapete in qual parte e’ fusse per incliuare, stimandolo io uomo di grand’ ingegno, andiamo esaminando qual delle due eie- • ... , ^ /ioni sia Ja piu ragionevole, e quolla reputiamo elio fusse la ricevuta da Aristotile. Ripigliando dunque il nostro ragionamento da pria- GIORNATA TERZA. 349 cipio, e posto, in grazia d’Aristotile, elio il mondo (della grandezza del quale non abbiamo sensata notizia oltre allo stelle fisse), come quello die è di figura sferica o circolarmente si muove, abbia neces¬ sariamente, e rispetto alla figura e rispetto al moto, un centro, ed essendo noi oltre a ciò sicuri che dentro alla sfora stellata sono molti orbi, l’uno dentro all’ altro, con loro stelle, che pur circolarmente si muovono, si cerca quel che sia più ragionevol credere e dire, che questi orbi contenuti si muovano intorno all’ istesso centro del mondo, o pure intorno ad altro assai lontano da quello. Dite ora, Sig. Sfili¬ lo plicio, il parer vostro circa questo particolare. Siair. Quando noi potessimo fermarci sopra questo solo presuppo¬ sto, e che fussimo sicuri di non poter incontrar qualche altra cosa che ci disturbasse, io direi che molto più ragionevol fusse il diro che il continente o le parti contenute si movesser tutte circa un comun centro, che sopra diversi. Salv. Ora, quando sia vero che ’l centro del mondo sia l’istesso che quello intorno al quale si muovono gli orbi do i corpi mondani, cioè de’ pianeti, certissima cosa è che non la Terra, ma più tosto il Sole, si trova collocato nel centro del mondo : talché, quanto a questa 20 prima semplice e generale apprensione, il luogo di mezo è del Sole, e la Terra si trova tanto remota dal centro, quanto dall’ istesso Sole. Simp. Ma da che argumentate voi che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro delle conversioni de’pianeti? Salv. Concludesi da evidentissime, e perciò necessariamente con¬ cludenti, osservazioni ; delle quali le più palpabili, per escluder la Terra da co tal centro e collocarvi il Sole, sono il ritrovarsi tutti i pianeti ora più vicini ed ora più lontani dalla Terra, con differenze tanto grandi, che, v. g., Venere lontanissima si trova sei volte più remota da noi che quando eli’ è vicinissima, e Marte si inalza quasi so otto volte più in uno che in un altro stato. Vedete intanto se Ari¬ stotile s’ingannò di qualche poco in creder che e’ fussero sempre egualmente remoti da noi. Simp. Quali poi sono gl’ indizii che i movimenti loro sieno intorno al Sole? Salv. Si argomenta ne i tre pianeti superiori, Marte Giove e Sa¬ turno, dal trovarsi sempre vicinissimi alla Terra quando sono all’ op- posizion del Sole, e lontanissimi quando sono verso la congiunzione ; Più conveniente f> che il contenente o il contenuto ni muovano intorno a 11’istesso con¬ tro, elio sopra diversi. So il contro del mondo ò l’istesso elio quello intorno al qua- lo si muovono i pia¬ neti, il Solo o non la Terra, ò collocato in osso. Osservazioni dallo quali «i raccoglie, il Sole, e non la Terra, esser noi contro dolio revoluzioni colesti. 350 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. o questo avvicinamento ed allontanamento importa tanto, che Marte vicino si vede ben 60 volte maggiore che quando è lontanissimo. Di Venero poi e di Mercurio si ha cortezza del rivolgersi intorno al Sole dal non si allontanar mai molto da lui e dal vedersegli or sopra La nmtnzion ai fi- tì d or sotto, come la mutazion di figuro in Venero conclude iipw>s- guro in Venero argo* # couj menta, il *uo moto sanamente. Dolla Luna è vero che ella non si può in vorun morìn esser intorno al Sole, t 1 ** muuu La Luna no» può separar dalla Terra, per le ragioni che più distintamente nel prò- sonarnrsi dalla Terra. , . * grosso si produrranno. Sagr. Io mi aspetto d’ aver a sentir cose ancor più meravigliose dependenti da questo movimento annuo della Terra, che non sono io state le dopendenti dalla conversione diurna. Salv. Voi non v’ ingannate punto : perché, quanto all’ operar il moto diurno no’ corpi celesti, non fu nò potetto esser altro che il farci apparir 1’ universo precipitosamento scorrer in contrario ; ma Moto annuo doiia questo moto annuo, mescolandosi con i moti particolari di tutti i pia- Terra, mescolandosi . . * con i moti do gii altri neti, produco iiioltissuno stravaganze, le quali hanno fatto sin ora pianeti, produce ap- , . paroline stravaganti, perder la scherma a tutti i maggiori uomini del mondo. Ma ritor¬ nando alle primo apprensioni gonorali, replico che il centro delle celesti conversioni do i cinque pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere o Mercurio, ò il Sole ; e sarà del moto della Terra ancora, se ci sue- 20 cederà di metterla in cielo. Quanto poi alla Luna, questa Ita un moto circolare intorno alla Terra, dalla quale (corno ho già detto) in jnodo alcuno non si può separare ; ma non però rosta ella d’ andare intorno al Sole insieme con la Terra co ’l movimento annuo. Simp. Io non resto ancora ben capace di questa struttura ; e forse co ’l farne un poco di disegno s’intenderà moglio, e più agevolmente si potrà discorrere intorno ad essa. Salv. E cosi sia: anzi, per vostra maggior sodisfazione e meraviglia insieme, voglio che voi stesso la disegniate, e veggiate come, non cre¬ dendo d’intenderla, ottimamente la capite; e solo co ’l risponder alle 30 doU'umversodRiioap* U1 *° interrogazioni la descriverreto puntualmente. Pigliate dunque un paranze. loglio e le seste : e sia questa carta bianca l’immensa espansione del- l’universo, nella quale voi avete a distribuire ed ordinar lo sue parti conforme a che la ragione vi detterà. E prima, essendo che senza mio insegnamento voi tenete per fermo la Terra esser collocata in questo universo, però notate un punto a vostro beneplacito, intorno al quale voi intendete ella esser collocata, c contrassegnatelo con qualche carattere. GIORNATA TERZA. 351 Simp. Sia questo, segnato A, il luogo del globo terrestre. Sat/v. Bene sta. So, secondariamente, che voi sapete benissimo cho essa Terra non è dentro al corpo solare, nè meno a quello contigua, ma per certo spazio distante ; e però assegnate al Sole qual altro luogo più vi piace, remoto dalla Terra a vostro beneplacito, e questo ancora contrassegnate. Simp. Ecco fatto : sia il luogo del corpo solare questo, segnato 0. Salv. Stabiliti questi due, voglio che pensiamo di accomodar il corpo io di Venere in tal maniera, cho lo stato e movimento suo possa sodisfar a ciò che di essi ci mostrano le sensate ap¬ parenze ; e però riducetevi a memo¬ ria quello che, o per i discorsi pas¬ sati o per vostre proprie osservazioni, avete compreso accadere in tale stel¬ la ; e poi assegnatele quello stato che vi parrà convenirsele. Simp. Posto che sieno vero le appa- 20 renze narrate da voi, e che ho lette ancora nel libretto delle conclusioni, cioè che tale stella non si discosti mai dal Sole oltre a certo determinato intervallo di 40 e tanti gradi, si che ella già mai non arrivi non sola¬ mente all’ opposizion del Sole, ma nò anco al quadrato, nè tampoco al- 1’ aspetto sestile ; e più, che ella si mostri in un tempo quasi 40 volte maggiore che in altro tempo, cioè grandissima quando, sendo retro¬ grada, va alla congiunzion vespertina del Sole, e piccolissima quando con movimento diretto va alla congiunzion mattutina ; e di più, sendo vero che quando ella appar grandissima, si mostri di figura cornicolata, e quando appar piccolissima, si vegga rotonda perfettamente ; sendo, so dico, vere cotali apparenze, non veggo che si possa sfuggire di affer¬ mare, tale stella raggirarsi in un cerchio intorno al Sole, poiché tal cerchio in ninna maniera si può dire che abbracci e dentro di sè contenga la Terra, nè meno che sia inferiore al Sole, cioè tra esso o la Terra, nè anco superior al Sole. Non può tal cerchio abbracciar la Terra, perchè Venere verrebbe talvolta all’ opposizion del Sole ; non può esser inferiore, perchè Venere circa l’una e l’altra congiun¬ zione co ’l Sole si mostrerebbe falcata ; nè può esser superiore, per- Vonore grandissima verso la congiunzion vespertina, e piccolis¬ sima vorso la mattu¬ tina. Si conci mio neces¬ sariamente, Venero raggirarsi intorno ni Solo. 852 DIALOGO SOPRA 1 DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. elio hì mostrerebbe sempre rotonda, nè mai cornicolata. E però per il incetto di lei segnerò il cerchio Cll intorno al Sole, senza che egli abbracci la Terra. Sài,v. Accomodata Venere, è bene che pensiate a Mercurio, il quale, come sapete, trattenendosi sempre intorno al Sole, molto meno da lui si allontana che Venero : però considerate qual luogo con¬ venga assegnargli. il rivolgimento 1 SU o cerchio abbracci la Terra : ma veggo eh’ e’ bisogna per ne- Terra o anco il Solo. 00 or cessità eli’ egli abbracci il Sole ancora ; imperocché, venendo alla con- giunzion co ’1 Sole, se e’ non gli passasse di sopra, ina gli fusse inferiore, apparirebbe cornicolato, conio fa Venere e la Luna ; ma egli si mo¬ stra sempre rotondo ; adunque è necessario che egli includa dentro 20 al suo cerchio non meno il Sole che la Terra. E perché mi sovviene Marte ali’ opposi-che voi abbiate detto che quando esso è all’opposizion del Sole si zion del Solo ni mostra • BOHimntn volto mag- mostra 00 volto maggiore elio quando ò verso la congiunzione, parmi giore olio verso la con- , . giunzione. che molto bene si accomoderà a queste apparenze un cerchio intorno al centro del Solo e che abbracci la Terra, quale io noto adesso e contrassegno DI : dove Marte nel punto D ò vicinissimo alla Terra, ed è opposto al Sole ; ma quando è nel punto I, ò alla congiunzion co ’l Sole, ma lontanissimo dalla Terra. E perchè l’istesse apparenze si osservano in Giove ed in Saturno, so ben con assai minor diver¬ sità in Giove che in Marte, 0 con minor ancora in Saturno che in so Giove, mi par comprendere che molto acconciamente sodisfaremo Giove o Saturnooìr- anco a questi due pianeti con duo cerchi pur intorno al Sole, e que- la Terra o Soie, sto primo per Giove segnandolo EL, ed un nitro superiore per sa¬ turno notato FM. L’appressa mento o Salv. Voi sin qui vi sete portato egregiamente. E perchè (come discoatumonto doi tro * x 00 * t , pianeti superiori im-vedete) V appressamento e discostamento de’tre superiori vien misu- • porta il doppio della # L r distanza dot Solo, rato dal doppio della distanza tra la Terra e ’l Sole, questa la mag- GIORNATA TERZA. 353 grior diversità in Marte che in Giove, per essere il cerchio DI di Marte Diversità deii'appn- ° -rxr v n* . rente grandezza nii- minore del cerchio EL di Giove : e similmente perchè questo EL è in Saturno che in -.1 i- mf c , , . C ^ Giove, e in Giove ohe minore del cerchio rM di Saturno, la medesima diversità è ancor >» Marte, o perché, minore in Saturno che in Giove : o ciò puntualmente risponde al- l’apparenze. Resta ora che pensiate di assegnare il luogo alla Luna. Simp. Seguendo l’ istesso metodo, che mi par concludentissimo, poi¬ ché veggiamo che la Luna viene alla congiunzione ed all’ opposizione del Sole, è necessario dire che il suo cerchio abbracci la Terra ; ma Orbe delia Luna ah- non bisogna già che egli abbracci il Sole, perchè quando ella fusse non il Solo, io verso la congiunzione, non si mostrerebbe falcata, ma sempre rotonda e piena di lume ; oltre elio già mai non potrebbe ella farci, corno spesse volte fa, l’eclisse del Solo, con l’interporsi tra esso e noi. È dunque necessario assegnarle un cerchio intorno alla Terra, qual sarebbe questo NP, sì che costituita in P ci apparisca dalla Terra A congiunta co ’l Sole, onde possa talora eclissarlo, e posta in N si vegga opposta al Sole, ed in tale stato possa cadere nell’ ombra della Terra ed oscurarsi. Salv. Ora che faremo, Sig. Simplicio, delle stelle fisso ? Voglia¬ mole por disseminate per gl’ immensi abissi dell’ universo, in diverso 20 lontananze da qualsivoglia determinato punto, o pur collocate in una superficie sfericamente distesa intorno a un suo centro, sì che cia¬ scheduna di loro sia dal medesimo centro egualmente distante? Simp. Più tosto torrei una strada di mezo, e gli assegnerei un situaziononrobabiio . ’ ° ° dello stelle fisso. orbe descritto intorno a un determinato centro e compreso dentro a due superficie sferiche, cioè una altissima concava e 1 ’ altra infe¬ riore e convessa, tra le quali costituirei l’innumerabil moltitudine delle stelle, ma però in diverse altezze ; e questa si potrebbe chiamar la sfera dell’universo, continente dentro di sé gli orbi de i pianeti, Qunio debba stimarsi . x _ , la sfora delruni'verso. già da noi disegnati. 80 Salv. Adunque già aviamo noi, Sig. Simplicio, sin qui ordinati i corpi mondani giusto secondo la distribuzion del Copernico, e ciò si è fatto di propria mano vostra : e di più a tutti avete voi assegnati movimenti proprii, eccettuatone il Sole, la Terra e la sfera stellata ; ed a Mercurio con Venere avete attribuito il moto circolare intorno al Sole, senza abbracciar la Terra; intorno al medesimo Sole fate muover li tre superiori, Marte, Giove e Saturno, comprendendo la Terra dentro a i cerchi loro ; la Luna poi non può muoversi in altra vn. 45 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. S6a maniera cho intorno alla 1 erra, senza abbracciar il Sole : e pure in. questi moti convenite voi ancora co ’l medesimo Copernico, ltestano La quioto il moto ora da decidere, tra il Sole la Terra e la sfera stellata, tre cose : cioè vono° Prima Galileo, qui e alla lin. 24 della pag. 358, aveva scritto « sciendere », cho poi corresse, in tutt’o due i luoghi, in « scendere ». Invoce a pag. 358, lin. 36, o a pag. 859, lin. 8, lasciò, senza cor» reggerò, « sciendoro ». 358 DIALOGO 801’RA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. ci fusse differenza quanto è due volte dalla Terra al Sole, sarebbe necessario che quando è a noi vicinissimo si mostrasse il suo disco più di CO volte maggiore di quello che si mostra quando è louta- costituito nel fondo di un pozzo non potrebbe se non per un mo¬ mento di tempo vedore una stella che gli fusse sopra ’1 vertice, non la potendo egli vedere se non quel brevissimo tempo nel quale passa 2 o 3 braccia della circonferenza della Terra, chè tanta sarà la lar¬ ghezza del pozzo: tutta via si vede per esperienza che il passaggio apparente di tale stella, nel traversare il pozzo, consuma assai lungo tempo ; argomento necessario che la bocca del pozzo non si muove io altramente con quella furia elio converrebbe alla diurna conversione, e, per consequenza, che la Terra è immobile. Simp. Di questi 2 argomenti, il secondo veramente mi pare assai concludente : ma quanto al primo, crederei di potormi da per me stesso disbrigare, mentre considero elio 1* istesso è elio il globo ter¬ restre, rivolgendosi intorno al proprio centro, porti una montagna verso levante, che se, stando ferino il globo, la montagna, svelta dalla radice, fusse strascicata sopra la Terra; ed il portare il monte sopra la superficie della Terra non veggo che sia differente operazione dal condurre una nave por la superficie del mare: onde, tuttavolta chea) T instanza del monte valesse, ne seguirebbe parimente che, conti¬ nuando la nave il suo viaggio, discostata che ella si fusse da i nostri porti per molti gradi, ci convenisse per andare sopra T suo albero non più salire, ma muoversi per la piana e poi ancora scendere ; il che non accade, nè io ho mai sentito alcun marinaro, etiam di quelli che hanno circondato tutto ’l globo, che ponga differenza veruna circa tale operazione, nè intorno ad alcun altro ministerio che si fac¬ cia in nave, per ritrovarsi il vassello più in questa che in qualsivo¬ glia altra parte. Salv. Voi molto ben discorrete: e se all’autore di quella instanza 30 fusse mai caduto in mente di considerare che la sua vicina monta¬ gna, postagli a levante, quando il globo terrestre girasse, di lì a 2 ore per tal moto si troverebbe condotta colà dove ora si trova, v. g., il monte Olimpo o ’l Carmelo, arebbe compreso corno dal suo proprio modo di argomentare si costrigneva a credere e confessare che per andare nel vertice di detti monti, de facto conviene sciendere. Questi GIORNATA TERZA. 359 nissimo ; tuttavia tal diversità di apparente grandezza non ci si scorge, anzi nella opposizione al Sole, quando è vicino alla Terra, non si mostra nè anco 4 o 5 volte più grande che quando, verso la sono di quei cervelli atti a negar gli antipodi, atteso che non si può caulinare col capo all’ ingiù e coi piedi attaccati al palco ; questi da concetti veri, ed anco perfettamente intesi da loro, non sanno poi dedur soluzioni facilissime a i lor dubbi : voglio dire che benissimo intendono che il gravitare e lo sciendere è tendere verso ’1 centro del globo terrestre, e che ’l salire è il discostarsene ; si perdono poi io nell’ intendere che gli antipodi nostri per sostenersi e caulinare non hanno difficoltà veruna, perchè fanno giusto come noi, cioè tengono le piante de’ piedi verso ’l centro della Terra e ’l capo verso ’l cielo. Sagr. E pur sappiamo, uomini in altre dottrine di subbiimi in¬ gegni essersi abbagliati in tali cognizioni ; dal che tanto maggior¬ mente vien confermato quello che pur ora dicevo, cioè che è bene rimuover tutte le obbiezzioni, ancor che debolissime : e però rispon¬ dasi pur ancora a quei del pozzo. Sai.v. Questo secondo argomento ha bene in apparenza un non so che più del concludente ; tutta via io tengo per fermo che quando 20 si potesse interrogare quell’ istesso a chi e’ sovvenne, acciò meglio si spiegasse con dichiarare qual sia precisamente 1’ effetto che dovrebbe seguire, e che gli par che non segua, posta la conversion diurna esser della Terra, credo, dico, che egli si avvilupperebbe nell’ espor la sua difficoltà con le sue conseguenze, forse non meno di quel eh’ e’ fa¬ rebbe nello svilupparsene col pensarvi. Simp. S’io debbo dire ’l vero, stimo certo che così accaderebbe, imperò che io ancora di presente mi trovo nella medesima confu¬ sione : perchè mi pare che 1’ argomento stringa, quanto alla prima apprensione ; ma all’ incontro veggo come per nebbia che se il di¬ so scorso procedesse rettamente, quella immensa rapidità di corso che si dovrebbe scorger nella stella quando il moto fusse della Terra, si doverebbe ancora, anzi molto più, scorger nella medesima quando il moto fusse suo, dovendo esser molte migliaia di volte più veloce nella stella che nella Terra. All’ incontro poi, T aversi a perder la vista della stella per il solo trapasso della bocca del pozzo, che sarà poi 2 o tre braccia di diametro, mentre il pozzo con la Terra ne trapas- 360 DIALOGO «OPRA I DUE MASSIMI SISTEMI I)KL MONDO. Apparonzo di Ve¬ nere ai mostrano di¬ scordi dal sistema Co¬ pernicano. congiunzione, viene occultato sotto i raggi del Sole. Altra e mag¬ gior difficultà ci fa Venere, che so girando intorno al Sole, come afferma il Copernico, gli fusse ora sopra ed ora sotto, allontanandosi sano assai più di 2000000 in un’ ora, par ben che abbia da esser cosa tanto momentanea, che nò anco possa esser compresa ; e pur dal fondo del medesimo pozzo por assai lungo spazio di tempo vien ella veduta. Però vengo in desiderio d’ esser ridotto in chiaro di questo negozio. Salv. Ora mi confermo io maggiormente nel credere la confusione dell’ autor dell’ instanza, mentre veggo che voi ancora, Sig. Simpli- io ciò, adombrate, nò ben possedete, quello che dir vorreste : il che rac¬ colgo io principalmente dal tralasciar voi una distinzione, che è un punto principalissimo in questa faccenda. Però ditemi se nel far que¬ sta esperienza, dico di questo trapasso di stella sopra la bocca del pozzo, voi fate differenza veruna dall’ essere il pozzo più o men pro¬ fondo, cioè dall’esser quello che osserva più o men distante dalla bocca ; perché non vi ho sentito far caso sopra ciò. Simp. Veramente non ci ho applicato il pensiero, ina ben la vostra interrogazione mi sveglia la mente, e mi accenna, tal distinzione do¬ vere esser necessarissima ; e già comincio a comprendere che per 20 determinare il tempo di tal passaggio, la profondità del pozzo può per avventura arrecar diversità non minore che la larghezza. Sai.v. Anzi pur vo io dubitando che la larghezza non ci abbia che far niente, 0 pochissimo. Smr. E pur mi pare che dovendo scorrer 10 braccia di larghezza ricerchi dieci volte più tempo che il trapasso di un braccio: e son sicuro che una barchetta lunga 10 braccia prima mi trapasserà in¬ nanzi alla vista, che una galera lunga cento. Salv. E pur persistiamo ancora in quello inveterato concetto, di nou ci muover se non tanto quanto le nostre gambe ci portano. Que- *> sto che voi dite, Sig. Simplicio mio, è vero quando P oggetto ve¬ duto si muove stando voi ferino a osservarlo ; ma se voi sarete nel pozzo quando il pozzo e voi insieme siate portati dalla terrestre con¬ versione, non vedete voi elio nò in un’ ora nò in mille nè in eterno sarete trapassato dalla bocca del pozzo ? Quello che in tal caso operi in voi il muoversi o non muoversi la Terra, non può riconoscersi GIORNATA TERZA. 361 ed appressandosi a noi quanto verrebbe ad esser il diametro del cer¬ chio da lei descritto, quando fusse sotto il Sole e a noi vicinissima, dovrebbe il suo disco mostrarcisi poco meno di 40 volte maggiore nella bocca del pozzo, ma in altro oggetto separato e che non par¬ tecipi della medesima condizione, dico di moto o di quieto. Simp. Tutto sta bene : ma posto che io, stando nel pozzo, sia por¬ tato di conserva con esso dal moto diurno, e che la stella da me veduta sia immobile, non essendo l *’ l’apertura del pozzo, che sola dà il passaggio alla mia vista, più di tre braccia de i tanti milioni di io braccia del resto della superficie terrestre, che la vista m’ impedisce, come potrà essere il tempo della veduta sensibil parte di quello del- P occultazione ? Salv. E pur ricadete nel medesimo equivoco : ed in effetto sete bisognoso di chi v’ aiuti a uscirne. Non è, Sig. Simplicio, la larghezza del pozzo quella che misura il tempo dell’ apparizion della stella, per¬ chè così la vedreste perpetuamente, essendo che perpetuamente la bocca del pozzo dà il transito alla vostra vista ; ma tal misura si deve prenderò dalla quantità del cielo immobile, che per 1’ apertura del pozzo vi resta visibile. -o Simp. Ma quello che mi si scuopre del cielo non è egli tal parte di tutta la sfera celeste, quale è la bocca del pozzo di tutta la ter¬ restre ? Salv. Voglio che vi rispondiate da voi medesimo ; però ditemi, se la bocca del medesimo pozzo è sempre la medesima parte della su¬ perficie terrena. Simp. È senza dubbio la medesima sempre. Salv. E la parte del cielo veduta da quello che è nel pozzo, è ella sempre la medesima quantità di tutta la sfera celeste ? Simp. Ora comincio a disottenebrarmi la mente e a intender quello so che poco fa mi accennaste, e che la profondità del pozzo ha che fare assai nel presente negozio ; perchè non è dubbio che quanto più si allontanerà 1’ occhio dalla bocca del pozzo, minor parte del cielo si scoprirà, la qual poi, in consequenza, più presto verrà trapassata e persa di vista da colui che dal profondo dol pozzo la rimirerà. bALv. Ma èvv’ egli luogo alcuno nel pozzo dal quale si scoprisse Dapprima Galileo aveva scritto « o non ossendo >, ina poi cancellò « e ». 362 DIALOGO BOrRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. che quando è superiore al Sole, vicina all’ altra sua congiunzione; tutta via la differenza ò quasi impercettibile. Aggiugnesi un’altra Alt™difBoaitàmoc- difficultà : che quando il corpo di Venere sia per sé stesso tenebroso ni Copernico. o solo rispleiida, come la Luna, per 1 uluinmazion del Sole, come par ragionevole, quando ella si ritrova sotto il Sole, dovrebbe mostrar- cisi falcata, come la Luna quando parimente eli’ ò vicina al Sole: venere, eeeomio u accidente che in lei non apparisce ; per lo elio il Copernico pronun- per P «™Btei«a% d? *u- ziò che ella o fusse lucida por so medesima, o che la sua materia nuuu« trasparente. £ Qgge c ] l0 potesse imbeversi del lume solare e quello trasmettere per tutta la sua profondità, si che potesse mostrarcisi sempre risplen- io dente : ed in questo modo scusò il Copernico il non mutar figura in il Copernico taco Venere ; ma della poco variata grandezza di lei non disse cosa ve¬ lo poco variata gran- , t • i di essa eclittica (che sarebbe 1* asso del movimento annuo della Terra), ma sopra uno inclinato, strane mutazioni converrà che a noi si rap¬ presentino no i movimenti apparenti dello macchie solari, quando ben si ponga tale asse del Sole persister perpetuamente ed immutabil¬ mente nella medesima inclinazione ed in una medesima direzione verso l’istesso punto dell’ univorso. Imperocché, camminandogli in¬ torno il globo terrestre al moto annuo, primieramente converrà che so a noi, portati da quello, i passaggi dello macchie ben talvolta appa¬ riscano fatti per linee rette, ma questo duo volte 1’ anno solamente, ed in tutti gli altri tempi si mostreranno fatti per archi sonsibilmente incurvati. Secondariamente, la curvità di tali archi per una metà dell’ anno ci apparirà inclinata al contrario di quello che si scorgerà nell’ altra metà ; cioè por sei mesi il convesso do gli archi sarà verso la parte superiore del disco solare, e per gli altri 6 mesi verso l’in- GIORNATA TERZA. 375 feriore. Terzo, cominciando ad apparire, e, per così dire, a nascere, all’occhio nostro le macchie dalla parte sinistra del disco solare, ed andando ad occultarsi e a tramontare nella parte destra, i termini orientali, cioè delle prime comparite, per sei mesi saranno più bassi de i termini opposti delle occultazioni, o per altri sei mesi accaderà per T opposito, cioè che nascondo esso macchie da punti più elevati e da quelli descendendo, ne i corsi loro verranno ad ascondersi in punti più bassi, e per due giorni soli di tutto T anno saranno tali termini, de gli orti e de gli occasi, equilibrati ; doppo i quali libra¬ io menti cominciando pian piano T inclinazione de i viaggi delle mac¬ chie, e di giorno in giorno facendosi maggiore, in tre mesi ghignerà alla somma obbliquità, e di lì cominciando a diminuirsi, in altrettanto tempo si ridurrà all’ altro equilibrio. Accaderà, por la quarta mara¬ viglia, che il giorno della massima obbliquità sarà T istesso che quello del passaggio fatto per linea retta, o nel giorno della librazione ap¬ parirà T arco del viaggio più che mai incurvato ; ne gli altri tempi poi, secondo che la pendenza si andrà diminuendo e incamminandosi verso 1’ equilibrio, l’incurvazione de gli archi de i passaggi, per 1’ op¬ posito, si andrà agumentando. » 20 Sagr. Io, Sig. Salviati mio, conosco che l’interrompervi il discorso è mala creanza ; ma non men cattiva stimo che sia il lasciarvi dif¬ fonder più lungamente in parole, mentre elle vengano, come si dice, buttate al vento. Imperocché, a dirla liberamente, io non mi so for¬ mar concetto alcuno distinto pur di una delle conclusioni che avete pronunziate : ma perchè, apprese così in generale ed in confuso, mi si rappresentano cose di ammirabili conseguenze, vorrei pure in qual¬ che maniera esserne fatto capace. Sai.v. L’ istesso che accade a voi, avvenne a me ancora, mentre con nude parole mi furon portate dal mio ospite ; il quale mi agevolò poi so l’intelligenza col figurarmi il fatto sopra uno strumento materiale, che non fu altro che una semplice sfera, servendosi di alcuni de’ suoi cerchi, ma in altro uso di quello al quale comunemente sono ordi¬ nati. Ora, in difetto della sfera, supplirò con farne disegni in carta, secondo che bisognerà. E per rappresentare il primo accidente da Primo accidente da , i i i i ij. li scorgersi noi moto del¬ itto proposto, il quale fu che 1 passaggi delle macchie due volte 1 anno le macchio solari ; o . . „ . .. ,. •« f* • . , conseguentemente si solamente potevano apparir latti per linee rette, hguriamoci questo esplicano tutti gii ui- punto 0 esser centro dell’ orbe magno, o vogliali! dire dell’ eclittica, 876 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. e parimente ancora del globo dell’ istesso Sole, del quale, mediante la gran distanza che è tra esso e la Terra, possiamo suppor noi ter¬ reni di vederne la metà ; però descriveremo questo cerchio ABCD in¬ torno al medesimo centro 0, il quale ci rappresenti il termine estremo che divide e separa 1’ emisferio del Sole a noi apparente dall’ altro occulto. E perchè T occhio nostro, non meno che ’l centro della Terra, s’intende esser nel piano dell’eclittica, nel quale è parimente il cen¬ tro del Solo, però, so ci rappresenteremo il corpo solare esser segato dal detto piano, la sezione all’ occhio nostro apparirà una linea retta, quale sia la BOI); o posta sopra di ossa la perpendicolare AOC, sarà io 1’ asso di essa eclittica e del moto annuo del globo terrestre. Inten¬ diamo ora il corpo solare (senza u \ lo ^ I / mutar centro) rivolgersi in sò stesso, non già intorno all’asse AOC (che ò 1’ erotto al piano dell’ eclittica), ma intorno ad uno alquanto incli¬ nato, qual sia questo EOI, il quale asse fisso ed immutabile si mantenga perpetuamente nella medesima inclinazione e direziono verso i medesimi punti del firmamento e del- l’universo ; e perchè nello revoluzioni del solar globo ciaschedun so punto della sua superficie (trattone i poli) descrive la circonferenza d’ un cerchio, o maggioro o minore secondo eh’ e’ si ritrova più o men remoto da ossi poli, preso il punto F egualmente distante da quelli, segniamo il diametro FOG, che sarà perpendicolare all’ asse EI e sarà diametro del cerchio massimo descritto intorno a i poli E, I. Posto ora che la Terra, e noi con lei, sia in tal luogo dell’ eclittica che l’emi¬ sferio del Sole a noi apparente venga terminato dal cerchio ABCD, il quale, passando (come sempre fa) per i poli A, C, passi ancora per li E, I, è manifesto che il cerchio massimo il cui diametro ò FG, sarà eretto al cerchio ABCI) ; al quale è perpendicolare il raggio che dal- so P occhio nostro casca sopra il centro 0 ; onde il medesimo raggio cade nel piano del cerchio il cui diametro è FG, e però la sua cir¬ conferenza ci apparirà una linea retta, e P istessa che FG : per lo che qualunque volta nel punto F fusso una macchia, venendo poi por¬ tata dalla solar conversione, segnerebbe sopra la superficie del Sole la circonferenza di quel cerchio che a noi appare una linea retta. Retto dunque apparirà il suo passaggio ; e retti ancora appariranno GIORNATA TERZA. 377 i movimenti di altre macchie le quali nell’ istessa revoluzione descri¬ vessero minor cerchi, per esser tutti paralleli al massimo, e 1’ occhio nosti’o posto in distanza immensa da quelli. Ora, se voi considererete come, doppo che avrà scorso la Terra in sei mesi la metà dell’ orbe magno e si sarà costituita incontro all’ emisferio del Sole che ora ci è occulto, sì elio il terminator della parte che allor sarà veduta sia l’istesso cerchio ABCD, che pur passerà per li poli E, I, inten¬ derete che l’istesso accaderà de i viaggi delle macchie, cioè che tutti appariranno fatti per linee rette: ma perchè tale accidente non ha io luogo se non quando il terminator passa per i poli E, I, ed esso ter- minatore di momento in momento, mediante il moto annuo della Terra, si va mutando, porò momentaneo è il suo passar per i poli fissi E, I, ed in conseguenza momentaneo è il tempo dell’ apparir di¬ ritti i moti di esse macchie. Da questo che sin qui si è detto, si viene a comprendere ancora come, essendo 1’ apparizione e principio del moto dello macchie dalla parte F, procedendo verso G, i passaggi loro sono dalla sinistra, ascendendo verso la destra ; ma posta la Terra nella parto diametralmente opposta, la comparsa delle mac¬ chie intorno a G sarà bene alla sinistra del riguardante, ma il pas¬ so saggio sarà descendente verso la destra F. Figuriamoci ora, la Terra esser situata per una quarta lontana dal presente stato, e segniamo in quest’ altra figura il terminatone ABCD e 1’ asse, come prima, AC, per il quale passerebbe il piano del nostro meridiano, nel qual piano sarebbe ancora 1’ asse della revoluzion del Sole, con i suoi poli, uno verso di noi, cioè nell’ emisferio apparente, il qual polo rappresen¬ teremo col punto E, e l’altro caderà nell’ emisferio occulto, e lo noto I. Inclinando dunque 1’ asse EI con la superior parte E verso noi, il cerchio massimo descritto dalla conversion del Sole sarà que¬ sto BFDG, la cui metà da noi veduta, cioè BFD, non più ci apparirà ao una linea retta, per non esser i poli E, I nella circonferenza ABCD, ma si mostrerà incurvata e col suo convesso verso la parte infe¬ riore C ; ed è manifesto che l’istesso apparirà di tutti i cerchi mi¬ nori paralleli al massimo BFD. Intendesi ancora, che quando la Terra sarà diametralmente opposta a questo stato, sì che vegga l’altro emisferio del Sole, il quale ora è occulto, vedrà del medesimo cer¬ chio massimo la parte DGB incurvata col suo convesso verso la parte superiore A ; e i corsi delle macchie in queste costituzioni saranno vu. 43 i 378 DIÀLOGO SOPRA I DDE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. prima per l’arco BFD e poi per V altro DGB, e le lor prime appa¬ rizioni e 1’ ultime occultazioni, fatte intorno a i punti B, D, saranno equilibrate, e non quelle più o meno elevato di queste. Ma se noi porremo la Terra in tal luogo dell’ eclittica, che nò il finitore ABCD nò il meridiano AC passi por i poli dell’ asso EI, come adesso vi mo¬ stro disegnando questa terza figura, dove il polo apparente E casca tra 1’ arco del torminatoro AB e la seziono del meridiano AC, il dia¬ metro del cerchio massimo sarò FOG, ed il semicerchio apparento FNG ò T occulto GSF: quello, incurvato col suo convesso N verso la parte inferiore ; e que- io sto, piegato col suo colmo S verso la parte superiore del Solo: gl’ingressi e l’uscite delle macchie, cioè i termini F, G, non saranno librati, come i passati B, I), ma l’F più basso e’IG più alto, ma ben con minor differenza che nella prima figura; l’arco ancora FNG sarà incurvato, ma non tanto quanto il prece¬ dente BFD: onde in tal costituzione i passaggi dello macchie saranno ascendenti dalla parto sinistra F verso la destra G, e saranno fatti per linee curve. Ed intendendo la Terra esser collocata nel sito diametral- 20 mente opposto, sì che l’emisferio del Sole adesso occulto sia il veduto, e dal medesimo finitore ABCD terminato, manifestamente si scorge che il corso dello macchio sarà per l’arco GSF, cominciando dal punto sub¬ biime G, che pur sarà dalla sinistra del riguardante, ed andando a terminare, descendondo verso la destra, noi punto F. Intaso quanto sin qui ho esposto, non credo che resti difficultà veruna in compren¬ der come dal passare il terminatore dei solari emisferi per i poli della conversion del Sole o a quelli vicino 0 lontano, nascono tutte le diversità ne gli apparenti viaggi dello macchie, sì che quanto più essi poli saranno lontani da esso terminatore, tanto più i detti viaggi so saranno incurvati e meno obbliqui: onde nella massima lontananza, che è quando detti poli sono nella sezion del meridiano, la curvità ò ridotta al sommo, ma 1’ obbliquità al minimo, cioò all’ equilibrio, come dimostra la seconda figura ; all’ incontro, quando i poli sono nel terminatore, come mostra la prima figura, l’inclinazione è mas¬ sima, ma la curvità è minima e ridotta alla rettitudine ; parten¬ dosi il terminator da i poli, comincia la curvità a farsi sensibile, con GIORNATA TERZA. 379 andar sempre crescendo, e 1’ obbliquità e inclinazione si va facendo minore. Queste sono le stravaganti mutazioni che mi diceva 1* ospite mio che sarebbero apparso di tempo in tempo ne i progressi delle mac¬ chie solari, tuttavolta che fusse stato vero che il movimento annuo fusse della Terra, e che il Sole, costituito nel centro dell’ eclittica, si fusse girato in sè stesso sopra un asse non eretto, ma inclinato, al piano di essa eclittica. Sagk. Io resto assai ben capace di queste conseguenze, e meglio io credo che me P imprimerò nella fantasia nell’ andarle riscontrando con accomodar un globo con tale inclinazione, riguardandolo poi da diverse bande. Rosta ora che ci diciate quello che di poi seguì circa gli eventi delle immaginate conseguenze. Salv. Seguinne, che continuando noi per molti e molti mesi a far Gii eventi che si os- . . . , , . . sorvaroiiu furon ri¬ dili genti SS11116 osservazioni, notando con somma accuratezza 1 passaggi spondonti alio prodi- di varie macchie in diversi tempi dell’ anno, si trovarono gli eventi puntualmente rispondere alle predizioni. Sagr. Sig. Simplicio, come questo che dice il Sig. Salviati sia vero (nò già conviene por dubbio sopra le sue parole), di saldi argomenti 20 e di gran conietture e di fermissime esperienze aranno bisogno i To¬ lemaici e gli Aristotelici per bilanciare un incontro di tanto peso, e far sì che la loro opinione non dia 1’ ultimo tracollo. Simp. Piano, Signor mio, che forse voi non sete ancora dove per avventura vi persuadete d’ essere pervenuto : imperocché io, se ben non mi sono interamente impadronito della materia del discorso fatto dal Sig. Salviati, non trovo elio la mia logica, mentre riguardo alla forma, m’insegni che tal maniera d’ argomentare m’induca necessità veruna di concludere a favor dell’ ipotesi Copernicana, cioè della sta¬ bilità del Sole nel centro del zodiaco e della mobilità della Terra so sotto la di lui circonferenza. Perchè, se bene è vero che posta la tal Benché n moto an- • rt . . . irim -iti nuo, attribuito alla conversimi del Sole e la tal circuizion della Terra si debban neces- Terra, risponda nii© . . apparenze delle mao- sariamente scorger nelle macchie solari le tali e tali stravaganze, non chie solari, non però ° .no seguo ehq, per il però ne séguita che, argomentando per il converso, dallo scorgersi converso^daiie »pj>a- nelle macchie tali stravaganze si debba necessariamente concludere, si debba inferire, u la Terra muoversi per la circonferenza e 1 Sole esser posto nel cen- la-xerra. tro del zodiaco : imperocché chi m’ assicura che simili stravaganze non possano anco esser vedute nel Sole mobile per 1’ eclittica da gli 380 DIALOGO BOrRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. abitatori della Terra stabile nel centro di quella ? Se voi non mi di¬ mostrate prima die di tale apparenza non si possa render ragione quando si faccia mobile il Sole e stabile la Terra, io non mi rimo¬ verò dalla mia opinione o dal credere che ’l Sole si muova e la Terra stia immobile. Saor. Strenuamente si porta il Sig. Simplicio, e molto acutamente s’oppone e sostien la parte d’Aristotile e di Tolomeo ; e, s’io debbo diro il vero, mi par che la conversazione del Sig. Salviati, ancor che sia stata di tempo brevo, l’abbia addestrato assai nel discorrer con¬ cludentemente, effetto che intendo essere stato cagionato in altri an- io cora. Quanto poi all’ investigare e giudicare se delle apparenti esorbi¬ tanze no i movimenti delle macchie solari si possa render competente ragiono lasciando la Terra immobile e mantenendo mobile il Sole, aspetterò che ’l Sig. Salviati ci manifesti il suo pensiero; chè ben è credibile che egli v’ abbia fatto sopra reflessione e ritrattone quanto in tal proposito si può produrre. Salv. Io ci ho più volte pensato, ed anco discorsone con l’ amico od ospite mio : e circa quello che siano per produrrò i filosofi e gli astronomi in mantenimento dell’ antico sistema, per una parte siamo i puri niosofi pori- sicuri, sicuri dico, che i veri e puri Peripatetici, ridendosi di chi s’im- 20 (\eu°e tl macchio"ò‘‘lóro piega in tali, al gusto loro, insipido sciocchezze, spaccieranno tutte mòn7ti^cHs°tnm dei questo apparenze por vane illusioni de’ cristalli, ed in questa maniera toioscopio. oon poca fatica si libereranno dall’obbligo di pensar più oltre ; quanto poi a i filosofi astronomi, doppo aver noi con qualche attenzione spe¬ colato ciò che si potesse addurre in mezo, non abbiamo investigato ripiego che basti per sodisfare unitamente al corso delle macchie eri al discorso della monte. Io vi esporrò quello che ci è sovvenuto, e voi ne farete quel capitale che il giudizio vostro vi dotterà. Quando la Torr» si» Posto che gli apparenti movimenti delle macchie solari siano quali doi"zodiaco“ bisogni» di sopra si è dichiarato, e posta la Terra immollilo nel centro del- so tro movimenti divor- 1’eclittica, nella cui circonferenza sia collocato il centro del Sole, è si, corno si dichiara ... . • 1; allungo. necessario che di tutte le diversità che si scorgono in essi movimenti le cagioni riseggano iu moti che siano nel corpo solare : il quale primieramente converrà che in sè stesso si rivolga portando seco le macchio, le quali si ò supposto, anzi pur dimostrato, essere aderenti alla solar superficie. Bisognerà, secondariamente, dire che 1’ asse della solar conversione non sia parallelo all' asse dell’ eclittica, che è quanto GIORNATA TERZA. 381 a diro che non sia eretto perpendicolarmente sopra ’l piano dell’ eclit¬ tica, perchè, se fusse tale, i passaggi di esse macchie ci apparirebber fatti per linee rette e parallele all’ eclittica : è dunque tale asse in¬ clinato, poiché i passaggi per lo più appariscon fatti per linee curve. Sarà, nel terzo luogo, necessario dire che 1’ inclinazion di questo asse non sia fissa e riguardante di continuo verso il medesimo punto del¬ l’universo, anzi che di momento in momento vadia mutando dire¬ zione ; perchè quando la pendenza riguardasse continuamente verso l’istesso punto, i passaggi delle macchie non cangei’ebbero già mai io apparenza, ma, retti o curvi, piegati in su o in giù, ascendenti o descendenti, che apparissero una volta, tali apparirebber sempre. È forza dunque dire, tale asse esser convertibile, o talora trovarsi nel piano del cerchio estremo terminator dell’ emisferio apparente, allora, dico, quando i passaggi delle macchie appariscono fatti per linee rette e più che mai pendenti, il che accade due volte 1’ anno ; altre volte poi trovarsi nel piano del meridiano del riguardante, in modo tale che 1’ uno de’ suoi poli caschi nel solare emisferio appa¬ rente e 1’ altro nell’ occulto, ed amendue lontani da i punti estremi, o vogliam dire da i poli, d’ un altro asse del Sole, il quale sia pa- 20 rallelo all’ asse dell’ eclittica (il qual secondo asse converrà necessa¬ riamente assegnare al globo del Sole), lontani, dico, tanto quanto importa l’inclinazione dell’ asse della revoluzione delle macchie ; e di più, che il polo cadente nell’ emisferio apparente una volta sia nella parte superiore e 1’ altra nell’ inferiore, perchè del così accadere ne¬ cessario argomento ce ne danno i passaggi quando sono equilibrati e nello lor massime curvità, ora col convesso loro verso la parte in¬ feriore, ed altra volta verso la superiore del disco solare. E perchè tali stati si vanno continuamente mutando, facendosi le inclinazioni e le incurvazioni or maggiori ed or minori, e talora riducendosi quelle so all’ equilibrio perfetto e queste alla perfetta dirittezza, convien ne¬ cessariamente porre, l’istesso asse della revoluzione mestrua delle mac¬ chie avere una sua propria conversione, per la quale i suoi poli descrivano due cerchi intorno a i poli d’ un altro asse, il quale per ciò conviene (come ho detto) assegnare al Sole, il semidiametro de i quali cerchi risponda alla quantità dell’inclinazione del medesimo asse ; ed è necessario che il tempo del suo periodo sia d’ un anno, avvengachè tale è il tempo nel quale si restituiscono tutte 1’ appa- 382 niALOno sonu 1 puf. massimi sistemi pel mondo. ronzo e diversità ne i passaggi delle macchie : o del farsi la conver¬ sione di questo asso sopra i poli dell’ altro asso parallolo a quel del- r eclittica, o non intorno ad altri punti, no son manifesto indizio lo massime inclinazioni e le massime incurvazioni, le quali son sempre della medesima grandezza. Talché, finalmente, per mantener la Terra stabile nel centro, sarà necessario attribuire al Solo duo movimenti intorno al proprio centro, sopra due differenti assi, P uno de i quali finisca la sua conversione in un anno, o 1’ altro la Bua in manco di un mese : il quale assunto all’ intelletto mio si rappresenta molto duro e quasi impossibile ; e questo depondo dal doversi attribuire al- io ristesso corpo solare du’altri movimenti intorno alla Terra sopra diversi assi, descrivendo con 1’ uno l’eclittica in un anno, e con l’altro formando spiro o cerchi paralleli all’ equinoziale uno per giorno; onde quel terzo movimento, il qual si debbo assegnare al globo del Sole in 8Ò stesso (non parlo di quello quasi mestruo elio conduco lo mac¬ chie, ma dico dell’ altro che devo trasferir 1' asso ed i poli di questo mestruo), non si vede ragion nessuna per la quale ei debba finire il suo periodo più tosto in un anno, come depcndonte dal moto annuo per l’eclittica, cho in ventiquattr’ ore, come dependente dal moto diurno sopra i poli dell’ equinoziale. So che questo che dico, al pre- 20 sente è assai oscuro, ma vi si farà manifesto quando parleremo del terzo moto annuo assegnato dal Copernico alla Terra. Ora, quando questi quattro moti, tanto tra di loro incongruenti (li quali tutti por necessità converrebbe attribuire all’ istesso corpo del Sole), si possano ridurre a un solo 0 semplicissimo, assegnato al Sole sopra un asse non mai alterabile, e cho, senza innovar cosa veruna ne i movimenti per tanti altri rincontri assegnati al globo torrestro, si possa così agevolmente salvar tante stravaganti apparenze ne i movimenti delle macchie solari, par veramente che il partito non sia da recusarsi. Questo, Sig. Simplicio, è quanto sin ora è sovvenuto all’ amico no- »> stro ed a me da potersi produrre, in esplicazion di questa apparenza, da i Copernicani e da i Tolemaici per mantenimento delle loro opi¬ nioni. Yoi fatene quel capitale che il giudizio vostro vi persuade. Simp. Io mi conosco inabile a potermi intromettere in una deci¬ sione tanto importante ; e quanto al concetto mio, mq ne starò neu¬ trale, con isperanza però che sia per venir tempo che, illuminati da più alte contemplazioni che non sono questi nostri umani discorsi, giornata terza. 383 ci debba essere svelata la mente, o tolta via quella caligine che ora ce la tiene offuscata. Sagr. Ottimo e santo è il consiglio al quale si attiene il Sig. Sim¬ plicio, e degno d’ esser da tutti ricevuto e seguito, come quello che, derivando dalla somma sapienza e suprema autorità, solo può con sicurezza essere abbracciato. Ma per quanto è permesso di penetrare al discorso umano, contenendomi dentro a i termini delle conietture e delle ragioni probabili, dirò bene, un poco più resolutamente che non fa il Sig. Simplicio, non aver, tra quante sottigliezze io mai mi io abbia sentite, incontrato mai cosa di maggior maraviglia al mio in¬ telletto, nè che più strettamente m’ abbia allacciata la mente (trat¬ tone le pure geometriche ed aritmetiche dimostrazioni), di queste due conietture, preso l’una dalle stazioni e retrogradazioni de i cinque pianeti, e 1’ altra da queste stravaganze de i movimenti delle macchie solari : e perchè mi pare che elleno tanto facilmente e lucidamente rendan la vera cagione di apparenze tanto stravaganti, mostrando come un solo semplice moto, mescolato con tanti altri pur semplici, ma tra di loro differenti, senza introdur difficultà alcuna, anzi con levar tutte quelle eh’ accompagnano 1’ altra posizione, vo meco ille¬ so desimo concludendo, necessariamente bisognare che quelli che restano contumaci contro a questa dottrina, o non abbiali sentite o non ab¬ biano inteso queste tanto manifestamente concludenti ragioni. Sai,v. Io non gli attribuirò titolo nò di concludenti nè di non con¬ cludenti, attesoché, come altre volte ho detto, l’intenzion mia non è stata di risolver cosa veruna sopra così alta quistione, ma solo di proporre quello ragioni naturali ed astronomiche le quali per 1’ una e per 1’ altra posizione possono da me addursi, lasciando ad altri la determinazione : la quale non dovrà in ultimo esser ambigua, atte¬ soché, convenendo una delle due costituzioni esser necessariamente so vera e 1’ altra necessariamente falsa, impossibil cosa è che (stando però tra i termini delle dottrine umane) le ragioni addotte per la parte vera non si manifestino altrettanto concludenti, quanto le in contrario vane od inefficaci. Sagr. Sarà dunque tempo che sentiamo le opposizioni del libretto delle conclusioni o disquisizioni, che il Sig. Simplicio ha riportato. Simp. Ecco il libro ; ed ecco il luogo dove 1’ autore prima breve¬ mente descrive il sistema mondano conforme alla posizion del Coper- 88! DIÀLOGO SOPRA I DUE MASSIMI 8I8TEMI DEL MONDO. nico, dicendo : Terroni xyilur una cum Luna totoque hoc dementati munito Copcrincus eie. Saly. Formate un poco, Sig. Simplicio, cbò mi pare che questo autore in questo primo ingresso si dichiari molto poco intelligente della posizione la quale egli intraprendo a voler confutare, mentre dice che il Copernico fa che la Terra insieme con la Luna va descri¬ vendo in un anno l’orbe magno, movendosi da oriente verso occi¬ dente : cosa che, si come è falsa ed impossibile, così non fu mai proffe¬ rita da quello; ma ben la fa egli andare al contrario, dico da occidente verso oriente, cioè secondo 1’ ordine de i segni, ondo tale apparisce io poi esser il moto annuo del Sole, costituito immobile nel centro del zodiaco. Vedete troppa ardita confidenza di uno ! mettersi alla con¬ futazione della dottrina di un altri», od ignorare i suoi primi fonda¬ menti, sopra i quali s’ appoggia la maggioro e più importante parte di tutta la fabrica. Questo è un cattivo principio per guadagnarsi credito appresso il lettore. Ma seguitiamo più avanti. Distanze «lì cerio li- Simp. Esplicato 1’ universal sistema, comincia a propor sue instanze Inetto,proposto ironl* 1 1 camonte contro al co. contro a questo movimento annuo : o lo prime son quoste, eli’e’prof- ferisce ironicamente ed in derisione del Copernico e de’ suoi seguaci, scrivendo elio in questa fantastica costituzione del mondo convieni» dir solennissimo sciocchezze ; cioè che ’l Sole, Vonere e Mercurio son sotto alla Terra, e che lo materie gravi vanno naturalmente all’in su e le leggiero all’ ingiù, e che Cristo, nostro Signore e Redentore, salì a gli inferi e scese in cielo, quando s' avvicinò al Sole, e che quando Iosuò comandò al Sole elio si fermasse, la Terra si fermò o vero il Sole si mosse al contrario della Terra, e che quando il Sole ò in Cancro, la Terra scorro por il Capricorno, e che i sogni iemali lamio la state e gli estivali il verno, e che non lo stello alla Terra, ma la Terra alle stelle nasce o tramonta, o che 1’ orionte comincia in occidente e l’occidente in oriente, ed in BOimna elio quasi tutto ’i so corso del mondo si travolge. Saly. Ogni cosa mi piace, fuor che 1’ aver mescolati luoghi della Sacra Scrittura, sempre veneranda o tremenda, tra queste puerizie pur troppo scurrili, e volsuto ferire con coso sacrosante chi, per ischerzo e da burla filosofando, non afferma nò nega, ma, fatti alcuni presupposti o ipotesi, familiarmente ragiona. Simp. A eramente ha scaudalozato me ancora o non poco, e mas- GIORNATA TERZA. 385 sime co ’l sogghignar poi, clic se bene i Copernichisti rispondono, benché assai stravoltamente, a queste e simili altre ragioni, non però potranno sodisfare e rispondere alle cose che seguono. Sai.v. Quest’ ò poi peggio di tutto, perchè mostra d’ aver cose più efficaci e concludenti che le autorità delle Sacre Lettere. Ma, di gra¬ zia, riveriamo queste, o passiamo a i discorsi naturali ed umani : anzi pure, quando e’ non produca tra le ragioni naturali cose di mi¬ glior senso che queste sin qui addotte, potremo lasciar da banda tutta questa impresa, perchè io sicuramente non son per spender parola io in rispondere a inezzie così scempie ; o quello clic egli dice, che i Copernichisti rispondono a queste instanze, è falsissimo, nè si può credere che uomo alcuno si mettesse a consumar il tempo tanto inu¬ tilmente. Simp. Concorro io ancora nell’ istesso giudizio : però sentiamo 1’ al¬ tre instanze, che egli arreca per molto più gagliardo. Ed ecco qui, come voi vedete, egli con calcoli esattissimi conclude, che quando l’orbe magno della Terra, nel quale il Copei'nico fa che ella scorra in un anno intorno al Sole, fusse come insensibile rispetto all’im¬ mensità della sfera stellata, secondo che l’istesso Copernico dice che 20 bisogna porlo, converrebbe di necessità dire e confermare che le stelle fisse fussero per una distanza inimmaginabile lontane da noi, e che le minori di loro fussero più grandi che non è tutto l’istesso orbe magno, ed alcune altre maggiori assai di tutta la sfera di Sa¬ turno ; moli veramente pur troppo vaste, ed incomprensibili ed in¬ credibili. Saly. Io già ho veduto una cosa simile portata da Ticone contro al Copernico, e non è ora che ho scoperta la fallacia, o per dir meglio le fallacie, di questo discorso, fabbricato sopra ipotesi falsissime e sopra un pronunziato del medesimo Copernico preso da i suoi con¬ ati tradittori con una puntualissima strettezza, come fanno quei litiganti che, avendo il torto nel merito principale della causa, si attaccano a una sola paroluzza incidentemente profferita dalla parte, e su quella strepitano senza prender sosta. E per vostra più chiara intelligenza, avendo il Copernico dichiarato quelle mirabili conseguenze che deri¬ vano dal movimento annuo della Terra ne gli altri pianeti, cioè le direzioni e retrogradazioni de i tre superiori in particolare, soggiunse che questa apparente mutazione (che più in Marte che in Giove, per VII. 13 Ponendosi il moto animo osser della Ter¬ ra, bisogna oho una stella fissa sin mag¬ giora di tutto Torbe magno. Argomento di Ti¬ cone fondato sopra ipotesi falso. Litiganti die hanno il torto, si attaccano mina parola della par¬ te, dotta uccidonto- monto. 38G DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI I)KL MONDO. esser Giove più lontano, e meno ancora in Saturno, per esser più lon- L’apparento di™» tono ili Giove, si scorgeva) nelle stelle fisse restava insensibile noria hitk di moto de i pi»- . , ... . , „ ) 1 « noti rosta ìnsttntibiie loro immensa lontananza da noi in comparazion della distanza di Giove o di Saturno. Qui si levano bu gli avversarli di questa opi¬ nione, e presa quella nominata insensibilità del Copernico come posta 1 " da lui per cosa che realmente ed assolutamente sia nulla, e soggiu- gnendo che una stella fissa anco dello minori è pur sensibile, poiché ella cade sotto il senso della vÌBta, vengono calcolando, con l’inter¬ vento di altri falsi assunti, e concludendo, bisognare in dottrina del Copernico ammetterò elio una stella fu sa sia maggioro assai che tutto io 1’ orbe magno. Ora io, per discoprir la vanità di tutto questo pro¬ posto cho un» fi**» grosso, mostrerò elio dal porre che una stella (issa della sesta gran- «lolla soatn grandezza , ««ni « , , non aia maggior del dezza non 8ia maggior del Solo, ni conclude fon (limostTiizion verace h» i pianeti 6 grondo, che la distanza di esse stelle fisse da noi viene ad esser tanta, che nolle tìnse resta corno , n , «•••«« insensibile. basta per lar elio in osso non apparisca notabile il movimento annuo della Terra, che ne i pianeti cagiona si grandi od osservabili varia¬ zioni ; ed insieme paratamente mostrerò le gran fallacie ne gli as¬ sunti do gli avversarli del Copernico. E prima, suppongo con P istesso Copernico, e concordemente con Distanza «lui Soie gli avversarli, che il semidiametro dell’orbe magno, eli’è la distauza 20 n«m“«li»%*orr». lia della Terra al Sole, contenga 1208 semidiametri di essa Terra; secon¬ dariamente pongo, con P assenso de i medesimi 0 con la verità, il Diametro del Sole niezo grado. Diametro di una fis¬ sa della prima gran¬ dezza, o d' una della sesta. Diametro apparente del Sole quanto mag¬ giore di quel d' una fissa. Distanza d’una fUsa della sesta grandezza quanto sin, posto la stella gaso r eguale al Solo. diametro apparente del Solo nella sua mediocre distanza esser circa un mezo grado, cioè minuti primi 30, che sono 1800 secondi, cioè 108000 terzi. E perché il diametro apparento d’ una stella fissa della prima grandezza non ò più di 5 secondi, cioè 300 terzi, ed il diame¬ tro di una fìssa della sesta grandezza 50 terzi (e (pii e il massimo orrore de gli avversarli del Copernico), adunque il diametro del Solo contiene il diametro d’una fissa della sesta grandezza 2160 volte; e però quando si ponesse, una fìssa della sesta grandezza esser reai- 30 mente eguale al Solo, e non maggioro, che ò il medesimo che diro, quando si allontanasse il Sole tanto che il suo diametro si mostrasse m L* edizione originale legge e presa quella nominala insensibilità del Copernico come presa y cho V Erralacorrige in fine dol- T opera indica di correggere in e posta quella nominata insensibilità del Copernico come presa. Ma noli’esemplare di quell’ edizione, clic e oggi posseduto dalla Biblioteca del Semi¬ nario di Padova, GàLILKO corresse invece di buo pugno presa in posta nella seconda sede. GIORNATA TERZA. 387 una. delle 2160 parti di quello che ci si mostra adesso, la distanza sua converrebbe esser 2160 volte maggiore di quello che è ora in effetto ; elio è quanto dire elio la distanza delle fìsso della sosta gran¬ dezza sia 2160 semidiametri doli’ oi'bc magno. E perché la distanza del Solo dalla Terra contiene di comune assenso 1208 semidiametri di essa Terra, e la distanza delle fisse (come si è detto) 2160 semidia¬ metri dell’ orbe magno, adunque molto maggiore (cioè quasi il dop¬ pio) è il semidiametro della Terra in comparazione dell’ orbe magno, che ’l semidiametro dell’ orbe magno in relazione alla distanza della io sfera stellata ; e por ciò la diversità di aspetto nelle fisse, cagionata dal diametro dell’ orbo magno, poco più osservabile può esser di quella che si osserva nel Sole, derivante dal semidiametro della Terra. Sagr. Questa, per il primo scalino, fa un gran calare. Salv. Fallo veramente; poi che una stella fissa della sesta grandezza, che al computo di questo autore bisognava, per mantenimento del detto Nello stollo fisso la diversità d’aspetto,ca¬ gionata dall’orbo ma¬ gno, poco maggioro (lolla cagionata dalla Terra nel Solo. Stella dollft sosta grandezza posta da Ticono o dall’autor del libretto dieci mi- del Copernico, che fusse grande quanto tutto l’orbo magno, co ’l porla Hom «u volta maggio- * 1 ° x • 1 v • -1* redcl bisogno. solamente eguale al Sole, il qual Sole è minore assai della diecimilione- sima parte di esso orbe magno, rende la sfera stellata tanto grande e alta, che basta per rimuovere l’instanza fatta contro esso Copernico. 20 Sagr. Fatemi, di grazia, questo computo. Salv. Il computo ò facile e brevissimo. Il diametro del Sole è undici Compuwdeiiagrsn- 1 dezza della fissa ri- semidiametri della Terra, ed il diametro dell’orbe magno contiene, «rotto all’orbo magno, do i medesimi, 2416, per detto comune delle parti ; talché il diame¬ tro dell’oi'he contiene quel del Sole 220 volte prossimamente: e perché le sfere sono tra di loro come i cubi de i lor diametri, facciamo il cubo eli 220, che è 10648000, ed avoremo 1’ orbe magno maggior del Sole dieci milioni seicentoquarant’ottomila ma ci contentassimo di esser corti che Iddio e la natura tal- nitro non curassero, mente si occupa al governo delle coso umane, elio più applicar non GIORNATA TERZA. 395 ci si potrebbe quando altra cura non avesso elio la sola elei genere umano ; il elio mi pare con un accomodatissimo e nobilissimo esem- Esempio delia cu™ pio poter dichiarare, preso dall’ operazione del lume dol Sole, il quale, m'nanottono ’cLS Soia mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come so altro non avesse che fare ; anzi noi ma¬ turar quel grappolo d’ uva, anzi pur quel granello solo, vi si applica che più efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termino di tutti i suoi affari fusso la sola maturazione di quel grano. Ora, se questo grano ricevo dal Sole tutto quello che ricever si può, nò gli io viene usurpato un minimo che dal produrre il Sole nell’ istesso tempo mille o mill’ altri ottetti, d’invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e’ credesse o chiedesse che nel suo prò solamente si impiegasse 1 ’ azione de’ raggi solari. Son certo che niente si lascia indietro dalla divina Providenza di quello che si aspetta al governo dotte cose umane ; ma che non possano essere altre cose nell’ universo dependenti dall’ infinita sua sapienza, non potrei per me stesso, per quanto mi detta il mio discorso, accomodarmi a crederlo : tuttavia, quando pure il fatto stesse in altra maniera, nessuna renitenza sa¬ rebbe in me di credere alle ragioni che da più alta intelligenza mi 20 venissero addotto. In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inu¬ tile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti o la sfera stellata, privo di stelle ed ozioso, corno anco superflua tanta immensità, per ricetto delle stello fisse, che superi ogni nostra appren¬ sione, dico elio è temerità voler far giudice il nostro debolissimo di- ù gran temerità il _ __ . . n i ii n chiamarneH’universo scorso delle opere di Dio, o chiamar vano o superfluo tutto quello suportiuo tutto quoiio . . cho non intorniiamo dell universo che non serve per noi. esser fatto por noi. Sa.gr. Dite pure, o credo che direte meglio, che noi non sappiamo che serva per noi : ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi paz¬ zie, che introdur si possano, il diro « Perch’ io non so a quel che mi so serva Giove o Saturno, adunque questi son superflui, anzi non sono in natura »; mentre che, oli stoltissimo uomo, io non so nè anco a quel che mi servano lo arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi nò saprei d’ avere il fele, la milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solameute potrei intender quello che operi in me la milza, quando olla mi fusse levata. Per Col privalo il cioio . _ . . . , . ^ di qualche stella si po- intender quali cose operi in me questo o quel corpo celeste (già che trebbo venire in co* . . . . . . , . , .. , . gniziono di quello che tu vuoi che ogni loro operazione sia murizzata a noi), bisognerebbe ella opera in noi. 396 DIALOGO 801'RA I DUE MASSIMI SISTEMI DHL MONDO. por qualche tempo rimuover quel tal corpo, o quell’ effetto, eh’ io sen¬ tissi mancare in me, dire che dependeva da quella stella. I)i più, chi vorrà dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inu¬ tile, tra Saturno e lo stelle ti so, sia privo d’altri corpi mondani? Molte 00*0 powonn forse perchè non gli vediamo? adunque i quattro pianoti Medicelo ibui u „oi. i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? o così le altre innuinerabili stelle fisse non vi erano avanti che gli uomini le ve* lessero ? le nebulose erano prima solamente piazzette albicanti, ma poi noi co ’l telescopio l’aviamo fatte diventare drappelli di molte stello lucide e bellissime ? Prosun- io tuoaa, anzi temeraria, ignoranza de gli uomini ! Saly. Non occorro, Sig. Sagredo, distenderei più in queste infrut¬ tuose esagerazioni : seguitiamo il nostro instituto, che 6 di esaminare i momenti dello ragioni portato dall’ una e dall’ altra parte, senza determinar cosa alcuna, rimettendone poi il giudizio a chi ne sa più di noi. E tornando su i nostri discorei naturali ed umani, dico che Grand*, pUcoio, im• questo grande, piccolo, immenso, minimo, etc., son termini non assoluti, ni*"outivi! 80n t l "' ma relativi, sì che la medesima cosa, paragonata a diverse, potrà ora chiamarsi immensa, e tal ora insensibile, non che piccola. Stante Vanità del dìacoroo questo, io domando in relazione a chi la sfera stellata del Copernico 20 oano n iftrfera 0 *u*n«u si può chiamare troppo vasta. Questa, per mio parere, non può pa- aUton°dóT Copernico! ragonarsi nò dirsi tale se non in relazione a qualche altra cosa del medesimo genere : or pigliamo la minima del medesimo genere, che sarà 1 ’ orbo lunare ; 0 so 1 ’ orbo stellato si deve sentenziare per troppo vasto rispetto a quel della Luna, ogn’ altra grandezza che con simile o maggior proporzione ecceda un’ altra del medesimo genere, doverà dirsi troppo vasta, ed anco, per questa ragione, negarsi che ella si ritrovi al mondo : e così gli elefanti 0 lo baleno saranno scnz’ altro chimere 0 poetiche immaginazioni, perchè quelli, come troppo vasti in relazione allo formiche, le (piali sono animali terrestri, e quelle 30 rispetto allo spillancole, che sono pesci, e veggonsi di sicuro essere in rerum natura, sarebbono troppo smisurati, perchè assolutamente V elefante e la balena superano la formica e la spillancola con assai maggior proporziono che non fa la sfera stellata quella della Luna, figurandoci noi detta sfera tanto grande quanto basta per accomo¬ darsi al sistema Copernicano. Di più, quanto è grande la sfera di Giove, quanto quella di Saturno, assegnate per recettucolo di una GIORNATA TERZA. 307 stella sola, o ben piccola in comparazione di una fissa ? certo che se a ciascuna fissa si dovesse consegnar per suo ricetto tal parte dello spazio mondano, bisognerebbe far l’orbe, dove stanzia l’innumerabil moltitudine di quelle, molto e molte migliaia di volte maggiore di quello che basta per il bisogno del Copernico. In oltre, non chiamato voi una stella fissa, piccolissima, dico anco delle più apparenti, non che di quelle che l’uggono la nostra vista ? e lo chiamiamo così in comparazione dello spazio circonfuso. Ora, quando tutta la sfera stel¬ lata fusse un corpo solo risplendente, chi è che non capisca che nello io spazio infinito si può assegnare una distanza tanto grande, dalla quale tale sfera lucida apparisse così piccola ed anco minore di questo che dalla Terra ci pare adesso una stella fissa ? di lì dunque giudiche¬ remmo allora piccola quella medesima cosa, che ora di qui chiamiamo smisuratamente grande. Sagr. Grandissima mi par l’inezzia di coloro che vorrebbero elio Iddio avesse fatto T universo più proporzionato alla piccola capacità del lor discorso, che all’ immensa, anzi infinita, Sua potenza. Simp. Tutto questo che voi dite va bene : ma quello sopra di che la parte fa instanza, è 1 ’ avere a concedere che una stella fissa abbia 20 ad esser non pure eguale, ma tanto maggioro del Solo, che pure amendue sono corpi particolari situati dentro all’ orbe stellato. E ben panni che molto a proposito interroghi quest’ autore e domandi : « A che fine ed a benefizio di chi sono macchine tanto vaste ? pro- » dotte forse per la Terra, cioè per un piccolissimo punto ? e perchè » tanto remote, acciocché appariscano tantino e niente assolutamente » possano operaro in Terra ? a che proposito una spropositata im- » mensa voragine tra esse e Saturno ? frustratone sono tutte quelle » cose che da ragioni probabili non son sostenute ». Sai.v. Dall’ interrogazioni che fa quest’ uomo mi par che si possa so raccòrrò, che quando si lasci stare il cielo, le stelle e le distanze, della quantità e grandezze eli’ egli ha sin ora creduto (benché nis- suna comprensibil grandezza egli già mai non se ne sia sicuramente figurata), oi penetri benissimo e resti capace de i benefizii che da esse provengano sopra la Terra, la quale non più sia una cosetta minima, nè che esse sien più tanto remote che appariscano così pic¬ coline, ma tanto grandi quanto basta per potere operare in Terra, e che la distanza tra esse e Saturno sia proporzionata benissimo, e J.o spazio assegnato por una fissa ò molto minoro di quollo tl'un pianola. Una stella si chiama piccola rispotto alla grandezza dolio spa¬ zio elio la circonda. Tutta la sfera stel¬ lala da lontananza grande potrebbe ap¬ parir piccola quanto una sola stella. Instando doli’autor dol libretto por inter¬ rogazioni. Risposto allo intor- rogazioni doli' autor dol libretto. 398 DIALOGO SOPRA 1 DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. elio egli ili tutte queste coho ubbia molto probabili ragioni, dello quali no avoroi volentieri sentito qualcuna ; ma il vedere che egli L'auior «IH ui.retu» in questo podio parole si confonde o si contraddico, mi fa credere imilieu nello >ue in-eli o’aia molto ponunoso o scarso di queste probabili ragioni, e che 11 " .. quelle elio ci chiama ragioni, bìouo più tosto fallacie, anzi ombre di int«rroc*ilantfeito vano immaginazioni. Imperocché io domando adesso a lui, se questi con'u!riunii 1 in.o'Ara corpi celesti operano veramente sopra la Terra, e se por tale effetto i inodic»cin dolio suo. gfcati prodotti (lidie tali o tali grandezze, ed in tali e tali di¬ stanze disposti, o puro se non hanno (dio faro con lo coso terrene. So non han elio furo con la Terra, sciocchezza grande ò il voler noi io terroni esser arbitri delle grandezze, e regolatori dello loro locali di¬ sposizioni, mentre siamo ignorantissimi di tutti i loro affari o inte¬ ressi : ma so dirà che operano o che a questo fino siano indrizzati, viene ad affermare quello che per un altro verso egli medesimo nega ed a laudar quello elio pur ora ha dannato, mentre dicova che i corpi celesti, locati in tanta lontananza elio dalla Terra appariscan tantini, non possono in lei operar cosa alcuna. Ma, uomo mio, nella sfera stellata, già stabilita nella distanza elio (dia si trova o che da voi vicn giudicata por ben proporzionata per gl’ influssi in questo coso terrene, moltissimo stollo appariscono piccolissime, o conto volto tante 20 ve ne sono del tutto a noi invisibili (cho ò un apparire ancor mi¬ nori elio iantine) : adunque bisogna cho voi (contradicendo a voi me¬ desimo) neghiate ora la loro operazione in Terra ; o vero cho (con¬ tradicendo puro a voi stesso) concodiato cho l’apparir tantino non iletrao della loro operazione ; o sì veramente (0 questa sarà più sin¬ cera e modesta concessione) concediate o liberamente confessiate che ’1 giudicar nostro circa lo loro grandezze 0 distanze sia una vanità, per non dir presunzione o temerità. Simv. Veramente vedili ancor io subito, nel legger questo luogo, la contradizion manifesta, nel dir che lo stelle, per così dire, del Co-so permeo, apparendo tanto piccoline, non potrebbero operare in Terra, o non si accorgere d’ aver conceduto 1’ aziono sopra la Terra a quello di Tolomeo e sue, cho appariscono non pur tantino, ma sono la mag¬ gior parte invisibili. ci>e gii oggotti ioti- ^ ALV ‘ ven S° a( l un altro punto. Sopra che fondamento dice con, è d?fotto a <"en^ c * ie s ^ e ^ e appariscano così piccole ? forse perchè tali le veg¬ etilo,comosi dimostra. giamo noi ? e non sa egli che questo viene dallo strumento cho noi GIORNATA TERZA. 390 adoperiamo in riguardarle, cioè dall’ occhio nostro ? E che ciò sia vero, mutando strumento le vedremo maggiori e maggiori, quanto ne piacerà : e chi sa che alla Terra, che le rimira senza occhi, elio non si mostrino grandissime o quali realmente tdle sono? Ma è tempo che, lasciate queste leggerezze, vanghiamo a cose di più momento : e però, avendo io già dimostrato queste due cose, prima, quanto basti por lontano il firmamento sì che in lui il diametro dell’ orbe magno non faccia maggior diversità di quella che fa 1’ orbe terrestre nella lontananza del Sole, c poi dimostrato parimente come per far che io una stella del firmamento ci apparisca della grandezza che noi la veggiamo, non è necessario porla maggioro del Sole, vorrei saper se Ticone o alcuno de’suoi aderenti ha tentato mai di investigare in qualche modo se nella sfera stellata si scorga veruna apparenza per la quale si possa più resolutamente negare o ammettere il moto annuo della Terra. Sagr. Io per loro risponderei di no, nè tampoco averne avuto bisogno ; già che il Copernico stesso è che dice, tal diversità non vi essere, ed essi, argomentando ad hominem , glie T ammettono, e sopra questo assunto mostrano l’improbabilità che no segue, cioè che sa- 20 rebbe necessario far la sfera tanto immensa, che una stella fissa, per apparirci grande come ci apparisce, converrebbe che in realtà fusse una mole così immensa che eccedesse la grandezza di tutto 1’ orbe magno : cosa che è poi, come essi dicono, del tutto incredibile. Salv. lo son del medesimo parere, e credo appunto eh’ egli argo¬ mentino contro all’ uomo più per difesa d’ un altro uomo, che per brama di venire in cognizion del vero ; e non solamente non credo che alcun di loro si sia applicato al far tal osservazione, ma non son sicuro ancora se alcuno di essi sappia quale diversità dovesse produr nelle fisse il movimento annuo della Terra, quando la sfera stellata 30 non fusse in tanta distanza che in esse tal diversità per la sua pic¬ colezza svanisse : perchè il cessai’e da tal inquisizione e rimettersi al semplice detto del Copernico, può ben bastare a convincer 1’ uomo, ma non già a chiarirsi del fatto, potendo esser che la diversità ci sia, ma non cercata, o, per la sua piccolezza o per mancamento di strumenti esatti, non compresa dal Copernico ; che non sarebbe que¬ sta la prima cosa che egli, per mancanza di strumenti o per altro difetto, non ha saputa, e pur, fondato sopra altre saldissime coniet- Ti co no o suoi ado- rollì i non hanno ton¬ iate di vedere so nel firmamento sia lippa- ronza alcuna contro o in lavoro del moto annuo. Astronomi Torso non hanno avvertito quali apparenze seguano al moto annuo della Terra. Alcuno coso non comproso il Copernico por mancamento di strumenti. 400 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SIRTFM1 DEL MONDO. turo, affermò quello a cui parevano contrariare le cose non comprese da lui : chè, come già hì disse, senza il telescopio nò Marte poteva comprenderai crescer Gl) volt ', o Venere 40, più in quella che in que¬ sta positura, anzi le differenze loro appariscono minori assai del vero ; tuttavia si è poi venuto in cortezza, tali mutazioni esservi a capello quali ricercava il sistema Copernicano. Or così sarebbe ben fatto ri¬ cercare, con quella (‘squisitezza elio si potesse maggiore, se una tal mutazione clic dovrebbe scorgersi nelle fisse, posto il moto annuo della Terra, effettivamente si osservasse ; cosa che assolutamente credo non esser sin ora stata fatta da alcuno, e non solamente fatta, ma io forse (come ho detto) nè anco da molti ben inteso quel che cer- Tieono <*i altri ai- car si dovrebbe. Nè mi muovo a caso a dir così ; perchè già veddi mou annuo por u in-certa scrittura a penna di uno di questi antieopermcam, che di- nuitUti eUtixioii . , . , , . . r ad polo. cova, necessariamente dover seguire, quando tal opinion fusse vera, un continuo alzamento ed abbassamento del polo di G mesi in G mesi, secondo elio la Terra in tanto tempo, per tanto spazio quant’ ò il dia¬ metro dell’orbo magno, si ritira or verso settentrione or verso austro; o pur gli pareva ragionevole, anzi necessario, che seguendo noi la Terra, quando fossimo verso settentrione, dovessimo avere il polo più elevato che quando siamo verso il mezo giorno. In questo medesimo 20 erroro incorse uno per altro assai intelligente matematico, pur seguace del Copernico, secondo che riferisce Ticone ne’ suoi Proginnasmi a 1 ac.684, il quale diceva aver osservato mutarsi l’altezza polare ed esser diversa la state dal verno: e perchè Ticone nega il merito della causa, ma non danna l’ordine, cioè nega il vedersi mutazione nell’altezza po¬ lare, ma non condanna tale inquisizione come non accomodata a con¬ seguir quel die si cerca, viene a dichiararsi che egli ancora stima, l’al¬ tezza polare, variata o non variata di G mesi in G mesi, esser buona riprova per escludere o introdurre il movimento annuo della Terra. Simp. Veramente, Sig. Salviati, che a me ancora par che dovesse 30 seguir l’istesso. Imperocché io non credo che voi mi negherete, che se noi camminiamo solamente GO miglia verso tramontana, il polo ci si alzerà un grado, ed accostandosi parimente per altro 60 miglia al settentrione, ci si alzerà il polo un altro grado, etc. : ora, se l’ac¬ costarsi e discostarsi 60 miglia solamente fa sì notabil mutazione nel- 1 altezze polari, che doverà fare il trasportarvi la Terra, e noi insieme, non dirò 60 miglia, ma 60 migliaia ? GIORNATA TERZA. 401 Salv. Coverà fare (se si dove seguir cotesta proporzione) elio il polo ci si alzerà mille gradi. Vedete, Sig. Simplicio, quanto può un’ in¬ veterata impressione ! Voi, per esservi fissato nella fantasia per tanti anni che il cielo sia quello che si rivolga in venti quatta*’ ore, e non la Terra, e che in conseguenza i poli di tal revoluzione siano nel cielo e non nel globo terrestre, non potete nè anco per un’ ora spo¬ gliarvi quest’ abito o mascherarvi del contrario, figurandovi che la Terra sia quella che si muova solamente per tanto tempo quanto basta per concepir quello che ne seguirebbe quando questa bugia io fusse vera. Se la Terra, Sig. Simplicio, è quella che si muove in sò stessa in ventiquattr’ ore, in lei sono i poli, in lei è T asse, in lei è l’equinoziale, cioè il cerchio massimo descritto dal punto egualmente distante da i poli, in lei sono gli infiniti paralleli, maggiori e minori, descritti da i punti della sua superficie più e meno distanti da i poli ; in lei sono tutte queste cose, e non nella sfera stellata, che, per essere immobile, manca di tutte, e solo con T imaginazione vi si possono figurare, prolungando T asso della Terra sin là dove terminando se¬ gnerà duo punti sopraposti a i nostri poli, ed il piano dell’ equino¬ ziale disteso figurerà in cielo un cerchio a se corrispondente. Ora, so 20 il vero asse, i veri poli, il vero equinoziale tei’restri non si mutano in Terra tuttavolta che voi ancora resterete nel medesimo luogo in Terra, trasportate pure la Terra dove vi piace, che voi già mai noia cangerete abitudine nè a i poli nè a i cerchi nè ad altra cosa terrena ; e questo, per esser cotal trasportamelo comune a voi ed a tutte le cose terrestri, ed il moto, dove è comune, è come se non vi fusse: e sì n moto,dove, come voi non muterete abitudine a i poli terreni (abitudine, dico, si vi russo, che vi si alzino o vi s’abbassino), così parimente noia la muterete a i poli figurati in cielo, tuttavoltachè per poli celesti intenderemo (come già si è definito) quei due punti che dall’asse terrestre, prolungato sin la, so vi vengono segnati. È vero che si mutano tali punti nel cielo, quando il trasportamento della Terra vien fatto in tal modo, che il suo asse va (li a a ferire in altri ed alti'i punti della sfera celeste immobile; ma non si muta la nostra abitudine ad essi, sì che il secondo ci si elevi più che il primo. Chi vuole che de i punti del firmamento, rispondenti a i poli della Terra, l’uno se gli alzi e l’altro se gli abbassi, bisogna cam¬ minare in Terra verso l’uno, allontaaaandosi dall’altro; claè il trasportar la Terra, e con lei noi medesimi (come ho già detto), ìaon opera aaiente. i co¬ ncili VII. DI 402 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Esempio accomoda¬ to por dichiarar corno 1'altozzA dol polo non si devo variar median¬ te il moto umilio della Terra. Saqr. Concedetemi in grazia, Sig. Salviati, eh’ io spiani assai chia¬ ramente questo negozio con un esempio, se ben grossolano, altret¬ tanto però accomodato a questo proposito. Figuratevi, Sig. Simpli¬ cio, d’ essere in una galera, e che stando in poppa abbiate drizzato un quadrante o altro strumento astronomico alla sommità dell’al¬ bero del trinchetto, come se voi voleste prender la sua elevazione, la quale funse, v. g., 40 gradi : non è dubbio, che camminando voi per corsia verso 1* albero 25 o 30 passi, tornando a drizzare il mede¬ simo strumento alla medesima sommità dell’ albero, troverete la sua elevazione esser maggiore, ed esser cresciuta, v. g., 10 gradi ; ma se io in cambio di camminar i detti 25 o 30 passi verso 1’ albero, voi, re¬ stando fermo in poppa, faceste muover tutta la galera verso quella parte, credereste voi che, mediante il viaggio che ella avesse fatto de i 25 o 30 passi, 1’ elevozion del trinchetto vi si mostrasse di 10 gradi accresciuta ? Simp, Credo ed intendo che olla non si vantaggierebbe nè anco un sol capello per il viaggio di mille nè di centomila miglia, non che di 30 passi ; ma credo bene che, se traguardando la sommità del trinchetto si fusse incontrato una stella fissa ad esser nella mede¬ sima dirittura, credo, dico, che tenendo fermo il quadrante, doppoai aver navigato verso la stella 60 miglia, la mira batterebbe bene alla punta del trinchetto come prima, ma non già più alla stella, la quale mi si sarebbe elevata un grado. Sagb. Ma voi non credete già qhe ’l traguardo non battesse a quel punto della sfera stellata che risponde alla dirittura della sommità del trinchetto? Simp. Questo no, ina il punto sarebbe variato, o rimarrebbe sotto alla stella prima osservata. Saor. Così sta per appunto. Ma sì come quello che in quest’ esem¬ pio rispoude all’ elevazion della sommità dell’ albero non è la stella, so ma il punto dol firmamento che si trova nella dirittura dell’ occhio e della cima dell’ albero, così nel caso esemplificato quello che nel firmamento risponde al polo della Terra, non è una stella o altra cosa fissa del firmamento, ma e quel punto nel (piale va a terminar 1’ asse terrestre dirittamente prolungato sin là, il qual punto non è fisso, ma ubbidisce alle mutazioni che facesse il polo terreno : e però 1 icone o altri, che avevano portato questa instanza, dovevano dire GIORNATA TERZA. 403 rlio a tal movimento della Terra, quando vero fusse, si dovrebbe co- Ai moto annuo doli# U . Torni può seguir mu* nnscero ccl osservar qualclio diversità nell’ alzamento ed abbassamento temono in qunicho ilu ' , . . _ sfolla (Isso, non nel non del polo, ma di alcuna stella fissa verso quella parte che risponde polo, al nostro polo. Simi’. Già intendo benissimo 1 ’ equivoco preso da costoro, ma non però mi si toglie la forza, che mi par grandissima, dell’ argomento portato in contrario, quando si riferisca alla mutazion delle stelle, e non più del polo : atteso che, so il movimento della galera, di 60 mi¬ glia solamente, mi fa alzarsi una stella fissa per un grado, come non io potrà molto più venirmi una simil mutazione, ed anco maggiore as¬ saissimo, quando la galera si trasportasse verso la medesima stella per tanto spazio quant’ è il diametro dell’ orbe magno, che voi dite esser il doppio di quello elio è dalla Terra al Solo ? Sagr. Qui, Sig. Simplicio, ci è un altro equivoco, il quale vera- sì rivolgo l’oqui- . . . _ . . . i voco di olii erodo oho mente voi intendete, ma non vi sovviene 1 intenderlo ; ed io cercherò ai moto annuo si do' far gran mutazione circa l’elovaziono . n ii i i • d* una stella fissa. quadrante a una stella iissa, e trovato, v. g., la sua elevazione esser 40 gradi, voi, senza muovervi di luogo, inclinaste il lato del qua¬ drante, sì che la stella rimanesse elevata sopra quella dirittura, diroto 20 voi perciò la stella aver acquistato maggior elevazione ? Simp. Certo no, perchè la mutazione si è fatta nello strumento, e non nell’ osservatore, che abbia mutato luogo movendosi verso quella. Sagr. Ma quando voi navigato o camminato sopra la superficie della Terra, direste voi che nel medesimo quadrante non si facesse mutazione alcuna, ma si conservasse sempre la medesima elevazione rispetto al cielo, tuttavolta che voi stesso non l’inclinaste, ma lo la¬ sciaste stare nella prima costituzione? Simp. Lasciate eh’ io ci pensi un poco. Direi senz’ altro che non so la conservasse, per esser, il viaggio eh’ io fo, non in piano, ma sopra la circunferenza del globo terrestre, la quale di passo in passo muta indi nazione rispetto al cielo, ed in conseguenza la fa mutare allo strumento che sopra di lei la conserva. Sagr. Voi benissimo dite ; ed anco intendete, che «pianto maggiore e maggiore fusse quel cerchio sopra il quale voi vi moveste, tanto più miglia bisognerebbe camminare per far che quella stella vi si alzasse quel grado di più, e che finalmente, quando il moto verso di ricordarvelo. Però ditemi: Se quando, doppo avere aggiustato il 404 DIÀLOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. cosa. la stella fosso i>er linea r. tt a, più ancora converrebbe muoversi clie per la circonferenza di qualsivoglia grandissimo cerchio. Lino» retta o cir. Sai.v. Sì, perché finalmente la circonferenza dol cerchio infinito o conferenza del aorcbio • infinito »ou riatoMa una linea retta sono 1 wtessa cosa. Saor. Oh questo non inondo io, nè credo che l’intenda anco il Sig. Simplicio ; e bisogna elio ci sia sotto qualche misterio ascosto, perchè sappiamo che il Sig. Saivinti non parla mai a caso, nè mette in campo paradosso che non riesca in qualche concetto non punto triviale : però a luogo e tempo vi ricorderò la dichiarazion di questo esser la linea retta l’istesso che la circonferenza del cerchio infinito, io chò por adesso non voglio che interrompiamo il discorso elio aviam por lo mani. E tornando al caso, inetto in considerazione al Sig. Sim¬ plicio come 1’ accostamento e discostamento che fa la Terra a quella stella fissa elio è vicina al polo, si fa come por una linea retta, che è il diametro dell’ orbe magno ; talché il voler regolare l’alzamento ed abbassamento della stella polare co ’l moto per tal diametro come pe ’l moto sopra il cerchio piccolissimo della Terra, è gran segno di poca intelligenza. Suir. Ma pur restiamo ancora nelle medesime difficultà, già che nè anco quella poca diversità che esser vi dovrebbe, si scorge esservi ;20 0 so questa ò nulla, nullo ancora bisogna confessar che sia il moto annuo per l’orbo magno, attribuito alla Terra. Sauk. Or qui lascio seguire al Sig. Salviati : il quale mi par che non trapassava por nullo 1’ alzamento o abbassamento della stella po¬ lare o di altra dello fisso, ancorché non compreso da alcuno, 0 dal- l’istcsso Copernico posto non dirò por nullo, ma per inosservabile per la sua piccolezza. sì cere»,quali mata- Saly. Giù ho detto di sopra, elio non credo che alcuno si sia messo zioni,ed in quali «lidio, ..... , . 1 ni debimn*corgoremo« ad osservare so ne i diversi tempi dell anno si scorga mutazione ai- dianto il moto annuo . i 11 doli» Terra. cuna nelle 11886, cho possa dupendere dal movimento annuo aeJiaso Terra ; e soggiunto di più, che ho dubbio so forse alcuno abbia bene • I ES inteso, quali sieno le mutazioni, e tra quali stelle debbano apparire : però ò bene cho andiamo con diligenza esaminando questo punto, n non aver gii astro- L’ aver trovato scritto solamente in genere, non si dovere ammettere nomi spooifloÉto quali . 0 ^ 111 mutazioni possano do- il movimento annuo della Terra nell’orbe magno, perche non na nei rivar dui moto annuo ... 0 « I delia Terra dà segno verisimile che per esso non si vedesse alcuna apparente mutazione 0h6 essi non 1 abbiano A x . nelle stelle fisse, e il non sentir poi diro quali dovessero esser in per¬ bene inteso. GIORNATA TERZA. 405 ticolare cottili apparenti mutazioni ed in quali stelle, mi fa molto ragionevolmente stimare clic costoro che su quel generico pronun¬ ziato si fermano, non abbiano inteso, nè anco forse cercato di inten¬ dere, come cammini il negozio di queste mutazioni, nò che cose siano quelle che dicono che veder si dovrebbero ; ed a così giudicare mi muove il sapere, che il movimento annuo attribuito dal Copernico alla Terra quando debba farsi sensibile nella sfera stellata, non ri¬ spetto a tutte le stelle egualmente ha da farsi apparente mutazione, ma tale apparenza in alcune deve farsi maggiore, in altre minore, io in altre ancor minore, e finalmente in altre assolutamente nulla, per grandissimo che si ponesse il cerchio di questo moto annuo. Le mu¬ tazioni poi, che veder si dovrebbero, sono di duo generi : 1’ uno è il mutar esse stello T apparente grandezza, e 1’ altro il variar altezze nel meridiano ; che si tira poi in conseguenza il mutar gli orti e gli occasi, e le distanze dal vertice, otc. Sagr. Mi par di vedermi apparocchiare una matassa di questi ri- volgimenti, che Dio voglia eh’ io me ne sia per poter distrigar mai ; perchè, a confessare il mio difetto al Sig. Salviati, io ci ho tal volta pensato, nè mai ne ho potuto ritrovare il bandolo, e non dico tanto 20 di questo che appartiene alle stelle fisse, quanto di un 1 altra più ter- ribil faccenda, che voi mi avete fatta sovvenire co ’l ricordar questo altezze meridiane, latitudini ortive e distanze dal vertice, etc. : e ’l mio ravvolgimento di cervello nasce da quello ch’io vi dirò adesso. 11 Copernico pone la sfera stellata immobile, ed il Sole nel centro di essa, parimente immobile ; adunque ogni mutazione che a noi ap¬ parisca farsi nel Sole o nelle stelle fisse, è necessario che sia della Terra, cioè nostra : ma il Sole si alza e si abbassa nel nostro meri¬ diano per un arco grandissimo, quasi di 47 gradi, e per archi ancora maggiori e maggiori varia le sue larghezze ortive ed occidue ne gli 30 orizonti obliqui : or come può mai la Terra inclinarsi e rilevarsi tanto notabilmente al Sole, e nulla alle stelle fisse, o per sì poco che sia cosa impercettibile ? Questo è quel nodo che non è possuto mai pas¬ sare al mio pettine ; e se voi me lo scioglierete, vi stimerò più che un Alessandro. Salv. Queste sono difficultà degno dell’ingegno del Sig. Sagredo; ed è tale il dubbio, che sino T istesso Copernico diffidò quasi di po¬ terlo dichiarare in maniera che lo rendesse intelligibile, il che si vede Lo mutazioni uollo si olle (isso dovono os¬ sei* in alcuno maggio¬ ri, in altro minori ed in altro nulle. Difficoltà massima contro ni Copernico per quollo cho appa¬ risce nel Sole o nollo fisso. 406 DIALOGO SOPRA I DUE MAR8IMI SISTEMI DEL MORDO. sì dal confessare egli stesso la sua oscurità, sì dal rimettersi due volto in due diverso maniere per dichiararlo : od io ingenuamente confesso di non avere capita la sua spiegatura so non doppo che con altro di¬ verso modo, assai piano e chiaro, lo resi intelligibile, ma non però senza una lunga e laboriosa applicazion di mento. Argomento d'Ari- Simp. Aristotile voddo la difficultà medesima, e se no servì per tichi'ci.ov" lovanichò redarguir alcuni antichi i quali volevano che la Terra fusse un pia- nou!™ !una ° "" 1,1 neta : contro a i quali argomenta, che se ciò fusso, converrebbe che ossa parimente, come gli altri pianeti, avesse più di un movimento, dal che no seguirebbe questa variazione ne gli orti od occasi delle io Btelle fisse, e nell’ altezze meridiane parimente. E poiché ei promosse la difficultà e non la risolvette, ò forza che ella sia, se non d’impos¬ sibile, almeno di difficile scioglimento. Saly. La grandezza o forza dell’ annodamento rende lo sciogli¬ mento più bello e ammirando ; ma io non ve lo prometto per oggi, e vi prego a dispensarmi sino a domani, e per ora andremo consi¬ derando e dichiarando quelle mutazioni e diversità che per il movi¬ mento annuo dovriano scorgersi nelle stelle fisso, sì come pur ora dicevamo, nell’ esplicazion delle quali vengono a proporsi alcuni punti preparatorii per lo scioglimonto della massima difficultà. Ora, ripi- so gliando i due movimenti attribuiti alla Terra (o dico due, perchè il terzo non è altrimenti un moto, come a suo luogo dichiarerò), cioè Moto annuo fatto 1’ annuo ed il diurno, quello bì devo intendere fatto dal centro della dftl centro della Terra r „ „ ' m imi . , . . «ottoreclittica,omo- IciTa nella circonferenza dell’orbe magno, cioè di un cerchio mas- to diurno fatto dalla . . , . Terra circa il proprio anno descritto nel piano dell eclittica, fissa ed immutabile; 1 altro, contro. cioè il diurno, è fatto dal globo della Terra in sò stesso circa il pro¬ prio centro o proprio asse, non eretto, ma inclinato al piano dol- 1’ eclittica, con inclinazione di gradi 23 o mezo incirca, la quale in¬ clinazione si mantiene per tutto 1’ anno e, quello che sommamente si deve notare, si conserva sempre vor.so la medesima parto del cielo, 30 1 /asso deli» Terra tal mentechè l’asse del moto diurno si mantien perpetuamente pa- si mantion sempre pa- ^ x x i l miioio a «è «tosso, o rallelo a sè stesso : sì che, se noi ci immagineremo tale asse prolungato descrivo una su nord- . 7 ° _ ciò cilindrica ed Indi- sino alle stello fisse, mentre che il centro della Terra circonda in un nata all orbo magno. 7 ... anno tutta V eclittica, V istesso asse descrive la superficie di un cilin¬ dro obliquo, che ha per una delle sue basi il detto cerchio annuo, e pei’ T altra un siimi cerchio iin&gin&ri&mente descritto dalla sua estremità, o vogliamo dir polo, tra le stelle fìsse ; ed ò tal cilindro GIORNATA TERZA. 407 obliquo al piano dell’ eclittica secondo l’inclinazion dell’ asse che lo descrive, che aviamo dotto esser gradi 23 e mezo, la quale, conser¬ vandosi perpetuamente l’istessa (se non quanto in molte migliaia di anni fa qualche piccolissima mutazione, che al presente negozio niente importa), fa che ’l globo terrestre nè più s’inclina già mai nè si sol¬ leva, ma immutabile si conserva: dal che ne seguita che, per quanto appartiene alle mutazioni da osservarsi nelle fisse, dependenti dal solo movimento annuo, l’istesso accadeva a qualsivoglia punto della su¬ perficie terrena, elio all’ istesso centro della Terra ; e però nelle pre¬ io senti esplicazioni ci serviremo del contro, come di qualsivoglia punto della superficie. E per più facile intelligenza del tutto, ne disegne¬ remo le figuro lineari : o prima segniamo nel piano dell’ eclittica il cerchio ANBO, ed intendiamo i punti A, B essere gli estremi verso borea e verso austro, cioè il principio di Cancro e di Capricorno, ed il diametro AB prolunghiamolo indeterminatamente per D e C verso la sfera stellata : dico ora, primieramente, che niuna delle stelle fisse poste nell’eclittica, per qualsivoglia mutazion fatta dalla Terra per esso piano dell’ eclittica, varierà mai elevazione, ma sempre si scor¬ gerà nella medesima superficie; ma bene so gli avvicinerà ed allon- 20 tanerà la Terra per tanto spazio quanto — è il diametro dell’ orbe magno. Il che sen¬ satamente si vede nella figura: imperoc¬ ché, sia la Terra nel punto A o sia in B, sempre la stella C si vede per la medesima linea ABC ; ma bene la lontananza BC si è fatta minore della CA per tutto il dia¬ metro BA : il più dunque che si possa j\ scorgere nella stella C, ed in qualsivoglia altra posta nell’eclittica, è la accresciuta o diminuita apparente gran- so dezza, per 1’avvicinamento o allontanamento della Terra. Sagù. Fermate un poco, in cortesia, perchè sento non so che scru¬ polo che ini dà fastidio, ed è questo. Che la stella C venga veduta per la medesima linea ABC tanto quando la Terra sia in A quanto se ella sia in B, l’intendo benissimo; come anco di più capisco che l’istesso avverrebbe da tutti i punti della linea AB, mentre che la Terra passasse da A in B per essa linea : ma passandovi, come si suppone, per T arco ANB, è manifesta cosa che quando ella sarà nel L'orbo della Ton a gi h mai non «'inclina, imi immutabilmente si consor va. Lo stollo fisse poste nell'eclittica inni non si alzano nò abbassa¬ no per causa del mo¬ to annuo della Terra, ma ben si avvicinano od allontanano. Listar za contro ni moto annuo della Ter- ra presa dalle stollo fisso posto noi]'eclit¬ tica. d08 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. punto N, od in qualunque altro fuori che li due A, B, non più )er la linea AB, ma per altre ed altre, si scorgerà: talché se il mostrarsi sotto diverse linee devo cagionar apparente mutazione, qualche diver¬ sità converrà che si scorga. Anzi più dirò, con quella libertà filoso¬ fica che tra i filosofi amici debbo esser permessa, parermi che voi contrariando a voi stesso, neghiate ora quello che pur oggi ci avete' con nostra maraviglia, dichiarato esser cosa verissima e grande: dito di quello che accade ne i pianeti ed in particolare ne i tre superiori che ritrovandosi continuamente nell’ eclittica o a quella vicinissimi non solamente si mostrano ora a noi propinqui ed ora remotissimi io ma tanto, nei regolati lor movimenti, difformi, che talvolta immo¬ bili, e tal ora, per molti gradi, retrogradi, ci si rappresentano ; o tutto non per altra cagione, elio per il movimento annuo della Terra. Salv. Ancorché por mille riscontri io sia stato fatto corto dell’ac¬ cortezza del Sig. Sagredo, pur ho voluto con quest’ altro cimento as¬ sicurarmi maggiormente di quanto io possa promettermi dell’ingegno suo ; e tutto pjor util mio, che quando le mie proposizioni potranno star saldo al martello o alla coppella del suo giudizio, potrò star si¬ curo che olio sien di lega buona a tutto paragone. Dico per tanto, che a bello studio avevo dissimulata cotosta obiezzione, ma non ai però con animo di ingannarvi e di persuadervi alcuna falsità, come sarebbe potuto accadere quando l’instanza da me dissimulata, e da voi trapassata, fusse stata talo in offetto quale in apparenza si mo¬ stra, cioè veramente gagliarda e concludente ; ma ella non è tale, anzi dubito io adesso che voi, per tentar me, Unghiate di non cono¬ scer la sua nullità. Ma voglio in questo particolare esser più mali¬ zioso di voi, co ’l cavarvi a forza di bocca quello che artifiziosamente volevi nasconderci : e però ditemi, che cosa ò quella onde voi cono¬ scete la stazione o retrogradazione de’ pianeti derivante dal moto annuo, e che ò così grande che pure almeno qualche vestigio di si- 30 mile effetto dovrebbe vedersi nelle stelle dell’ eclittica. Sagr. Due quesiti contien questa vostra domanda, a i quali con- vien eli’ io risponda : il primo riguarda l’imputazione, che mi date, di simulatore ; 1’ altro ò di quello che possa apparir nelle stelle etc. Quanto al primo, dirò con vostra pace che non è vero eh’ io abbia simulato di non intender la nullità di quella instanza ; e per assicu¬ rarvi di ciò, vi die’ ora che benissimo capisco tal nullità. GIORNATA TERZA. 409 Sai.v. Ma non capisco già io come possa essere che voi non par¬ laste simulatamente, quando dicevi di non intender quella tal falla¬ cia la quale confessate ora di intender benissimo. Sagù. La confessione stessa di intenderla può assicurarvi ch’io non simulavo, mentre dicevo di non l’intendere ; perchè quando io avessi voluto e volessi simulare, chi potria tenermi eli’ io non continuassi nella medesima simulazione, negando tuttavia di intender la fallacia? Dico dunque che non l’intendevo allora, ma che ben la capisco al presente, mercè dell’ avermi voi destato l’intelletto, prima co ’l dirmi io risolutamente che ella non è nulla, e poi co ! 1 cominciare a interro¬ garmi così alla larga, che cosa fusse quella per la quale io conosceva la stazione e retrogradazione de’ pianeti : e perche questo si conosce dalla conferenza che si fa di essi con lo stelle fisse, in rolazion delle quali si veggono variare lor movimenti or verso occidente ed or verso oriente e tal ora restar come immobili, e perchè sopra la sfera stel¬ lata non ve n’ è altra immensamente più remota, ed a noi visibile, con la quale possiamo conferir le nostre stelle fìsse, però vestigio niuno possiamo noi scorger nelle fisse, che risponda a quello che ci apparisce ne’ pianeti. Questo penso io che sia quel tanto che voi mi 20 volevi cavar di bocca. Salv. Questo è, con la giunta da vantaggio della vostra sottilis¬ sima arguzia. E se io con un piccol motto vi apersi la mente, voi con un altro fate sovvenire a me, non esser dol tutto impossibile che qualche cosa in qualche tempo si trovasse osservabile tra le fisse, per la quale comprender si potesse in olii risegga 1’ annua conversione, talché esse ancora, non men de i pianeti e del Sole stesso, volesser comparire in giudizio a render testimonianza di tal moto a favor della Terra : perch’ io non credo che le stelle siano sparse in una sferica superficie, egualmente distanti da un centro, ma stimo che le loro fio lontananze da noi siano talmente varie, che alcuno ve ne possano esser 2 e 3 volte più remote di alcune altre ; talché, quando si tro¬ vasse co ’l telescopio qualche piccolissima stella vicinissima ad alcuna delle maggiori, e che però quella fusse altissima, potrebbe accadere che qualche sensibil mutazione succedesse tra di loro, rispondente a quella de i pianeti superiori. E tanto sia detto per ora circa il par¬ ticolare dello stelle poste nell’ eclittica : venghiamo ora alle fisse poste fuora dell’ eclittica, ed intendiamo un cerchio massimo eretto al piano Stazione, direziono o retrogradazione de i pianeti si conosco in relaziono allo stollo fisso. Indizio nollo stollo fisso, simile a quel che si vedo ne’pianoti, per argomento del moto annuo doli a Terra. 410 DIALOGO SOrRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Lo fisso fuori doi-di quella, e sia, por esempio, un cerchio che nella sfera stellai oj abbassano più o mo-si. loiula al colare t lo solstizi!, o segniamolo db fi, che verrà insiomn no, secondo la lor ai- 1 v „ > oieme stanza da «bau eeiit- ad esser un meridiano, ou m esso pigliamo una stella Inori cieli’ eclit- llL U tica, qual sarebbe la E. Or questa al movimento della Terra varierà bene elevazione ; perchè (Ialiti Terra in A sarà veduta secondo il rag¬ gio ÀE, con T elevazione dell’angolo EAC; ma dalla Terra posta in B si vedrà ella per il raggio HE, con elevazione dell’angolo EBC maggiore dell’ altro EAC, per esser quello esterno, e questo interno ed opposto, nel triangolo EAB : vedrassi dunque mutata la distanza della stolla E dall’ eclittica ; ed anco la sua altezza nel meridiano sarà m fatta maggiore nello stato B che nel luogo A, secondo clic l’angolo EBC supera 1 * angolo EAC, che è la quantità dell’ angolo AEB : imperoc¬ ché, essendo del triangolo EAB prolungato il lato AB in C, l’este¬ riore angolo EBC (por esser eguale siili due interiori ed opposti E, A) supera esso A per la quantità dell’ angolo E. E se noi piglieremo un’ altra stella nel medesimo meridiano, più remota dall’ eclittica, qual sarebbe, v. g., la stella li, maggiore anco sarà in essa la diver¬ sità dall’ esser vista dalli due luoghi A, B, secondo che l’angolo AHB si fa maggiore dell’altro E ; il quale angolo nuderà sempre crescendo, secondo che la stella osservata più sarà lontana dall’eclittica, sin che20 finalmente la massima mutazione apparirà in quella stella che fusso posta nell’ istesso polo dell’ eclittica, corno, per totale intelligenza, po¬ tremo dimostrar così : Sia il diametro dell’ orbe magno AB, il cui centro G, ed intendasi prolungato sino alla sfera stellata ne i punti D,C; e sia dal centro G eretto T asse doli’ eclittica GÈ sino alla medesima sfera, nella quale s’intenda descritto un meridiano DFC, che sarà eretto al piano dell’ eclittica ; e presi nell’ arco FC qualsivoglino punti li, E, come luoghi di stelle fìsso, congiungaiisi le linee FA, FB, so AH, HG, HB, AE, GE, BE, sì che l’angolo della diversità 0 vogliali dire la parallasse della stella posta nel polo E sia ÀFB, quello della stella posta in H sia l’angolo AIIB, 0 della stella in E sia l’angolo ATbB : dico 1 ’ angolo della diversità della stella polare F essere il mas¬ simo, e do gli altri il più vicino al massimo esser maggiore del piò GIORNATA TERZA. 411 remoto, cioè l’angolo F esser maggiore dell’ angolo II, e questo mag¬ giore dell’ angolo E. Intendasi intorno al triangolo FAB descritto un cerchio ; e perché 1 ’ angolo F è acuto (per esser la sua base AB mi¬ nore del diametro DO del mezo cerchio DFC), sarà posto nella por¬ zione maggiore del circoscritto cerchio tagliata dalla base AB ; o perchè essa AB è divisa in mezo ed ad angoli retti dalla FG, sarà il centro del cerchio circoscritto nella linea FG : sia il punto I. E per¬ chè delle linee tirate dal punto G, che non è centro, sino alla cir¬ conferenza del cerchio circoscritto, la massima è quella che passa io per il centro, sarà la GF maggiore di ogn’ altra che dal punto G si tiri sino alla circonferenza del medesimo cerchio ; e però tal circon¬ ferenza taglierà la linea GII (che è eguale alla linea GF), e tagliando la GH taglierà ancora la AH : taglila in L, e congiungasi la linea LB : saranno dunque li due angoli AFB, ALE eguali, per esser nella mede¬ sima porzione del cerchio circoscritto : ma ALB, esterno, è maggioro dell’ interno H : adunquo l’angolo F è maggiore dell’ angolo H. E con l’istesso metodo dimostreremo, 1 ’ angolo II esser maggiore dell’ an¬ golo E, perchè del cerchio descritto intorno al triangolo AIIB il centro è nella perpendicolare GF, al quale la linea GII ò più vicina della GE, 20 e però la circonferenza di esso taglia la GE ed anco la AE : onde ò manifesto il proposito. Concludiamo per tanto, che la diversità di ap¬ parenza (la quale con termine proprio dell’ arte potremo chiamar pa¬ rallasse delle stelle fisse) è maggiore e minore secondo che le stello osservato sono più o meno vicino al polo dell’ eclittica ; sì che final¬ mente delle stelle che sono nell’ eclittica stessa, tal diversità si riduce a nulla. Quanto poi all’ avvicinarsi o allontanarsi per tal moto la Terra alle stelle, a quelle che sono nell’ eclittica si avvicina ella e si discosta per quanto è tutto il diametro dell’ orbo magno, come pur ora vedemmo ; ma alle stelle intorno al polo dell’ eclittica tale ac- 80 costamento o allontanamento è quasi nullo, ed all’ altre questa diver¬ sità si fa maggiore secondo che elle sono più vicine all’ eclittica. Pos¬ siamo, nel terzo luogo, intendere, come quella diversità d’ aspetto si fa maggiore o minore, secondo che la stella osservata fussc a noi più vicina o più remota ; perchè, se noi segneremo un altro meridiano men lontano dalla Terra, qual sarebbe questo DFI, una stella posta in F e veduta per il medesimo raggio AFE, stante la Terra in A, quando poi si osservasse dalla Terra in B, si scorgerebbe secondo il La Terra si accosta edallontamidalle fìsso dolToclittica quanto ò '1 diametro dell* orbo magno. Maggior diversità fanno lo stelle più vi- c ine che le più romoto. 412 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. raggio BF, o farebbe T angolo della diversità, cioè BFA, maggiore dell’ altro primo AEB, essendo esteriore del triangolo BFE. Sagb. Con gran gusto, ed anco profitto, lio sentito il vostro discorso ; e per assi¬ curarmi s’io ben 1 ’ abbia capito, dirò la somma dello conclusioni sotto brevi pa¬ rdo. Tarmi elio voi ci abbiate spiegato duo sorte di diverse apparenze esser quelle che mediante il moto annuo della Terra possiamo noi osservare nelle stelle fisse : io T una ò delle lor variate grandezze appa¬ renti, secondo elio noi, portati dalla Terra, a quelle ci avviciniamo o ci allontaniamo ; T altra (elio pur depende dal medesimo allonta¬ namento o avvicinamento) ò il mostrarcisi nel medesimo meridiano ora più elevate ed ora mono. Di più, voi ci dite (ed io benissimo T intendo) elio l’una e l’altra di tali mutazioni non si fa egualmente in tutte le stello, ma in altro maggiore ed in altre minore ed in altro niente. li’ appressamento e discostamento per il quale la me¬ desima stella ci debba apparire or più grande ed or più piccola, ò insensibile e quasi nullo nello stelle vicino al polo dell’eclittica, 20 ma è massimo nello stello poste in essa eclittica, mediocre nelle in¬ termedie ; il contrario accade dell’ altra diversità, cioè clie nullo è T alzamento o abbassamento nelle stello poste nell’ eclittica, massimo nello circonvicine al polo di essa eclittica, mediocre nelle intermedie. Oltre di ciò, amendue queste diversità sono più sensibili nelle stelle che fussoro più vicine, nelle più lontane son sensibili meno, e final¬ mente nelle estremamente lontane svanirebbero. Questo è quanto alla parte mia : resta ora, per quel eh’ io mi avviso, di sodisfare al Sig. Sim¬ plicio, il quale non credo cl.10 facilmente si accomoderà a passar come cose insensibili cotali diversità, derivanti da un movimento della Terra») tanto vasto e da una mutazione che trasporti la Terra in luoghi tra di loro distanti per due volto tanto quanto è da noi al Sole. Stop. Tu vero io, liberamente parlando, sento gran repugnanza nell’ avere a conceder, la distanza delle fisse dovere esser tanta, che in esse le dichiarate diversità devano esser del tutto impercettibili. Sai,v. Non vi gettate del tutto al disperato, Sig. Simplicio, che forse ci è ancora qualche temperamento per le vostre difficultà. E prima, GIORNATA TERZA. 413 che l’apparente grandezza delle stelle non si vegga alterar sensibil- No gii oggetti molto m pii te non vi deve parer punto improbabile, mentre che voi vedete pìccolo avvicinameli- v, * * - 1 * # , to o discostamonto ò Y estimativa de gli uomini in cotal fatto tanto altamente ingannarsi, imporcetubii©. e massime nel riguardare oggetti risplendenti : e voi stesso rimirando, v. g., una torcia accesa dalla distanza di 200 passi, nell’ appressar¬ vi®. ella 3 o 4 braccia, credereste di accorgervene, perchè maggiore vi si mostrasse ? Io per me non me ne accorgerei sicuramente, quando ben mi se n’ avvicinasse 20 o 30 : anzi tal volta mi sono incontrato a vedere un simil lume in una tal lontananza, nè sapermi risolvere io se e’ veniva verso me o pur si allontanava, mentre egli realmente mi si avvicinava. Ma che? se il medesimo appressamento e allonta¬ namento (dico del doppio della distanza dal Sole a noi) nella stella di Saturno è quasi totalmente impercettibile, ed in Giove poco os¬ servabile, che doverà essere nelle stelle fisse, che non credo che voi foste renitente a porle più lontane il doppio di Saturno ? In Marte, che per avvicinarsi a noi.... Simp. V. S. non si affatichi più in questo particolare, chè già resto capace, poter benissimo accadere quanto si è detto circa la non al¬ terata apparento grandezza delle stelle fisse : ma che diremo dell’ altra 20 difficoltà, che nasco da non si scorger variazione alcuna nella muta- zion di aspetto ? Sai,v. Diremo cosa per avventura da potervi quietare anco in questa parte. E por venire alle brevi, non sareste voi sodisfatto quando real¬ mente si scorgesser nelle stelle quelle mutazioni che vi par necessario che scorger vi si dovessero quando il movimento annuo fusse della Terra ? Simp. Sarei senza dubbio, per quanto appartiene a questo par¬ ticolare. Salv. Vorrei che voi diceste, che quando una tal diversità si scor- Quando nella stelle , _ i i i • 1 i • f lsso 31 scorgesse alcu- 30 eresse, niuna cosa resterebbe più che potesse render dubbia la niobi- na mutazione annua, ® r r . . il moto della Terra lità della Terra, atteso che a cotal apparenza mssun altro ripiego non patirebbe conti»- .. . dizione. assegnar si potrebbe. Ma quando bene anco ciò sensibilmente non apparisse, non però la mobilità si rimuove, nè la immobilità neces¬ sariamente si conclude, potendo esser (come afferma il Copernico) che l’immensa lontananza della sfera stellata renda inosservabili cotali minime apparenze ; le quali, come già bì è detto, può esser che sin ora non sieno state nè anco ricercate, o, se pur ricercate, non ricer- l 414 DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. cate nella maniera cho si dove, cioò con quella esattezza che q AA > minute puntualità sarebbe necessaria : la quale esattezza è difficile a conseguirsi, sì per difetto do gli strumenti astronomici, suggetti a molte alterazioni, sì ancora per colpa di quelli che gli maneggiano con minor diligenza di quello cho sarebbe necessario. Argomento ne- Prnvnsì corno poco cessariamonte concludente di quanto poco sia da fidarsi di tali nssov è da fidarsi do gli sfcru* ... , i , . . .. monti astronomici vaziom, siane la diversità che noi troviamo tra gli astronomi tipI noli o minuto ossor vii- .11 zionì. r assegnaro 1 luoghi, non diro dello stello nuove e dello comete ma delle stelle fisse medesimo, Bino anco all’ altezze polari, nelle quali il più delle volto por molti minuti si trovano tra di loro discordanti io E per vero dire, chi vuole in un quadrante o sestante, cho al più avena il lato di 3 o 4 braccia di lunghezza, assicurarsi nell’ incidenza del perpendicolo o nel taglio della diottra di non si ingannare di dua o tre minuti, che nella sua circonferenza non saranno maggiori della larghezza di un grano di miglio ? oltre all’ esser quasi impossibile che lo strumento sia con assoluta giustezza fabbricato e conservato. Toiomoo non si fida Tolomeo mostra diffidenza di un strumento armillare fabbricato dal- d’uno strumento fatto . , da Archi mede. 1 istesso Archimede por prender r ingresso del Sole nell’equinoziale. SiMr. Ma se gli strumenti son così sospetti e le osservazioni tanto dubbiose, come potremo noi già mai costituirci in sicurezza e libe- » rarci dalle fallacie ? Io avevo sentito predicare gran coso de gli stru- sirumontidiTioono menti di Ticone, fatti con immense spese, e della sua singoiar dili- fatti con grandi sposo. ' 171 0 genza nelle osservazioni. Salv. Tutto questo vi ammetto ; ma nò quelli nè questa bastano quali strumenti sin- per assicurarci in un negozio di tanta importanza. Io voglio che ci no atti por lo esser- , ... . vazioni esattissimo, serviamo di strumenti maggiori assai assai di quelli di Ticone, esattis- simi e fatti con pochissima sposa, il lato de i quali sia di 4, 6, 20,30 e 50 miglia, sì cho un grado sia largo un miglio, un minuto primo 50 braccia, un secondo poco mono di un braccio : ed in somma gli potremo avere, senza spender nulla, di qual grandezza più ci piacerà, so Esquisit» osserva- Io, stando in una mia villa vicino a Firenze, osservai manifestamente zionodoll arrivoopar- , # J tita del Soie dai sol-1 arrivo o la partita del Solo dal solstizio estivo, mentre che una sera b tizio estivo. A J nel suo tramontare si addopò a una rupe dello montagne di Pietra- pana, lontana circa GO miglia, lasciando di sè scoperto un sottil filo verso tramontana, la cui larghezza non era la centesima parte del suo diametro, e la seguente sera in simil occaso mostrò pur di sè scoperta una simil parte, ma notabilmente più sottile, argomento GIORNATA TERZA. 415 necessario dell’ aver egli cominciato a discostarsi dal tropico ; ed il regresso del Sole dalla prima alla seconda osservazione non importò sicuramente un minuto secondo nell’ orizonte : 1’ osservazione poi fatta con telescopio esquisito, e che multiplica il disco del Sole più di mille volte, riesce facile e insieme dilettevole. Ora, con simili strumenti voglio che facciamo le nostre osservazioni nelle stello fisse, servendoci di alcuna di quelle nelle quali la mutazione dovrebbe esser più co¬ spicua, quali sono, come già si è dichiarato, le più remote dall’ eclit¬ tica, tra lo quali la Lira, stella grandissima e vicina al polo dell’ eclit- 10 tica, sarebbe molto opportuna ne i paesi assai settentrionali, operando nella maniera che dirò appresso, ma co ’l servirmi di altra stella; o già meco medesimo ho appostato un luogo assai accomodato per tale osservazione. 11 luogo è un’ aperta pianura, sopra la quale si alza verso tramontana una montagna molto eminente, nel vertice della quale è fabbricata una piccola chiesetta, situata da occidente verso oriente, sì che la schiena del suo coperto può segare ad angoli retti il meridiano di qualche abitazione posta nella pianura. Voglio fer¬ mare una travetta parallela alla detta schiena o colmo del tetto, o da esso distante un braccio in circa : fermata questa, cercherò nel 20 piano il luogo dal quale una delle stelle del Carro, nel passar per il meridiano, venga ascondendosi doppo la trave già collocata; o vero, quando la trave non fusse tanto grossa che bastasse ad occultar la stella, troverò il posto di dove si vegga la medesima trave tagliare in mezo il disco di essa stella, effetto che con telescopio esquisito si discerne esquisitamonte : e se nel luogo di dove tale accidente si scor¬ gerà fusse qualche abitazione, sarà tanto più comodo ; quando che no, farò piantare un palo ben fermo in terra, con nota stabile per indice dove si debba ricostituir 1’ occhio qualunque volta si voglia reiterar 1’ osservazione : la prima delle quali osservazioni farò intorno so al solstizio estivo, per continuar poi di mese in mese, o quando più mi piacerà, sino all’ altro solstizio ; con la quale osservazione si potrà scoprir 1’ alzamento ed abbassamento della stella, per piccolo che egli sia. E se in tal operazione succederà il poter comprender mutazione alcuna, quale e quanto acquisto si farà in astronomia ? poiché con tal mezo, oltre all’ assicurarci del moto annuo, potremo venire in co¬ gnizione della grandezza e lontananza della medesima stella. Sagù, lo comprendo benissimo tutto il progresso, e panni 1’ opera- 416 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. zione tanto facile e accomodata al bisogno, che molto ragionevolmente si potrebbe credere che dall’ istesso Copernico o da altro astronomo tasse stata mossa in atto. Saly. A mo par tutto 1’ opposito, perchè non ha del verisimile che, se alcuno 1’ avesse sperimentata, non avesse fatto menzione del- 1’ esito, se succedeva in favore di questa o di quella opinione ; oltre che nè per questo nè per altro fino si trova che alcuno si sia valso di tal modo di osservare, il quale anco, senza telescopio esatto, mala¬ mente si potrebbe effettuare. Sagù. Resto interamente quieto di quanto dite. Ma già che ci io avanza gran tempo a notte, se voi desidorate eh’ io possa trapassarla con quiete, non vi sia grave esplicarci quei problemi, la dichiara- xiono de i quali poco fa domandaste di poter differire a dimane ; ren¬ deteci in grazia il giù conceduto indulto, e lasciati tutti gli altri ragionamenti da banda, venite dichiarandoci come, posti i movimenti elio il Copernico attribuisce alla Terra, e ritenendo immobile il Sole o le stello fisse, ne possano seguire quei medesimi accidenti circa gli alzamenti ed abbassamenti del Sole, circa le mutazioni delle stagioni e le disequalitù de i giorni e delle notti etc., nel medesimo modo appunto che nel sistema Tolemaico assai facilmente si apprendono. 20 Saly. Non si deve nè si può negare cosa che sia ricercata dal Sig. Sagredo : 0 la proroga da me domandata non era ad altro effetto, che per aver tempo di riordinarmi nella fantasia quelle premesse che servono per una larga ed aperta dichiarazione del modo col quale i nominati accidenti seguono tanto nella posizione Copernicana quanto nella Tolemaica, anzi con assai maggiore agevolezza e semplicità in quella che in questa ; onde manifestamente si comprenda, quella ipo- Sistomn Copornica-tesi altrettanto esser facile ad effettuarsi dalla natura, quanto difficile no diflicilo n inton- , , , ,, ,, dm-ai 0 fucilo ad effet-ad esser compresa dall ? intelletto. Tuttavia spero, con servirmi d altra tuam. . t * i M spiegatura die dell’usata dal Copernico, rendere anco la sua appren- so Proposizioni nccos- sione assai meno oscura ; per lo che fare proporrò alcune supposi- sarie per bori capire le , 7 * * J * conseguenza da i mo- zioni per sè noto e manifeste, e saranno le seguenti : vnnenti dolla Terra. 7 7 . . . n • Prima. Posto elio la Terra, corpo sferico, si volga circa 1 proprio asse e poli, ciaschedun punto segnato nella sua superficie descrive la circonferenza di un cerchio, maggiore o minore secondo elio il punto segnato sarà più o meno lontano da i poli ; e di questi cerchi, massimo è quello clie vien disegnato da un punto egualmente lon- GIORNATA TERZA. 417 tano da essi poli : e tutti questi cerchi sono tra di loro paralleli ; o paralleli li chiameremo. Seconda. Essendo la Terra di figura sferica e di sustanza opaca, vien continuamente illuminata dal Sole secondo la metà della sua superficie, restando 1’ altra metà tenebrosa : ed essendo il termine che distingue la parte illuminata dalla tenebrosa un cerchio massimo, lo chiameremo cerchio terminator della luce. Terza. Quando il cerchio terminator della luce passasse per i poli della Terra, taglierebbe (essendo cerchio massimo) tutti i paralleli in io parti eguali ; ma non passando per i poli, gli taglierà tutti in parti diseguali, trattone il solo cerchio di mezo, che, per esser massimo, vien pur segato in parti eguali. Quarta. Volgendosi la Terra intorno a i proprii poli, le quantità de i giorni e delle notti vengono determinate da gli archi de i pa¬ ralleli segati dal cerchio terminator della luce ; e V arco che resta nell’ emisferio illuminato prescrive la lunghezza del giorno, e il rima¬ nente è la quantità della notte. Proposte queste cose, per più chiara intelligenza di quello che resta da dirsi verremo a descriverne una figura : e prima segneremo 20 la circonferenza di un cerchio, che ci rappresenterà quella dell’ orbe magno, descritta nel piano dell’ eclittica, o questa divideremo in quat¬ tro parti eguali con li due diametri, Capricorno Granchio, Libra e Ariete, che nell’ istesso tempo ci rappresenteranno i quattro punti cardinali, cioè li due solstizii e li due equinozii ; e nel contro di tal cerchio noteremo il Sole 0, fisso ed immobile. Segnamo ora circa i quattro punti Capricorno, Granchio, Libra e Ariete, come centri, quattro cerchi eguali, li quali ci rappresentino la Terra, in essi in diversi tempi costituita ; la quale co ’l suo centro nello spazio di un anno cammini per tutta la circonferenza Capricorno Ariete Gran- so chio e Libra, muovendosi da occidente verso oriente, cioè secondo 1’ ordine de’ sogni. Già è manifesto che mentre la Terra sia in Capri¬ corno, il Sole apparirà in Granchio, e movendosi la Terra per P arco Capricorno e Ariete, il Sole apparirà muoversi per 1’ arco Granchio e Libra, ed in somma scorrere il zodiaco secondo 1’ ordine de i segni nello spazio di un armo ; e con questo primo assunto vien senza con- trovei’sia sodisfatto all’ apparente movimento annuo del Sole sotto l’eclittica. VII. 03 I Disegno semplicis¬ simo olio rappresenta la costituzione Coper¬ nicana e le suo coli- sequenze. Moto annuo del .Solo conio segua in via del Copernico. 418 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Ora venendo all’ altro movimento, cioè al diurno della Terra in sò stessa, bisogna stabilire i suoi poli ed il suo asse, il quale si ha da intendere esser non eretto a perpendicolo sopra il piano dell’ eclit¬ tica, cioò non parallelo all’ asse dell’ orbe magno, ma declinante dal- T angolo retto gradi 23 e mezo in circa, co T suo polo boreale verso 1’ asse dell’ orbe magno, stante il centro della Terra nel punto solstizialo di Capricorno. Inten¬ dendo dunque il globo terrestre avere il suo contro nel punto io 1 Capricorno, segneremo i poli od il suo asse AB, inclinato dal per- pendieolo sopra ’1 diametro Ca¬ pricorno e Granchio gradi 23 e mezo, sì clic l’angolo A Capri¬ corno e Granchio venga ad essere il complimento di una quarta, cioò gradi GG e mezo, e tale inclinazione bisogna intendere esser immutabile; ed il polo superiore A intenderemo essere il boreale, e l’altro B l’australe. Immaginandoci ora la Terra ri¬ volgersi in sò stessa circa 1’ asse AB in ore ventiquattro, pur daocci-M dente verso oriente, verranno da tutti i punti notati nella sua super¬ fìcie descritti cerchi tra di loro paralleli : sogneremo, in questo primo posto della Terra, il massimo CD e li duo da esso lontani gradi 23 e mezo, EF sopra e GN sotto, o gli altri due estremi IK, LM, lontani per simile intervallo da i poli A, B ; e sì conio aviaino notati questi cinque, così ne possiamo intendere altri innumerabili, paralleli a que¬ sti, descritti da gl’ innumerabili punti della terrestre superficie. Inten¬ diamo ora, la Terra co T moto annuo del suo centro trasferirsi ne gli altri luoghi già notati, ma passarvi con tal legge : che il proprio asse AB non solamente non muti inclinazione sopra il piano del-so 1’ eclittica, ma non varii anco già mai direzzione, sì che, mantenen¬ dosi sempre parallelo a sò stesso, riguardi continuamente verso le medesime parti dell’ universo o vogliamo dire del firmamento ; dove se noi l’intendessimo prolungato, verrebbe co ’l suo altissimo temine a disegnare un cerchio parallelo ed eguale all’ orbe magno Libra Capricorno Ariete e Granchio, come base superiore di un cilindro descritto da sè medesimo nel moto annuo sopra l’inferior base Libra GIORNATA TERZA. 419 Capricorno Ariete e Granchio : o però, stante questa immutabilità IAl,OUO 801’KA 1 1*1'K MASSIMI SISTEMI liKL MONDO. archi semidiurni son minori do i ueminotturni. Vodesi ancora mani¬ festamente, che lo differenze di essi archi bì vanno agumontando se¬ condo che i paralleli son più vicini a i poli, sin tanto cho il parallelo IK resta tutto intero nella parte illuminata, e gli abitatori di osso hanno un giorno di ventiquattr’ore senza notte, ed all’incontro il parallelo LM, restando tutto nelle tenebre, ha una notto di venti- quattr’ oro senza giorno. Vanghiamo ora alla terza figura della Terra, posta co ’l suo centro nel punto Granchio, di dove il Sole apparisce essere nel primo pulito di Capricorno: già manifestamente si vede, come por non aver l’asse Alilo mutato inclinazione, ma per essersi conservato parallelo a sè stesso, l’aspetto e situazion della Terra e l’istesso a capoilo che quel della prima figura, salvo che quell’emisferio che nella prima era illuminato dal Sole, in questa resta nelle tenebre, e viene illuminato quello che nel primo posto era tenebroso; onde quello che accadeva prima circa le differenze de i giorni e delle notti, circa l’esser quelli maggiori o minori di queste, ora accade il contrario. E prima si vede, che dove nella prima figura il cerchio IK era tutto nella luce, ora è tutto nelle tenebre, o l’opposto LM ora è tutto nella luce, cho prima era tutto tenebroso: dei paralleli tra ’l cerchio massimo CD e ’l polo A, sono ora gli archi semidiurni minori 20 do i seminotturni, che prima erano il contrario ; de gli altri pari¬ mente verso il polo B, sono ora gli archi semidiurni maggiori de i seminotturni, l’opposto di che accadeva nell’altro stato della Terra : vedesi ora il Sole fatto verticale a gli abitatori del tropico GN, ed essersi abbassato verso austro a quelli del parallelo EF per tatto l’arco ECO, cioè gradi 47, ed essere in somma passato dall’uno al¬ l’altro tropico traversando l’equinoziale, con alzarsi ed abbassarsi ne’ meridiani il detto spazio di gradi 17 : e tutta questa mutazione deriva non dall’ inclinarsi o elevarsi la Terra, ma all’ incontro dal non si inclinare o elevar già mai, ed in somma dal conservarsi ella » sempre nella medesima costituzione rispetto all’universo, solo co ’l circondare il Sole, situato nel mozo dell' istesso piano nel quale cir¬ colarmente se gli muove ella intorno co ’l movimento annuo. E qui "Accidente moravi- ò da notare un accidente iuaraviglioso, che ò, che sì come il con- 1 1090 rio noi itimi In (lai O glioso dependonto dal non inclinarsi l'asse della Tt*rra. servar 1’ asse della Terra la medesima direziono verso 1’ universo, 0 vogliamo dire verso la sfera altissima delle stelle fisse, fa che il Sole ci appare elevarsi ed inclinarsi per tanto spazio, cioè per gradi 47, e GIORNATA TERZA. 421 mente inclinarsi o elevarsi le stello fìsse, così all’ incontro, quando il medesimo asse della Terra si mantenesse continuamente con la mede¬ sima inclinazione verso il Sole, o vogliaci dire verso 1’ asse del zo¬ diaco, nissuna mutazione apparirebbe farsi nel Solo circa 1’ alzarsi o abbassarsi, onde gli abitatori dell’ istesso luogo sempre avrebbero le medesime diversità do i giorni e dolio notti o la medesima costitu¬ zione di stagioni, cioè altri sempre inverno, altri sempre state, altri primavera etc., ma all’ incontro grandissima apparirebbe la muta¬ zione nello stollo fisse circa 1’ elevarsi ed inclinarsi a noi, che impor¬ lo terebbe i medesimi 47 gradi. Per intelligenza di elio, torniamo a considerar lo stato della Terra nella prima figura, dove si vedo 1’ asse AB co ’l polo superiore A inclinare verso il Sole ; ma nella terza figura, avendo il medesimo asse conservata l’istessa direzione verso la sfera altissima, co ’l mantenersi parallelo a sè stesso, non più inclina verso ’l Sole co ’l polo superiore A, ma all’ incontro reclina dal primiero stato gradi 47 ed inclina verso la parte opposta : sì che, per restituir la medesima inclinazione dell’ istesso polo A verso ’1 Sole, bisognerebbe, co ’l girar il globo terrestre secondo la circonferenza ACBD, trasportarlo verso E i medesimi 47 gradi ; e per tanti gradi 20 qualsivoglia stella fissa osservata nel meridiano apparirebbe essersi elevata o inclinata. Venghiamo adesso all’esplicazione di quel che resta, e conside¬ riamo la Terra collocata nella quarta figura, cioè co ’1 suo centro nel punto primo della Libra, onde il Sole apparirà nel principio del- P Ariete : e perchè 1’ asse della Terra, che nella prima figura s’in¬ tende esser inclinato sopra il diametro Capricorno Granchio, e però esser nel medesimo piano che, segando il piano dell’ orbe magno se¬ condo la linea Capricorno Granchio, a quello fusse eretto perpen¬ dicolare, trasportato nella quarta figura, e mantenuto, come sem- 30 pre si è detto, parallelo a sè stesso, verrà ad esser in un piano pur eretto alla superficie dell’ orbe magno e parallelo al piano che ad an¬ goli retti sega la medesima superficie secondo ’1 diametro Capricorno Granchio ; e però la linea che dal centro del Sole va al centro della Terra, quale è la 0 Libra, sarà perpendicolare all’ asse BA : ma la medesima linea che dal centro del Sole va al centro della Terra è sempre perpendicolare ancora al cerchio terminator della luce : però questo medesimo cerchio passerà per i poli A, B nella quarta figura, 422 por DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI Sl&TKMI DEL MONDO. o nel suo piano sarà l’asso AB. Ma il cerchio massimo passando i poli do i paralleli, gli divide tutti in parti eguali ; adunque gli archi IK, EF, CD, (IN, LM saranno tutti raezi cerchi, e l’emisferio illu¬ minato sarà questo che riguarda verso noi o ’l Sole, e ’1 terminator della luce sarà l’istesso cerchio ACMI), e stante la Terra in questo luogo, farà 1’ equinozio a tutti li suoi abitatori. E ’l medesimo accade nella seconda figura, dove la Terra, avendo 1’ emisferio suo illuminato verso il Sole, mostra a noi 1’ altro oscuro con li suoi archi notturni che pur son tutti tuezi cerchi ; ed in conseguenza qui ancora si fa l’equinozio. E finalmente, essendo che la linea prodotta dal centro del io Sole al centro della Terra perpendicolare all’risse All, al quale ò pari¬ mente eretto il cerchio massimo de i paralleli CI), passerà la medesima linea 0 Libra necessariamente per T istc-so piano del parallelo CD, segando la sua circonferenza nel me/.o dell’ areo diurno CI) ; e però il Sole sarà verticale a quello che in tal segamento si trovasse: ma vi passano, portati dalla diurna conversion della Terra, tutti gli abi¬ tatori di tal parallelo : adunque tutti questi in tal giorno averanno il Sole meridiano sopra il vertice loro, ed il Sole intanto a tutti gli abitatori della Terra apparirà descrivere il massimo parallelo, detto equinoziale. In oltre, essendo elio, stante la Terra in ainendue ipunti a> solstiziali, do i cerchi polari 1K, LM l’uno resta intero nella luce e 1’ altro nello tenebro ; ma quando In Terra è ne i punti equinoziali, la metà de i medesimi cerchi polari si trovano nella luco, restando il rimanente nelle tenebre; non doverà esser difficile a intendersi, come passando la Terra, v. g., dal Granchio (dove il parallelo IIv è tutto nelle tenebre) nel Leone, cominci una parte del parallelo IK verso il punto I a entrar nella luce, e che il terminator della luce IM co¬ minci a ritirarsi ver o i poli A, B, segando il cerchio ACBI) non più in I, M, ma in due altri punti cadenti tra i termini I, A, M, B degli archi IA, MB, onde gli abitatori del cerchio IK comincino a goder® del lume, e gli altri abitatori del cerchio LM a sentir della notte. Ld ecco, con due semplicissimi movimenti, fatti dentro a tempi pro¬ porzionati allo grandezze loro o tra sò non contrarianti, anzi fatti, come tutti gli altri de’ corpi mondani mobili, da occidente verso oriente, assegnati al globo terrestre, reso adequate ragioni di tutto quelle medesime apparenze, per le quali salvare con la stabilità della ferra è necessario (renunziando a quella simmetria che si vede tra GIORNATA TERZA. 423 le velocità e le grandezze de i mobili) attribuire ad una sfera vastis¬ sima sopra tutte le altre una celerità incomprensibile, mentre le altre minori sfere si muovono lentissimamente, e più far tal moto contrario al movimento di quelle, e, per accrescere l’improbabilità, far che da quella superiore sfera sieno, contro alla propria inclinazione, rapite tutte le inferiori. E qui rimetto al vostro parere il giudicar quello che abbia più del verisimile. Sagù. A me, per quello che appartiene al mio senso, si rappresenta non piccola differenza tra la semplicità e facilità dell’ operare effetti io con i mezi assegnati in questa nuova constituzione, e la multiplicità confusione e diffìcultà elio si trova nell’ antica e comunemente rice¬ vuta ; chè quando secondo questa multiplicità fosse ordinato questo universo, bisognerebbe in filosofia rimuover molti assiomi comune¬ mente ricevuti da tutti i filosofi, come che la natura non moltiplica le cose senza necessità, e che ella si serve de’ mezi più facili e sem¬ plici nel produrre i suoi effetti, e che ella non fa niente indarno, ed altri simili. Io confesso non aver sentita cosa più ammirabile di questa, nò posso credere che intelletto umano abbia mai penetrato in più sot¬ tile speculazione. Non so quello che ne paia al Sig. Simplicio. 20 Simp. Queste (se io devo dire il parer mio con libertà) mi paiono di quelle sottigliezze geometriche, le quali Aristotile riprende in Platone, mentre 1’ accusa che per troppo studio della geometria si scostava dal saldo filosofare : ed io ho conosciuti e sentiti grandissimi filosofi peri- patetici sconsigliar suoi discepoli dallo studio delle matematiche, come quelle che rendono l’intelletto cavilloso ed inabile al ben filosofare ; instituto diametralmente contra a quello di Platone, che non ammet¬ teva alla filosofia se non chi prima fusse impossessato della geometria. Salv. Applaudo al consiglio di questi vostri Peripatetici, di distorre i loro scolari dallo studio della geometria, perchè non ci è arte alcuna 30 più accomodata per scoprir le fallacie loro ; ma vedete quanto co- testi sien differenti da i filosofi matematici, li quali assai più volen¬ tieri trattano con quelli che ben son informati della comune filosofia peripatetica, che con quelli che mancano di tal notizia, li quali, per tal mancamento, non posson far parallelo tra dottrina e dottrina. Ma posto questo da banda, ditemi, di grazia, quali stravaganze o troppo sforzate sottigliezze vi rendon meno applausibile questa Copernicana costituzione. Assiomi uni mossi eoniunoniontedu tutti i filosofi. Aristotile tassa Pla¬ tone por troppo stu¬ dioso dellu geometri.^. Filosofi peripatetici dannano lo studio dol- la geometria. 424 DIA1,000 KOPRA I DUK MASSIMI SISTEMI DET. MONDO. Snu*. Io invero non 1’ ho interamente capita, forse perchè non ho nè anco ben in pronto le ragioni che de i medesimi effetti vengon prodotte da Tolomeo, dico di quelle stazioni, retrogradazioni, acco¬ stamenti e allontanamenti de’ pianeti, accrescimenti o scorciamenti de’ giorni, mutazioni delle stagioni, otc. : ma, lasciate le conseguenze che dependono dallo prime supposi/ioni, sento nelle supposizioni stesse non piccole diflìcultà; le quali supjwdizioni quando vengon atterrate si tiran dietro la rovina di tutta la fabbrica. Ora, perchè tutta la machina del Copernico mi par che si fondi sopra instabili fonda¬ menti, poiché si appoggia su la mobilità della Terra, quando questa io sia rimossa, non accade pesare ud altre (Imputazioni ; e por rimuover questa panni che l’tiviom» d’Aristotile sia sufficientissimo, chedi un corpo semplice un solo moto semplice pensa esser naturalo; ma Quattro moti dìv*r-qui alla Terra, corpo semplice, vengono assegnati 3, se non 4 mo- aiftttubuitinlUTcrrn. * . . , * , ’ ’ vanenti, e tra di loro molti» differenti ; poiché, oltre al moto retto, come grave, verso il centro, che non se gli può negare, se gli attri¬ buisce un moto circolare in un gran cerchio intorno al Solo in un anno, ed una vertigine in sé stessa in ventiquattr’ ore, e, quello poi che è più esorbitante e che forse per ciò voi lo tacevi, un* altra ver¬ tigine intorno al proprio centro, contraria alla prima delle venti-» quattr’ oro, e che si compie in un anno. A questo l’intelletto mio sente repugnanza grandissima. i **•* giil non ’’ Saly. Quanto al moto in giù, già s’ò concluso non esser altrimenti uol globot*rr«*»tre,ma r> y n dulia me parti. del globo terrestre, che mai di tal movimento non s’ò mosso nè già mai s’è per muovere ; ma è (se pure è) delle parti, per riunirsi al Moto annuo a molo suo tutto. Quanto poi al movimento annuo ed al diurno, questi, es- tinnii 1 ' compatibili , . . nella Terra. Bendo lutti per il medesimo verso, sono benissimo compatibili, m quella maniera die so noi hiseia.vdmo andare una palla giù por una super- lìcio declive, ella, nello scondere per quella spontaneamente, girerà in sò 8tessa. Quanto poi al terzo moto attribuitole dal Copernico in sò so stessa in un anno, solamente per conservare il suo asse inclinato e diretto verso hi medesima parte del firmamento, vi dirò cosa degna di grandissima considerazione ; cioè, elio tantum abest elio (benché fatto Ogni corpo poimio al contrario dell altro annuo) in esso sia reimgnanza o diflìcultà al- ehbratOjportatoin gì- - 7 * ° ro nella circoiiferonia cuna, che egli naturalisìmnainente e senza veruna causa motrice com- <1 un cerchio, acquata in r sf infimo a ( l ua kivoglia corpo sospeso e librato, il quale, se sarà portato trAno a quello. in giro per la circolifereiiza di un cerchio, immediate per sò stesso GIORNATA TERZA. 425 acquista una conversione circa ’l proprio centro, contraria a quella che lo porta intorno, e tale in velocità, che araenduo finiscono una conversione nell’ istesso tempo precisamente. Potrete veder questa mi- Esperienza la quale 1 . . ili* sensatamente mostra, rabilo ed accomodata al nostro proposito esperienza, mettendo in im due moti contraili nn- , ii • . _ .. . turalinonto convenirti catino d’acqua una palla che vi galleggi, e tenendo il vaso m mano: noi medesimo niobi io. se vi andrete rivolgendo sopra le piante de’ piedi, vedrete immedia¬ tamente cominciar la palla a rivolgersi in se stessa con moto con¬ trario a quel del catino, e finir la sua revoluto ne quando finirà quella del vaso. Ora, che altro è la Terra che un globo pensile e librato io in aria tenue e cedente, il quale, portato in giro in un anno per la circonferenza di un gran cerchio, ben deve acquistar senz’ altro mo¬ tore una vertigine circa ’l proprio centro, annua e contraria all’ altro movimento pur annuo ? Voi vedrete quest’ effetto ; ma se poi andrete più accuratamente considerando, vi accorgerete quest’ esser non cosa reale, ma una semplice apparenza, e quello che vi assembra essere t orzo molo atlri- x x , . bui lo alla Terra ò più un rivolgersi in sò stesso, essere un non si muovere ed un conservarsi prosto un restare ìm- . . ..... 1 imitabile. del tutto immutabile rispetto a tutto quello che fuor di voi o del vaso resta immobile : perchè, so in quella palla segnerete qualche nota, e considererete verso qual parte del muro della stanza dove sete, o della 20 campagna o del cielo, ella riguarda, vedrete tal nota, nel rivolgi¬ mento del vaso e vostro, riguardar sempre verso quella medesima parte ; ma paragonandola al vaso ed a voi stesso, che sete mobili, ben apparirà ella andar mutando direzione, e con movimento con¬ trario al vostro e del vaso andar ricercando tutti i punti del giro di quello ; talché con maggior verità si può dire che voi ed il vaso giriate intorno alla palla immobile, che eh’ essa si volga drento al vaso. In tal guisa la Terra, sospesa e librata nella circonferenza del- l’orbe magno, e situata in tal modo che una delle sue note, qual sarebbe per esempio il suo polo boreale, riguardi verso una tale stella so o altra parte del firmamento, verso la medesima si mantien sempre diretta, benché portata co ’l moto annuo per la circonferenza di esso orbe magno. Questo solo è bastante a far cessare la maraviglia e ri¬ muovere ogni diftìcultà : ma che dirà il Sig. Simplicio se a questa non indigenza di causa coonerante aggiugneremo una mirabile virtù in- Virtù mirabile in- , A ooo , . terna ilei globo terre- trmseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti «tre,di riguardarsene " 7 ° % prole medesima parto verso determinate parti del firmamento? Parlo della virtù magnetica, dei cielo, partieipata costantissiinamente da qualsivoglia pezzo di calamita. .E se VII. 51 420 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. I ogni minima particella (li tal pietra ha in sé tal virtù, chi vorrà dubitare, la medesima più altamente risedere in tutto questo globo Globo terrestre f»t-terreno, abbondante di tal materia, o che forse egli Btesso quanto alla sua interna o primaria sustanza, altro non e che un’ immensa mole di calamita ? Filosofia magnetica Simi*. Adunque voi sete di quelli elio aderiscono alla magnetica di Guglielmo a berti. £j 0B0 £ a Guglielmo Gilberto? Sai/v. Sono per certo, e credo d’aver per compagni tutti quelli che attentamente avranno letto il suo libro e riscontrate le suo espe¬ rienze ; nò sarei fuor di speranza che quello che è intervenuto a me io in questo caso, potesse accadere a voi ancora, tuttavolta che una curiosità simile alla mia ed un conoscere che infinite cose restano in natura incognite a gl' intelletti umani, con liberarvi dalla scliia- vitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali, allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza del vostro senso, si che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non più sentite. Ma (siami permesso d'usar questo Pusillanimit& do termine) la pusillanimità de gl’ ingegni comuni è giunta a segno, che gl' ingogni popolari. il • r a . non solamente alla cieca tanno dono, anzi tributo, del proprio as¬ senso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che nella 20 prima infanzia de’ loro studii gli furono accreditati da i lor precet¬ tori, ma recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposiziono o problema, benché non solamente non sia stato con¬ futato, ma nò pure esaminato nè considerato, da i loro autori : de’ quali uno è questo, di investigare qual sia la vera, propria, primaria, in¬ terna e generai materia e sustanza di questo nostro globo terrestre ; che, benché nè ad Aristotile nò ad altri, prima che al Gilberto, sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che nè Ari¬ stotile nò altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti che al primo motto di questo, quasi cavallo so che adombri, si sono ritirati in dietro e sfuggito di trattarne, spac¬ ciando un tal concetto per una vana chimera, anzi per una solenne pazzia : 0 forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle mani, se un filosofo peripatetico (li gran nomo, credo per assicurar la sua libreria dal contagio, non me n’ avesse fatto dono. Simp. Io, che liberamente confesso essere stato uno de gl’ ingegni comuni, e solamente da questi pochi giorni in qua, che mi è stato GIORNATA TERZA. 427 conceduto d’intervenire a i ragionamenti vostri, conosco di essermi alquanto sequestrato dalle strado trite e popolari, non però mi sento per ancora sollevato tanto, elio lo scabrosità di questa nuova fanta¬ stica opinione non mi sembrino molto ardue e difficili da superarsi. Salv. Se quello elio scrivo il Gilberti è vero, non è opinione, ma soggetto di scienza ; non ò cosa nuova, ma antichissima quanto la Terra stessa ; nò potrà (essendo vera) ossor aspra nò difficile, ma piana ed agevolissima : ed io, quando vi piaccia, vi farò toccar con mano corno voi da per voi stesso vi fate ombra, cd avete in orrore cosa io che nulla tiene in sò di spaventoso, quasi piccolo fanciullo che ha paura della tregenda senza sapere di lei altro cho il nomo, conio quella che oltre al nomo non è nulla. Simp. Avrò piacere d’ esser illuminato e tratto d’errore. Salv. Rispondetemi dunque alle domande eh’ io vi farò. E prima, ditemi se voi credete cho questo nostro globo, cho noi abitiamo o nominiamo Terra, consti di una sola e semplice materia, o pur sia un aggregato di materie diverso tra di loro. Simp. Io lo veggo composto di sustanze e corpi molto diversi ; o prima, per le maggiori parti componenti, veggo 1’ acqua o la terra, 20 sommamente tra di loro differenti. Globo torrcM ro com¬ posto di matorio di¬ verso. Salv. Lasciamo da parte per ora i mari e 1’ altr’ acque, e consi¬ deriamo le parti solide ; e ditemi s’ elle vi paiono tutte una cosa stessa, o pur cose diverse. Simp. Quanto all’ apparenza, io lo veggo diverse, trovandosi gran¬ dissime campagne di infeconda arena, ed altre di terreni fecondi o fruttiferi ; veggonsi infinite montagne sterili ed alpestri, ripiene di duri sassi e pietre di diversissime sorte, come porfidi, alabastri, diaspri e mille e mill’ altre sorte di marmi ; ci sono le minierò vastissime de i metalli di tante spezie, ed in somma tante diver¬ so sita di materie, che un giorno intero non basterebbe a numerarle solamente. Salv. Ora, di tutte queste diverse materie, credete voi che nel compor questa gran massa concorrano porzioni eguali, o pur che tra tutte ce ne sia una parto che di gran lunga superi le altre e sia come materia e sustanza principale della vasta molo ? Simp. Credo che le pietre, i marmi, i metalli, le gemme, e l’altro tante materie diverse, sieno appunto come gioie ed ornamenti este- 428 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. riori e superficiali del primario globo, che in mole penso clie smisu¬ ratamente superi tutto quest’ altre cose. Saly. E questa principale o vasta mole, della quale le nominate cose son quasi escrescenze ed ornamenti, di elio materia credete che sia composta ? Snir. Penso che sia il semplice, o meno impuro, elemento della terra. Saly. Ma per terra elio cosa intendete voi? forse questa eh’è sparsa per lo campagne, la quale si rompe con le vanghe e con gli aratri, dove si seminano i grani e si piantano i frutti, e dove spon- io taneamonte nascono boscaglie grandissimo, e che in somma è 1’ abi¬ tazione di tutti gli animali e la matrice di tutti i vegetabili? Simp. Cotesta direi io che fusso la primaria sustanza di questo no¬ stro globo. Saly. Oh questo non pare a me elio sia bon detto ; perchè questa terra, che si rompe, si semina, e elio è fruttifera, è una parte, e ben sottile, della superficie del globo, la quale non si profonda salvo che per breve spazio, in comparazione della distanza sino al centro: e P esperienza ci mostra elio non molto si cava al basso, che si trovano materie diverse assai da questa esterior corteccia, più sode e non 20 buone alle produzioni de i vegetabili ; oltre che lo parti più interne, come premute da gravissimi pesi che a loro soprastanno, è credibile che siano costipate e dure quanto qualsivoglia durissimo scoglio. Ag- giugnete a questo, elio indarno sarebbe stata contribuita la fecon¬ dità a quello materie che già mai non erano per produr frutto, ma per restare eternamente sepolte ne’ profondi o tenebrosi abissi della Terra. Simp. E ehi ci assicura che le parti più interne e vicine al centro siano infeconde ? forse hanno esse ancora le lor produzioni di cose ignote a noi. 30 Salv. Voi, quanto qualsisia altri, potreste di ciò esser certo, come quello che ben potete comprendere, che so i corpi integranti del- 1’ universo son prodotti solo per benefizio del genere umano, questo sopra tutti gli altri deve esser destinato a i soli comodi di noi abi¬ tatori suoi : ma qual benefizio potremo ritrarre da materie talmente a noi recondite e remote, che già mai non siamo per farcele trat¬ tabili ? Non può dunque l’interna sustanza di questo nostro globo GIORNATA TERZA. 429 essere una materia frangibile dissipatile e nulla coerente, come questa superficiale che noi chiamiamo terra ; ma convien che sia corpo den- Pm-tì intorno del 1 ,, globo tri'i'i -str.» con- gissimo e solidissimo, ccl in somma una durissima pietra. Iti se ella vie» che siano soli- pur debbe esser tale, qual ragione vi ha da far più. renitente al creder che ella sia una calamita, che un porfido, un diaspro o altro marmo duro ? Forse quando il Gilberto avesse scritto che questo globo è in¬ teriormente fatto di pietra serena o di calcidonio, il paradosso vi sa¬ rebbe parso meno esorbitante ? Suip. Che le parti di questo globo più interne siano più compresse, io e per ciò più costipate e solide, e più e più tali secondo die elle si profondan più, lo concedo, e lo concede anco Aristotile ; ma che olle degenerino, e sieno altro che terra della medesima sorta che questa delle parti superficiali, non sento cosa che mi necessiti a concederlo. Saly. Io non ho intrapreso questo ragionamento a fine di conclu¬ dervi demostrativamente che la primaria e reai sostanza di questo nostro globo sia calamita, ma solamente per mostrarvi, niuna ragione ritrovarsi per la quale altri deva esser più renitente a conceder che ei sia di calamita, che di qualche altra materia. E voi, se andrete ben considerando, troverete, non esser improbabile che un solo puro 20 ed arbitrario nome abbia mossi gli uomini a creder che ei sia di terra ; e questo è P essersi serviti comunemente da principio di questo nome terra per significar tanto quella materia che si ara e si se¬ mina, quanto per nominar questo nostro globo; la denominazion del il nostro globo si , _ chiamerebbe pietra, quale se si tusse presa dalla pietra, come non meno poteva prendersi in voce di terra, se tal 1 . . ••*!•/* nomo gli fll886 stato da quella che dalla terra, il dir che la sustanza primaria di esso lusse posto da principio, pietra non arebbe sicuramente trovato renitenza o contradizione in alcuno : e questo ha tanto più del probabile, quanto io tengo per fermo, clie quando si potesse scortecciar questo gran globo, levan¬ done un suolo grosso mille o duanaila braccia, e separar poi le pietre 30 dalla terra, molto e molto maggior sarebbe il cumulo de i sassi, che quello del terreno fecondo. Dello ragioni poi che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, nò questo ò tempo di produrle, e massimo che con vostra comodità le potrete vedere nel Gilberto ; solo, per inani¬ mirvi a leggerlo, vi voglio esporre con certa mia similitudine il pro¬ gresso che egli tiene nel suo filosofare. So che voi sapete benissimo Progresso dei au- quanto la cognizione de gli accidenti conferisca alla investigazione fare. 430 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. della sustanza ed essenza dello coso : poro voglio clic usiate diligenza Proprietà multipli- di ben informarvi di molti accidenti o proprietà elio singolarmente :i della Cttlamitn ‘ B i trovano nella calamita, e non in altra pietra nò in altro corpo, conio sarebbe, per esempio, dell’ attrarre il ferro, del conferirgli, solo con la Bua presenza, la medesima virtù, di comunicargli parimente proprietà di riguardar verso i poli, sì conio una tale ritiene ella in 8 Ò medesima ; cd oltre a questa, fato di veder per prova come in lei risiede virtù di conferire all’ ago magnetico non solamente il dri: « 1 (fri a sotto un meridiano verso i poli con moto orizontalo (proprietà già più tompo fa conosciuta), ma un nuovamente osservato accidente di io declinare (stando bilanciato sotto il meridiano già segnato sopra una sferetta di calamita), declinar, dico, sino a’ determinati segni più e meno, secondo che tal ago si terrà più o meno vicino al polo, sin che sopra l’istesso polo si pianta cretto a perpendicolo, dove che sopra le parti di mezo sta parallelo all’ asse. Di più, proccurate di far prova, corno risedendo la virtù di attrarre il ferro vigorosa assai più verso i poli elio circa le parti di mezo, tal forza è notabilmente più gagliarda nell’ uno cho nell’ altro polo, e questo in tutti i pezzi di calamita, il polo più gagliardo de’ quali ò quello cho riguarda verso austro. Notato appresso, clic in una piccola calamita questo 20 polo australe, 0 più valoroso doli’ altro, diventa più dobile qualunque volta e’ deva sostcnoro il ferro alla presenza del polo boreale di un’altra calamita assai maggioro : e per non far lungo discorso, assicuratevi con 1 ’ esperienza di queste cd altro molte proprietà descritte dal Gil¬ berto, le quali tutte sono talmente proprie della calamita, che nes- Argomenio condii- suna di loro competo a veruna altra materia. Ditemi ora, Sig. Sim- dento, il globo torre- . - « a . . stro esser una caia- plicio : quando vi lusserò proposti mille pezzi di diverse materie, ma ciascheduno coperto e rinvolto in un panno sotto il quale ei si oc¬ cultasse, e vi fosse domandato che, senza scoprirgli, voi faceste opera d’indovinare da segni esteriori la materia di ciascheduno, e che, nel 30 tentare, voi vi incontraste in uno il quale mostrasse apertamente di aver tutte le proprietà da voi già conosciute risedere nella sola ca¬ lamita e non in veruna altra materia, che giudizio fareste voi del- 1 ’ essenza di tal corpo ? direste voi che potesse essere un pezo d’ebano o di alabastro o di stagno? Simp. Direi, senza punto dubitare, clie fosse un pezzo di calamita. Saly. Quando ciò sia, dite pur risolutamente che sotto questa co- GIORNATA TERZA. 431 verta e scorza, di terra, di pietre, di metalli, di acqua etc., si nasconde una gran calamita, poiché intorno ad essa si riconoscono, da chi di osservargli si prendo cura, tutti quei medesimi accidenti che ad un verace e scoperto globo di calamita competer si scorgono : chè quando altro non si vedesse che quello dell’ ago declinatorio, che, portato in¬ torno alla Terra, più e più s’inclina con 1’ avvicinarsi al polo boreale, e meno declina verso 1’ equinoziale, sotto il quale si riduce finalmente all’ equilibrio, dovrebbe bastare a persuadere ogni più renitente giu¬ dizio. Taccio quell’ altro mirabile effetto che sensatamente si vede in io tutti i pezzi di calamita : de i quali a noi, abitatori dell’ emisferio boreale, il polo meridionale di essa calamita è più gagliardo dell’al¬ tro, e la differenza si scorge maggiore quanto più altri si allon¬ tana dall’ equinoziale ; e sotto 1’ equinoziale amendue le parti sono di forze eguali, ma notabilmente più deboli ; rna nelle regioni meri¬ dionali, lontano dall’ equinoziale, si cangia natura, e quella parte che a noi era più debile, acquista vigore sopra 1’ altra : o tutto questo confronta con quello che voggiamo farsi da un piccol pezzetto di calamita alla presenza di un grande, la virtù del quale, prevalendo al minore, se lo rende obbediente, e secondo eh’ e’ si terrà di qua 20 o di là dall’ equinoziale della grande, fa le mutazioni medesime che ho detto farsi da ogni calamita portata di qua o di là dall’equino- zial della Terra. Sagr. Io rimasi persuaso alla prima lettura del libi'O del Gilberto ; ed avendo incontrato un pezzo di calamita eccellentissima, feci per lungo tempo molte osservazioni, e tutte degne d’estrema meraviglia; ma sopra a tutte a me pare stupenda quella dell’ accrescergli tanto la facultà del sostenere un ferro, con 1’ armarla nel modo che ’l me¬ desimo autore insegna : ed io, con armare quel mio pezzo, gli mul- tiplicai la forza in ottupla proporzione, e dove disarmata non soste- so neva appena nove once di ferro, armata ne sosteneva più di sei libbre ; o forse voi arete veduto questo medesimo pezzo nella Galleria del Sei’enissimo Gran Duca vostro (al quale io la cedetti), sostenente due ancorette di ferro. Salv. Io molte volte la veddi, e con gran meraviglia, sin che altro assai maggior stupore mi porse un piccolo pezzetto che si ritrova in inano del nostro Accademico; il quale, non essendo più che once sei di peso, né sostenendo disarmato altro che once dua appena, armato i Calamita armala so- sileno assaissimo più farro elio disarmata. 432 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. no sostiene 1GO, sì elio viene a regger 80 volte più armato che di¬ sarmato, ed a regger peso 26 volte maggiore del suo proprio: ma¬ raviglia assai maggioro di quello che aveva potuto incontrare il Gil- berti, che scrive non aver potuto incontrar calamita che arrivi a sostenere il quadruplo del proprio peso. Sacil Gran campo di filosofare mi par cho porga questa pietra a gl’ intelletti umani : ed io 1’ ho ben mille volto meco medesimo spe- colato, come possa esser che ella porga a quel ferro, che l’arma, forza tanto superiore alla sua propria, e finalmente non trovo cosa che mi quieti ; nè molto costrutto cavo da quel che circa questo par- io ticolare scrive il Gilberto. Non so se 1’ istesso avvenga a voi. Salv. Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa ma¬ neggiata da infiniti ingegni sublimi, nò da alcuno avvertita; panni anco degno di grandissima laude per le molte nuovo e vere osserva¬ zioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per non diminuire i lor libri : quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben 20 fondato nella geometria, la pratica della quale 1’ avrebbe reso men risoluto nell’ accettare por concludenti dimostrazioni quelle ragioni eli’ ei produce per vere cause delle vero conclusioni da se osservate ; le quali ragioni (liberamente parlando) non annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle che di con¬ clusioni naturali, necessarie ed eterne, si possono addurre: e io non dubito che co ’l progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova scienza, con altro nuove osservazioni, e più con vere e neces- 1 primi osservatori sarie dimostrazioni. Nò per ciò deve diminuirsi la gloria del primo ed inventori degni di , . . . „ n essere ammirati. osservatore ; ne 10 stimo meno, anzi ammiro piu assai, il pruno 111- 30 ventor della lira (benché creder si debba che lo strumento fusse ro- zissimamente fabbricato, e più rozamente sonato), che cent’ altri artisti che ne i conseguenti secoli tal professione ridussero a grand’ esqui- sitezza : e parnii che molto ragionevolmente 1’ antichità annumerasse tra gli Dei i primi inventori dell’ arti nobili, già che noi veggiamo il comune de gl’ ingegni umani esser di tanta poca curiosità, e così poco curanti delle cose pellegrine e gentili, che nel vederle e sentirle giornata terza. 433 esercitar da professori esquisitamente non per ciò si muovono a de¬ siderar <1’apprenderle ; or pensate se cervelli di questa sorta si sa¬ riano giamai applicati a volere investigar la fabbrica della lira o all’ invenzion della musica, allettati dal sibilo de i nervi secchi di una testuggine o dalle percosso di quattro martelli. L’applicarsi a grandi invenzioni, mosso da piccolissimi principii, e giudicar sotto una prima e puerile apparenza potersi contenere arti maravigliose, non è da ingegni dozinali, ma son concetti e pensieri di spiriti sopraumani. Ora, rispondendo alla vostra domanda, dico che io ancora lungamente Cagione vera delia , . .. , i . , gran multinlicaziono lobo pensato por ritrovar qual possa essere la cagione di questa cosi di virtù nella calamita . . . . p mediali to l’armatura. tenace e potente congiunzione che noi veggiamo tarsi tra F un ferro, che arma la calamita, e 1’ altro che a quello si congiugne : e prima mi sono assicurato che la virtù e forza della pietra non si agumenta punto per essere armata, per ciò che nè attrae da maggior distanza, nè meno sostiene più validamente un ferro tra ’l quale e 1’ armadura s’interponga una sottilissima carta, sino a una foglia d’ oro battuto ; anzi con tale interposizione più ferro sostiene l’ignuda che l’armata : non ci è dunque mutazione nella virtù, e pure ci è innovazione nel- l 5 effetto : e perchè è necessario che di nuovo effetto nuova sia la ca- dì nuovo effetto 1 nuova couvien che si» 20 gione, ricercando qual novità si introduca nell’atto del sostener con i* cagione. F armadura, altra mutazione non si scorge che nel diverso toccamente, che dove prima ferro toccava calamita, ora ferro tocca ferro ; adun¬ que bisogna necessariamente concludere, i diversi toccamenti esser causa della diversità de gli effetti. La diversità poi tra i contatti, non veggo che possa derivar da altro che dall’ esser la sustanza del ferro di parti più sottili, più pure e più costipate, che quelle della calamita, che son più grosse, inen pure e più rare ; dal che ne se¬ gue, che le superficie de’ due ferri che s’ hanno da toccare, mentre sieno esquisitamente spianate forbite e lustrate, tanto esattamente si 30 congiungono, che tutti gl’ infiniti punti dell’ una si incontrano con gl’ infiniti dell’ altra, sì che i filamenti (per così dire) che collegano i due ferri, sono molti più di quelli che collegano calamita con ferro, per esser la sustanza della calamita più porosa e men sincera, che fa che non tutti i punti e filamenti della superficie del ferro trovino nella superficie della calamita riscontri con chi unirsi. Che P oi }* sustanza del ferro (e massimo del ben purificato, qual è 1 acciaio finis- simo) sia di parti grandemente più dense sottili e pure che la ma- 55 ViL 434 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Mostra*! al senso l’impurità della cala¬ mita. teria della calamita, si vede dal potersi ridurre il suo taglio ad una sottigliezza estrema, qual è il taglio del rasoio, alla quale mai non si condurrebbe a gran segno quel d’ un pezzo di calamita. L’impu¬ rità poi della calamita, e 1’ esser mescolata con altro qualità di pie¬ tre, prima sensatamente si scorge dal colore di alcune macchiette, per lo più biancheggianti, e poi dal presentargli un ago pendente da un filo, il quale sopra tali piotruzze non si può posare, ma, at¬ tratto dalle parti circonfuse, par che sfugga quello e salti sopra la calamita contigua ad esso ; e come alcuno di tali parti eterogenee son per la grandezza loro molto visibili, così possiamo credere altre io in gran copia, per la lor piccolezza incospicue, esserne disseminate por tutta la massa. Conformasi quanto io dico (cioè che la moltitu¬ dine de’ toccamenti che si fanno tra ferro o ferro è causa del tanto saldo congiugnimento) da una esperienza : la qual è, che se noi pre¬ senteremo 1’ aguzza punta d’ un ago all’ armatura della calamita, non più validamente se gli attaccherà che alla medesima ignuda ; il che da altro non può derivare che dall’ esser i due toccamenti eguali, cioè amendue di un sol punto. Ma che più ? prendasi un ago e pon¬ gasi sopirà la calamita sì che una delle sue estremità sporga alquanto infuori, ed a quella si apipresonti un chiodo, al quale subito l’ago si 20 attaccherà, in maniera che ritirando in dietro il chiodo, 1’ ago si ri¬ durrà sospeso, ed attaccato con le sua estremità alla calamita ed al ferro, e ritirando ancora più il chiodo, staccherà 1’ ago dalla cala¬ mita, se però la cruna dell’ ago sarà unita al chiodo e la punta alla calamita ; ma se la cruna sarà verso la calamita, nel rimuovere il chiodo 1’ ago resterà attaccato con la calamita, 0 questo (per mio giudizio) non per altro, se non che, per esser 1’ ago più grosso verso la cruna, tocca in molti più piunti che non fa 1’ acutissima piunta. Sagr. Tutto il discorso mi è piarso molto concludente, e quest’espe¬ rienze dell’ ago me lo rendon di pioco inferiore a una dimostrazion so matematica : ed ingenuamente confesso di non avere in tutta la filo¬ sofia magnetica sentito 0 letto altrettanto, che con simil efficacia renda ragione di alcun altro de’ suoi tanti meravigliosi accidenti ; de i quali se avessimo le cause con tanta chiarezza spiegate, non so qual più suave cibo potesse desiderare l’intelletto nostro. Salv. Nell’ investigar le ragioni delle conclusioni a noi ignote, bi¬ sogna aver ventura d’indirizzar da principio il discorso verso la strada » GIORNATA TERZA. 435 del vero; per la quale quando altri si incammina, agevolmente ac¬ cade che s’incontrino altre ed altre proposizioni conosciute per vere, o per discorsi o per esperienze, dalla certezza delle quali la verità della nostra acquisti forza ed evidenza, come appunto è accaduto a me del presente problema : del quale volendo io con qualche altro riscontro assicurarmi se la ragiono da me investigata fusse vera, cioè che la sustanza della calamita fusse veramente assai men continuata che quella del ferro o dell’acciaio, feci, da quei maestri che lavorano nella Galleria del Gran Duca mio Signore, spianare una faccia di io quel medesimo pezzo di calamita che già fu vostro, e poi quanto più fu possibile pulire e lustrare ; dove con mio contento toccai con mano quel eh’ io cercavo. Imperocché si scopersero molte macchie di color diverso dal resto, ma splendide e lustre quanto qualsivoglia più densa pietra dura ; il resto del campo era pulito, ma al tatto so¬ lamente, non essendo punto lustrante, anzi come da caligine anneb¬ biato : e questa era la sustanza della calamita ; e la splendida, di altre pietre mescolate tra quella, sì come sensatamente si conosceva dall’ accostar la faccia spianata sopra limatura di ferro, la quale in gran copia saltava alla calamita, ma nè pure una sola stilla alle dette 20 macchie: lo quali erano molte ; alcune, grandi quanto la quarta parte di un’ ugna ; altre, alquanto minori ; moltissime poi le piccole ; e le appena visibili, quasi che innumerabili. Onde io mi assicurai, veris¬ simo essere stato il mio concetto, quando prima giudicai dover la sustanza della calamita esser non fissa e serrata, ma porosa o per meglio dire spugnosa, ma con questa differenza, che dove la spugna nelle sue cavità e cellule contiene aria o acqua, la calamita ha le sue ripiene di pietra durissima e grave, come ci dimostra 1’ esquisito lu¬ stro che esse ricevono : onde, come da principio dissi, applicando la superfìcie del ferro alla superficie della calamita, le minime pai’ticelle 30 del ferro, benché continuatissime forse più di quelle di qualsivoglia altro corpo (sì come ci mostra il lustrarsi egli più di qualsivoglia altra materia), non tutte, anzi poche, incontrano sincera calamita, ed essendo pochi i contatti, debile è 1’ attaccamento ; ma perchè l’ar¬ madura della calamita, oltre al toccar gran parte della sua super¬ ficie, si veste anco della virtù delle parti vicine, ancorché non toc¬ che, essendo esattamente spianata quella sua faccia alla quale si applica 1’ altra, pur similmente bene spianata, del ferro da esser so- 436 DIALOGO SOPRA I DDK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. stonuto, il toccamente si fa di innuinevabili minime particelle, ee non forse de gl’infiniti punti di amenduo lo superficie, per lo che l’at¬ taccamento no riesce gagliardissimo. Questa osservazione, di spianar le superficie de i ferri elio si hanno a toccare, non fu avvertita dal Gilberti ; anzi egli fa i ferri colmi, sì elio piccolo è il lor contatto, ondo avviene che minor assai sia la tenacità con la quale essi ferri si attaccano. Sagù. Itesto dall’ assegnata ragione, come dissi pur ora, poco meno appagato che se ella fusse una pura dimostrazion geometrica ; e per¬ chè si tratta di problema fìsico, stimo che anco il Sig. Simplicio si io troverà sodisfatto, per quanto comporta la scienza naturale, nella quale ei sa cho non si deve ricercar la geometrica evidenza. Simp. Panni veramente elio il Sig. Salviati con bel circuito di pa¬ role abbia sì chiaramente spiegata la causa di quest’ effetto, che qual¬ sivoglia mediocre ingegno, ancorché non scienziato, ne potrebbe restar Simpatia o antinn- capace : ma noi, contenendoci dentro a’ termini dell’ arte, riduchiarao filosofi per remi or fn- JcX causa di questi c simili altri eitotti naturali alla simpatia, enee cilmenta lo ragioni di . . , . , ... i . 1 i molti cimiti naturati, certa convenienza e scambievole appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simigliatiti di qualità ; sì come, all’ incontro, quel- l’odio e nimicizia per la quale altre cose naturalmente si fuggono e 20 si hanno in orrore, noi addimandiamo antipatia. Sagù. E così con questi duo nomi si vengono a render ragioni di un numero grande di accidenti ed effetti, cho noi veggiamo, non senza Pìncovoie esempio maraviglia, prodursi in natura. Ma questo modo di filosofare mi par per dichiarar la poca , , , . . .. . • -,. t efficacia di alcuni di-che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere che aveva un amico mio, il quale sopra la tela scriveva con gesso : * Qui vo¬ glio che sia il fonte, con Diana e sue ninfe ; qua, alcuni levrieri : in questo canto voglio che sia un cacciatore, con testa di cervio ; il resto, campagna, bosco e collinette » ; il rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore : e così si persuadeva d’ avere egli stesso dipinto 30 il caso d’Àtteone, non ci avendo messo di suo altro che i nomi. Ma dove ci siamo condotti con sì lunga digressione, contro alle nostre già stabilite costituzioni? Quasi mi è uscito di mente qual fusse la materia che trattavamo allora che deviammo in queste magnetico discorso ; e pure avevo per la mente non so che da dire in quel pro¬ posito. Sai/v. Eramo su ’l dimostrare, quel terzo moto attribuito dal Co- scorsi filosofici. GIORNATA TERZA. 4Ì47 permeo alla Terra non esser altrimenti un movimento, ma una quiete, ed un mantenersi immutabilmente diretta con sue determinate parti verso le medesime o determinate parti dell’ universo, cioè un conser¬ var perpetuamente 1 ’ asse della sua diurna l'evoluzione parallelo a sò stesso e riguardante verso tali stelle fisse : il qual costantissimo stato dicevamo competer naturalmente ad ogni corpo librato e sospeso in un mezo fluido e cedente, che, benché portato in volta, non mu¬ tava direzione rispetto alle cose esterne, ma pareva solamente girare in sè stesso rispetto a quello che lo portava ed al vaso nel quale era io portato. Aggiugnennno poi, a questo semplice e naturale accidente, la virtù magnetica, per la quale il globo terrestre tanto più salda¬ mente poteva contenersi immutabile, etc. Sagr. Già mi sovvien del tutto : e quel che allor mi passava per la mente, e che volevo produrre, era certa considerazione intorno alla difficoltà e instanza del Sig. Simplicio, la quale egli promoveva contro alla mobilità della Terra, presa dalla multiplicità de’ moti, impossibile ad attribuirsi ad un corpo semplice, del quale, in dot¬ trina d’ Aristotile, un solo e semplice movimento può esser naturale ; e quello eli’ io volevo mettere in considerazione, era appunto la ca- 20 lamita, alla quale noi sensatamente veggiamo competer naturalmente tre movimenti : l’uno, verso il contro della Terra, come grave ; il secondo è il moto circolare orizontale, per il quale restituisce e con¬ serva il suo asse versò determinate parti dell’ universo ; il terzo è questo, nuovamente scoperto dal Gilberto, d’inclinar il suo asse, stante nel piano di un meridiano, verso la superficie della Terra, e questo più e meno secondo che ella sarà distante dall’ equinoziale, sotto ’l quale resta parallelo all’ asse della Terra. Oltre a questi tre, non ò forse improbabile che possa averne un quarto, di rigirarsi intorno al proprio asse, qualunque volta ella fusse librata e sospesa in aria so o altro mezo fluido e cedente, sì che tutti gli esterni ed accidentarii impedimenti fussero tolti via ; ed a questo pensiero mostra di applau- dere ancora T istesso Gilberto. Talché, Sig. Simplicio, vedete quanto resti titubante l’assioma d’Aristotile. Soie. Questo non solo non va a ferire il pronunziato, ma nè pure è drizzato alla sna volta, avvenga che egli parli d’ un corpo sem¬ plice e di quello che ad esso possa naturalmente convenire, e voi opponete ciò che avviene ad un misto ; nè dite cosa nuova in dot- Tre moti diversi na¬ turali dalla calamita. 438 DIALOGO SOPRA 1 DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Aristotile» concedo trilla d’Aristotile, pOFClltì egli i®OOI11 concedo a i misti moto COITI¬ SI i misti movimenti , composti. posto OtC. Sagr. Fermato un poco, Sig. Simplicio, o rispondetemi all’ interro¬ gazioni eli’ io vi farò. Voi dite elio la calamita non è corpo semplice ma è un misto : ora io vi domando quali sono i corpi semplici che si mescolano nel compor la calamita. Simp. Io non vi saprò dire gl’ ingredienti nò la doso precisamente ma basta elio sono corpi elementari. Sagr. Tanto basta a me ancora. E di questi corpi semplici ele¬ mentari quali sono i moti loro naturali ? Simp. Sono i due semplici retti, sursum et deorsum. Sagr. Ditemi appresso : credete voi elio ’l moto che resterà natu¬ rale di tal corpo misto debba essere uno che possa risultare dal com¬ ponimento de i due moti semplici naturali de i corpi semplici com¬ ponenti, o pur che possa esser anco un moto impossibile a comporsi di quelli? io Moto do i misti con¬ vieni che sia tale, elio possa risultare dalla composiziono do’moti do’corpi somplici com¬ ponenti. Con duo moti retti non si compongono moti circolari. Si costringono i filo¬ sofi n confessar che la calamita sia composta di susta nzo celesti odi elementari. Fallacia di quelli che chiamano la cala¬ mita corpo misto, e '1 globo terrestre corpo semplice. Smr. Credo che si moverà del moto risultante dal componimento de’ moti de’ corpi semplici componenti, e che d’un moto impossibile a comporsi di questi impossibil sia elio si possa muovere. Sagr. Ma, Sig. Simplicio, con duo moti retti semplici voi non coni- so porrete mai un moto circolare, quali sono li due o i tre circolari diversi che ha la calamita. Vedete dunque in quali angustie condu¬ cono i mal fondati principii, o, per dir meglio, le mal tirate conso- quenze da principii buoni : che adesso sete costretto a dire che la calamita sia un misto composto di sostanze elementari e di celesti, se volete mantenere che ’l moto retto sia solo de gli elementi, e ’l circolare de’ corpi celesti. Però, so volete più sicuramente filosofare, dite che de’ corpi integranti dell’ universo, quolli che son per natura mobili, si muovon tutti circolarmente, e che però la calamita, come parte della verace primaria ed integrai sustanza del nostro globo, 30 ritien della medesima natura ; ed accorgetevi con questa fallacia, elio voi chiamate corpo misto la calamita, e corpo semplice il globo ter¬ restre, il quale si vede sensatamente esser centomila volte più com¬ posto, poiché, oltre il contenere mille e mille materie tra sè diver¬ sissime, contien egli gran copia di questa che voi chiamate mista, dico della calamita. Questo mi paro il medesimo, che se altri chiamasse il pane corpo misto, e corpo semplice 1’ ogliopotrida, nella quale eu- GIORNATA TERZA. 439 trasse anco non piccola quantità di pane, oltre a cento diversi com¬ panatici. Mirabil cosa mi sembra invero, tra l’altre, questa de i Peripatetici, li quali concedono (nè posson (,) negarlo) elio il nostro globo terrestre sia de facto un composto di infinite materie diverso ; con¬ cedono appresso, de i corpi composti il moto dovere esser composto ; i moti elio si posson comporre sono il retto e ’l circolare, atteso che i due retti, per esser contrarii, sono incompatibili tra di loro ; affer¬ mano, P elemento puro della terra non si ritrovare ; confessano che ella non si è mossa già mai di verun movimento locale : e poi vo¬ lo glion porre in natura quel corpo che non si trova, e farlo mobile di quel moto che mai non ha egli esercitato nò mai ò per esercitare; ed a quel corpo che è ed è stato sempre, negano quel moto che prima concedettero dovergli naturalmente convenire. Sai/v. Di grazia, Sig. Sagredo, non ci affatichiam più in questi particolari, e massime che voi sapote che il fin nostro non è stato di determinar risolutamente o accettar per vera questa o quella opi¬ nione, ma solo di propor per nostro gusto quelle ragioni o risposte che per P una e per P altra parte si possono addurre ; e il Sig. Sim¬ plicio risponde questo in riscatto de’ suoi Peripatetici : però laseia- 20 mone il giudizio in pendente, e la determinazione in mano di chi ne sa più di noi. E perchè mi pare che assai a lungo si sia in questi tre giorni discorso circa il sistema dell’ universo, sarà ormai tempo che venghiamo all’ accidente massimo, dal quale presero origine i no¬ stri ragionamenti ; parlo del flusso e reflusso del mare, la cagione del quale pare che assai probabilmente si possa referire a i movimenti della Terra : ma ciò, quando vi piaccia, riserberemo al seguente gionio. In tanto, per non ine lo scordare, voglio dirvi certo particolare, al quale non vorrei che il Gilberto avesse prestato orecchio ; dico dei- fi ammettere che quando una piccola sferetta di calamita potesse esat- so tamente librarsi, ella fusse per girare in sè stessa : perchè nissuna ragione vi è per la quale ella ciò far dovesse. Imperocché, se tutto il globo terrestre ha da natura di volgersi intorno al propino centro in ventiquattr’ ore, c ciò aver debbono ancora tutte le sue parti, dico di girare, insieme co ’l suo tutto, intorno al centro di quello in ven- (1) L’edizione originale legge posso; ma Seminario di Padova, concesse di suo pugno Galileo, nell’esemplare più volte citato del posso in posson. Discorso poripaf li¬ tico pieno di fallacie e contradmoiii. Effetto improba bile ammesso dal Gilberto nella calamita. 440 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. tiquattr’oro, già effettivamonto 1’ hami’ elleno mentre, stando sopra la Terra, vanno insieme con essa in volta ; e P assegnar loro un rivol¬ gimento intorno al proprio centro sarebbe un attribuirgli un secondo movimento, molto diverso dal primo, perchè cosine aver ebbero due, cioè il rivolgersi in vontiquattr’ orti intorno al centro del suo tutto, ed il girare intorno al suo proprio : or questo secondo è arbitrario, nò vi è ragione alcuna d’introdurlo. Se nello staccarsi un pezzo di calamita da tutta la massa naturalo se gli togliesse il seguirla, come faceva mentre gli era congiunto, sì che così restasse privo del rigirare intorno al centro universale del globo terrestre, potrebbe per avven- io tura con qualche maggior probabilità crederò alcuno che quello fusse per appropriarsi una nuova vertigine circa’l suo particolar centro ; ma se esso, non mono separato che congiunto, continua pur tuttavia il suo primo eterno o naturai corso, a che volere addossargliene un altro nuovo ? Sauii. Intendo benissimo, e ciò mi fa sovvenire d’ un discorso assai simile a questo, nell’ esser vano, posto da certi scrittori di sfera, e Discorso vnno dì ni- credo, se ben mi ricordo, tra gli altri dal Sacrobosco: il quale, per «•uni por provar, IVk- . , , . , 1 monto(leii'ncquaesser dimostrar conio i elemento deir acqua si figura, insieme con la Terra. di superficie sferici». . di superficie sierica, onde di amendue si costituisce questo nostro 20 globo, scrive, di ciò esser concludente argomento il veder le minute particelle dell’ acqua figurarsi in forma rotonda, come nelle gocciole nella rugiada e sopra le foglio di molto erbe giornalmente si vedo, e perchè, conforme al trito assioma « La medesima ragione è del tutto che delle parti », appetendo le parti cotal figura, è necessario che la medesima sia propria di tutto P elemento. Ed invero mi par cosa assai sconcia che questi tali non si accorgano di una pur troppo patente leggerezza, 0 non considerino elio quando il discorso loro fusse retto, converrebbe die non solo le minute stillo, ma che qual¬ sivoglia maggior quantità d’ acqua, separata da tutto 1’ elemento, si 30 riducesse in una palla, il che non si vede altrimenti : ma ben si può veder co ’1 senso, e intender con P intelletto, che amando P elemento dell’ acqua di figurarsi in forma sferica intorno al commi centro di gravità, al quale tendono tutti i gravi (che è il centro del globo ter¬ restre), in ciò vien egli seguito da tutte le sue parti, conforme ai- fi assioma ; sì elio tutte le superficie de i mari, de i laghi, de gli sta¬ gni, ed in somma di tutte le parti dell’ acque contenute dentro a GIORNATA TERZA. 441 vasi, si distendono in figura sferica, ma di quella sfera che per cen¬ tro ha il centro del globo terrestre, e non fanno sfere particolari di lor medesime. Salv. L’ errore è veramente puerile, e quando non fusse d’ altri che del Sacrobosco, facilmente glie lo ammetterei ; ma 1’ averlo a per¬ donare anco a suoi comentatori ed ad altri grand’ uomini, e sino a Tolomeo stesso, non posso farlo senza qualche i-ossore per la repu- tazion loro. Ma è tempo di pigliar licenza, send’ or mai l’ora tarda, per esser domani al solito per 1’ ultima conclusione di tutti i passati io ragionamenti. J M MI. GIORNATA QUARTA. Saor. Non so 8G il ritorno vostro a i soliti ragionamenti sia real¬ mente stato più tardo del consueto, o pur se ’1 desiderio di sentire i pensieri del Sig. Salviati intorno a materia tanto curiosa me l’abbia fatto parer tale. Mi sono por una grossa ora trattenuto alla finestra, aspettando di momento in momento di vedere spuntar la gondola, che avevo mandato a levarvi. Salv. Credo veramente che 1* imaginazion vostra, più che la nostra tardanza, abbia allungato il tempo ; e per non lo prolungar più, sarà bene che, senza interporrò altre parole, venghiamo al fatto, e mo- io striamo come la natura ha permesso (o sia che la cosa in rei ventate Laimturaperisohor- stia così, o pur per ischerzo e quasi per pigliarsi giuoco de’nostri zo fa ohe il flusso e re- . . . ,, flusso aura «p. ghiribizzi), ha, dico, permesso, che 1 movimenti, per ogni altro n- doìl'f Tor'ra. m ° ' Bpetto che per sodisfare al flusso e reflusso del mare, attribuiti gran tempo fa alla Terra, si trovino ora tanto aggiustatamente servire alla Flusso o reflusso, o causa di quello, e come vicendevolmente il medesimo flusso e reflusso mobilità torreatro, scambievolmente si comparisca a confermare la terrestre mobilità : gli indizii della quale confermano. t ° sin ora si son presi dallo apparenze celesti, essendo che delle cose che accaggiono in Terra, nessuna era potente a stabilir più questa che quella sentenza, sì come a lungo abbiamo già esaminato, con 20 Effetti torroni indif- mostrare che tutti gli accidenti terreni, per i quali comunemente si ferenti tutti a confer- . . , , 7 L A , maro il moto o in tiene la stabilità della Terra e mobilità del Sole e del firmamento, quiete della Tomi, - ' . # # , i trattone il flusso e ve-devono apparire a noi farsi sotto le medesime sembianze posta ia flusso del mare. , _ ,, _ _ mobilita della Terra e fermezza di quelli ; il solo elemento dell acqua, come quello che ò vastissimo e che non è annesso e concatenato al GIORNATA QUARTA. 443 globo terrestre, come sono tutte 1’ altre sue parti solide, anzi che per la sua fluidezza resta in parte sui iuris e libero, rimane, tra le coso sullunari, nel quale noi possiamo riconoscere qualche vestigio ed in¬ dizio di quel che faccia la Terra in quanto al moto o alla quiete. Io, doppo aver più e più volte meco medesimo esaminati gli effetti ed accidenti, parte veduti c parte intesi da altri, che no i movimenti dell’ acque si osservano, e più lette e sentite le gran vanità prodotte da molti per cause di tali accidenti, mi son quasi sentito non leg¬ giermente tirare ad ammettere queste due conclusioni (fatti però i io presupposti necessari) : clic quando il globo terrestre sia immobile, ri •ima "onorai con- n n -| -| i clusione dol non po- non si possa naturalmente lare il lliisso e reflusso del mare ; e che torsi far flusso o re- -, ,, . flusso stando il «lobo quando al medesimo globo si conieriscano 1 movimenti già assegna- tonestre immobile, tili, è necessario che il mare soggiaccia al flusso e reflusso, conformo a tutto quello che in esso viene osservato. Sagù. La proposiziono è grandissima, sì per sè stessa, sì per quello eh’ ella si tira in conseguenza ; ondo io tanto più attentamente no starò a sentire la dichiarazione e confermazione. Sat,v. Perchè nelle questioni naturali, dello quali questa, che ab¬ biamo alle mani, ne è una, la cognizione de gli effetti è quella clic 20 ci conduce all’ investigazione e ritrovamento dello cause, e senza quella il nostro sarebbe un camminare alla cieca, anzi più incerto, poiché non sapremmo dove riuscir ci volessimo, che i ciechi almeno sanno dove e’ vorrebber pervenire ; però innanzi a tutte 1’ altre cose è necessaria la cognizione de gli effetti de’ quali ricerchiamo le ca¬ gioni : de’ quali effetti voi, Sig. Sagredo, e più abbondantemente e più sicuramente dovete esser informato che io non sono, come quello che, oltre all’ esser nato e per lungo tempo dimorato in Venezia, dove i flussi e reflussi sono molto notabili per la lor grandezza, avete ancora navigato in Soria, e, come ingegno svegliato e curioso, dovete aver so fatte molte osservazioni ; dove che a me, che solamente ho potuto osservare per qualche tempo, benché breve, quello che accade qui in quest’ estremità del golfo Adriatico e nel nostro mar di sotto, in¬ torno alle spiagge del Tirreno, conviene di molte cose starmene alle relazioni di altri, le quali, essendo per lo più non ben concordi, e per conseguenza assai incerte, confusione più tosto che confermazione possono arrecare alle nostre specolazioni. Tuttavia da quelle che aviamo sicure, e clic son anco le principali, panni di poter pervenire al ritro- Cogniziono do gli ef¬ fetti conduco all' inve¬ stigazione dello cause. 444 DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI SISTEMI PEL MONDO. vamento dello vere causo o primarie ; non mi arrogando di potere addur tutte lo ragioni proprie ed adequato di quelli effetti che mi giugnesser nuovi, e elio in conseguenza io non potessi avervi pensato sopra. E quello cho io son per diro, lo propongo solamente come una chiave elio apra la porta di una strada non mai più calpestata da altri, con ferma speranza che ingegni più specolativi del mio siano per allargarsi o penetrar più oltre assai di quello che avrò fatto io in questa mia prima scoperta : ed ancor cho in altri mari, da noi remoti, possano accadere de gli accidenti cho nel nostro Mediterraneo non accaggiono, non per questo resterà di esser vera la ragione e io la causa eh’ io produrrò, tuttavoltachè ella si verifichi e pienamente sodisfaccia a gli accidenti che seguono nel mar nostro ; perchè final¬ mente una sola ha da esser la vera e primaria causa de gli effetti che son del medesimo genere. Dirò dunque l’istoria de gli effetti ch’io so esser veri, e assegneronne la cagiono da me creduta vera ; e voi altri, Signori, ne produrrete de gli altri noti a voi, oltre a i miei, e poi faremo prova se la causa da me addotta possa a quelli ancora so¬ disfare. Tre periodi dei flussi Dico dunque, tre esser i periodi clic si osservano ne i flussi e re¬ struo od annuo. tìussi dell’ acque manne. Il primo e principale è questo grande e no- 20 tissimo, cioè il diurno, secondo il quale con intervalli di alcune ore 1’ acque si alzano e si abbassano ; e questi intervalli sono per lo più nel Mediterraneo di 6 in 6 ore in circa, cioè per 6 ore alzano e per altre 6 abbassano. Il secondo periodo è mestruo, e par che tragga origine dal moto della Luna ; non che ella introduca altri movimenti, ma solamente altera la grandezza de i già detti, con differenza nota¬ bile secondo che ella sarà piena o scema o alla quadratura co ’l Sole. Il terzo periodo è annuo, e mostra depender dal Sole, alterando pur solamente i movimenti diurni, con rendergli, ne’ tempi de’ solstizii, di¬ versi, quanto alla grandezza, da quel che sono ne gli equinozii. 50 Parleremo prima del periodo diurno, come quello che è il prin¬ cipale, e sopra ’l quale par che secondariamente esercitino loro azione Diversità cim acen- la Luna e’l Sole, con loro mestrue ed annue alterazioni. Tre diver- senno nel periodo diurno. luoghi le acque si alzano ed abbassano, senza far moto progressivo ; in altri, senza alzarsi nè abbassarsi, si muovono or verso levante ed or ricorrono verso ponente ; ed in altri variano 1’ altezze e variano sita si osservano in queste mutazioni orarie : imperocché in alcuni GIORNATA QUARTA. 445 il corso ancora, come accade qui in Venezia, dove 1’ acque entrando alzano, e nell’ uscire abbassano : e questo fanno nell 5 estremità delle lunghezze de i golfi che si distendono da occidente in oriente e ter¬ minano in ispiagge, sopra lo quali 1’ acqua nell’ alzarsi ha campo di potersi spargere ; che quando il corso gli fusse intercetto da mon¬ tagne o argini molto rilevati, quivi si alzerebbero ed abbasserebbero . senza moto progressivo. Corrono poi e ricorrono, senza mutare al¬ tezza, nelle parti di mezzo, come accade notabilissimamente noi Faro di Messina tra Scilla e Cariddi, dove le correnti, per la strettezza io del canale, sono velocissimo ; ma ne i mari più aperti e intorno al- l’isole di mezo, come sono lo Baleariclie, la Corsica, la Sardigna, l’Elba, la Sicilia verso la parte di Affrica, Malta, Candia etc., le mu¬ tazioni di altezza sono piccolissime, ma ben notabili le correnti, e massime dove il mare tra l’isole, o tra esse o ’l continente, si ristrigne. Ora, questi soli effetti veraci e certi, quando altro non si vedesse, panni che assai probabilmente persuadano, a chiunque voglia star dentro a i termini naturali, a conceder la mobilità della Terra ; im¬ perocché ritener fermo il vaso del Mediterraneo, c far che 1’ acqua, che in esso si contiene, faccia questo che fa, supera la mia immagi- 20 nazione, e forse quella di ogn’ altro che oltre alla scorza s’internerà in tale specolazione. Simp. Questi accidenti, Sig. Salviati, non cominciano adesso ; sono antichissimi, e stati osservati da infiniti, e molti si sono ingegnati di renderne chi una e chi un’ altra ragione ; e non è molte miglia lontano di qui un gran Peripatetico, che ne adduce una causa nuo¬ vamente espiscata da certo testo di Aristotile, non bene avvertito da’ suoi interpreti, dal qual testo ei raccoglie, la vera causa di que¬ sti movimenti non derivar d’ altronde che dalle diverse profondità de’ mari : imperocché 1’ acque delle più alte profondità, essendo mag- so giori in copia, e per ciò più gravi, discacciano 1’ acque de’ minor fondi, le quali poi, sollevate, voglion descendere ; e da questo continuo combattimento deriva il flusso e reflusso. Quelli poi che referiscon ciò alla Luna, son molti, dicendo che ella ha particolar dominio sopra 1’ acqua : ed ultimamente certo prelato ha pubblicato un trat- tatello, dove dice che la Luna, vagando per il cielo, attrae e solleva verso di sé un cumolo d’ acqua, il quale la va continuamente segui¬ tando, sì che il mare alto è sempre in quella parte che soggiace alla Causa del flusso o reflusso prodotta da corto filosofo moder¬ no. Causa del flusso e reflusso attribuita alla Luna da corto prelato. DIALOGO SO TRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 44G Luna ; o perchè quando essa è sotto 1’ orizonto, pur tuttavia ritorna 1’ alzamento, dico elio non si può dir altro, per salvar tal effetto, so non che la Luna non solo ritiene in sò naturalmente questa facilità, ma in questo caso ha possanza di conferirla a quel grado del zodiaco Girolamo Borro mi che gli è opposto. Altri, come credo elio sappiate, dicono pur elio altri Poripatotici la . . , ,. . roforìscono ni caldo la Luna ha possanza, co 1 suo temporato calore, di rarefar l’acqua temperatodollaLunn. . • XT • V , , . ’ la quale, rarefatta, viene a sol levarsi. iNon ci o mancato anco cln.... Sagù. Di grazia, Sig. Simplicio, non co ne riferite più, elio non mi pare che metta conto di consumare il tempo noi referirle, nè meno lo parole per confutarle ; e voi, quando ad alcuna di questo o simili io leggerezze prestaste 1’ assenso, fareste torto al vostro giudizio, che pur lo conosciamo per molto purgato. Salv. Io, elio sono un poco più flemmatico di voi, Sig. Sagredo, spenderò pur cinquanta pardo in grazia del Sig. Simplicio, se forse egli stimasse, nollo cose da lui raccontato ritrovarsi qualche probabi- sì rispondo alio va- lità. Dico per tanto: L’acquo, Sig. Simplicio, che hanno più alta la nitii addotto por ea- * . . . 1 1 É>iom dei flusso « re- loro superficie esteriore, discacciano quello clic gli sono inferiori o più basse; ma ciò non fanno già le più alto di profondità; e le più alte, scacciate che hanno le più basse, in breve si quietano e si li¬ brano. bisogna elio questo vostro Peripatetico creda che tutti i laghi 20 del mondo che stanno in quiete, 0 tutti i mari dove il flusso e re¬ flusso è insensibile, abbiano i letti loro egualissimi ; ed io era sì sem¬ plice, che mi persuadevo clic, quando altro scandaglio non ci fusse, delia d’Doguuiitò'da! P i s °l G > C ^ G sopravanzano sopra P acque, funsero assai manifesto in¬ fondi dei mare. dizio dell’ inegualità do i fondi. A quel prelato potreste diro che la Luna scorre ogni giorno sopra tutto ’l Mediterraneo, nè però si sol¬ levano le acque salvo che nelle sue estremità orientali e qui a noi in Venezia. A quelli del calor temperato, potente a far rigonfiar 1’ acqua, dite che pongano il fuoco sotto di una caldaia piena d’acqua, 0 che vi tengali dontro la man destra Bin che 1’ acqua per il caldo so si sollevi un sol dito, e poi la cavino, e scrivano del rigonfiamento del mare ; o dimandategli almeno che vi insegnino come fa la Luna a rarefar certa parte dell’ acque e non il rimanente, come dir queste qui di Venezia, e non quelle d’Ancona, di Napoli o di Genova. È forza due'fpo/ìo ,wetici 1,1 ( ^ re °^ ie gP ingegni poetici sieno di due spezie : alcuni, destri ed atti ad inventar le favole ; ed altri, disposti ed accomodati a crederle. Sun*, lo non penso che alcuno creda le favole mentre che per tali GIORNATA QUARTA. 447 le conosce : e delle opinioni intorno alle cagioni del flusso e reflusso, che son molte, perchè so che di un effetto una sola è la cagione pri¬ maria e vera, intendo benissimo e son sicuro che una sola al più po¬ trebbe esser vera, ma tutto il resto so che son favolose e false ; e forse anco la vera non è tra quelle che sin ora son state prodotte : anzi cosi credo esser veramente, perchè gran cosa sarebbe che ’l vero potesse aver sì poco di luce, che nulla apparisse tra le tenebre di tanti falsi. Ma dirò bene, con quella libertà che tra noi è permessa, che l’introdurre il moto della Terra e farlo cagione del flusso e re¬ io flusso mi sembra sin ora un concetto non men favoloso di quanti altri io me n’ abbia sentiti ; e quando non mi fusser porte ragioni più conformi alle cose naturali, senza veruna repugnanza passerei a credere, questo essere un effetto sopra naturale, e per ciò miraco¬ loso e imperscrutabile da gl’ intelletti umani, come infiniti altri ce ne sono, dependenti immediatamente dalla mano onnipotente di Dio. Salv. Voi discorrete molto prudentemente, e conforme anco alla dottrina d’Aristotile, che sapete come nel principio delle sue Quistioni Meccaniche attribuisce a miracolo le cose delle quali le cagioni sono occulte : ma che la causa vera del flusso e reflusso sia delle impene- 20 trabili, non credo che no abbiate indizio maggiore che il vedere come, tra tutte quelle che sin qui sono state prodotte per vere cagioni, nessuna ve ne è con la quale, per qualunque artifizio si adoperi, si possa rappresentar da noi un simile effetto ; attesoché nè con lume di Luna o di Sole, nò con caldi temperati, nè con diverse pro¬ fondità, mai non si farà artifiziosamente correre e ricorrere, alzarsi ed abbassarsi, in un luogo sì ed in altri no, 1’ acqua contenuta in un vaso immobile. Ma se co ’l far muovere il vaso, senza artifizio nessuno, anzi semplicissimamente, io vi posso rappresentar puntual¬ mente tutte quelle mutazioni che si osservano nell’ acque marine, per¬ so cliè volete voi ricusar questa cagiono e ricorrere al miracolo ? Simp. Voglio ricorrere al miracolo se voi con altre cause naturali che co ’l moto de i vasi dell’ acque marine non me ne rimovete, per¬ chè so che tali vasi non si muovono, essendo che tutto l’iutero globo terrestre è naturalmente immobile. Salv. Ma non credete voi che il globo terrestre potesse soprana- turalmente, cioè per l’assoluta potenza di Dio, farsi mobile ? Simp. E chi ne dubita? Non lm il vero sì poca luce, elio non si scorga tra lo tenebro ilo i falsi. Aristotile attribui¬ sco a miracolo gli ef¬ fetti de i quali «'igno¬ rano lo causo. 448 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Salv. Adunque, Sig. Simplicio, già elio per fare il flusso e reflusso del mare ci è bisogno d’introdurre il miracolo, facciamo miracolo¬ samente muover la Terra, al moto della quale si muova poi natural¬ mente il mare : o questa operazione sarà anco tanto più semplice, o dirò naturale, tra lo miracolose, quanto il far muovere in giro un globo, de’ quali ne veggiamo tanti altri muoversi, è mon difficile che ’1 fare andar innanzi o in dietro, dove più velocemente e dove meno, alzarsi ed abbassarsi, dove più e dove meno o dove niente, una im¬ mensa molo d’ acqua, o tutte queste diversità farle nell’ istesso vaso che la contiene ; oltre elio questi son molti miracoli diversi, e quello è io un solo. Ed aggiugnote di più, che ’l miracolo del far muover l’acqua se ne tira un altro in conseguenza, che è il ritener ferma la Terra contro a gli impulsi dell’ acqua, potenti a farla vacillare or verso questa ed or verso quella parte, quando miracolosamente non venga ritenuta. Sagk. Di grazia, Sig. Simplicio, sospendiam per un poco il nostro giudizio circa il sentenziar per vana la nuova opinione che ci vuol esplicare il Sig. Salviati, e non la mettiamo così presto in mazzo con le vecchio ridicoloso : e quanto al miracolo, ricorriamovi parimente doppo che avremo sentito i discorsi contenuti dentro a i termini na- 20 turali ; se ben, per dire il inio senso, a me si rappresentano miraco¬ lose tutte 1’ opere della natura e di Dio. Salv. Ed io stimo il medesimo ; nò il dire elio la cagion naturale del flusso e reflusso sia il movimento della Terra, toglie che questa sia operazion miracolosa. Ora, ripigliando il nostro ragionamento, re¬ plico e raffermo, esser sin ora ignoto come possa essere che 1’ acque contenute dentro al nostro seno Mediterraneo facciano quei movi¬ menti che far se gli veggono, tuttavoltachè l’istesso seno e vaso con¬ tenente resti immobile ; e quello che fa la difficultà, e rende questa materia inestricabile, sono le cose che dirò appresso, e che giornal- 30 mente si osservano. Però notate. Mosto! l'impiiiBi. Siamo qui in Venezia, dove ora sono Tacque basse, ed il mar ^ro'flusao^sUndo*]» 6 ^ ai ’i a tranquilla : comincia 1’ acqua ad alzarsi, ed in termine Terra immobile. di 5 o 6 ore ricresce dieci palmi e più : tale alzamento non è fatto dalla prima acqua, che si sia rarefatta, ma è fatto per acqua nuo¬ vamente venutaci, acqua della medesima sorte clic era la prima, della medesima salsedine, della medesima densità, del medesimo peso : i na- GIORNATA QUARTA. 449 vilii, Sig. Simplicio, vi galleggiano come nella prima, senza demer- gersi un capello di più ; un barile di questa seconda non pesa un sol grano più nè meno che altrettanta quantità dell’ altra ; ritiene la me¬ desima freddezza, non punto alterata : è in somma acqua nuovamente e visibilmente entrata per i tagli e bocche del Lio. Trovatemi ora voi come e donde eli’ è qua venuta. Son forse qui intorno voragini o meati nel fondo del mare, per le quali la Terra attragga e rin- fonda T acqua, respirando quasi immensa e smisurata balena ? Ma se questo è, come nello spazio di G ore non si alza 1’ acqua parimente io in Ancona, in Ragugia, in Corfù, dove il ricrescimento è piccolissimo e forse inosservabile? chi ritroverà modo di infondere nuova acqua in un vaso immobile, e far che solamente in una determinata parte di esso ella si alzi ed al trovo no ? Direte forse, questa nuova acqua venirgli prestata dall’Oceano, porgendogliela per lo stretto di Gibel- terra ? questo non torrà le difficoltà già dette, ed arrecheranno delle maggiori. E prima, ditemi qual deva essere il corso di quell’ acqua, che, entrando per lo stretto, si conduca in G ore sino all’ estreme spiaggie del Mediterraneo, in distanza di due e tremila miglia, e che il medesimo spazio ripassi in altrettanto tempo nel suo ritorno ? che 20 faranno i navilii sparsi pe ’l mare ? elio quelli che fussero nello stretto, in un precipizio continuo di un’ immensa copia di acque, che, en¬ trando per un canale largo non più di 8 miglia, abbia a dare il transito a tant’ acqua che in G ore allaghi uno spazio di centinaia di miglia per larghezza e migliaia per lunghezza ? qual tigre, qual falcone, corse o volò mai con tanta velocità ? con velocità, dico, da far 400 e più miglia per ora. Sono (nè si nega) le correnti per la lunghezza del Golfo, ma così lente che i vasselli da remi le superano, se ben non senza scapito del lor viaggiare. In oltre, se quest’acqua viene per lo stretto, resta pur 1’ altra difficoltà, cioè come si conduca so ad alzar qui tanto, in parti così remote, senza prima alzar per simile o maggiore altezza nelle parti più propinque. In somma non credo che nè ostinazione nò sottigliezza d’ingegno possa ritrovar mai ri¬ piego a queste difficoltà, nè in conseguenza sostener contro di esso la stabilità della Terra, contenendosi dentro a i termini naturali. Sagr. Di questo resto io sin ora benissimo capace, e sto con avidità attendendo di sentire in qual modo queste maraviglie possono seguire senza intoppo da i moti già assegnati alla Terra. VII. 67 450 DIALOGO SOrRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Salv. Come questi effetti abbiano a venire in conseguenza de i mo¬ vimenti cbo naturalmente convengano alla Terra, è necessario che non solamente non trovino repugnanza o intoppo, ma che seguano facilmente, e non solo elio seguano con facilità, ma con necessità, sì Gii offotti naturali che impossibil sia il succedere in altra maniera ; cliò tale è la pro- difflcwitA? 110 " 0 Hull/ l prietà e condizione delle coso naturali o vero. Stabilita dunque l’im¬ possibilità del poter render ragione de i movimenti che si scorgono nell’ acque, ed insieme mantenero T immobilità del vaso che le con¬ tiene, passiamo a vedere so la mobilità del contenente possa ella pro¬ durre T effetto condizionato nella maniera che si osserva seguire, io Duo sorti di movi- Due sorto di movimenti posson conferirsi ad un vaso, per li quali monti dol vaso conto-,, . . « , , . , nente posson faro alza-1 acqua, elio in esso lussa contenuta, acquistasse laculta di scorrere ro od abbassi»r 1*acqua . ,, 1 , , .. . .. , contenutavi. in osso or verso I una or verso 1 altra estremità, o quivi ora alzarsi ed ora abbassarsi. Il primo sarobbo quando or l’una or l’altra di esse estremità si abbassasse, perché allora 1’ acqua, scorrendo verso la parto inclinata, vicendevolmente ora in questa ed ora in quella s’ alzerebbe ed abbasserebbe. Ma perchè questo alzarsi ed abbassarsi non è altro che discostarsi ed avvicinarsi al centro della Terra, tal ConcnvitàdoUaTor. sorta di movimento non può attribuirsi allo concavità della medesima ra non ai possono nv. . .... . , , .. vicinare o allontanare terra, che sono i vasi contenditi Tacque, lo parti de quali vasi, per 20 dal «entro di quella. ...... , , ’ , , \ qualunque moto che si attribuisse al globo terrestre, nè si possono avvicinare nè allontanare dal centro di quello. L’ altra sorta di 1110 - Moto progressivo ed viiiiento è quando il vaso si muovesse (senza punto inclinarsi) di moto inegtiftlopuòfaroscor- . . . . . ror l'acqua contenuta progressivo, non uniforme, madie cangiasse velocità, con accelerarsi talvolta ed altra volta ritardarsi : dalla qual difformità seguirebbe elio 1’ acqua, contenuta sì nel vaso, ma non fissamente annessa, come P altre sue parti solido, anzi, per la sua fluidezza, quasi separata e libera e non obbligata a secondar tutto le mutazioni del suo conti¬ nente, nel ritardarsi il vaso, ella, ritenendo parte dell’ impeto già con¬ cepito, scorrerebbe verso la parto precedente, dovo di necessità ver- so rebbe ad alzarsi ; ed all’ incontro, quando sopraggiugnesse al vaso nuova velocità, ella, con ritener parto della sua tardità, restando alquanto indietro, prima elio abituarsi al nuovo impeto resterebbe verso la parte susseguente, dove alquanto verrebbe ad alzarsi : i quali effetti possiamo più apertamente dichiarare e manifestare al senso con 1’ esempio di una di queste barche lo quali continuamente ven¬ gono da Lizzafusina, piene d’ acqua dolce per uso della città. I* igu- GIORNATA QUARTA. 451 riamoci dunque una tal barca venirsene con mediocre velocità per la Laguna, portando placidamente 1’ acqua della quale ella sia piena, ma che poi, o per dare in secco o per altro impedimento che le sia opposto, venga notabilmente ritardata ; non perciò 1’ acqua contenuta perderà, al pari della barca, l’impeto già concepito, ma, conservan¬ doselo, scorrerà avanti verso la prua, dove notabilmente si alzerà, abbassandosi dalla poppa : ma se, per l’opposito, all’ istessa barca nel mezo del suo placido corso verrà con notabile agumento aggiunta nuova velocità, l’acqua contenuta, prima di abituarsene, restando io nella sua lentezza, rimarrà indietro, cioò verso la poppa, dove in conseguenza si solleverà, abbassandosi dalla prua. Questo effetto è indubitato e chiaro, e puossi a tutte 1’ ore esperimentare ; nel quale voglio che notiamo per adesso tre particolari. Il primo è, che per fare alzar 1’ acqua in una dell’ estremità del vaso, non ci è bisogno di nuova acqua, nò che ella vi corra partendosi dall’ altra estremità. Il secondo è, che 1’ acqua di mezo non si alza nè abbassa notabil¬ mente, se già il corso della barca non fusse velocissimo, e 1’ urto o altro ritegno che la ritenesse, gagliardissimo e repentino, nel qual caso potrebbe anco tutta 1’ acqua non pure scorrer avanti, ma per 20 la maggior parte saltar fuor della barca ; e l’istesso anco farebbo quando, mentre ella lentamente camminasse, improvvisamente gli so- praggiugnesse un impeto violentissimo : ma quando ad un suo moto quieto soppraggiunga mediocre ritardamento o incitazione, le parti di mezo (come ho detto) inosservabilmente si alzano e si abbassano ; e le altre parti, secondo che son più vicine al mezo, meno si alzano, e più le più lontane. Il terzo ò, che dove le parti intorno al mezo poca mutazione fanno nell’alzarsi ed abbassarsi rispetto all’acque delle parti estreme, all’incontro scorron molto innanzi e in dietro, in comparazion dell’estreme. Ora, Signori miei, quello che fa la barca rispetto all’acqua 30 contenuta da essa, e quello elio fa l’acqua contenuta rispetto alla barca, sua contenente, è l’istesso a capello che quel che fa il vaso Mediter¬ raneo rispetto l’acque da esso contenute, e che fanno l’acque contenute rispetto al vaso Mediterraneo, lor contenente. Séguita ora che dimo¬ striamo, come ed in qual maniera sia vero che il Mediterraneo e tutti gli altri seni, ed in somma tutte le parti della Terra, si muovano di moto notabilmente difforme, benché movimento nessuno che regolare ed uniforme non sia, venga a tutto l’istesso globo assegnato. Lo parli (lol globo torrostre si aocolorauo o si ritardano noi lor moto. 452 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Simil Quosto, noi primo aspetto, a ino che non sono nò matema¬ tico nè astronomo, ha sembianza (li un gran paradosso ; e quando sia vero elio, sondo il movimento del tutto regolare, quel dello parti, re¬ stando sempre congiunte al suo tutto, possa essoro irregolare, il para¬ dosso distruggerà 1’ assioma che afferma, tandem esse ralionm tolius d yaiiinm. Saly. Io dimostrerò il mio paradosso, ed a voi, Sig. Simplicio, la- scerò il carico di difender 1’ assioma da esso, o di mettergli daccordo ; o la mia dimostrazione sarà brevo e facilissima, dependente dallo coso lungamente trattate ne i nostri passati ragionamenti, senza indur nè io pure una minima sillaba in grazia del flusso o reflusso. Dimostrasi conio I© parti del globo torre- at ro hi Accelerano o si ritardano. Lo parti di un cer¬ chio regola rmen lo mosso intorno al pro¬ prio contro si muo¬ vono in diversi tempi di moti contrarii. Duo aviamo detto essoro i moti attribuiti al globo terrestre: il primo, annuo, fatto dal suo centro por la circonferenza dell’ orbe ma¬ gno sotto l’ecclittica secondo 1’ ordine do'sogni, cioè da occidente verso oriente; l’altro, fatto dall’iste so globo, rivolgendosi intorno al pro¬ prio centro in ventiquattr’ ore, o questo parimente da occidente verso oriente, benché circa un asse alquanto inclinato o non equidistante a quello della conversione annua. Dalla comimsizione di questi duo movimenti, ciascheduno per sò stesso uniforme, dico resultare un moto difforme nelle parti della Terra: il che, acciò più facilmente s’in-so tenda, dichiarerò facendone la figura. E prima, intorno al contro A descriverò la circonferenza dell’ orbo magno BC, nella quale preso qualsivoglia punto B, circa esso, come centro, descriveremo questo minor cerchio DEFG-, rappresentante il globo terrestre; il quale inten¬ deremo discorrer por tutta la circonferenza dell’ orbe magno co ’l suo centro B da jmnento verso levante, cioè dalla parte B verso 0 : ed oltre a ciò intenderemo il globo terrestre volgersi intorno al proprio cen¬ tro B, pur da ponente verso levante, cioè secondo la successione de i punti I), E, F, 0, nello spazioso di ventiquattr’ore. Ma qui doviamo attentamente notare, come rigirandosi un cerchio intorno al proprio centro, qualsivoglia parto di esso con- vien muoversi in diversi tempi di moti con¬ trarii : il che è manifesto considerando che mentre le parti della circonferenza intorno al punto I) si muovono verso la sinistra, cioè verso E, le opposte, che sono intorno all’ F, acquistano verso la GIORNATA QUARTA. 453 destra, cioò voitio G, talché quando lo parti I) saranno in F, il moto loro sarà contrario a quello cho era prima, quando era in 1) ; in oltre, nell’ istesso tempo cho lo parti E descondono, por così diro, verso F, le G ascondono verso 1). Stante dunque tal contrarietà di moti nelle parti della superficie terrestre, montro che (dia si rigira intorno al pro¬ prio contro, è forza che, nell’accoppiar questo moto diurno con 1’ altro annuo, risulti un moto assoluto per lo parti di essa superficie terrestre ora accelerato assai ed ora altrettanto ritardato : il che è manifesto considerando prima la parto intorno a 1), il cui moto assoluto sarà io velocissimo, come quello cho nasco da due moti fatti verso la mede¬ sima banda, cioò verso la sinistra ; il primo de’ quali ò parto del moto annuo, comuno a tutte lo parti del globo, 1’ altro ò dell’ istesso puntoD, portato pur verso la sinistra dalla vertigine diurna ; talché in questo caso il moto diurno accresco ed accelera il moto annuo : 1’ opposito di cho accado alla parte opposta F, la quale, mentro dal comune moto annuo ò portata, insieme con tutto il globo, verso la sinistra, vicn dalla convei*8Ìon diurna portata ancor verso la destra ; talché il moto diurno viene a detrarre all’ annuo, per lo clic il movimento assoluto, resultante dal componimento di amenduo, no riman ritardato assai : 20 intorno poi a i punti E, G il moto assoluto viene a restaro come eguale al semplice annuo, avvenga cho il diurno niente o poco gli accresco o gli detrae, per non tendere nò a sinistra nò a destra, ma in giù ed in su. Concludiamo per tanto, che sì come è vei'o che il moto di tutto il globo o di ciascuna dello sue parti sarebbe equabilo ed uniformo (piando elle si movessero d’un moto solo, o fusso il sem¬ plice annuo o fusso il solo diurno, così ò necessario che, mescolandosi tali duo moti insieme, no risultino por le parti di esso globo movi¬ menti difformi, ora accelerati ed ora ritardati, mediante gli addita¬ meli o suttrazioni della conversimi diurna alla circolazione annua. La nmtion» doi dua moti annuo © diurno causa l’inegualità nel moto dolio parti dol globo torrostro. 3o Onde se ò vero (corno è verissimo, e V esperienza no dimostra) cho V accelerazione e ritardamento del moto del vaso faccia correre o ri¬ correre nella sua lunghezza, alzarsi ed abbassarsi nelle sue estremità, l’acqua da esso contenuta, chi vorrà por difficoltà nel concedere cho tale effetto possa, anzi pur debba di necessità, accadere all’ acque marine, contenute dentro a i vasi loro, soggetti a cotali alterazioni, c massime in quelli che per lunghezza si distendono da ponente verso levante, cho ò il verso per il quale si fa il movimento di essi vasi i 454 DIALOGO SOPRA I DUE MÀB81MI 8I8TEMI DEL MONDO. Potissimi» e prima- Or questa sia la potissima o primaria causa dal flusso o reflusso, senza 1,01 ° la quale nulla soguirebbo di talo effetto. Ma perché multiplici e varii sono gli accidonti particolari che in diversi luoghi e tempi si osser¬ vano, i quali ò forza elio da altro divorso cause concomitanti depen¬ dano, so ben tutto devono aver connessione con la primaria, però fa di mestiero andar proponendo ed esaminando i diversi accidenti che di tali diversi effetti possano esser cagioni. Accidenti diversi II primo do’ quali è, che qualunque volta l’acqua, mercè d’un «in r è li a' oc ut ente notabile ritardamento o accelerazione di moto del vaso suo conte- vntTin unn Mtromiu neuto, avrà acquistata cagiono di scorrere verso questa o quella estre- io l'equilibrio. mità, o si sarà alzata nell’una ed abbassata nell’altra, non però re¬ sterà in tale stato, quando ben cessasse la eagion primaria, ma, in virtù del proprio poso o naturale inclinazione di livellarsi e librarsi, tornerà per sò stessa con velocità in dietro ; e, come gravo o fluida, non solo si moverà verso l’equilibrio, ma, promossa dal proprio im¬ peto, lo trapasserà, alzandosi nella parte dove prima era più bassa ; nò qui ancora si fermerà, ma di nuovo ritornando in dietro, con pivi reiterate reciprocazioni di scorrimenti ci darà segno conio ella non vuole da una concepita velocità di moto ridursi subito alla privazion di quello ed allo stato di quieto, ma successivamente ci si vuole, man- 20 cando a poco a poco, lentamente ridurrò : in quel modo appunto elio vediamo alcun peso pendonto da una corda, doppo essere stato una volta rimosso dal suo stato di quiete, cioè dal perpendicolo, per sò medesimo ricondurvisi 0 quietanzisi, ma non prima elio molto volto 1 ’ avrà di qua 0 di là, con sue vicendevoli corse 0 ricorso, trapassato. No* vasi più corti lo II secondo accidente da notarsi ò, elio le pur ora dichiarate reci- reciprocazioni flou più ..... frequenti. procaziom di movimento vengon fatto e replicate con maggiore o minor frequenza, cioè sotto più brevi o più lunghi tempi, secondo lo diverse lunghezze de’ vasi contenenti 1 ’ acque ; sì elio negli spazii più brevi lo reciprocazioni son più frequenti, 0 più raro no’ più lunghi : so come appunto nel medesimo esempio do’ corpi pendoli si veggono lo reciprocazioni di quelli elio sono appesi a più lungho corde esser men frequenti cho quelle de i pendenti da fili più corti. La maggior profon- E qui, per il terzo notabile, vien da sapersi, che non solamente la ita fa lo reciproca- , 1 1 acf i ua maggiore o minor lunghezza del vaso è cagiono di far elio 1 ’ acqua sotto diversi tempi faccia le suo reciprocazioni, ma la maggiore o minor profondità opera V isteaso ; ed accade che dell’ acquo contenute dità ioni frequenti. GIOKNATA QUARTA. 455 in ricetti di eguali lunghezze, ma di diseguali profondità, quella elio sarà più profonda faccia le buo librazioni sotto tempi più brevi, o men frequenti siano le reciprocazioni dell’ acque mon profonde. Quarto, vengon degni d’ esser notati o diligentemente osservati i<* ncqun alza o ed abbassarsi alternatamente verso questa o quella estremità ; 1’ altro è il muoversi e scorrere, per così dire orizontalmente, innanzi e in dietro : li quali duo moti differenti differentemente riseggono in di¬ verse parti dell’ acqua. Imperocché lo sue parti estremo son quello io che sommamente si alzano e si abbassano ; quelle di mezo niento assolutamente si muovon in su o in giù ; dell’ altre, di grado in grado quello che son più vicine a gli estremi si alzano ed abbassano pro¬ porzionatamente più delle più remote : ma, per 1’ opposito, dell’ altro movimento progressivo innanzi o ’ndiotro assai si muovono, andando e ritornando, lo parti di mezo, o nulla acquistano 1’ acque elio si tro¬ vano nell’ ultime estremità, se non so in quanto nell’ alzarsi elleno superassero gli argini o traboccassero fuor del suo primo alveo o ri¬ cetto; ma dove è l’intoppo do gli argini eho le raffrenano, solamente si alzano e si abbassano ; nò però restali 1’ acque di mezo di scorrer 20 innanzi o indietro, il elio fanno anco proporzionatamente 1’ altre parti, scorrendo più o mono secondo che si trovali locate più remote o vi¬ cine al mezo. Il quinto particolare accidente dovrà tanto più attentamente esser Accidente dei mo* . . «. .. violenti della Terra considerato, quanto che a noi ò impossibile il rappresentarne con espe- impossibile a rappre- , . sentarsi con mio in nenza e pratica il suo effetto ; e 1’ accidente ò questo. Ne ì vasi fatti pratica. • da noi per arte, o mossi, come lo soprannominate barche, or più ed or meno velocemente, 1’ accelerazione e ritardamento vien sempre par- ticipato nell’ istesso modo (la tutto il vaso e da ciascheduna sua parto : sì che, mentre, v. g., la barca si raffrena dal moto, non più si ritarda so la parte precedente elio la susseguente, ma egualmente tutte parte¬ cipano del medesimo ritardamento ; o l’istesso avviene dell’ accele¬ razione, cioè clic, contribuendo alla barca nuova causa di maggior velocità, nell’ istesso modo si accelera la prora e la poppa. Ma ne’ vasi immensi, quali boho i letti lunghissimi de’ mari, benché essi ancora altro non siano elio alcune cavità fatte nella solidità del globo ter¬ restre, tuttavia mirabilmente avviene che gli estremi di quelli non unitamente, egualmente o ne gl’ istessi momenti di tempo, accreschino « 456 DIALOGO BOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI 1)KL MONDO. o scemino il lor moto ; ma accado che quando 1* una dello sue estre¬ mità si trova avere, in virtù dol componimento do i due moti diurno ed annuo, ritardata grandemente la sua velocità, 1’ altra estremità si ritrovi ancora affetta e congiunta con moto velocissimo: il che, por più facile intelligenza, dichiareremo ripigliando la figura pur ora disegnata. Nella quale se intenderemo un tratto di mare esser lungo, v. g., una quarta, qual è 1* arco BC, perché lo parti B sono, come di sopra si dichiarò, in moto velocissimo, per 1’ unione do’ due movi¬ menti diurno ed annuo verso la medesima banda, ma la parte C al- n lora si ritrova in moto ritardato, come quello che io O ò privo della progressione dopendente dal moto diurno ; se intenderemo, dico, un seno di mare lungo quant’ò l’arco BC, già vedremo come gli estremi suoi si muovono nell’ istesso tempo con molta disugualità. E sommamente differenti sa¬ rebbero lo velocità d’ un tratto di mare lungo mezo cerchio e posto nello stato dell’arco BCD, avvengachò 1’ estremità B si troverrebbe in moto velocissimo, l’altra I) sarebbe in moto tardissimo, e le parti di mezo verso C sarebbero in moto mediocre : o secondo che essi tratti di 20 mare saranno più brevi, participeranno meno di questo stravagante accidente, di ritrovarsi in alcune oro del giorno con le parti loro diver¬ samento affetto da velocità 0 tardità di moto. Sì che se, come nel primo caso, veggiamo per esperienza l’accelerazione e ’l ritardamento, benché partici pati egualmente da tutto lo parti del vaso contenente, esser pur cagione all’acqua contenuta di scorrer innanzi o ’n dietro, che dovremo stimare che accader debba in un vaso così mirabilmente disposto, che molto disegualmente venga contribuita allo sue parti ritardanza di moto ed acceleraziono ? Certo che noi dir non possiamo altro, se non che maggioro 0 più maravigliosa cagione di commozioni nell’acqua, so 0 più strane, ritrovar si debbano. E benché impossibil possa parer a molti che in machine e vasi artifìziali noi possiamo esperimentare gli effetti di un tale accidente, nulla dimeno non è però del tutto impos¬ sibile ; od io ho la costruzione d’ una machina, nella quale partico¬ larmente si può scorgere l’effetto di queste meraviglioso composizioni di movimenti. Ma per quanto appartiene alla presente materia, basta quello che sin qui potete aver compreso con l’immaginazione. GIORNATA QUARTA. 457 Sagr. Io, por la parto mia, molto ben capisco, cpiosto maraviglioso accidente doversi necessari amento ritrovare no i seni de i mari, o massime in quelli elio per gran distanze si distendono da occidente in oriente, cioè secondo il corso do i movimenti del globo terrestre ; o come che oi sia in certo modo inescogitabile e senza esempio tra i movimenti possibili a farsi da noi, cosi non mi ò difficile a crederò che da esso possano derivar effetti non imitabili con nostre artificiali esperienze. Salv. Dichiarate questo coso, ò tempo che venghiamo a esaminare R 0 mirm*ì ragioni a* io i particolari accidenti, o loro diversità, che no’ flussi o reflussi del- !,^e r r vati la nò uuìlaì'V- Tacque per esperienza si osservano. E prima, non dovremo aver dif- r ‘ !nuB "'- Acuità nell’ intendere, onde accaggia clic ne i laghi, stagni, ed anco Causo aucoml© por- . . . «« . » .« » • • ehè n»' i mari piceo!! ne ì mari piccoli, non sia notami ilusso o reflusso : il elio ha uno con- © no i ingiù n«'« si , , .. . . T i i , ,,, . fanno Hossi e reflussi. cludentissimo ragioni. L una o, elio, por la brevità del vaso, noli acqui- stare egli in diverse ore del giorno diversi gradi di velocità, con poca differenza vengano acquistati da tutte le sue parti; ma tanto le pro¬ cedenti quanto le susseguenti, cioè T orientali e 1* occidentali, quasi nell’istesso modo si accelerano o si ritardano; facendosi, di più, (alo alterazione a poco a poco, o non con P opporre un repentino intoppo 20 e ritardamento o una subitanea o grande accelerazione al movimento del vaso contenente, od esso e tutte le sue parti vengon lentamente ed egualmente impressionandosi do i medesimi gradi di velocità: dalla quale uniformità no seguita elio anco 1’ acqua contenuta, con poca contumacia o renitenza riceva lo medesimo impressioni, e per conse¬ guenza molto oscuramente dia segno d’ alzarsi o abbassarsi, scorrendo verso questa o verso P altra estremità ; il quale effetto si vede ancora manifestamente ne’ piccoli vasi artitìziali, ne i quali 1’ acqua conte¬ nuta si va impressionando de gl’ istessi gradi di velocità, tuttavoltachò P accelerazione o ritardamento si faccia con lenta ed uniforme propor- 30 zione. Ma ne i soni de i mari che per grande spazio si distendono da levante a ponente, assai più notabile e difforme è P acceleraziono o ’l ritardamento, mentre una delle sue estremità si troverà in un moto assai ritardato, e P altra sarà ancora di moto velocissimo. La seconda causa è la reciproca librazion dell’ acqua, proveniente dal- P impeto che ella puro avesse concepito dal moto del suo continente, la qual librazione ha, come si è notato, le sue vibrazioni molto fre¬ quenti ne i vasi piccoli : dal che ne risulta, che risedendo ne i movi- VII. 68 458 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. menti terrestri cagione di contribuire all’ ncque movimento solo di dodici in dodici ore, poi elio una volta sola il giorno sommamente si ritarda e sommamente si accelera il movimento de i vasi conte¬ nenti, nientedimeno 1’ altra seconda cagione, dependento dalla gra¬ vità. dell’acqua, che cerca ridursi all’equilibrio, e, secondo la brevità del vaso, ha le sue reciprocazioni o di un’ ora o di due o di tre etc., questa mescolandosi con la prima, elio anco por sè ne i vasi piccoli resta piccolissima, la vien del tutto a render insensibile ; imperocché, non si essendo ancora finita di imprimer la commozione procedente dalla cagion primaria, elio ha i periodi di 12 ore, sopravvien, con- io trariando, 1’ altra secondaria, dependente dal proprio peso dell’ acqua, la quale, secondo la cortezza e profondità del vaso, ha il tempo delle sue vibrazioni di 1, 2, 3 o 4 ore etc., e, contrariando alla prima, la perturba e rimuove, senza lasciarla giugnere al sommo nò al mezo del suo movimento. E da tal contrapposizione resta annichilata in tutto, o molto oscurata, 1’ evidenza del flusso o reflusso. Lascio stare 1’ alterazion continua dell’ aria, la quale, inquietando 1’ acqua, non ci lascorobbo venire in certezza d’un piccolissimo ricroscimento o abbas¬ samento di mezo dito o di minor quantità, che potesse realmente rise¬ derò ne i seni o ricetti di acquo non più lunghi di un grado o duo. 20 Romitìsì la ragiono Vengo, nel secondo luogo, a sciorro il dubbio, come, non risedendo (lussi porlo più si fno-nel primario principio cagione di commuover 1’acque se non di 12 eiatto di 0 oro in 0 or®,, . , . -- in 12 ore, cioè una volta per la somma velocita di moto e 1 altra per la massima tardità, nulladimeno apparisce comunemente il pe¬ riodo do i flussi e reflussi esser di sei in sei oro. Al che si rispondo che tale detenni nazione non si può in verun modo avere dalla cagion primaria solamente, ma vi bisogna inserire le secondarie, cioè la lun¬ ghezza maggioro o minoro de i vasi, e la maggiore o minor profon¬ dità dell’ acquo in essi contenute : le quali cagioni, so ben non hanno azione veruna no i movimenti dell’ acquo, essendo tale aziono della no sola cagion primaria, senza la quale nulla seguirebbe de’ flussi o re¬ flussi, tuttavia l’hanno principalissima nel terminar i tempi delle reciprocazioni, e così potente, che la cagion primaria convien che gli resti soggetta. Non è dunque il periodo dello 6 oro più proprio o naturale di quelli d’ altri intervalli di tempi, ma ben forse il più osservato, per esser quello che compete al nostro Mediterraneo, che solo per lunghi secoli fu praticabile ; ancor che nò tal periodo si GIORNATA QUARTA. 459 osserva in tutto lo suo parti, atteso che in alcuni luoghi più ristretti, qual è 1’ Ellesponto o 1* Egeo, i periodi son assai più brevi, ed anco tra di loro molto differenti : per la qual varietà o sue cagioni, in¬ comprensibili ad Aristotile, dicono alcuni elio, dopo V averla egli lun¬ gamente osservata sopra alcuni Bcogli di Negroponte, tratto dalla disperaziono si precipitasse in mare e spontaneamente s’ annegasse. Avremo nel terzo luogo, molto spedita la ragione, onde avvenga Causnporci.i-«UMni 7 o a . ' ninri, bmohè lunghi*- rhe alcun mare, benché lunghissimo, qual è il Mar Rosso, nulladi- *imi,non»«nt<>noflu*- u 1 . . so o reflusso, meno è quasi del tutto esente da i flussi e reflussi. La qual cosa ac¬ ro cade, perché la sua lunghezza non si distendo dall’ oriente vorso Y occidente, anzi traversa da sirocco verso maestro : ma essendo i movimenti della Terra da occidente in oriente, gli impulsi dell’ acquo vanno sempre a ferire no i meridiani, e non si muovono di parallelo in parallelo ; ondo no i mari elio traversalmento si distendono verso i poli, e elio por 1’ altro verso sono angusti, non resta cagiono di flussi c reflussi se non per la participazione di altro mare co ’l quale comunicassero, elio fussc soggetto a movimenti grandi. Intenderemo, nel quarto luogo, molto facilmente la ragione, per- fihmU refluii per- . . chò ninnimi negli ©- chò i flussi e reflussi siano massimi, quanto all’alzarsi ed abbassarsi «tremi por il medesimo sti : dovo no i canali o bosfori che con tali man comunicano, V acqua so si vede scorrer sempre per l’intenso verso, come accade nel Bosforo Tracio sotto Costantinopoli, dove 1’ acqua scorre sempre dal Mar Ne¬ gro verso la Propontide. Imperocché in esso Mar Negro, per la sua brevità, di poca efficacia sono lo cause principali del flusso e reflusso ; ma all’incontro, scaricandosi in esso grandissimi fiumi, nel dover passare e sgorgar tanto profluvio d’acquo per lo stretto, quivi il corso è assai notabilo e sempre verso mezo giorno. Dove, di più, de¬ viamo avvertire che tale stretto e canaio, benché assai angusto, non 462 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. ò sottoposto allo perturbazioni come lo stretto di Scilla o Cariddi: imperocché quello lift il Mar Nogro sopra verso tramontana, e la Pro- pontide e P Egeo co ’l Mediterraneo postogli, benché per lungo tratto, verso mezogiorno ; ma già, come abbiamo notato, i mari quanto si voglino lunghi da tramontana verso mezogiorno non soggiacciono a i flussi e reflussi : ma porche lo stretto di Sicilia è traposto tra le parti del Mediterraneo disteso por gran distanze da ponente a le¬ vante, cioè secondo la corrente do’ flussi e roflussi, però in questo le agitazioni son molto grandi : o maggiori sarebbero tra lo Colonne, quando lo stretto di Gibilterra s’ aprisso mono ; o grandissimo rife- io riscono essor quelle dello stretto di Magaiianes. Questo ò quanto per ora mi sovviene di poter dirvi intorno allo cause di questo primo periodo diurno del flusso e reflusso e suoi varii accidenti, dove se hanno da propor cosa alcuna, potranno farlo, por passar poi a gli altri due periodi, mostrilo ed annuo. Simp. Non mi par che si possa negare elio il discorso fatto da voi proceda molto probabilmente, argumcntando, corno noi dichiamo, ex suppositionc, ciòò posto che la Terra si muova do i duo movimenti attribuitigli dal Copernico : ma quando si escludano tali movimenti, il tutto resta vano od invalido ; 1’ osclusion poi di talo ipotosi ci viene 20 sì opponente ipotesi dall’ istesso vostro discorso assai manifestamente additata. Voi con la della mobilità «lolla , , _ , Torra, presa in grazia supposizion eie i duo movimenti terrestri rendete ragione del flusso dol flusso o reflusso . , doi mare. e rotìusso, ed all’ incontro, circolarmente discorrendo, dal flusso e re¬ flusso traete l’indizio o la confermazione di quei medesimi movimenti: o passando a più specifico discorso, dite che 1’ acqua per esser corpo fluido, e non tonacemonto annesso alla Terra, non ò costretta ad ubbi¬ dir puntualmento ad ogni suo movimento, dal che inducete poi il suo flusso o reflusso. Io su le vostro stesso pedate arguisco in contrario, o dico : L’ aria ò assai più tenuo o fluida dell’ acqua, o mono annessa alla superficie terrena, alla quale T acqua, se non per altro per la so sua gravità, co ’l premergli sopra assai più che 1’ aria leggierissima, aderisce ; adunque molto meno dovrebbo 1’ aria secondar i movimenti della Terra ; o però quando la Terra si movesse in quella maniera, noi, abitatori di quella e da lei con simile velocità portati, dovremmo perpetuamente sentir un vento da levante, che con intollerabil forza ci ferisse : e del così dover seguire 1’ esperienza ci fa cotidianamente avvertiti ; che se nel correr la posta solamente con velocità di 8 GIORNATA QUARTA. 4G3 o 10 miglia per ora, nell’ aria tranquilla, l’incontrarla noi con la faccia ci rassembra un vento elio non leggiermente ci percuota, elio dovrebbe faro il nostro rapido corso di 800 o 1000 miglia per ora, contro 1’ aria libera da tal moto ? tuttavia nulla di tale accidente sentiamo noi. Salv. A questa instanza, elio ha assai dell’ apparente, rispondo che sì rispondo airin- 1 , % . . stanza falla contro ni- è vero che 1’ aria è più tenue e piu leggiera, e per la sua leggerezza in verticillo doi globo , torrefairo, meno aderente alla Terra, elio l’acqua, tanto più grave o corpu¬ lenta; ma ò poi falsa la conseguenza che voi deducete da questo io condizioni, cioè elio per tal sua leggerezza tenuità e minore aderenza alla Terra ella dovesse esentarsi più dell’ acqua dal secondare i movi¬ menti terrestri, onde a noi, che totalmente gli partecipiamo, tal sua inobbedienza si facesse sensibile e manifesta : anzi accade tutto T op¬ posto. Imperocché, so voi ben vi ricordate, la causa del flusso e re¬ flusso dell’ acqua, assegnata da noi, consiste nel non secondar T acqua la disegualità del moto del suo vaso, ma ritener l’impeto concepito per avanti, senza diminuirlo o crescerlo con quella precisa misura clic si accresce o diminuisco nel suo vaso : perchè dunque nella con¬ servazione e mantenimento dell’impeto concepito prima consiste l’inob- 20 bedienza ad un nuovo agumento o diminuzion di moto, quel mobile che sarà più atto a tal conservaziono, sarà anco più accomodato a dimostrar 1’ effetto che a tal conservazione viene in conseguenza. Ora, quanto sia 1’ acqua disposta a mantenere una concepita agitazione, L'noqua più «un a , , , . . , ,, . ,, . -ì • • li. conservare un'ini poto benché cessi la causa elio 1 impresse, 1 esperienza de ì mari alta- concepito, dio non ò mento commossi da venti impetuosi ce lo dimostra, 1’ onde do i quali, benché tranquillata 1’ aria o cessato il vento, per lungo tempo restano in moto, come leggiadramente cantò il Poeta sacro: Qual Volto Egeo de. : ed il continuar in tal guisa nella commozione deponde dalla gravità dell’ acqua ; imperocché, come altra volta s’ è detto, i corpi leggieri Corpi leggieri più , „ ... , . , . ii, fauili atl c- sse *' mossi 30 son ben piu facili ad esser mossi che ì piu gravi, ma son ben tanto ci>o i gravi, ma son . , manco atti a conser- meno atti a conservar il moto impressoli, cessante la causa movente ; varo a moto, onde 1’ aria, come in sé stessa tenuissima e leggierissima, è agevo- lissimamente mobile da qualsivoglia minima forza, ma è anco inet¬ tissima a conservare il moto, cessante il motore. Però quanto all’ aria che circonda il globo terrestre, direi elio, por la sua aderenza, non meno che 1’ acqua venga portata in giro, e massime quella parte che è contenuta da i vasi, i quali vasi sono le pianure circondate da i 464 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Più ragionevole f> monti ; e questa tal porzione possiamo noi molto più ragionevolmente che l'nria sia rapita . . . , , 10 dalla superficie aspra atteri mire elio sia portata in volta, rapita dall’asprezza della Ter™ dèlta Terra, ohe Otti . . moto cotesto. che la supcriore, rapita dal moto coleste, corno asserito voi Peri- patetici. Quanto sin qui ho dotto mi pare assai competente risposta all’ in¬ staura del Sig. Simplicio ; tuttavia voglio con nuova obbiezione e con nuova risposta, fondata sopra una mirabile esperienza, soprabbon- dantemente dar sodisfazione ad esso, e confermare al Sig. Sagredo la Confurmnsi la v«r- mobilità del globo terrestre. Ilo detto, l’aria, od in particolare duella tiglno della Terra eon ...... . . . . 1 nuovo argomento pre-parte di lei elio non 8i eleva sopra la somnntù delle più alte mon-io so dall' orlo. . iU . » . . taglie, esser dall asprezza della terrestre superficie portata in giro; dal che pare che in conseguenza ne venga, che quando la superficie dolla Terra non fusso ineguale, ma tersa e pulita, non resterebbe cagione per tirarsi in compagnia 1’ aria, o almeno per condurla con tanta uniformità. Ora, la superficie di questo nostro globo non ò tutta scabrosa ed aspera, ma vi sono grandissimo piazze ben lisce, cioè lo superficie di mari amplissimi, le quali, Bendo anco lontanissimo da i gioghi do i monti elio le circondino, non par che possano aver fa¬ cilità di condur seco l’aria sopreminente; o non la conducendo, si do¬ vrebbe in quei luoghi sentir quello che in conseguenza ne viene. 20 Simp. Questa medesima difiieultà volevo io ancora promuovere, la qual mi pare esser di grand’ efficacia. Sai/v. Voi parlato benissimo: di maniera che, Sig. Simplicio, dal non si sentir nell’ aria quello che in conseguenza accadorebbe quando questo nostro globo andasse in volta, voi argomentate la sua immo¬ bilità. Ma quando questo, elio vi par che per necessaria conseguenza sentir si dovesse, in fatto 0 per esperienza si sentisse, 1’ accettereste voi per indizio ed argomento assai gagliardo per la mobilità del me¬ desimo globo? Simp. In questo caso non bisogna parlar con me solo, perchè quando so ciò accadesse, e che a mo no fusse occulta la causa, forse ad altri potrebbe esser nota. Salv. Talché con esso voi non si può mai guadagnare, ma sempre si sta su ’l perdere, e però sarebbe meglio non giocare ; tuttavia, per non piantare il terzo, seguirò avanti. Dicevamo pur ora, e con qual- clie aggiunta replico, che 1’ aria, come corpo tenue e fluido e non saldamente congiunto alla Terra, pareva che non avesse necessità GIORNATA QUARTA. 405 d’obbedire al suo moto, se non in quanto 1’asprezza della superficie terrestre ne rapisce e seco porta una parto a sò contigua, che di non molto intervallo sopravanzi le maggiori altezze delle montagne : la aual norzion d’ aria tanto meno dovrà esser renitente alla conversimi r ft rto vaporo»» vi- terrestre, quanto elio ella è ripiena di vapori fumi ed esalazioni, ma-«ip» »!»'*>«* l,1,,vi - terie tutte participanti delle qualità terreno, o per conseguenza atte nate per lor natura a i medesimi movimenti. Ma dove mancassero le cause del moto, cioè dove la superficie dol globo avesse grandi spazii piani e meno vi fusso dolla mistione de i vapori terreni, quivi io cesserebbe in parto la causa per la quale 1’ aria ambiento dovesse totalmente obbedirò al rapimento della couvorsion terrestre ; sì elio in tali luoghi, mentre che la Terra si volge verso oriente, si dovrebbe sentir continuamente un vento elio ei ferisse spirando da levante verso ponente, e tale spirainento dovrebbe farsi più sensibile dove la ver¬ tigine dol globo fusse più veloce ; il che sarebbe no i luoghi più i’e- moti da i poli e vicini al cerchio massimo della diurna conversione. Ma già de facto V esperienza applaude molto a questo filosofico di¬ scorso : poiché no gli ampi mari o nello lor parti lontane da terra o sottoposto alla zona torrida, cioè comprese da i tropici, dove anco Auro perpetui» don- tra a 1 tropici uj))i 20 T evaporazioni terrestri mancano, si sente una perpetua aura muo- vorso oceuhmto. vero da oriente, con tenor tanto costante, che le navi mercè di quella Navigazioni verso prosperamento se no vanno all’ Indie Occidentali, e dalle medesimo, «in ,j diffioti» u ri- sciogliendo da i lidi messicani, solcano co ’l medesimo favor il Mar Pacifico verso l’Indio, orientali a noi, ma occidentali a loro ; dove che, per 1’ opposito, lo navigazioni di là verso oriente son difficili ed incerte, nè si possono in maniera alcuna far per le medesime strado, ma bisogna costeggiar più verso terra, per trovare altri venti, per così dire, accidentali e tumultuarli, cagionati da altri principii, sì come noi abitanti tra terra ferma continuamente sentiamo per prova: so delle quali generazioni (li venti molto o diverse son le cagioni, che al presente non accade produrrò ; e questi venti accidentarii son quelli che indifferentemente spirano da tutte le parti della Terra, e che v» n ti d» t»rr» par- , . . . , , . . . .. turbuno i uiuri. perturbano ì mari remoti dall’ equinoziale e circondati dalla super¬ ficie aspra della Terra, che tanto è quanto a dire sottoposti a quelle perturbazioni d’aria che confondono quella primaria espirazione, la quale, quando mancassero questi impedimenti accidentarii, si dovrebbe perpetuamente sentire, e massime sopra mare. Or vedete, come gli VÌI. 59 460 DIALOGO BOPRÀ I DUK MAMIMl SISTdfl DKL MORDO. Altra o*4orrA7-Ìoiu« pro«n (InU'aria, in con* forinarlone dui moto dtillu Terra. L« navigazioni nel Mediterraneo da le- vanto verno ponente ai fanno in tempi più brevi che da ponente ▼orso levante. effetti ileir acqua e dell’aria par ohe maravigliosamente b’ accordino con 1’ osservazioni celesti a confermar la mobilità nel nostro globo terrestre. Saur. Voglio pur io ancora, i>or ultimo sigillo, dirvi un partico¬ lare, che mi par che vi eia incognito, e che pur viene in conferma- zion della medesima conclunione. Voi, Sig. Saivinti, avete prodotto quell’accidente che trovano i naviganti dentro a i tropici, dico quella costanza perpetua del vento che gli vion da levante, del quale io ho relazione da chi più volte ha fatto quel viaggio ; e di più (eh’ è cosa notabile) intendo che li marinari non lo chiamano vrnto, ma con altro io nome che ora non ini sovviene. preso form dal suo timore tanto fermo o costante, che, quaudo 1’ hanno incontrato, legano le sarte e l’altro corde dello vele, e sema mai più aver bisogno di toccarle, ancora dormendo, con sicurezza pomon far lor cammino. Ora, questa aura perpetua è stata conosciuta |**r tale dal mio continuo spirare senza interrompimenti ; chè quaudo da altri venti fu-+e interrotta, non sa¬ rebbe stata conosciuta per effetto singolari* o differente da gli altri : dal che voglio inferire che potrebbe e-s. r che anche il mar nostro Medi- terraneo fusse partecipe d’ un tale accidente, ma non osservato, come quello che frequentemente vicn alterato ila altri venti sopra vegnenti, so E questo dico io non senza gran fondamento, anzi con molto pro¬ babili conietture, le quali mi vengono da quello che ho avuto occa¬ sione d’intender mediante il viaggio che feci in Soria, audaudo con¬ solo della Nazione in Aleppo : e qm-t’è, che tenendosi particolar registro e memoria de i giorni delle partenze e de gli arrivi delle navi ne i porti di Ale-Mandria, d’Aie«-.indr> tta e qui di Venezia, nel riscontrarne molti e molti, il che feci per mia curiosità, trovai che ragguagliatainente i ritorni in qua, rii*'* le navigazioni da levante verso ponente, p. r il Mediterraneo ~i fanno in manco tempo chele contrarie, a ragion di 'Jó p r cento; talché i vede che sottosopraiso venti da levante son più |>otcnti che quei da ]>onente. Saiy. Ho caro d’aver imputo quatto particolare, che arreca non piccola confermazione j r la mobilita della Terra. K se bene si po¬ trebbe dire che 1*acqua tutta del Mediterraneo cali perpetuamente verso lo Stretto, come quella che debb* andare a scaricar nell Oceano 1 acque de i tanti fiumi che dentro vi sgorgano, non credo che tal corrente possa esser Lauta, che p-r sà noia bastasse a far sì notabil GIORNATA QUARTA. 467 differenza : il elio ò anco manifesto dal vedersi nel Faro ricorrer 1 > acqua non meno verso levante che correr verso ponente. Sagr. Io, elio non ho, come il Sig. Simplicio, stimolo di sodisfare ad altri elio a me stesso, resto da quanto si è detto appagato circa questa prima parto; però, Sig. Salvia!i, quando vi sia comodo di seguir più, sono apparecchiato ad ascoltarvi. Salv. Farò quanto mi comandate ; ina vorrei pur sentire anco il parer del Sig. Simplicio, dal giudizio del quale posso argumentar quanto io mi potessi prometter, circa questi miei discorsi, dalle scuoio io poripatetiche, se mai gli pervenissero all’ orecchie. Simi>. Non voglio che T mio parer vi vaglia o sorva per coniet- tura do’ giudizi d’ altri, perchè, come più volto ho detto, io son do’ mi¬ nimi in questa sorte di studii, e tal cosa sovverrà a quelli che si sono internati ne gli ultimi penetrali della lìlosolìa, che non può sovvenire a me, elio 1’ ho (come si dico) salutata a pena dalla soglia : tuttavia, per parer vivo, dirò che de gli effetti raccontati da voi, ed in particolare in quest’ ultimo, mi paro ohe senza la mobilità della Terra so no possa rendere assai suffiziento ragiono con la mobilità del cielo solamente, senza introdur novità veruna, fuor che il con- 20 verso di quella che voi stesso producete in campo. È stato ricevuto dalle scuole peripatetiche, 1’ elemento del fuoco ed anco gran parto dell’ aria esser portati in giro, secondo la conversimi diurna, da oriento verso occidente dal contatto del concavo dell’ orbo lunare, come da vaso lor contenente. Ora, senza discostarmi dallo vostre vestigio, vo¬ glio che determiniamo, la quantità dell’ aria partecipante di tal moto abbassarsi sin presso allo sommità dello più alto montagne, e che anco sino in Terra arriverebbe, quando gli ostacoli delle medesimo montagne non l’impedissero : cho corrisponde a quello cho dite voi, cioè che sì come voi affermato, 1’ aria circondata da i gioghi de i so monti esser portata in giro dall’ asprezza della Terra mobile, noi per il converso diciamo, 1’ elemento dell’ aria tutto esser portato in volta dal moto del cielo, trattone quella parte che soggiace a i gioghi, che viene impedita dall’ asprezza della Terra immobile ; e dove voi dicevi, che quando tale asprezza si togliesse, si torrebbe anco all’ aria Tesser rapita, noi possiam dire cho rimossa la medesima asprezza, T aria tutta continuerebbe suo movimento : onde, perchè le super¬ ficie de gli ampli mari sono lisce e terse, sopra di quelle si continua Dimostrasi, conver¬ tendo rargomento, il moto perpotuo del- r aria «In lovanto a ponente provenir dal moto dol cielo. 4KM DIALOGO SOPRA 1 DUE MA88IMI SISTEMI DEL MONDO. il moto dell’ aura, che perpetuamente spira da levante ; e questo si fa più sentire nello parti sottoposto all’equinoziale e dentro a i fro¬ llici, dove il moto del cielo ò più veloce. E si come tal movimento celeste ò potonte a portar seco tutta 1’ aria libera, cosi possiamo molto Motodoii#equanuBaonon condotta 1’ aria cd anco 1’ acqua, non però tal moto avrebbe elio far mo 0 to d dJì 0 cì«ioì'' n indubitate. Dico per tanto, cosa vera, naturale, anzi necessaria, essere «lìmi io rovoiuzioni no elio un medesimo mobile, fatto ìiiuovero in ^iro dalla medesima virtù i corchi minori cho , 1 0 ne i maggiori: il ©ho movente, 111 pili lunijo tempo faccia suo corso per un cerchio mag¬ ai dichiara con dua . . . . * e * em r i - giore che per un minoro ; e questa e verità ricevuta (la tutti, e con¬ fermata da tutte V esperienze, dello quali ne produrremo alcuna. Ne Pnmo esempio. gli oriuoli da ruote, ed in particolare ne i grandi, per temperare il tempo accomodano i loro artefici certa asta volubile orizontalmente, GIORNATA. QUARTA. 475 e nollo sue estremità attaccano duo pesi di piombo ; o quando il tempo andasse troppo tardo, co ’l solo avvicinare alquanto i detti piombi al centro dell’ asta, rendono lo sue vibrazioni più frequenti ; ed al- p incontro, per ritardarlo, basta ritirare i medesimi pesi più verso l’estremità, porche cobi lo vibrazioni si fanno più rade, ed in con¬ seguenza gl’ intervalli dell’ ore si allungano. Qui la virtù movente ò la medesima, cioè il contrappeso, i mobili sono i medesimi piombi, e le vibrazioni loro son più frequenti quando sono più vicini al centro, cioè quando si muovono por minori cerchi. Sospondansi pesi cquali Esempio secondo, io da corde disoguali, e rimossi dal perpendicolo laschmi in libertà ; ve¬ dremo gli appesi a cordo più brevi fare lor vibrazioni sotto più brevi tempi, come quelli che si muovono per cerchi minori. Ma più : attac¬ chisi un tal poso a una corda la quale cavalchi un chiodo fermato nel palco, e voi tenete 1’ altro capo della corda in mano, ed avendo data 1’ andata al pendente peso, mentre ci va facendo sue vibrazioni, tirate il capo della corda elio avete in mano, sì che il peso si vadia alzando ; vedrete nel suo sollevarsi crescer la frequenza delle suo vi¬ brazioni, come quelle che si vanno facendo continuamente per cerchi minori. E qui voglio elio notiate due particolari, degni d’esser sa- nup pm-ttooinri *c- 20 putì. Uno ò, che lo vibrazioni di un tal pendolo si fanno con tal ne- pendoli o loro vibm- cessità sotto tali determinati tempi, che è del tutto impossibile il far¬ gliele far sotto altri tempi, salvo che con allungargli o abbreviargli la corda : del che potete anco di presente con 1’ esperienza accertarvi, legando un sasso a uno spago e tenendo 1’ altro capo in mano, ten¬ tando so mai, per qualunque artifizio si usi, vi possa succederò di farlo andare in qua ed in là sotto altro che un determinato tempo, fuor che con allungare o scorciar lo spago ; che assolutamente ve¬ drete essere impossibile. L’ altro particolare, veramente maraviglioso, è che il medesimo pendolo fa le sue vibrazioni con l’istessa frequenza, so o pochissimo e quasi insensibilmente differente, sien elleno fatte per archi grandissimi o per piccolissimi dell’ istessa circonferenza. Dico che se noi rimoveremo il pendolo dal perpendicolo uno, due o tre gradi solamente, o pure lo rimuoveremo 70, 80, ed anco sino a una quarta intera, lasciato in sua libertà farà nell’ uno e nell’ altro caso le sue vibrazioni con la medesima frequenza, tanto le prime, dove ha da muoversi per un arco di 4 o 6 gradi, quanto le seconde, dove ha da passare archi di 160 o più gradi : il che più manifestamente 476 DIALOGO sona I DUE MASSIMI 8I8TEM1 DEL MONDO. ai vedrà con sospender due pesi eguali da due fili egualmente lunghi, rimovendone poi dal porpendicolo uno per piccola distanza e 1’ altro per grandissima, li quali, posti in libertà, andranno e torneranno sotto gl’stessi tempi, quello per archi assai piccoli, e questo per Problemi nmravigiio- grandissimi. Dal che ne seguita la conclusione d’un problema bei- dènti per’unatunrin lissimo : elio è che, data una quarta di cerchio (ne segnerò qui in .òend^MU ’i>«r d tutt» le terra un poco di figura), qual sarebbe questa AB, eretta all’ orizonte chio. 0 11 tutt ° 11 °° r ' sì che insista su ’l piano toccando nel punto B, e fatto un arco con una tavola ben pulita e liscia dalla parto concava, piegandola se¬ condo la curvità della circonferenza ADB, sì che io una palla ben rotonda e tersa vi possa liberamente scorrer dentro (la cassa di un vaglio è accomodata a tale esperienza), dico che posta la palla in qual¬ sivoglia luogo, o vicino o lontano dall’ infimo ter¬ mine B, come sarebbe mettendola nel punto C o vero qui in D o in E, e lasciata in libertà, in tempi eguali o insensibilmente differenti arriverà al termine B, par¬ tendosi dal C o dal D o dall’ E o da qualsivoglia altro luogo ; accidente veramente maraviglioso. Aggiugneto un altro accidente, non men bello di questo : che ò che anco per tutte le corde tirate 20 dal punto B a i punti C, D, E ed a qualunque altro, non sola¬ mente preso nella quarta BA, ma in tutta la circonferenza del cer¬ chio intero, il mobile stesso scenderà in tempi assolutamente eguali ; talché in tanto tempo scenderà per tutto ’l diametro eretto a per¬ pendicolo sopra il punto B, in quanto scenderà per la BC, quando bene ella suttendesso a un sol grado o a minore arco. Aggiugneto l’altra meraviglia, qual ò che i moti de i cadenti fatti per gli archi della quarta AB si fanno in tempi più brevi che quelli che si fanno per le corde de i medesimi archi : talché il moto velocissimo e fatto nel tempo brevissimo da un mobile per arrivare dal punto A al ter- 30 mino B sarà quello che si farà non per la linea retta AB (ancor che sia la brevissima di tutte quelle che tirar si possono tra i punti A, B), ma per la circonferenza ADB ; e preso anco qualsivoglia punto nel medesimo arco, qual sia, v. g., il punto D, e tirate due corde AD, DB, il mobile, partendosi dal punto A, in manco tempo giugnerà al B venendo per le due corde AD, DB, che per la sola AB ; ma brevis¬ simo sopra tutti i tempi sarà quello della caduta per 1’ arco ADB : GIORNATA QUARTA. 477 e gli stessi accidenti intendaci di tutti gli altri archi minori, presi dall’infimo termine B in su. Sagr. Non più, non più, chè voi mi ingombrate sì di maraviglia, ed in tanto bande mi distraete la mente, eh’ io dubito elio piccola parte sarà quella elio mi resterà libera o sincera per applicarla alla materia principale elio si tratta, o elio pur troppo ò per sò stessa oscura o difficile. Vi pregherò bene clic vogliate favorirmi, spedita elio aviamo la spoliazione do i flussi o reflussi, di esser altri giorni ancora a onorar questa mia c vostra casa, ed a discorrerò sopra tanti io altri problemi che aviamo lasciati in pendente, e che forse non son men curiosi o bolli (li questo che si ò trattato ne i passati giorni o elio oggi dovrà terminarsi. Sai/v. Sarò a servirvi ; ma più di una e di due sessioni bisognerà elio facciamo, se, oltre all’ altre quistioni riserbato a trattarsi appar¬ tatamente, vorremo aggiugnerci le tanto attenenti al moto locale, tanto de i mobili naturali quanto de i proietti, materia diffusamente trattata dal nostro Accademico Linceo. Ma tornando al nostro primo proposito, dove eravamo su il dichiarare come de i mobili circolar¬ mente da virtù motrice, elio continuamente si conservi la medesima, 20 i tempi delle circolazioni erano prefissi o determinati, ed impossibili a farsi più lunghi o più brevi, avendone dati esempi e portate espe¬ rienze sensate e fattibili da noi, possiamo la medesima verità con¬ fermare con lo esperienze do i movimenti colesti de i pianeti, ne i quali si vede mantener l’istessa regola : che quelli che si muovono per cerchi maggiori, più tempo consumano in passargli. Speditissima osservazione di questo abbiamo da i pianeti Medicei, che in tempi brevi fanno lor revoluzioni intorno a Giove. Talché non è da metter dubbio, anzi possiamo tener per fermo e sicuro, che quando, per esempio, la Luna, seguitando di esser mossa dalla medesima facoltà so movente, fusse ritirata a poco a poco in cerchi minori, ella acqui¬ sterebbe disposizione di abbreviare i tempi de i suoi periodi, conformo a quel pendolo del quale, nel corso delle sue vibrazioni, andavamo abbreviando la corda, cioè scorciando il semidiametro delle circon¬ ferenze da lui passate. Sappiate ora che questo, che della Luna ho portato per esempio, avviene e si verifica essenzialmente in fatto. Rammemoriamoci che già fu concluso da noi, insieme co ’l Copernico, non esser possibile separar la Luna dalla Terra, intorno alla quale, Moto annuo dolln Terra per 1* eclittica ineguale, mediante il moto della Lune. 478 PIA LOGO SOI’RA I DUE M ABBIMI 8I8TF.MI DEL MONDO. senza controversia, bì muove in un mese : ricordiamoci parimente che il globo terrestre, accompagnato pur sempre dalla Luna, va per la circonferenza dell’ orbe magno intorno al Solo in un anno, nel qual tempo la Luna bì rivolge intorno alla Terra quasi 13 volte; dal qual rivolgimento seguita elio essa Luna talor si trovi vicina al Solo, cioè quando ò trai Sole o la Terra, e talora assai più lontana, che è quando la Terra riman tra la Luna e il Sole : vicina, in somma, nel tempo della sua congiunzione o novilunio ; lontana, nel plenilunio ed opposizione; e la massima lontananza e la massima vicinità differi¬ scono per quanto ò grande il diametro dell’ orbo lunare. Ora, se è io vero che la virtù che muovo la Terra e la Luna intorno al Sole si mantenga sempre del medesimo vigore ; e bo è vero che il medesimo mobile, mosso dalla medesima virtù, ma in cerchi disoguali, in tempi più brevi passi archi simili do i cerchi minori ; bisogna necessaria¬ mente diro che la Luna quando ò in minor distanza dal Sole, cioè nel tempo della congiunzione, archi maggiori passi dell’ orbe magno, che quando ò in maggior lontananza, cioè nell’ opposizione e pleni¬ lunio : o questa lunare inegualità convien che sia partecipata dalla Terra ancora. Imperocché, so noi intenderemo una linea retta pro¬ dotta dal centro del Sole per il centro del globo terrestre, e prò- 20 lungata sino all’orbe lunare, questa sarà il semidiametro dell’orbo magno, nel quale la Terra, quando fusse sola, si moverebbe uniforme- mente ; ma se nel medesimo semidiametro collocheremo un altro corpo da esser portato, ponendolo una volta tra la Terra e il Sole, ed un’al¬ tra volta oltre alla Terra in maggior lontananza dal Solo, ò forza che in questo secondo caso il moto comune di amenduo secondo la circonferenza dell’ orbe magno, mediante la lontananza della Luna, riesca alquanto più tardo che nell’ altro caso, quando la Luna è tra la Terra e ’l Sole, cioè in minor distanza : talché in questo fatto ac¬ cade giusto quel che avviene nel tempo dell’ oriuolo, rappresentan- ao doci la Luna quel piombo che s’ attacca or più lontano dal centro, per far le vibrazioni dell’ asta men frequenti, ed ora più vicino, per farle più spesse. I)i qui può esser manifesto, come il movimento annuo della Terra nell’orbe magno e sotto l’eclittica non è uniforme, e come la sua difformità deriva dalla Luna ed ha suoi periodi e resti¬ tuzioni mestrue. E perchè si ora concluso, le alterazioni periodiche, mestrue ed annue, de i flussi e reflussi non poter derivare da altra GIORNATA QUARTA. 479 cagione che dall’ alterata proporzione tra il moto annuo e gli addi¬ tameli e Buttrazioni della vertigine diurna ; o tale alterazione poteva farsi in due modi, cioè con 1’ alterare il moto annuo, ritenendo ferma la quantità de gli additameuti, o co ’l mutar la grandeza di questi, mantenendo 1’ uniformità del moto annuo ; già abbiamo ritrovato il primo di questi due modi, fondato Bopra la difformità del moto annuo, dependente dalla Luna e che ha i suoi periodi mestrui : ò dunque necessario elio per tal cagiono i llussi e reflussi abbiano un periodo mestruo, dentro al quale si facciano maggiori e minori. Ora vedete io come la causa del periodo mestruo risiede nel moto annuo, ed in¬ sieme vedete ciò che ha che far la Luna in questo negozio, e corno ella ci entra a parto senza aver che fare niente nò con mari nò con acquo. Saqr. So a uno che non avesso cognizione di veruna sorto di scalo fusse mostrata una torre altissima, o domandatogli so gli desse 1’ animo d’arrivare alla sua suprema altezza, credo assolutamente elio direbbe di no, non comprendendo che in altro modo elio co ’l volare vi si po¬ tesse pervenire ; ma mostraudosegli una pietra non più alta di mezo braccio ed interrogandolo so sopra quella credessi di poter montare, 20 son certo elio risponderebbe di sì, ed anco non negherebbe che non una sola, ma 10, 20 o 100 volte, agevolmente salir vi potrebbe: per lo che, quando se gli mostrassero le scale, co ’l mezo delle (piali, con l’agevolezza da lui conceduta, si poteva pervenire colà dove poco fa aveva affermato esser impossibile di arrivare, credo che, ridendo di sò stesso, confesserebbe il suo poco avvedimento. Voi, Sig. Salviati, mi avete di grado in grado tanto soavemente guidato, che non senza meraviglia mi trovo giunto con minima fatica a quell’ altezza dove io credeva non potersi arrivare ; è ben vero che, per esser stata la scala buia, non mi sono accorto d’ essermi avvicinato nè pervenuto so alla cima se non dopo che, uscendo all’ aria luminosa, ho scoperto gran mare e gran campagna : o come nel salire un grado non è fatica veruna, così ad una ad una delle vostre proposizioni mi son parse tanto chiare, che, sopraggiugnendomi poco o nulla di nuovo, piccolo o nulla mi sembrava essere il guadagno ; onde tanto mag¬ giormente si accresco in me la maraviglia per l’inopinata riuscita di questo discorso, che mi ha scorto all’ intelligenza di cosa eli’ io stimava inesplicabile. Una diilìcultà mi rimane solamente, dalla quale 480 DIALOGO SOPRA I DUK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. desidero di esser liberato ; e questa è, che 86 ’1 movimento della Terra insieme con quel della Luna sotto ’l zodiaco sono irregolari, dovrebbe tale irregolarità essere stata osservata e notata dagli astronomi, il che non so che sia seguito: però voi, elio più di me sete di queste materie informato, liberatemi dal dubbio, o ditemi come sta il fatto. Sai.v. Molto ragionevolmente dubitate : od io ali’ instanza rispon¬ dendo, dico che benché Tastronomia nel corso di molti secoli abbia fatto gran progressi, nell’investigar la constituzione e i movimenti de i corpi celesti, non però è ella sin qui arrivata a sogno tale, che niol- Moitocosepo*»onro- tissime cose non restino indecise, e forse ancora molt’ altre occulte, io staro ancora in nutro* j «••• i • j i • i ■« nomta non o*serv«te. fc, da credere che i pruni osservatori del ciclo non conoscessero altro 0 che un moto comune a tutte le stelle, quale è questo diurno: cre¬ derò bene che in pochi giorni si accorgessero che la Luna era inco¬ stante nel tener compagnia all’ altre stelle, ma che scorressero ben poi molti anni prima che si distinguessero tutti i pianeti ; ed in par- saturno, por in tnr- ticolare penso elio Suturilo, per la sua tardità, e Mercurio, per il u vederti un stia precisamente la struttura dell’ orbo suo, che è quella che volgar¬ mente si chiama la sua teorica, non possiamo noi per ancora indu¬ bitatamente risolvere : testimonio ce ne sia Marte, elio tanto trava¬ glia i moderni astronomi ; ed alla Luna stessa sono stato assegnate variate teoriche, dopo 1’ averla il medesimo Copernico mutata assai da quella di Tolomeo. E per descender più al nostro particolare, cioè QIOIiNATA QUARTA. 481 al moto apparente del Sole e della Luna, di quello è stato osservato certa grande inegualità, per la quale in tempi assai differenti e’ passa li due mezi cerchi dell’ eclittica, divìsi da i punti de gli equinozii ; nel passar l’uno de i quali egli consuma circa a nove giorni di più che nel passar 1’ altro, differenza, come vedete, molto grande e notabile. Ma se nel passare archi piccoli, quali sarebbono, per esempio, i 12 se¬ gni, e’ mantenga un moto regolarissimo, o pure proceda con passi or più veloci alquanto ed or più lenti, come è necessario che segua quando il movimento annuo sia solo in apparenza del Sole, ma in io realtà della Terra accompagnata dalla Luna, ciò non è stato sin qui osservato, nè forse ricercato. Della Luna poi, le cui restituzioni sono state investigato principalmente in grazia do gli eclissi, per i quali basta aver esatta cognizione del moto suo intorno alla Terra, non si è parimente con intera curiosità ricercato qual sia il suo jjrogresso per gli archi particolari del zodiaco. Che dunque la Terra o la Luna nello scorrer per il zodiaco, cioè per la circonferenza dell’ orbe ma¬ gno, si accelerino alquanto no’ novilunii e si ritardino ne’ plenilunii, non deve mettersi in dubbio perchè tal inegualità non si sia mani¬ festata : il che per due ragioni è accaduto ; prima, perchè non è stata 20 ricercata ; secondariamente poi, perchè ella può essere non molto grande. Nò molto grande fa di bisogno che ella sia per produr 1’ ef¬ fetto che si vedo nell’ alterazione delle grandezze de i flussi e reflussi, perchè non solamente tali alterazioni, ma gli stessi flussi o reflussi, son piccola cosa rispetto alla grandezza de’ suggetti in cui si eserci¬ tano, ancor che rispetto a noi ed alla nostra piccolezza sembrino cose grandi. Imperocché 1’ aggiugnere o scemare un grado di velo¬ cità dove ne sono naturalmente 700 o 1000, non si può chiamar grande alterazione nò in chi lo conferisce nè in chi lo ricevo : l’acqua del mar nostro, portata dalla vertigine diurna, fa circa 700 miglia so per ora (clic è il moto comune alla Terra ed ad essa, e però imper¬ cettibile a noi) ; quello che nelle correnti ci si fa sensibile, non è di un miglio per ora (parlo nel mare aperto, e non ne gli stretti), e questo è quello che altera il movimento primo, naturale e magno : e tale alterazione è assai rispetto a noi ed a i navilii, perchè a un vassello che dalla forza de i remi ha di fare nell’ acqua stagnante, v. g., 3 miglia per ora, in quella tal corrente dall’ averla in favore all’ averla contro importerà il doppio del viaggio ; differenza notabi- Il Sole passa una metà dol zodiaco nove giorni piu presto elio 1’ ultra. Moto della Luna ri¬ cercato principalmen¬ te in grazia do gli eclissi. Flussi o reflussi son piccolissimo coso, ri¬ spetto alla VAHtitft do'muri od alla veloci¬ tà del moto dol globo terrestre. VII. 01 482 DIALOGO SOPRA I IUTE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. lissima nel moto della barca, ma piccolissima nel movimento del mare, che viene alterato per la sua settecentesima parte. L’istesso dico del- 1’ alzarsi ed abbassarsi uno due o tre piedi, ed a pena quattro o cinque nell’estremità del seno lungo due mila o più miglia e dove sono profondità di centinaia di piedi : questa alterazione è assai meno, che se, in una delle barche che conducon 1’ acqua dolce, essa acqua, nell’ arrestarsi la barca, s’alzasse alla prua quant’ è la grossezza d’ uu foglio. Concludo por tanto, piccolissime alterazioni rispetto all’im¬ mensa grandezza e somma velocità dii i mari esser bastanti per fare in essi mutazioni grandi in relazione alla piccolezza nostra o di no-io Btri accidenti. Saoh. Rimango pienamente sodisfatto quanto a questa parte : resta da dichiararci corno quelli additamenti e sottrazioni derivanti dalla vertigine diurna si facciano or maggiori ed or minori ; dalla qualo alterazione ci accennaste elio dependova il periodo annuo do gli ac¬ crescimenti e diminuzioni do’ flussi o reflussi. Sai.v. Farò ogni possibile sforzo per lasciarmi intemlore ; ma la difficoltà dell’accidente stesso, o la grand’nstrazion di niente che ci Causodoiiadiiesun- vuol per capirlo, mi sgomentano. La disugualità do gli additamenti o l so d g| 1 i l ' l naaiumott n t! o 8uttrazioni che la vertigine diurna fa sopra’l moto annuo, depende 20 «oprVTmuu>°annuo! dall’ inelinnzion dell* asse del moto diurno sopra’l piano dell’orbe magno 0 vogliamo diro dell’ eclittica, mediante la quale inclinazione 1’ equinoziale sega essa eclittico, restando sopra di lei inclinato ed obbliquo secondo la medesimo inclinazion dell’ asse : 0 la quantità do gli additamenti viene a importar quanto è tutto il diametro di esso equinoziale, stante il centro della Terra ne i punti solstiziali; ma fuor di quelli importa manco e manco, secondo che osso centro si va avvicinando a i punti degli equinozi!, dove tali additamenti son minori che in tutti gli altri luoghi. (Questo è il tutto, ma involto in quella oscurità che voi vedete. Saur. Anzi puro in quella eli’ io non veggo, perchè sin ora non comprendo nulla. Saly. Già l’ho io predetto : tuttavia proveremo so co ’l disegnarne un poco di figura si potesse guadagnar qualche lume, se bene me¬ glio sarebbe il rappresentarla con corpi solidi che con semplici dise¬ gni ; pure ci aiuteremo con la prospettiva e con gli scorci. Segnalilo dunque, couie di sopra, la circonferenza dell’ orbe magno, nella quale GIORNATA QUARTA. •183 intendasi il punto A esser© uno de i solstiziali, ed il diametro AP la eomun sezione del coluro do’ solstizi e del piano dell’ orbe magno o vogliam dir dell’ eclittica, ed in esso punto A esser locato il centro del globo terrestre, 1’ asso del (pialo CAB, inclinato sopra il piano dell’ orbo magno, cade nel piano del detto coluro, elio passa per amenduo gli assi dell’ equinoziale e dell’ eclittica ; e per minor con¬ fusione segneremo il solo cerchio equinoziale, notandolo con questi caratteri DCfEF, del quale la eomun sezione col piano dell’orbe magno sia la linea DE, si elio la metà di esso equinoziale I)FE ri¬ io marra inclinata sotto il piano del- l’orbe magno, o l’altra metà DGE q, elevata sopra. Intendasi ora, la rovo- luzione di esso equinoziale farsi se¬ condo la conseguenza de i punti I), G, E, F, ed il moto del centro da A verso E : o perchè, stante il centro della Terra in A, l’asso Oli (elio è eretto al diametro dell’ equinoziale DE) cade, come si è detto, nel coluro de’solstizii, la eomun seziono del quale o dell’orbe magno è 20 il diametro PA, sarà essa linea PA perpendicolare alla medesima DE, per esser il coluro eretto all’orbe magno, e però essa I)E sarà la tan¬ gente dell’ orbe magno nel punto A ; talché in questo stato il moto del centro per 1’ arco AE, che è di un grado per giorno, pochissimo differisce, anzi è come so lusso fatto per la tangente DAE. E perchè per la vertigine diurna il punto D portato per G in E accresce al moto del centro, mosso quasi per la medesima linea DE, tanto quanto è tutto il diametro DE, ed all’ incontro altrettanto diminuisce mo¬ vendosi per 1’ altro mezo cerchio EFD, saranno gli additamenti e sot¬ trazioni in questo luogo, cioè nel tempo del solstizio, misurati da tutto so il diametro DE. Passiamo ora a vedere se ne i tempi de gli equinozii e’ siano della medesima grandezza : e trasportando il centro della Terra nel punto I, lontano per una quarta dal punto A, intendiamo il medesimo equi¬ noziale GEFD, la sua eomun sezione con l’orbe magno DE, Passe con la medesima inclinazione CB ; ma la tangente dell’ orbe magno nel punto I non sarà più la DE, ma un’ altra che la segherà ad an¬ goli retti, e sia questa notata HIL, secondo la quale verrà ad essere 484 UULOOO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. incamminato il moto del contro I, procedente per la circonferenza dell’ orbe magno. Ora in questo stato gli additameli e suttrazioni non si misurano più nel diametro DE, come prima si fece, perchè, non si distendendo tal diametro secondo la linea del moto annuo UT. anzi segandola ad angoli retti, niente promuovono o detraggono essi termini 1), E ; ma gli additamenti o suttrazioni s’ hanno a prendere da quel diametro che cade nel piano eretto al piano dell’ orbe ma¬ gno e che lo sega secondo la linea 1IL, il qual diametro sarà adesso questo GF : od il moto addiettivo, per così dire, sarà il fatto dal punto G per il mezzo cerchio GEF, e l’ablativo sarà il restante, fatto io per 1’ altro mezo cerchio FDG. Ora questo diametro, por non esser nella medesima linea IIL del moto annuo, anzi perchè la sega, come si vede, nel punto I, restando il termine G elevato sopra ed F de¬ presso sotto il piano dell’ orbe magno, non determina gli additamenti e suttrazioni secondo tutta la sua lunghezza ; ma devesi la quantità di quelli prendere dalla parto della linea HL cho rimano intercetta tra lo perpendicolari tirate sopra di lei da i termini G, F, quali sono queste due GS, FV : sì che la misura de gli additamenti è la linea SV, minore della GF o vero della I)E, che fu la misura de gli addita¬ menti nel solstizio A. Secondo poi che si costituirà il centro della 20 Terra in altri punti del quadrante AI, tirando le tangenti in essi punti e le perpendicolari sopra esse cadenti da i termini de i dia¬ metri dell’ equinoziale segnati da i piani eretti per esse tangenti al piano dell’orbe magno, le parti di esse tangenti (che saranno sempro minori verso gli equinozii e maggiori verso i solstizii) ci daranno le quantità de gli additamenti o suttrazioni. Quanto poi diflerischino i minimi additamenti da i linissimi, è facile a sapersi, perchè tra essi è la differenza medesima che tra tutto 1’ asso o diametro della sfera e la parto di esso che restii tra i cerchi polari, la quale è minor di tutto ’l diametro la duodecima parte prossimamente, intendendo però so de gli additamenti e suttrazioni fatte nell’ equinoziale ; ma negli altri paralleli son minori, secondo che i lor diametri si vanno diminuendo. Questo è quanto io posso dirvi in questa materia e quanto per av¬ ventura può comprendersi sotto una nostra cognizione, la quale, corno ben sapete, non si può aver se non di quelle conclusioni che son ferme e costanti, quali sono i tre periodi in genere de’ flussi e re¬ flussi, come quolli che dependono da cause invariabili, une ed eterne. GIORNATA QUARTA. 485 Ma perchè con questo cagion primario ed universali si mescolano poi lo secondario e particolari, potenti a lar molte alterazioni, o sono, queste secondarie, parto inosservabili ed incostanti, qual è, per esem¬ pio, l’alterazion de i venti, o parte, benché determinate e ferme, non però osservate por la loro multiplicità, come sono lo lunghezze de i seni, lo loro diverse inclinazioni verso questa o quella parte, le tante e tanto diverse profondità dell’ acque ; chi potrà, so non forse doppo spedite, che possano servir corno ipotesi e supposizioni sicure a chi io volesse con le lor combinazioni render ragioni adequate di tutte le apparenze, e dirò anomalie e particolari difformità, cho ne i movi¬ menti dell’acque possono scorgersi? Io mi contenterò d’avere avver¬ tito come le cause accidentarie sono in natura, e son potenti a pro- dur molto alterazioni : le minute osservazioni lo lascorò fare a quelli che praticano diversi mari; e solo, per chiusa di questo nostro di¬ scorso, metterò in considerazione come i tempi precisi do i flussi e reflussi non solamente vengono alterati dalle lunghezze de i seni e dalle profondità varie, ma notabile alterazione ancora penso io che possa provenire dalla conferenza di diversi tratti di mari, differenti 20 in grandezza ed in positura o vogliam dire inclinazione : qual diver¬ sità cade appunto qui nel golfo Adriatico, minore assai del resto del Mediterraneo, o posto in tanta diversa inclinazione, che dove quello ha il suo termine che lo serra dalla parte orientale, cho sono le rive della Soria, questo è racchiuso dalla parte più occidentale ; e perchè nelle estremità sono assai maggiori i flussi e reflussi, anzi quivi so¬ lamente sono grandissimi gli alzamenti ed abbassamenti, molto veri- similmente può accadere che i tempi de i flussi in Venezia si facciano ne i reflussi dell’ altro mare, il quale, come molto maggiore e più di¬ rettamente disteso da occidente in oriente, viene in certo modo ad so aver dominio sopra l’Adriatico ; e però non sarebbe da maravigliarsi quando gli effetti dependenti dalle cagioni primarie non si verificas¬ sero ne i tempi debiti, e rispondenti a i periodi, nell’Adriatico, ma sì bene nel resto del Moditerraneo. Ma queste particolarità ricercano lunghe osservazioni, le quali nè io ho sin qui fatte, nè meno son per poterle fare per 1 ’ avvenire. Sagr. Assai mi par che voi abbiate fatto in aprirci il primo in¬ gresso a così alta specolazione : della quale quando altro non ci 48G DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. aveste arrecato che quella prima generai proposizione, che a me par elio non patisca replica alcuna, dovo molto concludentemente bì di¬ chiara, che stando fermi i vasi contenenti le acque marine, impos- sibil sarchilo, secondo il commi corso di natura, che in esse seguis¬ sero quei movimenti che seguir reggiamo, o che, all’ incontro, posti i movimenti per altri rispetti attribuiti dal Copernico al globo ter¬ restre, debbano necessariamente seguire simili alterazioni ne i mari (piando, dico, altro non ci fosse, questo solo mi par cho superi eli tanto intervallo le vanite introdotte da tanti altri, che il ripensar solamente a quelle mi muove nausea; e molto mi maraviglio che tra io uomini di sublime ingegno, cho pur ve no sono stati non pochi, non sia ad alcuno cascato in monto la incompatibilità che è tra il reci¬ proco moto dell' acqua contenuta o la immobilità del vaso contenente, la quale repugnanza ora mi par tanto manifesta. Salv. Più ò da maravigliarsi, che essendo pur caduto in pensiero ad alcuni di referir la causa de i flussi e reflussi al moto della Terra, onde in ciò hanno mostrato perspicacità maggiore della comune, nello strigner poi il negozio non abbiano afferrato nullo, per non avere in yatn. Non Su*!* per pm- avvertito elio non basta un semplice moto ed uniforme, quale è. v. e Olirò il fiutino 6 re- 1 7 * * 9 > flusso un semplice ino- il semplice duinio del globo terrestre, ina si ricerca un movimento 20 to del globo torroatre». . ineguale, ora accelerato ed ora ritardato ; perchè quando il moto de i vasi sia uniforme, l’acquo contenute si abitueranno a quello, nè mai Opinione di Seieaoo faranno mutazione alcuna. Il dire anco (come si roferisce d’unoan- tico matematico) che il moto della Terra, incontrandosi col moto del¬ l’orbe lunare, cagiona, per tal contrasto, il flusso e reflusso, resta totalmente vano, non solo perchè non vien dichiarato nè si vede come ciò debba seguire, ma si scorge la falsità manifesta, atteso che la conversione della Terra non è contraria al moto della Luna, ma è per il medesimo verso : talché il detto e imaginato sin qui da gli altri resta, al parer mio, del tutto invalido. Ma tra tutti gli uomini so grandi che sopra tal mirabile effetto di natura hanno filosofato, più rispetto*«w«u!ato! eon ra * meraviglio del Keplero che di altri, il quale, d’ingegno libero ed acuto, e che aveva in mano i moti attribuiti alla Terra, abbia poi dato orecchio ed assenso a predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simili fanciullezze. Sagr. Io son d’ opinione che a questi più specolativi sia avvenuto quello che di presente accade a me ancora, cioè il non potere inten- GIORNATA. QUARTA. 487 / dere il viluppo do i tre periodi, annuo mestruo o diurno, e come lo cause loro mostrino di dependere dal Sole e dalla Luna, senza elio nè il Solo nè la Luna abbiano che far nulla con 1* acqua ; negozio, per piena intelligenza del quale a me fa di moBtiero una più fissa o lunga applicazione di mente, la quale sin ora dalla novità e dalla diffidiltà mi resta assai offuscata : ma non dispero, col tornar da ino stesso, in solitudine e silenzio, a ruminar quello che non ben digesto mi rimane nella fantasia, d’ esser por farmene possessore. Aviamo dun¬ que da i discorsi di questi 4 giorni grandi attestazioni a favor del io sistema Copernicano; tra le quali questo tre, prese, la prima, dallo stazioni e retrogradazioni de i pianeti o da i loro accostamenti e al¬ lontanamenti dalla Terra, la seconda dalla rovoluzion del Solo in sò stesso e da quello elio nelle suo macchio si osserva, la terza da i flussi e reflussi del maro, si mostrano assai concludenti. Sai/v. Ci si potrebbe forso in breve aggiugner la quarta, e per av¬ ventura anco la quinta: la quarta, dico, presa dalle stelle fìsse, mentro in loro per esattissimo osservazioni apparissero quelle minimo muta¬ zioni elio il Copernico pone per insensibili. Surge di presento una quinta novità, dalla quale si possa arguir mobilità nel globo terre- 20 stre, mediante quello che sottilissimamente va scoprendo l’Illustris¬ simo Sig. Cesare dulia nobilissima famiglia de i Marsilii di Bologna, pur Accademico Linceo, il quale in una dottissima scrittura va espo r nendo come ha osservato una continua mutazione, benché tardissima, nella linea meridiana ; della quale scrittura, da me ultimamente con stupore veduta, spero che doveri farne copia a tutti gli studiosi dello maraviglie della natura. Sagù. Non è questa la prima volta che io ho inteso parlar del- l’esquisita dottrina di questo Signoi’e, e (li quanto egli si mostri an¬ sioso protettor di tutti i litterati ; e se questa o altra sua opera uscirà 30 in luco, già possiamo esser sicuri che sia per esser cosa insigne. Salv. Ora, perchè è tempo di por fine a i nostri discorsi, mi resta a pregarvi, che se nel riandar più posatamente le cose da me arre¬ cate incontraste delle difficultà o dubbii non ben resoluti, scusiate il mio difetto, sì per la novità del pensiero, sì per la debolezza del mio ingegno, sì per la grandezza del snggetto, e sì finalmente perchè io non pretendo nè ho preteso da altri quell’ assenso eh’ io medesimo non presto a questa fantasia, la quale molto agevolmente potrei am- Sig. Cesare 'Marsilii osserva, In meridiana esser mobile. 488 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. metter por una vanissima chimera e per un solennissimo paradosso • e voi, Sig. Sagredo, so ben ne i discoidi avuti avete molte volte cou grand’ applauso mostrato di rimaner appagato d’alcuno de’ miei pen¬ sieri, ciò stimo io che sia provenuto, in jiarte, più dalla novità che dalla certezza di quelli, ma più assai dalla vostra cortesia, che ha creduto e voluto co ’l suo assenso arrecarmi quel gusto che natural¬ mente sogliamo prendere dall’ approvazione e laude delle cose pro¬ prie. E come a voi mi ha obbligato la vostra gentilezza, così m’ò piaciuta l’ingenuità del Sig. Simplicio ; anzi la sua costanza nel so¬ stener con tanta forza e tanto intrepidamente la dottrina del suo io maestro, me gli ha reso affezionatissimo: e come a V. S., Sig.Sagredo, rendo grazie del cortesissimo affetto, così al Sig. Simplicio chieggio perdono se tal volta co ’l mio troppo ardito e resoluto parlare P ho alterato ; e sia certo che ciò non ho io fatto mosso da sinistro af¬ fetto, ma solo per dargli maggior occasione di portar in mezo pen¬ sieri alti, onde io potessi rendermi più scienziato. Simh. Non occorre che voi arrechiate queste scuse, che son super¬ flue, e massime a me, che, Bendo consueto a ritrovarmi tra circoli e pubbliche dispute, ho cento volte sentito i disputanti non solamente riscaldarsi e tra di loro alterarsi, ma prorompere ancora in parole 20 ingiuriose, o talora trascorrere assai vicini al venire a i fatti. Quanto poi a i discorsi avuti, ed in particolare in quest’ ultimo intorno alla ragione del flusso e reflusso del mare, io veramente uon ne resto in¬ teramente capace ; ma per quella qual si sia assai tenue idea che me no son formata, confesso, il vostro pensiero parermi bene più inge¬ gnoso di quanti altri io me n’abbia sentiti, ma non però lo stimo verace e concludente : anzi, ritenendo sempre avanti a gli occhi della mente una saldissima dottrina, che già da persona dottissima ed emi¬ nentissima appresi ed alla quale è forza quietarsi, so che amendue voi, interrogati se Iddio con la Sua infinita potenza e sapienza po- so teva conferire all’ elemento dell’ acqua il reciproco movimento, che in esso scorgiamo, in altro modo che co ’l far muovere il vaso conte¬ nente, so, dico, che risponderete, avere egli potuto 0 saputo ciò fare in molti modi, ed anco dall’ intelletto nostro inescogitabili. Onde io immediatamente vi concludo, che, stante questo, soverchia arditezza sarebbe se altri volesse limitare e coartare la divina potenza e sa¬ pienza ad una sua fantasia particolare. GIORNATA QUARTA. 489 Sai«v. Mirabile e veramente angelica dottrina : alla quale molto concordemente risponde quell’ altra, pur divina, la quale, mentre ci concede il disputare intorno alla costituzione del mondo, ci soggiu- gne (forse acciò che l’esercizio delie menti umane non si tronchi o anneghittisca) che non siamo per ritrovare 1’ opera fabbricata dalle riue mani. Vaglia dunque 1’ esercizio permessoci ed ordinatoci da Dio per riconoscere e tanto maggiormente ammirare la grandeza Sua, quanto meno ci troviamo idonei a penetrare i profondi abissi della Sua infinita sapienza. io Sagù. E questa potrà esser 1’ ultima chiusa de i nostri ragiona¬ menti quatriduani : dopo i quali se piacerà al Sig. Salviati prendersi qualche intervallo di riposo, conviene che dalla nostra curiosità gli sia conceduto, con condizione però che, quando gli sia meno inco¬ modo, torni a sodisfare al desiderio, in particolare mio, circa i pro¬ blemi lasciati indietro, o da me registrati per proporgli in una o due altre sessioni, conforme al convenuto ; e sopra tutto starò con estrema avidità aspettando di sentire gli elementi della nuova scienza del no¬ stro Accademico intorno a i moti locali, naturale e violento. Ed in tanto potremo, secondo il solito, andare a gustare per un’ ora de’ no- 20 stri freschi nella gondola che ci aspetta. Ir, Fink. vn. 02 DIALOGO SOrRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 491 A Accademico Linceo primo scopritor dello macchie solari e di tutte F altre novità colesti.372 Accelerazione do i gravi naturalmente descondenti cresce di mo¬ mento in momento.255 Acciaio brunito da alcune vedute apparisco chiarissimo o da altro oscurissimo.104 Accidente maraviglioso nel moto de i proietti.180 Da gli accidenti comuni non si posson conoscer le nature diverse. 290 io Accidente maraviglioso dependente dal non inclinarsi F asse della Terra.420 Accidente de i movimenti della Terra impossibile a rappresentarsi con arte in pratica.455 Due particolari accidenti notabili ne i pendoli e loro vibrazioni. 475 Acqua sollevata in una estremità torna per sò stessa all’equi¬ librio .454 Ne i vasi più corti le reciprocazioni dell’ acqua son più frequenti. 454 La maggior profondità dell’ acqua fa le reciprocazioni più fre¬ quenti.454 20 Acqua alza ed abbassa nell’ estremità del vaso, e corre nelle parti di mezo.455 Corso dell’ acqua ne’ luoghi stretti più veloce che negli spaziosi, e perchè.459 Acqua più atta a conservar F impeto concepito, che non è F aria. 403 Alchimisti interpretano le favole per segreti da far oro.130 Alcuni scrivono quel che non intendono, e però non s’intende quel che essi scrivono.103 Alcuni, discorrendo, prima si fissano nella mento la conclusione da lor creduta, o poi adattano a quella i discorsi.299 492 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Alterazioni negli effetti arguiscono alterazioni nelle cause. ... 471 L’Antiticone accomoda le osservazioni astronomiche a i suoi disegni. 77 Animali non si stancherebbero, quando il lor moto procedesse come quello che viene attribuito al globo terrestre.295 Argento brunito apparisce più oscuro che il non brunito, e perché.104 Appressamento e discostamento do i tre pianeti superiori importa il doppio della distanza del Sole.352 L’aria toccandoci sempre con la medesima parte, non ci ferisce. 279 io Più ragionevole è che l’aria sia rapita dalla superficie aspra della Terra, che dal moto celeste.4G4 Argomento. Argomento cornuto, detto altrimenti sorite. 66 Argomento elio necessariamente prova, lo macchie solari gene¬ rarsi e dissolversi. 79 Argomento terzo, preso da i tiri d'artiglieria verso levante e verso ponente.152 Argomenti di due generi intorno alla quistione del moto o quiete della Terra.151 20 Argomenti di Tolomeo, di Ticone e d’altri, oltre a quelli d’Ari- stotile.151 Primo argomento, preso da i cadenti da alto a basso.151 Secondo argomento, preso dal proietto tirato in grande altezza. 152 Argomento preso dalle nugole e da gli uccelli.158 Argomento preso dal vento che ci par ferirci mentre corriamo a cavallo. . , ... 158 Argomento preso dalla vertigine, che ha facoltà d’estrudere e dis¬ sipare .158 Sciogliesi l’argomento preso da i tiri verso levante 0 verso po- so nente.196 Si confuta in altra maniera l’argomento preso da i cadenti a per¬ pendicolo .273 Argomenti contro al moto della Terra presi ex rerum natura. . 281 Argomento contro al triplicato moto della Terra.28o Argomento preso da gli animali, che hanno bisogno di riposo, benché il moto loro sia naturale.293 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 493 Argomento del Keplero a favor del Copernico.294 Argomento di Ticone fondato sopra ipotesi falso.38B Argomento concludente, il globo terrestre esser una calamita. . 430 Aristotile. Sustanze celesti inalterabili, ed elementari alterabili, necessarie in natura, di mento d’Aristotile. 33 Aristotile fa il mondo perfetto, perchè ha la trina dimensione . 34 Dimostrazione d’Aristotile per provar, le dimensioni esser tre. . 34 Parti del mondo dua por Aristotile, celeste ed elementare, tra io di loro contrarie. 38 Aristotile accomoda i precetti dell’architettura alla fabrica, e non la fabrica a i precetti. 40 Definizion della natura o difettosa, o indotta fuor di tempo da Aristotile. 39 Linea circolare perfetta, secondo Aristotile, e la retta imperfetta, e perchè. 42 Argomento d’Aristotile por provar che i gravi si muovono per andare al centro dell’ universo. 59 Aristotile non può equivocare, essendo inventor della logica . . 59 20 Paralogismo d’Aristotile nel provar, la Terra esser nel centro del mondo. 60 Scuopresi il paralogismo d’Aristotile per un altro verso. 61 Discorso d’Aristotile per provar l’incorruttibilità del cielo ... 62 Aristotile si mostra diminuto nell’ assegnar le cause dell’ esser gli elementi generabili e corruttibili. 68 Aristotile e Tolomeo pongono il globo terrestre immobile. ... 70 Aristotile muterebbe opinione vedendo le novità del nostro secolo. 75 Sustanza celeste impenetrabile, per Aristotile. 94 Invenzione del telescopio cavata da Aristotile.135 so Alcuni seguaci d’Aristotile scemano la reputazion di quello col troppo volergliela accrescere.136 Il troppo aderire ad Aristotile è biasimevole.138 Aristotile e Tolomeo argomentano contro al moto diurno attri¬ buito alla Terra.140 Ragioni d’Aristotile per la quiete della Terra.150 Aristotile o sciorrebbe gli argomenti contrarii o muterebbe opi¬ nione .157 DIALOGO SOPRA I OHE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 494 Argomento d’A ristatile contro al moto della Terra pecca in dna maniere.1G3 Paralogismo d’Aristotile e di Tolomeo nel suppor per noto quello che ò in quistione.166 Aristotile ammetto che il fuoco si muova rettamente in su per sua natura, ed in giro per participazione. 167 Il proietto, secondo Aristotile, non ò mosso ila virtù impressa, ma dal ..175 Esperienze e ragioni molte contro alla causa del moto do i proietti posta da Aristotilo.177 io Aristotile e Tolomeo par che confutino la mobilità della Terra contro a chi avesse creduto che, essendo ella stata lungo tempo ferma, cominciasse a muoversi al tempo di I’ittagora.215 Error d’Aristotile nelPaffermure, i gravi cadenti muoversi secondo la proporzione delle gravità loro.249 Si dubita, di dua proposizioni repugnanti alla sua dottrina, quale ammetterebbe Aristotile, necessitato a riceverli’una.348 Aristotile fa centro dell’universo quel punto intorno al quale tutte le sfere celesti si girano.348 Le dimostrazioni d’Aristotile per provar che l’universo sia finito 20 cascano tutte negandosi che sia mobile.348 Argomento d’Aristotile contro a gli antichi che volevano elio la Terra fosse un pianeta.406 Aristotilo tassa Platone per troppo studioso della geometria . . 423 Aristotile concede a i misti movimenti composti.438 Aristotile attribuisce a miracolo gli effetti do i quali s’ignorano le cause.447 Artifizio arguto per apprender la filosofia da qualsivoglia libro. 135 Assiomi ammessi comunemente da tutti i filosofi.423 Astronomi. so Astronomi convinti dall’Àntiticone.76 Principale scopo de gli astronomi render ragiono dell’ apparenze. 369 Inganno comune di tutti gli astronomi intorno alle grandezze delle stelle.388 Astronomi convengono che della maggior tardanza delle conver¬ sioni ne sia cagione la maggior grandezza de gli orbi. . . . 392 Astronomi forse non hanno avvertito quali apparenze seguano al moto annuo della Terra.399 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 49 D Il non aver gli astronomi specificato quali mutazioni possali (le- A rivar dal moto annuo della Terra dà segno che essi non 1’ ab¬ biano bene intese.404 Molte cose posson restare in astronomia non osservate ancora . 480 Aura perpetua dentro a i tropici verso occidente.4G5 Autore. L’autore del libretto dello disquisizioni (che è il P. Cristoforo Scheiner Gesuita) va accomodando le cose a i suoi propositi, . e non i propositi alle cose.120 io L’autor dell’Antiticone insta contro al Keplero.294 Prima opposizione dell’autor moderno del libretto dello disqui¬ sizioni .245 L’autor del libretto si confonde e si contradice nelle sue in¬ terrogazioni .398 B Buonarruoti (l’ingegno subbiime.128 Burla fatta a uno che voleva vender certo segreto da parlar con uno in lontananza di mille miglia.120 Calamita. 20 Calamita armata sostiene assaissimo più ferro che disarmata . . 431 Cagione vera della gran inultiplicazione di virtù nella calamita mediante 1’ armatura.433 Si mostra come il ferro è di parti più sottili, pure e constipate, che la calamita.433 Mostrasi al senso l’impurità della calamita.434 Tre moti diversi naturali della calamita.437 Si costringono i filosofi a confessare che la calamita sia composta di sustanze celesti o di elementari.438 Fallacia di quelli che chiamano la calamita corpo misto, e ’1 so globo terrestre corpo semplice.438 Effetto improbabile ammesso dal Gilberto nella calamita .... 439 Calcolo di quanto i tiri d’ artiglieria dovrebbero svariar dal se¬ gno, posto il moto della Terra.207 4% DIAEOOO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEE MONDO. Cagione cho impedisce il pendolo e lo riduce alla quieto .... 257 Cagiono dello stancarsi gli animali.296 Causa per la quale in alcuni canali angusti si vede 1* acqua del mare correr sempre per il medesimo verso. 461 Caso ridicolo di certo scultore. 137 Caso notabile por mostrare il nulla operare del moto comune . 197 Cercar quello cho seguirebbe dopo un impossibile, è vanità. . . 59 Certezza della conclusione aiuta a trovar la dimostrazione ... 75 Che gli oggetti lontani appariscano più piccoli, è difetto del- l’occhio, come si dimostra. 398 io Chi nega il sonso merita d’esserne privato. 57 Chi mancasse della cognizione dell’ elemento dell’ acqua, non si potrebbe imaginare lo navi nò i pesci. 86 Copernico. Copernico reputa la Terra essere un globo Bimile a un pianeta. 33 1 seguaci del Copernico non son mossi per ignoranza delle ra¬ gioni contrarie.154 I seguaci del Copernico tutti sono stati prima contrarii a tale opi¬ nione, ma i seguaci d’Aristotile non sono stati mai della contraria. 154 I seguaci del Copernico troppo largamente ammettono come vere 20 alcune proposizioni assai dubbie.206 Altre opposizioni di dua autori moderni contro al Copernico. . 244 Nell’ opinione del Copernico si guasta il criterio della filosofia . 273 In via del Copernico bisogna negar le sensazioni.. . 279 Arguta ed insieme semplice instanza contro al Copernico. . . . 285 II Copernico assegna con errore le medesime operazioni a na¬ ture diverse.289 Altro argomento pur contro al Copernico.291 Copernico mette perturbazione nell’universo d’Aristotile .... 292 La ragione e ’l discorso in Aristarco e nel Copernico prevagliono so al senso manifesto.355 Mostrasi quanto sia improbabile 1’ opinion del Copernico .... 355 Il Copernico tace la poco variata grandezza in Venere e Marte. 362 Copernico restaurò T astronomia sopra l’ipotesi di Tolomeo. . . 369 Quello che mosse il Copernico a stabilire il suo sistema.369 Grandissimo argomento a favor del Copernico è il rimuover le stazioni e i regressi da i moti de i pianeti.370 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 497 Copernico persuaso dalle ragioni contro alle sensate esperienze. 367 Instanze di certo libretto, proposto ironicamente contro al Co¬ pernico.384 Alcune cose non comprese il Copernico per mancamento di stru¬ menti.399 Difficoltà massima contro al Copernico per quel che apparisce nel Sole e nelle fisse.405 Disegno semplicissimo che rappresenta la costituzione Coperni¬ cana e le suo conseguenze.417 io Corpi. Corpi mondani mossi da principio di moto retto e poi circolar¬ mente, secondo Platone. 44 Corpi celesti non sono nò gravi nè leggieri, per Aristotilo ... 59 Condizioni per le quali i corpi colesti differiscono da gli elemen¬ tari dependono da i moti assegnatigli da Aristotile. Gl Corpi celesti generabili e corruttibili, perchè sono ingenerabili e incorruttibili. G6 Corpi celesti toccano, ma non son toccati da gli elementari . . 67 Corpi lucidi jier natura, diversi da i tenebrosi. 72 20 La generabilità e alterazione è perfezion maggiore nei corpi mon¬ dani, che P opposte condizioni. 83 Corpi celesti, ordinati per servizio della Terra, non hanno biso¬ gno d’altro che del moto e del lume. 84 Corpi celesti mancano d’ operazione scambievole tra di loro . . 84 Corpi celesti alterabili nelle parti esterne. 85 Corpicello delle stelle irraggiato, apparisco mille volte maggior che nudo.101 I corpi illuminati appariscon più chiari nell’ambiente scuro . . 115 Ogni corpo pensile e librato, portato in giro nella circonferenza so d’un cerchio, acquista per sè stesso un moto in sè medesimo, contrario a quello.424 Corpi leggieri più facili ad esser mossi che i gravi, ma meno atti a conservare il moto.463 VII. t 63 498 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI 8I8TEMI DEL MONDO. E Le elevazioni minime e massime della stella nuova non differi¬ scono tra di loro più che le altezze polari, se la stella nuova sarà nel firmamento.. Elica intorno al cilindro può dirsi linea semplice.40 È gran temerità il chiamar nell' universo superfluo quello non intendiamo esser fatto per noi.395 È 1’ istesso esser 1’opinioni nuovo a gli uomini, ed esser gli uo¬ mini nuovi all’opinioni.118 È più difficile trovar figure, che si tocchino con parte di loro 10 superficie, che con un punto solo.234 Error grave dell’ iinpugnator del Copernico.285 Esplicazione del vero bciiso del detto dol Keplero, e Rua difesa . 294 Esempio dellu cura di Dio sopra ’l genero umano, tolto dal Sole. 395 Esorbitanza immensa nell’ argomento preso dalla palla cadente dal concavo della Luna.247 Esperienze sensato devóuo anteporsi a i discorsi umani . . 57 e 71 Esperienza che mostra, la reflession dell’ acqua esser men chiara di quella della Terra.123 Esperienze e ragioni contro al moto della Terra in tanto appa- 20 riscono concludenti, in quanto ci mantengono tra gli equivoci. 209 Esperienza con la qual sola si mostra la nullità di tutte le pro¬ dotte contro al moto della Terra.212 Esperienza che mostra come il moto comune ò impercettibile .275 Esperienza facile, che mostrali ricroscimento nello stelle mediante i raggi avventimi.365 Esperienza la quale sensatamente mostra, due moti contrarii na¬ turalmente convenire nel medesimo mobile.425 F La filosofia può ricevere accrescimento dalle dispute e contradi- so zioni de i filosofi. 62 l'elicità grande, e da essere invidiata, di quelli che si persuadono di sapere ogni cosa.211 DIALOGO SOPRA I DITE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 499 Figura sferica più facilmente s’imprime rii ogn’ altra.235 Figura circolare posta sola fra i postulati.235 Figure sferiche di diverse grandezze si posson formare con un solo strumento.236 Le figuro superficiali croscono in proporzion duplicata delle lor linee.365 Filosofia peripatetica inalterabile. 81 La figura non è causa d’incorruttibilità, ma di più lunga du- razione.109 io La perfezion di figura opera no i corpi corruttibili, ma non ne¬ gli eterni.HO Se la figura sferica conferisse l’eternità, tutti i corpi sarebbero eterni.HO Filosofi peripatetici dannano lo studio della geometria.423 Filosofia magnetica di Guglielmo Gilberto.426 Flessure negli animali necessarie per la diversità de i movi¬ menti loro.282 Le flessure negli animali non son fatte per la diversità de i mo¬ vimenti.283 20 Formo irregolari difficili a introdursi.236 Foro della pupilla dell’occhio si allai'ga o si ristrigne.390 Flusso. La natura per ischerzo fa che il flusso e reflusso del mare ap¬ plaude alla mobilità della Terra.442 Flusso e reflusso, e mobilità della Terra, scambievolmente si con¬ fermano .442 Effetti terreni indifferenti tutti a confermare il moto o la quiete della Terra, trattone il flusso e reflusso del mare.442 Prima generai conclusione del non potersi far flusso e reflusso 30 stando il globo terrestre immobile.443 Tre periodi de’ flussi e reflussi, diurno, mestruo ed annuo.... 444 Diversità che accaggiono nel periodo diurno.444 Causa del flusso e reflusso prodotta da certo filosofo moderno . 445 Causa del flusso e reflusso attribuita alla Luna da certo prelato. 445 Girolamo Borro ed altri Peripatetici referiscono la causa del flusso e reflusso al calor temperato della Luna.446 Si risponde alle vanità addotte per cagioni del flusso e reflusso. 446 500 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Mostrasi l’impossibilità del poter naturalmente farsi il flusso o reflusso, stando la Terra immobile.. Potissima o primaria causa del flusso e reflusso. 454 Accidenti diversi che accascano ne i flussi e reflussi. 454 Pendolisi ragioni de i particolari accidenti osservati ne i flussi e reflussi. 457 Cause secondarie perchè ne i mari piccoli e ne i laghi non si fanno flussi o reflussi. 457 Rendasi la ragiono perchè i flussi e reflussi por lo più si facciano di sei ore in sei ore. 458 10 Causa perchè alcuni mari, ben elio lunghissimi, non sentono flusso o reflusso. 459 Flussi 0 reflussi perchè massimi ne gli estremi de i golfi, e mi¬ nimi nello parti di mozo. 459 Si discorro di alcuni più reconditi accidenti che si osservano ne i flussi e reflussi.460 Flusso e reflusso può deponder dal movimento diurno del cielo. 4G8 Flusso e reflusso non può depender dal moto del cielo.469 Si assegnano diffusamente lo cause do i periodi mestruo ed an¬ nuo de i flussi e reflussi.471 20 Alterazioni mestrue ed annuo de’ flussi e reflussi non posson de¬ pender da altro elio dall’ alterazione de gli additamenti e sot¬ trazioni del periodo diurno sopra l’annuo.471 Flussi e reflussi son piccolissime cose, rispetto alla vastità de’ mari ed alla velocit-à del moto del globo terrestre.481 Non basta, per produrre il flusso e reflusso, un semplice moto del globo terrestre.486 G Grandezze de gli orbi e velocità de’ moti de’ pianeti rispondono proporzionatamente all’ esser discesi dal medesimo luogo . . 54 so Generazione e corruzione è solamente tra i contrarii, per Aristotile. 62 Generazioni e mutazioni fatte in Terra son tutte per benefizio del- l’uomo. 85 Giove e Saturno circondano essi ancora la Terra e il Sole . . . 352 Giove ricresce manco del Cane.366 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 501 Quando il globo terrestre funse perforato, un grave descendente per tal foro passerebbe, ascendendo poi oltre al centro, per altrettanto spazio quanto fu quel della scesa.253 Globo terrestre fatto di calamita.420 Globo terrestre composto di materie diverso.427 Parti interne del globo terrestre convien che siano solidissime . 429 Il globo nostro si chiamerebbe pietra in vece di terra, se tal nome gli fosso stato posto da principio.429 Argomento concludente, il globo terrestre essere una calamita. 430 io Si rispondo all’ instanza fatta contro alla vertigine del globo ter¬ restre.463 Grandezze e numeri immensi sono incomprensibili dal nostro intelletto.394 Grande, piccolo, immenso, son termini relativi.396 La grandezza e piccolezza del corpo fanno diversità nel moto, ma non nella quiete.294 Guglielmo Gilborti. Filosofia magnetica di Guglielmo Gilberti.426 Progresso del Gilberti nel suo filosofare.429 ao Effetto improbabile ammesso dal Gilberto nella calamita .... 439 L’inclinazione de i gravi al moto in giù eguale alla resistenza al moto in su.240 Ingegni poetici di due spezie.446 L’instanza del Chiaramente si ritorce contro a lui stesso. . . . 296 Isole sono indizio della disegualità de’ fondi del mare.446 Invenzione dello scrivere stupenda sopra tutte 1’ altre.130 Intelletto umano partecipe di divinità perchè intende i numeri, secondo Platone. 35 Il senso mostra, i gravi muoversi al mezo, e i leggieri al concavo. 57 so I gravi descendenti è dubbio se si muovano di moto retto ... 57 I gravi si muovono al centro della Terra per accidens . 59 I contrarii che son causa di corruzione non riseggono nell’istesso corpo che si corrompe. 67 Incorruttibilità celebrata dal vulgo per timor della morte ... 84 I raggi più obbliqui illuminano meno, e perchè.106 II corruttibile riceve il più e’l meno, ma non l’incorruttibile. 110 502 DIALOGO KOl’RA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. I detrattori della corruttibilità moriterebber d’ esser cangiati in statue.. II non aver mai intoso nulla perfettamente fa che alcuni credano d* intendere il tutto. Intendere umano fatto per discorso. Ingegno umano mirabile per acutezza. Imberciatovi come ammazzino gli uccelli per aria. Il nostro sapere è un certo ricordarsi, secondo Tlatone. 11 vero tal ora acquista forzo dallo contradizioni. 11 pendente da corda più lunga fa le suo vibrazioni più rade, che il pendente da corda più breve. I capi do gli ossi mobili son tutti rotondi. II convenir gli elementi in un moto comune non importa più o meno elio il convenire in una quiete comune. Il rivolgimento di Mercurio si conclude essere intorno al Solò, dentro all’ orbe di Venero. Instanze dell’ autor del libretto per interrogazioni. Interrogazioni fatte all’ autor del libretto, con le quali si mostra l’inefficacia delle sue. Ipotesi verissima, in più breve tempo spedirsi le revoluzioni ne i cerchi minori che ne i maggiori : il elio si dichiara con dua esempi. 127 129 130 203 217 230 256 283 290 352 397 398 474 K Il Keplero vien con rispetto accusato.486 Luna. Luna manca di generazioni simili alle nostro, ed è inabitata da uomini.86 Nella Luna posson esser generazioni di cose diverse dalle nostre. 86 Nella Luna posson esser sustanze diverse dalle nostre. S6 Prima conformità tra la Luna e la Terra, che ò quella della figura: il che si prova dal modo dell’essere illuminata dal Sole. 87 Seconda conformità è 1’ esser la Luna tenebrosa come la Terra. 87 Terza conformità è la materia della Luna densa come la Terra e montuosa. 87 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 503 Quarta conformità, Luna distinta in due parti differenti per chia¬ rezza ed oscurità, come il globo terrestre nel mare e nella superficie terrena. 88 Quinta, mutazioni di figure nella Terra simili a quelle della Luna, fatte con T istesso periodo. 88 Sesta, la Luna o la Terra scambievolmente s’illuminano. 91 Settima, la Luna e la Terra scambievolmente si eclissano.... 93 Dalla Terra si vede più che la metà del globo lunare. 90 Due macchio nella Luna, por lo quali si osserva lei aver riguardo io al centro della Terra nel suo moto. 91 Luce secondaria stimata propria della Luna. 94 Eminenze e cavità nella Luna sono illusioni di opaco e di per¬ spicuo . 95 Superficie della Luna tersa più d’ uno specchio. 94 Provasi, la Luna esser di superficie aspra. 96 La Luna, so fusse come uno specchio sferico, sarebbe invisibile. 99 Luna, se fusse tersa e liscia, sarebbe invisibile.102 Apparenze varie dalle quali si argumenta la montuosità della Luna.112 20 Lo apparenti inegualità della Luna non si possono imitar per via di più e mono opaco o perspicuo.Ili Vedute varie della Luna imitabili con qualsivoglia materia ojiaca. 112 Luna apparisce più risplendente la notte che il giorno.113 Luna veduta di giorno simile a una nugola.113 Illumina più la terza reflession d’un muro che la prima della Luna.115 Lume della Luna più debole di quel del crepuscolo.115 Nuvolette atte ad essere illuminate dal Sole non meno che la Luna.114 ao Luce secondaria della Luna cagionata dal Sole, secondo alcuni. 117 Luce secondaria della Luna apparisce in forma di anello, cioè chiara nella circonferenza e non nel mezo, e perchè.119 Disco della Luna nell’ eclisse del Sole non può vedersi se non per privazione.119 Modo di osservar la luce secondaria della Luna. ...119 Affinità tra la Terra e la Luna rispetto alla vicinanza.122 Solidità del globo lunare s’ argomenta dall’ esser montuoso ... 123 B04 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Luce secondaria della Luna più chiara inanzi la congiunzione che doppo.124 Lo parti della Luna più oscure son piane, e le più chiare montuose. 125 Aspetti del Sole, necessnrii per le generazioni, non sono nella Luna. 125 Alla Luna il Sole si alza e s’abbassa con diversità di gradi 10, ed alla Terra di gradi 47.126 Luna non composta di terra e d’ acqua.125 Nella Luna non si generano cose simili alle nostro, ma diversis¬ sime, quando pur vi bì generino.125 Nella Luna non son pioggie.126 io Giorni naturali nella Luna son di un mese l’uno.125 Intorno alle macchio della Luna son lunghe tirate di monti . . 125 La Luna non può separarsi dalla Terra.350 La Luna perturba assai 1’ ordine dogli altri pianeti.362 Il Sole e la Luna ricrescon poco.366 È improbabile che T elemento del fuoco sia rapito dal concavo della Luna.469 Moto della Luna ricercato principalmente in grazia degli eclissi. 481 La linea descritta dal cadente naturale, supposto il moto della Terra circa ’l proprio centro, sarebbe probabilmente circon- 20 ferenza di cerchio.191 La linea retta e circonferenza di cerchio intiuito son ristesse cosa. 404 M Materia celeste intangibile.94 Madreperle atte a imitar l’apparenti inegualità della Luna. . . Ili Marte necessariamente comprende dentro al suo orbe la Terra e anco il Sole.352 Marte all’ opposizion del Solo si mostra Ut) volte maggiore che verso la-cougiunzione. 352 Mediterraneo fatto per la divisione fra Abila e Calpe. 73 30 Mercurio non ammetto chiare osservazioni.367 Metodi osservati dal Chiaramonte in confutar gli astronomi, 0 dal Salviati in confutar lui.304 Misterii de’ numeri Pitagorici, favolosi.35 Mobile non s’accelera se non quando acquista vicinità al termine. 44 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 505 Mobile cadente dalla cima della torre si muove per la circon¬ ferenza d’ un cerchio : non si muove più nè meno che se fusse restato lassù : e si muove di moto equabile, e non accelerato . . 192 Il mobile sopra il piano orizontale sta fermo. 47 Modo di conoscer di Dio, divorso da quello dogli uomini .... 129 Mondo si suppone dall’ autore esser perfettamente ordinato... 43 Il mobile posto in quiete non si moverà, quando non abbia indi- o nazione a qualche luogo particolare. 44 Il mobile accelera il moto andando verso il luogo dove ha indi¬ lo nazione. 44 Il mobile partendosi dalla quiete passa per tutti i gradi di tardità. 44 Il mobile partendosi dalla quiete passa per tutti i gradi di ve¬ locità, senza dimorare in alcuno. 46 Il mobile gravo scendendo acquista impeto bastanto a ricondurlo in altrettanta altezza. 46 Impeti do i mobili egualmente avvicinatisi al centro sono eguali. 47 Non è fin ora stato provato da alcuno se il mondo siafìnitoo infinito. 347 Mostrasi con evidente esperienza, i corpi più risplendenti irrag¬ giarsi più de i manco lucidi.366 20 Motivo per il qualo par che il tiro d’ artiglieria verso ponente debba riuscir più lungo che quello verso levante.194 Movimenti differenti dependenti dalla fluttuazion della nave . . 276 Muro illuminato dal Sole, e paragonato con la Luna, lucido non men di quella.114 Macchie solari. Dimostrazione concludente, le macchie esser contigue al corpo solare. 79 Figura nelle macchie stretta verso la circonferenza del disco so¬ lare, e perchè apparisca tale. 79 so Istoria de i progressi dell’ Accademico per lungo tempo intorno alle osservazioni delle macchie solari.372 Gli eventi che si osservarono nelle macchie furon rispondenti alle predizioni.379 I puri filosofi peripatetici si rideranno delle macchie solari e loro apparenze, come illusioni de’ cristalli del telescopio.380 Macchie che si generano e si dissolvono in faccia del Sole ... 76 Macchie solari maggiori di tutta l’Asia ed Affrica. 76 VU. 64 606 DIALOGO SOPRA I DDF, MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Macchie solari non sono di figura sferica, ma distese come falde sottili.79 Mutazioni stravaganti da osservarsi no i movimenti delle mac¬ chie, prevedute dall’Accademico, quando il moto annuo fusse della Terra.374 Opinioni diverso circa le macchie solari.77 Primo accidente da scorgersi nel moto delle macchie solari; e conseguentemente si esplicano tutti gli altri.375 Concetto repentinamente venuto in mente dell’Accademico Linceo intorno alla gran conseguenza che veniva appresso al moto io delle macchio solari.374 Moto. Moto retto talvolta semplice, e talvolta misto, per Aristotile . . Moto retto impossibile esser nel mondo ben ordinato. Moto retto di sua natura infinito. Moto retto impossibile per natura. Moto retto forse nel primo caos. Moto retto accomodato a ordinare i corpi mal ordinati. Velocità uniforme conviene al moto circolare. Velocità per il piano inclinato eguale alla velocità por la per¬ pendicolare, ed il moto per la perpendicolare più veloce che per l’inclinata. Moto circolare non si può acquistar mai naturalmente senza il moto retto precedente. Moto circolare perpetuamente uniforme. Moti circolari finiti e terminati non disordinano le parti del mondo. Moto circolare solo uniformo. • • * • • Moto circolare può continuarsi perpetuamente . . . Moto retto non può naturalmente esser perpetuo. . Moto l'etto assegnato a i corpi naturali per ridursi all’ ordine perfetto, quando ne siano rimossi. Nel moto circolare ogni punto della circonferenza è principio e fine Moto retto de i gravi compreso da i sensi. Al moto circolare niuuo altro moto ò contrario. Prova che il moto circolare non ha contrario. Moti retti, con più ragiono attribuiti alle parti elio a gl’ interi elementi. 40 43 43 43 43 44 45 20 53 53 56 56 5G 5G 5G 5G 58 G‘2 G3 70 DIALOGO SOl’KA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 507 Moto dolio macchie verso la circonferenza del Sole apparisce tardo 79 Moto diurno si mostra comunissimo a tutto l’universo, trattone il globo terrestre.140 Moto diurno perché più probabilmente dova esser della Terra sola, elio del resto dell’ universo.141 I moti della Terra sono impercettibili a gli abitatori di quella. 140 Dal movimento diurno nessuna mutazione nasce tra tutti i corpi celesti, ma tutto si riferiscono alla Terra.143 Moti circolari non son contrarii, per Aristotile.143 io Moto delle vontiquattr’oro attribuito alla sfera altissima disor¬ dina il periodo dell’inferiori.145 Moti dello stello lisse si accelerano o ritardano in diversi tempi, quando la sfera stellata sia mobile.145 D’un mobile semplice un solo è il moto naturale, e gli altri per participazione.147 il moto per le cose elio di esso egualmente si muovono ò come se non fus.se, ed in tanto opera in quanto ha relazione a cose che di esso mancano.142 Il moto non è senza suggetto mobile.147 20 Moto e quiete accidenti principali in natura.156 Due cose si ricercano acciò il moto possa pez-petuarsi : lo spazio interminato, e ’l mobile incorruttibile.161 Moto retto non può essere eterno, e però non può esser naturale alla Terra.161 Moto dell’aria atto a portar seco le cose leggerissime, ma non le gravissime.168 Il mezo impedisce il moto de’ proietti, e non lo conferisce . . . 179 Moto retto par del tutto escluso in natura.193 Instanza contro al moto diurno della Terra, presa dal tiro per¬ so pendicolare dell’artiglieria.200 Moto impresso dal proiciente è solo per linea retta.218 Accelerazione del moto naturale de i gravi si fa secondo i nu¬ meri impari, cominciando dall’unità.248 Intera e nuova scienza dell’Accademico intorno al moto locale. 248 Il mobile cadente, quando si movesse col grado di velocità acqui¬ stato, per altrettanto tempo con moto uniforme, passerebbe spazio doppio del passato col moto accelerato.252 508 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Il moto de i penduli gravi si perpetuerebbe, rimossi gl’ impedi¬ menti.253 Il moto naturalo si converte per sò stesso in quello che si chiama preternaturale e violento.262 Del moto misto noi non veggiamo la parte circolare, perchè di quella siamo partecipi.267 Il moto comune è come se non funse.273 Il moto dell’ occhio ci arguisco il moto dell’ oggetto veduto . . 274 Moto annuo della Terra devrebbo cagionar vento perpetuo e gran¬ dissimo . 278 io Moto della barca insensibile a quei che ci son dentro, quanto al senso del tatto.280 Moto della barca sensibile alla vista, congiunta col discorso. . . 280 Moto terrestre comprendesi nelle stelle.280 Onde si comprenda il moto di un cadente.274 Il moto nostro può essere interno ed esterno, son/.’esser da noi compreso.279 Moti degli animali son tutti d’una sorte.283 Moti secondarii dell’ animalo dopondonti da i primi.284 I*er il moto della Terra non si ricercano flessure. 284 20 Altra instanza contro al triplicato moto della Torra.285 Più differente è il moto dalla quiete, che il moto retto dal circolare. 288 Moto delle parti della Terra, ritornando al suo tutto, può esser circolare.288 Cresce la velocità nel moto circolare secondo elio cresco il dia¬ metro del cerchio.294 Moto dell’ animalo più tosto è da chiamarsi violento che na¬ turale.296 Moto dell’ acqua tra ’1 flusso e reflusso non interrotto da quiete. 300 Moto annuo della Terra, mescolandosi con i moti degli altri pia- so neti, produce apparenze stravaganti.350 La quiete, il moto annuo ed il diurno devono distribuirsi tra ’l Sole, la Terra e ’l firmamento.354 11 solo moto annuo della Terra cagiona le grandi inegualità de’ moti, apparenti ne i 5 pianeti.370 Moto annuo della Terra attissimo a render ragione dell’ esorbi¬ tanze de i 5 pianeti.372 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 509 Benché il moto annuo, attribuito alla Terra, risponda allo appa¬ renze dello macchie solari, non poro no seguita che, per il converso, dallo apparenze dello macchio si debba inferire il moto annuo esser della Terra.379 L’ apparento diversità di moto do i pianeti resta insensibile nello stelle fisso.386 Tico e suoi aderenti non hanno tentato di vedere so nel firma¬ mento sia apparenza alcuna contro o in favor del moto annuo. 399 Tico ed altri argomentano contro al moto annuo per 1’ divaria¬ lo bile elevazion del polo.400 Il moto, dove è comune, è come so non vi fusse.401 Instanza contro al moto annuo della Terra presa dallo stelle fìsse poste nell’ eclittica.407 Moto annuo fatto dal centro della Terra sotto 1’ eclittica, e moto diurno fatto dalla Terra circa ’l proprio centro.406 Al moto annuo della Terra può seguir mutazione in qualche stella fissa, ma non nel polo.403 Sesta confermaziono o Settima del moto diurno.146 20 Moto annuo del Sole come segua in via del Copernico.417 Moto in giù non è del globo terrestre, ma delle sue parti . . . 424 Moto annuo e moto diurno compatibili nella Terra.424 Terzo moto attribuito alla Terra è più presto un restare im¬ mobile .425 Moto de i misti convien che sia tale, che possa resultare dalla composizion de i moti do i corpi semplici componenti. . . . 438 Con due moti retti non si compone un moto circolare.438 Dimostrasi, convertendo l’argomento, il moto perpetuo dell’aria da levante a ponente provenir dal moto del cielo.467 30 Moto dell’ acqua dependente dal moto del cielo.468 Più probabilmente si rende ragione del moto continuo dell’ aria e dell’ acqua con far la Terra mobile, che con farla stabile. 468 Se il moto annuo non si alterasse, cesserebbe il periodo mestruo. 473 Se ’l moto diurno non s’ alterasse, cesserebbe il periodo annuo . 473 Moto annuo della Terra per 1’ eclittica ineguale, mediante il moto della Luna 477 DIO DIA!.000 801’HA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. N Natura non intraprende a far quollo cho è impossibile a esser fatto.43 Natura per indur nel mobile qualche grado di velocità lo fa muover di moto rotto.45 Natura non conferisco immediatamente un determinato grado di velocità, so ben potrebbe.45 Natura non opera con molto coso quello cho può con poche . . 143 Natura prima foce lo coso a modo buo, e poi fabbricò i discorsi degli uomini, abili a intenderle. 289 io La natura e Dio si occupano nella cura degli uomini come se altro non curassero.394 Quello che a noi è difficilissimo a intendersi, alla natura è age¬ volissimo a farsi.473 Naturale inclinazione dello parti di tutti i globi mondani d’an¬ dare a i lor centri. 58 Navigazione verso l’Indio occidentali facile, o difficile il ritorno. 465 Le navigazioni nel Mediterraneo da levante verso ponente si fanno in tempi più brevi che da ponente verso levante . . . 466 Negandosi i principii nelle scienze, si può sostenere qualsivoglia 20 paradosso. 65 Negli oggetti molto lontani e luminosi un piccolo avvicinamento o discostamento è impercettibile.413 Nelle scienze naturali è inefficace 1' arte oratoria. 78 Nell’ assioma Frustra fit per plura etc. 1’ aggiugnere acque bene è superfluo.150 Nelle scienze naturali non si deve ricercar l’evidenza matematica. 256 Non conviene che chi non fdosofa mai, si usurpi il titolo di filosofo. 139 Non ha ’l vero sì poca luce, che non si scorga tra lo tenebre de i falsi. 447 Non posson essere i falsi dimostrabili come i veri.156 so Non repugna il potersi con la circonferenza d’un cerchio piccolo, e poche volte rivoltato, misurare e descrivere una linea mag¬ giore di qualsivoglia grandissimo cerchio.271 Non si scema la forza dove non se n’ esercita punto.296 Numero ternario celebre appresso i Pitagorici. 34 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Gli 0 Gli oggetti, quanto son di luce più viva, tanto più mostrano di ricrescere.365 Oggetti risplendenti si mostrano circondati da raggi avventi?,ii. 364 Opinione di Selouco matematico reprovata.486 Operazione del mezo nel continuare il moto al proietto.176 Operazioni del telescopio reputate fallacie da i Peripatetici. . . 364 Oportuna resoluzione d’un filosofo peripatetico.138 Orbe della Luna abbraccia la Terra, ma non il Sole.353 io Ordine della natura è il far circolare gli orbi minori in tempi più brevi, ed i maggiori in tempi più lunghi.295 Origine de i nervi secondo Aristotile e secondo i medici .... 134 Osservazioni dalle quali si raccoglie, il Sole, e non la Terra, esser nel centro dello revoluzioni celesti.349 P Paralogismo d’un Peripatetico, che prova ignotum per ignotius . 231 Paralogismo dell’autor dell’ Antiticone.292 Paralogismo d’Aristotile scuopresi per un altro verso. 61 Passioni infinite son forse una sola.129 20 Passaggi fatti con tempo dal discorso umano, l’intelletto divino fa in instante, cioè gli ha sempre presenti.130 Penuria e abbondanza mettono in prezzo e avviliscono le cose. 84 Peripatetici assegnano con poca ragione per naturali quei moti a gli elementi de i quali non si muovono mai, e per preter¬ naturali quelli de i quali si muovon sempre. 71 Per le proposizioni vere s’incontrano argomenti concludenti, ma non per le false.296 Ter prova delle conclusioni vere posson esser molte ragioni con¬ cludenti, per le false no.156 30 Piacevole esempio per dichiarar la poca efficacia di alcuni di¬ scorsi filosofici.436 La pietra cadente dall’albero della nave batte nell’istesso luogo, muovasi la nave o stia ferma.170 512 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. La propensione de i corpi elementari in seguir la Terra ha una limitata sfera.264 Provasi, più ragionevolmente dirsi che i gravi tendono al centro della Terra, che a cpiollo dell’universo.61 Più conveniente è che il contenente e ’l contenuto si muovano intorno all’ istesso centro, che Bupra diversi.349 Pitagora fece P ecatumbe per una dimostrazion geometrica ri¬ trovata.76 Più facile ò accorgersi se la Terra si muova, che se la corruzione si faccia da i contrarii.64 io Prima sono le cose gravi che il contro di gravità.270 Primi osservatori ed inventori degni d’ essere ammirati.432 Principii contrarii non posson riseder naturalmente nel mede¬ simo suggetto.262 Problemi diversi o curiosi intorno al moto do* proietti.183 Problemi meravigliosi, di mobili descendenti per una quarta di cerchio, o de i descendenti por tutte le corde di tutto il cerchio. 476 Proietti continuano il moto perla linea retta che segue la direzion del moto che fecero insieme col proiciente, mentre con esso erano congiunti.201 20 Proietto si muovo per la tangente il cerchio del moto precedente nel punto della separazione.219 Proietto grave, subito che è separato dal proiciente, comincia a declinare.221 Proposizione presa da Aristotilo da gli antichi, ma alterata. . . 142 Proprietà multiplici della calamita.430 Pusillanimità d’ alcuni soguaci d’ Aristotile.138 Pusillanimità degl’ ingegni popolari.426 Q Quello che è violento non può essere eterno, e quello che non so può essere eterno non può esser naturale.160 Quiete è il grado di tardità infinita. 44 Tra la quiete e qualsivoglia grado di velocità mediano infiniti gradi di velocità minori.45 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 513 R Raggi perpendicolari illuminano più. elio gli obbliqui, o perchè. 105 Ragione per la quale i corpi luminosi si mostrano ingranditi tanto più quanto sono più piccoli.3G4 Rarità o densità ne i corpi celesti diverso da quelle degli elementi. G8 Regressi più frequenti in Saturno, meno in Giove e meno an¬ cora in Marte, o perchè.372 Regressi di Venere e di Mercurio dimostrati da Apollonio e dal Copernico.372 io Requisiti per poter ben filosofare in via d’Aristotile.134 Responso dell’oracolo vero in giudicar Socrate sapientissimo . . 127 Risolvesi la medesima instanza con esempi di movimenti simili di altri corpi celesti.287 Risposta ridicola d’ un filosofo nel determinar dove sia l’origine de i nervi.133 Risposta al primo argomento d’Aristotile.159 Risposta al secondo argomento.162 Risposta al terzo argomento.164 Risposta al quarto argomento.164 20 Risposta all’ argomento preso da i tiri di punto bianco, orientali ed occidentali.205 Risposte a gli argomenti contro al moto della Terra presi ex rerum natura .282 Risposta finta del Keplero, con certa arguzia coperta.295 S % Saper divino infinite volte infinito.128 Saturno, per la tardità, e Mercurio, per il vedersi di rado, furon de gli ultimi ad esser osservati.480 Sconvenevolezze che sono nel sistema di Tolomeo.3G9 so Se il centro del mondo è l’istesso che quello intorno al quale si muovono i pianeti, il Sole, e non la Terra, è collocato in esso. 349 Il Sole passa una metà del zodiaco nove giornate più presto che 1’ altra.;.481 VII. 65 514 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Semplice trasposizion di parti può rappresentarci i corpi sotto diversi aspetti.G5 La sfora, benché materiale, tocca ’l piano materiale in un sol punto.230 Perchè la sfera in astratto tocchi il piano in un punto, ma non la materiale e in concreto.233 Qualo debba stimarsi la sfera dell’ universo.353 Sfera di attività ne i corpi celosti maggiore che negli elementari. 99 Sfericità perfetta perchè si ponga da i Peripatetici no i corpi celesti.109 io Si mostra la necessità dell’essere i capi degli ossi mobili tutti rotondi, od i moti degli animali tutti circolari.283 Simpatia o antipatia termini usati da i filosofi per render facil¬ mente le ragioni di molti effetti naturali.436 Si risponde all’ instanza, mostrando 1’ equivoco.200 Si risolve P instanza presa da i tiri d’artiglieria verso mezogiorno e tramontana.204 Si risponde allo primo tre opposizioni contro al sistema Coper¬ nicano .363 Sistema Copernicano difficile a intendersi e facile a effettuarsi . 416 20 Soluzione dell’ instanza presa da i tiri verso levante e verso po¬ nente.206 Sottigliezze assai insipide ironicamente dette, cavato da corta en¬ ciclopedia .199 Gli spazii passati dal gravo cadento sono come i quadrati do i tempi.248 Lo spazio assegnato per una fìssa è molto minore di quello d’un pianeta.397 Specchi piani mandano la reflessiono in un luogo solo, ma gli sferici per tutto.98 so Stazione, direziono e retrogradazione do i pianoti si conosce in relazione allo stollo fisse.409 Provasi come poco è da fidarsi dogli strumenti astronomici nello minute osservazioni.414 Quali strumenti siano atti per 1’ osservazioni esattissime . . • • 414 Strumenti astronomici son sottoposti a errar facilmente .314 Strumenti di Ticone fatti con grandi spese.414 DIALOGO SOPRA I DDK MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 515 Strutture particolari dogli orbi do i pianeti ancora non ben re- solute.480 Superficie del maro apparirebbe da lontano più oscura di quella della Terra. 88 Superficie più scabrosa fa maggior reflession di lume cho la meno scabrosa.105 Sustanze celesti inalterabili, ed elementari alterabili, necessarie in natura, di mente d’Aristotile. 33 Stella. io È non meno impossibile corrompersi una stella, che tutto il globo terrestre. 75 Le mutazioni nello stello fisse devono essere in alcune maggiori, in altre minori, in altre nulle.405 Le stello fìsso poste nell’ eclittica mai non s’ alzano nè abbassano per causa del moto annuo della Terra, ma ben s’avvicinano e s’allontanano.407 Le stelle fuori dell’ eclittica si elevano e si abbassano più o meno, secondo la lor distanza da essa eclittica.4.10 Modo per misurare il diametro apparente d’una stella.389 20 Maggior diversità fanno le stelle più vicine che le più remote. 411 Non si ha maggior cognizione di chi muovo i gravi all’ ingiù, che di chi muove le stelle in giro, nè di queste cause sap¬ piamo altro che il nome.260 Stelle Medicee son come 4 Lune intorno a Giove.368 Nelle stelle fisse la diversità d’ aspetto, cagionata dall’ orbe ma¬ gno, poco maggiore della cagionata dalla Terra nel Sole . . 387 Posto cho una fìssa della sesta grandezza non sia maggior del Solo, la diversità, elio ne i pianeti è grande, nelle fisse resta come insensibile.386 30 Stelle superano in densità la sustanza del resto del cielo infini¬ tamente . 68 Stelle nuove apparite in cielo. 76 Situazione probabile delle stelle fisse.353 Stella della sesta grandezza posta da Ticone e dall’ autor del li¬ bretto dieci milioni di volte maggiore del bisogno.387 Si risolve 1’ equivoco di chi crede che al moto annuo si dova far gran mutazione circa 1’ elevazion d’ una stella fissa 403 516 DIALOGO Boria I DUE MASSIMI 8IKTEMI DEL MONDO. Tutta la sfora stellata (la lontananza grande potrebbo apparir piccola quant’ una stolla.. Col privare il cielo di qualche stolla si potrebbe venire in co¬ gnizione di quello elio olla operi in noi. 395 Una stella si chiama piccola rispetto alla grandezza dello spazio che la circonda. 397 T Telescopio ottimo mezo por levar la capellatura allo stollo ... 366 Tempi dello conversioni de i pianoti Medicei. 144 Quattro moti diversi attribuiti alla Terra. 424 10 Toccarsi in un punto non ò proprio delle sfere perfetto solamente, ma di tutte le figure curve.234 Trasponendosi il grand’ aggregato do i gravi, lo particelle sepa¬ rato da osso lo seguirebbero.270 Tro dignità si suppongono manifeste.281 Si oppono all’ ipotesi della mobilità della Terra, presa in grazia del flusso e reflusso.462 Confermasi la vertigine della Terra con nuovo argomento preso dall’ aria.464 Parto vaporosa vicina alla Terra participa de’ suoi movimenti. 465 20 Altra osservaziono presa dall’ aria, in conformazione del moto della Terra.466 Terra. Terra sferica per la coBpirazion delle parti al suo centro.... 58 Naturalo del globo terrestre deve dirsi più tosto la quieto che il moto all’ ingiù.70 Terra nobilissima por le tante mutazioni che in lei si fanno . . 83 Terra inutile e piena di ozio, levato le alterazioni.83 Terra più nobile dell’ oro e delle gioie.83 IT alterabilità non è nell’ intero globo, ma nelle parti della Terra. 85 so Tutta la Terra vede la metà solamente della Luna, 0 la metà solamente della Luna vede tutta la Terra...90 Lume della Terra reflesso nella Luna.92 1 erra impotente a roflettero i raggi del Sole. 94 La leiTa può reciprocamente operare no i corpi celesti col lume. 121 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 517 deflessione del lume più debolo dal mare die dalla Terra. . . . 123 Della Terra non posson essere altri movimenti che quelli che a noi appariscono esser comuni di tutto T resto dell’ universo, trattone la Terra.140 Primo discorso por provare, il moto diurno esser della Terra. . 142 Seconda confermazione elio’1 moto diurno sia della Terra. . . . 143 Terza confermazione per il medesimo.144 Quarta confermazione, il moto diurno esser della Terra.145 Terra, pensile o librata in inezo fluido, non par che possa resi- io stero al rapimento del moto diurno.146 La parte dell’ aria inferiore alle più alte montagne segue il moto della Terra.168 Si risolvo P argomento contro al moto della Terra, preso dal volar degli uccelli.212 Stupidità di alcuni che stimano, la Terra essersi cominciata a muovere quando Pittagora cominciò a dir che ella si moveva. 215 Dato che la vertigine diurna fesse della Terra, e che olla per qualche repentino ostacolo o intoppo si fermasse, le fabbriche c le montagne stesso e forse tutto il globo si dissolverebbe. 239 20 Un corpo semplice, quale ò la Terra, non si può muover di tre moti diversi.282 La Terra non si può muovere d’ alcuno de i moti attribuitigli dal Copernico.282 Quarta dignità contro al moto della Terra.282 Si desidera sapere per mezo di quali flessure il globo terrestre si potrebbe muover di tre moti diversi.284 Un solo principio può cagionar più moti diversi nella Terra. . 284 Si manifesta P error dell’ oppositore, dichiarando come i moti annuo e diurno della Terra son per il medesimo verso, o non so contrarii.286 Si dubita che P oppositore non abbia inteso il terzo moto attri¬ buito dal Copernico alla Terra.287 Argomentasi, dall’ esser per natura tenebrosa la Terra e lucido il Sole e le stelle fisse, quella esser mobile e questi immobili . 291 Altra differenza tra la Terra o i corpi celesti, presa dalla purità e impurità.292 Stoltamente vicn detto, la Terra esser fuor del cielo.292 818 DIALOGO 801'KÀ I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Più ragionevolmente si possono attribuirò alla Terra duo prin- cipii interni al moto rotto od al circolare, cho due al moto ed alla quiete.. Più è da temersi la stanchezza nella sfera stellata cho noi globo terrestre.. Dandosi il moto annuo alla Terra, conviene assegnarne anco il diurno.. ltimuovcsi la difiìcultà nata dal muoversi la Terra intorno al Sole non solitaria, ma in compagnia della Luna. 367 Dimostrazione dello inegualità de i tre pianeti superiori, depon- denti dal moto annuo della Terra. 370 Il Sole stesso testifica, il moto annuo esser della Terra.372 Quando la Terra sia immobile nel contro del zodiaco, bisogna attribuirò al Solo quattro movimenti diversi.380 Ponendosi il moto annuo esser della Terra, bisogua che una sfolla fissa sia maggioro dell’ orbo magno.385 Esempio accomodato por dichiarar come P altezza del polo non si deve variare mediante il moto annuo della Terra.402 vSì corca, quali mutazioni, ed in quali stelle, si debbano scorgere mediante il moto annuo della Terra. 404 20 L’ asse della Terra si mantiene sempre parallelo a sè stesso, e descrive una superfìcie cilindrica, otc.406 L’ orbe della Terra già mai non s’inclina, ma immutabilmente si conserva.407 Indizio nelle stelle fisse, simile a quel cho si vede no i pianeti, per argomento del moto annuo della Terra.409 La Terra si accosta e allontana dallo fisse dell’ eclittica (pianto ò il diametro dell’orbe magno.411 Quando nello stelle fisse si scorgesse qualche mutazione annua, il moto della Terra non patirebbe contradiziono.413 so Luogo accomodato per l’osservazione dello fisso in quanto appar¬ tiene al moto annuo della Terra.415 Proposizioni necessarie per ben capire le conseguenze do i moti della Terra.416 Accidente maraviglioso dependente dal non inclinarsi l’asse della Terra,.420 DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 519 v Vanità del discorso di quelli che giudicano la sfera stellata troppo vasta nella posizion del Copernico.396 La velocità maggiore compensa precisamente la maggior gravità. 241 Velocità diconsi eguali quando gli spazii passati son proporzio¬ nali a i tempi. 48 Venti da terra perturbano i mari.465 Venere grandissima verso la congiunzione vespertina, e piccolis¬ sima verso la mattutina.351 io Si conclude necessariamente, Venere raggirarsi intorno al Sole. 351 Altra difficoltà mossa da Venere contro al Copernico.362 Ragione onde avvenga che Venere o Marte non ci appariscon variar grandezza quanto conviene.363 In Venere la mutazion di figura argomenta, il suo moto essere intorno al Sole.350 Altra seconda cagione del poco ricrescer di Venere.367 Venere rende inescusabile l’error degli astronomi nel determinar le grandezze delle stelle.388 Venere, secondo il Copernico, è lucida por sò stessa, e di sustanza trasparente.362 20 Apparenze di Venere si mostrali discordi dal sistema Copernicano. 360 Vero e bello son l’istesso, come anco falso o brutto.159 La vertigine veloce ha facultà d’estrudere e dissipare.216 Posta la vertigine della Terra, la palla nell’ artiglieria eretta a perpendicolo non si muove per linea perpendicolare, ma per una inclinata.201 Cause della disegualità delle suttrazioni e degli additamenti della vertigine diurna sopra ’1 moto annuo.482 Vibrazioni del medesimo pendolo si fanno con la medesima fre¬ quenza, siano esse grandi o piccole.256 so La virtù che conduce i proietti gravi in alto, non gli è men na¬ turale che la gravità che gli muove abbasso.261 Virtù mirabile interna del globo terrestre di riguardar sempre la medesima parte del cielo.425 Il fine della tavola delle cose più notabili che si contengono in questo libro. 520 DIALOGO SOPRA I DUE MASSI III SISTEMI DEL MONDO. In Fiorenza Per dio. liutista Landini MPCXXXII. Con licenza è ? ,»> t * * \ Ri r? c». ^ \ . è • • 1 i ó \? * K u M r? a ■ §■ ^ » tv v 3 cl* s II ^|L f'^f i « f-Of-f& JT# e- ? I £>$} * t’Av?j -' IU t & ì: ?: « lì c> . fc n? : Sk' ?> fS roi * ? 'i ) A £$ •#£>j I K ^ y * \ ì - f - : * è % Vii* ****** k . A - s£ *> t w r*. ^àST= » * ..- . ^ ^ * * V. w lift- & b *4 & fetì ? i i*>z *f Z vM lev, ■ - £ v f'Q ■-• "'r s. f • *e *£*| *■ r■? &&-S- >t. y- c 5 * ri f i 'V ^S- a H -5 H W > p b *' -tj ft.vC P'V ■I » ti •:* %lh *i-ie?r tti* v - ^i lf *i#fl|i ! Ma* sTOPftat li Mìr 1 r» 1 %!' * f ì ! 1 *U 524 FRAMMENTI ATTENENTI AL DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 0 Afa. fi. t# Afa 7 $-io ; AS^\r (. fóoÓL. JllfieHMvALJflM) 'M.AaJtz'** AéfÀlbliét- ' 7f -*r » 7^- ■f/ 7£'Sìmm/,'. . 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( PvHJ-i>o 4 fvJun a r * w vL^ficpu- ^f&ziwho <5V j*cà£j£sh jLwmr~2jfX4: V&MW/tyy,.,*. ***«*.%?* ^ o*Sp&McW yy's^ _ìfC yu* 4 àL 2 t f: ‘ /^ I , 3 ^ frfw/f&ff%$,taJSQc /v SjSvk- ÙL SwifiAjK^cSéSxk S4, k xV ,. at^W, +i/*^USjk c&j& e. ^^ Sh^rSifiSmuf; "2-t «7. ^ 526 FRAMMENTI ATTENENTI AL DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. &/CU** A&£<£^r. cù'&mijfy. \ - r ' --* —^ «• 7f ^. fi-by*' cS'eu<*U« %. 4y o c*/Mw*gf«> aititi. /" (kurJLSUvfó^vBf^r; 1 - ^ 'Hvìf .dZfatjlé i.nuivJjti. 'QjLrtf ce ^'yfaiZO^j ditti ^ J fyó rud/7 1 ** £0 * *,7 T ? #*0^ cT fatici? 4* fafa* Sfa* ^ ^'/V* 7j • fadxfaj> c*iJUs&farti* .10 SfajL U. &ì^ 'fljxfi ; co faj^^MyiC fi fl*/ frl*4- ; f( . *✓. fO.fJ.7KLl JiUkàinfatti. 7 SfaL-'jJktt'- £iddHU) A 't - ' SJttm* (& tórrd tfUjdtv 0. fdù i Vru*c +j. vf- JjIt> 6}'fa* + l^dAÌVrupc *-*Ul'*/ttt(Z+ tivn i« -u2_-^w liU'Jiy* 'CL --*f. 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' • 6<6**£?*S*&*. *S *, '*&&«.**«*' «■ è- i£**/&+ ■<&* svtfi m , ■ 4 " r*w * a? l la circunferenza al semidiametro è come 44 a 7 ; la corda di un grado (che è insensibilmente minore del suo arco) sarà contenuta nel semidiametro volte 57 prossimamente ; la corda d’un minuto primo entra nel semidiametro 3436 volte ; la corda d’ un minuto secondo entra nel semidiametro 208454 ; adunque, posto il diametro visuale del O 30', entrerà nella sua distanza dalla Terra 114 volte, ed il diametro intero dell’orbe magno conterrà 228 diametri del 0. E posto che il diametro visuale del 0 contenga 360 diametri vi¬ suali d’ una stella della 2 a grandezza (che sarà quando il diametro io visuale della stella fissa sia 5 minuti secondi), adunque (quando si ponesse che le stelle della 2“ grandezza fusser grandi quanto ’l Sole) la distanza di tali stelle dalla Terra conterrebbe ... Sarà dunque la distanza delle stelle fisse 360 semidiametri del- V orbe magno. 2. sarà sarà contenuta — IL le stella della — 12. Dopo conterrebbe si leggo; 82080 dia¬ metri del © o di essa stella; ma queste parole sono cancellate. — 54U IRAMMENTI ATTENENTI AL LIALOGO In materia doli’ introdur novità. E chi dubita che la nuova introduzziono, del voler che gl’ intel¬ letti croati liberi da Dio si facciano schiavi dell’ altrui volontà, non sia per partorire Beandoli gravissimi? e che il volere che altri neghi i proprii sensi e gli posponga al- 1’ arbitrio di altri e che 1’ ammettere che persone ignorantissimo d’una scienza o arto abbiano ad esser giudici sopra gl’ intelligenti, e per 1’ autorità concedutagli siali potenti a volgergli a modo loro Queste sono le novità potenti a rovinare le republicho e sovver- io tire gli stati.*'’ Sopra alcune scritture umili o di poca sustanza (Sacrobosco, ed altre) cementatori arguti fanno esposizioni e trovano sensi mirabili, in quel modo elio cuochi esquisiti con lor saporetti rendono una vi¬ vanda, per sè stessa insipida, gratissima a chiunque la gusta. Molti si pregiano d’aver molte autorità di uomini per conferma¬ zione delle loro opinioni ; od io vorroi essere stato il primo e solo a trovarle. (l ’ Sul tergo del cartellino (cfr. a questo proposito 1‘Avvertimento) nel cui recto ai leg¬ gono questi frammenti, sono, pur di inano di Galileo, duo operazioni aritmetiche e il seguente appunto, che potrebbe essere uun Camp. — 4 Rosici. — 2 Magai. 1 — 1 Rinuc. — 1 Guid. — 1 Confes. — 1 Forse dopo trovarle era scritto rte. Riguardo allo lacune che indichiamo con puntolini, o a quelle alle quali suppliamo nota di persouo allo quali (Campanella, Re¬ sidente, Magalotti, Einuccini, Guiducci, Con¬ fessore) l’Autore avesse mandato, o volesse mandare, una o più copio del Dialogo o di altra sua opera: con parole o lettere chiuse tra parentesi quadre, o stampate in carattere tondo o corsivo, vedi rAvvertimento. SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 541 Avvertite, teologi, che, volendo fare materia di fede le proposi¬ zioni attenenti al moto ed alla quiete del © e della Terra, vi espo¬ nete a pericolo di dover forse col tempo condennar d’ eresia quelli che asserissero, la Terra star ferma e muoversi di luogo il © : col tempo, dico, quando sensatamente o necessariamente si fusse dimo¬ strato, la Terra muoversi e T © star fisso. Etc. Il moto di un cerchio, che si muova dentro a un altro, si devo stimare farsi conforme al moto o alla divisione dell’ ambiente, se¬ condo che le parti dell’interno fanno in relazione delle parti del¬ io 1’ ambiente riguardate dalle parti dell’ incluso: e così l’interno abcd si dirà muoversi secondo l’ordine delle parti dell’ ambiente efgh, quando la conversione sarà dal punto d verso [a] e da a verso b, elio sono le parti che riguardano verso l’arco lief ; e non si dirà, tal moto esser contrario all’ ordine lief perchè il moto delle parti bed sia contrario all’ lief, perchè bccl riguarda fgh e se¬ condo l’ordine di quelle cammina. Questo si nota in grazia della convorsion delle macchie solari, che si deve chiamare da ponente a levante, a confusione dello Scheiner. 20 Nota nel Fromondo a f. 10, al segno n p, come egli dico aver dal Keplero e da me la conversion delle macchie, e non da Apelle. Per quelli che si perturbano per avere a mutar tutta la filosofia, mostrar come non è così, e che resta la medesima dottrina del¬ l’anima, della generazione, delle meteore, degli animali. Per quelli che non si accomodano al moto annuo per 1’ avere a far salire e scendere il [globó]"\ domandar se quando non avesse a sa¬ lire, si quieterebbero. Si dichiari che l’istesso [djovrebb[ero] dire della nave che circonda la Terra. E perchè essi capiscono per moto che non salga nè scenda q[«c//]o che si facesse per cerchi i cui poli fus- 24. dell meteore — {,) Cfr. Opere di Galileo Galilei ecc. del Seminario, appresso Gio. Manfrè. To- In Padova, MDCCXLIV. Nella stamperia ino IV, pag. 236, nota 1. 542 FRAMMENTI ATTENENTI AL DIALOGO Boro in nostro zenit, sogghigni che tutti i cerchi hanno per polo qualche zenit, e che noi Toscani non doviamo esser privilegiati nel nostro zenit rispotto a i Portughesi o i Persiani, e che sì come il moto intorno al globo terrestre per ogni cerchio non sale e non sciende così ne i cerchi celesti. Etc. Domando : il flusso etc. o ò fattibile in un modo solo, o in più modi. Se in un.... adunque è fatto col moto della Terra, perchè così è manifesto lui css...; se in molti, io cerco in quale egli è stato fatto. L... ruota della macina da guado p... elio [ab]bia 2 moti intorno... considera se ridotta in una sfora, possono farsi circa ’l suo cen... due. io Si sta sul guadagnare, perché perder nissuno degli aderenti non ò possibile. Dimmi, Coc.°, che credi cho sia più facile, o [che] io guadagni do i contrarii, o perda do gli aderenti? Sol stetti ; e fermando il [suo] rivolgimonto, si forni., tutto il si¬ stema, o allungo (,) il giorno. lo stazioni, appressamenti, moti delle [macc]hio, mutaz... nello fisso, flusso nel mare, effetti tanto diversi a i quali satisfa il moto della Terra, sono argomento più che necessario. Dal veder lo parti della Terra con tanta resistenza rimuoversi 20 [dal swoio]'*’, non si può argumentare che V intero globo resista alla tra- sposizion [del moto onnt<]o, con maggior ragione che dalla resistenza delle pa[ri» della pania al separarsi tra [di loro si possa inferir che tutto il vaso pieno di] pania [sio conside]rabilmente più renitente [uil’Jes- ser mosso che so fusso pieno d’ acqua [0 di altro ] : e così una bi- 3. Dopo 0 i si leggo, cancellato, Ginpp. — 13. E molto incorto se si debba leggero Coc.° oppure Cac .• — li L - 22. al traspoaision — (t) Forse si dovrebbe leggero si fermò tutto il sistema, e allungò; ma la lettera dopo fenn è andata perduta per guasto della carta, o allungo non ha accentato \'o. (1) Cfr. Opere di Galileo Galilei cii, Tomo IV, pag. 236, nota 1; e Le aggiunte autografe di Galileo al Dialogo sopra i due massimi sistemi nelV esemplare posseduto dalla Biblioteca del Seminario di Padova, pubbli¬ cate od illustrato da Antonio Favaro, negli Atti della K. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Modena, Tomo XIX, 1879, pag. 258. SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 543 goncia piena di piombo dovrebbe resistere al moto [cento] volte più che piena d’ argento vivo. M. Simplicio, non perchè l’arco resiste [tanto a] muoversi e piegarsi verso l’oncino, dovete creder che tutta la balestra resista] similmente all’ esser mossa verso quella parte ; nè [perchè] lo parti della [corda mista] no al separarsi, tirando 2, uno a levante e l’altro a ponente, assai più re[stsfe] la corda all’[esser] strascinata verso quella o questa parte. Perchè le pa [rii della] Terra resistono per tutto all’ esser mosse verso i zenitti e tendono verso i nadir, fanno [che] in conseguenza l’intero globo non repugna punto io all’ esser mosso verso 1’ uno o 1’ altro termine. Simp. Io veggo pure che un vaso pieno di visco fa una gran re¬ sistenza all’ essere alzato. Salv. Sì ; ma cotesta resistenza è diversissima da quella [per] la quale le parti resistono al separarsi] : questa è viscosità, che repu¬ gna al moto per tutti i [?;ers]i ; e [que]lla è gravità, che repugna al solo moto in su. Quella della pania, perchè resiste per tutti i versi, fa che il vaso tutto non resiste por verso nissuno: quella de i gravi, che resiste per tutti i versi rispetto a tutto ’l globo (perchè resiste verso tutti i zenitti), fa che tutto il globo non ha repugnanza nis- 20 suna verso termine [a]lcuno. ... o C,, devi tener grandissimo obbligo alla tua somma ignoranza : che se questa [n]on fusse, tu non potresti scansare o ricoprire una orrenda malignità o impietà, nel por mano a imp[res]e [da] (n tirarsi [dici] ro scandali grandissimi nella religione ... puoi dire, l’opinione del Copernico esser cominciata a andar serpendo in perniciem etc., perchè nissuno de’ suoi seguaci dice che ella sia contro alle Scritture o alla fede, nè mai l’ha detto. [77] (2) tempo d’ oriuolo [mosso] per 1’ acqua può forse servire per misurar 1’ ore etc. so [Il v]ento <3) in favore aiuta il mobile men veloce, il vento contrario l’impediscie ; adunque 1’ aria egualmente veloce [non] opera nulla. 17. resiste è di lettura incerta. — Cfr. Le aggiunte autografe di Galileo 0) Cfr. Opere di Galileo Galilei cit., al Dialogo ecc., pag. 260. Tomo TV, pag. 175, nota 1 \ e Le aggiunte w Gir. Le aggiunte autografe eco., pag. 260. autografe ecc., pag. 260. 544 FRAMMENTI ATTENENTI AL DIALOGO dottrine nuove, elio progiudicano, sono le vostre, che volete con non mai più . costringer 1* intelletto e i sensi a non intendere e non vodoro etc. [che facendo a a .si- 33 . quam ex eo infert Lansbergius in suis Commentationibus in motum Terrae diurnum, io controversia 1, post Origanum et alios : quoniam semidiameter orbitae Telluris, sive Solis, est 1498 7» semidiametrorum Telluris ipsius, et semidiameter sphae¬ rae fixarum ost 10302927 semidiametrorum Terree; harum autem unaquaeque est 859 7, milliariorum germanicorum ; undo peripheria sphaerae fixarum erit 55628464617 milliariorum : qua divisa in 24 horas, percurret sphaera ipsa unius horao spatio 23178529092 milliaiia, et intra unum borae minutum primum, 38630878 milliaria; intra unum autem borae minutum secundum, hoc est in momento temporis, 643848 milliaria gei manica, quod est impossibile: restat igi¬ tur sphaera fixarum immobilis, et, per consequens, Terra movetur. Veruni, quamvis darentur illae semidiametri orbitae Telluris et sphaerae fixa- ao rum, tamen ea negatur impossibilitas, cum infinite maioris sit potentiae coeluni ex nihilo creasse, quam illud movere, quantaecunque sit tìnitae magnitudinis, ideoque moveri queat vel a seipso, si Deus illi congiuam vira motivam dederit, vel ab Intelligentia proportionatae virtutis, vel a Deo solo illius volente motum, atquc circumvolvi non tantum in 24 horis, sed etiarn in unius nostrorum horae minutorum duratione : quod qui negat, Dei omnipotentiam negat. Praeterea, cum Sol et Terra sint corpora mobilia, determinent Copernicani ad quam usque quan- titatem prò corporis motu liceat ascendere, et ultra quam corpus mobile non sit amplius mobile, buiusque causara assignent. Nec est quod Lansbergius, de Scriptura Sacra passim ludendo, ipsius Dei potentiam infinitam, immensitatem atque glo- 80 riam, magis commendare nitatur ex prope infinita vastitate sphaerae fixarum atque fixis ipsis, quarum alias lerrae 6phaera maiores, alias eidem aequales, efticit: quis enim non videt, Dei omnipotentiam magis commendaci ex eo quod Lansbergius falso putat impossibile, quam ex eo quod ait esse possibile ? Denique, posita, iuxta Tychonem, semidiametro sphaerae fixarum tantum 14000 semidiametrorum Terrae, quarum unaquaeque sit, ut supra, fere 860 milliariorum germanicorum, ipsa fixarum sphaera in uno borae minuto secundo, hoc est du¬ ratione unius pulsus arteriae hominis temperati, tantum percurret 876 milliaria 556 DAL LIBRO DI G. B. MORIN germanica: quod, quamvis divina© virtutis admiratione sit dignissimum, tamen differt a calcalo Lansbergii fere 643000 milliaribus germanici©. Secunda ratio est Keppleri, dosumpta ab eadem impossibilitate, libro 1 Astro¬ nomia© Copernicana©, pag. 105. Mundus enim (ait) est infinitus, aut fmitus: posilo antera muralo extrorsum infinito, demonstravit Aristoteles, illum moveri non posse mota oonvolutionis totum, quatenus totus: esto iam finitus mundus; extra mundum igitur nihil est quod annido praestet locum, ipsura vero quiescat; ubi vero nihil est quod quiescat, ibi raotus nullus est; non ergo potest moveri coelum, extra quod nihil est. . . . Àtqui eodem quo supra argumento concludetur coeli motus et quies Terrae, io hoc modo. Esto iam finita regio planetarum : ergo extra illam nihil est quod eidem praestet locum, ipsum vero quiescat, ac, por consequens, cum extra illam sit sphaera fixavum, quae ipsi regioni praestat locum, sphaera ipsa non quiescet; ergo movebitur, ideoque Terra quiescet, contra ICepplerum. ... pag. 42-43. Decima ratio est itorum Keppleri, pag. 109 libri 1 Àstvonomiae Copernicana©, post Origanum, a causa motus primi, sic enim argumentatur. Omne materiatum, quatenus tale, aptum est ibi quiescere, ubi solitarium ponitur: oportet ergo primum motum adscribere vel alicui facilitati animali, subiectum motus informanti aut eidem assistenti, vel alicui potentiac naturali motrici intrinseca©: atqui ea causa movens facilius in Terra ponitur quam in coelo. Hoc enim amplissimum est et 20 excavatum, per quod liane facultatem diffundi oporteret circulariter, cum, e con¬ trario, possit anima aliqua in Terrae centro poni radicata, 6ecundum naturala suae essentiae spiritualis indivisibilis .... Pag. autem 117 ait, manifestum esso globum Telluris informatura esse forma corporea rectilinea secundum tractum axis primi motus, hoc est, iuxta pag. 116, fibris rectilineis axi paralleli, quibus inest interna facultas naturalis tuendi sese, constanter directas in eandem pia¬ gala : praeter eas vero fibras rectilinoas, alias etiam admittit circulares, circa Terrae axem circulariter exporrectas, in quibus alia nidulatur facultas, Terrae corpus circa ipsum axem moYendi .... pag. 41-45. Ad liaec autem respondetur, primo, divisionem causarum motus diurni non so esse adaequatam .... Secundo, novae huius philosophiae falsitatem inde probari, quia per animam in centro radicatala Kepplerus intelligit animam informantem ipsum Terrae cen- trum, aut etiam Terrae portionem circa centrum, aut totum Terrae corpus, sed in centro praecipue vigentem ; vel intelligit spiritualem essentiam indivisibilem, -in Terrae centro rosidentem nihilque animantem, sed tantum per sui speciem in omnes globi' partes diffusam atque agentem. Primum vero dici non potest: nani anima est .actus corporis organici .... Non tertium : quia praecipui animae vigoris in centro nulla, haberi pos6unt indicia; habentur autem in superfìcie evi-. FAMOSI ET ANTIQUI PROBLEMA TIR ECC. 557 dentis8Ìma ex * . . . rapidissimo Buperficiei motu, qui circa centrum insensibilis est omninoque desinit in ipso centro* . . . Nullo igitur modo datar in Tellure virtus sivc anima, quae Tellurem ipsam et gravia in aere circumvolvat. Talia autom nulla sequitur absurditas, virtute mo¬ trice posita in superficie mundi, quippe ertelo, ut fecit Aristoteles; quia motus in superficie velocissimus inde continuo remittitur usque ad centrum, ubi omnino V # desimt. . . . .... Responsioni praemittendum : certuni esse quod, moto globo quocunque circa suum centrum, partes quae sunt in superficie moventur omnium velocissime, io aliarum vero velocius quae ipsi superticiei sunt viciniores, ideoque omnium tar¬ dissime quae centro maxime appropinquant; ac propterea centrum ipsum, quod a superficie maxime distet, pcnitus immobile remanet. Ex quo patet evidenter, motum globi non esse a centro, hoc est virtute in solo centro residente: alioquin haec moveret per speciein, validiusque in remotum quam in propinquum, ideoque e6set adiva ad iniinitam distantiam. . . . .... quae autem densiora sunt, eo magis repugnant motui circulari .... Idque •' fatetur Kepplerus ipse, libro 1, pag. 118, ubi, de Terra loquens, ait: Quod ma- tcriac , qua plurima Terra constai , propria est incrtia , repugnans motui, euque tanto fortior , quanto maior est copia matcriac in angustimi coacta spatium . . . . 20 Porro Kepplerus cum Copernico, cernens eam Terra© gravitatene suae sen- tentiae omnino repugnare, negat ulluin essa in natura grave aut leve absolute, sed haec tantum dici respective; idque probat libro 1 Astronomiae Copernicanae, pag. 99: quia si ignis, si fumus, absolute levia essent corpora, evolarent a Terra 6ursum usque in extimum coelum. At quod hi philosophi retibus inextricabilibus magis ac magis sese implicent, inde liquet, quia saltem inde sequitur, quod extimum coeli sit locus absolute • levium, ideoque, a contrario, coeli centrum locus absolute gravium, iuxta rei ve- ritatem .... Prodiit etiam ex Italia manuscriptum viri equidem ingeniosi, in quo innomi- 80 natus author duplicem causam atfert fiuxus et reliuxus aequoris : alterarli prima¬ riati, alteram secundariam. Primariati vult esse Telluris excentricae motum, ex annuo et diurno compositum. Ait enim, eam esse naturam aquae vase contentae, quod si vas progressive moveatur nunc celerius nunc tardius,, sive recto sive circulari motu, ipsa etiam. inde motum concipiat: ut si navicula, .aqua piena et quiescens, ab ipsa quiete, traducatur ad motum celeri ter, aqua elevabitur versus png. 46--17. pag. 62. pag. 62-53. png. 64. pag.57-68. 558 DAL LIBRO DI G. B. MORIN png. 60. pag, 04-66. pag. 66. pag. 67. puppini, ad ipsam accedcns, ot deprimetur ©x parte prora©, hanc deserens ob suam fluxibilitatem, qua ex aequo obeclire excusatur motui navis solidae ; inde tamen rediens ad proram reciproco, aequilibrii causa, tandem obsequetur motui navis eine villa variatione, dum Ulti placide et uniformiter movebitur; si autem navicula subito sistat, ut ad arenam impingens, fìet novus motus in aqua: sicque acceleratione et retardationo motus vasis deferentis accidit aquae agitatio cum reciprocatione. . . . Verum, otsi conceptus hic aliquod probabilitatis specimen prao seferatapud incautos, qui etiam lyncei haberi volunt, tamen a veritate alienus infra demon- strabitur. ... io Adde quod, si Terrae motus esset causa primaria fluxus et refluxus oceani, nullus esset lacus, nullum stagnum, nullusque canalis, saltem ab ortu in occasum extensus, in quibus idem aquarum motus non esset conspicuus; fluviorum vero ab ortu in occasum aut contra tendentium (qualis est praesertim Danubius) diebus singulis motus semel intenderetur atquo remitteretur sensibiliter. Nec valet subterfugium de par vitate vasis conti nentis aquam stagni, lacus aut fluvii, quae parvitas, iuncta cum gravitate aquae tendente deorsum, supprimit apparen- tiam fluxus. Nam etsi verum sit, lacum esse valde parvum respectu maris, tamen eius aquam, longe lateqne extensam et natura fluxibilem, non esse susceptivam agitationis a motu Telluris rapidissimo, praesertim bora mediae noctis, qua eius 20 velocitas maxime intenditur, et meridiana, qua eiusdenv velocitas maxime remittitur, ideo absurdum est atquo repugnans hypotbe9Ì ipsius manuscripti, quia etiam aqua naviculae inaequaliter motae fluxum exbibet sensibilem. . . . r* Decimaseptima ratio ab eiusdem manuscripti authore dcsumitur ex altero effectu naturae quoque mirabili, nempe vento semper dante ab ortu in occasum in zona torrida, praesertim vero sub acquatore .... Nec in sola torrida ventus orientali» sibi aeris dominium vendicat, sed etiam extra : quo tamen ab aequa- tore longius excurrit versus polos, eo magis vis eius enervatur .... Vult igitur author ipse, id propter Terra© motum contingere: quia aer, natura sua fluidus, nec Terrae adhaerens, non tenetur 'Telluris motui obedire, nisi montibus inter- so clusus ab bis abripiatur; ubrvero datur aequalitas superficiei 9phaericae, veluti in oceano, ibi, saltem ex parte, cessat aeris obedientia motui Terrae: atque inde fit ut naves ab ortu in occasum facillime deferantur, aere ilio ad occasum restante, dum globus ex Terra et aqua fertur ad ortum; impediantur autem ad ortum tendere ab eodem aere, qui specimen reddit aurae perpetuo flantis versus Terrae partes occidentales. . . . . . . . At ipsum aeris motum ex Terrae motu 6equi negatur. Nam si motui Terrae non obsequitur ex aequo elementum aquae, quod haec ab illius soliditate deb- ciat et fluida sit, multo magis de aere id erit asserendum respectu Terrae et FAMOSI ET ANTIQUI PROBLEMATIS ECC. 559 aquae : atque id etiam censet author ipse, dum aquam vult restare ad occasum Terrae, et aerem denuo ad occasum aquae, ut proinde a Terra velocius fluat «or quam aqua: ideoque qua proportiono aqua restat ad occasum Terrae, ratione fluiditatis, eadcm etiam proportione aiir, ratione propriae fluiditatis atque rari- tatis, restabit ad occasum aquae, aut, si volueris, Terrae. Hoc autem absurdum est: nam inde sequeretur, sub acquatole naYes saltem decies velocius ferri ad occasum, quam revera ferantur. . . . Caput X. Complectens rationes physicas atque rnixtas , quibtts Terram esse in mundi centro io ostenditur. % Quamvis ex supra refutatis rationibus, prò Telluris motu hactenus exeogitatis, constet evidenter, motum ipsum minime dari, tamen rationes alias, eundem mo- tum directe impugnantes minimeque vulgares, hic adiungendas censuimus, ne de ipso ulla posthac ingeniis supersit dubitatio. . . . Secunda ratio sumitur ab usu spatii inter Saturnuin et fixas. Nam, uteunque Copernicani spliaeram Saturni dilataverint, inter liane nihiloininus et spbaeram lixarum continentur Terrae semidiametri, iuxta Lansbergium, 10288046, iuxta Kepplerum vero 599G7010 : vustitas incredibilis .... Quoniam vero totus hic mundus visibilis rerum statui tantum naturali deservit, iure optimo quaeritur so ex Copernicanis, quis sit usus in natura vastissimae illius intercapedinis vacuae astris, quibus solis, post primam causam physicam, insunt virtutes influendi in haec inferiora, ut ipsas stellis fixis, eo spatio adirne altioribus, inesse conceditur ab omnibus. Respondet Lansbergius, caeteris tacentibus, spatium illud non esse vacuum, ut volunt Tychonici, sed plenum bonis et malis daemonibus. . . . .... ex ipso Kepplero et rei ventate, maculae Solis sunt tantum exhalationes dissipabiles, ut terrenae; vere enim inter Solem et nos dissipari deprehenduntur, etiam in medio disco Solis : si autem fuerint exhalationes, ergo non inhaerent Soli, neque sunt ex se immobiles, ut patet utrunque ex terrenis exhalationibus. Quod autem spectat ad virtutem Solis circumductivam, quaecunque illa po¬ so natur, sive lux si ve calor .... certuni est, de luce et calore, quod in Solis eelypsibus totalibus, frequenter occurrentibus, ipsius Solis virtute ad Terram mi¬ nimo tunc pertingente (ob Lunao corpus interpositum), staret omnino Tellus in orbe magno, oscitantibus Copernicanis; in eelypsibus vero partialibus, Telluris motus eo magis retardaretur, quo maior esset eclypsis ; quod sane motum Solis pag. G8. pag. 74. pag. 70-80. 560 DAL LIBRO DI G. B. MORIN pag. 80-81. pag. 88. pag. 110. pag. 114. pag. 110-110. apparentem maxime interturbaret, tardioremque redderet quam ex tabulis et observatioiiibiis colligatur. ... Quinta ratio valde notanda dosuinetur ab astrologia, totius phj^sicae capite, ad qiiam prae caeteris scientiis spectat definire, quo in mundi loco sit Terra omnium influentiarum coelestium receptaculiun sive passivum subiectum_lam vero repugnant astrologicao rationes Telluris excentricitati: quod, etsi sobrie tantum simu3 hic ostensuri, id tamen suilicienter praestabimns, praeniissis se- quentibus. . . . 4. Planetas dupliciter agere, quippo aeorsim, et cum primo coelo, quod iam supra diximus primam causain physicam. Primo autem modo agunt directe or- io biculariter, sive undequaque, idque per se aequaliter, saltelli in eadem distantia; sicque Sol suo lumino ellicit Lumie pliases, easdem ante plenilunium quaa post plenilunium. At secundo modo tantum agunt directe versus caeli centrum: nani pianeta tantum agii cum ea coeli parte quam abscindit visibili sua diametro.... liaec autem coeli pars, quia concava, tantum ad coeli centrum, sive focum, vir- tutein suam primo et per se dirigit. . . . Caput XI. Complcctens ratioves physicas , quibus Tellurem quiescere demonslratur. • • i • . ... est autem vapor, sive fumila, ex gutta aquae saltem centies rarior ipsa aqua: olla enim aquae piena, bulliens ad ultimala usque giittani, fumum centies 20 maiorem evaporat quam sit aqua contenta. Et crescente raritate, crescit fluxi- bilitas: aer vero saltem decies adbuc rarior est ipso fumo, proindeque millies quam aqua rarior est fluidiorque: ponatur autem tantum centies, vitandae in su- pradictis controversiae causa. ... ; • * i r Quarta ratio est a gravibus, per se primo mundi centrum petentibus. . . . .... Ad Terrae . . . centrum . . . grave deductum, in eo solo quiescet seorsim, Terraeque non adhaerens . . . . At grave, spreto Telluris contactu et adhae- sione, quiescens in centro . . . palam docebit Copernicanos, se Terrae corpus per se primo non petiisse vel atì’ectasso, sed ipsum centrimi, non tamen quate- nus est intimum et medium corporis terrestris, ut asserit Kepplerus cum aliis so Copernicanis. Nam si Telluris elementum virtute divina annihilavetur, concedent Copernicani elementum aquae successurum in Terrae locum, idemque centrum occupaturum quod prius Terra occupabat, quandoquidein ambo dementa idem centrum afiectant .... Igitur extiinae superficiei aquae superponatur lapis : bic vel aquae supernatabit (quod nullus sanae mentis asseret), vel, aquam su- FAMOSI ET ANTIQUI PROBLEMATIS ECO. 561 bintrans, rursus dcscendet in idem centrum, at non ut medium corporis terre- stria, vel ut suo toti uniatur, aut quod a Terra trahatur, quae nulla est. . . . Non ergo a lapide quaeritur ipsum centrum ut centrum Terrao vel aquae vel aeris ; neque centrum ipsum est centrum per se cuiusquam taliura corporum, sed tantum per accidens, ut patet valdeque notandum est: ergo tantum quaeritur ut centrum coeli. . . . .... Praeterea refert Georgius Agricola, libro 5 De natura fossilium, quod cum, in png.122. Franconiae fedina ferri quam magnetum vocant, operarii, definito labore perfuncti, cuneos et malleos do manibus in solo cuniculi (ut fieri solet) deposuissent, po¬ lo stero die ad eundem laborem redeuntes, instrumenta non invenerunt in solo cu¬ niculi in quo deposita fuerant, sed ad superiorem alterius lateris ipsius cuniculi partem, ex qua lapidis magnetis viribus attracta pendebant. . . . .... Sic enim (referente Georgio Agricola supra citato) in Alexandria Aegypti la- pag. 124-125. quearibus templi Serapis validi magnetes accommodati, statuam aeneam, in cuius capite ferruin erat inclusum, tenuere suspensam, ut nec solum nec culmen at¬ tingerei. . . . Quod si Tellus gravia, ut magnes ferrum, attraheret, nequidem pedes nudos vis hominis ex Terra avelleret: idque confirmat Kepplerus ipse libro 1, pag. 137 , dum lapidea, super Terrarn existentes, virtute tractoria ei alligavi dixit. At homo pedes nudos elevat, sine ullo resistentiae sensu: nullo 20 igitur modo Tellus gravia attrahit. De materiac autem ad motuiu inertia, quae, ex Kepplero, libro 1, pag. 118 , inotui, hoc est Telluris tractrici, resisti!, proindeque multo magis animalium mo¬ trici, nihil dico, cum in comparatione vincendae tractricis Terrae, quae montem etiam aut quid gravius ex aere attraheret, sit piane insensibilis .... Solum addo, quod si veruni esset, gravia in aere ob materiae inertiam tractrici Telluris reniti, ibi plus esset renitentiae ubi plus materiae, proindeque maiora et densiora tar- dius descenderent, minora vero et rariora velocius, iuxta proportiones materiae gravium ; hoc est, grave centuplo maius et densius, centuplo tardius descende- ret, cum tractio ponatur fieri ab eadem Telluris virtute,: quod est absurdissi- 30 mum et experientiae omnino contrarium. . . . NOTE PER IL MORINO. Alla fac. 5 [pag. 550, lìn. 28-81]. Rispondesi clie Aristotile e Tolomeo sarebbero stati col Copernico, se avessero auto cognizione delle osser¬ vazioni e ragioni che mossero il Copernico ; le quali non essendo state nò confutate nè anco vedute da quelli, snervano la loro autorità. fac. 8 [pag. 551, lin. 1-6], Voi ammirate il sistema Copernicano, e chia¬ mate grandissimi uomini i suoi seguaci, e confessate di avervi auto inclinazione ; però non doveresti chiamarlo altre volte vanità, e quivi ancora error grave. fac. 13 [pag. 551, lin. 17-27]. Nota dunque quello che dice S. Agostino, io cioè che non si deve pervertire il senso litterale mentre non repugni alla ragione : dal che si cava che prima bisogna con ragione pro¬ vare quello che sia del moto o quiete del 0 e della Terra, e poi considerare se si possa o debba alterare il senso delle parole della Scrittura. In quel che segue, quanto t’inganni, Morino mio, a cre¬ dere che al vulgo sia così facile il credere che la Terra si muova e stia fermo il cielo, come creder 1’ opposito ! fac. 25 [png. 552, lin. 19-25]. Chiama vanità le ragioni; ed altrove ha detto, il Copernico aver tanto esattamente reso ragioni del suo si¬ stema. Dice appresso, voler provar la stabilità della Terra con ragioni 20 nuove e necessarie, e non con le usate vanamente sin qui : son dun¬ que convinti Aristotile e Tolomeo. fac. 31, 32 [pag. 555, lin.8 e 8eg.J. Per quello che qui vien detto, si ri¬ sponde che il moto delle fisse si reputa falso per quello che ci mo¬ strano gli altri corpi mobili, de i quali siamo certi che i mossi per NOTE PER IL MORINO. 663 cerchi maggiori fanno le conversioni in più tempo ; e però il voler che la sfera altissima sia senza proporzione più veloce, pare sproposito. A fac. 2 [pag. 549, Un. 15-18], considera, Sier ..., quanto tu sei al di¬ sotto : imperò che nò Aristotile nè Tolomeo hanno pur pensato, non • che atterrato, alcuno de gli argomenti con i quali i Copernicani ten¬ gono la mobilità della Terra; ma ben questi hanno mostrata la vanità delle ragioni d’Aristotile e di Tolomeo (,) . fac. 98 [pag. 559, lin. 11-14]. prometto ragioni nuove e necessarie per la immobilità della Terra. io Fac. 4 [pag. 550, lin. 23-31]. Tu assomigli a gli eretici i Copernicani, perchè sono tra lor divisi etc. Ma, Sier vis de ..., tanto son tra lor divisi i Tolemaici ; poi che, non si potendo sostener il sistema di To¬ lomeo, alcuni fanno la Terra mobilo nel centro, altri immobile, ma mobile il 0 circa di essa con tutta la schiera de i pianeti, e già altri ammettono 9 0 ^ intorno al 0 : e questi son tutti Tolemaici. Porche di’ tu dunque, i Copernicisti esser tra lor divisi più che i Tolemaici ? non ti accorgi tu che tu stesso già confessi, il sistema di Tolomeo non poter sussistere? fac. 122 [pag. 561, lin. 7-12], l’Agricola resta convinto di bugia, e l’Au- 20 tore di credulità puerile, perchè i ferramenti dovevano esser rapiti immediatamente che furon posati, anzi gli operarii dovevano sentir 1’ attrazzione mentre gli avevano ancora in mano, senza aspettare al giorno seguente. 124 [pag. 561, lin. 13-16]. Il medesimo Agricola si manifesta ciarlone a fac. 124. 16. di’ tu du, i Copcr * l — 17 comfessi — Al medesimo passo al quale si rife- lilbo, sul margino inferiore della pag. 2 risce questa Nota, è pur relativa la seguente nell’esemplare dell 5 opera del Mohin che postilla, che si legge, scritta di mano di Gà- appartenne allo stesso Galileo : sed quomodo, ini vir, repudiata, si nullum prorsus ex argumentis quo [sic] ipsa confirmatur, nedum resolutum, sed neque auditum ab Aristotele voi Ptolomaeo fuit unquam? w Così « fac. 98 » si legge nelPantografo A questa pagina un segno marginale, di galileiano; ma la Nota si riferisce alla pag. 68 mano di Galileo, indica il passo sul quale del Famosi et antiqui Frollematis eco., la quale egli fermò la sua attenzione con la postilla; nell’esemplare che appartenne a Galileo invece alla pagina che correttamente porta ha, per errore tipografico, il numero 98. il numero 98 nessun passo è segnato. 564 NOTE PER IL MORINO. 125 [pag. 561, lin. 24-80]. Questo che qui si nega dall’Autore, è vero, porche più velocemente si tira in giù una palla di legno di 1 libra, che una di piombo della medesima grandezza: dal che si conclude che anco il più grave resiste più al nuovo impeto. Fac. 4 [png. 550, lin. 23-31]. aggiugni: Se tu vuoi mostrar che al sistema Copernicano sia accaduto quollo elio accade a gli eretici, e non a quello di Tolomeo, bisogna elio tu mostri potersi conservare intatto quello di Tolomeo ; il che tu non fai, anzi ti getta a quel di Ticone. Fac. 5 [pag. 650, lin. 34-36], non è vero che da 3 fonti cavino gli argo¬ menti tutti quelli elio parlano del moto e della quiete dolla Terra, io perchè nè Aristotile nè Tolomeo, nè alcuno altro fuori che i pochi Catolici Cristiani, e questi anco molto inconsideratamente, si servono dello Scritture Sacre. fac. 11 [pag. 551, lin. 10-16], le Scritture dicono quello che è vero del moto e quiete etc. ; e non si può nè deve dir, esser vero del moto e quiete etc. quello elio a te paro che lo Scritture dichino di esso moto o quiete. fac. 21 [pag. 552, lin. 8-11], si dà adito di poter discorrer circa la va¬ nità della proposiziono, che il senso s’inganna facilmente intorno a i sensibili comuni, quale è il moto : oltre che, trattandosi del moto 20 delle stelle, poca parte ci può avere il tatto. fac. 14 [png. 551, lin. 31 — pag. 552, lin. 3]. Come chiami problema ridicolo quello che appresso tanti grand’ uomini è controverso, e che tu stesso confessi non esser Buffizienti a risolverlo nè tutte le matematiche nè le Scritture Sacre? fac. 2G [pag. 553, lin. 1-7], Chiama dogma repugnante al senso que¬ sto che poco fa ha dotto essere impercettibile por il senso, come si vede a fac. 21 33. Della Santità Vostra Fidatissimo o DWotissimo Servo D. Antonio Rocco. A I LETTORI. Deve operar ciascuno, secondo il suo potere, entro i termini della sua professione: chi vilmente torpisco nell’ozio, latto per ciò ribello della natura, inerita esser disnaturato. Non ò cagion legitinia, nò forse tanpoco apparente, per desister dall’ opre, il non poter ridurle all’ assoluta perfezzione o V essere nel medesimo genere inferiore a gli altri ; che se ciò fusse vero, in qualsivoglia sorte di azzione un solo saria 1’ agente o tutti sarebbono eguali, consequenza per ambe le parti non men falsa che erronea. Il prospetto del manchevole, paragonato all’ intiero, lo fa comparir più vago ; tal è il deforme al bello, all’ armonia le pause, lo te¬ lo nebre alla luce : la diversità innumerabile delle cose ò, per cagion di diversità, risguardevole ; l’uguaglianza confonde la distinzione, e questa l’ordine, nel quale solo si contiene il perfetto e l’ammirabile. L’ umana essenza, mistico compendio di bruti, si eommunica a porzione ne i suoi individui, forse con poco dissimili diffe¬ renze che Fanimai generico nelle sue specie: per questo ella quasi più varia ne i suoi particolari, che l’istesse diverse specie di bruti tra loro ; esercita in alcuni ingegno e costumi di pecora, in altri di lupo, in alcuni di cavallo, in altri di simia, etc. Io dunque, non ambizioso di ugualità o maggioranza, ma nell’ imper- fezzione uguale solamente a me stesso, nelle mie professioni filosofiche mancherei notabilmente all’ officio ed insieme al debito mio, se alla gioventù Veneta, dotata 20 di perspicacissimo intelletto, esponessi solo ne i modi consueti, ordinarii, la dot¬ trina di Aristotile ; fraudarci il lor giusto desiderio se anco all’ instanze di quei che 1* impugnano con ogni sforzo non cercassi di sodisfare. Fra i quali in questi tempi, in questa nova Atene (ove fioriscono non meno gl’ ingegni che la cristiana libertà, i studi e le scienze che la divinità delle leggi ed i costumi), essendo vul¬ gata ed esaminata da’ litterati con varii sentimenti la posizione del Sig. Galileo Galilei circa la struttura e condizioni d’i corpi celesti, o di più nelle publiclie catedrc (ove spesso da miei scolari si difende quanto nelle naturali scolastiche 576 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE lasciò scritto Aristotile); per obiezzioni addottemi boti stato necessitato all’im¬ presa di queste mie Esercitazioni Filosofiche, per le quali non intendo rispondere ad altro che a quel che ad esso Aristotile ripugna. Questo fino mi ha mosso, non gii\ perchè io creda la filosofia di esso in ogni parte infallibile, o i suoi discorsi totalmente e sempre dimostrativi; anzi stimo per certo, la verace filosofica sapienza nè a lui nò ad alcun altro de gli omini esser stata giamai per vie naturali pienamente concessa. L’umano sapere, effetto principale dell’anima nostra, non eccede il vigore della cagione ; non potrà dunque da lei, finita, ricever virtù d’ attingere l’infinità d’i scibili, massime del supremo, che è l’unico fonte di conoscenza. L’ oggetto e la potenza cognoscitiva hanno proporzione scambie- io vole ; se dunque ella, limitata, tende all’ attingenza dell’ immenso, attraendosi fuor di sè stessa, nè attingendo quello, si annienta. Oltre che ella medesima, quasi del tutto a sè incognita, quali conoscenze potrà aver scienziali e distinte di i suoi effettiV e cognizioni forse per cause senza causo? totalità di scienza col man¬ camento di principali principii o del tutto? La purissima intelligenza è Iddio; non può dunque trovarsi da Lui disgiunta, c chi la spera totale nelle creature, presume racchiuder l’infinito attualo in un punto. I nostri discorsi, che chiamiamo demostrazioni infallibili, so siano negativi, saran realmente veri; ma ne condu¬ cono appunto ad una verità negativa, ad una cognizione che niente abbraccia. Poco più vale il conoscer per sillogismi che 1 ’ elefante non 6 ia un sasso, che il 20 non conoscerlo in modo alcuno. L’ affirmativo universalissimo sono veraci aneli’ elle, ma non si avvicinano al scopo, ne lasciano nel communale e nel confuso : ed è in vero poco laudabile la dimostrazione di colui che altro non conchiude, che sia animale il cavallo ed il delfino. Le più particolari, quello che si dicono imme¬ diate 0 potissime, se in verità si trovassero come si concepiscono con la mente, se riuscissero nella prattica come si proferiscono con la lingua, sarebbono senza dubbio approbabili e degne : ma di grazia se ne facci una sola ; io quanto a me non ne ho udita mai alcuna, che da intelletti elevati non sia stata conosciuta in qualche modo manchevole, soggetta alle censure ed all’ instanze, eccetto di cose singolari, sensibili, elio sono più tosto cognizioni del senso che effetto d’intei -80 letto dimostratore. Nè è bastante numerar le condizioni della demostrazione e della scienza, perchè in noi si trovi scienza e dimostrazione, come non basta de¬ scriver la felicità di questa vita per render l’uomo felice: quella da ogni per¬ sona intendente può facilmente esser al vivo delineata, e pur in niun di viventi si trova la felicità reale, se non forse (come argutamente fu detto da alcuni) la sua prima sillaba fel. Non è, non è dunque in noi la pienezza totale del sapere: consideriamolo da gli eventi; già da’leoni non nascono conigli, nè dell’aquile colombe. E nulladimeno i figli di questa qualità divina, 0 più tosto de gli uomini che volgarmente chiamiamo scienziati, altri por lo più non sono cho l’ambizione la perfidia ed il fasto ; altiori, intrattabili, arroganti, d’ogni Dio sprezzatori e 40 DI ANTONIO ROCCO. 577 (T ogni leggo : e se pur tuie di essi serbi vestigi di vera virtù, non fucata, ciò ha origine altronde, almanco dal riflesso di non sapere ; onde da questa conosciuta ignoranza nasce questa virtù modesta, non mica dalla scienza, che non esiste. Però dall’oracolo fu solo fra gli uomini stimato savio chi seppe di saper nulla. Le radici della vera sapienza hanno il lor fondo geniale nel cielo; trasportate per tanto in terra, degenerano, come il fromento in zizania. Lo conobbero gli antichi benissimo, e singolarmente Aristotile nella Posteriore, nella Metafisica ed altrove. Siaci però tanto concesso, che i nostri fini ne conseguiamo nel modo che conseguisce anco i suoi, del vedere, la nottola, con la debolezza della sua vista, io ed in questo fosco barlume chi è men losco de gli altri sia lince. La conoscenza infallibile delle cose recondite è quella solamente nell’ uomo che per fedo gli vien direttamente da Iddio. Non giudico dunque (ripiglio all’ intento principale) così indubitatamente certa la filosofia d* Aristotile, che non sia ancor essa soggetta all* obiezzioni ed a gli errori, quantunque per assenso quasi d’ ogn’ uno sia ella stata sia ora stimata la manco erronea, ed egli in questo genere più celebre e più conspicuo di tutti gli altri. È vero che la natura ò madre commune a ciascuno, anco alle bestie, nò si stanca giamai nello sue opere, nò è scemata di virtù nel produr gli uomini e gli ingegni; tuttavia nelle diversità innumerabili dello sue 20 famiglio par che si diletti (per quanto dalla esperienza si raccoglie) di primogeni¬ ture impermutabili, forse per ragion di ordine, che ha dependenza da un primo, che ha regola da un esemplare; e nella filosofica si ò compiaciuta investirne Ari¬ stotile, distribuendo in minor porzione a gli altri lo reliquie a suo beneplacito. Non perchè stimi (dico) la sua dottrina irrefragabile, o perche abbi giurato nello sue parole o che sia divenuto suo mancipio (imposturo del Sig. Galileo a gli Aristotelici), ho preso il presente assunto, se bene ad essa dottrina io sia grande¬ mente obligato per averne conseguito onore commodi ed elezzione «alle più famose catedre filosofiche, che per rispetti maggiori (di servir immediate a quest’alma città di Venezia, a questa Idea delle cristiane republiche, a questa gran patria 20 del mondo e Pritaneo inesausto di virtuosi) ho ragionevolmente rifiutate. Molto meno ho avuto per scopo 1 ’ oppressione di queste nove o rinovate posizioni, se non in quanto l’ho ritrovate lontane dal vero: anzi al primo loro apparire, io, stimatele venute dal cielo, non sonniate, ma visto, famelico di cibo celeste, me gli avventai per cibarne a sazietà la mente; ma praticatele, l’ho trovate non visioni, ma illusioni, non verità indubitate del cielo, ma fantasie fallaci de gli uo¬ mini, di sì lieve ed inabil sostanza 10 all’intellettual nutrimento, che lasciano doppo pasto assai più fame che pria. Non intendo però in conto alcuno, e me ne pro- (, i Lo parole da « ma praticatelo » a « sostanza» Moli' esemplare dell’ ediziono originalo postillato da Galileo furono sognato in margine, da Galileo stesso, con virgoletto o con la figura d’ uua mano. VII. 73 578 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE testo avanti al cospetto di Dio e de gli uomini, di pregiudicar pur in un punto alla riputazione del Sig. Galileo, nò alla fama elio grande ha acquistata nelle matematiche, nò all’altre sue inclito qualità personali; e se tal ora nel progresso di miei discorsi contro di lui apparirà segno o realtà di mordacità o d’im- provero (il che sarà più rare volto ch’io possa), ciò diviene dalla naturalezza della controversia, dall’ officio di litigante, dal ributtar i colpi in modo che fe¬ riscano anco (se sia possibile) chi gli vibra. Non può esser duello (e pur è tale ogni disputa) se non da scherzo o ridicolo, ove non si trattan l’arme che senza taglio, ove mai si ferisca ma si minacci solo. E se egli, inimico fiero, implaca¬ bile, cerca non ferir solamente ed estinguer la dottrina di Aristotile, ma con pun- io ture acutissime e velenose di lingua atterrar la sua fama, e più quella di suoi seguaci ; perché ad altri, forse manco sproporzionato ad esso che egli ad Aristo¬ tile, a ragion di taglione, a giusta difesa, non sarà lecito far in parto l’istesso contro di lui? Io per tanto, come io, umilmente l’inchino; ma come ministro d’Aristotile (qual mi sia), con l’arme di Aristotile istesso, con i suoi naturali principii, che giudico sufficientissimi (come si vedrà nell’ esito), non mancherò a quanto posso. Altri di più ricco talento supplirmi forse a quanto intieramente si deve ; nò perciò queste mio bassezze gli saranno pregiudiciali o affatto inutili, poiché dal tenebroso di esse spiccherà più chiara e più fiammeggiante la vivezza del loro sapere. Non mi curo di applauso, non ho umore d’ esserne stimato 20 disputante, redarguente, saputo; mi si attribuiscano pure gli umili fini predetti : 0 chi della loro candidezza sarà contento, chi si sodisferà d’un desio di ben oprare, senza mirar per minuto l’opere istesse, gradirà cortesemente l’impresa; altri a sua voglia la sprezzi. La gentilezza che con benignità l’accoglie, la scusa 0 la compatisce, mi sarà soave sprone ud altri impieghi ; la severità che la biasma 0 la avvilisce, mi sarà freno tenace da non trabboccar per l’avenire in errori, ed incentivo potente di correggere i già commessi. Venezia, 1033. DI ANTONIO ROCCO. 579 LE COSE PIÙ NOTABILI. Nella prima Esercitazione. Della perfezione del mondo. De i numeri Pitagorici. Dell’ idee ed unità Platoniche. 11 modo di procedere in diverse scienze. Nella seconda. Del ruoto circolare, retto e misto; a chi convengano. Se si diano corpi naturali immobili, io Ordino della fabrica del inondo. Parti principali del moto locale. Il centro dell’ universo. Iddio come sia differente dalla natura. Se il moto circolare convenga a gli elementi. Se il mobile acquisti sempre velocità maggiore. Petizioni di principii imputate ad Aristotile. Nella terza. S’investiga la diversità de’ cieli da gli elementi. Moscioni come si generino dal fumo del mosto. 20 Se si dia in natura realmente trasmutazion sustanziale. Se i cieli abbino contrarietà. Comparazione fra il discorso d’Aristotile e quel del Sig. Galileo. Densità e rarità nel cielo se siano caggione di contrarietà. Nella quarta. Della corruttibilità d’i cieli. Di alcune comete nella region celeste. Stelle nove in cielo, e varie opinioni. Macchie variabili nel Sole. Via di Aristotile a provar l’incorruttibilità d’i corpi celesti. 30 Virtù del telescopio del Sig. Galileo. Il cielo raro, tenue, cedente come V aria, secondo il Sig. Galileo. Le cose naturali più difficili che le legali. 580 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE Nella quinta. Comparazione tra la Luna o la Terra: so la lama sia sferica, oscura, densis¬ sima, ineguale, abitabile, con pioggie, con sereno, illuminata reciprocamente dalla Terra, otc. Perchè i corpi celesti siano sforici. Se la Terra operi nella Luna. Nella sesta. Argomenti per il moto della Terra e soluzioni. Stile confuso c perturbato imposto ad Aristotile. Se il moto sia relativo. io Disordini se i cieli si movessero, secondo il Sig. Galileo. Como stiano le stelle nel firmamento. Frustra fit per plura ctc., come vero. Se P ottava sfera sia il primo mobile. Nella settima . Argomenti per la quiete (lolla Terra, soluzioni, impugnazioni cd altro curiosità annesse. Moto d* i corpi similari, quale etc. Come la Terra sia sferica. Se il mezo porti i proietti, o siano mossi da virtù impressa. 20 Sphaeru tangit planum in puncto , se sia vero. Se i gravi cadenti discendano sempre con maggior velocità. So duo moti contrarii abbino un sol principio. Se un sasso che discendesse al centro, perforato sino all’ altro emisfero, si fermasse nel centro. Nella ottava. Calcoli per le .stollo nove. Situazione do gli orbi celesti. Cagione del flusso e reflusso del maro. Come un corpo abbia pili moti. ' 80 Quattro moti attribuiti alla Terra. La Terra so sia di natura di calamita. Simpatia ed antipatia come cagion di contrarii. 11 progresso del Sig. Galileo corno per vie sensibili. Il Fine. DELLE ESERCITAZIONI FILOSOFICHE DI ANTONIO ROCCO, FILOSOFO PERIPATETICO, DE QUALI VERSANO IN CONSIDERARE} LE POSIZIONI BD OI3IEZZIONI CHP. 81 CONTENGONO NEL DIALOGO DEL SIO. GALILEO GALILEI LINCEO CONTRO LA DOTTRINA !>’ ARISTOTILE. Della perfezione del mondo. io Esercitazione Prima. Aristotile, doppo aver no gli otto libri della sua Fisica trattato di principii cagioni ed affetti communi delle cose naturali, intende ne i quattro del Ciclo venire a trattar delle parti principali dell’universo, cioè del cielo e do gli cle¬ menti : di quello (per quanto è concesso all’intelletto umano), pienamente; di questi, solo in quanto sono parti del mondo ed appartengono all’ordine ed inte¬ grità di esso, riserbandosi di ragionarne esattamente no i libri della Generazione e Corruzione. Prima dunque di ogni altra cosa, nel primo testo del primo libro assegna la ragione perché convenga al filosofo naturale trattar di questa materia, ed è quasi proemio dell’opra ; indi, discendendo alla narrazione, vuol dimostrare 20 clic l’imiverso sia perfetto : il clic con ragione antepone a tant’ altre cose di quali ragionerà in tutti quattro i libri predetti, perchè è regola di ben ordinata scienza clic i principii debbano prendersi da gli oggetti più universali e più noti, ed essendo fra tutti notissima la mole nelle sostanze corporee, e parimente univer¬ sale, molto da essa meritamente comincia (coinè ho detto) il Filosofo la sua dot¬ trina celeste. Ma prima che veniamo più oltre, per procedere distintamente e con or¬ dine, deve avertersi che nelle cose naturali corporee si ponno considerare duo sorti di perfezione : 1’ una si dirà di natura ; 1’ altra, di mole o d’integrità : 582 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE la prima consisto nell’ eccellenza dello cagioni, de i principii, delle parti elio chiamano essenziali, dello proprietà, effetti, accidenti e simili ; 1’ altra, nell’ aver quantità convenevole, che non ve ne manchi parte alcuna. Come nel primo modo si direbbe perfetto un uomo che avesse l’intelletto distinto, gli organi, le potenze, i sensi, ben disposti all’operazioni, e l’opro istessc aggiustate e degne di persona ragionevole, nel secondo modo egli sarebbe perfetto mentre fusse di compita statura, non gli mancasse alcun membro, non fosse nano, etc. ; e secondo questa considerazione, mima parto può chiamarsi assolutamente perfetta, essendo or¬ dinata al suo tutto e, per conseguente, potenziale e manchevole, so bene, come parte, può aver la perfezione dovutale. Or, mentre Aristotile in questo capo pre- io citato vuol provar la perfezione dell’ universo, intende parlare solamente della sua integrità o mole, cioè che non sia parte, nò che gli manchi parte alcuna, ma sia tutto pienamente : dell’ altra perfeziono tratterà in tutti quattro i libri del Cielo, ne ha trattato nell’ ottavo della sua Fisica, ne i libri delle Meteore, della Generazione, e della Metafisica ancora, già che quanto in questi si tratta o quanto del cielo si discorre o gli si attribuisce, tutto appartiene a conoscer la perfezziono della sua natura. Deve parimente avertirsi, che per il nome del cielo non sempre s’intendo quella sostanza superna ove si veggono il Sole, la Luna o lo stelle e che per eccellenza vien communemente chiamato cielo, ma si prende spesso per il mondo tutto ; anzi in questo secondo significato Aristotile lo intende, mentre so vuol provare che sia perfetto. È dunque il breve e chiaro senso di questa sua que¬ stione, se il mondo sia perfetto di molo. Per venir dunque a dimostrar questo assunto, premette alcuno necessarie de¬ finizioni, cioè del continuo, del corpo, della linea e della superficie. Da quella del corpo conchiude che esso corpo sia perfetto, avendo tre dimensioni, longhezza (dico), larghezza e profondità, alle quali non si può aggiungere altra magnitudine, non se ne ritrovando più ; talché l’esser perfetto ed ornile (a questo proposito o in questo soggetto del corpo) è P istessa cosa, dicendosi perfetto quello a chi ninna cosa manca, e per consequente le contiene tutte ed è tutto : di modo tale che questi tre termini, omne, totum. perfedum, non hanno varietà di essenza, ma la so ricevono solamente nell’ applicazione a materie diverse, coneiosiachè P omne si adatta alle quantità discrete, il totum alle continue, ed il perfedum alle forme essen¬ ziali ed accidentali ancora ; ogn’ uno però di essi termini dinota pienezza di per¬ fezione. Aggiunge a questa dimostrazione una posizione di Pittagorici per con¬ fermarla : cioè che le coso abbino la lor perfezzione nel principio, mezo o fine, che si racchiudono nel numero ternario ; e che quosto numero sia, per naturai instinto, eletto corno cosa perfetta al sacrificio delli Dei (a’ quali con vittime, orazioni ed incensi gli antichi sacrificavano), o per corte esposizioni o locuzioni greche questo per eccellenza sia il numero che prima de gli altri meriti il titolo di perfetto, già che al binario si dico ambo , non già omne, come si fa al ternario. 10 DI ANTONIO ROCCO. 583 Per tutte queste cagioni dunque intende aver provato Aristotile clic il corpo sia perfetto, contra la qual determinazione primieramente argomenta il Sig. Galileo. Consideraremo per tanto le sue obiezzioni, e vedremo di quanto momento siano : e per più familiar discorso volgerò il parlare con termini riverenti all’ istesso Sig. Galileo. Credete dunque, avanti ogni altra cosa, che Aristotile con la predetta dottrina abbia voluto provare la perfezzione ed integrità del mondo ? Ecco le parole vostre formali, a car. 2 [png. 33, lin. 23 o scg.] : < È il primo passo del progresso peripatetico quello dove Aristotile prova V integrità e perfezzione del mondo, coll’ additar come ei io non è una semplice linea nò una superficie pura, ma un corpo adornato di lunghezza, di larghezza e di profondità etc. >. E pure (rispondo io) è manifesto, per la lettera di esso Aristotile (la quale io non ho voluto rescrivere ad unguem per fuggir il tedio ; e sanno i dotti che non mento in queste citazioni), che quivi non intende egli provar sin ora in modo alcuno die il mondo sia perfetto, ina sì bene il corpo, che è il suo genere, e da questo metodicamente discendere alla propria perfezzione di esso mondo : corno che so alcuno provasse, V animale esser per¬ fetto, perchè è sostanza animata, non perciò avrebbe provata la perfezzione spe¬ ciale dell’ uomo ; anzi, persistendo in questi universali, potrebbe paralogizando conchiudere che V uomo ed il cane fussero egualmente perfetti, in questa maniera : 20 La perfezzione dell’ animale consiste nell’ esser sostanza animata sensitiva ; il cane e 1’ uomo sono ugualmente sostanza animata sensitiva ; dunque sono egualmente perfetti. Così appunto, se questa fusse la propria perfezzione dell’ universo, esso sarebbe egualmente perfetto con un legno, un sasso e simili cose corporee vilis¬ sime, avendo ciascuna di esse queste tre assignate dimensioni : è dunque per¬ fezzione questa del genere, la quale è parziale e mancante in comparazione delle sue specie, come vedete nell* essempio sudetto. E mi maraviglio che, essendo voi così rigido censore della dottrina peripatetica ed avendo giudicato questa esser la dimostrazione della perfezzione del mondo, non gli abbiate fatta una istanza così potente ed insolubile, lasciando 1’ altre di minor vigore, o aggiun- 30 gendola a quelle, o quelle a questa. Nò mi potrete dire, non esser vero che Ari¬ stotile intenda con la predetta dimostrazzione mostrar la perfezzione del corpo, e non quella propria del mondo, ma che sia una esposizione o difesa, perchè nel testo quarto del medesimo capo tutta la dottrina presente si trova, già che, doppo aver mostrato nel modo siuletto che il corpo sia perfetto, aggiunge, questa perfezzione non esser propria dell’ universo, ma di ciascun corpo clic ha forma o condizion di parte, ma che la propria perfezzione di esso (includendo però la predetta, come la specie include il genere) consiste nel contener tutte le cose, nel non esser terminato da altro corpo, come con tutti gli altri che da esso sono contenuti, onde è detto universo , quasi nella sua unità versi o si racchiudi il •io tutto. Come poi non aia da niun altro terminato, come rinchiuda il tutto, sì che 584 ESERCITAZIONI FILOSÒFICHE fuoru eli lui non sia cosa alcuna corporale, abondantementc lo dimostrò nel pro¬ gresso, o specialmente ove trattò dolla sua finità, della figura e del moto suo circolare; già che questo è universale assunto a cui si appoggia tutta la ma¬ china della seguente dottrina, onde a poco a poco regolatamente deve adattarsi nello suo parti. Questa, in somma, ò la ragione vera ed adequata della perfezzione del mondo, non quella del corpo che voi gli attribuito. Or discorriamo dell’ altre vostro obiezzioni circa l’istessa materia. Doppo aver nel modo predetto apportato le ragioni di Aristotile, per le quali credevate che esso provasse la perfezzione del mondo, non già del corpo, a car. 4 Umg. 36 , liti. ì o sog.j parlate di questa maniera : < Io, per dir il voro, in tutti questi di- io scorsi non mi son sentito stringer a conceder altro se non che quello che ha prin¬ cipio, mozo o fine, possa e dova dirsi perfetto: ma che poi, perchè principio, mezo e fine son 3, il numero 3 sia perfetto, ed abbia facoltà di conferir perfezzione a chi 1’ avrà, non sento io cosa che mi muova a concederlo ; e non intendo e non credo che, v. g., per le gambe il numero 3 sia più perfetto che il 4 o il 2 ; nè so elio il numero 4 sia d’imperfezziono a gli elementi, e che più perfetto fusse eh’ e’ fusser 3. Meglio dunque era lasciar queste vaghezze ai retori e provar il suo intento con dimostrazione necessaria, chè cosi convien fare nelle scienze dimo¬ strative >. Fin qui sono parole vostro ad litleram; ma quanto poco offendino la dottrina di Aristotile, lo vedrete manifestamente. Mentre dice che quello che ha so principio, mezo o line sia perfetto, o che perciò (inferite) il numero 3 esser per¬ fetto non vaglia, ed esemplificate del numero 2 e 4 delle gambe e de gli elementi ; vi rispondo che commettete un paralogismo di divisione, passando dal numero che fu posto concretamente, insieme con le coso numerate, al numero astratto e quasi separato; overo credete elio così inferisca Aristotile o v’ingannate, ed è il vostro argomento simile a questo: < Venticinque cavalieri sarebbono in un eser¬ cito, fra i pedoni, bastanti ad acquistar la vittoria col combattere valorosamente ; dunque il numero 25 fa giornata, combatto, vince, riporta la vittoria >. Non sapete voi che il numero, essendo accidente o quantità discreta, non si trova separato dalle cose numerate? e mentre per figura di locuzione si pone solo, si riferisce, e so deve necessariamente riferirsi, a i pregiacenti soggetti nominati, come, per essem- pio < Tre soldati combattono, tre vincono, tre trionfano >, se ben si pongono più volte i tre soli senza quel termine di soldati, nondimeno si riferiscono a i suppo- aiii predetti, come è natura di ciascun termino concreto. Così il numero di 3 ai- fi aristotelica è perfetto, mentre è connesso con i suoi fondamenti di principio, mezo e fine; e da questa fomlamental perfezzione, come da più eccellente e più convenevole all’ universo, per singoiar attributo ha il numero ternario astratto ricevuto dignità venerabile, non che per sè o da sè, separato, sia tale: del che potrei addurvi essempi di cose sopranaturali, e credo che lo sappiate ancor voi senz’ altri essempi. 40 DI ANTONIO ROCCO. 585 Le gambe, dunque (per tornar all’esame delle vostre posizioni), e gli elementi parimente, per esser due quelle o più, e questi quattro, hanno la perfezzione dalP entità misurata, non già constituita da numeri astratti ; e così la trina di¬ mensione del corpo, per cui si rende perfetto, non deve attribuirsi all’ astratto, che non ha altro esser che dall’ intelletto nostro. E mentre insinuate che in questi numeri astratti, secondo la dottrina mistica di Pittagora, siano rinchiusi altissimi sensi, a bel studio celati al volgo da’ sapienti, e che Platone stesso am¬ mirasse l’intelletto umano, e lo stimasse partecipe di divinità, solo per intender egli la natura de i numeri, io prima vi dico clic costoro non parlavano di quan- 10 tità astratte, ma dei fondamenti loro. Pittagora per tanto poneva per principii di tutte le cose le unità, delle quali si compongono i numeri, c per queste unità intendeva principii talmente primi ed independenti, che non fussero composti di altri, nò in altri risolubili : e tale è veramente la natura o condizione de i veri principii ; di modo che la sua dottrina era che le unità overo entità prime indi- visibili fussero principii delle cose, proporzionate però a i lor effetti over prin¬ cipiati, ed in questa proporzione, secondo la diversità di gradi entrativi, si for¬ mava ne i composti diversa perfezzione, non già dal puro numero astratto: come, per essempio, che i numeri armonici faccino, in tal o tal proporzione congiunti, una tal consonanza o armonia, e che tante voci, con tali disposizioni di acuto o 20 grave, meglio si convengano, ciò non avviene perchè il due o il tre astratto abbia virtù alcuna operativa, ma sì ben la natura di quelle voci, che nel più o meno aggregano virtù diversa e varia armonia ; non altrimenti di quel che occorre nelle medicine composte di varii liquori, ove non ha clic far nò il ternario nè il qua¬ ternario, se non in quanto dinotano tante nature o liquori esistenti. Nò deve parer maraviglia che questi numeri contenessero difficultà e misteri, perchè anco i principii peripatetici ciò contengono, come specialmente è noto di quei che chia¬ mano ultimo differenze o principii di individuazione. De i numeri dunque concreti, non de gli astratti, parlavano i predetti filosofi. Di Pittagora lo dice espressamente Aristotile nel 3° della sua Fisica, al testo 25, con 30 queste parole : Veruni Pythagorei qtiidem in sensibilibus ; ncque enim obstractum faciunt numerum ; e se bene voi non credete ad Aristotile nella dottrina, questo però è un punto isterico, conosciuto da lui che era vicino a quei tempi ne i quali erano quelle dottrine in fiori, nò Aristotile l’avrebbe apportato per sua difesa, pro¬ nosticando forse le vostre obbiezzioni contro di lui. Pur se non volete accettarlo, non importa: considerate le ragioni. Platone parimente per V unità intende P idee. Ve ne apporterei l’istesso testimonio di Aristotile, al testo 22 del 1° della Fisica, il qual, essendo stato discepolo (li Platone, quantunque ragionevolmente ributti queste idee, però nel dire che Platone le chiamasse unità non è imaginabile che dica il falso, avendo scritto a i tempi che la dottrina Platonica era notissima, nò •io questo poteva esser punto di controversia: pur, se nè anco credete, v’apporterò YXL 74 586 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE lu dottrina di ambidoi i predetti filosofi. Avendo essi, dunque, universalmente trattato di numeri come di principii delle cose, acciò si conoscesse come erano principii e quanti, constatai vano i loro concreti, con ordino di opposti, sino al numero denario, ed erano questi : Finito ed infinito, paro ed impare, semplice e multiplice, destro e sinistro, maschio e femina, moto e quiete, retto e curvo, lume e tenebre, bene e male, quadrato o di altra parte longo ; e così questi numerati, più tosto elio i numeri da essi astratti, erano presi per principii. E circa la posi¬ ziono di questi numeri concreti erano i Platonici concordi con Pittagorici, eccetto che nella universalità, dell’ applicazione, conciosia elio Platone estendeva queste unità, anco all’ idee ed allo coso tutto immateriali create, Pittagora solo l’attri- io buiva allo cose sensibili. Volca per tanto Platone che lo unità fussero i primi principii colligati all’ entità, o le semplici primo entità intese por unità, e di queste si facessero prima P idee, come formo dallo quali avesse a derivar l’esser formato o perfetto delle coso composte, ed il magnimi e panimi (come dice egli stesso) che fusser la lor materia ; onde sempre appare che suppone i fon¬ damenti a i numeri. Il elio più manifestamente si vede mentre, parlando del- P anima del cielo e dicendo che consti di numeri, dichiarando che cosa intenda per questi numeri, dice non esser altro (a questo proposito) elio i moti ed i cir¬ coli del cielo, e tanti esser i numeri quante sono le sfere celesti. Ma se mi dice¬ ste : < L’idee, detto unità da Platone, sono pur astratte ; dunque così le pone per 20 principii, non già in concreto >, vi rispondo che l’ideo si chiamano da esso astratte non come il numero dal suo fondamento, ma come P universale dal particolare, nel quale universale si salva pienamente la natura de’ suoi particolari, come P umanità astratta 0 P esser animai ragionevole dice P integrità dell’ uomo, e non una unità senza altra natura. Chiamava, dunque, unità Platone P idea, perchè volea che consistesse in una quiddità over essenza indivisibile, esente da ogni generazione, anzi da ogni mutabilità ; chiamavano i principii, ambi questi filosofi, numeri, per P ordine che primieramente ne i numeri si conosce, per la varietà ch’apportavano nel constituir gli effetti, già elio ogni unità varia il numero, come ogni principio essenziale il suo composto; nel che dicevano bene, e con essi per 80 simiglianza si accorda Aristotile, onde disse nella sua Metafisica : Specics sunt sicut numeri, cioò variabili da essenziali primi principii, come i numeri dalle unità: ed eccovi accennati i misteri do'Pittagorici e di Platone intorno all’unità ed a i numeri. 11 dir loro che l’intelletto umano sia partecipe di divinità per l’intelli¬ genza de’ numeri, altro non ò che dire che P umana felicità, in quanto con¬ cerne la parte intellettiva, consiste nell’ intender le cause ed i principii delle cose, come anco ne fu in sentenza scritto : Felix qui potuit retimi cognoscere causas, e nella sua Etica lo concede anco Aristotile, e quasi tutti i più savi. Non sono dunque astratti i numeri, nò per tali astratti ternarii fa le sue prove io DI ANTONIO ROCCO. 587 il Filosofo, ma si intendo nel modo clic io ho esposto : e se pur volete che ne i numeri così astratti siano rinchiusi sensi c misteri reconditi divini, nascosi al volgo (come dito), volendo impugnare la dottrina di Aristotile, mirabilmente la confirmate. E sentite se ò vero. È cosa infallibilmente credibile che le discipline di Platone e di Pittagora lusserò a i tempi di Aristotile più note e più divulgate a gli uomini di quel che siano a*giorni nostri; so dunque così stimate (come ò dovere), forse in quel tempo si sapea qualche occulto misterio o recondito senso del numero astratto, massime del ternario, già che con tanti encomi lo celebra¬ vano e gli davano, per commini consentimento over uso di parlare, attributo di io omnc c di perfetto : già di ciò non era inventore Aristotile, ma usa i termini ricevuti e (da credere) approvati ; per conscguente dunque si serve di questo numero acconciamente, nò voi lo potete riprendere, non sapendo, secondo V in¬ telligenza (li quei tempi, la perfezzione del numero ternario, come la suppone Aristotile ; c se la sapete, fate male ad impugnarla e contradite a voi stesso, dicendo, non intender che il 3 sia più perfetto del 2 over del 4 etc. E se pur altri siano i misteri di questi numeri, e voi come provetto matematico insinuate sapergli, producete frutti di sapienza così singolari al mondo, a beneficio di stu¬ diosi, a gloria del vostro nome, e distintamente svelate gli errori di Aristotile col dar il suo dovere a i numeri, e non stiate, in cose importantissime filosofiche, uo nclT obiezzioni meno che dialettiche. Non intendo però che in verità fosse virtù in tali numeri astratti, ma per ritorcervi contra la vostra propria posizione. Pro¬ cede per tanto Aristotile nella sua dimostrazione filosoficamente dalla natura dello cose, non con vaghezza di retori, come voi dite, anzi, senza mancar dal decente e dal venerabile, è rigorosamente ristretto. Mentre poi più a basso, a car. 4 [pag. se, lin. 1 c sog.], dite clic le ragioni di Ari¬ stotile, con le quali prova tre esser le dimensioni del corpo, nè più nò meno, non siano sufficienti, e che voi con dimostrazione matematica le dimostrarcte meglio, io vi rispondo che sì come una scienza è diversa dall 9 altra, così pari¬ mente i principii c le dimostrazioni devono esser diverse, essendo che in que- so ste e quelli consista la natura ed ordine loro ; e quantunque tal ora una con¬ clusione si consideri in diverse facoltà, per dimostrarla poi ciascuna deve usar i proprii principii : altrimenti le scienze sarebbono fra loro confuse, o in una se ne contenerebbono molte ; e l 5 uno e V altro è falsissimo. È parimente vero che nelle scienze le quali hanno fra sò stesse qualche connessione o dipendenza (il che accade di molte, come della fisica e della medicina, della metafisica e dell’ altre particolari), si prende alle volte per più evidenza alcuna proposizione, definizione, o massima dell’ altra ; ma non ò però necessario addurvi anco i prin¬ cipii e ragioni, che si usano proprii in quella onde si prende. Dico ancora che quando una scienza precede 1* altra nell’ impararsi, le cose o posizioni della pre- 40 cedente si suppongono per note, nè vi si apportano «altre dimostrazioni nella scienza 588 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE susseguente : c tutte questo coso sono per sò ovidenti. Or al proposito nostro : il matematico considera la mole corporea, o la considera anco il fisico; quello devo procederò per via di misure, di compassi e di altri stranienti e ragioni a ciò rispondenti ; il naturalo per i suoi, come ho detto : e di più, essendo solito no i tempi di Aristotile avanti ogni altra scienza impararsi la matematica, quello ohe era stato nella matematica insegnato, si supponeva per noto nell’ altro scienze o si memorava ad essompio, come osserva l’istesso Aristotile quasi in tutte le sue scolastiche : per queste cagioni dunque, ha pretermessa questa sorto di dimo¬ strazione, non giù che non la sapcsso, conio troppo liberamente gli imponete; a voi, elio procedete per vie matematiche, ben vi toccava. Nò ò questa dimostra- io zione vostra di tanta estrema sottigliezza, che abbiate da pregiarvene, come di miracolo novo, stupendo, inaudito ; anzi elio come non sarebbe edotto di gran lode che un perito architetto sapesse aggiustatamente misurar la grandezza e le parti principali do gli edificii, così che un celebre matematico sappia misurar o dimo¬ strar le tre dimensioni del corpo, essendo sì facili ed intelligibili i fondamenti, elio non solo ad Aristotile, ma ad ogni ordinario professore, possono esser noti, o con poca fatica conoscersi. Ha proceduto dunque Aristotile, nella sua dimo¬ strazione, ragionevolmente. Del moto circolare, retto c misto, ed a ijitali corpi convengano. Esehcitazione Seconda. so Dopo di aver Aristotile determinato della perfezzione integrale del mondo, intende venir a i particolari di esso ; il che non può più agevolmente fare, quanto che per via di effetti naturali sensibili : fra i quali senz’ alcun dubio è principal il moto, come immediato e primogenito operativo figlio della natura. Per mozo di questo dunque vuol, per ora, distinguere i corpi celesti da gli elementari. Ma perchè voi, Sig. Galileo, prima che veniate a trattar di questa importantissima controversia, impugnate molte cose Aristoteliche appartenenti a questi moti, io, per non esser prolisso e tedioso, distintamente ne addurrò le posizioni con le instanze fattele e le mie soluzioni, riserbando il resto a i discorsi seguenti. Aristotile dunque di questa materia in questo modo discorre. Trattiamo (dice so egli) ora dello parti speciali del mondo, posto un tal fondamento : che tutti i corpi naturali siano mobili di moto localo, giù che essi rinchiudono entro sò stessi la natura, che è principio di moto. Il moto locale si divide in circolare, retto e misto, de i quali il circolare ed il retto sono semplici, facendosi sopra linea o magnitudine semplice. Il moto circolare è quello che si fa intorno al centro. Il retto è di due sorti, cioè all’insù ed all’ingiù : dico esser all’ insù quello che vien dal centro ; all’ ingiù, quello elio va al centro. Onde segue che tre siano DI ANTONIO HOCCO. 589 lo specie di moti locali, come lio detto: a i quali rispondendo i corpi naturali, altri saranno semplici, atti a moversi in giro, come i cieli ; altri pur semplici, ma mobili di moto retto, come gli elementi ; ed altri misti, e questi avviene che si movano dal predominio de i semplici, e quei per lor propria natura. Sin qui, al nostro proposito, Aristotile; contra di cui voi, Sig. Galileo, adducete molte obiezzioni circa molti punti. La prima è questa. < Per qual cagione (dite) Aristotile non disse che de i corpi naturali altri sono mobili por natura, altri immobili, avvenga che nella defini¬ zione abbia detto, la natura esser principio di moto o di quieto? che se i corpi io naturali hanno tutti principio di movimento, o non occorreva metter la quiete nella definizione della natura, o non occorreva indur tal definizione in questo luogo. > Al che io rispondo che le cagioni naturali, come che nel lor causare o produr gli effetti suppongano necessariamente virtù attiva terminabile ad atto di perfezzione, non è possibile nò tanpoco imaginabile che si stendano subito alP imperfetto, al privativo, come non sarebbe possibile che la generazione lusso principio di morte, nò la potenza visiva di cecità, se ben a quella dopo l’atto positivo può seguir la corruzzione, e la privazione di vista a quest’ altra : cosi non può la natura esser principio di quiete solamente, essendo ella pura priva¬ zione del moto, la quale, non essendo entità positiva, non avrà nò meno cagiono 20 positiva immediata. Onde la divisione di corpi in mobili cd in immobili sarebbe stata inutile, già che in questi non si rinchiuderebbe la natura, o sarebbe vota di virtù c di valore: ma che il corpo mobile, o avanti o doppo clic si mova, stia fermo, non è assurdo veruno, perché è sufficiente che in esso sia la virtù motiva, che è proprio 1’ effetto primo della natura, non già il moto attuale, di modo che senza questo sarebbe anco mobile, ma senza alcuna attitudine ad esso sarebbe in vano : e così la sola inclinazione alla quiete non gli darebbe naturalezza, perchè essa ò naturale secondariamente per dipendenza dal moto, che 1’ ha insegnalo benissimo esso Aristotile nell’ ottavo della Fisica, al testo 23, con queste parole : Fosita est cnim natura in naturalibus principimi sicuti motus et quietis , tamen so physicum tnagis motus est. La seconda instanza (fatto passaggio dell’ elica intorno al cilindro, come re¬ dimibile alla circolare, e bene) è questa: che Aristotile dalle predette assignazioni di moti retti e circolari per ragion di linee si riduce ad altre, cioè che il moto circolare sia intorno al mezo o centro, il retto all’ insù ed all’ ingiù, < i quali (aggiungete voi, Sig.Galileo) non si usano fuora del mondo fabricato, malo suppon¬ gono non pur fabricato, ma di già abitato da noi. Che se il moto retto è semplice per la simplicità della linea retta, e se il moto semplice è naturale, sia pur egli fatto per qualsivoglia verso, dico insù, ingiù, manzi, indietro, a destra, a sinistra, e se altra differenza si può imaginare, purché sia retto, dovrà convenire a qualche 40 corpo naturale semplice; o se no, la supposizione di Aristotile è manchevole. > 590 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE Questa obiezziono ha duo parti: 1’una improvera ad Aristotile che supponga in queste speculazioni il mondo fabricato od abitato da noi; l’altra, la varia de- linizion del moto. La prima parto (vi rispondo io) cortesemente ve la concederei; perchè Aristotile, filosofando, non fa il mestiero dell’ architetto o del fabro, che contemplando disegnano ed operano, gli effetti do’ quali dipendono dalla cono¬ scenza, non la conoscenza da gli effetti. Esso Aristotile dallo coso naturali esi¬ stenti ha preso occasione di investigarne lo cause, non che dalla sua cognizione si avesse da prender il disegno o il modello di quello : Kc scnsibilibus facimus scien- tiam naturalo» , diss’ egli, et scibile cstprius natura quam scientia. Non sono scienze prattiche queste, Sig. Galileo mio, ma puro speculativo, che sono necessariamente io prevenute dall’oggetto, come l’effetto dalla propria cagiono. Potrei anco dirvi elio 1’ atto dipende dal suo principio, ed in luogo di quello, per nostra facilità, può mettersi ; e cosi, dicendo < Tali sono i moti retti o circolari > ò l’istesso cho dire < Cosi era nel lor naturai principio, ondo così dovea farsi nella prima ori¬ gine e disposizione dell’universo». Nò ad Aristotile fu incognita questa osserva¬ zione, anzi 1’ ha espressa al proposito della formazione della Terra, nel secondo del Cielo, al testo 108, con questo parole: Sive igitur facia est, hoc necessariam factam esse modo, sive ingenerabilis sempcr mancns eie. Circa la seconda parto di questa obiezziono, vi rispondo cho nel moto locale devono considerarsi due parti principali, per definirlo bene : l’una è il spazio, 20 l’altra ò il fine; quella concerno la causa materiale 0 recettiva, questa la forma o perfezziono ; quella ò fondamento necessario, questa move all’ operazione. Dc- vesi anco avvertire che Aristotile parla di moti naturali, ondo ha, considerata¬ mente a questo effetto, premesso qui cho la natura in essi sia principio di moto. Sì che la sua intiera definizione è tale: Il moto retto ò quello che si fa per linea retta al determinato luogo naturale del mobile, all’ insù 0 all’in giù ; il circolare, per linea circolare, ma intorno al mezo 0 al suo centro : e così queste due con¬ dizioni della definizion del moto si devono prender congiunte, non disgiunte, come fate voi ; ed in vero se solo la linea retta bastasse, ogni moto sarebbe naturale, anco il violento, purché si facesse per questa linea. È retto, dunque, il moto che so si fa per linea retta, ma se non tendo al termine suo naturale, non sarà natu¬ rale; od io, nella mia filosofia, lo chiamai retto al modo di matematici, e colà ho portato quest’ istessa difficultà cho voi, e solutala. La terza obiezziono è circa il supposito cho fa Aristotile di un sol moto cir¬ colare e di un sol centro ; dicendo voi, Sig. Galileo, che < egli ha la mira di voler cambiarci le carte in mano, e di voler accomodar 1’ architettura alla fabrica, non construir la fabrica conforme a i precetti dell’ architettura : chè se io dirò che nell’ università della natura ci possono esser mille movimenti circolari, ed in conseguenza mille centri, vi saranno ancora mille moti in su ed ingiù. > Ho a questa instanza risposto in parte ; cioè che le speculazioni filosofiche dipendono io DI ANTONIO ROCCO. 591 dall’oggetto, con differenza notabile dalli oggetti operabili, se ben voi ve ne servite con opposita comparazione. Questi mille movimenti e mille centri, che voi ponete, saranno ponderati al suo luogo, cioè dove ne tratterete ex professo: vi dico nondimeno por adesso, che se ben fussero centomila circolari movimenti, purché siano di corpi ambienti V un V altro e perfettamente sferici (come per ora deve supporsi per V unità dell’ universo), misurando dall’ ultima superficie con¬ vessa del primo continente, uno solamente sarà il centro principale, o mezo che vogliala dire ; e questo ha inteso Aristotile per quel della Terra, alla cui posi¬ zione basta la conformità dell’ ultima superficie concava, che contien gli elementi, io in grazia di quali, come di parti ordinate al tutto o diverse dallo celesti, ha parlato; e quando con dimostrazioni veraci voi troverete altri mezi, nè esso nè 10 negheremo di aver errato. Quanto al numero di moti, il parlar d’ Aristotile è generico, ondo non di un solo deve intendersi, nel modo che tutte le difinizioni sono universali e communi; basta che tutti i circolari siano intorno al mezo, i retti su e giù, per aver commune una definizione. La quarta vostra obiezzione è contra la posizione del moto misto, in questa maniera : < Ma per moto composto (dite) e’ non intende più il misto di retto e cir¬ colare, che può esser al mondo, ma introduce un moto misto tanto impossibile, quanto è impossibile a mescolar movimenti opposti fatti nella medesima linea 20 retta, sì che da essi ne nasca un moto, che sia parte insù, parte in giù ; e per moderar una tanta sconvenevolezza ed impossibilità, si riduco a diro che tali corpi misti si movano secondo la parte semplice predominante ; che finalmente necessita altrui a dire che anco il moto fatto per la medesima linea retta è alle volte semplice e tal ora anche composto, sì che la simplicità del moto non si attende più dalla simplicità della linea solamente >. Così dite, Sig. Galileo, ed 11 rispondervi è facilissimo; anzi e la risposta e la dilhcultà istessa l’ho appor¬ tata ancor io espressamente nel primo del Cielo, nò mi rincrescerà ripeterla. Mentre dunque voi dite che per moto composto non intendo più il misto di retto e circolare etc., ma un tanto impossibile etc., io non vedo altra impossibilità che 30 quella che voi medesimo vi fabricate, in non voler intendere (non dirò che non sappiate) quel che ha da sò stesso sana facile e convenevolissima intelligenza. Or sentite. Dice Aristotile che il moto semplice naturalmente conviene a i corpi semplici, il composto a i composti, e poi soggiunge, i corpi misti moversi secondo il pre¬ dominio di semplici, come le cose gravi dal predominio dell’acqua o della terra, le levi dell’ aria o del fuoco : e qui vedete che alcuni misti non hanno moto na¬ turale diverso da quello de gli elementi, ma solo si movono dal predominio di alcuni di essi. Oltre di questi si trovano altri misti, che necessariamente hanno il moto misto di retto e circolare, o vogliam dir tortuoso. È dunque la dottrina 40 di Aristotile tale : De i moti, altri aon circolari, altri retti, altri misti ; i circolari 592 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE convengono a i corpi celesti, i retti a gli elementi ed anco a tutti i misti ina¬ nimati, i quali non hanno altro moto elio dell’ elemento predominante, talché non solo la terra, ma ancora le pietre, l’oro, 1* argento, il piombo o l’altre cose tutte di terrea gravità, si movono rettamente verso il centro, così le levi verso il cielo; ma oltre ciò tutti gli animali si movono naturalmente di moto misto: tale è il moto progressivo, il volativo, il natativo, il serpitivo, e mille e mill’altri. Vi domando, se questi siano moti retti o no? o so non sono retti, di che escla¬ mate voi? dove trovate tanto sconvenevolezze, tanto impossibilità ed assurdi? Direte forse che questi non sono moti naturali ? o perché ? non divengono essi forse dall’anima, che ò ne i viventi forma o natura principalissima? non òforse io cosi naturalo all’ uomo ed al cavallo il cambiare, come alla terra ed al piombo il discendere? È ben vero elio no gli animali si trova anco il moto corporeo puro, che divien dalla gravità; e questo è semplice, dall’elemento predominante, come quel delle cose miste inanimate. Ecco dunque i moti misti di mistura ma¬ tematica e di naturale ; voglio dir, e per ragion del spazio sopra di cui si fanno, che ò tortuoso, e perché in simili moti vi ò la naturalezza dell’anima, prima natura in quelli, e la ripugnanza del corpo grave, che da sé stesso tenderebbe direttamente all’ingiù; ed eccovi manifestissima l’una e l’altra mistura, laqualo nella dissoluzione del misto animale si dissolve aneli’ ella, e nel cadavero resta il semplice moto, corno nello cose inanimate, dall’ elemento predominante. Che 20 dito, Sig. Galileo? vi par clic questi siano moti impossibili?!'! vi pai- di aver parlato consideratamente mentre per conclusione dite, a car. 10 [pag.42.iin.i-2], che Aristotile < non vi trovò corpo alcuno che fusse naturalmente mobile di questo moto >? Mi direte che colà Aristotile non parla eccetto clic de’moti puri naturali, non stendendosi a gli animali. Io vi dico che divide il moto locale in commune, da applicarsi come ho detto. Torso aggiungerete che dovea esso dichiararsi. Ri- [,] Dico, Sig. Rocco mio, che voi vi portate meco ingratissimamente a odiarmi; chè dovresti tenermi in luogo di fratello, poi che con lo mie instanze vi ho date tante belle occasioni di mostrar la sotti¬ gliezza del vostro ingegno in trovar tante nuove esplicazioni di testi so d’Aristotile, non mai sovvenute ad alcuno de’ suoi interpreti. (,) Sul medesimo cartellino sul qualo ò scritta questa postilla si logge, pur di inano di Gami.ro: Solo il moto circolare può esser continuo e sempiterno. Aris., p.° Cadi, t.15. Nel medesimo testo : Se il fuoco va in volta, tal moto non gli è men contro a natura che l’in giù. DI ANTONIO ROCCO. 593 spondo che da gli universali posti ò facile venir da sé stessi a i particolari. E se nel libro De animcdium mota (che è luogo appropriato a queste dottrine) l’iia detto espressa e diffusamente, che direte? avrà egli parlato a caso? con posizioni ripugnanti V Ecco dunque V adeguata soluzione del vostro nodo gordiano, non già quella che fate apportar al vostro Simplicio, cioè che si dica moto misto naturale per la diversa velocità del mobile etc. : e per dirvela confidentemente, mi par che vi dilettate di indur a maraviglia coll’apparenze, nel modo che fanno quei die professano far straveder con artificii, che in effetto non hanno sussi¬ stenza soda, ma superficiale, ordinata al passatempo, non all’esattezza del vero. io Vi fingete risposte a vostro modo, e poi egregiamente l’impugnate, e volete dar a creder di aver espugnato Aristotile; a punto come coloro che offendon tal volta le figure, anzi 1’ ombre, credendo oltraggiare gli essemplari vivi, o come i cani che mordono i sassi in luogo di chi gli scaglia. La quinta obiezzione è circa il moto retto de gli elementi, la quale, perché contiene diversi punti e difficoltà, io per piti chiarezza la dividerò in molte parti, ponendole ordinate e continuate, e con l’istcsso ordine similmente le scioglierò. 1. La prima è questa. < Se gli corpi integrali del mondo (dite voi) devono esser di lor natura mobili, è impossibile che i movimenti loro siano retti, o altri che circolari : e la ragione è assai facile e manifesta. Imperochè quello che si move 20 di moto retto, muta luogo; e continuando di moversi, si va sempre più e più allontanando dal termine onde ei si parti e da tutti i luoghi per i quali successiva¬ mente va passando ; e se tal moto naturalmente se gli conviene, adunque egli da principio non era nel suo luogo naturale, o però non erano le parti del mondo con ordine perfetto disposte : ma noi suppongliiamo, quelle esser perfettamente ordinate : adunque, come tali, è impossibile che abbiano da natura di mutar luogo, cd in conseguenza di moversi di moto retto. > 2. La seconda parte è questa. < In oltre (dite), essendo il moto retto di sua natura infinito, perché infinita ed indeterminata è la linea retta, è impossibile che mobile alcuno abbia da natura principio di moversi di moto retto, cioè verso so dove è impossibile di arrivare, non vi essendo termine prefmito ; e la natura, come ben dice Aristotile medesimo, non intraprende a fare quello che non può esser fatto, nò intraprende a movere dove ò impossibile di pervenire. > E chi di¬ cesse che la natura arbitrariamente gli abbia assignati termini, voi rispondete che forsi ciò si potrebbe favoleggiar elio lusso avvenuto del primo caos, dove confusamente andavano indistinte materie vagando, por ordinarle a’ suoi luoghi; ma nel mondo fabricato, ove è ottima constituzione, ciò è impossibile. Fin qui sono parole vostre, ed aggiungete una risposta a modo vostro. 3. Per terza parte, concludendo contra la risposta predetta, dite che moven¬ dosi in questa maniera, cioè di moto retto, i corpi si disordinarebbono, rimoven- •10 dosi da i proprii luoghi ; però si può dire che il moto retto servi a condur le 594 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE materie per fabricar V opera, ma fabricata che ella è, o resti immobile, o, se mo¬ bile, si mova solo circolarmente. 4. Nella quarta parto adducete a favor vostro V opinion di Platone, che vo¬ leva che dopo esser stati i corpi mondani fabricati e stabiliti, fussero dal suo Fattore per alcun tempo mossi per moto retto; ma pervenuti in certi e determi¬ nati luoghi, furori rivolti ad uno ad uno in giro, passando dal moto retto al cir¬ colare, dove poi si Bon mantenuti e tuttavia si conservano. 5. E per stabilir questa posizione, dite (e sia la quinta parte) clic ogni corpo naturale costituito in stato di quiete, purché sia mobile, non impedito si mo¬ verà, purcli’ abbia inclinazione a qualche luogo particolare; perchè quando fusse io indifferente a tutti, restarebbe nella sua quiete. Da questa inclinazione egli si andcrà continuamente accelerando; e cominciando con moto tardissimo, non acquisterà grado alcuno di velocità, che prima non sia passato per tutti i gradi di velocità minori, o vogliam dire di tardità maggiori : perchè, partendosi dallo stato della quiete (elio è il grado di infinita tardità di moto), non può entrar nel maggior grado di velocità, che non passi per il minore, etc. E questa acce- lerazion si fa dalla natura per acquistar il luogo naturale; e perciò si può dire che la natura, per dar ad un mobile un grado di velocità determinata, lo faccia mover per alcun tempo di moto retto. Così concludete clic i cieli e gli clementi prima por moto retto siano venuti al suo luogo, e poi si movano in giro ; anzi, 20 secondo la lontananza onde si son partiti, abbiano acquistata maggior velocità, e perciò V uno più velocemente dell’ altro si mova, e rispondano al calcolo di questa mozione. G. Apportate, per provare (nella sesta parte) elio si acquisti sempre velocità maggiore nel moto retto naturale, alcune dimostrazioni matematiche: la somma delle quali la toccate voi stesso nella predetta ragione, con dire che dal rimo¬ versi il mobile dalla tardità infinita, cioè dalla quiete, deve passar per gradi minori e minori, il che disegnate con linee e caratteri facili da intendersi * 1 . Ponete parimente diverse velocità secondo la diversità di piani più 0 meno incli¬ nati, pervenendo a questo, che nel piano orizontale è impossibile farsi moto, so giù che ci è arrivato all’estinzione dell*inclinazione. Ed essendo il moto circo¬ lare per linea orizontale (cioè nè declive nè elevata), ma intorno al centro, non potrà acquistarsi mai questo moto naturalmente, senza il moto precedente retto. Così Giove è più veloce di Saturno, perchè è sceso più che Saturno, etc. 7. Soggiungete (nella settima) che con questo moto non si disordina il mondo, si servano ne i medesimi luoghi i corpi naturali, senza impedir altri. 8. Di più (e sia la parte ottava), che essi elementi giamai si movono di moto retto, ma appena, tal ora, qualche particella di essi, quando è laura del suo luogo; [2J ma voi non ne avete inteso parola. DI ANTONIO HOCCO. 595 nò allora si move per linea retta, eccetto che per unirsi al suo tutto, non per altra cagione; non al centro, che è un punto imaginario, un niente, senza facoltà alcuna. Oltre di ciò, se il fuoco e l’aria nel suo luogo si movono circolarmente (il che confessano tutti i Peripatetici), ò ragionevole che questi moti siano lor naturali, essendo perpetui, già che ninna cosa violenta ò perpetua, ed è meglio che ciò proceda dalla natura che dalla violenza. Concludete che per manteni¬ mento dell’ordine perfetto tra lo parti del mondo bisogna dire che le mobili siano mobili solo circolarmente, e con le ragioni dette rampognate il vostro Simplicio, il quale difende il moto retto de gli elementi con la sperienza delle io lor parti. 9. Nella nona parte dite che la Terra non sia centro dell’ universo, e perciò riprendete Aristotile di petizion di principio, perché 1’ abbia supposta per tale, il che (dite) era in quistione, o dovea provarsi. Vi stendete poi a sforzarlo ben bene, con dire che non sappia formar sillogismi, se bene ne ha date regole e scrittine volumi, ma clic a guisa di chi fa gli organi nè sa però sonargli, nò chi sa la poetica è però felice in far versi, e come che tali possegano tutti i pre¬ cetti del Vinci e non sappiano dipingere un scabbello, e che le dimostrazioni siano proprie di matematici, non di logici. 10. Aggiungete (per decima) che Y argomento di Aristotile sia manchevole 20 per uiT altra via; cioè clic, mentre egli dice < Se il fuoco por linea retta si move verso la circonferenza del mondo, dunque la Terra, movendosi di moto contra¬ rio, va verso il centro del mondo >, perchè (arguite voi) da qualsivoglia punto si- gnato entro la circonferenza detta si può il fuoco mover verso di essa, e por Topposito dalla circonferenza al punto, ed allora non anderà dalla circonferenza al centro. Anzi, che il fuoco da mille e mille parti por ogni linea tende verso la circonferenza; dir dunque che venga dal contro del mondo, o clic, per oppo- sit.o, colà vada la Terra, non conclude altrimenti, se non supposto che le lince del fuoco, prolongate, passino per il centro del mondo : e così si suppone quel che deve provarsi, cioè elio il centro della Terra sia in mezo del mondo, il che 30 è in quistione; anzi (soggiongete) il Sole è in mezo del mondo, non già la Terra: ed in questo modo ancora dichiarate il paralogismo di Aristotile. Ma veniamo ormai ordinatamente alle soluzioni. 1. Alla prima vi dico, che il moto retto a gli elementi non si conviene men¬ tre che sono ne i proprii luoghi, ma quando ne fussero fuora, già che questa sorte di moto è ordinata dalla natura per condur e collocar questi tali corpi o le lor x>arti a i suoi luoghi ed ivi conservargli; ed in questa maniera non si al¬ lontaneranno nè abandoneranno le proprie sedi, e saranno le parti del mondo con ordine perfetto disposte, come le colonne ne gli edificii. Ma mi potrete ra¬ gionevolmente soggiungere : Se non occorre, nè occorrerà mai, che questi corpi 40 siano separati o lontani da i suoi luoghi, dunque mai secondo sè tutti si mo- 596 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE veranno, talché in vano saranno mobili del lor naturai moto totale; e così era bene chiamargli immobili, anzi che di fatto sono tali. Vi rispondo che non son mobili in vano, perchè basta che abbino questa facoltà, por adope¬ rarla quando gli bisognasse, ancor che inai ciò non accadesse 1 * 1 ; ed eccovene F cssempio chiaro: l’uomo col suo ardire o valore ò atto a far guerre, a domar lo fiere, spianar i monti, adequar le valli, o mill’ altre operazioni ; però non ò ne¬ cessario che venga a questo, cd allo volte possono correr i secoli intieri senza tali occasioni; ò perciò questa virtù in vano? non giù. Così gli clementi hanno virtù di moversi localmente di moto rotto naturalo, e, caso che ne abbino bisogno, si mo- Yono, altrimenti non è necessario. Si può ancora dire, che avondo la natura dato io a tutto le coso virtù per conservarsi e difendersi, la devono porro in esecuzione solamente quando da violenza siano agitato ; così chi la Terra o alcuna delle sue parti dal proprio luogo rimovesse, da sò stesse vi tornerebbono: nè in altra ma¬ niera ò di mestieri moversi tutti, come non si corrompono mai tutti, se bene sono corrottibili ed essi elementi ed anco i cicli, secondo voi, nò parimente del tutto altri cieli, altri elementi, si generano, sì come ancor voi confessarete. Per¬ chè dunque hanno da mutar loco totale? e so per esser chiamati generabili e corruttibili gli basta il moto di generazione o corruzziono parziale, non gli ba¬ sterà, nella medesima maniera per esser mobili localmente 141 ? Chi vi dicesse an¬ cora elio la natura è principio di ogni moto, non solo (dico) del locale, ma del 20 generativo, correttivo, aumentativo, diminutivo, od alterativo, da ciascuno di quali separatamente può una cosa esser detta mobile, se ben non mutasse mai luogo, avrebbe anco detto qualche cosa non fuora di proposito: pur non intendo con questa risposta aver sodisfatto a me stesso nè ad Aristotile. 2 . Alla seconda instanza rispondo, che la linea retta è infinita nella conside¬ razione matematica, ma in buona filosofia non si dà nò linea nè altra cosa at- lsl tal facoltà dico che ha ciascun pianeta, ancor che mai non se ne prevaglia; e però questo non basta per far differir la Terra da i pianeti. La 3 ancora e qual si voglia stella è credibile che, rimossa so dal suo luogo, vi tornerebbe, come anco le parti loro separate dal tutto : adunque, preso il moto retto in questo modo, non pon dif¬ ferenza tra i corpi mondani ; e però se la Terra deve differir dalla 3 o da altro corpo mondano mobile circolarmente, bisogna che sia dif¬ ferente per la quiete. 141 Ed io per ciò vi dico che il chiamare il globo terrestre gene¬ rabile e corruttibile è errore, sì che voi volete ricopiare un manca¬ mento con un altro simile. DI ANTONIO ROCCO. 597 tuale infinita, e per conseguente nè meno il moto sarebbe infinito ; e noi fra le principali posizioni filosofiche statuimo con ragioni Y universo terminato, nò voi lo ponete attualmente infinito di mole, talché ogni moto sarà al suo termine o al luogo naturale del suo mobile: nè so dove possiate nè anco imaginarvi linea infinita di reai esistenza nel mondo finito, e nell’ infinito caos sapete sognarla. Meglio era dir al contrario: già che appunto ove non era termine nò distin¬ zione, ivi no n poteva esser nè luogo nò linea finita, chi non avesse dato deter¬ minazione avanti alcuna cosa determinata ; e per tanto, all* opposito, la vostra ragione, cioè che si potesse favoleggiar linee finito nell’ infinito e nel finito, sia io tanto repugnante, che nè anco la favola vi trova il verisimile. 3. Alla terza si risponde, che i corpi non si rimovono da’ proprii luoghi, come ho anco detto; ma dato per caso che non vi fussero, vi si ricondurrebbono, o essi over le sue parti, secondo che occorresse. Nè è disordine alcuno che nel passaggio cedesse V uno all’ altro, essendo quei corpi che cedono facili a questo, • come si vede dell’ aria e dell’ acqua, onde, cedendo, operano o permettono che altri operi circa essi, secondo la lor naturai disposizione; anzi che non si di¬ cono naturali perchè principalmente operino effetti naturali, ma più tosto per¬ ché da naturali agenti sono passibili, o in potenza (come dicono) passiva : tal¬ ché per quel patimento non nascerebbe disordine oltrenaturale, nè sconvenevole, 20 tanto più che da maggiori loro disordini (per così chiamargli con voi), cioè dal generarsi e corrompersi, si conserva il mondo; ed è naturalezza delle cose ge¬ nerabili che siano in perpetua discordia ed in regolato disordine, come è mani¬ festo non solo per ragioni filosofiche, ma per sensato sperienze ancora. Or se il distruggersi (che è V ultimo de’ mali, non che di disordini) non repugna alla natura, non è cagione di confusione inutile nò di disordine immoderato, onde tante revoluzioni irreparabili tribuite voi al moto puro locale per agitarsi o com¬ moversi i corpi mossi? non essendo egli in niun modo, quanto è per sè stesso, distruggitore delle cose. 4. Alla quarta (che è V opinion di Platone), non dico altro per ora, perchè so risponderò alla vostra dimostrazione, con la quale credete confirmar questa po¬ sizione, ed avrò in un tempo sodisfatto all’ uno ed all’ altro. 5. Vengo dunque alla quinta. E dico, prima, che voi supponete, la quiete es¬ ser una tardità infinita, constituita di gradi infiniti positivi, onde da altri di ve¬ locità, parimente infiniti, quasi con resistenza dei predetti, abbiano da vincersi, e così prodursi velocità sempre maggiore. Le quali cose sono falsissime : però che la quiete è una pura privazione; la tardità, comunque 6i sia, anco per caso infi¬ nita, è passione disgiunta del moto, il cui opposito, ed altro disgiunto, è la velo¬ cità, sì che ogni moto è veloce over tardo; di modo che attribuendo la taidità alla quiete, sarebbe come chi dicesse, il vedere esser proprio di chi è cieco. Or 40 questa tal privazione per ogni atto positivo 8Ì toglie o distrugge, come per ogni 598 » ESERCITAZIONI FILOSOFICHE lume si levano le tenebre, perchè, non avendo olla nò attività nè entità reale, non ha alcuna resistenza ; di modo tale che ogni grado di moto 1* ha estinta, e per conseguente a questo fine non accado produr velocità sempre maggiore. E quantunque sia dottrina di Aristotile, nel 2 0 del Cielo, che il moto naturale retto vada acquistando sempre maggior velocità quanto più 6Ì allontana dal luogo onde cominciò o si avvicina al suo naturale, non però fa tal acquisto per estin¬ guer i gradi che non fumo mai nella natura privativa della quiete, ma sì bene perchè i naturali effetti congionti alla lor cagiono operante, non impedita, pren¬ dono sempre maggior vigore, e massime i primogeniti della natura, quale è il moto locale, ministro principale o più tosto padre de gli altri. Anzi, so il rimo- lo ver la quiete (che chiamate tardità infinita) avesse per adeguata causa l’accre¬ scimento di velocità (corno dito), necessariamente ogni moto, tanto (dico) naturale retto, quanto circolare o violento, riccrcherebbono velocità sempre maggiore, già che tutti cominciano dalla quieto. E se mi direte, in questi (cioè nel cir¬ colavo e violento) ciò non occorrere, dunque (ripiglio) non fu la causa potis¬ sima la quiete, e per conseguente non dimostrato; già che la dimostrazione pro¬ cede per cagioni sì necessarie cd infallibili, clic sempre producono i suoi effetti. In oltre, so per levar via la tardità infinita, che ò nella quiete, si ricercassero gradi sempre maggiori ed infiniti di velocità, seguirebbe cho un moto fatto da un punto per linea perpendicolare, dalla sommità altissima di una torre, sarebbo 20 meno veloce cho un altro fatto dall’ istesso punto per linea declive, grandemente inclinata all’istesso piano; e, per essempio, una pietra cho calasse giù a piombo per dritta linea, discenderebbe meno veloce assai di un uomo che per longhis- simo e poco arcuato ponto venisse in terra, discendendo quella e questi dalla medesima altezza della torre. La consequenza è chiara : perchè bisogna (secondo voi) levar via i gradi dell’infinita tardità con altri di rispondente velocità; so dunque nella linea inclinata si acquistano sempre gradi di velocità, e parimente nella perpendicolare, in quella tanti saranno di più, quanto che il spazio è più longo; 0 almeno saranno egualmente veloci quei moti, già che l’uno e l’altro hanno superata la quiete o tardità infinita e sono pervenuti ad un medesimo segno. Ed so essendo queste cose impossibili (anco secondo voi, che minuite la velocità dalla di¬ versità de’piani acclivi e declivi, ed in ciò dite beno l6) ), séguita che non per la cagione assegnata da voi si velociti il moto. Potrebbe bene la vostra dimostrazione applicarsi per conoscere che si passino nel moto locale parti infinite di spazio, cominciando sempre dalle minori; ma per ciò, indurre più e più velocità non vale, perchè le pre¬ dette parti si passano in ciascun moto, come vi ho detto. Ma veniamo pur alla sesta. 163 Di grazia, Sig. Hocco, non dite eh* io dica bene, perchè non mi curo del vostro applauso, e stimo sempre più le cose mie quanto più sono da voi sprezzate. DI ANTONIO ROCCO. 599 G. E prima vi dico, elio la vostra applicazione e la conseguenza insieme non sono buone, cioè che gli elementi o altri corpi che si movono circolarmente, non possino moversi di questo moto se prima non si siano mossi di moto retto. Dite che nella linea inclinata si va sempre ritardando il moto (è vero, ed è ma¬ nifesto senza dimostrazion matematica), e che giunto alla linea orizontale, non vi essendo più moto retto, il mobile si volge in giro: e questo è falsissimo, per¬ chè, se quando è vicino alla linea orizontale, il moto nella linea grandemente inclinata è tardissimo e vicino al non essere, come può da esso procedere, come suo proprio naturai effetto, un moto totalmente diverso e veloce? forse un con¬ io trario e quasi estinto produce effettivamente 1 ’ altro contrario vigoroso? e pur, secondo voi, il moto retto ed il circolare sono contrari, o siano grandemente di¬ versi, che basta. E so bene fusso maggior e minor velocità nel moto retto, die La da far col circolare ? non sapete che il più ed il meno concernono V istesso genere? Mostratemi, vi prego, con le vostre regole matematiche la forza di que¬ sta conseguenza, eh’ io, quanto a me, non la saprei trovare con la cabala, nè con l’arte di Pietro (V Abano. Ed all’instanze che vi farò, vedrete se sia dimo¬ strazione o sogno. Udite. Se è vero che niun moto circolare può farsi senza il retto precedente, da cui (come dite) immediatamente dipende, in breve spazio di tempo mancherebbe il '20 pane e la farina a gli uomini. Già le ruote clic macinano, si movono in giro, spe¬ cialmente secondo le vostre posizioni, che vi basta per questo moto ogni ragi- razione per linea circolare, se ben non sia intorno al centro della Terra (che io, quanto a me, chiamo questi tali moti violenti e circolari per quantità, non per natura); or quando, per mover queste ruote, precede moto alcun retto? cadono forse elleno dal cielo, e poi si ragirano? overo, ogni volta che devono voltarsi, sarà mestieri levarle dalle sue asse in aria e lasciarle di moto retto cadere? nè anco riuscirebbe, perché non trovarebbono la linea orizontale, che è (secondo voi) necessaria per venir dal moto retto al circolare. Che dite ? e se dal retto tal moto circolare non è pervenuto, non si farebbe, e in questa maniera mai si macinerebbe 30 il grano ; ed ecco la vostra filosofia apportatrice di fame e di disaggi. Direte forse che il moto dell’ acque e de i ministri suppliscono per il retto precedente. Ma ciò non solve: perchè voi volete che V istesso mobile, dopo arrivato alla linea orizon¬ tale, non potendo moversi più di moto retto, si rivolti in giro ; dunque l’istesse rote saranno calate per ragirarsi, e calate allora, perchè devono subito volgersi intorno, dall’aver compito il moto retto. E chi impedirebbe che una macina, intagliata da ogni verso, in uri monte, senza esser stata mai mossa da quel luogo, potesse rotarsi? e pur non avrebbe avuto giamai alcun moto retto. Ma veniamo al particolare di corpi dell’ universo, cioè de gli elementi e del cielo, e con un filosofar praticabile, apunto come se vedessimo fabricar e disponer 40 questi corpi ne’ proprii luoghi (già che cosi dite doversi lare, e bene), e cornili- 600 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE ciamo dalla Terra, ponendo die olla fusse fuora del suo luogo, insieme con Platone e con voi. Vi domando: quando venne ove ora si trova, qual piano inclinato trovò ella, per cui si l'usse potuta movere inaino alla linea orizonlale? di grazia fingetelo, se sapete. E questo piano era matematico o naturale ? Il matematico è solo per astrazzion di mente, già elio non dassi quantità realmente separata dalla sostanza, conformo all’opinione e verità di ogni professione: se era naturale, dunque avanti il fondamento del mondo vi era altro fondamento, e di quello si possono addurre l’istesse difficultà. Già pariamo del primo primo; che se non volete metter la Terra (che io la pongo per essempio), ponete qual di corpi a voi più piace; e di¬ temi in cortesia sinceramente (cerco la verità por desio di sapere, non per arro- io ganza di contradirvi) : sopra quali piani si fondavano i cieli ? quali erano queste machine immense, e rette od inclinate o curve, che gli sostentavano? certo erano, o doveano esser, maggiori o più saldo di essi cieli, ed ecco avemo il mondo prima che fusse il mondo. E quel primo ove si fondava? e che si fece di' lui dopo la constituzion di questo nostro? Mi direte che queste vostre posizioni sono per modo di intendere. Vi rispondo che siamo su l’opre reali, o cerchiamo co¬ noscere e sapere la verità di moti veri, naturali, esistenti o possibili nella na¬ tura: non si dà scienza del falso, del chimerico; nò voi parlate per meri esempi, ma per posizioni assertivo, determinate. Ma ritorniamo, di grazia, pur per un poco alla Terra. Mentre ella per linea retta 20 veniva al suo luogo, fu necessario elio sotto di lei trovasse un tal corpo ritondo, in¬ torno alla cui circonferenza ella potesso ragirarsi ; così supponete voi con la posi¬ zione di quella linea orizontale: e così dentro la Terra vi è un altro corpo; ditemi qual sia, se pur a guisa di un’ ombra non è svanito. In oltre, essendo ella in motte suo parti durissima, per ragirarsi gli fu necessario farsi in polvere, acciò uniforme¬ mente si acconciasse in figura sferica; talché bisognò rappezzarla per metterla nel proprio stato nel quale or si ritrova, e così il supremo Fattore Iacea più tosto opra di ciavattino che di architteto. Potreste per aventura dire che intiera si rivolgea intorno a quella machina fondamentale, come farebbe farsi ad una picciola palla nel circuito d’ un corpo sferico : nò credo che direste questa baia (ma mi imagino so quanto si potrebbe dire anco di imaginario), perché già dite che i corpi circolari si ragirano intorno a i proprii centri: oltre che, i corpi elementari non sareb- bono ordinati a construir il mondo, come sue parti principali e ben disposte, ma sarebbono disparati, o al più aramuchiati come un mucchio di zucche : cd anco questo sarebbe un moto violento, e forse del tutto impossibile; ed io so vera¬ mente che voi non dite questa cosa, nè la direste ; e pur per conseguenza dalle vostre posizioni potreste forse esser indotto a dirla. Ma forse direte che si volgea intorno alla superficie concava di altro corpo continente, come, v. g., dell’acqua, o dell’ aria. Questo non vale, perchè volete che riceva il moto circolare dal piano orizontale, e che per questo le parti si ritengano in giro ; onde se siano dentro io DI ANTONIO ROCCO. 601 un altro corpo o superficie, non saranno impedite, ma in sè stesse si rcstringe- rebbono : e poi ciò non si può supporre del primo primo corpo, il qual (dico) sia messo per base o prima pietra nella fabrica del mondo ; di questo si parla, ed io ho posto per figura la Terra, ed a voi sia lecito assignare quello che più vi aggrada per primo, e vedrete 1’ istesso assurdo manifesto. Ma dite meco, e con maggior maraviglia : se prima Iddio avesse formati i corpi mondiali fuora del mondo, e poi por moto retto condottigli a i suoi luoghi, sarebbe stato più il disfacimento che l’opra, più il disordine che 1’ ordine. Veniamo a praticarlo. Sia posta in primo luogo, per essempio, la Terra, o quel corpo che vi piace. Ella ve¬ lo ni va prima (come abbiam detto) per piani declivi retti ; finisce il moto retto, e resta nel suo luogo. Venga l’acqua nel medesimo modo: suppone un’altra ma¬ cinila che la sostenti e ritardi nella declività; questa, per mettersi in giro, deve diffondersi e circondar la Terra. Così 1’ aria per circondar 1’ acqua, il fuoco per l’aria, i cieli per gli elementi e per circondar V un l’altro. Dunque, o non erano formati rielle lor proprie figure, ma era una sola massa di ciascuno in¬ forme, nè si possono dir corpi formati atti a moversi, mancandogli la parte più distinta, che è la figura; overo, se erano sferici, nel voler accommodarsi in giro Timo dell’altro, devono disconciarsi, e di solidi diventar concavi, nè avrebbono di sua natura la figura, ma la riceverebbono a caso, come la cera il sigillo, ed 20 in questo modo sarebbono indistinti, informi, non fatti, bisognosi di esser in mille maniere resarciti : e così nell’ acconciar, per essempio, la sfera del ciel stellato intorno a quella di Saturno bisognò disfar tutta quella machina, tornar ad am¬ massar le stelle, e poi stenderla con esse sopra la forma precedente, nel modo che si formano le statue a colo sopra forme di bronzo o di legno. Dunque, se ben quel tal corpo si fusse prima mosso di moto retto per venir al suo luogo, non gli poteva quello servir per il circolare, perchè bisognava disfarlo per met¬ terlo intorno all’ altro, e nel disfarsi il mobile non resta nè meno il suo moto; talché se ben si moverà di circolare, non avrà però questo per dipendenza dal retto precedente annullato. Che vi pare? Non vedete che nel far il mondo di so novo, ne supponete un altro ripieno di botteghe, di machine, di confusioni e di disordine? cose che non hanno punto di verisimile. Non è più convenevole ac- commodar il nostro intelletto alle cose intelligibili, che stirachiar quelle (anzi stracciarle), per puro capriccio o per vana aura di gloria, alle nostre fantasie? Non ò egli più ragionevole il dire, che essendo l’istesso Iddio che fu ab eterno, sia anco l’istessa natura che fu ? e che ella altro non sia che instromento deL- T istesso Dio, immutabile dalla Sua immutabilità, ordinato dalla Sua sapienza t e forse Iddio e la natura differiscono solo di nome, con accidental diversità negli effetti? cioè, che dicendo Iddio, s’intenda quella entità suprema, prima, inde- pendente, unica in sè stessa, infinita, ottima, felicissima, e natura sia egli me¬ lo desimo, con gli stromenti delle cagioni seconde che a Suo voler impiega? E se vii. 76 602 ESINCITAZIONI FILOSOFICHE ciò ò vero, perchè conseguentemente non diciamo, che come ab eterno operò la natura, così operi anco a i tempi nostri? e come a i tempi nostri così facesse al) eterno? K se noi vediamo che il luogo naturale a ciascun corpo è quello ove esso nasce, si conserva, vi torna, e con violenza ne sta lontano, perchè nell 9 istmo modo non discorriamo degli elementi o del cielo? dico, che siano naturalmente prodotti ne i luoghi ove sono, e quivi quei che sono atti al moto circolare, cir¬ colarmente si movano, e gli altri o stian quieti, o in altra maniera, come più pertiene alla stabilità ordinata deir edificio ed alla sua perfezione. Il filosofar è ricercar sinceramente la verità delle cose, non sognar chimere e difender pa¬ radossi inintelligibili e repugnanti alla ragione ed al sonso f 6 J. io Dir poi (come pur dito voi) che secondo sono discesi più a basso, così abbino conseguito moti più veloci dal moto retto precedente più veloce, non è credibile, ma repugnante al vero ed alle vostre posizioni medesime. Al vero: perchè il primo mobile ò velocissimo (come è concesso da tutti e suppongo per ora), e nondimeno, essendo sopra gli altri, sarà manco de gli altri disceso: similmente il ciel stellato (secondo 1 ’opinion conmiune de gli astronomi) è più tardo di moto clic molti altri urbi inferiori, e per la vostra posiziono dovrebbe essere più veloce. Ma potreste per caso dire, che questo discendere ha cominciato qui da noi (ed a voi parrà lecito dir tutto, ed io sto ad aspettar di udirlo), e che di qua verso il cielo sia apunto il discendere: onde sarebbe forza che i corpi celesti l’ussero tutti ristretti 20 nella Terra; e chi sa che non più tosto in una cantina, a guisa di tante botti? Ma parliamo pur saldamente: Saturno, che è più tardo di Giove, per questa ra¬ gione non sarebbe giunto colà da queste nostre bande; di modo che da ogni verso la vostra dottrina intoppa e si rompe. Alle vostre posizioni contradicete: perchè, avendo detto che si volta in giio il mobile quando è giunto alla linea omontale, e clic, avendo persa (pur come voi dite) tutta la velocità, allora si raggira, dunque se la velocità passata si è persa, poco importa che fusse più 0 meno veloce, nò che si movesse da alto più 0 meno. E poi, devo è alto, basso, più e manco, linee e machine, fuora del mondo 0 avanti di esso? 0 elio bel veder venir a piombo i corpi celesti, 0 poi ribattendo nel circolare, che riscontrano, si so dissolvano come tante palle di vetro 0 globbi d’aria! Povere stelle! e come poi si riordinorono ? lo rinasco per meraviglia, e nel studiar il vostro libro con desio di apprender qualche dottrina seria, mirabile, imparo a favoleggiare (l) . La posizione di Platone, che voi adducete per ammantar le vostre, 0 potria [G1 Voi sete quello che, col vostro non intender, fate le proposizioni vere e nobili do ventar paradossi e sogni. Nell esemplare postillatoda Gai.ii.eo, ili fronti) alle parole * io rinasco ... favoleggiare > si vede sul margine uu segno in forma di una mano, dovuto a 0 ALI 1.K0 stesso. DI ANTONIO ROCCO. 603 in questo luogo modestamente ributtarsi, il che (difendendo io ora Aristotile, clic gli è in questo contrario, e lo chiama per ciò poco versato nelle cose na¬ turali) non mi sarebbe disdicevole; ovcro, portando riverenza alla fama ed al valor di uomo sì grande, potrei dire che la sua posizione circa di questo avea altra intelligenza. Egli era chiamato divino, perchè, astratto nella speculazione delle cose divine, contemplava le cose naturali nel modo che in Dio gli pare¬ vano o le concepiva : c perciò pone prima lubricato il mondo ideale nella divina mente, il elio ò un esser cognito spiritale; dapoi, per linea retta, cioè con ordine divino e senza errore, abbia in effetto prodotti tutti i corpi che integrano 1’ uni¬ to verso, no i luoghi proprii ove si trovano. 7. Quanto al servarsi l’ordine (che è la settima parte), vi ho detto già clic egregiamente si serva, perchè non devono rimoversi i corpi da’ proprii luoghi, o nel moto che occorre non nasce confusione, ma è naturalezza. 8. Ed all’ottava, che sarebbono mobili in vano i corpi che devono moversi di moto retto, se mai si movessero, ho in questa parte risposto a bastanza nella soluzione alla prima instanza, ove anco cascava al proposito: aggiungo però ora, che non è il fine di tali corpi il mutar luogo, anzi clic, in quello trovandosi sta¬ bili, dar integrità al mondo, concorrere poi con le loro qualità e virtù operative alle generazioni, corruzzioni ed all’altre naturali mutazioni che da essi dipen- 20 dono sotto il cielo. Mentre dite che non si movono di moto retto, eccetto die per unirsi al suo tutto, non già per andar al suo luogo, e massime la Terra al centro, che è un punto imaginario, un niente, vi rispondo che sì come ciascuna parte del nostro corpo, avendo la sua totalità, aspira però primieramente alla conservazione del tutto ed all’ ordine di esso, onde la mano e l’altre membra si lasciano ferire per difender la vita, non potendo altrimenti aiutarla; così appunto nell’universo lo parti della Terra (e così si dica de gli altri corpi) hanno risguardo bene alla Terra tutta, con cui vogliono, potendo, esser unite, come il deto con la mano, ma più le importa 1* ordine dell’ universo, come totalmente tutto : e perciò al centro ogni 30 parte della Terra si moverebbe, se bene ivi non fosse altra Terra, perchè quell’ è il suo luogo assegnatole dalla natura e corrispondente all’ ordine ed integrità totale del mondo. Mentre dite che il centro è niente, senza virtù, imaginario, sia quel che vo¬ lete : per esso si disegna un punto circa il quale deve ridursi la Terra col cir¬ condarlo, non coll’ esser contenuta da esso, e così sarà luogo suo naturale più che si avvicina a quel punto. Eccovene un essempio chiarissimo. Se in una acca¬ demia, o altrove, sia ad alcuno assegnato un luogo in mezo di una banca, ove, quasi con ordine continuato, anco de gli altri di qua e di là debbano sedere, 6i potrebbe ivi con misura geometrica giustamente segnar un punto in mezo, e 40 quello con verità chiamarsi luogo di quel tale, talché più che a quello si avvi- i 604 ESERCITAZIONI FILOSOFICI^ cinasse, più anelerebbe al suo luogo, non però che da quel punto fusse contenuto o circondato : o (per dirlo in altro parole) il punto ò centro e termine di appros¬ simazione, non di continenza. Che il fuoco si mova circolarmente, perciò eleva esser questo moto naturale, non violento, vi rispondo, corno ho risposto altre volto (già. è argomento trito di ogn’uno), che quel moto ò naturalissimo in rispetto del tutto, non delle parti: voglio dire, che essendo più naturale allo parti di soggiacere ed obedire al tutto, o l’inferiori allo più nobili, che di operar per sò stesse, mentre con questa di¬ pendenza operano, non patiscono violenza. Già la destra ferita per difesa della testa, per imperio dell* anima, ò ben violentata in sò stessa, ma non ha avuto io altro che eccessiva naturalezza nell’obedir e dipender da chi doveva: così i moti circolari degli elementi dipendono, come meno nobili, da i più nobili celesti, e perciò, al giro di quelli movendosi, non soggiacciono a vera violenza ; e solo quel violento non ò perpetuo, che riceve forza estranea, distruggitrice, non imperio de’ suoi maggiori : cosi sarebbe violentata 1’ acqua dal caldo eccessivo, il fuoco dal freddo; ma per ordine del suo tutto si ritirano naturalmente dalle particolari inclinazioni ; ondo per toglier il vacuo, che alla natura universale ripugna, lo cose gravi saliscono, e discendono le levi. 9. Quanto alla nona parte, che la Terra non sia nel centro del mondo, vi risponderò quando voi intenderete di mostrare il contrario: per ora vi dicoche 20 Aristotile non ha commesso errore di petizion di principio, perchè il supposito ò evidente, o almeno concesso quasi da tutti 0 dalla maggior parte de'profes¬ sori ; nè esso intendeva provar qual fusse il centro del mondo, ma in qual ma¬ niera da quello che era stimato tale (fusse in verità come si volesse), 0 a quello, si movessero gli elementi; e così non era supponer ed investigar l’istesso, come gli imponete. Dir poi che non sappia formar sillogismi, con altre mordacità simili, non ri¬ cerca risposta: vi dico ben che gli vostri esseinpi sono all’opposito, e mancate tanto di concludere contra di lui, quanto abondate di mordere. L’insegnar a sillogizare è far sillogismi di fatto, onde è impossibile a non sapergli, come chi so insegna a scrivere e cantare è impossibile che non sappia cantare e scrivere, nè è simile di chi fa gli organi e di chi gli suona, 0 di chi impara a mente regole di poetare e di dipingere con chi verseggia e dipinge ; onde variate genere e procedete con sofismi, troppo indiscretamente lacerandolo. Povero Aristotile, che essendo stato sin ora supremo prencipe di filosofi, sei diventato un informe scolaretto! e già parmi vederti, di età matura e venerabile, non ad instruirglo¬ riosamente gli Alessandri, non a legger divinamente nelle famose catedre di Atene, non a dar leggi al mondo e penetrar i più reconditi misteri della natura, ma con una cartella alla cintola, in compagnia di fanciulli, andar a scola per impa¬ rar a far sillogismi ! Glorioso maestro, a chi è dato in sorte di insegnar ad un io DI ANTONIO ROCCO. 605 tanto scolare! Infelice condizione de’tempi nostri, già che ogni cosa va alla ri¬ versa! I cieli stessi hanno mutata natura in peggio, si dividono, si distruggono ; quindi è che non tendono più al meglio, all’ottimo; hanno troppo chetare per difender sè medesimi da gli avversarli, per conservarsi nel lor esser manchevole; onde non ò maraviglia se, dove per il passato producevano giganti ed eroi, ora convertano i giganti in pimmei, i cigni in corvi, ed anco i lupi cervieri trasmu- terano in talpe. Che la matematica sola abbia le vere dimostrazioni, e non la logica, voi lo potete dire, ma gli effetti ci insegnano il contrario, conciossia che, se bene mentre io i matematici persistono nelle loro misure e proporzioni (come fa Euclide) non er¬ rano, ma mostrano quasi a dito, nel voler però applicar ad altre speculazioni non mancano di errori notabili. 10. Veniamo all’ultima parte, all’altra inculcazion di potizion di principio. Mentre dite che in qual si voglia punto dentro la circonferenza del mondo il fuoco si moverebbe, non solo dal centro, dunque non è di là il moto suo ctc., vi rispondo elio posto in qual si voglia luogo, per linea retta anderà verso la circonferenza, non lateralmente, se non per violenza; ed in questo modo quella linea dalla parto inferiore a perpendicolo riguarderà il centro, e parimente mille e mille, le quali tutte terminerebbono ad un punto, chi le conducesse natural- 20 mente ; o così come da esso centro s’intenderebbono partirò nel salire, così a quello avvicinarsi nel discendere. Che il Sole sia nel mezo del mondo, aspetterò che al suo luogo lo dimostriate. jS’ investiga la diversità dé cicli da gli elementi . Esercitazione Terza. Intendo Aristotile dimostrare la diversità de’ corpi celesti da gli elementari, il che fa egli ora per mezo della diversità de’ moti, già che questi sono effetti della natura ; onde essendo diversi, insinuano parimente diversità di corpi mobili o naturali, etc. Contra la qual dottrina argomentate voi, Sig. Galileo ; le cui obiezzioni, che sono molte e circa varii punti, è bene dividerle, per 1’ ordine e so per chiarezza, in molte parti. 1. Primieramente dunque dite che la diversità de' cieli da gli elementi, se¬ condo la dottrina di Aristotile, < non ha altra sussistenza che quella eh’ ei deduce dalla diversità de’ moti naturali di quelli e di questi ; di modo che, negato che il moto circolare sia solo di corpi celesti, ed affermato che ei convenga a tutti i corpi naturali mobili, bisogna per necessaria conseguenza dire che gli attributi di generabile o ingenerabile, alterabile o inalterabile, passibile o impassibile, etc., egualmente e communemente convenga a tutti i corpi mondani, cioè tanto a 606 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE i celesti quanto a gli elementari, o clic malamente c con errore abbia Aristo¬ tile dedotto dal moto circolare quelli che ha assimilato a i corpi celesti >. E rispon¬ dendo al vostro Simplicio, che lo fate parlar per Aristotile, confermate la mede¬ sima obiezzione in questa maniera : 2. < Dicovi per tanto che quel moto circolare, elio voi assegnato a i corpi cele¬ sti, conviene ancora alla Terra: dal che, posto che il resto del vostro discorso sia concludente, seguirà una di queste tre cose, cioè, clic la Terra sia ancor essa ingenerabile ed incorruttibile, come i corpi celesti, o elio i corpi celesti sieno, come gli elementari, generabili, alterabili, etc., o clic questa differenza di moti non abbia elio fare con la generazione e corruzziono. > Ed indi a poco sog- io giungete : 3. < Voi dite che la generazione c corruzziono non si fa se non dove sono con¬ trarii; i contrarii non sono se non tra corpi semplici naturali, mobili di movimenti contrarii ; movimenti contrarii son quei solamente clic si fanno por lineo rette tra termini contrarii, e questi sono solamente due, cioè dal mezo ed al mezo, e tali movimenti non sono di altri corpi naturali elio della terra, del fuoco c do gli altri due elementi ; dunque la generazione e corruzzione non è se non fra gli elementi. E perchè il terzo movimento semplice, cioè il circolare intorno al mezo, non ha contrario (perchè contrarii son gli altri due, ed un solo ha un solo per contrario), però quel corpo naturalo a quale tal moto compete, manca di 20 contrario ; o non avendo contrario, resta ingenerabile, incorruttibile etc., perchè dove non è contrarietà, non è generazione nè corruzzione : ma tal moto compete solamente a i corpi celesti: dunque soli questi sono ingenerabili ed incorruttibili. > Questa dottrina apportate voi di Aristotile e per Aristotile; a cui poscia oppo¬ nete in questa guisa: < A me si rappresenta assai più agcvol cosa (dite) il potersi assicurare se la Terra, corpo vastissimo e per vicinità a noi trattabilissimo, si mova di un movimento massimo, qual sarebbe per ora il rivolgersi in sè stessa in ventiquattr* ore, che non è V intendersi ed assicurarsi se la generazione e cor- ruzzionc si facciano da’contrarii, anzi pure so la generazione’e corruzzione ed i contrarii sieno in natura >. so 4. < E se voi, Sig. Simplicio, mi sapeste assignare qual sia il modo di operare della natura nel generare in brevissimo tempo cento mila moscioni da un poco di fumo di mosto, mostrandomi qual sieno quivi i contrarii, qual cosa si cor¬ rompa e come, io vi riputerei ancora più di quello che io fo, perchè io nissuna di queste cose comprendo. > 5. < In oltre avrei molto caro d’intendere perchè questi conlrarii corruttivi sieno così benigni verso le cornacchie, così fieri verso i colombi, così toleranti verso i cervi ed impazienti verso i cavalli, che a quelli concedono più anni di vita, cioè d’incorruttibilità, che settimane a questi. I peschi, gli ulivi, hanno i medesimi terreni, e sono posti a i medesimi freddi, a i medesimi caldi, alle medesime pioggie 40 DI ANTONIO ROCCO. 607 c venti, cd in somma alle medesime contrarietà; e pur quelli vengono destrutti in breve tempo, e questi vivono molte centinaia d* anni. > G. < Di piiì, io non son restato mai ben capace di questa trasmutazione sustan- ziale (restando sempre dentro i puri termini naturali), perlaquale una materia venga talmente trasformata, clic si deva per necessità dire, quella essersi del tutto destrutta, sì clic nulla del suo primo esser vi rimanga e che un altro corpo, diversissimo da quello, se ne sia prodotto; ed il rappresentamiesi un corpo sotto un aspetto e de lì a poco sott’ un altro differente assai, non ho per impossibile clic possa seguire per una semplice trasposizione di parti, senza corrompere o ge¬ lo nerar nulla di novo, perchè di simili metamorfosi ne vediamo noi tutto il giorno. Sì che torno a replicarvi, che come voi mi vorrete persuadere elio la Terra non si possa mover circolarmente per via di corruttibilità c generabilità, avrete a fare assai piè di me, che con argomenti ben più difficili, ma non men con¬ cludenti, vi proverò il contrario. > 7. Dopo questo discorso, per ini provero al già detto Simplicio, elio adduce darsi le generazioni e corruzzioni con 1’ esperienze, dite voler conceder il discorso di Aristotile quanto alla generazione e corruzzione fatta da’ contrarii, ma che in virtù de gli stessi contrarii provarete che anco i corpi celesti sieno corruttibili; e la vostra prova sommaria è questa: Quei che hanno contrarii son corruttibili; 20 i cieli hanno contrarii ; dunque son corruttibili. La maggiore è di Aristotile istesso : la minore si prova, perchè alterabile, inalterabile, passibile, impassibile, generabile, ingenerabile, corruttibile, incorruttibile, sono affezzioni non solo contra¬ rie, ma contrarissime. Se dunque il ciclo è incorruttibile, ingenerabile, inaltera¬ bile ed impassibile, avrà per contrario il corruttibile, il generabile, l’alterabile ed il passibile ; c se un contrario si corrompe dall’ altro, il cielo incorruttibile sarà corrotto dal corruttibile, etc. 8. Vi apponete la soluzione del vostro Simplicio: cioè che in quell’argomento solistico vi sia contradizzion manifesta, cioè < i corpi celesti sono ingenerabili ed incorruttibili; dunque son generabili e corruttibili >; e poi la contrarietà non esser so tra’ corpi celesti, ma tra gli elementi, i quali hanno la contrarietà di moti sursum et dcorsum e della leggerezza e gravità ; ma i cieli si movono circolarmente, etc. 9. Voi, impugnando questa risposta, domandate se la contrarietà per la quale i corpi son corruttibili, risieda nel corpo corruttibile o in altro ; e risposto clic in altro, soggiungete: < Però segue che per fare clic i corpi celesti sieno corrutti¬ bili, basta che in natura ci siano corpi clic abbino contrarietà al corpo celeste; e tali sono gli elementi, se ò vero che la corruttibilità sia contraria all’ incor¬ ruttibilità >. Al che risponde Simplicio vostro, che non basta, ma devono i con¬ trarii toccarsi e mescolarsi fra loro, il elio non occorre del cielo con gli elementi ; perciò non sono contrarii. E voi per altra via provate questa contrarietà, ed 40 è questa : 608 ESERCITAZIOXT FILOSOFICHE 10. Il primo fonte dal qual si cava, secondo la dottrina di Aristotile, la con¬ trarietà de gli elementi, è la contrarietà de’moti loro in su, in giù; adunque è forza elio contrarii sieno parimente tra di loro quei principi da i quali pendono tali movimenti; e perchè quello è mobile in su per la leggerezza, e questo in giù per la gravità, è necessario elio leggerezza e gravità siano tra di loro con¬ trarie. E la leggerezza e gravità vengono dalla rarità e densità: nel cielo si trova raro e denso, anzi le stello son chiamate parti più dense del suo cielo e perciò sono opache : dunque in cielo è contrarietà, e per conseguente i corpi celesti sono generabili e corruttibili. Risponde Simplicio, che non dipendendo questa rarità e densità da caldo e freddo nel cielo, non sono causa di questi moti, nò sono io vere contrarietà, ma opposizioni relative (elio sono delle minori fra tutte 1’ oppo¬ sizioni), cioè di poco e di molto, che non hanno che fare con la generazione e corruzzione. A cui voi soggiungete, che Aristotile ci ha ingannati, e che dovea aggiunger che al moto in su ed in giù non basta aver per principio il raro e denso, ma ci vuole anco il caldo ed il freddo da cui dipendano, e che questo caldo e freddo non ha che far niente con il moversi su e giù, ma che basti il raro e denso, già che un ferro infocato ha il medesimo peso die freddo. 11. Dopo ritornate di novo a voler dar bando dalla natura al moto retto, per dar, coll’uniformità del moto circolare, egualità a gli elementi ed al cielo; per il che fare portate di novo in campo quelle istesse ragioni quasi ad unr/ucm, 20 ma nel senso totalmente ristesse, che poco avanti apportaste, ed io ho compen¬ diosamente recitate ed esaminate nella precedente Esercitazione: cioè, che per mantenimento dell’ordine dell'universo, quanto alla locai situazione, non ci sia altro elio il moto circolare ; che il moto per linea retta serva solo a coiulur i corpi al suo luogo e qualche particella di quelli, quando ne fusse separata ; che il globo terrestre, 0 si devo mover in cerchio, o in retto, over esser immobile : in retto, è impossibile, essendo nel suo luogo ; 1’ esser immobile ripugna al chia¬ marsi naturale, ed Aristotile dovrebbe aver detto che fra i corpi altri sono mobili, altri immobili; dunque deve moversi circolarmente, e solo le particelle rimosse dal suo luogo si movano in retto: e questo basta a Tesser mobile di moto retto, so nel modo che si dice generabile, e pure a pena qualche particella di essa si genera, e così corruttibile per alcuna delle sue picciolo parti ; e perciò questa contrarietà di moti si dia alle parti, ed al tutto si dia il moto circolare 0 una perpetua consistenza nel suo luogo : quel che si dice della terra, si dica con simil ragion dell' aria e del fuoco, e non assonargli moto del qual mai si son mossi, e quel che sempre gli conviene (che è il circolare) chiamarlo preterna¬ turale, scordandosi di quel che ha detto T istesso Aristotile, che nessun violento può durar longo tempo. 12. Per epilogo, volete che si faccia comparazione del discorso d’Aristotile col vostro, qual sia più probabile, cioè quello d’Aristotile, che con la diversità io DI ANTONIO ROCCO. 609 de’ moti semplici investiga la diversità de’ corpi celesti ed elementari, ed il vostro, che supponendo le parti integrali del mondo esser disposte in ottima costitu¬ zione, esclude per conseguenza da i corpi semplici naturali i movimenti rotti, come di niun uso in natura, o stima la Terra esser essa ancora uno de’ corpi celesti, adornata di tutte le prerogative che a quelli convengono ; e che questo discorso (giudicando voi sotto il nome del vostro Sig. Sagredo) più consoni clic quell’altro. Questa ò la dottrina vostra: or veniamo ad esaminarla. 1. Alla prima dico, che per via resolutiva ed inventiva non si può procedere altrimenti per ritrovar la diversità fra gli elementi e T cielo, che quella del io moto naturalo ; essendo egli principal effetto della natura, da cui le cagioni, e dalla cui diversità le differenze altresì delle cagioni, si conoscono. Non mancano però altri metodi, che questa diversità con V incorruttibilità insieme de’ cicli (già per questa principalmente s’intendono diversi da gli elementi) ne mostrano, i quali in varii luoghi il medesimo Aristotile adduce: come, nel primo del Cielo, è il non aver esso cielo materia di cui sia stato fatto, la quale sola è radice di dissoluzione e di contradizzionc, anzi, per la privazione che ha sempre seco indissolubilmente congiunta, inclina all’ eccidio del suo proprio composto attuale ; nell’ ottavo della sua Fisica, per ragion di ordine, di dipendenza, conservazione e perpetuità dell’ universo : conciosia che le cose corruttibili non hanno entro 20 lor stesse principio di eternità, anzi di mancamento ; perciò se in eterno de¬ vono conservarsi, necessariamente da incorruttibile naturai cagione dipendono ; e vedendo, ciò che sotto il circuito del cielo si trova, esser dissolubile, ed i moti celesti con la diversità de’ tempi apportar queste varietà, a loro appoggiamo ra¬ gionevolmente la costanza delle coso caduche, come a causa immortale da cui dipendono. Nella sua Metafisica similmente vuole che in ogni operazione si abbia da aver ricorso e dipendenza ad una causa efficiente prima: e nell’ordine natu¬ rale (di cui si parla) si vedono Y une dipendenti dall’ altre con ordine essen¬ ziale, invariabile, e le sullunari corruttibili tutte; perciò ricorriamo alle celesti. Nò mancano altre ragioni, come sanno quei che sono versati nelle speculazioni so e dottrine Aristoteliche. Voglio solo accennarvi che quella parte nella quale voi, Sig. Galileo, dite, la dottrina d’Aristotile non aver altra sussistenza, per pro¬ var la diversità de’ cieli da gli elementi, che quella della diversità de’ moti, è falsa. Vi dico bene che è la più naturale dell’ altre, quasi sperimentale, e vi sog¬ giungo che nel suo genere è efficacissima, per quanto può 1’ umano ingegno, e sola bastarebbe ; sì die se voi la buttarete a terra, col provare che anco gli altri corpi, cioè gli elementari, di sua natura si movano circolarmente, per desio ar¬ dentissimo del vero mi accosterò alla vostra opinione, dirò che Aristotile abbia errato, e vedrò pacificamente la soversione della più bella parte della sua filo¬ sofia, nè mi farà niente di compassione. 40 2. Starò per tanto aspettando al suo luogo di veder con nove dimostrazioni vii. 77 010 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE moversi la Terra in giro, od allora concederò qual più vi aggraderà delle tre indotte conseguenze, cioè che, o aneli* ella sia ingenerabile, come i cicli, o quelli corruttibili, come ò ella, o che la differenza di Aristotile sia nulla. E questo basti per questa parto. 3. La terza instanza (premesso il fondamento della dottrina d’Aristotilo), se bene all’ apparenza dimostra qualche vigore, è nondimeno in verità manchevole aneli* ella ; perchè, quantunque la Terra sia a noi vicinissima e trattabilissima, tutta via il conoscerò il suo moto, essendo noi posti in mezo a molti (siano di cieli, per ora, o di altri), ne è quasi, o forse senza quasi, impossibile. Il moto locale si conosce dal variar gli spazii ed i siti ; ma quando questi per moti altrui io si possono variare, è variabile ed incertissima la lor cognizione. In questo modo nella Terra vediamo questa varietà, e cosi multiplice, che non sappiamo da chi deriva* ed ò sin ora stato universalmente creduto che più tosto ogni altro corpo ne sia cagione, che la Terra : talché è falsissimo che por la sua vicinità ne sia più cognoscibilc il suo moto, che le generazioni o corruzzioni continue che si fanno de’ contrarii; perchè, chi non sa che il caldo estinguo il freddo, il dolce l’amaro, il dolore il diletto, etc. ? e dall’ altro canto, non sapendo alcuno sin adesso, da che il mondo è stato creato, elio la Terra si mova, o pur sapendolo pochissimi (per non dir sognandolo), overo essendo di ciò difficilissima controversia, è vanità espressa dir che questo sia più noto di quello, chiamar, dico, più noto quel che 20 da niuno è conosciuto o appena cade nell’ incertissima opinione, di quel che per sensata cognizione ne è consapevole ogn’ uomo ; tanto potreste diro, la notte esser più chiara del giorno, 0 lo tenebre della luce. E molto maggior stravaganza è la vostra, mentre dite non esser noto se la generazione, corruzzione e contrarii siano in natura: però di questo errore vi accorgete in parte, già elio poco di sotto chiaramente con destrezza lo ritrattate. 4. Alla quarta sareste tanto obligato a risponder voi, quanto il vostro Sim¬ plicio, overo ogni Peripatetico, ogni filosofo ; poiché se vi par difficile di sapere come da contrarii si generino cento mila moscioni, e professando voi di filo¬ sofo, dovreste dichiarare secondo la vostra dottrina come da non contrarii si 30 generino, o in qual altra maniera. È facile in vero proporre difficultà e duini ; il solvergli (come egregiamente diceva il sapientissimo Socrate) ha del faticoso, del difficile. Io nondimeno, quanto alla contrarietà in universale, ve ne abbozzerò il modo, ed avrò sodisfatto in qualche parte al vostro quesito : la maniera di¬ versa tocca a voi, e da voi si ricerca ; aspetterassi forse sentirla. La contrarietà, dunque, che in ogni generazione, in ogni corruzzione si ricerca, è di due sorte, cioè positiva e privativa : la prima è per qualità repugnanti, nemiche, le quali si trovano nell’ agente immediato 0 nel paziente ; la seconda è per il manca¬ mento e per la forma, la quale è propriamente opposizion privativa, ma secondo T uso delle scole vagliami chiamarla contraria. Eccovene chiaro 1’ essempio. Se io DI ANTONIO ROCCO. 611 il fuoco avrà da operar nell* acqua, col suo calore cercherà di vincer il freddo di quella, e con la sua siccità l’umidità che in lei si trova; e così ridottala a condizioni incompossibili, o non convenevoli alla sua natura, non può in modo alcuno sussistere, ma infallibilmente tende alla corruzzione : si disfà (dico) la forma dell’ acqua, ed in quella stessa materia, mancante della forma precedente, s’induce la forma del fuoco, la quale non potea esser introdotta nò prodotta senza il mancamento della precedente ; e così il mancamento o privazione, in¬ sieme con la forma, fanno opposizion privativa circa la generazione : talchò am¬ bedue insieme queste opposizioni a qualsivoglia generazione e corruzzione con¬ io vengono, supposti gli agenti e pazienti sustanziali diversi, ne i quali si fondino, perchè niuno ò contrario a sò stesso, nò di sò stesso generativo nè corruttivo. Ed al proposito di moscioni, la materia loro propinqua è il fumo del mosto, la quale ha però, nel suo modo, forma (tal qual si sia) informe o imperfetta di quella fumosità ; questo fumo ha del terreo sottile, ed il calore che trae di sua natura dal mosto ò anco umido grandemente, le quali disposizioni sono attissime alla formazione di questi imperfetti animaletti : la terrestrità gli servo per sus¬ sistenza stabile ; 1’ umidità, per impastargli, a punto come P acqua nella farina per far il pane; il caldo, per dargli principio di vita e di operazione; la rarità leggiera aerea, per soministrargli spiriti agili al movimento. Tali sono le dispo¬ so sizioni, ma però con qualche difetto, onde da gli agenti, per mezo delle qualità contrarie, devono ridursi all’ ultima intiera perfezzione. Il terrestre dunque, che nel fumo è raro e dissoluto, deve dall’ umido connettersi con P attività del caldo operativo, nel modo che si stringe o rapprende il latte col fuoco ; e così alla terra, secca e fredda, si oppongono in questa azzione i contrarii, cioè il caldo e P umido. La superfluità dell’ umido, repugnante alla solidezza e consistenza, a proporziono da temperato terreo secco coll’aiuto del calore si asciuga e si agiusta; il caldo inordinato da freddo aqueo si riduce a dovuta temperie, e 1’ agilità aerea di sem¬ plice naturalezza prende indifferenza per il moto animale. Or il fumo, fatto denso, temperato, mobile, indifferente, non è pili fumo, ha persa la sua forma, ed in so questa maniera dal suo distruggersi si è generata la natura de’moscioni; altri¬ menti, restando egli incorrotto, i moscioni non avrebbon ricevuto P esser vitale: ed eccovi P opposizion privativa, dico del non esser fumo e dell’ esser moscioni. A questa tal generazione concorrono immediatamente gli elementi con le loro qualità operatrici, sopponendo però sè stessi, o più tosto le lor materie, per fon¬ damento sustanziale, sì al fumo predetto, che è misto, come a i moscioni, che di quello si generano : P agente però principale ò il cielo, con i suoi instromenti communi ad ogni generazione. Ed eccovi dichiarati in universale questi contrarii. 5. La quinta instanza ricerca per risposta il medesimo fondamento che la quarta precedente, ma per darle formalità compita, deve ricorrersi alle condi¬ lo zioni particolari delle forme proprie e de’ semi specialmente. Queste forme, dun- 612 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE (lue, traendo virtù dalle cagioni effettive ondo derivano, a quello si assomigliano, o secondo il vigore di quello formano, e quasi (per così dire) sigillano o impri¬ mono, la preiacento materia più o meno tenacemente. Come il pesco non solo dalla terra, ma più prossimamente dal suo seme, riceve la naturai perfezzione, cosi il fico, il cavallo, il cervo : talché la terra vicina, ove lo piante nascono e si nutriscono, non è la lor materia prossima, quella dico di cui devono esser ammas¬ sate o composte, quella dalla quale sortiscono diversi temperamenti, onde sono più e meno duraci ; ma essa terra ò solo ricettacolo, ministra, del nascere e del nutrirsi, come T utero negli animali; e perciò, benché gli ulivi ed i fichi siano piantati nell’ istessa terra, a i medesimi freddi e caldi, venti, pioggie etc., hanno io diversa varietà dalla propria semenza, non giù dal luogo, come voi supponete. L’istcsso a proporziono si dica de gli animali, etc. 6. Alla sesta, che non siate restato mai ben capace di questa trasmutazion sostanziale, io non so che farvi : so benissimo che pienamente da Peripatetici vien dichiarata, e dimostrata ancora con esperienze e con ragioni. Di grazia, dichiaratela voi in altro modo ; e dovete assolutamente farlo, perché chi scrive contra alcuna posizione, o pretende dar nove dottrine contra P antiche, non basta clic dica < Quelle non sono buone, io non P intendo >, ma con ragioni mostrar ove pecchino, e poi con fondamenti più saldi produr le nove. Io per me vi confesso elio mi par talmente necessario, che nelle predetto trasmutazioni sostanziali 20 niente della precedente materia 0 composto resti, che sia inintelligibile e repu¬ gnante il contrario. Nella corruzzione del legno che si converte in fiamme, di¬ temi, per cortesia, che cosa resta nelle fiamme del legno precedente? che cosa resta di fuoco nel cenere ? (li uomo ne i vermi ? di terra nell* aria ? e così di tutte T altre cose che si corrompono, eccetto che un primo commune informo subietto, principio materiale a tutte lo coso generabili, da cui debbano prodursi, giù che il farsi del niente eccedo il naturai potere. Che voi non abbiate per im¬ possibile, un corpo rappresentar visi sotto varii aspetti differenti assai per sem¬ plice trasposizion di parti, senza corruzzione 0 generazione, e die simili meta¬ morfosi si veggano tutto il giorno ; se non parlate di mascherate over di mutazioni so favolose di Proteo, in sogno però, 0 di stravestimenti di Mercurio, di inorpella- menti 0 incrostature, io per me non ne veggo, non ne ho viste, nè credo da vederne mai. (,) Dovevate dir dove e quali sono, apportarne essempi 0 altre cer¬ tezze; le scienze hanno i suoi principii, e le ragioni non si contentano delle pure asserzioni. Eh volesse Iddio, Sig. Galileo mio, che (secondo l’opinion d’Anasagora) non fusse il corrompersi altro che un occultarsi, il nascere altro che un novello ap¬ parire, ed a voi fusse concesso dal cielo esser di ciò fausto annuncio a gli uomini, ftell 1 esemplare dell’ edizione originalo pestìi- sogno marginalo in figura di una mano, elio ò do¬ tato da Galileo ò richiamata l’attenzione sullo pa- vnto allo stesso Galileo. Cfr. pag. 577, nota 1, o role « so non parlato .... da yodoruo mai > con uu pag. 602, nota 1. DI ANTONIO ROCCO. 613 acciò eglino, all’ importantissimo fatto reale aggiungendo la verità indubitata, colmi di letizia c di gioia, liberi da gli orribili orrori di morte, e nella certezza di eternità variabile, stimando sò stessi felici, ergessero a voi trofei di gloria incomparabile, immortale ! Ma la cosa è del tutto diversa dal vostro dire : così non fusso ! Potreste forse dire, che restando tal ora gli accidenti medesimi della cosa corrotta nella generata di novo (come P istesso odoro dell’ acqua rosa che fu prima nel fiore), si argomenti l’istesso soggetto o natura. Questo è argomento d’intricata conseguenza ; ed io, nel primo della Generazione, gli ho risposto a ba¬ stanza, nò voglio qui replicar altro, tanto meno quanto che voi non 1’ appor¬ lo tate. Che si abbia da far più assai a provar che la Terra non si mova circolar¬ mente perchè è corruttibile, di quel che avrete a far voi, clic con altri argomenti più difficili e non men concludenti proverete il contrario, vi dico che la corrut¬ tibilità ò una delle cagioni perchè la Terra abbia naturalmente il moto rotto e non il circolare, cioè, clic essendo corruttibile, risguarda per opposito il suo contrario corruttivo, o V uno e P altro avranno moti contrarii, i quali non pos¬ sono esser eccetto elio retti; ma oltre di questa non mancano altre ragioni, elio l’istesso Aristotile apporta nel secondo del Ciclo. 7. La settima parte non è realmente obiezzione alcuna, ma un semplice ritrattarsi di quel che avete detto di sopra. Deli, Sig. Galileo, come poco fa non 20 sapevi in qual guisa i contrarii concorrano alla generazione, nò se si trovino in natura, ma dicevi che si faccino generazioni sustanziali solo per apparenza, ed ora in un tratto queste generazioni e questi contrarii cortesemente ammettete V Dove è la stabilità delle vostre posizioni ? ove l’immutabilità e sodezza della vostra dottrina ? scio voi contrario e ripugnante a voi stesso ? Ma veniamo al- l 1 altra parte. Dite che i cieli sarebbono corruttibili, perchè hanno per contrari i corpi corruttibili, alterabili, etc. Dove (por vita vostra) avete trovato o cono¬ sciuto mai che il corruttibile e l’incorruttibile, 1’ alterabile e l’inalterabile etc., siano contrarii, anzi contrariissimi? sarà forse Iddio, sommo benefattore univer¬ sale e total bene dell’ universo, essendo incorruttibile impassibile ed inaltera¬ to bile, contrariissimo a noi ? sarà 1’ anima nostra immortale, nemica al proprio corpo, a cui dà e conserva la vita e l’essere? l’intelligenze avranno contrarietà con i corpi che muovono ? la materia con le forme? Vi dà tanto travaglio un ter¬ mine con quella dizzioncella in, che ovunque ella si apponga, ivi vi sforzi a poncr contrarietà? Eli che importa solo diversità che appena inferiscono contradizzionc, come corruttibile, non corruttibile, etc. E secondo il vostro intendere, per questa cagione in tutti i simili a i predetti sarebbe vera contrarietà, onde il colore sarebbe contrario all’ odore o al suono, perchè quello è visibile, ed invisibili questi. Non ò dunque contrarietà di natura, no: altri sono i requisiti di contrarii, altri di disparati, di contradittorii e di diversi, i quali bene talvolta, per penuria (li voci, per distin¬ to gucrgli fra di loro proferimo l’uno con dizzione affirmativa, V altro con negativa. G14 ESEROIT AZIONI FiLOSOF1CIIE 8. Di aui passo all 1 ottava, dicendo che la soluzione del vostro Simplicio non e buona: ma ciò non importa nò a voi nò a me, ed io F accenno solamente per non interromper 1* ordine. 9. Mentre poi dico elio la contrarietà ò tra corpi corruttibili, elio si muovono di moto retto, non di circolare, e yoì soggiungete (e sia nella nona parte), se risieda la contrarietà nel corpo corruttibile, o rispostovi di no, aggiungete < Dunque l’in¬ corruttibilità elio risiede (secondo voi) nel cielo, avendo per contraria la corrut¬ tibilità do gli elementi, farà che il cielo (posto pur da voi incorruttibile) sia corruttibile > ; al che è stato risposto a pieno di sopra, ed ora replico non nugato- riamentc, ma por mostrar confermato il vostro argomento così efficace e far io veder F espressa vostra intenzione, acciò chi non ha letto il vostro libro non pensasse che fusse posto per modo di argumentarc, come si suole nello materie scolastiche. Risponde di più Simplicio, che non basta V esser contrario, ma biso¬ gna che i contrarii si tocchino ; al che non occorre dir altro, nè in ben nè in male. 10. La decima è, elio per cagion di rarità o densità dovrebbono esser corrut¬ tibili i cieli, essendo questo affezzioni contrarie, già che sono principii di moti contrarii etc. Io vi rispondo, che se di sua natura fussero questi affetti cagiono di contrarii effetti, io non sarei restivo in concedervi che ancor essi fussero con¬ trarii, ed il vostro argomento non mi dispiacerebbe; anzi mille volte clic in simili occasioni V ho sentito apportare, mi è parso più efficace di molti i quali a que- 20 sto proposito si sogliono addurre : ma la verità ò che tali sorti di accidenti non sono per sua natura cagione di movimenti contrarii, ma accidentalmente solo. E mi dichiaro. La quantità di mole non ha in sè stessa attività alcuna, anzi, a guisa di informo materia, dopo aver terminato i corpi naturali, ed elementari c celesti, presta solo capacità a gli accidenti elio in tali corpi devono soggettarsi: per questo è communissima a tutti, nò induce (come tale) distinzione da corpo a corpo; essi accidenti però, che in quella si ricevono, possono più o meno esser intensi o vigorosi, conforme alla mole maggiore o minore, più o meno densa. La densità, dunque, e la rarità sono pure quantità con vario sito, cioè con minore o maggiore approssimazione delle parti: denso è quello che ha le parti più unite ; 80 raro, che le ha più disperse : perciò non è possibile che abbino operazione alcuna, nò per conseguente siano attivi principii di moto, ma accidentalmente solo e di essi moti e de gli altri accidenti ancora, massime de gli attivi : sì elio le ope¬ razioni provengono dalle forme, e nella quantità, sia rara o densa, si fondano, e secondo che più o meno in tal quantità possono unirsi, sono più o meno effi¬ caci nell’ operare ; ed in questa maniera il raro e denso sono disposizioni senza azzione, nelle quali la virtù operativa si fonda; talché se non ci sarà tal virtù, siano pur rari o densi i corpi, non perciò avranno operazione: ed eccovene gli essempi manifesti. Sia, quanto esser si voglia, denso un globo di fuoco; non de¬ scenderà giamai, anzi più salirà che il men denso o che non farà una favilla, 40 DI ANTONIO ROCCO. Gl 5 se pur da terrestre mistura non sia ritardato: così il caldo in materia più densa sarà più veemente, il freddo, il dolce, V amaro etc., perchè in quella più rac¬ colta quantità quelli operativi accidenti più si uniscono e sono necessariamente più forti. Il moto per tanto, agente singolare fra gli altri accidenti, dipende effet¬ tivamente dalla virtù motrice, o sia dalla forma del corpo mobile o da altro (chò non voglio ora entrare in questa disputa), quella indrizza al termine, al luogo prefisso, e secondo che il corpo che dove moversi è più raro o più in¬ tenso, così più potentemente vi si imprime esso moto, la potenza o virtù del quale è la velocità e tardità : ed in questo modo quelle virtù motive che di lor io natura inclinano al moto retto, in questa disposizion di mole più o manco facil¬ mente lo proseguiscono ; quelle tali che ad altro, parimente stabiliscono la sua virtù sopra di queste machine : onde dirci, e dico in effetto, che sono indifferenti ad ogni moto, e fondamentalmente servono a tutti; e si vede che i moti circolari artificiali e gli altri, come di ruote o simili, si eseguiscono meglio o peggio con¬ forme alla densità e rarità della materia ; onde in questa maniera sono cause accidentali, indifferenti, indeterminate, e nel cielo si accommodano al moto cir¬ colare, ne gli elementi al retto, come credo aver dichiarato a bastanza. Ed in questo senso ha parlato Aristotile, nel quarto della Fisica, al testo 86, mentre ha detto : Densum enim et rarum secundtm lume contrarietatcm Icitionis fadiva sunt , 20 parlando del moto de gli elementi o del sursirn e dcorsum , se si potesse far nel vacuo, chò del circolare non ha dubio, movendosi (secondo lui) il primo mobile non contenuto da corpo alcuno ; e la contrarietà che accenna fra il raro e denso, è parimente occasionale e dispositiva passiva, e tale qual può bastare al moto per virtù principale della forma operante, non che per sò stessa basti nò serva alla corruzzione : di modo tale che, quantunque sia nel cielo il raro e denso, non sarebbe per questo corruttibile, non essendo per sò stesse queste passioni ope¬ rative, ma sole quantità, come Lo ancor detto. Ben sì che il grave e leve pro¬ ducono immediatamente il moto retto all’ ingiù ed all’ insù, e per lo più il grave è col denso ne i corpi elementari, il levo ne gli medesimi col raro ; ma ciò di- 30 viene dalla virtù supposta e ricevuta nella quantità predetta, onde le virtù at¬ tive più o manco s’imprimono. Alcuno cose però sono più dense e men gravi, come è manifesto del piombo e del ferro : dal che anco appare che dalla densità non dipende, come effetto proprio, la gravità, nè dalla rarità la leggerezza; altri¬ menti sarebbono invariabili. 11. La undecima obiezzione, essendo altrove stata indotta o soluta, avrebbe qui inutile repetizione. 12. La comparazione che pretendete fra il discorso d’Aristotile ed il vostro, io la faccio in un tratto ragionevolmente a favor di Aristotile. Egli per mezo di moti investiga la natura de’ corpi mobili, nò meglio può farsi, già che lo cagioni 40 remote da i nostri sensi ed incognite, da gli effetti propinqui o conosciuti de- 016 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE vono investigarsi : così fa il saggio medico, V esperto nocchiero, e gli altri che regolatamente procedono. Voi dito coso non conosciute dal senso, non capite dalla ragione, non conformi all’ esperienze e non concordi al vero. La confusione che credete levar da gli elementi col privargli dal moto retto (comunque gli con¬ venga, o allo parti o al tutto), la ponete nell’ordine essenziale del mondo, perché quelle confusioni elementari sono vie allo mistioni, alle generazioni, ed a tutte le mutabilità che nella diversità del mondo sullunaro si richiedono, come ho anco detto altro volte; di modo tale che, por salvare o ordinare un effetto di alcune parti, che nulla importa, volgete sossopra il mondo. Ohe voi stimiate, la Terra esser un de’ corpi celesti, adornata etc., staremo a sentire. io Della corruttibilità de 1 cicli, di alcune comete , stelle nove e macchici che in essi sono state osservate . Esercitazione Quarta. Che i corpi celesti siano differenti da gli elementari, e specialmente per esser quei incorruttibili ed impassibili, e questi passibili e caduchi, oltre molti modi con i quali Aristotile lo prova, uno ne trae dall’ esperienza, dicendo egli che per sen¬ sata cognizione, nè da noi nè per memoria de’ nostri antichi, si è veduto mai in cielo alcuna generazione nò corruzzionc, nè altra mutabilità, come del continuo si veggono in Terra. E questa posizione viene spiritosamente impugnata da voi, Sig. Galileo, la somma delle cui ragioni è fidelmente questa : 20 Per la distanza grande (dite) clic è fra noi ed il cielo, non sarebbe possi¬ bile veder colà generazione nò corruzzione alcuna, come di qui non vedrcssimo queste cose se si facessero in America, ancorché ci fusso posta dirimpetto e che ci sia tanto più vicina del cielo 171 . Nè ci basterebbe dire, per salvar questa celeste incorruttibilità, che non si sia corrotta alcuna stella giamai ; poiché, essendo così grandi che pochissime sono minori della Terra, non ò ragionevole (se bene nel cielo sieno delle corruzzioni) elio una di esse si corrompa, come mai si corrompe il globo della Terra intero: talché questo non è argomento di vigore, perchè ci possono esser dell’altre corruzzioni a noi insensibili; e così per via di esperienze o memorie antiche nulla conclude Aristotile: e che voi non credete esser statico in terra selinografi così curiosi, che per lunghissima serie d’ anni ci abbiano te¬ nuti provisti di selinografie così esatte, che ci possano render sicuri, niuna tal 171 Questo non è mai da me stato detto, ma ben non intendete voi quel ch’io dico Così discorrete. A cui risponde il vostro Simplicio, che dall’Antiticone sono stati convinti tutti gli astronomi che ponevano quelle stelle celesti, col provar egli che bisserò elementari. A cui rispondendo dite, cho desiderate sa¬ pore clic cosa dica questo moderno auttore delle stelle nuove del 72 e del 604, e delle macchio solari ; < perchè quanto alle comete (dite) poca difficoltà farei nel ponerle generate sopra o sotto la Luna; nè ho fatto mai fondamento sopra la loquacità di Ticone, nè sento repugnanza nel poter credere che la materia loro sia elementare, e che le possano sublimarsi quanto piace loro, senza trovar ostacoli nell’ impenetrabilità dei cielo peripatetico, il quale io stimo più tenue so più cedente e più sottile assai della nostra aria. 6. E quanto a i calcoli delle parallassi, prima il dubio se lo comete siano sog¬ gette a tali accidenti, o poi l’inconstanza dell’osservazioni sopra le quali sono fatti i computi, mi rendono egualmente sospette questo opinioni e quelle, etc. >. Adducete poi, per soluzioni di questo apparenze, diverse opinioni ; le quali io, per servar P ordine e per curiosità di chi leggerà, voglio brevemente recitare. 7. Prima, circa le stelle nove, l’Antiticone dice che non sono parti certe di corpi celesti, e che se gli avversarii d’Aristotile vogliono provar, là su esser alte¬ razione e generazione, devono dimostrar mutazioni fatte nelle stelle descritte già tanto tempo, delle quali niiino dubita che siano cose celesti; il che non possono 40 far mai in veruna maniera. Circa poi lo materie che alcuni dicono generarsi in Y1L \ 76 C18 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE faccia del Solo o dissolversi, non dice altro costui; ma forse Favea per favola o per illusione del cannocchiale, o al più per affezzioncollo fatte por aria, ed in somma per ogni altra cosa che per materie celesti. 8 . « Altri dice che questo macchie siano stelle, elio ne i lor proprii orbi, a guisa di Venere o di Mercurio, si volgano intorno al Sole, e nel passargli sotto si mostrano a noi oscure; e per esser moltissime, spesso accade elio parte di loro si aggre¬ ghino insieme o poi si separino; altri lo crede impressioni por aria, altri illu¬ sioni di cristalli. > 9 . Ed esso Simplicio inclina a crederò < elio sia un aggregato di molti e varii corpi opachi, quasi casualmente concorrenti tra di loro: o perciò veggiamo spesso io che in una macchia si possono numerar dieco o più di tali corpi minuti, che sono eli iigura irregolari o ci si rappresentano come bocchi di nove o di lana o di mosche volanti ; variano sito tra di loro, ed or si congregano, or si disgre¬ gano, e massimamente sotto al Sole, intorno al quale, come intorno al suo centro, si vanno movendo. Ma non è però necessità dire che lo si generino o corrom¬ pano, ma clic alcune volte si occultino doppo il corpo del Sole; ed altre volte, benché allontanate da quello, non si veggono per la vicinanza della smisurata luce pur del Sole. Imperò elio nell’orbo eccentrico del Sole vi ò constituita una quasi cipolla, composta di molte grossezze, una dentro dell’ altra, ciascuna delle quali, essendo tempestata di alcune piccole macchio, si move; e benché il movimento 20 loro da principio sia parso incostante ed irregolare, nulladimeno si dice essersi novellamente osservato che dentro a tempi determinati ritornano le medesime macchie per F appunto. > E questo pare al Sig. Simplicio il più accommodato ri¬ piego per salvar lo macchio e F incorruttibilità de’ cieli. 10 . Impugnate questa posizione : ma pria elio venghiato a questo, dite che se questa disputa lusso di qualche punto di legge 0 di altri studi umani, ne i quali non è né verità nè falsità, si potrebbe confidare assai nella sottigliezza del- F ingegno, nella prontezza del diro e nella prattica di scrittori, etc. ; ma nelle scienze naturali, le conclusioni delle quali son vere e necessarie, non ha die far nulla F arbitrio umano, sì elio mille Demosteni, mille Aristotili, se si apponessero so al falso, restarebbono a piedi contra ogni mediocre ingegno. Venite poi all’im¬ pugnazione in questa maniera, recando (come dite) due sperienze solo in contrario. 11 . c L’ima ò, che molte di tali macchie si vedono nascere nel mezo del disco solare, e molte parimente dissolversi e svanire pur lontane dalla circonferenza del Solo; argomento necessario che le si generano 0 si dissolvono: chè se senza generarsi e corrompersi comparissero quivi per solo movimento locale, tutte si vedrebbono entrare ed uscire per F estrema circonferenza. > 12. < L’ altra osservazione a quelli che non sono costituiti nell’ infimo grado d’ignoranza di prospettiva, dalla mutazion delle apparenti figure, e dall’ appa¬ rente mutazion di velocità di moto, si conclude necessariamente che lo macchie 40 DI ANTONIO ROCCO, 619 sono contigue al corpo solare, e ohe, toccando la sua superficie, con essa o sopra di essa si movano, e che in cerchi da quello rimoti in niun modo si raggi¬ rino. Concludelo il moto, che verso la circonferenza dei disco solare apparisce tardissimo, e verso il mezo più veloce ; concludelo le ligure delle macchie, le quali verso la circonferenza appariscono strettissime in comparazione di quello che si mostrano nelle parti di mezo, e questo perchè nelle parti di mezo si veggono in maestà e quali elle veramente sono, e verso la circonferenza, mediante lo sfug¬ gimento della superficie globbosa, si mostrano in iscorcio : e V una e V altra di¬ minuzione, di figura e di moto, a chi diligentemente V ha saputa osservare e cal¬ lo culare, risponde precisamente a quello che apparir deve quando lo macchie sian contigue al Sole, e discorda inescusabilmente dal moversi in cerchi remoti, benché per piccolo intervallo, dal corpo solare, come diffusamente è stato dimostrato dal- T amico nostro nelle Lettere delle Macchie Solari al Sig. Marco Vclsori. Raccogliesi dalla medesima mutazion di figura che nessuna di esse è stella o altro corpo di figura sferica : imperò che tra tutte lo figure solo la sfera non si vede mai in iscorcio, nè può rappresentarsi mai se non perfettamente rotonda; e così quando alcuna dello macchie particolari fusse un corpo rotondo, quali si stimano esser tutte le stelle, della medesima rotondità si mostrarebbe tanto nel mezo del disco solare quanto verso V estremità; dove che lo scorciare tanto e mostrarsi sottili 20 verso di tale estremità, ed all’ incontro spaziose e larghe verso il mezo, ci rende sicuri, quelle esser falde di poca profondità o grossezza rispetto alla lunghezza e larghezza loro. Che le macchie dopo i determinati periodi ritornino le mede¬ sime per l’appunto, non lo crediate, Sig. Simplicio, e chi ve l’ha detto vi vuole ingannare: e che ciò sia, guardate eli’ ei vi ha taciuto quelle che si generano e quelle che si dissolvono nella faccia del Sole, lontano dalla circonferenza; nòvi ha anco detto parola di quello scorciare, elio è argomento necessario dell’ esser contigue al Sole. Quello che ci è del ritorno delle medesime macchie, non è altro che pur quel che si legge nelle sopradette Lettere, cioè che alcune di esse siano tal volta di cosi lunga durata, che non si disfacciano per una sola conversione 30 intorno al Sole, la quale si spedisce in meno di un mese. » Poi, rivoltato al Sig. Sim¬ plicio, gli dite che secondo Aristotile bisogna anteporre il senso al discorso; e però, essendo questa cognizion sensitiva, deve, con Aristotile, stimarla più ferma che la proposizione la quale asserisce, il cielo esser incorruttibile, già che è in¬ certissima e falsa. 13 . Aggiungete, elio per virtù del telescopio il cielo si è fatto trenta e qua¬ ranta volte più vicino a noi che non era ad Aristotile, onde, per questa maggior vicinanza, gli è più facile conoscerlo sensibilmente o con certezza, e che esso Ari¬ stotile non vedeva le macchie predette. Rivolto in nome del &ig. Sagredo a Sim¬ plicio, lo compatite, che, mosso dalla forza di questo vero, sia sforzato lasciar 40 Aristotile, e dall’ altro canto vaccilli etc. Consolandolo poi, dite che non tema la 620 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE caduta (lolla filosofia Aristotelica, perché bisogna riformar i cervelli, non basta apportar nova dottrina ; o elio i Regnaci (li Aristotile metteranno in dispregio questa vostra col silenzio, non coll’ aguzzargli lo penne contro, otc. 14. Per confirmazion della corruttibilità de’ cieli, aggiungete che questa sa¬ rebbe in essi perfezzione, corno nella Terra, la quale perciò ò nobile, perchè coll’esser generabile e corruttibile ne produce tante sì belle e varie cose; clic se incorruttibile fussc, sarebbe inutile ed oziosa, a guisa d’ una gran massa di ghiaccio, di diaspro o di altro : anzi che ella è più degna per questo effetto del- P oro o dello gioie, perchè queste si stiman solo per esser rare, ed ella per sò stessa ; dimodoché se vi fusse così carestia di terra corno di oro e gemme, niun io prcncipe saria che non spendesse volentieri una somma di diamanti e di rubbini e quattro carrate (V oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per pian¬ tare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere, e produr sì bello frondi, e fiori così odorati, e sì gentil frutti. Ecco dunque la sua perfezzione dalla sua corruttibilità, come per l’op¬ posto sarebbe imperfettissima ed inutile. E così sarebbono da niente i corpi ce¬ lesti, se impassibili lusserò. 15. E questi che esaltano tanto l’incorruttibilità cd impassibilità, credo (dite) < si riducliino a dir queste cose per il desiderio grande di campar assai e per il terrore che hanno della morto > etc. Risponde Simplicio, che ancor che la Terra 20 sia più perfetta per esser corruttibile etc., ciò non converrebbe a i cieli, i quali, non essendo ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno di altro, per conseguir il suo line, elio (lei moto e del lume. 10. Impugnato questa risposta, dicendo non esser ragionevole die corpi sì vasti e sì nobili non siano ordinati ad altro uso che d’ un caduco, mortale, feccia del mondo, sentina di immondizie, quale è la Terra, di modo che, tolta ella via, essi cieli restassero inutili etc.; già clic, essendo essi impassibili, niuno operarebbe nell’altro, ed eccoli oziosi, in vano, etc. 17. < Anzi a me pare (dito) che, mentre i corpi celesti concorrono alle gene¬ razioni ed alterazioni della Terra, sia forza che anco essi siano alterabili; altri- 30 menti 1’ applicazione del Sole e della Luna alla Terra per far le generazioni non sarebbe altro che metter a canto alla sposa una statua di marmo, e da tal con¬ giungimento star attendendo prole. > E poi soggiungete, che se all’ eternità del globbo terrestre non apporta pregiudizio la corruttibilità delle parti, anzi perfez¬ zione ed ornamento, perchè non possiamo dir così de’ corpi celesti ? aggiungendo . lor ornamento senza diminuirgli perfezzione o levargli l’azzioni, anzi accrescen- doglile, col far che non solo sopra la Terra, ma che scambievolmente fra di loro tutti operino, e la Terra ancora verso di loro. Risponde Simplicio, che queste mu¬ tazioni nel cielo e nella Luna sarebbono inutili e vane, già che tutte le genera¬ zioni e mutazioni che si fanno in Terra, 0 mediata 0 immediatamente, sono in- 40 % DI ANTONIO ROCCO. 621 drizzate all’ uso, al commodo, al beneficio dell’uomo ; dunque in cielo, nella Luna o in altri pianeti sarebbono inutili, chi non volesse dire che ancora in quei luoghi siano uomini che godano di quei frutti. Al che rispondete che non sapete che nella Luna si faccino pioggie, venti, nuvole, e molto meno uomini etc. ; ma però non si deve concludere che non vi siano e vi si generino altre cose diverso dalle nostre, e lontanissime dalla nostra imaginazione e del tutto da noi ine¬ scogitabili. E come un che sia nato in una selva immensa tra fiere ed uccelli, che non avesse cognizion alcuna dell’ elemento dell’ acqua, non gli potrebbe ca¬ dere nell’ imaginazione che si trovasse in natura un altro mondo diverso dalla io terra, pieno di animali li quali senza gambo e senz’ ali velocemente camminino non solamente sopra la superficie, come le fiere sopra la terra, ma per entro tutta la profondità, e si fermino ove lor piace, il che non possono faro gli uccelli in aria, e che quivi, di più, abitano ancor uomini, vi fabricano palazzi e città, hanno commodità nel viaggiare, che senza ninna fatica vanno con tutta la fami¬ glia, e con la casa e con le città intere, in lontanissimo paese, nè questo tale si potrebbe mai imaginare i pesci, L’ oceano, le navi, le botte, V armate, etc.; così molto più nella Luna possono esser sostanze diverse, etc. Fin qui voi : è ormai tempo di rispondere con ordine. 1 . Per risposta, dunque, della prima posizione vostra, io pongo questo fonda- 20 monto: che se il cielo fusse corruttibile, sarebbe di più facile corruzzione, quasi in infinito, di quel che sia la Terra ; perchè, essendo egli sopra la sfera del fuoco, sarebbe senza dubbio più tenue più cedente e più sottile assai della nostra aria (argomento preso da voi, Sig. Galileo, e son vostre istesse tutte le parole), onde in esso si farebbono corruzzioni amplissime, come quelle (che pur dite di veder voi) maggiori del sino Mediterraneo, dell’Asia e dell’Africa ancora, tal che sa¬ rebbono senza fallo visibili^: il che non accade della Terra, che, per esser den¬ sissima, tenacissima e durissima, difficilmente soggiace alla corruzzione, ed appena in qualche sua picciolissima parte si corrompe a fatto: e così la vostra comparazione non corre. In oltre, se fusse corruttibile il cielo, sarebbe anco dissiparle come 30 l’aria, e tanto più quanto fusse più tenue, e gli accaderebbe dissiparsi di fatto continuamente per le generazioni continue che ivi si facessero, le quali non pos¬ sono esser eccetto che per contrarii eccitanti e violenti : cd in questa maniera sarebbono le stelle agitate qua e là, mutarebbono sito, nò serverebbono egual distanza fra loro nè alcun moto regolare, appunto come accado delle comete overo di altre impressioni ignite che si fanno nell’ aria. Nè mi opponiate la va¬ stità della lor mole, perchè all’ ampiezza de’ cieli agitati ed agitanti son picco¬ lissime e tenui ancor esse. Nè dentro a corpo sì raro e sì cedente (quale sarebbe [8] quasi che le corruzzioni che si fanno nell’ aria e nell’ acqua siano molto visibili. 622 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE il cielo) potrcbhono elle esser ordinatamente portate, come si vede da noi: per tanto bisognerebbe dire, che o tutte bisserò immobili (se pur non cedessero al- P agitazioni violente), o elio di moto egualmente veloco si corressero appresso P una all* altra, rotandosi non intorno al suo centro (conio dovrebbe un corpo circolare elio per sò stesso si movo), ma a guisa di palle da giuocare. Dire elio stessero tutte immobili, è posizione ripresa da voi contra Aristotile, por non dir repugnante alla natura ed al senso. Vederle corrersi appresso nel modo predetto, sareblie un bel spasso: non voglio dirvi stravaganze ripugnantissime a voi me¬ desimo, al vero, al verisimile, o quasi alP imaginario ancora. Oltre di ciò, in ma¬ teria sì tenue o cedente, non sarebbe alcun inconveniente che una stella intera io si corrompesse : perchè, essendo ella della natura del suo orbe (come voi stesso elite contra P Àlititicono), sarebbe sottoposta alle istesso mutazioni; e so ben sia più densa, la sua densità però non potrebbe esser tale elio si facesse diversa dal cielo (nel modo che Paria densa non è del tutto diversa dalla pura); per consc¬ guente si potria corrompere come P istesso cielo. Anzi sarebbono le stelle più facilmente dissolubili che le comete, quanto il cielo fusse più tenue dell’ aria, o quanto elio nelle comete si racchiude materia terrea e tenace che le rende du¬ revoli, la quale nelle stelle, a porzione del loro orbe, non potrebbe contenersi. Nò la similitudine elio voi apportato della Terra (cioft che mai si veda corrotto P in¬ tero suo globo) è. di momento alcuno: perchò si corromperanno più facilmente 20 cento mila parti di un corpo tenue e dissipabile, che una minima di un denso e tenace. Eccovene Pesseinpio a pennello: sarà un stagno grandissimo di acqua : questo nel mese solo di agosto facilmente del tutto si secca; ed in diece anni, ed in cento, non si sarà corrotta una piccola zolla di dura terra. E se questo ò vero delP acqua, sarà senza comparazione più vero delP aria, elio ò più tenue della terra, se ben non così agevolmente si conosce da noi ; e molto più savia del cielo, elio (per voi) è tenuissimo più delP aria: talché non sarebbe inconve¬ niente, anzi forse necessario, che alcuna stella si corrompesse e Paltre si gene¬ rassimo e forse anco tutte, militando con P istessa ragione che ciascuna di esse. Sarebbe anco impossibile che questo non si vedesse da noi, essendone il cielo so posto in prospettiva, e le stelle visibili e luminose. Di più, secondo la vostra posizione sarebbe necessario, elio in verità se ne fussero generate 0 corrotto di novo ; perchè se a 5 tempi nostri si generano e si corrompono (come dite), ed è Pistessa natura celeste ora che fu sempre, avranno per il passato fatto Pistesso continue mutazioni ; nel modo che Paltro cose generabili e corruttibili sono sempre sottoposte a queste vicissitudini, e la natura (come è noto a ciascun intendente) opera sempre nell’istessa maniera: e pur niuna di queste mutazioni si è osser¬ vata giamai, e tutte lo stelle numerate da gli antichi si numerano anco da noi senza diversità di sito fra loro, corno ancor voi confessate : qual varietà dunque si sarà latta nel cielo? o qual non potrà esser stata osservata? Il dire che in 40 DI ANTONIO ROCCO. 623 Terra non siano stati selinografi, è un detto voluntario. Credete voi, Sig. Galileo, esser il primo inventore ed unico de gli stromenti con i quali si veggono gli affetti celesti?credete che (,) quei famosi astronomi, che così minutamente hanno numerato le quasi innumerabili stelle del cielo, formatele così acconciamente in figure distinte, divisa la celeste machina così ordinatamente nelle sue parti e gradi, che per tanti secoli ne hanno data cognizione così esatta a gli uomini, non siano giunti alla pienezza della cognizione alla quale sete giunto voi? Io, quanto a me (perdonatemi), non lo credo, nò uomo alcuno sensato se lo potrà persuadere. Anzi ò più tosto credibile, elio avendo essi sì acutamente penetrato io la celeste struttura (per quanto è concesso all’ intelletto umano), abbiano avuto ed instromenti ed ingegno da veder V impressioni che voi dite, ma di vederle ancor tanto meglio di voi, elio ne abbino chiaramente conosciuta la loro posi¬ zione fuora del cielo ; e però ragionevolmente dica Aristotile che ninna muta¬ zione si è mai vista in esso: il che si ha da intendere conforme alla maniera scienziate del suo (lire, non già volgarmente; cioè che, usate le diligenze ed arti- fidi clic a tal cognizione celeste e filosofica si richiede, e da lui e da innumo- rabili egregi professori non si sia vista cosa alcuna variata. Aggiungo che, come le scienze matematiche (qual se ne sia la cagione) non sono ora in Europa di gran lunga in quella eccellenza che furono ne i tempi antichi [10] , anzi che appena se 20 ne serbano i vestigi (per quanto dicono e scrivono omini degni di fede, e per quel che ne mostra V esperienza, i pochi professori e le catedre quasi derelitte), così i matematici do’ tempi nostri (siano pur singolari quanto possono, fra’ quali sin¬ golarissimo stimo voi) non hanno egualità con quei famosissimi antichi. E come sarebbono stati tali senza i dovuti instrumenti ? come si dirà veloce al volare un ucello senz’ ali ? Sia dunque da voi ed a vostra gloria rinovato F uso, risuscitata la forma, di essi (il che nò anco è concesso da ogn’ uno ; io però mi contento), ma non ritrovata cognizione diversa nel cielo, da quella elio ne ebbero quei tanto diligenti scrutatori de’ misteri della natura [n K E quando dal fato vi fusse stato concesso di aver voi ritrovato prima il telescopio, e veduto cose non viste da 30 191 non ò stata registrata stella alcuna da gli antichi che non sia visibile col semplice occhio naturale. d°j Yen le misurate col vostro compasso, secondo ’l quale poco, anzi niente, ò quello che ora si sa delle matematiche. [11] adunque Aristotile ebbe cognizione degli effetti di Venere, e la pose sopra 1 Sole ? Oh come lo fate ignorante ! E così taqque, con gli altri astronomi, le Medicee, le nebulose, etc. U> Di fronte allo parole « con i quali si veg- segno in figura d’una mano, die è dovuto allo stesso gono gli affetti celesti ? credote che» si vede sul Galileo. Cfr. pag. 577, nota 1, pag. 002, nota 1, inargino doli’ esemplarti postillato da Galileo un pag. 612, nota 1, occ. 624 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE altri noi cielo, avreste il pregio di operare e vedere, ma non di più egregiamente filosofare: anzi avendo por vantaggio o per scorta la vista, imm vostro errore sarebbe, intorno a questo, escusabile, e grande la lodo de gli altri, che in cose non visto discorrano egregiamente e meglio anco di voi, come si può vedere dal paragone. 2 . La comparazione è fra le posizioni Aristoteliche e le vostre, che io intendo esser per nulla. Quanto a gli accidenti ed osservazioni che sverno nel nostro se¬ colo circa il cielo, se voi realmente con dimostrazione infallibile proverete elio siano successi nell’ interno de’ corpi celesti, non ha dubbio alcuno che Aristotile muterebbe opinione: giù esso non intende ricercar altro che il vero, e quello io specialmente che ha per fondamento la cognizione del senso ; egli stesso in molti luoghi lo dice, come sapete benissimo. Anzi non solo bisognerebbe mutar opinione circa l’incorruttibilità de’corpi celesti, ma rivolger sossopra i primi principii delle cose naturali, e dire (all’ opposito di quel che a piena bocca diciamo, cioè che operi la natura ordinatamente sempre nell’ istessa maniera) che sia essa natura più variabile, più incostante, più cieca, più capricciosa, della fortuna medesima : già fa corpi vastissimi celesti (dico dello nuovo stelle), e poi di lì a poco tempo gli distrugge; il che non ha fatto mai per il passato. Voi però durarete fatica a dimostrarlo; dalle instanze lo conoscerete: già lo dimostrazioni sono insolubili, nò patiscono instanze. Veniamo pur alla prattica. 20 3 . Dite che nel cielo si sian visti, e si veggan tuttavia, accidenti simili a quelli elio noi chiamiamo generazioni, e da gli astrologi siano state osservate molte co¬ mete generate e disfatte in parti più alte dell’ orbe lunare. Al che rispondo (salvo ogni miglior giudizio, a cui sempre mi rimetto; già questo mio fatiche sono puri esercizii [l2J ), elio queste tali osservazioni siano state alluccinazioni, cagionate dalla distanza, dalla debolezza della potenza visiva, dalla deformità ed indisposizione del mezo, dall’insufficienza dell’instrumento 0 di altro Ma veniamo a’particolari. Quanto alle comete, elle si producono in molti modi e si posano in diversi siti, come a pieno discorre Aristotile nelle Meteore; ma al nostro proposito se ne deve addurre un solo, degno di esser osservato per la pre- SO sente difficultà, ed ò questo. L’esalazione, di cui si producono le comete, può esser attratta all’ insù da alcuna stella del cielo, o fissa 0 errante (aggiongo io), sino al- [121 Voi qui ed in molti altri luoghi vi rimettete a i più intelli¬ genti, e chiamate questa vostra maniera di scrivere esercitazioni per discorrere e imparare; e poi trattate meco tanto imperiosamente e con tanto vilipendio ! [13J ma queste distanza, debolezza di vista, deformità etc. non erano forse al tempo d 5 Aristotile ? e se erano, perché non potetter dare occasione di errare a quelli, come a noi ? DI ANTONIO ROCCO. G25 l’ultima superficie concava dell’orbe lunare, ed indi per virtù dell’istessa stella può seguirò il moto di lei [u \ talché apparirà quasi una coda senza far parallasse, tal ora situata sopra gli altri orbi o stelle, conio la medesima stella conduttiera; e ciò dà occasione di errare circa 1’ altezza, sito, etc. E so si sian viste queste tali co¬ mete 05 per sorte sopra le stello vere, di modo che da questo stelle siano esse comete state offuscato o ricoperte, e perciò sia argomento che la lor situazione sia stata realmente nel cielo c sopra i pianeti, onde la mia risposta non vaglia nulla, io dico che anco in questa apparizione può esser errore: perchè un lume più debile, unito col più potente, perde ogni vigore, quasi elio fusse estinto; così di giorno io lo perdono le stelle nel cielo, etc.; or la cometa ha picciolo e fosco lume in comparazione delle stelle; perciò se nel suo moto passerà sotto alcuna di esse direttamente, restarà offuscata ed invisibile: e chi rimirasse questo passaggio senza specularne la cagione, direbbe che la cometa fusse passata sopra la stella, e per conseguente avesse anco la sua situazione più alta di lei; e pur non gli passò di sopra, ma restò offuscata, come ho detto. Mi si potrebbe però opporre, che se le comete fussero contigue all’ orbe lunare, si oonsumerebbono in breve dalla voracità del fuoco. ÀI che rispondo, clic la tenacità della materia con la crassizie restaurata può per alcun tempo conservarle, come lo legna accese nel nostro fuoco; e massime per non esser il fuoco elementare, per la sua gran ra- 20 rità, di attività eccessiva, in comparazione a materie di resistenza notabile, conio sono quelle di cotali comete. Del resto attinente alle comete ho discorso a ba¬ stanza nella mia Filosofia. 4. Delle due stelle nuove, con 1* istesso fondamento potrei rispondere che in effetto non fussero vere stello, ma comete ancor esse, le quali seguivano le sue stelle veraci con più congiunzione e vicinità, però senza parallasse, che non fa l’alone o corona intorno al Sole ed alla Luna; le quali comete, consumata la lor materia, si corruppero poi, come dicono gli osservatori : perchè se fussero state vere, situate nel cicl stellato, l’una nell’ imagine di Cassiopea, l’altra nell’Escu- lapio, ed oltre di questo un’altra (dicono) del 1600 nel Cigno, e poi si fussero 30 corrotte, io argomentarci una facilissima corruttibilità nelle stelle, e nelle più grandi, quali affermano fussero le predette, sì die anco 1’ altre stelle durerebbono pochissimo, essendo della medesima sostanza; onde non solo alcuna delle anti¬ che, ma le imagini intiere ed i pianeti parimente, massime i più piccioli, si sa- rebbono, già tempo, disfatti. E pur voi ammettete invariabilità in queste antiche [U1 Delle comete osservate da astronomi e da loro descritte, nes¬ suna ha seguito il moto di stella veruna, nè fissa nè errante. O) Di fronte allo lineo elio comprendono lo pa- finale postillato da óalii«ko, (lolle virgolette, con rolo « medesima stella conduttiera ... comete » sono lo quali Gai.ii.ko richiama 1 attenzione su quelle segnate in margine, noli’esemplare doli* edizione ori- linee. ESERCITAZIONI FILOSOFICHE 626 stelle, ed avote per assurdo clic un intiero lor globo si corrompa ; ed ora casche¬ rete a dire, che stelle sì grandi o sì bolle si siano in breve tempo consumatee disfatte del tutto t'® 1 . Di grazia, tornate a dar una ricercatina all’armonia dissonante di questa vostra dottrina, ed accordate bene le corde, che una non guasti il suon dell’altra. Potroi ancora dirvi (ma parlo con timore di non errare, e volontieri sentirei più tosto gli altri, ma che dicessero a proposito; pur so commetterò errore, son apparecchiato all’emenda, mi sotto¬ pongo alla correzzioneche essendo i cieli in alcuno parti più densi, in altre più rari (come senza controversia ammetto ciascuno), ed essendo grande la diversità de’ moti con velocità differentissima tra loro, non sarebbe inconveniente io che qualche stella vera e reale per alcun tempo, mossa però nel suo orbe ove si trova fissa, scorresse sopra laide o striscio dense dell’orbe inferiore, talché alla nostra vista la occultassero, e poi, capitando nelle parti più rare, ci si rendesse visibile, tornando di novo ad immergersi in altre densità e farsi invisibile, nella maniera giusto che fa il Sole nell’entrar ed uscir dalle nubi; e questi accidenti non accadano così regolati nò osservabili in determinati periodi di tempi per la multiplicità deforme di moti celesti e per l’irregolarità del raro c del denso ch’ivi potrebbe essere : ed in questo modo (che da più accurato esame potria ridursi a perfezzione più puntuale), senza dar dissoluzioni no i cicli, senza negar il senso, nò ponere altre posizioni inintelligibili e ripugnanti, si troverebbe concordia stabile 20 nella peripatetica filosofia t 17 ). Delle stelle Medicee direi elio siano vere stelle ce¬ lesti, ingenerabili, impassibili (presagio di felicità impermutabile all’augustissima Casa di Medici), e se mai non si occultano, ciò avvenga per non aver gli intoppi predetti di densità diverse: e se da gli antichi non siano annoverate fra l’altre stello, questo è perchè non sono visibili a tutti, ma ci bisogna l’instromcnto atto per vederle 11,J ; ed essi solo delle conosciute commnnemente han parlato, accen¬ nando dell’altre col nome di nubilose e di oscure. [is] Nè io nè altri mai hanno detto (o elefantissimo) che le dette stelle nuove fussero vere stelle, di nuovo generate e poi dissolute ; onde tu gracchi alla nebbia e getti le parole al vento. no] p ur torni, ignorantone, a confessar la tua ignoranza ; e pur tutta via parli meco con tanta sprezzatura ! ll7) Aristotile disse, il cielo essere in generabile, perchè non si era visto generarvisi cosa alcuna ; sì che dal non si generare argomen¬ tava l’ingenerabilità etc. : ma tu, per 1’ opposito, tenendo salda l’in- generabilità, vuoi che le generazioni che vi si veggono, o non siano nel cielo o non siano generazioni. (lh] poco sopra volevi che gli antichi avessero sti’umenti migliori de i nostri. DI ANTONIO ROCCO. G27 5. Ricorrerci anco più volentieri a quei tanti epicicli, come fate voi per lo stelle Medicee, anzi che poner corruttibile il cielo: e son sicuro che, diversamente considerate, salvercbbono tali apparenze; c voi, se voleste, so che sapreste farlo, se ben, per altre cagioni, altrove non mi sono piaciuti; e con questo posizioni, i tanti calcoli, con tutto che dimostrassero quelle stelle esser state nel cielo, non però concludine elio si siano generate di novo, nò poi corrotte, ma novamente apparse ed indi occultate. Le materie che dito prodursi in faccia del Sole, dense, oscuro etc., io stimo parimente che siano solo nella regione elementare, contiguo al concavo dell* orbe lunare, attratto dal Sole, e per virtù di esso aguagliate al io suo moto, a proporzione però della distanza che ò fra lui e quelle ; e per esser direttamente in faccia di esso nell’ altezza predetta eccessiva, c forse non misu¬ rabile dal nostro intendimento, paiano vicine, anzi congiunte a lui: così due monti, per lungo spazio distanti l’uno dall’altro, superando l’uno di altezza, rimirati per linea retta, appariscono totalmente congiunti. E quanti errori commetta la nostra vista nel riguardar gli oggetti lontani, ne siano testimoni mille continuo esperienze^. I monti paiono svelti dalla Terra, e sospesi in aria; i corpi angolari si mostrano sferici, gli diafani opachi, gli verdi neri, etc. Non s’inganna nel pro¬ prio oggetto, quando ò convenevolmente vicino, ben disposto e, nel spazio, non im¬ pedito. Gli instromenti voglio che gli porgano qualche aiuto, come in effetto si vedo 20 do gli occhiali, non già totale indeficienza; sono ancor essi manchevoli, e tanto più quanto 1’ arte è più imperfetta della natura : pure, congiunte insieme, non lia dubbio che meglio operino, non però impeccabilmente C?0J . E per venir al nostro punto, il vostro telescopio è quello elio vi mostra queste novelle cose in cielo, queste macchie nel Sole; però voi per stabilir saldamente la vostra dottrina avrete da far tre cose: la prima, mandar per il mondo il vostro libro insieme col telescopio, acciò si abbi la medicina e la ricetta, perchè molti non credono queste vostro visioni, il che vi apporta pregiudizio o discapito non mediocre; nò si potrà dire che sia fondata nella cognizione sensitiva quella scienza il cui og¬ getto dal senso universalmente non è compreso e che solo dipende dalla rela- so zione di pochi ; la credulità non è scienza, so bene ha qualche supposito ragio¬ nevole; io nondimeno, quanto a me, vi credo: la seconda, dovete provare che questo instromento non possa errare, e sudarete a farlo: la terza, che l’arte di misurar distanze in spazii immensi sia certa ed infallibile ; e qui trovarete non il difficile solo, ma l’impossibile istesso. Già in brevissimi intervalli, in espedizioni importantissime, per affari grandi di stato ordinate da prencipi supremi, poten¬ tissimi, ed eseguito da’più periti dell’arte di prospettiva, si sono commessi cr- [10] le quali da noi altri balordi non sono osservate. m Ma secondo i vostri detti, sareste in obbligo di confutar le di¬ mostrazioni con le quali io provo, le macchie esser contiguo al ©. 628 E8EROITA ZIONI FILOSOFICIIE rori notabili e perniciosissimi ; ed ardisco di diro clic un matematico di primi dell’universo non sia buono di misurar con rocchio, aiutato da gli stromenti ancora, trenta miglia di spazio, con lo distanze di corpi che ivi sono, senza er¬ rore: or elio diremo del misurar il ciclo? 1 ' 11 6. Quanto a quel elio dite, di stimare il cielo peripatetico più tenue più sot¬ tile e più cedente della nostra aria, non occorro dire altro particolare. Giù vi ho mostrato di sopra quel elio ne seguirebbe, o corno sarebbono sensate le cor- ruzzioni elio ivi accadessero, elio si corromperebbono le stelle intere; ed ora ag¬ giungo solo che si ha da aggregar questa parte con la diflìcultà universale della corruttibilità o incorruttibilità del ciclo, circa la qual controversia si aggira quasi io tutto il stame di quest’ opera ; nò voi apportate altra ragiono a prò vostro, a cui io ora debba rispondere. 7. Circa 1’ opinioni addutte, erra V Àntiticonc, o voi assai bene lo confutate, perchè in effetto, o elio le antiche) o elio le moderne stelle si siano variate, ge¬ nerate o corrotte, essendo tutte celesti, il cielo si potrà dire, nelle suo parti più degne, variabile. 8. Quei che stimano queste macchio esser stelle, c che si aggreghino e disgre¬ ghino sotto il Sole, pongono moti disordinati ed incerti nei corpi naturali cele¬ sti; anzi par che gli attribuiscano un movimento capriccioso, a salti e senza conveniente regolarità, il quale non si devo ammettere in niun modo per natu- 20 rale, ma più tosto sarebbe misto col violento. 9. Erra finalmente il vostro Simplicio, massimo intendendo di parlar con fon¬ damenti di Aristotile, il quale ha bandito dal cielo ogni effetto casuale e fortuito, no ha levato via ogni passibilità e penetrabilità, ogni irregolarità e disconcio; e nondimeno esso Simplicio casualmente vuol clic concorrine), variino sito, penetrino il cielo. La constituzione nell’ eccentrico del Solo quasi di una cipolla, credo che si abbia da riferir all’opinion di Simplicio, la quale, non essendo accettata da voi, si potrebbe intender reietta: pur se anco questo è pensier vostro, è bello e capriccioso conio gli altri ; ma altro è dirlo 0 invaginarlo, altro ò farlo credi¬ bile 0 scibile. 30 10. Dite, per stabilimento delle vostre posizioni, che essendo questa disputa 1211 So ’l vostro discorso deve esser concludente, bisogna che voi diciate che nel misurarsi una distanza di 30 miglia sia impossibile il non errare al meno di 29, se volete poter concludere contro al misurator della lontananza delle macchie, il qual le pone contigue al 0, mentre elle lusserò sotto la 3 . lo non misuro mai la distanza delle macchie, ma dico che son contigue al 0, la distanza del quale lascio in arbitrio vostro di porla quanta vi piace. DI ANTONIO ROCCO. 620 non di qualche punto di legge o di altri studi umani, ina di conclusioni naturali e necessarie, non gli vai l’arbitrio umano, non sottigliezza d’ingegno etc. Ed io dico die in ogni controversia una sola è la verità ; ed in questa presente, per esser di cose naturali, ma remotissime in mille maniere da noi e dalla nostra conoscenza, la sua risoluzione è più incerta e più intrigata che gli enimmi della sfinge Tebana: in modo che fi asserirne per indubitato (eccetto alcune cose coin- munissime, come che i cieli sien quanti, visibili, le stello lucide, lucidissimo il Sole etc.) è più tosto specie d’indovinare che di filosofare; salvo se non staremo ne gli universali, chò all’ora se ne potrà aver cognizione probabile, nel modo io appunto che ce la dà Aristotile. Anzi, nelle materie più difficili, olii lia più bei- T ingegno fa apparir i cieli a suo modo, non potendo alcuno mostrargli con evidenza l’opposito: ed io ho sentito un galant’uomo, che in nobil congresso di litterati si prese a difender per scherzo, il ciclo esser composto di latte, e lo fece (mercè del suo nobil ingegno) egregiamente, e rispose anco a fortissimi ar¬ gomenti, senza assurdi notabili e senza veruna contradizzione. Ben sì che delle leggi e delle azzioni umane (come che da cagioni finite, a noi congiunte c da noi dipendenti, provengano), al dispetto d’ ogni fecondissimo oratore, sedato però il moto delle passioni, non solamente so ne conosce il vero, ma ne sa dar sentenza risoluta quasi ciascuno. E chi è, per vita vostra, che sentita distintamente una 20 controversia civile, con le ragioni d’ambe le parti, non sappia, presso a poco, scorgere il vero dal falso? e chi, dall’altro canto, frale innumerabili schiere do gli uomini intelligenti, ha saputo determinar cosa alcuna di certo dello condizioni recondite del ciclo? c se ciò fusse, onde nascerebbono tante dispute? tante con¬ troversie? È anco in quelli (noi nego) una verità necessaria, ma non vi è chi degli uomini la conosca: nò basta che sia cognoscibile ed infallibile; cbè anco Iddio supremo è sommamente cognoscibile, e quasi niente conosciuto da noi. È la nostra povera mente più losca nell’ intelligenza delle nature più degne, di quel clic siano gli occhi d’una nottola nel veder i raggi del Sole. Ma orsù, se ò una verità e conclusion necessaria, talché sia anco evidente, come voi dite, mostrate so P evidenza, apportate le ragioni e le cause, lasciate il persuader al modo di ret¬ tori, e ninno vi contradirà. 11. Ma ò tempo che discorriamo di altro. Mentre dunque dite, che molte di tali macchio si vedono nascere in mezo del Sole etc., vi ho risposto che sia al¬ lucinazione, e per qual cagione: già la lontananza non lascia distinguer de’siti, la direzzione ed il moto ci apportano errori, etc. Possono per tanto essere vere nell’esistere, sì che il Sole con la sua virtù ne attragga del continuo sino ai- fi ultima superficie concava dell’ orbe lunare, e ne dissolva ancora, come che siano dissolubili ; ma fi errore stia nel conoscere i siti, e per fi attrazzione uni¬ forme non possino far parallasse: il che affermo solo probabilmente, non con 40 alcuna temerità nè pertinacia, e confesso giuocar con voi al giuoco della cieca; G30 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE ina a me tocca aver bendati gli occhi; voi dito di vedere, ed a me tocca indo¬ vinare che cosa sia quel che vedete voi. Non ò però la mia, colpa di negligenza: pur troppo mi sono affaticato per giungere a conoscenza prattica, per usar (dico) di simili strumenti visivi ; o per questo effetto, con persona di sapere compiono, di opinioni simili alle vostre, ebbi per alcun tempo, spesso, discordi sì ma pla¬ cidi e gravi congressi: però le sensato esperienze che prometteva, o dall’impo¬ tenza o da altro, non si ridussero mai all’ cssecuzionc ; ed egli, forse più incerto nelle suo che io nelle mio posizioni, è andato a ricercarne la verità esatta nel cielo. 12. All’altra osservazione, oppongo parimente V incertezza della prospettiva io nella distanza grandissima, come ho ancor detto ; talché voglio o concedo clic voi vediate le macchio predette, ma io non le stimo nel cielo. E quando senza illusioni le vedeste, preporrei la cognizion sensata ad ogni altra; anzi giudicherei il discorso non opra di ingegno ragionevole, ma chimere di confusa ed irrego¬ lata imaginativa. 13. Che poi per virtù del telescopio il cielo vi si sia fatto trenta o quaranta volte più vicino di quello che fusso ad Aristotile, io già ho detto clic, se bene per sorte a i tempi di Aristotile non si trovava questo instromento di tal forma, ve no potevano esser do gli equivalenti, o forse anco migliori. Ma supponiamo con voi che non vi fussero: io vi domando: Il ciclo, che per conoscenza si è av- 20 vicinato trenta o quaranta volte più a voi elio non era ad Aristotile, in qual distanza determinata volete figurarvclo? voglio dire che, se ad Aristotile ap¬ pariva lontano, per essempio, quarantamila miglia, a voi sia mille solamente, anzi pur cinquecento e meno. Or ditemi, qual certa o distinta cognizione visiva nella distanza di cento miglia potete aver voi delle cose che ivi si trovano? ditelo pur sinceramente. Io, quanto a me, e gli uomini anco di acutissima vista, non discernono appena le gran montagne. E se in verità, secondo lo vostre as¬ serzioni, i cieli, e massimamente il Sole, anco col vantaggio del telescopio, è lon¬ tano migliaia di miglia, che giudizio ne potrete dar voi? l22J Se con reale evidenza mostrarote quel elio pretendete di fare, ruinerà in questa parto la dottrina pc- 30 ripatotica, riformarete anco i cervelli de gli uomini, la cui genial forma è l’evi¬ denza del vero ; sì che non aguzzeranno le penne contra di voi, nè metteranno in dispreggio i vostri scritti, ma più tosto, convinti dalla forza invincibile della verità, ergeranno a voi altari di gloria entro i lor cuori, le loro lingue saranno trombe sonore della vostra fama, e quasi novello Atlante sarete tenuto unico c singoiar sostegno della cadente filosofia celeste. 14. Che i cieli fussero più perfetti se fussero corruttibili, con l’essempio C22] Pezzo di bue, non lio io detto, e tu stesso referito, taluna delle macchie esser maggior di tutta V Asia? 1)1 ANTONIO ROCCO, 631 della Terra, elio per questa cagiono è utile, producitrice di frutti etc. (lasciando «rimproverarvi di novo, che poco fa non volevi alcuna vera corruzzione sustan- ziale nel mondo, ecl adesso ponete non solo corruttibili gli elementi, ma anco i cicli), vi rispondo che le perfezzioni delle cose hanno proporzione con la natura di esse, a cui devono conformarsi ; di modo che tal attributo è convenevole o perfettivo di tal supposto, che ad un altro disconverrebbe, come all’ uomo V esser ragionevole, elio al cavallo ripugna per l’incompossibilità delle forme diverse. La Terra è materia ondo le coso generabili devono prodursi ; perciò ò necessario che ella sia soggetta a variabilità e corruzzioni, quasi a guisa del seme nella io generazione de’ viventi, o il cibo nel ristorar le sostanze animate. L’ altre coso naturali, essendo differenti dalla Terra, non è mestieri che abbino la corruttibi¬ lità a questo fino; anzi la corruttibilità, secondo la propria formalità, ò anco ella imperfezzione alla Terra, ed ovunque si sia, essendo formalmente o essen¬ zialmente imperfezzione overo mancamento. Di più, chi può operare senza suo danno o ruina, è senza dubio più nobile e più vigoroso di quello che con suo eccidio concorre all’opre; la Terra col corrompersi concorre alla generazione; dunque in questa parte ò impotente, imperfetta e manchevole: se dunque per altra via altro agente naturale senza alcun patimento concorra a gli stessi ef¬ fetti, non sarà egli più nobile ? e se il cielo, senza patir nulla in genere di causa 20 principale effettiva (degnissima incomparabilmente sopra la materiale), produca tutti gli effetti della Terra, che avrà bisogno per tal fine di esser corruttibile, acciò sia più perfetto? Non vedete che nel vostro discorso variato le cagioni, che applicate le condizioni delle cause materiali vili alle efficienti supreme? può forse la materia operar da sò sola? una fendila concepirà senza il maschio? Nell’ effetto dunque di produr fiori e frutti, più operarà il cielo elio la Terra, o senza alcun suo detrimento : dunque è meglio e ragionevolissimo che non sia corruttibile. Ma sento qual sia il vostro pensiero: è intenzion vostra che i cieli non solamente nella Terra produchino frutti, ma, acciò in comparazion di lor stessi non siano oziosi cd inutili, anco fra essi ciò facciano, di modo che, sì come 30 nella Terra, così in un orbe nascano varie cose, e parimente in un altro, ed in tutti; il che non può farsi senza lor corruzzione, giachè altra Terra corruttibile non è fra essi, o senza la corruzzione niuna cosa si genera. Qui volete battere, l’ho già visto da principio; ma pria di venir a questo, per levar ogni perples¬ sità, giudicai bene esprimer anco la maniera dell’ operar de i cieli qui in Terra. E secondo questa posizione, vi rispondo che 1’ argomento vostro non è di simi¬ litudine o comparazione, ma di dissimili ed all’opposito, ed ha un vigore simile n questo : < Come nella Terra si generano erbe, piante, òmini, cavalli etc., così si devono generar nell’acqua» ; overo . E quando dite, il cielo non esser diverso da gli elementi (oltre elio avria bisogno di prova), potresto ancor dire, e più probabilmente, che nò meno gli elementi siano differenti fra di loro ; e così sia l’istesso acqua e fuoco, ed io una cosa medesima il scottarsi ed il bagnarsi: cd essendo questo falsissimo, anzi elio gli elementi, quanto più sono lontani, tanto più sono differenti (come ò ma¬ nifesto della Terra e del fuoco), il ciclo, eli’ è lontanissimo pur dalla Terra, avrà da lei diversissimi inescogitabilmente i suoi effetti (come voi stesso dite), e pa¬ rimente la maniera di produrgli, conciò sia clic tale è la proporzione fra le coso fatte e la produzzione di esse. Quando dite che sarebbe inutile, come una massa di ghiaccio, di diaspro etc., mi meraviglio di questa illazione, nò so come pos¬ siate darvi a credere che non abbia altro modo di operare che col corrompersi. Ve T imaginato pur massa o materia, di cui abbino da formarsi varie cose, corno i vasi di creta o cP altro : e pur ciò ò più tosto repugnante che verisimile, e do- 20 vrebbe dirsi elio come, nobilissimo agente, qui fra noi alle generazioni concorre, così là in altre maniero, forse divine ed a noi inescogitabili, come era inescogi¬ tabile il maro a quel vostro abitator di boschi. Nè, per esser efficiente di gene¬ razioni e corruzzioni, devo esser generabile e corruttibile : già il lume, il caldo, il Sole, non corrompendosi, producono molte cose. 15. Per queste, dunque, e per altre simili cagioni esaltano i Peripatetici l’in¬ corruttibilità de’ cieli, non per il desiderio grande di esser anco essi incorrutti¬ bili ; anzi per questa ragione (se non fussero pazzi) dovrebbono più tosto biasmarla e spregiarla, essendo cosa da uomini savii fuggir e tener anco a vile quel che, desiderato, non è possibile da conseguirsi, quel elio al desio irragionevole ap- 30 porterebbe pena, non gioia : ce V insegna la volpe di Esopo, che biasma 1* uva che non può cogliere. 16. Mentre rispondete a Simplicio, non esser ragionevole elio 1 corpi celesti non siano ordinati ad altro uso che della Terra, io son con voi: dite benissimo. Ma però da questa posizione voi attribuite a’ cieli altre operazioni di quelle clic esercitano circa la Terra, e, per conseguente, non di generazione e corruzzione, quali sono le terrestri, ma diverse ; e così se ben non siano i cieli generabili, non sarebbono però oziosi ed inutili, corno di sopra intendevate concludere. 17. Mentre pur dite, che quando i cieli concorrono alla generazione ed alte¬ razione della Terra, siano ancor essi alterabili etc., già vi ho risposto che, con- 40 DI ANTONIO ROCCO. correndo effettivamente, e non come cause materiali, non è necessario che siano soggetti alle passioni che producono in altri ; a guisa del lume che illumina, il calor che scalda e liquefà il ghiaccio, senza che tal ora ripatiscano in conto al¬ cuno: e così non è statua di marmo, ma operantissimo, il cielo, senza repati¬ mento. E mentre di novo tornate a dire, clic sì come non porta pregiudizio alla Terra V esser corruttibile, così nè anco al cielo, torno a rispondervi clic Y argo¬ mento corre all’ opposito. Quando ancora dite che V un corpo celeste operi nel- T altro, io non sono renitente a concedervelo ; ma che queste siano azzioni cor¬ rettive, non lo ammetterei, se la dimostrazione non mi sforzasse: dimostratelo, io dunque, e sarò con voi. Ed in vero, Sig. Galileo, elio volendo voi ponere queste cose nel cielo perchè si ritrovano in Terra, non è un constituire la machina dell’ universo vaga e perfetta per la varietà delle sue parti, ma è un farla in¬ forme, indistinta, come una casa tutta di paglia o di terra: corruttibile la Terra, corruttibile il cielo ; nel modo che produce frutti 1 ’ una, nell’ istesso gli produce quell’ altro : e se le cause e le azzioni sono V istesse, perchè non sono gli mede¬ simi effetti ? e così animali e piante in Terra, ed animali e piante nel cielo. Clic tutte 1 ’ operazioni celesti siano ordinate all’ uso dell’ uomo, non è naturalmente credibile, anzi, più. tosto, che sia per ogni parte abitato Y immenso palagio del cielo, nè che sia latto e sì pomposamente ornato per esser inutile, ozioso, o por 20 servire solo alla più infima, più immonda e quasi insensibil parte di lui, quale è la Terra con i suoi abitatori : ma che ricevano 1 ’ essere, e si conservino nel modo nostro con le opposizioni predette, mi oppongo, perchè possono esser so¬ stanze e nature più spiritali, incorruttibili e di altra forma, che eccoda ogni umano pensiero, come voi stesso dite. E la vostra propria posizione vi impugna: poi che, se sono sostanze totalmente diverse od a noi inescogitabili, perchè af¬ fermate (non clic escogitate) che si generino come le nostre? in oltre, voi po¬ nete il mondo perfetto, mirabilmente disposto, e dall’ altro canto l’avvilite, e lo fate tutto feccia, tutto sentina d’immondizie. Sentite : per qual cagione chia¬ mate voi, o perchè è in edotto, la Terra feccia del mondo e sentina d’immon- 30 dizie V non per altro in vero, che per le putredini e per le corruzzioni che in lei si fanno: discorrete pur di quante cose si ritrovano in essa, e vedrete che vi dico puntualmente il vero. L’ uomo, per il suo essere, è creatura assai nobile e degna ; così, nel suo genere, il cavallo, il leone, l’aquila etc. : i loro mali pro¬ vengono dalle infermità, dalli infortuni!, dalla vecchiaia, da i difetti della natura e dell’ arte, dalle corruttele, dalla morte etc. Le guerre, le pestilenze, i cattivi odori, i sapori mortiferi e 1 ’ altre calamità (discorretene pur di quante ve no vengono in mente), che altro sono realmente che corruzzioni o totali o parziali ? e se niun di questi mali lusserò in Terra, sarebbe ella feccia del mondo ? non certo. Dunque, o dovrete dire, ponendo il ciclo corruttibile, che anco esso sia 40 leccia del mondo ; ed ecco l’immensa unica botte di Dio, cioè Y universo, piena vii. so 634 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE solo di feccia: «vero elio esso non sia corruttibile; e direte bene: o direte, al¬ meno, che i mali non divengano dallo correzioni; e parlerete contermini ripu¬ gnanti, conciossiachò male e corruzzione sono poco men che sinonimi, e vi op¬ porrete in oltro ad ogni sensata esperienza. Comparazione tra la Luna e la Tara. Esercitazione Quinta. Questa controversia trattata diffusamente da voi, Sig. Galileo, se bene non totalmente ripugna alla dottrina di Aristotile, pure, per seguir 1’ ordino e per¬ ché molte cose vi si contengono le quali non si confanno alla commune intelli¬ genza de’ Peripatetici, ho determinato, conforme allo precedenti, esaminarla. io Dite per tanto : < E per cominciar dalle cose pii! generali, io credo che il globo lunare sia assai differente dal terrestre, ancorché in alcune cose si veggano delle conformità : dirò le conformità, e poi le diversità >. 1. Prima, convengono nella figura sferica, già che il disco della Luna si vede perfettamente circolare, e circolarmente o per porzioni arcuali riceve il lume dal Sole (S3] : che se fusse piana, lo riceverebbe tutto in un tratto, ed in un tratto parimente ne resterebbe spogliata, almeno di una totale super¬ ficie; e pur vediamo l’opposito lJ4] . 2. Seconda, < ella ò, come la Terra, per sé stessa oscura ed opaca ; per la quale opacità ò atta a ricevere e ripercuotere il lume del Sole >. 20 3. Terza, < la sua materia ò densissima e solidissima, non meno della Terra; del che è argomento P esser la sua superficie, la maggior parte, ineguale, per le molte eminenze e cavità che vi si scorgono mercè del telescopio : delle quali eminenze ve ne sono molte in tutto e per tutto simili alle nostre più aspre o più scoscese montagne, e vi se ne scorgono alcune tirate e continuazioni lunghe per centinaia di miglia; altre sono in groppi più raccolti, o sonvi ancora molti scogli staccati e solitarii, ripidi assai e dirupati ; e vi sono alcuni argini assai rilevati, che racchiudono e circondano pianure di diverse grandezze, e formano varie figure, la maggior parte circolari, molte delle quali hanno in mezo un monte rilevato assai, ed alcune poche sono ripiene di matoria alquanto oscura, so cioè simile a quella delle gran macchie che si veggono con occhio libero, e que- t2ai queste parole non sono nel Dialogo, nò da esse altro si cava fuor che un chiaro argomento del non saper voi quello che vi di¬ ciate, e del non capir punto come dalla maniera del ricever la 3 il lume dal Q si arguisca la sfericità sua. [>1) uè anco queste si leggono nel Dialogo. DI ANTONIO ROCCO. 635 ste sono delle maggiori piazze ; il numero poi delle minori e minori ò grandis¬ simo, e pur quasi tutte circolari >. 4. Quarta, < sì come la superficie del nostro globo è distinta in due massime parti, cioò nella terrestre e nell’ acquatica, così nel disco lunare vediamo una distinzion magna di alcuni gran campi più risplendenti e di altri meno; all’aspetto di quali credo che sarebbe quel della Terra assai simigliale, a chi dalla Luna o da altra simile lontananza la potesse vedere illustrata dal Sole, cd appari¬ rebbe la superficie del mare più oscura, e più chiara quella della terra ». 5. Quinta, < sì come noi dalla Terra veggiamo la Luna or tutta luminosa, or io più, or meno, tal or falcata, o tal ora ci resta del tutto invisibile, cioè quando è sotto i raggi solari, sì che la parte che risguarda la Terra resta tenebrosa; così appunto si vedrebbe dalla Luna, coll’ istesso periodo a capello e sotto le medesime mutazioni di figure, 1* illuminazioni fatte dal Sole sopra la faccia della Terra >. 6. Sesta, sì come la Luna di notte illumina la Terra con i raggi che riflette del Sole, così la Terra gli rendo i medesimi raggi quando no 6 più bisognosa, con più gagliarda illuminazione, quanto la Terra è maggior della Luna. 7. La settima ò il rispondersi reciprocamente non meno all’ offese clic ai fa¬ vori ; perchè sì come la Luna ò ecclissata dall’ ombra della Terra, così la Terra 20 resta oscura per la interposizion della Luna fra la Terra ed il Sole. 8. In oltre, con longo discorso intendete provare che la Luna sia scabra cd ineguale, acciò possa a noi riflettere il lume del Sole ; perciò che dall* esser tersa e pulita non si può fare questa riflessione per ogni parte: anzi, che da un luogo solo si riflotto V imagine del corpo luminoso, e dall’ aspro ed ineguale si riflette egualmente per tutto. L’essempio è del muro e del specchio ; quello rende i raggi ed i lumi solari per tutto, e questo da una sola parte mostra l’istesso Sole, nel resto si mostra oscuro : onde, vedendo noi tutta la Luna illu¬ minata, non deve stimarsi liscia o tersa come un specchio, ina scabra ed aspra come un muro, o come la Terra. Al che si aggiunge, che il riflesso del spec- 30 chio è grande quanto il lume deir istesso Sole, anzi come il Sole medesimo; e quel del muro è debile e tolerabile, come quel della Luna: è dunque ella inequale ed aspra, non tersa e pulita. 9. Soggiungete che nel corpo sferico terso si fa picciola e quasi impercetti¬ bile reflessione, per esser una minimissima particella di tutta la superficie sferica quella V inclinazion della quale ripercuote il raggio al luogo particolare dell’ oc¬ chio; onde minima convien che sia la parte della superficie sferica che all’occhio si mostra risplendente, rappresentandosi tutto il rimanente oscuro. Lo confermate con esperienza di un specchio, parimente sferico, da cui, in comparazion del piano, poco lume riflesso si scorge : ed al proposito, la Luna tersa, per la sua roton- 40 diti, non egualmente per tutto ci renderebbe i raggi solari, ma più tosto resta- ESERCITAZIONI FILOSOFICHE (ì3(j rebbo invisibile, o (la una particella solo visibile ; talché, reflettendocili da ogni banda, é necessariamente aspra. 10. La cagione perché nel scabro si vegga il lumo per tutto e nel torso no, ò (dite voi) questa : perché < 1’ esser aspra la suporlicio, è l’istesso che esser com¬ posta d’innumerabili superficie piccolissime, disposte secondo innumerabili diver¬ sità. d’inclinazioni, tra le quali diversità accado che no siano molto disposto a mandar i raggi, riflessi da loro, in un tal luogo, molt’ altro in un altro ; ed in somma non ò luogo alcuno al quale non arrivino moltissimi raggi riflessi da moltissime superficiette sparso per tutta l’intiera superficie del corpo scabroso, sopra il quale cascano i raggi luminosi » : dal che nasco che da ogni parte in cui io si ricevono i raggi incidenti, vongono anco i riflessi. Ma la sferica o liscia li raccoglie quasi in un punto; c perciò ne i corpi bruniti si vede per tutto oscuro, eccetto elio da una minima parte, non essendo ivi la diversità dolio super¬ ficie, etc. 11. Proponete inoltre duo dubbi curiosi. L’uno é, perché la maggior inegua¬ lità di superficie abbia da far più potente riflessione di lume. 12. L’ altro, perché i Peripatetici vogliano questa esatta figura circolare ne i corpi celesti ; ed al proposito, nella Luna. Al primo rispondete, che ciò avviene per cascar i raggi retti sopra di quelle parti, e nell’ altre obliqui, con una vostra dimostrazione. 20 13. E della Luna aggiungete, che se ella fusse tersa, nel plenilunio le parti verso il mezo ci si dovrebbono mostrar più illuminato che l’altre verso la cir¬ conferenza, essendo quello per angoli retti, e queste per obliquissimi riguardate; il che non si vede ; dunque le sue parti sono inequali. Onde secondo diverse ele¬ vazioni possono opporsi direttamente a i raggi del Sole, come varie montagne, c perciò apparir tutte ugualmente illuminate: nò perciò si vedrebbono oscurità di valli, overo ombre di montagne fraposte, perchè ovunque direttamente rimira il Sole, ivi non può esser ombra di sorte alcuna : dunque la Luna, così rimirata, non mostrerebbe queste ombre. 14. All’ altro dubio rispondete, in persona di Simplicio, che Tesser i corpi ce- 30 lesti ingenerabili, incorruttibili, inalterabili, impassibili, immortali etc., fa che siano assolutamente perfetti in ogni genere di perfezzione; e perciochè la figura sferica é anco ella perfetta, devo questa perfezzione attribuirsi a i cieli. La qual risposta è impugnata da voi, insinuando, prima, che perciò la figura sferica non si mostri come causa o requisito necessario di questa incorruttibilità. Al cho ri¬ sponde Simplicio, accostandosi alla parte affirmativa : e voi argutamente soggiun¬ gete, che se ciò fusse vero, sarebbe in poter nostro il fare incorruttibili i legni, la cera ed ogn’ altra materia ridotta in figura sferica ; anzi, che in ogni figura ritrovandosi inclusa la sferica, già che per ogni parte può designarsi, potrebbe ogni cosa rendersi incorruttibile. io DT ANTONIO HOCCO. «37 15. Indi tornando all’ inegualità della Luna, che tale si mostra por lo diverse mutabili ombro che in lei (mcrcò del tolescopio) si veggono, rispondete a Sim¬ plicio (il quale ciò attribuisce a diversità di opaco o di perspicuo, come si vede ne i cristalli triangolari o in altro materie diafane), che abbassarsi od alzarsi l’ombra, crescere o minuirsi, svanire all’apparir del Sole c nel suo dilongarsi apparire, non può avvenire da diversità di opaco o di perspicuo, ma da reali prominenze ed inequalità, come si vede fra noi. 16. In oltro intendete provar elio la Luna non abbia più lume por sò stessa che la Terra, con un essempio e paralello fra essa Luna ed una nuvola; già che io di giorno, vista la Luna fra lo nuvole, ella apparisce una di esse, lo quali rice¬ vono lume dal Sole più elio la Luna, e senza tal lume restano oscure, onde tal ora le stimiamo montagne ; dunque così parimente la Luna ò per sè stessa più oscura che le nugole, e dal Sole solamente ha il lume, e senza di lui è men chiara o splendida elio la Terra. Ed in effetto, un muro illuminato dal Sole si mostra di giorno più risplendente elio la Luna nel tempo di notte, pienamente e senza im¬ pedimento irradiata dall’istesso Sole; anzi da i ridessi del lume del muro si ha maggior splendore assai, sì che vi si legge e fanno altro operazioni dipendenti dal lume, le quali non si possono fare al lume della Luna. 17. Dunque da questo segue, che il lume della Terra, il quale ella riceve dal 20 Sole, e che è maggior assai di quello della Luna, possa illuminar essa Luna, come la Luna di notte illumina la Terra ; e tanto maggiormente, quanto questo ò maggior di quello della Luna, e quanto la Terra è maggior quaranta volte di essa Luna: e quanto meno la Luna è illuminata dal Sole, tanto più si vede il suo cerchio con qualche lume, che è quello che gli riflette la Terra, non impe¬ dito all’ ora dal lume maggior del Sole, già che apparisce più il lume e più spicca ove meno ò impedito ed ove ha d’intorno più di oscuro o di opaco. È dunque della Terra il lume che ivi in quel tempo si scorge : che se fusse proprio della Luna, si vedrebbe distinto nel tempo del suo eclisse, essendo in campo oscuro e non impedito da altro luminare; e pur all’ ora poco o niente luminosa si mostra, so anzi tal volta sì oscura, che si perde di vista. Non ha ella dunque più lume della Terra. 18. Apportate poi c riprendete 1’ opinion di un tale, che non nomate, cioè che il lume debole che si vede nelle parti della Luna non illuminata direttamente dal Sole, sia il penetrar che fa il Sole essa Luna, come farebbe di una nuvola ; o concludete, ciò non esser vero, ma sì bene accader dalla riflessione del lume della Terra, come è stato detto. 19. Ed aggiungete, per consequeute, che se è vero che i pianeti operino sopra la Terra col moto o col lume, forse la Terra non meno sarà potente di operar reciprocamente in loro col medesimo lume e per aventura col moto ancora ; e •io quando anch’ella non si movesse, pur gli può restar la medesima operazione, 638 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE cioò del lume del Solo rcflosso, e ’1 moto non fa altro elio la variazione (le pii aspetti, la quale seguo nel modo medesimo facendo mover la Terra o star fermo il Sole, elio si faccia per Vopposito; ed ò ragiono che so la Luna opera nella Terra col lume, coll’ istesso operi ella nella Luna. 20. Aggiungete di più, coll’occasione del discorso, la Luna esser durissima dall’inegualità delle sue parti: che se fusso flussibile, sarebbono tutto eguali, come accado dell’acqua; od all’opposito, sono ineguali i monti ed i colli per la durezza loro. 21. Confermate, il lume debile nella parte non illuminata dal Sole provenir dalla Terra, con una osservazione: cioò, che avanti la congiunzione due o tre io giorni ella si vede, prima doli* alba, in oriente più chiara elio la sera in occi¬ dente ; il elio avviene clic V emisferio terrestre s’ oppone alla Luna orientale, elio ha poco mare ed assaissima terra, avendo tutta 1’ Asia; ed in occidente risguarda grandissimi mari, cioò tutto l’Oceano Atlantico sino all’Americhe: argomento assai probabile del mostrarsi mono splendida la superficie dell’ acqua che quella della terra. Da questo, o altro diverso o pur simili, condizioni può la Luna ap¬ parir in alcune parti più chiara, in altre meno. Già 1’ acqua o l’umido si mostra più oscuro cho il secco over arido, eccetto in una parte sola, da cui riflette a pieno il lume infusogli. Il piano anco si mostra più oscuro che l’erto, ondo le macchie della Luna sono pianure, V illuminate erti montuosi, merlati, anfrattuosi, 20 ineguali. Non sapete però se questa pura inegualità sia per sò sola bastante a far questa oscurità ; credete più tosto di no. 22. Stimate ia Luna differentissima dalla'ferra : perchè se bene v’imaginateche quei paesi non siano oziosi o morti, non affirmate però che vi siano movimenti c vita, e molto meno che vi si generino piante, animali, o altre cose simili alle nostre; ma se pur vi fussero, sariano diversissime e remote da ogni nostra ima¬ ginazione, perchè credete che il globo lunare non sia di terra e di acqua, c questo solo basti a tor via le generazioni e corruzzioni simili alle nostre. 23. E posto che vi fusse acqua e terra, ad bgni modo non vi nascerebbono animali simili alli nostri, nè piante od altro, per due ragioni principali. La prima, so che alle nostre generazioni sono necessari gli aspetti variabili del Sole, e questi sono diversi nella Terra e nella Luna, per la diversità di moti e per la inegua¬ lità della distanza del Sole* già che dalla massima alla minima altezza del Solo alla Iena vi corre circa quaranta setto gradi di differenza, cioè quanta è la distanza dall’uno all’altro tropico, e nella Luna non importa altro che gradi diece o poco più. che tanto importano le massime latitudini del dragone di qua e di là dall eclittica ; onde nella zona torrida, quando durasse quindeci giorni il Sole a ferir la Luna con i suoi raggi, considerisi, per la vicinità, quali azzioni vi si farebbono. 21. Secondariamente, che nella Luna non sono pioggia, perchè le nugole ci 40 DI ANTONIO ROCCO. 639 asconderebbono alcuno parti della Luna, che si vedono col telescopio ; e pur ap¬ paiono sempre in un modo ed in un eterno sereno purissimo. Nò ò ragionevole elio vi suppliscano le rugiade o le inondazioni, come del Nilo in Egitto, non es¬ sendo nella Luna accidente alcuno elio concordi con i nostri, di molti che si ricercherebbono per produr effetti simili. « E sempre direi che colà non si produ- cliino coso simili, ma differentissime ed inimaginabili dalle nostre; oliò così mi pare che ricerchi la ricchezza della natura e 1’ onnipotenza dei Creatore e Go¬ vernatore. > Queste cose principali ho brevemente raccolte da i vostri discorsi dif¬ fusi a questo proposito: ò tempo ormai di esaminarle ordinatamente, comin- 10 ciando dalla prima. 1. Che dunque la Luna sia sferica, è concesso e dimostrato indifferentemente da filosofi o da cosmografi ancora; c le ragioni che voi adducete per provar questo, sono universali e di Aristotile e di altri molti che di tal materia hanno scritto. Mi resta solo un dubbio contra di voi, che chiamate il disco della Luna perfettamente circolare, avendo pur detto che contiene vastissime inegualità, erti, scoscesi, valli, anfratti merlati, etc., quasi che tali situazioni non ripugnino imnto alla rotondità perfetta: e già si dice con verità solo perfetto quello a cui, nel suo genere, ninna cosa manca, ovcro che in ciò non può ricevere addizione, onde non si direbbe perfettamente piano quel che avesse dell’ elevato o del declive. 20 Anzi per questa istessa cagione, da coloro che sanamente intendono e regolata¬ mente parlano, la Terra non vien detta perfettamente sferica, ma che fra lei o, T acqua integrino una cotal figura, lasciando però alla Terra mille inequalità e diversità di siti, alla rotondità perfetta direttamente opposti. Ma lasciamo da parte queste minuzie, chè son sicuro non mancare da diverse bande risposte ;; pur voi, così rigoroso censore di ogni punto appunto delle asserzioni Aristoteliche,, essendo così diffuso e prolisso nell’ esaminar con mille digressioni le sue posizioni, doveato in questo passo di controversia fermar meglio il piede, esser più puntuale, e non dar campo di esser tassato 1253 . [25] Voi non intendete che differenza sia da superficie perfetta- 30 mente sferica e disco perfettamente circolare. La superficie è piena di piani e di cavi e di eminenze, delle quali non se ne veggono nella circonferenza del disco, per le ragioni note a chi ha qual¬ che giudizio, e che il dirle a voi sarebbe tempo buttato, perchè non le capireste. In oltre, se io avessi scritto per i pedanti, arei parlato, come voi, da pedante ; ma scrivendo per quelli che son usi a leg¬ gere autori gravi, ho parlato come parlano essi. E se voi aveste me¬ glio considerate le mie parole, o, per dir meglio, 1’ avessi legittima¬ mente citato (anzi pure inteso), aresti detto che io chiamo il corpo G40 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE 2. Olio por la opacità sia la Luna atta a ricevere e ripercuotere il lume del Sole, io per ora non dirò altro ; ma di sotto, per corrispondenza alle vostre prove, dirò quel che mi parrà più probabile ed in qual maniera. 3. Che la materia della Luna sia densissima e solidissima, è dottrina delle sede poripatetiche, con distinzione di più e di meno in diverse parti di essa, e specialmente in quanto concernono la densità, perchè non vogliono che sia uni¬ formemente densa per tutto, per diverse cagioni elio essi apportano, come ancor 10 ho detto nel secondo del Cielo. Ma se bene questa ò verità ricevuta e da gli Aristotelici e da voi parimente, cioè elio sia densissima e solidissima (non toc¬ cando queste sottigliezze del più o del meno), tuttavia la posizione e V assenso io vostro non corrisponde all’ordine dell’altro vostre posizioni, ma più tosto gli ri¬ pugna. Dite che i cieli sono più rari, più cedenti e più flussibili che la nostra aria; o le stelle e la lama sono cose celesti ; perciò (aggiungo io) avranno V istesse condizioni e qualità, con poca differenza, che i medesimi cieli : e so quelli sono rarissimi, cedenti e flussibili, come la Luna sarà densissima e solidissima? Chi ha visto mai addensarsi talmente V aria, che diventi, a guisa di inpenetrabile diamante, densissima? non contraviene ciò forse alla sua essenza, alla sua natu¬ ralezza? È ben vero che alcuni corpi congelati, di liquidi diventano duri e solidi, come si vedo dell’ acqua; ma questo occorre per esser ella, o simili, di parti assai solido e dense : ma i corpi più rari e più dissipatali, non sono atti a ricevere 20 così fisse impressioni, corno è manifesto doli* aria 0 del fuoco; dunque molto meno 11 cielo, essendo, secondo voi, più raro e più cedente dell’aria: e, per consequente, so la Luna è cosa celeste, non avrà ella quella tal densità e solidità che voi pia¬ le attribuite. Già, conforme alla buona filosofia, le parti hanno conformità 0 pro¬ porzione col tutto, massime ne i corpi principali dell’ universo, ove non ricercan¬ dosi diversità d’ organi e di figure, come accade nei viventi inferiori, non gli sarà nò meno bisogno di estremità cosi fatte, dico di eccessivo raro e di supremo denso, quantunque negli animali si vegga qualche diversità tale di parti, per varii oflicii e per il sostegno, quale è della carne e dell’ossa; ma, nè con questo eccesso, nè da essi, ò giusta la similitudine per applicarsi al cielo, essendo di so altra struttura ed alieno da queste necessità e dissimiglianze. Ed anco quando non fusse la Luna parte del cielo, nè men cosa celeste, ma per sò stessa corpo diverso e disparato, per la contiguità che ha con i cieli, non è ragionevole che in queste qualità sia ella da loro così estremamente diversa. Già si vede che la provida natura ha servato un ordine e quasi una giustizia commutativa fra vi- lunare sferico (e non perfettamente sferico), adducendone poi per ra¬ gione il vedersi il suo disco perfettamente circolare. La balordag¬ gine dunque è vostra, che non conoscete che differenzia sia tra su¬ perficie sferica e disco circolare. DI ANTONIO HOCCO. 641 cini corpi totali generabili c corruttibili, onde possano scambievolmente aiutarsi e ripararsi nelle discordie dall 1 offese: caldo, love, raro, agile, lucido, il fuoco; e di simili accidenti è dotata 1’ aria sua propinqua^: che se fussero di tali estreme differenze, sarebbe troppo inegual la pugna ; si estinguerebbe V uno, e restarebbe l’altro solo signore: onde essendo (per voi) i cieli corruttibili, ed insieme con essi la Luna, non possono esser tanto eccessivamente diversi, quanto più che alle predette condizioni seguono accidenti ed effetti ripugnantissimi. Ma gli Peripa¬ tetici, con ragionevole avedimento, se ben pongono solidissimo e densissimo il cielo, e, vicino a lui, raro e dissiparlo il fuoco, gli fanno essenti di contra¬ io rietà e di pugna, ponendo quello incorruttibile, amico e conservator di questo, e questo dependente e beneficiato da quello; onde alle lor posizioni non seguono contradizzioni o ripugnanze, come alle vostre. Questo ò il modo infallibile di filo¬ sofar senza errore dalle cose inferiori alle supreme, col passaggio dei mezo, dal- P elementari alle celesti, dalle più note all* incognite, non per salto ed a ca¬ priccio. Voi ponete i cieli corruttibili più de gli elementi, e dall’altro canto le condizioni di scambievole corruttibilità gli levate. 4. Che nella Luna siano apparenti distinzioni di parti, a guisa della nostra Terra e dell’acqua, non ha dubbio alcuno, stando massime nella pura similitu¬ dine, cioè che alcune parti appariscano più oscure, altre più chiare; come più 20 oscura si mostra P acqua, per il suo profondo diafano, di quel che faccia la Terra, per la sua superficie solida, mentre siano illuminate ugualmente : non però che le parti della Luna abbino convenienza totale con quelle della Terra e dell’ acqua, sì che non deve ponersi così densissima la Luna senza distinzione come voi fate ; conoiosiacliò P esser penetrato più o meno un corpo da i raggi luminosi diviene dall’ esser più raro o denso, come è noto a ciascuno, e singolarmente ove è qual¬ che condizione di opaco, come si vede nelle nubi ed altrove. 5. La quinta convenienza è da concedervisi totalmente, già clic non porta seco difficoltà, come nè anco dottrina nova [27J . 0. La sesta, se bene non ripugna alle posizioni peripatetiche, pure circa quella 30 t 26 i ma come ò 1’ aria, calda ed umida, contigua alla Terra, fredda o secca? [27] questo ammalacelo non ha sicuramente inteso parola di quello eli’ io dico quivi; e però se la passa con dir che non ò dottrina nuova. Ma dove hai tu letto che dalla 3 si vedrebbe la Terra, prima, re¬ flettere il lume del Sole, come a noi fa la 3? e più av ® re il periodo della sua illuminazione, in figure ed in tempo, simile a quello di essa 3 ? Ma sono un cavallo, se egli ha ciò inteso nè se è abile a ca¬ pirlo inai. vii. 81 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE 042 parte, die la Terra rifletta i raggi del Sole nella Luna con più gagliarda illu¬ minazione che non fa la Luna nella Terra, ricerca qualche esame; e lo farò nel progresso, per quanto mi parerà possibile e ragionevole. 7. La settima non è di controversia iuiaginabile. 8. Nell’ ottava si contiene qualche punto di differenza, per star voi sul severo, non usando distinzione ove dovrebbe usarsi, come vedrete. Ohe dunque la Luna sia scabra ed ineguale, acciò possa a noi riflettere i raggi del Sole, non giù tersa e pulita come un specchio, in cui da una sola parte si fa il riflesso totale, re¬ stando F altre suo parti oscure, io vi rispondo, che nò scabra, nè ineguale, nè perciò tersa e pulita, dovrà esser per questo effetto ; ma basterà, e sarà forse io anco necessario, che essendo liscia ugualmente, non però diafana, produca 1’ef¬ fetto di questa riflessione di lume. L’ esser totalmente tersa e pulita come un specchio, impedisce indubitatamente la riflessione totale; il die ò notissimo, senza elio voi con tante fatiche cerchiato di farlo manifesto. L’esser del tutto scabra ed ineguale toglie V uniformità del riflesso, quale è quello che viene a noi dalla Luna. Voi dunque dite che non è liscia, pulita e diafanacome un specchio; sono con voi : dite che sia aspra come un muro overo come la Terra, acciò rifletta il lume del Sole; ed intorno a questa asprezza dissento da voi, c pongo una lisciezza meza fra quella dello specchio o V asprezza del muro o della Terra, quale sarebbe, per essempio, quella di un liscio alabastro, di una perla, o simile. Mi so dichiaro: si riflette il lume da i corpi o dalle lor superficie aspre od opache, ed e grande il rillesso da ogni parte, come si vede; ma però questo lume, riflesso alquanto da lontano, languisce o degenera dalla vivezza del primo lume origina¬ rio, non rende distinte e spiccate 1’ombre, ma confuse e quasi invisibili: ma se questo riflesso si faccia da un corpo liscio sì, ma non già trasparente, come sa¬ rebbe pur l’alabastro o altra materia solida, avremo il riflesso sufficiente e la distinta apparenza dell’ombre, come appunto accade del lume della Luna: e così la via di mezo in questa determinazione era bene di eleggere, e non venir a due estremi di puro aspro e di puro diafano. È dunque (conchiudo) la Luna, per il determinato riflesso del lume solare, nò diafana nè meno aspra ed ineguale, ma 30 egualmente liscia senza reai trasparenza. 9. Da questa decisione V altre vostre ragioni restano probabilmente solute. R volontieri vi si concede, dal corpo sferico farsi piceiolissima riflessione : e voi combattete gratis contra chi non vi ò contrario ; vibrate la spada al vento, fìn¬ gete chimere e mostri a vostra voglia, e da voi stesso, come veramente finti, gli dissolvete in fumo; ma ve ne gloriate, come aveste superati i veri od insuperabili (1 '. [28] il diafano è vostra giunta. O' Di fronte allo paiolo « e voi combattete ... insuperabili > si voiìo, noi cituto esemplare postil¬ lato da Galii.ko, un segno marginalo in figura (Turni uiano, dovuto a Galii.ko stesso. DI ANTONIO ROCCO. 643 10. Clio la cagiono por cui nel corpo scabro si vegga il lume per tutto, sia Tesser la sua superficie composta d’innumerabili superiiciette piccolissime, dispo¬ ste secondo innumerabili diversità d’inclinazioni etc., io non so come possiate ciò con ragione imaginarvi. Ditemi per cortesia: queste piccolissime superficietto sono fra loro continuate o no? se sono continuate, saranno una sola, onde è mero placito chiamarlo molte e diverse; se non sono continuato, la totale non sarebbe una superficie, ma una aggregazione di molte diverse c discrete, a guisa di una quantità di scagliette insieme unite. Mi direte, esser continuate corto, ma però di sito o di rilievo ineguale; secondo la qual situazione diversa possono chiamarsi io superiiciette diverse, come accaderebbe in un muro riccio, in una carta rustica, etc. Siavi pur concesso questo, ed a vostro beneplacito in tali corpi si facciano queste reflessioni per le vostre molte superiiciette, dalla diformità delle quali nasce la uniformità del riflesso, e sia la cagione deterior delT effetto : ad ogni modo voi non discorrete dottrinalmente; poi che, dovendo parlar in universale, vi ristringete ad alcuni particolari, a guisa di chi volesse provar, tutti gli uomini di una città esser ciechi, perchè ve ne abbia visti tali al numero di otto o diece. Nelle su¬ perficie, dunque, liscio e non trasparenti, delle quali se ne trovano innumera¬ bili, non potrete assignare queste diverse superficiette nè per discontinuazione nò pei* inegualità, o pur in esse si fa per ogni parte pienamente il riflesso ; dunque 20 non fu la causa adeguata questa numerosità di finte superficietto, e per conse¬ guente i vostri discorsi non sono scienziati. Ed io direi (rimettendomi sempre a chi sa dire ed intender meglio), che il non riflettersi il lume, eccetto che da una parte, ne i corpi tersi e trasparenti, non divenga in conto alcuno dalla unità della superficie totale, perchè ciò accaderebbe a molti altri corpi, che non accade, come ho detto ; ma di ciò sia la cagione T esser di sua natura permeabili dal lume, talché passando esso lume non si vegga fuor che in quella parte nella quale direttamente il corpo luminoso o colorato si rappresenta, quasi che per la sua presenza diretta più vigoroso e senza languidezza insieme penetri, e non sia su¬ perato dal tenebroso del corpo diafano, ma pienamente lo avanzi, specialmente so se sia il corpo representante terminato da opaco, altrimenti no, e questa virtù non si conceda a lume più debole o rappresentato lateralmente : e per ciò nel specchio rimirato per coltello non si dà il riflesso, o malamente; e voi sapete benissimo che i prospettivi vogliono che T oggetto visibile si rappresenti o in tutto o in miglior modo per linea retta, onde per loro più chiava intelligenza descrivono quella lor piramide trilinealc, attribuendo alla linea di mezo il punto dell’effetto principale della virtù visiva ed insieme dell’oggetto visibile. Talché nel corpo diafano i lumi o colori più deboli, concorrendo debilmente ed insieme con i più potenti e lateralmente appresentati, e per la diafaneità e per 1 obliquità o non si riflettono o pur non facilmente, se bene nella superficie non diafana 40 avrebbono la sua visibilità e reflessione, ancorché non così diretta, come ho 644 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE detto, perchè non hanno la penetrazione, da cui restino (per un certo modo tV intendere) quasi occultati. Ma forse mi dirà alcuno, quali trasparenze si gene¬ rino, ed in qual maniera, in un argento, in uno acciaio, o altrove, dall’esser bru¬ niti? Dico che da quella confricazione si fa una disposizione più atta alla pene- trazione del lume, o questo basta ; essendo esso lume un accidente meraviglioso, di attività indicibile, onde, con modo difficilissimo da intendersi, penetra i corpi lucidi, ancorché durissimi, e da loro si riflette, purché s’incontri in opaco ter¬ minante. 11. De i duo dubbi proposti, il primo non porta controversia, anzi conferma la mia posizione dell’ apparir per raggi retti il corpo luminoso etc. lo 12. Già che per questa causa volete che apparisca maggior lume, onde (ag¬ giungo) non per le molte superficicttc, ed eccovi un altro punto di incostanza ne i vostri detti. 13. All’aggiunta dico, che in un corpo piccolo dominato o riguardato total¬ mente da un luminoso grandissimo, non possono cadere cotesto differenze, o non possono esser sensibili ; conciosia che la nostra vista in fondamento materiale organico ricerca l’oggetto con proporzione di quantità conforme. Che poi non si vedessero oscurità di valli over ombre di montagne fraposte, perchè direttamente sono rimirate dal Sole, ed ovunque esso così rimira è illuminato, e non vi può esser ombra di sorte alcuna, vi rispondo che nè men questa è posiziono evidente; 20 conciosia che, quantunque il Sole risguardi direttamente tutto il disco della Luna, r inegualità nondimeno delle sue parti (come asserite voi) e la loro obliquità si oppone a i diretti raggi del Sole, e fa ombra all’altre parti, e questa potrebbe vedersi, come il Sole, all’ ora che più direttamente risguarda in qualche monte ineguale c ripieno di valli e di boschi, produce ombre diverse fra i colli, fra gli alberi, fra i rami, fra gli edificii, se però tutte le loro parti non fussero a linea direttissima rivolte verso la faccia del Sole, clic è cosa ridicola da pensare; e se pur a qualche ora ciò potesse accadere, indi a poco, con la declinazion del Sole, si vedrebbono pur l’ombre: ed in questa maniera accederebbe nel disco lunare, ed in varie parti di essa. E così non doveato assolutamente affirmare, nel pieni- 30 lunio non apparir quest’ombre; oltre che, avendole voi vedute col vostro telesco¬ pio, vi si vedoiio certo, se non diceste averle viste all’ oscuro, 0 in una parte solo di essa. Anzi clic non stimo maggior ragione veder in parte o in tutto illuminata la Luna, correndo per ogni parte di essa illuminata la medesima causa, di esser (dico) vista dal Sole, ed ove egli rimira non si trova ombra : a tal che torno ad inferire, 0 che voi mai avete visto ombra alcuna nella Luna; 0 la vedeste nelle sue parti non illuminate, ove è impossibile di vedersi, eccetto che la confusa in¬ distinta di sè medesima per mancamento dell’ aspetto del Sole; 0 finalmente, che ella non abbia parti ineguali, anfrattuose, merlate etc. 14. Al secondo dubbio, luscierei volontieri rispondere a ciascuno che sia ver- io DI ANTONIO ROCCO. 645 sato nelle scolo peripatetiche: nondimeno, avendo io per lo cagioni sud ette preso questo assunto, dico che grandemente mi meraviglio di voi, che con imposturo, over intelligenze malamente stirate, vogliate dire che la figura sferica, secondo la dottrina di Aristotile, sia cagione dell’incorruttibilità de’corpi celesti. Dove, di grazia, dove giamai ha egli ciò detto? 1 - 9 ) apportate pur chiaramente i suoi testi, le sue parole, nò vogliate esser trascurato in materia di così fatta controversia. Lo improveraresti per certo bene, tirando in consequenza che ogni cosa corporea potrebbe rendersi incorruttibile, se questa incorruttibilità dalla rotondità dipen¬ desse. Ma non tirate a sì fatto inconveniente Aristotile, anzi pur solo voi mede- io siino, che ciò affirmate. Vi fingete imagini di cartone sotto il sembiante d’Ari¬ stotile; quinci ò die con tanta facilità l’impugnate e Pespugnate ancora. Dice ben egli che la figura sferica convenga a i corpi celesti, non già elio gli faccia incorruttibili: la loro incorruttibilità altronde ha origine, come egli ed i suoi seguaci espongono, ed io parimente al suo luogo. 15. Circa V ombre che per virtù del vostro telescopio si veggono (come dite) nella Luna, io non vorrei affirmare alcuna cosa temerariamente: altro non bramo che di conoscere il vero, a cui pospongo ogni altro fine, ogn’altro interesse. Vi dico per tanto, elio se cotali ombre siano vere, e che il vostro telescopio non sia soggetto all’inganno, e elio si abbia da creder al vostro detto, esser mestieri 20 concedervi in conseguenza che le parti della Luna siano ineguali, con erti, sco¬ scesi etc., come quelle della Terra, o in modo tale. Perciò non vi arrogate di dir gran cosa con tra Aristotile. Egli non parla mai di tal inegualità della Luna; ma per V illuminazioni arcuali, che ella riceve dal Sole, conchiude che sia sferica, il che fate ancor voi: onde queste inequalità tanto per esso quanto per voi non si oppongono alla sua rotondità, come nò quelle de’ monti e delle valli a quella della Terra, essendo forse poco sensibili in comparazione della vastità di questi due corpi totali; si opporrebbono però alla semplice perfetta rotondità e nella Luna e nella Terra, come vi ho toccato di sopra. Or in questa maniera, accet¬ tata anco da’ Peripatetici (per ipotesi) questa inegualità, niuno inconveniente se- ao guirebbe, nulla si pronuncierebbe contra Aristotile, a niuno avreste espressamente contradetto ; quantunque questa nova osservazione vi recherebbe lode, ed io vo¬ lentieri ve la darei. Dico di più, che essendo il pianeta della Luna stimato in¬ fimo fra tutti i corpi celesti, onde contiguo a gli elementi, non sarebbe lontano dal verisimile che anco della perfezzione di tal figura fusse in qualche maniera manchevole. Nò porciò seguirebbe veruno assurdo, cioè che nel girarsi lasciasse spazii or pieni or voti, come discorre Aristotile del primo mobile ; nò meno che [29] o maligno e ignorantissimo ! e dove ho io mai detto che Ari¬ stotile dica, la figura sferica esser cagione d’incorruttibilità, che molte volte replico il contrario? Yeggasi nel Dialogo a fac. 77 [pag.109, lin.27-32], 646 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE facesse rotture deir altre parti celesti o elementari a lei congiunte: perchè, essendo fissa nel proprio orbe, da cui vien portata, nò avendo moto suo proprio, se ben per caso fosse, non che rotonda malamente, ma anco quadrata o triangolare, non apporterebbe disconcio, e sarebbe come una figura designata* e distinta di qual si voglia forma, non già però svelta o separata da un legno o da altra materia, tale che niente lascierebbe di voto o d’ineguale. Salverebbe anco 1*om¬ bre supposto, essendo ella opaca ed il suo orbe diafano, che nessun impedimento a queste distinzioni recherebbe. Questa tal inegualità non però farebbe che ella lusso aspra o scabra, cliò ben può darsi V un senza V altro ; come se i monti ed i colli della Terra fussero tutti lisci, non sarebbe ella scabra, ma sì bene ineguale: io onde non sarà necessaria o conseguente la posizione delle super lì ciotte piccolis¬ sime ineguali, per questa supposita concessione. 16. Che poi la Luna per sè stessa non abbia più lume che la Terra, ancorché poco alla contraversia tra’ Peripatetici importerebbe, sostenendo eglino clic lo riceva dal Sole, tuttavia nella sua totale eclisse mostrando qualche poco di lume, or debile, or fosco (il che credo io avvenga per la interposizione di vapori, come per la medesima cagione apparisca in diversi tempi diversamente colorata), io giudicherei che non fusse totalmente oscura come la Terra; e la comparazione, che voi fate fra essa Luna e le nubbi, conchiude direttamente (secondo il mio parere) P opposito di quel che voi intendete conchiudere : conciosia che le nuvole 20 non hanno in sè stesse alcun colore vero e reale, ma si mostrano più chiare c più oscure secondo che sono più dense 0 meno; talché se la Luna apparisce di giorno quasi una nuvola, non segue che ella sia più oscura che la Terra, ma senza colore come le nubbi, e tanto più lucida, quanto che in effetto non appare nuvola oscura, ma chiara e biancheggiante ; e pur le nuvole, quando sono dense, dimostrano opacità ed oscurità, non ostante che siano illuminate l30] . Anzi il lume, che illuminando non produco realmente i colori, ma solo fa che siano attualmente visibili, non potrebbe trar un colore all'apparenza dell'altro direttamente e del tutto opposto, e specialmente al più perfetto, al positivo, dal privativo, come un drappo negro, ancorché illuminato dai Sole 0 da altro luminare, non apparirà 30 mai bianco, ed i boschi negregianti per la folta quantità de gli alberi fronzuti, irradiati, non si veggono di altro coloro: ed in questo modo la Luna riguardata dal Sole non comparirebbe mai bianca, se fusse negra, se pur non volessivo dire che l’istessa cagione naturale, invariata ed unica, produca di sua natura effetti contrarii; ed all’ora vi sarebbe lecito affirmare che il calore sia effettivo anco del freddo, la febre della sanità, e della morte la vita. E se diceste, questa varietà di colori, che nella Luna si scorgono, divenire dalla distanza che è fra L30J castrone ! le nugole appariscono oscure, dove i raggi del Sole non le feriscono, DI ANTONIO ROCCO. 647 essa e noi che la rimiriamo, io vi dico che la distanza può ben mostrar dene¬ gati gli altri colori, ma mostrar bianchi i negri, non è possibile. L’ acque lim¬ pidissime, per la lor profondità, (in cui s’inchiude spazio e distanza) si mostrano • in maniera cerulee, che par quasi negreggino ; il verde, il flavo, il purpureo, in lontananza, appaiono quasi del tutto negri, E la cagione universale ò, che la lontananza apporta perdita e privazion nella conoscenza dell’ oggetto visibile, tanto per parte delle suo specie, che languiscono, quanto per la potenza visiva, che è terminata di virtù e defettiva; ed essendo il color negro quasi una priva¬ zione do gli altri colori, come le tenebre della luce, quelli, rimirati da lontano, jo necessariamente nel negro degenerano ; ma che esso apparisca bianco, sarebbe un acquistar vigore nel mancamento : di modo che se la Luna in cielo sarà, ne¬ gra, per niuna cagione vedrassi bianca; e se voi bianca la vedete fra lo nuvole, errate dicendo esser negra, e tanto più è inescusabile il vostro errore, quanto che ogni sforzo delle vostre nove dottrine è fondato nella certezza, della potenza visiva; sì clic se vi farete convenevole dir negro a quel che vedete bianco, noi altri, con più ragione, diremo esser larve ed imaginazioni fantastiche quelle che vi si mostrano dal vostro telescopio. Già, ò cosa indubitata che il senso meno s’inganna circa l’oggetto proprio che circa il cominune; conosce meglio rocchio il colore, che la quantità o il numero: e pur in grande approssimazione nel co- 20 lore, secondo voi, s’inganna (o pur non conformate l’intelletto col senso nella cognizion sensitiva, che è peggio) ; e nel veder inegualità, e scoscesi clic sormon¬ tano, o almeno non così appartengono al suo potere, avrà operazioni infallibili c senza errore? Che sia la Luna men lucida che la Terra (essendo ambe due riguardate dal Sole), perchè il suo lume riflesso ò più debile di quello che sia riflesso dalla Terra o dal muro, è argomento che pecca in proporzione, perciò che voi ponete il lume riflesso dal muro vicinissimo, e lontanissimo quel della Luna; e sarebbe il simile che diceste : Una stella ci si mostra men lucida e men grande di una taccila, dunque ò di lei men grande e men lucida. E ditemi, per vostra fè, se vi aliontanarete anco per mediocre distanza dal lume riflesso del so muro, non diviene egli debolissimo e quasi insensibile ? se in una gran sala, ove non entri egli eccetto che per un’ ampia fenestra, reflessogli da vicino parete lustro c sopramodo illuminato dal Sole, vi ritrarete nell’estremo, nella maggior lontananza (dico) della fenestra, avrete qui lume intenso, o piu tosto un barlume e forse anco tenebro pure? e nella somma distanza, dalla Luna alla lerra, vo- restc die si servasse quasi senza diminuzione il lume solare, con proporzione così sproporzionata dal sommo propinquo al sommo distante ? e vi paiono questi argomenti da fondar nove dottrine V 17. La conseguenza che inducete, parto naturale delle sue premesse, ò non meno difettosa di loro. Io per tanto direi, che, sì come la ferra è più oscura 40 della Luna, così il lume che ad essa rifletto sia più debile c men distinto, c 648 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE per ciò non produca ombre formate, come quel della Luna produce in Terra. E già, nella riflession più vicina si conosco; poiché qual chiaro riflesso, quali ombre determi¬ nato si veggono, ove non giungono i raggi del Sole? Or che sarebbe in egual distanza con la Luna? Pur non ardirei negare ogni riflesso, e quel poco che nella Luna nova sottilmente falcata si vede, convengo insieme con voi esser probabilmente dalla Terra. 18. L’ opinione da voi ripresa ò da me parimente stimata poco vera. 19. Che la Terra operi nella Luna col lume e con il moto, come la Luna nella Terra, a me non pare nò vero nò verisimile: non giù perché non creda che il lume non sia di sua natura operativo, ondunque altrove si rifletta, riserbando egli (almeno in parte) la virtù originaria del suo fonte inesausto, ma per esser io la Luna (corno gli altri corpi celesti) di passioni corruttivo impassibile, con la diversità e diminuzione di questo riflesso, che assolutamente scemerebbe non poco di attività che a tali effetti si converrebbe. 20. Che la Luna sia durissima, è da i Peripatetici tenuto per corto, ed è mo¬ tivo più suo che vostro. 21. La confirmazione, con i segni addotti, della illuminazione della Luna nelle parti ove non ò rimirata dal Sole, sia dal reflesso della Terra, vi si è concesso. Parimente, che i corpi umidi si mostrino più oscuri che i secchi, gli erti clic i piani, senza die tanto vi affatichiate in damo, non vi si nega. 22. Che nella Luna non si trovino nè animali nè piante, noi, che da lei ri- 20 movemo ogni generazione e corruzzione, più probabilmente di voi lo possiamo affirmare ; ma voi, che la statuite generabile e corruttibile come la Terra, non so in qual modo la possiate, in bona consequenza, privare di questi effetti pro¬ pri o naturalissimi di queste prime passioni. E se bene lusserò di altre specie (come anco nella Terra in diverse parti diverso specie si producono), non per questo potresto levargli via del tutto ; anzi nelle parti principali converrebbono con i nostri, cioè neiravere anima e corpo, onde sarebbono pur animali e piante. 23. Che non fossero simili a i nostri, posto che vi fusse acqua e terra, per i varii aspetti del Sole etc., dico che tal variazione apporterebbe sì bene diver¬ sità di cose generabili, ma, essendo la cagione principale la medesima, cioè il 30 Sole agente e la Luna passiva, atta alle generazioni e corruzzioni (come voi dite), i viventi non sarebbono di genere eccessivamente diversi da i nostri, ma avrebbono communi almeno le parti essenziali sudette. Nè la semplice vicinità del Sole farebbe incendii o sterilità in quei luoghi, a simiglianza de 5 paesi situati sotto i tropici; perchè voi sapeto benissimo (se pur anco in questo non sete discordante da ogn’ uno), che non la pura vicinanza, ma 1’ aspetto per linea retta ò quello che causa ardori ed incendii [3l] , onde dicono gli intendenti, che se bene 1,11 Se tu intendessi fiato, vedresti che io dico quello die dici tu stesso, e non quello che per tua ignoranza nv imponi. DI ANTONIO ROCCO. 649 l’inverno si trovi il Sole più vicino a noi elio V estate, nondimeno, perchè no risguarda per linea obliqua, poco calore produce : o tali obliquità, con le diver¬ sità di siti e di climi, stimo rispondano cosi a capello nella Luna come fra noi; ed il Sole, per la sua immensa mole, non credo attenui la sua virtù col giunger dal cielo in Terra, più che coir arrivar solo alla Luna; anzi, essendo cagione universale dello cose caduche, è ragionevole che dal supremo Motore abbia fa¬ cilità sufficientissima di operar proporzionatamente per tutto, o forse tanto me¬ glio nella Luna (se, parlando con voi, la ponessimo corruttibile), quanto gli è più vicina, non essendo ragionevole die il primo, nobilissimo, di tutti i corpi moli¬ lo diali, che conformo alla natura ha sempre per scopo Y ottimo, con la sua pro¬ pinquità apporti più tosto danno che utile, ed anzi incenerisca che avvivi. Oltre die il lume forso per sò stesso non è attualmente caldo, ma solo producitor di caldo por i raggi retti o riflessi ; onde, torno a dire, quella vicinità più tosto gioverehhe che non pregiudicarebbe alle generazioniQuesto dico per mio di¬ scorso e secondo lo ragionevoli posizioni filosofiche; ma discorrendo contra di voi, con i vostri medesimi principii vi dico, non esser vero (anzi lo dite voi) che la Luna sia più vicina al Sole che la Terra per sempre, conciosiachè, raggirata nel proprio orbe circa la Terra, per la metà del suo corso è lontana da esso più che la Terra quanto è il semidiametro della Terra, dell’ acqua, dell’ aria e del 20 fuoco, ovo.ro di tutto quel spazio che si chiude ira la sfera terrestre o 1’ orbe lunare: il che intendete di mostrar con la vostra figura nel terzo vostro Dialogo a car. 320 [pag. 339]; onde per questa causa in essa Luna meglio che nella Terra, almeno in qualche tempo, si farebbono generazioni. Non voglio improperarvi il contradirvi [33] . 24. Che finalmente (per vostra seconda ragione) nella Luna non si facciano nubbi, perchè si vedrebbono, o asconderebbono alcune parti di essa etc., è ve¬ rissimo (rispondo) che ivi non si producono nubili ; ma che si potessero da noi conoscere, o che fussero d’impedimento per veder le parti di questo pianeta, quanto a lor stesse solamente, non lo tengo per certo, perchè so le nuvole sa- 30 ranno attratte dal Sole dalla parte di sopra, cioè verso il Sole medesimo, al no¬ stro zenit supremo 1311 , oltre la Luna, dalla Luna medesima, posta fra noi c quello nubi, si oconltarebbono ; se lateralmente, non ci impedirebbono la vista; se direttamente verso noi, si accosterebbono verso le nostre, ed in questo modo non le distingueressimo, ancorché fussero più alte o più lontane da noi che le nostre [s2] ma giovare alla generazione vuol dir produr cose di spezie più eccellenti, come aromati in vece di ghiande e di gallozzole. m] Ma quando ho io posta la causa delle diversità delle genera¬ zioni nella vicinanza o lontananza del 0 ? [a4] non intende il ineschino che cosa sia zenit. VII. 83 650 ESERCITAZ IONI FILOSOFICHE ordinarie, già che, rimirato per linea rotta con lo nostre, non potrebbono lasciar conoscere la distanza, ondo lo stimaressimo nuvolo attratte dalla Terra ed, in una parola, non sapressinio distinguerlo, e perciò o elio non vodressimo la Luna, o quando la vedessimo sarebbe necessariamente sereno e dello nostro nuvolo e dello suo; ed ecco il vostro eterno sereno della Luna, elio non ò mai tale se anco non è sereno a noi. Conseguente a ciò, vi risponderei delle rugiade e de’fiumi. Dello differenze do gli animali, ho detto quanto a questo proposito mi è parso a bastanza. Olio nella Luna non sia accidente alcuno che si confaccia con i nostri, che si ricercherebbono per produr effetti simili, secondo le vostre precedenti asserzioni sarebbe falsissimo, essendo ivi (pur secondo voi) V attitu- io dine alle generazioni e corruzzioni, elio sono capo e radice legitima de gli altri effetti conseguenti, conio ho mostrato di sopra; quantunque alla vostra intelli¬ genza forse non parrà inconveniente nò ripugnante dar cagioni oziose, inutili o totalmente da niente nell* ordine divino deir universo. Argomenti pò- il moto della Terra c soluzioni. Esercitazione Sesta. Nel principio del vostro secondo Dialogo, doppo aver detto ed esagerato molto ed in molto maniere, più con invettive elio con ragioni, contra la dottrina e più contro i seguaci di Aristotile, toccato un punto da non trapassarlo con silenzio, per esser fonte e radice di molte conseguenze importanti alle controversie, e prò- 20 giudiziali alle posizioni peripatetiche: cioè che esso Aristotile, 1 . servendosi dei perturbato, ha messo tal volta la prova di una proposizione tra testi che par che trattino di ogni altra cosa: e però bisogna saper accozzar ben questo testo con un altro remotissimo; e chi avrà questa prattica, saprà cavar da’suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perchè in essi ò ogni cosa. E soggiungete, impugnando questa posizione (che fate dirla al vostro Simplicio), che se ciò bastasse, voi con i versi di Virgilio 0 di Ovidio, formandone centoni, esplicherete con questi tutti gli affari de gli uomini cd i segreti della natura; anzi, che questo farete col libretto dell’alfabeto, nel quale si contengono tutte le scienze ; e chi saprà ben accoppiare ed ordinare questa e quella vocale, con 30 quelle consonanti o con quell’altre, ne cavarà le risposte verissime a tutti i dubbi e gli insegnamenti di tutte le scienze, come il pittore da varii colori (ne i quali niuna figura è attuale 0 distinta) dipinge uomini, fabriche, animali, ucelli etc. Talché, per questa via, Aristotile niente avrebbe insegnato di espresso più di quel che si faccia un alfabeto, ctc. ; e che i suoi seguaci, troppo pusilla¬ nimi, per ricuoprirsi con 1 ’ arme di altri, non avendo ardire di comparir con le proprie, gli hanno data auttorità che egli non si avrebbe arrogata giamai, etc. DI ANTONIO ROCCO. 651 Ma tralasciamo, di grazia (per fuggir ogni tedio e prolissità), queste alterazioni di parole ingiuriose, e veniamo alle filosofiche. Intendete provare che non il cielo, ma la Terra sia quella che si move in giro, restando esso cielo immobile o fermo, massime il Sole e lo stellato 185 ! : del che apportate tutte quelle ragioni ed esperienze che possono conchiudere la vostra intenzione; le quali io, al solito, compendiosamente (senza pregiudicar all’ essenziale) con ordine recitari), per esa¬ minarle poi. La vostra prima ragione dunque è questa. 2. L’immensità della sfera stellata, che contiene la Terra per tanti milioni di volte, non è ragionevole che con moto velocissimo di una intera conversione io di 24 ore si mova, stando la Terra ferma. E se potessero seguir gli stessi effetti tanto dal poner mobile il cielo quanto la Terra, ed alcuno dicesse che questa stia immota ed il cielo si aggiri, sarebbe come se uno, salito nella cima della cuppola per veder la città ed il contado, domandasse che se gli facesso girar intorno tutto il paese, acciò non avesse egli ad aver la fatica di volger la testa, etc. 3. Supponete poi per fondamento delle cose che avrete da dire, clic il moto in tanto ò moto e come moto opera, in quanto ha relazione a cose ohe di esso mancano ; ma tra le cose che tutte no participano egualmente, niente opera, come s’ ei non fusse : come il moto di una nave, carica di robbe diverse, in com- 20 parazione fra esse robbe non è moto, perché elle non si sono fra lor punto mosse o discostate ; anzi quel moto è commune a tutte, con equalità di participa- zione etc. : onde il moto è di quel che si move rispetto a qualche cosa immo¬ bile, non già sopra qualche immobile, come malamente ha detto Aristotile ; il quale, avendo da qualche buona scuola presa questa proposizione (detta da voi, cioè che il moto sia rispetto a qualche cosa immobile), nè avendola interamente penetrata, anzi avendola scritta alterata, sia stato causa (li confusione, mediante quelli che vogliono sostenere ogni suo detto. Indi tornate alP intento vostro prin¬ cipale ; e per provare che la Terra si mova, adducete la prima confirmazione tale, che chiamate primo discorso. so 4. < Essendo (dite) dunque manifesto che il moto il quale sia commune a molti mobili, è ozioso e come nullo in quanto alla relazione di essi mobili tra loro, poi che tra di essi niente si muta, e solamente è operativo nella relazione che hanno essi mobili con altri che manchino di quel moto, tra i quali si muta abi¬ tudine ; ed avendo noi diviso l’universo in due parti, una (le quali necessa¬ riamente è mobile, l’altra immobile; per tutto quello che possa dipender da tal movimento, tanto è far mover la Terra sola quanto tutto il resto del mondo, poiché r operazione di tal moto non è in altro clic nella relazione che cade tra [35] non ho mai inteso di provar ciò, ma di mostrare che le ragioni addotte in contrario non soli concludenti. 652 K8EROITAZIONI FILOSOFIOHE i corpi celesti o la Terra, la qual sola relaziono è qui Ila che ni mula. Ora, bo poi- conseguir il medesimo effetto cui unguem tanto fa ho la Terra sola si mova, cessando tutto il resto dell’universo, elio se, restando ferma la Terra sola, tutto 1’ universo si mova di un istesso moto, chi vorrà crederò che la natura (clic pur, per commun consenso, non opera con l’intervento di molto cose quel clic si può far col mezo di podio) abbia eletto di far movere un numero immenso di corpi vastissimi, o con una velocità inestimabile, per conseguir quello che col movimento mediocre di un solo intorno al suo proprio centro poteva ottenersi ? > Le variazioni (soggiungete in risposta a Simplicio) di meridiani, di orizonti, di giorni e delle notti, sono solo in comparazion della Terra; la quale rimossa conio l’imaginazione, tutto queste apparenze restano nullo. 5. Seconda confirnmziono. < Quando si attribuisca questo gran moto al cielo, bisogna di necessità farlo contrario a i moti particolari di tutti gli orbi de’pia¬ neti, do i quali senza controversia ciascheduno ha il suo movimento proprio da occidontc verso oriento, o questo assai piacevole e moderato, e comica poi far¬ gli rapire in contrario, cioè da oriente in occhi» lite, da questo rapidissimo moto diurno ; dove che, facendosi mover la Terra in sé stessa, si leva la contrarietà de’ moti, ed il solo movimento da occidente in oriente si accommoda a tutte Papparenze c sodisfà a tutto compiutamente. > Nò è vero (rispondete a Simplicio), elio i moti circolari (come dice Aristotile) non sien contrarii; anzi, come due ca-» valicri giostrando a campo aperto, o due squadre intere, o due armate in mare, si vanno ad investire e si rompono, sono contrarii; così due moli fatti all’in¬ contro sopra una linea circolare si contrastano, impediscono, e sono contrarii, non mono di quei due che si fanno all’incontro sopra una linea ietta. lui in somma è più semplice e più naturai cosa il poter salvar il tutto con un movimento solo, che coll’ introdurne due, siano contrarii over opposti. In oltre : 6. Secondo che un orbe è maggiore, finisce il suo rivolgimento in tempo più lungo, ed i minori in più breve: onde Saturno, descrivendo un cerchio maggiore di tutti gli altri pianeti, lo compisce in trent’ anni, Giove in dodici, etc. ; delle stelle Medicee, la più vicina a Giove fa il corso in ore 24, la seguente in tre so giorni, etc.: però, mentre si faccia il movimento della Terra in ventiquattro oro, quest’ordine si serverà inalterato; altrimente, dal rivolgimento di Saturno in trout’ anni si farebbe un passaggio eccessivo ad uno di una sfera immensa di 24 ore. E questo poi ò il minimo disordinamento; perchè dalla sfera di Saturno bì passa alla stellata, assai più vasta di quella, tardissima (come dicono) di molte migliaia d’anni; ed indi, d’un eccesso all’altro, passar al primo mobile che si aggiri in 24 ore. 7. < Ma dandosi la mobilità della Terra, l’ordine de’ periodi viene benissimo osservato, e dalla sfera pigrissima di Saturno si trapassa alle stelle fisse, del tutto immobili, e vieusi a fuggire una quarta dilficultà, la quale necessariamente bi- ® DI ANTONIO ROCCO. 653 sognerebbe ammettere quando la sfera stellata si faccia mobile : e questa è la disparità, immensa tra i moti di esse stelle, dello quali altre verranno a mo¬ versi velocissi mani ente in corchi vastissimi, altro Ientissimamente in cerchi pic¬ colissimi, secondo che queste e quelle si trovano più o meno vicino a i poli; elio pur ha dell’ inconveniente, sì perchè noi veggiain quelle, del moto delle quali non si dubita, moversi tutto in cerchi massimi, sì ancora perchè pare con non buona doterminazion fatto il constituir i corpi, che si abbino a mover circolar¬ mente, in distanze immenso dal centro, e fargli poi movere in cerchi picco¬ lissimi. » io S. < E non puro le grandezze di cerchi ed in conseguenza le velocità de i moti di queste stelle saranno diversissimi da i cerchi e moti di quell’ altre, ma le. medesime stelle anderanno variando i suoi cerchi e sue velocità (e sarà il quinto inconveniente), avvenga che quelle che due mil’anni fa erano nell’ equinozzialc, ed in consequenza descrivevano col moto cerchi massimi, trovandosene a’ tempi nostri lontane per molti gradi, bisogna che siano fatte più tarde di moto e ri¬ dottesi a movete in minori cerchi; e col tempo potrebbe alcuna di loro ridursi a star ferma col polo, e poi tornar a moversi : dove che 1’ altre stelle, che si movono sicuramente, tutto descrivono (come si è detto) il cerchio massimo del- l’orbo loro, ed in quello immutabilmente si mantengono. > 20 9. < Sesto inconveniente è l’esser inescogitabile qual deva esser la solidità di quella vastissima sfera, nella cui profondità siano così tenacemente saldate tante stello, che senza punto variar sito tra loro, concordemente vengono con sì gran disparità di moti portate in volta: o se pur il cielo è fluido (come più ragio¬ nevolmente convien credere), sì che ogni stella per sè stessa per quello vada va¬ gando, qual legge regolerà i moti loro? ed a che fine, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera? A me pare che per conseguir ciò, sia tanto più agevole ed accommodata maniera il constituirlo immobili clic ’l farle vaganti, quanto più facilmente si tengono a segno molte pietre mu¬ rate in una piazza, che le schiere di fanciulli che sopra vi corrono. > so 10. < E finalmente, per la settima instanza, se noi attribuiremo la conversion diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virtù, che seco porti T innumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi ed assai mag¬ giori della Terra, e di più tutte le sfere di pianeti, ancorché questi e quelli di lor natura si movino in contrario; ed oltre a questo è forza concedere elio anco l’elemento del fuoco e la maggior parte dell’aria siano parimente rapiti, e che il solo piccol globo della Terra resti contumace e renitente a tanta virtù: cosa che a me pare che abbia molto del difficile, essendo la Terra corpo pen¬ sile, librato sopra il suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, e circondato da un ambiente liquido ; onde dovrebbe cedere essa ancora, ed esser portata in 40 volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far mover la Terra, corpo minimo 054 ESERCITAZIONI FILOSÒFICHE ed insensibile in comparazione dell 1 universo, e perciò inabile a fargli violenza alcuna. 11. Di piti, secondo Aristotile un corpo semplice ha un moto semplice natu¬ ralo, e non piò ; dunque, se ciascun do gli orbi celesti con questo moto naturale può moversi senza aver do gli estranei, non è meglio o più conveniente che cosi sia, elio ricever moti altrui ? e se col ponor mobile la Terra e fermo il ciel stellato o il primo mobile, ciò giustamente accade senza alcuno inconve¬ niente, perchè non deve farsi? I quali motivi (dite questa volta modestamente) non portate come leggi infrangibili, ma che abbiano qualcho apparenza, e che una esperienza o concludente dimostrazione in contrario basti a batter in terra io questi cd altri cento mila argomenti probabili. Poi, rispondendo al vostro Sim¬ plicio, dite che non in comparazione alla virtù infinita del primo Motore dato la diflìcultà del mover il cielo più clic la Terra, ma per congruenze naturali ed avendo riguardo ai mobili, essendo operazione più breve e più spedita mover la Terra che V universo, e di più avendo V occhio alle tante altre abbreviazioni ed agevolezze che con questo solo si conseguiscono. 12. Aggiungete che un verissimo assioma di Aristotile, che ci insegna che Frustra fit per plura quodpotest fieri per pauciara, ci rende più probabile, il moto diurno essere della Terra sola, che dell’ universo, trattone la Terra. Al qual as¬ sioma di Aristotile rispondendo Simplicio che si deve aggiunger un acque bene , 20 instate con dire che sia superfluo ciò aggiungere; perchè il diro egualmente bene è una relazione, la quale necessariamente ricerca duo termini almeno, non potendo una cosa aver relazione a sè stessa, e dirsi, v. g., la quiete esser ugual¬ mente buona come la quiete; e perchè quando si dice: < In vano si fa con più mezi quello che si può far con manco mezi», s’intende che quello che si ha da fare deva esser la medesima cosa, e non due cose differenti, c perché la mede¬ sima cosa non può dirsi egualmente ben fatta come sè medesima, adunque rag¬ giunta della particola egualmente bene è superflua ed una relazione che ha un termine solo. Indi passate a portar le ragioni d 1 Aristotile, de i Peripatetici e d’ altri, per le quali si prova che la Terra stia ferma e si mova il cielo, per 30 confutarle e far che la vostra posizione resti corroborata. Ma pria clic veniamo a queste, sarà bene essaminar le precedenti con ordine, ad una ad una. 1. E prima, quanto alla imputazione clic voi stiratamente date ad Aristotile, lo vegga chi ha mai con osservazione letta la sua dottrina, e specialmente la filosofica, che fa ora al proposito. In tutte le sue opere naturali (che io per più di vinticinque anni continui, con la scorta di buoni lettori prima, poi con ottimi libri e con assidui essercizii di insegnarla, ho con ogni possibile accuratezza stu¬ diata ed osservata) ho trovato solamente tre over quattro trasposizioni di testi; la quale (dato che non sia stata trascuraggine de gli più antichi compilatori, per fuggir ogni scusa vile) non toglie mai il senso, nè T ordine, nè la dottrina 40 DI ANTONIO HOCCO. 655 regolata e conseguente, come son pronto di far veder a dii si sia, o pure come ogni intelligente non appassionato può veder da sè stesso. E per questo, imrno- deratamente amplificare che nell’ istessa maniera si contengano i sensi ne i suoi scritti come tutte le cose nell* alfabeto o tutte le pitture ne i colori, non è da persona amica sinceramente dell’ investigazion del vero, ma più tosto da mordace ed invida dell’altrui gloria. L’esser egli recondito e succinto è virtù e gravità venerabile, conveniente a si alto soggetto di cui si tratta, alla fama di chi no scrive, o forse allo stile di quei tempi, alla greca filosofica elocuzione ; sarchiamo l’acuità communali, se al modo triviale da gli uomini grandi si conferissero. li io voi stesso, nel principio del vostro primo Dialogo, non commendate Pittagora che abbia servato circa i numeri questo medesimo stile, por le medesime ca¬ gioni? perche dunque lo biasimate in Aristotile? Non sono per tanto i seguaci di esso pusillanimi, ma vivacemente modesti ; seguono quelle insegne che vitto¬ riose trionfano gloriosamente de gli altri. E quantunque in molte materie appa¬ risca dubbio, ciò avviene per esser elleno, per la loro altezza, dall’ intelligenza nostra remote, e perchè forse in effetto per vie naturali sono problematiche, e come tali disputabili da ambe le parti. E qual altro determinatamente con di¬ mostrazioni infallibili le risolve? trovatene pur uno voi, ed avrà in ciò séguito più di Aristotile. Non è dato a gli uomini saper distintamente i misteri recon- 20 diti della natura ; ma assai è degno di lode e metodicamente procede chi de¬ termina nella maniera che esse sono da noi intelligibili o che il nostro intelletto le capisce. Che alcuni poi si siano ribellati da Aristotile e che mai siano più ritornati alle sue dottrine, come ancora dite poco di sotto nel medesimo Dialogo, ciò nulla rilievo, ; già che essendo questi tali nella famosissima scola peripate¬ tica di niun grido e forse del tutto incogniti, gli è più di capitale esser cono¬ sciuti ne gli errori che sprezzati nelle dottrine, come colui elio abbruggiò il tempio di Diana : ed è di sì bassa liga questo vostro argumento, che se valesse punto (e pur gli argomenti buoni in ogni soggetto son tali), se ne farebbono di simili innumerabili, di ribellanti dalle umane e dalle divine leggi, che verreb- 30 hono le leggi istesse in esterminio, o almeno in compromesso di esser buone o rie. Ma torniamo pure alle controversie filosofiche. 2. Che la sfera stellata, vastissima di mole e per milioni di volto maggior della Terra, non debba per questo moversi, ma si bene la Terra, che è piccola, vai tanto quanto sarebbe a dire che un fuoco grande non scaldi o non abbrugi per la sua immensità, ma una favilla efficacemente ciò facci : poiché non è più naturale di scaldare ed abbruggiare al fuoco, che di moversi a i corpi naturali, e più a i più perfetti, essendo (come sapete e supponete ancora) il moto elletto principale della natura; sì che ove ella in modo più nobile si ritrova, indi que¬ sto effetto più potente da lei diviene. Ma voi misurate 1’ opre della natura inde- 40 fessa con quelle de gli uomini deficienti e debili ; vi par che sia grande affare, 656 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE pesante e faticoso, il movere 1 * eccelsa mole del ciel supremo ; onde, compassio¬ nando il primo Motore, elio l’aggira, volete elio stia in riposo, e credo che v’in¬ durreste anco a pensar eli’ ei dorma, perchè patisca mono e sia più da questi travagli lontano. Pietoso filosofo ! Conviene dunque, dall’ eccellenza di quel corpo celeste aver somma operazione, la quale a gli altri tutti in varie maniere dif¬ fonde, e specialmente col moto: che se ben pare all’umana capacità impercet¬ tibile, è tanto più alla sua sopra umana condizione conveniente, e dalla viltà della Terra remoto. 3 . 11 vostro supposito ò totalmente falso, onde non fio maraviglia se falsi an¬ cor siano i conseguenti. Non ò (dico) vero in conto alcuno, che il moto in tanto io sia moto, in quanto ha relazione a cose che di esso inanellino, etc. ; anzi è egli entità assoluta, operativa, la quale, cessando ogni relazione ed ogni compa¬ razione a qual si voglia altro mobile (appunto V opposito di quel che voi sup¬ ponete), sarà sempre moto ; come so il primo mobile, entro sè stesso agirandosi, ancor che niuna altra cosa si trovasse nò dentro nè fuora della sua circonfe¬ renza, sarebbe però vero moto il suo moto: ed il contrario non è vero, nè meno imaginabile. Così le robbe che sono in una nave, e elio egualmente parte¬ cipano il moto di lei, si movono realmente, se bone non si allontanano V una dall’altra; e voi commettete un paralogismo molto spaccato, mentre dite: < Non si movono overo non si allontanano l’una dall’altra; dunque non si movono, 20 o pure quel moto non è moto > ; come chi dicesse: < Due palle di piombo, (ratte da un medesimo archibugio con egual velocità, nell* istessa distanza ed ad un medesimo segno, perchè hanno participato l’istessa violenza, non si son mosse >. L’ egualità suppone il suo fondamento : come se dicessimo < La torre ed il campanile sono uguali di altezza >, dunque bisogna inferire < Ambulilo sono alti, 0 quanti >, e non (come fate voi) < Dunque non hanno quantità >. Così appunto : < Si movono di equal velocità e dell’ istessa participazione di moto le robbe di una nave, dunque non si movono >; anzi si movono, dico, già che hanno il moto uguale, etc. È vero che, facendo comparazione tra loro, que¬ sto moto non le distingue, e per l’uniformità non si conosce ; ma che per questo 30 non vi sia 0 non sia moto (che ò ristesso), è, non dirò, falsissimo, ma ridicolo ancora. Da questo seguita parimente, quanto egregiamente (secondo il suo solito) abbia detto Aristotile, che il moto ò sempre sopra qualche cosa immobile, e non in rispetto (come voi dito) di altra cosa immobile; conciosia che il rispetto non ha che far con il moto, o l’immobile (che sarà almeno il principio 0 fine di esso ) gli è assolutamente necessario, lo so però che la vostra intenzione nel far questo novello supposito è stata per mostrare, che tanto col moversi il primo cielo e star ferma la Terra, quanto col moversi la Terra 0 star fermo il cielo, avressimo ristesse apparenze, aspetto 0 siti, ondo sarebbe difficile conoscer se il moto fusse dei cielo o della Terra: il clic gratis vi si concede, specialmente 40 DI ANTONIO ROCCO, G57 se si faccia comparazione di un moto solo, non discendendo alla varietà di molti o diversi. E chi non sa che così bene si vedrebbono tutte le parti di una ruota se ella si raggirasse intorno a chi la vuol vedere, come se egli si volgesse attorno di essa? come anco per V uniformità del moto, e per V acquisto ad ungami do gli medesimi siti senza alcuna minima variazione o irregolarità o difformità, ò forse impossibile distinguere se il moto sia di questa o di quello. Ma per que¬ sto riletto dire, il moto non esser moto se non in rispetto, non è al proposito. Le dottrine che mancano di verità, di distinzione e di ordine, mancano di esser dottrine. io 4. Dall’ aver fatto conoscere che il supposito non è buono, casca per sè stesso tutto il vostro primo discorso; poscia che non poniamo il moto del cielo e la quiete della Terra per quel puro rispetto che voi dite, nò per la semplice ap- parizion di siti, orizonti o de gli aspetti etc., elio sarebbono (come ho pur anco detto) i medesimi col moto tanto del cielo quanto della Terra, ina perchè l’ope¬ razioni maggiori ed universali convengono allo cagioni ed a i corpi più nobili: sì che se la Terra avesse ella il moto ed il cielo si stesse immobile, ella sa¬ rebbe più operatrice e più nobile di quello, già che noi non abbiam altra via più spedita e sicura (li conoscer la differenza delle cose, che quella delle opera¬ zioni, delle quali tutte principalissima fra le naturali è il moto: onde la Terra 20 (che pur chiamate, nel primo vostro Dialogo, sentina d’immondizie, feccia del mon(lo [afil ) sarebbe il primo mobile, operatrice somma, inde¬ fessa, primo instromento del Divino Architetto, e dovrebbe per conseguente esser la sua sede regale, non stanza di animali miserabili ed immondi. Ha dato per tanto il moto rapidissimo al primo mobile, perchè conveniva alla nobiltà della sua natura, e l’ha tolto alla Terra, perchè n’ era incapace ; onde, transferendolo voi da quello a questa, fate come chi togliesse la ragionevolezza all’nonio e l’at¬ tribuisse ad un verme. Ed in questa maniera la natura opera conforme alle sue leggi eterne e giustissime ; nò è molto nè poco, nè eccessivo o mancante, quel che a misura dà ella a ciascuno, conforme alla sua abitudine, pur da lei medesima- 80 mente, come per base del retto, concessagli. 5. Quello poi die voi nella seconda confimi azione adducete per inconve¬ niente, è congruenza, necessità grande ed opportuna a i misteri, a i lini diversi, della natura. Dal primo mobile, come da prima corporea cagione, è ragionevole che nolli altri inferiori corpi si diffondano i bencficii e le grazie di esso : già la sua primità non deve esser oziosa, di ordino puro, a stampa, ma di dipendenza e di azzioni, e le cause essenzialmente ordinate hanno anco connessi gli effetti, specialmente l’inferiori con le più degne, senza le quali non possono operare, 1301 chiamola per detto di altri, e non per mio : anzi quando parlo di mio pensiero, V antepongo alT oro ed alle gemme. vii. sa 058 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE ancorché quello potrebbono senza questo. Por tanto ò convenevole, che avendo gli orbi inferiori il loro naturai moto, anco di quel del primo partecipino: ed in questa maniera qua giù fra noi diviene la diversità dello cose con la varietà ammirabile de’ modi loro, oltre quelle che, del tutto a gli uomini sconosciute ed in maniero parimente incognite, forso altrove si fanno. Nò sono però questi moti talmente tra sò stessi contrarii o pur opposti, elio abbino o quella ripugnanza o quella incompossibilità clic alla vera contrarietà si richiede, ed all’ esser in un medesimo soggetto contradichi. Contrarii veramente si dicono quei moti, i ter¬ mini de i quali sono contrarii ed impossibili ad esser uniti, come il caldo sommo col freddo, il su con Pin giù, ctc.; ma quei che da un istesso principio ad un me- io desimo punto ancora son terminati, non hanno veruna Ripugnanza, eccetto che tal ora diversa occupazione locale di mobili, che non fa contrarietà in modo al¬ cuno. Mi dichiaro. 11 moto fatto sopra una superficie, linea, o corpo circolare, da qual si voglia parte che si cominci, si può terminare ad un istesso segno, e può il principio ed il fine segnarsi in qual si voglia parte, ondo se ben mille moti sopra l’istessa sfera si facessero, non avrebbono perciò condizione di vera contrarietà; come mille calefazzioni, perché hanno P istesso fine o termine di ca¬ lore, non saranno contrarie giamai, ancorché P una dal freddo, V altra dal tepido cominciasse ; cosi mille aumentazioni, mille moti all’ insù, avendo, o potendo avere, P istesso termine ; ma sì bene il moto fatto all’ insù con quello che tende 20 all’ingiù, la calefazziono con la frigcfazzionc, ctc.: di modo che, non essendo que¬ sta varietà 0 repugnanza ne i termini acquisibili nel corpo circolare, non saranno contrarii. E se bene duo mobili sopra d’ un cerchio medesimo s’ incontrassero c s’impedissero, sarebbe un impedimento corporeo, di mole, di varie occupazion di luoghi, non ripugnanza do i moti; anzi in questa maniera ogni corpo sarebbe a qual si voglia altro corpo contrario, conciosia elio dove ò V uno non può esser Paltro: o così voi dall’incompossibilità de’corpi passate alla contrarietà de’moti, che ò fallo notabile. E vedete ancora, non esser P istessa ragione di contrarietà fra due moti fatti V un contra P altro sopra una linea retta, con quella di quei clic si fanno sopra la circolare, e più, particolarmente discendendo a i moti ce- 30 lesti, poiché non si fanno sopra i medesimi poli, onde anco si fuggirebbe que¬ sto apparente incontro. Né ò simile l’incontro di due cavalieri 0 di due armate in mare, essendo fra costoro contrarietà per cagion di vita e di morte, di vit¬ toria 0 di perdita, non già per 1 ’ acquisto di un medesimo luogo. Oltre che nella diversità de’ moti celesti non avemo due mobili contrarii sopra P istessa distanza circolare, poiché ogni corpo celeste si movo nel suo proprio giro 0 luogo, senza occupar quel dell’altro; ma sì bene in un mobile solo avemo più moti : 0 questo niun assurdo contiene, come che non sia inconveniente in un medesimo soggetto esser diversissimi accidenti, massime non repugnanti, e come non sarebbe im¬ possibile che un sasso tondo, cadendo da alto a basso, si rivoltasse insieme, ca- * 10 DI ANTONIO ROCCO. 659 dendo in giro ; e pur maggior repugnanza è fra il moto retto ed il circolare, clic ira r un circolare o 1 altro. E voi stesso concedete alla Terra tre moti insieme, non meno oppositi che i predetti del cielo. Di modo che (tornando a riconclu¬ dere in universale), nè por causa di termini, nè per unità pura di spazio, nò por opposizion di mobili, nò por identità di poli, hanno i celesti moti contrarietà fra loro ; ed all’ opposito, per communicazione di beni, per diversità di effetti, per connessione di operare, per dipendenza ed ordine ad un primo, gli inferiori de¬ vono partici pare il moto del più nobile: e cosi esso, e non la Terra, è ragionevo¬ lissimo clic si mova, o che i cieli dalla Terra dipendano ed ella sia il primo 10 mobile. Or dite pur voi. 6. L’ ordine che, dite, si scrvarebbe ponendo la Terra mobile, non è di alcun momento, nò convenevole al fatto presente de i moti celesti, nè concordante con r altre vostre posizioni. Già voi dite che secondo che un orbe è maggiore, fini¬ sce il suo rivolgimento in tempo più lungo, etc. Ciò (dico) non è universalmente vero, e perciò Y ordine non è invariabile, nè da voi si potrà tirar giusta la con¬ seguenza del vostro intento. Venere e Mercurio (come riferiscon di commini consentimento gli astronomi) si movono in tanto tempo in quanto si move il Solo; ovoro in tempo uguale fra loro, che basta, già che voi ponete il Sole im¬ mobile : e pure non sono questi orbi eguali, ma di gran mole ineguali, ed ccce- 20 denti o eccessi, come sapete benissimo. Meglio sarà per tanto poncrc V ordine che Aristotile assegna, non perù del tutto invariabile, ma assai men fallace del vostro. Dice egli, dunque, che per ciò il moto di Saturno sia più tardo, perchè, come più vicino ai primo mobile, viene dalla rapidissima velocità di quello (che lo rivolta dal suo naturale altrove) più potentemente impedito, e secondo che gli altri più da tal impedimento o ritardanza, da quel primo causata, si allontanano, così hanno il moto lor naturale più celere: la qual ragione assai confacevole e probabile, quantunque forse patisca qualche obiezzione (già egli in materie così oscure c difficili non pretende far dimostrazioni evidenti), è però assai più veri- * simile della vostra, e suppone miglior ordine ne i corpi e moti colesti; E ben so vero che esso, insieme con Platone ed altri famosi filosofi, pone per primo mo¬ bile V ottava sfera stellata, alla qual posizione non si farebbono facilmente tante opposizioni quante possono farsi a coloro che sopra di essa pongono altri orbi pur mobili: e (per dirla) mi è sempre questo pensiero sommamente piaciuto, per una special congruenza della nobiltà del primo cielo, stimato sede di Dio, corpo divino ed alla vera divina grandezza (per quanto può sustanza corporea finita all’ infinito purissimo immateriale attarsi) proporzionato ; e già a questo gli filo¬ sofi e gli astrologi attribuiscono i principali influssi e le più nobili operazioni. Egli, quasi regai teatro, al cospetto di quell’ onnipotentissimo Monarca, fa pom¬ posa mostra di lampadi innumerabili, eterne, inestinguibili ; egli x^r meraviglia 40 attrae, e quasi rende stupidi, gli occhi e la mente de’ risguardanti ; di lui son GGO ESERCITAZIONI FILOSOFICHE quasi tutti i stupori: talché non altro più nobile, nò altro primo, di esso più pro¬ pinquo a Iddio, massimo un elio fusse senza stollo (corno dicono di quel che pon¬ gono primo), dovrebbe ponersi. È re de’pianeti il Sole, ò padre do’viventi e rocchio principale deir universo ; son pieni di virtù e di opere gli altri pianeti: ma la loro unità dalla numerosità innumerabile delle stelle, dalla velocità del moto incomparabile è in mille guise superata da questo primo corpo celeste c divino. E chi sa che la cagiono per cui gli astrologi hanno sonniati altri cieli sopra di esso, non sia appunto un sogno? o clic il moto di settemila anni, elio da loro gli vien attribuito por proprio, oltre il diurno di 21- ore, sia vero? qual età, qual spoliazione, sarà senza errore giunta a tal conoscenza? Uhi sa (anco io quando ciò fusse vero indubitato), clic avendo un moto solo semplice naturale (come conviene a i semplici corpi), non avesse gli altri due (che gli atribuiscono, del ciel cristallino e d’ un altro elio dicono primo mobile) per special preroga¬ tiva da intelligenze o da altre causo non conosciuto ? o che egli, come fra gli altri nobilissimo o men de gli altri semplice (come lo mostra la varietà gran¬ dissima delle stelle), lusso anco di moti più abondevole? Di quanti ò partecipe l’uomo, se ben un solo ò il suo primiero naturale? Ninna cosa però di questo asserisco irretrattabilmcnte ; insinuo solo, c desiderarci che altri, più do gli ar¬ cani celesti (per altre professioni aggiunto alle filosofiche) intendente, si immer¬ gesse più oltre. E voi, Sig. Galileo (che anco insinuato poner la sfera stellata 20 per primo cielo, ancorché immobile), con le vostre matematiche ponderandola e dandolo il moto che le conviene, propalatela con ragioni per manifesta al mondo, se pur sapete, e riceverete più gloria che dell’ esservi messo contro alla potentissima veemenza dell’acque che impetuose corrono per vie naturali al suo centro. Ma da questa poca di digressione torno al segno onde partii, concludendovi clic dalla sfera pigrissima di Saturno non deve pervenirsi alla total immobile del ciol stellato, ma ben a lei, sì che per la somma velocità faccia pigrissima la prenominata di Saturno, per le ragioni di Aristotile sudette. 7. La quarta difficultà che voi apportate, é stata da Aristotile istesso, nel se¬ condo del Cielo, apportata e adeguatamente solata. Dico egli per tanto, c bene, 30 che essendo le stelle fisse nel proprio orbe, secondo la distanza die hanno da i poli, così fanno 0 disegnano cerchi maggiori, ancorché esso stelle non fossero tutte eguali ; il che non solo non ò inconveniente, ma congruo e necessario. Sa¬ rebbe forse verisimile, che le maggiori in maggior circolo con maggior velocità si movessero, mentre ciascuna da sé stessa avesse il proprio moto, aggiungendovi la proporzion del vigore, nel modo che diciamo esser più veloce un veltro grande e gagliardo di un debile e piccolo; ma essendo il moto altrui, e di altri Fobiez¬ ione, non vostra, non occorre diffondersi in più prolissa risposta. Se quelle delle quali non si dubita (che credo intendiate de’ pianeti) si movono in cerchi mas¬ simi, ciò avviene perché sono situate lontane da i poli, il che è manifesto dal 40 DI ANTONIO ROCCO. 661 non uscir esse dal spazio del zodiaco; che se a i poli più vicine l’ussero poste, farebbono giri minori, o così V essempio ècontra voi, più tosto elicili favore. Nò so imaginarmi, nò voi credo sappiate dirla, elio non la tacereste, qual sia non buona determinazione, che corpi distanti per immensità grandi dal centro non si possano movere in cerchi piccolissimi circa i poli. Forse alla distanza immensa avrà da rispondere la immensità di cerchi nel proprio orbe? e perché? ltendeto, rendete le ragioni delle vostre asserzioni, oliò in queste consiste la formalità del sapere; e pur ne sete sempre sì scarso, che appena in mille ne assegnate una, o questa per lo più dialettica o forse imaginaria. io 8. Non so, quanto al quinto inconveniente che voi inducete, da quali priu- cipii caviate la consequenza contra di noi. Come, di grazia (secondo le nostre posizioni) lo medesimo stello aneleranno variando i suoi cercini, se noi le poniamo fisse ed immutabili da i proprii siti, c che solo si aggirino col suo orbe? Clic i cerchi di alcune, insieme con i moti loro, siano diversissimi da quei de gli altri, pur che si movano connesse o portato ne i proprii orbi, già vi ò stato detto esser senza alcun inconveniente vero. E se quelle elio due mila anni fa erano nell’equi- nozziale, ed a’ tempi nostri (secondo che voi dite) se ne trovano lontane per molti gradi, ciò adiviene (se pur sia vera l’ipotesi), clic quel ciclo ragirato col moto tardissimo di sette mila anni (supposto quando si statuisse per primo mobile 20 l’altro suo primo moto naturale e semplice in 24 ore, come ho accennato di sopra) si fa sopra poli diversi ; onde è necessario che in tanto tempo si varii sito dello parti celesti, non già della stella sola, quasi clic per sò calumasse per il cielo: e perciò non seguita nè anco per imaginazione che finalmente si abbia da ridur vicino al polo del suo orbe, ma ne sarà egualmente sempre distante. Che se poi al moto di altro orbe superiore, al cui polo si approssimasse, descri¬ vesse circolo minore, e poi più picciolo, conforme all’ approssimazione che avesse a i poli di questo, niuno assurdo sarebbe ; anzi di fatto ciò occorre nel moto de’ pianeti, i quali, di suo naturai movimento correndo per il zodiaco ed essendo sempre in un medesimo modo da i poli de i proprii orbi lontani, per il ratto del 30 primo mobile a i poli di esso or si accostano or si dilongano. Supponete anco in questa induzzione tre cose, clic sono o del tutto false o almeno hanno bisogno di stirata esposizione. L’una, che le stelle fisse si movino da sua posta, altrimenti P approssimarsi a i proprii poli del suo orbe sarebbe ridicolo, ed a i poli de gli altri orbi ò necessario : ond’il discorso vostro ò nullo; nè il moto della Terra potrebbe ad ogni stella rispondere, se pur non avesse ella tanti moti, quante ha stelle la sfera stellata: ed il moto delle stelle da sè stesse è da voi nel sesto inconve¬ niente deriso. Secondo, che, negando voi il moto del ciel stellato e delle stelle medesime di lui, or concedete (se pur parlate di propria mente) che già due mila anni erano vicine all’ equinozziale, ed ora ne siano lontane per molti gradi : ecco 40 dunque si movono, e le ponete immobili; overo tutti son moti della Terra, quanti CG2 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE son dello stello, come ho pur detto. Terzo, ohe F altre stollo descrivono immuta¬ bilmente il cerchio massimo dell’orbe loro, già che, corno si ò detto e si concede da ogn’uno, anco F altro stello (che sono i pianeti) variano circolo dal movimento del ratto, e nel proprio orbe non sono mono immobili dolio fisso, salvo che so non vi metteste a dire che anco i moti loro siano della Terra: ed io aspettorò ancor questo, ed all’ ora vi risponderò, so questi placiti ricercan risposta. 9. Che sia inescogitabile (il elio adducete por sesto inconveniente) qual siala solidità di quella massima sfera, non ò da maravigliarsi, essendo parimente quasi inescogitabile la natura totale de’ corpi celesti; de i quali i più intendenti ne par¬ lano con grandissima circonspczziono, eccetto che di alcune cose, corno del moto, io del lume, della quantità, della figura. Sarebbe però più inescogitabile il poncrla in qual si voglia altra maniera di quella clic la pongono i Peripatetici, c spe- cialfnento immobile, oziosa, fluida, come la fingete voi, c con le stollo vaganti cd immobili, raggirate in mille modi e pur quiete, con altro contradizzioni manife¬ stissime, con gli inconvenienti elio per conseguenza ne seguirebbono contra voi, addutti da voi medesimo. Nè per tener a segno le stelle deve quella sfera esser immobile, ma basta che vi sian fisse dentro, aggirandosi pur ella. 10. Nò la settima instanza è di vigor alcuno, già elio appunto a quel corpo supremo deve attribuirsi suprema invincibil forza e dominio sopra gli altri, quasi nel modo che Fonnipotente Iddio l’ha sopra lui e sopra tutto il resto dell’uni- 20 verso, sì che sarà convenevolissimo che seco rapisca gli altri corpi inferiori, per conferirgli virtù, la qual diffonda a proporzione e con ordine al fine; onde se sino alla Terra non si estenda, ciò deve esser non per mancamento di potere, ma per altri fini da noi non conosciuti e perchè poco a questo infimo elemento una cotal participazione sia di mestieri. Già gli ordini e l’opro tutto della natura hanno il principio, la ìegola e la misura, da' fini a’ quali sono ordinato, e con questi pili tosto che con la vastità della mole 0 con la imperfezzione della ma¬ teria si conformano. Gli intoppi clic si trovano nel far mover la Terra e star fermo il cielo divengono da più alta cagione che da questa vostra fievole, i quali ho accennati e forse toccati a bastanza di sopra. 20 11. Che un corpo semplice abbia naturalmente un moto semplice, è vero; ma non repugna, anzi per diversi effetti (come ho detto ancora) e necessario, clic partecipi de gli altri. E poi per questa ragione avreste da coustituir immobili anco Paltre sfere celesti, o dargli un moto solamente; e pur F uno e l’altro ò falsissimo, e si vede con manifesta esperienza, non clic con dottrine universali degli astrologò ricevute da ogn’ uno : 0 finalmente avreste da dire, che di tanti movimenti si mova la Terra sola, quanti si ricerchercbbono per salvare tutti quei moti che in tutti gli corpi celesti si veggono e si osservano. E perchè ella non ha un semplice moto? come gli ne tribuite tanti, più tosto che a i corpi celesti? j)erchè la fate diventar il fac totum , e tutti gli altri da poco 0 da niente? For- 80 DI ANTONIO ROCCO. 663 tunata Terra, esaltata cosi egregiamente dal Sig. Galileo, non ricordandosi forse di averti altre volte avvilita, chiamandoti sentina d’immondizie, feccia del mondo ; e pur ora sei la sola o la principale operatrice ! Ma in qual maniera tanti e sì diversi e contrarii moti potreste assegnare alla Terra, avendo voi per impossi¬ bile, o almanco per inconveniente, di darne due ad un solo, e stimandogli con¬ trarii e repugnanti? Non dunque nè ancor noi in comparazione alla pura omni- potenza divina poniamo quest’ ordine, ma, quella posta per principio, con l’unione della sua sapienza infinita e con ordine alle cose naturali, rispondendo a ragio¬ nevole umana intelligenza, in questa maniera parliamo : onde nò più breve no io più spedita, ma repugnante ed assurda, operazione sarebbe dar alla Terra quel che conviene al cielo, come ad un sguattero quel che conviene al prencipe, ad una latrina le ricchezze regali c pompose della camera reggia. 12. È bella 1’ obbiezzione finalmente che voi fate ali’ aggiunta dell’ assioma di Aristotile, dico a quel acque bene. Per vita mia, che sete un speculativo profon¬ dissimo; non è da maravigliarsi che, sopra l’intelligenza de gli altri, facciate cosi alto pescagioni nel ciclo. È vero (rispondo sul serio) che il dire aeque bene ò una relazione elio ricerca duo termini : ma questi non sono la cosa medesima che si fa, la quale è veramente una sola, ma sono i modi diversi con i quali può farsi, alcuni de’ quali non saranno bastanti a farla cosi bene, come altri o più; ed ec- 20 covi quanti termini di relazione volete voi. Ma veniamo alla prattica. Uno può da Venezia andar in Roma a piedi ed a cavallo, ma a piedi non vi arnioni aeque bene come a cavallo: ed un marinaro potrà di qui andar per mare in Ancona con una barca di quattro remi e di otto ; vi anderà sì, ma non aeque bene con i quattro come con gli otto: e cosi è uno il viaggio o la navigazione, ma i modi son molti, e questi pertengono a \V acque bene . Sì che voi, senza distinzion di modi alla cosa, il tutto confondete in uno : ma vi si può perdonare, perchè il cono¬ scere la forza de gli argomenti, le distinzioni e le fallacie, tocca alla logica, la quale voi dispreggiate, chiamandola incerta e attribuendo ogni certezza ed ogni dimo¬ strazione alla matematica. Ed al vostro proposito della Terra e del cielo, ancorché ao ella si potesse movere c star ferma la sfera prima, ciò non sarebbe acque bene; perchè ripugnarebbe alla condizione e virtù di quei supremi corpi, ed alla viltà parimente della Terra, ed all’ altre cose delle quali già si è detto a bastanza. Argomenti per la quiete della Terra , soluzioni , impugnazioni ed altre curiosità annesse. Esercitazione Settima. Ponete, Sig. Galileo, gli argomenti di Aristotile e di altri, con i quali si in¬ tende provare che la Terra stia ferma e si movano i cieli ; i quali argomenti, in favor della vostra opinione, vi afiaticate di sciogliere: ed io, sì perchè da chi ESERCITAZIONI EiEOKOi'TOilE GG4 non sono stati più visti ai veggano, come por poter con ordine e distinzione pon¬ derar e confutar le loro soluzioni, giudico spediento di mettergli quivi tutti. 1. Il primo dunque è questo: < Se la Terra si movesse o in sò stessa, stando nel centro, o in cerchio, essendo fuor del centro, è necessario che ella violente¬ mente si movesse di tal moto, imperochè non ò suo naturale; oliò so fosse suo, ravrebbo anco ogni sua particella; ma ogn’una di loro si move per linea rotta al centro: essendo dunque violento e preternaturale, non potrebbe esser sempi¬ terno: ma l’ordine del mondo è sempiterno: adunque etc. >. 2. < Secondo, tutti gli altri mobili di moto circolare par che restino indietro e si movano di più di un moto, trattone però il primo mobile : per lo che sa- io rebbe necessario che la Terra ancora si movesse di due moti; e quando ciò fosse, bisognerebbe di necessitò, che si facessero mutazioni nelle stelle fisse : il che non si vede, anzi senza variazione alcuna lo medesime stello nascono ila i medesimi luoghi, e ne i medesimi tramontano. > 3. < Terzo, il moto dello parti e del tutto ò naturalmente al centro dell’ uni¬ verso, e per questo ancora in esso si sta. > 4. Quarto, i corpi gravi, buttati all’ insù, cascano a perpendicolo sopra la su¬ perficie della Terra ; il che non potrebbe essere se la Terra si movesse, conciosia che ella col suo moto velocissimo trapasserebbe, e così il cadente peso anderobbe a cascar lontano da chi lo buttò, e non a perpendicolo. 2o 5. In oltre, il risponder tutte 1’ apparenze, che si veggono ne i movimenti dello stelle, alla posizione di essa Terra nel centro, è argomento che ella nel contro dell’ universo sia, ed immobile ancora. G. Sesto, mentre un grave casca dalla cima di una torre, viene per linea retta a perpendicolo alla superficie della Terra; dunque essa Terra sta immobile: per¬ chè quando ella avesse la conversimi diurna, quella torre venendo portata dalla vertigine della Terra, nel tempo che il sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso oriente; e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere in Terra lontano dalla radice dellp, torre. 7. Si conferma con un sasso lasciato cadere dalla cima dell’ albero di una so nave la quale cammini, che aiulerù a cader tanto lontano dall’ albero, per quanto avrà scorso la nave ; o se ella stia forma, cascherà il detto sasso giustamente alla radice dell’albero. 8. < Fortificasi tal argomento con 1’ esperienza di un proietto tirato in alto per grandissima distanza, qual sarebbe una palla cacciata da una artiglieria drizzata a perpendicolo sopra 1’ orizonte, la quale nella salita e nel ritorno con¬ suma tanto tempo, che nel nostro paralello l’artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia portati dalla Terra verso levante, talché la palla, cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo, ma tanto lontana verso occidente quanto la Terra fosse scorsa avanti. > 40 DI ANTONIO ROCCO. 665 9, < Aggiungono di più la terza e molto efficace esperienza, che è : tirandosi con una colubrina una palla di volata verso levante, e poi un’ altra con egual carica ed alla medesima elevazione verso ponente, il tiro verso ponente riusci¬ rebbe estremamente maggiore dell’altro verso levante; imperochò mentre la palla va verso occidente, e 1’ artiglieria, portata dalla Terra, verso oriente, la palla verrebbe a percuotere in Terra lontano dall’ artiglieria tanto spazio quanto è l’aggregato di due viaggi, uno fatto da sè verso occidente, e l’altro dal pezzo, portato dalla Terra, verso levante ; e per T opposito, del viaggio fatto dalla palla tirata verso levante bisognerebbe detrarne quello che avesse fatto T artiglieria io seguendola: posto dunque, per essempio, che il viaggio della palla fosse cinque miglia, e che la Terra in quel tal paralello nel tempo della volata della palla scorresse tre miglia, nel tiro di ponente la palla caderebbe in Terra otto miglia lontana dal pezzo, cioè le sue cinque verso ponente e le tre del pezzo verso le¬ vante ; ma il tiro d’ oriente non riuscirebbe più lungo di due miglia, chè tanto resta detratto dalle cinque del tiro le tre del moto del pezzo verso la medesima parte: ma l’esperienza mostra i tiri esser eguali; adunque l’artiglieria sta im¬ mobile, e per conseguente la Terra ancora. Ma non meno di questi, i tiri altresì verso mezo giorno o verso tramontana confermano la stabilità, della Terra : ini- perocliò mai non si correbbe nel segno che altri avesse tolto di mira, ma sempre 20 sarebbono i tiri costieri verso ponente, per lo scorrere che farebbe il bersaglio, portato dalla Terra, verso levante, mentre la palla è portata per aria. E non solo i tiri per le linee meridiane, ma nè anco i fatti verso oriente o verso occidente riuscirobber giusti, ma gli orientali riuscirebbero alti, e gli occidentali bassi, tutta volta che si tirasse di punto in bianco; perchè sendo il viaggio della palla in am¬ bedue i tiri fatto per la tangente, cioè per una linea paralella all’ orizonte, cd essendo che al moto diurno, quando sia della Terra, l’orizonte si va sempre ab¬ bassando verso levante ed alzandosi da ponente (che però ci appariscono lo stello orientali alzarsi, e 1’ occidentali abbassarsi), adunque il bersaglio orientale si an¬ elerebbe abbassando sotto il tiro, onde il tiro riuscirebbe alto, e l’alzamento del so bersaglio occidentale renderebbe basso il tiro verso occidente. Talché mai non si potrebbe verso ninna parte tirar giusto : e perchè 1’ esperienza è in contrario, è forza dire che la Terra sta immobile. > 10. Di più, le nuvole e gli ucelli non essendo aderenti alla Terra, non si moveriano al moto di essa, se ella si movesse ; e per conseguente, non potendo seguir col suo moto o col suo volo la velocità della Terra, parrebbe a noi che tutti velocissimamente si movessero verso occidente: « e se noi, portati dalla Terra, passiamo il nostro paralello in vinti quatti-’ ore, che pur è almeno sedici mila miglia, come potranno gli ucelli tener dietro ad un tanto corso ? dove, all’ in¬ contro, senza veruna sensibil differenza gli vediamo volar tanto verso levante •io quanto verso occidente e verso qual si voglia parte >. VII. 64 666 ESKIìCITAZIONI FILOSOFICHE 11. < Oltre a ciò, se mentre corriamo a cavallo sentiamo assai gagliardamente ferirci il volto dall’ aria, quid vento dovressimo perpetuamente sentire noi dal- 1’ oriente, portati con sì rapido corso incontro all’ aria V pur nulla di tale effetto si sente. > 12. Finalmente, Ecco (soggiungete) le ragioni potissime prese (per così dire) dalle cose ter¬ restri: restano quelle dell’ altro genere, cioè quelle clic hanno relazione all’appa¬ renze celesti, dello quali ragionerete (dito) poi che avrete esaminata la forza di queste. Or venite all’ esamino delle predette ; le cui posizioni acciò più chiara¬ mente siano intese, devo osservarsi che il vostro fine (conio espressamente dite) ò di provare che la Terra si mova circolarmente e che il Sole e la sfera stel¬ lata siano del tutto immobili, di modo che essa Terra con il suo moto ha da supplire a tutte 1’ apparenze e moti che a questi duo orbi si attribuiscono : il moto de gli altri pianeti non è da voi negato. Or sentiamo le vostre soluzioni, 30 con le confutazioni che io apporterò immediato ad una per una, conforme al fine propostomi nell’ assunto di questa opera, che fu mera esercitazion filosofica. ì. Rispondete per tanto così al primo. Quando Aristotile disse che il moto circolare alla Terra sarebbe violento e perciò non perpetuo, e che anco le parti dovrebbono moversi di questo moto circolare, questo moversi circolarmente si può intendere in due modi: «uno, che ogni particella separata dal suo tutto si movesse circolarmente intorno al suo proprio centro, descrivendo i suoi piccoli cerchiottini ; 1 altro è, che movendosi tutto il globo intorno al suo centro (1) in ven- L'edizione originaloilollo Esercitazioni logge inforno al suo cerchio. (Jamlko, in margino doli’esem¬ plare da lui postillato, corresse cerchio in centrot cfr. pag. 1GO di questo volume, lin. 4. DI ANTONIO ROCCO. mi tiquattro ore, le sue parti ancora girassero intorno al medesimo centro in vinti- quatti' 7 ore. Il primo sarebbe una impertinenza non minore che se altri dicesse che di una circonferenza di cerchio ogni parte bisogna che sia un cerchio, overo perchè la Terra è sferica, ogni parte di Terra bisogna che sia una palla, perchè così richiede 1’ assioma Eadcm est ratio totius et partium. Ma se egli intende nel- l’altro, cioè elio le parti, ad imitazion del tutto, si moverebbero naturalmente intorno al centro di tutto il globo in vinti quatti*’ ore, io dico che lo fanno ; ed a voi (rivolto al vostro Simplicio), in vece d’Aristotile, toccherà a provar che no. > Rispondo Simplicio, che già Aristotile V ha provato, con dire che il moto delle 1.0 parti è retto, e che il circolare non gli può naturalmente competere, perchè è vio¬ lento, ed il violento non è eterno, e pur 1’ ordine del mondo è eterno. A cui fate instanza, dicendo che < se quel che è violento non può esser eterno, pe ’1 converso quel che non può esser eterno non potrà esser naturale ; ma il moto della Terra all* ingiù non può esser altrimenti eterno ; dunque meno può esser naturale, nè gli potrà esser naturale moto alcuno che non gli sia anco eterno: ma se noi fa¬ remo la Terra mobile di moto circolare, questo potrà esser eterno ad essa ed alle parti, e però naturale >. E soggiungendo Simplicio che il moto retto sarebbe eterno alla Terra o alle sue parti, levato via ogni impedimento, instate gagliar¬ damente dicendo, e provando con essempi, niun moto poter esser eterno, mentre co sia fatto per spazio finito e terminato: così sarebbe il moto retto della Terra ter¬ minato sempre dal centro, e per riflessione non è un sol moto (dottrina vera in questa parte, o di Aristotile nell 7 ottavo della Fisica) ; dunque mai sarebbe il retto eterno : onde, acciocliè il moto sia eterno, deve esser il spazio interminato, ed il mobile incorruttibile ; e cosi nessun moto retto può esser eterno, nè la Terra si moverà mai eternamente di tal moto : dunque o bisogna darle il moto circolare, o forzarsi di mantenerla immobile. Sin qui voi. Or sentite, Sig. Galileo, a parte per parte, quanto questa vostra opposizione responsiva vaglia. Mentre dite che questo moversi circolarmente si può intendere in due modi, l’uno che ogni particella separata dal suo tutto si movesse circo- 30 lamento da sè etc., e che ciò sia una impertinenza etc., vi rispondo che a punto è una impertinenza ed impossibilità manilèsta che queste particelle così si ino. vesserò, e pure a ragion di supposito sarebbe necessario : e voi prendete 1’ argo¬ mento di Aristotile per estensivo, essendo ad impossibile ; il vigor del quale è tale : Le parti del corpo totalmente similare, attualmente separate da esso, hanno la medesima natura ed il medesimo moto del suo tutto ; dunque se le parti della Terra, separate da lei, si movono di movimento retto, la Terra tutta avrà il mo¬ vimento retto ; e sì come è impossibile ed immaginabile che quelle parti si movano circolarmente, così è impossibile che la Terra tutta in questa maniera si mova. Talché quanto più voi indurrete clic sia impossibile per qual si voglia via il moto do circolare convenire allo parti separate dalla Terra, tanto accrescerete forza alla G68 KSKRCITAZIONI FILOSOFICHE ragion di Aristotile : or vedete quanto sete lontano dal scioglierla, clic, volendo scioglierla, la continuato! Quel che aggiungete, che le parti non possono aver questo moto circolare, perchè non hanno la ligura circolare che a tal moto si ricerca (17J , sarebbe a proposito so si parlasse di corpi che hanno necessariamente determinata figura, come (secondo noi) sono i celesti, gli animali c le piante; ma di quelli i quali tale figura non hanno, la vostra considerazione è fal¬ lace: e tale appunto ò la Terra, con gli altri elomenti o rnolt’altre cose naturali an¬ cora. Mi dichiaro. Si dicono corpi similari e senza determinata figura quei che in tutte le lor parti sono simili in ogni conto di qual si voglia condizione ed accidenti, clic possono salvarsi sotto ogni figura, tanto circolare, quanto longa, quadrata, pira- io nudale etc., senza punto scemarsi nò patir in cosa alcuna delle lor dovuto natura¬ lezze, anco minime; le parti de’ quali ritengono la natura commune, ed il nome pari¬ mente, del suo tutto. Così ciascuna parte della Terra si chiama Terra od ha tutte le condizioni dovute alla Terra, in mole o grande o piccola, in figura tonda o qua¬ drata : il medesimo dico dell’ aria etc. Or questi, come non si prefìggono alcuna figura, ma sotto qualsivoglia possono con integrità pienissima conservarsi, così sotto ciascuna hanno il lor primo effetto della natura, cioè il moto ; e per con¬ scguente, so il circolare lusse naturale alla Terra, come la totale natura di essa si contiene in ciascuna dello suo parti, senza altra determinata figura, così vi si includerebbe anco il moto circolare : il che vedendosi falso ed impossibile, bisogna 20 concludere che il moto circolare non gli convenga, 0 puro che olla non sia corpo similare ; ed essendo questo falsissimo, sarà vero il suo disgiunto, cioè che il moto circolare non li convenga. Solo dunque i corpi che hanno certa immutabile figura, non hanno il moto senza la totalità di quella ; ma quei che indeterminati sono, in ogni parte il lor naturai moto ritengono, e così lo dovrebbe ritener la Terra nelle sue parti. Ma se alcun mi dicesse elio anco la Terra ha la sua figura determinata sferica, e necessariamente, corno vuole anco Aristotile (ipsam autein figuravi habcrc spliaericam, necessarìum est, dice egli nel secondo del Cielo, al testo 104), rispondo che ella ha questa figura di fatto e di necessità suppositale, non di necessità di natura, come il medesimo filosofo soggiungendo dichiara che in tal figura ella 30 si riduce per tender al centro per linee più brevi, onde tal forma prende per que¬ sto effetto, come gli altri corpi similari per altre esterne cagioni. Quanto all’ altro modo di moversi le parti della Terra circolarmente unite col tutto, sarebbe non solo non impossibile, ma necessario, dato che ella di questo moto si movesse; ma noi abbiam provato di no, dalla uniformità dello parti con i lor corpi similari : a voi tocca a provar l’opposito. Mentre fate instanza dicendo : < Se quel eh’ ò vio¬ lento non può esser eterno, pe ’l converso quel che non può esser eterno non potrà esser naturale >, vi rispondo che la conversione vostra non vale, già che [31J e quando, capo grosso, ho io mai detto tal cosa? DI ANTONIO HOCCO. 669 molte cose sono naturali e pur non sono eterne, stando anco permanente e stabile il lor fondamento. Ed al proposito nostro, è naturale il generare ed il cre¬ scere a i viventi ; o pur essi restando, cjuesti moti non sono perpetui: è anco natu¬ rale a tutti quei che si movono di moto retto di giungere al termine loro, e nulladimeno questi moti non sono eterni ; ed in universale ogni moto (dal cir¬ colare in poi), sia di qualsivoglia genere, può esser naturale, ed è terminato ciascuno : dunque non è vero che ogni naturale sia eterno, ancorchò sia eterno il suo mobile. Avresti meglio detto che nelle cose eterne si trova eterna inclina¬ zione all’ opre, non essendo nell’ ordine della natura cosa alcuna oziosa ; ma clic io quest’ opre siano attualmente eterne, o sempre in fieri attuale, ò falsissimo [as] . Così è eternamente mobile la Terra, come ogni corpo naturale; ma elio perciò eter¬ namente si mova, non è di alcuna necessità, già che alcune attitudini sono date dalla natura da ridursi all’ effetto opportunamente, come a bastanza ho detto innanzi : e per ciò è anco falso quello che inferite, che non gli possa esser natu- l38] Qui dito che pur sia vero, che anco quello che non può essere eterno, può esser naturale, stando anco permanente il lor fondamento; e l’esemplificate col generare o crescer de’viventi, che non è perpetuo: ma V esempio non sta nel proposito, se voi prima non provate, il cre¬ scere non potere esser perpetuo, e, di più, che eterni possano essere so i viventi. Il mio asserto dice: « Quello che non può essere eterno, non può esser naturale » : se voi volete destruggerlo, bisogna che voi in¬ troducili ate cosa che possa essere naturale senza potere essere eterna ; o però dovete mostrare, non che il crescere non sia de facto eterno, ma che non possa essere eterno, e, di più, che non possa essere eterno quando anco il vivente fusse eterno: e questo non proverete voi già mai; talché il vostro esempio è difettoso e fuori del caso, perchè mostra solamente non esser de fatto eterno il crescere nel vivente che nè anco è eterno. E Be voi considererete meglio il mio detto, vedrete che io non affermo che nelle coso eterne quello che gli è naturale sia eterno, so ma solamente che gli può essere eterno, ciò è che hanno eterna di¬ sposizione a quello operare, benché eternamente non 1’ operino ; che è poi P istesso ad unguem che voi medesimo dite che io, per dir bene, avrei auto a dire. Scorgesi dunque pur troppo chiara la vostra brama di farmi comparire ignorante appresso i meno accurati lettori, mentre offuscandogli !,) (l ' La postilla, la qualo ò scritta su di un fogliottino insorito uell* esemplare dolio Esercita¬ zioni, ò stata lasciata (laU’Autoro così senza com pimento. 670 ESERCITA'/.IONI PI LOBO PICHE ralo moto alcuno elio non sia eterno. Il far mobile la Terra perciò di moto cir¬ colare, nò ad ossa nò alle parti sarà naturalo nè eterno, anzi violento (già cho ha il suo moto naturalo retto) e perciò non eterno, essendo bon voro che niun moto violento ò eterno, con T intelligenza sana che parimente ho apportata nel primo libro; e cosi il suo moto è terminato, non per impedimento (come fate risponderò al vostro Simplicio), ma per mera naturalezza, e vi si concede cor- tcsemento che niun moto terminato e niun rodesse sia eterno, e per conseguente nè eterno quello della Terra: sì cho noi, levandogli il moto circolare, come a lei repugnante, la statuirne immota, ma però mobile nel modo che alla sua natura conviene ed io pur nel detto luoco ho dichiarato. io 2. Al secondo argomento dite, cho Aristotile, istesso vi metto la risposta in bocca, già cho nel secondo del Cielo, al testo 97, ove dice : Pradcrea, omnia quac feruntur lationc circuliiri, subdeficcrc videntur, ac tnoveri pluribus una lattone,prae- ter primam sphaeram ; quare et Terram necessarium est, sive circa medium sive in medio posita feraiur, dttabus moneti lationilnts: si aulem hoc acciderit, neces¬ sarium est fieri nwtationes ac convcrsiones fixorum astrorum: hoc aulem non vi- dotar fieri; sed semper eadctn apud eadem loca ipsius et oriuntur et occidunt, due posizioni vuole Aristotile impugnare : l’una, che la Terra si mova in sè stessa circa il proprio centro ; l’altra, cho essendo lontana dal centro andasse intorno ad esso, nel modo che fa un pianeta ; od egli erra nell’ una e nell’ altra. Nella 20 prima, perchè assumo che ogni corpo il qual si move circolarmente, è necessario che si mova di duo moti, eccetto la prima sfera; dunque, quando non fusse ne¬ cessario attribuirlo altro cho una lazion sola, con salvar l’istesse apparenze delle stello fisse, tu, 0 Aristotile, non avresti per impossibile che di una tal sola ella si movesse. < E perchè di tutti i mobili del mondo tu fai clic un solo si mova di una lazion sola, e tutti gli altri di più di una, 0 questo affermi esser la prima sfera stellata, so la Terra potesse esser quella prima sfera, che col mo¬ versi di una lazion sola facesse apparir le stelle moversi da levante in ponente, tu non glie la negheresti: ma chi dico clic la Terra è posta nel mezo, non gli attribuisce altro moto cho quello per il quale tutto le stelle appariscono moversi so da levante a ponente, e così ella viene ad esser quella prima sfera che tu stesso concedi moversi di una lazion sola: bisogna dunque, 0 Aristotile, se tu vuoi con¬ cludere qual cosa, che tu dimostri che la Terra posta nel mezo non possa mo¬ versi nè anco di una sola lazione, overo cho nò meno la prima sfera possa aver un sol movimento ; altrimenti tu nel tuo medesimo sillogismo commetti la fal¬ lacia e ve la manifesti, negando ed insieme concedendo l’istessa cosa. Vengo alla seconda posizione, cioè cho la Terra, lontano dal mezo, si mova, come un pianeta, intorno ad esso; contra la qual posizione procede l’argomento, e quanto alla forma è concludente, ma pecca in materia: imperochò, conceduto che la Terra si mova in cotal guisa, e che si mova di due lazioni, non però ne segue di io DI ANTONIO ROCCO. G7I necessità che, quando ciò sia, si abbian da far mutazioni ne gli orti e ne gli occasi delle stelle fìsse, come a suo luogo dichiarerò ; però lasciamo per ora la risposta in pendente. > Sin qui voi. Or vi rispondo, prima negandovi che egli erri nell 5 assunto, mentre dice che ogni corpo che si move circolarmente, ò necessario elio si mova di due moti, eccetto la prima sfera ^ ; ed a voi toccherebbe mostrar la cagione dell* errore, avendo egli altrove assignata la ragione di quanto dice, cioè che per il moto proprio, e per la participazion del primo, ciò sia necessario, etc. È anco falsa la vostra consequenza, mentre dite < Dunque, quando non fusse necessario attribuirle io altro che una lazion sola, non avresti per impossibile che ella si movesse, etc. >, conciosiachè esso Aristotile, nell’ ottavo della Fisica, nel secondo del Cielo e nella sua Metafisica ancora, ha provato, il primo mobile essere un de’ corpi celesti in cui risiede il primo motore, che porta seco innumerabili corpi divini, clic esso intendo per le stelle, onde resta manifesto che la Terra non sia ella il primo mobile; e perciò segue ottimamente, che se circolarmente si movesse, si move¬ rebbe di due moti, come occorro de gli altri corpi che in giro parimente si mo¬ vono; il che non essendo vero, séguita che ella non abbia il movimento circolare. E elio non sia vero che di due moti si mova, lo prova per 1’ uniformità dell’ ap¬ parenze nelle stelle fisse: ed a voi toccherà provare che queste uniformità diven¬ go gano altronde, col moto della Terra; chè sin ora non avete fatto cosa alcuna. Prova dunque Aristotile in diversi luoghi, all’ occasioni opportune, che la Terra non può aver moto alcuno circolare, ed ora, al proposito del suo discorso, due il’ esclude insieme, che potrebbono per imaginazione attribuirsele : or vedete qual fallacia c qual contradizzione egli mostra! L’impugnazione dell’altra posizione T aspetterò nel luogo ove la promettete : fra tanto però non posso passar con silenzio un punto logicale. Dite che l’argomento d’Aristotile quanto alla forma ò concludente, ma pecca in materia, cioè che, conceduto che la Terra si mova, e di due lazioni etc., non segue di necessità etc. chiamate materia sillogistica la consequenza; forma, le premesso: or chi ha udito mai che le premesse siano so forma o pertinenti alla forma del sillogismo, e la conseguenza materia o alla materia spettante ? 3. Ai terzo argomento dite di aver risposto : però si veda quel che avete detto voi ed io ; e si vedrà se avete risposto in effetto, o no. Veniamo per tanto al quarto. » 4. Era dunque il quarto fondato nella caduta di cosa grave a perpendicolo sopra la Terra, già che torna nell’ istesso punto, il che non potrebbe essere se la Terra si movesse, etc. Prima dite che si potrebbe negare che tali gravi cadenti descendano a perpendicolo, e che la sperienza istessa del senso, che ciò conosce, [89] Questo animale vuol rispondere dove ei non intende nulla. ’ E quando lio io mai detto che egli erri nclP assunto etc.? 072 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE sarebbe fallace. Poiché, posto che la Terra si movesse e portasse seco una torre, dalla sommità della quale fusse lasciato cader per dritto, strisciando il muro di essa torre, un sasso sino a Terra, avrebbe all’ ora quel sasso cadente due moti, l’uno di cadere all’ingiù, l’altro di rader e misurar giustamente la torre, o pur sarebbe un misto di retto e laterale, con T uno de’ quali misura la torre c con V altro la segue. So questo ò così, dunque dal solamente veder la pietra ca¬ dente rader la torre, noi non poterne sicuramente affermare elio ella descriva una linea retta o perpendicolare ; si elio Aristotile, volendo con questa ragione della caduta a perpendicolo provare elio la Terra stia ferma, faun paralogismo, poiché suppone per noto quel elio devo dimostrare, cioù elio il sasso cadente ca- io sdii a perpendicolo per una sola linea retta, della qual caduta non possiamo noi aver notizia elio sia rotta o perpendicolare, se prima non ci ò noto elio la Terra stia ferma: e cosi suppone quel clic deve provare. Sin qui voi. Ed io rispondo per ora a questo (riserbandomi di rispondere a parte per parte al resto delio vostre risposte, posizioni, obiezzioni o digressioni, clic circa questo argomento son molte con varia e poco distinta tessitura), che Aristotile suppone quel elio è notissimo, cioè clic 1 ’ aria, tenue e cedente, non sia in alcun modo ba¬ stante ritener nè impedir nè ritardar per un solo instante una macinila grave, o per conseguente ella casca di moto retto senza alcuna participazione di tran¬ sversale: e perciò (come pur questa volta fate rispondere bene al Sig. Sagredo, 20 0 poi non T impugnate bene, conio vedrete) dal cadere un sasso radendo la torre, dalla cui sommità sia fatto cadere a perpendicolo, a’ inferisce la stabilità della Terra, non la pluralità de’moti elio voi intendete; e quantunque non sia impos¬ sibile, nè repugnante, la mistione di moto retto 0 circolare insieme in un mede¬ simo mobile, nel modo elio di fatto può vedersi in più cose, nel caso però sup¬ posto, per la ragiono predetta, è impossibile, c sarà carico vostro provar di no; nè sarà simile la mistura dell’aria col fuoco (come anco pur questa volta dice bene il vostro Simplicio) con questa di una machina cadente. Torniamo per tanto alle vostre posizioni. Apportate, in nome di Simplicio vostro per Aristotile, V essempio della pietra cadente dalla cima dell’ albero della nave, la quale, movendosi essa 30 nave, resta per alcun spazio indietro, e così accaderebbe movendosi la Terra, nel discendere parimente di una pietra 0 di altro corpo grave. Dito < esser gran dispa¬ rità tra T caso della nave e quel della Terra, quando il globo terrestre avesse il moto diurno. Imperocliè manifestissima cosa è che il moto della nave, sì come non è suo naturale, così è accidentario di tutte le cose die sono in essa; onde non è meraviglia che quella pietra, che era ritenuta in cima dell’ albero, lasciata in libertà scenda a basso, senza obligo di seguir il moto della nave. Ma la con- llì 1/edizione originale dello Eterciiaxioni Filo- esemplare da lui postillato, ha corrotto di sua mano tofiche ha moto, che Galiuo, nel più volto citato in noto. DI ANTONIO ROCCO. C73 version diurna si dà por moto proprio o naturale al globo terrestre, ed in conse¬ guenza a tutte le sue parti, e come impresso dalla natura è in loro indelebile; e però quel sasso che ò in cima della torre, ha per suo primario instinto V andar intorno al centro del suo tutto in vintiquattr’ ore, e questo naturai talento eser¬ cita egli eternamente, sia pur posto in qual si voglia stato. Talché, sì come per antiquata impressione stimando che la Terra stia immobile intorno al suo centro, credono anco esser ivi immobili le suo parti, così è ben dovere che quando naturai instinto fusse del globo terrestre P andar intorno in vintiquattr’ ore, sia d’ ogni sua parte ancora intrinseca e naturale inclinazione non lo star ferma, ma sc¬ io guire il medesimo corso : e così senza urtare in veruno inconveniente si potrà concludere, che per non esser naturale, ma straniero, il moto conferito alla nave dalla forza di remi, e per essa a tutte le cose elio in lei si trovano, sia ben do¬ vere che quel sasso, separato eh’ oi sia dalla nave, si riduca alla sua naturalezza e ritorni ad essercitar il puro e semplice suo naturai talento. Àggiungesi che è necessario che almeno quella parto di aria che ò inferiore alle maggiori altezze de’ monti, venga dall’ asprezza della superficie terrestre rapita e portata in giro, o pure che, come mista di molti vapori ed esalazioni terrestri, naturalmente sé¬ guiti il moto diurno; il che non avviene dell’aria che è intorno alla nave cacciata da i remi: per lo che l’argomentare dalla nave alla torre non ha forza d’illa- 20 zione ; perchè quel sasso che vien dalla cima dell’ albero, entra in un mezo che non ha il moto della nave ; ma quel che si parto dall’ altezza della torre, si trova in un mezo che ha Pistesso moto che tutto il globo terrestre, talché, senz’es¬ ser impedito dall’ aria, anzi più tosto favorito dal moto di lei, può seguire P uni- versal corso della Terra. > Se voi, Sig. Galileo, aveste nella memoria quel che poco fa, nella risposta del primo argomento, voleste dir contra Aristotile dell’ impertinenza del moto circo¬ lare delle parti terrestri, ora avreste rossore non poco di cascar così inaveduta- mente ne i lacci e nelle reti che avevate tese altrui. Quanto avete stimato assurdo, impertinente ed irragionevole, che ogni parte separata dal 80 suo tutto si movesse circolarmente intorno ad esso? ed ora, dando il moto circolare alla Terra, concedete anco P istesso alle parti sue separate, in qual¬ sivoglia stato che elle si trovino? 1401 Adducete pur contra voi medesimo Pinstanze e le ragioni che credevi indur contra Aristotile, che, per esser qui a proposito, e già apportate di sopra a bastanza, io non voglio inutilmente ripeterle. La similitudine che apportate delle parti che stiano ferme con la Terra, secondo l’antiquata stima¬ zione di coloro che credono essa Terra star ferma, corre all’ opposito, ed ò anzi c*i°i Ignorantissimo bue ! stimai assurdo il dire che le parti della Terra separate girassero in loro stesse; ed ammessi che girassero intorno al centro, seguendo il moto del lor tutto. VII. 85 » 674 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE espressa dissimilitudine : conciosia che dicono die quelle parti stiano ferme mentre son congiunte con la l'erra, elio parimente sta ferma ; ma se fussero separate, non impedite si moverebbono ad essa; e così hanno diversi effetti separate e con¬ giunte: e se la Terra si movesse in giro (come voi dite), ben potreste inferire che insieme con essa si movessero le suo parti, ma separate da lei che in niun modo di questo moto potrebbono moversi; conciosia che quali cerchi elleno di¬ scri verebbono ? o forse una parto di cerchio è cerchio? Dovreste anco rammen¬ tarvi clic in tanti luoghi, nel vostro primo Dialogo, avete detto che si movono di moto retto gli elementi, specialmente la Terra, per andar al suo luogo, e che poi quivi si movono circolarmente ; come or dito che lo parti in qual si voglia io stato si movino in giro ? Che siano portate dall’ aria, è falso, e non concorda con la vostra posizione. Falso, dico : già che se ella le portasse, col moversi parimente in giro dell’ istesso moto e dell 9 istessa velocità della Terra, quello parti terree non descenderebbono mai; il che se sia ridicolo, lascio considerarlo a voi: e se discendono (come pur si vede in effetto), non sono portato regolarmente, ma nel loro discenso P aria e la Terra si avanzano nel moto, come si vede nell’ acqua rapidissima, in cui un sasso buttato non è portato in tutto da quella, ma cala al fondo; e così si vedrebbono le variazioni di siti che voi negate. È contra la vostra posizione, già che volete che si movino per loro naturalezza. In oltre, se P aria agirata porta, tanto fa clic un grave si ponga in aria quanto in Terra, per 20 star saldo; e potrebbono fabricarsi castelli e città in aere. L’imaginazione che por esser l’aria, più vicina alla Terra, vaporosa e grossa (che ò vero), si raggiri dalla asprezza di essa Terra e de’ monti, e perciò segui il moto diurno della Terra, onde conferisca a portar uniformemente questi proietti, ò parimente ar¬ bitraria e senza fondamento: diventa perciò ella forse sì grossa che sia impe¬ netrabile? che vi nuotili le pietre come nel lago Asfaltide? potria dunque senza periglio alcuno precipitarsi dall’ eccelso di rupe altissima chi gli piace, che non percuoterà in Terra nò riceverà offesa veruna. Oltre che se quest’aria confi¬ nante con la Terra, por lo predette condizioni grossa, sia bastante a sostentar i gravi, l’altra sublime, che ò purgata e sottile, non avrà questa facoltà; e così so Pesperienze di proietti, dell’artiglierie e d’altri non avranno verità conforme. Anzi, che secondo la diversità delle stagioni 0 de’ luoghi si vedrebbono variar questi siti e queste sperienze : già che in tempi piovosi e turbidi i vapori vicini alla Terra sono più grossi e gravi che ne gli estivi 0 sereni ; ne i luoghi alti e montuosi l’aria v’ è sottilissima e purgata : bisognerà per tanto con più aggiu¬ stato compasso misurar più cose, variar esperienze ed essempi ; overo (che sa¬ rebbe più giusto) accomodar P ingegno al vero. La disparità che fate tra la nave e P aria di altro luogo poco rideva, perchè sarebbe variazione accidentale di più e di meno : oltre che si potrebbe il moto della nave drizzar col corso della Terra, ed all’ ora il proietto, da questo e dal suo naturai corso aiutato, anticiparebbo 40 DI ANTONIO ROCCO. G75 quel della nave stessa, non che restasse indietro ; il che se così sia, lascio che ogn’ uno lo giudichi. Col rispondere a Simplicio che gli par impossibile che l’aria possa imprimere ad un sasso grandissimo il moto col quale ella si move, confir¬ mate la stravagante posizion vostra, elio si mova il sasso per l’aria da sua posta con l’istessa velocità dell’ aria, talché 1’ aria non ha da conferirgli un novo moto, ma solo mantenergli, o per dir meglio non impedirgli, il già concepito. Ed io vi torno a domandare, perchè dunque quel sasso non va sempre con l’istesso moto c velocità intorno alla Terra, stando l’istesse cagioni, naturalezze ed aiuti, senza discendere nè unirsi con essa ? e per qual cagione un sasso portato dall’ acque io correnti, ed aiutato più potentemente dal lor moto naturale quanto elleno più dense lo possono più facilmente sostentare, e supposto che corrano verso occi¬ dente overo per donde si fa il moto diurno della Terra, perchè egli (dico) con lince traversali discende al fondo? e per l’aria non vi descenderà per più dritte e più brevi? Tornate all’essempio della caduta d’un grave dall’albero della nave, attenuando che stando essa nave ferma o movendosi, sarà la medesima caduta sempre al piè dell’albero, e che cosi dicano quei che ne han fatto esperienza; dunque l’istesso accaderà movendosi la Terra, cioè che caderanno i gravi nel- P istesso segno per le ragioni predette : quasi (vi rispondo) che la disparità che pria apportaste tra questo moto della nave con P aria che la circonda e quel 20 della Terra, ora sia risoluta in nulla. Ma non importa; vi si ammetta come vi piace : seguite pure. Dite dunque, ripigliando il vostro discorso, che sopra una superficie piana, pulitissima come un specchio, di materia dura come V acciaio, paralella del tutto all’orizonte, senza alcuna sorte d’impedimento, una palla per¬ fettamente sferica, spinta, non avrebbe occasione di fermarsi mai nè di variar velocità (già nel piano acclive o declive sarebbe tutto P opposito, cioè ritardazione o accelerazione), e per conseguente potria far perpetuo il suo moto: delle quali superficie so ne trovano molte, come quella dell’acqua in bonaccia e quella del- l’aria non turbata: or dunque (doppo longo dialogare) inferite: Se la palla che casca dall’albero della nave s’incontra in una tal superficie so dell’aria™ che occasione avrà ella di ritardar il suo moto? perchè in giro non si volterà sempre regolatamente, nel modo che fa la Terra, di cui il sasso partecipa la natura ed il movimento ? Risponde Simplicio, ciò avvenir per due impedimenti : P uno, per la resistenza dell’ aria; l’altro, per il moto retto che fa la pietra all’ ingiù, che a questo circolare s’oppone. Replicate voi che il primo impedimento è poco ed insensibile; ed in questo io non voglio dir altro, chè poco importa: il secondo voi non l’avete per impedimento, già che si è visto di sopra che il moto retto e cir¬ colare non sono incompossibili ; onde, anco cadendo, la palla sempre è (secondo voi) in giro egualmente portata coll’aria o dall’aria, ed avete 1 uniformità de [411 non si trova tal cosa nel mio Dialogo <>76 ESERCITAZ IO NI FILOSOFICHE i proietti col moto della Terra. Ma vediamo quanto abbino di efficacia questi vostri discorsi. Prima voi ponete por fondamento del mobile, che si ha da mo¬ vere, una superficie di materia dura corno V acciaio, e poi passate noli’applica¬ zione ad una molle, rara e cedente come è l’aria all’aria istessa; o volete che nella medesima maniera sia qui la vostra palla di artiglieria sostentata, come sopra quella superficie durissima d’ acciaio. Di più, forse non sarebbe nè anco vero (so ben questo poco importa per ora) che quel mobile si movesse in eterno, essendo egli il motore, o V impeto impressogli di virtù finita o defettibile, nè es¬ sendo quel moto naturale; giù clic so bene fusse naturale alla Terra tutta la circolazione, la parto sua separata, di qual si voglia figura si fusse, non avrebbe io questo potere, come voi medesimo intendesti di dire centra Aristotilo. Ma pas¬ siamo più oltre. Che il moto retto non sia incompossibile col circolare, ò in buon senso vero; ma che non sia grandemente ritardativo di esso, e specialmente se l’uno sia intorno al centro o F altro diretto all’ istesso, è falsissimo, implicante di contradizzione e repugnante alle sensate esperienze. Pratichiamlo. Sia una gran ruota, anzi pur F orbo della Luna; o poniamo, per essempio, elio si aggiri intorno alla Terra, come intorno al suo centro, senza approssimarsi mai, nò più nè meno, ad esso, e con F istessa velocità raggiri il fuoco e F aria sino alla Terra. Pongasi nella Luna medesima un gran sasso elio debba venir in Terra ed unirsi con lei ; lascisi cadere a piombo ; io vi domando : Si approssimerà niente alla Terra, o no ? 20 Se non si approssimerà, dunque mai arriverà in Terra, ma sarà sempro nel se¬ gno ove fu posto. Se si avvicinerà coi suo moto cadente, mentre egli viene a basso, la Luna in giro avrà scorso più oltre senza dubio immaginabilo; ed ecco che il moto circolare non è del tutto compossibile col retto : altrimenti F istesso cadente sarebbo egualmente veloce e non egualmente veloce nell’istesso tempo e circa Fistesso segno, che è impossibile e contraddente. Or se, cadendo giù, quel che si volta in giro s’avanza, non avranno F istesso velocità circolari, ancorché ammet¬ tessimo il discenso per linee traversali con voi, e per conseguente non si salvereb- bono Fegualità di moti cadenti, se la Terra non stesse ferma. È ben vero che può il moto retto participar del circolare, 0 divcrebbe all’or misto 0 tortuoso, come si vede so di una nuvola, che da sè stessa va all’ insù direttamente e da i venti è in altra banda raggirata. All’ora il moto retto ed il circolare sono più compossibili, quando non concernano F istesso segno 0 centro, come una palla cadente può, cadendo, ruotar in sè stessa, ed ecco il moto circolare intorno al suo proprio centro, ed il retto al centro della Terra, senza impedimento 0 ritardamento. Ma non è al vostro proposito già che voi volete quel moto del sasso circolare intorno alla Terra, acciò adegui il suo moto, ed in oltre F altro col quale s’avvicini al cen- [42) ed al proposito di chi posson esser le cose che son fuor di tutti i propositi? DI ANTONIO ROCCO. 077 tro; non considerando die 1 ’ avvicinarsi ed il star egualmente distanti in un tempo da un sogno, o 1 ’ esser portato intorno e direttamente in un modo medesimo, contradice, come ho anco accennato. Essendo dunque assolutamente impossibile, anzi immaginabile, che possa una gran machina di pietre esser per un istante sostentata dall’ aria, cadentissima e quasi di niuna resistenza, non potrà nè anco esser portata in giro con velocità egualo al moto della Terra. E se direte che la sostenta e clic la porta, sopra questa vostra sostentazione e portata io con consequenza buona fabricai castelli e città in aria, stabili quanto sono i vostri fondamenti sopra i quali son fondati sì ammirandi edificii. Che un sasso cadente io dall’ albero della nave corrente venga direttamente al piede dell’ albero, io non lo credo ; c quando lo vedessi, in’ ingegnerei trovargli altra cagione che la rivo- luzion della Terrai, e questa sarebbe la immensa velocità di quel sasso, non co¬ nosciuta distintamente in sì breve spazio dalla tarda facilità sensitiva, con qual¬ che aiuto del striscio che farebbe la pietra circa 1 ’ albero, etc. Per venir poi ad un vostro disegno di impugnar la dottrina di Aristotile, tirate il vostro Simplicio ad imporvi un supposito che non faceste mai, cioè che quel sasso, clic casca da alto a basso, riceva il moto da virtù impressa dal proiciente, < la qual virtù (dice l’istesso Simplicio) è tanto esosa nella peripatetica filosofia, quanto il passaggio di alcuno accidente d’uno in un altro soggetto; ma ben è vero che, secondo l’istessa 20 peripatetica filosofia, il proietto vien portato dal mezo ; e però se quel sasso, lasciato dalla cima dell’albero, dovesse seguire il moto della nave, bisognarebbe attribuire tal effetto all’ aria, e non a virtù impressagli : ma voi supponete che P aria non seguiti il moto della nave, ma sia tranquilla. Oltre che colui che lo lascia cadere, non lo ha da scagliare nè dargli impeto col braccio, ma deve semplicemente aprir la mano e lasciarlo: e così, nè per virtù impressa dal proii- ciente, nè per beneficio dell’ aria, potrà il sasso seguire il moto della nave, e però resterà in dietro. > Sin qui Simplicio. Or qui (dico io) consideriamo alcune cose. Prima, voi non avete mai suppo¬ sto che il sasso cadente sia scagliato, ina che semplicemente cada, onde non gli 30 avete mai attribuita virtù impressa dal proiiciente ; sì che vi prendete un suppo¬ sito falso e fuora cV ogni proposito. Seconda, che fate imponere ad Aristotile che il mezo porti le cose proiette; anzi, per impugnar questa posizione (che avete stimato facile da fare), son state fatte da voi tante stirature, e con molte ragioni rendete quasi esausta la vostra faretra di quadrella e di dardi. Ed io intorno a questo vi rispondo, che non è dottrina altrimenti d’Aristotile che i proietti siano portati dal mezo, ma sì bene da virtù impressagli dal proiiciente, come ho chia¬ ramente mostrato con sua dottrina nell’ ottavo della Fisica; e più ampiamente sono apparecchiato di mostrare in qual maniera concorra il mezo, e per sentenza di C43j E chi, balordone, introduce qui la revolution della Terra? 078 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE chi osso sia stimato il principale, o conio tal ora sia anco d’impedimento, e come ciò si faccia senza passaggio dell 9 accidente da soggetto in soggetto (già elio non passa, ma si produce) : nò mi mancherebbe 1’ animo (non crediate che io fugga rincontro) di scioglier le vostro ragioni, parte de quali ho addotte ancor io nel precitato luogo, come potrà veder ciascuno; ma essendo alla dottrina d’A ristatilo od alla mia opinione conformi, stiano in buon’ ora intatte. La terza cosa da con¬ siderarsi ò la vostra inavertenza, il non sapervi valer dell’ occasione opportuna por avantaggiarvi o ferir facilmente il vostro aversario con lo sue proprie arme. Voi per più fondata ragione, fra V altre, adducete che i proietti cadenti seguino il corso diurno della Terra in giro, sì per esser di natura terrea, onde anco se- io parati ritengono il medesimo moto, sì perchè sono aiutati dall’ aria, che circo¬ larmente si move. Ecco, fra gli altri vostri luoghi, qui le vostre parole, che ora lo ho avanti gli occhi nel vostro libro: < Ma quando 1’ aria si movesse con pari velocità, niuna imaginabil diversità si troverebbe>. E seguendo soggiungete: < Alla pietra cadente dalla torre il movimento in giro non ò avventizio ed accidenta- rio, ma naturale ed eterno, e dove l’aria seguo naturalmente il moto della torre, e la torre quel del globo terrestre >. Ora voi sapete, per vostro inculcazioni ad Ari¬ stotile, che lo parti del corpo circolare non sono corchi c non possono moversi in giro da sè sole o ciò vi sarebbe malagevolissimo da provare; sì che agevole yì sarebbe stata la strada col tralasciar questo punto e prender quel che faceva 20 per voi. Quanto facile e sicuro dunque era, per salvar che quei cadenti si movano in giro al pari della Terra, il dire con Aristotile che siano portati dal mezo, c (a questo proposito) dall’aria ! chè non era gran fatto provar per molti capi non impossibili, che ella circolarmente si mova. Or non avreste qui fatto un colpo notabile e da maestro con tra Aristotile, assalendolo e ferendolo con la sua propria dottrina? in qual vigore sarebbe restato il suo famoso argomento di proietti cadenti a perpendicolo, per provar la quiete della Terra, se con le sue posizioni gli aveste potuto improverare che siano al pari eli essa portati in giro dal mezo ? ondo quantunque ella si mova, potrebbono nondimeno cascare a perpendicolo. Oh come avreste conchiuso, più tosto che ributtar quest’ armi, che 30 vi erano tanto favorevoli ! La quarta cosa è, che supponete il vento esser nient*altro che Paria mossa, opinione di molti antichi filosofi, ma non già di Peripatetici: però voi, che contra questi parlate, doveate apportarne qualche ragione, aspettando indubitatamente elio vi sarebbe negata ; c ricever le negazioni in filosofia senza difesa, è quasi oltraggio: nò mancano essi a sò stessi di provar che il vento non sia aria com¬ mossa, ma da quella totalmente diverso; ed anco ciò dovevi avvertire e confu¬ tare; ogni punto che giova a i vostri avversarli fa pregiudizio notabile a voi. Gli accidenti meravigliosi che dite seguir da i proietti, cioè che il moto della pietra cadente dall’ albero della nave che camina, facendo una linea trasversale, si faccia 40 DI ANTONIO ROCCO. 679 in tempo uguale con quel che si fa dalla medesima pietra cadente dall’albero che stia quieto; e così i tiri di colubrina verso l’orizonte di mille braccia o quattro mila etc., posta sopra una torre alta cento braccia, siano in tempo uguale con la caduta di una palla dalla torre al suo fondo; come che siano contra l’esperienza, ed in falsi suppositi, del vostro doppio moto retto e circolare, fon¬ dati, e di nissun rilievo alle nostre controversie, non voglio più che tanto con¬ siderargli, tanto più clic si solvono dallo determinazioni precedenti : ho voluto però accennargli, e per non romper il filo, e per tirargli in conseguenza al giu¬ dizio di discreti lettori. Fa instanza Simplicio con dire, che se fusse vero quel jo che avete detto di tali ugualità di moti, sarebbe anco vero che una palla ca¬ scata di mano da un cavalier che corresse velocemente sul cavallo, seguirebbe ella quel corso. A cui rispondete, che in effetto lo segue, pur che non abbia impedimento dalla scabrosità della Terra, nel modo che lanciata dalla mano lo seguirebbe, già che niente importa che quel moto sia alla pietra conferito im¬ mediatamente dalla mano del proibente, overo dal moto del cavallo, il quale è conferito al cavaliero, al suo braccio, alla palla che porta seco ed a quanto è congiunto con esso lui. E qui noto due cose: Puna è il vostro passaggio dal- P una sorto di spazio all’altro, che non fa punto a proposito vostro. Negli accidenti maravigliosi (che pur sono imaginarii) dell’ equalità de’ moti sudetti co voi ponevate il retto col circolare, nella caduta per aria, così compossibili elio non si impedissero, e perciò la distanza del spazio non rendesse sensibili le lor diverse velocità; cd ora date il séguito del moto alla palla caduta già in Terra, che per conseguente ninna participazione ha di moto retto. IP altra, che una palla lasciata solo cadere dalla inano aperta di un cavalier corrente, senza spingerla punto, riceva il moto da seguirlo poiché sia giunta in Terra, è tanto lontano dal vero e dalla sensata esperienza, quanto è V essere dal niente. Nè voglio più improverarvi questi vostri moti circolari, ed in aria ed in Terra, secondo che par vi caggi&no in acconcio, senza osservar repugnanze o con- tradizzioni ne i vostri detti. I vostri problemi di varie velocità di moti, cagio¬ no nato o dalla difformità di spazii, o dal modo d’imprimergli da i proicionti, o dalla diversità de gli stromenti, da voi per digressione apportati, non già soluti, non essendo punto nò importanti o repugnanti alle posizioni Aristoteliche, gli tra¬ lascio. Dite che la linea descritta dal grave cadente dalla sommità della torre sino alla sua base riuscirebbe in giro con circonferenza minore di quella che descriverebbe la sommità di detta torre, e lo designate in una vostra figura; o sarebbe vero, quando tre ipotesi fussero vere: l’una che la Terra si movesse circolarmente ; l’altra, che l’aria la seguisse con pari velocità ; e la terza, che essa aria fusse bastante a proporzione di sostentar corpi gravi tanto che si aggirassero : le quali essendo in controversie principalissime, a queste do- 40 vete attendere, e poi tirar le consequenze ; altrimente late petizioni di principio 680 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE notabilità. Sono anco ingegnoso lo tro meditazioncelle clic vi aggiungete, le quali da gli supponiti non concessevi restano, per conseguenza, mancanti; e date anco (per occasion di discorrere) tutte tro l’ipotosi vere, non mi par che riescano tutte giuste ugualmente a capello, come voi intendete tirarle. La prima, elio il mobile cadente da detta torre non si moverebbe altro elio di un moto semplice circolare, come quando posava sopra la torre: e questa patisco manco istanza doli’altre: gifl per i sup¬ posti (corno si vedo nella vostra figura) esso si moverebbe in giro; nondimeno al moto che avea stando posato sopra la torre si aggiunge quel della gravità pro¬ pria, il proprio cerchio minore ed il communo dell’ aria, onde partecipa di questo o di quello ; talché, se beno non si pregiudicasse alla circolarità, non sarebbe nò io così semplice nò così circolare a punto come quando posava sopra la torre. Oltre che (come ancor voi poco di sotto instate) il moto retto anderebbe del tutto a monte, che già in molti luoghi 1* avete ammesso. Ma questo non sia per istanza, conciosia che il vostro Sig. Salviati la scioglie, con diro che ciò sarebbe vero quando si fusse concluso il globo terrestre moversi circolarmente ; cosa che voi non pretendete che sia fatta, ma che si esamina le ragioni di filosofi, delle quali questa presa da i cadenti a perpendicolo patisco le difficultà clic avete sentite. La seconda meditazione ò, che quel mobile non si move punto più o meno che se fusse restato continuamente su la torre, essendo che gli archi che avrebbe passati stando sopra la torre sono precisamente eguali a gli archi della circon- 20 ferenza minore e propria, che ei passa sotto di essa: e questa io non la giudico vera, perchè (ciò che sia dell’ egualità do gli archi, che forse son più tosto pro¬ porzionati che eguali) il moto proprio del cadente, con cui si va avvicinando al centro, sarebbe proprio inutile e nullo. La terza meditazione 0 maraviglia è, che il moto vero e realo della pietra non vien altrimenti accelerato, ma ò sempre equabile ed uniforme, poiché tutti gli archi equali notati nella circonferenza CD (cioè nella descritta dalla sommità della torre) ed i loro corrispondenti, segnati nella circonferenza CI (che è la descritta dal mobile cadente), vengono passati in tempi eguali. Questa ha da provarsi, massimo che risponda il tempo equale senza accelerazione di moto, tanto più quanto ripugna alle vostre posizioni de i moti, so i quali dito che, venendo della quiete, hanno proporzioni e velocità diverse con augmento, tal clic a car. 217 [pag.248, lin. 17 - 22 ] avete queste parole: . Sin qui voi. A gli altri argomenti che sono fondati sopra i tiri di artiglierie e sopra il volar de gli ucelli, rispondete con gli fondamenti predetti : cioè che movendosi la Terra, e V aria insieme con essa, la qual conferisce il suo moto e porta quei mobili con la medesima velocità, che ha ella in sè stessa, e di più che gli mobili seguendo per lor naturalezza il moto della Terra circolare, niuna variazione farebbono in comparazione di tali moti aerei e terrestri, ma sì bene in rispetto di mobili particolari. Ed è V essempio chiaro : se in un grande navilio ben chiuso, onde non potesse esalar l’aria nè entrarvi altra di novo, si io facessero diversi moti, sì che due uomini, v. g., si corressero alTopposito, o l’un corresse, V altro stesse fermo, e diverse mosche o tafani volassero per il navilio, non si conoscerebbe qui altra differenza che la diversa approssimazione overo elongazione fra loro ; ma nel moto della nave e dell’ aria commune a tutti, e da tutti ugualmente participàto, non vi sarebbe alcuna differenza, a punto come se la nave stesse ferma: così il moto della Terra e dell’aria, communicato indiffe¬ rentemente a tutte le cose, non pone distinzione nè conoscenze diverse. E che l’aria possa col suo moto portar questi proietti, si vede in altre esperienze, spe¬ cialmente mentre, agitata, move e spinge impetuosamente vascelli smisurati in mare, sbarbica gli antichissimi e grandissimi arbori, scuote ed abbatte torri ed 20 edificii validissimi, etc. Ma quanto vagliano queste risposte, si può conoscere (ri¬ spondo io) da quel che è stato detto di sopra: conciosia che sempre supponete e che la Terra si mova e che l’aria insieme con essa, e che questa porti i proietti col suo moto naturale, ed in oltre anco che essi, separati dalla Terra, intorno a quella si aggirino: le quali cose essendo tutte falsissime e dichiarate per tali, ed alcune anco ripugnanti fra loro, come che i proietti siano portati dall’ aria ed anco si movano del medesimo moto circolare naturalmente, essendo la vezzione moto violento alla cosa portata, e pur dite l’uno e l’altro ; overo (per concedervi quanto più posso) avendo bisogno estremo di esser provate o fatte almen veri¬ simili, e voi ponendole per ricevute e per note; commettete consequenze erronee so e petizioni di principii manifeste, e non è altro che discorrer condizionalmente, che niente rileva, niuna cosa assertivamente determina, come chi dicesse < Se 1’ uomo avesse 1’ ali, volarebbe, sarebbe un uccello, sarebbe irragionevole, etc. >, le quali illazioni minano dalla falsità dell’ antecedente. Nè V essempio della nave 6 al proposito : perchè se bene quel moto di essa, conferito a tutte le cose che vi son dentro, non apporta fra loro diversità, nè di essere nè di conoscenza, e T aria rinchiusa è portata col medesimo moto, ad ogni modo un grave proietto in quel- P aria non sarà da lei sostentato nè portato, ma cascherà nel fondo della nave e non seguirà il moto dell’aria rinchiusa, come è manifesto; così, ancor che V aria intorno alla Terra si movesse o fusse dal suo movimento portata, come quella 40 die è rinchiusa nella nave, non perciò porterebbe seco nè sostenterebbe i gravi, vii. 80 G82 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE nò essi hanno, nò possono avere, quel moto circolare intorno alla Terra, mentre sono da lei separati, sì conto si ò visto di sopra. Che poi Faria(o siasi il vento) spinga i navilii, spezzi e spianti gli alberi e lo torri, non è simile per imagina¬ zione. Spingo i navilii, ma non gli sostenta; sono essi sostentati dall’acqua, di cui sono naturalmente più levi : tal che all’ esser sostentati ò facil cosa in un elemento fluido aggiunger il moto, il qualo non ò così veloce come è quel de i venti che gli lo conferiscono, onde non lo agitano nò anco del pari. Dir < Spin¬ gono, dunque portano » non è vero : come lo spingere non è portare, così gli im¬ peti fatti alle torri ed agli alberi non sono portamenti ; e per consequente, argo¬ mentar da questi moti violenti, irregolati, ad un che sarebbe regolato, equale, io eterno nell’ aria, nella Terra e no i mobili, ogn’ un vedo quanto conchiuda. L’altro argomento, cito se la Terra si movesse, anderebbono in mina gli cdificii e le città, con quello che le parti agitato si scaglierebhono con violenza, quantunque tena¬ cemente conteste, io non l’ho avuto mai per argumento di alcun valore, ma di niun momento e falso, sì per la regolarità, uniformità o naturalezza clic sarebbe nel moto circolare terrestre piacevole, come per le consequenzo violenti e repu¬ gnanti che no seguirebbono, le quali voi apportate distintamente con vaghe di¬ mostrazioni, ed io sono con voi ; non ò però di Aristotile, come credo sappiate benissimo. Nello vostre domostrazioni geometriche che intorno a questa parte pei digressione adducete, non voglio tralasciar di ricercar di un punto che sempre 20 ho stimato difficile ed inintelligibile, per non dir falso: 0 questo ò circa quel vostro communissimo detto, Sphaera tangit planimi in pimelo. Iinperciocliè se questo fusse vero, seguirebbe che la linea potria esser composta di punti, e la sfera parimente ; anzi la sfera non sarebbe sfera, nò sferica, ma del tutto indi- visibile. Conciosia che, posta la sfera sopra un piano perfettissimo, tirata a stri¬ scio, segnerebbe una linea, e pur sempre tocca in un punto ; ecco che le parti della linea sarebbono punti, e di essi verrebbe ad esser composta : la qual cosa ed in filosofia ed in matematica ò stimata falsissima, già che vogliono, ogni quan¬ tità continua costare diparti sempre divisibili Anco la sfera saria pur f45] Il dire che il continuo consta di parti sempre divisibili, importa 30 che, suddividendo, non si arriverà mai ai primi componenti : i primi componenti dunque son quelli cho non son più divisibili; ed i non più divisibili sono gl’ indivisibili, i quali son quelli che si chiamano punti : adunque il continuo si coinpon di punti : e però, Sier Peripa¬ tetico, mentre tu di’ che il continuo si compone di parti sempre di¬ visibili, vieni, non te n’accorgendo, a dire che la prima composizione del continuo è di indivisibili. nota : le parti prime componenti devono essere incomposte, alioquin DI ANTONIO HOCCO. G83 di punti c di muna quantità; perchè voltando in giro la sfora sopra V istcsso piano, senza variar sito o distanza, sempre toccherebbe in un punto, e così i punti contigui, inizi continui, a i punti la constituirebbono ; overo bisognerebbe venir a dar altro contatto che di punti, e così non toccherebbe in un punto. Ed essendo il punto indivisibile, non può conferir esser divisibile, nè quanto, nò circolare; perciò se¬ guirebbe finalmente che la sfera saria indivisibile, non quanta, non sfera, non sferica. Nò la vostra dimostrazione può levar questi evidentissimi assurdi, anzi sarebbe meno inconveniente (secondo il mio giudizio) dire che una linea retta tirata tra duo punti non sia sola la brevissima: e questo concluderete con la io vostra dimostrazione in questo senso, che ella sia brevissima sì che non ve no sia alcuna altra più breve; ma altre ugualmente brevi, non sia alcuno inconveniente, come mostrate : ed in questa maniera non supponereto una falsità manifesta per salvar una proposizione che ha diverse interpretazioni ; già i superlativi nell 5 espo- sizion negativa admettono gli eguali, e così sarebbe al proposito. Io so però be¬ nissimo che la ragione per la quale sia stimata vera la predetta proposiziono, Sphaera tangit planum in putido , ò perchè il circolare s 5 adeguerebbe al piano, onde non saria circolare (cd ha buona apparenza) : ma chi dicesse (rimettendomi per sempre a miglior intelligenza), che nella brevità del piano, ove accade il contatto con la sfera, si trovi in quantità reale respettiva indifferenza all’ esser 20 piano e circolare, avrebbe forse detto meglio che in altra maniera, nè si sarebbe forzato a diro che nel punto fusso curvatura, come bisognerebbe dire se toccasse in punto, poiché per levarsi dal piano doverebbe il punto subito far parte di arco. Nè io intendo usar la distinzione di sfere astratte o materiali, come fa il vostro Simplicio; anzi essendo le matematiche scienze reali, hanno da verificarsi realmente e da esser applicate alle cose esistenti, come dite ancor voi, onde pos- sino trovarsi e piani perfetti e figure sferiche perfettissime. Avrei per minor as¬ surdo che lo superficie piane tra loro si toccassero in un punto, che la sfera il piano. Di queste e simili difficilità avrei ben caro aver le evidenze infallibili che vantano i matematici. so Resta che diciamo alcuna cosa particolare circa la risposta che fate al decimo argomento, delle nuvole e de gli ucelli. Dite per tanto, cho perciò queste varia- non sarebbon le prime; ma le parti quante son divisibili, adunque composte, adunque non primo. tu stesso, oli Peripatetico, affermi o pronunzii, il continuo esser composto d’indivisibili, mentre dici esser composto di parti sempre divisibili. le vere componenti son quelle che compongono senz’esser composte. non sono le 100 parti che compongono la linea, perchè le 200 com- pongon la medesima linea ed anco le 100 sincutcgorevuitice . 684 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE zioni in essi non si conoscono, perchè, oltro il moto loro proprio, sono portati con egual velocità dall’aria; nel modo che son portato tutto lo cose ugualmente elio sono entro una nave, facciano pur osso, dentro, qual moto particolare e pro¬ prio lo piace. Segno di questo dito esser il tiro do gli iniherciatori, conciosia che costoro, mentre prendono di mira con 1’ archibugio gli ucolli volanti, non prendono il punto o la mira distante da gli ucelli per aggiustarsi al volo di essi, ma che tirano a questi come se tirassero a quei clic stanno fermi, segui¬ tandoli con l’archibugio o mantenendogli sempre la mira adosso ; il che avvieno elio nel moto communo participuno uniformemente a capello tanto gli ucelli quanto gli imborciatori, il che non potrebbe essere se non avessero il moto eguale io nell* aria con quello della Terra; ondo il moto della palla, dell’ ucello e dell’ucel- latore, quanto al giro universale, è indifferente ed uno solo [491 . < E di qui (dite) di¬ pende la propria risposta all’ altro argomento del tirar coll’ artiglieria al berzaglio posto verso mezo giorno o verso settentrione ; dove s’instava che quando la Terra si movesse, riuscirebbono tutti costieri verso occidente, otc. > Or qui io vi faccio lo medesime instanze che ho fatte di sopra, e conseguenti a quelle vo ne aggiungo dell’ altre. Vi dico dunque che, secondo questa posiziono vostra, ò assolutamente necessario che e gli ucelli predetti e le nuvole o lo palle d’ artiglieria (oltra il lor moto proprio col qualo volano, sono portate da i venti o dalla lor levità, o sono tirate dalle bombarde) abbino il moto commune ed equabilissimo a quel 20 della Terra, sì che al pari di essa nell’ istesso giro siano raggirati : e ciò non può esser dalla Terra medesima, per esserne lontani ; dunque dall’ aria, che ha il moto istesso della Terra, e così appunto dite voi in più luoghi con varie frasi. Or udite. Prima vi torno ad addurvi l’impossibile che a questo proposito vi ho addutto altre volte, cioè che 1’ aria possi portar quei pesanti mobili, nè per natura, nè per violenza, nè per sua celerità 0 vertigine. Poi vi aggiungo l’esperienza in con¬ trario certissima, quella (dico) che yoì apportate in favor vostro, de gli imber- ciatori : già che essi dicono che per coglier di mira l’ucello volante, è necessario che col dritto dell’ archibugio s’ avantaggino, sì che Be vogliono ferir verso il fin dell’ ale, si tengono alla testa, se alla testa alquanto avanti, altrimenti la palla so tirata resta indietro; del che diligentemente ho domandato a molti, e tutti con¬ cordemente ciò dicono, oltre al spazio 0 giro che fanno le palline, che pur im¬ porta : talché non è vero che noi siamo di ugual moto portati con essi. Di più, non rammentandovi di quanto avete detto, a car. 233 [pag. 264, lin. 7-9] dite queste parole: «Oltre che, come ho detto, non è l’aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguono il suo moto > ; e qui (oltre l’indurvi in [40] Capo durissimo, inetto a intender nulla, d’onde cavi tu che io abbia detto mai che per il moto comune dell’aria e della Terra gl’im- berciatori colgano gli uccelli volanti ? DI ANTONIO ROCCO. 685 contradizzione manifestissima) vi argomento in questa foggia. Se i mobili sepa¬ rati dalla Terra non son portati dall’aria, ma naturalmente seguono il suo moto, seguirebbe (oltre 1’ altre cose che ho detto contra di voi e con verità, e con le repugnanze delle vostre posizioni) che un istosso mobile nell’istesso tempo si moverebbe di due moti per 1* istessa linea direttamente opposti, come sarebbe avanti ed indietro per linea retta, senza fermarsi e senza esser portati : già che potrà il proietto esser tirato direttamente contra al moto della Terra, cioè verso occidente, dato che ella si mova verso oriente; or secondo quella proiezione il mobile di moto violento va verso occidente, e per seguir il naturai della Terra, io non portato dall’aria, corre verso oriente; e così è manifesto quanto dico. Che se pur poteste mantenere che fusse sostentato e portato dall’ aria, questa con¬ tradizzione non accaderebbe : già è sicuro che uno, portato in nave, dentro di essa dalla prora alla poppa può correr quanto gli piace, correndo la nave dalla poppa alla prora ; ed avrà nell’ istesso tempo due moti opposti per Y istessa linea, 1’ uno avanti, dalla nave, l’altro indietro, da sè stesso ; e non è alcuno inconve¬ niente, essendogli quel della nave accidentale e comimme. Ma che quell’istessa persona, o sia sasso o legno, vada insieme per diretta linea in un tempo inanzi ed indietro, non è nè anco imaginabile, perchè sarebbe un’ istessa cosa avvici¬ narsi ed allontanarsi, essere e non essere in un medesimo termine, con altre con- 20 tradizioni indubitate: così accaderebbe de i vostri mobili proietti, non portati dal- 1’ aria e seguaci del moto terrestre circolare. E se siano portati, voi avete visto quante difficultà e ripugnanze al vero ed a voi stesso ne seguono. Rispondete all’ undecimo, nel quale si dice che se la Terra si movesse, sen- tiressimo ferirsi dall’ aria, come ci occorre andando correndo a cavallo, che ciò non sia vero, perchè anco l’aria è portata coll’ istesso moto : ed in effetto, quando ciò fusse, T argomento sarebbe sciolto, ed accaderebbe giusto come all’ acqua che queta sia portata entro una barca o altrimenti, perché i pesci che ivi matas¬ sino, non avrebbono quel moto dell’ acqua in nissuna maniera per opposito o repugnante, ma quanto se ella fusse stabile da ogni movimento. Con tutto ciò so voi non avete apportata soluzione se non supposi tale, o con supposito falso, onde ò più tosto nugacità. Supponete che la Terra si mova, e non lo avete mai nè dimostrato, nò provato, nè reso verisimile ; e sopra questo fabricate le soluzioni Supponete parimente che 1’ aria abbia l’istosso movimento ; e pure non apportate ragione, congruenza o apparenza da confirmarlo. Ed in oltre, concessovi che la Terra si mova in giro e che circolarmente si mova anco 1’ aria, qual ragion vuole che si movi dell’ istesso movimento totale della Terra ? non è ella corpo naturale, agile, diversissimo in mille modi dalla Terra? perchè non avrà il pro¬ ni Di fronte alle parole « Supponete cho la postillato da Galileo, un sogno marginalo in figura Terra ... soluzioni » si vede, nel citato esemplarti d 1 una mano, dovuto allo stesso Galileo. ESERCITAZIONI FILOSOFICHE 686 prio moto distinto o diverso da quello di essa ? e so lo ha, ò necessario che, agi¬ tata, si faccia gagliardamente sentire in faccia a quei che vi corrono all 1 oppo¬ sto, come un fiume rapidissimo ad una nave che va contro la sua corrente. Se diroto elio ? aria sia priva di moto, assonatene la ragione. Dito anco qual sia la virtù della Terra, nel rapir così giustamente col suo moto quest’ aria. Diceste giù. di sopra che la scabrosità di essa Terra con l’inegualità de’ monti possono rapire l’aria bassa, umida, pesante; dunque nell*altissime sommità do’monti non ci sarà questo ratto, e per conseguente, movendosi colà solo la Terra, si sentirebbe questo veemente soffio dell’ aria, con tutto che da venti e da altri esterni accidenti fusso tranquilla. La consequenza è manifesta : ma quanto sia io falso che così si senta, dimandatene pur a chi volete ; a voi medesimo, chò non credo non vi sia occorso più volte, no i viaggi, trovarvi nell’ altezze de’ monti con 1’ aria quieta ed immota. Mi direte con qualche apparenza, che nel modo con cui dicono i Peripatetici ragirarsi il fuoco nella sua sfora dalla velocità del cielo, così l’aria da quella della Terra; ed io vi rispondo in due modi: l’uno, che il fuoco non ritiene la medesima velocità elio l’orbe agitato, come si mo¬ stra per tante impressioni ignito che nella sua sfera si veggono; o così l’aria non avrebbe moto equabile con quel della Terra; il clic sarebbe contra tutte le vostre posizioni a questo proposito, ed in niente si dissolvcrebbono le vostre ri¬ sposto a gli argomenti fatti per la stabilità della Terra, con gli essempi di i»o proietti, di tiri, di ucelli, nuvolo etc. L’altra risposta ò, che voi ponendo i corpi naturali mobili di moto circolare, ò convenevole che anco questo convenga all’ aria, o elio non sarebbe corpo naturale, ma vano ed ozioso ; e so gli con¬ viene, essendo essa aria diversa dalla Terra, avrà tal moto da lei diverso non impedito, già che movendosi in giro a diversi segni, non già V un contra l’altro ad un solo, non avranno impedimento, sì clic 1’ un teglia 1’ altro, quantunque vi potesse esser qualche ritardazione: c per questa causa l’aria avria indubitata¬ mente il suo moto diverso da quel della Terra, e così olii incontro lei corresse sentirebbe la sua agitazione gagliarda. Perchè private anco di moto l’acqua? che peccato hanno fatto questi due elementi contra di voi, clic li disnaturalizato, ao con dar varii moti alla Terra sola? e se l’acqua ha il suo proprio moto diverso da quel dell’ aria e della Terra, quante altre difficultà alle predette si aggiun¬ geranno contra lo vostre posizioni ? Nè io voglio stendermi ad indurle, sì per non uscir dal metodo, che ho proposto, di esser breve, come perchè coll’accennarne lasci arò campo a’ studiosi di speculare più oltre. Secondo vario occasioni ponete diversi detti (li Aristotile e gli impugnate: primo de’quali è, che le velocità di gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proporzione delle loro gravità, cioè che il più grave discende più velocemente o in minor tempo, e secondo che è maggiore, il tempo della caduta è più breve; contra la qual posizione argomentate in questa maniera a car. 218 [pag.249, iin.88 — pag.260, iin.8] : io DI ANTONIO HOCCO. 687 Se questo fusse vero, seguirebbe che, < lasciato nell’ istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libre, l’altra (li una, dall’altezza di cento braccia, la grande arrivi in Terra prima che la minore sia scesa un sol braccio; al clic non può accomodarsi l’imaginazione, cioè che la grande sia giunta in Terra quando la picciola sia ancora a mcn d’un braccio vicina alla som¬ mità della torre >. Alla quale obiezzione io rispondo chela posizione d’Aristotile è buona, e voi dovreste solver la sua ragione [47J , e poi ar- gumentargli contra. Ditemi, per vita vostra, se l’effetto reale inseparabile della gravità è tender all’ ingiù, perchè, ove più gravità si trova, ivi non ha da accelerarsi io più il moto del corpo cadente, e così sempre a porzione, eccetto se occorresse estraneo impedimento? sopra quali ragioni più certe sono fondate tutte le ve¬ rità delle misure infallibili de’pesi, che sopra di questa irrefragabile ? Nò la vostra instanza è di momento alcuno, ma è manchevole per il difetto del senso, conciosia che il tempo nel quale si passa il spazio da i due gravi predetti è sì breve, che non può dalla vista esser con sì fatte proporzioni diviso [48] ; anzi, per es¬ ser ella debile, nella velocità di moti velocissimi tal ora per spazio grande e notabile non scorge diversità alcuna di tempo, come si vede chiaramente nel tiro di un archibugio o bombarda, che ha con la palla toccato il segno quando ap¬ pena si ò vista scoccare. Così per la tardità non vediamo il moto che fa un rag- 20 gio de gli orologii clic mostrali 1’ ore, quantunque alle volte sia di quantità non mediocre; e per distanza convenevole le navi velocemente mosse da i venti e da i remi si mostrano parimente immoto. E voi vorreste le predette velocità in spa¬ zio tanto breve misurarle così agiatamente, come se quei mobili si movessero col passo della testuggine? Quanta poi sia questa velocità, quanto, per conseguente, brevissimo o quasi impercettibile, e difficile o più tosto impossibile da misurarsi o distinguersi da noi, il tempo de’ (lue predetti cadenti, lo cavo dalla dottrina vostra medesima [19j . Dite che la distanza dal concavo lunare al centro della Terra sia di miglia 106000, e che si passerebbe in ore 3, minuti 22, e 4 secondi : or cento braccia di spazio, che sono meno della decima parte di un miglio, in qual so momento di tempo (per così dire) secondo il vostro computo si passeranno ? e come dividerete l’impercettibile ? Ben sono in sè stesse ammirando 1’ opre della natura, ed eccede la ragione la cognizione tardissima del senso ! È vera (dico) per tanto secondo la ragione dimostrativa la proposizion d’ Aristotile, ma non ò misurata adequatamente dal senso ; nel modo appunto che i matematici, con la miglior parte de’ filosofi, vogliono che in ogni continuo siano parti infinite, c [47] la ragione addotta da Aristotile ò V esperienza ; e con V espe¬ rienza si mostra la sua falsità. [i8] Ma come fece Aristotile a dividerlo con sì fatte proporzioni? [49] se voi lo cavasti dalla mia dottrina, direste che ò assai lungo. 688 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE lo tengono per indubitato, o pur repugna al senso e quasi alla capacità istessa deir intelletto. Nondimeno in alcuni gravi di materia men terrea o mcn pesante, come sono tavolo ed altro, se no vede, se non a pieno (per il difetto sudetto del senso), almeno a porzione, esperienza sensata e convenevole ; ed io già con il prenominato parziale di queste vostre dottrine lo pratticai di vista, e la dottrina di Aristotile vi corroborai. Dito (a car. 230 [w- 261 , lin. 29-31]), di aver così per naturale il moto in su di gravi per l’impeto concepito, come il moto in giù dependente dalla gravità, anzi clic de’due moti, 1’ uno chiamato naturale, 1* altro violento, siaun solo principio naturale, e, per conseguente, quel che vien detto violento, non sia tale in effetto; io c no apportate essempi diversi, come del grave percosso in Terra, che dall’istessa virtù che giù lo spinse, per riflessione lo ribalza in su. Parimente, se la Terra fosse perforata per un pozzo elio passasse per il centro di essa, una palla di ar¬ tiglieria, lasciata cader in giù, da principio intrinseco naturale si condurehbe al centro, e colà giunta continuerebbe di moversi, e sarebbe andare all’insù, cioè verso il cielo dall’altra banda, e questo è detto moto violento: dunque proviene da principio naturale etc. In oltre, una palla di legno, descendendo impetuosa dall’aria nell’acqua, continuando la sua scesa per longo tratto si sommerge; e pur ò contra la natura del legno, la quale è di nuotar sopra V acque. Ed in una parola (aggiungo io), tutti i proietti che cominciano col moto naturale, e per 20 quel che diciamo violento si riflettono, hanno da un intrinseco principio solo l’uno e l’altro moto; dunque sono ambi naturali. Onde sarà anco falsissimo quel che dice Aristotile, elio sia violento quello il cui principio è esterno, essendo questi tali moti, detti da noi violenti, da interno principio. Or io con brevità vi rispondo, che propriamente solo quel moto deve dirsi naturale, che immediate da principio naturale senza concorso di alcuno estraneo agente o impedimento proviene, ed è ordinato dalla natura del mobile a conse¬ guir il line overo il termine naturalmente dovutogli; che se poi trova impedi¬ mento, per quello (che è ed al mobile ed al moto medesimo estrinseco) dege¬ nera e s 1 imbastardisce, anzi muta natura e diventa violento, talché non ha il 30 principio medesimo che aveva: e così non è l’istesso principio del moto naturale e del violento, come voi stimate. Il violento, all’ opposito, nò immediate dall’ in¬ terno principio proviene, nò al termine naturale è ordinato, ma sempre estraneo, sempre repugnante all’ acquisto di esso termine. Meglio però sarò inteso, se di¬ scenderò a i particolari de’ vostri essempi. A quel dunque del grave cadente riflesso, come una palla da giuocare che percossa in Terra ribalza, vi dico che quel moto all’ insù non procede dall’istesso principio da cui procedette quello all’ingiù; poiché quello fu causato dalla gra¬ vità naturale del proietto, aiutata forse dall’ impeto del proiciente (che poco però importa), ma quello all’ insù del ribalzo viene dall’ estrinseco riverberante, che io DI ANTONIO ROCCO. 689 è la Terra o altro talo: o quella virtù che naturalmente operava nel discenso, impedita e conturbata, cessa dall’ opra naturale, ed in suo luogo succede dalla predetta cagione la violenza con gli suoi proprii effetti ; e perché nel riflesso tra- meza la quiete, diventano due moti diversi, e da diverse cagioni lio h ed in questa maniera non è P istesso principio di due contrarii moti, se bene gran forza prende il violento dal naturale, che suppone per base e per fondamento, corno il calor estraneo di febro sopra il nativo si fonda e si avanza, anzi dalla corruzzione o alterazione di esso riceve P essere. Chi dicesse anco, che un principio naturale è causa di naturale effetto por sè stesso, ma accidentalmente o por intoppo è anco io causa del suo contrario, non avrebbe detto cose diverse molto dalle predette, ma avrebbe metodicamente parlato con la dottrina di Aristotile istesso, nell’ot¬ tavo della Fisica, al testo ottavo, ove ha queste parole formali : Alia cnim mo- vmt singulariter, alia autem secundum contrarios motus, ut ignis quidetn cale- facit, frigefacit antem non: scicntia autem videtur contrariorum esse una. Vidctur igitur Mie esse aliquid eiusmodi; frigidum cnim calefacit (e qui notate) versimi quodammodo et abscedcns; e nel secondo della Fisica, testo 30: Amplius autem eadem est causa contrariorum. Il che ho voluto apportarvi, acciò si veda che que¬ sta vostra considerazione è stata dal medesimo Aristotile fatta, non per impu¬ gnarvi con P arme sue, chè sarebbe nugacità e petizione pi] . 20 All’ essempio della terra forata, io negherei liberamente e senza scrupulo al¬ cuno che, giunta la palla al centro, seguisse il suo moto dalla parte dell’altro emisfero verso il cielo; e voi nè con ragioni nè con esperienze potreste pro¬ varlo. Quel che mi induce a negarvelo, non è ostinazione nè fuga, ma una na¬ turalezza di questa sorte : che non saprei invaginarmi chi la spingesse, e per qual cagione fuggisse da quel suo luogo a cui aspirava di giungere : quivi non sono impedimenti, non contrarii, non ribattenti ; il moto ha il suo termine naturale. [50] nel passar da un contrario all’ altro, bisogna che medii (par- lando de i moti) la quiete ; ma se nel punto del regresso intercede la quiete, chi dopo di quella spigne ’l grave in su ? so se intercede la quiete, chi caccia poi in su il mobile ? t61] Quale sproposito è questo, dir di non mi voler impugnar con P arme d’Aristotile ? non vedete dunque che quest’ arme favoriscon la causa mia ? E che altro dico io se non che, con Aristotile, contrariorum eadem est causa, mentre dico, i moti naturale e violento, da voi tenuti contrarii, derivar dall’istessa causa? Questo poveretto s’ annaspa. Prima vorrebbe che i miei concetti fusser falsi, e poi, se gli conosce aver qualche spirito, cerca di fargli d’ altri. vii. 87 G90 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE Nè gli essenti» (li pendoli, elio voi apportate, sono simili : perchè in questi (come potete osservare) sono sempre violenze ed impedimenti, che non trovarete nel- 1’altro caso; nè mai, per quanta osservazione potrà fare ciascun cu¬ rioso intelligente, si troverà diversità ne gli effetti della natura senza qualche diversità nelle cagioni 1 *' 1 , o pure sarohbono effetti senza causa; e questa diversità in tal caso non apparisce; dunque nè novo nò diverso moto ardirei di imaginarmi. All’ essempio della palla che si sommerge cadendo in acqua, dico elio ella con la sua gravità operatrice cerca di avvicinarsi quanto più può al centro, e coll’ impoto concepito nel discendere fende 1’ acqua senza interrom¬ pere il suo moto; la quale, essendo di natura più grave del legno, va sempre re- io sistcndo, e si avanza di modo che nel discenderò vince, e la palla con la sua le¬ vità finalmente sovrastò ; onde non avendo il legno prodetto per suo luogo ultimato 1’ acqua, nè essendo semplicemente leve, ma rispective, con gravità congiunta e con mistura varia de gli elementi, non ò alcun inconveniente che in una pugna ed opposizione di altri corpi sortisca diversità di moti, tanto più che i moti ed altri accidenti simili sono facilissimamente producibili e variabili, e molto più secondo voi che gli annoverate tra i respcttivi. Tornate pur di novo (a car. 244 fpag. 275, lìn. i o sog.]) ardentemente ad inculcare 1’ esperienze del senso, ove si fonda la dottrina Aristotelica e Tolemaica, con dire che commettono equivoci e paralogismi, come credete aver mostrato di so- 20 prn, o la vostra, con quella di Aristarco Samio già e poi di Nicolò Copernico, abbia sensate infallibili esperienze; e dall’altro canto dite che il senso non co¬ nosce i moti circolari dell’ aria e della Terra, sopra i quali è fabricata tutta la vostra machina, con essempi di quei che sono rinchiusi in una barca; e da i suppositi insensibili, incerti, non dimostrati, non venite nò anco a niuna cogni¬ zione sensitiva, ma dalla supposita arguite che quel che si vede e crede esser moto retto di cadenti, sia circolare non conosciuto : e così ne i progressi delle vostre speculazioni non procedete da principii noti, nè dagli ignoti ed imaginarii concludete alcuna cosa evidente. Or vedete che vaghe dottrino, che cognizioni sensitive son queste vostre ? su qual sodi fondamenti fondate la fabrica del vo- so stro filosofare sensibile ? Or con quanta ragione potete improverare a i segnaci di Aristotile (come fate nel primo Dialogo), che se esso Aristotile avesse avuto le cognizioni sensitive, che avete e che mostrerete voi, delle cose naturali, avrebbe mutata opinione, ceduto alle suo determinazioni, ed accostatosi alle vo¬ stre? Ma, di grazia, si faccia fine di questo: nondimeno l’iterazioni vostre sì spesse m’invitano a risentirmene. In molte altre cose vi diffondete, nel vostro secondo Dialogo, massime nel re- [52] Ma se questo è, come sarà vero il detto poco di sopra, cadetti est causa contrariar uni ? DI ANTONIO ROCCO. U91 citar cd impugnare prolissamente un libretto di conclusioni; nella quale lettura non scorgendo io cosa alcuna di nova repugnanza alle posizioni di Aristotile (che solo mi ho assunto in questi brevi esercizii di difendere), giudico bene di tralasciarle. Calcoli per le stelle nove , situazione de gli orbi celesti, cagione del flusso c reflusso del mare. Esercitazione Ottava. Tre importantissime controversie intendete discutere, Sig. Galileo, nel terzo e nel quarto vostro Dialogo; le quali se bene voi diffusamente trattate, io non¬ io dimeno, senza pregiudicare alle vostre ragioni fondamentali, attraendone fidel- mente il punto circa il quale s’ aggira la trama delle dissenzioni, con brevità le ridurrò a capo ed a leale legitima intelligenza. La prima, dunque, è delle stelle che già (come si ò detto ancora) sono state viste per alcun tempo notabile nel ciel stellato; la seconda è della situazione o struttura de gli orbi celesti ed ele¬ mentari; la terza, del flusso e reflusso del mare, con altre difficoltà meno im¬ portanti inserte con vario occasioni in varii luoghi, che parimente, in conse¬ guenza deir ordine, non saranno da me pretermesse, per quanto perteneranno alla controversia tra voi e gli Aristotelici. La prima per tanto, delle stelle, s’aggira intorno a questa difficultà, se elleno 20 abbino avuto il suo sito reale nella region celeste e (come dicono universalmente) nel ciel stellato, o pure fra gli elementi; circa la quale ogni vostro sforzo e la totale vostra intenzione è di provare che siano state nel cielo : il che volete che sia certis¬ simo per via di calcoli esattissimi di dodeci astronomi, i quali calcoli puntualmente registrate nel vostro terzo Dialogo, e dite che malamente, anzi con modi ed osserva¬ zioni più tosto ridicole che dimostrative, siano stati impugnati da un tal Peripatetico, il cui fino era mostrare, cotali stelle esser state sublunari. Volete dunque risoluta- mente che le predette stelle siano state nel cielo, e che ciò con universa! assenso de’più periti astronomi sia da’buoni intelligenti di questa professione ricevuto per vero indubitato ; e voi specialmente, con pensiero costante ed immutabile, so assicurato dalle vostre osservazioni, da i calcoli pretesi da voi infallibili, lo affer¬ mate e difendete per evidentissimo. Dalla qual posizione ne inducete per conse¬ guenza due altre : l’una, che quelle stelle fossero di natura celeste ; l’altra, che i cieli siano generabili e corruttibili. Or discorriamo prima del sito, e poi ordi¬ natamente discenderemo alle conseguenze. Intorno a questa difficultà io non in¬ tendo, con calcoli ed osservazioni ripugnanti alle vostre ed a quelle di coloro che la intendono con voi, provare o dimostrar l’opposito di quello che voi ed essi hanno creduto provare o dimostrare, cioè che quelle stelle non siano state nella 692 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE region celeste, ma solo fra gli elomenti; e questo faccio per due cagioni. L’una, perchè non protendo concorrer con voi nello professioni matematiche, ondo con altre opposite dimostrazioni nell’istesso genere voglia espugnar le vostre: il clic però non saria bastante per la mia causa, se fusso assolutamente questo con¬ corso necessario, anzi avrei inappellabilmente persa la lite, e non avrei assunta Pimpresa o ne desisterei; ma perchè giudico, ed è vero in effetto, che gli prin- cipii filosofici sono por sò stessi sufficientissimi alla difesa di ogni oppugnazione di quanto da loro dipende, come tutti i prinoipii dell’ altre scienze sono in quelle totalmente bastovoli, se pur non fossero di subalternate, il che non occorre al proposito. L’altra, perchè non credo pregiudichi in niun modo alle dottrine Ari- io stotcliclie 1’ apparenza di queste nove stelle, anco so nella region celeste e nel firmamento stesso siano realmente state esistenti. Talché questo primo punto cortesemente per ipotesi voi concedo : se ben potrei anco ragionevolmente incul¬ carvi, che nella diversità, fallace e variabile di tanti calcoli E “', che voi medesimo mostrato nello particolari e puntuali descrizzioni di essi, siano parimente fallaci i vostri o do gli altri che seguono il vostro parere, non meno che quei di coloro che per T istessa via hanno assegnata allo sudette stelle sedo o situazione sotto la Luna; o almeno argomenterei in universale, e bene, che quell’oggetto circa il quale diligentemonto impiegandosi gli intelletti di molti intendenti e versati, non è uniformemente da loro conosciuto, non sia dimostrativamente (ondunque 20 divenga il difetto) cognoscibile, di modo che se alcuno in tali cognizioni defi¬ cienti, e forse appena probabili, si arroga sopra gli altri esser il vero ed unico dimostratore, meriti di esser stimato più tosto compagno d’Icaro che di Alcide. Io però non ho pur minimo pensiero di detrarre alle vostre fatiche, di scemare un punto di quanto giustamente vi si conviene; discorro solamente, e vi concedo quanto circa di questo volete. Siano state dunque assertivamente e senza con¬ troversia nella region celeste lo stelle nove: che perciò voi pretendete da questo? che fossero (dite) di natura celeste ; ed è la prima consequenza. Circa la quale io non sento nè repugnanza nò disconcio alcuno alle nostre dottrine in conce- dervela; anzi, supposto che quelle stelle fossero realmente in cielo, io tengo per 30 certissimo che fossero di natura celeste, e di quella istessa condizione che sono l’altre, come le cose che sono in Terra ritengono del terrestre, ed ogni corpo naturalmente locato ha in qualche modo convenienza col suo proprio luogo. Ol¬ tre che, essendo state del tutto simili all’ altre, se l’altre sono celesti, anco que¬ ste dovranno ossor tali ; la qual simiglianza (per quanto dicono) è stata cono¬ sciuta dal lume, dal moto, dalla figura, dal sito, etc. : il qual modo di filosofare a posteriori è vero, unico e concludente, e senza di cui non distingueressimo il [53] Sono, M. Rocco, fallaci alcuni; ma ve ne sono de i concludentis¬ simi, come quello della immutabil lontananza da stelle vicinissime, etc. DI ANTONIO ROCCO. 603 cavallo dal Icone, il bue dal cervo, etc. Non siamo per tanto, circa lo sudetto opinioni, discordi : l’importanza sta nella conseguenza seconda, circa la qualo se ben ho parlato ancora più avanti, non sarà però inutile supplire a quanto resta. Con questa, dunque, credete atterrar e distruggere una dello più nobili parti della peripatetica filosofia. Se le predette stelle (inferite) sono stato situate nel cielo e sono parimente stato di natura celeste, od apparvero per un tempo e poi disparvero, dunque si erano generate novamente nell’ apparire, e nel di¬ sparir si corruppero, onde la loro natura è generabile o corruttibile, anzi di fatto generata pria o poi corrotta; sarà anco generabile e corruttibile il ciclo, già clic io il tutto partecipa la natura e condizione dello sue parti, massime dell’ integrali, e specialmente circa questi affetti di generabilità e corruttibilità: anzi se lo stelle, parti del ciclo più nobili, più dense, più tenaci, e per conseguente di mag¬ gior resistenza, così facilmente si generano e si corrompono, con più agevolezza F altre parti più ignobili, più rare, men tenaci e di minor resistenza, saranno soggette a questa variabilità ; ed in somma sarà tutta la celeste machina cor¬ ruttibile, non trovandosi il tutto fuor delle sue parti, nò potendosi assignar parto clic non sia, per le ragioni allegate, corruttibile. Al che io rispondo che questo conseguenze non sono di alcuna necessaria illazione. E chi direbbe mai giudi¬ ziosamente : < La tal cosa si è da noi novamente vista, dunque si è novamente ge- 20 aerata? si ù tolta di vista, dunque si è corrotta? » ò forse indistintamente l’istesso il comparire col generarsi, il disparire col dissolversi? mancano forse i modi di occultarsi senza disfacimento, e di scuoprirsi a noi senza novella nascita? Non date voi queste medesime apparizioni e nascondimenti alle stelle Medicee, senza che si generino o si corrompano, ma solamente col volgersi nell’ epiciclo intorno a Giove, e col restare ora luminose dal Sole, ora dalla assenza di esso tenebrose ed invisibili? E per qual cagione non ci potremo imaginare altri epicicli nella sfera stellata, che con moto proprio e più tardo, in anni o secoli, raggirino le stello elio già comparvero, e poi le ascondino, e che per la tardità del moto poco ne resti osservato e conservato nelle memorie de gli uomini ? [MJ Qual diver¬ so t5t] Ma olii è stato quello che v’ ha fatto accorto che le Medicee s’ occultano o si scuoprono, altri che io ? ed essendo a me notissima questa maniera di comparire e sparire, perchè volete credere, che quando ella si potesse accomodare alle aparizioni ed occultazioni delle stelle nuove, io non ce 1’ avesse adattata ? Noi citato esemplare postillato da Galileo, di fronte allo parole «Al elio io rispondo ... illa¬ zione > (lin. 17-18) si vode, in margine, un segno in figura di una mano, dovuto allo stesso Gamlko. Anche sui duo tratti « E chi direbbo mai giudizio¬ samente ... il disparire col dissolversi? » o « man¬ cano Torso i mudi ecc. * Q aulico fermò in modo par¬ ticolare la sua attenzione, e, proponendosi di farli partitauiento argomonto di speciali considerazioni, indicò, per sua memoria, il primo con una lotterà, a, segnata avanti lo parole « E chi direbbe mai », c il socondo con la lettera b, segnata avanti lo pnrolo « mancano forse ». Cfr. pag. 713, liu. 4- e sog., o pag. 714, liu. 17 c scg. ESERCITAZIONI FILOSOFICHE 694 sità di cagioni concede a vostro arbitrio le nasconderle alle stelle che voi vo¬ lete, e F altre più grandi e più belle, poste nel più conspicuo cielo di tutti, non siano degne di giuochi sì dilettevoli, ma comparse appena una volta, quasi esuli con pena capitale avendo rotti i confini, ne siano perciò dannate a morte? Di¬ rete forso che il moto delle stelle Medicee, per esser celere e di tempo sola¬ mente di ore, non può ammettere queste repentine generazioni di corpi così vasti e noi medesimo sito. Non sapete (ripiglio io) che il più ed il meno non variano, in quanto tali, la natura de’ loro soggetti, e singolarmente mentre questo più e questo meno concernano solo la durazione? non ò forse così fiore un fiore che duri solamente per un giorno, come sarà un altro della medesima specie, che io duri per diece e per cento ? Talché il vedersi più spesso e più spesso ascondersi le Medicee che F altre, non arguisco nò anco in sogno che quelle si corrompano, e queste solo si appresentino e si occultino. L’argomento reale ò questo : si veg¬ gono lo stello Medicee in tanto tempo, e per tanto non si veggono, mercè del moto proprio dell’ epiciclo da cui sono raggirate ; dunque le stelle che appar¬ vero nel firmamento e per longo tempo, nè, a memoria di uomini, si son viste altre volte e poi sono sparite, hanno epiciclo di altro moto, e tale qual può ra¬ gionevolmente bastare a mostrarle nel modo predetto: ed in questa maniera argoinentarete per similitudine fra le cose simili, e non fra simili dal dissimile, che racchiude termini impertinenti e ripugnanti anco ad imaginaria conseguenza. 20 In oltre, è cosa probabile che quelle che apparvero fussero assai maggiori delle Medicee, e per conseguente più difficili al generarsi ed al corrompersi, sì che per proporzione queste in p)iù breve tempo, e giusto quando si veggono e si occul¬ tano, potriano sortir novo essere e tornarlo a perderlo, come dite di quelle: la qual cosa però non volete voi, e molto meno i Peripatetici, anzi (come ho pur detto), che solo dal vario lume ciò accaggia, come io stimo per certo : e perchè non così in quell’ altro ? di grazia venitene alle cagioni particolari, se non volete che siano i vostri dogmi fregiati col titolo più tosto di vana loquacità che di ponderata filosofia (1> . Dovreste con fondamenti esplicare in qual maniera si gene- rorno e si corruppero quelle stelle celesti. È cosa indubitata da esperienze sen- so sate, che niuna cosa si genera senza precedente disposizione, nò senza di questa si corrompe : quelle stelle, dunque, di mole sì smisurata fu necessario che prima avessero le sue convenienti disposizioni, ed in tal modo fusse una massa che a poco a poco crescesse [55J , ed indi ricevesse similmente F essere in questa maniera ; C55] qui va P osservazione della prima comparita in forma di nu- goletta di color verdegiallo. (! * I)i fronte allo pardo « di graziti... filosofia > si vodo, sul margino dol citato osompiare postillato ila Galileo, il seguo yry, di mano dolio stesso Ga¬ lileo, col qualo egli dà a vedere il’aver formato iu modo particolare la sua attenzione su questo passo. Cfr. pug. 712, liti. 26 o seg. DI ANTONIO ROCCO. 695 onde doveano vedersi nella lor produzione da picciolo divenir grandi e nella corruzione V opposito. Già una machina immensa, avendo le sue naturali resi¬ stenze, non nasce e non perisce intieramente in un istante; rimirate puro in tutte lo cose naturali, e massime ne’ fenomeni sublunari durevoli, a’ quali dovrebbono assi- migliarsi le stello vostre corruttibili, e le loro generazioni e corruzzioni alle genera¬ zioni e corruzzioni di questi l ' ,7] . Or dii ha visto questo progresso nelle stelle sudctte ? e perchè non dichiarate voi il modo della lor produzzione o corruzzione ?troppo vi arrogate, credendo col dir solo < Si sono generate e corrotte, perchè si son viste e disparse > vi si abbia a credere, senza die ne apportiate una minima imaginaria va¬ io gione lft9] ; e tanto dite a punto, come chi dicesse elio alcuno nasce mentre va fuora di casa, e nell’ entrar dentro muore. E qual inconveniente dall’ altra parte fora di poner gli epicicli col moto sudetto ? forse repugnerebbe a queir orbe che ò tardissimo, almeno (come dicono) di un moto di settemila anni? che disconcio sarebbe se, a varii fini della natura incogniti ed impenetrabili dall’ umano intel¬ letto, qualch’ una delle suo parti partecipi a porzione tal tardità di moto ? Mo¬ stratemi, vi priego, caro Sig. Galileo (chè non ho in verità, non ho, per Dio, altro fine che d 5 imparare), mostratemi [co] i grandi assurdi di questa posizione (che ab¬ bozzo, che accenno solamente, e ne lascio il compimento a chi più sa [GIj ), e perchè [56] io potrò molto meglio render ragione del subito apparir gran¬ dissime, che voi del comparir tali per l’approssimazione. Non potevi dir concetto che più vi progiudicasse. [57] le nugole, moli immense, talvolta in poche ore si generano, e molti giorni restano : simile a questo modo di comparire e dissolversi può esser quello delle stelle nuove. [58] Yoi non dichiarerete mai il modo della lor comparsa e spari¬ zione, e massimo sendosi vedute maggiori che mai nella lor prima comparizione. [59] non occorre aggiugner altro, mentre Aristotile dice: «Il cielo e ingenerabile, perchè non si è visto comparir cosa nuova », perchè in so consequenza viene che, comparendo cosa nuova, e’sia generabile etc. [OOJ e che volete che io intraprenda a mostrare a uno che è tanto cieco, che non vede che una palla di ferro di cento libro non an¬ ticipa il moto d’ una di 4 oncie un mezo braccio delle 200 d’altezza, ma ostinatamente crede e afferma che la grande va G00 volte più veloce della piccola ? [61] Alla fac. 56 [pag.612, lin. 16-19] dite che chi scrive contro alcuna posizione, o pretende dar nuove dottrine contra le antiche, non basta che dica « Quelle non son buone, io non l’intendo », ma con ragioni 69fi ESERCITAZIONI FILOSOFICHE tanti giri nello stollo Mediceo V perchò tanti cerchi a guisa di scorzi di cipolla intorno al Sole, come pur dito voi ?e per salvar la vita a corpi sì nobili o sì degni non si trova nello ricchezze della sfera stellata un cerchietto ove le mi¬ sero possano ricuperarsi senza periglio? poverette, quanto vi compatisco! Ma aggiungo di più, che le coso nove sogliono esser più salde e più vigorose clic le vecchie 1631 ; e pur di quell’altre, giù numerate da gli antichi, non si è vista tal cor- ruzzione giamai : lo confessate voi stesso, anzi burlate chi dicesse elio una stella intiera si possa corrompere, come non si corrompe mai tutto il globo total della Terra; ricordateveno un poco, Sig. Galileo, e considerato lo vostre ordinarie con- tradizzioni ad ogni passo [wl , nè crediate abbiano da esser interpretato io corno i responsi de gli oracoli. Ma so ben io donde può divenir questa diversità fra le antiche e le moderno stelle, dal difetto della natura o dell’ artefice : quella non avrà più materia sì salda por queste stelle nove, sinulo a quella delle vecchie; è esausto il suo erario, il tempo gli l’ha tarmata : e 1’ artefice sarà fatto vec¬ chio, inabile, impotente, non saprà formar (come già faceva) le sue strutture in¬ gegnose. Che peccato ! Queste son le più belle cose che poteste mai dire [W1 : e forse non le dite per non far vulgari sì alti misteri, onde stimate meglio tacere; o volete publicar voi le conclusioni, che altri ve le difenda (,) . Vedete or¬ mai con occhio lucido e con la mente tranquilla, aliena dall’ amor disordinato di gloria, se sia o no corruttibile il cielo, o (per dir meglio) quanto abbiate in ciò mo- 20 strato ingegno e sapere. Io però non intendo, nò che voi, nè che Aristotile, nè che altr’ uomo del mondo, penetri questi arcani ; ma a gli animi docili e moderati basta di ridur al più congruo, al non implicante, al verisimilo; al vero esatto, adeguato, in niun modo : è pensiero verace e modesto d’Aristotile, è verità reale; e tanto sarebbe a dire che uno si desse a credere come sia fatto il cielo, per- mostrare ove pecchino, e poi con fondamenti più saldi produr le nuove ; ed ora voi stesso dite che abbozzate e accennate solamente, lasciando il compimento a chi più sa. E poco dopo [pag. 696, liu. 18] m’incolpate che io voglio publicar le conclusioni e che altri me le difenda. [62) lo dico referendo il detto d’un altro. so [8S1 e perchò volesti altra volta che gl’ingegni nuovi fusser tanto men vigorosi de i vecchi ? [64] ricordatevi che pur ora vi sete contradetto. [65] d i nuovo contradite a voi stesso, che altra volta m’ avete im¬ posto eh’ io dica, la natura e Dio non aver consumata la facoltà di produrr’ ingegni eccellenti. Su quest* ultimo pardo Gaui.ro ha riohin- ancho con un sogno in margino. Cfr. in questa stossa unito 1 uttùii/.iono non soltanto col sottolinearlo, ma pagina, liu. 28-29. DI ANTONIO ROCCO. 697 chè (la lontano lo vedo e lo contempla, come che un temerario nato in una grotta, che non avesse mai visto umane abitazioni, vedendo dalla cima d* un monte fra dense caligini una gran città, pretendesse sapore ciò che vi si con¬ tenga dentro, anco nello case nelle sale o nelle camere de gli abitanti [GO b E se il nostro corpo, tanto vicino a noi stessi, che è parte di noi, con tante anotoinie di uomini sì grandi nell’ arte, non ò ancor in parte pienamente conosciuto, e ne resta in controversia F essenza istessa di lui, conosceremo il celeste ? [07J Oli con quanta sapienza hanno simboleggiato i più savii, che alcuni, misurando il cielo c credendo entrare ne’ penetrali del Paradiso, non veggono la fossa che in Terra io hanno pericolosa avanti gli occhi ! [G!<1 Non voglio trascurar un punto che, quasi con digressione, voi toccate contra Aristotile, cioè che non sia stato provato da alcuno sin ora, che il mondo sia Imito ; conciosia che avendolo creduto di provar Aristotile per via del moto cir¬ colare, il quale non può esser di altro che di corpo finito, se gli negherete (dite) l’assunto, cioè che l’universo sia mobile, tutte le sue dimostrazioni cascano. Al che io vi dico, che Aristotile nel terzo della sua Fisica non per via solamente di moto, ma anco per altre ragioni evidentissime, lia mostrato esser impossibile cho alcun corpo o altra quantità permanente possa trovarsi attualmente infinita, onde vi si comprende anco il cielo. L’ha provato ancora puntualmente nel sesto 20 pur della Fisica, e specialmente in varie maniere nel suo primo del Cielo. Ed in vero, Sig. Galileo (siami pur concesso per gentilezza la libertà del dire, che cor¬ risponda la lingua al cuore), io vi stimo per uomo prudente, che non operiate a caso, che drizzate le operazioni al fine, al sortimento de’vostri disegni, che non senza mistero abbiate scritto il vostro libro in lingua nostrana, ma con di¬ segno di farvi capo popolare nelle dottrine, con speranza che avendo da esser letto dalla maggior parte do gli uomini che non hanno lingua latina, dall’ applauso di '«ssi, che non hanno pescato ne gli profondi reconditi del Liceo, vi sia ammesso per vero ciò che vi piace [69] . Pensiero elevato in vero, o forse non fallace nella [C6] ma se questo è, Sier bestia, perchè volete per sì grand’ inter- 30 vallo anteporre i placiti d’Aristotile a quelli di un altro ? M. Rocco, queste esaggerazioni vanno prima contro Aristotile che con¬ tro di me, perchè esso va cercando di penetrare i cieli assai prima di me, nò io cerco se non d’ assicurarmi delle cose da esso cercate e stabilite. [C7] ma se voi non conoscete il cielo meglio di me, con quale au¬ dacia anteponete i vostri giudizii a i miei ? [08] E questa nota parimente va più sopra Aristotile che sopra di me, che mancò di tante osservazioni e strumenti che io ho. [G9] che io delle persone idiote e che poco a fondo peschino, faccia poco aqquisto, nissuno meglio che voi stesso ve ne può render certo. VII. 88 698 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE prattica: il numero di balordi, corrivi o pertinaci ò senza numero, da gli impeti inconsiderati di quali si danno tal ora gli onori ed i prin¬ cipati non a chi più merita, ma a chi più a loro gradisce (70J . Che se intendevi parlare con gl’ intendenti, con i versati nelle dottrine le quali pretendete impu¬ gnare ed espugnare, potevate credere che dicendo voi < Aristotile non ha detto, non ha provato >, vi sarebbe improverato per falso. 11 dir parimente, che si po¬ trebbe negare l’assunto di quel proposito, è vero (rispondo io) con la voce: il fatto sta di parlar filosoficamente, assignar il perchè, poner dottrine oppositc o roborarle con le ragioni. Ma veniamo all’ altra controversia, alla situazione de gli orbi celesti. io In questa vostra nuova struttura del mondo, procedete in questa maniera. Ponete nel centro dell’ universo il Sole immobile, designato col suo carattere e con la lettera 0 ; intorno a lui Mercurio, col proprio carattere e con due lettere B,G in varii siti; sopra di esso Venere, col carattere e con C, II; sopra di lei ò un altro orbe senza caratteri e con la lettera P, la qual lettera servirebbe anco all’orbe della Luna secondo l’ordine de gli altri, ai quali tutti ne assignate due; sopra di questo ponete l’orbe di Marte, col carattere suo, con le lettere D,I; e fra Torbe di Marte e quel di Venere è si¬ tuato, come un epiciclo, Torbe della Luna col proprio carattere e con le lettere P, N ; 20 in mezo al quale è in distanza la Terra col spazio inteso per gli altri elementi che la circondano, la sua lettera è un A; il centro del qual orbe è secato dalla circonferenza convessa dell’orbe senza ca¬ ratteri, sì che viene questo orbe della Luna e de gli elementi insieme ad esser mezo nell’ orbe di Marte e mezo in questo al¬ tro elio secondo i Peripatetici sarebbe T orbe del Sole, e voi lo chiamate orbo so magno; sopra di Marte, il qual circonda Torbe magno, è situato Torbe di Giove col suo carattere e con le lettere E,L, la circonferenza convessa del quale seca un epiciclo nel centro, il qual epiciclo ha cinque cerchietti 0 piccioli orbi con¬ centrici, ed in quattro di essi un punto per ciascuno, che designano i quattro pianeti [7 ° 3 e chi vi assicura che gli onori offertivi delle cattedre non ve¬ nissero da persone di questa sorte? Eccettuatene almanco quelli che volevano onorar voi di catedre etc.; altrimenti dirò che fussero del gregge che dite voi, de i balordi, e che voi foste un di quelli che non meritano d’ essere onorati. r> DI ANTONIO ROCCO. 699 Medicei; quel di mezo non ha punto o stella, talché detto epiciclo ha una sua metà nell’orbo di Giove, l’altra in quel di Saturno, e vicino a lui è il carattere Budetto di Giove; in ultimo è V orbe di Saturno col suo carattere e con lettere F,M. Ecco la figura, ritratta puntualmente. Circa la qual situazione consideraremo lo coso che più importano o che più sono di controversia; e prima che il Sole sia nel centro dell’universo, il che dite concludersi < da evidentissime, e perciò necessariamente concludenti, osservazioni : delle quali la più palpabile, per escluder la Terra da cotal centro e collocarvi il Sole, è il ritrovarsi tutti i pianeti ora più vicini ora più lontani dalla Terra, con io differenze tanto grandi, che, v.g., Venero lontanissima si trova sei volte più rimota da noi che quando ella ò vicinissima, e Marte si alza quasi otto volte più in uno che in un altro stato. E elio i movimenti loro siano intorno al Sole, si argomenta da i tre pianeti superiori, Marte Giove e Saturno, dal ritrovarsi sempre vici¬ nissimi alla Terra quando sono all’opposizion del Sole, e lontanissimi quando sono verso la congiunzione; e questo allontanamento ed avvicinamento importa tanto, elio Marte vicino si vede ben 60 volto maggiore che quando è lontanis¬ simo. Di Venere poi e di Mercurio si ha certezza del rivolgersi intorno al Sole dal non si allontanar mai da lui e dal vedergliesi or sopra or sotto, come la mutazion di figuro in Venere conclude necessariamente. Della Luna è vero 20 che olla non si può in niun modo separar dalla Terra, per le raggioni che più distintamente nel progresso si produranno. > Queste raggioni, che adducete (dico io) per stabilimento della vostra posizione, non si può negare che in questa parte non siano vaghe, degno e molto probabili, stanti i suppositi delle predette vario apparenze; e conosco anco le conseguenze evidentissime che ne seguirebbono, quando non fusso altra via per salvarle, c massime che la Terra si movesse in¬ torno a l’orbe magno, ma non già del moto onde stimate che provenga il flusso o reflusso, come vedrete al suo luogo. Con tutto ciò altri egreggi professori di sì fatte speculazioni, lasciando il mondo nell’ ordine che vien communemento sta¬ tuito da gli Aristotelici e Tolemaici, le salvano anco tutte benissimo, quanto fate so voi con queste rivoluzioni dell’ universo, ed il Copernico istesso altre volto le salvò pienamente, come attestate voi stesso, se bene trovò difiicultà nella struttura, ma non forse insuperabile, se il suo genio avesse voluto accomodarsi alla dipendenza: talché trovandosi altre vie per venir a questo termine, e voi ponendone una sola, cascate in errore di conseguente, nel modo a punto che farebbe chi argomentasse in questa maniera : < Costui sente calore, è dunque necessario che abbia vicino il fuoco > ; non varrebbe la consequenza, potendo il calore da altre cause che dal fuoco venireIl Solo (dite poi) è in mezo del mondo por esser più nobile de gli m Voi peccate per non intender quello che vi diciate. Sono in na¬ tura molti modi di scaldare, cioè col fuoco, col Sole, con la confrica- 700 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE altri corpi, corno nel mezo di un palazzo si servano le cose piti preziose, non le immonde, le sordide, qual è la Terra ; anzi che queste si riducono ne i cantoni o ne i più infuni luoghi. L’ argomento è meno elio dialettico, onde poco accaderebbe affaticarsi per scioglierlo : nondimeno vi dico, che altro è mezo di virtù, altro di mole; a quello deve aversi riguardo, non a questo, come notò l’istesso Aristotile: 1 ’ occhio è più nobil sentimento de gli altri, e pur non è fisso in mezo del corpo; il cuore istesso non otticn centro puntuale, e la tosta è situata nell’ estremo. Il fine necessita il resto. È il Solo in mezo a i pianeti, con distanza tale dalla Terra, die può agevolmente, conforme alla capacitò e bisogni di lei, operare; ed essendo il Sole nel mezo, dite clic deve esser immobile a guisa di un centro, intorno al io quale fisso ed immoto il corpo si aggira. Al che rispondo, che non è ragione di alcun vigore, giù, che ogni corpo sferico, per esser mobile, basta che si aggiri intorno al proprio centro, e voi stesso ponete in questo modo mobil la Terra; ed ò accessorio a qualunque moto circolare elio il centro sia di altro corpo, e non del suo proprio ; oltre che il ponere immobile il Sole, nobilissimo sopra tutti i corpi dell’ universo, sarà ponerlo in natura senza natura, privo delle più degne operazioni, e quasi un cor inanimato. L’istesso si può dir delle stelle del fir¬ mamento, le quali anco ponete immobili, come tanti Soli, quantunque altrove abbiate insinuato l’opposito, mentre gli attribuiste diverse approssimazioni ed elongazioni notabili dalla Terra e dalli poli, che non possono riferirsi a moti di 20 altro sfere, come anco colà toccai. Non concludete, dunque, che sia immobile il Sole nè che sia centro dell’ universo, e molto meno conseguite l’intento di ab¬ battere in questa parte la dottrina di Aristotile. La Terra poi insieme coll’orbe lunare, non so come, posta meza nell’ orbe magno e meza in quello di Marte, possa aver il moto annuo dall’ orbo magno : quel di Marte dunque non vi avrà parte alcuna ? 0 come partecipa di ambedue questi moti ? 0 in qual maniera resta esente da uno ? 0 come si mischiano insieme ? son cose da non esser la¬ sciate intatte da chi voi dar dottrine uniformi e distinte ; e pur non fate di ciò parola. L’istesse difiicultà sono dell’ epiciclo Mediceo fra Saturno e Giove, se pur non aveste errato nel disegno della figura, 0 che non poneste qualche orbe senza so corpo, ma pura superficie, che saria peggio. Vi vantate di metter la Terra in cielo ed onorarla; così parlate col vostro Simplicio nel primo Dialogo: ed io (scherzando in questo) vi dico anco che ciò fanno meglio i Peripatetici, consti- tuendola in mezo del cielo, e voi solamente verso gli estremi, circondato, 0 in un luogo 0 nell’altro, sempre da gli elementi ed indi dall’orbe della Luna. Col- zione, col litanie, con l’acqua e calcina, con la febre ; e tutti questi sono in atto sempre : ma l’ordine del mondo è un solo, nè mai è stato altrimenti : però chi cerca altro che quel solo che è, cerca il falso e 1’ impossibile. DI ANTONIO ROCCO. 701 locata però in questo o in quel L’altro modo, non seguirofabono gli inconvenienti che inettamente inferiscono alcuni (secondo che voi riferite); cioè che si potrebbe dire, essendo nell’ orbe magno la Terra o nel centro del mondo il Sole, che esso Sole, Venere e Mercurio sono sotto la Terra, o che le materie gravi vanno na¬ turalmente all 1 insù e le leggiere alP ingiù, e che Cristo, nostro Signore e Reden¬ tore, salì a gli inferi e sceso in ciclo, quando partì da noi: non vagliono, dico, giachè tanto verso i detti pianeti quanto verso altra parte P allontanarsi dalla • Terra è sempre salire ed avvicinarsi al cielo. Non sono però argomenti da esser nominati, e mi meraviglio di voi clic ne fate menzione, e per tal maraviglia ne io accenno. Dite elio la Terra abbia quattro moti: uno, in un gran cerchio intorno al Sole in un anno ; P altro, di una vertigine in sè stessa di 24 ore ; in oltre, il moto all’ingiù come grave, ed un’altra vertigine circa il proprio centro, contraria alla prima delle 24 ore, che si compie in un anno, e questo è il riguardare le parti celesti come fa la calamita: e forse essa Terra altro non è che calamita, la quale naturalmente si volta intorno a i poli ed ha più moti ; onde non è vero quel che dice Aristotile, clic un corpo semplice abbia un semplice moto, nè che questo moto divenga dall’elemento predominante, o che bisognarebbe (lire che anco il cielo entrasse in questo mistioni, per salvar i movimenti predetti circolari. Nè basta, 20 secondo i Peripatetici, che la simpatia ed antipatia delle cose sia sufficiente per far simili o contrarie operazioni ; chè questo è refugio communale, c simile ad una tal facezia di un galant’uomo, che si gloriava aver dipinto un gran quadro por aver scritto, solo col gesso, qui una Diana con i cani, qui un fonte, qui un bosco, ctc. Accollato in oltre, ma non risolutamente, che non si dia la sfera del fuoco: le quali difFicultà voglio esaminare, pria che veniamo alla più importante del flusso e reflusso del mare, ed alla cagione clic voi stimate di esso. E prima, quanto a i quattro moti della Terra, quello che voi gli attribuite dell’ orbe ma¬ gno è totalmente irraggionevole ed inintelligibile. Voi volete che ella sia da quel- 1’ orbo portata noi spazio di un anno, forse nel modo che noi diciamo che sono so dalle proprie sfere portati i pianeti e l’altre stelle. Se vi ricordaste di qual con¬ dizione abbiate statuito i vostri cieli, pensereste meglio a dar tal moto, con tal fondamento, alla Terra, ed insieme all’ orbe della Luna ed a gli elementi. Come potete imaginarvi, non che tener per certo, che da un corpo tenue, rarissimo e cedente più dell’aria, sia spinto e portato un corpo solidissimo, qual è quel della Terra e della Luna? chi potria sognarsi giamai che l’aria portasse seco in giro regolarmente un sasso sospeso in essa ? ^ e pur questo sarebbe meno inconveniente [72] o gran bue ! (1) O) La postilla ò riferita, con una grappa in impossibile * (1 in. 30 della presento pagina lin. 1 margino, alle parolo * So vi ricordaste ... e meno della pag. 702). 702 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE e meno impossibile : coneiosiachò il sasso pensile, fuora del proprio luogo, non avrebbe molta resistenza all’altrui agitazione; ma la Terra, trovandosi nel suo luogo naturale determinato (già anco secondo voi son tutti i corpi naturali nel sito ove gli è dalla natura prefisso), non sarebbe alla vertigine di tal, più raro c per conseguente men vigoroso di essa, mobile. Un carro nella velocità del suo corso eccita parimente V aria ; ma mai, o poco o difficilmente, occorre P opposito. La Terra istessa (pur come avete detto voi) rapisce seco Paria, per esser più dell’aria soda; ma non avete saputo dir gianiai che Paria sia bastante a mover la Terra * e portarla : e pur è seco contigua, o pur più denza, onde più efficace, de i cieli ; come dunque quell’ orbe, più raro e più debile, ò atto a far questo? Io non dico io elio ciò sia difficile perché la Terra si opponghi col peso, tendendo all’ingiù come il sasso, già che, essendo nel proprio luogo, è lontana da questa azzione; ma ciò riferisco alla sua mole, alla sua resistenza, alla solidità grande di essa. Ma mi accorgo clic faccio errore, che non scorgo, non che non ferisca, il bersaglio a cui indrizzo i miei dardi. Mi risponderete voi, che quell’ orbe magno non tocca im¬ mediato la Terra, ma P orbo della Luna, clic ò pur di natura celeste e cielo istesso, onde non ritiene questo disparità così immense, e dal svolgimento di questo la Terra con gli altri elementi si raggira: così anco ò designato nella vostra figura. Benissimo ; ho torto ; condonatemi per cortesia la digressione, che è proceduta da desio (li dir tutto: non voglio però ritrattarmi; ne i discorsi di- 20 visivi, por concluder adeguatamente, si pongono anco i membri dividenti possi¬ bili ed imaginarii, almeno per escluderli e per toccar ciò che si possa 0 ri¬ trovar in effetto 0 pensarsi o anco fantasticarsi. Sia dunque come volete voi; e rispondetemi, vi priego. L’ orbe della Luna, toccato immediatamente da P orbe magno, non è anco egli cielo ? (non parlo della Luna istessa, che la statuite dura come la Terra) Sì certo; è dunque raro e cedente: or quando è toccato con moto celere dall’ orbe magno (ed egli altresì ha il suo moto), come questo ò spinto regolatamente (la quello ? come non si mischiano e non si confondono in uno, nel modo che occorre fra i venti e P aria? 0 in qual maniera, se ben quello che porta sia più potente, le parti più ime del portato rispondono ad equal moto so e velocità ? conciosia che ciò solo accade di corpi solidissimi. Chi scuote impe¬ tuosissimamente la superficie del mare, non move nè conquassa per questo il fondo, nè tutto il resto dell* acqua; ed i venti che tal ora scorrono per la som¬ mità dell’ aria, come si vede dal moto dello nubi, non perciò giungono in Terra, nè quell’ aria, da essi commossa, commove però la nostra: nè il moto nel supremo de gli elementi si stende sino all’ imo, per questa cagione ; e tale è la natura di tutti i corpi fluidi e cedenti, come sapete e come credo possa veder per sensata esperienza ciascuno. Talché, concessovi, per non esser litigioso, che se quell’orbe contenesse entro sè stesso la sfera della Luna tenue, agitarebbe col suo moto la superficie convessa di quella, ma che si coinmunicasse a tutto il resto del corpo,. 40 ( DI ANTONIO HOCCO. 703 c poi anco do gli elementi e della Terra, non 6 imaginabile nò vero ; oltre che vorrebbe per ordine ad esser la Terra immediate portata e mossa dall’aria, anzi dall’acqua, non da quel cielo; o questo sarebbe l’ordine: l’orbe magno move¬ rebbe la sfera della Luna, quella il fuoco, questo l’aria, l’aria l’acqua, e l’acqua la Terra; e pur voi diceste di sopra che la Terra move l’aria col suo moto, se ben solo le parti contiguo e crasse, non già al contrario. Direte forse che quel vostro orbe magno penetra sino alla Terra: ed io attenderò che altro non sia questo vostro orbe orbo che acqua aria e fuoco, penetrativo dell’orbe lunare etc. ; e poi, perché Marte non ha parto in questo moto della Terra e della Luna, se è situata 10 l’intiera sfera di questi corpi egualmente in questo che in quello? se pur non errate nella figura. E so vi lia parte, essendo il moto di Marte diverso ed in due anni (come volete ancor voi), in qual guisa si accorda con 1’ annuo ? o in qual modo fa circa ciò il suo officio ? o per qual cagione ne è esente, o perchè voi nel dite? Direte forse che Marte non ha da far niente : ina se ciò sia vero, a chi rimira bene la vostra figura sarà necessario dire che il ciel di Marte non sia corpo, ma una sola superficie; e cosi avremo superficie separate, esistenti a guisa di sostanze, e le vostre matematiche non saranno di cose astratte, ma in¬ differenti dalle naturali, e gli accidenti saranno soli, separati dalle sostanze, mo¬ bili, e parti principali del mondo: e se liberate Marte da questa pena, sarete 20 forzato ciò imputar a Giove o a Saturno, overo al vostro orbe magno. Nò voglio lasciar intatto un punto importantissimo e di gran conseguenza, cioè che i cieli, posti da voi rari e cedenti (mi occorre spesso far menzione di queste vostre pre¬ tesse qualità celesti, perchè sono in gran parte per base o per colonne, sì che sarò scusato se tal ora appaiono i discorsi tediosi e molesti), non solo non pos- sino rapirsi, ma nò meno aver moti e natura diversa: già (pur come è stato detto) essendo di tali condizioni, diventano misti, e convengono in un moto medesimo indistinto, se ben forse confuso. Così intraviene all’ aria ed a i venti, alle nubbi ed alle procelle, ed in somma a tutti i corpi flussibili, rari e cedenti; o così saria impossibile dar varii moti al cielo, nè anco ammetter cieli diversi, onde l’altro 30 vostre consequenze e posizioni periscono. Direte forse che siano più o meno tali, che basta alla distinzione di essi e d’i lor moti. Già vi è stato detto altrove che il più ed il meno non variano essenzialmente la natura lor sustanziale. L’altro moto della vertigine in 24 ore si è impugnato a bastanza, ove si è provato dif¬ fusamente che non abbia naturalmente eccetto che il moto retto ; e parimente, che ne abbia due contrarii per l’istessa linea nell’ istesso tempo, perchè inclu¬ derebbe contradizzion manifestissima, di moversi verso il termine e di non mo¬ versi, di acquistar o di non acquistar spazio, etc. Del moto retto, che procede dalla gravità, all’ ingiù, non occorre dir altro. Che la Terra sia calamita o della natura di essa, non dirò altro, solo che seguirebbe che la lerra fosse la minor •io parte sò stessa, già che, in comparazione della sua vasta mole, io credo che po~ 704 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE diissima sia la calamita ; onde sarebbe cosa ridicola, coinè chi dicesso: Nell’acqua la minima parto ò acqua. E so voi diceste che nello viscere della Terra e ne i luoghi più riconditi ve no sia in copia grandissima, e forse tutta la massa, io vi dirò di no, o sarà più credibile; nò voi lo confirmarete con esperienze nò con ragioni più di quel che potrò far io. Che la calamita naturalmente si aggiri intorno a i poli, io vi dico che ò più proballile assai che il cielo nelle parti polari abbia virtù di attrar quella, che non quella di moversi a lui, nel modo appunto che diciamo clic ella attrae il ferro, non elio il ferro si mova a lei, che il Sole attraa i vapori, etc. ; o così uno solo sia il suo moto naturale semplice di gravitò, dall’ elemento predominante ; gli altri siano estranei e quasi violenti, io come pur quei del ferro o de i vapori. Nè per far varietà di questi moti è ne¬ cessario che, a guisa di un altro elemento, concorra alla composizione di misti il cielo ; basta che sia causa effottiva, la quale per sò stessa, o per virtù im¬ pressa nel medesimo genere, opera e movo ; e si vedo in tutti gli moti animali, no i quali gli elementi non hanno parte alcuna, se non forse recettiva e fonda- mentale, ma vicn direttamente dall’anima, e la virtù fu dal seme : a simiglianza di quali anco nelle cose inanimate sono virtù innumerabili operative ed efficacis¬ sime, che da più alta origine dipendono che da gli elementi; e non ha dubio alcuno che, parlando genericamente e da persone a cui lo proprie cagioni ade¬ guato sono incognite, non si può ridur ad altro principio la diversità e conve- 20 nevolezza dell’ opre, dell’ unione e della discordia, die ad una simpatia over an¬ tipatia fra gli agenti e pazienti. È quasi nulla, ò vero, lo confesso; ma dica meglio chi può: nò vi gloriate in alcun modo voi, sprezzando mordacemente questi modesti ricovri, pretendendo di averne trovato il capo o il fonte verace (l) ; perchò nelle vostre longhe dicerie, ripiene eccessivamente di vanti, non vi è cosa che sia disposizione pur minima, non che occasiono, non che causa adeguata, di predetti moti della calamita. Il puro armarla, il vario toccamento, ed altre cose con le quali dite che diversamente move e sostiene, non è mostrar la causa delle sue operazioni, anzi nò meno insinuarla, ma più tosto, scorgendo varii effetti, far che restino difficultà maggiori nell*investigarne i principiò Leggansi pur a littera i vostri scritti 30 nel terzo Dialogo a car.402 ed oltre [pag.434,iin.S6 — pag.486, iin.7], e si faccia giudizio di questi vostri profondi ritrovi. Circa la sfera del fuoco, non sete il primo voi a bandirla dell’ universo ; fra i quali egregiamente, al pari e forse meglio di ogn’ uno, ne discorre Alessandro Tassoni, le cui raggioni, so ben sottilissime e degne del suo divino ingegno, non sono però disperatamente insolubili : anzi in un puhlico con¬ gresso filosofico fatto da i PP. Cassinesi, nel suo monastero qui di San Giorgio Maggiore (ove anco per un’ ora del giorno vo ad esercitar il carico di Lettore O) Nell’ esemplare postillato ila Galileo, di vedo in margine un segno in forma d’una inano, fronte alle parole « uè vi gloriate ... verace » si dovuto a Galileo stesso. DI ANTONIO ROCCO. 705 in quelle scienze), apportate vivacemente da chi le stima insolubili, fumo da quei PP. studenti (che sotto i felici auspicii ed il paterno zelo del M. li. P. D. Al¬ vise Squadroni, veneto, non meno risplendono nell’ osservanza di santa austera religione, che nel studio e profitto delle scolastiche discipline) con universa! so- disfazione ed applauso di molti litterati, che ivi erano presenti, al possibile, delle difficultà e sottigliezze che contengono, egregiamente soluto. Ma io intendo eser¬ citarmi per ora solo con voi, sì che non parlando voi intorno a questo asserti¬ vamente, nò di mente propria, nè con alcuna prova, non occorro che mi affatichi in altro. io Circa il flusso e reflusso del mare, dal quale effetto intendete demostrare la mobilità, anzi il moto attuale, della Terra, io vi confesso che non si è apportata sin ora, nè da Aristotile nè da altri auttori che io abbia letto, raggione alcuna nè adeguata nè che si accosti al vero. Che Tacque marine, dall’ampiezza del pelago ristrette ed angustiate dal continente in più breve spazio, perciò quindi e quinci con alterna vicissitudine si librino, come dice Aristotile, è cosa inintel¬ ligibile, ed apporta seco più difficultà che parole. Che la lama nc sia cagione, potrebbe esser : ma P affirmarlo per indubitato è più tosto specie di cieca cre¬ dulità che di probabile opinione, massime se risguardiamo i varii accidenti di tale affetto ; ed il filosofar senza fondamenti è irragionevole. Onde io giudicavo 20 la cagione di ciò quasi impercettibile ; pur speravo, dalle vostre posizioni si po¬ tesse raccoglier qualche convenevole determinazione, se bene con pregiudizio in molte cose della peripatetica filosofia : ina avendole sinceramente, con animo in¬ differente, a guisa di puro arbitro, con ogni diligenza lette e ponderatele, vi trovo più assurdi e più repugnanze che in alcuna dell’ altre, non annoverando fra que¬ ste la disconvenevolezza che per construer una capanna rumate una città, e pure nè anco la capanna sortisce la sua struttura. Or veniamo alla prattica. È la vostra opinione sommaria, clic il flusso e reflusso del mare sia causato dal moto della Terra, e diffusamente, pria con essempi e poi col venire alla cosa istessa, cercate di renderla credibile ed indubitata. Sono gli esempi di una barca piena di acqua, so come sono quelle che del continuo vengono da Lizza Fusina a Venezia. Questa tal barca così piena, se regolatamente, senza agitazioni, senza scosse e senza urti, per il mare tranquillo cammini, non avrà moto proprio, distinto da quel della barca che la porta ; ma se per caso la barca dia in secco con impeto, o da altra barca o in altra maniera sia urtata e rispinta, oltre tal moto violento della barca, si causa grande agitazione nell’ acqua che vi è dentro, qual dura fluttuante in varie maniere, anco che la barca si fermi, anzi può andar e tornar dalla prora alla poppa della barca più volte, ed altre simili agitazioni per varie bande e se¬ condo l’urto più o meno sconcio. Così si vede anco che il mare istesso, conturbato da i venti, ritiene per qualche tempo 1 ’ agitazione impressagli, quantunque essi 40 venti siano del tutto cessati. Intorno alla qual osservazione vi stendete a dichiarar VII. 89 706 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE varii accidenti, elio dalla diversa forma di vasi ove è rinchiusa V acqua proven¬ gono : cose tutte veraci, notissimo al senso, e perciò da ammettervisi cortesissi- mamente. Volete anco, dalla predetta similitudine, elio la Terra sia come la barca, il maro sia V acqua che dentro vi si contiene : ed anco questo vi si conceda. La clifficultà, sta nell* urto, nell* agitazione della Terra, e nel modo ; o qui consiste la vostra invenzione, il vostro novo astrologico filosofare. Volete per tanto che la Terra riceva quest* urto, per agitar il mare, dall* orbe magno, onde siegua, come da propria reai cagion naturale, infallibilmente 1* effetto del flusso e del reflusso: e perché la controversia ò importantissima, e la vostra posizione non ò molto prolissa, voglio a littera recitarla, acciò ciascuno giudichi dell’ efficacia o ineffi- io cacia di essa. Doppo dunque di aver apportato varie mutazioni dell* acqua nella barca agitata o urtata, a car. 418 [pag.451, Hn.29 e se*.] parlate in questa} forma: < Ora, Signori miei, quello che fa la barca rispetto all’acqua contenuta da essa, e quello che fa T acqua contenuta rispetto alla barca, sua contenente, ò 1* istesso a capello che quel che fa il vaso Mediterraneo rispetto 1* acque da esso contenute, e che fanno l’acquo contenute rispetto al vaso Mediterraneo, lor contenente. Séguita ora che dimostriamo, come ed in qual maniera sia vero che il Mediterraneo e tutti gli altri seni, ed in somma tutte le parti della Terra, si movano di moto notabil¬ mente difforme, benché movimento nessuno clic regolare ed uniforme non sia, venga a tutto 1* istesso globo assegnato. > 20 1. Risponde il vostro Simplicio: < Questo, nel primo aspetto, a me che non sono nè matematico nò astronomo, ha sembianza di un gran paradosso ; e quando sia vero che, essendo il movimento del tutto regolare, quel delle parti, restando sem¬ pre congiunte al suo tutto, possa esser irregolare, il paradosso distruggerà l’as¬ sioma che afferma, eandem esse rutionem totius et partiwn >. Rispondete voi : < Io dimostrerò il mio paradosso, ed a voi, Sig. Simplicio, la- scerò il carico di defender T assioma da esso, o di mettergli d’accordo; e la mia dimostrazione sarà breve e facilissima, dependente dalle cose lungamente trattate ne i nostri passati ragionamenti, senza indur nò pur una minima sillaba in gra¬ zia del flusso e reflusso >. 80 < Due aviamo detto esser i moti attribuiti al globo terrestre (aveto anco detto quattro, a car. 391 [pag.424, lin.uj ; ma non importa): il primo, annuo, fatto dal suo centro per la circonferenza dell’orbe magno sotto l’eclittica secondo l’ordine de’segni, cioè da occidente verso oriento; l’altro, fatto dall’istesso globo, rivol¬ gendosi intorno al proprio centro in 24 ore, e questo parimente da occidente verso oriente, benché circa un asse alquanto inclinato o non equidistante a quello della conversione annua. Dalla composizione di questi due movimenti, ciascheduno per sé stesso uniforme, dico resultare un moto difforme nello parti della Terra: il che, acciò più facilmente s’intenda, dichiarerò facendone la figura. E prima, intorno al centro A descriverò la circonferenza dell* orbo magno BC, nella quale io DI ANTONIO ROCCO. 707 preso qual si voglia punto B, circa esso, come centro, descriveremo questo minor cerchio DEFG, rappresentante il globo terrestre; il quale intenderemo discorrer per tutta la circonferenza dell’ orbe magno col suo centro B da ponente verso levante, cioè dalla parte B verso C: ed oltre a ciò intenderemo il globo terrestre volgersi intorno al proprio centro B, pur da ponente verso levante, cioè secondo la successione d’i punti D, E, F, G, nello spazio di 24 ore. > 2. < Ma qui doviamo attentamente notare, come rigirandosi un cerchio intorno al proprio centro, qualsivoglia parte di esso convien moversi in diversi tempi di moti contrarii : il che è manifosto considerando che mentre le parti della cir- io conferenza intorno al punto D si movono verso la sinistra, cioè verso E, le opposte, che sono intorno alP F, acquistano verso la destra, cioè verso G, talché quando lo parti D saranno in F, il moto loro sarà contrario a quello che era prima, quando era in I) ; in oltre, nell’ istesso tempo che le parti E discendono, per così dire, verso F, le G ascendono verso D. Stante dunque tal contrarietà di moti nello parti della superfìcie terrestre, mentre che ella si raggira intorno al proprio cen¬ tro, è forza che, nell’accoppiar questo moto diurno coll’altro annuo, risulti un moto assoluto per le parti di essa superficie terrestre ora accelerato assai ed ora altre tanto ritardato : il che è manifesto considerando prima la parte intorno a D, il cui moto assoluto sarà velocissimo, come quello che nasce da. due moti 20 fatti verso la medesima banda, cioè verso la sinistra ; il primo de’ quali è parte del moto annuo, commune a tutte le parti del globo, 1’ altro è dell’istesso punto D, portato pur verso la sinistra dalla vertigine diurna; talché in questo caso il moto diurno accresce ed accelera il moto annuo : l’opposito di che accade alla parte opposta F, la quale, mentre dal commune moto annuo è portata, insieme con tutto il globo, verso la sinistra, vien dalla conversion diurna portata, ancor verso la destra ; talché il moto diurno viene a detrar all’ annuo, per lo che il movimento assoluto, resultante dal componimento di amendue, ne riman ritar¬ dato assai : intorno poi a i punti E, G il moto assoluto viene a restare come eguale al semplice annuo, avvenga che il diurno niente o poco gli accresce o gli detrae, so per non tendere nè a sinistra nè a destra, ma in giù ed in su. Concludiamo per tanto, che sì come è vero che il moto di tutto il globo e di ciascuna delle sue parti sarebbe eguabile ed uniforme quando elle si movessero di un moto solo, o fusse il semplice annuo o fusse il solo diurno, così è necessario che, mescolan¬ dosi tali due moti insieme, ne resultino per le parti di esso globo movimenti dif¬ formi, ora accelerati ed ora ritardati, mediante gli additamenti o suttrazzioni della conversion diurna alla circolazione annua. Onde se è vero (come è veris¬ simo, e T esperienza ne dimostra) che 1’ accelerazione e ritardamento del moto del vaso faccia correre e ricorrere nella sua lunghezza, alzarsi ed abbassarsi nelle sue estremità, V acqua da esso contenuta, chi vorrà por difficultà nel credere che 40 tal effetto possa, anzi pur debba di necessità, accader nell’acque marine, conte- 708 ESERCITAZIONI FILOSOFICIIE mito dentro i vasi loro, soggetti a tali alterazioni, o massime in quelli che por longhezza si stendono da ponente verso levante, che ò il verso per il quale si fa il movimento di essi vasi ? Or questa sia la potissima o primaria causa del flusso o reflusso, senza la qualo nulla Seguirebbe di tal effetto. Ma perchè multiplici e varii sono gli accidenti particolari elio in diversi luoghi e tempi si osservano, i quali è forza che da altre cause diverse concomitanti dipendano, se ben tutte devono aver connessione con la primaria, però fa di mestiere andar proponendo od esaminando i diversi accidenti che di tali diversi effetti possano esser cagioni. > Fin qui parlate voi di questo cagioni universali del flusso: e perchè gli parti¬ colari accidenti, di quali anco pienamente ed in conseguenza discorrete, dipendono io totalmente dalle predetto cause, esaminando quelle, resterà anco bastevolmente determinato di questi ; c se quelle caderanno, essi non avranno alcuna sussistenza, onde anco sarà vano trattarne por riferirgli a loro e per considerargli in ordine a i vostri suppositi fondamenti. Veniamo dunque a ponderar quanto intorno a ciò si conviene; o per maggior intelligenza e più since- Ò rità, avanti di ogni altra cosa sia qui registrata la vo¬ stra figura. 1. Prima dunque mi si appresonta il detto elio < tutte le parti della Terra si movano di moto notabilmente dif¬ forme, benché movimento nessuno, che regolare ed uni- 20 forme non sia, venga a tutto V istesso globo assignato > ; il quale, ancorché voi intendiate di dimostrarlo, ed a me basterebbe rispondere a parte a parte alla vostra dimo¬ strazione, come in effetto farò, voglio prima in universale considerare qual verità possa contenere questa vostra asserzione, e poi gradual¬ mente discenderò al resto. Tutte dunque (secondo voi) le parti della Terra si movono di moto notabilmente difformo, ed a tutta la Terra non convien movimento alcuno, che non sia regolare ed uniforme. Ditemi, per vita vostra: qual è quella cosa elio possa chiamarsi tutta, se non in ordine e dependenza dallo sue parti? e qualo denominazion totale può darsi ad alcun tutto, da cui siano le parti so escluse ? so niuna parte del cigno è negra, come si dirà egli tutto negro ? e se ninna parto della Terra si move di moto regolare ed uniforme, corno è uniforme e regolare il moto del suo tutto ? Io trovo, e 1’ approverà ogn’ uno, che unifor¬ mità non sia altro che forma indivisamente ed una communicata al tutto ed alle parti; è relativo che corrisponde all’altro, nè mai alcuno sarà uniforme se non ad altri ed in comparazione di che si dice tale. È uniforme il moto totale della Terra per voi: e con chi ha questa uniformità? forse con la difformità? 0 con moti che non si trovano ? Io non niego che in un mobile regolare si dia diffor¬ mità di moto, come le parti circonferenziali della sfera difformemente si movono dalle centrali, cioè più velocemente; e per tal difformità quel moto vien detto 40 DI ANTONIO ROCCO. 709 difforme: ma chiamarlo uniforme dalla difformità, fa tanto quanto chi chiamasse amaro il miele dalla dolcezza. Parimente il moto regolare è quello che non am¬ mette alcuna inegualità di velocità, ma dal principio al fine e sempre con una medesima celerità e regola procede; onde dal regolare il tutto con l’irregolarità di ciascuna parto è parimente constituir un tutto chimerico, un tutto ideale, alla platonica, impossibile, tutto o non tutto. Non ò inconveniente nè anco che alcun moto possa esser regolare e difforme, come il celeste in rispetto a diverse parti ; nò che alcuno sia uniforme ed irregolare, come quello di cadenti o proietti, che hanno diversa velocità nel tutto, e ritengono in questa diversità uniformità nello io parti : ma elio uno sia dalle parti irregolari regolare, dalle difformi uniforme, non ò possibile nè imaginabile ; e so bene in alcuni casi ed in qualche parte del tutto secondo varii rispetti potesse ciò intravenire, non sarebbe mai secondo il vostro intento ed al proposito di quel clic pretendete. Mi esplico. Se un corpo fluido, come di acqua o di nubi, fusse per regolata linea, o retta o circolare, portato, potrebbe senza dubio, non variando il regolato viaggio, ricovero varie agitazioni cd ondegiamenti nelle parti, come se il mare tutto, portato in giro per linea rego¬ lare, ondeggiasse ; o forse qui volete battere voi. Ma ciò non vi è di refugio. Prima, pcrcliò se tutte le parti (come dite della Terra) si movessero difforme ed irregolarmente tutte tutte, uscirrebbon del segno, e vi toccherebbe a dire e mo- 20 strare quel tutto senza parti, cho avesse altro moto distinto da loro. Ma il mio cssempio caderebbo di alcune che non variassero notabilmente sito e velocità, anzi con proporzionata alternativa l’una ricompensasse il mancamento dell’altra : nel modo che possiam dire, un bracciale da pallone esser rotondo, colle sue parti ine¬ guali per la proporzione ; ma se tutto lusserò inequali cd irregolari, ogni unifor¬ mità e regolarità si leverebbe. L’altra, che se ben questo eh’ io dico abbia parzial verità ne i corpi fluidi, per esser le parti divisibili e mobili distintamente (già chi move un poco d’ acqua nel mare, non è necessario nè possibile che la commova tutta), ma ne i corpi solidi, duri e continuati e resistenti, qual ò la Terra, quel che dite è assolutamente falso e chimerico. Chi ha visto mai volger da una parte so una macina da molino, over una ruota di orlogio, di'carrozza o di altro, e che l’altre parti non si sian mosse ? e chi ha visto ritenerne o ritardarne una parte, che non si sia fermata tutta tutta la ruota, se pur non si è rotta in pezzi? Ve¬ niamo anco a gli altri essempi, che si assomigliano naturalmente alle vostre posi¬ zioni. Le ruote esterne di ruolini da una parto toccano Tacque di fiumi, e sono da esse acquo agitate e rivoltate ; dunque dalla parte dell’ aria, ove non hanno questo intoppo, sono più veloci che da quella dell’ acqua, ove sono urtate ? chi lo di¬ rebbe? chi non vede l’opposito? Ed appunto la Terra nella vostra figura è a guisa della ruota, e Torbe magno dell’acqua, o con poca differenza : le cose simili non si hanno da intendere per istesse. Non è dunque possibile che in un corpo 40 solido si dia irregolarità nelle parti, ebo anco non risulti nel tutto. 710 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE 2. Puri mento nò anco ò vero elio un cerchio movendosi intorno al proprio contro, qualsivoglia parte di esso convenga moversi di moti contrarii in diversi tempi. Conciosia elio dove è una indivisa continuazione, ivi è vera unità, nò è altro esser uno, che indiviso; onde essendo lo parti predette ed il moto loro simil¬ mente continuato, ò un solo attuale, elio è impossibile clic sia contrario a sò stesso, essendo la contrarietà fra duo c repugnanti: e perciò volle ragionevol¬ mente Aristotele, nell’ ottavo della sua Fisica, che niun moto contrario fusse con l’altro continuato, e diede per questo la quiete no i moti retti rodessi; nè vi apporto questa dottrina per auttorità, elio P abbiate da ammettere, ma per mo¬ strar la conformità del suo dire alla verità dello cose. Il moversi verso la destra io e verso la sinistra senza discontinuazione non fa contrarietà nò tanpoco plura¬ lità. L’istesso diremo dell* ascondere o discendere, elio per somiglianza si dicono nel moto circolare. 3. Ora, essendo falsi questi suppositi, séguita elio sia falsissimo quel che da essi inferite, cioè che, < stante tal contrarietà di moti nelle parti della superficie terrestre, mentre che ella si aggira intorno al proprio centro, è forza che, nel- P accoppiar questo moto diurno coll’ altro annuo, risulti un moto assoluto per le parti di essa superficie terrestre ora accelerato assai ora altre tanto ritardato > ; già die (corno ho detto) questi moti dello parti non son contrarii, nè si può dar discontinuazione nel corpo solido, ondo cade tutto il rimanente del vostro di- 20 scorso, come clic il moto gigliato nella parte I) sia velocissimo, nel EG eguale, etc. Così dunque, sia eguabile o difforme, regolare o non, impeditivo o contrario, il moto deir orbe magno, sopra il quale si aggira la Terra, o per sè stessa o por¬ tata, come vi piace (chè nè anco in questo vi esplicate ; o pur in posizioni nove, inintelligibili, ci vorrebbe altra distinzione, altro metodo), ninna irregolarità ca¬ gionerà nello parti della Terra, come nò anco in tutta, per le cagioni sudettc, vere ed ©sperimentali. Ma preveggo una risposta ingegnosissima, adeguata, irre¬ fragabile; cioè, che essendo le parti che son toccate dall’orbe magno, flussibili, tenui e cedenti, possono aver moto irregolare c difforme dal tutto, come io stesso ho concesso. E che siano così tenue e rare, è noto per i vostri precedenti sup- 30 positi, cioè che tale sia il cielo ; o quell’ orbe magno non tocca immediate la ferra, ma l’orbe della Luna, come si vedo dalla figura maggiore della struttura e situazione de i corpi celesti e dalla verità dedotta da i vostri principii ; non già che sia tale assoluta, perchè non direte inai che questa aria ed acqua clic tocca la nostra Terra sia orbe magno, ma volete che questi nostri elementi siano circondati dall’orbe della Luna. Avete ragiono, io non avevo ponderato tant’ oltre; dovrò dunque disdirmi, sì: ma perchè quell’orbe lunare nominate sempre Terra? foise lo fato per carestia di voci? sì, se non avessero il proprio nome, se toc¬ casse a voi dargli la prima imposizione. So però quel che direte di meglio : che 1 orbe magno tocchi immediate quel della Luna, o per conseguente la Terra, 40 IH ANTONIO ROCCO. 711 onde venga poi a sortir gli effetti del moto predetto, ed indi provenga anco il flusso e riflusso. Ma qui vi voglio: e cominciamo pur a filosofar intorno a ciò saldamente. L’orbe magno è cielo, l’orbo della Luna ò cielo: son dunque rari e cedenti, ondo nell’ urto si mischiano e si confondono, più tosto che regolata¬ mente si aggirino. Di più, se l’orbe della Luna è quello che riceve immediata¬ mente le ritardazioni (come avete necessariamente da dire, e come è ritratto nella figura cd espressamente si tira per conseguenza), dall’orbe della Luna ha da venir in Terra questa ritardazione per mezo de gli elementi, che gli son più vicini, onde l’ultima a parteciparne sarà la Terra: e così prima da questi urti, io intoppi o ritardamene, sarà agitata l’acqua che la Terra, e l’acqua più tosto moverà la Terra, se sia possibile, elio all’opposito; oltra F impossibilità toccata poco di sopra, di coraraiuiicarsi dal sommo all’ imo questa fluttuazione ne i corpi fluidi e rari, che ò considerazione non di poco momento. Nè similmente 1’ effetto che pretendete succederebbe ; conciosia che la Terra scossa, solida e continuata, non si agiterebbe difformemente nelle parti, come è stato detto, se fusse toccata immediate dall’ orbe magno, perchè in ciò nulla sarebbe la differenza. Tralascio di dire perchè in sei ore sia il flusso ordinario, almeno in questo nostro Mare Adriatico, e sci il reflusso, essendo la ragion dell’ impedimento e la distanza del- l’orbe magno impeditivo eguale in due metà, onde dovrebbe esser di dodeci ore 20 F uno o di dodeci 1’ altro. E se con tanta piacevolezza nel flusso scorre F acqua verso il continente, ed ivi è nel luogo suo naturale come prima, e l’altro intoppo non è successo, perchè qui non si ferma? Quella della barca agitata, non avendo deposto F impeto impresso, torna in dietro per il termine o legno che l’impedisce : ma qual impedimento troverà l’acqua marina nella vastità dell’oceano? Non direi che quelle imaginarie scosse della Terra, che sono atte a commover così impetuosamente F acque del mare, fussero bastanti a scuoter gli edificii, e fos¬ sero state già impeditive per fargli (già è moto di agitazione, anzi violento che no) ; pur a qualch’ uno forse ciò parrebbe anco verisimile. Così gli accidenti varii che in questi flussi e riflussi si scorgono, come di alzarsi più o meno, esser 30 più o manco veloci o frequenti in un luogo che nell’ altro etc., non si possono ridurre allo cagione universali poste da voi; onde restano privi, per le vostre posizioni, di ogni ragionevole determinazione. Avreste pur fatto meglio (nel modo che può esser il meglio nel male) spedirvi con quattro parole, cioè che un’ intel¬ ligenza o anima, o la propria virtù naturale della Terra, l’agita di moto di tre¬ pidazione e di tale qual si raccoglie dal flusso, onde adeguatamente gli si adatti, che, salendo nel cielo con Fetonte per regger questo corso, più disgraziatamente clic esso non fece il carro del Sole, l’abbiate precipitato nel profondo della nul¬ lità: o pur potevi facetamente favoleggiar con le donne, che gli quattro Vange¬ listi, portando la Terra sopra le spalle, a vicenna si mutino, e ne seguano tali 40 mutazioni ; e quattro scosse o agitazioni farebbono appunto per lo flusso e reflusso 712 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE di sei in sei ore: o con quell’altro filosofo che, stimando animato il mondo di anima estensa e corporea, sì che fusse anco organica, ponendo il sito delle nari nel mare, dall’ espiro volea che procedesse il flusso, o dal respiro il reflusso : opi¬ nioni tutte ridicole, ed in questo poco inferiori alla vostra. Ecco la somma dello vostro dottrine, con quello osservazioni che più sincera¬ mente, per intelligenza del vero, non per detrarre al vostro sapere, da me si sono potuto addurrò: per ultima chiusa delle quali voglio memorar di novo un punto, che ad altre occasioni ho altre volte toccato, ed ò questo. Nel principio vantaste spesso di voler proceder talmente por vie sensibili, che Aristotile (il quale in questa maniera promise ed insegnò che si procedesse) avrebbe mutato opinione, io avendo visto che così avete osservato voi e non egli ; e nondimeno nel progresso sete sempre così stato lontano ed estraneo da questo stil di procedere, che (tolta via una posiziono sola, solo credibile, non scienzialo, cioè dello cose che affirmate veder in cielo col telescopio) tutte le controversali direttamente ripugnano alla cognizion sensitiva, come può ciascun veder da sò stesso o come espressamente dite voi medesimo a car. 325 [p»g. 855, lin. 28-88J parlando della dottrina del Copernico (che è questa istessa che voi suscitate o commentate), elio si sia resa credibile e maravigliosa a molti contra ogni sensata esperienza, ma con le pure raggioni. Alcune vostre dimostrazioni, che non mancano di speculazioni bellissime, perchè non fanno contro 1’ assunto Aristotelico (il quale solamente, per esercizio alla 20 mia professione convenevole, mi ho preso ad esaminare e difendere), non ho vo¬ luto toccare: già non intendo pregiudicare al giusto, a quanto dite di buono e fuora dell’intrapresa controversia; nò ho alcun fine di offendervi, anzi di ono¬ rarvi per quanto so 0 posso, con ogni candidezza di cuore e di opere. Il Fine. Voi, Sig. Rocco, mi forzate a darvi ogni satisfazione in molti luoghi del vostro libro, ma in particolare alla fac. 195 [pag. G94, lin. 27-29], dove, con certa quasi comminazione, mi dito così : Di grazia , venite alle ca¬ gioni particolari, se non volete che i vostri dogmi siano fregiati col tìtolo più tosto di vana loquacità che di ponderata filosofia ; e nolla seguente fac- ao eia [pag. G95, lin. 15-18] con termine più modesto più mi provocate a ri¬ spondervi, dicendo : Mostratemi, vi prego, caro Sig. Galileo (che non ho in verità, non ho, per Dio, altro fine che d’imparare), mostratemi i grandi assurdi di questa posizione (che abbozzo, che accenno solamente, e ne lascio 28. mi dite : Di grazia, M — DI ANTONIO ROCCO. 713 il compimento a chi più sa), e perchè tanti gin etc. Però, per vostra satisfazione, state attento ed imparate, perchè veramente ne avete bisogno grande. Avendo voi in questa ottava Esercitazione conceduto, le due ap¬ parenze del 72 o del 604 (dette comunemente stelle nuove) essere state veramente nella parte celeste e tra le stelle del firmamento, e volendo pur mantenere che dall’esser loro improvisamente comparite, e poi dopo molti mesi sparite, non si possa ragionevolmente inferire, la sostanza celeste esser soggetta all’ alterazioni, generazioni, corru- ìo zioni etc., scrivete così a fac. 193 [pag. G93, lin. 18-21], verso il fine : E chi di¬ rebbe mai giudiziosamente: « La tal cosa si è da noi nuovamente vista, adunque si è nuovamente generata ? si è tolta di vista, adunque si è corrotta ? » è forse indistintamente V istesso il comparire col generarsi, il disparire col dissol¬ versi ? Adunque, Sig. Hocco, voi spacciate per persona priva di giu¬ dizio quella che dal solamente veder comparire e sparire simili novità nel cielo argomenta, quelle esser nuovamente prodotte e poi disso¬ lute. Ora, perchè io so che voi (come io ancora) non avete Aristo¬ tile per privo di giudizio, e so ancora che voi sapete che egli produco per testimoni di tali accidenti gli occhi proprii, quelli de’ suoi con- 20 temporanei e quelli de gli antichi, però è forza che altro ricercasse Aristotile da’ suoi occhi, che il veder comparire e poi sparire simili novità, onde ei potesse poi giudiziosamente inferire la generazione e la corruzione etc. : e però io, che non men desidero d’imparare da voi che non voi da me, vi prego a dirmi quali fussero quelli accidenti che Aristotile, secondo il vostro credere, andava ricercando con la vista, per i quali poi ei potesse giudiziosamente inferire 1’ alterabilità nel cielo, perchè io anche nelle materie qui prossime a noi, nelle quali i sensi, o per la mutazione del sapore o dell’ odore o della risonanza o di alcuna tangibil qualità, mi porgono argumento di alterabilità so e di corruzione, dal senso della vista non mi vien somministrato testi¬ monio più valido, che il presentarmisi di nuovo all’ occhio e da quello dopo qualche tempo sparire. Vedete, Sig. Rocco, a quali sconvene¬ volezze vi traporta 1’ odio immeritamente contro di me concepito, che già mai non vi offesi; chè per gravar me non la perdonate nè 2. chè veramente, M, L — 6-7. le stelle fisse, e volendo, M — 7. comparse, M — 9-10. altera¬ zione, gencrazioyxe e corruzione, scrivete, M —14-15, giudizio quello che, M, L — 16. argumen- tasse, M — 22. potesse giustamente inferirne, M — 24. che voi da me, L. In V non è aggiunto tia le linee; in M manca da che a me. — 27. io ancora nelle, M — VII. oo 714 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE anco al vostro Maestro, o lo spacciato por poco giudizioso, mentre ricorreva al testimonio della vista per venire in cognizione se nel cielo si facessero generazioni e corruzioni : o qui calzerebbe assai meglio 1’ esclamazioncella che voi ponete, commiserando le stelle, alla fac. 196 [ptvg.69f>, lìn.4J, e con miglior proposito potrei dire: Poveretto Aristotile, quanto vi compatisco ! Ed avvertito a non voler ricoprire la nota, ebe già gli avete imposta, con qualche distinzione o con altro mendicato refugio, chè v’ assicuro che lo precipiterete senza sua colpa in baratri sempre maggiori ; ma da vero filosofo, e filo¬ sofo peripatetico, confessate, che se Aristotile vedesse queste e le altre io mutazioni che si fanno in cielo, le quali ad esso furono ignote ed immaginabili, riceverebbe assai più volentieri me per suo scolare o seguace che voi, poiché io antepongo i suoi dogmi certissimi alle sue proposizioni opinabili, e voi per mantener queste refiutate quelli, cioè posponete le sensate esperienze alle opinabili conietturo. Ma segui¬ tiamo avanti. Yoi, parendovi di avor trovato la inchiodatura di sostenere quello che Aristotile assolutamente deporrebbe, dite elio non mancano ma¬ niere di saivaro la comparsa e Y occultazione di esse stelle nuove, e per mia maggior mortificazione dite elio io medesimo P avevo alle 20 mani, 0 scrivete cosi : Non date voi queste medesime apparizioni e nascon¬ dimenti alle stelle Medicee, senza che si generino e si corrompano, nm solamente col volgersi nell’ epiciclo intorno a Giove, e col restare ora lumi¬ nose dal Sole, ora dall’ assenza di esso tenebrose ed invisibili ? È vero, Sig. Rocco, che io do P apparizione e P occultazione alle stello Me¬ dicee ; e per questo, sapendo voi che tal cosa non mi era ignota, dovevi con termine più cortese dedurne in conseguenza elio io co¬ noscevo, simile apparizione ed occultazione non si poter adattare alle due stelle nuove, e non più presto che, come poco avveduto, io non avessi penetrato colà dove arriva la vostra perspicacità : la quale so in questo caso (e siami lecito parlare con libertà, mentre voi da me, come da maestro, cercate di imparare) ha gran bisogno d’esser as¬ sottigliata, perchè, per quanto mostra il vostro modo di parlare, voi sin qui non bene avete penetrato come vada il negozio delle Medicee 1. lo spacciate di poco giudizio, M — 7-8. o qualche altro, M; o altro, L — 8. lo preci¬ piteresti, L 10. cd altre, M— 11 . le quali allora furono, M — 21-22. apparizioni ed occulta¬ zioni alle, Y 22. Medicee, che non si generano o si corrompono, Y — 25. ed occultazione, M — 25-26. alle Medicee, M, L — 32. ricercate, M — 34. avete inteso come, M — DI ANTONIO ROCCO. 715 circa lo scoprirsi od ascondersi; il quale, quando 1’ averete compreso, vedrete quanto sia lontano al potersi adattare al fatto delle stelle nuove. E prima, conietturo il bisogno vostro circa l’intelligenza delli accidenti delle Medicee dal vostro modo di parlare, mentre dite : Le Medicee col volgersi solamente nell’ epiciclo intorno a Giove, e con restare ora luminose dal Sole (credo che vogliate dire illuminate), ora dall’assenza di esso tenebrose ed invisibili. Qui, primieramente, mostrate di credere che del comparire ora luminose ed ora restar tenebrose ed invisibili io ne sia causa 1* avvicinarsi ed assentarsi dal Sole, che tal senso, e non altro, si cava dal vostro discorso : il qual detto è vanissimo, attesoché un oggetto per sò stesso tenebroso, e che da uno splendentissimo venga, in distanza, v. g., di cento miglia, reso lucido e visibilis¬ simo, cosa molto semplice sarebbe il diro che 1’ allontanarsi da quello che l’illumina un braccio o due di più, lo privasse dell’illumina¬ zione o lo rendesse invisibile ; nò più che in tal proporzione appres¬ sano ed assentano le Medicee al Sole i diametri de’lor cerchietti. E non v’ aspettate, Sig. Rocco, di potere glosare il vostro detto o ridurlo a buon senso dopo che averovvi dichiarato come cammina 20 1’ occultazione di tali stelle, perchè voi nò pur nominato i termini principali, anzi unichi e singolari, che in tale operazione intervengono. Voi non accennate, non elio specifichiate, nò interposizione di Giovo tra le sue stelle od il Sole ; voi non dite, Giove esser per sè stesso opaco e privo di luce, e però spargere il cono della sua ombra al- l’opposto del Solo ; nò parimente dito che questo medesimo fanno le medesime stelle sue seguaci, nò mai in somma nominate eclisse: e pur questa ò la sola cagione della occultazione di quelle. Per tanto sap¬ piate, Signor mio, che, essendo il corpo di Giove non meno tenebroso della Luna e della Terra, e splendido solamente in quella parte che 30 i raggi solari percuotono, dalla parte opposta, non meno della Terra e della Luna, distende in forma di cono la sua ombra ; per il qual cono tenebroso dovendo passare le quattro stellette, mentre sono nella 9. dal comparire, V — 10-11. che tal senso si trae, e non altro, dal vostro modo di parlare : il qual, M; chò tal senso, c non altro, si trac dal vostro modo di parlare : il qual, L — 31. V al¬ lontanarlo, M, L — 14-18. Vallontanarlo un braccio o due più da quel che Villumina {che in tal proporzione appressano e allontanano le Medicee al Sole i diametri de 1 loro cerchietti) do¬ vesse renderlo al tutto invisibile e tenebroso. E non aspettale, L — 16-17. s'appressano cd assen¬ tano le Medicee dal Sole di diametri de'lor, M —17. Sole il diametro de’, V 30. lo percuo¬ tono, M. Iu. L manca da c della Terra (lin. 29) a e della Luna (lin. 31) — 32. stelle, M 71G ESEBCITAZIONI FILOSOFICHE parte sublime de’ loro cerchi, entrando nell’ ombra di Giove, restano prive della vista, e perciò dell’ illuminazione, del Sole, cioè restano eclissato ; e simili eclissi si fanno elleno anco tal volta fra di loro, come io altrove ho a bastanza dichiarato. Ora che averete imparato come procede questo negozio, essendo vostra opinione, come in più luoghi scrivete, che quello che confata una dottrina d’altri sia in obligo di dichiarare puntualissimamente come stia il fatto realmente della conclusione che oi dico, male essere stata intesa dall’ altro, sete in obligo (già che dite, le apparizioni e nascondimenti delle stelle nuove poter esser come quelle delle Me- io dicee, come quelle de gli epicicli, etc.) di specificarci puntualmente come stiano tali epicicli, per salvare tale apparizione ed occultazione insieme con l’ingcnerabilità ed incorruttibilità del cielo. Ma forse sarà bone, ed anco opera di carità, che io vi schivi qualche dispen¬ dio di tempo ed affaticamento di monto, con dichiararvi e partici- parvi quelli avvertimenti che persuasero me a rimuovere il pensiero dal cercare di salvare dette apparizioni ed occultazioni per via di epicicli, e, quel che è più, per via di qualsivoglino movimenti cir¬ colari, che soli (come voi con Aristotile affermate) possono trovarsi tra i corpi celesti. 20 Sappiate per tanto che la comparsa di questa novella luce dcl- P anno 1604 fu del tutto improvisa ed inaspettata, e si mostrò la bella prima sera della maggior grandezza che ella ritenesse in tutto il tempo che fu veduta ; cominciò poi a mostrarsi minore e minore, sin che in 18 mesi incirca restò affatto invisibile: nò in tutto questo tempo cangiò ella sito, ma sempre ritenne il medesimo aspetto con le stello del firmamento, e, come una di loro, solo participava del moto diurno, restando esente da ogn’ altra mutazione 0 per lunghezza o per larghezza del cielo; talché, se di moto nessuno fu mobile, quello non fu nè potò esser altro che retto dal. centro della Terra verso la sfera 30 stellata, ma in parti altissime, alla lontananza delle quali il semidiame¬ tro del globo terrestre fusse di insensibile considerazione, poiché in lei 2. privi, V, M — 5. avete, M, L — 7. sia obbligato, M — 8. che si dice, M —10-11. come questi delle Medicee, INI, L —11. come quelli degli, M—12. come siano, V — 15. col dichia¬ rarvi, M — 17. le dette, M, L — 18. di movimenti, M ; di qual si siano movimenti, L — 19. che ao h V affermate manca in V.—23. Dopo ritenesse si logge in V mai, ma sembra sia cancellato. 24. vista, M, L — 25. sì che in 15 mesi, L — 28. e per lunghezza e per, M, L — 30. potette, M, L — DI ANTONIO ROCCO. 717 non si scorse inai veruna mutazione di aspetto. Stante queste sensazioni, è cosa impossibile, Sig. Rocco, il mantenere che ella fusse una delle stelle eterne, che per movimento di un suo epiciclo o altro cerchio avvicinan¬ dosi comparisse, e poi allontanandosi si perdesse di vista; imperò che impossibil cosa è il far muovere in un particolar cerchio una stella, senza che ella muti aspetto con le fisse. Inoltre, bisogna che sappiate, che quando per un moto circolare la stella avvicinandosi si fa visibile e poi allontanandosi si asconde, il modo del comparire bisogna elio sia simile a quello dell’ occultarsi. Or come averebbe potuto tal stella io presentarsi, in un subito ed alla prima vista, grandissima, so poi così lentamente si andò diminuendo, che non prima che in molti mesi si estenuò all’ ultima esinanizione ? e tanto più che la sua diminuzione fu tale, e tale la differenza della sua massima e minima osservabile grandezza, che così differente non si mostra Marte vicinissimo da sè medesimo lontanissimo, benché allora sia ben (50 volte maggiore il suo apparente disco. Voglio dirvi un altro punto più sottile, o scoprirvi un grande incon¬ veniente al quale dareste luogo in questo vostro modo di salvare la ve¬ nuta e la partita di questa nuova stella. Voi liberamente ammettete che 20 potrebbe esser un epiciclo che, portandola, per alcun tempo ce la ren¬ desse visibile, e per altro ce la allontanasse in modo che restasse occulta; e perchè il tempo del ritorno è lunghissimo, voi largamente ammettete che il periodo di una sua conversione possa essere, anzi necessariamente debba essere, di molte migliaia di anni : or sia de i settemila che voi concedete ; ed essendo che il tempo della sua veduta fu di un anno e mezzo, facciamo il calcolo qual parte del suo cerchio ella in tanto tempo veniva a passare; che la troveremo esser manco di cinque mi¬ nuti di un grado, cioè manco di una delle quattromila trecento parti di tutto il cerchio. E perchè io cr.edo che voi pur concederete che visibile so ci fusse ella mentre si trovava nella parte del suo cerchio più a noi vi¬ cina, dunque apparve solamente mentre passò la 4300' parte piu bassa del suo cerchio: ma in una sì piccola parte di circonferenza non è punto alcuno che sia nè anco venti braccia più vicino a noi di un altro: come dunque potette variar tanto la sua visibile grandezza con l’avvicinarsi 8. il moto ilei, M, L —11-12. mesi s’estremò all’ultima svanizione, M — 13. della sua massima e la sua minima, V ; della sua massima e della sua minima, L 25-2G. ed essendo il tempo della sua veduta di un anno [solo d’un anno, LJ e mezzo, M, L 29. concedereste, \ — 31. 1300" parte, V, L — 718 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE od allontanarsi solo poche braccia, mentre nò anco centomila miglia basterei)bono? Vedete, Sig. Rocco, quanto vi manca per potere fondata¬ mente discorrere di simile materia. Fate, Sig. Rocco, a modo di un vo¬ stro servitore: studiate un poco poco i primi principii di sfera, ed anco qualche cosetta di geometria, cioè tanto che vi basti per conoscere che voi di queste materie sete lontanissimo da intenderne nulla, perchè tal cognizione vi schiverà per 1’ avvenire V aprir mai più bocca di cicli e di elementi e di lor moti circolari o retti ; cognizioni, che V istesso Aristotile confessa di torlo in presto da’ matematici. Io vorrei aiu¬ tarvi con qualche risposta ingegnosa, mostrando che pure senza servirsi io d’ altri moti che circolari, si potrebbe far calare per linea retta la stella, ed alzarsi ed abbassarsi per qualsivoglia intervallo, e più re¬ stare occulta per lunghissimo tempo e palese per breve ; ma non voglio affaticarvi tanto la mento, perchè è cosa di matematica al¬ quanto sottile, e, quel che più importa, non sodisfà a quel compa¬ rire ex abrupto grandissima, consumando poi tanti mesi in diminuirsi o tornare ad occultarsi. Or ecco, Sig. Rocco, mostrati gl’ inconvenienti (se però per voi mi sono a bastanza dichiarato), anzi l’impossibilità di potere per via di epiciclo o altro moto circolare render ragione do i particolari acci- 20 denti che furono osservati nell’ apparizione ed occultazione della nuova stella del 604, similissimi in tutto a quelli dell’altra del 72: e così penso di potere aver sodisfatto a quanto con instanza mi domandate in questo proposito alla fac. 196 [pag.695, lin.ll osog.J. Dove poi seguendo dite, come concetto creduto 0 trovato da me : Perchè tanti cerchi, a guisa di scorze di cipolle, intorno al Sole, come pur dite voi?, qui 0 voi non avete inteso quello che io scrivo, o, se 1’ avete inteso, a torto m’imponete quel che non solamente non è mio pensiero, ma nel- l’istesso luogo come vanissima opinione la confuto. In quello che scrivete appresso, ponete una mia contradizione, e dopo quella una so fraterna correzione, dicendo : Ricordatevi un poco, Sig. Galileo , e con¬ siderate le vostre ordinarie contradizioni ad ogni passo, nè crediate abbino ad essere interpretate come i responsi dclli oracoli: la contradizione poi 2-3. per fondamento di poter discorrere, Y ; per fondamento, cioè per fondatamente discor¬ rere, L — 8. o d’elementi, M, L — 0 di lor, L — 8-9. cognizione, che ... di torta, V—12. per guanto si voglia intervallo, M; per guai si sia intervallo, L — 21. nell’ apparizioni ed occulta¬ zioni, Y, M. Nel cod. V era stato scritto apparizione, e poi l ’e finale fu corretto in i. — 24. della fac., Y — DI ANTONIO ROCCO. 719 die mi imponete è, elio io voglio die queste stelle di nuovo generate si corrompino, mentre all’ opposito altre volto (come voi dite) mi son burlato di dii dicesse che una delle vecchie e delle già numerate dalli antichi si possa corrompere. È vero che io ho proferito e V una e 1’ altra proposizione ; ma di dove cavate voi che io abbia mai sti¬ mato o detto elio una di queste nuove impressioni abbia che fare o convenga con le antiche o vere stelle altro che nel nomo ? Il nome, dunque, appresso di voi si tira in conseguenza l’identità della so¬ stanza ? Oh, Signor mio, non chiamate voi ancora stella quella pic- 10 cola macchietta bianca per la quale un cavallo si dice stellato in fronte ? non si nomina stella la girella dello sperone ? niuna di queste è che differisca più da una reale stella del cielo, di quel che diffe¬ riscono le due dette stelle nuove. Se io dico dunque, ed ho detto, che apparisce farsi delle generazioni e delle corruzioni, non ho però detto generarsi reali stello, e molto meno corrompersi ; anzi ho detto, e replico ancora, che qualsivoglia materia niente o poco trasparente, cioè in somma che sia visibile, esposta in cielo a i raggi del Sole, ci apparirà splendente come una stella. Levate dunque a me 1’ attri¬ buto di contradittore a me stesso, ed a voi applicate quello che più so convenga, chò io non intendo disgustarvi. Seguite poi, o con piacevolezza portato la diversità che io potrei addurrò tra le antiche e le moderne stelle, come cosa delle più belle che io potessi mai dire : il qual pensiero, benché veramente non mi sia mai caduto in mente, tuttavia è tanto saporito che non lo voglio re- cusare; e benché il sale col quale voi lo condite sia alquanto austeretto, ad ogni modo sento che fa in me quell’ effetto che fa il solletico, che, se bene con qualche repugnanza si sopporta, tuttavia più con piacere provoca il riso. Nè con minor gusto ricevo la seguente cor- rezzione fraterna, dopo la quale liberamente dite che non intendete so che nè io nè Aristotile nè altro uomo del mondo penetri gli arcani del cielo, ma a gli animi docili e moderati basta di ridurre al più congruo, al non implicante, al verisimile. Ma se questo è, che cosa vi muove a volere per sì grande intervallo anteporre i placiti di Ari¬ stotile a quelli di un altro ? Se poi nel presente caso voi sete ridotto 9-10. chiamale voi stella quella ancora piccola, V ; chiamate ancor voi stella quella pie¬ mìa, L — 11. si chiama stella ,M - 14. apparisce forsi delle, V - e corruzioni, M ; e correzioni, I, -17-18. Sole, apparirà, M—25. alquanto austero,Y ; alquanto austretto, L - 27. si comporta, M,L — 27-28. tuttavia pur con piacere, M; tuttavia con qualche piacere, L—31. dc’cieh, M — 720 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE al non implicante od al più congruo, potrete ora conoscer meglio che prima. Quello parimente che inserite contro quel temerario che si desse a credere d’intendere come sia fatto il cielo, perchè da lon¬ tano lo vede e lo contempla, casca prima sopra Aristotile che sopra di me, perchè esso assai prima di me va cercando di penetrare i cieli, nè io cerco se non di assicurarmi delle cose da esso cercate e stabilite ; le quali so sono così incerte come voi confessate, perchè con tanto livore vi inacerbite contro chi non 1’ ammette, o come false le refuta ? Deh non avessi io mai scoperte queste novità in cielo, di tante innumerabili non prima vedute stelle fisse, di quel che siano io le nebulose, la Via Lattea, de’ collaterali di Saturno, della corte di Giove, la immensa mutazione di grandezza in Marte, le importune macchie nel Sole, le gran mutazioni di figura e grandezza in Venere, le scabrosità grandissime nella Luna ; deh mai io non 1’ avessi pale¬ sate al mondo, poi che dovevano concitarmi l’odio del Sig. Antonio Rocco e di tanti altri Signori filosofi ! Consolatevi, Signore ; che il tempo, scopritore della verità, in breve è per estirpare queste fal¬ lacie, e più le vane conseguenze che io stoltamente ne deducevo, e i vostri scritti, pieni di dottrina ferma e soda, viveranno immortali, ad onta delle mie esorbitantissime chimere. 20 Dove voi dite che non senza mistero ho scritto in lingua nostrana per farmi capo popolare appresso i poco intendenti e che non pescano ne i profondi reconditi del Liceo, e soggiugnete che questo mio pen¬ siero non è forse fallace in pratica, errate in tutto e per tutto, e voi stesso potete a voi medesimo essoro ottimo testimonio, il quale, essendo così poco intendente delle cose scritte da me che ben si può dire che poco più che niente ne capite, pure non solamente non vi sete fatto mio seguace, ma mi avete posto un odio capitale. E sog- giuguendo appresso, che il numero de’ balordi e corrivi, che inconsi¬ deratamente conferiscono gli onori, è infinito, dovevi, per mio parere, so eccettuarne quelli che a voi hanno offerto gli onori delle cattedre principali, perchè se voi gli lasciate tra quella infinita moltitudine, 2. Tra parimente che e contro in V è una lacuna, occupata da puntolini; il cod M legge che inserite contro; il cod. L, che voi dite contro —contro a quel, M, L — 9. le refiuta, V — 14-15. mai non l'avessi io palesate, M, L — 17-18. quelle fallacie, M — 21. lingua toscana, L — 25. esserne testimonio verissimo, L—26-27. da me (che ... capite) pure, V — 27. capite, e pure, M, L — lin. 32-lin. 1 della pag. 721. gli lasciate tra ... voi spacciate loro per balordi e corrivi c voi stesso, M ; li lasciassi tra ... voi spaccieresti ... e sentenzieresti voi stesso, L — DI ANTONIO HOCCO. 721 voi spaccercte loro por balordi e corrivi, e sentenzierete voi stesso per imineritovole de gli onori offertivi. Per la fac. 173 o 183 . appresso più, L, F — 30. cioè con un, L —31. continovata, M — 32-33. Da delle 100 a composta manca in F. — 748 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE eguale alla sua circonferenza. Altre conseguenze poi ed ammirande le sentirete altra volta, dove spero dimostrarvi che la strada che si tiene comunemente nel voler comprendere i progressi della natura, in¬ cammina così bene i filosofi suoi verso il termine desiderato, col ban¬ dire dalla lor mente gl’ infiniti, gl’ indivisibili, i vacui, come concetti vani e perniciosi ed esosi ad essa natura, come bene incamminerebbe il suo scolare quel pittore o quel fabro il quale gli desse per i primi principii il dar bando ai colori, ai pennelli, alle incudini, a i martelli, alle lime, come materie c strumenti inutili, anzi dannosi, a simili esercizii. io Ma facciamo qualche altra considerazioncella sopra il vostro testo : e dove voi ponete per il primo e massimo inconveniente che segui¬ rebbe, se la sfera toccasse in un punto, Tesser la linea composta di punti, già potete vedere da quanto ho detto, che T assurdo non è così sicuro come voi lo fate; nè meno è vero quello che soggiungete, che tal composizione sia stimata falsissima in filosofìa e matematica, per¬ chè da i matematici celebri tal proposiziono non è trattata, non che conclusa o negata. Soggiungete poi (e sia detto con vostra pace) un masticaticcio di cose inconseguenti ed, al mio corvello, senza senso, con dire che la sfera saria di punti e di niuna quantità, perchè voltan- 20 dola in giro, senza variar sito 0 distanza (distanza da chi, Sig. Rocco?), sempre toccherebbe in un punto. Credo che abbiate voluto dire, che rivolgendo la sfera in sè stessa, ma sempre sopra l’istesso punto del piano, si segnerebbono sulla superficie di essa sfera cerchi 0 altre linee curve infinite, delle quali essa superficie sferica sarebbe com¬ posta ; ed essendo esse linee composte di punti, verrebbe in conse¬ guenza anco ad esser di punti composta la sferica superfìcie : il che voi reputate impossibile, ma io no ; e stimo, che sì come la linea è composta di punti, così la superficie sia composta di linee ; ma 0 quella e questa, di punti infiniti e di linee infinite. so Le conseguenze che soggiungete poi, son ben verissime, ma non 1. conseguenze del cerchio c ammirande, L; conseguenze poi del cerchio cd ammirande, F — 3-4. natura non incammina, F — 6. bene non incamminerebbe, F — 7. pittore il quale, M — 7-8. primi precetti, F — 8-9. pennelli, come, M — 11. considerazione, M — 13. toccasse un piano in, I j —14. potrete, F— 19. cose incongruenti e, L, F — 20. sfera sarà di, F — 20-21. voltando, M — 22. sempre in un punto, M, li, F. Cfr. pag. G83, lin. 2. — Equi credo, F — 28-29. linea sia coni- jfosta, M 29. cosi la superficie o le superficie siano composte di lince, L; così le superficie sien comjmste di linee, F — linee infinite; ma, M — 29-30. ma questa e quella di linee infiniti (sic) e di punti infiniti, L; ma è quella e queste di punti infiniti e di linee infinite, F — 30. In M manca c di linee infinite — DI ANTONIO HOCCO. 749 pregiudicano a nessuno. Vero è che il punto, por essere indivisibile, non può conferire esser divisibile nò quanto nò circolare, nè far clic la sfera sia divisibile nò quanta nè sfera nò sferica; e tutte queste faccende chi volessi dire che nascono da un punto, stimo che non avesse punto di giudizio: ma chi con giudizio compone la linea di punti, non ne piglia un solo nè due nè mille nè millioni, ma infiniti ; sì che il conferire divisibilità e quantità è virtù della infinità, la quale è una materia lontanissima dall’ esser capace di quelli attributi e con¬ dizioni allo quali soggiaciono i nostri numeri o grandezze comprese dal io nostro intelletto : là non entra maggioranza, minoranza, nò equalità, non vi ha luogo nò il pari nò il dispari ; ogni parte (se parte si può chiamare) dell’ infinito è infinita ; sì che, se bene una linea di cento palmi è maggiore d’una d’un palmo solo, non però i punti di quella sono più do’ punti di questa, ma e questi e quelli sono infiniti. 11 resto che aggiungete, elio il punto non può conferire P esser circolare, e però la sfera sarebbe indivisibile, non quanta, non sfera, non sferica, veramente son con voi ; anzi tengo che nò il punto nè altra cosa del mondo faccia che la sfera sia sfera e sferica, e più tengo per cosa certa che nè meno sia potente a fare, per 1’ opposito, che la sfora 20 non sia sfera nè sferica. Dottrina bella e sicura: ma sappia il Sig. Hocco che i matematici, quando vogliono costituire una sfera, non ricorrono agl’ indivisibili, ma vanno al torniaio, se la vogliono di legno, al fon¬ ditore, se la vogliono di metallo. Dove poi, seguendo, mettete in dub¬ bio, anzi pur dannate, la demostrazione mia, e che, per evitar quelli evidentissimi assurdi, dite che minore inconveniente sarebbe (ma sap¬ pia V. S. che appresso i geometri tutti gl’ inconvenienti sono eguali, cioè massimi) il dire che delle linee tirate tra due punti non la sola retta sia brevissima, ma che altre così brevi ve ne possano essere, ciò mi giunge inaspettatissimo ; e quando sia vero, rallegratevi, per- 30 chè sovvertirete in maniera non solo la presente questione, ma tutte le mattematiche insieme, che mai più non moveranno assalti alle de¬ terminazioni filosofiche ; ed io, quando vi piaccia di additarmene una 1. Vero che, M — 2. conferire V esser, L — 5. giudizio pone la, M — 6. due ne cento ne mille millioni, L — mille o milioni , F — 9. soggiacciono i non numeri e grandezze, F — IO. mag¬ gioranza nc minoranza, L — 12. infinito è infinità, M — 15-16. e che però, L, F —18. sia sfera c sferica insieme, e più, M; sia sferica , c più, L; sia sfera insieme, e più, F — 19. sia cosa potente, L, F — 23. poi, segregando, mettete, M — 25-26. sarebbe ( sappia, Sig. Hocco, che, F — 27. tirate da due, M — 29-60. perche convertirete in, F — 750 ESERCITAZIONI FILOSOFICHE DI ANTONIO ROCCO. sola che non sia maggior della retta, mi rinquoro di trovarne più di 1000 altro appresso: ma bisogna che troviate altra demostrazione elio la mia medesima, con la quale dite che io concluderò in questo senso, perchè io veramente non ne so cavar tal conclusione. Che poi io supponga una falsità manifesta per salvare una proposizione che ha diverse interpetrazioni, non so quello che voi vogliate dire : forse P intenderò doppo che mi avrete insegnato, non esser sola brevissima la . retta, proposizione che fin ora mi par falsissima, ed introdotta per levare il contatto puntuale, certissimo, della sfera. Quello che soggiungete per rimo vero quella ragione per la quale io si dice, la sfera toccare in un punto, e che vi pare che abbia buona apparenza, con dire che nella brevità, ove accade il contatto con la sfera, si trovi in quantità reale respcttiva indifferenza all’ esser piano e circolare, confesso la mia ignoranza, non intendo niente, non ne so cavar senso, c però non posso vedere come ciò schivi P esser forzato a dire che nel punto sia curvatura : ma ben senza P aiuto dell’ enigma dotto mi libero io dal por curvità in un punto, essendo quello che si curva, doppo il contatto, nel cerchio una parte di circonferenza, composta di punti infiniti, e nella sfera una parte della sua superficie, contenente infinite circonferenze, o infiniti archi dall’ istesso contatto derivati. Fi- 20 nalmente, nel burlarvi del mio Simplicio circa le sfere materiali mo¬ strate di ricordarvi poco d’Àristotile, oliò è esso, c non Simplicio, che, concedendo che la sfera in astratto tocchi in un punto, dice che Sphera aenea non tangit planimi in puncto ; e voi ora lo negate anco dell’ astratta, c, per crescere errore sopra errore, soggiungete che avreste per minore assurdo che le superfìcie piane si toccassero in un punto. 4-5. Che poi come io, M, L — li. toccare il piano in, L —14. non intendendo niente, F ; non ne intendo nulla, L — 15. sforzato, F —16. enigma mi, F — 19. punti, c, M —20. cir¬ conferenze, infiniti, F — derivanti, L, F — 22-23. cliè esso è, non Simplicio, che concedendo, L; che esso, e non Simplicio, concedendo, F — 23. concedendo, la sfera, M — 24. aenea tangit, M — 24-25. anco all'astratta, M — 25. e, per essere errore, M — FINE DEL VOLUME SETTIMO. I INDICE DEI NOMI. (I numeri indicano lo pagine.) A. (Episcopus Bellicastensis). 26. Albano (d 1 ) Pietro. 599. Accademico Lincoo. — V. Galilei Ga¬ lileo. Agecio. — V. Hagocio. Agostino (S.). 551, 562. Agricola Georgius. 561, 563. Ainzelio. — V. Hainzelio. Albatogno. 388. Alcide. 692. Alessandro (d’Afrodisea). 137. Alessandro (Magno). 405. Alfagrano. 388. Anasagora. 612. Antella (doli’) Niccolò. 26. Apollo. — V. Scheiner Cristoforo. Apollonio Pergeo. 372, 513, 744. Archimede. 190, 231, 313, 414, 744. Archita. 128. Aristarco Samio. 298,299, 346,355,362, 496, 690. Aristotile. 23, 33, 34, 36, 38, 39,40,41, 42, 43, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 65, 66, 68, 69, 70, 71, 74,75, 76, 78, 80, 81, 82,94, 106,110,122,134,135, 136,137,138, 139,140,141,142,143, 144,147,149, 150,151,153,154,155, 157,159,160,161,162,163,164,165, 166,167,175,176,177,178,179, 184, 189,196, 202,210,211, 215,217,228, 229,237,245,249,256, 264,273, 282, 287,288,290,292,296,299,300, 301, 312,347,348,349,354, 380,406,423, 424,426,429,437,438,445,447, 459, 480,492,493,494,496,497, 500, 506, 507,511,512,513,515,536,546,549, 550,556,557, 562,563,564, 571,575, 576,577,578,579,580,581, 582,583, 584, 585,586,587, 588, 589, 590,591, 592, 593, 595, 596,598,603, 604, 605, 606, 607, 608, 609,610, 613, 615, 616, 617, 618, 619, 620, 622,623, 624,626, 628,629, 630, 634, 639, 645, 650,652, 054,655,656, 659, 660, 063, 666,667, 668,670, 671,672, 673, 676, 677,678, 682,686,687, 688, 689, 690,691,695, 096,697,698,700, 701, 705,710,712, 713,714,710,718,719,720,721,722, 723,724,725, 726,728, 730,731,732, 733,734,738,739,741,742, 744,750. Assia(Landgraviod’).307, 319,320,321, 322,326,335, 336, 337, 342,523,524, 525,526, 529, 531, 532, 536, 537,538. Atlante. 630. Attoone. 136, 436. Borro Girolamo. 446, 499. Buonarroti Michelagnolo. 128, 130,495. 752 INDICE DEI NOMI. Buschio. 307, 320, 337, 340, 523, 524, 525, 526, 527, 529, 531, 532, 536, 538. Caino. 74. Camerario. 307, 319, 324, 335, 336, 342, 523, 524, 525, 520, 529, 531, 532, 533, 536, 538. Campanella. 540. Castelli Benedetto. 259. Chiaramente. 296, 304, 501, 504, 523. Cicero. 550. Clavio. 388. Cleoni ede. 117. Copernico Niccolò. 23, 27, 33, 140,141, 154, 155, 159, 164, 194, 206, 207, 244, 245, 246, 248, 258, 260, 263, 264, 268, 270, 271, 272, 273, 278, 279, 281, 282, 285, 286, 287, 289, 290, 291, 292, 293, 294, 296, 298, 299, 303, 323, 324, 346, 353, 354, 355, 357, 360, 362, 363, 307, 368, 369, 370, 372, 382, 383, 384, 385, 386, 387, 391, 392, 393, 396, 397, 398, 399, 400, 404, 405, 413, 416, 417, 424, 436, 402, 477, 480, 4SG, 487, 493,496, 497, 498, 509, 513, 517, 519, 533, 543, 545, 546, 550, 551, 552, 553, 557, 562, 690, G99, 712. Cord[ova] (di) Gonzal[vo |. 544. Cremonino. 68. Della Bella Stefano. 23. Demostene. 78, 618. Diana. 436, 655, 701. Egidius (Fr.) Clemens. 26. Endimione. 136. Ercole. 137, 138. Esopo. 632. Euclide. 231, 232, 605, 744. Fanimando li, Gran Duca di Toscana. 23, 25, 431, 435. Fetonte. 711. Fromondo. 541. Galilei Galileo. 23, 25, 28, 44, 45, 51,53, 54, 90, 102, 124, 157, 162, 190, 219, 224, 234, 248, 259, 271, 274, 302, 303, 307, 312, 315, 323, 345, 356, 357, 361, 372, 373, 374, 386, 387, 388, 431, 439, 477, 489, 491, 505, 506, 507, 540, 544, 547, 563, 569, 571, 575, 577, 578, 579, 580, 581, 583, 588, 589, 590, 591, 592, 605, 609, 612, 613, 616, 621, 633, 634, 660, 663, 666, 667, 672, 673, 691, 693, 694, 695, 696, 697, 704, 712, 718. Gemma. 307, 320, 336,337, 523,524, 525, 526, 527, 529, 532. Gilberto Guglielmo. 426, 427, 429, 430, 431, 432, 436, 437, 439, 495, 499, 501. Giovacchino. 135. Giove. 136, 137. Guiducci. 540. Ilagecio Taddeo. 307, 320, 328, 336, 337, 523, 524, 525, 526, 527, 529, 532, 535. Hainzelio. 306, 307, 319, 326, 328, 329, 335, 336, 342, 523, 524, 525, 526, 528, 529, 532, 536, 537, 538. Icaro. 692. Iunctinus. 550. Keplero. 245,293,294, 295, 306,486, 493, 495, 498, 502, 513, 541, 550, 553, 554, 556, 557, 559, 560, 561, 566. Landgravio d’Assia. — V. Assia. Lansbergius. 552, 553, 554, 555, 556, 559. Longomontanus. 550. t Lorenzi ni. 303. Macrobio. 117. Magalotti. 540. Marsilii .Cesare. 487. Maurolico. 306, 307, 320, 328, 523, 524, '. 525, 526, 528, 529, 532. Medusa. 84. INDICE DEI NOMI. 753 Mercurio. 136, 612. Moria G. 13. 547, 549, 562, 566, 567. Munosio. 307, 308, 320, 324, 325, 326, 342, 523, 524, 525, 526, 527, 529, 530, 531, 532, 533, 534, 536, 538. Ricolinus Petrus. 26. Origami». 550, 555, 556. Orlando. 472. Ovidio. 135, 650. Paulus Tertius. 553. Peucero. 319, 326, 335, 336, 341, 523, 524, 525, 526, 532, 534, 536, 538. Pitagora. 35, 75, 76, 215, 494, 512, 517, 585, 586, 587, 655. Platone. 35, 44, 45, 217, 229, 423, 494, 497, 501, 502, 585, 586, 587, 594, 597, ; 600, 602, 659, 744. Plutarclms. 550. Plutone. 136. Proteo. 612. Ptolemaeus. — V. Tolomeo. Raffaello. 130. I lteinoldo. 320, 336, 337, 342, 523, 524, 525, 526, 527, 529, 531, 532, 536, 538. Riccardi ns Nicolaus. 26. Riclielius (Card.). 549. Rinucciai. 540. Rocco Antonio. 569, 571, 574, 581, 592, 598, 692, 697, 712, 713, 714, 715, 717, 718, 720, 721, 722, 723, 727, 732, 734, 737, 738, 739, 740, 741, 742, 744, 745, 746, 748, 749. SacroLosco. 440, 441, 510. Sagredo Giovanfrancesco. 30, 31, 33, 49, 61, 63, 69, 87, 96, 98, 100, 133, 137, 139, 157, 159, 171, 173, 181, 189, 192, 197, 199, 205, 208, 210, 212, 217, 218, 225, 238, 240, 242, 246, 253, 295, 297, 298, 305, 309, 347, 354, 355, 370, 390, 396, 405, 408, 416, 439, 443, 446, 464, 474, 488, 609, 619, 672. Salviati Filippo. 31, 33, 36, 38, 39, 54, 55, 59, 65, 71, 88, 92, 99, 112, 118, 131, 139, 157, 159, 171, 180, 183, 188, 190, 193, 200, 202, 203, 205, 208, 215, 229, 235, 237, 238, 239, 246, 248, 256, 259, 266, 295, 298, 301, 304, 305, 356, 364, 374, 375, 379, 380, 392, 393, 400, 402, 404, 405, 436, 442, 445, 448, 466, 467, 470, 474, 479, 489, 504, 680. Scheiner Cristoforo. 373, 495, 541. Schulero. 306, 319, 329, 523, 524, 525, 528, 529, 532. Seleuco. 486, 511. Simplicio. 31, 33, 36, 38, 41, 48, 55, 59, 61, 64, 65, 66, 67, 69, 71, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 81,93, 94, 96, 97, 100, 105, 106, 107, 109, 111, 113, 114, 115, 119, 122, 127, 129, 133, 134, 136, 137, 139, 141, 144, 146, 148, 150, 151, 155, 159, 160, 162, 165,166, 169, 171, 178,179, 180, 181, 183, 184, 185, 188, 190, 193, I 194, 197, 199, 200, 202, 203, 206, 208, 210, 211, 216, 217, 218, 223, 227, 228, 229, 234, 235, 236, 239, 244, 246, 247, 249, 250, 251, 257, 258, 259, 260, 265, 266, 267, 273, 279, 280, 281, 285, 286, 288, 289, 297, 298, 300, 302, 304, 305, 309, 310, 314, 317, 328, 346, 347, 348, 349, 353, 357, 360, 361, 364, 365, 368, 370, 379, 3S0, 3S2, 383, 384, 391, 392, 393, 394, 401, 402, 403, 404, 412, 423, 425, 430, 436, 437, 438, 439, 446, 448, 449, 452, 464, 467, 469, 474, 488, 543, 546, 593, 595, 606, 607, 608, 610, 614, 617, 018, 619, 620, 628, 632, 636, 637, 650, 652, 654, 667, 670, 672, 675, 677, 679, 683, 700, 706, 750. Socrate. 127, 183, 513, 610. Squadroni Alvise. 705. 754 INDICE DEI NOMT. Tassoni Alessandro. 704. Tebizio. 388. Ticone. 77, 151, 196, 202, 245, 272, 292, 307, 319, 320, 321, 322, 325, 328, 329, 336, 341, 385, 387, 388, 389, 399, 400, 402, 414, 492, 493, 509, 514, 515, 523, 524, 526, 528, 529, 530, 532, 533, 536, 537, 550, 552, 553, 555, 564, 617. Tiziano. 130. Tolomeo. 23,27,57,69, 70, 140, 141, 151, 153,154, 155, 158, 165, 166, 196, 214, 215, 216, 237, 267, 273, 287, 290, 294, 296, 299, 324, 347, 368, 369, 370, 380, 392, 393, 414, 424, 441, 480, 492, 493 494, 496, 513, 533, 546, 549, 55o’ 562 563, 564,744. ’ ’ Urbano Vili. 571. Ursino. 307, 308, 320, 33 7, 342, 523, 524, 525, 526, 527, 529, 532, 535, 536, 538, Vclsori Marco. 79, 372, 373, 619. Vinci. GO, 595. Virgilio. 135, G50, Vitelliono. 117. Vuratisio Cristiano. 154* INDICE DEL VOLUME SETTIMO. I due massimi sistemi del mondo.Pag. 1 Dialogo sopra i due massimi sistemi dei mondo. 21 Frammenti attenenti al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. 521 Dal libro di G. B. Morin Famosi et antiqui problematis de Telluri s moki vel quiete hactcnus optata solatio. — Con le Note di Galileo.547 Esercitazioni filosofiche di Antonio Rocco. — Con postille di Galileo . . . 509 Indice dei nomi.751 f.» « * V» LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME VII! FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE SOCIETÀ ANONIMA. 1933-XII LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume Vili. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE BOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume Vili. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 19 33 -XI. Edizione di seicento esemplari . Esemplare N° 169 . FIRENZE, 157-1033-34. — Tipografia lìiirlu’Tn — Ai.kani k Venturi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale li, R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTI — G. GOVI — G. V. SCI1IAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale fe posta sotto gli AUSPICI! DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO A BETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO PAGNINI. LE NUOVE SCIENZE. Vili. 2 I è»; AVVERTIMENTO Quando Galileo, giunto presso al termine dei suoi giorni, giudicava i migliori di tutta la sua età i diciotto anni consumati a Padova (,) , egli dovè, insieme con le caro memorie della più forte virilità, confortata da tutte le gioie della vita, ricordare che in quegli anni felici aveva fatte le sue maggiori scoperte e posti i fondamenti di tutti i lavori ai quali legava il nome immortale. Imperocché anche di quello da lui stesso designato come suo capolavoro (l) e generalmente conosciuto sotto il titolo di Dialoghi delle Nuove Scienze, che fu V ultimo ch’egli potò vedere stampato, aveva gittate lo basi in Padova (#) ; e le moltissime con- chiusioni, alle quali era già pervenuto, conferite quivi ed in Venezia < a’suoi amici, che si trovarono a varie esperienze ch’egli di continuo faceva intorno all’esa¬ mina di molti curiosi problemi e proposizioni naturali (k) >, avevano siffattamente destata V ammirazione di tutti, che Fra Paolo Sarpi era uscito a dire, che alla cognizione del moto, Dio e la Natura avevano formato V intelletto di Galileo (5) . <0 Lotterà di Galileo a Fortijnio Licr.Tr del 6 luglio IMO. — Cfr. De secundo-quaeaitis per episto¬ la* a duri* viri «, ardua, varia, pulchra et nolilia •piacque petcntibue in medicina ecc., responsa Fortumi Lickti. Utini, ex typ. Nicolai Schiratti, MDCXLY1, pag. 64. Lettere di Galileo ad Elia Diodati del 25 luglio 1634(Bibl. d'Ingnimbert aCarpeutras, Reg.XLI, voi. II, car. 23) e del 9 giugno 1035 (Mas. Gal., Par. V, T. VI, car. 28 r.); e lettera di Galileo a Mattia Ber* nkggkr dei 15 luglio 1636 ( Epistolaris commerci ì M. Bf.rneqgf.ri cui» viri e eruditone Claris. Fasciculus secundus. Argentorati, 1670, pag. 115). W Ciò è dimostrato da una grandissima quantità di documenti desunti dal suo carteggio. Cfr., p. o., le lettere di Galileo: a Guidobaldo del Monte dei 29 novembre 1602 (Mas. Gal., Par. VI, T. VI, car. 10); a Fra Paolo Sarci, dei 1G ottobre 1604 (Bibl. del¬ l’Università di Pisa); ad Antonio df.’Medici, degli 11 febbraio 1609 (Mss. Gal., Par. VI, T. V, car. 19); a Belisario Vinta, dei 7 maggio 1610 (Mss. Gal., Par. VI, T. V, car. 34); o a Giovanni Kbplkii, dei 19 agosto 1610 (Bibl. Palatina di Vienna, cod. 10702, car. 65). E Paolo Afrotko nella sua lettera a Ga¬ lileo del 3 marzo 1635 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 129) ricorda, come i dotti Dialoghi contengano cose che in parte egli aveva « imbovute già tanto tempo dalla sua bocca », cioè mentre era scolaro di Galileo in Padova. D) Fusti consolari dell' Accademia Fiorentina di Salvino Salvisi. In Firenze, ALDCC.XVII, pag.421. < 5 ) Lotterà di Fulgenzio Micanzio a Galileo dell’ 11 novembre 1634 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 95), del 25 ottobre 1G86 (Bibl. Estense di Mo¬ dena, Autogr. Campori, Busta LXXX, 133) e del 7 marzo 1637 (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 12). 12 AVVERTIMENTO. Alla prossima pubblicazione di questo suo lavoro Galileo accenna ripetuta¬ mente noi Dialogo dei Massimi Sistemi w : ma sebbene anche dopo il suo rimpa¬ triare egli fosso tornato, e a varie riprese, sopra gli argomenti trattati nell opera eh’ egli ideava, come fanno fedo i frammenti, che ad essa attengono, pervenuti insino a noi e che evidentemente risalgono a tempi diversi della sua vita, pure non sembra che alla elaborazione ed all’ordinamento dei materiali raccolti egli si sia applicato di proposito, prima della pubblicazione del famoso Dialogo e avanti che fosse passato il periodo più gravo delle sventure a motivo di esso toc¬ categli. Scorrendo pertanto il suo carteggio, troviamo cho appena nell'ottobre del 1630 egli informa l’Aggiunti degli acquisti conseguiti nella dottrina del moto (5) ; e che nel settembre del 1632, in occasione di dolersi con Cesare Marsili per la indiscrezione commessa dal Cavalieri intorno alla linea dei proietti, ac¬ cenna ad un libro di prossima pubblicazione, nel quale avrebbe trattato anche di questa materia (,) ; e un anno dopo, rispondendo ad una lettera d’Andrea Ar- righetti, che gli inviava, in seguito a richiesta avutane, due proposizioni concer¬ nenti le resistenze dei solidi, scrive d’aver per le mani un trattato intorno a que¬ st’ argomento Con maggior precisione sotto il 7 marzo 163-1 scriveva ad Elia Diodati d’ essersi trattenuto cinque mesi in casa dell’Arcivescovo di Siena, < trat¬ tato da padre da Sua Signoria Illustrissima, ed in continue visite della nobiltà di quella città ; dove composi un trattato di un argomento nuovo, in materia di mecaniche, pieno di molte specolazioni curiose ed utili (,) > ; e gli amici, venutine in cognizione, lo sollecitavano a pubblicarlo w . Finalmente, pochi mesi dopo scri¬ veva a Fra Fulgenzio Micanzio : < Il trattato del moto, tutto nuovo, sta all’ ordine ; ma il mio cervello inquieto non può restar d’andar mulinando, e con gran dispen¬ dio di tempo, perchè quel pensiero che ultimo mi sovviene circa qualche novità, mi fa buttare a monte tutti i trovati precedenti (,) >. La notizia degli studi ai qunli stava attendendo Galileo aveva varcato i con¬ tini d’Italia ed era giunta a Giovanni Pieroni, già suo familiare e fors’ anco disce- <*> Le Opere di Galileo Galilei. Ediziono Na¬ zionale, voi. VII, Firenze, tip. di G. Barbèra, 1897, pag. 477, 489. <*> Lettera di Niccolò Aggiunti a Galileo del 28 ottobro 1030 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 148). Archivio Marbigli in Bologna. Lettola dei 27 settembre 1683. Cfr. Opere di Galileo Galilei. In Padova, nella Stamporia dol Se¬ minario, appresso Gio. Mar.frè, MDCCXLIV, T. II, pag. 346. W Nuovi *tudì galileiani per Antokio Favauo. Venezia, tip. Antonolli, 1891, pag. 251-252 (Bibl. Nazionale di Parigi, Fond Peircsc, 9581, car. 113). — Vedi anello la lettera di Mario Guiducci a Ga¬ lileo doli 1 8 ottobre 1633 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 35). Col Guiduoci paro che Galileo inantencsso corrispondenza intorno al lavoro cho andava pro¬ seguendo : questo almono risulterebbe dalle lotterò del Guiducci stesso al Maestro dol 3, 10 e 24 set¬ tembre 1633 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 28, 27, 31). l6) Lotterò a Galileo di Mario Guiducci del 15 ottobro 1633 (Bibl. Estense di Modona, Autogr. Can¬ tori, Busta LXXY1I, 187); di Francesco St«lldti dol 22 novembro 1633 (Ibidem, Busta XC, 140); di Bonaventura Cavalieri del 10 gennaio 1634 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 43), e di Fulgenzio Migak- zio del 28 gennaio 1634 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII. car. 49). l,) Lettera di Galileo a Fulgenzio Micanzio del 19 novembro 1634 (Bibl. Marciana, Cl. XI It., cod. XLVJI, car. 1). AVVERTIMENTO. 13 polo, che si trovava in Germania al servizio dell’ Imperatore. Infatti in una sua lettera a Galileo del 4 gennaio 1635, dopo aver toccato dei travagli ai quali aveva dato occasione la pubblicazione del Dialogo, accennando al < libro del moto > il Pieroni scrive : < e porchè in’ ò venuto pensiero elio V. S. in publicarlo possa forse avere qualche ditìicultà o rispetto, ho risoluto di significarle che, se li pa¬ ressi bene ed a proposito che si stampassi qua in qualche città, potrebbe questo venirli fatto molto facilmente, se ella volessi fidarsi a mandarlo a me ; perchè, senza alcuna briga nè spesa di V. S., io mi prenderei volentieri 1’ assunto di ciò, e lo farei stampare di buon carattere, con le figure e forma che ella m’impo¬ nessi, puntualmente (,) >. Ma, prima ancora che questa lettera giungesse a Galileo, egli aveva interpellato il Micanzio intorno alla possibilità di stampare i Dialoghi in Venezia, e no aveva avuto in risposta che non credeva si sarebbero incontrate difficoltà; e con tale affidamento incominciò a mandarne dei fogli, i quali fu¬ rono accolti dal Micanzio con quell’entusiasmo, nel quale può dirsi ch’egli non sia stato superato da alcuno degli ammiratori del sommo filosofb (,) . E anche della stampa dei medesimi Dialoghi pare che Galileo avesse personalmente trattato con Pietro Carcaville, consigliere al parlamento di Tolosa, nella occasione in cui questi gli si era profferto di far curare la pubblicazione in Francia di una raccolta di tutte le opere di lui, prendendo sopra di sè la spesa relativa ( *> : nè è fuori di luogo il pensare che Galileo, valendosi della mediazione e degli ufficii d’ un suo parente che viveva a Lione, avesse anco agitato il partito di farli stampare colà (,) . In mezzo a questi varii tentativi, il Nostro andava riducendo al netto e trascrivendo l’opera sua w , del cui definitivo compimento giungeva notizia anche al Cavalieri m . L’aver Galileo saggiato da diverse parti il terreno per la stampa dei Dialoghi sta a dimostrare coni’ egli avesse concepito il sospetto di difficoltà che si sarebbero sollevate contro tale pubblicazione : e che questo sospetto fosse fondato, lo prova un’ informazione mandatagli dal Micanzio, il quale, volendo far ristampare la scrittura sulle Galleggianti, ed avendone conferito con l’Inquisitore di Venezia, n’aveva avuto in risposta, esservi < espressa comissiono da Roma in contrario >, e che vi era < divieto generale de editis omnibus et edendis m ». E poiché qualche 01 Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 107. Lotterà di Fulgenzio Micanzio a Galileo del 0 gonnnio 1635 (Bibl. Estense di Modona, Àutogr. Càmpori, Busta LXXX, 116). < 3 > Lettero dol Micanzio a Galileo dol 27 gon¬ naio o 3 febbraio 1G35 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. Ili, 113). Dal Micanzio ebbe comunicazione di tali fogli audio Paolo Aproino feit. lotterà di que¬ sto a Galileo dol 3 marzo 1635). (V * Lotterò di Pietro Carcaville a Galileo del 28 gennaio, 3 aprilo, 6 luglio e 26 ottobre 1635 (Mss. Gal., Par. I, T. XI, car. 109; Par. VI, T. XII, car. 112, 154, 173). < 6 > Lotterà di Roberto Galilei n Galileo del 19 marzo 1635 (Bibl. Nazionale di Firenze, filza Fa- varo A, car. 82). Lotterà di Pier Battista Borghi a Galileo dol 9 febbraio 1635 (Mss. Gal., Par. I, T. XI, car. Ili); o lettera di Galileo ad Elia Diodati del 15 marzo 1635 (Mss. Gal., Par. V, T. VI, car. 270). < 7 > Letteradi Bonaventura Cavalieri a Galileo dol 24 giugno 1685 (Mss.Gal., Par. VI, T. XII, car. 160). ^ Lettera del 10 febbraio 1635 (Mss.Gal., Par. VI, T. XII, car. 119). AVVERTIMENTO. 14 dubbio venne sollevato intorno a questo particolare, aggiungeremo che il Micanzio riferì a Galileo, avergli l’Inquisitore mostrato < 1’ ordine rigorosissimo, di stam¬ pati, da stamparsi, in scritto ( '> >, c che tale ordine era stato mandato non sol¬ tanto a Venezia, ma < anco in tutti gli altri luochi, nullo excepto 1,1 >. Il Micanzio era anche trattenuto dal timore di danneggiare Galileo, ch’ora in continua attesa della grazia da Roma ; o per quanto la risposta di questo alla dimanda fattagli su ciò dall’ amico (,) non sia giunta insino a noi, argomentiamo tuttavia che, ap¬ punto per tali rispetti, egli devo averlo pregato di desisterò da pratiche ulte¬ riori, ed essersi risoluto senz’altro a valersi dello offerte del l’ieroni. Troviamo infatti che sotto il 9 giugno 1G35 egli scriveva al Diodati " : < l’arto oggi il Serenissimo Principe Mattia per Alemagna, c porta seco una copia do i due primi dialogi, de i quattro che mi restano da stampare >. Egli soggiungo poi : < Ed ha S. A. risoluto di volerò egli stesso prendersi questa cura, o dedicargli a chi più gli piacerli > : ma questa seconda parte non ora interamente conformo al vero; ed ò più vefisimilo che il manoscritto sia stato semplicemente affidato al Principe, od al Marchese Guicciardini che con lui viaggiava e dal quale fu fatto trasmettere al Pieroni, nelle cui mani pervenne addi 10 agosto. La lettera con la quale Galileo lo accompagnava non è pervenuta insino a noi; ma dalla replica ap¬ prendiamo che il Nostro non gli aveva taciuta la proibizione della quale ora stato informato dal Micanzio: gli scrive infatti il Pieroni w : < Io stimo che l’opera non si dova stampar qui in Vienna, ma in Praga o altrove, perchè qui le coso vanno un poco più osservate e ordinate, c potrebbe forse esserci necessaria qualche licenza, clic hi o non occorrerti o io l’avrò a mio arbitrio: sì che non la cimenterò più, por non avere un’ esclusiva, se per sorte l’ordine, elio ella mi avvisa, fusso penetrato insin qua ». Proseguo poi a dire corno egli fosso propenso a preferire, per la stampa, la Boemia in confronto di Vienna, non solamente a cagiono del trovarsi quivi il P. Scheiner, giù, così malo affetto al Nostro e che si preparava alla riscossa contro la rivendicazione che della prima scoperta delle macchie solari aveva fatta a sò Galileo nel Dialogo dei Massimi Sistemi, ma anche perchè credeva che in Boemia, e particolarmente a Praga, si stampasse meglio che a Vienna. Nella lettera alla quale risponde il Pieroni, devo Galileo aver pure toccato della dedicatoria del- l’opera o accennato alla intenzione sua di farla o all’Imperatore o al Ile di Polonia, poiché il Pieroni, esprimendo a tale proposito il suo parere, gli scrive che la gì an potenza dei Gesuiti alla corte imperialo doveva piuttosto far inclinare verso l’altro partito, tanto più che Galileo ora giù. noto al Ro di Polonia », od • 'I Lettola del 10 marzo 1685 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 133). < s > Lotterà del 17 marzo 1635 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 136). ,3 > Lettera del 24 marzo 1635 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 188). <*’ Squarcio di lettera del 9 giusriio 1685 (Mss. Gal., Par. V, T, VI, car. 28r.). |S) Lotterà dell’11 agosto 1886 (Mss. Gal., Par. I, T. XI, car. 131). (6) Iìclationi di Galileo Galilei colla Polonia, etpotle, accori lo i documenti per la maggior /tarla non AVVERTIMENTO. 15 il Pieroni stesso si riprometteva di potersene conciliare il favore. Queste cose ribadisce il Pieroni in altra sua del 15 dicembre 1(335 a Galileo, scrivendo altresì d’aver ottenuto dall’Imperatore una tipografia e che intanto faceva intagliar le figure (n . Ma poiché la effettiva concessione della tipografia andava per le lun¬ ghe, si rivolse il Pieroni, col mezzo del Barone Miniati, al Card. Dietrichstein (t) , vescovo di Olmiitz; il quale poneva a disposizione due tipografie esistenti nella sua diocesi,* < con questo però, che il libro da stamparsi sia prima visto ed ap¬ provato da due dottissimi teologi.... dicendo che senza tale aprovazione non si può, nè è lecito, stampare qua cosa alcuna (3) > : e la condizione fu, con qualche cautela, dal Pieroni accettataIl 1° marzo 1 (>3G, anche se l’approvazione eccle¬ siastica non era stata ottenuta, pareva che il principio della stampa dovesse esser imminente, essendosi ormai intagliate tutte le figure (n) ; ma, o fosse per queste varie difficoltà, o perchè il Pieroni scriveva che forse non avrebbe potuto vegliare personalmente l’impressione, Galileo stabilì di chiedere la restituzione del suo manoscritto (0) . Il carteggio, già così frequente fra Galileo ed il Pieroni, tacque, a motivo delle peregrinazioni di questo, per circa quindici mesi : le pratiche fatte a fine di ottenere la licenza di stampa in Moravia non avevano dapprima approdato ad alcun risultato, nè sembrava opportuno di chiederla a Vienna, sempre a motivo della presenza quivi dello Scheiner; sicché, mancata da parte dell’Imperatore la concessione della promessa tipografia, si rivolse novamente il Pieroni al Card. Dietrichstein, il quale, prendendo la cosa sopra di sè e consentendo che la stampa si facesse in Olmiitz, diede da rivedere il libro ad un frate dell’Ordine Dome¬ nicano, ottenendone l’approvazione. Ma, non ostante che alla morte del Cardinale, avvenuta di lì a poco, il nuovo vescovo di Olmiitz avesse senz’altro sottoscritto ed approvato il libro, con la sola riserva del titolo, pure, sia a motivo di que¬ sta eccezione, per quanto lieve, sia ancora perchè la tipografia non sodisfaceva completamente il Pieroni, questi, approfittando d’ un’ assenza dello Scheiner da Vienna, ottenne che il libro fosse letto e licenziato da un Gesuita, aggiungendo- visi, conforme prescrivevano le norme della stampa vigenti colà, P approvazione del rettore dell’ Università (7) . pubblicali, dal dott. Arturo Wolynski {Archivio Sto¬ rico Italiano, Serie 111, T. XVI, pag. 88-04). FirODZCi tip. di M. Cellini o C., 1872. rn Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 187. (*) Parecchi personaggi della famiglia Dietrich- stkin erano stati allo Studio di Padova al tempo doli’ iusognamento di Galileo. Cfr. Galileo Galilei « ìo Studio di Padova per Antonio Favaro, voi. I. Firenze, Successori Le Mounier, 1883, pag. 189. Lettol a di Antonio Miniati a Giovanni Piumoni dei 28 gennaio 1630 (Mss. Gal., Par.I, T.Xl.car. 178). f4 ' Lettera di Giovanni Pieroni a Galilko del 9 febbraio 1636 (Msa. Gal., Par. I, T. XI, car. 180). C*i Lettera di Giovanni Pieroni a Galileo dol 1» marzo 1636 (Mss. Gai., Par. I, T. XI, car. 186). <*> Lettere di Galileo a Fulgenzio Mioaxzio del 15 marzo 1G3G (Bibl. Marciana, Gl. X It., cod. XLV1I, car. 5), o di Giovanni Pieroni a Gali¬ leo del 19 aprile 1G36 (Mss. Gal., Par. I, T. XI, car. 194). 0\ Lettera di Giovanni Pieroni a Galileo del 9 luglio 1637 (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 33). 16 AVVERTIMENTO. Ma giti parecchio tempo innanzi col mezzo del Principe Mattias aveva Ga¬ lileo fatto sapere al Pieroni che, senza suo nuovo ordine, non procedesse alla stampa (,) ; e ciò perchè può dirsi che egli, approfittando della presenza di Lo¬ dovico Elzeviro in Venezia e della mediazione di l'ra Lulgenzio Micanzio, fino dal maggio 1036 avesse determinato valersi di quella celeberrima tipografia per la stampa dei Dialoghi e per la ristampa di altre suo opere ', intorno al quale ar¬ gomento egli ebbe agio di conferire personalmente con l’Elzeviro stesso, eh’ era stato a visitarlo in Arcetri<’> : e poiché egli non aveva riavuto dal Pieroni il ma¬ noscritto inviatogli ( ‘>, provvide a far ricopiare anche i primi due dialoghi, affin- chè l’Elzeviro, che stava per rimpatriare, potesse portar seco l’opera intera 1 *'. Addì 26 luglio 1636 il Micanzio aveva giti ricevuto i < primi due dialoghi >, ed il 23 agosto successivo < li due tanto aspettati libri del moto l ' >, che 1 Elzeviro portò seco, partendo da Venezia a mezzo settembre w . Questi due ultimi dialoghi però non erano completi, perchè Galileo stesso scrive al Diodati, il quale gli co¬ municava d’aver visto in mano dell’ Elzeviro il manoscritto della nuova opera : < Vi manca la 3* parte, attenente al moto de’ proietti, che non ebbi tempo di ricopiare, sollecitando egli la partita, e giudicai meglio il consegnargli quella parte, acciò quanto prima si desse principio alla stampa, con mandar poi il re¬ sto, col titolo e la dedicazione, la quale non ho per ancora stabilita: ma ciò si termina presto. Sono attorno al trattato de’proietti, materia veramente mirabile, e nella quale quanto più vo speculando, tanto più trovo cose nuove, nè mai state osservate, nonché dimostrate, da nessuno. E se bene anco in questa parto apro l’ingresso a gl’ ingegni speculativi di diffondersi in immenso, vorrei io ancora ampliarmi un poco più ; ma provo quanto la vecchiaia tolga di vivezza e di ve¬ locità agli spiriti, mentre duro fatica ad intendere non poche delle cose nell’ età più fresca ritrovate e dimostrate da me. Manderò quanto prima questo trattato de’ proietti, con una appendice d’alcune dimostrazioni di certe conclusioni (le centro yravilalis sólidorum, trovate da me essendo d’età di 22 anni e di 2 anni di studio di geometria, le quali è bene che non si perdino :#! >. A riprova dello (!) Cfr. In lettera citata nella nota procedente. Lettere di Fulgenzio Micanzio a Galileo del 7 giugno (Bibl. Estense di Modena, Autogr. Cam- pori, Busta LXXX, 127) e dui 5 luglio 1688 (Mss. Gal., Par. I, T. XI, car. 214). l 3 ) Epistolari a commerci* M. Beiineggeri ecc,, loc. cit. < 4 > Questo, con le due approvazioni di Olmfltz e di Vienna o con uu esemplare delle figure, ora an¬ cora presso il Pieroni nell’ottobre 1637 (cfr. Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 58); ma Galileo lini col riaverlo. Oggi, come dirorno più innanzi, è noli» Bi¬ blioteca Nazionale di Firenze. Una copia delle due approvazioui, di mano del Pieroni, si ha pure nei Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 52. Lettore di Galileo a Fulgenzio Micanzio del 21 o 28 giugno, 12 e 20 luglio, e 16 agosto 1630 (Bibl. Marciana, CI. X It., cod. XLVII, car. 7, 2,8, 9 , 10 ). rfl| Lettera di Fulgenzio Micanzio a Calile*) sotto questa data (Bibl. Estense di Modena, Autogr. Campoiu, Busta LXXX, 129).* Ci Lettera di Fulgenzio Micanzio a Galileo sotto questa data (Mss. Gal., Par. VI. T. XII, car. 239). (iJ Lettera di Fulgenzio Micanzio a Galileo del 20 settembre 1636 (Mss.Gal., Par. VI, T. XII, car. 241). Lettera del 0 dicembre 1636 (Mss. Gal., Par. V T. VI, car. 85t.). AVVERTIMENTO. 17 stesso fatto addurremo pure, che Lodovico Elzeviro, nel partecipare al Mican- zio di aver posto mano alla stampa, sollecitava l’invio del compimento del- P opera; e anche da altre parti sappiamo che nel gennaio, nel febbraio e nel marzo del 1637 Galileo attendeva sempre allo studio del moto dei proietti m . Infatti parte del manoscritto da spedirsi agli Elzeviri era mandata da Galileo an¬ cora al principio del maggio al Micanzio (3> , il quale accusa ricevuta del compi¬ mento sotto il dì 20 giugno 1637 (t) . Addì 9 maggio 1637 Galileo riceveva avviso da Venezia ch’era in viaggio il primo foglio stampato dei Dialoghi (5) , ai quali, per essere compiutamente impressi, non mancava più al 25 gennaio 1638 se non la tavola finale delle cose piti notabili, il frontespizio e la dedica (8) : della tavola veniva fatta richiesta a Galileo, ed il titolo e la dedicatoria si attendevano dal Diodati. Quanto al titolo, dobbiamo limitarci a dire che non piacque a Galileo, e che anzi avrebbe voluto < ricorreg¬ gerlo 1,1 > ; ma rispetto alla dedicatoria possiamo, con la scorta dei documenti, entrare in qualche particolare. Fra i più cospicui scolari privati che Galileo aveva avuti a Padova, era stato il conte Francesco di Noailles, il quale aveva udito da lui lezioni intorno all’uso del compasso geometrico e militare ed alle fortificazioni (8) . Questi, mandato nel 1634 ambasciatore di Francia a Roma, rinnovò quivi conoscenza col Castelli, già suo condiscepolo ; ed avuta da lui notizia della triste sorte del loro comune Maestro, gli manifestò subito il proposito di adoperarsi in suo favore. Andato a vuoto un primo tentativo, fatto con la mediazione del Card. Antonio Barberini, il Lotterò dol 1C marzo o 4 aprile 1637 (Ms9. Gal., Par. VI, T. XIV, car. 6S o 69), e lotterà (li Fulgenzio Micanzio a Galileo del 2 aprile 1G37 (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 18). Lettera di Galileo ad Alessandro Marsjlt dei 10 gennaio 1637 (Bibl. Nazionale di Firenze, cod. Ma- gliabechiano Vili, 832, car. 182); lotterò a Galileo di Dino Peri, senza data, ma tra la fine dol gennaio ed il principio del febbraio 1637 (Mss. Gal., Par. VI, T. XII, car. 209), e di Fulgenzio Micanzio dol 7 feb¬ braio (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 8); di Galileo ad Klia LIiodati del 7 marzo (Mss. Gal., Par. V, T. VI, car. 70*.), o di Haekakllo Magiotti a Galileo del 21 marzo 1637 (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 14). Lettera di Fulgenzio Micanzio a Galileo del 9 maggio 1637 (Bibl. Estense di Modena, Autogr. Campori, Busta LXXX, 122). Di questa stessa data è una lettera di Galileo a Benedetto Gukurini, dalla quale risulta, a quanto pare, che per il com¬ pimento del suo lavoro il Nostro si sia giovato del suo scolaro Dino Peri, l’aiuto del quale, concesso¬ gli dal Granduca, « in pochi giorni », egli scrive « mi condurrà in porto ». Cfr. Memorie e lettere inedite finora o disperge di Galileo Galilei, ordinate ed illuntrate Vili. con annotazioni del cat>. Giàmbatista Venturi. Par. 11. Modena, per G. Viucenzi e Comp., M. DCCC. XXI, pag. 220. Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 29. Lofc. cit. di Galileo a Benedetto Gukrrini. Lettera di Lodovico Elzeviro a Galileo (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 76). Lettera di Galileo ad Elia DioDATidel H agosto 1638: cfr. Venturi, op. cit., Par. II, png. 288. A questo proposito scrive il Nelli ( Vita e commercio letterario di Galileo Galilei occ., voi. II, Losanna, 1793, pag. 620): < Gli Elzeviri, editori di questa colcbre opera, dettero occasiono di lagnarsi del loro contegno al Sig. Galileo...., per essersi.... preso l’arbitrio di mu¬ tare il titolo, con averne sostituito un vile o plebeo al nobile o maestoso che portava in fronte ». Non sappiamo sopra quali documenti abbia il Nelli fon¬ data tale asserzione, oliò la lettera al Diodàti, da lui pure addotta, nulla dice di più di quanto abbiamo riferito. Cfr. XVII, 370, Un. 26-30. XVII, 373, Un. 21 - 22 . Antonio Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova, Voi. I, pag. 187-188, 209, 229; voi. II, pag. 175, 196-197. 3 18 AVVERTIMENTO. Conte di Noailles, a mezzo luglio dell’anno 1036, ripetè personalmente gli ufliei presso il Ponteiice, ottenendone soltanto risposte evasive; finalmente addì 8 agosto, colta P occasione dell’ udienza di congedo, reiterò lo pratiche, non riuscendo però ad avere se non la promessa che la cosa sarebbe portata nella Congregazione del Santo Uffizio (,) : promessa invero di poca importanza, ove si villetta che la com¬ pleta liberazione di Galileo, la quale veniva chiesta, dipendeva dalla sola volontà (l’Urbano Vili. L’ unico favore, che non fu rifiutato all’Ambasciatore di Francia, fu che la Congregazione del Santo Uffizio concedesse a Galileo il permesso di recarsi a I’oggibonsi, allo scopo d’incontrarvi il Noailles, il quale doveva pren¬ dere la via più breve di Pisa e Livorno per far ritorno in Francia e non poteva venire fino a Firenze, per dove non avrebbe potuto passare senza inchinare il Granduca. L’ abboccamento, preparato dal Castelli, ebbe effetto in Poggibonsi addì 16 ottobre 1636 : ed in esso Galileo presentò al Conte di Noailles il manoscritto dei quattro suoi Dialoghi, la massima parte dei quali, come abbiamo veduto, era stata già consegnata all’Elzeviro per la stampa. 11 pretesto di tale consegna, che Galileo accenna nella Dedicatoria, non aveva alcun fondamento; e probabilmente il Nostro non ebbe altro scopo nel far omaggio del suo libro al Conte di Noailles, da quello in fuori di mostrargli la sua gratitudine e com¬ piacere al desiderio che il Conte aveva manifestato d’aver copia dei Diuloghi volgendo forse fin d’allora nell’ animo il pensiero di propiziarselo maggiormente con la dedica dell’ opera stampata. La profferta formale di tale dedica fu fatta, con la mediazione del Diodati, sul finire dell’anno 1637 (kl ; ed ò del primo giorno dell’ anno successivo la lettera del Conte di Noailles a Galileo, con la quale, accettando quella profferta, gli scrive : < ce sera donc, Monsieur, avec beaucoub de joye et d’honeur que ie verray mon nom a la teste du livre duquel Monsieur Deodati m’a parie : en recognoissance dequoy il n’y a chose au monde que vous puissies desirer de moy, que ie ne sois prest de vous rendre (,) >. La Dedicatoria, stampata in capo ai Dialoghi, reca la data del 6 marzo 1638 Nel luglio del 1638 i Dialoghi erano completamente stampati (7) ; ma soltanto nel dicembre di questo medesimo anno ne arrivarono esemplari a Romanel- <*) Lettera di Benedetto Castelli a Galileo del 9 agosto 1G8G (Mas. Gal., Par. I, T. XI, car. 222). <*> Mas. Gal., Par. V, T. VI, car. 76/. < 3 > Dalla lettera or ora citata del Castelli ab¬ biamo elio il Conto di Noailles gli aveva coman¬ dato di scrivere al Nostro < che in tutti i modi li mandi una copia do* suoi discorsi de modi, promet¬ tendoli tenerli cari conio tesori preciosi ». 1 4 » Lettere di Elia Diodati a Galileo del 22 dicembre 1637, e di Galileo al Diodati del 2 gen¬ naio 1638 (Mas. Gal., Par. V, T. VI, car. 33r., 83-34). (*> Mìs. Gal., Par. I, T. XV, car. 22. < 8) Il Conto di Noailles uo ringraziò Galileo con lettera del 20 luglio 1688 (Mss. Gal., Par. 1, T. XII, car. 77). ,7 > Cfr. le citate Ietterò del Conto di Noailles a Galileo de) 20 luglio 1638, e di Galileo ad Elia Diodati del 14 agosto 1638. (8> Lettera di Benedetto Castelli a Galileo dell'8 gennaio 1639 (Bibl. Estonie di Modena, Autogr. Campo rj, Busta LXX, 36). —Intorno all’accoglienza che in Roma ricevettero i Dialoghi, cfr. la lettela del Castelli a Galileo del 12 febbraio 1689 (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 123). AVVERTIMENTO. 19 l'aprile dell’anno successivo a Venezia 10 , e non prima del giugno pervennero in mano dell' Autore La stampa di Leidadella quale abbiamo riassunto la storia, è stata ripro¬ dotta fedelmente, nella presente edizione ; ma abbiamo altresì profittato del co¬ pioso materiale manoscritto che giunse fino a noi, per correggere buon numero d’errori di quella stampa, e per arricchirla d’aggiunte, dall’ Autore stesso vo¬ lute, e di riscontri importanti per vari riguardi. La dedicatoria al Conte di Noailles e la prefazione Lo stampatore a i lettori, che tien dietro alla Dedicatoria, sono state da noi pubblicate in quel corpo di carattere che riserbiamo alle scritture delle quali non ò facile determinare quanta parte, nello stenderle, vi abbia avuto Galileo e quanta altri : e abbiamo inteso con questo di esprimerò il nostro dubbio, che Galileo abbia inviato o agli Elze¬ viri o, più probabilmente, ad Elia Diodati (dal quale, come abbiam detto, gli Elzeviri attendevano la dedicazione), soltanto gli appunti dei pensieri che desi¬ derava fossero esposti in quei due scritti preliminari (l) , e che poi tali abbozzi siano stati liberamente rimaneggiati, almeno quanto alla forma. Conforme a questo con¬ cetto, abbiamo riprodotto esattissimamente la lezione della stampa, trattenendoci anche da quelle correzioni che sarebbero state suggerite dal confronto col ma¬ noscritto, del sec. XVII, che della Dedicatoria e della Prefazione abbiamo nel Tomo II della Par. V dei Manoscritti Galileiani posseduti dalla Biblioteca Na¬ zionale di Firenze: e della lezione manoscritta, la quale è a car. 28 r-t. e 31r.-32r. di questo Tomo (che abbiamo chiamato cod. A), ci siamo limitati a registrare appiè di pagina le varianti. Con ragione anche più forte abbiamo stampato nello stesso corpo di carattere della Dedicatoria e della Prefazione la Tavola (che segue alla Prefazione) delle materie principali che si trattano nella presente opera. Non v’ ha dubbio che nei titoli I e II di questa Tavola è incorso errore : il titolo II < Qual potesse esser¬ la causa di tal coerenza > accenna alla coerenza come se prima ne fosse stata **» Lettera di Fulgenzio Micanzio a Galileo dei 80 aprilo 1639 (Bìbl. Estense di Modena, Autogr. CAMroiu, Busta LXXX, 146). l*) Voggansi lo lagnanze di Galileo por il ri¬ tardo nella citata lettoraad Elia Diodati del 14 ago¬ sto 1638 o in quella al P. Vincenzio Renikri del 28 marzo 1639 (cfr. Venturi, op. cit., Par. II, pag. 273); le scuso degli oditori, nella lottoradi Lodovico Elze¬ viro a Galileo del 7 marzo 1639 (Mss. Gal., Par. VI, T.XIII, car. 131); i ringraziamenti di coloro ai quali furono subito spediti esemplari dei nuovi Dialoghi , nelle lettore di Bonaventura Cavalieri del 28 giu¬ gno (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 144), di Gio. Battista Baliani del 1° luglio (Mss. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 145), di Daniele Spinola del 3 agosto 1639 (Bibl. Estense di Modena, Autogr. Campori, Bu¬ sta XC, 761, ccc. < s > Discorai c dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mccanica . Possiamo ben credere pertanto elio, se pur Galileo inviò agli El¬ zeviri la Tavola, per colpa d’ altri siano state introdotto tali confusioni. Per la prima Giornata e per quasi tutta la seconda abbiamo tratto largo partito da un manoscritto veramente prezioso: vogliamo dire la copia che di quei due Dialoghi Galileo mandò al Fioroni, o che ora, dopo varie vicende è nella Biblioteca Nazionale di Firenze, dove porta la segnatura Banco Rari , A. 5, p. 2 t n. 13 . Questo apografo, che chiamiamo G, ò nitidamente trascritto, ed è ricco di correzioni (interlineari, marginali o su fogli inseriti) di inano di Galileo 5 , di cui pugno sono poi per intero le ultimo carte, a partire dalle parole Saor. Intendo benissimo , a pag. 177, lin. 29, della nostra edizione: ò mutilo pur troppo di circa una pagina in fine della seconda Giornata, rimanendo in tronco con lo parole c più c meno evacuati della pag. 188, lin. 7. Poiché l’apografo dal quale deriva T edizione di Leida è diverso dal cod. G , così su di questo collazionammo la stampa, correggendone buon numero d’ errori ( * ) : lo lezioni errate della stampa annotammo poi, secondo il nostro istituto, appiè di pagina, distinguendole con la lettera s; o dove non è altra indicazione, deve sempre intendersi elio la corre¬ zione introdotta nel testo è ricavata dal cod. G (#) . Si danno anche molti passi ne’ quali il cod. G presenta una lezione originale per sò stessa buona, ma tut¬ to La resistenza infatti dei corpi solidi all'os- sero spezzati © bensì proposta corno soggetto della Giornata prima a pag. 54, lin. 13 o sog. ; ma ben tosto il ragionamento diverto ad altro spoliazioni, od anzitutto a ricorcaro lo cagioni della cooronza dello parti doi corpi (pag. 55, lin. 24 ; pag. 50, lin. 6; pag. 65, lin. 25, occ.): così cho, andando di digres¬ sione in digressione, i personaggi dol Dialogo non vengono più in questa sossione alla materia primie¬ ra mento intesa, o questa è differita al giorno dopo (pag. 135, lin. 12-32, e pag. 151, lin. 2 o seg.). S’av¬ verta ancora cho nella Tavola delle cose più notabili. la qualo è in fine dell* opera, come argomento di « tutta la seconda Giornata » è appunto indicato: « Delia resistenza do i solidi a spezzarsi, aggravati dal proprio peso > (pag. 315, lin. 21-22). lli II Nelli (op. cit., voi. II, pag. 617), la vide nel 1760 nella Libreria dei P. Teatini di Fireuze, della quale porta infatti tuttora il bollo. (3) Abbiamo tenuto conto, appiè di pagina, di tutte lo correzioni dovute alla mano di Galileo, quando avessero qualche importanza; ma sarebbe stato superfluo notare dove Galileo corregge un ma¬ teriale errore di ponna, o una materiale omissione del copista, che non ò molto accurato. (l) Non solo abbiamo corretto gli errori certis¬ simi della stampa Leidense, ma anche altri passi ne'quali la lezione di G era soma dubbio migliore, n, rnontre ora facile fosse penetrato errore nella atampa, (per colpa vuoi dol copista che traacrisse l'apografo da cui derivò la Leidense, vuoi del tipografo), non pareva invoco probabile che il copista di O avesse alterato l’autografo o che Galilko avesse posteriore mento corretto il proprio originale. Citiamo por esem¬ pio i seguenti luoghi: pag. 50, lin. 22, distruttori della stampa corretto in distruttivi di G ; pag. 56, lin. 29-30, comprimenti corrotto In comprimenti (cfr. pag. 57, lin. 22) ; pag. 78, lin. 24-25, proverò corretto in procurerò ; pag. 83, lin. 35, andranno corretto in cadranno; pag. 120, lin. 25-26, cinquanta o di venti, eh dieci, di quattro corrotto in cinquanta, diventi, di dieci e di quattro (cfr. pag. 139, lin. 16-17) ; ecc. A pag. 69, lin. 26, a pag. 70, lin. 25, e a pag. 75, lin. 29, abbiamo corretto di della stampa in di' di G; e a pag. 70 , lin. 12, a pag. 81, lin. 82, a pag. 82, lin. 22, a pag. 83^ lin. 11, a pag. 180, lin. 21 e 29, abbiamo aggiunto, con 1 autorità di G, un ite., che nella stampa è omesso. li) Rarissimo volte ci ò occorso di dover cor¬ reggere la lezione così di « corno di G : vedi, p. e., a pag. 82, lin. 18, e a pag. 130, lin. 23. A pag. 122, lin. 22, dopo agevolmente si desidererebbe in su, cho non si leggo uè in G nè nella stampa Loìdcnse, o che male si ricava dal procedente in giù: tuttavia non abbiamo toccato il passo. AVVERTIMENTO. 21 tavia corretta di pugno di Galileo, e la stampa Leidense concorda con la lezione originale di G: e manifesto allora che l’autografo, dal quale sono derivati il cod. 6rei’ «apografo della Leidense, conteneva quella lezione originale, che poi Galileo migliorò in Cr, mentre rimase non corretta nell’ apografo della Leidense, sia perchè 1* Autore dimenticasse di ripeter qui la correzione, sia perchè egli non rivedesse questa nuova copia. Iti tali casi noi accettammo noi testo la correzione die ci era imposta dalla mano di Galileo, ancorché la lezione della Leidense non fosse errata, poiché ci parve che il cod. Cr rappresentasse meglio l’ intenzione esplicita dell’ Autore e tenesse, per così dire, il luogo di un’ edizione emendata e corretta dallo stesso Galileo (,) . Di ogni altra particolarità notevole offerta dal cod. Cr è reso conto minuto appiè di pagina {i) : dove s’ avverta che con la nota¬ zione Cr questo apografo è indicato ogni volta che per la chiarezza è neces¬ sario; ma anche tutte le lezioni che non portano altra indicazione, e di cui non è detto espressamente che sono della stampa, s’intendano ricavate da esso codice. Nella prima Giornata cadono due aggiunte e due correzioni alla stampa di Leida, volute da Galileo, delle quali nel cod. G non è, nè poteva essere, traccia, perchè sono posteriori alla pubblicazione della Leidense. Sono state dettato infatti da Galileo al P. Clemente Settimi, o P. Clemente delle Scuole Pie, clic 0) Si ricordi, a questo proposito, elio Galileo non rivide lo bozzo di stampa doli’ediziono di Leida. Como csompi di luoghi no'quali non solo la lezione corrotta in 0 dalla mano di Galileo ò evidontemonto miglioro di quella originalo, che ritorna poi nella stampa Leìdenso e di qui è passata nolla Volgata, ma audio si riconosco senza difficoltà la ragiono della correzione voluta dall’Autore, citiamo i seguenti : pag. 51, Un. 8; pag. 65, lin. 28-29 ; pag. 66, lin. 21 (cfr. pag. 72, lin. 9, o pag. 80, lin. 27, no’ quali passi la lezione da noi accettata noi tosto è già originai- monto in (7); pag. 101, lin. 17 ; pag. 145, lin. 13, ecc. Per osompio, di tratti che non si leggono nella stampa, e elio noi non accettammo nel testo, perchè possono essere stati deliberatamente omessi, più tardi, da Galileo (vedi, p. o., pag. 50, lin. 9-10, o lin. 27) ; delle stesure di alcuui luoghi, le quali si de¬ vono considerare come precedenti a quelledellastampa (cfr., p. e., pag. 101, lin. 23 e seg., e pag. 176, lin. 6- 26), occ. Teniamo conto anche di quello lozioni di G nelle quali la differenza a confronto della stampa consisto soltanto in trasposiziono di parole, ma non, per contrario, degli errori certi e manifesti del co¬ dice, vuoi ortografici, vuoi d’altra maniera, nò delle forme dialettali dovute al copista (p. o., soggiùnte, longhi, pomo, occ.), o spesso corrotte dalla mano di Galileo, o nemmeno dello varianti puramente ortografiche o fonetiche, soprattutto quando la forma del codico o quella della stampa sono buono del pari, o dal trovaro noi codico l’un a forma in luogo dol- Paltra non si può concludere elio Galileo avesse scritto in quel modo nell’autografo o invece, piut¬ tosto, che in quel modo sia avvenuto al copista di tra¬ scriverò. Così non toniamo nota di forme apostrofato o tronche in luogo dolio formo intere, o viceversa: e neppure registriamo pr attica, doppo del cod. O per pratica, dopo della stampa; proferì , caminaste per profferì, camminasse ; argomentar, volgo, foste, moltipli¬ cano, corpuscoli, insorge per argumentar, vulgo, fosse , multiplicano, corpusculi, insorge; nessuna, resoluzione, dna, giovine, altrimenti, volentieri per nissuna, risolu¬ zione, due , giovane, altripiente, volentieri ; secreti, risigo, fra, conseguenza, abbiamo, dobbiamo per segreti, risico, tra, conseguenza, apiamo, doviamo; subdivisione, subdu - plorar suddivisione, sudduplo ; istante per in «tanto ; lustramenti per strumenti; stringe per strigli e ; drcnto per dentro ; scicma por scema ; augumenta per agii- menta ; oriolo per orinolo ; avuti por auli ; averebbe, averemo per avrebbe, aremo ; diciate per dichiate ; tendo per essendo, ecc. Il fatto die codice e stampa sono talora inconseguenti a se stessi in quanto ri- sguarda siffatte varietà grafiche e fonetiche, toglie ad esse ogni importanza. Abbiamo notato però ancho lo varianti di questo genere nolle ultime pagine dolla seconda Giornata, nello quali, come abbiamo avver¬ tito, il cod. G ò autografo di Galileo. Q<> AVVERTIMENTO. soleva visitare feyesso il Nostro in Arcctri, c scritte su’ margini, o in polizzini attaccati in margine, (l’un esemplare dell’edizione di Leida: o noi le ab¬ biamo pubblicate in note a’ respottivi passi a cui si riferiscono (pag. 104, 107, 112, 126). Andiamo debitori di siffatte aggiunto e correzioni a Vincenzio Viviani, che dagli originali del P. Clemente le trascrisse in un foglio legato oggi in calce al T. IX della Par. V dei Manoscritti Galileiani (ear. 188 e 189) l " : dell’ ultima, o più ampia, rimessa ò giunto fino a noi perù anche 1’ originalo, di mano di detto Padre, che ò in un mezzo foglio, inserito ora nello stesso Tomo IX (car. 49), e da quest’originalo preferimmo, com’era ragionevole, riprodurla, anziché dalla copia di mano del Viviani<*>, dovuta necessariamente seguire per le tre precedenti. In molti luoghi della terza e della quarta Giornata, per le quali ci mancava il sussidio del cod. G, abbiamo potuto, in quella vece, arricchire il testo della stampa Lcidense di altri e non meno interessanti riscontri. È noto che le due ultime Giornate constano di due parti : la parto italiana, dialogizzata, e i teoremi in latino, inseriti nel dialogo ; e ben possiamo credere che tutta la parte latina appartenga a studi che Galileo era venuto di lunga mano preparando, come di¬ mostrano i Frammenti dei quali discorreremo ampiamente tra poco, cosi elio quando, al momento della stampa, Galileo scriveva di lavorare sempre intorno alla Giornata terza e quarta, intendesse soltanto di alludere o a nuove elabo¬ razioni di quello vecchie proposizioni, o alla stesura della parto dialogizzata, o al computo delle tavole numeriche della quarta Giornata. E poiché molti di quei Frammenti altro non sono che addirittura prime bozze, o stesure anteriori e di G> Scrivo il Yivjaxi (car. 188r. o 189r.): € In un osomplaro ilo’ Diaconi e Dimostrazioni matemati¬ che iloI Sig. Galileo, stampati in Leida ... vi ò scritto, di dottatine del medesimo Galileo, quanto segue; o quosto osomplaro si trova approsso il Sig. Cosimo ... A fac. 60, rimossa in un polizzino di mano del P. ele¬ mento dello Squolo Pio: » o qui appresso trascrivo, prima, raggiunta eho noi pubblichiamo n pag. 101, nota 1, o poi, indicando por ciascuna il luogo in cui cade, lo duo correzioni (la prima, « rimossa in margine, di mano dol dotto P. Clouionte *; la se¬ conda, « rimessa in un polizzino attaccato in mar¬ gino, di mano di dotto Padre») o l’aggiunta («in un mezzo foglio, scritto di mano del detto Padre >), ubo abbiamo riprodotto nello note a pag. 107, 112, 126. Ignoriamo quale sorte abbia corso l'esoinplaro già stato di Cosimo di Vincenzio Gai,ilei, al qpalo accenna il Viviani ; sono però giunto fino a noi parecchie dello carte elio erano inserite in quel- l’esemplare o elio contenevano coso di Galileo: pos¬ sediamo infatti non solo, conio tosto diremo, il « mezzo foglio > di mano dol P. Clemente, sul quale o scritta P ultima aggiunta, ina ancho « lo guardie avanti al frontispizio », elio il Viviani dice elio con¬ tenevano altro scritture, di mauo di Pirk Ferri, servitore di Galileo, u di Vincenzio Galilei iati. Vedi a questo proposito imi pro*fnto volume, pag- *137, nota 1, e pag. 631, nota 2. {i) In quest’aggiunta (pag. 126-127) abbiamo corretto la leziono di mano del 1’. Clementr no’ se¬ guenti passi : pag. 127, liti. 23, qutUo medesimo in quel medesimo; pag. 127, li». 30, mettendo in met¬ temmo; pag. 126, lin. 22, e pag. 127, lin. 22 e 23, altretanta in altrettanta. Altro correzioni, oltre a quo- ste, introduce il Viviani, trascrivendo osta aggiunta: p. c. egli muta la gravità in la quantità del peso (pag. 126, lin. 19), accompagnato con in accomjMgnalo da (pag. 127, li». 21-2*2), a parte in da parte (pag. 127, lin. 30), Trovar in II trovar (pag. 127, Un. 81, occ.; omette dell'aria a pag. 126, lin. 27; avrorta in mar¬ gine, rolativamonto all’intera aggiunta, che « quo¬ sto discorso ha bisogno di esser riveduto e raggiu¬ stato », e segna con puutoliui i tro Quando dunque con cui cominciano tre periodi successivi (pag. 1*26, lin. 27-28, e lin. 33; pag. 127, lin. 24). K invero l’elocuzione di quosto tratto lascia non poco a desi- doraro; il elio tuttavia non ci dava il diritto di cor¬ reggerò arbitrariamente. AVVERTIMENTO. 23 poco diverse, T una dall’ altra staccate, dei teoremi che nei Dialoghi trovansi distribuiti in un tutto organico, cosi il luogo più opportuno e il modo più acconcio per renderne conto era il metterle a riscontro delle stesure definitive contenute ne’ Dialoghi stessi, e registrarne, appiè di queste, lo differenze in l’orma di va¬ rianti. In tal modo infatti abbiamo proceduto : e con ciò conseguimmo anche un altro vantaggio, cioè clic il confronto di queste prime bozze ha messo in ri¬ lievo alcune lezioni errate della stampa Leidense, che abbiamo perciò corrette e notate appiè di pagina. Anche però in altri luoghi, latini e italiani, per i quali non ci soccorreva il riscontro delle stesure anteriori, correggemmo qualche volta, sempre tenendone nota, la lezione della stampa, quando V errore e la cor¬ rezione erano ben sicuri (,) . Nella terza Giornata non abbiamo dimenticato una notevolissima aggiunta, della quale Galileo intendeva che fosse arricchita la stampa originale, quando si ripubblicassero i suoi Dialoghi : abbiamo però riprodotto quest’aggiunta in nota, nel luogo in cui cade (pag. 214, nota 1), come abbiamo fatto per quelle della prima Giornata, appunto perchè anche questa è posteriore all’edizione Leidense ; e V abbiamo stampata in corpo di carattere minore, perchè essa fu distesa da Vincenzio Viviani. Scrive (o piuttosto fa scrivere) Galileo a Benedetto Castelli il 3 dicembre 1G39 : < L’opposizioni fattemi, son giù molti mesi, da questo gio¬ vane, al presente mio ospite e discepolo, contro a quel principio da me sup¬ posto nel mio trattato del moto accelerato.... mi necessitarono in tal maniera a pensarvi sopra, a fine di persuadergli tal principio per concedibile e vero, che mi sortì finalmente, con suo e mio gran diletto, d’incontrarne, s’io non erro, la di¬ mostrazione concludente, che da me fin ora è stata qua conferita a più d’ uno. Di questa egli ne ha fatto adesso un disteso per me, che, trovandomi affatto privo degli occhi, mi sarei forse confuso nelle figure e caratteri che vi bisognano. È scritta in dialogo, come sovvenuta al Salviati, acciò si possa, quando inai si stampassero di nuovo i miei Discorsi c Dimostrazioni , inserirla immediatamente doppo lo Scolio della seconda Proposizione del suddetto trattato, a fac. 177 di questa impressione (a) , come teorema essenzialissimo allo stabilimento delle scienze del moto da mo promosse > (3) . Di tale disteso dialogizzato, dovuto al giovane ospite e discepolo di Galileo, non è giunta a noi alcuna copia manoscritta (k> : così U> In qualche rarissimo caso abbiamo dovuto correggere la lozione della stampa, nonostante fosse confermata dal riscontro della stesura anteriore: vedi, p. pag. 239, lin. 0. (*i Cioè dell’impressione di Leida. Opere di Galileo Galilei ecc. In Bologna, per gli UH. del Bozza, MDCLV-MDCLVI. Tomo II, pag. 105. — Cfr. Quinto libro degli Elementi d'Euclide, ovvero Sdenta Universale delle proporzioni, spiegata colla dottrina del Galileo , con nuov'ordine distesa e per la prima volta pubblicata da Vincenzio Viviani ecc. In Firenze, alla Condotta, M.DC. LXX.1V, pag. 99-100; e il Racconto i storico della IT la del Sig. Galileo Ga¬ lilei steso dal Viviani, noi Fasti consolari dell'Acca¬ demia Fiorentina ecc., pag. 421-22. (*) Possediamo invece, di mano del Viviani, la stesura, non dialogizzata, probabilmente dettata da Galileo al suo discepolo, e che in molti luoghi pre¬ senta strettissima affinità con quella in dialogo; e la pubblichiamo a pag. 442-445 di questo volume. 24 AVVERTIMENTO. die abbiamo dovuto riprodurlo dall* edizione di Bologna del 1050, dove vide per la prima volta la luce col titolo di Aggiunta postuma dell 1 autore M , ed alla quale fu somministrato dallo stesso Viviani (, \ La lezione della stampa bolognese fu (la noi corretta in pochi luoghi, manifestamente errati Ai quattro Dialoghi nell’edizione di Leida tien dietro l’ Appendi# in qua con - tinentur theoremata eorumque deinonstrationeSy quae ab eodem Autore circa ccntrum (jravitatis solidorum olim conscripta fuemnt. Questi Teoremi però non furono qui da noi riprodotti, perchè, essendo essi lavoro giovanile di Galileo, e del quale possiamo determinare con precisione la data (k) , furono giil pubblicati, di sulla stessa edizione di Leida, nel voi. I della presente edizione, png. 187-208, nel posto che loro cronologicamente spettava. Compie poi la stampa Leidense la Tavola delle cose più notabili , la quale abbiamo pubblicata nello stesso corpo di carat¬ tere che la Dedicatoria, la Prefazione e la Tavola in principio dell’opora : infatti anche di essa possiamo ragionevolmente dubitare se, e in quanta parte, sia stata compilata da Galileo, sebbene a lui, che però era purtroppo ormai del tutto cieco, ne facessero richiesta, come abbiamo accennato, gli Elzeviri, i quali gli inviavano per questo i fogli del libro, a mano a mano che si andavano stampando {, \ Le numerose ligure che illustrano i Dialoghi , le abbiamo riprodotte in facsi¬ mile da quelle dell’ edizione originale, perchè alcune di esse non sono puramente geometriche, ma hanno altresì qualche cosa di artistico, che ci piacque conser¬ vare ; tanto più che si può anche congetturare che siano state disegnate dallo stesso Galileo, il quale, come è noto, era valentissimo in quell'arte. Così il lettore nella presente edizione trova la stampa di Leida fedelmente seguita in ogni particolarità, ma corretta di molti orrori e accresciuta di riscontri attinti a manoscritti che noi abbiamo messo a profitto per i primi. Oltre a quelli fin qui indicati, altri manoscritti ancora furono da noi presi in esame, ma senza che ne potessimo trarre alcun partito, o perchè non hanno veruna importanza (<> , o per¬ chè contengono illustrazioni, correzioni e ulteriori svolgimenti dovuti ad altri^ delle Tomo li, pag. 132-134 della ristampa dei Di • jnora» e Dimostrazioni. (*1 Quinto libro degli Elementi d'Euclide ecc., loc. cit. Sono i sognanti: png. 214, lin. 21, detto 2 di¬ mostrato corretto in detto e dimostrato; pag.215, lin. 14, dimimiiHse. corretto in diminuisce ; pag. 216, lin. 19, de piani corrotto in di piani ; pag. 218, lin. 28, rin¬ verrà corretto in arerà, o, lin. 85, Di questo corrotto in Da questo ; pag. 219, lin. 25, inclinata A lì corretto in inclinata A E. Inoltre abbiamo stampato altrettanto in luogo di altrettanto (pag. 217, lin. 28) della stampa bolognese. Vedi nel voi. I della presento edizione, pag. 181 e seg. < Bl Lettera di Lonovrco Ki/zkviko a Gamlho del lo novembro 1637 (Bibl. Estense di Modena, Autogr. Camporj, Busta LXXIV, 111). Il T. Vili dolla Par. V doi Manoscritti Or. liloinni conticno una copia, di mano del sec. XVII, dolio primo duo Giornate o di squarci della terza e dolla quarta: ma probabilmente è trascritto dall’edi¬ zione di Leida (corno si può desumerò da certi er¬ rori), la quale è anche citata (car. 74r. o 77t.). Il cod. Riccardiano 3141, del soc. XVII, intitolato « De resistcntia solidorum. Kx Galileo. Altera ex novi* scientiis >, è mi ostratto, senza importanza, di al¬ cuni enunciati e figuro attenenti allo Proposizioni della Giornata seconda. M II T. X della Par. V dei Manoscritti Gali¬ leiani ò un esemplare della stampa Leideime con po* stille di mano del sec. XVII. Talora il postillatore AVVERTIMENTO. 25 dottrine trattato nell’ opera di Galileo; dei quali svolgimenti noi, secondo il nostro istituto, non potevamo tener conto. Accenniamo in particolare al già citato T. IX della Par. V dei Manoscritti Galileiani, che consiste in un esemplare dell’edizione di Leida amplissimamente postillato da Vincenzio Viviani. Di quest’esemplare fu scritto che sia stato corretto ed accresciuto dal Viviani con approvazione dello stesso Galileo, e che ciò in quelle marginali postille sia avvertito più d’una volta: noi però, dopo aver minutamente esaminato tali postille, correzioni ed aggiunte, che si leggono e su’ margini e su numerosi fogli inseriti, e per la maggior parte sono inedite, possiamo affermare che i detti indizi dell’ approvazione del Nostro non vi si trovano (i) . Crediamo invece eh’ esse rappresentino studi personali del Vivianiposteriori, almeno in parte, alla morte di Galileo (3) , coi quali il disce¬ polo continuava, e forse non sempre conforme alla mente del Maestro, le specu¬ lazioni di questo. nou fa elio indicaro in margino, a mo T di rubricho, gli argomenti discorsi nel testo; nm altro volto com¬ batto lo dottrino di Galileo, oppure nota: «però convion provarlo » ; « si nioga clic si possa faro », occ. Al Thcor. Ili, Propoli. Ili della quarta Giornata po¬ stilla: c Est iiioa 5“ 2 l ». Audio un altro oscmplaro dollalioidonso, posseduto dalla Biblioteca Nazionale di Firenze (Banco Ilari, A. 8,p. 8, n. 8: fu già della Bi¬ blioteca del Convento di S. Maria Novella, o dolla Ric- cardiana), conticno dolio postillo di mano ignota, le quali sono di ben poco conto; oliò sposso riportano Sù*margini lo correzioni indicato nella Tavola de gli errori della nlampa, — In una busta dolla Biblioteca Nazionale di Firenze, intitolata * Nelli Gio. Batta Clem. Filza 1. Appunti coi quali furono da lui croato lo prime bozzo dolla Vita di Galileo Galilei >, sì com¬ prendono (car. 643 o sog., car. 678 o sog.) dogli studi autografi del Viviani sulle Nuovo Scienze. Cfr. An¬ tonio Favaro, Intorno ad alcuni documenti galileiani recentemente ecojìerti nella Biblioteca Nazionale di Firenze, nel Ballettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche c fisiche, Tomo XIX, 1880, pag. 17. L’unica postilla del Viviani della quale si potrebbe sospettare elio avosso ottenuto 1* approva- ziono dì Galileo, è quella inedita elio si leggo a car. 54*.~r., relativa al passo elio nella nostra edizione ò a pag. 134, lin. 81. Postilla il Viviani, elio dopo quello parole di SiMPLIOIO concludentemente dimostrano « si potria aggiugner quanto appresso io dimostro, così contentandosene il medesimo Sig. Galileo » ; o appresso soggiungo una dimostrazione elio si estendo por ben duo carte, delle quali la prima è ossa car. 64, o la seconda fu separata, por erroro di chi ordinò i Manoscritti Galileiani, o compresa nel T. IV dolla Par. V (car. 88). Se non che, lasciando elio le pa- VAL role contentandosene il medesimo Sig. Galileo sono di significato ambiguo/ s’ avverta che il Viviani riven¬ dica espressamelite a sò questa dimostrazione anche in un appunto che si leggo noi citato T. IV dolla Par. V, car. 83*., dove egli nota a proposito di essa che fu « da ino trovata ». <*) Al luogo elio nella nostra edizione ò a pag. 67, lin. 83-34 (nel codice, a car. 17r.), il Viviani postilla: « so sono influiti, ò necessario elio non siano quanti... o pure poco avanti ... gli fa quanti». Dopo lo pardo la nostra maraviglia, a pag. 76, lin. 26, dolla nostra odiziono (car.22r.) nota: « E questa prova del Galileo somministrò forse al Torricelli il metodo, cosi fre¬ quentemente da osso usato, di risolver i solidi rotondi e scavati nelle lor infinito armillo ». Altrove (car. 70*.) difendo Galileo da certa obbiezione del « Reve¬ rendo Padre G. » ; parla (car. 76*.) di esperienze sug¬ geritegli c da i discorsi avuti con chi ha navigato » ; cita lo proposizioni dimostrato da Galileo : « por la 4» dol Galileo » (car.78*.), « per primam Galilaoi do motu aequabili » (car. 129*.). Potremmo addurrò molti altri osompi, che provano conio si tratti di osservazioni personali dol Viviani. Alcuno volto il Viviani emenda dolio inesattozzo nello quali Galileo ò caduto (p. e., noi luogo elio nella nostra edizione è a pag. 140, lin. 4, correggo proporzione in proporzione reciproca; a pag. 149, lin. 30, nove in sette c un nono, o a lin. 38 quarta vibrazione in 2 vibrazioni , mostrando in una postilla conio, dati i numeri dello vibrazioni « conio gli pone il Sig. Galiloo », questi commetto « errore di calcolo » ; a pag. 176, lin. 14, correggo sta in sta reciprocamente ; ccc.) ; ma non por questo ci parve locito compenetraro noli’ opera del Maostro, fosso puro per migliorarla, quella del discepolo. < a > A car. 72r. il Viviani cita la ristampa doi Dialoghi fatta a Bologna noi 3656. 2G AVVERTIMENTO. Nella mente di Galileo i Dialoghi delle Nuove Scienee non erano compiuti con le quattro Giornate e con 1’ appendice del contro di gravità dei solidi, che bì com¬ prendono nell’ edizione di Leida : e mentre gli Elzeviri tiravano innanzi con la stampa e ne affrettavano, per quanto era da loro, il compimento, Galileo parlava invece di un’altra Giornata, oltro la quarta, così che gli stampatori rimanevano incerti o perplessi. Scriveva infatti Giusto Wiffeldich, agente degli Elzeviri in Venezia, a Galileo sotto il 2G settembre 1687: < Il Sig. Elzevir mi scrive elio debba scrivere a V. S. I. et informarvi si il libro vostro, quale loro stampano, sia diviso in più di quatro Giornate, et in quante Giornate l’liavete partito. Loro hanno comminciato la 3* Giornata al trattato De molti locali, et dicono non trovar la 5 4 Giornata, si la non è avanti l’Appendice: ot di più desiderano saper si V. S. I. ha mandato tuta la copia, et pregano d’esser avisati quanto prima; altramente bisogna che aspettino con la stampa > (l) . Ma la nuova Giornata, della quale, conio si vede, Galileo doveva aver dato alcun cenno, si faceva desiderare : onde Lodovico Elzeviro scriveva a Galileo sotto la data del 1° novembre 1G37, che avrebbe continuata la stampa, e aspettato la quinta Giornata < si sarà possi¬ bile » w ; e più risolutamente il 1° gennaio del 1638: < In quanto al trattato della percossa e dell’uso della catenella, se V. S. non lo puoi condurre a perfezzione, farò il compimento, conforme al suo ordine > w . Apprendiamo da queste parole quale doveva essere l’argomento della Giornata da aggiungersi ; e vediamo altresì come ormai, avvicinandosi la stampa alla fine, il tipografo era impaziente di licenziare il libro, senza più oltre attendere: o perciò in termini più chiari replicava il 25 gennaio, quando rimanevano a stampare soltanto la tavola finale delle ma¬ terie, il frontespizio e la dedicatoria: < In quanto il trattato della percossa, bì V. S. non lo puoi condurre in breve a perfezzione, le piacerà mandarmi in che modo lo significarò al lettore dopo l’Appendice, acciochò non si commetti errore > (l) . 1 Discorsi e Dimostrasioni infatti finirono con l’uscire alla luce con le sole quattro Giornate, e con VAppendice della quale abbiamo tenuto parola, nonostante che nell’aprile del 1638 Galileo si fosse più che mai internato < nella profondissima speculazione della percossa >, e ne avesse anzi < acquistato la sua quasi intera sodi- sfazione > p) . I risultati però di tali speculazioni non andarono perduti, e, in parto al¬ meno, furono trovati tra le carte del Nostro dopo la sua morte, come or ora diremo. Nell’aprile del 1G41 Don Benedetto Castelli ebbe occasiono di visitare il Mae¬ stro in Arcetri ; e < considerando che per la compassionevole cecità e per l’età ormai cadente del Galileo si correva pericolo di perder quel residuo delle di lui <•) Mss. Gai., Par. VI, T. XIII, car. 47“ o 47*. 0) Lettera ili Lodovico Kuivibo citata a pAtf. 17, Bibl. Estense di Modena, Àutogr. Campori, nota C. Busta LXXIV, 111. (*) Lettera di Bino Pkri a Galilko del 21 apri- <»' Mss. Gal., Par. V, T.VJ, car. Gf> lo 1039 (Mss. Gal., Par. I, T. XII, car. 58). « AVVERTIMENTO. 27 speculazioni, non pubblicate, che egli sapeva non esser ancora poste in carta >, gli propose Evangelista Torricelli < per aiuto a farne il disteso ». Galileo ben vo¬ lentieri accettò; ina soltanto il 10 ottobre 1041 il Torricelli potè trovarsi in Ar- cetri. < Immantinente cominciò il Galileo a comunicar al Torricelli ciò che allora ei meditava di spiegar in dialogo in altre Giornate > ; ma pur troppo men che tre mesi più tardi il Nostro non era più. Dentro sì breve tempo il Torricelli tut¬ tavia < potò faro ... la bozza del disteso > del principio (V una nuova Giornata, che aveva per argomento le definizioni 5 a e 7* nel 5° libro d’ Euclide (,) . Questo disteso essendo pervenuto alle mani del Viviani, fu da lui pubblicato nel 1074, nel suo più volte citato Quinto libro degli Elementi cVEuclide (,) , quale Principio della Quinta Giornata del Galileo; e giù come Giornata Quinta da aggiungersi nel libro delle Nuove Scienti e era stato designato dal Torricelli (s) . Sorte meno felice corsero gli studi di Galileo sulla percossa, poiché rimasero più a lungo inediti. Dopo la morte del Nostro, il Viviani ebbe permesso da Vin- > cenzio Galilei, che aveva ereditato le carte del padre, di prenderne copia, che anzi molte gliene dettò Vincenzio < da sò stesso > ; e tra le dettate fu < un altro prin¬ cipio di nuovo congresso, intitolato Ultimo ... Tal principio è disteso in dialogo, in sei fogli in circa, dove si spiegano alcune sperienze fatte dal Galileo fin ne’tempi ^ eh’ egli era ... lettore (in Padova ), allora che andava investigando la misura della forza della percossa ». Il Viviani potò più tardi, con l’aiuto di Cosimo di Vincenzio Galilei, anche riscontrare sull’ originale la propria copia dell’ Ultimo congresso , < in alcuni luoghi (lov’ egli aveva qualche diflìcultà > (4) : egli però non fece di pub¬ blica ragione questa scrittura, la quale vide la luce per la prima volta soltanto nella prima edizione fiorentina delle Opere del Nostro (5) , e non è ben certo so * quegli editori potessero profittare dell’originale, oppure si valessero della copia Gì Quinto libro dei/li Elementi d'Euclide CCC., pag. 101. —Di quest'argomento poro Galileo si ora occupato anebo per lo innanzi, come si può dedurre dall'aver egli consigliato al Cavalieri di « lasciar staro » corta « appendice intorno alla de¬ finizione 5 del quinto », ch’egli desiderava pubbli¬ care: vedi lottora di Bonavkntura Cavalieri a Ga¬ lileo dal G febbraio 1G35 (Mss. Gai., Par. VI, T. XII, car. 115). Scrive poi il Viviani ( Quinto libro ecc., pag. 100), cho avondo egli mosso alcuni dubbi a Ga¬ lileo intorno a quollo definizioni, già prima ch’ogli fosso ospito di lui in Arcotri, gli aveva « conferito il Galileo lo dimostrazioni di quello difinizioni del quinto Libro, sonza però applicarlo a figuro, che, formatomi poi in Arcetri, egli mi dottò in dialogo, assai prima della venuta quivi dol Torricelli, quando ancora il Galileo non avova risoluto di porla nella quinta Giornata, ma pensava tuttavìa d’aggiugncrla alla quarta, n facco 153 dell’impressiono di Leida, dopo la prima proposizione de’ moti equabili, noi caso del ristamparsi, con 1*altro opere suo, quell*ultima dello duo Nuovo Scienze. Questa tal dettatura diede poi qunlcho facilità al medesimo Galiloo ed al Torricolli per fare quel più ampio distoso in dialogo, che si ò veduto: o la medesima, conio imitilo, rimnso a me, od ancora la consorvo ». Il luogo della stampa di Leida citato dal Viviani è nella nostra odizione a pag. 103, Un.9; cado però nella Giornata terza. Cfr. pag. 349, lin. 20. Non sappiamo qualo sorto abbia corso questa «dettatura» più brovo intorno allo proporzioni. a) Pag. Gl-77. < 8 > Il Torricelli noi suo manoscritto autografo, elio citiamo più innanzi, intitola (car. 10r.) quosta scrittura: «Trattato del Galileo sopra la definizione dolio proporzioni d* Euclide. Giornata Quinta da ag¬ giungersi nel libro dello Nuove Scionzio ». a) Quinto libro ecc., pag. 102-104. <*ì Opere di Galileo Galilei ecc. In Firenze, MDCCXVlli. Nella Stamp. di S. A. R. Por Gio. Gae¬ tano Taitini o Santi Franchi, Tomo II, pag. 698-710. 28 AVVERTIMENTO. del Viviani (l) . Nell’edizione fiorentina del 1718 il Congresso ultimo venne dietro a quella che ormai era conosciuta conio Quinta Giornata, e però prese nome di Giornata Sesta : e <1’allora in poi lo edizioni dei Dialoghi delle Nuove Sciame compresero sei Giornate. Anello noi, coni’ ora di ragione, facemmo seguire alla riproduzione della stampa Lcidonso le due Giornate aggiunto ; ma ci parve che la successione nella quale comunemente si leggono, e i titoli di quinta e di sesta Giornata, non fossero abbastanza giustificati, e elio inoltre dovesse farsi ben diffe¬ renza. tra le due Giornate per riguardo alla parte clic nello tenderle ebbe Galileo. Quanto alla ragione cronologica, paro ben certo che la Giornata sesta (chia¬ miamolo anche noi così) sia anteriore alla quinta. Lasciando che intorno alla forza della percossa Galileo foco esperienze e scrisse fin dal tempo del suo insegnamento in Padova (,) , abbiamo già visto corno a questa speculazione egli fosse tutto intento nel 1638, dopo che nel quarto Dialogo delle Nuove Sciame aveva espressamente pro¬ messo al pubblico un’ altra Giornata, da aggiungersi appunto su tale materia ' ; è corto inoltre che almeno qualche parto doli’originale della percossa era autografa l *\ e perciò anteriore alla totale cecità dell’Autore : nessun cenno, invece, ch’egli si occupasse di qticst’argomento negli ultimi tempi della sua vita. Per contrario, il disteso della quinta Giornata essendo stato dettato da Galileo al Torricelli, cade precisamente tra il 10 ottobre 1641 ed i primi del gennaio 1642. Ognun vede poi, essere poco men elio impossibile che dentro sì breve tempo, < del quale la malattia stessa del Galileo portò via la parto maggiore > w , egli dopo la Gior¬ nata sulle proporzioni (rimasta, ben s’avverta, incompiuta) incominciasse 1’ altra Giornata sulla percossa. <*> Scrivo il P. Bknkdktto Bkksciani al P. duino Grandi, elio con luì attoso alla odiziono fiorentina dol 1718, in dato dol 17 gennaio 1713: « Nolle mani dol modosimo Sig. Abato [Panxanini] ò il dialogo dolto forza (lolla percossa, e erodo elio sla copiato dall’ originalo, elio può cssore elio sia appresso agli orodi dol Sig. Lodovico Scrollai, i quali hanno pro¬ mosso di darò tutto ciò elio si trovano avoro di fogli appartenenti a oporo dol Galiloo » (Mas. Gai., Par. VI, T. XVIII, car. 15»*.). L’abato Iacopo Pakzakiki fu oredo dol Viviani. I*' Vedi noi voi. II di quest’edizione, pag. 168— 154 e pag. 188-191. Vedi pag. 293, lin. 7-10, o pag. 812, lin. 27-80. II Viviani più volto cita « l’originalo dol Galileo De molli e della percola », o la « bozza De motu e della percosea »; o da tale originalo, o dalla coperta di osso, trascrivo dei frammenti od appunti: vedi in questo volume pag. 334, nello varianti, pag. 446, nota 1, pag. G30, nota 1, e pag. 634, noto 1. l)i un frammento attenente appunto alla forza (lolla per¬ cossa, il Viviani avverte d’avorio trascritto « da uu foglio originalo del Galileo, di sua mano, tra lo coso (lolla percossa»: vedi pag. 343. nello varinoti. Voro ò elio, trattandosi d'un frammento atoccato, sobbollo si riferisca st rottameli te al Dialogo sulla percossa (cfr. pag. 348, lin. 20), potrebbe anche essereanterioro alla stesura dol Dialogo stesso. Ludovico iSkrrnai in un certo suo appunto autografo, che 6 noi Mano¬ scritti Galileiani, a car. 2r. dol Tomo 39 dei DUeepoli, ricorda che gran parto dolio coso spiegato dal Torri- culli nolle Lozioni Della forvi della perenta « oran già stote detto o scritto dal Oaliloo, e ai leggono di sua mano no’ fragmonti doli’ opere suo appresso al figliuolo, elio disegna di stamparli una volto ». Quanto finora abbiamo veduto dimostra abbastanza, non ossor vera Passorziono di Alfonso Borrlli, cho dopo la morto di Galii.ko non ?i trovasse tra le suo carto nulla di attinente alla forza della percossa: vedi De vi perenni otite, Liber lo. ÀLVBOKSI Borklli OCC., Bononiao, MDCLXYII, ex typographia Iacobi Montii (in fine dol Proemium). ia ' Quinto libro deyli Elementi d'Euclide eco., pag. 101. AVVERTIMENTO. 29 È vero però che, se la Giornata della percossa ò cronologicamente anteriore a quella delle proporzioni, tuttavia nella compagine dell’opera potrebbe questa, secondo la concezione dell’ Autore, dover precedere a quella : vediamo dunque quali siano le relazioni delle due Giornate fra loro e con le precedenti. Nella quarta Giornata Galileo promette, come abbiamo toccato, un altro dia¬ logo sulla percossa, e lo promette in termini tali, che il nuovo congresso debba attendersi immediatamente dopo il quarto : < gli do parola che, spedita che avremo la lettura di questo trattato de iproietti, gli spiegherò tutte quello fantasie [intorno alla forza della percossa] ... che de i discorsi dell’Accademico mi son rimaste nella memoria > (pag. 293, lin. 7-10) ; c potrà il Sig. Salviati, conforme alla promessa, esplicarci qual sia 1’ utilità che da simile catenella si può ritrarre, c, dopo questo, arrecarci ciucile specolazioni che dal nostro Accademico sono state fatte intorno alla forza della percossa > (pag. 312, lin. 27-30). Invece, nessun accenno nella quarta Giornata all’ argomento delle proporzioni. S’ avverta, in secondo luogo, che tra la sesta Giornata o quella che ad essa deve precedere sono corsi < quindici giorni » (pag. 321, lin. 3) : ma nella quinta Giornata gl’interlocutori rinnovano l’adunanza < dopo l’interposizione di qualch’ anno » (pag. 349, lin. 3-5) (,) . Per quanto la scena del dialogo sia una finzione, ad ogni modo chi legge lo introduzioni delle due Giornate, direbbe di sentire in esse come un’eco della diversa condiziono di spirito con cui 1’ Autore dopo breve intervallo faceva seguire alle quattro prime Giornate quella sulla percossa, e dopo più altri anni ripigliava, non senza grande consolazione, gli usati discorsi per trattare delle proporzioni. Un’ altra circostanza, al contrario, che risguarda i personaggi del dialogo, richiederebbe che alla quarta Giornata tenesse dietro anzitutto quella sulle proporzioni. In questa infatti si trovano insieme, come il solito, il Salviati, il Sagralo e Simplicio ; ma nella sesta Giornata Simplicio più non interviene, o invece prende parte al colloquio Paolo Aproino, stato uditore di Galileo in Padova e suo intrinsechissimo (,) : così che potrebbe parer singolare che Simplicio, dopo l’assenza, della qualo è addotta por cagione la grande oscurità eh’ egli ha incontrato in alcune dimostrazioni mate¬ matiche, fosse di nuovo introdotto, senza che del suo intervenire si rechi alcuna giustificazione, e precisamente in quel giorno in cui l’argomento de’ discorsi ò (i) Cho i « quindici giorni » doi quali ò men¬ ziono in principio della sosta Giornata, non si pos¬ sano intondero conio quindici giorni a partire dalla sessione sullo proporzioni, lo dà a vedere la ma¬ niera conio gl* interlocutori della sesta si richiamano allo coso discorso nella quarta Giornata, dicendo cho furono dimostrato «no*passati giorni » (pag. 887, lin. 28, o pag. 838, lin. 19): la qualo espressione sarebbe poco conveniente, so i « quindici giorni » venissero « dopo l’interposizione di qualch* anno *. È introdotto qualo intorlocutorc TApeoino come quegli cho ora intervenuto a molto osporionzo intorno alla forza dolla percossa fatto in casa di Galileo, noi tempo del soggiorno di questo in Pa¬ dova, dolio quali esperienze I’Apuoino discorre nella sosta Giornata. E forse a Galileo suggorì l’idea d’introdurre il nuovo interlocutore la più volto ci¬ tata lettera a lui scritta il 8 marzo 1635 dall’AritoiNO, che, dopo aver visto alcuni fogli manoscritti dei Dialoghi delle Nuove Scinole (cfr. pag. 18, nota 8), gli ricordava d' avor « imbovute già tanto tempo dalla sua bocca » molte di quolle dottriue. 30 AVVERTIMENTO. del tutto matematico. Tutt’ e ilue le Giornate si richiamano poi, nei primi discorsi dei personaggi, alla quarta come a immediatamente precedente : poiché nel prin¬ cipio della sesta leggiamo che nei quindici giorni interposti dopo 1’ ultimo ab¬ boccamento il Sagredo ha veduto lo proposizioni attenenti a centri di gravita de’ solidi e riletto quelle del moto, cioè si è applicato agli argomenti della quarta Giornata e a quelle dimostrazioni che il Saivinti gli aveva lasciato in sullo scorcio di questa stessa Giornata, appunto perchè lo studiasse nel tempo che doveva passare prima del futuro congresso; ma nel principio della quinta puro è detto che in quegli anni in cui i tro valentuomini non si sono trovati insieme, il Sa¬ gredo « non avrà mancato di fare ... qualche reflessiono sopra le dottrine del moto, lo quali furon letto nell’ ultima giornata do’ nostri passati colloqui > (pag. 349, lin. 6-8). Invece, nè nella sesta Giornata v’ ha pur un accenno all’ argomento dello proporzioni, nè nella quinta a quello della percossa. Da tutto questo risulta, a nostro giudizio, come nè l'una nè l’altra dello co¬ sidette quinta o sesta Giornata possa in verità chiamarsi sesta, ma tutt’ v due siano soltanto Giornate aggiunte (tutt’e duo quinte, per così dire), ciascuna delle quali si riappicca direttamente alla quarta, e che tra di loro non si può vera¬ mente stabilire un ordine di successione. Galileo le ha dettato in tempi diversi : quando stendeva la Giornata sulla forza della percossa, non aveva in pensiero di aggiungerne altre, o perciò chiamò quella Congresso ultimo ; quando poi mise mano alla Giornata sullo proporzioni, chi può dire secondo qual concezione egli meditava di condurre a termino l’ima o l’altra, ritornando forse a stendere di nuovo quel principio di dialogo sulla percossa, eh’egli aveva lasciato imperfetto V Tale essendo la condiziono vera dello cose, a noi non restava che diserro lo due Giornate secondo 1’ ordine cronologico di composizione, o conservare i titoli di Giornata sesta e Giornata quinta soltanto come nomi divenuti ormai storici. Della Giornata relativa alla forza della percossa non ci è pervenuto alcun manoscritto, o perciò abbiamo dovuto ripubblicarla dalla citata edizione fioren¬ tina del 1718. In questa, al principio della Giornate tien dietro un altro tratto (pag. 339, lin. 30 — pag. 342, lin. 33, della nostra ristampa), pure dialogizzato, ina che non bene è connesso con la parte precedente, com’è avvertito anche nel- l’edizione fiorentina (l) ; e viene appresso (pag. 343-346) una serie di appunti o frammenti, sempre attenenti all’argomento della percossa. Noi, riproducendo tutto queste scritture fedelmente dall’ ediziono originale (della quale volemmo conser¬ vato 1’ ordine in cui sono disposti i frammenti, sebbene si sarebbe potuto miglio¬ rare), ne abbiamo però corretto gli errori manifesti, che annotammo appiè di pagina con la lettera s ; non abbiamo toccato invece altri passi in cui la forma lascia pure a desiderare, sia perchè l’Autore non conducesse a perfezione queste Vedi uolla nostra ediziono, pag. 830, nota 1. AVVERTIMENTO. 31 scrittura, sia per colpa degli editori. A correggere alcuni errori della stampa ci fu di sussidio anche l’aver trovato, nel Tomo IV (car. 16r.-17r.) della Par. V dei Manoscritti Galileiani (il qual codice chiamiamo cod. 2?), due tratti atte¬ nenti a questa Giornata (pag. 334, lin. 33 — pag. 335, lin. 18, e pag. 343, lin. 1 — pag. 344, lin. 7), trascritti, di pugno del Viviani, dall’ < originale del Galileo >, anzi, un di essi, dall’originale < di sua mano >, come il Viviani avverte (,) . Abbiamo raccolto appiè di pagina le varianti che presentano le copie del Viviani, come pure quelle offerte, per il secondo di questi stessi tratti, da un’ altra copia del secolo XVII, e per la maggior parte dei frammenti (pag. 344, lin. 8 —pag. 346, lin. 19) da una copia moderna e, per vero dire, molto scorretta. Quanto alla così detta Quinta Giornata, scrive il Viviani che, dovendosi Ga¬ lileo servire negli ultimi anni della sua vita degli occhi altrui per distendere le sue speculazioni, « non quegli di ciascheduno eran atti a supplire alla di lui im¬ potenza, ma si richiedevano quei di persona, la quale ... fosse ... erudita e ben instrutta nelle matematiche e nelle filosofiche discipline, affinchè, appena eli’ egli avesse spiegato il concetto suo, 1’ amico poi nel distenderlo fosse abile a dargli forma convenevole e perfezione > (ì) ; e dopo aver narrato, come abbiamo visto, che il Castelli propose a Galileo il Torricelli < per aiuto > a quest’ uopo, soggiunge che Galileo < ben volentieri accettò uomo così degno e per aiuto e per compagno > (3) . Queste parole, le quali descrivono, a nostro avviso, la realtà del fatto con quella precisione, e, diremo altresì, con quella sicura intuizione del vero, che poteva avere soltanto chi della < nobil copula di quei due gran lumi > era stato in Arcetri testi¬ monio, ci possono dare un’adeguata idea della collaborazione del grande discepolo O) il fatto che il Viviani trascriva, staccati, questi due tratti, si spiega, quanto al secondo, con ciò, elio osso ò uno di quoi frammenti elio abbiamo dotto essere aggiunti alla Giornata dialogizzata, o noli’originalo di Galileo era in un foglio separato; noi primo caso poi crediamo siano esistito duo sto- auro divorso, ed entrambe provonionti dairAutoro, dello quali la seconda sia rappresentata dalla co¬ pia del Viviani. Questa copia ci ha servito a resti¬ tuire il senso ad una pagina, elio nell’ edizione fio¬ rentina ò corrotta in modo curioso e gravissimo. Studiando, le lezioni della stampa fiorentina e della copia Viviani nel tratto dopo la salita di un brac¬ cio ... il qual grave, a pag. 884, lin. 88 — pag. 385, lin. 18 (dello quali lezioni abbiamo data notizia pre¬ cisa appiò di pagina), c tenendo conto delle parolo (pur da noi riferite) elio il Viviani scrive in capo alla sua copia, ci pare di poter concludere : 1°, che csistotto di questo tratto una prima stesura, più breve, la quale diceva : dopo la salita di un braccio del peso ascendente, in quel modo che ora mi sovviene accadere in un grave pendente da un filo che sia fer¬ mato tu alto; il qual grave; od una seconda stosura, elio ò quella elio noi pubblichiamo nel tosto: cosi che lo due stesuro differivano in quosto, che la seconda sostituiva il brano che sarebbero due braccia ... fer¬ mato in alto (pag. 335, lin. 1-18) alle parole della pri¬ ma : tu quel modo che ora mi sovviene accadere in un grave pendente da un filo che sia fermato in alto ; 2°, elio la stampa fiorentina insorì nella prima ste¬ sura il brano della seconda che dovova ossoro so¬ stituito, ma non cancellò il corrispondente bruno dolla prima, o, per di più, insorì quel brano della se¬ conda avanti allo parolo del peso ascendente (pag. 384, lin. 33), mentre il Viviani aveva chiaramente indi¬ cato che dovevasi inserire dopo quello parole stos¬ se, lo quali vonnoro cosi a trovarsi, nella stampa predetta, dopo il brano della seconda stesura inseri¬ to, o avauti il brano della prima indobitainontc con¬ servato; risultandone un intoilorabilo turbamento del senso. (*> Quinto libro degli Elementi d*Euclide QOC., pag. 87. < 8 ) Quinto libro ecc., pag. 101. 32 AVVERTIMENTO. o del sommo Maestro, collaborazione reverente o affettuosa, ma pur Bempre colla¬ borazione, e ci persuadono che la Quinta Giornata, specialmente per quel che concerne il disteso o la forma, ò frutto in parte del Torricelli; olio ad ogni modo sarebbe impossibile distinguere l’opera dell’ uno da quella dell’ altro autore, anche se noi possedessimo quello stesso manoscritto che dalla mano del Torricelli sarà stato vergato in quei colloqui. Ora, noi abbiamo bensì, nel T. V (car. 10r.-23/., e 4r.-9r.) della Par. V dei Manoscritti Galileiani, un testo della Quinta Giornata che ò autografo del Torricelli e cho consta di duo parti ben distinte anche nel- l’aspetto esteriore: ma nella prima parte (car. 10r.-23<.), che comprendo molto più che la prima metà della scrittura (pag. 349-359 della nostra edizione), esso è sicuramente copia che il Torricelli ha fatto da una bozza anteriore ; o della se¬ conda parte (car. 4r.-9r.), che è appunto un frammento della bozza da cui il Tor¬ ricelli esemplò la prima parte, non abbiamo indizio veruno per poter dire che abbia appartenuto al codice scritto in Arcetri in sullo scorcio del 1641. Bensì sappiamo, per testimonianza del Viviani, che dopo la morte di Galileo il Torri- celli si ritenne la bozza della Quinta Giornata por ridurla a perfezione ; e lo studio del manoscritto autografo dimostra che il Viviani scrisse, anche in questo particolare, il vero (,) . D’altra parte, l’edizione fatta dal Viviani nel 1674 è con¬ dotta sopra due manoscritti originali del Torricelli Date queste circostanze, ci parve che lo studio dell’autografo torricelliano sino a noi pervenuto e delle altre copie < ‘ l , in confronto con 1’ edizione del Viviani, se avrebbe potuto, tutt’ al Gl Quinto libro ecc., png. CO e 101. L’autografo torricolliano infatti ò ricco, tanto nell’ una elio noli'altra parto, di correzioni numero¬ sissimo, di mano dello stesso Torricelli. Yi ha poi un piccolo tratto della scrittura, il quale si leggo tanto nella tozza elio forma P ultima parto (dovo è cancellato), quanto nulla copia elio forum la prima: lo studio di quosto tratto dimostra cho la copia de¬ riva appunto, corno abbinili dotto, da quolla bozza, o cho audio noli’ atto del trascriverò il Torricelli correggeva. Scrive il ViviA.vr, cho venticinque anni prima del 1G74 egli ubbo dal Principe Leopoldo dk' Me¬ dici un manoscritto della Quinta Giornata, eli’era di pugno del Torricelli, o dal Torricelli era stato poco prima presentato al Principe ; e il Viviani no prose copia (Quinto libro ecc., nolla prefazione ai Nobili geometri }>rincipienti). Questo manoscritto era « tronco o imperfetto ... quale e' riuiaso quando, so¬ praggiunta il Galileo da malattia, che fu P ultima, P nudava egli dettando a Evangelista Torricelli»: ma « paroudo ancora convenevole il darlo fuori tal quale poi lo lasciò alla sua morto lo stesso Torri- celli, o sapendo io, tutti gli scritti matematici di osso, non pubblicati, esser appresso il Sig. Dottor Lodovico Serenai ..., ò proccurato di riscontrare tal mia copia con la bozza originalo d! qnolla che ò nello mani dot predotto Slg. Seronai; ed avendola ritro¬ vata verso il fino con qual cosa di più, aggiuntavi, 00111 * io credo, dallo stesso Torricelli, non ho voluto mancare di unirla a questa Quinta Giornata ... in carattere corsivo, e quale, dopo un dillgonte riscontro del rimanente, mi ha dettata il mudoMiuo Sig. Lo¬ dovico > (op. cit., pag. CO). Gl Nello stesso T. V della Par. V dei Manoscritti Galileiani trovansi, dopo Pantografo torricelliano, una copia di mano del Serenai (car. 2or.-88(.|, un'al¬ tra copia di mano di Carlo Dati (car. 40r.-Clr.), una terza copia intora (car. G2r.-74r.) e il principio d 1 una quarta (car. 75r.-7i)/.), puro scritto noi se¬ colo XVII. Un’altra copia anoora è a car. 202 r,- 212*. del T. VI della Par. V, tra lo bozzo doli*opera dol VlV IANI, Qui nio libro degli Elementi d’Euclide OCC.: questa copia ha correzioni di mano dol Viviani ; o pur di pugno dui Viviani ha quel tratto che questi nella sua edizione stampa in carattere corsivo, o inoltro lo postillo marginali e alcuno indicazioni, do- stiuato al tipografo, circa lo figure: è certamente il manoscritto cho sorvl alla slampa fatta noi 1674. Nel T. V della Par. V (car. 82r. 83L) vi ò puro un rias¬ sunto, non dialogizzato, di parto della Quinta Gior¬ nata, di mano di Uobf.bto Southwki.l. AVVERTIMENTO. 83 più, avvicinarci alcun poco a quella forma in cui la scrittura fu stesa in Arcetri, non ci avrebbe però condotto mai a conseguirla con sicurezza, specialmente per il fatto accennato, che all’autografo torricelliano rimastoci precedette, per il tratto più lungo, altro autografo, che si desidera : e poiché non si potrebbe in niun modo nutrire speranza di separare la parte che già, in quel disteso primitivo ebbe il discepolo da quella del Maestro, e noi dobbiamo quindi considerare questo prin¬ cipio di Giornata più che altro come un rendiconto del pensiero di Galileo, anche se fatto talora con le sue stesse parole, giudicammo non ci sarebbe stato mosso rimprovero se ci limitavamo a riprodurre 1’ edizione del Viviani, lasciando a chi vorrà di proposito occuparsi delle opere del Torricelli (e questa è, almeno un poco, sua) il compito delicato di rintracciare come tale scrittura fosse successi¬ vamente elaborata per la mano non solo del Torricelli, ma forse anco del Viviani o di Lodovico Serenai (,) . Al testo edito dal Viviani, che abbiamo dunque ristampato, assegnammo quel corpo di carattere che riserbiamo alle scritture in cui non è possibile distinguere la parte che devesi attribuire a Galileo da quella che si possa ascrivere ad altri. Il Viviani ha pubblicato in carattere corsivo un tratto, verso il fine della Gior¬ nata, aggiunto, egli dice < com’ io credo, dallo stesso Torricelli > ; il qual tratto abbiamo anche noi riprodotto in corsivo (pag. 360, lin. 25 — pag. 361, lin. 11). Infine, se non abbiamo riscontrato per intero il testo del Viviani sull’ autografo del Torricelli, ci siamo però giovati di questo per correggere qualche raro errore della stampa da noi seguita (1) . Alle due Giornate aggiunte tengono dietro i Frammenti attenenti ai Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze, i quali in gran parte veggono ora per la prima volta la luce. Che Galileo si sia occupato a più riprese, e fin da’suoi anni giovanili, degli argomenti trattati nei Dialoghi delle Nuove Scienze, non soltanto lo provano i numerosi documenti epistolari che abbiamo citato più sopra e quelle scritture intorno al moto che pubblicammo in altri volumi della presento edizione, collo¬ candole al posto die loro spetta nell’ ordine cronologico e fin d’ allora avver¬ tendo com’esse mostrino i fiori allegati in frutti nei Dialoghi (3) ; ma altresì lo confermano numerosi frammenti, dei quali alcuni sono appunti notati con 1 evi- 0) L’autografo torricolliano contiene correzioni scritto dal Serenai; « ebo il Viviani pure mettesse le inani nel testo che pubblicò, ò provato dalla copia or ora citata, che servì alla stampa del 1674. Ma non sappiamo donde il Serenai o il Viviani cavassero le loro corrozioni, cioè se lo attingessero da altro au¬ tografo del Torriorlli, o se invece ritoccassero ar¬ bitrariamente la lezione. (*> Le lezioni corrette sono notato appiè di pagina con la lettera a. Tra le rarissime correzioni da noi in¬ trodotte avvertiamo quella di comjjarazione in campo- dizione, a pap. 362, lin. 18, suffragata dall’autografo o dallo tre copio del T. V della Par. V: invece la copia che servì alla stampa del Viviani ha comparazione. <3) Jjè Opere di Galileo Galilei. Kdizioue Na¬ zionale. Voi. 1, pag. 240 ; voi. Il, pag. 269. Vili. 6 u AVVERTIMENTO. dente intenzione die ricevessero un ulteriore svolgimento, altri rappresentano tentativi di giungere per vie diverse alle medesime conchiusioni registrate nei Dialoghi o ad analoghe, ed altri ancora, come già abbiamo accennato, non sono che anteriori stesure dello proposizioni che si leggono nei Dialoghi medesimi. La maggior parte di questi frammenti sono autografi, e in alcuni di essi ò agevole riconoscere sia la scrittura giovanile di Galileo 0 ’, sia la mano di lui negli anni della virilità, od ancora la mano della età tarda, che talvolta pur modifica od emenda il dettato giovanile (,) ; non mancando nemmeno i casi ne’ quali del disteso sia possibile affermare, che non fu anteriore ad un determinato giorno ". Scritti da due discepoli del Nostro, Mario Guiducei o Niccolò Arrighetti ", si leggono altri frammenti, alcuni dei quali portano correzioni ed aggiunto di Galileo: è poi fre¬ quente il caso in cui gli scolari copiano autografi del Maestro fino a noi perve¬ nuti 01 ; cosicché, anche quando possediamo un dato frammento soltanto per la mano dei discepoli, sia lecito congetturare che essi si siano limitati a trascrivere da un originale di Galileo oggi smarrito. Vincenzio Viviani ci ha pure conservato di suo pugno alcuni frammenti; tre sono di mano del figlio di Galileo; ed uno fu scritto da un suo servo, < in tempo che già il Sig. Galileo era divenuto cieco > w . La massima parte di tali frammenti fu stesa su carte originariamente stac¬ cate (sulle quali talvolta erano stati prima, o furono poi, notati dallo stesso Galileo pensieri ed appunti attenenti ad altri argomenti), senza alcun cenno od indizio di qualsifosse successione fra l’una e l’altra. L’annotazione < Attinenza ad motum >, che di mano di Galileo troviamo segnata sopra un foglio può sol¬ tanto far supporre eh’ egli trascegliesse deliberatamente questa fra altre carte ; e certi cartellini incollati, e portanti dei numeri, potrebbero far sospettare che Il potere stabilire elio alcuni di questi fram¬ menti sono della mano giovanile di Galileo (e par¬ lando della inano piovanilo, intontimmo di riferirci agli anni che precedettero la scoperta dol telesco¬ pio), è d’importanza massima alia storia dolla scien¬ za; poichò, in particolare por ciò che concerno la Giornata quarta, ci permette di porro fuor di dub¬ bio, che le principali proposkioni della teoria dei proietti, ed anzitutto quella dio la linea da essi de¬ scritta sia parabolica, appartengono al tempo della prima gioventù del Nostro. K questo ogli vollo ospli- citamente affermato, aggiungendo cho il primo iu- tendimonto a spocolnro sopra il moto fu quello di ritrovare tal linea filetterà di Galileo a Cebark Mar- bili dell’li settembre IG82, nuU’Archivio Marsigli in Bologna); ancorché, pur comunicando ciò agli amici o discepoli, si astonesso per oltre quarant’nnni dal darne pubblica dimostrazione, correndo per tal modo il pericolo di vodersono levata la primizia. Tre di siffatti frammenti, relativi al moto dei proietti, e noi quali ancho a prima vista si riconosco la mano di Galilko in età notovoluioute diverse dolla sua vita, furono da noi riprodotti in facsimile. Una bozza della Proposizione XXXIV della Giornata terza (vedi pag. 255-2.S7) ò uoritta «ul tenj» dolla lettera di Cebark Galletti a Galileo del 21» gennaio 1G81 : questo però prova soltanto che delle successivo stesure di quella Proposi/.iono, alla qualo sono relativi parecchi dei Frammenti ( pag. 412-418), e alcuni tra essi dolla mano giovatolo del Nostro, quella appunto fu scritta posterie munì te alla data della suaccennata lettera. (4 ' Ci sembra di poter orA affermare che siano della inano dolio stesso Aiiricihrtti lo correzioni ed OSSOrvazioili agli Errori di Giorgio Cor mio raccolti da D. JienedeMo Gattelli ed al Ditcortn delle Comete , che avovamo attribuito ad un incognito rovisoro: vodi voi. IV, pag. Il, o voi. VI, pag. 8. <8) Alcuni materiali orrori, cho sì spiegano corno false lotturo doli’ originalo, od altro particolarità, offerto dai frammenti scritti dal Gumrooi e daU’AR- biguktti, confermano trattarsi di copio. (8) Vedi a pag. 487, nota 1. <7) Vedi a pag. 411, nota J. AVVERTIMENTO. 35 di alcuni di questi fogli eia stato forse tentato in altri tempi un ordinamento, del quale però quanto rimane non permette di formarsi verun concetto: cosicché possiamo affermare che, quali pervennero insino a noi, questi frammenti non of¬ frono la benché minima traccia nè di un ordinamento qualsiasi, e nemmeno di volontà alcuna a tal proposito manifestata dall’Autore (l) . Questi logli, che in origine devono essere stati in molto maggior numero, parteciparono alla sorte di quei manoscritti del Nostro che appartennero al Viviani; e quando buona parte di questi venne ordinata nell’antica Biblioteca Palatina de’ Pitti, quel tanto che di essi era rimasto fu rilegato in due Tomi, che tra i Manoscritti Galileiani, entrati poscia nella Biblioteca Nazionale di Firenze, furono segnati con i numerili e IV della Parte V : ma in questi Tomi essi fogli furono riuniti in modo affatto tumultuario ed insieme con altre scritture galileiane attenenti alle Meccaniche. L’indole di questi scritti, molti dei quali, presi singolarmente, perdono si¬ gnificato e valore, e l’essere stato qualcuno di essi, come testé avvertimmo, steso, modificato o completato, da Galileo in tempi della sua vita diversi e non esat¬ tamente determinabili, escludeva a priori la possibilità e la convenienza di spar¬ pagliarli, secondo un ordine cronologico puramente ipotetico e che sarebbe riuscito assai dubbio, nei varii volumi dell’Edizione Nazionale; così che fin da principio risolvemmo di raccoglierli in appendice ai Dialoghi delle Nuove Sciente, ai quali principalmente si riferiscono, pur non mancando qualche caso in cui la comu¬ nanza di taluni argomenti trattati in questi Dialoghi ed in quelli dei Massimi Sistemi possa far sorgere il dubbio se un dato frammento sia relativo agli uni o agli altri. Accingendoci ora alla pubblicazione di questi Frammenti , ci parve anzitutto opportuno tener separati quelli contenuti nel Tomo II da quelli conservati nel Tomo IV ; e ciò perchè, mentre i primi, ad eccezione di qualche rarissimo caso incerto, sono antecedenti per tempo alla stampa dei Dialoghi, i secondi, invece, lo sono, in generale, posteriori. Quanto ai criterii coi quali abbiamo proceduto nell’ordinamento dei fram¬ menti del Tomo II (pag. 365-436), diremo come, dopo matura riflessione, abbiamo creduto doverli, secondo le materie in essi contemplate, distribuire in varii gruppi, corrispondenti ai temi delle Giornate dei Dialoghi : e perciò, dopo un frammento che ha relazione con la Dedicatoria (pag. 365), disponemmo in un primo gruppo (pag. 366-370) i frammenti attenenti alla seconda Giornata, cliò di relativi alla prima il manoscritto non ne conserva; in un secondo (pag. 371-375), quelli che riguardano la prima parte della Giornata terza, cioè il moto equabile ; i concernenti la seconda parte della terza Giornata, cioè il moto naturalmente accelerato, formano il gruppo terzo (pag. 376-423); e quelli finalmente che atten¬ ui Si dà porfino il caso elio 1* enunciazione di tiva dimostrazione sopra un altro, legato in tntt’al- un teorema sia scritta sopr’ un foglio, e la rispet- tra parte del codice. 36 avvertimento. gono alla quarta Giornata, il quarto (pag. 424-436). In ciascun gruppo dispo¬ ne mino i singoli frammenti seguendo l’ordino con cui le materie si succedono nella Giornata ad esso corrispondente, quando con questo materie appariva una diretta attinenza: quando, per contrario, tale diretta attinenza non ci sembrò abbastanza evidente, dovemmo limitarci ad ordinare i frammenti secondo ragie- ne voli relazioni eli concetto. Riguardo a quei frammenti, o sono i più numerosi, che si riferiscono alla seconda parte della Giornata terza, il lettore avvertirò corno noi abbiamo alle mani frammenti appartenenti a tre trattazioni diverse; le quali, sebbene incom¬ plete, pure nel loro complesso c disponendone gli elementi secondo l’ordine razio¬ nale di successione, manifestano assai chiaramente a quali concetti Galileo si era andato ispirando in momenti diversi della sua vita, per creare quella scienza del moto che a pieno diritto egli intitolò < nuova >. Dei frammenti pertanto ap¬ partenenti a queste tre trattazioni, che noi stimiamo successive, come in qual¬ che parte dimostra anche la forma della scrittura, formammo tre partizioni (pag. 376-382, pag. 383-386, pag. 387-423) del terzo gruppo, seguendo per quelli dell’ ultima trattazione, più delle altre sorniglicvole alla forma definitiva della stampa, l’ordine stesso che dalle relazioni con questa veniva suggerito. Venendo ai frammenti contenuti nel Tomo IV (pag. 437-448), sebbene per al¬ cuni non manchi l’indicazione del posto che dovrebbero occupare nei Diàloghi, ed in forma dialogica si trovino pure distesi, tuttavia abbiamo tenuto raccolti anche questi con gli altri, nè li abbiamo inseriti nei Dialoghi, perchè non è ab¬ bastanza chiaro se l’intenzione di accrescere con essi in una ristampa il testo delle Giornate, fosse di Galileo, oppure del Viviani, il quale di sua mano scrisse la maggior parte dei frammenti di esso Tomo IV. Rispetto poi alla loro origine, questi, di mano del Viviani, possono distribuirsi in tre categorie : alla prima ap¬ partengono quelli che egli afferma di possedere nell’ originalo di Galileo, dal quale trascrisse, e cita talvolta anello precisi particolari concernenti quest’originale; alla seconda, quelli altri ch’egli dice d’avere steso < ad montoni Guidaci > ; alla terza, infine, quelli che contengono cose evidentemente del Viviani sfosso, con lo quali egli andava correggendo e svolgendo concetti enunciati nei Dialoghi. Conforme alle norme con cui viene condotta la presente edizione, noi abbiamo stimato op¬ portuno di tener conto soltanto dei frammenti appartenenti alla prima cate¬ goria (e di questi, anche so furono poi cancellati* 11 ), non rifiutando fede in tal modo all’esplicite affermazioni dell’ultimo discepolo di Galileo, ma evitando in¬ sieme il pericolo di attribuire a questo i trovati del suo scolaro. Ai frammenti che il Viviani afferma aver trascritto da originali del Maestro, abbiamo unito i pochi di mano del figlio e del servo di Galileo: e tutti li abbiamo disposti secondo (') Quostn particolarità abbiamo volta per volta vedersi alcuni frammenti cancellati aia soltanto in¬ avvertita nello note; e erodiamo che, in generalo.il dizio dell’essere stati poi trascritti altrove. AVVERTIMENTO. 37 i criterii seguiti per quelli del Tomo II, cioè nell* ordine delle materie in corri¬ spondenza coi temi dei Dialoghi , distribuendoli in tre gruppi, respettivamente costituiti dai frammenti relativi alla Giornata prima (pag. 437-440), alla terza (pag. 441-445), ed alla quarta (pag. 446-447). Non tutti però i frammenti raccolti nei Tomi li c IV della Parte V bau potuto trovare il loro posto nell’ordinamento da noi fattone conforme ai sopraccennati criterii. Alcuni, racchiudenti di quei pensieri staccati che Galileo andava frequen¬ temente notando qua e là fra le sue carte, o che almeno non hanno diretta atti¬ nenza con veruna delle scritture scientifiche di Galileo, sono da noi inseriti tra i Frammenti di vario argomento, elio pubblichiamo in fine di questo stesso volume: ma altri ne esistono nel Tomo II, dei quali in nessun modo abbiamo potuto giovarci. Si tratta in questi casi, quasi sempre, di poche linee, contenenti parti di dimostrazioni, troppo brevi da poter comprenderne il significato o V argo¬ mento a cui si riferiscono, ed ancora il più delle volte mancanti delle relative figure, le quali sarebbero indispensabili per penetrare il pensiero che ha guidato l’Autore; oppure di figure geometriche mancanti delle rispettive considerazioni, o di abbozzi di esempi numerici, o di operazioni aritmetiche isolate ovvero che concernono il calcolo delle tavole numeriche annesso alla Giornata quarta e che sarebbe stato affatto superfluo di riprodurre. È infine lecito argomentare che a questo Tomo II, messo insieme in tal guisa, siano stati anche assegnati fogli di cui, per essere senza alcun significato nella lor contenenza, non fu saputo in quale altro Tomo della collezione collocarli. Da parte nostra abbiamo tenuto conto di tutto ciò che, per ritenere comecchessia alcuna traccia del pensiero dell’Autore, avesse anche la minima importanza; e crediamo poter esser piut¬ tosto rimproverati di aver voluto troppo conservare, che non dell’ aver fatto getto di cose le quali meritassero d’essere raccolte. Alle pazienti cure adoperate nel mettere insieme e ordinare questi Frammenti , rispondono quelle con cui abbiamo provveduto alla loro pubblicazione. Conforme alla norma prefissaci, di nulla trascurare che contenesse pur il minimo vestigio del pensiero di Galileo, abbiamo notato appiè di pagina anche i tratti o le parole che nei manoscritti si leggono sotto le cancellature; se qualche parola o qual¬ che tratto ò aggiunto in margine o fra le linee, lo abbiamo avvertito ; quando d’uno stesso frammento esisteva, oltre all* autografo, una copia di mano del Guiducci o dell’Arrighetti, notammo lo varianti della copia, che non fossero pu¬ ramente grafiche (,) . Avendo proceduto con tanto scrupolosa esattezza, e anche perchè questi frammenti hanno carattere di materiali che l’Autore serbava per uso proprio, senza destinarli al pubblico, rispettammo, soprattutto negli autografi, certe grafie che non sono certamente corrette, ma delle quali, ad ogni modo, ci . Pochissimo volte abbiamo tenuto necessario toccare più gravemente la lezione dei manoscritti m ; del resto, anche se le relazioni sintat¬ tiche non erano osservate, rispettammo la forma, quasi diremmo rudimentale, in cui Y Autore ha lasciato questi greggi materiali ‘. Quando correggemmo, re¬ gistrammo tra le varianti la forma o la lezione da noi corretta. In nota indi¬ cammo, di volta in volta, in qual carta, o di qual mano, il frammento si legge ne’ codici, nonché ogni altra particolarità che questi presentano, e, se era oppor- tuno, richiamammo il luogo dei Dialoghi dello Nuove Sciente che con lo squarcio ivi pubblicato avesse attinenza. Con la lettera A chiamiamo (come già fu ac¬ cennato) il Tomo II della Parto V, e con la lettera B il Tomo IV ; e con queste lettere abbiamo designato i duo manoscritti anche quando di certi frammenti raccogliemmo le varianti appiè de’corrispondenti luoghi dei Dialoghi. Con lo sigle Quid, e Aita, indichiamo le varianti delle copie, di mano, rispettivamente, del Guiducci e dell’ Arriglietti : ogni volta che con queste varianti se no alter¬ nano altro che non portino alcuna sigla, b’ intenda che queste provengono dagli autografi di Galileo. (l) Rispettammo, p. o., orùwnlw, ex eubblimi, connettatur, rettangulum , punti* (sobbono, a pag. 888, liti. 15, accanto accanto h punctia), pervencturum, con- leìictum (da conlineo), dixtantia (a pag. 886, lin. 7-8, accanto a diatantìa), exibent, ecc. (ì) P. o., correggemmo valicate , cho ò scritto por velocitate; lina, homogena, movatur, che stanno per linea, homogenea, moveatur; demontratur, per de- monstratur, occ,; o Correggemmo altresì que, quedam, queritur, "quatte tur, parwium , dieta naia, almnionc, scritti per quae, qua edam, quaeritur, tequrretur, par- hum, dittando, elevatone, lo formo scorretto essendo ben rare, montro tono frequentissimo lo formo cor¬ retto. Jh' i&s&Slh" ■ " - : ^2B3BBM •* tiSM&fiSBs f!©®X*»v 'Vd : Z KSg^Ha^fi ÌÌgte?3 *P'- HI gfe ALLO ILLUSTRISSIMO SIGNORE IL SIGNORE CONTE DI NOAILLES CONSIGLIERI T)T SUA MAESTÀ CRISTIANISSIMA, OAVALIEU DELL’ORDINE DI SANTO SPIRITO, MARISCALOO DE’SUOI CAMPI ED ESSEROITI, SINISCALCO E GOVERNATORE IH ItOERGA 35 LUOGOTENENTE PER SUA MAESTÀ IN OVKRGNA, MIO SIGNORE E PADRONE COLENDISSIMO. Illustrissimo Signore, Riconosco per uno effetto della magnanimità di V. S. Illustrissima io quanto gli è piaciuto disporre di questa opera mia : non ostante che (come ella sa), confuso e sbigottito da i mal fortunati successi di altre mie opere, avendo meco medesimo determinato di non esporre in pu- blico mai più alcuna delle mie fatiche, ma solo, acciò del tutto non re¬ stassero sepolte, essendomi persuaso di lasciarne copia manuscritta in luogo oonspicuo al meno a molti intelligenti delle materie da me trattate, e per ciò avendo fatto elezzione, per il primo e piu illustre luogo, di deposi¬ tarle in mano di V. S. Illustrissima, sicuro che, per sua particolare affez- zione verso eli me, averebbe avuto a cuore la conservazione de’ miei studii o fatiche ; e per ciò nel suo passaggio di qua, ritornando dalla sua am- 20 basciata di Roma, fui a riverirla personalmente, si come più volte avevo fatto per lettere ; e con tale incontro presentai a V. S. Illustrissima la co¬ pia di queste due opere che allora mi trovavo avere in pronto, le quali benignamente mostrò di gradire molto e di essere per farne sicura con¬ serva, e, col participarle in Francia a qualche amico suo, perito di questo scienzie, mostrare che, se bene tacevo, non però passavo la vita del tutto Di questa Dedicatoria si ha un manoscritto, di carattere (a quanto sembra, non ita¬ liano) del sec. XVII, nel cod. A, a car. 2 8r.-t. Il manoscritto presenta le seguenti varianti a confronto della stampa: 6. luogotenente generale per — pag. 44, lin. 12. aver avuto — 20. di accrescere la —• u DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE, ECC. ooiosamente. Andavo dipoi apparecchiandomi di mandarne alcuni altre copie in Germania, in Fiandra, in Inghilterra, in Spagna, e forno anco in qualche luogo d’Italia, quando improvisamente vengo da gli Elzovirii avvisato come hanno sotto il torchio queste mio opere, e che però io deva prendere risoluzione circa la dedicatoria e prontamente mandargli il mio concetto sopra di ciò. Mosso da questa inopinata ed inaspettata nuova, sono andato meco medesimo concludendo che la brama di V. S. Illustrissima di suscitare ed ampliare il nome mio, col participare a diversi i miei scritti, abbia cagionato che sieno pervenuti nelle mani de’detti stampa- patori, li quali, essendosi adoperati in publicare altro mio opere, abbiano io voluto onorarmi di mandarle alla luco sotto le loro bollii ime ed ornatis¬ sime stampe. Per ciò questi miei scritti debbono risentirsi per aver avuta la sorte d’ andar nell’ arbitrio d’un si gran giudice, il quale, nel maravi- glioso concorso di tante virtù che rendono V. S. Illustrissima ammirabile a tutti, ella con incomparabile magnanimità, per zelo anco del ben pu- blico, a cui gli è parso che questa mia opera dovesse conferire, ha voluto allargargli i termini ed i confini dell’onore. Sì che, essendo il fatto ridotto in cotale stato, è ben ragionevole che io con ogni segno più compiono mi dimostri grato riconoscitore del generoso nffetto di V. S. Illustrissima, che ha avuto a cuore di accrescermi la mia fama con farli spiegar le ale 20 liberamente sotto il cielo aperto, dove che a me pareva assai dono che ella restasse in spazii più angusti. Per tanto al nome vostro, Illustrissimo Si¬ gnore, conviene che io dedichi e consacri questo mio parto ; al che fare mi strigue non solo il cumulo de gli oblighi che gli tengo, ma l'inte¬ resse ancora, il quale (siami lecito così dire) mette in obligo V. S. Illu¬ strissima di difendere la mia riputazione contro a chi volesse offenderla, mentre ella mi ha posto in steccato contro a gli avversarii. Onde, fa¬ cendomi avanti sotto il suo stendardo e protezzione, umilmente me lo inchino, con augurarle per premio di queste sue grazie il colmo d’ogni felicità e grandezza. 80 D’Arcetri, li 6 Marzo 1638. Di V. S. Illustrissima Devotissimo tservilore Galileo Galilei, 21 . dove a me — 33 . devotissimo ed umilissimo servitore — LO STAMPATORE A T LETTORI. Trattenendosi la vita civile mediante il mutuo e vicendevole soccorso de gli uomini gli uni verso gli altri, ed a ciò servendo principalmente V uso delle arti o delle scionzie, per questo g.l’ inventori di esse sono sem¬ pre stati tenuti in grande stima, e molto riveriti dalla savia antichità; e quanto più eccellente o utile e stata qualche invenzione, tanto maggior laude ed onore ne è stato attribuito a gl’ inventori, fin ad essere stati dei¬ ficati (avendo gli uomini, per commini consenso, con tal segno di supremo onore voluto perpetuare la memoria de gli autori del loro bene essere). Pa¬ io rimente quelli i quali con l’acutezza de i loro ingegni hanno riformato le cose già trovate, scoprendo lo fallacie o gli errori di molte e molto proposizioni portate da uomini insigni o ricevute per vere per molte età, sono degni di gran lode ed ammirazione ; atteso medesimamente che tale scoprimento e laudabile, se bene i medesimi scopritori avesseno solamente rimossa la falsità, senza introdurne la verità, por se tanto difficile a con¬ seguirsi, conforme al dotto del principe do gli oratori : Utinam tara facile possem vera reperire, quam falsa convincere . {v Ed in fatti il merito di questa lodo ò dovuto a questi nostri ultimi secoli, ne i quali le arti o le scien- zie, ritrovate da gli antichi, per opera di perspicacissimi ingegni sono, 20 por molto prove ed esperionzie, state ridotte a gran perfezzione, la quale ogni dì va augumentandosi : ed in particolare questo apparisce nelle scien- zie matematiche, nello quali (lasciando i diversi che ci si sono adoperati con gran lode e gran successo) al nostro Signore Galileo Galilei, Accade¬ mico Linceo, senza alcun contrasto, anzi con V applauso e l’approbazione Di questa Prefazione si ha un manoscritto, dello stesso carattere di quello della De¬ dicatoria, nel cod. A, a car. 31r.-32r. Tale manoscritto presenta le seguenti varianti a confronto della stampa: 1. Prefazione. Lo stampatore a i lettori — 6. più utile o eccellente è stata — 11. le cose di già —15-16. difficile da conseguirsi — 17-18. infatti questa lode è dovuta a — 18-19. scicnzìe, che furono trovate da — 22-23. che si ci sono esercitati con — 23. al Signore — 24. Linceo e meritamente primario Matematico del Serenissimo Granduca di Toscana, con grandissima (l) Cicerone . De natura Dcorum, I, 91. 46 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE, ECC. universale di tutti i periti, meritamente sono dovuti li primi gradi, sì per aver mostrato la non concludenza di molte ragioni intorno a varie con¬ clusioni, con salde dimostrazioni confermate /come ne sono piene le opere suo già publicate), si anco per aver col telescopio (uscito prima di queste nostre parti, ma da esso ridotto poi a perfezione molto maggiore) sco¬ perto e data, primo di tutti, la notizia delle quattro stelle satelliti di Giove, della vera e certa dimostrazione della Via Lattea, delle macchio solari, delle rugosità e parti nebulose della Luna, di Saturno tricorporeo, Venere falcata, della qualità e disposizion dello comete; tutte cose non conosciute mai da gli astronomi nò da i filosofi antichi, di maniera che io puote dirsi, esser per esso con nuova luco comparsa al mondo e ristorata V astronomia : dall’eccellenza della quale (in quanto ne’cieli e ne i corpi celesti con maggiore evidenza ed ammirazione che in tutte le altre crea¬ ture risplende la potenza sapienzia e bontà elei supremo Fattore) risulta la grandezza del merito di chi ce ne ha aperta la conoscenza, con aversi resi tali corpi distintamente conspicui, non ostante la loro distanza, quasi infinita, da noi; poi che, secondo il dire volgalo, 1* aspetto insegna assai più e con maggior certezza in un sol giorno che non potriano fare i pre¬ cetti, quantunque mille volte reiterati, la notizia intuitiva (come disse un altro) andando del pari con la definizione. Ma molto più si fa manifesta 20 la grazia concedutagli da Dio e dalla natura (per mozzo però di molte laticho e vigilie) nella presente opera, nella quale si vede, lui essere stato ritrovatore di due intere scienzie nuove, o da i loro primi principii e fon¬ damenti concludentemente, cioè geometricamente, dimostrate : o, quello che deve rendere più maravigliosa questa opera, una delle due scienze è in¬ torno a un suggetto eterno, principalissimo in natura, speculato da tutti i gran filosofi, o sopra il quale ci sono moltissimi volumi scritti ; parlo del moto locale, materia d’ infiniti accidenti ammirandi, nessuno de’ quali ò sin qui stato trovato, non che dimostrato, da alcuno: l’altra scienzia, puro da i suoi principii dimostrata, e intorno alla resistenza che fanno i corpi solidi 80 all essere por violenza spezzati ; notizia di grande utilità, e massime nello scienzie od arti mocaniche, ed essa ancora piena d J accidenti e proposizioni sin qui non osservate. Di queste duo nuove scienzie, piene di proposizioni che in infinito saranno accresciute col progresso del tempo da gl’ ingegni specolativi, in questo libro si aprono lo prime porte, e con non piccolo nu¬ mero di pioposizioni dimonstrate si addita il progresso e trapasso ad altre infinite, sì come da gl’intelligenti sarà facilmente inteso e riconosciuto. preminenza, senza alcun contrasto — 1. meritamente è dovuto uno de* primi — 5. ma ridutto poi da esso a una perfezzione — 5-6. scoperta e data — 8-9. incorporeo , di Venere - 9-10. non mai intese nè conosciute da gli — 11. per esso Sig. Galilei con - 12. in quanto che ne' — 14. del sommo 7, , , , ia ccn t l averci "ri — aa materia piena d'infiniti — 28-29. de'quali non è sin qui stato toccato, non che — 36. tl progresso cd il trapasso — 47 TAVOLA DELLE MATERIE PRINCIPALI CHE SI TRATTANO NELLA PRESENTE OPERA 01 . L Scienzia nuova prima, intorno alla resistenza de i corpi sòlidi all’ essere spezzati. * Giornata prima, pag. 49. IL Qual potesse esser la causa eli tal coerenza. Giornata seconda, pag. 151. III. Scienzia nuova altra, do i movimenti locali. Giornata terza, pag. 190. Cioè dell’equabile, pag. 191. Del naturalmente accelerato, pag. 197 . IV. Del violento, o voro de i proietti. Giornata quarta, pag. 208. V. Appendice di alcune proposizioni e dimostrazioni attenenti al centro di gravità de i solidi, pag. 313. 0) Per la rettificazione (lolla presento Tavola vedi l’Av ver ti mento. £Hg ► ' 35@B=ji *jti3 S^vv*!ij» 3*i■ 4T 1 ^.<»3^3^2 * ' ■: mm :v rj^- é* _ ’ -, - *■»» * i v J ?T§3* SCr t .^^csjQijf -» » -, 4 eE 2S5 jB 5 §k r Vi . l|Ìlfl»»É® Bfcgà * 1 il— TrJj ;»A2T- ~ «gap '3v'5?-’v;4j i r* t, 'v?‘''^f' .. >v - -v^i **- - y,z t ^Cis r, V x Jpk&sr C-Crvt-c: scrii *%-, 'utjgy^. _ jant r ■w jwpga ééIIIIIIéF '*®S? ■W I r FPfTSÌr r^fc^c **-5 [*4Ri 1 # ««» S=2-W .» ^>T-C> r—* ». ^®KÉfHoS ! ' 4TArr^VV GIORNATA PRIMA. INTERLOCUTORI SALVI ATI, SAGRERÒ E SIMPLICIO. Salv. Largo campo di filosofare a gl* intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, Signori Ve¬ neziani, ed in particolare in quella parte che mecanica si domanda ; atteso che quivi ogni sorto di strumento e di machina vien conti¬ nuamente posta in opera da numero grande d’ artefici, tra i quali, e per 1’ osservazioni fatte da i loro antecessori, e per quelle che di io propria avvertenza vanno continuamente per sè stessi facendo, è forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso. Sagk. V. S. non s’inganna punto : ed io, come per natura curioso, frequento per mio diporto la visita di questo luogo e la pratica di questi che noi, per certa preminenza che tengono sopra ’l resto della maestranza, domandiamo proti ; la conferenza de i quali mi ha più volte aiutato nell’ investigazione della ragione di effetti non solo ma- ravigliosi, ma reconditi ancora e quasi inopinabili. È vero che tal volta anco mi ha messo in confusione ed in disperazione di poter penetrare come possa seguire quello che, lontano da ogni mio con- 20 cetto, mi dimostra il senso esser vero. E pur quello che poco fa ci diceva quel buon vecchio è un dettato ed una proposizione ben assai vulgata; ma però io la reputava in tutto vana, come molte altre che sono in bocca de i poco intelligenti, credo da loro introdotte 3. Sagredo, Simplicio — 7-8. continuamente messa in — 10. vanno per sè stessi continua- mente facendo — 12. s’inganna: ed — 17-18. che anco tal volta m } ha — vili. 1 50 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE per mostrar di saper dir qualche cosa intorno a quello di che non son capaci. Salv. Y. S. vuol forse dire di quell’ ultimo pronunziato eh’ ei prof¬ ferì mentre ricercavamo d’intendere per qual ragione facevano tanto maggior apparecchio di sostegni, armamenti ed altri ripari o forti¬ ficazioni, intorno a quella gran galeazza che bì doveva varare, che non si fa intorno a vasselli minori ; dove egli rispose, ciò l’arsi per evi¬ tare il pericolo di direnarsi, oppressa dal gravissimo peso della sua vasta mole, inconveniente al quale non son soggetti i legni minori ? Sagr. Di cotesto intendo, e sopra tutto dell’ultima conclusione io eh’ ei soggiunse, la quale io ho sempre stimata concetto vano del vulgo ; cioè che in queste ed altre simili machine non bisogna argo¬ mentare dalle piccole alle grandi, perchè molte invenzioni ili machine riescono in piccolo, che in grande poi non sussistono. Ma essendo che tutte le ragioni della mecanioa hanno i fondamenti loro nella geo¬ metria, nella quale non veggo ohe la grandezza o la piccolezza faccia i cerchi, i triangoli, i cilindri, i coni e qualunque altre ligure solide, soggette ad altre passioni queste e ad altre quello ; quando la ma¬ china grande sia fabricata in tutti i suoi membri conforme allo pro¬ porzioni della minore, che sia valida e resistente all’ esercizio al quale 20 ella è destinata, non so vedere perchè essa ancora non sia esente da gl’ incontri che sopraggiugner gli possono, sinistri 0 destruttivi. Sai,v. Il detto del vulgo è assolutamente vano ; e talmente vano, che il suo contrario si potrà profferire con altrettanta verità, dicendo che molte machine si potranno far più perfette in grande che in piccolo : come, per esempio, un oriuolo, che mostri e batta le ore, più giusto si farà d’una tal grandezza elio di un’ altra minore. Con miglioi fondamento usurpano quel medesimo detto altri più intelli¬ genti, i quali della riuscita di tali machine grandi, non conforme a quello che si raccoglie dalle pure ed astratte dimostrazioni geome- so triche, ne rimettono la causa nell imperfezzione della materia, che u. Vuol forse dii V. S. di nudi' 8. oppressa da quel grave peso — 9 10. soggetti legni mi- nori benché dell tstesse materie e con le medesime proporzioni fabbricati ? Sta* —12. in queste it” U j , 6 ° r maa & ^ astronomici, quanto più grandi, tanto più sicuri INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA FRIMA. 51 soggiace a molte alterazioni ed imperfezzioni. Ma qui non so s’io potrò, senza inciampare in qualche nota di arroganza, dire che nò anco il ricorrere all’ imperfezzioni della materia, potenti a contami¬ nare le purissime dimostrazioni matematiche, basti a scusare l’inob¬ bedienza delle machine in concreto alle medesime astratte ed ideali : tuttavia io pure il dirò, affermando che, astraendo tutte, l’imper¬ fezzioni della materia e supponendola perfettissima ed inalterabile e da ogni accidental mutazione esente, con tutto ciò il solo esser mate¬ riale fa che la machina maggiore, fabbricata dell’istessa materia e con io l’istesse proporzioni cho la minore, in tutte 1’ altre condizioni rispon¬ derà con giusta simmetria alla minore, fuor che nella robustezza e resistenza contro alle violente invasioni ; ma quanto più sarà grande, tanto a proporzione sarà più debole. E perchè io suppongo, la ma¬ teria essere inalterabile, cioè sempre l’istessa, è manifesto che di lei, come di affezzione eterna e necessaria, si possano produr dimostra¬ zioni non meno dell’ altre schiette e pure matematiche. Però, Sig. Sa- gredo, revochi pur 1’ opinione che teneva, e forse insieme con molti altri che nella mecanica han fatto studio, che le machine e le fab¬ briche composte delle medesime materie, con puntuale osservanza 20 delle medesime proporzioni tra le loro parti, debban esser egualmente, o, per dir meglio, proporzionalmente, disposte al resistere ed al cedere alle invasioni ed impeti esterni, perchè si può geometi’icamente di¬ mostrare, sempre le maggiori essere a proporzione men resistenti che le minori ; sì che ultimamente non solo di tutte le machine e fab¬ briche artifiziali, ma delle naturali ancora, sia un termine necessa¬ riamente ascritto, oltre al quale nè 1’ arte nè la natura possa tra¬ passare : trapassar, dico, con osservar sempre l’istesse proporzioni con l’identità della materia. Sagr. Io già mi sento rivolgere il cervello, e, quasi nugola dal so baleno repentinamente aperta, ingombrarmisi la mente da momen¬ tanea ed insolita luce, che da lontano mi accenna e subito confonde ed asconde imaginazioni straniere cd indigeste. E da quanto ella ha detto parmi che dovrebbe seguire che fusse impossibil cosa costruire 7-8. inalterabile ed esente da ogni accidental mutazione, tuttavia il solo. Così era stato scritto in G dal copista; ma di mano di Galileo fu sostituito con tutto ciò a tuttavia. Nella stampa si legge tuttavia. —12. violenti —17-18. con tutti gli alivi, b. E cosi era stato scritto in G dal copista; ma Galileo di sua mano sostituì molti a tutti gli . — 29. sento rivoglicr il — 33. cosa il costruire — 52 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE due fabbriche dell’ istessa materia simili o diseguali, e tra di loro con ogual proporzione resistenti ; e quando ciò sia, Barò anco impossibile trovar due sole aste dell’ istesso legno tra di loro simili in robustezza e valore, ma diseguali in grandezza. Salv. Così ò, Sig. Sagredo : e per meglio assicurarci che noi con- venghiamo nel medesimo concetto, dico che se noi ridurremo un’ asta di legno a tal lunghezza e grossezza, che fitta, v. g., in un muro ad angoli retti, cioè parallela all’ orizonte, sia ridotta all’ ultima lun¬ ghezza che si possa reggere, sì che, allungata un pelo più, si spez¬ zasse, gravata dal proprio peso, questa sarò unica al mondo ; tal elio io essendo, per esempio, la sua lunghezza centupla della sua grossezza, nissuna altra asta della medesima materia potrò ritrovarsi che, essendo in lunghezza centupla della sua grossezza, sia, come quella, precisa- mente abile a sostener sè medesima, e nulla di più ; ma tutte le maggiori si fiaccheranno, o le minori saranno potenti a sostener, oltre al proprio peso, qualch’ altro appresso. E questo che io dico dello stato di regger sò medesimo, intendasi detto di ogni altra costitu¬ zione ; e così se un corrente potrà reggere il peso di dioci correnti suoi eguali, una trave simile a lui non potrà altramente regger il peso di dieci sue eguali. Ma notino in grazia V. S. e ’l Sig. Simplicio 2 u nostro, quanto le conclusioni vere, benché nel primo aspetto sem¬ brino improbabili, additate solamente qualche poco, depongono le vesti che le occultavano, e nude e semplici fanno do’ lor segreti gio¬ conda mostra. Chi non vede come un cavallo cadendo da un’ altezza di tre braccia o quattro si romperà l’ossa, ma un cane da una tale, e un gatto da una di otto o dieci, non si farà mal nissuno, come nò un grillo da una torre, nè una formica precipitandosi dall’ orbe lu¬ nare? i piccoli fanciulli restare illesi in cadute, dove i provetti si rompono gli stinchi o la testa ? E come gli animali più piccoli sono, a proporzione, piu robusti e forti de i maggiori, così le piante mi- 30 nori meglio si sostentano : e già credo che amendue voi apprendiate che una quercia dugento braccia alta non potrebbe sostenere i suoi rami sparsi alla similitudine di una di mediocre grandezza, e che la 10. mondo ; sì che, 8. In G si leggo mondo; tal che, e tal è stato sostituito, probabil¬ mente di mano di Galileo, ad un’ altra parola che più non si distinguo. — 28-29. fanciulli restano illési.... la testa. E come, s. In G si legge conformo abbiamo stampato nel testo; ma in luogo di restare forse dapprima era stato scritto restano; certamente però Galileo corresse le ultime lettere di tale parola, cosi che ora si legge restare. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 53 natura non potrebbe fare un cavallo grande per venti cavalli, nè un gigante dieci volte più alto di un uomo, se non o miracolosamente o con P alterar assai le proporzioni delle membra ed in particolare dell’ ossa, ingrossandole molto e molto sopra la simmetria dell’ ossa comuni. Il creder parimente die nelle machine artifiziali egualmente siano fattibili e conservabili le grandissime e le piccole, è errore manifesto : e così, per esempio, piccole guglie, colonnette ed altre solide figure, sicuramente si potranno maneggiare distendere e riz¬ zare, senza risico di rompersi, die le grandissime per ogni sinistro io accidente andranno in pezzi, e non per altra cagione che per il lor proprio peso. E qui è forza che io vi racconti un caso degno vera¬ mente di esser saputo, come sono tutti gli accidenti che accascano fuori dell’ aspettazione, e massime quando il partito preso per ovviare a uno inconveniente riesce poi causa potissima del disordine. Era una grossissima colonna di marmo distesa, e posata, presso alle sue estre¬ mità, sopra due pezzi di trave ; cadde in pensiero dopo certo tempo ad un mecanico che fusse bene, per maggiormente assicurarsi che gravata dal proprio peso non si rompesse nel mezzo, supporgli anco in questa parte un terzo simile sostegno : parve il consiglio gene¬ si) Talmente molto oportuno, ma 1’ esito lo dimostrò essere stato tutto P opposito, atteso che non passarono molti mesi che la colonna si trovò fessa e rotta, giusto sopra il-nuovo appoggio di mezzo. Simp. Accidente in vero maraviglioso e veramente practer spera, quando però fusse derivato dall’aggiugnervi il nuovo sostegno di mezzo. Salv. .Da quello sicuramente derivò egli, e la riconosciuta cagion dell’ effetto leva la maraviglia : perchè, deposti in piana terra i due pezzi della colonna, si vedde che P uno de i travi, su ’l quale appog¬ giava una delle testate, si. era, per la lunghezza del tempo, infraci¬ dato od avvallato, e, restando quel di mezzo durissimo e forte, fu so causa che la metà della colonna restasse in aria, abbandonata dal- P estremo sostegno ; onde il proprio soverchio peso gli fece fare quello che non avrebbe fatto se solo sopra i due primi si fusse appoggiata, perchè all’avvallarsi qual si fusse di loro, ella ancora l’arebbe seguito. E qui non si può dubitare che tal accidente non sarebbe avvenuto in una piccola colonna, benché della medesima pietra e di lunghezza 5. In (r Galileo corresse di sua mano comuni in luogo d’ una parola oggi assoluta- mento illeggibile. — 8-0. e drizzare, senza — 15. posata, appresso le sue — 24-25. derivato dalla giunta del nuovo sostegno. Salv. — 25. la conosciuta cagion — 29. mezzo duro e — 54 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE rispondente alla sua grossezza con la proporzione medesima della grossezza e lunghezza della colonna grande. Sagù. Già sin qui resto io assicurato della verità dell’effetto, ma non penetro già la ragione come, nel crescersi la materia, non dova con l’istesso ragguaglio multiplicarsi la resistenza o gagliardia; e tanto più mi confondo, quanto per l’opposito veggo in altri casi cre¬ scersi molto più la robustezza e la resistenza al rompersi, che non cresce l’ingrossamento della materia: che se, v. g., saranno duo chiodi fitti in un muro, 1 ’ uno più grosso il doppio dell’ altro, quello reggerà non solamente doppio peso di questo, ma triplo e quadruplo. io Salv. Dite pur ottuplo, nò direte lontano dal vero: nò questo effetto contraria a quello, ancor che in sembiante apparisca così diverso. Saqr. Adunque, Sig. Salviati, spianateci questi scogli e dichiarateci queste oscurità, se ne avete il modo, oliò ben conietturo, questa ma¬ teria delle resistenze essere un campo pieno di belle ed utili contem¬ plazioni ; e se vi contentato che questo sia il soggetto de i nostri ragionamenti di oggi, a me, e credo al Sig. Simplicio, sarà gratissimo. Salv. Non posso mancar di servirle, purché la memoria serva me in sumministrarmi quello che già appresi dal nostro Accademico, che sopra tal materia aveva fatto molte speculazioni, e tutte, conforme so al suo solito, geometricamente dimostrate, in modo che, non senza ragione, questa sua potrebbe chiamarsi una nuova scienza ; perchè se bene alcune delle conclusioni sono state da altri, e prima di tutti da Aristotele, osservate, tuttavia nè sono delle più belle, nè (quello che più importa) da i loro primarii e indubitati fondamenti con ne¬ cessarie dimostrazioni provate, hi perchè, come dico, voglio dimostra¬ tivamente accertarvi, e non con solamente probabili discorsi persua¬ dervi, supponendo che abbiate quella cognizione dello conclusioni mecaniche, da altri sin qui fondatamente trattate, che per il nostro bisogno sarà necessaria, conviene che avanti ogni altra cosa consi- 30 deriamo qual effetto sia quello che si opera nella frazzione di un legno o di altro solido, le cui parti saldamente sono attaccato ; per¬ chè questa è la prima nozione, nella qual consiste il primo e semplice principio che come notissimo conviene supporsi. Per più chiara espli¬ cazione di. che, segniamo il cilindro o prisma AB di legno o di altra 7. robustezza alla resistenza, s —8. cresce il ringrossamento della— 12. apparisca tanto di- verso 18. serva a me — 27. e non solamente con probabili — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 55 materia solida e coerente, fermato di sopra in A e pendente a piombo, al quale nell’ altra estremità B sia attaccato il peso C : è manifesto che, qualunque si sia la tenacità e coerenza tra di loro delle parti di esso solido, pur che non sia in¬ finita, potrà esser superata dalla forza del traente peso C, la cui gravità pongo che possa accrescersi quanto ne piace, e esso solido finalmente si strap¬ perà, a guisa d’una corda. E sì come nella corda noi intendiamo, la sua resistenza derivare dalla inol¬ io titudine delle fila della canapa che la compongono, così nel legno si scorgono le sue fibre e filamenti distesi per lungo, che lo rendono grandemente più resistente allo strappamento che non sarebbe qual¬ sivoglia canapo della medesima grossezza : ma nel cilindro di pietra o di metallo la coerenza (che an¬ cora par maggiore) delle sue parti dependa da altro glutine che da filamenti o fibre ; e pure essi ancora da valido tira¬ mento vengono spezzati. Simf. Se il negozio procede come voi dite, intendo bene che i fila- 20 menti nel legno, che son lunghi quanto l’istesso legno, posson ren¬ derlo gagliardo e resistente a gran forza che se gli faccia per rom¬ perlo ; ma una corda composta di fili di canapa non più lunghi di due o tre braccia 1’ uno, come potrà ridursi alla lunghezza di cento, restando tanto gagliarda ? In oltre vorrei anco sentire la vostra opi¬ nione intorno all’ attaccamento delle parti de i metalli, delle pietre e di altre materie prive di tali filamenti, che pur, s’io non m’in¬ ganno, è anco più tenace. Salv. In nuove specolazioni, e non molto al nostro intento neces¬ sarie, converrà divertire, se dovremo delle promosse difficoltà portar so le soluzioni. Sagr. Ma se le digressioni possono arrecarci la cognizione di nuove verità, che pregiudica a noi, non obbligati a un metodo serrato e conciso, ma che solo per proprio gusto facciamo i nostri congressi, digredir ora per non perder quelle notizie che forse, lasciata l’incon¬ trata occasione, un’ altra volta non ci si rappresenterebbe ? anzi chi 22-23. lunghi di braccia 2 o 3 Vuno — 24. gagliardo f s — 32. progiudica, s. Cobi era stato scritto anche in G, ma poi fu corretto, probabilmente da Galileo, in pregiudica .— 56 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE sa che bene spesso non si possano scoprir curiosità più belle delle primariamente cercate conclusioni ? Pregovi per tanto io ancora a dar sodisfazione al Sig. Simplicio ed a me, non men di esso curioso e desideroso d’intender qual sia quel glutine che sì tenacemente ritien congiunto le parti de i solidi, che pur finalmente sono dissolubili : cognizione che pur anco è necessaria per intender la coerenza delle parti de gli stessi filamenti, de i quali alcuni de i solidi son composti. % Saly. Eccomi a servirvi, poiché così vi piace. E la prima difficoltà, come possano i filamenti d’una corda lunga conto braccia sì salda¬ mente connettersi insieme (non essendo ciascheduno di essi lungo più io di due o tre), che gran violenza ci voglia a diaseparargli. Ma ditemi, Sig. Simplicio : non potreste voi d’un sol filo di canapa tener P una dell’ estremità talmente stretta fra le dita, che io, tirando dall’ altra, prima che liberarlo dalla vostra mano, lo rompessi? Certo sì. Quando dunque i fili della canapa fusser non solo nell’ estremità, ma in tutta la lor lunghezza, con gran forza da chi gli circondasse tenuti stretti, non è manifesta cosa che lo sbarbargli da chi gli strigne sarebbe assai più difficile che il rompergli ? Ma nella corda P istosso atto del- P attorcerla strigne le fila scambievolmente tra di loro in maniera, che tirando poi con gran forza la fune, i suoi filamenti si spezzano, so e non si separano P uno dall’ altro ; come manifestamente si conosce dal vedersi nella rottura i filamenti cortissimi, e non lunghi almeno un braccio P uno, come dovria vedersi quando la division della corda si facesse non per lo strappamento delle fila, ma per la sola separa¬ zione dell’ uno dall’ altro strisciando. Sagr. Aggiungasi, in confermazion di questo, il vedersi tal volta romper la corda non per il tirarla per lo lungo, ma solo per il so¬ verchiamente attorcerla: argomento, par a me, concludente, le fila esser talmente tra di loro scambievolmente compresse, che lo com¬ primenti non permettono alle compresse scorrer quel minimo che, che so sarebbe necessario per allungar le spire, acciò potessero circondar la fune che nel torcimento si scorcia ed in consequenza qualche poco s’ingrossa. Salv. Voi benissimo dite : ma considerate appresso come una ve- 0. come possono », s — 10-11. ciascheduno insieme lungo 3 o 3 — 14. prima di liberarlo — 2J-30. comprementi, s — 30-31. minimo che sarebbe, s. Cosi era stato Bcritto anche in li ma tra minimo e che Galileo aggiunse di suo pugno che. _ INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 57 rità si tira dietro 1’ altra. Quel filo che stretto tra le dita non segue clii, con qualche forza tirandolo, vorrebbe di tra esse sottrarlo, resiste perchè da doppia compressione vien ritenuto ; avvenga che non meno il dito superiore preme contro all’inferiore, che questo si prema con¬ tro a quello. E non è dubbio che quando di queste due premure se ne potesse ritenere una sola, resterebbe la metà di quella resistenza che dalle due congiunte dependeva ; ma perchè non si può con l’alzar, v. g., il dito superiore levar la sua pressione senza rimuover anco 1’ altra parte, conviene con nuovo artifizio conservarne una di loro, io e trovar modo che l’istesso filo comprima sè medesimo contro al dito o altro corpo solido sopra ’l quale si posa, e far sì che l’istessa forza che lo tira per separamelo, tanto più ve lo comprima, quanto più gagliardamente lo tira : e questo si conseguirà con 1’ avvolgere a guisa di spira il filo medesimo intorno al solido ; il che acciò me¬ glio s’intenda, ne segnerò un poco di figura. E questi AB, CD siano due cilindri, è tra essi disteso il filo EF, die per maggior chiarezza ce lo figureremo essere una cordicella: non è dubbio, che premendo gagliardamente i due cilindri 1’ uno contro al- 20 1’ altro, la corda FE, tirata dall’ estremità F, resisterà a non piccola violenza prima che scor¬ rere tra i due solidi comprimentila ; ma se rimuovemmo l’uno di loro, la corda, benché continui di toccar l’altro, non però da tal toc¬ camente sarà ritenuta che liberamente non scorra. Ma so ritenendola, benché debolmente attaccata verso la sommità del cilindro A, rav¬ volgeremo intorno a quello a foggia di spirai AFLOTR, o dal capo R la tireremo, è manifesto so che ella comincerà a striglierò il cilindro ; e se le spire e volute saranno molte, sempre più, nel validamente tirare, si comprimerà la corda ad¬ dosso al cilindro ; e facendosi, con la multiplicazione delle spire, più lungo il toccamente, ed in consequenza men superabile, difficile si farà sempre più lo scorrer della corda e 1’ acconsentir alla traente 6. potesse tener una — 13 . In G- era stato scritto amoglierc, che Gaulico corresse di 3un mano in avvolgere. — 19 - 20 . contro Valtro ~ Vili. 8 58 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE forza. Or chi non vedo che tale è la resistenza dello filamonta, che con mille e indio simili avvolgimenti il grosso canapo contessono? Anzi lo strignimento di simili tortuosità collega tanto tenacemente, che di non molti giunchi, nò anco molto lunghi, sì che poche son le spire con le quali tra di loro s’intrecciano, si compongono robustis¬ simo funi, che mi par che domandino suste. Sagr. Cessa por il vostro discorso nella mia mento la maraviglia di due effetti, de i quali le ragioni non bone erano comprese da me. Uno era il vedero come due o al più tre rivolte del canapo intorno al fuso dell’ argano potevano non solamente ritenerlo, che, tirato dal- io l’immensa forza del peso che ei sostiene, scorrendo non gli cedesse, ma che di più, girando 1’ argano, il medesimo fuso, col solo tocca¬ mente del canapo che lo strigne, potesse con li succedenti ravvolgi¬ menti tirare e sollevare vastissime pietre, mentre che le braccia d’un debile ragazzo vanno ritenendo e radunando 1’ altro capo del mede¬ simo canapo. L’ altro è d’ un semplice ma arguto ordigno, trovato da un giovane mio parente, per poter con una corda calarsi da una finestra senza scorticarsi crudelmente le palme delle mani, come poco tempo avanti gli era intervenute con sua grandissima offesa. Ne farò, per facile intelligenza, un piccolo schizzo. 20 Intorno a un simil cilindro di legno AH, grosso come una canna e lungo circa un palmo, incavò un canaletto in forma di spira, di una voluta e mezo e non più, e di larghezza capace della corda che voleva adoprare ; e que¬ sta fece entrare per il canale dal termine A ed uscire per 1 altro B, circondando poi tal cilindro e corda con un cannone pur di legno, 0 vero anco di latta, ma diviso per lungo ed ingangherato, sì che liberamente potesse aprirsi e chiudersi : ed abbracciando poi e strigliando con B ambe le mani esso cannone, raccomandata la corda a un so leimo ritegno di sopra, si sospese su le braccia; e riuscì tale la compressione della corda tra ’l cannone ambiente e 1 cilindro, che, ad arbitrio suo, strignendo fortemente le mani po¬ teva sostenersi senza calare, ed allentandole un poco si calava len¬ tamente a suo piacimento. Saly. Ingegnosa veramente invenzione; e per intera esplicazione 2. avvoglimenti — 13-1 avogìimenti - 1. cilindro AB — 27 overo b — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 59 della sua natura, mi par di scorgere così per ombra che qualche altra specolazione si potesse aggiugnere : ma non voglio per ora digredir più sopra di cpiesto particolare, e massime volendo voi sentir il mio pensiero intorno alla resistenza allo strapparsi de gli altri corpi, la cui testura non è di filamenti, come quella delle funi e della mag¬ gior parte de i legni ; ma la coerenza delle parti loro in altre cagioni par che consista, le quali, per mio giudizio, si riducono a due capi : l’uno do i quali è quella decantata repugnanza che ha la natura all’ ammettere il vacuo ; per 1* altro bisogna (non bastando questo io del vacuo) introdur qualche glutine, visco o colla, che tenacemente colleglli le particole delle quali esso corpo è composto. Dirò prima del vacuo, mostrando con chiare esperienze quale e quanta sia la sua virtù. E prima, il vedersi, quando ne piaccia, due piastre di marmo, di metallo o di vetro, esquisitamente spianato pulite e lustre, che, posata 1’ una su 1’ altra, senza veruna fatica se gli muove sopra strisciando (sicuro argumento che nissun glutine le congiugne), ma che volendo separarle, mantenendole equidistanti, tal repugnanza si trova, che la superiore solleva e si tira dietro 1’ altra e perpetua- mente la ritiene sollevata, ancorché assai grossa e grave, evidente- 20 niente ci mostra 1’ orrore della natura nel dover ammettere, se ben per breve momento di tempo, lo spazio voto che tra di quelle rimar¬ rebbe avanti che il concorso delle parti dell’ aria circostante 1’ avesse occupato e ripieno. Yedesi anco, che quando bene tali due lastre non fussero esattamente pulite, e perciò che il lor contatto non fusse esquisito del tutto, nel volerle separar lentamente niuna renitenza si trova fuor di quella della sola gravità ; ma in un alzamento repen¬ tino l’inferior pietra si solleva, ma subito ricade, seguendo solamente la sovrana per quel brevissimo tempo che basta per la distrazzione di quella poca d’ aria che s’interponeva tra le lastre, che non ben so combaciavano, e per l’ingresso dell’ altra circunfusa. Tal resistenza, che così sensatamente si scorge tra le due lastre, non si può dubi¬ tare che parimente non risegga tra le parti di un solido, e che nel loro attaccamento non entri almanco a parte e come causa conco¬ mitante. Sagr. Fermate di grazia, e concedetemi eh’ io dica una particolar considerazione che pur ora mi è caduta in mente : e questa ò, che 8-9. natura ad ammettere — 11. corpo vicn composto — 12. con chiara esperienza — GO DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE il vedere come la piastra inferiore seguo la superiore e che con moto velocissimo vien sollevata, ci rende sicuri che, contro al detto di molti filosofi e forse d’Aristotelo medesimo, il moto nel vacuo non sarebbe instantaneo ; perchè quando fusse tale, le nominato duo lastre senza repugnanza veruna si separerebbero, già elio il medesimo instante di tempo basterebbe por la loro separazione e per il concorso dell’ aria ambiente a riempier quel vacuo che tra esse potesse restare. Dal seguir dunque che fa l’inferior lastra la superiore, si raccoglie come nel vacuo il moto non sarebbe instantaneo ; o si raccoglie insieme che pur tra lo medesime piastre resti qualche vacuo, almeno per bre- io vissiino tempo, cioè per tutto quello che passa nel movimento del- P ambiente, mentre concorre a riempiere il vacuo ; che so vacuo non vi restasse, nè di concorso nè di moto di ambiente vi sarebbe biso¬ gno. Converrà dunque dire che, pur per violenza o contro a natura, il vacuo talor si conceda (benché 1 ’ opinion mia è che nissuna cosa sia contro a natura, salvo che P impossibile, il (piale poi non ò mai). Ma qui mi nasce un’ altra difficoltà ; ed è che, se ben P esperienza ni’ assicura della verità della conclusione, P intelletto non resta già interamente appagato della causa alla quale cotale effetto viene attri¬ buito. Imperò che P effetto della separazione delle due lastre è ante- 20 riore al vacuo, che in consequenza alla separazione succederebbe : 0 perchè mi pare che la causa debba, se non di tempo, almeno di na¬ tura precedere all’ effetto, e che d’un effetto positivo positiva altresì debba esser la causa, non resto capace corno dell’ aderenza delle duo piastre e della repugnanza all’ esser separate, effetti elio già sono in atto, si possa referir la cagione al vacuo, elio non è, ma che arebbe a seguire ; 0 delle cose che non sono, nissuna può esser P operazione, conforme al pronunziato certissimo del Filosofo. Simp. Ma già che concedete questo assioma ad Aristotele, non credo che siate per negargliene un altro, bellissimo 0 vero : e questo è, che so la natura non intraprende a voler faro quello che ropugna ad esser fatto, dal qual pronunziato mi par che deponda la soluzione del vo¬ stro dubbio. Perchè dunque a sè medesimo repugna essere uno spazio vacuo, vieta la natura il far quello in consequenza di che necessaria¬ mente succederebbe il vacuo ; e tale ò la separazione delle duo lastre. 1. superiore, quando con — IH. contro natura — 20. due piastre ìs — 22-23. causa, se non di tempo, almeno di natura debba precedere — 32-33. del nostro dubbio, b — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 61 Sagù. Ora, ammesso per soluzione adequata del mio dubbio questo che produce il Sig. Simplicio, seguitando il cominciato discorso, parali che questa medesima repugnanza al vacuo dovrebbe esser bastante ritegno delle parti di un solido di pietra o di metallo, o so altre ve ne sono che più saldamente stiano congiunte e renitenti alla divi¬ sione. Perchè, se di uno effetto una sola è la cagione, sì come io ho inteso e creduto, o, se pur molte se n’ assegnano, ad una sola si ridu¬ cono, perchè questa del vacuo, che sicuramente è, non basterà per tutte le resistenze ? io Sat.v. Io per ora non voglio entrare in questa contesa, se il vacuo senz’ altro ritegno sia per sè solo bastante a tenere unite le parti disunibili de i corpi consistenti ; ma vi dico bene elio la ragione del vacuo, che milita e conclude nelle due piastre, non basta per sè sola al saldo collegamento delle parti di un solido cilindro di marmo o di metallo, le quali, violentate da forze gagliarde cho dirittamente le tirino, finalmente si separano e si dividono. E quando io trovi modo di distinguer questa già conosciuta resistenza, dependente dal vacuo, da ogni altra, qualunque ella si fusse, che con lei concorresse in fortificar 1’ attaccamento, e cho io vi faccia vedere come essa sola 20 non sia a gran pezzo bastante per tale effetto, non concederete voi che sia necessario introdurne altra ? Aiutatelo, Sig. Simplicio, già che egli sta ambiguo sopra quello che debba rispondere. Smr. È forza che la sospensione del Sig. Sagredo sia por altro rispetto, non restando luogo di dubitare sopra sì chiara e necessaria consequenza. Saou. Voi, Sig. Simplicio, V avete indovinata. Andavo pensando se, non bastando un million d’oro l’anno, che vien di Spagna, per pagar l’esercito, fusse necessario far altra provisione che di danari per le paghe de’ soldati. Ma seguitate pur, Sig. Salviati, e supponendo eh’ io so ammetta la vostra consequenza, mostrateci il modo di separare 1’ ope¬ razione del vacuo dall’ altre, e misurandola fateci vedere come ella sia scarsa per 1’ effetto di che si parla. Salv. 11 vostro demonio vi assiste. Dirò il modo dell’ appartar la virtù del vacuo dall’ altre, e poi la maniera del misurarla. E por appartarla, piglieremo una materia continua, le cui parti manchino di ogni altra resistenza alla separazione fuor che di quella del vacuo, 3. dovrebbe — 14. delle due parti — 26. V avete indovinato , a — 62 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quale a lungo ò stato dimostrato in certo trattato del nostro Acca¬ demico esser l’acqua: talché, qualunque volta si disponesse un cilin¬ dro d’ acqua., e elio, attratto, si sentisse resistenza allo stuccamento dello sue parti, questo da altra cagione che dalla repugnanza al vacuo non potrebbe riconoscersi. Per far poi una tale esperienza mi son immaginato un artifizio, il quale con P aiuto di un poco di disegno, meglio che con semplici parole, potrò dichiarare. Figuro, questo CABD essere il profilo di un cilindro di metallo o di vetro, elio sarebbe meglio, voto dentro, ma giu- stissimamente tornito, nel cui concavo entri con io esquisitissimo contatto un cilindro di legno, il cui profilo noto EG 1 IF, il qual cilindro si possa spi- gnere in su e ’n giù ; e questo voglio che sia bucato nel mezzo, sì elio vi passi un filo di ferro, oncinato D nell’ estremità K, e l’altro capo I vadia ingros¬ sandosi in forma di cono o turbine, facondo che il foro fatto nel legno sia nella parte di sopra esso ancora incavato in forma di conica superficie, aggiustata puntualmente per ricevere la conica estremità I del ferro IK, qualunque volta si tiri 20 in giù dalla parte K. Inserto il legno, o voglia¬ molo chiamar zaffo, EH nel cavo cilindro AI), non voglio ch’arrivi sino alla superior superficie di esso cilindro, ma elio ne rosti lon¬ tano due o tre dita ; e tale spazio deve esser ripieno di acqua, la quale vi si metterà tenendo il vaso con la bocca CI) all’ in su e cal¬ candovi sopra il zaffo EU, col tenere il turbine I remoto alquanto dal cavo del legno per lasciar l’esito all’aria, elio nel calcare il zaffo se n’ uscirà per il foro del legno, che perciò si fa alquanto più largo della grossezza dell’ asticciuola di ferro IK. Dato l’esito all’ aria e ritirato il ferro, che ben suggelli su ’l legno col suo turbine I, si rivol- so tera il vaso tutto con la bocca all’ in giù, ed attaccando all’ oncino K un recipiente da mettervi dontro rena o altra materia grave, si cari¬ cherà tanto, che finalmente la superior superficie EF del zaffo si stac¬ cherà dall’ inferiore dell’ acqua, alla quale niente altro la teneva con¬ giunta che la repugnanza del vacuo ; pesando poi il zaffo col ferro 4. parti, questa da 33-34. In G il copisi a scrisse del zaffo si staccerà, e staccerà fu corretto, di mano di Galileo, iu stracccrà.— INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 63 col recipiente e con ciò che vi sarà dentro, aremo la quantità della forza del vacuo : e se, attaccato a un cilindro di marino o di cri¬ stallo, grosso quanto il cilindro dell’acqua, peso tale che, insieme col peso proprio dell’ istesso marmo o cristallo, pareggi la gravità di tutte le nominate bagaglio, ne seguirà la rottura, potremo senza verun dubbio affermare, la sola ragion del vacuo tener le parti del marmo e cristallo congiunte ; ma non bastando, e che per romperlo bisogni aggiugnervi quattro volte altrettanto peso, converrà dire, la resi¬ stenza del vacuo esser delle cinque parti una, e l’altra quadrupla di io quella del vacuo. Simp. Non si può negare che l’invenzione non sia ingegnosa, ma l’ho per soggetta a molte difficoltà, che me la rendono dubbia; per¬ chè, chi ci assicura che 1’ aria non possa penetrar tra ’l vetro e ’l zaffo, ancorché si circondi bene di stoppa o altra materia cedente ? e così, acciò che il cono I saldi bene il foro, forse non basterebbe l’ugnerlo con cera o trementina. In oltre, perchè non potrebbero le parti dell’ acqua distrarsi e rarefarsi ? perchè non penetrare aria, o esalazioni, o altre sustanze più sottili, per le porosità del legno, o anche dell’ istesso vetro ? 20 Sai/v. Molto destramente ci muove il Sig. Simplicio le difficoltà, ed in parte ci sumministra i rimedii, quanto alla penetrazion del- 1’ aria per il legno, o tra ’l legno e ’l vetro. Ma io, oltre di ciò, noto che potremo nell’ istesso tempo accorgerci, con acquisto di nuove cognizioni, se le promosse difficoltà aranno luogo. Imperò che, se 1’ acqua sarà per natura, se ben con violenza, distraibile, come accade nell’ aria, si vedrà il zaffo calare ; e se faremo nella parte superiore del vetro un poco di ombelico prominente, come questo V, pene¬ trando, per la sustanza o porosità del vetro o del legno, aria o altra più tenue e spiritosa materia, si vedrà radunare (cedendogli 1’ acqua) so nell’ eminenza V : le quali cose quando non si scorgano, verremo assi¬ curati, 1’ esperienza esser con le debite cautele stata tentata ; o cono¬ sceremo, 1’ acqua non esser distraibile, nè il vetro esser permeabile da veruna materia, benché sottilissima. Sauk. Ed io mercè di questi discorsi ritrovo la causa di un effetto che lungo tempo m’ ha tenuto la mente ingombrata di maraviglia e vota d’intelligenza. Osservai già una citerna, nella quale, per trarne 11. V invenzione sia —13. chi assicura — 3G. cisterna — G4 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE P acqua, fu fatta faro una tromba, (la chi forse credeva, ma vana¬ mente, di poterne cavar con minor fatica Y istessa o maggior quan¬ tità che con le secchie ordinarie ; od ha questa tromba il suo stan¬ tuffo e animella su alta, sì che P acqua si fa salire per attrazzione, e non per impulso, come fanno lo trombe che hanno P ordigno da basso. Questa, sin che nella citerna vi è acqua sino ad una determi¬ nata altezza, la tira abbondantemente ; ma quando P acqua abbassa oltre a un determinato segno, la tromba non lavora più. Io credetti, la prima volta che osservai tale accidente, che l’ordigno fusse guasto; e trovato il maestro acciò lo raccomodasse, mi disse che non vi era io altrimente difetto alcuno, fuor che nell’ acqua, la (piale, essendosi abbassata troppo, non pativa d’ esser alzata a tanta altezza ; e mi soggiunse, nè con trombe, nè con altra machina che sollevi P acqua per attrazzione, esser possibile farla montare un capello più di di¬ ciotto braccia : e siano lo trombe larghe o strette, questa è la misura dell’ altezza limitatissima. Ed io sin ora sono stato così poco accorto, che, intendendo che una corda, una mazza di legno e una verga di ferro, si può tanto e tanto allungare che finalmente il suo proprio peso la strappi, tenendola attaccata in alto, non mi è sovvenuto che P istesso, molto più agevolmente, accaderà di una corda o verga di 20 acqua. E che altro è quello che si attrae nella tromba, che un cilin¬ dro di acqua, il quale, avendo la sua attaccatura di sopra, allungato più e più, finalmente arriva a quel termine oltre al quale, tirato dal suo già fatto soverchio peso, non altrimente elio se fosse una corda, si strappa? Sai.v. Così puntualmente cammina il negozio ; e perché la mede¬ sima altezza delle diciotto braccia è il prolisso termine dell’altezza alla quale qualsivoglia quantità d’ acqua, siano cioè le trombe lar¬ ghissime o strette o strettissime quanto un 111 di paglia, può sosten¬ tarsi, tutta volta che noi peseremo P acqua contenuta in diciotto brac- ®> eia di cannone, sia largo o stretto, aremo il valore della resistenza del vacuo ne i cilindri di qualsivoglia materia Bolida, grossi quanto sono i concavi de i cannoni proposti. E già che aviamo detto tanto, mostriamo corno di tutti i metalli, pietre, legni, vetri etc., si può facilmente ritrovare sino a quanta lunghezza si potrebbono allungare cilindri, Idi o verghe di qualsivoglia grossezza, oltre alla quale, gra- 0 . cisterna — 29 - 30 . può sostenersi, tutta volta — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 65 vati dal proprio peso, più. non potrebber reggersi, ma si strappereb¬ bero. Piglisi, per esempio, un fil di rame di qualsivoglia grossezza e lunghezza, e fermato un de’ suoi capi ad alto, si vadia aggiugnendo all’ altro maggior e maggior peso, sì che finalmente si strappi ; e sia il peso massimo che potesse sostenere, v. g., cinquanta libbre : è ma¬ nifesto che cinquanta libbre di rame, oltre al proprio peso, che sia, per esempio, un ottavo d’ oncia, tirato in filo di tal grossezza, sarebbe la lunghezza massima del filo che sè stesso potesse reggere. Misurisi poi quanto era lungo il filo che si strappò, e sia, v. g., un braccio : io e perchè pesò un ottavo d’oncia, e resse sè stesso e cinquanta libbre appresso, che sono ottavi d’oncia quattro mila ottocento, diremo, tutti i fili di rame, qualunque si sia la lor grossezza, potersi reggere sino alla lunghezza di quattro mila ottocento un braccio, e non più. E così, una verga di rame potendo reggersi sino alla lunghezza di quattro mila ottocento un braccio, la resistenza che ella trova depen¬ dente dal vacuo, rispetto al restante, è tanta, quanto importa il peso d’ una verga d’ acqua lunga braccia diciotto e grossa quanto quella stessa di rame ; e trovandosi, v. g., il rame esser nove volte più grave dell’acqua, di qualunque verga di rame la resistenza allo strapparsi, 20 dependente dalla ragion del vacuo, importa quanto è il peso di due braccia dell’istessa verga. E con simil discorso ed operazione si po¬ tranno trovare le lunghezze delle fila o verghe di tutte le materie solide ridotte alla massima che sostener si possa, ed insieme qual parte abbia il vacuo nella loro resistenza. Sagr. Resta ora che ci dichiate in qual cosa consista il resto della resistenza, cioè qual sia il glutine o visco che ritien attaccate le parti del solido, oltre a quello che deriva dal vacuo : perchè io non saprei imaginarmi qual colla sia quella che non possa esser arsa e consu¬ mata dentro una ardentissima fornace in due, tre e quattro mesi, nè in so dieci o in cento ; dove stando tanto tempo argento oro e vetro lique¬ fatti, cavati, poi tornano le parti loro, nel freddarsi, a riunirsi e rat- taccarsi come prima. Oltre che, la medesima difficoltà che ho nel- 1’ attaccamento delle parti del vetro, 1’ arò io nelle parti della colla, cioè che cosa sia quella che le tiene così saldamente congiunte. \. peso, sin che —8. lunghezza del (ilo massima che — 9. e sia un — 11. d’oncia 4801, diremo — 13,15. 4801 braccia — 25-2(>. della renitenza, cioè, s — 26. che tiene attacate [sic] 28-29. consumata in una, s. In G il copista aveva trascritto consumata in un* ; ma Galileo sostituì di suo pugno dentro a in. — 29. 3 o 4 mesi — 30. IO o 100 9 Vili. G6 DISCORSI E DIMOSTRA /.IONI MATEMATICHE Salv. Pur poco fa vi dissi che ’l vostro demonio vi assisteva. Sono io ancora nello medesime angustio ; ed ancor io, toccando con inano conio la repugnanza al vacuo è indubitabilmente quella che non per* mette, se non con gran violenza, la separazione dolio due lastre, o più delle due gran parti della colonna di marmo o di bronzo, non so vedere come non abbia ad aver luogo ed esser parimente cagione della coerenza delle parti minori o sino delle minime ultime delle medesime materie : ed essendo che d’ un effetto una sola è la vera e potissima causa, mentre io non trovo altro gl utino, perchè non debbo tentar di vedere se questo del vacuo, che si trova, può bastarci? io Simp. Se di già voi avete dimostrato, la resistenza del gran vacuo, nel separarsi le due gran parti di un solido, esser piccolissima in cora- parazion di quella che tien congiunte le particole minime, come non volete tener più che per certo, questa esser diversissima da quella? Sai,v. A questo rispose il Sig. Sagredo, che pur si pagavano tutti i particolari soldati con danari raccolti da imposizioni generali di soldi e di quattrini, se bene un million d’ oro non bastava a pagar tutto 1 ’ esercito. E chi sa che altri minutissimi vacui non lavorino per le minutissimo particole, sì che per tutto sia dell’ istessa moneta quello con che si tengono tutte lo parti congiunte ? Io vi dirò quello 20 che tal ora mi è passato per l’imaginazione, e ve lo do non come verità risoluta, ma come una qual si sia fantasia, piena anco d’indi¬ gestioni, sottoponendola a più alte contemplazioni : cavatene se nulla vi è che vi gusti ; il resto giudicatelo come più vi pare. Nel consi¬ derar tal volta come, andando il fuoco serpcndo tra le minime par¬ ticole di questo e di quel metallo, elio tanto saldamente si trovano congiunte, finalmente le separa e disunisce ; e come poi, partendosi il fuoco, tornano con la medesima tenacità di prima a ricongiugnersi, senza diminuirsi punto la quantità nell’ oro, e pochissimo in altri metalli, anco per lungo tempo che restino distrutti ; pensai che ciò so potesse accadere perchè le sottilissime particole del fuoco, penetrando per gli angusti pori del metallo (tra i quali, per la loro strettezza, non potessero passare i minimi dell’ aria nò di molti altri fluidi), col riempiere i minimi vacui tra esse fraposti liberassero le minime par- 8. una nolo è 9. e la potissima — 21. imaginazione : ve lo do, b . In Gr il copista tra- scrisse immaginazione : ve lo do ; ma Galileo aggiuuse di suo pugno e davanti a ve lo do. — 29—80. la quantità dell ì oro , anco per — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TRISTA. 67 ticole di quello dalla violenza con la quale i medesimi vacui 1’ una contro 1’ altra attraggono, proibendogli la separazione ; e così, poten¬ dosi liberamente muovere, la lor massa ne divenisse fluida, e tale restasse sin che gl’ ignicoli tra esse dimorassero ; partendosi poi quelli e lasciando i pristini vacui, tornasse la lor solita attrazzione, ed in consequenza 1’ attaccamento delle parti. Ed all’ distanza del Sig. Sim¬ plicio panni che si possa rispondere, che se bene tali vacui sarebber piccolissimi, ed in consequenza ciascheduno facile ad esser superato, tuttavia l’innuinerabile moltitudine innumerabilmente (per così dire) io moltiplica le resistenze : e quale e quanta sia la forza che da numero immenso di debolissimi momenti insieme congiunti risulta, porgacene evidentissimo argomento il veder noi un peso di milioni di libbre, sostenuto da canapi grossissimi, cedere e finalmente lasciarsi vincere e sollevare dall’ assalto de gl’ innumerabili atomi di acqua, li quali, o spinti dall’ austro, o pur che, distesi in tenuissima nebbia, si vadano movendo per l’aria, vanno a cacciarsi tra fibra e fibra de i canapi tiratissimi, nò può 1’ immensa forza del pendente peso vietargli l’en¬ trata ; sì che, penetrando per gli angusti meati, ingrossano le corde e per consequenza le scorciano, onde la mole gravissima a forza vien 20 sollevata. Sagk. Ei non è dubbio alcuno che mentre una resistenza non sia infinita, può dalla moltitudine di minimissime forze esser superata, sì che anco un numero di formiche stracicherebbe per terra una nave carica di grano ; perchè il senso ci mostra cotidianamente che una formica destramente porta un granello, e chiara cosa è che nella nave non sono infiniti granelli, ma compresi dentro a qualche numero, del quale se ne può prendere un altro quattro e sei volte maggiore, al quale se se ne prenderà un altro di formiche eguale, e si por¬ ranno in opera, condurranno per terra il grano e la nave ancora, so È ben vero che bisognerà che il numero sia grande, come anco, per mio parere, quello de i vacui che tengono attaccati i minimi del metallo. Salv. Ma quando bisognasse che fussero anche infiniti, 1’ avete voi forse per impossibile ? Sagk. No, quando quel metallo fusse una mole infinita : altri¬ menti.... 22. di minutissime forze, s — 27. quattro o 6 — 83. bisognasse anco che fussero infiniti — 68 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Sai.y. Altrimenti che? Orsù, giù che si è messo mano a i para, dosai, veggiamo se in qualche maniera si potesse dimostrare, come in una continua estensione finita non repugni il potersi ritrovar infi¬ niti vacui ; e noli’ istesso tempo ci verrà, se non altro, almeno arre¬ cata una soluzione del più ammirabil problema elio sia da Aristotele messo tra quelli che esso medesimo addimanda ammirandi, dico tra le questioni mecaniche ; o la soluzione potrebbe esser por avventura non meno esplicante o concludente di quella che egli medesimo ne arreca, e diversa anco da quello elio molto acutamente vi considera il dottissimo Monsig. di Ghievara. Ma bisogna prima dichiarare una io proposizione non toccata da altri, dalla quale depende lo scioglimento della questione, che poi, s’io non in’ inganno, si tira dietro altro notizie nuove ed ammirande : per intelligenza di che, accuratamente descriveremo la figura. Però intendiamo un poligono equilatero ed equiangolo, di quanti lati esser si voglia, descritto intorno a questo centro G, e sia per ora un essagouo ABCDEF ; simile al quale, e ad esso concentrico, ne descriveremo un altro minore, «piale noteremo HIKLMN: e del maggiore si prolunghi un lato AB indeterminata¬ mente verso S, e del minore il rispondente lato III sia verso la mede¬ sima parto similmente prodotto, segnando la linea 1IT parallela all’AS, 20 e per il centro passi 1’ altra, alle medesime equidistante, GV. Fatto 6 . medesimo dimanda ammirandi — 16 . lati si voglia — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 69 questo, intendiamo il maggior poligono rivolgersi sopra la linea AS, portando seco 1’ altro poligono minore. È chiaro che, stando fisso il punto B, termine del lato AB, mentre si comincia la l'evoluzione, l’angolo A si solleverà, e ’l punto C s’abbasserà descrivendo l’arco CQ, sì che il lato BC si adatti alla linea a sè stesso eguale BQ : ma in tal conversione l’angolo I del minor poligono si eleverà sopra la linea IT, per esser la IB obliqua sopra l’AS, nè prima tornerà il punto I su la parallela IT, se non quando il punto C sarà pervenuto in Q ; allora 1’ I sarà caduto in 0, dopo aver descritto 1’ arco IO fuori io della linea IIT, ed allora il lato IK sarà passato in OP : ma il cen¬ tro G tra tanto sempre averà caminato fuori della linea GV, su la quale non sarà tornato se non dopo aver descritto 1’ arco GC. Fatto questo primo passo, il poligono maggiore sarà trasferito a posare co ’l lato BC su la linea BQ, il lato IK del minore sopra la linea OP, avendo saltato tutta la parte IO senza toccarla, e ’l centro G per¬ venuto in C, facendo tutto il suo corso fuori della parallela GV, e finalmente tutta la figura si sarà rimessa in un posto simile al primo : sì che continuandosi la l’evoluzione e venendo al secondo passo, il lato del maggior poligono DC si adatterà alla parte QX, 20 il KL del minore (avendo prima saltato l’arco P Y) cadorà in YZ, ed il centro, procedendo sempre fuori della GV, in essa caderà sola¬ mente in R, dopo il gran salto CR : ed in ultimo, finita una intera conversione, il maggior poligono avrà calcate sopra la sua AS sei linee eguali al suo perimetro, senza veruna interposizione ; il poligono minore arà parimente impresse sei linee eguali all’ambito suo, ma discontinuate dall’interposizione de’ cinque archi, sotto i quali restano le corde, parti della parallela HT, non tocche dal poligono ; e final¬ mente il centro G non è convenuto mai con la parallela GV, salvo che in sei punti. Di qui potete comprendere come lo spazio passato dal 30 minor poligono è quasi eguale al passato dal maggiore, cioè la linea HT alla AS, della quale è solamente minore quanto è la corda A’ uno di questi archi, intendendo però la linea HT insieme con li spazii de i cinque archi. Ora questo, che vi ho esposto e dichiarato nell’ esempio di questi essagoni, vorrei che intendeste accadere di tutti gli altri 1. In G era stato scritto rivoglierst , che Galileo corresse di sua mano in rivolgersi. — 7-8. tornerà su la —11. frattanto averà — 21. procedendo fuori — 24. veruna intermissione ; il — 26. interposizione di cinque, a — 70 DISCORSI K DIMOSTRA il ONI IIATKM ATK’HK poligoni, di quanti lati esser si voglino, pur. Itò siano simili, roncen- trici e congiunti, e elio alla conv.i don del maggiore ■’ in temi» ri^.i- rarsi anco l’altro, quanto bì voglia minor.*; che intendete, dioo, le lineo da ossi passate esser proammamente eguali, compuUndo nello spazio passato dal minore gl’intervalli sotto gli archetti, non tocchi da parto veruna del perimetro (li minor p.hgono. Pais-a dunque il gran poligono di mille lati, e misura conmquentemonte, una linea retta eguale al suo ambito ; o nell’ i.-t. v»o tempi il piccolo p i-m una prossimamente egual linea, ma interrotta mente c«>mp<> ta di mille par¬ ticelle eguali a i suoi millo lati con l’interposizione di mille q.axii io vacui, elio tali possiamo chiamargli in relazione all.- mille lineetta toccate da i lati del poligono: ed il detto sin qui non ha veruna dif¬ ficoltà o dubitazione. Ma ditemi: se intorno a un entro, qual aia, v. g., questo punto A, noi descriveremo due cerchi concentrici ed in¬ sieme uniti, e che da i punti C, B de i lor semidiametri mudo tirat le tangenti CE, BF, e ad esse per il centro A la parallela AD, inten¬ dendo girato il cerchio maggioro sopra la linea BF (punta eguale alla di lui circonferenza, come parimente le altro due CK, AD), compita che abbia una revoluzione, che averà l'atto il minor cerchio, e che il centro ? Questo sicuramente averà scor-a e toccata tutta la linea AI), ao e la circonferenza di quello averà con li moi leccamenti misurata tutta la CE, facondo l’ietesso che fecero i pili coni «li KJ'pra: in que¬ sto solamente differenti, che la linea UT non fu tocca in tutte le .me parti dal perimetro del minor poligono, ma ne funm lasciate tante intatte, con l’interposizione de’vacui saltati, quante furon le parti tocche da i lati; ma qui ne i cerchi mai non ei separa la circonfe¬ renza del minor cerchio dalla linea CE, sì che alcuna Min parto non venga tocca, nò mai quello che tocca della circonferenza ò manco del toccato nella rotta. Or come dunque può senza salti -correre il cerchio minore una linea tanto maggiore della ma circonferenza? 30 Sagr. Andava pensando se si potesse dire, che si come il centro del cerchio, esso solo, stracicato sopra AD, la tocca tutta, essendo anco un punto solo, così potessero i punti della circonferenza minore, tirati dal moto della maggiore, andare strascicandosi per qualche par¬ ticella della linea CE. 11-12. mille linee rette toccate - 14. v.g., A, «oi - 25. inUrromnont d» mcm«, « — 32. stra¬ scicato — / INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 71 Sai,v. Questo non può essere, per due ragioni. Prima, perchè non sarebbe maggior ragione che alcuno de i toccamenti simili al C an¬ dassero straccando per qualche parte della linea CE, ed altri no; o quando questo fusse, essendo tali toccamenti (perchè son punti) infiniti, gli strascichi sopra la CE sarebbero infiniti, ed essendo quanti, farebbero una linea infinita; ma la CE è finita. L’altra ragione è, che mutando il cerchio grande, nella sua conversione, continuamente con¬ tatto, non può non mutarlo parimente il minor cerchio, non si potendo da altro punto che dal punto B tirare una linea retta sino al celi¬ lo tro A c che passasse per il punto C ; sì che mutando contatto la cir¬ conferenza grande, lo muta ancora la piccola, nè punto alcuno della piccola tocca più d’ un punto della sua retta CE. Oltre che, anco nella conversione de i poligoni nissun punto del perimetro del minore si adattava a più d’ un punto della linea che dal medesimo perime¬ tro veniva misurata ; come si può facilmente intendere considerando la linea IK esser parallela alla BC, onde sin che la BC non si schiac¬ cia sopra la BQ, la IK resta sollevata sopra la IP, nè prima la calca se non nel medesimo instante che la BC si unisce con la BQ, ed allora tutta insieme la IK si unisco con la OP, e poi immediatamente se 20 gli eleva sopra. Sagr. Il negozio è veramente molto intrigato, nè a me sovviene scioglimento alcuno : però diteci quello che a voi sovviene. Sat.v. Io ricorrerei alla considerazione de i poligoni sopra consi¬ derati, P effetto de i quali è intelligibile o di già compreso : e direi, che sì come ne i poligoni di cento mila lati alla linea passata e misu¬ rata dal perimetro del maggiore, cioè da i cento mila suoi lati con¬ tinuamente distesi, è eguale la misurata da i cento mila lati del mi¬ nore, ma con P interposizione di cento mila spazii vacui traposti ; così direi, ne i cerchi (che son poligoni di lati infiniti) la linea pas- 30 sata da gl’ infiniti lati del cerchio grande, continuamente disposti, esser pareggiata in lunghezza dalla linea passata da gl’ infiniti lati del minore, ma da questi con P interposizion d’ altrettanti vacui tra essi ; e sì come i lati non son quanti, ma bene infiniti, così gl’ inter¬ posti vacui non son quanti, ma infiniti: quelli, cioè, infiniti punti tutti pieni; e questi, infiniti punti parte pieni e parte vacui. E qui voglio che notiate, come risolvendo e dividendo una linea in parti 3. strascicando — 22-23. quello che a noi conviene . Salv., a — 33-34. così i vacui ~ 72 DISCORRI F. DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quante, e por consequenza numerate, non è punibile diqiorle in una ostensione maggioro di quella dio occupavan mentre stavano conti¬ nuate o congiunte senza l’interposizione d'altrettanti spazii vacui; ma imaginandola risoluta in parti non quante, cioè ne suoi infiniti indivisibili, la possiamo concepire distratta in immenso senza p inter¬ posizione di spazii quanti vacui, ma sì bene il’infiniti indivisibili va¬ cui. E questo, elio si dice delle semplici linee, h’ intenderà detto delle superficie o do’corpi solidi, considerandogli composti di infiniti atomi non quanti: che mentre gli vorremo dividere in parti quante, non è dubbio che non potremo disporle in spazii più ampli del primo occu-io pato dal solido se non con l’interposizione di spazii quanti vacui, vacui, dico, almeno della materia del solido ; ma se intenderemo 1’ altissima ed ultima resoluzione fatta ne i primi componenti non quanti ed infi¬ niti, potremo concepire tali componenti distratti in spazio immenso senza l’interposizione «li spazii quanti vacui, ina solamente di vacui infiniti non quanti: ed in questa guisa non repugna distrarsi, v.g., un piccolo globetto d’ oro in uno spazio grandissimo senza ammet¬ tere spazii quanti vacui ; tutta volta perù che ammettiamo, 1’ uro esser composto di infiniti indivisibili. Simp. Panni che voi caminiate alla via di quei vacui disseminati di 20 certo filosofo antico. Sai,v. Ma però voi non soggiugnete « il quale negava la Previ¬ denza divina », come in certo sfinii proposito, a-»ai poco a proposito, soggiunse un tale antagonista del nostro Accademico. Simp. Veddi bene, e non senza stomaco, il livore del mal affetto con- tradittore: ma io non solamente per termine di buona creanza non toccherei simili tasti, ma perchè so quanto sono di.-"-orili dalla mente ben temperata e bene organizata di V. S., non solo religiosa e pia, ma cattolica e santa. Ma ritornando su ’1 proposito, limite difficoltà sento nascermi da gli auti discorsi, dalle quali veramente io non sa- » prei liberarmi. E per una mi si para avanti questa, clic se le cir¬ conferenze de i due cerchi sono eguali alle duo rette CE. HE, questa continuamente presa, e quella con l’interposizione d’infiniti punti vacui, l’AD descritta dal contro, che è un punto solo, in qual maniera si potrà chiamare ad esso eguale, contenendone infiniti ? In oltre, quel comporre la linea di punti, il divisibile di indivisibili, il quanto di 2. che occupava mentre, 8 — 9, quanti : mentre, 8 — 17. in tp, lasciando \ / Xl/ però il cono e quello che rimarrà yX. /A. del cilindro, il quale, dalla figura v~ --d che riterrà simile a una scodella, chiameremo puro scodella : della quale e del cono prima dimostreremo che sono eguali ; o poi, un piano tirato parallelo al cerchio che è base della scodella, il cui dia¬ metro è la linea DE e centro F, dimostreremo, tal piano, che pas-so sasse, v. g\, per la linea GN, segando la scodella ne i punti G, I, 0, N, ed il cono no’punti II, L, tagliare la parte del cono filli eguale sempre alla parto della scodella, il cui profilo ci rappresentano i triangoli GAI, DON ; o di più si proverà, la base ancora del mede¬ simo cono, cioè il cerchio il cui diametro III,, c- - r eguale a quella circolar superficie che ò base della parte della scodella, chi» è come se dicessimo un nastro di larghezza quanta è la linea (ìl (notato intanto che cosa sono le definizioni de i matematici, che sono una imposizion di nomi, o vogliam dire abbreviazioni di parlare, ordinate ed introdotte per levar lo stento tedioso clu* voi ed io sentiamo di *o presente por non aver convenuto insieme di chiamar, v. g., questa superficie, nastro circolare, e quel solido acutissimo della scodella rasoio rotondo ): or comunque vi piaccia chiamargli, bastivi intendere che il piano prodotto per qualsivoglia distanza, pur che sia parallelo alla 1. cotesla: e però — 5. parellehgrammo reli angolo, s — 7. ermidiametro CF immobile — 9. rettnngulo, s - 21. per la linea Gli, segando, s 27. di larghetta guani ,,, 34. In li era stato scritto paraìello, che G.vlilko corresse di sua mano in parallelo. - INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 75 baso, cioè al cerchio il cui diametro DE, taglia sempre i duo solidi, cioè la parte del cono CIIL e la superior parte della scodella, eguali tra di loro, e parimente le due superficie basi di tali solidi, cioè il detto nastro e ’l cerchio IIL, pur tra loro eguali. Dal che ne seguo la maraviglia accennata : cioè, che se intenderemo il segante piano successivamente inalzato verso la linea AB, sempre le parti de i solidi tagliate sono eguali, come anco le superficie, che son basi loro, pur sempre sono eguali ; e finalmente, alzando e alzando tanto li due solidi (sempre eguali) quanto le lor basi (superficie pur sempre eguali), io vanno a terminare 1’ una coppia di loro in una circonferenza di un cerchio, o l 5 altra in un sol punto, cliè tali sono l’orlo supremo della scodella e la cuspide del cono. Or mentre che nella diminuzione de i due solidi si va, sino all’ ultimo, mantenendo sempre tra essi la egualità, ben par conveniente il dire che gli altissimi ed ultimi ter¬ mini di tali menomamenti restino tra di loro eguali, e non l’uno infinitamente maggior dell’ altro : par dunque che la circonferenza di un cerchio immenso possa chiamarsi eguale a un sol punto. E que¬ sto cho accade ne i solidi, accade parimente nelle superficie, basi loro, che esse ancora, conservando nella comune diminuzione sempre la so egualità, vanno in fine ad incontrare, nel momento della loro ultima diminuzione, quella por suo termine la circonferenza di un cerchio, e questa un sol punto ; li quali perchè non si devon chiamare eguali, se sono le ultime reliquie e vestigio lasciate da grandezze eguali? E notate appresso, che quando ben fussero tali vasi capaci de gl’ im¬ mensi emisferii celesti, tanto gli orli loro supremi e le punte de i contenuti coni, servando sempre tra loro l’egualità, andrebbero a terminare, quelli in circonferenze eguali a quelle de i cerchi massimi de gli orbi celesti, e questi in semplici punti. Onde, conforme a quello cho tali specolazioni no persuadono, anco tutte le circonferenze de’ cor¬ so chi quanto si voglia diseguali, posson chiamarsi tra loro eguali, e ciascheduna eguale a un punto solo. Sagù. La specolazione mi par tanto gentile e peregrina, che io, quando ben potessi, non me gli vorrei opporre, che mi parrebbe un mezzo sacrilegio lacerar sì bella struttura, calpestandola con qualche 6-7. solidi tagliali sono — 7. son le basi —12-13. diminuzione di due — 29-30. circonfe¬ renze di cerchi , s — 30. chiamarsi eguali tra loro, e — 32. In G era staio scritto speculazione, elio Galileo corresse di sua inano in specolazione . — 76 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE pedantesco affronto: però per intera sodisfazione recatoci pur la prova, che dite geometrica, del mantenersi sempre l’egualità tra quei solidi e quelle basi loro, che penso che non possa esser se non molto arguta, essendo così sottile la filosofica meditazione che da tal conclusione depende. Saly. La dimostrazione è anco breve e facile. Ripigliamo la se¬ gnata figura, nella quale, per esser 1’ angolo 1PC retto, il quadrato del semidiametro IO è eguale adii due quadrati de i lati IP, PO : ma il semidiametro IC è eguale alla AC, e questa alla GP, e la CP è eguale alla PII ; adunque il quadrato della linea GP è eguale alli io due quadrati delle IP, PH, e 1 quadruplo a i quadrupli, cioè il qua¬ drato del diametro GN è eguale alli due quadrati IO, HL : e perchè i cerchi son tra loro come i quadrati de’lor diametri, il cerchio il cui diametro GN sarà eguale alli due cerchi i cui diametri IO, HL, e tolto via il comune cerchio il cui diametro IO, il residuo del cer¬ chio GN sarà eguale al cerchio il cui diametro è HL. E questo è quanto alla prima parte : quanto poi all’ altra parte, lasceremo per ora la dimostrazione, sì perchè, volendola noi vedere, la troveremo nella duodecima proposizione del libro secondo De centro gravitatiti solidorum posta dal Sig. Luca Valerio, nuovo Archimede dell’età nostra, 20 il quale per un altro suo proposito se ne servì, sì perchè nel caso nostro basta P aver veduto come le superficie già dichiarate siano sempre eguali, e che, diminuendosi sempre egualmente, vadano a ter¬ minare P una in un sol punto e P altra nella circonferenza d’ un cer¬ chio, maggiore anco di qualsivoglia grandissimo, perchè in questa consequenza sola versa la nostra maraviglia. Sagr. Ingegnosa la dimostrazione, quanto mirabile la rellessiono fattavi sopra. Or sentiamo qualche cosa circa P altra difficoltà pro¬ mossa dal Sig. Simplicio, se però avete alcuna particolarità da dirvi sopra, che crederei che non potesse essere, essendo una controversia so stata tanto esagitata. Salv. Avrò qualche mio pensiero particolare, replicando prima quel che poco fa dissi, cioè che P infinito è per sè solo da noi incom- prensibile, come anco gl’ indivisibili ; or pensate quel che saranno 21. « ne serve, sì — 28-29. difficoltà mossa dal Sig. Simplicio — 31. In G era scritto fesagitata, corno si legge pur nella stampa; ma nel manoscritto fu corretto, probabilmente da Galileo stesso, in esagitata. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 77 congiunti insieme : e pur se vogliamo compor la linea di punti indi- visibili, bisogna fargli infiniti ; e così conviene apprender nel mede¬ simo tempo l’infinito e l’indivisibile. Le cose che in più volte mi son passate per la mente in tal proposito, son molte, parte delle quali, o forse le più considerabili, potrebb’ esser che, così improvisamente, non mi sovvenissero ; ma nel progresso del ragionamento potrà accadere che, destando io a voi, ed in particolare al Sig. Simplicio, obiezioni e difficoltà, essi all’incontro mi facessero ricordar di quello che senza tale eccitamento restasse dormendo nella fantasia : e però con la solita io libertà sia lecito produrre in mezzo i nostri umani capricci, che tali meritamente possiamo nominargli in comparazione delle dottrine so¬ pranaturali, sole vere e sicure determinatrici delle nostre controver¬ sie, e scorte inerranti ne i nostri oscuri e dubbii sentieri o più tosto labirinti. Tra le prime instanze clic si sogliono produrre contro a quelli che compongono il continuo d’indivisibili, suol esser quella che uno indivisibile aggiunto a un altro indivisibile non produce cosa divi¬ sibile, perchè, se ciò fosse, ne seguirebbe che anco T indivisibile fusse divisibile ; perchè quando due indivisibili, come, per esempio, due 20 punti, congiunti facessero una quantità, qual sarebbe una linea divi¬ sibile, molto più sarebbe tale una composta di tre, di cinque, di sette o di altre moltitudini dispari ; le quali linee essendo poi segabili in due parti eguali, rendon segabile quell’ indivisibile che nel mezzo era collocato. In questa ed altre obbiezzioni di questo genere si dà sodi- sfazione alla parte con dirgli, che non solamente due indivisibili, ma nè dieci, nè conto, nè mille non compongono una grandezza divisi¬ bile e quanta, ma sì bone infiniti. Simp. Qui nasce subito il dubbio, che mi pare insolubile : ed è, che sendo noi sicuri trovarsi linee una maggior dell’ altra, tutta volta 30 che amendue contenghino punti infiniti, bisogna confessare trovarsi nel medesimo genere una cosa maggior dell’ infinito, perchè la infi¬ nità de i punti della linea maggiore eccederà T infinità de i punti della minore. Ora questo darsi un infinito maggior dell’ infinito mi par concetto da non poter esser capito in verun modo. Salv. Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl’ infiniti, dando- 32. eccederà V infinito de i — 78 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE gli q Ue lH attributi elio noi diamo allo coso Unito e terminate ; il che penso che sia inconveniente, perchè stimo che qnosti attributi «li mag¬ gioranza, minorità ed egualità non convengano a gl* infiniti, de i quali non si può dire, uno esser maggioro o minoro o eguale all’ altro. Per prova di elio già mi sovvenne un si fatto discorso, il quale per più chiara esplicazione proporrò per interrogazioni al Sig. Simplicio, che ha mossa la difficoltà. Io suppongo che voi benissimo sappiate quali sono i numeri qua¬ drati, e quali i non quadrati. Simp. So benissimo elio il numero quadrato ò quollo che nasce dalla io moltiplicazione d’ un altro numero in sè medesimo : e così il quattro, il nove, etc., son numeri quadrati, nascendo quello dal dua, o questo dal tre, in sè medesimi moltiplicati. Salv. Benissimo: e sapete ancora, che sì come i prodotti si diman¬ dano quadrati, i producenti, cioè quelli che si moltiplicano, si chia¬ mano lati o radici ; gli altri poi, che non nascono da numeri mul- tiplicati in sè stessi, non sono altrimenti quadrati. Onde so io dirò, i numeri tutti, comprendendo i quadrati e i non quadrati, esser più che i quadrati soli, dirò proposiziono verissima : non è così ? Simp. Non si può dir altrimenti. 20 Sat.v. Interrogando io di poi, quanti siano i numeri quadrati, si può con verità rispondere, loro ossor tanti quante sono lo proprie radici, avvenga elio ogni quadrato ha la sua radice, ogni radice il suo quadrato, nò quadrato alcuno ha più d’una sola radice, nò radice alcuna più d’un quadrato solo. Srar. Così sta. Salv. Ma se io domanderò, quante siano lo radici, non si può negare che elle non siano quante tutti i numeri, poiché non vi è numero alcuno elio non sia radice di qualche quadrato ; 0 stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano quanti tutti i mi- so meri, poiché tanti sono quanto lo lor radici, e radici son tutti i nu¬ meri : e pur da principio dicemmo, tutti i numeri ossor assai più che tutti i quadrati, essendo la maggior parte non quadrati. E pur tutta¬ via si va la moltitudine do i quadrati sempre con maggior propor¬ zione diminuendo, quanto a maggior numeri si trapassa ; perchè sino 11. (V un numero — 12. il nove son, s — 23. ha la sua radice, ed ogni — 31-32. I.o parole poiché tanti sono quante le lor radici, e radici son tutti i numeri mancano in G. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TRIJIA. 79 a cento vi sono dieci quadrati, che è quanto a dire la decima parte esser quadrati ; in dieci mila solo la centesima parte son quadrati, in un millione solo la millesima: e pur nel numero infinito, se con¬ cepir lo potessimo, bisognerebbe dire, tanti essere i quadrati quanti tutti i numeri insieme. Sagr. Che dunque si ha da determinare in questa occasione? Salv. Io non veggo elio ad altra decisione si possa venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro radici, nò la moltitudine de’ quadrati esser minore di quella di io tutti i numeri, nè questa maggior di quella, ed in ultima conclu¬ sione, gli attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo ne gl’infiniti, ma solo nelle quantità terminate. E però quando il Sig. Sim¬ plicio mi propone più linee diseguali, o mi domanda come possa essere che nelle maggiori non siano più punti che nelle minori, io gli rispondo che non ve ne sono nè più nò manco nè altrettanti, ma in ciascheduna infiniti : o veramente se io gli rispondessi, i punti nell’ una esser quanti sono i numeri quadrati, in un’ altra maggiore quanti tutti i numeri, in quella piccolina quanti sono i numeri cubi, non potrei io avergli dato sodisfazione col porne più in una che nel- 20 1’altra, e pure in ciascheduna infiniti? E questo ò quanto alla prima difficoltà. Sagr. Fermate in grazia, e concedetemi che io aggiunga al detto sin qui un pensiero, che pur ora mi giugno : e questo è, che, stanti le cose dette sin qui, panni che non solamente non si possa dire, un infinito esser maggiore d’ un altro infinito, ma nè anco che e’ sia maggior d’un finito, perchè se ’l numero infinito fusse maggiore, v. g., del millione, ne seguirebbe, che passando dal millione ad altri e ad altri continuamente maggiori, si camminasse verso l’infinito ; il che non è : anzi, per 1’ opposito, a quanto maggiori numeri facciamo pas¬ so saggio, tanto più ci discostiamo dal numero infinito ; perchè ne i numeri, quanto più si pigliano grandi, sempre più o più rari sono i numeri quadrati in essi contenuti ; ma nel numero infinito i qua¬ drati non possono esser manco che tutti i numeri, come pur ora si è concluso ; adunque 1’ andar verso numeri sempre maggiori e mag¬ giori è un discostai’si dal numero infinito. Salv. E così dal vostro ingegnoso discorso si conclude, gli attri- 19. col porre più, s — 25. che sia — 29. a guanti maggiori — 80 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE buti di maggiore minore o eguale non aver luogo non solamente tra gl’infiniti, ma nò anco tra gl’infiniti o i finiti. Passo ora ad un’ altra considerazione, ed è, che «tante che la linea ed ogni continuo sian divisibili in sempre divisibili, non veggo come si possa sfuggire, la composiziono essere di infiniti indivisibili, perchè una divisione e subdivisione che si possa proseguir perpetuamente suppone che le parti siano infinite, perchè altramente la «ubdivisionc sarebbe terminabile; o Tesser le parti infinite si tira in conseguenza V esser non quante, pei'cliò quanti infiniti fanno un’ estensione infi¬ nita: e così abbiamo il continuo composto d’infiniti indivisibili, io Simp. Ma se noi possiamo proseguir sempre la divisione in parti quante, che necessità abbiamo noi di dover, per tal rispetto, introdur le non quante ? Sav.v. L : istesso poter proseguir perpetuamente la divisione in parti quante, induce la necessità della composizione di infiniti non quanti. Imperò che, venendo più alle strette, io vi domando che resolutamente mi diciate, se le parti quante nel continuo, per vostro credere, son finite o infinite? Simp. Io vi rispondo, essere infinite e finito: infinite, in potenza; e finite, in atto: infinito in potenza, cioè innanzi alla divisione ; ma » finite in atto, cioè dopo elio son divise ; perchè le parti non s’inten¬ dono attualmente esser nel suo tutto, se non dopo esser divise o al¬ meno segnate ; altramente si dicono esservi in potenza. Salv. Sì che una linea lunga, v. g., venti palmi non si dice con¬ tener venti linee di un palmo T una attualmente, se non dopo la divisione in venti parti eguali; ma per avanti si dico contenerlo sola¬ mente in potenza. Or sia come vi piace ; e ditemi se, fatta l’attuai divisione di tali parti, quel primo tutto cresce o diminuisce, o pur resta della medesima grandezza? Simp. Non cresce, nè scema. so Sai,v. Così credo io ancora. Adunque le parti quante nel continuo, o vi siano in atto o vi siano in potenza, non fanno la sua quantità maggiore nè minore : ma chiara cosa è, clic parti quante attualmente contenute nel lor tutto, se sono infinite, lo fanno di grandezza infi¬ nita : adunque parti quante, benché in potenza solamente, infinite, non possono esser contenute se non in una grandezza infinita; adunque 1G. Imperoehe, s — 27. piace; ditemi, s — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 81 nella finita parti quante infinite, nò in atto nò in potenza possono esser contenute. Sagù. Come dunque potrà esser vero clie il continuo possa inces¬ sabilmente dividersi in parti capaci sempre di nuova divisione? Salv. Par che quella distinzione d’ atto e di potenza vi renda fat¬ tibile per un verso quel che per un altro sarebbe impossibile. Ma io vedrò d’ aggiustar meglio queste partite con fare un altro computo ; od al quesito che domanda se le parti quante nel continuo termi¬ nato sian finite o infinite, risponderò tutto P opposito di quel che io rispose dianzi il Sig. Simplicio, cioè non esser nè finite nè infinito. Simp. Ciò non arei saputo mai risponder io, non pensando che si trovasse termine alcuno mezzano tra ’l finito e P infinito, sì die la divisione o distinzione che pone, una cosa o esser finita o infinita, lusso manchevole e difettosa. Salv. à me par eh’ ella sia. E parlando delle quantità discrete, parafi che tra lo finite e P infinite ci sia un terzo medio termine, che è il rispondere ad ogni segnato numero; sì che, domandato, nel presente proposito, se le parti quante nel continuo siano finite o infi¬ nite, la più congrua risposta sia il diro, non esser nè finite nè infi- 20 nite, ma tante che rispondono ad ogni segnato numero : per il elio fare è necessario che elle non siano comprese dentro a un limitato numero, perchè non risponderebbono ad un maggiore ; ma nè anco è necessario che elle siano infinite, perchè ninno assegnato numero è infinito : e così ad arbitrio del domandante una proposta linea gliela potremo assegnare segata in cento parti quante, e in mille e in cento mila, conforme a qual numero più gli piacerà ; ma divisa in infinite, questo non già. Concedo dunque a i Signori filosofi che il continuo contiene quante parti quante piace loro, e gli ammetto che le con¬ tenga in atto o in potenza, a lor gusto e beneplacito ; ma gli sog¬ no giungo poi, che nel modo che in una linea di dieci canne si contengono dieci linee d’ una canna P una, e quaranta d’ un braccio P una, e ottanta di mozzo braccio, etc., così contiene ella punti infiniti: chia¬ mateli poi in atto o in potenza, come più vi piace, che io, Sig. Sim¬ plicio, in questo particolare mi rimetto al vostro arbitrio e giudizio. Simp. Io non posso non laudare il vostro discorso : ma ho gran 11. arei mai saputo rispcmiler — 25. segata, che si legge in (ì, manca nella stampa. — 32. braccio , così, s — Vili. il 82 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE paura ohe questa parità dell’ esser contenuti i punti come le parti quante non corra con intera puntualità, nò che a voi sarà così age¬ vole il dividere la proposta linea in infiniti punti, come a quei filo¬ sofi in dieci canne o in quaranta braccia : anzi ho per impossibile del tutto il ridurr’ ad effetto tal divisione, sì che questa sarà una di quelle potenze che mai non si riducono in atto. Sat.v. L’ esser una cosa fattibile se non con fatica o diligenza, o in gran lunghezza di tempo, non la rende impossibile, perchè penso che voi altresì non così agevolmente vi sbrighereste da una divisione da farsi d’ una linea in mille parti, e molto meno dovendo dividerla io in 937 o altro gran numero primo. Ma se questa, che voi per avven¬ tura stimate divisione impossibile, io ve la riducessi a così spedita come se altri la dovesse segare in quaranta, vi contentereste voi di ammetterla più placidamente nella nostra conversazione? Simp. Io gusto del vostro trattar, come fate talora, con qualche piacevolezza; ed al quesito vi rispondo, che la facilità mi parrebbe grande più ebe a bastanza, quando il risolverla in punti non fusse più laborioso che il dividerla in mille parti. Salv. Qui voglio dirvi cosa che forse vi farà maravigliare, in pro¬ posito del volere o poter risolver la linea ne’ suoi infiniti tenendo 20 quell’ ordine che altri tiene nel dividerla in quaranta, sessanta 0 cento parti, cioè con 1’ andarla dividendo in due e poi in quattro etc. : col qual ordine chi credesse di trovare i suoi infiniti punti, s’ingannerebbe indigrosso, perchè con tal progresso nò men alla division di tutte le parti quante si perverrebbe in eterno ; ma de gli indivisibili tanto è lontano il poter giugner per coiai strada al cercato termine, che più tosto altri se ne discosta, e mentre pensa, col continuar la divi¬ sione e col multiplicar la moltitudine delle parti, di avvicinarsi alla infinita, credo che sempre più se n’ allontani : e la mia ragione è questa. Nel discorso auto poco fa concludemmo, che nel numero infi- «ito bisognava che tanti lusserò i quadrati o i cubi quanti tutti i numeri, poiché e questi e quelli tanti sono quante le radici loro, e radici son tutti i numeri. Vedemmo appresso, che quanto maggiori numeri si pigliavano, tanto più radi si trovavano in essi i lor qua- 9. sbrigherete, s. In G era scritto sbrigarete, e poi, probabilmente da Galileo, fu aggiunto un s tra l’ e e il t della desinenza ete. — 11 . o in altro — 18. che in dividerla, s. In G era pure scritto che in dividerla, e fu corretto, probabilmente da Galileo stesso, in cliei dividerla ,— 19 20. in proposito di volere — 21. altri ritiene in dividerla — 22. quattro: col, s — INTORNO A 1)UE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 83 diati, e più radi ancora i lor cubi : adunque è manifesto, che a quanto maggiori numeri noi trapassiamo, tanto più ci discostiamo dal nu¬ mero infinito ; dal che ne seguita che, tornando in dietro (poiché tal progresso sempre più ci allontana dal termine ricercato), se numero alcuno può dirsi infinito, questo sia 1’ unità. E veramente in essa son quelle condizioni e necessarii requisiti del numero infinito, dico del contener in se tanti quadrati quanti cubi e quanti tutti i numeri. Simp. Io non capisco bene come si deva intender questo negozio. Sat.v. Il negozio non ha in sè dubbio veruno, perchè l’unità è io quadrato, è cubo, è quadrato quadrato o tutte le altre dignità, nò vi è particolarità veruna essenziale a i quadrati, a i cubi, etc., che non convenga all’ uno : come, v. g., proprietà di due numeri quadrati è 1’ aver tra di loro un numero medio proporzionale ; pigliate qualsi¬ voglia numero quadrato per 1’ uno de’ termini e per 1’ altro 1’ unità, sempre ci troverete un numero medio proporzionale. Siano due nu¬ meri quadrati 9 e 4 : eccovi, tra ’l 9 e 1’ uno, medio proporzionale il 3 ; fra ’l 4 e 1’ uno media il 2 ; e tra i due quadrati 9 e 4 vi è il G in mezzo. Proprietà de i cubi è 1’ esser tra essi necessariamente due numeri medii proporzionali : ponete 8 e 27, già tra loro son 20 medii 12 e 18 ; e tra 1’ uno e 1’ 8 mediano il 2 e ’l 4 ; e tra 1’ uno e ’l 27, il 3 e ’l 9. Concludiamo per tanto, non ci essere altro numero infinito che l’unità. E queste sono delle maraviglie che superano la capacità della nostra immaginazione, e che devriano farci accorti quanto gravemente si erri mentre altri voglia discorrere intorno a gl’ infiniti con quei medesimi attributi che noi usiamo intorno a i finiti, le nature de i quali non hanno veruna convenienza tra di loro. In proposito di che non voglio tacervi un mirabile accidente che pur ora mi sovviene, esplicante l’infinita differenza, anzi repugnanza e contrarietà di natura, che incontrerebbe una quantità terminata 30 nel trapassar all’ infinita. Segniamo questa linea retta AB di qualsi¬ voglia lunghezza ; e preso in lei qualsivoglia punto C, che in parti disegnali la divida, dico che partendosi coppie di linee da i ter¬ mini A, B, che, ritenendo fra di loro la medesima proporzione che hanno le parti AC, BC, vadiano a concorrere insieme, i punti de i lor concorsi cadranno tutti nella circonferenza di un medesimo cer- 10. è cubo, c quadro quadrato e tutte — 11. a i cubi, che non, s — 17. fra d e l’uno — 20. 4; tra— 35. concorsi andranno tutti, s — 84 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICI!E chio : come, per esempio, partendosi lo AL, BL da i punti A, B, ed avendo tra di loro la medesima proporzione elio Inumo le parti AC, EC, od andando a concorrere nel punto L, o ritenendo l’istessa proporzione al¬ tro duo AK, BIv, concor¬ rendo in K, altro AI, BI, E AH, IIB, AG, GB, AF, FB, AE, EB, dico che i punti do i concorsi L, K, I, II, G, F, E cascano tutti nella circonferenza di un io istesso cerchio ; talché so ci immagineremo, il punto 0 muoversi con¬ tinuamente con tal legge, che lo linee da esso prodotto sino a i termini iìssi A, B mantenghino sempre la proporziono medesima che hanno lo primo parti AC, CB, tal punto C descriverà la circonferenza d’un cer¬ chio, come appresso vi dimostrerò ; ed il cerchio in cotal modo de¬ scritto sarà sempre maggiore o maggioro infinitamente, secondo che il punto C sarà preso più vicino al punto di mezzo, che sia 0, e mi¬ nore sarà quel cerchio cho dal punto più vicino all’ estremità B sarà 20 descritto ; in maniera che da i punti infiniti che pigliar si possono nella linea OB si descriveranno cerchi (movendogli con l’esplicata legge) di qualsivoglia grandezza, minori della luco dell’occhio d’una pulce, 0 maggiori dell’ equinoziale del primo mobile. Ora, se alzandosi qualsi¬ voglia de i punti compresi tra i termini 0, B, da tutti si descrivono cerchi, e immensi da i punti prossimi all’O, alzando l’istesso 0 e con¬ tinuando di muoverlo con l’osservanza dell’istesso decreto, cioè chele linee da esso prodotte sino a i termini A, B ritenghino la proporziono che hanno le prime linee AO, OB, cho linea verrà segnata? Segnerassi la circonferenza d’ un cerchio, ma d’ un cerchio maggiore di tutti gli so altri massimi, di un cerchio, dunque, infinito ; ma si segna anco una linea retta e perpendicolare sopra la BA, eretta dal punto 0 e pro¬ dotta in infinito senza mai tornare a riunire il suo termine ultimo col suo primo, come ben tornavano l’altro : imperò che la segnata per 2. Za proporzione me esima che hanno — 18. sarà sempre e maggiore, e maggiore infini¬ tamente— 21. descritto; di maniera che — 28-29. la proporzione istessa che hanno —'ài. impe- roche, s — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 85 il moto limitato del punto 0, dopo segnato il mezzo cerchio supe¬ riore CHE, continuava di segnare 1’ inferiore EMC, riunendo insieme i suoi estremi termini nel punto C ; ma il punto 0, mossosi per se¬ gnar, come tutti gli altri della linea AB (perchè i punti presi nel- p altra parte OA descriveranno essi ancora i lor cerchi, ed i massimi i punti prossimi all’ 0), il suo cerchio, per farlo massimo di tutti, e per consequenza infinito, non può più ritornare nel suo primo ter¬ mine, ed in somma descrive una linea retta infinita per circonferenza del suo infinito cerchio. Considerate ora qual differenza sia da un io cerchio finito a un infinito, poiché questo muta talmente P essere, elio totalmente perde 1’ essere o il poter essere : chè già ben chiaramente comprendiamo, non si poter dare un cerchio infinito ; il che si tira poi in consequenza, nò meno poter essere una sfera infinita, nè altro qualsivoglia corpo o superficie figurata e infinita. Or che diremo di cotali metamorfosi nel passar dal finito all’ infinito ? o perchè doviamo sentir repugnanza maggiore, mentre, cercando l’infinito ne i numeri, andiamo a concluderlo nell’ uno ? e mentre che rompendo un solido in molto parti e seguitando di ridurlo in minutissima polvere, riso¬ luto che si fusse ne gl’ infiniti suoi atomi non più divisibili, perchè 20 non potremmo dire, quello esser ritornato in un solo continuo, ma forse fluido come 1’ acqua o ’l mercurio o ’l medesimo metallo lique¬ fatto? o non vediamo noi, le pietre liquefarsi in vetro, ed il votro medesimo, co ’l molto fuoco, farsi fluido più che 1’ acqua ? Sagr. Doviamo dunque credere, i fluidi esser tali, perchè sono ri¬ soluti ne i primi infiniti indivisibili, suoi componenti ? Sat/vt. Io non so trovar miglior ripiego per risolver alcune sensate apparenze, tra le quali una è questa. Mentre io piglio un corpo duro, o sia pietra o metallo, e che con martello o sottilissima lima lo vo al possibile dividendo in minutissima ed impalpabile polvere, chiara so cosa è che i suoi minimi, ancor che per la lor piccolezza siano imper¬ cettibili a uno a uno dalla nostra vista e dal tatto, tuttavia son eglino ancor quanti, figurati e numerabili : e di essi accade che, accumulati insieme, si sostengono ammucchiati ; e scavati sino a certo segno, resta la cavità, senza che le parti d’intorno scorrano a riempierla ; agitati o commossi, subito si fermano tantosto che il motore esterno gli abbandona : e questi medesimi effetti fanno ancora tutti gli aggre- 14. figurata e infinita — 20. non potremo dire — 86 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMÀTICHE gati di corpusculi maggiori e maggiori, o ili ogni figura, ancor che sferica, come veggiamo ne i monti di miglio, di grano, di migliarle di piombo e d’ ogni altra materia. Ma se noi tenteremo di vedere tali accidenti nell’ acqua, nissuno ve no troveremo ; ma, sollevata, immediatamente si spiana, se da riuso o altro esterno ritegno non sia sostenuta; incavata, subito scorre a riempier la cavità; ed agitata, per lunghissimo tempo va fluttuando, o por spazii grandissimi disten¬ dendo le sue onde. Da questo mi par di potere molto ragionevolmente arguire, i minimi dell’ acqua, ne i quali ella pur sembra esser riso¬ luta (poiché ha minor consistenza di qualsivoglia sottilissima polvere, io anzi non ha consistenza nissuna), esser differentissimi da i minimi quanti e divisibili; nè saprei ritrovarci altra differenza, che 1 ’ esser indivisibili. Panni anco che la sua esquisitissima trasparenza ce no porga assai ferma coniettura : perchè se noi piglieremo del più tra¬ sparente cristallo che sia e lo cominceremo a rompere e pestare, ridotto in polvere perde la trasparenza, e sempre più quanto più sot¬ tilmente si trita ; ma P acqua, che pure è sommamente trita, è anco sommamente diafana. L’ oro e 1 ’ argento, con acquo forti polverizati più sottilmente che con qualsivoglia lima, pur restano in polvere, ma non divengon fluidi, nè prima si liquefarne che gl’ indivisibili del 20 fuoco o de i raggi del Sole gli dissolvano, credo no i lor primi altis¬ simi componenti, infiniti, indivisibili. Sagr. Questo che Y. S. ha toccato doliti luco, ho io più volto veduto con maraviglia ; veduto, dico, con uno specchio concavo di tre palmi di diametro, liquefare il piombo in un instante : onde io son venuto in opinione, che quando lo specchio fusse grandissimo e ben terso 0 di figura parabolica, liquefarebbe non meno ogni altro metallo in brevissimo tempo, vedendo che quello, uè molto grande nè ben lustro e di cavità sferica, con tanta forza liquefuceva il piombo ed abbru¬ ciava ogni materia combustibile ; effetti elio ini rondon credibili le 30 maraviglie de gli specchi d’Archimode. Sai,v. Intorno a gli edotti de gli specchi d’Ai'chimede mi rese cre¬ dibile ogni miracolo, che si legge in più scrittori, la lettura de i libri dell’ istesso Archimede, già da ino con infinito stupore lotti e studiati ; e se nulla di dubbio mi fusse restato, quollo che ultima¬ mente ha dato in luce intorno allo specchio ustorio il P. Buonaven- 11. differentissima, b — 21. gli dissolvono, credo, s—• INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 87 tura Cavalieri, e che io con ammirazione ho letto, è bastato a ces¬ sarmi ogni difficoltà. Sagr. Veddi ancor io cotesto trattato, e con gusto e maraviglia grande lo lessi ; e perchè per avanti avevo conoscenza della persona, mi andai confermando nel concetto che di esso avevo già preso, eh’ ei fnsse per riuscire uno de’ principali matematici dell’ età nostra. Ma tornando all’ effetto maraviglioso de i raggi solari nel liquefare i me¬ talli, doviamo noi credere che tale e sì veemente operazione sia senza moto, o pur che sia con moto, ma velocissimo ? io Salv. Gli altri incendii e dissoluzioni veggiamo noi farsi con moto, e con moto velocissimo : veggansi le operazioni de i fulmini, della polvere nelle mine e ne i petardi, ed in somma quanto il velocitar co’ i mantici la fiamma de i carboni, mista con vapori grossi e non puri, accresca di forza nel liquefare i metalli : onde io non saprei intendere che 1’ azzione della luce, benché purissima, potesse esser senza moto, ed anco velocissimo. Saur. Ma quale e quanta doviamo noi stimare che sia questa velo¬ cità del lume ? forse instantanea, momentanea, o pur, come gli altri movimenti, temporanea ? nè potremo con esperienza assicurarci qual 20 ella sia ? Simp. Mostra 1’ esperienza quotidiana, 1’ espansion del lume esser instantanea ; mentre che vedendo in gran lontananza sparar un’ arti¬ glieria, lo splendor della fiamma senza interposizion di tempo si con¬ duce a gli occhi nostri, ma non già il suono all’ orecchie, se non dopo notabile intervallo di tempo. Sagr. Eh, Sig. Simplicio, da cotesta notissima esperienza non si raccoglie altro se non che il suono si conduce al nostro udito in tempo men breve di quello che si conduca il lume ; ma non mi assi¬ cura, se la venuta del lume sia per ciò instantanea, più che teinpo- 30 ranea ma velocissima. Nè simile osservazione conclude più che 1’ altra di chi dice : « Subito giunto il Sole all’ orizonte, arriva il suo splen¬ dore a gli occhi nostri » ; imperò che chi mi assicura che prima non giugnessero i suoi raggi al detto termine, che alla nostra vista? Salv. La poca concludenza di queste e di altre simili osservazioni mi fece una volta pensare a qualche modo di poterci senza errore accertar, se l’illuminazione, cioè se 1’ espansion del lume, fusse vera- 1-2. a levarmi ogni — 27-28. udito con tempo — 88 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE incute instantanea ; poiché il moto assai veloce del suono ci assicura, quella della luce non poter esser so non velocissima : o P esperienza che mi sovvenne, fu tale. Voglio elio due piglino un lume per uno, il quale, tenendolo dentro lanterna o altro ricetto, possino andar coprendo o scoprendo, con P interposizion della mano, alla vista del compagno, e che, ponendosi P uno incontro all’ altro in distanza di poche braccia, vadano addestrandosi nello scoprire ed occultare il lor lume alla vista del compagno, sì che quando P uno vede il lume dol- P altro, immediatamente scuopra il suo ; la qual corrispondenza, dopo alcune risposte fattesi scambievolmente, verrà loro talmente aggiu- io stata, che, senza sensibile svario, alla scoperta dell’ uno risponderà immediatamente la scoperta dell’ altro, sì che quando P uno scuopre il suo lume, vedrà nell’ istesso tempo comparire alla sua vista il lume dell’ altro. Aggiustata cotal pratica in questa piccolissima distanza, pongansi i due medesimi compagni con duo simili lumi in lontananza di due o tre miglia, o tornando di notte a far P istessa esperienza, vadano osservando attentamente se le risposto dello loro scoperte ed occultazioni seguono secondo P istesso tenore che facevano da vicino ; che seguendo, si potrà assai sicuramente concludere, P espansion del lume essere instantanea : chò quando ella ricercasse tempo, in una 20 lontananza di tre miglia, che importano sei per P andata d’un lume e venuta dell’altro, la dimora dovrebbe esser ; issai osservabile. E quando si volesse far tal osservazione in distanze maggiori, cioò di otto 0 dieci miglia, potremmo servirci del telescopio, aggiustandone un per uno gli osservatori al luogo dove la notte si hanno a mettere in pra¬ tica i lumi; li quali, ancor che non molto grandi, e per ciò invisibili in tanta lontananza all’ occhio libero, ma ben facili a coprirsi e sco¬ prirsi, con P aiuto de i telescopii già aggiustati e fermati potranno esser com modani ente veduti. Sagr. L’ esperienza mi pare d’invenzione non men sicura clic inge- so gnosa. Ma diteci quello che nel praticarla avete concluso. Salv. Veramente non P ho sperimentata, salvo elio in lontananza piccola, cioè manco d’ un miglio, dal che non ho potuto assicurarmi se veramente la comparsa del lume opposto sia instantanea ; ma ben, se non instantanea, velocissima, e direi momentanea, ò ella, e per ora 1’ assimiglierei a quel moto che voggiamo farsi dallo splendore 24. miglia, potremo servirci, s — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 89 del baleno veduto tra le nugole lontane otto o dieci miglia : del qual lume distinguiamo il principio, e dirò il capo o fonte, in un luogo particolare tra esse nugole, ma bene immediatamente segue la sua espansione amplissima per le altre circostanti ; che mi pare argo¬ mento, quella farsi con qualche poco di tempo ; perchè quando V illu¬ minazione fusse fatta tutta insieme, e non per parti, non par che si potesse distinguer la sua origine, e dirò il suo centro, dalle sue falde e dilatazioni estreme. Ma in quai pelaghi ci andiamo noi inavverten- temente pian piano ingolfando ? tra i vacui, tra gl’ infiniti, tra gl’ indi- io visibili, tra i movimenti instantanei, per non poter mai, dopo mille discorsi, giugnero a riva ? Sagr. Cose veramente molto sproporzionate al nostro intendimento. Ecco : l’infinito, cercato tra i numeri, par che vadia a terminar nel- 1 ’ unità ; da gl’ indivisibili nasce il sempre divisibile ; il vacuo non par che risegga se non indivisibilmente mescolato tra ’l pieno : od in somma in queste coso si muta talmente la natura delle comunemente intese da noi, che sin alla circonferenza d’ un cerchio doventa una linea retta infinita ; che, s’io ho ben tenuto a memoria, è quella pro¬ posizione che voi, Sig. Salviati, dovevi con geometrica dimostrazione 20 far manifesta. Però, quando vi piaccia, sarà bene, senza più digre¬ dire, arrecarcela. Sat.v. Eccomi a servirle, dimostrando per piena intelligenza il se¬ guente problema : Data una linea retta divisa secondo qualsivoglia proporzione in parti discguali, descrivere un cerchio, alla cui circonferenza prodotte, a qualsivoglia punto di essa, due linee rette da i ter¬ mini della data linea, ritengliino la proporzion medesima che hanno tra di loro le parti di essa linea data, sì elio omologhe siano quelle che si partono da i medesimi termini, so Sia la data retta linea AB, divisa in qualsivoglia modo in parti diseguali nel punto C : bisogna descrivere il cerchio, a qualsivoglia punto della cui circonferenza concorrendo due rette prodotte da i termini A, B, abbiano tra di loro la proporzion modesima che hanno tra di loro le parti AC, BC, sì che omologhe siali quelle che si par¬ tono dall’ istesso termine. Sopra ’l centro C, con P intervallo della minor parte CB, intendasi descritto un cerchio, alla circonferenza del 34-35. si partano dall’ — vin. ia 90 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quale venga tangente dal punto A la retta AI), indeterminatamente prolungata verso E, e sia il contatto in I), o congiungasi la Cl), che sarà perpendicolare alla AE ; ed alla BA sia perpendicolare la BE, la qualo prodotta concorrerà con la AE, essendo l’angolo A acuto; sia il concorso in E, di dove si ecciti la perpen¬ dicolare alla AE, che pro¬ dotta vadia a concorrere con la AB, infinitamente G prolungata, in F: dico io primieramente, le due rette FE, FC esser eguali. Imperò che, tirata la EC, aremo no i due trian¬ goli DEC, BEC li due lati dell’uno DE, EC eguali alli due dell’ altro BE, EC, essendo le due 1 )E, EB tangenti del cer¬ chio DB, e le basi DC, CB parimente eguali ; onde li duo angoli DEC, BEC saranno eguali. E perchè all’ angolo BCE por esser retto manca quanto è 1 ’ angolo CEB, ed all’ angolo CEF, pur per esser retto, 20 manca quanto è B angolo CED, essendo tali mancamenti eguali, gli angoli FCE, FEC saranno eguali, od in consequon/a i lati FE, FC; onde tatto centro il punto F, e con l’intervallo FE descrivendo un cerchio, passerà per il punto C. Descrivasi, e sia CECr: dico, questo esser il cerchio ricercato, a qualsivoglia punto della circonferenza del quale ogni coppia di linee che vi concorrano, partendosi da i termini A, B, aranno la medesima proporzione tra di loro che hanno lo due parti AC, BC, lo quali di già vi concorrono nel punto C. Questo, delle due che concorrono nel punto E, cioè dello AE, BE, è manifesto, essendo B angolo E del triangolo AEB diviso in mezzo 30 dalla CE ; per lo che qual proporzione ha la AC alla CB, tale ha la AE alla BE. L’istesso proveremo dello due AG, BG, terminate nel punto G. Imperò che, essendo (per la similitudine de’ triangoli AFE, EFB) come AF ad FE così EF ad FB, cioè come AF ad FC così CF ad FB, sarà, dividendo, come AC a CF (cioè ad FG) così CB a BF, e tuli a AB a tutta BG come una CB ad unaBF, 0, componendo, come AG 2. ; rolonyala, s — 4. angulo, s INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 91 a GB così CF ad FB, cioè EF ad FB, cioè AE ad EB, od AC a CB : il clic bisognava provare. Prendasi ora qualsivoglia altro punto nella circonferenza, e sia II, al quale concorrano le due AH, BH : dico pari¬ mente, come AC a CB, così essere AH ad HB. Prolunghisi KB sino alla circonferenza in I, e congiungasi IF : e perchè già si è visto, come AB a BG, così essere CB a BF, sarà il rettangolo ABF eguale al rettangolo CBG, cioè IBII, e però corno AB a BII, così IB a BF ; e sono gli angoli al B eguali ; adunque AII ad HB sta come 1F, cioè EF, ad FB, ed AE ad EB. io Dico, oltre a ciò, che è impossibile che le linee che abbiano tal proporzione, partendosi da i termini A, B, concorrano a verun punto o dentro o fuori del cerchio CEG. Imperò che, se è possibile, con¬ corrano duo tali linee al punto L, posto fuori, e siano lo AL, BL, e prolunghisi la LB sino alla circonferenza in M, e congiungasi MF. Se dunque la AL alla BL è come la AC alla BC, cioè come la MF alla FB, aremo due triangoli ALB, MFB, li quali intorno alli due angoli ÀLB, MFB hanno i lati proporzionali, gli angoli alla cima nel punto B eguali, e li duo rimanenti FMB, LAB minori che retti (imperò che l’angolo retto al punto M ha per base tutto il diametro CG, e non 20 la sola parte BF ; e 1’ altro al punto A è acuto, perchè la linea AL, omologa della AC, è maggiore della BL, omologa della BC) ; adun¬ que i triangoli ABL, MBF son simili, e però come AB a BL così MB a BF, onde il rettangolo ABF sarà eguale al rettangolo MBL : ma il rettangolo ABF s’è dimostrato eguale al CBG ; adunque il rettan¬ golo MBL è eguale al rettangolo CBG, il che è impossibile : adunque il concorso non può cader fuor del cerchio. E nel medesimo modo si dimostrerà, non poter cader dentro : adunque tutti i concorsi cascano nella circonferenza stessa. Ma è tempo che torniamo a dar sodisfazione al desiderio del so Sig. Simplicio, mostrandogli come il risolver la linea ne’ suoi infiniti punti non è non solamente impossibile, ma nè mono ha in sè maggior difficoltà che ’l distinguere le suo parti quante, fatto però un sup¬ posto, il quale penso, Sig. Simplicio, che non siate per negarmi : e questo è, che non mi ricercherete che io vi separi i punti l’uno dal- P altro e ve li faccia veder a uno a uno distinti sopra questa carta, 8-9. cioè CF, ad FB, cioè come EF ad FB ed AE ad EB — 10. clic linee — 26. il con• corso etc. non — 92 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE perchè io ancora mi contenterei die, senza staccar 1’ una dall’ altra le quattro o le sei parti d’ una linea, ini mostraste lo sue divisioni segnate, o al più piegate ad angoli, formandone un quadrato o un ossagono ; perchè mi persuado puro che allora lo chiamereste a ba¬ stanza distinte ed attuato. Simp. Veramente sì. Salv. Ora, se l’inllettere una linoa ad angoli, formandone ora un quadrato, ora un ottangolo, ora un poligono di quaranta, di cento o di mille angoli, è mutazione bastante a ridurre all’ atto quello quat¬ tro, otto, quaranta, cento e mille parti elio prima nella linoa diritta io erano, per vostro detto, in potenza, quando io formi di lei un poli¬ gono di lati infiniti, cioè quando io la indetta nella circonferenza d’ un cerchio, non potrò io con pari licenza diro d’ avor ridotto al- 1’ atto quelle parti infinito, che voi prima, mentre ora retta, dicevi esser in lei contenuto in potenza? Nò si può nogaro, tal risoluzione esser fatta ne’ suoi infiniti punti non meno che quella dello suo quat¬ tro parti nel formarne un quadrato, o nello suo mille nel formarne un millagono ; imperò elio in lei non manca veruna delle condizioni che si trovano nel poligono di mille e di conto mila lati. Questo, applicato a una linea retta, so gli posa sopra toccandola con uno 20 de’ suoi lati, cioè con una sua centomillesima parto ; il cerchio, elio è un poligono di lati infiniti, tocca la medesima retta con uno de’suoi lati, che è un sol punto, diverso da tutti i Buoi collaterali, e perciò da quelli diviso e distinto non meno elio un lato del poligono da i suoi conterminali : 0 come il poligono rivoltato sopra un piano stampa con i toccamenti conseguenti de’ suoi lati una linea retta eguale al suo perimetro, così il cerchio girato sopra un tal piano descrive con gl’ infiniti suoi successivi contatti una linea retta egual alla propria circonferenza. Non so adesso, Sig. Simplicio, so i Signori Peripatetici, a i quali io ammetto, come verissimo concetto, il continuo esser divi- so sibile in sempre divisibili, sì che continuando una tal divisione e suddivisione mai non si perverrebbe alla fine, si contenteranno di concedere a me, niuna delle tuli loro divisioni esser 1’ ultima, come veramente non è, poiché sempre ve ne resta un’altra, ma bene l’ultima ed altissima esser quella che lo risolvo in infiniti indivisibili, alla quale concedo che non si perverrebbe mai dividendo successivamente in 13 . non potrò con — 21 . centom ilesini» — 32 penerebbe, b — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 93 maggiore o maggior moltitudine di parti ; ma servendosi della ma¬ niera che propongo io, di distinguere e risolvere tutta la infinità in un tratto solo (artifizio che non mi dovrebbe esser negato), crederei che dovessero quietarsi, ed ammetter questa composizione del con¬ tinuo di atomi assolutamente indivisibili, e massime essendo questa una strada forse più d’ ogni altra corrente per trarci fuori di molto intrigati laberinti, quali sono, oltre a quello già toccato della coe¬ renza delle parti de i solidi, il comprender come stia il negozio della rarefazzione e della condensazione, senza incorrer per causa di quella io nell’ inconveniente di dovere ammettere spazii vacui, e por questa la penetrazione de i corpi : inconvenienti, che ainondue mi pare eh’ assai destramente vengano schivati con l’ammetter detta composizione d’in¬ divisibili. Simp. Io non so quello che i Peripatetici fusser per dire, atteso che le considerazioni fatte da voi credo che gli ghignerebbero per la maggior parte nuove, e come tali converrebbe esaminarle ; e po¬ trebbe accadere che quelli vi ritrovassero risposte e soluzioni potonti a sciorre quei nodi, che io, per la brevità del tempo e per la debo¬ lezza del inio ingegno, non saprei di presente risolvere. Però sospen- 20 dendo per ora questa parte, sentirei ben volentieri come l’introduz- zione di quosti indivisibili faciliti l’intelligenza della condensazione e della rarefazzione, schivando nell’ istesso tempo il vacuo e la pene- trazion de i corpi. Sagù. Sentirò io ancora con gran brama la medesima cosa, al¬ l’intelletto mio tanto oscura; con questo però, che io non rimanga defraudato di sentire, conforme a quello che poco fa disse il Sig. Sim¬ plicio, le ragioni d’Aristotele in confutazion del vacuo, ed in conse¬ quenza le soluzioni che voi gli arrecate, come convien fare mentre voi ammettete quello elio esso nega, ito Salv. Faremo 1’ uno o 1’ altro. E quanto al primo, è necessario che, sì come in grazia della rarefazzione ci serviamo della linea de¬ scritta dal minor cerchio, maggiore della propria circonferenza, men¬ tre vien mosso alla revoluzione del maggiore, così per intelligenza della condensazione mostriamo come alla conversione fatta dal minor cerchio il maggiore descriva una linea retta minore della sua cir¬ conferenza ; per la cui più chiara esplicazione, porremo innanzi la considerazione di quello che accade ne i poligoni. 94 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE III una (lescrizzione simile a quell’ altra, siano due essagoni circa il comune centro L, elio siano questi AIJC, IIIK, con le linee paral¬ lele HOM, ABc, sopra le quali si abbiano a far le revoluzioni ; e fer¬ mato V angolo I del poligono minore, volgasi esso poligono sin che il lato IK caschi sopra la parallela, nel qual moto il punto lv descriverà l’arco KM, e ’l lato Ivi si unirà con la parto IÌU : tra tanto bi¬ sogna vedere quel che farà il lato CB del poligono maggiore. E perchè il rivolgimento si fa io sopra il punto 1 , la linea 1 B col termino suo B descriverà, tor¬ nando indietro, l’arco B b sotto alla parallela rA, tal che quando il lato Ivi si congiugnerà con la linea MI, il lato BG si unirà con la linea l>c, con l’avanzarsi per l’innanzi solamente quanto ò la parte Br o ritirando in die¬ tro la parto suttesa all’arco B b, 20 la quale vion sopraposta alla linea BA. Ed intendendo conti- -1 nuarsi nell’ istcBso modo la con¬ versione fatta dal minor poli¬ gono, questo descriverà bone e passerà sopra la sua parallela una liuea eguale al suo perimetro ; ma il maggiore passerà una linea mi¬ nore del suo perimetro la quantità di tante linee AB quanti sono uno manco de’ suoi lati ; e sarà tal linea prosai linimento eguale alla de¬ scritta dal poligono minore, eccedendola solamente di quanto è la bR Qui dunque senza veruna repugnanza si scorgo la cagione per la quale so il maggior poligono non trapassi (portato dal minoro) con i suoi lati linea maggiore della passata dal minore ; che è perchè una parte di ciascheduno de’ lati si soprappone al suo precedente conterminale. Ma se considereremo i due cerchi intorno al centro A, li quali sopra le lor parallele posino, toccando il minoro la sua nel punto B, ed il maggiore la sua nel punto C, qui nel cominciar a far la revo- 29. la linea b B — 33. ciascheduno si sovrappone, a — c INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 95 luzione del minore non avverrà che il punto B resti per qualche tempo immobile, sì che la linea BC dando in dietro trasporti il punto C, come accadeva ne i poligoni, che restando fisso il punto I sin che il lato KI cadesse sopra la linea IM, la linea IB riportava in dietro il B, termine del lato CB, sino in b, onde il lato BC cadeva in bc, so¬ prapponendo alla linea BA la parte B& e solo avanzandosi per B in¬ nanzi la parte Bc, eguale alla IM, cioè a un lato del poligono minore ; per le quali soprapposizioni, che sono gli eccessi de i lati maggiori sopra i minori, gli avanzi che restano, eguali a i lati del minor poli- io gono, vengono a comporre nell’ intera revoluzione la linea retta eguale alla segnata e misurata dal poligono minore. Ma qui dico, che se noi vorremo applicare un siimi discorso all’ effetto de i cerchi, converrà dire, che dove i lati di qualsivoglia poligono son compresi da qualche numero, i lati del cerchio sono infiniti : quelli son quanti e divisibili ; questi, non quanti e indivisibili : i termini de i lati del poligono nella revoluzione stanno per qualche tempo fermi, cioè ciascheduno tal parte del tempo di una intera conversione, qual parte esso è di tutto il perimetro ; ne i cerchi similmente le dimoro de’ termini de’ suoi infiniti lati son momentanee, perchè tal parte è un instante d’un tempo 20 quanto, qual è un punto d’ una linea, che ne contiene infiniti : i re¬ gressi in dietro fatti da i lati del maggior poligono sono non di tutto ’l lato, ma solamente dell’ eccesso suo sopra ’l lato del minore, acquistando per l’innanzi tanto di spazio quanto è il detto minor lato ; ne i cerchi il punto o lato C, nella quiete instantanea del ter¬ mine B, si ritira in dietro quanto è il suo eccesso sopra ’l lato B, acquistando per l’innanzi quanto è il medesimo B : ed in somma gl’ infiniti lati indivisibili del maggior cerchio con gl’ infiniti indivi¬ sibili ritiramenti loro, fatti nell’ infinite instantanee dimore de gl’ infi¬ niti termini de gl’ infiniti lati del minor cerchio, e con i loro infiniti so progressi, eguali a gl’ infiniti lati di esso minor cerchio, compongono e disegnano una linea oguale alla descritta dal minor cerchio, con¬ tenente in se infinite soprapposizioni non quante, che fanno una costi¬ pazione e condensazione senza veruna penetrazione di parti quante, quale non si può intendere farsi nella linea divisa in parti quante, 13. dire, dove, b. Cosi ora stato scritto anche in G, ma Galileo di suo pugno cor** resse dire, che dove. — li). momentanee, che tal, s. Così si leggeva anche in G, ma Galileo di sua mano corresse che in perche. — 25. si tira in dietro — 96 DISCORSI F, DIMOSTRAZIONI M ATEMATICHK quale è il perimetro di qualsivoglia poligono, il quale, disteso in linea retta, non si può ridurre in minor lunghezza se non col far che i lati si soprappongliino e penetrino V un 1’ altro. Questa costipazione di parti non quante ma infinite, senza ponetraziono di parti quante, e la prima distrazzione di sopra dichiarata de gl’ infiniti indivisibili con l’interposizione di vacui indivisibili, credo che sia il più che dir si possa per la condensazione e rarefazziono de i corpi, senza neces¬ sità d’introdurre la penetrazione de i corpi e gli spazii quanti vacui. Se ci è cosa che vi gusti, fatono capitale ; se no, reputatela vana, e ’l mio discorso ancora, o ricercato da qualche altro esplicazione di io maggior quiete per l’intelletto. Solo questo duo parole vi replico, che noi siamo tra gl’ infiniti e gl’ indivisibili. Sagr. Che il pensiero sia sottile, ed a’ miei orecchi nuovo e pere¬ grino, lo confesso liberamente ; so poi nel fatto stesso la natura pro¬ ceda con tal ordine, non saprei che risolvermi : vero è che sin ch’io non sentissi cosa che maggiormente mi quietassi, per non rimaner muto affatto, m’atterrei a questa. Ma forse il Sig. Simplicio avrà (quello che sin qui non ho incontrato) modo di esplicare 1’ esplicazione che in materia così astrusa da i filosofi si arreca ; che in vero quel che sin qui ho letto circa la condensazione è per me così denso, e quel» della rarefazzione così sottile, che la mia deboi vista questo non com¬ prende o quello non penetra. Simp. Io son pieno di confusione, e trovo duri intoppi nell’ un sen¬ tiero e nell’ altro, ed in particolare in questo nuovo: perchè, secondo questa regola, un’oncia d’oro si potrebbe rarefare e distrarre in una mole maggiore di tutta la Terra, e tutta la Terra condensare e ri¬ durre in minor mole di una noce, cose che io non credo, nè credo che voi medesimo crediate ; e le considerazioni o dimostrazioni sin qui fatte da voi, conio elio son cose matematiche, astratte e separate dalla materia sensibile, credo che applicato allo materie fisiche e nata-*> rali non camminerebbero secondo cotesto regole. Sauv. Che io vi sia por far vedere l’invisibile, nè io lo saprei fare, nè credo elio voi lo ricerchiate ; ma per quanto da i nostri sensi può esser comproso, già elio voi avete nominato T oro, non veggiam noi 8. de i corpi 0 (/li Spaiti, s — 9. se non, reputatela — 11. queste parole — 13-14. e. pellegrino, — IV. a questo. Ma — 18. che in sin qui —20. condensazione per me è cosi — 27. in mole d'una noce — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 97 farsi immensa distrazzione delle sue parti ? Non so se vi sia occorso di veder le maniere che tengono gli artefici in condur 1 ’ oro tirato, il quale non è veramente oro se non in superficie, ma la materia interna è argento : ed il modo del condurlo è tale. Pigliano un cilin¬ dro, o volete dire una verga, d’ argento, lunga circa mezzo braccio e grossa per tre o quattro volte il dito pollice, e questa indorano con foglie d’ oro battuto, che sapete esser così sottile che quasi va vagando per 1 ’ aria, e di tali foglie ne soprappongono otto o dieci, c non più. Dorato che è, cominciano a tirarlo con forza immensa, io facendolo passare per fori della filiera ; e tornando a farlo ripassare molte e molte volte successivamente per fori più angusti, dopo molte e molte ripassate lo riducono alla sottigliezza d’ un capello di donna, se non maggiore : e tuttavia resta dorato in superficie. Làscio ora considerare a voi quale sia la sottigliezza e distrazzione alla quale si è ridotta la sustanza dell’ oro. Simp. Io non veggo che da questa operazione venga in consequenza un assottigliamento della materia dell’ oro da farne quelle maraviglie che voi vorreste : prima, perchè già la prima doratura fu di dieci foglio d’ oro, che vengono a far notabile grossezza ; secondariamente, so se ben, nel tirare e assottigliar quell’ argento, cresce in lunghezza, scema però anco tanto in grossezza, cho, compensando l’una dimen¬ sione con 1 J altra, la superficie non si agumenta tanto, che per vestir 1 ’ argento di oro, bisogni ridurlo a sottigliezza maggiore di quella delle prime foglie. Salv. Y’ingannate d’assai, Sig. Simplicio, perchè l’accrescimento della superfìcie è sudduplo dell’ allungamento, come io potrei geome¬ tricamente dimostrarvi. Sagk. Io, e per me e per il Sig. Simplicio, vi pregherei a re¬ carci tal dimostrazione, se però credete che da noi possa esser 30 capita. Salv. Vedrò se così improvisamente mi torna a memoria. Già è manifesto, che quel primo grosso cilindro d’ argento ed il filo lun¬ ghissimo tirato sono due cilindri eguali, essendo l’istesso argento ; tal 1. farsi una immensa —1-2. occorso il veder, s. Così era stato scritto anche in G ; ma il fu corretto, probabilmente da Galileo, in di. — 2. veder la maniera che —10-11. filiera, tornando ... angusti, sì che dopo, s. Così si leggeva anche in G ; iua Galileo corresse di suo pugno conforme abbiamo stampato nel testo. — 14. a voi quanta sia — 20. cresce la lun¬ ghezza — 27. dimostrare — 28. Io, per me — vm. 13 98 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE che s’io mostrerò qual proporzione abbiano tra di loro le superficie de i cilindri eguali, avoremo l’intento. Dico per tanto che: Le superficie de i cilindri eguali, trattone le basi, son tra di loro in sudduplicata proporzione delle loro lunghezze. Siano due cilindri eguali, 1’ altezze do i quali AB, CD, e sia la li¬ nea E modia proporzionale tra esse : dico, la superficie del cilin¬ dro AB, trattone lo basi, alla superficie del cilindro CD, trattone pari¬ mente lo basi, aver la medesima proporzione elio la linea AB alla linea E, che è suddupla della proporzione di AB a CD. Taglisi la parte del cilindro AB in F, e sia 1’ altezza AF eguale alla CD : e perchè io le basi de’ cilindri eguali rispoiulon contrariamente alle loro altezze, il cerchio base del cilindro CD al C cerchio base del cilindro AB sarà come l’altezza BA alla DC ; e perché i corchi son tra loro come i quadrati de i diametri, aranno dotti quadrati la me¬ desima proporziono elio la BA alla CD ; ma come BA 5_ y a CD, così il quadrato BA al quadrato della E : son dunque tali quattro quadrati proporzionali ; e però i lor lati ancora saranno proporzionali, e come la linea AB alla E, così il diametro del cerchio C al 20 diametro del cerchio A. Ma come i diamotri, così sono le circonferenze, e come le circonferenze così sono ancora le superficie de’ cilindri egualmente alti : adunque come la linea AB alla E, così la superficie del cilindro Cl) alla superficie del cilindro AF. Perchè dunque l’altezza AF alla AB sta come la superfìcie AF alla superficie AB ; e come P altezza AB alla linea E, così la superficie CD alla AF ; sarà, per la perturbata, come l’altezza AF alla E, così la superficie CD alla superficie AB : e convortendo, come la superficie del cilindro AB alla superficie del cilindro CD, così la linea E alla AF, cioè alla CD, o vero la AB alla E, elio è proporzione ao suddupla della AB alla CD : che è quello che bisognava provare. Ora, se noi applicheremo questo, che si è dimostrato, al nostro proposito, presupposto che quel cilindro d’ argento, che fu dorato 1. se io dimostrerò — 2. In Gr manca Dico per tanto che; ma dopo 2’intento orano state scritto altre parole, che furono accuratamente cancellate, com’ è probabile da Galileo, e delle quali non si distinguono più che lo prime (Ma per ptù facile dimostrazzione la fa¬ remo ...). 8. che ha la linea —15. aranno i detti — 24. alla linea E — 27. alla superficie Ai’ — 30. alla linea AF — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 9‘J mentre non era più lungo di mezzo braccio e grosso tre o quattro volte più del dito pollice, assottigliato alla finezza d’ un capello si sia allungato sino in venti mila braccia (che sarebbe anche più assai), troveremo, la sua superficie esser cresciuta dugento volte più di quello che era ; ed in consequenza quelle foglie d’ oro, che furon soprappo¬ ste dieci in numero, distese in superfìcie dugento volte maggiore, ci assicurano, P oro, che cuopre la superficie dello tante braccia di filo, restar non più grosso che la ventesima parte d’una foglia dell’ordi¬ nario oro battuto. Considerate ora voi qual sia la sua sottigliezza, e io se è possibile concepirla fatta senza una immensa distrazzione di parti, e se questa vi pare una esperienza che tenda anche ad una composizione d’infiniti indivisibili nelle materie fisiche : se ben di ciò non mancano altri più gagliardi e concludenti rincontri. Sagr. La dimostrazione mi par tanto bella, che quando non avesse forza di persuader quel primo intento per il quale è stata prodotta (clic pur mi par che ve P abbia grande), ad ogni modo benissimo si è impiegato questo breve tempo che per sentirla si è speso. Salv. Già che veggo che gustato tanto di queste geometriche di¬ mostrazioni, apportatrici di guadagni sicuri, vi dirò la compagna di 20 questa, che sodisfà ad un quesito curioso assai. Nella passata aviamo quello che accaggia de i cilindri eguali, ma diversi di altezze o vero lunghezze : è ben sentire quello che avvenga a i cilindri eguali di superficie, ma diseguali d’ altezze ; intendendo sempre delle superficie sole che gli circondano intorno, cioè non comprendendo le due basi, superiore e inferiore. Dico dunque che : l cilindri retti, le superficie de i quali, trattone le basi, Biano eguali, hanno fra di loro la medesima proporzione che le loro altezze contrariamente prese. Siano eguali le superficie de i due cilindri AE, CF, ma P altezza 30 di questo CD maggiore dell’ altezza dell’ altro AB : dico, il cilindro AE al cilindro CF aver la medesima proporzione che P altezza CD alla AB. Perchè dunque la superficie CF è eguale alla superficie AE, sarà il cilindro CF minore dell’AE, perchè se li fnsse eguale, la sua super¬ ficie, per la passata proposizione, sarebbe maggiore della superficie AE, 7. superficie di tante — 7-8. filo, non restar più grosso — 13. concludenti incontri — 20. guesito assai curioso. Nella — 21. accaggia ne i prismi e cilindri eguali, ma di diverse al¬ tezze — 22-23. a’ cilindri o prismi di superficie eguali , ma di diseguali altezze — 26. I prismi e cilindri — 100 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE A B o molto più se il medesimo cilindro CF fus.se maggiore dell’AE. Inten¬ dasi il cilindro II) eguale all’AE ; adunque, per la precedono, la super¬ ficie dui cilindro II) alla superficie dell’AE starà conio l’altezza IF alla media tra IF, AB. Ma essendo, per il dato, la superficie AE eguale alla CF, ed avendo la superficie 11) alla CF la medesima proporziono che l'altezza IF alla CI), adunque la CD è media tra le IF, AB; in oltre, essendo il cilindro 11) eguale al cilindro AE, aranno amendue la medesima proporziono al io cilindro CF: mal’li) al CFsta cornei’altezza IF alla Gl): adunque il cilindro AE al cilindro CF ara la medesima proporzione elio la linea IF alla CI), cioè che la CI) alla AB, che è l’intento. I)i qui s’intende la ragione d’un accidente che non senza maraviglia vien sentito dal po¬ polo ; cd è, come possa essere elio il medesimo pezzo di tela più lungo per un verso elio per 1’ altro, se se no facesse un sacco da tenervi dentro del grano, come si costuma fare con un fondo di tavola, terrà più servendoci per l’altezza a) D del sacco della minor misura della tela e con l’altra circondando la ta¬ vola del fondo, che facendo per l’opposito: come se, v. g., la tela per un verso fusse sei braccia e per l’altro dodici, più terrà quando conia lunghezza di dodici si circondi la tavola del fondo, restando il sacco alto braccia sci, che se si circondasse un fondo di sei braccia, aven¬ done dodici per altezza. Ora, da quello elio si è dimostrato, alla gene¬ rica notizia del capir più per quel verso clic por questo, si aggiugne la specifica e particolare scienza del quanto ci contenga più ; che è, che tanto più terrà quanto sarà più basso, o tanto mono quanto più alto : e così, nelle misure assegnate essendo la tela il doppio più lunga so che larga, cucita per la lunghezza terrà la metà manco elio per l’altro 3-4. AE sarà come — 18-19. che per un altro, chi ne facesse — 19-20. si costumano tare, 8. Cosi era stato scritto anche in G; ma poi costumano fu corretto, probabilmente da Galileo, in costuma. — 20. Dapprima in G era stato scritto servendomi, che Galileo cor¬ resse, di suo pugno, in servendosi. — 21-22. circondando l’asse del fondo — 22. V 0 }>posito, cioè facendo il sacco più alto, ma più stretto : come— 23-25. verso fosse lunga 12 braccia cper l’altro 6, più terrà il sacco che con le 12 braccia circondi la tavola del fondo, restando alto G braccia, che se circondasse — 28. ei tenga più — 29 - 30 . guanto più è alto — 31. larga, cucito per lunghezza — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 101 verso ; e parimente avendo una stuoia, per fare una bugnola, lunga venticinque braccia o larga, v. g., sette, piegata per lo lungo terrà solamente sette misure di quelle che per 1 ’ altro verso ne terrebbe venticinque. Sagù. E così con nostro gusto particolare andiamo continuamente acquistando nuove cognizioni curiose e non ignudo di utilità. Ma nel proposito toccato adesso, veramente non credo che tra quelli che mancano di qualche cognizione di geometria so ne trovassero quattro per cento che non restassero a prima giunta ingannati, che quei corpi io che da superfìcie eguali son contenuti, non fussero ancora in tutto eguali ; sì come nell’ istesso errore incorrono parlando delle superfi¬ cie, che per determinar, come spesse volte accade, delle grandezze di diverse città, intera cognizione gli par d’ averne qualunque volta sanno la quantità de i recinti di quelle, ignorando che può essere un recinto eguale a un altro, e la piazza contenuta da questo assai mag¬ giore della piazza di quello : il che accade non solamente tra le super¬ ficie irregolari, ma tra le regolari, delle quali quelle di più lati son sempre più capaci di quelle di manco lati, sì che in ultimo il cer¬ chio, come poligono di lati infiniti, è capacissimo sopra tutti gli altri 20 poligoni di cgual circuito ; di che mi ricordo averne con gusto par¬ ticolare veduta la dimostrazione studiando la Sfera del Sacrobosco con un dottissimo commentario sopra. Salv. È verissimo : ed avendo io ancora incontrato cotesto luogo, mi dette occasione di ritrovare, come con una sola e breve dimostra¬ li. incorrono anco parlando —17. regolari, tra le quali, s. Cosi era stato scritto anche in G, ma Galileo corresse di suo pugno tra le in delle .— 20-21. mi ricordo con gusto par- ticolare aver veduta — lin. 23 e seg. In luogo del tratto da Salv. È verissimo a che si doveva dimostrare (pag. 104, lin. 8) nel cod. G si eleggo, di mano del copista, il seguente brano, che fu cancellato da Galileo : Salv. È verissimo : ed avendo io ancora incontrato cotesto luogo, mi dette occasione di ritrovare, come con una sola c breve dimostrazzione si concluda, il cerchio esser maggiore di tutte le figure regolari isopcrimetre. Saoh. Ed io, che sento tanto diletto in certe dimostrazioni e proposizioni scelte e non tri¬ viali, importunandovi vi prego che me ne faciate [sic] partecipe, e massime essendo (secondo che dite) breve. Salv. In pochissime parole mi spedisco. Siano il cerchio A ed il poligono regolare lì isoperimetri : dico, il cerchio esser maggiore del poligono . Intendasi , intorno al cerchio esser descritto un p>oligono simile al B, e dal contatto d 7 uno de 9 suoi lati sia tirato il semidiame¬ tro AC: è manifesto, il cerchio A esser eguale al triangolo rettangolo , de 7 lati del quale che sono intorno all 7 angolo retto, uno sia eguale alla circonferenza, e V altro al semidiametro AC: 102 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE alone si concluda, il cerchio esser maggiore di tutto le figure regolari isoperimetre; e, dell’altro, quello di più lati, maggiori di quelle di manco. Saqr. Ed io, che sento tanto diletto in corte proposizioni e dimo¬ strazioni scelte o non triviali, importunandovi vi prego elio me ne facciate partecipe. Salv. In brevi parole vi spedisco, dimostrando il seguente teo¬ rema, cioò : Il cerchio ò medio proporzionalo tra qualsivogliuo due poligoni regolari tra di loro simili, do i quali uno gli sia circoscritto e l’altro gli sia isoperimetro. In oltre, essendo egli minore di tutti io i circoscritti, ò all’ incontro massimo di tutti gl’ isoperimetri. De i medesimi poi circoscritti, quelli elio hanno più angoli son minori di quelli che ne hanno manco ; ma all’ incontro, de gl’ isoperimetri quelli di più angoli son maggiori. Delli duo poligoni simili A, B sia l’A circoscritto al cerchio A, e 1’ altro B ad esso cerchio sia isoperimetro : dico, il cerchio esser medio proporzionale tra essi. Imperò elio (tirato il semidiametro AC), essendo il cerchio eguale a quel triangolo rettangolo, do i lati del quale che sono intorno all’ angolo retto, uno sia eguale al seniidiamotro AC e 1’ altro alla circonferenza ; e simihnento essendo il poligono A eguale » ma il poligono circoscritto esso ancora è eguale al triangolo rettangolo che intorno alVangolo retto abbia un lato eguale al suo perimetro , e V altro al semidiametro medesimo AC: adunque il poligono circonscritto ha al cerchio la medesima proporzione che il suo perimetro alla cir conferma del cerchio, cioè al perimetro del poligono B, che si pone eguale alla detta circonferenza. Ma il circonscritto al suo simile poligono B ha doppia proporzione di quella che ha il suo perimetro al perimetro del poligono B; adunque il cerchio è proporzionale di mezzo tra li due poligoni: ma il poligono circonscritto è maggiore del cerchio: adunque il cerchio è maggior del poligono B. A questo brano cancellato Galileo sostituì, sempre nel coti. G, su di una carta ag¬ giunta e scritta tutta di suo pugno, una seconda stesura, elio differisco da quella della stampa soltanto per le seguenti varianti : pag. 101, lin. 23 — pag. 102, lin. 3, cotesto luogo, e parendomi che il tutto assai più succintamente si potesse dimostrare, sotto una sola dimostra* sione lo ridussi, con illazioni molto da quelle differenti. Saoh Ed io, che sento; pag. 102, lin. 4 , scicllc; lin. 7-8, cioè che: Il cerchio; lin. 11, tutti i suoi isoperimetri ; lin. 1G, l'altro B al medesimo cerchio; lin. 1G—17, esser tra essi medio proporzionale. Imperò che ; lin. 20, alla sua circonferenza ; e similmente essendo il poligono circoscritto eguale ; pag. 103, lin. 2-4, al perime¬ tro suo medesimo; è manifesto; lin. 12, al poligono B ha duplicata proporzione ; lin. 15, maggiore dell 7 inscritto cerchio A ; lin. 15-16, cerchio esser; lin. 16, tn conseguenza ; lin. 17, poligoni suoi; lin. 20, ma alV incontro ; lin. 23, pongasi AD esser, per esempio, la metà ; lin. 25, e, centro 0, con l’intervallo; pag. 104, lin. 1-2, pentagono isoperimetro; lin. 2-3, ettagono; mentre si è provato ; lin. 7-8, ettagono: il che bisognava dimostrare. S’avverta ancora che a pag. 103, lin. 35, l’edizione originalo logge Intcndosi, corretto, nella Tavola de gli errori della stampa la quale è appiò dell’ edizione stessa, in Intendasi, e che noi abbiamo rettificato, conforme alla stesura autografa, in InUndansi. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 103 al triangolo rettangolo, che intorno all’ angolo retto ha uno de i lati eguale alla medesima retta AC, e 1’ altro al perimetro del medesimo poligono; è mani¬ festo, il circoscrit¬ to poligono aver al cerchio la me¬ desima proporzio¬ ne che ha il suo perimetro alla cir- 10 conferenza di esso cerchio, cioè al perimetro del poligono B, che alla circonferenza detta si pone eguale : ma il poligono A al B ha doppia proporzione che ’l suo perimetro al perimetro di B (essendo figuro simili) : adunque il cerchio A è medio proporzionale tra i due poligoni A, B. Ed essendo il poligono A maggior del cerchio A, è manifesto, esso corchio A esser maggiore del poligono B, suo isoperimetro, ed in consequenza massimo di tutti i poligoni regolari suoi isoperimetri. Quanto all’ altra parte, cioè di provare che de i poligoni circo- scritti al medesimo cerchio, quello di manco lati sia maggior di 20 quello di più lati ; ma che all’ incontro, de i poligoni isoperimetri quello di più lati sia maggiore di quello di manco lati ; dimostre¬ remo così. Nel cerchio, il cui centro 0, semidiametro OA, sia la tan¬ gente AD, ed in essa pongasi, per esempio, AD esser la metà del lato del pentagono circoscritto, ed AC metà del lato dell’ ettagono, e tirinsi le retto OGC, OFD, e, centro 0, intervallo OC, descrivasi 1’ arco ECI. E perchè il triangolo DOC è maggiore del settore E OC, e ’l settore COI maggiore del triangolo COA, maggior proporzione arà il trian¬ golo DOC al triangolo COA, che ’l settore EOC al settore COI, cioè che ’l settore FOO al settore GOÀ ; e componendo e permutando, il so triangolo DOA al settore FOA arà maggior proporzione che il trian¬ golo COA al settore GOA, e dieci triangoli DOA a dieci settori FOA aranno maggior proporzione che quattordici triangoli COA a quat¬ tordici settori GOA, cioè il pentagono circoscritto arà maggior pro¬ porzione al cerchio che non gli ha 1’ ettagono ; e però il pentagono sarà maggior dell’ettagono. Intendansi ora un ettagono ed un pen¬ tagono isoperimetri al medesimo cerchio : dico, 1’ ettagono esser maggior del pentagono. Imperò che, essendo l’istesso cerchio medio I 104 DISCORSI B DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE proporzionalo tra ’l pentagono circoscritto o 1 pentagono suo isopo- rimetro, e parimente medio tra ’l circoscritto o l’isoperiinetro etta¬ gono; essendosi provato, il circoscritto pentagono esser maggiore del circoscritto ettagono ; avrà osso pentagono maggior proporzione al cerchio che Y ettagono, cioè il cerchio ara maggior proporzione al suo isoperimetro pentagono che all’ isoperiinetro ottagono : adun¬ que il pentagono è minoro dell’ isoperimetro ettagono : che si doveva dimostrare. Sagr. Gentilissima dimostrazione e molto acuta'”. Ma dove siamo trascorsi a ingolfarci nella geometria ? mentre oramo su ’l conside- io raro le difficoltà promosse dal Sig. Simplicio, che veramente son di gran considerazione ; ed in particolare quella della condensazione mi par durissima. Salv. Se la condensazione o la rarefazziono son moti opposti, dove si vegga una immensa rarefazziono, non si potrà negare una non men grandissima condensazione ; ma rarefazzioni immense, e, quel che ac¬ cresce la maraviglia, quasi che momentaneo, lo voggiamo noi tutto ’l giorno. E quale sterminata rarefazziono ò quella di una poca quan¬ tità di polvere d’ artiglieria, risoluta in una mole vastissima di fuoco ? e quale, oltre a questa, l’espansione, direi quasi senza termine, della20 sua luce ? E se quel fuoco e questo lume si riunissero insieme, che pur non è impossibile, poiché dianzi stettero dentro quel piccolo spazio, qual condensamento sarebbe questo? Voi, discorrendo, tro¬ verete mille di tali rarefazzioni, che sono molto più in pronto ad esser osservate che le condensazioni, perchè lo materie dense son più trattabili e sottoposte a i nostri sensi, elio ben maneggiamo le legne 9. dimostrazzione. Ma dove —12-13. condensazione, che mi par —1 1. e rarefazione — 1G-17. che i)iìi accresce — 20. quale b, oltre — 25. In (ì il copista scrisse pcrchb ìe materie dure son ; Galileo aggiunse (li suo pugno e dense dopo dure. — (,) Dopo c motto acuta Galileo aggiunse quale parliamo noli’ Avvortimento, quauto all’ edizione originale, sull’ esemplare del appresso : e che ritiene una quasi contradizion nel primo aspetto ; poiché la ca¬ gione dell’ esser il poligono di più lati maggior del suo isoperimetro di manco lati, proviene dall’ esser il circonscritto di più lati minor del circonscritto di manco lati. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 105 o le vediamo risolvere in fuoco e in luce, ma non così vergiamo il fuoco e ’l lume condensarsi a costituire il legno ; veggiamo i frutti, i fiori e mille altre solide materie risolversi in gran parte in odori, ma non così osserviamo gli atomi odorosi concorrere alla costituzione de i solidi odorati. Ma dove manca la sensata osservazione, si deve supplir col discorso, che basterà per farci capaci non men del moto alla rarefazzione e resoluzione de i solidi, che alla condensazione delle sustanze tenui e rarissime. In oltre, noi trattiamo come si possa fal¬ la condensazione e rarefazzione de i corpi che si possono rarefare e io condensare, specolando in qual maniera ciò possa esser fatto senza T introduzzion del vacuo e della penetrazione de i corpi ; il che non esclude che in natura possano esser materie che non ammettono tali accidenti, ed in conseguenza non danno luogo a quelli che voi chia¬ mate inconvenienti e impossibili. E finalmente, Sig. Simplicio, io, in grazia di voi altri, Signori filosofi, mi sono affaticato in spècolare come si possa intendere, farsi la condensazione e la rarefazzione senza ammetter la penetrazione do i corpi e l’introduzzione de gli spazii vacui, effetti da voi negati ed aborriti ; che quando voi gli voleste concedere, io non vi sarei così duro contradittore. Però, o ammettete 20 questi inconvenienti, o gradite le mie specolazioni, o trovatene di più aggiustate. Sacir. Alla negativa della penetrazione son io del tutto con i filo¬ sofi peripatetici. A quella del vacuo vorrei sentir ben ponderare la dimostrazione d’Aliatotele, con la quale ei l’impugna, e quello che voi, Sig. Salviati, gli opponete. Il Sig. Simplicio mi farà grazia di arrecar puntualmente la prova del Filosofo, e voi, Sig. Salviati, la risposta. Simp. Aristotele, per quanto mi sovviene, insurge contro alcuni antichi, i quali introducevano il vacuo come necessario per il moto, 30 dicendo che questo senza quello non si potrebbe fare. A questo con¬ trapponendosi Aristotele, dimostra che, all’ opposito, il farsi (come veggiamo) il moto distrugge la posizione del vacuo ; e ’l suo pro¬ gresso è tale. Fa due supposizioni : 1’ una è di mobili diversi in gra¬ vità, mossi nel medesimo mezzo ; 1’ altra è dell’ istesso mobile mosso 1-2. il fuoco, il lume — 2-3. i frutti, e' fiori — G-7. moto della rarefazione ... solidi, che della condensazione —12. tintura possono esser... non umettano [sic] tali —17. introduzzione di spazii — 23. sentir ponderar Itene la — vili. 14 106 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE in diversi mezzi. Quanto al primo, suppone che mobili diversi in gra¬ vità si muovano nell’ istesso mezzo con disegnali velocità, le quali mantengano tra di loro la medesima proporzione che le gravità ; sì che, per esempio, un mobile dieci volte più grave di un altro si muova dieci volte più velocemente. Nell’ altra posizione piglia che le velo¬ cità del medesimo mobile in diversi mezzi ritengano tra di loro la proporzione contraria di quella che hanno lo grossezze o densità di essi mezzi ; talmente che, posto, v. g., che la crassizie dell’ acqua fusse dieci volte maggiore di quella dell’ aria, vuole che la velocità nell’aria sia dieci volte più che la velocità nell’acqua. E da questo io secondo supposto trae la dimostrazione in cotal forma : Perchè la tenuità del vacuo snpora d’infinito intervallo la corpulenza, ben che sottilissima, di qualsivoglia mezzo pieno, ogni mobile che nel mezzo pieno si movesse per qualche spazio in qualche tempo, nel vacuo do¬ vrebbe muoversi in uno instante ; ma farsi moto in uno instante è impossibile ; adunque darsi il vacuo in grazia del moto è impossibile, Sat.v. L’ argomento si vede che è ad hominetn, cioè contro a quelli che volevano il vacuo come necessario per il moto : che se io con¬ cederò P argomento come concludente, concedendo insieme che nel vacuo non si farebbe il moto, la posizion del vacuo, assolutamente so presa e non in relaziono al moto, non vien destrutta. Ma per dire quel che per avventura potrebber rispondere quegli antichi, acciò meglio si scorga quanto concluda la dimostrazione d’Aristotele, mi par che si potrebbe andar contro a gli assunti di quello, negandogli amendue. E quanto al primo, io grandemente dubito che Aristotele non sperimentasse mai quanto sia vero che due pietre, una più grave dell’ altra dieci volte, lasciate nel medesimo instante cader da un’ al¬ tezza, v. g., di cento braccia, fusser talmente differenti nelle lor velo¬ cità, che all’ arrivo della maggior in terra, l’altra si trovasse non avere nè anco sceso dieci braccia. ® Simv. Si vede pure dalle sue parole eli’ ei mostra d’ averlo speri¬ mentato, perchè ei dice : Veggiaino il più grave ; or quel vedersi ac¬ cenna 1’ averne fatta P espexùenza. Sauk. Ma io, Sig. Simplicio, che n’ lio fatto la prova, vi assicuro 16. darsi vacuo — 20. farebbe moto — 24. contro gli — 27. In G il copista scrisse lasciali in medesimo, che Galileo corresse di sua mano iu lasciale in un medesimo. — 32. grave etc.; or — 33. V aver fatta — 31. ne lui fatta la — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 107 che una palla d’ artiglieria, che pesi cento, dugento e anco più lib¬ bre, non anticiperà di un palmo solamente l’arrivo in terra della palla d’ un moschetto, che ne pesi una mezza, venendo anco dall’ al¬ tezza di dugento braccia. Salv. Ma, senz’ altre esperienze, con breve e concludente dimo¬ strazione possiamo chiaramente provare, non esser vero che un mobile più grave si muova più velocemente d’ un altro men grave, inten¬ dendo di mobili dell’ istessa materia, ed in somma di quelli de i quali parla Aristotele. Però ditemi, Sig. Simplicio, se voi ammettete che di io ciascheduno corpo grave cadente sia una da natura determinata ve¬ locità, sì che accrescergliela o diminuirgliela non si possa se non con usargli violenza o opporgli qualche impedimento. Simp. Non si può dubitare cho l’istesso mobile nell’ istesso mezzo abbia una statuita e da natura determinata velocità, la quale non se gli possa accrescere se non con nuovo impeto conferitogli, o dimi¬ nuirgliela salvo che con qualche impedimento che lo ritardi. Salv. Quando dunque noi avessimo due mobili, le naturali velocità de i quali fussero ineguali, è manifesto che se noi congiugnessimo il più tardo col più veloce, questo dal più tardo sarebbe in parto 20 ritardato, ed il tardo in parte velocitato dall’ altro più veloce. Non concorrete voi meco in quest’ opinione ? Sibif. Panni che così debba indubitabilmente seguire. Salv. Ma se questo è, ed è insieme vero che una pietra grande si muova, per esempio, con otto gradi di velocità, ed una minore con quattro, adunque, congiugnendole amendue insieme, il composto di loro si moverà con velocità minore di otto gradi : ma le due pietre, congiunte insieme, fanno una pietra maggiore che quella prima, che si moveva con otto gradi di velocità : adunque questa mag¬ giore si muove men velocemente che la minore (,! ; che è contro alla 7-8. intendendo de mobili — 11. si che V accrescer gliela, s. In G era stato scritto dal co¬ pista si clic accelerargliela , e Galileo corresse di suo pugno accelerargliela in accrescicigliela .— 19-20. In G era staio scritto dal copista: questo sarebbe in parte ritardato dal piti, lardo, ed il medesimo in parte velocitato dal più veloce . Galileo aggiunse, di suo pugno, veloce dopo questo, e corresse medesimo in più tardo . — (1) In luogo di adunque questa maggiore le, Galileo, sull’ esemplare di questa odi¬ si muove men velocemente che la minore, che zione del quale parliamo nell 1 Avvertimento, si legge nel cod. G e nell’ edizione origina- sostituì : ao adunque questo composto (clxe pure è maggiore che quella prima sola) si muoverà più tardamente che la prima sola, che è minore. 108 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE vostra supposizione. Vedete dunque corno dal suppor che ’1 mobile più gravo si muova più velocemente del men gravo, io vi concludo, il più gravo muoversi men velocemente. Simp. Io mi trovo avviluppato, perchè mi par pure che la pietra minoro aggiunta alla maggioro le aggiunga peso, e, aggiugnendole peso, non so corno non debba aggiugnorle velocità, o almeno non diminuirgliela. Salv. Qui commettete un altro errore, Sig. Simplicio, perchè non è vero elio quella minor pietra accresca peso alla maggiore. Simp. Oh, questo passa bene ogni mio concetto. 10 Salv. Non lo passerà altrimente, fatto eh’ io v’ abbia accorto del- V equivoco nel quale voi andato fluttuando : però avvertite che biso¬ gna distinguere i gravi posti in moto da i medesimi costituiti in quiete. Una gran pietra messa nella bilancia non solamente acquista peso maggiore col soprapporgli un’ altra pietra, ma anco la giunta di un pennecchio di stoppa la farà pesar più quello sei o dieci once elio peserà la stoppa ; ma so voi lascereto liberamente cader da un’altezza la pietra legata con la stoppa, credete voi elio nel moto la stoppa graviti sopra la pietra, onde gli debba accelerar il suo moto, o pur credete che ella la ritarderà, sostenendola in parto ? Sentiamo gra-20 vitarci su le spalle mentre vogliamo opporci al moto che farebbe quel peso che ci sta addosso ; ma so noi scendessimo con quella velo¬ cità che quel tal grave naturalmente scenderebbe, in elio modo volete che ci prema 0 graviti sopra? Non vedete elio questo sarebbe un voler ferir con la lancia colui elio vi corre innanzi con tanta velo¬ cità, con quanta o con maggioro di quella con la quale voi lo se¬ guite? Concludete pertanto che nella libera e naturalo caduta la minor pietra non gravita sopra la maggiore, ed in cousoquenza non le accresce peso, corno fa nella quioto. Simi*. Ma chi posasse la maggior sopra la minoro ? 50 5-6. Nell’edizione originalo era stato stampato maggiore gli aggiunga ... aggitignen- dogli ... aggiugnerli ; 0 nella Tavola ile gli errori della stampa, che è in fine dell’edizione stessa, gli fu corretto, queste tre volte, in le. Non cosi invece a lin. 15 (soprapporgli ), 0 altrove. In G si legge maggiore gli aggiunga ... aggiungendoli ... aggiungerli. — 9. pietra aggiunga peso — 13. medesimi posti in — 14. Una pietra, s. Così era stato scritto anche in G; ma Gai.ii.eo aggiunso, di suo pugno, gran. — 15-16. anco l’aggiunta d’un — 16. quelle 8 o 10 oncie 26-27. voi la [sic] seguitate? Concludete — 29. 1.’edizione originale ha gli accresce e, a pag. 109, lin. 1, Gli accrescerebbe, e nella Tavola de gli errori della stampa ò indicato, per tutt’e due i luoghi, di correggere gli in le. In G si legge gli accresce e Gli accrescerebbe, e nel primo passo gli è aggiunto di mano di Galileo stesso. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 109 Salv. Le accrescerebbe peso, quando il suo moto fosse più veloce : ma già si è concluso che quando la minore fosse più tarda, ritar¬ derebbe in parte la velocità della maggiore, tal che il lor composto si moverebbe men veloce, essendo maggiore dell’ altra ; che è contro al vostro assunto. Concludiamo per ciò, che i mobili grandi e i pic¬ coli ancora, essendo della medesima gravità in spezie, si muovono con pari velocità. Simp. 11 vostro discorso procedo benissimo veramente : tuttavia mi par duro a credere che una lagrima di piombo si abbia a muover io così veloce come una palla d’ artiglieria. Salv. Voi dovevi dire, un grano di rena come una macina da guado. 10 non vorrei, Sig. Simplicio, che voi faceste come molt’ altri fanno, che, divertendo il discorso dal principale intento, vi attaccaste a un mio detto che mancasse dal vero quant’ è un capello, e che sotto que¬ sto capello voleste nasconder un difetto d’un altro, grande quant’ una gomona da nave. Aristotele dice: « Una palla di ferro di cento libbre, cadendo dall’ altezza di cento braccia, arriva in terra prima che una di una libbra sia scesa un sol braccio » ; io dico eh’ eli’ arrivano nel- P istesso tempo ; voi trovate, nel farne l’esperienza, che la maggiore 20 anticipa due dita la minore, cioè elio quando la grande percuote in terra, l’altra ne è lontana due dita : ora vorreste dopo queste due dita appiattare le novantanove braccia d’Aristotele, e parlando solo del mio minimo errore, metter sotto silenzio 1’ altro massimo. Aristotele pronunzia che mobili di diversa gravità nel medesimo mezzo si muo¬ vono (per quanto depende dalla gravità) con velocitadi proporzionate a i pesi loro, e 1’ esemplifica con mobili ne i quali si possa scorgere 11 puro ed assoluto effetto del peso, lasciando 1’ altre considerazioni sì delle figure come de i minimi momenti, le quali cose grande alte¬ razione ricevono dal mezzo, che altera il semplice effetto della sola 30 gravità : che perciò si vede 1’ oro, gravissimo sopra tutte 1’ altre ma¬ terie, ridotto in una sottilissima foglia andar vagando per aria ; l’istesso fanno i sassi pestati in sottilissima polvere. Ma se voi volete mantenere la proposizione universale, bisogna che voi mostriate, la 4-5. contro ’l vostro —11. grano d’arena come —12. come alcuni altri fanno, s. In G ora stato scritto come altri fanno, o Galileo aggiunse di suo pugno molV. — 18-19. io dico che le arivano [sic] in un istesso — 19. nel farne V esperienza manca nella stampa. In G è stato aggiunto di mano di Galileo. — 21. dita : voi ora, s. In G si leggeva pure così, ma voi fu cancellato, probabilmente da Galileo. — ora vorrete doppo queste — 30-31. tutte le materie — 110 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATKMATICHE proporzione dello velociti! osservarsi in tutti i gravi, e che un sasso di venti libbre si muova dieci volte più veloce elio uno di due; il che vi dico esser falso, e che, cadendo dall’ altezza di cinquanta o cento braccia, arrivano in terra nell’ istesso momento. Simp. Forse da grandissime altezze di migliaia di braccia segui¬ rebbe quello che in queste altezze minori non si vede accadere. Salv. Se Aristotele avesse inteso questo, voi gli addossereste un altro errore, che sarebbe una bugia ; perchè, non si trovando in terra tali altezze perpendicolari, chiara cosa è che Aristotele non ne poteva aver fatta esperienza : e pur ci vuol persuadere d’ averla fatta, men- io tre dice che tale effetto si vede. SiMr. Aristotolo veramente non si sorve di questo principio, ma di quell’ altro, che non credo elio patisca queste difficoltà. Sai.y. E 1’ altro ancora non è men falso di questo ; o mi maravi¬ glio che per voi stesso non penetriate la fallacia, e che non v’ accor- gliiate che quando fusse vero elio l’istesso mobile in mezzi di diffe¬ rente sottilità e rarità, ed in somma di diversa cedenza, quali, per esempio, son 1’ acqua o 1’ aria, si movesse con velocità nell’ aria mag¬ giore che nell’ acqua secondo la proporzione della rarità dell’ aria a quella dell’ acqua, ne seguirebbe che ogni mobile che scendesse per ai aria, scenderebbe anco nell’ acqua : il che ò tanto falso, quanto che moltissimi corpi scendono nell’ aria, che nell’ acqua non pur non de¬ scendono, ma sormontano all’ in su. Smr. Io non intendo la necessità della vostra consequenza ; e più dirò che Aristotele parla di quei mobili gravi che descondono nel- 1’ un mezzo e nell’ altro, e non di quelli che scendono noli’ aria, e nel- 1’ acqua vanno all’ in su. Salv. Voi arrecate per il Filosofo di quello difese che egli asso¬ lutamente non produrrebbe, per non aggravar il primo errore. Però 7. Il cod. G legge : Sur. Se Aristotile avesse inteso questo, voi gli addossereste 2 diri errori; ed io di 3 gliene levo 2, perche veramente non gli commette. L’uno de i 2 sarebbe una bugia; perche ecc., come nella stampa (lin. 8 e seg.) ; o dopo ri vede (lin. 11) aggiunge: L’altro errore sarebbe che, introducendo egli queste considerazioni di proporzioni di velocità, chs acuiscano ne i mezi pieni, per venir poi a mostrar Vinconveniente che seguirebbe dal mantenerli nc ? mezzi vacui) non si trovando quelle fuorché ne t mezzi di smisurate profondità di migliaia di braccia, non potrebbe concluder altro se non che sìmili immensi sparii vacui non si trovano in natuia o almeno non si trovano dove i gravi hanno per costume di moversi ; conclusione cht gh sarebbe, per quanto stimo, conceduta da % filosofi antichi ed anco da i moderni ; dopo di cho seguita, come nella stampa (lin. 12) : Simp. Aristotele veramente ecc. — 10. aver fatto espi* rienza — 22. scendono per V aria — INTORNO A BUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 111 ditemi se la corpulenza dell’ acqua, o quel die si sia die ritarda il moto, ha qualche proporzione alla corpulenza dell’ aria, che meno lo ritarda ; ed avendola, assegnatela a vostro beneplacito. Siili’. Ilalla, e ponghiamo ch’ella sia in proporzione decupla; e che però la velocità di un grave che descenda in amendue gli ele¬ menti, sarà dieci volte più tardo nell’ acqua che nell’ aria. Sai.v. Piglio adesso un di quei gravi che vanno in giù nell’ aria, ma nell’ acqua no, qual sarebbe una palla di legno, e vi domando che voi gli assegniate qual velocità più vi piace, mentre scende io per aria. Simp. Ponghiamo che ella si muova con venti gradi di velocità. Sai.v. Benissimo. Ed ò manifesto che tal velocità a qualche altra minore può aver la medesima proporzione che la corpulenza del¬ l’acqua a quella dell’aria, e clic questa sarà la velocità di due soli gradi ; tal che veramente, a filo e a dirittura, conforme all’ assunto d’Aristotele, si doverebbe concludere che la palla di legno, che nel- P aria, dieci volte più cedente dell’ acqua, si muove scendendo con venti gradi di velocità, nell’ acqua dovrebbe scendere con due, e non venir a galla dal fondo, come fa : se già voi non voleste dire che 20 nell’ acqua il venir ad alto, nel legno, sia l’istesso che ’l calare a basso con due gradi di velocità ; il che non credo. Ma già che la palla del legno non cala al fondo, credo pure che mi concederete che qualche altra palla d’ altra materia, diversa dal legno, si potrebbe trovare, che nell’ acqua scendesse con due gradi di velocità. Simp. Potrebbesi senza dubbio, ma di materia notabilmente più grave del legno. Sai.v. Questo è quel eh’ io vo cercando. Ma questa seconda palla, che nell’ acqua descende con due gradi di velocità, con quanta velocità descenderà nell’ aria ? Bisogna (se volete servar la regola d’Aristotele) so che rispondiate che si moverà con venti gradi : ma venti gradi di velocità avete voi medesimo assegnati alla palla di legno : adunque questa e 1’ altra assai più grave si moveranno per 1’ aria con egual velocità. Or come accorda il Filosofo questa conclusione con 1’ altra sua, che i mobili di diversa gravità nel medesimo mezzo si muovano con diverse velocità, e diverse tanto quanto le gravità loro ? Ma senza molto profonde contemplazioni, come avete voi fatto a non 4. che la sia — 5. che descende in — 7. S*lv. Pigliamo adeso [sic] — 34. si muovono — 112 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE osservar accidenti frequentissimi o palpabilissimi, e non badare a due corpi che nell’ acqua si moveranno 1’ uno cento volte più velocemente dell’ altro, ma che nell’ aria poi quel più veloce non supererà l’altro di un sol centesimo? come, per esempio, un uovo di marmo scen¬ derà nell’ acqua cento volte più presto che alcuno di gallina, elle per 1’ aria nell’ altezza di venti braccia non 1’ anticiperà di quattro dita ; ed in somma tal grave andrà al fondo in tre ore in dieci brac¬ cia d’ acqua, elio in aria le passerà in una battuta o duo di polso, o tale (come sarebbe una palla di piombo) lo passerà in tempo facil¬ mente men che doppio 0 ’. E qui so ben, Sig. Simplicio, che voi coni-io prendete che non ci ha luogo distinzione o risposta veruna. Conclu¬ diamo per tanto, che tale argomento non conclude nulla contro al vacuo ; e quando concludesse, distruggerebbe solamente gli spazii notabilmente grandi, quali nò io nè credo che quelli antichi suppo¬ nessero naturalmente darsi, se ben forse con violenza si possan fare, come par che da varie esperienze si raccolga, le quali troppo lungo sarebbe il voler al presente arrecare. Sagù. Vedendo che il Sig. Simplicio tace, piglierò io campo di dire alcuna cosa. Già che assai apertamente avete dimostrato, come non è altrimenti vero che mobili diseguai mente gravi si muovano nel 20 medesimo mezzo con velocità proporzionate allo gravità loro, ma con eguale, intendendo de i gravi dell’ istessa materia o vero dell’ istessa gravità in specie, ma non già (come credo) di gravità differenti in specie (perchè non penso che voi intendiate di concluderci eh’una 1. osservare ccrli accidenti frequentissimi , c non badare — 5. che alcuni di — 12. per tanto, tale argomento non coìicluder nulla — (,) In luogo di c tale (come sarebbe una zione originalo, Galileo, sull’esemplare di palla di piombo) le passerà in tempo facilmente questa del quale parliamo nell’ Avvertimento, mcn che doppio , die si legge in G c nelPedi- sostituì: dalla quale esperienza seguirebbe che la densità dell’ acqua superasse a più di mille doppi quella dell’aria: ed all’incontro, un altro corpo (qual sarebbe una palla di piombo) passerà nell’ acqua le medesime 10 braccia in tempo per avventura poco più che doppio del tempo nel quale passerà altrettanto spazio por 1’ aria ; talché da questa se¬ conda esperienza si dovrebbe concludere che la densità dell’ acqua » fosse poco più che doppia di quella dell’ aria. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 113 palla di sughero si muova con pari velocità di’ una di piombo) ; ed avendo, di più, dimostrato molto chiaramente, come non è vero che ’l medesimo mobile in mezzi di diverse resistenze ritenga nelle velocità e tardità sue la medesima proporzione che le resistenze; a me sa¬ rebbe cosa gratissima il sentire, quali siano le proporzioni che nel- p un caso e nell’ altro vengono osservate. Sai.v. I quesiti son belli, ed io ci ho molte volte pensato : vi dirò il discorso fattoci attorno, e quello che ne ho in ultimo ritratto. Dopo essermi certificato, non esser vero che il medesimo mobile in mezzi io di diversa resistenza osservi nella velocità la proporzione delle ce¬ denze di essi mezzi ; nè meno che nel medesimo mezzo mobili di diversa gravità ritengano nelle velocità loro la proporzione di esse gravità (intendendo anco delle gravità diverse in specie) ; cominciai a comporre insieme amendue questi accidenti, avvertendo quello che accadesse de i mobili differenti di gravità posti in mezzi di diverse resistenze : e in’ accorsi, le disegualità delle velocità trovarsi tuttavia maggiori ne i mezzi più resistenti che ne i più cedenti, e ciò con diversità tali, che di due mobili che scendendo per aria pochissimo differiranno in velocità di moto, nell’ acqua l’uno si moverà dieci 20 volte più veloce dell’ altro ; anzi che tale che nell’ aria velocemente descende, nell’ acqua non solo non scenderà, ma resterà del tutto privo di moto, e, quel che è più, si moverà all’ in su : perchè si potrà tal volta trovare qualche sorte di legno, o qualche nodo o radica di quello, che nell’ acqua potrà stare in quiete, che nell’ aria veloce¬ mente descenderà. Sagù. Io più volte mi son messo con una estrema flemma per veder di ridurre una palla di cera, che per sè stessa non va a fondo, con 1 ’ aggiugnergli grani di rena, a segno tale di gravità simile all’ acqua, che nel mezzo di quella si fermasse ; nè mai, per diligenza usata, mi so successe il poterlo conseguire : onde non so se altra materia solida si ritrovi tanto naturalmente simile in gravità all’ acqua, che, posta in essa, iu ogni luogo potesse fermarsi. Salv. Sono in questo, come in mille altre operazioni, assai più diligenti molti animali, che non siamo noi altri. E nel vostro caso i pesci vi arebber potuto porger qualche documento, essendo in que¬ sto esercizio così dotti, che ad arbitrio loro si equilibrano non solo 23 . o radice di — 114 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE con un’ acqua, ma con differenti notabilmente o per propria natura o per una sopravvenente torbida o per salsedine, che fa differenza assai grande ; si equilibrano, dico, tanto esattamente, che senza punto muoversi restano in quiete in ogni luogo ; o ciò, per mio credere, fanno eglino servendosi dello strumento datogli dalla natura a cotal fino, cioè di quella vescichetta che hanno in corpo, la quale per uno assai augusto meato risponde alla lor bocca, o per quello a posta loro o mandano fuori parte dell’ aria che in dette vesciche si con¬ tiene, o, venendo col nuoto a galla, altra ne attraggono, rendendosi con tale arto or più or meno gravi dell’ acqua, ed a lor beneplacito io equilibrali dosogli. Sagù. Io con un altro artifizio ingannai alcuni amici, appresso i quali mi ero vantato di ridurre quella palla di cera al giusto equi¬ librio con 1’ acqua ; ed avendo messo nel fondo del vaso una parto di acqua salata, e sopra quella della dolco, mostrai loro la palla che a mezz’ acqua si fermava, e spinta nel fondo o sospinta ad alto nò in questo nò in quel sito restava, ma ritornava nel mezzo. Salv. Non è cotesta esperienza priva di utilità : perchè trattan¬ dosi da i medici in particolare delle diverse qualità di acque, e tra F altre principalmente della leggerezza o gravità più di questa che 20 di quella, con una simil palla, aggiustata si che resti ambigua, per così dire, tra lo scendere e ’l salire in un’ acqua, per minima che sia la differenza di peso tra due acque, se, in una, tal palla scenderà, nell’ altra, che sia più grave, salirà; ed è talmente esatta cotale espe¬ rienza, che la giunta di due grani di sale solamente, che si mettino in sei libbre d’ acqua, farà risalire dal fondo alla superficie quella palla che vi era pur allora scesa. E più vi voglio dire, in conferma¬ zione dell’ esattezza di questa esperienza ed insieme per chiara prova della nulla resistenza dell’ acqua all’ esser divisa, che non solamente l’ingravida, con la mistione di qualcho materia più grave di lei,» induce tanto notabil differenza, ma il riscaldarla o raffreddarla un poco produce il medesimo effetto, e con sì sottile operazione, che F infonder quattro gocciolo d’ altra acqua un poco più calda 0 un poco più fredda delle sei libbre, farà che la palla vi scenda 0 vi sor¬ ti. venendo con nuoto — 12. con altro — 14. messo in fondo — 1G. fondo e sospinta - 23. se in una tale la palla — 25. che l’aggiunta di 2 grani solamente di sale, che — 23. ed insieme insieme per — 31. o ’l raffredarla [sic] — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 115 monti : vi scenderà infondendovi la calda, e monterà per l’infusione della fredda. Or vedete quanto s’ingannino quei filosofi che voglion metter nell’ acqua viscosità o altra congiunzione di parti, che la fac¬ ciano resistente alla divisione e penetrazione. Sagb. Yeddi molto concludenti discorsi intorno a questo argomento in un trattato del nostro Accademico : tuttavia mi resta un gagliardo scrupolo, il quale non so rimuovere ; perche se nulla di tenacità e coerenza risiede tra le parti dell’ acqua, come possono sostenei’si assai grandi pezzi e molto rilevati, in particolare sopra le foglie de i ca¬ lo voli, senza spargersi o spianarsi ? Sai.v. Ancor che vero sia che colui che ha dalla sua la conclu¬ sione vera, possa risolvere tutte l’instanze che vengono opposto in contrario, non però mi arroghcrci io il poter ciò fare ; nè la mia impotenza deve denigrare la candidezza della verità. Io, primiera¬ mente, vi confesso che non so come vadia il negozio del- sostenersi quei globi d’acqua assai rilevati e grandi, se bene io so di certo che da tenacità interna, che sia tra le sue parti, ciò non deriva ; onde resta necessario che la cagione di cotal effetto risegga fuori. Che ella non sia interna, oltre all’esperienze mostrate ve lo posso confermare 20 con un’ altra efficacissima. So le parti di quell’ acqua che, rilevata, si sostiene mentre è circondata dall’ aria, avessero cagione interna per ciò fare, molto più si sosterrebbono circondate che fussero da un mezzo nel quale avessero minor propensione di descendere che nell’ aria ambiente non hanno : ma un mezzo tale sarebbe ogni fluido più grave dell’ aria, come, v. g., il vino ; e però infondendo intorno a quel globo d’ acqua del vino, se gli potrebbe alzare intorno intorno, senza che le parti dell’ acqua, conglutinate dall’ interna viscosità, si dissolvessero : ma ciò non accad’ egli ; anzi non prima se gli acco¬ sterà il liquore sparsogli intorno, che, senza aspettar che molto se 30 gli elevi intorno, si dissolverà e spianerà, restandogli di sotto, se sarà vino rosso ; è dunque esterna, e forse dell’ aria ambiente, la cagione di tale effetto. E veramente si osserva una gran dissensione tra 1 ’ aria e 1 ’ acqua, la quale ho io in un’ altra esperienza osservata ; e questa è, che,s’ io empio d’acqua una palla di cristallo, che abbia un foro an- 4. divisione o penetrazione, s. Così era stato scritto anche in G, ma poi o fu corretto, pro¬ babilmente dalla mano di Galileo, in c. — 8. sostenersi in assai — 11. sia che quello clic ha — 16. gioiti assai — 25. come ... vino manca in G. — 29-30. molto si elevi , si dissolverà — 34. è: S’io f s. Così era stato scritto anche in G, ma Galileo aggiunse, di suo pugno, che tra c e s } io. — 116 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE gusto quant’ è la grossezza d’ un fil di paglia, o cosi piena la volto con la bocca all* in giù, non però 1’ acqua, benché gravissima e pronta a scender per aria, e 1’ aria, altrettanto disposta a salire, conio leg¬ gerissima, per P acqua, si accordano, quella a scendere uscendo per il foro, e questa a salire entrandovi, ma restano amendue ritrose e contumaci ; all’ incontro poi, se io presenterò a quel foro un vaso con del vino rosso, che quasi insensibilmente è men grave dell’ acqua, lo vedremo subito con tratti rosseggianti lentamente ascendere per mezzo 1’ acqua, e 1’ acqua con pari tardità scender per il vino, senza punto mescolarsi, sin che finalmente la palla si empirà tutta di vino io e 1’ acqua calerà tutta nel fondo del vaso di sotto. Or che si deve (pii dire o che argumentarne, fuor elio una disconvenienza tra P acqua e P aria, occulta a me, ma forse.... Simp. Mi vien quasi da ridere nel veder la grande antipatia che ha il Sig. Salviati con P antipatia, che nè piar vuol nominarla ; e pur è tanto accommodata a scior la difficoltà. Salv. Or sia questa, in grazia del Sig. Simplicio, la soluzione del nostro dubbio : e lasciato il digredire, torniamo al nostro proposito. Veduto come la differenza di velocità, ne i mobili di gravità diverse, si trova esser sommamente maggiore ne i mezzi più e più resistenti ; » ma che più ? nel mezzo dell’ argento vivo P oro non solamente va in fondo più velocemente del piombo, ma esso solo vi descende, e gli altri metalli e pietre tutti vi si muovono in su e vi galleggiano, dove che tra pialle d’ oro, di piombo, di rame, di porfido, o di altre ma¬ terie gravi, quasi del tutto insensibile sarà la disegualità del moto p>er aria, che sicuramente una pialla d’ oro nel fine della scesa di cento braccia non preverrà una di rame di quattro dita ; veduto, dico, que¬ sto, cascai in opinione che se si levasse totalmente la resistenza del mezzo, tutte le materie descenderebbero con oguali velocità. Simp. Gran detto è questo, Sig. Salviati. Io non crederò mai che so nell’ istesso vacuo, se pur vi si desse il moto, un fiocco di lana si movesse così veloce come un pezzo di piombo. Sàly. Pian piano, Sig. Simplicio : la vostra difficoltà non è tanto recondita, ne io così inavveduto, che si debba credere che non mi sia sovvenuta, e che in consequenza io non vi abbia trovato ripiego. 3. per aria f nò V aria, s. E così si leggeva anche in G, dove di mano di Galileo fu cor¬ retto nè in c. — 24. tra le palle — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 117 Però, per mia dichiarazione e vostra intelligenza, sentite il mio di¬ scorso. Noi siamo su ’l volere investigare quello che accaderebhe a i mobili differentissimi di peso in un mezzo dove la resistenza sua fusse nulla, sì che tutta la differenza di velocità, che tra essi mobili si ritrovasse, referir si dovesse alla sola disuguaglianza di peso ; e per¬ chè solo uno spazio del tutto voto d’ aria e di ogni altro corpo, ancor che tenue e cedente, sarebbe atto a sensatamente mostrarci quello che ricerchiamo, già che manchiamo di cotale spazio, andremo osser¬ vando ciò che accaggia ne i mezzi più sottili e meno resistenti, in io comparazione di quello che si vede accadere ne gli altri manco sottili e più resistenti : chè se noi troveremo in fatto, i mobili dif¬ ferenti di gravità meno e meno differir di velocità secondo che in mezzi più e più cedenti si troveranno, e che finalmente, ancor che estremamente diseguali di peso, nel mezzo più d’ ogni altro tenue, se ben non voto, piccolissima si scorga e quasi inosservabile la di¬ versità della velocità, parmi che ben potremo con molto probabil coniettura credere che nel vacuo sarebbero le velocità loro del tutto eguali. Per tanto consideriamo ciò che accade nell’ aria : dove, per aver una figura di superficie ben terminata e di materia leggieris- 20 sima, voglio che pigliamo una vescica gonfiata, nella quale P aria che vi sarà dentro peserà, nel mezzo dell’ aria stessa, niente o poco, per¬ chè poco vi si potrà comprimere ; talché la gravità è solo quella poca della stessa pellicola, che non sarebbe la millesima parte del peso d’una mole di piombo grande quanto la medesima vescica gonfiata. Queste, Sig. Simplicio, lasciate dall’ altezza di quattro o sei braccia, di quanto spazio stimereste che ’l piombo fusse per anticiparcela ve¬ scica nella sua scesa ? siate sicuro che non P anticiperebbe del triplo, nè anco del doppio, se ben già P aresti fatto mille volte più veloce. Simp. Potrebbe esser che nel principio del moto, cioè nelle prime so quattro o sei braccia, accadesse cotesto che dite : ma nel progresso ed in una lunga continuazione, credo che ’l piombo se la lascerebbe indietro non solamente delle dodici parti dello spazio le sei, ma anco le otto e le dieci. Sai/v. Ed io ancora credo P istesso, e non dubito che in distanze 1-2. sentite ... discorso manca in G. — 2-3. accoderebbe a due mobili — 4-5. si trovasse — 12-13. che i mezi — 1(5. con probabil — 17. conieclura, s —sarebbero nelle velocità — 22. àsola quella *— 25. Questa, Sig. Simplicio, lasciata dalV — 118 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE grandissime potesse il piombo aver passato cento miglia di spazio, prima che la vescica ne avesse passato un Bolo : ma questo, Sig. Simplicio mio, che voi proponete come effetto contrariante alla mia proposi¬ zione, è quello che massimamente la conferma. È (torno a dire) l’in¬ tento mio dichiarare, come delle diverso velocità di mobili di diffe¬ rente gravità non no sia altramente causa la diversa gravità, ma che ciò dependa da accidenti esteriori ed in particolare dalla resistenza del mezzo, sì che, tolta questa, tutti i mobili si inoverebber con i medesimi gradi di velocità: e questo deduco io principalmente da quello che ora voi stesso ammettete o che ò verissimo, cioè che di io mobili differentissimi di peso le velocità più o più differiscono secondo che maggiori e maggiori sono gli spazii che essi van trapassando; effetto cho non seguirebbo quando oi dependesse dalle differenti gra¬ vità. Imperò che, essendo esso sempre lo medesime, medesima dovrebbe mantenersi sempre la proporzione tra gli spazii passati, la qual pro- porzione noi veggiamo andar, nella continuazion del moto, sempre crescendo ; poiché 1’ un mobile gravissimo nella scesa d’ un braccio non anticiperà il leggierissimo della decima parte di tale spazio, ma nella caduta di dodici braccia lo preverrà della terza parte, in quella di cento 1’ anticiperà di etc. so Simp. '1 utto bene : ma, seguitando le vostre vestigio, se la diffe¬ renza di peso in mobili di diversa gravità non può cagionare la muta- zion di proporzione nelle velocità loro, atteso che le gravità non si mutano, nè anco il mezzo, cho sempre si suppone mantenersi l’istesso, potrà cagionar alterazion alcuna nella proporzione delle velocità. Salv. Y oi acutamente fate instanza contro al mio detto, la quale è ben necessario di risolvere. Dico per tanto che un corpo grave ha da natura intrinseco principio di muoversi verso ’l coinun centro de i gravi, cioè del nostro globo terrestre, con movimento continuamente accelerato, ed accelerato sempre egualmente, cioè che in tempi eguali» si fanno aggiunte eguali di nuovi momenti e gradi di velocità. E que¬ sto si deve intender verificarsi tutta volta che si rimovessero tutti gl impedimenti accidentarii od esterni, tra i quali uno ve ne ha che noi rimuover non possiamo, che è l’impedimento del mezzo pieno, 1-2. spazio, che, 8 — 5-0. di differenti gravità — 7. accidenti esterni eri — 12-13. trappas- sanco [hicJ ; il che non 16. veggiamo, nella continuazion del violo, andar sempre — 20. eie. malica nella stampa. — 31. di nuovi gradi e momenti di velocità — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 119 mentre dal mobile cadente deve esser aperto e lateralmente mosso : al (piai moto trasversale il mezzo, benché fluido cedente e quieto, si oppone con resistenza or minore ed or maggiore e maggiore, secondo che lentamente o velocemente ei deve aprirsi per dar il transito al mobile; il quale, perchè, come ho detto, si va per sua natura con¬ tinuamente accelerando, vien per conseguenza ad incontrar continua- mente resistenza maggiore nel mezzo, e però ritardamento e dimi¬ nuzione nell’ acquisto di nuovi gradi di velocità, sì che finalmente la velocità perviene a tal segno, e la resistenza del mezzo a tal gran- io dezza, che, bilanciandosi fra loro, levano il più accelerarsi, e riducono il mobile in un moto equabile ed uniforme, nel quale ogli continua V poi di mantenersi sempre. E dunque, nel mezzo, accrescimento di resistenza, non perchè si muti la sua essenza, ma perchè si altera la velocità con la quale ei deve aprirsi e lateralmente muoversi per cedere il passaggio al cadente, il quale va successivamente accele¬ randosi. Ora il vedere elio la resistenza dell’ aria al poco momento della vescica è grandissima, ed al gran peso del piombo è piccolis¬ sima, mi fa tener per fermo che chi la rimovesse del tutto, con 1 ’ arre¬ care alla vescica grandissimo commodo, ma ben poco al piombo, le 20 velocità loro si pareggerebbero. Posto dunque questo principio, che nel mezzo dove, o per esser vacuo o per altro, non fusse resistenza veruna che ostasse alla velocità del moto, sì che di tutti i mobili le velocità fusser pari ; potremo assai congruamente assegnar le propor¬ zioni delle velocità di mobili simili e dissimili nell’ istesso ed in di¬ versi mezzi pieni, e però resistenti : e ciò conseguiremo col por mente quanto la gravità del mezzo detrae alla gravità del mobile, la qual gravità è lo strumento col quale il mobile si fa strada, rispingendo le parti del mezzo alle bande, operazione che non accade nel mezzo vacuo, e che però differenza nissuna si ha da attendere dalla diversa so gravità ; e perchè è manifesto, il mezzo detrarre alla gravità del corpo da lui contenuto quant’ è il peso d’ altrettanta della sua materia, sce¬ mando con tal proporzione le velocità de i mobili, che nel mezzo non resistente sarebbero (come si è supposto) eguali, aremo l’intento. • Come, per esempio, posto che il piombo sia dieci mila volte più grave dell’ aria, ma l 7 ebano mille volte solamente ; delle velocità di queste 15-16. il quale si va successivamente accelerando . Ora — 26-27. la quale è — 29. differenza ninna si — i 120 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE due materie, che, assolutamente prese, cioè rimossa ogni resistenza sarebbero eguali, l’aria al piombo detrae delli dieci mila gradi uno ma all’ ebano suttrae de’ mille gradi uno, o vogliala dire dei dieci mila dieci : quando dunque il piombo e l’ebano scenderanno per aria da qualsivoglia altezza, la quale, rimosso ’l ritardamelo dell’ aria, avreb- bon passata nell’ istesso tempo, 1’ aria alla velocità del piombo de¬ trarrà de i dieci mila gradi uno; ma all’ebano detrao de i diecimila dieci ; che è quanto a dire, che divisa quella altezza, dalla quale si partono tali mobili, in dieci mila parti, il piombo arriverà in terra restando in dietro l’ebano dieci, anzi pur nove, dello dette dieci mila » parti. E che altro è questo, salvo che, cadendo una palla di piombo da una torre alta dugento braccia, trovar elio ella anticiperà una d’ ebano di manco di quattro dita ? Pesa 1’ ebano mille volte più del- 1’ aria ; ma quella vescica così gonfia pesa solamente quattro volte tanto : 1’ aria, dunque, dalla intrinseca o naturalo volocità dell’ ebano detrae de’ mille gradi uno ; ma a quella che pur della vescica asso¬ lutamente sarebbe stata l’istessa, l’aria ne toglie delle quattro parti una : allora dunque che la palla d’ ebano, cadendo dalla torre, ghi¬ gnerà in terra, la vescica ne averà passati i tre quarti solamente. Il piombo è più grave dell’ acqua dodici volte, ma 1’ avorio il doppioso solamente : 1’ acqua, dunque, alle assolute velocità loro, che sarebbero eguali, toglie al piombo la duodecima parte, ma all’ avorio la metà: nell’ acqua adunque, quando il piombo arà sceso undici braccia, l’avo¬ rio ne arà scese sei. E discorrendo con tal regola, credo che trove¬ remo, l’esperienze molto più aggiustatamente risponder a cotal com¬ piuto che a quello d’Aristotele. Con simil progresso troveremo la proporzione tra le velocità del medesimo mobile in diversi mezzi fluidi, paragonando non le diverse resistenze de i mezzi, ma consi¬ derando gli eccessi di gravità del mobile sopirà le gravità de i mezzi: v. g., lo stagno è mille volte più grave dell’aria, e dieci più del- 80 1 acqua ; adunque, divisa la velocità assoluta dello stagno in mille gradi, nell aria, che glie ne detrae la millesima parte, si moverà con gradi novecento novanta nove, ma nell’ acqua con novecento sola¬ mente, essendo che 1’ acqua gli detrae solo la decima piarte della sua gravità, e 1’ aria la millesima. Posto un solido poco più grave del- 1 acqua, qual sarebbe, v. g., il legno di rovere, una pialla del quale 7. ebano de i 10000 — 30. aria, è dieci, 8 — 33. novecento nonanta nove, s; 999, G — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA PRIMA. 121 pesando, diremo, mille dramme, altrettanta acqua ue pesasse nove- cencinquanta, ma tanta aria ne pesasse due, è manifesto, che posto che la velocità sua assoluta fusse di mille gradi, in aria resterebbe di novecennovant’ otto, ina in acqua solamente cinquanta, atteso che p acqua de i mille gradi di gravità glie ne toglie noveoencinquanta, e glie ne lascia solamente cinquanta : tal solido dunque si moverebbe quasi venti volto più velocemente in aria che in acqua, sì come 1’ ec¬ cesso della gravità sua sopra quella dell’ acqua è la vigesima parte della sua propria. E qui voglio che consideriamo, che non potendo io muoversi in giù nell’ aequa se non materie più gravi in spezie di lei, e, per conseguenza, per molte centinaia di volte più gravi dell’ aria, nel ricercare qual sia la proporzione delle velocità loro in aria e in acqua, possiamo senza notabile errore far conto che 1’ aria non de¬ tragga cosa di momento dalla assoluta gravità, ed in conseguenza dall’ assoluta velocità, di tali materie ; onde, speditamente trovato l’ec¬ cesso della gravità loro sopra la gravità dell’ acqua, diremo, la velo¬ cità loro per aria alla velocità loro per acqua aver la medesima proporzione che la loro totale gravità all’ eccesso di questa sopra la gravità dell’ acqua. Per esempio, una palla d’ avorio pesa venti once, 20 altrettanta acqua pesa once diciasette; adunque la velocità dell’avorio in aria alla sua velocità in acqua è, prossimamente, come venti a tre. Sagk. Grandissimo acquisto ho fatto in una materia per sè stessa curiosa e nella quale, ma senza profitto, ho molte volte affaticata la mente ; nè mancherebbe altro, per poter anche praticare questo spe- colazioni, se non il trovar modo di poter venire in cognizione di quanta sia la gravità dell’ aria rispetto all’ acqua, ed in consequenza all’ altre materie gravi. Si mi'. Ma quando si trovasse che 1’ aria, in vece di gravità, avesse leggerezza, che si dovrebbe dire de gli auti discorsi, per altro molto so ingegnosi ? Salv. Converrebbe dire che fussero stati veramente aerei, leggieri e vani. Ma vorrete voi dubitare se 1’ aria sia grave, mentre avete il testo chiaro d’Aristotele che l’afferma, dicendo che tutti gli elementi, eccetto il fuoco, hanno gravità, anco l’aria stessa? segno di che (soggiugne egli) ne è che 1’ oti'o gonfiato pesa più che sgonfiato. (>. lascia solo fiO — 23. volte affaticato la — 31. eccello il fuoco manca nella stampa. In G è stato aggiunto in margine, di mano di Galileo. — Vili. io i 122 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Si mi*. Cile r otro o pallone gonfiato pesi più, crederei io che p ro - cedesse non da gravità elio sia nell' aria, ma ne i molti vapori grossi tra essa mescolati in queste nostre regioni basso ; mercè de i quali direi io die cresce la gravità dell’ otro. Salv. Non vorrei che lo diceste voi, e molto meno che lo faceste dire ad Aristotele ; perchè, parlando egli do gli elementi e volendomi persuadere che 1’ elemento dell’ aria è grave, facendomelo veder con 1’ esperienza, se nel veniro alla prova ei mi dicesse : « Piglia un otro e empilo di vapori grossi, ed osserva che il suo peso crescerà », io gli direi che più ancora peserebbe chi l’empiesse di semola; ma aog-io ghignerei dopo, che tali esperienze provano che lo Remole ed i vapori grossi son gravi, ma quanto all’elemento dell’aria resterei nel mede¬ simo dubbio di prima. L’esperienza, dunque, di Aristotele ò buona, e la proposizion vera. Ma non direi già così di cert’altra ragione, presa pure a sigilo, di un tal filosofo del quale non mi sovviene il nome, ma so che 1’ fio letta, il quale argomenta, 1’ aria esser più grave che leggiera, perchè più facilmente porta i gravi all’ in giù clic i leg¬ gieri all’ in su. Saiìr. Bene, por mia fé. Adunque, per questa ragione, l’aria sarà molto più grave dell’acqua, avvenga che tutti i gravi son portatisi più facilmente in giù per aria che per acqua, e tutti i leggieri più agevolmente in questa che in quella ; anzi infiniti gravi scendono per 1’ aria, che nell’ acqua ascendono, ed infinite materie salgono per acqua, che per aria calano a basso. Ma sia la gravità dell’otro, Sig. Simplicio, o per i vapori grossi o per 1’ aria pura, questo niente osta al proposito nostro, che cerchiamo quel che accade a mobili che si muovono in questa nostra regione vaporosa. I’orò, ritornando » quello che più mi preme, vorrei, per intera ed assoluta instruzzione della presente materia, non solo restare assicurato che l’aria sia (come io tengo per fermo) grave, ma vorrei, se è possibile, saper quanta» sia la sua gravità. Però, Sig. Saivieti, se avete da sodisfarmi in que¬ sto ancora, vi prego a farmene favore. Salv. Che nell’ aria risegga gravità positiva, e non altrimente, come alcuni hanno creduto, leggerezza, la quale forse in veruna mate¬ ria uon si ritrova, assai concludente argomento ce ne porge l’espe- 14. direi con) — 15. a siyno da un tal -22-23. infiniti .... ed manca nella stampa,- 29-30. come ten solitaria — 29. momento ritorni da D, s — battendo in C manca in G. — 30. battendoci in B, s - 31-32. D, battendosi in — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TRIMA. 149 momento un’ altra pur solitaria, nel quarto un* altra sola, e due mo¬ menti dopo, cioè nel sesto, due congiunte insieme: e qui finisce il periodo, e, per dir così, 1’ anomalia, il qual periodo si va poi più volte replicando. Sagr. Io non posso più tacere : è forza eh’ io esclami il gusto che sento nel vedermi tanto adequatamente rese ragioni di effetti che tanto tempo m’ hanno tenuto in tenebre e cecità. Ora intendo perchè 1 » unisono non differisce punto da una voce sola : intendo perchè 1’ ot¬ tava è la principal consonanza, ma tanto simile all’ unisono, che come io unisono si prende e si accompagna con le altre ; simile è all’ unisono, perchè, dove le pulsazioni delle corde unisone vanno a ferire tutte insieme sempre, queste della corda grave dell’ ottava vanno tutte accompagnate da quelle dell’ acuta, e di queste una s’interpone soli¬ taria ed in distanze eguali ed in certo modo senza fare scherzo alcuno, onde tal consonanza ne diviene sdolcinata troppo e senza brio. Ma la quinta, con quei suoi contrattempi, e con l’interpor tra le coppie delle due pulsazioni congiunte due solitarie della corda acuta ed una pur solitaria della grave, e queste tre con tanto intervallo di tempo quanto è la metà di quello che è tra ciascuna coppia e le solitarie 20 dell’ acuta, fa una titillazione ed un solletico tale sopra la cartila¬ gine del timpano, che temperando la dolcezza con uno spruzzo d’ acri¬ monia, par che insieme soavemente baci e morda. Sa tv. È forza, poiché veggo che V. S. gusta tanto di queste novel- lizie, che io gli mostri il modo col quale 1’ occhio ancora, non pur 1’ udito, possa recrearsi nel veder i medesimi scherzi che sente l’udito. Sospendete palle di piombo, o altri simili gravi, da tre fili di lun¬ ghezze diverse, ma tali che nel tempo che il più lungo fa due vibra¬ zioni, il più corto ne faccia quattro e ’l mezzano tre, il che accaderà quando il più lungo contenga sedici palmi o altre misure, delle quali so il mezzano ne contenga nove ed il minore quattro ; e rimossi tutti insieme dal perpendicolo e poi lasciatigli andare, si vedrà un intrec- ciamento vago di essi fili, con incontri varii, ma tali che ad ogni quarta vibrazione del più lungo tutti tre arriveranno al medesimo termine unitamente, e da quello poi si partiranno, reiterando di nuovo P istesso periodo : la qual mistione di vibrazioni è quella che, fatta dalle corde, rende all’ udito 1’ ottava con la quinta in mezzo. E se 1. solitaria, e nel— 13. queste l'una — 32-33. ad ogni quattro vibrazione [sic] — 150 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI ECO. — GIORNATA PRIMA. con simile disposizione si andranno temperando le lunghezze di altri fili, sì die lo vibrazioni loro rispondano a quelle di altri intervalli musici, ma consonanti, si vedranno altri ed altri intrecciamenti, e sempre tali, che in determinati tempi e dopo determinati numeri di vibrazioni tutti i fili (siano tre o siano quattro) si accordano a giu- gner nell’istesso momento al termine di loro vibrazioni, e di lì a cominciare un altro simil periodo. Ma quando le vibrazioni di due o più fili siano o incommensurabili, sì che mai non ritornino a ter¬ minar concordemente determinati numeri di vibrazioni, o se pur, non essendo incommensurabili, vi ritornano dopo lungo tempo o dopo io gran numero di vibrazioni, allora la vista si confondo nell’ordine disordinato di sregolata intrecciatura, e 1 ’ udito con noia riceve gli appulsi intemperati do i tremori dell’ aria, che senza ordine o regola vanno a ferire su ’l timpano. Ma dove, Signori miei, ci siamo lasciati trasportare per tanto ore da i vaiai problemi ed inopinati discorsi? Siamo giunti a sera, e della proposta materia abbiamo trattato pochissimo o niente ; anzi ce ne siamo in modo disviati, che a pena mi sovviene della prima intro- duzzione e di quel poco ingresso che facemmo come ipotesi e prin¬ cipio delle future dimostrazioni. 20 Sàgr. Sarà dunque bene che ponghiamo por oggi fine a i nostri ragionamenti, dando commodo alla mente di andarsi nel riposo della notte tranquillando, per tornar poi domani (quando piaccia a V. S. di favorirci) a i discorsi desiderati e principalmento intesi. Sauv. Non mancherò d’ esser qua all’ istessa ora di oggi a servirle e goderle. 8. .nano poi incommensurabili — retornino , s — 10. ritornano, ma solo cloppo lungo — 12. di sregolata intrecciatura manca in G. — 21. ponghiamo oggi — Finisce la prima Giornata. GIORNATA SECONDA. Sagr. Stavamo, il Sig. Simplicio ed io, aspettando la venuta di V. S., e nel medesimo tempo ci andavamo riducendo a memoria l’ultima considerazione, che, quasi come principio e supposizione delle conclu¬ sioni che Y. S. intendeva di dimostrarci, fu circa quella resistenza che hanno tutti i corpi solidi all’ esser rotti, dependente da quel glu¬ tine che tiene le parti attaccate e congiunte, sì che non senza una potente attrazzione cedono e si separano. Si andò poi cercando qual potesse esser la causa di tal coerenza, che in alcuni solidi è gagliar- 10 dissima, proponendosi principalmente quella del vacuo, che fu poi cagione di tante digressioni che ci tennero tutta la giornata occu¬ pati e lontani dalla materia primieramente intesa, che era, come ho detto, la contemplazione delle resistenze de i solidi all’essere spezzati. Sai/v. Ben mi sovviene del tutto. E ritornando su ’l filo incomin¬ ciato, posta qualunque ella sia la resistenza de i corpi solidi all’essere spezzati per una violenta attrazzione, basta che indubitabilmente ella in loro si trova ; la quale, ben che grandissima contro alla forza di chi per diritto gli tira, minore per lo più si osserva nel violentargli per traverso: e così vegghiamo una verga, per esempio, d’acciaio o 20 di vetro reggere per lo lungo il peso di mille libbre, che fitta a squadra in un muro si spezzerà con 1 ’ attaccargliene cinquanta solamente : o di questa seconda resistenza deviamo noi parlare, ricercando secondo 8. a memoria come V ultima — 8. attrazzione, non traversale, ma retta, cedono —12-13. come ho detto manca nella stampa. In G è stato aggiunto di mano di Galileo. — 17. contro la forza — 20. di vetro per lo lungo reggere il peso — 22. dobbiamo — 152 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quali proporzioni ella si ritrovi ne i prismi e cilindri simili o dissi¬ mili in figura, lunghezza e grossezza, essendo però dell’istessa materia. Nella quale specolazione io piglio come principio noto quello che nelle mecaniehe si dimostra tra lo passioni del vette, che noi chiamiamo leva, cioè che nell’ uso della leva la forza alla resistenza ha la pro- porzion contraria di quella che hanno lo distanze tra’l sostegno e le medesime forza e resistenza. Simi*. Questo fu dimostrato da Aristotile, nelle sue Mecaniehe, prima che da ogni alti'o. Sai/v. Voglio che gli concediamo il primato nel tempo ; ma nella io fermezza della dimostrazione panni che se gli dova per grand’inter¬ vallo anteporre Archimede, da una sola proposizione del (piale, di¬ mostrata da esso ne gli Equiponderunti, dependono le ragioni non solamente della leva, ma della maggior parte de gli altri strumenti mecanici. Sagù. Ma già che questo principio è il fondamento di tutto quello che voi avete intenzione di volerci dimostrare, non sarebbe se non molto a proposito l’arrecarci anco la prova di tal supposizione, quando non sia materia molto prolissa, dandoci una intera e compita in- struzzione. 20 Salv. Come questo si abbia a fare, sarà pur meglio che io per altro ingresso, alquanto diverso da quello d’Archimede, v’introduca nel campo di tutte le future specolazioni, e clic non supponendo al¬ tro se non che pesi eguali posti in bilancia di braccia eguali facciano l’equilibrio (principio supposto parimente dal medesimo Archimede), io venga poi a dimostrarvi come non solamente altrettanto sia vero che pesi diseguali facciano l’equilibrio in stadera di braccia diseguali secondo la proporzione di essi pesi permutatamente sospesi, ma che l’istessa cosa la colui che colloca pesi eguali in distanze eguali, che quello che colloca pesi diseguali in distanze che abbiano permutata * 80 mente la medesima proporzione che i pesi. Or per chiara dimostrazione di quanto dico, segno un prisma 0 cilindro solido AB, sospeso dall’ estremità alla linea HI, e sostenuto da due fili HA, IB: è manifesto, clic se io sospenderò il tutto dal filo C, posto nel mezzo della bilancia III, il prisma AB resterà equilibrato, essendo la metà del suo peso da una banda, e l’altra dall’altra, del punto della sospensione (J, per il principio da noi supposto. Intendasi INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 158 ora il prisma esser diviso in parti disegnali dal piano per la linea D, o sia la parte DA maggiore, e la DB minore ; ed acciò clie, fatta tal divisione, le parti del prisma restino nel medesimo sito e costituzione rispetto alla linea HI, soccorriamo con un filo ED, il quale, fermato nel punto E, sosten¬ ga le parti del pri¬ sma AD, DB: non è da dubitarsi che, non si essendo fatta io veruna locai mu¬ tazione nel prisma rispetto alla bilan¬ cia HI, ella resterà nel medesimo stato dell’ equilibrio. Ma nella medesima costituzione resterà ancora se la parte del prisma che ora è sospesa dalle due estremità con li fili AH, DE, si appenda ad un sol filo GL, posto nel mezzo ; e parimente l’altra parte DB non muterà stato sospesa dal mezzo e sostenuta dal filo FM : sciolti dun¬ que i fili HA, ED, IB, e lasciati solo li due GL, FM, resterà l’istesso equilibrio, fatta pur sempre la sospensione dal punto C. Or qui voi- 20 tiamoci a considerare come noi abbiamo due gravi AD, DB, pendenti da i termini G, F di una libra GF, nella quale si fa l’equilibrio dal punto C, in modo che la distanza della sospensione del grave AD dal punto C è la linea CG, e 1’ altra parte CF ò la distanza dalla qual pende 1’ altro grave 1)B : resta dunque solo da dimostrarsi, tali distanze aver la medesima proporzione tra di loro che hanno gli stessi pesi, ma permutatamente presi, cioè che la distanza GG alla CF sia come il prisma DB al prisma DA; il che proveremo così. Essendo la linea GE la metà della Eli, e la EF metà della EI, sarà tutta la GF metà di tutta la HI, e però eguale alla CI ; e trattane la parte co¬ so inane CF, sarà la rimanente GC eguale alla rimanente FI, cioè alla FE; e presa comunemente la CE, saranno le due GE, CF eguali: e però, come GE ad EF, così FC a CG ; ma come GE ad EF, così la doppia alla doppia, cioè HE ad EI, cioè il prisma AD al prisma DB; adun¬ que, per 1’ egual proporzione e convertendo, come la distanza GC alla distanza CF, così il peso BI) al peso DA : che è quello che io volevo provarvi. 2 . maggiore della DB — 28 . EF la metà — Vili. 20 154 DISCORRI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Inteso sin qui, non credo che voi porrete difficoltà in ammettere che i due prismi Al), DB facciano 1’ equilibrio dal punto C, perchè la metà di tutto’l solido AB è alla destra della sospensione C, e l’al¬ tra metà dalla sinistra, e che così si vengono a rappresentar due pesi eguali disposti o distesi in due distanze eguali. Che poi li due pri¬ smi Al), DB ridotti in duo dadi, o in duo palle, o in duo qual’altre si siano ligure (purché si conservino lo sospensioni medesime 6, F), seguitino di far 1’ equilibrio dal punto C, non credo che sia alcuno elio no possa dubitare, perché troppo manifesta cosa ò che le figure non mutano peso, dove si ritenga la medesima quantità ili materia, io Dal che possiamo raoeor la generai conclusione, che due pesi, qua¬ lunque si siano, fanno 1’ equilibrio da distanza perinutatamente re- spondenti allo lor gravità. Stabilito dunque tal principio, avanti elio passiamo più oltre, devo metter in considerazione conni queste forze, resistenze, momenti, ligure, etc., si posson considerar in astratto e separato dalla materia, ed anco in concreto e congiunto con la materia; ed in questo modo quelli accidenti che converranno alle figure considerate come immateriali, riceveranno alcune modificazioni mentre li aggiugneremo la materia, ed in consequenza la gravità. Come, por esempio, so noi intenderemo so una leva, qual sarebbe questa BA, la quale, posando su ’l sostegno E, sia applicata per sollevare il grave sasso 1), è manifesto, per il dimostrato principio, che la forza posta nell’ estremità B basterà per adequare la resistenza del grave I), se il suo momento al momento di esso 1) abbia la medesima proporzione so che ha la distanza AC alla distanza GB ; o questo ò vero, non met¬ tendo in considerazione altri momenti che quelli della semplice forza in B e della resistenza in D, quasi che l’istessa leva fosse immateriale e senza gravità: ma se noi metteremo in conto la gravità ancora dello strumento stesso della leva, la quale sarà talor di legno c tal volta anco di ferro, ò manifesto che, alla forza in B aggiunto il peso 16. eie. manca nella stampa. — 23. solevare, s — 33. e la resistenza — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 155 della leva, altererà la proporzione, la quale converrà pronunziare sotto altri termini. E però, prima che passar più oltre, è necessario che noi convenghiamo in por distinzione tra queste due maniere di consi¬ derare, chiamando un prendere assolutamente quello quando intende¬ remo lo strumento preso in astratto, cioè separato dalla gravità della propria materia ; ma congiugnendo con le figure semplici ed assolute la materia, con la gravità ancora, nomineremo le figure congiunte con la materia momento o forza composta. Sagr. È forza ch’io rompa il proposito che avevo di non dar oc- io casione di digredire ; ma non potrei con attenzione applicarmi al ri¬ manente, se non mi fusse rimosso certo scrupolo che mi nasce ; ed ò questo: che mi pare che V. S. faccia comparazione della forza posta in B con la total gravità del sasso 1), della qual gravità mi pare che una parte, e forse forse la maggiore, si appoggi sopra ’l piano del- l’orizonte ; sì che.... Saia. Ho inteso benissimo. V. S. non soggiunga altro ; ma sola¬ mente avverta che io non ho nominata la gravità totale del sasso, ma ho parlato del momento che egli tiene ed esercita sopra ’l punto A, estremo termine della leva BÀ, il quale è sempre minore dell’intero 20 peso del sasso, ed è variabile secondo la figura della pietra e secondo che ella vien più o meno sollevata. Sagr. Resto appagato ; ma mi nasce un altro desiderio, die è, che per intera cognizione mi fusse dimostrato il modo, se vi è, di poter investigare qual parte sia del peso totale quella che vien sostenuta dal soggetto piano, e quale quella che grava su ’l vette nell’ estre¬ mità A. Salv. Perchè posso con poche parole dargli sodisfazzione, non vo¬ glio lasciar di servirla. Però, facendone un poco di figura, intenda V. S. il peso il cui centro di gravità sia A, appoggiato sopra l’ori- 30 zonte co ’l termine B, e nell’altro sia sostenuto col vette CG, sopra ’l sostegno N, da una potenza posta in G ; e dal centro A e dal ter¬ mine G caschino, perpendicolari all’ orizonte, AO, CF : dico, il mo¬ mento di tutto il peso al momento della potenza in G aver la pro- porzion composta della distanza GN alla distanza NC e della FB alla BO. Facciasi, come la linea FB alla BO, così la NC alla X : ed essendo tutto il peso A sostenuto dalle due potenze poste in B e C, 2. prima di passar —14. e forse la maggiore — 17. ho nominalo la — 156 DISCOKtìl E D1MUBTKAZION1 MATEMATICHE «■H^L^ngièaraEfg-- * B S.sssssSS la potenza B alla C è come la distanza FO alla OB ; e componendo, lo duo potenze B, C insieme, cioè il total momento di tutto ’l peso A, ^ ^ alla potenza in C ò Mix come la linea FB -- - \L -- Al\ V MMff| Or alla BO, cioè come / ■■■■vi ; 1 v v - h Nr •“» X: ®*4 ( | w iflT momento dolla po- ' tenza in C al mo¬ mento della potenza in G è come la distanza UN alla NC: adunque, por la perturbata, il total peso A al momento della potenza in G è io conio la GN alla X. Ma la proporzione di GN ;ul X ò composta della proporzione di GN ad NO e di quella di NC ad X, cioè di FB aBO; adunque il peso A alla potenza che lo sostiene in G lui la proporziono composta della GN ad NC e di quella di FB a BO : eli’è quello che si doveva dimostrare. Or tornando al nostro primo proposito, intese tutto le cose sin qui dichiarate, non sarà dithcilo l’intender la ragione onde avvenga rrop. che un prisma o cilindro solido, di vetro, acciaio, legno o altra ma¬ teria frangibile, che sospeso per lungo sosterrà gravissimo peso che gli sia attaccato, ma in traverso (come poro fa dicevamo) da minori» peso assai potrà tal volta essere spezzato, secondo che la sua lun¬ ghezza eccederà la sua grossezza. Imperò che figuriamoci il prisma solido ABCD, fitto in un muro dalla parto AB, o nell’altra estremità s’intenda la forza del peso E (intendendo sempre, il muro esser eretto all’orizonte, ed il prisma o cilindro fìtto nel muro ad angoli retti): è manifesto che, dovendosi spezzare, si romperà nel luogo B, dove il taglio del muro serve per sostegno, o la BC per la parto della leva dove si pone la forza ; e la grossezza del solido BA ò 1’ altra parte della leva, nolla quale è posta la resistenza, che consisto nello stuc¬ camento che s’lia da fare della parto del solido BI), che è fuor del so muro, da quella che è dentro: e per lo cose dichiarato, il momento della forza posta in C al momento della resistenza, clic sta nella gros¬ sezza del prisma, cioè nell’ attaccamento della baso BA con la sua contigua, ha la medesima proporzione che la lunghezza CB alla metà della BA ; e però l’assoluta resistenza all’esser rotto, che è nel pri- proporzione GN, a — 20. gli stia attaccato — 24-25. (intendendo ... retti) manca in Gr. - 28. è la parte — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 157 sma BD (la quale assoluta resistenza è quella che si fa col tirarlo per diritto, perchè allora tanto è il moto del movente quanto quello del mosso), all’ esser rotto con l’aiuto della leva BC, ha la mede¬ sima proporzione che la lunghezza BC alla metà di AB nel pri¬ sma, che nel cilindro io è il semidiametro della sua base. E questa sia la nostra prima pro¬ posizione. E notato, che questo che dico, si debile intendere, ri¬ mossa la considera¬ zione del peso proprio del solido BD, il qual solido ho preso come 20 nulla pesante : ma quando vorremo met¬ tere in conto la sua gravità, congiugnendola col peso E, doviamo al peso E aggiugnere la metà del peso del solido BD ; sì che essendo, v. g., il peso di BD due libbre, e ’l peso di E libbre dieci, si deve pigliare il peso E come se fusse undici. Simp. E perchè non come se fusse dodici? Sai.v. Il peso E, Sig. Simplicio mio, pendente dal termine C, preme, in rispetto alla leva BC, con tutto ’l suo momento di libbre dieci ; dove se fusse appeso il solo BD, graverebbe con tutto ’l momento di 3 o due libbre : ma, come vedete, tal solido è distribuito por tutta la lunghezza BC uniformemente, ondo le parti sue vicine all’estremità B gravano manco dello più remote ; sì cho in somma, ristorando quelle con queste, il peso di tutto ’l prisma si riduce a lavorai-e sotto ’l centro della sua gravità, che risponde al mezzo della leva BC : ma un peso pendente dalla estremità C ha momento doppio di quello che arebbe pendendo dal mezzo : e però la metà del peso del prisma 21 . peso BJJ — 35 . ha doppio momento di — 158 ' DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MÀTKMATICIIE si dove aggiugnere al poso E, mentre ci serviamo del momento di amen- due, conio locati nel termine C. Siui>. llesto capacissimo; e di più, b’ìo non m’inganno, panni che la potenza di amendue i pesi BD od E, posti cosi, arebbe l’ istesso momento che se tutto il peso di Bl) col doppio di E fusse appeso nel mezo della leva BC. Salv. Così è precisamente, e si devo tenere a memoria. Qui pos- Prop. siamo immediatamente intender, come e con che proporzione resista U ' più una verga, o vogliam dir prisma più largo elio grosso, all’esser rotto, fattogli forza secondo la sua larghezza, che secondo la gros- io sozza. Per intelligenza di che, intendasi una riga ad, la cui larghezza sia ac, e la grossezza, assai minore, cb : si cerca perchè, volendola romper per taglio, come nolla prima figura, resisterà al gran peso T ; ma posta per piatto, come nella seconda figura, non resisterà all’X, minore del T. Il che si fa manifesto, mentre intendiamo, il sostegno essere una volta sotto la linea bc ed un’ altra sotto la co, e le distanze 20 delle forze esser nell’un caso e nell’altro eguali, cioè la lunghezza bd; ma nel primo caso la distanza della resistenza dal sostegno, che è la metà della linea ca, è maggiore della distanza nell’altro caso, la quale è la metà della bc; però la forza del peso T conviono che sia maggiore della X quanto la meta della larghezza ca è maggiore della metà della grossezza bc, servendoci quella per contralleva della ca, 0 questa della cb, per su¬ perare la medesima resistenza, che ò la quantità delle fibre di tutta so la baso ab. Concludesi per tanto, la medesima riga 0 prisma più largo che grosso resister più all’ esser rotto por taglio elio por piatto, se¬ condo la proporzione della larghezza alla grossezza, p- Conviene ora che cominciamo a investigare secondo qual propor¬ zione vadia crescendo il momento dolla propria gravità, in relazioue 1-2. amendue, e come — 6. meso dalla leva — V. una riga, o vogliam — 1G-I7. mentre si fdj il sostegno — 34. clic incoili indarno a — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 159 alla propria resistenza all’ essere spezzato in nn prisma o cilindro, mentre, stanilo parallelo all’ orizonte, si va allungando ; il qual mo¬ mento trovo andar crescendo in duplicata proporzione di quella del- l’allungamento. Per la cui dimostrazione, intendasi il prisma o cilin¬ dro AD fìtto saldamente nel muro dall’estremità A, e sia equidistante all’orizonte ; ed il medesimo intendasi allungato sino in E, aggiu- gnendovi la parte DE. E manifesto che l’allungamento della leva AB sino in C cresce per sè solo, cioè io assolutamente preso, il momen¬ to della forza premente con¬ tro alla resisten¬ za dello stucca¬ mento e rottura da farsi in A secondo la piro- porzione di CA 20 a BA : ma, oltre a questo, il pieso aggiunto del so¬ lido DE al peso del solido AB cre¬ sce il momento della gravità premente secondo la proporzione del prisma AE al pri¬ sma AB, la qual proporzione è la medesima della lunghezza AC alla AB : adunque è manifesto che, congiunti i due accrescimenti delle lunghezze e delle gravità, il momento composto di amendue è in 30 doppia proporzione di qualunque di esse. Concludasi per tanto, i momenti delle forze de i prismi e cilindri egualmente grossi, ma disegualmente lunghi, esser tra di loro in duplicata proporzione di quella delle lor lunghezze, cioè esser come i quadrati delle lun¬ ghezze. Mostreremo adesso, nel secondo luogo, secondo qual proporzione cresca la resistenza all’ essere spezzati ne i prismi e cilindri, mentre 9-11. per sè ... preso non si legge in G dopo cresce, ma dopo BA (Un. 20). 160 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMÀTICHE Prop. IV. restino della medesima lunghezza e si accresca la grossezza. E qui dico che : Ne i prismi e cilindri egualmente lunghi, ma disogualmonte grossi, la resistenza all’ esser rotti cresce in triplicata proporzione de i diametri delle lor grossezze, cioè delle lor basi. I due cilindri siano questi A, lì ; lo cui lunghezze eguali, DG, EH; le basi diseguali, i cerchi i cui diametri CI), EF : dico, la resistenza del cilindro B alla resistenza del cilindro A, ad esser rotti, aver tri¬ plicata proporzione di quella che ha il diametro EE al diametro DC. Imperò che, se consideriamo l’assoluta e semplice resistenza che risiede io nelle basi, cioè ne i cerchi EF, I)C, all’ essere strappati facendogli forza col tirargli per diritto, P non ò dubbio che la resistenza del cilindro B ò tanto mag- ^ giore die quella del cilindro A, £ quanto il cerchio EF è mag¬ giore del CD, perché tante più sono le fibre, i filamenti o le parti tenaci, elio tengono unite lo parti do i solidi. Ma so con- 20 sideriamo che nel far forza por traverso ci serviamo di due leve, delle quali lo parti o distanze dove bì applicano lo forze sono le linee DG, FII, i sostegni sono ne’ punti 1), F, ma le altri parti 0 distanze dovo son poste le resistenze sono i semidiametri de i cer¬ chi DC, EF, perchè i filamenti sparsi per tutte lo superficie de i cerchi è come se tutti si riducessero ne i centri ; considerando, dico, tali leve, intenderemo, la resistenza nel centro della base EF contro alla forza di 11 esser tanto maggiore della resistenza della base CD contro alla forza posta in G (e sono le forzo in G ed IL di leve eguali DG, FH), quanto il semidiametro FE è maggiore del semidiametro DC. Cresce so dunque la resistenza all’ esser rotto nel cilindro I» sopra la resistenza del cilindro A secondo amendue le proporzioni de i cerchi EF, DC e de i lor semidiametri, o vogliala dir diametri : ma la proporzione de i cerchi è doppia di quella de i diametri : adunque la proporzione delle resistenze, che di quelle si compone, è triplicata della proporzione 5-ti. boni: e questo avviene tanto pigliando assolutamente le figure separate dalla gravità della materia, quaìito composte con essa materia. 1 due cilindri — iil. esser rotta nel, s — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 161 de i medesimi diametri : che è quello che dovevo provare. Ma perchè anco i cubi sono in tripla proporzione de i loro lati, possiamo simil¬ mente concludere, le resistenze de i cilindri egualmente lunghi esser tra di loro come i cubi de i lor diametri. Da questo che si è dimostrato possiamo concludere ancora, le re- Coroi. sistenze de i prismi e cilindri egualmente lunghi aver sesquialtera proporzione di quella de gli stessi cilindri. 11 che è manifesto : perchè i prismi e cilindri egualmente alti hanno fra di loro la medesima proporzione che le lor basi, cioè doppia de i lati o diametri di esse io basi ; ma le resistenze (come si è dimostrato) hanno triplicata pro¬ porzione de i medesimi lati o diametri ; adunque la proporzione dello resistenze è sesquialtera della proporzione de gli stessi solidi, ed in consequenza de i pesi de i medesimi solidi. Simp. Egli è forza che, avanti che si proceda più oltre, io resti sincerato di certa mia difficoltà. E questa è, che sin qui non ho sen¬ tito mettere in considerazione cert’ altra sorte di resistenza, la quale mi par che venga diminuita ne i solidi secondo che si vanno più e più allungando, e non solo nell’ uso trasversale, ma ancora per lo lungo ; in quel modo appunto che veggiamo, una corda lunghissima 20 esser molto meno atta a reggere un gran peso, che se fusse corta : onde io credo che una verga di legno o di ferro più peso assai potrà reggere se sarà corta, che se sarà molto lunga ; intendendo sempre usata per lo lungo, e non in traverso, ed anco messo in conto il suo proprio peso, che nella più lunga è maggiore. Sa t/v. Dubito, Sig. Simplicio, che in questo punto voi, con molti altri, v’ inganniate, se però ho ben compreso il vostro concetto, sì che voi vogliate dire che una corda lunga, v. g., quaranta braccia non possa sostenere tanto peso, quanto se fusse un braccio o due della medesima corda. so Si mi*. Cotesto ho voluto dire, e sin qui mi par proposizione assai probabile. Sai,v. Ma io 1’ ho per falsa, non che per improbabile ; e credo di potervi assai agevolmente cavar d’errore. Però ponghiamo questa corda AB, fermata di sopra dal capo A, e dall’ altro sia il peso G, dalla cui forza debba essa corda essere rotta : assegnatemi voi, Sig. Sim¬ plicio, il luogo particolare dove debba seguir la rottura. 15 . di certa dilli colta — 24 . nella lunga — Vili. 21 1G2 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Simi*. Sia nel luogo 1 ). Sai.y. Vi domando qual sia la cagione dolio strapparsi in D. Simp. È la causa di ciò, perché la corda in quella parte non ora potente a reggere, v. g., cento libbre di peso, quanto ò la parte DB con la pietra C. Sai.y. Adunque, tutta volta che tal corda nella parte D venisse violentata dalle medesime cento libbre di peso, ella lì si strapperebbe. Simp. Così credo. Sai.y. Ma ditemi ora : chi attaccasse il medesimo peso io non al fine della corda lì, ma vicino al punto D, come sarebbe in E, o vero legasse la corda non nella altezza A, ma più vicina e sopra al punto medesimo D, come sa¬ rebbe in F, ditemi, dico, se il punto D sentirebbe il me¬ desimo peso delle cento libbre. Simi\ Sentirebbelo, accompagnando però il pezzo di corda EB con la pietra C. Sài.v. Se dunque la corda nel punto D vien tirata dalle medesime ceuto libbre di peso, si romperà, per la vostra concessione: e pure la FE ò un piccol pezzo della lunga AB; 20 come dunque volete più dire che la corda lunga sia più debole della corta ? Contentatevi dunque d’ esser cavato d’ un errore nel quale avete auto molti compagni, ed anco per altro molto intelligenti ; e seguitiamo innanzi. Ed avendo dimostrato, i prismi e cilindri crescere il lor momento sopra le proprio resistenze secondo i quadrati delle lunghezze loro (mantenendo però sempre la medesima grossezza) ; e parimente, gli egualmente lunghi, ma diffe¬ renti in grossezza, crescer le lor resistenze secondo la proporzione de i cubi de i lati 0 diametri delle lor basi, passiamo a investigare quello che accaggia a tali solidi differenti in lunghezza 0 grossezza so insieme. Ne i quali io osservo che : Piop. I prismi e cilindri di diversa lunghezza e grossezza hanno le lor resistenze all’ esser rotti di proporzione composta della propor- 13. ma pur vicina , s. in G k impossibile distinguerò, per causa di uno sgorbio, se si legga più 0 pur; forse prima era stato scritto pur, e poi fu corretto in più. — 1G-17. il pezzo della corda — 30. che avvenga a tali — 31. insieme manca nella stampa. In G ò stato aggiunto di mano di Galileo. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 163 zione de i cubi de’ diametri delle lor basi e della proporzione delle lor lunghezze permutatamente prese. Siano tali duo cilindri questi ABC, DEF : dico, la resistenza del cilindro AC alla resistenza del cilindro DF aver la proporzione com¬ posta della proporzione del cubo del diametro AB al cubo del dia¬ metro DE e della proporzione della lunghezza EF alla lunghezza BC. Pongasi la KG eguale alla BC, ^ c delle linee AB, DE sia terza proporzionale la H, e quarta HE IP 1 - S" io la I, e come la EF alla BC cosi sia la I alla S. E perchè la re¬ sistenza del cilindro AC alla ^ resistenza del cilindro DG è E come il cubo AB al cubo DE, a ► cioè come la linea AB alla p,. linea I ; e la resistenza del ci¬ lindro DG alla resistenza del cilindro DF come la lunghez¬ za FE alla EG, cioè come la so linea I alla S ; adunque, per P egual proporzione, come la resistenza del cilindro AC alla resistenza del cilindro DF, così la linea AB alla S : ma la linea AB alla S ha la proporzion composta della AB alla I e della I alla S: adunque la resistenza del cilindro AC alla resistenza del cilindro DF ha la proporzion composta della AB alla I, cioè del cubo di AB al cubo di DE, e della proporzione della linea I alla S, cioè della lunghezza EF alla lunghezza BC : che è quello che inten¬ devo di dimostrare. Dopo la dimostrata proposizione, voglio che consideriamo quello che accaggia tra i cilindri e prismi simili : de i quali dimostreremo come : so De i cilindri e prismi simili i momenti composti, cioè risultanti Drop, dalle lor gravità e dalle loro lunghezze, che sono come leve, hanno tra di loro proporzione sesquialtera di quella che hanno vi. le resistenze delle medesime lor basi. Per il che dimostrare, segniamo i due cilindri simili AB, CD : dico, il momento del cilindro AB per superare la resistenza della sua base B, al momento di CD per superare la resistenza della sua D, 10-11. alla BC, e delle linee , cosi sia, a — 30. c de i prismi — 1C4 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE aver sesquialtera proporzione di quella che ha la medesima resistenza della base B alla resistenza della base D. E perchè i momenti de i solidi AB, CD per superar B le resistenze delle lor basi B, D son composti delle lor gravità e delle forze dello lor leve, e la forza della leva AB è eguale alla forza della leva CD (e questo perchè la lunghezza AB al semidiametro della base B ha la medesima proporzione, per la io similitudine de’ cilindri, che la lunghezza CD al semidiametro della base D), resta che ’l momento totale del cilindro AB al momento totale di CD sia come la sola gravità dol cilindro AB alla sola gra¬ vità del cilindro CD, cioè conio l’istesso cilindro AB all’ istesso CD: ma questi sono in triplicata proporziono do i diametri delle basi loro B, D ; e le resistenze dello medesime basi, essendo tra di loro come l’istesse basi, sono, in consequenza, in duplicata proporziono de i medesimi loro diametri : adunque i momenti de i cilindri son in sesquialtera proporzione delle resistenze delle basi loro. Si mp. Questa proposizione mi è veramente giunta non solamente 20 nuova, ma inaspettata, e nel primo aspetto assai remota dal giudizio che io ne averei conietturalmente fatto : imperò che, essendo tali figure in tutto ’l restante simili, arei tenuto per fermo che anco i momenti loro verso le proprie resistenze avessero ritenuta la mede¬ sima proporzione. Sagr. Questa è la dimostrazione di quella proposizione, che nel principio de’nostri ragionamenti dissi parermi di scorger per ombra. Salv. Quello elio ora accade al Sig. Simplicio, avvonne per alcun tempo a me, erodendo che le resistenze di solidi simili fusser simili, sin che certa, nè anco molto fissa 0 accurata, osservazione mi pareva so rappresentarmi, ne i solidi simili non mantenersi un tenore eguale nelle loro robustezze, ma i maggiori esser meno atti a patire gl’ in¬ contri violenti, come rimaner più offesi dalle cadute gli uomini grandi 20-25. In G lo parole Questa proposizione ... proporzioyic sono attribuito al Sagiucdo, e dopo proporzione si legge: Swr. Ed io ancora atei creduto Vistesso. Sai.v. Aggiugyiete me ancora per terzo, che tale mi mantenni per molto tempo, sin che certa ecc., riprendendo poi conforme alla lin. 30 e seg.-—32-33. a patire gli eventi violenti, s. In G era stato scritto a patire gVevventi violenti, ma Galileo corresse, di suo pugno, ementi in incontri . — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 165 che i piccoli fanciulli ; o, come da principio dicevamo, cadendo dalla medesima altezza vedesi andare in pezzi una gran trave o una co¬ lonna, ma non così un piccolo corrente o un piccol cilindro di marmo. Questa tal quale osservazione mi destò la mente all’ investigazione di quello che ora son per dimostrarvi : proprietà veramente ammirabile, poiché tra le infinito figure solide simili tra di loro, pur due non ve ne sono, i momenti delle quali verso le proprie resistenze ritenghino la medesima proporzione. Simp. Ora mi fate sovvenire non so che, posto da Aristotele tra lo io sue Quistioni Mecanicho, mentre vuol render la ragione ondo avvenga cho i legni, quanto più son lunghi, tanto più son deboli e più si pie¬ gano, ben che i più corti sieno più sottili, e i lunghi più grossi; o se io ben mi ricordo, ne riduco la ragione alla semplice leva. Sai-v. È verissimo : e perchè la soluzione non par che tolga inte¬ ramente la ragion del dubitare, Monsig. di Guevara, il quale veramente con i suoi dottissimi comentarii ha altamente nobilitata o illustrata quell’ opera, si estende con altre più acute specolazioni per sciorre tutte le difficoltà, restando però esso ancora perplesso in questo punto, se crescendosi con la medesima proporzione le lunghezze e le gros- 20 sezze di tali solide figure, si deva mantenere l’istesso tenore nelle loro robustezze c resistenze nell’esser rotte ed anco nel piegarsi. Io, dopo un lungo pensarvi, ho in questa materia ritrovato quello che seguentemente son per apportarvi. E prima dimostrerò che : De i prismi o cilindri simili gravi, un solo e unico è quello che Prop. \ VII si riduce (gravato dal proprio peso) all’ ultimo stato tra lo spez¬ zarsi c ’l sostenersi intero (n : sì che ogni maggiore, come impo¬ tente a resistere al proprio peso, si romperà ; e ogni minore resiste a qualche forza cho gli venga fatta per romperlo. Sia il prisma grave AB ridotto alla somma lunghezza di sua con¬ so sistenza, sì che allungato un minimo di più si rompesse : dico, questo esser unico tra tutti i suoi simili (cho pur sono infiniti); atto ad esser 0-10. A vistotele nelle sue — 11-12. si piegano che i più corti, ben che più sottili — 15. ragion di dubitare —19-20. e grossezze — 21. rotti, s — resistenze all* esser rotte ed anco nel — 22. in questa maniera ritrovato, s — 0) In G, di fronte a questa prima parte postilla: «Vedi l’error del Biancano nel della Proposizione, si logge (della, stessa libro dei Luoghi Matematici d’Aristotele, mano che ha copiato il codice) la seguente alla fac. 177, etc. ». Prop. Vili. 1GG discorsi e dimostrazioni matematiche ridotto in tale stato ancipite ; sì elio ogni maggiore, oppresso dal proprio peso, si spezzerà, od ogni minore no, anzi potrà resistere a qualche aggravio di nuova violenza, oltre a quella del proprio peso. Sia prima il prisma CE, simile e H B P maggiore di AB: dico, questo non poter consistere, ma rompersi, su¬ peralo dalla propria gravità. Pon¬ gasi la parte CI) lunga quanto AB: o perchè la resistenza di CD a quella di AB è come il cubo della grossezza di CD al cubo della io grossezza di AB, cioè come il prisma CE al prisma AB (('«sondo simili), adunque il peso di CE è il sommo cho possa esser sostenuto nella lunghezza del prisma CD; ma la lunghezza CE è maggiore; adunque il prisma CE si romperà. Ma sia FG minore : si dimostrerà simibnento (posta FII eguale alla BA), la resistenza di FG a quella di AB esser come il prisma FG al prisma AB, quando la distanza AB, cioè FH, fusse eguale alla FG ; ma è maggiore ; adunque il momento del pri¬ sma FG posto in G non basta por romper il prisma FG. Sagr. Chiarissima e breve dimostrazione, concludente la verità o necessità di una proposizione che, nel primo aspetto, sembra assai 20 remota dal verisimile. Bisognerebbe dunque alterare assai la propor¬ zione tra la lunghezza e la grossezza del prisma maggiore, con P in¬ grossarlo o scorciarlo, acciò si riducesse allo stato ancipite tra ’l reg¬ gersi e lo spezzarsi ; e P investigazione di tale stato penso cho potesse esser altrettanto ingegnosa. Sai/v. Anzi più presto d’ avvantaggio, come anco più laboriosa; ed io Io so, che vi spesi non piccol tempo per ritrovarla, ed ora voglio participarvela. Dato dunque un cilindro o prisma di massima lunghezza da non esser dal suo proprio peso spezzato, e data una lunghezza mag- so giore, trovar la grossezza d’un altro cilindro 0 prisma che sotto la data lunghezza sia l’unico e massimo resistente al proprio peso. Sia il cilindro BC massimo resistente al proprio peso, 0 sia la DE lunghezza maggiore della AC : bisogna trovare la grossezza del ci- 22. e. grossezza — 22-23. V ingrossarlo e scorciarlo — 29-30. La notazione marginale Prop. Vili manca in G. Nè in G poi, nè nella stampa, si leggo alcuna notazione marginalo allo Proposizioni ohe a questa seguono. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 167 lindro che sotto la lunghezza I)E sia il massimo resistente al proprio peso. Sia delle lunghezze DE, AC terza proporzionale T, e come DE ad I, così sia il diametro FD al diametro DA, e facciasi il cilindro FE; dico, questo esser il massimo ed unico, tra tutti i suoi simili, resi¬ stente al proprio peso. Delle lineo DE, 1 sia terza proporzionale M, e quarta (), e pongasi FG egualo alla AC : e perchè il diametro FD al diametro AB è come la linea DE alla I, c delle DE, I la 0 è quarta proporzionale, il cubo di FD al cubo di DA sarà come la DE alla 0 ; ma come il cubo di FI) al io cubo di DA, così è la resistenza del cilindro DG alla l’esistenza del ci¬ lindro BC ; adunque la resistenza del cilindro DG a quella del cilin¬ dro BC è come la linea DE alla 0. E perchè il momento del cilindro BC è eguale alla sua resistenza, se si mostrerà, il momento del cilindro FE al momento del cilindro BC esser come la resistenza DF alla resi¬ stenza BA, cioè come il cubo di FI) al cubo di BA, cioè come la linea DE alla 0, aremo l’intento, cioè il momento del cilindro FE 20 esser eguale alla resistenza posta in FD. Il momento del cilindro FE al momento del cilindro DG è come il quadrato della DE al quadrato della AC, cioè come la linea DE alla I ; ma il momento del cilindro DG al momento del cilindro BC è come il quadrato DF al quadrato BA, cioè come il quadrato di DE al quadrato della I, cioè come il quadrato della I al quadrato della M, cioè come la I alla 0 ; adunque, per l’egual proporziono, come il momento del cilindro FE al momento del ci- o - lindro BC, così è la linea DE alla 0, cioè il cubo DF al cubo BA, cioè la resistenza della base DF alla resistenza della base BA : che è quello che si cercava. so Sagr. Questa, Sig. Salviati, è una lunga dimostrazione, e molto dif¬ ficile a ritenersi a memoria per sentirla una sola volta ; onde io vorrei che V. S. si contentasse di replicarla di nuovo. Salv. Farò quanto V. S. comanda ; ma forse sarebbe meglio arre¬ carne una più speditiva e breve: ma converrà fare una figura al¬ quanto diversa. 2-3. DE alla 1 - 18. il cubo FD al cubo BA — 24. quadrato DE — 27. cosi la — 32. di replicarmela di nuovo — 33-34. meglio a recarne una — I 1G8 discorsi e dimostrazioni matematiche Sagr. Maggiore sarà il favore ; e la già dichiarata mi farà grazia darmela scritta, acciò a mio boli’ agio possa ristudiarla. Sat.v. Non mancherò di servirla. Ora intendiamo un cilindro A, il diametro della cui base sia la linoa DC, c sia questo A il massimo che possa sostenersi ; del quale vogliamo trovare un maggiore, che pur sia il massimo osso ancora ed unico che si sostenga. Intendia¬ mone un simile ad esso A c lungo quanto la linea assegnata, e que¬ sto sia, v. g., E, il diametro della cui base sia la KL, o dello duo linee DC, KL sia terza proporzionale la MN, elio sia diametro della base del cilindro X, di lunghezza eguale io all’ E : dico, questo X esser quello che cer¬ chiamo. E perchè la resistenza DC alla resistenza KL ò come il quadrato DC al quadrato KL, cioè conio il quadrato KL al quadrato MN, cioè come il cilindro E al cilindro X, cioè come il momento E al momento X ; ma la resistenza KL alla MN è come il cubo di KL al cubo di MN, cioè come il cubo I)C al cubo IvL, cioè conio il cilin¬ dro A al cilindro E, cioè come il momento A al momento E ; adun¬ que, per 1 ’ analogia perturbata, come la resistenza DC alla MN, così 20 il momento A al momento X : adunque il prisma X è nella medesima costituzione di momento e resistenza elio il prisma A. Ma voglio che facciamo il problema più generale ; 0 la proposi¬ zione sia questa : Dato il cilindro AC, qualunque si sia il suo momento verso la sua resistenza, e data qual si sia lunghezza DE, trovar la grossezza del cilindro, la cui lunghezza sia DE, e ’1 suo momento verso la sua resistenza ritenga la medesima proporzione che il momento del cilindro AC alla sua. Ripresa l’istessa figura di sopra e quasi l’istosso progresso, di- so remo : perchè il momento del cilindro FE al momento della parte RG ha la medesima proporzione che il quadrato ED al quadrato FG, cioè che la linea DE alla I ; ed il momento del cilindro FG al mo¬ mento del cilindro AC è come il quadrato FD al quadrato AB, cioè come il quadrato DE al quadrato I, cioè come il quadrato I al qua- 5. trovare imo maggiore — 9. proporzionale MX — HO Si. T„ l UO go di Hiprrsa ... perchè iu (t si legge: Ordinati li stessi preparamenti come sopra, perchè. — 31 . parte FG — 32-33. gita- drato DG, cioè — INTORNO A DITE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. Ifi9 (irato M, cioè come la linoa I alla 0 ; adunque, ex aequali, il momento del cilindro FE al momento del cilindro AC ha la medesima propor¬ zione della linea DE alla 0 , cioè del cubo DE al cubo I, cioè del cubo di FD al cubo di AB, cioè della resistenza della base FI) alla resistenza della base AB : eli’ è quello che si doveva fare. Or verghino come dalle cose sin qui dimostrate apertamente si rac¬ coglie l’impossibilità del poter non solamente l’arte, ma la natura stessa, crescer le suo macchine a vastità immensa : sì che impossibil sarebbe fabbricar navilii, palazzi o templi vastissimi, li cui remi, antenne, tra- 10 vamenti, catene di ferro, ed in somma le altre lor parti, consistessero; come anco non potrebbe la natura far alberi di smisurata grandezza, poiché i rami loro, gravati dal proprio peso, finalmente si fiacchereb¬ bero ; e parimente sarebbe impossibile far strutture di ossa per uomini, cavalli o altri animali, che potessero sussistere e far proporzionatamente gli ullìzii loro, mentre tali animali si dovesser agumentare ad altezze immense, se già non si togliesse materia molto più dura e resistente della consueta, o non si deformassero tali ossi, sproporzionatamente ingrossandogli, onde poi la figura ed aspetto dell’animale ne riuscisse mostruosamente grosso : il che forse fu avvertito dal mio accortissimo Poeta, mentre descrivendo un grandissimo gigante disse : Non si può compartir quanto sia lungo, Sì Hlllisnratamente Ò tutto grosso. Aniosro, Orlamìo Furioso, XVII, 30. E per un breve esempio di questo che dico, disegnai già la figura di un osso allungato solamente tre volte, ed ingrossato con tal pro¬ porzione, che potesse nel suo animale grande far l’uf¬ fìzio proporzionato a quel dell’ osso minore nell’ ani¬ mai più piccolo, e le figure 30 son queste : dove vedete sproporzionata figura che diviene quella dell’ osso in¬ grandito. Dal che è mani¬ festo, che chi volesse mantener in un vastissimo gigante le proporzioni che hanno le membra in un uomo ordinario, bisognerebbe o trovar 3-4. cioè come il culo DE ai cubo 1cioè come il cubo FD al cubo AB, cioè come la resistenza — 9-10. travamenti e cottene [sicj — 3ò. bisognerebbe trovar — Vili, 22 170 DISCORSI F, DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE materia molto più dura e resistente, per formarne l’ossa, o vero am¬ mettere che la robustezza sua fusse a proporzione assai più fiacca che ne gli uomini di statura mediocre ; altrimente, crescendogli a smi¬ surata altezza, si vedrebbono dal proprio peso opprimere e cadere. Dove che, all’ incontro, si vede, nel diminuire i corpi non si diminuir con la medesima proporzione lo forze, anzi no i minimi crescer la ga- gliardia con proporzion maggiore : onde io credo che un piccolo cane porterebbe addosso due o tre cani eguali a sè, ma non penso già che un cavallo portasse nè anco un solo cavallo, a sò stesso eguale. Simp. Ma se così è, grand’ occasiono mi danno di dubitare le moli io immense che vediamo ne i pesci ; che tal balena, per quanto intendo, sarà grande per dieci elefanti ; e pur si sostengono. Salv. Il vostro dubbio, Sig. Simplicio, mi fa accorgere d’ una con¬ dizione da me non avvertita prima, potente essa ancora a far elio giganti ed altri animali vastissimi potessero consistere e agitarsi non meno che i minori : e ciò seguirebbe quando non solo si aggiugnesse gagliardia all’ ossa ed all’ altre parti, ofiìzio delle quali ò il sostener il proprio e ’l sopravegnente peso ; ma, lasciata la struttura delle ossa con le medesime proporzioni, pur nell’ istesso modo, anzi più agevol¬ mente, consisterebbono le medesimo fabbriche quando con tal prò- 20 porzione si diminuisse la gravità della materia dello medesime ossa, 0 quella della carne o di altro che sopra l’ossa si abbia ad appoggiare. E di questo secondo artifizio si è prevalsa la natura nella fabbrica de i pesci, facendogli le ossa e le polpe non solamente assai leggiero, ma senza veruna gravità. Simp. Veggo bene, Sig. Salviati, dove tende il vostro discorso : voi volete dire, che per esser 1’ abitazione de i pesci 1’ elemento dell’ acqua, la quale per la sua corpulenza, 0, come altri vogliono, per la sua gravità, scema il peso a i corpi che in quella si demergono, per tal ragione la materia de i pesci, non pesando, può senza aggravio del- 20 l’ossa loro esser sostenuta. Ma questo non basta ; perchè quando bene il resto della sustanza del pesce non graviti, grava però senza dubbio la materia dell’ ossa loro. E chi dirà che una costola di ba- lena, grande quanto una trave, non pesi assaissimo, e nell’ acqua G. ne i minori crescer, s. In G si leggo ne i minimi crescer, o lo ultime lettere rii «it- nimi sono state ritatte ila Galileo sopra altre lettere che non è più possibile distinguere.— 17. i sostenere —19. anzi molto più - 32. sustanza de’pesci non — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. - GIORNATA SECONDA. 171 non vadia al fondo? Questo dunque non deveriano poter sussistere in sì vasta mole. Sai.v. Voi acutamente opponete: e per risposta al vostro dubbio, ditemi se avete osservato stare i pesci, quando piace loro, sott’acqua immobili, e non descendere verso ’l fondo o sollevarsi alla superficie senza far qualche forza col nuoto? Siwr. Questa ò chiarissima osservazione. Salv. Questo, dunque, potersi i pesci fermare come immobili a mezz’ acqua ò concludentissimo argomento, il composto della lor mole io corporea agguagliar la gravità in spezie dell’ acqua ; sì che se in esso si trovano alcune parti più gravi dell’ acqua, necessariamente bisogna che ve ne siano altre altrettanto inen gravi, acciò si possa pareggiar l’equilibrio. So dunque lo ossa son più gravi, è necessario che le polpe, o altro materie che vi siano, sien più leggiere, e queste si opporranno con la lor leggerezza al peso dell’ ossa : talché ne gli aquatici avverrà 1 ’ opposito di quel che accade ne gli animali ter¬ restri, cioè che in questi tocchi all’ ossa a sostenere il peso proprio e quel della carne, e in quelli la carne regga la gravezza propria o quella dell’ ossa. E però deve cessar la maraviglia, come nell’ acqua 20 possano essere animali vastissimi, ma non sopra la torra, cioè nell’aria. Suir. Resto appagato ; e di più noto che questi, che noi addiman- diamo animali terrestri, più ragionevolmente si devrobbero dimandar aerei, perchè nell’ aria veramente vivono, e dall’ aria son circondati o dell’ aria respirano. Saor. Piacemi il discorso del Sig. Simplicio, col suo dubbio e con la soluzione : e di più comprendo assai facilmente che uno di questi smisurati pesci, tirato in terra, forse non si potrebbe per lungo tempo sostenere, ma che, relassate le attaccature dell’ossa, la sua moie si am¬ maccherebbe. 30 Sai.v. Io per ora inclino a creder l’istesso ; nè son lontano a cre¬ dere che ’l medesimo avverrebbe a quel vastissimo navilio, il quale, 1. non dia al fondo, s. In G il copista aveva scritto non vaddia al fondo, e vaddia fu poi corrotto, probabilmente da Galileo, in vadia. — 16. acquatici, s. Così era stato scritto audio in G, dove fu corrotto, probabilmente da Galileo, in aquatici. 19-20. nell acqua possono esser — 22. dovrebbero — 28-29. s’ani macherebbe [sic] e si deformerebbe. Le lin. 30-31 e lo lin. 1-3 dolln pag. 172 sono scritte in G di mano di Galileo, sn di un cartellino ag¬ giunto. A lin. 30-31 questo autografo legge lontano a creder parimente che; a lin.,1-2 della pag. 172, tante aravi merci, c a lin. 3, Ma ritornando alla nostra materia, dimostriamo come. Di mano del copista, dopo la lin. 29 della presente pagina sóguita immediatamente, nel co- 172 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATKMATICIIF, galleggiando in mare, non si dissolvo per il poso o carico di tante merci ed armamenti, elio in secco e circondato dall’ aria forse si apri¬ rebbe. Ma seguitiamo la nostra materia, e dimostriamo come : Dato un prisma o cilindi’o col suo peso, ed il peso massimo so¬ stenuto da esso, si possa trovare la massima lunghezza, oltre alla quale prolungato, dal solo suo proprio peso si romperebbe. Sia dato il prisma AG col suo proprio peso, e dato parimente il peso D, massimo da poter esser sostenuto dall’ estremità C : bisogna trovare la lunghezza massima sino alla quale si possa allungare il detto prisma senza rompersi. Facciasi, come il peso del prisma AC io al composto de i pesi AG col doppio del peso di I), così la lun¬ ghezza CA alla AH, tra le quali sia media proporzionale la AG: dico, AG esser la lunghezza • H cercata. Imperò che il mo¬ mento gravante del peso D in C ò eguale al momento del peso doppio di D che fusse po¬ sto nel mezo di AG, dove è anco il centro del momento del prisma AG ; il momento dunque della resistenza del prisma AG, che 20 sta in A, equivale al gravante del doppio del peso D col poso AG, attaccati però nel mezo di AC. E perchè viene ad essersi fatto, conio ’l momento di detti pesi così situati, cioè del doppio D con AC, al mo¬ mento di AC, così la nA alla AC, tra le quali è media la AG, adun¬ que il momento del doppio I) col momento AC al momento AC è come il quadrato GA al quadrato AC : ma il momento premente del prisma GA al momento di AC è come il quadrato GA al quadrato AC : adunque la lunghezza AG è la massima che si cercava, cioè quella sino alla quale allungandosi il prisma AC si sosterrebbe, ma più oltre si spezzerebbe. so Sin qui si son considerati i momenti e le resistenze de i prismi e cilindri solidi, 1 ’ una estremità de i quali sia posta immobile, e solo nell’ altra sia applicata la forza di un peso premente, considerandolo esso solo, o ver congiunto con la gravità del medesimo solido, 0 vera- dice, con la lin. 4 della pag. 172; e alla lin. 5 della pag. 172 mancava nel codice si possa, che è stato aggiunto dalla mano di Galileo. Queste parole si possa mancano pure nella stampa.— 11. peso D 22. attaccali ... AC manca in G. — perche si è fatto — 23. momento del peso del doppio D — 24. media proporzionale la — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 173 mento la sola gravità dell’ istesso solido : ora voglio che discorriamo alquanto de i medesimi prismi e cilindri quando fussero sostenuti da ainendue l’estremità, o vero che sopra un sol punto, preso tra le estre¬ mità, fusser posati. E prima dico, che il cilindro che gravato dal pro¬ prio peso sarà ridotto alla massima lunghezza, oltre alla quale più non si sosterrebbe, o sia retto nel mezo da un solo sostegno o vero da due nelle estremità, potrà esser lungo il doppio di quello elio sa¬ rebbe, fitto nel muro, cioè sostenuto in un sol termine. Il che per sò stesso è assai manifesto : perchè se intenderemo, del cilindro che io io segno ABC, la sua metà AB esser la somma lunghezza potente a soste¬ nersi stando fissa nel termine B, nel- l’istesso modo si sosterrà se, posata sopra ’l sostegno G, sarà contrappesa- ta dall’ altra sua metà BC. E simil¬ mente, se del ci¬ ao lindro DEE la lunghezza sarà tale, che solamente la sua metà potesse sostenersi fissa nel termine D, ed in consequenza l’altra EF fisso il ter¬ mino F, è manifesto elio posti i sostegni H, I sotto l’estremità D, F, ogni momento che si aggiunga di forza o di peso in E, quivi si farà la rottura. Quello clic ricerca più sottile specolazione è quando, astraendo dalla gravità propria di tali solidi, ci fusse proposto di dovere inve¬ stigare se quella forza o peso che, applicato al mezo d’ un cilindro sostenuto nelle estremità, basterebbe a romperlo, potrebbe far l’istesso effetto applicato in qualsivoglia altro luogo, più vicino all’ una che all’ altra estremità : come, per esempio, se volendo noi rompere una so mazza, presola con le mani nell’ estremità ed appuntato il ginocchio in mezo, l’istessa forza che basterebbe usare per romperla in tal modo, basterebbe ancora quando il ginocchio si puntasse non nel mezzo, ma più vicino all’ un de gli estremi. Sagr. Panni che ’l problema sia toccato da Aristotele nelle sue Questioni Mecaniche. 20-21. metà potrà sostenersi — 21-22. FF fissa nel termine F —24. sottile esplicazione è — 81. basterebbe per — romperlo , s — 174 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Salv. Il quesito d’Aristotele non è precisamente l’istesso, perchè ei non cerca altro, se non di render la ragione perchè manco fatica si ricerchi a romperlo tenendo le mani nell' estremità del legno, cioè remote assai dal ginocchio, che se le tenessimo vicino : e ne rende una ragione generale, riducendo la causa alle levo più lunghe, quando s’ allargano le braccia afferrando 1’ estremità. Il nostro quesito ag- giugne qualche cosa di più, ricercando se, posto il ginocchio nel mezo o in altro luogo, tenendo pur lo mani sempre nell’ estremità, la medesima forza serva in tutti i siti. Sagr. Nella prima apprensione parrebbe di sì, atteso che le due io leve mantengono in certo modo il medesimo momento, mentre che, quanto si scorcia l’una, tanto s’ allunga 1’ altra. Salv. Or vedete quanto sono in pronto l’equivocazioni, o con quanta cautela e circospezione convien andare per non v’ incorrere. Cotesto elio voi dite, e che veramente nel primo aspetto ha tanto del verisimile, in ristretto poi è tanto falso, che quando il ginocchio, che è il fulcimento delle due levo, sia posto o non posto nel mezo, fa tal diversità, che di quella forza che basterebbe per far la frazzione nel mezo, dovendola fare in qualche altro luogo, tal volta non ba¬ sterà 1’ applicacene quattro volte tanto, nè dieci, nò cento, nò mille. 20 Faremo sopra ciò una tal quale considerazion gonerale, e poi ver¬ remo alla specifica determinazione della proporzione secondo la quale si vanno variando lo forze per far la frazzione più in un punto che in un altro. Segniamo prima questo legno AB, da rompersi nel mezo sopra’l sostegno C, ed appresso segniamo l’istesso, ma sotto i carattei’i DE, da rompersi sopra ’l sostegno F, remoto dal mezo. Prima, è manifesto che sendo lo distanze AC, CB eguali, la forza sarà compartita egual¬ mente nelle estremità B, A. Secondo, poi che la distanza DF dimi¬ nuisce dalla distanza AC, il momento della forza posta in D sciema so dal momento in A, cioè posto nella distanza CA, 0 scema secondo la proporzione della linea 1)F alla AC, ed in consequenza bisogna crescerlo per palleggiare o superar la resistenza di F : ma la distanza DF si può diminuire in infinito in relazione alla distanza AC : adunque 11-12. mentre quanto, a. Così era stato scritto anche in G, dove fu aggiunto il clic, probabilmente dalla mano di Galileo. — 22. della proposizione secondo, s — HO. scema, s. Così era stato scritto puro in G, dove poi fu corretto in sciema, probabilmente da Ga¬ lileo stesso. — 31-32. e scema .... alla AC manca in G. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 175 bisogna poter crescere in infinito la forza da applicarsi in D per pa¬ reggiar la resistenza in F. Ma all’incontro, secondo che cresce la distanza FE sopra la GB, convien diminuire la forza in E per pa¬ reggiare la resistenza in F : ma la distanza FE in relazione alla GB non si può crescere in infinito col ritirar il sostegno F verso il termine I), anzi nè anco il dop- 10 pio : adunque la forza in E per pareggiare la resistenza in F sarà sempre più che la metà della forza in B. Comprendesi dunque la necessità del doversi agumentare i momenti del congiunto delle forze in E, I) infinitamente per pareggiare o superar la resistenza posta in F, secondo che il sostegno F s’andrà approssimando verso l’estremità D. Sagr. Che diremo, Sig. Simplicio ? non convien egli confessare, la virtù della geometria esser il più potente strumento d’ ogni altro per acuir l’ingegno e disporlo al perfettamente discorrere c specolare ? e che con gran ragione voleva Platone i suoi scolari prima ben fon- 20 dati nelle matematiche ? Io benissimo avevo compreso la facultà della leva, e come crescendo o sciemando la sua lunghezza, cresceva o ca¬ lava il momento della forza e della resistenza ; con tutto ciò nella determinazione del presente problema m’ingannavo, e non di poco, ma d’infinito. Simp. Veramente comincio a comprendere che la logica, benché strumento prestantissimo per regolare il nostro discorso, non arriva, quanto al destar la mente all’invenzione, all’acutezza della geometria. Sagr. A me pare che la logica insegni a conoscere se i discorsi e le dimostrazioni già fatte e trovate procedano concludentemente ; ma so che ella insegni a trovare i discorsi e le dimostrazioni concludenti, ciò veramente non credo io. Ma sarà meglio che il Sig. Salviati ci mostri secondo qual proporzione vadian crescendo i momenti delle forze per superar la resistenza del medesimo legno secondo i luoghi diversi della rottura. 4-5. parteggiare, a — 8. sostegno verso — 19-20. scolari ben fondati prima nelle — 21. cre¬ scendo e sdentando. In Cr era stato scritto dapprima scemando , ma poi, probabilmente da Galileo stesso, fu corretto in sciemando. La stampa ha scemandò. — 28-29. e dimostrazioni — ]7G DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Salv. La proporzione che ricercate, procede in cotal forma, che : >Se nella lunghezza d’un cilindro si noteranno due luoghi sopra i quali si voglia far la frazziono di esso cilindro, le resistenze di detti due luoghi hanno fra di loro la medesima proporzione che i rettangoli fatti dalle distanze di essi luoghi contrariamente presi. Siano le forze A, B minime per romperò in C, e le E, F parimente le minime per rompere in D : dico, le forzo A, B alle forze E, F aver la proporzion medesima elio ha il rettangolo ADB al rettangolo ACB. Imperò elio le forze A, B alle forze E, F J B hanno la proporzion composta delle io forze A, B alla forza B, della B alla F, e P della F alle F, E : ma come le forze A, B alla forza B, cosi sta la lunghezza BA ad AC ; e come la forza B alla F, così sta la linea DB alla BC ; e come la forza F alle F, E, così sta la linea DA alla AB : adunque le forze A, B alle forzo E, F hanno la proporzion composta delle tre, cioè della retta BA ad AC, della DB a BC, e della DA ad AB. Ma delle due DA ad AB, ed AB ad AC, si compone la proporzione della DA ad AG; adunque le forze A, B alle forze E, F hanno la proporzion composta di questa DA ad AC e dell’ altra DB a BC. Ma il rettangolo ADB 20 al rettangolo ACB ha la proporzion composta delle medesime DA ad AC e DB a BC: adunque le forze A, B alle E, F stanno come il rettangolo ADB al rettangolo ACB : che è quanto a dire, la resistenza in C ad essere spezzato alla resistenza ad esser rotto in D aver la medesima proporziono che il rettangolo ADB al rettangolo ACB : che è quello che si doveva provare. 5. contrariamente irrcse — In luogo delle lin. in (r si legge la seguento dimostrazione: Sia il cilindro T)E t ed in esso due luoghi notati in qualsivoglia modo F, ir: dico t la resistenza all 1 esser rotto in F alla resistenza all'esser rotto in G aver la medesima proporzione che il rettangolo DGE al rettangolo UFF. Imperò clic il momento minimo posto in 1), per superar la resistenza }^sta in F 9 al momento minimo posto in E, per superar la resistenza posta in F, lui la medesima proporzioiie che la lunghezza EF illa FU ; e il momento in D, per superar la resistenza in G, al mo¬ mento in E, per superar la mede¬ sima in G, è come la EG alla Gl); adunque i momenti in U, E per superar la resistenza in G hanno la proporzion composta della Uvea F,F alla FU e della EG alla GU: ma queste compongono ancora la proporzione del rettangolo EGU al rettangolo FFD: adunque etc — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 177 In consequenza (li questo teorema possiamo risolvere un problema assai curioso ; ed è : Dato il peso massimo retto dal mezo di un cilindro o prisma, dove la resistenza è minima, e dato un peso maggior di quello, tro¬ vare nel detto cilindro il punto nel quale il dato peso maggioro sia retto come peso massimo. Abbia il dato peso, maggiore del peso massimo retto dal mezo del cilindro AB, ad esso massimo la proporzione della linea E alla E : bisogna trovare il punto nel cilindro dal quale il dato' peso venga io sostenuto come massimo. Tra le due E, F sia media proporzionale la G, e come la E alla G, così si faccia la AD alla S : sarà la S minore della AD. Sia AD diametro del mezo cerchio AHD, nel quale pongasi la AH eguale alla S, e congiungasi IID, e A ad essa si tagli eguale la DII : dico, il punto R essere il cercato, dal quale il dato peso, maggiore del massimo retto dal mezzo del cilindro D, ver- 20 rebbe come massimo retto. Sopra la lunghezza BA facciasi il mezo cerchio ANB, e si alzi la perpendicolare RN, e congiungasi ND : e per¬ chè i due quadrati NR, RD sono eguali al quadrato ND, cioè al qua¬ drato AD, cioè alli due All, IID, e P IID è eguale al quadrato DR, adunque il quadrato NR, cioè il rettangolo ARB, sarà eguale al qua¬ drato AH, cioè al quadrato S ; ma il quadrato S al quadrato AD è come la F alla E, cioè come il peso massimo retto in D al dato peso maggiore ; adunque questo maggiore sarà retto in R come il massimo che vi possa esser sostenuto : che è quello che si cercava. Sagù. Intendo benissimo : e vo considerando che, essendo il pri- 80 sma AB sempre più gagliardo e resistente alla pressione nelle parti che più e più si allontanano dal mezo, nelle travi grandissime e gravi se ne potrebbe levar non piccola parte verso l’estremità, con notabile alleggerimento di peso, che ne i travamenti di grandi stanze sarebbe . i 3-4. dove ... minima manca in G. — 9-10. dal quale il retto peso massimo al massimo retto dal punto D abbia la medesima proporzione che la linea E alla F. Tra le — 26-27. al dato peso massimo maggiore ; adunque — 28. che si ricercava — 29. A partire dalle parole Saqr. Intendo benissimo il cod. G è tutto di mano di Galileo. 29 VUL 178 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE di commodo ed utile non piccolo. E bolla cosa sarebbe il ritrovar quale figura dovrebbe aver quel tal solido die in tutte le sue parti fusse egualmente resistente, tal che non più facile fusse ad esser rotto da un peso che lo premesse nel mozo, che in qualsivoglia altro luogo. Sa i.v. Già ero in procinto di dirvi cosa assai notabile e vaga in questo proposito. Fo un poco di figura per meglio dichiararmi. Que¬ sto DB è un prisma, la cui resistenza ad essere spezzato nell’ estre¬ mità AD da una forza premente nel termine II è tanto minore della resistenza che si troverebbe nel luogo CI, quanto la lunghezza CB è io minore della BA, come già si è dimostrato. Intendasi adesso il me¬ desimo prisma segato diagonalmente secondo la linea FB, sì che lo faccie opposte siano due triangoli, uno de i quali, verso noi, ò que¬ sto EAB : ottiene tal solido contra¬ ria natura del prisma, cioè che meno resiste all’ essere spezzato sopra ’l termine C che sopra l’A dalla forza posta in B, quanto la lunghezza CB è minore della BA. Il che facilmente proveremo: perchè intendendo il taglio CNO parallelo 20 all’ altro AFD, la linea FA alla CN nel triangolo FAB arà la medesima proporzione che la linea AB alla BC; e però se noi intenderemo, ne i punti A, C esser i sostegni di due leve, le cui distanze BA, AF, BC, CN, queste saranno simili ; e però quel momento che ha la forza posta in B con la distanza BA sopra la resistenza posta nella distanza AF, Farà la medesima forza in B con la distanza BC sopra la medesima resistenza che fusse posta nella distanza CN : ma la resistenza da su¬ perarsi nel sostegno C, posta nella distanza CN, dalla forza in B, è minore della resistenza in A tanto, quanto il rettangolo CO è minore del rettangolo AD, cioè quanto la linea CN è minore della AF, cioè so la CB della BA : adunque la resistenza della parte OCB ad esser rotto in C è tanto minore della resistenza dell’ intero DAB ad esser rotto in A, quanto la lunghezza CB è minore della AB. Aviamo dunque nel trave 0 prisma DB levatone una parte, cioè la metà, segandolo diagonalmente, e lasciato il cuneo 0 prisma triangolare FBA; e sono 1. comodo — 2. dovrebbe — 8. resistenza all’ esser — 1G. Matura da quella del — 21. FAB ha la medesima — 2G. l'avrà — 32. intero BAO ad, G, s— d r INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 179 due solidi di condizioni contrarie, cioè quello tanto più resiste quanto più si scorcia, e questo nello scorciarsi perde altrettanto di robu¬ stezza. Ora, stante questo, par ben ragionevole, anzi pur necessario, che se gli possa dare un taglio, per il quale, togliendo via il super¬ fluo, rimanga un solido di figura tale, che in tutte le sue parti sia egualmente resistente. Simp. E ben necessario che dove si passa dal maggiore al minore, s’incontri ancora 1’ eguale. Saqr. Ma il punto sta ora a trovar come si ha guidar la sega per io far questo taglio. Simp. Questo mi si rappresenta che dovrebbe esser opera assai fa¬ cile ; perchè, se col segar il prisma diagonalmente, levandone la metà, la figura che resta ritien contraria natura a quella del prisma intero, sì che in tutti i luoghi ne i quali questo acquistava robustezza, quello altrettanto la perdeva, panni che tenendo la via del mezo, cioè le¬ vando solamente la metà di quella metà, che è la quarta parte del tutto, la rimanente figura non guadagnerà nè perderà robustezza in tutti quei medesimi luoghi ne i quali la perdita e il guadagno del- l’altre due figure erano sempre eguali. 20 Salv. Voi, Sig. Simplicio, non avete dato nel segno : e sì come io vi mostrerò, vedrete veramente che quello che si può segar del pri¬ sma e levar via senza indebolirlo, non è la sua quarta parte, ma la terza. Ora resta (che è quello che accennava il Sig. Sagredo) il ri¬ trovar secondo che linea si deve far camminar la sega : la quale pro¬ verò che deve esser linea parabolica. Ma prima è necessario dimo¬ strare certo lemma, che è tale : Se saranno due libre o leve, divise da i loro sostegni in modo, che le due distanze dove si hanno a costituire le potenze, abbiano tra di loro doppia proporzione delle distanze dove saranno le so resistenze, le quali resistenze siano tra loro come le lor distanze, le potenze sostenenti saranno eguali. Siano due love AB, CD, divise sopra i lor sostegni E, F talmente, che la distanza EB alla FD abbia doppia proporzione di quella che 1. più resistente quanto — 9. come si deve guidar —11. Sw. Ciò mi — 14. acquistava — lo. altrettanto ne perdeva — via di mezo — 16. che vieti ad esser la quarta — 21-22. segar dal pri¬ sma — 22-23. indebolirlo è la sua terza parte. Ma resta — 24. si debba far caminar 24-25. la qual linea proverò che deve esser parabolica — 29. proporzione di quella che hanno le distanze — 30. tra di loro — 30-31. distanze da i sostegni , le potenze — 31. saranno tra di loro eguali — 180 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE ha la distanza EA alla FC ; ed intondansi in A, C resistenze tra di loro nella proporzione di EA, FC : dico, le potenze che in B, D so¬ sterranno le resistenze di A, C esser tra loro eguali. Pongasi la EG R media proporzionale tra EB e FD: E G sarà dunque come BE ad EG, così , _. GE ad FD ed AE a CF ; e così si è C F t> posto esser la resistenza di A alla resistenza di C. E perchè come EG ad FD, così AE a CF, sarà, permutando, come GE ad EA così DF ad FC ; o però (per esser le due leve DC, GA divise proporzionalmente ne i punti F, E) quando io la potenza che posta in D pareggia la resistenza di C, fusse in G, pareggerebbe la medesima resistenza di C posta in A : ma, per il dato, la resistenza di A alla resistenza di C ha la medesima proporzione che la AE alla CF, cioè che la BE alla EG : adunque la potenza G, o vogliam dire D, posta in B, sosterrà la resistenza posta in A : che è quello che si doveva provare. Inteso questo, nella faccia FB del prisma DB sia segnata la linea parabolica FNB, il cui vertice B, secondo la quale sia segato esso prisma, restando il solido compreso dalla base AD, dal piano rettan¬ golo AG, dalla linea retta BG e dalla superficie DGBF, incurvata se- 20 condo la curvità della linea parabolica FNB : dico, tal solido esser per tutto egualmente resistente. Sia segato dal piano CO, parallelo all’ AD, e intendami due leve divise e posate sopra i sostegni A, C, e siano dell’ una le distanze BA, AF, e dell’ altra le BC, CN. E perchè nella parabola FBA G la AB alla BC sta come il qua¬ drato della FA al quadrato di CN, è manifesto, la distanza BA dell’ una leva alla distanza BC dell’ altra aver doppia proporzione di 30 quella che ha l’altra distanza AF all’ altra CN : e perchè la resistenza da pareggiarsi con la leva BA alla resistenza da pareggiarsi con la leva BC ha la medesima proporzione che ’l rettangolo DA al rettan¬ golo OC, la quale è la medesima che ha la linea AF alla NC, che sono 1 ’ altre due distanze delle leve, è manifesto, per il lemma passato, che 1-2. ed intendami ... FO manca nella stampa. — 3. resistenze deite di — 11. ftèsse posta in — 31. AF alia CN — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 181 la medesima forza che sendo applicata alla linea BGr pareggerà la resi¬ stenza DA, pareggerà ancora la resistenza CO. Ed il medesimo si di¬ mostrerà segandosi il solido in qual si sia altro luogo : adunque tal solido parabolico è per tutto egualmente resistente. Che poi, segandosi il prisma secondo la linea parabolica FNB, se ne levi la terza parte, si fa manifesto : perchè la semiparabola FNBA e ’l rettangolo FB son basi di due solidi compresi tra duo piani paralleli, cioè tra i rettangoli FB, DG, per lo che ritengono tra di loro la medesima proporzione che esse lor basi ; ma il rettangolo FB è sesquialtero della semipara- 10 boia FNBA ; adunque, segando il prisma secondo la linea parabolica, se ne leva la terza parte. Di qui si vede come con diminuzion di peso di più di trentatrè per cento si posson far i travamenti, senza diminuir punto la loro gagliardia ; il che ne i navilii grandi, in par¬ ticolare per regger le coverte, può esser d’utile non piccolo, atteso che in cotali fabbriche la leggerezza importa infinitamente. Sagr. Le utilità son tante, che lungo o impossibil sarebbe il re¬ gistrarle tutte : ma io, lasciate queste da banda, arei più gusto d’in¬ tender che 1 ’ alleggerimento si faccia secondo le proporzioni assegnate. Che il taglio secondo la diagonale levi la metà del peso, l’intendo 20 benissimo ; ma che 1 ’ altro, secondo la parabolica, porti via la terza parte del prisma, posso crederlo al Sig. Salviati, sempre veridico, ma in ciò più della fede mi sarebbe grata la scienza. Salv. Vorreste dunque aver la dimostrazione, come sia vero che 1 ’ eccesso del prisma sopra questo che per ora chiamiamo solido pa¬ rabolico, sia la terza parte di tutto il prisma. So d’ averlo altra volta dimostrato ; tenterò ora se potrò rimetter insieme la dimostrazione, per la quale intanto mi sovviene che mi servivo di certo lemma d’Archimede, posto da esso nel libro delle Spirali: ed è, che se quante linee si vogliono si eccederanno egualmente, e l’eccesso sia eguale alla so minima di quelle, ed altrettante siano ciascheduna eguale alla mas¬ sima, i quadrati di tutte queste saranno meno che tripli de i qua¬ drati di quelle che si eccedono ; ma i medesimi saranno ben più che 3. in qualsivoglia altro — 6-7. perchè se noi intenderemo, esser tirata la retta diagonale BB, aremo 3 superficie, cioè il rettangolo FB, la semiparabola FNBA, e ’l triangolo FAB t basi di 3 solidi — 9. FB è doppio del triangolo FAB e sesquialtero — 16. lungo, se non impossibil — 17-18. intender come V alleggerimento — 20. la linea parabolica— 21. posso ben crederlo al sempre veridico Sig. Salviati, ma — 28. da esso, se ben yni rammento, nel — 29. si vogliano — 30-31. mas¬ sima di quelle che si eccedotw, i quadrati — 31. queste eguali saranno — 182 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE tripli (li quelli altri elio, restano, trattone il quadrato della massima. Posto questo, sia in questo rettangolo ACBP inscritta la linea pa¬ rabolica AB : doviamo provare, il triangolo misto BAP, i cui lati sono BP, PA o base la linea parabolica BA, esser la terza parte di tutto ’l rettangolo CP. Imperò elio, so non è tale, sarà o più che la terza parto o meno. Sia, se esser può, mono, ed a quello che gli manca intendasi esser eguale lo spazio X. Dividendo poi il rettangolo CP continuatamente in parti eguali con linee parallele a i lati BP, CA, arriveremo finalmente a parti tali, p eh’ una di loro sarà minore dello io 0 spazio X : or sia una di quelle il rettangolo OB, o per i punti dove L P altro parallele segano la linea K parabolica, facciansi passare le pa- A rallclo alla AP ; o qui intenderò circoscritta intorno al nostro trian¬ golo misto una figura composta di rettangoli, die sono BO, IN, HM, FL, EK, GA, la qual figura sarà pur ancora meno che la terza parte del rettangolo CP, essendo che l’ec¬ cesso di essa figura sopra ’l triangolo misto è manco assai del rettali- 20 golo BO, il quale è ancor minore dello spazio X. Sagù. Piano, di grazia, eh’ io non vedo come V eccesso di questa figura circoscritta sopra ’l triangolo misto sia manco assai del ret¬ tangolo BO. Salv. Il rettangolo BO non è egli eguale a tutti questi rettango- letti per i quali passa la nostra linea parabolica ? dico di questi BI, IH, IIF, FE, KG, GA, de i quali una parte sola resta fuori del trian¬ golo misto ? cd il rettangolo BO non si è egli posto ancor minoro dello spazio X? Adunque, se il triangolo insieme con P X pareggiava, per 1 ’ avversario, la terza parte del rettangolo CP, la figura circo- so scritta, che al triangolo aggiugne tanto meno che lo spazio X, re¬ sterà pur ancora minore della terza parte del rettangolo medesimo CPj ma questo non può essere, perchè ella è più della terza parte : adunque non è vero che il nostro triangolo misto sia manco del terzo del ret¬ tangolo 1. che restano manca in G. — 15 16. qmi intenderemo circoscritta — 22. non veggo come — 29 30. con l’ X pareggia, per — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 183 Sagr. Ilo intesa la soluzione del mio dubbio. Ma bisogna ora provarci clie la figura circoscritta sia più della terza parte del rettangolo CP, dove credo che aremo assai più da fare. Salv. Eli non ci è gran difficoltà. Imperò che nella parabola il quadrato della linea DE al quadrato della ZG lia la medesima pro¬ porzione che la linea DA alla AZ, che è quella che ha il rettangolo KE al rettangolo AG (per esser 1’altezze AK, KL eguali); adunque la proporzione che ha il quadrato ED al quadrato ZG, cioè il qua¬ drato LÀ al quadrato AK, 1’ ha ancora il rettangolo KE al rettan- 10 golo KZ. E nel medesimo modo appunto si proverà de gli altri ret¬ tangoli LE, MH, NI, OD star tra di loro come i quadrati delle linee MA, NA, OA, PA. Consideriamo adesso come la figura circoscritta è composta di alcuni spazii che tra di loro stanno come i quadrati di linee che si eccedono con eccessi eguali alla minima, e come il ret¬ tangolo CP è composto di altrettanti spazii ciascuno eguale al mas¬ simo, clic sono tutti i rettangoli eguali all’ OD ; adunque, per il lemma d’Archimede, la figura circoscritta è più della terza parte del ret¬ tangolo CP : ma era anche minore, il che è impossibile : adunque il triangolo misto non è manco del terzo del rettangolo CP. Dico pa- 20 rimente che non è più. Imperò che, se è più del terzo del rettan¬ golo CP, intendasi lo spazio X eguale all’ eccesso del triangolo sopra la tei’za parte di esso rettangolo CP ; e fatta la divisione e suddi¬ visione del rettangolo in rettangoli sempre eguali, si arriverà a tale che uno di quelli sia minore dello spazio X. Sia fatta, e sia il ret¬ tangolo DO minore dell’ X ; e descritta come sopra la figura, avremo nel triangolo misto inscritta una figura composta de i rettangoli V0, TN, SM, RL, QK, la quale non sarà ancora minore della terza parte del gran rettangolo CP. Imperò che il triangolo misto supera di manco assai la figura inscritta di quello che egli superi la terza parte 30 di esso rettangolo CP, atteso che l’eccesso del triangolo sopra la terza parte del rettangolo CP è eguale allo spazio X, il quale è mi¬ nore del rettangolo DO, e questo è anco minore assai dell’ eccesso del triangolo sopra la figura inscrittagli ; imperò che ad esso rettan¬ golo BO sono eguali tutti i rettangoletti AG, GE, EF, FH, HI, IB, 1. la dichiarazione del — 4. S.u.v. Non ci sarà gran — 18. ma, per V avversario, era 20-22. Imperò che, se è, sia l’eccesso guani’è lo spazio X; e nel medesimo modo fatta la — 23. rettangolo CP in — 25-20. e descritta la figura come sopra, aremo nel — 26. composta di ret¬ tangoli, s — 27. SM, NL, QK, la quale, s — 29. figura inscrittagli di — 32. è ancora minore — 184 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE de i quali son ancora manco che la metà gli avanzi del triangolo sopra la figura inscritta. E però, avanzando il triangolo la terza parte del rettangolo CP di più assai (avanzandolo dello spazio X) che ei non avanza la sua figura inscritta, sarà tal figura ancora maggioro della terza parte del rettangolo CP : ma ella è minore, per il lemma supposto ; imperò che il rettangolo CP, come aggregato di tutti i ret¬ tangoli massimi, a i rettangoli componenti la figura inscritta ha la medesima proporzione che P aggregato di tutti i quadrati delle linee eguali alla massima a i quadrati delle linee elio si eccedono egual¬ mente, trattone il quadrato della massima ; e però (come de i qua- io tirati accade) tutto P aggregato de i massimi (che è il rettangolo CP) è più che triplo dell’ aggregato de gli eccedentisi, trattone il mas¬ simo, che compongono la figura inscritta. Adunque il triangolo misto non ò nè maggiore nè minore della terza parte del rettangolo CP; è dunque eguale. Sagr. Bella e ingegnosa dimostrazione, e tanto più, quanto ella ci dà la quadratura della parabola, mostrandola essere sesquiterza del triangolo inscrittogli, provando quello che Archimede con due tra di loro diversissimi, ma amendue ammirabili, progressi di molte proposi¬ zioni dimostrò; come anco fu dimostrata ultimamente da Luca Valerio, 20 altro Archimede secondo dell* età nostra, la qual dimostrazione è re¬ gistrata nel libro che egli scrisse del centro della gravità de i solidi. Sai,v. Libro veramente da non esser posposto a qual si sia scritto da i più famosi geometri del presente e di tutti i secoli passati ; il quale quando fu veduto dall’Accademico nostro, lo fece desistere dal proseguire i suoi trovati, che egli andava continuando di scrivere sopra ’l medesimo suggetto, già che vedde il tutto tanto felicemente ritrovato e dimostrato dal detto Sig. Valerio. Sagr. Io ero informato di tutto questo accidente dall’ istosso Ac- 1. de i quali sono anche meno della metà — 2. figura inscritto. 1$peì'ò, b — G-10. il rettan¬ golo CP è V aggregalo di tutti i rettangoli fatti da tutte le lince eguali alla massima delle altret¬ tante che si eccedono egualmente ctc., e la figura inscritta b un aggregato di rettangoli fatti da tutte le medesime linee che s’ eccedono egualmente, trattone però il rettangolo della massima; li quali rettangoli (come s’ è dimostrato) stanno tra di loro come i quadrati delle medesime linee; e però — 12. aggregato di quelli delle linee eccedentesi, trattone — 14-15. CP ; gli è — 17. mostran¬ dola con una sola dimostrazione esser sesquiterza — 18. inscrittogli, che è quello che Archimede — 20-21. Valerio, Archimede — 21. la cui dimostrazione — 22. centro di gravità — 24. da alcuno de i più famosi — 25. Accademico amico nostro — 26-29. i suoi studi, che egli andava conti¬ nuando sopra 7 medesimo soggetto per ritrovar quello che il Comandino aveva lasciato da de¬ siderarsi yiel suo trattato. Saor. Io ero *— INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 185 cademmo : e l’avevo anco ricercato clic mi lasciasse una volta vedere le sue dimostrazioni sin allora ritrovate quando ei s’incontrò nel libro del Sig. Valerio, ma non mi successe poi il vederle. Sai.v. Io ne ho copia, e le mostrerò a V. S., che averà gusto di vedere la diversità de i metodi con i quali camminano questi due autori per l’investigazione delle medesime conclusioni e loro dimo¬ strazioni ; dove anco alcune delle conclusioni hanno differente espli¬ cazione, benché in effetto egualmente vere. Sagr. Mi sarà molto caro il vederle, e V. S., quando ritorni a i io soliti congressi, mi farà grazia di portarle seco. Ma intanto, essendo questa, della resistenza del solido cavato dal prisma col taglio para¬ bolico, operazione non men bella che utile in molte opere mecani- che, buona cosa sarebbe per gli artefici 1’ aver qualche regola facile e spedita per potere sopra ’1 piano del prisma segnare essa linea pa¬ rabolica. Saia. Modi di disegnar tali linee ce ne son molti, ma due sopra tutti gli altri speditissimi glie ne dirò io : uno de i quali è veramente maraviglioso, poiché con esso, in manco tempo che col compasso altri disegnerà sottilmente sopra una carta quattro o sei cerchi di difife- 20 renti grandezze, io posso disegnare trenta e quaranta linee parabo¬ liche, non men giuste sottili e pulite delle circonferenze di essi cer¬ chi. Io ho una palla di bronzo esquisitamente rotonda, non più grande d’ una noce ; questa, tirata sopra uno specchio di metallo, tenuto non eretto all’ orizonte, ma alquanto inchinato, sì che la palla nel moto vi possa camminar sopra, calcandolo leggiermente nel muoversi, lascia una linea parabolica sottilissimamente e pulitissimamente descritta, e più larga e più stretta secondo che la proiezzione si sarà più o meno elevata. Dove anco abbiamo chiara e sensata esperienza, il moto de i proietti farsi per linee paraboliche : effetto non osservato prima so che dal nostro amico, il quale ne arreca anco la dimostrazione nel suo libro del moto, che vedremo insieme nel primo congresso. La palla poi, per descrivere al modo detto le parabole, bisogna, con ma- 1. V avevo anche ricercato — 2. le dimostrazioni che egli aveva ritrovate sin allora eh’ei — 4. arà — 5. caminano — 8. in sustanza egualmente — 12-13. in moltissime operazioni mecaniche — 13. artefici meccanici V aver — 16. Modi per disegnar linee tali ce ne — 19. carta 6 cerchi — 23. d’ una piccola noce — metallo, posato non —24. inclinato — 25. caminar — 25-26. leggier¬ mente, vi segna una linea — 29. paraboliche: accidente non — 30. dall’ amico nostro, il quale ne arreca la dimostrazione ancora nel — 32. per disegnar al — Vili. 24 186 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE neggiarla alquanto con la mano, scalciarla ed alquanto inumidirla, chè così lascerà più apparenti sopra lo specchio i suoi vestigli. L’altro modo, per disegnar la linea, che cerchiamo, sopra il prisma, procede così. Ferminsi ad alto due chiodi in un parete, equidistanti all’ori- zonte e tra di loro lontani il doppio della larghezza del rettangolo su ’l quale vogliamo notare la semiparabola, e da questi due chiodi penda una catenella sottile, e tanto lunga che la sua sacca si stenda quanta è la lunghezza del prisma : questa catenella si piega in figura parabolica, sì che andando punteggiando Ropra ’l muro la strada che vi fa essa catenella, aremo descritta un’intera parabola, la quale con io un perpendicolo, che penda dal mezo di quei due chiodi, si dividerà in parti eguali. Il trasferir poi tal linea sopra le faccie opposte del prisma non ha difficoltà nessuna, sì che ogni mediocre artefice lo saprà fare. Potrebbesi anco con 1’ aiuto delle linee geometriche segnate su ’l compasso del nostro amico, senz’ altra fattura, andar su l’istessa faccia del prisma punteggiando la linea medesima. Abbiamo sin qui dimostrate tante conclusioni attenenti alla con¬ templazione di queste resistenze de i solidi all’ essere spezzati, con 1’ aver prima aperto l’ingresso a tale scienza col suppor come nota la resistenza per diritto, che si potrà consequentemente camminar 20 avanti, ritrovandone altre ed altre conclusioni, e loro dimostrazioni, di quelle che in natura sono infinite. Solo per ora, per ultimo ter¬ mine de gli odierni ragionamenti, voglio aggiugnere la specolazione delle resistenze de i solidi vacui, de i quali 1’ arto, e più la natura, si serve in mille operazioni, dove senza crescer peso si cresce gran¬ demente la robustezza, come si vede nell’ ossa de gli uccelli ed in moltissime canne, che son leggiere e molto resistenti al piegarsi e rompersi : che se un fil di paglia, che sostien una spiga più grave di tutto ’l gambo, fusse fatto della medesima quantità di materia, ma 1 - 2 ^ scaldarla c inumidirla un poco, ch>. — . 3 . per descriver la — 4 - 5 . parete, egualmente alti e tra — 6 - 7 . e da essi penda — 7 - 8 . si stenda quanto è. — 8 - 9 . catenella così pendente si figura e piega in forma di Unta parabolica — 9 - 10 . strada che ella vi fa sopra, aremo — 10 - 13 . con un filo che perpendicolarmente dependa da un terzo chiodo t fitto nel mezo de gli altri primi due, verrà divisa in 2 semiparabolc. Il trasferir poi una di esse sopra le facce opposte del trave o 2)risma — 16 - 17 . fattura, sopra V istessa faccia del prisma andar punteggiando la medesima linea. Abbiamo — 18 - 10 . con aver — 19 - 20 . come data c nota la resistenza sola e naturale alla forza fatta per diritto — 20 - 22 . si potrà conscguentemente caulinare avanti nel ritrovarne e dimostrarne altre ed altre delle infinite che sono in natura. Solo — 24 - 25 . natura, con mirabile industria , si serve — 26 - 27 . in diverse canne — 28 . se, per esempio , un — 28 - 29 . spiga di lui assai più pesante, fusse — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 187 fusse massiccio, sarebbe assai meno resistente al piegarsi ed al rom¬ persi. E con tal ragione ha osservato V arte, e confermato 1’ espe¬ rienza, che un’ asta vota o una canna di legno o di metallo è molto più salda che se fusse, d’ altrettanto peso e della medesima lunghezza, massiccia, che in consequenza sarebbe più sottile ; e però 1’ arte ha trovato di far vote dentro le lancie, quando si desideri averle ga¬ gliarde e leggiere. Mostreremo per tanto, come : Le resistenze di due cilindri eguali ed egualmente lunghi, 1’ uno de i quali sia voto e l’altro massiccio, hanno tra di loro la me¬ desima proporzione che i lor diametri. Siano, la canna o cilindro voto AE, ed il cilindro IN massiccio, eguali in peso ed egualmente lunghi : dico, la l’esistenza della canna A E all’ esser rotta alla resi¬ stenza del cilindro solido IN aver la medesima proporzione che ’l diametro AB al diame¬ tro IL. Il che ò assai manife¬ sto : perchè, essendo la canna e ’l cilindro IN eguali ed egual- 20 mente lunghi, il cerchio IL, base del cilindro, sarà eguale alla ciambella. AB, base della canna AE (chiamo ciambella la superficie che resta, tratto un cerchio minore dal suo concentrico maggiore), e però le loro resistenze assolute sa¬ ranno eguali : ma perdio nel romper in traverso ci serviamo, nel ci¬ lindro IN, della lunghezza LN per leva, e per sostegno del punto L, e del semidiametro o diametro LI per contralleva, e nella canna la parte della leva, cioè la linea BE, è eguale alla LN, ma la contralleva oltre al sostegno B è il semidiametro o diametro AB, resta mani¬ festo, la resistenza della canna superar quella del cilindro solido so secondo l’eccesso del diametro AB sopra ’l diametro IL : che è 1 . sarebbe assai assai meno — 4 - 5 . salda che una, di altrettanto peso e di egual lunghezza , clic fusse massiccia, e clic in conseguenza — 5 - 6 . e però s’introdusse di far vote dentro le lance, quando si desidera averle — 7 - 8 . per tanto qual proporzione osservino i cilindri voti con i solidi di egual lunghezza. E prima dico che: Le resistenze — 10 - 11 . che i diametri delle lor grossezze. Siano — 11 - 12 . ed il cilindro massiccio IN, eguali ed egualmente — 19 . cilindro eguali — 22 - 23 . (chiamo ciambella il residuo del cerchio AB, trattone il cerchio del vano), e però — 25 . IN, per leva della lunghezza LN, e — 26 . e per contratterà del diametro o semidiametro LI, c nella — 27 . ma V altra parte, cioè la contralleva — 28 . c il diametro o semidiametro AB, « — 29 . superar la resistenza del — 188 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quello che cercavamo. S’ acquista, dunque, di robustezza nella canna vota sopra la robustezza del cilindro solido secondo la proporzione de i diametri, tutta volta però elio ameuduo siano dell’ istessa materia, peso e lunghezza. Sarà bone elio conseguentemente andiamo investi¬ gando quello che accaggia negli altri casi indifferentemente tra tutto le canne e cilindri solidi egualmente lunghi, benché in quantità di poso diseguali e più o meno evacuati. E prima dimostreremo, come : Data una canna vota, si possa trovare un cilindro pieno, eguale ad essa. Facilissima è tal operazione. Imperò che sia la linea AB diamo- io tro della canna, e OD diametro del voto : applichisi nel cerchio mag¬ giore la linea AE egual al diametro CD, e congiungasi la EB. E perchè nel mezo cer¬ chio AEB P angolo E è retto, il cerchio il cui diametro è AB, sarà eguale ahi due cerchi do i diametri AE, EB ; ma AE è il diametro del voto della canna ; adunque il cerchio il cui diametro sia EB, Barà egual alla ciam¬ bella ACBD : e però il cilindro solido, il cer¬ chio della cui base abbia il diametro EB, 20 sarà eguale alla canna, essendo egualmente lungo. Dimostrato questo, potremo speditamente Trovare qual proporzione abbiano le resistenze d’ una canna e di pur che egualmente lunghi. Sia la canna ABE, ed il ci¬ lindro Il SM egualmente lungo : bisogna trovare qual proporzione abbiano tra di loro le lor resi¬ stenze. Trovisi, per la precedente, il cilindro 1LN eguale alla canna 30 ed egualmente lungo, e delle li¬ nee IL, RS (diametri delle basi de i cilindri IN, RM) sia quarta proporzionale la linea Y : dico, la resistenza della canna AE a quella del cilindro RM esser come 1 - 2 . quello che si cercava. L’aqquisto, dunque . solido è secondo - 3 - 4 . materia, lun - gli e zza e peso, cioè quantità. Sarà — 6 . quantità e peso — 1. Con evacuati termina in tronco il cod. (i. — un cilindro, qualunque siano, B B ili® & L R INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA SECONDA. 189 la linea AB alla V. Imperò che, essendo la canna AE eguale ed egual¬ mente lunga al cilindro IN, la resistenza della canna alla resistenza del cilindro starà come la linea AB alla IL ; ma la resistenza del cilindro IN alla resistenza del cilindro IIM sta come il cubo IL al cubo RS, cioè come la linea IL alla V ; adunque, ex aequali, la resistenza della canna AE alla resistenza del cilidro RM ha la medesima pro¬ porzione che la linea AB alla V : che ò quello che si cercava. Finisce da seconda Giornata. « i GIORNATA TERZA. DE MOTTT LOCALI. De subiecto vetustissimo novissima»}, promovemus sdentiam. MOTTI nil forte antiquius in natura, et circa eim volumina nec panca nec parva a philosophis conscripta rcpcriuntur ; symptomatum tamen, quae compiuta et scita digna insunt in co, adirne inosservata, needuin indemonsfrata, compcrio. Leviora quaedani adnotantur, ut, yratia exempli, naturatevi motum gradimi descendentium continue accelerali ; veruni, iuxta quam proportionem eius fiat acceleratio, proditum hucusque non est : nullus enim, quod sciavi, de- monstravit, spatia a mobili descendente ex quiete peracta in temporibus io aequalibus, cavi inter se retinere rationem, quam habent numeri imparcs ab imitate consequentes. Observatnvi est, missilia, seu proiecta, lineavi quali- ter cunque curvavi designare; vcruntamen, eam esse parabolani, verno pro- didit. llaec ita esse, et alia non pauca nec minus scita digna, a me dc- vionstrabuntur, et, quod pluris faciendum censeo, aditus et accessus ad amplissimam praestantissimamque sdentiam, cuius hi nostri laborcs erunt dementa, recludetur, in qua ingenia vico perspicaciora abditiores recessus penetrabunt. Tripartito dividimus liane tractationcm : in prima parte consideranius ea quae spectant ad motum aequdbilem, seu uniformem ; in secunda de 20 viotu naturaliter accelerato scribivius ; in terlia, de viotu violento, seu de proiectis. 17. elementi 1 , recludet, in, s — DISCORSI E DIMOSTRAZIONI ECO. — GIORNATA TERZA. 191 DE MOTU AEQUABILI. Circa motum aequàbilcm, seti uniformem, unica opus liahcmus defini¬ tone, qiiam eiusmodi profero : DEFINITE). Aequalem, seu uniformem, motum intelligo eum, cuius partes quibuscun- que temporibus aequalibus a mobili peradae, sunl inter se acqualcs. ADMONITIO. Visum est Oddere vetcri definitioni (quae simpliciter appellai motum aequabilem, dum temporibus aequalibus aequalia transiguntur spatia) par- io ticulam quibuscunque, hoc est omnibus temporibus aequalibus : fieri cnim potest, ut temporibus aliquibus aequalibus mobile pertranseat spatia aequalia, dum tamen spatia transacta in partibus eorundem temporum mnoribus, licei aequalibus, aequalia non sint. Ex aliata definitione quatuor pendent axiomata, scilicet : àxioma I. Spalimi transactum tempore longiori in eodem motu aequabili maius esse spatio transacto tempore breviori. àxioma II, Tempus quo maius spatiim conficitur in eodem motu acquabili, longws 20 est tempore quo conficitur spalimi minus. Àxioma III. Spatium a malori velocitate confectum tempore eodem, maius est spatio confecto a minori velocitate. 192 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Axioma IV. Velocitas qua tempore eodem confidilir maius spatium, maxor estvelo- dtatc qua conficitur spatium minus. Titeorkma I, Puopositio I. Si mobile aequabilitcr latum eademque cum velocitate duo pertranseat spatia, tempora lationim erunt inter se ut spatia peracta. PeHranseat enim mobile aequabilitcr latum eodem cum vcloàtate duo spatia AB, BC, et sit tempus motus per AB, DE ; tempus vero motus per BC esto EF : dico, ut spatium AB ad spatium BC, ita esse tempus DE l i I l i -rl I 1 P ]* —i-1-1-- % - 1 ——i-1—i-1—I— I A p —ì 2 -■-1-1——HBE- ad tempus EF. Protràhantur utrinque spatia et tempora versus G, H et I, K, io et in AG sumantur quoteunque spatia ipsi AB aequalia, et totùlem tempora in DI, tempori DE similiter aequalia ; et rursus in CE sumantur secun- dum quameunque multitudinem spatia ipsi CB aequalia , et totidem tempora in FK, tempori EF aequalia : erunt iam spatium BG et tempus EI acque multiplicia spatii BA et temporìs ED iuxta quameunque multipUcationcm aceepta, et similiter spatium HB et tempus KE spatii CB temporisque FE acque multiplicia in qualibet multiplicatione. Et quia DE est tempus lationis per AB, crii totum EI tempus totius BG, cum motus ponatur aequabilis sinique in EI tot tempora ipsi DE aequalia quot sunt in BG spatia aequa¬ lia BA ; et similiter concludetur, KE esse tempus lationis per IIB. Cum autem 20 motus ponatur aequabilis, si spatium GB esset acquale ipsi BH, tempus quoque IE tempori EK foret acquale; et si GB maius sit quam BH, diavi IE Delle lin. 5 e sag., fino alla 1 in. 9 della pag. 193, si ha una bozza della mano giovanile di Galileo nel cod. A, a car. 138r., la quale presenta le seguenti varianti : 5-6. latum duo pertranseat spada, erunt tempora lationum inter — G. ut spada: e così le bozze autografe hanno, di regola, spneium, spada, ecc., in luogo di spatium, spada, ecc., della stampa.— 7-8. latum duo spada — 8-9. et sit tempus motus ex A in B, DE; tempus vero lationis BC esto — 10-11. ad tempus EF. Protrae tis enim utrinque spaciis et temporibus, sumantur quoteunque spada in AG ij)si —13. Dopo multitudinem segue, cancellato dalla mano di Galileo, tempora ip. ..— 14. erunt itaque spadum — 16. similiter MB spacium et KE tempus spadi — 20. similiter ostcnde- tur, KE — 21-22. ipsi BII, et tempus IE tempori EK esset aequale — 22 e lui. 1, pag. 193. quam BH, INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 193 quatti EK makis erit; et si minus, mima. Sunt itaque quatuor magnitu- dines, AB prima, BC secuncla , DE tertìa, EF quarta, et primae et tertiae, n empe spatii AB et temporis DE, sumpta sunt aeque multiplicia iuxta quameunque multiplicationem tenypus 1E et spatium GB ; ac demonstratuin est, haec vel una acquari, vel una deficere, vel una excedere, tempus EK et spatium BH, acque multiplicia scilicet secundae et quartae: ergo prima ad secumlam, nempe spatium AB ad spatium BC, eandem hàbet rationem quam tertia et quarta, nempe tempus DE ad tempus EF : quod crai de- mostrandum. io Tdeorema n, Propositio IL Si mobile temporibus aeqnalibus duo pertranseat apatia, erunt ipsa apatia inter se ut velocitates. Et si spatia sint ut vclodtates, tempora erunt aequalia. Assumpia enim superiori figura, sint duo spatia AB, BC transatta aequalìbus temporibus, spatium quidein AB cum velocitale DE, et spatium BC cum velocitate EF : dico, spatium AB ad spatium BC esse ut I)E velocitas ad velocitatevi EF. Swnptis enim ulrinque, ut supra, et spatiorum et velo¬ citatimi acque muUiplicibus secundum quameunque multiplicationem, sci- licct GB et IE ipsorum AB et DE, pariterque HB, KE ipsorum BC, EF, 20 concludetur, eodem modo ut supra, multiplida GB, IE vel una deficere, vel aequari, vel excedere, aeque multiplida B1I, EK. Igitur et manifestimi est propositum. Theorbma III, Proposi™ TII. Inaequalibus velodtalibus per idem sputimi latorum tempora, vélodta- fibus e contrario respondent. Sint velocitates inaequales A maior, B minor, et secundum utramque fiat motus. per idem spatium CD : dico, tempus quo A velocitas permeai spa- et IE quam EK. — In luogo del tratto da Sunt a tempus (lin. 1-5) si legge : Tempus igitur IE et spatium GB aequae [ sic| multiplicia sunt , iuxta quameumque multiplicationem accepta, temporis DE et spatii AB, et vel mia aequantur vel ima defìciunt vel una excednnt tempus. Lo parole iuxta quameumque multiplicationem accepta sono aggiunte in margine. — In luogo del tratto da scilicet a tempus (lin. 0-8) si legge: temporis EF et spacii BC in qualibet multi plicalionc ; ergo ut spatium AB ad spatium BC, ita tempus — VII!. 25 194 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE tinnì CD, ad tempus quo vélocitas B idem spatium permeat, esse ut velo- citas B ad velocitatevi A. Fiat enivi ut A ad B, ita CD ad CE ; crii igitur, Af- Cf- ex praecedenti, tempus, quo A vélocitas conficit CD, idem cum tempore quo B conficit CE : sed tempus quo vélocitas B conficit CE, ad tempus quo eadem conficit CD, est ut CE ad CD ; ergo tempus quo vélocitas A conficit CD, ad tempus quo vélocitas B idem CD conficit, est ut CE ad CD, hoc est ut vélocitas B ad velocitatevi A : quod erat intentimi. B I JB 4 X> io Theorema IY, Propositi!) IV. Si duo mobilia ferantur molti aequabili, inacquali tamen velocitate, spatia temporibus inaequalibus ab ipsis peracta habebunt rationem compositam ex ratime velocitatimi et ex ratione teviporuvi. Mola sint duo mobilia E, F mota acquabili, et ratio velocitatis mobilis E ad velocitatevi mobilis F sii ut A ad B ; temporis vero quo movetur E, ad tempus quo movetur F, ratio sit ut C ad D : dico, spatium peractum ab E cum velocitate A in tempore C, ad spatium peractum ab F cum veloci- 20 tate B in tempore I), habere rationem compositam ex ratione velocitatis A ad velocitatevi B et ex ratione tempo¬ ris C ad tempus D. Sit spatium ab E cum velocitate A in tempore C peractum G-, et ut vélocitas A ad velocitatevi B, ita fiat G ad 1 ; ut aidem tempus C ad tempus D, ita sit I ad L : constai, I. esse spatium quo mo¬ vetur F in tempore cadevi in quo E motivai est per G, cum spatia G, I sint ut vélocitates A, B. Et cimi sit ut tempus C ad tempus D, ita I ad L; sit autem I spatium quod confìcitur a mobili F in tempore C; erit L spatium quod confìcitur ab F in tempore D cum velocitate B. Balio autem G ad L componitur ex rationibus G ad I et T ad L, nempe ex ratignibus so velocitatis A ad velocitatevi B et temporis C ad tempus D : ergo patet propusìlmn. E C B G-h D e I *■ LI INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 195 Theokemà V, Propositio Y. Si duo mobilia aequabili motti ferantur, sint tamen vélocitates inaequales, et inaequalia spalla peracta, ratio temporum composita erit ex ratime spatiorum et ex ratione velocitatum contrarie swnptarnm. Sint duo mobilia A, B, sitque velocitas ipsius A ad velocitatcm ipsius B ut V ad T ; spalla autem peracta sint ut S ad R : dico, rationem temporis quo niotum est A, ad tempus y, quo niotum est B, composi- tam esse ex ratione velo- C £ io cìtatis T ad velocitatcm V fX JD et ex ratione spatii S ad spatium 11. SU ipsius motus A tempus C, et ut velocitas T ad velocitatcm V, ita sit tempus C ad tempus E ; et cum C sii tempus in quo A cum ve¬ locitate V confidi spatium S, sitque ut velocitas T móbilis B ad veloci¬ tatevi V, ita tempus C ad tempus E, erit tempus E illud in quo mobile B conficerct idem spatium S. Fiat modo ut spatium S ad spatium R, Ua tempus E ad tempus G : constat, G esse tempus quo B conficeret spatium R. Et quia ratio C ad G componitur ex rationilms C ad E et E ad G ; est autem ratio C ad E cadevi cum ratione velocitatum mobilium A, B con¬ io trarie sumptarum, hoc est cum ratione T ad V ; ratio vero E ad G est eadem cum ratione spatiorum S, R ; ergo patet propositum. Delle lin. 2-21 si ha una bozza autografa e, a quanto pare, della mano giovanile di Galileo, nel c.od. A, a car. 139r., in capo alla quale si leggo, pur di mano di Galileo: Scritte . Essa presenta le seguenti varianti : 3. inaequalia quoque spada — Tra ex e ratione si leggo, cancellato, velocitaiibus et spaciis — 4. velocitatum ò sostituito a temporum, elio era stato scritto prima, c poi fu cancellato. 10-11. ad velocitatcm v (sic enim contrade sumitur) et —12. Sit tempus molus A cd et 16. Fra ut e spadum leggesi, cancellato, tempus. — Allo lin. 8-9 la stampa logge compositum, e alla lin. 16 Fiat Urlio , ut, che abbiamo cor¬ retto, conforme alla bozza autografa, in compositam e Fiat modo ut. <*> Le rette rappresentanti i tempi dei moti, le quali nella figura della stampa sono distinte con le lettere C,E, G, sono indicate negli autografi respettivamonte con cd, cf, gli, tanto nella figura relativa alla Proposizione quinta, quanto in quella relativa alla sosta. i 190 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Tueorema VI, Propositio VI. Si duo mobilia aequabili motte ferantur, ratio vdocitatum ipsorum com¬ posita erit ex ratime spatiorum peradonm et ex ratione temporim contrarie sumptorum. Sint duo 'mobilia A, B, aequabili motu lata ; sirit autem spatia db illis peracta in ratione V ad T, tempora vero sint ut S ad R : dico, velodtatem mobiiis A ad Velocita¬ re . - —— . • ■ - . ■ - terni ipsius B habere jj_ rationem compositam ex ratione spatii Y ad io G- spatium T et tempo- ris R ad tempus S. Sit velocitas G ea cum qua mobile A conficit spatium V in tempore S, et quam rationem habet spatium V ad spatium T, Itane liabeat velocitas C ad aliavi E ; erit E velocitas cum qua mobile B confidi spatium T in tem¬ pore eodem S : quod si fiat, ut tempus R ad tempus S, ita velodtas E ad aliavi G, erit velocitas G illa secundum quam mobile B confidi spatium T in tempore R. Habemns itaque velocitatevi G, cum qua mobile A conficit spatium V in tempore S, et velocitatevi G, cum qua mobile B confidi spatium T in tempore R, et est ratio C ad G composita ex rationibus C ad E et E ad G ; 20 ratio autem C ad E piosita est eadem cum ratione spatii Y-ad spatium T ; ratio vero E ad G est cadevi cum ratione lì ad S : ergo patet propositum. Salv. Questo che abbiamo veduto, è quanto il nostro Autore ha scritto del moto equabile. Passeremo dunque a più sottile e nuova contemplazione intorno al moto naturalmente accelerato, quale è quello che generalmente è esercitato da i mobili gravi descendenti : ed ecco il titolo e P introduzione. Pelle lin. 2-22 si lui una bozza della ninno (giovanile, a quanto pare) di Gai.it.eo, nel cod. A, a car. 139r., in capo alla quale si legge, pur della mano di lui : Scritte. Essa presente le seguenti varianti : 2. mobilia mota «equabili ferantur. A ferantur segue, cancellato, quorum vclocitates sint inaequdles. — 2-3. ratio ipsarum vdocitatum composita — 3. Tra ex e ratione spatiorum leg- gesi, cancellato, ratione temporuin et. — 3-4. Da et a sumptorum è scritto in margine, — 5. Tra mota e lata leggesi, cancellato, seti inacquali velocitate. — 13. Dopo velocitas si legge, cancel¬ lato : mobiiis A ut cd, et quam rationem habet spatium v ad spatium s, Itane liabeat velocitas cd ad aliala et — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 197 DE MOTU NATURALITER ACCELERATO. Quae in motto aequàbili contingunt accidentia, in pr accedenti libro con¬ siderata stimi, : modo de motu accelerato pertractandum. Et primo, defìnitionem ei, quo utitur natura, apprime congruentem in¬ vestigare atque explicare convenit. Quamvis enim aliquam lationis spceiem ex arbitrio confingere, et consequentes cius passiones contemplari, non sit in- conveniens (ita, enim, qui helicas aut conchoides lineas ex matibus quir busdam exortas, licei talibus non utatur natura, sibi finxerunt, earoim symptomata ex suppositione demonstrarunt cum lutale), tamen, quandoqui- 10 dem quadam accelerationìs specie gravitino descendentinm utitur natura, eorundcm speculari passiones decrevimus, si eam, quam allaturi sumus de nostro motti accelerato defìnitionem, cum essentia tnotus naturaliter accele¬ rati congenere conligerit. Quod tandem, post diuturnas mentis agitationes, repperisse eonfiditnus ; ea potissimum ducti ratione, quia symptoniatis, dein- ceps a nóbis demonstratis, apprime responderc atque congruerc videntur ea, quae naturatici experimenta sensui repraesentant. Postremo, ad investiga- tionem tnotus naturaliter accelerati nos quasi manti duxit animadversio con- suetudinis atque instituti ipsiusmet natu/rae in ceteris suis operibus omnibus, in quibus exercendis uti consuevit mediis primis, simplicissimis, facillimis. co Nemmeno enim esse arbitrar qui credat, notatomi ani, volatimi simpliciorì aut faciliori modo exerceri posse, quam co ipso, quo pisces et aves instinctu naturali utuntur. Bum igitur lapidem, ex sublimi a quiete descendentem, nova deinceps velocitatis acquirere incrementa animadverto, cur talia additamenta, simpli- cissima atque omnibus tnagis óbvia ratione, fieri non credano ? Quod si at¬ tente inspiciatnus, nullum additamentum, nullum incrementum, tnagis sim¬ plex inveniemus, quam illud, quod semper codem modo super addii. Quod facile intelligemus, maximam temporis atque tnotus affmitatem inspicientes : sicut enim tnotus acquabilitas et uniformitas per temporum spaiiorumque aequabilitates defmitur ac condpitur (lationem, enim, tunc aequabilem ap- àpcllamus, cum temporibus aequalibus aequalia conficiuntur spatia), ita per easdem aequalitates partium temporis, incrementa ederitatis simpliciter facta 10. quibus excrcndis uti , s — 198 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE percipere possumus ; mente coneipientes, motum illuni uniformitcr eodemque modo continue accderatuni esse, dum temporibus quibuscumque aequalibus aequalia ei superaddantur celentatis additamenta. Adeo ut, sumptis quot- cirnque temporis particidis aequalibus a primo instanti in quo mobile re- cedit a quiete et descensum aggreditili', celeritatis gradus in prima cum secunda temporis particula acquisiti *s, duplus sit gradus quem acquisiva mobile in prima particula; gradus vero quem obtinet in tribus temporis particulis, triplus ; quem in quatuor, quadruplus eiusdem gradus primi tem¬ po) is : ita ut (clarioris intelligevtiae causa), si mobile lationem suoni conti¬ nuarci iuxta gradum seu momentum velocitatis in prima temporis particida io acquisitati, motumque suum deinceps aequabiliter cum tali grada cxtenderet, latio haec duplo esset tardior ea, quam iuxta gradum velocitatis in duabus tempo)'is particulis acquisitati obtineret. Et sic a recto rationc absonum ne- quaquam esse videtur, si accipiamus, intcntionem velocitatis fieri iuxta tem- jioris extensionem ; ex quo definitio motus, de quo acturi sumus, talis acàpi potest : Motum aequabiliter, seu uniformitcr, acccleratum dico illuni, qui, a quiete recedens, temporibus aequalibus aequalia celeritatis momeuta sibi sur peraddit. Sagh. Io, sì come fuor di ragiono mi opporrei a questa o ad altra definizione che da qualsivoglia autore fusse assegnata, essendo tutte 20 arbitrarie, così ben posso senza offesa dubitare se tal definizione, con¬ cepita ed ammessa in astratto, si adatti, convenga e si verifichi in quella sorte di moto accelerato che i gravi naturalmente descendenti vanno esercitando. E perchè pare che l’Autore ci prometta ohe tale, quale egli ha definito, sia il moto naturale de i gravi, volentieri mi sentirei rimuover certi scrupoli che mi perturbano la mente, acciò poi con maggior attenzione potessi applicarmi alle proposizioni, e lor dimostrazioni, che si attendono. Salv. E bene che V. S. ed il Sig. Simplicio vadano proponendo lo difficoltà ; le quali mi vo immaginando che siano per essere quelle so stesse che a ine ancora sovvennero, quando primieramente veddi questo trattato, e che o dall’Autor medesimo, ragionandone seco, mi furon sopite, o tal una ancora da me stesso, co ’l pensarvi, rimosse. Sàgr. Mentre io mi vo figurando, un mobile grave desceudente partirsi dalla quiete, cioè dalla privazione di ogni velocità, ed entrare 27. alle proporzioni, e, 8 — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 199 nel moto, ed in quello andarsi velocitando secondo la proporzione che cresce ’l tempo dal primo instante del moto, ed avere, v. g., in otto battute di polso acquistato otto gradi di velocità, della quale nella quarta battuta ne aveva guadagnati quattro, nella seconda due, nella prima uno, essendo il tempo subdivisibilo in infinito, ne seguita che, diminuendosi sempre con tal ragione 1’ antecedente velocità, grado alcuno non sia di velocità così piccolo, o vogliamo dir di tardità così grande, nel quale non si sia trovato costituito 1’ istesso mobile dopo la partita dall’ infinita tardità, cioè dalla quiete : tal che, se quel io grado di velocità eh’ egli ebbe alle quattro battute di tempo, era tale che, mantenendola equabile, arebbe corso due miglia in un’ ora, e co ’l grado di velocità eh’ ebbe nella seconda battuta arebbe fatto un miglio per ora, convien diro che ne gl’ instanti del tempo più e più vicini al primo della sua mossa dalla quiete si trovasse così tardo, che non arebbe (seguitando di muoversi con tal tardità) passato un miglio in un’ ora, nè in un giorno, nè in un anno, nè in mille, nè passato anco un sol palmo in tempo maggiore ; accidente al quale pare che assai mal agevolmente s’ accomodi 1’ immaginazione, mentre che il senso ci mostra, un grave cadente venir subito con gran velocità. 20 Salv. Questa è una delle difficoltà che a me ancora su ’l principio dette che pensare, ma non molto dopo la rimossi ; ed il rimuoverla fu effetto della medesima esperienza che di presente a voi la suscita. Voi dite, parervi che l’esperienza mostri, che a pena partitosi il grave dalla quiete, entri in una molto notabile velocità ; ed io dico che questa medesima esperienza ci chiarisce, i primi impeti del cadente, benché gravissimo, esser lentissimi e tardissimi. Posate un grave so¬ pra una materia cedente, lasciandovelo sin che prema quanto egli può con la sua semplice gravità: è manifesto che, alzandolo un brac¬ cio o due, lasciandolo poi cadere sopra la medesima materia, farà so con la percossa nuova pressione, e maggiore che la fatta prima co ’l solo peso ; e 1’ effetto sarà cagionato dal mobile cadente congiunto con la velocità guadagnata nella caduta, il quale effetto sarà più e più grande, secondo che da maggior altezza verrà la percossa, cioè secondo che la velocità del percuziente sarà maggiore. Quanta dun¬ que sia la velocità d’ un grave cadente, lo potremo noi senza errore conietturare dalla qualità e quantità della percossa. Ma ditemi, Si¬ gnori : quel mazzo che lasciato cadere sopra un palo dall’ altezza di 200 DISCORSI R DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quattro braccia lo ficca in terra, v. g., quattro dita, venendo dall’ al¬ tezza di duo braccia lo caccerà assai manco, o meno dall’ altezza di uno, e manco da un palmo ; e finalmente, sollevandolo un dito, che farà di più. che so, senza percossa, vi fusse posto sopra? certo po¬ chissimo: cd operazione del tutto impercettibile sarebbe, se si ele¬ vasse quanto è grosso un foglio. E perchè 1’ effetto della percossa si regola dalla velocità del medesimo percuziente, chi vorrà dubitare che lentissimo sia ’l moto e più elio minima la velocità, dove l’ope¬ razione sua sia impercettibile ? Veggano ora quanta sia la forza della verità, mentre l’istessa esperienza elio pareva nel primo aspetto ino- io strare una cosa, meglio considerata ci assicura del contrario. Ma senza ridursi a tale esperienza (che Bonza dubbio è concludentissima), mi pare che non sia difficile co ’l semplice discorso penetrare una tal verità. Noi abbiamo un sasso grave, sostenuto nell’ aria in quiete ; si libera dal sostegno e si pone in libertà, e, come più grave dell’ aria, vien descendendo al basso, e non con moto equabile, ma lento nel principio, e continuamente dopo accelerato : ed essendo che la velocità è augumentabile e menomabile in infinito, qual ragione mi persua¬ derà che tal mobile, partendosi da una tardità infinita (che tal è la quiete), entri immediatamente in dieci gradi di velocità più che in 20 una di quattro, o in questa prima che in una di due, di uno, di un mezo, di un centesimo? ed in somma in tutte le minori in infinito? Sentite, in grazia. Io non credo che voi fuste renitenti a concedermi che 1’ acquisto de i gradi -di velocità del sasso cadente dallo stato di quiete possa farsi co ’l medesimo ordino che la diminuzione e per¬ dita de i medesimi gradi, mentre da virtù impellente fusse ricacciato in su alla medesima altezza ; ma quando ciò sia, non veggo clic si possa dubitare che nel diminuirsi la velocità del sasso ascendente, consumandola tutta, possa pervenire allo stato di quiete prima che passar per tutti i gradi di tardità. 80 Simp. Ma se i gradi di tardità maggioro e maggiore sono infiniti, già mai non si consumeranno tutti ; onde tal grave ascendente non si condurrà mai alla quiete, ma infinitamente si moverà, ritardandosi sempre : cosa che non si vede accadere. Saly. Accaderebbe cotesto, Sig. Simplicio, quando il mobile an¬ dasse per qualche tempo trattenendosi in ciaschedun grado ; ma egli vi passa solamente, senza dimorarvi oltre a un instante ; e perchè in INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA .TERZA. 201 ogni tempo quanto, ancor che piccolissimo, sono infiniti instanti, però son bastanti a rispondere a gl’ infiniti gradi di velocità diminuita. Che poi tal grave ascendente non persista per verun tempo quanto in alcun medesimo grado di velocità, si fa manifesto così : perchè se, assegnato qualche tempo quanto, nel primo instante di tal tempo ed anco nell’ ultimo il mobile si trovasse aver il medesimo grado di ve¬ locità, potrebbe da questo secondo grado esser parimente sospinto in su per altrettanto spazio, sì come dal primo fu portato al secondo, e per l’istessa ragione passerebbe dal secondo al terzo, e finalmente io continuerebbe il suo moto uniforme in infinito. Sagù. Da questo discorso mi par che si potrebbe cavare una assai congrua ragione della quistione agitata tra i filosofi, qual sia la causa dell’ accelerazione del moto naturale de i gravi. Imperò che, mentre io considero, nel grave cacciato in su andarsi continuamente dimi¬ nuendo quella virtù impressagli dal proiciente ; la quale, sin che fu superiore all’ altra contraria della gravità, lo sospinse in alto ; giunte che siano questa e quella all’ equilibrio, resta il mobile di più salire e passa per lo stato della quiete, nel quale l’impeto impresso non è altramente annichilato, ma solo consumatosi quell’ eccesso che pur 20 dianzi aveva sopra la gravità del mobile, per lo quale, prevalendo¬ gli, lo spigneva in su ; continuandosi poi la diminuzione di questo impeto straniero, ed in consequenza cominciando il vantaggio ad esser dalla parte della gravità, comincia altresì la scesa, ma lenta per il contrasto della virtù impressa, buona parte della quale rimane ancora nel mobile ; ma perchè ella pur va continuamente diminuendosi, ve¬ nendo sempre con maggior proporzione superata dalla gravità, quindi nasce la continua accelerazione del moto. Simp. Il pensiero è arguto, ma più sottile che saldo : imperò che, quando pur sia concludente, non sodisfà se non a quei moti naturali so a i quali sia preceduto un moto violento, nel quale resti ancora vivace parte della virtù esterna ; ma dove non sia tal residuo, ma si parta il mobile da una antiquata quiete, cessa la forza di tutto il discorso. Sagr. Credo che voi siate in errore, e che questa distinzione di casi, che fate, sia superflua, o, per dir meglio, nulla. Però ditemi, se nel proietto può esser tal volta impressa dal proiciente molta e tal ora poca virtù, sì che possa essere scagliato in alto cento braccia, ed anco venti, o quattro, o uno ? 202 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Simp. Non è dubbio die sì. Sagr. E non meno potrà cotal virtù impressa di così poco superar la resistenza della gravità, che non 1’ alzi più d’ un dito ; e final¬ mente può la virtù del proiciente esser solamente tanta, che pareggi per 1’ appunto la resistenza della gravità, sì che il mobile sia non cacciato in alto, ma solamente sostenuto. Quando dunque voi reggete in mano una pietra, che altro gli fate voi che l’imprimerli tanta virtù impellente all’ in su, quanta è la facoltà della sua gravità, traente in giù ? e questa vostra virtù non continuate voi di conservargliela impressa per tutto il tempo che voi la sostenete in mano ? si dimi- io nuisce ella forse per la lunga dimora che voi la reggete ? e questo sostentamento che vieta la scesa al sasso, che importa che sia fatto più dalla vostra mano, che da una tavola, o da una corda dalla quale ei sia sospeso ? Certo niente. Concludete pertanto, Sig. Simplicio, che il precedere alla caduta del sasso una quiete lunga o breve o mo¬ mentanea, non fa differenza alcuna, sì che il sasso non parta sempre affetto da tanta virtù contraria alla sua gravità, quanta appunto ba¬ stava a tenerlo in quiete. Salv. Non mi par tempo opportuno d’ entrare al presente nell’ in¬ vestigazione della causa dell’ accelerazione del moto naturale, intorno 20 alla quale da varii filosofi varie sentenzie sono state prodotte, ridu¬ cendola alcuni all’ avvicinamento al centro, altri al restar successi¬ vamente manco parti del mezo da fendersi, altri a certa estrusione del mezo ambiente, il quale, nel ricongiugnersi a tergo del mobile, lo va premendo e continuatamente scacciando ; le quali fantasie, con altre appresso, converrebbe andare esaminando e con poco guadagno risolvendo. Per ora basta al nostro Autore che noi intendiamo che egli ci vuole investigare 0 dimostrare alcune passioni di un moto ac¬ celerato (qualunque si sia la causa della sua accelerazione) talmente, che i momenti della sua velocità vadano accrescendosi, dopo la sua so partita dalla quiete, con quella semplicissima proporzione con la quale cresce la continuazion del tempo, che è quanto dire che in tempi eguali si facciano eguali additamenti di velocità ; e se s’incontrerà che gli accidenti che poi saranno dimostrati si verifichino nel moto de i gravi naturalmente descendenti ed accelerati, potremo reputare che 1’ assunta definizione comprenda cotal moto de i gravi, e che vero 25. va spremendo e, s — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 203 sia che 1’ accelerazione loro vadia crescendo secondo che cresce il tempo e la durazione del moto. Sagr. Per quanto per ora mi si rappresenta all’ intelletto, mi pare che con chiarezza forse maggioro si fusse potuto definire, senza va¬ riare il concetto: Moto uniformemente accelerato esser quello, nel quale la velocità andasse crescendo secondo che cresce lo spazio che si va passando ; sì che, per esempio, il grado di velocità acquistato dal mobile nella scesa di quattro braccia fusse doppio di quello ch’egli ebbe, sceso che e’ fu lo spazio di due, e questo doppio del conseguito io nello spazio del primo braccio. Perchè non mi par che sia da dubi¬ tare, die quel grave che viene dall’ altezza di sei braccia, non abbia e perquota con impeto doppio di quello che ebbe, sceso che fu tre braccia, e triplo di quello che ebbe alle due, e sescuplo dell’ auto nello spazio di uno. Sai/v. Io mi consolo assai d’ aver auto un tanto compagno nel- 1’ errore ; e più vi dirò che il vostro discorso ha tanto del verisimile c del probabile, che il nostro medesimo Autore non mi negò, quando io glielo proposi, d’ esser egli ancora stato per qualche tempo nella medesima fallacia. Ma quello di che io poi sommamente mi mara- 20 vigliai, fu il vedere scoprir con quattro semplicissime parole, non pur false, ma impossibili, due proposizioni che hanno del verisimile tanto, che avendole io proposte a molti, non ho trovato chi liberamente non me 1’ ammettesse. Smr. Veramente io sarei del numero de i conceditori : e che il grave descendente vires acquimi eundo, crescendo la velocità a ragion dello spazio, o che ’l momento dell’ istesso percuziente sia doppio ve¬ nendo da doppia altezza, mi paiono proposizioni da concedersi senza repugnanza o controversia. Sai/v. E pur son tanto false e impossibili, quanto che il moto si so faccia in un instante : ed eccovenc chiarissima dimostrazione. Quando le velocità hanno la medesima proporzione che gli spazii passati o da passarsi, tali spazii vengon passati in tempi eguali ; se dunque le velocità con le quali il cadente passò lo spazio di quattro braccia, furon doppie delle velocità con le quali passò le due prime braccia (sì come lo spazio è doppio dello spazio), adunque i tempi di tali passaggi sono eguali : ma passare il medesimo mobile le quattro brac¬ cia e le due nell’ istesso tempo, non può aver luogo fuor che nel 204 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE moto instautanco : ma noi veggiaino cho il grave cadento fa suo moto in tempo, ed in minore passa le duo braccia che le quattro ; adun¬ que è falso che la velocità sua cresca come lo spazio. L’ altra pro¬ posizione si dimostra falsa con la medesima chiarezza. Imperò che, essendo quello cho perquote il medesimo, non può determinarsi la differenza e momento delle percosse se non dalla differenza della ve¬ locità : quando dunque il percuziente, venendo da doppia altezza, fa¬ cesse percossa di doppio momento, bisognerebbe che percotesse con doppia velocità: ma la doppia velocità passa il doppio spazio nel- T istesso tempo, o noi veggiamo il tempo della scesa dalla maggior io altezza esser più lungo. Sagr. Troppa evidenza, troppa agevolezza, ò questa con la quale manifestate conclusioni ascoste : questa somma facilità le rende di minor pregio che non erano mentre stavano sotto contrario sem¬ biante. Poco penso io che prezzerebbe 1’ universale notizie acquistate con sì poca fatica, in comparazione di quelle intorno alle quali si fanno lunghe ed inesplicabili altercazioni. Salv. A quelli i quali con gran brevità e chiarezza mostrano le fallacie di proposizioni state comunemente tenute per vere dall’ uni¬ versale, danno assai comportabile sarebbe il riportarne solamente 20 disprezzo, in luogo di aggradimento ; ma bene spiacevole e molesto riesce cert’ altro affetto che suol tal volta destarsi in alcuni, che, pre¬ tendendo ne i medesimi studii almeno la parità con chiunque si sia, si veggono aver trapassate per vere conclusioni che poi da un altro con breve e facile discorso vengono scoperte e dichiarate false. Io non chiamerò tale affetto invidia, solita a convertirsi poi in odio ed ira contro agli scopritori di tali fallacie, ma lo dirò uno stimolo e una brama di voler più presto mantener gli errori inveterati, che permetter che si ricevano le verità nuovamente scoperte ; la qual brama tal volta gl’ induce a scrivere in contradizione a quelle verità, 30 pur troppo internamente conosciute anco da loro medesimi, solo per tener bassa nel concetto del numeroso e poco intelligente vulgo 1’ al¬ trui reputazione. Di simili conclusioni false, ricevute per vere e di agevolissima confutazione, non piccol numero ne ho io sentite dal nostro Academico, di parte delle quali ho anco tenuto registro. Sagr. E V. S. non dovrà privarcene, ma a suo tempo farcene parte, quando ben anco bisognasse in grazia loro fare una particolar ses- INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 205 sione. Per ora, continuando il nostro filo, panni che sin qui abbiamo fermata la definizione del moto uniformente accelerato, del quale si tratta ne i discorsi che seguono ; ed è : Motum aequabilitcr, seu uniformità', acceleratimi dicimus eum, qui, a quiete recedens, temporibus aequalibus aequalia celeritatis momcnta sibi superaddit. Sai.v. Fermata cotal definizione, un solo principio domanda e sup¬ pone per vero l’Autore, cioè : Accipio, gradus velocitatis eiusdem mobilis super diversas planorum iti¬ lo clinationes acquisitos lune esse aequales, cu/m eorumdem planorum eie- vationcs aequales sint. Chiama la elevazione di un piano inclinato la perpendicolare che dal termine sublime di esso piano casca sopra la linea orizontale pro¬ dotta per P infimo termine di esso piano inclinato : come, per intel¬ ligenza, essendo la linea AB parallela all’ orizonte, sopra ’l quale siano inclinati li due piani CA, CD, la per¬ pendicolare CB, cadente sopra V ori¬ zontale BA, chiama l’Autore la eleva¬ zione de i piani CA, CD ; e suppone 20 che i gradi di velocità del medesimo mobile scendente per li piani incli¬ nati CA, CD, acquistati ne i termini A, D, siano eguali, per esser la loro elevazione l’istessa CB : e tanto anco si deve intendere il grado di velocità che il medesimo cadente dal punto C arebbe nel termine B. Sagr. Veramente mi par che tal supposto abbia tanto del proba¬ bile, che meriti di esser senza controversia conceduto, intendendo sempre che si rimuovano tutti gl’ impedimenti accidentarii ed esterni, e che i piani siano ben solidi e tersi ed il mobile di figura perfet- 3u tissimamente rotonda, sì che ed il piano ed il mobile non abbiano scabrosità. Rimossi tutti i contrasti ed impedimenti, il lume naturale mi detta senza difficoltà, che una palla grave e perfettamente ro¬ tonda, scendendo per le linee CA, CD, CB, giugnerebbe ne i ter¬ mini A, D, B con impeti eguali. Salv. Voi molto probabilmente discorrete ; ma, oltre al verisimile, voglio con una esperienza accrescer tanto la probabilità, che poco gli manchi all’ agguagliarsi ad una ben necessaria dimostrazione. Fi- 206 DI8U0KH1 E UlMOSTliAZIONI MATEMATICI!!' guratovi, questo foglio essere una parete erotta all’ orizontc, e da un chiodo fitto in ossa pendere una palla di piombo d’ un’ oncia o due, sospesa dal sottil filo AB, lungo due o tre braccia, perpendicolare all’ orizonto, e nella parete segnato una linea orizontale DO, segante a squadra il perpendicolo AB, il quale sia lontano dalla parete due dita in circa ; trasferendo poi il filo AB con la palla in AC, lasciate essa palla in libertà : la quale primie¬ ramente vedrete scendere deaeri- io vendo l’arco CBD, o di tanto trapas¬ sare il termine B, che, scorrendo per l’arco BI), sor¬ monterà sino qua¬ si alla segnata parallela CD, re¬ stando di pervenirvi per piccolissimo intervallo, toltogli il precisa¬ mente arrivarvi dall’ impedimento dell’ aria o del filo ; dal che pos- -o siamo veracemente concludere, che l’impeto acquistato nel punto B dalla palla, nello scendere per 1’ arco CB, fu tanto, che bastò a ri¬ sospingersi per un simile arco BI) alla medesima altezza. Fatta e piti volte reiterata cotale esperienza, voglio che ficchiamo nella parete, rasente al perpendicolo AB, un chiodo, come in E o vero in F, che sporga in fuori cinque o sei dita, e questo acciò che il filo AC tor¬ nando, come prima, a riportar la palla C per 1’ arco CB, giunta che ella sia in B, intoppando il filo nel chiodo E, sia costretta a cam¬ minare per la circonferenza BG, descritta intorno al centro E ; dal che vedremo quello che potrà far quel medesimo impeto che, dianzi, so concepito nel medesimo termine B, sospinse l’istesso mobile per 1’ arco BD all’ altezza della orizontale CD. Ora, Signori, voi vedrete con gu¬ sto condursi la palla all’ orizontale nel punto G, e l’istesso accadere so l’intoppo si mettesse più basso, come in F, dove la palla descri¬ verebbe 1’ arco BI, terminando sempre la sua salita precisamente nella linea CD; e quando l’intoppo del chiodo fusse tanto basso che l’avanzo del filo sotto di lui non arrivasse all’ altezza di CD (il che accaderebbe INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 207 quando fusse più vicino al punto B che al segamento dell’AB con 1’ orizontale CD), allora il filo cavalcherebbe il chiodo e se gli avvol¬ gerebbe intorno. Questa esperienza non lascia luogo di dubitare della verità del supposto : imperò che, essendo li due archi CB, DB eguali e similmente posti, l’acquisto di momento fatto per la scesa nel- 1’ arco CB è il medesimo che il fatto per la scesa dell’ arco DB ; ma il momento acquistato in B per 1’ arco CB è potente a risospingere in su il medesimo mobile per 1’ arco BD ; adunque anco il momento acquistato nella scesa DB è eguale a quello che sospigne l’istesso in mobile per il medesimo arco da B in D ; sì che, universalmente, ogni momento acquistato per la scesa d’ un arco è eguale a quello che può far risalire l’istesso mobile per il medesimo arco : ma i momenti tutti che fanno risalire per tutti gli archi BD, BG, BI sono eguali, poiché son fatti dall’ istesso medesimo momento acquistato per la scesa CB, come mostra l’esperienza ; adunque tutti i momenti che si acquistano per le scese ne gli archi DB, GB, IB sono eguali. Saur. Il discorso mi par concludentissimo, e 1’ esperienza tanto accomodata per verificare il postulato, che molto ben sia degno d’ es¬ ser conceduto come se fusse dimostrato. 20 Salv. Io non voglio, Sig. Sagredo, che noi ci pigliamo più del do¬ vere, e massimamente che di questo assunto ci abbiamo a servire principalmente ne i moti fatti sopra superficie rette, e non sopra curve, nelle quali 1’ accelerazione procede con gradi molto differenti da quelli con i quali noi pigliamo eh’ ella proceda ne’ piani retti. Di modo che, se ben 1’ esperienza addotta ci mostra che la scesa per 1’ arco CB conferisce al mobile momento tale, che può ricondurlo alla medesima altezza per qualsivoglia arco BD, BG, Bl, noi non possiamo con simile evidenza mosti’are che l’istesso accadesse quando una per¬ fettissima palla dovesse scendere per piani retti, inclinati secondo le so inclinazioni delle corde di questi medesimi archi ; anzi è credibile che, formandosi angoli da essi piani retti nel termine B, la palla scesa per l’inclinato secondo la corda CB, trovando intoppo ne i piani ascendenti secondo le corde BI), BG, BI, nell’ urtare in essi perde¬ rebbe del suo impeto, nè potrebbe, salendo, condursi all’ altezza della linea CD : ma levato l’intoppo, che progiudica all’ esperienza, mi par bene che l’intelletto resti capace, che l’impeto (che in effetto piglia 27. arco BC, BG, BI, noi, s — 208 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE vigore dalla quantità della scesa) sarebbe potente a ricondurre il mobile alla medesima altezza. Prendiamo dunque per ora questo come postulato, la verità assoluta del quale ci verrà poi stabilita dal ve¬ dere altre conclusioni, fabbricato sopra tale ipotesi, rispondere e pun¬ tualmente confrontarsi con 1’ esperienza. Supposto dall’Autore questo solo principio, passa alle proposizioni, dimostrativamente concluden¬ dole ; delle quali la prima è questa : Thkokema I, Propositi!) T. Tempus in quo aliquod sputimi a molili conficitur lutione ex quiete uni forni iter accelerata, est acquale tempori in quo idem spalimi con- io ficeretur ab eodem molili mota aequàbUi doluto, cuius velocitatis gradus subduplus sit ad summrnn et ultimum graduai velocitatis prioris mo- tus unìfonniter accelerati. lìepraesentetur per extensionem AB tempus in quo a mobili lattone uni¬ formile)- accelerata ex quiete in C con/iciatur sputimi CD ; graduimi attieni C velocitatis adauctae in instantibus temporis AB maximus et ultimiis repraesentetur per EB, ulcunque super AB constitutam ; iunctaque AE, lineae omnes ex smgulis punctis lineae AB ipsi BE aequidistanter actae, crescentes velocitatis gradus post instans A repraesentabunt. JDi- 20 viso, deinde BE bifanam in F, ductisque parallelis FG, AG ipsis BA, BF, paraìlelogrammum AGFB erit con- stitutum, triangulo AEB aequale, dividens suo latore GF Infuriavi AE in I : quodsi parallclae triangoli AEB usque ad 1G extendantur, habebimus aggregatovi paral- lelarum omnium in quadrilatero contentarmi aequalem aggregatili compréhmsurum in triangulo AEB ; quae enim sunt in triangulo IEF, pares sant cutn contenlis in triangulo GIÀ ; eae vero quae hdbentur in trape¬ li zio AIFB, comminies sunt. Cwnque singidis et omnibus so instantibus temporis AB rcsjìondeant singola et omnia panda lineae AB, ex quibus actae parallelae in triangulo AEB comprehensae crescentes gradus velocitatis adauctae repraesentant, parallelae vero intra paraìlelogrammum contentae totidem gradus velocitatis non adauctae, sed aequabilis, itidem 18. constitutam ; iiinclaeque, s — 25. ad IGF extendantur, s — 28. IEF, paria sunt, s — INTORNO A BUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 209 repraescntcnt ; apparet, totidem velocitatiti momento absmnpta esse in motu accelerato naia crescentes paràllélas triangoli AEB, ac in motu acqua¬ viti iuxta paràllélas parallelogrammi GB : quoti enim momentonm deficit in prima motus accelerati medielate, (defciunt enim momento per paralle- las trianguli AGI repraesentata), reficitur a momentis per paràllélas trian¬ goli IEF repraesentatis. Patet igìtur, aequalia futura esse spatia tempore eodem a duobus mdbilibus peracta, quorum unum motu ex quiete uniformiter accelerato moveatur, alterimi vero motu aequabili iuxta momentum subdur jìlum momenti maximi velocitatis accelerati motus : quod erat intentimi. io Tiieorema II, ritoposiTio IL Si aliquod mobile motu uniformiter accelerato descendat ex quiete, spatia quibuscunque temporìbus ab ipso peracta, sunt inter se in duplicata ratione cornndem temporum, nempe ut eorundem temporu/m quadrata. Intélligatur, flaxus temporis ex àliquo primo instanti A AH rcpraesentari per cxtensionem AB, in qua sumantur duo quaelibet tempora AD, AE ; sitque HI linea, in qua mobile o ex pimelo H, tanquam primo motus principio, descendat uni¬ formiter acceleratimi; sitque spatium IIL peractum primo ^TJ Ìm: tempore AD, IIM vero sit spatium per quod descenderit in 20 tempore AE : dico, spatium MII ad spatium HL esse, in du¬ plicata ratione eius quam hàbet tempus EA ad tempus AD ; seu dicamus, spatia MH, HL eandem habere rationem quam habent quadrata EA, AD. Ponatur linea AC, quemeunque angulum cum ipsa AB continens; ex punctis vero D, E duetae sint parallélae DO, EP : quartini DO repraesentabit maximum gradimi velocitatis acquisitine in instanti D temporis AD ; PE vero, maximum gradtm velocitatis acquisitile in instanti E temporis AE. Quia vero supra demonstratum est, quod attinet ad spatia peracta, aequalia esse inter se illa, quorum alterimi / c so conficitur a, mobìli ex quiete moki uniformiter accelerato, alte¬ rimi vero quod tempore eodem conficitur a mobili motu aequa¬ bili delato, cuius velocitas subdupla sii maxìmae in motu accelerato acquisitae; constai, spatia MH, LII esse eadem quae motibus aeqmlibus, quorum velocitates essent ut dimidiae PE, OD, confìcerentur in temporibus EA, DA. Si igìtur ostenswn fuerìt, haec spatia MH, LH esse in Vili. 27 210 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE duplicata ratime tcmporum EA, DA, intentimi próbatum erit. Veruni in quarta proposidone primi libri demonstratum est, móbilimn aequabili motti latorum spatia peracta liabere inter se rationem compositam ex ratime ve¬ locitatimi et ex radane tcmporum : hic a idem rado velocitatimi est cadevi cimi ratime tcmporum (quatti enim rationem hdbet dimidiu PE ad dimidiam OD, seti tota PE ad totani OD, liane hubet AE ad AD) : ergo ratio spatiorum peradorum dupla est rationia temporum : quod end demonstrundmi. Patet edam bine, eandem spatiorum rationem esse duplani rationis maxi- marmi graduimi velocitads, nempe linearum PE, OD, cum sit PE ad OD ut E A ad DA. io CoROLLARlUM I. lime manifestimi est, quod si fucrint quote,unque tempora aequalia am- sequenter sumpta a primo instanti seu principio lationis, utputa AD, DE, EF, FG, quibus conficiantw spatia 11L, LM, MN, NI, ipsa spada erunt inter se id numeri impares ab imitate, scilicet ut 1, lì, fi, 7: haec enim est¬ rado excessuimi quadratorum linearum sese aequalHer excedentiimi et quarimi excessus est aequalis minimae ipsarum, seu dicamus quadratorum sese ab imitate consequendum. Bum igitur gradua velocitati s augentur iuxta serìem simpliccm numerarmi in temporibus aequalibus, spatia peracta iisdem tempo¬ ribus incrementa suscipiunt iuxta seriem numerorum imparimi ab imitate. 20 Sagr. Sospendete, in grazia, alquanto la lettura, mentre io vo ghi- ribizando intorno a certo concetto pur ora cascatomi in mente ; per la spiegatura del quale, per mia e per vostra più chiara intelligenza, fo un poco di disegno. Dove mi figuro per la linea AI la continua¬ zione del tempo dopo il primo instante in A ; applicando poi in A, secondo qualsivoglia angolo, la retta AF, e congiugnendo i ter¬ mini I, fi', diviso il tempo AI in mezo in C, tiro la CB parallela alla IF ; considerando poi la CB come grado massimo della velocità che, cominciando dalla quiete nel primo instante del tempo A, si andò augumentando secondo il crescimento delle parallele alla BC, prò- so dotte nel triangolo ABC (che è il medesimo che crescere secondo che cresce il tempo), ammetto senza controversia, per i discorsi fatti sin qui, che lo spazio passato dal mobile cadente con la velocità accre¬ sciuta nel detto modo sarebbe eguale allo spazio che passerebbe il INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 211 medesimo mobile quando si fusae nel medesimo tempo AC mosso di moto uniforme, il cui grado di velocità fusse eguale all’ EC, metà del BC. Passo ora più oltre, e figuratomi, il mobile sceso con moto accelerato trovarsi nell’ instante C avere il grado di velocità BC, è manifesto, cbe se egli continuasse di muo¬ versi con l’istesso grado di velocità BC senza più accelerarsi, passerebbe nel seguente tem¬ po CI spazio doppio di quello die ei passò io nell’ egual tempo AC col grado di velocità uniforme EC, metà del grado BC ; ma per¬ chè il mobile scende con velocità accresciuta sempre uniformemente in tutti i tempi egua¬ li, aggiugnerà al grado CB nel seguente tempo CI quei momenti medesimi di velo¬ cità crescente secondo le parallele del trian¬ golo BFG, eguale al triangolo ABC : sì che, aggiunto al grado di velocità Gl la metà p ^ ft. O del grado FG, massimo degli acquistati nel moto accelerato e regolati 20 dalle parallele del triangolo BFG, aremo il grado di velocità IN, col quale di moto uniforme si sarebbe mosso nel tempo CI ; il qual grado IN essendo triplo del grado EC, convince, lo spazio pas¬ sato nel secondo tempo CI dovere esser triplo del passato nel primo tempo CA. E se noi intenderemo, esser aggiunta all’AI un’ altra egual parte di tempo IO, ed accresciuto il triangolo sino in APO, è mani¬ festo, che quando si continuasse il moto per tutto ’l tempo IO col grado di velocità IF, acquistato nel moto accelerato nel tempo AI, essendo tal grado IF quadruplo dell’EC, lo spazio passato nel tempo IO sarebbe quadruplo del passato nell’egual primo tempo AC ; ma conti- 30 nuando l’accrescimento dell’uniforme accelerazione nel triangoloFPQ simile a quello del triangolo ABC, che ridotto a moto equabile ag- giugne il grado eguale all’ EC, aggiunto il QR eguale all’ EC, aremo tutta la velocità equabile esercitata nel tempo IO quintupla dell’ equa¬ bile del primo tempo AC, e però lo spazio passato quintuplo del passato nel primo tempo AC. Yedesi dunque anco in questo semplice calcolo, gli spazii passati in tempi eguali dal mobile che, partendosi dalla quiete, va acquistando velocità conforme all’ accrescimento del C 212 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE tempo, esser tra di loro come i numeri impari ab untiate 1, 3, 5, e, congiuntamente presi gli spazii passati, il passato nel doppio tempo esser quadruplo del passato nel sudduplo, il passato nel tempo triplo esser nonuplo, ed in somma gli spazii passati essere in duplicata pro¬ porzione de i tempi, cioè come i quadrati di essi tempi. SiMr. Io veramente ho preso più gusto in questo semplice e chiaro discorso del Sig. Sagredo, elio nella per me più oscura dimostrazione dell’Autore ; sì che io resto assai ben capace che il negozio deva suc¬ ceder così, posta e ricevuta la definizione del moto uniformemente accelerato. Ma se tale sia poi P accelerazione della quale si serve la io natura nel moto de i suoi gravi descendenti, io per ancora ne resto dubbioso ; e però, per intelligenza mia o di altri simili a me, panni die sarebbe stato opportuno in questo luogo arrecar qualche espe¬ rienza di quelle che si è detto esservone molte, che in diversi casi s’ accordano con le conclusioni dimostrate. Salv. Voi, da vero scienziato, fate una ben ragionovol domanda ; e così si costuma e conviene nelle scienze le quali allo conclusioni naturali applicano le dimostrazioni matematiche, come si vede ne i perspettivi, negli astronomi, ne i mecanici, ne i musici ed altri, li quali con sensate esperienze confermano i principii loro, che sono i 20 fondamenti di tutta la seguente struttura : e però non voglio che ci paia superfluo se con troppa lunghezza aremo discorso sopra questo primo e massimo fondamento, sopra ’l quale s’ appoggia P immensa machina d’infinite conclusioni, delle quali solamente una piccola parte no abbiamo in questo libro, poste dall’Autore, il quale arà fatto assai ad aprir P ingresso e la porta stata sin or serrata agl’ ingegni specolativi. Circa dunque all’ esperienze, non ha tralasciato l’Autor di farne ; e per assicurarsi che P accelerazione do i gravi natural¬ mente descendeuti segua nella proporzione sopradetta, molte volte mi son ritrovato io a farne la prova nel seguente modo, in sua so compagnia. In un regolo, o vogliali dir corrente, di legno, lungo circa 12 brac¬ cia, e largo per un verso mezo braccio e per P altro 3 dita, si era in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco più largo d’ un dito ; tiratolo drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita ; INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 213 costituito che si era il detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizontale una delle sue estremità un braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere per il detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il tempo che consumava nello scorrerlo tutto, replicando il medesimo atto molte volte per assicurarsi bene della quantità del tempo, nel quale non si trovava mai differenza nò anco della decima parte d’una battuta di polso. Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmo scender la medesima palla so¬ lamente per la quarta parte della lunghezza di esso canale ; e misu- 10 rato il tempo della sua scesa, si trovava sempre puntualissimamente esser la metà dell’ altro : e facendo poi 1 ’ esperienze di altre parti, esaminando ora il tempo di tutta la lunghezza col tempo della metà, o con quello delli duo terzi o de i 3 /n o in conclusione con qualun¬ que altra divisione, per esperienze ben cento volte replicate sempre s’incontrava, gli spazii passati esser tra di loro come i quadrati de i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del canale nel quale si faceva scender la palla ; dove osservammo ancora, i tempi delle scese per diverse inclinazioni mantener esquisitamento tra di loro quella proporzione che più a basso troveremo essergli no assegnata e dimostrata dall’Autore. Quanto poi alla misura del tem¬ ilo, si teneva una gran secchia piena d’ acqua, attaccata in alto, la (piale per un sottil cannellino, saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d’acqua, che s’ andava ricevendo con un piccol bicchiero per tutto ’l tempo che la palla scendeva nel canale e nelle sue parti : le particelle poi dell’ acqua, in tal guisa raccolte, s’andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando, dandoci le diffe¬ renze e proporzioni de i pesi loro le differenze e proporzioni do i tempi ; e questo con tal giustezza, che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte volte replicate, già mai non differivano d’ un notabil 30 momento. Simi\ Gran sodisfazione arei ricevuta nel trovarmi presente a tali esperienze : ma sendo certo della vostra diligenza nel farle e fedeltà nel referirle, mi quieto, e le ammetto per sicurissime e vere. Sai,v. Potremo dunque ripigliar la nostra lettura, e seguitare avanti. 33. per sicurissimi e vere, s — 2 14 DISCORSI B DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE CoKOLLARIUM II. Colligìkir, secando, qitod si a principio lationis summtur duo spaila quae- libct, qmbuslibet temporibus peracta, tempora ipsorum erunt inter se ut ab •‘fi termi eorum ad spatium medium proportionale inter ipsa. Sumptis enim a principio lationis S duobus spatiis ST, SY, quorum medium sit proportionale SX, tempus casus per ST ad tempus casus per SV erit ut ST ad SX, seu dicamus, tempus per SV ad tempus per ST esse T ut VS ad SX. Cu/m enim demonstratum sii, spatia peracta esse in du- -OC plieata rat ione temporum, seu (quod idem est) esse ut temporum qiui- drata; ratio autetn spatii YS ad spatium ST sit dupla rationis VS io ad SX, seu sit eadem quatti liabent quadrata YS, SX ; patet, rationem • •'V temporum lationumper SV, ST esse ut spatiorum, seu linearum, VS, SX. SCHO LI UM. Td autem quod demonstratum est in lationibus peractis in perpendiculis, intelligatur etiam ibidem contìngere in planis uteunque inclinatis : in iisdem enim assumptum est, accelerationis gradus eadem ratione augeti, nempe secundum temporis incrementum, seu dicas secundum simplicem ac primam numerorum seriem . ( 1 ’ W Era intenzione di Galileo (come più Proposizione Tosse inserita la seguente ag- particolarmente diciamo noirAvvertimento) giunta alla stampa originale; la quale ag- che, quando si stampassero di nuovo i suoi giunta fu distosa in dialogo da Vincenzio Discorsi, dopo questo Scolio della seconda Viviani: Salv. Qui vorrei, Sig. Sagredo, elio a me ancora fosse permesso, se ben forai con troppo tedio del Sig. Simplicio, il differir per un poco la presente lettura, fin 20 eli’ io possa esplicare quanto dal detto e dimostrato fin ora, e congiuntamente dalla notizia d’ alcune conclusioni mecaniche apprese già dal nostro Academieo, sovvienimi adesso di poter sogghignerò per maggior confermazione della verità del principio che sopra con probabili discorsi ed esperienze fu da noi esami¬ nato, anzi, quello più importa, per geometricamente concluderlo, dimostrando prima un sol lemma, elementare nella contemplazione de gl’impeti. Sagù. Mentre tale deva esser l’acquisto quale V.S. ci promette, non vi è tempo che da me volentierissimo non si spendesse, trattandosi di confermare e interamente stabilire queste scienze del moto: e quanto a me, non solo vi con- INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 215 Theorbma III, Propositio III. Si super plano inclinato atque in perpendicido, quorum eadem sii alti- ludo, feratur ex quiete idem mobile, tempora lationum enmt inter se ut plani ipsius et perpendiculi longitudines. Sit planimi inclinatum ÀC, et perpendicuhm AB. quorum eadem sit alti- ludo supra korizontem CB, riempe ipsamet linea BA : dico, tempus descensus cedo il poter satisfarvi in questo particolare, ma di più pregovi ad appagare quanto prima la curiosità che mi avete in esso svegliata; e credo che il Sig. Sim¬ plicio abbia ancora il medesimo sentimento, io Simp. Non posso dire altrimenti. Salv. Già che dunque me ne date licenza, considerisi in primo luogo, come effetto notissimo, die i momenti o le velocità d’un istesso mobile son diverse sopra diverse inclinazioni di piani, e che la massima è per la linea perpendico¬ larmente sopra l’orizonte elevata, e che per 1’altre inclinate si diminuisce tal velocità, secondo che quelle più dal perpendicolo si discostano, cioè più obliqua¬ mente s’inclinano; onde P impeto, il talento, l’energia, o vogliamo dire il mo¬ mento, del descendere vien diminuito nel mobile dal piano soggetto, sopra il quale esso mobile s’appoggia e descende. E per meglio dichiararmi, intendasi la linea AB, perpendicolarmente eretta so sopra l’orizonte AC; pongasi poi la medesima in diverse inclinazioni verso l’ori- zonte piegata, come in AD, AE, AF, etc.: dico, l’im¬ peto massimo e totale del grave per descendere esser per la perpendicolare BA, minor di questo per la DA, e minore ancora per la EA, e successiva¬ mente andarsi diminuendo per la più inclinata EA, e finalmente esser del tutto estinto nella orizon- tale CA, dove il mobile si trova indifferente al moto e alla quiete, e non ha per sè stesso inclinazione HÒ| di muoversi verso alcuna parte, nè meno alcuna so resistenza all’esser mosso; poiché, sì come è impos¬ sibile che un grave o un composto di essi si muova naturalmente all’in su, di¬ scostandosi dal comun centro verso dove conspirano tutte le cose gravi, così è im¬ possibile che egli spontaneamente si muova, se con tal moto il suo proprio centro di gravità non acquista avvicinamento al sudetto centro comune: onde sopra Forizon- tale, che qui s’intende per una superficie egualmente lontana dal medesimo centro, e perciò affatto priva d’inclinazione, nullo sarà l’impeto o momento di detto mobile. 21G DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE eiusdem móbiìis super piano AC, ad tempus casus in perpendicuh AB, eam Imbeve ratìonem, quam habet longitudo plani AC ad ipsius perpcndiculi AB longitudinem. Intélligantur enim quotlibet lincae I)G, EI, FL, horizonti CB parallélae : constat ex asstmpto, yradus velocitati mobili ex A, primo motus indio, in punctis G, I) acquisitos, esse aequales, cum aecessus ad lionzontcm aequales sint ; smiliter, gradus in punctis I, IO iidem erunt, nec non gradus in L et F. Quod si. non hae tantum parallélae, sed ex punctis omnibus lineae AB usque ad lineam AC protractae io intélligantur, momenta seu gradus velocitatimi\ in ter¬ mini singularum parallelarum semper erunt inter se paria. Confìciuntur ituque spatia duo AC, AB iidem gradilms velocitati. Sed demonstratum 12. La stampa originale lm Confìciuntur, o nella Tavola de gli errori, elio ò in (ino della stampa stessa, è indicato, evidentemente a torto, di correggerlo in Conficiantur. Appresa questa mutazione (l’impeto, mi fa qui mestier esplicare quello che in un antico trattato di metaniche, scritto già in Padova dal nostro Academico sol per uso de’ suoi discepoli, fu diffusamente o concludentemente dimostrato, in occa¬ sione di considerare l’origine e natura del maraviglioso strumento della vite; ed è con qual proporzione si faccia tal mutazione d’impeto per diverse inclinazioni di piani: come, per esempio, del piano inclinato AF tirando la sua elevazione sopra l’orizonte, cioè la linea FC, per la quale l’impeto d’un grave ed il momento 20 del descendere è il massimo, cercasi qual proporzione abbia questo momento al momento dell’ istesso mobile per P inclinata FA ; qual proporzione dico esser reci¬ proca delle dette lunghezze: e questo sia il lemma da premettersi al teorema, che dopo io spero di poter dimostrare. Qui è manifesto, tanto esser l’impeto del de¬ scendere d’ un grave, quanta ò la resistenza o forza minima che basta per proibirlo e fermarlo : per tal forza e resistenza, e sua misura, mi voglio servire della gra¬ vità d’ un altro mobile. Intendasi ora, sopra il piano FA posare il mobile (x, legato con un filo che, cavalcando sopra 1 ’ F, abbia attaccato un peso H; e consideriamo che lo spazio della scesa 0 salita a perpendicolo di esso è ben sempre eguale a tutta la salita 0 scesa dell’altro mobile G per l’inclinata AF, ma non già «0 alla salita o scesa a perpendicolo, nella qual sola esso mobile G (sì come ogn’ altro mobile) esercita la sua resistenza. Il che è manifesto. Imperochò considerando, nel triangolo AFC il moto del mobile U, per esempio all’in su da A in F, esser composto del trasversale orizzontale AC e del perpendicolare CF; ed essendo che quanto all 5 orizontale, nessuna, come s’ è detto, è la resistenza del medesimo al- INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 217 est, quod si duo spatia conficiantur a mobili quod iisdern vdodtatis gradibus feratur, quam rationem habent ipsa spatia } eamdem hdbent tempora lationum ; ergo tempas lationis per AG ad tempus per AB est ut longitudo plani AC ad longitudinem perpendictdi AB : quod erat demostrandum . T esser mosso (non facendo con tal moto perdita alcuna, nò meno acquisto, in riguardo della propria distanza dal coinun centro delle cose gravi, che nell’ ori¬ zzonte si conserva sempre l’istessa) ; resta, la resistenza esser solamente rispetto al dover salire la perpendicolare CF. Mentre che dunquo il grave G, movendosi da A in F, resiste solo, nel salire, lo spazio perpendicolare CF, ma che 1’ altro io grave li scende a perpendicolo necessariamente quanto tutto lo spazio FA, e che tal proporzione di salita e scesa si mantien sempre V istessa, poco o molto che sia il moto de i detti mobili (per esser collegati insieme) ; possiamo assertiva¬ mente affermare, che quando debba seguire V equilibrio, cioè la quiete tra essi mobili, i momenti, le velocità, o le lor propensioni al moto, cioè gli spazii che da loro si passerebbero nel medesimo tempo, devon rispondere reciprocamente alle loro gravità, secondo quello che in tutti i casi de* movimenti mecanici si dimo¬ stra: sì che basterà, per impedire la scesa del G, che lo il sia tanto meri grave di quello, quanto a proporzione lo spazio CF è minore dello spazio FA. Sia fatto, dunque, come FA ad FC, così il grave G al grave li; chè allora seguirà Tequi¬ no librio, cioè i gravi II, G areranno momenti eguali, e cesserà il moto de i detti mobili. E perchè siamo convenuti, che di un mobile tanto sia l’impeto, l’energia, il momento, o la propensione al moto, quanta è la forza o resistenza minima che basta a fermarlo, c s’è concluso che il grave H è bastante a proibire il moto al grave G, adunque il minor peso H, che nella perpendicolare FC esercita il suo momento totale, sarà la precisa misura del momento parziale che il maggior peso G esercita per il piano inclinato FA ; ma la misura del total momento del medesimo grave G è egli stesso (poiché per impedire la scesa perpendicolare d’un grave si richiede il contrasto d’altrettanto grave, che pur sia in libertà di mo¬ versi perpendicolarmente) ; adunque l’impeto o momento parziale del G per l’in¬ so eli nata FA, all’impeto massimo e totale dell’istesso G per la perpendicolare FC, starà come il peso H al peso G, cioè, per la costruzione, come essa perpendico¬ lare FC, elevazione dell’ inclinata, alla medesima inclinata FA : che è quello che per lemma si propose di dimostrare, e che dal nostro Autore, come vedranno, vien sup¬ posto per noto nella seconda parte della sesta proposizione del presente trattato. Sagù. Da questo che V.S. ha concluso fin qui, parmi che facilmente si possa dedurre, argumentando ex acquali con la proporzione perturbata, che i momenti dell’istesso mobile per piani diversamente inclinati, come FA, FI, che abbino l’istessa elevazione, son fra loro in reciproca proporzione de’ medesimi piani. Vili. 28 218 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Sàgr. Panni che assai chiaramente e con brevità si poteva con¬ cludere il medesimo, essendosi già concluso che la somma del moto accelerato de i passaggi per AC, AB è quanto il moto equabile il Salv. Verissima conclusione. Fermato questo, passerò adesso a dimostrare il teorema, cioè che : 1 gradi di velocità d’ un mobile descendente con moto naturale dalla mede¬ sima sublimità per piani in qualsivoglia modo inclinati, all’arrivo alTorizonte son sempre eguali, rimossi gl’ impedimenti. Qui devesi prima avvertire, che stabilito che in qualsivoglino inclinazioni il mobile dalla partita dalla quiete vada crescendo la velocità, o la quantità del- io l’impeto, con la proporzione del tempo (secondo la definizione data dall’Autore al moto naturalmente accelerato), onde, com’egli ha per l’antecedente proposi¬ zione dimostrato, gli spazii passati sono in duplicata proporziono de* tempi, e con¬ seguentemente de’gradi di velocità; quali furono gl’impeti nella prima mossa, tali proporzionai mente saranno i gradi delle velocità guadagnati nell’ istesso tempo, poiché e questi e quelli crescono con la medesima proporzione nel me¬ desimo tempo. Ora sia il piano inclinato AB, la sua elevazione sopra l’orizonte la perpen¬ dicolare AC, e l orizontale CB ; e perchè, come poco fa si è concluso, l’impeto d’un mobile per la perpendicolare AG, all’impeto 20 del medesimo per P inclinata AB, sta come AB ad AC, prendasi nell’ inclinata AB la AD, terza proporzio¬ nale delle AB, AC: V impeto dunque per AC all’ im¬ peto per la AB, cioè per la AD, sta come la AC all’ AD ; e perciò il mobile nell* istesso tempo che passerebbe lo spazio perpendicolare AC, passerà an¬ cora lo spazio AD nell’inclinata AB (essendo i momenti come gli spazii), ed il grado di velocità in C al grado di velocità in 1) averà la medesima proporzione della AG alla AD. Ma il grado di velocità in B al medesimo grado in D sta come il tempo per AB al tempo per AD, per la definizione del moto accelerato, ed il 80 tempo per AB al tempo per AD sta come la medesima AC, inedia tra le BA, AD, alla AD, per l’ultimo corollario della seconda proposizione; adunque i gradi in B ed in C al grado in D hanno la medesima proporzione della AC alla AD, e però sono eguali: che è il teorema che intesi di dimostrare. Da questo potremo più concludentemente provare la seguente terza proposi¬ zione dell’Autore, nella quale egli si vale del principio; ed è che il tempo peri 1 inclinata al tempo per la perpendicolare ha V istessa proporzione di essa indi- INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 219 cui grado di velocità sia sudduplo al grado massimo CB ; essendo dunque passati li due spazii AC, AB con l’istesso moto equabile, già è manifesto, per la proposizione prima del primo, che i tempi de’ pas¬ saggi saranno come gli spazii medesimi. Corollari um. Hinc colligitur, tempora descensmm super planis diversìmode inclinatis, dim tamen eorum eadem sit elevatio, esse inter se ut eorum longitudines. Si entra intettigatur alitai pianura AM ex A ad eundem horizontem CB termina- twn, demonstrabitur paritcr, tempus descensus per AM ad tempus per AB io esse ut linea AM ad AB ; ut aidem tempus AB ad tempus per AC, ita linea AB ad AC ; ergo, ex acquali, ut AM ad AC, ita tempus per AM ad tempus per AC. Theokema IV, Phopositio IV. Tempora lationum super planis aequalibus, sed inaequaUter inclmatis, sunt inter se in subdupla rottone elcvatiomm eormndem planarmi permutatila accepta. Sint ex codcm termino B plana aequalia, sed inaequaliter inclinata, BA, BC ; et ductis AE, CD, lineis horizontalibus, ad perpendicutnm usque BD, nata e perpendicolare. Imperochè diciamo : quando BA sia il tempo per AB, il tempo per AD sarà la media tra esse, cioè la AC, per il secondo corollario della 20 seconda proposizione ; ma quando AC sia il tempo per AD, sarà anco il tempo per AC, per essere le AD, AC scorse in tempi eguali ; e però quando BA sia il tempo per AB, AC sarà il tempo per AC ; adunque, come AB ad AC, così il tempo per AB al tempo per AC. Col medesimo discorso si proverà, che il tempo per AC al tempo per altra inclinata AE sta come la AC alla AE; adunque, ex acquali, il tempo per l’in¬ clinata AB al tempo dell’inclinata AE sta omologamente come la AB alla AE, etc. Potevasi ancora dall’ istesso progresso del teorema, come vedrà benissimo il Sig. Sagralo, dimostrar immediatamente la sesta proposizione dell’Autore: ma basti per ora tal digressione, che forsi gli è riuscita troppo tediosa, benché vo- 30 ramente di profitto in queste materie del moto. Sagr. Anzi di mio grandissimo gusto, e necessarissima alla perfetta intelli¬ genza di quel principio. Sai.v. Ripiglierò dunque la lettura del testo. 220 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE osto piavi BA elevatio BE, plani vero BC elevatio sit BD ; et ipsamm cleva- tionum DB, BE media proportionalis sii BI : constai, rationem DB ad BI esse subduplam rationia DB ad BE. Dico iam, ® rationem temponm dcscensuion seti latiomm su¬ per planis BA, BC me eamdem curn ratione DB ad BI permutatm assumpta, ut scilicet temporis per BA homologa sit elevatio alterius plani BC, nempe BD, temporis vero per BC homologa sit BI. Demonstrundum proinde est, tempus per BA ad E tempus per BC esse ut I)B ad BI. Ducatur IS, io I ipsi DC acquidistans : et quia iam demonstratum D est, tempus descensus per BA ad tempus casus per pcrpcndiculum BE esse ut ipsa BA ad BE, tempus vero per BE ad tempus per BD ut BE ad BI, tempus vero per BD ad tempus per BC ut BD ad BC, seti BI ad BS, ergo, ex acquali, tempus per BA ad tempus per BC erit ut BA ad BS, seu CB ad BS ; est auleta CB ad BS ut DB ad BI ; ergo patet propositum. Theokkma V, Piiorosirio Y. Ratio temporum desccnsuum super planis, quorum diversae sint indir natimes et longitudines, ncc non elcvationcs inaequales, eomponitur 20 ex ratione longitudinum ipsornm planorum et ex ratione subdupla devationwm corumdem permutativi acccpta. A Sint plana AB, AC diversimode inclinata, quorum longitudines sint inaequales, et inaequales quoque ele- vationes : dico, rationem temporis descensus per AC ad tempus per AB compositam esse ex ratione ipsius AC ad AB et ex subdupla elevationum earumdem permu- & fativi acccpta. Ducatur enini perprndiculum AD, cui nccurrant horizontales BG, CD, et inter clcvatimcs DA, I* AG media sit AL ; ex punch vero L eluda parallda 30 bori conti occurrat plano AC in F : erit quoque AF media inter CA, A Pi. Et quia tempus per AC ad D tempus per AE est ut linea ILA. ad ÀE, tempus vero per AE ad tempus per AB ut cadevi AE ad eamdem AB ; patet, tempus per ÀC ad tempus per AB esse ut AF ad AB : demonstrandwn itaque INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 221 restai, rntionem AF ad AB componi ex ratime CA ad AB et ex ratione GA ad AL, quac est ratio subdupla devatimum DA, AG permutativi accepta. Jd autem manifestimi fit, posila CA inter FA, AB : ratio mini FA ad AG est cadevi cum ratione LA ad AD, seu GA ad AL, quac est subdupla rationis elcvationum GA, AD ; et ratio CA ad AB est ipsarnet ratio longitudinum ; ergo potei propositum. Theorema YI, Profositjo YI. Si a pimelo sublimi vel imo circuii ad horuontem eredi ducantnr quae- libet plana usque ad circimferentiam inclinata, tempora dcscensuum io per ipsa eremi aegualia. Sit circulus ad horizontem GII erectus, cuius ex imo puncto, nenipe ex contado cum horizontali, sit creda diametcr FA, et ex punto sublimi A plana quaelibet inclincntur usque ad circum ferentiam AB, AG : dico, tempora dcscensuum per ipsa esse aequulia. Du- cantur BD, CE ad diametrum perpen- diculares, et inter planarmi EA, AD altitudincs media sit proportionalis AI : et quia rectangula FAE, FAD aequalia 20 sunt quadratis AC, AB ; ut autem rectun- gidum FAE ad rectangulum FAD, ita EA ad AD ; ergo ut quadratimi CA ad quadratavi AB, ita EA linea ad lineavi AD. Vermi ut linea EA ad DA, ita qua¬ dratoni IA ad quadratimi AD ; ergo quadrata linearmi C A, AB sunt inter se ut quadrata linearum IA, AD, et ideo ut CA linea ad AB, ita IA ad AD. At in praeccdenti demonstratim est, rationem temporis descensus per AC ad tempus descensus per AB componi ex rationibus CA ad AB et DA ad AI, quac est cadevi cum ratione BA ad AC ; ergo ratio temporis descensus per AC ad so tempus descensus per AB componitur ex rationibus CA ad AB et BA ad AC ; est igitur ratio corumdcm temponm ratio aequalitatis : ergo palei propositum. Idem alitcr demonstratur ex mechanicis : nenipe, in seguenti figura, mo¬ bile temporibus aeqmlibus pertransire CA, DA. Delle lin. 32-33 della presente pagina e lin. 1-24 della pag. 222 si ha una bozza auto¬ grafa nel cod. A, a car. 172r.; delle lin. 1-24 della pag. 222, un’altra bozza, pure autografa e che apparisce posteriore, nello stesso cod. A, a car. 160r. ; e della prima bozza, una esatta copia, di mano del Guiducoi, nel medesimo cod. A, a car. 47r. Le bozze autografe presentano le seguenti varianti, che raccogliamo contrassegnando con 1 quelle di car. 160r., e con 2 quelle di car. 172r. : 32-33 Aliter ostendemus, inobile , 2 — pag. 222, lin. 1. Sit ba acquali s, 1 — 2. mecani- 222 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE SU citivi BA aequalìs ipsi 1 )A, et ducantur perpendiculares BE, DF : constai ex cltnnentis mcchanicis, momentum ponderis super plano secundum lineavi ABC elevato ad momentum siimi totale esse ut BE ad BA, ciusdemquc ponderis momentum super elevationc AD ad totale smini momen¬ tum esse ut DF ad DA vel BA ; ergo eiusdem ponderis momentum super plano secundum DA inclinato ad momentum super inclinatione secrn- io dum ABC est ut linea DF ad li¬ neavi BE ; ([ilare spatia, quae per- _ transibit idem pondus temporibus aequalibus super inclinationibus CA, DA, erunt inter se ut linea ? BE, DE, ex propositione sccunda primi libri. Veruni ut BE ad DF, ita demonstratur se habere AC ad DA ; ergo idem mobile temporibus aequalibus pertransibit Uneas CA, DA. Esse antem ut BE ad DF, ita CA ad DA, ita demonstratur : Iungatur CD, et per D et B, ipsi AF parallelae, agantur DGL, sc- eans CA in puncto I, et BII : critque angulus ADI aequalis angolo DCA, 20 cuoi circnmfercntiis LA, AD aequalibus insistimi, estque angulus DAG com¬ munio. Ergo triangidorum aequiangulormi CAD, DAI Intera circa aequales angulos propoitionalia erunt, et ut CA ad AD, ita DA ad AI, id est BA ad AI, seu HA ad AG, hoc est BE ad DF : quod erat probandum. Aliter idem magis expedite demonstrabitur sic : Sit ad horizontem AB erectus circulus, cuius diameter CD ad horizon- tem sit perpcndicularis ; ex termino aidem sublimi D inclinetur ad circmn- fcrcntiam usque quodlibet planimi DF : dico, descensum per planum DF, et casum per dìametrum I)C eiusdem mobilie, temporibus aequalibus absólvi. JDucatur enini FG horizonti AB parallela, quae erit ad diametrum DG per- so pendicidaris, et connectatur FG : et quia tempus casus per DC ad tempus cis, 1, 2 5. eiusdemque vero ponderis, 1,2 — 6-7. momentum, eamdem ób causai», esse, 1, 2 — 15-16. lineae be, df. Al ut, 1, 2 — 18. ita probatvr, 2 — 20. «'» i, et, 1, 2-20-21. Fra < dea » e culli leggesi, cancellato, nella bozza prima : e.t tensan [sic] dg usque ad circumferentiam. — 23. ila erit da ad, 1,2. — 24. Tanto nella seconda bozza autografa, a car. 172r., quanto nella copia del Giiducci, a car. 47r., dopo quod erat probandum si legge: Collige, existen- tibus planis inaequaliter inclinatis ad, ac, atque data longitudine ad, inveniri posse in plano ac portionem, quae eodem tempore cum da peragatur : ducto enim perpendiculo df, et posita al) acquali ad, ducfoqtie perpendiculo bo, fìat ut df ad eb, ita da ad nc; critque tempus per ca acqualo tempori per da. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 223 casus per DG est ut media proportionalis inter CD, DG ad ipsam DG ; media autem inter CD, DG est DF, cimi angulus DFC in semicirculo sit rectuS) et FG peipendicidaris ad DC ; tempus itaque casus per DC ad tem¬ pus casus per DG est ut linea FD ad DG. Sed iam demonstratum est, tempus descen- sus per DF ad tempus casus per DG esse ut eadem linea DF ad DG ; tempora igitur descensus per DF et casus per DC ad idem tempus casus per DG eamdem hdbent ra¬ to tionem; ergo sunt aequalia. Similiter de- monstrabitur, si ab imo termino C elevetur (borda CE, dada EH liorizotiti parallela et iuncta ED, tempus descensus per EC aequan tempori casus per diametrum DC. COROI.T.ARIUM I. Hinc colligitur, tempora descensuum per chordas onines ex termìnis C seti D perductas, esse inter se aequalia. CoRORRARIUM II. Colligitur etiam, quod si ab eodem■ puncto desccndant perpendiculum et 20 planum ìndinatum, super quae descensus fiant temporibus aequalìbus, eadem esse in semicirculo, cuius diamder est perpendiculum ipsum. COROLI.ARUJM III. Hinc colligitur , lationim tempora super planis inclinatis lune esse aequa- lia, quando elevationes pwrlium acquatimi eorwndem planar uni fuerint inter se ut eorwndem planorum longitudines : ostensum enim est, tempora per CA, DA, in penultima figura, esse aequalia, dum elevatio partis AB, aequa- lis AI), nempe BE, ad elevationem DF fuerit ut CÀ ad DA. Sagr. Sospenda in grazia V. S. per un poco la lettura delle cose che seguono, sin che io mi vo risolvendo Bopra certa contemplazione so che pur ora mi si rivolge per la mente ; la quale, quando non sia 224 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE una fallacia, non è lontana dall’ essere uno scherzo grazioso, quali sono tutti quelli della natura o della necessità. È manifesto, che se da un punto sognato in un piano orizontale si faranno produr sopra ’l medesimo piano infinite linee rette per tutti i versi, sopra ciascuna dello quali s’intenda muoversi un punto con moto equabile, cominciandosi a muover tutti nell’ istesso mo¬ mento di tempo dal segnato punto, e che siano le velocità di tutti eguali, si verranno conseguentemente a figurar da essi punti mobili circonferenze di cerchi, tuttavia maggiori e maggiori, concentrici tutti intorno al primo punto segnato ; giusto in quella maniera che vediamo io farsi dall’ ondette dell’ acqua stagnante, dopo che da alto vi sia ca¬ duto un sassetto, la percossa del quale serve per dar principio di moto verso tutte lo parti, o rosta come centro di tutti i cerchi che vengon disegnati, successivamente maggiori e maggiori, da esse ondette. Ma se noi intenderemo un piano erotto all’ orizonte, ed in esso piano notato un inulto sublime, dal quale si portano infinite linee inclinate secondo tutte le inclinazioni, sopra le quali ci figuriamo descender mobili gravi, ciascheduno con moto naturalmente accelerato, con quelle velocità che alle diverse inclinazioni convengono; posto che tali mobili descendenti fusser continuamente visibili, in che sorti di 20 linee gli vedremmo noi continuamente disposti ? Qui nasce la mia ma¬ raviglia, mentre le precedenti dimostrazioni mi assicurano che si ve¬ dranno sempre tutti nell’ istessa circonferenza di cerchi successiva¬ mente crescenti, secondo che i mobili nello scendere si vanno più e più successivamente allontanando dal punto subbiime, dove fu il principio della lor caduta. E per meglio dichiararmi, segnisi il punto subbiime A, dal quale descendano linee secondo qualisivogliano inclinazioni AF, All, 0 la pei’pendico- so lare AB, nella quale presi i punti C, D descrivami intorno ad essi cerchi che passino per il punto A, segando le linee inclinate ne i punti F, H, B, E, G, I : è manifesto, per le antecedenti dimostrazioni, che partendosi nell’istesso tempo dal termine A mobili Ascendenti per esse linee, quando l’uno saia in E, 1 altro sarà in G e l’altro in I ; e così, continuando di //// \\ Jpf / c 1 \ D J 1 / B_ INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 225 scendere, si troveranno nell’ istesso momento di tempo in F, H, B ; e continuando di muoversi questi ed altri infiniti per le infinite diverse inclinazioni, si troveranno sempre successivamente nelle medesime circonferenze, fatte maggiori e maggiori in infinito. Dalle due specie dunque di moti, delle quali la natura si serve, nasce con mirabil corrispondente diversità la generazione di cerchi infiniti : quella si pone, come in sua sede e principio originario, nel centro d’infiniti cerchi concentrici ; questa si costituisce nel contatto subbiime delle infinite circonferenze di cerchi, tutti tra loro eccentrici: quelli nascono io da, moti tutti eguali ed equabili ; questi, da moti tutti sempre ine¬ quabili in sè stessi, e diseguali P uno dall’ altro tutti, che sopra le differenti infinite inclinazioni si esercitano. Ma più aggiunghiamo, che se da i due punti assegnati per le emanazioni noi intenderemo ecci¬ tarsi linee non per due superficie sole, orizontale ed eretta, ma per tutti i versi, sì come da quelle, cominciandosi da un sol punto, si passava alla produzzione di cerchi, dal minimo al massimo, così, co¬ minciandosi da un sol punto, si verranno producendo infinite sfere, o vogliam dire una sfera che in infinite grandezze si andrà ampliando, e questo in due maniere : cioè, o col por P origine nel centro, o vero 20 nella circonferenza di tali sfere. Sai.y. La contemplazione è veramente bellissima, e proporzionata all’ingegno del Sig. Sagredo. Simp. Io, restando al meno capace della contemplazione sopra le due maniere del prodursi, con li due diversi moti naturali, i cerchi e le sfere, se bene della produzzione dependente dal moto accelerato e della sua dimostrazione non son del tutto intelligente, tuttavia quel potersi assegnare per luogo di tale emanazione tanto il centro infimo quanto P altissima sferica superficie, mi fa credere che possa essere che qualche gran misterio si contenga in queste vere ed am- 30 mirande conclusioni ; misterio, dico, attenente alla creazione dell’ uni¬ verso, il quale si stima essere di forma sferica, ed alla residenza della prima causa. Salv. Io non ho repugnanza al creder P istesso. Ma simili profonde contemplazioni si aspettano a più alte dottrine che le nostre : ed a noi deve bastare d’ esser quei men degni artefici, che dalle fodine scuoprono e cavano i marmi, ne i quali poi gli scultori industri fanno 13. se (le i due, s — 226 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE apparire maravigliose immagini, che sotto roza ed informe scorza sta¬ vano ascoste. Or, se così vi piace, seguiremo avanti. Thkorkma VII, Pkopositio VII. Si élevationes duonm planarmi (lupiam habuerint rationem eius guani habeant eorumdem planonm longitudines, lationes ex quiete in ipsis, temporibus aequalibus absolventur. Sint plana inaequaliu et inaequaliter inclinata AE, AB, quorum eleva- tiones sint FA, I)A; et quain rationem habct AE ad AB, eamdem duplicatavi A habeat FA ad I)A : dico, tempora lationum super planis AE, AB ex quiete in A esse io aequulia. Dudac sint parallclae horizontales ad lineavi devationum EF et DB quae secet AE in G : et quia ratio FA ad AD dupla est D rationis EA ad AB, et ut FA ad AI), ita EA ad AG-, ergo ratio EA ad AG dupla est ra¬ tionis E A ad AB ; ergo AB media est inter J? EA, AG. Et quia tempus descensus per AB ad tempus per AG est ut AB ad AG, tempus autem descensus per AG ad tempus per AE est ut AG ad mediavi inter AG, AE, quae est AB, ergo, ex aequali, tempus per AB ad tempus per AE est ut AB ad se ipsam ; sunt so igitur tempora aequalia: quod erat demonstrandum. Tiieorkma Vili, Proposito) Vili. In planis ab eodem sectis circulo ad horizontem credo, in iis quae cu/m termino diamdrì eredi conveniunt, % sive imo sive sublimi, lationum tem¬ pora sunt aequalia tempori casus in diametro ; in illis vero quae ad diametrum non pertingimt, tempora sunt breviora ; in eis tandem quae so diamdmm secant, sunt longiora. ( 'irculi ad horizontem eredi esto dia- B meter perpendicularis AB. De planis ex termi)/is A, B ad circumferentiam usque produdis, quod tempora lationum A INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 227 super eis sint acqualia, iavi d&monstratum est. De plano DF ad diametrmi non portili gente, quod tempus descensus in co sii brevius, demonstratm dueto plano DE, quod et longius erit et minus declive guani DF ; ergo tempus ■per DF brevius quam per DB, hoc est per AB. De plano vero diametrum secante, ut CIO, quod tempus descensus in eo sit longius, itidem constat; est cnim et longius et minus declive quam GB. Ergo patct propositum. Tueorema IX, Propositio IX. Si a putido in linea horizonti parallela duo plana nteunque inclinentiir, et a linea secentm, quae etm ipsis angulos faciat permutatila acquales jo angulis ab iisdem planis et horizontali contentis, Jationes in partibus a dieta linea sectis, temporibus aequalibus absólvcntur. Expuncto G horizontalis lineae X duo plana utcmique inflectantur CD, CE, et in quolibet pimelo lineae CD constituaiur angulus CDF, angolo XCE acqualis ; secet aidem linea 1 )F planimi CE in F, adeo ut an- guli CDF, CFD angulis XCE, LCD permutativi smiptis sint aequalcs : dico, tempora dcscen- suum per CD, CF esse acqualia. 20 Quod aidem (posito angolo CDF acquali angulo XCE) angulus CFD sit aequalis angulo DCL, manifestimi est. Dempio cnim an¬ gulo communi DCF, ex tribus angulis triangidi CDF, aequalibus duobus rectis, quibus aequantur angoli omnes ad lineavi LX in puncto C consti- tutis, remanent in triangolo duo CDF, CFD, duobus XCE, LCD aequales; positus aidem est CDF ipsi XCE aequalis ; ergo réliquus CFD reliquo DCL. Ponatur planavi CE acquale plano CD, et ex punctis D, E perpendiculares agantur DA, EB ad horizontalevi XL, ex C vero ad DF ducatur perpen- 30 dicidaris CG ; et quia angulus CDG angulo ECB est aequalis, et redi sunt DGC, CBE, erunt trianguli CDG, CBE aequiavguli, et ut DC ad CG, ita CE ad EB : est autem DC aequalis CE : ergo CG aequalis erit BE : cumque triangulorum DAC, CGF anguli C, A angulis F, G sint aequales, erit ut CD ad DA, ita FC ad CG, et, permutando, ut DC ad CF, ita DA ad CG seu BE. Ratio itaque devationuvi planoru/ni aequalinm CI), CE est 228 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICI^ eadem cum ratime ìmgitudinum DC, CF ; ergo, ex corollario primo pracce¬ denti^ propositionis sextae, tempora dcscensiium in ipsis crunt aeqmlia : quod eroi probandtm. Alitar idem : dada FS perpendicidari ad ho-rìzont aleni AS. Quia trmn- gidimi CSF simile est trìangulo 1 )GC, erit ut SF ad FC, ita GC ad CD ; et quia triangidwm CFG si¬ mile est. trìangulo DCA, erit ut FC ad CG, ita CD ad DA ; ergo, ex acquali, ut SF ad CG, ita CG ad DA : media est io igitur CG inter SF, DA, et ut DA ad SF, ita quadra¬ timi DA ad quadratimi CG. Rursus, cum triangolimi ACD simile sit trìangulo CGF, erit ut DA ad DC, ita GC ad CF, et, permutando, ut DA ad CG, ita DC ad CF, et ut quadratimi DA ad quadratimi CG, ita quadratimi DC ad quadratimi CF ; sed ostensum est, quadratimi DA ad quadratimi CG esse ut linea DA ad lineavi FS ; ergo, ut quadratimi DC ad quadratimi CF, ita linea DA ad FS ; ergo, ex praecedenti septima, cum planorum CD, CF 20 elevationes DA, FS duplam haheant rationem eormndem planarmi, tempora lationum per ipsa erunt aequalia. Thkorkma X, Propositio X. Tempora lationum super diversas planorum indmationes, quorum ele¬ vationes sint aequales, sunt inter se ut eommdem planorum longi- iudines, sive fiant lationes ex quiete, sire praecedat illis latto ex eadem altitudine. Fiant lationes per ABC et per ABD usque ad, horizonteni DC, adeo ut latto per AB praecedat lationìbus per BD et per BC : dico, tempus lationis per BD ad tempus per BC esse ut BD longitudo ad BC. Ducatwr AF so Del tratto che va dalle parole Quia triangulum della lin. 4 fino a tutta la Un. 22 si ha una bozza autografa nel cod. A, a car. 89“ t., la quale presenta le seguenti varianti : 4-5. Sangulum esf est simile 3angulo dgc, ergo ut — 6-8. Sangulum cfg est simile A 0 dea, ergo ut — 9-11. ut sf ad cg, ita cg ad da : ergo cg est media inter — 19. ad fs; ergo — 20. prae¬ cedenti, cum — 24-25. iticlinationes, guaritili elevationes, s — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — («ORNATA TERZA. 229 horizonti parallela, ad quam extendatur DB occmrens in F, et ipsarum DF, FB media sit FE ; et ducta EO ipsi DO parallela, erit AO media inter CA, AB. Quod si intelligatur, tempus per AB esse ut AB, erit tempus per FB ut FB, et tempus per totani AC erit ut media AO, per totani vero FD erit FE ; quare tempus per reliquam BC erit BO, per reliquam vero BD erit BF. : venm ut BE ad BO, ita est BD ad BC : ergo tempora per BD, BC post casus per AB, FB, seu, quod idem est, io per commmem AB, erunt inter se ut longitu- dines BD, BC. Esse miteni tempus per BD ad 35 tempus per BC ex quiete in B ut longitudo BD ad BC, sopra demonstra- tum est. Sunt igitier tempora lationum per plana diversa, quorum acqualcs sint elevationes, inter se ut eorumdem planorum longitudines, sive motns fiat in ipsis ex quiete, sive latumibus iisdem praecedat alia Iodio ex eadem altitudine : quod erat ostendendmi. Theorema XI, Propositi!) XI. Si planimi, in quo fit motus ex quiete, dividatur utcmique, tempus la - tionis per priorem partem ad tempus lationis per sequentem est ut 20 ipsamet prima pars ad excessum quo eadem pars sup&ratur a media propoiiionali inter totum planum et primam ea/mdem partem. Fiat latin per totam AB ex quiete in A, quae in C divisa sit utcnmque; totius antem BA et j priori,s partis AC media sit propor- tionalis AF ; erit CF excessus mediae FA super partem AC : dico, tempus lationis per AG ad tempus sequentis lationis per CB esse ut AC ad CF. Quod patet : nam tempus per AG ad tempus per to¬ tani AB est ut AC ad mediani AF ; ergo, dividendo, tempus per AG ad tempus per reliquam CB erit ut AC ad CF. Si ifaque intelligatur, tempus per AG esse ipsamet AC, tempus per CB erit CF : quod est 30 propositum. Delle lin. 18-30 si ha una bozza autografa nel cod. A, a car. 4!b\, la quale presenta le seguenti varianti : 18. Si linea, in qua fiat latio ex — 18-19. lationis priorie partis ad tempus lationis 2’ [sicj partis est — 20-21. media inter totam et ipsam primam partem — 22-23. quae utcnmque divisa sit in c ; totius — 23. et partis — 23-24. sit af, cf vero excessus eiusdem mediae super primam ac : dico — 25. ad tempus per reliquam cb esse — 29. esse ac — 29-30. quod est propositum manca nella bozza. — 230 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Qnod si molli# non fiat per continuatala ACB, sed. per inflexas ACI) usqne ad horizontem BD, età ex F parallela eluda sit FE, demonstrabitar pariter, tempiis per AC ad tempus per re¬ fi exam CI) esse ut AC ad CE. Nam tempus per AC ad tempus per CB est ut AC ad CF ; tempus vero per CB post A C ad tempus per CI) post eumdem descensum per AC dcmomtratwm est esse ut CB ad CD, hoc est ut CB’ ad CE ; ergo, ex acquali, tempus per AC ad tempus per CD erit ut AC linea ad CE. io Theorema XII, Proposito) XII. Si pcrpcndiculum et plautini uteunque indinatum secentur inter casdem liorieontalcs lineas, sumanturque media proportionalia ipsorum et par- tium suarum a communi sectionc et horìzontali superiori comprehcn- sanm, tempus lationis in perpcndiculo ad tempus lationis factae in parte superiori perpendiculi, et consequenter in inferiori secanti# plani, cani hdbebit rationem, quam hahet tota perpendiculi longiiudo ad li- neam compositam ex media in perpcndiculo sumpta et ex excessu quo totum planum indinatum suam mediani superai. Sint horìzontes superior AF, inferior CD, inter quos secentur perpen- 20 dictilum AC et planum indinatum DF in B, et totins perpendiculi CA et superiori partis AB media sit AB, totius vero DF et supcrioris partis BF media sit FS : dico, tempus casus per totum perpcndicu- lum AC ad tempus per suam supcriorem por¬ telli AB cum inferiori plano, nempc cuin BD, cani liaberc rationem, quam habet AC ad mediani perpendiculi, scilicet AB, cum SD, girne est excessus totius plani DF super suam mediani FS. Connedatur BS, quae 30 erit horìzontalìlms parallela ; et quia tempus casus per totani AC ad tempus per partem AB est ut CA ad mediani AB, si inteUigamus, AC esse tempus casus per AC, erit AB tempus casus per AB, et BC per rcliquam BC. Qnod si tempus per AC ponatur, uti factum est, ipsa AC, tempus per FD erit FD, et pariter concluddur, DS esse tempus per BD post FB, seu post AB. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 231 Tempus igitur per totani AG est ÀR cum RC ; per inflexas vero ABD erit AR am SD : quod erat próbandum. Idem acciditsi locoperpcndiculiponatur aliudpianure, quale, v. gr., NO; eademque est demonstrutio. Problema I, Propositio XIII. .Dato perpendiculo, ad ipsum pianura inflectere, in quo, exm ipsum habeat cum dato perpendiculo eandem elevationem, fìat motus post casum in perpendiculo eodem tempore, ac in eodem perpendiculo ex quiete. Sit datimi perpendiculum AB, cui, extenso in G, ponatur pars BC acqua¬ io lis, et ducantur horizontales CE, AG : oportet, ex B planum ncque ad hori- zontem CE inflectere, in quo fiat motus G post casum ex A eodem tempore, ac in AB ex quiete in A. Ponatur CD aequalis CB, et ducta BD, applicetur BE acqualis utris- que BD, DC : dico, BE esse planum quae- sitxrn. Producatur EB, occurrens Jiorizonti AG in G, et ipsarum EG, GB media sit GE ; erit EF ad FB ut EG ad GF, et quadra- tum EF ad quadratum FB ut quadratum EG ad quadratimi GF, hoc est 20 ut lìnea EG ad GB : est autem EG dupla GB : ergo quadratum EF duplum quadrati FB. Verum quadratum quoque DB duplum est quadrati BC ; ergo xit linea EF ad FB, ita DB ad BC, et, componendo et permutando, ut EB ad duas DB, BC, ita BF ad BC : sed BE duabus DB, BC est aequalis : ergo BF ipsi BC, seu BA, aequalis est. Si igitxi/r intelligatur, AB esse tempus casus per AB, erit GB tempus per GB, et GF tempus per totam GE ; ergo BF erit tempus per reliquam BE post casum ex G, seu ex A : quod erat propositum. Delle Un. 6-27 si ha nel cod. A, a car. 145r., una bozza autografa, della quale è poi una copia esatta, di mano delPAnniGHETTi, a car. 39r. dello stesso codice. La bozza auto¬ grafa presenta le seguenti varianti: 6-7. ail ipsum lineavi inflectere, in qua, cum ipsa habeat eandem cum dato perpendiculo altitudinem, fìat — 9-10. Sit datus perpendiculus ab, qui protrahatur, et ponatur bc aequalis ipsi ab, et ducantur orìzontes ce —10-11. ad orizontem —13-16. in a. Sumatur cd aequalis cb, et ponatur bo utrique bd, de aequalis: dico iam, per be post casum ab fieri motum eodem tempore ac in ab. Producatur —16-17. orizonti superiori in g, et. Tra dinatum, minus esse eo quod conficitur tempore eodem atque in inclinato non praecedente casa ex sublimi, maius tamen quam idem planum inclinatum. Cum enim modo demonstratnm sii, quod mobilium venientium ex termino sublimi A, tempus conversi, per EC brevius sit tempore ■procedentis per EB, constat, spatium quod con¬ ficitur per EB tempore acquali tempori per EC, so minus esse tolo spai io EB. Quod autem idem spatium perpentliculi maius sit quam EC, ma¬ nifestimi fit sumpta figura praecedentis propo- Ci sitiamo, in qua partati pcrpendiculi BG confici demonstratuni est tempore eodem cum RC post casum AB: bave autem BG INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 235 maiorem esse quam BC, sic colligitur. Cimi BE, FB aequales sint, BA vero minor BD, niciiorcm mtionem habet FB ad BA quam EB ad BD, et, com¬ ponendo, FA ad AB maiorem habet quam ED ad DB ; est auiem ut FA ad AB, ita GF ad FB (est enim AF inedia inter BA, AG), et, similiter, ut ED ad BD, ita est CE ad EB; ergo GB ad BF maiorem habet rationem (quam GB ad BE : est igitur GB maior BC. Problema IV, Proposi™ XVII. Unto pcrpendiculo et plano ad ipsmn mflexo, in dato plano parte-m si¬ gnare, in qua post cosmi in perpendicolo fiat inotus tempore acquali io ci, quo mobile datimi perpendiculum ex quiete confecit. Sit perpendiculum AB, et ad ipsum planimi j) inflexum BE : oportet, in BE spatium signare, per quod mobile post casum in AB moveatur tempore acquali ci, quo ipsum perpendiculum AB ex quiete confecit. Sit horizontalis linea AD, cui occurrat in D planimi extensum, et accipiatur FB aequalis BA, et fiat ut BD ad DF, ita FD ad DE : dico, tem¬ pus per BE post casum in AB aequari tempori 20 per AB ex quiete in A. Si enim intelligatur, AB esse tempus per AB, crii DB tempus per DB ; cmnque sit ut Bl) ad I)F, ita FD ad DE, crii DF tempus per totum pianura DE, et BF per partem BE ex D : sed tempus per BE post DB est idem ac post AB : ergo tempus per BE post AB crii BF, acquale scilicet tempori AB ex quiete in A : quocl erat propositum. Delle lin. 8-25 si ha nel e od. A, a car. 143»'., una bozza autografa, della quale è una copia esatta, di mano del Guidugoi, a car. 40°r. dello stesso codice. La bozza autografa presenta le seguenti varianti : 9-10. motus eodem tempore, quo mobile perpendiculum confccit. —11-12. ad tspsum [sicj infexa [sic] be : oportet —13-17. mobile moveatur post casum ab eodem tempore quo confecit ipsum ab. Kvtenso plano eb, occurrat orizonti in d, et accipiatur — 19-20. post ab aequari tem¬ pori per ab. Si — 20. intelligatur ab tempus — 22. per totani de, et — 24. tempori ab ; quod — 236 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMÀTICHE Problema V, Propositio XVIII. Dato in perpendicnlo quovis spai io a principio lationis signato, quod in dato tempore confidatilidatoque quocunque alio tempora minori, alimi spatium in perpendicnlo eodem reperire, quod in dato tempore minorì conficiatur. Sit perpendiculum A, in quo detur spatium AB, cairn tempus ex prin¬ cipio A sit AB, sitqne horizon CBE, et detur tempus ipso AB minus, cui in horìzontc notetur acquale BC : opoilct, in eodem perpendiculo spatium eidem AB aequale reperire, quod tempore BC conficiatur. Inngatur linea AC, cumque BC io c minor sit BA, crii angulus BAC minor angulo BCA; constitnatur ei aequalis CAE, et linea AE horìzonti occurrat in puncto E, ad quam perpendicularis po- natur ED, sccans perpendiculum in D, et linea DF ipsi BA secetur aequalis : dico, ipsam FD esse perpen- diculi partem, in qua latio ex principio motus in A absolvitur tempoi’c BC dato. Cum enim in triangido redangtdo AED ab angulo recto E perpendicularis ad latus oppostimi AD ducta sit EB, erit AE media inter DA, AB, et BE media inter DB, BA, seu intcr FA, AB (est enim FA 20 ipsi DB aequalis ) ; cumque AB positum sit esse tempus per A, erit AE, seu EC, tempus per totani AI), et EB tempus per AF ; ergo reliqua BC crìt tempus per reliquam F 1 ) : quod erat intentimi. Delle lin. 2>23 ai lift nel cod. A, ti car. 143£., una bozza autografa, dolla quale ò una copia, di mano dell’AiuuonBTTl, a car. 67r. dolio stesso codice. lift copia porta due corre¬ zioni autografo di Galileo, 1’ una nella figura, l’altra nel testo, le quali tolgono le solo difformità ch’ella avesse dall’originale. La detta copia è segnata, superiormente a destra, col numero traccia forse d’ un ordinamento. La bozza autografa presenta le seguenti varianti : 2. Dato quolibet spacio in perpendiculo a principio — 3. quocunque tempore — 3-4. aliud acquale spacittm , priori accepto acquale , in eodem perpendicnlo reperire — 4-5. tempore confi¬ ciatur — 6. perpendiculum ab, in — 7. orizon — 7-8. minus y quod sit bc: oportet — 9. acquale invenir e t quod — 12. constitnatur ipsi aequalis — 12-13. orinanti in e signo occurrat ì ad — 15-17. ipsam fd ex a confici in tempore bc. Cum — 18-19. perpendicularis ducta sit ad ad. erit — 20-21. ba, Jioc est inter fa, ab, erit (est enim fa aequalis db); cumque — 21-22. tempus per ab, erit ao tempus per totani — 22-23. af ; cumque ae sit aequalis ipsi ec, ob aequalitatem angulorum eac, eoa, relinquitur ut bc tempus sit ipsius fd : quod crai ostcndendum .— INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE GIORNATA TERZA. 237 Problema VI, PropositioXIX. Dato in per mendicalo spatio quocimque a principio lationis paracib, daloque tempore casus, tempus reperire, quo aliud acquale spatium, tibicunque in eodem perpendicolo acceptmn, ab eodem mobili consequcnter amficiatur. SU in perpendicolo AB quodeunque spa- A. inm AC ex principio lationis in A acceptmn, cui acquale sit aliud spatium DB ubietmque acceptum, sitque datum tempus lationis per AC, sitque illud AC : oportet, reperire tempus io lationis per DB post casum ex A. Circa totani. AB semieirculus describatur AEB, et ex C ad AB parpendicularis sit CE, et iun- qatur AE, quae maior erit quam EC ; sece- twr EF ipsi EC aequalis : dico, reliquum FA esse tempus lationis per DB. Quia enim AE est media inter BA, AC, estque AC tempus casus per AC, erit AE tempus per totani AB ; cumque CE media sit inter DA, AC (est enim DA aequalis ipsi BC), erit CE, hoc est EF, 20 tempus per AD ; ergo rcliqua AF est tempus C » B per reliquam DB : quod est propositum .. jj CoROLLÀRIUM. Dine colligitur, quod si alicuius spatii ponatwr, tempus ex quiete esse ut ipsnmmet spatium, tempus illius post aliud spatium adiunctum erit cxcessus medii inter adiunctum una cwn spatio, et ipsum spatium super medium inter primwn et adiunctum : velati, posito quod tempus per AB ex quiete in A sit AB, addito AS, tempus per AB post SA erit excessus medii inter SB, BA super medium inter BA, AS. Delle lin. 5-21 si ha nel coti. A, a car. 143r., una bozza autografa, della quale è una copia esatta, di mano del Guiduoci, a car. 89“r. dello stesso codice. In calce di questa copia è aggiunto, di mano di Galileo, 1’ enunciato della Proposizione (lin. 2-4). Gli auto¬ grafi presentano le seguenti varianti : 3-4. in perpendiculo — 4. conficitur — 5-10. perpendicolo ab accepta pars ac, cuius tem¬ pus ac; accepta rersus ubietmque parte db, ipsi ac aequali, quaeritur tempus quo eadem db post casum ex a conficietur. Circa —11-12. et orizon ducatur ce, et — 13-15. quam ce; sit dif- ferentia af : dico, af esse tempus per — 16-17. tempus per ac, erit —19-21. erit ce tempus per totani ad ; est auteni ce aequalis ef ; ergo ae est tempus per totani ab, ef vero per ad ; ergo af erit tempus per db — 21. quod est propositum manca nella bozza autografa. 238 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Problema VII, Propositio XX. tC + D Dato quolibet spatio et parte in eo post principimi lationis, partem alteram versus fui cut reperire, quu e confitiutur temerne eodem ac prima data. SU sputimi CB, et in eo pars CD, data post principimi lationis in C : oportd, partem alteram versus fin&m B reperire, quae conficiatur tempore eodem ac data CI). Sumatur media inter BC, CD, cui aequalis Ej ponatur BA ; et ipsarum 1 JC, CA tatui propoiiìonalis sit CE: dico, EB esse spatium quodpost casum ex C conficitur tempore eodem oc ipsum CD. Si enini intdligamus, tempus per totani CB esse, ut CB, erit BA (media io sdlicet inter BC, CD) tempus per CD ; cumque CA media sit intei • BC, CE, erit CA tempus per CE: est antan tota BC tempus per totani CB; ergo rdìqua BA erit tempus per reliquam EB post casum ex C : eadem cero BA fuit tempus per CI); ergo temporibus uequalibus confidali- tur CD et EB ex quiete in A : quod eroi faciendum. Theorema IV, Propositio XXL Si in perpendiculo fiat casus ex quiete, in quo a principio lationis su- mutar pars, quovis tempore pierada, post quam sequatur motus inflexus A E per aliquod planimi uteunque indinatum, spatium quod in 20 tali plano conficitur in tem¬ pore a eguali tempori casus iam peracti in perpendiculo, ad spatium iam peradum in perpendiculo, maius erit quam diiplum, minus vero guani triplum. Infra horizontem Al'] sit per- pendiculum AB, in quo ex princi¬ pio A fiat casus, cuius sumatur quadibet pars AC ; inde ex C indinetur uteun- so que pianimi CG, super quo post casum in AC continuetur motus : dico, quod Delle lin. 17 e seg., fino alla lin. 12 della pag. 239, si Ini una bozza di inano del Gin- pucci, con una correzione e tre aggiunte della mano di Galileo, nel cod. A, a car. 65r. Essa presenta le seguenti varianti : 17. Si fiat casus in perpendiculo, in quo — 19-20. planavi indinatum — 20-21. in plano — 23-29. perpcndicuhis — 30-31. indinetur planimi — 31. casum ac infleclatur motus — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 239 sputimi tali molu peradum per CG in tempore aequali tempori casus per AG, est plus quam duplum, minus vero quam tripìum, eiusdem spalti ÀC. Fo¬ natili' enim CF aequalis AC, et cxtensoplano GC usque ad horùontem in E, fiat ut CE ad EF, ita FE ad EG. Si itaque pana tur, tempus casus per AG esse ut linea AG, erit CE tempus per EG, et CF, seu CA, tempus motus per CG : ostendendum Uaque est, spatiim GG ipsius GA maius esse quam duplum, minus vero quam tripìum. Cum enim sit ut GE ad EF, ita FE ad EG, erit etimi ita CF ad FG ; minor autem est EC quam EF ; (piare et CF minar erit quam FG, et GC maior quam dupla ad FC, seu AC. Cumque io rursus FE minor sit quam dupla ad EC (est enim EC maior CA, seu CF), erit quoque GF minor quam dupla ad FC, et GC minor quam tripla ad CF, seu CA : quod crat dcmonstrandum. Poterai autem universalius idem proponi : quod enim accidit in perpen¬ dicolari et plano indinato, contingit etiam si post motum in plano quoilam indinato infledatnr per magie inclinatimi, ut videtur in altera figura ; eademque est demonstratio. 2. Le parole <* eiusdem sparii ac » sono aggiunte di mano di Galileo. — 3-4. enim unaguaeque ipsarum cf, cd ipsi a e aequalis , et ut ca ad ad, ita fiat da ad ab, ut vero ce ad ef, ita lo ad eg : erit iam ipsa cb tripla ca, et tempus casus per ac aequabitur tempori casus per cb post ac. Si itaque. Le parole * unaquaeque ipsarum », « cd », « ca ad ad, ita fiat da ad ab, ut vero », « erit iam ipsa cb tripla ca, et tempus casus per ac aequabitur tempori casus per cb » sono sottolineate » ; « post ac » e aggiunto di mano di Galileo. — 5. erit cd tempus casus per cb, et ce tempus per ce, et d tempus motus. Le parole « cd tempus casus per cb, et » sono sottolineate. — 7. Le parole Cum enim sit sono rifatte di mano di Galileo sopra At dum sit f che prima si leggeva. — 8. erit et ita — 9. erit lg, et — 12. erat ostendendum. Segue di mano del Guiddooi: Ex his consta t, quod si inflexio post casum ac fieret in horizontali icx, in tempore aequali tempori ac conficeret spa- cium ci, duplum ad ca : positis enim eh, hi inter se et ipsi ca aequalibus, et extensis icx in infinitum, erit ut ix ad xh, ita hx ad xc et ili ad he : qnare a e tempus motus per ci erit eli, seu ca. Indi prosegue di mano di Galileo: Potest haec propostilo universalius proferri: idem enim / : _ c /r d b tende quod si in inclinata cg motus acceleratur in infinitum , vi - detur posse demonstrari, in orizontedi extendi debere equabiliter [sic] etiam in infinitum; quod etiam constai, si esl equabihs [sic], esse etiam infinitum. — Avvertasi elio lo due ligure, die abbiamo ri¬ prodotto dal manoscritto, sono relativo anche a quei tratti che nel manoscritto sono sottolineati e che furono omessi nella stampa. Alla liti, t» rosi la bozza manoscritta come la stampa leggono rpso ca », che abbiamo corretto in « ipsius ca ». 240 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Problema Vili, Prorositio XXII. Datis cìuohus temporibus inaequalibus, d spatio quoti in perpendiculo ex quiete conficitur tempore breviari ex dalie, a putido supremo per- pendiculi usque ad horizontem plautini in fieri tre, super quo mobile (lesemela t tempore aequali longiorì ex datis. Tempora inacquatili sint A maius, li trro niintts ; spatium attieni quoti in perpendiculo conficitur ex quiete in tempore B, sit CI) : oportet, ex ter¬ mino C planimi usque ad horizontem infledere, quel tempore A confidatiti-, C. ’-■ b Fiat ut B ad A, ita CD ad aliam Umani, cui linea CX aetpualis ex C ad horizontem descendat : manifestimi est, planimi CX esse illud super quo mobile descendit tempore dato A. Demonstratum mini est, tempus per pla¬ nimi inclinatimi ad tempus iti sua devalione cani habere rationem, quain habet plani lont/itudo ad longitudinem devationis siine ; tempus igUurper CX ad tempus per CD est ut CX ad CI), hoc est ut tempus A ad tempus lì : tempus cero B est illud quo conficitur perpe.ndiculum CD ex quiete : ergo tempus A est illud quo conficitur planimi CX. Problema IX. Propositio XXIII. Dato spatio, quoris temqiore pcracto ex quiete in perpendiculo, ex termino imo huius spatii planimi infledere, super quo post disunì in perpen- Delle liu. 2-5 si ha una bozza autografa nel cod. A, a ear. (>’>/., la quale presenta le seguenti varianti : 3. conficitur in tempore — 4. ad orientitem — 5. tempore ae quale — Delle lin. 18 e scg., lino alla lin. 23 della pag. 241, si ha una bozza autografa nel cod. A, a car. 8ór., la quale presenta le seguenti varianti : 18. Dato spada, in quovis tempore pcracto in perpendiculo. Qui segue, cancellato, quanto appresso: dataque proportione quacunque alterimi spoeti ad spaoium peractum in perpendiculo, qitue tami a maior sit quam dupla, minor rero qiiam tripla. — 18-19. termino huius — lin. 19 e lin. 1 della pag. 211, quo, tempore eodem, confidatiti- spaciutn cuilibet spano dato equok [sic] INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 241 I M N R diculo tempore eodem confidatile sputimi cuilibet spatio dato acquale, quod tamen maius sit (piani duplum, minus vero (piani triplani, spatii peracti in perpcndiculo. Sit in perpendicolo AS tempore AG peradum spatium AC ex quide in A, cui-us Ili. maius sii qmm duplum, minus vero quam triplani : opor- tet, ex termino 0 piumoni infledere super quo mobile eodem tempore AC confidai post cosimi per AC spa¬ tium ipsi III acquale. Sint KN, NM io ipsi AC ucqiiaiia, et (piani rationem habel residuimi I.M ad MN, eamdcm liabeat AC linea ad aliam, evi aequalis applicetur CE ex C ad horizontem AE, quae extendatur versus 0, d acdpiantur CF, FG, GO aeguales ipsis KN, NM, MI : dico, tempus super inflexa CO post cosmi AC esse aeguale tempori AC ex quiete in A. Cum enim sit ut OG ad GF, ita FC ad CE, erit, compo¬ nendo, ut OE ad FG, seu FC, ita FE ad EC, et ut unum antccedentinm ad unum consequentium, ita omnia ad omnia, nempe tota OE ad EF, ut FE so ad EC. Sunt itaque OE, EF, EC continue proportìonales : quod cum po¬ stimi sit, tempus per AC esse ut AC, erti CE tempus per EC, d EF tempus per totani EO, et rcliquim CF per rcliqmm CO ; est autem CF aequalis ipsi CA ; ergo factum est quod fieri opoi'tebat. Est enim tempus CA tempus casus per AC ex quiete in A, CF vero (quod aequatur CA) est tempus per CO post descensum per EC, seu post casum per AC : quod est propostimi. Notandum autem est, quod idem aceidd, si praecedcns latto non in per¬ pendicolo fiat, sed in plano indinato, ut in seguenti figura, in qua latio 2-3. Le parole sparii peracti in perpendiculo nella bozza autografa si leggono tra tamen e maius (lin. 2). — 4-5. spari uni ac, cuius — 8-9. con/iciat sparilo a ipsi — 11-14. eandeni liabeat ac ad aliam, cui aequalis sit ce, occurrens in e orizonti ae, quae — 15. versus g, et — 16. co esse — 16-17. tempori ac. Cum —19-20. nempe ut tota oe ad ef, ita fe ad ec. Sunt — 21-23. et cf tempus per co; est autem cf acquale ipsi — 23. quod /aceri: oportebat. Qui la bozza seguita: itine patet, quod quo magis oc accedit ad triplicitatem ipsius ca, eo planimi co vergit versus perpendiculum, in quo tandem sparitivi peradum tempore acquali tempori ac est triplani ipsius ac ; quo vero magie eodem oc accedit ad dupliritatem eiusdem ca, eo pianura oc accedit ad aequi- distantiain cum orizonte ae, in quo tandem cum desinet, sparitoli oc peradum tempore cu erit duplum sparii ac. Alla lin. 10 la stampa originale legge ipsi AL' aequalia, dove abbiamo corretto, con¬ forme alla bozza autografa, A E iu A C. Vili. si 242 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE praecedens facto, sit pei' piami ìii inclinatimi AlS infra horìzontcm A E ; et demonstratio est prorsus eadem. scnouuM. I Si dilìgente)' allendatur, manifestimi erit, qiiod quo minus data linea IR deficit a tripla ipsius AC, eo planimi inflexum, super quod facienda est M N R secumla latto, pota CO, —--- — 1 accedit vicinius ad per- pendiculum, in quo tan¬ dem in tempore aequali AC confidila' spatiwn ad io AC tripiani. Cani enim IR proxima fuerit ad tripli- citatem AC, crii IM aequa- Ivi fere ipsi MN ; cum- que ut IM ad MN, in S constructione, ita fiat AC ad CE, constai, ìpsam CE palilo maiorem reperiri quum CÀ, et, quoti con- sequens est, punctum E proximum reperiri putido A, et CO cum CS acu- tissimum angulum continere, et fere mutuo coincidere. E contro vero, si data IR minimum quid maior fuerit quam dupla eiusdem AC, erit IM 20 brevissima linea; ex- quo accidet, minimum quoque futuram esse AC respectu CE, quae longissima erit et quam proxime accedei ad parallelam borizm- t aleni per C produdam. Indegne cólligere posswnus, quod si, in apposita figura, post descensum per planimi inclinatimi AC fiat reflexio pei' lineami borìzont aleni, qualis esset CT, spatium, tempore aequali tempori descensus per AC, per quod mobile cònsequenter moveretur, essct duplum spatii AC exacte. Vìdetur autem et liic accommodari consimilis ratiocinatio : appa/ret enim ex eo, cum OE ad EF sit ut FE ad EC, ipsam FC determinare tempus per CO. Quod si pars horizontalis TC, dupla CA, divisa sit bifa- riam in V, extensa versus X in infinitam dongata erit, dum occwrsim cum 30 produda AE qiuicrit, et ratio infinitae TX ad infittitimi VX non erit alia a rat-ione infinitae VX ad infinitam XC. Istud idem alia aggressione concludere poterimas, consimile resmnentes ratiodnimi ei, quo usi- sumus in propositionis primae demonstratione. Resu- mentes enim trianguhm ABC, nobis repraesentans in suis par all disiasi BC INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 243 velocitatis gradus continue adauctos iuxta temporis incrementa, ex quibus, cum infinitae sint, voluti infinita sunt putida in linea AG et instantia in quovis tempore, exurget superficies ip>sa trianguli; si intei- d ligamus, motum per alterimi tantum temporis continuavi, sed non amplius motti accelerato, veruni aequabili, iuxta maximum gradum velocitatis acquisitae, qui gradus reprae- sentatur per lineavi BC ; ex talibus gradibus conflabitur aggregatimi consimile parallelogrammo ADBC, quod duplum est trianguli ABC : quare sputimi quod cum gradibus con¬ io similìbus tempore eodem conficietur, duplum erit spatii per adì B cum gradibus velocitatis a triangulo ABC repraesentatis. At in plano hori- zontàli motus est aequabilis, cum nulla ibi sit causa accelerationis ant rc- tardationis ; ergo concluditur, spatiwn CD peractum tempore aequali tem¬ pori AC, duplum esse spatii AC : hoc enim motu ex quiete accelerato, iuxta parallelas trianguli, conficitur ; illud vero, iuxta parallelas parallelogrammi, quae, dum fuerint infinitae, duplae sunt ad parallelas infnitas trianguli. Attendere insuper licei, quod velocitatis gradus, quicnnquc in mobili rcperiatur, est in ilio suapte natura indelebiliter impressus, dum externac causac accelerationis aut retardationis tollantur, quod in solo liorizontali 20 plano contingit ; nani in planis declìvibus adest iam causa accelerationis maioris, in acclivibus vero retardationis : ex quo pariter sequitur, motum in liorizontali esse quoque aeternum ; si enim. est aequabilis, non debilitatur ant reniittitur, et multo minus tollitur. Amplius, existente gradii celeritatis per naturalem descensum a mobili acquisito, suapte natura indelebili atque aeterno, consideratimi occurrit, quod si post descensum per planimi de¬ clive fiat reflexio per aliud planum acclive, iam in isto occurrit causa re¬ tardationis : in tali enim plano idem mobile naturalitcr dcscendit; quare mixtio quaedam contrariarum affectionum exurgit, nempe gradus UUus cele¬ ritatis acquisitae in praecedenti descensu, qui per se uniformiter mobile in so infinitum abduceret, et naturalis propensionis ad motum deorsum iuxta Ulani eandem proportionem accelerationis iuxta guarn semper movetur. Quare admodum rationabile videbUur si, inquirentes quaenam contingant acciden- tia dum mobile piost descensum per aliquod planum inclinatimi refledatur per planum aliquod acclive, accipiamus, graduili illuni maximum in descensu acquisitimi, idem per se perpetuo in ascendente plano servavi ; attamen in ascensu ei supervenire naturalem inclinationem deorsum, motum nempe ex 3-4. intelliyamus , motus per, u — 244 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quiete acceleratimi iuxta semper acceptam proportionem. Quod si forte, liacc intelligere fnerit subòbscurum, clarius per aliquam delineationem cxpli- cabitur. Intdligatur itaque, factum esse descensum per planum declive AB, ex quo per aliud acclive BC continuetur motus reflexus, et sint, primo, plana C JF A aequalia, et ad aequales angidos super horìzontcm GH elevata : constai iam, quod mòbile ex quiete in A descendens per AB, gradus io acquirit velocitatis iuxta tcmporis ipsius incremcntum ; graduiti vero in B esse maximum acquisito- rum, et suapte natura immutabili ter impressum, sublatis scilicet causis ac- cderatùmis novae a/ut retardationis : accderationis, inquam, si adirne super extenso plano nltcrius progrederetur ; retardationis vero, dntn super planum acclive BC fit reflexio : in horizontali autem GII aequabilis motus, iuxta graduiti velocitatis ex A in B acquisitele, in infinitum extenderetur ; essct autem talis velocitas, ut in tempore acquali tempori descensus per AB in horizonte confinerei spatium duplutn ipsius AB. Modo fingamus, idem mo¬ bile eodetn ederitatis gradii aequahiliter movevi per planum BC, adeo ut, 20 et iam in hoc, tempore acquali tempori descensus per AB conficeret super BC extenso spatium duplutn ipsius AB ; veruni intelHgamus, stativi atque ascen¬ dere incipit, ci suapte natura supervenire illud idem quod ci contigit ex A super planum AB, riempe descensus quidam ex quiete secundum gradus eosdem accelerationis, vi quorum, ut in AB contigit, tempore eodem tan¬ taindetti descendat in plano reflexo, quantum desccndit per AB : manife¬ stimi est, quod ex eiusmodi mixtione motus aequabilis ascendentis et acce¬ lerati dcscendentis perducetur mobile ad terminum C per planum BC iuxta eosdem velocitatis gradus, qui erunt aequales. Quod vero sumptis uteunque duóbus pundis D, E, aequaliter ab angui0 B renwtìs, transitus per T)B fiat so tempore acquali tempori reflexionisper BE, bine colligerepossumus. Dada DF, erit parallela ad BC ; constat enm, descensum per AD rcflcdi per DF : quod si post D mòbile feratur per horizontalem DE, impetus in E erit idem rum impetu in D ; ergo ex E ascendet in C ; ergo gradus velocitatis in D est aequalis gradui in E. Tlx his igitur rationabiliter asse/rere possumus, quod si per aliquod pla¬ nimi inclinatum fiat descensus, post quem sequatur reflexio per planum INTORNO A DUK NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 245 elevatimi, mobile per impelimi conceptum ascendet usque ad eandem aUitu- dinem, seu elevationem ab horizonte; ut si fiat descensus per AB, feretur mobile per planwn re- D C' A E flexum BC usque ad horìzontalem ACD, non tantum si indinationes planorum sint acquales, veruni etiam si inae- (juales sint, qualis est plani BD : assumptum mini prius ed, gradus ve¬ lo locitatis esse acquales, qui super planis inaequaliter indìnatis acquirun- tur, dmn ipsorum planorum cadevi fuori/ supra hnrizontem elevai io. Ri untevi, candente cadevi inclitiatione planorum KB, BD, descensus per EB impellere valet mobile per planimi BI) usque ad D ; cimi talis impulsus fiat propter conceptum velocitatis impetum in pimelo B, sitque idem impetus in B, seu descendat mobile per AB seu per EB ; constai, quod expelletur pariter mòbile per BD post descensum per AB, atquc per EB. Accidet vero, quod tempus asc&nsns per BD longius erit guani per BC, prout de¬ scensus quoque per EB longioii fit tempore guani per AB ; ratio auteni eorundem temporum imi demonstrata est eadem ac longUudinum ipsorum 20 planorum. Seguitar modo ut inquiramns proportioncni spationmi temporibus aequalibus peractorum in planis, quorum diversac sint indinationes, eaedeni tamen elevationes, hoc est, quae inter easdem parallelas horizontalcs com- prehendantur. Id aidem contingit iuxta seqncntem rationem. Theorkma XV. Propositio XXIV. Lato inter easdem paralldas horizontalcs perpendiculo et plano elevato ab eius imo termino, spatium quod a mobili, post casum in perpen- dieulo, super plano elevato conficiiur in tempore acquali tempori casus, maius est ipso perpendiculo, minus tamen guani duplum eiusdem per- pendiculi. so Inter easdem parallelas horizontales BC, HG sint perpendiculum AE et piantivi elevatavi EB, super quo, post casum in perpendiculo AE, ex, termino E fiat reflexio versus B : dico, spatium per quod mobile ascendit in tempore acquali tempori descensus AE, maius esse quam AE, minus vero guani duplum eiusdem■ AE. Ponatur ED ipsi AE acquale, et ut EB ad BD, ita fiat DB ad BF ; ostendetur, primo, punctum F esse signum, 246 DISCORSI K DTMOSTRÀZIOXT MATEMATICHE quo mobile motu reflexo per Eli perveniet tempore aequali tempori A E ; deinde, EF maius esse quarti E A, minus vero qmm duplum eiusdem. Si intelligwnus, tempus de- sc&nsus per AE esse ut AE, erit tempus descensus ■per BE, seti ascensus per EB, ut ipsa tinca BE; E ter EB, BF, sitque BE tempus descensus per totani BE, erit BD tempus descensus per BF, ci re- io liqua DE tempus descensus per reliquam FE : veruni idem est tempus per FE ex quiete in B, atque tempus ascensus per EF, dum in E fuerit velocitatis gradus per descensum BE, seu AE, acquisitus : ergo idem tempus DE erit id in quo mobile, post casum ex A per AE, motu reflexo per EB, pervenit ad signum F ; positwn autem est, ED esse acquale ipsi AE : quod eroi primo ostendendum. Et quia, ut tota Eli ad totani Bl), ita ablata DB ad aliatavi BF, erit ut tota EB ad totani BD, ita reliqua ED ad DF : est aidem EB inaiar BD : ergo et ED inaiar DF, et EF minor qua/tn dupla DE, seu AE : quod crai ostendendum. Idem autem accidet si motus praece- dens, non in perpendictdo, sed in plano inclinato, fiat ; eademque est de- 20 monstratio, dummodo planimi rcflexum sit minus acclive, nempe longius plano declivi . Thkorkma XVI, Pitorosmo XXV. Si post casum per aliquod planimi inclinatimi sequatur motus per pla¬ nimi horizontis, crìi tempus casus per planimi inclinatimi ad tempus motus per quamlibet lineam horizontis ut dupla longitndo plani in¬ clinati ad lineam acceptam horizontis. Sit linea horizontis CB, planimi inclinatum AB, et post casum per AB sequatur motus per horizonteni, in quo 30 sumatur quodlibet spatium BD : dico, tempus casus per AB ad tempus motus per BD esse ut dupla AB ad Iil). Sumpta enim BC ipsius AB dupla, constat ex praedemonstratis, tempus casus per AB acquari tempori motus per BC : sed tempus motus per BC ad tempus motus per DB est ut linea CB INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 247 ad lineavi BI) : ergo tempus motus per AB ad tempus per BD est ut du¬ pla AB ad Bl) : guod erat probandum. Problema X, Propositio XXVI. Dato perpendieido inter lineas parallelas horizontales, datogue spatio maiori eodem perpendieido, sed minori guani dnplum eiusdem, ex imo termino perpcndiculi planum attollere inter ea-sdem parallelas, super quo mota reflexo post descensum in perpendieido conficiat mobile spar tiam dato acquale, et in tempore aeguali tempori descensus in per- pendicido. io Inter parallelas horizontales AO, BC sit perpendiculum AB ; FE vero inaior sit guani BA, minor vero guani dupla eiusdem : oportet, ex B pla¬ num inter horizontales erigere, super quo mobile, post casum ex A in B, motu reflexo, in tempore aeguali tempori descensus per AB, conficiat ascen¬ dendo spatium aeguale ipsi EF. Ponatur ED aequalis AB; erit reliqua DF mino)', cum tota EF minor sit quarn dupla ad AB : sit DI aequalis DF, et ut EI ad ID, ita fiat DF ad aliavi FX, atque ex B reflectatur recta BO aegualis EX : dico, planum per BO esse illud, super quo post casum AB mobile in tempore aeguali tempori casus per AB pertransit ascendendo spa¬ tium acquale dato spatio EF. Ipsis ED, DF aequales ponantur BIl, BS : 20 eum enivi sit ut EI ad ID, ita DF ad FX, erit, componendo, ut ED ad DI, ita DX ad XF ; hoc est, ut ED ad DF, ita DX ad XF, et EX 5. qtiam duplo eiusdem, s — Dello lin. IO e seg., fino alla lin. 7 della pag. 248, si ha una bozza autografa nel cod. A, a car. 170r., la quale comincia così: Sit data ef maior ba. minor vero quatti dupla eiusdem ha; accipiatur ed aequalis ba, et reliquae df ponatur aequalis di, et ut ei ad id, ita fiat, df ad alium fx, atque ex b reflectatur planum bo, aequalc ex : dico, planum bo esse illud super quo post descensum ab mobile in tempore acquali tempori descensus per ab perlransit ascendendo spallimi equale [sic] dato ef. Cum enim ; dopo di elio continua, conformo al testo della stampa (lin. 20), sit ut ei ad eco., presentando lo seguenti varianti : lin. 21 e lin. 1 della pag. 2-18. et, permutando, ut ed ad dx, ita di’ ad fx, et, componendo, 248 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE ad XI) ; hoc est, ut DO ad OD, ita HO ad OS. Quod si pmamus, tempus per AB esse AB, erit tempus per OB ipsa OB, et liO tempus per OS, et rdiqua BIl tempus per rdiquum SB, descendendo ex 0 in B : sed tem¬ pus descensus per SB ex quiete in 0 est acquale tempori ascensus ex B in S post descensum AB : ergo BO est planimi ex B elevatimi, super quo post descensum per AB confidili )' tempore BR, scu BA, spatium BS, acquale spatio dato E F : quod facere opoiiébat. Tiieokkma XVII, Pkoi'Ositio XXVII. idi in planis inaequalibus, quorum eadem sii elevatio, descendat inolile, sputimi quod in ima parte longioris conficilur in tempore uequali ei io ■in quo conficitur totani planimi brevius, est acquale spatio quod com- ponitur ex ipso breviari plano et ex parte ad quum idem brevius planimi eatn habet rationem, quam hdbet planimi longius ad exces- sum quo longius brevius superai. A SU planimi AG longius, AB vero brevius, quorum eadem sit elevatio Al), et ex ima parte AG sumatur CE acquale ipsi AB, et quam rationem habet totum GA ad AE, nempe ad excessum plani GA super AB, Itane 20 r> habeat CE ad EF : dico, spatium FG esse illud quod conficitur, post discessum ex A, tempore acquali tempori descensus per AB. Cimi enim totum GA ad totum AE sit ut ublatum CE ad abilitimi EF, erit, rdiquum EA ad rdiquum AF ut totum GA ad totum AE; sunt itaque tres GA, AE, AF continue proportionales : quod si ponatur, tempus per AB esse ut AB, erit tempus per AG ut AG ; tempus vero per AF erit ut AE, et per rdiquum FC erit ut EC : est miteni EG ipsi AB aeguale : ergo patct proposìtum. ttl ex mi xd, ila dx ad xi ; hoc est — 5. .1 ra ergo e < bo » lesesi, cancellato, « br, seti ba, est tempus, bs est sp. — 7. Dopo oporleba! l’autografo seguita : Si post cosimi in perpen- iliculo fiat reflexus motus in linea oritonlali _ Dello li». 9-28 si ba una bozza autografa nel cod. A, a car. 87r., in capo alla quale bì legge, di mauo di Galileo : Scritta. Lssa presenta le seguenti varianti : 9. descendat inabile è stato sostituito a fiat motus, che Galileo aveva scritto e poi cancellò. 10-11. con fiat u r tempore acquali tempori quo — 11. Tra brevius ed est leggesi, cancellato, ad planimi brevius eandem liabet rationem. — La parola spatio è scritta sopra plano, che non è cancellato. — 14. 1 ra lonfiitis e brevius leggesi, cancellato, planum. — 22. con¬ fidila- ex disceseti ex— 27. reliquian fé tempus erit — Alla lin. 28 la stampa originale legge ergo fit proposìtum, che abbiamo corretto, con¬ forme alla bozza autografa, in ergo palei proposìtum. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 249 Problema XI, Puopositio XXVIII. Tangat horizantalis linea AG ciraduni, et a contactu sit diameter AB, ti dime chordae utcunque AEB : determinando, sit ratio temporis casus per AB ad tempus descensus per ambas AEB. Extendatur BE usque ad tangenlem ,in G, et angulus BAE bifarium q secetwr, ducta AF : dico, tempus per AB ad tempus per AEB esse ut AE ad AEF. Cum enim angulus FAB aeqmlis sit angolo FAE, angulus vero EAG angolo ABF, erit totus io GAF duobus FAB, ABF aeqmlis; quibus aequatur quoque angulus GFA; ergo line,a GF ipsi GA est aequalis : et quia rectan- gulum BGE aequatur quadrato GA, erit quoque acquale quadrato GF, et tres li- B neae BG, GF, GE proportionales. Quod si ponatur, AE esse tempus per AE. erit GE tempus per GE, et GF tempus per totani GB, et EF tempus per EB, post descensum ex G seu ex A per AE : tempus igitur per AE, seti per AB, ad tempus per AEB est ut AE ad AEF : quod erut deter- minandum. 20 Aliter brevius. Secctwr GF aequalis GA ; constai, GF esse mediani proportitmale.ni inter BG, GE. Reliqua ut supra. Tjikokkma XVIII, Proposito XXIX. Baio quólibcl spatio horizontali, ex ciiius termino credimi sit pcrpendi- culum, in quo sumatur pars aequalis dimidio spatii in horizontali dato, ■mobile ex tali altitudine descendens et in horizontali conversimi con- Nella stampa originale la Propositio XXVIII e intitolata, per errore, Theorema XVIII o la Propositio XXIX è intitolata Problema XI. Delle lin. 2 21 si lui una bozza autografa nel cod. A. a car. 84?*.. in capo alla quale si legge, di inano di Galileo : Scrìtta. Essa presenta le seguenti varianti : 2. horieonialis ag circulum — 3. et 2 cordae — 18-11). quod erat delenninandum manca nella bozza autografa. — 20-21. mediani inter — Delle lin. 23 e seg., tino alla lin. 2 della pag. 250, si ha una bozza autografa nei cod. A, a car. 73 r., e delle lin. 3-31 della pag. 250 si ha un’altra bozza, pure autografa, nel me¬ desimo codice, a car. 78r.: in capo a quest 1 ultima si legge, di mano di Galileo: Scritta. t ali bozze presentano le seguenti varianti : 23. Dato in horizontali quolibet spatio, ex — 24-25. horizontali signati, mobile — Si Vili, 250 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE ficid horizontale spatium una cum per pendìi: uh breviari tempore, quam quodemque aliud sputium perpendiculi cum eodem spatio horizontalì. Sit planimi horizontale, in quo datum sit quodlibet spatium BC, et ex termino JB sit peipendiculum, in quo BA sit dimidium ipsius BC : dico, tv inpus, quo mobile ex A demis- sum conficiet ambo spatia AB, BC, esse temporum omnium bre- rissimurn, quibus idem spatium BC cum parte perpendiculi, sive marni sire minori parte io AB, conficeretur. Sit sumpta ma iiir, ut in prima figura, vcl minar, ut in secunda, EB : ostcndendum est, tempus quo eonfieiuntur spatia EB, BC, longius esse tempore quo conficiuntur AB, BC. Intelligutur, tempus per AB esse ut Al? ; crii quoque tempus motus in hori- zontali BC, cum BC dupla sit ad AB, et per ambo spatia ABC tempus erit dupla BA. Sii BO media inter EB, BA; crii BO tempus casus per EB: sit praeterea horizontale spatium BD duplum ipsius BK ; constai, tempus ipsius post rasimi EB esse idem BO. Fiat ut I)B ad BC, seti ut EB ad BA, 20 ita OB ad BN, et cum motus in horizontali sit aequubilis, sitque OB tem¬ pus per BD post casum ex E : erit NB tempus per BC ]>ost casum ex eadem altitudine E. Ex quo constai, OB cum BN esse tempus per EBC ; cumquc dupla BA sit tempus per ABC, ostcndendum relinquitur, OB cum BN malora esse quam dupla BA. Cum autem OB media sit inter EB, BA, ratio EB ad BA dupla est rationis OB ad BA ; et cum EB ad BA sit ut OB ad BN, erit quoque ratio OB ad BN dupla rationis OB ad BA : ve¬ runi ipsa ratio OB ad BN componitur ex rationibus OB ad BA et AB ad BN : ergo ratio AB ad BN est eadem cum ratione OB ad BA. Smt igitur BO, BA, BN tres continue proportionales, et OB cum BN maiores so quam dupla BA : ex quo patct propositum. 3. Sit horizontale planum, in. Tra planum ed in lesesi, cancellato, « bd ». — 4. perpendicu- lum be in — dimidium bc— 11-14. Sit sumpta inaior rei minor eb : ostendendum. Tra Bit e sumpta leggesi, cancellato, primum . — 17-18, tempus erit ut bc. Sit — 20-21. Fiat t ti eb ad ha, ita — 23-24. cumque bc, nempe dupla ba, sit. Le paiole riempe dupla ba sono aggiunte fra le righe. — 25. Dopo dupla ba leggesi, cancellato : Cum autem db dupla sit he, et eh dupla ba, erit ut. — 27. ut ob ad bn, ratio autem be ad ba dupla sit rationis ob ad ba, erit — 30. igitur 4 eb, bo, ha, bn continue —31. Le parole ex quo patct propositum mancano nella bozza autografa. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 251 Theorema XIX, Puoposmo XXX. Si ex aliquo puncto lineae horizontalis descendat pcrpendkulum, ex alio vero putido in eadem horizontali sumpto duccndum sit planum usque ad perpendicidum, per quod mobile tempore brevissimo usque ad per- pendieuhm descendat; tale planum erit illud quod de perpendiculo abscindit par lem acquatevi distantiae pandi accepti in horizontali a termino perpendiculi. Sit pcrpendicidum BD, ex putido B horizontalis lineae AC descendens, in qua sit quodlihct pundutn C, et in perpendiculo ponatur distantia BE io aequalis distantiae BC, et ducatur CE : dico, planorum omnium ex pimelo C usque ad perpendiculum inclinatorum, CE esse illud super quo tempore omnium brevissimo fit descensus usque ad per- pendiculum. Inclinentur enim, supra et ^ infra, plana CF, CG, et ducatur IK, circulutn semidiametro BC descriptum tangens in C, quae erit perpendiculo aequidistans ; et ipsi CF parallela si£EK, 20 usque ad tangentem protrada, secano cireimferentiam circuii in L : constat, tempus casus per LE esse acquale tempori casus per CE : sed tempus per KE est lon- gius quam per LE : ergo tempus per KE longius est quam per CE. Sed tempus per KE aequutur tempori per CF, cum sint aequales et secundum eandem inclinationcm ductae ; similiter, cum CG et IE sint aequales et iuxta eandem inclinationcm inclinatae, tempora la- tixmum per ipsas erunt aequalia : sed tempus per ILE, breviorem ipsa IE, so est brevius tempore per IE : ergo tempus quoque per CE (quod acquatur tempori per HE) brevius erit tempore per IE. Patet ergo propositum. Theorema XX, Proposito XXXI. Si lìnea recto, super horizontalem fuerit utcwnque inclinala, planum a dato puncto in horizontali usque ad inclinatavi extensum, in quo de- C K 252 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE sccnsus fit tempore omnium brevissime, est illud quod bifariam dividit angulum contentimi a duabus pcrpcndiadaribus a dato puncto eoctemis, una ad horizontalem lineam, altera ad inclinatam. Sit CD linea supra horizontalem Al! utcunque indinata, datoque in horizontaU quocunque punch A, educantur ex, eo AC perpendicularis ad AB, A R vero perpendicularis ad CD, et a ugni uni CAE bifariam dividat FA linea : dico, planorum omnium ex quibuslibet pmnctia Un eoe CD ad pundum A hidinatorum, extensmn io per FA esse in quo, tempore omnium brevissimo fiat descensus. Ducatur FG ipsi AI'] parallela ; erunt an- gali GFA, FAE coalterni acqua¬ les : est antem EAF ipsi FAG aequalis : ergo trianguU luterà FG, GA aequalia erunt. Si itaque cen- A B tro G, intervallo GA, circulus de- scrihatur, transibit per F, et horizontalem et inclinatam tanget in pwictis A, F ; est cnim angulus GFC redus, cimi GF ipsi AE sit acquidistans : ex 20 quo constai, lineas omnes usque ad inclinatam ex punch A productas extra dr curii fcrcntiam extendi, et, quod consequcns est, lationes per ipsas lori giovi tempore absolui quam per FA. Quod crai demonstrandum. LEMMA. Si duo circuii se se intus contingant, (inorimi intcriorem quadibet linea veda contingat, exteriorem vero se¬ ti et, tres lincile a contactu circulorum ad tria panda rectae lineile tangen- tis, riempe ad contacturn interioris 30 circuii et ailsectiones exterioris, pro- tractae, angulos in contadu circu- lorum aequales continebunt. Tangant se intus in puncto A duo cir¬ cuii, quorum centra, B minoris, C maioris; 24- end. A. a car. 33f., si trova, disegnata di mano di Galileo (come si arguisce dalla forma delle lettere), la figura relativa a quosto Lemma. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 253 intcriorcm vero circuitivi contingat, veda quaelibet linea FG in pimelo II, ■maiorem aidem secet in punctis F, G; et connectantur tres lineac AF, All, AG : dico, angulos ab illis contentos FAH, GAH esse aequales. Extcndatur ATT usque ad dremnferentiam in I, et ex centrai producmtur BII, CI, et per eadem centra ducta sit BC, quae extensa cadet in contactum A et in cir- cimferentias circulormn in 0 et N : et quia anguli ICN, HBO aequales sunt, cmn quilibet ipsorum duplus sit anguli LAN, enmt lineac BII, CI pa- rallclac. Cimque BII, ex centro ad contactum, sit perpendicularis ad FG, crii quoque ad eandem perpendicularis CI, et arcus FI arcui IG aeqtudis, io et, quod consequens est, angulus FAI angulo IAG. Quod crai ostendendum. Thkokema XXI, Propositio XXXII. Si in horizontc sumantur duo panda, et ab altero ipsorum quaélihd linea versus alterimi inclindur, ex quo ad inclinatavi veda linea du- catur, ex ca parte/m abscindens acquaioli ei quae inter panda hori- zontis intercipitur, casus per liane ductam citius absolvctur quam per quascunque alias rectas ex eodeni putido ad eandem inclinatavi pro¬ ti'actas. In aliis autem, quae B A per angulos aequales lime inde ab hac distiterint, casus fiunt 20 temporibus inter se aequalibus. Sint in Jiorizonte duo panda A, B, et ex B inclindur recta BC, in qua ex termino B sumatur BD, ipsi BA aequalis, et iungatur AD: dico, casoni per AD velocius fieri quam per quamlibet ex A ad inclinatam BC productam. Ex punctis enim A, D Delle lin. 12 e seg., fino alla lin. 13 della pag. 254, si ha nel coti. A, a car. 168r., della mano giovanile di Galileo, una bozza autografa, della quale è una copia esatta, di mano del Guiduoct, a car. 33r. dello stesso codice. La bozza autografa presenta le seguenti varianti : 12-14. quaelibet linea inclinetur, ad quam ex altero puncto orieontis altera recta ducatur, ex ea secane partem aequalem. Tra inclinetur e ad si legge, cancellato: in qua sumatur a termino in orizonte pars aequalis ei quae inter puncta in orizonte signata intercipitur, et ad. —14-15. ori- zontis — 15. absolvitur —16. eandem lineavi inclinatavi — 18-19. aequales supra et infra ab. Tra infra ed ab si legge, cancellato, liane. — 20. temporibus aequalibus — 21. in linea orieon- tali duo — 22. et a b inclinetur — 24. Dopo « iungatur ad » leggesi, cancellato, a qua per angulos aequales dirimantur duae ag, ac. — 27. Dopo productam si legge, cancellato, et in¬ super tempora casuum per ag, ac essa aequalia. — pag. 254, lin. 3. inter callo autem ea — 254 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE ad ipsas BA, BD perpcndicidares ducantur AE, DE, se se in E secantes: et quia in triangulo aequicruri ABI) anguii BAD, BDA sunt aeqmles, erunt rcliqui ad rectos DAE, EDA acquale» ; ergo, emiro E, intervallo EA, dc- scriptus circulus per D quoque transilnt . et linea» BA, BI) tanget in pmctis A, D. Et cum A sit terminus perpendicoli AE, casus per AI) ciUus absol- vetur quam per quamcmqne aliavi ex eoilem termino A usque ad lineami BG ultra circumferentiam circuii erte risani: quod eroi primo ostendendtm. Quod si, extenso perpcndiculo AE, in eo sumutur quod vis centrimi F et secondimi intervallimi FA circulus ABC descrihalur, tangentem lineami in pundis G, C secane, iunctae AG, AC per angidos aeqmles a media AD, io ex ante demonstratis, dirimentur; et per ipsas, lationcs temporibus acqualibus absolventur, cum ex punch sublimi A ad circumferentiam circuii AGC tcr- ininentur. Problema XII, Propositio XXXIII. Dato perpcndiculo et plano ad ipsum inclinato, quorum eodem sit alti- ludo idemque terminus sublimis, punctum in perpcndiculo supra ter¬ minimi communem reperire, ex quo si ilemittatur mobile, quod posteri convertatur per planimi inclinutum, ipsum planimi conficiat tempore codoni, equo ipsum perpendiculum ex quiete confìceret. Si ut perpendiculum et pian uni inclinutum, quorum eadem sit alti- 20 ludo, AB, AC: oportet, in perpcndiculo BA, producto ex parte A, punctum reperire, ex quo clesccndens mobile conficiat spalimi AC codoni tempore, quo confic.it datimi perpendiculum AB ex quidc in A. Ponatur DCE cui angidos rectos ad AC, et secetur CD acquaiis AB, et iungatur AD: crit angulus ADC maior angolo CAD ( est enim CA mador quam AB, seu CD). Fiat angulus DAE acquaiis angulo ADE, et ad ipsum AE perpcndieularis G. quamcuntquc — 7-8. primo denionstrandum. Quod si in perpcndiculo ae sumutur infra o quodeumque cmtrum — 0-10. lUscributur, lineato l>c ni pundis . Tra dcscribatur o lineavi si cancellato, iunctis . — 10-13. aequaìes, ex antrdemonstratis, a media ad dirimentur ; et palei, per ipsas eodem tempore fieri motum, cum ex apice psrpendkuìi ad circumferentiam agc smt ductae. — Alla lin. 12 la stampa originalo leggo, por errore, circuii AGO. Dello lin. 15 e sog., fino alla lin. 21 della pag. 255, ai ha noi cud. A, a car. 161$., una bozza autograia, la (pialo presenta le seguenti varianti : 18-19, ipsum jdanum inclinatavi conficiat eodem tempore, quo — 20. perpendiculus — 21-22. ex a in h, punctum in venire, ex quo demissum mobile — 23. confidi perpendiculum — 23-24. ad redos angulus ad — 24-26. iungatur ad, quae maior ent ipsa de, et angulus adc INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 255 sit EF, plano inclinato et utrinque extemo occurrens in F, et utrague AI, AG ponatur ipsi CF aequalis, et per G ducatur GII, horizonti aequididans : dico, H esse puntimi quod qmeritur. Intclligatur enim, tem- pus casus per perpendi- culum AB esse AB; crii tempus per AC ex quiete in A ipsamet AC : emu¬ lo que in triangido redangulo AEF ab angolo recto E pcrpendicularis ad basini AF sit acta EC, erit AE media inter FA, AC, et CE inedia inter AC, CF, hoc est inter CA, AI : et cum ipsius AC tempus ex A sit AC, erit AE tempus tot-ius AF, et EC tempus ipsius AI. Quia vero in t riangido aeqmcrurì AED latus A E est acquale latori ED, erit ED tempus per AF : et est EC tempus per AI : ergo CD, 20 hoc est AB, erit tempus per 1 F ex quiete in A: quod idem est ac si dicamus, AB esse tempus per AC ex G, seu ex II : quocl erat faciendum. Problema XIII, Propositio XXXIV. Dato plano inclinato et perpendiculo, quorum idem sit sublimìs terminus, puntimi sublimius in perpendiculo extenso reperire, ex quo mobile de- cidens, et per planimi indi natimi conversimi, utrumque confìciat tempore eodem ac solum planimi inclinatimi ex quiete in eius superiori termino. Sint planimi inclinatimi et pcrpcndicidum AB, AC, quorum idem sit ter¬ minus A : oportet, in perpendiculo ad partes A extenso puntimi sublime repe- maior angulo end. Fiat — 1. inclinato et extenso — 2-3. per g orìzonti aequidistans gli : dico — 8-10. ex a ipsa ac : cumque — 21. quod erat detenninaìulum. Delle Un. 23 e seg., fino alla lin. 33 della pag. 257, si ha, nel cod. A, a car. 93 1., una bozza autografa, la quale porta, sempre della mano di Galileo, V indicazione « Scritta»; e delle lin. 23-20 di questa pag. 255 si ha una bozza, pure autografa, nel medesimo cod. A, a car. 74f., con premessavi V intitolazione « Propositio ». Le due bozze sono, nella parte comune, interamente conformi, e presentano le seguenti varianti a confronto della stampa: 23-24. quorum eadem sit elevatio, punctum sublime in perpendiculo reperire — 27-28. quo¬ rum eadem sit elevatio, riempe ac: oportet — pag. 25G, lin. 2-3. ac si ex quiete m a per 256 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE rire, ex quo mobile deciderle et per planum AB conversimi, partem assumptam perpendiculi et planimi AB confìciat tempore eodem ac solum planum AB ex quiete in A. SU ìmizmtaUs linea BC, et secetur AN acquali* AC; et ut AB ad 1IN, ita fiat AI. ad LC ; et ipsi AL ponatur aequalis Al, et ipsarum AC, BI tedia proportionalis sit CE, in perpendkulo AC produdo signata : dico, CE esse spiatimi quaesitum, adeo ni, esterno pcrpr.ndiculo supra A et assumpta parte AX ipsi CE acquali, mobile ex X confidai utrumque spalimi XAB acquali tempore ae solum AB ex A. Ponatur liorizontalis XR aequidistans BC, cui occurrat BA extensa in R; deinde , prodi tela AB in D, ducatur ED aequidistans CB, et supra AD semi- io drculus describatur, et ex B ipsi DA perpendictdaris erigatur BF usque ad circumferentiam : patri, FB esse mediani inter AB, BI), et ductam FA mediani inter DA, AB. Ponatur BS aequalis BI, et FII aequalis FB: et quia ut AB solum planum ni) descendcret. Sit — 4. Tra et ed ipsarum ai leggo, cancellato, quam propor- tionem habei ac ad l)i. — (1. Tra « supra a » ed et si legge, cancellato, et in eo posila parte. — 1). lift parole da Ponatur a « extensa in r > sono sostituite a queste altre, die leggonsi cancellate: Ponatur bs aequalis he, seu cg (constai enim, eas esse inter se aeqmles, cuoi sint medine inter ac, ce). — 10-11. supra ad semicirculus describatur è sostituito a supra ad, ae semicirculi describantur, che leggeri cancellato. — 12. 'fra circumferentiam e patet leggesi, cancellato: extendaturque bc usque ad alternili circumferentiam in g: constai, cg esse medialo inter ac, ce, et ideo aequalem ipsi hi. Dopo patet segue, cancellato, similiter. 13. Dopo « bi » segue, cancellato, seu cg.— pag. 257, liti. 2. Tra « ita fh ad » e « bs » leggesi, cancellato, INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. - GIORNATA TERZA. 257 ad BD, ita AC ad CE, esigue BF inedia inter AB, BD, et BI media inter AC, CE, erit ut BA ad AC, ita FB ad BS; et cum sit ut BA ad AC, seu ad AN, ita FB ad BS, erit, per conversionem rationis, BF ad FS ut AB ad BN, hoc est Ali ad LC. lledangulum igitur sidi FB, CL acquetar rectmgulo sub AL, SF ; hoc aidem redangulum AL, SF est excessus rectanguli sub AL, FB, seu Al, BF, super redangulo AI, BS, seu AIB ; rectangulmn vero FB, LC est excessus rectanguli AC, BF super redangulo AL, BF ; redangulum autem AC, BF aequatur redangulo ABI {est enim ut BA ad AC, ita FB ad BI) : excessus igitur rectanguli ABI super redangulo AI, BF, seu AI, FII, aequatur io excessai rectanguli AI, FU super redangulo AIB : ergo bina rectangula AI, FH aequantur duobus ABI, AIB, riempe binis AIB cum quadrato BI. Commune sumaiur quadratimi AI : erunt bina rectangula AIB cum duobus quadra¬ ta AI, IB, nempe quadratum ipsum AB, acquale binis redangulis AI, FII cum quadrato AI. Communiter rursus assumpto quadrato BF, erunt duo quadrata AB, BF, riempe unicum quadratum AF, acquale binis redan¬ gulis AI, FII cum duobus quadratis AI, FB, id est AI, FII. Veruni idem quadratum AF acquale est binis redangulis AHF cum duobus quadra¬ tis AH, IIF ; ergo bina rectangula AI, FII cum quadratis AI, F1I acqua- ila sunt binis redangulis AHF cum quadratis AH, HF ; et dempto coni¬ no mimi quadrato IIF, bina rectangula AI, F1I cum quadrato AI erunt aequalia binis redangulis AHF cum quadrato AH. Curnque redangnlorum omnium FII sit latus commune, erit linea AH aequalis lineae AI : si enim inaiar vel minor csset, rectangula quoque FlIA et quadratum HA malora vel minora essent redangulis FH, IA et quadrato IA, contra id quod demonstra- tum est. Modo si intclligamus, tempus casus per AB esse ut AB, ternpus per AC erit ut AC, d ipsa IB, media inter AC, CE, erit tempus per CE, seti per XA ex quiete in X : cumque inter DA, AB, seu BB, BA, media sit AF, inter vero AB, BD, id est RA, AB, inedia sit BF, cui aequatur FII, erit, ex praedemonstratis, excessus AH tempus per AB ex quiete in R, seu post so casim ex X, cium tempus eiusdem AB ex quiete in A fuerit AB. Tempus igitur per XA est IB ; per AB vero post RA, seu post XA, est AI ; ergo tempus per XAB erit ut AB, idem nempe cum tempore per solavi AB ex quiete in A. Quocl eroi propositum. « cg et ad p. — 2. seu an, ita — 8. Tra « ita fb ad » e « bi p loggesi, cancellato, inclinata CB extensa occurrat in E, pona- io turque BF aequalis BA, et, centro E, intervallo EF, circuita describa- tur FIG, et FE ad rircumf'ercntiam nsquc protrahatnr in G, et id GB ad BF, ita fiat BH M ad HF, et HI circulmi tangat in I ; deinde ex B perpendicularis ad 20 FC erigatur BK, cui occurrat in L linea EIE ; tandem ipsi EL perpendicularis ducatur LM, occurrens BC in M: dico, in litica BM ex quiete in B fieri motim eodem tempore ac ex quiete in A per umbas AB, BM. Ponatnr EN aequalis EL ; cntnque ut GB ad BF, ita sit BII ad IIF, erti, permutando,ut GB ad BH,itoBF ad FH, et, dividendo, GII ad IIB, ut BII ad IIF ; quarc rectangulum GHF qua¬ drato HB erti acquale : sed idem rectangulum acquatta quoque, quadrato HI : ergo BH ipsi HI est aequalis. Cumgue in quadrilatero ILBII lederà IIB, PII sint aequulia, et angoli B, I recti, erti latus quoque BL ipsi LI acquale: Delle lin. 2 e seg., fino «Ila lin. 12 della pag. 259, si ha nel cud. A, a car. 142r., una bozza autografa, della quale è, di mano del Guiduoci, una copia, diversa soltanto in due luoghi, nello stesso cod. A, a car. 51r. Questi manoscritti presentano le seguenti varianti a con¬ fronto della stampa : 3 ■ sola fiat — 5. jycrperulictdus — G. sola fiat — 8. orizon — 9-10. eh occurrat. Nella copia del CriiiDocoi tra « cb » o occurrat è aggiunto fra le linee, della sua stessa mano, extensa .— 11-12. ira « ha » ed et si legge, cancellato, et e.rtensa fo, fiat eg aequalis ef. Et ut gb ad bf, ita fiat bc ad hf — 22. in 1 eil ; tandem — 23. ex b fieri — 24. ex a per ainbas abili. Ponatur — INTORNO A T)UE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 259 ' est autem EI aequalis EF : ergo tota LE, scu NE, dualms LB, EF est aequalis. Auferatur commuuis EF ; erti rclìqua FN ipsì LB aequalis : at posila est FB aequalis ipsi BA : ergo LB duabns AB, BN aequatur. Rursus, si intélligatur, tempus per AB esse ipsam AB, crii teinpus per EB ipsi EB acquale ; tempus autem per totani EM erti EN, media scilicet inter ME, EB ; quare reliquae BM tempus casus post EB, scu post AB, crìi ipsa BN : po- situm autem est , tempus per AB esse AB : ergo tempus casus per ambas ABM est ABN. Cum aidem tempus per EB ex quiete in E sii EB, tempus per BM ex quiete in B crìi media proportimalis inter BE, BM ; haec autem est BL ; io tempus igitur per ambas ABM ex quiete in A est A BN : tempus vero per BM solavi ex quiete in B est BL ; ostensum autem est, BL esse acquatevi dua- ìms AB, BN ; ergo patet propositim. Aliter, niagis expedite. SU BC planavi inclinatum, BA pcrpendknhm. Dada perpendiculari per B ad EC, et utrinque extensa, ponatur B1I aequalis excessui BE su- per BA, et angolo BUE po¬ natur aequalis angulus HEL ; ipsa vero EL extensa occur- rat BK in li, et ex L exci- 20 tetur perpendbeidarts ad EL, LM, occurrens BC in M : dico, BM esse spatium in plano BC quaesitum. Quia enim angulus MLE rectus est, erit BL media inter MB, BE, et LE media inter ME, EB, cui EL sccetur aequalis EN ; et ermi tres lineae NE, EL, LH aequales, et I1B erit exccssus NE super BL : venivi cadevi HB est diavi excessus NE super NB, BA : ergo duae NB, BA aequales sunt BL. Quod si ponatur, EB esse tempus per EB, erit BL so tempus per BM ex quiete in B, et BN erit tempus ciusdem post EB, scu post AB, et AB erit tempus per AB : ergo tempora per ABM, nempe ABN, aequalia sunt tempori per solavi BM ex quiete in B : quod est intentimi. 2. Auferat [sic] communis ef; ergo religua fn ipsi lb aerit [sic] aequalis —3. est fi) ipsi ba aequalis: ergo — 6. Tra tempus e casus leggasi> cancellato, erit bn. — Tra « eb > e seu si legge, cancellato, erit ipsa bn, seu. — 6-7. positura est autem, tempus . La copia del Guiducgi è conforme alla stampa. — 11-12. acqualem duobus — 260 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE LKMMA. A B ci SU DC ad dìamdrum BA perpendicularis, et a termino B educatur BED utcunque, et cmnedatur FB : dico, FB inter DB, BE esse mediani. Gonnedatur EF, et per B ducatur tangens BG, quae erit ipsi CD parallela; quare angulus DBG angolo FDB erit acquar lis : al eulem GBD aequatur quoque angulus EFB in portione alterna : ergo simili a simt triangola FBD, FEB, et ut BD ad BF, ita FB io ad BE. LKMMA. SU linea ÀC maior ipsa DF, et habeat AB ad BC maiorem rationcm quam DE ad EF : dico, Ali ipsa DE esse maiorem. Quia enim AB ad BC A B C maiorem rationcm habet quam DE ad EF; guani ratimcm habet AB ad BC, hanc habcbit DE ad ^-5—5—n minorem quam EF. Habeat ad EG : et quia AB ad BC est ut DE ad EG, erìt, componendo et per conversionem rationis, ut CA ad AB, ita Gl) ad DE: est aidem CA maior GD : ergo BA ipsa DE maior erU. LKMMA. 20 Sit circuii quadrane ACIB ; et ex B, ipsi AC parallela, BE ; et ex qnovis centro in ea sumpto circtdus BOES descriptus, tangens AB in B, et secans Delle lin 1-11 si ha una bozza autografa, interamente conformo alla stampa, nel cod. A, n car. 172 1. Delle lin, 12-19 si ha una bozza nel cod. A, a car. I85r., ed un’altra nello stesso codice, a car. 172*. Tutt* e due sono della mano giovanile di Galileo; ma per la forma del ca¬ rattere, e soprattutto per il fatto clic a car. 185r. si legge soltanto tale Lemma, mentre a car. 172*. esso è scritto di séguito all 1 altro Lemma che anche nella stampa gli precede, si può tenere questa bozza come posteriore a quella. Esse sono tra di loro conformi (fuorché la bozza a car. I85r. presenta, come noteremo, due cancellature, che non sono nell’altra), ed offrono le seguenti varianti a confronto della stampa : 14. ipsa de maiorem esse. (Juia — 15-16. Nella prima bozza, dopo € ad ef > si logge, can¬ cellato, quam rationem haìtebit, e dopo rationcm (lin. 16) « ripetuto (e pur cancellato) habebit. —17. quam ef. Sit eg: et — 18. erit ut ca—19. ergo et ha ipsa — Delle lin. 21-22 della presente pagina e 1-28 della pag. 261 si ha una bozza autografa nel cod. A, a car. 163r., la quale presenta le seguenti varianti : lin. 21-22 c lin. 1-3 della pag. 261. parallela, ducatur he; et in ea asstnnpto cmtro, circulus boes describat [sic], ila ut secet circumferentiam quadrantis, quod sit in i ; et connectatur cb et c», quae usque ad s extendatur: duo, lincam ci ipsa co semper esse mino rem. lungatur — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 261 drcumferentiam quadranti « in I; et iuncta sii CB, et CI usque ad S extensa : dico, lineam CI minorem semper A. B esse ipsa CO. Iimgatur AI, quae circu- *\~ limi BOE tanget. Si enim ducatur DI, \ / / / \ crit aequalis ipsi DB ; cum vero DB qua- \ f / / \ d/rantem tangat, tanget etiam eim,detti DI Vfo / ^ ® S et ad diametrum AI erit perpendicidaris ; / J quare et ipsa AI circulum BOE tanget / in I. Et quia angulus AIC maior est an- \ Ili io gulo ABC, cum maiori insistat peripheriae, \ ergo angulus quoque SIN ipso ABC maior n\ erit : quare podio IES maior est portione BO, \ et linea CS, centro vicinior, maior ipsa CB : ' quare et CO maior CI, cum SC ad CB sit ut OC ad CI. Idem aidem magis accidet, si (ut in altera figura) BIC quadrante fuerit mi¬ nor. Nani perpendicularis DB circulum secabit CIB ; quare DI quoque, cum ipsi 20 DB sit aeqiuilis; et angulus DIA erit ^ oblusus, et ideo AIN circulum quoque BIE secabit. Crnnque angulus ABC mi¬ nor sit angolo AIC, qui aequatur ipsi SIN ; iste autem est adirne minor co qui ad contaetmn in I fiord per lineam SI ; ergo podio SEI est longe maior por- tione BO : linde eie. Quod erat denion- strandum. Tueorema. XXII, Propositio XXXVI. so Si in circulo ad liorizontem erecto ab imo putido elevdur planimi non maiorem subtendens circumferentiam quadrante, a termini is cuius duo i-5. enim iungatur di, erit — 5-7. vero db tangat quadrantem, tanget etiam di ; ergo ad — 8-9. tanget. Et — IO. periferiae — 14-16. maior ci, cum Q beo sit aequale sci. Idem. Si noti che le parole da cum a sci x> sono cancellate, e che dopo « maior ci » è richiamata un’aggiunta marginale, la quale forse conteneva il testo della stampa, ma è così cancellata da non potersi leggere. — Alla liti. 22 abbiamo corretto BIE in luogo di BIN, che si legge nella stampa. Anche la bozza autografa ha « bin », ma nella figura della bozza la lettera « n » designa 1* in¬ tersezione del prolungamento di < ai » col cerchio. 262 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE alia plana ad quodlibet circunferentiae punctum inflcctantur, de&cen- sus in planis ambóbus infierii breviari tempore absolvetur, quam in solo priori plano elevato, vet quam in altero tantum ex illis duobus, nenipe in inferiori. Sit circuii ad horizontem credi ab imo puncto C drcunfcrentia CBD, non maior quadrante, in qua sit plautini elevatimi CD , et duo plana a ter- X) A winis D, C inflexa ad quodlibet | ^ punctum B, in circunferentia sumptum : dico, tcrnpus descen- sus per ambo plana DBC bre- io viufi esse tempore descensm per solum DC, vel per unicum BC ex quiete, in B. Ditela sit per D horizontiUis MDA, cui CB ex- tcnsa occurrat in A ; sintque DN, MC ad MI), et BN ad BD perpendiculares, et circa trian- gulum redangulum DBN sc- micirculus describatur DFBN, sccans DC in F ; et ipsarum CD, DF media sit proportionalis DO, ipsurum autem CA, AB media sii AV. Sit autem PS 20 tempus quo peragitw tota DC, vel BC (constai enim, tempore codem peragi utramque), et quam rationem habet CD ad DO, liane habeat tempus SP ad tempus PR: crii tempus PR id, in quo mobile ex I) peragit DF ; RS vero id, in quo reliquum FC. Cimi vero PS sit quoque tempus quo mobile ex B peragit BC, si fiat ut BC ad CD, ita SP ad PT, crìi PT tempus casus ex A in C, cum DC media sit inter AC, CB, ex ante demonstratis. Fiat tandem ut CA ad AV, ita TP ad PG : crii PG tempus quo mòbile ex A venit in B, GT vero tempus residuimi motus BC conscquentis post molmn ex A in B. Cum vero DN, circuii DFN diameter, ad horizontem sit creda, temporibus aequalibus peragcntur DF et DB lineae : quare si demonstratum 30 Delle lin. 5 e seg., fino alla lin. 19 della pag. 268, si lia nel eod. A, a car. 163r., una bozza autografa, della quale è una copia esatta, di mano del Guiducoi, a car. 59r. e t. dello (stesso codice. La bozza autografa presenta le seguenti varianti: 5-14. Sit circuii circumferenlia ebd, et diameter me ad on.on/em creda, et ducatur de, non maior subtendente quadranlem, et a termini.s d, c aliae duae ad quodcumque punctum b: dico, mobile ex termino d ferri [tra « d » o ferri leggesi, cancellato, tWoctUi] per duas db, bc ìineas tempore brevion quam per de ex eodem termino d, rei per so/am bc ex termino b. Dada sit per d, ipsi cm perpendicularù, mda, cui —15-17. in a ; sitque da ipsi me parallela, et bn ad bd per¬ pendicolo.) is, et 20. autem ca, ab, av. Sit —21. enim, eodem tempore perapi — 30. df, db — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 263 fuerit, mobile citius permeare BC post casum DB, quam FC post pcrctr dam DF, habébimus intentmi. At cadevi temporis celerilate confidi mobile veniens ex D per DB ipsam BC, ac si venerit ex A per AB, cum ex utro- que casti DB, AB acquatta accìpiat vdocilatis moni onta ; ergo demonstran- dutn erit, breviari tempore peragi BC post AB, quatti FC post DF. Expli- catum est autem, tempus quo peragUur BC post AB, esse GT ; tempus vero ipsius FC post DF esse RS: ostendendum itaqne est, KS maius esse quam GT. Quod sic ostcnditur : quia ut SP ad PII, ita CD ad DO, per conversionem rationis et convertendo, ut RS ad SP, ita OC ad CD, ut autem SP ad PT, io ita DC ad CA ; et quia est ut TP ad PG, ila CA ad AV, per conver¬ sionem rationis erit quoque ni PT ad TG, ita AC ad CV ; ergo, ex acquali, ut RS ad GT, ita OC ad CV : est autem OC maior quam CV, ut inox demon- stràbitur : ergo tempus RS maius est tempore GT : quod demonstrare oportebat. Cum vero CF maior sii CB, FD vero minor BA, habebit CD ad DF maiorem ratimern quam CA ad AB ; ut autem CD acl DF, ita quadratum CO ad quadratum OF, cum sint CD, DO, DF proportionales ; ut vero CA ad AB, ita quadratimi CV ad quadratum VB ; ergo CO ad OF maiorem ralionem habet quam CV ad VB : igiiur, ex lemmatepraedido, CO maior est quam CV. Constai insaper, tempus per DC ad tempus per DBC esse ut DOC ad DO cum CV. 20 SCHOLIUM. Ex bis quae demonstrata sunt, colligi posse mdetwr, latimem omnium velocissimam ex termino ad terminimi non per brevis- simam lineami, nempe per reda/m, sed per circuii portionem, fieri. In quadrante enim BAEC, cuius latus BC sii ad liorizontem erectum, divisus sii arcus AC in quoteun- quepartes acquales, AD, DE, EF, FG, GC, et ductae sint rectae ex C ad panda A, D, 30 E, F, G, et iundae sint rectae quoque AD, DE,EF,FG, GC : manifestimi est, latimem 1. citius conjkere bc — 2-3. celeri tate conficiet mobile bc veniens ex db, ac si venirci ex ab, cum —8. sic demonstratw : quia enim «I — IO. ita od acl ca; et —12. Tra « cv » ed est si legge, cancellato : oste ... cum itero ct'sit maior cb — 14. sit quam cb —18. lemmate praedemonstrato, co — 18-19. Constai igiiur, tempus — 264 DI8COR8I E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE per duas ADC citius absolvi quam per mani AC, vel I)G ex quiete in D Sed ex quiete in A citius absolvitur DC guani dune ADC : sed per duas DEC ex quiete in A verisimile est, citius absolvi descenstm quam per solam CD : ergo descensus per tres ADEC absolvitur citius quam per duas ADC. Verum similiter, praecedente descensu per ADE, citius fit Mio per duas EFC quam per solam EG ; ergo per quatuor ADEFC citius fit motus quam per tres ADEC. Ac tandem per duas FGC, post praece- dentem descensum per ADEF, citius absolvitur latio quam per solavi FC ; ergo per quinque ADEFGG breviori adhuc tempore fit descensus quam per quatuor ADEFC. Quo igitur jier inscriptos pdygonos magie ad cir- io cumferentiam acccdimus, eo citius absolvitur motus intcr duos terminos si- gnatos A, C. Quod aidem in quadrante cxplicatum est, contingit etiam in circimfe- rentia quadrante minori; et idem est ratiocinium. Problema XV, Proposito XXXVII. Dato perpendicido et plano inclinato, quorum eadem sii elevatio, partem in inclinato reperire, quae sit aequalis perpendicolo et conficiatw eodem tempore ac ipsum pcrpendiculum. Sint AB perpcndiculim et AC piatimi inclinatimi: oportet, in inclinato partem reperire aequalem perpendicolo AB, quae post quietem in A con- 20 ficiatur tempore acquali tempon quo conficilur pcrpendiculum. Ponatur AD aequalis AB, et reliqua DC bifarìam sccetur in I ; et ut AC ad CI, ita fiat CI ad aliavi AE, cui ponatur aequalis DG : palei, EG aequalem esse ^ AD et ADv Dico insuper, liane EG cavi esse, quae- con/ìcitur a mòbili, ve¬ niente ex (quiete in A, temjxyrc acquali tempori quo mobile cadit per AB. Quia, enim, ut AC ad CI, ita CI ad AE, seu II) ad I)G, crìi, per con- so 6. solam FC ; ergo, r — Dello lin. 16 e seg., fino alla lin. IH! della pag. 266, si ha una bozza autografa nel cod. A, a car. 79r., la quale porta superiormente, sempre della mano di Galileo, la indi¬ cazione : «Scritta», e presenta le seguenti varianti! 18-22. eodem tempore . Sint ac, ab, et ponatur — 24-30. ita sit ci ad ae, cui ponatur aequalis dg: erit eg aequalis ad et ab. Dico, hanc confici tempore acquali tempori ab. Quia — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 265 versione-m rationis, ut CA ad AI, ita DI ad IG : ami itaque sit ut totum CA ad totum AI, ita aliatimi CI ad aliatimi IG, crii reliquum IA ad reli- quu-m AG ut totum CA ad totum AI. Est itaque AI media inter CA, AG, et CI media inter CA, AE. Si itaque ponatur, tempus per AB esse ut AB, erit AC tempus per AC, et CI, seu ID, tempus per AE ; cmnque AI me¬ dia sit inter CA, AG, sitque CA tempus per totani AC ; erit AI tempus per AG, et reliquum IC per reliquum GC : fuit aatem DI tempus per AE : sant itaque DI, IC tempora per utrasque AE, CG : ergo reliquum DA erit tempus per EG, acquale riempe tempori per AB. Quod fadendum fuit. 10 CoiiOLLARlUM. Ex liis constai, spatium quaesitum esse intermedium inter partes su¬ peravi et inferam, quae temporilus aequalibus conficiuntur. Problema XVI, Proposito XXXVIII. Datis duobus planis liorizontalibus a pcrpendiculo sectis, in perpen- diculo punctum sublime reperire, ex quo cadentia mobilia, et in planis liorizontalibus reflexa, confidavi, in temporibus aequalibus temporibus commi, in iisdem liorizontalibus, in superiore nempe atque in infe¬ riore, spatia quae inter se habeant quameunque datavi rationein niimnis ad maiorem. Secta sint plana horizontalia CD, BE a perpendiculo ACB, sitque data ■rat-in minoris ad maiorem, N ad FG : oportet, in perpendiculo AB punctum sublime reperire, ex quo mobile cadens, et in plano CD reflexum, tempore acquali tempori sui casus spatium conficiat, quod ad spatium confeetum ab altero mobili, ex eodem puncto sublimi veniente, tempore aequali tempori sui casus, motu reflexo per BE planimi, habeat rationem eamdem cimi 1. ig, seu ci ad ig : cum — 6. sit eng, sitque — 9. tempus eg — Le parole Quod fadendum /uit mancano nella bozza. —11. quaesitum mediare inter — Delle lin. 14 e seg., lino alla lin. 9 della pag. 2GG, si ha una bozza autografa nel eod. A. a cui*. 162r., la quale presenta le seguenti varianti : 14. orizontalibus — sectis, dataque qualibet proportione minoris ad maiorem, oportet in — 15-20. quo mobilia cadentia, et in liorizontalibus re/lexa, temporibus casuuin suorum spatia in liorizontalibus conficiant datavi inter se habentia rationem. Secentur plana — 20-21. data proporlio u minoris ad maiorem fg. Tra maiorem ed « fg » si legge, cancellato, « n ad ». — 21. perpen¬ diculo punctum — 22. cadens, in — 24. puncto subbiimi venienti — 25. Tra piantim ed habeat si legge, sottolineato, confìceret. — pag. 2GG, lin. 2. punctum quaesitum — 2-3. dupla cl, ducatur — viu 84 266 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE data N ad FG. Ponatur GII aequalis ipsi N ; et ut FH ad HG, ita fìat BC ad CL : dico, L esse punctum sublime quaesitum. Accepta cnim CM dupla ad CL, ducatur LM, plano BE occurrens in 0 ; crit BO dupla BL : et quia ut FH ad HG, ita BC ad CL, erit, componendo et convertendo, ut IIG, hoc est N, ad GF, ita CL ad LB, hoc est CM ad BO. Orni autnn CM dupla sit ad LC, potei, sputimi CM esse illud quod a mobili veniente ex L post casum LC confìcitur in plano CI), et eadem ratione BO esse, illud quod. confìcitur jtost casum LB in tempore, acquali tempori casus per LB, cum BO sit dupla ad BL. Ergo palei propositum. Sagr. Panni veramente elio conceder si possa al nostro Accade- io miro, che egli senza iattanza abbia nel principio di questo suo trat¬ tato potuto attribuirsi di arrecarci una nuova scienza intorno a un suggetto antichissimo. Ed il vedere con quanta facilità e chiarezza da un solo semplicissimo principio ei deduca le dimostrazioni di tante proposizioni, mi fa non poco maravigliare come tal materia sia pas¬ sata intatta da Archimede, Apollonio, Euclide e tanti altri matema- 4-5. componendo, ut fg od gli, ùlest ad n, ita bl ad le, et l>o ad cni. Cum — 6. venienti — 7. casum lo [aie] confìcitur — 9. Nella bozza autografa, dopo Ergo palei propositum con¬ tiima: Quod si intelli/jamus, cm et bo esse circuìorum circumferentias circa centrum quo grave tendit descriptorum, habehimus distantiam 1, nude deducitur ratio velocitatilin in illis circulis la¬ tomia: ex qua et ex ratione conversionum distantia centri elici... E così in tronco Unisce.— Alla lin. 6 la stampa originale legge LC,fit, spatium, che abbiamo corretto, coiiiorme alla bozza autografa, in LC, patet, spatium. INTORNO A DUK NUOVE SCIENZE. — GIORNATA TERZA. 267 tici e filosofi illustri, e massime che del moto si trovano scritti volumi grandi e molti. Sai/v. Si vede un poco di fragmento d’ Euclide intorno al moto, ma non vi si scorgo vestigio che egli s’inoaminasse all’ investigazione della proporzione dell’ accelerazione e delle sue diversità sopra le di¬ verse inclinazioni. Tal che veramente si può dire, essei'si non prima che ora aperta la porta ad una nuova contemplazione, piena di con¬ clusioni infinite ed ammirande, le quali ne i tempi avenire potranno esercitare altri ingegni. io Sagr. Io veramente credo, che sì come quelle poche passioni (dirò per esempio) del cerchio, dimostrate nel terzo de’ suoi Elementi da Euclide, sono l’ingresso ad innumerabili altre più recondite, così le prodotte e dimostrate in questo breve trattato, quando passasse nelle mani di altri ingegni specolativi, sarebbe strada ad altre ed altre più inaravigliose ; ed è credibile che così seguirebbe, mediante la no¬ biltà del soggetto sopra tutti gli altri naturali. Lunga ed assai laboriosa giornata è stata questa d’ oggi, nella quale ho gustato più delle semplici proposizioni che delle loro dimo¬ strazioni, molte delle quali credo che, per ben capirle, mi porteranno 20 via più d’ un’ ora per ciascheduna : studio che mi riserbo a farlo con quiete, lasciandomi V. S. il libro nelle mani, dopo che avremo veduto questa parte che resta intorno al moto de i proietti ; che sarà, se così gli piace, nel seguente giorno. Salv. Non mancherò d’ esser con lei. Finisce la terza Giornata. GIORNATA QUARTA. Saia*. Attempo arriva ancora il Si^. Simplicio; però, Kenza interpol' quiete, vanghiamo al moto : ed ecco il testo del nostro Autore. DE MOTU PROIECTORUM. Qua e in motti acquabili contiti guai acddculiu, ilemque in motti tintu- raliter accelerato super qiutscunque planorum inclinaliones, supra conside¬ ra eimus. In hac, qiiam modo aggredior, contemplaiione, praecipua quacdam symptomata, eaque scita dignu, in medium afferre con attor, qademque fìrmis demonstrationibus stabilire, quae mobili acddunt dum motti ex duplici la¬ ttone composito, acquaiòli riempe et naturalUcr accelerata, mondar : huiusmodi io antem videtur esse motus illc, quem de proiectis dicimus ; cuius gencratio- nem totem constano. Mobile quoddam super plantm horincitale proiectum mente concipio, orniti seduso impedimento: iam constai, ex bis quae ftisitis alibi dieta sunt, illius motti-m aequabUcm et perpetuum super ipso plano futnrum esse, si planimi in infìn itimi extendatur ; si vero terminatimi et in sublimi posiitm intdligamus, mobile, quod gravitate praeditum concipio, ad plani terminimi delatum, ulterius progrediens, aequabili atque indelebili priori lattoni siir peraddet illam quam a propria gravitate habet deorsum propensionem, in¬ degne motus quidam emerget rompositus ex aequabili horizontali et ex deor- 20 su/m naturalitcr accelerato, quem prniertionem voco. Cuius accidentia nonnulla demonstrabimus : quorum primum sii. 2 . però, senta, s — DISCORSI E DIMOSTRAZIONI ECO. — GIORNATA QUARTA. 269 TnEOREMA I, Puotositio I. Proiettimi, dim fertur indù composito ex horinontali aeqnabili et ex naturaliter accelerato deorsum, lineavi semiparabolicam describit in sua lattone. Sagù. È forza, Sig. Salviati, in grazia di me, ed anco, credo io, del Sig. Simplicio, far qui un poco di pausa ; avvenga che io non mi son tanto inoltrato nella geometria, che io abbia fatto studio in Apol¬ lonio, se non in quanto so eli’ ei tratta di queste parabole e dell’ altre sezzioni coniche, senza la cognizione delle quali e delle lor passioni io non credo che intendersi possano lo dimostrazioni di altre proposi¬ zioni a quelle aderenti. E perchè già nella bella prima proposiziono ci vien proposto dall’Autore, doversi dimostrare, la linea descritta dal proietto esser parabolica, mi vo imaginando che, non dovendosi trat¬ tar d’ altro che di tali linee, sia assolutamente necessario avere una perfetta intelligenza, se non di tutte le passioni di tali figure dimo¬ strate da Apollonio, almeno di quelle che per la presente scienza son necessarie. Sai,v. V. S. si umilia molto, volendosi far nuovo di quelle cognizioni le quali non è gran tempo che ammesse come ben sapute, allora, dico, 20 che nel trattato delle resistenze avemmo bisogno della notizia di certa proposizione d’Apollonio, sopra la quale ella non mosse difficoltà. Sagr. Può essere o che io la sapessi per ventura o che io la sup¬ ponessi per una volta tanto che ella mi bisognò in tutto quel trat¬ tato : ma qui, dove mi imagino d’avere a sentir tutte le dimostrazioni circa tali linee, non bisogna, come si dice, bever grosso, buttando via il tempo e la fatica. Simp. E poi, rispetto a me, quando bene, come credo, il Sig. Sa- gredo fusse ben corredato di tutti i suoi bisogni, a me cominciano già a giugner come nuovi gli stessi primi termini ; perchè, se bene :io i nostri filosofi hanno trattata questa materia del moto de’ proietti, non mi sovvien che si siano ristretti a definire quali siano le linee da quelli descritte, salvo che assai generalmente sian sempre linee curve, eccetto che nelle proiezzioni perpendicolari sursum. Però, quando 22-23. supponesse, s — 270 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quel poco di geometria che io ho appreso da Euclide, da quel tempo in qua che noi avemmo altri discorsi, non sia bastante per rendermi capace delle cognizioni necessario per l’intelligenza delle seguenti dimostrazioni, mi converrà contentarmi delle sole proposizioni cre¬ dute, ma non sapute. Salv. Anzi voglio io che le sappiate mercè dell’ istesso Autor del- l’opera, il quale, quando già mi concesse di veder questa sua fatica, perchè io ancora in quella volta non aveva in pronto i libri di Apol¬ lonio, 8’ ingegnò di dimostrarmi due passioni principalissime di essa parabola, senza veruna altra precognizione, delle quali sole siamo bi- io sognosi nel presente trattato: lo quali son ben anco provate da Apol¬ lonio, ma dopo molte altre, che lungo sarebbe a vederle ; od io voglio che abbreviamo assai il viaggio, cavando la prima ini mediatamente dalla pura e semplice generazione di essa parabola, e da questa poi puro immediatamente la dimostrazione della seconda. Venendo dun¬ que alla prima : Intendasi il cono rotto, la cui baso sia il cerchio ibkc, e vertice il punto l, nel quale, segato con un piano parallelo al lato Ik, nasca la sezzione bue, detta parabola; la cui base he soghi ad angoli retti il diametro ik del cerchio ibkc, e sia 1* asse 20 della parabola ad parallelo al lato Ik; e preso qualsivoglia punto f nella linea bfa, tirisi la retta fc parallela alla bd : dico che il qua¬ drato della bd al quadrato della fe ha la me¬ desima proporzione elio 1* asse da alla parte ae. Per il punto e intendasi passare un piano pa¬ rallelo al cerchio ibkc, il quale farà nel cono una sezzione circolare, il cui diametro sia la & linea geli: e perchè sopra il diametro ik del cerchio ibk la bd è perpendicolare, sarà il qua- so drato della bd equale al rettangolo fatto dalle parti id, dk; e parimente nel cerchio superiore, che s’intende passare per i punti g, f, h, il quadrato della linea fc è eguale al rettangolo delle parti gài; adunque il quadrato della bd al quadrato della fc ha la medesima proporzione che il rettangolo idk al rettangolo geli. E perchè la linea cd è parallela alla lik, sarà la ài eguale alla dk, che pur son parallele : e però il rettangolo idk al rettangolo gài arà INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 271 la medesima proporzione che la id alla ge, cioè che la da alla ae : adunque il rettangolo idk al rettangolo gch, cioè il quadrato bd al quadrato fe, ha la medesima proporzione che l’asse da alla parte ae : che bisognava dimostrare. L’altra proposizione, pur necessaria al presente trattato, così fa¬ remo manifesta. Segniamo la parabola, della quale sia prolungato fuori l’asse ca in d, e preso qualsivoglia punto b, per esso intendasi pro¬ dotta la linea he, parallela alla base di essa parabola; e posta la da eguale alla parte dell’ asse ca, dico che la retta tirata per i punti d, b io non cade dentro alla parabola, ma fuori, sì che solamente la tocca nell’ istesso punto b. Imperò che, se è possibile, caschi dentro, segandola so¬ pra, o, prolungata, segandola sotto, ed in essa sia preso qualsivoglia punto g, per il quale passi la retta /ir/e. E perchè il quadrato fe è maggiore del qua¬ drato ge, maggior proporzione avrà esso quadrato fe al quadrato bc che ’l quadrato ge al medesimo bc; e perchè, 20 per la precedente, il quadrato fe al quadrato bc sta come la ea alla ac, adunque maggior proporzione ha la ea alla ac che ’l quadrato ge al quadrato bc, cioè che ’l quadrato ed al quadrato de (essendo che nel triangolo dge come la ge alla parallela bc, così sta ed a de) : ma la linea ea alla ac, cioè alla ad, ha la medesima proporzione che 4 ret¬ tangoli ead a 4 quadrati di ad, cioè al quadrato ed (che è eguale a so 4 quadrati di ad): adunque 4 rettangoli ead al quadrato cd aranno maggior proporzione che il quadrato ed al quadrato de : adunque 4 rettangoli ead saranno maggiori del quadrato ed : il che è falso, perchè son minori; imperò che le parti ea, ad della linea ed non sono eguali. Adunque la linea db tocca la parabola in b, e non la sega : il che si doveva dimostrare. Simp. Voi procedete nelle vostre dimostrazioni troppo alla grande, ed andate sempre, per quanto mi pare, supponendo che tutte le 272 DISCORSI E DIMOSTRA/.IONI MATEMATICHE proposizioni ili Euclide mi siano così familiari e pronto, come gli stossi primi assiomi, il die non è. E pur ora l'uscirmi addosso, che 4 rettangoli end son minori del quadrato de, perchè le parti cu, ad della linea ed non sono equali, non mi quieta, ma mi lascia sospeso. Sat.v. Veramente tutti i matematici non vulgari suppongono che il lettore abbia prontissimi al mono gli Elementi di Euclide : e qui, per supplire al vostro bisogno, basterà ricordarvi una proposizione del secondo, nella quale si dimostra, clu; quando una linea ò segata in parti eguali ed in diseguali, il rettangolo dello parti disegnali è io minore del rettangolo delle parti eguali (cioè del quadrato della metà) quanto è il quadrato della linea compresa tra i segamenti; onde è manifesto elio il quadrato di tutta, il quale contiene 4 quadrati della metà, ò maggiore di 4 rettangoli dello parti diseguali. Ora, di questo due proposizioni dimostrate, prese da gli elementi conici, conviene che tenghiamo memoria per l'intelligenza delle cose seguenti nel pre¬ sente trattato : chè di queste sole, e non di più, si serve l’Autore. Ora possiamo ripigliare il testo, per vedere in qual maniera ei vien dimostrando la sua prima proposizione, dove egli intende di provarci la linea descritta dal mobile grave, clic' mentre ci descende con moto 20 composto dell’ equabile orizontalo e del naturale descendento, sia una semiparabola. Intolligatur horizontalis linea seti plenum ab in sublimi posilum, super quo ex a in b mota aequabili feratur mobile ; deficiente, vero plani ftdeir mento in b, super veniat ipsi mobili, a propria gravita¬ te, motus naturalis deormn ùnta perpcndicularem lm. fnteiligatur insuper plano al) in directum posila linea be, 30 tanquam temporis effluxus sen mcnsura, super qua ad libitum notentur partes quot- libet temporis aequales, bc, cd, de , atque ex punctis b, c, il, e intrlligantur prodndae lineae perpen- diculo bn (teqnidistantes : in quorum prima accipiatur quuefibet pars ci ; INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 273 cu ius quadrupla sumatur in seguenti, df ; nonupla, eh ; ci consequenter in reliquie secundmn rationem quadrato)'imi ipsanm cb, db, eb, seu dica-mas in ratime earundem linearmi duplicata. Quod si mobili ultra b versus c aequabili latione lato descensum perpendicularem secundum quantitatcm ci superadditum intelligamus, repcrietur tempore bc in termino i constitutum. TJltenus aidem procedendo, tempore db, duplo sdlicet bc, sputimi descensus dcorsum erit spatii primi ci quadruplum ; demonstratmn enim est in primo tradotti, spatia peritata a gravi, mota naturalitcr accelerato, esse in duplicata ratìone temponm : pariterque consequenter spatium eh, peraetmn tempore he, io erit ut 9: adeo ut manifeste constét, spatia eh, tlf, ci esse inter se ut quadrata linearmi eb, db, cb. Ducantur modo a pundis i, f, li redae io, fg, hi, ipsi eb aequidistante s : erunt hi, fg, io lineac lincis eb, db, cb, singidae singulis, acquales; nec non ipsae bo, bg, bl ipsis ci, df, eli aequales; eritque quadratimi hi ad quadratoni fg ut linea lb ad bg, et quadratimi fg ad quadratura io ut gb ad bo ; ergo puncta i, f, li sunt in una eademque linea parabolica. Similiterque demonstr abitar, assmiptis quibuscunque tem- poris particulis aequalibus cuiuslibd niagnitudinis, loca mobilis simili motu composito lati iisdem temporibus in eadem linea parabolica repenri. Ergo patet propositum. 20 Sat.v. Questa conclusione si raccoglie dal convello della prima delle due proposizioni poste di sopra. Imperò che, descritta, per esempio, la parabola, per li punti b, li, se alcuno delli 2 f, i non fusse nella descritta linea parabolica, sarebbe dentro o fuori, e, per conseguenza, la linea fg sarebbe o minore o maggiore di quella che andasse a terminare nella linea parabolica ; onde il quadrato della hi non al quadrato della fg, ma ad altro maggiore o minore, arebbe la mede¬ sima proporzione che ha la linea lb alla bg : ma la ha al quadrato della fg: adunque il punto /'è nella parabolica : e così tutti gli altri, etc,. Sagù. Non si può negare che il discorso sia nuovo, ingegnoso e so concludente, argomentando ex suppositìone, supponendo cioè che il moto traversale si mantenga sempre equabile, e che il naturale deor- sum parimente mantenga il suo tenore, d’andarsi sempre accelerando secondo la proporzion duplicata de i tempi, e che tali moti e loro velocità, nel mescolarsi, non si alterino perturbino ed impediscliino, sì che finalmente la linea del proietto non vadia, nella continuazion del moto, a degenerare in un’ altra spezie : cosa che mi si rappresenta via. 91 274 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE come impossibile. Imperò che, stante che 1’ asse della parabola no¬ stra, secondo ’1 quale noi supponemmo farsi il moto naturale de i gravi, essendo perpendicolare all’ ori/onte, va a terminar nel centro della Terra; ed essendo elio la linea parabolica si va sempre slar¬ gando dal suo asse; niun proietto andrebbe già mai a terminar nel centro, o, so vi andrebbe, come par necessario, la linea del proietto tralignerebbe in altra, diversissima dalla parabolica. Simf. Io a queste difficoltà no aggiungo dell’ altre : una delle quali è, che noi supponghiamo che il piano orizontale, il quale non sia nè acclive nè declive, sia una linea retta, quasi elio una simil linea sia in tutte le sue parti egualmente distante dal contro, il elio non è vero ; perchè, partendosi dal suo mezo, va verso le estremità sempre più e più allontanandosi dal centro, e però ascendendo sempre; il che si tira in conseguenza, essere impossibile che il moto si perpetui, anzi che nè pur per qualche spazio si mantenga equabile, ma ben sempre vadia languendo. In oltre, è, per mio credere, impossibile lo schivar l’impedimento del mezo, sì clic non levi l’equabilità del moto trasversale e la regola dell’accelerazione ne i gravi cadenti. Dalle quali tutte difficoltà si rende molto improbabilo che le cose dimostrate con tali supposizioni inconstanti possano poi nelle prati¬ cate esperienze verificarsi. Salv. Tutte le promosse difficoltà e instanze son tanto ben fon¬ date, che stimo essere impossibile il rimuoverle, ed io, per me, le ammetto tutte, come anco credo che il nostro Autore esso ancora le ammetterebbe ; e concedo che le conclusioni così in astratto dimo¬ strate si alterino in concreto, e si falsifichino a segno tale, che nè il moto trasversale sia equabile, nè T accelerazione del naturale sia con la proporzion supposta, nè la linea del proietto sia parabolica, etc. : ma ben, all’ incontro, domando che elio non contendano al nostro Autor medesimo quello che altri grandissimi uomini hanno supposto, ancor che falso. E la sola autorità d’Arcliimede può quietare ogn’uno, il quale, nelle sin; Mecaniche e nella prima Quadratura della para¬ bola, piglia come principio vero, 1’ ago della bilancia o stadera essere una linea retta in ogni suo punto equalmento di-tante dal centro commune de i gravi, e le corde alle quali sono appesi i gravi esser tra di loro parallele : la qual licenza viene da alcuni scusata, perchè nelle nostre pratiche gli strumenti nostri e le distanze le quali ven¬ ia 20 so INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 275 irono da noi adoperate, son così piccole in comparazione della nostra gran lontananza dal centro del globo terrestre, che ben possiamo prendere un minuto di un grado del cerchio massimo come se fusso una linea retta, e due perpendicoli che da i suoi estremi pendessero, come se l'ussero paralleli. Che quando nelle opere praticali si avesse a tener conto di simili minuzie, bisognerebbe cominciare a ripren¬ dere gli architetti, li quali col perpendicolo suppongono d’ alzar le altissime torri tra linee equidistanti. Aggiungo qui, che noi pos¬ siamo dire clic Archimede e gli altri supposero nelle loro contem- 10 plazioni, esser costituiti per infinita lontananza remoti dal centro, nel qual caso i loro assunti non erano falsi, c che però concludevano con assoluta dimostrazione. Quando poi noi vogliamo praticar in di¬ stanza terminata le conclusioni dimostrato col suppor lontananza im¬ mensa, doviamo diffalcar dal vero dimostrato quello che importa il non esser la nostra lontananza dal centro realmente infinita, ma ben tale che domandar si può immensa in comparazione della piccolezza de gli artificii praticati da noi : il maggior de i quali sarà il tiro do i proietti, e di questi quello solamente dell’ artiglierie, il quale, per grande che sia, non passerà 4 miglia di quelle delle quali noi siamo 20 lontani dal centro quasi altrettante migliara ; ed andando questi a terminar nella superficie del globo terrestre, ben potranno solo in¬ sensibilmente alterar quella figura parabolica, la quale si concede che sommamente si trasformerebbe nell’andare a terminar nel centro. Quanto poi al perturbamento procedente dall’ impedimento del inezo, questo è più considerabile, e, per la sua tanto moltiplice va¬ rietà, incapace di poter sotto regole ferme esser compreso e datone scienza ; atteso che, se noi metteremo in considerazione il solo impe¬ dimento che arreca 1 ’ aria a i moti considerati da noi, questo si tro¬ verà perturbargli tutti, e perturbargli in modi infiniti, secondo che 30 in infiniti modi si variano le figure, le gravità e le velocità de i mo¬ bili. Imperò che, quanto alla velocità, secondo che questa sarà mag¬ giore, maggiore sarà il contrasto fattogli dall’ aria; la quale anco impedirà più i mobili, secondo che saranno men gravi : talché, se bene il grave descendente dovrebbe andare accelerandosi in dupli¬ cata proporzione della durazion del suo moto, tuttavia, per gravis¬ simo che fusse il mobile, nel venir da grandissime altezze sarà tale l’impedimento dell’ aria, che gli torrà il poter crescere più la sua 276 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE velocità, e lo ridurrà ad un moto uniforme ed equabile ; e questa adequazione tanto più presto ed in minori altezze si otterrà, quanto il mobile sarà men grave. Quel moto anco che noi piano orizontale, rimossi tutti gli altri ostacoli, dovrebbe essere equabile e perpetuo, verrà dall’impedimento dell’aria alterato, o finalmente fermato: e qui ancora tanto più presto, quanto il mobile sarà più leggiero. De i quali accidenti (li gravità, di velocità, ed anco di figura, come va¬ riabili in modi infiniti, non si può dar ferma scienza : o però, per poter scientificamente trattar cotal materia, bisogna astrar da essi, e ritrovate e dimostrate le conclusioni astratte da gl’ impedimenti io servircene, nel praticarle, con quelle limitazioni che 1’ esperienza ci verrà insegnando. E non però piccolo sarà 1’ utile, perchè le materie e lor figure saranno elette le men soggette a gl’ impedimenti del mezo quali sono le gravissime e le rotonde, e gli spazii o le velocità per lo più non saranno sì grandi, che le loro esorbitanze non possano con facil tara esser ridotte a segno ; anzi pure ne i proietti prati¬ cabili da noi, che siano di materie gravi e di figura rotonda, ed anco di materie men gravi e di figura cilindrica, come frecce, lanciati con trombe o archi, insensibile sarà del tutto lo svario del lor moto dall’ esatta figura parabolica. Anzi (e voglio pigliarmi alquanto più 20 di licenza), che ne gli artifizii da noi praticabili la piccolezza loro renda pochissimo notabili gli esterni ed accidentarii impedimenti, tra i quali quello del mezo è il più considerabile, vi posso io con due esperienze far manifesto, lo farò considerazione sopra i movimenti fatti per 1’ aria, che tali son principalmente quelli de i quali noi par¬ liamo; contro i quali essa aria in due maniere esercita la sua forza: 1’una è coll’impedir più i mobili men gravi che i gravissimi; l’al¬ tra è nel contrastar più alla velocità maggiore che alla minore del- l’istesso mobile. Quanto al primo, il mostrarci l’esperienza che due palle di grandezza eguali, ma di peso 1’una 10 0 12 volte più grave 30 dell’altra, quali sarebbero, per esempio, una di piombo e 1’altra di rovere, scendendo dall’ altezza di 150 o 200 braccia, con pochissimo differente velocità arrivano in terra, ci rende sicuri che l’impedi¬ mento e ritardamento dell’ aria in amendue è poco : che se la palla di piombo, partendosi nell’ istesso momento da alto con 1’ altra di legno, poco fusse ritardata, c questa molto, per assai notabile spazio 13 . soytLlt, a — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 277 dovrebbe il piombo, nell’arrivare in terra, lasciarsi a dietro il legno, mentre è 10 volte più grave; il che tutta via non accade, anzi la sua anticipazione non sarà nò anco la centesima parte di tutta 1’ al¬ tezza ; e tra una palla di piombo ed una di pietra, che di quella pesasse la terza parte o la metà, appena sarebbe osservabile la diffe¬ renza del tempo delle lor giunte in terra. Ora, perchè l’impeto che acquista una palla di piombo nel cadere da un’ altezza di 200 brac¬ cia (il quale è tanto, che continuandolo in moto equabile scorrerebbe braccia 400 in tanto tempo quanto fu quello della sua scesa) è assai io considerabile rispetto alle velocità che noi con archi o altre machino conferiamo a i nostri proietti (trattone gl’impeti dependenti dal fuoco), possiamo senza errore notabile concludere e reputar come assoluta¬ mente vere le proposizioni che si dimostreranno senza il riguardo dell’ alterazion del mezo. Circa poi all’ altra parte, che è di mostrare, l’impedimento che l’istesso mobile riceve dall’ aria, mentre egli con gran velocità si muove, non esser grandemente maggiore di quello che gli contrasta nel muoversi lentamente, ferma certezza ce ne porge la seguente esperienza. Sospendansi da due fili egualmente lunghi, e di lunghezza di 4 o 5 braccia, due palle di piombo eguali, e attaccati i 20 detti fili in alto, si rimuovano amendue le palle dallo stato perpen¬ dicolare ; ma l’una si allontani per 80 o più gradi, e l’altra non più che 4 o 5 : sì che, lasciate in libertà, l’una scenda e, trapassando il perpendicolo, descriva archi grandissimi di 160, 150, 140 gradi etc., diminuendogli a poco a poco ; ma 1’ altra, scorrendo liberamente, passi archi piccoli di 10, 8, 6 etc., diminuendogli essa ancora a poco a poco : qui primieramente dico, che in tanto tempo passerà la prima li suoi gradi 180, 160 etc., in quanto l’altra li suoi 10, 8 etc. Dal che si fa manifesto, che la velocità della prima palla sarà 16 e 18 volte maggiore della velocità della seconda ; sì che, quando la velo- 30 cita maggiore più dovesse essere impedita dall’ aria che la minore, più rade devriano esser le vibrazioni ne gli archi grandissimi di 180 o 160 gradi etc., che ne i piccolissimi di 10, 8, 4, ed anco di 2 e di 1 : ma a questo repugna P esperienza ; imperò che se due com¬ pagni si metteranno a numerare le vibrazioni, 1’ uno le grandissime e 1’ altro le piccolissime, vedranno che ne numereranno non pur le decine, ma le centinaia ancora, senza discordar d’ una sola, anzi d’ un sol punto. E questa osservazione ci assicura congiuntamente delle 2 prò- 278 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE posizioni, cioò cho le massime o lo minimo vibrazioni si fanno tutte a una a una sotto tempi eguali, e elio l’impedimento e ritardamento dell’ aria non opera più ne i moti velocissimi elio no i tardissimi ; contro a quello elio pur dianzi pareva che noi ancora comunemente giudicassimo. Sagù. Anzi, perchè non si può negare ohe 1’ aria impedisca questi o quelli, poi che o questi o quelli vanno languendo e finalmente fini¬ scono, convien dire che tali ritardamenti si facciano con la medesima proporzione nell’ una o nell’ altra operazione. Ma che ? L’ avere a far maggior resistenza una volta che un’ altra, da che altro proced’ egli io l'uor che dall’ esser assalito una volta con impeto e velocità maggiore, ed un’altra con minore? E so questo è, la quantità medesima della velocità del mollilo è cagiono ed insieme misura della quantità della resistenza. Adunque tutti i moti, siano tardi o veloci, son ritardati e impediti con l’istessaproporzione: notizia, par a me, non disprezzabile. Sai/v. l’ossiam per tanto anco in questo secondo caso concludere, che lo fallacie nelle conclusioni le quali astraendo da gli accidenti esterni si dimostreranno, siano no gli artifizii nostri di piccola con¬ siderazione, rispetto a i moti di gran velocità, de i quali per lo più si tratta, ed alle distanze, che non sono se non piccolissime in rela- 20 zione alla grandezza del semidiametro e de i cerchi massimi del globo terrestre. Siile. Io volentieri sentirei la cagione per la quale V. S. sequestra i proietti dall’ impeto del fuoco, cioè, come credo, dalla forza della polvere, da gli altri proietti con frombe archi o balestre, circa ’l non essere nell’istesso modo soggetti all’ alterazione ed impedimento del- l’aria. S.u.v. Muovemi 1 ! eccessiva e, per via di dire, furia soprannaturale con la quale tali proietti vengono cacciati ; che bone anco fuora d iperbole mi par elio la velocità con la quale vien cacciata la palla 30 inori d’un moschetto o d’ una artiglieria, si possa chiamar soprana¬ turale. Imperò che, scendendo naturalmente per 1’ aria da qualche altezza immensa una tal palla, la velocità sua, mercè del contrasto dell’aria, non si andrà accrescendo perpetuamente: ma quello che ne i cadenti poco gravi si vede in non molto spazio accadere, dico di ridursi finalmente a un moto equabile, accaderà ancora, dopo la 28. soprannaturali, a — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 279 scesa eli qualche migliava di braccia, in una palla di ferro o di piombo ; e questa terminata ed ultima velocità si può dire esser la massima che naturalmente può ottener tal grave per aria : la qual velocità io reputo assai minor di quella che alla medesima palla viene impressa dalla polvere accesa. Del che una assai acconcia esperienza ci può render cauti. Sparisi da un’ altezza di cento o più braccia un archi- buso con palla di piombo all’ in giù perpendicolarmente sopra un pavimento di pietra, e col medesimo si tiri contro una simil pietra in distanza d’ un braccio o 2, e veggasi poi qual delle 2 palle si io trovi esser più ammaccata : imperò che, se la venuta da alto si tro¬ verà meno schiacciata dell’ altra, sarà segno che 1’ aria gli avrà im¬ pedita e diminuita la velocità conferitagli dal fuoco nel principio del moto, e che, per conseguenza, una tanta velocità non gli permette¬ rebbe l’aria che ella guadagnasse già mai venendo da quanto si voglia subbiime altezza; elio quando la velocità impressagli dal fuoco non eccedesse quella elio per sè stessa, naturalmente scendendo, po¬ tesse acquistare, la botta all’ ingiù devrebbe più tosto esser più va¬ lida che meno. Io non ho fatto tale esperienza, ma inclino a crederò che una palla d’archibuso o d’artiglieria, cadendo da un’ altezza 20 quanto si voglia grande, non farà quella percossa che ella fa in una muraglia in lontananza di poche braccia, cioè di così poche, che ’l breve sdrucito, o vogliam dire scissura, da farsi nell’ aria non basti a levar 1’ eccesso della furia sopranaturale impressagli dal fuoco. Que¬ sto soverchio impeto di simili tiri sforzati può cagionar qualche de¬ formità nella linea del proietto, facendo ’l principio della parabola meno inclinato e curvo del fine ; ma questo, poco o niente può esser di progiudizio al nostro Autore nelle praticali operazioni : tra le quali principale è la composizione d’una tavola per i tiri elio dicono di volata, la quale contenga le lontananze delle cadute delle palle ta¬ so rate secondo tutte le diverse elevazioni ; e perchè tali proiezzioni si fanno con mortavi, e con non molta carica, in questi non essendo sopranaturale l’impeto, i tiri segnano le lor linee assai esattamente. Ma in tanto procediamo avanti nel trattato, dove l’Autore ci vuole introdurre alla contemplazione ed investigazione dell’ impeto del mobile, mentre si muove con moto composto di due ; e prima, del composto di due equabili, l’uno orizontale c l’altro perpen¬ dicolare. 280 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE Tukorkmà II, TuorosiTio IT. Si alìquod mobili 1 duplici mola acquaiòli maveatur, riempe orizontalì et perpendicolari, impetus seu momentum lationis ex ut rogne motu com¬ postine erit potcntia acgualis ambóbus momentis priorum motuum. Muveatur mini aliquod mobile acquabilitcr duplici lai ione, et mutatimi perpcudiculari respondeat spatium ab, lationi vero horizontàli eodem tem- pare confectae respondeat bc. fìum igitur per motus aequdbiles confidantur eodem tempore spatia ab, bc, erunt lumini lationum momento inter se ut ìpsae ab, bc: mobile vero, quod seemdum kasce duas mutatùmes io movetui -, describit diar/onalcm ac ; erit momentum siine velocitata ut ac. Veruni ac potentiu aequa tur ìpsis ab, bc ; ergo momentum compositum ex utrisgue momentis ab, bc est potentiu tantum illis simul sumptis acquale: quod crat ostendendum. Simp. È necessario levarmi un poco di scrupolo clic qui mi nasce, parendomi che questo, che ora si conclude, repugni ad un’altra pio- posizione del trattato passato, nella quale si attenuava, l’impeto del mobile vanente dall’ a in b essere eguale al vanente dall’ a in c; ed ora si conclude, l’impeto in c esser maggiore che in b. Sai.v. Le proposizioni, Sig. Simplicio, sono amendue vere, ma molto 20 diverse tra di loro. Qui si parla d’un sol mobile, mosso d’un sol moto, ma composto di due, amendue equabili ; e là si parla di 2 mo¬ bili, mossi di moti naturalmente accelerati, uno por la perpendico¬ lare ab, o V altro per l’inclinata ac. In oltre, i tempi quivi non si suppongono eguali, ma il tempo per l’inclinata ac è maggiore del tempo per la perpendicolare ab ; ma nel moto del quale si parla al presente, i moti per le ab, bc. ac s’intendono equabili e fatti nel- l’istesso tempo. Simp. Mi scusino, e seguano avanti, oliò resto acquietato. Delle lin. 2-14 si ha una bozza, della inano giovanile di Galileo, nel cod. A, a car. OD., la quale presenta le seguenti varianti: 5. Tra aequnbiliter e duplici si legge, cancellato, in perpetuiiculo ab tuta motu, et eodem tempore feratur aequubiliter per orieontnn eb. — ti. orizontalì — 9. ipsue lini tic ab — 11-12. mo- vetur, describet diametrum ac eodem tempore quo facil inutationem perpendiculnrem ab et orizontalem bc, eritque momentum suac velocitai is ut ac ; ac nutem potentiu — 14. quod crai demonstiundum. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — «TORNATA QUARTA. 281 Sauv. Seguita l’Autore per incaminarci a intender quel che accaggia intorno all’ impeto d’ un mobile mosso pur d’un moto composto di 2, uno cioè orizontale ed equabile, e 1’ altro perpendicolare ma natu¬ ralmente accelerato, de i quali finalmente è composto il moto del proietto e si descrive la linea parabolica, in ciaschedun punto della quale si cerca di determinare quanto sia l’impeto del proietto. Per la cui intelligenza ci dimostra l’Autore il modo, o vogliàn dir metodo, di regolare e misurar cotale impeto sopra P ist.essa linea nella quale si fa il moto del grave descendente con moto naturalmente accelerato, io partendosi dalla quiete, dicendo : Theoiiema TU, Propositio III. Fiat molus per linearti ab ex quiete in a, et accipiatur in ea quodlihet puntimi c ; et ponatur ipsamet ac esse tempus, seti tempmis -mensura, casus ipsius per spatium ac, nec non mensura quoque impctus seu momenti in putido c ex descensu ac acquisiti. Modo swnatur in cadem linea ab quodcunque alnu.1 -pimdum, utputa b, in quo determinan- duni est de impelli acquisito a mobili per 20 descensum ab, in rat-ione ad impelimi qiiem obtinnit in c, cuius mensura posita est ac. Ponatur as media proportiimaUs inter ba, ac: demonstrabimm, impelimi in b ad impetum in c esse ut linea-m sa ad ac. Swnantur horizontales cd, dupla ipsius ac, be vero dupla ba: constat, ex demonstratis, cadens per ac, conversimi in horizonte cd, atipie ìuxta impetum Delle Un. 12 e seg., (Ino alla lin. 13 della pag. 282, si ha nel cod. A, a car. 9D.. una bozza della mano giovanile di Gat.ii, no o con aggiunte posteriori, pure autografe, le quali indichiamo qui abbasso tra le varianti, racchiudendole tra i segui | posti il primo dove l’aggiunta comincia o il secondo dove iinisee. Tale bozza comincia: In motti ex quiete eadcin rattorte intendi!ur velocitati momentum et tempus ipsius molus; e appresso presenta le seguenti varianti : 12. Fiat enim motus per ab ex — accipiatur quodlihet — 13-23. ponatur, ac esse tempus casus per ac, et momentum ccieritatis in c f acquisitae | esse [ pariter \ ut ac, sumalurque rursus quodlihet punctum b : dico, momentum velocitatis in b ad momentum in c esse ut tempus casus per ab acl tempus per ac. Suniatur as media inter ba, ac ; et cimi posìtum sit, tempus- casus per ac esse ac, erit as tempus per ab: demonstrandum ìgitur est, momentum celeritatis in c ad momentum caehritatis [sic] in b esse ut ac ad as. Swnantur orieontales cd, dupla ad ca, be vero dupla ad ba — 24 o lin. 1-2 della pag. 282. orieonte cd, cnnfìcere cd f mota aequabili [ se vai. 282 DISCORSI E DIMOSTRAZTOMT MATEMATICHE in c acquisitimi motti acquali! i delatum, con fiacre spot ium cil acquali tem¬ pore, atquc ifìsutn ac motn accelerato confcc.it ; similiterque, be confici eodetn tempore atquc ab : seti tempns ipsius descensus ab est as : ergo horizontalis be conficitur tempore as. Fiat ut tempns sa ad tempiis ac, ita eh ad bl ; cum- que motus per bo sit aequahdis, crìi spatium bl pera cium tempore ac secun- dum momentum celeritatis in b : sed tempore eodem ac confidine spatium cd secondimi momentum celeritatis in c ; momento autem celeritatis sunt inter se ut spalici, quae. iurta ipsa momento eodem conficiuntur tempore : ergo momentum celeritatis in c ad momentum celeritatis in b est ut de ad bl. Quia re.ro ut de ad be, ita ipsarum dimidia, nempe ca ad ab; ut autem eb io ad bl, ita ba ad as ; ergo, ex acquali, ut (le ad bl, ita ca ad as: hoc est, ni momentum celeritatis in c ad momentum celeritatis in b, ita ca ad as, hoc est, tempns per ca ad tempns per ab. Falci itaque ratio mensuranili imprimi sru celeritatis momentum super linea in qua fil motus descensus ; qui quide.m impctus ponitur aligeri prò ratione tempori*. Hie autem, antequam ulterius progrediamur, praemonendum est, quod rum de motu composito ex acquaiòli horizontali et ex naturai iter accelerato deorsum futurus sit senno (ex tali mini mix! ione con fiatar ac designatile linea proiccli, nempe parabola), neresse hahemus definire aliquam commi- 20 e non mensuram, iurta guani utriusque motus velo- citatem, impelimi, sru momentum, dimetirì valeamus: cumque lationis aeqiuibUis innumeri sint velocitatis gradus, quorum non quilibet fortuito , sed unus ex illis innumeris. rum gradii celeritatis per motirn natnraliter acceleratimi acquisito sit eonferendus et coniungcndtis, nulla») faciliorem riunì exrogitare potiti prò eo eligendo atipie, determinando, guani alimi eìusdem generis assumendo. Ut antem clarìus me esplica», intelligatur perpendicularis ac ad bori- 30 zontalem eb ; ac vero esse altitrulinem, cb autem amplitudinem semiparabola e. ab, quae describitur a compositione diiarnm lationum, quarum una est ino- aequali tempore atquc ipsa f confetti motu accelerato natnraliter | ac ; et similiter, be confici — 3. ipsius ab est — orisontalis — G-7. seti secundum momentum caderitatis [sic| i» c eodem tempore ac conficitur spaci noi c\, nella quale, essendo stato tagliato un angolo della carta, mancano alcune parole e parti di parola. Al di sotto della bozza leggesi l 1 indicazione : «Scritta», aggiunta posterior¬ mente dallo stesso Galileo. Questa bozza presenta le seguenti varianti: 8**10. dico, amplìt udiri es hg. ile esse aequales. ('uni — Iti 17. quae ihisce [sicj rectangulis 19. eba aequatur |J dimidiae — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 290 ex c eroda perpendicolari cd, iunctisque da, db. Est enim da media inter ba, ac, estque db media inter ab, bc ; suntque quadrata linearum da, db, simul sumpta, aequalia quadrato totius ab, redo existentc angulo adb in semicirculo. Ergo patet propositum. Thf.orema, PltOI'OSITIO X. Impetus scu momentum cuiuslibct semiparabolae aeqnatur momento na¬ turante)' cadentis in perpendicolari ad horizontcm, quac tanta sit quanta est composita ex sublimitate cum altitudine semiparabolae. Sit semiparabola ab, cuius sublimitas da, altitudo vero ac, ex quibus io compontiur perpendi calar is de : dico, impetum semiparabolae in b esse acqua- lem momento naturalticr descendentis ex d in c. Ponatur ipsamet de mensura esse temporis et impetus, et accipìatur media proportionalis inter cd, da, cui aequalis ponatur cf; sit insuper inter de, ca media ce : erti iam cf mensura temporis et momenti descendentis per da ex quiete in d ; ce vero tempus erti et momentum descendentis per ac ex quiete in a ; et diagonalis ef erti momentum ex illis com¬ posi tum, hoc est semiparabolae in b. Et (quia de seda est uteunque in a, suntque cf, ce medine inter totani cd et 20 partes da, ac, erunt harum quadrata, simul sumpta, aequa¬ lia quadrato totius, ex lemnate superiori : vero iisdem quadratis aequatur quoque quadratimi ipsius ef : ergo et linea ef ipsi de aequalis est. Ex quo constat, momenta per de et per semiparabolam ab, in c et b, esse aequalia : quod oportebat. COUOLLARIUM. Rine constat, semiparabolarum omnium, quorum altitudines cum subli- mitatibus iunctae pares sunt, impetus quoque aequales esse. Problema, Pro positio XI. Rato impetu et amplitudine semiparabolae, altitudinem cius reperire. so Impetus datus definitus sit a perpendiculo ad horizontcm ab ; ampli- tudo vero in horizontali sit bc : oportet, sublimitatem semiparabolae reperire, J 300 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATKMATIC’IIK attua imprtus sit ab, ampli ludo cero bo. ( 'nudai ex iam dnuonstratis, di¬ midi ani amplìtndinem bo futuram case mediani prtqmrtmialcm inter ultitu- dincm et subì imitatela ipsitis unni paraimine, quitta impela s, ex praecedenti, a est idem rum impela cadmivi ex quiete in a per taluni ab; est prapterea Ita ita seconda, ut vedati- $ gulum a puelibus eius contentum acquale sit quadrato dimidiuc bo, quae sìf bd. Ulne appa¬ rti, accessit cium esse quoti db dimidiam ba non stiperei : rectangutorum cairn a partìbm conten¬ tar um maximum est. rum tota tinca, in pa/rtes io srcatnr acquates. Diridutur itaque ba bifariam in e: quoti si ipso, bd acquatiti ftierU bo, abso- 1 ut tua est opus, eritqne semiparabeiac altitudo be, * subliniitas erro <>;t (et erre parabotac elevationis o semiredae amplitudinem, ut supra demonstralum est. omnium esse maximum ab eoi lem impela desrripttinnn). At minor sit bd qua ni dimidia ba, quae ita seconda est, ut n etti ugnili m sub partibus qua¬ drato bd sit acquate. Supra oa semicirculus dcscribatnr, in quo ex a appli- cctur af, aequalis bd, et iuiu/utur fe, cui secchie pars aequalis eg : crit iam rectanguhon bga rum quadrato og acquate quadrato ea, cui quoque, 20 aequaìiu sant duo quadrata af, fo. Ikmptìs itaque quadratis ge, fe arqualibiis, r&manet redau gulum bga acquale quadrato af, nempe bd, et linea bd media propoliionatis inter bg, ga : ex quo quitti, semiparaboìae cuius amplitudo bc, impetus vero ab, alt Ululi nem esse bg, sublimitufem ga. Quest si ponatur in- ferius hi aequalis ga, erit linee altitudo, ia vero sublimUas semiparaboìae ic. Jix demonstratis hucusque jmssumus : Prohi.ema, Prorositio XII. Semipara hot a rum omnium ampi it tuli nes culculo colli pere, atque in ta¬ bulas exit/ere, quae a proiciiis eodem impetu exptosis dcscribuntur. Constai ex qiraedemonstrefis. fune parabolas a proieetis eodem impetu so designavi, cum illarum subiimitutes, cani altitudinibus rumine, acquates con- 12. ipsa ba aequalis, s — Dello lin. 28 e seg., lino alla lin. 23 della pag. 302, ni ha nel eod. A, a car. 122r., una bozza autografa, nella quale si logge, pur di mano, ma alquanto posteriore, di Galileo, l'indicazione : « Scritta ». Essa presenta le seguenti varianti : 2t>-31. Semiparaboltirum proiectorum ab euilem impetu iuxlti quuscionque elevatitele#, per INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 301 fìciunt perpcndiadarcs supra lioruontem : inter easdem ergo parxtlldas hori- zonlales haeperpendiculares comprehmdi debent. Fonatur Uaque horizxmtali cb perpendicularis ba aequulis, et connedatur diagonalis ac: erto angtdus acb semirectus, gr. 45 ; divisaque perpcndiculon ba bifarium in d, semipara- bola de erit ea, quae a sublimitate ad cum altitudine db desìgnatur, et impctus eius in c tantus erit, quantus est in b mobilie venientis ex quiete in a per lineavi ab ; et si ducatur ag acquidistans bc, reliquanm omnium semi- parabolaruvi quorum impctus futmus sit io idem cum modo esplicato, altitudines curi sublimilatibus iunctae spatium inter paral- lelas ag, bc explere debent. Insuper, cum iam demonstratum sit, semiparabolanm quartini tangentes aeqnaìiter, sive supra sive infra, uh elevatione scmirecta distant, amplitudines aequales esse, calculus qaem grò maioribus elevatimi ibus compiiubimus, prò minoribus quoque deserviet. Eligimus praeterea numerimi patitimi decem milia, 20 10000, prò maxima amplitudine proiectionis C semipar abolae ad elcvationem gr. 45 faetae : Uaque tanta supponatur esse linea ba et amplitudo semiparabolac bc. Eligimus autem numerum 10000, quia utimur in calculis tabula tungentium, cuius liic numerus congruit cum tangente gr. 45. Iam, ad opus accedendo, ducatur ce, angtdum ecb angulo acb maiorem (acutum Um.cn ) compréhendens, sitque semiparabola designando, quae a linea ec tangatur, et cuius sublimitas cum altitudine iuncta ipsam ba adaequet. Ex tabula tangentimn, per anguhm datimi bee tangens ipsa bc accipiatur, quae bifariani dividatur in f ; deinde ipsarum bf, bi ( dimidiac bc) tertia proportionalis reperiatur, quae necessario maior erit quam fa. Sit igitur singulos gradus supra et infra 45, amplitudines calcalo colligere, et in tabulas exigcrc. (.onstal ex praedemonslratis, parabolarutn impetus esse aequales, cum Martini — 1. orizontem —1-2. ori- zontales — 2. compraehendi — orizontalì — 3-4. connedatur ac : erti acb angulus gr. 45, nempc semireetus ; divisaque — 5. erit, quae — 5-6. et quantitas impetus eius in c eadem erit atque impetus in b venientis mobilie ex — 9-10. impetus idem futurus sit cum modo — 19-20. numerum 10000, decemmillia, partimi prò — 20-21. proiectionis ad eleva onem gr. 45: tanta Uaque sup¬ ponatur — 22-24. semiparabolae bc. Iam, ad opus accedentes, ducatur. Tra bc e Iam si legge, cancellato, cuius dupla esset, nempe 20000, integrae parabolae amplitudo. —25. maiorem com- praehendens — 26. altitudine ipsam — 28. accipiatur, et bi far iam — deinde ipsius bf et bi — 29. tedia reperiatur proportionalis, quae — quam fa, cum bf maior sii quam db. Sit igitur 302 DISCORSI F, DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE illa fo. SnuipamMae igitur in trìangulo eeb inscriptae iuxta tangentem ce, cuitts amplitudo est cb, reperto, est allUndo bf et sublimità» fo. Veruni tota bo sopra parallela» ag, cl) attolliiur, cum nnlns opus sii inter casdcm conti¬ neri ; sic enim tum ipsa, inm semi parabola ile, describentur a proiectis ex c impela eodem explom : repericnda igitur est altera link similis (innumerae enim intra angulum beo, maiores et minore», inter se simile», designal i pos¬ si/nf), cuitts composita sublimità» cum altitudine (homologa scilicet ipsi bc) acquetar ba. Fiat igitur ut ob ad ba, ita amplitudo bc ad cr, et inventa crit cr, amplitudo scilicet semiparabolae iurta clmitimem anguli bee, cuius suhlimitas cum altitudine iuncta spitium a paralleli.s go, cb contentimi adae- io quat : quod quaerehattir. Operatio Uaqne talis crìi : Anguli c » ; alla lin. 7 della presente pagina, « ipsi ba * ; e alla lin. 10, « a paralleli x ga, gl) > ; olio, conforme/ alla bozza autograia, abbiamo corretto, rispettivamente, in t ipsarum bf, bi », « ipsi bc », e « a parallelis ga, cb », INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 303 Sacìr. Mi manca, per l’intera intelligenza di questa dimostrazione, il saper come sia vero che la terza proporzionale delle bf, hi sia (come dice l’Autore) necessariamente maggiore della fa. Salv. Tal conseguenza mi par che si possa dedurre in tal modo. Il quadrato della media di tre linee proporzionali è eguale al rettan¬ golo dell’ altre due ; onde il quadrato della hi, o della bel ad essa eguale, deve esser eguale al rettangolo della prima fb nella terza da ritrovarsi : la qual terza è necessario che sia maggiore della fa, per¬ chè il rettangolo della bf in fa è minore del quadrato bel, ed il inali¬ lo eamento è quanto il quadrato della df\ come dimostra Euclide in una del secondo. Devosi anco avvertire che il punto f, che divide la tan¬ gente eh in mezo, altre molte volte cadrà sopra ’l punto a, ed una volta anco nell’ istesso a ; ne i quali casi è per sè noto che la terza proporzionale della metà della tangente e della hi (che dà la subbli- mità) è tutta sopra la a. Ma 1’ Autore ha preso il caso dove non era manifesto che la detta terza proporzionale fusse sempro maggiore della fa, e che però, aggiunta sopi’a ’l punto f, passasse oltre alla parallela ag. Or seguitiamo. Non erit imitile, ope huius tabulae, alteram componere, coinplectentem al¬ zo titudines ea/rundem semiparabolurum proieetorwn ab eodem impelli. Gonstru- ctio autem talis erit. w Nell’edizione originale segue, a que¬ sto punto, ciò elio noi pubblichiamo da pag. 305, lin. 1, a pag. 306, lin. 1G, a cui tengono dietro le due tavole di pag. 304, e a queste la tavola di pag. 307, conti¬ nuando poi con la Proposizione XIV e con quanto ad essa tien dietro. È però mani¬ festo-che tale disposizione non e secondo P intenzioni delPAutore, e che, conforme noi abbiamo stampato, le due prime tavole de¬ vono invece tener dietro immediatamente alle parole Constructio autem talis erit, e la terza (la quale è annunciata separatamente dulie altre due, con le parole Non erit mu¬ tile, tertiam exponere tabulam ecc., pag. 306, lin. 4) deve seguire allo parole Or vergiamo la costruzzione della tavola. Confermano la disposizione che abbiamo adottato le parole in praccedenti tabula (pag. 305, lin. 2), e ex precedenti tabula (pag. 305, lin. 22), con lo quali è richiamata la tavola prima. Vero ò che per il primo di questi due passi lo stampatore di Leida, essendosi accorto della coutradizione che ora tra il praccedenti e la disposizione seguita, indicò nella Tavola de gli errori della stampa di correggere praece- clenti in seguenti; ma dimenticò poi di indi¬ care simile correzione per il secondo passo. Gradua elevationum DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE 304 Amplitudine» aomipnrabolarum ÀltitucUnaa Homiparubolaium ab eodem impeto descriptaruin. quartini impeto# sit idem.* 1 » (ì] l)i questa tavola si ha l’autografo nel quonte : Tabula altitudinum semipardbolarum cod. A, a car. 112r., con la intestazione se- a proiectis eodem impetu explosis descriptarum . INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 305 Problema, Proposito XIII. Ex doti* semiparàbólanm amplitudinibus, in praecedenti tabula digesti#, retmtoque communi impela quo unaquaeque describiiur, singularum semiparabolanm altitudines elicere. Sit amplitudo data bc ; impetus vero, qui semper idem intdligatur, men- sura sit ob, MI aggregatala nempe altitudinis et sublmitatis : reperienda est ac distinguenda ipsamet altitudo ; quod quidem tunc emsequemur, curri bo ita divisa fuerit, ut rcctangulnm sub eius partibus contentum acquale sit quadrato dir 10 midiae amplitudini# bc. Inculai talis divisi/) in f ; et utraque ob, bc secetur bifariam in d, i. Est igitur qua¬ dratura ib acquale rectangulo bfo ; quadratavi vero do aequatur eidem rectangulo cum quadrato fd : si igitur ex quadrato do auferatur quadratami bi, quod reclan- c gaio bfo est acquale, rcmanelnt quadratum fd, cuius latus df additimi lineae bd daini quaesitam altitudincm bf. Componitur itaque sic ex datis : Ex quadrato dimidiae bo notae aufer quadratum bi, pariter notae ; re¬ sidui suine radicem quadratami, guani addc notae db, et hàbébis altitudinem 20 quaesitam bf. Excmplum. Invenienda sit altitudo semiparabólac ad elevationem gr. 55 descriptae. Amplitudo, ex praecedenti tabula, est 9396 ; eius dmidium est 4698; quadratum ipsius 22071204; hoc dcnipto ex quadrato dimidiae bo, 1 . Pjiopos. Propos. XIII, s — Delle lin. 2-20 si ha una bozza autografa nel cod. À, a car. 122r., la quale, comincia con queste parole cancellate : Data amplitudine et., e presenta le seguenti varianti : 2-3. Ex datis amplitudinibus semiparabolarum, in praecedenti tabula digestis, retenctoque [sic] — 3-4. singularum altitudines — 5-6. idem, oh, hoc est aggregatum altitudinis — 7-8. alti¬ tudo ; id autem consequemur — 8-11. ut bi, dimidia amplitudini, media fuerit inter partes ipsius ob. Factum iam sit, et cadat punctus divisioni in f. Est —14-15. rectangulo bfd [sic] est —16-18. dabil altitudinem bf quaesitam. Ex dati itaque intentimi assequimur. Operatili itaque tali erit. Ex — 18-19. bo da ine aufer quadratum bi notae; residui uccipe radicem, quae erit fd ; hanc adde — 19-20. altitudinem bf quaesitam — 23. hoc demptum ex, s — l,) Nella figura dell’edizione originale, posizione la predetta edizione ha sempre o; al posto della lettera o è segnata (a quanto e o ha pure la bozza autografa, così nel testo pare ; chè la stampa è riuscita molto imper- come nella figura, nella quale pertanto ab- fetta) la lettera a. Nel testo però della Pro- biamo corretto in o 1’« della stampa. vai. 80 306 DISCORRI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quod semper idem est, riempe 25000000, residuimi est 2928706, cuius rch dix quadrata 1710 proxime. Haec dimidiae bo, riempe 5000, addita, exhi- bet 6710 ; tantaquc est altitudo bf. Non erit inutile, tertiam exponere, tabularli, altitudines et sublmitates continentem s&miparàbciarum, quarum eadem futura sit amplitudo. Sa«k. Questa vedrò io molto volentieri, mentre che per ossa potrò venir in cognizione della differenza de gl’ impeti e delle forze che si ricercano per cacciar il proietto nella medesima lontananza con tiri che chiamano di volata; la (piai differenza credo che sia grandissima secondo le diverse elevazioni : sì che, per esempio, se altri volesse alla elevazione di 3 o 4 gradi, o di 87 o 88, far cader la palla dove fu cacciata alla elevazione di 45 (dove si è mostrato ricercarsi l’im¬ peto minimo), credo si ricercherebbe un eccesso immenso di forza. Sai,v. V. S. stima benissimo; e vedrà che per eseguire l’opera in¬ tera in tutte 1’ elevazioni, bisogna andar a gran passo verso l’impeto infinito. Or veggiamo la costruzzione della tavola. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 307 Tabula con ti none nltitudines et subliiuitates semiparabolarum, quarum amplitudine» onodoin sinfc, partium scilicot 10000, ad aingulos gradua olevationia calculata. Or. Aita . Subì. Qr. Altit. Subì. 1 87 286533 46 5177 4828 2 176 142450 47 5363 4662 3 262 95802 48 5553 4502 4 349 71531 49 5752 4345 5 437 57142 50 5959 4196 6 525 47573 51 6174 4048 7 614 40716 52 6399 3906 8 702 35587 53 6635 3765 9 792 31565 54 6882 3632 10 881 28367 55 7141 3500 11 972 25720 56 7413 3372 12 1063 23518 57 7699 3247 13 1154 21701 58 8002 3123 14 1246 20056 59 8332 3004 15 1339 18663 60 8600 2887 16 1134 17405 61 9020 2771 17 1529 16355 62 9403 2658 18 1624 15389 63 9813 2547 19 1722 14522 64 10251 2438 20 1820 13736 65 10722 2331 21 1919 13024 66 11230 2226 22 2020 12376 67 11779 2122 23 2123 11778 68 12375 2020 24 2226 11230 69 13025 1919 25 2332 10722 70 13237 1819 26 2439 10253 71 14521 1721 27 2547 9814 72 15388 1624: 28 2658 9404 73 16354 1528 29 2772 9020 74 17437 1433 30 2887 8659 75 18660 1339 31 3008 8336 76 20054 1246 32 3124 8001 77 21657 1154 33 3247 7699 78 23523 1062 34 3373 7413 79 25723 972 35 3501 7141 80 28356 881 36 3633 6882 81 31569 792 37 376S 6635 82 35577 702 38 3906 6395 83 4.0222 613 39 4049 6174 84 47572 525 40 4196 5969 85 57150 437 41 4346 5752 86 71503 349 42 4502 5553 87 95405 262 43 4662 5362 88 143181 174 44 4828 5177 89 286499 87 45 5000 5000 90 infinita. DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE 306 Propositio XIV. Altitudines atque sublimìtates scmipardbalanm, quartini amplUudines acquala* futurae sint, per singulos devationis gradua repente. Haec omnia facili negotio consequcmur: posila enim smiparabdae am¬ plitudine partium semper 10000, medietas tangentis cuiuslibct gradua de- vationis altUudinem exhibet. Ut, excmpli gratin, semiparabolae, cuius elevatio sit gr. 30, amplitudo vero, ut ponUur, partium 10000, altitudo crit 3887; tanta enim est proxime medietas tangentis. Inventa antan altitudine, subii- mitatem eliciemus tali poeto. Cum dmonstralum sit, dimidiam amplitudincm semiparàbolae mediani esse proportionedem inter altUudinem et sublimUatem, io sitque altitudo iam reperla, medietas vero amplUudinis semper cadem, par¬ timi scilicet 6000, si huius quadratimi per altUudinem datam dimerimus, sublimitas quacsita exurget. Ut, in cxemplo, altitudo repella futi 3887; qua¬ dratimi partium 6000 est 36000000 ; quod divisimi per 3887, dat 8659 proxime prò sublimitale quaesUa. Sài.v. Or qui bì vede, primieramente, come ò verissimo il concetto accennato di sopra, che nelle diverse elevazioni, quanto più si allon¬ tanano dalla media, o sia nelle più alto o nelle più basse, tanto si ricerca maggior impeto e violenza per cacciar il proietto nella me¬ desima lontananza. Imperò che, consistendo P impeto nella mistione 20 de i due moti, orizontale equabile e perpendicolare naturalmente ac¬ celerato, del qual impeto vien ad esser misura P aggregato dell’ al¬ tezza e della sublimità, vedesi dalla proposta tavola, tale aggregato esser minimo nell’ elevazione di gr. 45, dove P altezza e la sublimità sono eguali, cioè 5000 ciascheduna, 0 P aggregato loro 10000 : che se noi cercheremo ad altra maggiore altezza, come, per esempio, di gr. 50, troveremo P altezza esser 5959, e la sublimità 4196, che giunti insieme sommano 10155; 0 tanto troveremo parimente esser l’im¬ peto di gr. 40, essendo questa e quella elevazione egualmente lontane dalla inedia. Dove doviamo secondariamente notare, esser vero che 30 eguali impeti si ricercano a due a due delle elevazioni distanti egual¬ mente dalla media, con questa bella alternaziono di più, che 1’ al¬ tezze e le sublimità delle superiori elevazioni contrariamente rispon¬ dono alle sublimità ed aitozze delle inferiori ; sì che dove, nell’ esempio INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 301) proposto, nell’elevazione di 50 gr. l’altezza è 5959 e la sublimità 4196, nell’elevazione di gr. 40 accade all’ incontro 1’ altezza esser 4196 e la sublimità 5959 : e l’istesso accade in tutte 1’ altre senza veruna dif¬ ferenza, se non in quanto, per fuggir il tedio del calcolare, non si ò tenuto conto di alcune frazzioni, le quali in somme così grandi non sono di momento nè di progiudizio alcuno. Sagk. Io vo osservando, come dclli due impeti orizontale e per¬ pendicolare, nelle proiezzioni, quanto più sono sublimi, tanto .meno vi si ricerca dell’ orizontale, e molto del perpendicolare ; all’ incontro, io nelle poco elevato grande bisogna die sia la forza dell’ impeto ori¬ zontale, cbe a poca altezza deve cacciar il proietto. Ma se ben io ca¬ pisco benissimo, che nella totale elevazione di gr. 90, per cacciar il proietto un sol dito lontano dal perpendicolo, non basta tutta la forza del mondo, ma necessariamente deve egli ricadere nell’ istesso luogo onde fu cacciato ; non però con simil sicurezza ardirei di affermare, che anco nella nulla elevazione, cioè nella linea orizontale, non po¬ tesse da qualche forza, ben che non infinita, esser in alcuna lonta¬ nanza spinto il proietto, sì che, per esempio, nè anco una colubrina sia potente a spignere una palla di ferro orizontalmente, come di- 20 cono, di punto bianco, cioè di punto niuno, elio è dove non si dà elevazione. Io dico che in questo caso resto con qualcho ambiguità : e che io non neghi resolutamente il fatto, mi ritiene un altro acci¬ dente, che par non meno strano, e puro ne ho la dimostrazione conclu¬ dente necessariamente. E 1’ accidente è 1’ esser impossibile distendere una corda sì, che resti tesa dirittamente e parallela all’orizonte ; ma sempre fa sacca e si piega, nè vi è forza che basti a tenderla rettamente. Salv. Adunque, Sig. Sagredo, in questo caso della corda cessa in voi la maraviglia circa la stravaganza dell’ effetto, perchè no avete la dimostrazione ; ma se noi ben considereremo, forse troveremo qual- 30 che corrispondenza tra 1’ accidente del proietto e questo della corda. La curvità della linea del proietto orizontale par che derivi dalle due forze, delle quali una (che è quella del proiciente) lo caccia ori¬ zontalmente, e l’altra (che è la propria gravità) lo tira in giù a piombo. Ma nel tender la corda vi sono le forze di coloro che ori¬ zontalmente la tirano, e vi è ancora il peso dell’ istessa corda, che naturalmente inclina al basso. Son dunque queste due generazioni 11. che da poca, b —- 310 DISCORSI K DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE assai simili. E se voi date al peso della corda tanta possanza od ener¬ gia di poter contrastare e vincer qual si voglia immensa forza che la voglia distendere drittamente, perchè vorrete negarla al peso della palla? Ma più voglio dirvi, recandovi insieme maraviglia e diletto, che la corda così tesa, e poco o molto tirata, si piega in linee, lo quali assai si avvicinano alle paraboliche : e la similitudine è tanta, che se voi segnerete in una superficie piana od eretta all’ orizonte una linea parabolica, e tenendola inversa, cioè col vertice in giù e con la base parallela all’ orizonte, facendo pendere una catenella so¬ stenuta nelle estremità della base della segnata. parabola, vedrete, io allentando più o meno la detta catonuzza, incurvarsi e adattarsi alla medesima parabola, e tale adattamento tanto più esser preciso, quanto la segnata parabola sarà men curva, cioè più distesa ; rì che nelle parabole descritte con elevazioni sotto a i gr. 45, la catenella camma quasi ad mguem sopra la parabola. Sagù. Adunque con una tal catena sottilmente lavorata si potreb¬ bero in un subito punteggiar molte linee paraboliche sopra una piana superficie. Sai.v. Potrebbosi, ed ancora con qualche utilità non piccola, come appresso vi dirò. ììo Simp. Ma prima che passar più avanti, vorrei pur io ancora restar assicurato almeno di quella proposizione della quale voi dite esser¬ cene dimostrazione necessariamente concludente; dico dell’esser im¬ possibile, per qualunque immensa forza, fare star tesa una corda drit¬ tamente (’d equidistante all’ orizonte. Saok. Vedrò se mi sovviene della dimostrazione : per intelligenza della quale bisogna, Sig. Simplicio, che voi supponghiate per vero quello che in tutti gli strumenti mecanici, non solo con l’esperienza, ma con la dimostrazione ancora, si verifica : e questo è, che la velo¬ cità del movente, ben che di forza debole, può superare la resistenza, 30 ben clic grandissima, di un resistente che lentamente debba esser mosso, tutta volta che maggior proporzione abbia la velocità del movente alla tardità del resistente, che non ha la resistenza di quel che deve esser mosso alla forza del movente. Srnr. Questo mi è notissimo, e dimostrato da Aristotele nelle sue Quisfcioni Mecanice ; e manifestamente si vede nella leva e nella stadera, dove il romano, che non pesi più di 4 libbre, leverà un peso di 400, INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 311 mentre che la lontananza di esso romano dal centro, sopra ’1 quale si volge la stadera, sia più di cento volte maggiore della distanza dal medesimo centro di quel punto dal quale pende il gran peso : e questo avviene, perchè, nel calar che fa il romano, passa spazio più di cento volte maggiore dello spazio per il quale nel medesimo tempo monta il gran peso; che è l’istesso che dire, che il piccolo romano si muove con velocità più che cento volte maggiore della velocità del gran peso. Sagr. Voi ottimamente discorrete, e non mettete dubbio alcuno nel concedere, che per piccola che sia la forza del movente, supe- io rerà qualsivoglia gran resistenza, tutta volta che quello più avanzi di velocità, eli’ ei non cede di vigore e gravità. Or venghiamo al caso della corda : e segnando un poco di figura, intendete per ora, questa linea ab, passando sopra i due punti fissi e stabili a, b, aver nelle estremità sue pendenti, come vedete, due immensi pesi c, d, li quali, tirandola con grandissima forza, la facciano star veramente tesa dirittamente, essen¬ do essa una semplice linea, senza veruna gra¬ vità. Or qui vi soggiungo so e dico, che se dal mezzo di quella, che sia il pun¬ to e, voi sospenderete qualsivoglia piccolo pe¬ so, quale sia questo li, la linea ab cederà, ed incli¬ nandosi verso il punto f, ed in consequenza allun¬ gandosi, costrignerà i due gravissimi pesi c, d so a salir in alto : il che in tal guisa vi dimostro. Intorno a i due punti a, b, come centri, descrivo 2 quadranti, eig, dm; ed essendo che li due semidiametri ai, hi sono eguali alli due ac, eh, gli avanzi fi, fi saranno le quantità de gli allungamenti delle parti af, fb sopra le ae, eh, ed in conseguenza determinano le salite de i pesi c, d, tutta volta però che il peso li avesse auto facoltà di calare in f: il 32-33. quadranti, eig, elm ; ed essendo, s — 312 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE che allora potrebbe seguire, quando la linea ef, che è la quantità della scesa di esso peso h, avesse maggior proporzione alla linea fi, che determina la salita de i due pesi c, d, che non ha la gravità di amendue essi pesi alla gravità del peso h. Ma questo necessariamente avverrà, sia pur quanto si voglia massima la gravità de i pesi c, d, e minima quella dell’ h : imperò che non è sì grande 1’ eccesso de i pesi c, d sopra ’l peso h, che maggiore non possa essere a proporzione l’eccesso della tangente ef sopra la parte della segante fi. 11 elio proveremo così. Sia il cerchio, il cui diametro gai; e qual proporzione ha la gravità de i pesi c, d alla gravità di li, tale la abbia la linea ho ad io un’altra, che sia c, della quale sia minore la d, sì che maggior pro¬ porzione arà la ho alla d elio alla c. Prendasi delle due ób, d la terza proporzionale he, e come oc ad eh, così si faccia il diametro gi (prolungandolo) all’ if, e dal termine f tirisi la tangente fn ; e perchè si è fatto, come oe ad eh, così gi ad if, sarà, componendo, come oh a he, così gf ad fi : ma tra oh e he media la d, e tra gf, fi media la vf: adunque nf alla fi ha la medesima proporzione che la oh alla d, la qual proporzione è maggiore di quella de i pesi c, d al peso h. Avendo dunque maggior proporzione la scesa o velocità del peso h alla salita o velocità dei pesi c, d, che non ha la gravità di essi pesi e, d alla 2 « gravità del peso h ; resta manifesto che il peso li descenderà, cioè la linea ab partirà dalla rettitudine orizontale. E quel che avviene alla retta ah priva di gravità, mentre si attacchi in e qualsivoglia minimo poso h, avviene all’ istessa corda ab intesa di materia pesante, senza 1’ aggiunta di alcun altro gravo ; poiché vi si sospende il peso istesso della materia componente essa corda ab. Simp. Io resto satisfatto a pieno : però potrà il Sig. Salviati, con¬ forme alla promessa, esplicarci qual sia 1’ utilità che da simile cate¬ nella si può ritrarre, e, dopo questo, arrecarci quelle speculazioni che dal nostro Accademico sono state fatte intorno alla forza della percossa, ao Salv. Assai per questo giorno ci siamo occupati nelle contempla¬ zioni passate : 1’ ora, che non poco è tarda, non ci basterebbe a gran segno per disbrigarci dalle nominate materie ; però differiremo il congresso ad altro tempo più opportuno. Sagr. Concorro col parere di V. S., perchè da diversi ragionamenti auti con amici intrinseci del nostro Accademico ho ritratto, questa materia della forza della percossa essere oscurissima, nò di quella INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — GIORNATA QUARTA. 313 sin ora esserne, da chiunque ne ha trattato, penetrato i suoi ricetti, pieni di tenebre ed alieni in tutto e per tutto dalle prime immagi¬ nazioni umane ; e tra le conclusioni sentite profferire me ne resta in fantasia una stravagantissima, cioè che la forza della percossa è in¬ terminata, per non dir infinita. Aspetteremo dunque la commodità del Sig. Salviati. Ma intanto dicami che materie sono queste, che si veggono scritte dopo il trattato de i proietti. Salv. Queste sono alcune proposizioni attenenti al centro di gra¬ vità de i solidi, le quali in sua gioventù andò ritrovando il nostro io Accademico, parendogli che quello che in tal materia aveva scritto Federigo Comandino non mancasse di qualche imperfezzione. Cre¬ dette dunque con queste proposizioni, che qui vedete scritte, poter supplire a quello che si desiderava nel libro del Comandino ; ed appli- cossi a questa contemplazione ad instanza dell’ Illustrissimo Sig. Mar¬ chese Guid’ Ubaldo Dal Monte, grandissimo matematico de’ suoi tempi, come le diverse sue opere publicate ne mostrano, ed a quel Signore ne dette copia, con pensiero di andar seguitando cotal materia anco ne gli altri solidi non tocchi dal Comandino ; ma incontratosi, dopo alcun tempo, nel libro del Sig. Luca Valerio, massimo geometra, e 20 veduto come egli risolve tutta questa materia senza niente lasciar in dietro, non seguitò più avanti, ben che le aggressioni sue siano per strade molto diverse da quelle del Sig. Valerio. Sagr. Sarà bene dunque che in questo tempo che s’intermette tra i nostri passati ed i futuri congressi, V. S. mi lasci nelle mani il libro, che io tra tanto anderò vedendo e studiando le proposizioni conseguentemente scrittevi. Salv. Molto volentieri eseguisco la vostra domanda, e spero che V. S. prenderà gusto di tali proposizioni. APPENDIX so in qua continentur theoremata eorumque demonstrationcs, quae ab eodein Autore circa centrum gravitatis solidorum oli/m con script a fuerunt . m Finis. Questi Teoremi furono pubblicati nel voi. I della presente edizione, pag. 187-208. Vili 40 314 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE, ECO. TAVOLA DELLE COSE PIÙ NOTABILI. A Acqua alzata e attratta per tromba non si eleva più di 18 braccia. Pag . 64 Acqua non ha resistenza alcuna all’ esser divisa.114 Acqua sopra lo foglio de’ cavoli, formata in grosso gocciole, come si sostiene.116 Alcune dimostrazioni del contro della gravità de i solidi.313 Animali acquatici maggiori de i terrestri, e per qual cagione .... 170 Argomento d’Aristotele contra il vacuo ò ad hominem .106 Aria ha gravità positiva, 121. Come si possa misurar tal gravità . 122 io Aria compressa, e ritenuta violentemente, pesa nel vacuo, 124. Modo di pesarla.123 Arsenale di Venezia, gran campo di filosofare a gl’ ingegni.49 Asta di legno, fitta in una muraglia ad angoli retti, e ridotta a tal lunghezza e grossezza che si possa reggere, ma allungata un pelo più, si spezzi per lo proprio peso, è unica.52 Atomi innumerabili d’ acqua, entrando ne’ canapi, tirano e alzano im¬ menso peso.67 C Cerchio è un poligono di infiniti lati, non quanti, indivisibili .... 95 20 Cerchio è medio proporzionale tra due poligoni, uno de’ quali li sia circonscritto, l’altro gli sia isoperimetro.102 Chiodo doppio di grossezza d’ un altro, e fitto nel muro, sostiene ot¬ tuplo peso dell’ altro minore.64 Cilindro o prisma di qualsivoglia materia, sospeso perpendicolarmente, come resista al rompersi.66 Cilindri o fili di qualsivoglia materia sino a quanta lunghezza si possano tirare, oltre alla quale, gravati dal proprio peso, si strapperebbero. . 66 15. ma allargata un pelo, s — TAVOLA DELLE COSE TIÙ NOTARILI. 315 Cilindri retti, le superfìcie de’ quali, trattene le basi, sono eguali, hanno fra di loro la medesima proporzione che le loro altezze contrariamente prese.99 Colonna grossissima di marmo spezzatasi da sè stessa, o perche ... 63 Condensazione, secondo V opinione dell* Autore, procede da constipar zione di parti non quante ed indivisibili. 96 Continuo composto di indivisibili. 77 e 93 Corda o canapo come resista allo strapparsi. 57 o 68 Corda di instrumento musicale, toccata, muove e fa risonare tutte le io corde accordate con essa all’ unisono, alla quinta e all* ottava, e perchè.142 Corpi fluidi sono tali per esser risoluti ne i primi loro atomi indi- visibili . 85 D Data una linea retta divisa utcunqttò in parti disegnali, descrivere un cerchio, alla cui circonferenza tirate, a qualunque punto di essa, quante si voglino coppie di linee dall’estremità di detta linea di¬ visa, ritengano tra di loro la medesima proporzione che hanno le parti della linea divisa. 89 20 Data una canna vota, trovar un cilindro pieno eguale ad ossa .... 188 Della resistenza de i solidi a spezzarsi, aggravati dal proprio peso. per tutta la seconda Giornata. Del moto locale.da 190 a 196 Del moto naturalmente accelerato.da 197 a 267 Del moto de i proietti.da 268 a 313 Differenza tra ’l cerchio finito e l’infinito. 86 Differenza, benché grandissima, di gravità de i mobili non ha parto nel diversificare le loro velocità.127 E 30 È impossibile, per qualunque immensa forza, tendere una corda dirit¬ tamente per linea equidistante all* orizonte.309 Esempio di osso d’ un animale, allungato più tre volte del naturale, quanto dovrebbe esser più grosso per sostenersi.169 F Fra Buonaventura Cavalieri, dell’ Ordino de’ Giesuati, matematico in¬ signe, e suo specchio ustorio. 86 18. ritengono, s — 316 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE, ECO. & Grave, cadendo da una altezza, nell’ arrivar a terra ha concepito tanto impeto, che verisimilmente basterebbe a ricondurlo alla medesima altezza onde si mosse. l J uy. 138 I i Iucendii si fanno con moto velocissimo.87 Instante di tempo quanto, ò quale un punto in una linea quanta . . 95 Investigar le proporzioni della velocità di diversi mobili nell’ istesso e in diversi mezzi..119 Investigare la lunghezza della corda, onde penda un mobile, dalla fro- io quenza delle suo vibrazioni.140 I penduti hanno limitato il tempo delle lor vibrazioni, sì che è im¬ possibile fargli muovere con altro periodo.141 L La quantità della velocità del mobile è insieme cagione e misura della quantità della resistenza del mezzo. 71 Luca Valerio, nuovo Archimede dell’ età nostra, ha scritto da centro yravitatin eolidorum mirabilmente. 76 M Macchine materiali grandi, benché fabbricate con l’istessa proporzione 20 che altre minori della medesima materia, sono meno robuste e ga¬ gliarde a resistere contro a gli impeti esterni, che le minori ... 51 Mobili di diversa gravità, ma della medesima materia, cadendo da grandi altezze, si muovono con pari velocità.107 Mobili descendenti por le corde suttese a qualsivoglia arco del cer¬ chio, passano in tempi eguali tanto le corde maggiori che lo minori. 139 Mobili e penduli descendenti per gli archi delle medesime corde, ele¬ vati sopra 1’ orizonte sino a 90 gradi, passano i detti archi in tempi eguali, ma più brevi che non sono i passaggi per le corde .... 139 Modi varii di disegnare le parabole. 185 80 N Ne i solidi non si può diminuire la superficie quanto il peso, con¬ servando la similitudine delle figure.133 Numero infinito, sì come ha infinite radici di quadrati e di cubi, così ha infiniti numeri quadrati e cubici 79 TAVOLA DELLE COSE PIÙ NOTABILI. 317 O Ordigno o strumento inventato da un capriccioso por calarsi da grande altezza giù per una corda, per non si scorticare le mani . . Pag. 58 Oro in dorare 1’ argento si distrae o assottiglia immensamente .... 97 Ossa di animali grandissimi oltre alla loro natura non sussisterebbono, mentre si dovesse conservare in esse la proporzione della grossezza e durezza che hanno gli animali naturali.169 P Palla di cera accomodata per fare esperimento di diverse gravita di 10 acque.113 Parti quante nella quantità discreta nè finite nè infinite, ma rispon¬ denti ad ogni segnato numero. 81 Pesci si equilibrano mirabilmente nell’ acqua, 113. E per che causa . 170 Positiva è la causa d’ un effetto positivo. 60 Problema ammirabile di Aristotele, di dua cerchi concentrici che si rivolgono, e sua vera risoluzione. 68 Problemi di proporzioni musicali, e loro soluzioni.da 141 a 150 Punti infiniti come si assegnino in una linea finita. 92 Q 20 Quadratura della parabola dimostrata con unica dimostrazione .... 183 Qualsivoglia corpo, di qualsivoglia figura e grandezza e gravità, viene raffrenato dalla renitenza del mezzo, benché tenuissimo, talmente che, continuandosi il moto, lo riduce a equabilità.136 E Rarefazione è distrazione di infiniti indivisibili, con 1’ interposizione di infiniti vacui indivisibili. 96 Rarefazione immensa è quella di poca polvere d’ artiglieria in mole vastissima di fuoco.104 Resistenza del mezzo levata via, tutte le materie, benché di gravità 30 diversa, si moverebbero con pari velocità.116 S Sacca da tener grano, col fondo di tavola, fatte con la medesima tela, ma diverse d’altezza, quali siano più capaci...100 21. grandezza e gratuità, viene, a — 313 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE, ECO. Scabrosità o porosità maggiore o minore nella superficie de’ mobili, probabile cagione dol maggior o minor ritardamonto di ossi. l\uj. 132 Solidi simili sono tra di loro in sesquialtera proporzione delle superficie. 135 Specola d’Archimede ammirabili.. Superficie eguali di dua solidi, levandone dall’ una parte e dall’ altra continuamente parti eguali, si riducono 1’ una in una circonferenza di cerchio, 1’ altra in un punto. 73 Superficie de i cilindri eguali, trattono lo basi, sono tra di loro in sudduplicata proporziono delle loro lunghezze.. Tavola per i tiri d’artiglieria secondo le diverse elevazioni del pezzo. 304 Tempi dello vibrazioni di più mobili pondonti da fila più 0 men lunghe, sono in tra di loro in proporziono suddupla delle lunghezze delle fila onde dopendono.J.39 V Vacuo cagione in parte dell’ attaccamento fra le parti de’solidi, 60. Co¬ mo si misuri in ciò la sua virtù, por distinguerla dall’ altre cause concorrenti. Vacui minutissimi, disseminati e traposti tra le minime particelle de’so¬ lidi, causa probabile dell’ attaccamento di esse particelle fra loro. Velocità dol lume come possa con esperienza investigarsi so sia istan¬ tanea 0 temporanea. Velocità de’ gravi doscendenti naturalmente al centro va continua- mente accrescendosi, sino a che, per 1’ accrescimento della resi¬ stenza del mezo, diventa uniforme. Velocità do’ mobili simili e dissimili, nell’ istosso e in diversi mezi, che proporzione abbia. Velocità delle palle di moschetti o d’artiglieria incomparabilmente maggiore della velocità do gli altri proietti. Velocità diversa di moti diversi de i pianeti, secondo Platone, ò con¬ ferita ad essi dal moto per linea retta, e, continuata poi nella conversione per i loro orbi, molto acconciamente vorrebbe illu¬ strata dalle specolazioni dell’Autoro. Unità ha dell’ infinito. 62 67 20 88 119 119 278 30 283 85 30. Velocità diverse di, » — DELLA FORZA DELLA PERCOSSA PRINCIPIO DI GIORNATA AGGIUNTA DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. [aioli NAT A SESTA.} INTERLOCUTORI SALVIATI, SAGRE DO E APRO INO. Sagr. L’ assenza di Y. S., Sig. Salviati, di questi quindici giorni mi ha dato campo di poter vedere le proposizioni attenenti a’ centri di gravità de’ solidi, ed anco dare un’ altra diligente lettura alle dimo¬ strazioni delle tante e sì nuove proposizioni de’ moti naturali e vio¬ lenti : e perchè ne sono tra esse non poche di assai difficile «appren¬ sione, di speziale aiuto mi è stata la conferenza di questo gentiluomo, che Y. S. qui vedo. io Sai/v. Io voleva «appunto domandar V. S. dell’ essere appresso di lei qtiesto Signore e del mancarne il nostro Sig. Simplicio. Sagr. Doli’ assenza del Sig. Simplicio mi vo immaginando, anzi lo tengo per fermo, che cagione ne sia stata la grande oscurità che egli ha incontrata in alcune dimostrazioni di vari problemi attenenti «al moto ; o più, di altre sopra le proposizioni del centro di gravità : parlo di quelle che, per lunghe concatenazioni di varie proposizioni degli elementi della geometria, vengono inapprensibili a quelli che tali elementi non hanno prontissimi allo mani. Questo gentiluomo che qui vede, è il Sig. Paolo Aproino, nobile Trivisano, stato non so- 20 lamento uditore del nostro Accademico, mentre lesse in Padova, ma suo intrinsechissimo familiare e di lunga e continuata conversazione, La prima edizione di questa scrittura (che è nelle Opere di Galileo Galilei eco., In Firenze, MDUCXYIII, Nella Stamp. di S. A. K. Per trio. Gaetano Tartini e Santi Franchi, Tomo II, pag. 693-710) porta il seguente titolo: Giornata sesta del Galileo , Della forza della percossa, Da aggingnersi a i Discorsi c alle Dimostrazioni wattematiche intorno alle due nuove scienze appartenenti alle meccaniche ed a i movimenti locali . vili. 41 322 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE nella quale, insieme con altri (tra’ quali fu principalissimo il Sig. Da¬ niello Antonini, nobilissimo d’Udine, d’ingegno e di valore sopra¬ umano, il quale per difesa della Patria e del suo Serenissimo Principe gloriosamente mori, ricevendo onori condegni al suo merito dalla Serenissima Repubblica Veneta), intervenne in particolare a gran nu¬ mero di esperienze elio intorno a diversi problemi, in casa esso Ac¬ cademico, si facevano. Ora, essendo circa dieci giorni fa venuto questo Signore a Venezia e, conforme al suo solito, a visitarmi, sentendo come aveva appresso di me questi trattati del comune amico, ha preso gusto che gli vediamo insieme : o sentendo 1 ’appuntamento del ritro-io varci a parlare sopra il rnaraviglioso problema della percossa, mi ha detto come no aveva più volte discorso, ma sempre irresolutamente od ambiguamente, con esso Accademico, col quale mi diceva che si era trovato, nel far diverse esperienze attenenti a vari problemi, a farne ancora alcune riguardanti alla forza della percossa ed alla sua esplicazione; ed ora appunto stava in procinto di arrecarne tra l’altro una, per quanto egli dice, assai ingegnosa o sottile. Salv. Io mi reputo a gran ventura l’essermi incontrato nel Sig. Aproino ed il poterlo conoscerò di vista e di presenza, come per faina e per molte relazioni del nostro Accademico già aveva cono- 20 sciuto; e di sommo piacere mi sarà il poter sentire almeno parte delle varie esperienze che sopra diverse proposizioni furon fatte in casa l’amico nostro, coll’ intervento d’ingegni così accurati quali sono quelli del Sig. Aproino e del Sig. Antonini, del quale con tante lodi ed ammirazioni mille volte mi parlò detto amico nostro. E perchè siamo ora qui per discorrere sopra il particolare della percossa, po¬ trà V. S., Sig. Aproino, dirci quello elio in tal materia no trassero dallo esperienze, con promessa però di arrecarne, con altra occasione, altre fatte sopra altri problemi ; che so che non glie ne mancheranno, per la sicurezza che ho dell’*essere l’Accademico nostro stato sempre non so meno curioso che diligente sperimentatore. Ara. Se io volessi con i debiti ringraziamenti pagare il debito al quale la cortesia di V. S. mi obbliga, mi converrebbe spendere tante parole, che poco tempo o punto ci avanzerebbe di tutto il giorno per parlare dell’intrapresa materia. Sagh. No, no, Sig. Aproino : venghiamo pure a dar principio a i discorsi di dottrina, 0 lasciamo i complimenti di cerimonie a i cor- INTORNO A 1)UK NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.] 323 tigiani; od io entro per sicurtà tra amendue loro della scambievole soddisfazione prodotta, per quanto basta, dalle brevi, ma candide e sincere, loro ofiziose parole. Apr. Ancorché io stimi di non essere per produr cosa ignota al Sig. Salviati, e che perciò tutta la carica del discorso doverebbe essere appoggiata sullo sue spalle, tuttavia, se non per altro, almeno per alleggerirlo in parte, andrò toccando quei primi motivi, insieme colla prima esperienza, che mossero 1’ amico ad internarsi nella contempla¬ zione di questo ammirabile problema della percossa, io Cercando la maniera del poter trovare e misurare la sua gran forza, ed insieme, se fusse possibile, risolvere ne’ suoi principi e nelle sue prime cause l’essenza di cotale effetto, il quale molto diversamente par che proceda, nell’ acquisto della sua somma potenza, dal modo nel quale procede la moltiplicazione di forza in tutte le altre macchino meccaniche (dico meccaniche per escludere l’immenso vigore del fuoco), nelle quali si scorge ed assai concludentemente s’intende come la velo¬ cità d’un debile movente compensa la gagliardi» di un forte resistente che lentamente venga mosso ; ma perchè si scorge pur anco nella opera¬ zione della percossa intervenire il movimento del percuziente, congiunto 20 colla sua velocità, contro al movimento del resistente ed il suo poco o molto dovere essere mosso ; fu il primo concetto dell’Accademico di cercar d’investigare qual parte abbia nell’ effetto ed operazione della percossa, v. g., il peso del martello, e quale la velocità maggioro o minore colla quale vien mosso, cercando, se fusse possibile, di tro¬ vare una misura la quale comunemente ci misurasse ed assegnasse 1’ una e 1’ altra energia: e per arrivare a tal cognizione s’immaginò, per quanto a me parve, una ingegnosa esperienza. Accomodò un’ asta assai gagliarda, e di lunghezza di circa tre braccia, volubile sopra un perno a guisa dell’ ago di una bilancia ; sospese poi nell’ estre¬ mo mità delle braccia di cotal bilancia due pesi eguali ed assai gravi, uno de’ quali era il composto di due vasi di rame, cioè di due sec¬ chie, 1’ una delle quali, appesa all’ estremità detta dell’ ago, si teneva piena d’acqua, e dalle orecchie di tale secchia pendevano due corde di lunghezza circa due braccia 1’ una, alle quali era, per gli orecchi, attaccata un’ altra simil secchia, ma vota, la quale veniva a piombo a risponder sotto alla prima secchia già detta e piena d’ acqua ; nel- 14. moltiplicazione di farla in, a — 324 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE 1’ estremo poi doli’ altro braccio della bilancia si faceva pendere un contrappeso di pietra o di (piai si fnsse altra materia grave, il quale equilibrasse giustamente la gravità di tutto il composto delle due secchie, dell’ acqua e delle corde. La secchia superiore era forata nel fondo con foro largo alla grossezza di un uovo o poco meno, e questo tal foro si poteva aprire e serrare. Fu la prima immaginazione e concetto comune di amendue noi, che fermata la bilancia in equili¬ brio, essendo preparato il tutto nella maniera detta, quando poi si sturasse la secchia superiore e si desse 1’ andare all’ acqua, la quale precipitando andasse a percuotere nella secchia da basso, 1* aggiunta io di cotal percossa dovesse aggiugnero tal momento in questa parte, che bisogno fusse, per restituire 1’ equilibrio, aggiugnere nuovo peso alla gravità del contrappeso dell’ altro braccio, la quale aggiunta ò manifesto che ristorerebbe e adeguerebbe la nuova forza della per¬ cossa dell’ acqua ; sicché potessimo dire, essere il suo momento equi¬ valente al peso delle 10 o 12 libbre che fusse stato di bisogno ag¬ giugnere all’ altro contrappeso. Sagr. Ingegnoso veramente mi pare cotesto macchinamento, e sto con avidità attendendo 1’ esito di tale esperienza. Ahi. La riuscita, siccome agli altri fu inopinata, così fu maravi- 20 gliosa : imperocché, subito aperto il foro e cominciato ad uscirne l’acqua, la bilancia inclinò dall’altra parte del contrappeso; ma non tantosto arrivò 1’ acqua percuotendo nel fondo dell’ inferior secchia, che restando di più inclinarsi il contrappeso, cominciò a sollevarsi, e con un moto placidissimo, mentre 1’ acqua precipitava, si ricondusse all’equilibrio, e quivi, senza passarlo pur di un capello, si librò e fer- mossi perpetuamente. Sagr. Inaspettato veramente m’ è stato 1’ esito di questo caso ; e benché il successo sia stato diverso da quello che io mi aspettava, e dal quale pensava di potere imparare quanta fosso la forza di tal so percossa, nulladimeno mi par potere conseguirò in buona parte la desiderata notizia, dicendo che la forza ed il momento di cotal per¬ cossa equivale al momento ed al peso di quella quantità d’acqua cadente che si trova sospesa in aria tra le due acque delle due sec¬ chie, superiore ed inferiore, la qual quantità d’ acqua non gravita punto nè contro alla secchia superiore nè contro all’ inferiore : non contro alla superiore, perchè, non essendo le parti dell’ acqua attac- INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [.GIORNATA SESTA.] 325 cate insieme, non possono le basse far forza e tirar giù le superiori, come farebbe, v. g., una materia viscosa, come pece o pania ; non con¬ tro all’ inferiore, perchè, andandosi continuamente accelerando il moto della cadente acqua, non possono le parti più alte gravitare o pre¬ mere sopra le più basse : laonde ne segue che tutta l’acqua contenuta nella troscia è come se non fusse in bilancia. Il che anco più che chiaramente si manifesta : perchè se tal acqua esercitasse sua gra¬ vità sopra le secchie, queste colla giunta della percossa grandemente inclinerebbero a basso, sollevando il contrappeso ; il che non si vede io seguire. Confermasi anco puntualissimamente questo: perchè se noi ci immagineremo tutta quell’ acqua repentinamente agghiacciarsi, già la troscia, fatta un solido di ghiaccio, pe erebbe con tutto il resto della macchina, e, cessando il moto, verrebbe tolta la percossa. Afr. Il discorso di V. S. è puntualmente conforme a quello elio facemmo noi di subito sopra la veduta esperienza, ed a noi ancora parve di poter concludere che 1’ operazione della sola velocità acqui¬ stata per la caduta di quella quantità d’ acqua dall’ altezza delle duo braccia operasse, nell’ aggravare, senza il peso dell’ acqua quel mede¬ simo appunto che il peso dell’ acqua senza l’impeto della percossa ; 20 sicché, quando si potesse misurare e pesare la quantità dell’ acqua compresa in aria tra i vasi, si potesse sicuramente affermare, la tal percossa esser potente ad operare, gravitando, quello che opera un peso eguale a 10 o 12 libbre dell’ acqua cadente. Salv. Piacemi molto l’arguta invenzione; e parmi che, senza il par¬ tirci dal suo progresso, nel quale ci arreca qualche ambiguità la dif¬ ficoltà del misurare la quantità dell’ acqua cadente, potremmo con una non dissimilo esperienza agevolarci la strada per arrivare all’ in¬ tera cognizione che desideriamo. Però, figurandoci, per esempio, uno di quei gran pesi che per ficcare grossi pali nel terreno si lasciano so cadere da qualche altezza sopra uno de’ detti pali (i quali pesi mi pare che gli addimandino berte), ponghiamo, v. g., il peso di una tal berta esser 100 libbre, l’altezza dalla quale cade essere quattro braccia, e la fìtta del palo nel terreno duro, fatta per una sola per¬ cossa, importare 4 dita : e posto che la medesima pressura e fitta delle 4 dita, volendola noi far senza percossa, ricercasse che le fusse so- prapposto un peso di mille libbre, il quale, operando colla sola gra¬ vità, senza moto precedente, chiameremo peso morto, domando se noi 326 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE potremo senza equivocazione o fallacia affermare, la forza ed energia di un poso di 100 libbre, congiunto colla velocità acquistata nel cadere dall’ altezza di quattro braccia, essere equivalente al gravitare di un peso morto di mille libbre ; siccliò la virtù della sola velocità impor¬ tasse quanto la pressura di libbre novecento di peso morto, ehè tante ne rimangono trattene dalle mille lo cento della berta? Vodo elio amendue tardate la risposta, forso perchè bene non ho esplicata la mia domanda : però torno a brevemente dire, se possiamo per la detta sperienza asserire, elio 1’ aggravio del poso morto farà sempre il medesimo effetto sopra una resistenza, che fa il peso di 100 libbro io cadente dall’altezza di quattro braccia; in guisa tale, che (per più chiara esplicazione) cadendo l’istessa berta dalla medesima altezza, ma percuotendo sopra un più resistente palo, non lo cacciasse più che due dita, se possiamo tenerci sicuri che l’istesso effetto facesse, solo col gravitare, il peso morto delle mille libbre ; dico di cacciare il palo le due dita ? Aru. Io non penso che, almeno a prima fronte, ciò non fusse con¬ ceduto da ciascheduno. SaIìV. E voi, Sig. Sagredo, ci mettereste sopra qualche dubbio? Sa or. Per ora veramente no ; ma 1’ avore per molte e molto espe- 20 rienze provato quanto sia facile l’ingannami, non mi rende così bal¬ danzoso, che del tutto mi spogli di timore. Saly. Ora, poi che V. S., la cui perspicacia ho in mille 0 mille occasioni conosciuta acutissima, si mostra inclinare ad ammettere la parte falsa, ben posso credere che tra mille difficile sarebbo d’in¬ contrarne uno o due, che in una fallacia tanto simile al vero non incappassero. Ma quello elio più vi farà maravigliare, sarà quando vedrete, la fallacia esser sotto così sottil volo ricoperta, eh’ ogni log- gior vento poteva esser bastante a discoprirla e palesarla; 0 pure ne resta ella velata e ascosa. Torniamo dunque a far cadere nel primo so modo sopraddetto la berta sul palo, cacciandolo sotto quattro dita, e sia vero che per ciò fare si ricercassero puntualmente le mille libbre di peso morto ; torniamo di poi a sollevare alla medesima altezza l’istessa berta, la quale, cadendo la seconda volta sopra il medesimo palo, lo cacci solamente duo dita, per avere, v. g., incontrato il ter¬ reno più sodo : dobbiamo noi stimare che altrettanto lo ricacciasse la pressura dell’ istesso peso morto dello mille libbre ? INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.] 327 àpr. Parmi che sì. Sagù. Ah, Sig. Paolo, miseri noi ; bisogna dire risolutamente che no. Imperocché, se nella prima posata il peso morto delle mille libbre cacciò il palo quattro dita e non più, perchè volete che P avernelo tolto solamente e poi rimessoglielo sopra torni a cacciarlo due altre dita ? e perché non lo cacciò prima che ne fusse levato, mentre già gli era addosso ? volete che lo smontarlo solamente e riposatamente riporvelo gli faccia fare quello che prima non potette? Apk. Io non posso se non arrossire, e dichiararmi d’ essere stato io in pericolo di sommergermi in un bicchier d’ acqua. Sai/v. Non vi sbigottite, Sig. Aproino, perchè vi assicuro che avete avuto molti compagni in rimanere allacciato in nodi per altro di facilissima scioglitura ; e non è dubbio che ogni fallacia sarebbe per sua natura d’ agevole scoprimento, quando altri ordinatamente P an¬ dasse sviluppando e risolvendo ne’ suoi principi, de’ quali esser non può che alcun suo contiguo o poco lontano non si scopra aperta¬ mente falso. Ed in questa parte, di ridurre con pochissime parole ad assurdi ed inconvenienti palpabili conclusioni false e state sempre credute per vere, ha il nostro Accademico avuto certo particolar 20 genio : ed io ho una raccolta di molte e molte conclusioni naturali, state sempre trapassate per vere, e da esso poi, con brevi e facilissimi discorsi, manifestate false. Sagù. Questa veramente ne è una; e se l’altre saranno su questo andare, sarà bene che a qualche tempo ce le partecipiate. Ma in¬ tanto per ora seguitiamo l’intrapresa materia : ed essendo che noi siamo sul cercare il modo (se alcuno ve ne ha) di regolare ed asse¬ gnare misura giusta e nota alla forza della percossa, questo non mi par che conseguir si possa col mezzo dell’ assegnata sperienza. Impe¬ rocché, reiterando i colpi della berta sopra il palo, e per ciascheduno so ricacciandolo continuamente più e più, come la sensata esperienza ne mostra, si fa chiaro che ciascheduno de’ conseguenti colpi lavora : il che non accade nel peso morto, il quale, avendo operato quello che fece la prima pressura, non seguita di fare 1’ effetto della se¬ conda, cioè di cacciare ancor di nuovo il palo, quando vi si riponga sopra ; anzi apertamente si vede che per la seconda rifitta ci vuol peso maggiore di mille libbre, e se si vorranno pareggiare con pesi morti le fitte del terzo, quarto e quinto colpo etc., ci vorranno le 828 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE gravità di posi morti continuamente maggiori e maggiori. Or quale di queste doveremo noi prendere por ferma e certa misura della forza del colpo, che pur, quanto a sè stesso, è sempre il medesimo? Sarv. Questa è delle prime maraviglie che indubitabilmente credo die debbano avere tenuti perplessi ed irresoluti gl’ ingegni specula¬ tivi. E veramente a chi non ghignerà nuovo il sentire che la misura della forza della percossa si debba prendere non da quello che per¬ cuote, ma più presto da quello che la percossa riceve ? E quanto al- 1’ addotta esperienza, pare che da lei ritrar si possa, la forza della percossa essere infinita, o vogliamo diro indeterminata o indeterni- io nubile, e farsi ora minore ed ora maggiore, secondo che ella viene applicata ad una maggioro o minore resistenza. Sagr. Già mi pare di comprendere elio vero possa essere, la forza della percossa essere immensa o infinita. Imperocché, stando nella proposta esperienza, e dato che il primo colpo cacciasse il palo quattro dita, e il secondo tre, e, continuandosi d’incontrare sempre il terreno più duro, il colpo terzo vi cacci il palo due dita, il quarto uno e mezzo, e conseguentemente un sol dito, un mezzo, un quarto etc., pare che quando per la durezza del terreno la resistenza del palo non si faccia infinita, che il colpo reiterato sempre caccierà perpetuamente 20 il palo, ma bene per ispazi minori e minori : ma perchè, quanto si voglia lo spazio sia breve, è egli però divisibile e suddivisibile sem¬ pre, si continueranno le fitte ; e perchè la seguente, dovendosi fare coll’ aggravio di poso morto, richiede poso maggiore elio 1’ antece¬ dente, potrà essere che per pareggiare le forze dell’ultime percosse si ricerchi peso maggiore e maggiore in immenso. Sa t/v. Così crederei io veramente. Apr. Kon potrà dunque essere resistenza alcuna così grande, che resti salda e contumace contro al poterò di alcuna percossa, benché leggiera ? 80 Salv. Penso di no, se quello in che si percuote non è del tutto immobile, cioè non è la sua resistenza infinita. Sagr. Mirabili, e per modo di dire prodigiosi, paiono questi asserti, e che 1’ arte in questo solo effetto superi e defraudi la natura, cosa che nella prima apparenza par elio facciano altri strumenti mecca¬ nici ancora, alzandosi gravissimi pesi con poca forza in virtù della 18. meno, conscguentemente, s — 33. Mirabile, s — INTORNO A DUE NUOVK SCIENZE. — [ GIORNATA SESTA. | 329 leva, della vite, della taglia ed altri ; ma in questo effetto della per¬ cossa, che pochi colpi di martello, non più pesante di 10 o 12 libbre, abbiano ad ammaccare, v. g., un dado di rame, il quale non infra- gnerebbe nè ammaccherebbe il carico non solo di una vastissima guglia di marmo, ma nè anco una torre altissima che sopra il mar¬ tello si posasse, eccede, pare a me, ogni naturai discorso che tentasse di tome la maraviglia. Però, Sig. Salviati, mettete mano al filo, e cava¬ toci di così intrigati laberinti. Sàlv. Da quanto essi producono, pare che il nodo principale della io difficoltà batta qua, che non bene si comprenda come P operazione della percossa, che sembra infinita, non debba di necessità procedere per mezzi diversi da quelli di altre macchine, che con pochissima forza superano resistenze immense : tuttavia io non dispero di poter esplicare come in questa ancora si procede nella medesima maniera. Tenterò di spiegarne il progresso, e benché mi paia assai complicato, forse il mio dire potrebbe, dal vostro dubitare ed opporre, assotti¬ gliarsi ed acuirsi tanto, che allargasse almeno, se non del tutto scio¬ gliesse, il nodo. E manifesto, la facultà della forza del movente e della resi- 20 stenza del mosso non essere una e semplice, ma composta di due azioni, dalle quali la loro energia dee essere misurata; l’una delle quali è il peso, sì del movente come del resistente, e P altra è la ve¬ locità, secondo la quale quello dee muoversi e questo esser mosso. E così, quando il mosso dee muoversi colla velocità del movente, cioè che gli spazi passati da amendue nell’ istesso tempo sieno eguali, impossibile sarà che la gravità del movente sia minore di quella del mosso, ma sibbene alquanto maggiore, attesoché dalla puntuale egua¬ lità nasce P equilibrio e la quiete, come si vede nella bilancia di braccia eguali. Ma se noi vorremo con peso minore sollevarne un 30 maggiore, bisognerà ordinar la macchina in modo, che il peso mo¬ vente minore si muova nell’ istesso tempo per ispazio maggiore del- P altro peso, che è quanto a dire che quello più velocemente si muova di questo : e così di già la ragione non meno che P esperienza ci mostra che, per esempio, nella stadera, acciocché il peso del romano possa alzare un altro 10 o 15 volte di lui più grave, bisogna che }a sua lontananza nell’ ago sia lontana dal centro, intorno al quale si fa il moto, 10 o 15 volte più che la distanza tra il medesimo centro <2 Vili. 330 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE od il punto della sospensione dell’ altro poso ; die è il medesimo che dire, elio la velocità del movente sin 10 o 15 volto maggiore della velocità del mosso. E porche questo si scorge accadere in tutti gli altri strumenti, possiamo con sicurezza stabilire elio lo gravità e ve¬ locità coll’istessa proporzione, ma alternatamente prese, si rispondano. Generalmente dunque diciamo, il momento del inen grave pareggiare il momento del più grave, quando la velocità del minore alla velo¬ cità del maggiore abbia l’istessa proporzione che la gravità del mag¬ gioro a quella del minore ; al quale ogni poco vantaggio elio si con¬ ceda, supera 1’ equilibrio, o s’introduce il moto. io Fermato questo, io dico elio non solamente nella percossa la sua operazione paro infinita circa il superare qualsivoglia somma resistenza, ma tale si mostra ella in qualsivoglia altro meccanico ordigno; perchè non ù egli manifesto clic un piccolissimo peso di una libbra, scendendo, alzerà un poso di 100 o di 1000 o pivi quanto no piace, so noi lo costi¬ tuiremo nidi’ago della stadera conto o mille volte più lontano dal centro clic l’altro peso massimo, cioè se noi faremo che lo spazio, per lo quale scenderà quello, sia cento e mille e più volto maggioro dolio spazio della salita dell’ altro, cioè so la velocità di quello sia cento e mille volte maggioro della velocità di questo ? Ma voglio con uno più ar- 20 guto esempio farli toccar con mano come qualsivoglia piccolissimo peso, scendendo, faccia salire qualsivoglia immensa e gravissima mole. Intenda V. S., un tal vastissimo poso essere attaccato a una corda fer¬ mata in luogo stabile e sublime, intorno al quale, come centro, in¬ tenda esser descritta la circonferenza di un cerchio che passi pel centro di gravità della sospesa molo; il (piai contro di gravità è noto che viene a perpendicolo sotto la corda della sospensione, 0 , per me¬ glio dire, è in quella retta linea che dal punto della sospensione va a terminare nel centro connine di tutti i gravi, cioè nel centro della Terra. Immaginatevi poi un altro Ilio sottilissimo, al quale sia attac-so cato qualsivoglia peso, benché minimo, in guisa che il centro di gra¬ vità di questo termini nella già immaginata circonferenza; e ponete, questo piccolo poso andare a toccare n semplicemente appoggiarsi a quella vasta molo : non credete voi che, aggiunto per fianco questo nuovo peso, spignerà alquanto quel massimo, separando il suo centro di gravità dalla già immaginata linea perpendicolare, nella quale prima si trovava, e senza dubbio si moverà per la circonferenza già detta, INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.] 331 J e movendovisi si separerà dalla linea orizontale che è la tangente della dotta circonferenza nell’ imo punto dove si trovava esso centro di gravità della gran mole ? E quanto allo spazio, tanto sarà l’arco pas¬ sato dal gravissimo, quanto il passato dal piccolissimo peso, che al grandissimo si appoggiava ; ma non sarà già la salita del centro del peso massimo eguale alla scesa del centro del peso minimo, perchè questo scende per un luogo o spazio molto più inclinato elio non è quello della salita dell’ altro contro, che vien fatta dal contatto del cerchio in certo modo secondo un angolo minore di ogni acutissimo, io Qui, se io avessi a trattare con persone men versate di voi nella geo¬ metria, dimostrerei, come partendosi un mobile dall’ imo punto del contatto, può benissimo essere che 1’ alzamento della linea orizontale di qualche punto della circonferenza separato dal contatto sia se¬ condo qualsivoglia proporzione minore dell’ abbassamento di un asse a questo eguale, preso in qualsivoglia altro luogo, purché in esso non si contenga il contatto : ma voi son sicuro elio in ciò non avete dubbio. E se il semplice appoggiarsi del piccol peso alla gran mole può muoverla ed alzarla, che sarà se discostandolo e lasciandolo scor¬ rere per la circonferenza, egli vi anderà a percuotere ? ao Afr. Veramente non mi pare che ci resti più luogo di dubitare, la forza della percossa essere infinita, per quanto 1’ addotta esperienza ne dichiara. Ma tal notizia non basta al mio intelletto a schiarirmi molte oscure tenebre, le quali lo tengono offuscato in modo che non discerno come il negozio di queste percosse cammini, sicché io po¬ tessi rispondere ad ogni dubbio che mi fusso promosso. Saly. Ma prima che io passi più oltre, voglio scoprirvi un certo equivoco elio sta nascoso e come in aguato, e ci lascia stimare, tutti quei colpi con i quali nel soprapposto esempio si andava cacciando il palo, esser eguali o vogliamo dire gl’ istessi, sendo fatti dalla me- 30 desima berta, elevata sopra il palo sempre alla medesima altezza: il che non è vero. Per intelligenza di che, figuratevi di andare ad in¬ contrare colla mano una palla che venga scendendo da alto, e ditemi : se nell’ arrivare ella sopra la vostra inano, voi la mano andaste ab¬ bassando per la medesima linea e colla medesima velocità che scende la palla, ditemi, dico, qual percossa voi sentireste ? certo nessuna. Ma se all’ arrivo della palla voi andaste solamente in parte cedendo, con abbassar la mano con minor velocità di quella della palla, voi 332 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE bono ricevereste percossa, ma non conio da tutta la velocità della palla, ma solamente come dall’ eccesso della velocità di quella sopra la velocità della cedenza della mano : sicché quando la palla scen¬ desse con 10 gradi di velocità o la mano cedesse con otto, il colpo sarebbe come fatto da due gradi di velocità della palla; e cedendo la mano con 4, il colpo sarebbe come di 0 ; ed essondo il cedere come uno, il percuoter sarebbe come di 9 ; o tutta 1* intera percossa della velocità do’ 10 gradi sarebbe quella elio pereotesse sopra la mano che nulla cedesse. Applicando ora il discorso alle percosse della berta, mentre il palo cede la prima volta 4 dita, o la seconda 2, e la terza io un sol dito, all* impeto della borta, le percosso rimangono disuguali, o la prima più debole della seconda, o la seconda più della terza, secondo elio la cedenza dello 4 dita più detrae dalla velocità del primo colpo che la seconda; o questa è più debole della terza, come quella che toglie il doppio più di questa dalla medesima velocità. Se dunque il molto cedere del palo alla prima percossa, cd il meno ce¬ dere alla seconda, e meno anco alla terza, e così sempre continuata¬ mente, è cagione elio meu valido sia il primo colpo del secondo, c questo del terzo, che maraviglia ò che manco quantità di peso morto si ricerchi per la prima cacciata delle 4 dita, o che maggiore ne hi- so sogni por la seconda cacciata delle due dita, e maggiore ancora per la terza, e sempre più e più continuatamente, secondo che le cacciate si vanno diminuendo nelle diminuzioni delle cedenze del palo, che è quanto a diro nell’augumonto dello resistenze? Da quanto ho detto mi pai'e che agevolmente si possa raccorre, quanto malagevolmente si possa determinare sopra la forza della per¬ cossa fatta sopra un resistente il quale vadia variando la cedenza, quale è il palo che indeterminatamente va più e più resistendo; laonde stimo che sia necessario l’andar contemplando sopra tale, elio, ricevendo lo percosse, a quelle sempre colla medesima resistenza si opponga. Ora, 30 per istabilire tal resistente, voglio che ci figuriamo un solido grave, por esempio di mille libbre di peso, il quale posi sopra un piano che lo sostenti ; voglio poi che intendiamo una corda a cotal solido legata, la quale cavalchi sopra una carrucola fermata in alto, per buono spazio, sopra detto solido. Qui è manifesto, che aggiugnendo forza traente in giù all’ altro capo della corda, nel sollevar quel peso si averà sempre una egualissima resistenza, cioè il contrasto di mille INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.] 333 libbre di gravità ; e quando da quest’ altro capo si sospenda un altro solido egualmente pesante come il primo, verrà da essi fatto F equi¬ librio ; e stando sollevati, senza che sopra alcuno sottoposto sostegno si appoggino, staranno fermi, nò scenderà questo secondo grave al¬ zando il primo, salvo elio quando egli abbia qualche eccesso di gra¬ vità : e se riposeremo il primo peso sopra il soggetto piano, che lo sostenga, potremo far prova con altri pesi di diversa gravità (ma ciascheduna minore del peso che riposa in quiete) quali siano le forze di diverse percosse, con legare alcuno di questi pesi all’ altro capo io della corda, lasciandolo da qualche altezza cadere ed osservando quello che segue nell’altro gran solido nel sentir la strappata del- F altro peso cadente, la (piale strappata sarà ad esso gran peso come un colpo che lo voglia cacciare in su. Qui, primieramente, mi pare che si raccolga, che per piccola che sia la gravità del peso cadente, doverà senz’ altro superare la resistenza del peso gravissimo ed al¬ zarlo; la qual conseguenza mi par che si tragga molto concludente¬ mente dalla sicurezza che abbiamo, come un peso minore prevaierà ad uu altro quanto si voglia maggiore, qualunque volta la velocità del minore abbia maggior proporzione alla velocità del maggiore che 20 non ha la gravità del maggiore alla gravità del minore : ma ciò se¬ gue nel presente caso, nel quale la velocità del peso cadente supera d’infinito intervallo quella dell’ altro peso, la quale è nulla, posando egli in quiete ; ma non già è nulla la gravità del solido cadente in relazione alla gravità dell’ altro, non ponendo noi questa infinita, nè quella nulla ; supererà dunque la forza di questo percuziente la resi¬ stenza di quello in cui si impiega la percossa. Seguita ora che cer¬ chiamo d’investigare, quanto sia per essere lo spazio al quale la ricevuta percossa lo solleverà, e se forse questo risponda a quello delli altri strumenti meccanici : come, per esempio, nella stadera si so vede, F alzamento del peso grave esser quella tal parte dello abbas¬ samento del romano, quale è il peso del romano dell’ altro peso mag- gioi’e ; e così nel caso nostro bisogna che vediamo, se essendo la gra¬ vità del gran solido posto in quiete, per esempio, mille volte maggiore della gravità del peso cadente, il quale caschi dall’ altezza, v. g., di un braccio, egli sia alzato da questo minore un centesimo di braccio, chè così pare che venisse osservata la regola degli altri istrumenti meccanici. Figuriamoci di fare la prima esperienza col far cadere 334 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE da qualche altezza, diciamo di un braccio, un peso eguale all’ altro clic ponghiamo posare sopra un piano, essendo amen due tali pesi lugati, l’uno all’un capo e l’altro all’altro capo dell’istessa corda- elio crediamo noi elio sia por operare la strappata del peso cadente circa il muovere e sollevar 1* altro, che era in quiete ? Io volentieri sentirei P opinione vostra. Ai>r. Poiché Y. S. guarda verso di me, comecché da me ella at¬ tenda la risposta, mi paro elio, essendo amondue i solidi egualmente gravi, ed avendo il cadente, di più, P impeto della velocità, l’altro no dovorà esser innalzato assai sopra P equilibrio ; imperocché per ri-io durlo in bilancio la sola gravità di quello ora bastante : sormonterà dunque, por mio credere, il peso ascendente per molto maggiore spa¬ zio di un braccio, elio è la misura della scesa del cadente. SaIìV. Che dico V. S., Sig. Sagredo ? Saor. Il discorso ini pare assai concludente nel primo aspetto; ma, conio poco fa dissi, lo molte esperienze mi hanno insegnato quanto sia facile P ingannarsi, e però quanto sia necessario P andar circo¬ spetto prima che risolutamente pronunziare ed affermare alcun detto. Dirò dunque (però sempre dubitando) che ò vero olio il peso, v. g., delle 100 libbre del grave descendente basta per alzare l’altro, clic 20 puro pesi 100 libbre, infino allo equilibrio, senza elio quello venga instrutto 0 fornito d’altra velocità, e basterà solo P eccesso di mezza oncia; ma vo considerando che questa equilibruzione vorrà fatta con gran tardità, (love che quando il cadente sopraggiunga con gran velocita, con una simile bisognerà che tiri in alto il suo compagno. Ora, non mi paro che sia dubbio che maggior forza ci voglia a cac¬ ciar con gran velocità un grave all’ in su, elio a spignervclo con gran lentezza ; ondo possa accadere elio il vantaggio della velocità, guadagnata dal cadente nella libera caduta di un braccio, possa ri¬ maner consunto, e, per modo di diro, spento, nel cacciar l’altro con so altrettanta velocita ad altrettanta altezza: perlochò non sarei lontano dal credere che tali duo movimenti in giù ed in su terminassero in quieto immediatamente dopo la salita di un braccio del poso ascendente, Noi cod. B, a cnr. Kl/.-lTr., si lenire. sfritto ili mano dri Vi vi a:o, il tratto da del peso , ™ teu en,e il ,n rt ^° (P*R- •>•!.>, liti. 18): precedo la snuumte Ilota, pur di ninno del ivianj . 1 ( impresso ultimo, mio mnnnseriUo, n car. 8, dopo il nono verso, devo se¬ diti uit vosi, secondo ! originalo del Galileo De motti e della percossa; c può star ancora INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.] 335 che sarebbero due braccia di scesa dell’altro, computandovi il primo braccio che questo scese libero o solo. Salv. Io veramente inclino a credere questo stesso : perchè, seb¬ bene il peso cadente è un aggregato di gravitò, e di velocitò, 1’ ope¬ razione della gravitò nel sollevar 1’ altro è nulla, avendo a sè opposta o renitente altrettanta gravitò dell’ altro peso, il quale è manifesto che mosso non sarebbe senza 1’ aggiunta all’ altro di qualche piccola gravitò : 1’ operaziori dunque per la quale il peso cadente dee sollevar l’altro, è tutta della velocitò, la quale altro che velocitò non può io conferire ; nò potendo conferirne altra che quella che egli ha, e non avendo altra che quella che, partendosi dalla quiete, ha guadagnata nello spazio della scesa di un braccio, per altrettanto spazio e con altrettanta velocitò spignerò l’altro all’in su, conformandosi con quello che in varie esperienze si può riconoscere, che è che il grave cadente, partendosi dalla quiete, si trova in ogni sito aver tant’ impeto, che basta per ridur sè stesso alla medesima altezza. Sauk. Sovvienimi che apertamente ciò dimostra un grave pendente da un filo elio sia fermato in alto ; il qual grave, rimosso dal per¬ pendicolo per un arco di qualsivoglia grandezza, non maggiore (li 20 una quarta, lasciato in libertà, scende e trapassa oltre al perpendicolo, salendo altrettanto arco quanto fu quello della scesa : dove è mani¬ festo, la salita derivar tutta dalla velocitò appresa nello scendere ; imperocché nel montare in su niuna parte vi può avere la gravitò del mobile, ma bene, repugnando questa alla salita, va spogliando esso mobile di quella velocitò della quale nella scesa lo veste. Salv. Se 1’ esempio di quello che fa il solido grave appeso al filo, del quale mi sovviene che parlammo ne’ discorsi de’ giorni passati, conio quivi ,pwchè W pur che il Galileo non ve lo volessi ». La copia del Viviaki è cassata con linee trasversali, e presenta le seguenti varianti a confronto della prima edizione : 3-4. questo islcsso : perche, se bene — S. V operazione — riebbe sollevare —12. spazio di scesa — 15. avere tanto impeto —18. in allo etc.: con eie. termina la copia del Viviani.— Avvertiamo inoltre elio le parole del peso ascendente, a pag. 334, 1 in. 33, mancano nella stampa, e noi le abbiamo aggiunte prendendole dallo squarcio manoscritto, che incomincia appunto con esse; che a lin. 13 della presente pagina abbiamo corretto Valtra, dato dalla stampa, in V altro, conforme si leggo nel manoscritto; e che tra in alio c il qual (/rare (lin. 18) la stampa inserisce le seguenti parole, che noi abbiamo levato: del peso ascendente ., in quel modo che ora mi sovviene accadere in un grave pendente da un filo che sia fermalo in alto. Intorno a queste correzioni vedi V Avvertimento. W perche è cassato. 836 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE quadrasse o si aggiustasse così bene al caso del quale noi di presente trattiamo, come ei si aggiusta alla verità, molto concludente sarebbe il discorso di V. S. ; ma non piccola discrepanza trovo io tra questo duo operazioni : dico tra quella del solido grave pendente dal filo, che, lasciato da qualche altezza, scendendo per la circonferenza del cer¬ chio, acquista impeto di trasportare sò medesimo ad altrettanta al¬ tezza ; e T altra operazione del cadente legato ad un capo della corda por inalzare 1’ altro a sò eguale in gravità. Imperocché lo scendente per lo cerchio va acquistando velocità sino al perpendicolo, favorito dalla propria gravità, la quale, trapassato il perpendicolo, lo disaiuta io nel dovere ascendere (che ò moto contrario alla gravità); sicché dello impoto acquistato nella scesa naturalo non piccola ricompensa è il ricondurlo con moto preternaturale o per altezza. Ma nell’ altro caso sopraggiugne il grave cadente al suo eguale, posto in quiete, non solamente colla velocità acquistata, ma colla sua gravità ancora, la (pialo, mantenendosi, leva per sò sola ogni resistenza di essere alzato all’ altro suo compagno ; porlocliò la velocità acquistata non trova contrasto di un grave che allo andare in su faccia resistenza, talché, sì come l’impeto conferito all’ in giù ad un gravo non trova in esso ragione di annichilarsi o ritardarsi, così non si ritrova in quello ao ascendente, la cui gravità rimane nulla, essendo contrappesata da altrettanta descendente. E qui mi paro elio accada per appunto quello che accado ad un mobile grave o perfettamente rotondo, il quale, se si porrà sopra un piano pulitissimo ed alquanto inclinato, da per sé stesso naturalmente vi scenderà, acquistando sempre velocità mag¬ gioro ; ma se, per l 5 opposito, dalla parto bassa si vorrà quello cac¬ ciare in su, ci bisognerà conferirgli impeto, il quale si anderà sem¬ pre diminuendo e finalmente annichilando ; ma se il piano non sarà inclinato, ma orizontale, tal solido rotondo, postovi sopra, farà quello che piacerà a noi, cioè, se ve lo metteremo in quiete, in quiete si so conserverà, e dandogli impeto verso qualche parte, verso quella si moverà, conservando sempre l’istessa velocità che dalla nostra mano averà ricevuta, non avendo azione nè di accrescerla nè di scemarla, non essendo in tal piano nò declività nò acclività : ed in simile guisa i due pesi eguali, pendenti da’ due capi della corda, ponendogliene in 8-9. lo scendiate per lo cerchio, s— 18-19. talché se come , s — 2(5-27. si vorrà quella cac¬ ciare, s — 35. pendenti da due, & — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.] 337 bilancio, si quieteranno, e se ad uno si darà impeto all* in giù, quello si andrà conservando equabile sempre. E qui si dee avvertire che tutte queste cose seguirebbero quando si movessero tutti gli esterni ed accidentali impedimenti, dico di asprezza o gravità di corda, di girelle e di stropicciamenti nel volgersi intorno al suo asse, ed altri che ve ne potessero essere. Ma perchè si è fatta considerazione della velocità, la quale l’uno de’ due pesi eguali acquista scendendo da qualche altezza, mentre l’altro posi in quiete, è bene determinare quale e quanta sia per essere la velocità colla quale sicno per muo¬ io versi poi ameudue, dopo la caduta dell’ uno, scendendo questo e sa¬ lendo quello. Già, per le cose dimostrate, noi sappiamo che quel grave che partendosi dalla quiete liberamente scende, acquista tuttavia mag¬ giore e maggior grado di velocità perpetuamente ; sicché, nel caso nostro, il grado massimo di velocità del grave, mentre liberamente scende, è quel che si trova avere nel punto che egli comincia a sol¬ levare il suo compagno ; ed è manifesto che tal grado di velocità non si andrà più augumentando, essendo tolta la cagione dello augumento, che era la gravità propria di esso gravo descendente, la quale non opera più, essendo tolta la sua propensione di scendere dalla repu- 20 gnanza del salire di altrettanto peso del suo compagno. Si conser¬ verà dunque il detto grado massimo di velocità, od il moto, di acce¬ lerato, si convertirà in equabile : quale poi sia per essere la futura velocità, è manifesto dalle cose dimostrate e vedute ne’ passati giorni, cioè che la velocità futura sarà tale, che in altrettanto tempo quanto fu quella della scesa, si passerà doppio spazio di quello della caduta. Sagù. Meglio dunque di me aveva filosofato il Sig. A proino, e sin qui resto molto bene appagato del discorso di V. S., ed ammetto per verissimo quanto mi ha detto ; ma per ancora non mi sento aver fatto acquisto tale, che mi basti per levare 1’ eccessiva maraviglia che «o sento nel vedere, essere superate resistenze grandissime dalla virtù della percossa del percuziente, ancorché nè molta sia la sua gravita, nè eccessiva la sua velocità ; e quello che ne accresce lo stupore è il sentire che ella afferma, nessuna essere la resistenza (salvo che se fusse infinita) che al colpo possa resistere senza cedere, e più che di tal percossa non si possa in veruna maniera assegnare una determinata misura. Però il desiderio nostro sarebbe che V. S. mettesse mano a dilucidare queste tenebre. Vili. « 48 338 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICI^ Salv. Essendo elio non si può applicare dimostrazione alcuna sopra una proposizione della (piale il dato non sia uno e certo, però, vo¬ lendo noi filosofare intorno la forza di un pereuziente e la resistenza di quello che la percossa riceve, bisogna che prendiamo un peri¬ ziente la cui forza sia sempre l’istessa, quale ò quella del medesimo gravo cadente sempre dalla medesima altezza, e parimente stabili- schiamo un ricevitore del colpo, la cui resistenza sia sempre la me¬ desima. E per averlo tale, voglio che (stando su l’esempio di sopra, do i duo gravi pendenti da’ capi dell’ istessa corda) che pereuziente sia il piccol grave che si lascia cadere, e che l’altro, quanto si voglia io maggiore, sia quello nell’alzamento del quale venga esercitato l’im¬ peto del piccolo cadente: dove ò manifesto, la resistenza del grande esser sempro ed in tutti i luoghi la medesima cosa; il elio non accade nella resistenza del chiodo o del palo, ne’ quali ella va sempre cre¬ scendo nel penetrare, o con proporzione ignotissima per gli accidenti vari elio s’ interpongono di variate durezze nel legno e nel ter¬ reno etc., ancor che il chiodo ed il palo sieno sempre i medesimi. Inoltre è necessario che ci riduchiamo a memoria alcune conclusioni vero, delle quali si parlò a’ giorni passati nel trattato del moto : e sia la prima di esse, che i gravi descendenti da un punto sublime 20 sino a un soggetto piano orizontalo, acquistano eguali gradi di ve¬ locità, sia la scesa loro fatta o nella perpendicolare o sopra qualsi- vogliano piani diversamente inclinati ; come, per esempio, essendo AB un piano orizontalo, sopra il quale dal punto C caschi la perpendico¬ lare CB, e dal medesimo C altro diversamente inclinate CA, CD, CE, dobbiamo intendere, i gradi di velocità de’ca¬ denti dal punto sublime C per qualsivoglia delle linee che dal punto C vanno a terminare nell’ orizontalo, essere tutti eguali. Inoltre si dee, nel secondo luogo, supporre, l’impeto .10 acquistato in A dal cadente dal punto C esser tanto, quanto appunto si ricercherebbe per cacciare in alto il medesimo cadente, 0 altro a lui eguale, sino alla medesima altezza ; onde possiamo intendere che tanta forza bisogna per sollevar dall’ orizonte sino all’ altezza C l’istesso grave, venga egli cacciato da qualsivoglia do’ punti A,D,E, B. Riduchiamoci, nel terzo luogo, a memoria, che i tempi delle scese INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA SESTA.} 339 per i notati piani inclinati hanno tra di loro la medesima propor¬ zione che lo lunghezze di ossi piani ; sicché quando, per esempio, il piano AC fusse lungo il doppio del CE e quadruplo del CB, il tempo della scesa per CÀ sarebbe doppio del tempo della scesa per CE e quadruplo della caduta per CB. Inoltre ricordiamoci che per far montare, o vogliam dire per strascicare, l’istesso peso sopra i diversi piani inclinati, sempre minor forza basta per muoverlo sopra il più inclinato che sopra il meno, secondo che la lunghezza di questo è minore della lunghezza di quello. Ora, stante questi veri supposti, io finghiamoci il piano AC esser, v. g., dieci volte più lungo del per¬ pendicolo CB, e sopra esso AC esser posato un solido S, pesante cento libbre : è manifesto elio se a tal solido fusse attaccata una corda, la quale cavalcasse sopra una girella posta più alta del punto C, la qual corda nell’ altro suo capo avesse attaccato un peso di 10 libbre, qual sarebbe il poso P, ò manifesto che tal peso P, con ogni poco di giunta di forza, scendendo, tirerebbe il grave S sopra il piano AC. E qui si dee notare, che sebbene lo spazio per lo quale il maggior peso 20 si muove sopra il suo piano soggetto è eguale allo spazio per lo quale si muove il piccolo descendente (onde alcuno potrebbe dubitare sopra la generale verità di tutte le meccaniche proposizioni, cioè che piccola forza non supera o muove gran resistenza se non quando il moto di quella eccedo il moto di questa colla pro¬ porziono contrariamente rispondente a i pesi loro), nel presente caso la scesa del piccolo peso, che è a perpendicolo, si dee paragonare colla salita a perpendicolo del gran solido S, vedendo quanto egli dalla orizontale perpendicolarmente si solleva, cioè si dee riguardare quanto ei monta nella perpendicolare BC. so Altro morto di difi¬ lli ro lo Umidezze pro¬ porzionali. Pifìniziono dello gramlo/./.o non pro¬ porzionali, o coni m oli¬ sti rubi li, o incommen¬ surabili. 354 DISCORSI E DIMO8TRÀZI0NI MATEMATICHE Assioma. ecco, la stessa ancora abbia pre¬ cisamente V ugualmente multiplice F della terza C alla quarta D. Imma¬ ginatevi dunque che queste siono le nostre quattro grandezze proporzio¬ nali, E, B, F, D, cioè il multiplice E della prima sia prima, la seconda E Gr F A B 0 1-1 I D -1 H h- H stossa B sia seconda, il multiplice poi F della terza sia terza, e 20 la quarta D sia quarta. V. S. mi à anco detto di capire, che multi- p beandosi egualmente le conseguenti B, D, cioè la seconda o la quarta, senza alterar punto le antecedenti, la mede¬ sima proporzione avrà la prima al multiplioato della seconda, che la terza al multiplicato della quarta. Ma queste quattro grandezze saranno por appunto E, F, ugualmente multiplici della prima e della terza, e G, li, egualmente multiplici della seconda e della quarta, ao Sagr. Confesso che di ciò resto interamente appagato ; ed ora intendo Couoll. , .. , -i -, -, n .. elio ò il converso doliti benissimo la necessita per la quale gli ugualmente multiplici delle quattro diiìmzion»* <ìol .. ,, sosto libro d'Euclide* quantità di dette proporzioni multiplicate insieme avranno prodotto qualche proporzione. Osservo poi che ne il medesimo Euclide, nè alcun altro autore antico, si serve della stessa difinizione nel modo nel quale eli’ e stata posta nel libro ; onde ne seguono due inconvenienti, cioè al lottore difficultà d’in- 20 telligenza, ed allo scrittore nota di superfluità. Saor. Questo è verissimo ; ma non mi par probabile elio la suprema accu¬ ratezza d’ Euclide abbia fra’ suoi libri posta questa dilinizione inconsidera¬ tamente ed in vano. Però non sarei affatto fuor di sospetto che ella vi fosso stata aggiunta da altri, o almeno alterata di tal sorte, che olla oggidì non si riconosca più, mentre dagli autori si pone in opera nel dimostrare i teoremi. Simp. Glie gli altri autori non se ne servano, io lo eroderò alle SS. W., non avendovi fatto molto studio: mi dispiacerebbe bene so da Euclide stesso, 11 quale viene stimato da voi altri per tanto puntuale nelle sue scritturo, fosse stata posta indarno. Ma qui bisogna poi eli’ io confessi come l’intel¬ ai) letto mio, il quale non si è mai più che mediocremente inoltrato nella matematica, à incontrato difficultà intorno a questa difinizione, forse non minore che nelle già spianate dal Sig. Salviati. Mi aiutai un tempo fa con legger lunghissimi conienti scritti sopra queste materie, ma, per dire il vero, non conobbi giammai che mi si sgombrassero quelle tonebre che mi tenevano offuscato V intelletto. Però, se V. S. avesse qualche particolar con¬ siderazione che mi facilitasse questo ancora, 1’ assicuro che mi farebbe un favore molto segnalato. Salv. Porse ella si presuppone che questa sia materia di profonde spe¬ culazioni, e pure troverà che non consiste in altro che in un semplicissimo 40 avvertimento. 360 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE S’immagini V. S. lo duo grandezze A, B dello stesso genore ; avrà la grandezza A alla li una tal proporzione ; e dopo concepisca esser posta fra di loro un’ altra grandezza C, p ur dolio stosso genere: si dice ohe quella tal pro¬ porziono che à la grandezza A allaB viene ad esser composta delle due proporzioni intermedio, cioè di quella che à la A alla C o ili quella che à la 0 alla B. Questo ò per appunto il senso secondo ’l quale Euclide si serve della predetta difinizione, io Simì\ È vero che Euclide intondo in questo modo la proporzione com¬ posta, ina però non intorni' io come la grandezza A alla B abbia propor- zion composta dolio duo proporzioni, cioè delia A alla 0 e della 0 alla B. Salv. Ora ditemi, Sig. Simplicio: intendete voi che la A alla B abbia qualche proporzione, qualunque ella sia? Simt. Essendo esse del medesimo genero, Signor si. Salv. E elio quella proporziono sia immutabile, o non possa mai essere altra o diversa da quella che ell’ò? Simp. Intendo questo ancora. dì funziono da porsi Salv. Vi soggiungo ora io, elio nello stesso modo per appunto l’A alla C 20 finizione dei vi. il*Su- à una proporzione immutabile, o cosi anco la C alla B. La proporzione poi, che ò fra le due estreme A o B, si chiama esser composta delle due proporzioni che mediano fra esso estreme, cioè di quella che à la A alla C o di quella che ù la C alla B. Aggiungo di pia, che se F. S . fra queste grandezze A e B s immaginerà chi sia frapposta non una grandezza sola, ma jjÌù d’ una, come ella vede in A 0 D li Mg n * A, C, D, II, h intenderà pure, la proporzione della A alla B esser composta di tutte le proporzioni le quali sono intermedie fra di esse, cioè delle proporzioni che anno la A alla 0, la 0 alla D e la D alla B ; e così se più /ussero le grandezze, sempre la prima 80 all’ ultima à proporziun composta di tutte quelle proporzioni le quali mediano fra di esse . Avvertisco ora in quest' oc casi (me, che quando le proporzioni componenti siano uguali fra di loro, 0 per dir meglio sic no le stesse , allora la prima al- V ultima avrà } come di sopra ariamo detto, una tal proporzione composta di tutte le propoi'zioni intermedie ; ma perchè quelle j,n'oporzioni intermedie sono tutte uguali, potremo esprimere il medesimo nostro senso con dire, che la pro¬ porzione della prima all ultima iì una proporzione tanto multijdice della prò- porzione che a la prima alla seconda, quante per appunto saranno le propor¬ zioni che si frappongono fra la pi'ima e V ultima . Come, per esempio, se fossero 40 INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. — [GIORNATA QUINTA.] 361 tre termini, e che la medesima proporzione fosse fra la prima e la seconda che è fra la seconda e la terza, allora sarebbe vero che la prima alla terza avrebbe proporzioni composta delle due proporzioni le quali sono fra la prima e la seconda e fra la seconda e la terza ; ma perchè queste due proporzioni si sup- ponqono uguali, cioè le stesse, potrà dirsi che la proporzione della prima alla terza è duplicata della proporzione che à la prima alla seconda. Così, quando le grandezze fossero quattro, si potrebbe dire che la proporzione della prima alla quarta è composta di quelle tre proporzioni intermedie, ccl ancora clic è triplicata della proporzione della prima alla seconda, venendo composta tal io 'proporzione, che à la prima alla quarta, della proporzione della prima alla seconda tre volte presa, etc. Ma qui finalmente non vanno contemplazioni nè dimostrazioni, imper¬ ciocché è una semplice imposizione di nome. Quando a Y. S. non piacesse il vocabolo di composta, chiamiamola incomposta, o impastata, o confusa, o in qualunque modo più aggrada a V. S. ; solo accordiamoci in questo, che quando poi avremo tre grandezze dello stesso genere, ed io nominerò la proporzione incomposta, o impastata, o confusa, vorrò intendere la pro¬ porzione che anno 1’ estreme di quelle grandezze, e non altro. Sagr. Tutto questo intendo benissimo: anzi ò più d’una volta osser- 20 vato T artifizio d’ Euclide nella proposizione dove ei dimostra elio i para- lellogrammi equiangoli anno la proporzione composta delle proporzioni de’ lati. Egli si trova in quel caso aver le duo proporzioni componenti in quattro termini, che sono i quattro lati de’ parai ellogram ini : però comanda che quelle due proporzioni si mettano in tre termini solamente, sicché una di quelle proporzioni sia fra ’l primo termine e T secondo, l’altra sia fra ’l secondo o ’l terzo; nella dimostrazione poi non fa altro se non che e’ dimostra che 1’ un paralellogrammo all’ altro è come ’l primo termine al terzo, cioè à la proporziono composta di due proporzioni, di quella che ix il primo termine al secondo e dell’altra che à il secondo al terzo, le so quali sono quelle due proporzioni che prima egli aveva disgiunte ne’quattro lati de’ paralellognvmmi. Sàlv. V. S. discorre benissimo. Ora intesa e stabilita la difinizione della proporzione composta in questo modo (la quale non consiste in altro fuori che nell’ accordarsi che sorta di roba noi intendiamo sotto quel nome), si può dimostrare la proposizion ventitré del sesto libro d’Euclide come la dimostra egli stesso, perchè quivi ei non suppone la difinizione nel modo nel quale eli’ e divulgata, ma ben sì nel modo detto sopra da noi. Dopo la nominata proposizion 23 io sogghignerei, come corollario di essa, la di¬ vulgata difinizione quinta del sesto libro della proporzion composta, tra- 40 mutandola però in un teorema. \ VUL 46 Pnor. V. elio ò la 5* (li fini/ione dal VI. iV Euclide. Qui bì suppono, sa¬ persi quali siano lo quantità dolio propor¬ zioni, o corno B'inton- da il multiplionrlo fra loro ; ma il tutto nio- gl io apparisco dal e»ui- s fruirò o dimostrare la presunte proposi¬ zione. 3R2 DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE, ECO. Pongansi due proporzioni, una dolio quali sia ne’termini A, B, l’altra ne’ termini O, D. Dio© la di finizione vulgata, elio la proporzione composta di questo due proporzioni si avrà se noi multipliehoremo tra di loro le quantità di esse proporzioni. Io concorro col Sig. Simplicio nel credere che questa sin una proposta difficile da capirsi e bisognosa di prova; però con poca fatica noi la dimostreremo così. So li quattro termini dello due proporzioni non fossero in linee, ma in altre grandezze, immaginiamoci che e’ siano posti in linee rotte. Facciasi poi delle duo antecedenti A, 0 un rettan¬ golo, siccome delle due conseguenti B, D io un altro rettangolo : è chiaro, per la 23 del sosto d’Euclide, che il rettangolo fatto dallo A, 0, al rettangolo dalle B, D, avrà quella proporzione che è composta delle due proporzioni A verso Bel! verso D, le quali sou quelle due che ponemmo da principio a line di ritrovare qual fosse la proporzione che risultava dalla composizione di esse. Essendo dunque la proporzione composta dello proporzioni A verso 11 e (3 verso D quella che à il rettangolo AU al rettangolo BD, por la suddetta proposizion 23 del 20 sesto, io domando al Big. Simplicio come abbiamo noi latto per ritrovare questi duo termini, no’ quali consiste la proporziono che si cercava da noi ? Simp. Io non erodo ohe si sia fatt’ altro, se non formar due rettangoli con (piello quattro linoe poste da principio ; uno, cioè, cou le antece¬ denti A, 0, e 1’ altro con lo conseguenti B, D. Salv. Ma la formazione de’ rettangoli nelle linoe della geometria cor¬ rispondo per appunto alla mnltiplioazione do’ numeri nell’arimmetica, come sa ogni matematico anche principiante ; e lo cose che noi abbiamo multi- plicate sono state lo linee A, 0 e le linee B, D, cioè i termini omologhi delle poste proporzioni. Ecco dunque come, multiplicando insieme le qnan- 30 tità o le valute delle dato proporzioni semplici, si produce la quantità o la valuta della proporzione la quale poi si chiama composta di quelle. 9-11. antecedenti A, li un relltvtyolv, siccome Mìe due cunseyucnti C, D un altro, s — Iti. dalla couqjunuione di, a — A i-1 B i— C5 i -i D A FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI E DIMOSTRAZIONI MATEMATICHE INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. Essendo per varii emergenti, ed in particolare per la morto dell’ Im¬ peratore, tagliato il disegno d’intitolare la mia opera a Sua Maestà, ho fatto pensiero che l’Illustrissimo Sig. Conte di Novailles, tanto mio antico o benigno padrone, occorrendo, dica che, nel passar da queste parti e nell’ abboccamento che ebbe meco, io gli consegnassi questo opere, perchè le tenesse appresso di se e ne lasciasse copia in qualche libreria famosa, acciò non se ne perdesse del tutto la memoria. Mi figuro poi che, in qualche modo a me incognito, ne sia pervenuta copia in mano a gli Elzeviri!, i quali 1 ’ abbino stampata spontanea- 10 mente, ma, come cosa mia, mi chiegghino adesso la dedicatoria e l’intitolazione. Alla qual richiesta io risponderei, significandoli come mi è giunto nuovo ed inaspettato il sentire che, senza alcuna mia sa¬ puta, sieno stampate opere mie ; ed insieme risolverei di far comparir un’ altra lettera, scritta da me al Sig. Conte di Noailles, molto dubbia circa il rallegrarmi o contristarmi che, senza esserne io consapevole, queste mie opere eschino alla stampa, avendo qualche giusta cagione di temere che i miei vigilantissimi nimici siano per procurarmene qual¬ che disgusto, e che però, sendo questo proceduto da troppo affetto del Sig. Conte verso di me, che a lui si conveniva il comportarne le 20 pene : sì che il desiderio mio era che 1 ’ opera fusse dedicata alla sua protezzione (l) . <*> Cod. A, car. 30r., del medesimo ca- tiche intorno a due nuove scienze. In capo rattere di cui sono i manoscritti, citati a a questo frammento, e della stessa inano, pag. 43 o 45, della Dedicatoria e della Pre- si leggo V indicazione : « Copia ». — Dir. fazione ai Discorsi e dimostrazioni materna - pag. 43. So sia un solido sopra l’orizonto o quosto si deva alzare, è cosa chiara, che so piglieremo una lieva elio abbia il suo sostegno, eh’a volei'lo equilibrare, bisognerà, volendo prima sollevarlo, mettere dal- 1’ altra parte della lieva potenza bile, che abbia al peso assoluto di dotto solido la medesima proporzione elio hanno tra loro lo parti di dotta liova, ma contrariamolito preso. Ma so ci contenteremo d’al¬ zarne una parte, o che il rimanente si posi in terra, in questo caso, mentre sì comincia ad alzarne una parto, sempre va scemando il peso sopra la lieva o va crescendo in terra: però si dimostrerà che detto poso alla potenza elio devo equilibrarlo, in qualsivoglia sito che sarà io detto solido, abbi proporzione composta di quella cho hanno tra di loro lo parti della lieva, cioè quella eh’è dal lulcimento verso la potenza a quella eh’è dal fulcimento verso il solido, e di quella ch’ha la linea parallela all’ orizonte, compresa tra la perpendicolare che casca dove tocca la lieva nel solido e dove tocca il solido in terra, a quella eh’è compresa tra la perpendicolare che casca a detta linea dal contro della gravità di detto solido o dove tocca detto solido la dotta linea orizontale. Sia il solido A, il quale sia equilibrato dalla lieva 151) sostenuta nel punto G, o che posi in terra nel punto G : dico che il peso assoluto 20 di detto solido, in qualsivogli sito, ha alla potenza posta in 13 una proporzione composta di quella che ha la liC alla Gl) e di quella di EG alla GF. Facciasi corno la EG alla GK, così CD ad un’ altra, che sia H; 0 tirisi 11 dal centro della gravità del solido, perpendicolare alla GE orizontale. Perchè dunque la potenza cho sostieno il solido À FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. 367 nel punto 1) alla potenza die sostiene il medesimo nel punto G lia la proporzione che ha la linea Gl alla 1D, sendo detto solido sostenuto nelli due punti D, G, sarà, componendo, ^ H tutte a due le potenze, cioè il peso as- \ ^ B soluto del solido A, eh’ è l’istesso, alla \ prop. 2 -, potenza 1) come EG alla GF, cioè come j lib.o. qj) a ii a H: ma la potenza di D a (piolia G F E di B è come BC alla CD : adunque, ex acquali in proporzion pertur¬ bata, il peso A alla potenza B ha la proporzione di BO alla H, che io è composta di quella che ha la BC alla CD e di quella di CD alla II, cioè EG alla GF : che è quello etc. Per voler poi trovare la quantità, moltiplichisi insieme le dua an¬ tecedenti, cioè la BC per la EG e la CD per la GF ; e così sarà nota che potenza ci bisogni in qualsivoglia sito 0 ’. Ponderimi in libra suspensorum momenta habent rationem com- positam ex ratione ipsorum ponderimi et ex ratione distantiarum. Pendeant pondera de, f ex distantiis ab, he : dico, momentino pon- deris de ad momentini! ponderis f habere rationem compositam ex rationibus ponderis de ad pondus /' et distantiae ab ad ilistantiam bc. 20 Ut enim ab ad bc, ita fiat pondus f ad pondus do : cum ergo pon¬ dera f et do liabeant rationem distantiarum ab, bc permutatalo, erit momentum ponderis /’acqua¬ le momento ponderisi. Cum igitur sint 3 pondera uteum- o que ed, f et do, erit ratio pon¬ deris ed ad do composita ex e rationibus ed ad /’ et f ad do : ut autem pondus ed ad pondus do, ita momentum ed ad momentum do; pendent eniin ex eodem puncto : igitur, cum momentum do sit aequale momento f, ratio momenti ed 30 ad momentum f erit composita ex rationibus ponderis ed ad pon¬ dus f et ponderis f ad pondus do. Factum est autem pondus f ad pondus do ut distantia ab ad distantiam bc: ergo patet, momentum < n Coti. A, car. 27 r. e t., di mano del S. A. 11. il Duca di Genova in Torino (già sec. XVII. — Se ne hanno copie del sec. XIX della biblioteca ili Cesare Saeitzzo), e nel nel cod. 85, car. 19r. e t., della Biblioteca di cod. 502 della Universitaria di Pavia, car. 54r. 368 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI F.CC. ponderi» ed ad momentino ponderi» /' habore rationem compositam ex rationibns ponderimi ed, f et distantiarum ab, he. Quod si Buspendatur ex puncto s, facta distantia bs aequali distan- tifte he, pondus t acquale ponderi f, erit eius monientum momento f acqualo; et similitor ponderimi ed et / monienta habebunt rationem compositam ex pondoribus ed, t et ex distantiis ab, In. Sit modo cylinclruK etjt, respondens libra» ahed, utcumqne sectum in 8(f : dico, momentini! totius cylimlri pendentis ex c ad momentum parti» cg pendentis ex h esse ut □ dea ad L3 liba. Kx demonstratis enim, momentum ponderi» egt ad momentum pon- io a b ed rat i° neni composi¬ tam ex pondero egt ad pondus cg e disfaldine ed ad distantiam db: pon¬ dus autem egt ad pondus eg est ut linea ae ad ab : ergo momentum pon¬ deri» egt ad momentum ponderi» eg liabet rationem compositam ex cd ad db et ex ra ad ab, (pine est □' dea ad Q dia Rit parabola eba parallelogrammo rp inscripta : dico, parallelo- grammum parabolae esse sexquialterum ; hoc est, esse triplani reliqui 20 spacii apb extra parabolani. Si onini non sit, nut erit maiiiR aut mimi». Sit, primo, maius: exeossus autem quo spacium pe maius est. (piani triplum spacii apb, voeetur .r ; divisoque parallelogrammo continue in spacia aequalia per lineas ipsis ae, pl> parallelas, deveniemus ad spacia, quorum unum ipso x erit minus, quale sit db, et per puncta ubi reliquae parallelae lineain parabolae secant, ducantur aequidistantas ipsi ap, donec figura quaedam spacio relieto extra parabolani circumscribatur, constans ex parallelograminis ag, ke, If, mh , ni, oh, quae figura spacium apb extra 11-12. comjtosilum e.r ex ponile re — 2n 21. Lo parole da hoc est a jmrnhoìitm sono aggiunto in margine, 0 richiamate dopo serquiaUerum con un segno di croce. — 22-23. maius : exeessus b sostituito a minus : defedili, clic loggesi cancellato. 2.1. In luogo di « maius ...apb » leggcvusi prima minus [?] est quam seaequiaiterum parabolae apb. — 27-2». fiqura quetiam sintcio. — 20. Dopo « ag » leg¬ gasi, cancellato, « ge, ef ». — (,) Lod. A, car. lOr. e 40 r. Autografo di Ualilico. — Cfr. pag. 176. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 360 parabolani minori quantitate superabit quam sit x, cum superet idem quantitate adirne minori parallelogrammo oh. Ergo idem parallelo- grammum cp maius erit quam tri- a k m n o plum dictae fìgurae circumscrip- a Q - Jk tae : quod est impossibile. Nani est d illa minus quam triplum : nam e T c cum da ad az sit ut □ de ad □ zi) ; ut autem da ad az, ita parallelo- f t h grammum dk, seu Ice, ad paralle- io logrammum hz; ergo ut □ zij ad □ i \ de, idest □ ah ad □ al, ita paralle- logrammum ag ad parallelogram- mum he. Similiter osteudemus, re- \ v liqua parallelogramma If, mli, ni, oh esse inter se ut □“linearum ah, al, x ì ani, an, ao, ap, sese aequaliter excedontium et quarum excessus mini- mae ale est aequalis. Cum itaque sint huiusmodi spada ut □ linearum sese aequaliter excedentium, quarum excessus minimae est aequalis ; sintque alia, totidem numero, magnitudine vero unumquodque ma- 20 ximo oh aequalia, parallelogrammum nempe cp componentia ; constat, liaec ad spacia sese aequaliter excedentium linearum minora esse quam tripla. Dico praeterea, non esse minus parallelogrammum cp quam triplum ad idem spacium apb. Si enim quia dicat esse minus, sit defectus x, et figura similiter inscribatur, constans ex parallelogrammis hq, Ir, nis, nt, ov, quae sunt ut □" linearum sese aequaliter excedentium ctc., quae deficiat a dicto spacio minori quantitate quam sit x, cum deficiat per minorem quam sit oh, quae erit adirne maior quam 3“ pars pa¬ rallelogrammi cp ; quod pariter est falsuin, cum sit minor (U . Passi la catenella per i punti f, c, e, dato lo scopo z, tira tanto la catena, ebe passi per z, e troverai la distanza se e 1’ angolo della 10. Dopo ergo ut leggasi, cancellato, « etl ad g z, seu la ad ak, ita ». — 20-21. Le parole constai, lutee sono scritte in margine, e ad esse segue quae, cancellato. — 21. esse è sostituito a sunt, che leggasi cancellato. — 23. triplum è sostituito a sexquiaUerum, che leggesi can¬ cellato. — 27 spacio mini [sic] quantitate — 0) Cod. A, car. 102$., autografo
  • . Contempletur quod, quemadmodum gravia omnia super orizonte quioscunt, licet maxima voi minima, ita in lineis inclinatis eadem velocitate moventur, quemadmodum et in ipso quoque porpendiculo ; io quod bonum erit demonstrare, dicendo quod, si gravius velocius, se- queretur quod gravius tardius, iunctis gravibus inaequalibus, etc. Movebuntur autem eadem celeritate non solum gravia inaequalia et liomogenea, sed etiam eterogenea, ut lignum et plumbum. Cum enivn antea ostensum fuerit, magna et parva homogenea aequaliter moveri, dicas : Sit b spbacra lignea et a plumbea, ,— adeo magna, ut, cum in medio liabeat cavitatem prò b, sit tamen gravior quam spliaera solida lignea ipsi a aequalis, ita ut per adversarium velocius moveatur quam b: ergo si 2. dicatur fu corretto in luogo di ducatur, che prima si leggeva.— 8-9. eadem voìicate moventur —*10-11. sequaeretwr — 13. homogena — 15. Sit l> spera — 18. velocius movatur — 0) Cod. A, car. 63r., di mano del Guiddgoi. 372 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. in cavitato i ponatur b, tardius movebitur a quam cum erat levior- quod ost absurdum Si fuerint quotlibot Rpacia, et alia illis multitudine paria, quae bina suinpta eandem habeant rationeui, et per ipsa duo movoantur mobilia, ita ut in binis quibusque spaciis sibi respondentibus lationes siut aoquales et aoquabilcs, eruut ut omnia antecedentia spatia ad omnia consequontia, ita tempora lationuni omnium antecedontium ad tempora lationum omnium consequentium spaciorum. Sint ab, he, cd spada quoteumque, ot alia multitudine aequalia ef, fg, gli; ut sit ut ab ad ef, ita he ad fg ot cd ad gli: duo autom mobilia io i_ k _/________ m eodom motu et acqua- bili forantur per duo ci b c d « , . •-*--—— spana ab, ef, et tem- e f g h pora lationum sint ìk, no; kl vero et op sint ”-2-£- % tempora lationum qua- rumeumque aliarum aequalium et aequabilium per he, fg ; tempora vero hn, pq sint aliarum lationum aequalium iuter so et aequabilium per cd, gh: dico, ut totum spacium ail ad totum spaoium eh, ita esse tempus totum im ad tompus nq. so Cum eniin motus per duo spacia ab, cf sint aoquales et aequabi- los, erit, ex praecedenti, ut spacium ab ad ef, ita tempus ik ad no; et similiter domonstrabitur, ut he ad fg, ita kl ad op, et ut cd ad gh, ita hn ad pq : et quia est ut ab ad cf, ita he ad fg et cd ad gli, erit ut ile ad no, ita ld ad op et Ini ad pq. Cumquo rursus sit ut ab ad ef, ita bc ad fg et cd ad gh, erit ut unum ab ad unum ef, ita omnia ad ad omnia eh ; et similiter concludetur, ut unum ik ad unum no, ita esse omnia ini ad omnia nq : est autem ut unum ab ad unum cf, ita ik ad no : ergo ut totum spacium ad ad totum spacium eh, ita tempus im ad tempus nq : quod erat ostemlendum «io 6. Dapprima aveva scritto sint aequabiìes, poi corresse sint aequabiìes et acque ceìercs, e da ultimo corresse sint aequales et acquattila. — 11-112. toiletti motu et aequabili è stato corretto iu luogo di eadetn celeritalc et motu aequabili, che prima si leggeva. — (l) (!od. A, car. 147r., autografo di Ga- t l’aralogismus ». — Ofr. pag. 107 o seg. muro. Ih calce al frammento si leggo, di 0) Cod. A, car. 138t., autografo di Ga- mano dello stesso Galileo, l’indicazione : ulto,—O fr. pag. 192. INTOlìNO A JDUE NUOVE SCIENZE. 373 Io suppongo (e forse potrò dimostrarlo) che il grave cadente na¬ turalmente vada continuamente accrescendo la sua velocità secondo che accresce la distanza dal termine ondo si partì : come, v. g., par¬ tendosi il gravo dal punto a e cadendo per la linea ab, suppongo che il grado di velocità nel punto il sia tanto maggiore che il grado di velocità in c, quanto la distanza da è maggiore della ca, e così il grado di velocità in e esser al grado di velocità in d come ca a da, e così in ogni punto della linea ab trovarsi con gradi di velocità pro¬ porzionali alle distanze de i medesimi punti dal termine a. Questo io principio mi par molto naturale, e che risponda a tutte le esperienze che veggiamo negli strumenti e machino che operano percotendo, dove il percuziente fa tanto maggiore effetto, quanto da più grande altezza casca : e supposto questo principio, dimostrerò il resto. Faccia la linea ale qualunque angolo con la af, e per li punti c, d, e, f siano tirate lo parallele cg, dh, ci, fk : e perche le linee fk, ai, dh, cg sono tra di loro come le fa, sa, da, ca, adun¬ que le velocità ne i punti f, c, d, c sono come le lineo fk, ci, dh, cg. Vanno dunque continuatamente crescendo i gradi di velocità in tutti i punti della 20 linea af secondo l’incremento delle parallele tirate da tutti i medesimi punti. In oltre, perchè la ve¬ locità con la quale il mobile è venuto da a in d è composta di tutti i gradi di velocità auti in tutti i punti della linea ad, e la velocità con che ha pas¬ sata la linea ac è composta di tutti i gradi di ve¬ locità che ha auti in tutti i punti della linea ac, adunque la velocità con che ha passata la linea ad, alla velocità con che ha passata la linea ac, ha quella proporzione che hanno tutte le linee parallele tirate da tutti i punti della linea ad so sino alla ah, a tutte le parallelo tirate da tutti i punti della linea ac sino alla ag ; e questa proporzione è quella che ha il triangolo adii al triangolo acg, ciò è il Q 0 ad al [_|° ac. Adunque la velocità con che si è passata la linea ad, alla velocità con che si è passata la linea ac, ha doppia proporzione di quella che ha da a ca. E perchè la velocità alla velocità ha contraria proporzione di quella che ha il tempo al 26. auti a corretto in luogo di auto, che prima si leggeva. — 29. tutte linee — a 374 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. tempo (imperò elio il medesimo ò crescerò la velocitò elio sciamare il tempo), adunque il tempo del moto in ad al tempo dol moto in ac ha subduplicata proporzione di quella elio lia la distanza ad alla di¬ stanza ac. Le distanze dunque dal principio dol moto sono conio i qua¬ drati de i tempi, e, dividendo, gli spazii passati in tempi eguali sono conio i numeri impari ab unitale: elio risponde a quello elio ho sempre detto o con esperienze osservato; e così tutti i veri si rispondono. E so queste coso son vero, io dimostro che la velocità nel moto violento va decrescendo con la medesima proporzione con la quale, nella medesima linea retta, cresco nel moto naturalo. Imperò che sia io il principio del moto violento il punto l>, ed il fino il tonnine a. E per¬ chè il proietto non passa il termine a, adunque 1 * impeto elio ha auto in b fu tanto, quanto poteva cacciarlo sino al termino a; o l’impeto elio il medesimo proietto ha in f è tanto, quanto può cacciarlo al medesimo termino a; e scudo il medesimo proietto in e, d, c, si trova congiunto con impeti potenti a spingerlo al medesimo termine a, nè più nò meno: adunque l’impeto va giustamente calando secondo clic seieuia la distanza del mobile dal termine a. Ma secondo la mede¬ sima proporzione dello distanze dal termino a va crescendo la velocità quando il medesimo grave cadorà dal punto a, conio di sopra si è 20 supposto e confrontato con lo altre primo nostro osservazioni e dimo¬ strazioni : adunque è manifesto quello che volevamo provare Ood. A, enr. Tòr., autografo di Gali- Gaulbo. — Gfr. pag. 108 e seg. lko. — Cfr. pag. 214. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 375 Sifc ab tempus por al>, et posita cd aequali eidem ab, quaeratur tempus por al. Sit ac media inter ca, ab, ot af media inter ila, ab: i“ et quia ab est tempus per ab, erit ae tempus per ac; et quia af est media inter da, ab, erit af tempus per totani ad : fuit autem ae tempus por ac : ergo ef est tempus per cd. b sit ab 8 cd 8 c he 10 ac 18 ' io ad 20 « ae 12 af 14 '/a ef 1 7a (l) . Mirandum. Numquid motus per perpendiculum ad velocior sit quam per inclinationem ab? Videtur esse; nani aequalia spa- cia citius conficiuntur per ad quam per ab : attamen videtur etiam non esso; nani, ducta orizontali he, tem¬ pus per ab ad tempus per ac est ut ab ad ac; ergo eadem momenta velocitatis por ab et per ac: est enira 20 una eademque velocitas illa quae, temporibus inaequa- libus, spacia transit inaequalia, eandeni quam tempora rationein habentia (2> . 3. Tra « per ac » ed et quia leggesi, cancellato, et l>o temints per ho. — 0) Cod. A, car. 161r., autografo di Ga- W Cod. A, car. 164$., autografo di Ga¬ lileo. — Cfr. pag. 214. lileo. — Cfr. pag. 215 e sog. Momenta gravitati* eiusdem mobili» super plano inclinato et in per- pondiculo permutatim respondont longitudini et elevationi eiusdem plani. Sit ad orizont.om ab planimi inclinatimi ni, in quo sunmtur quod- cumque punctum c, et d.unissa perpendicu- laris ad orizontem rb sit plani ca altitudo finn olevatio: dico, moniontum gravitata mo¬ bili» d super plano ca ad totale smina mo- mentum in perpendiculo rb case ut altitudo eh ad eiusdem plani longitudine!» ca. Id au-io toni in mecanicis probatum est 10 . Momenta gravitati eiusdem mobilia super divorsas planorum in- clinationes babont inter so permutatim eandem rationem, quam eorum- dem planorum longitudine», duin eidom elevationi respondeant. >Sint diversao planorum inclinationes ab, ac, quao eidem elevationi ad respondeant : dico, momentum gravitatis eius¬ dem mobilia super ab ad momentum gravitatis super ac eandem Indierò rationem, quam lon- gitudo ac liabet ad longitudinem ab. Ex prae- cedenti, eiiiin, momentum gravitatis super ab 20 ad totale momentum in perpendiculo ad est ut ad ad ab ; totale vero momentum per ad ad momentum per ac est ut ca ad ad: ergo, ex 1. super planum inclinatimi, Arni. — 2. lontjiludini ri elemtionis. Anche l’AitnioiiKTTi, co¬ piando, scrisse thvationis, e la « liliale lu poi cancellata. — 4. Tra « inclinatimi ca » o in quo ^*ffR ei *i) cancellato, cuius. — 1C. dico, mevirntnm i/racilalit — * Vedi facsimile nell Appendice in fondo n questo volume. t FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. 377 aequali in analogia perturbata, momentino per ab ad momentino per ac orit ut longitudo ca ad longitudinem db. Quod erat demonstrandum . Sit ad orizontem ab perpendicularis he et io inclinata bd, in qua sumatur he, et ex e ad bd perpendicularis agatur cf, ipsi bc occurrens in f : demonstrandum sit, tempus per he acquari tem¬ pori per bf. Uucatur ex e perpendicularis ad ab, quae sit e fi : et quia impetus per bd ad impetum per bc est ut eg ad he (ut infra demonstratur) ; ut au- tem eg ad bc, ita he ad bf, ob similitudinem trian- gulorum geb, bef ; ergo ut bf spacium ad c spacium bc, ita impetus per bf ad iinpe- 20 tum per he : ergo eodem tempore fiet motus per bf et per be <3> . Advertas cur cadentia ex a sint sem- per una in locis sibi respondentibus, ut o, s, ita ut /_ aos sit aequalis angulo bas <4) . 1G. infra demontratur — W Cod. A, car. 179£., autografo di Ga- seguente avvertenza, scritta pure di mano li Lieo. So ne ha copia, di mano dell* Alt- deH’ÀRniGHBTTi, ma con inchiostro diverso ; righetti, a car. 45r., 46r. Nell’autografo le « linee prima proposi ti o est iam demonstrata, due parti di questo frammento sono scritte et ideo, ut dupla, demictatur »; cfr. pag. 385, su due strisce di carta, elio furono incollate lin. 21 e seg.; e in capo alla copia leggasi, di l’ima sotto l’altra, sul tergo della car. 179, pugno di G.: «Da notarsi». — Cfr. pag. 221. probabilmente da Galileo stesso. < 4) Cod. A. car. 147autografo di Ga- W Cod. A, car. GGr., di mano del GUI- lilko. Se ne ha copia, di mano deH’Aiiui- Dtiooi. — Cfr. pag. 119. ghetti, a car. bit. La copia termina con una (8) Cod. A, car. 147t., autografo di Ga- virgola e contiene anche un’altra figura, il lilko. So ne ha copia, di mano dell’Aula- che può far sospettare che ad «angulo bas» ghetti, a car. 57-r. Tu calce alla copia è la dovesse seguire qualche altra cosa. Vili 48 378 FRAMMENTI ATTENENTI Al DISCORSI ECC. Sit gd erecta ad omontem, df vero inclinata : dico, eodem tem¬ pore fieri motum ex g ili d et ex f in d. Momentum enim super fd est idem ac super contingente in r, quae ipai fd esset parallela; ergo niomentuiu super fd ad to¬ tale ìnonientuin erit ut ra ad ab, idest ac: -U veruni ut ra ad ar, ita iti ad da et dupla fd / ad duplam tifi ; ergo momentum super fd , / ?■' ad totale moment um, scilieot per gd, est ut fd ad gd: ergo eodem tempore fiet motus per fd io et gd l ". Sit planum orizzonti Rocundum lineara abc, ad quam Bint duo plana inclinata secundum lineaa db, da: dico, idem mollile tardius moveri per da quam per db secundum rationem longitudinis ria ad longitudineui db. Erigatur enim ex l> perjiendicularis ad orizonteni, quae sit he, exd vero ipsi Od perpendiculariB de, occurrens he in e, et circa Ode trian- gulum circulus describatur, qui tangot ac in puncto 0 , ex quo ipsi ad parallela du- catnr Of, et connettatur fd. Patet, tardi- tatern per fb esse consimilem tarditati 20 per da; quia vero tempore eodem move- tur mobile per db et fb, patet, velocitates per db ad velocitates per fb esse ut db ad fb, ita ut semper iisdem temporibus duo mobilia, ox punctis d, f venientia, linea rum db, fb partes integris lineis db, fb proportione rispondente* peregerint. Clini vero angulus hfd in portione angulo dia ad taugentem sit aequalis, angulus vero dbf alterno bda, aequiangula erunt triangola hfd, alni, et ut bd ad bf, ita ad ad db: ergo ut ad ad db, ita velocitas per db ad velocitatem por da, et, ex oppo- so sito, tarditas per da ad tarditàtem per db. 2i. Ira proportione e respondente.r, corretto in luogo di re.tpondrnt che prima era stalo scritto, leggesi, cancellato, conficiantur .— 1" Cod. A, car. 161r., autografo di Galileo. — Ulr. pag. 221. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 37Q Si hoc sumatur, reliqua demonstrari possent. Ponatur igitur, aligeri vel iniminui motus velocitatem secundum proportionem qua augentur voi minuuntur gravitatis momenta ; et cum constet, eiusdein mobilia momenta gravitatis super plano db ad momenta super plano da esse ut longitudo da ad longitudine!» db, idcirco velocitatem per db ad velocitatem per da esse ut ad ad db (1) . Infra orizontem ab ex eodem puncto c duae rectae aequales ut- cumque inclinentur cd, ce, et ex terminis d, e ad orizontem perpen- diculares agantur da, eb, et lineae cd in puncto d constituatur /_ cdf io bce aequalis : dico, ut da ad he ita esse de ad cf. Ducatur perpendicularis cg: et quia cdf aequatur angolo bce, et rectus g recto b, erit ut de ad cg, ita ce ad cb : est autem cd ipsi ce aequalis : orgo cg aequatur he. Et cum angulus cdf angulo bce sit ~ aequalis, et Z. fed communis, reli- quus ad duos rectos dfc reliquo dea aequabitur, et anguli ad a et g sunt recti ; ergo adc f\° cgf est si¬ mile : quare ut ad ad de, ita cg ad cf, et, permutando, ut ad ad cg, 20 hoc est ad he, ita de ad cf: quod erat probandum. Cum autem impetus per cd ad impetum per cf sit ut perpendi- culus ad ad perpendiculum he, constat, motus per cd et cf eodem tempore absolvi. Itaque distantiae quae in diversis inclinationibus eodem tempore conficiuntur, determinantur por lineam quae (ut facit df) lineis inclinatis occurrit secundum angulos aequales illis quos inclinatae ad orizontem constituunt, permutati»! sumptos <2) . 9. lineae cd constituatur, Arr. —11 . et quia angulus cdf aequatur, Ali».— 20. quod est probandum, Ark.— W Cod. A, car. 172t. t «autografo di Ga- lilbo. Se ne ha copia, di mano dell’Aic- lilbo. Se ne ha copia, di mano del Gui- righetti, a car. 57r. ; in capo alla copia nuoci, a car. 34r. — Cfr. pag. 226. leggesi, scritto di mano di Galileo: « Da (,) Cod. A, car. 1471., autografo di Ga- notarsi ». — Cfr. pag. 227. 380 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. Posten quam ostensum fuerit, tempora per ab, ac esse aequalia demonstrabitur, tempus per ad ad tempus per rie osso ut da ad me¬ diani intor da, ue. Nani tempus por da ad tem¬ pus per ac est ut da ad ac liueam ; tempus au¬ tom per ac, idest per ab, ad tempus ae est ut linea ha ad ac, hoc est ut sa ad ad : ergo, ex acquali in analogia perturbata, tempus per ad ad tempus per ae est ut linea sa ad lineam ac. Cumque ac, ex demonstratis, sit media inter sa, ab, et ut sa ad ab, ita da ad ae, ergo tempus io per ad ad tempus per ae est ut da ad mediani intor da, ae: quod erat probandum m . Momonta voloeitatum cadentis ex subbiimi sunt intor se ut radices distantiarum peractarum, nempe in subduplieata ratione illarum (i) . a Si in linea naturalis doscensus a principio lationis sumantur duae distantiae inaequales, momenta veloci¬ tati cum quilms mollilo permeat illas distantias sunt inter so in duplicata proportione ipsarum distantiarum. Sit linea naturali doscensus ab, in qua ex prin¬ cipio lationis a sumantur duae distantiae oc, ad: dico, 20 momonta velocitati cum quibus mobile permeat ad, ad momonta velocitati cum quibus permeat ac, esso in duplicata proportione distantiarum ad, ac. Ponatur linea ae ad ab quemlibot angulum continone... 131 Sint ad orizontom db quotcumque linone ox eadem altitudine a demissao ab, ac, ad, et sumpto quolibet puucto g, per ipsum orionti parallela sit gfe, siique media inter ba, ag ipsa ar, et per r altera pa- 19-20. Tra ex o icipio lcggesi, cancellato, termino. — 22 23. Tra esse ed in Jeggesi, cancellato, ut .— 25. linea* ab eadem, Arni. — (1) God. A, car. 147r., autografo di Ga¬ lileo. (,ì God. A, car. 104*., autografo di Ga¬ lileo. God. A, car. 179*., autografo di Gamlico. Questo frammento mutilo è coporto da due strisce ili carta, su cui ò scritto ciò che abbia¬ mo pubblictttoapag. 376, liu.l — pag.377,lin,2. INTORNO A DUK NUOVE SCIENZE. 381 rallela rtv : constat, lineas at, av esse medias inter ca, af et da, ae. Dico, quod si assumatur ab esse tempus (pio mobile cadit ex a in b, tempus rb esse illuci quo confìcitur gb, tc vero esse tempus ipsius cf ', et vd ipsius ed. Id autein constat: nam, cum ar sit media inter ba, ag, sitquo ha tempus casus to- tius ab, tempus ar erit tempus casus per ag; ergo reliquum temporis rb erit tempus ca¬ sus per gb post ag ; et idem diceturde aliis io temporibus tc, vd et lineis fc, ed. Patet in¬ super, tempora casuum per gb, fc, ed esse ut lineas gb, fc, ed; non tamen a magnitudinibus ipsarum linearum gb, fc, ed esse determi- nandas eorumdem temporum quantitates, si temporis mensura po- natur ab, in quo tempore conficiatur linea ab, sed desumendas esse a lineis rb, tc, vd Ood. A, car. 174r., autografo di Ga¬ mi, ho. So ne ha copia, di mano dell’ Abbi- lileo. E qui ripetuta la figura relativa al GHETTI a car. 178r. frammento precedente. < 3> Cfr. pag. 395. 382 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORRI ECO. cimi tempore por bd post al), cum af ori/,oliti aoquiilistans sit : ergo patet propoRitum. Colligitur miteni ex hoc, quod tempora casuum per bc et bd, sive Hat principium motus ox termino b, sive praecedat motus, ex eadem tamen altitudine, oandem inter se servant rationem, nempe eam quae est linoae he ad bd m . Tempora easumn in planin quorum eadem sit. altitiulo, eamdem inter so servant rationem, «ivo illis idem impetus praecedat, sive ex quieto incipiant. Sint plana ab, ac, quorum eadem altitiulo ; ex- io tenso autem ha uteumquo in d, fiat casus ex d per ambo ac, ab: dico, tenipus per ac ad tempus per ab esso in eadem rationo ac si pnneipium casus foret in a. Sit enitn ipsarurn bd, da media df, ot ducta parallela ex f ipsi bc, quae sit fg, erit ge media inter ce, va. Kacto igitur principio lationis ex d, tempora casimm per or, ab erunt inter so ut ag, af: quod si casus incipiat ox a, erunt tempora per ac, ab intor se ut ac, ab lineao : ergo patet propositum (,) Cod. A, car. Ili Ir., autografo di Ga- <*> Cod. A. lar. 38r., di mano del Gm- Mbio. — Cfr. pag. 228. micci. — Cfi*. pag. 228-220. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 383 Assumo, eam esse cadenfcis mobilie per lineam al accelerationem, ut prò ratione spacii peraeti cresoat velocitas ita, ut velocitas in c ad velocitatem in b sit ut spacium ca ad spacium ha, etc. Cum autem liaec ita se babeant, ponatur ax cum al angulum continens, sumptisque partibus ab, he, cd, de etc. aequalibus, protrahan- tur bm, cn, do, ep etc. Si itaquo cadentis per al velocitates in b, c, d, e locis se habent ut distan- tiae ab, ac, ad, ae etc., ergo se quoque habebunt ut lineae bm, cn, do, ep. io Quia vero velocitas augetur consequenter in omnibus punctis lineae ae, et non tantum in adno- tatis b, c, d, ergo velocitates illae omnes sese re- spicient ut lineae quae ab omnibus dictis punctis lineae ae ipsis bm, cn, do aequidistanter produ- cuntur. Istae autem infìnitae sunt, et constituunt triangulum aep: ergo velocitates in omnibus pun¬ ctis lineae ab ad velocitates in omnibus punctis lineae ac ita se habent ut triangulus abiti ad triangulum acn, et sic de reliquis, lioc est in duplicata proportione linearum ab, ac. 20 Quia vero prò ratione incrementi accelerationis tempora quibus motus ipsi fiunt debent imminui, ergo tempus quo mobile permeat ab ad tempus quo permeat ac erit ut ab linea ad eam quae inter ab, ac media proportionalis existit (1 \ a Factus sit motus ex a in b naturaliter acceleratus : dico, quod si velocitas in omnibus punctis ab fuisset eadem ac reperitur in puncto b, 7-8. distantia — Cod. A, car. 85f., di mano del Gui- celiato mediante due linee in croce. — Ofr. nuoci. Tutto questo frammento è stato can- pag. 203. 334 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORRI KCC. duplo citiufl fuisset peractum spacium ah; quia voloci- tatos onme8 in «iuguliti punctis ab lineao, ad totidem velocitates quarum unaquaeque esset aequalis veloci¬ tati bc, cani habent rationem quam triangulus ale ad roctangulum abed. Sequitur ex hoc, quod si ad orizon- tom cd fuerit planum ha elevatimi, sitquo bc dupla ad ha, mobile ex a in h, et successivo ex h in c, tempo¬ ribus aequalibus caso pervoncturum : nani postquam est in h, per roliquam he uniformi velo¬ citato et emioni movetur, qua in io ipsomet termino h post casum ab. l'ntot rursus, totum tenipus per ale ad toni pus per ah esse sesquialterum. Si post casum per aliquod planum inclinatimi sequatur motus per planum orizontis, erit tempus casus per planimi inclinatum ad tempus motus per quamlibet lineam orizontis ut dupla longitudo plani incli¬ nati ad lineam acccptam orizontis. Sii. linea orizontis eh, planum in¬ clinatum ah, et post casum per ah sequatur motus per orizontem, in ([uo sumatur quaelibet linea hd: dico, tempus casus por ah ad tempus motus per hd esso ut dupla ah ad hd. Sumpta eniin he ipsius ah dupla, 20 constat ex praedemonstratis, tempus casus por ah acquari tempori motus per he: sed tempus motus per he ad tempus motus per hd est ut linea eh ad lineam hd: ergo tempus motus per ufi ad tempus motus por hd est ut dupla ah linea ad lineam hd IU . 1 onipus casus per planum inclinatimi ad tempus casus per lineam suae altitudinis est ut eiusdeni plani longitudo ad longitudinein suae altitudinis. Sit planum inclinatimi ha ad lineam orizontis ac, sitque linea alti¬ tudinis perpendiculuris he: dico, tempus casus quo mobile movetur 22. Prima aveva scritto « seti motus per ìic ad molum per luì », o poi corresse « sed tempii motus per bc mi tempus motus iter lai ». — {i} Coti. A, car. autografo di Ga¬ lileo. Dolio lin. 24-25 della pug. 383 e dello lin. 1-ld della presente pagina si lia, a car. 181r., una copia di pugno dell'Anni- giìktti, in calce alla quale si leggo, di mano dello stesso Aiutimi etti, la seguente osservazione: « buie demoust rat ioni necessa¬ ri um inihi videtur ostendisse antoa, motum orizontaleoi imi forni iter progredì in infini- tum ». < Tr, pag. 208. Vedi (ig. a pag. 385. INTOBNO A DUE NUOVE SCIENZE. 385 per ba ad tempus in quo cadit per bc esse ut ha ad he. Erigatur perpendieularis ad orizontem ex a, quae sit ad, cui occurrat in d perpendieularis ad ab ducta ex b, quae sit bd, et circa triangulum abd circulus describatur : et quia da, bc ambae sunt ad orizontem perpendiculares, constat, tempus casus per da ad tempus casus per bc esse ut media inter da et bc ad ipsam bc. Tempus autem casus per da aequatur tem- 10 pori casus per ba: media vero inter da et bc est ipsa ha: ergo patet propositum. Corollarium. Ex boc sequitur, casuum tempora per plana inclinata quorum eadern sit altitudo, esse inter se ut eo- rumdeni planorum longitudinea. Si enim fuerit aliud planum inclinatum bc, tem¬ pus casus per ha ad tempus casus per bc est ut ba linea ad bc : tempus vero per bc ad tempus casus per he ut bc ad he : ergo, ex aequali, patet pro- 20 positura (l> . c d b Si ex eodem puncto orizontis ducantur perpendiculus et planum inclinatum, et in plano inclinato sumatur quodlibet punctum, a quo ipsi plano perpendieularis linea usque ad perpendiculum protrahàtur, lationes in parte perpendicoli inter orizontem et occursum perpen- dicularis intercepta, et in parte plani inclinati inter eandem perpen- dicularem et orizontem intercepta, eodem tempore absolventur. Siut ex eodem puncto c orizontis ab perpendiculus cd et planum inclinatum ce, et in ce suinpto quolibet puncto f, ex eo ad ec perpen- dicularis agatur fg, occurrens perpendiculo in puncto g : dico, lationes :io per cg et per cf eodem tempore confici. Cod. A, car. 163/.. autografo di Galileo. Se ne ha copia, di mano deirAiuuoHRTTi, a car. GOr. Questa ligula si riferisce al frammento precedente. Gir. png. 881, nota 1. Vili. 49 88G FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. Deniittatur ex eodem puncto f perpemlicularis ad orizontem fh quao erit perpendiculo cd parallela, et angulus hfc coalterno fcq aequa- b lis, et rectus chf recto cfg : quare aequiangula erunt triangula chf, cfg, et ut lif ad fc, ita fc ad cg. Ut auto in ìtf, fc, ita momentum gravi* tatis mobilia in plano ce ad totale suum mo¬ mentum in perpendiculo cd. Habet igitur dix- tantia cf ad distnntiam cg eandem rationem quam gravitati» momentum super plano ce ad totale momentum por perpendieulum cg; quare io eodem tempore conficientur lationes per cf et cg Yelocitates mobilium quao inacquali momento incipiunt motum, a sunt spinper intor se in eadem proportioue ac si aequabili motu progrederentur : ut, verbi gratin, mobile per ac incipit motum cum mo¬ mento ad momentum por ad ut da ad ac; si aequabili motu progroderetur, tempus per oc ad tempus por ad esset ut ac ad ad, quod in accelerato dubito quidem ; et ideo demonstra.... Alitar sic : 20 Tempus per ac ad tempus per ab, ex prae- cedentibus, est ut linea ac ad linearn ab; sed etiam ad tempus ad habet eaindem rationem, cum ab sit media inter ac, ad; ergo tempora ad, ab erunt aequalia (») e> Cod. A, oar. ISOr., autografo di Ga- cedentem existinio», e poi cancellò la prima LiLto; a car. ì 77r., di mano dell ARRionETTi. parola « adderò », sostituendovi « necessa- Ood. À,oar. 177r., di nmuo dell’ÀRRi- riara ». Le lin. 12-19, die contengono lo quitti, il quale in testa al frammento serie- squarcio mutilo, sono state cancellate con se: «adderò liane propositionein ad prae- linee trasversali. JN TORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 387 Spatia motus accelerati ex quiete et spati a motuum aequabilium ad motus acceleratos consequentia, et temporibus iisdem confecta, eaiidem inter se retinent rationem : sunt enim haec spatia dupla illorum. Tempora vero et gradus ve- locitatum acquisitarum eandem inter se habent ra¬ tionem : baec tamen ratio subdupla est rationis spatiorum dictorum. Spatia motus accelerati db, ac et motuum aequa¬ bilium consequentium he, cd eandem cum illis ha- 10 bent rationem: sunt enim dupla illorum. Tempora per ab, ac sunt inter se ut gradus velocitatis in b et in c : ratio vero haec subdupla est rationis ba ad ac vel be ad cd <1> . si tempus per ab est ab, posita cd acquali db, tempus per cd erit cd, et per totani cb erit ce ta> . b Si in perpendiculo et in plano inclinato, quorum eadetn sit alti- tudo, i'eratur idem mobile, tempora lationum erunt inter se ut plani inclinati et perpendiculi longitudines. Sint ad pianura orizontis cb perpendiculus ab et planum inclina- 20 tum ac, quorum eadem sit altitudo, nempe ipsa perpendicularis ab, et 2. Le parole et temporibus iisdem confecta sono aggiunte in margine. — 8. accelerati ab, ac motuum — 16. Tra inclinato o quortm leggeBi, cancellato, feratur. — {l) Coti. A, car. 79 1 ., autografo di Gali- * W Cod. A, car. 73£., autografo di Gali¬ leo. — Cfr. pag. 209. leo. — Cfr. pag. 214. 388 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI EOO. per ipsa descendat idem mobile: dico, tempra lationis per ab ad tempus lationis por oc osso ut longitudo ah ad longitudinem ac. Cum eniin aesumptum sit., in naturali descensu velocitatiti niomentu eadom seinper reperiri in punctis aequaliter ali orizonte di¬ stali ti bus iuxtiv perpendiculares diatantias, constai, quod, producta linea orizontali am, quao ipsi hr orit parallela, sumptisque in per- pendiculo ah quoteumque punctis c, rj, i, l, e t por ipsa ductia paralleli» ori/.onti ni, se^ue: Et quia velocitai semper intenditur prò ratione elongalionis a ter¬ mino a, constat, in lattone ab tot esse relocitntis gradite seu momento diversa, quot sunt in eadem linea ab putida magie ac a termino a tlistantia; quibus tot idem in lineo ac respendent [sic], et per parallelas lincas determmantur, in quibus iidem sunt gradus velocitai is. Questo tratto non e cancellato, ma solamente sottolineato. — 18. bina sumpta ò appunto in margine. —20. ad ìinam ac 20-22. 11 contenuto nella parentesi è scritto in margine. — 27. omnia linac ac — (1 Cod. A, car. 17Ur., autografo di Ga- inano deU’ARHtanKTTi, il quale di fronte allo lilko. A car. 88t. e r. se ne ha copia di lin. 7-16 postillò, in margino: INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 389 Tempora lationuin per diversas lineas inclinatas, quarum eadem sit altitudo perpeudieularis, sunt inter se ut earumdem linearum longitudines. Sint ad orizontem bd diversa plana inclinata ab, ac, quorum eadem sit altitudo ad perpeudieularis : dico, tempus casus per ab ad tempus casus per ac esse ut ab longitudo ad longitudinem ac. Ex antecedenti enim, tempus casus per ab ad tempus casus per perpendiculum ad io est ut ab linea ad lineam ad, et, per eandem, ut ad linea ad ipsam ac, ita tempus casus b per ad ad tempus casus per ac: ergo, ex acquali, ut longitudo ab ad longitudinem ac, ita tempus casus per ab ad tempus casus ac : quod erat probandum (1) . a d B C D Lemma. Sint tres lineae uteumque a, d, e, et inter a, d media pro- portionalis sit b; inter a, e media proportio- nalis sit c; inter c, d tandem media sit g : dico, ut c ad b, ita esse g ad d. Quia enim b est media inter a, d, erit qua- 20 dratum b aequale rettangulo ad ; similiter & quadratimi c aequale rettangulo ae ; igitur, j j G ut rectangulum ac ad rectangulum ad, ita ! E quadratino c ad quadratimi b. Ut autem rec¬ tangulum ac ad rectangulum ad, ita linea e ad d; ut vero linea e ad lineam d, ita qua¬ dratimi g ad quadratura d ; ergo, ut quadratum c ad quadratura b, ita quadratum g ad quadratum d, et ut c ad b, ita g ad d <4) . « credo esse utile, si non necessarium, de- monstrasse, mobile in d esse eiusdera momenti quam in c [sic] » ; ed in fine della copia an¬ notò : « baile propositionem non arbitror verain, et erodo ita debere proponi et demon- Btrari. Si in perpcndiculo et in plano incli¬ nato, quorum eadem sit longitudo, l’oratur idem mobile, tempora lationuin erunb inter se ut planum inclinatum et pars perpendiculi, altitudinis ipsius plani ». Tanto quella po¬ stilla quanto questa annotazione sono stato cassate. — Cfr. pag. 215. W Cod. A, car.l79fc., autografo di Galileo. W God. A, car.37r., di inano del (ìuiduooi. 300 FRAMMENTI ATTENENTI AI DI8COR8I ECC. SA / a / Sint plana aequalia ab, cb inaequaliter inclinata, et altitudo indi- nationia plani at> sit he, ipsius vero 1x Hit bd : dico, tempus casus superba ad tompus casus per bc esso ut media proportionalis intcr db, bc ad ipsam he. Àccipiatur fb ipsis eh, ah aequalia, et ipsarum hf, bd media sit bs- ipaarurn vero fb, bc inedia sit br: et quia tompus casus bf ad tempus b casus hi est ut sb ad bd, tempus vero casus bd ad tempus casus bc ut hi ad bc, ergo, ex ae- / | quali, tempus casus hf ad tempus casus bc ut sb ad bc, et, convertendo, tompus casus io ~y e bc ad tempus casus bf ut he ad bs. Similiter / r autem demonstrabitur, ut tompus casus bf ad c _|j tempus casus Ini, ita liiioa rb ad ha vel bc; s orgo, ex acquali in analogia perturbata, ut ^ tempus casus bc ad tempus casus ba, ita rb ad sb, et, conversilo, ut tempus casus ba ad tempus casus he, ita sb ad br. Ex lemmate vero antecedenti, ut sb ad br, ita media intcr db, he ad ipsam bc : quare patet propositum. Aliter, absque lemmate : Sit hi media inter bd, he, ot is parallela» ad de: et quia ut tempus por ba ad tempus por bc, ita linea ba ad li imam bc; ut autem tempus he ad tompus hi, ita linea bc ad hi; ut o autem tempus bd ad tempus bc, ita linea bd i ad bc, hoc est hi ad bs ; orgo, ex aequali, ut tompus por ira ad tompus por he, ita linea ab, seu cb, ad bs, hoc est db ad hi, seu ib ad bc: quod erat probandum m Tempora lationum in planis aequalibus, sod inaequaliter inclinatis, sunt intcr se in subdupla ratione olevationum ipsorum planorumso permutatim assumpta (,) Cod. A, cor. 37r. e di mano del Gei- <*> Cod. A, car. 37<., autografo di Gà- DU0CI * Lino. - Cfr. pag. 219. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 391 Sint plana quaecumque inclinata ab, ac, et perpendiculus ac, cui ad rectos angulos bg, et sit inter ca, ad inedia af : dico, tempus per ab ad tcmpus per ac esse ut ha ad af. Nam tempus per ab ad tempus per ad est ut ab ad ad: tempus vero per ad ad tempus por ac est ut ad ad af : ergo, ex aequali, tempus per ab ad tempus per ac. est ut ab ad af: quod erat ostendendnm (1) . Tempo per ac al tempo per ab è come 10 a 8. □ ac — 400 — 4 eg- 3 □ ab — 64— 16 ga- 4 64 ae - 5 64 af - 10 96 ac - 20 1600 1024 cd- 12 10 8 ad - 16 12800 10240 20- 2 ha- 8 8- 4 40-10 32- 8 so Ratio temporum lationum super planis, quorum diversae sint in- clinationes et longitudines, nec non elevationes inaequales, componitur ex ratione longitudinuin ipsorum et ex subdupla ratione elevationum eorumdem permutatim accepta (2> . In duobus planis quomodocumque inclinatis tempora casuum babent ipsorum planorum proportionem subduplicatam. tempora ae - 9 — 9 ad - 4 — 6 ab - 10 — 15 30 oc - 18 — 18 9-16. Ai dati registrati nella colonna a destra precedono i seguenti, che leggonsi cancellati : « ab - 6, ae - 4, af - 8, ac -16 ». — 20. lationum è aggiunta interlineare. — Tra planis e quorum leggesi, cancellato, inciequalibus. — (D (Jod. A, car. 58r., di mano del Gui- <*> Cod. A, car. 35 1., autografo di G ai.i- docoi. — Ofr. pag. 220. leo. — Ofr. pag. 220. 392 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. tempu8 per ac ad tempus por ab liabet rationem composituin ex ca ab et da ad as. longitudinos tempora ac - 20 — 20 ab - 12 -— 18 ae -* 9— 9 ad- 4 — G ,n ratio tempori» ac ad tempus al componitur ex ratinile ac ad uh et altitudini» ad ad mediani inter altitudine» cui, ac, quae ratio est eadem io cum ratinilo ba ad ac. (juadratum enim ab ad ac est ut ad ad ae, riempe ut □ futi ad [ ] far : ned rat io composita ex ca ad ab et ex ah ad ca est ratio urquulitatis : ergo patet propositum Si in cimilo ad orizontem erecto a puncto sublimi quoteumque ducantur lineae rectae uaque ad cimnnferentiani, per quas cadant gravia quoteumque, omnia temporibus aequalibus ad terminos suos pervenient. Sit enim circumferentia ad orizontem ereota ahc, punctum sublime a, so a quo lineae quoteumque ad cireumferentiam usque protrahantur ac, uh, et ]ier ipsas cadant mobilia: dico, temporibus aequalibus ea per- ventura esse ad terminos c, b. 9. I ra e.r ratione od « ae » si legge, cancellato, quadrati; o tra « nc ad » ed « ab » si legge, cancellato, quadrai uni. -9-1:». l>n ad mediani a è scritto di mano ili Itami,ko e sostituito a quanto appresso, elio prima cr» stati» scritto dall'ARRioiiETTi e poi fu can¬ cellato da Galileo : ad all il udinem ae, quae est rati» sui idi rj- ad in quadratimi ac ad solidum ex tw in i/uadratum ab : haec miteni solida smit neqiuilia. quia quadratimi ca ad quadratimi ab est ut linea ea ad ad, nempe ut rettangulum lue ad rettangulum fad. _ Ili. Le paiolo ad orimntem erecto sono aggiunte sopra la riga. — Il 12. Tra mobilia e dico lcggesi, cancellato, aequalium mommtmrum. - 22-23. aequalibus Uhi perrentura, Guid. Si av¬ verta che illa è scritto sopra ea, cancellato. — <■’ Cod. A, car. 189f., autografo di Ga¬ lileo. Lo lin. 26-‘2ti della pag. 391 sono stato cancellate, probabilmente dallo stesso Gali¬ leo, con strisce trasversali. — Ufr. pag. 220. *” Cod. A, car. 3ór., di mano dell’AK- RIOhktti (ino alle parole « altitudinis ad » (Un. •.•), e poi autografo di Galileo.—C fr. pag. 220. 393 INTORNO A BUE NUOVE SCIENZE. Sit emm ac per centrara ducta, cui ex b perpendicularis sifc bd : patet, ab mediata esse proportionalem inter ca, ad; quare, ex demon- stratis, tempus quo mobile ex a cadit in c ad t,empus a casus ex a in d est ut linea ha ad ad. Veruni, similiter, ex demonstratis, tempus casus ex a in b ad tempus ca- ^ sus ex a in d est ut la ad ad : ergo tempora casuum ab, ac erunt aequalia, cura eandera ad idem tempus ca¬ sus ad liabeant rationem. Et similiter de reliquie omni¬ bus motibus demonstrabitur : ergo patet propositum. f io Ex bis colligitur, gravia eodem tempore pertransire plana inaequalia et inaequaliter inclinata, dura, quam c proportionem liabet longitudo maioris plani ad longitudinem alterius eandem duplicatam liabeat perpendicularis maioris plani ad perpen- dicularem minori». Cum enim □ ac sit acquale □ caf , □ vero ha □ cad; □ vero caf ad □ cad est ut fa ad ad; ergo fa ad ad est ut □ ea ad □ ha : ratio igitur perpendicularis fa ad perpendicula- rem da dupla est rationis ea ad ab (, \ postea quam ostensum fuerit, tempora per ah, ac esse aequalia, de- raonstrabitur, tempus per ad ad tempus 20 per ac esse ut da ad mediani inter da, ae. Nani tempus per da ad tempus per ac est ut da ad ac lineain : tempus autera per ac, id est por ab, ad tempus ac est ut linea ha ad ac, hoc est ut sa ad ad : ergo, ex acquali in analogia perturbata, tempus per ad ad tempus per ac est ut linea sa ad lineam ac. Cumque ac, ex demonstratis, sit media inter sa, ab, et ut sa ad ab ita da ad ac, ergo tempus per ad ad tempus per ae ost ut da ad mediani inter da, ae : quod erat probandum !2> . 4. Tra « d » ed est nella copia del Gmnucci si logge, cancellato, esse. — ad lineam ad, Gino. — 7-8. casus habeant , Guid. — lo. duplicatam è aggiunto tra le righe. — 13-14. La pa¬ rola perpendicularem è scritta Ira le righe in sostituzione di cam qxiac inter hanc et perpen- diciiUirem , che leggesi cancellato. — 14. Dopo minoris segue, cancellato, plani sit inedia prò - portionalis. —17. ad al) etc. y Guid.— W Cocì. A, car. 172r., autografo di Ga- W God. A, car. 50., di mano dell’AR- lileo. A car. 48r. se ne ha una copia di mano righetti. — Gir. pag. 222. del Guinuooi. — Cfr. pag. 221. vai co 304 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. Si in semicirculo. (n quno cura perpmidieulo non liaheat ter- mimun communem, motus por illuni cilius nbsolvitur quam por dia- metrum perpendieularem. Si onim bb liiorit perpendicultiB, duota quaelibet linea co in aomi- circulo non terminotur ad b : patet quod, si connectatur linea eh, erit ra ipsa eh brovior et minila inclinata; ex (pio patet propositura. Si in cimilo, cuiua diameter sit ad perpen- diculum, ducatur linea quao a diametro sece- tur, motus per ipsam tardius absolvetur quam io per diametrum perpondioularem. In pniecodenti enim figura Hit linea quae- libet ; et quia ipsa orit longior quam cb et magia inclinata, propuaitnin fit manifeatum l1 '. h Kx puncto c horizontalis linone lex duo plana uteumque infle- ctantur al, ce, (pino secentur rocta quadrati df, ita ut anguli cdf, dfc angulis xce, led permutatim aumptia aint aequales : dico, tempora de- scensuum per cd, ef esso acqualia (fient autern angoli permutatim aequales, si urius angulorura, ver- bigratia cdf, aequnlis fiat angulo 20 xce ad. aliam partem posito, reliquus cfd reli quo del aequalis orit; nam, cum tres anguli trianguli def ae- quales sint tribù» led, def, fcx, ut potè duobus rectia aeipmles, si de- matur comunis def, erunt duo rdf. dfc. duolma xce, led aequales, ac propteroa, cum fecerimus anguluni cdf angulo xce aequalem, liabebi- mu 8 quoque anguluni cfd aequalem angulo led), Pouatur... I3) spazio bianco di più ri^bo. — 2. per ittam dei un — 9. linea qur a — 21-22. Tra ad e aliam è stato lasciato uno (n Per un taglio della carta su cui è scritto questo frammento, sono amiate per¬ dute alcune parole dopo semicirculo e la parto superiore della figura. w (od. A, car. 16 M,, autografo di Ga¬ lileo. — C*fr. pag. 226. 1,1 ('od. A, car. 194r., autografo di Ga¬ lileo. Cfr. pag. 227. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 395 Sit ac perpendicularis ad horizontem cdc, ponatnrque inclinata bd, fiatque inotus ex a por ale et per abd : dico, tompus per bc, post ca¬ sual ab, ad tempus per bd, post eumdem casum ab, esse ut linea bc ad bd. Ducatur af parallela de, et protrahatur db ad f; erit iam tempus casus per fbd ad tempus casus per abe ut fd linea ad lineam ac : est autem tem¬ pus casus per fb ad tompus casus per ab ut linea fb ad lineam ab : ergo tempus casus reliquae bc post ab ad tempus ca¬ lo sus reliquae bd post fb erit ut reliqua bc ad reliquam bd. Sed tempus casus per bd post fb est idem cum tempore per bd post ab, cum af sit liorizonti aequidi- stans : ergo patct propositum. Colligitur autem ex hoc, quod tempora casuum per bc et bd, sive fiat principiala motus ex termino b, sive praecedat motus, ex eadem tamen altitudine, eamdent inter se servant rationem, neinpe eam quae est lineae bc ad bd (,) . Fiat motus per abe et per duas abd, sitque ra media inter ca, ab, 20 et ipsi de parallela ducatur rs : dico iam, tem¬ pus per abe ad tempus per abd esse ut linea ac ad ar cum sd. Si eniin protrahatur db usque ad occursum cum af, orizonti de parallela, erit fs media inter df, fb; et ut ca ad ar, ita tempus per ca ad tempus per ab ; ita ut, si ponatur ac tempus per ac, erit ar tempus per ab, et re tempus per bc; et similiter sd de- monstrabitur esse tempus per bd post casum ex f, voi ex a : ex quo patet, tempus per to¬ so tam ac ad tempus per duas abd esse ut ar cum re ad ar cum sd <2) . 19. duas db, bil, sitque, Guid. — 21-22. linea ac ad lineam ar, Gpid. — 30. Dopo « cum sd t> segue, cancellato, « Demonstràbitur autem, eandem esse rationem abr ad abs ». — f (») Cod. A, car. G8r., di nmno del Gin- <*> Cod. A, car. 169f., autografo di Gali- duooi, — Gfr. pag. 228. — Questo frammento t.ko. Se ne ha copia, di mano del Guiduooi, è un duplicato di quello a pag. 381. a car. 56r. — Gfr. pag. 228. 390 FRAMMKN1I ATTENENTI AI DISCORSI F.CC. l);itn perpendicolo (t6 ot infloxa cbg, cui perpendicularis Kit bc, oportet se- mioirculum por e describoro, ita ut oxcortKUs meiliae intor cg, gli, quao est gr bou gd, aupor gl una cum perpen- iliculo l'f, sorto a perpendiculari gf, sint aequales modiae inter eb, bg, uempe bc. Sit factum. Si cb aoquatur dbf. posita communi bg, 2 eh, bg orunt aequales duabus dg, io bf, idoat cg, bf {V , Si 0XC0HSU8 od aoquatur di, d pelo, idest □ da, ad □ tuli, idest ad □ de, erit ut li¬ nea pd ad dn ; □ autom da ad Q de est ut □ ab ad □ bc ; ergo faciendum est ut pd ad tul sit ut □ ab ad ( J bc : pd autom com- ponitur ox duabus mediis df \ fa, et wdconstat ex duabus rad, ut 2 dfa ad duas dae sint ut □ ab ad □ bc. Si co cum ag aequantur af, oxcessus da 20 super ae est acqu&lis oxcessui df super fa, et fa, ad aequantur fd, ca. ut tempuH per cab sit aequale tempori per ab, faciendum est ut co cum ag sint aequales af (i) . Sint plana ab, ac, quorum oadem sit elevatili ad, longius tamen sit ac: dico, motum versus inforioros partes plani ac vclociorom osso quam jior ab. Àccipia- tur cc aequale ab, et ut co ad ae, ita sit ca ad af; intelligatur ab esse tempus so T>. Lo parole « sii/irr ub * sono aggiunte in margine; e noi contosto tra « seu gd» e una cum leggesi, cancellalo, « excessut attieni bd *. — 01 Cod. A, car. H7t., autografo di Gali¬ leo. — Cfr. pag. U28. p Cod. A, car. 99r., autografo di Gali¬ leo.—C fr. pag. 228. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 397 per db: erit ac tempus per ac, et ac erit tempus per af, cc vero tempus per reliquum fc: est antera fc maius quam ab, et eonficitur tempore aequali'”. Fiat Litio per plana inflcxa ab, he, et invenienda sit ratio temporis casus per ab ad tempus casus per he post casum db. Ducatur horizon ac, cui eh producta occurrat in e, et ipsaruin ce, cb media sit ed : dico, tempus per ab ad tempus per bc esse ut ab ad bd. Tempus enim per db ad tempus per cb est ut db ad eh : tempus vero per eb ad tempus per bc ost ut eb ad bd : ergo tempus per ab ad tempus per bc est ut ab ad bd : quod etc. <2> Sit fg orizon, et ex sublimi a fiat motus per dbf, et protracta ab usque ad d, sit me¬ dia inter da, ab ipsa ac, et orizonti aequi- distans sit ce : dico, tempus per db ad tem¬ pus per bf esse ut db ad be. Nain tempus per ab ad tempus per bd est ut ab ad bc : tempus vero per bd post ab ad tempus per bf post ab est ut bd ad bf, idest bc ad be : ergo, ex acquali, tempus per ab ad tempus per bf est ut ab ad be (3> . f dg 3. Dopo aeqìwli, sogno, cancellalo: Constai aulem, spatium quod eonficitur in ac, tem¬ pore descensus per ab, esse medium in ter ca, ab. — <■> Oorì. A, car. 87r., autografo di Gali¬ leo. — Cfr. pag. 228-229. W Cod. A, car, 49r., di mano del Gui- DUOOI. Nella stessa carta seguono, auto¬ grafi di Galileo, 1* enunciato o la prima parte della Proposizione XI della Giornata terza (cfr. pag. 229, lin. 18-30), proceduti da questa annotazione di Galileo : « Uic pro¬ ni ittenda videtur sequons propositio s>. — Cfr. pag. 229. {3) Cod. A, car. 126r., autografo di Ga¬ lileo. — Cfr. pag. 229. FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. 3!)S .ut tompuB por eag sit idem cum tem¬ pero per ag, posito quod tempus per ag sit ng, tempus por ni erit ni, ot fg crit tem- pus por (lg, et exoossus gf super fa, ng erit tempus per ng post da, et in, inedia inter In, no, erit tempus per ra. Oportet igitur furore ut ni emù ng sint aequales ng: hoc erit emù excessus medine fa super mediani ai sit aerpmlis excessui gf super ag, socta go acquali ga iU . io Sit factum: et sit tempus per me ex r idem emù tempore perno ex quiete in a. Sit m tempii» pur ra ; erit fa tempus per fa, ot per totani fc erit flt, suu fi, et ]>or reliquam nr ex f erit ni: por ambas igitur cac orit tempus mi, (pioti debot esso aetpialo tompori ]ier ac ex quiete in a. Et quia fa oet tempus per fa, tempus per ac ex quiete in a erit ah, inedia riempe intor fa, ac: faciondum itaque est ut ah sit aocpialis utrisquo mi, nompo protrnhondao sunt ha, ra, ita ut (dueta orizontali fc) m cum ex- cessu medino intor rf, fa super fa (quod 20 sit ai) sint aetpiales modiao intor ac, af, noni]io ipsi ah. Quod si ponatur, ca esse tempus por ca, erit ha tempus per ab, otag per ra ; et posita fi aequnli ac, orit fi tem- pus por fi, et f» tempus per totani fc; et ai, media inter if, fa (est enim fa acquali» ir), erit tempus per fa, et />/ (excessus medino af super mediani oi) orit tempus por ac ex /. Eaeiendum itaque est ut pf cum ag sint aequales ipsi ac i . (,) Ceni. A, car. 841., autografo di Gai. liso. — Gfr. pag. 230. Cod. A, car. 961., autografo di G. r.n.Kn. — l'fr. pag. 230. — Questa figura è errala ; vedi facsimile indi'vi /)pendici in fondo a questo volume. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 399 Pro inveniendo tempore minimo in quo confi- ciantur , attende numqnid, posita ad aequali ab, faciendum forte sit ut ad cum de ad cd, ita ha ad aq (1) . fiat ut ca ad ab, ita ab ad bn, et ut na cum ab ad ab, ita ca ad ax ; erit ax quaesitum. Ponatur ao aequalis ax ; oportet, or esse me¬ diani inter cr, ra, et ut co ad oa, ita esse cr ad ro, et Q co ad □ oa ut cr io ad ra, seu hx ad xa: sed ut bx ad xa, ita □ bxa ad □ xa, seu ao : ergo □ co debet aequari □“ bxa, et co esse mediani intei’ bx, xa Dato perpendiculo et plano ad eum inclinato, partem in perpen- diculo reperire, quae conficiatur tempore eodem ac pianura post ipsam. Fiat ut ca ad ab, ita ab ad bn, et ut na cum ab ad ab, ita ca ad ac, et ut nb ad ha, seu ha ad ac, ita ea ad ar, et ab r ducatur ad ha productam pei’pendiculnris rx : dico, ax esso quod quaeritur u) . Quia enim ut na cum ab ad ab, ita est ca ad ac, erit, dividendo, so ut na ad ab, ita ce ad ea ; et quia ut nb ad ha, ita ea ad ar, compo¬ nendo erit ut na ad ab, idest ce ad ea, ita er ad ra, et omnia ante- cedentia ad omnia consequentia, cr ad re. Sunt igitur cr, er, ar con- 14. L’autografo comincia con lo seguenti parole, che si leggono cancellato: « Quia ca ad ali est ut ha ad hn, et ut na cum ab ad ab, ita ca ad ao, erit, dividendo, uà ad ab ut ce ad ea. Fiat modo ut nb ad be, ita ea ad ar : erit, componendo, ut na ad ab, idest ec ad ea, ita er ad ra, et omnes antecedentcs ad omnes conscqucntcs, nempe cr ad re ». A questo tratto cancellato seguo denunciato della proposizione, che ò stato scritto posteriormente, in un piccolo spazio bianco ch’era rimasto fra il tratto ora cancellato o Fiat ut ecc. (lin. 17). — eum inclinatum, partem— 16. Tra ut e « na » si legge, cancellato, « nb ». — ita ita ca —17. Lo parole « seti ba ad ac » sono aggiunte in margine. —18. quod queritur. Dopo queritur è segnala una croce, con la quale sembra sia richiamato a questo punto il tratto cancellato precedente l’enunciato. — ( l > Cod. A, car. 72r., autografo di Ga- lilko. — Cfr. pag. 232. lilbo. (3) Vedi facsimile noli* Appendice in fondo < 2 ' Goil. A, car. 72r., autografo di Ga- a questo volume. 400 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. tinue proportionales. ltursus, quia ut la ad ac ita ea ad ar; ut autem la ad ac, ita xa ad or ; ergo utraque ea, a i ad ar eandem habent ra- tionem : suut ergo uequalea. Modo si iutelligamua, tempus por ra esso ut ra, tempus per re. erit re, media inter cr, ra, i*t. ar erit tempus por ac post ra : veruni tempus por .ra est .ra, dum ra est tempus por ra ; ostensmn miteni est, xa esso acqua¬ iola uè : orgo factum est quod faeere opor-io tebat"’. Fiat ut la cuin dupla ac ad ar, ita ra ad ae, et ut la cum ac ad ac, ita ea ad ar, ot ab r ducatur perpendicularis r.r : et quia ut la cum dupla ac ad ar, ita ca ad ae, dividendo erit ut ha cum oc ad ac, ita ce ad ca. Et quia ut ha ad ar ita ra ad ar, erit, componendo, ut ha cimi ac ad ar, ita cr ad ra: sed ut ha cum ac mi ar, ita est ce ad ca: ergo ut cr. ad ea, ita er ad ra, ot ambo antocodontia ad ambo consequentia, nempe cr ad re. Sunt itaquo cr, re, ra proportionales, Amplius, quia ut ha ad ac, ita positum est ea ad ar; ot propter similitudinem trian- gulorum, ut ha ad ac. ita xa ad ar ; orgo ut ea ad ar, ita xa ad ar ; 20 su ut itaque ea, xa aequalea Data ac, quaeritur ae. Posita hf acquali ab, fiat ut hd ad bd - 53 de - 93 he -17 '/* af- 42 V 5 ag -71 »/ I3 bg - 46 Via fd ad - 46 2 /s hi -84 Vi ì O) Le linee 1-5 sono disposte, neH’nu- Cod. A, car. 71£., autografo di Gali- tografo, in maniera tale, che le parole « fiat lko. —■ Cfr. pag. 232. ut ca ad cab » vengono a trovarsi a sinistra Cod. A, car. 78£., autografo di Galileo di « ita bf ad fg» e sopra tifa ab ad aliam —Cfr. pag. 232 e Voi. VI, pag. 632. Questo gf»; così clic si può intendere che abbiano frammento si trova sul verso della lettera del relazione e a quelle e a queste, sebbene Cini del 10 Gennaio 1631, Voi. XIV, pag. 65. siano scritte una sola volta. Noi credemmo Cod. A, car. 87r., autografo di Gà- opportuno ripeterle nel secondo luogo. lileo. — Cfr. pag. 232. VILI. 51 402 FRAMMENTI ATTENENTI AI TUfiCORSI ECC. Dum tompUB per ab sit 25, per db est 53, et por de orit media inter bd, de, nempe de, quae est 70 l '&; he vero, quae est 17 V 6) er it tempus por le. Cum autem ha, 25, sit tempus per ab, posita in per¬ pendicolo bf acquali be, cuius partis perpendiculi orit tota af tempus? Sume ipsarum ba, af 3* m propnrtionalem ag, quae est 71 1 / 13 . p ro invenienda igitur bg, sumenda est de media inter bd, de; postea fa- ciendum est, ut ba ad duplam ab cum Ir, ita br ad bg, Ben, permutando, ut ab ad be, ita dupla ba cum be ad bg ; et erit bg quod quaoritur. Facilius et clarius : Dato perpendiculo oZ» et plano ad ipsmn intloxn be, oportet in io perpendiculo partom infra reperire, quae cum ab conficiatur tempore eodem, ac be cum eadem ba. Ducta horizontnli ad, extendatur cb in d, et sit de media bde, cui ponatur aequalis bf; et ba, af 3* sit ag: erit bg quod quaoritur. l’osito enira db tempore per db, erit ab tempus per ab: et de sit media bde ; erit be tempus bc post db, idest post ab : sed eadem be, idest bf, est tempus bg post ab : ergo.... Si ex puncto b sumantur bc, bl, quae confieiantur tempore eodem, dico, ex quolibet puneto sublimi, ut a, citiua confici abe quam ahi; sed si ponatur bs aequalis bc, citius abs quam abc. Potest tamen sumi « adeo alturn, ut ex eo citius conficiatur Ite cum eo quam alia maior 20 quam bs, licet minimum quid. Esse autem bf semper maiorem quam he, sic probatur. Quia □ Ile aequatur (UT ebd, est autem Ib iunior cb, ergo bd maior ba : media autem inter ebd est aequalis mediae Iba : ergo, dempta ba a media Iba: reliqua bf erit maior reliqua be, residuimi mediae ebd, dempta ìxl. Adverte melius quid sequatur si mediae non sint minores ipsis db [sic]. Dubitu de paralogismo "\ ab -77 ae - 19 ag - 38 V* 80 eg - 21 V* cd - 67 20. eo ohe segue a cum £ di lettura incerta. — 10 0°^- A » car - 76r., autografo di Gamlio. — Cfr. pag. 233. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 403 de - 38 df - 50 Va fe - 12 '/a □ uw bae superat □ ,,,n bea D° ea; cde superat lZl um ced □” ed: sed □ bea aequatur □“ ced: excessus ergo □' cde, idest □* fd, super I 1 ° bae, 80 u D° ag, est idem cum ex- cessu □* ed super □“ ae. □ vero ed su¬ perat □ ea □“ ad: ergo Q fd superat □ ga D 0 ad. Sed quadratum quoque dg io superat quadratum ga □ “ ad: ergo □ gd aequatur Q 0 df, et linea dg lineae df, et angulus dgf angulo dfg : ergo an¬ gelus f maior angulo fge, et latus eg latore ef. Probatum est, tempus perpendiculi sub e post a per totani eh longius esse tempore per ec, idest partem perpendi¬ culi quae confìcitur tempore eodem cum ec, minorem esse quam eh, maiorem tainen quam ec: probandum 20 restati, quanta vero sit. Determinatur, posita en aequali ef ot sunipta 3“ proporfcionali post ea, an, quae 3 a probandum restat quanto sit (dompta ae) maior quam ec l,) . erit hi media rrib, he, et el media meb; et quia ne aequatur hi, erit hb exces¬ sus ne super bl : veruni hb est etiam excessus ne super riha, cum sit exces¬ sus he super ba: ergo 2 nb, ba aequan- tur bl ,2> . Cod. A, car. 95t., autografo di Ga- Cod. A, car. 94r., autografo di Ga¬ lileo. — Cfr. pag. 234. lilko. •104 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. ab long» 4 ; he 8 ; ternpus per ai> 4 ; ergo ahc longitudo 12 conficitur I i xiim W in tempore 8 a Sit db 9; erit eius ternpus 6, et ex d conlicietur dì) 9 cum ice 18 tom|x.>ro 12, riempe 27 in tem¬ pore 12. Seul si bc conlieitur (cum sit 18) tempore 6, bc conficietur tempore 2 J 3) et. tot» dbc in tem¬ pore 8 Va: confieiuntur ergo ci- tius abe quam dbc. io sit bd 8; conficietur tempore radici» 32, idest 5 Va, et erit be 16, et dbc conficietur temporo 8 T» 01 . IH cum ab sit dimidia bc, et sit eadem ab ternpus per ah, erit tota&c tompus per amba» abc. Accipiatur he, et sit ho inedia inter eb } ha, et erit ternpus per eh et per duplam ipsiusòd. Quod si db conlieitur tempore ho, cb quo tempore conficietur? fiat igitur ut db ad ho, ita cb ad aliam, quae sit, vgr., bn, et oetendatur, 2 M oh, bn maio- 20 res esso ipsaic, et habobitur intentum. Itedacta est res ad hoc lemma : sit eh uteumquo secta in a, et inter eb, ha media sit ho, et ut cb ad ha, c 0 u r * h.. ita sit oh ad Un; dico, eh, ho, ha, bn esse continue propor tion al os. Quia oniin ut eh ad ho, ita ho ad ha, ratio eb ad ha erit dupla rationis oh ad ha: et «pria ut eb ad ha, ita ob ad bn, est autem ratio he ad ha dupla rationis oh ad ha, erit quoque ratio ob ad bn dupla rationis ho ad ha. Veruni ipsa ratio oh ad bn componitur ex rationibus ob ad ha et ah ad hn : ergo ratio ab ad bn est eadem cum ratione ob ad ha: ergo patet propositum 80 12. Fra tempore ed 8 legnosi, cancellato, 8 7 f /#. — ‘M. Dopo dico leggeai, cancellato, non esse plus quam dupla ad ba. Ostcnde, oa maiorem esse quam an ; ob, bn esse plus qu . Sit linea orizontis ac, perpendiculum vero bd, et in ac accipiatur quodeumque punctum c : dico, quod si mobile debet ex c ad lineam perpendicoli naturaliter per unicam lineam rectam moveri, ad eam perveniet tempore brevissimo si veniat per ce, quae lineam bc, ipsi bc aequalem, adsumit. Centro enim b, intervallo bc, circulus describatur, ductisque cf et cg uteumque, patebit, motum per ce citius absolvi 1. Tra ascendente e perpendiculum leggesi, cancellato, post. — ei adiugere — 9. partem , que ex — 10. Tra additum e Si leggesi, cancellato, faciendum. — 14. Tra « ac » e Posito leggesi, cancellato, sed si. —15. Tra media ed inter leggesi, cancellato, et dupla. — 17. Tra esse o dupla leggesi, cancellato, media. — 21. Dopo < post ca » leggesi, cancellato: ponatur ad pars 3* ab, et perpendicularis de occurrat ac : tempus da aequatur tempori ab ; sed tetnpus quoque per ca aequatur tempori per da. — 24. Le parole per unicam lineam rectam moveri sono aggiunte in margine. — <0 Cod. A, car. 75r., autografo di Galileo. — Gir. pag. 251. FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI EC’C. 40U quam por cf aut cg. Si onim ducatur tangens ciroulum ick, ut ipsi cf parallela elle, erit le brevior quam cf : bo<1 teinpus per cc aoquatur tempori por le. Similitor, duota ehi ipsi c. — (l) Le lin. 22 e seg. della pag. 405, lino alla lin. 7 di questa pag. 400, sono autografo di GAMI,») nel cod. A, car. 1 iOr. Se ne ha copia, di mano dell’AuRioiiETTi, a car. 53r., o nella copta Galii.ko aggiunse, in uno spazio rimasto bianco, lo lin. M-14 della prosente pagina. — Gir. pag. 251-252. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 407 in punctis f, a, oritque casus per fa brevioris temporia quam per rectas quascumque alias ex a ad quaocumquo punta linoae cd pro- ductas. Si linea recta supra orizontalem fuerit utcumque inclinata, pla- nura a dato puncto in orizontali usque ad inclinatam extensum, in quo descensus fit tempore omnium brevissimo, est illud quod bifariam dividit angulum contenctum a duabus perpendicularibus a dato puncto extensis, una ad orizontalem lineam, altera ad inclinatam (1) . Si duo circuii se intus tangant, et linea recta interiorem circulum io contingat et alterimi secet, tres lineae a contactu circulorum ad tria puncta tangentis et secantis lineae pro- ductae angulos duos aequales contine- bunt. Assumpta praesenti figura, protraha- tur ad usque ad li et iungatur hf, secans gc in i: et quia anguli in centris e, f sunt aequales, cum similibus circumferentiis sectis a linea adii insistant, erit linea fili ipsi ed parallela. Cumque ed sit perpen- 20 dicularis ad gc, ipsa quoque fili ex centro f ad lineain cg perpendi- cularis erit, et, quod consequens est, arcuili ghc bifariam dividet, et angelus gali angulo hac erit aequalis, etc. (4) a Motuum qui a dato puncto usque ad datam lineam per rectas lineas conficiuntur, ille brevissimo tempore absolvitur, qui in recta fit abscindens de data linea partem aequalem ei parti lineae orizon- 4. Si Uea recta — 4-5. Tra planavi ed a leggesi, cancellato, per quod. — 25. Tra parli o lineae leggesi, cancellato, de. — Le lin. 15-30 della pag. 400 e le 1 in. 1-3 di questa pag. 407 sono autografe di Galileo uel cod. A, car. 127 1. Se no ha copia, di mano del Guiduoci, a car. 52r., in calce alla quale Galileo aggiunse le lin. 4-8 della presente pagina. — Cfr. pag. 252. W Cod. A, car. 168r., autografo di Ga¬ lileo. Se ne ha copia, di uiauo del Gui- ducoi, a car. 33r., dove, questo frammento essendo trascritto dopo la Proposizione che nella stampa è la XXX1L* della Giornata terza, ad esso ò premessa P indicazione : « Lemma prò antecedenti ». Tn (ine poi, in luogo di «etc. » nella copia si legge: « quod orai probandum ». — Cfr. pag. 252. 408 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. talis, quao per datum punctum uaquo ad (latam liiieam producitur quae inter datum punctum ut occursum intercipitur. Sit datimi punctum a et linea quaecumque bdc, et per a orizonti aequidistans ab, quae lineae db in b occurrat, ot interceptae ab po¬ llatili’ aequalis bd: dico, inotunì per ad abaolvi tempore breviori, quam por quamcumque aliam lineam ex puncto a ad quodcumque punctum lineae bdc productam. Ducatur ad ba perpendicula- ris ac, et ex d ad ipsani bc per- io pendicularis de, occurrens ac in e; et quia in i_ aoquicruri abd an¬ goli bari, bda sunt aequales, ergo reliqui a (pag. 409, lin. 1 ) è aggiunto in margine, di mano di Galileo. — (n Ood. A, car. 1271., autografo di Ga- car. 1821.; ma nella copia manca, in séguito lileo, che in capo al loglio notò : < Serva ». ad un taglio della carta, parte delle cinque Se ne ha copia, di mano del Guiducci, a ultime linee. — Ufr. pag. 253. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 400 soli ab) : fiat angulus dac aequalis angulo a de, et ad ipsam a e per- pendicularis sit cf, plano inclinato et extenso occurrens in f, et utra- que ai, ag ponatnr ipsi cf aequa¬ lis, et per g liorizonti aequidi- stans gli: dico, h esse punctum quod quaeritur. Intelligatur enim tempus casus per perpendiculum ab esse ab; erit tempus per ac ex a ipsa ac: dunque in triangulo rec- 10 tangulo acf ab angulo recto e per- pendicularis ad basini af sit acta ec, erit ac media inter fa, ac, et ce media inter ac, cf, hoc est inter ca, ai; et oum ipsius ac tempus ex a sit ac, erit ac tempus totius af, et cc tempus ipsius ai. Quia vero in triangulo aequicruri acci latus ac est acquale lateri ed, erit ed tempus per af : et est cc tempus per ai: ergo cd, hoc est ab, erit tempus per if ex quiete in a; quod idem est ac si dieamus, ab esse tempus per ac ex g, seu ex li: quod erat de- monstrandum tn . 20 reperiatur altitudo n ex qua confician- tur nab et ab sola tempore eodem; mani¬ festimi est quod ex omnibus punctis in- ter n, a tempus per ambas linoas est brevius : quaeratur num tempus brevissi- mum sit in medio lineae na. Yidetur re- spondere ( ' 2> . ec - 50 ca - 30 ed- 42 so de - 92 O Cod. A, car. 3(ir., di mano del Gbi- <*> Ood. A, ear. 771., autograi'o di Gam- duoot. — Cfr. pag. 254. leo. — Cfr. pag. 255. Vili. 52 410 FRAMMENTI ATTENENTI Al DISCORSI EUfJ. media df - 62'/a ei - af - 20 Va al - 85 d - 55 eh- 70 ab - 100 ut ra ad ai, ita ei ad il ; et ut ed ad df, ita cf ad fe. probandum est, li ad « maiorem habere rationem quam cf ad fe. t l Est autoni li ad ir ut ia ad ae; cf autera ad fe ut fi ad de: probaro igitur debes, ia ad ae io maiorem habero rationem quam fd ad de, et, dividendo, ir ad ea maiorem liabere rationem quam fe ad ed. Hoc autom manifestimi est: nani eadom maiorem liabet rationem ad mi- norem. Componitur ergo demonstratio sic. Quia ra minor est ed, ir ad ra maiorem ra¬ tionem liabet quam fe ad ed, et, compo¬ nendo, ia ad ae maiorem rationem liabet quam fd ad de: veruni ut ia ad ae, ita est li ad ir; ut autom fd ad de, ita cf ad fe: 20 ergo li ad ir maiorem rationem liabet quam cf ad fe, ot, componendo, /end ei maiorem liabet rationem quam ce ad cf: sunt autom ef, ri aequales : ergo le maior est quam ce. | In pi a] no inclinato [assumjpta in rl> parfto] maiori quam re et minori qmun eh, punctum sublime reperire, ex quo cadons tempore [aeqjuali conficiat re et d. [Qu]od autom oporteat, assumptam in eh [majiorem esse quam re, doclaratur sic. [Duc]atur rs aequalis cc et sumptis [medjiis sae rdr, ai, df, non osset ... aequalis rf, ut est neeessarium : nani, si id essct, foret quoque si aequalis rf; et cairn sit ut rf ad fe, ita fd ad de et ia ad ae, ossei, dividendo, fe ad ni ut ie ... fe ad ca, ot osset ea aequa- so lis ed, quod est. falsimi. Quod autem oporteat, assumptam minorem esse quam he, sic ostonditur. Nani si fe acquatili* ri, anguli efi, eif erunt aequales, et V fid maior V" f et latus fd maius latore di, et □ um fd maius (J u iad, ot (_J rdr maius [□" hae cum (J° ad, et □ ced 1 . l'ra «ni* ed «Un ei * le^tfe* è aggiunto in margino. — 15. Dopo < cg » hì leggo, cancellato, lume autem aequalem esse hi. —17. aequalis: c quia — 20. equalia 2(5-27. Ira « ad fs * e nem/ie hi leggono le seguenti parole, le quali sono Rottolineato. et, per convcrsionem ralionis. ut fi) ad bs, idest ut fb ad cg, idest ut ab ad ac. — ( 1 Cod. A, car. Tir., autografo di Ga- ’ (’od. A, car. 66 t., autografo (li Ga- LILB0 ' lilko. - Cfr. pag. 255-257. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 413 Totum opus tale videtur esse. Secetur an aequalis ac, et ut ab ad In, ita fìat al ad le, et ponatur ai aequalis al, et ut ac ad ih, ita fìat ih ad ce : erit ce linea quaesita, nempe pars superior perpendiculi, ex qua mobile confìciet ipsam cum ab tempore eodem ae solam ab m . Si ha aequatur ai, et hf, fb, et □ fa □ 18 fba, demptis □ 18 fh, ha, fb, ia, □ bis sub fh, ha aequabitur □ bis sub ai, ih et □ ih. 2 □“ ahf aequantur duabus aib, fb, ac; est enim □ ahi acquale □° fb, ac, cum sit ut ac ad cg, seu hi, ita ab ad hf : oportet igitur ut exccssus □* ahf super (Hf aib, seu ah, io ih, sit aequalis excessui O 1 fb, ac super □° fluì. Excessus autem □' ahf super □° aib, seu ah, cg, est (ZI contentimi a gc et ab excessu fh, seu fb, super cg et ab ipsa gc. Excessus vero Q l acbf su¬ per UT ahf est aequalis □“ contencto ab excessu ac super ah, seu ai, et ab ipsa fh. Si igitur ponatur al aequalis ai, iste excessus erit □ fh, le, cui debet esse aequalis alter excessus □' ahf supor □“ aib, nempe (posita ho aequali fh) □ aio lv . 20 □ lineae aequalis duabus haf superat □ hf d' 0 ex linea aequali tribus fhaf et ex excessu duarum haf super hf, quod in nostro casu debet esse ae : faciendum itaque est, quod □ triurn fhaf in ca cum □" 3. lìnea quesita — 6. Dopo « et □ ib » segue, cancellato: □ fa aequatur Q 1 " ab, bf; ergo □ dab acqua- tur □» ba et O* abd : sed Q 0 ba aequantur □* bc, ca : ergo □ dab superat □“ ac, cb [—| " abd. Protrahenda est igitur ab, doncc □ dab superet □* bea □“ abd. — 7-8. Da est enim a « ita ab cui bf » è aggiunto in margine. — 10-11. Dopo « super □“ firn » segue, can¬ cellato : sed □ ,,m ahf superat □ mn ahib ut linea fh superat hi ; □ vero fb, ac superat □ flia ut linea ac superat linearli ah ; ergo oportet, excessum lineae ac super ah esse aequalcm excessui fh super hi ; ergo oportet, lineas ac, ib, seu ac, cg, esse aequalcs lineae af. Protracndae itaque sunt lineae ab, ac in d, e, adeo ut media inter dab si [sic] aequalis duabus ac et medine inter ac, ce. — 15. equalts — Cod. A, car. 99t., autografo di G au¬ lii,eo. — Cfr. pag. 255-257. leu. - Gfr. pag. 255-257. 414 frammenti attenenti ai discorsi eco. hf sint acquali» [ J° ex linea aequali dua¬ bus huf; seu dieas, faciemlum esse ut tria □* trinili la terum trianguli haf in arcuili duo- bus Q" ha, af sint acquali» □" ex haf tan- quam o una linea. faeienduni est ut □ fa ad [J fa sit ut duao /"ha ad duas file ". toni pus per ah, ah; tempus per he ex a, hf, posita df media in- tor ed, db ; ergo tempora por al»' erunt ah/. ponatur media inter ab, bd ipsa bh; io erit bh tempus he ex h: oportet igitur lucore ut hh sit aequalis duabus abf, hoc est ut ah sit, aequalis ipsi fh. factum sit ut tempus per 2 ale sit acquale tempori per solaio he. Divisale bifariam, seinicirculus describatur, et ducatur perpendicularis bn, ut iunga- tur dn : erit da media inter cd, db, et bn inter ehd. Kt oxistento ai) tempore per ab, et db per db, socetur df aequalis dn ; erit hf 'tempus per he post db, seu ab: undo tempus per 2 abe 20 erit abf-, tempus vero per he ex b erit bn, cimi sit media in ter db, he: ergo bn acquatiti' duabus abf. Posita communi bd, erunt 3 db, hf, ha, hoc est 2 dn, bn, aoquales duabus nb, bd ; et ablatis aequulibus db, dr et bs, ha, reliqua rn re- liquae ns erit aequalis 2 . 18. erit din media — Cod. A, car. 99f., autografo di (?a- Cod. A, car. M4r., autografo di Ga- w 1 -* 0 - lilro. — Gir. pug. 258. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 415 □ bg aequatur Q' 9 bf, fg et 2 □ bfg: prò □“ bf suine □ hfg ; erit □ bg acquale duobus □ hfg, □ ° f . Inveniendum sit tempus quo conficiuntur 2 acb in ratinile ad tempii" quo conticitur sola ab. Fiat abt] ' recti», et semicireulu* abfi describatur, et protrahatur ac ad s, et oonuectantur ijs, bs . (2) m n Dicimus, teinpns qun mobile permeat lineas db, he brevius esse io tempori) quo permeat solimi he. Sit ae acquali» he: si itaquefuerint motns initia punita a, b, eodetn tempore peragentur lineae he, et ae. Sit teinpus quo conficitur ae. vel ite, ipsum nw, et quam ra- -70 tionom habet ar ad mediani in¬ ter ae, ac, hanc habeat wm ad nx: erit nx tempus totius ac: quam vero rationem habet ca ad me¬ diani inter e», ah, hanc habeat teinpus xn ad nr; erit rn tem-20 pus ipsius ah, rx vero ipsius bc, post ah (quam xr oportet minorem esse ipsa turi). Ostendatur, citius transiri he post ah quam fe post df. Sit ds tempus quo poragitur tota de, vel hr, et quam rationem habet media inter cd, df ad df, hanc habeat tempus sd ad dr ; constat, tempus ipsius fe esso rn : quia vero tempus ipsius bc, seu ae, est idem ds, fiat ut ea ad mediani inter ca et totani ac, ita sd ad di, eritque dt l" Cod. A, oar. 971., autografo ili Ga¬ lileo. - Gir. pag. - Jód , ' l'.xl. A. rar. l. r >7f., autografo ili Ga- lii.ku. — Cfr. patf. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 417 tempus totius ac. Quod si rursus fiat ut tota ca ad medium inter ca, ai), ita td ad dv, erit vt tempus ipsius bc post ab : hoc autem oaten- dendum est, esse minus ipso rs. Nota. Sit in circumferentia utcumque ducta do, et iungatur co : dico, citius moveri ex d in o quam ex o in c. Ostensum enim est, aequali tempore moveri ex o in c, atque ex d in c; veruna ex d in o patet, celerius fiori motum quam ex d in c (,) . accipiatur media inter re, bt, cui aequalis ponatur do: erit reliqua co eadom quae invenitur per mediana inter cd, df, quae est eadem do. io Considera, momentura in singulis circumferentiae qua¬ drante punctis imminui prò ratione accessus puncti pcr- pendicularis, ut t, ad centrum. ut bc ad cd, sic cd... momentini! super plano de ad totale momentum est ut linea tr ad rd, ducta ih aequidistante cd <2 '. ?» quaeritur ratio co ad cv. □ cdf aequatur □ re, ds; □ 20 acb aequatur I I rcn ; ergo cdf ad □ acb est ut diameter ds ad diametrali) ne: ut autem cn ad ds, ita cd ad df, oh similitudinem por- tionum che et df : ut, autem cd ad df, ita □ co ad □ of t:!) . 4-5. iungatur co: dico dico citius — 6. atque ex ex in c; veruni — 11-12. quadranti* iwctis — 13. Tra ratione eil accessus si legge, cancellato, perpen dicala ri s (i) CoJ. A, car. 186/., autografo di Ga- babilmente da Galileo stesso, con segni i,ileo. — Cfr. pag. 262. trasversali. — Cfr. pag. 262. (*) Cod. A, car. 131r., autografo di Ga- Cod. A, car. 149/., autografo di Ga¬ lileo. Le lin. 8-9 sono state cassate, prò- ltleo. — Gir. pag. 262. / 9 Vili. 53 418 FRAMMENTI ATTENENTI AI M8C0U.S1 ECC. oatende, co moiorem oaso cv. ostando .... sit ut od, de, cu, av, ita rd, ds, td, dg. sit do media inter cd, df; nv media inter ca, ab ; ck media inter ac, cb ; et accipintur uteumque ds. ut cd nd do, itn sd ad dr, aeu ut bc ad cd, seu ut de ad ca. t s g r d fiat ut ^ ad ck, ita sd ad di; ut autem va ad ni), ita td ad dg, i-^ a Probetur, gt minorem esse (piani sr. io «piia enira ut sd ad dr, ita cd ad ilo, }>or convcrsionem rationis ot convertendo, ut rs ad sd, ita oc ad cd ; ut nutem sd ad dt, ita cd, hoc est, kc, ad ra: et quia est ut hi ad dg, ita ca ad av, per convcrsionem rationis erit quoque ut di ad tg, ita ac ad cv: ergo, ex acquali, ut rs ad gt, ita oc ad cv. Ost.enditur autem, per laminata, co nmior (piani cv; ergo tompus rs maius est tempore gt : est autem rs tempus quo pe- ragitur fc post df, gt vero tempus quo peragitur bc post ab : ergo patet propositum 20 fpiia ut ac. ad rs, ita se ad ce et os ad se, ergo ut ac ad ce, idest vb ad bc, ita □ as ad □ se : est au¬ tem ut vb ad be, ita □ vb ad D hi: ergo ut □ as ad (J se, ita □ vb ad □ bi, et ut.. . l,) G. Prima di « ut cd >, e nella stessa linea, si leg^e, Bottolineato: fiat «I od ad df, ila sd tul dr. — 21. In fianco (lolla pagina «i cancellato con lineo trasversali, (pianto soglie: ut ca al ni», i la ah tul ae; ergo ut | j ca ad ( ha. tv/ | ! ha ad j j ae, «lei ca ad ae, vel ea ad as; ergo punctum s rr/writar, .ti fiat ut [ J ha ad j ai\ ita ea ail as: fiet autem hoc,siipsarwn ha, ae oca piotar 1* proportionahs as. At j j ha ad j ae est ut ~] ex diametro in an ad O ex diametro in ar, qmbus sunt aequatia; ergo ut oa ad as, ita na ad ar, idest aìtitudo lincae ha ad aìtitudinem lineat ae. Linea ergo ha tul us est ut cubus ha ad cubino ae. Fiat ut ru ad he, ita be ad no, et ut ha ad an, tal no ail Ini. hv ad \e est ut ca ad ae, hoc est ea ad as. “ Coil. A. ear. lfiOr., autografo di (?a- f*' Cod. A, car. lb&r., autografo di Ga¬ lileo. — Cfr, pag. 262. lileo. «I INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 419 tempus qp 219% qr 120 ? 1 ? » r _/> gs 77% s>' 42 l /s a qt 183% 36 tempus por de 120 s per rfftc 113%. r Sit qp tempus per ac, et io ut ac ad cd, ita fiat pq ad qr : erit qr tempus per de seu per he. Sit ut cd ad p do, ita rq ad qs : erit qs tempus per df, et sr tempus per fc post df. Fiat rursus ut ca ad av, ita tempus pq ad qt : erit qt tempus per ab, tp vero tempus per he post ab (l) . m da 157143 Cum semidiameter sit 100000, quadrantis circumferentia est < ^570 ’ seu si semidiameter sit 1000, circumferentia quadrantis < plus 1570 minus 1571 ; si □ sit 1000000, a erit 785250. Tempus quo conficeretur circumferentia quadrantis, si esset recta 20 et ad perpendiculum, 125331. Tempus per ac ad tempus per 2 aec est ut 1000 ad 937 ‘/z fere; tempus per cc ad tempus per 2 ege, ut 1000 ad 866 %; tempus per 8c ad duas suas, ut 1000 ad 733 %. ad longa puncta 180 ; sit tempus casus per ipsam m 1 180, et per am- bas adc m 1 270. ac - 254 % ; —-m 1 254 %. ae -138; tempus casus per illam m 1 164. 10-11. ita pq ad, Ginn. — 14. tempus per pq ad, Guid. — 17. Le parole circumferentia quadranti s sono sostituito a quadrans erit, elio leggesi cancel¬ lato. — 18. rt erit 785250 ò sostituito a C\ erit < , elio è cancellato. — vimus ouuoinj (*> Co(l. A, car. 148r., autografo di Ga- copia, di mano del Guiduooi, a car. 92 1 . — TiiLF,o. Della figura e dello liti. 9-15 si ha una Gir. pag. 262. •120 ec FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. -- 138; tempra casra por oam post ac m l 75, ot por ani- bus ucc m 1 239, af recta — 70 Va ; tempra etc. 113 1 ’* ) fe - 70 '/a; tempra cusus post af 48 eg -70 '/a; tempra-39 \ ot por ambra afe m 1 161 Vs ot por auibas ege 75 °t per 4 afege 236 '/ 2 , Considera mini tempra per ac ad tempra por dura are si t ut radix radici» lineae quao a contro b sujior ac cadit porpendiculariter, ad radicem radicis perpendicnlaris ox eodom contro super tic. Tempra per 2 ege ex quiete in c est 66320 ; deboret autetn esse 71757, io 2. 239 ò sostituito a 196, elio è calieri lato. — 3. UH 1 » è sostituito a lò4, elio è can¬ cellato. — 4. Uopo iti leggasi, cancellato, # «. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 421 si casus per cgc ad casual per cc haberet eandern rationem quam casus per aec ad casula per ac : movo tur ergo citius per ege quam per aec. Et ex quiete in 8 tempus per duas 8c ad tempus per solala 8c est ut 14378 ad 19598: loage igitur adirne citius uiovetur quam per 2 cgc (1) . ad longa— 100000 ac -141422 ac - 76536 cqx is4/ n xqec tota — 261313 t io ce - 76536 af recta — 39017; fzx - 46022 ; efzx tota — 85039 ; cf recta — 39017; chx - 127228; gelix - 166245; eg 39017; grx - 472242 ; egrx - 511259; 20 C(J - 39017; lei 82843 ; lx, Id - 58579 ; la - 41422 ; elx - 100000. ke lx - 141422. he - 41422 ; tempus casus 100000. - 141422. - 91017. 261313. 41576. 74408. — 101129. — 26721. s- 151300. -— - 172957. 21657 491363 511259 19896, 50404, 91018. media in ter ad, te 84090 ; tempus per te 84090. per ambas aec tempus 132593. per ambas afe 89 766 ; media inter da, fa 61861 ; tempus per sf 61861. ^per ambas 4 131319. tempus per vg 96118. per ambas ege 41553 ; / 20711. per 3 alche 135475 13. 101120 è sostituito h 85039, che è cancellalo.— <» Ood. A, car. ltilir, autografo di Galileo. — Gfr. pag. 263. Quaeritur in ac pars aequalis ah, quae confidatili’ tempore acquali tem¬ pori per ab. Ponatur ad aequalis ab, et circa ac semicirculus describatur, et po- natur af aequalis dimidiae de, et ab f demittatur pcrpendicnlaris fc, et cg po¬ natur aequalis ab: dico, cg ex quiete in a confici oodem tempore ac ab, me¬ dia proportionalis inter co , ag. . . . ' lì 3. 64644 è sostituito a 46156 , elio è cancellato. — 30-31. ac ab, meda proportionalis — (1) Cod. A, car. 183r., autografo di Ga- w Cod. A, car. 55r., autografo di Gali- lileo. LEO. — Cfr. pag. 264. per 8 a3f3e4gSc 13107S. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 423 Quaeritur versus c pars quao conficiatur eodcm tempore ac ad. Sit tempus per ac, ac ; tempus per ad erit ae : ponatur cf acqua¬ tta ac, et ipsarum ca, af 3 a proportionalis sit ag : dico, gc esse quod quaeritur. Cum cnim tempus per totani ac sit ac, tempus per ag erit af, media inter ca, ag, et, re- liqua fc erit tempus per gc: est autem fc posita aequalis ae: ergo patet. In qualibet, latione spacium quod con¬ io ficitur versus finein eodem tempore ac spatium versus principimi!, est medium proportionale inter totum lationis spatium et ipsum spatium versus • * * ( 1 ) principimi! . Secta ca utcumque in d, pars vero cd bifariam in i, dico quod si fiat ut tota ac ad ce, ita id ad dg, erit ut ca ad ai, ita ia ad ag. Si totum ca ad totum ai est ut ablatum ia ad ablatum ag, erit reliquum ci ad reliquum ig, idest reliquum di ad rettquum ig, ut totum ca ad ai, seu ia ad ag, et, per conversionem rationis, ut ac ad ci, ita id ad dg, seu ci ad dg, idest ad ac : , ( _ M 20 sed ita factum est. Componitur itaque : quia c i 9 (l a ci ad ae, idest id ad dg, est ut ac ad ci, erit, per conversionem rationis, ut ca ad ai, ita di ad ig, seu ci ad ig ; cum itaque sit ut totum ca ad totum ai, ita ablatum ci ad ablatum ig, erit etiam reliquum ia ad reli¬ quum ag ut totum ca ad totum ai: quod erat ostendendum. Faciendum ut ai ad ig, ita ig ad gd. Ponatur ic aequalis id, et fiat ut ac ad ci, ita id ad dg: erit, per conversionem rationis, ut ca ad ai, ita di ad ig, seu ci ad ig ; et cum ut totum ca ad totum ai, ita ablatum ci ad ablatum ig, erit rettquum ia ad re¬ so liquum ag ut ablatum ci, seu di, ad ig, et, per con- versionem rationis, ut ai ad ig, ita id ad dg (2) . 14. pars [sic] e sostituito a reìiqua, che ò cancellato. — 30. Tra « ad ig ì> ed et lcggeai, cancellato, et dividendo . — a cl- 9 0 l- (l> Cod. A, car. 55 1., autografo di Gali leo. — Gir. pag. 2G4. w Cod. A, car. 84 t. f autografo di Gali¬ leo. — Cfr. pag. 2G4. Particolari privilegii dell’ artiglieria sopra gli altri strumenti me- canici. Della sua forza, ed onde proceda. Se operi con maggior forza in una corta distanza o da vicino. Seia palla vadia per linea retta, non sondo tirata a perpendicolo. Glie linea descriva la palla nel suo moto. La causa ed il tempo dello stornare il pezzo. Impedimenti che rendono il pezo difettoso ed il tiro incerto. Del metterle a cavallo e scavalcarle. Della fabrica del colibro. Dell’ esamino circa la bontà e giustezza del pezzo. Se quanto più è lungo il pezzo, più tira lontano, e perchè. A quale elevazione tiri più da lontano, e perchè. Che nel tornare la palla ingiù nel perpendicolo, torna con le me¬ desime forze e velocità con che andò in su. Diverse palle artifiziate e lanterne, e lor uso . Data la sublimità e l’altezza, trovar l’ampiezza della parabola, io 7. Nel descriver parabole di ampiezze eguali, minor impeto si ri¬ cerca in quella la cui ampiezza è doppia dell’altezza, che in qual si voglia altra. Segue per corollario, nello parabole descritte dal me¬ desimo impeto 1’ amplitudine massima esser di quella che nasce dal- 1’ elevazione dell’ angolo semiretto. 8. Le ampiezze de i tiri cacciati con l’istesso impeto e per angoli egualmente mancanti o eccedenti l’angolo semiretto, sono eguali. 9. Le ampiezze sono eguali delle parabole, le altezze e sublimità delle quali si rispondono contrariamente. • 10. I momenti delle parabole d’eguali ampiezze son fra loro come 20 i momenti delle altezze perpendicolari dalle quali si generano esse parabole. 11. 11 momento di qualsivoglia semiparabola è eguale al momento del cadente per la perpendicolare composta dell’ altezza e sublimità della semiparabola. 12. Dato l’impeto e l’ampiezza, trovar l’altezza della parabola" 1 . Notabile per i proietti nel determinare quanto detragga la pro- pension naturale in giù al moto preternaturale della proiezzione. Si impetus violentus disponatur secundum numeros pares, descen- sus naturalis demit dimidium, ut constat in exemplis D, F, E, B, C, A ; so veruni si dispositio sit secundum numeros impares, naturalis descen- sus demit minus quam dimidium iuxta numerum partimi! disposita- 17. sono aeguali delle — Cod. A, car. 10(U., autografo di Galileo. vili. 54 426 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. rum, ut patet in exemplis G, II, I, L. In G enim partes di- spositae iuxta impetum violen- tuni non retardatum sunt 3, nempo 5, 10, 15; ox quibus in prima demitur 1, et relinqui- tur 4; «lempto ex 2“ 4, relin- quitnr 6; (lempto ex 3“, nempo ox 15, 9, relinquitnr idem nu- merus C, qui deficit a dimi- io dio 15 per 3, qui est mnnerus partium 5, 10,15. In exemplo II numerus partium est 4, subtrac- tiones motu8 naturalis sunt 6, 4, 2, quao conficiunt 12, cuius duplum deficit a 28 per 4. In exemplo I subt.ractiones 8, C, 4, 2 exibent 20, cuius duplum deficit a 45 per 5, qui simili- ter est numerus partium ete. 20 In L par iter apparet, subtrac- tionos, nenipe 156, duplicatas deficore per 13 (qui est nu¬ merus partium motus violenti) a 325, etc. vedesi, cancellato, il sogno Q. — Cod. A, car. 182 r., autografo ili Galileo. La figura è a car. 182V.- Cfr. pag. 268. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 427 con un grado d’impeto fa 2 miglia all’ ora ; con 4 gradi d’impeto farà 8 miglia in un’ora, e 16 in 2 ore' 11 . Determinetur ergo impetus in singulis punctis parabolae bec ex potentia momenti acquisiti per descensum ab, quod semper servatur idem et determinat im- petum orizontalem, et ex potentia alterine mo¬ menti acquisiti in descensu perpeudiculari. Ut, v. g., in a erit impetus determinatus a linea potente ab et media in ter db, bf, quae sit bg (2) . io Parabola bd describi tur ab elevatione ab curii altitudine he. Po- natur, ab osso tempus et impetum casus ah, sitque de tangens parabolani : erit eh ae- rjualis bc: cumque bf sit subdupla amplitu¬ dini ed, erit quoque media inter sublimita- tem ab et altitudinem bc, eritque tempus casus et impetus per bc in c. Iuneta igitur a/', erit mensura impetus in d cadentis per abd. Attendo nmnquid tempus et impetus per ab cum parabola bd est idem cuin tera- 20 pore et impetu per inclinatala ad 1 ’". Tutta ac 140, e tanto sia il tempo e V inqieto in c, il quale im¬ peto è di passare 280 nel tempo 140. ab 80 ; sarà il suo tempo la media tra ac, ab, cioè tra 140 e 80, die è 105: e però nell’orizontale bg la velocità sarà di passare, nel tempo 105 di ab, 160, che è il doppio di al). Ma il tempo di bc, dalla quiete in b, è la media tra ac 140 e bc 60, che è 91 ; adunque diremo: In questo tempo 91, quanto si passerà di bg, della quale nel tempo 18. numquid è sostituito a quod , clic si leggo cancellato. — 25. Tra « ab c 160 si leggo, cancellato, cioè. — 27. questo è sostituito in margino a che , cancellato. — 0) Cod. A, car. 152r., autografo di Ga- datamente alle bozze delle Proposizioni II lileo. — Gfr. pag. 283. o III della Giornata quarta. — Cfr. pag. 283. <*> Cod. A, car.Olf., autografo di Galileo. <8) Cod. A, car. 83*., autografo di Gàli- Questo frammento tien dietro nel ms. imuie- leo. — Cfr. pag. 285. 428 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. di ab, che è 105, so ne passa 100 ? l’or la regola so ne passerà 138, e torna bene, oliò tanta è cd. Sia ab 80, tempo ed impeto in b, clic nella bg, in tempo 80, pas¬ serà 160. 11 tempo di he sarà la media tra bc 60 e ab 80, elio sarà 69. In questo tempo 69, quanto si passerà in bg, dove in 80 di tempo si passa 160 ? Si passa 138, o torna bene. al) 60, tempo ed impeto; bc 30; sarà suo tempo ed impeto la me¬ dia tra 60 o 30, che è 42 l / 3 ; adunque tutto ’1 tempo di abd è 102 '/ 3 . L’ ampiezza cd è doppia della media tra ab, bc : ò dunque 84 %. Ma tutta ac è 90, o cd 84 adunque ad sarà 123, od il tempo di tutta ad io sarà quanto la media tra da, ag, elio torna 100 o più, e mostra star bene (,) . impetus in b ex a sit 100, sitque bc ipsi ha aequalis ; crit impetus in d per abd 142 proxime, et distantia cd 200. Impetus in /' erit 125, distantia vero fi 150: deberet autem esse 176 l'ero, ut servaretur ratio impetus in d ad smani distantiam de. impetus in h leve 160, distantia eius hk 250 u> . ( 3 ) Datae parabolao elovationoni invenire, ex qua deoidens mobile pa¬ rabolani datane desoribat. Sit data parabola bf, cuius altitudo hi, amplitudo vero if; ducta 20 drizontali hi, aceipiatur in perpendiculo he aequalis hi, et connecta- tur clf, quae parabolani tanget in f et orizontalem secabit in l ; liat ut eh ad hi, ita lb ad ba : dico, ab esse elevationem, ex qua decidens mobile, in b conversum, describet parabolani bf. Si enim intelligatur, tempus casus per eh esse ipsura eh, et idem eh esse momentum celeritatis in b, erit bl tempus et momontuin in b ca¬ dente ex a: cadens igitur ex a iu b, conversum in orizonte, tempore bl transibit duplam ba; ergo in eodeni motu, tempore eh, transibit du- 28. ianyorc eb, trinsibìt — (,) Cod. A, car. 8Gf. # autografo di Gali lbo. Manca la figura. — Cfr. pag. 285. (5) Cod. A, car. 110t., autografo di Uà lileo. Manca la figura. W Cod. A, car. 115r., autografo di Ga¬ lileo. Vedi il facsimile I. — Cfr. pag. 293. L r-y — ^ £f- C& /(?~o ~*fr **^• < 5 * *- 2éi*ff*n *££&& 'TfWf {ff- *( fy&hk* tt'buAt?w$ i *f‘ òìtf 7H*huutiL et rtkHrj ft=f ut À A.cZ quiJCiiLjpifa' Tfyt dt*!à U. U1U0 A.2 C *** CJ. U>. tfó u'ytUL (Ltifò aJ 1 * j pMfoiit dif &ua c*bét &Aùaéi /* ?t - **(b *ir&w&t a - a * yfitkufì* Aì~(Pfjr.' Jè* CiUUt Mfitif'lfi.ctApcft£ .', **&&* <*.*>, a^UuAfù^ul - * - - —■ •* / / Vedi pag. 428, nota 3. Tav. 1 INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 429 plani U: est enim ut tompus cb ad tempus 01, ita dupla bl ad duplam ba. Dupla vero hi est ipsa fi; ergo tempore he a cadenti ex a con- ficietur orizontalis if : sed eo- deni tempore cb conficitur per- pendicnlaris hi ex quieto in b : ergo cadens ox a, conversus in b, eodem tempore conficit orizon- talem if et perpendicularem hi io ex quiete in b : describet ergo parabolani hf. Constat, dimidiam basim esso mediani proportionalem inter al- titudinem parabolae et elevatio- neni sopra parabolani, ex qua cadens illam designat io Data amplitudine et altitudine semiparabolae, sublimitatem re- perire. Id statini colligitur ex eo quod dimidia amplitudo mediat inter altitudinem et sublimitatem; ergo, diviso G° dimidiae amplitudinis 20 per altitudinem, habebimus sublimitatem quaesitam. Altitudines semiparabolarum, quarum eadem est amplitudo, aequan- tur dimidiae tangenti arcum suarum elevationum t2) . \ Cadens ex a in c, conversus, describit parabolam cd ; si vero mo- mentum velocitatis in c duplum foret, describeret parabolam ce, cuius eg dupla esset ad gd : impetus enim duplus in c permeat iu orizonte duplum spacium tempore eodem. Sed ut acquiratur in c momentum duplum, neoesse est, casum fieri ex quadrupla altitudine, nempe ex cb. Pariter, ex altitudine quadrupla ad cb describetur parabola cf, cuius amplitudo gf dupla est ad ge. 30 Veruni mobile in d videtur supra itnpetura in c adderò impetum <*> Coti. A, car. 87 1 . } autografo di Gali- Gii*, pag. 293. LEO. In calce al frammento leggasi, pur della God. A, car. 118£. ; autografo di Ga- mano di Galileo, 1*indicazione: « Scritta ».— lileo. — Gir. pag. 294. 430 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. acquisitimi per parabolani cd, quod respondet altitudini cg. Mobile voto in e idem momentum addit supra impetum quem liabuit in c , qui erat duplus ad impetum alterius mobilia; ergo impetus mobilia in e videtur esse soxqui alterna ad impetum mobilia in cl. Similiter inveniotur, impetum in f ad im¬ petum in e esse ut 5 ad 3. In elevatione igitur ca si pro- ioctum liabuerit impetum sexqui- alterum ad impetum in d, proiccti io secundum elcvationem da proii- ciontur secundum parabolas ec, de intra easdom parallelas, sed dix- tantia cg dupla orit ad dg. Impetus in c cadentis ex a sit 100; cadentis ex b erit 200: impetus in d erit 200 ; impetus in e orit 300. Cadentis in a ox h impetus in a erit 141 ; conversi vero per pa¬ rabolani ac impetus in c erit duplicatus, nempe 282. Constat igitur, maiorom esse impetum veniontis per parabolani ce in e, quani ve- 20 nientis per parabolani ac. Et si proicctum ex e, secundum elevatio- nem eli, liabet impetum ut 282, conliciet parabolani ca ; secundum olevationem vero ca confìciet proiectum parabolani ec, si liabuerit impetum ut 300. Ergo in elevatione semirecti eh ab eadem vi lon- gius eiaculatur, quam in elevatione ca, quae minor est semirecto. Impetus in f est 500, veniontis por parabolani cf ; veniontis vero per parabolani lif, impetus in f est 400. Ex quo patet otiam, longius eia- culari ab eadem vi per olevationem semirecti, quam per minorem. Impetus in c ex s erit 50 ; in r erit 150. Impetus vero in t ex c est fero 70 1 / 2 ; conversi per parabolani Ir 80 in r erit 141, minor nempe quam venientis ex s per c in r, qui fuit 150. v Unde constat, quod in elevatione semirecti rt ab eadem vi longior fìt proiectio, quam per elevationem re (1> . 24. in elevazione — 32. Unde consta, quod — 32-33. fit priectio — 111 Cod. A, car. 90’r., autografo di Galileo. — Cfr. pag. 294. rX'tfiA. ift*- J ? b£A’t £xi*t à/LS>\' Ap\ >"^^rh'^K < ^cPìè^^cT te*Au t &hit tf/-cp.cà^*- ifa ^ •*?*-£}■ *^a.*/,S> cyA- +iM- ./^-*jL ^A‘ 1 £ A&Au) C 7 ^y fjk? & ^/: ’^P A ^PJ”" Ah *> *a ^ fy _ «? r ^ « 9 *y*.. 'P‘-<^ ///ii ÀitmoA^) cJfóuJitùi /àuW-fr* f >^li <\ f cf % vto* Ufup ttttylCìi * 4 yB 7 H?t % *r+At<.r -AvA*^ l^f lvC g? {La. - tfe^W* f 7 ^AC^. Ùr cj,f 'a^ tj • Th+la.i^ £> D- *«< TK+xifr y^j 2 ^* col r r« Vedi pa#. 431 , noia 2 . INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 431 Sit ce dupla ad ea, et fc tangat parabolano ac: sit adhuc hot aequa- lis ce et maior quam dupla ad dg, et kh tangat parabolani gli, et ut kg ad gl, ita sit ig ad gl; erit 1 initium casus per parabolani,^: et sit gx media inter ae, gd; gs vero media inter ig, gl: demonstran- dum est, sx maiorem esse quam fi. □ fi) aequatur □ ls fa, uh, idest est duplum □* gì; et □ sx aequatur □ ,s sg, gx : ostende ergo, □“ sg, gx, vel □ u,u sx, esse plus io quam dupla □' ig. □ gx aequatur £ n ° igd: ut dg ad gx, / ita gx ad gì : ergo ut dg ad gì, ita □ dg /■ ad □ gx ; ut autem c ' dg, seu kg, ad gì, ita ig ad gl. Quia ut □ xg ad □ gì, ita ig ad gl; ut antem ig ad gl, ita □ ig ad □ mediae inter ig, gl, quae sit gs ; ergo ut □ xg ad □ gì, ita □ gì ad □ gs. Est autem xg minor quam gì (quia et dg minor est quam gì) : ei’go □ ig minor est □“ mediae. Sed cum 3 20 □* xg, gì et mediae sint proportionalia, erunt extrema plus quam dupla □' gì'". ( 2 ) 3. Le parole da erti a « gli » sono aggiunte in margine. — 4. Lo parole da « gs » a 4 gl j> sono aggiunte Ira le righe. — 5. « sx » è sostituito ad « lx », che si legge can- cellato. — 6-9. et Qj lx aequatur Q* lg, gx : ostende ergo, lg, gx, vel (_|“ w lx, esse — 17. Le parole <* quae sit gs » sono aggiunte fra le righe. — 18. Dopo « ita Q) gi ad |_J » si leggeva « mediae inter ig, gl », che Galileo cancellò, sostituendo fra le righe « gs ». — 20-21. plus quam dupa — 21. Dopo « gi » segue, cancellato, ergo multo plus quam dupla erunt [_]“ xg, gl. — 0) Cod. A, car. 11 lr. ; autografo di Ga¬ lileo. Avvertiamo, per illustrazione delle varianti e per giustificare lo correzioni da noi portate alle lin. G-9, che Galileo s 1 era dapprima proposto di dimostrare che lx è maggiore di fb, poi stimò invece opportuno di riferire la dimostrazione ad sx, ed allora inserì gs come media fra ig e gl (lin. 4). Corretto pertanto nel primo luogo lx in sx (lin. 5), trascurò di sostituire in appresso s ad l, e soltanto aggiunse che aveva chia¬ mato gs la media fra ig e gl (lin. 17), e so¬ stituì gs dove la stessa media era nominata (lin. 18). — Cfr. pag. 294. W Cod. A, car. 86r., autografo di Gali¬ leo. Vedi il facsimile li. — Cfr. pag. 294. » 432 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. Sia 1’ angolo culo gradi 45 : ò manifesto elio dalla sublimità ab na¬ scerà la parabola, la cui altezza he. l’osto 1’ angolo ode gradi 55, si cerca la parabola alla elevazione di gradi 55, la cui sublimità o al¬ tezza siano eguali alla ac. Con falsa posizione cerca se di tal parabola fusso l’asse nella co, con la tangente ed, e però dividendo la oc in raozo in f, onde l’altezza di tal parabola sia fc o la sublimità fa: il che allora sarebbe quando la metà dell’ ampicza ed si trovasse esser media proporzionale tra la e.f e la fa. Ma tra cf (cioè fc) od fa media una mi- io noro della metà di cd, essendo che la metà di cd è media tra eh e ha: trova dunque quale è la sublimità tra la quale e la fc sia media la metà dell’ampiezza cd, cioè la eh, e trovata che sia, pongasegli eguale la fo, ed arassi la sublimità of descrivere la parabola, la cui altezza sia fc ed ampiezza cd. È dunque tal parabola maggiore della cercata, secondo che la oc è maggiore della ac ; ma ben gli è simile, sondo toccata dalla ed. Convieu dunque descriverne altra simile, diminuendo la sua sublimità 20 e ampiezza secondo la proporzione di ca a co. Facciasi dunque come oc a ca, così cd a cu. Si corca 1’ ampiezza nd. Data la tangente ce mediante l’angolo dato ede, dividasi in mezo in f, e delle fc, cs sia 3 a proporzionalo fu, elio sarà la sublimità della parabola fi ; congiugni cf con fo, facendo oc; facciasi poi come oc a ca così cd a do, ed aremo 1’ ampiezza cercata, cioè della parabola la cui sublimità e altezza sono eguali alla ac, e per conseguenza nascono da impeti eguali de’ proietti cacciati dal punto d (1> . 10. Tra « la fa » e Ala si lecere, cancellato, nel quale, malia, — una è sostituito fra le righe a «fri gf», cancellato.— 11 In. Le parole ila « essendo che. » a y 'fa ^ St-.w j/fr? fafa*- «**. fij&Cf ;t-$ ' \£lr*' e/hcf: 7- fryvyZi ifay tf.f '& /Z./Z\ et+/4&i& '^^àrA^^c. s 1^7* tfa*; * fe- -r7v\ Jif cj .• T^M. i/fa c£. P)/*' ^ tf»-dj /S fifi/fMSvdf ^Wa ?* jtrrfrnéf £{6*2 Jux ^^dàhrjyd e«A^ i A« A C. ^ < •' f ^ pt/Mi ?K*AvA- feSk Y'[vXr u W l *‘^fa tytfj 7i£S Vedi pag. 433, nota 3. Tav. Ili INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 433 Simpl. Che la palla ricacciata in su de¬ scriva la medesima sx, mi par duro. Sagù. Ma se non vi par duro che, de¬ scrivendo la parabola intera yxs, possa ri¬ descriver la sxy, non vedete che di ne¬ cessità fa la sx? (y) x Sit \7 rectangulum abc, latera liabens aequalia ac, eh. Fiant Z_ les dba, ale, et divisa oc bifariam in f, et ducta fg parallela eh, fiat ut e/' ad fg, ita gf ad fi : dico io quoti, si tota de bifariam secetur in li, ducta hi pa¬ rallela he, erit ut dh ad hi, ita ih ad hi. Quia enim angulus cab aequatur angulo dia, et dba angulo abe, et angulus cab duobus cab, abc est acquali», ergo cab ipsi ebd aequabitur, et trian- gulus cab triangulo deb erit similis, et illis quoque et inter se similes sunt egf, dili. Seti quia est ut ef ad fg, ita gf ad fi, erit triangulus agf ipsi egf similis, et ipsi quoque dih <2> . ( 3 ) Tabula altitudinum semiparabolarum infra elevationem gr.45, quarum 20 impetus est semper idem, nempe sublimitas curii altitudine 10000. Sit impetus datus semper idem, nempe bd, ex altitudine et sublimitate composita linea db 10000 ; et quia dimidia amplitudo, nempe bf, mediat inter altitudinem et sublimitatem, intelligatur db divisa ita, ut □ partium sit aequale G° fb. Quod si db di¬ visa sit bifariam in e, erit □ he aequale □ par¬ ti uni ipsius db et □ ae; si ergo a □ be dematur □ fb (seu dicas □ illi aequale, a partibus contea- 14. ergo ceb ebd — (*> Cod. A, car. 106*., autografo di Gali¬ leo. — Cfr. pag. 296 e veggasi anche pag, 446, lin. 12— pag. 447, lin. 29. (*) Cod. A, car. 11 \t., autografo di Gali¬ leo. L 1 intero frammento è cassato con linee trasversali. — Cfr. pag. 297. w Cod. A, car. 80, autografo di Gali¬ leo. Vedi il facsimile 111. — Cfr. pag. 297. vili. ùb 434 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. trini), remanebit □ ea, cuius radix, dempta ex eh, relinquet ha alti¬ tudinem quaesitavn. Àmplitudo autom he iam calculata est ad sin- gulos gradua elevationis 10 . Per trovar Y altezze delle parabole. Dal D° della metà dell’ impeto (die è 1’ altezza con la sublimità della parabola) cava il Q° della metà dell’ampiezza della semipara¬ bola; e la radice del rimanente, aggiunta alla metà dell’impeto, darà 1’ altezza cercata, quando 1’ elevazione è più di gradi 45. Per la pre¬ senti! tavola die si fabrica, la metà dell’impeto è sempre 5000. Ma se P elevazione sarà meno di gradi 45, la detta radice del rimanente io si de’sottrar dalla metà dell’impeto, ed il restante è l’altezza cercata ra) . ad elevationem gr. 22 proiectio in plano absumit amplitudinem ut 4 ad 3, nempe sexquitertia altitudini» (:,! . Altitudinessemiparabolarum, quartini eadem sit àmplitudo, reperire. Id autem absolvitur per dimidiam tangentem arcuili elevationis datae semiparabolae. Inventa, ex dict.is, altitudine, sublimitates singularum semipara- bolarum, quariun eadem sit àmplitudo, facile reperies. Nani, cum di- midia àmplitudo mediet inter altitudinem et sublimitatem, diviso □ medine amplitudinis per altitudinem, habebimus sublimitatem, quae 20 postea, addita altitudini, exibet. imputimi. Fabricemus ergo tabulam sublimitatum, sitque semper dimidia àmplitudo semiparabolae 5000, eius □ semper idem 25000000 ; ele¬ valo sit gr. 1, tangens ipsins 174 V 2 , qualium tangens gr. 45 est 10000; tangens gr. 1, 174 '/ 2 ; eius dimidium, 87 ‘/i : per bunc numerum divide Q 25000000 14) . 1. Tra radix 0 dempta ai legge, cancellato, « ado ».— 9. Tra 5000 a Ma si leggo, cancellato, ed il suo [J 25000000. — 11. dalle metà — 23. apiiludo — Coti. A, car. 103i., autografo di Ga¬ lileo. Il reato della car. 103$. e la car. contengono calcoli numerici, relativi al com¬ puto della respettiva tavola. — Gir. pag. 305. {1> God, A, car. 110r., autografo di Ga¬ lileo. Il reato della car. llOr. e la car. ll()£. contengono calcoli relativi al computo della respettiva tavola numerica. — Cfr. pag. 305. (ì> Cod. A, car. 102/\, autografo di Ga¬ lileo. God. A, car. 125/., autografo di Ga¬ lileo. Nel reato del tergo della car. 125 e noi recto di essa, nonché nel redo e nel tergo della precedent e car. 124, si contengono calcoli numerici, relativi al computo della respettiva tavola. — Cfr. pag. 30S. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 435 Amplitudine» aomipiirabolarum ab codoni impeto doscriptarum. A Itilmlinos «orni parabo¬ loni m ab codoni impelli (leseriptarum, ampli tu- dinibua c oli g ruoti tos. Or. 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 (il 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 SS 89 10000 9004 ,0 9070 9M5 __ 9002 9848 9782 g 9704 «,o 9012 _ j" 951 1 _ 5 0990 9272 ' 9136 _ 8989 8829 8659 8481 _ }J® 8290 8090 7880 I 7660 it’r . , 7431 “’l'l noi _ r 2 ’ 6944 _ 6692 6428 ** 6157 _ 5878 5592 g:; 5300 5000 — oUb 4694 , u , 4383 ~ 4067 “ g® 3746 “ gj ♦*5490 3090 ir 2756 “ 2419 ” f n 2079 ~~ 1736 _ 1391 *** 1044 - * 698 — H (j | q —— 348 sic ] 5000 17 o 5173 5346 5523 _ ÌLL 5608 5868 17n 6038 6207 ~ g 6370 _ 6546 ! ! 6710 1( !p 6873 7033 r •i 7100 ]ro *• ! 7348 h'i 7502 r . 1 7649 !■««-] 7706 jjó 7939 “ 8078 8214 - g 8346 8474 8507 ,,o 8715 __ }}? 8830 _ 8940 _ ^ 9045 _ 9144 _ ;; 9240 _ g 9330 oL 9415 g 9493 9567 _ ,n 9636 9698 „ 9755 ri 9806 9851 no 9890 o' 9024 9951 9 9972 _ 7r 9987 _ h,,, 9998 Tabula ili li Ludi mini nomi parabola rum infra olovationoiu gr. 45, quunmi ini potile eli idem eie. (l) Cod. A, car. l\8t. f autografo di Ga¬ lileo. La parte di questa Tavola relativa alle altitudini delle semi parabole si leggo, sempre ili mano di Galileo, anche a car. I19r., e di qui noi V abbiamo fedelmente riprodotta, perchè i trascorsi di penna (che indichiamo con sic) sono in minor numero in questa re¬ dazione che in quella di car. 118 t. A car. 119r. Galileo aggiunse tale redazione dopo la Tabula altitudinum semiparabolarum infra de - vationem gr. d5 eoe., qui pur da noi ripro¬ dotta. — Cfr. pag. 304. ( 2) Cod. A, car. 119r., autografo di Ga¬ lileo. — Cfr. pag. 304. 43G FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO Tabula conti nona aUltmlinoa et aubliinitatm HoiniparnltoUnnn quartini nniplitudo Hit oariom, partiuin ncilicot 10000, ad ainguloa gradua olovationia calculata. A Iti tu- Sublimi- dittOB. talea. 5177 5302 5553 5752 51159 C. 171 0035 (1882 7141 7-113 7099 8902 8322 8000 9020 4828 4062 4502 4345 4195 4048 3900 3705 3032 3500 3372 3234 3123 3004 2887 2771 9813 10251 10722 11230 11779 12375 13025 13237 14521 15388 10354 17437 18000 2547 2331 2226 2122 2020 1919 1819 1721 1528 21667 — 23323 - - 25723 — 28356 - 35577 40722 47572 57150 71503 95405 143181 280499 1154 1002 972 881 792 702 013 525 437 349 202 174 87' 5 - (l> Cod. A, car. \03r., autografo di Ua- li LEO, cassato con linee trasversali. <*> Cod. A, car. 118$., autografo di Ga¬ lileo. — Cfr. pag. 307. Il numero de’ cubi ne’ quali uno si risolve, è il numero cubo delle parti clic [sou] nel lato del cubo che si risolve : come, per esempio, diviso il lato del cubo in tre o quattro parti, i cubi che da esse parti si faranno, saranno 27 o 64 ; ed avendo ogni cubo sei quadrati in superficie, multiplicando 27 per 6 e 64 pur per 6, averemo i numeri de i quadrati che sono superficie de i detti cubi. Tutte lo superficie de i piccoli cubi risoluti, prese insieme, alla superfìcie del cubo grande risoluto hanno la medesima proporzione che il numero delle parti del lato che si sega all’ uno : o così tutte lo superficie de i 27 cubi alla io superficie del primo massimo cubo saranno triple, e tutte le super¬ ficie dell i 64 cubetti, prese insieme, saranno quadruple della super¬ ficie deh’ intero gran cubo, essendo che il lato di questo fu diviso in tre parti per cavarne li 27 cubi, ed in 4 per cavarne li cubi 64. 11 numero de i cubi che restano sepolti nel gran cubo si trova essere il numero cubo delle parti nelle quali si divide il lato del gran cubo, trattone dua; onde nascendo i 27 cubi dalla divisione in 3, tratto da questo numero 3, 2, resta uno, ed un solo sarà il cubo che rimane incluso e sepolto tra li 27. Otto saranno i cubi sepolti tra li 64 nascenti dalla divisione del primo gran lato in 4 ; imperò che, 20 tratto dal 4, 2, resta 2, il cui cubo è otto : e così di tutti gli altri, etc. u) 2. parli che nel. La copia di mano del Viviani ìia parli che è nel. — 1G. nascendo di 27. La copia di mano del Viviani ha nascendo i 27. — Cod.B, Cftr.l9 b £.,di inanodi Vinohnzio Galileiani, car. 188i\, si legge, di mano del Galilei iun. Nel T. IX della Par. Y dei Mas. Viviani, quanto appresso: « In un esemplare 438 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. A o~ _JD _x: y'G -O E Sagù. Sia sostenuta nel punto C la libra di braccia disegnali, AC maggiore, CB minore : cercasi la cagione onde avvenga che, posti nell’ estremità due pesi eguali A, B, la libra non resti in quiete ed p equilibrio, ma inclini dalla parte del brac¬ cio maggioro, trasferendosi come in EF. La ragione che comunemente so no asse- O £ na 0 perché la velocità del peso A, nello B scendere, sarebbe maggiore della velocità del peso B, por essere la distanza CA mag¬ giore della CB ; onde il mobile A, quanto io al peso, eguale al B, lo supera quanto al momento della velocità, o però gli prevale, o scendo sollevando l’altro. Dubitasi circa il valore di tal ragione, la quale pare che non abbi forza di concludere : perché è ben vero che il momento di un grave si accresce, congiunto con velocità, sopra il momento di un grave eguale che sia costituito in quiete ; ma che, posti amenduo in quiete, cioè dove non sia pur moto, non che velocità maggiore di un’altra, quella maggioranza che non è, ma ancora ha da essere, possa pro¬ durre un effetto presente, ha qualcho durezza nel potersi apprendere, ed io veramente ci sento difficultà notabile. 20 Sai/v. Y. S. ha molto ben ragione da dubitare ; ed io ancora non restando ben sodisfatto di simile discorso, trovai di quietarmi per un altro verso molto semplice 0 speditivo, senza suppor niente altro che la prima e comunissima nozione, cioè che le cose gravi vanno all’in giù in tutte le maniere che gli viene permesso. Quando nella libra AB voi ponete due pesi eguali, se voi la luscerote andare liberamente, ella de* Discorsi e Dimostrazioni matematiche del Si.tr. Galileo stampati in Leida, nello guardie avanti al frontispizio, vi e scritto, di detta¬ tura del medesimo Galilea, quanto segue; o questo esemplare si trova appresso il Sig. Co¬ simo ». Dopo ciò seguita il Viviani : « Di mano di Pier Ferri, suo servidore, in tempo che già il Sig. Galileo era divenuto cieco e qui egli trascrive lo squarcio elio noi pub¬ blichiamo a pag. 441, lin. 1-15; e appresso continua: « Segue di mano del Sig. Vincenzio Galilei, suo figliuolo, e credo anche elio sia suo disteso », o dopo questa nota trascrivo (car. 18Sr.-t,) il tratto che abbiamo ripro¬ dotto ora (pag. 437, lin. 1-20), uno squarcio che stamperemo in un’altra parte di questo volume, e (car. 189r.) ciò che riproduciamo a pag. 44(>, lin. (5-11. (ili originali di mano di Pier Ferri e di Vincenzio Galilei, dai quali il Viviani trascrivo (con modificazioni, però, eli’ egli stesso dichiara d’aver intro¬ dotto), sono appunto nel cod. B, car. e 20r., e sopra di essi è condotta la nostra edizione. — Gir. pag. 133. TNTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 439 se ne calerà al centro delle cose gravi, mantenendo sempre il cen¬ tro della sua gravità (clic è il punto di mezzo D) nella retta che da esso va al centro universale ; ma se voi a cotal moto opporrete un intoppo sotto il centro I), il moto si fermerà, restando la libra con i suoi pesi in equilibrio ; ma se l’intoppo si metterà fuor del cen¬ tro D, come sarebbe in C, tal intoppo non fermerà la bilancia, ma devierà il centro I) dalla perpendicolare per la quale camminava, e 10 farà scendere per 1’ arco 1)0. Insornma la libra con i due pesi è un corpo ed un grave solo, il cui centro della gravità è il punto D, e questo solo corpo grave scenderà quanto potrà, e la sua scesa è regolata dal centro di gravità suo proprio : quando voi gli supponete 11 sostegno, il centro D cala in 0, e cosi quel che scende è tutto il corpo aggregato e composto della libra e suoi pesi. La risposta, dun¬ que, propria alla interrogaziono perchè inclina la libra etc., è perchè, come quella che è una mole sola, scende e si avvicina quanto può al centro comune di tutti i gravi (l) . 4. Tra centro o D si legge, cancellato, dalla perpendicolare. —13. corpo e aggregato — W Coti. B, car. 15 1. e 16r., di mano del Viviani, il quale, in capo al frammento, av¬ verte: « Di questo ho l’originale ». L’intero frammento è cancellato con una linea tra¬ sversale. — Cfr. pag. 152. Nei Mas. Galileiani, Tomo OXXXV dei Discepoli, autografo del Viviani e da lui inti¬ tolato Jiaccolta (V esperienze senz ’ ordine e. di pensieri diversi di vie Vincenzio Viviani , in di¬ versi propositi sovvenutimi intorno a 'materie meccaniche , fisiche, astronomiche f fdosofichc ed altro , eie., si ha, a car. 18r.-19r., quanto segue : «Trovandomi un giorno a ragionamento di varie materie con un tal Sig. Simplicio Patrizio, anconitano, passò questi ad inter¬ rogarmi sopra il segueute dubbio meccanico, il ([naie, por meglio esplicare, rappresenterò con alquanto di ligula, nel modo appresso. Sia sostenuta nel punto C la libra di braccia disegnali, AG maggiore, Oli minore: cercasi la cagione onde avvenga che, posti nell’ estremità duo pesi eguali A, B, la libra non resti in quiete ed in equilibrio, ma in¬ clini dalla parte del braccio maggiore, trasfe¬ rendosi come in EF. La ragione che comu¬ nemente se ne assegna è parche la velocità del peso A, nello scendere, sarebbe maggiore della velocità del peso B, per esser la di¬ stanza CA maggiore della distanza GB ; onde il mobile A, eguale quanto al peso al B, lo supera quanto al momento della velocità, e però gli prevale, e scende sollevando l’altro. Qui dubitasi circa il valor di tal ragione, la qual par che non abbia forza di concludere: perchè ò ben vero che il momento d’un gravo s’accresce, congiunto con velocità, so¬ pra il momento d’ un gravo eguale che sia costituito in quiete; ma che, posti am emine in quiete, cioè dove non sia nè pur molo, non che velocità maggiore d’un’altra, quella maggioranza che ancora non è, ma ancora ha da essere, possa produrre un effetto pre¬ sente, lia qualche durezza nel potersi ap¬ prendere, sentendovisi veramente difficoltà notabile, etc. A così fatta instanza sovvenemi di su¬ bito rispondere, alla presenza ancora di amico caro, che fu il Sig. Cosimo Galilei (quale io adduco in testimonio in ogni caso che il Sig. Patrizio, scordandosi aver ricevuto da me tal risposta e credendosela propria, in qualche occasione so ne vestisse), che con 440 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. molto apparente ragione Sua Signoria Eccel¬ lentissima dubitava, non restando ancor io ben sodisfatto di tal discorso, ina olio io credeva ben di poter quietarlo con una ragione potissima, semplicissima e spedita, senza supporre altro clic la prima e comu¬ nissima notizia meccanica; cioè che tutte le cose gravi vanno all 1 in giù in tutte lo ma¬ niere elio gli vien permesso, e elio quando possono scendere, benché per minimo spazio, sempre so ne ingegnano. Per esempio, quando nella suddetta li¬ bra AB si pongono duo gravi eguali, se questa si lusccrà andavo liberamente, finché non trovi intoppo se ne calerò al centro connine dello cose gravi, mantenendo sem¬ pre il centro della sua gravitò (clic è il punto di mezzo D) nella rotta clic da esso va al centro universale, poi che un grave in tanto si muove e scende naturalmente, in quanto il suo contro di gravitò può acqui¬ stare e scender verso il centro comune, eie.; ma se in questo moto della libra si opporrà un intoppo sotto il centro D, il moto si fer¬ merà, restando la libra co’i suoi pesi in equi¬ librio, non potendo il lor centro di gravità comune I> calare a basso; ma se l’intoppo si metterà fuor del centro l), come sarebbe in (J, tal intoppo non forni ora la bilancia, ma il centro I) devierà dalla perpendicolare per la quale camminava, e così scenderà come gli ù permesso dal sostegno (J, cioè per l’arco DO. In somma questa libra con i due posi eguali nell 1 estremità ò un corpo solo ed un grave solo, il cui centro di gra¬ vità è il punto 1), e questo solo corpo grave scenderà sempre quando e quanto potrà, e la sua scesa sarà regolata dal centro di gra¬ vità suo proprio; e quando se gli sottopone il sostegno 0, il centro 1) cala in 0, segui¬ tando anche di muoversi fino al perpendi¬ colo etc., sì elio quello clic scendo è tutto il corpo aggregato e composto della libra e suoi posi. La risposta, adunque, propria cd ade¬ quata all' interrogazione perchè inclini labbra sospesa fuor del centro etc., è perchè, come quella che è mia sola macchina, trovandosi qualche poco in libertà, scende c si avvicina quanto più può al contro connine di tutti i gravi ; essendo massima indubitabile, clic qualunque volta una machina di uno o più gravi etc. abbia il suo coinun contro di gravità costituito in luogo che possa per qualche parte, benché minima, far qualche acquisto verso il coni un centro de’ gravi, cioè della'ferra, sempre si muova e descen¬ da, e quando tal centro col muoversi non possa Biibito far qualche acquisto dcorsum, so no stia infallibilmente in una perpetua quiete. » La figura che accompagna questo squar¬ cio o eguale a quella che, dal cod. B, ripro¬ duciamo a pag. 10 De i moti fatti in tempi eguali gli spazii sfanno come le velocità; de i tatti con velocità eguale gli spazii stanno come i tempi; de’fatti in spazii eguali le velocità rispondono contrariamente a i tempi. Posta la parte AE eguale alla All, il tempo per AB al tempo per AC sta come AB ad AC, cioè come AE ad AC: ma come il tempo per AC al tempo per AE, così la media tra ^ le AC, AE alla AE : adunque come il tempo per AB al tempo per AE, così la AB, cioè la AE, alla detta media. Ma [come] la velocità per AC alla volocità per AE, così la medesima media ® alla AE : adunque la velocità per AB (che è la medesima che la ve¬ locità per AC) alla velocità per AE sta come quella media alla AE. Adunque è manifesto che i tempi per le eguali AB, AE rispondono contrariamente alle velocità per le medesime : il che bisognava di¬ mostrare (l) . _surto su l’ancore, si dessero le vele al vento e si sarpasse : dove la forza del vento non subitamente imprime la massima velocità alla nave, ma successivamente e con tempo, avvenga che nel principio la trovò immota, e poi e di mano in mano opera sopra il mobile cont.i- 9. Ma la velocità. Il Viviani, trascrivendo questo brano, aggiunge come. —12. come la AE a quella viedia. Il Viviani trascrive come AE a quella media, ma poi indica doversi correggere queste parole in come quella media a AE, <* perchè » egli scrive « nell’originale bou posposte ». — Cod. B, car. 19V., di mano di Pier car. 188r., di mano del Viviani: vedi pag. 437, Ferri ; e Mas. Galileiani, Par. Y, T. IX, nota 1. — Clr. pag. 193. vm. 5» 442 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. imamente allotto di maggioro velocità. Nè doviamo porre alcuna dif¬ ferenza tra gl’ impulsi dati por intervalli e quello che vien conferito con forza continuata, perchè sì come tra gl’ impulsi interrotti nessuna varietà si deve considerare se talvolta in 10 minuti di tempo si dieno 20 vogate o 30 o 100 o 1000, così nè anche può cader alcuna alte¬ razione tra quelli o l’impulso continuato, non sendo questo altro che una frequentissima moltitudine di spinte, cioè di infinite, dentro all’ istesso tempo. Non basta dunque elio il mobile il mezzo e la fa¬ coltà sieno sempre l’istesse, a fare l’introduzione di una tanta cele¬ rità ; ma vi vuole, partendosi il mobile dalla quiete, una successione io di tempo. In simil guisa penso io che proceda il negozio ne i mobili natu¬ rali, partendosi dalla quiete, dove da qualche impedimento erano ri¬ tenuti : perchè, il mezzo sia sempre l’istesso, l’istesso il mobile e l’istessa la gravità movente, tutta via essa gravità su ’l principio opera sopra un mobile non abituato di moto alcuno, ma poi successivamente va operando sopra mobile alletto di velocità ; onde, operando essa virtù nel modo istesso, muove più, perchè accresce moto sopra mo¬ bile che ella ritrova in moto (l> . Che i gravi descendent i m dalla medesima sublimità sopra l’orizonte so per lineo rotto in qualsivoglia modo inclinate, si trovino, giunti che sieno all’ orizonte, aver acquistato eguali gradi di velocità (proposi¬ zione sin qui da me supposta, e solo con esperienze e probabili di¬ scorsi confermata), potremo nel seguente modo dimostrativamente provare; pigliando come effetto notissimo, le velocità dell’istesso mo¬ bile ossei* diverse sopra diverse inclinazioni di piani, e la massima esser per la linea perpendicolarmente sopra 1’ orizonte elevata, e por 1’ altre inclinate diminuirsi tal velocità secondo che dal perpendicolo si discostano, cioè più obliquamente s’inclinano : dal che si scorge che l’impeto, il talento, o vogliam dire il momento o energia, del ao discendere, nel mobile vien diminuita dal soggetto piano, sopra il quale egli si appoggia e discende. 111 Cod. B, car. 14t., di nmno del Viviani. Ito l’originale ». — Cfr. pag. 201. li» calce al frammento ai legge l’annotazione, *' Gir. Discepoli. T. XX, p. 277-283. Ed. di pugno dello stesso Yiviani: « l)i questo Naz.,XVIll,345, lin. ltì-18;359, lin.37-39. INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 443 E per meglio dichiararmi, intendasi la linea AB, perpendicolar¬ mente eretta sopra 1’ orizzonte AC ; pongasi poi la medesima in di¬ verse inclinazioni verso P orizzonte piegata, come in AD, AE, AF, etc. : dico che ò assai manifesto che P impeto massimo e totale del grave per discendere è nella perpendico¬ lare BA, dovo non è resistenza o impedi¬ mento di piano ; minore di questo totale è nella DA, e minore ancora nella EA ; e suo¬ lo cessivamente andarsi diminuendo nella FA, e finalmente esser del tutto estinto nella orizontale CA, dove il mobile non ha per se stesso inclinazione alcuna, nè men resistenza, all’ esser mosso. Appresa questa mutazione d’impeto, mi fa mestieri di ritrovare c dimostrare con qual proporzione ella si faccia, con tutto che in altro luogo io abbia ciò dimostrato e divorsamcnto. Per esempio, del piano inclinato AF tirisi la sua elevazione sopra P orizonte, cioè la linea perpendicolare FC, per la quale l’impeto ed il momento del discendere di un grave è il massimo : cercasi qual proporzione abbia 20 adesso tal impeto massimo all’ impeto del medesimo grave per P in¬ clinata FA. È manifesto, tanto essere per l’appunto Pimpeto del suo discen¬ dere, quanta è la resistenza o forza minima che basti per vietargli la scesa e fermarlo: mi voglio servir, per tal misura, della gravità d’ un altro mobile. Intendasi, sopra il piano FA posare il mobile G, il quale venga ritenuto col filo che, cavalcando sopra F e pendendo a perpendicolo, abbia attaccato un peso II, il quale, gravando a piombo, proibisca al gravo G lo scender per l’inclinata FA, cioè sieno tali mobili in istato d’ equilibrio. Or, riducendosi alla memoria so quello elio si dimostra in tutti i casi de’ movimenti meccanici, cioè che la volocità del moto d’ un mobile men grave compensa, con re¬ ciproca proporzione della gravità, la minor velocità d’ altro mobile più grave, che è quanto a dire che gli spazi passati da essi nell’istesso tempo abbiano reciproca proporzione delle lor gravità; consideriamo che lo spazio della scesa o salita a perpendicolo del grave H, quando mai si muovesse, è ben eguale a tutta la salita o scesa del mobile G 19. Tra cercasi e qual loggeBi, cancellato, adesso. 444 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. por l’inclinata AF, ma non già. alla salita o scesa a perpendicolo, nella quale esso mobile esercita la sua resistenza. TI che è manifesto. Imperocché considerando, nel triangolo AFC il moto, v. g., da A in F esser composto del traversale orizontale AC e del perpendicolare CF ; ed essendo che, quanto all’ orizzontale, niuna sia la resistenza del mo¬ bile ; resta, la resistenza essere solamente rispetto alla perpendico¬ lare CF. Mentre dunque il mobile G, muovendosi, per esempio, da A in F, l'esiste solo, nel salire, lo spazio perpendicolare CF, ma che 1’ altro grave H scende a perpendicolo quanto è tutto lo spazio FA, possiamo ragionevolmente affermare, le velocità o gli spazi passati io nel medesimo tempo da tali mobili dover risponder reciprocamente alle loro gravità ; e basterà, per impedir la scesa del peso H, che il grave G sia tanto più grave di quello IT, quanto P inclinata AF è mag¬ gioro della perpendicolare FC. E perchè siamo convenuti, che tanto sia l’impeto, l’energia o ’l momento [. .. .] al moto del mobile, quanto è la forza o resistenza minima che basta a fermarlo, concludiamo, l’impeto per l’inclinata all’ impeto massimo per la perpendicolare stare com’essa perpendicolare, cioè come l’elevazione della medesima inclinata, alla lunghezza dell’inclinata. Stabilito ciò, e posto che il mobile grave, partendosi dalla quieto 20 e naturalmente scendendo, vada con eguali aggiunte in tempi uguali accrescendo la sua velocità, come vien da me definito il moto acce¬ lerato nel mio Libro ; onde, come quivi io dimostro, gli spazi passati sono in duplicata proporzione de’ tempi, ed in conseguenza de i gradi di velocità, la quale, conio si è detto, cresce con la proporzione del tempo ; dimostreremo la nostra conclusione, cioè i gradi di velocità nell’ orizonto esser eguali, quelli però acquistati dal mobile che dalla quiete si parta da qualunque altezza, e per quali si sieno inclinazioni pervenga all’ orizzonte. Fi qui dovesi avvertire, elio posto che in quali si voglino inclina- so zioni il mobile dalla partita dalla quiete vada crescendo la velocità con la proporzione del tempo, e in conseguenza la quantità dell’im¬ peto ; quali furono gl’ impeti nella prima mossa, tali saranno i gradi delle velocità guadagnati nello stesso tempo, poi che e questi e quelli crescono con la medesima proporzione nel medesimo tempo. 15, o ’l momento al. Gfr. pag. 217, lin. 22. — 35. proporzione ilei medesimo. Cfr. pag. 218, lin. 16. — INTORNO A DUE NUOVE SCIENZE. 445 Ora sia il piano inclinato FA, la sua elevazione sopra l’orizontc la perpendicolare FC, e l’orizontale CA; e prendasi nell’inclinata FA la FG, terza proporzionale dopo AF, FC : o perchè l’impeto per la perpendicolare FC all’impeto per l’inclinata FA sta come FA ad FG, i medesimi impeti staranno come le FC, FG. 11 mobile, dunque, nell’ istesso tempo che pas- sasse uno spazio [-] eguale all’FG nell’in- cimata FA, ed il grado di velocità in C al grado di velocità in G averebbe la medesima -—^A io proporzione della FC alla FG. Ma il grado di velocità in A al grado in G ha la medesima proporzione che la AF alla FC, cioè che la FC alla FG ; adunque i gradi in A ed in C al grado in G anno la medesima proporzione, e però son fra loro eguali : che è quel che doveva dimostrarsi (,) . 7. spazio eguale. Gir. pag. 218, lin. 26-27.— w / 0) (_Jod. B, cor. llr.~13$., di mano del il titolo: «Dimostrazione trovata dal gran Yiviani, clic premette a questo frammento Galileo ranno 1639*. — Gfr. pag. 214 -219. Il mollile nel descrivere la parabola, benché angustissima, non [lassa per la quiete nel termino altissimo, ma sì bene nel muoversi per la perpendicolare, cioè ritornando per la medesima retta in giù : e se Aristotele avesse detto che nel moto reflusso si passa per la quiete, averebbe detto bene 1 ”. % Cercare di assegnare la ragiono onde avvenga che la palla tirata in su col moschetto, incontrando dieci o 12 braccia lontano un petto a botta, lo sfonda, sopra il quale cadendo ella dall’ altezza dove il mo¬ schetto la caccerobbe, percotendo nel ritorno in giù sopra il medesimo petto, assai minoro effetto vi farebbe, o forse appena l’ammacche¬ rebbe un poco t2) . Simp. Di grazia, prima che passar più avanti, fatemi restar capace in qual modo si verifichi quel converso che l’Autore suppone come chiaro e indubitato: dico che, venendo il proietto da alto a basso de¬ scrivendo la semiparabola, cacciato per il converso da basso ad alto, ci debba ritornare per la medesima linea, ricalcando precisamente lo 2. La copia moderna leggo per la quiete nel suo vertice altissimo .— 9) Cod. 13, car. 1 [t. } di mano del Vi vi a ni, il quale premette questa indicazione: « Da una nota di mano del Galileo, in una faccia della bozza Ve molti e Della percossa ». Il frammento ò cancellato con linee trasversali. Se ne ha copia di mano moderna, o forse del nostro secolo, nel T. Ili della Par. VI dei Mas. Galileiani, car. 3Ur., premessavi la seguente indicazione: «Copia di nota che si trova di mano elei Galileo in una iaccia del suo libro o bozza Ve molli naturali et acceleralo ». W Cod. B, car. 20;\, di mano di Vinoknzio Galilei iun.; o Mss. Galileiani, Par.V, T. IX, car. 18!)r., di mano del Vi vi ani: vedi pag. 437, nota 1. — Cfr. pag. 279. FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECC. 447 medesime vestigio, non avendo, per ciò fare, altro regolatore che la direzione della semplice linea retta toccante la già disegnata semi- parabola; nella cui delineazione, fatta dall’alto al basso, l’impeto tra¬ sversale orizontale mi quieta nello ammettere la molta curvazione nella sommità, ma non so intendere nè discernere come l’impulso fatto da basso per una retta tangente possa restituire un impeto trasversale atto a regolare quella medesima curvità. Sai.v. Y. S., Sig. Simplicio, nel nominare la retta tangente, lasciate una condizione, cioè tangente ed inclinata ; la qual inclinazione è ba¬ io stante a fare che il proietto in tempi eguali si accosti orizontalmente per spazii eguali all’asse della parabola, come forse più a basso in¬ tenderemo. Sagù. Ma intanto, per ora, ditemi, Sig. Simplicio : credete voi che la linea descritta da un proietto da basso ad alto secondo qualche inclinazione sia veramente un’intera linea parabolica? e che niente importi che la proiezzione si faccia da levante verso ponente, o per 1’ opposito ? Simf. Credolo, purché la elevazione sia la medesima e che la forza del proiciente sia l’istessa. 20 Sagù. Come voi ammettete questo, fatto che si sia un tiro da qualsivoglia parte, che cosa vi ha da mettere in dubbio che la se¬ miparabola da basso ad alto del secondo tiro, che si faccia in con¬ trario del primo, non sia la medesima che la seconda semiparabola del primo tiro, sì che il proietto ritorni per la medesima strada ? Quando ciò non fusse, nè anco la parabola intera del secondo tiro sarebbe simile a quella del primo. Simp. Già intendo e mi quieto ; però seguiamo. Tueorema, PuorosiTio VIIl a . Amplitudine^ orizontales parabolarum t/c.'” 1G. Tra che la e proiezzione si legge, cancellato, inclinazione .— Cod. B, car. 14r., di mano del Viviani, il quale in capo al frammento, che è can¬ cellato con una linea trasversale, avverte: <* A car.290, dopo il Salv. Or sentiamo la dimostra¬ zione et.c., vi è questa rimessa, non stampata, di mano pure del Galileo; ma no ho l’origi¬ nale ». Il luogo dei Discorsi eDimostrazUmi ccc. qui citato dal Viviani è, nell’edizione origi¬ nale, alla pagina che porta il numero 290 per errore di stampa, mentre dovrebbe essere 270. Cfr., nella presente ristampa, pag. 29G, lin.32 Veggasi anche pag. 433, lin. 1-6. 418 FRAMMENTI ATTENENTI AI DISCORSI ECO. Quando V. S., Sig. Sagredo, mi foce intermetter la lettura, pensai che ella si ritrovasse involta in una veramente strana fantasia, la quale a me ed all’Autore stesso ha dato assai che pensare; ed io per me mi trovo sempre più irresoluto, e quello che mi confonde e perturba è questo ( ”. Cod. B, car. 15r., di mano dal Viviani. Manca respressa dichiarazione consueta, di averne V originale; ma è frammezzo ad altri frammenti, per i quali tale dichiarazione ò fatta. - (-fr. per luoghi simili pag, 210, 223, 269, 283, 285, ecc. Vili. 57 AVVERTIMENTO. Non era compiuta peranco la stampa dei Dialoghi delle Nuove Scienze, o già Galileo, nonostante la perdita totale dell’occhio destro o che dell’altro, per l’ab¬ bondante lacrimazione, non potesse servirsi, tuttavia volgeva l’animo a nuovi lavori, e ne dava ragguaglio al P. Fulgenzio Micanzio, scrivendogli il 5 no¬ vembre 1637 : « Sono intorno al distendere un catalogo delle più importanti operazioni astronomiche, le quali riduco ad una precisione tanto esquisita, che, mercè della qualità degli strumenti per le osservazioni della vista c per quelli co’ quali misuro il tempo, eonseguisco precisioni sottilissime, quanto alla misura non solamente di gradi e minuti primi, ma di secondi e terzi e quarti ancora; e quanto a’ tempi, parimente esattamente si hanno le oro, minuti primi, secondi e terzi, e più, se più ne piace : mercè delle quali invenzioni si ottengono nella scienza astronomica quelle certezze che sin ora, co’ mezzi consueti, non si sono conseguite > (1) . È da credere che al principio dell’ anno successivo egli avesse già compiuto il lavoro a cui accennava con queste parole, poiché ad Elia Dio¬ dati, che con lettera del 22 dicembre 1637 gli chiedeva < la nota particolare dell’opere sue sin qui non stampate >, (1) rispondeva, tra l’altro, addì 23 gen¬ naio 1638: *0 di poi una mano d’operazioni astronomiche, parte delle quali acquistali perfezione dall’ uso del telescopio, ed altre dalla maggiore squisitezza nella fabbrica degli astronomici strumenti; mercè de’quali aiuti, tutte 1’osser¬ vazioni celesti potranno esser con notabile acquisto poste in opera > (3} . Lo Operazioni Astronomiche avrebbero dovuto, secondo l’opinione del Viviani, esser comprese, insieme con altre scritture, nella continuazione della così detta Quinta Giornata delle Nuove Scienze (4) : ma non essendo state pubblicate dall’Auto¬ re, rimasero inedite tra le carte ereditate dai lìglio Vincenzio. Questi, in una delle (U Dilli. Marciana, 01. X. Ita)., cori. XLVII,cnr. 15. suo discepolo, occ. In Fironzo, M. OC. LXXIV, pag. 81. (*) Quinto libro degli Elementi d' Euclide, ovvero Quinto libro degliElementi d'Euclide ecc.,pag. 85. Scienza Universale dello Proporzioni, spiegata colla Oì Op. cifc., pag. 102. Si avvertano, a questo pro- dottrina del Galileo, con nuov'ordine distesa e per la posilo, lo pardo con cui cominciano lo Operazioni: prima volta pubblicala da Vincenzio Viviani, ullitno « J ragionamenti che no i giorni passati ccc. ». 452 AVVERTIMENTO. frequenti occasioni che Vincenzio Vivami aveva di trovarsi con lui, dettò all’ultimo discepolo di Galileo, tra 1* altro, anello < il disteso di sei Operazioni Astronomi- elio > 1 , e il Viviani, più tardi, potò altresì riscontrare la sua copia con Foriginale, quando questo era passato nelle mani di Cosimo, figliuolo di Vincenzio Galilei (1) . Siffatta copia, elio il Viviani dico di avere scritto sotto dettatura di Vincenzio Galilei, ò molto probabilmente quella elio, di mano del Viviani, si trova oggi nel Tomo VI (car. 38r.-46£.) della Par. IV dei Manoscritti Galileiani posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, o elio comprendo appunto lo prime sei Opera¬ zioni o r intitolazione della settima (S) ; e su di essa noi abbiamo fedelmente con¬ dotta T edizione della presento scrittura, clic ò vcrisimile sia stata lasciata così incompiuta dall’Autore stesso (4) . Alle Operazioni Astronomiche abbiamo creduto opportuno soggiungere, come appendice, due brevi scritture nelle quali duo discepoli di Galileo ci hanno lasciata memoria di un’invenzione del Maestro per misurare il diametro apparente delle stelle, problema a cui si riferisce anche la seconda delle Operazioni. La prima di questo scritturo si legge, di mano del secolo XVII, a car. 35/\-36>\ del citato Tomo VI della Par. IV dei Manoscritti Galileiani: e Vincenzio Viviani, in una nota che di suo pugno vi ha premesso, c’ informa elio ò cavata da un libro di Ricordi in materia d! agricoltura e d'economia c. d'altre occorrenze domestiche di Niccolò Arrighctti (5) . La seconda scrittura ò stata distesa probabilmente dal Vi¬ viani : di sua mano infatti essa si leggo in un foglio (car. 37 r.-t. del medesimo Tomo VI), elio ha tutto l’aspetto d’essere una bozza originale (fl) . O» Op. cit., pag. 102. <*' Op. cit., pag. 10*1. In capo alla prima curia il Viviani lm no¬ tato, in matita: « Di mano di M. M. Allibrinotii, in fo^li n.° 1 » ; il elio vuol diro, a quanto erodiamo, elio r originalo di questa serillurn era (li mano non di Cammeo, ma di Messor Maiioo A jiijrouktti, del quale ò noto elio Cammeo si servi, conio di ama¬ nuense, appunto negli anni IG37-1G38 (Quinto libro dcyli Elcnunli d’Euclide OCC., pag. 83, 87). Clio la copia di mano del Viviani a noi pervenuta sia quella stessa elio a lui fu dettata da Vinokn/.io Gami.ki c cho poi egli riscontrò con l’aiuto di Cosmo Gami.ki, ò confermato, a quanto paro, dalla postilla di pugno del Viviani cho pubblichiamo a pag. 156, nota 1: a questa postilla infatti è molto probabile che il Viviani alluda, quando scrivo, noi Quinto libro eco., pag. lui, parlando dol riscontro della sua trascrizione con l’originalo, cho «noi margino di quello sovvienimi ch’io feci di mia mano una certa nota >. m Appiè della pag. 4G8 abbiamo notato un ma¬ teriale trascorso di ponila dol Viviani, cho Abbiamo corrotto noi tosto. — fc proludalo cho (lolla copia che ò ora tra i Manoscritti Galileiani si siano ser¬ viti audio gli editori ftorontini del 1718, dio per primi pubblicarono le Opcvaxioni Astronomiche (Opere di ftAMi.Ro Gami.ki eoe. In Firouzo. MDCCXVIll. Nella Stamp. di S. A. li. Por fio. (ladano Turimi o Santi Franchi. Tomo III, png. 457-467), o cho, conio altro volto abbiamo avvertito, per le scritture prima inedite si valsero appunto di manoscritti già appar¬ tenuti al Viviani. 1/edizione del 1718 però non ri¬ produco foddiuonto il manoscritto. W II TahgioXI TozZBTTI, Notizie dcyli nygran- diluenti delle scienze J'micho ccc., Tomo 111^ In Fi* ronzo MDOCI.XXX, pag. 109,' dico d’aver visto nella libreria di Giovanni Batista Nf.lm lo'/.ihaldono au¬ tografo deirARiticjilKTTl intitolato: 1G3S. Quièto libro à di Niccolò di Francesco Arriyhctti, sul quale fard alcuni ricordi in materia d'agricoltura c d‘economia e d'altre occorrenze domestiche. Noi Pabbiamo cor¬ cato inutilmente tra quoi manoscritti della libroria Nnm.i elio oggi sono nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Si veggano, in prova di ciò, lo correzioni in¬ terlineari o contestuali cho registriamo appiè della scrittura; o s’ avverta altresì elio questa rimane in tronco nel manoscritto. LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. T ragionamenti che ne i giorni passati sono occorsi intorno al- P esquisitezza de gli strumenti astronomici usati da gli osservatori sin qui, ed in particolare da Ticone Brahe, con spese eccessive, mi hanno porta occasione di rinovare alcuni linei pensieri sopra questa mate¬ ria ; li quali, s’io non m’inganno, mi fanno credere, potersi con istru- menti assai più semplici, e molto più esatti, conseguire le medesime notizie, ed altre appresso non tentate ancora, e con tutto ciò utilis¬ sime e grandi, nel medesimo affare, io È noto a ciascuno, due esser i mezzi principalissimi e necessaris¬ simi per far le celesti osservazioni con puntualissima giustezza : 1’ uno de’ quali ò il potersi servire d’ un misuratore del tempo che senz’ er¬ i-ore d’un momento ci somministri 1’ ore e le loro frazzioni, fino a’ mi¬ nuti primi, secondi e terzi, e più, se più bisognassero ; l’altro è il trovarsi forniti di strumenti per prender 1’ altezze delle stelle e le distanze tra esse od altre simili misure necessarie. Dirò la fabbrica c ’l modo di perfezzionar 1’ una e 1’ altra sorta di strumenti. Esattissimo compartitore, in minutissime particelle, del tempo è un pendolo appeso a un sottil filo di qualsivoglia grandezza ; il qual pen- 20 dolo, essendo di materia grave, rimosso dal perpendicolo c lasciato liberamente scorrere, fa le sue reciprocazioni, o vogliano, dir vibra¬ zioni, siano pur grandi o piccole, perpetuamente sotto tempi ugua¬ lissimi. Il modo poi di trovare, mercè di questo, esattamente la quan¬ tità di qualsivoglia tempo ridotto ad ore, minuti, secondi etc., che sono le particole comunemente usate da gli astronomi, sarà tale. 454 LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. Accomodato un tal pendolo, di lunghezza, per esempio, d’ un palmo o di mezzo braccio, e facendolo andare, e per una volta tanto nu¬ merando con pazzienza le vibrazioni che passano in un giorno natu¬ rale, conseguiremo il nostro intento, tutta volta però che abbiamo una precisa conversione di detto giorno, o vogliala dire dell’ equi¬ noziale. E per ottener questa, voglio che si fermi un telescopio esqui- sito, di lunghezza di quattro braccia o più, verso qualche stella fissa quand’ oli’ ò intorno al meridiano, e tenendo sempre immobile il telescopio, aggiustato già alla stella, si continui di rimirarla sino all’ ultimo punto eh’ ella scappa fuori della vista ; nel qual punto si io comincino a numerare le vibrazioni del pendolo, continuando la notte e ’l giorno seguente sino al ritorno della medesima fissa incontro al telescopio conservato sempre immobilmente nel medesimo posto ; ed aspettando che la stella scappi fuori della vista nel modo che fece nella precedente osservazione, ritengasi il numero delle vibrazioni scorse in tutto questo tempo : imperochò da esse in tutto 1’ altre os¬ servazioni di tempi potremo avere le quantità loro in ore, minuti, socondi e terzi etc., operando con la seguonte regola. Pongasi, per esempio, che ’l numero delle vibrazioni nel tempo dello 24 oro naturali sia stato 280536 ; ed all’ arrivo d’ alcuna fissa 20 nel meridiano si cominci a numerare le vibrazioni, sin che un’ altra fissa pervenga al meridiano, e sia il tempo decorso, misurato, 16942 vi¬ brazioni : vogliamo sapere quanto sia questo tempo, ridotto in ore, minuti, secondi etc. Dicasi dunque, por la regola aurea : Se 280536 vi¬ brazioni sono il tempo di 24 ore, qual sarà il tompo delle 16942 ? Operisi per la regola, e trovorassi un’ ora, con 1’ avanzo della fraz- zione 126072 ; dalla quale caveremo i minuti primi, moltiplicandola per 60, il cui prodotto è 7564320, che diviso pel primo numero 280536 ne dà 26, che sono minuti primi, ed avanza 270384 ; dal quale ave- remo i secondi, multiplicandolo pure por 60, il cui prodotto ò 16223040, 30 che diviso pur por l’istesso partitore ne rende 57, e sono minuti se¬ condi, ed avanza 212488; il qual di nuovo multiplicato per 60, e’1 prodotto partito pel medesimo partitore, ci dà 44 minuti terzi, con 1’ avanzo di 205696 ; che multiplicato pure per 60, e diviso il pro¬ dotto pel medesimo partitore, ci dà 44 minuti quarti quasi appunto. E con tal ordine si troveranno frazzioni più minute, quanto ne pia¬ cerà. E tra tanto notisi quanto grande sia l’utile che da questa prima LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 455 operazione si ritrae, poi che per essa vanghiamo in cognizione scru¬ polosissima della differenza ascensionale retta di tali stello, etc. Stabilito in tal modo il mio misuratore del tempo, vengo alla di¬ visione e suddivisione de’ gradi del quadrante o sestante, con maniera simile alla sopraposta nella divisione del tempo. Dopo aver diviso 1’ arco del quadrante in 90 parti uguali, overo in G0 quello del se¬ stante, piglisi una verghetta in figura di prisma triangolare, fatta d’avorio o di altra materia dura, intorno alla quale verghetta si vadia avvolgendo una sott.il corda da cetera ; o per fuggire l’offesa io della ruggine, sarà bene che la corda sia un (il d’oro, tirato per sottilissima trafila. Questo, avvolto intorno alla triangolar verghetta in modo che le rivolte si vadano toccando, non è dubbio alcuno che tutto lo spazio compreso tra le rivolte estreme sarà diviso in parti- cole minime ed ugualissime. Preparisi dunque cotal prismetto, e di esso s’ingombri, dalla moltitudine delle volute del filo, tanta parte, quanta appunto è la lunghezza d’un grado del nostro quadrante o sestante; accomodisi poi il prisma così diviso, che ad arbitrio nostro risponda a qualsivoglia grado delli 90 o GO, trasportandolo a questo ed a quello secondo ’l bisogno, cioè applicandolo a quel grado elio 20 dalla dioptra o dal perpendicolo sarà tagliato : la divisione d’ un grado d’ un quadrante o sestante, la cui costa sia quattro braccia in circa, sarà dalle rivolte del sottil filo fatta in molte centinaia di parti. E qua¬ lunque sia il numero di esse, troveremo le frazzioni del grado con l’istessa regola che trovammo di sopra le frazzioni dell’ore; che posto, per esempio, che le revoluzioni del filo fussero 2430, e che le tagliate dalla dioptra o dal perpendicolo fossero, v. g., 820, diremo : Se il nu¬ mero 2430 ci dà minuti primi G0, quanti ce ne darà l’altro numero 820? Operisi conforme alla regola, e troveremo darcene 20'. 14" e quasi 49'". Preparati cotali due strumenti massimi, potremo prima rettificare 30 le cose già stabilite sino a questi tempi, ed altre arrecarne, con nuovi e molto esquisiti mezzi ottenute. E per maggior distinzione e chiarezza, voglio che andiamo numerando e distinguendo le operazioni tra di loro. OPERAZIONE PRIMA. Avanti che venghiamo all’operazioni particolari, dependenti dai due preparamenti posti di sopra, ho giudicato esser bene il dichiarare LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 45P> un modo esattissimo, pel (.pialo quel che vuol fare l’osservazioni possa rimediare all’ inconveniente nel qualo incorrerebbe ogni volta che si servisse di'’ raggi della sua vista come derivanti da un punto solo indivisibile ; il elio è falso, atteso che vengono prodotti da tutto ’l pic¬ colo cerchio della pupilla do gli occhi : onde fa di bisogno che il riguardante abbia una squisita misura del diametro della pupilla del proprio occhio, la cui grandezza si deve metterò in conto; altrimenti si potrebbero commettere errori gravissimi, come in vario opera¬ zioni, che ci accnderauno, manifestamente si comprenderà. E per trovar tal diametro della pupilla, ho pensato un modo assai esatto ; io od ò tale. Premiatisi duo strisce di carta, l’una bianca o larga il doppio più doli’ altra, che sia nera ; o basterà che questa più stretta sia larga un pollice, o l’altra due : o fermata la maggior in una parete, ponganogli P altra al dirimpetto, e lontana da quella, per esempio, dieci braccia. È manifesto, che essendo tali due strisce col¬ locate parallelo fra di loro, lo lineo rette, le quali partendosi da (lue punti estremi della larghezza della maggiore striscia, passando per i duo termini della minoro rispondenti a quella della maggiore, an- derobboro a congiugnersi in un punto, altre dieci braccia lontano dalla minoro striscia; e se nel punto di tal concorso si costituisse 20 l’occhio, o elio in esso la vista si facesse in un sol punto, la striscia nera c minore asconderebbe precisamente tutta la bianca : ma perchè i raggi visivi escono da tutta la pupilla, però troveremo por espe¬ rienza, esser necessario avvicinare alquanto l’occhio alla striscia nera; avvicinarlo, dico, tanto, che dalla larghezza della nera venga preci¬ samente occultata la larghezza (lolla bianca. E fatto questo, prendasi con diligenza la lontananza della pupilla dalla striscia nera, la quale sarà minoro della distanza dell’ angolo del concorso ; e dalla diffe¬ renza di tali due distanze agevolmente verremo in cognizione del diametro della pupilla: il che faremo chiaro per la figura qui ap-so presso notata 10 . (,) Il Viviani postilla, in margino del manoscritto: «In simili operazioni si troverà varia la larghezza della pupilla, porche se¬ condo che gli oggetti che ella riguarda sono più o men lucidi, più o menu essa ancora si ristrigne: però in ogni angolo visuale elicsi ricerchi, sarà necessario far questo esame della larghezza d’essa pupilla, etc. ». In capo a questa nota il Viviani scrisse, in matita: <* mia postilla », e « la postilla qui sotto la feci anco,di mia mano, nell’originale». A pro¬ posito di tale postilla vedi l’Avvertimento. LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 457 Intendasi la retta AB esser la larghezza della striscia bianca, la cui metà CD sia la larghezza della nera ; o fermate tra di loro pa¬ rallele in qualsivoglia distanza, intendansi dalli estremi termini A, B passare le rette per i ter¬ mini C, D, concorrenti nel p punto E ; nel qual punto E quando vi fusse costituita la pupilla, e elio la vista terminasse in un sol punto, verrebbe la AB occultata dalla CD. io Quando dunque ciò non accada, portisi l’occhio verso CD, sin dove primieramente resta la AB coperta dalla Cl) ; e ciò avvenga, per esempio, in FG : è manifesto, la FG esser il diametro della potenza visiva, cioè della pupilla, la cui grandezza ci resterà nota mercè delle tre linee note CD, CE, EF ; imperochè qual proporzione ha la CE alla EF, tale Y lia la CD alla FG. OPERAZIONE SECONDA. Fermato e con somma diligenza ritenuto il diametro della pro¬ pria pupilla, vengo ad una operazione tanto più ammiranda e da pregiarsi, quanto da essa dependono cognizioni sopra modo impor¬ lo tanti e nelle quali tutti i passati astronomi si sono allucinati ; e que¬ sta è una esattissima misura de i diametri de i dischi dello stelle, tanto fìsse quanto erranti, i quali sono stati creduti molte e molte volte maggiori di quello che realmente sono. E veramente troppo è stata scarsa 1’ avvertenza di coloro che hanno giudicato, come si dice, a occhio, il diametro, v. g., del Cane o di Venere suttendere a due o tre minuti primi, giudicando tali grandezze da quello che mostrano nell’ oscurità della notte, quando la capellatura de i raggi avventizii è cento e conto volte maggiore del nudo corpicello della stella ; come pur dovevano comprendere dall’ aver veduto più volte Venere, di so giorno, non punto maggiore d’ un grano di miglio, e la medesima, un’ ora doppo il tramontar del Sole, grande come una gran fiaccola. Ma venghiarno ad emendar 1’ errore con l’investigare quale e quanto sia 1’ angolo a cui suttende il diametro di qualsivoglia stella. E preso, per esempio, il Cane, e fatto pendere da qualche notabile altezza una corda grossa, v. g., un dito, ed avendo preparata tal corda che ad Vili. 68 * 458 le operazioni astronomiche. essa altri possa liberamente accostarsi e discostarsi, vada, quello elio opera, appressandosegli sì che gli vonga precisamente coperta la stella, in guisa tale, che movendo 1’ occhio a destra o a sinistra, per ogni minimo intervallo si scopra qualche parto del disco risplendente; e posto un segno nel luogo dove ò stato 1’ occhio nell’ operare e un altro nel luogo della corda, si esamini poi con comodità e puntua¬ lissimamente il diametro della corda, o pure (e sarà la vera) la lar¬ ghezza di essa corda compresa dalli estremi raggi tangentila tn , ed il diametro della pupilla, misurati amendue con le più sottili fraz- zioni che usar si possano : imporochè dalla proporzione di questi io due diametri e dalla nota e misurata distanza tra ’l luogo della corda e la pupilla troveremo il vero punto del concorso de’ raggi li quali, partendosi dal diametro della stella, passassero per i termini del diametro della corda; il che faremo manifesto con questa semplice figura. Intendasi l’occhio esser in EF quando la corda, il cui diametro CD, occupa il diametro AB della stella alla pupilla, il cui diametro EF: cercasi il concorso de’ raggi AC, BI), cioè 1’ angolo G. Intendasi nel A. triangolo COI) la 101 pa¬ rallela alla GT) : è inani- 20 festo, come 1C a CD, così stare EC a CG. Ma IC è B nota, essendo l’eccesso del diametro della corda sopra ’l diametro della pupilla; è nota parimente essa CI), essendo il diametro della corda ; nota è similmente la EC, distanza tra l’occhio e la corda: adunque avoremo la lontananza CG, per la quale 0 per il noto diametro della corda averemo l’angolo G, e per consequenza la suttesa ad esso, cioè il diametro del Cane, oli quanto e quanto minore del creduto fin qui ! ed in conseguenza inten¬ deremo quanto siano state grandi le fallacie elio da cotanto errate so supposizioni sono state dedotte. E qui è bene metter in considera¬ zione che la grossezza della corda per coprire il corpo della stella non ha da esser maggior di quanto basta a nascondere il piccol disco di essa come so fusse tosato e tolti via i raggi ascitizii, li quali, perchè non sono intorno al corpo della stella, ma solamente nel (l> Nel manoscritto le parole o pure ... della carta sono dei segni che richiamano tangentila sono sottolineate, e sul margine su di esse l’attenzione. LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 459 nostro occhio, coperto il piccol capo della stella, spariscono i crini ; e così l’operazione resta semplice e netta. OPERAZIONE TERZA. Di conclusioni massime, e che dietro si tirano conseguenze maggiori, potremo venir in notizia servendoci, per far lo nostre osservazioni, di lontananze massime. E restando di voler investigare, come nella precedente operazione, il diametro d’una stella fissa e qualch’ altra conseguenza appresso, vorrei che nella sommità di qualche alta mon¬ tagna fiisse collocato qualche grosso trave, e fermato parallelo al¬ io l’orizzonte, elevato da terra quattro o cinque braccia, e posto a squadra del meridiano : ed avendo sito opportuno nella pianura d’ av¬ vicinarsi ed accostarsi al monte liberamente, movendosi sotto l’istesso meridiano o senza molto diviare da esso, vorrei che 1’ osservatore si fermasse in luogo dal quale s’incontrasse qualche stella delle con¬ vertibili intorno al polo settentrionale, stando egli dalla parte di mezzo giorno, la quale stella andasse ad occultarsi doppo il trave, collocato come s’ è detto ; e trovato sito opportuno, quivi si fabbri¬ casse un piccolo ricetto (quando non vi fussero case già fabbricate), nel quale con perfetto telescopio s’ andasse osservando la stella in 20 diversi tempi : dalle quali osservazioni si potrebbe venire in diverse cognizioni. E prima, quando il caso avesse incontrato che la grossezza del trave precisamente occultasse il disco della stella, già per la regola dichiarata nella precedente operazione troveremo 1’ angolo al quale sottende il diametro della stella. Ma se in tanta lontananza la trave segasse il disco, lasciandone parte sopra e parte sotto, col ritornare a replicar 1’ osservazioni fatte in diversi tempi, distanti per uno, due e tre mesi 1’ uno dall’ altro, potremo accorgerci se nella sfera stel¬ lata sia qualche minima titubazione ; nella qual cognizione ci con¬ so durrà, tnttavolta che la grossezza del trave notabilmente di soverchio ricoprisse la stella, sì che ella per qualcho tempo restasse ascosa, ci condurrà, dico, il nostro esattismo misuratore del tempo, col mostrarci se i tempi della occultazione di quella siano o non siano sempre uguali. Una simile notizia potremo conseguire stando anco nella città, col ritrovar sito dal quale si vegga qualche stella fissa andar tra- 460 LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. versando la piramide di qualche campanile; che opportunissima sa¬ rebbe la pergamena della nostra Cupola: iinperochè, aggiustato prima, o poi immutabilmente fermato, il telescopio, sì elio si scorga 1’ ultimo punto dell’ occultaziono od il primo dello scoprimento della stella nel traversar la grossezza di detta piramide o pergamena, l’esquisita numerazione del tempo della occultazione ci ronde sicuri se altera¬ zione alcuna sia o non sia nell’ ottava sfera. Iinperochè, se ’l tempo si manterrà sempre l’istosso, sarà concludente argomento elio la detta stella si addoperà sempre alla pergamena camminando per l’istessa linea ; ma se le durazioni si troveranno in diversi tempi esser disu- io guali, avremo segno evidente, la stella traversare detta pergamena ora più alto ora più basso, ed in conseguenza soggiacere 1’ orbe stel¬ lato a qualche titubazione. Voglio che mi basti aver accennati i fondamenti saldi e princi¬ pali in tali operazioni, lasciando elio il lettore per sò stesso vadia provedendo a quelle particolari difficoltà che si rappresentassero, le quali non possono esser di gran momento appresso agli uomini d’in¬ gegno saldo, ben affetti, e desiderosi d’ agevolare, o non difficoltare, l’imprese e l’invenzioni altrui ; e con questi soli parlo, lasciando che altri più insigni inventori trovino artilizii più grandi. E qui sola- 20 mente soggiungo la necessità grande di tenero il telescopio continua- mente fìsso ed immobilmente fermato nell’ istesso [tosto, 0 la canna fabbricata di materia non soggetta all’alterazioni dell’aria. OPERAZIONE QUARTA. Utile e molto curiosa è tra lo cognizioni astronomiche 1’ assicu¬ rarsi dell’ avvicinamento e discostamento da noi de i due luminari e delli altri pianeti ancora ; de i quali accidenti ci potremo chiarire con operazioni non dissimili dalle passate. Come, per esempio, se noi misureremo il tempo nel quale il Sole trapassa col moto diurno tanto spazio quanto è il diametro del suo disco, mentre si va addopando so a qualche muro intorno all’ ora meridiana, e tale osservazione faremo in diversi tempi dell’ anno, la differenza de’ tempi di cotali trapassi ed addopamenti ci darà le differenze delli angoli a’ quali il disco so¬ lare in detti tempi sottende, e vedremo la differenza del suo dia¬ metro posto nell’ auge e uel perigeo. Col traversare una striscia la LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 461 quale occulti la Luna all’ occhio posto in una tal distanza, potremo comprendere quanto il diametro del suo disco sia differente nelle qua¬ drature da quello che è nel plenilunio e nel suo primo apparire nel novilunio. E così riscontreremo quanto veri e giusti siano gli accosta¬ menti e discostamenti attribuiti a’ medesimi luminari dagli' astronomi. L’ avvicinarsi e ’l discostarsi dalla Terra gli altri pianeti è tanto sensato e rispondente a i cerchi o movimenti loro attribuiti da gli ultimi osservatori, che non resta luogo di punto dubitarne ; e mercè di perfetto telescopio pur troppo chiaramente si scorge, i dischi in io particolare di Venere e di Marte mostrarsi, quello circa quaranta, e questo ben sessanta, volte maggiore in un sito che in un altro, cioè mentre sono perigei e poi apogei. I loro ricrescimenti e diminuzioni si scorgono similmente in Giove ed in Saturno posti nelle diverse distanze, dove egregiamente si manifesta ancora il congiugnhnento do i due approssimamenti e discostamenti mercè dell’ eccentrico e dol- P epiciclo : incontro e notizia veramente ammirabile. OPERAZIONE QUINTA. Il negozio delle refrazzioni resta per ancora appresso di me assai ambiguo, nè vi so discernere precisione alcuna, fondata sopra stabili 20 e certe osservazioni : e veramente confesso di non restar capace come la struttura delle tavole di esse refrazzioni, portata come assai riso¬ luta, in particolare da Ticone, sia veramente tanto sicura, che di ossa si possa fare assoluto capitale nel calcolare le elevazioni delle stelle, in particolare ne’ luoghi non molto alti sopra P orizzonte. Della non ferma scienza di cotal materia me ne vengono arrecati argomenti da più bande. E prima, panni di scorgere che tali refraz¬ zioni siano, e sian per essere, assai variabili, per P esperienza o per la ragione. Quanto all’ esperienza, posto che sia vero elio mercè della refrazzione l’oggetto lucido, c non molto remoto dall’ orizzonte, venga so sollevato; che tal sollevamento sia in diversi tempi molto disuguale, ce lo mostra il solar disco, il quale alcune fiate, trovandosi circa un grado elevato dall’ orizzonte, si mostra non in figura circolare, ma bislunga, cioè d’altezza notabilmente minore della lunghezza : il che credo io veramente accadere, che mercè de i vapori bassi V inlerior parte del disco solare viene più inalzata che la superiore, restando 462 LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 1’ altra dimensione, cioè la lunghezza, inalterata. Ora, stante che que¬ sto sia effetto della refrazzione, si manifesta l’incostanza e mutazione sua, perché tale accidente non accade continuamente, anzi pure rare volte, od or con maggior ed or con minoro diversità ; ma il più delle volte si vede perfettamente circolare. Da questa osservazione mi pare che si possa, in certo modo, introdurre duo sorti di refraz- zioni : cioè, la prima, fatta dal grand’orbe vaporoso, che circonda quasi che immutabilmente la Terra, mercè del quale nascono i cre¬ puscoli ; e T altra sia effetto d’ altri più grossi vapori, che in minor altezza si distendono sopra qualche parte del globo terrestre o che io forse non si elevano più in alto elio sormontino gli altri vapori grossi, circoscrivendo quella parte vicina dove si producono le nuvole, le pioggie, i venti ctc. : o forse non sarà lontano dal vero il dire, cotali rofrazzioni massime farsi in quest’ orbe vaporoso e basso, lo appor¬ terò qualche esperienza, non fatta, ma da farsi per venire in maggior cognizione di questa materia di quella che sin qui so n’ è avuta. E prima, per chiarirsi quanto sia vero che accader possa, come alcuni affermano, che la Luna o ’l Sole, doppo essere scesi sotto al- 1’ orizzonte, si mostrino a’ riguardanti esser ancora superiori, mercè della refrazzione fatta ne’ vapori grossi; in quel modo che vanno esem- 20 plificando della moneta posta nel fondo del catino, le cui sponde la celano all’ occhio posto in sito obliquo, e elio poi la medesima mo¬ neta si rende visibile qualunque volta s’infonda acqua nel vaso, nella quale, come dicono, i raggi visuali refratti vanno a trovar la moneta, o pure che la sua spezio dall’ acqua venga sollevata ; per chiarirsi, dico, se l’istesso accaggia per la medesima ragione nel Sole già realmente tramontato, accomodata esperienza ne sarebbe per av¬ ventura questa. Pongansi due osservatori, uno sopra una torre assai alta overo in cima d’ una rupe altissima, 0 1’ altro sia al piede di essa torre o rupe ; ed amendue osservino il tramontare del Sole, nu- »o merando con l’esquisito misurator del tempo i minuti secondi che passano mentre che il disco solare tutto si nasconde sotto 1’ orizzonte : imperochè, quando i vapori grossi abbiano facoltà di sostenere l’ima- gine del Sole sollevata dall’ orizzonte, più lungo tempo passerà nel tramontare a quello posto al basso, come molto più immerso ne i vapori, che all’ altro collocato in luogo sublime, per esser egli fuori delle parti vaporose più grosse ; e forse potrebbe accadere che il Sole LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 4G3 si mostrasse tuffato sotto l’orizzonte prima a colui collocato in aito, che all’ altro basso. Ma soggiungo un’ altra esperienza, e, per mio credere, da stimarsi non poco. Pongasi una corda distesa più dirittamente che sia possibile, lon¬ tana dall’ occhio cento o più braccia, la qual sia posta parallela al¬ l’orizzonte, e da esso si mostri elevata circa un grado; si mostri, dico, in tale elevazione all’ occhio, il quale vadia osservando il disco solare dal primo toccamente di essa corda sino alla totale sommersione sotto la medesima, numerando esattamente i minuti, almeno secondi, spesi io dal disco solare nel suo trapasso. Facciasi immediatamente l’istessa operazione nel calare del medesimo disco solare sotto ’l vero orizzonte, notando, con la medesima precisione, il tempo della demersione ; il quale dovrà esser più lungo notabilmente, se notabilmente vien solle¬ vata la sua spezie dalla refrazzione. E se con altre corde, per così dire, orizzontali, poste due o tre o più gradi elevato dal vero orizzonte, si faranno simili indagini, si potrà, s’io non m’inganno, con simil metodo aprire strada assai sicura al deliberare circa le refrazzioni : il qual negozio mi par differentissimo da quello del vaso e dell’ acqua, essendo che in questo l’occhio è in un diafano diversissimo da quello nel qual 20 si trova la moneta, ma nel nostro caso l’occhio è immerso ne i mede¬ simi vapori per i quali ha da passar la spezie; che se l’occhio, il catino e la moneta fusser tutti nell’ acqua, la refrazzione non vi sarebbe. OPERAZIONE SESTA. È noto con quanta fatica hanno proceduto gli astronomi per ve¬ nire in cognizione, di tempo in tempo, del luogo nel quale si ritrova il Sole in relazione alle stelle fisse, mentre che non è stato loro per¬ messo vedere nell’ istesso momento il Sole e qualche fissa, per poter con quadrante o sestante prendere l’intervallo tra essi ; ma hanno avuto bisogno di prendere prima la distanza tra ’l Sole e la Luna, «o o vero Venere, la quale pure si lascia veder tal volta mentre il Sole è sopra 1’ orizzonte ; e pigliando poi la distanza tra Venere e la fìssa, desiderata, hanno in due pezzi composto quello che non poterono iu un sol tratto. Ma ora mercè del telescopio esquisito le fisse, e mas¬ sime quelle della prima grandezza, si possono veder tutto ’l giorno, 7. D ma. leggo in tuie osservazione alV occhio . — 4(54 LK OPERAZIONI ASTRONOMICHE. avendolo prima trovate avanti il levar ilei Solo o continuando poi d’ andarlo accompagnando con 1’ occhiale. Ma quale e quanto ò l’uso de i nostri ben preparati strumenti per descriver tutta la sfera stellata ? Presa 1’ altezza meridiana d’una stella, da noi presa per la prima e principale, e numerando poi il tempo d’ un’ altra elio doppo quella prima arrivi al meridiano, dove con osquisitezza si pigli la sua altezza, già avemmo la differenza ascensionale di questa, ed in conseguenza il sito nella sfera stellata ; ed il medesimo intendasi dell’ altre : ma è ben vero che è negozio laboriosissimo o veramente atlantico, mercé del troppo numeroso io gregge delle fisse. E perchè in questa ed in molte altre operazioni aviamo bisogno il’una giustissima linea meridiana, esporrò conseguen¬ temente un modo di trovarla, per mio credere esattissimo. OPERAZIONE SETTIMA. APPENDICE. I. Cavato da un libro di ricordi del big. Niccolo di Francesco Arrighelli, clic, 20 d’età d'anni 53, morì a ibi 29 di Maggio 1639; nel qual libro, intitolato di Ricordi in materia d’agricoltura e d’ economia e d’altre occorrenze domestiche, alla gior¬ nata da lui osservate e sperimentate, a facete 30, vi apparisce quanto appresso: e tal libro è in mano al big. Noferi Arrighetti, suo figliuolo. A dì 10 il’Ottobre 1G33. Questo giorno trovandomi a visitare il Sig. Galileo Galilei, sovran filosofo 0 matematico ed amico mio, a cui son molto obligato per epici molto che nel conversar seco ho imparato da Ini; trovandomi, dico, con ipicsto grandissimo ingegno, mi ha insegnato un problema da lui ritrovato, del quale mi par dovere farne ricordo, acciò, mancando egli nò avendone altri fatto nota, non si perdesse : e benché non sia in 80 materia d’agricoltura 0 d’ economia, ma puramente d’astronomia, in ogni modo sia qui come sarebbe una rosa di diamanti o d’altre gemme di pregio entro un LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. 465 nappo di fiori e pomi naturali, la quale per lo suo valore camReggerebbe tra essi in maniera, che pii! di tutti si stimerebbe. Il problema dunque è questo: un modo molto squisito di misurare il diametro delle stelle fisse. Eleggasi, per esempio, la Canicola, e di questa stella si cerchi esso diametro, in prima, con la misura del tempo, per mezzo delle vibrazioni del pendulo (stru- mento oggi notissimo a chi è punto vago cV esaminare gli effetti della natura), ritrovisi quante vibrazioni entrassero nello spazio d’ lui’ intera l'evoluzione diurna del primo mobile, ciò ò in 24 ore; sieno, per esempio, dugentomila, o quanto si voglia: piglisi poi una tavoletta, larga, per esempio, un quarto di braccio ; quella io s’accomoda nella dirittura dell’occhio alla stella in certa comoda distanza; e fermato un cannoncino, per lo quale si traguardi, in luogo da non potersi muo¬ vere, si dirizzi per esso la vista alla stella, la quale si osservi con diligenza quando comincia a entrare nella tavoletta fino a che onninamente dietro a quella si occulti, sì che si perda il vederla; subito perduta di vista, si comincino a con¬ tare le vibrazioni e volte del pendulo in fin tanto all’ occhio, tenuto fermo per 10 cannoncino verso la tavoletta, riapparisca dall’altro suo estremo la circonfe¬ renza di detta stella; e ipso fatto apparita, si segni quante vibrazioni e volte del pendulo sieri contate, le quali, per esempio, sien dugenlo. Fin qui dunque è cosa chiara che in dette dugento vibrazioni di detto pendulo è passato più volte V in¬ so toro diametro di detta stella; sien, per esempio, detti passaggi di diametro sei. Fatto qui punto, piglisi la sera appresso altra tavoletta simile alla prima, ma 11 doppio più larga, e accomodisi noi medesimo modo e nella distanza medesima: tornisi a dirizzar la vista per lo medesimo cannoncino verso la stella, e s’osservi, come la sera avanti, fin tanto elio sia occultata del tutto dietro la tavoletta, e immediatamente si comincino a contare le volte del pendulo, fin tanto riapparisca la periferia della stella; e subito apparita, si segni il numero delle volte del pen¬ dulo. Ora, chiara cosa è, che se nel passar della stella dietro alla minor tavoletta si contarono, come si è supposto, dugento vibrazioni del pendulo, queste della se¬ conda, maggiore il doppio, saranno state non quattrocento, ma più, stante che nella ao prima tavoletta si cominciarono a contare doppo un intero passaggio del diametro della stella, i quali passaggi se nelle dugento vibrazioni li supponemmo per sei, in questa seconda, maggiore il doppio, saranno tredici, come chi ben considera ritroverà; e però se ne i sei supposti passaggi di diametro le vibrazioni furon dugento, ne’tredici verranno a essere le vibrazioni numero 433 Va. Ma perchè la misura del tempo d’ una intera revoluzione del primo mobile abbiam supposta essere vibrazioni dugentomila, il tempo del passaggio del diametro della stella sarà come 33 Va a dugentomila; d’onde ne segue che quella parte che è 33 1 /n di 200000, sia il diametro della stella fissa considerata a gradi 360 di tutto il zodiaco. 18-19. 11 tus. logge sien cento. Fin ([iti ... in dette cento vibrazioni ecc.— Vili. 59 466 LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE. ir. Per la misura de i diametri apparenti delle stelle : invenzione nuova , e credo esattissima , del Galileo . Osservisi col pendalo, misuratore del tempo, gi:\ aggiustato perchè dia i minuti primi o secondi etc., il transito o tempo del passaggio di una stolta dal momento della sua totalo occultazione dietro ai taglio o termine AB della tavoletta AC sino al momento della sua prima apparizione fuori del taglio DO della medesima tavoletta, esposta in aria io e distante dall 5 occhio sempre per una medesima lontananza; e sia, per * esempio, tal tempo di passaggio di numero 124 vibrazioni di penduto. Dopo, con un’altra tavoletta EF, esposta in aria alla medesima distanza dall’occhio che la prima, ma più larga il doppio appunto, si osservi di nuovo il tempo dot passaggio dalla totale occultazione della medesima stella sino alla prima apparizione dal taglio FG; e troverassi che il numero delle vibrazioni sani più clic doppio del primo numero 124, e, por esempio, sani 25G, cioè più 8 vibrazioni del doppio: che tal numero 8 sarà la misura del tempo del passag¬ gio del solo e nudo corpo di essa stella; qual tempo, ridotto a misura di angoli, 20 si troverà esser tanti minuti primi o secondi etc. per il diametro apparente di detta stella. E se la seconda tavoletta sani tripla o quadrupla etc. della prima, il passaggio per essa sarà più clic triplo o più clic quadruplo del passaggio per la prima ; e tale eccesso sarà la misura del diametro apparente di essa stella, preso tanto volte quanto ò il numero del moltiplico di detta seconda tavoletta, leva¬ tone sempre uno: cioè, se la tavoletta sarà tripla della prima, detto eccesso darà due diametri; se quadrupla, ne darà tro; se quintupla, quattro, etc.: e quanto più sarà moltiplico tino ad un tal segno, tanto più esatta verrà 1’ osservazione, di tanta curiosità e conseguenza, e si potrà più volte replicare e riscontrare etc. 11 tutto apparisce manifesto dalla sola figura, senza bisogno d’altra dimo- 30 strazione. Pure. 4. parchi din ò stato corrotto tra lo linoo in luogo di per aver da amo, che ora stato scritto prima.— 5. dal è stato sostituito tra lo lineo a dopo il, elio prima si leggeva ; e prima ili dopo il era stato scritto dopo la. — 9. Tra taglio o bC legnosi, cancellato, della. — 16. Tra occultazione u della legnosi, cancellato, alla .— 17. Tra apparizione o c/n/ lojrgesi, cancellato, fuori .— LETTERA AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA IN PROPOSITO DEL CAP. L° DEL LITHEOSPHORUS DI FORTUNIO LICJETI. AVVERTIMENTO Vincenzio Casciarolo, oscuro studioso di alchimia, scopriva intorno all’anno 1(304 la. singolare proprietà posseduta da quella specie di barite, che, per essere stata trovata a Monte Paderno nel Bolognese, ebbe nome di pietra lucifera di Bologna , del diventare fosforescente per insolazione, o, come allora si disse, di assorbire e tramandare la luce. Di questa scoperta si affrettava il Casciarolo a dare co¬ municazione ad alcuni studiosi, e, fra gli altri, al Matematico dello Studio di Bologna, Giovanni Antonio Magini, per mezzo del quale n’ebbe assai probabilmente contezza Galileo. Questi, coni’ era suo costume di fare per qualsiasi fenomeno na¬ turale di cui venisse in cognizione, prese a filosofarvi sopra; e trovandosi in Roma nel 1011 per dimostrare ai suoi con tradi ttori la verità delle scoperte celesti da lui poco prima annunziate, esibì agli studiosi, in certo congresso nel quale era caduto il discorso intorno alla natura della luce, alcuni pezzetti della detta pietra, richiamando la loro attenzione su quella sua proprietà (,) . Tra i presenti a quel convegno scientifico era anche Federico Cesi, nella corrispondenza del quale con Galileo ricorre ripetutamente menzione della pietra lucifera bolognese (5) ; ma quantunque il Nostro avesse avuto non infrequenti occasioni di ritornare sul- P argomento, per rispondere alle interrogazioni che dagli amici gli venivano ri¬ volte (3) , pure non sembra che di proposito se ne sia occupato prima della pubbli¬ cazione che Fortunio Liceti fece nel 1(140 del suo Lithcosphorus (k) . Di questo libro O' De phornomcnta in orbe Lumie, novi teleacopii usti a D. GaUHco Gullileo nunc. iteri!m emeitatis, phi/sìca d input alio a /). Idmo Causare La Galla, in Rumano Gy innati io h ahi la occ., nccnon de. luce et lutti ine altera dinputatio. Vonotiis, MDCXII,apud Thomam Balionmn, pag. 6$. <*> Lotterò di Federico Cesi a Galileo dei 21 ot¬ tobre 1611 (Mss. Gal., Par. VI, T. Vili, car. 58), 15 febbraio o 80 maggio 1613 (Mss. Gal., Par. VI, T.IX, car.26 o 56) o 3 gennaio 1611 (Mss.Gal., Par. VI, T. IX, car. 112). Lotterò a Galileo di Giovanfranoksco Sa¬ grerò dei 0 maggio 1613 (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 48), di Giovanni Pardi ilei 24 maggio 1613 (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 52), di Benedetto Cartelli dol 1° marzo 1618 (Mss. Gal., Par. I, T. Vili, car. 27), di Cesare Marsili dol 2 settembre 1626 (Mss. Gal., Par. VI, T. XI, car. 43); c di Galileo a Cesare Marsili dei 2‘J agosto 1626 (Archivio Mar- sigli in Bologna). Lìtheoftphorue , vive de . lapide bononiemi , luctm in ve conceplum ab ambiente darò inox in tenebri * mire 470 AVVERTIMENTO. egli si affrettò a mandare un esemplare a Galileo, con preghiera che volesse comunicargliene il suo giudizio ; cd avendo egli per incidenza impugnala nel ca¬ pitolo cinquantesimo della sua opera 1’ opinione del Nostro, elio quel tenue lume secondario elio nella parte tenebrosa della Luna si scorgo, massimamente quando ella è poco rimota dalla congiunzione col Sole, fosse effetto cagionato dal reflesso dei raggi solari nella superficie del nostro globo terrestre, Galileo, e per corri¬ spondere alla domanda elio dal Incuti stesso gliene era stata fatta, c per obbe¬ dire al comandamento significatogli IMI marzo 1(540 dal Principe Leopoldo do’Modici, elio si contentasse ili partecipargli in iscritto il suo pensiero intorno alle opposizioni dell’avversario (l> , s’accinse subito a dettare una lettera indiriz¬ zata al Principe, la quale rappresenta in ordine di tempo l’ultimo lavoro scien¬ tifico del Nostro. Necessitato, com’era, a ricorrere all’aiuto degli occhi e della mano di altri, Galileo dolevasi, rispondendo il 13 marzo al Principe, di dover interporre alcun poco più di tempo die non avrebbe desiderato, prima di metterò ad effetto il co¬ mando ricevuto, e lo pregava di condonargli tale dilaziono (,) : noi però non possiamo, in quella vece, non ammirare la singoiar facilitò con la quale quel Vecchio cieco metteva in carta i suoi pensieri, poiché giù il li) marzo egli si¬ gnificava a Daniele Spinola che fra pochi giorni, cioè quando ne fosse tratta copia, gli avrebbe potuto far leggere la scrittura < assai lunghetta >, che aveva steso secondo il cenno del Principe (S) . Di questa scrittura Galileo non solo si affrettò, com’era naturale, a mandar copia a S. A. (k \ ma la divulgò per tutta Italia(3 ne inviò esemplari manoscritti anche oltre i monti (ft1 ; non però al Li- ceti, se non dopo clic questi gliel’ebbo più volte richiesta* 7 *, così che soltanto il 14 luglio gliene annunziava la spedizione, pregandolo di sinceramente esprimer¬ gliene il suo avviso 18 ’. Gli rispondeva il Licoti in data de* 3 agosto, lagnandosi al¬ quanto dello punture contro lui sparse per la scrittura di Galileo, promettendo di rispondergli con altra scrittura, e mostrando il desiderio elio quella dclPav versano fosse stampata 19 *. Galileo riscontrava la lettera del Licoti con una sua del 25 ago- evnacrvante, libcr FORTUMI LlCRTI (renuenais, pridem in Pittano, nuper in Patavino, uttne in flotìunienai Archiytfmnatio Philonuphi Emintnli*; Eminenti teimo ac lìevcrcndiaeimo lì, D. Aloyaio Cardinali Capponiti, Jiavennac Archiepiscopo, dicala*. Utiiii, ox typographift Nicolai Schi ratti, MDCXL. m Lotterà sotto questa data ilol Principe Leo- roLix) a lì a itii.Eo (Mss. Gal., Par. III,T. VII, 1 , car. 101). <•> Mss. Gal., Par. Ili, T. VII, 1, car. 96. O) Mss. Gal., Par. VI, T. VI, car. 105. 14 ' Lettore (lei Principe Leopoldo a Galileo del 14 maggio 1640 (Mss. Gal., Par. Ili, T. VII, I, car. 103), o di Galileo al Princìpo Leopoldo del '25 maggio (Tomo cit., car. 00). *•) V.Rrnikkj ad. 6 aprilo 1610 o 18 aprilo 1G40 m Lettoro di Fortunio Lickti a Galileo dui 3 o 31 agosto (Mss. Gal., Pur. VJ,T. XIII, car.211 o222), o di Galileo a Foktunio Lickti dol 25 agosto 1040 (Mss. Gal, Par. Ili, T. VII, l. car. 147). (,) . Il 31 agosto il Liceti tornava a manifestare la sua intenzione di rispondere allo opposizioni del Nostro, c domandava il permesso di pubblicare, insieme con la scrittura che già aveva cominciato a distendere, quella di Galileo, « perche non sarei bone inteso se non accompagnassi li miei detti con le sue posizioni, e percliò vorrei schifar rincontro che mi potesse di nuovo esser opposto che io imponessi a V. S. cosa (la lei non dotta > (2) ; e questo permesso essendogli già stato im¬ plicitamente accordato da Galileo nella sua (lei 25 agosto, che il 31 il Liceti non aveva ancor ricevuto, il 7 settembre quest* ultimo replicò, professandosi grande¬ mente obbligato di tal grazia (H) . 11 15 settembre Galileo prometteva di nuovo al Liceti le sue risposte, ridotte in altra lettera, a lui medesimo indirizzata, < dove averò campo di non mi lasciar vincere in usar termini di reverenza al suo nome > ^ v) : e quanto al moderar le punture, contenute nella prima, egli ne rice¬ veva invito anche dal Principe Leopoldo, al quale era piaciuto molto il pensiero di Galileo di rivolgersi direttamente all’avversario (R) . Se non che poco dopo S. A. dovette cambiare avviso, circa a quest* ultimo punto, poiché, quando ormai Galileo aveva condotto molto innanzi la sua nuova fatica, il 27 ottobre era costretto a riscrivere al Liceti in questi termini : < Pensavo a questa ora di poter inviarle le mie risposte sopra il candore della Luna, distese in forma di lettera a lei medesima, e già le avevo quasi che ridotte al netto, quando mi ò venuto aviso che il Serenissimo Principe Leopoldo, alla cui Altezza avevo in prima scritto, si maravigliava che io avessi mutato concetto, solo per dubbio che, dovendo tali mie risposte esser publicate con le stampe, vi fusse inserto il nome glorioso di Sua Altezza, cosa aliena dal suo pensiero; anzi facendomi intendere di esser per gradire, il nome suo faccia manifesto della sua compiacenza di esser frapposto (*> Mss. Gal., Par. Ili, T. VII, 1, car. 145. < 5 > Lettera di Mario Guinuaai a Galileo del 17 sott. 1640 (Mss. Gal., Par. Ili, T. VII, l, car. 176). ‘0 Lettera citata. (*> Lotterà citata. 3 > Mas. Gal., Par. VI, T. XIII, car. 224. AVVERTIMENTO. 472 tra me ed uno do i più famosi littorati del nostro secolo. Onde io.... ho risoluto di ritornare in su la prima maniera di scrivere all’A. S., ma con tessitura alquanto più ampia, per la interposizione di vane mie eonsidorazioncelle...., temperando 10 appresso ogni minima ombra di amarezza, spargendovi sempre parole di dol¬ cezza e soavità > (,) . Il l,iceti, impaziente di aspettare la lettera accresciuta ed accomodata, no affrettava col desiderio l’invio il 6 novembre 1(140il 1“ c l’8 gennaio 1G41 . Finalmente il 5 febbraio egli aveva ormai letto la bramata risposta, e più non chiedeva da Galileo che una lettera da potersi far pubblica, la quale, appor¬ tando quelle cagioni die avevano costretto il Nostro a procrastinare la spedi¬ zione della seconda scrittura, servisse di scusa al Lice ti della sua dilazione in pubblicare la replica ( *>. Galileo compiacque anche in questo l’avversario o, il quale non fu lento allora a dare esecuzione al suo disegno: infatti i tre libri De Limar subobscura luce, prope coniunctioncs et in cclipsihus óbrnrvata, coi quali 11 Liceti riprende a trattare l’argomento della luce secondaria della Luna, e nel secondo pubblica l’intera lettera di Galileo dividendola in ben 183 paragrafi, e a ciascuno soggiungendo la sua risposta, portano lo licenze di stampa con le date del 27 maggio e 5 luglio 1(541 (s) . All’ ultimo paragrafo della lettera di Galileo il Liceti fa tener dietro queste parole: « Ilarum literarum, ante refnrmationem et amplificationem, priiuum exemplar a Gl. viro transmissum ad me recepì Pa- tavii circa finom lulii MDCXL ; sed reformataa et auctas hasce literas accepi Bononiae post sex fere menses, iam desinente lamiario MDCXLI > l ‘ ) . La storia della Lettera al Principe Leopoldo, quale è stata da noi esposta finora sulla scorta dei documenti epistolari, trova la sua piena conferma nello stato dei manoscritti, dai quali la Lettera stessa ci è stata conservata. Il T. VII, 1 (lolla Par. Ili dei Manoscritti Galileiani posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze comprende, dalla car. 105r. alla car. 142''/., una serie di bozze attenenti alla lettera, di mano di Vincenzio Viviani, perchè, come il Vivi ani stesso scrive in un foglio bianco che ad esse è preposto (car. 94r.), « furono dettate a me dal medesimo Galileo, nel tempo clie studiavo appresso di lui in Arcetri » Mss. Gal., Par. Ili, T. VII, 1, car. 164. De. Lumia wLobscura luce, ecc. Auctor Fon- TtiNiuB LiORTUB, ecc., pag. 57-58. De Lunae tiuboh*eura luce prope con itine/ ione* et ili «olipaibiu obtervatn libroe trea, in guibua ad opticeli, aitronomiam, physiologium rt (dina diaciplinaa otti - nentia plurima dogmala pule/tra et di/jiciliu diligente)’ explicantur, auctor FoRTUNIUS LICKTU 8 Genttcntitt, ex Ij. Com. in Archigymn. lìonon, Chilo*, supraordinanu*, Sercnxanìmo Principi Leopoldo Tuteiae dedicai» l tini, MDCXL1I, typis Nicolai Scliiratti. < 7 ) De /.unric nubnbscura luce OCC., pag. 382. (S ' Cfr. anche Quinto libro degli FAemcntid'Euclide, orvero Sdenta universale delle proporzioni spiegata colla dottrina del Galileo eilO. da Vi NO KN 7.10 VlVIANI ecc. In Firenze, alla Condotta, M. I»C. LXXIV, pag. 100. il Viviani assegna, per orrore, alla Lettera la data dui 25 marzo 1011. AVVERTIMENTO. 473 cenzio Viviani é infatti il < caro amico >, a cui Galileo accenna in alcune delle lettere innanzi citate, degli ocelli e della mano del quale egli, nel suo infortunio, si valeva. Queste bozze, legate ora alla rinfusa, si possono ordinare in più gruppi. Della prima parte della Lettera , elio comprende 1* introduzione e la risposta al primo argomento dell’avversario (pag. 489-510 della nostra edizione), esse ci olirono due stesure diverse e distinte: l’una, mancante però del principio, ò nelle car. 142%, 142V., 138r.-140/., 119/.; l’altra, nelle car. 112r.-118®/. La seconda di queste stesure presenta il testo che il Liceti pubblicò nella sua replica: la prima invece ò pure indirizzata al Principe Leopoldo, ma è più succinta; la ma¬ niera con cui Galileo discorre del Liceti è risentita e pungente : ed in essa ricono¬ sciamo quella stesura che Galileo mise in carta nel marzo del 1040; non abbiamo però qui una prima dettatura, ma una trascrizione al pulito, quale quella che prometteva, il 19 marzo, a Daniele Spinola. Le citate car. 112r.-118% contengono, per contrario, una prima bozza della stesura che fu poi definitiva ; e che sia una prima bozza, lo dimostrano le numerose cancellature e i polizzini su cui sono scritte alcune rimesse : inoltre, qui Galileo si indirizzava dapprima al Liceti ; se non che tutte le espressioni in cui egli rivolgeva direttamente la parola all’ av¬ versario, sono o cancellate, o corrette, in modo che la lettera sia di bel nuovo diretta al Principe Leopoldo (1) . È fucilo pertanto riconoscere in queste carte l’abbozzo che Galileo dottò tra il settembre e l’ottobre del 1040, quando prese a dar nuova forma alla Lettera , con intenzione di intitolarla a Fortunio Liceti, e che subito dopo ricorresse per ubbidire al Principe, il quale voleva un’ altra volta clic la Lettera portasse in fronte il suo nome. Sappiamo però dalla lettera, innanzi citata, del 27 ottobre al Liceti, che, prima di ricevere siffatto avviso da S. A., Galileo già aveva « quasi ridotte al netto > le sue < risposte > rivolte al Liceti stesso: e il manoscritto contiene invero, nelle car. llOr.-lllt, il prin¬ cipio di queste risposte trascritto al pulito, non dalla mano del Viviani. Inoltre, poiché, per motivo delle cancellature e delle correzioni molteplici, specialmente le prime delle car. 112-118° risultavano poco chiare, così Galileo, dopoché dovette indirizzarsi di nuovo al Principe Leopoldo, le fece ricopiare, nella forma con cui parlava a quest’ultimo, dal Viviani stesso: e siffatta trascrizione al pulito, che fu poi ritoccata soltanto in poche frasi, è nelle car. 105 r.-109/., le quali compren¬ dono ciò elio nella bozza è da car. 112 r, a car. 115°/. Della seconda parto della Lettera , a partire dalle parole < Ora venghiamo al secondo argumento (pag. 511, lin. 1 della nostra edizione) sino alla fine, abbiamo un <*> Così, per esempio, devo scrivendo al Liorti concorno di rottamente l’ avversario fa levata, o qual* dicovft V. *S\, o KUa t è sostituito il 8\y, Liceti, o egli, che altra frase invece fu aggiunta, (piando la Lvt- o, secondo i casi, VA. T r . S. Inoltro, il principio della tera fu indirizzata di nuovo al Principe. Volli, a Lettera, lino alle pardo Dicale dunque occ. (pag. 491, questo proposito, il saggio della stesura rivolta ul liu. 12), è qui del tutto diverso; qualche frase elio I.iokti elio pubblichiamo a pag. 513 545. Vili. CO 474 AVVERTIMENTO. unico manoscritto di pugno del Viviani, nelle car. 119r.-134/. (esclusa la car. 119/.), La forma della scrittura e lo stesso aspetto esteriore di questi fogli danno a vedere elio essi formano la diretta continuazione di quella copia al pulito della prima stesura, di cui abbiamo trovato una parte nelle car. 142*/. e r. 9 138r.-140/. e 119/., e che abbiamo detto doversi assegnare al marzo del 1640: questo prose¬ guimento però e compimento di essa copia ò stato corretto da capo a fondo, e sempre per la mano del Viviani, ed è divenuto cosi la bozza della seconda ste¬ sura, cioè di quella spedita al Liceti nel gennaio del 1641 ; in questa parte della Lettera infatti le modiiicazioni, con le quali P Autore volle riformarla e ampliarla, essendo state meno gravi che nel tratto precedente, poterono esser contenute tra lo linee, o sui margini, o tutt’al più in cartellini che furono allora sovrap¬ posti al testo primitivo, e da noi, come ci parve doveroso, furono ora distaccati. Così in queste car. 119-134 noi possiamo, con sottile c paziento indagine, distin¬ guere, nell' unico manoscritto, lo due stesure, e di sotto alle correzioni ed ag¬ giunte, introdotte tra V ottobre del 1640 e il gennaio del 1041 e da cui risultò la seconda forma della Lettola, diseppellire la prima: e per tal modo i fogli di pugno del Viviani, contenuti nel citato T. VII dei Manoscritti Galileiani, ci danno modo di ricostruire per intero lo due lettere, tranne lo primissime pagine della prima. Di tale prima forma della Lettera conosciamo però tre altre copie al pulito, e queste integro: P una di esse ò nel cod. CXL. 2 della Biblioteca Ginori-Venturi in Firenzeun’altra, nel cod. Marucelliano A. LXX1, n. 8; la terza è legata nel più volte ricordato T. VII, 1 della Par. IH dei Manoscritti Galileiani (car. 149r.-160Z.) : tutt* e tre appartengono al secolo XVII, ma quella del codice Marucelliano è più recente delle altre due. Tra lo fonti della prima stesura dobbiamo inoltre enu¬ merare Pedizione bolognese delle Opere di Galileo, la quale nel Tomo II pubblica la Lettera <4) , non però riproducendola dalla stampa procurata tredici anni prima dal Liceti, ma cavandola, come apparisce dal confronto con la Licetiana, da un manoscritto, elio è probabile sia stato fornito dal Viviani w . L’edizione bolo¬ gnese, che dà, nel complesso, la stesura del marzo 1640, ma in un testo corrotto da spropositi d’ogni maniera, fu poi seguita, salvo alcuni ritocchi, dagli editori posteriori, che ignorarono l’esistenza della stampa licetiana; così che quella forma che non era la definitiva, e, per di più, viziata, fu la sola che fosse uni¬ versalmente letta, finché il Venturi nel 1821, accortosi delle notevoli diversità della Licetiana, raccogliendo le Memorie e lettere inedite /mora o disperse di Galileo O» Secondo Luigi Passerini {Catalogo dei Afes. G inori-Venturi, che forum il cod. Passoriniano IGl della Biblioteca Nazionale di Firenze), il codice Ui- uori-Venturi della Lettera sarebbe stato dettato da Galileo * ad uno dei suoi scolari », o Lorenzo Ma¬ galotti, da cui passò nella Biblioteca Uixori-Ybntubi, l’avrebbe avuto dalla segreteria del Card. Leopoldo dk* Medici. Non sappiamo però quanto questo notizie siono attendibili. <*> Opere di Galileo Galilei eoe. In Bologna, por gli LIU. del Bozza, MDCLV-MDCLVI. Tomo II, pag. 71-98. i:< * Vedi la prefazione Carlo Manolessi a' dincreti « virtuosi lettori nel Tomo 1 dell'edizione stessa. AVVERTIMENTO. 475 Galilei, ripubblicò tra esse anche i tratti più differenti della stampa Liceti (1> : la quale tuttavia per intero non fu, dal 1G42 ad oggi, più. riprodotta. Oltre a questa stampa e alle bozze di mano del Viviani, di cui abbiamo discorso, non conosciamo altre fonti della seconda stesura (S) . Da quanto siamo venuti finora esponendo apparisce come sia vasto il mate¬ riale del quale dove trar profitto 1’ editore della Lettera, e come, in conseguenza, l’assunto di questo riesca difficile e delicato. A noi parve fosse nostro compito trascegliere da questo materiale ciò che meritava di esser fatto conoscere al let¬ tore e presentar poi il tutto in forma che, sotto ragionevole brevità, fosse, spe¬ cialmente, chiara, e permettesse di riconoscere, senza soverchie complicazioni, le relazioni fra le due stesure. Diremo ora come ci studiammo di conseguirò questo fine. Per il primo tratto della Lettera, nel quale la prima e la seconda stesura sono del tutto diverse, ponemmo a riscontro i due testi, pubblicandoli per intero, l’uno nella parte superiore e l’altro nell’inferiore della stessa pagina (pag. 489-510): nella superiore, la seconda stesura ; nell’ inferiore, la prima. Attingemmo la prima stesura dalle car. 142 H.er., 138 r.-140/., 119/. del manoscritto Viviani m : ma giudicammo dover di essa presentare quella forma che, a quanto si può credere, le fu definitiva e nella quale si divulgò, escludendo pertanto tutte quelle lezioni che Galileo dovette correggere nell’ atto stesso che dettava la scrit¬ tura o poco dopo. Perciò in tutti quei luoghi in cui il manoscritto offre delle correzioni, ricorremmo altresì al confronto degli altri codici e della stampa bolognese: e se la lezione scritta originariamente dal Viviani, e poi corretta, non riappariva in nessun’ altra delle fonti (il che avveniva specialmente trattan¬ dosi di cancellature contestuali), concludemmo clic quella lozione aveva avuto una vita effimera, e in nessun modo non ne tenemmo conto; quando invece la lezione originale del manoscritto Viviani si ritrovava almeno in alcuna delle fonti (e spesso in questi casi la nuova lezione era stata sostituita nel manoscritto Viviani da una mano che può ben essere di un altro), la accettammo nel testo, registrando appiè di pagina la lezione sostituita. Queste lezioni sostituite, che, a nostro avviso, sono posteriori alla forma definitiva in cui possiamo credere che Galileo nell’ aprile del 1(540 inviasse la Lettera anzitutto al Principe Leo¬ poldo c poi ad altri, e che forse nacquero o quando nel luglio ne mandò copia Mi Pur. Il, Mortomi, per G. Vincenzi o Uump., M.PCCC. XXI, pag. 308-820. Mi Non ò da muravi gli arsi elio esistano parec¬ chio copio manoscritto rtella prima stesura, o che sia avvenuto cho su di un manoscritto rti ossa fosso an¬ che condotta Todi/dono bolognese, poiché abbiamo visto ciie Galileo divulgò largamente la prima lot¬ terà. Si può Rupporro invece che, siccome il Nostro sapeva che la soc onda sarebbe stata tosto pubblicata por lo stampo dal Lickti, si astonosso dal difTundorla manoscritta. Così possiamo roudorci ragiono della fortuna curiosa toccata allo duo slesuro. Riproduciamo fedelmente anello la grafia dol manoscritto Viviani, osciusi porò, coiti’ ò naturalo, gli errori (conio del emisferio, nel olirà, del owbro, eco.), cho comniotto il giovinetto amanuense, e qualche par¬ ticolarità (p. o. riconoscic, cromie, gcoryìc), cho non ò por nulla doli’ uso di Galileo, 476 AVVERTIMENTO. al Liceti o, più verÌBÌmilmente, quando, invitato da questo a stampare la scrit¬ tura, cominciò ad elaborarla di nuovo, sono distinte con la notazione V\ essendosi riserbata la notazione V per indicare la lozione definitiva della prima stesura (l> . È poi naturale che nel dover discernere la lezione definitiva da quelle ad essa procedenti o posteriori, abbiamo incontrato non poche incertezze, specialmente (piando le altre fonti non erano tra loro concordi, ne possiamo essere sicuri d’aver ricostruito esattissimamente essa lezione definitiva (,) , la quale del resto per Galileo stesso non dovette essere tale che per pochi mesi : ma nel complesso crediamo di non esserci molto allontanati dal vero. La seconda stesura, che pubblicammo nella parte supcriore delle stesse pag. 489-510, volemmo che fosse rappresentata dalla stampa Liceti e non dai manoscritti Yiviani, poiché crediamo che dove quella s’allontana da questi, con¬ tenga, almeno nella maggior parte dei casi, correzioni fallo da Galileo neiratto, per così esprimerci, elio inviava all’avversario la Lettera , delle quali perciò non è rimasta traccia nelle bozze di mano del Yiviani. Riproducendo con esattezza la Licetiana, ne correggemmo però, con l’appoggio delle bozze, i manifesti errori le forme viziate forse dal tipografo non toscano, clic non sono tuttavia frequenti 0) , e qualche lezione, che sebbene non si possa con tutta sicurezza ripudiare, pure dà forte sospetto d’essere stata alterata, e segnammo appiù di pagina con la let¬ tera s i luoghi corretti ; inoltro, in tutti quei passi in cui la Licetiana non trova conferma nello bozzo, raccogliemmo appiè di pagina anche le varianti di queste, distinguendole con la notazione VV: cosi il lettore può giudicare di volta in volta se la lezione della stampa rappresenti dolio correzioni volute all’ultimo momento da Galileo, oppure delle alterazioni arbitrariamente introdotto da altri (5) . Non cre¬ demmo invece di dover raccogliere nulla di ciò che, appartenendo alla seconda stesura, dallo bozze stesse appariva essere stato ripudiato dall’ Autore, il quale aveva preferito sostituire altre lezioni : pertanto nò annotammo le parole o tratti A pag. 504, liti. 31, abbiamo accolto nel tosto la lozione V' y porche V ora uu mauifosto trascorso. A pag. 502, lin. 23-24, dallo lezioni V o V', tuli*o due viziato, abbiamo ricavato la loziono corrotta. «*» Alcuno volte la socomla loziono fu scritta non tra lo lineo o sui margini, ma mediante ri passa turo dolio parole scritto origlnarianionto : si comprendo come in questi casi riusciva difficile, o talora anzi impossibile, distinguerò con si cu rozza lo due lozioni. Itaro volto avvonno in tutta la Lettera elio la loziono ni ai ti fasta mento errata, e elio abbiamo dovuto correggere, fosse così noi manoscritto come nella stampa: vedi, p. e., pag. 532, lin. 27, o pag. 541, lin. 1-8. Abbiamo corrotto nonanta in novanta, qui li¬ ticai in quindici, dodcci in (lodil i, occ. W som» altro formo dolio quali si può boli dubitare so provengano veramente da Gai.ii.ro, oppure dagli amanuensi o dal tipografo : tuttavia ci parvo più pnuleuto, uolTincor- tozza, rispettare la stampa. Cosi abbiamo conser¬ vato, pur dubitando, differenzia, mwjnijìcmxia occ., cotiuiiunichcrd, comiiìimemcntt: occ., boiicbè sappiamo che il Nostro soleva scrivere comune, comunicare occ. Del resto, jìreteneia, airconfcremia ccc. si leggono noi manoscritti stessi della Lettera di pugno del Vi vi ani. Non abbiamo tornito conto, por regola, dolio diflTorcuzo puramente fonoticho o morfologiche tra la loziono della stampa o quolla del manoscritto: chò il trovare, pur esempio, noi manoscritto dunque o nella stampa adunque, noi manoscritto altramente o nella stampa altrimenti, non ci dà nessuna cortezza cho Uaulko dottasse in quul modo piuttosto elio in questo. AVVERTIMENTO. 477 cancellati delle car. 105r.-109£ (pag. 489 — pag. 500, lin. 10 della nostra edizione) e 1 (pag. 500, lin. 10 — pag. 510), sulle quali riscontrammo la Licetiana, nè tenemmo alcun conto delle car. 112r.-115 a <., che, come abbiamo detto, Galileo fece poi trascrivere al pulito, ritoccandole, nelle car. 105r.-109<. Nella seconda parte della Lettera (pag. 511-542), della quale abbiamo, di pugno del Viviani, un unico manoscritto, ma tale elio oi permette di distinguere con sufficiente precisione le due stesure, noi pubblicammo per intero un testo unico, e cioè quello della seconda stesura, nella forma della stampa Liceti, per le ra¬ gioni addotte poco fa; correggendo però, quando ne era il caso, essa stampa col manoscritto, e annotando con la lettera s le lezioni corrette, come per lo innanzi avevamo fatto. Quanto poi alle duo stesure, e ai rapporti del manoscritto con la starnila Liceti, si presentavano i casi seguenti. Alcune volte il manoscritto, che non dobbiamo dimenticare essere stato in origine una copia al pulito della prima ste¬ sura, offriva una lezione originaria, corretta poi o dalla mano del Viviani o, forse, da altra mano : in quei casi in cui dal riscontro con le altre fonti della prima ste¬ sura appariva che la lezione originaria era stata della prima stesura definitiva, la annotammo appiè di pagina con 1’ indicazione V, soggiungendovi appresso, con V\ la lezione corrotta, la quale, coni’è naturale, molto spesso concorda con la lezione della Licetiana. Altre volte il manoscritto dava uu’ unica lezione, e questa diversa da quella della stampa Liceti : non era dubbio allora che la lezione del manoscritto rappresentava la prima stesura, e anche queste lezioni furono da noi raccolte sotto la notazione V. Quando infine il manoscritto, offrendo una lezione unica, concordava con la stampa Liceti, era manifesto che Galileo non aveva punto ritoccato la prima stesura nell* inviare la Lettera per la seconda volta ai- P avversario. Tutti quei passi della stampa Liceti che nella prima stesura erano diversi, e ai quali risponde perciò appiè di pagina una lezione V, furono nel testo distinti sottolineandoli parola per parola : così il lettore può comodamente, e per così dire a colpo d* occhio, ricostruire la prima stesura. In quei casi in cui il manoscritto (sia che ci porga una sola lezione, V, sia che ci lasci distin¬ guere due lezioni, cioè V, definitiva della prima stesura, e V\ posteriore a questa) non suffraga neppure con la lezione V' quella della Licetiana, non possiamo esser sicuri se quest’ultima sia il risultato di correzioni volute da Galileo e delle quali il manoscritto non potè serbar traccia, oppure di arbitrarie alterazioni di terzi : al lettore, ad ogni modo, è fornito il mezzo di giudicare da sè. Vi hanno alcuni tratti della stampa licetiana, in questa seconda parte della Lettera , i quali nel manoscritto Viviani si leggono su’ margini o su cartellini ag¬ giunti e inseriti tra i fogli : questi tratti non esistevano dunque quando fu tra¬ scritta al pulito la prima stesura; e dal confronto invero delle altre fonti di questa stesura, nelle quali essi mancano, è confermato che rappresentano quelle « consi- derazioncelle > da Galileo aggiunte, com’egli prometteva al Liceti, nella seconda 478 AVVERTIMENTO. stesura. Siffatti brani, che dovranno essere omessi da olii voglia ricostruire la stesura prima, furono ila noi racchiusi tra segni di freccia —>• ; e le varianti del manoscritto ad essi relative sono segnate, come tutte quelle attinenti esclu¬ sivamente alla seconda stesura, con VV. Infine, in questa stessa seconda parte della Lettera s’incontrano de’ passi in cui riusciva malagevole rappresentare per via di varianti le differenze tra le due stesure: sono passi nei quali, avendo l’Autore più profondamente riformata la stesura prima, il Viviani fu costretto a scrivere la seconda su cartellini, che poi sovrappose al testo della prima. Poiché qui, dopo aver distaccato i cartellini, ci trovavamo dinanzi non solo a due testi, ma anche a duo manoscritti diversi, così ritornammo all’espediente di pubblicare lo due stesure a riscontro l’una dell’altra nelle due parti della stessa pagina (pag. 528-529, e pag. 537-539), seguendo le norme giù applicate nella prima parto della Lettera. Ognun vede come, nei divisati termini e modi, abbiamo messo largamente a prolitto i manoscritti Viviani : invece ci parve di non dover tenere a continuo ri¬ scontro lo altre fonti della prima stesura, lo quali, sia per gli errori c le altera¬ zioni arbitrarie di cui certamente sono infette, sia perché la loro origine non ci riesce chiara, non permettevano di trarne conclusioni sicure. Perciò, avendo rinun¬ ziato a raccoglierne le varianti, ci limitammo a ricorrere a queste fonti ne’casi in cui importava determinare la lezione definitiva della prima stesura, e in qual¬ che altro passo (,) ; su ili esse poi dovemmo stabilire il testo della prima stesura nelle primissime pagine della Lettera (pag. 489 — pag. 490, lin. 20, lino alle parole argomento chc)> le quali, come abbiamo avvertito, si desiderano nei manoscritti Viviani. Prendemmo in queste pagine a fondamento della lezione il codice Gi- nori-Venturi (che indichiamo nell' apparato critico con la sigla Gv.) ì essendoci parso il più genuino ed attendibile. Del codice Marucelliano (Mar.) e di quello che forma le car. 149r.-160tf. del T. VII, 1 della Par. Ili ilei Mss. Galileiani (6r), nonché della stampa bolognese (ò), raccogliemmo le più notevoli varianti, insieme con quelle lezioni di Gv. che ci sembrò di dover correggere col sussidio delle altre fonti. Coi criteri c con gli espedienti dei quali abbiamo reso conto, ci pare di aver sodisfatto sutìicientemente ai doveri clic o’ incombevano in un caso così ditìicilo e complesso com’era questo della Lettera cd Principe Leopoldo. Abbiamo infatti pubblicato per intero il testo della seconda stesura, che dal 1G42 in poi non aveva più visto integralmente la luce ; ma ne abbiamo sanato con sicuro fondamento molti, e alcune volte ben grossi, errori : abbiamo dato modo al lettore di ricostruire per intero la prima stesura nella forma che per essa può dirsi definitiva, e di con- (i) Vedi, p. e., pag. 54i, uota 1. AVVERTIMENTO. 479 frontarla agevolmente con la seconda: abbiamo adunato e ordinato anche altro, e non inutile, materiale, fin ora rimasto sepolto nei manoscritti di pugno del Viviani. Tutto ciò abbiamo conseguito con mezzi semplici e chiari : il lettore trova la pagina della nostra edizione divisa in due parti in quei tratti a’ quali corrispon¬ dono due distinti manoscritti di pugno del Viviani, e la pagina piena dove il ma¬ noscritto del Viviani è unico; riconosce subito le varie famiglie di lezioni nell 1 ap¬ parato critico, poiché V designa sempre la lezione definitiva della prima stesura, V' le modificazioni posteriormente introdotte in questa stessa stesura e per le quali bene spesso essa divenne la seconda, VV le lezioni esclusivamente attenenti alla seconda, s gli errori della stampa licetiana. Per la piena intelligenza della Lettera riproducemmo innanzi ad essa, dall’edi¬ zione originale del Lithcosphorus , il capitolo L° (,) ; attenendoci così al consiglio che Galileo stesso dava al Liceti nell’inviargli la seconda stesura: < Di questa ne disponga a suo beneplacito; e risolvendosi a rispondergli e stamparla, sarà ne¬ cessario clic ella faccia aggiugnervi innanzi copia del capitolo L°, del quale io non noto se non le prime parole di ciascuna delle sue obiezioni > (2) . Alla Lettera poi al Principe Leopoldo facemmo susseguire, come in appendice (pag. 543-545), un saggio della forma nella quale, tra il settembre e l’ottobre del 1640, Galileo s’in¬ dirizzava direttamente al Liceti. Ricavammo questo saggio dalla trascrizione al pulito che, come abbiamo detto, è nelle car. llOr.-llltf. del più volte citato T. VII dei Manoscritti Galileiani, ma tenemmo a riscontro anche la bozza che è nelle car. 112r. e seguenti, e ne annotammo, con la lettera A, appiè di pagina le più notevoli differenze: ed il saggio è sufficientemente esteso, sicché il lettore possa vedere, confrontandolo con la seconda stesura diretta al Principe, in qual modo Galileo approfittasse, con l’introdurre modificazioni quasi soltanto esteriori, della lettera al Liceti quando dovette di nuovo rivolgersi a S. A.; nè, essendo così lievi le diversità, metteva conto pubblicarne un tratto più ampio. Compiono la nostra edizione della Lettera alcuni Frammenti a questa attenenti, clic vedono ora per la prima volta la luce. Si leggono essi di mano del Viviani nelle car. 115V., 135t\-137r., 141r. e 142 rt /\ del citato T. VII (n , e si possono distinguere in due serie. La prima (pag. 549 —pag. 551, lin. Il) è un complesso d’appunti che sono stati dettati, secondochè crediamo, quando Galileo si prepa¬ rava a rispondere all’avversario, e intanto andava notando i pensieri da stendere poi nella Lettera: alcuni di essi, come più animati, assumono la forma discorsiva, e il Nostro parla al Liceti come se fosse presente. Abbiamo conservato questi Oi Quando il Liceti cita, nello postillo marginali, luoghi dello opero (li Gaui.ro già da noi pubblicato nella proselito edizione, e si riporta allo pagine dolio edizioni originali di quello opero, noi, per comodità del lettore, soggiungemmo tra parentesi quadre, o in carattere più piccolo, la citaziuue dulie corrispon¬ denti pagine o lineo dolili nostra ristampa. Bozza di lettera senza data, ina elio è dui febbraio 1641, nei Mas. Gal., Par. TU, T. VII, 1, car. 143. Abbiamo corretto, e sognato appiè di pagina, qualche raro trascorso di pernia dui Viviani. 480 AVVERTIMENTO. appunti nell’ordine stesso in cui si succedono nel manoscritto. La seconda serie (pug. 551, lin. 12 — pag. 556) comprende quattro tratti della stesura della Lettera, preparati da Galileo per inserirli < in luogo opportuno >, come in capo a due di essi è avvertito. Ne’ primi due il Nostro scrive al Liceti, negli altri due invece al Principe Leopoldo: non sapremmo però determinare so anche questi tratti si debbano assegnare a quel primo periodo di preparazione, come può far credere, per i due diretti al Liceti, il trovarli nel manoscritto di seguito a quegli appunti, oppure so siano stati dettati piò tardi ; c neppure sappiamo per qual motivo non siano stati compresi nella Lettera . CAPITOLO L° DEL LITIIIJ OS PIIO R US DI FORT UN IO LICETI. De Lumie subobscura luce, ptope conìunclìones et in ddìqmìs observata; digrcssio ])h psico-mathematica. Gap. L. Quoti in superiori contem piattone quaerebamus, undenam et quae sit obscura lux illa quae speotatur in Lunae tenebrosa parto, solaribus radiis non Lacta, propo coniunctiones et in eclipsibus, problema Lenebricosum est adeo, ut ingenia Claris- sima fatigaverit. Ego quid sontiam, in medium affertilii, cupiens ut acqui bonique consulant sapicntiae cultores meum in proposito cenatimi, utinam non irritum. Duas quaesiti caussas esso reor, quartini al te ru tra, vel etiam utraque, pariat hanc apparentiam. Primum exislimo, lumen illud obscurum non esse solare, io tane a 'Ferra revibratum in lunarem superiiciem ; sed, si quidem Luna lucem aliquam liabet in se congenitam, coniunctum quid ex imbecilla Lunae luce nativa et lumino Solis in ipsam repercusso reflexoque ab aetberis alti partibus, lunare corpus ambientibus: quam eententiam multiplex me ratio persuasit. In primis enim, Lunae pars obscura non aliunde lumen repercussum recipcre potest, quam ab eo corpore a quo suscipit eiusdcni luminis differentias : modo, manente prorsus eadem distantia Telluris a lunari corpore, tam in sextili et minori elongationo a Sole, quam post primam quadraturam et ante secundam, lumen reflexum ad Lunae partem primis radiis rcctis intactam, observatu a Galilaico spoetatili* longe magi 8 fulgidum in minori distantia lunaris orbis a Sole, et ex adverso admodum 20 debile in maiori eiusdem distantia: quare non a Terra lumen id ropercutitur, quia in eadem distantia Terrae debet a Terra uniforme roflecti. Sed repercutitur ab aetliere Lunae contermino, quod simili cuin Luna variat pari passu distan- tiam suam a disco solari: proindeque Luna Soli propinquior in obscura sui parto repercussum ab aetbcre contermino lumen vividius liabet, quia conterminus aetber ilio corpori lunari mimis distat a Solo, sicut et Luna, cui conterminus est; e contra vero, Luna remotior a Sole conterminuin sibi aetherein liabet pari ter a Sole distantiorem, qui proinde, a Sole distantiore radios minus vividos accipiens, non ita splendiduin lumen in Lunam repercutere valct post primam quadraturam « pag. 14 Nuncii Siderei, [voi. ILI, pur. i, pag. 73, Un. o-O] 484 CAPITOLO L° DEL UTIIEOSVIIOItUS 4 Pogonenitiono ammalimi!, c. 10. « Nuncii Siderei, pag.16. (voi. Ili, par. I, png. 75, liti, 12 j d Do Maculi» Sola* ribus, epistola 3 pag. 133,136. [voi. V,pag. 221,1 in. 11- 12; pag.224, lin. 3-4] * Nuncii Siderei, pag. 10 et seqq. [voi. Ili, pur. I, pag. 05 o scg.] f Nuncii Siderei, pag. 14. [voi. Ili, par. 1, pag. 72-73] o Ibidem. et ante secundam, ut ilio qui, Lumini in sestili et in minori elongatione a Sole contenni naia liabons, diurno biliari propinquior, vividius lumen a Sole recipit, qued in proxiniam sibi Lumini derivai. Dein vero, quum in plenilunio Terra per- fumlatur a Luna fulgidissimi» radiis, quibus plonilunii noctes illustrissimao fiunt et piuriinum enitet ipsa Tcrrao superficies, unde recto timo ab h Aristotele Luna dicitur quasi alter Sol minor, duino procul in coniunctione lunare corpus dc- 1)0ret esse, atquo a nobis aspici, splendidius quam Terrao facies in plonilunii nocto; siquidem in novilunio Terra non solum Soli propinquior est, quam Luna in oppositiono, proptereaquo lumen Solis vividius reporcutit ipsa Tellus quam Luna Soli opposita, veruni etiani Terra, longe inaior quam Luna, plures radio» io Solis in Lunam coniunctam rcvibrare deberet, quam Luna opposita in Terram interpositam. Sod tamon e contra contingere videnius, Lunam nimiruni circa tempora coniunctionum perexiguo splendore fulgore penes crani obscurae suac pcriphoriae, nec non aliqua parum sensibili claritate subalbicare penes reliquam suporficiom ipsins a lucentibus corniima circumseptam. Quod argumentum eo maiorem vini habere videtur, quo Cl. Galilcus existimat, Lunam plenam splen¬ dore ‘supernri a Terra solaribus radiis illustrata; quin et ipsam Terram, sua reflexione, a maiorem fulgorem reddere Lumie eo quem ab ipsa recipit. Deinde, Luna propc coiuunctiones, et in ipsis ctiam coniunctionibus, ex rcpercussu terreni luminis magis illustrari deberet in media sui facie tenebrosa, quam in residua 20 sui superficie marginca, sive quam in oxlremo suac pcriphcriae limbo lucentibus cornibus opposito ; timi quia plus luminis a Terra redexi suscipcro deberet in media sui superficie, quam in ora extroina; tum quia repercussum lumen ad extremitates Lumie praeterlluit in aetberem conterminimi: at rcflexum ad Limile medium in cavitatibus Lumie, a ‘Galileo positis, velut in concavo speculo eogi deberet, ac inde vividius resiliro; ponentibus autein Lumie corpus orbiculare politum, radii repercussi a Terra spectari deberent solum in medio lunaria super¬ ficie!, non in cius ora extrema : nam speculimi convcxum et globosum recipit lumen in media superficie sua magis quam in limbo, quem radii practerfluunt. Sivo igitur Lunam compares convexo sive concavo corpori, lumen repercussum so a Terra recipienti, deberet in coniunctione, ac prope, lumen id a Terra maius magisque recipere in media sui superficie tenebrosa, quam in eius extremo limbo: niliilominus oppositum evenire videmus, ut observat ctiam fGalilcus, Lunam coniunctioni proxiniam habere periplieriam partis obscurae magis illu¬ stratala quam partes accedentcs ad centrum tenebrosao supcrficioi : (piare fulgor ille non est lumen Solis a Terra repercussum in Lunam, sed ab aethere Lunao contermino, qui vicinior est Lumie limbo quam centro. LTacterea, vel ipse Gl. Ga- liLeus, dum aliam opinionem stvuere contendit, nostrani piane comprobat, asse- rens ^fulgorem qui spectatur in Lumie parte solaribus radiis directis non tacta nasci ex radiorum solarium vicinitate , tangcnthim erassioretn qmwidam regionm , 40 DI FORT UN IO LICETI. *185 h Opticorum, pag. 421. quae Lunam circulariter ambii : ex (ino contadi*, aurora quaedam in nicinas Lunae plagas effunditur , non secus ac in Torri s, timi mane funi vesperi , crepusculinum spar - gitur lumen. Insù per, si Terra solare lumen in Luna repercuterot, ac magia vividum, ut aiunt, quam illud quoti a Luna reflcctitur in Torram, Luna Sol ein nobis eclip- sare non possct, seu, verius, in cclipsi solari dies non obscuraretur, sed esset liemispliaerium nihilo minus illustre quam alio tempore, quia Solis disco suppo¬ stimi Lunae corpus, illustratimi ex reverbcratione a Terra, inillas onmino tene- bras effundere deberet: etenim lumen minus lucidum magis lucido copulatum illius illuminationem non impedit, nec illius lumen iuiminuit visui, licet ipsuin lo visui prorsus occultetur; namque lax et rogus ardens in radiis Solis indiani advehit obscuritatem, et speculimi in radiis itideni Solis collocatum, in qnod ab alio speculo maiori repercutiantur solares radii, nihil adimit illuminationis obtutui: umbra vero Lumie, cono suo satis arcto, Terrae partem exiguam solari lumino privat; unde gaudentes aliae partes lumino solari, revibrare possunt ipsuin in Lunam Soli coniunotam : contra tamen in eclipsi Solis aer adeo nobis h obtene- bratur, ut noeti dies aequiparetur, et in caelo stellae meridie spectentur, Agni- Ionio : unde fit, ut a Terra lumen Solis revibrari nequeat in Lunam ulla ratione. Deinceps, quum Solis vicinia nihil inipodiat, quin astrum Yeneris circa meridicm se nobis in conspectum dederitsaepenumero; quoti et ‘Galileus et A 'Fromondus asserit, * Nuncii Siderei, 20 inquiens : Ita sidera dies supprimit; nuper tamen in fine niensis Augusti anni 1625 [ vo i > i n i Venerem solari et purissimo meridie midtis diébus aspeximus, quae uno non am- |,a ^ 75 > Iio * plius fere signo antecedebat Solem : circa perigaeim etimi enti, et satis admota * 2 Mcteorologico- Terris, ut species amplior se oculis ingcrcrck; procul dubio Luna, quam Gl. Gali- lcus ponit a Terra magis illustrali per luminis reflexionem quam Tellus a Luna piena, quum Terraui recepto lumine Solis non minus fulgore *statuat quam quod- libet aliud astrum, Luna, inquam, necessario in coniunctionibus, ac prope coniunc- tioncs, a nobis videretur non minus effulgens quam Venus circa meridiem : quoti tamen experimento minime respondet; quia Venus, etsi minoris magnitudinis tunc aspiciatur quam noctu, splendidissima tamen luce visum movet, quum ter¬ so reno lumine repercusso splendere Luna prope coniunctiones vix illuminari ac splendere vidcatur. Amplius, in cclipsi lunari nullam prorsus illuminationem Luna rccipit a Terra, quandoquidem in umbra Terrae Luna conditili* omnino ; nullam itidem a Sole, cuius radiis nullis attingitur, ut m ait et ipse Vir clarus : quum Wl Nuncii, png. 15. tamen in deliquiis, eiusdem M testimonio et oculata lide, fulgor quidam appareat in Luna, subrufus quidern ac quasi aencus, ut potè lumen secundariura ab aethere, proximo Lunae circuinfuso, repercussum ad Lunam, iunctum quidem infirmae luci nativa© disci lunaris, seti una cum ea privatum multiplici gradu propria© claritudinis ab umbrae terrenae nigrore. Denique nec illud omittam : data posi- tione Gl. Viri, radii Solis a Terra revibrari deberent adeo vividi ad oppositum 40 caclum, ut in inedia regione aeris cum doliuentibus a Sole primis coeuntes, omnem 1 Do Macaiis Solari bus, pag. 133. [voi. V, pftg. 221-222] [voi. Ili, par. T, pag. 73, liti. 37-38] w Nuncii, pag. 14. [voi. Tir, par. T, pag. 73, li il. 20-21] 486 CAPITOLO L° DKL L 1 TUEOSVJIOR l T S BCC. ® Do partibus animali uni, c. 5. ibi frigiditatein penituB aboleront, ideoquo noe co loci tiubos consisterò, nec aqu&rum aut nivium aut grandinum genorationos fiori, permitterent : si mimque piombimi noctos obsorvantur 0 topidioros (indequo lit ut omnia testacea, quae sunt oxanguia naturaequo frigidioris, ab ambiontis calore futa, proprioque calore propterea vege¬ tato, plcnius alantur), iam Terra, plonilunii tempore lungo quam Luna Soli vici¬ niore ot lungo quam Luna corporo maior, lumen Soli» potontius radiosque Solis multo pluros repcrcutero debebit in aerein medium, ot iis ab ipso depellore iri- giditatem onineni adventitiam, eumdemque, natura sua calidum, certo non frigi- dum, calidiorem cllicore: centra tamen certuni est, in aoris media regione per¬ petuo vigere frigna intonsum, a vaporibus aquois co sublatis exortum, ot ibi io assidue conservatimi. Quamobrem a Terra non ropercutiuntur usquo ad Lumini nulii solares, qui sonipor fatiscentes in itinere valilo procul a Luna propo Torram, ri Meteorologico- ut ait Àrisloteles, in acro medio J’riuficiimt; quum ibi, data positiono Viri Gl., deberent esso vividissimi, proptorcaque non solimi frigiditatis oinnis oxtirpatorcs, sed otiam teporis ot caloria in aero medio procrcatoros. Itaquo non pertingunt ad Lunam usque radii solares a Terra sursum revibrati; proptercaque lux illa tenuis in parte Lumie tenebrosa, quae propo coniunctionos conspieitur et deliquii tempore, meo iiulicio, niliil est aliud quam splendor quidam remissus, Lunae nativus, fotus fulgore radioriuu Solis, repercussorum ab aethere contorniino ad Lunae globum, et in eclipsi turbatus sivo turbidus elVectus ab umbra terrena. 20 Si tamen ex scso Luna penitus est obscura et opaca perinde ac Terra, ut censet Vir Gl., cani cum lapide Bononiensi magnani et nobileiu analogiam liabere censeo ; ut, abscnte Sole, ac in umbra, seu Torrae, dum deficit, scu sua, dum Soli coniungitur, in parte Inuline solari non tacta, consorvot aliquandiu lucem, quam prius a Sole susceperat. Sed et partes aetlieris contermini, solaribus affeclae radiis, in lunare corpus, opacum et obscurum natura sua, repercutere possunt exiguuni lumen, quod et in .doliquiis et prope coniunctioues languere conspi- citur, ac uteumque mimiere nafcivam lunaria corporis obscuritatem : quemadmodum et apud nos aor umbrae conterminus radiis solaribus in meridie laterales umbrae partes abrodit, in eas vividiori lumino repercusso, proindequo reddit umbram 80 angustioris latitudinis ; quod olìiccre non potest aor matutinus nec vespertinus, mitioribus radiis imbccilliorique Solis tuia orientis tum occidentis lumine per- fusus: ut non ita pridem scripsimus ad Gl. Naudaeum, qui nos inelyti Gassendi nomine rogavit caussam, ob quam opaci corporis umbra latior appareat Sole prope finitorem liumili, strictior e con tra editioro Solo procul ab horizonte ver- ticalcni rogionem perambulanto ; cuius rei certas observationes ac indubitata prorsus experimenta se dixit liabere Gl. Mathcmaticus. Veruni hac de re lato perscripsimus ad eximium virum. Sed redeamus iam ad pensimi lapidimi admi- rabilium. LETTERA AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. lituo.] AL SERENISSIMO PRINCIPE LEOPOLDO ilio SIGNORE E PADRON COLENDISSIMO. PISA. Serenissimo Principe e mio Signor Colendissimo, Tardi, Serenissimo Principe, pongo io in esecuzione il comanda¬ mento fattomi più giorni sono dall’A. V. S. intorno al dovere matu¬ ramente considerare il trattato dell’ Eccellentissimo Sig. Fortunio Liceti intorno alla pietra lucifera di Bologna, e sopra di questo si¬ gnificarle il giudizio che ne fo. Ho fatta la da lei impostami consi- 10 derazione, e del darne io conto all’A. V. S. così tardamente, prego che Serenissimo Principe, mio Signore e Padrone Colendissimo, Tardi, Serenissimo Principe, pongo io in esecuzione il comanda¬ mento fattomi più giorni sono dall’A. V. S. intorno al dover io ma¬ turamente considerare il valore dell’ opposizioni fatte dall’Eccellentis¬ simo Sig. Fortunio Liceti a quella mia opinione, gran tempo fa da me publicata, in proposito della tenue luce, che nel disco lunare si scorge, mentre che ella non è molto lontana dalla sua congiunzione col Sole ; della quale apparente luce io referivo la causa al retiesso de’ raggi solari nella superficie del globo terrestre. Ho fatta la da lei impostami 20 considerazione, e del darne io conto all’A. V. S. così tardamente, prego 8. questa , s — 12. pongo in esecuzione , b— 15. opinione, già tempo, b — 18. io re ferisco, Mar.; io rife¬ risco, b — 19. Ho fatto, U, b — 20. si tardamente, Gv.— viu. 02 400 LETTERA sia servita (li accettare la mia scusa, condonando tutto l’indugio alla mia miserabil perdita della vista, per il cui mancamento mi è forza ricorrere all’aiuto degli ocelli e della penna di altri ; dalla qual neces¬ sità no seguita un gran dispendio di tempo, o massime aggiuntovi l’altro mio difetto, di aver, per la grave età, diminuita gran parte della memoria, sì che nel far deporro in carta i miei concetti, molto e molte volto mi bisogna far rileggere i periodi scritti avanti, per poter sogghignerò gli altri seguenti o schivar di non repetor più volte le cose già dette. E creda l’A. V. S. a me, che dalla esperienza no sono bene addottrinato, elio dallo scrivere servendosi degli occhi io e della mano proprii, al dover usar quelli di un altro, vi ù quasi quella differenzia che altri nel gioco delli scacchi troverebbe tra il giocar con gli occhi aperti o il giocar con gli occhi bendati o chiusi. Imperochè in questa seconda maniera, dalle tre o (piatirò gite di alcuni pezzi in poi, ò impossibile tenero a memoria delle mosse di altri più; nè può bastare il farsi replicar più volte il posto dei pezzi, che sia servita d’accettar la mia scusa, condonando tutto l’indugio alla mia miserabil perdita della vista, per il cui mancamento mi è forza ricorrere all’ aiuto delli occhi o della penna di altri, dalla quale necessità ne seguita un gran dispendio di tempo, e massime aggiuntovi 20 l’altro mio difetto, d’aver, per la grave età, diminuita la maggior parte della memoria, sì che nel far deporre in carta i miei concetti, molte e molte volte mi bisogna far rileggere i periodi scritti avanti, per poter soggiungerli gli altri seguenti, e schivar di non reputerò più volte le cose già dette. E creda l’À. V. S. a me, che dall’esperienza ne sono bene addottrinato, che dallo scrivere servendosi delli occhi e della mano proprii, al dover usare quelli d’ un altro, vi è quella differenza che altri nel gioco delli scacchi troverebbe tra il giocare culli occhi aperti ed il giocare con gli occhi bendati o chiusi. Imperochè in questa seconda maniera, dalle tre o quattro gite d’ alcuni pezzi in so poi, è impossibile tenere a memoria delle mosse d’altri più; nè può bastare il farsi replicare più volte il posto de’ pezzi con pensiero di P°ter produrre il gioco sino all’ ultimo scacco, perchè credo si tratti 17. coìulonamlo l’indugio, Gv. — 19. penna d'altrui, b — 20. ne segue, G — 22. far porre, G — 23. molte volte e molte, G — 24. soggiungere gli altri, G — 24-25. rep< tere le cose, G — 27. mano propria, al, G, b usar quella d’un, b — 29. aperti e co’ i bendati, G — bendati e chiusi, Gv. — 31. a memoria le mosse, Gv. — 32 33 pezzi, a poter, b — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 491 con pensiero di poter produrre il gioco fino all’ultimo scacco, perchè credo si tratti poco mono che dell’ impossibile. Supposto dunque che l’A. Y. S. per sua benignità sia per ammettere la necessaria scusa della mia tardanza, verrò a schiettamente e sinceramente esporle quel giudizio che ho fatto sopra detto libro. Ma prima che ad altro io descenda, voglio che FA. V. S. sappia come 1’ Eccellentissimo Sig. Liceti, subito uscito in luce il suo trattato De lapide Bononimsì, me ne inviò una copia, pregandomi che io libe¬ ramente dovessi significarli quello che a me pareva di questa sua io fatica; o mentre che l’A. Y. S. mi ricerca dell’istesso, con ogni schiet¬ tezza lo aprirò il mio senso. Dicole dunque, che se io volessi conforme al merito diffondermi nelle lodi dell’ampia e sottilissima dottrina che mi ò parso scorgervi, oltre al convenirmi assai in lungo distendere, dubiterei che le mio parole, benché purissime c sincere, potessero apparire ad alcuno iper¬ boliche o adulatorie: ad alcuno, dico, di quelli, che troppo laconica¬ mente vorrebbero vedere, nei più angusti spazii che possibil fusse, ristretti i filosofici insegnamenti, sì che sempre si usasse quella rigida e concisa maniera, spogliata di "qualsivoglia vaghezza ed ornamento, 20 che è propria dei puri geometri, li quali nò pure una parola profe¬ riscono che dalla assoluta necessità non sia loro suggerita. Ma io, al¬ l’incontro, non solamente non ascrivo a difetto in un trattato, an¬ corché indirizzato ad un solo scopo, interserire altre varie notizie, purché non siano totalmente separate e senza veruna coerenza annesse al principale instituto ; che anzi stimo, la nobiltà, la grandezza e la magnificenza, che fa le azzioni ed imprese nostre meravigliose ed ec¬ cellenti, non consistere nelle cose necessarie (ancorché il mancarvi queste sia il maggior difetto che commetter si possa), ina nelle non necessarie, purché non sieno poste fuori di proposito, ma abbino qual- ao che relazione, ancorché piccola, al principale intento. E così, per dell’impossibile. Supposto dunque che l’A. V. per sua benignità sia per ammettere la necessaria scusa della mia tardanza, verrò a schiet¬ tamente o sinceramente esporle quello che mi è passato per la men- 10-11. schiettezza gli aprirò, VV — 12. Dicogli, V Y — 21. non li sia suggerita., V V — 24. non fussero totalmente, V V — 25-27. instituto ; anzi stimo che la - non consista nelle, VV — 112-33. verrò schiettamente e sinceramente ad esporli quello, Or — 492 LETTERA esempio, vile e plebeo meritamente si chiamerebbe quel convito nel quale mancassero i cibi e le bevande, principili requisito e necessario ; ma non però il non mancar di queste lo fa così magnifico e nobile, elio sommamente più non gli arrechino grandezza o nobiltà la va¬ ghezza dell’egregio e sontuoso apparato, lo splendore dei vasi d’ar¬ gento o d’ oro, elio, adornando la mensa e lo credenze, dilettano la vista, i concenti di varie armonio, le sceniche rappresentazioni, e i piacevoli scherzi, all’ udito così graziosi. La maestà di un poema eroico vion sommamente ampliata dalla vaghezza o varietà do gli episodii; o Pindaro, principe de’ lirici, si sublima tanto col digredire in ma- io niera dal principale suo intento, che è di lodar V eroe da esso can¬ tato, che nel tesser le laudi di quello non consuma la decima, nè anco tal ora la vigesima, parto de i versi, i quali sponde in varie descriz- zioni di cose che in ultimo, con lila assai sottili, sono annesse al prin- cipal concetto, lo por tanto interamente applaudo alla maniera che il Sig. Liceti, abbondantissimo di mille o mille notizie, tiene nei suoi componimenti, ed in particolare in questo, nel (piale, prima elio con¬ durre il famelico lettore a saziare sua brama con 1 ’ultimo insegna¬ mento del problema principalmente desiderato, ci porge un util diletto di tante bello cognizioni, elio bene ei obliga a rendergliene mille 20 grazie, mentre che con grato rispiarmo di tempo o di fatica ci libera dal rivoltare i libri di cento e cento autori. Degna dunque di lodi infinite stimo io questa sua nobile ed util fatiea. Ed accioeliè l'A. V. S. resti sicura che io schiettamente e non simulatamente discorro, voglio contraporre allo meritate lodi che a tutto il resto del suo libro si convengono, alcune mio considerazioni intorno alla digressione elio fa il Sig. Liceti nel capitolo L di questo suo libro, le quali mi paro elio possine) rendere la dottrina in quello contenuta non ben sicura nò incolpabile ; se però, quello che coinniu- nemente ed umanamente suole accadere, l’interesse proprio non ni’ in- 30 gamia, essendo il contenuto di tutto il detto capitolo non altro che 4. grandetta e — [sic] la, VV — 19. ei porge, a — 21. con gran rispiarmo, VV— 23. nohl e cosi util, VV — 31. tutto detto t s — AL TRINCILE LEOPOLDO DI TOSCANA. 493 una moltitudine di obiezioni die egli bene acutamente fa contro ad una mia particolare ed antiquata opinione, nella quale ho creduto ed affermato, quel tenue lume secondario elio nella parte tenebrosa della Luna si scorge, massimamente quando ella ò poco remota dalla congiunzione col Sole, essere effetto cagionato dal reflesso de’ raggi solari nella superficie del nostro globo terrestre : al che egli contra¬ dice con molte opposizioni, le quali, contro al mio desiderio, mi pare che non necessariamente convincano la mia opinione di falsità. E dico contro al mio desiderio, perchè non vorrei che anco questa nota, benché io piccola, macchiasse il suo, in tutto il resto, così puro e candido trat¬ tato : che nelli scritti miei, che poco di peregrino o di apprezzabile si contiene, poco di pregiudizio è 1’ aggiugnere a tante altre mie fallacie questa qui ancora ; che bene in un panno rozo e vile manco noiano la vista molte grandi ed oscure macchie, che in un drappo vago e per la moltitudine de’ fiori riguardevole non farebbe una ben¬ ché minima. Proporrò dunque quelle risposte che al presente paiono sollevarmi, con speranza di dover poi, con mio util particolare, esser dallo sue dottissime repliche tolto di errore e condotto nel possesso del vero, 20 qualunque volta queste mie risposte gli venissero agli orecchi. Ma prima che io desccnda a esaminar la forza delle sue obiezzioni, voglio, per mia satisfazione, raccontare all’A. Y. S. i miei primi moti, dai quali io fui indotto a credere che di questo tenue lume secondario, che nella parte del disco lunare non tocco dal Sole si scorge (il quale, per brevità, con una sola parola nel progresso chiamerò candore), sola ed originaria cagiono no fusse il reflesso de i raggi solari nella superfìcie del globo terrestre. Avendo ed una e duo volte osservato il detto candore, mosso dal naturai desiderio d’intender le cause delli effetti di natura, il primo concetto che mi cadde in mente fu, che ao tal candore potesse essere proprio dell’ istessa sustanzia e materia del globo lunare : e per certificarmi se ciò potesse essere, aspettai curio- 1- muliitudine , a — 5. Soie, sia effetto, VV — 22. primi motivi, fl — 404 LETTERA «amento il tempo dulia prima eclisso totale di essa Luna, sicuro clie (piando olla por sò stessa ritenesse tal lume, molto o molto più splen¬ dido ci si mostrerebbe nello tenebre della notte profonda, che nella chiarezza del crepuscolo; in ipiel modo che incomparabilmente lo splendore della medesima Luna, conferitolo dal Solo, più bello e grande ci si rappresenta nella notte oscura, elio non solo nel mezo giorno, ma nell’ ora del crepuscolo ancora. Venne 1 ’ eclisse ; o restando ella talmente oscura, che del tutto restò inconspicua, fui reso certo, il candore non esser nativo suo, o però necessariamente doverle esser conferito ab extra. E perché ad illuminare un corpo opaco od oscuro io vi ò necessario il beneficio di un altro ben risplendente, nò trovan¬ dosi al mondo altri elio lo stello erranti e fisse, il Solo o la Terra, in (pianto dal Sole ò illustrata, venivo di necessità tratto a ricorrere e a far capo ad alcuno di questi. E cominciando dal Sole, essendo manifesto (pianto grande sia l’illuminazione che esso le manda e che nello emisferici lunare ad esso esposto si ricevo, giudicai, il candore che nell’altro emisferio, non visto dal Sole, si diffonde, non potere essere opera dei raggi solari. Nè meno potersi attribuire al resto dei lumi celesti, cioè delle stollo: imperochò la vista loro non vien tolta alla Luna postanello tenebro dell’ eclisse ; onde quello pure illustrali-20 dola sempre egualmente, molto più lucida ci si rappresenterebbe nel- P oscuro campo della notte, che nel crepuscolo ; di elio accade tutto P opposito. E perchè manifestamente si osserva, il candore farsi di grande mediocre, e di mediocre minoro e minimo, tal efi’etto in conto veruno dallo stelle non può derivare, lìestavami sola la Terra, atta a poter satisfare a tutte le particolarità, col non fare ella verso la Luna altro che puntualissimanionte quello che la Luna fa verso la Terra, illuminando la sua parto oscura nelle tenebre della notte col reflesso do’ raggi solari, or più, or meno, or pochissimo, or niente. E meco medesimo più arditamente discorrendo, dissi: Sono la Luna so 0 la Terra duo corpi opachi 0 tenebrosi egualmente ; vi è il Sole, *.-3 splendido ei si, »— 5. conferitaci, YV— 7. via nella chiarella del, VV — 9. dovergli, ~ 15. esso gli manda, V V -18. jYè meno si può attribuire, YV — ai. rapprcsentarebbc ,8 — 22. oscuro tempo, b — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 495 che di pari illustra continuamente un emisferio di ciascheduno, la¬ sciando 1’ altro oscuro ; e di questi, la Luna è potente a illuminare l’oscuro della Terra : oh perchè si dovrà metter in dubbio che il luminoso della Terra non incandisca l’oscuro della Luna? Parvenu questo discorso talmente ragionevole, che io presi ardire di palesarlo, stimando che dovesse esser ricevuto come concludente ; nò è restato il mio creder vano, poiché ninno de :i comuni ingegni speculativi l’ha impugnato, sinché il discorso dell’ Eccellentissimo Sig. Lieeti, sopra tutti gli altri eminente, ha con grand’ acutezza penetrato, tal io mio pensiero ed opinione essere stata manchevole. Tuttavia, o sia per mia debolezza od incapacità, o pure clie lo impugnazioni non siano di quella strettissima necessità che nella assoluta demostrativa scienza si richiede, non mi conosco ancora per al tutto convinto ; e perché in me non cessa il desiderio di sapere, bramando di esser tolto del dubbio e posto nel certo, eonmmnicherò a lei tutto quello che mi occorre potersi dire in risposta alle sue contradizzioni, per mante¬ nimento della mia opinione. E facendo principio dal titolo del capitolo 50, che è : De Lunae subobscura luce, prope coniuncliones et in deìiquiis óbservata ; digressio 20 physico-muthematica, già che egli medesimo le dà titolo di digressione, è manifesto segno di averla esso stimata considerazione non neces¬ saria nel suo trattato, ma solo aver voi a interposta per magnificarlo ; conforme a quel che di sopra ho detto, che la nobiltà o magnifì- cenzia consiste più negli ornamenti non necessarii, che in quelle cose elio di necessità devono esser portate. E sin qui approvo o laudo il suo instituto, se non in quanto seco porta indizio del mio non ben saldo discorso. E perchè egli procede come matematico e fìsico, andrò te, per diminuire la forza dell’ impugnazioni di un tanto campione, qual è l’eminente filosofo Lieeti. so E per non lasciar alcuna cosa in dietro, farò la prima considera¬ zione sopra il titolo che ei prepone al capitolo 50 del suo libro De lapide Bononiensì, dove ei tratta la materia tra esso e me controversa. Scrive egli dunque: De Lunae subobscura luce etc. E perchè ei dà titolo 4. terra incandisca, YY —15-H». mi sovviene potersi , YV — 18. del L° capitolo, V V — 20. medesimo gli dà, VV — 28. la forza d* un tanto, G— 31. die ei propone, G; eh* ei pone, b — 49fi LETTERA esaminando come filosofo, qualunque io mi sia, e come matematico le sue opposizioni ; facendo anco qualche poco di considerazione in¬ torno alla forma dell’ argomentare che egli tal volta tiene, quanto alla sia conformo a i dialettici precetti posti da Aristotele. Piglio dunque la sua prima instanza, contenuta dal principio del capitolo sino a Drin vero, quim in plenilunio Terra eie. Mentre io vo con attenzione esaminando questo primo discorso, lo trovo veramente con bello artifizio tessuto; e Partifizio mi si rappresenta tale. Due parti si contengono in esso conteste : 1 ’ una è nella quale ei vuol dimo¬ strare, il camlor della Luna non potersi in modo alcuno riconoscere io dalla Terra; l’altra è il concludere, tal effetto procedere dall’etere ambiente essa Luna. Quanto alla prima, molto probabilmente cam¬ mina il suo discorso, dicendo, il candor della Luna non poter deri¬ vare so non da quel corpo dal quale provengono lo differenze di esso candore, le quali differenze sono il farsi tal candore or più ed or meno lucido: e questo non può provenire dalla Terra, avvengachè la sua lontananza dalla Luna non si muta: e però il rellesso della Terra deve esser sempre uniforme, od in conseguenza impotente a produr differenze in osso candore; adunque, nò mono il candor me¬ desimo. Il discorso, pigliandolo a tutto rigore, patisce non leggier 20 mancamento : il quale è, che nel raccòrrò la conclusione dalle pre¬ messe, s’introduce un quarto termine, non toccato nello premesse, il di digressione a quel che vuol soggiungere, assai apertamente vien a confessare di non aver avuto necessità di trattare cotal materia, la verità o falsità della quale nò pregiudizio nò utile poteva recare al principale scopo ed argomento che ei tratta nel suo libro; onde ne viene in conseguenza che ei mosso solamente, dirò, da certo prorito di contraddire, si sia indotto a intraprendere cotale impresa. Dichia¬ rasi appresso di volere comparire conio fisico c matematico, cioè di voler proceder con dimostrazioni tolte non solo dalla naturai filosofia, so ma dalla matematica ancora: 0 qui non so perchè ei taccia la logica, la quale, riguardando alla forma del silogizzare, no insegna a dedurre da vere premesse indubitata necessità della conclusione. Sarò per tanto, 8. artifizio si rappresenta, s—19. candore, nè meno,XV— 21 22. conclusione delle premesse, s — ~ 1. trattare simil materia, (r — 2F>. verità e falsità, li — poteva arrecare , Mnr., — 2G. Con le paiole ei tratta comincili il manoscritto di puuuo del Viviam.— 27. c/ic e’ hi osso. V — 28. contrudire, Y— AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 497 quale è la Terra. Sono le premesse : « Un effetto mutabile non può provenire da causa immutabile : il candore è effetto mutabile ; ma la distanza tra la Terra e la Luna è immutabile ; adunque il can¬ dore non può provenir dalla Terra ». Ora questo termine « Terra » non è posto nelle premesse, ma vi è in suo luogo « distanza tra la Terra e la Luna »; ondo, a voler che l’argomento cammini in buona forma, bisognava, avendo detto nelle premesse « Un effetto mutabile non può provenire da causa immutabile; ma la distanza tra la Tèrra e la Luna è immutabile », bisognava, dico, dir nella conclusione io « Adunque il candore non procede dalla distanza tra la Terra e la Luna » : ed il silogismo, raddrizzato così, quanto alla forma procedeva bene, ma non concludeva niente contro di me. Ho detto che a tutto rigore ne seguirebbe questo inconveniente ; ma avendo riguardo a quello che, per mio credere, il Sig. Liceti aveva in intenzione, figu¬ riamo l’argumento in miglior forma, dicendo : « Un effetto mutabile non può derivare da causa immutabile : ma la distanza tra la Luna e la Terra è immutabile, ed immutabile parimente è lo splendor della Terra; adunque il candore non può provenire nò dalla distanza tra la Luna e la Terra, nè dallo splendore della Terra; ed in conseguenza 20 non può provenire dalla Terra ». Non si può negare ebe il discorso in questa maniera raddrizzato apparisce tanto concludente, ebe fa- per mio schermo, in obbligo di esaminare il valore delle fisiche dimo¬ strazioni, delle matematiche osservazioni, e delle logicali induzioni. E venendo ad esaminare il primo argumento col quale 1 ’ acutis¬ simo Sig. Filosofo corca di impugnare la mia oppinione e stabilire la sua, potrà TA. Y. S. sentire quanto egli scrive dal principio di questo capitolo sino a Dcin vero, cum in plenilunio Terra perfundatur a Lima, etc. Or, mentre io vo considerando questo primo discorso, primieramente mi pare, posto ebe oi sia concludente, di potere, senza so punto partirmi dalle pedate dell’Autore, construirne uno similissimo, il quale dimostri falsa una oppinione che senza verun dubbio ei re¬ puta, insieme con tutti gli uomini, verissima. Imperò che ned egli nè altri metterà dubbio o negherà che quel lume notturno che si scorge in Terra, e che volgarmente si chiama lume di Luna, proceda dal 11, 21. ridriz/sato , VV — 13. ne seguiva questo, VV — 1G-17. tra la Terra e la Luna è ivi mutabile, ed immutabile è parimente lo, VV — 4 Vili. 63 498 LETTERA diluente potrebbe essere ammesso per sincero o libero da ogni fal¬ lacia da qualsivoglia filosofo; e tanto più ciò mi persuado, quanto che l’istesso Sig. Licoti, da me stimato por filosofo a nissun altro se¬ condo, por niente manchevole lo ha creduto : o pure tra poco spero di esser per dimostrarlo manchevole. In tanto per ora, ammessolo per concludente, dico che egli non la punto contro di me, il quale non ho mai detto nè scritto che alla produzione del candore si ricerchi la mutazione della distanza tra la Terra e la Luna o la mutazione dello splendore della Terra. È stato pensiero del Sig. Licoti; il quale, immaginandosi elio di tal mutazione non possa osser causa altro che io il variarsi la distanza o il mutarsi lo splendore, si è persuaso che escludendo queste duo cause venga distrutta la mia opinione. Se io avessi detto elio la Terra cagionasse il candore nella Luna con l’ap¬ pressarsele o discostarsele, o col farsi ella or più splendida ed or meno, egli mi averebbe convinto di errore col mostrare che la Terra nè si avvicina o discosta dalla Luna, nè diviene una volta più vivamente splendida che un’altra. Resto io per tanto sin qui illeso dalla sua prima impugnazione, nella quale è bene ora elio veggiamo se vi sia ascosa dentro alcuna fallacia, sì corno, ingenuamente parlando, credo che ascosa vi sia: e per farla palese, prima mostrerò in generale che ella 20 vi è ; dipoi tenterò di additare, dove e quale ella sia in particolare. rellosso do’raggi solari nel corpo di essa Luna: tuttavia, essendo che tal lume di Luna in Terra grandemente si muta nel crescersi e dimi¬ nuirsi, nò può (come il medesimo Autore con gran ragione afferma) d’altr’onde derivare la causa di tale augumento e diminuzione che di là donde l’istessa illuminazione deriva, causa di tal mutazione non potrà esser la Luna, poi die la sua lontananza dalla Terra nò si fa mag¬ giore nè minore, dalla quale maggioranza e minoranza riconosce l’Au¬ tore V incremento 0 decremento della illuminazione; 0 non si potendo di tal variazione di lume ripor la causa nella Luna, nè essa Luna 30 potrà esser quella che la Terra illustri nelle notturne tenebre. Ma se pure noi vorremo assegnar cotale illuminazione alla Luna, converrà che dello accrescimento e diminuzione di lume si associli altra cagione 2. persuado io, quanto, YV — 13-14. apjrressarsegli o discost arsegli, VY — 17. io fra tun to, s — 20. ascosta, YV — in genere che, X X — 30. Luna , adunque nt anco essa, X' — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 499 Che fallacia assolutamente vi sia, lo provo col tessere un argo¬ mento formato su le vestigio del suo, senza slargarmene pure un ca¬ pello, deducendone poi una conclusione falsa ; la quale vera doverebbe esser riuscita, quando nella forma dell’ argomento non fusse stata fal¬ lacia. Formando dunque 1’ argumonto su le sue pedate, proverò che quel lume che la notte si scorge in Terra, mentre che la Luna splen¬ dida si trova sopra Tori/,onte, e che communemente si chiama lume di Luna, non è altrimenti effetto che, come da causa, dependa dal reflesso de’ raggi solari nella superficie della Luna, dicendo così. Que- 10 sto che noi chiamiamo lume di Luna ò effetto mutabile, e però non può derivare so non da causa mutabile. Ma le cause mutabili, atte a produrre una tal mutabilità, sono dal Sig. Liceti ridotte a due capi : 1’ uno è 1’ avvicinare o discostare il corpo illuminante da quello che deve essere illuminato; e l’altro è il crescere o il diminuire lo splen¬ dore del corpo illuminante. Il primo di questi due capi non ha luogo nella presente operazione, avvengachè, per concessione pur del me¬ desimo Sig. Filosofo, la Luna mantiene sempre la medesima distanza dalla Terra; e l’altro capo molto mono ci ha luogo: il che è mani¬ festo; imperochè l’eli etto che seguir si vede procede tutto al contrario 20 di quel che proceder dovrebbe quando pur lo splendor della Luna si facesse ora più vivo e potente ed ora meno. Imperciochè, essendo lo splendor della Luna effetto dei raggi solari che la illustrano, chiara che 1’ avvicinarsi o allontanarsi la Luna dalla Terra : e certamente, benché sia vero che l’avvicinare o allontanare il corpo tenebroso dal risplendente, che illuminare lo deve, faccia maggiore e minore la illu¬ minazione, tutta via non doviamo fermarci su questa posizione, quasi che altra non ne sia in natura, mentre pure ce n’ è un’ altra al meno, che è il servirsi di lume or più grande ed or più piccolo, mentre veg- giamo una gran torcia accesa assai più gagliardamente illuminare so un corpo tenebroso che una piccola candeletta, posta nella medesima distanza. E questa sì gran differenza di illuminare si assesta tanto puntualmente nel proposito di che si tratta, che resto con qualche am¬ mirazione che il Sig. Liceti, tanto perspicace ed accorto nel penetrare i più reconditi secreti di natura, abbia trapassato questo sotto silenzio. 4. dello arc/umentare wo«,VV— 6. mentre la, VV—14. crescere e il, s—18. meno ancora ci, VV— 28. ed ora più, V'— 28-29. piccolo, essendoché vepcjiamo, V' — 500 LETTERA cosa ò elio ei sarà più vivo quando olla ò meli lontana dal Sole, o più debito nella sua maggior lontananza: o però, posta la Luna in congiunzione eoi Sole, lo splendore che ella da lui riceve, più efficace sarà elio quando ella li ò posta all’opposizione, trovandosi in questo luogo più lontana dal Sole, elio in quello, tanto quanto importa il diametro del dragone, cerchio massimo dell’ orbo nel quale la Luna si rivolgo ; od ò manifesto, elio partendosi ella dalla congiunzione o venendo verso il sestile e di lì al quadrato, ella si va continuamente discostando dal Sole, continuando puro il discostamento nell’ aspetto trino, o finalmente condueondosi alla massima lontananza nella dia- io metrale opposizione. Si va per tanto continuamente indebolendo lo splendore della Luna : ma 1 ’ effetto suo in Terra procedo al contrario. Imperoclie nel tempo della congiunzione l’illuminazione in Terra è minima, anzi pur nulla, e si comincia a far sensibile nel separarsi la Luna dalla congiunzione, nò molto si fa ella apparente sino allo aspetto sestile ; ma continuando lo allontanamento della Luna dal Sole, pas¬ sando per il quadrato e trino, sempre il lume di Luna in Terra si fa maggiore e maggiore, sin elio diviene massimo nulla opposizione. Poiché dunque la mutazione nel lume si fa al contrario di quel che far si dovrebbe quando tal mutazione depondosso dal farsi lo splen- »> dorè della Luna or più or meno grande 0 gagliardo ; chiara cosa ri¬ mane, elio nò anco il secondo capo ha luogo in questa operazione del farsi il lume in Terra or più or meno vivace. Adunque non ha la Del corpo lunare sempre no è la metà della superficie tocca da i raggi del Sole, trattone quello poche ore delli ecclissi, o 1 ’ altra metà resta oscura: della medesima suporiicie lunare sempre no è una metà esposta a gli occhi nostri ed alla Terra. Il disco lunare illuminato dal Solo ò potente a ripercuotere i raggi di quello, 0 con tal lume ripercosso il¬ luminare ogni corpo tenebroso che egli incontri: il che accade alla Terra od a noi, mentre, trovandoci tra la Luna 0 il Sole, veggiamo so l’emisferio di quella tutto pieno di luce, dalla quale vonghiaino fa¬ voriti ed illuminati; all’ incontro, posta la Luna tra il Solo 0 la Terra, nulla veggiamo dell’emisforio lunare illustrato dal Solo, perchè ci è averso, o solo risguarda verso di noi l’altro emisforio lunare, non tocco dallo splendore del Sole. Comincia la Luna a separarsi ed allonta- 8. congiunzione al Sole, V V — 11). mutazione del lume, a — 28. or più ai or meno, VY — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. noi Luna parte alcuna nella mutazione di quel lume in Terra, del quale noi parliamo ; e non avendo ella parte in tal mutazione, per la verissima ipotesi del medesimo Filosofo nò meno l’istesso lume sarà effetto della Luna : tuttavia egli pure tanto manifestamente depende dalla Luna, clic niuno degli uomini si troverà clie vi ponga dubbio. E veramente dubbio non vi si può porre, mentre che la causa della mutazione, cioè del farsi di piccolissimo, e di giorno in giorno andar crescendo, sin che grandissimo divenga, è tanto manifesta, che non è uomo che non la comprenda, e non vogga che la Luna nuova poco o niente io può illuminar la Terra, non ci mostrando del suo emisferio illuminato dal Sole altro che una sottilissima falce, la quale la sera seguente fatta più larga, e di sera in sera ingrossando le sue corna, allarga¬ tasi per buono spazio dal Sole, comincia a rendere osservabile T ef¬ fetto del suo splendore, quanto all’ illuminar la Terra ; ridottasi poi, dopo sette o otto giorni, al quadrato, scuopre alla Terra di sè la metà del suo emisferio splendido ; e seguitando di allontanarsi ancor più dal Sole, più c più di sera in sera mostra ampia la sua faccia rilucente ; e finalmente nella opposizione 1 ’ emisferio suo, in figura d’intero e perfetto cerchio, grandissima nc produce in Terra la sua 20 illuminazione. Io veramente mi meraviglio che T Eccellentissimo Signore, di in¬ gegno tanto provido in contemplare e penetrare le cause e gli effetti nursi dalla congiunzione col Sole, della illuminazione del quale comincia insieme a participame una sottile striscia dell’emisferio oscuro, che vei'so noi riguarda ; e questa piccola particella è quella sottilissima falce che si comincia a vedere il secondo o il terzo giorno dopo la congiunzione, dallo splendor della quale, per essere una sottile e pic¬ cola fiaccola, poco o niente riceve di lume la Terra. Continuando la separazione ed allontanamento della Luna dal Sole, si ingrossano so le lucide corna, e cresciuta la torcia, comincia a farsi sensibile la illu¬ minazione di quella sopra la Terra. Seguita l’allontanamento e l’ingros¬ samento, talmente che nell’ aspetto quadrato già dell’ emisferio lunare esposto a gli occhi nostri ne è la metà illuminato ; onde veggiamo un mezzo cerchio risplendente e, come molto accresciuto sopra le corna, con molto maggior luce illuminante la Terra. Seguita dopo il qua- 23. Sole, e della illuminazione di esso comincia, V' — 502 lettera meravigliosi della natura, non so per qual ragiono, non abbia fatto reflesso sopra cosi patente causa della mutazione elei lume di Luna in Terra; o perché, avcudovela fatta, non l’abbia poi riconosciuta nello splendore della Terra nel produrre simile mutazione nel candor della Luna, mentre elio il negozio cammina nell* istessa maniera pun¬ tualissimamente. Cioè, perchè, stante sempre un intero emisferio della Terra illustrato dal Sole, la Luna non però si trova perpetuamente costituita in sito tale, che continuamente se gli opponga o scuopra o tutto o la medesima parto «lei detto emisferio terrestre luminoso ; ma talora lo vede tutto, talora ne perdo una parto, o poi un’ altra io maggiore, e finalmente ancorano perde il tulio. L'intero ne vede la Luna posta alla congiunzione col Sole; nel qual tempo, esponendo essa Luna il suo emisferio opaco, non tocco da i raggi solari, alla Terra, sommamente viene incandita dalla piazza immensa luminosa di quella. Partendosi poi dalla congiunzione, comincia a scoprire una particella dell’ emisferio tenebroso della Terra, rimanendolo però veduta gran¬ dissima parte ancora del luminoso ; onde il suo candore si debilita alquanto, e va continuamente debilitandosi mentre che, nello allon¬ tanarsi dal Sole, va sempre di giorno in giorno perdendo di vista parto maggioro del terrestre emisferio luminoso, sin che, giunta al 20 quadrato, scuopro del terrestre emisferio, esposto alla sua vista, la metà dell’ illuminato, 0 1’ altra metà del tenebroso : cresce dunque drato l’aspetto trino, e già dall’ emisferio lunare, più che la metà il¬ luminato, è la illuminazione grandemente in Terra accresciuta; sin che finalmente nella totale elongazione, cioè nell’opposizione, l’intero cer¬ chio ed emisferio volto verso noi compare tutto lucido, e la torcia, fatta grandissima, gran lume diffondo sopra la superficie della Terra. Ora, se questo discorso, che tanto chiaramente rende la ragione del crescersi e calarsi il lume di Luna in Terra, si trovasse adattarsi a capello a quel croscimento e decremento del lume tenue e secoli- 30 dario clic si scorge nel disco lunare, e che, per brevità, con una sola parola ne’ seguenti discorsi chiameremo candore, certo che non do¬ vrebbe alcuno ritirarsi dal concederlo, conio a sua causa primaria, al 1-2. fatto re/lessione sopra, VV —10-11. ne perde parte maggiore, e poi maggiore, e final¬ mente, VV — 10. rimanendoli, VV—22. del tutto tenebroso, s , ^r 24 ' ^ lfl emisferio lunare più che la metà illuminato h In illuminazione, V;giàdal- l emisferio lunare c più che la metà illuminato è la illuminazione, V— 26. comparisce, V—• AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 503 la Causa del diminuirsi il candore. E così, continuando di perdersi di sera in sera maggiore e maggior parte dell’ emisferio splendido della Terra, il candore si fa a poco a poco impercettibile, sendo anco di gran pregiudizio a gli occhi del riguardante la presenzia della parte molto lucida della Luna, che confina con quello che di lei resta privo della illuminazione del Sole. Al che possiamo aggiu- gner ancora (come punto di gran considerazione) la chiarezza che il medesimo lume lunare introduce nel suo ambiente, la qual chiarezza ò tanta, che ci offusca e toglie la vista delle stelle fisse, le quali anco io per assai grande spazio son lontane dalla Luna ; tal che molto meno ci deve restar cospicuo il candore, anco per altro, tenuissimo fatto. Panni, Serenissimo Signore, d’ aver sin qui a bastanza dimostrato come l’opinion mia resta illesa da questa sua prima obbiezzione, ed in¬ sieme aver concluso che nella sua instanza è forza che sia qualche fal¬ lacia. Seguita ora che io dichiari in quel che a me pare che la fallacia consista : ed è, s’io non m’inganno, che argumentando egli ex suppo- sitione, quello che egli suppone è mutilo ; c dove egli è almanco di tre membra, ne prende solamente due, lasciando indietro il terzo. Del po¬ tersi fare il candore, o altra illuminazione, maggiore o minore, ne as- 20 segna il Sig. Liceti due modi solamente : cioè il mutarsi la distanza tra il corpo illuminante e il corpo che si illumina, che è 1’ uno de i modi ; reilesso del lume solare nella terrestre superficie : ma egli veramente se gli accomoda ad unguem. Già è manifesto, che posta la Luna in qual¬ sivoglia sito, ha perpetuamente opposto or questo ed or quello emi- sferio del globo terrestre ; nè meno è chiara cosa, che rigirandosi il Sole intorno alla Terra, egli ne illumina or questo ed or quello emi¬ sferio, lasciandone Y altro tenebroso : ed essendo che la Luna ancora si va rivolgendo intorno alla Terra, accade clic ella tal ora si trova tra la Terra e il Sole, nel qual tempo 1’ emisferio terrestre illustrato so dal Sole è esposto alla vista della Luna ; onde quando il suo re- flesso abbia potere di illuminare, certo farà egli ciò nell’ emisferio lunai’e oppostogli, che è la parte della Luna tenebrosa per non esser tocca da i raggi solari. Produrrassi dunque nel disco lunare quello che chiamiamo candore, il quale resterà del tutto estinto quando la Luna sarà all’opposizione del Sole ; pei’cliè allora, della Terra inter- 31. illuminare, certamente farcì, V' — 504 LETTERA. e l’altro, col farsi lo splendore dello illuminante intensivamente più o mono gagliardo. Ma ci è il terzo, il (piale è (piando non intensiva¬ mente, ma estensivamente, si fa maggioro quella luce da cui 1 > illu¬ minazione deriva: o così il lume ili una torcia grande più gagliar¬ damente illuminerà clic d’una piccola candela, benché gli splendori di amendue intensivamente siano eguali. Ora qui averci voluto che il Sig. Liceti avesse considerato, «pianto questa terza maniera è più potente in produrre 1 ’ effetto della mutazione del lume di Luna in Terra. Imporocliò l’ingrandirsi estensivamente lo splendore della Luna, come fa, mostrandosi da principio in figura «li una sottilissima falce, io andandosi poi pian piano c di sera in sera dilatando, cioè facendosi estensivamente maggiore, gran mutazione «li accrescimento produce nell’ illuminar la Terra, ancorché intensivamente vadia debilitandosi, onde per tal rispetto il lume dovrebbe farsi meli vivo. Debolissima dunque è l’efficacia dello altre due maniere, in comparazione di questa terza, la quale l’A. V. S. vede (pianto sia gagliarda. Sarà bene adesso elio andiamo esaminando quello clic operar possa circa P incandire la Luna il reilesso del suo etere ambiente, dal Sig. Lieoti assegnat o per vera cagione doli’effetto : la quale dubito che non possa essere so non assai languida ed inefficace. Ma prima 20 elio io venga a questo, voglio qui interporre un mio, tal qual si sia, media tra essa Luna e il Sole, l’emisferio tenebroso è quello che ri- sguarda verso la Luna, sì elio ella niente scopro dell’emisferio ter- rostro illuminato dal Solo. Partesi la Luna dall’opposizione, 0 venendo verso il Sole, perde parto dell’emisferici tenebroso della Terra ed acqui¬ sta la veduta (li una particella dello illuminato, la qual particella in figura di sottil falco si rappresenta ad essa Luna; e procedendo ella verso la quadratura, andrà di giorno in giorno scoprendo più e più dell’ emisferio terrestre luminoso, per lo che le apparenti corna del lume terrestre si nuderanno ingrossando, sin che, giunta la Luna al so quadrato, scoprirà dell’ emisferio della Terra a sé opposto la metà lucida, cioè quella elio guarda verso il Solo, 0 P altra metà oscura, ed in questo stato il condor nella Luna sarà fatto assai sensibile, come prodotto dalla metà dell'emisferio terrestre luminoso; e final- 5. che una, VV — 31. emisferio luminoso delia, V; emisferio della, V — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. r>05 pensiero, per ritrovar l’origine donile sia proceduto il restare per tanti secoli passati occulta a gli ingegni speculativi questa, per mio credere, assai vera e concludente ragione, del derivare il candor della Luna veramente dal reflesso do’ raggi solari nella terrestre superficie. Mentre che il Sole è sopra l’orizonte ed illumina il nostro emisferio terrestre, in qualsivoglia luogo che sia posta la Luna, il candor di lei non ci si rende visibile ; per lo che nessuno in tal tempo si sa¬ rebbe mosso a credere nè a dire che il lume della nostra Terra avesse forza di illuminare la parte della superficie lunare non tocca dal Sole : io onde molto meno gli potrebbe cadere in mente che la superficie della Terra priva di splendore f'usse potente a incandire la Luna, cioè fusse potente, essendo tenebrosa, a portar luce là dove ella non la portò essendo luminosa. Quando dunque, tramontato che sia il Sole ed im¬ brunita la nostra Terra, mentre si vede scoprirsi il candore nella Luna, il giudizio popolare ad ogni altra causa lo potrebbe referire, fuorché alla Terra : per lo che gli uomini, persuasi da questa prima e semplice apprensione, o non vi fecero reflessione, o cercarono di ri¬ trovarne la ragione in ogni altra cosa fuorché nello splendor terrestre. Ora, varii sono i riscontri e le ragioni le quali mi distolgono dal 20 prestar 1’ assenso all’ opinione del Sig. Liccti, che il candore lunare sia effetto di una parte del suo etero ambiente, la quale, come al- mente, procedendo pur la Luna verso la congiunzione col Sole, più e più dell’ emisferio terrestre luminoso andrà scoprendo, ed il suo candore crescendo. Contrariamente dunque si rispondono le reciproche illumi¬ nazioni de i due reflessi lunare e terrestre. Massimo ò il candore della Luna nel tempo della sua congiunzione col Sole ; ma nulla allora riceve la Terra dalla Luna, voltandosegli l’emisferio tenebroso : nella opposi¬ zione, massimo è il candore in Terra, cioè il lume di Luna, la quale li oppone l’intero emisferio illuminato dal Sole: nel partirsi ed allontanarsi so la Luna dalla congiunzione, scema in lei il candore, ma cresco il lume di Luna in Terra, e nel quadrato si trova essere altr’e tanto scemato il candore nella Luna, quanto accresciuto il lume di Luna in Terra; nel qual caso sono i reciprochi benefizii delle illuminazioni equilibrati, se non in quanto quello che la Luna riceve dalla Terra deve esser 12. portar lume là dove ella non lo portò, VY —17-18. di ntrovare la, s — 27. voltandosele, X' —28. la quale le, V' — 64 Vili. 500 LETTERA quanto più densa dell’ etere purissimo che il resto dui cielo ingom¬ bra, possa ricevere e ripercuotere i raggi solari nella parte tenebrosa della Luna; in quella maniera che la parte dell’aria contermina alla Terra, fatta densa dalla mistiono do i vapori, riceve lume da i raggi solari, o ({nello reilette sopra la Terra, producendo il crepuscolo e 1 ’ aurora. E perchè, oltre a questo, egli suppone che la Luna pure abbia per sò stessa alquanto di lume, suo proprio e naturalo ; questo parimente e primieramente non credo io esser vero, nò potere, quando pur vero fusso, averci parto alcuna : nò so penetrare da che cosa mosso egli ve lo abbia voluto introdurre. E prima, che egli non vi io sia, ce ne rendo sicuri il perder noi talvolta del tutto di vista la Luna, quando ella, nella sua totale eclisse, nel mezo del cono dell’om¬ bra terrestre si riduce ; oliò quando olla avesse qualche proprio lume, benché tenue, nella profondissima notte si farebbe visibile : tal lume proprio non ha dunquo la Luna. E quando ben no avesse, non po¬ tendo egli esser so non tenuissimo, di niente potrebbe aiutare il can¬ dore, il quale ò molto grande : in quella maniera elio niente opera il lume della Luna circa l’illuminar la Terra, qualvolta il Sole, elevato sopra 1 ’ ori/,onte, con i suoi lucidissimi raggi l’illustra ; chò quando la notte, in assenza del Sole, la Luna piena di splendore non ci avesse 20 illuminato, giammai di giorno, alla presenza del Sole, non averemmo maggiore di quello elio, olla gli porge, per esser la parte illuminante della Terra molto maggiore della illuminante della Luna. Ecco dun¬ que trovato il modo 0 la ragiono del crescersi e diminuirsi il candore nella Luna, senza bisogno di accostarsi 0 allontanarsi dalla Terra. Questo discorso, come ben vedo l’À. Y. S., tanto placidamente e con¬ cludentemente cammina, che molto mi maraviglio del non esser caduto immediatamente nel pensiero dell’ Eccellentissimo Sig. Liceti. Ma più dirò, che maggiore ammirazione prendo di certo mancamento logi¬ cale, che mi par di scorgere nel suo modo di argumontare. Ristringo, so, per chiarezza, il suo argumcnto in poche parole. Egli dice: « Un ef¬ fetto mutabile non può dependere da causa immutabile: il candore della Luna è efFetto mutabile; ma la lontananza della Terra dalla Luna 7. e nativo; questo, VV — 12. quando, nel suo totale, VV — 12-13. nel mezo dell'ombra del cono terrestre, » — lfi-17. potrebl>e egli aiutare il candore della Luna, il, VV — 19. raggi illustra la Terra; chi, VV — 21. Sole, averemmo, VV — 22. le porge, V' — 32. immutabile : ma il, V' — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 507 potuto assicurarci della illuminazione della Luna: e così nel gran campo del oandoro, molto bene luminoso, ogni altro picciol lume re¬ sterebbe offuscato e come nullo. Quanto poi all’operazione dell’etere ambiente, circa il candire la Luna, non veggo che in modo alcuno possa satisfare a quello che al senso ci apparisce : imperocliò tutto il campo tenebroso della Luna è egualmente candito, e non intorno alla circonferenzi a solamente, dove solo per breve spazio si dovrebbe disten¬ dere il lume che dallo etere ambiente le perviene ; in quel modo die il reflesso della parte dell’ aria vaporosa solamente tal parte dell’ orni¬ lo sferio terrestre illustra, qual parte è il tempo della durazione del cre¬ puscolo del tempo della lunghezza di tutta la notte: che se l’illu¬ minazione del crepuscolo potesse diffondersi sopra tutto 1’ omisferio terrestre, non avereinmo mai notte profonda, ma un’ aurora o un cre¬ puscolo perpetuo ; ed avvengachè secondo che in maggiore altezza si sublimasse 1’ orbe vaporoso intorno al globo terrestre, tanto più diu¬ turno si farebbe il crepuscolo, in immensa altezza converrebbe che si elevassero i vapori per illuminare l’intero emisferio. Ora, quando il Sig. Liceti volesse mantenere clic il candore che può illustrare tutto l’emisferio tenebroso della Luna, derivasse dal retiesso - Oltre che, posto anco elio la superficie lunare fusse tersa, sì die i raggi lumiuosi, che dalla Terra lo pervengono, potessero sfuggire nel contatto estremo dell’orbo lunare, e perciò quivi mon vivamente potessero incandirlo, non per questo all’occhio nostro tal diminuzione di lume potrebbe esser compresa: o la ragione ò questa. La super-20 tìcie luminosa della Terra, come quella che è vicina alla Luna, ed in ampiezza è ben dodici volte maggior di essa, molto più d’ un suo emisferio abbraccia ed illumina con i suoi raggi ; all’ incontro poi i raggi nostri visivi, come quelli elio non da una ampiezza così grande quanto è l’emisferio terrestre si partono, ma escono da un punto solo, cioè dall’occhio nostro, notabilmente mono di un emisferio lunare ab¬ bracciano ; talché oltre all’ ultimo cerchio elio i raggi nostri visivi nella superficie lunare descrivono, una grande striscia di luminoso resta tra essa e 1 ’ ultimo cerchio che tonnina la parto della super¬ ficie lunare illustrata dalla Terra, la quale striscia è a gli occhi nostri so invisibile. Perchè dunque nella parte veduta da noi non vi entra della poco luminosa, mercè dello sfuggimento de i raggi terrestri, niuna diminuzione di candore possiamo noi veder nella Luna. Di qui l’A. V. S. può vedere con quanto più salda ragione io dichiaro che 11. lume, senza, V; lume del Sole, senza, V' —12-13. asprezza; che, V; asprezza e del non sfuggire i raggi solari verso Vestrema circonferenza; che, V 1 — 12. luminoso, a — 17. d'erta gli pervenissero, V V — 22. dodeci, a — 33. potiamo, a — 34. dechiaro, s — AL PRINCIPE LEOPOLDO DT TOSCANA. 519 l’obiezione del Sig. Liceti contro il derivare il candore dalla Terra è invalida, e quanto, all’ incontro, valida e concludente sia la mia, posta di sopra, in provare elio il candore non sia effetto dell’ etere ambiente, mentre che io concludo che se ciò fusse, il candore nelle parti di mezo dovria apparir più oscuro che nell’estreme ; la quale mia conseguenza non so so il Sig. Liceti potesse così agevolmente rimuovere, come ho potuto io ora rimuovere la sua, che il candore nelle parti di mezo dovesse mostrarsi più chiaro che nelle estremo, quando derivasse dalla Terra. <— io Quanto poi all’ attribuirmi l’Autore, che io abbia poste nella Luna concavità, le quali poi, a guisa di cavi specchi, possino ripercuotere lume maggiore che altre parti non concave ; sia detto con pace del mio Signore, io non ho mai nò scritta nò pronunziata tal cosa. Sono nella superficie della Luna lunghi tratti di asprissime montagne, gruppi di scogli scoscesi, moltissimi spazii grandi c piccoli, circondati da argini sublimi e per lo più di figure rotonde; veggonvisi alcune cavità: ma che elle sieno terse, sì che a guisa di specchi cavi possino ripercuotere i raggi, ciò è alienissimo dal mio detto e dal mio cre¬ dere ; ma stimo bene, tutte queste figure essere ruvide, aspere, ed in 20 somma quali in Terra se ne veggono, naturalmente e rozamente com¬ poste. In oltre, quando puro nella faccia della Luna {ùssero conca¬ vità più che qualsivoglia de i nostri specchi pulite e lustrate, sì che vivacissimamente potessero reflettere non meno il lume terrestre che gli stessi raggi solari, elio vedremmo noi di tali raggi, retìessi nell’ ambiento della Luna ? Esposto uno de’ nostri specchi concavi a’ raggi diretti del Sole, che lume reflettono essi, che punto illumini l’aria nostra ambiente ? Nulla sicurissimamente; o pure ò vero, tali raggi reflettersi gagliardissimamente, ed in figura di cono andare ad unirsi, ed esser veramente potenti ad illuminare i corpi tenebrosi, ed 30 illuminargli ancora più potentemente che l’istesso Sole: ma bisogna nella cuspide del cono, o a lei vicino, porre qualche materia densa ed opaca, la quale, tocca da tali raggi, si vedrà splendere ed offen- 1. contro al derivare, YV — (Iella Terra, a — 4. io conclusi che, VV — 5. nell.’ estremo, s — 16. alpini e, V ; argini sublimi e, V'— 19. stimo, tutte, V ; stimo bene, tutte, V' — 22. qual¬ sivoglia specchio pulite, V; qualsivoglia de i nostri specchi pulite, V ; qualsivoglia specchi de i nostri pulite, s — 23-24. non pure il lume terrestre, ma, Y ; non meno il... che, Y' — 31. o lei, V ; o a lei, V 1 — 13. nè scritto nè, s — 520 LETTERA der la vista più elio l’istosso Sole, o massimo so lo specchio sarà grande; e se la materia sarà combustibile, immediatamente si accen¬ derà; ed essendo fusibile, quel è il piombo «> lo stagno, si fonderà, ed il rame o altro metallo più duro si infuocherà. Bisogna dunque, per vedere il suo reilesso, farlo incontrare in materia atta ad essere illuminata; e finalmente potremo vedere manifestissimamonte tutto il cono, ponendogli sotto carboni accesi e buttando sopra essi semola o incenso o altra cosa tale che faccia fumo; e questo, passando per i raggi del cono, si illuminerà, o ci farà vedere quanto tali raggi reflessi siano più vivi delli incidenti e primarii del Sole. Adunque, io siano pure quali o quanti si voglino specchi concavi nella Luna, niente faranno più vivo lo splendore diffuso por l'etere ambiente. —> Io non credo che all’Eccellentissimo Sig. Incuti sia ignoto, che i raggi reflessi da uno specchio concavo non vadano in figura di cono a unirsi so non in piccola distanza da osso specchio, e che il loro vivacissimo lume non può vedersi se non in qualche materia densa ed opaca, la quale, tocca da i dotti raggi, conio ho detto, acquista un lnmo più vivo elio lo splendore dell’ istcsso Sole : ma la parte aversa della dotta materia niente si illumina, essendo opaca ; tal che a noi che siamo in Terra, dove non credo elio il Sig. Licoti fusse per 20 dire elio arrivassero i coni do i raggi reflussi da gli specchi concavi sparsi nella superficie della Luna, a noi, dico, non toccherebbe a ve¬ dere se non le dette parti averse, le quali verrebbero illuminate solo dalla superficie della Terra, come il restante dell’ emisferio lunare, e però ci resterebbero elle indistinte dal resto del limar disco. Lascio stare che il metter lamine di materia opaca separate dal corpo lu¬ nare 0 sospese nel suo etero circonfuso, è cosa, troppo ridicola, e da non ci far sopra fondamento veruno, hla più poteva il Sig. Licoti, come fisicomatematico, raccòrrò dalle matematiche, che non solo i piccoli specchietti concavi, sparsi nella superficie lunare, non sono 30 bastanti a far 1’ effetto che egli ne deduce, ma quando tutto l’emi- sferio lunare fusse un solo specchio concavo o porzione di sfera tante grande che il suo semidiametro fusse l’intervallo elio ò tra la Terra e la Luna, che è il medesimo che dire che ei fosso porzione doll’istessa sfera nella quale è posta la Luna, appena sarebbe bastante a reflet- 3. quale il, V — 8. segatura, V; incenso, — 14. concavo vadano , VV — 25. resterebbono, VV—32. concavo c porzione , VV — AI, PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 521 tcre e produrre il cono do’raggi rcflessi iusino in Terra, dove, uniti e terminati noi vertice di dotto cono, potessero ravvivare il lume ; il quale poi un sol punto o una minimissima particeli a dell’ emisferi o terrestre occuperebbe, e quivi solo farebbe la multiplicazione dello splendore, superiore allo splendore terrestre, ma però tanto languido, mercè della minima ed insensibile cavità dello specchio, che il cer¬ care di vederlo o vero di ritrovarlo sarebbe un tempo vanissimamente speso. Anzi pure, non potendo pervenire all’occhio del riguardante salvo che nelle centrali congiunzioni de i tre centri terrestre, lunare io e solare, giammai da noi, che siamo fuor de’ tropici, tale accidente non potrebbe esser incontrato ; essendo che impossibile cosa è il co¬ stituire l’occhio nella medesima linea retta che li tre centri sopra¬ detti congiunge, l’occhio, dico, di un che fuora della torrida zona, cioè de’tropici, sia costituito. Vede dunque l’A. V..S. come il discorso matematico serve a schivare quelli scogli, ne’ quali talvolta il puro fisico porta pericolo d’incontrarsi e rompersi. <— Qui non posso non maravigliarmi alquanto di esser portato io in testimonio contro a me medesimo, mentre sento dirmi che io mede¬ simo ho scritto, l’estremo limbo della Luna mostrarsi più lucido che 20 le parti di mezo. È vero che io ho scritto che tali parti estreme si mostrano a prima vista più chiare che quelle di mezo ; ma immedia¬ tamente ho soggiunto, ciò in rei vari tate, esser falso ed una illusione, e soggiunto che tutto il disco è egualmente candido : ed il medesimo Autore nel capitolo precedente registra puntualmente le mie parole, che sono : Bum Lana, tum ante, tum etiam post coniundionem, non procul a Sole reperitur, non modo ipsius glóbus, ex parte qua lucentihus comibus exornatur, visiti nostro spedandum scse offerì; veruni etiam tennis quon¬ dam sublueens peripheria tenebrosae partis, Soli nempe aversae, orbitam delincare, atque ab ipsius aetheris obscuriori campo scimgcrc, videtur. Ve¬ ce rum, si exaclìarì impedirne rem consideremus, vidébimus, non tantum extre- mum tenebrosae partis limbum incerta quadam claritate lucentcm, sed in- tegram Lunac faciem, Ulani nempe quae Solis fulgorem nondum sentii, limine quodam, neo exiguo, albicare : apparsi tavien primo intuita subtilis lantummodo eireumferentia lucens propter obscuiiores Cadi partes sibi con- terminas ; rcliqua vero supcrftcics obscurio)' e contra videtur oh fulgentium cornuum, aeiem nostrani obtencbrantìum, contadim. Veruni si quis talem sibi digai sitnm, ut a fedo vd camino aut (digito alio obice inter visnm et 3. minimissima parie, YV — 8. non potendo egli pervenire, VV — Vili. es 522 LETTERA Lunavi (seti proemi ab ovulo posilo) cornila ipsa lucnitia occultmtw, pars vero réligua lunaris globi asperità nostro exposita rdinquatur; tane luce non cxùjua liane quoque Lunae piagavi, licei solari limine destitutam, splendere depraehendet, idqtic polissimuni, si itivi noetamus horror oh Solis abscntiam increvcrit; in campo enim disamori cadevi lux ciarlar apparii, (pag. 237, v. 32 Cho poi l’etere ambiente la Luna sia grandemente mon denso della parto dell’aria vaporosa che circonda la Terra, posso io con chiara esperienza far manifesto. I vapori intorno alla Terra sono di maniera densi, clic il Sole posto vicinissimo all' ori/,onte illumina una muraglia, o altro corpo opaco oppostogli, molto debolmente in comparazione io del lume cho gli porgeva mentre per molti gradi era sopra l’orizonte elevato ; o questa molto notabile d ilio ronza non può procedere, per mio credere, da altro, so non che i raggi del Sole nel tramontare hanno a traversare per lunghissimo spazio i vapori elio la Terra circondano, dove che i raggi del Soli' molto elevato por spazio più breve hanno a traversare i vapori tra il Solo e l’oggetto opaco in¬ terposti: che quando non ci fossero i vapori, ma l’aria fusse puris¬ sima, l’illuminazione del Solo sarebbe sempre del medesimo vigore, tanto da i luoghi sublimi quanto da i bassi, tuttavolta elio nelle su¬ perficie da essere illuminate fossero con angoli eguali ricevuti. Onde, 20 tuttavolta elio noi potessimo far paragone di due luoghi posti nella Luna, all’ uno do i quali i raggi solari pervenissero passando molto obliquamente per l’etere addensato intorno alla Luna, ed all’altro assai direttamente si conducessero, cioè por breve spazio camminas¬ sero per 1 ’ etere ambiente, 0 elio noi scorgessimo le illuminazioni di amendue essere eguali o pochissimo di fiorenti ; senz’alcun dubbio po¬ tremmo affermare, 1 ’ etere ambiente la Luna o nulla o pochissimo più essere addensato che tutto il resto del purissimo etere. Ma tali due luoghi frequentonlente li possiamo vedere : imperoehò, posta la Luna intorno alla quadratura del Sole, considerando il termine che disse- 30 para la parto illuminata da i raggi solari dall’ ultra tenebrosa, si veggono in questa tenebrosa alcune cuspidi di monti, assai distaccate e lontane dal detto termine, le quali essendo illuminate dal Sole prima die le parti più basse, benché i raggi solari a quelle obliquamente porvengkino, nulladimono lo splendore e il lume di quelle si mostra egualmente vivo e chiaro come qualsivoglia altra parte notata nel 2. «ssai più, V ; più, V' — 3. denso, V — 10. corpo oppostogli, s — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 525 inezo della parte illuminata. E pure alla cuspide distaccata perven¬ gono i raggi solari, obliquamente segando 1’ etere ambiente, die ad altri luoghi notati nella parte illuminata direttamente o meno obli¬ quamente pervengono; segno manifesto, assai piccolo essere l’impe¬ dimento che 1’ etere ambiente può dare alla penetrazione do’ raggi solari, ed, in conseguenza, assai tenue essere il lume che da esso etere può la parto oscura della Luna ricevere. <— Passo alla seguente instanza : Inswper, ai Terra solare lumen in Luna de. Poco fa il Sig. Licoti acutamente stimò che io, contro al¬ io l’intenzion mia, corroborassi e confermassi una sua opinione, mentre io in’ ingegnava di confermarne un’ altra mia, dalla sua molto dif¬ ferente. Penso di essermi sincerato della inavvertenza placidamente impostami : non so se con altre tanta evidenzia egli potrà sciogliersi da simile imputazione che mi pare che se gli possa fare, del destrug¬ gere egli una sua proposizione, mentre tenta di destruggere una mia, attenente all’istesso proposito di che si tratta. E la sua intenzione di voler provare, che il candore nel disco lunare non dependa dal reflesso de’ raggi solari nella Terra, e dice: « Se tal candore deri¬ vasse dal reflesso della Terra, non si farebbe l’eclisse solare : ma 20 P eclisse si fa; adunque tal candore non procede dalla Terra Nel- P assegnar poi la ragione, perchè P eclisse non dovesse farsi, stante tal candore nella Luna, dice che ciò avverrebbe perchè lo splendore o illuminazione di quello rischiarerebbe le tenebre, che senza quello si troverebbero nel cono dell’ ombra lunare, e per esso in una parte della superficie terrestre. Ora, per tor via P operazione di tal candore, bisogna tor via P istesso candore, e per conseguenza, quando segue P eclisse solare (la quale egli medesimo pure ammette seguire, e tanto oscura quanto la profonda notte), dire che tal candore non vi è: ma questo poi si tira dietro necessariamente il dovere affermare, che so P etere ambiente la Luna non la incandisce, conseguenza elei tutto contraria a quella che il Sig. Liceti ha creduto e scritto. Ed aggiungo di più, clic se giammai può esser potente il rettesso dell’ etere a riper¬ cuotere i raggi solari sopra P emisferio della Luna, ciò farebbe egli massimamente, per essere allora la Luna nella massima propinquità, anzi nell’istessa puntuale congiunzione, col Solo; sì che da tutte lo parti 9. l’argutissimo Sig. Liceti stimò, V ; il ... stimò, V —10-11. mentre che io, V—13. po¬ tessi, V—23. rischiarerebbe, V— 26. lui medesimo, V; ristesse candore, V' — 12. inadvertenga, s — 28. dice clic tal, s — 526 LETTERA doli’ «toro circunfuso si farebbe tal refle&sione, o perciò validissima 11 discorso dunque del Filosofo Eccellentissimo non meno toglie la posi¬ ziono mia elio la sua, posto però che egli dirottamente proceda; ma la verità è che oi non perturba nò la sua nò la mia posizione, come appresso dirò. Dico dunque, cito può benissimo essere elio si faccia l’eclisse del Sole por l’interposizione della Luna, e che la oscurazione sia talo che permetta il vedersi lo stello, o che il candore nella Luna vi sia, e (pianto più valido esser possa, senza però esser potente a proibire tale eclisso, e che finalmente nessuno di questi particolari favorisca o pregiudichi all’opinione tanto di chi lo attribuisce e giu-io dica effetto del reilesso del lume terrestre, quanto di olii lo referisce al rellesso dell’etere ambiente hi Luna. Imperochò già convenghiamo elio il candore vi sia nel tempo dell’eclisse solare; tal che so oi fusse potente a vietare 1’ eclisso, tanto la vieterebbe derivando egli dalla Terra, quanto dall’etere ambiente la Luna: ma il volerlo far poi cosi efficace, che ei possa supplire al lutilo primario del Sole, sì die il cono dell’ ombra lunare non possa macchiare ed oscurare quella parto della superficie terrestre che il medesimo cono ingombra, è ve¬ ramente troppo gran domanda. Signore Eccellentissimo, quel lutile che in tale occasione può scorgersi in Terra, è un quarto, procedente dal 20 primo dell’istesso Sole ; il quale primo illumina l'ambiente della Luna, 0 questo secondo illumina il disco lunare, il quale, conio terzo, ha da illuminare la Terra: onde il volere che questo terzo compensi il primo, ò veramente, come ho detto, domanda troppo ardita. 11 dir poi elio questo terzo lume, benché debile, accoppiato col massimo primario non lo indebolisca, lo concederei io liberamente, quando tal copula si facesse: ma la adombr&zione elio si fa in Terra ò terminata e com¬ presa dal cono dell’ ombra lunare, per il quale cono non passano i solari, ma sì bene quelli solamente del candore della Luna : sì che alla parte della 'Terra ottenebrata e macchiala dall’ombra lunare 30 niente vi arriva di splendido, fuorché il reflusso del candore, cioè un rellesso di un altro reflesso di un altro rellesso, derivante da i raggi primarii del Sole, dei quali nessuno entra nel cono dell’ombra lunare a mescolarsi con quel lume tenuissimo elio dal candore della Luna per entro il suo cono si va diffondendo. Glie poi il corpo lunare densissimo, nò sparso di maggior lume elio quello dol suo candore, possa indurre tal eclisse nel Sole, che le diurne tenebre permettano la vista delle 31. fuor a che, t> 32. civc un re/ksso di un ulliv re/lvtsu, s — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 527 stelle, non do ver ebbe molto favorire il discorso del Sig. Liceti, mentre die egli afferma, essersi anco nell’aperto cielo, e nella maggior lim¬ pidezza del Sole, vedute stelle : e communemente non sou elleno le costituzioni del crepuscolo e dell’ aurora, di l ume bencliè tanto di¬ minuito, che permettono vedersi gran copia di stelle? E finalmente, chi dà tanta sicurtà all’Eccellentissimo Signore che ei possa resolu- tamente pronunziare clic nel tempo della totale eclisse del Sole non si scorga il candor della Luna? Bisognerebbe che ei producesse te¬ stimoni! degni di fede, li quali deponessero avere attentamente os- 10 servato e ricercato se tal candore si vegga, ed asserito poi non si vedere; ma non so che egli potesse trovare una tal testimonianza: ma ben più tosto, all’ incontro, può essere che da alcuno vi sia stato tal candore veduto, il quale, ignorando la vera cagione del reflesso della Terra, abbia creduto, il corpo della Luna esser in parte traspa¬ rente ed atto ad esser penetrato, ed in qualche modo illuminato, da i raggi solari. Ma che tale trasparenza non sia nel globo lunare, ho io in altro luogo assai concludentemente dimostrato, ed in partico¬ lare dal vedersi manifestissimamente, scogli sopra la Luna, piccolis¬ simi in comparazione di tutto il suo globo, spargere ombre oscuris- 20 sime ; argomento necessariamente concludente, la materia lunare, nè anco di minima profondità, esser diafana. Se dunque è stato veduto nella totale eclisse la Luna alquanto lucida, e perciò stimata traspa¬ rente, questo non poteva derivare se non dal reflesso dell’ emisferio terrestre, dal Sole illuminato, del quale solo restando piccola parte ottenebrata dal cono dell’ ombra lunare, il rimanente, cioè la parte grandissima, ben continuava di conservare il candore nella Luna. Quanto poi a quello che il Sig. Liceti scrive, che un corpo lucido minore, congiunto con un lucido maggiore, non impedisce la sua illu¬ minazione ; per dichiarazione di che egli induce una fiaccola o una so maggior fiamma ardente, copulata coi raggi del Sole, o vero due spec¬ chi, nel minor dei quali, collocato nei raggi solari, da un altro maggiore siano reflessi i medesimi raggi, niente leva la illuminazione alla vista; qui liberamente confesso la mia incapacità, e duoimi assai di non poter cavare costrutto dal discorso che qui vien portato, il quale stimo che sia pieno di ben salda dottrina, e duolmi di non poterne esser partecipe: 1. dell’Eccellentissimo Filosofo , V; del Sig. Liceti, V' — 4. lume, tanto , V; lume benché tanto, V'— 5. permette, V — 22. eclisse del Sole , Y — 23. potette, V — 24. restando solo, Y — 28. impedisca, V — 31. da un, V : dall, Y' — 34. del, V — 528 LETTERA concederò bene il tutto, se però l’intenzione dell’Autore è stata quella elio io conietturalmente posso invaginarmi. Dico adunque elio interamente presterò il mio assenso, elio soprag- giungendo ad un gran lume un lume minore, detrimento nessuno può ad esso maggiore sopravanzo dalla aggiunta del minore, tuttavolta che questo minore sia schietto o puro, e non congiunto con qualche corpo opaco, il quale con la sua opacità sia potente a impedire la strada por la quale viene il maggior lume. Mi dichiaro, stando no i medesimi termini dei quali si tratta. Intendasi la Luna, corpo den¬ sissimo, tenebroso per sò stesso o niente trasparente, esser interposta io tra il Solo e la Terra: qui non è dubbio alcuno clic ella all’oppo¬ si to del Solo distenderà verso la Terra il cono della sua ombra, mac¬ chiando di tenebre tutta quella parto della terrestre superficie che resterà compresa dentro il cono dell’ ombra lunare ; e se altronde non gli sopraggiugne qualche altra illuminazione, tal macchia sarà oscu¬ rissima. Intendasi ora, sopraggiugnero nella faccia della Luna, esposta alla vista della Terra, un tal qual si sia lume : so questo sarà potente concederò bene il tutto, ho però l’intenzione dell’Autore ò stata quella elio io conietturalmente posso invaginarmi ; cioò che quando, por esempio, una parete fossi illuminata da una torcia, overo da uno 20 specchio che sopra vi ripercuotesse i raggi del Sole, ninna di queste due illuminazioni impedirebbe niente la imissima 0 diretta illumina¬ zione del sopravonente primario lume del Solo; ma dico bene che le duo primo illuminazioni, della torcia 0 dello specchio, niente opere¬ rebbero sopra la parete, nò augumenterebboro o diminuirebbero punto la vivacissima illustrazione ilei Sole ". E cosi quel tenuissimo lume 14. dentro al cono , VV — 23-2(1. ma dico bene che delle due illumina zumi, della torcia e tirilo specchio, quella della torcia, come debolissima, niente rende più vira r illuminazione del Sole ; anzi si vede, la fiamma delta torcia fare un poco di ombra sopra la parete illuminata tini Sole ; quanto poi al refesso di uno specchio, questo può in certo modo raddop\narc la prima (sopra prima, non cancellato, si legge sola] illuminazione del Sole, atteso che i raggi et /lessi in u no specchio, di poco cedono a i primarii del Sole, sì come Vesperienza mostra a chiunque rimira nello specchio la imaginc del Sole, dalia quale non meno gli viene o/fisa la vista che. nel rimirare dirittamente il solare disco. E cosi quel tenuissimo, V'— (l) Di ironto allo parole « nò augumen- margine del ms. autografo del \ lYJANi la (.crebbero o diminuirebbero punto la viva- seguente nota, pur di sua inano: « l’espo- eissima illustrazione del Sole» si legge nel rienza mostra elio il reilesso dello specchio AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 529 quanto il lume dell’istesso Solo, senza dubbio caccierà le tenebre, e ridurrà tutto l’emisferio terrestre egualmente in ciascuna sua parte illuminato ; ma se il sopravenente lume nella Luna sarà debole, e quale è il suo candore in comparazione dell’istesso Sole, qual lume potrà egli arrecare alla macchia scura cagionatavi dal corpo opacis¬ simo di essa Luna? certo che molto piccolo. E quello che il Sig. Liceti dice del lume reflesso da uno specchio maggioro in un minore, e da questo minore in un altro oggetto illuminato da’ primarii raggi del Sole, e che questo lume reflesso non impedisca, l’illuminazione del io Sole, ciò sarebbe vero, quando questo minoro specchio fosse non di materia densa ed opaca, sì che potesse, col proibire il transito a i raggi solari, produrre ombra, ma di un cristallo limpidissimo e tra¬ sparentissimo ; ina quando fosse tale, nò si illuminerebbe, nò farebbe reflessione de’ raggi elio altronde gli sopraggiugnessero e lo ferissero. Per esser dunque il corpo lunare impenetrabilissimo da i raggi del Sole, produce ombra oscurissima in Terra, la quale viene, ma molto debilmente, diminuita dall’opposto nostro limar candore. che dal candore della Luna può arrivare in Terra, senza verun dubbio niente progiudicherebbe all’immensa illuminazione del Sole, quando 20 i suoi raggi potessero diffondersi per tutta la superficie terrestre ; ma in quella parte la quale, per l’interposizione del corpo lunare, da i raggi solari non è ferita, sicuramente il solare lume non per¬ viene, per lo che altro di lume non gli resta che quel piccolissimo che il candore della Luna gli sumministra. 2. ciascheduna, VV— G. cerio molto, VV— 7. teff esso di mio, s —13. ilhtwinarchbc , s — 11. refi essi ove alcuna di raggi clic di altronde, VV— accresce il lume primario ». Vedi la lezione di V' delle lin. 23-26 di pag. 528. Le lin.3-17 della pag. 528 e le 1 in. 1-17 della presente pagina sono scritte su di un cartellino, col cpiale il Vi vi ani ricoperse un altro cartelli¬ no, su cui si legge la lezione di V' o che alla sua volta ò sovrapposto alla carta, su cui sono scritto le lin. 19-26 della pag. 528 e le lin. 18-24 della pagina presente. Questa carta c il cartellino contenente la lezione di V' furono ora rimesse alla luce, distac¬ cando il cartellino elio contiene lo citate lin. 2-17 della pag. 528 e 1-17 di questa pag. 529. 67 VUL 530 LETTERA Soguo 1 ’ argumento tolto dall’ apparizione di Venere di giorno nello seguonti parole: Ddnccps, qitum Soìis vicinici nilnl imposiiat de.; o continuando pur nell’ instituto di voler dimostrare elio il candor della Luna non deponde dal reflesso della Terra, premette le seguenti pro¬ posizioni. Prima, elio il lume di Venero è tanto vivo, che la vicinanza del Sole, anco di mezo giorno, non P offusca sì che vedere non la pos¬ siamo ; anzi pure si scorge olla splendida, benché minoro di quello che ella si mostra nelle tenebre della notte. Pone P altra proposi¬ zione, la quale è elio io affermo, la l’erra non venire illustrata dal Sole manco elio qualsivoglia pianeta, ed in conseguenza non mono io die Venero. Aggiugno la terza proposiziono, pur da ino creduta e concessa, la qualo ò elio il reilesso del lume terrestre sopra la Luna sia più illustre di quello che la Terra riceve dalla Luna. Le quali premesso io liberamente concedo tutti', ma non so poi dedurne la conclusione che il mio oppositore ne cava; cioè elio da tali promesse ne segua in conseguenza, che la Luna prossima alla congiunzione del Solo dovesse non meno elio Venere, mostrarsi splendida nel mezo giorno, lo, por me, dalle due prime premesse, cioè dall’esser la Terra non meno illustrata dal Sole elio Venere, o dal vedersi Venere di giorno, non saprei dedurne altro, so non che la Terra, non meno che 20 Venere, dovrebbe esser visibile di giorno ; conseguenza tanto vera, che non credo che alcuno vi ponga dubbio, ed io più d' ogni altro 1 ’ affermo. Dall’ esser poi il roHosso del lume terrestre più gagliardo sopra la Luna elio quel della Luna sopra la Terra, non capisco come ne debba seguire che il candor della Luna debba essere non inferiore allo splendore di Venere, procedente dall’ illuminazione dei raggi pri¬ marii e diretti del Sole ; e se tal consequenza dovesse aver luogo contro di me, converrebbe che il mio oppositore facesse constare che io avessi creduto e scritto che lo splendore della Terra fosse eguale allo splendore dell’ istcsso Sole, cosa che io giammai non ho detta, so nè pur pensata. Restano dunque verissimo le premesse da me conce¬ dute, come vera anco la consequenza che da quelle direttamente si può dedurre, cioè che lo splendore di Venere ò tanto superiore al candor della Luna, quanto i vivi 0 primarii raggi solari sono più 4. reflesso de’raggi solari nella, V; r e/lesso della Terra, V —15. mio dottissimo, V; mio,T- 21 25. come ila questo ne, V ; come ne, V’ - 23. affermo. Dell’ esser, a — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 531 illustri olio i reflessi dalla superficie terrestre. E qui se alcuno logico volesse ridurre questo argumento in forma sillogistica, dubito elie non pure ei incontrerebbe il quarto termine, ma anco il quinto. Impero- chè nè della Terra, come causa illuminante, uè del candor della Luna, come effetto della illuminazione della Terra, niente si è parlato nello premesse ; onde il dedurre che la Luna incandita dalla Terra dovesse vedersi di giorno, è conclusione sospesa in aria e che nulla ha da fare con la illuminazione del Solo sopra Venere e la Terra e con Tesser rese per ciò visibili di mezo giorno. In troppo oscura maniera veramente si io deduce che la Luna, incandita dalla Terra, debba vedersi di mezo giorno ex co t/nod Venere, illustrata dal Sole, di mezo giorno si scorge. Tassiamo all’ altra seguente obiezione : Amplim, in eclijisi lunari tmllam prorsus de. Quanto egli qui dice, gli concedo, cioè che nel- T eclisse totale della Luna ella non riceva illuminazione alcuna dalla Terra, nella cui ombra ella resta immersa, nè tampoco goda de i raggi diretti del Sole, i quali nel cono dell’ ombra terrestre non pe¬ netrano ; e finalmente gli concedo che il reflcsso dell’ etere ambiente la Luna gli porge quel poco di rossigno che la rende visibile, spe¬ zialmente in quella parte del suo limbo che è T ultima a restar co¬ so porta dal cono dell’ombra terrestre: ma tutto questo, niente veggo che debiliti il mio detto, che il candore della Luna venga dalla Terra. Panni bene di scorgere che il mio oppositore accortamente cerchi di imprimere nella mente del lettore, che io abbia largamente conceduto, il medesimo candore essere effetto dell’ etere ambiente la Luna, il che manifestamente apparisca mentre che nell’ eclisse lunare, mancando il reflesso della Terra e P illuminazione de i raggi diretti del Sole, io ammetto quel tenue splendore bronzino che in parte della Luna si scorge; e perchè questo è sommamente inferiore al candore argenteo nel novilunio, vorrebbe farlo diminuito od in grati so parte ammorzato dal dover passare egli per il cono dell’ ombra ter¬ restre : il quale effetto io asseverantemente dico esser vano e falso, atteso che la illuminazione di un corpo splendido che va ad illustrare 0. dedurne , V — 9-11. Jo non saprei a qual figura potesse ridursi colai silogismo, se non forse , per esser di cinque termini, alla nona quinqucsillaba friscsomorum ; ma riducasi al/a nona o alla prima , V; In troppo - si scorge, Y — 22. V accorto Filosofo, V; il mio oppo¬ sitore accortamente, Y — 25. si scorga, V ; apparisca , V' — 21). vorrebbe il nostro oppositore farlo, V ; vorrebbe farlo, Y — 1. rc/lessi della superficie, a — 532 LETTURA un corpo opaco, incuto perde noi dover passare por un mezo dia¬ fano, quanto si voglia sparso di tenebre ; anzi le medesime tenebre faranno apparire più vivamente il ricevuto lume, cosa tanto chiara e nota, che assai mi maraviglio di sentirla passare come ignota o non avvertita : clic ben sa il medesimo Sig. Licoti dio tutti i lumi celesti che a noi si fanno visibili e spargono di qualche luce 1’ emisforio ter¬ restre nella profonda notte, passano per il medesimo cono dell’ombra terrestre, e da quello acquistano vigore di maggiormente illuminarci e faroisi visibili. Coneedesi dunque, la tintura di ramo derivare dal- P etere ambiento la Luna: dove anco non mi par necessario di porre io nel corpo lunare quel tenue lume nativo, da mescolarsi, conio stima il Sig. Liceti, conquesto retiesso doli’ambiento. Imperochè, se quello vi fosse, nel mezo della massima eclissi*, quando il contro della Luna cado nell’ asso del couo dell’ ombra, puro resterebbe essa Luna in qualche modo visibile mercè del suo proprio nativo lume : tuttavia io o molti altri insieme abbiamo del tutto perduto di vista il disco lu¬ nare in più di una delle totali eclissi. Vengo finalmente all’ ultima instanza : Dunque, tire Ultul omittm data positione de. Continuando il Sig. Filosofo in volere in ogni ma¬ niera souoprire l’impossibilitò, della mia opinione, s’ingegna di diiuo-» strare come il retìesso della faccia terrestre in nessuna maniera può arrivare alla Luna ; o per ciò dimostrare, introduco molte proposi¬ zioni da non esser da me così di leggiero concedute. L cominciando da questo capo, corto mirabil cosa è che i caldissimi o lucidissimi raggi solari, retiessi dalla Terra, e più incontrandosi ed unendosi con i primarii incidenti, come Pistesso Sig. Licoti afferma, non siano po¬ tenti a valicare la grossezza della media regione dell’aria ad essa vicinissima, ammortiti dalla frigidità di quella, la qual grossezza non arriva alla lunghezza di un miglio ; e che poi i retiessi dalla Luna, distante dalla medesima media regione frodila assai più di conto mila 30 miglia, ed anco soli e non accompagnati da i diretti raggi solari, siano potenti a mantenersi così lucidi o caldi, dio trapassando por quella abbiano forza di riscaldare P aria contigua alla Terra ed al 4. maraviglia il, V — 5. perspicacissimo Filosofo, X ; medesimo Sig . Liceti f X — 15. visi¬ bile : tuttavia, V; visibile merco del suo proprio lume nativo: tuttavia, V -IO. V acutissimo, V ; il, V r — 26 . Filosofo , V; Liceti, V'— 27 . ad essi, V, h -*81-32. miglia, siano, V; miglia, ed anco ... solari , siano, V f — 5. avertita, a — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 533 mare, per il qual calore le conchiglie testate, fomentate dal caldo dell’ ambiente, possano più pienamente nutrirsi ed ingrassarsi. Ma che dallo ingrassamento di questi animali si possa argomentare augu- mento di calore nell’ ambiente che li circonda, panni, se io non erro, che con altretanta o più ragione se ne potrebbe inferire accresci¬ mento di freddezza, mentre che generalmente si scorge in tutti gii altri animali far miglior digestione, o più copiosamente cibarsi ed ingrassarsi, nell’ arie freddissime che nelle tiepide o calde : per lo che si può inferire, la grand’ illuminazione della Luna nel plenilunio ac- A io crescere appresso di noi più tosto la frigidità che il calore, e tanto più, elio è tritissima e popolare osservazione, ne i tempi che 1’ acque si congelano farsi i ghiacci notabilmente maggiori nello notti del plenilunio, che quando il lume della Luna è diminuito. Ma ben so 10 che quello augumento di calore interno dell’ animale, che il Sig. Li- ceti riconosce dall’ accoppiamento del calore esterno dell’ ambiente, qualche altro filosofo non meno confidentemente lo attribuirebbe al maggior freddo dell’ ambiente, il quale per antiperistasi facesse con¬ centrare il nativo calore interno. - > Nè devo qui tacere un’ altra meraviglia non minore, che pure so in questa maniera di filosofare si esercita ; ed è che talvolta si asse¬ gnano per produrre il medesimo effetto cause tra loro diametral¬ mente contrarie, nè meno in altro occasioni si pone la medesima causa produrre effetti contrarii. Quanto al primo caso, ecco dell’ istessa più forte digestione addursi per causa da alcuni il caldo dell’ am¬ biente, e da altri il freddo. Quanto all’ altro caso, il Sig. Liceti af¬ ferma (jui, il medesimo lume di Luna esser caldo, il quale in altro luogo asserì esser freddo, come si legge nelle seguenti parole poste nel libro De novis astris et cometis, alla faccia 127, versi 7 : Quin et lumen lunare nullo calore pollare, se Panni pertanto di poter sicuramente dire che lo scaldare e l’fi¬ so luminare non vadiano del tutto con pari passo : ma ben credo di poter con sicurezza affermare, elio l’illuminare ed il muover la vista vadano talmente congiunti, che dovunque arrivi il lume, di quivi si renda il corpo luminoso visibile; di maniera che il muovere il senso della vista, altro non sia che l’illuminare la pupilla dell’occhio, alla, quale quando non pervenisse il lume, l’oggetto lontano, benché luminoso, veder non si potrebbe. Quando dunque, conforme a quello che scrivo il Sig. Liceti, il retìesso del lume terrestre, come quello che, per suo 1. freddissima , V ; fredda, V’ — 14. per, V ; in, V r — mille, V ; cento, V' —■ 17-18. in gran lontananza, sfericamente, V ; in lontananza piu ... sfericamente, V' — 5. abbracci, s — lt) *20. che V illuminare e lo scaldare, VV —21. che Villuminare ed il muover il senso della vista, s 0) — ( J > La lezione che noi abbiamo resti¬ tuito nello lin. 21—23 è in una prima bozza di mano del Yiviàni, quale si leggo alla carta 132‘'£. del ma.: la lezione difettiva ed erronea (lolla stampa procurata dal Lioeti (e dietro a questa, della Volgata) si leggo nella trascrizione al pulito elio fece il Yi- yiant stesso nella carta 132V. Questa car¬ ta, (la lui sovrapposta all’altra, ò stata ora per la prima volta, sdoppiandole, distac¬ cata, e così fu rimessa alla luco la car¬ ta 132"*. 536 LETTURA (letto, va (li pari col calore, non si estendesse oltre alla media re¬ gione dell’ aria, resterebbe in conseguenza la Terra invisibile dall’oc¬ chio posto oltre alla detta media regione, come che quivi non arri¬ vasse il lume, elio solo è potente a fare il corpo luminoso visibile; ed in oltre, parte alcuna della Terra non verrebbe da noi veduta la quale più di un miglio o due ci bisso remota, oliò oltre a tale al¬ tezza non si estendo la grossezza della media regione dell’ aria. Ma io diffìcilmente potroi accomodar l’intelletto al prestar assenso a una tal proposizione, o massime mentre che il senso mi rende visibili pur piccole parti della Terra illuminata in lontananza di più di contorni- io glia, avvenga elio da un luogo molto alto si scorgeranno altre monta¬ gne ed isole non meno di cento miglia lontane; e la Corsica e talora la Sardigna ben rì veggono da i colli intorno a Pisa, e più distinta¬ mente ancora dalli scogli eminentissimi di Piotrapana; e da i monti della Romagna ben si scorgono, oltre al sino Adriatico, quelli della Dalmazia, li sì come noi qui di Terra vogghiamo la Luna luminosa, così tengo per molto sicuro che dalla Luna e grandissima e lumino¬ sissima si scorgerebbe la Terra, in quella parte da i raggi solari illu¬ strata, ed in conseguenza che la medesima Luna da essa Terra ver¬ rebbe illuminata. <— 20 5. Terra da tini non verrebbe veduta, Y V — 9-10. visibile anco piccole, VV — 10. in disianza di, VV — 15. si veggono, oltre, VV — 17. tengo io ver, VV — 18-19. varie che da i raggi solari è illustrata, VV — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 537 Ma passo ad una proposizione forse molto a proposito per il mante¬ nimento della mia opinione, e per la quale nel medesimo tempo si scorga, non piccola esser la differenza tra l’illuminazione ed il riscal¬ damento de i raggi solari. E prima, l’illuminazione si fa in un istante; ma il riscaldare non così, ma ci vuol tempo, e non breve: e parimente, all’incontro, si toglie via l’illuminazione in un instante; ma non si estingue il conceputo caldo se non con tempo. Non molta si ricerca che sia la densità della materia per potere essere egualmente illuminata come qual si voglia densissima; onde voggiamo bene spesso tenui nu¬ lo gole non meno vivamente illuminate da i raggi solari, clic se fossero vastissime montagne di solidi marmi; e bene possiamo noi chiamar piccola la densità di tali nugole in rispetto a quella di una montagna di marmi, ancorché la medesima densità sia molto grande in com¬ parazione di quella dell’ aria vaporosa, mentre ebo la medesima nu¬ gola, se fusse interposta tra il Sole e noi, ci terrebbe la vista di esso, cosa che non la fa l’aria vaporosa. Ma, all’ incontro, quanto al con¬ cepire il caldo, massima si trova la differenza tra le materie di diversa densità ; che molto più si scaldano i densi metalli e lo pietre, che il Ma passo ad una proposizione forse molto approposito per il man¬ so tenimento della mia oppimene circa il candor della Luna: e parrai di poter dir sicuramente elio l’esser riscaldato ed illuminato sia de i corpi densi ed opachi, e tanto più e più quanto più densi, ed in parti¬ colare quanto al riscaldarsi ; ma che, all’ incontro, i corpi tenuissimi e rarissimi, quali io stimo che siano l’aria pura e l’etere purissimo, credo che nè si illuminino nè si riscaldino, e questo ritraggo da osserva¬ zioni a tutte le ore fattibili. Le materie dense, come legne, pietre, me¬ talli, terra, ed anco l’acqua istcssa, da i raggi del Solo vengono molto riscaldate ; e riscaldate che sono, per non breve tempo man¬ tengono il calore, rimossi i raggi solari che lo introdussero; e sì come :;o gli più densi maggiormente si riscaldano, così per più lungo tempo conservano il calore iinbeuto: onde mi pare che noi potessimo infe¬ rire, che se qualche materia che ferita per lungo tempo dal Sole, rimosso il Sole, immediatamente si riducesse a freddezza, ella sicn- 4. in istanti, VV—12-13. tali nuvole in comparazione di una montagna di marmo, an¬ corché, YV — 13. sia grande , VV —14-15. nugola si l'asse, s — 20. oppinione : e panni, V' — Vili. 08 538 LETTERA mori denso legno o altre materie più rare. L’illuminazione, oltre al farsi in instanti, si estende per intervallo dirò quasi che infinito, chè ben tale si può chiamare quello delle innumerabili piccolissime stelle fisse, lo quali, essendo dalla vista nostra libera impercettibili, pur vi¬ sibili si rendono con l’aiuto del telescopio; argomento necessario che l’illuminazione di quello sino a Terra si conduce, clic se ciò non fusse vero, tutti i cristalli del mondo visibili non le ronderebbono : non so poi se il caldo loro in altretanta lontananza cosi sensibile possa ren¬ dersi. Non piccola dunque ò la differenza tra l’illuminare e lo scal¬ dare; tuttavia amendue tali impressioni non si vedo elio possano essere io ricevute se non in materie, come si è detto, elio ritengano qualche den¬ sità: che le tenuissime, rarissimo o diafanissime, quali si tiene elio siano l’aria pura e Petere purissimo, veramente nò si illuminano nè si riscaldano, effetto che anco dalla esperienza ci può ossor dimostrato, ancorché far nulla possiamo nò nel purissimo etere nò nell’aria schietta e sincera, avvengacliò nella mista e turbata da i vapori continuamente rumente non fusso mai stata calda. Ora, elio tale evento si scorga nell’aria, mi pare che l’uso delle ombrello lo insegni a’viandanti; il quale uso resterebbe inutile e vano, se l’aria, che altri crede essere scaldata dal Sole, per qualche tempo, benché brevissimo, ritenesse il 20 caldo, rimosso il contatto de’ raggi solari. Imperochò, mentre che uno stesse fermo e si facesse ombra con l’ombrella, bene sta che non sen¬ tisse l’offesa de’raggi solari; ma che egli non la senta tampoco nel camminare, benché egli trapassi repentinamente dall’ aria adombrata dal parasole nell’ altra aria conseguente sottoposta a i raggi, segno manifesto ò elio 1 ’ aria per nessun tempo conserva il calore, ed in conseguenza die già mai non lo riceve. Ma attendasi un’altra anco assai più potente osservazione, dico del non si riscaldare 0 illuminare l’aria, la quale trarremo noi dalla sopranarrata esperienza del grande specchio concavo : il quale retlette i raggi solari tanto vivamente e so tanto caldi, che immediate abbrucia le materie combustibili e liquefò le fusibili etc., ed oltre allo scaldarle, le illumina sì che il loro fulgore supera quello dello istesso Sole; ma l’aria dentro al medesimo cono cora- 5. argomento ben necessario, VV — G-7. chi quando ciò non fosse, tutti, V V — 10. amendui, 8 —11. tengano, s — 14. ci viene dimostrato, VV — 15, possiamo nel, s — 18. viaggianti, V' — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 539 ci ritroviamo. Tuttavia in questa ancora gli effetti dello illuminarsi e scaldarsi non si veggono esser se non debolissimi, come chiara¬ mente ci mostrano i raggi solari dal sopradetto grande specchio con¬ cavo ripercossi, i quali nò illuminano nè scaldano l’aria compresa dal cono, come di sopra si è dichiarato. Che poi nè l’aria pura nè il puris¬ simo etere si illuminino, ce lo mostrano le profonde notti: imperochè, non restando di tutto 1’ elemento dell’ aria altro non tocco dal Sole che la piccola parte compresa dentro al cono dell’ombra della Terra, e talvolta qualche altra minor particella ingombrata dalle ultime io parti del cono dell’ ombra lunare, sicuramente quando tutto il re¬ stante fosse illuminato, averemmo un perpetuo crepuscolo, e non mai profonde tenebro. presa nè pur si vede come illuminata, nè si sente come calda, poiché, coperto lo specchio e subito messa la mano là dove si faceva l’incendio e la fusione del metallo, non si sente un minimo vestigio di caldo : sì che, non lo ritenendo essa aria pure un momento di tempo, manifesta cosa è che nè ella lo riceve. Ma che più ? di qual altra esperienza aviamo noi bisogno per esser sicuri che nè 1’ aria nè il purissimo etere si il¬ luminino, che quello che ci mostrano le profonde notti ? Imperò che, 20 non restando di tutto 1’ elemento dell’ aria altro non tocco dal Sole che la piccola parte compresa dentro al cono dell’ombra della Terra, sicuramente quando tutto il restante fusse illuminato, averemmo noi un perpetuo crepuscolo, e non mai profonde tenebre. 4-5. Varia avanti compresa dal cono luminoso, come, VV -5. poi V aria, 8— 11. ave¬ remmo noi un, VV — 540 LETTERA Concludo por tanto, elio non ai imprimendo il caldo, mercè de’ raggi solari, so non in materie solide, denso ed opache, o che almeno partecipino tanto ili densità elio non diano il transito to¬ talmente libero ai medesimi raggi solari, il caldo che noi proviamo è quello che la Terra e gli altri corpi solidi riscaldati ci sommini¬ strano ; il qual calore può esser che non si elevi tanto sopra la Terra cho possa tor via la freddezza di quella regione vaporosa nella quale si generano le pioggie, lo novi o lo altre meteorologiche impressioni. Può dunque il calore del rollcsso de’raggi solari nella Terra non tran- scendere la media regione vaporosa e fredda, ma ben l’illuminazione io trapassar questa ed arrivare sino alla Luna, e per distanza anco molto e molte volto maggiore. Oltre die, se io devo liberamente confessare la mia poca scienza tìsica, dirò di non sapere nò intender punto come tali impressioni si faccino ; e quando io mi ristringo in me medesimo por vedere se io potessi penetrarne alcuna, mi ritrovo in una immensa oscurità e con¬ fusione. Io non ho mai inteso, nè credo di esser per intendere, in qual maniera, doppo essere stati mesi e mesi senza pur vedersi una nu¬ vola, possa iniprovisameute in brevissimo tempo spargersene sopirà un gran tratto di terra, o quindi precipitosamente cadervi millioni di 20 barili di acqua ; ed altra volta comparire altre simili nugole, e poco dopo dissolversi, senza diffondere ima minima stilla. Olio io intenda per fisica scienza come tra lo tenui e molli nuvolo si produchino suoni e streputi così immensi quanto sono i tuoni, mentre elio il filo¬ sofo vuol che io creda, alla produzion del suono esser necessario la collisione de’ corpi solidi e duri, aòsit che io no piossa restar capiace. Ma per non entrare in un pielago infinito di problemi a me insolu¬ bili, voglio far epui fine, senza però tacere la veramente ingegnosa com¬ parazione elio lo eruditissimo Sig. Liceti, dirò, con leggiadro scherzo pioetico, pione tra la Luna e la pietra lucifera di Bologna; cioè che so essa Luna, immergendosi nell’ ombra della Terra, conservi per qualche tempo la tenue luce imbevuta o dal Sole o dall’ etere suo ambiente, la qual luce svanisca dopio qualche dimora nell’ombra. Io veramente ammetterei questo pensiero, se non mi conturbasse la diversa maniera 3-4. transito a i medesimi raggi totalmente lihcru, il caldo, V —8-18. impressioni. Oltre, V ; impressioni. Può dunque ... non trascendere la regione vaporosa e fredda, ma bene l’illumi¬ nazione ... maggiore. Oltre, V'- ltì. trovo, V - 21. nuvole, V — 2-1. tanto, V — 26. di, V - 28-29. analogia, V — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 541 die tengono nel recu perare la luce smarrita e la Luua e la pietra: im- perocliè la Luna nello allontanarsi dal inezo del cono dell’ ombra co¬ mincia a recu perare q uello smarrito lume molto prima che ella scappi fuori dell’ ombra e torni a godere di quel maggior lume dal quale ella fu ingravidata; effetto che non così accade nella pietra, alla quale per concepire il lume non basta ravvicinarsi a quel maggior lume che ha da illustrarla, ma le bisogna per assai spazio di tempo soggiacergli, e così concepire la luce, da conservarsi poi per altro breve tempo nelle tenebre. io Circa quello che in ultimo sogghigno, del farsi P ombre maggiori dal Solo basso che dall’ alto, non ho che dirci altro se non che mi pare che egli altra volta negasse cotale effetto, ma che pure, ben¬ ché falso, stimava di poterne render ragiono non meno che se fusse vero, come egli con assai lunga ed accurata scrittura fece. E qui parimente si scorge la gran fecondia delle fisiche dimostrazioni, delle quali non ne mancano per dimostrare tanto le conclusioni vere quanto le false. Ma nel presente caso, se le ragioni addotte son concludenti, è necessario che la conclusione sia vera : e se è vera, perchè negarla o metterla in dubbio ? e so le ragioni pi'odotte non son concludenti, 20 perchè produrle ? So, Serenissimo Principe, che troppo averò tediata l’A. V. con que¬ sto in io lungo discorso ; ma il suo benigno invito, e la necessità che avevo di sincerarmi appresso il mondo e purgarmi dalle imputazioni attribuitemi da questo famoso Filosofo, mi hanno porto libertà di fare quello che ho fatto. E se bene il Sig. Liceti, publicando con le stampe, ha contro di me parlato con tutto il mondo, voglio che a me basti il portar le mie difese nel cospetto solo dell’A. V. S., il cui assenso 1-3. recuperare quello smarrito lume molto prima, V; recuperare quello smarrito lume: atteso che la Luna lo recupera molto prima, V', « — 7. gli, V — 14. e dottissima, V ; ed accu¬ rata, Y — 21. VA. V. S. con, V — 3-4. ella scampi fuori, s — 11. dallo alto, s — 14. accurata dottrina fece, a — w La lezione che abbiamo restituito lo corresse, ma non felicemente, inserendo nelle lin. 1-3 si legge, per intero, nel cod. Gv. dopo lume le pardo atteso che la Luna lo e, in parte, nell’edizione bolognese. Il Vi- recupera, che sono aggiunte sul margine del viani, trascrivendo, come crediamo, da bozze ms. Questa lezione di Y passò nella stampa anteriori, trascorso con l’occhio dal recupe - procurata dal Li ceti, menti» il coti. Mar. rare di lin. 1 a quello di lin. 3, omettendo trascrisse tal e quale la lezione di V, o il le parole intermedie, e così nacque la lezione cod. G la corresse arbitrariamente, ftllonta- di V : accortosi poi dell’ errore commesso, nandosi ancor più dalla vera lezione. 542 LETTERA agguaglio a quello di tutto il mondo ; benché io non possa negare elio riceverei anche por mia gran ventura se lo fussero sentite o lotte da i filosofi o litterati di cotosta fioritissima Accademia, da i qu^lì spererei aver assenso ed applauso allo mio giustificazioni, poiché esse non procedono contro alla peripatetica filosofia, ma contro ad alcuno di quelli i quali la filosofia e la aristotelica autorità oltre a i limitati termini vogliono estenderla, o con essa l'arsi scudo contro allo oppo¬ sizioni di qualsivoglia altro elio pur razionabilmente discorra. Del gua¬ dagnarmi poi l’assenso di tutti i filosofi di cotosta Accademia, gran caparra me ne porge P Eccellentissimo Sig. Alessandro Marsilii, della io cui graziosissima conversazione ho, non molti anni sono, goduto por cinque mesi continui che mi trovai in Siena in casa l’Illustrissimo e Reverendissimo Monsig. Arcivescovo Piccolomini, dove giornalmente avemmo discorsi filosofici. Questo Signore in particolare nomino io al- l’A. V. S. per la lunga pratica elio ho avuta con sua Signoria Eccellen¬ tissima ; o come da questo mi prometto l’assenso, così me lo prometto da ogn’ altro che con occhio sincero vorrà riguardare le imputazioni fattemi e le mio difese. E qui, umilmente inchinandomeli, le bacio la veste, e le prego da Dio il colmo di ogni felicità. Di Àrcetri, l’ultimo di Marzo 10-10, £0 Dell’Altezza Vostra Serenissima Umilissimo e Devotissimo Servitore Galileo Galilei. 1-3. e tanto più se, per mia ventura, potessero queste mie difese esser sentite da, V ; benché . se elle /'ussero sentite o lette da, V I. di avere, V — 4 IO. le quali non contro alla peripatetica filosofia procedono, ma contro a chi la peripatetica filosofia lut sinistramente adoperata. E di questo che io divo, ho io tarpa e sicurissima caparra itali’, V ; jioichi esse .... di cotcsta fioritissima Accademia gran caparra vie tu porge V, V — 17. iivpuynaiioni, V — iti. li, T — 19. gli, V ; le, V — 22. Obbligatissimo, V — IO. Sig. N., della, b —12-13. continui eie., dove, b — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 543 AL MOLTO ILLUSTRE RD ECCELLENTISSIMO Sio. FORTUNIO LICETI FILOSOFO BHINF-tmaaiMO GALILEO GALILEI VERO E CORDIALE AMICO S.<'l Appena aveva V. S. Eccellentissima finito di mandare alla luce il suo trattato della pietra lucifera di Bologna, che ella me ne mandò una copia, accompagnandola con una sua lettera, piena di affetti di cortesia, nella quale, in segno della stima che ella fa del mio giu¬ dizio in potere librar con giusta lance i momenti della dottrina che io nel suo trattato si contiene, mi pregò che io, con quella filosofica libertà che tra gli indagatori del vero si ricerca, sinceramente gli scoprissi e significassi i miei sensi, lo, per sodisfare a due debiti ne i quali mi sentivo obligato, risposi immediatamente al primo, che era di renderle le debite grazie del regalo fattomi in mandarmi il libro, registrandomi nel numero de i primi e suoi più cari amici : quanto all’ altro obligo, che è di eseguire il suo cenno circa il libe¬ ramente manifestarli il giudizio che fo sopra la dottrina e i concetti in esso libro racchiusi, mi è stato forza, rispetto all’ infelicità della perduta vista, che al servirmi, nel leggere e nello scrivere, degli occhi 20 e della penna di altri mi necessita, differire sino al presente di de¬ porre in carta tutto quello che ho stimato poter dar sodisfazzione alla sua domanda. Dicogli dunque, che se io volessi conforme al merito diffondermi nelle lodi dell’ampia e sottilissima dottrina che mi è parso scorgervi; oltre al convenirmi assai in lungo distendere, dubiterei che le mie parole, benché purissime e sincere, potessero apparire ad alcuno iper¬ boliche o adulatorie ; ad alcuno, dico, di quelli, che troppo laconica- 14. renderli, A — 21. eatisfazione, A — ( l > Saggio della forma nella quale Galt- nitivamcnte, al Principe Leopoldo di To- lro intendeva rivolgere al LlORTl la let- scarni. Veggasi a questo proposito rAvver- tera indirizzata originalmente, e poi defì- timento. 544 LETTERA mente vorrebbero vedere, ne i più angusti spazii olio possibil fusse ristretti i filosofici insegnamenti, sì elle seni prò si usasse quella rigida e concisa maniera, spogliata di qualsivoglia vaghezza ed ornamento che ò propria do i puri geometri, i (piali né pure una parola prof¬ feriscono che dalla assoluta necessità non li sia suggerita. Ma io all’incontro, non solamente non ascrivo a difetto in un trattato ancorché indirizzato a un solo scopo, inserire altro vario notizie purché non fossero totalmente separate e senza veruna coerenza an¬ nesse al principale instituto; anzi stimo che la noi>iltù, la grandezza o la mngnifieenzia, che fa lo azzioni ed imprese nostre meravigliose io ed eccellenti, non consista nelle cose necessarie (ancorché il mancarvi queste sia il maggior difetto elio commetter si possa), ma nelle non necessarie, purché non siano poste del tutto fuori di proposito, ma abbiano qualche relazione, ancorché piccola, al principale intento. E così, per esempio, vile o plebeo meritamente si chiamerebbe quel convito nel quale mancassero i cibi e le bevande, principale requisito e necessario; ma non però il non mancare di questo lo fa così ma¬ gnifico e nobile, che sommamente più non gli arrechino grandezza e maestà la vaghezza dell’ egregio o sontuoso apparato, lo splendore de i vasi d’ argento o d’oro, che, adornando la mensa o lo credenze, 20 dilettano la vista, i concenti di varie armonie, lo sceniche rappresen¬ tazioni, o i piacevoli scherzi, all’udito così graziosi. La maestà di un poema eroico viene sommamente ampliata dalla vaghezza e varietà degli episodii ; o Pindaro, principe do i lirici, si sublima tanto col digredire in maniera dal primario suo intento, elio é di lodare l’eroe da esso cantato, che nel tessere le laudi di quello non consuma la dqcima, nè anco talora la vigesima, parte de i versi, li quali spende in varie descrizioni di coso che in ultimo, con fila assai sottili, sono attaccate al principal concetto, lo pertanto interamente appi andò alla maniera elio V. S., abbondantissima di mille e mille notizie, tiene 30 ne i suoi componimenti, ed in particolare in questo, nel quale, prima che condurre il famelico lettore a saziar sua brama con l’ultimo insegnamento del problema principalmente desiderato, ci porge un utile diletto di tante belle notizie, che bene ei obliga a rendergliene mille grazie, mentre elio con gran rispiarmo di tempo 0 di fatica ci libera dal rivoltare i libri di cento e cento autori. i. intenerire, A — 10. i nagnificenxa, A— AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 545 Degna dunque di lodi infinite stimo io questa sua nobile e così utile fatica. Ed acciocliè V. S. Eccellentissima resti sicura ohe io schiet¬ tamente o non simulatamente gli parlo, voglio contraporre alle me¬ ritate lodi che a tutto il resto del suo libro si convengono, alcune mie considerazioni intorno alla digressione che Ella fa nel capitolo L, le quali mi pare che possano rendere la dottrina in quello contenuta non ben sicura nè incolpabile ; se però, quello che comunemente e umanamente suole accadere, l’interesse proprio non mi abbaglia e inganna, essendo il contenuto di tutto il detto capitolo non altro io che una moltitudine di obbiezzioni che ella bene acutamente fa contro ad una mia particolare ed antiquata opinione, nella quale ho cre¬ duto e affermato, quel tenue secondario lume che nella parte tene¬ brosa della Luna si scorgo, massimamente quando ella è poco remota dalla congiunzione del Sole, sia effetto cagionato dal refiesso de i raggi solavi nella superfìcie del nostro globo terrestre : al che ella contradice con molte opposizioni, le quali, contro al mio desiderio, mi pare che non necessariamente convincano la mia opinione di fal¬ sità. E dico contro al mio desiderio, perchè non vorrei che anco questa nota, benché piccola, macchiasse il suo, in tutto il resto, così puro 20 e candido trattato : che nelli scritti miei, che poco di pellegrino e di apprezzabile si contiene, poco di pregiudizio è l’aggiugnere a tante altre mie fallacie questa qui ancora ; che bene in un panno rozo e vile manco noiano la vista molte grandi ed oscure macchie, che in un drappo vago e per la moltitudine de i fiori riguardevole non farebbe una benché minima. Proporrò dunque, con la tra noi concertata filosofica libertà, quelle risposte che al presente mi paiono sollevarmi, con speranza di dover poi, con mio utile particolare, essere dalle sue dottissime repliche tolto di errore e condotto nel possesso del vero. Ma prima che io so descenda a esaminare la forza delle sue obiezzioni, voglio, per mia satisfazzione, raccontare a V. S. Eccellentissima i miei primi moti, da i quali io fui indotto a credere . . . . l,) 2-3. stiettamente, A —13. ella poco è remota, A —20. peregrino, A — 0> Cfr. pag. 493, Un. 23. VIIL 60 FRAMMENTI ATTENENTI ALLA LETTERA AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. * Meglio provo io che il mezzo rlol candore dovrebbe esser oscuro quando l’illuminazione venisse dall’etere, che non prova il Liceti che dovessi esser più chiaro quando venisse dalla Terra. TI Liceti confonde lo sfuggire de i raggi illuminanti con lo sfug¬ gire de’ raggi visivi. Maggior parte della Luna illumina la Terra, che non ne illumina il Sole, benché il Sole sia maggior della Terra avendomi pregato V. S. che io schiettamente li dica il inio giudizio sopra il suo libro, li dico essermi il tutto parso ammirabile ; ed acciochò io la resti sicura che io non la adulo, li soggiungo che pur ci ho scorto qualche cosa, per mio giudizio, capace di miglioramento, la quale liberamente li spiego, etc. Vedi in proposito dell’ ultimo argomento quello che scrive l’istesso Liceti nel libro Ih comdis etc., faccia 127, versi 7, con manifeste contradizioni a sè stesso. Spiegare il discorso che io feci in su il principio per rimaner certo di questa conclusione, cioè quello che farebbe il vulgo, ma che poi innalzandomi.... Mas. Gal., Par. Ili, T. Vii, 1, car. 115V. 550 FRAMMENTI ATTENENTI ALLA LETTERA I Peripatetici ni servono de i te-ti ili Aratotele in quella gui sa che un nocchiero di un medesimo vento si serve per andar con una nave verso qualsivoglia [iurte. V. S. si tiene onorato con Pavere io pieno 15 mezzi fogli in con* future un mezzo, de i sua, mentre che il mezzo foglio è fatto in con¬ futazione di 4 soli versi ile i mia. Il lume ili Luna apparisce superare il candore della Luna, men¬ tre vegghiamo tal lume in Terra già fatta oscura per la lontananza del Sole; ma il candore, quando è massimo, lo vegghiamo sondo noi circondati dal crepuscolo. io Non snudo il candore nativo nella Luna, conio mostrano i suoi eclissi, bisogna che gli venga contribuito ali entra. Già non dal Sole, nò dalle stelle; perchè anco udii eclissi lo mostrerebbe, sì che non resterebbe mai senza. Conviene, in oltre, ehi* quello elio glielo ca¬ giona, sia talo elio ora glielo celi ed ora glielo mostri; e per ciò faro la sola Terra è attissima, mostrandogli la sua faccia luminosa, o del tutto ascondendogliela nelli eclissi, dove la faccia tenebrosa terrostro è esposta alla vista della Luna. In prova di quanto importi la vicinanza dell’oggetto in farlo apparirò più luminoso, scorgisi in Marte, il quale, fatto vicino a noi, 20 fulgentissimo si rappresenta, e posto in maggior lontananza, assai mono lucido ci apparisce, ancorché in questo caso riceva la luce del Sole più da vicino. Do i tre superiori, che essi ancora, per se tenebrosi, riceviuo il lume dal Sole, ci mostrano i satelliti di Giove, che immersi nella ombra di Giove restano oscuri ed invisibili: segno ancora che P onii- slorio superiore di Giove inanca ili splendore. In Marte ancora, elio intorno alla quadratura col Solo si vedo ggunneiato, aviamo chiaro argomento del non esser egli per sè splendido: talché l’argomento col quale il Liceti prova, L tre superiori esser perse lucidi, svanisce; so 1 . servano — AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 551 e lo loro intelligenze, che li governano, non vengono a superare molto di nobiltà quelle che governano Mercurio, Venere, Luna e la nostra Terra, se però anche ella ha la sua governatóre. Però queste intel- ligenzio non sono forse quello che il Liceti crede e scrive nel libro De crnetis et novis astris etc., lib. 2°, cap. G5, faccia 127, versi 25. In oltre, se il risplendere è segno di maggior nobiltà o perfe¬ zione, le lucciole, alcuni vermi, saranno più perfetti di infiniti altri animali che nulla risplendono : c quei legni che, Bendo prima tene¬ brosi, si fanno poi risplendenti, non camminano, come V. S. e comu¬ ni cemento si crede, alla corruzione e allo infradiciarsi, ma al perfezio¬ narsi e nobilitarsi, etc. (l) . Veramente il pensiero di V. S., dello stimare i 3 pianeti superiori essere per sè stessi lucidi, come quelli che da più nobili e perfette intelligenze sono governati, mi è parso mirabile e degno di essere abbracciato e ritenuto, tuttavolta però che mi venissero rimossi al¬ cuni scrupoli e risolute certe difficoltà, delle quali, per mia debolezza, non so ridurre la soluzione alle intelligenze. Ed essendo che, con¬ forme al pronunziato sicurissimo d’Aristotile, qui dai esse, dal conse- qnentia ad esse, dando l’intelligenzia lo splendore, per esempio, a 20 Giove, deve, in conseguenza, contenere le cagioni delle varietà che nello splendore di Giove si scorgono; delle quali ben pare a me di ritrovare apertamente e indubitatamente le cagioni mentre che io costituisco Giove per se naturalmente tenebroso, e solo lucido per V illuminazione del Sole. Si rivolgono in cerchi differenti e diseguali, concentrici però al centro di Giove, 4 minori stelle, le quali in statuiti e preveduti tempi restano in tutto prive di lume e come eclissate : tale accidente non patiscono esse se non vicine a Giove, e costituite 1. vengano — M Mas. Gal., Tomo cit., car. 135 r.-t. 552 FRAMMENTI ATTENENTI ALEA LETTERA nella parte superiore de’ cerchi loro; ma nella parte inferiore ven¬ gono a congiugnersi ed a separarsi dall’ istesso (ìiove senza patire eclisse alcuna: in oltre si nascondono nelle tenebre alcune volto avanti che arrivino al contatto di Giove, ed altre volte, dopo 1’ essersi con esso corporalmonto congiunte, non tornano a rimostrarsi risplendenti se non in distanza notabile dal disco di Giove: e (pieste distanze si fanno in alcuni tempi maggiori ed in altri minori, c tal ora accade che senza perdere punto di luce si conducono al contatto ed alla puntuale separazione dal medesimo Giove: e di tutte queste diversità puntualissima rispondenza se ne ha dalla diversa costituzione ed aspetto io di Giove col Sole. Di più, tal perdita di lume, o con tal regole acca¬ dente, a me pare che ci assicuri che sola la metà del disco di Giove che risguarda verso il Sole sia luminosa, restando 1’ altro suo emi- sferio privo di luco: che quando egli rispondesse, li suoi satelliti, es¬ sendogli tanto vicini, ritcrrebhouo lume bastante a farsi cospicui, nè potrebbe il cono dell’ombra di Giovo del tutto denigrarli; oltre che accado tal volta che uno di essi, che in grandezza supera gli altri, offusca col picciol cono della sua ombra uno che gli è superiore. Come poi tali diverse apparenze possino trarrò origine dalla intelligenza la quale in genero infonde lo splendore nel corpo di Giove, veramente 20 non so io capire senza porre varietà e mutazioni nella istessa intel¬ ligenza; e però volentieri sentirei come tali corde potessero accor¬ darsi col tenore della corda principale. Di Marte ancora, che solo risplenda mercè del Sole etc. (l) . Ora, Eccellentissimo mio Signor, facciami grazia di considerare con quanto bella analogia si rispondano nella Luna e nella Terra le tre diverse illuminazioni, lo quali tutte, come da un istesso fonte, scaturiscono dal fulgore immenso del lucidissimo Sole, senza il quale nè queste illuminazioni e splendori, nè quello di qualsisia de i pia¬ neti erranti, resterebbe al inondo. E prima, essendo perpetuamente so uno emisferici della Luna esposto alla vista del Sole, viene in ogni (l) Mss. Gal., Tomo cit., car. 135t.-136r.; a questo) si leggo nel manoscritto, sotto le promessavi, sempre di mano del Yiviani, cancellature, quanto appresso: « Ilo trapas- l 1 indicazione : « Per inserirsi in luogo op- snto, conio argomento che in buona forma portano». — Tra questo frammento e quello possa concludere, il candore derivare dallo che pubblichiamo qui immediatamente di etere ambiento; ma considerando meglio, seguito (e che anche nel codico tien dietro panni che si potrà trovare dilettoso ». AL PRINCIPIO LEOPOLDO DI TOSCANA. 553 sua parte egualmente da quello illustrato: l’isteaso accade dello emi- sferio terrestre, dico di essere interamente illuminato tutto. Oltre a questa massima illuminazione ce n’ è una parziale e secondaria, pro¬ dotta nella Terra e pur da i raggi solari reflessi dalla sfera vapo¬ rosa, la quale essa Terra circonda ; e secondo che il Sole si abbassa sotto l’orizonte, quella parte di essi vapori illustrati che sopra l’ori- zonte rimane, reflette i raggi solari sopra la propinqua parte della superficie terrestre : ma questa illuminazione non molto adentro si distende, per essere l’altezza do i vapori non molta, e la superficie io della Terra non piana, ma sfericamente tuberosa. A questo risponde una simile illuminazione fatta da quella parte dell’ etere ambiente la Luna che, per essere alquanto più denso del resto che per gli im¬ mensi spazii del cielo si diffondo, ò potente a reflettere i raggi so¬ lari intorno a quella parte dello emisferio tenebroso della Luna, la quale con l’altro suo emisferio illuminato da i raggi primarii del Sole è contermina: ma tale illuminazione è assai debile, per essere la parte dell’ etere ambiente assai meno atta a fare la reflessione gagliarda sopra la Luna, che non è la parte molto più densa de i vapori sopra la Terra; c questa parimente non candisce tutto l’emisferio tene- 20 broso, ma solo una parte che confina con l’emisferio illustrato dal Sole : e di questo ne aviamo la sensata esperienza nelle eclissi, men¬ tre che, dopo essersi immersa la Luna nel cono dell’ ombra terre¬ stre, e persa la primaria illuminazione de’ raggi solari, si vede im¬ mediatamente per qualche tempo biancheggiare alquanto quella parte della gengiva della Luna che fu l’ultima a entrar nell’ombra; ma tal bianchezza tosto si perde, nel profondarsi la Luna verso il mezzo del cono tenebroso. Ci è la terza e pure ampia illuminazione, prodotta in Terra pur da i medesimi raggi solari reflessi nella Luna ed inviati allo intero so emisferio terrestre, il quale, non tocco da i raggi solari, è esposto alla vista della splendida Luna. A questa ultima totale illuminazione risponde il candore della Luna, il quale si vede egualmente diffuso nello emisferio della Luna non tocco da i raggi solari ; e tal candore ampio e massimo si scorge presso alla congiunzione di essa Luna col Sole, nel qual tempo viene opposto alla Luna il grande emisferio terrestre illuminato da i raggi solari. Ora, Eccellentissimo mio Si¬ gnor, qual ragione può indurla a volere di questo gran candore Vili. 70 554 FRAMMENTI ATTENENTI ALLA LETTERA riporne la causa nel medesimo etero ambiento, il quale aviamo ve¬ duto elio pochissima parte della Luna tigno di un debile colore, più tosto plumbeo che argenteo, dovo che quando l’etere ambiente fusse potente a produrre 1 ’ ampio e assai vivo candore, molto più vivo ci si rappresenterebbe egli nel campo oscuro della notte che nello assai ben lucido del crepuscolo o della aurora? lo non mi posso persuadere elio, facendo V. S. col suo perspicacissimo ingegno rollossione sopra questa così bella analogia, non sia per prestargli 1 ’ assenso, c mas¬ sime che io ho grande oppiniono che tra i fenomeni che indussero grandissimi fdosofi od Aristotile istesso, sommo tra tutti, a concedere io gran simpatia e corrispondenza tra la Luna e la Terra, non solo la similitudine di figura e della faccia maeulosa, quale in essa Luna veg- giamo, o nella Terra si scorgerebbe, cagionata da i mari e da i con¬ tinenti, quando da luogo tenebroso o molto lontano potessimo vedere la faccia terrestre illuminata, gli avesse indotti, ma molto più la cor¬ rispondenza di questa triplice illuminazione; che non ò credibile che da Aristotile, tanto sagace contemplatore dalli effetti di natura, que¬ sto sì bello e nobile restasse inosservato. E so io avessi quella pratica in tutti i libri fisiologici di Aristotile, e che la memoria mi servisse, come di altri sagaci contemplatori accado, non diffiderei di poter, 20 con andar sottilmente rintracciando 0 conferendo questa particola con quella e quella con quell’ altra, accozzar tanti luoghi insieme, che io vi ritrovassi scritta questa verità; chè bene è ragionevole che là tutte le verità si ritrovino, donde lo proposizioni che scaturiscono son tutte vere l,) . Non voglio tacere in questo luogo a V. A. Serenissima certa mia particolare osservazione fatta nel candore della Luna, dalla (piale ri¬ sulta una nuova molto probabil coniettura a favore del reflesso ter¬ restre per produrre il candore, la quale non ha luogo noli’ etere ambiente per il medesimo effetto: 0 l’osservaziono è tale. Avendo io, ao dua o tre giorni avanti il novilunio, posto diligente cura quale si (,) Mas. Gal., tomo cit., car. 136r.-137r.; l’indicazione : € Da mettersi al segno Q, premessavi, sempre di mano dei Viviàni, overo nel Line deli’opera >. i AL, PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA. 555 rappresenti la chiarezza del cantlor lunare mentre olla, sorgendo dal¬ l’oriente, fa di se mostra nell’aurora, e di poi altro e tanto tempo dopo il novilunio attentamente rimirandola in occidente nel crepu¬ scolo vespertino, panui aver ritrovato non piccola diminuzion nel suo medesimo candore, il quale meli vivo si dimostra; ed avendo pregato alcuni amici che facciano la medesima osservazione, trovo che concordemente affermano, agli occhi loro dimostrarsi quella me¬ desima differenza che a’ miei più volte dimostrata si era. Ora, se in questo effetto si trova una ta,l mutazione, bene è necessario che nella io causa, di tale effetto produttrice, mutazione si trovi, quanto al potere or più vivamente or meno illuminare; e se la causa, come io ho sti¬ mato, è il reflesso dei raggi solari nella terrestre superficie, converrà che ella or più or meno risplendente si mostri all’ emisferio lunare: od essendo che, posta la Luna in oriente, a lei si espone dell i duo emisferii terrestri, separati dal nostro meridiano, lo orientale, ed al- l’incontro vede ella, posta in occidente, 1’ emisferio occidentale, bi¬ sognerebbe, per mantenimento della mia oppinione, che il terrestre emisferio orientale più splendidamente reflottesse i raggi solari che l’altro emisferio occidentale. Questa necessità mi indusse a pensare 20 se differenza alcuna potesse cadere tra i detti due emisferii, per la quale con qualche disegualità procedesse il loro reflesso. E veramente assai probabilmente mi pare che ella por vi si possa, regolandoci con quella apparenza che nella Luna si scorge, cioè che la sua superficie non è per tutto egualmente lucida, ma sono in quella sparse molte macchie, meno del restante lucide. La superficie del nostro globo terrestre è composta di due parti massime, dico do i mari e de i continenti: queste, percosse da i raggi del Sole, non egualmente si illustrano, ma notabilmente più si illu¬ minano le parti terrene che quelle dell’ acqua; per lo che più potenti so saranno i raggi reflessi dalla terra che i reflessi dal mare. Ora, se noi considereremo qual proporzione abbiano in grandezza le parti marittime con le terrestri nell’ emisferio orientale ; e parimente an¬ dremo esaminando quello che accaggia tra i mari e continenti del- P emisferio occidentale; troveremo senza dubbio, dell’emisferio orien¬ tale vastissime essere le campagne terrestri, e minori assai quello de i mari, e nell’altro emisferio troveremo accader tutto l’opposito. Tutta l’Asia, parte vastissima sopra le altre, è a noi orientale, con gran 556 FRAMMENTI ATTENENTI ALEA LETTERA ECC. piirte dell’ Europa o dell’Affrica ancora. In Occidente aviamo sola la America, con parto dell’Affrica; o qui sono i mari vastissimi Atlan¬ tico e Pacifico, sommamente più ampli di quelli elio restano verso l’Oriente. Quando dunque sia vero elio il retìesso della terra superi quello del maro, molto probabile coniettura avoreino per rendere ragione del candore più lucido in oriente che in occidente; della quale differenza non si può referir la causa nell’ etere ambiente la Luna, trovandosi egli in amendue questi casi egualmente lontano dal Sole 1 ”. Ma, oltre a tutti gli altri argomenti por i quali doviamo ragio- io nevolmente restar persuasi, del candor della Luna esserne causa il retiesso de’ raggi solari nella Terra, una, per l’ultima, mi par di poter sogghignerò di grande efficacia, lo soli molto ben sicuro, che domandando al Sig. Liceti o a qual altro si sia filosofo razionale, che cosa sia nella Luna che a noi la renda visibile, sentirò rispondermi, essere lo splendore contribuitoli da’ raggi solari, senza il quale, essendo ella per sè stessa tenebrosa, invisibile resterebbe. E domandando di nuovo, che cosa sia nella Luna che frequentemente nella profonda notte ci rende visibile la Terra, por sè stessa oscurissima ed impo¬ tente a muover la vista senza essore illuminata, parimente sentirò 20 rispondermi, essere lo splendore della medesima Luna, elio, illuminando la superficie della Terra, la fa a noi visibile. Dal medesimo fonte dun¬ que e dalla medesima causa depende il farsi la Lima a gli occhi nostri visibile e l’illuminarsi la Terra nell’oscurità della notte... 141 . <*> Mbs. Gal., Tomo eit., car. 141r. o t. ; premessavi, pur (,) . Sono appunto pareri a proposito di macchine novamente proposte, o di questioni e difficoltà promosse, le cinque scritture che pubblichiamo qui per prime. Le prime due sono Intorno agli effetti degV istrumentì meccanici , e applicano a casi particolari un concetto fondamentale che ritorna più volte nelle opere del Nostro: che la natura non può esser superata e defraudata dall’arte, cioè che non ò possibile, per artifizio di nessuna macchina, clic forza nessuna superi o muova resistenza maggiore di lei, così che o con minor fatica, o con minor di¬ spendio di tempo, si effettuino quelle operazioni che senza la macchina non si effettuerebbero se non con più fatica o in maggior tempo ; ma bisogna che la maggiore velocità della forza minore ragguagli il maggior momento della resi¬ stenza più tarda. Questo concetto è applicato nel primo parere A proposito di m Quinto libro degli Elementi d‘Euclide, ovvero Scienza universale delle proporzioni spiegata colla dot¬ trina del Galileo occ. da Vincknzio Viviani occ. Ili Fi¬ renze, alla Condotta, M.DO.LXXIY, pag. 102. 5G0 AVVERTIMENTO. ima macchina con gravissimo pendolo adattato ad ma leva, immaginata o fabbri¬ cata, per uso di superare con piccola forza grandissime resistenze, da un inge¬ gnere (siciliano, si dice), di cui ignoriamo il nome, e della quale l’inventore aveva fatto vedere il modello al Gran Duca di Toscana (Ferdinando II, come credesi), presenti altri Principi e Signori, e con essi Galileo. La macchina, che poteva essere adoperata per varie operazioni, era per allora applicata dall’ ingegnere ad una tromba per alzar acqua, e più particolarmente ad una macine da grano: o Galileo, scorgendo la fallacia dell’invenzione, risolse di comunicare all’artefice il suo pensiero, mostrando come l’ordigno proposto apportava piuttosto danno elio vantaggio. Relativo a questo parerò possediamo tre stesure diverso, le quali non ci fuvono conservato, per quanto ò a nostra cognizione, da vermi codice ; cosi che noi do¬ vemmo riprodurlo di sull’edizione fiorentina del 17ls delle Opere del Nostro, che per prima lo pubblicò 1 ”, cavandolo forse, come fu di altro fra lo scritture per cui quella stampa s’avvantaggia sull’edizione bolognese del 1G65-1G5G, da un manoscritto proveniente dal Viviani e che poi andò miseramente smarrito. Nella prima delle tre stesure, che pubblichiamo secondo l’ordino in cui si susseguono nella stampa fiorentina, Galileo si rivolgo, in forma di discorso, all’inventore stesso della macchina; la seconda, e più breve, potrebbe forse considerarsi come anteriore all’ altra, chù in essa il Nostro espone per conto proprio lo sue con¬ siderazioni circa l’invenzione della < parte > e doli’ < avversario » ; la terza è in dialogo, interlocutori il Salviati e il Sagrcdo, cd evidentemente fu preparata per quella continuazione dei Dialoghi delle Kuovc Scienze, che era nella mento del- TAutore'". La forma in cui questi scritti ci pervennero, lascia alquanto a desi¬ derare in più luoghi, sia percliò il Nostro non li conducesse alla perfezione, sia per colpa della stampa, elio siamo costretti a seguire. Noi abbiamo corretto al¬ cuno lezioni della stampa fiorentina, elio ci parve dovessero, o potessero con sicu¬ rezza, sanarsi, e lo abbiamo notate appiè di pagina con l’indicazione s: abbiamo ih Opere rii Gami.ko (Ialttf.i occ. In Firenio, MDCCXYIU. Nella Stamp. di S. A. U. Por ilio, (tao* tano Tartinl c Sunti Franchi. Tom» III, pag. Noli’edi/iono fiorentina quest*- tro neri!tur* nono intitolato: Frammenti di un jwrm di Galileo Galliti sopra una marchimi col jxmlolo j*r aliar acqua: o in rapo alla prima stesura al le*}?©: Fram¬ mento 1 di un jxirrrc dì Galilea Galilei aopra una macchina col pendolo per aliar acquei, projiaeta da un ingegneri siciliano al Serenissimo Gran Duca Ferdi¬ nando li; in capo alla seconda: /Rammento II di un parere di Galileo Galilei aopra una macchina niu* lino col pendolo, proposta da un Siciliano al Strania - ainw Gran Duca Ferdinando lì; in capo alla terza: jFVantMcnfo III dall islesao jxirere di Galileo Galilei, oo 'duciate a diate edere in dialogo, — In un elenco di c opero inedito del (ìnlilco *, scritto di mano del Vi- viasi c chù si trova in una Ininta dulia Biblioteca Naxiohtl** di K (ronzo Intitolata « Nelli (Ilo. Batta (de¬ mento Film 1. Appunti coi (piali furono da Irti crealo le primo borro della Vita di Galileo Galilei », troviamo audio « l'n discorso contro tuia proposta macchina col pendolo; Altro discorso contro ad un molino di nuova invenzione » ; coi quali titoli possiamo erodere, siano indicato la prima o la seconda stesura del parere di cui ci occupiamo. Cfr. Antonio Favaro, Intorno ad alcuni documenti galileiani recent*mcnti acof- rti mila IlildioUra Mattonale di Firente, noi lhd- lettinn di bibliografia c ili storia delle sciente matc- maticha a fisiche. Tomo XIX, 188C, pSf* 1^* AVVERTIMENTO. 561 rispettato invoco altri passi no’ quali la. correzione non era strettamente neces¬ saria, benché sarebbe stata molto desiderabile (l) . La seconda scrittura, pure intorno agli effetti degl’ istrumenti meccanici, ò A proposito eli una macchina per pestare , in virtù della quale un artefice, avendo veduto quattro pistoni esser fatti lavorare dalla forza d’un uomo, si persuadeva di moltiplicar tanto la forza del motore, che facesse andar sedici pistoni e si ottenesse lavoro, dentro il medesimo tempo, per quattro deir altro macchine. Galileo nel suo breve discorso scopre Terrore dell’artefice; ed a ciò fare egli, come scrive, e « comandato da olii sopra di me tiene assoluto imperio >, ossia, possiamo congetturare, dal Gran Duca, al quale forse quell’artefice aveva pro¬ posto la sua macchina, ch’egli applicava a pestare carbone o salnitro per la fabbricazione della polvere da fuoco. La scrittura galileiana ci è stata conservata da una copia di mano del se¬ colo XVIII, o fora’anco del presente, che è a car. 7r.-10£ del T. II della Par. VI dei Manoscritti Galileiani posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze. In capo a questa copia, nella quale la scrittura non porta titolo alcuno, il copista ha trascritto la seguente nota: «Dal Sig. Cosimo Galilei, di sua propria mano; copiato, disse, da un foglio di bozza originale del Galileo >. E poiché Vincenzio Vivinni scrive ch’egli ebbe «di mano del... Sig. Cosimo copia d’un frammento di parere o risposta del Galileo a quesito meccanico > si può ragionevolmente pensare che il manoscritto da noi posseduto sia copia di quello che il nipote di Galileo detto, esemplato di suo pugno dall’originale dell’avo, al Viviani, il quale in principio vi scrisse, com’egli soleva lare, quell’annotazione, trascritta poi fedel¬ mente dal copista moderno. Da tale copia abbiamo riprodotto il parere di Galileo, correggendo però gli strafalcioni grossolani del moderno menante, dei quali non abbiamo stimato mettesse conto di tener nota neppure appiè di pagina t3) . Porge argomento alla terza scrittura, che ci parve di poter intitolare Di alcuni effetti elei contatto c della confricazione^ la questione, proposta non sappiamo da chi, di una sfera che posa sulla baso superiore orizzontale d’un cilindro retto, toccandola nel centro : in tal caso, alla conversion del cilindro intorno al suo asse verticale la sfera dovrebbe rimanere immobile, perchè tocca il cilindro in un punto M) Fra gli emendamenti elio abbiamo introdotto notiamo, a pag. fu i, liti. 20, pura corrotto in prima, o a pag. 575, lin. *1, lochi corretto in sin che: in questi duo luoghi l’orrore della stampa fiorentina è derivato probabilmente da falsa lettura del mano¬ scritto ( p a lotto por pura, sì che lotto per sicché). Invoco abbiamo rispettato a pag. 571, lin. 12, ser¬ virsi ; il fortissimo anacoluto a pag. 581, lin. 8-11; a png. 584, lin. 14, accampatjmre, ecc. Quinto libro dctjli Elementi il’Euclide OCC., pag. 104. Basti citarne, por esempio, quulcuno: a pag. 585, lin. Il), si persuaso o tanto a forza ; a pag. 580, lin. 9, un pesto ne solo, occ. Abbiamo corrotto, dopo siffatti esempi, anello pestano a pag. 580, lin. 5, o sarchiano a pag. 587, lin. 1. Vili. 71 562 AVVERTIMENTO. elio non si muove. Galileo concede la verità di tal conclusione, presa in astratto; ma dimostra come, pigliandola in concreto, ossia trattando di palle materiali, e più ancora di prismi e cubi (che era il secondo caso considerato da chi proponeva la questione), incumbenti al cilindro, si Ideerebbero trasportare al moto di questo, e ciò in conseguenza del contatto e della confricazione tra le superficie della palla o del cubo e la base del cilindro. Di questo breve scritto abbiamo la bozza autografa, che è in un mezzo foglio a car. 3 r.-t. del T. Il della Par. VI dei Manoscritti Galileiani, e sopra essa lo pub¬ blichiamo; laddove il Venturi, che per primo lo dette in luco 1 ' 1 , ma non intero (e fu poi seguito dagli altri editori), lo riprodusse da una copia, che ora nei Mano¬ scritti Galileiani è a car. f>6r.-58r. del T. VII, 1 della Par. Ili, e che egli credette di mano di Vincenzio Galilei, ma invece è di mano del hocoIo XVIII, e noi giu¬ dichiamo sia copia di una copia tratti da Vincenzio Viviani, per mezzo di Vin¬ cenzio Galilei, dall’ autografo tino a noi pervenuto Abbiamo bensì cavato partito anche noi di questa copia, perchè l’originale non lascia ormai più leggere, per guasti della carta, alcune parole, o parti ili parola, le quali perciò abbiamo dalla copia supplito, racchiudendole tra parentesi quadre. Appiè di pagina ab¬ biamo notato alcune grafie dell’autografo, che abbiamo corretto nel testo, e qual¬ che parola che, sempre nell’autografo, si leggo sotto lo cancellature. La quarta scrittura risguarda il quesito, perchè nel giuoco de’ dadi alcuni punti siono più vantaggiosi di altri, ossia possano quelli più facilmente e più fre¬ quentemente scoprirsi elio questi; e Galileo la dottò, coni’egli scrive, < per ser¬ vire a chi lui ha comandato clic io deva produr ciò che sopra tal difficoltà mi sovviene >. Possiamo forse supporre che ad essa abbia porto occasione una disputa sorta in qualche conversazione, tra quegli eruditi fiorentini che si dilettavano di curiosità, e elio per la decisione delle loro questioni volentieri ricorrevano al- P ingegno acuto di Galileo ; coni’ era stato il caso del famoso quesito in propo¬ sito della stima d’un cavallo, disputato tra Galileo o Tolomeo Nozzolini w . Memorie r lettere inediti: finora o disperar di Galileo Galilei, ordinate al illusi rute con amufaiioni del cav, (Sia«batista Y smuri. Bar. II, Modena, por U. Vincenzi e Comp., M.DCCT. XXI, pag. Sòl o yeg. c *‘ In capo alla copia si logoro questa nota, di mano dolio stosso copista: « Del Si*. A ilicenzio Ga¬ lilei- Copiata da me danna bozza originalo in mozzo foglio rect.* ». Crodiauio (por il confronto con noto simili, promesse, di mano del Vivuxi, ad altre copio di suo puguo elio sono nel medesimo Tomo dei Ma¬ noscritti Galileiani, p. o. a car. 60r. : o cfr. pure la nota riferita a pag. 661) chu il copista del so¬ rdo XVIII abbia trascritto tale nota, insiomo col te sto ' Cimenti , dall’originalo elio osomplava ; elio chi parla in quest. \ nota sia Vincenzio Viviani; o chu la prima parola, con cui la nota comincia, sia stati lotta malo dal copista, il qualo abbia tra¬ scritto Del hi luogo di Dal elio fosso nell’originale di mano del Viviani, c in t udiamo che il Viviani ebbe Pantografo di cui «I vai#»* « dal Sig. Vincenzio Ga¬ lilei ». c fr. ciò clic scrivo il Viviani nel luogo del Vunt/o li Uro occ. citato a pag. bòi). «■» Vedi Le (> i > tr > di Ualiuko (iaulii. Edizione Nazionali», voi. VI, Firenze, tip. di li. Barbèra, 1896 pag. 560 o soff. A V V ERTI MENTO. 563 Anche di questa scrittura, per la quale il Nostro fu annoverato tra i precursori della teoria delle probabilità, possediamo la bozza autografa, che è nei Mano¬ scritti Galileiani, a car. 24?.-25 1. del T. Ili della Par. VI. NelP autografo essa non porta alcun titolo : ma abbiamo tolto quello Sopra le scoperte de i dadi , che vi apponiamo, da un breve elenco di scritture di Galileo, che si legge, autografo del Viviani, nei T. IV (car. 32f.) della Par. V degli stessi Manoscritti Galileiani. Riproduciamo fedelmente la scrittura di sull’autografo, rendendo conto appiè di pagina delle più notevoli fra le correzioni che, sotto lo cancellature di quella bozza, si discernono. La quinta scrittura, Intorno la cagione del rappresentarsi al senso fredda o calila la medesima acqua a chi vi entra asciutto o bagnalo , ò conosciuta comune¬ mente come una Lettera a Piero Bardi de’ Conti di Vernio (,) ; ma veramente è un discorso, indirizzato a questo gentiluomo, appartenente a famiglia legata a Ga¬ lileo da antica amicizia ( ) , il quale con altri nobili personaggi aveva visitato il Nostro nel suo < piccolo tugurio > d’Arcctri e quivi aveva messo in campo quel problema, pregando Galileo che gliene distendesse in carta la risoluzione. Col più appropriato titolo di Discorso essa si legge anche nei codici elio ce V hanno conservata, e che testimoniano d’ una certa diffusione di cui godette. No cono¬ sciamo infatti quattro copie manoscritte, dello quali abbiamo profittato, deside¬ randosi l’autografo: e sono le seguenti, tutte del secolo XVII: G = Manoscritti Galileiani, Par. VI, T. Ili, car. 26r.-27r. ; A = Biblioteca dell’Arsenale in Parigi, cod. 4128 (Papiers de Conrart, voi. 23), pag. 317-320; B = Biblioteca predetta, cod. 2891, car. 357-359 ; M== Biblioteca Marciana, cl. IV It., cod. LX, car. 13/.-16r. Abbiamo riprodotto la scrittura dal cod. (r, che ci parve molto attendibile, correggendone soltanto qualche grafia e migliorandolo in pochi luoghi col sus¬ sidio degli altri codici <3) , dei quali registrammo appiè di pagina le più notevoli varietà (ma non gli errori manifesti, nè le omissioni di alcuni tratti) insieme con le grafie e le lezioni di G da noi emendate. Il Discorso indirizzato a Piero Bardi ha per argomento una questione, la quale è trattata altresì in uno di quelli che, tra le scritture galileiane, sono più propria- (O Anello il Viviani chinina la presente scrit¬ tura « quolla breve lettera indirizzata dal Galileo ni Sig. Conto Piero do’ Bardi > : volli Quinto libro occ., pag. 100. <*) Già Vinobnzio Galilei hou. dedicava a Gio¬ vanni Bardi de’ Couti di Vernio il suo J)iulo . E che il Nostro non deponesse punto il pen¬ siero di quest'opera, lo conferma anche l’altra sua ilei 23 gennaio 1638, in cui allo stesso Diodati, clic il 22 dicembre deiranno precedente gli aveva chiesto « la nota particolare doli'operi! sue sin qui non stampate » (tV , rispondeva : « Quanto poi all’altro mie fatiche, sappia V. H. ohe io ò buon numero di problemi o que¬ stioni spezzate, tutto, al mio consueto, nuove e con nuove dimostrazioni con¬ fermato» lG) . Ma quando egli faceva scrivere queste parole, purtroppo era ormai « inreparabilmonlo del tutto cieco » 1,7 ; inoltri*, la cura di altro opere, clic pure aveva in mente, c la traduzione in Ialino ili alcune delle stampate occupavano la maggior parte del suo tempo, ed e probabile che la morte lo cogliesse prima clic gli fosse dato distendere sugli appunti in vari tempi raccolti, ossia ridurre al netto, tale scrittura : tra le bozze infatti do’ suoi scritti, ereditate dal figliuolo Vincenzio c delle quali dà ragguaglio il Viviani, non ne e menzionata alcuna di veruna opera dettata da Galileo intorno ai Problemi.11 Viviani ricorda bensì Mu. Gal., Par. VI, T. V, car. 84. Cfr. Lotterà di li. a LttoroDou d'Austria, 23 Maggio IO 18. {t) Quinto Uhm occ. cit., pag. 81, m Quìuto libro occ., pag S3. 1,1 Quinto libro OCC., puff. 84. 14 ' Quinto libro OCC., pag 85. Lotterà di Gai.ilko ad Elia Uiodati (lol 2 gen¬ uino 1088 l Qitinio libro occ., pig. 84). 14 Qutniu Ubro occ., pag. 1U1*1U5. AVVERTIMENTO, 565 < numero 12 Problemi o questioni spezzate del medesimo Galileo... Questi Pro¬ blemi erano di mano del Sig. Vincenzio, che dissemi avergli distesi lui medesimo su le soluzioni spiegategli dal proprio padre, già cieco, in alcuni giorni ne’ quali, avanti al mio stanziare in Arcetri, egli andava colà a visitarlo > : e aggiungo che di questi Problemi, distesi da Vincenzio Galilei, egli prese copia, dettandoglieli (come avvenne per il principio della cosidetta Giornata Scala dell a Nuove Scienze e per le Operazioni Astronomiche (I> ) lo stesso Vincenzio Le visite di Vin¬ cenzio Galilei al padre, dallo quali ebbe origine questo disteso de’Problemi, do¬ vettero essere nell’anno 1638, poiché soltanto « verso il principio del 1639 > Ga¬ lileo volle appresso di sè come ospito il Viviani, che prima, da circa quattro mesi, si trasferiva spesso in Arcetri, ma ancora non vi stanziava (3) : e perciò caddero appunto in quel tempo in cui Galileo aveva sempre viva l’intenzione di attendere a’ Problemi, come attesta la citata lettera al Diodati del 23 gennaio 1638, ma era tutto occupato nelle traduzioni in latino del Saggiatore , delle Lettere sulle Macchie Solari e del Discorso sulle Galleggianti, per far le quali traduzioni egli tenne appresso di sò per più d’ un anno e mezzo, sino allo scorcio del 1638, il sacerdote Marco Ambrogotti (4> . La stesura do’Problemi dovuta al figliuolo del Nostro è pervenuta infino a noi, appunto per la mano del Viviani: possiamo infatti riconoscere con tutta sicurezza tale stesura in quella copia di dodici pro¬ blemi, autografa del Viviani, che ora enei Manoscritti Galileiani, acar. 28r.-35f. del T. IH della Par. VI, essendo clic in capo ad essa copia il Viviani ha notato, in matita, quanto appresso : < Di mano del Sig. Vincenzio, distesi da lui in più logli cuciti, in numero 11 che 3 scritti e 8 bianchi ; e nella coperta intitolati Problemi, di mano del Galileo, e Problemi distesi dal Sig. Vincenzio , di mano delPAmbro- getti >. Con questo appunto il Viviani pone fuori di dubbio clic quella sua copia dei dodici Problemi è tratta da un originale non solo scritto, ma anche disteso, da Vincenzio Galilei; e lo conferma citando il titolo scritto sopra la coperta dell’originale dall’Ambrogetta elio dei colloqui in Arcetri del figliuolo col padre poteva essere stato testimonio; mentre possiamo credere che con quel semplice Problemi , con cui li intitola Galileo (già cieco, ma che può tuttavia vergare, con mano tremante, qualche parola w )> questi intendesse, nuli’altro aggiungendo, di attribuirne, con tutta ragione, la paternità a sò, come colui che aveva spie¬ gato le soluzioni al figlio, il quale poi lo aveva messe in carta. Questi Problemi adunque, alcuni dei quali erano prima d’ oggi inediti, ten¬ gono il posto, come abbiamo detto, dell’opera di lunga mano meditata da Ga¬ lileo ; ma pur troppo quanto imperfettamente la rappresentano ! Possiamo invero (O Cfr. pag. 27 e pag. 452 di questo volumi). Quinto libro ecc., pag. 102. l 8j Quinto libro occ., pag. 09. O) Quinto libro occ., pag. 83 o 87. l 5 > La lettera citata dol 23 gennaio 1888 al Diodati è stata, p. o., dottata all’A mbkogrtti, ma sot¬ toscritta (li propria mano da Gamlko: vedi Quinto libro eco., pag. 85. 566 AVVERTIMENTO. crederò clic il libro di Galileo no avrebbe compreso molti più che questi dodici, sebbene < iinpossibil ò indovinar quali e quanti > (l ; e Galileo, come pensa il Vi- viani, voleva forse avvivarli con la forma dialogica, comprendendoli nella prima dello Giornate ebe divisava aggiungere alle quattro delle Nuove Sciente™. Questi stessi dodici ci sono giunti incompiuti (5J ; e lo stile di essi (per non parlare del contenuto di alcuni) quanto fa desiderare elio Galileo avesse dato egli la veste al suo pensiero ! Noi li abbiamo, ad ogni modo, fedelmente riprodotti dalla copia di mano del Vivami, nel corpo di carattere die a prima \ista dimostra, non esser essi scrittura dottata dal Nostro: appiè di pagina abbiamo notato, quando ci parve mettesse conto, qualche raro errore u qualche grulla del codice, che ab¬ biamo corretti. Ai Problemi distesi da Vincenzio Galilei, e elio formano nel loro complesso un’operetta, per quanto imperfetta, non abbiamo creduto opportuno di unire quelli, piuttosto die problemi risoluti, ai quinti per lo risoluzioni, o anche sempli¬ cemente enunciazioni di quesiti, che abbiamo trovato disseminati qua c là nei manoscritti del Nostro, e che veramente sono da attribuire a lui; ma ci parve miglior consiglio pubblicare questi appunti tra i Frammenti di cui diremo tra poco. Riconosciamo in tali appunti (e alcuni riguardano gli argomenti stessi dei quali trattano i Problemi di Vincenzio Galilei) quei materiali die il grande ricercatore della Natura raccoglieva per l’opera divisata; e non ne mancano di quelli di cui ò lecito determinare con qualche precisioni* la data, e che confer¬ mano quanto risulta dalla lettera a Belisario Vinta, cioè che lino dagli anni, possiamo diro, giovanili Galileo andava pensando al libro < ile i problemi > (l) . In appendice a’ Problemi abbiamo invece dato ponto a un brevissimo ricordo d’una semplice maniera immaginata da Galileo < per cavar da un medesimo tino il vino dolco e maturo o far che vi resti l’agro >. 1 )ohhiamo questo ricordo, die non è inedito 0 ’, al Viviani, il quale lo scrisse in un suo zibaldone autografo ( ‘\ e a cui V < invenzione del Galileo > era stala insegnata da un altro discepolo del Nostro, Andrea Arriglietti. U) Quinto libro occ., pag. 102. (,) Quinto libro «oc., loc. cit. In principio «lei Problema ottavo *> promossa una dimostrazione, elio poi non ai trova (cfr. pag.fKM, Un. 1); al Probi orna duodecimo doveva tenerne dietro porlo mono un altro (cfr. pag. G07, (in. I): u corno dolla mancanza (lolla dimostrazione dopo l'ottavo non è da attribuire la colpa al manoscritto, da cui noi abbiamo quest’ operetta (cfr. la nota 1 a pag. fi04), cosi molto probabilmente nouiuioiio doli*esser u»>*a mutila in fine. Abbiamo veduto elio i fogli dell'ori¬ ginalo di mano di Vincenzio Galilii orano « iu nu¬ mero 11, che 3 scritti o S bianchi ». ,l * Affanniamo agli appunti elio pubblichiamo a pag. (133, lin. Il IN, o che »i leggono, autografi dei Noatro, iti inexzo a note, pure autografo o d'argo¬ mento non «ciontifico, che risalgono agli anni dolla dimora di (i aulico in Padova: cfr. Antonio Favaro, (istlilto dal Ufi « lo Studio di Padova, Fironzo, Sue- 06HS<»ri Iai Mounier, 18S3, voi. II, pag. 189. Fu già stampato dai Takuidni Tozzktti, ATo- tinir degli nyjmndimmti d*llr tcimteJìtiehc occ., In Fi¬ renze, MDCCLXXX, Tomo III, pag. 110, elio lo ricavò dallo zibaldone del Viviani di cui noi profittiamo. *•» Mix. del., Tomo CXXXV dui Vitcepoli, car.B r. Vedi pag. 6u7, lieta 1. AVVERTIMENTO. 5G7 Ai Problemi facciamo seguire i Frammenti di vario argomento, coi quali si compie redizione delle Opere scientifiche di Galileo. Vengono primo due serie di pensieri e di appunti (per la maggior parte inediti), talora alquanto sviluppati, talora contenenti quasi soltanto delle enuncia¬ zioni di questioni o dei titoli, e succedentisi alla rinfusa, senza alcun ordine d’ar¬ gomento, qua e là anche con ripetizioni, clic così abbiamo trovato, copiate di mano del Viviani, nei Manoscritti Galileiani, a car. 60r. elea car. 61r.-64#\ dei T. Ili della Par. VI. 11 Viviani nota in capo alla prima d’averla trascritta < da un mezzo foglio, scritto di mano del Galileo >, c in capo alla seconda av¬ verte: < Di mano di Mcsser Marco Ambrogetta in 4°, da 4 facciuole > : questa nota però, clic ci permette di assegnare tale scrittura con ogni verisimiglianza al 1037 o al 1038, non si può estendere a tutta la scrittura stessa; cliò di fronte ad alcune lince di essa il Viviani avverte : < Di mano del Galileo >, e di fronte ad alcune altre : < Di mano d* un servidore > (,) . Quella prima serie d’appunti porta in testa V intitolazione: « Nell’ arte navigatoria > ; ma nè tutto ciò che poi tien dietro, è relativo a questo argomento, nò mancano appunti attenenti all’arte navigatoria nella seconda serie. In questa troviamo, come sopra abbiamo accen¬ nato, le enunciazioni di parecchi dei problemi distesi da Vincenzio Galilei, e di molti altri ancora; troviamo appunti che riguardano gli argomenti di opere diverse del Nostro, a partire dalla scrittura sua giovanile sulla JBilancetta e ve¬ nendo fino ai Dialoghi delle Nuove Scienze e alla Giornata aggiunta Della forza della percossa (e uno di questi appunti ò anzi un frammento di dialogo, in persona del Sagredo) ; troviamo un elenco di Principia Arislotclis, e persino un motto < da porsi nel titolo del libro di tutte l’opere », cioè, crediamo, nel frontespizio della ristampa, da Galileo vagheggiata, delle sue opere, riunite in un volume. Non sarebbe stato difficile introdurre qualche ordine in tutta questa materia: ma noi non credemmo doverlo fare, poiché pensiamo che quel singolare disordine provenga, almeno in parte, non dal copista, ma da Galileo stesso, e rappresenti, quasi diremmo dipinga, il tumultuario avvicendarsi di tanti e sì diversi pensieri in quella mente, del continuo rivolta a investigare i mirabili e più svariati effetti della Natura. Tra questi appunti ve n’ hanno parecchi che riguardano i moti degli animali e gli errori di Aristotele nel libro De incessa cmimalitm (pag. 010, lin. 11-27, e pag. 612, lin. 9-11) : essi richiamano in modo speciale la nostra attenzione, perchè sap¬ piamo che su tale argomento Galileo aveva in pensiero di stendere una particolare scrittura. Uno dei < diversi opuscoli di soggetti naturali > che egli scriveva da Da- O) Vedi pag. 615, nota 1. Il «servidore * può ma tematiche, intorno a due Nuove Scienze, elio con- ossera Pisa Furbi, della cui mano ò uno squarcio tiene alcuni dei concotti stessi accennati in questo tra i Frammmti attenenti ai Discorri e Dimostrazioni appunto: cfr. pag. 441, lin. 1-15. r>r>8 A VV KRTIMKNTO. dova nella citata lettera a Belisario Vinta del 7 maggio lfiio, di avere tra i suoi scritti, era quello c do animaliuni motibus >; e tanti anni dopo, cioò il 23 gen¬ naio 1038, comunicava, nella lettera pur citata, ad Kiia Diodati: < bone ancora sul tirare avanti un mio concetto assai capriccioso, o questo ò di portare pur sempre in dialogo una moltitudine di postille fatte intorno a’luoghi più impor¬ tanti di tutti i libri di coloro che mi Anno scritto contro, ed anco di qualche altro autore, in particolare d’ Aristotile, il quale nelle* suo Questioni Meccaniche mi di\ occasiono di dichiarare diverse? proposizioni bello; ma molto più ancorarne no dit nel trattato De incessi* uni mali um t materia piena di cose ammirabili, come quelle elio soii latto meccanicamente dalla natura: e qui mostra, essere assai manchevole, ed in gran parte falsa, la cognizione die dall'autore co no violi data. > Anche questa scrittura però, che, secondo il Viviani. avrebbe dovuto esser com¬ presa nella quinta Giornata da aggiungere a quello delle JKuovc Scienze 1 ", rimase nella mento dell’Autore: nulla die ad essa si riferisse fu trovato fra lo carte di lui dopo la sua morte, o gli appunti a cui accennavamo ce ne possono dare sol¬ tanto una qualche idea. Ma poiché nel T. li (enr. lor.-lS/.) della Dar. Videi Ma¬ noscritti Galileiani ci ò stato conservato il principio d'unu scrittura di Pier Fran¬ cesco Uinuccini, scolaro e familiarissimo di Galileo, elio t> < un saggio fatto ad istigazione del Galileo cieco per introduzione all 1 esame sopra del trattato De interni aninialium , che esso Galileo voleva fare > (come in capo alla scrittura stessa si legge), così ci parve conveniente rii pubblicare anche questo < saggio >, quale appendice agli appunti trascritti dal Viviani, perciò) ò molto probabile che in esso siano svolti concetti comunicati al Uinuccini dal Nostro. Il manoscritto die co ne ò pervenuto ò copia moderna, della stessa mano di cui abbiamo la scrittura di Galileo A proposito di una macchina per pestare; ed è stato esem¬ plato dall' autografo del Rinuccini, elio questi aveva dato al Viviani dopo la morte di Galileo'". Noi 1’abbiamo fedelmente riprodotto, salvo Parer corretto i mate¬ riali errori delPamanuense, notandoli quasi sempre appiè di pagina. Agli appunti trascritti dal Viviani, ed all'Appendice ad essi relativa, segue buon numero di altri frammenti, dei quali alcuni furono gi:\ messi insieme, di mano d un copista del secolo XVII, in due logli elio ora sono nel T. II (ciuv5 a f.-G/. e 1 *Jdella Par. \ I dei Manoscritti Galileiani, c molti più abbiamo noi adu¬ nati, racimolando nei codici di Galileo, dove si trovano sparsi in luoghi differen¬ tissimi. Di quest ultimi, che in gran parte sono inoditi, i più sono autografi di Galileo; altri si leggono di mano di Niccolò Arrighotti o di Mario Quiducci, altri ll> Quinto libro ecc., pag. 102-103. M La circostanza della cecità di Uamlfo mo¬ stra elio la scrittura del Uinuccini ò posteriori' al 1037. Egli visitava di frequento il Maestro in Arcotri. ‘ 3) Cosi interpretiamo la nota che, della stessa mano del copista, si legge in principio (lolla copia o elio noi pubblichiamo in capo alla scrittura; e crediamo elio l'ama mio uso non abbia fatto elio tra- scrivere essa nota dal foglio autografo del Rinuc- Cini che aveva dinanzi, sul quale sia stata scritta dal Vivuni. Cfr. pag. 502, nota 2. AVVERTIMENTO. 569 ancora di mano di Vincenzio Viviani ed uno di mano di Vincenzio Galilei ; e i frammenti scritti dai discepoli o dal figliuolo del Nostro (come pure alcuni degli autografi) sono estratti da quei Tomi II e IV della Par. V dei Manoscritti Ga¬ lileiani, dai quali abbiamo ricavato i Frammenti attenenti ai Dialoghi delle Nuovo Scienze: altrove abbiamo addotto lo ragioni perchè dovemmo separarli dai loro compagni, con cui sono materialmente uniti (,) , ed altresì perché li attribuiamo a Galileo, anche se non ne sia rimasto V autografo <9) . Quanto a quelli messi insieme nel T. Il della Par. VI, e clic furono in gran parte, ma in maniera assai scorretta, già, più volte pubblicati, noi non dubitando della loro autenticità, per la quale fanno buona testimonianza gli argomenti interni clic possiamo desumere dai frammenti stessi, concorriamo nel giudizio clic ne fecero gli editori padovani del 1744, da cui furono messi primieramente in luce w : e congetturiamo che quella raccolta antica, i cui due fogli furono a torto disseparati da chi li legò nel Tomo elio ora li conserva, sia stata forse trascritta da appunti del Viviani (presso i cui eredi fu trovata nel 1744 (l) ), appunti simili a quelli lino a noi giunti nel T. IV della Par. V. Tale congettura è confermata dal fatto che uno dei frammenti del T. il della Par. VI si ritrova tra quelli di mano del Viviani nel T. IV della Par. V ; il qual frammento, altro non essendo che uno squarcio attenente alla cosidetta Giornata sesta Della forza della percossa, noi non lo pub¬ blicheremo qua appresso, ma già ne abbiamo profittato al suo posto (8) . Tutti questi Frammenti si riferiscono a soggetti disparatissimi : a rami vari di scienza, c specialmente a quegli argomenti che tennero più a lungo occupata la mente e V animo di Galileo; allo sue polemiche con gli avversari ; alla diuturna battaglia di tutta la vita contro gli eccessi della dottrina peripatetica. Ognun ca¬ pisce come sarebbe stato impossibile stabilire un ordine di rigorosa successione tra questi frammenti, e come, d’altra parte, si sarebbero potuti disporre in maniere diverse e secondo diversi criteri : a noi parve di accostare tra loro, formandone do’ gruppi, quelli che avessero affinità di materia o in cui si potesse scorgere eh’ erano stati ispirati dalla medesima idea, da uno stesso intendimento. Non abbiamo perciò esitato punto a separare tra loro quelli che formano la raccolta antica, per così chiamarla, del T. II della Par. VI ; anzi abbiamo persino collo¬ cato in luoghi diversissimi dei tratti che in quella raccolta si susseguono senza capoverso, perchè non apparisce che alcun criterio direttivo abbia guidato quei trascrittore. Per ciascun frammento indichiamo, in nota, in qual luogo ne’ codici, e di qual mano, si legge: ci siamo astenuti, secondo il nostro istituto, da illustra¬ to J)i uno dei Fremi menti olio pubblichiamo in quest* ultima parto del volume, e che si trova nello stesso manoscritto elio contiene i piil di quelli at¬ tenenti alle Nuove Scionzo, NrocrnA Aruiohktti av¬ verto espressamente: « Imoc prima propositio non est ìuotus materia ». Vedi png. CIO, nota o. (*i Vedi pag. 34 e SO di questo volume. < 3 ) Opere di GaIiUjKo Gai.ii.ki occ. In Padova, MDCCXLIV. Tomo 111, pag. 442-447. Cfr. la prefazione A chi legge uol Tomo I dol- 1' edizione padovana. (*i Vedi p&g. 343, nollo varianti. VUL 72 570 AVVKRTIMKNTO. 5 -ioni attenenti all’argomento, e che talora si sarebbero potute soggiungerò in ab¬ bondanza: bensì alcuni frammenti saranno ampiamente illustrati nel Carteggio. Di volta in volta abbiamo riprodotto fedelmente il manoscritto, correggendone sempre i materiali errori, che appiè «li pagina abbiamo notato per regola, quando il manoscritto era autografo di Galileo, ma soltanto in rari oasi quando avevamo dinanzi dello copie. Dagli autografi raccogliemmo anche le paiolo o i tratti can¬ cellati. 'LTa i Frammenti si leggono quattro postillo (pag. C25, lin. 1-4; pag. 627, lin. 17-19; pag. G37, lin. 3-9), che Galileo scrisse di suo pugno su esemplari di opere proprie od altrui. Non ignoriamo a questo proposito che nelle biblioteche si conservano parecchi altri libri, i quali • i giudicano postillati dal Nostro; ma, per quanto ci fu dato esaminare gli esemplari di cui si fa tale stima, possiamo altresì soggiungere, che, tranne i quattro casi or ora accennati e le numerosissime postille ad opere degli avversari di Galileo che abbiamo pubblicato nei volumi precedenti, quel giudizio è a (Tutto senza fondamento. K poiché era conveniente clic le postille polemiche alle scritture degli avversari fon-oro pubblicate a’luoghi che loro appartenevano secondo la ragione cronologica, così, non rimanendo per quest’ultima parte del presente volume che quell.- quattro, ri parvo meglio, piut¬ tosto elio riunirle insieme, distribuirle tra i liummeuh, iti posti che a ciascuna di esse singolarmente spettavano. INTORNO AULÌ EFFETTI DEGL’ STRUMENTI MECCANICI. A PROPOSITO DI DNA MACCHINA CON GRAVISSIMO PENDOLO ADATTATO AD UNA LEVA 0 ’. t Io non posso negare eh’ io non restassi ammirato e confuso quando, alla presenza del Serenissimo Gran Duca e degli altri Principi e Si¬ gnori, mi faceste vedere il modello della macchina da voi, in vero con sottilissima invenzione, immaginata e fabbricata per uso di supe¬ rare con piccola forza grandissime resistenze, e la quale allora era applicata a tirar su colla tromba con pochissima fatica quella mede- io sima quantità di acqua, che senza P aiuto della vostra invenzione molto maggior fatica ne richiedeva ; e quello dal che nacque la somma ammirazione, fu il vedere servirsi voi di un mezzo, che mi pare che a giudizio di ogni uno dovesse non agevolar V opera, ma grandemente difficoltarla. Attesoché quella forza che non è potente ad alzar cento libbre di peso, chi crederebbe che, aggiugnendovene, oltre allo cento, mille appresso, le alzasse tutte ? e quello che accresce lo stupore, che le mille aggiunte fosser quelle che avvalorassero la debil forza del movente? Le vidi, ed io stesso tentai con una sem¬ plice e poco pesante leva zancata di alzare il peso, credo, di 40 libbre 20 con una limitata forza, la quale non fu bastante per V effetto ; voi dipoi ingraviste la detta leva con più di 200 libbre di piombo, e tor¬ nando a far prova di alzare quelle primo 40 libbre coll’ istessa forza, si vedeva alzar questo o le 200 appresso dall’ istessa leva, la quale, stando pendente a perpendicolo, nello spignerla, fa il suo moto al- <*) Apponiamo noi i titoli alle seguenti scritture: di che cfr. l'Avvertimento. 572 SCRITTURE l’iu su: sicché, e lo replico coll’istessa ammirazione, quel peso di 40 libbre il quale una tal forza non poteva alzare con una tal leva non più grave di due libbre, la medesima forza francamente P alza adoperando P istessa leva fatta grave di 200 libbre. E perchè io, già gran tempo fa, mi era formato un concetto, e per molto o molte esperienze confermatolo, che la natura non po¬ tesse esser superata e defraudata dall’ arte, nel veder sì fatta mara¬ viglia restai ammirato e confuso: c non potendo quietar la mente nè deviarla dal meditare sopra questo caso, ho fatto un cumulo di vari pensieri, e risoluto di distendergli in carta e comunicarvegli ; accioc- io che, quando si veda in pratica e nella macchina grande la riuscita della vostra vera acutissima invenzione, io possa (ha ,voi essere scu¬ sato, e per voi scusato appresso gli altri, che le difficoltà che pro- muovorò non sono del tutto fuor di ragione, e se non concludenti, al¬ meno in parte verisimili ; e talvolta, quando, nel discorso che son per fare, fosso cosa che muovesse dubbio circa i vostri supposti o fonda¬ menti, possiate coll’ acutezza del vostro ingegno usarvi gli opportuni rimedi. Perchè da persona di onore vi affermo, o ne chiamo Dio in testimonio, che io assai più desidero la riuscita di questa invenzione e che tale strumento sia sopra tutti gli altri avvantaggiato, che l’op- no posito ; ancorché io mi sia lasciato intender in genere, tutte lo mac¬ chine esser dell’ istesso valore, quanto all’ effetto da farci formalmente, tuttavolta che si rimuovessero gl’impedimenti che si possono attribuire alla materia ; dal che ne séguita, che le macchine quanto più saranno semplici, tanto meno saranno sottoposte agl’ impedimenti, ed in con¬ seguenza di maggiore operazione. Quando io dico che la natura non permette di esser superata nò defraudata, dall’ arte, intendo (stando nella materia clic si tratta) che avendomi essa natura conceduto, v. g., 10 gradi di forza, che è quanto a dire virtù di pareggiare 10 gradi di resistenza, ella mi nega e non so mi permette per artifizio veruno il superarne nessuna che sia più di 10 gradi; e di più soggiungo che ella mi vieta l’applicare tutta la mia foiza di 10 gradi in superare o muovere mia resistenza che sia solamente 4 o (> gradi, o in altro modo minor di 10. E chi di¬ rebbe che, mentre con tutta la mia forza io strappo una cordicella, io tutta la medesima forza adoprassi o potessi adoprare in rompere 14 . ragione, se, e — DI DATA INCERTA. 573 un debole spaghetto ? o se con tutta la mia io alzo un peso di 100 lib¬ bre, la medesima io usassi in alzarne uno di 10 ? Questo mio primo detto, cioè che pur artifizio nessuno sia possi¬ bile che forza nessuna superi o muova resistenza alcuna maggiore di lei, pare clic abbia molte e molte esperienze in contrario, nelle quali vediamo, non senza maraviglia, con piccolissima forza muovere ed alzare gravissimi pesi. Consideriamo la stadera, dove apertamente si vede il romano, che non pesando più di 10 libbre, contrappesa ed alza una balla che no peserà più di mille. Guardiamo P ar- io gano : non si vedo egli colla forza di un uomo tirare in alto una pietra di 3000 libbre? E non è questo un superare coll’arte un’im¬ mensa resistenza con piccolissima forza ? Bene : ma io, Signor mio, da queste medesime esperienze argomenterò tutto l’opposito; e mi maraviglierò come quella balla di 1000 libbre non possa alzare il romano, che non resiste salvo che con 10, e che le 3000 della gran pietra non isforzino l’uomo, la cui forza è eguale appena al momento di 100 libbre. Da questi due strumenti dunque non si può cavare con più vera conseguenza, che l’arte guadagni 100 o 300 per uno, che ella scapiti e perda a cento o trecento doppi : dalle quali due 20 egualmente concludenti conseguenze, tra di loro contrarie, la vera conclusione da tirarsene è, clic 1’ arte, per quanto appartiene al far forza, non guadagna nulla sopra la resistenza della natura ; e quella stima che resta negli uomini proviene dal comodo e dall’ utilità che caviamo, attesoché mille volte il giorno ci serviamo del romano per alzare e pesar balle, e dell’ uomo per tirare in alto gravissimi sassi, e raro o non mai delle balle per alzare i romani, e do’ sassi per re- spignere indietro gli uomini. Ora è bene clic consideriamo in che consista 1’ aggiustamento fra T arte e la natura ; calcolo e ragione che è assai facile e chiara, men- 30 tre che tutto si ragguaglia colla velocità e tardità di moto, o vogliam dire tardità e lunghezza di tempo. E vero che un solo uomo, la cui forza ha momento per 101) libbre, alzerà e strascicherà per terra 10 mila libbre di peso; ma se noi avvertiremo quanto sia il viaggio che fa 1’ uomo, e quanto quello che fa la colonna, troveremo che quando questa si sarà mossa un braccio, il motore ne averà camminate 100, che è quanto a dire che il motore si è mosso 100 volte più veloce della colonna: dove si vede che, ragguagliando le partite, quando 574 SCRITTURE quel sasso si fosse diviso in cento parti eguali, ciascuna sarebbe stata 100 libbi’o, o però equivalente alla forza del motore, il quale, in cento viaggi di un braccio 1’ uno, avrebbe traportati i cento pozzi del sasso in distanza di un braccio, muovendosi con quella medesima velocità, cioè dentro al medesimo tempo. Il vantaggio dunque dell’ argano non è che e’ ci diminuisca la fatica o il tempo, ma che la colonna si con¬ duca intera e non in pezzi, i quali poi non si possono rattaccare ed unire in un solo, conforme al nostro bisogno : dove si vede che se il peso da condursi fosse di un vaso di acqua di 100 barili, poco o niun comodo mi apporterebbe il condurre coll’ argano tutta la gran io botte piena in un sol viaggio colla forza di un uomo, o condurla col medesimo uomo in altrettanto tempo a barile per barilo in cento viaggi, avvengachè 1’ acqua si rattacca insieme e torna in una sola massa come prima. Due altri modi, in apparenza diversi dal sopraddetto, par che 1’ arte abbia ritrovati per poter puro con pochissima forza superar resistenze grandissime. L’ uno è l’urto o vogliam dire il colpo o la percossa, alla quale par quasi che non sia resistenza che non ceda. L’ altro è il fare una, dii'ò così, conserva e cumulo di forze aggre¬ gate insieme : il che si fa quando, imprimendo io la mia fòrza, che 20 pongliiamo che sia di 10 gradi, in un mobile che me la conservi, torno ad imprimergliene altrettanta, sicché, congiunta co’primi 10 gradi, in quello che la conserva se ne trovano 20 ; e continuando d’impri¬ merne di volta in volta altri 10 e 10, si rauneranno nella con- sei’va 100, 200 e 1000 gradi di virtù, potente a superare resistenze grandissimo, contro le quali di niuno effetto era la mia prima virtù di 10 gradi. 1 er una tal conserva di forza accomodato esemplo ce ne dà il gravissimo pendolo da voi medesimo adattato alla leva, il quale, rice¬ vendo impulsi dalla debolissima fox’za, facendo di quelli conserva, ne ao la un cumulo, e per così dire un capitale, tanto grande, che soprab- bondantemente ne può andar poi distribuendo ed applicando a supe- xax 1 esistenze, quali la prima forza non bastava a gran segno di muovei e. Esempio della virtù e possanza degli urti no abbiamo in quelle viti colle quali si soppressane le rasce o si stringono le gab¬ bie dell’ ulive per trarne 1’ olio : le quali viti sul principio, mentre 2G. mia pura virtù, a — T)T DATA INCERTA. 575 la resistenza non è molta, si volgono con tuia piccola stanga; ma finalmente, crescendo, nello striglierò, la resistenza, conviene moltipli¬ care gli nomini ed usare una stanga maggiore, colla quale, spin¬ gendo, puro si gira la vite; sin che in ultimo, non bastando più il semplice impulso, si ritira indietro la grande e grave stanga, con la quale, con replicati urti, si arriva a cacciar la vite con que’ tre o quattro uomini, dove collo spignoro, senza urtare, non la caccereb- bero sei o sotto. Sopra queste due esperienze mi par che, con grande accortezza e io con sottil ragione, si appoggi il fondamento della vostra macchina: dove si vede, il gravissimo pendolo, quasi abbondante conserva di forze, po terno andar dispensando contin nani onte quella parte e quan¬ tità che è necessaria per superare la resistenza del peso che si dee alzare, e di più, servendosi del secondo benefizio degli urti, dopo es¬ sersi ritirato indietro, tornare, a guisa di gagliardo ariete, a rad¬ doppiare la percossa e l’impeto. Tutto questo mi par che sia con tanta industria o con tanta sottigliezza d’ingegno compartito, che quando ben l’effetto non rispondesse puntualmente all’aspettazione, io ad ogni modo anteporrei questa a molte altre invenzioni. E per¬ so chè io estremamente desidero che l’elfetto risponda all’ opinione, ho risoluto andar toccando que’ dubbi eli’ io non so risolvere, e che mi par che possano arrecare qualche intoppo all’ opera, acciocché voi (quello che non so far io) me gli rimoviate, e so ne avessero biso¬ gno, vi arrechiate opportuno rimedio. Rubicondo la vostra macchina artifiziosa al più semplice disegno eli’ io possa, per più chiara esplicazione del mio concetto, figuro que¬ sta DÀE esser una leva zancata, sospesa nel punto A ; dove in¬ torno ad un asse, o vogliam dire „ Fr so un perno, ella sia convertibile, \ sicché spingendo l’asta mag¬ giore AD verso AE, la zanca AE venga a urtare col termine E in un rampino Gr, dal quale penda il peso P da esser alzato, il qual po? bre ; suppongo poi, V asta AD es r, A u pongo, per esempio, esser 100 lib- i-, v. g., lunga 5 volte più della 4. vite ; sicché in, s — % 576 SCRITTURE zanca AE, o la forza clie dee muovere pongo minore assai della resi¬ stenza del grave P. Sia per tanto equivalente al momento di 5 libbre, sicché applicata nel termine I), spignondo verso F, non potrebbe col punto E alzar peso se non minoro di 25 libbre, e però impotentissima ad alzar il grave P, supposto esser libbre 100. A questa impotenza voi soccorrete col sommamente ingravire il braccio della leva Al), convertendolo in un pendolo grave di 400 lib¬ bre di peso, o di più ancora, se più ve no bisogneranno. Apparec¬ chiate questo cose, voi senza errore discorrete, ed in atto pratico osservato, che essendo costituito simil pendolo a piombo secondo il io perpendicolo AD, e sostenuto in A con un bilico osquisito, non è forza cosi piccola, che spigliendolo verso la parto F (tolto via il ram¬ pino e il peso P), non lo rimuova qualche, poco del punto!): operò, applicandovi la supposta forza di 5 gradi, si innoverà alquanto verso F, e lasciato in libertà ritornerà per sé stesso verso I), oltre al quale passerà poco meno d’ altrettanto verso P> quanto, per l’impulso da¬ togli, era pur ora andato verso F. E perchè tal impeto non si è per¬ duto, se coll’ istessa virtù di cinque gradi se gli aggiugnerà il secondo impulso, già ne averà 10, e più oltre trapasserà verso F; ed in somma, aggiugnendo impulso sopra impulso 4, 6, 10 e 20 volte, verremo ad 20 imprimer nel pendolo impeto tale, che ampliando le sue vibrazioni, nello scender dal termine 1* per 1’ arco BD sarà bastante a sollevare sè stesso, cioè 400 libbre di peso, per altrettanto spazio sino in F: e tutta questa virtù e impulso ò frutto della piccolina forza do’ 5 gradi, i quali è manifesto che, continuando gl’ impulsi, glie la potrebbero accrescere ancora o almeno perpetuare. Aggiungili amo adesso il rampino G col peso I* di libbre 100 : non ò da dubitare, clic scendendo il pendolo AB peli’ arco BD, ed incontrando nel punto 1), dove l’impeto suo è il massimo e il moto è il velocissimo, colla zanca AE il rampino G, gli darà d’ urto con tal forza, che ben per grande spazio solleverà il so peso P delle 100 libbre; e ritornando poi indietro verso 13, io a tempo colla replica e giunta de’ miei 5 gradi andrò mantenendo in vigore il pendolo e continuando l’opera. Ora, se il discorso vostro fondamentale procede così, mi si rap¬ presentano alcune difficultà, che mi muovono a dubitare. E prima, conceduto, del che non dubito, che nel pendolo sia stata fatta una conserva di forza potente a sollevare le sue 400 libbre di peso per DT DATA INCERTA. 577 tutto r arco DI' 1 , questo accatterà sempre tutta volta però di’ ei non trovi intoppo nel viaggio ; ma se passando por D urta colla zanca AE in una resistenza di 100 libbre, ancorché (piivi in I) sia il sommo vigore della sua forza, paro che pur glie ne debba in parte essere diminuita, cioè, s’io non m’inganno, la ventesima parte. Imperoc¬ ché, trovandosi il pendolo AB, quando è pervenuto in D, con impeto d’ alzare le sue 400 libbre sino in F, tal impeto ne alzerebbe colla zanca AE cinque volto tanto, cioè due mila, per essersi posto il brac¬ cio AB quintuplo in lunghezza della zanca AE : l’urto dunque nel io peso P, che è 100 libbre, detrae 100 dalle due mila, cioè la vigesima parte. Ritorna dunque il pendolo indietro colla vigesima parte manco dell’impeto col quale dianzi si partì, scendendo dal punto B: tal che nella tornata non ricalerà dal punto B, ma da altro H più vicino a 1) ; o P impeto, che fu come di 400 libbre, verrà ora come di 380, ca¬ vandone cioè le venti toltegli dall’ urto in G. Bisognerebbe dunque, per ristorar la perdita de’ venti gradi d’ impeto, restituirgliene altri venti; ma la forza del movente non ne ha da prestare se non cinque; adunque il pendolo, che nella prima scesa dal termine B si partì con impeto tale che arrivando in D si trovava con 400 gradi d’impeto, 20 in questo secondo passaggio ne averà solamente 385 : de’ quali il nuovo urto in G torna a levargliene venti (che tanti son quelli che son necessari per alzare il peso P), tal che i gradi 385 diventano 3G5 ; per lo che tornando indietro il pendolo non risalterà alla medesima altezza II, ma più basso, dove il motore gli somministrerà i suoi cinque gradi di forza; sicché, scendendo con 370, alzerà ben per an¬ cora il peso P, ma con perdita di venti gradi di forza : e cosi con¬ tinuando in ogni andata la perdita di venti ed il ristoro di cinque, in breve tempo inanellerà 1’ aiuto di costa del pendolo. Propongo, nel secondo luogo, un’ altra considerazione. Voi dite : so La forza che s’ adopra non è più di cinque gradi ; adunque colla pura leva DAE, della quale il braccio DA è quintuplo della zanca AE, non si può alzare più di 25 gradi di resistenza : ma la resistenza del peso P ò 100 gradi : adunque è impossibile alzarlo. Vero : ma ditemi, se con fare quattro parti del peso P non potrò io colla detta forza alzarne una per volta, e tra qnattro volte alzar tutto il peso, come col pendolo io 1’ alzava in un tratto solo ? Certo sì ; o P opera sa¬ rebbe ragguagliata, tutta volta che si potesse, nel tempo che col pen¬ dolo si danno, v. g., dieci impulsi, se ne dessero 40 con la leva sem- vm. 73 578 SCRITTURE plice : il che penso io che si potrà fare. Però considerate le seguenti particolarità nel pendolo. Prima, a voler che il momento della sua somma gravità lavori, bisogna ritirarlo indietro in gran lontananza dal perpendicolo AI), altrimenti l’urto suo ò debole; e questo tornare indietro da 1) verso li, colla tornata in D, è tutto tempo ozioso e gittato via: ma all’incon¬ tro la forza applicata in D alla leva leggiera è tutta utile, lavorando per tutto lo spazio che si spigne verso F. La gravità del pendolo fa che la forza non lo può brandire, nò far che le sue andate e tornate, cioè le sue vibrazioni, non sieno se non sotto un tempo limitato e assai io lungo, in comparazione dello vibrazioni che, apprendendo colla mano il termine D dell’asta leggiera Al), la forza potrà fare molto frequenti. Aggiungasi che se 1’ andata del pendolo non è per un grand’ arco, V impeto del pendolo scendente non acquista gran momento, o per breve spazio trapassa oltre AD verso F, e poco s’ alza la stremità della zanca E, ed in conseguenza poca è 1’ acqua elio si cava in una sgorgata : dove è da notarsi che l’impeto del pendolo sempre va di¬ minuendo nel montar su dal 1) verso F; ma la forza posta in D, spi- gnendo verso F, sempre è la medesima, sicché si può continuare quanto ne piace a fare la sgorgata lunga, e cavar in conseguenza più acqua. 20 Per concedere alla parte ogni maggior vantaggio che desiderar si possa per la ragione sua, io concedo, i membri di tutta la sua macchina, cioè macine, ruote, conocchie e leve, essere di maniera aggiustate librate e così proporzionatamente compartite, e più gli assi, i perni ed i poli esser tanto delicatamente lavorati, bilicati ed unti, che il tutto insieme, mentre abbia da camminar vacuo, possa esser mosso con qualsivoglia gran velocità da ogni mi Aima forza, da un soffio solamente : e questo si dee intendere trattone il pendolo, il quale, essendo un peso molto grave e dovendo nel muoversi esser alzato (il che non accade ad altro membro della macchina), non può so esser rimosso dal suo stato perpendicolare se non da qualche forza. E perchè tal pendolo ritiene per qualche tempo l’impeto che suc¬ cessivamente gli viene dalla virtù movente contribuito, io (persistendo nella medesima larghezza, di concedere alla parte ogni maggior van- 9. non la può, s — DI DATA INCERTA. 579 faggio) voglio supporre che tal tempo sia una eternità, quando da esterno impedimento non gli venisse fatto resistenza ed intoppo ; sic¬ ché finalmente, in virtù di tal impeto impresso nel pendolo, anche tutto 1’ ordingo insieme fosse atto a muoversi in perpetuo, muoven¬ dosi però vacuo da ogni operazione. Ma quando si levi il pendolo e si aggiunga sotto la macine il grano da frangersi, perlochò ella non si muova più nella sola aria libera, ina urti negli intoppi de’ grani frapposti, ò ben necessario concedere che per far 1’ effetto, o conti¬ nuare l’operazione del macinare, il primo movente vada continuando io di far forza, e che dovo prima, per mia concessione, tutto 1’ ordigno, rimossone il pendolo, doveva andare a voto, aggiuntovi ora la resi¬ stenza del grano, abbia bisogno d’una determinata e non minor virtù movente. Determini dunque la parte quanto debba esser almeno tal virtù, e chiamisi, v. g., dodici gradi, sicché da virtù minore di dodici gradi il grano non potrobbe esser macinato : e però possiam dire che la resistenza di esso grano, nell’ atto dell’ esser macinato, pareggia dodici gradi di virtù movente, senza che niente gli avanzi ; e questo s’intende, lavorando senza il pendolo. Ma considerando la parte come il pendolo è in un certo modo una conserva inesausta di virtù (poi- no che egli è atto a ritenere eternamente qualsivoglia impeto una sol volta conferitogli), e di più vedendo come, col farlo più o più grande e pesante, si può esso ridurre ad esser atto a ricevere e conservare maggiore o maggior numero di gradi di virtù, e elio perciò tal immensa virtù gli può esser impressa anco da pochissimi gradi di forza motrice, coll’ andar successivamente più e più volte facendogli impeto ; considerando, dico, la parte cotali accidenti, ha creduto, col- l’intervento del pendolo poter far l’istosso effetto, nel macinare, con forza minore di dodici gradi (che per supposizione è la minima che possa macinare senza il pendolo). Ora, posto il pendolo capace d’ ogni so gran numero di gradi di virtù, determini la parte quanta forza vuol che sia quella del primo movente, del qual ella si vuol servire, e quanti gradi ella ne voglia imprimere e depositare nella conserva del pendolo innanzi che si cominci a mandare il grano sotto la mola : sia, per esempio, cento gradi. Or cominciando 1’ operazione, dia il movente il primo impulso, col quale e’ innoverà il pendolo dal suo stato primo perpendicolare e lo solleverà tanto, che nel ritorno averà acquistato due gradi di virtù, quanto è quella del movente (che se 23. gradi e di virtù , s — 35. e*si innoverà, s — 580 SCRITTURE la parte credesse oh’ e’ ne acquistasse più, non occorrerebbe dar più impulsi ; perche ritornando il pendolo verso il perpendicolo, ed avendo egli concepito più di duo gradi di virtù, trapasserebbe, spinto da sé medesimo, dall’ altra banda del perpendicolo per maggiore intervallo che non fu quello del primo impulso, datogli da duo gradi soli del movente, e così successivamente si onderebbe da sè stesso avanzando nell’impeto infinito, elio è grande assurdo): ma perchè questa virtù ò impressa nel pendolo indelebilmente, tornando il movente a dargli un altro impulso, gl’ imprimerà altri due gradi di virtù, sicché già ritornerà con quattro ; e nel terzo impulso ne acquisterà altri due, io sicché saranno sei; e successivamente in 50 spinto acquisterà i cento gradi di virtù, in sò stessa perpetua, quando bene il movente ces¬ sasse, pur che non gli fosso opposto alcuno intoppo. Or continui pure il movente la sua operazione, e comincisi a mandare il grano sotto la mola, la resistenza del qual grano, per la supposizione, pareg¬ gia 12 gradi di virtù movente. Adunque nel tempo d’uno impulso il movente conferisce due gradi di virtù; ma il grano ne arreca dodici di resistenza; però a i cento gradi d’impeto del pendolo ne saranno levati dieci, ond’ egli opererà con novanta solamente. Ma nel se¬ guente impulso il movente no aggiugne duo, e il grano pur ne ri- 20 muovo dodici, sicché il pendolo si riduce a lavorar con ottanta ; e così conseguentemente, levando il grano cinque volto più che non rimette il movente, in manco tempo di quello di novo impulsi sarà finita la virtù e fermato il mulino, il quale non cominciò a macinare se non dopo il tempo di cinquanta impulsi : e così in tale operazione si sarà buttato via circa i 5 / # del tempo, anzi molto più ancora, se noi meglio andremo considerando il tutto. Sarebbe tale il dispendio del tempo, quando la virtù adiutrice del pendolo prestasse il suo aiuto continuatamente, siccome la resistenza del grano senza intermissione continuatamente impedisce : ma il pendolo circa agli estremi termini 80 delle suo andate, nelle quali 0 ’ si riduce allo stato di quiote, pochis¬ simo o nulla opera, facendo forza colla sola sua gravità, privata di velocità di moto, la qual velocità egli ancora languidamente racquista mediante la resistenza del grano ; dal che no seguita che i suoi impulsi sono interrotti, e che buona parte del tempo si spende oziosamente. Ma dirà torse 1’ avversario, poter pur ricever comodo dal pen¬ dolo, sebben non così grande quanto sarebbe il già detto, che era 1. e’ non acquistasse, a — DI DATA INCERTA. 581 il poter fare, mediante F aiuto del pendolo, con due soli gradi di forza quello che sena’ esso si farebbe con dodici gradi; ma dirà, ciò potersi ottenere colla forza di dieci gradi. Ma io, replicando il medesimo discorso, mostrerò, questo esser impossibile, dichiarando che se in dieci impulsi s’imprimono nel pendolo cento gradi d’im¬ peto, operando senza grano, all’ incontro nel tempo di 44 impulsi susseguenti la resistenza aggiunta del grano fermerà il macinare : perchè mentre la forza de’ dieci gradi moventi fa un impulso tale che i 100 rimangano 98, e scemandone due nell’altro impulso riman- io gano 9G, e finalmente al quarantaquattresimo impulso si riducano a dodici, i quali vengono pareggiati dalla pura resistenza del grano. E tutto questo segue quando la macchina tutta fosse libera da tutti gl’ impedimenti esterni od accidentari, conforme alla vantaggiosa sup¬ posizione fatta a principio : la qual cosa è del tutto falsa e impossi¬ bile ; anzi gl’ impedimenti son eglino pur molti e molto grandi, me¬ diante i tanti toecamenti di denti con ruote e conocchie, di fusi con perni, di poli con sostegni, e dell’ immensa gravità stessa delle ruote e delle macine : tal che assolutamente la forza movente meglio e più. validamente opererebbe senza il pendolo, e meglio ancora lavoran¬ do dosi con una sola e semplice ruota dentata, che toccasse un solo rocchello, adattato nel fuso della macina. INTERLOCUTORI. SALVIATI, SAGREDO. Salv. Non so s’io m’ abbia ben capito la struttura o la maniera d’operare di questo nuovo strumento, per sollevare con poca fatica pesi gravissimi : dirò ciò che apprendo, e voi supplirete in quello eh’ io mancassi. Nel proposto disegno, il peso da essere alzato ò que¬ sto notato A, posto essere di cento libbre ; questa ODE si figura essere una leva zancata, convertibile intorno ad un perno stabile, fermato so in 1) ; il braccio maggiore, che pende, cioè la lunghezza DE, si pone esser quintupla del minore CD ; la forza movente, applicata nell’ estre¬ mità E, è eguale al momento di cinque libbre di peso. Ora, astraendo dal peso della leva, cioè supponendo eh’ ella non pesi nulla, è mani¬ festo che la forza posta in E, non avendo maggior momento che l’equi- 582 SCRITTURE valente di cinque libbre, spignendo contro al grave A, non potrà col- l’estremità C alzar più di venticinque libbre, anzi sostenere; inai’A c „ ò cento, dunque lontanissimo j jl\ ■ • -, dall’esser mosso da cinque. Per far dunque che questa piccola 1 forza o momento superi la quat¬ tro volte maggiore resistenza o momento, servendosi pur del- P istessa lunghezza di leva, si ha P autor della macchina (in vero io con sottile avvedimento) immaginato di sommamente ingravire il braccio della leva DE, e dove si supponeva esser senza gravità, con¬ vertirlo in un pendolo di quattrocento o più libbre, figurato per DEG; ed accomodando al peso A un rampino lì, sotto il quale vadia a urtare l’estremità C della zanca DC, ha senza errore compreso, elio mentre il pendolo sia a piombo, ogni minima forza lo può rimuovere dallo stato perpendicolare, nel quale poi, mercè della propria gravità, lasciato li¬ bero, ritorna non solamente, ma oltre ili quello trapassa quasi altret¬ tanto, quanto dalla detta forza ne fu allontanato : dal che ne seguita, che se nel ritorno, che per sè solo farebbe, so gli applicherà il secondo 20 impulso della medesima forza, trapasserà lo stato perpendicolare di assai più che prima ; ed aggiugnenilo poi al secondo ritorno il terzo impulso, e cosi successivamente continuando gl’ impulsi a tempo pro¬ porzionato a’ritorni, piglierà, a guisa di campana, frega ed impeto tale, che sarà bastante a sollevare in ciascuna sua vibrazione non solo il proprio peso delle quattrocento libbre, ma, urtando coll’ estre¬ mità della zanca C nel rampino lì, alzerà il peso ancora delle cento di A ; e la forza movente, benché non superiore al momento di cinque libbro, lavorando in E, conserverà e continuerà perpetuamente l’im¬ peto del pendolo, col quale, come si voile in ogni vibrazione, leverà 30 su il peso di cento libbre del peso A col solo peso di cinque. Non so s’io m’ abbia bene inteso e spiegato il concetto dell’ autore. Sagù. Inteso, per quanto credo, e spiegato benissimo. Ora che dice Y. S. d’invenzione così bizzarra ? Salv. Dico che ha sembianza d’ una dello più ingegnose che inai siono cadute ne i più svegliati ingegni ; perchè il sentirsi dire « Mentre che colla leva DE tu non sei potente ad alzare la quarta parte del 6 - 7 . superi le quattro, b — DT DATA INCERTA. 583 peso A, io voglio far sì che coll’istessa, e nell’istesso modo usata, tu no alzi non solo le cento di A, ma quattrocento altre appresso, e che queste quattrocento rìoii quelle che ti avvalorino », pare elio trapassi tutte le immaginazioni. Ma vorrei io qui sapere se l’inven¬ tore termina qui l’uso di tale invenzione, o pur 1’ adatta a qualche particolare, con notabile acquisto sopra la facoltà d’altre macchine indirizzate a simili effetti di alzar pesi. Saor. lo credo, e così panni, che la macchina si potrebbe appli¬ care a varie operazioni, una delle quali, che per ora lia nell’inten¬ to zione F autore, è di applicarla ad una tromba per alzar 1’ acqua ; dove il solido A rappresenta il zaffo, con tutto il peso dell’ acqua da alzarsi. E più manifestamente si scorge, che in virtù del pendolo ad ogni sgorgata si potrà buttar fuori gran quantità d’ acqua, cosa che senz’ esso non si farebbe. Salv. Tutto cotesto è verissimo : ma crede V. S. che per ciò tale strumento sia bastante a cavarne notabil quantità più d’ ogn’ altro ? perchè dal discorso fatto sin qui par che si possa concludere un ec¬ cesso grandissimo, giacché colla tromba circoscritta in virtù del pen¬ dolo se ne caverà gran copia, o senz’ esso nè pure una gocciola. 20 Saor. Una differenza tanto grande, quanta è dal molto al niente, mi conturba, e mi fa entrare in sospetto che sotto così speziosa e mirabile apparenza non s’ asconda qualche gran fallacia : però non so che mi rispondere. Salv. Credo che il vostro sospetto non sia vano, anzi tengo per fermo che non pochi altri strumenti, nel presente caso di alzar acqua, non saranno inferiori a questo ; ma per non avere a fare lunghi di¬ scorsi nel paragonarlo con altri molto diversi, voglio che trattiamo d’una simil tromba, la quale lavori coll’ istessa leva zancata, privata e libera dalle quattrocento libbre del pendolo e da ogn’ altro peso. 30 Ma prima che passar più avanti, penso di poter mostrare a V. S., con certa genoral considerazione, come veramente è forza che nel discorso sopra fatto si occulti qualche fallacia. Però ditemi, se (ri¬ mosso il peso A) applicata una limitata forza equivalente, v. g. di quattro libbre di peso, a spignere e far vibrare il pendolo DE di peso di quattrocento libbre, vi sia necessaria una distanza determi¬ nata, oltre alla quale non sia possibile passare. Saur. Circa questo che V. S. mi domanda, stimo primieramente, che non solo il momento delle quattro libbre di forza sarà bastante .584 SCRITTURE a rimuovere il pendolo dalla quiete, cioè dallo stato perpendicolare, ma die ogni minima elle se gli applichi ne lo rimuovere, la quale poi, secondo che sarà maggiore, per maggior distanza lo sospignerà. Inoltre, so nel ritornare indietro, che farà esso pendolo per la pro¬ pria gravità, la detta forza lo risospignerà, lo farà slontanare ancor più dal perpendicolo, ma però una forza molto inferiore al momento della gravità del pendolo, quale è la proposta di quattro libbre, v. g. d’ un arco di dieci o dodici gradi, oltre al quale noi potrà giammai far sormontare. Sai.v. Così è necessario che sia. Ma quando, levato il peso del io pendolo, la leva DE restasse leggierissima, e quella medesima forza delle quattro li Libro se gli applicasse, sino a quanto allontanamento dal perpendicolo la potrebbe sollevare? Sacìr. Potrebbe accompagnare per tutto un intero quadrante e più. Sat.v. Or torniamo alla figura col pendolo : o posto che esso dal momento delle quattro libbre di forza non potesse, nè accompagnato nè vibrato, muoversi oltre a dieci gradi, quando la distanza CB, tra la zanca DC e il rampino IL, fosso di dieci gradi (lei cerchio de¬ scritto dalla linea DO intorno al centro D, l’estremità C, cacciata dalla vibrazione del pendolo, non vi arriverebbe inai, e in conso- 20 guenza mai non verrebbe alzato il peso A, quando ben fosse sola¬ mente un’ oncia. Ma consideriamo adesso quello che si potrà fare colla medesima leva zancata, rimossone il peso del pendolo: c perchè si è concluso che lo quattro libbre di forza potranno sospigner la leva non solo oltre a dieci, ma oltre a novanta gradi, quando P estre¬ mità 0 della zanca arriverà al rampino B, essendo la leva ED quin¬ tupla della zanca DC, la forza quattro potrà levar venti di resistenza che fosse in A. Ecco dunque scoperto come nel discorso fatto di sopra ci è sotto qualche fallacia: poiché in quello si concludeva, che la me¬ desima leva in virtù del gravissimo pendolo alzava gran peso, e so senza il pendolo non alzava nulla ; ed in questo, per 1’ opposito, si dimostra, che la giunta del grave pendolo toglie del tutto il poter alzar gran peso, che seuza il pendolo comodamente si solleva con quattro di forza. La proposizione dunque universale, che la gravità aggiunga forza alla leva nell’ alzar pesi, è falsa. DI DATA INCERTA. 585 A PROPOSITO 1)1 UNA MACCHINA PER PESTARE Molti comodi, e di grandissima utilità, son provenuti in diverse arti manuali dagl’ istmimenti mecanici, od altri se ne possono alla giornata sperare dai professori perfettamente intelligenti d’essa scienza mac- chinatrico. Ed ho dotto professori perfettamente intelligenti, perchè altri, che s’applicano a nuove invenzioni svegliati solamente da certo na¬ turai talento, ma privo dello ragioni mattematiche, le quali intrinse¬ camente dimostrano la natura dei primi e semplici strumenti dei quali le altre macchine si compongono, possono facilmente restare ingan¬ ni nati dai lor pensieri, e spender vanamente il tempo, le fatiche ed i denari: e di questi il numero è grande; e sarà sempre di tutti quelli che credono con la loro arte poter defraudare la natura, cioè poter, o con minor fatica, o con minor dispendio di tempo, effettuare quelle operazioni che senza la macchina non potrebbono effettuare se non con più fatica o in maggior tempo, cosa che, assolutamente parlando, è del tutto impossibile. In quest’ errore (se non son io quello che erra) mi par che si trovi involto l’artefice, che avendo veduto quattro pi¬ stoni soli da polvere esser fatti lavorar da tutta la forza d’un uomo, si è persuaso, in virtù d’una sua macchina moltiplicar tanto la forza so del motore, che ei ne faccia lavorar sedici; e tanto maggiormente si è confermato in tal suo pensiero, quanto che realmente ha fabbricato la macchina, e visibilmente ne mostra l’effetto: l’effetto, dico, di far andar sedici pistoni con la forza di un sol uomo. Ora, scusando pri¬ mieramente la fallacia dell’artefice, dependente invero da una molto probabile apparenza, cercherò, comandato da chi sopra di me tiene assoluto imperio, di scoprire la fallacia, traendo insieme l’artefice d’errore. » W Vedi la nota 1 a pag. 571. Vili. 74 580 SCRITTURE E facendo principio da una proposizione elio può parere, nel primo aspetto, molto stravagante, dico che (pici pestatoli, che l’artefice mi dice lavorar, quello con quattro pistoni, quello con sedici, e altro, se vi lusso, con conto, non ò vero che uno pesti con quattro, l’altro con sedici ed il terzo con cento, ma tutti pestano con un piston solo, e non più; od ò corno so duo, pestando, uno desso i colpi sempre con il medesimo pistone, o l’altro ad ogni colpo lo scambiasse: dove gran semplicità sarebbe il diro (por quanto appartiene all’opra del pe¬ stare o poco o assai) elio uno pesta con un pistone solo, e l’altro, v. g., con quattro, o che per ciò questo fa quattro volte più lavoro io di quello. Voro sarebbe questo, quando costui alzasse li quattro pi¬ stoni tutti insieme, e che con ossi desso lo botto così frequenti quanto l’altro con quel solo. Avverta dunque l’artefice elio la moltiplica¬ zione del lavoro non consiste nella, moltitudine dei pistoni, ma nella frequenza dolio pestate; che tanto lavora un piston solo «pianto mille tutta volta che il solo darà mille colpi in «puoi medesimo tempo che i mille ne daranno un per uno. Ora, venendo alla sua macchina, con la quale mi dice far lavoro per quattro di quell’altre, atteso elio colla forza di un uomo fa andar, la sua sodici pistoni, e l’altra quattro solamente; dico che, 20 come ei non vuol altro, io farò che il medesimo uomo ne faccia an¬ dare non solamente li sedici, ma venti, trenta e quaranta, coni’am¬ pliare la ruota della volanda, ingrossare l’asse e crescere il numero de’ suoi denti, che 1’ uno doppo 1’ altro successivamente alzano i pi¬ stoni : questo effetto, dico, lo farò io, ed esso ancora ; ma non creda per questo di accrescer l’effetto del pestare il carbone 0 salnitro in maggior quantità dentro il medesimo tempo. Por crescer l’opra, bisogna crescere non il numero dei pistoni, ma il numero delle pe¬ state : se dunque c’ vuol elio io intenda ed affermi che la sua mac¬ china da sedici pistoni opri quattro volto più dell’altra dei quattro, so bisogna che mi faccia vedere che nel tempo medesimo che l’altra fa dare una botta per uno ai suoi quattro, la sua faccia darò una botta per uno ai suoi sedici, che ò il medesimo che dire clic nel tempo che la piccola ruota dell’altra macchina dà una volta, anco la sua grande ne dia parimente una; che quando, por la minore resi¬ stenza, il motor facesse dare quattro girate alla piccola ruota men¬ tre che la grande ne desse una sola, 1’ operazione sarebbe del pari, DI DATA INCERTA. 587 perché le botte sarcbbono sedici tanto dell’ una quanto dell’ altra macchina : e così son sicuro che succederà l’effetto, quando la volanda de’ quattro pistoni sia fatta con la debita proporzione rispetto all’uso suo, che è di moderare gli urti de’denti dell’asse in quelli do’pi¬ stoni, sì che meno ne vengano offese le braccia del movente. Anzi voglio mettere in considerazione all’artefice, che il pensiero suo, di agevolare ancora più l’operazione con il crescere e di grandezza e di peso la volanda, è, per mio credere, per partorirne effetto tutto contrario alla sua intenzione: il che dichiarerò io Due sono le resistenze che si hanno a muovere.: l’una ò dei pistoni, e l’altra è della volanda. Quella dei pistoni non si accresce o dimi¬ nuisce per crescere o scemare il lor numero, tutta volta però che se ne abbia da alzare uno per volta; chè così tanto è che i pistoni siano uno, quanto venti. Resta dunque la considerazione della volanda, la quale, sendo figurata in una ruota ohe ha da girare sopra il suo asse, può essere più o meno resistente, secondo che ella sarà più grave o più grande: perchè, di due ruote del medesimo peso, ma l’uua di maggior diametro dell’altra, la maggiore resisterà più al moto, e dalla medesima forza verrà mossa più tardamente, in quel modo che 20 per ritardare il tempo dell’orivolo basta allontanare i due piombi dal centro; di quelle poi di egual grandezza, ma disegnai peso, la più gravo verrà dalla medesima forza mossa più lentamente. Ora, mentre l’artefice voglia ampliare ancora più la sua gran ruota ed ingravida con altri piombi, farà che ella necessariamente non si innoverà se non tardamente ; che è l’istesso che dire che i pistoni in molto tempo daranno manco botte. è DI ALCUNI EFFETTI DEL CONTATTO E DELLA CONFRICAZIONE Credo ohe più ordinatamente o con maggioro brevità] si po¬ trebbe proporre o risolvere la prima quistione: nella quale, circa l’or¬ dino, par superfluo il dir da principio SU sphacra ABC amstituta super circulim DB, tornando poi poco sotto a dire Deinde constituamus, ipsam sphaerani tangere circuium DE in eod&tn pimelo [/], il clic quando sia l'atto, è manifesto che la retta dal centro 11 al contatto 1 è perpen¬ dicolare al piano DE ; onde non par ben detto che a centro 11 ad con- tactwm I ducatur pcrpcndìcularis ipsi plano DE, e massime adducendo la 18 del 3°, dove non si tratta nè di sfere nò di piani, ma solo di cer- io chi e di linee. Però forse con maggior proprietà geometrica si po¬ trebbe ordinare e risolvere il tutto così: SU cylindri redi et ad ori- zonteni eredi DEEti superior barn circulus DE, ctiius centrimi I, et am KI; sitque sphacra ABC, cylindro supcrimposita, ipsumque tangens in centro I : dudaque ab I ad centrimi sphacrae H (quod et magnitudini et gravUatis est centrimi) roda III, constai, lume ad basini DE esse perpen- dicularevi, et in diredum axi KI Quod attieni in circumvolutione cylindri sphacra immobilis persistat, constai ex eo gaia super immolo consista : talis enim est axis cylindri, cuins terminus superior est centrimi circuii DE, cui sphacra inhaeret. 20 La verità di tal conclusione, presa in astratto, non veggo che si possa negai’e; ma perchè mi pare clic V. S. la pigli in concreto, trat¬ tando di materie gravi realmente, come sassi o metalli, dubito gran¬ ii* s phMre 1 /. Tra dircetum 0 axi ni legge, cancellato, ipsi. — 19. cilindri — 20. increi — ' Apponiamo noi guctilo titolo: l’autografo non ne porta alcuno. scritturi; di data incerta. 58'J demente che il negozio lusso per succedere altrimenti, cioè che non solo quando l’incumbente solido lusso un prisma o cubo, conio olla pone nel secondo luogo, ma anco delPistossa figura sferica. Imperò che, sia pure ossa sfera di materia quanto si voglia dura, conio di bronzo o di porfido, ed il piano, medesimamente, del cilindro, terso e durissimo ; nel posare la sfera sopra tal piano, gravata dal proprio peso, non resterà con un contatto di un punto indivisibile, ma o in¬ caverà la superficie del cilindro, o ammaccherà la propria, o farà l’uno e l’altro. Il quale accidente io argomento dall’esperienza, mentre io veggo palle di porfido, cadenti da alto sopra piani durissimi, ribal¬ zare gagliardamente : argomento che, sì come accade nel pallone ben gonfiato, la superficie di tal palla s’inflette alquanto, od anco quella del piano soggetto ; nel ritorno delle quali 2 superfìcie al suo pristino stato, disfacendo l’arco e la inflessione, sospingono in alto essa palla: la, quale, accompagnata dall’ impeto guadagnato nello scender da alto, foce ammaccature, nella propria superficie e nel piano suggetto, mag¬ giori che non fa nel solo posarvisi con la propria gravità, ma pure anco con questa vo lo fa. Sì che, occupando il contatto di tal palla non un punto solo, ma una superficie circolare, ed essendo di più la co palla convolubilissima circa ’l proprio centro, io tengo per fermo che alla conversimi del cilindro, e massime quando il moto fusse tardis¬ simo, essa palla ancora si laseerebbe trasportare. L’istesso, o molto più, stimo che accaderehbe del cubo o paralle¬ lepipedo posatovi sopra ’l medesimo cilindro, e questo mediante la confricazione delle 2 superficie, la quale non veggo che si possa far tanto debole, che si riduca come se ella non vi fusse e come che le 2 superficie non si toccassero. Il che mi par che si possa argumentar da questo: che se noi intenderemo una superficie pulitissima, come, v. g., di uno specchio, piana e situata orizontalmente, sopra la quale 30 sia posata una palla perfettissima e un dado parimente pulitissimo, quando tal superficie, incliuandosi, benché poch[issimo], si rimuova dall’esser parallela all’orizonte, la palla scenderà senza dubio, ma non così farà il dado; e questo perchè la palla, girando, andrà mutando Bempre contatto senza alcuna confricazione; ma il dado, non potendo scendere senza che una delle sue facce vadia continuamente confrican¬ dosi con quella dello specchio, credo che troverà per tal confricazione 8, 21. oylindro —15. dal proprio impeto [proprio ò cancellato]. — 500 SCRITTURE DI DATA INCERTA. intoppo: 0 quando ciò sia, posato sopra ’l cilindro si loscerà traportare, non potendo ussero elio la confricazione si faccia senza resistenza nis- suna. Parmi anco che, trattandosi di corpi materiali, sottoposti a varii accidenti oltre al peso o alla figura, si dovano porre essi ancora in con¬ siderazione: imperò che, oltro alla scabrosità o politura di superficie, per le quali agevolmente o con resistenza possono soffregarsi, veg- gliiamo gran differenza derivare dall’ esser tali superficie, o [mercè] di qualche vapore oleoso, elio lo rondo lubriche, o di qualche altro acido, c.Ilo lo allega, esser quello pochissimo resistenti, e questo assais¬ simo, alla confricazione. Guardisi qual sia la [lubricità della pelle io [dell*] anguille, e la renitenza al tagliare d’un coltello elio abbia so¬ lamente tagliato qualche frutto, e massime agro. La sfera 1 ” sopra un piano ad ogni piccola inclinazione scende, ma non così una piastra: sogno doli’aderenza ili tutto le parti. Nota la differenzia tra la confricazione dello parti o la convolu- zione, dove sempre si muta contatto. 11 mobile code alla confrica¬ zione; e però la sfera si moverà al moto del cilindro, o molto più il cubo. 13. scenda — 0) Quanto segno si legge, di mano di perirne della carta clic contiene la prece* Galileo, come un appunto sul margine su- dento scrittura. » SOPRA LE SCOPERTE DE I DADI a) . Che nel giuoco de’ dadi alcuni punti sieno più vantaggiosi di altri, vi lia la sua ragiono assai manifesta, la quale ò il poter quelli più facilmente e più frequentemente scoprirsi die questi, il che depende dal potersi formare con più sorti di numeri : onde il 3 o ’l 18, come punti che in un sol modo si possono con 3 numeri comporre, cioè questo con fi. fi. 6, e quello con 1. 1. 1, e non altramente, più difficili sono a scoprirsi elio, v. g., il 6 o ’l 7, li quali in più maniero si com¬ pongono, cioè il 6 con 1. 2. 3 e con 2. 2. 2 e con 1. 1. 4, ed il 7 io con 1. 1. 5, 1. 2. 4, 1. 3. 3, 2. 2. 3. Tuttavia, ancor che il 9 e ’l 12 in altrettante maniere si coinponghino in quante il 10 e l’H, per lo che di eguale uso devriano esser reputati, si vede non di meno che la lunga osservazione ha fatto da i giocatori stimarsi più vantaggiosi il 10 e P 11 che ’l 9 e ’l 12. E che il 9 e ’l 10 (e quel che di questi si dice, intendasi de’lor sozzopri 12 e 11) si formino con pari diver¬ sità di numeri, è manifesto : imperò che il 9 si compone con 1. 2. G, 1. 3. 5, 1. 4. 4, 2. 2. 5, 2. 3. 4, 3. 3. 3, che sono sei triplicità; ed il 10, 3-4. quelli più facilmente e più frequentemente scoprirsi che questi fu corretto in luogo di laro più facilmente e più frequentemente scoprirsi, che prillili Galileo aveva scritto. — 4. Tra questi c il si legge, cancellato, Onde, v. gr., il G. — 5. Tra potersi c formare prima aveva scritto tali punti, che poi cancellò c corresse in quelli; da ultimo cancellò anche quelli . — 7. In luogo di G.6.G prima aveva scritto 3 sci; o in luogo di 1.1. 1 aveva scritto 3 assi. — 11. Tra maniere, o si leggesi, cancellato, e diversità di numeri. — 12. In luogo di uso prima aveva scritto stima. — 13. In luogo di stimarsi più vantaggiosi prima aveva scritto più vantaggioso stimarsi. — 0) Intorno a questo titolo, che appo- grafo di Galileo non porta nò questo nò ni amo noi, veggasi rAvverlimcnto. L* auto- alcun altro titolo. r»02 PCTUTTUKE con 1. 3. fi, 1. 4. 5, 2. 2. fi, 2. 3. 5, 2. 4. 4, 3. 3. 4, o non in altri modi, elio pur sono fi combinazioni. Ora io, por servire a chi mi ha coman¬ dato elio io dova proibir ciò che sopra tal difficoltà mi sovviene, esporrò il mio pensiero, con speranza non solamente di scior questo dubbio, ma di aprir la strada a poter puntualissimamente scorger lo ragioni por lo quali tutto lo particolarità dol giuoco sono state con grande avvedimento o giudizio compartito e aggiustate. E per condurmi con la maggior chiarezza eli’ io possa al mio fino, comincio a considerare come, essendo un dado terminato da fi faccio, so]ira ciascuna dolio quali, gettato, egli può indifferente- io monte formarsi, fi vengono ad essere le sue scoperto e non più, l’una differente dall’ altra. Ma so noi insieme col primo getteremo il se¬ condo dado, ohe puro ha altro fi faccio, potremo far 36 scoperte tra di loro differenti, avvenga che ogni l'accia del primo dado può ac¬ coppiarsi con ciascheduna dol secondo, cd in conseguenza far 6 sco¬ perto diverse; onde è manifesto, tali combinazioni esser fi volto 6, cioè 30. E so noi aggingneremo il terzo dado, perché ciascheduna dello suo fi faccio può accoppiarsi con ciascuna dello 36 scoperto del 1 i altri 2 dadi, averomo, lo scoperte di 3 dadi esser fi volto 36, cioè 216, tutto tra di loro differenti. Ma perché i punti de i tiri di 20 3 dadi non sono so non 16, cioè 3. 4. fi etc. sino a 18, tra i quali si hanno a compartire lo dotte 216 scoperto, è necessario che ad alcuni di essi no tocchino molto ; e so noi ritroveremo quante no toccano per ciascheduno, aremo aperta la strada di venire in notizia di quello che cerchiamo: e basterà far tale investigazione dal 3 sino al 10, perchè quello che converrà a uno di questi numeri, converrà ancora • al suo sozzopra. Tre particolarità si devono notare per chiara intelligenza di quello che resta. La prima è, elio quel punto do i tre dadi, la cui compo¬ sizione risulta da 3 numeri simili, non si può produrre se non da 30 una sola scoperta, o ver tiro ili dadi : 0 così il 3 non si può formare 4. Prima aveva scritto sciorre; poi corresse sciar .— Iti. Lo parola onde fu sostituita al seguente tratto, che si leggo cancellato: ctl essendo le faccia del primo dado pur sci, e ciascheduna potente ad accoppiarsi con qualsivoglia delle C del secondo .— 17. In luogo (li E aveva scritto Ma. — 20. In luogo di dei tiri aveva scritto delle scoperte. — 21-25. In luogo di tra i quali .... cerchiamo, prima aveva scritto: è necessario ora clic (e prima ancora, segue ora clic reggiamo ora] andiamo distribuendo [e prima ancora, distribuendo e investigando ] le dette 2i(i scoperte differenti tra essi sedici numeri, cd investigando quante ne toccano per ciascheduno. — DI DATA INCERTA. 593 se non dalle 3 faccie dell’ asso ; ed il 6, quando si dovesse compor con 3 dui, non si farebbe se non da una sola scoperta. Seconda : il punto che si compone da i tre numeri, due de’ quali sieno i mede¬ simi e ’l terzo diverso, si può produrre da 3 scoperte : come, v. g., il 4, cbe nasce dal 2 e da li 2 assi, può farsi con tre cadute diverse ; cioè, quando il primo dado scuopra 2, e ’l secondo e terzo scuoprano asso; quando il secondo dado scuopra 2, ed il primo e terzo asso; e finalmente quando il terzo dado scuopra 2, ed il primo o secondo asso. E così, v. g., 1’ 8, in quanto risulta da 3. 3. 2, può prodursi pa¬ io rimente in 3. modi : cioè, scoprendo il primo dado 2, e li altri 3 per uno ; o scoprendo il secondo dado 2, ed il primo e terzo 3 ; o final¬ mente, scoprendo il terzo 2, ed il primo e secondo 3. Terza: quel numero di punti clic si compone di 3 numeri differenti, può prodursi in 6 maniere. Come, per esempio, T 8, mentre si compone da 1. 3. 4, si può fare con (5 scoperte differenti : prima, quando il primo dado faccia 1, il secondo 3, e ’l terzo 4; seconda, quando il primo dado faccia pur 1, ma il secondo 4, e ’l terzo 3 ; terza, quando il secondo dado faccia 1, o ’l primo 3, e ’l terzo 4 ; quarta, facendo il secondo pur 1, e ’l primo 4, e ’l terzo 3 ; quinta, quando facendo il terzo 20 dado 1, il primo faccia 3, e ’l secondo 4; sesta, quando sopra 1’ 1 del terzo dado il primo farà 4 e ’1 secondo 3. Aviamo dunque sin qui dichiarato questi 3 fondamenti : primo, clic le triplicità, cioè il numero delle scoperte de i tre dadi, che si compongono da 3 numeri eguali, non si producono se non in un modo solo ; 2°, le triplicità che nascono da 2 numeri eguali e dal terzo differente, si producono in 3 maniere ; 3°, quello che nascono da 3 numeri tutti differenti, si formano in 6 maniere. Da questi fon¬ damenti agevolmente raccorremo in quanti modi, o vogliano dire in quante scoperte differenti, si possono formare tutti i numeri do i 3 dadi, 8o il che per la seguente tavola comodamente si comprende : in fronte della quale sono notati i punti de i tiri dal 10 in giù sino al 3 (l) , e sotto essi le triplicità differenti, dalle quali ciascuno di essi può risultare ; 4. Prima scrisse si possono produrre ; poi, senza cancellare, a possono sovrappose può .— G. In luogo di scuoprano prima aveva scritto ciascuno .— 0) Dapprima nella tavola aveva notato, punti dall’11 sino al 18, o cioè l’il al posto invece dei punti dal 10 in giù sino al 3, i del 10, il 12 al posto del 9, eco., ma poi corresse. 594 SCRITTURE DI DATA INCERTA. accanto alle quali son posti i numeri secondo i quali ciascuna tripli¬ cità si può diversificare, sotto i quali è finalmente raccolta la somma di tutti i modi possibili a produrre essi tiri. 10 9 8 • 7 G 1 5 4 3 0.8.1. 0 0. 2.1. 0 0.1.1. 8 5.1.1. 8 4.1.1. 8 3.1.1. 3 2.1.1. 3 1.1.1. 1 0. 2. 2. 8 5.8.1. 0 5.2.1. 0, •1.2.1. 0 3. 2.1. (i o o i *-■ *-*• i. 3 5.4.1. <; 5. 2. 2. a: 4.8.1. 6 3.8.1. 3 O *) *> *>. «J ■ u. 1 5. 8. 2. 6 4.4.1. 3 4. 2. 2. 3 8.2.2. 3 4. 1, 2. 3 4. 8.2. 0 3.8.2. 3 4. 8. 8. 3 3. 3. 8. i i * 0 mi ' 21 15 IO 0 1 3 (ì 10 15 21 25 27 108 Come, per esempio, nella prima casella aviamo il punto 10, e sotto di esso 6 triplicità di numeri con i quali egli si può comporre, che sono 6. 3.1, G. 2. 2, 5. 4. 1, 5. 3. 2, 4. 4. 2, 4. 3. 3 : o perché la prima triplicità 6. 3. 1 è composta di 3 numeri diversi, può (come di sopra si ò dichiarato) esser fatta da G scoperte di dadi differenti; perù ac¬ canto ad essa triplicità G. 3. 1 si nota G : ed essendo la seconda, G. 2. 2, composta di duo numeri eguali e di un altro diverso, non io può prodursi se non in 3 scoperte differenti ; però se gli nota ac¬ canto 3 : la terza triplicità 5. 4. 1, composta di 3 numeri diversi, può farsi da G scoperte ; onde si nota col numero 6 : e così delle altre tutte. E finalmente appiè della colonnetta de’ numeri delle scoperte è raccolta la somma di tutto : dove si vede come il punto 10 può fai’si da 27 scoperto di dadi differenti ; ma il punto 9 da 25 sola¬ mente, 1’ 8 da 21, il 7 da 15, il G da 10, il 5 da G, il 4 da 3, e final¬ mente il 3 da 1 : le quali tutte, sommate insieme, ascendono al numero di 108 ; ed essendo altrettante le scoperto de i sozzopri, cioè de i punti 11, 12, 13, 14, 15, 1G, 17, 18, si raccoglie la somma di tutte 20 le scoperte possibili a farsi con lo faccio de i 3 dadi, che sono 216. E da questa tavola potrà ogn’ uno che intenda il giuoco, andar pun- tualissimamouto compassando tutti i vantaggi, por minimi che sieno, delle zare, de gl’ incontri e di qualunque altra pavticolar regola e termine che in esso giuoco si osserva, etc. 1 . Tra quali o son ai leggo, cancellato, è posto. — 8 . in luogo di scoperte prima aveva scritto tiri. —15. In luogo di è raccolta prima aveva scritto si nota e raccoglie. —18. Tra tulle e sommate si legge, cancellato, scoperte. intorno la cagione del rappresentarsi al senso FREDDA 0 CALDA LA MEDESIMA ACQUA A CHI VI ENTRA ASCIUTTO 0 BAGNATO. Per i,’ Illustrissimo Sic. Piero Bardi re’Conti ri Vernio. E ben degno dell’ acuteza dell’ ingegno di V. S. Illustrissima il pro¬ blema elio 1’ altro ieri ella messe in campo, alla presenza di quei nobilissimi gentil’ uomini che furono ad onorare il mio piccolo tugu¬ rio che tengo nella villa di Arcetri, e del quale mi domandò che io gli distendessi in carta la resoluzione, mentre che allora non era io tempo d’interrompere, parlando, più giocondi ragionamenti. Farollo adesso, più per obedire al suo comandamento che per speranza che io possa arrecarne condegna sodisfazione. La questione proposta da V. S. Illustrissima è, onde avvenga, che andando nella stagione caldissima per bagnarsi nel nostro fiume di Arno, essendosi spogliata e trattenendosi ignuda per qualche tempo in luogo ombroso in riva al fiume, dove non sente molestia alcuna nò di caldo nè di freddo, trattenendosi, come dico, ignuda e all’om¬ bra, nell’ entrare poi nell’ acqua sente su ’l principio notabilissima e quasi intollerabile offesa di freddo; stata poi per qualche tempo nel- 20 1’ acqua, ed assuefatta, per così dire, alla sua temperie, va compor¬ tando tal freddeza assai temperatamente ; uscita poi dell’ acqua e venuta su la medesima ripa ombrosa, dove da principio stette in dolce temperie di aria, sente ora estremo rigore di freddeza, e tale 1-4. Nei codici in capo a questa scrittura si legge : Per VIllustrissimo Sig. Piero \ Pìelro f A, B] Bardi de* [di, A, UJ Conti di Vernio. Discorso [Discorso manca in MJ di Galileo Galilei. (i. ella mise, A, B — 7. nòbilissimi uomini, M — ad ornare il, A, 1> — 8. ch’io tengo, M — 10. parlando, i pili, G, M — 13. avenga, G — 19. quasi insopportabile offesa, M — freddo, c stala , M — 21. tal freddo, A, B — dall’acqua, A, B — 596 SCKITTUR12 che l’induce a tremare assai gagliardamente ; ma se di lì torna a rigettarsi nell’ acqua, sento la temperie d’ un bugno più tosto caldo che altrimenti, onde la medesima acqua, con P intervallo di breve tempo, se gli rappresenta ora molto fredda e ora assai calda; ed uscen¬ done di nuovo fuora per andare a vestirsi, gli è forza grandemente tremare. Si ricerca adesso la cagiono del rappresentarsi al nostro senso la medesima acqua, e nel medesimo luogo, gratamente calda, che poco avanti parve grandemente fredda. La questione veramente ò assai bella e curiosa; e volendone inve¬ stigare la ragiono e conseguirne scienza, andrò proponendo quei prin- io cipii e manifeste nozioni dallo quali cotale scienza depende, mo¬ strando con P esempio del presento progresso quanto sia vero il detto di Platone, che la nostra scienza non è altro che una certa ricor¬ danza di proposizioni da noi benissimo inteso e por sò stesse mani¬ feste. Queste proporrò io ordinatamente, o da lei o da ogu’ altro so che saranno conosciute per vere e note. Dico per tanto, che so io domanderò a qualunque si sia, di senso e d’intelletto anco meno che mediocre, se mettendo egli la mano in un vaso pieno di acqua, che per lungo tempo sia stato in una stanza ombrosa, ei sentirà P acqua molto più fredda elio P aria della mede- 20 sima stanza, so che risponderà di sì, e ciò non per mia dottrina, ma per sua propria cognizione. E se, nel secondo luogo, io gli do¬ manderò, se una quantità di acqua stata lungamente in luogo ombroso parrà al mio senso assai più fredda che altra acqua clic per molte ore sia stata esposta a i più ardenti raggi del Sole estivo, e massime se ella sarà poco profonda, sono parimente sicuro che ei risponderà, tal proposizione esserli manifestissima senza alcuno insegnamento di altri. E se, nel terzo luogo, io P interrogherò, se egli stima che una quantità di quell’ acqua scaldata dal Sole, trasferita nella stanza om¬ brosa, si raffredderà, ed anco in brove tempo se ella sarà in poca so quantità, non è dubbio che egli come cosa notissima P affermerà. Passiamo ora avanti : ed essendo che P eccesso del freddo d’ una quantità di acqua sopra il freddo dell’ aria posta nel medesimo luogo è grandissimo, assegni V. S. quel numero che più gli piacerà de i 1. di là, A lì - 6. rapresentarsi, G - 10. la cagione, M — conseguire, M -11. sciensia, G - 11. intese, per M —18. ancora meno, A, lì ; anche meno, M - 24. che l’acqua, M - 25. mas- sanamente, M — 31. come notissimo, A, B — DI DATA INCERTA. 597 gradi di freddo all’ acqua, e quale gli piacerà all’ aria ; ed abbia, per esempio, P acqua 20 gradi di freddo, o P aria no abbi 4. È ben noto a ciascheduno che tra 20 e 4 cascano altri numeri di mezo : ora, al- P acqua del fiume che in poca profondità viene scorrendo sotto i raggi del Sole, e che, per consequenza, riscaldata in parte, ritiene manco di 20 gradi di freddeza, gliene assegni, v. g., 10 ; là onde, benché men fredda dell’ acqua ombrosa, ella però è più fredda dell’ aria opaca, il cui freddo fu posto solo 4 gradi. Consideri adesso Y. S. come, constituita ignuda nell’ aria ombrosa, che solo ha 4 gradi di freddo, io si trova in tal temperie, che entrando nell’ acqua, la quale, benché assolata, ha tuttavia 10 gradi di freddo, sentirà notabile offesa sopra quella che sentiva dall’ aria. Consideri poi come, uscendo dopo qual¬ che tempo dell’ acqua assolata, entra nell’ aria ombrosa, ma bagnata o coperta da uno sottil velo di acqua, il quale, per sua conces¬ sione, prestissimo si raffredda e si riduce a 20 gradi di freddeza, die è quella che si è assegnata all’ acqua posta in luogo ombroso. Trovasi dunque in tale stato circondata da 20 gradi di freddeza: ben dunque è per sé stesso manifesto, che se ella allora si getterà nell’ acqua assolata, spogliandosi 10 gradi della freddeza cho la cir- 20 conda, goderà una temperie assai grata, cioè quella dell’acqua assolata. Ridotto dunque tutto il discorso in brevi parole, scorgesi, tale diversità derivare dalle due differenti relazioni : cioè che nella prima entrata nell’ acqua ella si parte dall’ aria che ha poca freddeza, cioè 4 soli gradi, ed entra nell’ acqua, la quale, in comparazione dell’ aria, ne ha molta, cioè 10 gradi ; ma nel secondo ingresso ella si trova circondata da 20 gradi di freddeza (che tale è P acqua posta in ombra, della quale ella è bagnata, e che, per la sua sottiglieza, repen¬ tinamente, posta in ombra, si raffredda), ed entra nell’acqua assolata assai men fredda. 1. gli pare all’, A, B, M — 4. sotto a' raggi, M — (5. di freddo , B — assegnano, M — assegni gradi IO, A, B — 8. adesso come, A, B, M — 11. assolata, abbia tutta via, M — 12. quello che , Gr, B — dell 1 aria, Gr — 13. dall 1 acqua, A, B — 14. coperta d 1 un, A, M ; coperto di un, 13 —15. di freddo, A, B —17. di freddo, M — 24. e entrerrà, M — 29. fredda eie., M — PROBLEMI, Problema Pkimo. Per che cagione , volendo un nuotatore star fermo e a galla su V acqua, sia neces¬ sario ch } ei stia supino , con le gambe aperte, con le braccia distese sopra 7 capo , e intirizzito. La cagiono del problema ò questa. Volendo il nuotatore star a galla e fermo, bisogna eli’ei cerchi di farsi nell’acqua più leggieri eli’ci può: e questo gli suc¬ cederà ogni volta eh’ci s’accomoderà in tal modo, elio del suo corpo no resti sommerso più elio sia possibile, perchè un peso di tanto divieti più leggieri nel¬ l’acqua, di quanto pesa tant’acqua uguale in mole alla parto demorsa di esso io peso. Ora il nuotatore stando nell’acqua supino, viene a farsi in essa leggieris¬ simo, perché, dalla bocca e piccola parte del viso in fuori, tutto’l resto del suo corpo resta immerso; che se in altra positura ei si accomodasse, v. g. bocconi o per lato, non gli riuscirebbe lo stare a galla senza muoversi, perchè tanto si sommergerebbe, che cacciando la bocca sott’ acqua, per non poter respirare an¬ drebbe a risico d’ allogarsi. Inoltre gli è necessario eh’ ei tenga le gambe aperte assai, perchè, essendo il nostro petto, per l’aria clic in esso si racchiude, mercè de polmoni grandi assai, molto più leggiero nell’ acqua che lo cosce c lo gambe, elio son massiccio o piene, non bisogna che il nuotatore le tenga strette ed unite, perchè il lor centro di gravità cascherebbe assai lontano dal petto, onde sarebbe 20 sioizato il nuotatore, per la leva e bricollo delle gambe e cosco, a dirizzarsi, nò poti ebbe stare a diacere; dove clic, se le terrà aperte e separate, il lor centro della gravita verrà più vicino al petto, e così gli faranno manco leva. Bisogna ancora eh ei tenga le braccia distese sopra ’l capo, perchè, tenendole così, viene a contrapesaro il peso delle gambo e delle cosce ; che se le tenesse accosto a i SCRITTURE DI DATA INCERTA. 599 fianchi, aiuterebbe, col peso delle braccia, le gambe e le cosce a farlo dirizzare o tirarlo giù. Ed in ultimo gli conviene star con la vita intirizzita, sì che ei venga a far del suo corpo un composto solo, perchè se si abbandonasse e si lasciasse andare, le braccia e le cosce e le gambe, essendo più gravi del petto, nudereb¬ bero al fondo, e seco tirerebbero il nuotatore. Problema Secondo. Uno va per Imputi si in Arno : si spoglia e si mette a sedere all 9 ombra ; stando così , sente un fresco comportabile e temperato ; entra poi nell'acqua, e gli par di sentirla assai fredda; statoci un pezzo, ne esce, torna all'ombra, e sente un io freddo estremo; di nuovo si tuffa nell' acqua, e dove la prima volta gli parve molto fredda , la seconda gli apparisce più tosto temperata c calda : si domanda adesso la cagione di tal diversità . 11 problema si risolve così. Noi abbiamo in una stanza una tinozza piena d’acqua, e ci ò stata, v. g., 15 dì: vien uno, si spoglia e entra nella tinozza: chiara cosa è eli’ei sentirà assai più freddo in quell’acqua, eli’ei non sentiva innanzi eli’ ei vi entrasse; dal che si può concludere che, stando Paria e P acqua in un medesimo luogo, cioè ad un istesso caldo o ad un istesso freddo, sempre l’acqua apparirà assai più fredda dell’aria. Diciamo adunque che de i gradi di freddezza, de’ quali P aria no ha, per esempio, 2, 1’ acqua ne abbia 10 : adunque tio un’altra acqua che ne abbia G soli, apparirà fredda in comparazione dell’aria che ne lui due, ma ben calda in relazione all’ acqua elio ne ha IO. Ora, stante questo, colui che si va a bagnare in Arno, mentre sta ignudo all’ ombra, gode il fresco temperato dell’aria, che ha due soli gradi di freddezza; ma quando en¬ tra nell’acqua d’Arno, sente la freddezza sua, che è di 6 gradi (di 6 gradi, dico, e non di 10, perchè il Sole ardente, che l’ha percossa per lo spazio di molte miglia, glie ne viene aver levati 4); e però in rispetto dell’aria, che ne ha due soli, gli pare assai fredda. Esce poi costui d’Arno e torna all’ombra, ba¬ gnato e coperto da un sottilissimo velo d’acqua, la quale, per esser pochissima, non sì tosto è condotta sotto l’albero all’ombra, che viene ad acquistare i 4 gradi sodi freddezza toltigli dal Sole, onde, di G ch’ella ne aveva innanzi, si riduce ad un tratto ad averne 10, sì che colui che si bagna non sente più sci gradi di freddezza, ma 10 : e però mentre sta sotto l’albero bagnato, sente freddo estremo. Ma se ritorna poi a tuffarsi, entra nell’ acqua, che ha G gradi soli di freddezza; onde perdendo 4 gradi di freddo, gli pare di esser entrato in un bagno temperato. 14. dì freddezza: vien [ freddezza è aggiunto d’altra Ulano] — 28. eoUilitaimo velo velo d’acqua — 600 aCKlTTURB Problema Terzo. Si domanda la causa onde avvenga che il nuotare arrechi grandissimo affanno a i nuotatori, non ostante che e' siano leggerissimi nell' acqua, onde per ogni pic¬ cola foraci facilmente per essa si muovono. Si risponde che non è la forza, clic si fa per nuotavo, quella che arreca l’af¬ fanno grande a chi nuota, ma 1’avere a tirar sott’ acqua buona quantità d’aria, mediante la necessità del respirare: il che si dichiara così. Io piglio un pallone, e lo voglio gonfiar col mio fiato ; piglio un cannello di canna, lo metto nell* animella, o comincio por quello a soffiar nel pallone : certo (\ elio se dotto pallone non sani circondato da altro ohe dall’ aria, assai facil- io mente mi riuscirà il gonfiarlo; ma se piglierò poi il medesimo pallone sgonfio e lo metterò in un vaso grande, pioli d’acqua, e vorrò poi gonfiarlo tenendolo in essa sommerso, chiara cosa ò elio durerò una gran fatica, perché mi converrà alzar tanta acqua col fiato, quanta ò l’aria eli’ io caccio nel pallone. Ora, colui che nuota, non attrae, col respirare, l’aria nel petto, stando circondato da aria, dove con pochissima fatica il nostro petto ai gonfia; ma duve respirare o tirar l’aria sott’acqua, della quale tanta mole no viene ad alzare, ogni volta eh’ci respira quanta ò l’aria che respirando ei manda nel petto, i muscoli del quale, non essendo usi ad un esercizio tanto laborioso, grandemente s’ affaticano : e di qui procede l’affanno grande del nuotatore. A questo si può aggiugnere ancora, che essendo so per avventura i medesimi muscoli quelli che aiutono a muovere le braccia nel nuotare, gli si viene a raddoppiar la fatica ; onde, e por questa e per quella dell’aver a tirar l’aria sott’acqua, cagionano a chi nuota 1’all'anno elio aviamo detto. Problema Quarto. 7 funatnbuli, tenendo un’ asta lunga in mano, facilmente, camminano c ballano su la corda, e sene? essa con gran difficoltà a pena ci -possono camminare. Si do¬ manda ora che aiuto gli porga la dell’ asta. La soluzione del presente problema depende da tre verissime proposizioni. La prima è tale. Io ho un pezzo di trave, e lo drizzo a perpendicolo sopra terra; drizzato eh’ io P ho, veggo che non vuole stare altrimenti in piedi, ma che co- 30 mincia a inclinare, per cadérsene disteso in terra: allora, se io, elio lo vedo ca- 0 . yttr quelli» a gonfiar nel — DI DATA INCERTA. 601 dere, lo soccorro subito, con ogni piccola forza lo terrò che non vaclia giù o lo tornerò a drizzare, cosa clic non cosi facilmente farei se lo soccorressi quando e’ fosse vicino a distendersi in terra. Da questa prima proposizione se ne cava la seconda, che è questa. Uno per passare un fosso ò necessitato di camminar sopra un ponte strettissimo, qual sarebbe un tronco cV un albero o un pezzo di tavola larga l /i di braccio: ora, se costui averà, nel passare, qualche ritegno o appoggio, ben che minimo, sul quale ci possa reggersi quando si sente barcol¬ lare, facilmente passerà il fosso, perchè, come aviamo detto nell’esempio della trave, basta ogni piccola forza o resistenza per tener in piedi una cosa che io accenni di voler cadere. La terza proposizione è, che con assai maggior prestezza e velocità si vibra c si scuote un pezzo di legno corto con la mano, che non si fa un’ asta molto lunga. Ora, il funambulo, a guisa di quello che ha da passare il fosso pel ponte stretto, ha da camminare sopra una corda, sì che se c’ non avesse qualche appoggio, quando e’ si sente vacillare, cascherebbe facilmente in terra: ma egli ha 1’ appoggio, e questo glielo porge l’asta lunga che porta in mano ; perchè, quando ei si sente piegare e andar giù da una banda, egli s’ap¬ poggia ed aggrava dalla medesima su 1’ asta, la quale, per esser molto lunga, con gran lentezza si muove alla forza che gli vicn fatta ; sì che non così tosto ella, comincia a muoversi, che il funambulo, ai quale basta ogni minimo appoggio 20 per riaversi, si è già riavuto e raddirizzato. Problema Quinto. Quelli che giocano alla ruzzola, mediante il filo col quale la cìngono tre o quattro volle , fanno tiri assai più lunghi che non farebbero senza quel filo : si domanda la causa di questo; ed appresso si ricerca perche con assai minor velocità radia la ruzzola quando è in aria, che quando tocca terra , dove vélocissimamente si muove. Così risolvcrassi il problema. Io ho una girella, forata nel centro e infilzata ’n un perno ; gli do su con una mano e la fo girare su quel perno velocissima¬ mente; or, mentre ch’ella gira, la fo uscir del perno e cadere in terra per ta¬ glio: che farà questa girella? Certo clic, in virtù del moto ch’io gli diedi so quancV eli’ era imperniata, subito eh’ ella arriverà in terra, cornincerà a cammi¬ nare : sì che quel moto eh’ io gli diedi, di girare in sò stessa, è cagione eli’ in terra ella giri e cammini. Ora, quelli che giocano alla ruzzola, la circondano tre o quattro volte con un filo e poi la tirano, e in quell’istante ella si svolge dal filo con somma prestezza, e per conseguenza viene ad acquistare un moto velocissimo in sò stessa; onde quand’ ella arriva in terra, va velocissimamente, non tanto per la forza data¬ gli dal braccio del tiratore, quanto in virtù della veloce circonvoluzione eli’ ella Vili. 76 G02 SCRITTURE ha acquistato nello svilupparsi dal filo. Ma quelli che tirano senza filo, non danno alla ruzzola il vantaggio del girarsi in sé medesima, ma In mandano solamente con la forza del lor braccio; o però tirano manco che se tirassero col filo. La causa poi perché la ruzzola vadia con minor velocità mentre cammina per aria che in terra, ò perché in aria ella va solamente con la velocità datagli dalla forza del tiratore, e in terra cammina per la medesima forza e in virtù della vertigine veloce in sé stossa di’ ella aveva innanzi che arrivasse in terra: la qual vertigine in aria non opera nulla, perché, essendo 1 ’ aria tenue e sottile, cede fa¬ cilmente al girar della ruzzola, la quale, non trovando alla sua revoluziono in¬ toppo alcuno, non ha occasiono di scorrere avanti con più velocità di quella che io gli dà il braccio di chi la tira; ma, come eli’arriva in terra, eli’è ruvida e sca¬ brosa, trova moltissimi intoppi, ne 1 quali, nel girare, eli’ urta o si risospigne a dietro, onde gli 6 forza di scorrere avanti velocemente non solo per la forza di chi la tira, ma ancora in virtù del suo volgersi in sé medesima. Problema Sesto. Due altri problemi hanno dependenm dal precedente: in uno de quali si cerca , perchè quelli che giocano alla palla , tanto difficilmente rimetti no le palle che gli son mandate trinciate; e nell' altro si domanda , ptrche , giocando (deuni alle pallot¬ tole in una strada disuguale o. sassosa , piglino la palla per di sopra con la mano, dove, giocando in un pcdlottolaio piano e pulito , la piglierebbero per dì sotto. 20 Il primo problema si risolverà così. Colui che vuoi trinciar la palla al com¬ pagno elio gioca seco, gli dà, con la mestola o con la racchetta, por di sotto in tal modo, che, mandandola innanzi verso ’1 compagno, gli dà facilità di girare all’in¬ dietro in sé medesima: sì che quando eli’arriva in terra, viene a fare, mercédi quel girar all’indietro, il balzo verso colui clic l’lui mandata, 0 almeno balza po¬ chissimo verso quello che aspotta di rimetterla, il quale, giudicando il balzo dover esser verso di lui assai più lungo, attende la palla troppo di lontano e resta in¬ gannato e deluso. Similmente non la rimetterà di posta, perché, non essendo la palla adatto liscia 0 pulita, ma avendo qualche risalto e scabrosità, viene, nel girare all indietro per aria, a pigliar vento, onde la sua velocità alquanto si ri- so tarda ; sì che colui che la vuol rimetter di posta, l’aspetta prima eh’ella non arriva, e, pensando di coglierla, gli tira e fa il colpo vano. La resoluzione del secondo problema è tale. Quelli che giocano alle pallottole per una strada sassosa, non possono, tirando la palla per terra, aggiustar bene il colpo, per li molti intoppi che troverebbe la palla; ma son necessitati, a guisa di quelli che fanno alle piastrelle, di procurare d’ avvicinarsi al lecco, tirando ili DI DATA INCERTA, 603 posta. Ma perchè la palla non fa P effetto della piastrella, che subito di’ eli’ arriva in terra si ferma, è necessario che quelli che giocano trovili modo di fare che la palla si muova manco che sia possibile dal luogo dove la tirano : ma questo gli succede col tirare, presa la palla per di sopra, perchè così, mentre che ella è in aria, viene a girare in se medesima all’indietro, cioè verso chi la tira, e quando elPar¬ riva, perchè la forza di chi P ha tirata la farebbe trascorrere innanzi troppo e allontanarsi dal lecco, il moto eli’ eli’ aveva in sè stessa vien quasi a contrapesare la detta forza, onde la palla o si ferma o pochissimo trascorre innanzi. Ma quando poi si gioca ne i pallottolai ben netti e puliti, si può benissimo aggiustare il colpo io tirando la palla per terra, onde non è necessario il pigliarla por di sopra. Problema Settimo. Si domanda la cagione perche le trombe che si adoprano per cavar acqua de i pozzi, non alzino V acqua se non insino ad una certa e determinala altezza . La cagione di tal effetto depende da questo. Io piglio un pezzo di catena di ferro, un capo della quale fermo gagliardamente a una trave, cd all’ altro comincio ad attaccare del peso: chiara cosa è clic quella catena, non essendo possente a reggere un peso infinito, finalmente, se io seguiterò a caricarla, si strapperà. Diciamo dunque che un peso, v. g., di mille libbre appunto la facci strappare. Ora, so in cambio di attaccare alla catena un peso di mille libbre, io la farò tanto piò lunga 20 che quel pezzo eli’ io ci aggiungo pesi le mille libbre, certo ò che quella catena si strapperà nè più nò meno che si strappasse prima con le cento libbre di peso: sì che il proprio peso della catena è abile a farla strappare. Ora l’acqua che si tira su per le trombe, si regge in sè stessa sino ad una tale altezza, sì conio si reggerebbe la catena alla quale io aggiugnessi un pezzo che pesasse solamente 999 libbre; ma s’io vorrò far passare all’acqua quell’altezza, cioè s’io vorrò allungar più la sua mole, a guisa della catena alla quale io aggiugnessi un pozzo di 1000 libbre, si strapperà pel suo proprio peso, e non potrà passare altrimenti la detta altezza. Problema Ottavo. Io ho due lance del medesimo peso e lunghezza , cioè che tanto legno è in una che 30 nell' altra ; ma una di esse c piena e massiccia , c l y altra è incavata e vota , a guisa d’ una canna : si domanda qual di queste due lance più difficilmente si scavezzerà e romperà . Si risponde clic la vota farà maggior resistenza nel troncarsi che non farà la massiccia, e tanto maggior quanto maggiore è il diametro suo di quello della 604 SCRITTURE piena: il elio si dimostrerà qui di sotto. Quindi è ohe la provida natura, dovendo far gli uccelli molto leggieri, acciò più facilmente «i muovessero per aria, ma eoa le penne gagliardo, acciò potessero durare a volare, dotto loro lo penne dolio ali, lo quali son quello elio più dell’altro s’atìatioano, di materia leggerissima, ma col calamo voto, acciò lusserò gagliardo o resistenti al troncarsi ; oliò so con la medesima quantità di materia glio no avesse fatto pieno, assai più facilmente si potrebbero spezzare. E ristessa industria ha osservato ancora in farli alcuni ossi, conio quelli delli stinchi e dello cosce, i quali si veggono molto sottili, e questo por leggerezza doli’uccello, ma voti dentro, poreliò o’siano più gagliardi. Ma qui potrebbe domandar uno, perchè la natura non ha latto a > quadrupedi, e io agli altri animali elio camminano sopra terra, V ossa delle gambe vote come quelle de gli uccelli, ma molto grosse o piene di midollo, conio si vedono. A questo si risponderà, che i quadrupedi, ed altri animali che vanno sopra terra, andando sempre a pericolo d’ urtar le gambo in sassi o altri intoppi, con risico di fran¬ gersi o schiacciarsi gli stinchi, era necessario che la natura gliene facesse pieni e massicci, acciò non così facilmente si potessero schiacciare, perchè, pigliando F esempio delle due lance, con più facilità si può schiacciar quella ch’ò vota, che la piena. Ma gli uccelli, clic vanno per aria, dove non hanno a temere intoppo alcuno, hanno gli stinchi e le penne dell’ali vote, e per leggerezza, c perchè nel moto, che fanno nel volare, faccino più resistenza a spezzarsi 20 Problema Nono. Si domanda onde avvenga che un uovo rinchiuso Ira le mani per punta, e stretto con grandissima forza, non si possa schiacciare. Il presento problema facilmente si risolverà, premettendo come principii alcune vere proposizioni. La prima è, che sì come delle ligure piane, c che abbiano il medesimo ambito, la maggiore ò il cerchio, così anco delle ligure solide, od iso- perimetre, la stoni ò la maggioro e la più capace dell’ altre. La seconda proposi- 30 zione è, che la natura grandemente aborrisce il vacuo, onde in essa e 1 non si dà 5. gagliardi - 25. un vuovo: o cosi Innovo (pag. G05, lin. 4), dell'nuovo (liii. 9), o tutte le altro volto elio tale parola ricorro in questo Problema.— 01 Vincenzio Vivuni odia copia scritta di sua mano avverto a quosto punto : « Qui appresso nel* P originalo dol Si*. Yiueuiizio lGuliici\ seguita una faccia bianca, ni’immagino per scrivervi la dimostra¬ zione ili questa proposizione >. Gir. liu. 1 di questa stolli puginn. DI DATA INCERTA. 005 se non con somma violenza. La terza è, che 1’ aria si distrae e rarefò, cosa elio non può far 1’ acqua nò altri umori. La quarta è, clic prima s 5 arrende un poco il guscio cl’un uovo, e poi si rompe. Ora, da questi principii caveremo la reso¬ luzione del problema. Imperochò, mentre elio si preme 1’ uovo per lo lungo e si spingono le sue punte o estremità V una contro 1’ altra, il suo guscio cedo alquanto e 8 5 arrende, sì che Y uovo, eh 5 è di figura oblonga, vidi ad acquistar dello sfe¬ rico, e, per conseguenza, si fa più capace (perché, come aviamo detto, delle figure solide isoperimetre la sfera ò la più capace) ; ma perché la roba eli 5 è dentro dell 1 uovo non è cosa che si rarefacela e si distenda per poter mantener pieno in T uovo, sarebbe necessario che il luogo che acquista l 5 uovo nel ridursi alla figura sferica, rimanessi voto. Ma la natura, che grandemente aborrisco il vacuo, re- pugna gagliardamente, e resiste per far che l 5 uovo non s 5 avvicini alla figura sferica, acciò, col diventar egli più capace e per non aver dentro cosa che lo possa riempiere, e per esser necessario che il suo guscio s 5 arrenda alquanto prima che e 5 si rompa, non si venga a dar il vacuo; quindi ò clic l’uovo non si può schiacciare. E per confermazione e chiarezza di questo pensiero, piglisi un uovo assai scemo, sì che dentro vi sia di molt’avia, e stringasi per lo lungo, clic al sicuro si scliiaccerà ; perchè l 5 aria di’ è dentro, seguiterà tanto a rarefarsi e di¬ stendersi, per mantener pieno V uovo mentre, con ravvicinarsi allo sferico, divieti più capace, che il guscio, per non poter cedere ed arrendersi più, si verrà a rompere : ed il medesimo seguirà se faremo nel guscio ogni piccolo foro, sì che l’aria per quello possa entrare nell 5 uovo. Problema Decimo. Onde avviene che le stelle ci apparischino al scuso immobili , con tutto che le cam¬ minino con somma velocità , sì clic in brevissimo tempo le passano (jrandismno spàzio del ciclo. A tal quesito si risponderà così : che le stello ci appariscono immobili nel medesimo modo che immobile si dimostra la lancetta dell’ orivuolo. Perchè, se noi piglieremo un orivuolo, e l’accomoderemo in tal maniera, che prodotto il suo 30 indice vada a ferire in una stella posta in oriente, e dall’ altra parte di detto indice, che riguarda l’occidente, porremo l’occhio, vedremo che secondo clic l’indico si va inalzando, la stella lo seguiterà, mantenendosi sempre nell*istessa linea retta dell’ indice, nè mai accaderà che noi la veggiamo o sopra o sotto di esso, siche ci parrà ch’ella si muova al moto dell 5 indice; il qual moto essendo a noi insensibile, insensibile ancora ci viene a esser quello della stella. 1 . se aun con — 606 SCRITTURE Problema Undecimo. Onde avviene che in tempo che sia nebbia, e la mattina a buon ’ ora, si veda intorno alle siepi grandissima quantità di ragmdeli, dove che quando e tempo sereno, e nel mezzo piceno, non se ne vede pur uno. Si vedono usua issi mi ragliateli quand’ é nebbia, perché i idi di essi, elio sono, per la lor somma sottigliezza, invisibili, vengono ad esser ingrossati da un gran¬ dissimo numero di stille minutissime d’ acqua, componenti la nebbia, che ci si posano su ; onde si fanno visibili, e ci appariscono come tanto fdzo piccolissime di perle. E per quest’ istossa ragiono se ne veggono ancora in gran quantità la mattina a buon’ora, perché l’istesso effetto elio cagionano in essi le minute stille io della nebbia, lo cagionano anco le stille della rugiada, la qual gli cade sopra la notte ; onde poi la mattina si veggono quei fili carichi delle dette stille, lo quali, inaino che il Sole non le consuma, son causa elio noi viaggiamo tanta gran quantità di ragliateli. Due altri problemi hanno dependenza da questo. Il primo ò talo. Problema Duodecimo. Onde accade che alcune volte doppo una nebbia scoprendosi il Sole, le foglie di viti ed (dire frondi divengono aride e si seccano. m La cagiono di tal effetto ò questa. Si posa (mentre dura la nebbia) su lo fo¬ glio dello viti una grandissima quantità delle sopradette stille, elio sono di figura 20 rotonda e sferica perfettissima ; si dissolvo poi la nebbia o si scopre il Solo, i raggi del quale passando por quello piccolissimo sferette, percuoto per retrazione la foglia elio ad esse soggiace : si che in quel modo che gl’ istessi raggi, passando per una palla di cristallo o per una palla piena d’acqua, e percotendo su P esca o sul panno o altra cosa simile, la riscaldano ed accendono, così anco, passando per quei piccoli globetti, vengono a riscaldar talmente la foglia, elio la riardono o seccano affatto. Ma ò da notarsi clic non sempre accade questo: perchè 60 la nebbia durasse molto tempo, si verrebbero a radunar su le foglie tante di quelle minute gocciole, che si rammenterebbero una sopra V altra, si confonderebbero in¬ sieme, e finalmente, perdendo all’atto la figura sferica, si schiaccerebbero, onde so DI DATA INCERTA. 607 altro non apparirebbe su la foglia che un sottil velo cVacqua; ed in questo caso il Sole non fa in essa quell’effetto che fa mentre quelle gocciole ci son sopra intatte e intere. Il secondo problema è questo. APPENDICE. Per cavar da un medesimo tino il vino dolce e maturo e far che vi resti Pagro, io si faccia empiere il tino d’uve, senza ammostare, in grappoli interi, e si lasci così stare qualche poco di tempo: che, sturando la cannella, uscirà vino maturo, che sarà quello de i grani dell’uve più maturi, spremuti dal peso e carico proprio de i grappoli, che sono i primi a scoppiare; e dopo che sarà uscito tal vino dolce, pigiando ed ammostando l’uve, ne uscirà il vino assai meno maturo, anzi assai agro, secondo però che l’uve per lor stesse saranno più o meno mature gene¬ ralmente, etc. (1) (M Questo ricordo si logge noi Mss. Galileiani, a car. Si*, del Tomo CXXXV dei Ditcrpoli, già citato a pag. 480, nota 1. In lino di osso ricordo il Viyjani avverte: « Invenzione del Galileo, provata o riusci¬ ta, o insegnatami dal Sig. Son a toro Andrea Arri- gl lotti ». FRAMMENTI DI DATA INCERTA. Nuli-’ autk navigatoria. Quale sia l’uso del timone, e come con esso si volga il vassello con tanta facilità. Come si possa col medesimo vento navigare in parti contrarie. Come navigando a orza si mantenga il navilio dritto verso ’l luogo dove si desidera arrivare. Perchè faccia più viaggio una galera con vento assai mediocre, che a remi, benché mossa con la forza di 300 e più forzati, io • So sia vero quello che dice Aristotele, cioè che più gagliardamente spinga la vela quanto più è alta ; e se ciò avviene per la ragione addotta da esso, e presa dalla leva. E se sia vero che quelli che vo¬ gano a mezza galera, voghino più che gli altri a poppa o a prua, parimente per ragione della leva. Cercare con qual proporzione cresca la velocità del moto, cre¬ scendo il numero di quelli che vogano ; sì che, essendo in galera 300 schiavi e facendo 3 miglia per ora, quando vogano 100, quante miglia si farà, o quando vogheranno 200, etc. ? rerc-hè (sì come è in proverbio) impedisce più uno che sia, che 20 non aiutano quattro che voghino. Se sia possibile guadagnare contro al vento, o almeno trattenersi senza esser rispinti in dietro, e come. via. 77 G10 FRAMMENTI Osservar con 1’ occhiale se sopra ’l mare si veggono ascendere i vapori o esalazioni come sopra terra ' 1 ’. Ragione de* funambuli. Perdio nel nuotare si stracca il petto e si affanna la respirazione. Onde avvenga che andando l’estate a bagnarsi, 1’ acqua del fiume pare freddissima ; ma so alquanto dopo si esco fuori, si sente freddo grandissimo ; e ritornando nel medesimo liume, 1' acqua elio prima parvo freddissima, si sente calda. Con quale artifizio alcuni nuotatori si distendano supini sopra, l’acqua, e quivi restino, senza punto muoversi, a galla. io Qual muovimento facciano i pesci per nuotare, e come sia falso che per tale effetto si servano delle alette che hanno sotto la pancia. Del camminar delle serpi. Del volar degli uccelli, e qual sia 1’ uso delle penne della coda in questa operazione, e come essa coda non gli serve per timone, e qual parte del coi'po faccia 1’ offizio del timone. Errori d’Aristotele nel libro 1 k incessa animali uni: dove si mostra, prima, che è falso che i quadrupedi non possano levar da terra nel medesimo tempo li duo piedi dalla medesima banda, cioè P ante¬ riore e ’l posteriore, destri o sinistri; 20 mostrasi, essi quadrupedi muovere le gambe in tutti i modi pos¬ sibili a combinarsi ; mostrasi P errore d’Aristotele, mentre scambia il calcagno nel ginocchio, e ’l carpo nel gomito. Erra parimente nel dire che le flessure delle braccia e dello gambo nell’ uomo siano contrarie a quelle degli altri bipedi e de i quadrupedi ; ma sono in tutti le medesime. Che i tendini do’ muscoli fanno maggior forza i lunghi elio i brevi. (l 'Mss. Gal., Par.VI, T. Ili, car. 60 r. et., foglio nota, in matita: «Da un mezzo fo¬ lli rnauo del Viviani, il quale in capo al glio scritto di umiio del Galileo». I>I DATA INCERTA. Esperienze varie per misurare la forza della percossa. Con quale artifizio si navighi quasi diametralmente contro al vento, guadagnando con lo star su le volte. Dell’ uso de’ remi. Del navigare a orza. Quanto puerilmente erri Aristotele nell’assegnar la cagione, per¬ chè la vola posta più alta spinga maggiormente il vascello. Vela, benché piccola, posta altissima, giova a sostenere la nave che vadia alla banda. io Perchè ne i luoghi montuosi sono più frequenti le tempeste e le varie perturbazioni dell’ aria. Se la cagione de’ tremoti si deve stimare esser sopra o sotto terra. Onde avvenga che il reflusso prima cominci a i Due Castelli che a Venezia. « Perche le aste lunghe, lanciate, facciano maggior colpo. Perche per far diversi alletti si ricerchino diverse grandezze di martelli e lunghezze di manichi. Quando si voglia ficcar Pasta nel maglio, meglio succederà per- 20 cotendo P asta in terra, lasciando il maglio libero, che se altri bruli¬ casse il maglio con la mano e percotesse con P asta in terra. Una palla molto grave, posata sopra un piano, o che, percossa dal vento gagliardo, non gli ceda nè si muova, se la medesima sarà mossa sopra quel piano sì che riceva il vento ad angoli retti, gli ce¬ derà, dellettendo verso la parte che il vento la caccia. Qual sia la ragione elio le trottole e le ruzzolo, girate, si manten¬ gano ritte; e ferme, no, ma traboccano. IP uovo stretto fra le mani per punta, non si rompe. G12 FRAMMENTI Perchè la velocità cresce secondo il tempo, gli archi grandi e le ciarabot.tane e lo canne d’archibuso tirano con più forza, avendo tempo d’ accompagnare il proietto per più spazio. Il colpo in matoria cedente opera meno tanto, (pianto è la riti¬ rata del cedente. Sagù. Forse per questo i nostri regattatori con canapi e traverse irridiscono lo gondole, acciò la spinta del remo non si diminuisca nello sguindolare della barca, che per la sua sottigliezza è vergola. Come il camminar di noi altri bipedi non sia a onde, ancorché le gambe siano uguali e che si trovino diversamente inclinato sopra io 1’ orizonte ; dove par che Aristotele e Platone abbiano equivocato. Inopinabil cosa parrà il sentire, come può essere elio di una mole grandissima e gravissima, mentre precipitosamente descende al basso, si possa interporre quiete ed anco moto in contrario. Le frecce e le aste lanciato, se non sono dirittissime, fanno poco colpo, e perchè. Vedo che ciò accada perchè, so nel percuotere si deve togliere tutta la velocità del percuzieuto, allora la percossa è massima ; ma se, nel percuotere, la velocità del percuziente si scema in parte, la percossa resta più debole perchè depende non da tutta la velocità, ma da quella parte che rimane, cioè dall’ eccesso della 20 prima intera velocità sopra la parto detratta. Lo freccio e le aste che non siano diritto, non camminano dirit¬ tamente, ma fanno obliquo viaggio, mediante 1’ obliquo incontro del- 1’ aria, che lo piega a orza. Lsperienza d’Archimede falsa intorno alla corona di Ierone, con 1’ esplicazione della bilancia per trovare i pesi delle diverse materie. Principia Auistotelis. 1. Propter quod unumquodque tale. 2. Si de quo magis, ergo et de quo minus. DI IUTA INCERTA. 613 3. De quolibet veruni est affirmare vel negare. 4. Omne agens in agendo repatitur. 5. Nemo dat quod non liabet. 6. Natura non aggreditili* tacere quod impossibile est osso factum. 7. Quae conveniunt uni tertio, conveniunt et inter se. 8. Ex niliilo nihil lit ; immo si quid lit, fìt ex nibilo. Se quello sopra ’l quale si vuol percuotere cederà al percuziente con pari velocità della sua, la percossa sarà nulla. La forza dunque della percossa violi misurata dall’ eccesso della velocità del percuziente io sopra la cedenza del percosso. Quindi è che le frecce e le zagaglie torte fanno minor colpo, perchè il centro della loro gravità non ri¬ spondendo alla cuspide per la linea del moto, non cessa di proseguire alquanto, torcendosi da vantaggio 1’ asta lanciata ; sì che il moto di esso centro detrae parte della velocità della cuspide clic percuote. Come senza offesa del pazziente se gli rompa sul corpo una gran¬ dissima pietra con un grossissimo martello. Rompesi un’ asta con la percossa d’ un pugno. Rompesi una mazza posata su duo bicchieri senza rompergli. Strappasi una corda attaccata ad una gran pietra, pendente da 20 una simil corda.... Dell’ operazioni de’ remi, o come la forza do’ remiganti non s’im¬ piega tutta nel tirar il remo, mentre la barca scorre. Perchè i banchi nella galera s’accomodino ad angoli obliqui. Qual sia l’uso della piccolissima vela posta sopra la gaggia della nave. La forza che muove non s’impiega tutta se non applicata al mo¬ bile mentre è fermo ; ma quando esso ancora ha concepito il moto, 1’ eccesso della virtù movente è quello che solamente lavora. Di qui avviene che mentre la carrozza è ferma, sforzo maggiore bisogna che faccino i cavalli per sbarbarla, come si dice, di quello che fanno poi 30 nel conservarla in moto. Da porsi nel titolo del libro di tutte l’opere : Di qui si compren¬ derà in infiniti esempli qual sia V utilità delle matematiche in concludere 614 FRAMMENTI àrea alle proposizioni naturali , e quanto aia imfmsilnlc il poter ben filo¬ sofare senza la scorta della geometria, conforme al vero pronunciato di LHatone. So a un poso massimo, pendente da una corda, si aggiugnerà per fianco qualsivoglia altro minimo poso, questo alzerà il massimo, es¬ sendo elio il piccolo scendo por un arco verso il contatto etc., ed il massimo ascende por la circonferenza; dal che no seguirà die la sua salita sia secondo qualsivoglia proporziono minor della scesa del pic- col peso. Col misuratore del tempo si possono numerare le vibrazioni, te- io nendo il filo in mano come so lusso legato a un luogo stabile; e preso il tempo, con la monto si numereranno senza errore, benché non si veggkino, le vibrazioni. Assai manco si salterebbe a piò giunti so minor fosse la lunghezza del piede, e forse il salto sarebbe nullo se si [tosasse sopra le punte di due coni. Un mobile non può aver impeto verso diverso bande : e però la ruzzola, andando velocemente, si sostimi ritta ; ed in line, mancando la velocità per P innanzi, comincia a piegare alla banda : e però il peso nelle pallottole lavora pochissimo quando quella si muove ve- w locemente ; ma ben lavora assai verso ’l lino del muto, dove egli è lento. Quando la velocità è P istessa ed uniforme, gli spazii passati hanno fra loro la medesima proporzione do’ tempi ; e quando il tempo è Pistesso e le velocità differenti, gli spazii passati sou fra di loro come esse velocità. Quando dunque la velocità crescesse secondo la propor¬ zione dell’allungamento del tempo, gli spazii passati crescerebbero con doppia proporziono di quella che cresce il tempo. Volendo la natura far il cielo inalterabile etc., maraviglia ò ch’olla non 1 abbia fatto di sustanza tale che non lasci luogo di dubitare: so ma, all incontro, ammettono i illusoli trovarsi nel cielo qualità, dalle DI DATA INCERTA. 616 quali più che da tutte V altre si possa argumentare alterazione etc. ; e questo sono il denso ed il raro, lo quali appresso di noi sono cagione potissima di moltissime alterazioni, come di gravità e leggerezza otc. (l> . APPENDICE. Dèi Sig. ye Pier Francesco Ttinuccini , datomi da esso doppo la morte del Ga¬ lileo; di sua mano , come un saggio fatto ad instigazione del Galileo cieco, per introduzione. alV esame sopra del Imitalo De incessa animalium, che esso Galileo voleva fare (2) . Nelle molte delizie per le quali si rende Napoli tra le altre città d’Italia rag¬ ie guardevole, non sono di minore stima 1’ acque del Formale, le quali non solo alla sete degli abitanti con diletto soccorrono, ma quelli ancora mandono a torlo, che e per diversi mari e per alpi diverse ne sono pii! che lontani, non perchè d’ acque siano bisognosi, ma per di quelle abbeverarsi più saporitamente. Con¬ servano queste credito per lunghezza di secoli ; ed i Napoletani non pure godono di loro salubri purità e freschezza, ma di avere un sì ricco dono dalla natura se ne vanno sopra 1’ altre nazioni e gloriosi e altieri. Ora, se gli avvenisse che qualche valente empirico ritrovasse con sue distillazioni che le ritengono di qualche miniera che alla nostra complessione è nociva, con quanto ritegno biso¬ gnerebbe eh’ egli ciò palesasse ! quai romori da’ paesani si leverebbono contro 20 di lui, vedendo da tali non pensati distillamenti privarsi nell’avvenire del gusto che sin qui avevano goduto, ed esser loro stato messo nel capo uno scrupolo di aver colto, come si dice, co’fiori il serpente! Farebbe bendi mestioro all’alchi¬ mista averne più che certa e sicura la prova, per salvarsi dal furore del popolo, che di tante perdite in una perdita si dorrebbe. Non dissimile accidente sarà da temersi da chi che sia, che arrisicandosi a sottilmente esaminare i detti degli antichi filosofi, e sopra tutti quelli del Maestro di color che sanno , se si abbat¬ terà a cosa ritrovarvi che sia lontana dal vero, tacerla più sarebbe forse a suo prò, e imparar da Cam e da Atteone esser sempre disvantaggioso di scoprir 27. ritrovarvi che. che sia — 0» Mss. Gai, Par. VI, T. Ili, cnr. 61r.-64r., di avverto: « Di mano dol Galileo *, e di fronte allo mano dol Viviani, elio in capo alla car. Gir. nota: Un. 23 e seg. dolili png. 614 lino alla lin. 3 dolio • Di mano di Mjosser] Afforco] A[mbrogetti|, in 4®, pag. 015: « Di mano d* un servidore ». da 4 lacciuolo *; o di frouto alle lin. 4-8 della pag. 612 Intorno a questo appunto vedi PAvrertimouto. G 1 G FRAMMENTI l’altrui vergogno: ma se forza di verità gli sciogliesse la lingua, c la natura a vendicare i suoi oltraggi lo chiamasse, perchè negherà la voce che da lei ebbe, se ella al figliolo mutolo di Creso la rese, perchè il padre dell’imminente pericolo facesse avvertito? Dire è meglio, quando il fine è buono: e quale puh essere o migliore o più lodevole, che scoprire un veleno che in una fonte pubblica si na¬ scondesse, dove tutto il inondo corre alierò senza alcun riguardo? Tali sono gli scritti di Aristotile, cioè fontane esposte al pubblico, ove T umano legnaggio a gara si lancia, per bere avidamente i dogmi filosofici. Laonde se altri scoprirà, quell 1 acque limpidissime, riputate pure e sincere, non esser del tutto da ogni immondizia purgato, molto rnescolarvisi di fango, con quali strida sarà assalito, io qual tumulto controdi lui, non meno da fontanieri che da’bevitori, solleverassi? Maggiora al sicuro di quello che l’immaginazione possa rappresentare al pen¬ siero. Sarà dunque lodevole tacersi dove con tanto rischio si lm da comprare la salute di chi ha per male il guarire? Non si ha da tacere. Mettiamo, dunque, alquanto dell’acqua peripatetica, e, distillatala, reggiamo se è così pura e netta, cliente altri la ci ha dipinta. Pigliamo dov'egli tratta del camminare dogli ani¬ mali, e prima esaminiamo quel luogo dove del cavallo prende a ragionare. Dico Aristotile elio il camminare del cavallo non si fa, nè può farsi, altri¬ menti elio movendo i piedi in maniera, elio vengano come ad incrociarsi ; cioè, a dirlo più chiaramente, elio quando si muove, v. g., il piede diritto dinanzi, si 20 muova di dietro nelfistesso tempo il manco: imperciocché se il cavallo movesse tutti e duci piedi dalPistcssa banda nelfistesso tempo, gli sarebbe forza cadere, mancandogli quell’appoggio del quale, per sostenersi ritto, l’ha provveduto la natura. Sin qui Aristotile; al quale dentro ogni termine di riverenza rispon¬ dendo, dimando così: Da qual cagiono avete voi creduto esser derivato che voi non cascassi, ogni volta clic voi vi mettessi a camminare ? perchè io non credo che voi andassi per le strade soltanto a piè pari ; e se voi non facevate così, 0 non vi facessi portare, vi ora d’ uopo, volendovi movere, muover prima V uno dei piedi, cioè spogliare del suo sostegno interamente tutta quella parte, cioè cascare. Porse dal non cascare vi fiancheggiava la ragione, della quale sono manchevoli 8 D i cavalli? Oh se questa vale a poter trasgredire, movendosi, l’inviolabil leggi della natura, perchè non ci moviamo noi 0 senza piegar le ginocchia, 0 posati sopra piano non sodo e stabile, ma per l’aria, 0 sulla superficie dell’acque, 0 sulle cime delle biade? Ma se egli, osservando gli animali, non istimò conve¬ niente a uomo filosofo rivolger gli occhi in sè stesso, doveva almeno più atten¬ tamente fermarsi alla contemplazione di quelli ; e se voleva insegnar come si movano i piedi d un cavallo che si move, bisognava prima imparare in quanti modi si move. Se così faceva, avrebbe veduto che tal volta si muove con i piedi rispondentisi reciprocamente di traverso, come viaggiando egli aveva facilmente 21. di dietro nell'ùteeto nell'Utero manco — 28. portare , ci era di ecopo, volendovi — \ DI DATA INCERTA. 617 osservato; alle volto muove insieme i due dalla medesima banda, come quei cavalli che oliinei o portanti sono chiamati; tal ora alzano quei dinanzi uniti, quasi per uniti strascinando quei di dietro, come nelle corbette addiviene; e sovente tutt’a quattro gli levano, e ciò quando vanno in capriole; talvolta ne leveranno anche un solo; e forse in altri modi : ma questi che si son detti mi pare che siano a sufficienza, acciò si vegga quanto sia alla verità, contrario il dotto di Aristotile circa il muoversi del cavallo, È forse vero elio il cavallo caderebbc so movesse tutt’ a due i piedi dalla medesima banda, o nell’istesso tempo, con intenzione di star fermo; e si vede che, così facendo, piega a quella parte e con lui fa piegare chi ci è sopra, e se io l’aiuto degli altri duoi indugiassero, male ne avverrebbe: ma quel pronto soc¬ corso rimedia ad ogni inconveniente. E nell’istessa maniera segue in tutti gli altri moti ; talché so Aristotile diceva: Al cavallo che vuole star fermo conviene tener tutt’a quattro i piedi in terra, a mio parere avrebbe detto bene, non potendo star ritto naturalmente in altra maniera: ma quando egli è in moto, la natura non gli ha limitato l’adoperar le gambe più in questa che in quell’altra guisa, come potrà, veder chiunque si piglierà, briga di andare a qualsivoglia cavalle¬ rizza, ed osservare in quanti modi muova, ad un fischio di bacchetta, il cavallo i piedi obbedienti, etc. VITI. 78 618 FKAMMiiNTI In numeris ab imitate consequentibus, aumma cuiuslibot multitu- dinis ad aliam sumiuam alterius multitudinis, ai ab utraque diini- a i dium maximi numeri auferatur, est ut quadratum multitudinis 2 3 unius ad quadratum alterius multitudinis. Summa onim ab est 36; ' 4 ablato dimidio 8, remanet 32 : summa ac est 21 ; ablato diini- fi dio 6, remanet 18: et 32 ad 18 est ut quadratimi multitudinis al, J ^ riempe 64, ad quadratum multitudinis ac, quod est 36 (l> . b 8 Quando si domanda che proporzione abbia il minor numero col maggiore, si dice un sub : come 7 a 3, dupla seccquitertia ; domandato di 3 a 7, si chiamerà subdupla sexquitcrtia. Per confrontar con i numeri lo proposizioni del 2° libro, comi* della 4", si fa a questo modo. Sia una linea retta 8 palmi, per esem¬ pio; segata in qualsivoglia modo, verbi grazi a che una parte sia 5 e P altra sia 3, i quadrati della linea elio è 5 o di quella che è 3 sono uguali alli rettangoli contenuti due volte dalle detti' linee, cioè da 5 e 3 : e si fa in questa maniera. Si raddoppiano i numeri di que¬ sti quadrati in sè stessi, come 5 vie 5 fa 25, o 3 vie 3, 9 ; 25 e 1) fa 34 : così lui da tornare raddoppiando noi_ (2> . 01 Mss. Gal., Par. V, T. II, car. 35r..
  • - Gai, Par. V, T. IV, car. 27 r., di mano di Yinoknzto Vivtant. In capo al fram¬ mento si legge, pur di mano dol Viviani: « Galileo Galilei ». DI DATA INCERTA. 619 ab est inedia inter ca, as : nani rettan- gulum cas aoquatur rettangulo faci. Si onini ducatnr cf, erit triangulum caf simile trian- gulo aad f|) . Si ut eh ad bd, ita est db ad he, erit ita ed ad de; et quia eh est dupla Oc, erit □ ed duplum □ de w . f Sit ic perpendicularis ad diametrum circuii ab; ductaque a puncto a quaecumque linea circunferentiae otperpen- 10 diculari ci occurrens, ut ahi, dico, rectangu- lum dai rectangulo Ime esse aequale. Si enim iungatur recta db, erit angulus in semicirculo ad punctum d rectus ; estquc angulus c quoque rectus, coiumuuis autem . angulus ad a : ergo triangulorum aequian- gulorum dal), cui latera erunt proportionalia, utque ba ad ad, ita ia ad ac. Ergo patet proposituin <3) . Sit circulus, cuius diameter ab, et ipsi parallela tangens ce, et ex termino b quaelibet linea bu in ciroulo applicetur : dico, pei’pendi- (i) Mhs. Gal., Par. V, T. II, car. 35r., di mano di Mauio Guiduuui. Iu capo al irnm- mano di Niccolò Auiughjctti. meato lesosi la seguente noto, di mano di li) Mas. Gal., Par. V, T. II, car. 158ft, Niccolò Aiuugiietti : « liaec prima propo- autografo di Galileo. sitio non est motus materia, et baee pagina (») Mbs. Gal., L’ar. V, T. II, car. 58r., di est Ilio posita propter secundam ». 620 FRAMMENTI culares, quae a terni in ia b, o ipsi ho accomodantur, ol protractas, do linea ce partem diametro circuii f aequalem semper intercipere. j Iungatur eniin uo, et extendatur ad tangentem in f, quae ad bo erit perpendicularis, cui ex b pa¬ rallela sit he: demostrandum, fe diametro circuii f esse aequalom. Id autom constat, quia in paral¬ lelogrammo abef luterà ab, fe opposita auqualia [) sunt, ex Elementi^. Vel dicas, quod ducta ox o, oy parallela ipsi ab, io et by perpendiculari ad bo, abscindetur sempor og aequalis diametro circuii ; quod patot ox aób, f ‘ uby similibuB et aequalibuu Mbb. Qal., Par. V, 1. Il, car. 164r., di Niccolo A luti quitti a car. (58r. dello autografo di (ìalilko. Se no ha copia di nmno stesso Tomo. DI DATA INCERTA. G21 Demonstrabitur etiam, quoti rectangula talia quae a lineis ex a ad lineam ex ductis et a linea xm sectis, ea quae fiunt a liueis vicinio¬ ri bus ipsi aci semper minora sunt illis quae a remotioribus descri- buntur lineis. Constat insuper, quod media inter iac est omnium mediarum mi¬ nima, quae cadunt inter paf, lab etc. Alitor brevius. Posito angulo acS aequali 7° eam, erit linea eS parallela am; ergo perpendicularis ad mx, eritque aequalis Sa : quare, centro ò', intervallo Se, circulus tanget mx in c: unde patot propositum. io Vide mun ya ad a3 sit ut de ad ez (1) . Sit bd media inter sd, de, et centro d, intervallo b, secetur de, et per b ipsi si parallela Ma. Quia ts tangit, et le sectit, et ba est pa¬ rallela ts, erit /\ ali similis triangulo tcd. Credo, angulum see bifariam esso sectum per eh. Angulu8 tds duabns circumferentiis oc, et insistit; ergo illae sunt similes: et circumferen- tia do similis est del ; ergo ut linea do ad oc, 20 ita dt ad te : et quia □ dse aequatur □ si, ergo ut ds ad si, ita ts ad se: ergo /V dst, tsc similia sunt, quibus et /\ ode, ieb similia sunt: quia est ut sd ad de, ita de ad de, ergo Z\ sde similis est Z_° dee, et ut se ad ec, ita sd ad de, et ita est sb ad he : ergo an- gulus ces bifariam secatur linea cb l2) . Sit triangulum rectangulum abe, et ab sit aequalis bc, et secetur bi¬ fariam oc in d, et connectatur bd, sitque ai ipsi cb parallela ; posita- que ae ipsi ab aequali, erunt ea, 30 ac, ad continue proportionales. Se¬ cetur cb bifariam in f et connec¬ tatur cf: dico, quod si protraliatur 1. Uemontrabitur — S. acpiualis — 13-14. par aliala— <*> Mas. Gal., Par. V, T. II, car. 130/., « Msb. Gal., Par. V, T. 11, car. 129f. t autografo di Galileo. autografo di Galileo. 622 FRAMMENTI quaelibet linea ox pimelo ail linoam ai, utputa cglu, esse proportio- nales ci, iy, ih (|) . Le parti quante nella linea terminata o sono Unite o infinite : finito no, perché la divisione non s’estenderebbe in infinito; infinite no, perché la linea proposta sarebbe stata infinita in lunghezza. Dico, nò essere infinite nò finito, ma esser tanto che rispondono ad ogni numero : o rispondendo ad ogni numero, non sono infinite, perchè nessun numero è infinito ; nò meno sono finito, cioè determinate da qualche numero, perchè d’ ogni numero determinato co no sono altri maggiori. io La fallacia è nel distinguere, dicendo, 0 suno finite, o infinite, per¬ chè il finito e infinito sono differenti di genere: od in questa guisa non ò buona divisione : L’ avorio o l giallo o è dolce, potendo essere nò giallo nò dolco. Dirà alcuno : « Io divido la linea in duo parti quante, poi in 4, poi in 100, nè inai arrivo al fine della divisione ; adunque nella linea è l’infinito de’quanti ». S’inganna questo nel suo discorso, perchè non meno dista dall’infinito il mille che il 100, o che il ‘20, o che il 4; e dalle 4 allo 20, poi allo 100 od allo 1000 otc., non si cam¬ mina verso la infinità : onde questa inquisizione non ci può accertare 20 se vi sia l’infinito o no ; sì come quello che, partendo da Venezia, naviga sempre verso mezzogiorno, non trovando mai Costantinopoli, non può dire : « Costantinopoli è lontano da Venezia in infinito », potendo essere 0 vero che Costantinopoli non sia in natura, 0 vero che quella strada non vadia in quel verso ; ma potria ben dire, tal distanza esser infinita, quando, andando a quella volta dove fusse Costantinopoli, fusse impossibile 1’ arrivarvi mai. Concludo adunque, che la via della divisione e subdivisione, non camminando verso l’in¬ finito, non ci servo a niente per concludere so l’infinito vi sia o no. Puossi continuar sempre la divisione senza che mai lo parti siano so infinite, ma sempre contenute da qualche numero; perchè non c’è * Mss. Gal., Par. V, T. II, cai\176r., au- cancellato con lineo trasversali, e in calce si tograto di Galileo. L’intero framiuonto ù legge, jmr di inailo di Galileo: «falsa est». DI DATA INCERTA. 623! numero del quale non ne sia un altro maggiore, nò vi ò numero che sia infinito. Quello elio risponde a tutti i numeri, non ò di necessità infinito, perché non c’ è numero alcuno infinito ; e quello eli’ è determinato da qualche numero, non risponde a tutti i numeri, perchè nessun numero includo tutti i numeri. Adunque quello eh’ è determinato da qualche numero è altro che quello che risponde a tutti i numeri ; e quello che risponde a tutti i numeri è altro che l’infinito. Adunque aviamo tre cose differenti, cioè, quello che ò determinato da qualche io numero, quello che risponde a tutti i numeri, e l’infinito. C|ii dun¬ que dirà che le parti del continuo sono tanto che rispondono ad ogni numero, dirà Lene l,) . Si corpora physica non ex indivisibilibus Constant, sed habent quanta minima in quae resolvantur, inquirendum est de ipsorum rni- nimorum figuris, quae dubio procul erunt sphericae. Asserunt enim causala cur minima naturalia necessario sint quanta ; quia, scilicet, talis forame, ut puta lapidis, terrae, auri, sub minori quantitate con¬ sistere nequeunt : cuin autem tres sint quantitatis dimonsiones, di- cendum est, formam illius corporis physici sub minori longitudine, 20 latitudine et profunditate, consistere non posse. Dimensiones autem istae in corpore non organico non differunt nisi aecundum nostrani considerationem ; aequales ergo erunt in minimis bisce coinponen- tibus, et, per consequens, quia minima, erunt physica ‘’ 2> . Sian c.a, al, ad note; sarà nota anco de e bf: e perché dh è nota, aendo eguale a de od essendo il A simile al noto fbc, sarà noto di; ed è nota di, elio sono i sini degli archi Un, mn, li quali pero sa- ranno noti, e la loro proporzione. (*) Mas. Gal., Par. VI, T. Il, car. 6% di nmno del sec. XVII. m Mas. Gal., Par. VI, T. II, car. 6r., della mano stessa del frammento precedente. 02-1 FUAMMBNTI Sia il globo solare, il cui semidiametro ab, e sia l’arco II gr. 30: sarà la linea hi 866 di quali ab è 1000. Prima, è manifesto elio 2 punti b , ì, n posti nella superfìcie, passeranno i siivi hi, ha nel- P istesso tempo: ò in oltre chiaro, clic ponendogli nello linee de, ac prolungate in infinito, i punti e,c traversorebbono lo medesime linee ha, ld in tempi proporzionali ad esso; sì che, non si dando tal di¬ stanza infinita, i transiti per ba, ld si faranno in A tempi che fra di loro amano minor proporzione 0 elio non ha la linea ha alla di. E perchè, sondo io a di 866, ab è 1000, ed il tempo por hi al tempo per ba deve esser conio 7 a 8, facciasi come 7 a 8, così 866 a un’ altra, elio sia di; sarà 947 tn e la rimanente itj sarà 53. Adattisi la io eguale a (jd, e per a passi la parallela ac, elio concorra con d/j in e, e, cen¬ tro a, facciasi ’l cerchio cef .... I " ) . Fixae sunt adniorlum exiguae, adoo ut ncque Canis ipse multa superet minuta secunda 13 ’. Posita © diametro gr. 0, m. 34, erit eius discus ad sui caeli su- perficiem ut 1 ad 221760 <4) . 20 Incertum esse nuinquid cauli medietas appareat supra orizontem necne, ex pluribus causis contingit, maxime autem ex refractionibus, stellas efferentibus ; praeterquam quod ipsaemet stellao circa orizontem inconspicuae sunt (S> . li. Tra 53 o Adattisi vaitela ad af. — legnosi, cancellato : tirisi per 1 la parallela a 1)1 e per il la pa ■ (,) Nell 1 autografo si leggo .947. In ma gine del foglio ò 1* operazione, pur di ma: di Galileo, con la quale egli ricercò il quar termine della proporzione, e da cui gli j Bultò, per errore di calcolo, appunto 947 * 2) Mss. Gal., Par. V, T. II, car. 133 autografo di Galileo. W INIss. Gal., Par. VI, T. II, car. (ir., di mano del sec. XVII. (4 > Mss. Gal., Pur. VI, T. II, car. 6f., della mano stessa del frammento proce¬ dente. Mss. Gal., Par. Ili, T. Ili, car. 3(>r., autografo di Galileo. DI DATA INCERTA. G25 Falsitas observationia Dominici Marine ex eo maxime (lepreliendi- tur, quia si in nostro meridiano talis facta fuisset poli elevatio, in aliis non secundum eandem quantitatem contigisset; quin et in aliis regioniìms non nullis fere nihil immutata esset, etc ." 1 Utimur, tanquam rationali mensura, temporibus revolutionis diurnae; et oorum particulis monstruas 0 , Solis annuas, alias reli- quorum planetarum, reversiones metiri consuevimus : quae, tum inter se, tum primae lationi, incommensurabiles cum sint, irrationabiles ergo et prorsus inexplicabiles extant. Quapropter iis qui sequentur io astronomis, sicuti et superioribus omnibus, negocium in astronomia non doer.it. Insuper, reliquarum omnium lationum mensuram facimus diurnam rovolutionem eiusquo particulas, quasi et ipsa aequabilis ac uniformis sit, aequalesque illius arcus aequalibus temporibus respon- doant : sed quia obsorvavit, quia vidit, acquatone aequabilom esso transitimi ? (2> Crediderunt Peripatetici, causam scintillationis fixarum esse remo- tionem, ob quam visus noster debilis ac trepidans ad illas pervenit, sed, ut rectius loquantur, ob quam illarum fulgor debilis ac titubane ad oculum pertingit : quod, de more, e diametro falsimi erit. Nam 20 lixae scintillant, quia, suapte natura lucidae, fulgorem ab intra emit- 1. Marie — Questo appunto si legge, di mano di Galileo, come postilla marginale di fronte allo lin. 2-12 della pag. 213 dell’opera inti¬ tolata «Gijiliklmi Gilbkuti Colcestrensis, Medici Londinensis, l)e magnete magncticis- qne corporìbus, et de magno magnete telltire, pii geologia nova , plurimis et argumentis et experimentìs demonstrata. Londini, excudebat. Petrus Short, anno MDO », in un esemplare che appartenne già a Galileo, come egli stesso notò di suo pugno sul frontespizio, e che presontemente ò posseduto dalla Biblio¬ teca Nazionale di Firenze ed ivi segnato con la indicazione: Banco rari f A. 8, p . 3, n. 14 (bis). Si riferisce al seguente passo dell 1 opera del Giluert : « Quaro Dominici Vili. Mariae Ferrariensia, viri ingcmosissinii, qui luit Nicolai Copernici praeceptor, opinio de- lenda est, quae ex ohservat.ionihus quihus- dam siiis talis est. Ego, inquit, superioribus annis, contemplando Ptolemaei Geographiam, inveni, elevationos poli Borei ab eo positns in singulis regionibus, ab iis qui nostri tem¬ pori sunt, gradii uno et deccm minutis de- ficere, quae diversità» vitio tabulae nequa- quam ascribi potest; non enim credibile est, totani libri seriem in numeris tabularum aequaliter depravatam esse: eapropter no- cesse est, pollini Borcum versus pnnetum verticalem delatum concedere ». W Mss. Gal., Par. VI, T. 11, car. (ir., di mano del sec. XVII. 79 626 FRAMMENTI tunt, radiosque fulgentissimos vibrant : planetae enim, suapte natura obscuri, alieno tantum lumina in superficie pingnntnr ; languet exinde ipsorum lux asciti tia, quae movori desinit in planetarum corpora impingens Mas. Gal., Par. VI, T. II, car. Gt., della mano stessa del frammento prece¬ dente. « Mas. Gal., Par. VI, T. II, car. 6r., della mano stessa dei duo frammenti pre¬ cedenti. W Mas. Gal., Par. VI, T. II, car. 6*., della mano stessa dei frammenti precedenti. DI DATA INCESTA. 627 impossibile sit, quod, quaeso, de aliis 7 erronibus existimandum ? quid eorum errores statutis legibus excribot ? <,) Si Luna esset speculum, ad imagines circumadstantium corporum pingeretur, ipsorumque simulacra ad nos retorqueret; veruni Solis ac stellarum idola, ob nimiam illorum a 3 distantiam nec non ob 3 a nobis elongationem, itemque ob eius sphaericitatem, omnino incon- spicua forent. Afficeretur igitur universa 3*° superfìcies ab imaginibus totius aetberis circumfusi, euius colore coloraretur. Invisibilis ergo esset 3 Li cacio, ac Solis lumen nullatenus ad nos retorqueret: Sol io enini in emisplierio 3 eam occuparet partem, quam corpus illius in toto fere caelo occupat l2) . Il cristallo, che voi ponete intorno alla 3> 11011 vien compreso se non con l’immaginazione: e voi volete prepor questa cognizione a quella del senso, che ci mostra le inegualità. Può esser elio il Colombo s’intenda de’ Monti della Terra, ciò è del Presto, ma di quei della 3 <3> • • • • Vedi clic il moto del cristallino, se è participato con lo stellato, non può mutar le sue parti rispetto alle stello fisse; e se non ò par¬ ticipato dalla sfera stellata, come si è conosciuto tal moto ? (4) ") Mas. Gal., Piu-. VI, T. II, cur. 6r., della mano stessa dei frammenti precedenti. < 2 > Mas. Gal., Par. VI, T. II, car. 6f., della mano stessa dei frammenti precedenti. < n > Mss. Gal., Par. II, T. Xlif, car. 28/., autografo di Galileo. W Questo appunto si legge, di mano di Galileo, come postilla marginale di fronte allo ultime setto lince della pag. 48 del « Di¬ scorso di Lodovico delle Colomiik, nel quale si dimostra che la nuova stella, apparita l'Ot¬ tobre passato 1601 nel Sagittario, non è co¬ meta, ne stella generala o creata di nuovo, nb apparente , ma una di quelle che furono da principio nel cielo, e ciò esser conforme alla vera filosofia, teologia e astronomiche demostra- zioni; con alquanto di esagerazione contro a’giu- diciari astrologa. In Firenze, nella stamperia de’Giunti, 1G0G », in un esemplare clic faceva parte della Biblioteca Boncompagni in Roma. Si riferisco al seguente luogo della pag. 48 del Discorso: « Bisolvesi adunque, la nuova G28 FRAMMENTI Non è forse inen contraria la quiete al moto in giù elio ’l moto circolare: e pur dato nella Terra 2 principii, uno di muoversi o l’altro di star ferma. 11 retto e T circolare si compatiscono, ma non il moto o la quiete 11 \ Licet rnotus Terrae diurnus 10000 conversiones singulis horis con- ficeret, inhaerentia corpora non oxtrudereutur ; quod ex perieli tia pro- hatur. Bum enim canales in conica superficie dispositos convertimus, globali in latione, non admodum coleri, in partiims inferioribus ascen- dunt ; quo autem magis elongantur a centro, co ut ascendant, maio- rem exigunt celeritatem ; ergo etc.'" io Correndo una nave velocissimamente, la freccia o palla (elio sarà meglio) scaricata con l’arco a perpendicolo, veramente non riceve l’impeto a perpendicolo, ma incli¬ nato verso la parte dove cammina la nave, perchè, movendosi, per esempio, la nave dalla sinistra verso la destra, nello scattare dell’arco la palla si trova in a, e nel separarsi dalla corda, si trova in b; adunque l’impeto ricevuto è secondo la linea inclinata ab, e non se- 20 condo il perpendicolo. Parimente se la Terra stesse ferma, l’artiglieria a al segno b darà giusto, movendosi la palla secondo la linea abf; ma se la Terra girasse, dovria dare alto, girando verso la destra; e così appare a chi considera poco: ma a chi considererà che mentre che la palla cammina dentro al pezzo, stella, e l’altro simili apparito in diversi tem¬ pi, o so altro se no vedranno, esser vero e reali alcllc, da principio create nel cielo, ma nel primo mobile, e fattesi visibili mediante alcune parti più denso del cristallino cielo sottoposto, che la spezie luminosa di quello assai maggior rappresentando, in sembianza delle primo stelle a gli occhi nostri palesate bì sono; e che, per lo ragioni, autorità, esem¬ pli mentovati di sopra, non vi abbia dubi¬ tanza veruna, potersi le nominate stelle esser vedute non sempre, o per più e manco tempo, e maggiori e minori dimostrarsi, e sparire allatto e ritornare senza fallo veruno, eco. ». <*> Mas. Gal., Par. IV, T. VI, car. 21 r., autografo di Galileo. « Mss. Gal., Par. VI, T. 11, car. (ir., di mano del seu. XVII. DI DATA INCERTA. 629 l’artiglieria viene da a in c, onde la palla riceve l’impeto più inclinato, cioè secondo la linea aed, intenderà benissimo come la botta non doverà dar alto, ma nell’istesso segno b, trasportato dal moto della Terra in d, mentre la palla va per aria da c in d; e quanto più il moto sarà veloce, tanto più grande sarà la distanza bd, ma anco tanto sarà maggiore il progresso ac, e l’inclinazione del cd sotto al tiro primo àbf' u . Àggiugni al volar degli uccelli, che il maggior deviar dalla ver¬ tigine della Terra sarebbe il volar continuamente verso occidente ; o così 1’ uccello iloventa come una freccia tirata per quel verso, che io non là altro che detrarre alquanto al moto diurno <2) . nota remo prò articolo fidei debent suini ea quae nullis rationibus, nullis experientiis, reprobimi aut confirmari possunt. At, sicuti erroneum fuisset sub articuio fidei negare Àmericam aut antipodas, ita etc. <4> Prima, si nihil interest, sileatur: deinde, si evidenter et manifestis¬ sime repugnat Scripturao, adeo ut loca eius indiani glosam patiantur, pari ter sileatur, et Copernicus comburatur; at si non repugnat, non producatur Scriptura, set rationibus naturalibus disputetur (!)) . Ancorché i sacri teologi siano quelli che intendano meglio come so camminino i moti del Sole e dell’ altre stelle che non lo sanno gli astronomi, tuttavia per regolare i tempi delle Fasque e delle altre feste mobili ricorrono, anzi si rimettono, a gli astronomi. Ma perchè £ • non regolarsi con la loro sopraeminente intelligenza? 15. nihil inlcret, sileatur — 18. Dopo disputetur si legge, cancellato, si concitiserint. — «> Mss. Gal., Par. VI, T. II, cav. 20<., della mano stessa del frammento) prece¬ dente. Se no ha un’altra copia, di mano del soc. XIX, a car. 56r. del cod. 562 della Bi¬ blioteca Universitaria di l’avia. < s > Mss. Gal., Par. Ili, T. H, car. 22r., autografo di Galileo (vedi voi. VII di que¬ st’ edizione, pag. 536). (3) Forse Ioannks Humus? (autore di un opuscolo col titolo: Ioannis Remi, Quietani , Matthiac Imperatori# medici et mathematici, libcllus De cometa anni 1618 . Oeniponti, 1618). <*> Mss. Gal., Par. Ili, T. II, car. 25r., autografo di Galileo. <*> Mss. Gal., Par. Ili, T. II, car. 25r., autografo di Galileo. <•> Mss. Gal., Par. V, T. IV, car. 15r., di mano del Yiviani, di seguito al fram¬ mento Salv. In proposito eco., (cfr. pag. 632, lin.16— pag.633, lin. IO), del quale il Vlvjani afferma d’aver 1’ originale. G30 FRAMMENTI Quell’empio elio cercò di eternare il suo nome con la destiamone del tempio di Diana Efesia, reso la fama di esso tempio forse più celebre die pei 1 sè non saria stata Cercasi per qual cagione i luoghi montuosi, o vicini alle gran montagne, siano più de gli altri sottoposti allo tempeste, fulmini, tuoni e baleni. Forse la cagiono è tale. Levansi dalla terra vapori ed esalazioni : sono i vapori materia delle piogge, nebbie o nugole ; ma F esalazioni producono stello cadenti, travi ed altro impressioni ignee : queste sono frequenti nella state, per lo molto esalazioni ele¬ vate dal caldo del Sole ; quello abbondano nell’ inverno o ne’ tempi io non caldi, per la copia de i vapori umidi. E mentre elio 1’ aria sarà ripiena di semplici vapori, darà solamente pioggia o neve ; ma se vi saranno in copia semplici esalazioni, vedrnnnosi lo sole impressioni ignee sopradette : ma se nell’ istesso tempo abbonderanno nell’ aria e vapori ed esalazioni, allora, por il contrasto dello contrarietà, 1’ esa¬ lazioni serrate e combattuto da i vapori produrranno tuoni, lampi e saette, ed i vapori, per 1’ andiparistasi dell’ esalazioni, non solo in pioggia, ma in grandine o tempesta, si risolveranno. Ora, acciò si elevino nell’ istesso tempo e l’esalazioni ed i vapori, sono i luoghi mon¬ tuosi accomodatissimi, e massime nel tempo caldo. Imperochè, ferendo 20 il Sole i dorsi de i monti esposti a mezzo dì ad angolo retto, gli ri¬ secca, e ne estrae copia grande di esalazioni ; ma da i dorsi boreali e dallo valli profonde ed umide ascendono in gran copia i vapori, i quali, mescolati con 1’ esalazioni, sono materia atta a produrre, me¬ diante le loro contrarietà, quelli effetti più violenti, di tuoni, lampi, fulmini, grandini e tempeste : dove che dalle pianure lontane da i monti, per esser loro nell’ istesso tempo ferite nel modo stesso da i raggi solari, non si fanno elevazioni di materie contrarie, ma simili, ed atte a produr effetti uniformi e meno violenti. L’inverno poi, per 1’ abbassamento del Sole, pochissimo esalazioni da i monti, e meno so <’> Mss. Gal., Par. V, T. IV, car. 15i., di mano dei Viyiani, il quale avverto : « Da una nota originale del Galileo su lo coperto De molu c della pcrcossu ». 11 frammento è cassato con linee trasversali. Se no ha copia nel T. Ili della Dar. VI, a car. DI DATA INCERTA. 631 dallo pianure, si elevano ; onde in quella stagione si hanno solamente gli effetti do i vapori, cioè piogge e nevi, etc. In oltre da i paesi montuosi maggior copia di vapori ed esalazioni si elevano che dalle pianure, perchè la superficie, v. g., di 10 miglia di paese montuoso è assai maggiore che quella di 10 miglia di piano ; e perchè 1’ eva¬ porazioni si fanno dalla superficie, adunque etc. Dico, in oltre, maggior copia di vapori elevarsi dalla terra umida che dall’ acqua, perchè 1’ acqua, come diafana, trasmette i raggi del Sole, e meno si riscalda che la terra opaca, la quale, riscaldata più, io maggiormente fuma. Segno di ciò sia, che in un giorno di state, d’ un vaso d’ acqua profonda, poca se u’ asciugherà ; ma se si con¬ tinuerà d’ asperger sottilmente una pietra o una tela, grandissima copia d’ acqua si convertirà in vapore. Poco dunque di vapori, e meno di esalazioni, si eleva dal mare (l> . In proposito del Padre Abate D. Benedetto, nel trattato del lago Trasimeno. È cosa degna di esser notata, quante sarebbero le gocciole del- P acqua piovente sopra la superficie del lago, data la distanza tra gocciola e gocciola, mantenuta sempre eguale tra ciascheduna di ilo (quello, e dato quanto sarebbe il semidiametro di un cerchio eguale alla superficie del lago, cioè quante di tali distanze ei conterrebbe : imperò che, fatti due cubi, uno del numero di tutte le date distanze, e P altro di un numero uno manco, e sottratto questo minor numero cubo dell’ altro, la loro differenza è il numero delle gocciolo sopra il dato cerchio cadenti. Per esempio, la distanza tra gocciola e goc¬ ciola sia un soldo; il semidiametro del cerchio sia soldi cento: fac¬ ciasi il cubo di 100, che è un milione, dal quale si tragga il numero cubo di 09, che è 970299; tratto questo da uu milione, resta 29701: o tanto sarà il numero delle gocce cadenti sopra il dato cerchio m . o Mss. Gal, Par. VI, T. II, car. 5"r., di mano del see. XVII. Gir. Mss. Gal., To* mo 135 dei Discepoli, car. 21 f. — 22r. <* Mss. Gal., Par. V, T. IV, car. m. - 20r., di mano di Vincenzio Galilei iim. Di qui il frammento è stato trascritto, da Vincen¬ zio Viviani, a car. 18SJ. — 189r. del T. IX della Par. V : vedi a questo proposito la 632 FRAMMENTI Esse in gravi repugnantiam intrinsecam ad motum instantaneum adeo ut non ratione medii impediente contingat successo et tarditas, qua dempta, scilicet per vacuum intervallimi, mobile instantanea ca- surum foret celeritate, patet voi maxime ex co, quod in principio lationis lente movetur, impetumque ac celeritatom acquirit successive; quod minime contingeret, si a principio intrinseco inesset illi pro¬ pensi) ad instantaneum motum. Cura eniin, tam in principio quam_ in medio lationis, eadem semper habeatur medii resistentia (aeri» nempe quiescontis), motus esset aequabilis, ortus nempe ab codoni principio, et factus in eodem medio, .... identidem dispositio (,) . io Motus deorsum gravibus est naturali», quatenns ea restituit in bonam constitutionom quae prins erant in mala: et sic motus etiam sursum iisdem naturali» est, ut cum ligmim ex aquae fluido fertur ad superficiem ; fertur enim ubi naturaliter quiescat. Ita quoque arboris ramus attollitur sursum naturaliter, quia vi inllexus fuerat (2) . Sa.lv. In proposito di quello che è tanto simplico che vuole per via di trombe alzar tant’acqua, che nel cadere poi faccia andar un mulino il quale non poteva andare in virtù della forza che egli applica nell 5 alzare V acqua ; è egli possibile che tu creda di potere riavere dall 5 acqua più forza di quella che tu gli hai prestata? è pos- 20 7-10. Tra quam od in (Jin. 7-8) o tra medio ed identidem (lin. 10) mancano dello parole per guanto della carta. Gli editori padovani ( Opere di Gamico Galilei, ccc. I 11 Padova, MDCCXLIV, eco. T. Ili, pag. 413), che pubblicarono i primi questo fram¬ mento, (e, per quanto sappiamo, sul ins. del quale anche noi ci siamo servili) lessero medio semperque eodem modo disposilo : ma identidem disposino si leggo anche oggi ben chia¬ ramente. — nota 1 a pag. 437 del presente volume. Così nell’originale di mano di Vincenzio Galilei, come nella copia di mano del Vi- vtani, a lin. 22 dopo distanze si legge con uno più, a lin. 23 dopo manco si leggo di tutto quello, a lin. 26 cento ò corrotto in tto- vanta nove, e a lin. 27 dopo 100 si legge che b uno di più di 99: ma con uno più, di tutto quello, novanta nove e che è mio di più di 99 noli’originale sono scritti tra lo linee 0 d’al¬ tra mano, e nella copia sono sottosegnati con pentolini ; c il Viviaki avvert e in mar¬ gine della propria copia: « Lo parole pun¬ tato sono aggiunto d’altra mano, elio par quella del P. Alessandro Ninci ». 11 Vi vi ani nota puro : « Avverti che par sia con tradi¬ zione tra l’esposizione della soluzione c l’esempio », il clic sembra riferirsi alle ag¬ giunte e alla correzione di mano del Ninoi. <•) Mss. Gal., Par. VI, T. Il, «ir. Gr. t di mano del sec. XVII. « Mss. Gal., Par. VI, T. II, car. GL, della inano stessa del frammento proce¬ dente. DI DATA INCERTA. 633 sibile che tu non intenda, che quella forza che bastò a alzar 1* acqua, basterà per muover la macina? Simpij. Signor no; perché io ho bisogno d’ avere per mantenimento della mia casa uno staio di farina la settimana; ed un imo ragaz- z ino in 6 gioì in con una secchiolina mi conduce in una conserva tant’ acqua all’ altezza di 4 braccia, che, lasciandola poi cadere sul ri¬ trecine, mi macina in una ora uno staio di grano* 0 . Tirando la ruzzola con lo spago, va velocissima, perché, nello svol¬ gersi della corda, lei aqquista impeto di rivolgersi con velocità in io sò stessa; il quale impeto, aggiunto alla proiezzione, nell’ arrivare in terra la fa ruzzolare velocemente. Perchè 1’ aste lunghe vanno più lontane che le brevi. Ragione della gran forza che si fa appuntando i piedi al muro, e con la schiena spingendo, facendo la gamba con la coscia angolo molto ottuso. Ohi vuol levare un moto, lo faccia comune. Il moto della penna di colui che scrive in barca, mentre quella cammina, è diversissimo da quello die ella fa stando la barca fermata : scrive i medesimi ca¬ ratteri, quia motus navis est comunis <2> . Perchè i giocatori di pallone si fanno gettare il pallone in contro, ed anco se gli muovono contro correndo <:,! . 0- Tra Jet e aqquista si leggo, cancellato, (*) Mss. Gal., Par. V, T. TV, car. 15r., di mano del Viviant, il quale avverto: « Di questo ho 1’ originalo ». Nel ma. autografo del Viviant citato a pag. 439, nota 1, si ha, a car. 19r., quanto seguo: «Al Migliorini, l ..andini od ad altri, veramente ingegnosi, ma solo pratici, meccanici, che protendono pervia di trombe o simili artifìzii alzar tant’acqua elio noi enduro poi faccia andar un molino elio non rì saria potato muover con la forza che si applica nell’alzar V acqua, dioasi ohe non ò possibile riaver dall’acqua più forza di quella che se gli ò prestata, e che quella gira. — forza che bastò a alzar l’acqua, basterà an¬ cora a muover la macine. Qui risponderanno d’aver bisogno, por mantenimento della lor casa, due stuia di farina la settimana, ed un lor ragazzino in (i giorni con una secchio!ina gli conduce in una conserva tant’acqua ul- l’al tozza di 4 braccia, che, lasciandola poi cadere sul ritrecine, gli macina poi in un’ora duo staia di grano. Adunque dirò io non...... E cosi rimane in tronco. w Mss. Gal., Par. I, T. XVI, car. 22*., autografo di Galileo. < s > Mss. Gal., Par. Ili, T. II, car. 19*., 634 Frammenti Dicero quod attracco magneti» et olectri sint a principio simili, est idem ac dicero, pinnam, cium a vento agitatur, ab eodem moveri principio ac avis, cluni proprio nisu volat Tu vasculis vitrois undique occlusis liquores et frnctus forte diu servali tur (2) . Calidi est rarefacere, et frigidi condensare. Nunupiid corpus ali- quod quod in aqua frigida non descendat, quia densior, clescendat idem in calida, quia rarior ? 131 Appresso le scuole de’ filosofi è approvato per vero principio, che del freddo sia proprietà il ristringere, o del caldo il rarefare. Ora, io stante questo, intendasi che l’aria contenuta nello strumento sia della medesima temperie che 1’ altra aria della stanza dove si pone ; e così, per ritrovarsi questi due corpi egualmente gravi in specie, no segue che 1’ uno non scaccia 1’ altro, come a quello che, per non acquistar niente, è meglio restar quivi. Ma se l’ aria circunfusa alla palla si raffredderà, con l’imporvi qualche corpo più freddo, i calidi contenuti nell’ aria compresa nella palla, come quelli che per esser in nu niezo men leggieri di loro, se ne saliranno in alto, c tal aria diverrà più fredda di prima ; e così, per l’antidetto principio, si ristringerà e terrà men luogo : onde (ne detur vocimi») il vino salirà 20 su ad occupar il luogo lasciato voto dall’ aria ; e di poi, riscaldata tal aria, rarefacendosi e tenendo maggior luogo, verrà a scacciare 0 mandar giù il vino, il quale, conio grave, volentieri gli cederà 21. voto dall 9 acqua ; e di poi — autografo di Galileo (vedi voi. VII di que¬ st’ edizione, pag. 531). <»> Mss. Gal., Par. V, T. IV, ear. 15r., di mano del Viviani,*ì1 quale avverte: < Da una noia originalo del Galileo su lo coperto De uìotn etc. * 11 frammento ò cassato con linee trasversali. Se ne ha copia nel T. Ili della Par. VI, a car. 36/., di seguito alla copia del frammento che pubblicammo a pag. 446, lin. 1-5, di questo volume. 11 copista, dopo aver trascritto quest’ ultimo frammento, pro¬ segue : «Sullo coperto di detta bozza De, molu etc. trovaimi questo altre noto di mano del medesimo * (cfr. nota 1 alla citata pag. 446); e. trascrivo quindi il presente frammento e, appresso, il frammento Quell’empio ecc. (cfr. pag. 630, lin. 1-3). <*> Mss. Gal., Par. VI, T. II, car. Gr., di mano del seo. XVII. Mss. Gal., Par. VI, T. II, nella stessa carta e della ninno stessa del frammento precedente. DI DATA INCERTA. 635 quel luogo; ondo ue segue elio il freddo non sia altro elio privazione di calilo. Olio gli uomini muoino intirizzati dal freddo, avviene die il freddo ambiente va consumando tutti quegli atomi ignei elle trova nello membra, onde, non v’ essendo più il calor naturale, si muore. L’ acqua posta in una stanza si trova nella medesima temperie che la stanza dove si pone, partecipando amendue egualmente di atomi ignei. Ma elio una mano, che tenuta in aria ti par calda, poi posta nell’ acqua si raffredda, questa ne è la cagione, consideran- 10 dosi e ’l caldo esterno e l’interno, che, mentre resta in aria, gli atomi ignei suoi proprii hanno luogo d’ uscire, che son quelli che cagio¬ nano il caldo ; ma posta in acqua, le particole d’ essa turano e ser¬ rano gli aditi onde escono i detti atomi, essendo le parti dell’ acqua maggiori dello porosità per le quali essi scappano fuori ; il che non avviene nell’ aria, trovando il campo libero, come quelli che non son tenuti dalle parti dell’ aria, per esser minori de i pori onde erumptmt : essendo che il caldo non sia altro che il contatto e solleticamento di quei atomi ealidi, i quali, nello scappar fuora, toccano le membra del corpo. 20 1j’ aria freddissima per tramontano è più fredda del diaccio e della nevo : in confermazione di che, se si approssimerà allo stru¬ mento in tal tempo della neve o del diaccio, il vino calerà notabil¬ mente. In oltre, per confermar questo, un vaso pien d’ acqua, posto noli’ acqua non ghiaccerà, o posto in aria diaccerà. In oltre, 1 ’ acque de’ fiumi dovriauo agghiacciarsi nel fondo, dove son più lontane dal caldo dell’aria, e non nella superficie, dove son vicinissime all’ aria ; ma ne segue il contrario ; onde etc. Nell’ istessa maniera, cioè dall’ operazion del caldo e del freddo, si maturano tutte le frutte e biade. Perchè, se considereremo la strul ao tura e fabbrica di quelle, prima vedremo, 1 ’ uva è composta di grani, o vogliamo dire vesciche, e questo si vedo apparentemente nell uva, dove ogni grano è una vescica; il simile ne’pomi granati, fichi, co¬ comeri ed altri : onde tali vesciche essendo piene d’ umore, venendo il caldo del Sole, le spreme e sgonfia, e mandano fuori parte' di quel- 1 ’ umore, onde la sera son passe ; ma nel sopraggiugner la notte, e raffreddandosi P aria, tali vesciche si vengono a riempiere di nuovo umore, e maggior di quel che ’l giorno avauti aveano mandato luoii, G36 FRAMMENTI onde esse vescicho vengono a molto più farsi capaci ; e per questa alterazione si maturano, facendo Pistesso effetto che fa lo strumento : in conferinazion di che si veggon la mattina durissime. Ed onde avvenga che ’l velluto tenga caldo, e P erinisino fresco. Ciò è causa, perche questo, come quel che s’accosta benissimo alla carne, serra i pori, onde restano i calidi drento, e così non si genera il caldo ; ma quello, per non s’avvicinar bene, lascia aperto il passo a quegli atomi, e così ne seguita il caldo. Ed il simile avviene nelle pelliccio Che il fumar dell’ acque de i pozzi P inverno non venga da lor io calore, è manifesto: perchè i panni die si asciugano al Sole, l’in¬ verno fumano, e la state no ; c P alito si vede P inverno, e non la state, etc. (ì) Incnlescat vitrcum vas oris angustissimi, donec aèr extrudatur, statimque obturetur, ne novus subintret aèr, et ita esinanitimi pon¬ deratili* in libra exactissima : deinde immissum idem vas in aqua, aperiatur ; ingrediotur tantumdem aquae, quantum desiderabatur aeris ; haec aqua servetur in alio vase : deinde primula vas optimo siccatum iterum ponderotur, iam naturali acre repletum : ponderabit dubio proonl magis quain antea, dum esset exinanitnm ; accepta- 20 que ponderum differentia, erit pondus aèreae molis, aquae scrvatae aequalis l3 \ In un fiasco si può constipar tant’ aria, che pesi, olir’ al peso ordinario del iiasco e dell’ aria, quant’ un coso di venti soldi ; onde no seguita eli’ ella sia grave, e non leggiera : perchè, s’ ella fosse tale, quanta più aria si constipasse nel fiasco, tanta più forza avrebbe d’ andare ad alto ; come si vede ohe un vaso, quanto più s’ empie di terra, tanto più va al fondo l4> . '*> Msb. Gal., Par.VI, T.II, car.20r., della mano stessa del frammento precedente. <*> Msb. Gal., Par. Vi, T. II, car. 6*., della roano stessa dei frammenti precedenti. « Mas. Gal., Par. VI, T. 11, car. 5% della muno dei frammonti precedenti. W JVlss. (lai., Par. VI, T. Il, car. 20r., della mauo dei frammenti precedenti. t DI DATA INClìRTA. G37 Problema. Perché P acqua nel zampillare all’ in bu si separa nelle parti alte, dove il muto è più lento Ogni sorte ili figura, fatta di qual si voglia grandezza, bagnata va al fondo, e non bagnata resta a galla: adunque non è la figura o la grandezza cagione dell’ andare al fondo o del restare a galla, ma 1’ esser o non esser bagnata n) . Quanti fumi, quanto esalazioni, quanti vapori, si veggono ascender velocemente nelle parti basse dell’ aria, che poi, elevati, si ritardano, si sparpagliano e si fermano ? <,l> io Aquam in sua regione non gravare, colligunt ex co, quoil si quis in profondo marie locotur, pondus imminentis aquae non sentiat. Id autem si recto dietimi est, inferam ego, non modo aquam non gravare, veruni potius levitare. Nani si maglina, v. g., lapis in pro¬ fondo maria ponatur, non modo ob imminentem aquam non redde- tur gravior, veruni longe minus ponderabit quam si aqua ablata fuerit (4) . 4 Sia il solido b in specie egualmente grave come P acqua ; e sia la mole c più grave in specie del solido b, ma di gravità assoluta eguale ad esso ; sarà dunque la mole e minore della mole b. Pon¬ sò gasi la mole cd eguale alla h, ed intendasi la parte d esser aria ; adunque d, essendo aria, iu aria non peserà niente, e però tutta la 0) Mss. Gal., l’ar. VI, T. Il, car. 5»r„ autografo di Galileo. (i) Quest’appunto si leggo, di mano di Galileo, sul margino inferiore della pag. 50 della prima edizione del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, in un esemplare posse¬ duto dalla biblioteca Palatina di Vienna, che porta la segnatura « Cod. XL. 24»; e lui relazione col passo della stessa pag. 50, elio in questa Edizione Nazionale si legge a pag. 117 del voi. IV, lin. 12-15. W Quest’appunto si leggo, di inano di Galileo, sul margine, di fronte alle lin. 10-17, della pag. 64 nell’ esemplare dol Discorso intorno alle cose che stanno in su V acqua eoe. citato nella nota precedente. Il passo, di fronte al quale è scritto, nella presente edizione ò a pag. 131 del voi. IV, lin. 11 - 20 . Mss. Gal., Par. VI, T. il, car. 5'r., di mano del sue. XVII. 638 FRAMMENTI molo od peserò, in aria quanto c, cioè quanto b. Le moli dunque b, do in aria posano egualmente. Dico elio anco in acqua saranno eguali in peso, cioè elio nò anco cd peserà nulla. Imperocliè, pesando il solido c in aria quanto la mole b, cioò quanto una mole d’acqua eguale a cd, ed in oltre pe¬ sando c in acqua meno elio in aria quanto ò il peso in aria d’una molo d’ acqua eguale alla molo c, adun¬ que c in acqua pesa quanto una mole d’ acqua eguale alla molo d in aria: ma la gravità in aria d’una mole d’acqua d ò eguale io alla leggerezza d’ altrettanta mole d’ aria in acqua : adunque la gravità del solido c in acqua è egualo alla leggerezza della mole d’aria d in acqua: adunque il compostoci in acqua non pesa nulla, come b u> . Aqua df non plus promit quam ba, quod facile demonstrari potesti quod consonat cum co quod a me scriptum est in tractatu Do insklentibus aquao, quod, scilicet, magnimi pondus ab exigua aqua sustinetur (4> . 20 Mentre un metallo è freddo, ed in consequenza le sue parti con¬ tinuate ed aderenti insieme, ò necessario, per dividerlo, usare stru¬ menti gagliardi e gran forza : dopo elio il fuoco 1’ ha liquefatto, re¬ stano le suo parti divise, ed un solido che vi si ponga dentro, non P ha più a dividero, ma solamente a muovere, perchè irragionevol cosa sarebbe a dire che una verga di ferro o altro corpo solido di¬ videsse quello che non avesse diviso il fuoco. Nel penetrar dunque i liquidi ed i fluidi, non solamente non vi è resistenza alla divisione, ma non si ha a divider cosa alcuna, ma solamente a muovere <1) . 20. Dopo sustinetur si logge, cancellato, quanto appresso: Attawcn Bonamicus, pa- yina i76 II, contrarimi opinatur: credit mini, apuani maris comprimendo attollere ad mondimi cacuminu ajuaa per angusltis verni s subì errane ^, ad fon Ics et /lumina producenda. — (,) Mss. Gal., Par. YI, T. II, car. 10r., della mano stessa del frammento procedente. w Mas. Gal., Par. Ili, T. X, car. 7tt., autografo di Galileo. W Mss. Gal., Par. HI, T. X, car. 72r., autografo di Galileo. DI DATA INCERTA» 0>39 Quando gli avversarli dicono clic lo mie dimostrazioni matemati¬ che delle cose che stanno su 1’ acqua non concludono e sono peti¬ zioni di principii etc., bisogna che le conclusioni che io ne cavo non siano vere in materia ; ed a loro toccherà a mostrar quali siano le false, ciò è come non sia vero che una trave pose’ esser sostenuta da un basco d’ acqua etc. <0 . Gli avversarli tassano me per avere scritto contro ad autore non inteso da me : e pure essi medesimi cascano in questo medesimo er¬ i-ore, mentre contradicono a me; e tanto più gravemente, quanto è io dubbio se sia vero che io non abbia inteso Aristotile, e non so, so lui lusso vivo, s’ ei negasse le mie interpretazioni ; ma io, che vivo, dico bene di non essere stato inteso ; sia poi per mia colpa o di loro, questo non determinerò io, etc. Potriano forse dire, non mi avere inteso perchè non metteva conto a porre studio nelle cose mie ed affaticarcisi come in quelle di Aristotile ; ma io gli risponderò che se non metteva conto lo studiare le cose mie, meno metteva conto P impugnarle (2) . Già eli’ io sono in ballo, voglio ballare; e piu presto che far come la volpo d’ Esopo, quando non mi succeda il poter ottener P intento, ‘jo son per confessar di esser stanco e desperat-o di poterlo conseguire, e non affermerò che sia meglio aspettar che l’agresto si maturi 4. tuoeclittrà 21. Tra clip V e aprasi» 1 fittesi, cancellato: ww Ma Un.— ci Mas. Gal., T'ar. Ili, T. X, car. 25t., autografo di Galileo. <*> Mss. Gal., Par. ITT, T. X, car. 75»-., autografo di Galileo. Questo frani mento ed il seguente, Già ch'io sono in lutilo ere., si leg¬ gono negli autografi attenenti alle Lettere sulle Macchie Solari (cfr. voi. V, pag. 15 e 19); ne 1 quali s 1 incontrano pure, bu 1 margini o in altri spazi bianchi, i frammenti Aqua di non plus premif ccc., Mentre, un metallo eco., Quando gli avversarii ccc. (pag. 638, lin. 15 pag. (>.»9, lin, 6), che hanno manifesta relazione con le scritturo intorno alle cose clic stanno in su l’acqua o che in quella si muovono. <*) Mss. Gal., Par. Ili, T. X, car. 25r., autografo di Galileo. 640 FRAMMENTI Il dire che l’opinioni più antiche ed inveterate sieno le migliori, è improbabile ; perchè, sì come d 5 un uomo particolare V ultime de¬ terminazioni par che sieno le più prudenti, n che con gli anni cresca il giudizio, così della universalità do gli uomini par ragionevole, V ultime determinazioni sien le più vere 11 ’. Fatinosi liti e dispute sopra V interpretazione d’ alcune parole del testamento d’un tale, perchè il testatore è morto ; elio se fusse vivo, sarebbe pazzia il ricorrer ad altri elio a lui medesimo per la deter¬ minazione del senso di quanto egli aveva scritto. Ed in simil guisa è semplicità l’andar cercando i sensi dello cose della natura nelle io carte di questo e di quello più che nell’opere della natura, la quale vivo sempre, ed operante ci sta presento avanti a gli occhi, veridica ed immutabile in tutte le coso suo <ì) . Sembrano i Poripatetici verso Aristotile quel vetturale, il qual vedendo pender la soma delle mercanzie mal compartito da una banda, corrono a librarla con una gravo pietra aggiunta dall’ altra ; quindi a poco, cominciando a declinare dal lato dovo aggiunsero il sasso, occorrono con un altro a pareggiarla dal lato opposto; il qual di nuovo eccedendo in gravità, fa por nuovo pietre all’ incontro : nè trovando il poco giudizio del mulattiere il giusto equilibrio, linai- 20 mente con 1’ aggiiigner molti pesi sopra pesi fa che ’1 povero ani¬ male si fiacca le gambe, e resta sotto l’iuegual soma oppresso. Meglio da principio cominciare a levar via della roba soverchia, etc. (3) . \ E bella cosa il sentire alcuni Peripatetici, ignoranti di matema¬ tica, farsi avanti con dire che Aristotile fu così gran matematico quant’ altri; quasi che tanto basti, 0 clic Aristotile ne abbia saputo per sè e per loro <41 . 1/. Iu luogo (li sasso, prima Gat.tt.ko aveva scritto peso, elio si logge cancellato.— 18. Prima aveva scritto un altro sasso a; poi cancellò sasso. — li). Tra eccedendo e in si leggo, cancellato l’equilibrio.— “> Mrs. Gal., Par. VI, T. Il, car. (ir., di mano del sec. XV il. m Mss. Gal., Par. VT, T. Il, car. fi/,., della mano stessa del frammento precedente. Mas. Gal., Par. Ili, T. X, car. 72r. autografo di Gai.it.ro. <" Mas. Gal., Par. VI, T. II, car. <5/. di mano dol sec. XVII. DI DATA INCERTA. 641 Mo clie tin parsestre ! questa razza eli filuorichi ò così fatta. Come loro trovano qualche ragione, la vuol bene esser grossa e grossa, che i’ non la sorba su e che la non gli faccia anche buon prò ; ma quelle de gli altri le non possono mai esser tanto chiare e smaccate, che ei se le possino cacciare in lo stomaco, non che digerire. Per mia fé’, che le gli paiono ancudini o palle di trelari. Guarda se gli hanno buon stomaco per le vivande proprie, già che ei si quietano nell’ assegnar ragione, perchè il cielo, che ha tante stelle, si contenta di un moto solo, e quelli che hanno una sola stella vogliono tanti movimenti : io perchè, dicono essi, la giustizia distributiva ricerca così ; ed è dovere, per non dare ogni cosa a un solo, che quello che ha abbondanza di stelle si contenti di pochi moti, e P altro, che ha poche stelle, venga rifatto e ricompensato con la moltitudine de’ movimenti. 0 questa sì che è madernale ! tanto che questi filuorichi vogliono che messer Giesudio si governi come farebbe un di noi altri, che avesse purassai campi e purassai case, il quale, venendo a morte ed avendo dui eredi, a quello a chi lasciasse pochi campi, gli lasciasse molte case, ed all’ incontro quello che redasse una casa sola, avesse molti campi. Mo, sarebbe uno spasso se li andasse così ! Ma loro fanno come se 20 tu avessi 2 eredi, ed uno di loro avesse un fìgliuol solo e l’altro 10 , e che tu avessi da testare molti gabbani, e dicessi: « Gli è dovere che quello che abbonda di figliuoli abbia un gabban solo, e che quell’ altro, che è povero di figliuoli, sia ristorato con la copia de’ gab¬ bani » ; o pure, per dirla meglio, fa conto che le arti ed i mestieri si potessero distribuire e dividere come le altre cose, e che tu dicessi « A quello che ha un fìgliuol solo, voglio che tocchino molti mestieri ; e quello che ha molti figliuoli abbia un mestier solo ». Oh così la vi va di brocca, perchè, co’ sarave a dire, il mestiero delle stelle è andare in volta. Ma colui che facesse un tal testamento, sarebbe 80 cagione che quel da i tanti mestieri non ne farebbe alcuno bene, e che quegli altri si morriano di fame, per esser tanti in un mestier solo etc. 22. alia — [l) Mss. Gal., Par. VI, T. Ili, car. 70r.-t., autografo di Galileo. vili# 81 642 FRAMMENTI DI DATA INCERTA. manca a perfezionar l’occhiale ridurlo tale che faccia vedere quello che importa a quelli che non vogliono vedere ,n . Se io doverò leggere in Studio, piccolo frutto si caverà dalle mie fatiche, occupandomi con pochi in cose minime ; ma se io scriverò al mondo tutto, maggior gloria a me, ed utilità a quello, arrecherò, etc. (2) La scultura non inganna punto, nò vi fa creder mai quello che poi non sia tale (3) . (i) Mss. Gal., Par. Ili, 1. II, car. 27f. dimento di renderle illeggibili. Queste linee furono scritte da Galileo ; ed <*> Mss. Gal., Par. Ili, T. Ili, car. 35f., egli medesimo poi le cancellò, alterandone autografo di Galileo. la scrittura mediante sovrapposizione di se- (3) Mss. Gal., Par. IH, T. I, car. 118f., gni grafici a capriccio, col manifesto iuten- autografo di Galileo. Fine del volume ottavo. t INDICE DEI NOMI. (I numeri indicano le pagine.) Accademico. — V. Galileo Galilei. Aguilonius. 485. Antonini Daniele. 322. Apollonio. 266, 269, 270. Aproino Paolo. 321, 322, 327, 337. Archimede. 76, 8G, 152, 181, 183, 184, 266, 274, 275, 316, 318, 350, 612. Aristotele. 54, 60, 68, 73, 93, 105, 106, 107, 109, 110, 111, 120, 121, 122, 123, 124, 138, 152, 165, 173, 174, 310, 314, 317, 446, 484, 486, 496, 550, 551, 554, 609, 610, 611, 612, 616, 617, 639, 640. Arriglietti Francesco. 464. Arriglietti Niccolò. 464. Arriglietti Noferi. 464. Atteone. 615. Bardi (dei conti di Vernio) Piero. 595. Benedetto. — V. Castelli. Brahe Ticone. 453, 461. Cam. 615. Castelli Benedetto. 631. Cavalieri Buonaventura. 87, 315. Colombo. 627. Comandino Federigo. 313. Copernicns. 629. Creso. 616. Diana Efesia. 630. Dominicus Maria. — V. Ferrariensis. Elzevirii. 44, 365. Esopo. 639. Euclide. 266,267, 270,272, 347, 350, 351, 352, 353, 354, 355, 356, 357, 358, 359, 360, 361, 362. Ferrariensis Dominicus Maria. 625. Fromondus. 485. Galilei Galileo. 41,44,45,54, 62,72,115, 139, 184, 204, 214, 216, 266, 292, 293, 312, 313, 321, 322, 323, 327, 350, 464, 466, 484, 485, 517, 522, 542, 543, 615. Gassendus. 486. Guevara (di) Mons. 68, 165. Liceti Fortunio. 481, 489, 491, 492, 495, 497, 498, 499, 503, 504, 505, 506, 507, 509, 511, 512, 514, 515, 517, 519, 520, 522, 525, 527, 529, 532, 533, 535, 540, 541, 543, 549, 550, 551, 556. Marsilii Alessandro. 542. Monte (del) Guidubaldo. 313. 644 INDICE DEI NOMI. Naudaeus. 486. Noailles (di) Conte. 43, >>65. PiCcolomini (Arcivescovo). 542. Pindaro. 491, 544. Platone. 175, 283, 284,318, 596,612,614. Rinuccini Pier Francesco. C15. Sacrobosco. 101. Sagredo. 49,51, 52, 61, 66,179, 207, 212, 214, 219, 225, 269, 309, 321, 326, 334, 343, 349, 350, 448, 581. Salviati. 49, 54, 61, 89, 105, 116, 122, 130, 131, 167, 170, 175, 181, 269, 286, 312, 313, 321, 323, 329, 349 359, 581. Simplicio. 49, 52, 54, 56, 61, 63, 67, 73, 76, 77, 78, 79, 81, 87, 91, 92, 93, 96, 97, 104, 105, 106, 107,108, 109, 112, 116, 117,118, 125, 129, 130, 131, 133, 134, 136, 151, 157, 161, 164, 170, 171, 175, 179, 198, 200, 202, 214, 215, 268, 269, 2S0, 310, 321, 349, 352, 354, 358, 360, 362, 447. Toscana (di) Granduca. 41. Toscana (di) Leopoldo. 489. Valerio Luca. 76, 184, 185, 313, 316. INDICE DEL VOLUME OTTAVO. Le Nuove Scienze...Pag. 9 Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove .Scienze . . 39 Della forza della percossa. — Principio di Giornata aggiunta ai Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze. [Giornata sesta.].319 Sopra le definizioni dello proporzioni d’Euclide. — Principio di Giornata aggiunta ai Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze. [Giornata quinta.].347 Frammenti attenenti ai Discorsi o Dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze.363 Le Operazioni Astronomiche.449 Lettera al Principe Leopoldo di Toscana in proposito del Gap. L° del Litheo - sphoms di Fortunio Liceti.467 Capitolo L° del Lithcosphorus di Fortunio Liceti.4SI Lettera al Principe Leopoldo di Toscana. [1640.].4S7 Frammenti attenenti alla Lettera al Principe Leopoldo di Toscana. . . 547 Scritture e Frammenti di data incerta.557 Indice dei nomi.643 APPENDICE. [6W. Conv. Mopp. Miti. Annunziata 1413 A. 0. mr. 24 r .| Proposi t. no P. a >Se movendosi un punto uniformemente per una retta linea, ecL in quel » moto passi dna spatii o parti uguali, o disuguali, dulia d. a linea, l’una parte dulia d. a linea, all’altra parto avrà la med. a proport. 11 » clic ha il tempo al tempo nel quale passò c dua diversi spatii. Muovasi un punto sopra la linea ab uni- ££ _ £ _ ^ ? ___ è formomcnto, o siano presi in d. a lin. dua i ___ - éL—éi - £ port. nl ad, de. Et sia il tempo nel quale il <1.° punto passò la port.»c ed, fg, ed il tempo nel quale passò la port. n ° do sia gii-, bisogna dimostrare che la proport. ,ie che ha la lin. cd alla de, sia la mcd. a che ha il tempo fg al tempo gh. Piglinsi lo mul- tiplici della cd secondo qualsivoglia multiplicità e sia ad ; e piglinsi le mul¬ ti pliei della de, pure secondo qualsivoglia multiplicità, ma di man.™ tale che ad sia magg. re di db ; ot secondo la med. a multiplicità di cd, piglisi il multiplico di fg cioè Ig e nella multiplicità di de piglisi mnltiplice di gh cioè gh. Perchè dunque abb.° supposto che il punto si muova sempre uni¬ formemente, è manifesto clie nell’istesso tempo che il punto passò lo spatio cd, nel med.° tempo passerà uno spatio eguale a quello : onde è chiaro, elio, essendo la linea ad tanto multiplico di cd quanto il tempo Ig del tempo fg, il punto consumerà appunto il tempo Ig a trapassare lo spatio ad. E nella stessa nian. r « tanto tempo si metterà a passare la linea db quanto gh. Ma essendo la linea ad inagg.™ della linea db, ne séguita che il tempo Ig sia ancora osso magg.ro del tempo gh. Ed il simile si può dimostrare se la linea ad fusse minore o eguale alla db. Perciochò ancora il tempo sarà minoro o eguale all’altra. Prop. 2 tt . Se movendosi dua punti sopra dua linee diverso di moto diverso tradì loro, ma uniforme a sò med.°, ed in ciascuna delle d.« dua linee si segnino dua port." 1 clic siano passate in tempi eguali, le dua parti della p. a linea avranno tra di loro la med. a proporti 6 che ànuo le dua parti della seconda linea. Muovasi un punto per la j ^ linea ab uniformerà. te ; ed uni- • ““ ' formemente, ma di moto di- x _—- 1 verso dal moto dell’altro, muo- ?n _ n _ X vasi un punto per la linea kl . 054 APPENDICE. E siano presi nella linea ab dua port. nI ad, db ; o similm. 1 *' nella linea M pigli usi dua porti.» 1 Jcg, gl ; e nel rnocl. 0 tempo che il punto muovontosi per la p. tt linea passa lo spatio ad, nel med.° il punto limo ventosi per la 2» linea passi lo spatio Tcg ; e in ogual tempo passi il p.° punto lo spatio db , elio l’altro punto lo spatio gl. Si ha da dimostrare che la port. n « ad alla porb.«® db, ha la med. a proport.»» elio ha la leg alla gl. Sia il tempo nel quale il p.° punto [oar. 241] passò lo spatio ad, sia, dico, mn. X3 manifesto che nel med.° tempo il secondo punto passò lo spatio M. Similni. 11 ’ sia nx il tempo nel quale il p.° punto passò lo spatio db ; ed in quel med.° tempo il 2° punto passò lo spatio Ig. È cliiariss. 0 che lo spatio ad allo spatio db ha la med. A proporti clic il tempo mn al tempo nx ; ma ancora il «patio lei ad’ Ig ha la iriod. a proporti, adunque ex eguali [sic] ad a db ha la med. a prò pori. che Jd ad Ig. I car . 24 t .] Proposit.» 0 3 a . Dati quanti circoli si voglia, si può trovare una linea rotta che sia inagg. r « di tt.° le circonferenze do* d. 1 circoli insieme prese. Perche a ciascuno de/ dati circoli si può circoscrivere una figura di molti lati, che sarà magg.™ di ciascuno dato circolo, o di quo’ poligoni so ne può faro una linea retta, clic sarà mog- g.™ di tt.^ le circonferenze insieme prese do 5 circoli dati. Proposit.» 0 quarta. Dato dua linee disuguali una rotta l’altra curva, ritrovare una linea retta che sia minoro della magg. re di esse c inagg.™ dell’altra minore. Perciocliè se si piglierà Peccesso della retta sopra la curva, e si moltiplicherà tanto che superi la linea retta data. Di poi dividasi la data retta in tante parte eguali quanto si è preso moltiplico Peccesso, ò manifesto clic una di tali parti ò mi¬ noro delToccesso. Attaloliè aggiungendosi alla linea minore una di detto parti, si farà una linea che sarà di grandezza mozana alle duo date. Ed il simile si può fare se la circolare avanzassi la linea retta. Porcinello quella parto che si detrae, o si aggiugne e minore dell’eccesso. Propositi quinta. Dato un circolo od una linea rotta toccante il detto cerchio, si può dal centro del cerchio tirare una linea retta alla tangente in man. ra tale che quella parto della linea tirata che ò tra la linea tangente c la circonferenza del d.° cerchio abbia minore proporti 10 al semidiametro del cerchio, clic non à qual¬ sivoglia parte di circonferenza del medesimo cerchio. APPENDICE. G55 Sin il cerchio abc il cui cen¬ tro le , ed una linea retta dj tocchi il cerchio nel punto b. Diasi an¬ cora una parie di circonferenza come si voglia. Si può trovare una linea retta magg. rc di tale parte di circonferenza che sia la linea e . Tirisi por lo contro I: la linea ag parallela alla dj ; et so¬ pra tal linea fra essa c la cir¬ conferenza accomodisi la linea hg (‘guaio alla linea e in guisa tale che prodotta ferisca nel punto del contatto. Adunque la mcd. a proporti 0 ha/// ad hit clic bh ad hg; adunque ha minore proporzione che la p. ta di cir[ car. 25 r) conferenza bh alla linea hg ; ma la linea hg si è posta magg.™ della circonferenza data, adunque molto minoro proporti.™ ha la linea fh al semidiametro hìc che la circonferenza bh a un’altra data circonferenza, che s’aveva da dimostrare. [car. 25 ;*.] Propositi. ni - sosta. Dato un cerchio cd in esso accomodata una linea retta, che sia minore del diametro, tirare dal centro del detto cerchio alla circonferenza una linea retta, in guisa che la parto della linea tirata intrapresa tra la circonferenza e la linea prima accomodata nel cerchio abbia qualsivoglia proporli.™ alla, linea che congiugne e’ termini della linea tirata et della linea accomodata nel cerchio, purché tal proporli.™ sia minore della proporli.™ che ha la metà della linea accomodata alla linea che venga dal centro ad angoli retti sopra la linea collocata nel cerchio. Sia il dato cerchio abc il cui centro k ed in (»sso sia collocata, una linea retta ac mi¬ nore del diametro, ed abbia la linea. / alla linea g minor propor¬ ti. 110 che eh a hk tirata ad angoli retti dal cen¬ tro alla linea ac. Tirisi dal centro la linea kn parallela alla ac.... [re¬ sta in tronco così] AVVERTIMENTO. I> ricorrilo proseguite ani doni monti galileiani del codice della Biblioteca Nazionale <'entrale di h'ironzo (1 ', non ci hanno finora portato a modificare (inalilo asserivamo in proposito delle scritture in caso contenute; c così per¬ mane sempre la medesima indecisione sull’opera più o meno diretta avuta da ( lai ileo in quei frammenti già, elencati e sommariamente descritti ììqIYAwmt- timculo alla ristampa del volume Vi. Ma a documentare quanto Galileo asserisco l2) sullo studio particolare del trattalo delle Spirali di Archimede, abbiamo creduto utile estrarre dal codice suddetto quelle prime proposizioni delle Spirali , così come si trovano tradotto di mano del Guiducei, perche, oltre mostrare allo studioso il le¬ game intimo di queste proposizioni con quelle primo della Giornata terza dei Discorsi, le riteniamo, con molta probabilità., dettate o suggerite dal Maestro al discepolo fidalo, che molto spesso comparisco in veste di aiuto nella compilazione degli scritti del Nostro. Ma poiché, nonostante tutte queste ed altro presunzioni in favore del contributo di Galileo, permane il dubbio so sieno o no compilate direttamente da lui, così abbiamo creduto opportuno riportarlo in corpo 10, anziché in colpo 11 adottato per gli scritti che sappiamo sicuramente originali o copia di originali. Ber molte altro proposizioni di matematica sempre del suddetto codice, pur avendo legittimo sospetto clic esse appartengano ad un insieme di frammenti, corredo ai Discorsi , a noi forse pervenuti in maniera frammentaria, non siamo riesciti a darò prove sicure al nostro sospetto, e perciò abbiamo creduto oppor¬ tuno lasciarle in sospeso. Soltanto per la proposizione che, di mano del discepolo, reca la dichiarazione esplicita « Del S. r Galileo » ci sentimmo autorizzal i, come è stalo fatto in altre condizioni analoghe, di riportarla per intero in corpo ili. A queste podio proposizioni fanno seguito alcuni fansimili di autografi di Galileo, tutti estratti dal codice già indicato colla lettera A (3) , i quali in parte Koinlo conventi soppressi, SS. Annunziata, 1 143. A. C. Vedi in proposito Avvertimento al Voi. VI, pag- 0(17 o seg. (-» Vedi questo volume a pag. 350. < s > Yetli Avvertimento in quosto voi nino a pa¬ gina 3S. Vili. 82 AVVERTIMENTO. 6 no correggono, ed in parte completano od illustrano questioni che hanno parti¬ colare importanza. Cosi p. es. quello sul piano inclinato è testimonianza di una dello più importanti scoperto del Nostro, e quello sulla catenaria, nel quale si fa un confronto grafico di questa curva colla parabola, riguarda un argomento, del quale, por chi ò al corrente della scoperta di questo problema, non può sfuggire il a 1 al ore storico. Diamo l’elenco dei facsimili colla segnatura della carta del codice A nel quale si trovano. [cnr. 43r~\. Riproduce il frammento a pag. 309 e 370 e corregge il disegno della catenaria (catenella). [ear. 64r ]. Riproduce c completa il frammento a pag. 399. [oar. Otiti Riproduco il frammento a pag. 398 o corregge il disegno. [mr. 102t\ Riproduce il frammento a pag. 368 o 309 e correggo il disegno. [oar. lOtit]. Riproduco il frammento a pag. 424 e 433 o completa il disegno. [car. 107r'\. Riproduco un disegno di confronto fra una parabola od una catenaria. [oar. Il3r\. Riproduco traiettorie paraboliche di proiettili por differenti altezze di tiro ed uguali gittate. [car. 1791]. Riproduce il frammento a pag. 370. \cu.r. 33 r] Dato un cerchio, ed in osso dua punti fuor del diametro, tirare por ciotti dua punti un altro cerchio che divida il dato in parti eguali. Sia il dato cerchio POM sop. a il centro A; e sieno in esso segnati qualsivoglia dua punti BD fuora del diametro. Si deve per detti dua punti tirare un altro cerchio che divida il dato POM in parti eguali. Congiunghinsi i dua punti BI) con la linea Bl) la « [italo si divida in p.“ eg. 1 ' nel punto F ; et dal punto F tirisi al centro A del dato cerchio la linea FA, la quale si prolun¬ ghi in G, tanto che il rettang." GAF sia eg. k ‘ all’eccesso del quad. 10 del semidia¬ metro del cerchio dato sopra il quad.' 0 della linea BF, che è la metà della BD. Sia poi applicato alla linea GF un rettan¬ golo eguale al qua- d. to della BF ecce¬ dente d’un quad. 10 , et sia cotale rettang. 0 GMF, aggiug luughisi la linea 1IG dalla p. 10 G in nenclo alla linea GF S et sia GS eguale la FH. a FU. Pro- Sarà 652 APPENDICE. il rettang. 0 SFH eguale al rottang. 0 GUF. Àbb.° dunque dua rettan¬ goli, cioè GAF, eguale all’eccesso del quad. t0 del semidiametro del cerchio dato, sopra il quad. t0 della BF, od il rottang. 0 SF1I eguale al quad. to della BF. Di man. ra elio ambidua insieme presi sono eguali al quad. t0 del somidiamet. 0 detto. Ma a questi dua rottang.* è eguale il rettang. 0 SAH. Adunque il rettangolo SA1I è eguale al quad. t0 del semidiametro del dato cerchio POM. Sono dunque le lineo SII, BD, ed il diametro del cerchio dato accomodate in un ined.° cerchio. Trovato adunque il centro de’ punti BDS o vero BIID che è un mod.° punto B, tirisi al centro A del cerchio dato la linea HA, sop. 1 * la quale ad ang.‘ retti tirisi la PA, quale si prolunghi in M, sarà PM diametro del cerchio POM ; et per detti punti PM conio ancora per i punti BD passa il cerchio SPHM ; adunque il d.° cerchio divide il dato in p. u eg. 1 * e passa per i punti dati ; che s’aveva a diinost. 1-0 [ca/'. 33 i] G A F U Ma che il rettang. 0 SAH sia eg. ,e alli dua GAF, SFH si dimostra così: Il rettang. 0 SAII è og. ln alli due SAF, SA.FII, de’quali il rot¬ tang. 0 SAF è eg. 10 a’dua GAF, SG.AF, cioè A FU; adunque il med.° rettangolo SAH è eg.*° a’ 3 rett. 1 ' SA.FII, GAF, AFH. Ma li dua SA.FII, AFH sono eg. 1 * al rettang. 0 SFH, adunque il rettang. 0 SAH è eg. 1 * 3 a’ dua GAF, SFII ; che s’aveva a diinost. ro — Del S. r Galileo. fi* In * rr; ' r* ~ ■ il * 1 ’ •**- ., * • c > ^ ì \ Q B L a i I ■

    di J.', ~T. JT ,1 / 1- (tù.vr^&vK'(o\6 Ùuiknfli^ ffidfàpÙ* j / J e \./l t.cQti / 1/ J / „ avjiLvrr n- ébU Sfa ftZ. 'thvfaxf. mQthA-W*. /Wf,’ \tit i* *jk£#* } (,) . E pochi anni più tardi Filippo Valori cosi scriveva, dopo aver fatto menzione di Francesco Ottonaio, lettore di matematiche in Torino: < Con la medesima riputazione Galileo Galilei, ancor egli de’nostri, legge ora in Padova, come assai giovane cominciò a farsi conoscere in Pisa buon lettore, e in Firenze nell’Accademia Grande tolse a difendere Antonio Manetti, ne’ suoi tempi tenuto valentuomo nella detta professione, sopra il sito e misure dell’Inferno di Dante, materia che ha dato che fare a’ ciotti ; fra’quali il Vel¬ lutello sopra il medesimo Poeta, per correggere il Manetti, diede occasione al Galileo di salvare con buone ragioni il nostro Fiorentino e ribattere i motivi del nobil Lucchese, col disegno in mano e distinzione d’ogni debita misura > (i) . Bisulta ---s- O) M. Barbi, Della fortuna di Dante nel «e- **0 Termini ili mezzo rilievo e (l'intera dottrina coloXVJ. Fisa, tipografiaT.Nistri e C. t 1890, pag.854. tra gl’archi di casa Valori ecc. In Firenze, appresso Cfr. patf. 142-144. Cristo fatto Marescotti. M.D.CI1I1, pag\ 12-13. nc. l t AVVERTIMENTO. (la queste due testimonianze che il giovane Galileo tenne le Lezioni sull’Inferno all’Accademia Fiorentina, prima di recarsi a leggere nello Studio di Padova, e perciò avanti il dicembre del 1592. Si è dimandato, se fin d’allora egli fosse ascritto a quell’Accademia, o se, come altri volle, dal Consolo vi fosse invitato, sebbene estraneo al sodalizio, a difendere il Manetti. A noi tanto poco probabile riesce questa seconda opinione, quanto ci sembra invece credibile che il gio\me Galileo, sopra materia nella quale sin d’allora era riconosciuta la sua compe¬ tenza, tenesse le due lezioni, accademico fra gli accademici, < per ubbidire al comandamento fattoci da chi comandar gli poteva > w , cioè dal capo dell’Acca¬ demia. Oltredichè, troppo sarebbe disconvenuto il far credere che l’Accademia non avesse alcuno fra’suoi, abile ad assumere quella difesa'". Il testo delle Lezioni rimase sconosciuto fin oltre la mel:\ del presente secolo, quando fu ritrovato, autografo di Galileo ed in copia, nella biblioteca Uinuc- ciniana da Ottavio Gigli, che lo mise per primo in luce (s> ; e dopo d’allora fu pili volte ripubblicato. Noi abbiamo condotto la nostra edizione sopra il predetto autografo, clic, con la copia fedelissima e di mano contemporanea, è oggi nella Filza Itinucciniana 21 della Biblioteca Nazionale di Firenze; ed all’autografo (clic*, fi non una prima bozza, ma una nitida trascrizione al pulito, non tuttavia defi¬ nitiva, sicché presenta dei ritocchi e delle aggiunte posteriori, di mano dell’Au¬ tore) ci siamo attenuti con ogni esattezza, ristabilendo così la genuina lezione, die dai precedenti editori era stata non leggermente corrotta in più luoghi , e un disegno rappresentante la rosa celeste del Paradiso dantesco; lettera c di¬ segno che il Gigli pubblicò, dubitando che quella potesse essere di Galileo, c ad¬ dirittura attribuendo questo al Nostro (S) . Noi però non abbiamo riprodotto nè l’una nò l’altro: che, quanto alla lettera (scritta, come avverte il Gigli stesso, da mano molto diversa da quella delle Lezioni galileiane, e, per alcuni materiali errori, da giudicarsi copia), non abbiamo alcun argomento per confermare il dubbio dell’editore, fondato soltanto sul trovare < lo stile... molto simile a quello del Galileo, ed esatti i calcoli > ; quanto poi al disegno, che il Gigli (pag. 13) stampa delle miglia 100 è maggiore, o a pag. 51, lin. 2, stampa (pag. 26) che pure ha di tra¬ versa 1 miglio ; ma l’autografo lift miglia 700 e i/b mi¬ glio. In principio della prima Lezione, dopo lo parole Se l stata cosa difficils e mirabile (pag. 31,'lin. 1), l’autografo (e cosi puro la copia) presenta uno spazio bianco di circa una linea, del quale noi abbiamo voluto conservar traccia, parendoci probabile elio Galileo lasciasse quel vuoto, nel trascrivere le sue Lezioni, col proposito d’inserire ivi, rivolgendosi agli uditori, una locuziono vocativa, quale suole trovarsi, appunto dopo pocho parole, in principio di simili orazioni ac¬ cademiche ; cfr., p. o., nella Raccolta di Prose Fio- tentine, Par. II, voi. I, In Firenze, MDCCXXV1I, Nella stamperia di Sua Altezza Reale, Ter li Tartini e Fran¬ chi, pag. 1 (Lozione di Pier Francesco Gtambullari): « Quale si sia la cagione che ne conduco in su questa cattedra, Magnifico Signor Cousolo, Accademici vir¬ tuosi, e voi altri uditori benigni, tanto volte è stato già dotto ecc. » ; ivi, Par. II, voi. II, pag. 55 (Lozione di Lelio Bonsi): «Como egli non è dubbio nessuno elio lutto lo coso elio operano, operano ad alcun fine, così è cosa certissima, Magnifico ed Ecc. Cousolo, no¬ bilissimi Accademici, o voi tutti onoratissimi o be¬ nignissimi ascoltatoli, non puro che tutto ecc. »; ivi, Par. II, voi. IV, pag. 1 (Lesione di Giovanni Talen¬ toni): « Avvenne appunto a nio, virtuosissimo o no¬ bilissimo Signor Consolo, quando io fui ecc. > 0) P. o., Palternarsi di dallo, dalla, e da lo, da la, di grandezza o grandeza, CCC. Vedi noi voi. VII della presento edizione, pag. 10, nota 5. Vedi a pag. 44, lin. 9. Più luoghi dolio duo Lezioni (vedi pag. 32, lin. 14 — 17; pag. 51, lin. 22-24 o lin. 30; pag. 53, lin. 5) confermano quello che abbiamo dalla tostimonianza di FiLipro Valori, cioè cho Galileo accompagnò la sua esposizione con disegni rappresentanti lo opinioni del Manetti e del Vellutrllo : ma nessun disegno si trova nè nell’autografo nè nella copia sincrona. Op. cit., pag. 135-140 e pag. 147; cfr. pa¬ gine XI -xxi. AVVERTIMENTO. 10 assegnò a Galileo perchè credette di sua mano lo leggendo cho l’accompagnano, chiunque lo prenda in mano e lo confronti con gli autografi del Nostro, si ac¬ certa a prima vista che a lui non appartiene in vermi modo. Noi abbiamo invece riconosciuto in quel disegno la mano del sopra ricordato Luigi Alamanni; eolie a questo si debba attribuire, lo conferma il ritrovarsi un disegno molto simile, della rosa celeste, e autografo dell’Alamanni, nel codice Laurenziano Medicco- Palatino 75, dov’è insiemo con alcune scritture dantesche dello stesso autore*". Alle Lezioni circa la figura, sito c grandezza dell'Inferno facciamo seguire lo Considerazioni al Tasso. Tra gli scritti letterari di Galileo, le Considerazioni intorno alla Gerusalemme Liberala hanno suscitato e suscitano tuttavia vivaci controversie; così che da un secolo in qua, allorché questa scrittura fu data per la prima volta alla luce, sono assai numerose le pubblicazioni che la concernono : nè sarebbe conveniente che noi qui ripetessimo quanto fu detto più volto e bene da altri, oppure pren¬ dessimo l’assunto di rilevare i molti errori che furono scritti su quest’argomento, e di confutare tutte le asserzioni che discordano dalle nostre osservazioni di fatto. La curiosa storia esterna dell’unico manoscritto che ci ha conservato le Coti- siderazioni, e che è, come tutti sanno, il Barberiniano XLV. 2** 1 , è stata narrata con ogni più desiderabile particolare: onde non istaremo a ridire come l’autografo andasse perduto, come l’apografo fosse trovato e poscia nascosto dal Serassi intorno al 1777, e ritrovato nel 1851 da Luigi Maria Rezzi 15 ’. Nè ci dilungheremo a discutere intorno all’autenticità di queste Considerazioni, alla quale noi mostriamo di prestare il nostro assenso con dar loro posto nel presente volume. Del fatto, veramente singolare, clic il Serassi, trovando senza alcun nome d’autore questa scrittura, la attribuisse a Galileo, pensiamo non sia Volli il disegno dol cod. Medicoo-Palatino in Dante : Illustrazioni alla Divina Commedia dell'artista fiammingo Giovanni Stradano, J5S7, riprodotte, in fo¬ totipia dall' originale conservato nella II. Biblioteca Medicea Laureoziana di Firenze, con una prefazione del doti. Guido Biaoi, Firenze, fratoni Alinari editori, MDCCCXCI1I. I.a riproduzione che il Gigli fa del dise¬ gno da lui attribuito a Galilf.o, è incompleta o molto inesatta. — Parlando degli studi di Galileo sulla Di¬ vina Commedia, ricorderemo cho furono creduto di mano di lui certa postillo a un Danto, col commento del Landino, stampato a Venezia por Ottaviano Scoto da Monza nel 1484; ma sorsero poi dubbi sull* au¬ tenticità di quelle postille: vedi A. Favaro, La li¬ breria di Galileo Galilei, noi Bollettino di Bibliografìa e. di storia delle scienze matematiche e fìsiche, Tomo Xl X, pag. 277, sotto il num. 370, e Appendice prima alla libreria di Galileo Galilei, noi modesimo Bullettino, Tomo XX, pag. 375, sotto il medesimo numero. Igno¬ riamo devo ora si trovi Posomplaro cosi postillato. 11 cod. Palatino 1180 della Nazionale di Fi¬ renze comprendo duo copio dolio l'ousidcraxioni\ Puna o l’altra esemplato «dal manoscritto originalo del- P ah. Pier Antonio Smussi * (conio si logge nolla carta di guardia), ossia dalla copia cho dol Barberi- niftiio nvovn fatta quoti'orudito. Il Nelli, Vita e com¬ mercio letterario di Galileo Galilei occ. Losanna, 1793, voi. II, pag. 481, nota 3, dico d* aver potuto avere una copia dolio Conti (fora no ai .• giudichiamo cho taio copia fosse appunto una di quollo che oggi si tro¬ vano nel citato cod. Palatino. (ai Vedi specialmente A.Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Ermanno Looscher, 1895, voi. I. pag. 449 o seg. Il Solerti pubblica (voi. II, pag. 505, 507, 514) alcuno lettere dol Serassi relativo alla scoperta del codice Barberiniano. AVVERTIMENTO. Il da cercarsi altra spiegazione, che l’aver forse egli giudicato, erroneamente, au¬ tografo (lei Nostro il codice che la contiene 01 , e il non ignorare, d’altra parte, che Galileo aveva scritto su tale argomento. Le ragioni recate contro l’auten¬ ticità, e inspirate forse più che altro dalla repugnanza ad ammettere che un grande uomo non comprendesse adeguatamente l’eccellenza d’un altro grande uomo, anzi con tanta acrimonia lo vituperasse (S) , non hanno, chi ben rifletta, peso alcuno (3) ; e l’unica obiezione seria resta sempre questa: che la scrittura, nell’unico manoscritto, è anonima. Ma gli argomenti cavati dall’intrinseco di essa, c che altri hanno più volte addottomostrano, a parer nostro, validamente che il Serassi, scrivendo in capo alle Considerazioni il nome del Nostro, non si è male apposto: tra’ quali argomenti è di sommo valore quello delle concordanze notevolissime, di concetto c di frase, che le Considerazioni hanno con altre scritture di Galileo di non dubbia autenticità, come sono le due famose lettere a Francesco Rinuccini del 5 novembre 1639 e del 10 maggio 1640, che riserbiamo al Carteggio, e le Postille alV Ariosto, che pubblichiamo in questo stesso volume. Ed invero, ove si ponga mente come tali concordanze sono così strette, che male si spiegherebbero quando non si ammettesse o l’identità dell’autore delle Considerazioni e degli altri scritti, oppure elio l’uno dei due autori avesse dinanzi le scritture dell’altro; e se si consideri, da una parte, quanto sarebbe strano pensare che Galileo, rispondendo al Rinuccini o postillando l’Ariosto, scrivesse non secondo che dentro era spirato, mano dol secondo». Noi non abbiamo potuto trovaro alcuna lotterà, Bolla Biblioteca Barboriniana, d’ un Morelli al card. Barberini ; o il cod.XXXI. 70 con- ticno bonsl dolio lettore di Balthasar Moretus al predetto cardinale, dogli anni 1626-1634, ma sono di mano boti diversa da quella dello Considerazioni. ,2> Ci pinco ricordare cho anello a Cesare Gua¬ sti non pativa l’animo di eroderò nell’autenticità delle Conticiwtzioni: veggansi Le lettere di Torquato Tasso, disposte per ordine di tempo cd illustrate, da Cesare Guasti, Firenze, Felice T,e Monnior, 1852-55, voi. IV, pag. xxxvn, o voi. V, pag. xn; o La vita di Torquato Tasso scritta dall'ab. Piera ntonto Sk- rassi, terza edizione curata e postillata da Cesare Guasti, Firenze, Barbèra, Bianchi e Coinp., 1858, voi. I, pag. ix. < 8 > Mossero dubbi contro V autenticità soprat¬ tutto il Rezzi, nello studio citato, e S. R. Miincn, Saggio sulle varianti della Gerusalemme Liberata di Tor¬ quato Tasso, nella Rivista periodica dei lavori della J. R. Academia di scienze, lettere ed. arti in Padova, voi. Vili, pag. 313-318. Vedi le confutazioni nella citata Vita di Torquato Tasso dol SoLERTr, voi. I, pag. 453-454. m Vedi specialmente Scritti di critica letteraria di Galileo Galilei, raccolti ed annotati per uso delle scuole da E. Mestica, Torino, Ermanno Loescher, 1880, pag. xxi-xxvir. <*> Il Serassi non dice, nò elio il codico da lui scoperto fosso autografo, nò che fosse copia; ma chi sa quanti manoscritti dello nostro biblioteche furono, o sono, erroneamente attribuiti alla mano di Galileo, non giudicherà inammissibile elio il Serassi potesse ingannarsi riguardo al carattere dolio Considerazioni. A buon conto, s’avverta elio da altri osse furono giudi¬ cato autografo: infatti nel catalogo manoscritto della Barberiniana, compilato da Guglielmo Manzi, sotto il mini. 3048, antica segnatura dol codice cho compren¬ deva lo Considerationi, è detto cho questo sono « di carattere deH'Autorc»; e 1’odierno cod. XLV. 2 ha sul dorso: « Galilei sul Tasso origin. » Inveco noi catalogo più antico (cho oggi è il cod. XXXIX. 64), compilato per cura di Carlo Moroni, bibliotecario dol card. Barberini, si legge, sempre sotto il num. 3048, soltanto: «Considerazioni sopra il Tasso d’incerto autore: discorso critico ». L. M. Rezzi ( Sulla inven¬ zione del microscopio ecc. Giuntovi una notizia sulle Considerati oni al Tasso attribuite a Galileo Galilei ecc., negli Atti dell'Accademia pontificia de' Nuovi Lincei, anno V, sessione I del 28 dicembre 1851, pag. 119) scrivo: « Capitatami ... alle mani la lettera dal Ga¬ lileo indirizzata al card. Barberino, ed altra d’un certo Morelli, so ben ne ritongo il cognomo, am¬ bedue autografo e conservate nella predetta Biblio¬ teca (Baròerrmanal, m’accorsi ... che COtAli Consi¬ derazioni, riputate opera del primo, erano scritte di 12 AVVERTIMENTO. ma attenendosi, come a un canone, alle ideo espresse da altri nelle Considerazioni, e, dall’altra parte, corno, posto pure che altri potesse giovarsi dello lettore al Rinucoini, delle quali non mancano copie nelle biblioteche, sarebbe però quasi materialmente impossibile che avesse profittato dello Postille all’Ariosto (chò di queste non sapremmo pensare cosa, per così dire, più intima, più destinata dall’Autore unicamente a sò stesso; e appunto perchè tali, rimasero sepolte fino a mezzo secolo fa in una biblioteca); se, diciamo, si rifletta a tutto ciò, dovrà concludersi che la prova risultante dalle dette concordanze può ben contrappcsare la mancanza del nome di Galileo in fronte al manoscritto. Più gravemente che non l’autenticità è dubbio il tempo della vita di Galileo, a cui le Considerazioni si debbano ascrivere ; anzi ci sembra che, con i dati che per ora possediamo, tale questione non sia risolubile in modo sicuro. Vincenzio Viviani scrive delle Considerazioni, che furono domandate a Galileo < più volte con grandissima instanza da amico suo, mentre era in risa > ( ", il che le farebbe risalire per lo meno agli anni tra il 1589 e il 1592, non rimanendo escluso che potessero essere anche anteriori al 1589. Ma, d’altro lato, in un passo delle Con¬ siderazioni par bene che Galileo scriva del Tasso corno di persona già morta i:| : AL scenderemmo dunque sotto il 1595. E vero clic in altri luoghi si direbbe che l’Autore rivolgesse la parola ad un vivo (3) ; sono però espressioni obesi possono intendere bene anche indirizzate, per ipotiposi o per rinforzo di acrimonia, a un defunto. Anche il frequente biasimare, che fa Galileo, certi passi della Gerusa¬ lemme come artifizi da piacere ai giovani , all’ inesperta gioventù , ai principianti , ai fanciulli (k) , sembra linguaggio più da uomo maturo che da giovane non ancora trentenne. Nell’epistolario di Galileo troviamo cenno delle Considci'azioni per la prima volta in una lettera del 22 maggio 1609, nella quale Lodovico Cigoli chiede al Nostro le < postille sopra la prima stanza del Tasso > (l) . Nel 1614 Paolo Gualdo parla, come di cosa compiuta o non da ieri, delle < argutissime e dotte ... po¬ stille >, con le quali Galileo aveva, secondo ch’egli s’esprime, < commentato > la Gerusalemme (8) . Le Considerazioni sono dunque anteriori al 1614; e anteriori al- Racconto intorico della Vita del Sig. Galileo Galilei, nei citati Fasti consolari dell'Accademia Fio¬ rentina, pag. 427. Vedi la critica elio della testimo¬ nianza del Viviani fa nella citata opera il Solerti, pa*. 450; nota 1 ; ed altresì cfr. N. Yacoaluzzo, Galileo letterato e poeta, Catania, Cav. Niccolò Gian¬ netta editore, 1896, pag. 23. — Un passo dello Con¬ siderazioni il qualo potrebbe giovare a risolvere la presente questione, si legge a pag. 94, lin. 8-10, della nostra edizione, dove Galileo ricorda espressamente nn fatto di cui egli fu testimonio appunto in Pisa; ma, nonostante le particolari indagini istituite, non abbiamo potuto trovare alcuna memoria di ciò a cui Ivi si accenna. <2ì Vedi a pag. 147, lin. 14-15: « sogno eviden¬ tissimo del poco gusto di poesia elio ò forza che avesse il Tasso >. fSl Spesso Galileo parla al Tasso in seconda persona (« Voi, Sig. Tasso, ecc. >), gli dà consigli, lo manda a rileggerò lo ottavo dell'A riosto, occ. Veg- gasi, p. e., a pag. 97, lin. 10-12; pag. 122, lin. 18-20; pag. 133, lin. 14-19, occ. l%) ▼•di 74, lin. 7-10 o lin. 14-15 ; pag. 76, lin. 3; pag. 77, lin. 15-1G; pag. 89, liu. 4-6. (8) Mss. Gal., Par. I, T. VI, car. 104. ,6 > Lettere di Paolo Gualdo a Galileo del 6 lu¬ glio e 18 dicembro 1614 (Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 176 e car. 225J. AVVERTIMENTO. 13 tresì al 1609, se non si voglia dire che in questo anno Galileo avesse (il elio non parrà molto probabile) postillata solamente la prima stanza del poema di Tor¬ quato. Galileo stesso c’informa poi, eh’ egli registrò le sue postille sopr’ un esem¬ plare della Gerusalemme < legato con V interposizione di carta in carta di fogli bianchi >, < nel corso di molti mesi, e direi anco di qualche anno > (,) : potrebbe darsi adunque che alcuno di quelle postille fossero state scritte, se si vuole, anche avanti la morte del Tasso ed altre dopo, e che, ad ogni modo, la loro serie cro¬ nologica non s’accordasse con la successione dei passi postillati, secondo la quale come venivano a trovarsi nell’ esemplare interfoliato, così furono copiate nel ma¬ noscritto Barberiniano. Del quale manoscritto venendo ora a discorrere rispetto alla nostra edizione, ricorderemo che il codice ò del secolo XVII ; che faceva parte del codice mi¬ scellaneo segnato già col numero 3048 ; che porta una numerazione per carte, la quale, relativa appunto all’antico manoscritto 3048, va, comprendendo carte bianche e scritte, dalla 256 alla 390, e un’altra per pagine, da 1 a 228. Questa seconda numerazione ò originale, anzi, come crediamo, di inano dello stesso co¬ pista; il che ò indizio che il codice, prima d’essere legato nella miscellanea da cui poi fu estratto di nuovo, ebbe esistenza a sè. Comincia con un indice alfa¬ betico e, per così dire, analitico, delle materie trattate nelle Considerazioni ; in¬ dice però che abbraccia soltanto lo prime 75 pagine del manoscritto, ossia non interi i tro primi canti del poema. Quest’indice ò della mano medesima che il resto del codice, ed ò probabile sia stato compilato dal trascrittore; certo fu scritto quando le Considerazioni erano state già esemplate, poichò vi si citano le pagine del codice stesso. Nelle prime 132 pagine del codice si leggono alcune postille marginali, sempre della stessa mano, che consistono quasi tutte in ri¬ mandi, fatti secondo la numerazione per pagine, da un passo ad altri passi ne’quali si trovino considerazioni simili: e anche tali postille appartengono pro¬ babilmente al trascrittore. Il codice presenta un’assai famosa lacuna di 8 pa¬ gine, che furono strappate; strappi men notevoli s’incontrano anche altrove: frequenti sono poi i piccoli spazi bianchi, lasciati il più spesso, come si può sup¬ porre, per non aver saputo l’amanuense decifrare 1’ originale. Il copista ha voluto cominciare ogni nuovo canto a pagina dispari, e perciò tra un canto e 1’ altro è sempre una pagina, poco più o poco meno, bianca; ma talora le pagine bianche tra canto e canto sono più che non richiederebbe questa consuetudine o norma (S?> . Nello citato lotterò a Francesco Rinuccini del 5 novombro 1639 o 19 maggio 1040 (Mas. Gal., Par. 1, T. IV, car. 105ÒÙ, e Par. I, T. XVIII, enr. 35). C*> Tra il canto VI o il VII sono due pagine bian¬ che (oltre la parto di pnginasu cui termina il canto Yl); tra 11 VII o il X, novo ; tra il X e PXI, tro, due dello quali augi non sono neppure tagliato superiormente, nò numerate, sebbene il copista ne abbia tenuto conto nella numerazione; tra l’XI o il XII, cinquo, di cui duo non tagliato nò numerate; tra il XVI o il XVIII, tre; tra il XVIII o il XIX, pur tre. La¬ sciava forse l’amnmienso delle pagine bianche, porche le trovava tali noli’ esemplare interfoliato della (Je- rusalciitìiie, da cui trascriveva? » 14 AVVERTIMENTO. Il codice, il quale dal giorno in cui fu trascritto dal Sorassi non era pili stato studiato di proposito, fu da noi diligentemente collazionato e, secondo i criteri tenuti in tutti i volumi precedenti, fedelmente seguito nella nostra edizione; la quale per questo si avvantaggia su tuttequante le anteriori, che ripetevano, non senza qualche arbitraria mutazione, la prima stampa (,) , condotta, essa pure, non sul codice, ma sulla copia Serassiana (t) . Abbiamo premesso allo Considerazioni Tindice analitico, col quale il codice ha inizio ; e sia nell’indice, sia nelle postille (1’ uno o le altre inedite), sia nel corpo stesso dello Considerazioni , quando il codice cita sè stesso per pagine, soggiungemmo, com’era doveroso, tra parentesi quadre, la citazione delle pagine della nostra ristampa. Attingendo direttamente al codice, ab¬ biamo potuto ristabilire, conforme a questo, la buona lezione di un numero grande di passi, (love erano, nella Volgata, entrati e rimasti gravissimi e mostruosi spro¬ positi (3) . In un numero più ristretto (li casi giudicammo guasta la lezione del codice stesso, e non dubitammo, avendo rilevato per primi gli errori, di sanarla, annotando però sempre appiè di pagina la lezione errata { '\ Del manoscritto se¬ guimmo altresì la grafia: correggemmo invece gli orrori da doversi dire della penna del copista, non tralasciando tuttavia di registrarli puro appiè di pagina, insieme con ogni altra particolarità in cui ci allontanammo dal codice. Le pic¬ cole lacune avvertite dal codice, i passi in cui la lezione rimane in tronco, oppure è andata perduta per piccoli strappi della carta, indicammo con puntolini; con puntolini racchiusi tra parentesi quadre rilevammo altre lacune che il codice non denuncia, sibbene il testo guasto dimostra: e preferimmo procedere così, piut- 0> Considerazioni al Tasso di Oai.1I.ko QaMI.RI, t Discorso di Giuseppe Iseo sopra il poema di M. Tor¬ quato Tasso, per dimostrazione di alcuni luoyhi in di¬ versi autori da lui felicemente emulati, Roma, nella stamperia Palliarmi, MDCCXCIII. La pubblicazione è dovuta a P. Pasquai.oni, letterato romano. Noi me¬ desimo anno lo Considerazioni furono ristampate a Yonozia, dal tipografo Sebastiano Vallo; o poi più volto nel nostro secolo. I** Dopo il Sp.rassi, il solo elio si sia alcun poco giovato del codice rispetto al testo è stato il Ruzzi, che, a pag. 120 del citato studio, comunicò tre cor¬ rezioni al tosto della prima edizione, ricavate, co¬ m’egli dico, dal manoscritto: dello quali correzioni, però, due hanno effettivamento fondamento noi co* dico, ma la terza {predicatore in luogo di in pulpito, che leggo la prima edizione o elio è veramente noi Barberini aiio: vedi nella nostra ediziouo a pag. 82, liu. 18) non ò suffragata nò punto nò poco dal ma¬ noscritto. Di quelle correzioni, ad ogui modo, non tutto le edizioni posteriori tennero conto. lSl Indichiamo soltauto alcuni passi, rimandando del resto il lettore ad un minuto confronto della no¬ stra edizione con lo precedenti. P. e., a pag. 87, lin. 0, lo precedenti edizioni leggono cumpaynìa iu luogo di campayna, che abbiamo ristabilito conformo al codice; u pag. 90, lin. 10, leggono aybiadatur (sic!) iu luogo diat/AtWafrirriftiife; a pag. 95, liu. 18, virasi in luogo di vienti (cfr. pag. 144, lin. 8); a pag. 110, lin. l,ej>. (sic!) in luogo di e prima ; a pag. 118, lin. 1, Bradamante in luogo di Jlrandimarte, e a lin. 7 ntani/estarsi in luogo di maritarsi; a pag. 119, lin. 1-8, Questa po¬ vera fanciulla ti va molto sensibilmente inalberando e. pèrdendosi tra questi abbracciamenti. Queste madri la¬ tine e queste spose ne sten un cento ul mondo di rin- neyar la sua fede, ili luogo di Questa povera fanciulla si va molto terribilmente inalberando e perdendosi tra questi abbracciamenti, queste madri latine e queste spose, nè tien un conto al mondo di ri neyar Ut sui i fede; a pag. 121, lin. 8, cetre in luogo di reste; a pag. 123, lin. 24, bocca ili luogo di buca ; n pag 127, liu. 21, ammattite in luogo di ammutite; a pag. 129, liu. 5, numf« in luogo di niente; a pag. 130, lin. 24, sala il) luogo di fava ; a pag. 135, lin. 19, omettono lo parole e a lei, ripa, o n liti. 21 lo parole in barca; a pag. 137, lin. 1-2, leggono semplicissima in luogo di o semplicista, OCC. 0) Vedi alcuni casi notevoli a pag. 64, lin. 1, pag. G8, lin. 12-13, pag.80, lin. 19-20, pag. hi, lin.24, pag. 83, liu. 5, ecc. AVVERTIMENTO. 15 tosto che supplire, come agevolmente, ma non con V assoluta sicurezza di cogliere la parola di Galileo (,) , avremmo talvolta potuto. Quanto alla grande lacuna delle otto pagine, che il Serassi suppose, senza fondamento, siano state strappate da qualche zelante tassista, ed altri, con non miglior ragione, dal Serassi stesso, essa ci fa desiderare le car. 283-286, ossia le pag. 23-30, del codice, che comprendevano le ultime Considerazioni relative al canto 1 e le prime concernenti il canto II (2) . Noi, senza pretendere di rico¬ struire quello che irreparabilmente è andato perduto, non abbiamo neppure vo¬ luto seguire V esempio dei precedenti editori, che si limitarono a notare lo strappo delle carte; ma ci siamo giovati di tutti gli elementi, por quanto scarsi, che ci si offrivano, affine di formarci almeno un’idea di ciò che in quelle pagine si do¬ veva contenerew. E anzitutto, delle carte stracciate sono rimaste scarse reliquie, che ci conservano soltanto o le prime o le ultime parole (secondo che si tratta d’un recto o d’un tergo) di alcune poche lince: noi accuratamente le trascrivemmo e stampammo a linea a linea, alle parole conservate premettendo o facendo se¬ guire de* puntolini per tutto il resto della linea (k) . Preziose sono poi quattro ru¬ briche dell’indice iniziale, che si riferiscono alle pagine perdute (8) . Con questi sussidi, pur troppo piccoli, e traendo partito da ogni indizio che nei frammenti rimasti potesse darci lume (come citazioni di canti e stanze, nomi propri, ecc.), crediamo (Tesser riusciti a stabilire, per lo meno in parte, quali stanze del poema erano considerate in quelle pagine; e V indicazione di queste stanze aggiun¬ gemmo, tra parentesi quadre, in capo ai rispettivi frammenti. Volendo attenerci fedelmente al codice, non abbiamo incorporato nel testo delle Considerazioni , come fecero i precedenti editori, i passi del Tasso e del- V Ariosto presi in esame, quando, coni’ è il caso più frequente, Galileo si è limi¬ tato a citare il canto e la stanza dove si leggono ; ma li abbiamo addotti, se non erano eccessivamente lunghi, in noba: e così non è confusala considerazione dell’autore con l’illustrazione dell’editore, della qual confusione quelli che ci precedettero neppure avevano detto parola. E nell’addurre i testi dei due poeti ponemmo cura specialissima, affinchè, non tenendoci spesso nei limiti precisi della ; e quali fossero queste, con lunghe indagini cercammo di determinare il più precisa¬ mente possibile, concludendo che per il Tasso può credersi e’ si servisse dell’ edi¬ zione di Venezia, presso Altobello Salicato, 1588, o di quella, pur di Venezia, presso Gio. Battista Ciotti, 1599 <*», e per l’Ariosto ò molto verisimile usasse la Valgri- siana del 1572 o quella del 1573 ; clic su di un esemplare di una di queste scrisse, come tosto vedremo, le Postille. Con siffatte cure avendo noi condotto quest’edizione delle Considerazioni, nu¬ triamo sicura fiducia che chi prenderà a studiarla minutamente, s’accorgerà presto, come, restituita la scrittura di Galileo alla sua forma genuina, più sono le novità per le quali la nostra stampa si allontana dalle anteriori, che non sia ciò eh’essa si trova aver comune con quelle. Le Postille all’Ariosto, le quali pubblichiamo dopo le Considerazioni al Tasso, sono documento degli studi di Galileo sopra il suo prediletto poeta, che, se crediamo al Viviani, aveva a mente poco meno che intero 15 ’. Quando egli postillasse il Furioso, non possiamo determinare in verun modo w ; e l’esemplare da lui anno¬ tato del poema non ci è pervenuto. Vincenzio Viviani ha bensì spogliato, di sua <*> Correggemmo, bon s’intendo, i manifesti or¬ rori di stampa dolio edizioni stesso. Il Goffredo ovcro Gìertttalcmme Liberata, poema beroico del Siy. Tokqvato Tasso ecc. In Ymogia, presso Altobello Saliente, 15SS. Alla libraria della Fortezza.— Il Goffredo ovcro Gierusalennnc Liberate i, poema heroico del Siy. Torquato Tasso occ. In Yo- nctia, presso dio Battista Ciotti, al segno dell’Au¬ rora, 1509. Le nostre citazioni sono fatto sulla prima di questo edizioni. — Per determinare di qual edi¬ zione 9Ì servisse Gai.ii.ko, non abbiamo altro fon¬ damento elio i passi del poema per i quali ci siano vario lozioni, e risulti dallo Conti derazioni conio il Nostro li leggeva: ma questi passi sono ben pochi, anzi, so non c* inganniamo, soltanto questi: cantei, st. 2G, v. 1, Antiochia (illustre suono ecc.), dove altro edizioni leggono Antiochia, illustri sono (cfr. pag. G5, lin. 17); I, 30, 3, rayion (cfr. pag. G7, lin. 17-18: altro edizioni, virtù) ; IV, 57, 1, Arante uvea (cfr. pag. 101, Un. 18-19: altre edizioni, Arante »'nr«i) ; IV, 90, 2, compatte (cfr. pag. 103, lin. 10: altre edizioni, compone); VI, Gl, 8, Eccolo, ditte, e 7 ri¬ conobbe capretto (cfr. pag. 115, lin. 22-23 : altro edi¬ zioni, Jìoffiyurollo e ditte: Eyli è pur detto) ; XV, 7, 1, tè (cfr. pag. 135, liti. 11-11: altro edizioni, In*). In tutti questi passi, lo duo citate edizioni di Venezia recano lo lozioni che è manifesto aver avuto dinanzi Galileo : invoco le edizioni del Salicato del 15S4, 1585, 1589, 1593, in uno o in un nitro di questi passi hanno lezioni diverso. Non nascon¬ diamo che quollo due del 15SS o 1599 limino in II, 18, 7, del del, o in XIII, 52, 3 è involto, e elio l’edizione del 1588 ha in II, 97, 2 del tonno, mon- tro appuro elio Galileo ha letto decidi (cfr. pag. 77, liu.7), è volto (cfr. pag. 126, lin. 10), nel tonno (cfr. pag. 81, lin. 13-11); ma egli può bollo aver cor¬ rotto quelle lezioni errato, che audio noi, com’era naturalo, emomlmmno. t 3 ) Racconto istorico ecc., pag. 427. Si è cercato di mostraro elio lo Postille siano posteriori alili Considerazioni al Tatto; ma gli argo¬ menti addotti non hanno buon fondamento. AVVERTIMENTO. 17 mano, cotesto esemplare; e tale spoglio, che abbiamo ragion di credere dili¬ gentissimo (poiché vi si registrano anche postille di ninna importanza, come cor¬ rezioni di manifesti errori di stampa), forma oggi le car. 28r.-33& del T. XVIII nella Par. I dei Manoscritti Galileiani (,) . Il Viviani medesimo ha anche riportato alcune delle postille del Maestro sui margini d’un Orlando Furioso stampato in Venezia, nel 1603, appresso Felice Valgrisi ; il qual esemplare, su cui poi altre mani aggiunsero altre postillo < f) , ò il T. XIX della citata Par. I dei Manoscritti Galileiani (3) . Da questo due fonti abbiamo ricavato la nostra ediziono delle Postille al - VAriosto. Prendemmo a fondamento lo spoglio che ò nel T. XVIII (l, f siccome quello che ò molto più ricco e copioso ; e lo chiamiamo cod. A : e seguendolo fedelmente annotiamo appiè di pagina le varianti che presenta il T. XIX, da noi detto cod. B^\ Nei pochi casi nei quali il cod. B registra una postilla elio manchi nel cod. A, la inseriamo in mezzo alle altre, e lo avvertiamo {7) ; invece non teniamo nota del non leggersi in B , o in tutto o in parte, molte postille che sono in A. <*> Sul recto della car. 27, che ò corno di guardia, si leggo, di mano dol Viviani: «Postillo vario dol Galileo >. Allo Postille. all'Ariosto tien dietro (car. 34»*.) lo spoglio, sempre di pugno del Viviani, di alcuno po¬ dio fra lo postillo di Galileo, cho noi pubblicammo nel voi. Il, all’ Usua et /dòrico circini di Daldkrra a Capra. {=> P. e., al canto XIV, st. 70, v. 5-8, o st. 71, il Viviani trascrivo la postilla: « Vorroi elio Carlo ree.», cho noi pubblichiamo a pag. 104, 1 in. 20-28; alla (piale una mano pur antica soggiungo : « S. r Galileo, Carlo l'aveva imparalo da Moisò o da David ». A pag. 19, notai, citiamo un’altra postilla, cho nel cod. B si leggo di mano diversa da quella del Viviani. * s i Fu erroneamente dotto o ripetuto, cho lo po¬ stillo siano state riportato noi T. XIX dalla mano dolio stesso Galileo. Alcuno postillo poi non furono trascritto dal Viviani sull’ esemplare dell' edizione del 1003, perchè consistevano in correzioni di orrori di stampa cho non si riscontrano in quella nuova impressione Valgrisiana ; di altre postille, non sa¬ premmo porche fossero omesso. — Dei citati mano¬ scritti, o più spocialmente deH’odioruo T.XIX, fanno cenno Salvino Salvisi, Fasti comolari cit., pag. 136, e il Nelli, op. cit., voi. II, pag. -182, nota 1. Dal T. XIX le postille di Galileo furono trascritte, in inchiostro rosso, o, crediamo, di mano moderna, sui margini d’un esemplare dell’ ediziono Valgrisiana dol 1580, cho è menzionato nel Catalogue de la Bi- bliolhèque de M.L.* “ “ * doni la venie se f era le lundi 28 juin 1847 ecc. Paris, 1847, pag. 110, mim. 713. Diamo un «aggio di questo spoglio: Nel primo canto. Al v. 2 dell' 8 a 7, questo segno ((( in margine. Al u. 4 dell' 8 a 18, questo segno St. 47, v. 2, la parola quolla mutata in gravo. Nella nostra ediziono le postillo di Galileo sono stampalo noi corpo di carattoro più grande, cho ab¬ biamo sempre risorbnto allo coso del Nostro; questa differenza di carattere, o l’asterisco da cui sono pro¬ ceduto, lo fanno subito distinguere. ,tt) Ci siamo attorniti al codice audio in alcuni casi, varamento rari, in cui par beilo elio il Viviani non abbia trascritto con esattezza la postilla dol Maestro: conio noi canto XXI, st. 55, v. (5, Galileo correggendo por in poi che (vodi pag. 173, liti. 20, della nostra edizione), dovetto altresì intendere di ridurre desi™ a desir ; ma poiché quosta seconda cor¬ rezione non ò indicata nò nel T. XVIII nè noi XIX, noi non la registriamo. Cosi puro, nel canto XXV, st.fi, v. 7, dopo mutato egli in lo (vedi png. 176, 1 in. 13), Galileo avrobbo dovuto altresì mutare, nel v. 8, lo iu gli : ma nominone di questa correzione è traccia no’duo citati codici. —Non abbiamo poi aloun dubbio, che siano commenti dol Viviani allo postille di Ga¬ lileo (g, conio tali, li separiamo (la esso) quelli ili cui nella nota 1 a pag. 157 o nella nota 3 a pag. 159. < 01 A pag. 182, lin. 00, abbiamo corrotto col cod. B la lezione errata dol cod. A, cho è notata appiè di pagina. Gl È inutile dire che abbiamo omesso le postille lo quali nel cod. B non sono di mano dol Viviani; che non solo non v’ha motivo alcuno di assegnarle al Nostro, ma qualcuna di esso contraddice, come or ora abbiaui visto (nota 2 di questa pagina), alle po¬ stillo stesse di Galileo. 18 AVVERTIMENTO. Premettiamo, com’era doveroso, a ciascuna postilla il passo doli’Ariosto a cui essa si riferisce; e diamo siffatti estratti del Furioso nelle proporzioni ohe ci sembrano, di volta in volta, opportuno per la piena intelligenza della postilla, sebbene tali proporzioni esorbitino spesso da quelle indicazioni di Manza e verso che precedono gli estratti, e che hanno per iscopo soltanto di porre subito in evidenza qual sia il passo postillato. Riportiamo i passi dol poema dall’edizione che teniamo per certo servisse a Galileo, c elio ò, come sopra accennammo, la Valgrisiana del 1572, oppure quella, poco meno che identica, dol ir>7;i 1 ’’. Più spesso nei primi sei canti, più di rado nei seguenti, le postille di Galileo sono rappresentate semplicemente da segni diversi, co’ quali egli aveva notato molti luoghi, talora anche accoppiando il segno grafico alla postilla parlata. 11 Viviani ha riportato fedelmente nel cod. A anche questi segni, e di alcuni di essi ha reso conto con le seguenti parole, che vengono dietro allo spoglio delle postillo al primo canto: < Molli altri canti tutte lo comparazioni son notate con questo segno tuT, e tutte le sentenze con questi segni i(( ))) ; dove ha difficoltà, o che gli par scuro il verso, vi ò il segno ; dove sono iperbole troppo grandi, vi ò il segno fa > (1) . I passi postillati con segni furono da noi indicati, canto per canto, nelle note, e non soltanto quelli a cui Galileo appose uno de’ segni or ora accennati<*>, ma anche quelli notati con altri segni, il significato do’ quali molto volte ci sfugge w . G) Orlai»(in Furioso di M, tono vi co ÀMOSTO, tutto ricorretto et di nuove figure adornato eec. Ili Veneti», appresso Vinconzo Valgrisi, M. D. LXXll. L’edizione del 1573 ha identico frontespizio, salvo il millesimo, ed è una materiale riproduzione della precedente, con In stessa paginazione; anzi non ò forse che una nuova impressiono della medesima com¬ posiziono tipografica, corretto soltanto qualche orrore di stampa (p. o., a pag. 470, noi titolino corronte). Noi ci atteniamo all’edizione dol 1572, correggen¬ done i moltissimi orrori di stampa, quando, ben s’in¬ tendo, non siano oggetto «runa postilla del Nostro.— Clio Galilko usasse un'edizione dol Valgrisi, ò at¬ testate dal Viviani, il quale in capo al cod. A (cur.SSr.) intitola: « Note dol Galileo, fatto in un suo Ariosto di stampa del Vnlgrisio di Venezia * ; ma il Viviani non aggiungo ranno di quest'edizione, o solo dico ch'ora in < foglio piccolo o quarto grando, con lo figure a’principi de’canti, in legno*. Però, che si tratti della Valgrisiana del 1572, o di quella del 1573, è dimostrato abbastanza da’ numerosi e caratteri¬ stici orrori di stampa, che Galileo, corno or ora ac¬ cennavamo, corregge con le sue postillo, e che si ri¬ scontrano appunto in quello due edizioni (non così in molte altre Valgrisiano, che abbiamo esaminato), eccezion fatta d’ un solo, cioè ufo per uno nel canto I, st. 51, v. 8 (vedi pag. 151, lin. 24, di questo volume), elio, chi ricordi la menoma differenza tra Vf o V» corsivi dolio stampo antiche, poteva ben apparirò, por poco notta impressione, in alcuni esemplari ai o in altri no. <*> Car. 2$r. (3 > Por quanto i termini compara sione o tentenna si possano o debbano prenderò, nello citato parole dol Viviani, in un senso bori lato, bisogna però dire cho talora scambiassero da un sogno All'altro, o il Viviani nel trascriverli, o Galileo nei notarli accanto a’singoli passi: si vegga, p. e., al canto Vili, st. 50, v. 7, 8 (cfr. pag. 158, nota 1), o al canto XIV, st. 32, v. I», f> (cfr. pag. 183, nota I), i quali passi Galileo avrobbo sognato, secondo il Viviani, conio compara¬ zioni. Cosi puro al canto III, st. 52 (vedi pag. 153, nota 1), i) sogno gf ;/*’ ò cortamente a sproposito. Qualcho volta poi il Viviani non è esatto noli’indi¬ care il verso a cui dovessero riferito il segno (p. o., al canto I, st 22, indica il v. 2 conio notato col so¬ gno <((, ma la sentenza è nel v. 1; vedi pag. 151, nota 1). Correggemmo questo piccolo inesattezze. Gl Ci paro soltanto di poter diro, confrontando i vari passi notati con uno stesso segno, che il so¬ gno —r~ inchiuda censura, o il segno indichi più specialmente viziosa durezza o sforzo di costrutto. Col segno astronomico Q sono indicati tro luoghi, dove si parla della sera (canto li, st.54), della mattina AVVERTIMENTO. 19 Alle Postille scritte da Galileo sui margini del proprio esemplare facciamo poi seguire (pag. 193-194) quattro brevi considerazioni, pure a passi dell’Ariosto, che, per testimonianza del Viviani, Galileo aveva notato «nell’ultima carta > dell’esemplare stesso. Le vero Postille alV Ariosto veggono ora per la prima volta la luce nella pre¬ sente edizione ; e ciò affermiamo senza tema di essere smentiti, benché sia co¬ munemente noto che questa fatica di Galileo fu pubblicata più volte nel nostro secolo. Poche, invero, tra le scritture del Nostro hanno avuto la mala ventura d 1 essere siffattamente alterate da chi primo le trasse dai manoscritti, e fu poi fedelmente seguito dai successivi editori. Si ometta pur di notare, che nelle pre¬ cedenti edizioni le postille sono 167, tra genuine c non genuine, tra intere c mutilate, e nelhunostra raggiungono il numero di 388 ; non si rilevi, che noi re¬ registriamo, nelle note ai singoli canti, i numerosi passi postillati da Galileo semplicemente con segni, de’ quali passi appena pochissimi erano stati indicati da’nostri predecessori: di ciò non si tenga conto, diciamo, e si conceda che la differenza numerica, la quale trae origine dall’avere il primo editore seguito a preferenza il cod. H t cioè il meno ricco, e di questo stesso aver omesso alcune postille, non sia, nel caso nostro, la più osservabile. Nemmeno si faccia troppo carico a quell’ editore d’ aver giudicato di Galileo una postilla del cod. I?, la quale, per non essere scritta di mano del Viviani, non v’ è ragione di attribuire al Nostro (t> . Ma il più grave si è che l’editore ha alterato, e non una volta sola, lo postille pubblicate (2) : e soprattutto vuoisi avvertire coiti’ egli abbia in più casi (canto IV, si. IO, v. 4, 5: cosi il coilieo, ma vcramento v. 5, G), doU’ftiba (canto IV, st. 68, v. I, 2), o del solo in Granchio (canto IV, st. 50, v. 3, 4). 11 segno d’una spada JX* 1 è apposto alla st. 9 del canto li, Uovo si descrivo un duello. Del resto è probabile elio Ga¬ lileo intendesse spesso, co’diversi segni, soltanto di porro in evidenza do* passi elio, por ragioni vario (lo quali no’singoli casi si possono talora congetturare), gli parevano osservabili, o elio non di rado anche postillò; senza che i singoli sogni abbiano un signifi¬ cato determinato o costante. Questo valore generico ha spccialmonte, come sembra, la linea in margino. 11 Viviani, registrando i passi segnati in quest’ultimo modo, dico spesso che i versi, in quo’ passi, erano « legati insidilo * per mezzo della linea; ma erodiamo, ciò debba intendersi in senso puramente materiale. m Allast. 5 dol canto XVII si leggo nel cod. B questa postilla: « non par che rargumento conchiuda secondo le proposizioni »; la qualo però non ò di mano del Viviani, nò si leggo noi cod. A. Nello pre¬ cedenti odizioni tale postilla ò stampata conio di Galileo; un editore poi pubblica, sempro corno os¬ servazione di Galileo, anche duo altro righe, che il primo editore soggiunse, per commeuto, in carat¬ tere corsivo. |2) P. e., nelle precedenti edizioni la postilla elio noi pubblichiamo, con forma ai manoscritti, a pag. 160, lin. 24-31, si loggo così: « L 1 intonziono del Poeta era di posporre, coni’ ò credibile, ad An¬ gelica tutte lo nominato ninfe; e lo sue parola non escludono tutto, ma alcuna sola: ondo doveva diro: Che nessuna di lor così bell’era.» Similmente, si confronti con pag. 194, lin. 1-3, della nostra edizione la seguente postilla dolio procedenti: « È costumo di donna amante reputare l’amata persona eccellente sopra tutto lo altro; o con quosto mozzo violi qui rappresentato 1’amoro di Fiordiligi verso Drandimarto »; o si confronti con png. 193, lin. 11-14, la seguente: « Nota il costumo mirabimento osservato sempro dall’Ariosto in tutto le coso, o in Orlando, cho sempro vie» figurato distratto o taciturno sino alla pazzia: il quale, domandato da Angelica.rispondo solo: non »o ». In luogo di per lo più antepongano dol cod. A, o semplicenionto anteponghino del cod. B, a pag. 161, lin. 32-33, lo precedenti edizioni hanno anteponghino sovente ; in luogo di di dir dianzi, dei duo codici, a pag. 168, lin. 89, hanno del secondo diami ; in luogo di Carlo, a pag. 164, lin. 26, hanno re Carlo; in luogo di più pretto, a pag. 180, lin. 87, hanno più tosto, eco. 20 AVVERTIMENTO. o fabbricata una postilla per interpretazione d’un semplice sopno di Galileo ", o distesa un’intera proposizione intorno a una sola parola del Nostro (,) , o soggiunto alle postille galileiane, per chiarirle o confermarle, illustrazioni suo proprio ,3> : nè ha sempre avuto la cautela di stampare questi suoi commenti in carattere corsivo, o distinguerli con qualche altro artifizio tipografico, cosi che, venendo essi di seguito immediatamente alla postilla galileiana, il lettore deve credere che tale postilla continui ; e n’ ò avvenuto clic cotesti commenti siano stati ri¬ prodotti siccome genuini dai successivi editori, e corno tali citati dagli studiosi. Ciò noi vogliamo e dobbiamo notare, affinchè se qualcuno confronterà la nostra edizione con le altre, non domandi per qual motivo la nostra apparisce in certi passi meno abbondante. Poco abbiamo da avvertire intorno all’abbozzo o Argomento e traccia (Vana commediai a cui diamo luogo dopo le Postille all*Ariosto. Di quest’abbozzo ci è pervenuto l’autografo, che è a car. 19/\-24r. nel citato T. XVIII della Par. I dei Manoscritti Galileiani; e da esso vediamo elio Galileo aveva dapprima ideato la commedia secondo una tela più semplice, o poi modi¬ ficò alquanto il primo concetto, introducendo nuovi personaggi e complicando l’intreccio. Della commedia, conforme al primo concetto, Galileo steso l'argomento O) P. o., ni canto I, $t. 74, v. 7, S, o al canto II, st. 10, v. 5, Galileo appone il. segno , o nien- t’ nitro (vedi, nella nostra edizione, pag. 151, nota I, o pag. 152, nota 1); le procedenti edizioni recano, nel primo luogo: « È questa veramente troppo grande iperbolo », o noi secondo: « Anello questa ò troppo grande iporbolo >, allo quali ultimo pardo un’edi¬ zioni) fa seguirò, som prò conio postilla di Galileo, un altro commento, elio il primo oditoro, por vero diro, distinse conio suo,stampandolo in corsivo. Al cantoIV Galileo lift notato la st. 50, v. 3, 4, o la st. 68, v. 1, 2, col segno Q (rodi png. 153, nota 2), del qualo noi ignoriamo il significato: nello precedenti edi¬ zioni leggiamo la scguonto postilla, apposta al primo doi due passi : « Questa immagine non è bene espressa, e similmento la seguente della st. 63: Poi che la luce candida o vermiglia Dell’ altro giorno aperso 1’ emispero. » <*> Al canto VII, st. 19, v. 4, Galileo si limita a mutare grate in liete (vedi pag. 156, lin. 52); nolle precedenti edizioni si leggo: « o cambisi il grate in liete nell’ultimo verso dell’ottava*. Al canto XIV, st. 78, v. 3,4, Galileo postilla, con olflcaco brevità: e Tassosco * ; le precedenti edizioni hanno : « Questi due ultimi versi sono proprio tasseschi ». (3) Noi canto IX, st. 79, v. 6, Galileo sottolineò lo parole in dietro o le mutò in altrove, e sottolineò pure dietro nel v. 7 (vedi pag. 159, lin. 2-6, e nota 1), e nuli’ altro aggiunse : le precedenti edizioni, riferita la correzione di ni dietro in n/irorr, continuano, sem¬ pre conio so fosse postilla di Galileo: « K ciò por la parola dietro del verso appresso *. Al canto XIII, st. 79, v. 3, dove Galileo ha semplicemonto mutato Lo cercò tutto in Le cernì tutte (vedi png. 102, lin. 03), i precedenti oditori soggiungono, conio suo, questo commonto: « fórca, per arerò la concordanza del tempo col cena, cho seguo: o il plurale le o tutte, perché si parla dello caso, sebbon por questo il Poeta intonda l’ostello ed il palagio del mago Allento*. Al canto XIX, st. 100, v. 2, il Nostro ha sostituito £ curato a ho latcialo (vedi pag. 170, liti. 39, e nota I), o non ha aggiunto di più: la seguente po¬ stilla, cho fu stampata e ristampata come di Ga¬ lileo, è del primo editore: «che cosi a punto ri¬ chiedo la premossa della Stanza 91 *. E parimente, per non dilungarci in esempi, sono cominonti del primo editerò (o non di Galileo, n cui vengono attribuiti) quelli aggiunti nello procedenti edizioni alla semplice mutazione, proposta dal Nostro, di una o più parole dell’AiuosTo, nei seguenti luoghi: canto XIX, st. 105, v. 7 (vedi nella nostra edizione pag. 170, lin. 53); canto XXII, st. 77, v. 5 (vedi pag. 174, lin. 32); canto XXV, st.5, r. 7 (vedi png. 170, hn. 7); canto XXX, st. 5, v. 2 (vedi pag. ISO, lin. 83; nel qual passo il primo editore ha omesso lo due altro correzioni proposto da Galileo); canto XLI, st.68, v. 3 (vedi pag. 187, lin. 55); canto XL1I, st. 40, v.S (vodi pag. 188, lin. 39). AVVERTIMENTO. 21 c la traccia, che però lasciò incompiuta alla scena sesta dell’atto primo; conformo alle modificazioni che voleva introdurre, stese pure (dopo una breve introduzione, che contiene 1* antefatto) la traccia, lasciandola, anche questa volta, interrotta all’atto terzo, scena prima. Da poche linee, elio oggi si leggono cancellate, ve¬ diamo che la prima volta l’Autore aveva cominciato a stendere la commedia addirittura in forma dialogizzata, ma ne dimise, si può dir, subito l’idea Non abbiamo alcun argomento per determinare con sicurezza a qual tempo della vita di Galileo si debba assegnare quest’abbozzo; ma ci sembra assai pro¬ babile clic rimonti agli anni della sua dimora in Padova, nella qual città par certo sia da porre la scena della commedia (S) . Noi nel riprodurre questo lavoro del Nostro ci siamo attenuti fedelmente al- P autografo, con la scorta del quale abbiamo corretto gli arbitrii che il precedente editore si era fatti leciti (S) : siamo poi i primi a pubblicare la traccia apparte¬ nente al primo concetto, che finora era stata omessa 01 . Appiè di pagina registriamo i tratti che nell’autografo si leggono sotto le cancellature, e, per iscrupolo di esattezza, certi errori materialissimi sfuggiti dalla penna dell’Autore. Raccogliamo come ultimi tra gli Scritti letterari di Galileo i pochi suoi com¬ ponimenti poetici, cioè il capitolo Contro il portar la toga c sei sonetti. Il capitolo col quale Galileo deride la prammatica che obbligava i professori <*> Vedi appiè di pag. 198 dalla nostra edizione, lin. 2-3. Pantalone e Tofano, lasciando la suona, vanno « allo Piazzo » (pag. 201, lin. 2*2; pag. 203, lin. 5; pag. 204, lin. 1). Fu già osservato giustamente elio il nomo « lo Piazzo » è proprio dalla città di Padova, dovo si chiama cosi un gruppo di piazzo (dello Krbo, dei Frutti, dei Signori), contiguo Putta all'altra; od ò naturalo che Pantalone o Tofano, mercanti, si rechino a questo contro di trattici. I nomi stessi Pan¬ talone o Tofano ci riportano al Veneto; o venata ò la parola caneva (png. 208, lin. 20: nella prece¬ dente edizione caneva ò stato mutato in camera). Ricorderemo anello conio 6alii.ro fosso appassiona¬ tissimo della lettura di Ruzzante, celebro comico pavana (vedi A. Favaro, Scampoli Galileiani, negli Atti e Memorie della 11. Accademia di /danze, lettere ed arti in Padova, nuova serio, voi. II, pag. 14-16). — Ili un’ altra commedia di Gai.ii.ro abbiamo forso ricordo in una lettoni di Suor Maria Celeste, del 31 ottobre 1633, nella qualo la monacella così scrivo al padre: «La commedia, venendo da lei, non può esser so non bolla; fino a qui non ho po¬ tuto legger altro elio il primo atto » (Mss. Gal., Par. I, T. XIli, car. 243). Se con le parole * venendo da lei » suor Celeste vollo indicare Galileo conio autore, c non semplicemente conio la persona che inviava quella commedia da rappresentarsi noi mo¬ nastero, con violi credere che cotosta commedia di Galileo sia andata perduta; poiché, conio fu con ra¬ giono avvertito, la tela e lo frasi assai licenzioso di questa, della qualo ci ò pervenuto V abbozzo, non permettono di pensare elio Galileo 1* abbia mandata alla figliuola, dato anello (e non lo sappiamo) elio egli P avesse poi stosa per intero: vedi A. Favaro, Ga¬ lileo Galilei e Suor Maria Celeste, Fironzo, G. Bar¬ bèra editore, 1891, pag. 411, nota 1. < 3 i So no possono uotaro quasi ad ogni linea : p,o., uoli*introduzione alla seconda traccia, con cui quoll’edizione comincia, cd essendogli vietata in luogo di e uc.ndogli vietato (pag. 200, lin. 6, della nostra edizione); dalla disperazione in luogo di da dispera- zione (lin. 7); tu età in luogo di di età (nella stessa linea); ma stato in luogo di e staio (lin. 8). Nulla scena prima dell’atto primo il precedente editore lm omesso lo parole *rì perchè lei è gravida (pag. 200, lin. 16); o con ciò il periodo rimane difettoso. Cre¬ diamo inutile addurre altri osempi. In questa traccia racchiudiamo fra paren¬ tesi quadro lo lettere di alcuno parole, elio sono andate perduto nell’autografo per guasti della car¬ ta. — Si avverta elio lo lin. 23 e scg. della pag. 197 veggono puro per la prima volta la luco nella nostra edizione. 22 AVVERTIMENTO. dello Studio Pisano a portare la toga non solo quando leggevano in cattedra, ma anche quando andavano < fuor per far qualche faccenda > o per passeg¬ giare, fu scritto, come dal contenuto risulta manifestamente, mentre egli era let¬ tore in Pisa (,? , c perciò cade negli anni tra il 1589 o il 1592: e che sia del Nostro, ove non bastasse la unanime testimonianza dei codici ne’ quali ci è ri¬ masto <*>, è confermato dai v. 151-153, in cui l’autore scherza sul proprio nome e casato. A questo capitolo, molti e molti anni dopo ch’era stato composto, ac¬ cennava un discepolo illustre di Galileo, Vincenzio Renieri, scrivendo al Maestro, da Pisa il 20 febbraio 1641: <11 Sig. Auditor Fantoni ha fatto spolverar le toglie a’ dottori ; onde adesso non si vede altro che togati, o sarebbe molto a proposito il capitolo che fece già V. S. Eccellentissima > (3) . E due mesi dopo lo stesso Renieri, che in quell’occasione avrà riletto la poesia del Maestro, gli scriveva di nuovo: < Abbiamo, con uno o due amici, riso un pezzo della toga, il cui capitolo non ho voluto partecipar ad altri, per non disgustar l’autore de l’abito > (k) . Non ci consta che del Capitolo siasi conservato l’autografo; no conosciamo invece parecchie copie manoscritte, e cioè: A = cod. Riccardiano 2242 (miscellanea senza numerazione di carte); B = cod. Magliabechiano II. III. 209, car. lr.-6r. ; C = cod. Magliabecliiano IL IV. 22, car. 122r.-130r. ; I) = cod. Magliabechiano Cl. VII. 10.358, car. 115r.-123r. (,> ; E = cod. Palatino 1010 della Nazionale di Firenze, Tomo IX, pag. 271-283; F = cod. Magliabechiano Cl. VII. 7. 364, car. 241r.-247/. ; G = cod. Riccardiano 3153, car. llr.-16<. Questi codici sono tutti di mano del secolo XVII (più. recente degli altri ap¬ parisce il cod. 7?), tranne l’ultimo, che è certamente del secolo XVIII. Chi prenda in esame le varianti clic abbiamo raccolto appiè del testo del Capitolo, s’avvede facilmente che i sette codici si distinguono in due classi o famiglie, all’una delle quali appartengono i codici A , B t C, e all’altra i rima¬ nenti^. Le due famiglie si differenziano non solo perchè presentano lezioni no¬ ni Uno dei codici porta il seguente titolo: Ca¬ pitolo ilei Sig. r Galileo Galilei contro il portar la toga, quando ei leggeva n Pita. Vedi a piò (li pag. 213. ni Vedi a piò di pag. 213. I cod. 1) od P hanno l’indicazione Del Sig/Galileo Galilei iu line del Capitolo. < a > Mss. Gal., Par. I, T. XII, car. 201. ni Lettera da Pisa, 29 aprile 1041, nella Bi¬ blioteca Estense di Modena, Autografotoca Campori, Busta LXXXVI, 133. (U) In questo codice s’incontrano alcuno corre¬ zioni interlineari (dello quali rendiamo conto nell 1 ap¬ paiato critico), le quali fu sospettato possano essere di mano di Galileo. Talo dubbio non ha alcuu fon¬ damento. Lo correzioni invoro sono della mano stessa che esemplò il codice, o questo è stato scritto dalla mano a cui dobbiamo anche i Magllubcchlani 357 o 359 della medesima Classo VII: ora, a png. 3 del cod. 359 si legge, som prò della mano medesima: « Poesie diverso elio ancora non sono alla stampa, di diversi eccel¬ lentissimi autori, messo iusiemo da Astianatto Mo¬ lino, l’anno 1G45 ». Astianattk Molino è anagramma di Antonio Malatrsti. Vedi, p. o., Ai v. 1, 7, 8, 50, 61, 79, 150, 184, 186, 189, 203, 204, 205. l2 > Preso por fondamento il cod. A, non abbiamo voluto discostnrcene neanche so, in singoli passi, la lozione di qualche altro codice possa parere più spon¬ tanea, più confacente all’indole punto aristocratica del componimento ; oliò altrimenti sarebbe stato un avviarci su di un terreno troppo sdrucciolevole. Cho anzi ai v. 155 o 201 proferimmo restituirò Ingiusta misura metrica, difettosa in A, ritoccando, liovissi- niaulente, la leziono di questo codice, piuttosto elio accettare la lezione, metricamente corrotta, di nitri manoscritti. < 3 > Ci siamo tenuti in ciò alle uorme seguito nel corso di tutta questa nostra edizione (vedi in par¬ ticolare ciò che avvoltiamo nel voi. V, pag.2(39, nota 4, e nel voi. Vili, pag. 21, nota 2). Non abbiamo notato gli errori certi, nò lo diil'eronzo puramente grafiche o fonetiche, o neppure quelle cho risultano, essendo identico il suono, da diversa maniera di distinguerò o scovorar le parole (p. e., v. 6, Pereti'*' non seb¬ bene qualche volta abbia lezioni peculiari : da questa prima edizione sono poi state riprodotte fedelmente, nel 1760 e nel 1771, quelle di Useclit al Itono, ap¬ presso Iacopo Broedelet {,) . Nelle successive ristampe il testo del Capitolo è stato corretto secondo criteri diversi, fino a questa nostra, la quale è fondata sull’esame dei manoscritti e, per la prima volta, fa conoscere di questi la varia tradizione 155 . Quanto ai Sonetti, che facciamo seguire al Capitolo Contro il portar la toga , il primo, Or che tuffato il sol ndV onde Ispane , si legge nel cod. Magliabeclnano IL IV. 16, a car. 137/*., con la rubrica: < Del S r . Galileo Galilei >, e, senza nome d’autore, a car. 47r. del cod. Barberiniano XLIV. 151, nel quale fu collocato quando fu tolto dal codice elio portava il numero 3048 l5) , cioò da quella me¬ desima miscellanea da cui furono cavate le Considerazioni al Tasso. Nell’uno e nell’ altro codice è scritto di mano del secolo XVII. Di mano un po’ più recente se ne ha copia altresì nel T. Ili della Par. I dei Manoscritti Galileiani, a car. 03;\, con la rubrica: « Del Sig. re Galileo Galilei. Sonetto > : e la lezione di questo co¬ dice, clic è identica a quella del Magliabechiano, dimostra ciò di cui dà indizio questa stessa rubrica, cioè che la copia nel codice Galileiano è derivata appunto dal Magliabechiano. Noi abbiamo riprodotto il sonetto da quest’ ultimo codice, registrando le varianti notevoli dell’ altro codice Barberiniano. 1 tre sonetti Mentre spiegava al secolo vetusto , Mentre ridea nel tremulo e vi¬ vace, Scorgi i tormenti mici se gli occhi volti , furono pubblicati per la prima volta O) Il terzo libro dell'Opere, burlesche del BerNI, del Casa, dell* Aretino, del 11 ronzino, del Franzesi, del Medici, del Galileo, del Kcsrni.i, del Bkrtihi, del Firenzuola, del Lasca, del Pazzi e d'altri autori. Appresso Iacopo Broodelct, in Useclit al Reno, 1760, png. 173-184. Noli’edizione, identica a questa, dol 1771, il capitolo di Galileo ù a pag. 107-177. Lo lievissime differenza tra V edizione del 1700 c quella del 1723 (p. e., v. 32 o v. 1 OS, 1* edizione di Firenze ha discrizione ; quella di Useclit, discrezione : v. 103, Firenze, maledizione; Useclit, maìadizione) non lasciano supporre elio il nuovo editore ricorresse a’ codici. Al capitolo Contro il portar la toga avremmo accoppiato un sonetto caudato, d’ argomento puro faceto, che, col (itolo di Bcfanata, fu più. volto ditto allo stampo corno di Galileo, se non ci fosso di elio dubitare gravemente della sua autenticità. Abbiamo questo componimento da duo fonti, diverso e distinte. Nel Catalogne raiaonné de la colUction de livrea de M. Pierre Anton te Crevenna, négociant à Amsterdam, Sccond volume, MDCCLXXV, pag. 107, è registrato (con titolo non esattamente preciso) un esemplare della Lettera del Signor Galileo Galilei ecc. scritta alla Granduchessa di Toscana ecc. in Fiorenza, MDCCX; o quindi si avverto: « Daus notro exumplaire do co volume nous avons trouvé insèrti un beau sound burlesque manuscrit do Galilei, qui peutètro n’a pas encoro été imprimé.... nous le rapportons ici > : o appresso ò pubblicata la Bcfanata del Big. Galileo Gal ibi in Pisa (pag. 108-100). Ignoriamo dovo oggi sia resomplaro della Lettera descritto noi Catalogo citato; ma dallo indicazioni qui fornito non avremmo alcun motivo por dubitare doli'autenticità dulia //«- fatuità. Se non elio essa si leggo altresì a car. 11 Ir¬ li 3/. dol cod. Kiccnrdiano 2898, donde fu mossa in luco tra lo Poesie giocose inedite c rare pubblicate per cura del dott. A noi. Po M.ut elusi qcc., Firenze, tipo* grafia editrice del vocabolario ecc., 183-1, pag. 159 e seg. : o uollo lozione Riccardi mia. ai 69 versi oditi nel Catalogne seguono, interrotti da parecchio lacune, altri 50 versi, negli ultimi do’ quali si parla di Ga¬ lileo in terza persona o in modo tale, da far na¬ scerò fondato sospetto so qnol componimento, seb¬ bene porti il suo nomo anello noi codico (Befanata del Sig. Galilei in Pisa) f possa veramente essergli ascritto. ,3 > Noi cod. 8048 la carta dove si logge il so¬ netto ora la 114. AVVERTIMENTO. 25 da Salvino Salvini, il quale, attribuendoli a Galileo, dice d’averli veduti, scritti di mano del Viviani, appresso il nipote di questo, abate Panzanini (l) . Fu dubi¬ tato della loro autenticità, e si sospettò altresì che siano fattura di Vincenzio Galilei, figliuolo del Nostro e mediocre poeta: ma poiché quei dubbi sono fon¬ dati soltanto su giudizi personali (2) , non possono bastare a togliere i sonetti a Galileo, al quale vengono ad essere assegnati sulla fede del Viviani; niuna ra¬ gione poi abbiamo per ascrivere quei componimenti a Vincenzio Galilei, tra le cui numerose rime, delle quali il Salvini possedeva un manoscritto < 31 , non ci è occorso di rinvenirli l * J . Quanto al sonetto Mentre spiegava al secolo vetusto, dob¬ biamo infine aggiungere che col nome di Galileo si legge in più codici. Di esso infatti abbiamo trovato copia nei seguenti manoscritti : Cod. Palatino 263 della Nazionale di Firenze, pag. 28, con la rubrica : < Pa¬ ragona la crudeltà della sua donna a quella di Nerone (lt) . Del S. Galileo Galilei » ; cod. Palatino-Capponi 74 della stessa Biblioteca, voi. IV, car. 1S5, con la identica rubrica del precedente ; cod. Magliabechiano II. II. 109 (miscellanea del Magliabechi), car. 3G3A, con la rubrica: < Sonetto amoroso di Galileo Galilei >; cod. Marciano Cl. IX. It., num. XIX, car. 9G t., con in principio < Sonetto amo¬ roso >, e in fine < G. Galilei » ; cod. Barberiniano XLIV. 151, car. 27r. (,) , con la rubrica: «Del Sig. r Dottore Galilei >. Questi codici sono tutti del secolo XVII, meno il Capponiano clic è del XVIII. 11 Palatino 263 e il Capponiano offrono il medesimo testo ; così pure concordano fra loro il Magliabechiano e il Marciano ; invece il Barberiniano, che è molto scorretto, ora s’ accorda con quei due primi manoscritti, ora con la lezione edita dal Salvini, ora sta da sé. A questi codici però noi abbiamo creduto di dovere preferir sempre la stampa Salviniana, come quella che fa capo a un esemplare di pugno del Viviani; e sopr’ essa abbiamo quindi riprodotto e il sonetto Mentre spiegava e gli altri due, dei quali non conosciamo alcun manoscritto che non dipenda dalla medesima fonte da cui viene la detta stampa (,) . Del primo sonetto abbiamo raccolto le varie lezioni dai codici citati. i l ) Fusti consolari cit., pag. 437-438. Cibò, che quei sonetti umorosi non si con¬ vengono con la natura di Galilbo, con la qualità del suo umore poetico, o con la purezza o proprietà di dettato dello suo composizioni. (3 > Fusti consolari cit., pag. 486. i*) Bello rime di Yincknzio Galilbi abbiamo abbondanza nel codice Riccardiano 2749 e nel Mar¬ ciano Cl. IX. It., num. CXXXVUI, clic sono auto¬ grafi: vedi N. Yacoaluzzo, op. cit., pag. 137-148, o 1>. Ciamboli, Nuovi studi letterari e bibliografici, Rocca San Casciauo, Cappelli, 1899, pag. 175-21 b. (6) Queste parole « Paragona ccc. > sono in capo al sonotto anche nella stampa del Salvimi, e nella copia che ricordiamo qui appresso nella nota 7 . (G > K il codice stesso nel quale si legge, come fibbiam visto, il sonetto Or che tuffato il sol nell’onde Ispane. Nell’antico cod. 3048 il sonetto Mentre spiega¬ va ccc. era a car. 13Gr.Trovandosi nel medesimo codice Barberiniano in cui erano lo Considerazioni al Tasso, fu trascritto, in fine di esse, in quollo due copio che formano oggi il cod. Palatino 118G della Nazionale di Firenze, dolio quali parliamo a pag. 10, nota 2. II cod. Marucelliano A. CXI (miscellanea 2G AVVERTIMENTO. Il sonetto Fiamme vibrando , la celeste lampa si legge, per quanto ci consta, soltanto nel cod. Magliabechiano Cl. VII. 9. 271, a pag. 96, ed lia la rubrica: «Ga¬ lileo Galilei >. È scritto di mano del secolo XVII. Nessun argomento abbiamo per fissare la data di questi componimenti ; ma li ascriveremmo più volentieri alla gioventù, che agli anni maturi o alla vecchiaia, del grande uomo. Dell’ ultimo sonetto, intitolato Enimnia , non conosciamo alcun manoscritto sincrono (1) : fa però le veci d’ un codice, per dimostrarne l’autenticità, la prima edizione; chè fu pubblicato da Antonio Malatesti nella parte seconda della sua Sfinge (S) , premesse queste parole: <11 Sig. Galileo Galilei, avendo letta la prima parte de’ miei Enimmi non isdegnò di abbassar la sua famosa penna con hi pia¬ cevolezza del verso, mandandomi il presente sonetto, con esortarmi a far la se¬ conda parte». Di qui noi ricaviamo non solo l’occasione per la quale Galileo compose il sonetto, ma anche, con molta approssimazione, la data di esso : poiché, essendo stata pubblicata la prima parte della Sfinge nel 1640 (3) , il sonetto del Nostro appartiene, in conseguenza, proprio agli ultimi tempi della sua vita (4) . senza numornziono di carie) lia, al num. 8, i tre so¬ netti, con la rubrica: « Del Sig. r Galileo Galileo» [sic]. Probabilmente sono scritti dalla mano stossa del Sal¬ tine : ad ogni modo la lezione non differisco da quella della stampa Snlviniana. IO II cod. Vaticano 9197, elio ò uno zibaldone) di appunti dell 1 ab. Francesco Cancei.lif.ri, lia, a pag. 435 dì numerazione vecchia, ossia a car. 200r. della nuova numerazione, questo sonetto; ma ivi è trascritto dalla Sfinge del Mai.atksti, elio stiamo por citare. ,2 i La Sfinge, Enimmi del Sig. Antonio Mala- testi. Parte seconda ecc. In Firenze, nella stamperia di S. A. S., 1643, ad istanza di ilio. Tlatt. Posteria, pag. 10. Il sonetto di Gai.ii.ko è riprodotto nollo ri¬ stampe della Sfinge. ,3) La Sfinge, Enimmi del Sig. Antonio Mala- testi ccc. In Venezia, 1G40, presso il Sarzina, ad istanza di Gio. Unttista Posteria. Fu riprodotta Tanno appresso (Seconda impressione, con nuova aggiunta) dal medesimo tipografo. Il quinto degli Enimmi (pag. 19 dell 1 edizione del 1611) ò intorno al < mirabilissimo occhialo del Signore Galileo Galilei, donato al Sere¬ nissimo Gran Duca di Toscana », conio si leggo nel- VEdipo ovcro Dichiarazioni degli enimmi (pag. 128); o Galileo, che « di presento per vecchiaia si trova privo «lolla luco de gli occhi >, vi è chiamato < chi or non vodc, o per lui (jjer Vocchiale) visto ha tanto ». Si può pensare elio il Nostro volesso, col sonetto intorno alToninima, contraccambiavo questa reverente men¬ ziono elio il Malatesti aveva fatto di lui. Oltro ai soi sonetti elio pubblichiamo col nomo di Galileo, perdio crediamo che, fino a prova in contrario, si possa c si debba prestar fede ai manoscritti, furono stampati conio del Nostro due altri sonetti (Come lalor te di Nettuno avviene, L’a¬ mico etuol di Dio quando alle spalle) o quattro ma¬ drigali (0 miseri occhi miei, Poi che morir dell’ io, Bella angloletta mia , Se fera voglia Amor nel mio ten chiude) nella Miscellanea di cote inedite o rare rac¬ colta c pubblicata per cura di Francesco Corazzimi, Fironzo, tip. di Tommaso Baracchi, 1853, pag. 308- 371. Anche di questi fu discussa e negata 1* auten¬ ticità : ma qui invero non ò noppuro il caso della discussione, perchè lo ciò non fu sinora avvertito) il nomo di Galileo non si leggo in rapo a nessuno di questi componimenti nel codico dal quale il Co¬ razzisi li trasse, elio ò il Magliahochiano CI. VII, 9, 271, pag. 97-100: e roditore li attribuì a Galileo soltanto porche li trovò di seguito al sonetto Fiamme vibrando, la celeste lampa , elio, CODIO abhiam veduto, ha in tosta la rubrica « Galileo Galilei ». Troppo sarebbe però so, in un codice contenente poesie di autori diversi, il nomo posto in principio d’una di esso dovosse bastare per assegnare a quolT autore tutto lo nitro cho seguano anonime! E altresì da avvertire elio ai quattro madrigali tien dietro, nel codice, un quinto (Donna che sol mirando (incide e fede), puro anonimo, o non pubblicato dal Coraz¬ zisi ; o cho del quarto, mosso in luco da quest’edi¬ tore, o del quinto conosciamo o T autoro o T occa¬ sione por cui furono scritti: vedi Solerti, citata Vita di Torquato Tasso, voi. I, pag. 472, nota 2. Questi duo madrigali, insionto col secondo Poi che morir debb’ io, sono, anonimi, anche noi cod. Pala¬ tino 263 «lolla Nazionale di Firenze: vedi / codici Palatini descritti dal Prof. L. Gentile, Roma, 1889, voi. I, pag. 431, num. 17, 18, 25. AVVERTIMENTO. 27 Alle Poesie seguono in questo volume due Frammenti, che abbiamo au¬ tograti del Nostro (l) . L’uno e l’altro sono manifestamente abbozzi, con penti¬ menti e cancellature, di cui abbiamo preso nota a piè di pagina. Il primo ha stretta attinenza con le Considerazioni al Tasso (,) ; il secondo è uno scherzo in dialetto veneziano (3) , e ci riporta alle gaie brigate in mezzo alle quali Y austero (ilosofo si sollazzava talora in Padova e in Venezia, in quelli anni che furono i più lieti di tutta la sua vita. < l > Indichiamo appiè di ciascun frammento il Tomo doi Manoscritti Galileiani in cui esso si leggo. È stato pubblicato piCi volto, o fino dal 17S0 nelle Réflexiom impartiate» tur le progrìt réel ou ap* p a reni que le* ec iene et et le» ari» ont fatte dune le XV711* iticele en Europe, et qu'otx clamine princìpa• Ument clan* le h feriti de» Francois <ì l’usage de lItalie, et dain ceux dea Italiana à l’uaaye de la France, ecc. Tome Premier. Par M. Baktom, Antiquato de S. M. lo Roi dcSardaigne. A Paris, elio/. Couturier, M.D.CO.hXXX, pag. 388-890. Cfr. ivi a pag. 277-278. * S| Fu pubblicato da E. Lovarivi, Antichi testi di letteratura pavana, Bologna, presso Romagnoli Dal* l’Acqua, 1894, pag. 303-364. 1)UK LEZIONI ALL’ACCADEMIA FIORENTINA CIRCA LA FIGURA, SITO E GRANDEZZA DELL’INFERNO DI DANTE. IX. 4 So è stata cosa diffìcile e mirabile.. . . . . (P l’aver potuto gli uomini per lunghe osserva¬ zioni, con vigilie continue, per perigliose navigazioni, misurare e de¬ terminare gl’intervalli de i cieli, i moti veloci ed i tardi e le loro proporzioni, le grandezze delle stelle, non meno delle vicine che delle lontane ancora, i siti della terra e de i mari, cose che, o in tutto o nella maggior parte, sotto il senso ci caggiono ; quanto più mara- vigliosa deviamo noi stimare l’investigazione e descrizione del sito e figura dell’ Inferno, il quale, sepolto nello viscere della terra, nascoso a io tutti i sensi, è da nessuno per niuna esperienza conosciuto ; dove, se bene ò facile il discendere, è però tanto difficile l’uscirne, come bene c’ insegna il nostro Poeta in quel detto : Uscite di speranza, voi eli’ entrate, c la sua guida in quell’ altro : % _ E facile il descendere all’Inferno; Ma ’1 piè ritrarne, e fuor dell’ aura morta Il poter ritornare all’ aura pura, Questo, quest’ è impres’ alta, impresa dura ! t che dal mancamento dell’ altrui relazione viene sommamente accre- 20 sciuta la difficultà della sua descrizione. Per lo che era necessario, 7. L’autografo caggiano . Prima aveva scritto cascano. — 16. Mal piè ritrarne è fuor— 0) Circa la lacuna che qui presenta l’autografo, vedi l’Avvertimento. DUE LEZIONI SULL’INFERNO DI DANTE. allo spiegamento di questo infornai teatro, corografo ed architetto di più sublimo giudizio, quale finalmente è stato il nostro Dante : onde se quelli che sì accortamente svelò la mirabil fabbrica del cielo o sì esquisitamente disegnò il sito della terra, fu reputato degno del nome di divino, non doverà già il medesimo nome essere, per le già dette ragioni, al nostro Poeta conteso. Descrive dunque l’Inferno Dante, ma sì lo lascia nello suo tenebro offuscato, che ad altri dopo di lui ha dato cagione di affaticarsi gran tempo per esplicar questa sua architettura; tra i quali due sono elio più diffusamente ne hanno scritto : 1 ’ uno ò Antonio Manetti, P altro io Alessandro Vellutello, ma però questo da quello assai diversamente, e 1 ’ uno e 1 ’ altro molto oscuramente, non già per loro mancamento, ma per la difficoltà del suggetto, che non patisce esser con la penna facilmente esplicato. Onde noi, per ubbidire al comandamento fattoci da chi comandar ci può, oggi qui venuti siamo a tentar© se, la viva voce, accompagnando il disegno, potesse, a quelli che comprese non P hanno, dichiarare P intenzione dell’ una opinione e dell’ altra ; ed in oltre, se ci sarà tempo, addurre quello ragioni por P una e per P altra parte die potessero persuadere, le diverse descrizioni esser conformi all’ intendimento del Poeta ; ingegnandoci nel fine, con al- 20 cune altre nostro dimostrare qual più di esse alla verità, ciò ò alla mente di Dante, si avvicini : dove forse faremo manifesto, quanto a torto il virtuoso Manetti ed insieme tutta la dottissima e nobilis¬ sima Àcademia Fiorentina sia dal Vellutello stata calunniata. Ma prima che più avanti passiamo, non sia gravo alle vostre pur¬ gate orecchie, assuefatte a sentir sempre risonar questo luogo di quelle scielte ed ornate parole che la pura lingua toscana no porge, perdonarci se tal ora si sentiranno offese da qualche voce 0 termine proprio dell’arte di cui ci serviremo, tratto o dalla greca 0 da la latina lingua, poi che a così fare la materia di cui parleremo ci costringe. 30 5. nome è aggiunto fra le linee. — 11. Prima aveva scritto però e questo r quello, e poi corresse però questo da quello. — 17. Dopo hanno si legge, cancellato: se però ccn’è alcuno .— 22. Da dove forse faremo manifesto a ci costringe (lin. 30) è aggiunto su di un fogliottino inserito tra le carte. — 23. Dopo torto si legge, cancellato, sia. — 25-26. Prima aveva scritto purgatis¬ sime, che poi corresse in purgate. — 27. L’autografo ha: che la esquisitissima lin et purissima lingua; e esquisitissima lin è cancellato, e purissima e corretto in pura. L’autore, duncpte, dap¬ prima volle scrivere semplicemente che la esquisitissima lingua, poi corresse che la esquisitis¬ sima e purissima lingua, e da ultimo volle che si leggesse che la pura lingua, ma dimenticò di cancellare et davanti a pura. — 30. Fra lingua e poi si legge, cancellato: atteso che in questa. — LEZIONE PRIMA. 33 L’ ordine che terremo nel nostro ragionamento, in dichiarare la prima opinione, sarà questo : Prima considereremo la figura ed universal grandezza dell’ In¬ ferno, tanto assolutamente quanto in comparazione di tutta la terra. Nel secondo luogo, vedremo dove ei sia posto, ciò è sotto che su¬ perficie della terra. Terzo, vedremo in quanti gradi, differenti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro del mondo, ei sia distribuito, e quali di essi gradi siano semplici, e quali composti di più cerchi o gironi, io o di quanti. Nel quarto luogo, misureremo gl’ intervalli che tra 1’ un grado e 1’ altro si trovono. Quinto, troveremo le larghezze per traverso di ciascheduno grado, cerchio e girone. Nel sesto luogo, avendo già considerate le predette principali cose, con brevità racconteremo tutto il viaggio fatto da Dante per l’In¬ ferno, ed in questo accenneremo alcune cose particolari, utili alla per¬ fetta cognizione di questo sito. Venendo dunque all’esplicazione dell’opinione del Manetti, e prima so quanto alla figura, dico che è a guisa di una concava superficie che chiamano conica, il cui vertice è nel centro del mondo, e la base verso la superficie della terra. Ma che ? abbreviamo e facilitiamo il ragionamento; e congiungendo la figura, il sito e la grandeza, im¬ maginiamoci una linea retta che venga dal centro della grandezza della terra (il quale è ancora centro della gravità e dell’ universo) sino a Ierusalem, ed un arco che da Ierusalem si distenda sopra la superficie dell’ aggregato dell’ aqqua e della terra per la duodecima parte della sua maggior circonferenza : terminerà dunque tal arco con una delle sue estremità in Ierusalem; dall’altra sino al centro so del mondo sia tirata un’ altra linea retta, ed aremo un settore di cerchio, contenuto da le due linee che vengono dal centro e da 1’ arco detto : immaginiamoci poi che, stando immobile la linea che congiugne Ierusalem ed il centro, sia mosso in giro 1’ arco e P altra linea, e che in tal suo moto vadia tagliando la terra, e muovasi 1-2. Prima aveva scritto ragionametito sarà questo, poi inserì le parole in dichiarare .... opinione. — 20-21. Prima aveva scritto di una conica concava superfìcie, e poi corresse di una concava superficie che chiamano conica .— * t 34 due lezioni sull’ inferno di dante. fin t&nto cIig ritorni ondo si piirti 5 s&rà tugliotn dolici tono» mui parte simile «id un cono i il cj utile se ci ininuiginoronio esser cuviito della terra, resterà, nel luogo ov’ ora, una buca in forma di conica superficie; e questa è V Inferno. E da questo discorso no aviamo, prima, la figura ; secondo, il sito, essendo talmente posto, elio il suo bassissimo punto è il centro del mondo, e la base o sboccatura vicno verso tal parte della terra, clic nel suo mezo racchiude Ierusalem, come apertamente si cava da Dante, quando, immediate che tu pas¬ sato oltre il centro all’ altro emisfero, ode da Virgilio questo parole : E se’ or sotto l’emisfero giunto, 10 Oli’è opposito n quel che la gran secca Coverchia, e sotto ’1 cui colmo consunto Fu l'Uom che naqquo e visso senza pecca; e nel secondo canto del Purgatorio, essendo pure nell’ altro emisfero, conferma il medesimo, dicendo : Già. era ’l Sole all’ orizonte giunto, Lo cui ineridian cerchio coverchia Ierusalem col suo più alto punto. E quanto alla grandezza, è profondo l’Inferno quanto è il semi¬ diametro della terra ; e nella sua sboccatura, che ò il cerchio attorno a 20 Ierusalem, è altrettanto per diametro, per ciò che all’ arco della sesta parte del cerchio gli è sottesa una corda uguale al semidiametro. Ma volendo sapere la sua grandeza rispetto a tutto 1’ aggregato dell’ aqqua e della terra, non doviamo già seguitare la opinione di alcuno che dell’ Inferno abbia scritto, stimandolo occupare la sesta parte dello aggregato ; però che, facendone il conto secondo le cose dimostrate da Archimede ne i libri Della sfera e del cilindro, tro¬ veremo che il vano dell’ Inferno occupa qualcosa meno di una dello 14 parti di tutto 1’ aggregato : dico quando bene tal vano si esten¬ dessi sino alla superficie della terra, il che non fa ; anzi rimane la so sboccatura coperta da una grandissima volta della terra, nel cui colmo è Ierusalem, ed è grossa quanto è 1’ ottava parte del semidiametro, che sono miglia 405 8. immadiate — 22. è sottesa è stato sostituito da Galileo a sottende, che prima aveva scritto. — 24. Prima aveva scritto seguire, che poi corresse in seguitare. — 28. deVInferno — guai cosa — 32-33. Dopo semidiametro si legge, cancellato, della terra. — LEZIONE PRIMA. 35 Avendo compresa così generalmente la sua figura, è bene che venghiamo a distinguerlo ne i suoi gradi ; però che la sua interna superficie non è così pulita e semplice come da la descrizione che ne aviamo data ne conseguirebbe, anzi ò distinta in alcuni gradi, ne i quali diversi peccati con diverse pene sono puniti : e di questi gradi doviamo ora assegnare il numero e 1’ ordine, e poi più distintamente le larghezze e distanze da 1’ uno all’ altro, e le distribuzioni di alcuni in varii gironi, così distinti e nominati dal Poeta. È dunque questa grandissima caverna distribuita in 8 gradi, dif- ìo ferenti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro : tal che viene l’Inferno ad essere simile ad un grandissimo anfiteatro, che, di grado in grado descendendo, si va ristringendo ; salvo che 1’ anfiteatro ha nel fondo la piazza, ma l’Inferno termina quasi col suo profondo nel centro, che è un punto solo. Vanno questi gradi rigirando intorno intorno la concavità del- l’Inferno: ed il primo, o più vicino alla superficie della terra, è il Limbo ; il secondo è quello dove sono puniti i lussuriosi ; nel terzo sono castigati i golosi ; il quarto comprende i prodighi e gli avari ; il quinto grado è diviso in dui cerchi, il primo de i quali comprende 20 la palude Stige e le fosse attorno alla città, luogo deputato allo pene de gl’ iracondi e degli accidiosi ; il secondo contiene essa città di Dite, dove sono castigati gli eretici. E qui è da avvertire che noi non intendiamo per gradi quelli che da Dante sono chiamati cerchi, perchè noi ponghiamo, i gradi esser distinti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro, il che non sempre accade ne i cerchi, atteso che nel quinto grado ponga il Poeta al medesimo piano dui cerchi. Ma perchè gli altri gradi sono dal Poeta chiamati cerchi an¬ cora, possiamo dire, tutti essere 9 cerchi in 8 gradi. Seguita poi il sesto grado e settimo cerchio, tormento do i vio- ao lenti, il quale è distinto in 3 gironi, così nominati dall’Autore. E qui possiamo notare la differenza che pone Dante tra cerchio e girone, essendo i gironi parti de i cerchi, come di questo settimo, diviso in 3 gironi, de i quali 1’ uno racchiude 1’ altro ; ed il primo, e mag¬ giore di circuito, che è un lago di sangue, racchiude il secondo, che 9-10. Prinm aveva scritto distinti, che poi corresse in differenti. — 13. quasi è aggiunto tra le linee. — 18. comprendi — 20-21. luogo .... accidiosi è aggiunto in margine. — 24. Prima aveva scritto atteso che, e poi corresse perchè. — 29-30. tormento de i violenti ò aggiunto tra le linee. — 36 DUK LEZIONI SULL’INFERNO DI DANTE. è un bosco di sterpi, il quale rigira intorno al terzo girone, che è un campo di rena: onde nel 13° si legge: E T buon Maestro : Prima che più entro, Sappi che sei nel secondo girone, Mi cominciò a dire, e sarai mentre Che tu verrai nell’orribil sabbione. Il settimo grado ed ottavo cerchio contiene tutte Malebolge, dove sono puniti i fraudolenti. L’ ottavo ed ultimo grado, che è il nono cerchio, abbraccia le quattro spere di ghiaccio de i traditori. Ma passando alle distanze da 1’ un grado all’ altro, le quali sono 8, io dico che le prime G sono uguali tra di loro, e ciascheduna è 1* ottava parte del semidiametro della terra, che sono miglia 405 e tanto è distante il Limbo da la superlicie della terra, altrettanto il secondo grado da esso Limbo, il terzo dal secondo, il quarto dal terzo, il quinto dal quarto, ed il sesto dal quinto. Restano le due ultime distanze, ciò è la distanza dal cerchio de i violenti a Malebolge, che è la profondità del burrato di Geriono, e quella da Malebolge alle ghiacce, che è il pozzo de i giganti ; le quali due distanze sarebbono state ancor esse poste dal Manetti uguali tra di loro ed all’ altre, ciò è ciascheduna 1’ ottava parte del semi- 20 diametro, se non avesse osservato in Dante luoghi da i quali neces¬ sariamente si cava, esse dovere essere disuguali. Ma perchè Dante dice, la nona e penultima bolgia girare miglia 22, sentendo nel canto ventesimo nono da Virgilio queste parole : Tu non lini fatto sì all 1 altre bolgie: Pensa, se tu annoverar le credi, Ohe miglia ventiline la vallo volge, e, per consequenza, viene ad aver di diametro miglia 7 ; e girando la decima miglia 11, come si vede nel canto sequentc, dove dice: S’ io fussi pur di tanto ancor leggiero, 30 Ch’io potess’in cent’anni andar un’oncia, Io sare’ messo già per lo sentiero, Cercando lui tra questa gente sconcia, Con tutto che la volga undici miglia, E men d’un terzo di traversa non ci ha, 2. nel 13 — 12. Prima aveva scritto che è, e poi corresse è in sono. — 14. grado è stato sostituito da Galileo a cerchio , che prima aveva scritto. — LEZIONE PRIMA. 37 od avendo, per conseguenza, di diametro miglia 3 \\ resta che la larghezza della nona bolgia sia miglia 1 f ; e dando tanto di lar¬ ghezza a ciascuna delle altre, la prima e maggior bolgia viene ad aver di diametro miglia 35 ; e tanto è il diametro del fine della pe¬ nultima distanza, che è, come si è detto, l’intervallo dal grado de i violenti a Malebolge. E se tanto è lì di diametro l’Inferno, facendo il conto troveremo, dovere esser distante tal luogo dal centro mi- glia 81 22 , come appresso, quando parleremo delle larghezze delle bolge, si dimostrerà; e se miglia 81 - è l’ultima distanza, il restante io sino a i j del semidiametro della terra sarà la penultima, ciò è mi¬ glia 730 Jp Tanta dunque è la profondità del burrato, essendo la pro¬ fondità del pozzo miglia 81 Ora, devendo venire al modo tenuto dal Manetti per investigare le larghezze per traverso de i gradi tutti dell’Inferno, giudichiamo esser necessario preporre una proposizione geometrica, la cui cogni¬ zione grandemente ci aiuterà all’ intelligenza di quanto si ha da dire, ed è questa : Se tra due linee concorrenti siano descritte alcune parti di cir¬ conferenze di cerchi, che abbino per centro il punto del concorso 20 delle linee, a ver anno dette circonferenze tra di loro la medesima pro¬ porzione che i semidiametri de i lor cerchi. E questo è manifesto, perchè si faranno settori di cerchi simili, de i quali i lati sono pro¬ porzionali agli archi, come in geometria si dimostra. Posto questo, torniamo alle larglieze. Riprese dunque il Manetti lo linee rette che di sopra tirammo dal centro del mondo, 1’ una a Ierusalem, 1’ altra all’ estremità, o vogliamo dire all’ orlo, della sboc¬ catura dell’ Inferno (quando arrivasse sino alla superficie della terra) ; e nell’ arco che da 1’ una all’ altra di esse si tirò, che in lungheza è miglia 1700, segnati 10 spazii, ciascheduno di miglia 100, comin- ao dando dalla sboccatura, da questi cavò le larghezze di alcuni gradi e gironi, conio più pai’ticolarmeute adesso vedremo. Perciò che, preso il termine del primo centinaio e da esso tirata una linea al centro del mondo, terminò con essa la larghezza del Limbo, 13. venire è aggiunto tra le linee. A quanto pare, prima aveva scritto venendo al modo v. poi corresse venendo in devendo e aggiunse venire . — 14. deV Inferno — 15. Prima aveva scritto un lemma , che poi corresse in una proposizione geometrica. E a Un. 17 l’autografo legge questo , che non fu corretto ili questa. — 23. come in geometria si dimostra è stato aggiunto dopo da Galileo.— IX. 38 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. ciò è del primo cerchio ; e perchè questa linea con quella purdianzi tirata dall’ orlo della sboccatura al centro si va proporzionatamente ristringendo sino al centro, nel quale ad essa si unisce, e la di¬ stanza del Limbo dalla superficie della terra si pose esser l’ottava parte del semidiametro, seguirà, per la proposizione preposta, che detta larghezza del Limbo sia ristretta per 1’ ottava parte di quello che era nella superficie della terra; e perchè quivi era miglia 100, cavandone 1’ ottava parte, ciò ò miglia 12 resterà la larghezza del Limbo miglia 87 Ripreso poi il secondo centinaio, e dal suo termino verso leni- io salem tirata un’ altra linea sino al centro, con essa terminò la lar¬ ghezza del secondo cerchio; il quale per esser lontano dalla super¬ ficie della terra per J- del semidiametro, seminata con la medesima proporzione la larghezza, che su la superficie è miglia 100, restòla larghezza del secondo cerchio miglia 75. Ed osservando simil ordine nel terzo e quarto grado, di sciemare le larghezze con la proporzione delle distanze loro dalla superficie della terra, al terzo assegnò di larghezza miglia G2 -f-, ed al quarto miglia 50. Ma per determinare la largheza del quinto grado, prese nel- 1’ arco detto, sopra la superficie della terra, 3 centinaia, e questo 20 perchè il quinto grado si divide in 2 cerchi, il primo de i quali ancora si divide in 2 gironi, ciò è nella palude Stigo e nelle fosse, ma il secondo cerchio, ciò è la città, resta indiviso : e perchè questo grado è lontano dalla superficie della terra ~ del semidiametro, scia¬ mando con simil proporzione la larghezza, che nella superfìcie della terra è miglia 300, cavò la larghezza del quinto grado, ciò è mi¬ glia 112 y; delle quali la terza parte, ciò è 37 ne diede alla pa¬ lude, altre 37 -- alle fosse, l’altra terza parte al cimitero degli eresiar- chi, dentro la città. E così sino a questo grado si sono consumate 7 delle 10 centinaia che nell’arco sopra la terra si notarono, ciò è ao 4 per i 4 primi cerchi, e 3 per il quinto. Restano dunque 3 centinaia, le quali ci danno la larghezza del sesto grado, che, per esser distinto in 3 gironi, ciò è nel lago san¬ guigno, nel bosco e nel campo arenoso, acconciamente se gli con- 5. Prima aveva scritto il lemma preposto , e poi corresso la proposizione preposta. — 13. Fra terra e per si legge cancellato miglia. — 30. Prima aveva scritto notorno, che poi corresse in notarono. — LICIONE PRIMA. 39 vengono : o per esser questo grado lontano dalla superficie della terra per -g- del semidiametro, sciernando a tal proporzione le 300 miglia che aviamo in superficie, resteranno miglia 75, dello quali 25 a cia¬ scun girone ne assegneremo. Aviamo sin qui delle 1700 miglia, notate nella superfìcie sopra 1’ arco da Ierusalem alla sboccatura, distribuitene 1000 in assegnare 10 larghezze a i 6 gradi predetti: restanci dunque miglia 700 da distribuirsi per le larghezze de i cerchi rimanenti, ciò è per Malebolge e per il pozzo dei giganti ; la quale distribuzione, perch’ io la trovo io tanto esquisitamente corrispondere alle larghezze che dal Poeta stesso al pozzo ed alle bolge sono assegnate, m’induce, e non senza stupore, a credere, la opinione del Manetti in tutto esser conforme all’ idea conceputa da Dante di questo suo teatro. Dovendo dunque venire a tal distribuzione, è bene che dimostriamo prima quello che poco fa promettemmo ; ciò è che se Malebolge è, nella sua maggior larghezza, di semidiametro miglia 17 y, come da Dante stesso si trae, devano necessariamente da Malebolge al centro esser miglia 81 55 . È manifesto che alle 17 miglia e y, che ha per semidiametro Ma- 20 lebolge nella sua maggior larghezza, corrispondono nella superficie della terra miglia 700 ; ne seguita dunque necessariamente, per la preposta proposizione, che tanto maggiore sia la distanza della super¬ ficie della terra dal centro, della distanza di Malebolge dal medesimo centro, quanto la larghezza delle miglia 700 è maggiore della lar¬ ghezza delle miglia 17 7 : ma le miglia 700 sono 40 volte a punto mag¬ giori che le miglia 17 7 : dunque la distanza dalla superficie della terra al centro sarà 40 volte maggiore che la distanza di Malebolge dal medesimo centro. In oltre la distanza della superficie dal centro, ciò è 11 semidiametro della terra, è miglia 3245 la cui quarantesima so parte è 81 ^ : la distanza dunque di Malebolge dal centro è neces¬ sariamente miglia 81 |. E questo è quello che noi dimostrar doveamo. Ora, ripigliando quello che a dir si avea della distribuzione delle 700 miglia per assegnare le larghezze alle bolge ed al pozzo, dico che cavandosi da Dante, come di sopra dicemmo, la larghezza del pozzo esser di semidiametro un miglio, la larghezza di quello spazio che resta tra l’ultima bolgia ed il pozzo esser 7 di miglio, quella del- 1 ’. ultima bolgia 7 , e finalmente le larghezze delle nove bolge rima- 40 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. nenti esser, di ciascheduna, un miglio o -j-, se troveremo tal quantità di miglia nel cerchio di Malebolge importare nella superficie della terra miglia 700, indubitatamente potremo affermare, con maravi- gliosa invenzione avere il Manetti investigata la mente del Poeta. E perchè si è dimostrato, la distanza della superficie della terra dal centro esser 40 volte maggiore della distanza di Malabolge dal me¬ desimo, ed a le distanze proporzionatamente rispondono le larghezze, quello che in Malebolge per larghezza sarà 1, nella superficie della terra importerà 40 : ma si è trovato che, secondo la mente del Poeta, il semidiametro del pozzo è miglia 1 ; questo dunque nella superficie io della terra importa miglia 40 : la distanza tra ’1 pozzo o P ultima bolgia è ~ di miglio, che nella superficie importa miglia 10 : l’ultima bolgia per larghezza è 4- miglio ; ad essa dunque nella superficie ri¬ spondono miglia 20 : ciascuna delle rimanenti 0 bolgio ha di traversa miglia 1 ; a ciascuna dunque di esse nella superficie corrispondono miglia 70 : ina sommando insieme 9 volte 70, per le 9 bolgio, con 20 per la decima bolgia, con 10 per lo spazio tra la decima bolgia ed il pozzo, e con 40 per il semidiametro del pozzo, fanno a punto mi¬ glia 700, che è quello che ci restava da consumare sopra la super¬ ficie. Mirabilmente, dunque, possiamo concludere aver investigata il 20 Manetti la mente del nostro Poeta. Questo discorso e la dimostrazione della distanza da Maleboliro O al centro aviatno noi aggiunto a quello che per esplicazione del ri¬ trovamento del Manetti da’ suoi amici fu scritto, parendoci, conio veramente è, che avessino tralasciata di dichiarare la più sottile in¬ venzione dal gentile ingegno del Manetti investigata. Ora ci resta, per compita esplicazione del nostro proponimento, addurre le grandezze di ciascuna delle 4 giacce cavate da l’istesso Poeta : ed il modo che si ha da tenere per conseguir questo, sarà tale. 50 Noi aviamo nel canto trentesimoquavto queste parole: Ij’ imperatlor del doloroso regno Da mezo 1 petto liscia fuor della giaccia \ E più con un gigante io mi convegno, 7. Prima aveva scritto le distarne proporzionatamente rispondono alle larghezze o noi - ** (UStanZe " " lar,jheZte ' ~ * Tra lar9heita 6 Sar “ 8i cancellato, L LEZIONE PRIMA. 41 di’ i giganti non fan con le sue braccia : Pensa oramai quant’ esser cioè quel tutto, Gli’ a cosi fatta parte si confaccia. Sendo dunque nostro scopo investigar la grandezza delle giacce, e sapendo ohe Lucifero liscia fuori della minore (che di quella si parla nel luogo citato) da mezo ’l petto in su, e sapendo in oltre che il medesimo Lucifero ha 1’ ombelico nel centro del mondo, come dall’ istesso Poeta nel medesimo canto si trae, dove dice : Quando noi fumo là dove la coscia 10 Si volge a punto sul grosso dell’ anche, Lo Duca con fatica e con angoscia Yolsc la testa ov’ egli avea le zanche, Ed aggrappossi al pel coni’ nom che salo, Si eh’in Inferno io crcdea tornar anche; so dunque saperemo quanta sia la grandezza di Lucifero, aremo la distanza ancora che è dall’ ombelico al mezzo del petto, e per con¬ sequenza il semidiametro della minore sferetta. Ma quanto alla gran¬ dezza di Lucifero, aviamo ne i citati versi esser tale, che maggior convenienza ha Dante con un gigante, che un gigante non ha con so un braccio di Lucifero: se dunque noi saperemo la grandezza di Dante e quella d’un gigante, potremo da queste investigar la grandezza di Lucifero. Ma di Dante aviamo, da quelli che scrivono la vita di esso, essere stato di commune statura, la quale è 3 braccia : restaci dunque solamente da investigare la grandezza di un gigante ; e così aviamo risoluto la nostra proposta, che era di trovare la grandezza delle giacce, a dover solamente investigare la grandezza d’ un gi¬ gante tn , onde poi, con ordine compositivo, potremo conseguire il nostro intento : però che, essendoci data la grandezza d’un gigante, sarà nota la proporzione che ha ad esso un uomo, e però la pro¬ so porzione che ha un gigante ad un braccio di Lucifero ; ma è nota la proporzione che ha un braccio a tutto ’l corpo, onde la gran¬ dezza di Lucifero ci sarà manifesta ; ed auta questa, aremo la di¬ stanza dal mezo del petto all’ ombelico, e per consequenza il semi- diametro della minore sfera, e finalmente essa sfera, con la quale <*> Intorno alle parole a dover .... ora cancellate, abbiamo detto nell’Avverti¬ tane, le quali nell* autografo si veggono mento. 42 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. alle sfere rimanenti assegneremo le grandezze. Passiamo dunque ad investigar la grandezza d’ un gigante. Scrive il Poeta, parlando di Nembrot, primo de i giganti che lui trovasse nel pozzo : La faccia sua mi parca lunga o grossa Come la pina di San Piero a Roma; Ed a sua proporzione erou l'alti - ’ ossa. Se dunque la faccia d’un gigante è quanto la Pina, sarà 5 brac¬ cia e y, clic tanto è essa : e perchè gli uomini ordinariamente sono alti otto teste, ancor che i pittori e gli scultori, e tra gli altri Al- io berto Durerò, nel suo libro della misura umana, tenga che i corpi ben proporzionati devano esser 9 teste, ma perchè di sì ben propor¬ zionati rarissimi si trovano, porremo il gigante dovere esser alto 8 volte più che la sua testa ; onde sarà un gigante in lunghezza brac¬ cia 44, cliè tanto fa moltiplicato 8 per 5 y. Dante dunque, ciò è un uomo conimune, ad un gigante ha la proporzione di 3 a 44 : ma per¬ chè un uomo ad un gigante ha maggior convenienza che un gigante ad un braccio di Lucifero, se noi faremo, come 3 a 44, così 44 a un altro numero, che sarà 645, aremo, un braccio di Lucifero devere essere più che 645 braccia. Ma lasciando quel più, che ci è incerto, 20 riservandoci a computarlo nel fine, diciamo, un braccio di Lucifero esser braccia 645 : ma perchè la lunghezza di un braccio è la terza parte di tutta la altezza, sarà l’altezza di Lucifero braccia 1935, chò tanto fa moltiplicato 645 per 3. Ma perchè maggiore è la conve¬ nienza tra un uomo ed un gigante che tra ’1 gigante ed un braccio di Lucifero, e noi aviamo fatto questo conto quasi elio tal propor¬ zione fosse la medesima, e se la fosse sarebbe alto Lucifero brac¬ cia 1935, aggiungendoli quel più incerto che li manca, potremo ragionevolmente concludere, Lucifero devere esser alto braccia 2000 ; e questo se è così, sarà l’intervallo che è dall’ ombelico al mezo del 30 petto braccia 500, però che è la quarta parte di tutto ’l corpo : e tanto sarà il semidiametro della minore sferetta. E perchè non è in Dante luogo dal quale si possino cavar le grandezze dell’ altre tre sfere rimanenti, giudica il Marietti, doversi ragionevolmente credere, 20. Tra essere e più si legge, cancellato, braccia. — 29. esser altro braccia — 34. In luogo di doversi pare che prima fosse stato scritto deversi, e poi l ’e della prima sillaba sia stato corretto in 0 . — LEZIONE PRIMA. 43 le altre ancora aver la medesima grossezza : e perchè una cinge 1’ al¬ tra, non altramente che 1’ un ciclo 1’ altro circondi, sarà il semidia¬ metro della penultima braccia 1000, quello della seconda 1500, e finalmente la prima e maggiore ara per semidiametro braccia 2000. Questo è quanto all’ universale esplicazione della figura, sito e grandezza dell’ Inferno di Dante secondo 1’ opinione del Manetti, mi parea necessario doversi dire. Resta ora, per intera satisfazione di quanto al principio promettemmo, con una breve narrazione del viag¬ gio fatto dal Poeta per tale Inferno, che comprendiamo alcune cose io particolari e degne d’ esser sapute ; e nel medesimo tempo accenne¬ remo di nuovo l’ordine, numero, distanze e larghezze de i cerchi in¬ fernali, acciò che meglio nelle nienti vostre restino impressi. Mei mezo del cammin di nostra vita Mi ritrovai in una selva oscura, Che Ih diritta via era smarrita ; e questo fu l’anno della nostra salute 1300, anno di giubbileo, di notte, essendo la luna piena. La selva dove si trovò è, secondo il Manetti, tra Ciuna e Napoli, e qui era 1’ entrata dell’ Inferno ; e ra¬ gionevolmente la finge esser quivi : prima, perchè ’l cerchio della 20 sboccatura dell’ Inferno passa a punto intorno a Napoli ; secondo, perchè in tal luogo, o non molto lontani, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi, che da gli effetti orribili che fanno paiono da stimarsi luoghi infernali ; e final¬ mente giudica, aver il Poeta figurata ivi P entrata dell’ Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose. Quindi arrivati alla porta dell’ entrata, sopra la quale erano scritte di colore oscuro le parole : Ter me si va nella città dolente, Per me hì va nell’ eterno dolore, 30 Per me si va tra la perduta gente; cominciarono a scendere per una china repente, finche arrivarono alla grotta de gli sciagurati, spiacenti a Dio ed al suo inimico. È questa grotta una amplissima caverna, posta tra la superficie della terra e P orlo dell’ Inferno, quasi che quelli che vi abitano ab¬ biano bando del cielo e dell’ abisso : in questa trovarono gli sciagu¬ rati correr dietro ad una insegna. 6. V opinione de Manetti — 26. di colore oscuro è aggiunta interlineare. — 44 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. Seguitando poi pur di scendere, arrivarono al fiume Acheronte. Questo fiume passa intorno al primo cerchio d’inferno, ciò è al Limbo; e qui trovarono Caron demonio, elio nella gran barca tragetta le anime all’ altra riva. In questo luogo, por il tremore della terra e per il lampo d’una vermiglia luce, tramortì ’1 Poeta, e di poi, da un gran tuono risvegliato, si trovò su Y altra ripa ; per la quale cam¬ minando, pervenne alla calle del primo cei’chio, e per essa entrato, insieme con Virgilio, nel Limbo, si volse camminando a man destra, e vedde i parvoli innocenti, morti senza battesmo, e quelli che vissono moralmente, ma senza la fede cristiana, nè ivi hanno altro tormento io che la sola privazione della vision di Dio : in questo cerchio trova¬ rono la fiamma ardente ed il nobile castello, circondato da 7 cir¬ cuiti di mura. È questo cerchio distante da la superficie de la terra l’ottava parte del semidiametro, ciò è miglia 405 ~, ed è largo per traverso miglia 87 -1. Di questo cercatane la decima parte, calarono nel secondo, minore e più basso, dove sotto Minos, giudice de i dan¬ nati, sono puniti da continua agitazione, tra le nugole, i lussuriosi : e la distanza di tal cerchio dal primo è quanto la distanza del primo dalla superficie della terra, ciò è miglia 405 g, ed è largo miglia 75. Di questo cercatane pure la decima parte, calarono al terzo, distante 20 dal secondo similmente miglia 405 g, e largo miglia 62 ~ dove i go¬ losi sotto Cerbero da continua pioggia e grandine sono travagliati. Scie- sero di poi nel quarto e del terzo minore, avendo di traversa miglia 50, e dal terzo è lontano similmente miglia 405 | ; nel quale sotto Plutone si tormentano i prodigi e gli avari, col volgersi 1’ un contro P altro gravissimi pesi. I)i questo cercando, pure su la man destra, la de¬ cima parte, trovarono vicino al fine un fonte, dal quale deriva una fossa, che, cadendo nel quinto cerchio, fa di se la palude Stige. Per questo fossato scendendo ’l Poeta al quinto grado, che del quarto ò più basso miglia parimente 405 g, distinto in 2 cerchi, il maggior de i so quali contiene due gironi, ciò è la palude Stige, larga miglia 87 L, dove sotto Flegias sono punite due specie di peccatori, ciò è gl’iracondi sopì a e gli accidiosi sotto la belletta; e le fosse intorno alla città larghe pur miglia 37 j, tormento de gl’ invidiosi e de i superbi ;’ 2 ciò è all’limbo — 7. Tra cerchio e e per essa si legge, cancellato: nel quale trovò i r cZ :r. *“* - “• A ,u * ni ° «*- •»« »»«• •*»», LEZIONE PRIMA. 45 1’ altro cerchio è la città di Dite, dentro la quale, sotto l’imperio delle Furie, nelle sepolture infocate sono castigati gli eretici. A que¬ sta città, che per traverso è larga miglia 37 A, passarono dalla riva della palude sopra la barca di Flegias, cercando, sì di essa palude, come delle fosse ancora e di essa città, la decima parte, camminando sempre su la man destra. Di questo grado, per una grandissima rovina di pietre, sciesero nel sesto, del quinto più basso parimente miglia 405 ed è diviso in 3 gironi, ciascheduno de i quali è per larghezza miglia 25 : e io nel primo, che è un lago di sangue, detto Flegetonte, sono puniti sotto ’l Minotauro i violenti al prossimo, il cui tormento è 1’ esser saettati da i Centauri qual volta ardissono alzarsi fuor del sangue : nel secondo son tormentate due sorti di violenti, ciò è i violenti contro a lor medesimi, e questi sono traformati in nodosi sterpi, delle cui foglie si cibano ingorde Arpie; ed i violenti contro i proprii beni, e di questi la pena è 1’ esser dilaniati da nere ed affamate cagne : nel terzo girone, sopra cocente arena, da continue fiamme che ivi pio¬ vono, sono afflitti i violenti a Dio, alla natura ed all’ arte. Di questi 3 gironi cercatane, pure su la man destra, la decima parte, essendo so nel campo arenoso trovarono uno stretto rivo di sangue, il quale, dalla statua posta dal Poeta sopra ’l monte Ida in Creta dirocciando per 1’ abisso, fa Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocito, fiumi princi¬ pali d’Inferno. E camminando Dante lungo detto rivo verso il mezo, pervenne alla sponda del burrato di Gerione, dove, salito insieme con Virgilio sopra le spalle della fiera, fu per quell’ aer cieco calato su ’l settimo grado, che è quello che in 10 bolgie è distinto, nelle quali sotto Gerione dieci specie di fraudolenti son castigati, de i quali troppo lungo sarebbe raccontare tutte le pene. È questo grado lon¬ tano dal superiore miglia 730"’ e tanta viene ad esser la profou- 30 dità del burrato. Ha ciascuna delle bolgie, di traversa, un miglio e eccetto 1’ ultima, che è larga y miglio, dalla quale sino al pozzo de i giganti, posto nel mezo, è un spazio di 4 di miglio ; talché in tutto la traversa di Malebolge è miglia 16 y : e sono da uno stretto 14. Tra in e nodosi si legge, cancellato, secchi e. — 80. Fra traversa e un si legge, can¬ cellato, miglia ,, — 0) Galileo scrisse 7030 , la qual cifra intorno a elio abbiamo dotto nell’Avverti- oggi nell’autografo si vede corretta in 730: monto. IX. o 46 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. — LEZIONE PRIMA. argine o ponticello attraversate tutte, eccetto però che la sesta, sopra la quale por certo accidente è rovinato il ponte. Attraversate che ebbe Danto le bolgie, essendo pervenuto al pozzo, fu da Anteo gigante, insieme con Virgilio, calato su la diaccia, detta Caina, che è la prima e maggiore spera e che le altre circonda, nelle quali sotto Lucifero sono castigati i traditori : e nella prima, i tra¬ ditori al prossimo ; nella seconda, detta Antenora, i traditori contro la patria ; nella terza, detta Tolomea, i traditori a i lor pari bene¬ fattori ; nella quarta, detta Giudecca, i traditori contro al lor signore. È la distanza delle diacce da Malebolgie, ciò è la profondità del pozzo io de i giganti, miglia 81 y. Nel mezzo di esse diaccio è posto Lucifero; al quale arrivati Vir¬ gilio e Dante, descendendogli per i suoi velli sino all’ ombelico, dove è il centro del mondo, e quindi cominciando a salirgli su per l’ir¬ sute coscie, finalmente trapassarono ai suoi piedi verso l’altro emi¬ sfero, dove per una attorta via salirono, e quindi uscirne a riveder le stelle. Resterebbeci ora da vedere 1’ opinione del Vellutello, e poi le ra¬ gioni che per 1’ una e per 1’ altra opinione addur si potrebbono : ma perchè il discorso sin qui auto mi è riuscito più lungo assai che 20 non credeva, per non tener più a tedio tanti nobilissimi uditori, tra¬ sferiremo il nostro ragionamento a tempo più oportuno. 7. Antenora, il traditori — 8. lor è aggiunto tra le linee. — 8-9. bene fettori — 19. opinione è aggiunto in margine.— Avi amo nella passata lezione, per quanto dalle nostre forze ci è stato conceduto, dichiarata la opinione del Manetti circa ’l sito e figura dell’ Inferno di Dante : oggi è la nostra intenzione esplicar prima la mente di Alessandro Vellutello circa la medesima materia, poi addurre quelle ragioni che ci persuadano, quella a questa esser da preporsi. E per più brevemente e facilmente conseguire l’inten¬ dimento nostro quanto a la prima parte, giudichiamo commodo or¬ dine essere il veder prima in quali cose 1* una opinione con F altra convenga, di poi in quali da la medesima sia differente, io Concorda il Vellutello co ’l Manetti, prima, quanto al sito di esso Inferno, ponendolo ciascheduno sotto tal parte dell’ aggregato, che per colmo ha Ierusalem ; talmente che se dal centro universale a lerusalem si tiri una linea retta, sarebbe l’Inferno ugualmente da tutte le parti circa detta linea distribuito. Non è differente ancora 1’ uno dall’ altro nel numero ed ordine de i gradi, come nè nella divisione di essi in varii cerchi e gironi, nel modo che 1’ altr’ ieri dichiarammo. E finalmente sono concordi nelle grandezze di Malebolgie : ed in tutto questo convengono, perchè così essere dal Poeta stesso aper- 20 tamente si cava. Sono poi differenti, prima, quanto all’ universal grandezza di tutto l’Inferno ; 3 . del’Inferno — 48 i DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. Secondo (che dal primo necessariamente no conseguita), nelle gran¬ dezze e distanze de i gradi particolari, eccetto però, come si è detto, nelle larghezze di Malebolgie ; Terzo, sono discordi nelle grandezze de i giganti e di Lucifero; Quarto, nella figura delle giacce ; Quinto, nella grandezza e sito del nobile castello elio dal Poota ò figurato nel Limbo; Sesto, sono differenti nell’assegnare il cammino che tennero Danto e Virgilio nel descendere al centro, stimando il Manetti che, girando per i gradi, procedessero talmente che la sinistra fosse verso il mezo, io il cui contrario lia creduto il Vcllutello ; Settimo, disconvengono nell’ assegnare il numero de i ponti di Malebolgie. Differentissimi dunque sono, prima, circa la universal grandezza di tutto l’Inferno, atteso che il Vellutcllo lo ponga meno che la mil¬ lesima parte di quello che lo pone il Manetti : però che, volendo il Vellutello che la profondità del suo Inferno non sia. più clic la de¬ cima parte del semidiametro della terra, so tale Inferno fosso una intera sfera, sarebbe una delle mille parti di tutto 1’ aggregato, come da gli Elementi d’Euclide facilmente si cava; ma di tale sfera l’In- 20 ferno del Vellutello è meno che una delle 14 parti, come l’Inferno del Manetti di tutto l’aggregato ; adunque seguita che, come si ò detto, il Vellutello figuri V Inferno suo non maggiore che una delle mille parti di quello che dal Manetti è figurato. Ma come raccolga il Vellutcllo, la profondità del suo Inferno esser la decima parte del semidiametro dell’ aggregato, possiam compren¬ dere recandoci innanzi il componimento di tal sua fabbrica. E prima, doviamo intendere un pozzo, quale sì nella sommità come nella profondità abbia di diametro un miglio, e tanta ancora sia la sua altezza,, nel cui fondo sia, a guisa di una grandissima 30 macine (e siami lecito pigliar tale essempio), il giaccio grosso brac¬ cia 750 ; e sia questa giaccia distinta in 4 cerchi, che l’uno circondi 1’ altro, e nel mezzo del minore sia un pozzetto, come ancora nelle 13. Dopo Malebolgie si legge, cancellato: Finalmente sono discordi nel por l’entrata, ponendola l’uno tra Cuma e Napoli, l’altro a Babillonia. —17. In luogo di Vellutello prima aveva scritto Manetti, e poi corresse. — 27. tal suo fabbrica — 28. Prima aveva scritto poz¬ zetto, poi cancellò le ultime tre lettere di questa parola, cosi che ora si legge pone. — LEZIONE SECONDA. 49 macine si vede, profondo quanto è la grossezza del giaccio, ciò è brac¬ cia 750, nel mezo della cui profondità viene ad essere il centro del mondo, ed in questo pozzetto stia Lucifero ; e l’altro e maggior pozzo, poco fa figurato, sia quello intorno alla cui sboccatura da mezza la persona escan fuori i giganti, e del quale intende il Poeta quando dice : Però che come in su la cerchia tonda Montereggiòn di torri si corona, Così la proda, che ’l pozzo circonda, IO Torreggiavan di meza la persona Gli orribili giganti, cui minaccia Giove dal cielo ancora, quando tona. Sarà dunque la sboccatura del pozzo de i giganti lontana dal centro universale un miglio -j-, ciò è un miglio, come si è detto, per la sua profondità, e braccia 750, che sono — di miglio, per la grossezza del giaccio e profondità del pozzetto in cui è posto Lucifero. Intorno alla sboccatura del pozzo de i giganti pone il Vellutello la valle di Malabolgia, con lo medesime misure assegnateli ancora, dal Manetti ; talmente che la maggiore ha di semidiametro miglia 17 L. Ma 20 perchè questa valle di Malebolge pende verso il mezo, come da quei versi di Danto è manifesto : Ma perchè Malebolgo inveì* la porta Del bassissimo pozzo tutta pende,. Lo sito di ciascuna valle porta, Che T una costa surge o V altra scende ; gli dà il Vellutello miglia 14 di pendio, onde la prima bolgia viene ad essere più lontana dal centro che P altra miglia 14. Intorno alla più alta bolgia surge con egual semidiametro, ciò è con miglia 17 y, un altro grandissimo pozzo, chiamato dal Poeta so burrato, la cui altezza è posta dal Vellutello dieci volte maggiore che ’l pendio di Malebolgie, ciò è miglia 140 ; nè la sommità è da esso figurata più larga che ’l fondo. Intorno alla sommità e sboccatura di questo burrato pone vol- 1-2. giaccio, ciò braccia — 4. Tra fa e figurato è scritto « no = », con le quali due let¬ tere, principio di parola rimasta poi interrotta, termina non solo la linea, ma anche la pagina. Forse voleva scrivere nominato. — 7. la cerchi tonda — 28-29. ciò è coni miglia — 30. Vellutello dici volte — 30-31. maggiore eh ’l pendio — 33. Tra sommità ed e si legge, can¬ cellato, pone volgersi 3 g. — 50 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. gersi B gironi de i violenti, a ciascheduno de i quali dà miglia 5 4 di larghezza, tal che tutto il cerchio ha di traversa miglia 17 d ; 0 perchè tanto è ancora il semidiametro del barrato, sarà tutto il semidiametro del cerchio de i violenti miglia 35, e l’intero diametro miglia 70. Seguitano poi sopra ’l grado de i violenti 6 altri gradi, il primo de i quali contiene la città di Dite, i fossi attorno ad essa, e la pa¬ lude Stige, ed è lontano da esso grado de i violenti miglia 70, quanto a punto è figurato il diametro del maggior girone; e la salita da essi violenti al superior cerchio è tale, che tanto ha di diametro nel fondo, quanto nella sommità, salvo che in alcuni luoghi finge il Poeta, io per certo accidente, esser tal ripa rovinata, per una delle quali ro¬ vine si descende. A questo grado, che immediatamente è sopra i vio¬ lenti, dà il Vellutello miglia 18 di traversa, delle quali d no assegna per il traverso della città, d per la larghezza de i fossi attorno ad essa, e le rimanenti miglia 17 vuole che siano la larghezza della pa¬ lude Stige, che i detti fossi circonda; tal che il maggior diametro sarà miglia 106. Surge poi intorno a la palude una ripa, ma non va salendo come le altre salite de i pozzi che sin qui aviamo aute, ma sale (per usar la sua propria voce) a scarpa, sì che dove nel suo più basso luogo, 20 ciò è al piano della palude, avea di diametro miglia 106, nella sua superiore sboccatura ne ha 140 ; ed è la salita di questa spiaggia a scarpa tanto repente, che salendo di linea perpendicolare miglia 14, si allarga miglia 17 : e sirnil modo di salire si osserva in tutti gli altri gradi superiori. Sopra 1 estremità di questa salita si aggira un piano, che di tra¬ versa ha d miglio ; e questo è il cerchio de i prodigi e de gli avari, il cui diametro viene ad esser miglia 141, ciò è 140, come si è detto' per la sboccatura della ripa per la quale ad esso si sale, ed 1 per le due larghezze di d migUo V una) che ad esso si sono assegnate Da questo cerchio si passa a quello de i golosi per una così fatta salita a scarpa, la quale, ascendendo miglia 14 di perpendicolo, si allarga miglia 17, sì che dove tal ripa nel suo basso era di diame- tio 141, sarà nella sua estrema sboccatura miglia 175; intorno a la quale esso cerchio de i golosi si distende con una larghezza di mezzo miglio, tal che il suo maggior diametro viene ad esser miglia 176. LEZIONE SECONDA. 51 Da questo cerchio con simil salita si perviene a quello de i lus¬ suriosi, che pure lia di traversa 7 miglio ; e da questo con altra simil salita si ascende al primo cerchio, che è il Limbo, la cui tra¬ versa pone il Vellutello, come delli altri cerchi, 7 miglio, del quale 7 ne assegna alla larghezza per traverso del nobile castello, che s’im¬ magina esser posto intorno a la sboccatura, e 1 ’ altro 7 lo dà per larghezza d’ un verdeggiante prato che ’l castello circondi. Intorno all’ estremità del prato fa surgere una ripa, che nella maniera delle altre ascendendo a scarpa, si alza a perpendicolo 14 miglia, aliar¬ lo gandosi, più che nel fondo non è, miglia 17 ; tal che il diametro di questa sboccatura viene ad esser miglia 280, come, facendone il conto, facilmente si raccoglie. E tanta ancora trova il Vellutello essere la profondità dell’ Inferno, misurando dalla sboccatura del Limbo a perpendicolo sino a Malebolgie: atteso che ei ponga la profondità del burnito esser miglia 140, la distanza da i violenti alla città di Dite 70, che fanno miglia 210, alle quali aggiungendo cinque salite per le distanze de i cerchi rimanenti, di 14 miglia l’una, fanno a punto la somma di miglia 280. Finge poi, l’orlo ed estremità del Limbo esser da una pianura circondata, la cui larghezza per traverso 20 sia miglia 17 7, delle quali la metà ne assegna al fiume Acheronte, P altra metà alla grotta de gli sciagurati. Questa è brevemente l’esplicazione dell’opinione del Vellutello, la quale ancora dal profilo del suo disegno forse meglio si compren¬ derà ; e questa è l’invenzione che tanto è piaciuta ad esso Vellutello, che 1’ ha fatto ridersi del Manetti ed insieme di tutta l’Academia Fio¬ rentina, affermando, P Inferno di esso Manetti esser più tosto una fantasia ed un trovato suo e degli altri Academici, che cosa che punto sia conforme all’ intendimento di Dante : il che quanto sia vero, è ormai tempo che cominciamo a considerare, so E prima, se considereremo l’uno e l’altro disegno senza aver ri¬ guardo a luogo alcuno di Dante o ad alcuna ragione che ci persuada più questo che quello aver del verisimile ed esser credibile che così 1-2. lussinosi —12. Dopo si raccoglie nell’autografo seguita: però che, avendo trovala la sboccatura del cerchio de i prodigi ed avari miglia 175, aggiugnendovene 35, clic tanto è più larga la sboccatura del cerchio de i golosi, fanno miglia 210; alle finali di nuovo giunte mi¬ glia 35, che ha di più per diametro la sboccatura del cerchio de i lussuriosi, ed altre 35 che di più ha la sboccatura del Limbo, fanno a punto miglia 280. Ma Galileo circondò questo tratto con una linea, mostrando elio intendeva espungerlo. — 52 DUE LEZIONI SULL’INFERNO DI DANTE. sia stato figurato dal Poeta, ma solamente contempleremo la dispo¬ sizione del tutto e de le parti, ed in somma, per cosi dirla, P architet¬ tura dell’ uno e dell’ altro, vedremo, al parer mio, quanto al tutto, aver più disegno assai quel del Manetti, ed esser composto di parti tra di loro più simili. Parimente ancora par cosa incredibile, l’Inferno dovere esser così piccolo, che non sia quanto una delle trentamila parti della terra, come noi, facendone diligente calcolo, troviamo dovere es¬ sere, se si ha da credere 1’ opinione del Yellutello : e con tutto che 10 figuri così piccolo, di esso nulla dimeno piccolissima parte ne as¬ segna per luogo dove siano castigati i peccatori, dando a i 4 primi io cerchi solamente ~ miglio di larghezza per ciascuno. Ma lasciamo stare P architettura, e veggiamo se tal fabbrica può reggersi, che, al parer mio, troveremo non potere; perchè, ponendo esso che il barrato si alzi su con le sponde equidistanti tra di loro, si troveranno lo parti superiori prive di sostegno che lo regga, il che essendo, indubitatamente rovineranno : perciò che, essendo elio le cose gravi, cadendo, vanno per una linea che dirittamente al cen¬ tro le conduce, se in essa linea non trovano chi le impedisca o so¬ stenga, rovinano e caggiono ; ma se, per essempio, noi tiriamo dalla città di Dite lineo sino al centro, queste non troveranno impedimento 20 alcuno, onde essa città, avendo la sciesa libera e non impedita, tro¬ vandosi sotto priva di chi la regga, indubitatamente rovinerà ; od il simile farà ancora il grado de i violenti, sendo fondato sopra mura i cui perpendicoli da quelli che vanno dirittamente al centro si di¬ scostano ; e rovinando questi, rovineranno ancora tutti gli altri gradi superiori, che sopra questi si appoggiano. Ma ci è ancora un altro inconveniente : che non solamente è im¬ possibile, se vogliamo sfuggir la rovina di tutto P Inferno, che le parti superiori manchino di sostegno, ma è ancora ciò contro l’istesso Poeta, 11 quale, conoscendo quanto fosse necessario, per reggimento di sì so gran fabrica, che le superior parti fossero dalle inferiori sostentate, scrisse, essendo nel fondo del burrato al pozo de i giganti : S’io avessi le rime ed aspre e chiocce, Come si converrebbe al tristo buco Sopra ’1 qual puntan tutte 1’ altre roccio. 5. Parimente è stato corretto in luogo di Nè meno, che prima aveva scritto e poi cancellò. - 8. V opinione dell Yellutello - 17. Tra linea e che si legge, cancellato, retta. - LEZIONE SECONDA. 53 Se dunque sopra questa buca puntano e si sostengono le altre roccie, è necessario che le mura che le deono sostenere non siano fuori del perpendicolo che tende al centro. Questo inconveniente non è nel- 1’ architettura del Manetti, atteso che ponga tutte le ripe e le mura diritte verso ’l centro, come nel disegno si vede. Quanto poi a i cerchi superiori, dico de i gradi sopra la città, po¬ trebbe alcuno nell’architettura del Vellutello trovarvi qualche coinmo- dità, e cosa che di prima vista ci paresse esser verisimile ; e questo è il porre le scese da 1’ uno all’ altro non a perpendicolo, come fa il jo Manetti, ma a scarpa e come le chine de i monti, secondo che le figura il Vellutello, e per le quali scender si possa doli’ uno nell’ altro grado, massime che il Manetti del modo che tenessero per descendere non ne fa menzione. Ma voglio che questa istessa ragione sia per confutazione di esso Vellutello. Perciò che, se le scese dall’ un grado all’ altro sono, come esso dice, a guisa de le chine de i monti, per consequenza da qual si voglia parte si potrà da l’uno nell’ altro grado descendere ; ma noi troviamo, ciò esser contrario a quel che vuol Dante, ponendo che le scese fossero solamente in alcuni luoghi particolari ed in un luogo 20 solo per cerchio, come nel fine del 6° si vede, dove dice : Noi aggirammo a torno quella strada, Parlando più assai ch’io non ridico; Venimmo al punto dove si digrada : Quivi trovammo Fiuto, il gran nimico; o nel principio del 7°, dove Virgilio di Satan dice a Dante : .Non ti noccift La tua paura, che, poter che gli abbia, Non ti torrà lo scender questa roccia. Adunque, se le scese sono in alcuni luoghi particolari, a guardia so delle quali pone ancora Dante a ciascuna un demonio, da gli altri luoghi di necessità non si potrà scendere ; e questo allora sarà quando le scese saranno a perpendicolo, come vuole il Manetti, e non come le chine de i monti, secondo il parere del Vellutello. E questo credo 1. A quanto pare, prima aveva scritto questo buco e poi corresse questa buca. — 8. pa¬ resse ò stato corretto in luogo di paia, che prima aveva scritto. — 15. Prima aveva scritto discese, poi corresse scese. — 20. del 6 si vede — 33. chine di i monti — 7 54 DUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. io ancora esser così, acciò che i dannati dei gradi più bassi, dove sono maggiori tormenti, come ci insegnò ’l Poeta nel principio del 5° canto : Così discesi del cerchio primato Giù nel secondo, che men luogo cinghia, E tanto più dolor, elio punge a guaio; acciò che, dico, essi dannati inferiori non possino scappare e fug¬ girsi a i gradi più alti, in minor tormenti : e questo par che abbia voluto intender Dante ponendo a ciascun luogo, dovo dall’ un grado all’ altro si sale, a guardia un demonio. io Non può dunque essere, considerato quanto al tutto, l’Inferno di Dante di tale architettura, nè di sì piccola grandezza, come dal Vel- lutello è stato finto ; il che, oltre alle ragioni addotte, proviamo an¬ cora per Y istesso Dante, dico quanto alla grandeza. Che se l’Inferno non è più profondo che la decima parte del semidiametro della terra, come esso vuole, avendo Virgilio condotto Dante al primo cerchio, a che proposito gli dice, sollecitandolo ad affrettare il passo : Andiam, che la via lunga no sospingo. Così si miao o così ini to’ entrare Nel primo cerchio che V abisso cinge.? £0 Se dunque Virgilio chiama la via, che aveano a fare, lunga, non può intendere che la sia lunga se non rispetto a quella che pur allora aveano camminata; il che se è così, non sarà il viaggio fatto 9 volte maggiore di quello che a fare aveano, e per consequenza l’Inferno, per il quale aveano a calare al centro, non sarà così piccolo come vuole il Vellutello. Qui ci potrebbe essere opposto che nè l’Inferno si deve credere esser così grande come il Manetti lo pone ; essendo che, sì come alcuni hanno sospettato, non par possibile che la volta che l’Inferno ricuopre, rimanendo sì sottile quant’ è di necessità se l’Inferno tanto so si alza, si possa reggere, e non precipiti e profondi in esso Inferno; e massime, oltre al rimanere non più grossa dell’ ottava parte del semidiametro, che sono miglia 405 incirca, essendovi ancora da le¬ varne per lo spazio della grotta degli sciagurati, ed essendoci molte gran profondità di mari. 5. luogo cigua — 10. Fra si e sale si logge, cancellato, scende. — 22. che la si lunga — LEZIONE SECONDA. 55 Al che facilmente si risponde, clie tal grossezza è suffizientissima : perciò che, presa una volta piccola, fabricata con quella ragione, se arà di arco 30 braccia, gli rimarranno per la grosseza brac¬ cia 4 in circa, la quale non solo è bastante, ma quando a 30 braccia di arco se gli desse un sol braccio, e forse y, non che 4, basteria a sostenersi; onde, sapendo noi che pochissime miglia, anzi che meno di un sol miglio, si profondano i mari, se creder doviamo a i più periti marinari, e potendo assegnare quante miglia ci pare per la grotta de gli sciagurati, non essendogli data dal Poeta deter- io minata misura, quando ancora ponessimo tra questa e la profondità de i mari importare 100 miglia, nulla di meno rimarrà detta volta grossissima, e più assai che non è necessario per sostenersi. Panni che queste ragioni possino persuaderci, quanto all’ univer¬ sale descrizione aver assai più del verisimile P Inferno del Manetti elio quello del Vellutello, ed il medesimo troveremo ancora esaminando distintamente le sue parti, e prima il castello posto nel Limbo : del quale diffidi cosa mi pare potersi immaginare come, girando, secondo che vuole esso Vellutello, miglia 770, ed essendo circondato da 7 ordini di alte mura, occupi in tutto per larghezza y di miglio; che, non 20 che altro, il fabricare sopra un giro, che non sia più largo che d- di miglio, 7 circuiti di mura, le quali pur devriano esser grossissime, dovendo, come si è detto, esser di circuito 770 miglia, mi pare un trattar dell’ impossibile, o al meno di cosa sproporzionatissima, e molto più dovendoci ancor restare lo spazio per li abitanti. Ci è in oltre un’ altra sconvenienza : che ponendo il castello così grande, pone poi la città così piccola che a pena ha la quarta parte di circuito. Per le quali ragioni chi non crederà, il castello dovere esser piccolo, come dal Manetti è figurato, e non altramente girare intorno all’ estre¬ mità del Limbo, ma nella traversa di esso Limbo esser situato? so Ui 4 altre differenze che tra ’l Manetti e ’l Vellutello nascono, non trovo in Dante luoghi che costringhin, più a questa che a quella opinione esser da credersi ; ma sono bene ragioni assai probabili in favor del Manetti. E prima, de i dieci ordini di ponti con i quali il Vellutello at¬ traversa Malebolge, non è in Dante luogo onde tal numero cavar si 16. posto nell limbo — 28. altramente girarare intorno — 30. Prima aveva scritto Di tre altre, e poi corresse tre in 4. — 35. Tra onde e tal si legge, cancellato, ciò. — 56 BUE LEZIONI SULL’ INFERNO DI DANTE. possa ; che se bene nò anche all'erma il Poeta che un solo fosse, nulla dimeno, bastando un ordine solo, non so a che proposito multipli- carli senza necessità. In oltre, se 10 ordini fossero, troppo gran ma¬ raviglia sarebbe come tutt’ a 10 si fossero accordati a rovinar sopra la sesta bolgia, massime essendo, come afferma il Poeta, seguita tal rovina a caso, per certo accidente. Che Lucifero poi fosse alto 3000 braccia, e non 2000, come vuole il Manetti, non traendo questa nuova opinione del Vellutello origino da altro che dal voler misurare la Pina prima che fosso rotta e dal voler por i giganti alti 9 teste, non ci par da credere così di io leggiero ; anzi è cosa credibile che Dante, se pur la misurò, misu¬ rasse la Pina come a suo tempo era, e che ei credesse i giganti essere di commane e non di rara sveltezza, quale sarebbe a fargli alti 9 teste. Parimente, che le diacce fossero come macine, e non come sfere, non è nè ragione nè autorità che a creder ci persuada ; anzi, essendo dal Poeta stesso chiamate sfere, come nell’ ultimo canto : Tu hai i piedi in su picciola sfera, Che l’altra faccia fa della Giudecca, non è privo di temerità il voler dire che avesser forma di macine, quasi che a un ingegno qual era quel di Dante fossero mancate pa- 20 role da esprimere il suo concetto. Restaci da vedere finalmente del cammino auto per i cerchi, ciò ò se fu su la destra, come afferma il Vellutello, 0 pur su la sinistra mano, come vuole il Manetti : nel che doviamo pur credere ad esso Manetti, avendo in suo favore molte autorità del Poeta, che ci di¬ chiarano che camminando teneva la sinistra verso il mezo e vano de i cerchi, ed essendosi il Vellutello mosso a creder il contrario so¬ lamente per alcuni versi del Poeta, i quali ancora, e meglio, si pos¬ sono esporre in favor del Manetti ; e son questi nel 14° : Ed egli a ino : Tu sai che ’l luogo è tondo, £0 E tutto che tu sia Tenuto molto Pur a sinistra giù calando al fondo. De i quali versi se congiugneremo quelle parole Pur a sinistra con le superiori, dicendo P tutto che tu sia ventilo molto pur a sinistra, 6. Tra caso e per si legge, cancellato, c. -12. Tra Pina e come si Wge, cancellato : com coni rotta. — 29. nel là — LEZIONE SECONDA. 57 facendo la posa a mozo l’ultimo verso, faranno por l’opinione del Vel- lutello ; ma se faremo la posa nel tino del secondo verso, congiungendo le parole Pur a sinistra con le seguenti, in questo modo : Pur a si¬ nistra giù calando al fondo, favoriranno 1’ opinione del Manetti. Ora, in una esposizione incerta, chi non stimerà esser meglio fare la posa nel fine, che nel mezo del verso ? Ma lasciando i luoghi dubbiosi, veggiamo i chiari e manifesti, che alla mente del Manetti si ac- - costano. Scrivo Dante nel fine del 9° canto, di poi che furono entrati io dentro la città : E poi eli'a la njan destra si fu volto, Passammo tra i martiri e tra gli spaldi ; o nel fine del 10°: Appresso volse a man sinistra il piede: Lasciammo il muro e gimmo in ver lo mezo. I quali luoghi essendo tanto chiari come veramente sono, costrin¬ sero il Vellutello a dire che, se ben dentro a la città andarono su la destra, non di meno ne gli altri cerchi camminarono su la sinistra ; il che par cosa molto leggiera. 20 Ma perchè o procedessero su la destra o su la sinistra, non molto importa al principale intendimento nostro, che è stato di dichiarare il sito e figura dell’ Inferno di Dante, ed insieme difendere l’inge¬ gnoso Manetti dalle false calunnie ingiustamente sopra tal materia ricevute, e massime perchè non lui solo ma tutta la dottissima Aca- demia Fiorentina pungevano, alla quale per molte cagioni obliga- tissimo mi sento ; avendo, per quanto la bassezza del mio ingegno mi concedeva, dimostrato quanto più sottile sia l’invenzione del Ma¬ netti, porrò fine al mio ragionamento. 1. Tra facendo e la si legge, cancellato, il. — 1-2. Tra del e Vellutello si legge, can¬ cellato, Manetti. — 9. del 9— 17. Prima aveva scritto andorno, e poi corresse andarono.— 18. Prima aveva scritto nulla di meno, e poi corresse non di meno. 21. Tra che ed è stato si legge, cancellato, ero di. — 28. Tra porrò e fine si legge, cancellato, con vostra grazia. CONSIDERAZIONI AL TASSO. CONSIDERAZIONI AL TASSO. CI A Amor di Tancredi e Clorinda quanto sia secco: pag. 19 [pag.69], Audace è vizio, ardito è virtù: pag. 38 [pag. 76], c. 2, st. 17. B 'Brevità del Tasso : pag. 58 [pag. sa], la diceria del talacimanno ; pag. 06 [pag. 88], c. 3, st. 37, Erminia dice ad Aladino tutto quello che s ? ò detto nella mostra nel primo canto ; pag. 73 [pag. 92, lin. 1-2]. C io Cose in generale : pag. 8 [pag. 65], c. p.°, st. 26, illustre suono E di nome etc. ; pag. 14 [pag. 67], st. 36, c. p.°, Mente de gli anni etc. Comparazioni: pag. 28 [pag. 72], c. p.°, st. 75; Ariosto, c. 40, st. 31, furia del Po; pag. 64 [pag. 86-87], c. 3, st. 31 ; Ariosto, è. 18, st. 17 ad 23, ritirata di Rodomonte paragonata con la ritirata di Clorinda e Argante. Credulità degli eroi del Tasso: pag. 35 [pag. 73-74], st. 7, c. 2, in Aladino credendo al Mago ; pag. 43 [pag. 77], c. 2, st. 48, Aladino dà lo scettro a Clorinda. Dureza nella locuzione: pag. 5 [pag.6i], c. p.°, st. 12, di' lui. Descrizion di città: pag. 72 [pag. si], E Error di lingua : pag. 18 [pag. 63-69], c. p.°, st. 46, cercò in vece di cercasse . G Grande: c. 2, st. 27, Divulgassi il gran caso; vedi pag. 47 [pag. 78-79]. 1 Indecoro: pag. 5 [pag. 64], c. p.°, st. 12; pag. 30 [pag. 72-73], c. 2, st. 4, Ismeno divisa la maniera degl’ incanti ; IX. s 62 CONSIDERAZIONI AL TASSO. Indecoro: pag. 57 [pag. 88], c. 3, st. 10, 1’orazion del talacimanno ; pag. 71 [pag. oo], c. 3, st. 53, il nunzio severo va a gridar i soldati. Inconsiderataggine : pag. 50 [pag. so], s t. 88, c. 2, che Argante vadia a trattar pace. Improprietà di lingua: c. p.°, st. 20, p:ig. 7 [pag.65], lnverisimilitudini : pag. 56 [pag. 82], c. 3, st. 8, l’orazione che la fare a tutti i sol¬ dati alla veduta di Ierusalemme ; pag. 60 [pag. 85], st. 17, c. 3, la buona vista del re Aladino. L Locuzioni latine e pedantesche : pag. 29 [pag. 72], c. 2, st. 3, explere par ics regia etc.; pag. 53 [pag. si], c. 2, st. 97, Disciogliersi nel sonno, io M Metafora rotta: pag. 10 [pag. 65-66], c. p.°, st. 27. P Pedantesco : pag. 8 [pag. 65], c. p.“, st. 26, illustre suono E di nome, incigni fico etc. ; pag. 47 [pag- 78-78], c. 2, st. 60, In guisa pur d’ttom grande c. non curante; pag. 69 [pag. 89], st. 45, Dura quiete preme e ferreo sonno, c. 3. Parallelo: pag. 75 [pag. 92-98], c. 3, st. 67, il lamento di Goffredo sopra Dudone; Ariosto, c. 43, st. 169, d’ Orlando sopra Brandimarte. R Rcttorica del Tasso : pag. 44 [pag. 78], c. 2, i due rei, Sofronia e Olindo. st. 49, nel farsi dare Clorinda dal re 20 S Senso astruso e dubio: pag. 7 [pag.65], c. p.°, st. 25, Ove ha pochi eli patria etc.; pag. 24 [pag. 70-71], c. p.", st. 53, Dudon di Consci ole. Senso non opportuno : pag. 52 [pag. si], c. 2, st. 95, Così di messaggio- fatto c nemico. Scherzi dove si convenghino : pag. 37 [pag. 75-70], c. 2, st. 16. 15 . Ih guitti il'110tu jntr gravile — CONSIDERAZIONI AL TASSO. CANTO I. St. p. n , v. 8 M '. Uno tra gli altri difetti è molto familiare al Tasso, nato da una grande stretteza di vena e povertà di concetti; ed è, che mancandogli ben spesso la materia, è constretto andar rappezando insieme concetti spezati e senza dependenza e connessione tra loro, onde la sua narrazione ne riesco più presto una pittura intarsiata, che colorita a olio : perchè, essendo le tarsie un accozamento di le- gnetti di diversi colori, con i quali non possono già mai accoppiarsi io e unirsi così dolcemente che non restino i lor confini taglienti e dalla diversità de’ colori crudamente distinti, rendono per necessità le lor figure secche, crude, senza tondeza e rilievo ; dove che nel colorito a olio, sfumandosi dolcemente i confini, si passa senza crudeza dal- 1’ una all’ altra tinta, onde la pittura riesce morbida, tonda, con forza e con rilievo. Sfuma e tondeggia l’Ariosto, come quelli che è abbon¬ dantissimo di parole, frasi, locuzioni e concetti ; rottamente, secca¬ mente e crudamente conduce le sue opere il Tasso, per la povertà di tutti i requisiti al ben oprare. Andiamo adunque esaminando con qualche riscontro particolare questa verità : e questo andare empiendo, 20 per brevità di parole, le stanze di concetti che non anno una necessaria continuazione con le cose dette e da dirsi, Taddomanderemo intarsiare. Comincia dunque a lavorar un pochetto di tarsie in questa prima stanza ; ed essendosi condotto con assai buona continuazione insino o) Canto V arnie pi dose e ’l capitano Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo ; Molto egli oprò col senno e con la mano, Molto soffrì nel glorioso aquisto. E in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano S’armò d’Asia e di Libia ilpopol misto; Che favorillo il cielo, e sotto a i santi Segni ridusse i suoi compagni erranti. 64 CONSIDERAZIONI AL TASSO. (Canto I.) al settimo verso, ci esce addosso con un particolare, spiccato dalle cose precedenti e posto qui per ripieno : perché a non voler che il diro Il del ridusse i suoi compagni sotto i santi segni stesse qui senza depen¬ denza, bisognava che di sopra egli avesse detto elio in vano l’Inferno disperse i suoi compagni, e non che in generale se gli oppose; o chi non averà prima letto tutto ’l libro, non potrà sapere a elio propo¬ sito sia detto questo, che il cielo ridusse i compagni etc. Si. 12, v. -3"’. Quel di’lui par duro, e sarebbe forse stato meglio dire: E digli in nome mio : Perchè si cessa ? Non so quanto abbia di decoro quel far parlare Iddio per inter- io rogazione, domandando perchè si cessa o perchè non si rinnuovi la guerra; e per avventura avrebbe più del divino il comandare asso¬ lutamente, senza altre cirimonie. St. 13, v. 5 (2) . Umane membra e aspetto umano credo che sieno un piat¬ tonino di quel medesimo ; se già alcun non volesse dire, essere stato ag¬ giunto dal poeta aspetto umano, acciò elio qualcuno non credesse che l’angelo, nel fingersi le membra umane, come poco pratico a esser uomo, s’avesse attaccate le braccia allo ginocchia, gli occhi a’ calcagni, e ’l naso al bellico, che così averia prese umane membra, ma non aspetto umano. St. 13, v. 6 { ' ]) . Compose. Il numero delle parole stravolte dal lor signi- 20 fìcato in questo libro è grandissimo, come a’ lor luoghi sarà notato. Qui mi para che s’accomoderebbe benissimo il dire che adornò, cinse, vestì, illustrò, e simili, l’aspetto umano di celeste maestà; ma quel compose non ci si può troppo bene assestare. Se la maestà celeste fosse cosa corporea, e non avesse già detto essersi cinto di aria, si potria dire che compose stesse nel suo proprio significato, cioè formò; ma stando ’l resto come sta, bisogna che la rima lo trasportasse un pochette». Se pure avesse detto con celeste maestà, si potrebbe dire che compose importasse quanto mescolò. 1. addosso un — W Disse al suo nunzio Dio: Goffredo trova E in mio nome di’ lui: Perchè si cessa ? Perchè la guerra ornai non si rinova A liberar Gerusalemme oppressa? Chiami i Duci a consiglio, occ. W . Gabriel s } accinse Veloce ad essequir Y imposte cose : La sua forma invisibil d’aria cinse, Ed al senso mortai la sottopose: Umane membra , aspetto uman, si finse, Ma di celeste maestà il compose. Vedi la nota precedente. [Canto I] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 65 St. 20, v. 2 m . Non so se il verbo convenne abbia nella nostra lin¬ gua tal significato. Si. 25, v. 3 (i) . Ove ha etc. Confesso ingenuamente, non saper cavar senso di questi duo versi, ben che molte volte vi abbia fantasticato sopra ; se già non domandasse di patria e fe’ stranieri i Cristiani, sì che la sentenza fosse tale : Chi vuol fabricare su fondamenti mondani, dove fra gl’ infiniti pagani ha pochi di patria e fe’ stranieri ad essi pagani (che vai quanto diro ha pochi Cristiani), non edifica etc. Ma se tale è il sentimento di queste parole, non so chi potesse mai immaginarsi io cosa più storpiata quanto sarebbe questa, che uno chiamasse di fe’ stra¬ nieri quelli elio son della stessa fede che egli. Ma,'come ho già detto, potrebbe essere che il senso vero non fosse da me inteso. St. 26, v. p.° (3) Se le mie parole fossero atte ad esprimere il pen¬ siero della mento, spererei di potere imprimere negli animi altrui quel concetto che fo io stesso intorno a’ progressi di questo autore ; ma son molti gli affetti a i quali le parole non arrivano : pur non resterò di dire quanto questa parentesi ( illustre suono etc.) abbia dello stentato, del mendicato, del pedantesco, del gonfio e del burbanzoso. Leggiadra cosa è quel suono magnifico di nome, ma non meno vaga 20 1’ altra magnifico di cose, con questa voce cose, tanto cara a questo poeta e tante volte usata in questo significato generale, sotto il quale possiamo intendere non più battaglie, assedi, armate, eserciti, che ca¬ valli, carrozze, argani, stivali, casse e barili : sotto il qual significato con gran leggiadria fu presa burlescamente dal nostro Bernia : Eron già i versi a’ poeti rubati, Come or si ruban le cose tra noi. St. 27, v. 4 <4) . Di tidta l’opra il fdo etc. Se quella voce filo potesse importare il medesimo che trama o ripieno, direi che rispondesse alla parola di sopra orditi; ma non avendo tal significato, perchè non dir 0) Vennero i duci, c gli altri anco seguirò, E jBoemoncìo sol qui non convenne, w Non edifica quei che vuol gV imperi Su fondamenti fabricar mondani, Ove ha pochi di patria e fè stranieri, Fra gV infiniti popoli pagani. W Turchi, Persi., Antiochia (illustre suono E di nome magnifico c di cose) eco. (i > A quei che sono alti prineipii orditi , Di tutta V opra il filo e ’l fin risponda. E metonimia. G6 CONSIDEKAZIONI AL TASSO. (CANTO I.] più presto di tutta l’opra il meno, rispondendo a’ priucipii e al fine, posti l’un sopra, l’altro sotto ? St. 28, v. p .° (l> 0 principi, io m protesto, etc. Questi protesti anno molto del freddo, e son posti importunamente, perchè non ci era al¬ cuno che si fosse mostrato renitente o avesse contradetto a quanto Goffredo in questa sua orazione avesse voluto persuadere ; o i protesti non si soglion fare se non a quelle persone che si mostrano avverse a quanto di far si ricerca, come molto a proposito vion fatto da Ro¬ domonte a Ruggieri, c. 26, st. 115 (ì) . Quello poi che dice di mondo presente e mondo futuro, sarebbe forse io stato ben mutarlo in secolo, dicendo : Udrà ’l bccoI presente, udrà ’l futuro. St. 30, v. p .“ (3) Se ben raccolgo le etc. Troppo lunga manifattura sa¬ rebbe il volere andar notando a cosa per cosa tutto quello che in quest’ opera è di mendoso : però in universale si dice, lo stile esser quasi sempre languido, sforzato o male spressivo, sì che per maggior brevità andremo più tosto notando quei luoghi dove l’Autore lia del buono, che pur ce ne sono alcuni : nella sentenza poi rare volte av¬ viene che quest’ uomo metta cosa buona ; pur anche quelle poche non si tralasceranno. In tanto avvertasi, di grazia, fredda cosa che è que- 20 sto discorso del solitario Pietro ; che bassa sentenza, e simile a quel sermone che l’artigiano, governatore della Compagnia, suol fare la domenica impensatamente a i suoi fratelli : Io consìglio ciò che Goffredo esorta, e ’l vero è sì certo e per se noto, che il dubbio non vi ha luogo; egli V ha dimostrato allungo, c voi V approvate, e io vi aggiungo solamente questo, e quel che seguo della medesima vena. E chi non sa trovare discorsi sentenziosi e saldi, vadia a imparai’e. 7. averse — Principi, io vi protesto , e i mici protesti Udrà il mondo presente, udrà il ftduro, E seguitò dicendo: [0 ti protesto, Che s' alcun danno il nostro re riceve, Fin per tua colpa, eh' io per me non resto Di fare, a tempo quel che far si deve. Ruggiero a quel protesto poco Inula, Ma stretto dal Juror, stringe la spada. w [29] Ma sorse poscia il solitario Piero, Che privato fra i principi a consiglio Sedeu, del gran passaggio autor primiero : Ciò eh' essorta Goffredo, ed io consiglio; Nè loco a dubbio v 1 ha, sì certo c il vero E per se noto: ei dimostroUo a lungo; Voi Vapprovate; io questo sol v'aggiungo. Se ben raccolgo le discordie e V onte, Quasi a prova da voi fatte e patite, I ritrosi pareri , ecc. [Canto I.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 67 St. 33, v. 7 (,) . Che diremo di questo fama ne vola, e grande per le etc.? Diremo che chi non sa quel che si dire, e pur vuol empiere il foglio, bisogna che scriva di queste gentileze. E si troveranno gusti così saldi, che non si stomachino in sentir queste cose, delle quali è sì gran copia in quest’opera? Ma venite pur a quel che segue appresso w , e figuratevi il mostrarsi di Goffredo a’ soldati, come la sposa al pa¬ rentado, e riceve il buon prò con la bocca piccinina e gli occhi bassi : e chi non vuol la sposa, tolga il prete novello nel ricever P offerta ; ma che sia uno di quei sennini d’ oro, acciò faccia mostra di quel io visetto placido e composto. e. p.°, st. 20. St. 36, v. p .° (3) Che faremo di questa Mente, custode c dispensiera delle cose ? non sarebbe meglio mutargli offizio, e farla portinara o canovaia ? Eh, Sig. Tasso, questo non è mestier da voi ; impiastrerete di molte carte, e farete una panicela da cani. Ma andiamo avanti, e ricordatevi che questa è la seconda volta che ci avete intonate ne¬ gli orecchi quelle vostre cose generalissime; perchè avanti che la festa c.2,st.69 ; c.2,st.0G; finisca, s’ ha da passar le due dozine. Soggiugnete : Vagliami tua ra¬ gione : lo che quantunque sia molto diverso dal suo significato, credo vaglia importi il medesimo che saria a dire Giovimi il tuo andò, o vero 20 Favoriscami la tua grama, o cosa tale. Ma perchè, di grazia, non diro Vagliami il tuo favore, che si sarebbe accomodato al verso ? La sen¬ tenza poi, che chiude con li duoi ultimi versi la stanza, è tanto stor¬ piata, che non pur va con le gruccie, ma, se la parola non fosse sporca, direi che va col culo per terra, e viene esplicata con quella infelicità e con quello stento che mai si possa immaginar maggiore; che a ringangherare e raccozare quelle parole, anche in prosa, e far¬ gli dir quello che il poeta vorria, ci sarebbe più manifattura, che a ravviare una matassa scompigliata. 18 - 19 . credo voglia importi — Concluso ciò, fuma ne vola, c grande Per le lingue de gli uomini si spande. < s > [ 34 ] Et si mostra a i soldati, e ben lor pare Degno de V alto grado ove l’ kan posto ; E riceve i saluti e ’l militare Applauso in volto placido e composto. < 3 > Mente, de gli anni e de V oblio nemica, De le cose custode e clispcnsiera, Vagliami tua ragion, sì ch’io ridica Di quel campo ogni duce ed ogni schiera : Suoni e risplenda la lor fama antica, Fatta da gli anni ornai tacita e nera ; Tolto da’ tuoi, tesori orni mia lingua Ciò eh’ ascolti ogni età, nulla V estingua. 68 CONSIDKRAZIONI AL TASSO. [Canto I.] St. 37 etc. (ì) Questa mostra è quasi tutta ragionevole ; mancano solamente quelle cosette notate : pure se vorremo vedere quelle del- pAriosto <2> , credo che sentiremo qual cosa di meglio e detta con altra facondità, e in particolare nella prima ; dove, tra l’altre cose, è muravi gl iosa la brevità, la quale non è qui altrimenti, ma sì bene nell’Ariosto, come a diversi propositi si mostrerà. St. 38, v. p.° l3) Ciò ò armati di macine e d’ancudini. v. 2 etc. {l>) * Vorrei sapere la causa per la quale son qui divisi in due parti i cavalieri tra loro indifferenti di disciplina, di natura, d’ arme, di sembianza, tutti Normandi, e condotti dall’ istesso capi- io tano », potria dire alcuno, e non senza ragione di dubitare : perché l’avere a referire il primo verso della stanza alla passata (M , e sepa¬ rarlo da quel che segue, apporta grande oscurità e dureza. v. 7, 8 (U) . Poteva dire dispiegavo V insegne, che saria forse stato meglio che spiegar le squadre. St. 45, v. 2 ' 7> . Perchè non tratto, tolto, o vero fuorché Rinaldo ? v. 7, 8 l8> . Son paroluze senza construtto. Gli altri autori fìngono Amor cieco ; ma questo, più discreto, si contenta farlo di vista corta. St. 46, v. p.° t9) Quell’ È fama che quel dì, o referiscasi al verbo cercò, o all’ altro, posto nell’ altra stanza, apparse, par che sia contro alle 20 12*13. separarlo con quel —19. Quel è fama — <» St. 37-65. <*> 0. 10, st. 76-89 ; c. 14, st. 11-28. (a) Mille son di gravissima armatura. Sono altrettanti i cavalier seguenti, Di disciplina a i primi c di natura E d* arme e di sembianza indifferenti ; Normandi tutti, e gli ha Roberto in cura. Vedi la nota precedente. (5: Prima i Franchi mostrarsi: il duce loro Ugonc esser solea, del re fratello: Ne VIsola di Francia eletti foro Fra quattro fumi, ampio paese e bello: Poscia eh ’ Ugon morì, de ’ Gigli d'oro Seguì V usata insegna il ficr (Impello Sotto Clotareo, capitano egregio, A cui, se nulla manca, è il nome regio. (tf> Poi duepastor de * popoli spiegavo Le squadre lor , Guglielmo ed Ademaro. (7} Vieti poi Tancredi ; e non è alcun fra tanti ( Tranne Rinaldo) o feritor maggiore, O più bel di maniere e di sembianti, 0 più eccelso cd intrepido di core. 0) Nato fra V arme, Amor di breve vista, Che si nutre d'affanni, e forza acquista. -È fama che quel dì che glorioso Fcl la rotta del Persi il popol Franco, Poi che Tancredi al fin vittorioso 1 fuggitivi di seguir fu stanco, Cercò di refrigerio e di rijtoso A V arse labbia, al travaglialo fianco, E trasse ove inviiollo al rezo estivo Cinto di verdi seggi un fonte vivo. Quivi a lui (V improviso una donzella, J uffa, fuor che la fronte, armata apparse. [Canto I.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 69 regole gramaticali, e che il dover voglia che si dica cercasse o appa¬ risse, acciò che Cantalicio non vadia in collera. Pure tra loro litte- ratoni se la strighino : noi cominciamo ormai a discorrere intorno a cose di maggior momento. Mi è sempre parso e pare, che questo poeta sia nelle sue inven¬ zioni oltre tutti i termini gretto, povero e miserabile; e all’ opposito, l’Ariosto magnifico, ricco e mirabile : e quando mi volgo a conside¬ rare i cavalieri con le loro azzioni e avvenimenti, come anche tutte l’altre favolette di questo poema, panni giusto d’entrare in uno sta¬ io dietto di qualche ometto curioso, che si sia dilettato di adornarlo di cose che abbiano, o per antichità o per rarità o per altro, del pelle¬ grino, ma che però sieno in effetto cosellinc, avendovi, come saria a dire, un granchio petrificato, un camaleonte secco, una mosca e un ragno in gelatina in un pezo d’ ambra, alcuni di quei fantoccini di terra che dicono trovarsi ne i sepolcri antichi di Egitto, e così, in materia di pittura, qualche schizctto di Baccio Bandinelli o del Par¬ migiano, e simili altre cosette ; ma all’ incontro, quando entro nel Furioso, veggo aprirsi una guardaroba, una tribuna, una galleria regia, ornata di cento statue antiche de’ più celebri scultori, con in- 20 finite storie intere, e le migliori, di pittori illustri, con un numero grande di vasi, di cristalli, d’ agate, di lapislazari e d’ altre gioie, e finalmente ripiena di cose rare, preziose, maravigliose, e di tutta ec¬ cellenza. E acciò che questo che dico così generalmente, si conosca esser vero, andremo esaminando di mano in mano a i lor luoghi tutte lo azioni de’ cavalieri e tutte le favole. E facendo principio da questa che abbiamo per le mani, che è si può pensare? Eccovi-tutto il progresso. Vede Tancredi improvisa- mente Clorinda, tutta armata fuor che la fronte ; egli non le parla, so nè ella a lui, anzi quasi l’assalisce; subito parte, ed egli resta preso (,> : 14 . ragnio — (1) [ 47 ] Egli mirolla ed ammirò la beila Sembianza c (Vessa si compiacque c n'arse. 0 meraviglia! Amor, cIV a pena è nato , Già grande vola, e già trionfa orinato. Ella d’elmo cojmissi, c, se non era Ch' altri quivi arrivar, ben V assaliva. Partì dal vinto suo la donna altera, Ch ’ è per necessità sol fuggitiva: Ma V imagine sua bella e guerriera Tal ci serbò nel cor , qual essa è viva: E sempre ha nel pensiero c V atto c 7 loco In che la vide, esca continua al fuco. IX. 0 70 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto I.] Pag. 63 fpn£. 80 ], st. 27, c. 3. e pure ha detto poco avanti, c. 2, st. 20 (1) , il Tasso, essere i vezi esca d’amore. Tancredi, passato quel punto, non pur cerca di trovarla, di conoscerla o di guadagnarsela, ma nò anco ne parla mai più, sin che un’ altra volta s’ affronta con lei in battaglia, e la ritira in disparte, c. B, st. 25 (2> , dandoli intenzione di voler combatter seco; dove gli si scopre innamorato con quel bel garbo, dicendole « Cavami il core », e due o tre altre pappolate da innamorati sciocchi. Ella nò gli rispon¬ de, nè, per quel che si può credere, gli dà audienza . C. G, st. 27 <4) , un’altra volta, essendo in procinto di combattere con Argante, si ferma a rimirarla, lontano un miglio o poco meno; e finalmente, avendola io uccisa, si lamenta disperatamente (5) . Eccovi tutti gli avvenimenti amo¬ rosi di Tancredi, degni d’esser veramente eroicamente cantati, acciò non se perda la memoria. Ora vorrei che da qualche partigiano del Tasso mi fossero mostrato 1’ allegreze, i tormenti, le gelosie, i lamenti, le azioni eroiche per amor fatte, gli sdegni, le paci e gli altri effetti d’ amore, che per ( 6 ) [St. 48 (7) ]. bravate di. v. 7 18) più tosto. 20 e’ l loco. [St. 53 (9) ] . .se gli sotto pose- in ente del Poeta bi- 7. innamorati scocchi — 9. in precinto di — ... ritrosa beltà , ritroso core Non prende; e sono i vezzi esca d'amore. W Onde le dice: 0 tu che mostri avere Per nemico me sol fra turbe tante, Usciata di questa mischia, ed in disparte P potrò teco e tu meco provarle. Così me 9 si vedrà, s’ctl tuo s f agguaglia Il mio valore. Ella accettò V invito «co. W Vedi la nota 8 di pag. 85 e la nota 1 di pag. 86. (k) Vedi la nota 6 a pag. 111. C. 12, st. 70 e seguenti. * c ' Quanto allo pagine lacerate nel codice, delle quali si raccolgono qui le traccio ri¬ maste, vedasi l'Avvertimento. W Vedi la nota 1 a pag. 69. (8) E sempre ha nel pensiero c l'atto e* l lo- Vedi la nota 1 a pag. 69. [co eco. (,J) Dudon di Consa è il duce; e perche duro Fu il giudicar di sangue e (li viriate, Gli altri sopporsi a lui concordi faro , Cacca più cose fatte e più vedute: Fi di virilità grave e maturo, Mostra in fresco vigor chiome canute; Mostra, quasi d'onor vestigi degni, Di non brutte ferite impressi segni. [Canto I.| CONSIDERAZIONI AL TASSO. 71 .chiribizando e stillandosi il . delle sue tronche e disordinate parole degno ... . imagini, lo lascierò da gli altri. dicare. Di sixnil sentenze aviamo in quanto . come anche .eli sangue, dicendosi nel c. 3, st. 39 (l) , io quel che puoi vedere IZI . St. [56' (?) (31 J. la re. non già. che più presto perderia parte, ma per fugg . . congiunzione. St. 59, v. 2 (4> 20 . [St. 60 (S) ] . . 1’ Egeo, passar di Grecia 6) Or volgi gli occhi ov ’ io ti mostro , c guata Colui clic, d’oro c verde ha V armatura : Quegli è Dudone , ed è da lui guidata Questa schiera , che schiera è di ventura; È guerrier d’alto sangue e molto esperto, Che d’ età vince e non cede di merlo. (*) Alla Considerazione di cui ci sono rima¬ sti questi frammenti, si riferisco la rubrica dell’indico iniziale: « Senso astruso e dubio: ., c. p.°, st. 53, Dudon di Consa etc. >. Vedi pag. 62, lin. 24. ( 3 ) Ma il fanciullo Rinaldo , e sovra questi E sovra guanti in mostra eran condulti , Dolcemente feroce alzar vedresti La regai fronte , e in lui mirar sol tutti L’età precorse e la speranza ; c presti Pareano i fior, quando n y uscirò i frutti: Se ’l miri fulminar ne V arme avvolto, Marte lo stimi; Amor, se scopre il volto. ( 4 > Zm(Rinaldo) nelarivad’Adige produsse A Bertoldo Sofia, Sofia la bella A Bertoldo il possente ecc. Allor, nè pur tre lustri uvea forniti (Ri¬ baldo), Fuggì soletto, c corse strade ignote: Varcò V Egeo, passò di Grecia i liti ecc. 72 CONSIDERAZIONI AL TASSO. (Canto li.] [St. 67 (,) ].; — .Enrico si ritrova [St. 75 «>] [CANTO II.] [St. 3 f3) ]. dice questo libro. perchè un uom vulgare se. luti tu tutte pieno le pfarti]. crederebbe che il tiranno (4) .io [St. 4 (5) ] risposta, per sentire se e) Farla (Goffredo) al fedcl suo messati gì ero | Enrico. < S) Non è genie pagana insieme accolta, Non muro cìnto di profonda fossa, Non gran torrente, o monte alpestre, o folta Selva, che 'l lor viaggio (dei Crociati) arre- [star possa. Così de gii altri fiumi il re tal volta, Quando superbo altra misura ingrossa, Sovra le sponde rninoso scorre, Nè cosa è mai che gli s f ardisca opporre. Che a questa stanza si riferisse una delle Considerazioni le quali andarono inte¬ ramente perdute nelle carte del codice strap¬ pate, risulta dalla seguente rubrica dell’in¬ dice iniziale : « Comparazioni : .... c. p.°, st. 75; Ariosto, c. 40, st. 31, furia del Po». Vedi pag. 61, lin. 12. La st.31 del c. 40 del- l 1 Orlando Furioso è la seguente : Con quel furor che 7 re de'fiumi altero, Quando rompe tal volta argini e sponde, E che ne i campi Oc nei s’ apre il sentiero, E i grassi solchi t le biade feconde, E con le sue capanne il gregge intero, E co i cani i postar porta ne Vende; Guizzano i pesci a gli olmi in su la cima, Ove solran volar gli augelli in prima; Con quel furor V impetuosa gente, La dove avea in più parti il muro rutto , Entrò col ferro e con la face ardente A distrugger il popul mal condotto. (3) Signor {dicco (Ismenoad Aladino)), senza [tardar se 'n viene Il vincitor csscrcito temuto; Ma facciavi noi ciò che a noi far conviene: Darà il cdel, darà il mondo a i forti aiuto . Ben tu di re, di duce, hai tutte piene Le parti, c tunge hai visto c proceduto ecc. A questi frammenti ò relativa la ru¬ brica dell’indice iniziale: . Si. 5, v. 3, 4 <2 '. Sentite, per vita vostra, che dureza è in questi due io versi, e che suspension di mento ci vole per raccozare le parole, sì che se ne possa esprimere il sentimento e la construzione. Ma il pe- dantone, fermato su quell’ àncora, che nerba transposila non mutant sensum, non fa conto di questi scogli, anzi gli par tanto più bello l’artifizio, quanto più vi è di oscurità ; e questo, perchè la sua scienza termina nel trovar solamente la construzione delle parole, nè potria mai credere che questi non fossero artifizi, ma sì bene stenti misera¬ bili di quelli che voglion fare quei mestieri che non sono da loro ; o perchè parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi. Pure, con sua sopportazione, metterò qui come il medesimo concetto, 20 con le medesime parole, si saria per avventura più chiaramente spiegato : Di Colei, che sua Dea quel volgo face, E madre del suo Dio nato o sepolto. St. 7, v. 1, 2 (3) . Mi par di veder correr via questo re, appunto da corrivo, senza replicarvi pur parola, a rapir l’imagine, e parergli d’ aver assicurate le partite e accomodati tutti i fatti suoi. Io non so di quai costumi abbia voluto il Poeta figurar questo re ; ina se egli ha voluto farlo sciocco e corrivo, non poteva meglio conseguir 1" in- 5. ehiachierare — 5-6. cliiachierone — 22. Beo — A questi frammenti si riferisce la ru¬ brica seguente dell’ indice iniziale : « Inde- coro :.... c. 2, st. 4, Ismeno divisa la maniera degl’incanti». Vedi pag. 61, lin. 29. M Di Colei, che sua Diva e madre face, Quel vulgo, del suo Dio nato e sepolto. (’> Si disse, e ’l persuase, c impaniente Il re sen corse a la magion di Dio, E sforzò i sacerdoti, e irreverente Il casto simulacro indi rapio ; Eportollo a quel tempio, ove eco. 74 CONSIDEIIAZIONI AL TASSO. [Canto II.) tento, come in molte altre sue azioni nel progresso si vedrà. E pure doverebbono gli principi esser più lontani da questo difetto della credulità, che da molti altri, essendo che infiniti, per diversi fini, cer¬ cano di aggirargli: onde con gran ragione PAriosto celebra nel suo Signore .... questa virtù dell’ascoltar tutti gratamente, ma non facil¬ mente credere, st. p.°, c. 18 (1> . St. 10, v. 3, 4 (2) . Questi son di quei scambietti die piacciono assai a’ giovani, mentre ammirano P artifizio col quale quelle rispondenze si vanno intrecciando ; ma in effetto quelli che saranno in età di dismettere tali attillature, conosceranno che non franca la spesa che io altri s’ affatichin tanto in compassare sei parole per formar poi una struttura che, a ricombinarle insieme, bisogna interrompere la lettura per mez’ ora, con rischio di scordarsi in tanto la continuazion del concetto. In somma sono arzigogoli simili a quelli del Sator Arepo, da lasciargli arzigogolare a’ fanciulli, che se bene vi stanno intorno un mese per trovargli, non importa niente. St. 11, v. 3, 4 (3> . Pedantesco e ampulloso. L’Ariosto ,k) : L’ira e la rabbia passò tutti i modi. St. 12, v. 7, S Tutto in lor d'odio infellonissi , ed arse H irci e di rabbia immoderata , immensa . C. 80, st 7. La rabbia e l'ira passò tutti i modi Del conte , c parve Jier più che mai foste. (5) Su su, fedeli mici , su via prendete Le fiamme e } l ferro, ardete ed uccidete. Il re, che troppa offeso se ne tenne, Con uno sguardo sol le mosse guerra ; Che. 7 popul, che V ingiuria non sostenne, Per vendicarlo, e lance e spade afferra. (7> CosìparlaLWàdìno)a le turbe, c se n* intese La fuma tra’ fedeli immantinente , [Canto IL] CONSIDERAZIONI AL TASSO 75 spavento sopra i fedeli, per dar loro maggior occasione di timore, ed a Sofronia di far quello che fece ; perchè, così come sta, la favola resta asciutta, povera e tronca, non si sentendo cosa alcuna dell’esecuzione del comandamento regio, che imponeva strage sopra i Cristiani. St. 14, v. 5 etc. w È robaccia da riempire canton voti, insipida, disgraziata, e al solito pedantesca ; e se, nell’ ultimo, alle lodi e atti sguardi [....] con sorda (o schiva ) e ascosa, starebbe per avventura meglio che rispondendoli con incuìta e sola. St. 15, v. 4, 5 m . Non si deve defraudare il Tasso della lode che gli viene per aver più poeticamente [....] quello che l’Ariosto (y) disse altramente : Quel che Puom vede, Amor gli fa invisibile, E l’invisibil fa vedere Amore. St. 1C), v. 5 clc. w E pur torniamo alle capriole intrecciate, Sigi Tasso. Questi scherzi non si possono tollerare se non hanno due condizioni : T una, che siano con somma diligenza condotti a fine, sì che la grazia sommerga 1’ affettazione ; 1’ altra, che voglion essere in un poema se¬ parato o in sè stesso finito, come in un sonetto o madrigale, qual sia tutto dell’ istessa testura ; ma in una narrazion continovata non hanno luogo, perchè, non vi è ragion nessuna per la quale si deva più in cpiesta che nell’ altre parti saitabellare : in quel modo che sopra una scuola di ballare, o in una festa dove si danzi, noi vedremo con diletto, a un ballerino leggiadrissimo, quando una partita di gagliarda e quando una partita di canario; ma, per Topposito, appareria cosa molto sconvenevole se un gentilomo, andando alla chiesa o al magistrato, ad ogni cento passi spiccassi una mutanza di calata con un par di capriole, 17. ufì'etazione — 19. fessura — Ch’ attoniti restar, sì gli sorprese li Umor de la morte ornai presente ; E non è chi la fuga o le difese, Lo scusar o 1. pregare, ardisca o tonte. È il suo pregio maggior, che tra le mura Jf angusta casa asconde i suoi gran fregi t E da' vagheggiatori ella s'invola A le lodi, a gli sguardi, incnlta e sola. W Amor ch'or cicco, or Argo, ora ne veli TU benda gli occhi, ora ce gli apri e giri ecc. M 0. 1, st. 56. W FA che modesto è sì coni' essa è bella, dirama assai, poco spera, c nulla chiede ; Nè sa scoprirsi o non ardisce; ed ella 0 lo sprezza, o no'l vede o non s f avede. Così fin ora il misero ha servito, 0 non visto, o mal noto , o mal gradito. 76 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto II.] tornando poi al suo viaggio. Ora, perchè alli vostri mancano ambedue queste condizioni, lascio fare a voi il resto della consequenza. St. 17, v. 7, 8 (1) . Concetti da piacere a’ principianti. Audace è vi¬ zio, ardito è virtù ; e fu pur da questo autore commemorata questa differenza, c. 6, st. 55 li) . St. 18, v. p.° e/c. (3> Abbiamo in pittura il disegno e ’l colorito, alli quali molto acconciamente risponde in poesia la sentenza o la locu¬ zione: le quali due parti, quando siano aggiunte col decoro, rendono la imitazione e rappresentazione perfetta, che è l’anima e la essenzial forma di queste due arti ; e quello si dirà più eccellente pittore o io poeta, il quale con questi due mezi più vivamente ci porrà innanzi a gli occhi le sue figure. Però, volendo noi far paragone tra questo poeta e T Ariosto, qual si avvicini al segno di perfezione e qual ne resti lontano, andremo in tutte le pitture del Tasso esaminando queste due parti, premettendo sempre la considerazione de i componimenti delle intere favole, che rispondono al componimento dell’istoria in pittura; e dove cascherà corrispondenza, chiameremo in comparazione i luoghi dell’ Ariosto. Aviamo adunque al presente innanzi a gli occhi, nella persona di Sofronia, rappresentata una vergine modesta, sdegnata e generosa, 20 nella quale andremo vedendo quanto vaglia il disegno e ’l colorito. E prima, P uscir tra ’l volgo soletta non è nò buono nè cattivo, come anche il coprire 0 non coprir le belleze, perchè non la fanno più o meno tale quale qui vien figurata. Raccolse gli occhi è buona sentenza per esprimer la modestia, ma senza grazia spiegata, perchè non è da creder che gli fosser caduti gli occhi in terra, onde fesse bisogno raccorgli. L’Ariosto <4) disse: Ed ella abbassò gli occhi vergognosi, eie. 1. ambi due — 8. rendano — 28. vergognosa — (1) Move fortezza il gran pensi rr ; V arresta Poi la vergogna e ’l virginal decoro : Vince fortezza , anzi s* accorda, cface Sè vergognosa , e la vergogna audace . N se 7 furore a la virtù prevale , 0 se cede V audacia a V ardimento. w La vergine tra ’l vulgo usci soletta ; Non coprì sue bellezze, e non V espose ; liaccolsc gli orchi, andò nel vcl ristretta, Con i schive maniere e generose: Non sai ben dir t s f adorna o se negletta, Se caso od arte il bel volto compose ; Di natura, d' amor, de’ cicli (unici Le negligenze sue sono artifici. < % > C. 27, st. 107. [Canto II.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 77 Ti’ andar nel vd ristretta contradice a quello che di sopra lia detto, Non coprì sue belleze ; ed è contrario a quello che è più basso, dove la chiama donna altera, perchè andare noi vel ristretta è da pinzo¬ chera e donnicciola. Non sai ben dire etc., con quel che segue inaino al fine della stanza, è uno impiastramento, senza disegno, senza colo¬ rito, senza concetto, senza grazia, un ciarpame di parole ammassate, una paniccia di cieli, di natura e d 'amore, che in smunta swnmarum non ha nè costruzione nè senso che vaglia. St. 20, v. 7, > . 20 St. 74, 75 <6> . Io ho un poco di scrupolo nella continuazione della sentenza di queste due stanze : perchè nella prima di esse ha, tra gli altri impedimenti, apportato Alete a Goffredo quello della fame, e 8. St. 66, c. p.° — 9. st. 17, c. 3 ; st. 35, gran figli, c. 3, st. 35 — 17. in quelle nitrazioni. La parola narazioni presenta traccia di correzione nelle prime quattro lettere ; la n ini¬ ziale fu aggiunta posteriormente : sembra che prima fosse scritto orazioni. — O) Senza »montar, sema chinar la tenta, E senza segno alcun di riverenza, Mostra Carlo sprezzar con la sua gesta, E di tanti signor V alta jìrcscnza. (*> Cominciò poscia, c di sua bocca uscieno, Piti che mcl dolci, d 5 eloquenza i fiumi. <*> St. 62-79. Oh 1 ove tu vinca , sol di stato avanzi , Nè tua gloria maggior quinci diviene. < 5 ) E se ben acquistar puoi novi imperi , Acquistar nova gloria indarno speri. (°> Or quando pur estimi esser fiatale Che vincer non ti possa il ferro mai , Siati concesso ; e siati a punto tale Il decreto del del, qual tu te } l fui; Vinccratti la fame: a questo male Che rifugio, per Dio, che schermo avrai? Vibra contra costei la lancia , e stringi La spada, e la vittoria anco ti fingi. Ogni campo d* intorno arso c distrutto Ha la provida man de gli abitanti , E in chiuse mura , e in alte torri, il frutto 80 CONSIDERAZIONI AL TASSO. (Canto II.] soggiunto poi negli ultimi due versi : « Figurati anco d’ aver supe¬ rata questa inimica fame, e di essa ottenutane vittoria, come del- l’altre contrarietà raccontate avanti »: sì che panni che Alete si sia privato del potere più spaventar Goffredo col terror della fame ; e con tutto ciò, nel tenore dell’ altra stanza appresso, ritorna a servirsi del medesimo mezo pur della fame per distornarlo dall’ impresa : la quale cosa, come ho detto, non mi par senza difetto. St. 81 ctc. w Se la proposta di Moto è stata bella e maravigliosa, nè la risposta di Goffredo gli code ; e nell’ una e nell’ altra si deve somma lode all’Autore. io St. 88, v. 4 elc.' v Dispiacemi che questo pazo d’Argante sia venuto con queste sue impertinenze a disconciare il gusto che per lo due orazioni passate si era preso ; e molto mi maraviglio dell’ imprudenza del re d’ Egitto, quale ha dimostrata in mandar questa bestiaccia a scompigliare ogni cosa. E se lo conosceva, non potev’ egli esser certo che un animalaccio di questa sorte era buono per ogni altra cosa che per trattar pace? •# St. 89, v.p°, £ (3) . Orsù, eramo stati troppo senza andar col cimbalo in colombaia. Torniamo alle scempiaggini pedantesche. Sto per aspet¬ tare elio questo pazzerone (l’Argante si faccia innanzi con quel suo 20 lembo di tabarro, e dica a Goffredo: Giura su questo orecchio d’asino. Sì. 93, v. 6 14) . Questo stare a mirarla così sottilmente non ha punto dell Ai gante, e massime a mirarla qui, dove era in collera e sprezava 7. diffclto — 19-20. Sto pur aspettare — Riposto, al tuo venir più giorni inaliti. Tu, eh' ardito fin qui ti sci condutto, Onde speri nutrir cavalli e fanti ? Dirai: L'armata in mar cura ne prende. Da i volti, dunque il viver tuo dipende ? (,) St. 81-87. (2) Così rispose (Goffredo) ; c di pungente rah- Lari sposta ad Argante il cor trafisse; [bia Nà 7 celò già, ma con enfiate labbia Si trasse avanti al Capitano , e disse: Chi la pace non vuol, la guerra $’ abbia, Chè penuria giuntai non fu di risse; E ben la pace ricusar tu mostri, Se non V acqueti a iprimi detti nostri. 13) Indi il suo manto per lo lembo prese, (Survolto, c fenne un seno, e 7 seno sporto, Così pur anco a ragionar riprese, Via più che prima dispettoso c torto : 0 sprezzato)' de le più dubbie imprese eco. (V ' Ebbe Argante unaspada;e f l fabro egregio L’else e 7 pomo le fé 1 gemmato e d } oro, Con magistero tal, che perde il pregio De la ricca materia appo il lavoro. Eoi che la tempra e la ricchezza e 7 fregio Sottilmente da lui mirati foro, Disse Argante al Buglion eco. [Canto ITI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 81 ognuno. Della quale azione, poco al costume di lui conforme, il me¬ desimo Poeta più a basso fa testimonio, c. 7, st. 52, dove del medesimo Argante, nel pigliare alcune armi donategli dal re Aladino, dice così : Senza molto mirarle egli lo prende ; e pur la creanza ricercava che molto più dovesse mirar queste, do¬ nategli dal re di cui era campione. St. 91), v. p .° . St. 11 l2) . S’è consumata una intera stanza in raccontare il grido del talacimanno ; e ora delle provisioni che deve fare Aladino per la difesa di lerusalemme, sopragiungendoli il nimico, si disbriga con io due parole: Il re va intorno, e ’1 tutto vedo e cura. Gli ordini diede; e qui son finiti i preparamenti. Or leggasi l’Ariosto, c. 14, st. 101 con le seguenti cinque Vi \ e veggasi se Carlo fa altri apparecchi. Messer Ala¬ dino gli ordini diede, e si ritira in colombaia con una putta a chiac¬ chierare, mentre i suoi vanno fuori a scaramucciare <4) . IO. difj'esa — ( l > Vedi la nota seguente. w I semplici fanciulli, e i vecchi inermi, F’I volgo de le donne sbigottite, Che non sanno ferir nè fare schermi, Tracan supplici c mesti a le mesciute: Gli altri , di membra e d’animo più fermi , Già frettolosi. V arme avean rapite: Accorre altri a le porte, altri a le mura; Il re va intorno , c 7 tutto vede e cura. Gli ordini diede , e poscia ci si ritrasse Ove sorge una torre in fra due porte, Sì eh’ è presso al bisogno, e son più basse Quindi le piagge e le montagne scorte. Volle che quivi seco Erminia andasse ecc. Ma gli animai giovani robusti, Che mirini poco i lor propinqui danni, Sprezzando le ragion de* più maturi, Di qua, di là, vanno correndo a i muri. Quivi erano baroni e paladini, Ile, duchi, cuvalier, marchesi e conti, Soldati forestieri e cittadini, Per Cristo e per su’ onore a morir pronti ; Che per uscir adorno a i Saracini Pregan V Imperniar eli abbaisi i ponti. Gode egli di veder V animo audace, Ma di lasciarli uscir lor non compiace. E li dispone in opportuni lochi Per impedire a i barbari la via. Là si contenta che ne radon pochi; Qua non basta una grossa compagnia . Alcuni han cura maneggiare i fochi ; Le machine altri, ove bisogno *ia. Curio di qua, di là., non sta mai fermo, Va soccorrendo, c. fa jier tutto schermo. [10C>] Dovunque intorno il gran muro circonda, Gran munizioni uvea già Carlo fatte ; Fortificando d’argine ogni sponda, Con scannafossi dentro t case matte ; Onde entra ne la terra, onde esce l' onda. Grossissime catene aveva tratte. Ma fece più eh'altrove provedere Là dove uvea jnà causa di temere. Con occhi d'Argo il figlio dì Pipino Previde ove assalir dovea Agramante, E non fece disegno il Saracino, A cui non fosse riparato inante. w [13] Clorinda intanto in contro a’Franchi Molti vari seco ecc. [è gita ; [CANTO III.l CONSIDERAZIONI AL TASSO. 85 St. 17, v. 5, 6 (n . Se si va ben calcolando, questo re e Erminia Vedi pog.ec [p»b-88], 1 ’ ’ u I>ag. 7» [l>as- MJ. in cima d’ una torre non potevano esser lontani dal luogo, dove si facevano questi fatti d’ arme, manco d’un grosso miglio, considerata la ritirata che fanno i Pagani, st. SI ( “ ; , e considerato quel che si dico nella st. 36 (:1) ... ; e nulla di meno erano di così perfetta vista, che rico¬ noscevano distintamente i cavalier Cristiani, anche in mezo alla polvere della scaramuccia, che son cose che a’ nostri tempi non si potrian fare nè anche nella distanza d’un ottavo di miglio. Ma abbiamo pur un poco di pacienza, che sentiremo di meglio, avanti che questo re cali abbasso. io St. 21, v. 7, 8 (4> . Vedi lo scoprimento di Bradamante al trai- dei- Pelmo, che è maraviglioso, c. 32, st. 79, 80 (i ’'. St. 24, v. 7, 8 l6) . L’Ariosto <7) disse : E ancor che con la lancia non mi tocchi, % Abbattuto son già da’ suoi begli ocelli. St. 26, v. 5, 6 (8 ’. Tian un poco, madonna Clorinda; voi siatp un poco troppa manesca ; lasciatel al manco ripigliar fiato a quel po¬ vero garzone, e non lo cominciate a ripicchiar così subitamente. 1. C. 3, st. 17, v. 5, G — 5. nella st. 37 — 14. da’ tuoi —10. ripichiar — Onde dice a, colei eh'è seco assisa, E che già sente palpitarsi il petto: Ben conoscer dei tu, per sì lungo uso, Ogni Cristian, ben clic ne V arme chiuso. W ... co’ suoi fuggitivi si ritira (Clorinda): Tal or mostra la fronte, e i Franchi assale; Or si volge, or rivolge, or (ugge, or fuga, Nè si può dir , la sua, caccia nè fuga. w Ma Tancredi . Si mira a dietro, c vede ben che lungo Troppo è trascorsa la sua audace gente. W Clorinda in tanto ad incontrar l’assalto Va di Tancredi, epon la lancia in resta. Ferirsi a le visiere c i tronchi in alto Voi aro, e parte nuda ella ne resta; Che, rotti i lacci a l’elmo su i, d’un salto. (Mirabit colpo) ci le balzò di testa, E le chiome dorate al vento sparse, Giovane donna in mezo ’l campo apparse. (&) La donna , cominciando a dinar marni, S'uvea lo scudo, c dupoi V timo, frullo. Quando una copia d’ oro, in che celarsi Solcano i capei lunghi e filar di piallo, Uscì con l’elmo; onde cadevo » sparsi Giù per le spalle, <* la scoprirò a un trailo, E la fermi conoscer per donzella, Eon inni che fin a in arme, in viso Scila. Quale al cader de le cortine suole Parer fra mille lampade la scena, Varchi e di più d f una superba mole, V oro e di statue e di pitturo piena; 0 come suol fuor de la nube il sole Scoprir la faccia limpida e serena ; Così, Ì elmo levandosi dal vino, Mostrò la donna aprirsi il paradiso, w Fra sè dicea : Van le percosse vote Tal or, clic la sua destra annata stende ; Ma colpo mai del bello ignudo volto Non cade in fallo, c sempre il corn’è colto. P> C. 35, st. 78. <•>. ella accettò V invito : E come esser senz’elmo a lei non caglia , Gìa baldanzosa, ed ei seguici smarrito, ficcata s’era in atto di battaglia ix. li 86 CONSIDERAZIONI AD TASSO. [Canto udì St. 27 (1) . Tancredi, so che tu m’hai dato il mio resto con questi tuoi patti amorosi, fagiolaccio scimunito ; di grazia, va’ a giocar allo comaruccie. Part’ egli che per la prima volta che e’ parla con la sua amorosa, si faccia da un bel principio ? Io non mi voglio già più ma¬ ravigliare che colei faccia seco alla mutola, avendolo conosciuto per sì solenne fannonnolo nelle cose amorose. E quai più sciocchi lamenti faria Beco alla sua Nencia ! Nencia traditora, cavami il cuore, chè egli è tuo: vuoi che io mi cavi il santambarco, perchè tu me lo possa cavar meglio? Oh che innamorato da mele cotte! Oh Rodomonte, che era pur quell’uomo rozo e bestiale che si sa, non pari’egli mille volte io meglio in simil proposito, c. 35, st. 44 ? t2) St. 29, v. 4 <3) . Questo viddele s’ha da referire a Clorinda, che ò lontana un miglio. St. 31, v. 7, (9 <4) . Io non saprei qual epiteto darmi a questa ma¬ niera di esplicar la ritirata di Clorinda, perchè non so formare un attributo che abbracci nel suo significato tutte quelle qualità, freddo, secco, stiracchiato, stentato, insipido, saltabellante, bischizante, in¬ sieme poi col nostro accidente inseparabile di pedantesco. Quanto s’è egli mal consigliato il Sig. Tasso in andar toccando simil passi, che ci riducono in mente quello che in tal proposito ha detto l’Ariosto ! 20 Però, letta questa ritirata di Clorinda e la seguente d’Argante (5) , sen- tìià la guerriera, e già V avea ferito, Quand’egli, Or ferma, disse, e siano fatti, Anzi la pugna, de la pugna i patti. i‘> Fermossi; e lui, dì pauroso, audace Bende, in quel punto, disperato umore. I patti s 'uin, dicea,poi che tu pace Meco non vuoi, che tu mi tragga il core: II mio cor, non più mio, s’a te dispiace Ch’egli più viva, volontario more: È tuo gran tempo, e tempo è ben che trarlo Ornai tu debba, c non debb’-io vietarlo. Beco, io chino le braccia, e t’appressato Senza difesa il petto: or che no ’l ficài? Vuoi eh’ agevoli. V opra ? i’ son contento Trai mi l’usbergo or or, se nudo il chiedi. Distinguevi forse in più duro lamento 1 suoi dolori il misero Tancredi; Ma calca l'impedisce intempestiva De’ Pagani, de’ suoi, che sopri arriva. Risposo Rodomonte : (liusto panni Che eia come tu di' . [46] Ma, s'fi te tocca star dì sotto, corno Piu sì conviene e certo so che Jia, Non vo'che. lasci l'arme, ni il tuo nome, Come di vinta , sottoscritto sia : Al tuo bel viso, a' betjli Occhi % a le chiome, Che spirati tutti amore e leggiadria, Voglio donar la mia vittoria, e Lauti Che ti disponga amarmi, ove in'odiasti. (3) Un tic 1 persecutori, uomo inumano Vulele sventolar le chiome sparte. (k) ... co'suoi fuggitivi si ritira: Tal or mostra la fronte, e i Franchi assale; Or si volge, or rivolge, or fugge, or fuga, Nè si può dir, la sua, caccia nè fuga. (5) [ 42] Lo stuol j Pagan fra ta nto, in rotta mes¬ si ripara fuggendo alla di la de. [so, Soli Argante c Clorinda argine e sponda [Canto III.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 87 tasi quella di Rodomonte nel c. 18, st. 17 ad 23 am St. 58-64. Or mentre guarda e Valle mura e 7 sito ' De la città Goffredo e del paese, E pensa ove $* accampi, onde assalito Sia il muro ostil più facile a V offese, Erminia il vide, e dimostrollo a dito Al re Pagano, e così a dir riprese: Goffredo è quel ecc. Così parlavan questi ecc. W Chè ’n guisa lor ferì la nuca e } l tergo , Che ne passò la piaga al viso, al petto. (*> Cade; e gli occhi , eh 1 a pena aprir si panno, Dura quiete preme, e ferreo sonno. (*> Gli aprì tre volte, e i dolci rat del ciclo Cercò fruire c sovra un braccio alzarsi; E tre volte ricadde, e fosco velo Gli occhi adombrò, che stanchi al fin serrar¬ si dissolvono i membri, e } l mortai gelo [ 5 /, Irrigiditi c di sudor gli ha sparsi. Sovra U corpo già morto il fero Argante Punto non bada, c via trascorre inante . 90 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto III] St. 50, v. 7, 8 (,) . Oli questa grave occasione di sdegno è che lan¬ guida e sfatata cosa ! benché nò anche tutto il restante di questo ciarlamento che fa Rinaldo <2) , vai troppi soldi. Oltre che il creder di poter così di secco in secco entrar in Ierusalemme a far queste fac- ciende, mi par un abbaiare alla luna. é St. 52, v. p .° <3) Ben venga il Sig. Capaccio ! Con gran ragione ha detto il Poeta ne’ duoi versi precedenti <4) , che la testa di Rinaldo non curava tempesta di sassi, essendo così ben fornita d’un gran capo, appunto da sassate. Veramente buon gusto, buon orecchio ! v. 7, <9 (5) . Lasciate star le baie e tornate a studiare, perchè viene io il nunzio severo de’ gravi imperi : bisogna obbedire, ed esser buoni. St. 53, v. 3, 4 etc . l6> Questo è compagno del gridio del talaci- manno poco poco sopra. Queste, Sig. Tasso, son porcheriole da bam¬ bini : si dice con una meza parola : Fe’ sonar a raccolta, e non si sta a tentennarla tre ore in mandar nunzi severi, che in inezo d’ una ba¬ ruffa stiano a dire aghiadatamente : Tornatene, chè il loco o la stagione non è opportuna alle vostre ire ; Goffredo il vi comanda. St. 54, v. p.°, 2 !7> Mirabil connessione anno li due versi di questa stanza con quelli che seguono ! M Venia (Rinaldo) per far nel barbaro orni - [cida De V estinto Dudonc aspra vendetta ; E fra’ suoi giunto, alteramente grida : Or (piai indugio è questo ? e che s’ aspetta ? Poi eh' è morto il signor che ne fu guida , Gilè non corriamo a vendicarlo in fretta ? Dunque in sì grave occasion di sdegno Esser può fra gii muro a noi ritegno? (2) [51] Non, se di ferro doppio od’ adamante Questa muraglia impenetrabil fosse, Colà dentro sicuro il fiero Argante S’appiatlcrici da le vostr’ alte posse: Andiam pure a V assalto! Ed egli inante A tutti gli altri in questo dir si mosse. ta) Ei, crollando il gran capo, alza la faccia q co. Chè nulla teme la sicura testa 0 di sassi o di strai nembo o tempesta . (5> Mentre egli (Rinaldo) altri rincora, altri [minaccia, Sopravien chi reprime il suo talento ; Chè Goffredo lor manda il buon Sigierò, De’ gravi imperii suoi nunzio severo. (ù) Questi sgrida in suo nome il troppo ardire, E incontinente il ritornar impone . Tornatene, dicea, eh’a le vostr’ire Non è il loco opportuno o la stagione; Goffredo il vi comanda. A questo dire ecc. 10 Tornar le schiere indietro , e da i nemici Non fu il ritorno lor punto turbato. Nè in parte alcuna de gli estremi uffici Il corpo di Dudon restò fraudato . Su le pietose braccia i fidi amici Portarlo, caro peso ed onorato. Mira in tanto il Buglion d’eccelsa parte De la forte cittade il silo c l’arte. (Canto III.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 91 St. 55 (1) . Città descritta : vedi in paragone la descrizion di Parigi, c. 14, st. 104 (?,) ; quella di Damasco, c. 17, sfc. 18 etc. (3) ; quella di Alessan- dretta (4) ; e a quella aggiungasi la descrizione del suo sito, posta nel c. 20, st. 26 (5) , dove con mirabil brevità in una sola stanza si veggono raccolte tutte le condizioni che rendono un sito accomodato per una città ben collocata. St. 58, v. 7\ 8 0iì . Io non replicherò, che io l’ho già detto altre Pag. co fpag.ssj. volte, della buona vista die aveva questo vecchio : replicherò il tempo Gierusalem sovra duo colli è posta D*impari altezza, c vólti fronte a fronte: Va per lo mezo suo valle interposta, Clic lei distingue, e V un da V altro munte. Fuor da tre lati ha malagevól costa; Per V altro vassi, c non par clic si monte ; Ma tV altissime mura è più difesa La parte piana e incontra Borea stesa. La città dentro ha lochi, in cui si serba IJ acqua clic piove, e laghi e fonti vivi; Ma fuor la terra intorno è nuda d 9 erba, E eli fontane sterile c di rivi; Nè si vede fiorir lieta e superba D } alberi, e fare schermo a* raggi estivi, Se non se in quanto, oltra sci miglia, un bo- Sorge, d'ombre nocenti orrido e fosco, [sco Ha da quel lato , donde il giorno appare, Del felice Giordan le nobil onde; E da la parte Occidental, del mare Mediterraneo l 1 arenose sponde. Verso Borea è Betel, di' alzò V altare Al bue de V oro, c la Samaria; e donde Austro portar le suol piovoso nembo, Bctelem,che 9 l gran parto ascose in grembo. <*> Siede Parigi in una gran pianura Ne V ombilico a Francia, anzi nel core. Li puasn la riviera entra le mura, E corre, et esce in altra parte fuore; Ma fa un’isola prima, e v’ assicura De la città una parte, e la migliare. L‘ altre due (clic in tre parti 2 la gran terrà) Di fuor la fossa, c dentro il fiume, serra. De le pià ricche terre di Levante, De le più popolose e meglio ornate, Si dice esser Damasco, che distante Siede a ferusulcm sette giornate, In un piano fruttifero e abomlante. Non men giocondo il verno che V erta te. A guasta terra il primo raggio folle De la nascente aurora un vicin colle. Per la città duo fiumi cristallini Vanno inafflando per diversi rivi Un numero infinito di giardini, Non mai di fior, rum mai di fiondi, privi. Dicesi ancor che macinar violini Potriun far V acque nanfe che son quivi ; E chi va per le vie vi sciite fuore Di tutte quelle case uscire odore. 0> C. 19, atei. Fatto è 7 porto a sembianza d‘ una luna, E gira più di quattro miglia intorno ; Seicento passi c in bocca, et in ciascuna Parte una rocca nel finir del corno. Non teme alcuno assalto di fortuna, Se non quando li vien dal mezo giorno. A guisa di teatro se gli stende La città a cerco, e verso il poggio ascende. Vi questa terra a lei non parve torsi, Che conobbe feconda e d’aria sana, E di limpidi fiumi aver discorsi, Di selve opaca, e la più parte piana. Con porti e foci, ove dal mar ricorsi Per ria fortuna uvea la gente entrava, Ch’or d’Africa portava, ora d’Egitto, Cose diverse c necessarie al vitto. w Erminia il vide, c dimostrollo a dito Al re Baguno, e così a dir riprese: Go/fredo è quel che nel purpureo menilo Ha di regio c d } augusto in sè cotanto. Veramente è costui nato a V impero, Sì del regnar, del comandar, sa Vaiti; E non minor che duce, è cavali ero, Ma del doppio valor tutte ha le parti: Nè, fra turba sì grande, uom più guerriero 0 più saggio di lui potrei mostrarti. Sol Raimondo in consiglio, ed in battaglia Sol Rinaldo e Tancredi, a lui s'agguaglia. 92 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto III.] Pag. 58 e le parole buttate via in replicarci 1’ autore queste cose medesime, [pag. 83, Un. 15 c sog.]. r m • ’ che nel primo cauto ci ha dette. St. 61, v. 5, 6 w . Ma pur è forza dire ancora qualcosa di questa buona vista, perchè questo distinguere anche la somiglianza di due volti passa troppo i termini del verisimile. St. 63, v. 3, 4 <:|) . È posta qui questa pulitissima circunscrizione di questo leggiadro modello, per quelli che non avessino mai veduto in carne e ossa Francatrippe : Ben il conosco a quelle spalle quadre e a quel petto colmo e rilevato. St. 67 e£c. <4) Questo lamento di Goffredo sopra 1’ estinto Dudone io è assai buono ; ma è ben vero che il meglio che vi sia è preso da quello d’Orlando sopra Brandimarte, spiegato, al parer mio, più af¬ fettuosamente e con assai maggior leggiadria dall’Ariosto, dove non si scorgono alcuni difetti che qui appariscono. Come, per esempio, disse l’Ariosto: Levossi, al ritornar del Paladino, Maggior il grido, o raddoppiasi il pianto; 12-13. affetuosamente — 0.3, st. 61-63; e cfr. c. 1, si. 40,61, 44,41. w . e chiede (Aladino): Dimmi chi sia colui c' ha pur vermìglia La sopraveste, e seco a par si vede : 0 quanto di sembianti a lui simiglia, Se ben alquanto di statura cede. È Baldovin, risponde (Erminia); e ben si [scopre Nel volto a lui fratcl, ma più ne V opre. <3) Ben il conosco a le sue spalle quadre, Ed a quel petto colmo e rilevato. W Di nobil pompa i fidi amici ornavo Il gran feretro, ove sublime ci giace. Quando Goffredo entrò, le turbe alzavo La voce assai più flebile c loquace : Ma con volto nò torbido nè chiaro Frena il suo affetto il pio Buglione, e tace; E poi che ’n lui pensando alquanto fisse Le luci ebbe tenute, al fin sì disse: Già non si deve a te doglia nò pianto ; Ohò] se mori nel mondo, in Ciel rmasci ; E qui, dove ti spogli il mortai manto, Di gloria impresse alte vestigio lasci. Vivesti qual gucrricr Cristiano c santo, E come tal sci morto ; or godi, e pasci In Dio gli occhi bramosi, o felice alma ; Ed hai del bene oprar corona e palma. Vivi beata pur, che nostra sorte , Non tua sventura, a lagrimar n’ invita, Poscia eh 9 al tuo partir sì degna e forte Parte di noi fa, col tuo piò, partita: Ma se questa, che 7 volgo appella morte, • Privati ha noi d 9 una terrena aita, Celeste aita ora impetrar ne puoi , Chè 7 Ciel V accoglie infra gli eletti suoi. E come a nostro prò veduto abbiamo Ch'usavi, uom già mortai, V arme mortali, Così vederti oprare anco speriamo, Spirto divin, V arme del Ciel fatali: Impara i voti ornai eh' a te porgiamo, Raccòrrò, c dar soccorso a i nostri mali. Indi vittoria annunzio; a te devoti Sol veroni trionfando al tempio i voti. Così diss* egli ecc. > [Canto III.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 03 e fu il concetto bollissimo e molto ben spiegato ; ma qui dove si dice : Quando Goffredo entrò, le turbe alzaro La voce assai più debile e loquace, quell’aggiunto di loquace è a sproposito affatto, e essendo nel fine del verso, si vede esservi posto per servire alla rima, il che accresce il difetto. L’ altro verso seguente : Ma con volto nè torbido nè chiaro, non è anche il miglior concetto del mondo, essendo che non dice cosa alcuna, nè mostra affetto alcuno in Goffredo. L’ultimo verso di io questa stanza credo che riusceria meglio se dicesse : Le luci ebbe tenute, così disse, per 2 ragioni : 1’ una, perchè così si sfugge di metter la particola sì in cambio di così, il che credo che sarà sempre ben fatto, e in par¬ ticolare dove si cerca di metter 1’ affetto ; l’altra, perchè essendosi nel principio dell’antecedente verso detto E poi che, questa altra par¬ ticola alfìn vi è posta senza necessità. Si potria poi seguitar di leggere l’altre 3 stanze seguenti (,) , e le dette dell’Ariosto, c. 43, st. 109 etc. <2> St. 75, v. p.°, 2 {i) . Arei voluto sentire l’esortazione che quei ta- glialegne, quei fabbri e quei legnaioli, si facevano l’un l’altro, ina- 20 ninnandosi a tagliar via da valentomini ; nè meno mi saria dilettato il conoscer in particolare quei che madrigaleggiavano così gentil¬ mente : Or su via, allegramente, che si faccino al bosco inusitati oltraggi ! 0 pulito, o pulito! W Vedi la nota 4 della pag. 02. <*> Sfc. 100-174. Levanti, al ritornar del Paladino, Maggiore il grido, c raddoppiatisi il pianto . Orlando, fatto al corpo più vicino, Senza parlar stette « mirarlo alquanto, Pallido come colto al matutinn È da sera il ligustro o il molle acanto ; E dopo t4vi gran sospir, tenendo fisse Sempre le luci in lui, così gli disse : 0 forte, o caro, o mio fcdcl compagno, Che qui sei morto c so che. vivi in Cielo, E d‘ itila vita (' hai fatto guadagno, Che noli ti può mai tor caldo tu'! gelo ; Perdonami se leu vedi eh’ io piagno, Perché d' esser rimato mi querelo E eh’ a tanta letizia io non non (eco. Non già perché qua giù tu no» eia meco. Solo senza te son ecc. W L’un raltro essortn che le piante atterri, E faccia al bosco inusitati oltraggi. IX. 12 94 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [CANTO 1V.J Vedi pag. 100 [pafi- 101]. Pag. 107 [pati. 125]. CANTO IV. St. 4, v. V, 8 m . Fra le considerazioni che si devono avere intorno al decoro della pittura, una è di grandissimo momento, la quale ri¬ chiede che le attitudini e le disposizioni delle figure non vengano, contro a quello che ricerca l’istoria, a rappresentare atti osceni o disonesti : nel qual errore incorse Michelagnolo Bonarroti nell’ ac¬ comodare, nel suo Giudizio, S. Caterina nuda con S. Biagio dietro, disposti in attitudine oscenissima ; e io mi ricordo veder rimuover in Pisa, da una chiesa principale, una tavola, entrovi dipinto S. Michele col demonio sotto, pur in un atto disonestissimo: ben che questo e io quello si può credere esser più per inavvertenza, che per elezione, stato da i loro artefici figurato. E come questo è vizio notabile in pittura, così devono biasimarsi in poesia quei concetti spiegati in ma¬ niera, che possono, a chi gli legge, rappresentare costumi o azioni in¬ decenti, ancor che ben si conosca altro essere stato inteso dall’ au¬ tore. E di tali difetti molti ne sono in questo poema, commessi per troppo grande inavvertenza deH’Autore, come è questo del presente verso, il quale non può appresentarci senza oscenità l’aggirarsi dietro altrui immensa coda; e come anche poco più abbasso sentiremo Armida dire, suo padre essersi ricongiunto in cielo con sua madre, st. 44 , 20 e Clorinda ricongiungersi con Argante, c. 12, st. 42 (3) . Lascio star lo scuoter della verga, che fanno più volte li due mandati al riscatto di Rinaldo (4) ... E a chi non si rappresenterà alla fantasia cosa sporca o 11. innavvertenza — W F lor (ai demoni) s'aggira dietro immensa Che, quasi sferza , si ripiega a snoda, [coda, (5) Ma il primo lustro a pena era varcato Dal dì eh 9 ella spogliassi il mortai velo, Quando il mio gcnitor, cedendo al fato , Forse con lei si ricongiunse in Cielo. w . c perche il tempo giunge C/della deve ad effetto il vanto porre, Parte, e con quel gucrricr si ricongiunge Che si vuol seco al gran periglio esporre. 0 . XIV, st. 73 : A piò del monte, ove la maga alberga, Sililando strisciar nuovi pitoni, F cinghiali arrizzar V aspre lor terga, Fj aprir la gran bocca orsi e leoni Vedrete; ma scotcndo una mia verga, Temeranno appressarsi ove ella suoni. 0. XV, st. 49: Egli scote la verga aurea immortale, Sì che la belva il sibilar ne sente; F impaurita al suon, fuggendo ratta, Lascia quel varco libero, c s f appiatta. Vedi anche c. 14, st. 33, e c. 13, st. G (cfr. pag. 125, lin. 2-3). [CANTO IV.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 95 disonesta nel canto.leggerà il grazioso enigma : Qual è quella cosa che è sottile in ver la cima, in mezo grosso, e mostrasi talor così fumante? 01 Nè meno è cosa leggiadra in quello: Sopra scettri e corone alzar la gonna (i) . St. 9 etc.' l]) Questo concilio di diavoli mi par tutto bollissimo ; o ben che non aviamo nel Furioso da farli paralello, potremo non di¬ meno legger quello delle fate, posto nel primo de’ Cinque Canti ag- giunti 01 , dove loro ancora si preparano alla rovina dell’imperio di Fran¬ cia: il quale, ben che non sia di locuzione così culta come questo, nulla io di meno in altre parti 1’ eccede di gran lunga, come in particolare per l’arrivo di esse fato e per la maniera del condursi al collegio, e così ancora per l’invenzione che trova Alcina mentre s’apparec¬ chia alla destruzione, andando a trovar l’Invidia, e poi il Sospetto, tanto mirabilmente descritti (5> . Quello noi che mi dispiace assai in questa diabolica impresa, è il „ Vedi pag. sa * 1 r . . . L [pag. 96, Iln.ll o «eg.], vedere come male i progressi vadino rispondendo ad un così grande , png. A ìos, no A 0 A 0 [pag. 77, Ini. 22 o »og.; apparato, nel quale tutta la regia di Plutone si mette in ordine per {£«; ùo.’un.ìi e Bog.'j machinar sopra l’esercito Cristiano, ma, vienti vedendo, non fanno tra tutti la decima parte di quello che fa la sola Discordia appresso 20 l’Ariosto (,i> ; anzi non saria bastata la diabolica astuzia a smembrar 1’ esercito fedele di quelli che seguirono Armida, se il Poeta, contro ogni decoro, non si fosse resoluto di formare quei suoi avventurieri eroi più vili e effeminiliati che un branco di cagnoli dietro alla ca¬ gna che va in salto <7) . Ma tale non fu già bisogno di formar Rodo¬ monte, per rimuoverlo dall’ assalto di Parigi per ricuperar la sua donna toltagli da Mandricardo, e per levarlo poi totalmente dal campo 1. canto . leggiera «7-2-3. e mostrasi volar così fumante. Nè — 6. paralclo — <«> C. XV, st. 33 e 34 : Lor s’ ofl'rì di lontano, oscuro un monte, Che tra le nubi nascondea la fronte . E } l vedenti poscia, procedendo ovante, Quando ogni nuvol già n } era rimosso , A V acute piramidi sembiante, Sottile in ver la cima, e ’n mezo grosso, E mostrarsi tal or così fumante, Come quel che d’Encelado è su 7 dosso, ecc. <*> 0. XVII, Bt. 77 : Non si vedea virile erede a tanto Beta gg io, a sì gran padre, esser successo . Seguia Matilda, ed adempia ben quanto Difetto par nel numero c nel sesso ; Chè può la saggia c valorosa donna Sovra corone e scettri alzar la gonna. <*) St. 9-19. <*> St. 1-31. <*> C. 1, st. 35, 38-44, 51-53, 108-112; c. 2, st. 7-9, 17-24. w Canti 14, 18, 27. (’) C. 4, st. 27-38,83-96; c. 5, st. 60-66, 69-85. 96 CONSJDERAZTONI AL TASSO. [Canto IV.J Vedi png. 58, 100, 113 [pag.fi3, 104, 108J. Vedi png. 82 [patc. 05, lin. 15 o seg.], png. 43, J05, 110 [png. 77, lin. 22 o «ug.; pog. 104, lin. 0 o seg.; png. 110, lin. 11 o ficg.J Affricano per vedersi della medesima privo e gravemente sdegnato contro il suo re per cotal causa (1> . Alla cui imitazione, si parte .anche poi Rinaldo sdegnato, col mendicare l’occasione dall’insolenza di Gei'- nando, il quale ne resta anche ucciso (ì) , ma non con danno dell’eser¬ cito pari a quello che apportò la morte di Mandricardo e nell’ istesso tempo le mortali ferite di Ruggiero <3) . E quello che ò sommamente meschino. St. 19 etc. (iì Questo poeta, così amico della brevità, comincia l’epi¬ sodio d’Armida, e a far che ne meni via certi soldati, si consumano, per la prima, stanze 162 (5) , alla barba di chi non sa esser breve, io Si. 20 etc. [u) Il peccato di metter mano a molte cose, e poi lasciarle imperfette e come in ai’ia, ò tanto familiare di questo autore, che quasi se li potria perdonare senza aggravio di conscienza, essendo mas¬ sime pur troppo manifesto, peccare esso non per malizia, ma per pura ignoranza. Aviamo già Idraotte, famoso e nobil mago, il qual si risolve di volere essere apparto della gloria per la futura [...] sopra i Cristiani, per la quale agevolare vuol unir le sue genti con l’Egizie e mandar la nipote a debilitar le forze cristiane : ma, scappati la mano, mandata che ha via la fanciulla, non pensa mai più nè a guerre e a unir suo forze, nò a vittorie, e, quel che è peggio, anche 20 a sua nipote, e in somma di lui non si fa più menzione in eterno. Lascio stare il bello avvedimento e onorato costume di re e di nobil mago, di mandare una donzella, sua nipote, in mezo di un esercito La palma de l’impresa al fin riporti, Desia che ’l popol suo, ne la vittoria, Sia de l’acquisto a parte e de la gloria. Ma, perchè il valor Franco ha in grande Di sanguigna villoria i danni teme; [s/imo, E va pensando, con qual arte in prima Il poter de’ Cristiani in parte sceme, Sì che più agevolmente indi s’opprima Da le sue genti e da l’Egizzic insieme. In questo suo pensici 4 il sovragiunge L’Angelo iniquo, e più l’instiga e punge. Esso il consiglia, e gli ministra i modi Onde l’ impresa agevolar sipuote. Donna, cui di beltà le prime lodi Concedea l’Oriente, è sua nipote eco. <" Canti 18, 24, 27. < s > C. 5, st. 15-51. <*> Canti 30, 31. 11 Ma di’ tu, Musa, come i primi danni Mandassero (i demoni) a’ Cristiani, c di Tu ’l sai ; eco. [quai parti : (S) C. 4, st. 19-96 ; c. 5, st. 1-85. ,6 ‘ Reggca Damasco e le città vicine Idraotte, famoso c nobil mago [21) Giudicò questi . Che a l’essercito invitto d’Occidcnte Appai ecchiasse il Ciél ruine c morti ,* Però, credendo che VEgizeia gente [Canto IV.] CONSTDERAZTONI AL TASSO. 97 nimico, essendo ella bellissima, a farsi puttana per forza, dandoli ap¬ presso documenti puttaneschi, e mettendoli essa in esecuzione così so¬ lennemente, come a pena si esercitano su le scuole in Venezia da famosissime ruffiane. E qual gloria vols’ egli sperare di queste sue operazioni eroiche ? Oh bel re, oh bel mago ! Or egli fosse almeno da necessità constretto a mandar sua nipote a offerirsi e a Goffredo e a gli altri, come, appresso l'Ariosto C. 34, st. 11*43. w Poi distingue i consigli ; al fin le dice [(Idraotte ad Armida) : Per la f'e , per la patria, il tatto lice. (3) [24] Dice: 0 diletta mia, . Gran pensier volgo; c se tu lui secondi, Seguiteran gli effetti a le speranze: Tessi la tela , ch’ io ti mostro ordita, Di cauto vecchio essecutrice ardita. Vanne al campo nemico: ivi s 1 impieghi Ogn’ arte feminil eh’ amore alletti; Bagna di pianto e fa’melati i preghi ; Tronca e confondi co 1 sospiri i detti; Beltà dolente e miserabil pieghi Al tuo volere i. piu ostinati petti ; Vela il soverchio ardir con la vergogna , E fa' manto del vero a la menzogna; Prendi (s’esser potrà) Golf redo a l’esca De’ dolci sguardi c de’ be’ detti adorni, Sì eh’a l’uomo invaghito ornai rincresca L’incominciata guerra, e la distorni. Se ciò non puoi, gli altri più grandi adesca ; Menagli in parte orni’alcun mai non torni. Poi distingue i consigli, ecc. (k) Questa a sè chiama, e seco i suoi consigli Comparte , c vuol che cura ella ne pigli . Dice: 0 diletta mia, ecc. 98 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto IV,] St. 30, v.7, 8"\ Queste helleze d*Annida sono molto gentilmente descritte ; solamente mi par che manchi in questa, bocca, lodandola per uscirne l ’aura amorosa : Ma ne la bocca, onde esce aura amorosa, Sola rosseggia e semplice la rosa; alle quali parole subito l’imaginazione ci può così rappresentare cosa grata, come anche da muover nausea, anzi più facilmente questo elio quello: e in certe cose delicate bisogna esser molto discreto, quale era l’Ariosto <2) , che lodò la bocca d’Alcina non per uscir dell’aura, ma sì ben delle cortesi parole e del soave riso. E quello che aggiunse Soia io rosseggia etc. ha un poco dell’ affettato e del languido. Scorgesi in questa descrizione aver voluto gareggiare con l’Ariosto, appresso il quale si possono vedere molte e molte di tali descrizioni intere, come nel c. 7, st. 11, dove descrive Alcina, c. 10, st. 95, dove descrive Angelica ignuda, c. 11, st. 67, dove descrive Olimpia ignuda. E perchè qui sono anche molti concetti particolari, posti in concorrenza, mi piace confrontarli ad uno ad uno, acciò, senza perdimento di tempo in cercarli, si veggano. Tasso : 1. Fa nuove crespe l’aura al crin disciolto, 20 2. Che natura per sò riucrespa in onde ; Ariosto (3) : Per le spalle la chioma iva disciolt.a, E T aura gli lacca lascivo assalto. Tasso : 3. Stassi l’avaro sguardo in sò raccolto, 4. E i tesori d’Amore e i suoi nasconde ; Ariosto, c. 7, st. 12 : Sotto due neri e sottilissimi archi Son due negri occhi, anzi due chiari soli, SO 15. ni. 61 — 28. st. 11 — (1) Vedi le st. 30, 31 riferite qui appresso (t) C. 7, st. 13, riferita qui appresso nel testo, nel testo. W C. 8, st. 36. [Canto IV.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. Pietosi a riguardare, a mover parchi, Intorno a cui par che Amor scherzi e voli, E che indi tutta la faretra scarchi E che visibilmente i cori involi : Quindi il naso per uiezo il viso scendo, Clio non trova l’invidia ove l’emende. 99 Tasso : f). Dolce color di rose in quel bel volto G. Fra l’avorio si sparge e si confonde; io Ariosto 11, : Spargeasi per la guancia delicata Misto color di rose e di ligustri. Tasso : 7. Ma nella bocca, onde esce aura amorosa, 8. Sola rosseggia e semplice la rosa; Ariosto, c. 7, st. 13 : Sotto quel sta, quasi fra due vallette, La bocca, sparsa di natio cinabro : Quivi due filze son di perle elette, 20 Che chiude ed apre un bello e dolce labro ; Quindi escon le cortesi parolette, Da render molle ogni cor rozo e scabro; Quivi si forma quel soave riso, Che apre a sua posta iu terra il paradiso. Mostra il bel petto lo sue nevi ignudo, Onde il foco d’amor si nutre e desta : Parte appar delle mamme acerbe e crude, Parte altrui ne ricopre invida vesta : Invida, ma s’a gli occhi il varco chiude, L’amoroso pensier già non arresta, Clic, non ben pago di belleza esterna, Ne gli occulti segreti anche s’interna; Ariosto, st. 14, c. 7 : Bianca neve è il bel collo, e’l petto latto; Il collo è tondo, o il petto ò colmo e largo ; 16. st. 12 —Zi. st. 13 — Tasso : so (*) C. 7, st. 11. 100 CONSIDERAZIONI AL TASSO. ICANTO 1YJ Due pome acerbe, e pur d’avorio fatte, Vengono e van, come onda al primo nmrgo, Quando piacevol aura il mar combatte. Non potria T altre parti veder Argo : ben si può giudicar che corrisponde A quel che nppar di fuor, quel che s’ascondo. E qui non tacerò il vero senso della comparazione presa dall’onda, mal intesa da molti, i quali stimano che l’Ariosto abbia voluto in¬ ferire che le mamme d’Alcina tremassero a guisa d’acqua, e che, per consequenza, fossero liquide e brutte; ma non è così, perché l’Autore io ha voluto, con la comparaziono dell’ onda marina, esprimere quello alzamento e abbassamento che fa il petto delle donne nel respirare. St. 35, v. <9 (l) . Non so donde abbia quel verbo atterrarsi per ingi¬ nocchiarsi, e ancora più di sotto, c. 12, st. 23 li) ; perchè in Toscana atterrarsi è de’ luoghi che si empion di terra. Vedi pag. 43 (pag. TI], pag. 38 fpng. 73), pag.101 [pag-102). St. 37, v. 3 etc® ] Come di sopra altre volte s* è notato, e come di sotto s’ andrà avvertendo, è di questo autore diletto frequentissimo il far comunemente tutti questi suoi cavalieri creduli, corrivi e leg¬ gieri. Ecco questo Eustazio, a pena ha veduto costei, che scioccamente corre a offerirle tutto quello che può, non solamente la sua spada, 20 ma anche lo scettro di Goffredo ; del che non si può inferire e argo¬ mentare se non che egli fosse o un frappatore e parabolano, o ve¬ ramente un corrivo e tenero di schiena. St. 39 {lk) . Questa narrazione d’Armida è tutta buona, eccetto alcune poche cosette che si noteranno, come ò questo scherzo di fede, st. 42 [ ‘ 6 \ 13. atterrarse — (Eustazio): È ben ragion eh*a l' un Ualtroti guidi,e intercesso)' ti sia. [germano Vergine bella, non ricorri in vano, Non è vile appo lui la grazia mia: Spender tulio potrai, come t'aggrada, Ciò che vaglia il suo scettro 0 la miti spada. <9 St. 39-64. (5) Ma se la nostra Fè varia ti move A disprczzar forse i mici preghi onesti, La fè, c'ho certa in tua pietà, mi gitwe; Nè drillo par eh 1 ella delusa resti. (| ) Donna, se pur tal nome a te conviensi, Chè non somigli tu cosa terrena, Qual tua ventura, 0 nostra, or qui ti mena ? Falche sappia chi sci, farcii 1 io non erri Ne l'onorarti, e, s'è ragion, in*atterri. W D* una pietosa istorici e di devote Figure la sua stanza era dipinta. Quivi sovente ella s* atterra, e spiega Le sue tacite colpe, e piange e prega. [Canto IV.l CONSIDERAZIONI AL TASSO. 101 il qual mi par fuor di tempo e che levi 1’ affetto e il verisimile : e io, quanto a me, sentendo dire a una donna di questi madrigaietti in simili occasioni, la piglierei a sospetto, e giudicherei che ella fosse bene a bottega, e esercitata nel mostiero. St. 43, v. 7, . Parlate basso, madonna Armida, eh’ è vergogna a dire che vostro padre, non contento de’ congiungimenti che aveva avuti in terra con vostra madre, andasse ancora a ricongiungersi in Cielo con lei. L’Ariosto disse in simil proposito <4> : Fé’ Palma casta al terzo ciel ritorno, E ’n braccio al suo Zerbin si ricondusse. St. 57, v. p .° (5> Resta alquanto duro questo verso, se non vi si mette io. 20 v. 7, 8 (C) . Armida, tien le carte basse, se tu non vuoi essere sco¬ perta per una tristerella. Questo far mona schifa il poco, non fa per te. St. 61, v. 7, 8 <7) . Lascia stare i madrigaietti, in buon’ora! cara putta, tu ti scoprirai per scaltrita, e sì sconcierai l’uova nel paneruzolo. 7. viarriola —12. v. 4, 5. Parlate — 21. far moia schifa il poco — 23. nuova — Costei (la madre) col suo morir quasi prc - [venne Il nascer mio; eli 1 in tempo estinta giacque, Ch* io fuori uscia de V alvo: e fu il fatale Giorno, eh 1 a lei diè morte , a me natale . W G. 13, st. 4-31 ; c. 9, st. 22-5G ; c. 34, st. 11-43. w Ma il primo lustro a pena era varcato Dal dì eh 1 ella spogliossi il mortai velo, Quando il mio genitor, cedendo al fato, Forse con lei si ricongiunse in cielo. « C. 29, st. 30. Disse eh 1 Arante uvea con doni, spinto, Fra sue bevande a mescolar vencno ccc. Ahi, che fiamma del ciclo anzi in me scenda, Santa onestà, ch } io le tue leggi offenda. W F ben quel fine avrà V empio desire, Che già il tiranno ha stabilito in mente; JSsaran nel mio sangue estinte Vive, Che dal mio lacrimar non fumo spente, Se tu no y l vieti. A te rifuggo, o sire, Io misera fanciulla , orba, innocente: E questo pianto, ond 1 ho i t uoi p iedi aspersi, Vagliami sì, che 7 sangue io poi non versi. IX. 13 102 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto IV.] St. 64 (1) . Par che quell’insana poco lavori, e ci stia per far numero. Vedi png. 83, 43, 98 [pug. 73, 77, lód]. St. 66, v. 3, 4 85 . Eccovi a fare assegnamenti in aria. Quando io ho detto mille volte che questo poeta forma questi suoi eroi tutti creduli e corrivi e di poca levatura, vorrei che mi fosse creduto. Co¬ mincia Goffredo a far assegnamenti su le genti su 1’ armi e su i te¬ sori, che anno ancora a essere, d’una fanciulla di fè contraria e di chi si può stimare aver a lui fatta una tale offerta, come s’ usa, per cirimonia. Son cose che anno del poco pratico, e non del soldato o cortigian vecchio. St. 70 etc . <3> Donna disperata, che si duole della perfidia e dureza io del suo destino : senti in paragone Angelica appresso l’Ariosto, c. 8, st. 38, 39 etc. U) <» Anzi un de’ primi, a la cui fé commessa E la custodia di secreta porta, Promette aprirla, c ne la reggia stessa Porci di notte tempo; c sol m f esserla di' io da te cerchi alcuna aita , e in essa, Per picciola che sia, si riconforta Piò che s'altronde avesseun grande stuolo: Tanto V insegna estima c’I nome solo. Ciò detto tace, e la risposta attende ecc. W Nè pur V usata sua pietà natia Vuol che costei de la sua grazia degni; Ma il more util ancor : ch’util gli fui Che ne V imperio di Damasco regni Chi, da lui dipendendo, apra la via Ed agevoli il corso a i suoi disegni, E genti cil arme gli ministri ed oro Conira gli Egizzi c chi sarà con loro. W A quel parlar chinò la donna, e fisse Le luci a terra, e stette immota alquanto; Poi solle volle rugiadose, e disse, Accompagnando i ftchil atti al pianto: Misera! cd a quid (dira il Cicl prescrisse Vita mai grave ed immntabil tanto, Che si cangia in altrui mente c natura, Pria che si cangi in me sorte sì dura ? Nulla speme più resta; in van mi doglio: Non han più forza in umanpetto ipreghi, Porse lece sperar che 7 mio cordoglio, Che te non mosse, il reo tiranno pieghi? Nè già te (V inclemenza accusar voglio, Perdi ’ il picciol soccorso a me si neghi; Ma il Cielo accuso, onde il mio mal discen - Che *n tepictate inessorubil rende. | de, Non tu, Signor, nè tua boutade è late; Mal mio destino è che mi nega aita: Crudo destino, empio destin fatale, Uccidi ornai questa odiosa vita. Ij avermi priva, ohimè, fu picciol male l)e' dolci padri in loro età fiorita, He non mi vedi ancor, del regno priva, Qual vittima al coltello andar cattiva. Che, poi che legge d 1 onestate c zelo Non vuol che qui sì lungamente indugi, A cui ricovro in tanto? ove mi ceto? 0 quai contra il tiranno avrò rifugi? Nessun loco rinchiuso è sotto il cielo, di'a lor non s'apra: or per diè fa ufi indugi. ? Veggio la morte, e se 7 fuggirla è vano, Incontro a lei n' andrò con questa mano . Qui tacque; ecc. Quando si vide sola in quel diserto, Che a riguardarlo sol mcltea paura , Ne l'ora chit nel mar Film coperto 1/ aria e la len a uvea lasciala oscura, Fermassi, in allo c* avria fallo incerto Chiunque avesse visto sua figura, 8'ella era donna sensitiva e vera, 0 sasso colorito in tal maniera. Stupida e fissa ne l'incerta salina, Co i capelli disciolti e ralvflati. Con le man giunte . In queste 4 stanze si giostra a campo aperto con l’Ariosto, c. 11, st. 65 (2) , nell’esprimere effetti d’amore nati da bella donna e lacrimosa, come era Olimpia. St. 82, v. 8, 4 Vorrei che qualche persona litterata, di quello che ammirano questo poema, mi dicesse se questa locuzione circondare e premere co’ preghi è ciceroniana o vergiliana, e mi mostrasse in che consiste la sua eleganza, perchè da per me non la so capire, anzi, al mio poco giudizio, eli’ è storpiatissima e sciocchissima. St. 90, v. 2 <4) . Che diremo, litteratino, di questa locuzione così io graziosa, di compartire e fingere gli atti e ’l volto? 1. St. 75, 76, 77, 74. In — 4. v. 4,5. Vorrei — 5. amirano — 10. e figurare gli atti — Tutti inclinati nel tato danno i fati. Immota, e come attonita, stc' alquanto ; Eoi sciolte al duol la lingua e gli occhi al pianto. JJicea : Fortuna, che. più a far ti resta, Perchè di mo ti Basii e ti disfami / Che dar ti posso ornai più, OCC. w Qui tacque; c parve eh 9 un regale sdegno E generoso V accendesse in vista : EH piè volgendo, dipartir fé 1 segno, Tutta ne gli atti dispettosa e trista. IL pianto si spargea senza ritegno, Condirà suol produrlo, a dolor mista; E le nascenti lagrime, a vederle, Erano a i vai del sol cristallo e perle. Le guance asperse di (pie' vivi umori Che giù cadeau sin de la veste al lembo, Parcan vermìgli insieme e bianchì fiori, Se pur gli irriga un rugiadoso nembo, Quando su Vapparir de 1 primi albori Spiegano a Vaure liete il chiuso grembo; E V alba, che li mira e se ri appaga, L’adornarsene il crin diventa vaga. Ma il chiaro umor, che di sì spesse stille Le belle gote e ’l seno adorno rende, Opra eff etto di foco, il qual in mille Petti serpe celato, e vi s ’ apprende. 0 miraeoi d 1 Amor, che le faville Traggedclpianto, e i cor nel’acqua accende! Sempre sovra Natura egli ha possanza, Ma in virtù di costei sè stesso avanza. Questo finto dolor da molti elice Lagr ime vere, e i cor più duri spetra. Ciascun con lei s’affligge, e fra sè dice: Se mercè da Goffredo or non impetra, Ben fu rabbiosa tigre a lui nutrice, E ’l produsse in aspr’ alpe orrida pietra, O V onda, che nel mar si frange e spuma : Crudel, che tal beltà turba c consuma. Fra il bel viso suo quale esser suole l)i primavera alati la volta il cielo, Quando la pioggia cade, e a un tempo il eole Si sgombra intorno il nnbiloso velo : E come il rosignuol dolci carole Mena ne i rami aliar del verde stelo. Codi a le belle lagrime le piume Si bagna Amore, e gode al chiaro lume, E ne la face de begli occhi accende L’ aurato strale, e nel ruscello ammorza, Che tra vermigli e bianchi fori scende: E temprato che l’ha, tira di forza Cantra il garzon, che nè scudo difende, A'è maglia doppia nè ferrigna scorza ; Chv mentre a mirar sta gli occhi e le chiome, Si sente il cor ferito, e non sa come. w Così favella (Eustazio) ; e seco in chiaro Tutto l’ordine suo concorde fremc ; [smo/ìo E chiamando il consiglio utile e buono, Co’preghi il Capitan circonda e preme. < 4 ) Stassi tal volta ella in disparte alquanto, E ’l volto e gli atti suoi comparte e finge, Quasi dogliosa, e in fin su gli occliiil pianto Traggo sovente, e poi dentro il respinge: E con quest’arti ecc. 104 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto V.) St. 94 Vergine modesta e vergognosa in occasione di arrossirsi: vedi l’Ariosto, c. 10, st. 98, 99 (2) . CANTO V. St. 4 i3) . Avendo Goffredo nelP antecedente stanza voluto dissua¬ dere a quei cavalieri la partita con Armida, mostrandosi desideroso di ritenergli, o che almeno differiscano tal aiuto, non doveva ora metter loro in bocca le scuse e le risposte per le quali possino atterrare le persuasioni da lui fatteli. Vedi png. 43, ss, 89 St. 5, v. 3 (w . Qui dà ordine Goffredo che si deva far un successore [pug.77.lm .22«M8d i ,• . , ...... . .. pug. ss. i». ìjoBcg.; a Dudoae, che sia capo de gli avventurieri; ma pero, che io mi ricordi, io pQg. «6, Hll. 11 o Big.] 7 JT O 7 A non se ne fa poi altro, seguitando pur il Poeta di propor molte cose le quali poi gli cascano della mente e si smarriscono nella penna. Vedi pag. 58 , 89 ,107 St. G 1 Ben vuo’ che pria facciate al duce spento Successor novo, e di voi cura ei prenda. w Così disse Goffredo ; e ’l suo germano, Consentendo ciascun, risposta diede: Sì come a te conviensi, o Capitano, Questa lenta virtù, che lunge vede, Così il vigor del core e de la mano, Quasi debito a noi, da noi 6i chiede , » t [Canto V.] CONSIDERAZIONI AD TASSO. 105 di replicar questo suo germano a Goffredo altre ragioni, avendo già ottenuto quello che insieme con gli altri desiderava. St. 8, v. 7 W . Perchè chiama rivale Rinaldo, il quale non ha polo che pensi ad Armida? St. 10, v. 3, 4 (2> . Pagherei una bella cosa che venisse occasione di contender del pregio di battaglia, per vedere se il maggior Buglione non sdegnasse chiamarsi minore di Rinaldo. Oh che pensieri, oh che discorsi rari, che vengono in mente a questo nostro poeta ! v. 5, 6 a) . Dunque il pregio e ’1 merito detto di sopra di Rinaldo io non serviria a niente, quando non si obligasse ad eleggere costui per uno de’ campioni della Sira. E si costuma tra gli eroi metter così in mercanzia la collazione de’ gradi, con vergogna e indegnità del com¬ pratore e del mercatante ? St. 15 etc. a) Parlo teco, o ammirator della brevità di questo poeta, e dicoti che per il contrario è lunghissimo e sterilissimo, e che con¬ suma le decine e le cinquantine delle stanze in cantar quello che con S o 4 solamente poteva e doveva essere spiegato. Cominciati di qui, e numera insino a 60 stanze, e leggile, e sappimi dire se altro ci si contiene che l’uccisione di Gernando e la partita di Rinaldo. 12. de' Grandi, coti — E sarta la matura tarditate, Ch } in altri è provulenza, in noi viltate . E poi clic 7 rischio è di sì leve danno Posto in lance col prò che 7 conir apesa, Te per mettente, i dicci eletti andranno Con la donzella a V onorata impresa . Così conclude ecc. %*> Ma il più giovin Buglione, il qual rimira Con geloso occhio il figlio di Sofia, La cui virtuic invidiando ammira, Che } n sì bel corpo più cara venia, No’l vorrebbe compagno,cal cor gli inspira Cauti pensicr V astuta gelosia ; Onde, tratto il rivale a se in disparte, ecc. (2) Te t la cui nobiltà tutV altre agguaglia, Gloria e merito d'opre a me propone; Nè sdegnerebbe in pregio di battaglia Minor chiamarsi anco il maggior Buglione. 0) [9] 0 di gran genitor maggior figliuolo, Che 7 sommo pregio in arme hai giovanetto, [IO] Te, la cui nobiltà luWaltrc agguaglia, Gloria e inerito d'opre a me propone, Te dunque in duce bramo, ove non caglia A te di questa Sira esser campione. [11] Or io procurerò, se tu no 7 neghi, Ch' a te concedati gli altri il sommo onore. Ma perchè non so ben, dove si pieghi E irresoluto mio dubbioso core, Impetro or io da te, eh' a voglia mia 0 segua poscia Armida, o teco stia. <*> St. 15-59. Vedi png. 100 [png. 104). 10G CONSIDERAZTONI AL TASSO. [Canto v.] St. 30, v. 2 (,) . Questo drìzare e compartire i colpi mi par elio abbia molto più del trinciante che del combattente : pur mi rimetto al giudizio de’ più intendenti. Panni oltre a ciò, che Ilinaldo abbia avuto assai gran manifattura in ammazzar costui, il quale non si sente che si riparasse pur d’ un colpo, nò anche che fosse qualche gran campione ; e non dimeno altre volte sentiremo che il mede¬ simo Rinaldo farà grandissima strage di valorosissimi soldati con poca fatica. Vodipng.no St. 32, v. S m . In effetto si conosce troppo manifestamente che li [pag. 107]. ; , .... eroi di questo poeta son pure finzioni, perchè il più delle volte, quando io parlano, si sentono risposte o interrogazioni molto più pedantesche, languide e gonfie, elio eroiche o altiere, come appunto è la presente... E chi si figurerà un capitano così grande sopraggiugnere in un tal luogo e a tale spettacolo, e elio formi tali parole, Chi fu questo, che ardì cotanto e fece cotanto, qui dove men lice ?, credo che si leverà a riso, e si stimerà colui non vero re o capitano, ma un Piombino, o inesser Zanobio, con tal abito vestito. St. 36 (:J) . Tutte queste scuse e cautele di Tancredi son fuor di tempo, perchè Goffredo non ha ancor parlato, nè dichiarato che voglia di Rinaldo prendere il gastigo comune, o ciò che voglia fare ; sì che 20 Tancredi si fa paura da sè stesso, senza proposito. 19. dichiarato de voglia — 9) E con la man, nc V ira anco maestra, Mille colpi ver lui drizzaccompartc( Rinal- Or al petto, or al capo, or a la destra [do). Tenta ferirlo, or a la manca parte; E impetuosa e rapida la destra È in guisa tal, che gli occhi inganna e Vartc; Tal eh 9 improvisa e inaspettata giunge Ove manco si teme, c fiere c punge. Nè cessò mai sin che nel seno immersa Gli ebbe una volta e due la fiera spada . Cade il meschin su la ferita, e versa Gli spirti e Vahna fuor per doppia strada. (2) Tratto al tumulto il pio Goffredo in tanto, Vede fiero spettacolo improviso : Steso G oliando, il croi di sangue e’I manto Sordido e molle, cpien di morte il viso: Ode i sospiri e le querele e 7 pianto, Che molti fan sovra il gucrricr ucciso. Stupido chiede: Or qui, dove men lece, Chi fu eli' ardì cotanto e tanto fece? (3) [35] Goffredo ascolta , e in rigida sembianza Porge più di Umor che di speranza. Soggiunse allor Tancredi: Or ti. sovegna, Saggio Signor, chi sia Rinaldo, e quale; Qual per sè stesso onor gli si convegno, E per la stirpe sua chiara c regale, E per Guelfo, suo zio. Non dee chi regna Nel castigo con tutti esser eguale : Vario è V istcsso crror ne 1 gradi vari, E sol V egualità giusta è co } pari. [Canto V.J CONSIDERAZIONI AL TASSO. 107 St.37 , v . 7, <9 (n . Questi eroi son da burla, come ho dotto: non Vedipag.ios 7 ' w ' [pag. 10(Jj. sanno fare il capitano o il re; son duchi da Potenze: e che ciò sia vero, attendasi a i lor progressi, pensieri e discorsi. Ecco qua Gof¬ fredo, che comincia a dire di non volere esser più re. E che indi¬ gnità da fanciulli son queste ? Non ci mane’ altro che e’ cominci a pianger, bamboccio ! Si. 52 <2) . Yeggasi in paragone la partita di Rodomonte sdegnato, o la grandeza de’ suoi pensieri, c. 27, st. 125, 126 St. 54, v. . Perchè le parole di questo verso son capaci di duo sensi contrari, si potria, per fuggire P ambiguità, dire : Senza farne repulsa, ove 1* udiva. 1G. ove V tuli a — (,) Risponde il Capifan: Da ipiù sublimi Ad ubidire imparino i più bassi. Mal, Tancredi , consigli, c male stimi, Se vuoi che i grandi in sua licenza io lassi. Qual fora imperio il mio, s’ a vili cd imi, Sol duce de la plebe , io comandassi ? Scettro impotente, c vergognoso impero, Se con tal legge è dato, io più no 1 1 chero. <*) Parte (Rinaldo), e porla un desio d’eterna [ed (dina Gloria, eh'a nobil core è sferza e sprone; A magnanime imprese intent’ha Volino, Ed insolite cose oprar dispone: Gir fra i nemici; ivi o cipresso o p(dota Acquistar per la Fede ond’è campione; Scorrer VEgitto, e penetrar sin dove Fuor d’incognito fonte il Nilo move. ( 3 l li Suranin non uvea manco sdegno Contro il uno re che cantra la donzella, E enei di ragion /lassava il segno Biamnando lui, nome bìasmando (/nella : Ila demo di veder che sopra il regno Li cada tanto mal, tanta procella, Che in Africa ogni cosa si funesti, Nè pietra salda sopra pietra resti ; E che spinto del regno t in duolo c in lutto I iva Agra mante, misero e mendico ; E eh* esso sia che poi li renda il tulio E lo riponga nel suo seggio antico, E della fede sua produca il frutto, E li faccia veder eh* un vero amico A dritto c a torto esser dovea preposto, Se tutto 7 mondo se li fosse opposto. W Ma Goffredo con tutti è duce eguale. W Ma fra noi, che gucrricr slum di ventura , Senz'alcun proprio peso, e meno astrett i A le leggi de gli altri, eoe. (fi) 2fon fia eh’ involontarii io vi ritegno, Ma sia con esso voi, coni’ esser deve, Il fren del nostro imperio lento e lieve. W Anima non polca, d’in famia schiva, Voci sentir di scorno ingiuriose, E non farne repulsa , ove Vudiva. 108 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto V.] Vodi p«g. 132 St 69, v. 3, 4 Confesso la deboleza del imo cervello, metto a cavar tp»g.Ili, Un.6-8]. >’ . „ , , , . . il senso di questi due versi, e aspetterò che altri ine lo spianino. St. 85 E a qual migliore occasione serbate voi, Sig. Tasso, la com¬ parazione de’ cani dietro alla cagna che va a cane ? Quanto bene ci calzerebbe ! Veggonsi quelli ancora comparire chi di qua, chi di là, mirarsi 1’ un P altro bieco e torto, i primi voler mordere gli ultimi ; e in somma tutte le cose rispondono, sino all’ esser così privi di di¬ scorso e di vergogna, che, a guisa di bestie, si muovano a seguitar la diva, quasi sperando che ella sia per aver una fontana inesausta, da saziar una comunità : atto veramente tanto vergognoso, che io non io credo mai essersene veduto esempio. St. 85. Ci s’ è pur levata dinanzi questa madonna Armida, dopo l’aver fatto consumar 109 stanze <:l> a questo nostro poeta in raccontar come ella rimovesse dal campo alcuni avventurieri. Il che sia detto per quei che celebrano tanto la brevità di questo autore, oltre tutti i segni lungo. St. 86 !4> . Massaggierò afflitto, apportator di triste novelle, descritto dall’Ariosto, c. 16, 86 (8) . Vedi pag. 68, 89,10G [pag. 83,9«, 101). St. 92 <,1) . Ecco qua la brevità tanto stimata di questo poeta ! Ancor¬ ché Goffredo sia da molti gravi pensieri travagliato, sì del provedere 20 nutrimento a tante e sì varie genti in tanta penuria di vettovaglia, [f>8| Scelga la tua pietà fra i tuoi più forti Alcuni pochi, c meco or or gV invia [<>9] Così diceva (Armida); c } l capitano ai Quel che negar non si polca, concede, [detti Se ben, ov } ella il suo partir affretti, In sè tornar V elezzion ne vede. w [84j Così parlando (Armida), ad or ad or Alcun novo campion le sor venia. [tra via Chi di là giunge, e chi dì (pia, nè Vuno Sapea de V altro, e ’l mira bieco e torto. Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno Mostra del suo venir gioia c conforto. w C. 4, at. 74-96; c. 5, st. 1-85. lk) Mentre a ciò pur ripensa (Goffredo), un [messo appare Polveroso, andante, in vista afflitto, In atto d’uom clC altrui novelle amare Porti, e mostri il dolore in fronte scritto. Disse costui: Signor, tosto nel mare La grande armala apparirà (VEgitto; eco. A luì (Carlo) ««ime ti» scudier pallido in volto, Che potea a jiena' trar dal petto il Jìato. Oimi, Signor, oimi, replica molto, Prima c 'alida a dir altro incominciato ; Oggi il romano imperio, oggi t? sepolto, Oggi ha il suo popol Cristo abbandonato, OCC. w Con questi detti le smarrite nienti Consola (Goffredo), c con sereno e lieto [aspetto; Ma preme mille cure egre c dolent i Altamente riposte in mezo (tipetto: Come possa nutrir sì varie genti Pensa, fra la penuria c fra 7 difetto; Come a l'armata hi mar s 1 opponga, e come Gli Arabi predatori affreni e dome. * [Canto VI] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 100 come del trovar modo per opporsi in mare all’ armata Egizia e come reprima gli Arabi predatori, niente di meno, per servare la brevità, non si parla o si pensa mai più di vettovaglie, non di armate, non d’Arabi o d’altra provisione: basta consumar 100 stanze e più in rac¬ contar quattro tiri puttaneschi di Armida, e in descrivere la vigliac¬ cheria di 50 campioni in abbandonar l’esercito e 1’ onor loro per correrle dietro, che tutto poteva in G stanze essere spedito ; e 1’ altre, quanto sariano state meglio impiegate in far nascere occasione di qualche battaglia navale, o di qualche tempesta, onde ne fosse inali¬ lo cata la somministrazione delle vettovaglie, o qualche simile altra im¬ presa grande, e non andarsi perdendo o consumando in bagattelle di niente. Orsù distrighiamoci, di grazia, da queste cose, e andiamo a sentire nell’altro canto le belle prodeze di Tancredi. CANTO VI. St,. 7 etc. w Non si può in effetto dire che questo Argante non sia uno inconsiderato e niente intendente del mestiero di che fa profes¬ sione. Come diavolo andare a persuadersi che Goffredo avesse mosso un esercito di quella sorte, e dopo tante fatiche si fosse condotto sotto Ierusalemme, e poi di secco in secco fosse per rimettere nella 20 fortuna o nel valor d’un solo la somma di così grande impresa ? Foi •se che aveva per molti assalti e per molte battaglie esperimentata dubbia la sua potenza, di sorte che, stracco e consumato 1’ esercito, deva desiderar di liberarsi da così lungo tedio, come con molta con¬ siderazione e giudizio fu risoluto di fare da Carlo ed Agramante, sì come si vede leggendo nel c. 38 dalla st. 37 sino alla st. 67 ? Ma Goffredo era arrivato quivi allora; non si era ancor fatto, si può dir, cosa alcuna: e questo altro va a imaginarsi, che possa esser che ei 5-6. vigli aduna — (*) Ma se nel troppo osar tu (o Aladino) non E pcrch* accetti ancor più volontieri [isperi, Il capitan de' Franchi il nostro invito , Nè sci (V uscir con ogni squadra ardito, L’ arme egli scelga c } l suo vantaggio toglia , Procura alinoti, che sia per duo guerrieri E le condizioni formi a sua voglia. Questo tuo gran litigio or difinito. ix. 14 110 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto VI ] sia per rimetter sì gran negozio in un solo, o che pur anche Aladino fosse per accettar simil offerta ! E perchè accetti ancor più volentieri etc. Seguita l’Autore d’aggiu- guere impertinenza sopra impertinenza. Quando pure si fosse deter¬ minato di mandar a offerire questo partito a Goffredo, a che proposito disprezare i vantaggi? In tutti i giuochi di fortuna è grandissima imprudenza mandar di primo lancio 1’ offerta dell’ elezion dell’ armi e della forma de i patti. Sig. Tasso, questi negozi non si trattano in tali occasioni, nò in questa maniera. Leggete l’Ariosto nel luogo ci¬ tato, e vedrete le cause urgenti dell’ una e dell’ altra parte ; e in oltre io Vocìi png. 43,83, imparerete a non promuover le cose che poi non si fanno, consumando [pag.u,ii’n .22 e oeg.; alcune stanze in propor quello che poi non serve a nulla. Ma questo pag. 05, ita. 15 0 Htjg.; j. j. a a pUb! 104 ,'iìu. 1 » o «oifj! a voi è troppo familiare ! fosse egli pure in questo luogo solo, o non in molti altri e d’ assai maggior momento ! St. 13 (1) . Eccoci alle fanciullaggini : non vuol più esser campione d’Aladino, perchè egli confida in Solimano. Non si parla così tra i principi grandi: questi son progressi convenienti a i fattori de’se- taioli, quando fanno il duca di Carroccio, che, non avendo alcuno di loro compita sodisfazione, dice non voler esser più alfiere, e in somma di non volere far più a quel gioco : e io molto mi maravi- 20 glio che Aladino, sentendosi parlare con questo disprezo, non gli re¬ plicasse : Se tu non vuoi essere mio campione, va’ col mal anno che Dio ti dia. Non son questi pensier da eroi. E so voi mi dicesse, Quali dunque sono ?, vi manderei da Rodomonte nel c. 27, st. 125 t2) , a sentire quello che dice, sdegnato contro di Agramanto per non l’aver egli, a dritto o torto, voluto preporre a Mandricardo; e letto che voi 1’ avessi, e con infinito stupore della grandeza dell’ animo di G. i guochi di —- 27. avesse, mutato poi in avessi. — Liberator del popolo pagano; Ch'io, quanto a me, bastar credo amo stesso, JE sol vo ’ libertà da questa mano. Or, nel riposo altrui, siami concesso Ch'io ne discenda a guerreggiar nel piano; Privato cavalicr, non tuo campione, Verrò co' Franchi a singoiar tenzone. t2) Vedi pag. 107, nota 3. (l> [12] Forte sdegnassi il Saracino audace, Ch'era di Solimano emulo antico; Sì amaramente ora d'udir gli spiace Che tanto se 'n prometta il rege amico. A tuo senno, risponde, e guerra e pace Farai, Signor : india di ciò più dico ; S'indugipure, e Sóliman s'attenda; FA, che perde il suo regno, il tuo difenda. Vengane a te, quasi celeste messo, [Canto VL] CONSIDERAZIONI AL TASSO. Ili i colui, vi esorterei a ristupirvi di nuovo, e poi a tacere, come dispe¬ rato di poter mai trovar concetti di quella sorte. St. 17, v. 3, 4 (,) . Se io avessi a consigliar questo autore, 1’ esor¬ terei da buon fratello a far parlar questo sue genti manco che sia possibile, e non come egli fa, per opposito, che infinite volte, senza una necessità al mondo, le fa metter il becco in molle, con malis¬ sima grazia ; come al presente accade in questo messaggiero, inter¬ rogando così scioccamente, se tra br si dà licenza di liberi sermoni : maniera di parlare da ricevere un pambollito ne’ denti, io v. 7, 8 {ì) . E pur séguita nella mala grazia, facendosi da un bel- l’introito nel propor la disfida : Vi si parrà adesso se arala o formi¬ dabile sarà l’alta imbasciata; il qual esordio non più un pan bollito ne’ denti, ma quattro buon buffcttoni nel naso, meritava, e di esser rimandato alla scuola a imparar a parlare a suon di staffilate. St. 23 <3) . Concetto snervato, e ampollosamente espresso e con mala grazia. Se vogliamo vedere un’ altiera e terribile positura, leggasi quella di Rodomonte, c. 17, st. 11: Sta su la porta il re d’Algier, lucente elcS St. 36, v.8 { ' ò) . Questa Tutta, qmnt’eli’è grande, è una di quelle 20 locuzioni da farne conserva, acciò non se ne perda la memoria, per¬ chè veramente ha molto del grazioso. St. 27 l0> . Dio mi dia pacienza gliacco, questi son gli atti eroici (,) E poi clic giunse a la regai presenza Del principe Goffredo e de 1 baron i, Chiese: 0 Signore, a i messaggicr licenza Dossi tra voi di liberi- sermoni? w Riprese quegli (il messaggiero): Or si parrà [.se graia 0 formidabil fia l } alla ambasciata. E segui poscia, c la disfida espose Con parole magnificile ed altere. Ivi solo discese , ivi fermosse In vista de’ nemici il fiero Argante, Per gran cor , per gran corpo , epcr granpos- Superbo e minacevole in sembiante; [se Qual 'Encelado in Flcgra , o (piai mostrosse con questo omo! Ah, Tancredi vi- cho tu fai ! ah, esser preposto a Ne l } ima valle il Filisteo gigante. Ma pur molti di lui tema non hanno, Ch'anco quanto sia forte apicn non sanno. O) Sta sulla porta il re d'Ahjìer, lucente Di chiaro acciar, che *l capo gli arma e ’l busto: Come uscito di tenebre serpente, Poi c'ha lasciato ogni squallor vetusto, Del novo scoglio altero, e che si sente Jììngiovenito c. più che mai robusto; Tre lingue vibra, et ha ne gli occhi foco; Dovunque passa, ogni animai dà loco. W Vedi la nota seguente. [ 2(1) Ed a quel largo pian fatto vicino , Ove Argante !attende, anco non era (Tan¬ credi), 112 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto vi.] gli altri per dover andar a reprimere l’audacia d’Argante, esserli affronte, e in cambio d’ andarlo affrontare, fermarsi a far all’ amore ! Oh che eroi ! E forse che non aveva scelto un bel luogo di vagheg¬ giare la dama ! non poteva esser lontano da lei manco di mezo mi¬ glio; essendo che, come dice l’Autore, ei non era ancor fatto vicino a quel largo piano dove stava attendendolo Argante; oltre il qual piano erasi poi, sopra una collina, fermata Clorinda, armata ma ben con la visiera alta. Argante chiama a battaglia; Tancredi ascolta, e fa formicoli di sorbo; finalmente bisogna che un altro, per compassion, si faccia innanzi, e combatta per lui. Ali Dio, Sig. Tasso, eh questi sono io i vostri eroi? ... e chel... al manco questo suo non era un amor vecchio, reciproco e ardente! Amava una che appena l’aveva veduta una meza volta, non li aveva mai parlato, che non sapeva nè anche clic egli fosse al mondo, non che li fosse amante ; o pur costui per lei si fa questo bell’onore! E voi, messer Ariosto, fate che al primo suoli di corno Man- dricardo salti del letto, dove era nudo con Doralice, da cui era stato tanto pregato, e finalmente svolto, a rimetter la pugna che per lieve causa avea promessa a Ruggiero, c. BO, st. 45 H) ; e fate che tanto volte il medesimo Ruggiero e Rodomonte ancora pospongono i fatti loro amorosi al debito di cavaliero onorato. Vedete voi, se aveste potuto 20 legger questo libro avanti la publicazion del vostro Furioso, come molti vanno dicendo, beato voi ! arcsti imparate mille belle cose. St. 31, v. .5 etc. il) Per quanto da questo modo di dire si può ri¬ trarre, questi campioni non si ferivano con le lancio incontrandosi, 15 . bel — 20 . se avesse pollilo — Quando in leggiadro aspetto c pellegrino S'offerse a gli occhi suoi Valla guerriera. Bianche via più che neve in giogo alpino Avea le sopravesti, c la visiera Alta teneri dal volto , e sovra un 1 erta, Tutta, quanto ella è grande, era scoperta. Già non mira Tancredi ove il Circasso La minacciosa fronte al cielo estolle; Ma move il suo destrier con lento passo, Volgendo gli occhi ov’ è colei su ’l colle : Poscia immolli si ferma e pare un sasso , Gelido tulio fuor , ma dentro bolle; Sol di mirar s'appaga, c di baita glia Sembiante fa che poco or più gli caglia. Argante, che non vede alcun ch f in atto Dia segno ancor d r apparecchiarsi in giostra: Da desir di contesa io qui fui tratto, Grida ; or chi viene inanzi, c meco giostra ? Ma V altro, attento quasi e stupefatto, Pur là s'affisa, e nulla udir ben mostra. Ottone innanzi allor spinse il destriero, E ne V arringo voto entrò primiero. Tosto che sente il Tartaro superbo Ck' a la battaglia il suono alticr lo sjìda, Non vuol più de V acordo intender verbo, Ma si lancia del letto et, Arme, grida, E si dimostra ai nel viso acerbo, Che Doralice stessa non si fida Di dirli più di pace nè di tregua ; E forza è injìn che la battaglia segua. (2) Ma intanto a mezo il corso in su V elmetto Dal giovin forte è il Saracinpercosso. [Canto VI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 113 ma si bastonavano su gli elmetti; e il medesimo conferma poco più abbasso, st. 40 (l> . St. 37 clc. iV Non si può veramente negare che questo duello tra Argante e Tancredi non sia buono, e elio in esso l’Autore non meriti lode, della quale non deve esser defraudato ; e olii levasse quelle poche cosette notate, resteria buono affatto. Ma non però voglio che re¬ stiamo di chiamare in paragone l’Ariosto, e che di parte in parte non andiam ritrovando luoghi da confrontargli con questi, non si potendo pigliare un solo abbattimento continovato, che proporzionatamente io a ciascheduna parte di questo risponda: e questo si farà, acciò che i curiosi possali vedere e considerare le differenze tra questi due autori. E prima, occorrendo tra questi due campioni parole avanti che vengano a’fatti <:!) , sentiamo in comparazione parlar Rodomonte e Man- dricardo, c. 24, st. 97 (i) ; e questo duello si potrà anche legger tutto (5) . Parlano ancora Rinaldo e Sacripante, c. 2, st. 3 ((,) , dove è la mirabil comparazione de i cani mordenti, st. 5 <7) . 1). contimioato — 0) Ttupper V aste su gii cimi , c volar mille Tronconi e schegge c lucide faville. < 2 > St. 37-50. O) [37] Fossi (Tancredi) manzi , gridando: \Anima vile , ecc. [38] Tacque; c } l Pagano al sofj'crir poco Morde le Idbra , e di furor si strugge: [uso, Risponder vuol; ma 'l suono esce confuso , . [ecc. [39] Ma poi eh 1 in ambo il minacciar feroce A vicenda irritò Vorgoglio e V ira, ecc. Vedi le note 1 e 3 a pag. 114. 1*1 Quando vicini fur Ve, eh’ udir chiare Tra lor poi fiansi le parole altere. Con le mani e col capo a minacciare Incominciò (/ridando il re d'Algiere, Ch'a penitenza li /aria tornare, Che per un temerario suo piacere jVo» avesse rispetto a provocarsi Lui, eh' altamente era per vendicarsi. Rispose Mandricavdo : Indarno tenta Chi mi vuol impaurir per minacciarme : Così fanciulli o /emine spaventa, O altri che non sappia che sieno arme; Me non, cui la battaglia più talenta V ogni riposo ; e eon per adoprarmc A pii, a cavallo, armato e disarmato, Sia a la campagna, o sia nc lo steccato. Ecco sono a gli oltraggi, al grido, a V ire, Al trar de brandi, al c.rudcl suon de’ferri OCC. 0) St. 99-107. Rinaldo al Saraein con molto orgoglio Gridò : Scendi, ladron, del mio cavallo : Che mi sia tolto il mio, patir non soglio; Ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo : E levar i/ucstu donna anco ti voglio. Chi sarebbe, ti lasciartela gran fallo: Sì perfetto destrier, donna sì degna, A un ladron non mi par che si convegno. Tu te ne menti che ladrone io sia. Rispose il Saraein non meno altiero ; Chi dicesse a (e ladro, lo diria (Quanto io n odo per fonia) più con vero. La prova or si vedrà, chi di noi sia Più degno de la donna e del destriero ; fìenchì, quanto a lei, teco io mi convegno. Che non è cosa ni mondo altra et degna. < 7 ’ Come soglion tal or duo can mordenti, 0 per invidia o per altro odio mossi, Avvicinarsi digrignando i denti, Con occhi biechi e più che bragia rossi. Indi a' morsi venir, dì rabbia ardenti, Con aspri ringhi e rubufiuti dossi; Così a le spade e. da i gridi e da V onte Venne il Circasso e quel di Chiaramonle. 114 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto VI.] St.37 (ì) . Inveisce assai nobilmente qui Tancredi contro alla fel¬ lonia di Argante; ma sentiamo contro simili atti inveir TAriosto, c. 36, st. 8, 9 (2> . St.38, v.3 <3) . Questo effetto di non poter per rabbia esprimere parole distinte si vede in Marfisa oppressa da Bradamante, c. 36, st. 21 14) . St. 40, v. p.° <6> Metter la lancia in resta e dirizzarla in alto, credo, se io non m’inganno, siano atti contrarii. v. 3 eife. (,i> Velocità di corso espressa dall’Ariosto in molti luoghi : c. 15, st. 40 (7) , dove è la descrizione d’un cavai corridore ; c. 23, st. 14 1S) . St. 56 etc. m Questo episodio di Erminia è, al mio parere, difettoso io in molte cose, e in particolare (lasciando per ora di dire che manchi di accidenti maravigliosi, perchè questi non bisogna cercarli in que¬ sto libro, e già se li ammetto e perdona questo difetto di far tutte 1. Noi codice le lin. 1-3 si leggono dopo le lin. 4-5. Fa ssi incinti, gridando: Anima vile, Ch* ancor ne le vittorie infame sei, Qual titolo di laude alto e gentile Da modi attendi sì scortesi e rei? tFra i ladroni d'Arabia o fra simile Barbara turba avezzo esser tu dei. Fuggi la luce, e va' con V altre belve A incrudelir ne' monti c tra le selve. Schiavati crudele, onde fini tu il modo appreso De la milizia? in qual Sci zia *’ intende Ch'uccider si debba un poi eh' egli è preso, Che rende l'arme e più non si difende? Dunque uccidesti lui, perchè ha difeso f.a patria t 11 sole a torto oggi risplende, Crudel secolo, poi che pieno sei Di Ticnti, di Tantali e di Atrei. Desti, barbar crudel, del capo scemo Il più ardito garzon, che, di sua etade. Fosse da un polo a V altro e da l’ estremo Lito de gl'ìndi a quello ove il sol cade: Potea in Antropofago e in Poli fono La beltà e gli ami* suoi trovar pleiade; Ma non in te, più crudo e più fellone D' ogni Ciclope e d' ogni Lestrigone. w Tacque (Tancredi); e'I Fugano, al sofferir [poco uso, Morde le labra, c di furor si strugge: Risponder vuol; ma f l suono esce confuso, Sì come strido d'animai che rugge, 0 come apre le nubi, orni' egli è chiuso , Impetuoso il fulmine, c se'n fugge: Così pareva a forza ogni suo detto Tonando uscir da V infiammato petto . Marfisa a quel parlar fremer «' udì a, Come un vento marino in uno scoglio. (Irida, ma ni per rabbia si confonde , Che non può esprimer fuor quel che risponde. (5> Rosero in resta e dirizzavo in alto I due gucrrier le noderose antenne. Nò fu di corso mai, nò fu di salto, Nè fu mai tal velocità di penne, Nè furia eguale a quella, orni' a l'assalto Quinci Tancredi e quindi Argante venne . Vedi la nota precedente. Lungo il fiume Traiano egli cavalca quel destrìcr, eh' al mondo è senza pare, Che tanto leggiermente c corre e valva, Che ne l'arena l'orma non n* appare; 1/erba non pur, non pur la neve calca, Co i piedi asciutti andar potria su ’l mare; E si si stende al corso, e «ì s affretta, Che passa c vento e folgore c saetta. ,s> Astolfo disse a lei ì che le volea Par Rabican, che ti nel corso affretta, Che ne, scoccando l’arco, si ntovea, Si solca lasciar dietro la saetta. < 9> St. 56-111. [Canto VI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 115 le sue favole freddissime e senza alcuna maraviglia) mi pare clie li manchi il decoro e il verisimile. E prima, che una fanciulla séguiti di amare così lungo tempo uno da chi li è stato occupato il regno, ucciso il padre (e se pur non da lui, almanco da i suoi), di fè diversa, e, quel che importa più, senza esser in amore contraccambiata, manca di verisimile e di decoro insieme. In oltre, che non si essendo ardita di scoprirseli innamorata mentre era in casa sua, anzi che, per conservar P onestà regale che mai non deve esser negletta, come poco sotto vien detto (1) , essendosi io da lui partita e ricovrata in Ierusalemme appresso il re, ora, dopo gran tempo transcorso senza che pur mai Tancredi abbia avuto sen¬ tore di questo amore, ella deva fuggir di dove è ben vista e acca- rezata, e andarsene in mezo d’ un esercito nimico, con pericolo della vita o almeno di esser, come una sfacciatela, disprezata e scacciata, manca parimente di decoro e di verisimile. Il farla stare tutto il giorno sopra una torre, aspettando di vedere, tra mille schiere ar¬ mate, il suo Tancredi, e che bene spesso lo vegga e lo riconosca, ha dell’ impossibile, non che dell’ inverisimile. Che ella si risolva ad in¬ volar 1’ armi ad una guerriera come è Clorinda, non pur pecca nel £o decoro, ma è un far a Clorinda un affronto notabilissimo. St. 61, v. (9 <2> . Mi dà pur la vita questo poeta, con certi brevi discorsi che fa fare a queste sue genti ! E questo Eccolo non vai 4 soldi? e quel riconoscerlo espresso non vale altrettanto? St. 63 (3> . Questo pietoso e affettuoso timore della donna amante, per causa del pericolo che al suo signore soprasta, troveremo in 25. signore sopra sla — E con avidi sguardi il caro amante Cercando già (Erminia) fra quelle annate [ schiere . Cercollo in van sovente , ed anco spesso, Eccolo, disse, e y l riconobbe espresso. (3) Quinci vide la pugna, e *1 cor nel petto Sentì tremarsi in ipiel punto sì forte, Che purea che dicesse : Il tuo diletto È quegli là, eh’ in rischio è de la morte. Così d’angoscia piena c di sospetto Mirò i successi de la dubbia sorte, E sempre che la spada il Pagan mosse, Sentì nell’alma il ferro c le percosse. (!) [57] Ella, vedendo in giovanotta ctate E in leggiadri sembianti animo regio, Pestò presa d'amor . [58] Ben molto a lei d'abbandonar increbbe Il signor caro . Ma V onestà regai, che mai non debbo J)a magnanima donna esser negletta, La costrinse a partirsi, e con Vantica Madre a ricoverarsi in terra amica. Venne a (ìierusalemme, e quivi accolta Fu dal tiranno del paese ebreo eco. CONSIDERAZIONI AL TASSO. (Canto VI.] no molti luoghi espresso dall’Ariosto : e prima, c. 24, st. 67 ' 11 e st. 71 <2> ; in oltre, in tutto il lamento di Doralice, c. 30, st. 31 etc. u ; c. 46, st. Ili li) , 113 (5) , 125 (0) . St. 64 (7) . Afflizion di mente e di cuore per dispiacevoli avvisi : Ariosto, c. 32, st. 35 (8) , dove Bradamante si duol di Ruggiero ; c. 43, st. 157 sino a 164 <, tu tal dolor discese, Che più «ori lo potendo sofferire, Fu forza a disfogarlo , e cotti dire: Miserai a chi mai più creder dell' io f OCC. Tosto eh’ 4M raro, e ch'ella loro il viso Vide di gaudio, in tal vittoria, privo, Eenz altro annunzio sa, senz' altro aviso , Che Brandimar/c suo non é più vivo. Di ciò le resta il cor così conquiso, E così gli occhi hanno la luca a schivo, E coti ogn'altro senso se le serra, Che come, morta andar si lascia in terra. Al tornar de lo spirto, ella alle chiome Caccia la mano ; et a le belle gote. Indarno ripetendo il caro nome. [Canto VI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 117 di Brandimarte ; c. 32, st. 100 (1> , dove Tristano fa fare il paragone, chi fosse più bella, o Bradamante, figlia d’Amone, o Ullariia, donna d’Islanda;-c. 38, st. 70, 71 <2) , dove la consorte di Ruggiero si dole di sentire che il suo marito abbia a combattere della somma di tutta la guerra con Rinaldo, suo fratello. St. 64. v. 7, Son questi due versi molto insipidi, al parer mio: Vedi p«g. m, m . . . t > l I [p,g. 108. lin. 1-2; e quando ben li considero, panni d’intender quello che l’Autore ha p««-ns, iin.3-4]. voluto dire, ma non lo saprei già far dire alle sue pai’ole. St. 65 <4> . Sogno spaventoso di persona innamorata aviamo dall’Ario- ìo sto, c. 8, st. 79 etc. (bl , dove Orlando sogna aver persa la sua Angelica ; 3. Issando, — Fa danno et onta più che far lor puote ; Struccla ì capelli t sparge ; e grida, come Donna tal or che 'l denion rio percoU, () come »' ode che già Già in ogni parte gli animanti lassi Davan riposo a travagliati spirti, Chi su le piume e phi su i duri sanai, E chi V erbe e chi su faggi o mirti : Tu le palpebre, Orlando, a pena abbassi, Punto da' tuoi pensieri acuti et irti ; Nè quel sì breve t fuggitivo sonno Godere in pace anco biadar ti potino. Farei i ad Orlando, »’ una verde riva D‘ odoriferi fior tutta dipìnto. Mirare il bello avorio c la nativa Porpora c aveu Amor di alia man tinta, E le due chiare stelle onde nutriva lo % « 118 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto VI.] c. 43, st. 155 etc. (l) , (love Fiordiligi sogna aver mandata a Brandimarte una vesta ricamata di sangue. Sé. 06, v. 3, 4 . 121 . È il concetto di questi due versi assai stenta¬ tamente spiegato. St. 71 <:l) . Contrasto in mente dubbiosa tra stimolo amoroso e af¬ fetto di modestia abbiamo in Bradamante, a cui pare far male a non obbedir la madre, quantunque Amoro la sforzi poi a maritarsi a Ruggiero, c. 44, st. 39 etc. U) Ne le riti d'Amor V anium vinta : Io jwrlo de' begli occhi e ilei bel volto, Che sci tu già d'orsa vorace, Nò d'aspro c freddo scoglio, o giovanotta , C'àbbia a sprezzar d'A mor Varco e la face, Ed a fuggir ogn' or quel che diletta; Nè petto hai tu di ferro o di diamante, Che vergogna ti sia V esser amante. Deh, vanne ornai dove il disio V invo¬ lgila, ecc. { ' t) Sta Bradamante tacila, uè al dato De la madre s‘ arrìse» a contrudire ; Chè V ha in tal rivcrenziu e in tal ricetto, [CANTO VII.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 119 10 St. 77 [ '\ Questa povera fanciulla si va molto terribilmente inal¬ berando e perdendosi tra questi abbracciamenti, queste madri latine. e questo spose, nè tien un conto al mondo di rinegar la sua fede. St. 81, v. 5, 6 <2) . Dividere e partir V animo in vani pensieri è locu¬ zione pedantesca. St. 94, v. 3 (:1) . Non so che avvenirsi importi abbattersi o incontrarsi; sì come forse non sapeva il Tasso che e’ significasse riuscire e succeder, con grazia. CANTO VII. St. 3, v. 3, 4 (l) . Più leggiadramente e con più affetto disse T Ario¬ sto, c. 7, st. 36 : .o pur meschina Lo va cercando, e per compagni mena Sospiri o pianti ed ogni acerba pena. Che non potria pensar non V obidire. Da V altra parte terria gran difetto , Se quel che non vuol far, volesse dire . Non vuoi, perche non può ; che ’l poco e ’l molto J’otcr di «è disporre Amor le ha tolto f Nè negar, uè mostrarsene contenta, S' ardisce, t sol sospira, c non risponde : Poi quando 3 in luogo ch’altri non la senta, Versati lagnine gli occhi, a guisa d'onde, E parte del dolor che la tormenta, Sentir fa al petto et a le chiome bionde. Che l’un percote, e V altro straccia e frange; E così parla, c così seco piange: Oimè, vorrò quel che non vuol chi devo Poter del voler mìo più che pose’ io t Jl voler di mìa madre avrò in sì lieve Stima, ch’io lo posponga al voler mìo? Deh, (piai peccato puote esser sì greve A una donzella, qual biutmo sì rio, Como questo sarà, se, non volendo Chi sempre ho da ubidir , marito prendo? Avrà, misera me, dunque possanza J.rt materna pietà, ch'io t" abbandoni, 0 mio Ruggiero t e eh’ a nova speranza, A desir novo, a novo amor mi doni? 0 pur la vivereitzia e l’ osservanza Oh’a i buoni padri deano i figli buoni. Porrò da parte, e solo arò rispetto Al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto? So quanto, ahi lassa, debbo far ; so quanto Di buona figlia al debito convicnsi : lo ’l so; ma che mi vai, se non può tanto La ragion, che non possano più i sensi ? S’Amor la caccia e la fa star da canto. Nè lussa eh’ io disponga nè c/t' io pensi Di me dispor, se non quanto a lui piaccia , E sol quanto egli detti, io dica c faccia f ecc. W Parte ancor poi nelcsuc(di Tancredi) lodi [avresti (o Erminia), E ne V opre eh'ei fesse alte e famose, Ond' egli le d' abbracciamenti onesti Faria lieta, e di nozze a venturose; Poi mostra a dito ccl onorata andresti Fra le madri latine e fra le spose , Là ne la bella Italia, ov’è la sede Del valor vero e de la vera Fede. (*) Mentre in varii pensicr divide c parte L'incerto animo suo, che non ha posa ; ccc. Travestiti ne vanno, e la più ascosa Epiit riposta via prendono ad arte: Pur s'rivengono in molli , e Varia ombrosa Vcggon lucer di ferro in ogni parte ecc. i k K Fuggì tutta la notte , c tutto il giorno Errò senza consiglio c senza guida, Fon udendo o vedendo altro d'intorno, Che le lagrime sue, che le sue strida. 120 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto VII.] St. 8, v. 5 (n . Questo è un pastore da recitare in Arcadia in qual¬ che tragicommedia pastorale, e non da parlare in una epica poesia; così ragiona in punta di forchetta ! È vero che più bella mostra fa una giubba di scarlatto che un capperone di panno di Casentino, una calzetta di seta che li scalferotti di griso, i borzacchini dorati che i zoccoli o scarpini ferrati a ghiaccio; ma chi abbiglierà un bi¬ folco di queste drappamenta, lascerà il decoro, turberà il verisimile e guasterà l’imitazione. Non so se sia in questo poema eroe alcuno, che discorra così forbitamente. St. 11, v. 3 (i) . Credo che ognun vegga quanto scioccamente, e solo io per ripieno, sia qui messo che addito e mostro; e a mala fatica si potria comportare, se avesse avuto intorno dieci altre persone, oltre a i suoi 3 figli: ma qui a che proposito mostrare e additare questi tre, se niun altro vi è ? v. 4. E non ho servi : un pezo di tarsia. St. 32 a) . Vedi un simil parlare imperioso e altiero nell’Anosto, c. 31, st. 66 (4> . 5. bolzaccliini — 10. St. 12 — 0) Figlio {ci rispose ), d’ogni oltraggio cscorno La mia famiglia c la mia greggia illese Sempre giù far; nè strepito di Marte Ancor turbò questa remota parte. 0 sia grazia del Ciel , che Vumiltadc 1y innocentepastor salvi e sublime; 0 che, sì come il folgore non cade In basso pian ma su V eccelse cime, Così il furor di peregrine spade ecc. <*> Son figli mici questi che addito e mostro, Custodi de la mandra, e non ho servi. . Saria morto Sigierò in voce del suo duce, se con la sua testa avesse riparato il colpo a Goffredo ; ma essendoli dietro, ed avendo, col piegar la testa, schivata Goffredo la percossa da per sè, che la sia poi ricevuta dal servo, non torna in profitto alcuno al si¬ gnore. Talché quella di Sigierò è una cortesia sciocca, e quella del Poeta è una solita inavvertenza. 1. C. IX — 0. chi vince¬ vi Apprestar su V erbetta, ov’ è più densa L’ombra, evitino al suon deir acque chiare, Fece di sculti vasi altera mensa, E ricca di vivande elette e care. Era qui ciò eh’ ogni stagion dispensa, Ciò che dona la terra o manda il mare, Ciò che V arte condisce; e cento belle Servivano al convito accorte ancelle. Qual menta trionfante e sontuosa Di qual «i voglia •uccessor dì Nino, 0 qual mai tanto celebra e famosa Di Cleopatra al vincitor latino. Poiria a questa esser par, che V amorosa Pata uvea posta inanzi al Paladino f Tal non cred' io che e apparecchi, dove Ministra Ganimede al sommo Giove. w Ma V invitto Tancredi, il qual altrove Confortava a L’assalto i suoi Latini, Tosto clic vide V incredibil prove E la gemina fiamma e i due gran pini, Tronca in mezo le voci c presto move A frenare il furor de’ Sur acini; E tal del suo valor dà segno orrendo, Che chi vinse e fugò, fugge or perdendo. L'asta, cìi offesa or porta ed or vendetta, Per lo nòto scntier vola c rivola ; Ma già colui non fere ove e diretta, Ch’ egli si piega, e ’l capo al colpo invola; Coglie il fedel Sigierò, il qual ricetta Profondamente il ferro emiro la gola, Nè gli rincresce, del suo caro duce Morendo in vece, abbandonar la luce . 122 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XII.1 St. 82 w . Oli che ti venga il gavocciolo! io mi aveva assettata la fantasia per sentir prove e maraviglie grandi da quest’eroe, con tante frette, con tanti mutamenti di scudi, con tanto correre innanzi o in dietro, con tanti angeli che vengono insin di paradiso a guarirlo per¬ chè ritorni in guerra <2) ; e scappati la mano, tutte queste furio si ri¬ solvono in lanciare un’asta a un soldato 1:11 ; e in quel che averia fatto, se ne vicn la notte ! Oh va’ pur, che tu m’ hai dato il tuo resto, ser fannonnolo ! CANTO XII. St. 2 (W . Lavorasi orrendamente di tarsie in questa stanza, con i io soliti concettuzi spezati e senza connessione, appiastrati insieme. E ral¬ lentando V altre : sospeso in aria, e non esplica quello che il Poeta ha voluto dire. Al sonno invita : muta il tempo e rompe la continuazione. Alma d’onor digiuna: voi dire alma disonorata; bella lode veramente! Ne gli ultimi due versi son tre concetti che non han die fare insieme pili che la luna con i granchi : Sollecita V opre, Va seco Argante, Dice ella a se stessa. Secchissimo, infelicissimo e miserabilissimo scrittore ! St. 9, v. 6 (:,) . Dove vi lasciate trasportare dalla rima, Sig. Tasso ? Quell’ e chiuse non ci ha che fare, ed è uno sproposito, come credo che vi accorgiate. 20 11 . connesione — <*> [81] Or più Goffredo sostener non potè V ira di tante offese , e impugna il brando; E sovra la confusa alta ruma Ascende, e move ornai guerra vicina. E ben ei vi facea miràbil cose, E contrasti seguiano aspri e mortali; Ma fuor uscì la notte, e ’l mondo ascose Sotto il caliginoso orror de V ali, E V ombre sue pacifiche interpose Fra tanV ire de? miseri mortali: Sì che cessò Goffredo , e fc' ritorno . W St. 51-56, 68-75. (8; [78] Qui disdegnoso giunge e minacciante, Chiuso ne Varine, il Capitan di Francia; E ai su la prima giunta al furo A rga nte L'asta ferrata fulminando lancia. (4) Curale al fin le piaghe, c già fornita De Vopere notturne era gualcii 3 una; E rallentando V altre, al sonno invita L'ombra, ornai fatta più tacita c bruna. Pur non accheta la guerriera ardita L'alma, d*onor famelica e digiuna, E sollecita l'opre, ove altri cessa. Va seco Argante; e dice ella a sè stessa: Ben oggi il re de' Turchi ecc. Concordi (Argante e Clorinda) al renevan- [ 1 no, il qual fra i duci E fra ipiù saggi suoi gli accolse e chiuse. [Canto XII.] CONSIDKR AZIONI AL TASSO. 123 St. 10 ] Così l'un re diceva; e Valtro cheto 1ìimaneva al suo dir, ma non già lieto. Soggiunse allora Ismeno: Attender piac- [cia eco. 124 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XII.] Si. 21, v. 6Armìgere uno in feminil mestiero è una di quelle lo¬ cuzioni pellegrine, che pochi le sanno ritrovare. v. 7, S m . Appicca pur su un taccone al calcagno di questa stanza. Guardate, di grazia, quel che ha che fare che costei sia bruna, e che il bruno non tolga il bello, con quel che si è detto sin qui ! Sì. 24 (3) . Non crediate che la si ingravidi mentre che ella dice le sue orazioni. Questa narrazione di Arsete è un poco troppo laconica. Sig. Tasso, voi affettate tanto la brevità, che lasciate dello cose elio saria ben dirle, come, v. g., dichiarar un poco più apertamente che questa figlia io nacque candida per l’impressione fatta dalla madre nel rimirar la Vergine dipinta. Sì. 25, v. 4 etc. a) Se 1’ uso di quelle parti non sostiene il batte¬ simo, a che proposito dire A me ti diè non hultezata ? St. 69, v. p.° 151 Ariosto : Pallido, come colto al mattutino > E da sera il ligustro o ’1 mollo acanto, c. 43, st. 169. St. 85 <0) . Ripigliare non ha significato di riprendere. W Tiesse già i Etiopia, e forse regge Scnapo ancor, con fortunato impero, Il qual del Figlio di Maria la legge Osserva , e V osserva anco il popol nero . Quivi io (Arsete), Pagan, fui servo t c fui, [tra gregge D'ancelle, avolto in feminil mestiero, Ministro fatto de la regia moglie, Che bruna è sì, ma il bruno il bel non foglie. W Vedi la nota precedente. (8) [23] ir una pietosa istoria e di devote Figure la sua stanza era dipinta. Vergine, bianca il bel volto, e le gote Vermiglia,è quivi presso un drago avinta: Quivi sovente ella s'atterra, e spiega Le sue tacile colpe, c piange e prega. [24] Ingravida fra tanto, cd espon fuori (E tu fosli colei) candida figlia. Si furba, e de gli insoliti colori, Quasi d'nn novo mostro, ha meraviglia. (k) A me, che le fui servo c con sincera Mente Tomai, ti diè non battezata: Nè già poteva allor battesmo darti, Chè l'uso no 'l sosticn di quelle parti. (5) D’nn bel pallore ha il bianco volto asperso, Come a’ gigli sarian miste viole. (G) Ma il vencrabil Piero, a cui ne cale (di Tan¬ credi) Come d'agnello inferma al buon pastore, Con parole gravissime ripiglia Il vaneggiar suo lungo, e lui consiglia. [Canto XIII.] CONSIDERAZIONI AD TASSO. 125 CANTO XIII. St. 6, v. 5 (1 \ Non ho più saputo che tra le cirimonie de pii incante¬ simi c’intervenga il pisciar del negromante con lo scuoter della verga. Assai pampani e poca uva, dice il proverbio, il quale molto bene s’accomoda a quest’ opera, simile veramente ad una gran pianta di frutti, che sull’ allegare sia stata dalla brinata o da un diluvio di bruchi assalita, nella quale al tempo di maturare, cerca e ricerca, non si trova altro che foglie ; perchè questo è un libro per appunto da non ne cavare un frutto al mondo. Ecco qua il nostro poeta, stil¬ lo dioso, come molti dicono, della brevità, che comincia a inalberarsi in questa maladetta selva, per non se ne distrigare, credo, mai. È pur anche un bel dire, consumar 89 stanze <2) a incantarla e discantarla ! e perchè? per far le torri e le machine per l’assalto. E voi, mosser Ludo¬ vico, ve ne sbrigate in una sola meza stanza, c. 48, st. 122 C. 13, st. 1-51; c. 18, st. 3-40. Sotto il continuo anon (li mille accette Trema la terra, e par che'l cicl rimbombi; Or >iuella pianta, or queeta, in terra mette Il capo, e rompe a V altre braccia e lombi. W [50] Ma dal profondo de 9 pensieri suoi U Eremita il rappella, e dice poi: Lascia ilpensier audace : altri conviene Che de le piante sue la selva spoglie. Già già la fatai nave a V enne arene La prora accosta, e V auree vele accoglie ; Già, rotte V indegnissime catene, Jj aspettato guerrier dal lido scioglie; Non è lontana ornai V ora prescritta, Che sia presa Sion, V oste sconfitta. Parla ci così, fatto di fiamma in volto, F risuona più eh 1 nomo in sue parole. Così dicendo il vecchio benedetto fili occhi ttijlammii, che parvero duo fochi. Poi volto al duca con un saggio ritto, Torno sereno il conturbato viso. w Varia ci (l’Eremita) così, fatto di fiamma [in volto, F risuona più eh' uomo in sue parole. IX. ic 126 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XIII.] ticola e il resto lessa, stupirsi, dico, ed ammirare come sia possibile salvare una così discontinuata continuazione, c passare dal lesso al- P arrosto e dall’ arrosto al guazetto, senza rompere il pesce ; ma que¬ sti tali non devono aver letto il Tasso, oliò si averiano assuefatti a vedere altri passaggi di proposito in proposito senza coerenza alcuna. Ecco in questa stanza : Parla ci rosi, fatto di fiamma in volto, E risatina più che uomo in suo parole, una parto in guazetto ; E ’l pio Goffredo a pensici’ nuovi è volto, 10 Clic neghittoso già cessar non volo, ma però non si può dire a quello che pensi, e questo è un pezo lesso; resta P arrosto : Ma nel Cancro celeste eie.; le quali cose, come si vede, non hanno che fare insieme. Ma non tanto P independenza di queste cose diverse ò biasime¬ vole, quanto ò molto più ancora il passaggio di secco in secco, senza nessun garbo, dalla selva nel secco e nell’ arsura ; la qual arsura è, al solito, sazievole, prolissa e infinita, e pare più tosto un rac¬ contamelo meteorologico di tutte le cause e di tutti gli effetti del 20 caldo, che una descrizion d’un caldo particolare seguito (,) . E pecca 18. garbo della selva — Wl pio Goffredo a pensier novi è volto, Chè neghittoso già cessar non vote. Ma nel Cancro celeste ornai raccolto, Apporta arsura inusitata il sole, Ck’a i suoi disegni, a i suoi guerricr, nemica , Insopporlabil rende ogni fatica. (*) [53] Spenta è del cielo ogni benigna lam - Signoreggiano in lui crudeli stelle, [pu ; Onde piove virtù eh ’ informa e stampa Varia cV impression maligne e felle. Cresce V ardor nocivo, e sempre avvampa Più mortalmente in queste parti e in quel - A giorno reo notte più rea succede , [le; E dì peggior di lei dopo lei vede. Non esce il sol giamai, eli 1 asperso c cinto J)i sanguigni vapori entro e d 1 intorno , Non mostri ne la fronte assai distinto Mesto presagio d’infelice giorno ; Non parte mai , die, in rosse macchie tinto, Non minacci cguul noia al suo ritorno, E non inasprì i già sofferti danni Con certa teina di futuri affanni. Mentre eli 1 i raggi poi d 1 alto diffonde, Quanto d'intorno occhio mortai si gira, Seccarsi i fiori e impallidir le fronde, Assetate languir V erbe rimira, Ej fendersi la terra c scemar V onde, Ogni cosa del del soggetta a Vira, E le sterili nubi, in aria sparse, In sembianza di fiamme altrui moslrarsc. Sembra il eiel ve V aspetto atra fornace, Nè cosa appar che gli occh i altncn risia are; Ne le spelonche sue zefiro tace, E’n tutto è fermo il vaneggiar de l 1 aure; [Canto XIII.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 127 il nostro poeta in quella maniera che falleria quel pittore, che do¬ vendo rappresentare una caccia particolare, accatastasse nell’istesso quadro conigli, lepri, volpi, capri, cervi, lupi, orsi, leoni, tigri, cignali, bracchi, levrieri, alcuni • pardi, e in somma tutte le sorti di fiere e animali di caccia con ogni maniera di cacciagione : e poi questa tal pittura saria più simile ad una rappresentazione dell’entrata nel- F arca di Noè, che ad una caccia naturale.e al proposito nostro, l’andar in questa guisa raccapezando insieme tutta la ciarperia_e che il sole è in Cancro, e che ò spenta ogni benigna lampa, che si- io gnoreggiano stelle crudeli, che il sole nasce asperso di vapori san¬ guigni e tramonta tinto di macchie rosse, secca i fiori, le frondi, 1’ erbe assetate, che la terra si fende, sceman 1’ onde, mostrami le nubi sterili e infiammate, e che il cielo pare una f.e spira solo una vampa.eccare F uditore mille volte più. .... sse in Palestina tra queste angustie. Messer Torquato mio da bene, è ben condecente e vaga cosa che si espongano su la mostra del drappiero cento sorti di diversi drappi, dove non servono però ad altro che per mostrare tutte le foggie che lì si lavorano ; ma volen¬ dogli applicare all’uso, che giudizio faresti, per vostra fò, di colui 20 che, adobbandone una sua camera, facesse un paramento di cento striscie di cento vescovadi? non lo stimeresti voi per un buffone o un falimbello ? oh così sta.Tornate a leggier.con infinita grazia poche, ma ingeg.... e naturalissime pennellate dipinto il caldo.ntorno al povero Ruggiero, ed ammutite poi, con tutti i vostri fautori! c. 8, st. 19, 20, 21 (l) , e c. 10, st. 35, 36 t2) . Solo vi soffia, c par vampa di face, Vento che move da V arene Maitre, Che, gravoso e spiacente, c seno c gote Co* densi fiali ad or ad or pcrcotc. Non lui poscia la notte ombre più liete , Ma del caldo del sol paiono impresse, ecc. Tra duri tossi e folte spine gin Ruggier intanto in ver la fata saggia. Di balzo in balzo, e d'una in altra via Aspra, solinga, inospita e selvaggia; Tanto eh' a gran fatica riuteia Sn la fervida nona in una spiaggia, Tra 7 mare e 7 monte al metodi scoperta, Arsiccia, nuda, sterile e deserta. Percola il sole ardente il vicin colle ; E del calor, che si riflette a dietro, In modo V aria e V arena ne bolle, Che saria troppo a far liquido il vetro, filassi cheto ogni augello a l'ombra molle; Sol la cicala con noioso metro. Fra i (Unsi rami del fronzuto stelo. Le valli e i monti assorda, e 7 mare e 7 cielo. Quivi il caldo, la sete e la fatica. Ch'era di gir per quella via arenosa, Faoéun, lungo la spiaggia erma et aprica, A Ruggier compagnia grave e noiosa. Ma lasciatola (01 impi A) doler Jin ch'io ritorno, Per voler di Ruggier dirvi pur anco, Clic nel piti intenso ardor ilei mezo giorno Cavalca il lito, affaticato e stanco. Pcrcotc il sol nel colle e fa ritorno; Di sotto bolle il sabbion trito e bianco; Mancuvan l'arme, c'avert indosso, poco Ad esser, come già, tutte di foco. Mentre la sete, e de V andar fatica 128 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XIV.i St. 56 t0 . Gli altri poeti, per far buona imitazione, . .. smutano sè nelle cose da rappresentarsi; ma questo nostro fa trasferir le cose da sè descritte nelle sue proprie. Ecco qui che transporta Ierusalemme in Lombardia, dove l’Autore scriveva il poema: perchè in Lombar¬ dia ò vero che il vento che muove dall’arena Mauro non è zefiro; ma in Palestina il vento che spira dall’arene Maitre è il medesimo che zefiro, poi che 1’ una e P altra Mauritania è giusto occidentale alla Palestina. CANTO XIV. Sf. 30 m . L’andar dietro all’openion del vulgo, o nelle conclusioni io delle scienze più recondite o ne i requisiti a i gran governi di stato, e in somma in tutte quelle cose che senza grandissimo giudizio e fondato discorso non possono esser determinate, è ben un seguir duce fallace ; ma seguitarlo nel credere che un uomo sia appresso un amico suo, non mi pare che sia tale disorbitanza che il solitario Piero ne dovesse far questi scalpori : e queste son di quelle cose elio mi fanno dire che questo libro è una fabrica fatta di diversi rottami, raccolti da mille rovine d’ altri edilìzi, tra le quali si trovano tal volta qual¬ che bel pezo di cornice, un capitello o altro fragmento, che sendo situato a suo luogo faria bell’ effetto, ma messo, come qui, fuor d’ or- 20 dine e spropositatamente, rompe gli ordini dell’ architettura, ed in somma rende 1’ edilìzio sregolato ed incomposto. Voglio inferire che lo sputar che fa P Eremita di questo documento, non è fatto in oc- casion congrua. Per Valla sabbia, e in aolì uffa via (ìli focean, lungo guelfa spiaggia aprica, Notata e dispiacerai compagnia, Trovò eh* a Vomirà ecc. (1) Ne le spelonche sue zefiro tace, ecc. Vedi la nota 1 a pag. 12G. (S) [29] A lai messaggi V onorata cura Ni richiamar Valto campion si diede; E gli indrizzava Guelfo a quelle mura , Tra cui Boemondo ha la sua regia sede, Che per publica fama, e per sicura Opinion, eh* egli vi sia, si crede. Ma 'l buon romito , clic lor mal diretti Conosce, entra fra loro, e turba i detti ; E dice: 0 cavatici *, seguendo il grido I)e la fallace opinion volgare, Duce seguite temerario e infido. Clic vi fa gire indarno c traviare. Or d'Ascalona nel propinquo lido Itene, dove un fiume entra nel mare: Quivi fia che v y appaia uom nostro amico: Credete a lui; ciò che diravvi, io’l dico. ICANTO XIV|. CONSIDERAZIONI AL TASSO. 129 v. <9 m . Ed io lo dico, e l’ho detto mille volte, che voi sete un lavaceci e un ser omo. St. 31 de Oh, Sig. Tasso mio da bene, non v’accorgete voi quante parole andate buttando via in dir cose senza sugo, senza concetto, senza niente? Voi fate come quel pittore che non sa dipignere, che, mena e rimena il pennello sopra la tavola, dagli, frega, impiastra, finalmente fa rosso, verde, giallo, ma non dipigne niente : così voi mettete veramente insieme molte parole, ma non dipignete cosa che vaglia. Ma pur averei pazienza se la cosa finisse nel buttar via qualche io stanza ; ma con qual stomaco si deve egli tollerare lo sparnazamento che voi fate di tanto ciarpame di manifatture senza un bisogno che sia? E a che proposito, per amor di Iddio, mandar questi po¬ veri omini da Erode a Pilato a pigliare un foglio e una bacchetta ? 4 . non gliela poteva dare il solitario Pietro? o se pure gli voleva man¬ dare da quell’ altro, ei che sapeva della lor venuta, a che effetto me¬ nargli sott’ acqua e sotto terra a vedere i nascimenti de’ fiumi e la generazion de’ metalli e mille altre cose che non han che fare niente con la separazione di Rinaldo ? non poteva egli, senza questa mani¬ fattura, portargli quello che e’gli voleva dare, e mandargli al lor viag- 20 gio ? perchè, pensatela pur quanto vi piace, voi non troverete che questi due cavalieri abbiano, in queste suttcrranee caverne, veduta o intesa cosa che li serva poi punto al bisogno loro. Ma gli è elio avete fatto questa lunghera per servire alla vostra allegoria, che avete vo¬ luto figurare l’una e l’altra filosofia e questa enciclopedia delle scienze. Ma, Sig. Tasso, vorrei pur che voi sapessi che le favole e le finzioni poetiche devono servire in maniera al senso allegorico, che in esse non apparisca una minima ombra d’obligo: altrimenti si darà nello stentato, nel sforzato, nello stiracchiato e nello spropositato ; e furassi una di quelle pitture, le quali, perchè riguardate in scorcio da un so luogo determinato mostrino una figura umana, sono con tal regola di prospettiva delineate, che, vedute in fàccia e come naturalmente e comunemente si guardano le altre pitture, altro non rappresentano che una confusa e inordinata mescolanza di linee e di colori, dalla quale 19 . che egli voleva — 28 . stirachiato — W Vedi la nota 2 a pag. 128. <*) St. 31-79. 130 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XIV.] anco si potriano malamente raccapezare imagini di fiumi o sentier tortuosi, ignude spiaggie, nugoli o stranissime chimere. Ma quanto di questa sorte di pitture, che principalmente son fatto per esser rimirate in scorcio, è sconcia cosa rimirarle in faccia, non rappre¬ sentando altro che un mescuglio di stinchi di gru, di rostri di ci¬ cogne, e di altre sregolate figure, tanto nella poetica finzione è più degno di biasimo che la favola corrente, scoperta e prima diritta- mente veduta, sia per accomodarsi alla allegoria, obliquamente vista e sottointesa, stravagantemente ingombrata di chimere e fantastiche e superflue imaginazioni. St. 37 (1) . Non so qual fantastica e inverisimil maniera sia di far penetrar costoro nelle viscere della terra, inducendosi senza necessità a far ritirar lo acque e incurvarsi in guisa di due schiene di monti, fuor d’ ogni credibilità pur anco imaginabile, e, quel che mi fa più collera, senza bisogno; arrecando all’auditore quel diletto che sentirla un giovane sano e gagliardo nel convenirgli, mentre si ritrova in un convito sontuoso, sorbir tratto tratto, tra le vivande laute, un bicchier di sciroppo solutivo, o masticar un boccon di cassia, preparata sotto il pretesto di sanità. Non fece ? Ariosto cosi languide invenzioni nell’ ar¬ rivar Bradamante alla tomba di Merlino t2> , Ruggiero a Logistilla <3) , e Astolfo all’ inferno, al paradiso terrestre e all’ orbe della 3 <4> - St. 48, v. 4 . Non so come Prisciano salvasse questa discordanza in vulgare, o questo spazioso si referisca allo speco, o si referisca a una fava. Si. 49, v. p ." !G) Quest’ aver qui cento ministri e cento non ha molto del filosofo o del teologo ; e per esser un discepolo d’ un santo ela¬ mita, stava con troppa pompa. (1) [36] Disse: c di’ a lor dia loco, a V acqua [ impose; Ed ella tosto si ritira e cede, E quinci e quindi, di montagna in guisa, Curvata pende, e ’n meco appar divisa. Ei preseli per man, ne le più interne Profondità sotto del rio lor mena. <*> C. 2, st. 69-76; o.3, st. 5-16. « C. 10, st. 35-64. <‘> C. 34, st. 3-8; st. -48-57; st. 68-73. (!) C’osi con lor parlando, al loco viene Ov’ egli ha il suo soggiorno e ’l suo riposo. Questo è in forma di speco, e in sè contiene Camere e sale grandi, c spazioso. Non mancar qui cento ministri c cento, Ch' accorti c pronti a servir gli osti foro. [Canto XIV.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 131 St.53 {i) . Oh Ariosto, dove sei tu ora, che non corri ad imparar queste rare, stupende e miracolose invenzioni ? part’ egli che questo guagnele le trovi belle? andar a far, senza proposito e senza occa¬ sione, vestirsi l’armi d’un altro a Rinaldo, e, per colmar lo staio, farli lasciar lo sue nel mezo della strada, e perchè poi ? per dar oc¬ casione a quella bella, vaga e graziosa sollevazione, tanto insipida¬ mente e mirabilmente nata nel campo (ì> . v. 6 u) . Oh beline gentil locuzione avvolgere un tronco busto nell’armi! Prima, bisogneria dire rinvolse; nè anche questo staria bene, se già io quell’ armi non fossero di tela o di carta da straccio. v. 6, 7 (i) . Queste reiterazioni si fanno di qualche affetto o di alcuna breve sentenza particolare, e non di due parole del tritissimo e co¬ munissimo corso della rima. . St. 55, v. p.°, 2, 3, 4 eie . (a) È pur gran cosa e intollerabile che si abbiano a trovar al mondo orecchi di senso tanto ottuso, che non sentino offesa della manieracela di dire, dello stile non pur snervato, ma scarnato e disossato, e della freddissima sentenza di questo au¬ tore ! e noto questi due versi, non perchè siano troppo peggio di quasi tutto il resto, ma ne vo notando così alcuni tanto sensibili, che 20 gran fatto sarà che non si siano per disfecciar gli orecchi a qual- cli’ uno. E non posso darmi pace de’ fautori del Tasso, che pur pure si lascino tutti persuadere che quanto all’ invenzioni il Furioso sia più mirabile che questo libro, e non comprendano che so T Ariosto ha superato nel doppio il Tasso quanto all’ invenzioni, T ha ecceduto anche nello stile a cento doppi. 8. rivolgere — 12. del tristissimo —13. Dopo rima seguono queste parole cancellate : a dire assai seccamente : F poi l’espose. — 15. orechi — (') Quivi egli ( Rinaldo), avendo l'arme sue de¬ in dosso quelle d’un pagati si pose, [posto, « G. 8, st. 47-85. P> Prese V armi la maga, e in esse tosto Un tronco busto avolse, e poi V espose: L’espose in ripa a un fiume, ove doveva Studi de’ Franchi arrivar, e’Iprevedeva. W Vedi la nota precedente. < 5 ) Non hmge un sagacissimo caletto Pose, di panni pastorai vestito, li impose lui ciò eh’ esser fatto o detto Fintamente doveva; e fu eseguito. Questi parlò co' vostri, e di sospetto Sparse quel seme in lor, eh’ indi nutrito Fruttò risse e discordie, c quasi al fine Sediziose guerre cittadine. 132 CONSIDERAZIONI AL TASSO. ICANTO XIV.J St. 59 (1) . Veggasi in questo proposito Ruggiero, giunto nel paese d’Alcina, disarmarsi e restaurarsi allo spirar dell’aura, c. 0, st. 24, 25 <2) . St. 61, v. p.°, 2 (3) . Ariosto 141 : Come di selva o fuor d’ombroso speco Diana in scena o Citerea si mostra. St. 62, 63, 64 (B) . Chi volesse dire che queste tre stanze non fos¬ sero assolutamente bone e ornate d’ ogni sorte di leggiadria, vera¬ mente arebbe il torto : e se in un altro sariano degne di lode, in questo autore son degne di stupore; e pagherei qualcosa del mio che non avesse pur, al dispetto del mondo, volsut.o metter nell’ ultimo verso un vostigietto di pedanteria e quella continuazione di Sì l’insegna natura e sì l’addita. St. 63, v. 7, 8 u;) . Non ho più saputo elio il vento abbia proprietà- di sgombrare e dileguare Pecco, 3. Dopo Ariosto segue cancellato : c. p.°, Come è là giunto, cupido e vagante Volge intorno lo sguardi), c nulla vede, Fuor ch'antri ed acque e fiori ed erbe e pian - Onde quasi schernito esser si crede; [le, Ma pur quel loco è così lieto, e in tante Guise V alletta, di'ci si ferma e siede, E disarma la fronte c la ristaura Al soave spirar diplacid’aura. < 2 ) 1J (filivi apprettiti, ove aorge una /unta Cìnta di cedri e di feconde palme. Puhc lo Rendo, c V cimo da la fronte Si trasse, c dinar montò ambe le palme; Et ora a la marina et ora al monte Vohjca la faccia, a V aure fresche et alme, Che l'altc cime con mormorti lieti Pan tremolar de faggi « de gli abeti. Ilagna talor nc la chiara onda e fresca V asciutte labbra, e con le man diguazza, Acciò che de le vene il calar esca, Che gli ha acceso il portar de la corazza. W Così diti palco di notturna scena 0 ninfa o dea, tarda sorgendo, appare. W 0. 1, st. 52. (5> 0 giovanetti, mentre aprile e maggio V’ammantan di fiorite e verdi spoglie, 1 sogno e 1‘ ombra, ma sì bene il st. 25. — Di gloria e di virtù fallace raggio La tener ella mente ah non v' invoglici Solo chi segue ciò che piace , è saggio, Fj in sua stagion de gli anni il. frutto coglie. Questo grida Natura : or dunque voi Indurarete V alma a i detti suoi ? Folli, perchè gettate il caro dono, Che breve è sì, di vostra età novella ? Nome, e senza soggetto idoli, sono Ciò che pregio e valore il mondo appella. La fama, che invaghisce a un dolce suono Voi, superbi mortali, e par sì bella . È un 9 eco,un sogno, anzi del sogno un'ombra, Che ad ogni vento si dilegua c sgombra. Goda il corpo sicuro, e in lidi oggetti Jf alma tranquilla appaghi i sensi frali; Oblii le noie andate, e non affretti Le sue miserie in aspettando i mali; Nulla curi se il del tuoni o saetti; Minacci egli a sua voglia, e infummi strali: Questo è saver, questa è felice vita ; Sì V insegna Natura c sì V addita. l8) È un'eco, un sogno, anzi del sogno un'om- Vedi la nota precedente. [bra, ecc. 10 [Canto XIV.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 133 fumo, la nebbia, le nugole e cose tali. Però, per non guastar la me¬ tafora, si potria dire : Che in un momento si dilegua e sgombra. St. 63, v. 2 (1) . Monsignor Della Casa non voleva cbe doppo il con ai mettesse parola che cominciasse per n, e poi ve la metteva esso, o di cbe maniera ! dicendo che con non, che bisogna che fusse quel d’una gigantessa. St. 66, v.p.° l2> Pagherebbe un soldo a poter dire vede e fissa. Leggi P innamoramento d’Angelica (3) . io St. 67, v. 2>-° <4> Saria stato forse meglio dire E quei di’ in lei, non tanto per la vicinanza dell’ ivi e vivi, quanto perchè 1’ adver- bio non si referisce ad una fronte, così, senza qualche poco di non so che. 0 St. 68, v. p.° (s> So bene che voi muteresti volentieri quello e de le rose, le quai in di rose, che. Ma se vi piacesse di dire : Di bianchi gigli c di vermiglie rose, Che allor fioritili per quelle eie., valetevene ; o al manco nel primo verso : De’ligustri, de’gigli e delle roso. 20 v. 3 (e> . Di grazia, ricordatevi che poco sopra si è avvertito che dopo il con sta male 1’ n. 4. Delle Casa — 0) 0.19, st. 27-86. (*) [66J. e’n su la vaga fronte Panie ormi sì, che par Narciso al fonte. E quei ch'ivi sorgam vivi sudori, Accoglie lievemente in un suo velo. (*) Dì ligustri, eli gigli e de le rose, Le qua i fiorian per quelle piagge a mene eco. W Con noi) 1 arte congiunte ecc. <*) Con note invoglia sì soavi e scorte. W [65] Esce d'agguato allor la falsa maga, E gli va sopra, di vendetta vaga. Ma quando in lui fissò lo sguardo, e vide Come placido in vista egli respira. Pria s } arresta sospesa , c gius' asside Poscia vicina, e placar sente ogn'ira ecc. IX. 17 134 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XV.] v. 7 (1) . Riporre in lingua toscana non lia questo significato, ma vale condere vel rccorulere. % St. 74 (2> . Mi fa rider pur di cuore il nostro poeta con questo suo fonte di riso, del qual niuno gusta, ha gustato o è per gustare in quest’opera ; nè si vedrà a che proposito si deve introdur una cosa che non fa mai niente, come avvien di questo fonte, che non ha fatto mai ridere alcuno, altro che me. E di tali invenzioni macre ne sono moltissime in questa opera. St. 76, v. p .° (3) Questo cinto è nome, e non verbo, e significa cin¬ tura ; ma sta in cambio di avviluppamento, attorcigliamento o ìaberìnto, ma tanto impropriamente, che rende la sentenza dura e confusa. CANTO XV. Si. 3 (4) . Se l’entrata di costoro sotto il fiume e la terra fu secca e fredda, a fò che 1’ uscita non ò men fredda e umida. Ebbe questo sapiente assai più del discreto nel condurgli nell’albergo suo; ma nel fargli ora spinger su in quel modo che l’acqua bollente solleva dal fondo del paiolo i ravioli, è una burla ridicolosa: e panni di ve¬ dergli spuntar su sbuffanti, a guisa di due barboni da acqua, con quelle barbe e mostacci gocciolanti. (l > Quinci , mcntr' egli dorme, il fa riporre Sovra un suo curro , «cc. W Un fonie sorgcinlci (sullacimadel molilo), [che vaghe c monde Ha Vacque si, che i riguardanti asseta; Ma dentro a i freddi suoi cristalli asconde Di losco est rari malvagità secreta: di'un picciol sorso di site lucide onde Inebria V alma tosto, c la fa lieta; Indi a rider uom move; c tanto il riso S'avanza al fin, eh 1 ci ne rimane ucciso. w Dentro è di nutro inestricabil cinto, Che mille torce in se. confasi giri. (t> [g| Tosto seguono (Carlo ed Ubaldo) il vec¬ chio, c son V istesse Vestì già ricalcale or nel ritorno, Che furon prima, nel venire, impresse ; Ma giunti al letto del suo fiume, Amici, Io v' accommiato, ci disse, ite felici. Gli accoglie il rio ne l'alto seno, e Vonda Soavemente in su gli spinge c porta, Come suol inalzar leggiera fronda, La qual da violenza in giu fu torta ; E poi gli espon sovra la molle sponda. [Canto XV.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 135 St. 5, v. 7, 8 (1) . Qual duveza di destino è questa vostra, Sig. Tasso, che non possiate mai condurre a segno cosa che con grazia e leg¬ giadria aviate cominciata! Yi siete condotto insino a mezo T settimo verso di questa stanza, e poi, mancandovi la vena c non sapendo ter¬ minar la vostra similitudine, sdrucciolate in un varia e vaga misera¬ bile e in un appagar infelicemente in cerilo modi i riguardanti, potente a levar la vagheza di grembo a Venere. Yi ho compassiono, ma non vi posso aiutare. Si. 7 (2) . Bisogneria una tanagiietta da spiccai’e quel gli, dalla pari io e appiccarlo alla barca : e questo è un error di gramatica. Ma un altro più grande è ne i medesimi due versi, linperocliè, dicendo : Como la nobil coppia ha in se raccolta, non possiamo intendere che altri li abbia raccolti die la barca, non gli potendo raccogliere in sè la donna ; séguita poi : Spinge la ripa, il qual stringere non può referirsi ad altro che alla medesima barca, a voler che la construzione s’intenda come è scritta : tal¬ mente che altro senso non si può cavare da questi due versi nè altro concetto, che questo : Quando la barca ha raccolto in se la nobil coppia, essa barca spinge la ripa, e a lei, ripa, allenta il morso. E chi vorrà 20 continuare gli altri due versi secondo che cammina la scrittura, bi¬ sognerà che metta la barca in barca a governare il timone, e altre baiette. St. 10, 11, 12 (3) . Sono, al parer mio, queste tre stanze bellissime, e rappresentano mirabilmente quello che ha preso a dipingere ; e in w Così piuma tal or, clic di gentile Amorosa colomba il collo cinge, Mai non si scorge a sè stessa simile, Ma in diversi colori al sol si tinge: Or tV accesi rubili sembra un monile , Or di verdi smeraldi il lume finge , Or insieme gli mesce; c varia e vaga, In cento modi i riguardanti appaga. W [6] Così parlò la donna; e più vicino Fece poscia alla sponda il curvo pino. Come la nobil coppia ha in sè raccolta, Spinge la ripa , e gl! rallenta il morso; Ed avendo la vela a laure sciolta, Ella siede al governo c regge il corso. W Trascorre oltre Ascalona, ed a mancina Andò la navicella inver Ponente, E tosto a Gaza si trovò vicina, Che fu porto di Gaza anticamente, Ma poi, crescendo de V altrui mina, Città divenne assai grande e possente; 136 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XY.| questo mettere innanzi a gli occhi che fa, ha dell’andare della divi¬ nità dell’Ariosto. Vedi simile rappresentazione nel Furioso, c. 15, st. 16, 17 f,) ; c. 27, st. 128, 129 (2) . St. 30, v. 7, <5 <3> . Ariosto (i) : E del sole imitando il camin tondo, Ritrovar nuove terre e nuovo mondo. St. 34, v. 7, <9 l3) . Ariosto, c. 43, st. 165: Verso : 1 monte no va, che fa col foco Chiara la notte, e ’l dì di fumo oscura. Ed cranvi le piagge attor ripiene Quasi d y uomini sì, coinè (Varene. Volgendo il guardo a terra i naviganti, Scorgcan di tende numero infinito; Miravan cavalier, miravan fanti , Ire e tornar da la cittade ai lito, E da camelli onusti e da elefanti L'arenoso scntier calpesto e trito: Poi del porto vedean ne ’ fondi cavi Sorte e legate a Vancore le navi Altre spiegar le vele, e ne vedicno Altre i remi trattar veloci e snelle, E da essi e da’ rostri il molle seno Spumar percosso in queste parti e in quelle. (!) Lanciando il porto e Conile piu tranquille Con felice aura, di' a la poppa spira, Sopra le ricche e popolose ville Le l'odorifera India il duca gira. Scoprendo a distra et a aiti Ut ra mille Isole sparse, t tanto va che mira La terra di Tomaso; nude il nocchiero Piu a Tramontana poi volge il sentiero. Quasi radendo V aurea CIter sonetto, La bella armata il gran pelago frange ; E costeggiando i ricchi liti spesso, Vede come nel mar biancheggi il Gange, E Taprobane vede, e Cori appresso, E vede il mar che fra i duo liti e' auge. Dopo gran via furo a Cochino, e quindi Uscirò fuor de ì termini de gl'indi. Di barche, e di sottil legni era tutto Fra luna ripa e V ultra il fiume pieno: Oh'ad uso de V esser cito, conditilo Da molli lochi vetta paglia a cimo ; Perche in poter de Mori era ridallo, Venendo da Parigi al lito ameno D'Acqnnmortn e voltando in ver la Spagna, Ciò che v' 3 da man destra di campagna. Le vettovaglie in carro et in giumenti, Tolte fuor de le navi, erano cardie, E tratte con la scorta de le genti Ove venir non si polca con barche. Avcan piene le ripe i grassi armenti. Quivi condotti da diverse marche; E i conduttori intorno a fa riviera Per varii tetti albergo avean la sera. W Tempo verrà che fiati (V Ercole i segni Favola vile a i naviganti industri, E i mar riposti , or senza nome, e i regni Ignoti ancor tra voi, saranno illustri. Fui che ’lpiii ardito attor di tutti i legni, Quanto circonda il mar, circondi e lustri, E la terra misuri, immensa mole, Vittorioso, ed emulo del sole. W C. 15, st. 22. W E ’l vedean poscia (il monte), procedendo [ovante, A V acute piramidi sembiante , E mostrarsi tal or così fumante, Come quel che d’Encelado è su ’l dosso, Che per propria natura il giorno fuma, E poi la notte il ciel di fiamme alluma. [Canto XVI.) CONSIDERAZIONI AL TASSO. 137 St. 53. 54, 55 Sopra gli altissimi orchi, che puntelli Porcan che del del fostino a vederli, Ernn giardini sì spaziosi e belli, Che saria al piano anco fatica averli. Verdeggiar gli odoriferi arbutcelli Si pon veder fra \ luminosi merli, Ch' adorni son V estate e 7 verno tutti Di vaghi fiori c, di maturi fruiti. Di così nobil arbori non suole Prodursi, fuor di questi bei giardini, iV(ì di tai rose o di eimil viole, Di gìgli, d'amaranti o di (/camini. Altrove appur, come igeilo al variar del ciclo; Ma quivi era perpetua la verdura, Perpetua la beltà de' fiori eterni: Non che benignità de la natura Sì temperatamente li governi ; Ma Liujislilla don suo studio e cura. Senza bisogno de'moti superni (Quel che a gli altri ini possibile pareo), Sua primavera ogn or ferma tenea. (») Tondo c il ricco edificio ; e nel più chiuso Grembo di lui, eh'è quasi emiro al giro, Un giardin v' ha, eh' adorno è sovra V uso Li quanti più famosi unqua fiorirò. JT intorno, inosservabile c confuso Ordin di logge i demon fabri ordiro; E tra le oblique vie di quel fallace Eavolgimento, impenetrabil giace. Ter Ventrata maggior (però che cento L'ampio albergo n'avca) passar costoro. Le porte qui d'effigiato argento Su i cardini strìdean di tucul'oro. Fermar ne le figure il guardo intento, Che vinta la materia è dal lavoro: Manca il parlar, eli vivo altro non chiedi; Nè manca questo ancor, $' a gli occhi credi. 138 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XVI.] del canto precedente (l) , e nel c. 14, st. 70 w . Questo palazo è tondo, e nel più chiuso grembo, che è quasi centro, ha un giardino, con archi¬ tettura contraria alla comune, perchè si veggon ben palavi in mezo de’ giardini, ina non per 1’ opposito. E questo giardino, ben che sia quasi centro del palazo, nulla di meno contiene in sè colline, valli, selve, spelonche, fiumi e stagni (:|) , tutte robe costituite su la cima d’un alto monte' 41 : onde se dal centro si può raccòrrò la circonferenza, questo palazo doveva girare centinai di miglia, ben che fosse piantato nella cima d’un monte; e se dalla cima si può arguire la pianta del me¬ desimo monte, doveva aver di circuito migliaia di miglia; od essendo io in una dell’isole Canarie (8> , essa isola doveva esser la maggior del mon¬ do ; il che repugna al vero, perchè son tutte i>iccolissime. Sono alcune altre cosette degne di considerazione, in questa medesima materia, come saria l’aver le porto d’argento e i cardini d’oro; il che non è ben fatto, perchè i cardini, come quelli che non si veggono, si fanno di ma¬ teria più vile che le porte, e non per l’opposito. Non è anco da tra¬ lasciar di considerare quel che si dirà alla pag. ... [pag. 143], st. 27, dovo Traggono lo notturno ore felici Sotto un tetto inedesmo, entro a quegli orti. St. 2 etc. m Leggasi in comparazione l’Àriosto, c. G, st. 71 (7) , e ve- 20 drassi apertamente come il Tasso empie le stanze di parole, e quegli di cose. il. in un dell’ — 20-22. Nel codice, le lin. 20-22 ai leggono dopo le lin. 1-14 della pag. 130. — w Essi entrar nei palagio . (5) [69].e quivi eletta Persolingasua stanza (di Armida) eurìiso- Urì isoletta, la qual nome prende, f letta: Con le vicine sue, da. la Fortuna. Quinci ella in cima a una montagna asccn- Disabitata e d'ombre oscura c br una ; [de E per incanto a lei nevose rende Le spalle c i fianchi , e senza neve alcuna Gli lascia il capo verdeggiante e vago; E vi fonda un palagio appresso un lago : Ove, in perpetuo aprii, molle amorosa Vita seco ne mena il suo diletto. (» C. 16, st. 9 : Poi che lasciar (Carlo ed Ubaldo) gli avv¬ iluppati calli y In lieto aspetto il bel giardin s } aperse. Acque stagnanti, mobili cristalli , Fior vari e varie piante, erbe diverse , Apriche collincfte, ombrose valli, Selve e spelonche, in una vista off erse. V C. 15, st. 44, 47, 52, 53. (5) Vedi la nota 2 di questa pagina. (ft) Vedi la nota 3 a pag. 137. {<) L' adornamento che s $ aggira sopra La bella porta, c sporge un poco ovante. Parte non ha che tutta non si ctiopra De le piti rare gemme eli Levante. Da quattro parti si riposa sopra Grosse colonne d' integro diamante. O vero, o falso eh' « l'occhio risponda, Non è co*« più bella o più gioconda. [CANTO XVI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 139 St. 3, 4, 5 (1> . Questi intagli di queste porte mi paiono veramente con somma leggiadria descritti, o invenzioni molto bene approposito accomodate ; solamente lio un poco di non so che nella comparazione delle Cicladi, la quale oscuramente si connette col suo comparato : e questa oscurità saria tolta via, se in cambio di dir TJ impeto è tanto si potesse dire Tanto è Vimpeto; ma perchè il verso non sonaria bene, si potria per avventura dire Tale, o veramente Tanto, è 7 furore. Parmi, oltre a ciò, che in Vergilio .. . m 9 il quale si serve di questa comparazione per esprimere V agitazione di vere navi mobili e insieme percosse, tutto torni benissimo; ma qui, in navi finte e prive di moto, non si può intender quel percuotersi e urtarsi. Finalmente, ancora che questa comparazione in latino torni bene, nella nostra lingua, esplicata così, mi par pedantesca e gonfia, rispetto a quei monti e i gran monti e quel torreggiaci. St. 8', v. 5 (3) . Quel conserte non fa altro che servire alla rima: e che sia vero, tolto via, senza altro sustituto, lascia il medesimo senso, e più correttamente esplicato. v. 7 {tk) . Quel libro, di sopra nel c. 14, st. 70 c,) , fu chiamato un breve foglio con la pianta del laberinto. Mirasi qui fra le Meone ancelle Favoleggiar con la conocchia Alcide: Se V inferno espugnò, resse le stelle, Or torce il fuso; Amor se 7 guarda, cridc. Mirasi Iole, con la destra imbelle Per ischerno trattar Vanne omicide; Fj indosso ha il cuoio del leon, che sembra Pavido troppo a sì tenere membra, ir incontro è un mare, e di canuto flutto Vedi spumanti i suoi, cerulei campi; Vedi nel Dieso un doppio ordine instndto J)i navi c d'arme, e uscir de Varine i lampi; D'oro fiammeggia V onda, e par che tutto jy incendio mar zitti Leucate avampi: Quinci A ugusto i Romani, Antonio quindi Trac V Oriente, Egizzi, Arabi ed Indi. Svelte notar le Cicladi diresti Per V onde, e i monti co i gran monti ur¬ larsi : L'impeto è tanto , onde quei vanno e questi, Co' legni torreggiatiti, ad incontrarsi. . Già volar faci c dardi, e già funesti Sono di nova strage i mari sparsi. Ecco (nè punto ancor la pugna inchina) Ecco fuggir la barbara reina. E fugge Antonio eoe. W Eneide, Vili, 691-693. < 3) Qual Meandro fra rive oblique c incerte Scherza, e con dubbio corso or cala or mori - [ta; Queste acque a i fonti e quelle al mar con - [ verte, E mentr' ci vicn, sè che ritorna, affronta ; Tali, più inestricabili, conserte Son queste vie: ma illibro insè le impronta, Il libro don del mago, e d'esse in modo Parla, che le risolve, c spiega il nodo. W Vedi la nota precedente. < S) Dentro è di mitro incstricabil cinto , Ch: mille torce in sè confusi giri; Ma in breve foglio io ve 7 darò distinto, Sì i hi nissun errar fin che v' aggiri. Siede in mezo un giardin del labirinto , Ch e par che da ogni fronde amore spiri, eec. 140 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XVI.] St. 9, v. 7, 8 (1> . E quel che ’l hello e ’l caro etc. Pedantesco e sten¬ tato, e, con tutto quel che segue nelle due stanze appresso (2) , fred¬ dissimo e senza spirito. Leggi con infinito stupore il divino Ariosto, c. 6, st. 20, 21 etc.' 111 ; c. 34, st. 49 etc. Si. 11 (BI . Ben ne venga questo fico vecchio sopra quest’altro fico nascente ! Chi vuol conoscere un gusto storpiatissimo in una profes¬ sione, tra gli altri segnali si potria servire di questo, cioè del vedere rubare dagli altri indifferentemente il buono e ’l cattivo ; infallibile argumento, che quel tal rubatore si serve solamente dell’ autorità di quello a chi ruba, ma per sè non è capace di discerner quello che io vale da quello che non vale, la qual cosa procede da assai maggior deboleza di cervello, che non è quella di chi s’inganna nelle cose 4. st. 20, 22 etc. — <*> E quél che'l bello e 'l caro accresce a l'opre, L'arte, ckc tutto fa, nulla si scopre. (*) Stimi (sì misto il culto è col negletto) Sol naturali e gli ornamenti e i siti; Di Natura arte par, che per diletto V imitatrice sua scherzando imiti. L'aura , non ch'altro , è de la Maga effetto, L'aura che rende gli alberi foriti: Co'fiori eterni eterno il frutto dura, E mentre spunta l'un , l'altro matura. Nel tronco istesso e tra V iste ssa foglia Sovra il nascente fico invecchia il fico ; Pendono a un ramo, un con dorata spoglia, L'altro con verde, il novo c 'Ipomo antico: Lussureggiante serpe alto e germoglia La torta vile, ov'c piu l'orto aprico; Qui V uva ha in fiori acerba , e qui d'or E ili piropo, e giù di nettar grave. [Vhave (*) Non vide ti? 7 bel nè 7 più giocondo, Da tutta l'aria ove le penne stese, Nè, «e tutto cercato avesse il mondo, Vcdria di questo il più gentil paese; Ove, dopo un girami di gran tondo, Con lluggicr ecco il grande, augel discese: Culle pianure e delicati colli, Chiare acque, ombrose ripe e prati molli. Vaghi boschetti di soavi allori, Di palme, di amenissime mortelle, Cedri et aranci, Caveau frutti e fiori Contesti in varie forme, e tutte belle, Faeton riparo a i fervidi calori De giorni estivi con /or spesse ombrelle; E tra quei rami, con sicuri voli, Cantando se ne giano i rosi gnu oli. Tra le purpuree rose e i bianchi gigli, Che tepida aura freschi ogn ora serba, Securi si vedean lepri e conigli, F cervi con la fronte alta e superba, Senza temer eh' alcun gli uccida o pigli, Pascano o sliansi ruminando V erba : Multano i daini e i capri snelli e destri, Che. sono in copia in quei luoghi campestri . [4) Zujìr, rubini, oro, topazii e perle E diamanti c crisoliti e giacinti, Fot nano i fiori aasimigliar, che per le Liete piagge v'avea l'aura dipinti; Si verdi V erbe, che potendo averle Qua giù, ne forai i gli smeraldi vinti ; Nè men belle de gli arbori le frondi, F di frutti e di fior sempre fecondi. Cantali fra i rami gli augclletti vaghi. Azzurri e bianchi e verdi c rosai e gialli. A far muranti ruscelli e cheti laghi Di limpidezza vincono i cristalli. Una dolce aura, che ti par che vaghi A un modo sempre e dui suo stil non falli, Pacca #1 l'aria tremolar d'intorno. Che non potea notar calor del giorno. F quella a i fiori, a i pumi, e a la verzura Oli odor diversi depredando giva, F di tutti faceva una mistura, Che di Valimi nutriva. (3) Nel tronco istesso c tra Fistessa foglia ecc. Vedi la nota 2 di questa pagina. [Canto XVI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 141 proprie solamente (1) . Io lascio star di dire che non può dirsi che sopra il fico nascente invecchi il fico, sendo che P invecchiare ricerca assai più lungo tempo che ’1 nascere, e che meglio sarebbe stato il dire che sopra il fico vecchio nasceva il fico giovine ; ma P occuparsi in queste ficate mi par cosa tanto sciocca e vergognosa, che la lascio a qualche altro palificato. St. 12 l2> . I primi due versi di questa stanza son gentilissimi : ne gli altri non è tanta grazia, e P attribuire alle frondi e all’ acque il garrire mi pare improprio; oltre che a far garrir Pacque ci vuol altro io spirar che d’ aura. Porta negli altri 4 versi la musica a due voci, che è una zolfa sciocca ; oltre che, considerandola bene bene minuta¬ mente, non credo che vi sia dentro concetto o construtto alcuno. St. 13 (3) . Pedanteschissima è questa descrizione di questo uccello dal purpureo rostro e dalla lingua larga e che parte la voce, che son tutte pennellate da pittori da sgabelli. Voi non sapete dipinger, Sig. Tasso, non sapete adoperare i colori, non i pennelli, non sapete disegnare, non sapete far questo mestiero. Quei susurri anno del trom¬ bone ; e nella stanza che segue (4) è poco di buono e poco di male. St. 15, v. 3 <5> . Io non ho più saputo che aprile sia parte del giorno. 20 Se voi non volevi romper la metafora in mezo, dovevi dir V aurora. 14. purpureo rosto — <*> Cfr. Odissea, VII, 120-121. W Vezzosi augelli infra le verdi froride Temprano a prova lascive.lt e note ; Mormora V aura, e fa le foglie e V onde Garrir, che variamente ella pcrcotc: Quando taccion gli augelli, alto risponde; Quando camion gli augei, più lieve scote : Mia caso od arte, or accompagna, ed ora Alterna, i versi lor la musica óra. (3 > Vola, fra gli altri, un che le piume ha [sparte Di color vari , ed ha purpureo il rostro; E lingua snoda in guisa larga, c parte La voce sì, eh 1 assembra il sennon nostro . Questi ivi all or continovò con arte Tanto il parlar, che fu mirabil mostro. IX. Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti, E fermavo i susurri in aria ì venti. (4) Deh mira (egli cantò) spuntar la rosa Dal verde suo modesta e verginella, Che, mezo aperta ancora e mezo ascosa, Quanto si mostra mcn, tanto c più betta. Ecco poi nudo il sen, giù baldanzosa, Dispiega; ecco poi langue, c nonpar quella ; Quella non par, che desiata inanti Fu da mille donzelle c mille amanti. 0) Così trapassa, al trapassar d ) un giorno, De la vita mortale il fiore c } l verde, Nè, perchè faccia indietro aprii ritorno, Si rinforza ella mai, nè si rinverde. Cogliam la rosa in su ’l mattino adorno Di questo dì, che tosto il scren perde ecc. ìs 142 CONSIDERAZIONI AL TASSO. (Canto XVI.) St. 18, v.p.° M> Vel diviso: volevi dire velo aperto; ma transeat. Langue per vezo è languido e pedantesco. Non ho mai visto biancheggiare i sudùìi, se non intorno a i testicoli de i cavalli. St. 20, v. 2 (2> . Mi piacerla pure veder venire in scena un inna¬ morato con uno specchio pendoloni alla cintola, e andarselo, nel cam¬ minare, battendo per le gambe. St. 21 (3> . Eccoci agli scambietti metafisicali, sciocchi e senza garbo. E forse che non ce n’ è una bella partita in questo libro ! St. 23, v. 5 (4) . A ragion di mondo, questo e in esse si doveria re¬ ferire a i crin minuti, suoi vicini, o fare una discordanza; ma già che voi lo volete referire alle chiome, lontane, concedavisi di grazia, e fini am le dispute. v. 8 (ii) . In lingua toscana non si dice comporre il velo. St. 24 (U) . Queste comparazioni dell’ iride e del pavone non son se non belle, ma vorrei che seguissero all’ aversi vestita Armida qualche sontuosa vesta, ricca di gemme e d’ oro, e non all’ aversi appuntato il velo alla spalla e fatto i ricci. E veramente, caro mio Sig. Tasso, non si può negare che voi sete un pittorino poverino : volete vestir costei, e non gli sapete metter altro che ’l velo e la becca. 2. hiacchcrtgiare — 7. St. 31 — (| ) j Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, E 7 crin sparge incomposto al vento estivo; Langue per vezzo, e ’l suo infiam mato viso Fan, biancheggiando , i bei sudar piti vi vo. Dal fianco de V amante, estranio arnese, Un cristallo petulca, lucido e netto. W Ij uno di servitù, V altra £Vimpero Si gloria; ella in sè stessa, ccl egli in lei. Volgi , dicco, deh volgi , il cavaliere , A me quegli occhi, onde beata bei, Che son, se tu no’l sai, ritratto vero De le bellezze tue gli inccndii mici: La forma lor, la meraviglia, a pieno, Dià che 7 cristallo tuo , mostra il mio seno . w Dot che intrecciò (Annida) le chiome, oche \ripresse Con or din vago i lor lascivi errori, Torse in avèlla i cria minuti, c in esse, Quasi smallo su Vor, consparse i fiori. (a) . ed vel compose. (fl) Nè 7 superbo pavon sì vago in mostra Spiega la pompa de V occhiute piume; Nè V iride sì bella indora c mostra Il curvo grembo e rugiadoso al lume. Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra, Che nè pur nuda ha di lasciar costume. Die corpo a chi non Vcbbc; e quando il fece , Tempre mischiò, ch'altrui mescer non lece. [CANTO XVI.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 143 St.25 {ì) . La qual becca e cinto, uscito qua per traforo di secco in secco senza aver fatto o mai far niente, passa ben quante chimere, quanti enti astratti o quante seconde intenzioni anno fatte le meta¬ fisiche. E che diavol volete voi fare con questi vostri sogni ? Oh voi direte: Io l’ho tolto dal tale e dal quale. Tanto maggior minchioneria avete fatta; perchè chi è netto e va a dormir con un rognoso, inerita più sode staffilate che quello al quale vien la rogna per sua natura, e ognuno è più in obligo a conoscer gli errori in altri che in se stesso. St. 26, v. 8 <2) . Pittor gretto e meschino, che maga è questa tua, io che potendo darli quei trattenimenti e spassi che imaginar si possono maggiori, tiene questo suo diletto freddamente, e lo fa romito amante? Alcina trattava così il suo Ruggiero ? Leggi l’Àriosto, c. <3) St. 27, v. 4 <4) . Si vede veramente che questo poeta aveva la mente distratta in molte torbide imaginazioni ; e ora in particolare, non si ricordando forse di aver detto di sopra che nel centro del palazo era P orto, mette ora nell’ orto il palazo, e si va aggirando in questi laberi nti. St. 28, v. 7, 8 (ù \ E viva la pedanteria! che gusto, che orecchio, è quel di quest’uomo? anzi pure che gusti da giudicar di poesia son 20 quelli di coloro che con saldo stomaco assaporano di queste minestre? Qual su le mosse il barbaro si vede Gonfiar le nari, e che V orecchie tende, (,) Teneri sdegni e placide c tranquille Repulse, cari vezzi e liete paci, Sorrisi, parolette , e dolci stille Di pianto, e sospir tronchi , e molli baci; Fuse tai cose tutte e poscia unillc , Ed al fuoco temprò di lente faci; E ne formò quel sì miràbil cinto , Di eh' ella aveva il bel fianco succinto. W Fine al fin posto al vagheggiar, richiede A lui commiato, e ’l bacia c si diparte. Ella per uso il dì n' esce, e rivede Gli a ffari suoi, le sue magiche carte: Egli riman , eh' a lui non si concede Por piede o trar momento in altra parte; E tra le fere spazia e tra le piante (Se non quanto c con lei), romito amante. < s > (3. 7, st. 18-32. Traggono le notturne ore felici Sotto un tetto medesmo , entro a quegli orti. w Qual feroce destricr, eh' al faticoso Gnor de Varme, vincUor, sia tolto, E lascivo marito in vii riposo Fra gli armenti e ne'paschi erri disciolto, Se 7. desta o suon di tromba o luminoso Acciar, colà tosto annitrendo è volto , Già già brama Varringo e Vuom sul dorso Portando, urtato, riurtar nel corso ; Tal si fece il garzon, quando repente De Vanne il lampo gli occhi suoi percosse. 144 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XVr.] disse l’Ariosto (1) ; die è altro che bramar V aringo, e V uom sul dorso por¬ tare, e riurtare urtato nel corso. St. 30 121 . È pur una cosa del diavolo aver a far con pecore, le quali, pur che una del gregge si sia messa a saltare un fosso o a seguire altra strada, tutte, senza pensare più là, gli van dietro, come sonnac¬ chiose e sbalordite. Così bisogna che sia intervenuto a gli ammiratori di questo libro, de’ quali io ne ho conosciuti molti farne schiamazi ter¬ ribili, e, vicnti veggendo, non l’aver a pena letto, nè aperto mai il Furioso: ed è finalmente forza che sia così, perchè chi saria quello così insensato che non discernesse la differenza che è infinita tra Ruggiero e questo Rinaldo, figurati in stato di lascivia e morbideza (:,) ? Ma lascio anco star di considerare la figura intera, pessimamente dipinta in que¬ sta stanza: qual ingegno stravolto averia mai detto o direbbe : Questa spada è effeminata dal troppo lusso? Vedi l’Ariosto, c. 7, st. 55 etc. l4) St. 31, v. 2 15) . Questo vaneggiar lungo è borraccia, perchè nel sonno cupo e grave non si vaneggia. Per il resto della stanza, vedi P Ariosto, c. 7, st. 65 etc. (6) 5-6. sonnachiose — O) C. 45, st. 71 : Qual su le motte il barbaro ti vede, Che ’ l cenno del partir focoso attende, jYè qua nè là jjo/er fermare il piede, Gonfiar le nari, e che /*orecchie tende; Tal V animosa donna ecc. w Egli al lucido scudo il guardo gira, Onde si specchia in lui, qual siasi, c quanto Con delicato culto adorno: spira Tutto odori c lascivie il crine e’I manto; E ’l /'erro, il ferro, aver , non ch'altro, mira Dal troppo lusso effeminato, a canto; GuernUu c sì, eh’ inutile ornamento Sembra, non militar fiero instrumento. < 3) Orlando Furioso, c. 7, st. 53-55; Geru¬ salemme Liberala, c. 16, st. 17-23. [53] Il SHO vestir (ili Ruggì oro) delizioso e molle Tatto era d' ozio e di lascivia pieno , Che di sua man gli uvea di seta e d' oro Tessuto Alcina con sottil lavoro. Di ricche gemme un splendido monile Gli discenclea dal collo in mtzo il petto, E ne V uno e ne V altro già virile Braccio girava un lucido cerchietto. Gli aveu forato un fil d'oro sottile Ambe V orecchie, in forma d'and letto, E due gran perle pendevano quindi, Qnai mai non ebber gli Arabi «è gl' Lidi. Umide, uvea l' inanellate chiome De.' più Noavi odor che. sieno in prezzo; Tatto ve' gesti era amoroso, come Posse in Valenza a servir dotine av>zzo. JVon era in lui di sano altro che 7 nome: Corrotto tutto il resto, e. più che mezzo. Così Ruggier fu ritrovalo, tanto Da V esser tuo mutato per incanto. (5) Qual uom, da cupo c grave sonno opprcs - Dopo vaneggiar lungo in sè riviene, [so, Tal ci tornò nel rimirar se stesso : Ma se stesso mirar già non sostiene ; Giù cade il guardo, c timido e dimesso, Guardando a terra , la vergogna il tiene. Si chiuderebbe e sotto il mare e dentro Il foco, per celarsi, e giù nel centro (5) Ruggier ti stava vergognoso e muto Mirando in ferro, e mal sapea che dire; IO [Canto XVIII.] CONSIDERAZIONI AL TASSO. 145 St. 32, 33 (l) . Queste due stanze mi paiono bellissime ; solo quel parlando è superfluo nel primo verso. Vedi in comparazione l’A riosto, c. 7, st. 56 etc. U) CANTO XVIII. St. 68, v. 3, 4 Con quanta maggior leggiadria disse l’Ariosto, c. 16, st. 57 ; Grand’ ombra d’ ogni intorno il cielo involvo, Nata dal saettar dclli due campi! A cui la maga nei dito minuto Pone l'anello, e. lo fd ritenti re. Come liuggìcr in «è fu rivenuto, Di tanto scorno ni vide assalire, Ch' esser vorria sotterra mille braccia, Ch'alcun veder non lo potesse in faccia. W Ubaldo incominciò , parlando , allora: Va l'Asia tutta, c va l'Europa in guerra; Chiunque c pregio brama e Cristo adora, Travaglia in arme or ne la Siria terra ; Te solo, o figlio di Bertoldo, fuor a Del mondo, in ozio, un breve angolo serra ; Te sol de V universo il moto nulla Move, egregio catnpion cV una fanciulla. Qual sonno o qual letargo ha sì sopita La tua virtude? o qual viltà V allctta? Su, su; te il campo c te Goffredo invita, Te la fortuna e la vittoria aspetta. Vieni, o fatai guerriero, e sia fornita La ben comincia impresa; e Vempia setta, Che già crollasti , a terra estinta cada Sotto l'inevitabile tua spada. **) iVe la forma d'Atlante se gli affaccia Colei che. la sembianza ne (enea, Con quella grave e vcnr.rabil faccia Che Iìuggier sempre riverir solea, Con quell' occhio pieii d' ira c di minaccia Ohe sì temuto già fanciullo avea ; Dicendo : E questo dunque il frutto, eh' io Lungamente atteso ho del sudor mio ? Di medollc già d'orsi e di leoni Ti porsi io dunque li primi alimenti, T ho per caverne rt orridi burroni, fanciullo, avezzo a strangolar serpenti, Pantere e tigri disarmar d * un (/ioni, Et n »i»i cinghiai trnr spesso ì denti, Acciò che, dopo tanta disciplina, Tu sii l'Adone o VAlide d'Alcina t È questo quel che V osservate stelle, Le sacre fibre e gli accoppiati pini fi, liesponsi, augurii, sogni e tutte quelle Sorti ove ho troppo i miei studi consunti. Di te promesso sin da le mammelle M'aventi, come quest'anni fusser giunti. Che in arme V opre tue così preclare Esser dovean, che sarian senza pare / Questo 2 ben veramente alto principio. Onde si pud sperar che fu sia presto A farti un Alessandro, un Giulio, un Scipio! Chi potea, olmi, di te mai creder questo. Che ti facessi d'Alcina mancipio t E perché ogn' un lo reggia manifesto. Al collo et a le braccia hai la catena. Con che ella a voglia sua, preso, ti mena. Se non ti muovon le tue proprie, laudi E V opre eccelse u che t y ha il Cielo eletto, La tua succesttion perché defraudi Del ben che mille volte io t' ho predetto ? 0 CC. < s) Incominciavo a saettar gli arcieri Infette di veleno arme mortali; Ed adombrato il del par che $' anneri Sotto un immenso nuvolo di strali. 146 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XIX.] CANTO XIX. St. 4, v. p .° (1> Senza ’l cotale disse l’Ariosto 121 : Sorrise amaramente in piò salito Il Conio, eie. St. 6, v. 5 (3) . Non intendo troppo bene quel sì fatto. St. 7 (4) . Sete un cattivo pittore, Sig. Tasso : volete figurare Ar¬ gante per il più superbo, indomito o arrogante campione di tutto il mondo, e ora lo fate cosi mogio, che a guisa d’una pecora com¬ porta che Tancredi lo difenda e lo ricuopra, senza farne risentimento alcuno. St. 10 ts> . Mirabile, nobile e generosissima risposta veramente, o tale che forse non è altretanto in tutto questo libro. (*> Sorrise il buon Tancredi un colui riso Di sdegno, c in detti alteri ebbe risposto ecc. W C. 13, st. 35. w [5] Viene in disparte pur tu, c’omicida Sei de’ giganti solo e de gli eroi: JJ uccisor de le fonine ti sfida. Così gli dice (Tancredi ad Argante) ; indi [si volge a i suoi, E fa ritrarli da V offesa . [61 Or discendine giù, solo o seguito, Come più vuoi (ripiglia il fier Circasso): Va 1 in frequentato loco, od in romito; Che por dubbio o svantaggio io vanti lasso. Sì fatto ed accettato il fiero invito, Movon concordi a la gran lite il passo. ( 4 > [6] 1j odio in un gli accompagna , e fa il [rancore, L'un nemico de V altro, or difensore. Grande è il zelo d’onor, grande il desire Che Tancredi del sangue ha del Pagano, Nè la sete ammorzar crede de V ire, Se ri esce stilla fuor per V altrui mano ; E con lo scudo il copre, c, Non ferire, Grida a quanti rincontra anco lontano: Sì che salvo il nemico infra gli amici Tragge da Vanne irate e vincitrici. (5) [9] Qui si fermano entrambi : e par so - [speso Volgeasi Argante a la cittadc afflitta. Vede Tancredi che ’l Pagati difeso Non è di scudo, c ’l suo lontano e? gilta ; Poscia lui dice : Or qual pcnsicr t’ha preso ? Pensi eh* è giunta V ora a te prescritta? S’antivedendo ciò, timido stai, È ’l tuo timore intempestivo ornai. Penso (risponde) a la città, del regno Di Giudea antichissima regina, Clic vinta or cade; e indarno esser soste- 10 procurai de la fatai ruina ; [gno E eh’època vendetta al mio disdegno 11 capo tuo, che ’l cielo or mi destina. Tacque: e incontra si van con gran ri - [sguardo, ecc. [Canto XIX.] CONSIDKRAZIONI AI. TASSO. 147 St. 11, V. 3 (l) . Quante centinaia di porclieriole simili a quest’ago capo sono in questo volume ! St. 25, v. p.°, 2 {i) . Preso dall’Ariosto, clic assai più propriamente disse ... <3 ’ : .o tal fu la percossa, Che dalle piaghe sue, come da fonte, Lungi andò il sangue a l'ar la terra rossa. Ma qui dicendosi le piaghe aperte, l’aggiunto aperte non lavora niente, ed è messo per ripieno ; e il verbo scese parimente non ha forza, io come nell’Ariosto lungi andò. St. 26 . Chi non sarà poi privo di senso interamente, conoscerà l’infinita differenza che è tra questa stanza e l’ultima dell’Arioato (b) , lo quali dipingono il medesimo effetto, espresso là soprauinanamente, e qui infelicissimamente; segno evidentissimo del poco gusto di poesia che è forza che avesse il Tasso. Imperò che chi averà sentito ; E duo e tre volte nell* orribil fronte, Alzando, più elio alzar si possa, il braccio, 11 ferro del pugnale a Rodomonte Tutto nascose, eie. 20 come potrà mai, avendo orecchio e senso, aver detto : Poi lu spada gli (isso o gli rilisse, 14. segnio — 0) È dì corpo Tancredi agile e sciolto, E di man velocissimo e di piede ; Sovrasta a liti con V alto capo, e molto Di grossezza dì membra Argante eccede. w [2 Ij Tu, dal tuo peso tratto , in giù col [mento N r andasti Argante, e non potesti aitarle: Per te cadesti, aventuroso in tanto Ch'altri non ha di tua caduta il vanto. Il cader dilatò le piaghe aperte, E il sangue espresso dilagando scese . (3) C. 46, st. 135. < 4 > Infuriassi aliar Tancredi, e disse : Così abusi, fellon, la pietà mia? Poi la spada gli fìsse c gli ri fisse Ne la visiera, ove accertò la via. Moriva Argante, c tal moria qual visse; Minacciava morendo, c non languia: Superbi, formidabili, feroci Gli ultimi moti far, V ultime voci. i») C. 46, st. 140: E due c ire volle ne V orribil fronte, Alzando, pili ch'aitar ni possa, il braccio, Jl ferro del pugnale a Rodomonte Tutto n cacate, e ni levò impaccio. A le nqualide ripe d'Acheronte, Sciolta dal Corpo pili freddo che ghiaccio, Bestemmiando fuggì V aloni sdegnami, Che fu sì altera al mondo a hi orgogliosa. 148 CONSIDERAZIONI AL TASSO. [Canto XIX.] indegno di qualunche più bisunto pedante che mai frisse o rifrisse peducci? In oltre, quell ’accertò la via non credo che uomo del mondo, nè che l’Autore stesso, sapesse ciò che si volesse dire. Il resto della stanza è snervato, al solito, non significante, con quei suoi soliti ge¬ nerali, che non dipingono niente : Superbi, formidabili, feroci Gli ultimi moti fur, 1’ ultime voci. Bisognava dirlo in particolare, quali fossero questi moti e queste voci, se volevi rappresentare al vivo. POSTILLE ALL'ARIOSTO. CANTO I (n . St. 33, v. 1. Fugge ( Angelica) tra solve spaventose e [scure*, ecc. * Fugge Erminia, c. 7, st. 3 [ ‘ l) . St. 16, v. 7. Appresso, ovo il Sol cade, per su’ amore, Venuto era dal capo d’Oriente; Che seppe in India con suo gran dolore, io Come ella Orlando seguitò in Ponente; Poi seppe in Francia, che l’Imperatore Sequestrata l’avea da l’altra gente, E promessa in mercede a chi ih loro Fin quel (/ionio aiutasse ì Gigli d'oro*. * Non si nominando Rinaldo in que¬ sto luogo, paro gran mancamento il dire in genere, la donna esser stata promessa a chi più aiutasse etc. St. 47, V. 2. I Stato era in campo; e avea veduta quella, 20 Quella * rotta, che dianzi ebbe re Carlo. * Grave St. 61, v. 8. Poi torni a l’w/o* suo dura e proterva. * teso 5. Nel cod. B la postilla è registrata cosi : Tasso, c. 7, st. 3. Fugge Erminia etc. — 15-16. 2V7 m si nominando in questo luogo Rinaldo, pare, B — 17. in generale , B — essere, B — 18. più di loro aiutasse V imperio, B — (1) Nell’esemplare postillato erano stati notati da Galileo con segui, sul valore dei quali si vegga TAvvertimento, i seguenti passi: st. 7, v. 2, col segno (((; st. 18, v. 4, col so- gno ; st. 22, v. 1, col segno (((, e v. 3 col se¬ gno ; st. 34-38, con linea in margine, o la st. 34, di più, col segno 0* \ st. 42, 43, con li¬ nea in margine ; st. 48, v. 7, 8, e st. 50, v. 3, 4, col segno ((( ; st. 52, v. 3, 4, e st. 53, v. 1-4, col segno &JT ; st. 56, v. 5, 6 o v. 7, 8, e st. 58, v. 3, 4, col segno (((; st. 62, v. 1, 2, e st. 65, v. 1-6, col segno &jT ; st. 67, v. 7, 8, col segno ^ ; st. 73, v. 4, con linea orizzontale dopo la parola fende ; st. 74, v. 4, col segno e v. 7, 8 col segno ^ ; st. 75, v. 3, 4, st. 76, v. 4, o st. 77, v. 5-7, col segno flGT. 01 Gerusalemme Liberata, c. 7, st. 3 : Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno Errò lenza (somiglio e lenza guida ecc. 152 POSTILLE ALL’ARIO&TO. [Canto IL] St. 02, v. 2. Non si vanno i leoni o i tori in salto A dar di petto, ad accozzar *, sì crudi, Come quei duo guerrieri al fiero assalto, ere. * od a cozzar Si, 65, v. o. Quale stordito e stupido aratore, Poi eh’è passato il fulmine, si leva Di là, dove l’altissimo fragore io Presso a gli uccisi buoi steso V aveva, Che mira senza fronde e senza onore Ilpin* che di lontan veder soleva; Tal si levò il Pagano, ecc. * j U orbar CANTO 1I (1> . St. 3, v. 3. Che mi sia tolto in* mio, patir non soglio. *ìl St. 4, V. 7, 8. 20 Tu te ne inenti che ladrone io sia, Rispose il Saracin non meno altiero: Chi dicesse a tc ladro, lo diria (Quanto io n’odo per fama) più con vero. La prova or si vedrà, chi di noi sia Più degno de la donna e del destriero; Benché , quanto a lei , tcco io mi convegna Che non è cosa al mondo altra sì degna*. * E ver eli io teco, quanta lei, convegno, Che non ha il mondo uom, che di lei sia de - [gno. so St. 7, v. 4. Poi sotto il petto si caccia la testa ( Balardo). Gioca di* schema, e mena calci in frotta. * Scote la * St. Il, v. 1, 3. Como vide * la timida donzella Dal fiero colpo uscir tanta ruina, Per gran timor cangiò ** la faccia bella. * vede ** cangia 40 St. 33, v. 2. Quindi cercando Bradamante già L’amante suo, c’avea nome* dal padre * che nome uvea St. 44, v. 3. Come la volpe, che ’l figlio* gridare Nel nido oda de l’aquila di giuso, ecc. * figliuol st. 61, v. 4. Fra due guerrieri in terra et uno in cielo *>o La battaglia durò sin a quell’ ora, Passi notati : st. 1, v. 1, 2, col segno ((( ; st. 3, v. 6, e st. 4, v. 3, col segno ; st. 5, v. 1-6, col segno SCI’; st. 7, con linea in margine; st. 8, v. 6-8, col segno flOT ; st. 9, col segno d’ una spada ; st. 10, v. 5, col segno ^ ; st. 11, v. 4, col segno ; st. 19, v. 5-8, con linea in margine e col sogno £ ; st. 23, v. 3, col segno £ ; st. 27, 28, con linea in margine, e la 27, di più, col se¬ gno 7 ^-; st. 29, 30, con linea in margine; st. 36, v. 1, 2, col segno ({(; st. 38, v. 4, st. 39, v. 1-4, st. 44, v. 3, 4, st. 49, v. 2-6 e v. 8, st. 50, v. 3, 4, col segno VjT ; st. 52, v. 1, col segno ^ ; st. 54, col segno Q, e i v. 5-8 con linea in margine; st. 58, v. 5-8, st. 59, v. 3-8, e st. 65, con linea in margine. [Canti III-IV.] POSTILLE A LL’ARIOSTO. 153 Che spiegando nel mondo oscuro velo, Tutte le belle cose* discolora. * cose bella SI. 58, v. 2. Fatta cha* n’ebbe la cagion palese. * che St. 60, v. 5. Andiam pur tosto a quella stanza amara*. * avara St. 61, v. 4. A me molto non è perdere i passi, Perduta avendo ogni altra cosa * mia. * gioia St. 62, v. 6, 8. In questo, ecco alle spalle il messaggiero, Che, Aspetta, aspetta, a tutta* voce grida; Il messaggier da chi T Circasso intese, Che costei fu che a Verba** lo distese. * ad alta ** eh* in terra CANTO III Passi notati : st. 1, col segno {((, « e legata », scrive il Vi- via ni nel cod. À, « con la 8 e 4 » ; st. 5, v. 3, 4 col segno flGT, e v. 5-8 col segno ^ ; st. 8, v. 3, 4, col segno i((; st. 11 e 15, con linea in mar¬ gine; st. 18, v. 5-6, e st. 20, v. 7, 8, col segno ; st. 21, v. 5-8, con linea in margine ; st. 23, v. 3, 4, col segno flcr ; st. 26, v. 7, 8, st. 30, 40 e st. 41, v. 1-4, con linea in margine, e, di più, le st. 39 e 40 col segno (ff ; st, 48, v. 3, 4, col segno t((; st. 51, v. 6-8, e st. 62, 64, con linea in margine; st. 71, v. 4, con linea orizzontale dopo la parola fussi, e sottolineate le parole se presa; st. 72, 73, con linea in margine; st.81, v. 3, 4, col segno et. 87, con linea in margine. Anche una delle stanze comprese tra la 11* e la 15* era notata con segno ; ma, per un guasto della carta nel cod. A, non possiamo determinare quale fosse la stanza, ne con qual segno distinta. [Canto VI.] POSTILLE ALL’ARIOSTO. I St. Gl, v. 8. 155 CANTO VI (1) . St. 17. v. 7. Lasciato avea {Unii(fiero) di gran spazio di- Tutta T Europa, et era uscito fuore [stante Per molto spazio il* segno che prescritto Avea giù a* naviganti Ercole invitto. * Per lunga man del st. 19, v. 8. Poi che Paugel trascorso ebbe gran spazio io Per linea dritta e senza mai piegarsi, Con larghe rote, ornai * de T aria sazio, Cominciò sopra una isola a calarsi. * al fin st. yr>, v. a .uscimmo una mattina Sopra la bella spiaggia, ove un castello Siede su ’I mar de la possente Alcina. Trovammo lei, ch’uscita era di quello E stava sola in ripa a la marina, 20 E senza rete e senza amo traeva Tutti lì pesci al lito che voleva*. * Al lito tutti i pesci St. 87, V. 4. Undici passi e piò dimostra (la balena) fuore De Tonde salse le spallarne* grosse. * Dante. E perchè essi non vadano pel mondo, l)i lei narrando la vita lasciva, Chi qua, chi là, per lo terren fecondo, so Li muta altri in abete, altri in oliva, Altri in palma, altri in cedro, altri secondo Che vedi me su questa verde riva, Altri in liquido fonte, alcuni in fera, Come più aggrada a quella fata* altera. * alla sua mente St. 78, v. 5, 6, 7. [72] Queste ( donzelle ) con molte offerte e con [buon viso Ruggier fecero entrar nel paradiso: 40 Chè si può ben cosi nomar quel loco, Ove mi credo che nascesse Amore. Non vi si sta se non in danza e in gioco, E tutte in festa vi si spendon l’ore: Pensier canuto nè molto nè poco Si può quivi albergare in alcun* core **; Non entra quivi disagio*** nè inopia, Ma vi sta ogn’or, col corno pien, la copia. * vermi Quivi pensier canuto o molto o poco do Albergar non si puote in verini core (?> *** lì disagio mai St. 79, v. 1, 8, 4. Oltre che sempre ci* turbi il camino (Eri- Che libero saria se non fosse ella, [fila,) 0) Passi notati : st. 2, v. 5-8, con linea in margine; sfc. 5, v. 1-4, col segno (((; st. 8-12, con linea in margine; st. 18, v. 2, 3, e v. 7, 8, col segno ^ ; st. 19-25, con linea in margine; st. 27, v. 1-6, e st. 32, v. 2-4, col segno &JT ; st. 46, 47, 49-53, con li¬ nea in margine, e, di più, i v. 5, 6 della stanza 53 col segno (([; st. 61-63, con linea in margine; st. 66, v. 8, col segno gir”; st. 72-75, 78, con linea in margine. W 11 V ivi ani, nel cod. A, scrive: « St. 73, v. 6, * alcun, venia ; o vero mutati i due versi 5,6 cosi: Quivi pensier canuto o molto o poco Albergar non hi puote in verun core ». 156 POSTILLE ALL’ARIOSTO. [Canto vii.] Spesso correndo per tutto il giardino , Va disturbando or questa cosa or quella * a noi ** Spesso correndo vien entro 7 giardino, E va sturbando or questa ; cosa or quella. CANTO VII (1) . ’ St. 2, v. G-8. [1]. V insperienza Farà al mio canto dar poca credenza, io Poca o molta ch’io n’abbia, non bisogna Ch’io ponga mente al volgo sciocco e ignaro: A voi so ben che non parrà menzogna, Glie’l lume del discorso avete chiaro; Et a voi soli ogni mio intento agogna, Clic 7 frutto sia di mie fatiche caro. Io vi lasciai che 7 ponte e la riviera Valer che ’n guardia avea Eri fila altiera *. * Che sia di mie fatiche il frullo caro. Io lasciai Ruggier presso alla riviera, so di in guardia uvea la gigantessa altiera. st. 4, v. 7. La sopravesta di color di sabbia Su l’arme avea la maledetta lue. Ara*, fuor che ’l color, di quella sorte, Ch 5 i vescovi e i prelati usano in corte. * Ch’ era St. 14, v. 4. Bianca neve è il bel collo ; e ’l petto, latte ; Il collo è tondo, il petto è colino e largo; Due pome acerbe, e pur d’avorio fatte, so Vengono e van , come onda al primo margo Quando piacevol aura il mar combutte*. ♦Intende di rappresentare Balzarsi ed abbassarsi che fanno le mammelle mediante il respirar della donna. St. 17, v. 4. Anzi pur creder vuol che da costei Fosse converso Astolfo in su l’arena Per li suoi portamenti ingrati e rei, E sia degno di questa e di più* pena. 40 * maggior St. 10, v. 4, 8. A quella mensa cetere, arpe e lire, E diversi altri dilettevol suoni, Faceano intorno l’aria tintinnire D’armonia dolce e di concenti buoni*. Non vi mancava chi cantando dire D’amor sapesse gaudii e passioni, 0 con invenzioni e poesie, Rappresentasse grate ** fantasie. &o * grata in dolci e vani tuoni ** liete St. 22, v. 7. Tra bella compagnia dietro e dinanzi, Andò Ruggier a ritrovar le piume 4. entro il giardino, R — 34. abbassarsi delle mammelle, B — (| ) Passi notati : st. 19, 20, con linea in margine, « e segnate», scrive il Viviani nel cod. A, « con numero po¬ sposto: cioè la 20 fatta diventar 19; e la 19, 20: o così torna meglio » ; st. 27, v. 4 « fregato sotto con linea così -{—i ». come scrive il Vi- vi ani nello stesso codice; st. 02, 03, con linea in margine, oltre alla postilla che riferiamo a suo luogo; st. 75, v. 7,8, con linea in margine e col segno [Canto VII.] POSTILLE ALL’àRIOSTO. 157 In mia adonta e fresca* cameretta, Per la miglior di tutte P altre eletta. * fresca e adorna St. 29, v. 7, 8. Del gran piacer c’avean, ìor diccr forca; Che spesso avean più (V una lingua in hocco*. * Dir deir ultimo strai eh; Amore scocca, Conviensi a chi più d’ una lingua ha in [bocca u . io St. 59, v. 4. Chi polca, oirnè , di le * mai creder questo, Che ti facessi d’Alcina mancipio ? * Chi poteva di te St. 62, 63. Non eh* a piegarti a questo tante e tante Anime belle aver dovesser pondo, Che chiare, illustri, inclite, invitte e sante Soli per fiorir da V ari)or tuo fecondo; Ma ti dovria una coppia esser bastante, 20 Ippolito e M fratei: chè pochi il mondo Ila tali avuti ancor fin al dì d’oggi, Per tutti i gradi onde a virtù si poggi. Io solca più di questi duo narrarti, Ch’io non facca di tutti gli altri insieme, Sì perché essi terran le maggior parti, die gli altri tuoi, ne le virtù supreme, Sì perchè al dir di lor mi vedea darti Più attenzion che d’altri del tuo seme: Vedea goderti clic sì chiari eroi 30 Esser dovessin de’ nepoti tuoi*. * Di grazia, Sig. Lodovico, conten¬ tatevi che queste due stanze si levino, perchè questa esagerazione è un poco lunghetta, e va nel fine languendo e scemando l’agitazione. Ed oltre a ciò, non so quanto ben concordi che Atlan¬ te, il quale non procurava altro che levarlo di Francia, gli avesse ragio¬ nato di sue successioni ; sì che per avventura Melissa si arrisica a tirar io troppo in arcata. St. G6, V. 2. Ne la sua prima forma in uno instante, Così parlando, la maga rivenne* ; Nè bisognava più quella d’Atlante, Seguitone V effetto perchè venne. Per dirvi quel ch’io non vi dissi inanto, Costei Melissa nominata venne, Ch’or diè a Ruggier di sè notizia vera, E dissegli a che effetto venuta era. 60 Ragionando così, la maga venne: sarà miglior verso; e la parola venne sarà posta tre volte, e sempre in di¬ verso significato. St. 76, v. 6. E Balisarda poi si mise al fianco (Che così nome la sua spada avea), E lo scudo mirabile tolse anco, Che non pur gli occhi abbarbagliar solea, Ma l’anima facca sì venir manco, co Che dal corpo essalala* esser parea. * divisa 31-32. Di grazia, contentatevi, Sig. Lodovico, che, B — 35. la agitazione, B — 37. proccurava . B — 40. Melissa si arrossisca a tirar, B — 53. volte, sempre, B — w II Viviant, registrando questa postilla, ag¬ giunge, nel cod. A, che i versi dell’ÀmosTo furono da Galileo « mutati così torso por maggior mo¬ destia » IX. 20 158 POSTILLE ALL’AHIOSTO. [Canti VIII-ix.1 CANTO VITI (W . st. r», v. 6. Del palafreno il cacciatoi* giù sale, E tutto a un tempo gli ha levato il morso. Quel par da V arco uno aventato strale, I)i calci formidabile e di morso *. * Tassesco. st. 20, v. 3, 5. Fereote il sole ardente il vicin colle, io E del calor, che si riflette a dietro, In modo V aria e l 1 arena ne bolle*, Che saria troppo a far liquido il vetro; Stassi cheto V augello a V ombra molle *'*. * L’aria ’n modo e V arena ore ribolle ** ogn y augello alV ombra molle St. 35, v. C. Poi che la donna preso ebbe il sentiero Dietro il gran mar che li Guasconi lava, Tenendo appresso a T onde il suo destriero, 20 Dove Tumor la via più ferma dava; Quel lo fu tratto dal demonio fiero Ne l’acqua sì, che dentro * vi nuotava. * quasi st. 30, v. 6 Stupida e fissa ne l’incerta sabbia, Co i capelli disciolti e rabuffati, Con le man giunto e con immote labbia, 1 languidi occhi al ciel tenea levati ; 14. ir aria in modo, B — W Passi notati: st. 6, v. 8, col segno -*p, o sottolineate le pa¬ role (jiù sale; st. 50, v. 7, 8, col segno Come accusando il gran Motor, che l’abbia Tutti inclinati * nel suo danno i fati (i) . so * rivolti St. G8, v. 1. 0 se V avesse il suo Orlando * saputo ! * Orlando suo st. 80, v. 6. Parea ad Orlando, s’una verde riva, D’odoriferi fior tutta dipinta, Mirare il bello avorio e la nativa Porpora c’avea Amor di sua man tinta, E le due chiare stelle onde nutriva 40 No le reti d’Amor V anima vinta * avvinta CANTO IX. St. 24, v. 1. Quei giorni che con noi * contrario vento, Contrario a gli altri, a me propizio, il tenne; Oh’ a gli altri fui* quaranta, a me un momento, Così al fuggire ebbon veloci penne; Fummo più volte insieme a parlamento. * da noi no St. 28, v. o. Porta (il re di Frisa) alcun’arme clic l’antica [gente Non vide mai, nè, fuor eli a lui *, la nova. * fuor che lui (9) Nel coti. B lo parole inclinati o fati sono sottolineate, e il verso è notato noi margine col segno +. (Canto X.] POSTILLE ALL 5 A RIOSTO. 159 Sfc. 79, v. 6. .... smarrito il re Frison, torcendo La briglia in dietro*, per fuggir voltasse ; Ma li fu dietro (,) Orlando con più fretta, Che non esce da l’arco una saetta. * altrove CANTO X. St. 9, v. 4. Non vi vieto per questo (c’avrei torto) io Che vi lasciate amar; ehè senza amante, Sareste corno inculta vite in orto, Clie non ha palo, ove s'appoggi, o piante*. * nome st. Il, v.4. La damigella non passava ancora Quattordici anni ; et era bella e fresca, Come rosa che spunti allora allora Fuor de la buccia* e col sol novo cresca. * boccia 20 St. 24, V. 7, 8. Ma poi che di levarsi ebbe potere, Al camin de la nave il grido volto, Chiamò , quanto polca chiamar più forte , Più volte il nome del crude! consorte* (S) . * Si chiamano le persone, e non i nomi ; però si potrebbe dire : Chiamò più volte, il più che potea forte, Per nome il disleal crucio consorte 13. è nome, 13 — 5S. de i più, B — 0) Nel cod. B le parole in dietro o dietro dei y. G, 7 sono sottolineate. W I v. 7, 8 nell’ esemplare postillato erano segnati con linea in margine. W II Vi vi A ni, dopo aver registrata questa po- St. 36, v. 7. Percote il sol nel colle, e fa ritorno; 30 Di sotto bolle il sabbimi trito e bianco : Mancavan Varnie *, c’avea indosso, poco Ad esser, come già, tutte di foco. * Mancava a l'arme St. 37, v. 4. Corcate su tapeti Alessandrini, Cfodeansi il fresco rezo in gran diletto, Fra molti vasi di diversi vini E d’ogni buona* sorte di confetto. * miglior St. 38, v. 8. Gli cominciavo a dir che sì non abbia Il cor volonteroso al camin fitto, Ch’a la fresca e dolce ombra non si pieghi, E ristorar lo stanco corpo* neghi. * il corpo stanco St. 50, V. 2. Morir non pnote alcuna fata mai. Fin che ’l sol gira, o ’ l del non muta stilo 1 '. *e ’l del mantien suo stilo so St. 58, v. 3. Son di più prezzo le mura di quella * (rocca), Che se diamante lessino o piropo. * Son di prezzo maggior le mura d’ ella St. 77, v. 6. Il suo nome famoso in queste bande È Leonetto, il fior de li* gagliardi. * de’ più stilla, soggiunge, nel cod. A : « Ma io direi più tosto il primo verso come l’Ariosto: Chiamò, quanto potrà chiamar più forte. Per nome il disleal crudo consorte ». % 160 [Canti XI-X1I.] POSTILLE ALL’ARIOSTO. CANTO XI St. 3, V. 8. Si vi do {Angelica) in dito il prezioso anello Che già le tolse ad Albracca Brunello *. * Ctiad Albracca gli tolse già Brunello . SI. 8, v. 6 7. Ingrata damigella, ò questo quello Guiderdone (dicea) che tu mi rendi? Che più tosto involar vogli V anello, io C’averlo in don; perchè da me noi prendi ? Non par quel , ma lo scudo e il destrier snello E me ti dono, e come vuoi mi spendi; Sul che ’l bel viso tuo non mi nascondi *. Io so crudel ohe m’odi, e non rispondi. * Oh divinissimo uomo ! st. 12, v. a. rii] Non le può tor però (ad Angelica) tanto [umil gonna, Che bella non rassembri e nobil donna. 20 Taccia dii loda Fillidc o Neera, 0 Amarilli o Galatea fugace; Ghè cV esse alcuna sì bella non era*, Titiro e Melibco, con vostra pace. * Che nessuna di lor così bell* era. Se T intenzione del Poeta era di posporre, come è credibile, ad An¬ gelica tutte le nominate ninfe, do¬ veva dire : Che nessuna di lor così bell’era, 30 perchè le parole dell’Autore non esclu¬ dono tutte, ma alcuna sola. 50. e non però fu, B — (,) Passi notati : et. 8, v. 5-7 [cosi nel cod. B ; nel cod. À sono indicati i v. 4-7], con linea in margine, oltre alla postilla che riferiamo a suo luogo ; St. 63, v. 2. Nessun ripar fan gl’isolani, o poco; Parte, cti accolti* son troppo improviso, Parte, che poca gente ha il picciol loco, E quella poca è di nessuno uviso. * che colli St. 60, V. 3, 4. I rilevati fianchi e le belle anche, E, netto più che specchio, il ventre piano, I J arcano falli, c quelle cosce bianche , Da Fidia a (orno, o da piu ciotta mano*. * Farean, con V altre membra ignudo e [ bianche, Opra di Fidia o dì più dalla mano. St. 70, v. 7. .e non finì la guerra, Clic li diè morte; nè pero fu * tale La pena, ch’ai delitto andasse eguale. * e non fu però SI;. 80, y. 8. E su ’l suo Brigliadoro armato salse, E lasciò a dietro i venti c Vonde salse*. * mirabile. CANTO XII. St. 9, v. 6. Subito smonta ( Orlando ) e fulminando pas- Dove più dentro il bel tetto s’alloggia, [sa, Corre di qua, corre di là, nè lassa st. 9, v. 3-6, con linea in margine, e questo passo, è indicato solo noi cod. B ; st. 59, v. 2-4, sotto- lineati; st. 69, v. 3, 4, con linea in margine, oltre alla postilla. # [CANTO XIir.] POSTILLE ALL’AllIOSTO. 1C1 Clie non vegga ogni camera, ogni loggia. Poi che i secreti cV ogni stanza bassa Ha cerco* in van, su per le scale poggia; E non men perde anco a cercar di sopra, Che perdesse di sotto, il tempo e l’opra. * Cercali ha st. 13, v. 4. Orlando, poi che quattro volte e sei Tutto cercato ebbe il palazzo strano, io Disse fra sè: Qui dimorar potrei, llutare * il tempo e la fatica in vano; E potria il ladro aver tratta costei Da un’altra uscita, e molto esser lontano. * Gitlando St. 27, 28. [20] Chi tor debba di lor, molto rivolve Nel suo pcnsier, nè ben se ne risolve. Non sa stimar, chi sia per lei migliore, Il conte Orlando o il re de i fier Circassi. 20 Orlando la potrà con più valore Meglio salvar ne i perigliosi passi; Ma se sua guida il fa, sei fa signore, Ch’ella non vede come poi l’abbassi, Qualunque volta, di lui sazia, farlo Voglia minore, o in Francia rimandarlo. Ma il Circasso depor, quando le piaccia, Potrà, se ben l’avesse posto in cielo. Questa sola cagion vuol eh’ ella il faccia Sua scorta, e mostri averli lede e zelo*. 80 * Costume feininile mirabilmente espresso ; e questa è una delle cause per le quali par che le donne porlo più auteponghino a personaggi di grande stima gente di più bassa con¬ dizione. St. 39, v. 7. Disse Orlando al Circasso: ('he potria Più dir costui, s’ambi ci avesse scorti Per le più vile e timide puttane *, Che da conocchie mai traesser lane ? 40 * villane St. 45, v. C. Quel Paladin, di che ti vai vantando, Son io, che ti pensavi esser* lontano. * aver # St. 47, v. G. Non era in tutto il inondo un altro paro, Che più di questo avesse ad* accoppiarsi: Pari eran di vigor, pari d’ardire, Nè V un nè V altro si potea ferire. co * potesse St. 72, v. 2. Or cominciando i tepidi ruscelli A sciorrc il freddo * ghiaccio in lepuT ** (l> [onde, E i prati di nove erbe, e gli arboscelli A rivestirsi di tenera fronde, eco. * duro ** liquidi CANTO XIII (2) . «o St. Il, v. 8. .Odorico di Riscaglia, E in mare * e in terra mastro di battaglia. * In mare 6. Cercato ha, B — 32-33. le donne antepongano , B — 9) Le parole tepidi e tepid* (v. 1, 2) nel cod. B segno i v. 5, 6 della st. 35, nei quali, inoltre, aveva sono sottolineate. sottolineato la parola foco ; e alla st. G6, i v. 3, 4, 9) Alla st. 30 era stato notato da Galileo il ai quali è relativa la postilla che riferiamo a suo v. 4 col segno + in margine, e con lo stesso luogo, erano stati seguati con linea in margine. 162 rOSTILLE ALL’ARIORTO. [Canto XIH.j St. IO, v. 4. [1S] In preda al mare andar tutti gli arnesi. A P eterna Boutade, a l’inlinito Amor, rendendo grazie, le man stesi, Che non m’avesse dal i'uror marino Lascialo tor di riveder Zerbino. Come eh’ io avessi sopra il legno c vesti Lasciato e gioie e P altre cose care, Pur che la speme di Zerbin mi resti, io Contenta son che s'abbia il resto * il mare. * eh’ abbia, V avanzo St. 21, v. 6. Poter con lui* comunicar l’ingrato Pensiero, il traditor si persuase. * a quel St. so, v. 7. Nè cV accecarlo contentar si volse Il colpo fier, s’ancor non lo registra Tra* quegli spirti, che co’suoi compagni 20 Fa star Caron dentro a i bollenti stagni. * Fra St. 88, v. 6. Così tal volta un grave sasso pesta E fianchi e lombi*, e spezza capi e schiaccia, Gittato sopra un gran drappel di bisce, Che cloppo il verno al sol si goda e lisce. * Le spine e i colli st. 06, v. 8, 4. Più eli’altre fosser mai, le tue famiglie so Saran, ne le lor donne, aventurose: Non dico in quella più de le lor figlie, Che ne l’alta onestà de le lor spose*. * Perchè è duretto il senso di questi due versi, si potrebbe forsi dir più chiaro così ; Non più nell’onestà delle lor figlie, Che nell’alta virtù delle lor spose. St. 74, v. 1. Poi elio le raccontò la maggior * parte De la futura stirpo a suo grand’agio tre. 40 * miglior v. S. Melissa si fermò poi elio fu in parte Vicina al luogo del vecchio malvagio; E non le parvo di venir più inante, Perche veduta non fosse da Atlante *. * Perche non la vedesse il vecchio Atlante. st. 70, v. 3. [78] Mentre olio cosi pensa, odo la voce, Che le par di lluggier, chieder soccorso, DO E vede quello a un tempo, che veloce Sprona il cavallo e gli rallenta il morso, E l’un nimico e l'altro suo feroce, Che lo seguo o lo caccia a tutto corso. Di lor seguir la donna non rimase, Ohe si condusse a T incantate case : De le quai non più tosto entrò le porte, Che fu sommersa nel coni mime errore. Lo cercò tutto*, per vie dritte e torte, In van di su di giù, dentro e di fuore; co Nò cessa notto o dì, tanto era forte L’incanto, eco. * Le cerca tutte St. 81, v. 6. .il popol moro Davanti al re Agnini ante ha perso * Tarme, Che, molto minacciando a i Gigli d’oro, Lo fa assembrare ad una mostra nova, Per saper quanta gente si ritrova. * preso 70 11. eie abbi, B 34. si poiria forsi, B — 35-36. chiaro: Non , B — 63. Le cercò tutte , B [Canto XIV.) POSTILLE ALL’ARIOSTO. 1G3 CANTO XIV (1) . st. 2, v. n. E se a le antique le* moderne cose, Invitto Alfonso, denuo assimigliarsi ecc. * V antique alle St. 86, v. 2. Non le* lungo camin, che venne dove Crudel* spettacolo ebbe et inumano. * Crudo 10 v. 5. Or mira questi, or quelli * morti ecc. * ed or quei St. 89, v. 8. Dove entrar si polca, con l’arme indosso Stavano molti cavalieri armati. Chiede il Pagali, dii gli avea* in stuol sì grosso, Et a che effetto, insieme ivi adunati. Gli fé’ risposta il capitano, ecc. * abbia 20 St. 19, V. 4. Poscia ch’egli restar vede l’entrata, Che mal guardata fu, senza custode, Per la via che di novo era segnata Ne l’erba, al suon de ramarichi* ch’ode, Viene a veder la donna di Granata, Se di bellezze è pari a le sue lode. [50 ) E Dorai ice in mezo il prato vedo 49. e il regno suo, B — (Chè così nome la donzella avea), La qual, soffolta da l’antico piede SO D’un frassino silvestre, si dolea. * delle querele St. 56, v. 5. De la gran preda il Tartaro contento, Clic fortuna c valor gli ha posta manzi, Di trovar quel dal negro vestimento Non par c’abbia la fretta c’avea dianzi. Correva dianzi'': or viene ad agio e lento. * Se si volesse, in luogo di dir dianzi } dire prima, si può ; ma a me non di- *o spiace questa replica, anzi piace. St. 57, v. 5. Compone e fingo molte cose; e dice, Che per fama gran tempo ben le volle, E che la patria e il suo regno* felice, Che ’1 nome di grandezza a gli altri tulle, Lasciò, non per vedere o Spagna o Francia, Ma sol per contemplar sua bella guancia. * c 7 regno suo St. 68, v. 7. co Se per amar, Tuoni deve esser amato, Merito il vostro amor, oliò v’ ho amat’io. Se per valor, credo oggi avere esperto z , Ch’ esser amato per valore io morto. * avervi aperto St. 69, v. s. Et egli (Carlo) tra baroni e paladini, Principi et oratori, al maggior tempio (9 Tassi notati : st. 32, v. 5, 6, con linea in margine e col se¬ gno ; st. 67, v. 3, con sottolineatura e col segno d- in margine; st. 70, v. 5-8, st. 71, st.78, con linea in margine, oltre alle postille che rife¬ riamo ai loro luoghi; st. 91, v. 8, sottolineate lo parole J'Wa sapea; si. 99, segnata con linea in mar¬ gine; st. 121, v. G, sottolineato e col segno -f-. 164 POSTILLE ALL’ARIOSTO. [Canto XIV.] Con molta * religione a quei divini Atti intervenne, e ne diè agli altri essempio. * gran st. 70, v. 5-8, © st. 71. [G9] Con le man giunte e gli ocelli al eiel supini Disse (Carlo): Signor, ben ch’io sia iniquo et [empio, Non voglia tua bontà, per mio fallire, Clie ’l tuo popol fedele abbia a patire, io Es’egli è tuo voler ch’egli patisca, E c’abbia il nostro error degni supplici, Almen la punizion si differisca, Sì che per man non sia de’tuoi nimici : Che quando lor d’uccider noi sortisca, Che nome avemo pur cVesser tuo’ amici, I Pagani diran che nulla puoi, Che perir lasci i partegiani tuoi ; E per un che ti sia fatto ribelle, Cento ti si faran per tutto il mondo, 20 Tal che la legge falsa di Babelle Caccerà la tua fede o porrà al fondo. Difendi queste genti, clic son quelle Che ’l tuo sepolcro hanno purgato e mondo Da’ brutti cani, e la tua santa Chiesa, E li vicarii tuoi, spesso difesa *4 * Vorrei che Cariosi contentasse di pregare Dio, senza starlo ad ammo¬ nire o consigliare. SI. 75, v. 7. so Va’ (gli disse) a l’essercito cristiano, Che dianzi in Piccardia calò le vele, Et al mur di Parigi * l’appresenta, Sì che ’l campo nimico non lo senta. * E di Parigi al muro St. 76, v. 2. Trova prima il Silenzio, e da mia parte Gli di’", che teco a questa impresa venga. * Digli St. 78, v. 3, 4. Dovunque drizza Michel Angel Pale, 40 Fuggon le nubi c torna il ciel sereno. Li gira intorno un aureo cerchio, quale Vcggiam di notte lampeggiar baleno *. * Tassesco. St. 82, v. 8. Par di strano a Michel ch’ella (la Discordia) Chè per trovar crcdea di far * gran via. [vi sia; * trovarla credea far St. 85, v. 3. La chiama a sò Michele, e le comanda 50 Che tra i più forti Saracini scenda, E cagion trovi che non * memoranda Duina insieme a guerreggiar gli accenda. * con St. 87, v. 7. Avea piacevol viso, abito onesto, Un umil volger d’occhi, un andar grave, Un parlar sì benigno e sì modesto, Che parea Gabriel che dicesse Ave. Era brutta e deformo in tutto il resto; co Ma nascondca queste fattezze prave Con lungo abito c largo*, e sotto quello Attossicato avea sempre il coltello. * abito da preti e frati. St. 89, v. 2. Mancati quei filosofi e quei sunti, Che lo solcali tener (il Silenzio) pel camin rii- Da gli onesti costumi, c’avea manti, \to* 3 Fece a le seeleraggini tragitto. * dritto 70 St. 95, v. 4. Se gli accosta (al Silenzio) a l’orecchio, e [pianamente L’Angel gli dice: Dio vuol che tu guidi [Canto XV.] POSTILLE ÀLL’ARTOSTO. 165 A Parigi Rinaldo con la gente Che per dar mena* al suo signor sussidi. * Oli ci mena a dare St. 114, v. 4. Ne la bandiera, eli’è tutta vermiglia, Rodomonte di Sarza il leon spiega, Glie la feroce bocca ad una briglia, Che lipon la sua donna*, aprir non nega. * Gli una donna gli pone 10 St. 117, v. 4, 6. Ogn’un dunque si sforza di salire, Tra’1 foco e le mine, in su le mura: Ma tutti gli altri guardano, se aprire Veggiano passo ove sia poca* cura ; Sol Rodomonte sprezza di venire Se non dove la via meno** è sicura. * minor ** manco St. 131, v.4. 20 _v’ bau scope o fascine in copia stese, Intorno a 7 piai* di molta pece abonda. * a cui St. 133, v. o. Sopra si voi ve oscura nebbia e bruna, Cbe '1 sole adombra e spegno* ogni sereno. * vela CANTO XV (1 \ St. 7, v. 7. [6] Seco era il re d’Arzilla Bambirago, ao E Baliverzo, d’ogni vizio vago, (36. fa il sole y B — 0) Passi notati : st. 7, v. 8, sottolineato; st. 50 segnata con una èJOT, e st. 55 e 70 con linea in margine e con una +. Della st. 55 non è fatta menzione E Corineo di Mulga, e Prusione, Altri signori et altre assai persone, Esperte ne la guerra e bene armate, E molte* ancor senza valore e nudi, Cbe ’1 cor non s’armerian con mille scudi. * molti st. 12, v. 7, 8. ... quel boreal pelago ...' Che turbali sempre iniqui venti e rei, 40 E sì qualche stagion pover di sole. Clic starne senza alcuni mesi suole*. * Ed è qualche stagion pover di sole Sì, che star senza alcuni mesi suole. St. 15, v. 6, 8. Dico cbe ’l corno ò di si orribil suono, Ch’ ovunque s’ode, fa fuggir la gente: Non può trovarsi al mondo un cor sì buono, Che possa non fuggir, come lo sente. Rumor di vento e di tremuoto e ’1 tuono, co A par del suon di questo, era* niente. Con molto referir di grazie, prese Da la fata licenzia il buono* <*> Inglese. * e com e ** duca St. 21, v. 7, 8. Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire Da Pestreme contrade di Ponente Novi Argonauti e novi Tifi, e aprire La strada ignota infin al dì presente; co Altri volteggiar l’Africa, e seguire Tanto la costa de la negra gente, Che passino quel segno ove * ritorno Fa il sole a noi , lasciando il** Capricorno. * onde ** A noi fa 7 sole, entrando in nel eod. A, ma è sognata con la linea e con la croce nel cod. B. W La parola buono , ai v. 3 o 8, nell’esemplare postillato, era sottolineata e notata col segno IX. 21 166 POSTILLE ALL’ARIOSTO. [Canto XV.] St. 25, v. 5. * Àstrea veggio* per lui riposta in seggio. * veggo St. 48, v. 1. [47] S’io vi vo, al poggio elio potriY incontrar- Fra molti resterò di vita privo. [mi, Ma Quando Dio così mi drizzi ranni, Che colui morto, et io rimanga vivo, Sicura a mille venderò la via, io Si clic V util maggior che T danno fia. Metto a V incontro la morte. (V un solo* A la salute di gente infinita. ( di me * Metto incontro la morte j solo ( d’un uom St. 49, v. o. Son fisse intorno ( alla casa) feste e membra De Vinfelice* gente che v’ arriva. [nude * Della misera 20 st. 52, v. G. Vèr la palude, ch’era scura e folta Di verdi canne, in gran fretta ne viene; Chè disegnato avea correre in volta, E uscire al Paladin dietro a le schiene, Chè ne la rete, che tenea sepolta Sotto la polve, di cacciarlo ha speme*. * spene St. 54, v. c. Fugge il fellon, nè vede ove si vada, Chè, come il core, avea perduti gli occhi. Tanta è la tema, che non sa far strada, Che ne’ suoi propri aguati non * trabocchi. Va ne la rete ecc, * noi 53. E il capo, B — St. 59, v. G. Di questa (rete) levò Astolfo una catena, K la* man dietro a quel fellon n’allaccia. St. 80, v. 8. Non men de la vittoria si godoa, 40 Che se n’avesse Astolfo già la palma, Come chi spaile injwchi colpi acca * Svellere il crine al Negromante e I alina. ( ferma * Come colui che ; speme uvea ( certa St. 81, v. 4. Quel sciocco, che del fatto non s’accorse, Per la polve cercando iva la testa ; Ma, come intese il corridoi* via torse, 50 Portare il capo suo* per la foresta, Immantinente al suo destrier ricorse, ecc. * jE 7 capo suo portar St. 87, v. 3. [S5] Astolfo intanto por la cuticagna Va, da la nuca fin sopra le ciglia, Cercando in fretta, se ’l crine fatale Conoscer può, eli’Orrii tiene immortale. Fra tanti e innumerabili capelli Un piò de l’altro non si stende o torce. co Qual dunque Astolfo sceglierà di quelli, Che, per dar morte al rio ladron, raccorce? Meglio è (disse) che tutti tagli o svelti: Nè si trovando aver rasoi nè force, Ricorse immantinente a la sua spada, Che taglia sì, che si può dir che rada. E tenendo quel capo per lo naso, Dietro e dinanzi lo dischioma tutto. Trovò fra gli altri quel* fatale a caso, ccc. * il crin 70 [Canti XVI-XVIIL] POSTILLE AL L’ARIOSTO. 1G7 CANTO XYI. St. 3, v. 2. Pianger de’ quel elio già sia fatto servo Di duo vaghi* ocelli e d’una bella'* treccia; Sotto cui si nasconda un cor protervo, eco. * begli ** bionda St. 15, v. 1. [5] Fu ( Grifone) in sei giorni a Damasco di io Indi verso Antiochia se ne già. [Seria; Scontrò presso a Damasco il cavaliero, A cui donato avea Origille il core. [lo] E con lui se ne vien verso le porte* Di Damasco, eco. * E con quel se ne toma in ver le porte St. 64, v. 8. Colui lascia il cavallo, o via carpone Va per campar, ma poco li successe ; 20 Chò venne caso* che ’1 duca Trasone Li passò sopra, e col peso 1’ oppresse. * a caso St.. 72, v. 4. .col dolce canto, Concorde al suon de la cornuta cetra, D’intenerir un cor si dava vanto, Ancor che fosse pili duro * che pietra. * duro fosse più St. 88, V. 8. so Di qua e di là col brando s'aggirava, Mandando or questo or quel giù ne l’inferno A dar notizia del viver moderno *. * Tra gli spirti dannati al pianto eterno. CANTO XVII m . St. 8, v. 0. Così Carlo dicea, che d’ira acceso Tanta vergogna non potea patire*. * soffrire St. 104, v. 5. Gli otto, che dianzi avean col mondo irnpre- 40 E non potuto durar poi contra uno, (sa, Avendo mal la parte lor difesa, Usciti eran del campo ad uno ad uno. Gli altri, eh’eran venuti a lor * contesa, Quivi restar senza contrasto alcuno, Avendo lor Grifon solo interrotto Quel che tutti essi avean da far conti*’otto. * alla St. 118, v. 4, Eragli meglio andar senz’ arme e nudo, co Che porsi indosso la corazza indegna, 0 ch’imbracciar l’abominato scudo, 0 por su Velmo* la beffata insegna. * tor con V elmo CANTO XVIII. St. 1, v. 7 ; st. 2, v. 7. Magnanimo Signore, ogni vostro atto Ho sempre con ragion laudato e laudo, Ben che co ’l rozo stil, duro e mal atto, Gran parte de la gloria vi defraudo ; co Ma più de l’altre una virtù m’ ha tratto, A cui col core e con la lingua applaudo, Che s'ognun trova in voi ben (irata* udienza, Non vi trova però facil credenza. 16. E con quel si. ritorna , B — 28. fusse, B — 48. a la, B — (0 Nell 1 esemplare postillato da Galileo era e i v. 7, 8 della st. 83, con una linea in mar- stata notata la st. 20 col seguo -f- in margine, gine. 168 Postille all’ariosto. Spesso in difesa del biasimato absente Indur vi sento una et, un’altra scusa, 0 riserbargli almen, fin die presente Sua causa dica, l'altra orecchia chiusa; E sempre, prima che dannar la gente, Vederla in faccia e udir la ragion eh* usa, Differir anco c i giorni** e mesi et anni, Prima che giudicar ne gli altrui danni. * in voi grata io ** anco giorni st. fi, v. 4. Sparge de l’uno al campo lo cervella, Che lo percote ad una cote* dura. * pietra St. 22, v. 3. Qual per le selve Nomadi o Mussile Cacciata va la generosa belva, Oh*ancor fuggendo mostra, il cor gentile*, E minacciosa c lenta si riusciva, 20 Tal Rodomonte ccc. * virile Si. 26, v. 7. Io v’ ho da dir de la Discordia altiera, A cui l’angel Michele avea commesso, Ch’a battaglia accendesse e a lite fiera Quei che più forti avea Agi-annuite appresso. Uscì de’ frati la medesimi sera, Avendo altrui l’ullicio suo commesso. Lasciò la Fraude a guerreggiare* il loco, so Fin che tornasse, e a mantenervi il loco. * governare St. 75, y. 6. Quindi a Levante fé’ il nocehier la fronte Del navilio voltar snello e veloce, Et a sorger n’andò sopra l’Oronte, E colse il tempo e ne pigliò la foce. [Canto XVlii.j Dittar foce Àqudante in terra il ponte, E ri uscì* armato sul destrier feroce. * Ed uscì * j St. 82, v. 3. 40 Sappi, signor, che mia sorella è questa, Nata di buona e virtuosa gente, Benché tenuto* in vita disonesta L’abbia Grifone obbrobriosamente. * tenuta St. 86, v. i. [85].ambe le braccia Li volge dietro, e d’una fune allaccia; E parimente* fece ad Origille. * quél medesmo so st. Ili, v.8. Non rammentando ciò eli’ i giorni inanfi Nocquc* in dar noia a i cavalièri erranti. * Nacque St. 128, V. 7. E la mia insegna testimon ne Ha, Che qui si vede, se notizia n’ hai. E la mostrò con la * corazza impressa, Ch’era in tre parti una corona fessa. * nella co St. 144, v. 6. Crebbe il tempo crudel tutta la notte, Caliginosa e più scura ch’inferno. Tien per l’alto il padrone, ove men rotte Crede Tonde trovar, dritto il governo, E volta ad or ad or contra le botte Del mar la proda* e de Torribil verno, eco. * prora 60. ne la, B — [Canto XIX ] POSTILLE ALL 1 ARIOSTO. I St. 80. v. 1. 169 CANTO XIX M) . St. 3, v. 3. Cercando già nel più intricato calle Il giovene infelice di salvarsi ; Ma il grave peso, c avea su* le spalle, Gli facea uscir tutti i partiti scarsi. * Ma ’l gran peso eh’ avea sopra St. 13, v. 5. In questo mezo un cavalier villano, io Avendo al suo signor poco rispetto, Ferì con una lancia sopra mano Al supplicante il delicato petto. Spiacque a Zerbin Vatto crudele e strano *. * il crudo atto inumino St. 16, v. 3. Seguon gli Scotti ove la guida loro Per l’alta selva alto disdegno mena, Poi che lasciato ha* P uno e l’altro Moro, L’un morto ili tutto e l’altro vivo a pena. 20 * han St. 25, v. 4. «. Non però volse indi Medor partire, Prima che in terra il suo signor non fusse *, E Cloridan col re fé’ sepellire. * che 'l suo signor in terra fusse se. 28, v. 7. Pi sè non cura, e non h ad altro intenta, Ch’ a risanar chi lei fere e tormenta. * ad altro è Se si desio non vuol morir ecc. *di St. 51, v. 6, 8. La tempesta crudel, che pertinace Fu iìu allora, non andò* più inaliti. Maestro e traversia più non molesta, E tiranno del mar Libccchio* resta, * aliar, non seguitò * Libeccio St. 56, v. 6. Mentre il padron non sa pigliar consiglio, Fu domandato da quel* d’Inghilterra, Che gli tenea sì l’animo sospeso. E perchè giù non avea il porto preso. * .Richiesto fu dal duca St. 57, v. 2. Il padron narrò lui clic quella riva Tutte* tenean le temine omicide. * Tutta St. 61, v. 4. Bramavano i guerrier venire a. proda, Ma con maggior baldanza il duca inglese, Che sa, come del corno il rumor s’oda, Sgombrar d'intorno si farà il paese*. * Che dì intorno sgombrar farà 7 paese St. 66, v. 5. .domandollo Se si volean lasciar la vita torre, 0 se voleano pur il giogo al collo*, Secondo la costuma, sottoporre. * al giogo il collo 7. Ma il gran , B — 25. che il suo signor sotterra fusse , B — 45. da il duca, B — 55. farà il paese, B _ L ___—-- <*> Nell’ esemplare postillato da Galileo era notato col segno il v. 7 della st. 77. 170 POSTILLE ALL* A MOSTO. ICanto XX.] St. 76, y. S. E poi fa detto a Marfisa* ch’entrasse. * Indi a Marfisa fu detto st. Si, v. 2 . Sopra di lei (Marfisa) più lance rotte furo; Ma tanto a quelli colpi* ella si mosse, Quanto nel gioco de le cacce un muro Si mova a’ colpi de le palle grosse, * incontri io St. 88, v. 6. Stalo era il cavalier sempre in un canto, Che la decina in piazza uvea condotta; Però che contra un solo andar con tanto Vantaggio, opra li parve iniqua e brutta. Or che per una man torsi da canto Vide sì tosto la campagna * tutta, ecc. * compagna St. 93, v. 1. Trar liato, bocca aprire o batter occhi* 20 Non si vedea de’riguardanti alcuno ; Tanto a mirare a chi la palma tocchi De’duo campioni, intento era ciascuno. * aprir la bocca o batter gli occhi St. 94, v. 3. Le lance ambe di secco e sotti 1 salce, Non di cerro sembrar grosso et acerbo ; Così n’andaro i* tronchi fin al calce. * in 3. a Marfisa detto fu, B — W Vedi le st. 89-91 : Con man ft cenno di voler, inanti Che focene nitro, alcuna coso dire ; E non pensando, in n vi rii sembianti Che s' avesse una vergine a Coprire, Le. disse: Cavali ero, ornai di tanti Esser dei stanco, chai fatto morire; E *' io volessi più, di quel che set, Stancarti ancor, discortesia farci. Che li riposi inaino al giorno novo, E doman torni iti campo, t.i concedo : Non mi Jia onor se tcco oggi mi provo. Che travagliato e lasso esser ti credo. St. 100, v. 2. Buon fu per me (dicoa queir altro ancora so | Guidon Selvaggio] ) Che riposar costui (Marfisa) non ho lasciato *: Difender me ne posso a fatica ora, Che da la prima pugna è travagliato. Se fin al novo dì facea dimora A ripigliar vigor, che saria stato? Ventura ebbi io, quanto più possa aversi, Che non volesse ter quel ch’io gli offersi. *s*è curato (l) St. 103, v. 2. 40 Se di te ducimi e di quest’ altri tuoi, Lo sa Colui che nulla cosa ha* oscura. * cui ìndia cosa b St. 105, v. 7. [104] Del danno eh’ hnn da te {Marfisa) ri- Disian novanta fontine vendetta; [cevut'oggi, Sì che se meco ad albergar non poggi, Questa notte assalito esser t’aspetta. Disse* Marfisa. . co [105] Ad ogni conno pronta* tu m’avrai, È come et ogni volta che vorrai. * pronto (2) CANTO XX (3) . St. 10, v. 8. Al tempo che tornar dopo anni venti Da Troia i Greci, chè durò l’assedio Il travagliare in arme non uf è novo, Nè per *"i poco a la fatica cedo (Disse Morfeo), e spero ch } a tuo costo Io ti fard di questo aveder tosto. De la cortese offerta ti ringrazio ; Ma riposare ancor non mi bisogna, E ci avanza del giorno tanto spazio, Ch'a porlo tutto in ozio è pur vergogna. W Vedi la st. 89 citata nella nota precedente. W Nell’esemplare postillato da Galileo la parola Perche al v. 4 della st. 67 era sottoli¬ neata. [Canto XX.) POSTILLE ALI/ARIOSTO. 171 Diece, e diece altri da contrari venti Furo agitati in mar con troppo tedio; Trovar che le lor donne a li tormenti Di tanta assenzi a avean preso rimedio: Tutte s’avean gioveni amanti eletti, Per non si raffreddar sole ne i letti*. * Per gli amorosi lor dolci diletti St. 20, v. 1, B. Questa lor fu per diece giorno * stanza io Di piaceri amorosi tutta piena. Ma, come spesso avien die Tabondanza Seco in cor giovenil fastidio mena. Tutti d’accordo far di restar sema** Femine eco. * giorni ** sanzci St. 81, v. 2. Prima ne fur decapitati molti, Che ne riuscirò • al par ago n mal forti. 20 * Che riuscirò St. 85, v. 8. Se diece o venti o più persone a un tratto Vi fosser giunte, in carcere eran messe ; E d’una il giorno, e non di più, era tratto 11 capo a sorte, che perir dovesse Nel tempio orrendo ch’Orontea avea fatto, Dove un altare a la vendetta eresse, E dato a P un de’diece il crudo ulìicio Per sorte era *, di farne sacriiicio. so * Era a sorte St. 37, v. c. Di viso era costui bello e giocondo, E di maniere e di costumi ornato, Sì che, come di cosa rara al mondo, De V esser suo fu tosto * rapportato Ad Alessandra, figlia d* Orontea, ecc. * Tosto dell’ esser suo fu St. 50, v. 6. -per far questo abbiamo ardire e ingegno io Da noi medesme, e a sufficienza * posse. * ed a bastanza St. 51, v. 8, A. Tolti abbialo, ma non tanti, in compagnia, Che mai non * sia più d’uno incontra** diece, Sì c’aver di noi possa*** signoria. * ne ** Che mai sia più d'un solo inmitra m *** possan St. CO, v. 3. CO E sono* pochi giorni, che nel tempio Uno infelice peregrin non mora. * passati St. CO, V. 1. Poi li rispose*: lo sono il duca inglese. * Poscia gli disse St. 78, v. 5. S’io ci fossi per donna conosciuta, So c’avrei da le donne onore o pregio, IO volentieri io ci sarei tenuta, co E tra le prime forse del collegio; Ma con costoro * essendoci venuta, eco. * con quest' altri 30. Er } a sorte, B — 48. solo contro, 13 — 0) Il Viviani scrive nel cod. A : « St. 51, v. 3 : la parola non del v. 3, e in margine ha postil- Che mai non , Che mai ne; overo, Che mai sia lato: <* ne. Vel : Che mai sia più iVun solo coìitra più iV un solo ». E nel cod. B ha sottolineato diece*. 172 POSTILLE ALL’ARIOSTO. [Canto XXI.] St. 81, v. 6. Ella avea fatto nel palazzo inaliti Spade e lance arrecar, corazze e scudi, Onde armar si potessero i mercanti E i galeotti, eli’ eran messi nudi. Altri dormirò et altri ster vegghianti, Compartendo tra lor gli osti e gli studi*. * Tassesco* Si. SO, v. d. io Come tal or si gitta e si periglia E da finestre e da sublime loco L’esterrefatta subito famiglia, Che vede appresso* d*ogni intorno il foco, Che, mentre le tenea gravi le ciglia Il pigro sonno, crebbe a poco a poco, Cosi eoe. * appreso Si. 92, v. 8. E in fuga or se ne van senza coraggio, 20 Come conigli o timidi colombi, A cui vicino altro* rumor rimbombi. * alto St. 115, V. 7, 8. [113] Marfisa altiera. . .... Rispose, d’ira accesa, a la donzella, Che di lei quella vecchia era più bella, E ch’ai suo cavalier volea provallo, Con patto di poi torre a lei la gonna 30 E il palafren c’ avea, se da cavallo dittava il cavalier di chi era donna. Marfisa, vincitrice de la guerra, Ee’ trarre a quella giovene la vesta, Et ogn’ altro ornamento le porre* ^ E ne fe’ il tutto a la sua vecchia torre** ; E di quel giovenil abito volse, Clic si vestisse e se n’ornasse tutta. * torre ** porre *40 St. 117, v. 8. -sè stesso rodea d’ira e di duolo, Di non aver potuto far vendetta D’un che gli avea gran cortesia interdetta*. * intercetta St. 189, v. 8, 4. Come il inastili clic con furor s’avventa Addosso al ladro, ad acchetarsi è presto, Che quello o pane o cacio* gli appresenta, 0 che** fa incanto appropriato a questo, oo Così eco. * ( tic quello o pane o carne ( Se pane od altro cibo ci ** 0 se CANTO XXI. St. 1, v.l. Nò fune intorno* crederò clic stringa Soma così, nè così legno chiodo, Come la fò eh’una bella alma cinga Del suo tenace indissolubil nodo. * intorto St. 6, v. 3. ... di lei (della vecchia) nimico c di sua gente Era il guerrier che centra lor venia. Ucciso ad essa avea il padre innocente*. * Ucciso ad essa un figlio avea innocente. Par meglio dire figlio che padre } es¬ sendo lei così vecchia. 54. La postilla relativa al v. d della st. 130 è notata soltanto nel cod. B. — G7. È meglio figlio che padre, B — [Canto XXII.] POSTILLE ALL’A RIOSTO. 173 St. 31, v. 1. Quanto utilmente, quando * con tu’onore, M’avresti dato quel che da te volli ! * quanto st. IO, v. 7. Deve egli a me tornar, come rivenga Su P ora terza la notte pili scura; E fatto un segno già che* P ho avvertito, lo Pho a tor dentro, che non sia sentito. io * che già St. 55, v. r,. Il timor del supplicio infame e brutto Prometter fece ( a Filandro) con mille scon¬ cile faria di Gabrina il voler tutto, [giuri Se di quel loco si partian sicuri. Così per forza colse l’empia il frutto Del suo desire, poi * lasciar quei muri : Così Filandro a noi fece ritorno, Di sè lasciando in Grecia infamia e scorno. 20 * poi che St. 5G, v. c>. E se la lede e il giuramento , magno E duro freno*, non lo ritenea, ecc. * e 'il giuraniento magno, Con duro freno, St. 4>0, y. 5. [58] E dispone tra sè levar del mondo, Come il primo marito, anco il secondo. Un medico trovò d’inganni pieno, 30. E li promise, innanzi più che meno Di quel che dimandò, donargli, dopo L’aver lui con mortifero liquore Levatole da gli occhi il suo signore. 69. ridur nuova speranza, B — 0 ) Nell* esemplare postillalo da Ctalit.ro i v.7, 8 della st. 54 e i v. 7, 8 della st. 72, ai quali si riferiscono le postille che pubblichiamo ai loro Già, in mia presenza e d’altre più persone, Venia col tosco in mano il vecchio ingiusto, Dicendo ch’era buona pozione Da ritornare il mio fratei robusto. Ma Gabrina con nova intensione *, Pria che l’infermo ne turbasse il gusto, 40 Per torsi il consapevole d’appresso, 0 per non darli quel c’avea promesso La man li prese, quando a punto dava La tazza dove il tosco era celato, Dicendo :. Voglio esser certa che bevanda prava Tu non li dia, nè succo avelenato; E per questo mi par che ’l beveraggio Non gli abbia a dar, se non ne lai tu il saggio. 50 * invenzione St. 66, v. 4. [65] Il disperato (il vecchio medico) poi che La morto sua nò la poter fuggire, [vede certa A i circostanti fa la cosa aperta. Noi circostanti, che la cosa vera Del * vecchio udimmo, ecc. * Dal CANTO XXII m . co St. 45, v. 8. L’alto parlar e la fiera sembianza Di quella coppia a meraviglia ardita Ebbon di tornar forza la speranza* Colà clond’era già tutta fuggita. * Perchè, oltre alla durezza del verso, il verbo tornare è preso in significazi one attiva, e però è errore, si potrà dire: Forz’ ebbon di ridur viva speranza. luoghi, orano segnati con linea in margine, e le parole Fu tutto al v. 2 della st. 74 erano sotto- lineate. IX. 22 174 POSTILLE ALL*ARIOSTO. [Canto xxiii.] St. 54, v. 7, a Non par elio fin a qui con tra costoro Alcun possa giostrar, eli’a piò non resti, E capitati vi sono infiniti , CE a piè e senz'arme se ne son partiti *. * E molti ve ne son già capitali, Che son partiti a piede e disarmati . St. 58, v. a Senza risponder altro, la donzella io Si mise per la via ch’era più corta. Più di tre miglia non andar per quella, Che si trovaro al ponte et a la porta, Dove si perdon l’arme e la gonnella, E de la vita gran dubbio si porta. Al primo apparir lor, di su la rocca li olii due botti la * campana tocca. * di St. 72, v. 7, 8. Fornito a punto era l’ottavo mese, 20 Che con lei ritrovandosi a camino (Se vi ricorda) questo Maganzese, La gittò ne la tomba di Merlino ; Quando da morte un ramo la difese, Che seco cadde, anzi il suo buon destino; E trassene , credendo ne lo speco CE dia fosse sepolta, il destricr seco *. * E credendo che fosse nello speco Sepolta lei, ne trasse 7 destrier seco. St. 77, v. 5. so Se sol con questa lancia te gli* (Ruggiero c [Bradamante) al>1 >atto, Perchè mi vuoi con altre accompagnarla? * y (i) 27. frisse, B — CANTO XXIII St. 27, v. 7. Iluggier, quel dì che troppo audace sceso Su l’Ippogrifo e verso il ciel levossc, Lasciò Frontino, e Bradamante il prese; Frontino, chò ’1 destrier così nomosse. Mandollo a Mont’Albano, e a buone spese 40 Tener lo fece, c mai non cavalcosse, Se non per breve spazio e a picciol* passo, Sì ch’era, più die mai, lucido e grasso. * lento St. 46, v. 7. Ma più de l’altre nnhilosa * et atre, Era la faccia del misero patre. * nubilose St. 72, v. 8. Non sapea il Saracin però clic questo &o Ch’egli seguia, fosse il signor d’Anglante: Ben n’avea* indizio e segno manifesto, Ch’esser dovea gran cavaliero errante. * Ben uvea St. 73, v. 8. Tanta * la lama stimulommi e punse ecc. * Tanto St. 89, v. 8. Dorai ice, che vede la sua guida Uscir del campo e torlcsi d’appresso, w E mal restarne senza si confida *, Dietro, correndo, il suo ronzili gli ha messo. * E mal, restando senza, si confala (,) Cioè Ruggiero. Vedi le st. 71-75. (2) Nell’esemplare postillato da Galileo erano stati segnati con linea in margine i v. 1-4 della st. 76. [Canto XXIV.j POSTILLE ALL’ARTOSTO. 175 Sfc. 106, v. 5. [105] Orlando viene ove s’incurva il monte, A guisa d’arco, in su la chiara fonte. V’aveano (Angelica c Medoro) i nomi lor die - | ’tro* e d’intorno, Più. che in altro do i luoghi circostanti, Scritti eco. * dentro St. 107, v. 8. Questa sentenzia in versi avea ridotta, die fosse calta in suo linguaggio, io penso; Et era , ne la nostra , tale il senso* : Liete piante, verdi erbe, lim pi d’acque, ecc. * E rispondaci, nel nostro, in questo senso CANTO XXIV (1) . St. 14, v. 7. Quel che fe* qui*, avete altrove a udire. * qui fece St. 25, v. 2. Dal bosco a la città feci por tallo, E così* in casa d’un ostici*, mio amico, Che fatto sano in poco termine hallo, Per cura et arte d’un chirurgo antico. * porre St. 27, v. 4. Non P ho voluto uccider nò lasciarlo, Ma, come vedi, trarloti in catena, Perchè vo* eh’ a te stia di giudicarlo, Se morire * o tener si deve in pena. so * S’uccidere St. 46, v. 2. Zerbin, clic dietro era venuto a Torma Del Paladin, nè perder lo * vorrebbe, Manda a dar di sè nove, ecc. * la Sfc. 65, v. 4. Quella (la spada) calò tagliando ciò che prese, La corazza c Pardon fin su l’arnese: E se non che fu scarso il colpo alquanto, -io Per mezo lo fendea come una canna; Ma penetra nel vivo a pena tanto, Che poco più che la pelle * li danna. * CE oltre alla pelle poco più Sfc. 98, v. 5. Rispose Mandricardo: Indarno tenta Chi mi vuol impaurir per minacciarne; Così fanciulli o femine spaventa, 0 altri che non sappia clic sieno arme; Ma * non, cui la battaglia piò talenta lo D’ogni riposo, ecc. * Me Sfc. 106, v. 7. L’African, per urtarlo, il destrier drizza: Ma non più Mandricardo si ritira, Che scoglio far soglia * da P onde : o avenne Che ’l destrier cadde, et egli in piò si tenne. * soglia far scoglio <0 Nell’esemplare postillato i v. 3, 4 della gine col seguo JX, e le parole v’abbia amato io st. 6, e il v. 1 della st. 66, erano notati in mar- al v. 8 della st. 83 erano sottolineate. 176 POSTILI,E ALL’ARIOSTO. [Canti XXV-XXVIJ CANTO XXV Sfc. 5, v. 7. .Carlo in tal periglio La gente s araci mi tien ristretta, Che, so non è chi tosto* le dia aita, Tosto l’onor vi lascerà (Agramàntc) o la vita. * presto Sfc. 6, v. 7. Lasciò andare il messaggio, e '1 freno torse io Là, dove fu da quella donna tratto, Ch’ad or ad or in modo egli* affrettava, Che nessun tempo d’indugiar le dava. * lo St. 12, v. 1. Come storno * d’augei, che in ripa a un [stagno, ecc. * stormo Si. 40, v. 3. E piacque* molto a l’appetito mio 20 I suoi begli occhi e la polita guancia. * piacquer Si. 67, V. 1, 5-7. Poi che si fece la notte più* grande, Non aspetta la donna ch'io domande Quel che ni era cagion del venir stata; Ella ni invita ., per sua cortesia**, Che quella notte a giacer seco io stia. * più la notte ** Tal domanda non si appartiene a so Ricciardetto, ma a Eiordispina ; però si potria dire : La bella donna, senza che domande Qual del ritorno mio sia cagion stata, M’invita e prega, per sua cortesìa, eco. Ma si può o deve dire, die il vero senso sia, elio la donna non aspetta elio Ricciardetto domandi a lei quella cosa eh’ era stata causa del farvelo venire, cioè non gli domandi d* an- io dare a giacer seco. Sfc. Si), v. 6. .... si farà Cristian così (V effetto, Come il* buon voler stato era ogn ora. * di CANTO XXVI. St. 28, v. 2. Al trai* de gli elmi tutti videi*, come Avca lor dato* aiuto una donzella. * Dato avea lor w Sfc. 40, v. i. Il monstro * corrottor (l’ogni contrada. * 'mostro St. 79. v. 1. Marfisa, alzando con un viso* altero La faccia, disse ecc. * guardo 30. non s’apparteneva a, B — 39. che era, B — (1) Nell’esemplare postillato da Galileo la parola rifiuto al v. 5 della st. 30, e 1* intero v. 5 della st. 59 erano sottolineati ; e i v. 5-7 della sfc. 57, ai quali è relativa la postilla che ri¬ feriamo a suo luogo, erano seguati con linea in margine. POSTILLE ALL’ARlOSTO. 177 (Canto XXVII.l St. 180, v. o. [129] Nel mansueto ubino, che su ’l dosso Avea la figlia del re Stordilano, Fece entrare un do gli angel di Minosso Sol con parole il frate di Viviano; E quel, che dianzi mai non s’ora mosso Se non quanto ubidito avea a la mano, Or d’improviso spiccò in aria un salto, Che trenta piò fu lungo e sedici alto, io Fu grande il salto, e non però di sorte Clie ne dovesse alcun perder la sella. Quando si vide in alto, gridò forte, Che si tenne per morta, la donzella. Quel ronzin, come il diavol se lo porte, Dopo un* gran salto se no va con quella, Che pur grida soccorso, ecc. * il CANTO XXVII St 18, v. 2. 20 Ma l’antico avversario, il qual fece Èva A l’interdetto ponilo * alzar la mano ecc . * pomo st. 18, v. 1. Stringosi * insieme e prendono la via. * Stringonsi St. 24, v. 4. Come quando si dà foco a la mina, Pel lungo solco de la liegra polve Licenziosa fiamma arde e caniina so Sì, eh’ occhio a dietro* a pena se le volve, ecc. * occhio dietro 64. Io ho, B — 6) Nell’ esemplare postillato da Galileo la parola annotta al v. 5 della st. 12, il v. 4 della st. 16, e le parole con che coraggio al v. 6 della st 99 erano sottolineati, e la st. 121 era no- St. 26, v. G. Molti, che dal furor di Rodomonte E di quegli altri primi eran fuggiti, Dio ringraziavan c’avea lor sì pronte Gambe concesse e piedi sì spediti ; E poi, dando del petto c de la fronte In Marfisa e in Ruggier, vedean* scherniti, Come l’uom nò per star nè per fuggire Al suo fisso destili può contradire. 40 * restar St. 50, v. 8. Grande è la calca, e grande in ogni lato Popolo ondeggia intorno al gran* steccato. * allo St. 55, v. 3. Vedendola (la spada), fu certo ( Gradasso) [ch’era quella Tanto famosa del signor d’Anglante, Per cui non* grande armata, e la più bella 60 Che giamai si partisse di Levante, Soggiogato avea il regno di Castella ecc. * con * St. 56. E Mandricardo disse, c avea fallo Gran battaglia per essa con Orlando, E come finto quel s 1 era poi matto, Così coprire il suo timor sperando, Gli’ era d’aver continua guerra meco (i) Fin che la buona spada avesse seco*. go * La risposta di Mandricardo co¬ mincia per terza persona, c trapassa nella prima : però si potrebbe dire : Rispose Mandricardo : T ho già fatto Gran battaglia per essa con Orlando, Il quale ha dipo y finto df esser matto. tata in margine con un segno di questa for¬ ma ).rvn/\j-. <*) Le parole guerra meco nell’ esemplare po¬ stillato da Galileo erano sottolineate. 178 POSTILLE ALL*ARIOSTO. [Canto XXVIII.] St. 50, v. 5. Più dolce suon non vi* viene a l’orecchia, Rispose alzando il Tartaro la fronte, Glie quando di battaglia alcun mi tenta. * mi Sk. 70, v. 5. Non voltò rota * inai con più prestezza Il macigno sovnui clic ’i grano trita, Che faccia Sacripante or mano or piede, io Di qua di là dove il bisogno vede. * Ilota non voltò st. 80, v. 5. Gli altri, eh’erano intorno e che vantarsi Brune! di questo aveano udito spesso, Verso lui cominciare a rivoltarsi, E far palesi cenni ch’era desso. Mar fi sa, sospettando, ad informarsi* Da questo e da quell’altro c’ avea appresso, Tanto che venne a ritrovar, che quello 20 Che le tolse la spada era Brunello. * Sospettando Marfìsa andò a informarsi St. 00, V. 1. [95] Vuole in persona egli (Agramanie) se- [guirla (Marfisa) in fretta, E a tutto suo poter farne vendetta. Ma il re Sobrino, il quale era presente, I)a questa impresa molto il dissuade, Dicendoli clic mal conveniente Era a l’altezza di sua Maestade eco. 3° [99] Il re Agramante volenti or* s’attenne Al parer di Sobri», discreto c saggio, . E Marfìsa lasciò, che non lo venne, Nò patì ch’altri andasse, a farle oltraggio. * pur al fin St. 116, v. 8. .come fu conteso (con Rodomonte ), Con disvantaggio assai di Sacripante, Como perdè il cavallo e restò preso *, Or non dirò ccc. * Non restò preso altrimenti, ma la- io sciato andare (,) . CANTO XXVIII (2) . St. 4, v. 6. Astolfo, re de’ Longobardi, quello A cui lasciò il fratei monaco il regno, Fu ne la giovinezza sua sì bello, Che mai poch’altri giunsero a quel segno: N’avria a fatica un tal fatto a pennello Apelle, Zeusi o se ve alcun-' più degno. Bello era, et a ciascun così parca; &o Ma di molto egli ancor più si tenea. * s 9 altri v 9 è St. 68, v. 4. Tanto replica l’un, tanto soggiunge L’altro, che sono a grave lite insieme: Vengon da’motti ad un parlar che punge; Ch’ad ambeduo esser* beffato preme. * V esser 39—40. La postilla al v. 3 della st. 116 è registrata soltanto nel cod. B. Nel cod. À il Vivjani nota solamente che le parole c restò preso di cletio verso erano sottolineato nell*esemplare postillato da Galileo.— <» Vedi c. XXXV, st. 54-55: Io dico l'arme del re (le Ci rea# si, Che, dopo lungo errar per colli r piani, Venne quivi (al ponto di Rodo monto) a lanciar | V altro destriero, E poi senz'anno andoeeene leggiero. S’ era parlilo disarmalo e a piede Quel re Pagati dal periglioso ponte, SI come gli altri, eh’ eran di sua fede, Partir da se. lasciava Rodomonte. Nell’esemplare postillato da Galileo il v. 8 della st. 43 era sottolineato. POSTILLE ALL’ARIOSTO. 179 [Canto XXIX.] St. 77, v. 6. L’avere ad una o due (donne) malivolenza Fa eli’ odia e biasma V altre* oltre a l’onesto. * odia V altre c biasma St. 87, v. Senza indugio al itoceli ier varcar * la barca, E dar fa i remi a l’acqua da la sponda. * varar St. 98, v. 7. io E ben li par di gaissima Isabella, In cui locar debba il suo amor secondo E spegner* totalmente il primo, a** modo, Che da l’asse si trae chiodo con chiodo. * cacciar ** al St. 99, v. 1. Incontra se lo fece; col* più molle Parlar che seppe c col miglior sembiante I)i sua condizione domandolle; 20 Et ella ogni pensier gli spiegò inante. * fece, e col st 101, v. 1. Il monaco*, ch’a questo avea l’orecchia ecc. * U eremita CANTO XXIX. St. 1, v. 5-8. 0 de gli uomini inferma e instabil mente ! Como suiti presti a variar disegno! Tutti i pensier mutiamo facilmente, *50 Più quei che nascon d’amoroso sdegno. 10 vidi diansi il Saracin sì ardente Contra te donne e passar tanto il segno. Che non che spegner Codio, ma pensai Che non dovesse intepidirlo mai*. * Dianzi contro le donne era sì ardente Del Dagan Codio, e sì trapassò ’l segno, Che non che non si spegner, ma pensai Che non dovesse intepidirsi mai. St;. 9, v. 8. -non li par che potesse esser buono, 40 Quando da lei non lo accettasse* in dono. * no 7 ricevesse St. 29. v. 1. Per Pavenir vo’ che ciascuna Cabina* 11 nome tuo, sia di sublimo ingegno, E sia bella, gentil, cortese o saggia, E di vera onestade arrivi al segno; Onde materia a gli scrittori caggia ecc. * uggia St. 88, v. 4. co Molti fra pochi dì vi capitavo. Alcuni la via dritta vi condusse, Ch’ a quei che verso Italia o Spagna andavo, Altra non era che più dritta* fusse. * breve st. Gl, v. 6. Et al fin capitò (Orlando) sopra quel monte, Per cui dal Franco ò il Tarracon distinto, Tenendo tuttavia volta la fronte Verso là, devo il Sol ne viene* estinto. co 4 * rimane St. 65, v. 7. L’altro s’attacca ad un scheggion eli’ usciva Fuor de la roccia, per salirvi sopra, 3G. trapassò il segno, B — 180 Perchè si spera, s’a la cima arriva, Di trovar via che dal pazzo lo copra. Ma quel ne i piedi, eh6 non vuol che viva, Lo piglia, mentre di salir s’adopra, E quanto piè sbarrar* puote le braccia, Le sbarra sì, eh’ in duo pezzi lo straccia. * slargar CANTO XXN. St. 5, v. 2, 0, o st. 0. io [4]... or per li monti or per lo piagge errando, Scorse ( Orlando ) in gran parte di Marsilio il Molti dì la cavalla strascinando [regno, Morta, conio era, senza alcun ritegno: Ma giunto ove un gran fiume entra nel mare, Li fu forza il cadavero lasciare. E perchè sa notar come una lontra, Entra nel fiume* e surge a l’altra riva. Ecco un pastor sopra un cavallo incontra, Che per abbeverarlo al fiume arriva. 20 Colui, benché li vada Orlando incontra, Perchè egli solo** e nudo, non lo schiva. Vorrei del tuo ronzili (li disse il matto) Con la giumenta mia fare un baratto. Io te la mostrerò di qui, se vuoi, Chè morta là su l’altra ripa giace; La potrai far tu medicar dipoi, Altro difetto in lei non mi dispiace. Con qualche aggiunta il ronzili dar mi puoi; Smontane in cortesia, perchè mi piace*** 30 II pastor ride, e senza altra risposta Va verso il guado, e dal pazzo si scosta. */ Entra nell y acqua ] Si getta alV acqua ( Si getta in acqua ** egli è solo *** Panili die, per esser matto, dica [Canto XXX.] troppe parole, e più presto da buf¬ fone che da pazzo. St. 12, v. 4, 7. [11] Orlando urta il cavallo e batte e stringe, 40 E con un mazzafrusto al mar lo spinge. Forza è ch’ai fin ne l’acqua il cavallo entre, Clic in van contrasta e spende in vano ogni [opra; Bagna i ginocchi e poi la groppa e ’1 ventre, Indi la testa , c a pena* appai* di sopra. Tornare a dietro non si speri, mentre La verga tra Porecchie se gli adopra. Misero! o si** convien tra via affogare, 0 nel lito African passare il mure. co * la testa a pena ** gli St. 81, v. 4. La bella figlia del re Stordilano Supplica , il prega*, e si lamenta e duole. * Supplice il prega St. 43, v. c. .molto ben risposto Li fu da la mestissima sua donna, Che non pur lui mutato di proposto, co Ma di luogo avria mossa una colonna. Ella era per dover vincer lui tosto, Ancor eli armato e ch'ella fosse in gonna*, K l’uvea iiulutto a dir, se ’1 re gli parla D’accordo più, che volea contentarla. * QuatuV anche armato fosse, ed ella in [gonna st. 5i, v. e. Le botte più che grandine son spesse, Che spezza fronde e rami e grano e stoppia, E uscir in van * fa la sperata messe. * in vano uscir POSTILLE ALL’ARIOSTO. 38. che da inatto, B — 66-67. armato, ed ella fusac in gonna, B — 72. ’n vano, B — 0> Le st. 5 e 6 nell’esemplare postillato da Galileo erano segnate con linea in margine. [Canti XXXI-XXXII ] 181 POSTILLE ALI/ARIOSTO. St. 60, v. 7. Lo scudo, ove in azurro è l’augel bianco, Vinto da sdegno, lo* gittò lontano, E mise al brando 1* una e l’altra mano. * si St. 81, v. 2. Termine a ritornar quindici o venti Giorni Ruygicr tolto *, et affermato L’avea ad lppalca poi con giuramenti, eco. io * tolto Ruggiero St. 87, v. s. L’inamorata giovane l’attese Tutto quel giorno o desinilo invano, Nò mai ne seppe, fuor quanto rì *intese Ora da lppalca, ccc. * che quel eh 9 St 92, v. 7. Li parve ogn’ora un anno da* trovarsi Con esso lor VX dentro ad abbracciarsi. 20 * di CANTO XXXI (,) . St. 18, v. 4. ltinaldo molto non lo tenne in lunga E disse: La battaglia ti prometto; E perchè tu sia ardito, e non ti punga Di questi, eh’ io* d’intorno, alcun sospetto, Andranno manzi, fin ch’io li raggiunga, eco. * ho St. 20, v. 3. Non credo* l’un che tanto l’altro vaglia, so Che troppo lungamente li resista. * crede St. 27, v. 7. Un bei cavallo e molto ben guernito, A spada o lancia e da* ogni prova buono. * ad St. 50, v. 8. Tutta la gente alloggiar fece (Rinaldo) al E quivi la posò per tutto ’l giorno. [bosco, Ma poi elio ’l sol, lasciando il mondo losco, 40 A la nutrice antica fe’ ritorno, Mosse Rinaldo al* taciturno campo. * il St. 53, V. 7, 8. Spinse Baiardo, e quel non parve lento; Chù dentro a V alte sbarre entrò d’ un salto, fi versò* cavali er, pestò pedoni, Et atterrò** trabacche e padiglioni. * Atterrò cc ** E rovinò CANTO XXXII St. 26, v. 7. Sì l’occupa il dolor, che non avanza IìOco ove in lei conforto abbia ricetto; Ma, mal grado di quel, vien la speranza, 9) Nell’edizione di Venezia,appresso Vincenzo Vftlgrisi, M.D.LXXII (la quale, come diciamo nell’ Avvertimento, presenta il tosto secondo la lezione eh’ ebbe dinanzi Galileo), (li fronte ai v. 7, 8 della st. 59 : ... il fi gì in ol del ricco Monodante, Di Fiordiligi il fido e saggio amante, IX. si legge, come postilla marginale: Mxmdricardo; e nell’esemplare che Galileo aveva postillato, aveva corretto Mandricardo in Brandimarte. 9) Nell’osfìmplarG postillato da G alileo il v. 5 della st. 28 era sottolineato e notato in margino col segno +. r 23 182 [Canti XXXIIl-XXXIV.] POSTILLE ALl/ARIOSTO. E vi vuol alloggiare in mezo il petto, Rifrescantlole pur la rimembranza Di quel ch’ai suo partir l’ha JRuggier detto, E vuol, con tra il parer de gli altri effetti , Che d’ora in ora il suo ritorno aspetti. * affetti St. 43, v. a. Che se concessero* m’avessero i Dei. * concesso 10 St. 57, v. 5. A Carlo Magno, il qual io stimo e onoro Pel più savio signor ch’ai mondo sia, Son per mandare un ricco scudo d’oro, Con patto e condizion eli’esso lo dia JP cavalier il quale abbia fra loro Il vanto e il primo onor di gagliardia. * Al St. 66, v. 7. Se quando arriva un cavalier, si trova 20 Vota la stanza, il castellali l’accetta; Ma vuol, se sopravien poi gente nova, Ch’uscir fuora a la giostra li prometta: Se non vien, non accade che si mova ; Se vien, forza è che l’arme si rimetta E con lui giostra*) e chi di lor vai meno Ceda l’albergo et esca al ciei sereno. * giostri CANTO XXXIII. St. 93, v. 1. 60 E lo trovò ne la spelonca cava*. * dentro a la grotta cava St. 116, v. 3, 5. Del mio crror consapevole, non cheggio, Nò chiederti ardirei, gli antichi lumi. Che tu lo possa far, bea creder deggio *, Ohò sei de’cari a Dio beati numi. 77** basti il gran martir, eli’ io non ci veggio, Senza ch’ogn’or la fame mi consumi; Àlmen discaccia le fetide Arpie, Che non rapiscali le vivande mie. 40 * Che ben rendergli possa } creder deggio ** Deh CANTO XXXIV. St. 15, v. 3. Ma per narrar di me più che d’altrui, li palesar l’error che qui mi trasse, Bella, ma altera più, si* in vita fui, Che non so s’altra mai mi s’agguagliasse. * ed altera tanto St. 17, v. 6. co L’alto valore a* le più d’una sorte Prodezze che mostrò, lungo sarebbe A raccontarti, ecc. * e St. 18, v. 4. Panfilia e Caria e il regno de’Cilici Per opra di costui mio padre vinse, Che Lessereito mai centra i nemici, Se non quanto rotea costui , non spinse*. * piaceva a lui, non spinse a St. 21, v. 5. [20] Se n’andò al re d’Armenia, emulo antico Del re di Lidia e capitai nemico 31. dentro alta , B — 60. a lui spinse, À — [Canto XXXV.] POSTILLE ÀLL’ARIOSTO. 183 E tanto stimulò, che lo dispose A pigliar l’arme e far guerra a mio padre. Esso, per l’opre sue chiare e famose, Eu l'atto capitan di quelle squadre. Del* re d’Armenia tutte l’altre coso Disse eh’acquistaria, eco . * Pel St. 34, v.l. [33] Quel re, d’ira infiammando ambe le gote, io Disse ad Alceste che non vi pensassi, Che non si volea tor da quella guerra, Fin che mio padre uvea palmo di terra. E s'Alceste* è mutato a le parole D’ima vii feminclla, abbiasi il danno. * che s’egli St. 64, v. 1. [02] E poi disse (S. Giovanni ad Astolfo ): Fi- [gliuol tu non sai forse, Che in Francia accada, ancor che tu ne vegne. 20 Sappi clic ’1 vostro Orlando, perchè torse Dal cani in dritto le commesse insegne, È punito da Dio, che più s’accende Con tra chi egli ama più, quando s’offende. Il vostro Orlando, a cui nascendo diede Somma possanza Dio con sommo ardire, E fuor de l’uman uso li concedo Che ferro alcun non lo può mai ferire, Perchè a difesa di sua santa Fedo Così voluto l’ha constituire, so Come Sansone incontra a 1 Filistei Constituì a difesa de gli Ebrei ; Penduto lia il vostro Orlando al suo Signore* Di tanti beneficii iniquo merto. * Penduto ha, sconoscente, al suo Si- [fjnore. È ben dir così, perchè di sopra si 36. Convicn dir cosi, B — 59. Porsi deve dir , B 6) La citata edizione Valgrisiana del 1572 e quella del 1573 leggono faria; altre Valgrisiane hanno saria, e in . altre ancora può restar dubbio se sia stampato nell 1 uno o nell’altro modo: ma trova un’ altra volta il vostro Orlando, sospeso sin qui. St. 85, v. 5, 6. Altri in amar lo perde (il senno), altri in 40 [onori; Altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze; Altri no le speranze de’signori ; Altri dietro a le magiche sciocchezze; Altri in gemme, altri in opre di pittori , Et altri in altro che più d'altro apprezzo \ * Chi in cipolle raccor di estranei fiori, E chi in medaglie antiche ha sue vaghezze. CANTO XXXV. St. 5, v. 4 . CO E come di splendore e di beltade Quel vello non avea simile o pare, Così furiala fortunata etade, Che* dovea uscirne, al mondo singolare, Perchè tutte le grazie inclite e rade, Ch’alma natura o proprio studio dare, 0 benigna fortuna, ad uomo puote, Avrà in perpetua et infallibil dote. * Forse deve dire Chi . St. 83 , v. 6. co .... io figlimi di Monodante *... • * Brandimarte. St. 07, v. o. . Con ricca sopravesta e bello arnese Serpentin da la Stella in giostra venne. Al primo scontro in terra si distese ; Galileo dovette certamente leggere, nel proprio esemplare, faria, come dimostra la postilla eli’ egli appose al Cìic del v. 4. 184 POSTILLE ALL’ARIOSTO. [Canto XXXVI.] Il destrier aver parve a fuggir penne. Dietro li corse la donna cortese, E per la briglia il* Saracin lo tenne, E disse: Monta, c fa’ clic 1 tuo signore Mi mandi un cavalier di te miglioro. *al St, (SO, V. 8, 5. [68] 11 re Àfrican, ch’era con gran famiglia Sopra le mura a la giostra vicino, io Del cortese atto assai si meraviglia, Ch’usato ha la donzella u Serpentino. Serpentin giunge; e come ella comanda, Un miglior da sua parte al re domanda. Grandonio di Volterna furibondo, Il più superbo cavalier di Spagna, Fregando* fece sì che fu il secondo; Et uscì con minacce a la campagna. Tua cortesia nulla ti vagite* al mondo, ccc. 20 * Instando ** vaglia St. 72, V. 7. Di’ al re, ti prego, elio fuor de la schiera Elegga un cavalier clic sia par mio, Nè voglia con noi * altri affati carme, C’avete poca esperienzia d’arme. * voi St. 78, v. 7. Parlando tuttavolta la donzella, so Teneva la visera alta dal viso. Mirando Ferrai! la faccia bella, Si sente rimaner mezo conquiso, E taciturno dentro a sè favella : Questo un angel mi par del Paradiso; E ancor che * con la lancia non mi tocchi, Abbattuto son già. da’ suoi begli occhi. * benché CANTO XXXVI. St 18, v. 2. O sia per sua superbia, dinotando * 40 Sò stessa vinca* al mondo in esser forte ccc. * unica v. g. Le fcalesse* ch’amava, non ha scorte. * fattezze St. 40, v. 2. Come a i meridional tepidi venti, Che spirando * dal mare il (iato caldo, Le nevi si disciolgono e i torrenti, E il ghiaccio clic pur dianzi era sì saldo; so Così a quei pregili, a quei brevi lamenti, ccc. * spirano St. 43, v. 1, 2. Ma ritorniamo a M< ir fisa, che s’era In questo mezo in su 7 destrier rimessa *, E venia per trovar quella guerriera, Che l’avea al primo scontro in terra messa. * Mar fisa intanto furibonda s’ era In piè levata, e sul destrier rimessa . St. 66, v. 2. M Così lo spirto mio per le belle ombre Ha molti di aspettando* il venir vostro. * aspettato St. 77, v. s. [76] Poi che '1 fratello al fin le venne a dire, Che ’l padre d’Agramante e l’avo e ’1 zio, Ruggier a tradigion feron morire, E posero la moglie a caso rio, Non lo potè più la sorella udire, [Canti XXXVIl-XXXYUI.] POSTILLE ALL’Alti OSTO. 185 Che lo interroppe e disse: Fratei mio, (Salva tua grazia) avuto hai troppo torto A non ti vendicar del padre morto. Se in Almonte e in Troian non ti potevi Insanguinar, eh’erano morti inante, De i* figli vendicar tu ti dovevi. Perchè, vivendo tu, vive Agramante? CANTO XXXVII. 10 St.82, v. 1, 2. * Va le mogli così furo i mariti , Da le madri così i figli divisi * * E così dalle mogli i lor mariti, E i figli dalle madri far divisi: per fuggire la durezza del secondo verso con la continuazione di 8 i. St. 91, V. 3, 4. Dentar di briglia col calcagno presto Ecce a' presti destrier * far le vie corte. 20 * Lontano i freni, e fa ’l calcagno presto A i veloci destrier St. 96, v. 8. Non pur la donna e l’arme vi lasciavo (i bir - Ma de’eavalli ancor lasciaron molti; [ri), 11 clic a le donne ( a Marfisa e a Bradamante) [et a Ruggier fu caro, Che tre di quei cavalli ebbono tolti, Per portar quelle tre clic ’l giorno (Pieri so Feron sudar le groppe a i tre* destrieri. * lor St. 106, v. 6. .. . chi mal V opra*, male al fine aspetta. * mal opra 13. moglie, 13 —14-15. divisi: fuggir la, B 16, St. 117, v. 2. Fi s’avranno in quel tempo, e se saranno Tardi o più tosto* mai per aver moglie, ecc. * per tempo CANTO XXXVIII. St. 9, v. 7. dO .la turba disiosa Vien quinci e quindi, es'urta, storpia* e preme, Sol per veder sì bella coppia insieme. * e ’nsieme s y urta St. 36, V. 3. [35] Posto Agramante avea, fin al ritorno, Il re di Fersa e ’l re de gli Algazeri Col re Branzardo a guardia del paese; E questi si fer contra al duca Inglese: Prima avendo spacciato un sottil legno, oo Ch’a vele e a remi andò battendo Pali, Ad Agramante a,viso*, come il regno Patia dal re de 1 Nubi oltraggi e mali. * A dire ad Agramante St. 42, v. 1. 0 bene o mal che la fama ci* apporti, Signor, di sempre accrescere ha in usanza. * ch y a noi la fama St. 46, v. 4. Ma se tu mandi ancor che poche navi, G ° Pur che si veggan gli stendardi tuoi, Non scioglierai! di qua sì tosto i cavi, Che fuggiranno ne i* confini suoi Questi, o sien Nubi o sien Arabi ignavi. * fuggiran dentro a i St. 47, v. 8. Or piglia il tempo che, per esser senza Il suo nipote Carlo, hai di vendetta. verso per la, B — 20. fa il, B — 44. e insieme, B — 186 POSTILLE ALL’ARI OSTO. [Canto XXXIX,] Poi eli’Orlando non c’è, far resistenza Non ti può alcun de la nemica sotta. Se per non veder lasci, o negligenza, L’onorata vittoria che t’aspetta, Volterò, il calvo, ove ora il crin ne mostra, Con molto* danno e lunga infamia nostra. * ( La sorte a ( Fortuna a SI. 48, v. i, 2 . to Con questi et altri detti accortamente L’Ispano persuader vuoi nel concilio*, Che non esca di Francia questa gente, Fin che Carlo non sia spinto in essilio. * Con tai detti V Ispano accortamente Persuadere altrui vuol nel concilio St. 40, v. 7. Li quai * ora vorrei qui aver a fronte. * quali St. 59, v. 1. 20 Quante volte uscirai a la* campagna, Tante avrai la peggiore, o sarai rotto. * fuor in St. 60, V. 4. La gerito qui, là perdi a un tempo il regno, Se in questa impresa più duri ostinato; Ove, s’al ritornar muti disegno, L’avanzo di noi servi* con lo stato. CANTO XXXIX. Sfc. 44, v. 6. CO Ma di poterlo far tempo li Lolle Il campo, che in disordino fuggia Dinanzi a quel baston clic ’1 nudo follo Menava intorno, e il Iacea dar via. St. 50, v. 2. ... 0 Videro il Pagan salvo, sospirando*. salvi * Vedi nel Tasso, al c. 7, st. 2 (,) , quei che seguono Erminia. 7-8. Nel coti. À è notata soltanto la postilla La sorte a, ma non la postilla Fortuna a, che si legge solamente nel cod. B. — 22. fuori, JB — 62. al c . 7, quei, B — m [1] Intanto Erminia infra V ombrane piante D’antica «eira dal cavallo il scorta. Per tante strade fi raggira e tante Il corridoi-, eh * in sua balia la porta, Ch' al fin da gli occhi altrui pur si dilegua. [CANTI XL-X 1,11.1 POSTILLE ALL’ARIOSTO. 137 Sfc. 79, v. 2, 7. Non ha avuto Agramante ancora spia, Ch’Astolfo mandi una armata sì* grossa, E vien, senza temer che intorno sia Chi con tra lui s’ardisca di far mossa; guardie, nè velette in gabbia, Che di ciò che si scopre avisar l’abbia. * armata così io ** fa star CANTO XL. Sfc. 20, v. 2. [25].giù ne la città d’un salto Dal muro entrò ( Brandimarte ), die trenta [ braccia era alto. Come trovato avesse o piume o paglia, Prese* il duro terrea senza alcun danno. * Presse St. 52, v. i. 20 S’a disfidar Z’*ha Orlando, son quell’io (Rispose) a cui la pugna più conviene. *$* CANTO XLI. Sfc, 9, v. 2, 3. |_&J 11 legno sciolse e fé’scioglier la vela, E si diè al vento perfido in possanza; Che da principio la. gonfiata tela Drizzò a camino, e diè al nocchier baldanza. ao Ne roscurar del giorno fece il vento Chiara la sua perfidia e ’l tradimento: CO. Per fare , 13 — Ed *! soverchio ornai eh* altri la segua. Qual dopo lunga e faticoni caccia Tornanti mesti ed anelanti i cani, Che la f ra perduta ahhian ili traccia, Nascosa in selva, da gli aperti pioni; Mutossi da la poppa ne le sponde, Indi a iti porta*, e qui non rimase anco; 7i otta** la nave, et i nocchier confonde, Ch’or di dietro, or dinanzi, or loro è al fianco. * prora ** Ruota St. 28, v. a L’altra armatura, non la conoscendo, Non apprezzò per cosa sì soprana, 40 Come chi ne fe’prova: apprezzò quella Per buona sì, ma per più* ricca e bella. * più per Sfc. 61, v. 2. Avea il Signor che ’l tutto intende e vede, Rilevato* al santissimo eremita, Che Ruggier da quel dì ch’ebbe la fede, Dovea sette anni, e non più, stare in vita. * Rivelato Sfc. 68, v. 3. co In questo tempo Orlando e Brandimarte E ’l marchese Olivier col ferro basso Vanno a trovare il Saracino* Marte (Che così nominar si può Gradasso). * Sericano CANTO XL1I. Sfc. 10, v. 2. Come vide Gradasso d’Agramante Cader il busto dal capo diviso * (l) , eco. * Per far il verso più numeroso avria co detto il Tasso : Cader dal busto il gran capo divìso. Tal, pieni d' ira e di vergogna in faccia, lliedono stanchi i cavatici' Cristiani. w Nell*edizione postillata da Galileo questo verso era sottolinealo. i 188 St. 22, v. 8. ... o chiaro fulgor do la Fulgosa Stirpe, o serena, o sempre viva luce, Se mai mi riprendesti in questa cosa, fi forse inanti a quello invitto Duce Per cui la vostra patria or si riposa, Vi prego che non siate a dirgli tardo, Ch’esser può che in* questo io sia bugiardo. io * che nè in St. 26, V. 8; st. 26, v. 6. [24] Poi che ritrova ( lìradamantc ) il giura¬ mento vano, C’avea fatto Ruggier pochi dì inante, Poi elio in questo ancor manca, non le avanza In ch’ella debba più metter speranza: fi ripetendo i pianti e le querele, Che pur troppo domestiche le furo, 20 Torno* a sua usanza a nominar crudele Ruggiero, e ’l suo destili spietato e duro; Indi sciogliendo al gran dolor le vele, 11 ciel che consentia tanto pergiuro, Nò fatto n’avea ancor segno evidente, Ingiusto chiama, debile e impotente. Ad accusar Melissa si converse E maledir P oraeoi de la grotta, CIP a lor mendace suasion s’immerse Nel mar d’amore, ov’ò a morir condotta. «io Poi con Marlisa ritornò '** a dolerse Del suo fratei, che le ha la fede rotta: Con lei grida c si sfoga, e le domanda Piangendo aiuto, e se le raccomanda. * Torna ** ritorna Sb. 40, v. 8. Tal passione e tal cordoglio sente, Che non fu in vita sua mai più* dolente. » * SÌ 67. volere, B — [Canto XLIIIJ St. 69, v. 4. iQ Come Rinaldo il vide ritornato, Li disse elio gli avea grazia infinita, fi ch’era debitore in ogni lato Di porre al* beneficio suo la vita. * a St. 60, v. 4. Rispose il cavalieri Non ti rincresca, Se ’l nome mio scoprir non ti voglio ora; Ben tei dirò prima eli’un passo cresca L’ombra, chè ci sarà poco* dimora. co * poca St. C3, V. 4. Ambi si trasse* l’elmo de la testa. * trasser St. 75, v. 4. La sua porta ha per sè ciascuna loggia, fi tra la porta e sè ciascun’ ha un arco: D’ampiezza pari son, ma varia foggia Fa* d’ornamenti il mastro lor non parco. Da ciascun arco s’entra, eco . co *Fe } St. !0t, v. 4. Quasi Rinaldo di cercar suaso Quel che poi ritrovar non vorria forse, Messa la mano manzi e preso il vaso, Fu questo di volere* in prova porse. * vicino a voler CANTO XLIII. St. 4, y. 8. (’he d’alcune dirò hello e gran donne, Ch’a bellezza, a virtù di fidi amanti, POSTILLE ALL’ARIOSTO. \ [Canto XLIII.l POSTILLE A LL’A RIOSTO. 189 A lunga servitù, più die colonne Io veggo dure, immobili e costanti? Veggo venir poi l’avarizia, e ponne Far sì, che par che subito le incanti: In un dì, senza amor (chi fia che ’l creda?) A un vecchio , a un brutto , a un mostro * le dii [in preda. * A un bruito, a un mostro } a mi vecchio St. 21, v. 4. io Ella sapea d’incanti e di malie Quel clic saper ne possa alcuna maga: Remica la notte chiara, oscuro il die, Fermava il sol, facea la notte * vaga. * terra st. 27, v. 5. Con tal parole e simili non cessa L’incantatrice, fin che mi dispone Che de la donna mia la fede espressa Veder voglia e provare a paragone. 20 Ora poniamo (le soggiunge*) eli’essa Sia qual non posso averne opinione: Come potrò di lei poi farmi certo, Clio sia di punizion degna o di merto? * soggiungo St. 20, v. 7. .non t’assicuro il petto; Che se tu non immolli * e netto bei, D’ogni marito il più felice sei. * non V immolli so st. so, v. 8. Levando allora del suo incanto il velo, Ne la mia forma mi tornò Melissa. Pensa di che color dovesse farsi (la moglie), Che* in tanto error da me vide trovarsi. St. 41, v. 7. Ben la vergogna è assai, ma più lo sdegno Ch’ella ha, da me veder farsi quella onta; E moltiplica sì senza ritegno, Che in ira al lino e in crudel odio monta. 40 Da me fuggirsi tosto fa disegno; E ne l’ora che ’l sol del carro smonta, Al fiume corse*) e in una sua barchetta Si fa calar tutta la notte in fretta. * corre St. (12, v. i. L* effabil* bontà del Redentore. * ineffabil St. G9, v. 4. .Ben li dicesti, co Che non dovea offerirle sì gran doni; Chò contrastare a questi assalti e a questi Colpi, non sono tutti * i petti buoni. !: tutti sono St. 109, v. 4. Gran meraviglia et indi gran desire Venne a la donna di quel can gentile; E ne fa per la balia proferire Al cauto peregrin prezzo non utile** * vile co St. 118, V. 2. ... da cloni grandissimi corrotta, Dati* ad altri a’avea la donna in preda. * Data St. 127, v. s. ... la balia, onde il resto avea saputo, Questo, non so perchè, chi* avea taciuto. *gV *Cki 190 POSTILLE ALL’ARIOSTO. ICanto XhlTì St. 130, v. 8. .in fretta manda Intorno messi e lettere a cercarne: Chi in quel loco, che * in questo ne domandaci. * chi St 186, v. 7. Anselmo, che non vede altro da cui Possa saper di chi la casa sia, A lui (al Negro) s’accosta, e ne domanda a lui ; io Et ei risponde: Questa casa è mia. 11 giudice è ben certo che colui Lo beffi e che li dica la bugia: Ma con scongiuri il Negro* ad affermare, Che sua è la casa e ch’altri non v’ ha a fare. * quel torna giurando St. 138, v. 1. La forma, il sito ricco c il* bel lavoro Va contemplando, e l’ornamento regio. * il ricco e 20 St. 155, V. 4, 5. La notte che precesse a questo giorno, Fiordiligi sognò clic quella vesta, Che, per mandarne Brandimarte adorno, Avea trapunto* c di sua man contesta, Vedea per mezo sparsa d’of/n’** intorno Di goccio rosse, a guisa di tempesta. * trapunta ** sparsa c cV ogni st. ICC, v. 6. so Con fresco vento, clic in favor veniva, Sciolser la fune al declinar del giorno, E sorse* l’altro dì sopra la riva Ch’amena giace ad Agringento intorno. * sorscr St 167, v. 7. Tornò Orlando ove il colpo* fu lasciato, Che vivo e morto avea con fede amato. * corpo CANTO XLIV. 40 St. 8, v. 6. ... prima non avea potuto farlo, Quando era l’un ne l’Africana corte, E l’altro a li servigi era di* Carlo. * del re St. 86, v. 5. Ode Anione il figliuol con qualche sdegno, Che, senza conferirlo seco, egli osa La figlia maritar, eh’esso ha disegno Che del figliuol di Constantin sia sposa; so Non di Ruggier, il (pud, non d abbia* regno, Ma non può al mondo dir: Questa ò mia cosa. * che non pur non ha St. 50, v. C ; st. 51, v. 2. [48] Seco di sua fortuna si lamenta ( Ruggiero ) Poi che ricchezze non gli ha date e regni, Di che è stata si larga a mille indegni. Di tutti gli altri beni, o che concedo Natura al mondo o proprio studio acquista, co Aver tanta e tal parte egli si vede, Qual e quanta altri aver mai s’abbia vista. Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori, Che, come paro a lui, li leva e dona; Nò dal nome del volgo voglio fuori, Eccetto l’uom prudente, trai* persona; Oliò nò papi, nò re, nò imperatori Non ne trae scettro , mitra*, nò corona, Ma la prudenzia, ma il giudicio buono, 70 Grazie che dal ciel date a pochi sono; Questo volgo, per dir quel ch’io vo dire, Ch'altro** non riverisce che ricchezza, Nò vede cosa al mondo che più annuire, E senza, nulla cura e nulla apprezza, [Canto XLV.| POSTILLE ALL’ARIOSTO. 191 Sia quanto voglia, la beltà., l’ardire, La possanza del corpo, la destrezza, La virtù, il senno, la bontà; c (,) più in questo, Di ch’ora vi ragiono, che nel resto. Dicea Ruggier: Se pur ò Amon disposto Che la figliuola imperatrice sia, Con Leon non conchinda così tosto: Almen termine un anno anco mi dia, ecc . * mitra, scettro io ** Altro Se si lasciasse stare questo Gh\ ri¬ marrebbe il senso della antecedente stanza e di questa sospeso ; e però è bene levarlo, e così tornerà bene. st. 64, v. 3. Deh che farò? farò dunque vendetta Contra il padre di lei di questo oltraggio? Non miro eh’ io non so * per farlo in fretta, 0 s’in tentarlo io mi sia stolto o saggio: 20 Ma voglio presuppor ch’a morte io metta L’iniquo vecchio e tutto il suo lignaggio: Questo non mi farà però contento, Anzi in tutto sarà contra il mio intento. * son St. 68, v. 2. A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato Di me, che forse è più di' * altri non crede. * di' è più che farsi St. 65, v. 8. 30 Che ’l cor non ho di cera, ò fatto prova; Chè gli diè cento, non eh’una percossa Amor, prima che scaglia ne levasse, Quando a Vimagin vostra lo* ritrasse. * Vimagin vostra in lui St. 82, v. 4. E con gran gente, chi in arcion, chi a piede, Chè non n’avea di ventimila un manco, Cavalcò lungo la riviera, c diodo Che * fiero assalto a gl’inimici al fianco. * Con 40 St. 85, V. 1. Sprona Frontin, che sembra al corso in * [vento. * un CANTO XLV. St. 15, v. 5. A Constalitin, nel * quale era sorella, ecc. * del St. 50, v. 7. Ruggier fuggito, il suo guardian strozzato, so Si trova il giorno, e aperta la prigione. Chi quel, chi questo, pensa che sia stato; Ne parla ogn’ un, nè però alcun s’appone. Ben di tutti gli altri uomini pensato Più tosto si saria, che di Leone : Chè pare* a molti c’avria causa avuto Di farne strazio, e non di dargli aiuto. * parria St. 52, v. 8. Molto la notte e molto il giorno pensa; co D’altro non cura et altro non desia Che da l’ohligazion, che gli avea immensa, Sciorsi con pari e maggior cortesia. Li par, se tutta sua vita dispensa In lui servir, o breve, o lunga sia E se si espone a mille morti certe, Non li può tanto far che* più non morte. * Tanto non poter far che ei Le lin. 11-14 si leggono soltanto nel cod. B. — 28. che è più, B — 68. di’et, B — 11 testo delle edizioni Valgrisiane del 1556 in quarto, del 1560, del 1562 in quarto, ò la bontà , b: ma nella citata Valgrisiana del 1572 e in quella del 1573 P accento dell* è è siffattamente guasto, elio appena lo distingue chi sia stato messo sull’av¬ viso; e probabilmente Galileo lesse, nel proprio esemplare, e, come pare dallapostilla ch’egli appose al Ch’altro del v. 2. Nelle ristampe Valgrisiane del 1580 in quarto o del 1603 si legge di nuovo, chiarissimo, c. Veggasi a proposito di questo passo la nota di (i. Casella nell’edizione (Firenze, Gr. Bar¬ bèra, editore, 1877) del Furioso da lui curata. 192 POSTI LLE ALL’A IMO STO. [Canto XLVI.] St. 58, v. 8. _ogni altra cosa pili facil gli fia, Che poter lei veder che sua non sia *. * d’altri sia st. 50, v. 6. _non fu mai la più beata morte, Che se per man di lei venisse -manco*. * ( Che per man della amata venir manco. I Se per mano di lei venisse manco. 10 St. 68, v. 6. E tutto il taglio anco a quest’altra (spada) [tolle Con un martello, e lo* fa men gagliarda. * la St. 77, v. 6. 0 lei non fere, o se la fere, mira Ferirla in parte ove men nuoce* credo. * nuocer St. 70, v. 8. 20 Quanto mancò più la speranza, crebbe Tanto più l’ira c raddoppiò le botte, Chè pur quell’arme rompere vorrebbe, Che in tutto ’1 dì non avea ancora rotte: Come colui ch’ai lavorio che debbe, Sia stato lento, e già vegga esser notte, S’affretta indarno, si travaglia e stanca, Fin che la forza a un tempo il* dì li manca. * tempo e il St. 82, v. 7. 530 Sopra un picciol rmein * torna in gran fretta. * ronzin St. 88, v. 6. .poi che Brad amante sente Meco l’ingiuria ugal *.... * ugual St. 02, v. 2. Entra nel folto bosco, ove più spesse L’ombroso frasche e più ini recate* vedo. * intricate CANTO XLVI. St. 84, v. 6. Oro le corde, avorio era lo stello*. * stelo St. 103, V. 8. Con nove arine e cavallo e spada e lancia A la corte or ne vien quivi* di Francia. * del re St. 113, v. 8. Tremava, più eh’a tutti gli altri, il coro À Braclamante; non ch’ella credesse oo Che ’l Saracin di forza e di valore, Che vien dal cor, più di Ruggier potesse, Nò che ragion, clic spesso dà l’onore A chi l’ha seco, Rodomonte avesse ; Pur stare ella non può senza sospetto, Chè di temere , amando , ha* degno effetto. * ’l timor dell' amare è St. 115, v. 7. Le lance, a V incontrar, parve * di gelo. * par ver. w St. 140, v. C. A le squalide ripe d’Acheronte, Sciolta dal corpo piu freddo* che ghiaccio, Bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa, Che fu sì altera al mondo e sì orgogliosa. * freddo più 8. deWamata, B — 57. il timor , B — POSTILLE ALL’ARIOSTO. 193 E Doralice (t> ringraziò il pastore, Glie nel suo albergo gli uvea fatto onore. Collie contiene virtualmente la reconciliazione con Mandricardo, ed il giubilo che sentiva per le dolcezze passate, c. 14, st. 63 ( ‘ 2) . Ognun maravigliando in piò si leva, Oliò *1 contrario di ciò tutto attendeva. Esprime mirabilmente il cattivo concetto elio aveva fatto il po¬ polo di Grifone, già che si leva in piede con maraviglia, che denota che forsi s’era posto a sedere, e forse ragionava e badava ad altro, io c. 17, st.. . . U) Nota il costume mirabilmente osservato sempre in tutte le cose, ed in Orlando, che sempre vien figurato distratto e taciturno, sino alla pazzia : domandato da Isabella, rispondo solo : Non so, c. 23, st. .. , (4; ; e più a basso, st. 67, Giunsero taciturni etc. (b) (*) Il Viviani, nel cod. A, dopo aver notato le postille al c. XLVI, continua, sempre rife¬ rendosi alTesemplaro postillato da Galileo: « Nella Tavola de’ priucipii delle ottave » (cioè la Tavola de principii di tutte le stanze del Furioso , raccolta da Messer Giovati Bat¬ tista Bota Paducino, che ticn dietro al poema in molte edizioni Valgrisiane) «manca alla lettera A "Al tornar dello spirto ’. In fino di detta tavola vi è scritto, di mano del Ga¬ lileo : Natantibus, propter cUtractionem aiiris sub aquam, mirtini in modinit de fatica tur re - spiratio et peclus laborat. Nell’ ultima carta vi è, di inano del Galileo, quanto appresso ». E qui trascrive ciò che noi pubblichiamo nella presente pagina e nella 194. 0) [f>2] Erano pastorali alloggiamenti ; Miglior stanza c più comoda , clic bella. Quivi il guardian cortese de gli armenti Onorò il cuvaliero e la donzella , Tanto che si chiamar da lui contenti. [63] E Doralice ringraziò il pastore, Che nel suo albergo le uvea fatto onore. < 8 > St. 93: Già la lancia uvea tolta su la coscia Grifon , eh 9 errare in arme era poco uso. Spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia CE alquanto andato fu, la mise suso ; E portò nel ferire estrema angoscia Al baron di Sidonia, eh' andò giuso . Ogni un meravigliando in piò si leva, Chè } l contrario di ciò tutto attendeva. w St. 55 : Quando costei (Isabella) li vide (i masna- [dieri del conte Anseimo) a la campagna , Domandò Orlando, chi la turba fosse. Non so, di ss' egli; c poi su la montagna Lasciolla, c verso il pian ratto si mosse. (*) Giunsero taciturni (Orlando, Zerbino ed [Isabella) ad una fonte , Dove smontaro e fcr gualche dimora. 194 POSTILLE ALL’ARIOSTO. Costumo eli donna amante è reputare l’amata persona eccellente sopra tutti li altri. Como con questo mezzo vien rappresentato l’amore di Fiordiligi verso Brandimarte, c. 24, st. 73 <0 . (l) Fiordiligi , che mal vide difesa (da Zor- La buona spada del misero conte , ( bino) Tacita duolsi; c tanto le ne pesa , Clic d f ira piange e battesi la fronte. Vorria aver Brandimarlcaquclla impresa; E se mai lo ritrova e gli lo conte , Non crede poi che Mand ri cardo vada Lunga stagione altier di quella spada . ARGOMENTO E TRACCIA D UNA COMMEDIA. Argomento. Cassali (irò, ricco e vedovo, ha un figliuolo, chiamato Orazio, il quale ama Fiammetta, figliuola di Frosino, cittadino privato, ed è amato da lei. Detto Orazio opera di aver per moglie detta Fiammetta; il che da Cassandre, suo padre, gli vien vietato, onde per disperazione si va con Dio. In capo a 3 o 4 anni torna con una vecchia, ed in abito di serva si pone con Frosino, e gode la figliuola amata. Fro¬ sino s’innamora di Orazio, credendolo donna, e cerca in varii modi di condurlo al suo intento, o lui lo va con iscuse trattenendo. Cas¬ io sandro ricco, non avendo nuove d’ Orazio suo figliuolo, credendo averlo perso, trovandosi di età, chiede a Fresino la sua figliuola per moglie, il quale gliela darebbe, ma lei dice non voler quel vecchio. Cassandre prega più volte Orazio suo figliuolo (credendo che sia serva di Fiammetta), che voglia disporla ad amarlo ; ed Orazio gli dà parole; e mentre che va innanzi e ’n dreto, portando ambasciate, una sua so¬ rella, detta Lucilla, innamorata di Uberto figliuolo di Frosino, lo prega che voglia esser mezzano a portargli l’imbasciate; tal che Orazio vede 1’amor di suo padre verso Fiammetta e l’araor di sua sorella verso Uberto. Finalmente Frosino si risolve una notte a andare a trovare 20 a letto Orazio, che crede che sia donna, e lo trova mastio : leva il remore. Orazio se gli manifesta, piglia per moglie Fiammetta, dà la sorella a Uberto. Cassandre, svergognato dal figliuolo, se ne contenta. Cassandro, vecchio ricco, vedovo. Lucilla, fanciulla, figliuola di Cas¬ sandra. Frosino, cittadino privato. Fiammetta, sua figliuola. Uberto, figliuolo di Frosino. Veronica, moglie di Frosino. Mf.nichktta, serva, ciò è Orazio. 19. Tra Finalmente e Frosino si legge, cancellato, costretto. — 23-24. Tra vedovo e Lu¬ cilla si legge, in linea a sè e cancellato : Orazio, suo figliuolo : da serva, Minichctta. — 24. In luogo di Lucilla prima aveva scritto Silvia. — 24-25. Tra Fiammetta, sua figliuola e Uberto si legge, in linea a sè e cancellato, Lucilla, -r 198 ARGOMENTO E TRACCIA ATTO PRIMO, Scena Prima/ 0 Cassandro solo. Si lamenta della fortuna ; manifesta la perdita di Orazio, suo figliuolo, e credendolo morto, per esser passati 4 anni che non ne ha nuove, trovandosi ricco, si risolve a voler tor moglie, innanzi che vadia più invecchiando: e perchè è di età, dice che non troverebbe una sua pari in ricchezze : però, che chiederà a Prosino, suo molto domestico, la sua figliuola; e dice: Se Prosino sapessi che io non volsi acconsentire che Orazio, mio figliuolo, la pigliassi, arebbe ra¬ gione a non me la voler dare. Dico non potere aspettar di maritar io la sua figliuola, perchè è di 13 anni, troppo giovanotta. ATTO PRIMO, Sckna Seconda. Frosino e Cassandre). Chiede Cassandro a Frosino la figliuola per moglie. Frosino gliela promette. ATTO PRIMO, Scena Terza. Frosino solo. Rallegrasi da per sè che la figliuola sia maritata, e ecuopresi amante di Menichetta, sua serva; e dico che se la figliuola gli esce di casa, potrà, senza più rispetti], attendere alla fante. 20 ATTO PRIMO, Scena Quarta. Meri idi etta, Fiammetta. Fiammetta dalla finestra chiama Menica, che escie fuora per an¬ dare alle monach[e] per un colletto. Escono dell’ uscio tutt’ a due : 2-3. Tra Cassandro solo e Si lamenta ni lepfge, cancellato: Quanto più vo in là coii gli anni, piu scemano le mie speranze ; c olire che [in luogo di oltre che prima aveva scritto se bene] questo suol per natura intervenire a i vecchi, a ine si aggiungono ancora tanti travagli... — | 1 mai ’£* ne superiore della caria che di mano di Galileo: <* La maggior saviezza contiene la presente traccia, è scritto, pur che sia, è conoscer sè stesso ». D’ UNA COMMEDIA. 199 parlano amorosamente, e Fiammetta dice che non lo lascierebbe andar senza gelosia altrove clic allo monache. ATTO PRIMO, Scena Quinta. Menica, Prosino. Prosino dice a Menichetta aver maritata Fiammetta, e gli dà un assalto ; e lei gli dà buone parole, per non esser cacciata via. ATTO PRIMO, Scena Sesta. Menica solo. Manifesta sè esser mastio, goder Fiammetta ; si burla di Prosino : io dice che, se suo padre cerca di aver Fiammetta per moglie, potrà scopritegli, e non g[li] potrà esser negata, avendola egli medesimo chiesta, e questo rispetto l[o] faceva star celato H> . ^ La traccia rimane così incompleta nel codice. t Pantalone, mercante ricco, ha 2 figliuoli, Cinz,io o Cornelia, ed un servo Burattino. Tofano, mercante povero, ha un figliuolo Flavio ed una figliuola Diana. Cinzio, avendo amato ardentemente Diana, e desideratala per moglie, e sendogli vietato da Pantalone suo padre, per esser quella povera, si era andato con Dio da disperazione, sendo di età di 18 anni; e stato fuori 4 anni, era ritornato sconosciuto, ed in abito di mussar a serviva in casa di Tofano, e godeva dell’ amor di Diana segretamente. Il capitano Flegetonte ama, lui ancora, Diana. E Flavio e Cornelia si amano scambievolmente. Scena I. Diana e TJUvetta, ciò è Cinzia. Parlano dell’ amor loro, e Diana esorta Cinzio a scoprirsi or mai per quello che è, sì perchè lei è gravida, sì perchè, essendo Tofano suo padre innamorato di essa Ulivctta, ed essendogli al pelo, si corre pericolo che la cosa si scuopra con qualche grande strepito. Cinzio risponde che va con arte differendo lo scoprirsi, aspettando o che suo 3. In luogo di Flau.° prima aveva scritto Flam.°, poi corresse il u in in. Ma a Un. 12 lasciò, senza correggere, Flavi, che noi abbiamo mutato in Flavio. — 7. disperatine — ARGOMENTO E TRACCIA D’ UNA COMMEDIA. 201 padre muoia, e che la fortuna faccia nascere occasione tale, per la quale suo padre abbia a contentarsi di questo matrimonio ; e la esorta a pazienza. Scena IL Pantalone solo. Si lamenta di aver perso Cinzio suo figliuolo per non averli vo¬ luto concedere che sposasse Diana; ed essendo già passati 4 anni che esso andò via, e non ne avendo ante mai nuove, è credibile che sia morto ; e trovandosi senza altri figliuoli maschi e ricchissimo, si io risolve a pigliar moglie, acciò vegga di aver altri figliuoli, sì che le sue lacultadi restino nella casa ; e non potendo, per esser vecchio, ottenere una giovane sua eguale in ricchezze, si risolve a voler quella che aveva negata a suo figliuolo, la quale, per esser povera, potrà ottener facilmente ; e così potria seguire che colei che li era stata causa di perdere un figliuolo unico, gliene generassi de gli altri. Va a casa Tofano. Scena III. Pantalone e Tofano. Pantalone racconta la causa de i suoi travagli, e domanda a To- 20 fano sua figliuola per consorte. Tofano gliela promette, per quanto è in suo potere, e dice che vedrà di dispor la putta ; e si parte, e va a casa, e chiama sua figliuola ; e Pantalone va alle Piazze. Scena IV. Tofano, Diana sua figliuola, e Ulivetta. Tofano dice a Diana, volerla maritare in Pantalone, e la esorta a contentarsene. Ulivetta soggiugne il medesimo, e li dice che già che non aveva potuto avere il figliuolo, prenda il padre. Diana nè nega, nè acconsente, ma dice volerci pensar sopra ; torna in casa con Ulivetta, e Tofano resta solo. 21. dicic — 29. Dopo c Galileo aveva scritto dapprima: Pantalone restato solo; poi corresse restato in resta, e da ultimo cancellò quelle tre parole, scrivendo invece Tofano resta solo. E a lin. 2 della pag. 202, prima aveva scritto Pantalone, che poi cancellò, scri¬ vendo Tofano. — 202 ARGOMENTO E TRACCIA Scena Y. Tofano solo. Landa sommamente 1 * accortezza, la vai entigià, la grazia e la bel¬ lezza di Ulivetta, e se ne scuopre invaghito, ed aver tentato diverse volte di ottenerla, e non ne aver ritratto altro clic speranze; ina dico esser risoluto di voler veder o dentro o fuori quel che ha da essere, e voler venire seco alle strette : in tanto dice voler andare a dar la risposta a Pantalone, e lo va a cercare. Scena VI. Capitano e Farina suo servo, e Ulivetta. io Capitano viene in scena con grandissime tagliate, e finalmente si scuopre innamorato di Diana. Allo strepito delle tagliato Ulivetta vien fuori, e dà canzone e buone speranze al Capitano, il quale se gli rac¬ comanda e ripone P amor suo nelle sue mani, ed ella gli promette di parlare in suo favore con la Signora Diana. E partito il Capitano, Farina scherza con Ulivetta e fa P innamorato, ed ella gli dà buono parole, e gli dà la mano e promette di pigliarlo per marito. Scena VII. Tofano e Pantalone. Tofano compare con Pantalone, e seguitando il ragionamento, dice 20 non aver trovato in sua figliuola contradizione, ma sapendo di quanta credenza ed autorità sia a presso di lei Ulivetta, esorta Pantalone a servirsi di Ulivetta per mezana a persuader Diana a contentarsi di pigliar Pantalone, e dice di mandargliela a casa ; e Pantalone parte. Scena Vili. Tofano e Ulivetta. Tofano chiama fuori Ulivetta: gli torna a dare assalti, ed ella si scusa sopra diversi rispetti, ed in particolare sopra P aver lui la 12. Allo strepito delle tagliate è stato sostituito da Galileo a Va a battere alla porta ed, che prima aveva scritto. — D’UNA COMMEDIA. 203 figliuola da marito ancora in casa, e che quando P averà maritata lo contenterà. Questo è causa di far che Tofano tanto maggiormente procuri che Pantalone la sposi, e però manda Ulivetta a casa Pan¬ talone con dirgli che esso gli vuol parlare e fargli un presente, acciò che lei parli per lui a Diana. Tofano va alle Piazze. • Scena IX. Ulivetta, Cornelia e Pantalone. Ulivetta batte alla porta di Pantalone: vieti fuori Cornelia, e ri¬ sponde che Pantalone si riposa : parlano insieme, e finalmente Cor¬ ni nelia si scuopre a Ulivetta essere innamorata di Flavio, e la supplica a favorirla. Lei gli risponde, sapere come Flavio altresì ama lei, o che è per procurare il contento di ambe due le parti. In tanto vien fuori Pantalone, e rimandata Cornelia in casa, resta con Ulivetta, alla quale si raccomanda, e la supplica a interceder per lui a presso Diana, sì che quella si disponga a contentarsi di prenderlo per marito. Con questa occasione Ulivetta si fa campo di entrare in ragionamento con Pantalone, e mostrargli quanto saria stato meglio che ei avesse con¬ tentato suo figliuolo, con lasciargli sposar Diana, del quale averia già veduti i nepoti, dove ora si trovava aver perso il figliuolo ed esser 20 in dubbio di poter riveder più la prima, non che la seconda, gene¬ razione. Lo commuovo a pianto ed a pentimento, e finalmente gli promette di aiutarlo e far più di quello che ha promesso. Pantalone torna in casa, ed Ulivetta sola si ride de i bei casi della fortuna, essendo ridotta a far il ruffiano per il padre, per la sorella, per il capitano, ed a doversi schermire da P impeto di Tofano. Finisce il primo atto. ATTO SECONDO. Scena I. Pantalone e Burattino suo servo. Pantalone dice a Burattino non veder P ora di sposar Diana, o so però lo manda a casa di quella a parlare con Ulivetta ed intendere 7. Tra i personaggi della Scena IX dapprima Galileo aveva indicato anche Burattino servo (li Pantalone , ma poi cancellò queste parole.— 11. favorirlo —18. In luogo di Diana Galileo scrisse Cornelia , che abbiamo corretto. — 204 ARGOMENTO E TRACCIA quello die ha fatto. Parte Pantalone e va alle Piazze : e Burattino dice, esser amante di Ulivetta, e volerla dimandar per moglie. Va a battere alla porta. Scena II. Burattino e Ulivetta. Espone Burattino a Ulivetta P imbasciata di Pantalone. Quella gli risponde, aver trattato strettamente con Diana, la quale in somma dice che mostra di esser molto renitente a queste nozze con Panta¬ lone, non tanto per esser lui vecchio, quanto che teme che. essendo in casa sua, ei gli darebbe cattiva vita, qualunque volta se la ve- io desse avanti, e gli sovvenisse lei essere stata causa della perdita del suo unico figliuolo, e massime se lei non gli ne facesse altri, come è credibile per esser lui molto vecchio ; ma però soggiugne, non esser fuori di speranza di poterla ancor disporre, e che anderà pensando a qualche altro mezo. Burattino si scuopre suo amante, e quella gli dà la mano e la fede di prenderlo per marito. Partono ambedui: Ulivetta va in casa, e Burattino va a trovar Pantalone. Scena III. Capitano, Farina e Ulivetta. Capitano taglia bestialmente, e si duole che Ulivetta strapazzi un 20 par suo, e non gli abbia ancor dato risposta. Manda Farina a batter da Diana senza rispetto, gridando che non vuole essere strapazzato da feminuzzole. Ulivetta vien fuori, e fingendo paura e reverenza, dice aver parlato con Diana, la quale dico che saria dispostissima a compiacerlo, anzi che averia per somma grazia e ventura che un tant’ uomo si degnasse di lei ; ma conoscendo la sua estrema bravura e la sua terribilità, dice che vedendoselo avanti averia paura di di¬ sfarsi ed andare in fumo per lo spavento : ma perchè lei è disposta di volerlo servire, dice che ha pensato, a ciò che Diana non muoia di terrore, di voler che il Capitano vadia da lei, deposta parte della so sua terribilità, ciò è quella che si vede di fuori, e che vuole che de¬ ponga le armi e P abito di spavento, e si vesta da persona più dime- 7. stranamente — 31-32. Tra che e deponga si legge, cancellato, metta. — 32. e vi vesta — D’UNA COMMEDIA. 205 etica-, e fìnga anco la voce più umana, ed in somma che si vesta da Burattino, e vadia la notte seguente alle 2 ore, che lei lo torrà in casa e lo condurrà da Diana : si fermi presso alla casa, e lei, quando sarà il tempo, lo chiamerà con nome di Burattino, per non dar so¬ spetto ; e vuol che prenda 1’ abito di Burattino, il quale domestica¬ mente va in casa ad ogn’ ora. Parte il Capitano, e Farina ricorda ad Ulivetta la data fede, la quale gii dice che vuol che le nozze si faccino doppie. Resta Ulivetta sola, la qual dice di voler fare una bella burla a quel frappatore del Capitano. In questo compare Pan- ìo talone e Burattino. Scena IV. Pantalone, Ulivetta, Diana, Cornelia e Burattino. Pantalone, impaziente, viene a parlare in persona a Ulivetta, e si dimostra ardentissimo in voler in ogni modo Diana, assicurandola che la accarezzerà sempre, etc. Ulivetta finalmente gli dice, non ci esser verso da poter far che Diana si assicuri ad andare in casa di Pantalone, e che Pantalone può provare a parlargli lui. Si chiama Diana, la quale si mostra cortesissima verso Pantalone. Parla savia¬ mente, chiamandosi indegna di tanto bene, e che nissun’ altra cosa 20 la ritiene fuor che il dubbio di poter arrecare a Pantalone la desi¬ derata quiete; il quale, avendola in casa e cessando facilmente in pochi giorni P amore che ora gli porta, potrebbe arrecargli poi per¬ petua noia, vedendosi avanti quella che è stata causa della morte di suo figliuolo ; ed in somma usa ogni artificio di accender maggior¬ mente Pantalone con la sua grazia, con la sua modestia e con la sua prudenza : e parte di scena. Pantalone esclama, si strugge, e si duole di non aver conceduta a suo figliuolo una donna tale, che non ha pari al mondo, e torna a scongiurare e supplicai’e Ulivetta, la quale, vedendosi la strada aperta al suo disegno, dice che ha un solo ri¬ so medio, ma sicurissimo, da dispor Diana, ma tien per fermo che Pan¬ talone non lo vorria accettare. Pantalone largamente prometto di far tutto, quando dovesse spender mezo il suo. Allora Ulivetta gli dico che, per assicurare Diana, ha pensato elio saria ottimo mezo che Pantalone concedesse Cornelia per moglie al fratello di Diana e che 2. Qui, e a pag. 206, Un. 14, prima aveva scritto alle 5 ore, poi corresse 5 in 2. — 22. gli porle — 33. Tra assicurare o Diana si legge, cancellato, e dispor. — IX. 20 2or> ARGOMENTO E TRACCIA facessero tutti una casa sola, perchè così, avendo Diana suo fratello in compagnia, si assicurerebbe ; ed aggiugne come quelli sono arden¬ temente innamorati P un dell’ altro ; e se è vero che Pantalone si contentasse di spender mezo il suo per aver Diana, P averia così potuta avere senza levarsi le sue ricchezze di casa, partecipandole solamente con la povertà di Tofano e suo’ figliuoli, e vivendo tutti in allegrezza, la quale lo faria ringiovenire 30 anni. Pantalone ri¬ sponde che, pur che sia vero che Cornelia sua figliuola ami Flavio ed esso lei, che si contenterà di tutto più elio volentieri, e che averà ricchezze per se e per li altri. Si chiama Cornelia, la quale vergo- io gnosa risponde al padre di contentarsi : partono Cornelia e Panta¬ lone, dando ordine a divetta di portar queste buone nuove a Tofano e suo figliuolo. Resta Burattino con divetta, e torna su’ suoi amo¬ razzi. Finalmente divetta li dice che venga da lei alle 2 ore di notte, ma che venga armato per ogni buon rispetto, e si fermi sul canton della casa, e quando si sente chiamare, venga a lei. Burattin dice che verrà, e partesi, divetta va a casa, e chiama Diana. Scena Y. TJìivetta, Diana, Tofano, Flavio. divetta racconta a Diana quanto è seguito con Pantalone, e come 20 l’invenzione per dispor Pantalone a dar Cornelia a Flavio è succeduta ottimamente, sì che le cose camminano prosperamento. Concludono che sia bene che Flavio dia quanto prima la mano a Cornelia; e come questo sia fatto, potrà divetta scoprirsi e dar fine al tutto. Mentre ragionano di ciò, sopragiugne Tofano con Flavio, a i quali danno la buona nuova; ed entrati li altri in casa, Tofano e suo figliuolo vanno a trovar Pantalone a casa per ringraziarlo e dar la mano a Cornelia. Scena VI. Tofano, Pani alme, Flavio, Cornelia. Tofano batte a casa di Pantalone, il qual vien fuora. Tofano li so rende grazie. Chiamasi Cornelia. Flavio li dà la mano, ed essendo notte si partono, ed ogn’ uno va a casa sua. 15. Tra rispetto ed e si legge, cancellato: Burattino dice che verrà, e parte. — 17. Tra partesi e UUvctla ai legge, cancellato, corre. — D’ UNA COMMEDIA. 207 Scena VII. Capitano, in abito da Burattino, Burattino, divetta e Tofano. Capitano viene in scena, essendo or mai 2 ore : dice alcune cose in proposito della forza di Amore, che ha trasformato un tanto ca¬ pitano in forma di un servo, con miracolo maggiore che non fu il mutar Giove in toro, in cigno, etc. Si pon da parte ad aspettar d’esser chiamato da Ulivetta. Vien appresso Burattino, e si pone da un’altea parte aspettando. Finalmente Ulivetta alla porta chiama Burattino, e venendo F uno e l’altro, e volendo ciascuno esser il Burattino cliia- 10 mato, vengono alle mani, e Burattino bastona il Capitano. Corre Tofano al romore e bastona ambidue, i quali tacitamente si ritirano in un cantone. Tofano restato solo dice di voler quella notte andare a trovar Ulivetta, quando sia l’ora tarda sì che ogn’ un dorma, al letto, la qual dorme nell’ anticamera di Diana ; dicendo che, sendosi per far le noze il giorno seguente, potria esser che Ulivetta andasse via con la sposa, ed egli perdesse la comodità di goder mai più Uli¬ vetta : e con questo pensiero va in casa. Partito Tofano, il Capitano e Burattino si sentono, si riconoscono, si lamentano delle bastonate, e finalmente il Capitano dice a Burattino 20 come ei doveva andare a dormir con Diana, e Burattino dice che era andato per Ulivetta. Si avveggono essere stati burlati ambedue, e Bu¬ rattino in collera dice voler raccontare il tutto a Pantalone e disturbar ogni cosa. Il Capitano dice, non veder Fora che sia giorno per venire a far sue vendette contro Ulivetta. Partono, e finisce 1 ’ atto. ATTO TERZO. Scena I. Tofano, Pantalone e Capitano. Tofano vien fuora, essendo presso al giorno, e lamentandosi gra¬ vemente dice, essere stato per trovar Ulivetta al letto, e nel metter so la mano per trovar la navicella, aver trovato il terribile, ed in cambio di un’ ulivetta 2 marroni e tanto di baccello. Si accorge dell’ in- 6-7. d’esse chiamato —13. quando sia ... dorma è stato aggiunto da Galileo tra le linee. —18. si riconoscano — 20. Tra Diana ed e si legge, cancellato, dove, altre. — 23. Tra cosa e II si legge, cancellato: Partono, e. finisce l’alto. — 27. Prima aveva scritto soltanto Pantalone c Capitano, poi corresse Pantalone in Tofano, Pantalone. — 208 ARGOMENTO E TRACCIA gaimo, e dice non saper che si fare, e non aver voluto altrimenti risvegliar Ulivetta per aver tempo di pensare al modo del vendicarsi senza far saper la sua vergogna ad ogn’uno. In questo che si lamenta, vien Pantalone, al quale Burattino aveva già detto in casa, come aveva scoperto, Diana esser donna del Capitano; e menando gran furie dice villanie a Tofano, c che non vuol che sia fatto niente, e si parte in collera. Tofano resta più che mai confuso ed addolorato; si lamenta che Diana sia anco donna del Capitano ; ed in questo compare il Capitano, che veniva per trovare Ulivetta : parla con Tofano, e gli scuopre 1’ affronto fattogli da Ulivetta, e come se ne io vuol vendicare. Finalmente Tofano, pensando al laberinto nel qual si trova, dice voler che il Capitano vendichi sè in un medesimo tempo ed ottenga il suo desiderio, ciò è Diana sua figliuola per moglie; e per provocar maggiormente il Capitano contro Ulivetta, gli dice come lei ò stata sempre quella che ha dissuaso Diana dall’ amor del Capitano, e che ci per sè medesimo gliel’ averia alla prima conceduta per consorte, conoscendolo per uomo tanto illustre e famoso ; e che però so ne torni a casa, perchè di lì a poco li manderia con qualche scusa Ulivetta, la quale ei vuole che senz’ altri rispetti egli segreta- mente uccida, e lasci in caueva, e se ne venga a sposar Diana. Il 20 Capitano promette, e partesi. Tofano, restato solo, dice non vedere altro rimedio alla sua vergogna che il far tor del mondo Ulivetta e dar Diana al Capitano. Chiama Ulivetta. Scena II. Tofano, Ulivetta. Tofano parla simulatamente ad Ulivetta, la quale non sapeva del- 1’ esserla Tofano stata a trovare, perchè dormiva ; e con finta di far invitare il Capitano alle nozze, la manda a casa di quello. Ulivetta va, e Tofano torna in casa : ed Ulivetta soia in scena. Scena III. 30 Ulivetta, Capitano. Dice, bisognarli trovar qualche invenzione da scusarsi col Capitano per T accidente intervenuto, e dice che ei è tanto perso nelle sue va¬ io. egli è stato sostituito da Galileo a il Capilano, elio prima aveva scritto. — 22 vergono — D’UNA. COMMEDIA. 209 nità, che, purché lei lo lodi, ammetterà il tutto. Ya e batte dal Ca¬ pitano, il qual vien fuori; ed ella si scusa che veramente quell’altro Burattino s’imbattè a venir là a caso, e che quanto seguì fu fuor del suo disegno. Il Capitano finge di credere il tutto e la mena in casa. Poco dopo si sente un gran romore di arme e gridi del Capi¬ tano, che vuol ammazzar Ulivetta, la quale salta fuor della casa, e difendendosi con un legno contro al Capitano, gli toglie P armi, e lo butta in terra, e lo riduce a chiedergli la vita. Lei gliela concede, con promissione che lui sia per ubidirla in tutto quello che lei gli io comanderà. 11 Capitano gli promette, e lei si fa primieramente dire per qual causa la voleva ammazzare; lui gli narra l’ordine auto da Tofano, e la promessa di aver Diana, onde Ulivetta viene in cognizione di essere stata scoperta da Tofano. Comanda Ulivetta al Capitano che vada a casa di Tofano, e gli dica aver ammazata Ulivetta, e gli domandi Diana, e poi torni a dargli ragguaglio di quanto sarà seguito. Ulivetta torna in casa del Capitano, il quale va a casa di Tofano. Scena IV. Capitano, Tofano, Diana. Il Capitano chiama Tofano, dice aver uccisa Ulivetta, gli domanda 20 Diana. Diana, che già era entrata in sospetto, perchè non vedeva Ulivetta in casa, stava alla finestra ad ascoltare i parlamenti tra il Capitano e suo padre ; ed avendo inteso come il Capitano aveva uc¬ cisa Ulivetta, essendo chiamata da basso da suo padre, fingendo non si essere accorta di cosa alcuna, mostra di volere ubidire a suo pa¬ dre, e prender per marito il Capitano, e con questo gli dà la mano. Dartesi il Capitano, Tofano va in casa; e Diana, sola in scena, si duole della fortuna, e dice aver data la parala al Capitano non per altro che per poterlo aver nelle mani, ed ucciderlo o con ferro o con ve¬ leno, e vendicar il suo Cinzio (1! . 0) La traccia rimane così incompleta nel codice. POESIE E FRAMMENTI. CAPITOLO CONTRO IL PORTAR LA TOGA. Mi fan patir costoro il grande stento, Che vanno il sommo bene investigando, E per ancor non v’ hanno dato drento. E mi vo col cervello immaginando, 5 Che questa cosa solamente avviene Perchè non è dove lo van cercando. Questi dottor non P han mai intesa bene, Mai son entrati per la buona via, Che gli possa condurre al sommo bene, io Perchè, secondo P opinion mia, À chi vuol una cosa ritrovare, Bisogna adoperar la fantasia, Nel coti. A si leggo, su di una carta di guardia: Capitolo del Galileo ; nessun titolo ò in capo alla poesia. Nel cod. B in capo alla poesia ò scritto : Contro le toghe. Del Sig. r Galileo Galilei. Il cod. 0 reca il seguente titolo, che si legge tanto su di una carta di guardia quanto in testa alla poesia : Capitolo del SigS Galileo Galilei contro il portar la foga, quando ei leggeva a l'ina. I codici D, F, G intitolano: In biasimo delle toghe: il cod. F soggiungo a questo titolo 1* indicazione Capitolo; il cod. G, Capitolo del SigS Galileo Galilei. Nel cod. E prima era stato scritto, in capo al compo¬ nimento: Del SigS Iacopo Soldatii; poi questo parole furono cancellate, o della stessa mano fu scritto: CapitoUssa in biasimo della toga, del Galileo. La stampa s intitola: Capitolo del Galileo in biasimo della toga. 1. Nel cod. 1) prima era scritto Mi fan patir costoro il gran tormento, poi fu corretto Mi fanno patir certi il grande stento, che è la lezione dei codici K. F, G e della stampa 8. Intorno alla mano di cui sono questa e le altre correzioni del cod. I), vedi l’Avvertimento._ 3. E pure ancor, a — Nè per ancora v*ànno, 13 — 7. Nel cod. 1) prima era scritto han inai intesa , poi fu corretto hanno intesa, che ò la lezione dei codici E, F, Gr e della stampa s. _ 8. Nel cod. 1) prima era scritto Mai son , elio poi fu corretto in Nè son. I codici E F G e la stampa s leggono Nè sono. — Nel cod. 0 entrati ò staio corretto in luogo di andati, eli’ era stato scritto prima, — per la vera via, s — 10. Poi che, C — 11. A voler una , C — IX. 27 214 , CAPITOLO E giocar d’invenzione, e ’ndovinare ; E se tu non puoi ire a dirittura, MilP altre vie ti posson aiutare. it> Questo par die c’ insegni la natura, Che quand’ un non può ir per l’ordinario, Va dret’ a una strada più sicura. Lo stil dell’ invenzione è molto vario ; Ma per trovar il bene io lio provato 20 Che bisogna proceder pel contrario : Cerca del male, e l’hai bell’e trovato; Però che ’l sommo bene e ’l sommo male S’ appaion com’ i polli di mercato. ■ Quest’ è una ricetta generale : 25 Chi vuol saper che cosa è l’astinenza; Trovi prima che cosa ò ’l carnovale, E ponga tra di lor la differenza ; E volendo conoscer i peccati, Guardi se ’l prete gli dà penitenza ; 30 E se tu vuo’ conoscer gli sciaurati, Omacci tristi e senza discrizione, Basta che tu conosca i preti e’ frati, Che soli tutti bontà e divozione : E questa via ci fa toccar il fondo, ss E sciogl’ il nodo alla nostra questione. 10 piglio un male a nuli’ altro secondo, Un mal che sia cagion de gli altri mali, 11 maggior mal che si trovi nel mondo ; 11 quale ognun che vede senz’ occhiali, Che sia 1 ’ andar vestito, tien per certo : Questo lo sanno in sino gli animali, Che vivono spogliati e allo scoperto ; E sia pur 1 ’ aria calda 0 ’l tempo crudo, Non istan mai vestiti o al coperto. 45 20. io ho votato, E, s — 24. S’accoppian come, F — come polli, B — 27. Provi prima, B, F, G — 30. prete ne dà, C — 31. E se conoscer vuoi gli, B — 35. Che questa via ci fa trovar il fondo, E, s — 36. E scioglie il dubbio, C — 39. si ritrovi al mondo, C, D, F, G — 42. sanno fino gli, F; sanno sin a gli, B; sanno insino agli, D, s — 44. l’aria dolce o, E, 8 — 45. Non stanno mai, C ; Non ne stan mai, E — vestiti nè al, B — CONTRO IL PORTAR I,A TOGA. 215 Volgo poi 1’ argomento, e ti concimelo, E ti fo confessare a tuo dispetto, Che 1 sommo ben sarebbe andare ignudo. E perchè vegghi che quel eh’ io ho detto È chiaro e certo e sta com’io lo dico, Al senso e alla ragion te ne rimetto. Volgiti a quel felice tempo antico, Privo d’ ogni malizia e d’ ogni inganno, Ch’ ebbe sì la natura e ’l cielo amico ; E troverai che tutto quanto 1’ anno Andava nud’ ognun, picciol e grande, Come di con i libri che lo sanno. Non eh’ altro, e’ non portavon le mutande, Ma quant’ era in altrui di buono o bello Stava scoperto da tutte le bande. E così ognun, secondo il suo cervello, Coloriva e ’ncarnava il suo disegno, Secondo che gettava il suo pennello j Nè bisognava affaticar l’ingegno A strolagar per via d’ architettura, 0 ’ndovinar da qualche contrassegno: Non occorreva andar per cognettura, Perchè la roba stava in su la mostra, E si vendeva a peso e a misura. E quest’ è la ragion che ci dimostra Ch’ allor non eron gl’ inconvenienti, Che si veggon seguire all’ età nostra. Quella sposa si duol co’ suo’ parenti, Perchè lo sposo è troppo mal fornito, E non ci vuole star sotto altrimenti ; Ma dice che ci piglierà partito, 47. al tuo, C, D, E, F, Or, s — 49. vegghi meglio quel eh’ ho, D, F, G — eh’ io l’ho, E, a — 50. Nel cod. D prima era scritto E chiaro e certo ; poi fu corretto E tutto vero, che è la le¬ zione dei codici E, F, G e della stampa s. — e sta come la dico, 0 — io ti dico, D, F, G — 54. sì la ragione c, B — 59. buono e bello, B, C, D, E, F, G, s — 61. Nel cod. D prima era scritto secondo il suo, e poi fu corretto a voler di, che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa, s. — 64. Non bisognava, 1), F, G — 66. E indovinar, s — 68. stava su la, C, F — 70. la cagion, E — 71. Ch’allor non c’eran quegli inconvenienti, F, G — Che non seguivan gl’, E, s — 73. duol de’ suoi, C — 76. che si piglierà, A — 216 CAPITOLO E clie gli han dato colui a malizia, Tal che gli è forza cambiarle marito. Altri, che di ben sodi ha gran dovizia, Talor dà in una eh’ ha sì poca entrata, Cho non v’ è da ripor la masserizia. Così resta la sposa sconsolata : Gli è ver che questo non avvien sì spesso ; Pur di queste qualcuna s’ è trovata : Dov’ allor si vedeva a un di presso, Innanzi che venissino alle prese, La proporzion tra P uno e P altro sesso. Non si temeva allor del mal franzese: Però che, stand’ ignudo alla campagna, S’ un avea qualche male, era palese ; E s’ una donna avea qualche magagna, La teneva coperta solamente Con tre o quattro foglie di castagna. Così non era gabbata la gente, Come si vede che P è gabbat’ ora, Se già P uomo non è più eh’ intendente : Che tal par buona, veduta di fuor a, Che se tu la ricerchi sotto panno, La trovi come ’l vaso di Pandora. E così d’ ogni frode e d’ ogn’ inganno Si vede chiaro che n’ è sol cagione L’ andar vestito tutto quanto 1’ anno. Un’ altra, e non minor, maladizione Nasce tra noi di questa ria semenza, Che tien il mondo in gran confusione : Quest’ è la maggioranza e preminenza Che vien da’ panni bianchi, oscuri o persi, Che pongon tra’ Cristian la differenza. Questa pospone a i monaci i conversi, so 85 00 95 100 105 78. cambiarle il marito, D, F, G — 79. Nel cod. D prima era scritto Altri, poi fu cor¬ retto Un poi, che è la lezione dei codici E, F, G e della stampa s. — 81. non ha da, E, s — 82. Cosi ne sta la, B — 90. S’un aveva, A — 92. La portava coperta, C — 97. par bella, ve¬ duta, C — 98. sotto il panno, D, F t G — 100. E cosi cVogni male e, E, s — 104. da questa 9 B, G, D, G — 106. o preminenza, a —107. o scuri, s — e persi, B, C, D, E, F, G — CONTRO IL PORTAR LA TOGA. 217 no Antepon l’oste a i suoi lavoratori, E da i padron fa i sudditi diversi : Dov’ in que’ tempi non eran signóri, Conti, marchesi o altri bacalari, Nè anche poveracci o servidori, no Tutti quanti eron uomin ordinari, Ognun si stava ragionevolmente, Eron tutti persone nostre pari, E ciascun del compagno era parente ; Se non era parente, gli era amico ; 120 Se non amico, al manco conoscente. Credi pur eh’ ella sta coni’ io ti dico, Che ’l vestir panni e simil fantasie Son tutte quante invenzion del Nimico ; Come fu quella dell’ artiglierie, 125 E delle streghe e dello spiritare, E degli altri incantesimi e malie. Un’ altra cosa mi fa strabiliare, E sto per dirti quasi eh’ io c’ impazzo, Nè so trovar coni’ ella possa stare : i3o Ed è, che se qualcun per suo sollazzo, Sendo ’ngegnoso e alto di cervello, Talor va ignudo, e’ dicon che gli è pazzo : I ragazzi gli gridan : Véllo, véllo ; Chi gli fa pulce secche e chi lo morde, 135 Traggongli sassi e fannogli il bordello ; Altri lo vuol legar con delle corde, Come se 1’ uomo fusse una vitella : Guarda se le persone son balorde ! E se tu credi che questa sia bella, no E’ bisogna che ’n cielo, al parer mio, Regni qualche pianeto o qualche stella. 111. dal padron, E —112. Però ’n quei tempi, E, s —113. Duchi, marchesi, E, 3 — c altri, B, C — 114. e servitori, F — 117. tutte, B, C, D, F, G —118. Ciascuno del, D, F, G - 110. So non r)li era parente, F, G — egli era amico, B, C — 121. Or di’ pur, 0 — che la stia, E — 127. fammi, D, F, G — 129. Nè so veder come la, E, s — 130. Ed è, se qualchedun per, F —* 132. ignudo, dicon, E, s— nudo, è detto ch’egli è, D, F, G — 135. Traggongli ì sassi, D, E, F, G, s — 140. a parer mio, s — 218 CAPITOLO Però se vuol così Domenedio, Che finalmente può far ciò che vuole, Io son contento andar vestito anch’ io, E non ci starò a far altre parole : ms Andrommen’ aneli’ io dietro a questa voga ; Ma Dio sa lui, se me n’ in cresce e duole! Ma eli’ io sia per voler portar la toga, Come s’io fussi qualche Fariseo, 0 qualche scriba o archisinagoga, 150 Non lo pensar ; eh’ io non son mica Ebreo, Se bene e’ pare al nome e al casato Cli’ io sia disceso da qualche Giudeo. I’ sto a veder se ’l mondo è spiritato, Se egli è uscito del cervello affatto, ir,5 E s’ egli è desto, o pure addormentato ; E s’ egli è vero eh’ uu che non sia matto, Non arrossisca che gli sia veduto Un abito sì sconcio e contraffatto. In quant’ a me ini son ben risoluto, igo Gli’ io non ne voglio intender più sonata : Mi contento del mal eh’ io n’ ho già auto ; E perchè non paresse alla brigata, Ch’ io mi movessi senz’ occasione, Come fan quegli eh’ han poca levata, 100 Io son contento dir la mia ragione, E che tu stesso la sentenza dia : So che tu hai giudizio 0 discrizione. La prima penitenza che ci sia (Guarda se per la prima ti par nulla), no E eh’ io non posso fare i fatti mia, Come sarebbe andar alla fanciulla ; Ma mi tocca a restar fuor della porta, Mentre eh’ un altro in casa si trastulla. 112. se ’l vuol messer Domenedio, E, s —143. eh’ci vuole, B, D — 145. E non vi [et, C] star «, B, (• «j» Se tu vai fuor per far qualche faccenda, Se tu 1’ hai a far innanzi desinare, Tu non la fai che gli è or di merenda, Perchè la toga non ti lascia andare, aio Ti s’ attraversa, t’impaccia e t’intrica. Gli’ è uno stento a poter camminare. E pei'ò non par eli’ ella si disdica A quei che fanno le lor cose adagio E non han troppo a grado la fatica, 250 Anzi han per boto lo star sempre in agio, Come dir frati o qualche prete grasso, Nimici capitai d’ ogni disagio, Che non vanno mai fuor se non a spasso, Come diremmo noi, a cercar funghi, 255 E se la pigliali così passo passo. A questi stanno bene i panni lunghi, E non a un mie par, che bene spesso Ilo a correr perch’ un birre non mi giungili ; E ho sempre paur di qualche messo, 2 go 0 che ’l Provveditor non mi condanni, 2.17. è caduta giù, 13, C — da una finestra, F, G— 239-240. Dopo il v. 240 i codici A o (3 lasciano uno spazio bianco, capace di tre versi ; i codici 11 ed E o la stampa s so¬ gnano sei versi di puntolini, o il cod. E scrive un P come inizialo del primo verso man¬ cante e una M come iniziale del quarto; il cod. D avverto soltanto: «Qui manca la rima »; i codici F e G leggono al v. 239 s’imbuchi e si difenda, c non hanno alcun segno di lacuna. — 242. Se tu V ha’ far, E; Se l’hai a fare, F, G — avanti, desinare , 13 — 243. Non l’hai finita a ora di, F, G — 245. V impaccia, V intrica, F—251. Come son frati, E, c_ e gualche, s — 254. Come sogliam dir noi, E, b — ss IX. 222 CAPITOLO Cli’ a dire il vero è un vituperio espresso. Però, prima eli’ usar più questi panni, Vo’ rinunziar la cattedra a Ser Piero, E se non la vuol lui, a Ser Giovanni. Io vo’ che noi facciamo a dir il vero : 206 Che credi am noi però però eh’ importi Aver la toga di velluto nero, E un che dreto il ferraiuol ti porti, E che la notte poi ti vadia avanti Con una torcia, come si fa a’ morti ? 270 Sappi che questi tratti tutti quanti Furon trovati da qualcuno astuto, Per dar canzone e pasto agl’ ignoranti, Che tengon più valente e più saputo Questo di quel, secondo eh’ egli arà 276 Una toga di rascia o di velluto. Dio sa poi lui come la cosa sta ! Ma s’io avessi a dire il mio parere, Questo discorso un tratto non mi va. Ch’ importa aver le vesti rotte 0 intere, esc Che gli uomini sien Turchi o Bergamaschi, Che se gli dia del Tu o del Messere ? La non istà ne’ rasi o ne’ donnnaschi ; Anzi vo’ dirti una mia fantasia, Che gli uomini son fatti com’ i fiaschi. £sr> Quando tu vai la state all’ osteria, Alle Bertuccie, al Porco, a Sant’Andrea, Al Cliiassolino o alla Malvagia, Guarda que’ fiaschi, innanzi che tu bea Quel che v’ è drento ; io dico quel vin rosso, 2M Che fa vergogna al greco e alla verdea : Tu gli vedrai che non han tanto in dosso, Che ’l ferravecchio ne dessi un quattrino ; 261. Che veramente è, B — 262. prima d’usar, F — 263. a San Piero, e — 264. E s’coli non la vuole, a, D, F, G — a San Giovanni, s — 266. noi però che cosa importi, B — 272. ad qualch’ uomo astuto, s — 277. la cosa va, B — 278. Ma s’avesse a dir io il, F, G — 282. Che si dia lor del Tu, B — 283. La non ne sta, C, E, a — e ne’ donmaschi, B, C, E — 286. la notte all', F, G — 289. avanti che, F — 290. dentro; dico, B — 292. tanto addosso, 0 — CONTRO IL PORTAR LA TOGA. 223 Mostrali la carne nuda in sino all’ osso : 295 E poi son pien di sì eccellente vino, Che miracol non è so le brigate Gli dan del glorioso e del divino. Gli altri, eh’ han quelle vesto delicate, Se tu gli tasti, o son pieni di vento, 200 0 di belletti o d’ acque profumate, 0 son tiascacci da pisciarvi drento. 294. nuda sin, C; nuda fino, E, F, g — 299. tasti, e'son, B — Il v. 301 manca nei codici A, C. — SONETTI. Or che tuffato il sol nell’ onde Ispano Ha i fiammeggianti suoi biondi capelli, Per Via Mozza raccolte in be’ drappelli Sbuca gran moltitudin di puttane. Chiuse già son tutto 1’ Arti di lane, E’ setaiuoli calon gli sportelli, A stuol da’ campami fuggon gli uccelli, Storditi dal romor dello campane. E al Ponte tutta la cittadinanza S’ aduna, ove mezz’ ora si sollazza, Gilè questa è di Firenze antica usanza. E P ora si avvicina della mazza ; Però ti lascio : a Dio, dolce speranza, Che mi conviene andare insino in Piazza. 1. Poi che tuffati, Barber. — 5. Chiuse son tutte già VArti, Barbar. — 8. Spauoriti dal suon delle, Barber. — 9. Al Ponte, Barber. — 13. Però, Madonna, a Dio, Barber. — 14. Or mi bisogna andar insin, Barber. — 10 SONETTI. 225 Mentre spiegava al secolo vetusto Segni del furor suo crudeli ed empi, Tra gl’ incendi e le stragi e i duri scempi, Seco dicea l’Imperatore ingiusto : Il regno mio d’ alte ruine onusto, Le gran moli destrutte e gli arsi tempi, Portin la mia grandezza in fieri esempi Dall’ agghiacciato polo al lido adusto. Tal quest’ altera, che sua mente cruda io Cinge d’impenetrabile diaspro, E nel mio pianto accresce sua durezza, Armata di furor, di pietà ignuda, Spesso mi dice in suon crudele ed aspro : Splenda nel fuoco tuo la mia bellezza. Mentre ridea nel tremulo e vivace Lume degli occhi leggiadretti Amore, Picciola in noi movea dallo splendore Fiamma, qual uscir suol di lenta face : Or elio il pianto l’ingombra, di verace 20 Foco sent’io venir l’incendio al core. 0 di strania virtude alto valore, Dallo lagrime trar fiamma vorace ! Tal arde il sol mentre i possenti rai Frange per entro una fredda acqua pura, Che tra 1’ esca risplenda e il chiaro lume. Oh cagion prima de’miei dolci guai, Luci, cui rimirar fu mia ventura, Questo è vostro e del sol proprio costume ! 2. del suo furor, Palai, Capp., Barber. — 3. incendi, le stragi [strage, Marc.] e i fieri scemili, Palai, Capp., Magliab., Maro.; Fra gl’incenda, le strage e feni scempi, Barber.— 6. moli [mole, Palai] atterrate, Palai, Capp. ; moli [mole, Marc.] disfatte, Magliab., Marc. — 9. altera, cui sua, Magliab., Marc. — 10. Veste d’impenetrabile, Barber. — 226 SONETTI. Scorgi i tormenti miei, se gli ocelli volti, Nella ruvida fronte a i sassi impressi ; Leggi il tuo nome e' miei martiri scolti Nella scorza do’ faggi e de’ cipressi. Mostrali F aure tremanti i sospir tolti Dall’ infiammato sen ; gli augelli stessi Narran pure il mio mal, se tu gli ascolti ; Eco il conferma ; e tu noi credi, Alessi ? Gusta quell’ acque già sì dolci e ciliare, Se nuovo testimonio al mio mal chiedi, io Com’ or son fatte dal mio pianto amare ; E se dubiti ancor, mira in lor fiso ; E quel che neghi al gusto, agli occhi credi, Leggendo il mio dolor nel tuo bel viso. Fiamme vibrando, la celeste lampa Col leone infocato in alto ascende ; Tace ogni aura suave, e ’l mondo incendo Questa che muove d’Austro ardente vampa. La terra sotto, e sopra il cielo, avvampa, Tal che di doppio ardor 1’ aria s’ accende ; 20 E i pesci dal calor, che in mar s’ estende, L’ altissimo profondo a pena scampa. Gli augei, le fere, e ’l lasso gregge vinto Cercan antri, spelonche, valli oscure, Che agli infocati rai chiudan le porte. Ma te, misero cor, di fiamme cinto, Nel seno ardente chi fia che assicuro ? Altro non credo mai, che fredda morto. SONETTI. 227 IO ENIMMA. Mostro son io più strano e più diforme Clie 1’ arpia, la sirena o la chimera ; Nò in terra, in aria, in acqua è alcuna fiera, Gli’ abbia di membra così varie forme. Parte a parte non ho che sia confonne, Più che s’ una sia bianca e 1’ altra nera ; Spesso di cacciatoi’ dietro ho una schiera, Che de’ miei piè van ritracciando 1’ orme. Nelle tenebre oscure è il mio soggiorno ; Che se dall’ ombre al chiaro lume passo, Tosto 1’ alma da me sen fugge, come Sen fugge il sogno all’ apparir del giorno ; E le mie membra disunite lasso, E 1’ esser perdo, con la vita, e ’1 nome. FRAMMENTI. Tenterò di esplicare in qualche maniera la differenza che è tra gli uomini intelligenti e giudiziosi, ed i pedanti stolidi ed ignoranti, nel discorrere e giudicare circa il buono e ’l cattivo de i componi¬ menti poetici. E prima, noto (cosa forse non osservata da’ pedanti) che, quanto una parte è più necessaria in un tutto, sì che il man¬ camento di quella arrechi gran bruttezza e sia biasimevole molto, tanto il non ne mancare è manco bastante ad apportar gran bel¬ lezza e laude: e così, ben che somma deformità arrechi ad una donna l’essere sdentata, calva e senza naso, non però bellissima si chiamerà qualunque averà denti, capelli e naso, ma sì ben quelle che avranno, in queste ed in ogn’ altra parte, una tale eccellenza, non da ogn’uuo intesa, nè facile ad esser descritta e rappresentata. L’intelligenza del pedante pare a me che termini nel numero de’ mancamenti solamente, sì che ei non comprenda più là che il mancar d’un orecchio o ’l zoppicare, ma che poi, quanto all’eccellenza delle parti, sieno ad esso tutti gli occhi, tutte lo bocche, e tutte le vite, belle egualmente: e senz’ altro posporrà una donna che abbia un piccol neo ad una che non T abbia, ben che in quella sieno tutti i membri proporzionatis- 8. Dopo mancare Galileo aveva scritto apporta è; poi cancellò queste parole e scrisse f! manco. —10 . In luogo di sdentata prima aveva scritto zoppa; e dopo non però si legge sotto le cancellature : la somma bellezza consiste nell’ andar diritta, nell' aver capelli e naso. — 14. Tra numero e de’ si legge, cancellato, solamente. — 15. comprenda è stato sostituito a intenda, elio si legge cancellato. —17. Dopo egualmente si legge sotto le cancellature: e che tanto sia eccellente cavaltero Tancredi del Tasso quanto Ruggiero [in luogo di Ruggiero prima aveva scritto Rinaldo, che poi cancellò] dell’Ariosto, anzi piu perfetto quello di questo, man¬ cando in Ruggiero .— FRAMMENTI. 229 eimi e bellissimi, ed in questa senza veruna grazia e simmetria. E cono¬ scendo che in Ruggiero vi è da riprendere] (1> l’aver dissimulato parte del suo valore nel duello con Rinaldo, con rischio di progiudicare al suo re, lo stimerà cavaliero di lunga mano inferiore a Tancredi, che non ebbe tal neo ; nò farà considerazione alcuna di cento atti di cor¬ tesia, di bravura, di fedeltà, di generosità, e di ogn’ altra condizione bastante a renderlo 1’ istessa idea di cavalier perfetto . La vostra desfida, sier Orlando e sier Prasildo, che xe pi fuora del caso che ’l Bastimi del Lio, ne ha fatto da rider da bon seno, io vedando comuodo vu, da bravi cavalier, bave tiolto a mantegnir, per segurarve la panza, una proposizion che niun glie puoi contradir, digando elio amor no se puoi tegnir sconto. Mo se P è impossibil sconderlo, chi volò che sia quel bordonal che toia a far deventar possibil quel che xe impossibil ? Sto solo pretesto basterave a tiorne zoso de obbligo de duellar con vu, come quei che disfidò le niole; ma, per tiorve sta recoverta de fuzir l’incontro, volemo far conto che abbiè voiù dir, che amor non se diè tegnir sconto : e per mostrarve che vu sè così bravi in le arme comò in le littere, ve volemo responder pi con la lanza che con la pena, e farve confessar, anca senza tiorse zo 20 delle maneghe larghe, che vu vossè andar trombizando i vostri amori per dar ad intender d’liaver quel che non liavè nè podò haver, per la vostra mala grazia, dico delle morose ; che savi ben che, co noi disBÒ vu, no ghe sarave nigun che ’l disesse. Azzettemo dunque la vostra desfida e le vostre capitolazion <:ì) . 16-17. In luogo di per tiorve sta recoverta .. . voiù dir prima aveva scritto, e poi cancellò: perchè crcdemo che habbiè voiù dir. — 19. confessar fu sostituito da Galileo a veder, elio aveva scritto prima. — 23. Prima aveva scritto non ghe sarave, c poi corresse non in no. W La finale re non si legge nell’auto- mano di Vincenzio Viviàni a car. 2 6r. dello grafo, perchè la carta è rotta. stesso Tomo. Mss. Gal., Par. 1, T. XVIII, car. 25t\, Mss. Gal., Par. IV, T. VI, car. 21r., autografo di Galileo. Se no ha copia di autografo di Galileo. IX. 29 mw APPENDICE PIUMA. CANZONE DI ANDREA SALVADOR! PER LE STELLE MEDICEE SCRITTA E CORRETTA DI PROPRIA MANO DA GALILEO. AVVERTIMENTO. Quando sul principio del 1610 Galileo ebbe scoperto i satelliti di Giove, Vimpor¬ tante avvenimento, che riempi di tanta meraviglia il mondo dei dotti, fu celebrato in numerose composizioni poetiche, latine e italiane (1) , non mancando Galileo stesso di sollecitare i poeti a cantar quella che tra le sue glorie era, fin allora, la più luminosa. Alessandro Sertini, che da Firenze lo teneva informato di ciò che da vari autori si stava preparando (2) , gli scriveva, fra le altre cose, il 27 marzo 1610 quanto appresso : < Il Sig. r Andrea scrive di nuovo a V. S.; sì che io non so che me le dire di lui, se non ch’egli gli è servitore. Le Muse vanno un poco adagio; perchè le nove sono rimaste indietro per una decima, che debbe aver più bel muso. V. S. bisogna che gli scriva da sè, s 5 ella vuole che faccia qualcosa sopra 10 stello Medicee (3) >. Alcuni mesi più tardi, cioè il 7 agosto del medesimo anno, 11 Sertini scriveva a Galileo sullo stesso argomento: < Il Sig. r Andrea va facendo; e dice che non sa perchè Venere abbia eletto il suo cervello per campo da com¬ battere contro Apollo, poiché, appena mancato un rigiro, ne vien un altro: ma le stanze si finiranno in ogni modo (4) >. Par certo che il componimento al quale accenna il Sertini, e che procedeva così lentamente, sia una lunga can¬ zone di Andrea Salvadori « Per le stelle Medicee temerariamente oppugnate >, che si legge a stampa tra le poesie di quel fecondo verseggiatore fiorentino della prima metà del secolo XVII. La poesia fu pubblicata solamente dal figliuolo di Andrea, in una raccolta postuma dei versi del padre (8) ; nè di essa abbiamo U> Vedi A. Favaro, Oalilco Galilei c lo Studio di Padova, Firenze, Successori Le Mounier, 1883, voi. li, pag. 403-404. Cfr. puro A. Favaro, Amici c corrispondenti di Galileo Galilei. III. Girolamo Magagnati ; negli Atti del II. Istituto Veneto di scien¬ ze, lettere cd arti, Tomo VII, sor. VII, 1895-96, pa- giuo 143-445. Vedi, oltro lo duo lettoro cho citeremo or ora, anche quella dol 10 luglio 1610, nei Mss. Gal., Tar. I, T. VI, car. 63. * 3 ' Mss. Gal., Tomo cit M car. 44. Nessuna lettera ò sopravvissuta dol Salvadori a Galileo, o di questo a quello. Mss. Gal., Tomo cit., car. 71. < 5 > Le poesie del Sig. Andrka Salva dori,/™ le quali contcngonsi unite insieme tutte quelle, che furono divisamente impresso in diverse stampe vivente l'autore, c l'altre non ;>itl divulgato ecc. In Roma, por Micholo Ercole, 1668. La canzono Per lo stelle Medicee ò a pag. 120-138 della l’arto aoconda. 234 AVVERTIMENTO. rinvenuto traccia nei numerosi manoscritti di cose del Salvadori, che conserva la Biblioteca Nazionale di Firenze. Invece questa canzone si trova (chi avrebbe potuto immaginarlo ?), scritta e riscritta di mano di Galileo, nel T. XVIII (car. 4£-lQr. o llr.-18/\) della Par. I dei Manoscritti Galileiani posseduti dalla stessa Biblioteca. Invero lo car. 5r.-l0r. del detto Tomo (,) contengono una che possiamo chia¬ mar prima bozza, di pugno di Galileo, della Canzone per le stelle Medicee, bozza scritta in carattere corrente, piena di numerosissime cassature e correzioni inter¬ lineari o marginali : stanze intere sono cancellate; non di rado di uno o più versi si hanno più lezioni ; sono frequenti le sottolineature, le croci, e altri di quei segni coi quali chi scrivo suole indicare, per proprio uso, incertezze, pentimenti, inten¬ zione di correggere. Le car. llr.-18r. (2) contengono una seconda copia, sempre di mano di Galileo, della Canzone medesima : questa copia c di carattere più accu¬ rato, ed è destinata a persona clic dovrà ritrascriverla (,) ; Galileo ha esemplato il testo quale risulta dalle correzioni che nella prima bozza erano scritte tra le linee o sui margini, ma poi ha di nuovo corretto, c non leggermente: clic anzi verso la fine troviamo una novità di molta importanza; modificate in parte le stanze 17" e 18" della prima bozza, tra esso sono inserite due nuove stanze (in uno spazio, si direbbe, lasciato apposta bianco, ma calcolato per trascrivervene una sola), e proprio le due più rilevanti della Canzone, quelle in cui si con¬ tiene il vero soggetto e P intenzione del componimento 0) . In tre luoghi di questa seconda copia Galileo ha pure postillato la Canzone, a modo di chi, leggendo, nota dei difetti in una scrittura, ma si trattiene dal correggere, forse perchè la correzione importerebbe troppo grave mutamento, oppure per riguardo all’autore: o invero se queste postille potrebbero anche intendersi corno appunti scritti da Galileo per uso proprio, meglio però si capiscono come osservazioni indirizzate ad un terzo (5) . Nel tergo poi della car. 4 dello stesso Tomo (8) egli ha scritto, per così dire in punta di penna, sopri un foglio rimastogli bianco di fronte alle prime stanze della prima stesura, vario correzioni relative appunto alla prima e all’ot¬ tava stanza: alcune delle quali correzioni egli stesso ha poi accettate nella se¬ conda copia; il che ci dà a vedere come quel foglio appartenga al lavorio che intercesse fra la prima bozza e la trascrizione. La lezione della stampa del 1668 è molto più vicina a quella della seconda copia che a quella della bozza prima; ma pure il testo è ancora stato ritoccato O) Souo riprodotto in facsimile a pag. 230-249. Vodi i facsimili n pag. 251-205. Vedi nel facsimile della car. Ur., a pag. 251, le parole scritto da Galileo sul margine: « V.S. co¬ minci qui, et favoriscami di scriverla iu foglio, met¬ tendo due stanze por facciata, elio sono undici versi per stanza ». l4) Cfr. lo pag. 247 o 248 della prima bozza (allo stanze Dunque, o gran Oiove, o degl'eterni Numi 0 Conferva ni tuo jjran Cosmo i lumi ignoti) con lo pag. 261-203 della seconda copia. Con lo stanze ag¬ giunto ha attinenza l’abbozzo di una stanza incom¬ piuta, che si legge in fino della pag. 249. ,5 > Vodi a pag. 252 o 258, sul margino, o a pag. 261, tra la prima e la seconda stanza. <6) Vedi il facsimile a pag. 238. AVVERTIMENTO. 235 qua e là, e nella stampa non compaiono affatto le tre stanze che si leggono per ultime nelle due stesure manoscritte. Quanto abbiamo detto di esse stesure indurrebbe ragionevolmente a tenere, che noi ci trovassimo qui dinanzi, non ad una trascrizione fatta da Galileo di cosa altrui, sibbene ad una composizione sua originale. Ma d’altra parte, sul recto di quella car. 4 alla quale or ora accennavamo, e che anche originalmente era congiunta a quello contenenti la prima stesura (,) , si leggono queste parole, della mano sempre di Galileo: < Del S. Salvadori >; e sulla car. llr., in capo alla se¬ conda stesura, Vincenzio Viviani ha scritto: < Del Sig. r Andrea Salvadori > (l) . Clie cosa dobbiamo dunque pensare del curioso problema che ci si presenta? Noi crediamo che non si possa toglier fede all’esplicita testimonianza di Ga¬ lileo e del suo discepolo, e che la Canzone, di cui il Sertini scriveva nelle citate lettere del marzo e dell’agosto 1610, sollecitata forse dal Nostro secondo il con¬ siglio del Sertini medesimo, questa Canzone sia stata effettivamente stesa in origine dal Salvadori. Sappiamo che Galileo era molto irritato contro gli avversari clic gridavano per falsa e impossibile la sua scoperta siderea; contro il loro < grac¬ chiar solo per i cantoni, > (sono sue parole (S) ) < dando fuora il lor concetto con le parole vane, ma non con la penna e con gl’inchiostri stabili e ferini >. Non ò dunque meraviglia, ch’egli annettesse particolare importanza ad un componi¬ mento, il quale, mentre si svolge nella celebrazione della grande scoperta, ha altresì un’ intenzione polemica, in quanto prende poi di mira un oppositore di Galileo (non sappiamo quale tra i non pochi), che negava le stelle Medicee {A) : ed era conveniente che a poeticamente difenderlo scegliessc il Nostro la penna di chi « visse e morì nella Corte de’ Serenissimi Gran Duchi

  • (B) . Galileo, il quale era ferito troppo sul vivo da coloro che impugnavano l’esistenza delle Medicee, corresse e ricorresse la canzone del Salvadori, tolse e fors’ anco aggiunse, con interesse e con libertà punto minori che se esso medesimo Tavesse composta: cosicché questa poesia ben si può dire opera di due autori; del Salvadori, di cui crediamo sia l’intelaiatura e la prima versificazione; e di Galileo, che a sua posta la elaborò. Cotesta, per così dire, doppia O) Forma un foglio con una di questo carte. Vedi il facsimile a pag. 251. < 3 > Lotterà di Gaut.ro a Vinornzio Giugni dol 25 giugno 1610, noi Mss. Gal., Par. VI, T. V, car. 40. Si veggano in particolare, nulla seconda ste¬ sura (pag. 202), i versi : Dunque, so della Terra il fioro parto Sprezzasti, o Giovo invitto, Or eh’ i boi lumi orranti A i tuoi regni stellanti Arroganza mortalo osa rapirò, Chi fin cho ’I follo ardirò Toma di tale, a cui non ò concosso, Non cho salire al cielo, erger sò stesso? Cfr., nolla lezione dol la stampa, pag. 272. E s» av¬ verta cho questi versi, dov* ò evidente l'allusione individualo ad un oppositoro (difettoso, paro, della persona), fanno parto dolio due stanze aggiunto nella seconda stosura, e cho nolla prima si parlava sol¬ tanto, genericamente, di folli lingue, di lingue men¬ daci, cho con falsi accenti tentavano di togliore al regno di Giovo V eterne e luminose faci. Vodi la profuziono A chi legge, promessa alla Parto prima delle citate Poche dtl tiig. Anijrba Sal¬ va noni ecc. 236 AVVERTIMENTO. paternità rende forse ragione anche del fatto, che il Salvadon si astenesse dal pubblicare la curiosa composizione, sebbene egli non fosse punto restio a lar ge¬ mere i torchi con poesie di circostanza, e che soltanto dopo la morte e sua e di Galileo questa venisse alla luce. Noi credemmo che nella presento edizione delle Opere di Galileo tale com¬ ponimento non dovesse essere omesso, e perciò gli abbiamo dato qui luogo, dopo gli scritti letterari del Nostro. Riproducemmo in facsimili le due stesure mano¬ scritte, chè in altro modo non sarebbe stalo possibile render conto della labo¬ riosa correzione a cui Galileo sottopose lo stanze del Salvadori (l) ; e soggiun¬ gemmo la ristampa, dall’ edizione del 16G8, del testo pubblicato dal figliuolo di Andrea. Riscontrando il detto testo con le stesure manoscritte, correggemmo al¬ cuni errori che il poco accurato editore aveva lasciato correre, e ne prendemmo nota appiè di pagina, dove con la lettera s ò indicata appunto la stampa del 1668. (*> Nello riproduzioni sono stato ridotte di un quinto lo proporzioni fluir originalo. S’avverta poi, che 1* autografo ci ò giunto in condizioni poco fa¬ vorevoli por una riproduzione fotografica, poiché P inchiostro traspare sposso in modo sensibilissimo dall* una all’altra faccia dol foglio, o in alcuni luo¬ ghi ha addirittura, con l’ossidarsi, consunta o forata la carta. 238 APPENDICE PRIMA Qv^cj'v /u. c*iyp> +M}~ f && ^ %#r&. ù /'■yy-^ r-' / U n Otr-Kjrytf-nxlì? ^VU< ^ 5 ^ 'HfsfQ-c 0*7** v ')r^à'ì'0 ** /~f* ' . i W* (fa 7?^. v/ 4~ jt ^ < , r '(fC/. nv y _ 0 uv ^*7c 7" *-v 7^* S > chi iXt* rt ^ £céa ^sfy^u Y‘ f£br-YH é^Lyzisyx “""""' ' * -g l i n r .... — — --—-- ...... _„■«. ... , . , X^f W/e a-ór* £ *f c / *U4jf) f'fr M^^C: £ *Là-tl Cyi tkj tJ vA-^V-^i. fvtì'f jf**** CANZONE PER LE STELLE MEDICEE. 239 t opt-Aa?* MtSxC, <3^ y™ yA. a V ‘SP'tf ^- vz^ é^' /rtx~ < 7 /*r £r**U 3 V & VVV^ryi^ ^ {4^*+*^ #&• ^ ■+ I <^£4. .^y£ry. '^-■Cli. Vi?'-£* 7 - ’ "i^y sy* ^ Arzcjffr * y/'e?*. '« y &*>. /W^ Ty^pfr. ^y • > *^r*4*?&**+ tnn+ùi '/'enu> t*+/u /? ^vWatfcg2*4^c sCyjtS?‘ ^O+y ì/yffa& i { <*£f& 240 APPENDICE PIUMA k-t 0* 0 TV\o*- *%£*/ "' 2* yj, r\ ; 0 “t ra U V^CtO* /O \ ^t'A <4- t Qyv^'P* *'-.. _ ^^£cYì(«^- C^Jf/t’ ^ v \/ r/ • ■ f «-- * • cMx-/' A .^id/j6**. *ri7t+^L^) 'i/n. e Q\ y* , < 0C*>IÓ^ QC' éw^Y ~ jCj£/nuq ( csyt** £ X$ M~??\ ' , Y /* // / yUr^ /fHfJJy**’ */Ac/V'™^* Y^tu^a" ^ ^ V^/*. * ^ (y xrf jf T ^ j/n^T^t-cfr o ✓ • t j^-6.~o‘-^ '^Z^ & r", {vjlLi* AyjLt£>io j f 'j^ryYt. £s *V*/ fu*r£ /*~, * /*^ "n Y/^~Y7~ . • • /Lk^jt: . * cjTi/» yyyS/r< jbfi- i fòvkb- (Tw'ft' > ^ t/ ^ ^v* cispA* Y>k\Y /y***"-^ > / ■/&?-«» < 5 É Z ,^1 '/UU? oTJK • -/v CANZONE PER LE STELLE MEDICEE. 241 cjrud* v- ^/u ^ (fi cf dd'£d*dd/d^ y ^ //*7& Qy' /r^J^a. d7à d e r^r. • C * L ^ A^^ygfiSs ://%£*&* \ Q>yfecpjL' dy&da?* 1 ecr-Cùo %£-{ó-^y<_ y^oyC, ya^p-c# \ *n &v 6- Q cu/* ? y^ y ^ '7^** 'Ai// r t?^*7?/*A- -, /)h ^1UASy~4& AC 244 APPENDICE PRIMA GL* i>« urpl r^ì^-^J %£<&£<{?£’' A *&ÌJ *S% ' a W- lo-yt^ v'AJ A’rfM* . >• #f'e/*rr^' r*j?> u ; Q-fy^r^rJt- i( A^h> yf mI /aJ& • y CzaT ó&tA -— / ^>*^>-1^ < 7 «**/ <***>*' y > y --- i- T^lf r i/bft-t. ZÀy'e/r^L tQfdffl' V Q ' #<&. à&kÌW in**/ /&f\. V-< />• « /^. iM“i‘. >""Z Cixrfo ***-*& '/ /y^' // /? * f ^+ f - C - o f^'&tixAe ftt+fé/\ '*?'~ do /TrtdC I » A afrd'i, e tSA^tr^ ' *v y fe£o f 0j4tA/y*< * '£$** (sf *<*/[+.>< t <*yo CANZONE PER LE STELLE MEDICEE. 247 £r«+*o uf^y&A/U) /Y fa' f r> ^ €tdrJ< %A ^iy-rr- , dd £ Ui( 'f r>£f 'Wvv/-*. 0^^7-^fff ^ indi**- ^/3y< <^. w£-, /?"**'* 7 ^ rk. V-'W 9 'j^ ~ //«***-C$*M. V; 6 / f } ydk^ / ' r ^yrd^ /K^y * ‘ &4 *-A> p* *t*>9?j> Yfir^y ^ (4 ■Tht ^ J* P*-' Wy&j'f?*-*Yr 7 '?&,?*,• ’^Jud A^t?*ru ddjush • / 3 vTf^ 7 248 APPENDICK PRIMA ’ù *4* 7 W ,/ 6*4 *fa f (A* 7 K ' fi~+?M/ds??° f 1 kk\ ' fa*£ Si, s K v A / * • ('A + (fOÌy£r*> .OTr.Jrriy' u t6c d* tZXì/'V**' V-or* 9MV fa 1? ■ £/ > 1 j(A-C ■>S-*fiA Gfp' fa/fa# 9^ 't/± ( ' ~W itf ^ c*-2*-*<-/£ cT^i ?V5p 9 d fifafiKe/U fax. (f/'&dj- < &)a# <^ ( /k»4 Ò< (/-Jt_ < $9$+- Adi ydry^n,6e^i'6fJrd\ , od 9^‘fa' OH.*/» -/ fazyi'. cllv-Vl] \dt fai& ‘&A> f ■ u GiT^Jo a^f ó* c rfrr/.*/h ' " u ?Mi e/' C/fC' L/»?ytó &J**'9\610 U 'Ss . ✓ «sA Px^ff^Jo £ <*>' Mrf*r Mrtjb' € <5T <£<&v _ ^<£n*«** v^e pifrj£à s tb & f* tre J ^ d* 3 *y>^ ’ CAA^rJs c' CjsrH~ f4*/jU*/\ ' 3 r^u- ^ «x*^? £sr>u *.Gfa. p. &//*. CANZONE PER LE STELLE MEDICEE. 251 v*m &/'(4>H4ko f 'TxxnU) «I 2 APPENDICE I UT MA fa f'K/j'-' M/or& . / y */*■■ *£. CAm/m ' ' ' S „ *•$*#•*& >r "// ✓ < / y?/p <* /\£ r P>&ùjU. amutA-^ t/7n Ccb r ' jfartìy yù ' * ut rifa. ArXh'W.. e/A'st/?L A> 4*$ \ l * * J r ^ 07 kA* &>?l /^OYTfflù^ Vt'VO*- i. Affl#***^*^ ATCt/j-lv à&Kf 9 ' 7 lM Z' ni. 32* 256 APPENDICE PRIMA CANZONE PER LE STELLE MEDICEE. 257 cfjtu?* fi • tfcrf-brtC, 'W e J^/o / eJtA /arrfùo éutfo J/o jfy tkKtlM 1A0‘>UW % Ji'rfrtr a forfè/' Ufo vJ'tóo '/)e$ t/k jfér*- v//UfJ ^Joucr^ <\7?p, ’ /&ry£tb f e coa fe^zcea 'orr^ìr’ f^L < /)'!//■/ ///* fa/rf7*A Mrf’. <&.(/*> f&i^o/iy/^u7u/ìbo /e/jìbe orti fri /' (/ ytf/^^ertsyto */e x /rfrò 260 APPENDICE PRIMA ccpjfr-v, -frui y/xcoow u ’UAtrj ^/a^e. ùfótdtfe f ey/fityft 9 ; *iCvi)Jr,n.r in njtf&r /&ujUÌf (ML^ajk-7€ uxy <^£)<* wrch' a^LMibo t/nuf&xcflMW; sfitx ‘<^Jb cw/^ojtD A ( <*4tei(/Sj <&£rt ?~<* <*$' MXjC ù/i^MusgU • CANZONE PER LE STELLE MEDICEE. £ orHr C^y Ktstf'tVWr /(Prua /C^ S~>S '//(£& %t/ ( ^ù fa df/&ic wnfa. /CmÙM e0ùA' ^J&dtv { txótìA /ifa0f * 9yTK W)(f ?<5t^ ** “jTr+ftotiK "2/sX fr&jub-U-i U -j tòfo p &L, Sbuffo 'Cf^nnxj^t- fat*djbb '£**-*(• ha. fv> 'yZfc^, o A/w^t ■A'uy- sfi*?** mUp?? tHf/V _ _^ ?éC7* t £/ ( fa muti» Wfl Vi 7**A Attfecxfo* r • ' / à y.?r** s . s*. . y -fatate- ( fayfuwroh Jt iwy 7fa <^4 , 7 ^‘ jsuc 3 crul ef // APPENDICE PIUMA <^X 4KM o/t jvWf 1 , ^ u . _ _. v/t órfi&rtb J'dtrììào /as&tf rtt-tfrrfo^ , '£?€& ffaux/wr /tifar#, f /fu*47*eyS <ól/ "Tfcsnx* tf/c** /*rà> jA?* f/i+(./' a /so** (*K/bU +/ V'^'TV <'**'**)*/" o/cà/fr/rc Zù //ZtéJf vnjtpjy e. *Wrfx> ™ ^r<'^y tSflié6u Jsr t/\\£bì £fnx e*~r+7^x' é*~T! tft/y+nly, yVo (7t /ofrir +/ c<*£) tsryiY'te sSe/f* ? /Pvdb /t <£h*uji uSiatà \ £ fji^U *//‘£f >a V* J '^ <£7 W A ?)H.L&6t ?/*-«/- «jterruu Af* » $ r /}&// -Atffc-'te A^rtu* &/<&' c £iU(> > MtJL •iéuro c A^/r ,/f<< *2Z2%~ w flj jffr -rO sZZttsr^i, j^coflu: vi fot/by' 7x, Marti ‘264 APPENDICE PRIMA ^O f ‘t <>C •JttìàKA '*S.ff 1 / fui* 'tfti+Mi&efr*t *rm*^. ■^Ùdh’A«fcàe ì/rWMcrv fatta ^fakrr*/'fat? ' /a-rufd! tfafifl jJl& Ahfan/a y^ T W A(jhév ■* t ajtoi)5a£(|> SoaxuxoflvTt povj9-?}oai del medesimo paragrafo: in margine è l’ana¬ lisi grammaticale di alcuni vocaboli. Sono frequenti le correzioni e i pentimenti, di mano dello stesso Galileo, che mostrano l’incertezza con la quale il giovinetto discente moveva i primi passi : non mancano correzioni, o parole scritte dove Galileo aveva lasciato uno spazio bianco, dovute a più altre mani, tra le quali una <*) Gaui.eo capovolse il quaderno quando so lo corto appariscono oggi numerato in ordine re¬ ne servì por iscrivervi gli studi sul moto: perciò trogrado. 276 AVVERTIMENTO. di persona die si direbbe avesse imparato a scrivere un mezzo secolo prima <*>; probabilmente è la mano del maestro. Narra il Viviani nel j Racconto istorino della vita di Galileo che questi, gio¬ vinetto, < si diede... ad apprender la lingua greca, della quale fece acquisto non mediocre, conservandola e servendosene poi opportunamente nelli studii più gravi > (S) . L’esercizio scolastico, del quale diamo un breve saggio a pag. 283-284, conferma la testimonianza del Viviani. Agli studi de 1 classici ci riconducono anche certi estratti da versioni italiane di alcuni Opuscoli Morali «li Plutarco, che si leggono, «li pugno di Galileo, a car. 34r.-42£. nel T. XVII della Par. I dei Manoscritti Galileiani. Sono apoftegmi od aneddoti, che si seguono, senza connessione alcuna tra loro, secondo l’ordine che hanno i corrispondenti passi negli opuscoli Plutarchci; e quanto ne è pervenuto fino a noi, consta di due frammenti, che occupano due quadernetti distinti. 11 quaderno che nel codice vien primo, comprendo le car. 34r.-3SA, cd è certa¬ mente acefalo, poiché comincia senza alcun titolo, con una sentenza che appartiene all’opuscolo < Del desiderio soverchio delle ricchezze > (J) , alla quale tengono dietro gli estratti de’ seguenti opuscoli : Di saper raffrenare V ira ; Di quella erubesccneia che è vinosa; Come si possa perfettamente conoscere Vomico da V adulatore ; Che a V uomo 2 >ossono venire molte utilità dal suo nimico ; A qual guisa si debbono allevar bene i fanciulli. Gli estratti di . Il secondo quaderno, che è formato dalle car. 3‘Jr.-42/., comprende gli estratti di quattro opuscoli, cioè: De la cicaleria ; Il convito de i 7 savi; O) Questa mano si può vollero, por esempio, a car. 131 r. **' Fatti consolari dell'Accademia Fiorentina di Salvino Saltini ecc. In Firenze, M.DCC.XYII, nella stamperia di S. A. R., per Olio. Gaetano Tortini o Santi Franchi, pag. 300. 131 « Quosta sola cosa ò propria ilo le ricchezze, che il piacere ò di chi lo mira, o non di chi le* pos¬ siede ». Cfr. car. 30r. di Alcuni opusculetti de le cose murali del divino Plutarco ecc., che citeremo tra poco: « ...questa una sola cosa è propria dolio ricchezze, elio il piacere ò di quelli solamente cho le riguardano ». « Non devono i giovani far prova di dire a T improviso, ma aspettare l’età piò ferma, acciò cho non intervenga loro corno a quel pittore, il quale, mostrando nd Apollo una sua pittura, Questa l’ho fatta, gli disso, or ora di fantasia. Ancora cho non ino lo dicessi, risposo Apollo, io ino no accorgeva bene elio l’era fatta in un subito, » (car. 38t.). Cfr. car. 110/. di Alcuni opusculetti ecc.: « Ma se si la¬ scieranno i fanciulli dire d’improviso, so no causerà una somma garrulità, o non no gli avorrà so nou inalo. Como un povero pittore, mostrando nd Apollo una sua pittura, Questa la ho fatta, gli disse, pur or ora. Ancora elio non uiel dicessi, risposo Apelle. io mi accorgeva’ bene di’ ella ò fat ta d’ uu subito : o mi meraviglio come non no abbi non una, ma molto, fatte di quosta sorte in tanto tempo ». AVVERTIMENTO. 277 Come altrui possa lodar se stesso ; De la tranquillità de V animo. Anche degli estratti di quest’ultimo trattato è andata forse perduta la fine**». Gli estratti delle tre prime operette del secondo quaderno sono ricavati cer¬ tamente dalla versione che, di quei soli opuscoli, pubblicò Lodovico Domcnichi in Lucca nel 1560<*>; invece gli estratti del trattato < De la tranquillità de l’animo >, e degli altri compresi nel primo quaderno, derivano da certa traduzione di al¬ cuni opuscoli, dovuta ad Antonio Massa, a Giovanni Tarcagnotta e ad un incerto, che fu data in luce più volte in Venezia nel secolo XVI (8> . Le varie edizioni di questa versione cominciano appunto con l’operetta < Della tranquillità e securtà de l’animo, a questa fanno seguire l’opuscolo < Del desiderio soverchio delle ricchezze », e appresso anche nella serie dei trattati corrispondono precisamente all’ordine del primo quaderno galileiano. Vien fatto naturalmente di pensare che i due quaderni siano stati disposti male, quando fu rilegato il manoscritto di cui oggi fanno parte, e che se ne debba invertire l’ordine: così agli estratti che abbracciano i tre opuscoli volgarizzati dal Domenichi terrebbero dietro (dopo una lacuna di alcune carte andate perdute, e che comprendevano forse la fino degli estratti dal trattato < De la tranquillità de l’animo > e certamente gli estratti dall’ opuscolo < Del desiderio soverchio delle ricchezze >) gli estratti dei primi tra gli opuscoli compresi nella detta versione del Massa, del Tarcagnotta e d’un incerto. La forma della scrittura nei due quadernucci galileiani ricorda da vicino quella che s’incontra in altre coso giovenili del Nostro: nel complesso il mano¬ scritto è nitido e pulito, e anche questa circostanza ben s’accorda con quel che risulta dal confronto con le citate versioni, cioè che Galileo o compendiasse da esse o scrivesse a dettatura di chi le teneva dinanzi (t) . Il Nostro, o chi altri abbia ricavato gli estratti da quelle versioni, ora segue quasi alla lettera le fonti, ora le abbrevia alcun poco; talvolta una pagina dell’opuscolo Plutarcheo ha trat¬ tenuto a lungo il compilatore, che ne ha derivato più estratti, tal altra più pa¬ gine non hanno dato materia ad alcun estratto. Nel saggio che pubblichiamo a pag. 285-290, si leggono nella colonna di sinistra gli estratti galileiani, e nella colonna di destra i corrispondenti passi delle ver¬ ni L’ ultimo aneddoto di quosto trattato (circa alla metà di esso) elio si leggo noi manoscritto ga¬ lileiano, ò il seguente: « Quel l’ittaco sapientissimo avimdo seco ninnato a desinare alcuni suoi amici, so- vraggiuuso la moglie, o piena d’ira riversò la mensa per terra; por il elio vedendo turbarsi i convitati, disse: Nò por questo, nò per altro, rosto io di esser mai giocondissimo • (car. 42f.). Cfr. car. 12r. di Al¬ cuni opusculetli eco. < a > Opere mundi di Plutarcho, nuovamente tradotte pcr M. Lodovico Domknichi, cioè 11 convito de' sette savi, Come altri possa lodarsi da sé stesso sema bia¬ simo, Della garrulità onero cicali-ria ecc. In Lucca, por Vincenzo Ilusdragho, MDLX. •*' Di questa versiono, o suo diverse edizioni, vedi S. F, G. Homi ANN, Lexicon bibliographicum, si ve Index editionum et interpretaiionum acriptorum graecorum ecc. Lipsiae, sumptibus I. A. G. Wcigol, MDCCCXXXVI. Tomus Tortlus, pag. 395. Noi ci serviamo dell’edi¬ zione col titolo : Alcuni oputculetti de le case morali del divino Plutarco, in questa nostra lingua tradotti, nuovamente ristampali d) corretti, ecc. In Venctia, ap¬ presso P. Gironiino Giglio o compagni, M.D.LIX. <*> Vedi ancho la uo(a 1 a pag. 286. AVVERTIMENTO. 278 sioni a stampa. E prima offriamo un saggio dall’opuscolo c De la cicaleria» (car. 39 r.-t.), per il quale, come si disse, gli estratti derivano dal volgarizza¬ mento del Domenichi; a tali estratti facciamo seguire una poco felice riduzione in versi, che di alcuni di essi si legge, sempre di pugno di Galileo, a car. 45*. dello stesso manoscritto: diamo da ultimo un breve saggio dal trattato < Do la tranquillità de l’animo » (car. 41*.), per il quale il compilatore si giovò della citata versione edita in Venezia. Degli studi di Galileo sui classici farebbe testimonianza anche un altro mano¬ scritto della Biblioteca Nazionale di Firenze, se fosse veramente, come fu creduto, della mano di lui. Accenniamo al cod. Magliabechiano II. Vii. 59, contenente certi Concetti di Plauto c Terenzio col volgar fiorentino; chè cosi piacque di chiamarli a Gargano Gargani, antico possessore del codice, il quale li giudicò di mano di Galileo, e su questo fondamento attribuì al Nostro quello spoglio di frasi e lo¬ cuzioni ( selcctac loquendì fornititele ) dai due comici latini, accompagnate dalla traduzione italiana (,) . Ma non può dubitarsi che all’occhio del Gargani facesse velo l’amore per il manoscritto di sua proprietà; e non essendo quell’umile lavoro in nessun modo di pugno di Galileo, cadono tutti i ragionamenti che su tal base aveva esso Gargani architettati. Alla mano di Galileo furono pure attribuite alcune postille ad un Orazio Aldino, clic nella Nazionale di Firenze porta oggi la segnatura Banco vari, A. 8, p.3, ii. 10. L’Orazio appartenne veramente a Galileo, di cui pugno è Vex libris < Portinet milii Galileo Galilei > ; e le postille consistono in brevi esplicazioni, parafrasi o traduzioni di alcuni versi o locuzioni: ma in nessuna di esse, che sono di mani diverse, si potrebbe riconoscere con sicurezza la scrittura del Nostro (,) . Di ben altro interesse che l’esercitazioni scolastiche di cui finora abbiamo discorso, e testimonio di studi continuati su’ classici da Galileo anche negli anni maturi, sarebbe una traduzione in versi italiani della Batracomiomachia d’Omero, di cui avremmo documento in una nota autografa del Nostro: < Adì 10 agosto 1004 incominciai a tradurre in versi volgari la guerra dei topi et delle rane di Ilo- mero. G. Galilei ». Questa nota si leggerebbe sopra una carta di guardia d’un Esopo, stampato con altri opuscoli (tra’ quali la Batracomiomachia) a Basilea nel 1541, che fu venduto all’asta in Parigi nel 1855 1,1 ; ma noi ignoriamo quale O» Vedi l’Appendice III noli'opuscolo intitolato: quella di Galileo. Si trutta ad ogni modo di cose Nel trecentesimo natalizio di Galileo in Pisa. XVI 11 feh- di nessuna importanza: p. e., a Pythiu », in Carni. I, braio MDGCCLX1V, Pisa, tipografia Nistri, 18G1. 16,0, ò postillato Apollo; a Bereajulio, in Cernii. I, A pag. 61-66 il Gakgaki doscrive il codice e dà un 18, 13, è postillato di Cibele; a barbile, in Carni. 1, saggio dei « Concetti ». 82, 4, ò postillato o lira, occ. '*) Essendo talora le postille di poche lettere, <*> Aetopi fabutae, graece et latine, cum aliis opu- può restar il dubbio, in qualche caso, se la mano sia sculis. Basiloao, in otite. Hervagiana, 1541. Sull’esem- AVVERTIMENTO. 279 sorte abbia corso quest’ esemplare, e non possiamo dir nulla dell’ autenticità di quella nota e, quindi, del valore della notizia contenutavi. Di detta versione non abbiamo, ad ogni modo, alcun’ altra testimonianza. Dobbiamo tener parola, da ultimo, d’un altro quaderno di scuola che ci è pervenuto autografo di Galileo, cioè di certe questioni sulle Precognizioni e sulla Dimostrazione, che si leggono nel T. XVII della Par. I dei Manoscritti Galileiani, a car. 4>\-31/. Il Viviani, nel citato Racconto istorico della vita di Galileo, par¬ lando degli studi giovenili di questo, scrive che < udì i precetti della logica da un Padre Maestro Valombrosano ; ma però quei termini dialettici, le tante de¬ finizioni e distinzioni, la moltipliche delli scritti, l’ordine ed il progresso della dottrina, tutto riusciva tedioso, di poco frutto e di minor sodisfazione, al suo esquisito intelletto > (,) . Si possono forse riportare all’insegnamento del Padre Vallombrosano, dol quale ignoriamo il nome, le dette questioni, svolte secondo il metodo scolastico e che hanno per fondamento gli Analitici Posteriori, di Ari¬ stotele. Il quaderno è certamente acefalo, poiché comincia con una Disputatio 2 a , suddivisa in quattro questioni, alla quale tien dietro una 3 a Disputatio e una Disputatio ultima, pur suddivise in questioni: la terza, in cinque, che per errore sono numerate come prima, seconda, quarta, quinta ed ultima; la Disputatio ultima, in due. A questa prima parte, che ha per argomento le Precognizioni, segue una Tractatio de demonstrottone, che comincia così: Tradalio de demonstratione, oinissa definitione scientiae, quain sapientissime tra- didit Aristoteles, cxordiens traclationem suam ab illa, ut cognito nimirum demonstra- tionis fine, qui est scientia, mélius et pcrfectius natura et proprietates illius eluccscant; de (pia multa tractatione seguenti disseremus. Aggredior tractatum ipsum demonstra- tionis, qui tres sub se disputationes complcctetur : prima, de natura et praestantia demonstrationis ; sccunda, de proprietatibus ; ter Ha, de speciebus : qui bus absolutis atque perfectis, nil quod de ipsa demonstratione scivi potest, desideral i poterit (,) . Da questo passo ricaviamo, che la Tractatio de demonstratione è compiuta con le tre Disputationes in cui effettivamente è divisa nel manoscritto galileiano; non sapremmo dire però se l’ultima di queste sia intera nel manoscritto stesso : ricaviamo altresì, quale doveva essere l’argomento della Tractatio seguente, che non ci è pervenuta. La Disputatio prima è, alla sua volta, suddivisa in due que¬ stioni ; la Disputatio 2°, in undici questioni, numerate erroneamente per dodici; la tertia Disputatio, in tre questioni. Del tergo dell’ ultima carta resta bianca la seconda metà. piare elio sarebbe appartenuto a Galileo, o che fece poi parte delle raccolte dol Libri, vedi A. Fa¬ varo sotto il nuni. 440 doli’ Appendice prima alla libreria di Galileo Galilei, noi Ballettino di biblio¬ grafia e di storia delle scienze matematiche e fisiche , Tomo XX, pag. 375-376. •'» Basti consolari cit., pag. 399. U) Car. 13r. 280 AVVERTIMENTO. Diamo qui appresso la serie delle questioni, quali si ricavano dal manoscritto: De praecognitionibus (l) et praeeognitis in particuluri. Disputatio 2 a : de. praecognitionibus princìpiorum. Quaestio prima : an in omnibus principiis praccognoscendum sit, quaestio an sii. Quaestio 2“ : an de primis principiis praccognoscendum sit quid nominis. Quaestio 3" : an principia sint attuai iter vel habitualiter praecognosccnda. Quarta quaestio: an principia in scientiis sint ita nota, ut nulla ratio ne pro¬ bari possint. 3* Disputalo : de praecognitionibus. Quaestio prima: quid intclligat Aristoteles nomine esse , quando dicit de subicelo, debere praccognosci an sit. Sit quaestio, 2° : an scientia possit dcmonstrarc de suo obiccto adacquato esse existentiae. Quaestio 4‘ : an scientia possit dcmonstrarc an sit subiccti sui partialis. Quaestio f)‘ : an scientia possit estendere quid rei sui subiccti, et reddere propter quid illius. Quaestio ultima: quid intclligat Aristotelesperpraccognitionem quid est, quando de subiccto dicit, praccognoscendum esse quid est quod dicitur. Disputatio ultima : de praecognitionibus passionis et conclusionis. Quaestio prima : an de passione praccognoscendum sit quia est. Quaestio 2* : an conclusio cognoscatur simul tempore et natura ami cognitionc praemissurum. Tractatio de demonsfratione. Disputatio prima : [De natura et praestantia demonstrationis ] |S) . Quaestio prima : de defìnitione demonstrationis. Quaestio 2 a : an demonstratio sit nobilissimum omnium instrumentorum, vel definitio. Disputatio 2* : de proprietatibus demonstrationis. Quaestio prima : an demonstratio constet ex veris. Quaestio 2“ : an demonstratio debeat constare ex primis et prioribiis. Quaestio 3* : quid intelligat Aristoteles per propositiones immediatas, quando docet demonstrationem debere constare ex illis. L 1 autografo ha preeognitionib* o, spesso, <*> Ricaviamo i) titolo doli» Disputatio, cho non si vluUo ' co »egbMau.o: vedi la nota 2 a pag. 282. logge nel codice, dallo primo lineo della IVactatio. AVVERTIMENTO. 281 Quaestio 4* : an omnia demonstratio constct ex immediati s et quomodo. An (minia principia immediata per se nota ingrediantur quamcumque demon- strationem. An demonstratio constct ex notioribus, et an cognitio prannissarmn sit inaiar et perfectior cognitione conclusionis. Quaestio, un demonstratio debeat constare ex propositionibus neccssariis et de omni et quomodo. Quot sint regnine cognoscendamm propositi (munì quae in primo et secando modo contineiitur, et an sint plures (piani duo praedicandi modi. Quaestio 10" : qui sint modi demonstrationi inservientes. Quaestio 11": quid sit pr aedi calimi universale, et quae propositiones sub ilio contineantur. Quaestio ultima: an perfecla demonstratio debeat constare ex propositionibus per se universalibus et propriis. Tertia Disputatio : de speciebus demonstrationis. Quaestio prima: quot sint species demonstrationis. Quaestio 2" : in quo convcniant et differant demonstratio propter quid et quia, et de huius divisione. Quaestio 3‘ : an detur regressus demonstrativus. Il manoscritto che contiene tali questioni era originalmente unito a quello delle scritture che col titolo di luvenilia pubblicammo nel volume 1 della pre¬ sente edizione, e, come allora avvertimmo*ne Tu separato soltanto nella prima metà, del nostro secolo. In quell’occasione abbiamo inoltre accennalo, clic a Ga¬ lileo non ispetta molto probabilmente, in coleste questioni, altra parte che di amanuense. La nitidezza del codice, la quale, mentre esclude che si tratti di un primo originale, fa contrasto con alcuni passi guasti e privi di sensocerti strani errori w e lacune che possono spiegarsi con dire che chi trascriveva non ca¬ pisse il carattere dell’originale, sono indizi che Galileo copiava: d’altra parte, altri particolari, come un < addite >, cattedratico per eccellenza, che si legge in un luogo 15 ’; altrove un esempio, forse di sillogismo, di cui si accennano soltanto le primissime parole (tanto poche, che appena possono bastare a richiamare il resto dell’esempio alla mente di chi l’abbia sentito esporre dalla voce dell’in- (i) p at _ r y noiior. non può, cortamente, esser nato elio da falsa <*> Vedi, p. o., la nota 2 a pag. 291. lettura dell' originale. < 3 > P. e., a car. 8r. sì leggo: « nliquando potost <4) P* e., « ear. 7 i. verso la fino, e a car. 18 r. davi effectus nostcr quam sit ipstnn obie[c]tum to- verso la fino. tale ... Probatur anteceda» : quia .notes in phisicis »»» A car. 6 r. : « Addito p,«eterea quod Ariste est notior quam sit corpus naturale » : noiter, por teles eco. ». 282 AVVERTIMENTO. segnante 01 ), confermano l’origine scolastica del manoscritto di cui ci occupiamo: e a ciò s’ aggiungano la forma della scrittura, che è quella di Galileo giovinetto, e gli errori non solo contro 1’ortografia 01 , ma anche sgrammaticature e scon¬ cordanze 01 , che con la notevole frequenza dimostrano, in chi scrive, la poca pra¬ tica del latino. Ora, se nel caso degli luveniUa poteva interessarci il vedere quale istituzione avesse ricevuto Galileo in una disciplina in cui egli aperse poi nuove vie e fu maestro solenne; se giovava possedere il documento certo che prima di combattere la tìsica aristotelica egli l’aveva a fondo studiata; nessuna di queste ragioni avrebbe favorita la pubblicazione integrale di siffatte questioni sulle Precognizioni e sulla Dimostrazione. Niun discreto pertanto potrà farci ca¬ rico se, dopo questo cenno sul contenuto dell’ intera scrittura, ci limitiamo a pubblicarne (pag. 291-292), come saggio, la questione che ci è rimasta per prima. <0 Vedi apng.291,lin.20: «Omnisdoctrinaetc.». <*) P. e., grafie che potremo diro italianismi, come atlualiter, ailoyismo ipotetico, metajisirum, abati-aere, adequato, queatio, precoi/noscere, preooynitio, che si al¬ ternano con qniu atìo, pruccogn (tacere, pruecognitio, CCC.; false attrazioni, come mquue, aequaeretur, ucc. (S ' Vedi, p. o., a pag. 292. noti 2. A cnr. ht. si leggo: « Dignitntes quae ingredluntur demonstra* tiouern nliquam impcrfcctaui ... netu praecognosci debet » ; a cnr. G t. : « aliqtinndo offectus notiores primis principiis datar*; ivi: «alias soquoretur, quuestiouein au sit esso .... reicivmla »; ecc. ISOCHATIS AD DEMONICUM ADM0N1TI0. *i Ttapafvso’.g, log. ISOKPATOrS 11 POS AHMONIKON DAPAINESIS. YV(i>HY), ri?, b xal f] cpaOAog, oo. Aappavto, p. XV^ojiai, «. ettvppa. xifiàa». d). (empui pracsens, modus indica, (tinte. à'(anditi, ù. 6 alwv, divog. ■7) Sóga, Y)g. dvxmoiéofiai, /i. -Vjoopai. 6 lUfMpifc, oO. In vnultis quidem, o Dmonice, multimi difftrenf.es inve- ’Ev uoXXoTg [iév, (T) At)|aóvix£, uoXì> Steaxdjaag eupVj- niemus (,) et honestorum sententias et malorum a&|i.cV xàg xe x&v arcouoatwv yv^jiag xal xàg xcov (pauXwv ingenia w . Multo w autem maximum (l) discrimen ceperunt (i) in Slavata*;. IToXù 5= |ieYiaxrjv 5iav cpaóXwv auvY]lteta<; òV.-( 0 ' tempus dissolvit, autem honorum amicitias neque •/póvo; oiéXuas, xà; Zi xlòv airouSatav libi batic orationm munita , indicium qui don oxéXXto, p. -eXffi, n. SoxaXxa. axaXxà aot xóv5s xòv Xóyov Sfopov, xex^ov {lèv x7 j? er^a te amicitiae, sìgnum autcm cum Ipponico (,) /a- Tcpò? •fyj.às yiXCocq, arjjiefov oè xf/s ^p3? 'IrcTcóvtxov au- miliaritatis: oportct autem filios, quemadmodutn rei familiari®, b xal *) icarc, noi5<5 S . vitate? TxpéTrsc T àp xobs rcortoa?, waicep xf ]? oùoia;, ito La stampa: in qualche modo oneito. 288 APPENDICE SECONDA. Gli uomini son maestri del dire, e gli Dei del tacere. Pittaco, avendogli il re d'Egitto mandato una miti ma, e fattogli intendere clic ne ca¬ vassi la migliore e la peggior carne, nc cavò la lingua. Il re Antigono, essendogli domandato dal figliuolo, quando e' fosse per levare il campo?, 100 gli disse: Hai tu forse paura d’ esser solo a non udir la tromba? Metello, essendogli domandato di un se¬ creto, rispose : Se io credessi che la mia ca¬ micia sapesse questo segreto, io me la caverei e getterò ’ la in su ’l fuoco. Filippidc, scrittor di comedie, una volta clic il re Lisimaco gli faceva molte carezze, e gli diceva : Che potrei io darti de le mie cose ?, Ciò che tu vuoi, rispos ’ egli, pur che no tu non mi conferisca alcun tuo secreto.... .... io credo che gli uomini ci simo maestri del dire, c gli dei del tacere.... (pag. 102). .... bene fece Pittaco, che avendogli il re d’Egitto mandato una vittima, e fattogli intendere che nc cavasse la migliore e la peggior carne, che nc cavò la lingua.... (pag. 103). .... Il re Antigono.... essendogli domandato dal figliuolo, quando c } fosse per levare il campo?, gli disse: Hai tu forse paura d'esser solo a non udir la tromba ? Egli non volse fidare il suo se- io greto a colui a cui era per lasciare il regno. Gli insegnò dunque a dovere essere in così fatte cose continente e accorto. E Metello il vecchio, essendogli domandata una simil cosa in campo, rispose: S'io mi pensassi che la camicia mia sapesse questo segreto, io me la caverei e getterei sul fuoco.... (pag. 103-101). .... Filippidc, scritlor di comedie, una volta che il re Lisimaco gli faceva molte carenze, e gli di¬ ceva: Che potrei io darti delle cose mie?, Ciò che 20 tu vuoi., risjmc egli, signor mio, pur che. tu non mi conferisca alcun tuo segreto.... (pag. 109). [loggia d' Olimpia ] (,) si chiamava Hcptafono , [Per risonarvi] V ecco 7 volte. [Aristjotile a un certo cicalone, [<■ Io non mi] maraviglio di tue cose, [Ma boi eh]e chi piedi bave, udir ti possa >. [Un]a sol volta, disse Lisia, devi A. i giudici narrar questa orazione. Amicarsi, invitato da Solone, Fu ritrovato che s’avea coperto Con le mani la bocca e ’l luogo osceno : Ma la sinistra a questo, a quel la destra. 1 Essendo stata strappata la carta, non si loggono più i pnucipii dei primi sei versi; ma i versi stossi sono stati trascritti intori, o da mano antica (torso di Yih- cknzio Viviam), di fronte sulla stessa carta. Chiudiamo Ira parentesi quadro lo parole, o parti di parola, cho ri¬ caviamo dalla copia. ESERCITAZIONI SCOLASTICHE HI GALILEO. 289 Il ragionar d'un sol fu la cagione Di non tor Roma di man di Nerone. Zenon coi denti si tagliò la lingua, E la sputò nel viso del tiranno. Leena meritò da gli Ateniesi (l) Di bronzo una leena e senza lingua. Trasse la lingua Pittaco a la vittima Ch ’ il re d*Egitto a lui mandata avea. 130 Disse Antigono al figlio : Hai tu paura D'esser tu solo a non udir la tromba ? io Disse Metello : S’io credesse mai Ch’ il mio manto sapesse il mio secreto , Certo eh’ io lo porrei sopra del fuoco. In don chiese Filippide a Lisimaco Ch' alcun secreto mai non gli scoprisse. PLUTARCO. DE LA TRANQUILLITÀ DEE ANIMO. Non sanarono mai podagra bèlli e ricchi 140 calzari, ne V and (V oro il morbo de i diti, come nè anco si placò mai dolor di testa per porvi su corona regale. Xeno fonte voleva che nelle prosperità mag¬ giormente dovessero gli nomini ricordarsi d'Idio, ed allora più intentamente onorarlo, acciò che (piando accadesse il bisogno, con maggior fidanza si ricorresse a Lui, già ri- conciliato e propizio. Sì come i feroci cani, e per ogni sgrido ìco inquieti, si placano ad ogni voce del padrone, DELLA TRANQUILLITÀ E SECURTA DE L’ANIMO. .... non sanarono mai podagra belli e ricchi cal¬ zari; nè l'anello de l’oro il morbo dèditi, come nè anco si placò mai dolore di testa per porvi 20 su corona regale.... (car. 2/.). .... Xenofonte voleva che ne le prosperità maggior¬ mente dovessero gli uomini ricordarsi (V Iddio, ed allora più intentamente onorarlo, acciò che quando accadesse il bisogno, con maggiore fidanza si dimandasse diluì, già riconciliato c propizio.... (ivi). .... cornei feroci cani, e per ogni sgrido inquieti, si placano pure da una sola voce del padrone, che (1 ' L’autografo: Atenesi. — ESERCITAZIONI SCOLASTICHE DI GALILEO. 290 APPENDICE SECONDA. così non è di poco momento a quotare gli a fretti de V animo, se non vi siano tosto su i soliti e familiari ricordi e precetti. Non è vero che gli uomini che non si tra¬ vagliano, possano vivere questa vita tran¬ quilla, per ciò che ne seguirebbe che la vita de le donne fosse motto più tranquilla di quella de gli nomini. E Laerte, che visse solo con una vecchia venti anni, perchè fuggisse. ìeo la patria e la casa sua stessa, non fuggì però ■mai V affanno che uvea nel cuore.... già conoscono e sogliono spesso udire, cosi non è di poco momento quotare e porre in silenzio gli sfrenati affetti de Vanimo, se non vi siano tosto su i soliti c famigliavi ricordi e precetti.... (car. 3 r.). .... è ancor falso che gli uomini che non si tra¬ vagliano, possano vivere questa vita tranquilla, per ciò che ne seguirebbe che la vita delle donne fosse molto più tranquilla di quella de gli uo¬ mini.... E Laerte, che visse, come si scrive, so- io lamente seco c con una vecchia, che li mini¬ strasse il mangiare c ’l bere, in un suo podere vinti anni, perchè fuggisse la patria c la casa stai istessa, non fuggì però mai egli V affanno c'aveu nel cuore.... (car. 3 r.-t.). Quaestio prima. An in omnibus principiis praecognoscendum sit, quaestio an sit. Videtur quoti non: quìa conclusio, co finiti s primis et immediatis principiis, per fede cognosci potest sine ulta primorum principio-rum cognitione; ergo fetc] [i) . . Tutu, quia sdentiate particulares non praecognoscunt an sit de primis principiis; et tamen per fede saas conclusiones cognoscunt; ergo non requiritur cognilio pri- moru m principi orimi. rima concilisi»: Prima principia sunt aliquo modo praecognosccnda, ad hoc ut perfede cogno- scatur ipsa conclusio: quia non potest perfede cognosci conclttsio, nisi cognoscantur omnia principia rcgulativa illius, a quibus aliquo modo pendet ; sed pendei aliquo io modo a primis principiis; ergo [de.]. 2 » conclusio: Principia prossima et immediata necessario praecognoscenda sunt, ad hoc ut sciatur conclusio: quia Aristoteles, p.° Postcriorum, cap. 2°, ait, propter unumquod- que tale et illttd magis (t) ; sed conclusio scitur propter principia; ergo ipsa principia magis scicnda sunt. Dices : Quanam ratione cognoscuntur prima principia ? Jle- spondetur : Midtiplicitcr , prò midtiplicitate ipsorwn principiorum. Quaedam enim sunt prima et universalissima, quae per solavi terminorum cognitionem cognoscun¬ tur ; quale est hoc : Toluin est maius sua parte. Quaedam sunt quae cognoscuntur per solimi sensum ; quale est hoc , ignetn esse calidum. Quaedam cognoscuntur in- duelione, divisione et silogismo ipotetico ; quale est hoc : Omnis doctrina eie. Quae- davi cognoscuntur experientia, qualia sunt medicinae principia ; verbi grati a : Con¬ traria contrariis curantur. Quaedam sunt quae cognoscuntur sola consuetudine, qualia sunt illa scientiae moralis: non enim possumus illa intelligere, nisi exerceavius. Ad argumenta: ad primum: patct ex dictis in prima conclusione; <•) Aggiungiamo dopo tnjo, qui e più sotto, l’elc., che devo sottintendersi : cfr. voi. 1 di quest’edizione, pag. 17, nota 2. li. <*) 11 testo ò.ovidentemento, guasto. La vorsiono di Boezio degli Analitica Potlerioru ha: proptor quud umirtquodque c«t, illttd magi* eit. 37 / 292 APPENDICE SECONDA. — ESERCITAZIONI SCOLASTICHE DI GALILEO. ad 2 “»*: respondeo, primo, cndcras scicntias pariicnlares non solere praecognoscrre ll) tali a principia, non quia illornm notitia non sit necessaria, sed quia per se nota sup- ponuntur ab illis. Addo, acccdentcm ad scicntias debcrc esse ita dispositivi m ut, cognitis principiis per se notis , illis assrntiatur. Bespondeo, 2", prima principia in communi spedare ad oneiaphisicum ; applicata tamen buie voi dii materiae, ad scientiam parlictdarem. (*• L' autografo ha praecognonoìre. L’autografo ha diipotilxu. FINE DEL VOLUME NONO. INDICE DEI NOMI. (I numeri indicano le pagine.) Agramante. 100, 110,162, 168,178, 184, 185, 18G, 187. Aladino. 61,62,78,77,78,81, 84,88,110. Alceste. 07, 1S3. Alcide. 244, 257, 270. Alcina. 95, 98, 100, 132, 143, 155. Alessandra. 171. Alessi. 226. Alete. 79, 80. Alfonso. 163. Almonte. 185. Amarilli. 160. Amone. 117, 190, 191. Anacarsi. 286, 288. Anfitrite. 248, 264. Angelica. 98, 102, 117, 133, 160. Anglante. 174, 177. Anseimo. 190. Anteo. 46. Antigono. 288, 280. Apelle. 178. Aqu dante. 168. Archimede. 34. Argante. 61, 62, 70, 80, 81, 86, 88, 94, 109, 112, 113, 114, 121, 122, 123, 146. Argo. 100. Ariosto. 61, 62, 63, 68, 69, 74, 75, 76, 77, 78, 82, 83, 84, 85, 86, 88, 92, 93, 95, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 108, 110,112, 113, 114, 116, 117, 110, 120, 121, 124, 125, 130, 131, 132, 136, 137, 138,140, 143, 144, 145, 146, 147, 157. Aristogitone. 287. Aristotile. 285, 288, 201. Armida. 94, 95, 9G, 98, 100, 101, 104, 105, 108, 109, 142. Arnodio. 287. Arsete. 124. Arturo. 244, 257, 269. Astolfo. 125, 130, 156, 166, 178, 187. Astrea. 166. Atlante. 157, 162, 245, 259, 270. Baiardo. 181. Baliverzo. 165. Bambirago. 165. Bandinelli Baccio. 69. Bernia. 65. Biagio (S.). 94. Bireno. 78. Bonarroti Michelagnolo. 94. Bradamante. 85,114, 116, 117, 118, 130, 152, 174, 186, 192. Brandimarte. 62, 92, 117, 118, 183, 187, 190, 194. Branzardo. 185. Briareo. 240, 254, 268. 294 INDICE DEI NOMI. Brigliatloro. 160. Brunello. 160, 178. Buglione. — V Goffredo. Burattino. 200, 209, 204, 205, 206, 207, 208, 209. Cantalicio. 69. Carlo Magno. 82, 84, 109, 151, 164, 167, 176, 182, 185, 186, 190. Caron. 44, 162. Casa (Della). 133. Cassandro. 197, 198. Caterina (S.*). 94. Cerbero. 44. Cibclle. 240, 253, 268. Cinzia. 246. Cinzio. 200, 201, 209. Citerea. — V. Venero. Cloridan. 169. Clorinda. 61, 62, 69, 77, 78, 85, 86, 94, 112, 115, 123. Constantin. 190, 191. Corineo. 165. Cornelia. 200, 203, 205, 206. Cosino. 248, 263. Dante. 32, 33, 34, 35, 36, 39, 41, 42, 43, 45, 46, 47, 48, 49, 51, 53, 54, 55, 56, 57, 155. Demonico. 283. Diana. 132, 200, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 208, 209. Doralice. 112, 116, 163, 174, 193. Drusilla. 78. Dudone. 62, 92, 104. Durerò Alberto. 42. Echione. 240, 241, 254, 268. Encelado. 240, 253, 268. Enipeo. 240, 254, 268. Enrico. 72. Ercole. 155. Erifila. 156. Erminia. 61, 85,88,89,114,123,151,186. Erode. 129. Euclide. 48. Eustazio. 100, 107. Èva. 177. Farina. 202, 204. Febo. 242, 243, 245, 246, 247,251,252, 258, 260, 267, 270, 271. Ferdinando. 238, 249, 265. Ferrai!. *184. Fiammetta. 197, 198, 199. Fidia. 160. Filandro. 173. Filippide. 288, 289. Fi Ili de. 160. Fiordiligi. 116, llfy 190, 194. Fiordispina. 176. Flavio. 200, 203, 206. Flegetonte. 200, 202, 204, 205, 207, 208, 209. Flegias. 44, 45. Flora. 238. Frontino. 174, 191. Frosino. 197, 198, 199. Gabriel. 164. Gabrina. 173. Galatea. 160. Ganimede. 153. Gerione. 36, 45. Gernando. 96, 105. Ginevra. 154. Giovanni (S.). 125. Giovanni (Ser). 222. Giove. 239, 240, 245, 247, 249, 252, 258, 261, 262, 263, 265, 267, 270, 272. Goffredo. 62, 66, 67, 79, 80, 82, 90, 92, 93, 97, 100, 101, 102, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 121, 126. Gradasso. 187. Grandonio. 184. Grifone. 83, 167, 168, 193. INDICE DEI NOMI. 295 Idraotto. 9G. Ippalca. 181. Ippogrifo. 174. Ippolito. 157. Ipponico. 284. Isabella. 78, 101, 179, 193. I smeno. 61, 123. Isocrate. 283. Laerte. 290. Latona. 242, 255, 209. Leena. 287, 289. Leon. 191. Leonetto. 159. Lidia. 97, 101. Lisia. 286, 288. Lisimaco. 288, 289. Lodovico. — V. Ariosto. Logistilla. 130. Lucifero. 41, 42, 46, 48, 49, 56. Lucilla. 197. Mandricardo. 95, 96, 110, 112, 113, 175, 177, 193. Manetti Antonio. 32, 33, 36, 37, 39, 40, 42, 43, 47, 48, 49, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57. Marfisa. 114, 170, 172, 176, 177, 178, 184, 186, 188. Marsilio. 180. Marte. 246, 260, 271. Medor. 169. Melibeo. 160. Melissa. 157, 188, 189. Menicbetta. 197, 198, 199. Merlino. 130, 174. Metello. 288, 289. Michele (Angelo). 94, 164, 168. Minos. 44, 177. Monodante. 183. Neera. 160. Nembrot. 42. Nerone. 287, 289. Odorico di Biscaglia. 161. Olimpia. 78, 98, 101, 103. Olindo. 62. Olivier. 187. Orazio. 197, 198. Origille. 167, 168. Orlando. 62, 92, 117, 151, 158, 159, 161, 175, 177, 180, 183, 186, 187, 190, 193. Orlando (Sier). 229. Orontea. 171. Orrii. 166. Pallante. 242, 255, 2G9. Pandora. 216. Panigarola. 82. Pantalone. 200, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 208. Parmigiano. 69. Peloro. 240, 254, 268. Piero (S.). 42. Piero (Ser). 222. Pietro (l’Eremita). 66, 82, 125, 128, 129. Pilato. 129. Piombino. 106. Pittaco. 288, 289. Plutarco. 285, 289. Plutone. 44, 53, 95. Poli nesso. 154. Prasildo (Sier). 229. Prisciano. 130. Prusione. .165. Kabican. 186. Ricciardetto. 176. Rinaldo. 68, 88, 90, 94, 96, 105, 106, 113, 117, 129, 131, 144, 151, 165, 181, 188, 229. Rodomonte. 61, 66, 79, 86, 87, 95, 107, 110, 111, 112, 113, 147, 165, 168, 177, 192. Ruggiero. 66, 96, 112, 116, 117, 118, 127, 130, 132, 143, 144, 155, 156, 157, 162, 296 INDICE DEI NUMI. 174, 177, 181, 182, 185, ISO, 1S7, 188, 190, 191, 192, 229. Sacripante. 113, 178. Salvadori Andrea. 251. Sansone. 183. Satan. 53. Serpentino. 183, 184. Sigierò. 121. Sobrino. 178. Sofronia. 62, 75, 76. Solimano. 110, 121. Solone. 286, 288. Stordilano. 177, 180. Tancredi. 61, 69, 70, 80, 106, 109, 111, 112, 113, 114, 115, 121, 146. Tasso. Gl, 62, 63, 67, 70, 75, 76, 81, 84, 86, 90, 97, 98, 99, 108, 110, 112, 119, 122, 124, 125, 126, 127, 129, 131, 135, 138, 141, 142, 146, 147, 186, 187. Teti. 242, 255, 257, 269, 270. Tifeo. 240, 244, 245, 246, 252, 256, 258, 268, 209. Titiro. 160. Tofano. 200, 201, 202, 203, 206, 207, 208, 209. Trasone. 167. Tristano. 117. Troian. 185. Uberto. 197. Ulivetta. 200, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 208, 209. Ullania. 117. Vellutello Alessandro. 32, 40, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57. Venere. 132, 135, 286. Veronica. 197. Virgilio. 34, 36, 44, 45, 46, 48, 53, 54, 139. Viviano. 117. Xenofonte. 2S9 Zanobio. 106. Zenone. 287, 289. Zerbino. 101, 162, 169, 175. Zeusi. 17S. INDICE DEL VOLUME NONO- Scritti letterari.Pag. Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante. Considerazioni al Tasso. Postille all’Ariosto. Argomento e traccia d’una commedia. Poesie e frammenti. Appendice Prima. —Canzone di Andrea Salvatori per le stelle Medicee scritta e corretta di propria mano da Galileo. Appendice Seconda. — Saggio di alcune esercitazioni scolastiche di Galileo. Indice dei nomi. 5 29 59 149 195 211 231 273 293 APPENDICE. AVVERTIMENTO. Fra gl’iimumerevoli componimenti prò o contro i peripatetici che pullula¬ rono nel periodo galileiano, ci è parso meritevole di esser riportato quello co¬ nosciuto come aS 'olirà IV di Iacopo Soldani (1) . A far ciò siamo stati indotti, oltre clic da ragioni intrinseche al componimento stesso, anche dal fatto che il Sol¬ dati i l2 ', a detta del Salvini l3> , del Gori (4) e del Nelli (6) , passa per un discepolo di Galileo. Anzi il Targioni l6 ' parlando del Principe Leopoldo de’ Medici così si esprime: «Questo Glorioso Principe, fino dalla sua adolescenza si era avan¬ zato negli studi delle scienze, sotto la direzione del saggio Senatore Iacopo Soldani suo aio, e dipoi Maestro di Camera, il quale fu anche difensore delle dottrine, e nuove strepitose scoperte del Gran Galileo suo Maestro, colla sua bolla o spiritosa satira contro i Peripatetici)). Ma forse più che un vero scolaro fu il Soldani un discepolo inteso come seguace o propugnatore delle dottrine del Maestro. Anche i pregi letterari, insieme col soggetto che ci ricorda le polemiche sostenute da Galileo, sembrano giustificare ampiamente la pubblicazione di questa satira nell’Appendice del Volume IX, tanto più clic essa dette luogo ad un equivoco del Favaro 171 clic, non sapendola già da tempo edita, ed aven- <*> Satire del Sonatore Jacopo Soi-dani palri/.io fiorentino con annotazioni «late ora in luco la prima volta. In Firenze, M DOGLI. Nella stamperia di Gaetano Albizzini, pag. 49-57. Questo Satire furono pubblicato per cura di Anton Francesco Gori. ,s > Jacopo Soldani, nato in Firenze l’anno 1579, c morto in Firenze 1’11 aprilo 1641. Fu sepolto in Santa Croce. <*' Fasti Consolari dell’Accademia Fiorentina di Salvino Salvini, Consolo della medesima o Diret¬ tore Generalo dolio Studio di Firenze. In Firenze, M.DCC.XVII, nella stamperia di S. A. R. per Gio. Gaetano Tartini c Santi Franchi, pag. 362. i‘ ' Satire del Senatore Jacopo Soldani, occ., p.58. <*! Vita e commercio letterario di Galileo Gali¬ lei, occ. scritta da Gio. Batista Clemente De’ Nelli, ccc. Volume II, Losanna, 1793, pag. 771. (•> Notizie degli aggraniimenli delle scienze Fi¬ siche accaduti in Toscana nel corso di anni LX del secolo XVII raccolte dal Dottor Gio. Taugioni- Tozzetti. Tomo primo. In Firenze, MDCCLXXX, pag. 368. < T > Capitolo inedito c sconosciuto di Galileo Ga¬ lilei contro gli aristotelici, scoperto e. pubblicalo dal Prof. Antonio Favako. Atti del 11. Istituto Veneto di Scienze, Lettere cd Arti, Venezia, serio VII, tomo III, 1892. Avvertito dal Prof. Guido Mazzoni il Favaro rettificò l’errore in cui era caduto, con una nota successiva : Sopra un capitolo attribuito a Galileo Galilei, nota del M. E. Antonio Favaiio ; Alti del II. Istituto Veneto di Scienze ed Arli, Venezia, serie VII, tomo IV, 1893. 302 A V VESTIMENTO. dola rinvenuta manoscritta in un codice magliabecliiano, la giudicò in un primo tempo fattura dello stesso Galileo. La lezione che cpii riportiamo è quella già data alle stampe nell’edizione per cima del Gori in parte annotata dal Dott. Giuseppe Bianchini di Prato; ad essa abbiamo aggiunto in nota alcune delle varianti più importanti che compariscono nel codice Palatino 244 u> , ma per l’interpimzione ci siamo tenuti alla trascrizione che ne dette il ‘Favaro stesso, c per le note ci siamo serviti parzialmente di quelle del Gori e del Favaro. <‘i La Sig.nn C. Casari, nollc Ossemm'om so¬ pra il Capitolo del Soldani in un suo lavoro Jacopo Soldani un satirico del Seicento, Lovorc, 1904, pag. 34-41, porta in nota divorai codici manoscritti di (piosln Satira ; noi qui abbiamo creduto oppor¬ tuno tenerci alla lcziono stampata, collo solo va¬ rianti più notevoli ricavate dal cod. Palai. 244, noi quale fra altre osservazioni si leggo : « lo Rosso Antonio Martini ho fatto copiare le seguenti satiro di Jacopo Soldani, quali sono citato dagli Accade¬ mici della Cruaoa noi loro Vocabolario, o le ho rivisto o nmmondfttc 5 il fisico gentil suo passo arretra da qne’ confini, ma non altrettante cortesie da costor riceve o impetra. .138 Anzi par clic qualcuno oggi si vanto che, essendo le scienze in un connesse, un metodo l’abbracci tutte quante ; 141 e chi le mattematiche intendesse intere,, sazierebbe quella brama elio nel nostro intelletto Iddio c’impresse. 144 Ohe siccome da quelle si dirama per ispiauate viti, l’ottica, e quella eh’ il canto informa, e musica si chiama, 147 così con esse con diverse anella qualunque altra scienza s’incatena, c senza lor di nulla c’è novella. 150 Ohe essendo il mondo un libro, al quale han piena ciascuna faccia triangoli e corchi, con caratteri tal si legge appena ; o che tutti gli studi son soverchi so non si mette mano all’alfabeto d’ Euclide a rilevar quel che tu cerchi ; queste conoluHion si tiran dreto poscia l’esorbitanze a ciocche a ciocche, oggi difese seuz’ alcun divieto. IO par che viopiii largo il mal trabocche poi che le dialettiche saette da gli archi nostri in van schiudon le cocche. Nessun nostro principio non s’ammetto pur per pensiero, c un testo ha quella fede di’ in Ginevra lian l’immagin benedette. Ma il mondo malaccorto non s’ avvede ove vada a parar questo veleno che serpe e a poco a poco piglia piede. 153 155 159 102 165 168 136. gentile il passo. — 161. per che le dialettiche. IX. 39 308 APPENDICE. Allor se n’avvedrà elio verrà meno per gli studi d’Italia quella scuola che di sana dottrina l’ha ripieno. 171 De’ Buonamici (1 ' o degli Strozzi ia) vola per T italico ciel la fama e il grido ; ma niun lor successor Pisa consola. 171 Fiorirò un tempo il padovano nido un Zabarella (8 ’, un Mainetto, un Speroni 14 ; or da tai cigni ò deserto quel lido. 177 L’oro clic par eh’ i filosofi sproni a bene speculare, oggi ò intercetto da chi mostra le coso po’ cannoni. 180 Bicerchia puro e rimetti in assetto, Diogen, la tua botto o Vest locanda ponvi, eli’ a torla Aristotile è stretto. 183 Un solo appartamento da una banda gli serve, ehò ridotto al verde trema : e ’l geometra Euclide al Sole il manda. — 18(1 Bozio mio caro, al patetico tema de’ tuoi lamenti ho quasi lacrimato. Ma che s’ha a fari Quella ruota suprema, 189 oli’ all’ umane vicende cangia stato, par che lo sette ancora alzi e deprima, oliò nulla di quiete al mondo ò dato. 192 Ma se Dio guardi la materia prima (che, se bene un pezzaccio è rii nonnulla, so nondimen quanto da voi si stima), 195 ISO. il geometra Euclide al Sol Io manda. <*> Francesco Buonamici, già maestro o col¬ lega
  • Matnbtto Mainetti fu per verità lettoro nello Studio Pisano (il istorine Academiae Piso¬ line, etc., voi. II, pag. 331), ma non di quello di Padova. Morì in Pisa il 26 novombro 1572 ; fu se¬ polto in Bologna. Scrisse de Cacio Arislolelis, et Avcrrocs de substantia orbi, etc. Sperone Speroni, filosofo o letterato padovano; mori nel 1588 nell’età di 88 anni. I APPENDICE. 309 dimmi che male è al fin se si trastulla un nel suo studio o calcuht e bischizza se la Terra sta ferma o s’ella rulla? 198 Già nou per questo si disorganizza lassù nessuno ’ngegno : il Ciel non prende suo moto da quel ch’altri ghiribizza; 201 nè tale alterazion per modo il rende eorruttibil eh’ ei bachi o eh’ ei marcisca s’alcun vapore entro di lui s’accende. 201 Qualche cosetta che lassù apparisca non è di quel momento che tu pensi. Tu hai pur, Bozio, qualch’ anno di bisca ; 207 a menadito le fughe e i compensi trovar dovresti a certo stravaganze : non hanno le parole doppi i sensi? 210 Un per sè, un per accidens l’instanze torrobbon tutte a quei che fanno il bravo con queste loro osservate sembianze. 213 Mi parrebbe haver ben l’ingegno pravo, so tal filosofia ch’è camoscina non consentisse a quel che da lei cavo : 216 trattabile e benigna disciplina, che vai per tutti i versi e segui franca dov’ anche l’ignoranza ti declina, 219 mentre all’ umana alterezza non manca umor di contrastare a torto a dritto, non sia la turba a seguirti mai stanca. 222 Tu se’ quel vento al cui spirar tragitto non solo il nocchior fa che ti seconda, ma quello ancor che contr’ a te s’ è dritto. 225 Perocché sì o no eh’ altri risponda ad ogni gran problema, non fallisce, tanto ne’ suoi principii ben si fonda. 228 S’ alcuno afferma che 1’ alma svanisce al dipartir di questa spoglia frale, o Tesser suo immortai costituisce, 23.1 219. là dove V ignoranza si declina. — 224. non soh Ja il nocchier che. 310 appendice, ha detto parimente bene e male in senso aristotelico. Or lo spaccio non avrà, Bozio, mercanzia cotale? 234 Vedi all’ incontro in che intrigo, in che impaccio si trova un geometra che la sgarri, e l’error gli si provi in sul mostaccio. 237 Dica i ripieghi, i suoi partiti narri, mostri s’ ha distinzion che lo ricuopra, s’ ha testo o chiosa, che ’l suo detto sbarri. 240 SI che il timor che ti mandò sossopra, o Bozio, e fé’ incettarti il bariglione clic ’l cinico, di casa in vece, adopra, 243 di])onde da una falsa oppinione eh’ abbian certe dottrino a pigliar piede, eh’ affatto son contrario alla ragione, 246 alla ragion di stato, che non chiede la verità da pochi oggi gradita, ma l’utile e l’applauso che no riedo. 249 Ver’ ò che questa brama ha pervertita la prudenza in alcun che troppo audace contrasta quel che la prova ha smaltita. 252 Salvando, o dottor Bozio, la tua pace, tu sfiondi gran fandonie mentre neghi con tant’ ardor quel eh’ al senso soggiace. 255 Se pura o se macchiata il Sol dispieghi sua luce, se la Luna è tutta in piano o in colmi o in cavi il suo dorso si spieghi, 258 son cose, o Bozio, che tu oppugni in vano. Nega più tosto quelle conseguenze che costor voglion tirar da lontano. 261 Dì lor che come niuno oggi in Firenze, eccetto il ciel sereno e Paolsanti ll) , può diacciar Arno ; così le licenze 264 240 . oh'affatto son lontan dalla ragione. — 247 . dalla ragion. — 2 ( 50 . certe conse¬ guenze. —- 262 . Dì lor siccome. 11 TAHGiom-TozZE'm scrivo: <■ Si cominciò a riporre l’inverno il diaccio por valersene restato a rinfrescare il vino, l’acqua, lo frutto ed nitro, et ha preso tanto piede questa delizia, che molti l’usano continuamente anco l’iiivorno ; ed è do¬ nno da notarsi l’agumento che ha fatto, perchè l’anno 1609 Antonio Paolsanti Amianto «li Camera del Serenissimo Gran Duca prese l’appalto del APPENDICE. 311 o i privilegi ilo’ filosofanti antichi su gli effetti di natura son dati ad Aristotil tutti quanti. 267 lii dà lo mosse a’ tremoti, egli ha cura della gragmiola, ed egli assegna i prati ove lian da star lo comete in pastura. 270 A certi geometruzzi ha sullogati qualcho moto lassù, qualche girella, ove si son con laude esercitati. 273 Ma che gli abbiali poi contro la coltella a volger, impugnando il suo decreto por cui la stessa natura favella, 276 senza di cui ella non tira un peto, so peti la natura però tira, ò pensier vano, superbo, indiscreto. 279 Egli è quel maiordomo che rigira roconomia del mondo, egli ò il fiscale, c ’l computista di’ il bilancio gira. 282 Egli ò ’l soprantendente generale cui ben convien eli’ ognuno osservi e guardi : egli è de gli ofiziali 1’ ofiziale : 285 egli ò l’ira di Dio, egli ò il Broccardi ll> . Piaccio per lir. 400 1’ anno (olio po lo comprò eia lui Madama Serenissima, c lo donò et applicò al mantenimento delle Monache Convertite) ». Cfr. No¬ tizie degli aggrandimenti delle scienze Fisiche acca¬ dale in Toscana tiri corso di anni LX del secolo XVII raccolto dal Dottor Ciro. TAiuiiONi-TozzErri, Tomo Terzo. In Firenze, MDCCLXXX, pag. 222-223. <*) Alfonso Broccardi, ufficiale della Corte Medicea. Cfr. nell’Archivio do’ Titti il « Ruolo della famiglia di S. A. S. », n. 309, car. 5 redo. Tassava per un faccendone, un sacceutono elio si dava da faro por tutto lo briglie c tutto quanto avveniva alla giornata. fata* . £± INDICE DELL’APPENDICE. Avvertimento.^ a fv 301 Satira di Iacopo Soldani contro i peripatetici.303 f LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME X FIRENZE G. BARBÈRA EDITORE SOCIETÀ anonima 1934 - XII LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume X. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE'NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO S. M. IL RE D’ITALIA E DI S. E. BEN ITO MUSSOLINI Volume X. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. SOCIETÀ anonima 1934 - XI1. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 459 Stabili 111 enti Poligrafici Riuniti • Bologna - 19 U 4 -XII Promotore della Edizione Nazionale 11, li. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. GERRUTI — G. COVI — G. V. SdiiAPARKLLI. Assistente per la cura del testo: UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO GLI AUSPICI! DEL li. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA li. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALI'] DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ABETTT. Coadiutore letterario: GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO 1 J AGNINI. CARTEGGIO. 1574 - 1642 . AVVERTI MENTO. Noi por mano alla pubblicazione del Caldeggiti Galileiano, erodiamo opportuno indicare brevemente le norme, secondo le quali abbiamo proceduto e procederemo in questa parto cosi grave ed ardua del nostro lavoro. Pochi altri Carteggi pos¬ sono adeguarsi a questo por importanza di documenti ; la quale attiene del pari e alla biografia, e alla scienza, e alle condizioni storiche dell’ età vissuta e con sì durevoli conseguenze modificata da Galileo. Lo lettore, siano di Galileo, siano di altri a lui indirizzate, siano fra terzi ma concernenti Galileo, vengono distribuite in un’unica serio, secondo l’ordine cronologico delle date; o non dubitiamo, per le ragioni che altra volta abbiamo largamente esposte che questo sia il migliore partito al quale potessimo ap¬ pigliarci. Chi apre il volume, distingue però subito le tre categorie : poiché alle lettere di Galileo è riserbato quel corpo di carattere maggiore col quale nei vo¬ lumi precedenti abbiamo stampato gli scritti suoi, mentre le lettere dirette a Galileo sono in uà carattere minore, e quelle fra terzi in altro corpo ancor più piccolo. Le lettere le quali sono state già pubblicato, o si dovranno pubbli¬ care, in altre parti della nostra Edizione, vuoi perché abbiano soltanto la forma di missive, ma si debbano riguardare piuttosto quali trattati scientifici, vuoi perché facciano parte integrale di scritture dalle quali non possano distaccarsi, non si ristampano nel Carteggio, ma sono richiamato al loro luogo : così è con¬ servata insoluta la continuità della serie. Al numero progressivo che è in capo a ogni lettera, il lettore troverà spesso apposti uno o due asterischi : con un solo asterisco indichiamo quelle lettere che non furono comprese finora nelle Edizioni delle Opere di Galileo; col doppio asterisco distinguiamo quelle clic da noi per la prima volta sono date alla luce. Ognuno vedrà, a semplice aperta di libro, di I 1 ' Cfr. Per la edizione nazionale delle Opere di Ha. Imposizione e disegno «li Antonio Fa VARO. Fi- Qulileo Galilei sotto gli auipicii di S. il.il Re d'ila- ronzo, tipografia di G. Barbèra, 18SS, png. 36-3*.). X. 2 IO A VVKKTIMKNTO. quanti documenti, o sparsi fino ad oggi in pubblicazioni diverse, o assolutamente nuovi, viene ad avvantaggiarsi la nostra Edizione: sono poi molte altre fi- lettere ili cui noi pubblichiamo brani inediti, talora assai lunghi e importanti, omessi, non sappiamo per quali motivi, da precedenti editori, «die della mutilazione non fecero neppur conno; moltissimo, quelle che in uno o in altro passo erano stati- siffattamente alterate, spesso per difficoltà di lettura dei manoscritti, da non dar senso alcuno, o senso affatto stravolto; ben poche, lo lettore nelle quali non ah biamo avuto motivo, seguendo la scorta degli originali, di introdurre numerose correzioni: così che possa dirsi, senza tema ili esagerare, che la nostra Edizione, la quale conterrà circa triplo numero di lettere in confronto della pili ricca tra le antecedenti t0 , sia da considerarsi, anche rispetto al Carteggio, non come ri produzione o compimento di queste, ma addirittura come opera nuova. in testa ad ogni pagina sono indicati, per comodità di chi consulti 1’opera, i termini di tempo entro cui stanno lo lettere che nella pagina stessa sono, o tutte o in parte, comprese, come pure i numeri progressivi di esso. In capo a ogni lettera ò messo in evidenza il nome del mittente, quello del destinatario, il luogo dovo la lettora è indirizzata, il luogo da cui fu scritta, e la data; e quelli di tali clementi che non risultano dall’originale di cui ci serviamo, ma sono aggiunti da noi per induzione, si chiudono tra parentesi quadre. A ogni lettera ù premessa pure una breve informazione, che dichiara da qual fonte noi riproduciamo la let¬ tera stessa, o quando sia da manoscritto, come avviene quasi sempre, indica con precisione bibliografica dove il manoscritto stesso oggi si trovi, se sia tutto auto¬ grafo, o autografo soltanto in parte (V , o originale, o copia, e in quest’ultimo caso determina, per quanto abbiamo potuto, l’età e l’autorità della copia rii altri particolari clic possano essere presentati talora dai manoscritti, è stato pur fatto ricordo, di volta in volta, nelle informazioni. Lo lettere di Galileo e quelle a Galileo sono pubblicate, com’è naturale, in¬ tegralmente, non escluse le intestature, le sottoscrizioni k o gl'indirizzi interni ed esterni, che dr. molti dei precedenti editori sono stati omessi iS) ; da quelle di <’* Volli Per la edizione nazionali: delle Opere di Galileo Galilei natta gli ausjdeii ili S. M. il II,- il'Italia. In'lice, cronologico del Carteggio Galileiano, per cura ili Antonio Fayabo. Firenze, tipografia di G. Gar¬ berà, 189G. **' Diciamo autografa la sottoscrizione, quando, oltre ni nomo e cognome dello scrivonte, ò autografa nnebo quell'espressione officiosi» d’ossequio (Ohliy. m <> Ser. rr , Al piacer mio, Per servirla, oec.), elio suolo pro¬ cedere In firma; invoco, diciamo autografa la firma, quando questa sola sia di pugno del mittente. ‘ " Circa lo vi conilo corse dagli autografi o circa Foi-igino di alcuno copio, cfr. soprattutto Documenti inediti per la storia dei Manoscritti Galileiani nella Dildioteea Nazionale di Firenze pubblicati ed illustrati da Antonio Favai»», nel /iullettino di hihlioyraft<\ e di storia delle sciente matematiche e fisiche, T. XVIII, 1885, pag. I 11-2 e IM tJffi). 1 " Alcuno sottoscrizioni, «» firme, di (1ai.ii.ko n dui corrispondenti più importanti, lo riproduciamo, dagli autografi, in facsimile. |5> Invoco non abbiamo tonato conto, per regola, deirabitudino di Gai.ii.vo di scrìvere a tergo dolio Ietterò il cognome <> il nonni del mittenti»; la qunlo abitudine attiono all'ordinamento elle Qai.ii.ro stesso facuvn di parto almeno della mia corrispondenza (cfr. Antonio Favaio», /fornimenti inediti noe., pag. II). Abbiamo bensì registrato (nollo informazioni promosso allo lotterò) si (Tatto notazioni di Gai.ii.ko, quando al nome d n l corrispondente era aggiunta qualche altra AVVERTIMENTO. il terzi ci siamo limitati spesso a stralciare i tratti o capitoli che concernono Ga¬ lileo: sarebbe stato intatti partito del tutto inopportuno e sconsigliato riprodurre pili e pili pagine, relative a materia del tutto aliena, soltanto perchè in mezzo ad esse si trovano poche righe che riguardano il Nostro. Quando omettiamo noi una parte d’ una lettera, indichiamo 1’ omissione con tre o quattro puntolini ; mentre non poniamo alcun segno, quando dalle fonti, a cui ci è dato attingere, abbiamo, e non per materiali guasti del manoscritto, incompleto quel documento. Come abbiamo proceduto nella cura del testo in casi speciali, e soprattutto quando uno stesso documento ci era offerto da fonti diverse, è detto nelle in¬ formazioni premesse a quelle lettere: qui basterà avvertire che ci siamo attenuti alle fonti, fossero manoscritte o stampate, autografi o copie, con fedeltà anche maggiore di quella usata nei volumi precedenti delle Opero. Invero (parlando più particolarmente delle lettere scritte in italiano) non solo abbiamo rispettato, massime quando avevamo gli autografi, i periodi viziosamente costruiti, non ri¬ ducibili a nessuna certa sintassi, che in questa prosa epistolare sono,frequenti e che da altri editori sono stati costretti, con arbitrarie e non lievi correzioni, a diventar regolari; non solo abbiamo conservato le forme idiomatiche, siano les¬ sicali, siano morfologiche, ad oprate da ciascun corrispondente, per quanto si di¬ scostassero dall’uso che suol considerarsi più corretto ; ma anche riproducemmo dalle fonti, di volta in volta, la grafia, sebbene spesso non ortografica, limitan¬ doci soltanto a sciogliere, in generale, le abbreviazioni l,) , a distinguere gli u dai v e ad aggiungere i dopo c t g, gl , dove fosso necessario per indicarne il suono pa¬ latino, e mantenendoci libertà nell’uso delle iniziali maiuscole o minuscole, degli apostrofi e degli accenti, nella separazione delle parole, non che nell’interpunzione, la quale, per la maggior parte, è nostra. Potrà qualcuno rimproverarci le diffor¬ mità che così vengono a conservarsi, e che non sempre saranno da attribuire all’essere diversi gli autori; ma trovandoci di fronte a fonti così disparate e a scrittori così differenti, ora fiorentini, ora d’altre città della Toscana, ora d’altre parti d’Italia, ora stranieri che scrivono più o men bene l’italiano, in qual modo potevamo noi creare un’ uniformità, che sarebbe stata affatto artificiale? Noi non ci credemmo lecito nè di sacrificare le native fattezze degli autografi, per confor¬ marli alle copie manoscritte o alle stampe ; nè di far riassumere a queste poi- forza quella veste genuina che fu loro strappata, esponendoci al pericolo di ag¬ giungere agli altrui i nostri arbitrii. notizia, die potesse servirò <1’ illustraziono alla lot- scritto in capo alla lotterà, sull'angolo superiore a torà, o quando anche il s(implico fatto del leggersi sinistra, elio è traccia di scolto o ordinamenti fatti quel nomo di pugno dol Nostro potesse avoro spo- in tempi diversi, occ. cinlo valoro, p. e., perchè, trattandosi di una lettera <*' Abbiamo conservato, per regola, senza scie- fra terzi, dimostrasse elio ossa era pervenuta in mano glioro, quello abbreviazioni elio, rispettato, sembra di Uai.ii.ro. — Non teniamo poi nota degli appunti mantengano di più l’originalo carattere ni documento: di mani antiche, ma posteriori a Ualilko, elio si log- p. o., lo abbreviazioni dei titoli o degli epiteti Dili¬ gono su alcuno lettore: p. e., del nomo del mittente ciesi, cosi frequenti nel secolo di (Jai.k.ko, occ. 12 AVVEKT1MENTU. T,a fedeltà, che credemmo doverosa, alle fonti, non spingemmo però tino al punto di conservare nel testo quelli che manifestamente non potevano giudicarsi altro che o trascorsi materialissimi della penna dello scrivente o errori del e,.pista o al¬ terazioni dell’editore o sbagli del tipografo: in questi casi pertanto abbiamo cor¬ retto il testo, e la lezione errata abbiamo registrato, quando metteva conto (ciò* soprattutto quando veniva da autografi, e specialmente di Galileo), appiè di pa¬ gina 10 . Quivi sono stato notate anche quelle parole o frasi (sempre eh e abbiano qualche importanza) che si possono leggere negli autogrill sotto le caneellature, e che poi furono o cambiate con altre o del tutto omesse; e h|hsso è tenuto conto dell’essere un tratto, piò o meno lungo, aggiunto (ben a intimile, ove non sia avvertito in contrario, dallo scrivente stesso) tra le linee o in margine. Le lacune, anche soltanto di parti di parole, che dipendono da guasti dei ma¬ noscritti, sono stato indicate con parentesi quadri!, dentro alle quali abbiamo supplito ciò che ò andato perduto, o abbiamo posto ilei puntolini quando non ci parve abbastanza certa la supplitimi. Alle parole di dubbia lettura soggiungemmo, tra parentesi, un punto interrogativo; nei pochi luoghi poi no’quali non ei riuscì, nemmeno con l’aiuto di persone praticissime, d’interpretare la scrittura, po¬ nemmo dei puntolini tra parentesi di questa forma < >. Nò ci astenemmo di notare con sic qualche parola, o qualche tratto, di lettura, per contrario, sicuris¬ sima, ma che per uno o per un altro motivo potrebbero far sorgere dubbi in chi ha dinanzi solamente lo stampato nostro. Le collazioni delle fonti manoscritte furono fatte e ripetute con ogni diligenza da noi per tutte le lettere che si conservano nello biblioteche o negli archivi di Firenze, e per alcuno di quelle che sono in altro città d’Italia; per le lettere clic non potemmo direttamente vedere, abbiamo fatto ricorso alla cooperazione di molti altri studiosi, ai quali ci ò caro rendere qui pubbliche grazie. Nono¬ stante però le cure che abbiamo usato per avere precisa cognizione delle fonti anche no’ più minuti particolari, non ci farà maraviglia so alcuno, riscontrando quei codici che non potemmo noi stessi avere a mano, troverà elio non sempre sia stato proceduto nelle collazioni con piena uniformità, o che qualche svista sia incorsa: difetti inevitabili, massime quando le collazioni non sono fatte tutto dalla stessa persona; ed errori scusabili più facilmente, quando chi collaziona nè ha speciale pratica delle abitudini grafiche dello scrivente, nò può acquistarla mediante opportuni confronti, non avendo forse a sua disposizione che o quello soltanto o pochi altri autografi della stessa mano: e questa era la condizione in cui si trovavano spesso i nostri coadiutori. Chi conosce, ilei resto, le diilicoltà delle scritturo familiari dei secoli XVI e XVII, e sa quale cumulo di cure minuto e ni Abbiamo bensì consorvnto noi testo, con esat- di snono palatino!, qnnndo chi irrlTAfn fosse persona tozza affatto diplomatica, qnalsinsi pifi materiale or- affatto illetterata : noi qnnl caso, ogni ritorco, anche roro (o noininouo abbinino aggiunto i dopo e, y, gl Uovo, avrebbe alterato la fisonomia del documento. AVVINITI M1CNT0. 13 incessanti domanda una pubblicazione qual é la presente, non ci sarà avaro d’indulgenza per i difetti che potesse notare nell’opera nostra. Diversamente dai volumi precedenti, nei quali alle scritture scientifiche o let¬ terarie non soggiungemmo illustrazione alcuna, abbiamo apposto alle lettere brevi note; ma queste volemmo, per regola, clic fossero contenute nei limiti dei dati sicuri di fatto e di ciò che fosse necessario, o almeno molto opportuno, per l’in¬ telligenza del testo, astenendoci dal divagare con facile erudizione nel campo delle ipotesi o dello illustrazioni superflue. Perciò queste note consistono il piò spesso in rimandi agli altri volumi della nostra Edizione 10 , o in citazioni di titoli di libri menzionati: dei corrispondenti e delle altre persone ricordate non è data alcuna notizia (tranne che spesso abbiamo soggiunto in nota o il Cognome o il nome, dove lo scrivente dò. soltanto o il nome o il cognome), poiché riserbiamo, per regola, ogni illustrazione biografica a un Onomastico clic pubblicheremo albi line dell’ Edizione. E invero, poiché il nome della medesima persona ricorre spesso in lettere diverso, nò sempre vicine di data e neppure contenute in uno stesso volume, sarebbe stato poco opportuno così lo apporre 1* illustrazione dove s’in¬ contra la prima volta e a questa rimandare negli altri luoghi, come lo sparpa¬ gliare lo notizie in vario note. Alla fine di ciascun volume del Carteggio saranno l’Indice cronologico e l’In¬ dice alfabetico, secondo i nomi dei mittenti, delle lettere in esso contenute; o un doppio Indice generale, cronologico ed alfabetico, sarà posto alla line del Carteggio intero. **> Oitinmo sposso il Voi. XIX, nel «pialo puh- diente la pagina, coll'aiuto dell*Onomastico elio puli- lilichoromo i nocumenti c«>nccrnunti (ì aulico (cfr. Idiclioroino in fino doli’ Edizione, noi «piolo sotto lo l‘rr In i-ilhiour mixi'inulii «uro. r iliacyno stosso nomo troverà citati o la lotterà o il docu- r.it., pag. Dolio citazioni di (pmstn volumi) il lui • monto, a cui por la illustrazione «lolla lotterà ri- toro potrà sei virsi agevolmente, solilxiuo non sia in- mamliumo. CARTEGGIO. 1574-1610. 1*. MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI in Firenze. Pisa, 13 gennaio 1671. Bibl. Nuz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 1. — Autografa. ....Ilo ricevuto Io schizntoio et il pallone per Galileo, et i libri por il Corvini, che se li manderanno con la prima comodità; al quale Galileo pagai lire cinque per il mese, che li portò al maestro. Mandai, vedendo tardare il lino che aspettiamo di Livorno, Iil>. 100 ili altro lino nlexandrino, bello e buono, alla vostra donna, la quale se n’è chia¬ mata contenta, acciò che non ai stessi ; et non gli mancherò di quanto potrò, sempre: et so non ha vessi M.“ Lucrezia malata, sarei stato di parere che in questi travagli la se ne lusso stata un mese in casa mia; ma non si ricerca: oltre che, la bambinai è tanto fantastica, che a chi non ò uso pare insopportabile. Però gli ho detto che dica so la vuol nulla, chè io non mancherò di far quanto potrò: perchè, sendo occupato 10 sempre, non posso far di quei servizi che bisognerebbe; ina non mancherò di suplire con la borsa. Ilo saputo che havete pagato al Ciacchi lire i., che hnvete fatto errore, che non bi¬ sognava, sapendo massime che vi sono debitore indigrosso: pure io ve u’ ho dato credito, al conto a parte. Tenete anco voi conto, chè è bene... , (3) . 2 * MUZIO TEI)ALDI a VINCENZIO GALILEI [in Firenze]. • Pisa, 9 febbraio 1674. I capitoli di questa o della seguente lettora furono pubblicati da Giosuprn Campititi a pnir. 586-587 del Carteggio Gulileano inedito (nello Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Mmlena, Tomo XX, Pur. II. In Modena, 1881); o noi non abbiamo potuto riscontrarli sugli originali, non osson- (•) A proposito di costei cfr. il n.° 4. ( 3 ) Ct'r. Voi. XIX. Doc. V, a). (*) V irci ini a, sorella di (1ai.ti.eo. X. 18 !) FliBHKAlO — IO MAKZ*> 1571. (2-»l dosi piti ritrovati questi (nò quelli di nlcuno altre letter. pur «-dit.- por I» prima r-IU dal :'*vro«t| iielln raccolta di autografi lognla dal Oamhubi stesso alla liiblioUc* K«tena« di M h-un. Riprodu.-..nd<- la lozione dui Cakimiki, Ih correggiamo in niellili luoghi. eli.ghiaino appi di pagina Pisa, !• Febbraio 1571. Da domenica in qua, ho papato por voi li appresso denari: A AI. 4 Giulia, vostra donna, lire sette. 7. Ài maestro di Galileo, portò Galileo, lire cinque. '• Per un sacco di grano latto macinare a richiesta di delta Al.* Giulia. lire sette. -7. Per poliza o mulende. 1- '• Il tutto lire 8.10. Tutto sono lire venti, soldi 10, de’ quali uu farete creditore Credo che per questa gita non hnrete lettere da Galileo, perche \i scrive mercoledì, io atteso che domani è S. Guglielmo, lesta della nostra Compagnia ' : ma vi io lede che -mi tutti sani et di buona voglia, ot la bambina e lutti, eccetto vostra donna, et tutti molto vi si raccomandano. Galileo ha tramutato la muacheru m un paro di pianelle, cuu cosi ai è contento. 8*. MUZIO TEOALDI a VINCENZIO GALILEI |in Firenze]. Pisa, in marzo 1574. Vedi la informazione promessa alla lotterà precedente. Pisa, 10 Marzo 1Ù71 La vostra donna e tutti di casa stanno bene, et tutti sdii saio ... Vi mqiettiauio con desiderio. Lctt. Q. 3-y. Il CaMPORI leggo : .4 .1/.“ (1iulin ... «C. irti- .. \l munirò ili liiilil,.. . . ir. riut/ne Per Idi meco . . . se. selle . . . Per polisti /■ mule mie 1 ó. Il tulio p. 8.10. Tulio « -no remi IO, ile tptnl, . . Correggiamo col confronto dulie dno segmenti partito, le quali si h-gmeio in un t ohi»» r-•rr»-nt ■ di date o avere (cfr. Voi. XIX, Hoc. VI fra Muzio Tkdai.w •• Yinckxzio Hai imi: E .ufi 8 di /ehm.. [ | <»741, lire portò M." Giulii i, e lire 5 Galileo; lire 7P. E adì H iletto , per inerti ì ri*.» futi,, /tinnii hn 8.1" il'.il-l NitZ. Fir., filza intitolata -sul dorso I. Galileo. Scritture, /strumenti, Jnemtarj eie. upjmrtenenli ili met/mmo, u suo Patire e a'suoi Discendenti, per lo più ori pi nuli r aulogrtij I, par. 7r.l. Ifr. Alleilo l.ett. 1. liti. 2 H. La somma di lire otto e soldi dieci, identica nel documento o nulla lotterà, mostra non u^ore fwtto nulla lotterà lo due precedenti cifro di 7 o 1.5. — lt». Il L'ajipohi logge perekì si scrìve. — 12. Il Campiiki logge lutti savj. Cfr. qui appresso, Loti. 8, liti. 2. 1,1 La « Compagnia ► o * Fraternità di S. Gu¬ glielmo >, alla quale Vinckxziii Galilki era stato ascritto addi 21 marzo 15GG. — Vedi R. Archivio di .Stato di Firenze: Archivio del Patrimonio Kcclesin- stico della Itiocesi di Pisa: V. xxxvi, 3, Libro d< i Partiti, 1548-1575, i-ar. 57 r.; • Vino, (ilulilei con 25 fave nere e 4 bianco. • Vedi nncoin nel medeai ino Archivio, K. nxxvi, II, a cnr.nl, .• 12 a oar. !:r. 4 GENNAIO 1575 — 2SJ APRILE I f>78. iy l«l 4 *. MUZIO TEDAUDI « VINCENZIO GALILEI in Fireuzo. Pisa, -1 gennaio 1675. Blbl. Naz Fir. ApponUico aì Mkb. (lui., Filza Fnvnro A, cur. S4. — Autografa. Mollo Mag/ 0 «■ llon.' 1 " Compare, Ricevei la vostra con uun per il Rettore, la qual detti subito; et, mi rallegro del sen- tire olio la comare u voi o I putto stiate tutti bene, insieme con li altri, et liarò caro intender clic Galileo vedi acquistando nelle virtù et nelle lettere, et elio la Virginia vndi c.rosciendo. perchè tutti li amo come me stesso, scudo voi come un altro me medesimo_ Quanto a M. tt Lucrezia. Ilio gli perdoni, che è perfida donna; ma purga i suoi di¬ letti con lo star ili conliuuo in travagli e dolori inori di misura: et io porto questa croce per vedere il line di questa nostra pratica; oliò se mangiai unii pesco con seco, di¬ gerisco le lische. Dio vi doni ogni bene. io Di Risa, il dì 4 di Gennaio 1575. Vostro Compare Muzio T e d a 1 cl i. Fuori: Al Molto Mag.‘" Mesa. Vine." Galilei, Compnro Osser."' 1 ’ In Fiorenza. 5 *. MUZIO TEDALDI » VINCENZIO GALILEI in Firenze. Pisa, 29 aprile 167K. Blbl. Nuz. Fir. Appendice aì Mss. Hai., Filza Kavaro A, car. 6. — Autografa. Molto Mag. 00 et Hon.' 1 " Compare. Ter la vostra ho inteso quanto havete concluso con il vostro figliuolo; et, come, volendo cercar di introdurlo qua in «Sapienza (l \ vi ritarda il non esser la Dartolomea '*> maritata, anzi vi guasta ogni buon pensiero; et che desiderate che la si mariti, e quanto prima. Le considemtioni vostre son buone, et io non ho mancato nè manco di far quel¬ l’opera che si ricerca; ma sino a qui son venuti tutti partiti, per non dir obbrobriosi, poco aproposilo per lei; et l’ultimo fu un dipintore, che ha due figliuole, una grande, il quale qua si lui acquistato tanto nome di fracido, che non merita di parlarne. Et so non funse per non entrare in novelle, vi direi che chi vi dice et chi vi ha eletto tante cose. IO credete che non sia nè buono nè presso; perchè se io non vi tenessi il mio pattino e (*) Cioè nel collegio dovi* erauu ospitati e spe- ('•’) Figlia di Ermellini Ammansati i* nipote di siiti quaranti scolari toscani dolio Studio. Vincenzio Galilei. 20 20 APRILE — 16 LUGLIO 167H. non vi fusai spesso e non vedessi, sarei l'orso dell’oppinion vostra: ma In ionia fortuna di quella fanciulla, et In malignità delli uomini, et il poco governo, e ’l troppo fidami .Ielle donne, causa questo. So ben ohe la fanciulla non ha in sé se non buone parte, et per il buon governo che l’ha fatto et fa al mio puttino io li sono obbligatissimo, oltre che ne’mia bisogni, dopo che Dio mi ha lassato di cosi, mi son valso sempre dell* opera loro; et hoggi, che ho maritato una balia che era rimasta a mia custodia, M ‘ Ermellini* 1 per sua grafia mi ò venuta a custodir la mia casa; et bo quanto io ho giovato n tutte. <-t quanto giovo, a fino non babbitt a riuscire quel che le gente si promettono; et, he posso, voglio operare che in quella casa non entri lumino, sì comedi già si è operato «die Me-- Iacopo se n’è levato interamente; et se M* Porntea rt > farà a mio modo, farà «ì che le lingue non 20 habbin che dire; et so io sarò nel numero, non me no curo, perchè «o ohe l'andarvi per me è a buon fine, et poi sono fiorumi in età da dar poco sospetto di me Kt per concludere ar¬ disco di dire che credo clic la lkrtolomea sia così canta come qual si vegli pudica fan¬ ciulla; ma le lingue non si possono tenere: pure io crederrò, con Paiuto che do loro, di levar via tutti questi romori et farli supire; per il che a quel tempo potrete facilmente mandare il vostro Galileo a studio: et se non harote la Sapienza, baivi.• la cani mia al '«>dro piacere, senza spesa nessuna, et così vi olierò et prometto: ricordandovi che h* novelle «oli coinè lo ciriegie; però è bene credere quel che si vede, e non qm- chesi -- lite, parlando di queste cose basse: perchè se io non sapessi le cose, ancor io Minto dir farfalloni clic si piglierebbono con lo molle, come, se occorressi che io venisse una volta costi, vi farci 30 toccar con mano, per la fedo che so che è fra noi. Non mancherò, all’ occasione die si porgeranno, proccurare l’utile e bone della fanciulla, come se propia sorella mi fuaee. Stato sano, il che Dio vi conceda. Di Pisa, il dì 29 di Aprile 79 lS) . Vostro Compare Muzio Te da Idi. Fuori: Al molto Mag. co Mesa. Vino. 0 Galilei, Compare Ossei " 0 , in Fiorenza. Fiorenza. Data a Pier Francesco Lupini, di contro al monte da Torrigiuni. 6 * MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI in Firenze. Pisa, Iti luglio lò7». Blbl. Naa. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. YJ, car. 6. — Autografa. Molto Mag. c0 et Hon. do Compare, Perchè le cicalerie degli huomini, che badono a 1 casi di altri, son tanto che non hanno nè fino uè fondo, io non mi distenderò, per rispondere alla vostra, molto a lungo; et l'altra Erìif.u.isa Ammansati, sorella della moglie i*> Dobotka Ammanitati. di Yinoknzio Galilei. <») pj gtile pisano. 21 11» LUGLIO 1578 — [1588]. gita restai, scudo «tato 1 giorni oppressalo dal mal di fianco: et dirò solo che mi è grato di saper olio huviate rihavulo (Galileo, et che siate
  • Di stilo pisano. <*) Vedi Voi. I, |iag. 18-1-185. 22 {1568) — 6 GENNAIO I68f*. |?-fc] struttione si variina da quello che erano nella proposta. Kt benché questo lenutm non sia il medesimo con la nona d’Archimede, nel 2* trattato del Tartaglia, par inni di meno nato di là, et sotto la forma di quella proposutione con» tritio, **t ornile ad una proposi- tione die egli già molti anni fece, nella quale, si come Archimede • 'glie i due quinti della massima et l’amico di V. 8. un quarto, egli toglieva un ottavo, seguendo, ne l'altro, con simili pròportionalita, nel lor genere. Kt dice non esser molta fatica, seguendo la lo forma il’Archimede, formarsene assaissime. Quanto al teorema, egli dubita se il contro del pezzi* della piramidi* ma il punto o: per ciò che, stando la doffinitione del centro delle gravita de' corpi posta da l'appo et adopratn dui Marchese Del Monte nelle Mecaniche, non segui* clic se per I" centro o supposto passerà un piano, quel pezzo si divida in due parti ugualmente petenti, come dovria quando fosse veramente il centro. Kt il Comandino, olio la medesima imitcìm trntt.* nel libro iJc centro f/ravium alla xxvi propositione, molto più a'acconta a trovar il centro, che non par che faccia questa demonstrationc. quantunque da quella del Comandino non sia molto differente. Et questo è quanto egli a bocca mi riicrisce; et io lo bacio la mano. L*o 8 . GATJT.KO n CRISTOFORO 0I.AV1O in Roma. Firenze, 8 gennaio 16«f. Qiiostn e le altre tetterò di (jaui.ro al I*. Ckihtoporo Ci.avio soli" itati* ri- n'»t. «'urti •!* mti**. ■*hi* prima del 1870 si conservavano a Itomi» in una delle Taso detta l’omp urnia >tl Ui*»m Pi tain rt«*..ntr« siamo debitori alla cortoso mediazione del P. KkanczsOo J-.iiklk, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Molto Mag . 00 et. Rev.' ,n mio S.*’ Panni hor mai tempo di rompere il silenzio sin qui usato con V. S. M. R. da che mi partii di Roma, sì j>er rinfrescarli nella me¬ moria il desiderio che ho di servirla, come ancora per darle occa¬ sione di satisfarò al desiderio mio, che è d’intender nuova di lei et sentire il parer suo circa alcune mie difficoltà; dello quali una è que¬ sta, che con la presente gli mando, intorno alla dimostrazione del- V infrascritto lemma, la quale desidero saper da lei se interamente gli quieta l’intelletto, atteso che alcuni, a i quali qui in Firenze l’ho mostrata, dicono non ci haver V intera satisfazione, non tollerando io volentieri quel doppio modo di considerare le medesime grandezze in diverse bilancia, come benissimo V. S. M. li. nella dimostrazione 1*1 8 GENNAIO 1588. 23 scorgerà. Io ho cercato molti giorni con diligenza qualche altra di¬ mostrazione, ma non trovo cosa alcuna, salvo che a dimostrarla per induzione, il qual modo di dimostrare a me non satisfa molto. Io sono per anteporre il parere di V. S. M. li. ad ogn’altro: et se la vi si (juieta. mi vi quieterò io ancora; quanto che no, tornerò a cer¬ care altra demostrazione : però desidero che quanto prima mi favo¬ risca scrivermi 1*opinion sua. 20 Io credo che nella dimostrazione di quel teorema del centro della gravezza del frustro del conoidale rettangolo, che lasciai a V.S.M. R., vi sia una scorrezione, poi che è ancora nell’ originalo d’ onde la copiai; et. dove credo che dica: Quam aidem rationem hai)et composita ex ns et tripla sx ad compositam ex ns et dupla sx, si deve leggere: Quam untemi rationem ìuihet composita ex ns et dupla sx ad compostimi ex tripla atri lingue simili ns, sx ll . Questa scorrezione è di poca im¬ portanza; ma se ci fossero errori di momento, desidero che la mi fa vorisca avvertirmene. Credo che questo che li porgerà la presente, sarà Pili. 1 * S. Co- ao simo Concini, mio amorevolissimo padrone, nella cui grazia desidero esser conservato con il favore di V. S. M. R., che so che in ciò varrà assaissimo; et al medesimo, volendo degnarsi di rispondermi, potrà consegnare le suo, et esso per sua. cortesia si prenderà diligente cura che io le habbia. Sto aspettando intendere che il suo trattato sopra 1’ emendazione dell’ anno sia uscito in luce 121 . Et con questo fine, pre¬ gandola ad amarmi, comandarmi et ricordarsi di me nelle sue ora¬ zioni, le bacio le mani. Di Firenze, il dì 8 di Gennaio 1587' 3 ’. l)i V.S.M. li. Prontissimo Servitore 40 Galileo Galilei. Fuori: Al molto Rev.' 1 " P.re et mio S. r Colendissimo 11 P.re Ckristoforo Clavio, Matematico Eccell."‘° Roma. in Vedi Voi. I, jmg. 197, li». 28-24. i ?1 Fu pubblicato noli’mino segnonto: Noci Ca¬ lendario Romani Apologia advernu ilichuelem Macai- Unum fi aeppin grumi, in Tabigeuti Ara demia tnalhe- mali rum, trillila libria exjdicuta. Autori! Christophori» C1.AY10 Bamborgeiiai, o Sociotatc losu. Rolline, apuli Sanctimn et socios. MDLXXXV1II. < 3 ' Di stile fiorentino. 24 1U GENNAIO 15b& L»J 9 . CRISTOFORO OLAV IO a GALHJfiO m Firenze. ltoma, 16 gennaio 1568. Bibl. Naz. Fir. Ms». (lai., !’. VI, T. VII. cur 7.— Autografa. Molto Mag. co S. or mio Osa.® Ho ricevuto la lettera di V. S M a me gratissima por intendere corno ni ricordi tanto particolarmente di me, si come lo fo anco io di lei. Circa il »uo lemma diri) brevemente quello che mi pare, bencliò adotto sto molto rimoto di queste spe- culationi de aequiponderantibus, le quali, come V. S. sa bene, ricerconu grande at¬ tuatone : ma però, per sodisfarla, dirò il mio parere. Il supposto, adunque, mi piace: ma quanto alla dimostratone, non mi d»\ fastidio quel doppio modo di considerare le medesime grandezze in diverse bi¬ lancio, perchè Archimede fa quasi il medesimo nella prop. (i d. 1 lib. 1 he arqtu- ponderantibus; ma quando, nella libra nd°\ nel d pende In massima ot nel ri la io minima, suppone V. S. che al bora il medesimo punto x sia il punto dell’equi¬ librio di tutte, sì come il medesimo ;r si pone il punto dell'equilibrio quando la massima pende nel a et la minima nel h, nella libra uh; il che paro che ri¬ cerca d’essere dimostrato, altrimente mi pare quoti prtilur prmeijiiutn. Se co¬ stasse che'1 punto x fosso il punto dell’equilibrio nella libra ad, sì come gl’è nella libra uh , mi pare, secondo il mio poco giuditio (stando adesso cosi remoto di queste speculatomi, che la sua dimostratone proceda bene. La ring ratio poi della correttone della dimostratone del centro t/rat ifatis del Iìuisto del conoidale rettangolo, a me mandata. Io non ho ancora havuto tempo di vedere detta dimostratone. Spetto occasione che possi un poco rinfrescare la memoria di questo studio, et gli scriverò sinceramente quello che io sentirò. Quanto al trattato del calendario, 1’ ho finito, ma 1’ ho da rivedere co ’l Car¬ dinale di Mondavi, il quale è occupatissimo et trattiene questo negotio. M’avvisi con che via gli potrei mandare uno, quando sarà stampato, chè gli manderò vo¬ lentieri uno Vo adesso rivedendolo, con aggiungerlo qualche casetta; et il me¬ desimo fo nel Euclide che presto comminciarò di stamparlo. Il b. Cosimo Concini non ho visto : forse io non ero in casa quando portò (*) \ odi la figura a pag. 188 ilo! Voi. I. dati. Àut torc (’hkistoimioro Ci.avui IlamU-rgi-iiM, (*) Cfr. n.® 8, li». 84-35. Societate lesa. Cotonine, nxJtpeiish loti. Ilaptistae dot- < 3 ) Ruoli di. s BUmentorum libri XV, occ. mine ti. CIO IO XCI. tortici oditi, smnmaque diligentia recogniti atquo Amen- 25 16 GENNAIO 1588. la lettera. Quando lo vedrò, farò l’officio di buon cuore. Con questo fo line, of¬ ferendomi in ogni sua occorrenza quanto potrò. 20 l)i Roma, alli 16 di Gennaro del 1588. Di V.S. Servo nel Signore Christoph. 0 Clavio. latori : Al molto Mag. c0 S. or Galileo Galilei, mio Oss.° Firenze. 10 . GIJ1DOBAT/DO DEL MONTE a GALILEO in Firenze. Pesaro, 10 gennaio 1538. Bibl. Naz. Fir. Mss. fluì., P. VI, T. VII, car. 9. — Autografa. Molto Mag.®° S. r mio Ilon. do Si scusa V. S. nella sua, che troppo liberamente e con troppo ardire viene con la sua lettera, a me certo gratissima, a ritrovarmi, convella sia per fasti¬ dirmi; ma non si avvedo che con troppo ardire et troppo mi lauda, fuori di ogni mio merito. Ma in questo conosco che ha voluto notificarmi l’animo suo, certamente verso di me troppo cortese; dove io l’ho da ringratiar di due cose: 1’ una, deli’ havermi troppo honorato et esaltato; l’altra, del favore che mi ha fatto a mandarmi il suo teorema, che veramente gliene resto obligatissimo, et a me è piaciuto assai, massime che V. S. ha voluto immitar Archimede nelle due io ultime propositioni De aequeponderuntifms : il qual libro fra pochi giorni sarà mandato fuori da me comentato (0 . Che se ben il libro d’Archimede non ha troppo bisogno di comento, non ho però potuto mancare di non farlo; e perché sarà fra pochi giorni finito di stampare, io ne mandarò uno a V. S., se però saprò dove ella sia per essere, sì che la prego ad avisarmene. E perchè nella sua mi dice di haver altre cose sopra i centri della gravezza, a me farà sempre favor grande a farmi partecipe delie sue cose, che, per questo saggio che mi ha mandato, non possono se non essere di esquisita dottrina ; dalle quali so che non potrò se non imparar assai, havendo conosciuto in questa una esquisita et profonda scienza, et un modo di trattar molto bello et assai suo- 2 u cinto o breve. 1,1 Gi’idicbai.im k Maroiiiohibus Moxtis A» duo* //in illustrata. Pisauri, apud llierouvnium Con cordiali), Archimeli ìs acqucponderiintium librot puraphraeie, sciti)- MDLXXXVIU. X. 4 HI UKNNAIO — K» KKBHHA10 158S. 2(5 UO-11] Fra alcuno lettere, die molti giorni sono occorsero frii il Padri ('laviti et me, io le scrissi clic P ultima del Coimnaiulino, Decentro gravitati» sntidunm 1 , non era buona per non esser universale; il qual l’mlre mi mandi» poi la sua dimo- strationc, assai diversa da questa di V. S. Et ho liavutn caro ehi* qinMa >ia stata buona occasione di li aver havuto a conoscere, al meno per lettere, V. S.; dove la si pò assicurare di liaver uno, che in ogni sua occorrenza non laseiurò occa¬ sione ili servirla. Sì che la prego con tutt* il core a noli restar il» comandarmi liberamente : e le haseio le mani. Di Pesaro, alli Hi di Gennaro ilei lóss. Di Y.S. Sor/" Guidobaldo de' Marchesi del Monte. Fuori: Al molto Mag. co S. r mio llon.' 10 . 11 S. r Galileo Galilei Eioren/.a. 11 *. ENRICO CAETANI ni SENATO ni Holouna. Roma, 10 fubbraiu 158* Arch. di Stato in Bologna'*'. Archivio del Sonato. Itaggiumuta. Lottare doll'Anibasciat Cfr. n.° u. 28 25 FEBBRAIO 1588. 1.121 atteso che del medesimo composto uno è il punto dell'equilibrio, et 20 le sue parti componenti perii diverso modo di considerarle non va¬ riano sito 0 grandezza. Ma. forse meglio dichiarerà l’intentione mia la figura che con questa gli mando, nella quale (e tanto serve al mio a m 0 x i d _____ e n n n n 0 0 0 0 n r r r k a s h t 9 f bisogno) pongo le grandezze congiunte. Tosto dunque clic di tutto il composto il punto dell’equilibrio sia 2, il medesimo indubitatamente sarà o se io considero tal composto costare delle parti f , <1, h, k, n, o delle parti n,o, r,s,t ; atteso che, o compongasi dell’uno o dell’altre parti, sempre è idem numero compositum : et quando io lo considero esser composto delle f } g, h, k, n, sono le grandezze disposte ordinatamente nella libra ab ; et considerandolo composto delle n, 0, r, s, t , sono le «0 parti con ordine contrario distribuite nella libra ad : onde, per il po¬ stulato che io pongo, mi pare poter concludere T intento mio. Questo è quello che mi la per ancora credere buona la mia dimostratione ; il che quando non satisfaccia al molto giudizio di V. S. li., preponendolo al mio poco, mi affaticherò in qualche altra investigazione. Intanto V. S. R. per carità mi farà favore scriverne il suo parere, il quale in questo mezzo starò con desiderio atten¬ dendo, come faccio il suo trattato del calendario (t ; che volendomi fa¬ vorir mandarmene uno, potrà farlo consegnare a I\l. Ruggiero Rug¬ gieri, maestro delle poste del Gran Duca di Toscana, che si piglierà 40 diligente cura di mandarmelo. Et qui con ogni reverenza baciandoli le mani, la prego ad amarmi et commandarmi, et conservarmi nella Lett. 12. 20. Fra il e punto si logge, cancellato, centro delU. — [12-13] 25 FEBBRAIO — 5 MARZO 1588. 2» grazia del S. Cosimo Concini, al che fare sommamente varrà il mo¬ strare, a Y. S. II. ciò esser grato. Di Firenze, il dì 25 di Febraio 1588. Di V. S. M. II. Obbligatissimo Servitore Galileo Galilei. Fuori: Al molto Rev. do S. ro et mio Pad. ne Col." 10 Il Padre Cristoph. 0 Clavio. co Roma. 13 . CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Firenze. Roma, 5 marzo 15SS. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. Vii, car. II. — Autografa. Molto Mag. e0 S. or Oss.° Ilo ricevuto la risposta alla mia scrittali, et, mi dispiace di non potere, pol¬ lo continue mie occupatimi i, attendere con più studio alla materia del centro y>a- vitatis, per satisfare a V.S. nel suo quesito, come io desidero. Dirò pur quello che mi pare: V.S. però non pigli adesso mia risposta per oraculo, perchè, come ben sa, chi vole ben rispondere a simili dubii, bisognarebbe che fosse al bora attuato in simile studio, che adesso io non sono. Dico adunque che mi pare ancora, che cyeal demonstratione che ’l punto x w resti il punto del equilibrio nella libra ad. Il postulato suo prova bene che il io punto del equilibrio nella libra ad dividerà proportionalmente la libra ad, si come ’1 x divide la libra ab: ma dirà uno, che ’l detto punto nella libra ad sarà un altro diverso dal *. Et volendo pur V. S. che sia ancora ’l x t suppone adunque che sia tale proportene di ax a xh, quale è da ax a xd; qaod est po¬ tere principili)», perchè da qui procede tutta la dimostratone. Se V.S. trova che veramente ’l punto £ sia nella libra ad, servisene, perchè, come dico, io per adesso non posso meglio considerare. A me certo pare che si dorerebbe provare. Perchè, dicendo l’adversario che’l ponto del equilibrio nella libra cui sia y, a m ex i d e b i-1-1 —i-i—.- - - y Lett. 13. 18. di ax a xa — <‘ì Cfr. n.° 12. 5 — 11 MAH /A) 1588. 30 1 . 18 - 14 ) seguitarti, per il suo postulato, et bene; clic sarà bx ad .ra, come ai/ ad i/d: et così mai proverà che b.v sia dupla alla xa. V.S. ini perdoni so non lo satisfò a pieno, come desidero, per la causa sud- 20 detta. Della promessa ini ricordare», et sarò sempre pronto a servirlo. Nostro Signore conservi V. S. nella sua santa gratin. Di Roma, a 5 di Marzo dell’anno 1588 Di V. S. Servo in Christo. Christoph.” Cluvio. Fuori: Al molto Mag. co S. or Galileo Galilei mio Oss. 0 Fiorenza. 14 . ANTONIO ItICCOBONI u GALILEO in Km*iuo. Padova, il marzo 15S8. Blbl. Naz. Fir. Mss. dal., 1‘. I, T. VI, «:nr. 7.— Autografa. M. l ° Mug. co S. or mio Oss."' 0 11 valor di V. S., predicatomi dalle lettere dell’ III. S. or Conte M. Antonio Bis¬ savo, et scorto benissimo in quella sua compositione che da tanti valent’ huo- mini è stata approvata e sottoscritta (i; , mi Imveva a bastanza intiammato ad amarla e riverirla, di maniera che non pensava che niente si potesse accrescere all’aftettioii mia verso lei. Nondimeno per la cortesissima sua lettera confesso esser talmente accresciuta, che tra gli affettionati suoi mi pare nè anello di do¬ ver ciedere allo stesso S. or Conte; et amo veramente occasiono di lare qualche segnalata dimostratione dell’ animo mio verso le sue molte virtù, affermandole in tanto clic il S. or Moleto 1’ ama medesimamente da buon senno. Et baciali- io dole la mano, con offerirmele per sempre et pregarle da N. S. iddio ogni felicità, Di Padova, a xi di Marzo MDLXXXVH1. Di V. S. molto Mag. ca Ànt.° Riccobuono. Fuori: Al molto Mag. c0 S. or mio Oss. ,no [il S.°‘J Galileo Galilei, Matematico Ecc. ,n0 Firenze. O Vedi Voi. 1, png. 183. [15-16] 24-31 MARZO 1588. 31 15 . GUIDOBALDO DEL MON l'E a GALILEO in Firenze. PeHaro, 24 marzo 1588. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 13. — Autografa. Molto Mag. co Sig-.*' mio. Confesso la mia negligentia in esser stato troppo a risponderle; ma mi sono lasciato trasportare dal tempo, che volevo mandargli il libro, il quale è apunto Unito di stampare adesso (l) . Io conosco benissimo elio V. S. non ha punto biso¬ gno di questo comento, ma il libro è fatto per i principianti: e non so se nella praefatione del secondo libro io sarò stato troppo arrogante in esser contrario a Eutocio, a Pappo et a molti altri moderni; ma io ho voluto pigliar la parte di Archimede pili che io ho potuto. Haverò caro di saper il suo giudiiio, quale stimo sopra ogni altro. Poi la non mi poteva dar la miglior nuova, che di sentire hi die ella sia per passar di qua; che questo lo desidero infinitamente: ma non voglio che la si fermi qui da me un giorno solo, e la prego a non pentirsi di non mi far questo favore di venire, qui da me, chè la casa mia voglio che sia sempre sua. La sua dimostratione ultima, che mi ha mandato, mi ha piaciut’ assai. E le bascio lo mani. Di Pesaro, alli 24 di Marzo del 1588. Di V. S. Ser. r “ Guidobaldo de’ Marchesi del Monte. Fuori : Al molto Mag. co S. r mio Hon.' 10 [Il S.' | Galileo Galilei. 20 Fiorenza. Con un libro. 16 . MICHELE COIGNET a GALILEO [iu Firenze]. Anversa, 31 marzo 1588. Bibl. Naz Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 16. - Autografa. Doctissime Galilee, Tradidit nobis nuper Dominus Ortelius tuam de centro gravitatis frusti co- noidis parabolici inventionem quam certe magna admiratione amplexi sumus, Lett. 16. 1, 55. Doctiuime è stato corrotto in luogo «li Illustrissime, elio prima ora stalo scritto. — 2, 7, 18. 24, 25, 31. Prima era stato scritto frustri, o poi fu corrotto frutti. — (*) Cfr. n.° 10, lin. 10-11. (i) V. «li Voi. I. png.-10G198. 32 31 MARZO 1588. U; ma la prego quanto posso che mi vogli avertire qualche cosa sopra esso, perchè io ho ancora tutti i libri in mano, e mi sarà facil cosa a coreggerlo dove bisogna : e di gratia non manchi di farmi questo piacere. 4G. quo secet — 50-51. ahtolvimus admieulo praeceptorum - 5G. commini itilimus — (‘) Cfr. i nn'. 10 e 15. X. 34 28 MAGGIO - 17 GIUGNO 1588. 117 - 18 ] Io le mando la lettera per Monsignor mio fratello 1 ' 1 : la glie la dia lei me¬ desima, e spero elio per quello che toccar A, a lui, non mancarli di aiutarlo, haven- dogl’ io scritto in modo, che credo olio conoscerà il suo valore et la sua dottrina, havendogli io scritto la verità (,) . io La prego a non mancar di attendere a queste coso del centro della gravità, che ha cominciato, essendo cose bellissime et sottilissime. Ho veduto il suo lemma w e per dirgli liberamente il parer mio, dubbilo che pctcìt principium, percliò nella dimostratione dove dice: Veruni centrimi omnium est x, gnarc x aadem ratione diviilct ha et ad linea* pare che si possa negare questa conseguenza; perciochòsi potrebbe dire forse che la libra ad sarà divisa non in x, ma in un altro punto nella proportene elio ha bx a xa. La «lotta conseguenza sarebbe vera se, pigliato il punto x dove si voglia, ne seguitasse sempre che. bx ara fusse come ax a xd; il che è falso, sehen alcuna volta pò esser vero, ciò è quando bx sarà dupla di xa, perchè all’hora a.r sarà dupla di xd: che se fesse ah divisa in uo sei part* eguali, bx saria 4, xa 2, xd 1; e però par che la sua dimostratione petat principium. Ma però mi rimetto a piò prudente giuditio, e massime al suo. lo poi desidero che mi comandi, che certo ho grandissimo desiderio di po¬ tergli far ogni serviti» ; e se bisognarà (die io replichi altre lettere, non resti di avisarmi e di comandarmi liberamente. E le bascio le mani. Di Pesaro, alli 28 di Maggio del 1588. Di V. S. Sor." Guidobaldo de’Marchesi del Monte. Fuori: Al molto Mag. ro Sig. r mio, [Il S. r ] Galileo Galilei. 80 18 . GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze. Pesaro, 17 giugno IfiKS. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gnl., I’. VI, T. VII, ear. I». Autografa. Molto M;ig. co Sig. r mio IIon. do Quand’ io scrissi a V. S. intorno a quella sua dimostratione, di lì a due giorni io mi accorsi dove havevo pigliato errore. Perchè nella prima diinostra- tione, per esser assai succinta, mi parve che havendo bavere la medesima pro- ,l * Francksoo Maria dici. Monte. Cfr. n.» II). «*' Cfr. i nn.i 9, 12, 13. <*> Vedi Voi. I, pag. I3R, liti. 33-34. 17 GIUGNO - 16 LUGLIO 1588. 35 [ 18 - 19 ] portione bx a xa come ux a xd, che di qui ne seguitasse che x fusse poi centro della gravità di n,o, r,s,t appese in d, i, c, m, a: ma è al contrario, che essendo x centro delle gravità, ne seguita che bx a xa sia come ax a xd, sì come più chia¬ ramente nella sua ultima ha mostrato : sì che a me pare che la dimostratone stia benissimo, fondata in quella suppositione, la quale si potrebbe torse dimostrare io con poca cosa. Io non mancarò di tener ricordato a Monsignor mio fratello quanto ella de¬ sidera; e se 8on buono a servirla in altro, mi comandi. E le bascio le mani. Di Pesaro, nlli 17 di Giugno del 1588. Di V. S. Sor.” Guidobaldo de’Marchesi del Monte. Fuori : Al molto Mag. 00 Sig. r mio, 11 [Sig. Galileo] Galilei Fiorenza. 19 . GALILEO a GU 1T)0I1 ALDO DEL MONTE fin Pesaro]. Firenze, 16 luglio 1588. Bibl. Nnz. Fir. Mss. «lai., P. VI, T, VI, onr. 7. — Copia (li mano del secolo XIX, trascritta quando fu mossa insieme la raccolta Palatina dei Mss. Galileiani, o derivata, come sembra probabile, dirotta¬ mento o indirettamente, da copia elio dall'originalo aveva procurato Vinokkzio Vivuni. Ill. mo mio Sig. re Ho tardato sin bora a scrivere a V. S. Ill. ma , non per mia negli¬ genza, ma solo per non infastidirla con mie troppo frequenti. Ho havuto contento che la dimostrazione del lemma gli sia parsa buona, però che il giudizio di due uomini illustri, qual è V. S. Ill. ma et un altro (U che pur due volte mi ha replicato che petit principium, mi facevano assai dubitare di essere abbagliato ; e 1’ haver ancora con gran fatica cercatane altra dimostrazione, e non V haver trovata, mi sbigottiva. Quanto al principio il quale, come V. S. Ill. raa benissimo io dice, dimostrar si potrebbe, giudico che, quando ancora così paresse a lei, sia meglio il lasciarlo indimostrato, perciò che questo ancora parali essere usato da homini grandi ; dico il lasciare, e massime Lelt. 19. 12 hommini — »l II P. Cristoforo Clavio: cfr. un. 1 9, 13. 36 16 — 22 LUGLIO 1588. [19-201 ne’trattati difficili, indimostrate alcune cose di non molta difficoltà: pure quando V. S. Ili®* giudichi altramente, io lo dimostrerò, onde la prego a dirne il suo parere, e non meno di quello quanto di que¬ sto che bora gli mando, che è l’applicazione di esso lemma, per di¬ mostrare il centro del conoidale rettangolo. Un’altra voltagli man¬ derò dimostrato, che in conoide óbktsiangido centrum grurìtatis axem ita dividit, ut pars ad vcrticem ad reliquain eandem ìiabeat ratimem, quam composita ex axc et dupla ad axem adiectae habet ad compositam ex a dir età 20 et tedia parte axis. 11 negozio che altra volta scrissi a V. S. IU. ma per conto di Pisa non sortirà, però che intendo che un certo monaco che prima vi leg¬ geva, e l’intermesse essendo tatto generale della sua religione, ri¬ nunzia bora il generalato per tornarvi a leggere, e che digià da S. A. ha riavuta la lettura. Ma perchè qui in Firenze per i tempi a dietro ci è stata una lezione pubblica di matematica, instituita dal G. Co¬ simo, essendo bora vacante e, per quanto intendo, molto da’ nobili desiderata, ho supplicato per questa, sperando ottenerla col favore di Monsig. re 111. 1110 suo fratello, al quale di questo negozio ho dato 30 il memoriale. E perchè sino ad bora non ha veduto tempo oppor¬ tuno di trattarne con S. A., essendoci stati forestieri, crederò che V". S. Ill. ma potrebbe haver tempo di scriverli un’altra volta in mio favore, del che la supplico per 1’ osservanza che ho alle molte sue virtù, e per la ferma speranza che ho nella cortesia sua. E qui con ogni reverenza baciandoli le mani, la prego a comandarmi et amarmi. Di Firenze, il dì 16 di Luglio 1588. Di V. S. lll. ,na Umilia." 10 Serv. rfl Galileo Galilei. 20 . GU1D0BALD0 DEL MONTE n GALILEO in Firenze. Cesare, 22 luglio 15SS. Bibl. Naa. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 20. — Autografa. Molto Mag. c0 Sig. r mio, Non vorrei che facessi scusa di non fastidirmi per non scrivere, perchè le sue lettere le vedo così volontieri quanto altre che ini vengano, conoscendo in esse 22 LUGLIO— 16 SETTEMBRE 1588. 37 [20-21] ogni dì più il suo felice ingegno. Mi è piaciut’assai le dimostrationi che mi ha mandato, et bellissima sarà quella del conoide ottusangolo, che la vederò volon¬ tari, come farò sempre tutte le cose sue. Et quel principio, che io le dissi che si potrebbe dimostrare, pò far ciò che vuole, per ciò che chi ha un poco di pra¬ tica del dimostrare, quasi che patct sensu , per dir così. Io non ho mancato di scriver a Monsig. r del Monte per la sua lettura di io Fiorenza, e se le mie parole haveranno credenza, lei l’ottenerà al sicuro; e mi rincresce che non babbi ottenuta quella di Pisa, come sarebbe stato suo et mio desiderio. La mi comandi pur liberamente, che la servirò sempre con tutt’il core, sicome sono obligato ai meriti suoi. E le bascio le mani. Di Pesaro, alli 22 di Luglio del 1588. Di V. S. Ser.™ Guidobaldo de’ Marchesi del Monte. Fuori : Al molto Mag. co Sig. 1 ' mio Hon/ 10 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 21 *. GUIDOBAT/DO PEL MONTE a GALILEO in Firenze. Pesare, Iti settembre 158». Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 22. — Autografa. Molto Mag. co Sig. 1 ' mio Hon.' 10 Mi dispiace assai che ’l suo negotio vadi così albi lunga, che quando sarà terminato in bene, io ne sentirò contento grandissimo ; e se in questo mezzo le parerà che io debba far altro, mi avisi, chè non mancarò di adoperarmi calda¬ mente, per quanto si estenderanno le mie deboli forze. Circa il problema propostoli Golii tre circoli, Pappo nel quarto libro, alla decima proposilione, mi fece venir voglia di trovarlo, perchè Pappo non insegna di trovarlo (1) ; e così doppo molto fantasticare lo trovai, et lo mandare a V. S., se ben io spero di servirmene un giorno in istampa; ma lei è tanto cortese verso io di me, che non voglio mancare : ma non posso adesso, perchè io l’ho fra certo <*> Pappi Alexandrini Mathematicac Oollectione » et commentari!» illvttratae. Pisauri, apud Hioronyiiuiiu a I^kokkioo Comi andino urbinato in latinum convereac Coucordiaui, M.D.LVUi, uar. 14. 3 y 16 SETTEMBRE — 7 OTTOBRK 1588. 121-22] mie carte, che Dio sa (love sono, per haver assai scoili bossolato il mio studio, essend’ io stato fuori, dove mi bisognarà forse tornare. K le bascio le mani. Di Pesaro, alli 16 di Settembre del 1588. DiV.S. Ser."* Guidobaldo de’ Marchesi del Monte. Fuori: Al molto Mag. co Sig. r mio Hon. do il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 22 *. GUIDOBALDO DEL MONTE :i GALILEO [in Firenze]. Pesaro, 7 ottobre ì Bibl. Nm. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, cnr, 21. — Autografa. Molto Mag. co Sig. r in io lIon. do Mand’a V. S. il problema che mi adimandò, e mi oscuri* so sono stato troppo a mandarglielo. Se lo manda rà in Fiandra (,) , di gratin lo accomodi come gli pa¬ rerà, perchè glie lo mando così come io P ho trovato fra certe mie cartaccie. Laverò caro d’intendere se le sarà piaciuto; e s’io son buono a servirla in nl- cuna cosa, mi comandi, desiderando anche d’intendere se il suo negotio ha per ancora bavuto buon fine secondo il desiderio suo. E le bascio le mani. Di Pesaro, alli 7 di Ottobre del 1588. Di V. S. Fuori: Al molto Mag. co Sig. 1 ' mio llon.' 10 [Il S/j Galileo Galilei. io o S. r Iacopo Guadagni, dove saremo iti. ... «> «ÌOVANBATISTA UlCASOM. <*’ Lizza Fusina. VUICKNZU nUADAOKI. [27-28] 3 AGOSTO—5 OTTOBRE 1589. 41 27 . GUIDOBALDO DEI, MONTE a GALILEO in Firenze. Monte Baroccio, 3 agosto 1589. Blbl Naz. Fir. Mss. dal., P. VI, T. VII, car. 28. — Autografa. Molto Mag. co Sa mio, Con elì'etto V. S. non vuoi lasciar complimento nessuno con me: ma credo che di già ella babbi compreso la natura mia, lontana da ogni cerimonia; e la si assicuri che vorrei poterla servir molto più (li quello che ho l'atto, che alli meriti suoi non mi par di haver fatto niente. lo sono venuto a star in villa a un mio luogo, et mi ha bisognato portar molte cose, et per conseguenza metter sotto sopra il mio studio; e così mi per¬ doni se non gli mando quelle mie poche cosette sopra la cochlea (,) , che presto glie le mandarò, perché mi bisogna copiarle per esserci molte rimesse, essendo io questa la prima bozza. Et se altro vuol da me, mi comandi; e le bascio le mani, coni’ a suo padre. Di Monte Baroccio, alli 3 di Agosto del 1589. Di V. S. Ser. ru Guidobaldo dal Monte. Fuori : Al molto Mag. c0 SigA mio Hon. do [Il S. r ] Galileo Galilei. Fiorenza. 28 *. GALILEO a [LORENZO GIACOMINI in Firenze]. Bonazza, 5 ottobre 1589. Arch. di Stato in Firenze. Magistrato Supremo, Filza 1355, car. lOlt. — Copia sincrona, promossavi que¬ st’indicazione : * Copia di una lettera scritta da Galileo Galilei, di Bonazza, il dì 5 di Ottobre 1589». Altra copia, pur sincrona, a car. 74(. della Filza 217, inserto 15, doli'Archivio Rioahoi.i in Brolio. HI.” mio Sig. re Questa sera sono arivato insieme col S. r Giovanbatista m e Gio¬ vanni al suo luogo (3) , dove l’aspetto subito veduta la presente, che (i) Cfr. n.° 51, Un. 10. ( 3 ) Bonazza, villa di Lokenzo Giacobini in Val (*) Clr. Voi. XIX. Doc. IX, a. di Pesa presso Firenze. X. d 42 5 OTTOBRI*! 1589 - 10 APRILE 1590. [28-30] spero che condurremo detto S. r Giovanbatista a Firenze. Lui sta ma¬ lissimo del corpo, e peggio che mai della mente, et ha bisogno di grandissime e preste cure. La non manchi, che ce n' è gran neces¬ sità. Nè altro. Di Bonazza, il dì 5 di Ottobre 1589. Di V. S. I. Prontisa. 0 Ser* Galileo Galilei. V. S. mi favorisca fare intendere a mio padre dove sono, e che tornerò quanto prima. 29*. BENEDETTO ZORZI a BACCIO VALORI in Firenze. Venezia, 2 dicembre 1589. Bibl.Naz.3Tir. Filza liinucciui 27. — Autografa. ... Del Galileo intesi dal S. or Pinelli, et ho piacere che all’ lmomo si sia aperta la stradda di mostrare in publico Studio sua dottrina. Qui dubito che la cathedra per que¬ st’anno ancora sarà vuota “>, mancando massimamente questo soggetto del quale il Cl.““ Couturi ni et. io tenivimo vivo il nome nella memoria de chi governa lo Studio ; nel quale io per me vorrei vedere ad introdure la lettura di Platone, come mi do a credere che facilmente S. A. la ritornerà in Pisa; et carissimo mi sarà, come ciò segua, die V. 8. si contenti farmene moto.. .. 30 . GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Pisa. Monte Baroccio, 10 aprilo 1690. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. VI, car. 9. — Autografa. Molto Mag. co et Ecc.'° S r . mio, Mi è sommamente caro di haver nuova di lei ; ma io non resto compitamente satistatto, perchè la vorrei veder più contenta e meglio trattata, secondo li me¬ riti suoi, lo non ho havuto per ancora nuov’alcuna da Venetia; ma io cercare di saper qualche cosa, e non mancarò di avisarglicne. Gli dico bene, che pas- "> T.n lettura di matematica nello Studio di Padovi a era vacante per la morte di Qiuskfi'R Molktti. 10 APRILE —2 GIUGNO 1590. 43 [ 30 - 31 ] sand’ io da Bologna, domandai del Magino, il qual non viddi, so ben mi fermai in Bologna due giorni e più ; e parlando con alcuni, et in particolare con un dot¬ tore che legge in Studio, coni’ egli si portava et come serviva bene, mi rispose che si portava male e che non sa dimostrar niente, et che quando replica qualche io cosa, dice che sempre dice le medesime parole, et quelle apunto clic sono in Eu¬ clide, sì die non ne restano satisfatti : et io con questo campo dissi che in Fio¬ renza ci era un mio amico, il qual hoggi legge in Pisa ctc., dove mi slargai sopra di V. S. a mio modo. Ma intesi che la condotta del Magino dura ancor un anno e mezzo (,) , se ben mi ricordo: e non potrà far che, o per una via o per l’altra, non si facci qualche cosa. Io ho poi trovate alcun’ altre cose sopra la cochlea (,) , le quali non l’ho ancor ben scritte. Come io le baveri» in esser, so che mi favorirà di vederle, perchè gliele mandare», perchè come io havrò il suo giuditio, sarò satisfatto. Fra tanto mi comandi : e le bascio le mani. 20 Di Monte Baroccio, alli 10 di Aprile del 1590. Di V. S. Ser *> Guidobaldo dal Monte. Fuori : Al molto Mag. co et Ecc. 10 S. r mio [11 S.*‘ (xa]lileo Galilei. Pisa. 31 . GALILEO a CAPPONE CAPPONI in Pisa. Firenze, 2 giugno 1590. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. V, car. I o 2. — Copia di inano del see. XVIII alla qualo è promossa la seguente indicazione: « Copia di una lettera scritta dal celebro Galiloo Galilei, osistonto originai mento nell’Archivio del Sig. r Marchese Cav. re Vincenzio Maria Capponi da S. Fridiuno. » Al molto lll. re et Rev. mo Mons. or Cappone Capponi, mio S. r Col ." 10 Pisa. Mons. r Rev. mo La cagione che mi ha trattenuto qua è stata molto diversa da quella che mi fece partir di Pisa, atteso che, sendomi io partito per servizio della S. Lucrezia Capponi, come dissi a V. S. R. ma , et havendo Leti. 31. 7. disu' a — (t) Giovanni Antonio Macini era stato olotto, Cfr. Archivio di Stato di Bologna. Arch. Pontificio, con partito del 4 agosto 1688, per quattro anni dal Seziono del Senato. Partito rum, Voi. XXVI, car. 16. principio dello lozioni immediatamente successivo. '** Cfr. n.® 51, lin. 10. 44 2 ai UGNO — 15 NOVUMBRE 1591). 181-321 finito quanto per suo servizio far devea, mi è convenuto poi assister qua appresso mia madre, sopraggiunta da gravissima ,infirmità, et quasi che mortale : et la credenza che havevo, che in breve fosse per io vedersi l’esito di tal malattia, mi ha trattenuto di giorno in giorno, senza significare a Y. S. R. ma tal inio impedimento. Intendendo dal S. Giulio Angeli, che la cura, il male dovere essere per andare in lungo, et essendo noi hor mai allo scorcio dello Studio, mi tratterrò con buona grazia di V. S. R. ma appresso detta inferma, persuaden¬ domi che la presenza mia sia per essergli di grandissimo allevia¬ mento. Et acciò V. S. R. ma e il 8ig. r Buonaventurn non restino mal satisfatti, havendo io di già havuta tutta la mia provvisione, ho ordinato a M. Lionardo Pegolotti, che sarà 1’ apportatore di questa, che satisfaccia a tutte P appuntature, che per la toga e per le le- 20 zioni lasciate mi fossero occorse (,) . V. S. R. ma dunque li ordini quanto far deve, che ad ogni suo cenno sarà satisfatta. Intanto V. S. R " ,:i mi conservi in sua grazia et mi comandi, assicurandosi che i comanda¬ menti suoi saranno da me stimati favori singolarissimi. Kt qui con ogni debita reverenza li bacio le mani. Di Firenze, il dì 2 di Giugno 1590. Di V. S. R. ma Prontiss. 0 et 01>lig. mo Ser. n ’ Galileo 6'alilei. 32 . [GALILEO a VINCENZIO GALILEI in Firenze]. Pisa, 15 novembre 1590. Bibl. Naz, Fir. Mss. Hai., /Inferiori di Galileo, T. I, rar. U4. Autografa. Car. mo Padre, Ho hauto in questo punto una vostra, con la quale ditemi di man¬ darini i Galeni et il vestito et la Sfera, le quali cose non ho ancora ricuperate : me le barò ancora stasera. I Galeni non hanno ad essere altro che 7 tomi lJ , sì che staranno bene. Io sto benissimo, et attendo (*) Cfr. Voi. XIX. Due. Vili, c. leso del Valgimi di Venezia MDLXIT • MDLXIII, (2) In sette tomi sono tanto la edizione di Ga- quanto la quarta del Gitoti di Venezia del MDLXV. 15 NOVEMBRE —8 DICEMBRE 1590. 45 [82-88] a studiare et ad imparare dal S. Mazzoni, il quale vi saluta. E non havendo altro che dire, fo fine. Di Pisa, il dì 15 di 9bre 1590. Vostro Car. ,no Fig.° 33 . GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Pisa. Monte Bnroecio, 8 dicembre 1500. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 80. — Autografa. Molto Mag.'-' 0 et Ecc. te S. 1 ’ mio, Per non haver havuto molti giorni sqno sue lettere, la sua. mi è stata gra¬ tissima, e mi rallegro che con il S. r Mazzone si dia bel tempo, non senza mia invidia, che vorrei esser alle volte nel mezzo a tutti due e goder «le’ suoi ra¬ gionamenti ; al qual S. r Mazzoni V. 8. da mia parte lacci un grandissimo saluto et un lunghissimo bascia mano. Una delle cose che io desideravo di sapere è se V. S. ha mai havuto accre¬ scimento di provisione, che questo vorrei che fusse secondo il mio desiderio et il merito suo. Mi è poi assai piaciuto di veder die ella sia tornata al centro io della gravità, et ha fatto assai haver trovato quanto mi ha scritto; et io ancora ho trovato alcune cose, ma non posso finir di trovar una contingente che mi fa disperare, che mi par di haverla trovata per una certa strada, ma non la posso dimostrare e chiarirmene con la dimostratone : ma la sua lettera mi ha con- solat’ assai, poi che vedo che V. S. cerca, e non linisce di trovare così presto, dove io non mi maraviglio s ! io non trovo. Però non si maravigli se io non gli mando ancora a mostrare quanto io gli promisi, oltre che mi bisogna copiar molte cose ; ma quanto più presto potrò, glie le mandal o, chè ho più caro io di haver il suo giuditio, die altra cosa. Fra tanto se mi conosce che io la possi servire in alcuna cosa, mi comandi liberamente; e le bascio le mani. 20 Di Monte Barocchi, alli 8 di Deceinbre del 1590. Di V. S. Ser.™ Guidobaldo dal Monte. Fuori : Al molto Mag. co et F,cc. tft Sig. TO mio Oss. luo (Il S. r ] Galileo Galilei. Pisa. O» Malica la firma, essendo stata tagliata la carta. 46 26 DICEMBRE 1560 — 21 FEBBRAIO 1502. (84-36J 34 . [GALILEO a VINCENZIO GALILEI in Firenze]. Pina, ‘2(5 dicembre 16'.K). Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., Anteriori di Galileo, T. I, car. non numerata tra la 20 o la 21. — Autografa. ( 1 ) più che ordinaria ; et in questo fatto più che ne gl’ altri, forse, bi¬ sogna pregare Iddio che gli piaccia di disporlo il meglio che sia possibile. Quella cosa che serbo alla Virginia ' 2 ', è un cortinaggio di seta, la quale comprai in Lucca; et Alimento me l’ha fatto tessere con poca spesa, tal elio, ancor che il drappo sia largo un braccio et ini costa circa tre carlini il braccio. Il drappo è fatto a liste, et vi piacerà assai ; bora fo fare le frangio di seta per fornirlo, et facilmente farò fare la lettiera ancora: ma barò caro che non ne parliate in casa, acciò gli giungili inaspettato ; et alle vacanze del Carnovale lo porterò, et come vi ho detto, so vi piacerà, gli porterò da fare 4 o 5 veste di domasco et di vellutino a opera, che saranno cosa rara. Nè altro. J)i Pisa, il dì 26 di lObre 1590. Vostro ('ar. ,l,n Fig." G. G. 35 . GUIDOBALDO DEL MONTE » GALILEO in Pisa. Monte Baroecio, 21 febbraio 1022. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 11. — Autografa. Molto Mag. c0 Sig. r mio Hon.' Jo Perchè era molti giorni che io non bavero lrnvuto nuova di V. S., però feci che Horatio inio figliuolo glie ne dimandasse. A quello che vedo, trovo che V. S. Lett. 34. 7. cotta c ir che tre — et Manca il principio, essendo stata tagliata <*) La sorella di Galilko, elio andava h mozzo la carta. con Bbnrdxtto La.vducci. 47 [35-86] 21 FEBBRAIO — 3 SETTEMBRE 1592. mi lia scritto altre volte, et io non le ho havute, come anche non ho havuta quella che V. S. mi dice havermi scritto della morte di suo padre che in vero quando 1’ ho sentito, ne ho preso gran dispiacere, e per amor suo e per amor di V. S. ; nò mi pareva tanto vecchio, che non havesse potuto viver ancora molti anni, lo me ne condolgo con V. S., ma bisogna contentarsi di questi disturbi che dii il mondo. io Mi dispiace ancora di veder che V. S. non sia trattata second’ i meriti suoi, e molto più mi dispiace che ella non habbi buona speranza. Et s* ella vorrà andar' a Venetia questa state, io l’invito a passar di qua, che non man caro dal canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla; oliò certo io non la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma, come saranno, io le spenderò tutte in suo servitù). E le Lascio le mani, com’ al S. r Mazzo ne, se si ritruova in Pisa. Che il Signor la contenti. L)i Monte Baroecio, alti 21 di Febraro del 1592. Di V. S. Ser. r0 Gruidobaldo dal Monte. 20 Fuori: Al molto Mag. co Sig. r mio Hon. 11 Sig.*' [Galileo Galilei. Pisa. 36*. (rIO. VINCENZO PINELLI a GALILEO in Venezia. Padova, 3 settembre 1592. Btbl. Estense In Modena. Raccolta Caiupuri. Autogrill!, li.» XLV, n.« 5.— Autografa la gottOBcriziono. Molto Mag. co et Ecc.""’ Sig. ro Le lettere di V. S. per me et per il Sig. ro Bartolomeo Mainerio ci hanno tro¬ vato inchiodati : per ine, per una svolta d’ un piede, che non m’ ha permesso poter andar attorno da domenica mattina in qua; et il Sig. ,e Bartolomeo, per qualche termini di febee, che riunì tenuto in letto poco poi che gli venne quell’acci¬ dente in casa mia. presente la S. V. Con tutto ciò si è cominciato a far qualche opera col III."" 1 S. ,e Procuratore M. tS) per mezzo d’altri, et spero di poter seguir , suo hospite. Clio N. S. rfl la conservi et contenti. io Di Padova, alli 3 di Settembre 1592. Di V. S. molto M. et Ecc. ma All*. Sor. (ì. V.*" Pinollo. Fuori: Al molto Mag. co et Ecc. m0 S. rn mio 11 S.™ Galileo Galilei. Vene.** A S. u lustina, in ca* Gradonigo. in casa del molt’ Ill. ro S. r K. ro Uguccione. 37 *. GIO. VINCENZO PINELLI a GALILEO in Veuezia. Padova, 9 sottoinbro 1592. L’autogrnfo (lolla proselito foce parto, insieme con altri documenti galileiani, di un fondo del (|ualo si servi il prof. Angelo Dk Gubf.rnatis por pubblicaro un « Carteggi" Galileiane», Nuovi documenti inediti por servirò nlln biografia di Galileo Galilei * (Nuora Antologia, Seconda Serio, Voi. XVIII, 1879, pag. 7*50). Detto autografo oggi si trova nella Raccolta bozzi in Roma. Molto M. c0 et Ecc. m0 S.™ Hehhi l’ultima lettera di V. S., et pensai poter esser Inori col Sig. Procura¬ tore MicheleW, che non mi fu lecito, per alcun travaglio di stomaco che mi so- pravenne. Eolio stato questa mattina, ut pertanto ini lui detto, darà alla 8. V. li 200 fiorini senz’ altro, et scrii costi per domani o 1’ altro senza tallo ; si che la S. V. ne potrà star sull’ aviso, et subito al suo arrivo andarlo a ritrovar, per ringraziarlo del suo buon animo et così fai' distanza per la spedizione. Non vo¬ glio lassar «li dire alla S. V. (ma ciò sia detto tra di noi), che forse per alcun di cotesti Signori s’ha la mira a qualche altro soggetto; et però non sarà se non bene eli ella s* otìerisca alla concorrenza di chi cercasse questa lettura, chò in io questo modo si chiariranno le partite et la giustizia harà il suo luogo. Ma, di grazia, la S. V. non si lassi intendere di questo mio averti mento. Con che le bacio (') Giovanni Uguccioni. (*) Vedi n.* 8(5. Un. 7. 9 — 25 SETTEMBRE 1592. 49 [37-39] le mani, come fa il Sig. Maire, che tuttavia se la passa in letto, ben migliorando da hieri in qua. Che Dio la prosperi. Di Padova, alli ix di Settembre 1592. Di V. S. Ecc. ma Aff. Servitore G. V. Tinello. Fuori: Al molto Mag. co et Ecc. n ’° S. r mio ()ss. mo 11 Sig. rc Galileo Galilei Vinetia. GIOVANNI UGUCCIONI a BELISARIO VINTA iu Firenze. Padova, 21 settembre 1502. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XV, car. 30. — Autografa. Molto IU.» S. r mio e P. no Ose. 0 Sono in Padova, e sono venutoci con Moss. Galileo Galilei, che logge, la Matematica in Pisa; quale quindici giorni fa venne per vedere Veuetia, et in tanto hieri in carrozza, in discorrendo meco, mi disse clic in Venetia era stato ricerco di leggere iti Padova, e che crede che harebbe 200 scudi in circa di salario P anno, e che ha risposto che, sendo al servitù) del Gran Duca, non può risolvere cosa nessuna, onde io credo che so ne venga a cotesta volta, per trattare di questo negotio con S. A. S. : alla quale non ho voluto scrivere, perchè mi credo che basti haverlo conferito a lei con la presente; che se sarà male scritta, mi scuserà perchè sono all’hosteria per montare in carrozza per alla volta di LO Vicenza et essere giovedì in Venetia- 39 **. GIO. VINCENZO PINELLI a GALILEO in Venezia. Padova, 25 settembre 1502. Autojrrafoteca Morriaon in Londra. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione. Molto M.°° et Ecc. , m ® Sig. ra Poiché hieri io aspettai la S. V. indarno, desidero eh’ almeno di lontano ella mi faccia intendere come sia rimasta con questi SS. ri Riformatori in proposito delti 180 l,) ; se bene, per quanto mi è occorso di ragionarne con diversi che sono stati a ragionamento co’ sud. 5 Sig. ri del suo particolare, non ne dovrei dubitare : tuttavia ne desidero due righe dalla S. V., alla quale dissegnava di mandare alcune lettere che le dissi per quelli miei SS. ri et amici, ma, sviato da diverse occasioni, ( l ) Intendi fiorini, che a tanto ammontò il primo stipendio annuo di Galii.eo nello Stadio di Padova. 7 X. 50 25 SETTEMBRE 12 DICEMBRE 1592. 139 - 41 ] non ho potuto; et la S. V. per sua cortesia per bora supplirà lei. ohe non man- caro appresso di far il resto. Et le bacio la mano: che Dio le doni ogni contento. Di Padova, li 25 di Settembre 1592. io Di V. S. molto Mag. ca et Eco. 11,11 Non voglio lassar di dire a V. S., come hieri mi trovai con un gentilissimo Mocenigo, tornato di villa; il quale ha buon gusto, et mi promise di volerlo favorire nell’ occasione, di che non ci inanelleranno de’ buoni aiuti alla giornata, che serviranno per allargare questa piccola strettezza. E giunta V. S. a Firenze, mi avisi di sé. AIT. Ser. # G. Vinc.° Pinullo. Fuori : Al molto Mag. 00 et Ecc »° Sig. r mio Osa."* 0 20 Il Sig. Galileo Galilei. Venetia. 40 *. GIOVANNI UGUCCIONI al GRANDUCA DI TOSCANA [in Firenze]. Venezia, *20 settembre 159*2. Arch. di Stato In Firenze. Filza Aled. 2998, n.® 42. — Autografa. ... Sino al principio di questo mese comparse qua il Galileo, Matematico di Pian, che è stato sempre qui in casa mia per veder la città; e domattina si parte per costà, sendo stato ricerco ili legger nello Studio di Padova con 180 ducati l'anno di salario: onde ha risposto che non vuole fermar niente se prima non ne dà conto a V. 8. A., come è suo debito t‘h ... 41 . BENEDETTO '/ORZI a GALILEO in Padova. Venezia, 1*2 dicembre 1592. Bibl. Nnz F5r. Mss. Uni., P. I, T. VI, car. 18. — Autografa. Molto M. et Ecc. S. r Ecco finalmente la lettera tn , la quale da me non ò mancato di procurarla sino al primo giorno che V. S. me ne scrisse; ma questi secretaci et bollador (•) Nò della richiesta né della concessione di negli archivi, tale licenza, menzionata anche in altre lettere ° fratello per servirla sempre Giacomo Contarmi. io Fuori : Al molto Mag. co et Eec. mo Sig. r Oss." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Padova. |‘1 Cfr. n.° 41, li». 9. ( [ 44 - 4 : 5 ] 28 DICEMBRE 1592 — 10 GENNAIO 1593. 53 44 *. GELLIO SASCERIDR? la.... Padova, 28 dicembre 1592. Riproduciamo questo capitolo di lettoni dall’opera Tyouonis Brame Aetronomiae ùulauratae Medianica. Wundesburgi, anno (JIC. IO. TIC, dove si logge sul tergo della cur. 35 (non numerata), promesso que¬ sto parole: «Quia adhuc aliquid superesfc spatii, quae sequuiitur pauculn, sic expetente typographo, subiungi perniisi ox litoris cuiusilam medicinao Doctoris, Patavii coiamorautis, ad quondam studiosuni Dammi ». Che il mittente sia Gei.i.io Sasckiiioe afferma J. L. E. Dueyer, Tycho Uni he: ein Bilil witseiwdiajUichen Wiontt und Arbeitens ìm sechsxehnten Jakrhundert. Karlsruhe, Drude und Yorlag der G. Braun’schon Hoflnichlmndlung, 1894, pag. 277. Maginus per totani forme aestatern iiic, Patavii et Venetiis, morntuB est. Qua de cause», non satis constat. Intere» Gallilaeus de Gallilaeis Florentinus professionem imithematicam hic adeptus est, qui suarum lectiormm septimo Decembris initium fecit,. Exordium erat splendidum, in magna and ito rum frequenti». A Domino Pinello is liberaliter connnendatur, quem, si posset-, perlibenter in Domini Tychonis amicitiam insinuaret. Tu, qui animimi Tycbonis novisti, poteri», quod ex re erit, in hisce disponere. Maginus edidit uuper librum, cui titulum fecit Tabula Tetragonica sub Tychonis pa¬ trocinio^ 1 . Exeuiplar milii ad te inittendum dedit, quod prima occasione transmittam. IO Retai il. etiam, lIlnstrisBimos Venetos in consilio Rogfttorum deliberasse, ut aliquis ma- thesevfi peritus, stipendio 300 Coronatornni, in Aegyptnm ablegaretur, qui prò Tychone istliic observaret'*> : tantae enim hic Tycho certe est celebritatis, quantae ueino eorum qui uunc vivunt. Datac Patavii, 28 Decembris anni 1592. 45 . GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Padova. Monte Baroccio, 10 gennaio 1593. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 19. — Autografa. Molto Mag\ co et Ecc. 16 S. r mio Hon. do Io Debbi una lettera di V. S. quando ella era in Fiorenza per tor linentia per poter andar a legger a Padova, alla qual risposi; dove desideravo, come desi¬ ni Tabula tetragonica, «cu quadratomi» numero- rum cui ii sui* radicibus, ex qua euimeumque numeri perquam mulini, minoris tamen trigintalribu» noti«, qua¬ drata radix facile miraque industria colligitur. Nudo priinuni a lo. Antonio Macino Patavino, matlieuia- tico in almo Bononiensi Gyuiuasio, supputata, occ. Venetiis, tipud lo. Baptisbain Ciottum, MDXCII. — Nello prime quattro carte non numerato, oltre alla dedica dell'Autore a Tigoni: Brahk sotto il dì 1° feb¬ braio 1592,sono contenuti componimenti poetici latini o greci indirizzati a Tioonk Brahk da Fabio Paolixi udinese e da Andre a Chiocco modico veronese, ,s > Intorno a tale particolare vedi Antonio Fa- vaiu», Tieonc Brahc e la Corte di Toscunu nel Tomo III della Serie V delTArc/mno Storico Italiano , Firenze, coi tipi di M. Oellini o C., 1889, pag. 222-224. 5-1 10 GENNAIO —3 MARZO 1593. 145-46] doro ancora, di saper che provision gli danno, perchè io vorrei che ella fusse trat¬ tata secondo il desiderio mio et i suoi ineriti. Gran contento ho poi preso in veder che babbi dei scolari assai; chè spero che con il suo valor farà di ma¬ niera che molti attenderanno a questa scienza, et glie la farà conoscere, perchè invero ella non è conosciuta se non da molti pochi. Io non mancarò, con l’occasioni che mi presenta ranno, di scrivere al S.' Gio. Battista dal Monte di quanto mi ricerca. Quanto poi (die mi vegli haver diligo io del luogho di Padova, io non voglio per niente che me ne babbi diligo, non lmven- doci io fatto niente ; ma il tutto lo dia al suo valore et al suo molto sapere. La mia Prospettivamezzo dorme e mezzo vegghia, chè, adir il vero, io ho tante le occupationi, che non mi lasciano respirare; e per questo cose hisogna- rebbe esser libero da ogni fastidio: pur la voglio finire, et. bora sono atomo por accomodargli il principio, trattando dove si ha ila metter l’occhio acciò lo cose si possino veder secondo che vogliamo; ma non ho ancor trovato ogni cosa : o prima di ogn’ altra cosa ci vorrò poi il suo giuditio. K lo hascio le inani, come fa mia moglie e tutti. i)i Monte Baroccio, alli 10 di Gennaro del 1593. 20 Di V. S. Ser. M Guidobaldo dal Monte. Fuori: Al molto Mag. co et Eoe. 1 " 8ig. r mio llon. Il Sig. r (Galijleo Galilei. Padua. 46 *. GIROLAMO MERCURIALE a GALILEO in Padova. Pisa, 3 marzo 1693. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 21.-- Autografa. Ecc. mo Sig.™ Io non credevo già, che i matematici, che non si dilettano se non di certezza, attendessero poi a ingannar gli huomini colla eloquenza; ma la sua lettera, ch’io ricevetti Paltr’hieri, mi ha l’atto mutare oppenione e credere che ogn’uno si diletti di acquistarsi Y amore colle lusinghe. Voglio dire che lei mi ha troppo voluto, come si (lice, ungere li stivali: ma forse rilaverà fatto credendo ch’io havessi presa qualche maninconia dalla favola sparsa, secondo mi fu scritto a <‘) Cfr. n.« 51 lin. 9-10. [46-47J 3 — 22 marzo 1593. 55 questi dì, in Padova, et che perciò habbia voluto consolarmi. Pure sia come si voglia, purché io sia sicuro di essere amato dalla persona sua, tanto stimata e io tanto predicata da questa mia debole lingua. V. E. si può molto ben ricordar com’ io le dissi che ’1 Studio di Padova era il proprio domicilio del suo ingegno, et che ogni giorno più havrebbe sentito utile et comodo: onde sia lodato Dio che non potrà dire di haver da me blanditie, ma pura verità; anzi tengo certo che alla giornata s’accorgerà ch’io le dissi poco. 11 S. Mazzoni* 1 ) se fusse così diligente in scrivere coni’è in amare et sti¬ mare et predicare Y. E., non havrebbe causa di dolei-se di lui ; ma di gratia, scusi la sua. corporatura, et. creda certo che tutti due facciamo a concorrenza et a gara a chi più dice le sue lodi. Ch’io habbia lasciato vestigi di me, può esser facilmente, perchè 18 anni sono stato servitore di molti ingegni et de tutti cotesti 20 SS. Dottori leggenti ; a’ quali se bacierà per me le mani in universale et ili par¬ ticolare, le ne resterò obligatissimo, sì come insieme con tutti i miei figliuoli le bacio caramente a lei. Di Pisa, li 3 di Marzo 1593. Di Y. S. Ecc. 11111 Ali'. Sera¬ li i e v. Mercuriale. Fuori: All’Ecc. mo Sig. r mio Osser." 10 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei Mat. c0 Padova. 47*. GALILEO a GIACOMO CONTADINI in Venezia. Padova, 22 marzo 15'J3. Ardi, di Stato in Venezia, filza intitolata sul dorso : /‘aironi e Provveditori all'Annuii. Docuinonti antichi circa la Casa dell’Arsenale, 1515-1591, n.* ...— Autografa. DI.'" 0 Sig. ro Ilo inteso dal 111."' Sig. 1 ' Gianvin. 0 Tinelli il quesito di V. S. Ill. ma , circa il quale li dirò quello che io tengo la verità: et è questo. Quanto al far maggiore o minor forza, nel pingere avanti il vas- sello, l’essere il remo posato sul vivo o fuori, non fa differenza, sendo tutte raltre circostanze le medesime: et la ragione è, che sendo il remo quasi una leva, tutta volta che la forza, il sostegno et la resi- Lett 47 G. tultlaltre — (i) Iacopo Mazzoni. 56 22 MARZO 1593. 1.47] stenza la divideranno nella medesima proporzione, opererà col mede¬ simo vigore; et questa ò propositione universale et invariabile. Et io non credo che dal far le ale alla galera bl cavi altra comodità, che io P haver piazza più capace per i soldati et per i forzati, i quali for¬ zati non si potrebbono accomodare 4 o 5 per remo, et massime verso la poppa et la prua, se non vi fossero le ale : ma che quando e’ si potessero accomodare a vogare tanto nell’ un modo quanto nell’ al¬ tro, il posar lo schermo sul vivo o fuori faccesse differenza alcuna, io non lo credo a patto alcuno, stando però il remo sempre diviso nella medesima proporzione ; nè io veggo che la voga si possa im¬ pedire o agevolare da altro che dal porre lo schermo più lontano dal girone o più vicino, et quanto più sarà vicino tanto maggior forza si potrà fare : et la ragione è questa, la quale forse non è stata 20 tocca da altri. Il remo non è una semplice leva come le altre, anzi ci è gran differenza in questo : che la leva ordinariamente deve bavere mobili la forza et la resistentia, et il sostegno fermo ; ma nella ga¬ lera tanto si muove il sostegno, quanto la resistenza et la forza: dai che ne séguita che il medesimo sia sostegno et resistenza, per ciò che in quanto la pala del remo si appunta nell’ aqqua, viene 1’ aqqua ad esser sostegno, et la resistenza lo schermo ; ma quanto 1’ aqqua vien ancor essa mossa dal remo, in tal caso essa è resistenza, et lo schermo è sostegno. Et perchè quando il sostegno è immobile, tutta la forza si applica a muover la resistenza, se si accomoderà il remo su tanto che l’aqqua venga quasi che immobile, all’bora la forza si im¬ piegherà quasi tutta a muovere il vassello ; et per il contrario, se il remo sarà talmente situato che 1’ aqqua venga facilmente mossa dalla palmula, all' bora non si potrà lai* forza in muovere la barca: et per¬ chè quanto più la parte della beva verso la forza è lunga, tanto più facilmente si muove la resistenza, quando la parte del girone sarà assai lunga, tanto più facilmente 1’ aqqua verrà mossa, et per ciò il suo sostegno sarà più debole, et il vassello meno si spingerà ; per 1’ opposito, quando la medesima parte tra lo schermo et la forza sarà più corta, all’ bora 1 aqqua più difficilmente potrà dalla palmula es- ser mossa, et per conseguenza, in quanto la mi serve per sostegno, sarà più salda, et il vassello si potrà con più forza spingere. Però si conclude, che quanto lo schermo è più vicino al girone, tanto più 28 . e**a mona rial — 22 — 28 MARZO 1593. 57 (47-48] forza si può fare in spingere il vassallo, non potendo 1’ aqqua così facilmente esser mossa con la palmula molto lontana dallo schermo dalla forza vicina al medesimo schermo; et però in tal caso V aqqua fa più l’offizio del sostegno, che della resistenza: et tutto questo è manifestissimo per 1’ esperienza. Non sondo dunque altra cosa che possa arrecar comodo o incomodo alla voga che P essere lo schermo 50 più lontano o più vicino alla forza, io non dubito punto elio in que¬ sto il porre lo schermo sul vivo o fuori non faccia differenza alcuna. Questo è quanto per bora mi sovviene in risposta del suo dubio, et non dubito che molto meglio circa ciò li abbi a discorso V. S. Ill. ,n “; però quando li piacesse farmi parte de i suoi pensieri circa questo particolare, lo ne resterei infinitamente obbligato, assicurandomi che ne imparerei assai, et forse i suoi discorsi mi farebbono sovvenire qualche altra cosa. La pregherò che quando nuderanno attorno si¬ mili dubi, si degni farmene partecipe, perchè ho grandissimo piacere in pensare a cose curiose. no Mandai la lettera di V. S. lll. ma all’amico scultore, ma per ancora non ho hauta risposta. Con die li faccio humilissima reverenza, pre¬ gandola a comandarmi. Di Padova, li 22 di Marzo 1593. Di V. S. Ill. ,na Oblig. mo Ser. re Galileo Galilei. Fuori : All’ 111." 10 Sig. rc et mio Pad." Col." 10 11 S. lacomo Contarino. Venezia. 48 * GIACOMO CONTARINI a GALILEO [m Padova]. Venezia, 28 marzo 1593. Aroh. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Patroni e Provveditori all'Alienai. Documenti antichi circa la casa doll’Arscnale, 1515-1504, n.° • • • Autografa. Molto Mag . 00 et Ecc. mo Sig. r mio, Con mio grandissimo gusto ho veduto quanto V. S. Ecc. ma m lia scritto in proposito delli remi delle galee : et se ben io ho il tempo molto stretto, ri- 45 con la ò stato sostituito da Uaui.ko a dalla, che leggasi cancellato. - 49. In lungo di lo .chcrmo prima leggeva»! il sostegno: sopra il fu da Olulro rifatto un lo. od a sostegno, cancellato, fu sostituito teli ermo. — 59. in pestare o — 58 28 MARZO 150.8. I>81 cercandomi ella che io le debba scriverò qualche cosa di quelle che in questo proposito ini vanno per mente, le dirò che, per lo osservationi che ho fatto, li remi che tutta via si usano non sono proportionati al corpo del vassallo; però bisognaria metter studio in proportionar questo due cose insieme, perchè si otte- nini quello che si desidera, che è l’agilità et velocità: et per mia opinione, detta proportene si può cavar da 3 cose ; dalla larghezza del vivo del vassello, dal- l’altezza sopra acqua dove ripossa il remo, et dal moto che comunica loro il io galeotto nel tirar il remo. Parlando prima di questa ultima, che è la forza movente, dirò che, ponen¬ dosi il galeotto in voga, è necessario considerar che conviene fare un do’ 3 moti : o tirando il remo di sotto in su, per esser basso; o di sopra in giù, per esser alto; o dirittamente al petto, per esser posto tra questi dui estremi. Ilora si può benissimo giudicare che, questi dui estremi sopradetti essendo violenti, con¬ vengono esser mancanti di forza et difficilissimi a durare ; adonque bisogna situar il remo in modo, che tirandolo venga al petto quando l’iiuoiuo sta diritto, havendo poi l’avvantaggio quando il galeotto cade in bilancia, che col peso del corpo agita più facilmente il remo che con la forza ordinaria. Supposto questo, che non ha difficoltà alcuna, è necessario venir alla cognitione del proprio loco et della propria altezza che doverà esser posto il remo al schermo sopra acqua; il che si trovarà facilmente quando s’ haverà in consideratione et l’altezza dcl- l’huomo che voga et la longhezza del remo, Però bisogna situarlo tant’alto, che il remo possa toccar l’acqua quando il galeotto non cada nelli doi estremi sopra¬ detti. A voler far questo, ò necessario che il remo sii lungo et tochi 1’ acqua molto lontano dal navilio, che leva il dell'etto al galeotto de vogar il remo con i hrazzi alzati : ma si cade in un altro bisogno, che havendo il remo lungo, bisogna mag¬ gior forza a moverlo, così per vogare come per alzarlo et abbassarlo. Però in questo ponto cade la larghezza del navilio, perchè da essa si devono cavar la so longhezza del ziron del remo et la larghezza della postizza, poi che quando non supplisse il navilio a capir la longhezza del ziron nel suo corpo vivo, bisogna aiutarlo colla postizza; poi che il ziron è fatto non solamente per mover l’asta del remo die sta fuori del schermo, ma anco per far contrapeso al peso de detto remo, il qual peso è tanto che, con tutto che il zinnie si faccia lungo et grosso, non però basta, ma s’è in necessità d’aggiungerli 50,(10 et 100 lib. di piombo, acciò che, stando in bilancia, il galeotto non babbi altra fatica che di tirarlo. Oltra questa grossezza s' ha da considerar la forza de chi ha da mover il ras¬ setto, la qual doverà esser de molti huomini, come s’ è detto, per la gravezza del navilio et per la lunghezza del remo. 4 o Dai piatici dell’ arte vien diviso il remo in tre parti : due parti si danno dal schermo alla palla, et una si risserba per zirone. Potendo questa 3* parte esser tanto lunga, per le cause dette di sopra, che non possa esser capita dentro il vivo 28 marzo 1593. 59 m della galea, è necessario slargar le postizze tanto che dalla corsia al schermo possa capirsi il zirone, et per necessità bisogna valersi di sito manco forte, met¬ tendo la forza nel morto della galea. Bora, questo spacio non deve esser tutto occupato dagli huomini che tirano il remo, perchè se si metteranno 4, G et più huomini a questo remo, bisogna haver avertenza che l’ultimo huomo sia tanto lontano dal schermo, che possa metterli forza, et aggiùnger la sua appresso quella so delli altri suoi compagni che sono verso la corsia; che quando fosse troppo vicino, sarebbe inutile: oltre che bisogna tra l’ultimo huomo et la postizza che possano star li huomini combattenti, senza impedir chi voga. Dalla corsia al schermo bisogna adunque che sia capita la 3 a parte del remo. Questa terza parte doverti esser tanto longa che sortisca le cose dette di sopra, et da questa 3" parte in¬ trinseca immediate si cavaranno le due estrinseche al navilio. Questo moto che fanno i galeotti è molto differente, perchè più forza mette il primo che il secondo, et più il secondo che il terzo, et così successivamente fin all’ultimo; et questa lor forza si cava teoricamente : perchè il moto che fa il remo nelle estremitadi sue è circolare, proportioninsi i circoli che fa la palla con quel del zirone, che co si vedrà la forza che doveva esser movente a quella che è mossa; et proportio¬ ninsi i circoli del primo a quel del secondo, che si vedrà anco la proportene della forza tra loro. Adonque non può sucedore quello che si dice, che quanto la parte del zirone sarà più lunga, tanto più facilmente l’acqua verrà mossa, et perciò il suo sostegno sarà più debole et il vassello manco si spingerà, perchè al sicuro col zirone curto non si haverà mai forza di governar il remo, non che vogarlo. È ben vero che quando la necessità astringe a. far il remo più lungo de fuori di quello che porta la terza parte che deve star dentro, che l’huomo con- vien cedere ; ma se voi adoprarne, è sforzato mettervi maggior forza movente, che sarà maggior quantità d’ huomini, et a mettervi più huomini bisogna aliar¬ vi» garsi fuori del vivo del navilio tanto pili : il die, a mio giuditio, non è male, perchè ne nasce la ressolution del secondo dubio, qual sia maggior forza, o quella che sta sul corpo vivo del navilio, o quella che si pone sopra la postizza fuori del vivo. Quella che sta sul vivo, è più vicina al centro, et perciò move con maggior difficultà; et quella che è lontana dal centro, più facilmente sforza il navilio ad andai- avanti, convenendo per necessità, quella che è vicina haver due moti con- trarii, 1’ uno di spinger et l’altro di cacciar sotto il navilio, perchè il remo con- venirà esser sempre più corto, et perciò cacciarsi più presso con la palla al na¬ vilio, et volendolo sforzar convien andar più sotto all’acqua; cacciandosi ino’ sotto il navilio, viene ad haver il contrario dell’acqua, che tanto maggiormente gli su resiste nel caulinare. Adonque il schermo più lontano dal centro sarà più utile, se ben patirà l’imperfettione del manco forte, a che con l’arte si potrà sempre reme- diare dagli huomini intendenti. lo pensava non iinpir meza faccia di carta, et tamen mi son lasciato trasportar GO 28 MARZO — 1 ° MAGGIO 1593 . [ 48 - 49 ] fin a questo termine, che eccedendolo sarebbe fastidirla, et mi si potrebbe opponer che io volessi instruere Minervam. V. S. Ecc. ,u * mi ami et mi commaudi. Di V. a , a 28 Marzo 1593. Di V. S. Ecc. ma All’. mo fratello per servirla sempre Giacomo (lontanili. 49 . LIVIA GALILEI a GALILEO in Padova. Firenzi*, 1" maggio 159:}. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Oal., P. I, T. XI11, car. 5. Autografa. Àmantisimo fratello, Addì piino di maggo. 1593 (n . Venedo chostl la nostra Lena l * ) , non mi sarei mai tenuta che io non v’avessi scricto questi quatro verssi, dandovi nuove di me: e so bene la Signoria Vostra non si cura di sapere di me, io mi curo di sapere di voi, che non ò altro bone che Vosignioria; e però la prego a volermi fare gratin di volermi rispondere, acò che io abia questo podio di chonteto: e se bene Vosignioria scrive a nostra madre, lei non me le porta mai ; mi ilice bene : E1 vostro fratello vi si raclio- maiula: e per lei ò initeso come la Signioria Vostra manda Michelagnolo lS) iniPolonia. Io n’ò auto grandisimo dispiacere: poi mi conforto e dico cosi: So fusi lato pericoloso, voi non ve lo manderesti, perchè so che, li avete uil'etione. io K più ò inteso come eli vostro ritorno sarà presto, che mi pare mile anni ; e di gratia richodatevi di recharmi da fare una vesta, che n’ ò bisognio pure asai. E con questo farò fine, restando sciupo al comando di Vostra Kignioria. Nostra madre e la Vergini» l ‘> vi si racomamla, e ’l simile fa S. : ‘ Clarice e. S. a Contessa; e io senza mai line mi vi ofero e rachomado. Adio. Vostra cliara sorella Livia in S.° Guliano. Fuori: Alla molto Magnifico et Ecellentisimo Signiore Dotore Galileo Galilei, fratello chajrisimo e ononidi), in 20 Padova. D’altra mano: Data al S. r Lodovico Ieri. <«> 1598 ù aggiunta di mano sincrona. <« Fratello minore di Uami.ro. <4> Sopra il dobole fondamento di quosta raenzio- tu Sorella di Gai.h.ro ne, o dell’altra contenuta nella lettera successiva, fu S. Giuliano era monastero di Domenicane in attribuita a Gaui.ro un’altra sorella por nomo Lena. Firenze. L50J 29 MAGGIO 1593. 61 50 . GIULIA AMMAINATI GALILEI a GALILEO in Padova. [Firenze], ‘20 maggio 1593. Blbl. Nuz. Fir. Mas. Uni., P. 1, T. XIII, car. 7. — Originalo, non autografa. ° Aless.® Sertini. Mandatemi qualche composizione vostra o d’ altri, chè tra tanta moltitudine di gente non può far che non sia una dozzina di poeti. Occhi, fonti del cuore, occhi, piangete: D’anime tormentate amare strida Lett. 52. 19. in debbo — 22. Guarde «o — 28. tormentate ò stato corrotto dall’ autore in Incero di neon folate, cho prima areva scritto.— 04 19 NOVEMBRE 1593 - 11 GENNAIO 1594. [52-53] Chieggon mercè; vostra pietà l’affida Che degl* incendi lor pietade havrete. Deh lagrime per loro a Dio porgete : Forse 1* alma diletta in voi confida Trovar vieta ; beati voi, so guida Con le lagrime vostre al ciel le sete. Beato lagrimar, se degl’ incendi, Che tu per abbellirti, alma, sostieni, Dal pianger nostro refrigerio prendi. Ma se all’ eterno Sol ti rassereni, Deh per lagrime a Lui preghi mi rendi, Che ’l corso mio dal precipizio affreni. Di grazia, avvisatemi se è arrivato costi il Sig. r Stefano Kivarola ; e baciateli le mani per me, s’ egli vi è. Fuori : Al molto Mag. c0 Sig. r Galileo Galilei, Sig. r mio Oss.'"°, in Padova. 53 . GALILEO ad ALVISE MOOENIGO in Venezia. Padova, Il gennaio 1694. Bibl. Ambrosiana in Milano. Cod. R. 104, car. 376r. - Copia dol tempo, di mano ignota: all'angolo superiore a sinistra, scritto d’altra mano, ma essa puro dol tompo, si logge: « Ad Alvisu Mocenigo, del D. Galilei ». Chiarissimo et molto Illustre Signore, Dalle parole di V. S. Oh. 1 "* et dalla fabrica assai confusa posta «la Ile rene al n. ro 7 (l) vengo in cognitione, quella essere la lucerna della quale V. S. Ch. raH desidera la costruttione : però P ho più volteletta, et finalmente non so da le sue parole trarne tal senso, che non mi resti qualche confusione. Ma non volendo interamente obligarei a tutte le sue parole, mi pare che voglia inferire una fabrica simile all’ infrascritta : .jo Nunc abs te placet aliquid observationum postulare: scilicet mihi,qui instru- rnentis careo, corifugienduin est ad alios. llabes quadrantem in quo possi» notare singula scrupula prima et quadrantes primorum ? Observa igitur, circa 19 Do- 20. Prima aveva scritto perducuuiiu, cho poi corrosso in perducrre qutamui .— 71 159-60 j 13 OTTOBRE — 17 DICEMBRE 1597. cembris futurum, altitiulinem eductionis caudae in Ursa maximam et minimani eadem nocte. Sic circa 2(1 Decembris observa similiter utramque stellue polari» altitiulinem. Primato stellam observa etiam circa 19 Martii anni 98, altitudine nocturna, bora 12; alteram, circa 28 Septembris, etiam bora 12. Nam si, quod opto, dift'erentia quaedam inter bina» observationes intercedet unius atque alte- rius scrupuli, magis si decem aut quindecim, rei per totani astronomiam latis- 60 siine dift'usae argumentum erit ; sin autem nihil piane differentiae deprehende- mus, palmani tamen demonstrati nobilissimi problematis, liactenus a nomine affectatam, communi ter reportabimus. Sapienti sat dictum. Mitto autem duo insuper «jxemplaria, quia liambergerus milii dixerat, te plura desiderare. Cuicunque miseri», ille literis de libello scriptis mercedem solverit. Vale, durissime vir, et per epistolam longissimain mutuimi mibi repende. 13 Uctobris anno 97, Gratii. liuiuanitati tuae amantissima M. Joban Kepler. Fuori: durissimo viro Domino Galilneo Galilaeo, 70 Paduano Matbematico, tradantur Paduam. G0*. GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Padova. Pesaro, 17 dicembre 1697. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., I'. I, T. VI. cnr. 25. - Autografa. Molto Mag. co el Ecc.' tf S. p mio Hon. do Sono tanti giorni che io non lio bavuto nuova di V.S., che ho caro questa oc¬ casione di lloratio mio figliuolo, che se ne viene per star appresso al S. (rio. Batt.“ dal Monte, di ricordarmeli che desidero di servirla, desiderando di haver nuova di lei. In un anno che lloratio è stato qua, io P ho introdotto un poco nelle mathematiche, et desidero che V.S. l’esorti a voler attenderci, che ha assai buono ingegno, e pò andar studiando da sè alcune cose : e gli ho detto, che come trova qualche difficoltà, se ne venghi da V.S.', chè so die per amor mio lo tavo- 50-57. In luogo ili Prima», ... etiam bora ÌS. prima aveva scritto Baule,» » teli uh observa etiam circa 19 Ct i‘,l Martii anni 98. *uo ordine; poi Corresse Eaedem nella» in tàndem nella»,; e da ultimo a Handtm sostituì Prima»,, cancellò et S6 e etto ordine, e in margine aggiunse, dopo 98. le parole altitudine ... etiam hora — ©3. Uomberyerut — 04. Tra deeiderure e C,,icu, H „e si legge, cauuellato. Vale. - 72 17 DICEMBRE 15'J7 — 20 MARZO |G0-62] i-irà di esser qualche volta maestro, che ogn* un eli noi lo riceveremo per lavoro. Efc io se Bon buono a servirla, mi comandi: e le baschi le mani. Di Pesaro, alli 17 di Dicembre del 1507. Di V. S. Ser." (iuidobaldo dal Monte. Fuori: Al molto Mag. 00 et. Ecc. 1 " Sig. r mio Ilo», il Sig. r Galileo Galilei. Padova. (il* GIOVANNI KEPLER a GIÀNWOlttilO UERWART VON IIOIIENIWRG in MONACO. Grati!, 21» mar/» 1698. Bibl. (lolla R. Univomltà in Monaco. Orni. l>92, piig. 27H. - Autografi. .... Quod miteni etiarn ex catione ventorum et motus nmriwin deduci argomenta oxi- stiiims prò mota telluris, equidem et ego mninulliiH liuruin rerum cogitaiiones Imlieo; et cnin iiuper Galilaeus, Pataviuus Mathematicus, in literis ad me scriptin tentatila esset, at* plurimavum rerura ìmturalimn eausas ex iiypotliesibus Copernici recti agirne deduxisse, quas ftlii recìdere ex usitatis non possiut, ncque tamen in specie quicquam commeinoraret. ego hoc de mmis fluxu auspicatila sum. Seti tamen, ubi rem diligimi ina perpendo, non videmur a lima discedere debere, quoad rationes Uuxuura ex illa deducere quimus: qund quidem fieri posse existimo. Qui enim terreo mutui trilmit. motum marinili mere violen¬ timi motum statuit; at qui lumie maria dicit adhaorescere, ex parte uuturalem f'acit.... 62 *. ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO in Padova. Modena, 20 marzo 1699. Blbl. Naz. Pir. Mas. Uni., 1*. I. T. XIV, uar. f>. Autografa la aultoscrùioiio. Mollo M.«° et Kcc. te amico car. mo Io conservo continova ot amorevole memoria della persona sua; et però (Munii stata carissima la sua, dove con tanto affatto si congratula con esso me della mia prornotione. Ne la ringratio dunque; et perciochè mi pare soverchio l’offe- Lett. 61. 3. Tra >»<;*<>• o Ualihieui aveva scritto, o poi caucollò, mi me. t>. Tra rem o dìliijenliut aveva scritto, e poi cancellò, reclina. — 9. atutuit. Atijuì lumie — 20 MARZO -3 LUGLIO 1599. 73 [02-041 rii le P opera mia, lascerò che se ne vaglia ove potesse giovarle. Et intanto la saluto con suo fratello : et N. S. or Ilio gli conservi. Di Moderni, li 20 di Marzo 1599. Al piacer suo S. 01 ' Galileo Galilei. Aless. rn (Jar> d’ Esto. lo Fuori : Al molto M. c0 amico car. m0 11 S. 01 ' Galileo Galileo. 63 *. COSIMO PINELLI a GALILEO in Padova. Napoli, 3 aprile 15'.»0. Ribl. Nft*. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, cnr. 7.— Autografa la eottoscriziono. Molto Mag. 00 et Ecc." ,n Sig. ro Ilo riccevuto le scritture dell’uso del Compasso 01 , mandatemi daV.S. per mezzo del S. r Gio. Vincenzo mio zio; le quali mi sono state tanto care, quanto conviene al valor di esse, clic veramente è infinito, se bene V.S. si compiace di parlarne coti troppo severo giudicio. Ne la ringratio dunque quanto posso; et ras¬ sicuro che, et per questo et per le molt’altre sue meritevoli qualità, me le sti¬ merò sempre grandemente uhligato et alfettionato. Il K. r Federico accetta la ra¬ gione ch’adduce V.S. per il libro di cui gli diede intentarne, et resta insieme meco desideroso di servirla. Et le bacio la mano. io Di Napoli, a 3 d ! Aprile 1599. Di V. S. por servirla S. r Galileo Galilei. Il Duca d’Acerenza. Fuori: Al molto Mag. co et Ecc. m0 S. r Il S. 1 ' Dottor Galileo Galilei, a Padova. 64 *. AGOSTINO DA MULA a GALILEO in Padova. Venezia, 3 luglio 15U9. Bibl. Nax. Fir. Mbì. Gal., P. I, T. VI, car. 27. - Autografa. Molto Mag. co et Ecc." 10 S. r mio, Io liaveva da esser li giorni passati a Padova, et mi sono incontrati tanti affari che mi hanno tratenuto, che non so quando che io possa venirvi. Per que- 0) Cfr. Voi. Il, pag. 337. X. 10 74 3 — 9 LUGLIO 1599. 164 - 65 ] sto prego V.S. che mi favorisca di pigliarsi fatica di vedere quelle mctopc che la sa che sono da quel bocalaro ; et perchè mi ò stato fatto dire che lo sono cotte et che io mandi a pigliarle, et da altra parte sono avvisato che le non hanno havuta cottura a bastanza, procurare clic siino posto una altra fiata in for¬ nace, acciochè, reccevcndo nova cottura, possano resistei alla ingioi la de ì tempi, dovendo esser poste in opera al scoperto. La mi faccia gratia di operar elio sia fatto questo servitù) quanto prima, perchè il tempo insta, et li murari, per aspot- io tari e, rittardano 1’ opera. 11 scultore, che le ha fatte, ha obbligo di farle cuocer a sue spese a perfettione, et ha lasciato questo carico al bocalaro, dove sono esse metope: pur se per farle dar questa ultima cottione bisognasse spender qual¬ che cosa, mi contenterò farlo, quando non possi far altro. La prego a perdonarmi il disturbo et commandarmi : et le bascio le mani. Il P. M. Paulo la saluta. Da Ven. u , alti 3 di Luglio 1099. Di V.S. Sor.™ Agostino da Malia. Fuori: Al molto Mag. c0 et Eco."’ 0 S. r mio Osser. ,no Il S. r Galileo Galilei. 20 Padova, al Santo. G 5. GIROLAMO MERCURIALE a GALILEO in Padova. Firenze, 1) luglio 1699. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. VI, ear. 29. — Autografa. Ecc." 10 S.'° Non potrei esprimere quanta consolatione mi hahbi recata la lettera di V.E., e quanto gusto babbi sentito da Mess. Michel Angelo suo fratello, che certo, e per la sua virtù singolare e per le creanze, merita d’esser amato et favorito da ciascuno. Credo che egli medesimo scriverà quel di’ io babbi fatto con que¬ sti Prencipi e con questi musici per lui; ma non ho ancora Unito di far quel ch’io desidero, che certo desidererei si fermasse in Firenze a servir le loro Altezze, come havrebbono anco curo molti di questi musici, et specialmente il S. r Emilio del Cavaliere, patrone del tutto in questo genere. Al mio S. r Gio. Vino. 0 Pinello ho scritto fra due volte dopo la ricevuta della JO sua lettera; ma credo non le habbi havute, perchè il gentilhuomo, al quale le drizzai in Venetia, le havra ritenute per giusto rispetto : si che prego V. S. a 1) — 1S LUGLIO 1599. 75 [«5-66] scusarmi seco, se per avventura havesse fatto di me qualche sinistro concetto. Mi è ben doluto intendere di’ egli sia in mano de’ medici, seben dall’ altra banda spero che fin bora debba esserne uscito felicemente, secondo prego N. S. Dio che lo mantenghi ancora per molti anni. Non so se il P. Palmi fieri sarà ancora ritornato, e per questo drizzo la let¬ tera a lei, acciò la presenti quando vi sarà, non essendo cosa di momento. Speravo pur di poter riveder V. S. in Firenze quest’ anno, sendomene stata 2 o data gran speranza da suo cognato. Tuttavia mi andrò godendo la sua memoria, con la fiducia certa di esser amato da lei in ogni luoco, second’ io e 1’ amo et osservo por il suo singoiar valore. Et gli bacio lo mani. Di Firenze, li 9 di Luglio 1599. Di V.S. Ecc."'“ AfT." 10 Ser. ro llier. Mercuriale. Fuori : All’ Ecc. ,no Sig.™ mio Oss. mo 11 6ig.'° Galileo Galilei. Padova. 66 **. GIOVANNI ltEPLER a .... Graz, 18 luglio 1599. Bibl. Nuz. Flr. Mss. Gal., Par. VI, T. VII, car. Uór. o iOf. - Autografa por la maggior parto. _Quod nisi tua studia internimpuntili-, operaio hanc amicam in te suscipias, ut ingenia virorum Italoi-um sollicites in subiectis materiis: niliil mihi gratina esset, quam legare scriptas bis de materiis epistola». 1 ). Galilaeum praecipue hoc nomino saluta, a quo miror me responsnm nulluiu accipere.... .... Tertio, vohementer cu peroni a Galilaeo, post exacte cousti tu tam lineam meridia- naiu, obscrvarl deelinationem magliette ab illa linea meridiana, sic ut magnetica lingula libere in quadrato vaso ad perpondiculum erecto, et. latore ad meridiauam applicato, natet. Nani videtur mira polliceri magnes, modo essent diligentes obsérvatores et varii mngnetes consulerentnr, niliil no discreparent. Ego pridem in hanc ivi sentenliam : quo loco iam 10 est punctum, quorsuni vergit magnes, eo loco in principio mundi fuisse polum, et hanc esse inotus magnetici rationeni. V ideor ìnotum illuni et variationem altitudinum poli, quam Lott. 66. 6. ma gnatica lingula è stato sostituito a magne», elio prima aveva scritto. —7 .et Infere ... applicato è stato aggiunto posteriormente in margine. — 11. motua magnetici è stato sostituito a huiue rei elio prima aveva scritto. — (') Gihoi.amo Palantikiu. 70 18 LUGLIO — 24 AGOSTO 1599. [60-67] Maria ^ ani madvertit, pulcherrime Ime traducere posso. Marcator distantiam poli ma¬ gnetici a mandano pm.it, 1G '/, gradua, Bara ex observatione Iiatavormn depiul.eiido non maiorem G id quod plurimum ad hoc meum intontum iacit. ^- 67 *. ANTONIO QUIU1NI a GALILEO in Padova. Venezia, -21 agosto l.VJ'J. Blbl Naz. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. VI, car. 31. — Autografa. Molto Mag. co et Eco." 10 S. r mio, Vorrei, nell’occasione ch’io ho havuto, e tutta via ho. di adoperarmi in agiuto di V. S., esser fornito di maggior forza et di maggior autorità di quella elio mi trovo, perchè procurerei di farle conoscere con veri filetti et la molta stima eli’ io faccio della sua persona et del suo valore, et il capitale che tengo delli commandamenti fattimi dalli Sig. ri Giorgio, Soranzo et Piacili, che tanto affettuosamente mi hanno raccommandato il suo honore et il suo interesse : ma, quale ella si sia, volentieri l’ho impiegata et di novo P impiegherò in favor suo, con desiderio che l’officio mio le riesca fruttuoso et giovevole. Ho compreso un’ ottima disposinone verso di lei nell’ 111." 10 S. r P. r Donato w , la quale ho anello tentato di accrescere; nè altro impedimento s’appone che la strettezza del danaro, nella quale convenirli cadere la cassa dello Studio, ment re si veda lo esempio della duplicatione et più che duplicatone dello stipendio nella rinovatione dello con¬ dotte. È vero che alcune volte si è fatto in alcuni; ma ò anello vero clic fu stimato grande errore et di malissima consequenza. Con tutto ciò replico a V. S. ch’io tornerò a far officio, perchè possi restar sodisfatta in questa sua presente occor¬ renza, come farò in ogn’altra che le piacerò valersi dell’opera mia. Et con tal fine le desidero ogni vero bene, et bacio le mani al Cl. mo 8.*' Benedetto Giorgio. Di Ven", li 24 Agosto 1599. Di V. S. per servirla Ant." Quirini. Fuori: Al molto Mag. co et Ecc. nin Sig. r mio Il big. 1 ' Galileo Galilei, lettor delie Mathematiche nello Studio di Padova. <0 Dominici'* Maria Fkiìiukiknsis. Krlatlgnc. Ileydor it Ziinmor, mdccclix, png. 816. <*> Cfr. Ioannis Kki-i.rri astronomi Opera omnia CU Lronardo Donato, Procuratore di Sun Marco edidit Dr. Cu. Friso». Voi. 11. Frank..furti a M. et o Riformatore dolio Studio di Padova. m 1° SETTBMBRK 1599. 77 GB. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GAI-ILEO in Padova. Venezia, 1° settembre ir>9y. Bibl. Naz. FIr. Mot. Gai., 1’. I, T. VI, car. 38 o 84. — Autografa. Molto Mag. co et Ecc. mo S. r Io sento grandissimo discontento, vedendomi imbarazzato in un negotio nel quale, havendo a trattare con persone di grandissima auttorità, vedo che ogni mio uffitio si può quasi assolutamente dir inutile et infruttuoso. Tre volte mi son trovato col’ 111. 1,10 Contarmi 10 , dal quale mai ho potuto trare pur una parola cor¬ tese ; anzi una volta mi ha detto, che quando non si voglia aquetarsi al dovere, si farà dal loro canto altra delibe|razione ...] conformità: intendo da altra parte che egli si lamenta de’ suoi nepoti l,) , perchè non facciano altro che tormen¬ tarlo in questo proposito; onde io vedo che con questo soggetto ogni uilitio è io anzi dannoso che giovevole. I.’ 111." 10 Zane (S) , col quale ho parlato più volte, perse¬ vera nella medesima gentilezza et cortesia di prima, et concorrerà volentieri a dar a V. S. Ecc. ma ogni satisfattione. L’ 111."' 0 S. r P. r Donado, col quale ho par¬ lato, mi ha corrisposo veramente con parole assai cortesi et molto honorevoli della persona di V. S. ; et. anco nel corso del suo ragionamento ha dimostrato far gran stima di quella lettura; et si dilatò assai in questo proposito meco, pre¬ sente pur 1’ Ill. ,no Contarmi, ii che mi persuasi anco esser tatto ad arte: et la con¬ clusione del ragionamento fu, che il Moletti non passò il segno delli 300; che V essempio eli Bologna non haveva luogo in questo Studio, perchè vi era man¬ camento di danaro; che il viver della catedra solamente era quasi impossibile, 20 e che delle lottioni private bisognava farsi pagare ; ma però che, quando gl’ altri si contentassero, si vederebbe arrivar alli 350, mostrando di condescender a que¬ sto per gingillar gratin ; et in fine pregandomi et protestandomi, con maniera però assai cortese, che non volessi pretender più, perchè, mettendo questo essem¬ pio in confusione tutto lo Studio, averei procurato quello che, come gentil’ huomo venetiano e di giuditio (per dir come Sua S.™ 111.™ disse), non mi si conveniva tentare; che giù hnvevo assai abondantementc sodisfatto all’amicitia che tengo con lei, all’ obligo che asserivo haverle, et a quel favore et aiuto che i veri gen¬ til’huomini sono tenuti prestare a virtuosi che meritano ; et che, sicome fin qua restava molto ben edificato de’ buoni offitii che havevo fatto, così gli pareva che in Zaocaria Contartxi, Riformatolo dello Studio. <*> Anuki.o. Fiuito c Francesco Contarci. < a ) Matteo Zane, Uiformntore dello Studio. 78 1° SETTEMBRE 1599 — 3 GENNAIO 1600. 168 - 69 ] mi dovessi borirmi aquietare, et procurare anco che V. S. Kcc. mn si aquetasse, 80 et conoscesse che con lei si ò fatto quello che con altri non s’barerebbe fatto ; et che quando con lei si volesse passar pi il avanti, questo sarebbe un chiamare tutti i dottori a Venetia et nutrirli in speranze indebbite, allo quali non saria possibile dar alcuna satisfattione ; che, havendoini io così ardentemento adope¬ rato per V.S. Ecc. ,nn , si persuadevano che io fossi molto suo amico, et che per consequenza stimavano che, et por 1’auttorità deH’amicitia et per le molte ra¬ gioni che io larverei potuto addurle, 1* haverei senza dubbio fatta contentare ; che le scrivessi, clic haveriano attesa la risposta. Io non mancai, in quella maniera che mi fu lecita, andar assolvendo alcuna delle cose sopradette et, discorrer so¬ pra il suo merito, il quale, sicome trnppassava per molti rispetti i segni ordinarli, -io così ricchiedeva estraordinaria satisfattione. Pure P lll."' 0 Domalo mi replicò sem¬ pre il medesimo, et sempre con maggior efficaccia; et Pili.""' Contarini, non attendendo a quello che ragionavano, mai disse altra parola, se non che si ma¬ ravigliava, et che non vedeva causa di così alte pretensioni, mostrando di restar pochissimo satisfatto della mia persona. Io sto aspettando risposta dal Magini, et venuta che ella sia, la darò all’ Ill. mo Zane; e tra tanto aspettalo da lei risposta. Et le baccio la mano. In V. a , il primo Settembre 1599. Di V. S. Ecc.“ a desiderosissimo di servirla Gio. Fr. Sag. f>o Fuori: Al molto Mag. co et Ecc. m0 S. r Honorat." 10 11 S. 1 * Galileo Galilei, ivhit. co dello Studio di Padova. 69 * TIGONE BRAHE a GIO. VINCENZO TINELLI in Padova. Benatek, 3 gennaio ÌOU). Bibl. dell’Università di Ba6iloa. Cod. <ì. I, Sii, ritr. S-i). -- Minuta antoKnifn. Illustri et Glarissimo viro l). nu Vincentio Lineilo, Patricio Patavino, D. no et amico suo Ohservandissimo. Illustris et Magnifico. vir, S. Cuiii superiore anno Italiani peragrasset nohilis et erudìtus adolescens Frnnciscus Tengnaglius, qui aliquamdiu antea, tain in Dania quaui Germania, ineus domosticus fuit, et Dresdae a me, in Italiani profectus, inter alia, ut, Patavium transiens, te officioso meo nomine salutaiet atque de statu mearum rerum edoceret, in rnandatis liabuit; reversus 'ó GENNAIO — 4 MAGGIO 1600. L00-7OJ 7‘J miteni nnper mi me, cmn ab ipso percontarer an te allocutus esset, respondit se qanm priniuin l'atavium permeasse!;, saltelli biduum ibi niansisse, interim to conveniendi nullam 10 datam fuisse commoditatem. Keiecit itaqne illud in reditum suum, donec, ulteriore Italia perlustrala, in (remianinm ipsi revertenduni loret. Àt, cuni rursus urbeni vestrnm aece- deretet quod anteu omissum e rat p mestare satageret, to ibi non inveii it. ; seri in villani tuani, animi oaussa, seeossisse, Mathematica vester Galiloeus de Galilaeis referebat. Re itaqne hoc, praetcr utrinsque nostrum expeotationem, infecta, is ad me(utidict nm)rcdiit_ Vale, salutato a me peramanter ob couformia studia praestantissimo istic mathema- 'tmn professore tìalilaeo de Galilnoià; qui si inibì (uti constituerat) per dictam oceasioneni seripsisset, me in respondeudo non inveuisset difficilem < 9 >. Poterit tameu id alio fortassis tempore prao.sto.ri. ... 70 . TICONE BRA11E a GALILEO | in Padova]. Benatck, -t maggio 1000. Bibh Nnz Fir. Mss. Gal., 1’. VI, T. VII, cnr. -il.— Autografa la firma. diarissime et Excellentissime V ir. Cimi bisce diebus Fraglie f'uissem, atque ibi Serenissimi Principi» Magni Ducis lietruriao oratorem apud Sacram Caesaream Maiestatem, lllustrissimum et Ge- nerosissimum Dominum Cosmum Concinum e Comitibus Pennae, convenisse»!, inter alia Illustrissimae Dominationis eius Immanissima mecum colloquia (uti sane est vir, eximia comitato parique doctrina, praeter generis illustrissimi!»! splendorem, admirandus nec unquum satis laudatus), incidit etiani Excellentiae tuae honorifica mentio, ob «iugulare»!, qua, in mathematicis praesertim, plu- rimos alios antecedi», ©ruditionem ; dunque a tanto viro tuas dotes etiam de¬ io praedicari audirem, stimulavit id prius de Excellentia tua animo nieo conceptam sententiam, ut non potuerim non has ad ipsam scribere, atque sic amicitiae no- strae et ulterioris inter nos per literas correspondentiae fundamina ponere. Quia vero a nobili adolescente Francisco Tengnaglio, nieo domestico, ex Italia bue redeunte, percepi Excellentiam tuam primum nostrum tomai» Epistolarum Astrononiicarum tJ) perlustrasse, atque in oo nonnulla reperisse de quibus mecum conferre cuperet, ego certo idipsum millatcnus detrecto ; sed si quid fuerit quod Loft. 69. 8-9. se quam primum Oi Noi primi giurili dol uovombro 1509. Cfr. Car¬ teggio inedito di Ticone Bruite ecc., pubblicato od illu¬ strato da Antonio Favauo. Bologna. Zanichelli, 188(5, I>ag. 223. l*l Intorno ni motivi elio possono avorespinto Tiuosk llitAiiv: a corcare con tanta insistenza la corrispondenza con Gai.ii.ko da risolversi egli stesso ad iniziarla, conio foco con la lettura elio segue, Cfr. A. Favauo, Di alcuni nuovi materiali per lo studio ilei carteggio di Ticone 1Jrafie e delle, mie relazioni con Galileo (Alti ilei II. Istituto Veneto di scienze, lettere, ed arti. Serio VI, T. VII, pag. 199-215), Venezia, tip. Anto- nolli, 1889, o A. Favauo, Ticone. Brahe e la Corte di Toscana (Archivio Storico Italiano, Serio V, T. Ili, pag. 211-22-1), Firouzo, tip. Collini o C., 1889. 1*1 TvoONis Hiuiik Dani Epistolarum aatronomi- carutn libri. Quorum prima» hic Illustrissimi et Lau- datissimi Principia Qulielmi Bastine landgravi i ac ipsitts mathnnatici literas, iinaijue responsi ad singulti», compicciitur, Uruiiiburgi, anno CIDIDXCVI. 80 4 MAGGIO 1G00. m Exccllentia tua in disquisitionem inibì vocare velit, erit id mihi gratissimum, invenietque me ad respondendum prò meo modulo quam puratissimum. Sive de bypotbesi nostra coelestium revolutionum, quae solem centrum facit eircuitionis quinque planetarum, terram autem, et eam quiescentem, solumniodo ambormn 20 luininarium, atque octavae quam vocant spherae (cui assumptioni apparentias quam optime congruere depraebendi, ut nihilominus tollantur vasti illi opicycli, quemadmodum apud Copernicum, et terra in centro universi, quod ilio non admisit, immota maneat : sunt etiam particularia quaedara, in hac nostra inven- tione, quae ncque iuxta Ptolemaicam neque Coperniceam speculationeiu tam competenter excusari possunt); sive de restitutione lixarum stellarum ; sive de cometis, quos omnes in ipso coelo curricula sua absolvere, contra quam volunt Peripatetici, probo, idque in scptem, a me diligenter observatis, demonstratum relinquo ; sive de quacunque tandem alia re, cuius in ilio libro mentio lit, mecum disserere Excellentia tua volet; faciat id ingenue pio suo arbitrio. Ego vicissim so ineam sententiam illi aperire, atque de rebus astronomici cum ea iucunde con- fcrre, non intermittam. Valcat Exccllentia tua quam optime. Dabantur ex Arce Caesarea Benatica, die 4 Maii Anni 1000. [71] 25 AGOSTO 1600. 61 71 . GALILEO (i GIULIA AMMANNATI GALILEI in Firenze. Padova, 25 agosto 1600. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. IV, car. 11. — Autografa. Car. ma et lIonor. da Madre, Da una vostra lettera et da una di Mess. Piero Sali intendo del partito che ci vien proposto per la Livia nostra ; in proposito di che non veggo di potervi dar certa resoluzione, perché, ancora che il partito detto mi venga lodato da detto Mess. Piero et che tale io lo stimi, niente di meno bora come bora non lo posso accettare : et la causa è, che quel Signore Pollacco, a presso di chi è stato Miche- lagnolo, ha ultimamente scritto che ei deva quanto prima andar là da lui, offerendoli partito honorntissimo, ciò è la sua tavola, vestito io al pari de i primi gentil’ liomini di sua corte, dua servitori che lo servino et una carrozza da 4 cavalli, et di più 200 ducati angari di provvisione l’anno, che sono circa 300 scudi, oltre a i donativi, che saranno assai ; tal che lui è risoluto di andar via quanto prima, nè aspetta altro che V occasione di buona compagnia, et credo che tra 15 giorni partirà. Onde a me bisogna di accomodarlo di danari per il viaggio ; et in oltre bisogna che porti seco, ad instanza del suo Signore, alcune robe; che, tra ’l viatico et le dette robe, non posso far di manco di non 1’ accomodare al meno di 200 scudi : sapete poi se no ho spesi da un anno in qua ; tal che non posso far quel che 20 vorrei. Da l'altro canto mi viene scritto da Suor Contessa, che io deva in ogni modo levar la Livia di là ll> , perchè vi sta malissimo volentieri : et io, già che lei ha aspettato sin qui, vorrei pure che si vedesse di accomodarla bene ; perchè, se bene credo alle parole di Mess. Piero et che questo Pompeo Baldi sia buona persona, pure sen¬ tendo come, tra quello che guadagna et quello che può bavere di Lett. 71. 10. j/enlil' homino ~ IO Cioò dal monastero di San Giuliano. Gir. n.° 49, liu. 18. X. 11 82 25 AGOSTO 1000 — 5 GENNAIO 1601. [71-72| entrata, non deve arrivare a 100 "7, non so come si possa con que¬ sto danaro mantenere una casa. Però, quanto al mio parere, vorrei che si scorresse ancora un poco avanti, perchè Michelagnolo, arrivato che sia in Pollonia, non mancherà di mandarci una buona partita di danari, con i quali, et con quello che potrò fare io, si potrà pigliare ao spediente della fanciulla, già che ancora lei vuole uscire a provare le miserie di questo mondo. Però vorrei che cercassi di cavarla di là et metterla in qualche altro monasterio, sin che venga la sua ven¬ tura, persuadendogli che 1’ aspettare non è senza suo grande utile, et che ci sono et sono state delle regine et gran signore, che non si sono maritate se non di età, che sariano potute esser sua madre. Vedete dunque di vederla quanto prima, et date 1 inclusa a Suor Contessa, la quale mi dimanda il salario per il convento : però vi farete dire quanto è, che quanto prima lo manderò. Kt sopra quanto vi scrivo potrete parlare con Mess. Piero Sali, perchè, per non rapii- -io care le medesime cose, li scrivo brevemente et lo rimetto a quanto li tratterete voi. Altro non mi occorre dirvi, se non che a tutti ei rac¬ comandiamo. N. S. vi contenti. Di Padova, li 25 di Agosto 1000. Vostro A[ff.]° Fig> G. G. La lettera di Suor Contessa P ho mandata poi a suo fratello). Fuori : Alla sua Oar. ma et Honor. ' must (*) Prima di questo lettera, por ordine cronologico la cui data ò « 2G agosto 1000» e non 1001» come dovrebbe venire quella a pag. 251 segnata al N. 229, erronea niente fu interpretato nella prima edizione. 5 GENNAIO —29 MAGGIO 1601. 83 [72-73] et da questa passò nella BovbtU), nel catalogo della quale fu dato in facsimile: venduto all' asta por il prezzo di lire 690, pervenne alla raccolta Abiuuoni <*>, da cui passò (in al monte a quella Gskcoiii. Molto T11. re Sig. ro et Pad. ne Ossei’." 10 La bellissima sestina et la gratissima lettera di V. S. mi sono state di doppio contento: questa, recandomi testimonianza della memoria che tiene di me; et quella, dell’opinione che ha V. S., ch’io possa gustare ancora delle poetiche bellezze. Et invero, se pari al gusto et diletto fusse in me il giudizio, già per mia sentenza haveria la sua sestina sopra ogn’ altro poema di tal genere vittoria; e confesso a V. S. liaver veduto quello che, o per la difficoltà del componimento, o pur per mia insanabile ignoranza, non sperava di veder mai, cioè sestina il io cui alto, vago et chiaro concetto non fusse dalla strettezza degl’ oblighi superato. Ne la ringrazio dunque infinitamente, et la prego a farmi spesso di simili favori; che sarà per line di questa, con baciarli con ogni reverenza le mani e offerirmeli servitore prontissimo. N. S. la prosperi. Di Pad. a , li 5 di Gennaio 1601. Di V. S. molto I. Oblig. mo Ser. r0 Galileo Galilei. 73 . GIROLAMO MERCURIALE a GALILEO in Padova. Pisa, ‘21) maggio 1601. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. VI, car. 171. -- Autografa. Ecc. m0 Sig. r Senza dubio alcuno aspettavo V. E. col S. r Cornachini (, \ e Pio sa quanta con- solatione havrei sentita nel vederla et allacciarla doppo tanti anni ; ma poi che non torna bene alle sue cose et ai suoi pensieri, liavrò speranza al meno di rive- Lctt. 72. 8. Tra o o pur leggosi, cancellato, per. — li) leurea autografica compoiant la collection de |5) Collezione d’autografi e di documenti storici M. Alerei» Bovrt déerites par Rtiknnr Ciukavat: /ormata e posseduta dal cnv. Luigi Ahuiooni, biblio- ouvrago imprimé sous la direction do Fermano Cai.- filo-antiquario. Serie Prima. Poeti italiani. Firenze, metter. A Paris, librarne Cliaravay frères, 1, rue do tip. doli’Arto della Stampa, 1885, pag. 80. Kurstcnberg, 1887, pag. ISO. ,3 ‘ Orazio Cobnacciiini. 84 29 MAGGIO — 20 NOVEMBRE 1001. 178-741 derisi quest* alte’anno : noi qual tempo 1’ essorto in tutt’ i modi sul esporsi di ve¬ nire, perché il S. r Prencipe (l) havrà passati gli dodici anni, et tengo certo sers\ capace di tutte quelle cose matematiche che V.E. gli saprà mostrare; et sappi certo che quel figliuolo ha un felicissimo ingegno e memoria, et sopra il tutto è il più curioso cervello che si possa immaginare: onde credo havrà occasione V. E. di essercitare il suo talento, et chi sa anco che non possa essere qualche io sua buona fortuna. Però torno a dirgli che in tutt’ i modi veda di finire quel suo instrumento geometrico c militare, acciò possa lei medesima portarlo il se¬ guente anno per San Gioanni a Firenze, dove serò ancor io : et fra tanto con la prima occasione farò quel’ ufficio che si deve con le loro AA. SS.""*; et se V. K. volesse mandarmi un breve ritratto di quello che fa per il S. r Prencipe, con l’uso et utilità sue, lo mostrarci alle loro AA., et so certo che il Prencipe no pren¬ derebbe (liletation. Glie è per fine: et gli baseio le mani. Di Pisa, li 29 Maggio 1U01. Di V. E. Ecc. m “ All'.'" 0 Ser. r " 8/ Galileo Galilei. Ilier. 0 Mercuriale. 20 Fuori : All’ Ecc. m0 S. r mio Oss. mo 11 S. 1 ' Galileo Galilei. Venetia per Padova. 74 . GALILEO a MICHELANGELO GALILEI in Vilna. Padova, 20 novembre 1001. Museo Britannico in Londra. Egerton Mss.18, car. 2. — Autografa. Car."*° et lTonor. d ° Fratello, Ancor che io non Labbia mai Lauta risposto ad alcuna delle mie t lettere scrittevi da 10 mesi in qua in diversi tempi, pur torno a re¬ plicarvi 1* istesso con la presente ; et voglio più presto credere die siano andate mal tutte, et ogn* altra cosa meno verisimile, clic dubi¬ tare che voi tassi per mancare di tanto all’ obligo vostro, non sola¬ mente del rispondere con lettere alle mie, ma con effetti al debito che Laviamo con diverse persone, et in particolare col S. Taddeo Lctt. 73. 18. Maggi — <') Cosimo db’ Mrdioi, poi Cosimo U. 20 NOVEMBRE 1601. 85 [«] Galletti nostro cognato, al quale, come più volte vi ho scritto, ma¬ io ritai la Livia nostra sorella con dote di ducati 1800 (<) : de i quali 800 si pagorno subito, et mi fu forza pigliarne 600 in presto, confidando che al vostro arrivo in Lituania voi fussi per mandarmi se non tutta questa somma al meno la maggior parte, et per contribuire poi del restante di anno in anno sino all’ intero pagamento, conforme al- P obligo che ho fatto sopra tale speranza; che quando io havessi creduto che il successo liavesse ad essere altrimenti, o non haverei maritata la fanciulla, o 1’ haverei accomodata con dote tale che io solo lussi stato bastante a satisfarla, già che la mia sorte porta che tutti i carichi si habbino a posare sopra di me. Io vi pregavo in oltre • 2 o che dovessi mandare una carta di obligazione per darla al S. Tad¬ deo, nella quale vi obligassi in solidum alla detta dote insieme meco, et (die tale scrittura fusse autenticata per publico notaio. Però torno a ri pregarvi che non vogliate mancare di eseguire tutto questo quanto prima : et sopra ’1 tutto non mancate di darci avviso dell’ esser vostro, perchè ne stiamo tutti con gran pensiero, non havendo inai intesa cosa alcuna di voi da che vi partisti di Cracovia, eccetto clic circa un mese fa dal S. Carlo Segni, il quale per sua cortesia mi scriveva ha ver ricevute lettere da voi di Lublino, et che stavi in procinto di ritornare in Vilna, ma che per me non havevi mandato nè lettere so nè altro. Circa ’l resto noi stiamo, per grazia di Dio, tutti bene, et si aspetta di giorno in giorno il parto della Livia, la quale insieme con suo marito vi si raccomanda infinitamente, come fo io con no¬ stra madre. Di grazia, non mancate avvisarci dell’esser vostro quanto prima. Kt baciate le mani al Sig. re (2) per mia parte. Di Padova, li 20 di 9mbre 1601. Vostro Atf. mo fratello Galileo Galilei. Fumi : ÀI molto Mag. ro et Honor. fl ° 8. Michelagnolo Galilei. •(o Vilna. (•) Cfp. Voi. XIX. Hoc. XV, l, 1). allogato. Il Wolynski opina elio fosso un principe (*) Mancano noli'autografo c il nome o lo spn- Rapziwiu Cfr. /Mattoni ili Italìleo valla Polonia, oec. zio por il nomo. Galileo volle probabilmente indi- noli '.!rchivio Storico Italiano, Socio terza, T. XVII, caro il gentiluomo presso il quale Michelangelo era pug. 26. 86 17 GENNAIO - 13 MARZO 1002. 175-76] 75 * GIOVANERANCESCO 8AGREDO n GALILEO in Padova. Venezia, 17 gennaio 1rt02. Dobbiamo riprodurre audio questa lettera (vedi l’informazione promossa al n. 2) dall’edizione «lei Camport, die per primo In pubblicò n pag. 2-8 dol citato Carteggio Galileano inclito, non avondo potuto ritro¬ varne l’originale. Io mando a V. S. Ecc. ma due strumenti da far viti, che hanno bisogno di ac- commodamento. La picciola 1’ ho fatta io stesso già alcuni mesi ; ma perchè panni die non abbia tutta quella bona grazia che vorrei, volevo accomodarla, il elio poi non ho voluto tentare, perchè in vero mi è passata la voglia di lavorare: onde volendo far una macchinetta picciolissima, prego V. S. Ecc. raa operar che M.° Fait me la accommodi subito, siccome anco desidererei die aceommodasse anco quell’altra, sì clic lavorasse politamente. E mi perdoni della briga. Ho fatta fare una macchinetta, con una ruota d’avolio, con la vite perpetua incavata, come quelle di M.° Fait, ma però senza torno, col semplice scarpello: riesci assai bella, per esser fatta chi maestro novello. Ne ho anco fatto principiar io una quasi tutta di ferro, in forma di quelle di M." Fait, da^sti assinare, ma con una ruota di più : non so come riuscirà ben fatta, poiché il marangone fa 1’ uffizio del fabro e non vuole ubedire; e servendo cotali cose più per galanteria che per altro, mi rincresce che l* ostinazione di costui le tolga quel poco di gentile che se gli potrebbe dare con qualche ornamento. E per line me le raccomando. In Venezia, a xvii Genaro 1602. 76 . GALILEO a BACCIO VALORI in Firenze. Padova, 13 marzo 1002. Scrive il NRf.LT, Vita e Commercio letterario di Galileo Galilei eoe. Voi. T, Dosatimi, 1793, pag. 138, nota 1, che 1’ originalo di questa lettola ora nella libreria Rinucoini in Firenze: nta In ricerche da noi fat¬ tene sono stato inutili: o dobbiamo valerci d’una copia del secolo XIX, cito ò nella Ribliotecn Na¬ zionale di Firenze. Mss. Gal., P. I, T. V, ear. 3, copia trascritta quando fu messa insieme la raccolta Palatina doi Mss. stossi. Molto 111.™ Sig.™ et Padron Col." 10 Dal Sig. Michele Saladini mi sono state mandate, conforme all’ or¬ dine di V. S. molto 111.™, 10 copie del discorso del Sig.‘‘ Mei sopra 87 [70-77] 13 marzo — 26 aprile 1602. l’antica et la moderna musica* 1 '; il quale mi è stato sommamente grato, sì per la cosa in sè stessa, degna veramente dell’erudizione singolare dell’autore, sì ancora per venirmi mandata da V. S., segno elio tien memoria grata di un suo devotissimo servitore, cosa da me sopra modo ambita et della quale mi pregio assai : et così si assi¬ curi V. S. che sono desideroso di servirla, come obbligato a farlo. Ho io letto il discorso, al quale non saprei dar lode maggiore che il dire che sono persuaso et credo che dica il vero, che deve essere 1’ ultimo scopo di ogni speculatore. Lo participerò con quelli di questo Studio che mi parranno più atti a intenderlo; et a V. S. molto Ul. w renderò infinite grazie dell’ amorevole alletto, e con farli le debite reverenze finirò. N. S. la conservi. Di Padova, li 13 di Marzo 1602. l)i V. S. molto ili" 1 Serv. re Obbligai”' 0 Galileo Galilei. Fuori : Al molto IU. lre Sig. ro et Pad. nfi Col." 10 20 il Sig. Laccio Valori. Firenze. 77. GALILEO a BACCIO VALORI in Firenze. Padova, iiO aprile 1(50:2. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 9. — Copia dolla stossa mano del n.« 7G. Molto 111. 11 * 0 Sig. ro e Pad. ne Col." 10 Io non mi trovo disegno buono per spiegar la fabbrica et 1’ ap¬ plicazione della mia macchina per cavar acqua (2) : però non ubbi¬ disco al comandamento di V. S. molto Ill. tpe ; ma non però li nego la dimanda, ma solo differisco il servirla sino alla mia venuta costà, la quale, se grande impedimento non mi si interpone, ho disegnato che sia in questa state, dove, con la viva voce e con un modello mate¬ riale, li potrò dare migliore satisfazione : se bene in effetto la cosa (*) Dùcono sopra la musica aulica c. moderna di Glo. Hllttislft Ciotti. M. Girolamo Mei, ccc. In Venotia, M. DC. II, appresso (*) Cfr. Voi. XIX. Hoc. XII. 88 26 APRILE — MAGGIO 1602. [77-78] in se non è da essere molto stimata, et massime dal purgatissimo giudizio di V. S. molto lll. tp * Alla quale intanto mi ricordo per ser- io vitore devotissimo et obbligatissimo ; et baciandoli con ogni reverenza le mani, le prego da Dio compita felicità. Di V. S. molto Ill. tre Padova, 26 di Aprile 1602. Servitore Obb. mo Galileo Galilei. Fuori: Al molto Ill. tr *‘ Sig.™ et Pad." 6 Col.'" 0 11 Sig. ra Baccio Valori. Firenze. GAMI,130 ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia. 1 Padova, maggio 1602|. Ai-oh. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Atti 1, 1697-100!), Riformatori dolio Studio di Padova. n° 419. — Autografa. Hl. mi et Ecc. mi Sig. ri Rifor. ri Galileo Galilei, Lettor delie Mat. d,a nello Studio di Padova et hnmiliss. 0 servo delle S. V. Ill. mo et Ecc. 1 » 6 , trovandosi, come ad alcuna delle S. e loro è più particolarmente manifesto, aggravato da un de¬ bito (l> , il quale, oltre al suo peso, lo va con interessi consumando, nè potendo da quello alleggerirsi senza il loro sussidio et favore ; con ogni lui mi Ita le supplica a volere esser favorite di compassionare allo stato suo, et sovvenirlo in questa sua necessità col prestargli del pu- blioo stipendio la previsione di anni due anticipatamente, per scon¬ tarla esso supplicante in anni quattro che li restano a finire la sua io condotta, con dare idonea sicurtà della vita, assicurando le 8. V. Ill. ,,,e et Ecc. me che quando non fusse da estrema necessità astretto, non Laveria ardito di molestarle. Et quando sia di tal grazia favorito, oltre al restargliene con obligo perpetuo, pregherà sempre il S. D. che loro conceda il cólmo di felicità. (0 Cfr. Voi. XIX. Doc. XV, l>, 2). [79-80] 9 MAGGIO — 8 AGOSTO 1602. 89 79 * 1 RIFORMATORI DELLO STUDIO ai RETTORI DI PADOVA. Venezia, li maggio 1(502. Ardi, di Stato in Venezia. Filza intitolato sul dorso: N<> — (*/,,). Lettere dalli Ree."' Slg.ri Rifornì.' - ' dolio Studio scritto ai diversi III™' Rottoli od altri, 1601 al 1622. Riformatori dello Studio di Pa¬ dova, n° 61. - Originalo. 1602. 9 Maggio. Alti Rettori di Padova. È cosi pia In occasione che ci fa supplicare da D. Galileo Galilei, Lettor delle Mathe¬ matiche in quel Studio, di aiuto di qualche somma di denaro del salario suo, che tiene a quella Gainera per il servitio che presta, scudo egli per collocar in matrimonio una sua figliuola nubile (| ) et trovandosi in molto stretta fortuna, che ci ha fatti risolvere di acco¬ modarlo di quel danaro anticipato che per l’ultima sua condotta gli può aspettar in tempo di un anno ; con condizione però, ohe dia sufficiente pieggieria di vita et ogni caso che non fusse col servitio scontato il danaro che riceverà, come si è osservato in altri : di 10 die lutbbiaino voluto dar a V. S. 111. 11 '® notiti», acciocché così fuocino essequire. 80 *. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova. Venezia, 8 agosto 1602. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cftinpori. Autografi, lì.» LXXXViil, n.° 81. — Autografa. Molto Mag. 00 et Ecc. mo Sig. r mio IIon. mo Ilor bora ho ricevuto le calamite, benissimo condittionate, et l’altr* Rieri ebbi 1' anello, il quale, cosi armato, certo è un Rodomonte, il nasetto della grande io non so accomodarlo cosi, al presente, che faccia maggior riuscita di quello che mi soleva fare una brocca che le soleva applicar per armatura; onde haverò bisogno della presenza di V. 8. Ecc. mn , che haverò con occasione o della mia venuta costì o della sua in questa città. Tra tanto la prego conservarmi suo; et le bacio la mano. Di V. a , a 8 Agosto 1602. Di V. S. Ecc. Aff."' 0 per serv. la io Gio. Fr. Sagr. Fuori: Al Molto Mag. co et Ecc. ,n0 S. r Il 8ig. Galileo Galilei, Mathem. co di Padova. ( 1 ) 1 Riformatori dello Studio caddero «ini in Voi. XIX, Doc. XV, 6, 1), aveva Gai.i l.eq quel l'urgente orrore; clic non già per dotare una sua figlia, ina bisogno ili danaro, clic nella precedente lettera espose per pagare la doto promessa alla sorella Livia (cfr. ai Riformatori dello Stadio. X. 12 90 15 — 23 AGOSTO 1602. 181-82] 81 *. EDMONDO BRUCE a GIOVANNI KEPLER in Praga. Firenze, 15 agosto H>02. Bibl. Palatina di Vienna. Mss. 10702, cnr. 218. — Autografa. Spero, mi Eccellentissime Keplero, to meas accepisso literas, Patavii dalns: nunc tibi hag a Florentia mitto, qnilms te ccrtum ludo, quoti inca sors liti! cum Magino concur* rere in eodem curru a Patavio usquo ad Bononiani, in cuiua domo, amico acceptus, por diem noeternque inalisi; quo temporis cnrriculo lionorilice de te locuti suraus. ProdromumO tuum ei ostendi, dixiquo te sumniopore admirare, eum nunqimm tuia literis respondiase: ast. ipse mi hi iuravit, se nunquam antea tuum Prodromum vidisse, sed eius adventum quoti die dilligenter expcctasse, mihique fidelliter promisit, se suas ad te literas lireve rnittere velie; teque non solimi amaro, sod etiam prò tuia inventi» admirare, confoasus est. Guleleus autem milii dixit. se ad te scripsisse, tuumquo librimi accepisse, qimo (amen Magino negavit; eumque, te nimis leniter laudando, vituperavi. Nani hoc prò corto scio, io se tua ut sua inventa suis anditoribus et aliis promsisse. Sed ita feci, et ladani, ut ea omnia non ad suum, sed ad tuum, honorem magia redundabunt. Fiorentine, 15 Augusti 1602. Tuus ut suus Edniundus Brutius. Fuori: Ece. m0 D. D. loanni Keplero, Mathematico M. C. Pragae. 82 *. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Padova. Venezia, 23 agosto 1(502. Bibl. Est. in Modena. Raccolta, Campori. Autografi, II.» I.XXXVIII, u.° 83. Autografa. Molto Mag. co et Ecc. mo Sig. r mio Oss. n, ° Da M. Gasparo ^ haverà V. S. Ecc. ma inteso la monitione che ho fatta di ma- chine, et il desiderio ch’io ho di cavar dalle mani di M.° Fait uno di quelli tra¬ pani con li quali incava li denti delle ruote per le viti perpetue; il che non so se così facilmente si potrà ottenire, quando egli sappia che debba capitar nelle mie mani, havendosi egli grandemente doluto elio io habbia insegnato al mio marangone far le sue machine: però la prego veder, per quella via che le parerà più riuscibilo, di far questo servitili. («» Voili In nota 1 ni li." 58. |S > Gasparo l'io nani. '2ò AGOSTO — 2 SET'miRE 1002.- 91 1 . 82 - 831 La mia venuta costì voglio certo che sia a qualche tempo. Jl Sig.Veniero nostro io et io desideriamo questo ottobre far un viaggietto in Cadore u> et in alcun altro luogo circonvicino, questo mese di Ottobre; ma perché senza la compagnia di V.S. Ecc."" 1 riuscirebbe questo nostro viaggio per luoghi fantastichi molto insipido, ho voluto dartene aviso per tempo, acciò, per favorire l’uno et l’altro di noi, si disponga a farci questa gratin: che quanto incommodo ella prendesse per così fatta cagione, altrettanta fatica noi ci oblighiamo far per lei al tempo della sua ricondotta, il qual desidero saper quando sarà. Che sarà line di questa, pregan¬ doli da N. S. ogni felicità. In V. n , a 23 Agosto 1(>02. Di V. S. Ecc. ma Aff. mo per serv.* R 20 S. r Caldeo. G. F. Sag. do Fuori: Al molto Mag. co et Ece. mo S. Hon. m ° Il S. r Galileo Galilei, Mathem. Padova. 88 * PAOLO SAPPI a GALILEO in Padova. Venezia, *2 .settembre 1002. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. -1:1. — Autografo. Ecc. mo Sig. re P.rone mio Colen. 0 Poiché li 25 miglia, per quanto siamo distanti, m’impedisce il discorrere con V. S., cosa che desidero sopra tutte le altre, voglio tentare di farlo con in¬ termedio delle lettere, et al presente nel proposito eli’ incominciai trattare con esso lei quando l’altro giorno fummo insieme, della inclinatione della calamita con 1’ orizonte. 11 nostro auttoro IS) molto raggionevolmente dice, quella non essere una attrattione, ma conversione piò tosto, nascendo dalla virtù d’una et del- 1’ altra, che vogliono essere situate in un certo muodo insieme, perilchè il più desiderato muodo di situarsi è quello quando per li poli : imperochè fa 1’ asse uno, io et se ci è moto, ancora tutte le parti participano del moto non solo circa l’asse della grande, ma anco circa il suo; anzi forse si fa talmente uno, che perde il suo equinotiale, et fa accostare quello della grande, perdendo ambi dua li poli <*> Noi Cadore avevano i Sagkrdo ecl i Vrnjkb magno magnete telluri ; phg aiolo già uova, plurimi» ricebo possessioni di boschi o di miniere. et urgumeiaù et sperimenti* demonetrala. Londiui, Guh.iki.mi Un.BBiiTi t.'olcestrensis medici Loii- oxcudebat Petrus Short, anno MPC. I.ib. V, cap. V dilionsis De magnile magne! ìeitque oorporibu» et de O VI. 02 2 SETTEMBRE 1002. 188 ] in che si congiongano, et facendo come d’ un corpo li dua poli estremi. Ma se sono situate per li equinotiali, si vede anco la unione, bavendo li assi paralelli et l’equinotiali in un piano, et participando il moto sopra quelli, llora, nelle altre situationi io non so vedere che cosa voglino fare. Andava pensando ohe accomodassero in qualche maniera insieme il cerchio d’ ambe due paralello al- l’equinottiale et per il vertice della reggione: ma non è così. È ben forza die voglino accomodarsi in qualche maniera pertenente alle sue parti, et die da quelle venga regolata, et denominate le parti: non sono se non poli, asse et cer- 20 chi paradelli; come adonque? Forse come il nostro auttore dice? che però non veggo come et a che line, nè qual parti a quale vogli situare. Ma egli come ha truovato il suo muodo? per esperienze o per raggione? Non per esperienze: per¬ chè, o con la terra, et questo ricerclierrebbe viaggio regolato per una quarta; non con la terrella, perchè si ricerca che il versorio non hahbia sensibile proportene con la terrella, acciò nell’ istesso luoco sii il centro et la cuspide, altrimenti non è fatto niente. Non mi par manco che per raggione : imperochè bisogna render causse della deserittione de que’cerchi che lui chiama conrrrsionis, che nella pi- ciola dimostratione ne descrive 3: BCL sotto l’equinotiale; ODI. di 45 ; GL di 90 (, \ Essendo tutti li tali, come si vede nella figura grande l,) , descritti sopra il ponto so della reggione come centro, intervallo una retta da esso centro al polo opposito. cerco prima la raggione di questo intervallo ; poi, perchè questi cerchi conver¬ sioni non sono simili, ina quello del 45 è un quarto, li precedenti più, li se¬ guenti meno. Al che si dà per regola che siino tra il polo opposito I. et il cerchio BOG, quale è descritto sopra il centro della balla, intervallo quella che può quanto il semidiametro et il lato del quadrato. Quale è la raggione di pore que¬ sto centro et tanto intervallo? poi, perchè debbono essere divisi in tante parti come un quadrante così li grandi come li picioli? Queste sono le difficoltà. Della spirale non ho difficoltà alcuna, ma è un bel genere di elica, generandosi di dua moti circolari. Prego V. 8. che hahbia un poco m di consideratone sopra le mie difficoltà, et sopplisca al mancamento del nostro auttore, il quale ha taciuto le causse delle più oscure cose che siano : almeno havesse detto come ne è venuto in cognitione. Appresso, perchè desidero far espe¬ rienza di questa inclinatione, per levarmi la fatica prego V. S. scrivermi il muodo tenuto in far il versorio, con che li applica li perni, se con fuoco o con cola o come, et di che materia li fa, et sopra che li appoggia, et in soma ogni parti¬ colare, perchè non vorrei consumar tempo in esperimentar molte cose, poiché ella ha fatto la Litica. Qui farò fine, pregando V. S. scusare la mia importunità Lett. 83. 17-18. all'equinotlione — 85-3G. In luogo ili qvelia ...quadrato prima aveva scritto lutto il diametro, elio poi cancellò. — <■> Guiliki.MT (ÌU.BKKTI, occ. De magnete, lib. V, <*i Op. cit., lib. V, cap. Vili, cap. VII. 2—12 SETTEMBRE 1602. 93 [83-84-] et non curare di rispondermi so non con suo commodo, sichò non venga impe- oo dita nè da’ suoi negotii nè dalli studii. Però li bascio la mano. Di Vinetia, il dì ij Settembre 1602. Di V. S. Ece.'"* Fuori: AirEcc. m0 Sig. r0 mio P.‘ ono Osservali. 0 Il S. r Galileo Galiei, Math. 00 Publico, in Padova, appresso il Santo. 84*. PAOLO POZZOBONELL1 a GALILEO in Padova. •Savona, 12 ufittembrc 1602. Bibl. Est. in Modena, Raccolta Omnpori. Autogrnli, lt.» I.XXXV, n.« 123. — Autografa. III." et Ecc. m0 Sig. ro Oss. n, ° Due di V. S. Ecc. ma quasi in un tempo mi son state rese la settimana pas¬ sata, la prima de’22 Maggio, e l’altra de’16 Agosto, quali mi son state caris¬ sime, perchè mi arrecano lenissime nove di V. S., di cui per tanto tempo già, stavo in ansietà; et con la più vecchia ho havuto la scatola di occhiali, quali son stati a sodisfatione de’parenti, et ringratio V. S. della briga presasi in farmeli haver boni et del presente che V. S. mi fa del prezzo di essi: dei quale, per esser cosa da me richiesta, desideravo di far mio debito, et che il prezzo fosse pagato da me et restarli in obligo solo della fatica; ma già che V. 8. così vole, non voglio fal¬ lo tolto alla sua amorevolezza, ma pregarla a porgermi occasione ch’io possa fal¬ la mia parte ancor io. Quanto a che lo instrumento di V. S. fusse riuscito \ se ben in mente mia già ne sapevo 1’ esito et me lo teneva per certo, come V. 8. lo avisa pure, per il suo aviso seco me ne rallegro, et prego Dio li porga maggior occasione di palesar il suo valore. Quanto a’miei studii, io son disperato; cliè da che son qui, non ho havuto tanto agio di aprir pur un libro. Vi causa ben in parte la mia natura, che per ogni poco di occasione ini disvio <1 i sorte da camino, che no lo piu cosa bona: ma (i) Probabilmente (Uui.ko aveva ragguagliato il .la alzar acque et. adacquar terreni * nel giardino di Pozzohonem. 1 degli esperimenti fatti con l‘ «celi flirto Casa Contarci. Cfr. Voi. XIX. l>oc. MI, M1I, r. 94 12 SETTEMBRE 1602. |84] che direbbe V. S. s’io li dicessi che voglio far come colui clic Imitando la berretta in terra maledisse il suo troppo senno, già che ogn’ uno mi voi dar delle brighe c delle comissioni, talché io, che i'uggo la fatica, non mi par di haverne sì poca 20 in levarmi da torno le cure et molestie d’altri? senza che le mie proprie non mi dan sì poca occupatione ; talché io credo di voler andar disponendo le cose in maniera che me ne vorrò fuggire, per poter goder de l’otio et della consola- tiono di continuare nel mio studio. Però quando sarà a tempo, V. 8. sarà avisata di tutto. Intanto non posso salvo dirli, che de’ tanti fatti eh io pretendevo di far a casa mia, non ho fatto altro che attendere al palazzo; et della mia carissima matematica nè de l’altra arte spagirica non ho fatto cosa alcuna, giachè di quella son fornito di stranienti a compimento, et di quest’ altra non ho tanto vedrò che le donne potessero farne la punta a soi fusi, uè tanto carbone clic potesse dis¬ segnare un di quegli animali che eran dipinti nella mia camera della contrada so de’ Vignali (l> . Ho nove dal S. or Conto Persico di Fiandra, che presto se ne tornerà in Italia. Sta bene di salute, et di là è giolito qui un corriera, che rifiorisce, in Ostenden a quello assedio li ingegneri del'Arciduca haver fatto certi loro artifici per serrar quelli canali, che hanno nominati salsiccia; et che mentre si stava accomodando alquante di queste salsiccie, alcune cannonate della fortezza han portati a volo 14 delti assistenti : di qui io scrivo al S. nr Conte, clip se ne venga a mangiarsele qui, dove si mangiali senza dubio di esser fatto volare come Icaro. V. S. attenda a governarsi et godersi alle volte col S. or Paolo Gualdo gentilissimo; di cui non havendo nova poi della mia partenza, desidero intenderne alcuna, et clic mi por- 10 gesse occasione eli’ io lo servisse. Li scrissi al mio arrivo qui, ma non hebbi ri¬ sposta: ne do colpa alle sue occupatimii. Per fine a V.S. bacio le mani, e prego dal cielo ogni bene. Di Savona, a 12 di Settembre 1602. I)i V.S. 111.™ et Ecc. raa Aff>° Ser. ro Paolo Pozzobonolli. Poco manco eli io mi scordavo il meglio. S’io fussi pedante, haverei qui tanto piò da fare a veder versi et scritti ; et presto, se V.S. fusse de l’istesso liuniore, li manderei di qui un opera contro del Lipsie. Credo che V. S. non farebbe come il S. 0 *- Gio. Vinc. ot *\ che voleva ancora i ritratti delli autori, ma si contente- oo rebbe de l’opera : et quello IH.™ che ha fatto mendace L Ingegnimi bisogna eli’ci o^o U ’ 84 ' 27 ~ 28 ' Vr, " UX aVCVa scritt0 ' a T ,ft,,t0 l» uro > queatn noti, 0 poi eorresso que*ta in quella.- , Prima aveva scritto della fortezza nc han portati a volo 14: di qui: poi cancello ne 0 aggiunse tra le linee delti aatitlenli. — rI ’ Ih questa contrada di Padova abitava Ga- 1.11.K0 noi tempo in cui il Pozzobonklli fu suo ospite. - Ofr. A. Favaio», Delle enee abitate ila Galileo Galilei in Padova negli Atti « Memorie della H. Accademia di tritate, lettere ed arti in Padova. Voi. IX, pug. 22Ó-2GS. Uiovan Vincenzo Fuselli, 12 — 28 SETTEMBRE 1602. 95 f84-85] sia grand’ linoni», perchè farà restar bugiardi altri ingegni che l’Ingengnieri. La sua fama per qua vola gloriosa, et le operatami sono stupende; et quella di far una aniinetta sottilissima di ferro, che resiste a botta di qualunque grosso mo¬ schettone. etiavn da cavaletto, è delle minori. Fuori: All’IH. 0 et Ecc. ino Sig. 01 ' Oss. mo il fc>. r [Galileo] Galilei, Lettor dig. n, °, in Venetia per Padova, al Santo. 85*. OIOVANFRANCESCO SAGRE DO a GALILEO in Padova. Venezia, 28 settembre 1602. Bibl. Naz. Flr. Mss. Uni., P. I, T. VI, car. lfiu. — Autografa. Molto Mag. 00 et Ecc. mo S. r IIon. mo Il nostro viaggio in Cadore 05 per necessità deve prolungarsi alla metà del mese venturo, rispetto che, sentendomi Aggravate le reni oltre modo, dal caval¬ care ne riceverei notabilissimo danno: anzi, dovendo io, di consiglio del P. e M.° P. 1 ® de’Servi, prender l’acqua della Vergine da Monte Artone 1 *’, ho dato ordine che sia mandata a V. S. Eec." ,a una quarta nuova, acciò veda di farmela subito empire della detta acqua et mandarmela con diligenza. Scrissi, sono molti giorni, al S. r Cortuso semplicista, pregandolo che fosse contento mandarmi qualche semenza di alcun semplice degno per il nostro io giardino, et di questo gli ho fatto anco far instanza dall’ Ecc. mo S. 1 ' D. Benedetto Benedetti; nè solo non ho potuto liaver le semenze, ma neanco due sue righe: di che certo ne ho preso qualche disgusto, onde mi sono riseduto scrivergli la seconda volta, non già per replicargli la instanza, ina bene più tosto per pun¬ gerlo del torto che m’ ha fatto ; ma però non ho voluto essequire questa mia intentione, se prima V.S. Ecc. ma , con sua commodità, non trovi occasione di par¬ largli in questo proposito, et mi dia aviso di quello che egli sappia dire, perchè certo n’ ho preso molto disgusto. Et per line a V. S. E[cc." ,ìl J mi raccomando. In V. a , a 28 Settembre 1602. Di V. S. Eco. ma Ser. so G. F. S. Fuori: All’Ecc. m0 S. r Hon.™ Il S. r Galileo Galilei, Mathematico di Padova. 54, che reii»te è aggiunta interlineare. — <*) Cfr. n.° 82. <*' Monte Ortono, presso Abano. 8 — 18 OTTOBRE 1602. [86-87] yò 86 **. LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [in Venezia), l’adova, 8 ottobre 1002. Blbl. Maro, di Venezia. Coti. I.XVl tiolln 01. X (ititi.I, cnr. I. — Autografa. . ... Sono stato a casa del S.' Galileo per rilmvere lo scrittoi-io del S. r Duca, ma ho trovato che un staffiere ò venuto per esso <’>. 87 GIOVANFRAN CESCO SAGREDO a GALILEO in Padova. Venezia, 18 ottobre 1(502. Blbl. Eat. in Modena. Raccolta Cani pori. Automi-ali, ».» l.XXX VII I, il." 34. — Autografa. Molto Mng. co et Kcc.*"" Sig. r Hon. m " Ringratio V.8. Ec. n,a de’ferri. Darò al P.'" M.° Paolo il dodi mito rio, et farò P ambasciata come ella ini comanda. Ilo provato il declinatorio al modo che ella già mi mostrò costi. L’ottetto di star perpendicolare, posto il suo assetto sotto la meridiana, ini è riuscito molto bene; et situato sotto il parallelo, ho veduto la dcclinatione: ina sopra il più et meno, a me pare elio vi sia materia da filosofare. Ilo detto a quel gentil’ lumino dalla natività quello che V. 8. Kec. ma mi scrive: lascierò a lui la cura di sollecitarmi ; déUa?mi&(*> prenderò la sua commodità. 11 punto del nascimento del Morosini, die cadò giù del campanile, è l’anno 1586, io a 28 Luglio, ad bora di sesta che si sona alti Erari, che suole essere tra terza et nona. Il giorno de 28 è così notato nell’Avogaria et nel libro di suo padre. Sua madre nondimeno afferma essere lui nato a 27, di mercordì, due giorni avanti Santa Marta. Il figliuolo è sano, fortunato nella rollini, poiché già cinque anni un suo ciò gli ha lasciato 3000 ducati di entrata a lui solo, et non agli altri fra¬ telli, se ben maggiori di età. Scritto fin qui, mi è venuto voglia di vedere sopra le efemeride per ritrovar il giorno, et ho veduto che a 27 era domenica, et per Lott. 87. 13. Prima aveva scritto -.‘6, elio poi corresse in 27.— (•) È questo il poscritto ad una lettera cho deve oRserc stata indirizzata a Venezia, dove in questi ni orni si trovava il Gualdo in compagnia di Cosimo Piselli, Duca di Acerenza. Ria questi venuto da Napoli, por conferire a Milano con Ericio Putea.no intorno alla.biografia del defunto mio zio Rio. Vincenzo, Ih cui memoria intendeva onorare con un mausoleo da erigersi in Padova. — Cfr. nella Blbl. Marciana di Venezia le carte relative alla famiglia Oiui.nu ilei Ood. CXLYl della CI. VI iltal.l. cur. 41M2r. (*' Cfr. Al ss. Gal. Par. VI. Tomo T. 1. ear. 13-16. ossia Voi. XIX. Doc. XIII. Appendici!. 18 OTTOBRE —29 NOVEMBRE 1G02. 97 [87-881 consequenza considero la mattina: onde non è da credere, come dice la madre, che il padre arrivasse a casa a sesta; et essendo anco non mercore, ma dome- 20 nica, credo che, ingannandosi in un conto, s’inganni anco nel resto. Gabbiamo qui nuova certa della presa di Buda col castello, con bottino ine¬ stimabile, ricuperationo del governatore et altri schiavi fatti ad Alba Regale: nuova che ha fatto stupir ogn’uno, poiché s’accamparono gli Imperiali a 2, et a 9 hanno preso ogni cosa, dicesi con vie sotteranee. 11 01. mo Veniero ò fuori; al suo ritorno si farà il servitio: ma ad un modo all’altro, V.S. Kcc. nm stia sicura. E per-line li baccio la mano. In VA, a 18 Ottobre 1602. Di V. S. Ecc."’ ;l Desid. nl ° di servirla Uio. l'\ »Sag. .‘30 Fuori: Al molto Mag. co et Kcc. ,n0 S. r Il S. r Galileo Galilei. Pad. a 88 . GAI dLEO a GUIDO BALDO DEL MONTE fin Montebaroccio], Padova, 21 ) novembre 1002. nibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. VI, T. VI, cnr. 10.— Copia ili nmno del socolo XIX, trascritta quando fu mossa insiemo la raccolta Palatina dei Mss. Galileiani, o (lorivata da copia elio dall'originalo avovn tratto di sua mano Vincenzio Viviani. Alla copia moderna ò promossa la soguento indicazione, elio certamente fu riprodotta dalla copia di pugno dol Viviani: «Copia di lettoni dol Sig.* Galileo, da Pa¬ dova li 2!) Novombro 1002, al Sig. r Marcliosc Quid’Ubaldo dal Monto, a Monto llnroccio, cavata da ino dall’originalo mandatomi da Pesaro dal Sig. r Dottor Costanzo Pompoi con sua lottora dol primo Gennaio 1(3(17 ab Ine."'' o da osso trovata in un sacco di vario scritturo attenutiti all’eroditi di dotto Sig. r Quid’ Ubaldo, esistente oggi in Pesaro appresso .. . ». Ill. mo Sig.° e P.ron Col. mo V. S. lll. ma scusi la mia importunità, se persisto in voler persua¬ derle vera la proposizione de i moti fatti in tempi uguali nella me¬ desima quarta del cerchio (,) ; perchè, essendomi parsa sempre mira¬ bile, hora viepiù mi pare, che da Y. S. Ill. ma vien reputata come impossibile: onde io stimerei grand’ errore e mancamento il mio, s’io permettessi che essa venisse repudiata dalla di lei speculazione, come quella che fusse falsa, non meritando lei questa nota, nò tampoco d’esser bandita dall’intelletto di V.S. Ill. ma , che più d’ogn’altro la 10. Prima aveva scritto alla tersa, o poi corrcsso u senta. — (» Cfr. Voi. Il, pag. 2139. X. 13 98 29 novembri: 1902. [88] potrà più prosto ritrarre dall’ esilio delle nostre menti. E perchè l’espe- io rienza, con elio ini sono principalmente chiarito di tal verità, è tanto certa, quanto da me confusamente stata esplicata nell’ altra mia, la replicherò più apertamente, onde ancora lei, facendola, possa accer¬ tarsi di questa verità. Piglio dunque due fili sottili, lunghi ugualmente due o tre braccia l’uno, o siano AB, EF, e gli appicco a due chiodetti A, E, e nell’altro estremità II, F lego due palle di piom¬ bo uguali (se ben niente importa se 20 l'ussero disuguali), rimuovendo poi ciascuno de’ detti G fili dal suo per¬ pendicolo, ma uno assai, come saria per l’arco GB, e l’altro pochissimo, come saria secondo l’arco IF ; gli lascio poi nell’ istesso momento di tempo andar liberamente, e 1’ uno comincia a descrivere archi grandi, simili al BOI), 0 1’ altro ne descrive de’piccoli, simili all’FIG; ma non però consuma più tenqVo so il mobile B a passare tutto l’arco BCD, che si faccia l’altro mobile F a passare 1’ arco FIG. Di che mi rendo sicurissimo così : Il mobile B passa per il grand’arco BCD, e ritorna per lo me¬ desimo DCB, e poi ritorna verso D, e va per 500 e 1000 volte rei¬ terando le sue reciprocazioni ; 1’ altro parimente va da' F in G, e di qui torna in F, e parimente farà molte reciprocazioni ; e nel tempo eh’ io numero, verbi grazia, le prime cento grandi reciprocazioni BGD, DCB etc., un altro osservatore numera cento altre reciprocazioni per FIG piccolissime, e non ne numera pure una sola di più : segno evidentissimo che ciascheduna particolare di esse grandissime BCD 40 consuma tanto tempo, quanto ogni una delle minime particolari FIG. Or se tutta la* BCD vien passata in tanto tempo in quanto la FIG, ancora le loro metà, che sono le cadute per gli archi disuguali della medesima quarta, saranno fatte in tempi uguali. Ma anco senza stare a numerar altro, V. S. Ul. raa vedrà che il mobile F non farà le sue Lett. 88. 42. O su tutta — 29 NOVEMBRE 1002. 99 |88] piccolissime reciprocazioni più. frequenti che il mobile‘B le sue gran¬ dissime, ma sempre aneleranno insieme. L’esperienza, ch’ella mi dice aver fatta nello scatolone, può es¬ sere assai incerta, sì por non esser forse la sua superficie ben pulita, r»o sì forse per non esser perfettamente circolare, sì ancora per non si potere in un solo passaggio così bene osservare il momento stesso sul principio del moto : ma se V. S. Ill. ma pur vuol pigliare questa superficie incavata, lasci andar da gran distanza, come saria dal punto B, liberamente la palla B, la quale passerà in T), e farà nel principio le sue reciprocazioni grandi d’intervallo, e nel fine piccole, ma non però queste più frequenti di tempo di quelle. Quanto poi al parere irragionevole che, pigliandosi una quarta lunga 100 miglia, due mobili uguali possino passarla, uno tutta, e 1’ altro un palmo solo, in tempi uguali, dico esser vero che ha dei- fi» r ammirando ; ma se consideriamo che può esser un piano tanto poco declive, qual saria quello della superfìcie di un fiume che lentissima¬ mente si muovesse, che in esso non bavera camminato un mobile na¬ turalmente più d’un palmo nel tempo che un altro sopra un piano molto inclinato (ovvero congiunto con grandissimo impeto ricevuto, anco sopra una piccola inclinazione) haverà passato cento miglia: nè questa proposizione ha seco per avventura più inverisimilitudine di quello che si liabbia che i triangoli tra le medesime parallele et in basi uguali siano sempre uguali, potendone fare uno brevissimo e P altro lungo mille miglia. Ma restando 7o nella medesima materia, io credo haver dimostrato questa conclusione, non meno dell’ altra inopinabile. Sia del cerchio BDA il diametro BA eretto all’ orizzonte, e dal punto A sino alla circonferenza tirate linee uteumque AF, AE, AD, AG : dimostro, mobili uguali ca¬ dere in tempi uguali e per la perpendico- • lare BA e per piani inclinati secondo le linee CA, DA, EA, FA ; sicché, partendosi nell’ istesso momento dalli so punti B, C, D, E, F, arriveranno in uno stesso momento al termine A, e sia la linea FA piccola quant’esser si voglia. 59 . Valtra — 75 . lince ulruntque AF — 1U0 21) NOVEMBRE — 20 DICEMBRE 1602. [88-89J E forse anco più inopinabile parerà questo, pur da me dimostrato, clic essendo la linea SA non maggiore della corda d’ una quarta, e lo linee SI, 1A utcumque, più presto fa il medesimo mobile il viag¬ gio SIA, partendosi da S, che il viaggio solo IA, partendosi da I. Sin qui lio dimostrato senza trasgredire i termini mecanici ; ma non posso spuntare a dimostrare come gli archi SIA et 1A siano pas¬ sati in tempi uguali: che ò quello che cerco 111 . Al Sig. r Francesco mi farà grazia rendere il baciamano, dicendogli elio con un poco d’ozio gli scriverò una esperienza, clic già mi venne do in fantasia, per misurare il momento della percossa 121 : perquanto al suo quesito, stimo benissimo detto quanto ne dice V. S. Ill. n,a , e che quando cominciamo a concernere la materia, per la sua contingenza si cominciano ad alterare le proposizioni in astratto dal geometra considerate ; delle quali così perturbate siccome non si può assegnare certa scienza, così dalla loro speculazione è assoluto il matematico. Sono stato troppo lungo e tedioso con V. S. Ill. mn : mi perdoni in grazia, e mi ami come suo devotissimo servitore. K le bacio le mani con ogni reverenza. Di Padova, li 29 Novembre 1602. ìoc Di V. S. Ili » Serv. ro Obbligò Galileo Galilei. 89 *. GIOYANFRANCESCO SAGRERÒ n GALILEO in Padova. Venezia, 20 dicembre 1002. Blbl. Est. in Modona. Raccolta Gampori. Autografi, 15.» LXXXV11I, ii.» 35. — Autografa. Molto Mag. co et Eoe."' 0 S. r Hon. mo Sobene V. S. Ecc. n,il per P accidente della mia morte lmvcva sospeso il man¬ darmi il declinatorio, non voglio però tanto risentirmene, che anco doppo morte non vogli adoperarmi per lei, come ho sempro desiderato di poter faro. Onde, havendo havuto gagliarda batteria dal CI." 10 Giustiniano per la sodisfattione della sua lettera di cambio, per non lasciarlo mal sodisfatto et di lei et di me, mi sono dato a cercare li danari: et così con grandissima fatica ho trovato Z. 30, clic sono d. 1 ' 300, sopra il Gl." 10 S. r Sebastiano Veniero et me; spero con tale 81. le linee HI, IA utcumque — IO Cfr. Voi. Vili, pag. 221, 393. •O Cfr. Voi. Il, pag. 1«0. 20 DICEMBRE 1002 - IO GENNAIO 1003. 101 [ 89 - 90.1 avantaggio, die V. S. Ecc. ,,,a tarerà isparmiati incirca 11 d. li di interesse, i quali io sono scorsi in questi 20 giorni doppo li pagamenti, perchè dove al principio del mese si cambiava a d. u 129 per A' 1 '100, spero che dimani Laveremo in ragion di d. li 133 3 ,4. È vero che il CI.™ 0 Giustiniano pretendeva haver egli questo utile, dicendo clic non è il dovere, che havendo indugiato a ricever il pagamento, altri liavosso il benefitio del tempo. Quello che mi contarà li danari, non mi ha ancora parlato ; ma di ragione doverà cambiare secondo il corso della piazza. Il sensale aneli’ esso m’ ha detto, che dipendendo questo avantaggio dalla sua trattationc, ne dovrebbe haver buona parte, lo perù credo non voler ceder ad alcuno. La lettera è di d. li 287, s. 10, et non ho trovato alcuno che m’Labbia voluto ser¬ vire di minor suina; onde mi son contentato pigliar li 300 intieri, et così le in- 20 vierò il rimanente. Tra tanto V. S. Ecc. mu potrà scriver ringrati andò il Cl. n '° Ve¬ rnerò, il quale in questo servitio ne ha liavutu tanta parte quanta io stesso, e piezò meco in solidum. Et se in altro posso servirla, la mi comandi. Le rendo molte grazie del declinatorio, il quale non ho per ancora posto in opera. L’Ecc. ,u0 Sonato manda un suo secretano in Inghilterra0), por negotio di par¬ ticolari mercanti. Con questa occasione mi sono rissoluto scrivere all’autore del magnete G), per avere la sua amicitia. Mi farà gratta V. S. Ecc. ma scrivermi alcuna cosa che ella si compiacesse che gli conferissimo, perchè per ora io non ho molte cose degne, non havendo ben letto il suo libro ; ma non mi partirò da alcuni generali et dalle cose contenute nel primo libro, delle quali panni bavere qualche cognilione. so Et avendo bora molta fretta per esser notte, faccio fine et me le raccomando. In V.“, a XX Deccmbre 1602. Di V.S. Eco.™’ 1 Desid." 10 di servirla Gio. Er. Sag. Fuori : Al molto Mag. 0J et Ecc. mo S. 1 ' IIon. ,n ® Il S. r Galileo Galilei, mathem. co Padova. 90 *. FRANCESCO MOROSINI a GALILEO in Padova. Venezia, 10 gennaio 1603. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gn!., P. I, T. VI, car. 169. — Autografa. Molto Mag. c0 et Ecc. mo S. r mio, Conoscendo io T amor che per sua gratta mi porta, era ben sicuro che per P elottione mia al Saviato di Terra Ferma ella fosse per sentire consolatione (‘) Gio. Cari/) Scaramelli: cfr. R. Archivio (li o Bil)l. Marciana, Cod. Cl. VI, n. 8 CCCIII, car. 213. Stato in Venezia, Collegio. Lotterà secreto!: Anno 1002, 1 (^1 Ouoi.iei.mo Gilbert: cfr. n.° 83, liti. 6. 102 10 — 23 GENNAIO 1603. [ 90 - 01 ] grande; ina l’agiongor il testimonio cortese delle sue littere mi ha altre tanto obligato, quanto io ini sento desideroso di servirla in ogni occasione maggiore. i La prego ad amarmi al solito e a comandarmi, che mi rittroverà senpre pronto a i suoi servigi. E lo bacio lo mani. Di V. a , li 10 Gen.° 1602 l ”. I)i V. S. Ecc. ,na Ser. r Oblig. mo Eco. n '° Galilei. Frali. 0 Morosi ni. io Fuori: All* Ecc. ,no S. r mio Oss." 10 il S. r Galileo Galilei. Padova. 91 * SEBASTIANO VENIER n GALILEO in Padova. Venezia, 2S gennaio ItìOlI. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gnl., P. I, T. VI, car. 161. — Autografa la buttosciiziuno. 111.'* 0 et Ecc. mo S. r IIonor. d ° Sono così singolari li meriti dell’ Ecc. za Vostra, che doverebbe ogn’uno incon¬ trar occasione di far per lei cosa che le fosse di sodisfattione et gusto : ondo so io, col Gl. 0 S. r Sagredo, ho in alcuna parte servito al suo desiderio 1 *’, piacenti che la cosa sia riuscita conforme al suo volere ; et se nello future sue occorenze ella conoscerà che 1* opera mia sia per esserle giovevole, la prego a valersene, poi che mi troverà non men pronto che affettuoso in ogni sua dimanda. La ringratio quanto debbo dell’ uflitio che 1* è piacciuto far meco, rallegrandosi di questa elettione mia in Savio di Terra Ferma, il qual grado mi sarà tanto caro, quanto che potrò per esso coadiuvare li pensieri degli amici miei ; et se Vostra Eoe. 211 si io compiacerà valersi di me, conoscerà da nuovi effetti quanto in me sia ardente Y affetto nell*adoperarmi noi suoi comodi. Et con questo fine a V. S. Ill. re et Ecc. n,i ‘ prego da Dio, nostro Signore, ogni maggior eonsolatione. in Venetia, alli 23 di Gennaro 1602 w. Di V. S. Ill. ro et Kcc. 11 " 1 Ser. ro di core S. r Galileo Galilei. Sebastiano Veniero. Fuori : All’ 111.” et Kcc. mo S. r Honor.' 1 ® Il S. r Galileo Galilei, Lettor delle Matematiche in Padoa. Lott. 01. 16. ÒV (/alleo — 1,1 I)i stilo veneto. <*> Cfr. n.« 89. < 8 > Di stilo veneto. L92-93J 12 — 20 FEBBRAIO 1003. 103 10 92*. GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Vanesia. Padova, 12 febbraio 1003. Arali, di Stato in Vonezia. Filza intitolata sul dorso: N.<* — (tic). Lettore dalli Ecc.'"i Sig.ri Rifornì.e dolio Studio scritto ai diversi 111.' 11 ' Rettori od altri. 1601 al 1622. Riformatori dolio Studio di Pa¬ dova, u® 04. — Originalo. Ill. ml et Ecc. m ‘ Sig.. rl Reformatori, La benignità di VV. SS. 111." 10 , dimostratami nel concedermi gras¬ samente l’anno passato 11) una paga di un anno anticipatamente per sodisfare a parte di un mio debbito che mi dava molto impaccio, mi dà ardire al presente, che io sono molestato del resto, a venire, sicome faccio, a supplicarle da nuovo dar ordine che bora me no sia data un’ altra anticipata di un anno ; elio sicome per questa gratia io sarò sollevato da peso che oltremodo mi aggrava, così resterò per sempre obligatissimo a VV. SS. Ecc.“° alle quali prego da N. S. ogni felicità. In Pad/, a 12 Feb.° 1602 (2) . Di VV. SS. 111.™ Devot. mo S. a Galileo Galilei, Lettore delle Mathematiche. 98*. I RIFORMATORI DELLO STUDIO AI RETTORI di Padova. IVenezia], 20 febbraio 1603. Arch. di Stato In Venezia. Filza intitolata snl dorso : N.“ = (»i'c). Lettere dalli Kcc.“* Si#.» 1 Rifornì.'' dolio Studio scritto ai diversi 111." 1 ' Rottori od altri. 1601 al 1622. Riformatori dolio Studio di Pa¬ dova, ii° 64. — Originalo. 1602 (»», a’ 20 Feb.° Alli Rettori di Padon. Instandoci con grande affetto D. Galileo Galilei, Lettor delle Mathematiche in quel Studio, di esser nccommodato del salario suo di un anno anticipato, ultra quello elle un anno fa gli fu da’ precessori nostri fatto accomraodore per suo urgentissimo bisogno, liabbituno <«» Crr. n“ 79. <*' Di stilo voneto. <*> Di stilo venuto. 104 20 FEBBRAIO — 21 AGOSTO 1003. [03-05] stimato bene ossnudirlo, come facciamo scrivendo allo VV. SS. ,ta lllust. me che, datu per lui fideiussione di vita a piaccimento loro, lo faccino accommodaro di detto suo salario; con espressa obligatione di haverlo intieramente a scontare, prima che possi essergli sborsata alcuna cosa. Como è conveniente; e però così esseguiranno. Marc’Antonio Mommo, l*roc. r Hefornmtoi. io Francesco Molili, licformntor. Antonio l’riuli, K. r lieformator. 94 *. EDMONDO niiUCR a GIOVANNI KEPI.EU in Praga. Padova, 21 agosto UHM. nibl. Palatina di Vienna. Mss. 10702, c. 210. — Autografa. .... Maginua ultra septimanam hic luit, tnunique l’rodroninm a quodam nobile ve¬ neto prò dono nuperrime accepit. Gnleleus tuum librimi liabet., tuaque inventa tanquam sua suia auditoribua proponiti Multa alia libi scriberem, si inibi tempus daretnr. llapt.im Patavii, 21 Augusti 1<>03. Timo Eccellentiao Amicissiniua Edmund il s H rutili a Angina. Fuori: Ad Ex ce 11."' Villini 1). 1). Iohanncm Keplerum, Mntlieiimticnm C. M. P ragno. 95 *. FRANCESCO TENGNAGEI, a GIO. ANTONIO MACINI in Bologna. [Praga, 1G03J. Aroh. Malvezzi do’ Modici in Bologna. Carteggio di G. A. Magali. — Autografa. _Promissi fidcni liberal.uro, Clarissime et Excellentissime Domino Magine, visum fuit ea, quae a Doni in alio ne Vostra et prestantissimo Patre Clavio circa lunaria soceri ilici Domini Tychonis laudatissimac memorine mota sunt dubin, paulo nccuratius expen- dere, iisquo omuem scrupuluin (si quia, fatear, in eorum iinimis adirne resederit), quantuin prao otii penuria et innmnerÌ3 tum politicis tum niatliematicis curis in praesentia licuerit, quadnntenus esimere. Nani quod ad aemulos Domini Tychonis et calumniatores atti net, equidem illoa adirne istlioc lionoro diguabor, ut obscuri isti homunciones, in pulpiti» dun- taxat Patavinis W ac privatim prò libidine in quemvis apud rudem plebeculam debac- C) b'fr. n.° 58, linea 1. insinuazioni contro di lui contenuto nella lettera del < ’) si alludo ovidonteniouto a Gaijlbo, o od Macini, alla quale rispondo i) Tencnaceu 1 (JOB — 12 aprili-: 1604. 105 [ 95 - 96 ] chantes, ex Tychoni eiusque aeterni nominili splendore per ine Reipublicae litoranee inno- io toscani. Veritas enim ab bis noctuis in tenebri» delitescentibus ( protomatberaaticos istos iutelligo, insignem illuni (si Diis placet) Matheinntmn Professoroni, alterunique ipsius associali) fratrem ignorantiae Venetum (, l) ne premi quidem, ned uni opprimi, potest, qui, cimi prue imperiti» uihil ipsimet in publicum ediderint, aliorum nimqiuu» intennorituris et plus quam herculeis laboribus invident, ac mordacibus insù Itali t verborum aculeis. Qnamobrem, omissis bis Zoilis et Aristippis, ad reliqua literarum Dominationis Vestine contexta transgressus, paucis ad singola eorum capita respondebo... . 96 *. G10 V A N FRA N CES CO SA GRE DO a GALILEO in Padova. Venezia, 12 aprile 1601. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 152. — Autografo le li». 14-16. Ecc."'° Sig. r Honorat. 1 ’ 10 Dal Sig. r Veniero e da me si sono fatti 1’ ollìtii efficacissimi per la ricondota di V. S. Ecc. ma e per l’augumento dessiderato da lei; ma in fatti la strettezza che dicono bavere de*danari, e la poca voglia che hanno di espedire questo ne- gotio sotto il loro magistrato, si toglie la speranza di poter concludere nella maniera dessiderata da lei e procurata da noi. Dure non si farà notar cosa al¬ cuna senza darci prima la risolutione in voce, della quale ne daremo a lei aviso per sapere s’ habbia a prestare l’assenso. Mando a V.S. Ecc. ma la polizza di Coleggi di Padoa che mi prestò; et me iole raccomando, invitandola doppo le feste in Cadore 1 ', acciò almeno in questi giorni santi io mi acorga che habbia pur una volta d’ atendermi quello che tanto mi ha promesso. Et a V. S. Ecc. 1 ™ mi raccomando. In Venetia, a 12 Aprile 1604. Di V.S. Ecc. ma Aflf. mo come Fratello Gio. E. co Sap. Fuori : All’ Ecc. ,no Sig. r Honorat,” 10 11 Sig.‘‘ Galileo Galilei, Matematico di Padova. Lett. 06. 8. frettare, la Henna — in Qui ci parrebbe indicato abbastanza chiara- '*> Vedi n.° 82, liti. 10. mente Giovanfraxof.soo Sagkkdo. X. H 10£ 22 MAGGIO 1604. [0i| 97 *: GALILEO GALILEI [a VINCENZO GONZAGA in Mantova.] Padova, 22 maggio 1(504. i Aroh. Storico Gonzaga in Mantova. Raccolta di autografi. Ser “° Sig. re Se quella persona della quale l’A. V. S. ma nifi] domandò, quando presi da lei licenza, fusse sta[ta] così per il cognome da me, (tome per il nome propri io|, conosciuta, le ne Laverei potuta dare quella infor¬ mati one a bocca, die hora li do per lettere. Questo dunque ò il S. Aurelio Capra, Milanese, il quale sono molti anni che si ridusse in questa città con un suo tiglio giovanetto (l) , per occasione di farlo studiare, come ha fatto; et per assisterli et fai' mi¬ nore spesa fece resolutione di trasferir qua sè et il resto della fami¬ glia. Si andava ne’ primi tempi trattenendo con dar letione di giocar io di spada, sin che fece amicitia col ClarT' S. lacomo Alvigi Cornaro et col S. Grosso, aa i quali havendo appreso alcuni segreti di medi¬ cina, si va di presente trattenendo col far qualche esperienza eli essa facoltà, et da diversi vien tenuto in qualche stima ; ma più da molti vien predicato come quello che havendo nelli ultimi tempi hauto per più anni strettissima amicitia del Grosso, habbia da esso hauti, se non tutti, al meno i maggiori et la maggior parte de suoi segreti : nè mancano di quelli che credono, esso possedere et di presente la¬ vorare intorno al gran magistero (che così lo dicono). Intendo in oltre che adesso ha strettissima pratica con un Tedesco, il quale professa 20 gran segreti, et in particolare afferma bavere una pillola, et il modo del comporla, che non essendo maggiore di una veccia, presa per bocca mantiene uno sano et gagliardo per 40 giorni, senza che pigli altro cibo o bevanda. Circa simili esercizii et pratiche si occupa il detto S. Capra. Il figliuolo, che già è di 24 anni circa, oltre a i paterni studii attende anco alla medicina secondo la via di Galeno, per me¬ scolarla con 1’ altra empirica et farne un composto perfetto ; et oltre a ciò ha fatto, et tuttavia fa, studio nelle cose di astronomia et di astrologia giudiciaria, nella quale da rno[lti] è tenuto che habbia et prattica et giudizi! o es]quisito. Questa è quanta relatione posso di so presente] dare all’ A. V. S. mH ; la quale se comanderà [che] più par¬ ticolarmente proccuri di penetrare, ob[bedi]rò ogni suo cenno. (*) Saldassi* r Capra. m 22 MAGGIO 1604. 107 Perchè alla mia partita di costà da una persona di corte mi fu detto che V. S. A. era restata non be[n] satisfatta del trattar mio circa ’1 mio negozio, et che meglio saria stato con qualche finta scusa licentiarmi da lei, che farle proporre altre conditioni che quelle che di prima offerta mi haveva V A. V. S. fatte esibire, io, non stimando che per occasione alcuna deva mai la bugia essere alla verità pre¬ posta, narrerò con laconica brevità all’A. V. quanto mi è stato pro¬ io posto, et quanto è stato da me semplicissimamente risposto. Venni la prima volta al suo comandamento in Corte, dove improv¬ visamente mi fu esposta la volontà di V. A. S., che era di havermi al suo servizio ; domandai un poco di dilatione di tempo, sin che tornassi qua et pensassi et parlassi con i miei, con promessa di risolvere l’animo mio a V. A. S. al ritorno per la comedia. Venni, pensai, parlai et tornai ; et dissi al S. Giulio Cesare (1) che rispondesse all’A. V. S., che havendo io esaminate le mie necessità et lo stato mio, non potevo pel¬ li ducati 300 et spesa per me et per un servitore offertami partirmi di qua, et che però mi scusasse apresso V. A. S. etc., soggiungendoli 50 che caso die V. A. S. li havesse domandato quali fussero state le mie pretensioni, li dicesse ducati 500 et 3 spese. Questa è la somma schiet¬ tissima ili quanto è stato proposto et risposto: nel che, sì come non ho hauto mai altro scopo che di reverire l’A. V. et con ogni pos- sibil modo compiacerla, ubidirla et servirla, cosi, se si riguarderà l’in¬ tegrità dell’animo mio, credo che niuno potrà riconoscervi altro che purissima sincerità; ma pure, quando per mia cecità io non ci scor¬ gessi quei falli che altri di vista più purgata vi scuopre, perdoni l’A. V. S. et scusi la mia debolezza, se dall’insolito splendore abbagliata ha in qualche cosa inciampato, et sia certa che non meno in assenza che no in presenza gli sarò sempre humilissimo et devotissimo servo. Et qui con ogn[i] maggior reverenza inchinandomeli, della [sua] gratin la supplico,' et da Dio li prego il colm|o | di felicità. Di Padova, li 22 di Maggio 1G04. l)i V. A. S. raa Humiliss. 0 et Oblig. mo Servo Galileo Galilei. Fuori : Al Ser. mo S. Duca di Mantova, JSig. ro e Pad." 0 Col. u, ° (*> Forse Giulio Cksauk Caietano. 103 24 MAGGIO 1604. [98] 98 *. COSTANZO DA OASCIO a GALILEO in Padova. Napoli, *24 maggio 1(501. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, cur. 47. - Autogriuln. Molto Mag. co Sig. r mio P.rone Oss. mo Doppo die io ultimamente fui in Padova per visitare il Santo o V. S. ancora, subito ritornato in Ferrara, fui spedito per Napoli dalla felice memoria del Card. Mattimi, nostro Protettore in quel tempo, per ordine di N. S., con occasione assai honorata ; et fatto quanto liavevo ordine di fare, supplicai di restarmene qua per alcun tempo, dove anco mi ritrovo al presente con molta mia sodist'atione, haven- doci imparticolar ritrovatoci il Sig. r Giovan Camillo Gloriosi, Dottore (li Filosofia et Theologia et sopra tutto eccellentissimo in qualsivoglia genere di mathema¬ tiche, col quale ho hauto tutto questo tempo strettissima conversatione. Bora detto Signore ha fatto ferma resolutione di voler partirsi di questo Regno, e de- io sidera di ritirarsi in qualche parte dove potesse manifestare la virtù e valor suo : et io, perchè so quanto V. S. ama la virtù et imparticolare quella delle mathe¬ matiche, e quanto desidera giovare a quelli che in esse hanno fatto ragionevol frutto, ho preso sicurtà con lei (li raccomandamelo con tutto il core, caso che costà in quelle parti di Lombardia ci fusse qualche occasione o di lettura ordi¬ naria o di qualch’ Achadernia e d’insegnare a particolari in Venetia o altrove; perchè l’assicuro io che è huomo per dar conto di sò, e far honore a V. S., se 10 promoverà, et utile a quelli eh’ insegnerà. L’liavevo raccomandato alli giorni passati al Sig. r Christoforo Papponi per lo Studio di Pisa; ma habbiamo trovato 11 luogo occupato da uno che si domanda il Pomarance, favorito dalla Gran Du- 20 cliessa. Se questo si partisse, serebbe facil cosa che, col favor di detto Sig. p Chri- stoforo, ottenesse quella lettura: fra tanto se a lei li venisse occasione alcuna, di novo la supplico si degni di favorire questo così virtuoso giovane, che rice¬ verà il merito da Idio e laude da gli huomini. Altro non li dirò in questo fatto, sapendo che con lei non occorre fare molte cerimonie. Dipoi, quando fui costà in Padova, mi ricordo che li domandai come si po¬ teva dimostrare che dui corpi d’ una medesima specie et ligula, equali o vero inequali, per il medesimo mezzo havessero la medesima velocità di moto ; et lei mi assegnò dui ragioni, per le quali si conduceva Paversario a dui inconvenienti. Bora, per essere già tanto tempo che fu questo, me le sono scordate, e perchè so me ne fa bisogno a un certo mio proposito, la prego si degni di novo accen- Lett. 98 . ‘2S. mezzo /unsero Ut — 24 — 26 MAGGIO 1604. 109 198-991 narmele ; et se altra demonstratione mathematica havesse intorno a questa pro- positione, ini farebbe favor grandissimo mandandomela: e conumererò questo con infiniti altri beneficii da lei riceuti, et inparticolare che m’ babbi insegnato quanto so di mathematica ; che se bene per mio diffetto ne so poco, tutta via mi serve pei- ragionarne con quelli che ne sanno a sai, et a lodare il non inai lodato a bastanza maestro, che m’ha insegnato. Et per non fastidirla più, pregarò Mostro Signore che ogni suo honorato desiderio a lieto fine conduca. Di Santa Chiara di Napoli, li 24 di Maggio 1604. ■io Di V. S. Obligatiss." 10 Servo Fra Constanzo da Cascio, de’ Minori Osservanti Riformato. Fuori : Al molto Mag. Co et Ecc. mo Sig. r mio P.rone Oss. ,no 11 Sig/ Galileo Galilei, Mathematico ordinario dello Studio di Padova. Padova. tl> 99 . VINCENZO GONZAGA a GALILEO in Padova. Mantova, 26 maggio 1604. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, oar. 11. — Autografa la firma. Molto Mag. 00 Sig/ Ho veduta la lettera di V. et la relatione che mi fa della persona, che le nominai qui, è così compita, che non m’occorre per bora des|i|derar di più, ringratiandola della fatica che se ri’ ha preso. Quanto poi alla scu| sa] che passa meco, questa non era punto necessaria, tanto più concordando mol[to] bene ciò eh’ ella stessa scrive con quello che da altri mi fu riferto nel medesimo fatto : et se a V. S. non è tornato bene di fermarsi qui, non però mi resta occasione alcuna di mala sodisfattione, essendo giusto eh’ ella goda di quella libertà che ha di procurar il suo commodo, al qual troverà me sempre ancora prontissimo, io Che resto intanto raccommandandomele caramente, et pregandole felicità. Di Mantova, li 26 di Maggio 1604. Per far piacer a V. S. 6. r Gallileo Gallilei. 11 Duca di Ma ut. Fuori : Al molto Mag.°° Sig. 1 il Sig. r Gallileo Gallilei. Padova. Accanto all’indirizzo si logge quest' up- alle 2 ruota», pulito, di Ulano di Galileo : « Carta roal da l’Aquila '*> Cfr. u.° 97. no 27 MAGGIO —28 GIUGNO 1-G04. 1 . 100 - 101 ] 100 . GIOVANNI CAMILLO GLORIOSI a GALILEO [in Padova | Napoli, 27 maggio 1604 Bibl. Nat. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 154. — Autografa. Il Padre Fra Costanzo da Caseio me ha talmente invaghito delle virtù di V. S., che io sono costretto venire a vederla et ad oflerirmegli per servitore con la presenza, sì come bora faccio con le carte. Io, Sig. r Galilei, ho sempre deside¬ rato uscir di Regno, et occuparmi nell’ essercitio delle mathematiche, ov’ io ci trovo una felicissima sodisfattione, e con cpielle ho fatto pensiero trattener la mia vita: in queste nostre parti si tengono a baie, ond’io sempre sto in con¬ tinui rammarichi. Ilo preso grandissimo contento in haver conosciuto il Padre Fra Costanzo, col quale discorrendo cpialche volta, vengo ad alleviare in parte la noia de’ miei disgusti ; il quale m’ ha dato ferma speranza di’ io, col mezo di V. S., possi dar sodisfattione a questo mio pensiero. io La pricgo dunque a ricevermi tra’ suoi affezionati e far grata accoglienza alla mia servitù, che, innamorata del valor suo, le viene innanzi con ogni debita reverenza, supplicandola se in coteste parti di Venetia o altri luoghi le venisse qualche occasione di lettura publica o privata, ov’io honoratamente mi potesse trattenere; chè non la farei restar defraudata del’ lionor suo. Ilo preso questo ar¬ dire di pregarla sopra di ciò, sapendo di certo ohe ama c favorisce tutti coloro che se gli danno per devoti, e particolarmente quelli che col mezo delle virtuose attioni cercano lionorarla et essaltarla. E le bacio le mani. Da Napoli, a 27 di Maggio UHM. Di V. S. Ecc. ma Ser. ro Aff. mo 20 S. r Galilei. Gio. Camillo Gloriosi. 101 *. ANTONIO DE’MEDICI a GALILEO in l'adova. Firenze, 23 giugno 1604. Bibl. Na* Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 18. — Autografa. Molto Mag. c0 et Ecc. t0 Sig. r Intendendo che V. S. ha una palla che gettandola nell’acqua sta fra le due acque, vengo con la presente a pregarla vivamente di voler l'avorirme, et con¬ segnarla al Padre D. Antonio L'errato, che le porgerà la presente ; certa, che 28 GIUGNO — 13 AGOSTO 1604. Ili [101-1021 ino ne. farà favor segnalato, et elio da me sarà contracambiata questa sua cor¬ tesia. Et me le raccomando. Di Fiorenza, li 28 Giugno 1604. Di V. S. Per farle serv.° S. r Galileo Galilei. Don Ànt.° Medici. io Fuori: Al molto Mag. 00 et Eco* S. r Galileo Galilei. Padova. 102 *. MARCO LENTOWICZ a GALILEO in Padova. Cracovia, 13 agosto 1604. Blbl. Naz, Flr. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 165. — Autografa. Nobilissime et Excellentissime Doctor, Professor et amice incompatti bilis, Et institutionis ratio, et aliquot mensium domestica conversatiu, et multis in rebus cognitus atque perspeetus amor ac benevolentia D. T. erga me, mei, me- cumque, faciunt et merito efficiunt, ut ornili paene loco et momento in ipsius dulcissima verser recordatione, laude, stupore. Quotiescunque etenim cum quo- piam nostratium ago, quod non ita infrequenter bisce 3 post reditum meurri e patria eontigit inensibus, absente nae nunquam contingit matematico. Faxint caelites ut hic noster septentrio eius viri vultum videat, cuius famam et virtuteni iamcludum stupet et admiratur. Ego certe, si quidpiam unquam potere, in hoc, io ut possi ni, vel unice contendam et elaborabo. Nostri Angeli, pei- infcriores spbaeras bine inde dispersi, in aula stimmi Iovis non comparent : quainprimum tamen comparuerint, ut et Excellentissimae D. T. appareant, nil non faciemus, dummodo tamen et nos in aliquem istorimi orbium ab E. D. T. referamur, cuius in gratia, moveantur licet reliqua omnia, ut a di¬ screta D. T. conservemur benevolentia, etiam atque etiam orainus. Vale, bonor MaOiaetov, vii- praestantissime, tuumque Marcimi, quamvis iam alienum, tuum esse arbitreris velini. Cracoviae, Idibus Augusti armo Salutis 1604. E. D. T. Servitor 20 Marcus Lentovics, Regine Maiestatis Secretarius. Fuori : Nobilissimo Excellentissimoque Viro D. Galileo Galilei, in celeberrima Universitate Patavina Matboaeio^ Professori dignissimo [...gissimo. Lett. 101. 5. contracamlnale — 112 ti SETTEMBRE 1604. J.108J 108 *. DAVIDE RICQUES a GALILEO in Padova. Costantinopoli, 6 settembre 1604. Bibl. Nnz. Fir Mss. Gai., P. 1, T. VI, car. 157. Autografa. Mag. co mio Sig. r Hon. do Ben che tardi, io non ho volsuto di tutto inanellare, et per la promessa et. per P obligo mio, di scriverli, acciò che la fuase certa che ricognosco li suoi boni meriti verso di me et che sarò sempre prompto a riservirla et honorarla. Mi son arricordato spesse volte della sua gratissima conversatane, et principal¬ mente della consultatone, che ho fatto con essa, de quel mio viagio : però mi trovo quasi sforzato de dirli dei suoi evenementi. Trovandomi fra le do elementi, del peso distinti, ligato, et però volitando, et più travagliato della memoria del bene che haveva liavuto inanzi che del male presento, facieva diversissimi voti, piangendo bora la perdita del tempo et io de tante bone vertù, bora delle bone vivande, bora de quel mio bon letto : ma tutto quel che facieva, non ci era rimedio ; pure nissuii bon genio me venne le¬ vare. Così restò, havendo però questa gratia de Dio, che siamo imiti a buon sal¬ vamento ; a Chi gliene sia laude. Venendo qua, miraviglia è come ho perduto quasi in un momento tutta la memoria delli havuti fastidii, i quali mi parevano manzi tanti, che tutto il bene del mondo non sarebbe stato bastante per farmili dism enticare. Ma a qui non piacerebbe un cossi bel paese, nella formation del quale la natura ha collocata il suo più raro artificio per farlo perfetto de toutto che se può desiderare et per monstra di quello che la ha operata maij V Non li dirò per quel pulcher- 20 rimo sito, non per li miraculosi effetti de questi do mari, i quali qui se co- niungano, non per il nobilissimo porto che fanno; la sua professione luij sup- pedita di quelle cose (come da seno sono summe) nielior contemplatone et più perfetta che io non potrò fare per il mio mal dire: luij dirò per quelle cose istesse le quale parevano a la Vostra S. contrarie a oigni delettatione. Se pigliamo li custumi, che è più delettevole che de vedere queste variationi Turcheschi et Asiatichi ? quelle ceremonie, quelle feste, queste pompe, quelli canti, quelli halli V i quale, secondo il paese, paiano certe perfecti. 11 vestire ipso è et lascivo et piacevole, li ornamenti vagi et pretiosi, et ha una certa maiestà nelle persone alte, donde se possano contemplare et li antiqui custumi dei Greci, 30 et anche quelli delle antique monarchie. Se artificiose opere et necessarie riguar¬ diamo, che pò esser visto più piacevole che queste di qua? che hanno [...] una certa vagezza per excitar et allegrar li spiriti visitivi. È cosa chiara che niente contenta più 1’ occhio che un bel riore: qua tutte le robbe, in stimma tutte, se ne 0 SETTEMBRE 1604. 113 [1031 pinguano, et con sì vagi, freschi et belli colori, che paiano vivi fiori di sopra. Non voiglio dire dei labori, chi vengano principalmente di Persia, del Cairo et altri logui, donde non si può veder niente più bello; et questo in tutto, fin a li utensili. Se la mi proporrà li spassi et piaceri, lui dirò che non guene sono in nissun loco, se li non sono qua. Qua se veddano quelli belli giardini, quelli frutti orientali, io quelli fiori Asiaticlii, quelle fontane; qua è questa antiqua sedia imperiale, qua un presente monarcha, qua quelle belle colorane, quelle antiquità, quelle richezze de tanti imperi.) subiugati. Se la mi dirà delle donne, queste ancora di qua pas¬ sano tutte, in tutte le proprietà che hanno da liaver donne belle; perchè loro sono le più nette et le più bianche et le più gratiose che esser possano, et per loro transparente braguessine et belle camise nionstrando delle volte et le guam- binette et delle volte il loco dove è il domicilio del dolce che amore ha. Così la vedderà che la sua disuasiasione habbia havuto in parte V effetto, in parte non. Et per questo la mi scuserà se bora li dico che per guoderguene alquanto de tante beile et rare cose et per riportarguene, oltra questo, il frutto di questa óo lingua (della bellezza et perfettione della quale si potessi dire asaiij), mi sia mosso a restarne qua fin a la prima vera. Verso quel tempo spero di rivederla et servirla, mentre la prego che la mi mantenga nella sua bona gratia, et mi honori di ricordarsene alcune volte del servitor suo, chi ne li faria vedere li effetti, se possibel cosa fusse esser commendata da lei. La mi scuserà verso la sua chara madre del suo forziero, chi per grando mio fallo è restato a Venetia: nientedemeno non li sarà perso, ni guasto in nissun modo. La luij Lascia la sua honorata mane de parte mia, comme a tutta la nation nostra et principalmente a quelli chi Laveranno charo il mio ricordo. I)e le lettere inciuse la prego che la mi facia il favore che de far loro bavere buono «o ricapito. Rispetto di quella che è al Illustrissimo Buczackij, mi arricordo che luij sta al traietto di S. Moijsè a Venetia; ma del nome della casa non mi posso ricordare. Il S. Stanislao 10 overo alteri della nation Polaca lo saperanno. Con questo me li recoramando, espettando nuova da lei, se esser può, et de tutto quello que passa nella vostra buona terra, per via del Sig. or Christoforo Helbig, mercante del fondego in Venetia. Et pregando Iddio che ci faccia la gratia de revederci in sanità et allegrezza. Di Constantinopoli, ali G del Septembre A. 0 1604, in fretta. Alli Mag. ci Sig. ri il Sig. or Garbetti et il Sig. or Hanniballe w , mie raagistri hono- randi, mi facia favore di ricommandarmi. 70 Di V. S. molto M. ca Affettionatiss. 0 Servitore David Ricquea. Fuori: Al molto Mag. co et mio Oss." 10 Sig. re 11 Sig. rtì Galilaeo Galilaei, Mathematico digniss."' 0 , in Padoa. <*> Stanislao Lazoobki. Annibalk Bimbiolo. X. 16 114 9 OTTOBRE 1904. 1104] 104 . PAOLO SARP1 a GALILEO in Padova. Venezia, 9 ottobre 1004. Bibl. Naz. FIr. Mst. Gal., P. VI, T. VII, car. 108. — Autografa. Ecc."'° Sig. ro P.rone mio Oss." 10 Con occasione d’inviarli l’allegata, in’è venuto pensiero di proporli un argo¬ mento da risolvere, et un problema clic mi tiene ambiguo. Giti habbiaino concluso, che nessun grave può essere tirrato all’ istesso ter¬ mine in su se non con una forza, et per consequente con una velocità. Siamo passati (così V. S. ultimamente affermò et inventò ella) che perii stessi termini tornerà in già, per quali andò in su. Fu non so che obietione della palla del- P archibuggio : il fuoco qui intorbida la forza dell’istanza. Ma diciamo: un buon brado, che tira una frecia con un arco turchesco, passa via totalmente una ta¬ vola ; et se la freccia discenderà da quella altezza dove il braccio con l’arco .la io può trarre, farrà pochissima passata. Credo die l’instanza sii forse leggiera, ma non so che ci dire. 11 problema: se saranno doi mobili di disugual specie, et una virtù minore di quello che sii capace, riceverà qual si voglia di loro ; se comunicandosi la virtù a ambi dua, ne riceveranno ugualmente : come se 1’ oro fosse atto di ricevere dalla somma virtù 20 et non più, et 1’ argento 19 et non più, se sari-ano mossi da virtù 12, se ambi dua riceveranno 12. Par di sì; perchè la virtù si comunica tutta, il mobile 6 capace, adunque 1’ effetto l’istesso. Par di no ; perchè, adunque doi mobili di specie diversa, da ugual forza spenti, ululeranno all’ istesso termine con l’istessa velocità. Se un dicesse : La forza 12 muoverà 1’ argento et 1’ oro 20 all’ istesso termine non con la stessa velocità ; perchè no ? se ambi dua sono ca¬ paci anco di maggiore che quella qual 12 li può comunicare? Non obligo V.S. a risposta: solo per non mandar questa carta bianca, la quale haveva già appetito peripatetico d’essere impila di questi curatori, l’ho voluta contentare, come l’agente fa alla materia prima. Adunque qui farò fine: et li bascio la mano. Di Vinetia, il 9 Ottobre 1G04. Di V. S. Ecc." ,tt Afì>° Ser. re i F. Paulo di Vinetia. Fuori: All’Ecc. mi> Sig. rfl mio P.rone Osservali. 0 so Il S. re Galileo Galilei, Matematico. Padova, alli Vignali del Santo. im 16 OTTOBRE 1604. 115 105 . GAULEO a PAOLO SARPI in Venezia. Padova, 16 ottobre 1604. Bibl. Universitaria di Pisa, nella Sala di Lettura. — Autografa. Molto Rev. do Sig. ro et Pad. n ® Col. mo Ripensando circa le cose del moto, nelle quali, per dimostrare li accidenti da me osservati, mi mancava principio totalmente indubi¬ tabile da poter porlo per assioma, mi soli ridotto ad una prò- yi posizione la quale ha molto del naturale et dell’ evidente ; et questa supposta, dimostro poi il resto, cioè gli spazzii passati dal moto naturale esser in proporzione doppia dei tempi, et per con¬ seguenza gli spazii passati in tempi eguali esser come i numeri impari ab imitate, et le altre cose. Et il principio è questo : che io il mobile naturale vadia crescendo di velocità con quella propor¬ tene che si discosta dal principio del suo moto ; come, v. g., cadendo il grave dal termine a per la linea abed, suppongo che il grado di velocità che ha in c al grado di velocità che hebbe in b esser come la distanza ca alla distanza ha, et così conseguen¬ temente in d haver grado di velocità maggiore che in c secondo i d che la distanza da è maggiore della ca 11 ) . Haverò caro che V. S. molto R. da lo consideri un poco, et me ne dica il suo parere. Et se accettiamo questo principio, non pur dimo¬ striamo, come ho detto, le altre conclusioni, ma credo che haviamo 20 anco assai in mano per mostrare che il cadente naturale et il pro¬ ietto violento passino per le medesime proporzioni di velocità. Im¬ però che se il proietto vien gettato dal termine d al termine a, è manifesto che nel punto d ha grado di impeto potente a spingerlo sino al termine a, et non più ; et quando il medesimo proietto ò in c, è chiaro che è congiunto con grado di impeto potente a spingerlo sino al medesimo termine a; et parimente il grado d’impeto in b basta per spingerlo in a : onde è manifesto, l’impeto nei punti d, c, b andar decrescendo secondo le proporzioni delle linee da, ca, ha; onde, se se- <*> Cfr. Voi. Vili, pftg. 373-374. IHj Ili OTTOkRK — 3 NOVEMBRE 1604. | 106-106 J condo le medesime va nella caduta naturale aqquistando gradi di velocità, è vero quanto ho detto et creduto sin qui. ho Quanto all’esperienza della freccia (,) , credo che nel cadere aqqui- sterà pari forza a quella con che fu spinta, come con altri esempi parleremo a bocca, bisognandomi esser costà avanti Ognisanti. Intanto la prego a pensare un poco sopra il predetto principio. Quanto all’ altro problema proposto da lei, credo che i medesimi mobili riceveranno ambedue la medesima virtù, la quale però non opererà in ambedue il medesimo effetto : come, v. g., il medesimo lum¬ ino, vogando, communica la sua virtù ad una gondola et ad una peotta, sendo l’una et 1’ altra capace anco di maggiore ; ma non segue nell’ una et nell’ altra il medesimo effetto circa la velocità o io distanza d’intervallo per lo quale si innovino. Scrivo al scuro : questo poco basti più por satisfare al debito della risposta che al debito della soluzione, rimettendomi a parlarne a bocca in breve. Et con ogni reverenza li bacio le mani. Di Padova, li 16 di Ottobre 1604. Di V. S. molto R. da Ser." Oblig. mo Galileo Galilei. Fuori: Al molto R. do Sig.™ et Pad. np Col. rao Il Padre. M. r0 Paolo da Venezia. Venezia, 60 ne' Servi. 10B*. II.ARTO ALTOBELLI a GALILEO in Padova Verona, 3 novembre 1604. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., I’. VI, T. VII, CR r. 41». — Autografa. Molto ili." et Ecc. mo S. r P.ron Col."* 0 Havendo veduto la lettera che V. S. scrive al S. r Fontanella, nella quale m’honora oltre ogni mio merito, mi par debito di ringratiarla di tutto cuore, come faccio, et offerirmele prontissimo servitore, come già molti anni son stato divoto del suo nome e bramoso della sua servitù : tanto possono appresso di me gl’ in¬ gegni sublimi. E tanto basti per bora in materia politica. Ma mi dispiace che <*1 Cfr. n.° 104. 3 NOVEMBRE 1604. 117 [1061 il S. r Fontanella mandasse a V.S. quel foglio, che non credo fusse corretto, haven- dol’io detto che dovesse venir a pigliarne un altro per V. S. Ecc." ia , poi che quello era consignato all’istesso Fontanella. Però le rimando l’alligato (,) . È calcolo d’in- io finita patientia: credo che sia venuto bone, e che poco o nulla s’errerà, poi che in quella del 1601 si comisse error solo di doi o tre minuti in circa. Il calcolo di Cipriano Leovitio mi son maravigliato che produca l’istesso momento ad un- gttem, ciò hor. 2. 16’ in dhnidia duratone. F ben vero che il luogo del sole Al¬ fonsino, eh’ egli ha usato, non è differente da questo del Ticone più che doi minuti al più, anzi manco : tanto che è molto più vero il luogo del sole con l’Alfonsine che con le Pruteniche, se bene in gli altri quelle si deve sprezzare e queste ricevere, tintanto che. siano finite le Itudolfee, ciò è Ticoniche, delle quali tratteremo altre volte. In tanto mi piace che V. S. si sia accorta di questo nuovo mostro del cielo, 20 da far impazzir i Peripatetici, eh’ hanno creduto sin hora tante bugie in quella stella nova e miracolosa del 1572, priva di moto e di parallasse. Come semiii- losofi, potriano protervire che pur era fuor del zodiaco et in parte boreale ; ma in questa, quo se vertami , nescienti poi che, se non intendono le parallasse, non potranno negare che non sia in parte australe nel Zodiaco, vicino alla eclittica, in segno igneo, appresso Giove calido, et hora poco lontana si può dir dal sole, e più bella che mai, nata nella cf di et q? calidissimo, alli 9 d’ Ottobre e non prima, perchè io osservando la cf di 9f et a* se rispondeva al calcolo Pru- tenico alli 8 d’ Ottobre, intento tutto e per lungo spatio in quella parte del cielo, con un compagno, non si vedeva altra stella nè vicina nè lontana che gli tre so superiori, per esser 1’ aria molto chiara. Ma perchè io ne scrivo per hora una breve indicatione, che fra 8 giorni forai sarà finita, per servire tanti che mi fanno instanza, non ne dirò altro per hora a V. S. ; ma la prego sì bene instan- tissimamente a farmi grafia di osservar se facci diversità d’aspetto et quanta, come anco la lunghezza et larghezza precisamente, perchè io non ho altro instru¬ mento che un astrolabio d’ un piede di diametro e manco, sì che non posso sca¬ pricciarmi bene. Et del tutto mi farà gratia, come ne la prego grandemente, avi- sarmi. Con che fine torno a dedicarmele servitore et l’abbraccio stretti ssi mamen te. Di Verona, li 3 Novembre 1604. Di V. S. molto 111.” et Ecc.™* Deditiss. 0 Serv. n ' 40 F. llario Altobelli. Fuori : Al molto III.™ et Ecc.' w * S. r P.ron Oss.'"° 11 S. r Galileo Galilei, Matem. co di Padova. Lett. 106. 25. dir da aoU — Questo allegato manca noi codice. 118 25 NOVEMBRE 1004. L107J 107 * IL A II IO ALTOBBLLI a GALILEO in Padova. Verona, 26 novembre 1001. Bibl. Noe. Plr. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 61.— Autografo. Molto Ill. r « et Ecc. rao S. r P.ron Col." 10 Tengo molto cara la risposta di V. S. gentilissima, godendo insieme l’amore che scuopre verso di me, e che cosi presto 1’ babbi accecata per uno gusto, e che l’occasione di questa maravigliosissima maraviglia del cielo, donata per ultima luce all’ultimo della penultima età del mondo, facci conoscere gl’ingegni e la verità della natura celeste, nei secoli precedenti sin alla prima origine d’ ogni cosa non mai più così chiaramente testificata. Questo è impossibile che sia globo sospeso nell’ aria elementare per ragion di freddo et huinido, pasto del foco celeste, mentre vediamo che non ha nessun moto proprio, nè retto nè obliquo nè confuso, che saria impossibile ad intenderlo, stante la liquidezza e continua io concitatione varia dell’aria. Non è dissimile dall’altre dell’ottava sfera, non ha mut[ato] mai colore, scintilla più d’ogni altra fissa a quali solo e per natura pro¬ pria, et il suo sito rende possibile ogni impossibilità oonietturata di Aristotile, di- strugendo ogni sua imaginatione, poi clic è in parte australe nel zodiaco, vicino all’ eclittica, in segno igneo e fra pianeti calidissimi nata, nè teme la faccia del sole che già l’asconde, sì che è cosa manifesta ch’ella habbi ottenuto il suo trono infra le fiamme ardenti. Ma se questi Poripatetici, o, per dir meglio, semi¬ filosofi, non intendono la dimostratione insuperabile della diversità dell’ aspetto, per toccar con mano ch’ella risiede insili lasù nel ciel stellato, e che perciò ec¬ cede intorno a trecento volte di grandezza la terra e ’l mare, come si potrà con- 20 vincere la pertinacia loro? È cosa improba 0 simile, dice Galeno nel 5° De, dir bus ilecretoriis, il non voler far esperienza et non voler credere a chi la fa, et che è cosa sofistica il voler negar la manifesta esperienza. In fine, 1’educati 011 e è troppo potente in tutte le cose, poi che vediamo che l’esser nodrito in una ima¬ ginata opinione cagiona tal ostinatane, che la verità lucente non può i nnovella¬ lo credo certo, che se 1’ istesso Autor vivesse, si renderebo a tanta forza. Ma, in ogni modo, l’istessa stella, emula di Giove, et opposta al tempio di Mercurio, doppio non men di figura che di natura, distrugerà il falso e parturirà il vero, e finalmente si caminerà per la luce et non per le tenebre. Io credo esser stato un do’ primi, e torsi solo primo, a conoscere et veder «o la sua prima apparitione in Europa, che fu li 9 d’Ottobre, quasi nel tramontar 25 NOVEMBRE 1604. 119 L107] del sole, nella cf di 9| et cf ; et certo che all’ occhio pareva che havesse V istessa lunghezza che havevano questi doi, poi che si vedeva in sito consimile; Or. Bor. * % C? Au. h. Oc. Ma scrivendo V. S. le sue osservationi, le credo, sì perchè 1’ occhio poteva errare qualche poco, sì anco per qualche varietà, che vi poteva intervenire per le ri- 40 frattioni, e tanto piil che il P. D. Mordano teologo mi scrive con maggior pre¬ cisione P osservationi fatte da un discepolo del Ticone con instromento ritrovato dal Ticone istesso, che sono gr. 17. 51'^ con latitudine di gr. 1.4T, che son quasi conformi, pur senza parallasse e senza moto. D’Augusta di Germania mi si scrive gr. 21 di Roma gr. 14, osservata forai con gli quadranti o instrumenti da falegnami. Aspetto di giorno in giorno l’osservationi del S. r Magino, de’quali ne farò parte a V.S. Ilo abbozzato sopra di essa 8 capitoli, ma non ho tempo per bora di ponerli a sesto, per esser occupato troppo nel mio proprio studio per servire al carico mio, onde, esseml’ io forastiero all’ astronomia e quasi di furto pigliando tal hor 50 qualche cosa, non ho potuto sin bora farci riflession propria pili che tanto ; havendo tolto quello che ho scritto là e quà in buona parte, essendoci del mio tutto un capitolo della contestatione della sua prima apparitione, poi che in quei giorni ero vigilante in censurar il calcolo Prutenico con P occasione della cf di ‘11 et <3*, et la sera delli 8 d’ Ottobre particolarmente, sul traboccar del sole, trovai gli tre superiori soli, in questa forma di trigono equicrurio giusto: Bor. Or. 91 fi Occ. d 1 A. co nè si vedeva altra stella per tutto il cielo, con particolare maraviglia d’un Padre qui secondo lettore, instrutto così da me alla cognitione oculare degli stessi pia¬ neti più volte: e la sera delli 9 Ottobre, tornando al medesimo luogo, vedessimo gli istessi con la positura visuale antescritta, sì che non v’ è dubio alcuno. E vi sono del mio alcuni capitoli de significati in qualità et quantità iuxta loca et tem¬ pora. Nel resto mi vaglio molto del Ticone, che tanto e così egregiamente ha scritto sopra quella del 1572 nella prima parte de’ Proginasmi l,) , della dignità a carte 320 avanti e dopo, dell’altezza a carte 398 e seguenti, della materia a 1,1 Tigoni» Bkaiik Dani Aatronomiac inttutiralae tionibu* motuimi noli*, otc. Typis inclinata Uraniburg progyviiKtKtnata, quorum lutee jirimu pur* de re*ti(u - Daniao, absolutn Prugno Boliomiao, MDCU. 120 25 NOVEMBRE — iti DICEMBRE 1004. [ 107 - 1001 car. 794 nella conclusione, dove anco dilucida la vera dottrina della Via Lattea contro Aristotile: e per tutto ci sono ragioni comuni a periti et imperiti. Ma se questi Peripatetici volessero supplire al mancamento della lor filosofia, si doveria far due cose per sapere il vero : la prima, che loro prestassero gli orecchi e la 70 mente con patienza; la seconda, che V. S. Eec.'"“ gli mostrasse e con dottrina e con essempi la necessità delle parallassi, insili con l’esperienza fatta in terra, acciò, a guisa de* filosofi o soffiati antichi che negavano ogni scienza, ma che, convinti dalle matematiche, dissero pur trovarsi il sapere, così loro lusserò co¬ stretti a confessar il vero. Ma se sin bora non intendono che purus in una scientia est asintts, come sarà mai possibile piegarli a questo V Hor facia Dio, che ad altri si fa chiaro, ad altri oscuro. Io ho detto abastanza. Mi duole non esser in Pa¬ dova in questi tempi, sì per goder le sue lettioni, sì per sentire P infinite con- fabulationi o farmi scoglio di contraditioni ancor io, ma da scherzo e per burlare. E con questo le bacio la mano, e da N. S. Dio le prego ver’ allegrezza. so Di Verona, li 25 Novembre 1604. Di V. S. molto lll. w et Rcc. ,,,u Dediti ss. n Ser. ra F. Ila rio Aito belli. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc."'° S. r P.ron Col." 10 Il S. r Galileo Galilei, Matematico di Padova. 108 . ANTONIO ALBERTI a GIOVANNI MALIPIERO [in Venezia]. Abituo, 17 dicembre 1G04. Cfr. Voi. 11, pag. i>28. 109 * CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Padova. Roma, 18 (licenibre U»04. Bibl. Naz. Flr. Mas. «al., P. VI, T. VII. car. 54. — Autografa. Molto Mag. co S. or mio Oss."'° Mi vergogno quasi della mia negligenti, in fare a saper V. S. come molti anni sono, almeno 11, che finito di stampare il mio Astrolabio, l’anno 1593 1, >, < l > Cu rist oi*n ori Ciatii Bamhergensis e Socio- Orassi, ex typographia Oahiana, MDXCIII. tate Iesu Aatrolabium. Rouiae, impelisi* Bartholom&ui 18 DICEMBRE 1604. 121 11091 mandai subito uno a lei, et intirizzai al S. 0P Bali di Siena ; et. andando io l’anno 1600 a i bagni di S. (lasciano et a Siena, trovai che ’1 libro non era mandato a V. S., perchè s’era partito da Pisa senza sapere io niente di questo ; et un gentilhuomo Sanese s’ P liaveva usurpato per sè, et pregandomi gli lo donai. Mora, perchè mi paro molto probabile che già V. S. Pbarerà visto; et se non, m’avisi, che gli manderò uno, che a punto mi restò. Interim gli mando la Geometria Prat- io tica, stampato adesso (l) , benché non è.degna di lei ; ma lo fo per continuare Pami- citia tra noi. Sono parecchi mesi, mandai a Padova per informarmi quanto valeva quel suo compasso, e mi fu risposto che V. S. mi volevo mandare uno, il qual dono mi sarebbe gratissimo, se però V.S. mi lo potrà mandare senza suo scommodo ; perchè, ancorché in questo Geometria Prattica pongo una cosa simile mostratomi d’ un certo Tedescho, stimo pur molto più il suo, per la varietà dclli usi. Però in questo mi rimetto alla liberalità di V. S. Intendo che il S. or Albertino Bari- soni ha procurato di fare far uno, et che V.S. dubitava che era per me: sappi che non é per me, nò manco ho saputo niente. 20 Qui è stato un gran bisbiglio della stella nova, la quale habbiamo trovata nel 17 grado (li con latitudine borea di gradi 1 ‘/a in circa. Se V.S. ha fatto qualche osservatione, mi farà piacere d’ avisarmi. Il Magino mi scrive d’ havcrla anco lui osservata nel medesimo grado; et così anco scrivono di Germania e Calabria. Vegga V. S. se posso niente per lei ; et se non liavesse havuta il libro della nova descrittione d’ horivoli per via delle tangenti li) , insieme con un compendio brevissimo l<) , me lo significhi, che non mancarò di mandargli lo. Et con questo fo fine, pregandogli da Dio ogni bene. Et li baccio le mani. Da ltoma, alli 18 di X' ,ro del 1604. so Di V.S. Servo nel S. re Affett. mo Christoforo Clavio. Il libro verrà con la prima commodità, che speriamo debba essere per il Clar. mo Sig. r Giorgio Cornaro ; et li sarà consegnato dal Sig. 1 ' Marcello Barisone. Fuori: Al molto Mag. co S. or 11 Signor Galileo Galilei, Mathem. 00 Excellentissiino, mio Oss.' no Padova. 1,1 Christoph ori Ci.avii Bainborgcnsis o Socio- Aloysiuui Zannettuin, M.D.XCIX. tate leso Geometria Practica. Rolline, ex typ. Aloysii Gompcndinm breviisimmi describcndorum ho- Zanetti, MDCIV. roìogiorum horitonlalium ac declinimihun, auctore Cri- <*' Christophori C1.AVI1 Bamborgensis e Socie- stopiioko Clavio Bambergcnsi Societntis lesti. Ro¬ tate lesti Horologiorutn nova dttcrijHio. Romae, apud uiae, apud Aloysium Zunnottuui, MDCIII. X. Iti 122 22 DICEMBRI-: 1604. Ilio] 110 *. LEONARDO TEDESCHI a [GALILEO in Padova]. Verona, 22 dicembre 16(M. Blbl- Naz. Tir. Mas. (fai., P. VI, T. VII, car. 56-66. — Autografa, cominciando dalle parole « porohò il solo non può luminar» (pag. 160, lin. 313); originalo, di mano d'amanuense, nella parto procodouto. Molt’ Ill. ro et Ecc. mo mio Sig.” Col ." 10 Non posso far ch’io non le mantenga la promessa; ma credami che non vorrei esser trascorso tant’ oltre, promettendole de dir il mio parer intorno a cosa tanto diticile, per non dire impossibile a sapersi da qual si voglia ingegno, benché sottilissimo, che humano sia ; sì che se mai ho provato esser vera quella propositione d’Aristotile : Sicut se habet octtlus noctuae ad lumen solis, ila se habet intellectus noster ad ea quae sant manifestissima in natura, in questo chiarissima la mi si scopre. Tuttavia, perchè dal’altro cauto Pistesso iilosofo in altro loco m’inanima, dicendo che è meglio et più dilettovol cosa liaver cognitione, benché lieve, superficiale et non certa, delle cose superiori et più nobili, che liaver una io piena et sicura scientia di queste inferiori, voglio pur sodisfar all’ohligo nel quale spontaneamente mi son posto, et scriverle quello ch’io ne senta, persuadendomi che lei non debba già, attribuendo questo a tropp’ ardir et temerità, burlarsi di me come che, quasi nuovo Icaro, Fetonte o Prometeo, tenti salir al Cielo, donde poi non ne riporti altro che, o come doi, morti nell’ acque o nel foco, o, come l’altro, perpetua pena nell’esser lacerato da un rostro d’avoltoio; perchè, se bene il parer, eh’ io son per apportare, queste pene meritasse, confido die o lo teneri così fattamente secreto che non gli potrà occorrer alcuno di questi in¬ contri, o che si degnarà o con ragioni o con la sua autorità talmente proteg¬ gerlo, che sarà sicuro da ogni sinistro accidente in cui per sè stesso potesse in- 20 correre. Scriverò dunque; et scrivendo imi tarò il nostro Peripatetico, il quale delle cose tlificili ha sempre più tosto voluto scriver il quid non sii, clic il quid sit, fossero ino' tali 0 perchè infra scusimi . coni’ è la materia prima, 0 perchè supra scnsum, come sono tutte lo inteligentie astratte e da ogni materia sen¬ sibile] realmente separate. Et per cominciar hor mai, io dico che, essendo la questione che cosa sia questa luce nuovamente alli X 8 bre del presente anno apparsa nel Saggittario, vicino a Giove che si era per congionger insieme con Marte, bisogna che sia luce fondata o in un corpo, et così sia reale et radicata in un soggetto solo, o in due corpi, et così sia più tosto luce intentionale et spirituale, cioè dependente dal 80 suo producente et efficiente. Se è d’ un corpo solo, 0 che è elementare et corrut- 22 DICEMBRE 1604. 12B LI IO] tihile, o celeste et immortale; se è di doi, o elio ambulili sono elementari, o ambidoi celesti, o l’uno elementare e l’altro celeste. Ritorno al primo, et mostro che non poss’esser elementare: perchè se tale fosse, essendo in regione alta, sa¬ rebbe corpo meteorologico, et per consequenza, havendo gran duratione et moto verso l’occaso, savia del genere delle comete: ma come[ta| non è, come son per provare; adonque non può esser questa luce, luce di corpo elementare. Le ra¬ gioni mo’sono altre naturali, altre più tosto matematiche. Et per cominciar dalle naturali, la prima sarà tolta dalla chiarezza, limpidezza e splendor suo incompa- 40 labile, che di gran lunga avanza ogni stella et qual si voglia altra celeste luce, dalla solare in poi, non die luce o di foco che sia qui tra noi, o di vapore ignito et cometa. Se dunque supera di splendore tutte le stelle, et Venere et Giove istesso, lo quali hanno la sua luce dalla sola densità, del loro orbe, senza admi- stioni d’alcuna sostanza opaca, chi non dirà che questa non sia luce di foco? o elementare, la quale non si puoi produrre se non col mezo di qualche parte di corpo opaco ; o terrestre, o sia grosso et corpulento come ne’ carboni accesi, o sia vaporoso et fumoso come nella fiamma comete et altre impressioni ignite; per l’opacità del quale è necessario che perdi di chiarezza, come acquista il ter¬ mino et sodezza terminante il nostro vedere, che voi dire Tesser di luce elemen¬ to tare. Oltre che è pur vero che i corpi elementari sono piò impuri et meno tra¬ sparenti de’ celesti, et che per ciò se anco quella luce fosse di foco puro elementare condensato, non potrebb’ haver in sè stessa tanta chiarezza, che ogni più lucida stella sopravanzi. La seconda si trahe dalla uniformità del suo lume in tutte le parti, che ha sempre conservata : poi che se fusse elementare, sarebbe simile alle fiamme che qui s’ accendono ne’ legni o in altra combustibile materia, le quali pur in altre parti più, in altre meno, lucide sono ; dovendo ancora questa havere P istesse cause di diversità di lume, così nella materia come nell’ efficiente, come hanno quelle. Nell’efficiente : perchè, quanto alla parte più alta, sarebbe in loco tanto co più caldo, per la vicinanza della sfera del foco ; et così nelle parti superiori do¬ vrebbe esser più lucida et infiammata, al contrario delle nostre fiamme, le quali, per haver il fomite a basso, sono più lucide nelle parti inferiori : oltre che nelle parti superiori ancora havrebbe l’essalatione più sottile et più atta ad infocarsi; così all’incontro nelle parti inferiori sarebbe men lucida et più impura. Nella materia poi, è cosa chiarissima che non può esser sempre dell’ istessa conditione, non altrimenti di che occorre nel nostro foco, il quale nel principio non può esser così chiaro come nel mezo e fine, havendo la materia fumosa manco secca et vaporosa : il che dovrebb’ accader ancora in questa luce, essendo che, se si è conservata longo tempo, ha ricevuto nutrimento da nova essalatione tirata da* raggi 70 solari o altra stella, la quale in principio più humida, poi, continuamente impri- Lett. 110- 38. eaumentare — 124. 22 DICEMBRE 1604. 1.110 j mencio il sole maggior siccità, più pura et meno vaporosa le sarebbe stata som¬ ministrata da questi elementi inferiori ; tanto più che non si ritrovando sempre il sole nell’istesso sito, bora più bora meno scalda, onde bora più bora meno sottile et secca essalatione può dalla terra cavare : sì che dovreblv esser stata di lume hora più hora meno lucida, il che non è però occorso. Ma che? non è ogni corpo meteorologico misto imperfetto ? et se tale, non ò egli necessario clic 1 non sia similare et homogeneo? Questo si vede ne’sassi et ne’metalli, tra’corpi fatti da’vapori et essalatione perfettissimi: quanto dunque più s’ha da credere che tali debbono esser le comete? et se tali, devono per consequenza liaver an¬ cora il lume suo di dissimilo qualità et conditione: oltre che non è da eroder che 80 nel mondo elementare sia alcuna luce più perfetta di qual si voglia più imper¬ fetta celeste ; e pur nella Luna appaiono macchie e diversità di luce, il che si scorge ancora in alcune stelle, che perciò nuvolose s’addiinandano. Per tutte, dunque, queste ragioni è da credere che ogni luce elementare rinchiuda in sè qualche varietà, nò possi esser uniforme, come è stata questa. La terza si può raccòrrò dalla scintillatione di questa luce, la quale è tanto grande, quanto ogn’ uno che l’ha mirata può far fede: e pur non mai si viddero comete scintillare ; che se tali fossero osservate, senza dubbio, sì come le loro altre aftettioni et qualità non furono taciute, così nè anco questa, come principa¬ lissima et molto conspicua, sarebbe, passata sotto silentio : tanto più che è pur yo parer d’ Aristotile che solo le stelle del firmamento inerranti et lontanissime siano dotate di questa passione del scintillare, per la loro distanza dalla nostra vista, volendo forse che la scintillatione non sia qualità reale nelle stelle, ma a loro attribuita da noi, o dal nostro imperfetto senzo del vedere, o per la lonta¬ nanza dell’ oggetto, per la quale si vadi continuamente attenuando la sua specie visibile, sì che non poss’ esser atta a mover il nostro senso perfettamente et lo facci, nel veder, vaccinare. Ma sia come si voglia, si può ragionevolmente con¬ cludere che non possi esser cometa, poi che queste, per la sua vicinanza, non pos¬ sono scintillare. La quarta si cava dalla sua figura rotonda, figura non conveniente alle co- me mete, se vogliamo haver riguardo al nome loro, chiamandosi comete, quasi co¬ viate. Et, per il vero dire, non si legge appresso autore alcuno altra distintione nella figura delle comete, che o che siano crinite, o barbute, o codate: il che a punto la ragione ci persuade. La quale è, che essendo la cometa essalatione ignita, necessariamente, sì come l’altre fiamme, deve haver la figura piramidale, la quale, se bene stando la fiamma immobile va all’ in su, niente di meno ogni volta che è girata, si fa laterale et pendente verso la parte di dove viene aggi¬ rata; come si può far prova in fiamma che in candela, legno o altra materia accesa sia, la quale se accade che sia voltata in giro, lascia a dietro, in foggia 102. non ti leyyo — tlitlionn — 22 DICEMBRE U>04. 125 [HO] no (li coda, la parte acuta della piramide, clic mentre stava immota andava all* in su. Così dunque occorre nelle comete, che essendo, per rivolutone del primo mo¬ bile, aruotate, lasciano a dietro la coda o altra parte che babbi del’acuto, la quale li dia figura bora di chioma, bora di barba, bora di coda. Et ciò deve avenire alle comete con ragione, essendo, con quel moto circolare, girate non secondo la natura loro, conforme alla quale dovrebbonsi mover con moto diretto all’in su; perilchè ne segue, che violentemente essendo con gran velocità, mosse, non possino conservar la figura rotonda, ma che disgregate, e per così dire dis¬ sipate, mentre tentano di resistere a tal moto, ci appaiono di figura non altri- 9 menti circulare et di globosa, come che questa sia figura di perfetta unione et 120 sicura quiete. Non starò anco di dire che debbono mostrar la coda o altra figura oblunga per un’ altra ragione : la quale è, che ascendendo nuova essalatione al corpo della cometa infocato dalle parti da basso, può occorrere che bora verso una parte hora verso l’altra s’accosti al detto corpo; et così mentre s’avicina s’infiamma, la quale, per esser longa di figura, come dal suo ascendere si può raccorre, ci rappresenti nel corpo della cometa, o coda o altra figura che babbi del longo. Con la qual ragione anco si può rispondere a chi m’opponesse alla prima ragione, dicendo che seguirebbe, conforme a quella, che la cometa havesse la coda pendente sempre verso l’oriente, essendo verso l’occidente dal primo mobile rapita ; con tutto che se ne siano osservate molte haver la coda bora iso verso occidente, bora verso il mezo dì et hora verso il settentrione. Sia dunque a bastanza detto per mostrare, che essendo questa luce di figura rotonda, non può altrimenti esser cometa. La quinta è tolta dal suo moto che, doppo che fu avertiti, sin che s’è potuta vedere fuori de’ raggi del sole, ha havuto per spatio d’un mese e mezo, non havendo havuto altro moto che quel del primo mobile, per quanto s’ è potuto alla grossa osservare : et pur le comete si sono osservate haver almeno dui moti, uno verso l’occidente, l’altro, a questo contrario, verso l’oriente, oltre molti altri moti, come sono all’in su et al’in giù, da un lato all’altro, et altri ancora molto irregolari et difformi, la causa de’ quali si può facilmente esplicare con iio l’ultima ragione da me di sopra addotta, per mostrar che le comete liabbino la coda o altra figura oblunga ; poi che, ascendendo da diverse parti della terra alla cometa nuova essalatione, ne segue che, estinta la fiamma nella prima essa- latione per difetto di nutrimento, s’accendi nella nova dalla terra sumministra- tale, et così al nostro senso pare che la cometa prima si mova, con tutto che sia un’altra fiamma che in altro loco di parte in parte in altra materia si va accendendo: non altrimenti di quello che occorro se il foco s’accende in materia longa oombustibile che di lontano sia dalla nostra vista; imperochè all bora ci pare che quella fiamma si mova, con tutto che non sia quella prima, ma nova continuamente in quella materia generata. Non liavend’ ella dunque più d un 126 22 DICEMBRE 1604. U10J moto sensibile, non può già esser cometa, dovendo loro necessariamente, oltre 150 quel del primo mobile, haverne un altro verso oriente, rispetto la tardanza che fanno mentre al detto primo mobile resistono ; il quale se bene realmente non fosse vero e reai moto, niente di meno a noi tale ci appare. La sesta ragione, assai efficace, si può trarre dal sito suo che ha verso il sole : poi che, quando apparve, era o nella linea eclitica, per la quale scorro il sole, o da quella non molto lontana, e dal sole distante solo per due segni del zodiaco, cioè intorno a sessanta gradi, sempre nell’istessa grandezza conservan¬ dosi sintanto che si è potuta vedere. Da questo suo sito adunque io ne cavo argomento certo et infallibile che non sia cometa : poi che, s’Aristotile dice, nelle Meteore, che rare volte tra li segni tropici se ne producono, per la calidità di ico quel sito, causata dalla vicinanza del sole, che continuamente per quel spatio delli tropici contenuto vien aggirato (et questo perchè detto calore, dalla relles- sione de’ suoi raggi ad anguli retti prodotto, quella essalatione o vogliamo dir fumo che quindi traile, manzi che possi ascender alla regione superiore del’aria et quivi, unita et ammassata insieme, formar una cometa, per l’accessione sua disperde, dissipa, et per dir in una parola risolve), potrò io ragionevolmente dire che mai se ne possino generar tanto vicine al sole, et generate conservarvisi tanto tempo, per le sopradette cause, le quali sono molto piò efficaci se sotto il sole direttamente si considereranno che tra li tropici, mentre il sole sia dal loco della cometa, tra quelli generata, molto più lontano clic non fu et sia da 170 questa, nel Saggittario prodotta. Onde si può respondere a chi volesse opponcre che Aristotile dice esser apparsa una cometa circa il circolo equinottiale, il quale pur in due parti eguali divide il spatio che è tra’ tropici contenuto : chè può ben esser che ivi comparisse questa cometa, et che il sole e nella lunghezza e nella declinatione fosse da quella molto più lontano che da questa non è ; tanto più che l’istesso dice che durò puucis iliebus , pochissimo. Questa, donque, con¬ servandosi tanto tempo, et così vicina al sole, è impossibile che cometa sia, non potendosi, per mio sentimento, in loco così al sole vicino trailer sino alla più alta regione dell’ aria tanta copia d’esalatione secca, che generi una cometa et che continuamente la vadi conservando, prima che si risolva e svanisca. iso Potrei, per settima raggione, addurne un’altra, la qual pur non voglio ta¬ cere: et è che Tolomeo, nel secondo del Quadripartito, non per altro vole che le comete siano di natura di Marte et Mercurio insieme, nella diversità et de¬ formità de’ moti l’uno, e l’altro nelli effetti, che producono, quali sono guerre, uccisioni, pesti, carestie, venti bombili et terremoti. Bora veggiamo clic questa luce non è rossegiante, quale è Marte; non ha varietà de’moti, come Mercurio; et sin qui effetti in tutto contrarii all’ altre comete ha causato, cioè una continua serenità tranquillissima d’aria, senza venti, et, quanto comporta la stagione, tem¬ peratissima, dalla quale non si può sperar se non effetti bonissimi. Si può dun- 22 DICEMBRE 1604. tuoi 127 jao que di qui verni utilmente concludere, questa non esser cometa. Et tanto basti delle ragioni naturali, dalle quali farò passaggio alle mathematiche. Peritissimo dice, che se le comete fossero nell* aria, quella cometa che si generasse sotto P equinottiale, da noi per la sua bassezza non potrebb’ esser veduta, avanzando la gibbosità della terra quel sito : quanto più ragionevolmente si può dire, clic da noi non potrebb’ esser scoperta quella che si aggirasse sotto il Saggittario, segno della maggior declinatione del sole australe, et perciò da noi più lontano che sia l’equinottiale intorno vintidoi gradi? L’autorità del quale si può continuar con dui altre ragioni: l’una, perchè se da noi non ponno esser vedute quelle stelle che hanno maggior declinatione australe de 45 gradi, con ‘200 tutto che siano altissime et nel supremo stellato cielo, quanto meno si potrebbe manifestarci questa, la quale, se bene ha la mettà minor declinatione, è poi spro- portionatamente, et per dir così d’infinito spatio, più bassa? L’altra è, che se il semidiametro della terra è 3035 millia, come si legge appresso li più approvati autori, et la maggior altezza dell’aria, dalla superficie della terra misurata, è solamente millia 52, come si mostra per la distantia delle comete, che pur si trovano nell’ altissima regione dell’ aria, et noi, in questo sito collocati, siamo distanti dal raggio perpendicolare della nova luce 67 in 68 gradi, che ò la terza parte et più della mettà della terra, bisogna concludere che in questo spatio il globbo della terra s’inaisi il terzo del suo semidiametro, et che se il tutto è 3035 210 millia, il terzo sia mille e XI miglia poco più; onde è necessario dire che l’al¬ tezza del globbo terrestre ne debba occupare et molto d’avantaggio superare le 52 millia della profondità di tutta l’aria, loco a tutte le comete sin bora vedute conveniente : sì che, per conseguenza, non potrebbe questa luce esser da noi veduta, se fosse cometa. Nè mi si dove opporre che la quantità de’ vapori, che sono in queste parti occidentali, dove questa luce si scorge, tra quella e la nostra vista interposti, con tutto che sia sotto l’oriente, la possiuo far parer tant’ alta che la vediamo, come si può far la prova con una moneta posta in un vaso prima voto, poi pieno d’acqua : poi che risponderò che l’esempio è diverso in quanto alla grossezza del mezo, non essendo proportione ragionevole tra la 220 densità de’ vapori e dell’acqua, et quanto ancora alla distanza, parendone questa luce molto sopra terra; il che non appare nella moneta, la qual, se ben nel vaso pieno d’acqua si potesse scorgere, stando et noi et il vaso nel’ istesso sito che prima non si scopriva nel vaso voto, non si scorge però se non molto vicino al’ orlo del vaso. Oltre che io credo solo che la densità de’ vapori possi ben farci parer il corpo lucido più grande e più vicino di quello che realmente è, ma non già, se sotto la terra si ritrova, possa farlo apparir sopra, et tutto spiccato dal’ orizonte tant’alto mostrarcelo, come ci appare questa luce. Di più, se ciò fusse vero, non potrebb’ apparire così lucida, perchè senza dubio dalla densità 201 ). che il lutto — 128 22 DICEMBRE 1604. [ 110 ] de’ vapori fraposti sarebbe rimessa in gran parte la sua chiarezza; non altrimenti di quello che si scopre nel sole, il quale mentre sorge dal’orizonte è sempre inen 28 u lucido che quando risplende nel mezo cielo. Di più, la notte non ponilo esser molti vapori nell’ aria, essendo remoto il sole che dalla terra li leva, massime in queste notti passate, che sono state chiarissimo e limpidissime; et poi saria necessario che bora più alta bora più bassa ci fosse apparsa, perchè 1’ aria non è sempre nè dall’ istessa copia nè da l’istessa qualità di vapori ingombrata. La seconda ragione è, che da uno ingegnosissimo et acutissimo spirito, molto erudito nell’ astronomia, è stata osservata che nel discendere sempre più s’avi¬ cinava a Marte, chiaro segno che a Marte è superiore: imperochè se fosse più bassa, nel discendere, sempre più da Marte lontana sarebbe parsa di quello che fusse mentre ora alta dall’ orizonte, come chiaramente si può comprendere dal 2 io tipo et figura mathematica. La terza è, che se fosse nella sommità dell’ aria, causerebbe diversità d’ aspetto anco a paesi vicini, ad altri parendo in un sito rispetto a qualche stella del fir¬ mamento, ad altri parendo in un altro; la qual diversità d’aspetto tra Verona o Padova pure sarebbe anco grandissima, se fusse questa luce lontana solo 52 millia come l’altre comete, con tutto che venga scritto da paesi lontani esser vista nel’istesso sito che noi ancora l’osserviamo, et per consequenza non causi diversità d’aspetto sensibile: argomento certissimo che sia nell’ottavo ciel stel¬ lato ; imperochè con questo, cioè con le paralassi, et con nuli’ altro mezo più sicuro si suol venir dalli astronomi in cognitione dell’ altezza de’pianeti et altre 25o luci. Et questo basti per provare che non sia luce di corpo elementare. Che mo’ non sia di corpo celeste, si può agevolmente provare: perciochè, es¬ sendo nova, bisogna che sia nuovamente generata; o per moto dunque d’altera- tione, o per moto locale. Per moto d’alteratione, no: poiché Aristotile, nel primo del Cielo, con molte ragioni prova che il ciel non sia alterabile, nò soggetto ad altro moto che locale ; oltre che nè efficiente nè materia si può ritrovare in cielo per produr nove stelle. Non materia: perchè, o che sarebbe stata sempre in¬ forme, et così si concederla il vacuo ; o che sarebbe stata formata, et così si do¬ vrebbe prima corromper quella prima forma, acciochè potesse ricever questa nuova : ma non s’ è veduta in cielo tal corruttioiie ; adunque ciò esser non può. 2tì0 Non efticieute : perchè non puoi esser quell’ elemento nè altro cielo. Non ele¬ mento : perchè seguirebbe che il corpo più ignobile et inferiore superarla il mag¬ giore et più degno ; oltre che si darebbe attiene dalli olementi nel cielo, il che c contrario alla filosophia d’Aristotile. Non altro cielo : perchè seguirebbe che uno tosse all altro contrario, et simili effetti molto più frequenti si vedriano. Non per moto locale : poiché, essendo la luce ne’ cieli causata dalla parte più densa delli suoi orbi, non posso comprendere come il moto locale possi causare densità 2 - 16 . aon tutta che — *22 DICEMBRE 1604. 129 tuoi maggiore, se li cieli sono, come sono realmente, sodi et, duri, si come si cava d’Ari¬ stotele nelle sue Metheore, il qual vuole che i cieli causino calore per l’attritione 270 dell’ aria, il che non potrebb’ essere se i cieli non fossero sodi et densi, come benissimo nota Alessandro Al'rodiseo in quel loco. Di più, non potrian le stelle lisse tra loro sempre conservar l’istesse distanze in un moto così rapido coni’ è il diurno, dovendosi massimamente mover per altri moti ancora. Ma che? non saria necessario che se per la generatione di questa nova luce il cielo in altra parte si fosse fatto più denso, che in altra parte poi fosse divenuto più raro ? et così qualcli’ altra stella fusse smarrita, per esser divenuto più raro il cielo in quella parte ? Di più, se per condensatione si fosse generata, seguirebbe pure che nel principio fusse apparsa manco lucida, et che a poco a poco havesse aquistato la sua maggior chiarezza, procedendo la condensatione per moto, che 2 so non si fa in instanti : il che però non c’ è occorso vedere. Resta dunque concluder che non sia luce in un solo corpo celeste fundata; sì come nò anco in doi, che tutti elementari siano, se si hanno a memoria le ra¬ gioni mathematiche con le quali ho provato che non possi esser elementare, llor mi bisogna mostrare che non sia parte celeste, parte elementare : il che non mi sarà dilicile. Perchè, o che il corpo di questa luce sarebbe, efficiente il celeste, et il recipiente elementare, o il contrario : il che non può essere, perchè segui¬ rebbe che se la luce è perfettione, li elementi potessero a i cieli dar perfettione, et così haver in loro attione, cosa molto assurda da dirsi ; sì come nè anco può il contrario avenire, massime in questa luce, cioè che il corpo celeste sia l’effi- 2 So ciente, che nella elementare essalatione co i suoi raggi perquotendo, a quella comunichi la sua luce, cioè che il corpo celeste sia l’efficiente per refrattione di quelli. Imperochè ristessi inconvenienti occorreriano, che ho mostrato occorrere se si dicesse questa esser luce in un solo corpo elementare fundata: poi che nè da noi si potrebbe vedere, nè così lucida apparirebbe, et gran diversità d’aspetto ci mostrarebbe, aggiungendovi anco che detta essalatione sarebbe o poca o assai : se poca, non sarebbe veduta da paesi non molto anco lontani; se assai, molte luci a questa simili ci farebbe apparire, et di più ci nasconderebbe quella stella che percotendo in detta essalatione sopra lei diretta ci causasse quest’altra nova luce; il che però non occorre, numerandosi oltre questa nel cielo tutte quelle soo stelle che per l’adietro sono state osservate. llora bisogna vedere se possi haver origine questa luce da dui corpi che am¬ bulili celesti siano : nel che è necessario distinguere, perchè, o che sana luce per reflessione del sole o d’altre stelle; se per unione, o. per unione de più corpi lucidi, o per unione di duoi corpi densi sì, ma non lucidi, o per unione di duo corpi, l’uno de’ quali sia lucido, l’altro no. Il primo esser non puè, cioè che questa sia luce di reflessione di corpo 292. V interni convenienti — X. 17 130 22 DICEMBRI-: 1004. [UO] lucido, o non lucido. Imperochè, o clic saria il corpo lucido qualche pianeta o stella fissa: et così ne seguirebbe clic, essendo la luce di reiiessione molto men chiara di quello che è la luce del corpo d’onde ò causata, non potrebb’esser così chiara et risplendente che ogn’ altra stella di splendore avanzi ; tanto più sio che molto più frequentemente si sarebbe veduta questa luce, ritrovandosi li pia¬ neti nell’ istesso sito del cielo in non longo spatio di tempo. 0 che sarebbe cau¬ sata dal sole : il che non si può dire, prima perchè il sole non può luminar co i suoi raggi parte densa del cielo che luce rotonda ci mostri, che sia tanto a lui vicina come è et è stata sempre questa luce; il che si può agevolmente com¬ prendere nella luce della luna, la quale, per haver il suo lume dal sole, quanto più a quello s’accosta, tanto minor parte di lei riceve lume, et solo quando ò lontanissima al sole, di luce rotonda a noi si mostra. Sì come nè anco il secondo: poi che le congiuntioni di pianeti non durano tanto quanto ha durato questa luce ; et pur allora quando questa luce apparve, non v’ era altra congiuntione 320 che quella di Giove et Marte, dalla quale però questa distinta et alquanto lon¬ tana si scorgeva; oltre che il pianeta inferiore dal superiore si può facilmente, benché congionto, apparerò diverso. Sì che è impossibile che questa luce possi esser causata per unione di più corpi celesti per sè stessi lucidi. Il terzo modo poi a doi oppositioni è soggetto: l’una delle quali è che la parte densa, ma non lucida, di sotto alla lucida posta, ci coprirebbe la stella et parte lucida, sì che una stella manco si osserverebbe nel cielo, il che non è; l’altra, che non così chiara ci potrebbe apparerò, perchè la densità, se ben ci facesse parere più grande la stella sopraposta, la farebbe parer poi meno chiara. Resta dunque che se questa ò luce celeste, non possi esser prodotta in altra 330 maniera che per unione di doi parti di doi diversi cieli, che per una certa me¬ diocre densità non possino esser atte, mentre separate sono, a mandar luce, come sono quando siano insieme una sopra l’altra unite. Havendo io donque sin qui mostrato quid non sit, è ben ragione che hor mai, lasciando intendere il mio parere, se ben forse manco degli altri conforme al vero, mostri quid sit: il che però protesto di voler fare non perchè creda io solo di toccar, come si suol dir, la brocca, ma per farle parer più vero quel proverbio Quot homincs, tot sententiae. Il mio parer donque è questo: che, essendo questa luce nel cielo (tralasciando bora il miracoloso oprar d’iddio, et parlando co i mezi naturali), da altro esser cagionata non possi che da doi parti di cielo di tal densità, che, separate, non 340 siano atte a produr luce, ma congiunte insieme, et di doi densità fattane una scia molto densa, sia atta risplender et mandar da sè nuova luce, la quale, separandosi ancora queste due densità da sieme, per il diverso moto de’ cieli nelii quali sono, si corrompi (come forse si vedrà); et di tal natura direi che fosse ancora quella che nell’ anno 1572 apparve nella costellatione di Cassiopea, 308 . molto non — 383 . quando quando ritmo — 22 DICEMBRE 1604. 131 Ilio1 nel cireulo artico, dove vien intersecato dal coluro equinotiale: sì che non credo che 1* oppiti ione del Valesio 10 sia in tutto vera di quella stella, dicendo egli clic fosse prodotta nel cielo di Saturno, riverberando in una parte di mediocre den¬ sità, di (niello qualche stella delle fisse, direttamente a quella parte sopra posta, 350 la quale per quella sua densità facendola apparar pii! grande, la credessimo nuova stella; poi che, coni’io nel terzo modo da me ributtato ho mostrato, se¬ guirebbe che quella densità, se ben più grande, non però più lucida ce l’havrebbe mostrata, et pur lucidissima più di Giovo et Venere ancora ci apparve; et di più quella stella da quella densità, o vogliam dire nuova luce, ci sarebbe stata ce¬ lata, et così non sariano state osservate in cielo, come furono, tutte le prime et antique stelle, flora, per tornar alla mia oppinione, et meglio dichiararmi, io dico die ciò può benissimo essere : cioè che nel ciel stellato et nell’ orbe defe¬ rente dell’ apogeo di Saturno siano densità della natura già descritta, le quali doppo longhissimo girar d’anni, per esser l’un e l’altro di questi cieli di moto 800 tardissimo, si possino una sopra l’altra unire, et così produr una sola densità, la quale sia simile a quelle dove sono l’altre stelle che sono atte per sò stesse a mandar luce. Clic tali densità ne’ cieli si ritrovino, lo manifesta il cireulo latteo, il quale non è atto a mandar luce, ma solo a biancheggiare, per esser d’una mediocre densità, come attestano tutti li astrologhi et la uwiggior parte de’ Pe¬ ripatetici ancora. Che la luce ne’ cieli habbia origgine dalla sola densità de’loro orbi, manifestamente lo dice Aristotile et niuno il nega. Che doi densità mediocri et, separate, non atte a mandar luce, possino, insieme unite, acquistar luce et splendore, credo che sia chiarissimo a chi sa quell’assioma che virtus imita for- tior est se ipsa dispersa. Ohe questi cieli siano di moto tardissimo, et che perciò 370 rarissime volte, anzi, doppo la creation del mondo sin a questo tempo presente, rispetto ristesse parti di loro non si siano mai congiunti, non occorre provare a chi ha qualche cognitione di moti celesti. Sì che io non credo, per queste ra¬ gioni, che questa mia oppinione possi parer del tutto fuori fuori di ragione, ma che sia assai vicina al vero ; tanto più che non è contraria alla fondatissima iilosofia d’Aristotile, perchè da questa si vede come, senza alterationi et cor- ruttione ne’ cieli, si possi, col simplice moto locale, produrre in loro nuove luci. Due sono le oppositioni che se li potrebbono fare : una, che la parte, densa inferiore verso la superiore, se ben a quella unita, ci causarebbe qualche diver¬ sità d’aspetto ; 1* altra, che in instanti non sarebbe stata osservata così grande 380 come è, ma che a poco a poco si sarebbe generata, nell' applicarsi insieme que¬ ste due densità. Alle quali però facilmente io posso rispondere, dicendo, alla se¬ conda, che da chi bene è stata osservata, iu prima scorta più picciola, poi si è 351. ributtaUato — (1) F. VALLISI! Commentari»» in Arietotelù librum IV Mete orai ogicorum. Fatavi!, 1591. 132 22 — 30 DICI MURE 1604. 1110-1111 a poco a poco aggrandita, maggior lume di giorno in giorno acquistando. Potrei risponder ancora che li molti vapori, per le precedenti piogge, s’orano tra quella luce e la nostra vista nell’ aria frapposti ; nel principio del buo apparerò la fa¬ cessero parer tale et di tanta grandezza, con tutto che fosse d’assai minor mole. Si potrebbe anco dire che forse non fu osservata prima che havesse notabile quantità, perchè (da chi non l’havesse osservata a bella posta, il che non è da dirsi, non potendo saper alcuno che ci dovesse tal luce in quei tempi apparerei non sarebbe forsi fuori di ragione pensare cho da ninno fosse avvertita nel suo 89o primo principio visibile, sì come anco è da credere di quella stella che apparve del 1572, che sì come a poco a poco svanì, come nota il l'iavio. cosi anco a poco a poco si generasse, se ben non fu prima osservata che fosse grandissima. Alla prima poi, dicendo che il cielo di Saturno rispetto il firmamento non può cau¬ sare notabile diversità d’aspetto, tanto meno che io suppongo le duo densità conne8sé et unite una sopra l’altra, si che tra esse non vi si frapponga altro corpo; poi che ponendo la densità di sotto nell’orbe deferente l’apogeo di Sa¬ turno et quella di sopra nel ciel stellato, senza dubbio la densità di sotto rispetto quella di sopra non può causare paralasse alcuna, se ben tosso alquanto inferiore dell’ altre stelle fisse. 400 Et tanto basti circa la mia oppinione : la quale so da lei sarà stimata vera o, per quanto di queste cose si può sapere, dal vero non molto lontana, ne sen¬ tirò consolatione grandissima di tal giuditio; se anco no, non mi si potrà attri- . buire ad ignoranza o a temerità, havendole protestato di volerla scrivere per non parer mancator di parola et poco desideroso di servirla. Al quale, per non es¬ serle hormai più tedioso, facendo fine, faccio humilissima reverenza. Da Verona, a 22 di Xbro 1(504. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m * Atf. mn Ser. r * Donando Todeschi. Di Inori si legge, di mano di Galileo: 4 io Leonardo Tedeschi, della Stella nuova del 604. 111 *. 1LARI0 AI» TORELLI a GALILEO in Padova. Verona, HO dicembre 1G04. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 66. — Autografa. Molto 111.*» et Ecc. mo S. r Oss. mo Per servir V.S.Ecc.™, le significo della nuova stella che già doi giorni sono un mio amico qua intendente l’ha veduta; ma io, non havend’ orizzonte coni- 387. prima o he che /iavetnc — 1 111-112 1 30 dicembri; 1604 — 1° gennaio 1605. 133 modo in questi tempi così rigidi, massime la unitimi, non ho animo di vederla per bora. Ilo aviso dal S. r Pirro Colutii. mio paesano et peritissimo nella professione, che scrive a lui V IU. mo S. r Bardi, havor veduto la sua prima apparitione li 27 Set¬ tembre et osservatala più sere, eh’ è cosa alienissima dal vero ; poi che io avanti li 0 Ottobre più giorni bobbi l’occhio in quella parte del cielo, intentissimo al io moto di Marte, che andava a 9J, con testimonio intendente, nè mai fu veduta, ma solo li 9 Ottobre, che ci fece grandemente maravegliare, et era quasi un na- rancio mezzo maturo. 1/istesso scrive un medico da Cosenza, di Calabria, ma¬ tematico, ciò è che non prima delli 9 Ottobre apparve, intento ancor lui in quei giorni pur là su. Io stupisco dunque di quella relatione delli 27. 11 P. Clavio scrivo al S. r Magino' 0 , il quale mi manda la copia della lettera, che P ha osservata in Poma con i stromenti, e 1’ ha trovata sempre immota et equidi¬ stante da molte tinse, e la concludo nell’ottava sfera, di’è quanto mi occorre per bora, abbracciandola per line, sperando un giorno, e presto, di farlo in persona. Di Verona, li 30 Decembro 1604. •20 Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na Deditiss.® Ser. r ” F. llario Altobelli. Fuori: Al molto 111." et Ree.'"" S. r Col." 10 11 S. r Galileo Galilei, Matem. ro di Padova. 112 * ONOFRIO CASTELLI a GALILEO [in Padova]. Roma, 1° gennaio 160.'). Bibl. No*. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. VI, car. 143 — Autografi» la sottoscrizione. Molto 111. ro Sig. r mio Oss. ,no Sì come 1’ obligatione che tengo a V. S. è grande, così vengo ad esser in de¬ bito di augurarle, come faccio, il buon Capo d’Anno; ricordandoli appresso, che mi farà molta gratia mentre mi favorirà di qualche commandamento, et pari¬ mente a dirmi due parole del suo giuditio circa questa nuova stella. Et non essendo questa per altro, a V. S. bacio le mani. Roma, primo Genn.° 1605. Di V. S. molto 111. 1 * 6 Aff. ,n0 Ser.® Onofrio Castelli. io S. r Galilei. •U Carteggio nudilo di Tienile Hrahe, Giovanni Keplem ecc. con Giovanni Antonio .Vai/ini, tratti» dall'Arcliivio Malvezzi «lo 1 Medici in Bologna, jmblili- cato od illustrato da Antonio Fayako. Bologna, Nicola Zanichelli, 18SG, pug. 283. Nel verno leggasi di pugno di Galileo una annotazione concernente la nuova stal.a, la quale fu da noi riprodotta a suo luogo (li, 280, Un. 1-ti). L3A GENNAIO 1605. U13] 113. GALILEO GALILEI a [ONOFRIO CASTELLI in Roma?]. [Padova, gennaio 1606J. Bibl. Naz. Fir. Mbb. Gal., P. VI, T. V, car. 63. — Autografa. Molto Ul. ro ot Ecc. mo Sig. re et F. Col. m0 Mi è più di una volta stata fatta instanza dal nostro gentilissimo S. Orazio Cornacchini, che io dovessi mandare a V. S. Kcu. ,,,M copia di tre letioni fatte da me in publico (l) sopra il lume apparso circa li 9 di Ottobre in cielo, il quale sotto nome di stella nuova viene addimandato, affermandomi ciò esser da lei molto desiderato, lo mi sono sin qui scusato con detto Signore, sì perchè conosco la debolezza de i miei discorsi et quanto siano indegni di comparire nello mani di Y. S. Ecc. ma , sì ancora perchè, sendo (piasi elio stato messo in neces¬ sità di publicare le dette lezioni, potevo allora occupar V. S. K. per io un’ hora in leggerle, prorogando intanto il tempo di farla più certa, di quello che è, del mio poco avvedimento. Sono poi andato differendo tal publicazione, et sono anco per differirla per qualche giorno, perchè il fermarmi solamente nel dimostrare, il sito della nuova stella essere et esser sempre stato molto superiore all’ orbe lunare, che fu il prin¬ cipale scopo delle mie letioni, è cosa per sè stessa così facile, mani¬ festa et comune, che al parer mio non merita di slontanarsi dalla catedra ; dove bisognò che io ne trattassi in grazia de i giovani sco¬ lari et della moltitudine bisognosa di intendere le deinostrazioni geo¬ metriche, ben che apresso li esercitati nelli studii di astronomia trite 20 et domestichissime. Ma perchè ho hauto pensiero di esporre ancora io, tra tanti altri, alla censura del mondo quel che io senta non solo circa il luogo et moto di questo lume, ma circa la sua sustenza ot generatone ancora, et credendo di bavere incontrato in opinione che non Labbia evidenti contradizioni, et che per ciò possa esser vera, mi è bisognato per mia assicuratone andar a passo lento, et aspettare Lett. 113. 4. Tra appaino e circa leggasi, cancellato, lì io. — “1 Cfr. Voi. II, pag. 209-273. 10 GENNAIO 1605. 135 [113-llfl il ritorno di ossa stalla in orionto dopo la separatione del sole, et di nuovo osservare con gran diligenza quali mutationi habbia fatto sì nel sito come nella visibile grandezza et qualità di lume : et conti¬ si) nuando la speculazione sopra questa meraviglia, sono finalmente ve¬ nuto in credenza di poterne sapere qualche cosa di più di quello in che la semplice coniettura finisce. Et perchè questa mia fantasia si tira dietro, o più tosto si inette avanti, grandissime conseguenze et conclusioni, però ho risoluto di mutar le letioni in una parte di di¬ scorso, che intorno a questa materia vo distendendo : et in tanto che la publicationo si andrà differendo, per mostrare a V. S. K. a che non per indiligenza, o perchè io non preponga i suoi cenni ad ogn’ altra cosa, sono stato ritirato dal mandarli le mie letioni, ma solo, come ho detto, Dùcano Uoll’ Eoe.»» Signor Antonio Lokbn- 7.ini ila Montepulciano inforno « Ila nuotiti niella. In Padova, MDCV, appresso l’iotro Paolo Tozzi. lo GENNAIO 160f>. 136 LIMI disterminatione dell* autore, non de’ mal ematici ; et perchè incidit in foveam qmm fecit, non occorre risponder altro : vilescerel animus oto. La stella poi, quando fu veduta da me e da quelli eh’ eran con me, siili 9 Ot¬ tobre, e non prima, ancor che fossimo pur intenti a rimirar quella parte del io cielo più giorni prima, et massime la sera delli 8, e c’intervennero, per maggior giustifi catione, queste parole: Coni’è possibile che non si vedano altre stelle che quelle tre?, vedendosi 4, li et soli: et la sera delli 9 alla prima vista ap¬ parve con le tre la nuova, e disse quell’istesso : 0 là, che steli'è quella? liier sera non v’era già? Et era grande, al mio parere, quanto 4, et di colore come un narancio mezzo giallo e mezzo verde, o pur misto di giallo et verde. Dopo non la potei vedere, per turbarsi il tempo, sino la sera delli 15 Ottobre, et ap¬ parava assai più grande di ‘4.: anzi quella fu la maggior grandezza eh’io babbi osservato nella stella nuova, e credo che più tosto gli giorni seguenti sia decre¬ sciuta che altrimente ; ma poco però in quei primi giorni potea andar man- ’JO cando, havendo continuato d* osservarla per molti giorni seguenti sempre mag¬ gior di 4. Scrive 1* istesso al P. Clavio un medico matematico di Calabria, ciò ò che non è stata veduta prima delli 9 Ottobre, ancoraché egli havesso inten¬ tamente più giorni prima rimirato quella parte del cielo, et massime la sera delli 8, et che nella prima apparinone era come 4, e poi si fece presto assai maggior di 4 : et io ho la copia della sua lettera, mandata dal P. Clavio al S. r Magino et dal S. r Magino a me etc. (,) . Et questo basti della grandezza, che bora deve esser di seconda in circa. Del sito astronomico, per osservanza d’instrumenti io non le posso dir niente di certo, ciò è con ogni precisione, non havendo instrumenti idonei ; nè ho hauto orizzonte commodo a formar triangoli sferici, onde havesse potuto li¬ mitarla essattissimamente ; nè meno s’è fatta per ancora vedere nell’ altezza somma, che basteria per haver il longo et il largo giustissimamente, come si vedrà bene nel principio di Marzo : però non le posso dir altro, se non che aspet¬ tiamo quel tempo. Ma parlando per aviso d’ un l’iconico, fu trovata, come già le scrissi, alli gr. 17. 51' con un grado et 41' m. di larghezza boreale: onde la declinatione era gr. 20. 16'. 51" australe ; 1’ ascensione retta, 257. 0', 47'' ; 1’ altezza meridiana nel’ elevatone del polo 45 doverà esser gr. 24. 43'. Ma parlando dell’ osservanza fatta già col quadrante, le dico che la trovai per molte settimane equidistante dall’altre fisse ad untjuem : poi che alli 16 Ot- Jo tobre, all’ altezza dell’Aquila gr. 50, la nuova era alta gr. 9 l /a, dico sopra 1’ oriz¬ zonte ; et alli 31 d’ Ottobre trovai il medesimo, ciò è l’Aquila 50, e la nuova 9 1 2 ; et alli 17 d’ Ottobre, all’altezza dell’Aquila gr. 51, la nuova era alta 10 ‘/a; et il medesimo trovai alli 2 Novembre, ciò è all’altezza dell’Aquila 51, la nuova era I‘» Cfr. ii« 111. 10 — 15 (GENNAIO 1605. 137 [ 114 - 115 ] alta 10 O»; et così altre volte. Sì che io non posso comprender ch’ella si sia mossa alt ri mente, et tanto più che osservando il passaggio di 9i die fece l )er quel grado delli 18 alli 20 et 21 di Gennaro, viddi che stava nell’istesso luogo, essendo distante 9 dalla stella alli 20 quattro dita in antecedenza per lun¬ ghezza et per larghezza, et alli 21 b’ era fatta in consequentia distante dalla 50 stella un palmo incirca. Ma con l’occhio non si può dar conto de’minuti : il meglio sarò chiarirsi quando si farà vedere nel meridiano, per non far tanti imbrogli et passar per tanti dubi. Kt questo ò quanto le posso dir per servirla prò mine, alias, ubique et semper. Dio la conservi sana, et mi ami come ha cominciato. Di Verona, li lo Genn.° 1605. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Aff. mo Sor.™ F. llario Altobelli. Fuori: Al molto TU.™ et Ree." 10 S.' - Oss." 10 Il J5. r (ìalileo Galilei, Mat. ro di co l’adova. 115 *. OTTAVIO B RENZO NI [a GALILEO in Padova]. Verona, 16 gennaio 1(505. Bibl. Naz. Flr Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 70-78. — Autografa. 111.™ et Kcc. , "° Sig. r mio Oss." 10 Di raro sogelto, d’altissima impresa, da et ordinario ingegno et picciole forze, chiede V.s. 111.™ et Eoc. ma il parere. Sogetto degno di lei, impresa già sufficien¬ temente da grand’ huomini discussa, può malagevolmente far apparer i pensieri miei allevati d’industria, non che d’ingegno et forti raggioni ripieni. Io nondi¬ meno devo haver solo riguardo a i commodi suoi, et forse, come che altre volte m’lui fatto degno de’ suoi famigliar! et frequenti raggionamenti, nè anco a questa volta li rincrescerà legger un foglio scritto, che rappresenta T affettione e T desi¬ derio mio di servirla. Nè in scriver di questo soggetto prendo maggior baldanza, io perchè sin bora sii, boriimi per il valor de’ grand’ huomini, sufficientemente dic- chiarito ; poi che dal solo consiglio de’ suoi commandi, quanto più brevemente potrò, farò compendio di quanto altrevolte, per mio solo creder, ho raggionato et per lettere più difusamente scritto. Lett. 114. Il), jter larchrtz'i — Lett. 116. 7. Tra tuoi e fumigliari leggasi, cancellato, eommaiuli. — X. 18 138 15 GENNAIO 1605. [ 115 ] Circa li 15 d’ Ottobre 1604, nell’ occultarsi del sole, vidi improviso una nova luce, che rassembrava stella <• ■ •> a Giove, di equale a lui o di maggior grandezza, quasi con l’istesso colore, ma scintillante. Sarei stato all’bora (lo confesso), per la meraviglia, incredulo a me stesso, se ciò non havessi creduto esser fiamma altamente acesa, che comunemente si dice cometa; et forse <•••> maggiormente la meraviglia, quando anco così fatto splendore potevo dubbitare che fosse no- vamente apparso in cielo, poi che ramentoini d’liaver letto che ne l’anno 1572 un 20 simile n’apparve in Cassiopeia. All’bora, per trovar argomento di levarmi di dubio et farmi, se non chiaro, almeno men confuso, osservai con un instromento, in ciò mediocremente opportuno, una distanza tra Marte et questa nova luce, et la vidi se non maggiore, almeno equale, quando era alta da terra, a quella distanza che presi per duo bore doppo, ciò ò nel tramontar di quella: assai chiaro argomento, per il creder mio (s’ altra condittion materiale non s’interpose), eh’ ella non fosse sotto il cerchio della luna, perchè in questo caso sarebbe stata maggiore la di¬ stanza ultimamente presa della prima, come dalla occlusa figura potrà osser- vare (,) . Nella quale io suppongo, come è in vero, che Marte non babbi alcuna di¬ versità d’ aspetto, ciò è che nell’ istesso loco si vegga stando nella superficie della so terra come nel centro : ma qual si voglia reggion dell’ aria 0 del foco non può liaver questo, per la vicinanza sua: sì che se fosse stata nell’aria, si sarebbe veduta maggiore la distanza, et tramontar più tosto del dovere, per mio creder, per lo spacio quasi di doi gradi, ancorché fosse stata quasi immediatamente sotto la luna, come dalle linee secanti et tangenti penso che si possi sottrare. Do¬ vendo donque essere, per la detta raggione, sopra della luna, mi fu forza di creder eh’ ella fosse nell 5 8 U cielo ; poi che se fosse stata in un cielo de’ pianeti, bavrebbo forse havuto uno de’ moti loro, il che però non vidi mai per più giorni che l’hebbi osservata. Ma se piacesse di dire che potrebbe anco esser in un deferente degli apogei de’ tre superiori, di ciò non contendo, perchè in ogni modo il fatto sta a 10 persuadeie come la materia celeste possi mostrare di queste nove apparenze. Ma se il I eripatetico mi rimproverasse troppa fede nell’ apparenza et poca soleitia nel contemplare, li rispondo che non fui lento sempre a rispondere eli eia un vapor lento e tenace aceso nell’altissima sede degli elementi, ove non¬ dimeno più rade volte sogliono ascender cosi fatti vapori; et che s’a l’Italia come all’Alemagna mostrava l’istessa distanza da un’altra stella a proporzio¬ nata altezza dall’orizonte come 1’altre stelle fisse, io li dissi che come quel- l’liumore sol far apparer quel denaro, posto in fondo del vaso, più alto del suo sito reale, così questa, quanto più s’ avicina all’ orizonte, 0 per il moto del cielo o per il diverso sito degli habitanti, tanto più s’erge et s’inalza da quello per 60 caggione de’ vapori fraposti : nè bisogna dire che ci vegli grand’ elevatone per a > Nell’autografo manca la figura citata. 15 GENNAIO 1005. 139 LH5J beneficio do’ vapori, porche podi issi in a basta, come ho detto di sopra, sondo così lontana dalla terra, ciò è per 30 volte in circa come è il semidiametro della terra. Questa olevatione si può veder anco nel solo vicino all’ orizonte, ma non però tale nò tanta, perche molto più lontano, anzi lontanissimo, si ritrova ; il che ò caggione die se non pochissimo più dell’ esser suo si mostri elevato, come esperimentando si può investigare. Non ini affaticcarò a dissolver varie apparenti raggioni in contrario, perchè so che a lei sarebbe superfluo, et considerai^ la grandissima distanza che non li lascia mostrar tutti gli etì'etti di cometa; et può anco ap- t'.o parer visibile et grande, perchè l’aggrandiscono i vapori. Con tutto ciò che questo babbi potuto sostenere, nondimeno quel stimolo della verità mi ha fatto prender il primo partito, et conchiuder che assolutamente atii nel cielo : et a questo tanto maggiormente mi son apigliato, sentendo che da molti luoghi lontani et per latitudine et per longitudine vien osservata in un luogo istesso. Et di questo parere sendo ogni diligente osservatore, resta solo il provare come ella sii prodotta nell’ 8° cielo. Eu eccellentissimo et elevatissimo spirito, gentil’ huomo di questa citta 10 , che asseriva che ad una parte densa dell’8° ciclo vi s’è congiunta un’altra parte densa d’ interior cielo, et quella luce che per sè niuna poteva render, adesso ambi 70 unite la dimostrano, opinione veramente sotile, ma, per mio gusto, poco dimo¬ strativa. Poi che (lasciando da parte molti altri argomenti) questo cielo inferiore non può esser di h, nè meno d’altro pianeta, perchè nello spacio di mill’ anni sarebbe passato più di trenta volte a far apparer questa nova luce, et nondi¬ meno non s’è più veduta; et se è d’un altro cielo, per questo effetto novamente dal nostro volere posto in cielo, che in mill’anni non babbi fatto una revolu- tione, sarebbe stato necessario, movendosi così lentamente, che a poco a poco fosse cresciuta la nominata stella, come veggiamo farsi dell’ ecclissi, et così len¬ tamente, che a gionger a tal grandezza dovrebbe esser stata gli anni interi, massime se vogliono admetter che quel cielo inferiore sii uno degli apogei di fi. so Sì che per sodisfarci meglio, altrimenti bisogna dire ; et perciò se diremo che sii prodotta nell’ 8° cielo, si dee anco avertil e che non paia cosa strana nella scola dei Peripatetici. Onde io dico prima, che sebene Aristotile disse eli ’l cielo è ingenerabile e incorottibile, nondimeno non dice, nè da lui si cava, che non si possi produrre nova stella ; anzi che delle sue conchiusioni si deve dire, che sendo le stelle più dense parti degli orbi suoi, questa altro non sii che una densata parte dell’ orbe suo. Ma s’ alcuno mi ricchiamasse, con dire : La materia del cielo è soda, e non flussile, nè da agente alcuno possi condensarsi, io son tenuto, per il mio potere, di ritrovar il vero. Dunque, primieramente, a chi considera 1’opere di natura è manifesto che Ot i.ko.vardo Tkobsobi : vedi n." 110. 15 GENNAIO 11)05. 140 LH5J il corpo denso più s’ avicina all’opaco elio non fu il flussile e liquido, come si no può vedere dalla natura terrestre, la quale, come densissima, è anco di tutti gl’elementi et dementali corpi opacissima, dalla quale quanto più si scostiamo, trovamo elementi et meno densi et in tutto (lussili. Dunque, sondo il cielo lon¬ tanissimo dalla terra, deve essere non opaco come quella, nò meno denso, come che non babbi per niente dell’opaco; anzi che, sondo sopra il foco, deve tanto più superarlo con la rarità sua. A questa aggiungo la seconda raggiorna 11 cielo della luna ha questa natura (secondo la premessa il’Aristotilo), che densandosi produce corpo opaco, come si vede nella luna istessa: se dunque fosse di ma¬ teria soda, inclinarebbe alla densità, et così a poco a poco s’ avicinarebbe alla natura dell’opaco; il che sondo gravemente fuggito da natura, qual intende illu- tuo minar le cose sublunari, non oscurarle, si deve per consequen/.a dire che non è quel cielo materia soda, ina (lussilo et propriamente eterea, ma senza coni para- tione molto più degna del foco elementare: da questo caveruno i Peripatetici una consimil natura degli altri cieli. Al terzo loco pongo altresì chiara et. per mio creder, efficace raggione. Se la materia degli urlìi celesti fosse soda, come non reggiamo noi che evidentemente sarebbero impelliti i raggi «le’ pianeti et dell’inerranti stelle? sì ohe non si potrebbero liberamente trasmetter in questi elementi inferiori? Questo si può sufficientemente osservare in lucidissimi cri¬ stalli o altra materia più trasparente, ma soda in sò stessa. Da queste raggioni si può facilmente credere che la materia del cielo sii no atta per condensarsi : et se si può condensare, di grada non dubbiti alcuno eli’ ella sii alterabile et corrottibile, perchè questa, se la vogliamo dire altoratione, non è destruttiva, ma perfettiva. Et per darli compita sodisfai tione, io dico: 0 vero quella varietà tra le stelle et l’altro parti del cielo importa propria altoratione e contrarietà; o non. Si deve dire che no. perché è varietà perfettiva. Così dun¬ que, che si formi nova stella per comlensatione delle parti del cielo, non importa contrarietà o varietà destruttiva, ma perfettiva. Se donque non repugna alla ma¬ teria celeste condensarsi et far apparare nova stella, non è da creder che non vi si trovi agente proportionato per effettuar questo, per non haver questa po¬ tenza in vano. Questo naturale agente potrà facilmente esser creduto il lume 120 de’ pianeti, et a gran raggione; poi che operando questo istesso nelle cose inferiori, mediante però il calore prodotto dalla reflessione de’ raggi loro, si deve inferire che il lume istesso servi natura di operare ; et sì come deriva da materia celeste, così quella a punto può esser disposta materia all’immediata operatione sua; et sì come qui a basso con il caloro congrega et adduna le cose consimili et separa le dissimili, così nell’ 8° cielo deve congregare et condensare quella materia in sò stessa consirailÌ8sima, et deve congregare come si è detto, perché opera secondo il suo principio, che è corpo delle stelle et luminari denso et congregato. Ma se non operasse quel lume de’pianeti nell’ 8° cielo, in vano la natura gl’ havrebbe 1 f» GENNAIO — 28 FEBBRAIO 1605. 141 [115-1171 iso fatti corpi rottondi, et dalla parto superiore parimente luminosi. Aggiongo che se non occoresscro alle volte di (pieste apparenze et nove stelle, potressimo fa¬ cilmente negare che nel cielo vi fosse altra materia fuor che i soli corpi de’pia¬ neti et stelle. Ingratitudine sarà dunque il rifiutar queste apparenze che ci vo¬ gliono insegnare et farne corti di cose tanto sublimi. Restarà forse un poco di meraviglia, perchè cosi rade volte si veggano tal’ apparenze. Si deve dire elio rare volte ancora occorrono di così fatti concorsi et unioni de pianeti come questa fatta nel segno di Sagittario, nel cui trigono si può calcolare elio per lo spatio di 900 anni non sii fatta un’ altra congioatione di Giove et di Saturno, alla quale vi s’è aggionto Marte, pur grave et pianeta Un superiore. Ma perchè occorrono constitutioni più frequentemente, ma di minor valore, perciò se ne producono ancora de così fatte stelle, ina molto minori di grandezza, sì come tre anni sono una, ma picola, apparve nel Cigno, et il Sig. r Ty- oone, solertissimo osservatore, ne trovò tal volta più di dieci o dodeci oltre al numero pretinito di Tolomeo; ma non sono di tal meraviglia, perchè così da ogn’ uno non si peno osservare, per la picola quantità loro. Gora per le cose detto non credo di’a V.S. 111. 10 et Ecc. ,n& debbi restar scrupolo di sorte alcuna: et se volessimo anco congietturare se può esser dura¬ bile questa stella, potremo saperlo in questa maniera. Ella ha liavuto Tesser da caggione non permanente, come è il concorso de pianeti ; adunque non può ir»o ella esser senza fine, poiché T effetto partecipa solo la natura della causa, non più oltre. Cosi T ho vedut’ io nei giorni passati, poi che è fatta orientale, sminuita in gran parte. Non ho potuto esser più breve, in materia non così chiara: però lei mi per¬ doni s’ ho trapassato il foglio. Che per line li buccio le mani. Di Verona, a 15 di Gen.° 1605. Di V.S. III.™ et Ecc. n,a Affett. mo Servitor Ottavio Breiizoiii. 116 . BAIPASSARE CAPRA a (110. ANTONIO DELLA CROCE. Padova, 10 febbraio 1005. Cfr. Voi. II. pag. 289. 117 *. [Gl KOI-AMO SPINELLI] ad ANTONIO QUERENGO [iu Padova]. Padova, 28 febbraio 1005. Cfr. Voi. II, pag. 311. 142 12 MARZO — Hi APRILE 11)05. LI18-U9J 118 * GIOVAN FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova. Venezia, 12 marzo 1606 Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autograll, B.» LXXXV111, u.® 36. — Autografa. Ecc. ,no S. r Hon. roo Ho havuto tanto tardi la lettera di V. S. Ecc. mft , che non si fi potuto preparar alcuna cosa per sollevarla dal travaglio che ella mi scrive 10 ; ma dimattina si farà ogni possibile, e se le manderanno anco lettere di favor per l’111. 11,0 S. r Podestà. Hebbi le sue scritte dal P. M. ro Paolo, insieme con li cecchini quattro; il che credo che ella habbia fatto per darmi essempiu di quello che io ho a fare quanto le scrivo per baretti o altro. Mi spiace della sua inlirmità, e prego N. S. ru che al giunger di questa ella habbia recuperata la sua sanità. E me le raccomando. In V. a , a 12 Marzo lf>05. Di V. S. Ecc. n,tt Aff. m0 per serv> Gio. Fran. Sag. m fretta. Fuori: All’Ecc. m0 S. r Hon. mo Il S. r Galileo Galilei, Mathem. di Padova. 119 *. ALESSANDRO SERTI NI a GALILEO in Padova, b'ireuzc, 16 aprile 1605. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXIX, n.® 110. — Autografa. IU. ro ed Ecc. m0 Sig. r mio, Io ho havuto carissimo d’intender da V. S. che la mia lettera non ha trovato luogo o possibilità di operare effetto alcuno appresso di lei in raccomandazione del Sig. abate Giugni 10 , già che V. S. dice che la gentilezza e i meriti di lui havevano di maniera occupata la grazia e l’animo di V. S. per prima, che ogni auguinento ri- Lett. 118. 8. Tra « e fa rii loggesi, caucollato, manderò. — (i) Cioè il precetto di pagamento della dote Doe. XV, b, 3, a. promessa alla sorella Livu, per la lito intentatagli ( 2 ) Nrcoi.ò Giugni. dal cognato Tadoko Uam.etti. Cfr. n.* 121 e Voi. XIX. 10 [119] 16 APRILE 1605. 143 maneva impossibile. Nò meno caro lo ha havuto il Sig. Cav.™ padre {,) del Sig. abate, il quale con grandissimo gusto ha veduto la lettera che V. S. mi scrive. E ben¬ ché da quello che ella mi dice io vegga che Firenze non può sperare di haverla a rihavere, tutta volta non voglio già perder la speranza che noi ci habbiamo a io riveder quando che sia, o per la venuta sua qua, o per la mia in codesti paesi. Il mio fratello bacia le mani a V. S. minutamente, e desidera ch’ella lo consigli a che parte delle mathematiche si debbe appiglierò, presuposto, come io le scrissi già, ch'egli abbia veduto Euclide. Dico questo, massimamente perchè V. S. scrive che, bavendo questa scienza molte parti, vorrebbe sapere che qualità di libri il mio fratello desidera, per poterli provvedere. Le dico per tanto eli’e’si rimette a lei, la quale sa benissimo (piali sia meglio eh’e’pigli a vedere prima, e quali poi. Saprà V. S. di più, eli’ io sono stato pregato, da tali amici miei che io non ho potuto por alcun modo disdir loro, di chiederle mi favore: e questo è, che qua sono stati veduti alcuni strumenti geometrici inventati da V. S., uno in mano al 2 o Sig. Orazio dal Monte, un altro in mano ad altri, il nome del quale non ho in memoria. Ora io sono stato pregato strettamente di voler pregar lei che voglia mandarne due, inviandoli a me, e mandare insieme la regola e il modo di usarli; per la qual cosa io chieggo grazia a V. 8., poiché questi amici miei mi honorano credendo che io possa qualcosa appresso la cortesia sua, eh’ ella non voglia render vana questa loro credenza, ma favorir me e loro. Bene è vero che, non sapendo io quanto questa richiesta importi e vaglia appresso di lei, io non vorrei parerlo nò indiscreto né prosontuoso : però voglio che il tutto si intenda, se quello che io le chieggo ò cosa ch’ella possa fare senza suo disgusto e pregiudizio. Se mi potrà favorire, io stimerò il favore infinitamente; potrà insieme avvisare che spesa ci so sia stata di manifattura, e dove voglia che sieno rifatti i danari, o qui o in Ve¬ nezia: e ’l medesimo le dico de’libri che desidera il mio fratello. L’instrumento mi dicono che si chiami instrummto geometrico: questo è quanto io ne so. Presupongo che V. S. abbia inteso clic cosa sia: e perchè io l’ho abbastanza te¬ diata, farò fine, baciandole le mani e pregandole ogni contentezza. Di Firenze, addì 16 di Aprile 1605. Di V. S. Illustre et Eco* Sor. Afi>° Alessandro Sertini. Re quello ch’ella ha scritto intorno alla stella w si è stampato, come mi scrisse che seguirebbe, favoriscaci di mandarcelo ; perchè di qua non si è visto, to o mi immagino che non sia gran volume. Fuori: All* 111." et Ecc. m# Sig. mio 0ss. IBO Il Sig. r Galileo Galilei, in Padova. •‘i Yinobniso Giugni. (*> Cfr. Voi. II, pag. 2B9-278. 4 GIUGNO 1005. 141 L120J 120 . VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova. Firenze, 4 giugno 1G0.'» Blbl. Nnz. FIr. Mss. fluì., P. I, T. VI, car. 144. — Autografa la Kotloxcri/.ioni'. Ul. ro et molto Ecc.'° S. r mio, In risposta della vostra, se ben lunga, breve sarò io di risposta: et non li risposi la settimana passata per non essere comparso l’abate, mio figliuolo; di poi, sendo venuto, et sentito in voce da lui le carezze et gl’onori che gl’havete fatto in accarezzarlo et insegnarli, mi è parso significandogliene ringratiarla. Et havendo inteso da lui di vostri disagi et travagli, et sentendoli lodare il vostro instrumento, et con quanta prestezza e’ si può rendere utile a’ principi et a' par¬ ticolari, mi è parso farne passata con Madama Ser. ma nostra Padrona, dicendoli, nei meglio modo che ho saputo, la volontà di V. S. essere d’indirizzare detto instrumento et ragion d’esso all’Altezza del Principe nostro; et ho ancora detto io di più, che potrebbe fare risolutione di passare qua per questa state, per pas¬ sare le vacanze et fuggire i caldi et rendersi pronto a mostrare al Gran Principe di quant’utilità sia il suo instrumento: la qual Madama m’ha risposto che sia indiritto al Gran Principe, et che passando qua sarà visto come meritano le sue virtù. Però venga allegramente, chè sarà ben vista. Quanto alla causa sua che verte a’ Consiglieri ;1) , sentirete il successo dal vostro procuratore, che altro sopra ciò non dirò, restando al vostro servitù), me li raccomando. Di Fiorenza, li 4 di Giugno 1(105. Di V. S. 111.» et Eoe. 10 S. r Galilei. Fuori: All*III.» et Ecc. t9 S. r mio Oss. mo Il S. ro Galileo Galilei, leggente in Padova. Aff. mo per servilla 20 Vine." Giugni. Cfr. Voi. XIX. I>uc. XV, 0, 0, il. 11 GIUGNO 1005. 140 Lisi] 121 . GALILEO a NICCOLÒ GIUGNI in Firenze. Venezia, 11 giugno llRió. Autoe-rafoteca Azzolini in Roma. — A I.iiiui Azzoi.ini In presento lettera fu ceduta da Emilio San- TAKK1.U, dio r aveva avuta da Fuanoksco Tabhi, il quale l'aveva tratta doli’Archivio Giunsi. Molto 111." et ltev. mo Sig. re Cole." 10 Per una affettuosissima lettera dell’ TU. mo Signor padre di Y. S. Itev. ,,m ho compresa la relazione fatta da V. S., proporzionata più alla bontà et nobiltà dell’animo di V. S. che al mio inerito: ma non si comprenderla l’eccesso della sua bontà, se i suoi oflizii pareg- giassino solamente, e non sopravanzassino, gl’altrui meriti. Lio anco inteso (pianto è stato trattato con coteste A. S. me , die sarà causa di farmi rivedere in breve V. S. R. u,a e ricompensare in parte i miei mancamenti, tuttavolta che avanzi a V. S. tempo di prevalersi della io mia servitù. lo sono ancora in Venezia; ma spero domani tornarmene a Pa- dova, essendosi terminata la mia lite 411 nel modo che più diffusamente scrivo all’ lll. mo Signor suo padre. Di Padova mi partirò quanto prima habbia regolate le cose mie, e sarò a riveder V. S. li. : alla quale in tanto mi ricordo servitore devotissimo, e con ogni reverenza bacio le mani. Il Signore la colmi di felicità. Di Ve. 11 , li 11 di Giugno 1605. Di V. S. molto lll. re et Rev. I0a Ser. re Oblig. mo Galileo Galilei. 20 Fumi: Al molto 111. re et R. rao Sig. re et Pad." e Cole. 1110 Il S. Abate Giugni. Firenze, San Salvi. (') Cfr. 11 .» 118 e Voi. XIX, Doc. XV. b % H. X. 19 146 15 AGOSTO — 25 OTTOBRE 1605. (122-123J 122 . GIOVANNI DEL MAESTRO a GALILEO in Firenze. Pratolino, 15 agosto 1005. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 146. — Autografi la sottoscrizione o l’indirizzo. Molto Ill. re Sig. r mio, Desidera Madama Ser. ma la venuta di V. S. qua, sì por il virtuoso tratteni¬ mento del Ser. ,n0 Principe, come anco per l’acquisto della sanità di lei in questa felicissima aria di Pratolino, che gliela spera molto giovevole, trasportandosi da cotesto catino a questa eminenza, dove se li conserva buona camera, modesta tavola, buon letto e grata cera. Se verrà stasera, o vorrà indugiare a domattina, in ogni tempo Mesa. Leonide aportatore li farà dare una buona lettiga. Et io senza più me li olierò servitore, e li prego ila Dio contento. Di Pratolino, li 15 (l’Agosto 1605. Di V. S. molto 111. 1 * Ser.'' rt Aff.'"° Clio. Del Maestro. Fuori: Al molto IH.» Sig. v « il Sig.° Dottore (JTialilei, mio Sig. re Oss. mo Firenze, dal Carmine, subito. 123 *. CRISTINA PI LORENA a GALILEO in Padova. Firenze, *J5 ottobre 1005. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 9. — Autografa la firma. Mag. co nostro Dilettiss." 10 Si trova, come sapete, in Padova Matteo Giusti, che attende allo studio delle leggi: et intendendo Noi che egli si diletta anche delle matematiche et che ne lui buonissimi principii, desideriamo che l’lmbbiate per raccomandato et che siate contento d’insegnarli con la vostra solila diligenza et amorevolezza; per¬ che, essendo egli nipote il’ un nostro accettissimo servitore, ne farete particolar piacere a Noi ancora. Et Nostro Sig/ Dio vi conservi et contenti. Di Fiorenza, li 25 di Ottobre 1605. il Galilei. Chrest .® 4 G. D. H, ‘ Fuori : Al Mag. c ° Mesa. Galileo Galilei, Nostro Dilett. ,no Padova. [ 124 - 125 ] 29 OTTOBRE 1 U05. 147 124 **. A SI) RUBAI.K BARRO),ANI DA MONTATO) a BELISARIO VÌNTA in Firenze. Venezia, 2'J ottobre ItiOfi. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 2999, ».® 118. — l,n lettera e por circa la prima metà di ninno d' un segretario, o poi autografa, o autografa ó puro la sottoscrizione. Il capitolo elio riproduciamo ò iiolla parte ili inano dol segretario. Molto 111." S." P.ron mio Obs." 10 K stato dft ino il S. r " Matematico Galilei, et rimasto interamente sodisfatto per i com- inandamenti venutimi di costì et per quel che gli ho promesso et posso fare a suo ser- vitio, come vedrà V. S. nella Publica («), nella quale ella mi ordina ch’io no dia conto_ 125 **. ARDRDBAI.K BAR BOI,ANI DA MO NT AUTO a FERDINANDO L Granduca di Toscana, in Firenze. Venezia, 29 ottobre 1605. Arch. di Stato In Firenze. Filza Medicea 2999, u.° 117. — Oiigiunle con sottoscrizione autografa. Ser “° S" Di eonunandamonto «li V. A. m’ordina il Cav. r Vinta eh’ io raccomandi il S " Galileo, Matematico di Padova, et gli interessi suoi con occasione et vivezza al Proc. r# Donato; et per tale effetto è stato da me il medesimo Galileo, il quale è restato pienamente so¬ disfatto, quando m’ ha ritrovato prontissimo essecutor del commandamento, et che insieme gli ho accennato che una parola di V. A., o di suo ordine, detta al Lio**), che viene bora a risiedere appresso di quella, come a huomo intrinsechissimo del S. r Donato et che P ha servito di secretorio nelle suo cariche, farà grandissimo etìetto, et che io lo servirò in oltre, con ogni vivezza et con maggior certezza di vero effetto, con il S." Girolamo Capello, 10 tanto devoto et affettionato all 1 A. V., che è compagno et nella medesima carica del Proc" Do¬ nato. K non posso restare di dire, che, per molto ben disposto et alletto che sia il Proc." Donato, egli ha sempre nome d’esser parchissimo et strettissimo nel dar previsioni et accrescimenti, che è quel che desidera il Galilei. Di presente non sono questi SS. rl in Ve- netia. nè si deve trattare. A suo tempo saran ritornati loro, verrà il Galilei qui, et io lo servirò vivamente.... («) Cfr. n.° 125. ( 2 ) Roberto Lio. 143 5 NOVEMBRE 1(>05. [126] 126 . VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova. Firenze, 6 novembre ltìOó. Blbl. Naz. Fir. Msb. GaI., P. I, T. VI, car. 118. — Autografi il poscritto o Ih sottoscrizione. 111.” et Ecc. mo Sig. r mio, Di poi la sua partita non li ho scritto per carestia di tempo: tengo ben nuova dal S. ro Residente di costà per S. A., che era arrivata con buona salute, et da esso gl’era stato detto quanto S. A. haveva fatto ordinare che a favor di V. S. parlassi al Clar.* 10 Procuratore Donato; et quando io lo dissi a S. A., mi disse: Molto volentieri vogliamo aiutare il Galileo, perchè è virtuoso ; però di’al Vinta, che in su la lettera che noi scriviamo al Residente, dica che lo raccomandi ellicacissimainente. Mi è parso dargliene avviso, et in tanto ricordarinegli por qualche suo servitù), et ricordarmegli nella memoria che la mi dette una lettione e mezzo sopra il regolo, che per la mia poca capacità non ritenni troppo; se gli paressi eh’ io meritassi ricevere la sua grazia di qualche suo scritto, acciò io po¬ tessi diventar capace di quelli conti, che, con brevità ben distillati da lei, ren¬ dono agevolezza a qual si voglia rozzo intelletto. La supplico in ciò, et me li rendo affezionatissimo: et li bacio la mano, pregando il Signore Iddio che li dia il colmo di ogni suo desiderio. Di Fiorenza, li 5 di Novembre 1005. Di V. S. 111.' 0 et Ecc. mR Le parole di S. A. funno queste: Vinc.°, questi Clar. ml Anno per male le lettere de’ Principi; però io voglio che lo faccia il mio Residente: serva per suo aviso, quanto basta, et non altro ; et al suo tempo soleciti il Residente, chè farà più che la lettera, dicendo da parte di S. A. Aff. mo et per s. lltt Vinc. 0 Giugni. Fuori: All’111." et Ecc. mo Sig. r mio Oss. 1 ” 0 Il S. Galileo Galilei, in Padova. Lett. 126. 10. poca eapicità — 18. Car [127-128] 11 — 18 NOVEMBRE 1605. 140 127 . GALILEO a fCRISTINA DI LORENA in Firenze]. Padova, 11 novembre 1005. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I., T. IV, car. 18. — Autografa. Ser. mu Mad. ma et mia Sig. ra Col. mn Haverei, per mia naturale disposizione et per Y amicizia die iio antiquata col S. Camillo Giusti, procurato sempre che l’opera mia dovesse esser al S. Matteo Giusti di aiuto nelli stridii delle matema¬ tiche. Mora die ci si aggiugne il comandamento di V.À. S. ma (1) , rila¬ verò per mia impresa principale, sì come sono per antepor sempre i suoi cenni ad ogn’ altro mio affare, reputandomi allora liaver segno di participare della grazia di V. A. S., della quale vivo sommamente avido, quando mi darà occasione di ubidire a i sui comandi, io Io sto aspettando elio mi siano mandati li due strumenti d’argento, per poterli segnare et rimandare perfetti. In Venezia ho fatto dar prin¬ cipio ad intagliare le ligure che vanno nel discorso circa l’uso di esso mio strumento; et intagliate che siano, farò subito stampar l’opera (i> , consecrandola al nome immortale del mio Ser." 10 et Humaniss. 0 Prin¬ cipe. Al quale intanto con ogni maggiore humiltà m’inchino, dopo P bavere al Ser. ,no G. D. et a l’Altezza Vostra con infinita reverenza baciata la vesta, con pregargli da S. Divina Maestà il colmo di felicità. Di Padova, li 11 di Novembre 1605. Di V. A. S. Hurnil. 0 et Oblig. mo Servo 20 Galileo Galilei. 128 . GALILEO a [COSIMO DE’MEDICI in Firenze]. Padova, 18 novembre 1005. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 14. — Autografa. Ser. ,n0 Sig. re mio Pad. ne Col. rao Havevo speranza di potere a quest’ bora rendere a V. A.S. quelle ' grazie che devo, per bavere ella fatto con tanta efficacia raccoman¬ dare il mio negozio all’ Ill. mo S. Proc. or Donato, et insieme darli conto <») Cfr. n » 128. Cfr. Voi. II, pag. 305. 150 18 NOVEMBRE — 5 DICEMBRE 1005. [ 128 - 120 ] del successo di osso; ni a già che per la lunga assenzia da Venezia dell’ Ill. mo S. Girolamo Cappello, che è mio de i Riformatori, non si ò per ancora spedita cosa alcuna, et forse non si spedirà cosi presto, non mi è parso di dover differir più questo mio debito, e tanto più quanto dal Sig. or Residente di V. A. S. ho limito avviso come ha già trattato col S. Donato et hauto bonissime promesse. Io dunque, con io quella infinita humiltà che devo, rendo grazie all’A. V. di essersi com¬ piaciuta di favorire et honorar tanto un suo minimo servo, il quale, altro non potendo, terrà in perpetuo scolpito nell’ anima un tanto debito, et in compensa gliene pregherà da S. D. M. il colmo di felicità. Et qui con ogni humiltà la inchino. Di Padova, li 18 di Ombre 1605. Di V. A. S. Hum. mo et 01>ed. ,no Servo Galileo Galilei. 129. CIPRIANO SARACI NELLI a GALILEO in Padova. Villa dell’Ambrosiana, 5 dicembre 1605. Bibl. Naz. Fir. Mbb. Gal., P. I, T. VI, car. 150. — Autografa la sottoscriziouu. Molto Mag. 00 et molto Eco.**» S. r mio, Rebbi a’ dì passati nella Villa del Poggio una lettera del cognato di V. S. con la quale mi dava nuova dell’ arrivo di lei a Padova, che mi sarebbe piaciuto assai senza P agiunta della sua indispositione ; et perchè eravamo sul ritornare a Fiorenza, non gli risposi subito, sperando quivi di vederlo et parlargli ; il che però non mi venne mai fatto, onde la lettera di V. S. de’ 25 del passato è giunta aspettatissiuia et gratissima, havendo inteso, oltra il resto et che importava il tutto, eh’ ella si trovasse di già con buona salute. Quanto alla disposinone et atìezzion mia verso la persona di V. S., deve credere che sia ferma et costante, perchè io non cominciai ad amarla et honorarla subito che la viddi et ragionai io seco una volta, ma doppo haver conversato seco intrinsecamente qualche tempo ; onde quella benevolenza alla quale è preceduta la cognizione, non si può pensar che sia si non salda et immutabile. Ma senza tanta pratica haverei anche fatto il medesimo, poi clic il bello et il buono, cioè la virtù, ha forza di tirare a sò 1 animo et la volontà di chi la può, anche mediocremente et quasi da lontano, conoscere et considerare; nel qual caso appena ardisco io di collocarmi non havendo notitia alcuna della nobile et principal professione di V. S. Ma ella ò accompagnata da tante altre virtù, che gareggiano tra loro del primo luogo, che e HENKDKTTO I.ANDUCOl. 5 DICEMBRE 1606 . 151 L129J sarei bene in tutto rozo et ingnorante, se non sapessi fare una induzzione, por 20 mezzo della quale possa arrivare a sapere et intendere che io amo et osservo V. S. con molta ragione. Et di questo fin (pii. Circa i studii del Ser."'° Principe nostro, de’ quali desidera che io le dia conto, se ella intende delle mattematiche, posso dirle assolutamente che dalla partita di V. S. di Eiorenza in qua, non ha pur visto, non che operato, mai l’Istrumento U) , non perchè la scienza non piaccia molto a S. Altezza, ma parte perchè non vi è chi si ricordi così bene le oporationi, et parte perchè la Corte è andata conti- nuvamente innanzi et indietro, senza altri diversi impedimenti che vi sono stati; ma come saremo in Pisa, si fari! intorno a ciò, al sicuro, qualche cosa. Intanto ella mettarà mano, et forse finirà di stampare il libro, che servirà al Sig. r Prill¬ ilo cipe per un gran stimolo, non clic per memoriale. Sono appunto dua giorni che qui fu detto che quel giovine del S. r T)on An¬ tonio ;,) huveva una volta finiti quegli istrumenti (l’argento; che quando sia vero, V. S. li potrebbe bavere con il prossimo ordinario, perchè Madama Sor. ,,,a ha ordinato al guardarobba che se gli faccia dare et glie ne mandi. Ho quasi voglia di aggiugner V. S. per un essempio in quel’ opuscolo che fa Plutarco De vitiosa verecundia , poi che la dice di non haver liavuto ardire di scrivere al Ser."‘° 8ig. r Prin¬ cipe ; poi che ella si può ricordare che l’ha vista sempre volentieri, et io le fo fede che 1’ ama et la stima assai, et la saluta ancora molto affezzionatamente. Il Cavai. r Ferdinando (8> , inio nipote, li è altrettanto servitore quanto le son ■io io, et se potessi dir più, lo direi, perchè esso spera d’imparar da V. S. qualche cosa, dove io non son più a tempo, nò buono ad alcun mestiero. Il S. r Coloreto si trova a Livorno con il Granduca, dove S. Altezza è andata pei- stare otto o dieci giorni; ma subito che torna, farò 1’ofiitio, et so certo che le sarà molto grato. Al S. r Silvio (4) , che è restato qui con il Sig. r Principe, ho detto quanto V. S. mi scrive di quel libro che gli vuol mandare (S) ; di che è restato sodisfattis- simo, et si raccomanda a V. S. con molto allctto. Et io insieme con il Cavai.' Fer¬ dinando le bacio le mani, et prego il Signore Dio che le doni, con la sanità, tutte le cose (die lei desidera. Dalla Villa dell’Ambrogiana, il dì 5 di Decembre 1605. co Di V. S. molto Mag. ca Aff."' 0 et Certiss. 0 Ser. re Cipriano Saracinello. Fuori : Al molto Mag. co et molto Ecc. t0 S. r mio ()ss. n, ° 11 S. r Galileo Galilei, professore di Matheinmatica in Padova. IiOtt. 129. 22 . de quale dentiera - 33-84. ho ordinato — 49 . dell'Atnbrogina — 0> Cioè il compasso geometrico e militare. 1*1 Don Antonio »k’ Medici. < 3 > Krroinando Sakaoinki.i.i. <*' Farrizio Colokkto. (“t Silvio Picoolomini. (“t Ofr. n.“ 10 , lin. li. 152 19 DICEMBRE 1005. im 130*. OTTAVIO BRENZONI ft GALILEO in Padova. Verona, 19 dicembre 1005. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI. T. VII, car. 70. — Autografa. Molto Ul. re et Ecc. mo Sig. r mio Osa." 10 Il contento ch’ho havuto nel sentir nova di V. S." Eee. m \ il desiderio eli’ ho di servirli, la pressa, una sol bora di tempo o poco più datami dal Sig. r Bastiano per la risposta eh’ attende, lilialmente lo smasselIanni (piasi dalle risa per la nova logica dal mio carattere messa in campo, mi ha posto tal contusione nel capo, che non so se il prognostico putrii riuscire per taccino ordinario. Così mi ha detto di voler partir hoggi il Sig. 1 'Bastiano ; il che se non fosse, come dalla sua mi par di scorgere, mi farebbe torto, come gli ho detto, a non servirsi della casa nostra, che ò obligata a V. S. Ecc. ma In questo mentre, per non mi sfredir la mano et pria che mi si spunti la pena, cominciare') a stender dieci parole circa io la formata figura: nella quale avertirò prima, che sondo secondo 1' Kfomeridi ilei Carelli 10 , può esser facilmente piena d’errori, come sarebbe tal volta di dieci gradi in ma se però svariasse poco dallo Stadio 10 (il clic non ho potuto vedere, por haverlo fuori di casa, nò meno dalli secondi mobili, per l’angustia del tempo), potressimo andar congietturando, come dirò per piacere a V. S. Ecc." m 11 (piai raggionamenlo sondo comedi cose vane, pregarùla farsene, et di tuttala lettera in¬ sieme, un paio di stecchi per adoprar nei necessarii bisogni: haviò anco a fa¬ vore se tacerà il mio nome et quelle coso che li parerano di silontio degne, poi¬ ché potrei scriverli più liberamente di quello forse eh’è espediente. 11 temperamento donque di questo Signore li dà che sii sottoposto ad un poco 20 di catarro dalla testa, caggionato prima da indispositiune di stomaco: questo è poi caggione di qualche ombra di vertigine, poi clic non sono molto ben disposti gli occhi, così per certe olfuscationi come per altro, come son per dire. Può an¬ cora patire alcun flusso di sangue dal naso, forse dalla parte sinistra, per il con¬ senso della milza, dalla quale può sentir alle volto alcun travaglio: è anco atto a ricevere qualche ulcereta di mal francese, così nelle parti obscene come elio scaturiscili circa il colo et le gambe (facio assai se la pena mi serve sino in line). Questa costitutione non è molto lontana dal signiticato di un poco di sciatica: Ephemeridea lo. Uaptistak (Jakri.u Piaceli- tiili, ecc. meridiano inelitae urbi9 Venetiarum diligen- tintime tupputalae, occ. Venetiis, apud Baltussarein Coustantiuuiu, MDLVII. < 2 > Ephemeridr.» Ioannis Staimi Leon noiithensis, eco. aeeundum Antverpiae lonyìtudinem ex tabuli» Prutenici» anpputalae ab anno I58U, utque ad annum 1800, ecc. I.ugiluni, in off. q. Philip. Tingili, Fiorenti. M DLXXXV. li) — 29 DICEMBRE 1005. [ 130 - 181 ] 153 finalmente non è senza ragghine se provasse alcun flusso di corpo, come diarea 30 et discatena. Il fine dello stame non ò violento, ma naturale: évi però di vio¬ lento alcuna calciata di quadrupede, caduta da cavallo con pericolo di rompersi una gamba et ricever percossa nella testa. In un occhio ancora può patir qualche sinistro, ma, come spero, senza pericolo di perderlo. La $£ è forse dubia se caselli in o non: però se fosse in X, sarebbe contrario signiticatore; stando così, è buona per molta successione di robba, ma con molto dispendio, così per piezarie come per causa di governatori et per combine, poi che se non vi é significato di bando, manca poco. La maggior causa del male sono così fatti amici et compagni. (Josì gli bonori sarebbero grandi, se quel concubinario di non inducesse a concubine frequentemente con gii amici; et per ciò par che così un poco caschi •io la riputatione. Si potrebbe aggiustare per l’ascendente all’alitiselo di |> so fu circa li 29 armi, caduta, pericolo d’animali, di morsicatura et di foco ancora, con me- lancolica infirmiti!,; poi per il mezo cielo a cf circa li anni 23, se fu rissa, que¬ stione con un poco di dislionore, forse per fugire, lasciando gli amici; et di qui, aggiustata che fosse, si potrà far facilmente giuste le dirrettioni. La pressa mi fa finire: promettoli però di scriverli pii! sposso, perchè lei non si scordi 1* osscrvacioni per intender il mio carattere. Mi rallegro molto del bene del Sig. r Bronzicro (,) ; et a V. S. Eee. imi riverente baccio le mani. Di Verona, al li 19 Dicembre 605. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. ,nn AUefct. mo Servitor r*o Ottavio Brenzoni. Fuori : Al molto III.™ et Ecc. n, ° Sig. r mio Oss." ,u 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei, Matematico di 1'adoa. 131 . GALILEO a COSIMO DE’MEDICI [in Firenze]. Padova, 29 dicembre 1605. Bibl. Nrt7„ Flr. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 15-16. — Autografa. Ser. mw Principe et mio Sig. re Col. mo lo ho tardato sin’ bora a scrivere a V. A. S. raa , ritenuto da un ti¬ mido rispetto di non mi esporre ad una nota di temerità o arro¬ ganza; et prima ho voluto per via di confidentissimi amici e padroni inviarli dovuti segni di reverenza, che direttamente comparirgli avanti, parendomi di non dovere, lasciando le tenebre della notte, assicurarmi di fissare immediatamente gl’ ocelli nella serenissima luce del sole <*' Gio. Girolamo Bkokzikko. x. 20 154 29 DICEMBRI*: 1605. [1811 oriento, ina di andargli prima assicurando et fortificando con lumi secondarii et reilessi. Mora, che lio sentito liaver V.A.S. ricevuti i miei humilissimi segni di devozione con quell’ istessa benignità di io aspetto con la quale si degnò sempre di aggradire la mia presenziai servitù, vengo con sicurezza maggiore ad inchinarmeli et ricordar¬ meli per uno di quei fedelissimi et devotissimi servi, che a somma grazia et gloria si reputano di essergli nati sudditi; se non inquanto questo mio debito naturale precide la strada alla mia volontaria ele¬ zione di poter mostrare all’Altezza Vostra di quanto lunga mano io anteporrei il giogo suo a quello di ogn* altro Signore, parendomi che la soavità delle sue maniere et la Immanità della sua natura siano potenti a far che ciascheduno brami di essergli schiavo. Questa mia naturale disposizione fa che io non pensi ad altro che a quello chi' im potesse esser di servizio di V. A.S.; ma dubito molto di non gli bavere a restare servo in tutto inutile, poi che i maneggi et l'imprese grandi non sono da ine, et sono le basse aliene da l’Altezza Vostra. Supplisca dun¬ que al difetto delle mie forze l’eccesso della sua benignità, et si appaghi di quello che, mancando negli effetti, soprahbonda nel mio animo. Al Ser. mo Gran Duca et a Madama Ser. 1,1,1 desidero esser ricordato per devotissimo servo per bocca di V. A. S. ; anzi, desiderando ricor¬ darmi tale all 5 Ill. mo et Eco. 11,0 S. D. Ferdinando Gonzaga et a gl’ 111." 11 et Ecc. mi Sig. ri Orsini {1) , ho concluso che questo mio affetto, passando per la lingua di V. A. S., aqquisti tanto di efficacia et valore, elio il su dir lei a quelli Ecc. rai Signori solamente: il Galilei vive vostro devotis¬ simo servo, possa eccedere qualunque più culta et efficace orazione, che per persuadere questa verità io potessi imaginarmi. La supplico pertanto ad esser servita di farmi tal grazia; et a Lei stessa con ogni 1 mmiltà inchinandomi, prego da Dio il colmo di felicità. Di Padova, li 29 di Xmbre 1005. Di V. A. S. ma Dev. m0 et Rum." 10 Servo Fuori: Al Ser. mo Principe di Toscana etc. mio Sig. ro Golend. 1110 <*' Virginio 0 Paoi.o Giordano Orsini [ 138 - 183 ] 9 — 12 GENNAIO 1(106. 155 132 . COSIMO DE’MEDICI a GALILEO in Padova. Cerreto, gennaio 1G06. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. 1. T. XIV, car. 15. — Autografo la lin. 20 o Ih sottoscrizione. Molto Mag. 00 mio Dilett."' 0 , Ilo riconosciuto nella lettera ili V. S. do* 20 del passato la molta modestia elio conobbi in lei continuamente mentre l’estate passata si lasciò godere in queste bande, ma non vi harei già voluto vedere quel timido rispetto o dubbio d* esser notato di temerità, se senza altri internuntii in’ havesse scritto : perchè in questo modo, o V. ri. dissimula di conoscere i proprii meriti, o crede che non sieno ben conosciuti da me. Dell’eccellenti viltà sue ho veduto saggio tale in me stesso, che deve credere che ne conservi et continua et viva memoria: et se bene quel virtuoso seme che V. S. s’ingegnò di spargere nell’intelletto mio, per varii io accidenti non ha fruttilicato, come forse poteva et doveva, tuttavia spero in Dio clic se occorrerà che ella torni a rivederlo, non lo troverà forse tanto soffogato, elio la buona cultura sua non possa germogliare. Et quando ritorneranno in qua gli istrumenti d’argento, segnati et accomodati da lei, mi saranno facilmente et di ricordo et di stimolo a ripigliarli et essercitarli un poco. Non dove dubitar V. S. che appresso il Granduca et Madama, miei Signori, si perda la memoria di lei; et io glie ne ho rinfrescata con V occasione della sua lettera. Con che m* obero prontissimo a ogni suo commodo, et prego Dio che la contenti sempre. Di Cerreto, il dì vini di Gennaro 1606. 20 S. or Galileo, io son tutto di V. S. Al piacer suo S. r Galileo Galilei. Don Cosimo P.® di Tose. Fuori: Al mólto Mag. co mio Dilettiss.® 11 Sig. r Galileo Galilei, a Padova. 1 33 * FERDINANDO SARACINELLI a GALILEO in Padova. Cerreto, 12 gennaio IfiOG. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, 11. 1 ' RXXXVIII, n.° 170.- Autografa. Molto Ecc. t0 et molto Mag. 00 S. r mio Oss.""’ 11 Sig. mio zio (l) è di natura molto sincera, e con gli amici suoi (nel numero de’quali son certo clic tien V. S.) procede con semplicità et schiettezza et senza Lett. 133. 2. zio di — <*> CiruiANO Saraoinki.i.i. 156 12 — 21 UHNNA10 1606. | \Xi-\U] alcuna sorte «li ceri moni», come presuppongo clic non l’usasse con \ . S. quando rispose alla gentilissima lettera clic, haveva ricevuta «1» lei; «nule, havendo S. S.™ veduto quello ch’olla scrive a me, si ò maravigliato che \ . S. pensi che la lettera di lui habbia bisogno di ringraziamenti, o ch’ella s’ustenghi di scrivergli per dubio «li non fastidirlo con obligarlo alle risposto. Ma sappia A ». S., che lo scri¬ vere non gli ò d’una briga al mondo, salvo che, rispetto a un poco «li catarro elio gli scorre .per tutto il braccio dritto, non può far questo mestiero «li sua io mano, come vorrebbe. A me, che non ho questo impedimento, e che s marzo, qui si intonilo elio la Pasqua gonnaio IfiOP». alla quale si alludo ora la Pasqua di rose, ciò» la T.a Pasqua di Ur.surrctiutu' nel IGOB esponilo Pentecoste, elio cadeva il li maggio. 158 n —20 maggio inno. [135-136] attendere a quel Signore, et elio fra tanto me li offe ri se a et vegga di trattenerlo. Iersera a due hore di notte furono mandati via li Padri Giesuiti con due barche, le quali dovevano quella notte condurli Inori dello stato. Sono partiti tutti con un Crocifisso appiccato al collo et con una candeletta accesa in mano; et ieri dopo desinare fumo serrati in casa, et messovi due bargelli alla guardia delle porte, acciò nessuno entrassi o uscisse del convento. Credo che si saranno partiti anco di Padova et di tutto il resto dello stato, con gran pianto e dolore di 20 molte donne loro devote. Questo è quanto mi occorre dirvi. Fate reverenza al Clar. m " S. Fo- scari (,) et datemi nuove di lui, et baciato lo mani a i Clar."" S. pi Coc¬ chi : et state sano. l)i Venezia, li 11 di Maggio 1006. Vostro A fi'.""’ fratello U. G. Fuori,: Al molto Mag. co et Ossei-.'" 0 Sig. Miehelagnolo Galilei Padova, ne’ Vignali. 13 fi*. CIPRIANO SA.lt AGI NEI ibi n GALILEO in Padova. Firenzi-, *JC maggio 1000. Blbl. Nnz. Fir. Max. (Sai., P. 1, T. VI, cnr. 139. — Autografa la sottoscriziono. Multo Mag. c<1 et Ecc. l ° S. r mio Oss. mo Domandai di V. S. a’di passati al Sig. 1 ' suo (-.ugnato, il quale mi disse che presto Fluiremmo liavuto in queste bande, sì elio io credevo di veder più presto la persona di lei che una sua lettera: et questa nondimeno, che ho ricevuta, mi è stata molto grata, et le rendo infinite gratie della viva et cortese memoria che tiene di me et del Cavai. 1, Ferdinando, mio nipote, l’uno et l’altro de’(piali ci conosciamo infialali a servirla, per la debolezza delle nostre forze, ma molto desiderosi di poterlo fare. 1,1 Probabilmente il Foacunt venuto a staro in Cfr. Voi. XIX, Hoc. XIII, P, cosa Ai Oai.ii.ko con un servitore il 18 febbraio 1600. 20 MAGGIO — 10 GIUGNO 1G0G. 159 [ 130 - 137 ] Mi duole ohe la ricondotta di V. S. con cotesti Eec. n,i Signori sia caduta in io tempo così dillicile et importuno, (pianto è quello che Foggi corre per le diffe¬ renze che sono fra Sua Santità et la llep. a di Veneti a: tuttavia spero in Dio che nel negotio suo si saranno superate tutte le difficultà; et confermata la sua let¬ tura di Padova, che è quello che importa principalmente, se ne potrà venire con l’animo quieto: et io l’assicuro che verrò, desiderata et aspettata da’ Ser."' 1 Prin¬ cipi, et poi da tutti noi altri. Il male è che troverà che non solamente non si ù fatto alcun profitto nella institutione del S. r Principe in materia delle mattemma- tiche, ma piaccia a Dio che S. A. non si sia dimenticata di molte regole che WS. le diede l’anno passato: tuttavia sarà almeno diventato più abile a poter con¬ fermare quello che imparò l’anno passato et ad intendere l’altre cose che 20 restano. Ilo fatto reverenza a Madama Ser." ,a in suo nome, alla quale questo oflìtio ò stato gratissimo, sì come ò stato ancora al Sor.'" 0 Principe; et l’uno et l’altro mi hanno commesso che io lo risaluti da parte loro. Clio è quanto m’occorre per risposta della sua, data di Padova li 19 d’Aprile, se ben credo che voglia dir di Maggio: doppo havorle baciate le mani insieme con il Cavai.'' Ferdinando, mio nipote, et pregato il Signore Dio che le conceda la gratin sua et ogni contento. Di Fiorenza, il dì 2G di Maggio 1G0G. Di V. S. molto Mag. U11 et Ece. to Ser. 1 ''* AlV.'"° -*ìo Cipriano Sarac. 110 Fuori: Al molto Mag. 00 et molto Eco. u ’ Sig. 1 ' mio Oss. ,nu il S. 1 Galileo Galilei, a Padova. 137 **. ASDIUJBALE BARBO LAMI DA MONTAUTO n FERDINANDO I, Granduca di Toscana, in Firenze. Venezia, 10 giugno l(50(i. Aroh.cU Stato In Firenze. Filza Medicea 2999, n.» 198. — Originalo, con sotloscriziono autografa .... li Galilei, Mathomatico di Padova, favorito a nome di V. A., ha ottenuto la rat- forma nella sua lettura con augmento di ducati 200 alli 320 elio ne havea (1 , et. ha causa di restar sodisi’attissimo.... <»> Cfr. Voi. XIX, Hoc. XI, 20 GIUGNO — 12 AGOSTO KiOU. [138-140J 100 138* VINCENZO GIUGNI a GALILEO in l'ndova. Fi l onze, 20 giugno 1000. Bibl. Naz. Fir. Mss. Qnl., l\ I, T. VI, car. MI. — Autografa. 111.™ et Ecc. to Sig. r mio Oss." 10 Io mi ralogro che li sua molti meriti in qualche parto sono ricognosciuti, poi che a lei sola ò stato fatto l’aumento delli 200 fiorini. Voglio sperare elio se Dio gli dà vita, che Labbia di nuovo ad avere di questi bene meriti. Spero d’avere presto comodità con la viva voscie di ralcgrarmi di presentili con lei. lo scrissi alla Corte, per vedere come trovavo il desiderio di questi Sur.» 1 ' Padroni. Madama Ser. n,a mi rispose queste parole: Noi aspettiamo qua il Galilei come l’anno pas¬ sato. Però io credo che, sempre che voglia et possa venire, sarà, di gusto a li Padroni ; et io con li mia figlioli saremo pronti a farli qualsivoglia servitù), sempre che se ne dia et vengha l’occasione. Et le bacio la mano. Che il Signore le dia i«» ogni suo maggiore contento. Di Fiorenza, il dì 20 di Giugno UiOG. Di V. S. Ul. ro et Kcc. 10 All'."' 0 per sor. 11 * al S. r Galileo. Vino. 0 Giugni. Fuori: All’III. rH et lice. 1 * Sig. r mio Oss."'° 11 Sig. r Galileo Galilei, leggente in Padova. A Padova. 1 39. GALILEO a COSIMO 1)E’MEDICI [in Gironzo]. Padova, 10 luglio 1006. Cfr. Voi. Il, (mg. 007. 140*. ÀSDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO a BELISARIO VINTA in Fircuao. Venezia, 12 agosto 1000 . Bibl. Naz. Fir. Mss. (lai., P. I, T. XV. cnr. .‘ìli. — Originalo con sottoscrizione autografa. .... Il S/° Galileo Galilei è stato spedito conforme al suo gusto molto favorevolmente circa la sua ricondotta; et tanto più è stata segnalata la gratin, quanto si è effettuato in Lett. 138. 7. unpettiino — (140-1431 12 AGOSTO —30 SETTEMBRE 1606. 161 Collegio et Pregndi adesso, in mezzo a tanti affari, per opera del S. re Girolamo Capello, che, sentendo il desiderio che si liavaa costì del Galileo dal S. r Principe nostro, lm supe¬ rato ogni difficultà. Et io certo erodo almeno che resterà sodisfatto il Galileo della mia buona volontà.... 141 **. ASDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO a BELISARIO VINTA in Firenze. Venezia, 26 agosto 1006. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 2999, n n 222. Originale, con sottoscrizione autografa. .... Il S. r Galileo sarà comparso et da per sè stesso dato conto de'suoi affari a loro A. A.... 142 * .a VINCENZIO GIUGNI in Firenze. Pratolino, 28 settembre 1(506. ' Arch. di Stato in Firenze. Guardaroba Medicea, tilza 263, u« 792. — Originale : è autografa la sotto¬ scrizione del Granduca. Cavaiier Giugni, S. A. comanda che voi diate tanto raso nero al Galileo, da parte del Principe, per farai una zimarra. Et il S. r Dio vi guardi. Di Pratolino, li 23 di Settembre 1606. Fer. <*> Fuori: Al molto Mag. cu Cav. r Vincentio Giugni Guard. u Generale nostro dilett."' 0 Fiorenza. 143 *. CIPRIANO SARACINELLI a GALILEO |m Padova). Orvieto, 30 settembre 1606. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.« LXXXV1II, u.° 166. Autografa la sottoscrizione. Molto Mag. 00 et molto Eoe. 10 mio S. 1 ' Oss. mo Quando io partii ultimamente dalla Corte, la venuta di V. S., desiderata et aspettata da molti, et da me et da mio nipote 0) in particolare, T liavevo già come . molto Mag. ca et molto Eco. 1 *’ Aff. m0 Sor.™ 20 Cipriano Sarac. 11 " 144 . GALILEO GALILEI a. Padova, 27 ottobre 160B. Btbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. V, car. 1 0 6. — Copia di muuo dui secolo XV11I. 111.™° Sig. r e P.ron Col.™ 0 Tornai di Firenze dieci giorni sono, e trovai tre lettere di V.S.Ul.™* e due compassi inviatimi, le quali lettere da’ miei di casa erano state trattenute, perchè per tre settimane innanzi li avevo scritto che non mi scrivessero più, perchè ero per partirmi; e perchè la partita mia si prolungò 15 giorni di più, nè io ebbi le sue lettere, uè ella nè gli amici suoi sono prima restati serviti. Ma più, la mia cattiva fortuna ha voluto, che a pena ritornato a Padova, sia, stato assalito da una malattia grave e pericolosa, la quale mi ha tenuto e tiene tuttavia nelle sue forze, sì che il servire V. S. Ill.™ a è stato per necessità ritar- io dato ; nè potrò rimandarli gli strumenti prima che la prossima set- io Cosimo pk’Medici, principe ereditario. [ 144 - 145 ] 27 OTTOBRE — 23 NOVEMBRE 1606. 163 tiiiiana, al qual tempo sena* altro pflie le manderò insieme con due copie degl’ usi loro, dalle quali resterà l’amico di V. S. Ill. ma satisfatto ancora dei problema. Mi scrive in oltre della spesa che ci sarà, la quale, per esser molta, non può essere ristorata con manco d’un sec¬ chio del miglior vino che si sia fatto questo o l’anno passato in co- teste parti; il quale tanto più mi sarà grato, quanto che lo domando nel ferver della febre, et in un anno che le tempeste hanno ruvinato tutte l’uve di queste contrade. Moli so se V. S. 111." 111 , o i padroni 20 de’ compassi, habbino cognizione delle misura del secchio (l) : però io gli dirò che è tanta, che quattro buoni compagni in una sentata ne ve- derebbero il fondo; ma a me basterà un mese, perché lo bavero par¬ chissimamente. 11 vino non lo domando a lei se non come procura¬ tore, perchè il richiedere direttamente vino a chi beve acqua, oltre allo sproposito, sarebbe con pregiudicio della sua bontà. Ho presa questa baldezza con la cortesia di V. S. Ill. ma di pascere l’immaginatione con questi discorsi di Bacco, mentre che la febre malamente mi rasciuga di dentro. Mi scusi e mi perdoni ; e quando io possa scrivere di proprio pugno, bavero da conferir seco qualche ao speculazione intorno al moto. In tanto le baccio con ogni maggior riverenza le mani, et insieme all’Ill. ma e Generosissima Sig. ra sua con¬ sorte e suoi figli, a i quali tutti conceda il Signore somma felicità. Hi Padova, il dì 27 d’Ottobre 1(30(5. Hi V. S. Ili. ma Servit.® Obbligatisi 110 Galileo Galilei. 145*. GIOVAN FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova. Palmanova, 23 novembre 1(500. Bibl. Est. in Modoua. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVI1I, n.» 82. — Autografa la firma. lll. ro et Ecc. m0 Sig. Hon. mo L’impedimento che sopravene a V. S. Ecc. ma , per lo quale non vene col Sig. Veniero a ritrovarmi, mi dispiacque per l’effetto che concerneva all’interesse mio, ma certo molto più per la cagione che tanto importava a lei ; et havendo ultimamente inteso l’infirmili sua, n’ho preso singoiar dispiacere, e tanto ch’io Lott. 144. 12. mandarti — 13. reilarà — 17. il Umbre tanto — (') Misura veneta di capacità, equivalente n circa !) litri. 164 2o NOVEMBRE —8 DICEMBRE 1606. 1146 - 14(11 non posso opprimerlo. Voglio sperare clic all’arrivo (li queste olla sia ridotta in sanità, et clic forse habbia dato prencipio a pensare il modo di venir qui avanti eh’ io parta. Quest’anno i vini da Buri molto famosi non sono riusciti dolci, et quelli da Rosazzo sono tra il dolce et il garbo; ma nel costo riescono salati, poiché si io vendono cinque lire il secchio, prezzo clic, s’è come sono avisato. è l'istesso che la Malvasia in Venetia. Io, con tutto questo, ne ho compro tre mastelli, uno de’ quali ho mandato al S. r Dona Moresini, che me lo ricercò, uno si è quasi bevuto, et un altro si è fatto mez’acqua, nè è cosa degna di lei. Qui ho gustali vini d’Istria, mescateli e ribole assai buone, et l’anno venturo spero farne qualche provisiono per qualche amico et per qualche amica; e se vi sarà occasion di messo, vederò in una caneveta mandarne tanto a V. S. Eoe. ,na , che possi consi¬ gliarmi di quale dovrò provedere. Hebbi già due mesi i saladi et le marzoline che V. S. Ere. 1 "" mi mandò; ma perchè non venero sue lettere, io non l’ho mai ringraziata, perchè sì come nelle -0 risposte uso qualche diligenza, cosi nelle proposte riesco negligentissimo: ma con lei sarà questo poco errore, sapendo che il line suo in presentarmi non 111 di ricéverne ringratiamento, ma bene di farmi godere di queste sue buono cose. Che sarà fine di queste, pregandole dal Signor Dio compita sanità et contento. In Palma, a 23 Novembre 1606. Desiderosissimo per serv. ,a G. E. Sag. Fuori: All’111" Sig. r ITon. m ° L’ Ecc.‘"° Sig. Galileo Galilei, Matematico di Padova. so 146 . GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze]. Padova, 8 dicembri' 1606. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. IV, etu. l'J-'JO. — Autografa. Mad. ma Ser." ,u Il male, che mi cominciò la notte avanti la partita di Pratolino • et che mi ritenne poi otto giorni a presso indisposto in Firenze, dopo havermi concedute tante forze che mi potessi condurre a Padova, due giorni dopo il mio arrivo qua, rompendo ogni tregua, mi assalì et fermò in letto con una terzana, la quale, poco dopo convertitasi 8 DICEMBRI-: I(>06. 165 |M giorni in qua non sia così severamente oppresso. In tanto ho con mio grandissimo dispiacerò sentita la morte dell’Ecc. m0 S. Mer¬ io curiale, che sia in Ciclo, et apresso quella di altri medici principali in Pisa; perilchè, stimando io che siano per provveder la Corte et lo Studio di suggetti simili a i mancati, mosso da un purissimo affetto di servir sempre PAltezze Vostre Ser. mo , ho voluto, benché malissimo atto a potere scrivere, conferire con l’A. V. un mio pensiero, del quale farà quel capitalo che il suo perfettissimo giudizio gli detterà. Qua, come benissimo sa l’A. V. S., si trova il S. Aqquapendente, (l> il quale è molto mio confidente et amico di molti anni. Egli vive estrema,mente affezionato servitore di loro A. Ser. me , sì per le singo¬ lari carezze che da loro ricevette quando fu costà, sì per i presenti 20 et donativi veramente regii che ne portò in qua; è in oltre somma¬ mente innamorato della città et del paese a torno di Firenze, né si vede mai sazio di celebrare ciò che costà vedde et gustò. All’incontro, havendo qua acquistato quanto poteva sperare di l’acuità et reputa¬ zione, et trovandosi per l’età male atto a tollerare le fatiche conti¬ nuo die, per giovare a tanti suoi amici et padroni, gli conviene ogni giorno pigliare, et per ciò essendo molto desideroso di un poco di quiete, sì per mantenimento della sua vita come per condurre a line alcune sue opere, nè gli mancando altro, per adempire la sua vir¬ tuosa ambizione, che di pervenire a quei titoli et gradi a i quali altri •io della sua professione è arrivato, li quali non gli possono se non da qualche gran Principe assoluto esser donati; per tanto io stimo che egli molto volentieri servirebbe l’A. V. S. me Aggiugnesi, che ritrovan¬ dosi egli una grossissima facilità, et non havendo altri che una figliuola di un suo nipote, fanciulletta di 10 anni in circa w et che doverà esser dotata di meglio che 50'" ducati, non è dubio alcuno che esso vede che quei costumi et virtù die a donna ben allevata si convengono, molto meglio in cotesti monasterii nobilissimi, che qua in casa sua, potrebbe ella apprendere, et essere poi, al tempo del suo maritaggio, favorito dal sapientissimo consiglio di V. A. S. : per le quali tutte cose io io conietturo qua disposizione di cambiare stato. La qual cosa ho voluto io di proprio moto, et senza conferirne una minima parola nè (•) Giroi.amo Fabricio i>'Acquai-endentf.. (-) Semidea Pabriei. 1C.6 8 DICEMBRE 1606 — 8 GENNAIO 1607. [ 146-1481 ad esso S. Aqquapendente nò ad altra persona vivente, conmmnicare a V. A. S. ; il che la supplico a ricevere in buon grado, et come ef¬ fetto nato da uno svisceratissimo desiderio di servirla. Ne farà dun¬ que l’A. V. quel capitale che alla sua prudenzia parerà; et quando anco gli paresse che fusse cosa da non ci applicar l’animo, al meno è certa che con altri che con i miei pensieri non ne è stato regio- nato. Degnisi dunque l’A. V. ricevere in buon grado la purità del mio affetto, et mi scusi della presente così male scritta, poi che, per la gravezza del male, volendola scrivere di propria mano, mi è bisognato metterci 4 giorni. Restami il supplicarla a baciar con ogni humilfà la vesta in mio nome al Ser. m0 G. D. et al S. mo S. Principe: et all’Altezza Vostra con ogni humiltà inchinandomi, prego dal S. Dio somma felicità. Di Padova, li 8 di Xmbre 1606. Di V. A. S. Hum. ,no et Oblig. ,n " Servo et Vass. 1 '' Galileo Galilei. Fuori: Alla Ser. ma G. Duchessa di Toscana, Sig. a et Pad. uu Col. ma 147 . IOANNFS ANTONI TJS PETllAROLUS a RAI/PASSA UH CAPRA. Ex Flamine , 1° gennaio 16U7. Cfr. Voi. li, pag. 48:5. 148 *. ALESSANDRO DEL MONTE a GALILEO in Padova. PeBaro, 8 gennaio 1607. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 167. — Autografi». Molto 111.'® Sig. r mio Oss." 10 Essendo che V.S. sia stato sempre di tanto affetto verso la persona del S. r Guid’ Ubaldo mio padre, non posso restare, ancorché con infinito mio dolore, avvisarla di quanto s’ è compiacciuta la Maestà di Dio risolvere di lui. Imperò sappia V.S. che egli per doi mesi passati ha sostenuto una infirmiti! nel letto [14-8-1491 8 —25 GENNAIO 1607. 1G7 tanto grave, clic lilialmente hieri l’altro, giorno dell’Epipliania, alle 20 liore et un quarto, se n’è passato da questa all’altra vita migliore, così havendo disposto la Divina Volontà. Pertanto, poiché in quella debbiamo quietarci, havendo lei perduto chi amava tanto V. S., si compiaccia compatire al dolore del caso ane¬ lo cesso e ricevere me con gl’ altri miei fratelli, che in suo loco siamo succeduti, per suoi servitori d’affetti, se non d’effetti, che pareggino e i meriti di V. S. e lo amore con che l’osservava il sud. 0 Sig. 1- nostro padre, che Dio se l’habbia seco in Cielo. E con tale affetto me le offero a suoi commandi, con baciarli le mani. Di Pesaro, il dì 8 di (ien.° 1607. Di V. S. molto 111.™ AfT. m0 Se. rtì Alessandro dal Monte. Fuori : Al molto 111.™ Sig. r mio Osa." 10 [11J Sig. 1 ' Galileo Galilei. Padoa. 149 *. CURZIO PICCIIENA a GALILEO in Padova. Pisa, 25 gennaio 1607. Bibl. Naz. Fir. Mas. Qui., P. I, T. VI, car. 135. — Autografa la sottoscrizione. IU. re Sig. r mio Oss. mo Madama Ser. ma vorrebbe, che V. S. con la sua solita destrezza procurasse d’haver minuta informazione del Dottor Gio. Tommaso Menadori, 10 medico ve¬ neziano, benché s’intenda che la patria sua debbe essere Rovigo; et se egli non sta costì in Padova, almeno vi debbo liaver praticato altre volte, in modo che a V. S. sarà facile di potersene informare. In somma l’A. S. vorrebbe sapere il me¬ rito, l’esperienza et la sufficienza sua, et se nel medicare egli babbia fatto prove segnalate et che gli habbino dato nome straordinario; et si promette che V. S. gliene darà relazione sicurissima et fedelissima. Et io, ricordandole il mio desi¬ lo derio di servirla, le bacio con ogn’ affetto la mano. Da Pisa, alli 25 di Gennaio 1606 Di V. S. lll. r6 Aff>° Sery. re S. r Galilei. Curzio Piccbena. Fuori : All’ 111. 1 '® Sig. r mio Oss. n, ° Il Sig. r Galileo Galilei, Lettore Matematico in Padova. Lett. 149. 5. praticato — Ol Gio. Tommaso Mknadoi. •*i Hi stile fiorentino. 163 9 FEBBRAIO 1607 . UBO] 150 . GALILEO h CURZIO PICCHERÀ in Pi«a. Padova, i> febbraio lOui 1 . BIbl. Nnz. Fir. Nn. (Ini., P. I, T. IV, rar. al. — Autografa. ili / 0 Sig. re et Pad."*' Osser.""' L’Ecc. ,no S. Minadoi da Rovigo è da me benissimo conosciuto; anzi in questa mia, lunga malattia mi ha visitato insieme con V Kcc. IUu S. Aqquapendente, stimandolo io tra i migliori medici che oggi siano in questa città. Egli fu nella sua gioventù medico del Ser. mo di Man¬ tova, padre del presente Duca: dopo, fu due volte in Soria et dimorò in Aleppo, medico della nazione: venne poi a Venezia, et 7 anni sono fu condotto a leggere in questo Studio, dove lia mantenuto et man¬ tiene il luogo suo honoratissimamente, con frequenza di scolari et sa- tisfazione di quelli che si prevagliono dell’opera sua. È liuomo di io anui 50 in circa, di aspetto grato, gioviale, et di maniere et costumi piacevoli et honesti, et al parer mio da dar satisfazione non meno nelle corti che nelle catedre. E di presente fuori di condotta, et procura salire di grado et di stipendio: incontra qualche difficoltà, sì per le condizioni de i tempi, sì per il contrasto de i concorrenti, che do¬ mandano il medesimo luogo. Esperienze segnalate particolari non potrei nominare a V. S., le quali, sì come avvengono rare, così vi ha gran parte la fortuna, che le presenti più a questo che a quello; ma il buon credito che ha qua, non è nato se non dal valor suo, mostrato nelle cure, ne i collegii et nella lettura. Et questo è quanto 20 posso dire a V. S., la quale mi scuserà se bavera tardato ad haver la risposta, perchè le lettere da alcuni mesi in qua vengono a Padova tanto più tardi dell’ ordinario, che non si può rispondere se non 8 giorni dopo il consueto. Sì che potrà V. S. scusarmi con Ma¬ dama Ser. raa , et con occasione baciarli humilissimamento la vesto in mio nome, ricordandomeli devotissimo servo; et l’istesso la supplico a far apresso il Ser. mo Principe, baciando di più con ogni reverenza le mani a tutti quei Signori di Corte che lei sa che mi amano. Et 1150-1521 !) FEBBRAIO —lo APRILE 1(507. 169 a V. 8., offerendomi servitore obligatissimo, bacio le mani et, prego .so da Dio felicità. Di Pad. a , li 9 di Febraio 1607. Di Y. S. IH.» SerOblig.™ Galileo Galilei. Fuori: All’111. ro Sig.™ et Pad.™ Osser." 10 11 S. Curzio Picchena. Pisa, in Corto. 151 . BAI.PASSARE CAPRA a GIOACCHINO ERNESTO DI BRANDEBURGO. Padova, 7 marzo 1007. Cfr. Voi. 11, i>ag. 420. 152 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Padova. La Cava, 1" aprilo 1007. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gftl., P. VI, T. VII, car. 80. — Autografa. Eccoli. ,n0 Sig. r mio, Por le correnti turbolentie son stato necessitato a mancar del debito mio, con non clar conto a V. S. del stato mio : bora, con P occasione del nostro Ca¬ pitolo Generale, prima li faccio profonda riverenza, dandoli aviso che il stato mio è assai megliore di quello a che io sto di continuo preparato; poi vivo al servitio di questo mio prelato (,) , che non manca honorarmi; leggo una lettione d* Euclide, del quale io già ho visto il 7°, 8°, 9° et sin alla quarantesima del x°, et di lì, suffocato dalla moltitudine (per confessar il peccato mio) de’ vocaboli, pro¬ fondità delle cose e difhcultà di demonstrationi, mi son trasferito al*XI, Xil e Xlll, io de’ quali ho visto tutto quello che dalle viste propositioni dependeva. Dopoi ho datto Passalto a Tolomeo, ma son restato intricato al primo corrodano del ca¬ pitolo duodecimo: se V. S. mi vole favorire con darmi qualche lume, intilzarò Ot D. Lohf.nzo Pacifico di Aversa. 22 X. 170 1° APRILE 1607. [ 152 ] quest’oblipo con pii altri. Ho (latto di piglio alli Elementi Sferici di Theo|dosioJ, et insieme ho cavati gli piedi dalle sette prime propositioni di Archimede De its que vehuntur in aqua: all’ottava, starò aspettando in luce il trattato suo De centro (jravitatis solidorum, il quale alla detta materia mi pare necessario. Gli miei discepoli adorano le rare virtù, et a’ nostri secoli uniche, di V. S., delle quali spesso ne faccio quella che io posso mentione. Mi è poi occorso, a’ giorni passati, sfogar un pensier mio circa la ragione d’Àristotile addotta per confirmar l’eternità del moto, la quale conclude esser 20 stato il moto avanti il primo moto del’aversario; e perchè a questo m’indusse la detinitione del moto (lattami da V. S., cioè che il moto non sia altro che una rautatione di una cosa in relatione a un’ altra, ho fatto disegno, come si sia, mandarne copia a V. S., acciò, se ci è bisogno di anullatione 0 di correttione, si degni compiacermene. Supposto donque da Aristotile che a principiar il moto è necessario che pro¬ ceda la essistentia del movente e mobile, segue dicendo : 0 che questi sono fatti, 0 eterni: se eterni, perchè non si faceva il moto? se fatti, adonque per moto: talché era il moto avanti il moto. Che questa sia una consequenza stroppiata, io lo provo, proposti prima e confirmati doi lemmi, verissimi non solo da sè, ma 80 nella dottrina istessa d’Aristotile. 11 primo è, che se il tutto si facesse, saria impossibi[leJ farsi con moto. La ragione è, perchè ricercandosi, per la detinitione del moto, qualche cosa a rispetto della quale si faccia la mutatione, et essendo da noi proposta la produttion del tutto, niente si ritrova: adonque noi» si fa con moto, che era il proposito nostro. Il secondo è, che non sarebbe un assurdo quello che per tale si va predicando da’ Peripatetici, che so il tutto si facesse, si larebbe di niente, poiché non solo non è inconveniente, ma saria necessario che, facendosi il tutto, di niente si facesse: talché potiamo dire che l’axioma Ex nihilo nihil va inteso e limitato a torza (se però bave spetie di verità) alle prodottioni particolari, non a quella del tutto (se si tacesse). Mora, come può inferire que- 40 st’huomo da bene: Se sono fatti, adonque per moto? se nè lui nè altri, che habbiano solo un puoco di lume di intelligenza di parole, ponilo dire che la pro- dottione universale si faccia (se si fa) con moto? Non vede egli che, mentre mi dona, non concede, questo passo si facta, che imediate da sè stesso si tronca la strada, come nel primo lemma, di poter dire : ergo per rnoturn ? lo non dico nè che sia fatto nè che non sia tatto, ma che il progresso suo non mi fa guadagnar niente. Dalla dottrina poi di V.S., che a principiar il moto è ben necessario il movente, ma a continuarlo basta il non haver contrasto, mi vien da ridere quando essaltano questa dottrina come quella che mi faccia venir nella cognitione del- 1 essistentia di Dio; conciosiachè se tusse vero che il moto fosse eterno, io potrei 50 doientar ateista e dire che di Dio non havemo bisogno, bestemia scelerata. Lett. 152. 47. la luogo di principiar prinm aveva scritto far. — 1° — 9 APRILE 1607. 171 [152-1541 Horsfl : la carta mi manca; se V. S. si degnerà scrivermi, potrà indrizzare le let¬ tere in Roma a D. llerinagora da Padoa in Monte Cavallo, che Rilaverò sicure. Con che me li dono tutto di cuore. Dalla Cava, il primo di Aprile 607. Di V. S. E. nm Aff. m0 Ser. r0 e Discepolo D. Benedetto di Brescia. Alli 4 di questo aspettiamo qua Mona.*' It. mo il P. Mordano, con il quale havrò occasione, di conversar al spasso. f>o Fuori: AH* Eccell. m0 mio Sig. r Oss. 1 " 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Padoa. 153. GIACOMO ALVISE CORNARO ad AURELIO CAPRA [in Padova]. Padova, 4 aprile 1607. Cfr. Voi. Il, pag. 587. 154. GALILEO ni RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA [in Venezia]. | Venezia, ‘.1 aprile 1607J. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. II, T. VII, car 25. — Minuta autografa. A car. 26f. si legge, di mano di Galileo . Memoriale alli Ul. mi S.‘ Riformatori, quanto alia data, cfr. voi. n, i>ag. 588. 111.™* et Ecc. mi Sig. ri Riformatori, Io Galileo Galilei fiorentino, Lettor publico delle. Matematiche nello Studio di Padova, espongo alle SS. V. 111.” 6 et Ecc. mo , come, sono già dieci anni, havendo, dopo lunghi et assidui studii, ridotto a qualche perfezione un mio strumento matematico, di mia pura imaginazione escogitato, inventato et perfezionato, le utilità del quale et in numero et in qualità essendo grandi in tutte le parti delle matematiche, tanto contemplative, quanto civili, militari etmecaniche, stimai sin dal detto tempo potere a molti giovare col conferire con loro et li strumenti io et il modo dell’ usargli, dandone apresso in scrittura chiara et piena 172 9 APRILE 1007. [154] istruzione a molti Principi et Signori et altre genti di diverse na¬ zioni, sì che ne sono sino a questo giorno per ogni parte di Europa sparsi, et in particolare se ne trovano in non piccol numero in questa città di Venezia, in mano di diversi gentil’ Inumimi. Et perchè non mi compiacevo tanto delle cose proprie, benché ne vedessi un comune applauso, che io non stimassi poterle anco, col progresso del tempo et con più diuturni studii, accrescere et migliorare, restavo di far detto strumento et vulgatissimo et comunissimo con le publiche stampe; ma sendoini un anno fa pervenuto qualche sentore che altri si sa¬ rebbe appropriata la mia invenzione, quando non vi havessi fatto 20 provvedimento, mi risolvei fare stampare in Padova alcune copie delle operazioni di detto mio strumento, sotto questo titolo : Le Operazioni del Compasso Geometrico et Militare di Calile/) Galilei (l et c., per tagliare la strada a quelli che volessero attribuirsi le fatiche mie. Ma tale provvedimento non mi è bastato ; poiché nuovamente Baldessar Capra milanese, trasportando dalla toscana nella latina lingua il libro mio, et alcune poche cose tralasciandone, et alcune pochissime et frivolissime o false aggiugnendovene, lo stampa nella medesima città ', et con parole ingiuriosissime asserisce, essere io stato impudente usurpatore di questa opera : la quale esso Capra procura di persuadere esser so parto delle sue fatiche, et sè esserne vero et legittimo effettore, et pertanto dovere io con gran vergogna arrossirmi, nè mai più ardire di comparire nel cospetto delli huomini di honore et di lettere. Onde, essendo io Galileo Galilei sopradetto, vero, legittimo et solo inven¬ tore, sì che altri non ve ne ha parte alcuna, dello strumento et di tutte le sue operazioni già da me publicate, come io pienamente potrò fare alle SS. V. l. me et Ecc.® constare, et però sendone io tanto fal¬ samente quanto temerariamente et impudentemente dichiarato usur¬ patore dal sopra detto Capra, anzi essendo egli che con la medesima te¬ merità cerca di usurparsi l’opera et 1’ honore mio ; ricorro alle SS. V. I. to et E., acciò che, conosciuta che sia da loro questa verità, provegghino con la loro autorità alla redintegrazione dell’ honor mio, prendendo di questo usurpatore et calunniatore quel castigo che alla somma lor prudenza parrà esser condegno delle opere di quello. Le». 154. 13. usitpittore — «" Vedi Voi. 11, png. iter». <*> Vedi Voi. Il, pnjr. 427. 1156-156J 13 - 21 aprili-: 1007. 173 155 *. CIPRIANO S ARACI NELLI a GALILEO in Padova. Pisa, 13 aprile 1007. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, li.* IìXXXVIU, n." 108. — Autografa la firma. Molto Mag. co et molto Ecc. t0 S. r mio Oss." 10 Il Cavalier Montalbano 0 non è arrivato per ancora alla Corte; ma di Fiorenza ni’ ha mandato la lettera di V. S., piena della sua solita cortesia et gentilezza, et tanto piena, ch’io resto confuso et non so quasi che mi rispondere; poiché non era di bisogno nè conveniva eli’ ella complisse et con me et con il Cavalier Ferdi¬ nando, mio nipote, tanto accuratamente, scusandosi di non ci haver visitato giù. molto tempo fa con lettore. Ma concedasi questo all’infinita Immanità di V. S., con la quale quanto io son più scarso di parole, tanto più sarò pronto in corri¬ sponder con gli effetti, se da lei me ne sarà data mai occasione, come desidero, io Mi rallegro ch’ella sia liberata della malatia, dalla qual dice esser stata tra¬ vagliata lungamente; et sì come spero che debbia recuperare intieramente le forze, così prego il Signor Dio che glie ne dia grazia et glie ne conservi. Il Sig. Principe tiene amorevol memoria di lei; et io ardisco di promettere clip, sempre che occorra, S. A. le mostrarsi la buona volontà che le porta. Il Sig. Silvio Piccolhomini le bacia le inani, come facciamo il Cav. Ferdinando, mio nipote, et io. Di Pisa, il Venerdì Santo del 1607. Di V. S. molto Mag. cn et molto Kec. t6 Aff."‘° Ser. ro S. r Galileo. Cipriano Sarac. 110 Fuori : Al molto Mug. co et molto Ecc.*' 3 S. r mio Oss. mo -0 il S. r Galileo Galilei, Professore di Matt", in Padova. 156 *. GIACOMO ALVISE OORNARO a GALILEO [in Venezia]. Padova, 21 aprile 1007. Blbl. Naz. Fir. Mas. Uni., P. VI, T. VII. car. 82. — Autografe le Un. 20 -27. Molto 111.™ et Ecc. m0 sempre mio Hon. ,no Dalle lettere di V. S. Ecc."“ l , eli’ io ricevei Rieri, et da queste d’ Foggi, ho inteso come passa la faconda col Capra, rallegrandomi che li S. ri Reformatori Lett. 155. -I. fatilo fxna eh' io — Nicooi-ò Montamun. 174 21 — 24 APRILE 1607. [ 156 - 157 ] veglino darlo campo di giustificare le sue giustissimo ragioni nel modo ch’ella mi scrive, che sarà certo il migliore di tutti gli altri per reprimere l’arroganza del detrattore «Iella fama di V. S. et convincerlo di maligna ignoranza, come mi rendo sicuro; dolendomi di non poter esser presonte a prova elio mi saria gra¬ tissima di vedere. Ho fatto intender a diversi quanto ella mi scrive; et il S. r Cavaliere* 0 non mancarà di adoperarsi col$S. r Nonstiz**' et con altri. Al S. r Consalvo ho latto 10 parte di ciò eli’ ella desidera, il (piale venirà a trovarmi ; et daremo buonissimo ordine. Ma io ino’ dubito che pochi di questo Studio siano per venire costà: onde direi, che saria bene di procurare un altro simile congresso qua in Padova, con V intervenimento de’ Sig. ri Rettori della Città. Rieri parlai con il Pilan, il quale in’ ha detto d’haver comperato il libro del Capra, et vedutolo diligentemente, trova eh’ esso ha rubato da V. S., dal Magini, et da quel tale Tedesco, o Fia- mingo< 3 ), et che non vi è cosa di suo: onde non si può dir a bastanza della sfacciataggine di quel giovane prosontuosissimo. Non mancarò di fare, et far fare ad altri, di quelli ufficii che Y. S. m’ ha scritto ; la quale vorrei eli’invitasse Gi¬ rolamo a trovarsi presente al cimento, perchè potria condurvi anco altri di 20 buon giudicio. Et io glie ne scrivo. Che sarà per fine, pregando a V. S. Ecc. mft ogni più compito contento, conforme al molto merito suo, et di favorirmi di baciar la mano affettuosamente alli Sig. ri Riformatori miei Sig. ri , a’quali non ho scritto, nè scrivo, parendomi che non vi sia bisogno alcuno. Di Pad. 11 , li 21 d’ Aprile 1607. Per servire a V. S. Ecc. ran Sempre pronti ss. 0 et obl. mo G. A. C. 157 * GIACOMO ALVISE CORNARO a GALILEO in Venezia. Padova, 24 aprile 1(507. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., F. VI, T. VII. car. 83. — Autografa. Molto Ill. lru et Ecc. mo S. r sempre mio Hon mo L’ avertimento di Girolamo * 5 > sopra il libretto stampato dal Capra De lo¬ gica f°)non è stato inconsideratamente dato a V. S., perchè potrebbe essere ch’egli havesse posto, sotto suo nome, della materia de quei libri manuscritti dello Sco- cese, eh’ io diedi ad esso Capra, che ancora non me li ha restituiti, nò posso (i) Forso il Cavalier Powpko de’ Conti ua Pax- (i> Cftr. n.° 156, li». 19-20. xiciii. Cfr. \o\. II, pag\ 546. (C) lMun-tationet dune Bai.tiif.sarib Capra e. Una (*) Giovanni Niccolo N'ostiz. c/e logica et eiue partibu», altera de eixthymeniate. Fata¬ ta) Giovanni Zuomebskr. vii, ex officina Potri Pauli Tozzii, 1606. (•*) Forse Girolamo Spinelli. 24 25 APRILE 1607. 175 [157-1581 cavargeli bora di mano, essendo egli a Venetia: ma mi raccordo che ne diodi uno a Girolamo, scritto di mano del Capra, da cui si potrà cavare qualche lume di ciò che si cerca, lo so di haverne uno di quei stampati dal Capra, et ho fatto diligenza di trovarlo, per vedere come dice et se si assilliiglia ad alcuno di quelli io eh’ io li diedi ; nè ho potuto oggi ritrovarlo. Per certo questo gallante giovane ha trovato una bella via da farsi laminoso con le fatice d’ altri ; ma la famma potria, di buona et ho norata eli’ egli pretendea, cangiarsi in rea et vituperosis¬ sima: nè ho dubio che V. S. Ecc.“* non sia per riversargela malamente, benché con ogni ragione. Si sono fatti in questa città ragionamenti longi, in diversi luo¬ ghi. sopra il negotio che ella ha per mano ; et sono stati alcuni eh’ hanno detto di volere venire costà, et non mancano di quelli che tengono la parte Caprina, essendo abondanza oggi di de caproni et buffali, lo sto aspettando la lieta no¬ vella, et in tanto a lei auguro ogni maggior gloria, piacendomi grandemente che Girolamo sia stato et sia per trovarsi con lei. Non manco di tenere vivo il ne- 20 gotio da Verona come da me, che è anco il vero : al ritorno di V. S. sarà forza dare una volta là. Et con tal line me le raccomando. Di Padova, li 24 Aprile 1607. Di V. S. molto lll. Ua et Ecc. n,a Aff. m0 et Oss.®'’ G. A. C. Fuori : Al molto Ill. lro S. r Ecc. mo 11 S. r Galileo Galilei, sempre mio Hon. m °, a Venetia. Al magazen delli portalettere. 158 * GIACOMO ALVISE CORNARO a GALILEO in Venezia. Padova, 25 aprile 1607. Blbl. Nasi. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 86. - Autografa. Molto Ill. tro et Ecc."’° mio Hon. ,n ° Ho veduto quel tanto che V. S. Ecc. n,a mi ha scritto nelle sue di oggi, et mi piace grandemente che sia seguito 10 ciò che ho sempre presuposto dal valore suo. Che ’l Capra habbi negato si gran verità della mia attestatione l,) , non havrei mai creduto. Hayeva fatto lettere a’ S. ri Rifformatori, querelandomi della sfac¬ ciataggine di costui; ma ho pensato poi di far che Girolamo c3) ne tratti lui, et li scrivo le rinchiuse, raccomandandole a V. S., non tanto per il ricapito, quanto <*> Cfr, Voi. XIX. Doc. XVIII. "I Cfr. Voi. II, pag. 546. <•» Cfr. n» 166. lin. 19-20. 176 2 r> APRILE — 24 GIUGNO 1607. [ 168-1591 perch’ella discorri con esso intorno questo fatto. Tare a me che si doveria scacciare di questa città il caprone et il capretto, perchè sono tutta dui colpevoli; et so li S. ri Rifformatori non faranno tal provisione, io procurarli di ottenerla di qua. Ma sarà io necessario elio parli prima con V. 8. Ece." ,a ) cui ini raccomando et prego contento. Di Padova, li 25 Aprile 1607. Per servire a V. S. E.’" a Sempre Obl. ,no G. A. C. Fuori: Al molto Ill. lra et Ecc. in0 S. ro sempre mio Ilon. 100 Il S. r Galileo Galilei, a Venetia. Al magazen delli porta lettere. 159 * LODOVICO DELLE COLOMBE a GALILEO ni Padova. Firenze, 24 giugno 1007. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gai., P. I, T. VI, car. 129. Autografa. Ill. ro et Ecc. te Sig. r È vero che ne’primi giorni, che uscì fuora l’invettiva fatta dal Mauri 0 contro il mio Discorso lt \ io sospettai, per certo roraore e conghictture che poi riuscirmi vane, che V. S. havesse parte in quella con e.sso lui; ma l’Eccellente Sig. r Gio. Bat. a Amadori, per sua grazia, mi accertò, dal detto di V. S. non esser così in modo veruno : di che io rimasi appagato molto, sapendo lui non esser men veritiero, che amico a V. S. e a me. Dora, perchè egli m’ha fatto veder una lettera, dove ella mostra esserle venuto avviso che ho risposto e fatto nienzion di lei come d’uno degli avversari, perciò le scrivo questi quattro versi, dicendole che per ninna maniera creda questo di me, sì come io feci di lei alla testimo- io nianza del $ig. r Amadori, stimando che ella, come gentile, dotta e prudente, non potesse haver posto le mani in simil pasta: ma, essendo occorso che io risponda 15 ’ a certe poche dubitazioni che pareano al Mauri far contro di me, già stampate da Cecco di Ronchitti contro il Sig. 1, Lorenzini delle quali è stata creduta da 11 ' Contili evalioni di Ammbkrto Ma ori soj-ri i alcuni lunghi del Diacono di Lodovico delle Colombe intorno alla niella apparita nel 1604. In Firenze, ap¬ presso Gio. Antonio Uaneo, 1606. 1*1 Diacono di Lodovico dku.k Coi.ombk, nel gitale ai dimoiteli che la Nuova Stella apparita V ot¬ tobre pannato 1604 nel Sagittario non è cometa nè atella generata o creata di nuovo, nè apparente, ma una di quelle, che furono da principio nel cielo; e ciò esser conforme alla vera filosofa, teologia e astronu- miche demoni razioni. Con alquanto di esagerazione con¬ tro a‘giudiziari aetrologi. In Fi ronzo, nella stamperia Giunti, IfiOR. ,S| Ili Spot te piacevoli e curione di Lo no Vico dali.R Coi.ombk alle Considerazioni di certa maschera saccente nominata Mimi» i to Mauri fatte sopra alcuni luoghi del Discorso del medesimo Ludovico in (orno alla niella ap/iarita l'anno 1604, eco. In Fiorenza, per Gio. Antonio Canuo « Kairncllo Grossi, 1608. i*' Vedi Voi. II, pag. 270-278. 24 GIUGNO — 24 AGOSTO 1607. 177 [159-160] alcuni il vero autore, perciò, havondo reputato lo mie risposte esser rivolte ancora a lei, le no hanno dato sentore. Assicurisi adunque di me, sì come gli stessi av¬ versari, che io non ho passato i termini dell’ huomo da bene, quantunque, secondo l’occasion datami, habbiu ribattuto le morsicature, perchò 1’ ho tatto con piacevo¬ lezze e motti o facezie, senza animosità veruna. Anzi ne ringrazio gli avversari, che 20 nel medesimo tempo mi hanno sollecitato negli studi e aperta la strada a offerir¬ mele per servi] r]la, come che altro essi no sperassero. Io me le profferisco con ogni affetto, aspettando occasion da lei di mostrarlo con l’effetto, e le bacio la mano. A Ili 24 di Giugno 1607, di Fiorenza. A V. S. Ill. re et Ecc. tó S. r » Lodovico delle Colombe. Fuori: All’111. ro et Eoe.*" Sig. r Galileo Galilei, Pad.** ()ss."'° Padova. 160*. GALILEO a COSIMO DE’MEDICI [in Firenze]. Padova, 81 agosto 1 H07. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. VI, T. V, car. 7. — Autografa. Ser. m0 Principe et mio Sig. ro Col. mo Io non solo con la presenza, ma tardissimo ancora con queste po¬ che righe, comparisco-avanti l’A. V. S. raa et di questa mia tardità et la causa et la scusa le mando noli’ alligato libro ll> , scritto in mia di¬ fesa et giustilicazione contro alle calunnie di un temerario, il quale con fraudo arditissima si era voluto publicare per inventore del mio Compasso Geometrico, chiamandone di più me usurpatore ; la qual cosa essendo troppo progiudiciale all’honor mio, mi ha ritenuto qua per convincerlo di falsità avanti gl’ 111." 1 ' Sig. n Riformatori, et fargli io supprimere il suo libro nel modo che l’A. V. S. potrà, da questo mio et dalla sentenza de i medesimi SS. Riformatori lJ , comprendere. Ma perchè il libro di quello non si è potuto così presto supprimere, che egli già non ne liavesse mandati molti in torno, et in particolare in mano di quei Signori i quali ei sapeva haver da me il mio libro et Volli Voi. li, pag. 615. Cfr - Voi. XIX, Hoc. XVili, b 2). X. 23 178 24 AGOSTO 1607. [160-161] strumento ricevuto, onde io potevo dubitare elio anco in Firenze, et forse all’orecchie dell’A. V., no fosse arrivato sentore; io, che più die la morte devo fuggire ogni macchia che innanzi al candore della Serenità Vostra potesse denigrar l’honor mio, ho per miglior consi¬ glio eletto il purgarmi et sincerarmi apresso il mondo et FA. V., re¬ stando in assenza et in silenzio, elio il comparirgli avanti, timido et 20 dubbioso di qual concetto fusse hauto di me. Et parendomi anco di scorgere un non so che di progiudiciale alla grandezza del suo nome, (piando io mi fussi di quello, col dedicargli il mio strumento, fatto scudo por un’ opera usurpata, ho voluto antepor questa mia giusti¬ ficazione a quel piccolo servizio che l'A.V. haveria da me potuto ri¬ cevere ; piccolo, dico, quanto alla utilità sua, benché grandissimo quanto alla mia honorevolezza. Supplico l’A. V. S. ad impiegar un’bora nella lettura di questa mia difesa, la quale non dubito che in’ impetrerà perdono se ho pre¬ termesso di venire a quella servitù nella quale mi bavera sempre ad no ogni suo minimo cenno paratissimo. Et qui con ogni humiltà inchi- nandomegli, gli bacio la vesta, corno anco adii Ser. mi suoi Padre et Madre, a i quali tutti dal S. Dio prego somma felicità. Di Padova, li 24 di Agosto 1607. Di V. A. S. Ilum. mo et I)ev. mo Servo et Vassallo Galileo Galilei. 161 *. GALILEO a [GIROLAMO QUARATESI in Firenze]. Padova. 24 agosto 1(507. Ignoriamo dove ora sia l'innografo della lotterà, della qnnlo il premonto brano fu dato in facsimile nella hmgraphie de» homme» cél?.l>re», ou eaUcelion ile fae-timile, de lettre» anlographe» ri de »ignature». Tomo II. Paris, Alexandre Mosnier, librairo, 1828-1830, car. 87r.fi. .tra comodità qual ella più desiderasse: però V. S. comandi, che me haverà prontissimo o a dargli o a procurargli honorato et comodo ricetto. Questo solo non resterò di dire a V.S., che in casa altri lettori, o haverà moltitudine in compagnia, o vero spesa straordinaria; ma in Intorno a questa lettera efr. Miicellanea C, n . (Estr.dnl Voi. XXII dello M morir del li. Istituto Veneto) lileinna Inedita, Studi e ricerche di Antonio Favaro. Venezia, tip. di Giuseppe Antonclli, 1S87, png. 18-23. I161-1G2] 24 AGOSTO — Il SETTEMBRE 1607. 170 casa mia non havorà altra compagnia che 1* 111." 10 S. C. Alesa.™ Mon- talbano, il quale ha un fratello costà cavaliere et paggio di S. A. (1> , il quale, essendo stato altri 4 anni in casa mia, continuerà sino che finisca i suoi studii, ciò è quest’anno et il seguente: et circa il resto sarà il tutto rimesso all’ arbitrio di V. S., dalla quale starò aspettando io ordine per servirla conforme a quello. Et in tanto a lei et al S. Fran. 00 , suo figliuolo, con ogni affetto bacio le mani, et prego da N. S. felicità. Di Pail. R , li 24 d’Agosto 1607. Di V. S. molto 1. Ser. r Oblig. mo Galileo Galilei. 102 . COSIMO DE’MUDICI a GALILEO in Padova. Firenze, 11 tscttumbre 1007. Bibl. Naz. Fir Mss. Cai., 1*. 1, T. XIV, car. 17. — Autografa la sottoscrizione. Molto Mag.™ et Ecc. l ° mio Dilettiss. 0 A gl’orecchi miei non era pervenuta altra notiti» delle calunnie date a V. S. da quel galanthuomo circa P inventione del suo Compasso Geometrico, si non che, dimandando io di lei quest’estate, mi fu detto (seben mi ricordo) ch’ella era stata, non so che tempo, poco ben disposta, et poi occupata in certo negotio che le premeva assai per P lionore, che doveva essere sicuramente questo; onde V. S. non ha bisogno di far meco scusa alcuna. La ringratio poi molto del libro clic mi ha mandato, il quale veramente non ho ancor letto tutto, ma, per quello che ne ho visto, quel suo detrattore o sarà un ostinato temerario, o che paglie- io rebbe buona cosa a esser digiuno di quest’impresa. Mi rallegro con lei che la causa sia terminata, come si vede, con infinita reputatone et laude di V. S.: alla quale offerendomi, lo prego da Dio ogni bene et ogni contento. Di Fior. a , il di Xl di Settembre 1607. Al piacer suo S. r Galileo. Don Cosimo, P. fl di Toscana. Fuori: Al Mag. co mio Dilettiss. 0 11 S. r Galileo Galilei, a Padova. <»> Ofr. n.o 165, li». 2. 11 SETTEMBRI-: lt5l>7. lbU im 163 *- CIPRIANO SARAC1NELLI a GALILEO in Padova. Firenze, Il settembre 1(507. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXV111, n.» 167. — Autografa la (Irma. Molto Mag. 00 et molto Ecc. 10 S. r mio Oss. n, ° La lettera di V. S. de’ 24 del passato mi ò stata resa per lo mani del Landucci, suo cugnato, insieme con un’altra sua per il Ser.° S. r Principe. Le sopradette due lettere son venute accompagnate da duo libretti, clic contengono la Difesa di V. S. contra quello veramente usurpatore del suo instrumento, ovcro Compasso Geometrico. 11 libro ohe ò tocco a me, 1’ ho letto tutto, et per quello che me ne pare, se quell’ardito Capra sapesse saltare all’ indietro, credo elio lo farebbe molto volentieri: basta che V. S. l’ha gastigato come meritava, havendolo con la sua penna frustato e mandatolo, come si dice a Fiorenza, su l’asino. Al Sig. r Principe è stata cara la lettera di V. S., il libretto gl’ è piaciuto et credo io elio lo finirà di leggere: et sappia V. S. che S. A. l’ama et la stima molto, et clic per conservarsi nella gratin sua ha poco bisogno dell’opera mia; tuttavia, per soprabondanza d’affezzione, non mancarò di ricordare le virtù et meriti suoi. V. S. lui cagione di voler bene al Cav. r Ferdinando, mio nipote, non perchè in lui siano quelle qualità che V. S., ingannata, facilmente lo par di conoscerci, ma perchè, conoscendo esso molto bene le virtù singolari clic sono in lei, l’ama anche et osserva singolarmente, et lo bacia le mani. Ilo salutato, come V. S. mi scrivo, il S. r Piovano <‘5, et datogli a leggere il libretto, con patto che lo faccia vedere a qualcun altro, come dehbe haver fatto, non me 1’ havendo per ancora ristituito. 11 Landucci, suo cugnato, ini narrò il travaglio che haveva per conto della 20 gabbella delle doti. La cosa in sò stessa, quanto all’interesse, non pareva che fosso di grande importanza ; ma, o poco o assai che sia, a ciascuno incresce di pagare un debito al quale non pare di esser tenuto. Non seppi far altro, così all’improviso, in servitio suo, clic ricordargli ch’andasse da parto mia a infor¬ mare di questo caso il iS. r Bastian Corboli, Segretario della Consulta, nella quale, si trattano simil materie. Tornò a dirmi che vi era stato, et se ne era partito molto sodisfatto; et parmi clic mi dicesse ancora che se ne doveva parlar nella prima Consulta, et perchè in essa suole intervenire il Ser.° S. r P.°, pregai S. A. clic, sentendone parlare, volesse raccomandare il negotio particolarmente al Dot¬ tor Cavalli, fiscale : ma facilmente la detta Consulta si dovette fare senza la 80 presenza d’ esso S. r Principe, perchè di questo caso S. A. non ne ha sentito par¬ lare; nò io so quello che sia poi seguito, non havendo più visto il S. r Landucci, (i) Scarperin, piovano di Faglia. 11 SETTEMBRE — 8 OTTOBRE 1007. 181 [163-1G4] di ohe anello mi son maravigliato un poco. So mi farà altra instantia o mi ricercarA di qualche cosa, potrà ben mancare il potere, ma la volontà di giovarli non mancarà mai, o per lui stesso e per rispetto di V. 8., alla quale io son som¬ mamente desideroso di servire. Et le bacio le mani. Di Fiorenza, il dì xi di Settembre 1607. Di V. S. molto Mag. ca et molto Ecc. to Aff. mo Sor. 1- '’ Cipriano 8 arac. 11 " •io Fuori: Al molto Mag. co et molto Ecc.*" Sig. mio ()ss. n '° 11 S. r Galileo Galilei, Professore di Mattematiea, in Padova. 164*. SILVIO PICCOLO MI NI a GALILEO in Padova. Firenze, 8 ottobre 1607. BILI. Naz. Fir. Msb. Gal.. I*. I, T. VI, car. 131. — Autografa la sottoscrizione. Ill. ro Sig. r mio Oss. mo Sapendo io quanto V. S. sia mio affotionato amico, mi rendo certo die PliarA sentito e sentirà gusto dell’ felice successo dell’ impresa della fortezza e città di Bona in Barberia, commessami dal Sei\"'° Gran Duca, mio Signore, al quale è stata di tanto contento e sodisfatione, clic ha voluto che se ne mandi la relationo et il disegno alla stampa (l) ; quali mando qui inclusi a V. S., acciò la veda e senta destintamente i particolari, se bene ne sono stati lasciati molti. Desidero e prego V. S. a favorirmi d* avisarmi che provisione dia la Repu- blica al generale dell’ artiglieria, et imparticolare quello che dà al S. r Ferrante io de’ Rossi ; o ciò quanto prima, perdonandomi s’io l’infastidisco. E comandi a me dove son buono : e li bacio le mani. Di Fior», il dì 8 di 8bre 1607. Di V.S. 111.™ Ilo riceuto il libro mandatomi, et mi ò stato gratissimo, ringhiandola infinitamente. Ser. re S. r Galileo Galilei. Silvio P. nl Fuori: All’III.™ Sig. r mio ()ss." ,n Il S. r Galileo Galilei, a Padova. Lott. 164. 7. il particolari — 9. prima aveva scritto dava, fi poi corrosso dà. — in Relazione del viaggio e. della presa della città di Santo Stefano il dì 16 se tieni Ore 1607 sotto it co¬ di Bona in Barberia, fatta per commestione del Se- mando di Silvio I’iocoi.omini, Gran Contostabile ili renimi. Granduca di Toscana in nome, del Serenissimo detta Reliifionn ot aio ilo! medesimo l’riucipo. In t i- Prencipe suo primo,,mito, dalle galere della Religione ronzo, nella stamperia de* Sermartolli, MDCVII. 182 20 — 21 OTTOBRE Ili 1)7. 1105 - 106 ] 165 *. RAFFAELE GUALTEROTT1 a GALILEO in Venezia. Firenze, 20 ottobre 1GU7. Bibl. Ni». Fir. Mks. Gai., P. VI, T. VII, car. 86. — Autografa. Molto IU. ro et Ecc. t0 Sig. r La ringrazio del baratto de’ libri, e la prego clic vegga di darli in consegna ad uno che me li porti qui in dogana, elio io pagarò il porto et ogni spesa l'atta. E poi che V. S. ò in Yinczia, vegga di farmi un favore, che è di veder di trovarmi un ciottolo di lapis lazzeri, o tavole segate, che sicno di lapis cattivo, ciò ò turchino, sbiancato, con macchie bianche, che a me serviria per far cieli e nudi, che per ogni altro lavoro saria disutile, e darmi aviso del costo e del nome del padrone; chò qua poi, per mezzo de’ Riccardi, delli Strozzi o simili, lo farei levare e condurre. Le nuove mi sono state carissime; et in contracambio le mando la nascita di una cometa apparsali dì 27 di 7mbre 1607, circa le 7 boro di notte, nd'Onsa maggiore, rispondente a 18 gradi del Lione : et in tro dì caminò verso mezo giorno tanto, che passò sopra Arturo, e si pose con esso e con la lucida della Corona in un perfetto triangolo ; e di poi in tre settimane ha fatto per il Serpente al¬ trettanto viaggio quanto fece ne’ tre primi giorni. Iersora era vicina ala stella della coscia sinistra di Ofiucco ; e per ire a recider l’eclittica ne’ 15 gradi del Saggittario in circa, rinuova il significato del’altra del 1GU4. Qui prego Dio elio 1’ esalti, e li bacio le mani. Di Firenze, il dì 20 di Ottobre 1607. Di V. S., molto 111.” et Ecc. 10 Servi.™ Afl>° Raffael Guai. Fuori: Al molto 111.™ et Eccelle. 10 Sig. Galileo Galilei, a Venezia. 1GC*. GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO iu Padova. Venezia, 21 ottobri; 1GU7. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 183. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. n, ° S. r mio Oss. ,no Ò compare, compare, s A foossè sto on cò son stò io mi in tanti imbruogi, in tanti fastibii e in tanti datari, A ve sò dire che no ve smaravegiessò s’ A no v’ hò de longovia scritto, c’ hit liò bù na vostra sletra, c’ hà gò mandò quell’altra (*) Quella elio «olla sua ricomparsa ilol 1682 fu osservata dall’ H.u.i.ky o volino battezzata col suo no¬ mo ; ricomparvi! poi noi 1759, noi 1886 •• noi 1910. [166-107] 21 - 24 OTTOBRE 1G07. 183 in Toescaria, la bolla prima colisa c’ lui l'aesse, c’ hà gò intoso eh’ ì fatto ravolò e eli’ i ravi xò stò con ù stroppo, percliò la bruoseraa no gi il ancora ben brustolò, o cetola. Ancuò mò, clic i ruolini è serò o elio ’l se può anare un può A spasso, perchè el preve no vuole che ’l se vaglio A ovora, A ve lazzo savore c’ hà go bù an l’altra sletra, con el pezzo de bosattello, e si A gò an inteso, sai, compare?, io con disse questi!, che ai speso d’i soldi : ma, con disse questa, s’ havì, saiu, com¬ pare?, A vuò mò dire, che s’i tornerì A lombrare, el ve mancherA pi do denove marchitti per tron de tutto quelo c’ hai speso, perchè A no vuogio mandarve groppitti do bozze, saiu, compare? Perzontena le’clic ’l vostro boaruolo teglie la tessera, ò clic ’l gi segno sù qualche salgalo, perchè A farò così an mi de quigi c’ A spenderò in pessatti e in altre noelle, o pò, con se revederemo, A se vali- zeremo, con disse questi!. In stò mezo, caro compare, mandemene ogni steniana un pczzatto cosi do st’andare, con qualche paro de bresolatte, che le me sA bone; e zA c’ hai scomenzò, e me g’ hai usò, A no men porave destuore. E così, con A • ve dogo rivai- de dire, an mi e ’l zuoba do sera A ve fornirò de qualche cosa, sì *20 che seguramen nò caderA eli’ A fè altra spesa livelondcna, percliò fè vostro conto che vA tirerì sù la negossa el vendere, con tanti jiessati che ve bastarà, e mi chiapperò sù el stroppolo, c’ haverà impirò sù da far de bon bruò e de bone menestre; e così, con disse questi!, A farcii con fA gi aseni, A se grattarmi un con 1’ altro, o donde pi ne pizza, compare, zoò in la gola. Or sù, compare caro, olio ’l se staglio in legrisia pi che ’l se pole ; e viva P amore, perchè, s’ A son vecchio, A no son cottecchio, saiu, compare? Sto aspettando nova di quanto l’Eco.'" 0 S. r Cremonino liavrA operato; e l’amico ancora l’aspetta con grand’ansia. E con ciò affettuosissiinamente le bacio le mani. Di Vin. a , il 21° di 8bre 1607. so Di V. S. molto 111.™ et Ecc. n,tt Aff. mo Ser. re Dir.-' 0 Magagnati. Fuori: Al moltMll. 1 '" et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no il S. r Dottor Galileo Galilei. Padoa. 167 **. BENEDETTO CASTELLI a 1). ERMAGORA di Padova in Venezia. La Cava, ‘24 ottobre 1607. fìlbl. Naz. Pir. Mss. Gal. V. VI, T. XIV, car. 21 o 2-2. — Autografa. Molto Von. Padre Oss. n, ° Alli 10 di 8bro corrente ritrovandomi in una loggia, la sera, alla scoperta, aP usanza min, per riguardar le stelle, viddi una luce, o vogliala dire cometa P), nella parto occiden- Lett. 100. 7. prima aveva scritto Alle-**», o poi corresse Annuì. — (') Cfr. u.° 105, liu. 10. 184 24 OTTOBRE — Iti NOVEMBRE 1007. 1167 - 108 ] tuie, dollu grandezza dello Btolle della prima magnitudine, ancorché, per esser alquanto oscurotta, non facesse di gè troppa bolla mostra, con una coda o irrndiatione stesa verso oriento apunto, quale si andava scemando di splendore nell’ estremità sua, in maniera olio non si poteva ben bene rafiguraro la longhezza sua, ina cosi di grosso appariva di setto gradi in circa. Ma perché «ni ritrovai rinchiuso nelle stanze del mio Reverendo ", por esser il loco, dovo io stava, pertinente alla camera sua, non potei por quello sera far altra ossorvatione: o per altra occorrenza, con mio disgusto, ristesso olii 11 mi fu vietato. Alli 12 io ritrovai, corno meglio potei, elio ciotta apparenza si ritrovava apunto nell’equinottialo nel 237 grado, cominciando dalla sectiono del p.° gr.° dell’7 con l'eqninottialo. La sera sequente non fu possibile osservarla. Alli 14 si era poBta tra la stella della 3* ma¬ gnitudine che sta nella man sinistra di Esculapio, e quell’ altra più meridionale informe tra la zampa (lustra del Scorpione o lo coscio d’Esculapio, in maniera elio, essendo loi più occidentale di tutto dun lo dotto stelle, faceva con quelle un isoscele, del quale essendo la base la distanza tra lo duo stello, la perpendiculure dalla cometa alla base era la terza parte di detta base. Alli 15 poi si ora trasferita più meridionale, tanto che con il sito della sera antecedente formava una rombalo: ondo entrai in pensieri elio lei • alli 12 fosse stata non nel 237, ma noi 23(5 e meno, perché questo mi correxpomlova me- 20 glio a fare che il moto suo fusso per circolo massimo. Lo altro sere Bequenti si andava sempre facendo più meridionale, secondo la quantità dello prime, sin che, succedendo mutatimi di tempi, mi fu levata sì piacovol vista; et. bora, che sono alli 21, per essersi giù il Solo appressato ot per esser a questo nostro sito opposto l’impedimento d’un monte, la sera non posso far altra osservazione. Solo sospiro la ampiezza dell* orizonte vostro, ma molto più la vostra conversatione, con la quale volentieri ragionarci di pre¬ senza o di questo e di molte altro coso, che con non poche fatiche vado alla giornata guadagnando. Mi farete favore darmi nova del mio Sig. r caro Galileo, e, se è possibile, conuuunicn- teli questa mia, acciò se S. S. con più ossatta osservarono havesse notata la sudotla ap- .‘IO paranza, me uo dia copia: e scriveteli clic io tengo desiderio di servirlo, conformo u’se¬ gnalati e grandi meriti suoi (1) .... 1 68 . GALILEO a CURZIO P1CCIIEN A in Firenze. Padova, lfi novembri lt'i07. Bibl. Naz. Flr. Questa lettera, «Iella quale l'autografo non giunso instilo a noi, fu pubblicata por la prima volta tra lo Lettere doriche, politiche ,d erudite raccolto «la Antonio IIci.ikon, i-.c. In l’ozzoli, 1685, P»tr* 200-204 ; e no abbiamo copia di mano di Vincenzio Viviani noi Mss. (lai.. P. VI, T. V, cnr. 15 o 10. 1,'edizione del Uumpon non deriva da quosta copia, la qimlo lift lezioni manifestamelito «corrotte; si può bensì sospettare dio sia stata condotta direttamente sopra l'autografo, sobbollo prosenti Lett. 107. 11. meglio poti. — »'» Cfr. ii.® 152, Un. G. <*' Fu infatti comunicata a Galileo elio la trai- tonno o notò sul tergo di ossa, elio corrisponde alla car. 22 : « 1), lleu> » Ili NOVKMttKE 1(107. 185 [1681 un gravo orrnro, elio si può sanare col confronto dell’altra fonte. Riproduciamo la lotterà dalla edi¬ zione suddetta, correggendo (pioli'orrore col riscontro della copin del Viviani o segnando appiè di pngiua, con la sigla », lo lezioni della stampa dallo (piali ci discosti amo. Al molt’ III.® Sig. r e P.ron Col.® Il Sig. r Curzio Picchena, Segretario di S. A. S. Firenze. Molt' DI.® Sig. r e P.ron Col. m ° lo scrissi, sono oggi 15 giorni ' 1 ', a V.S. molt’111. re quello che potevo diro allora in materia del pezzo di calamita ricercato da S. A.S. : che fu, elio primieramente ne liavevo io un pezzetto di circa mezza libbra assai gagliardo, ma di forma non molto elegante, e che questo era al cenno di S. A. S., padrona di questo e di tutto il resto ; le dissi appresso, ri¬ to trovarsene un pezzo in mano d’un gentilhuomo amico mio 121 , di bontà suprema, grande in circa 5 libre, e di bella forma; ma per ritrovarsi quel signore in Cadore, dissi che gli haverei scritto per intender l’animo suo. Scrissi, e ho havuta risposta, e che si priverà della calamita, tutta via che si trovi il prezzo di che è la stima : e già che si ha in mano di poterla bavere, mi è parso di dire alcuni particolari che ho veduto io più volte nella detta calamita, havendola havuta più volte nelle mani. Prima, è tanto vigorosa, che sostiene un fil di ferro lungo un dito, e grosso come una penna da scrivere, al quale sia attaccato lib¬ bre 6 e mezza di qualsivoglia materia; e credo, se io ho bene a me- 2 o moria, che le libbre 6 e mezza fussero pesate alla grossa di queste libbre di qua, che delle fiorentine saranno circa dieci. Attaccandovi un onci¬ netto di ferro, non più grande di mezzo granello di grano, lo sosterrà insieme col peso di tre zecchini, che gli sieno appesi. Ha tanta forza, che appressatagli la punta d’una grande scimitarra, vicina quanto è la grossezza d’una piastra d’argento, sforza ambo le mani di qualunque gagliarda persona, che anco per maggior resistenza s’ appoggiasse il pomo della detta arme al petto, e per forza la rapisce a sè. Io poi vi scopersi un altro effetto mirabile, il quale non ho potuto poi più ri¬ vedere in alcun’ altra calamita ; e questo è, che dalla medesima parte so scaccia e tira il medesimo ferro: lo tira, mentre che gli sarà posto lon¬ tano 4 o 5 dita ; ma se se li accosterà vicino a un dito in circa, lo discaccia : sicché posandolo sopra una tavola e andando alla sua Liett. 108. 1-4. Al 6’iijnor Currio Piceli ma, legrcturio di S. A. S., s — 27. della drilli avutiti al j>cito, s (» Questa Intiera manca. Giovasprahorboo Sagkkdo. Cfr. »° 100. X. 24 186 Hi NOVEMBRE 1607 — 1 GENNAIO 1608. [ 168 - 169 ] volta con la calamita, quello frigge, e seguitandolo con la calamita tuttavia scappa ; ma se si ritira la calamita in dietro, quando se li è slontanata per quattro dita, il terrò comincia a moversi verso lei, e la va seguitando quanto altri la ritira indietro ; ma non se gli vuole accostare a un dito, anzi, come ho detto, andandogli incontro con la calamita il ferro si ritira e frigge. Gli altri effetti poi tutti della calamita si veggono in questa mirabilmente per la sua gran forza. Questo gentilhuomo mi scrive, essergli altra volta stati offerti 200 ao scudi d’oro da un gioielliere tedesco, che la voleva per l’Impera¬ tore ; ma non glie la volse dare altrimenti, stimandola egli assai più. lo non ho potuto nominare a questo gentilhuomo la persona che la domanda, nè anco la nominerò, se non ho altr’ ordine da V. S. ; e per essere detto signore lontano di qua, non ho potuto bavere risposta da esso se non oggi : dalla quale ho cavato solamente, che quanto alla calamita la concederà, benché prenda gran piacere do’ suoi effetti : ma per quel che mi accenna, la stima oltre a 400 scudi. Molto volte gli ho sentito dire che non la darebbe per manco oro di quello che lei sostenesse attaccato ad un ferro, il che saria per più di scudi 400 : r>o ma circa a questo non m’ ha scritto adesso cosa alcuna. Io starò aspet¬ tando ordine da V. S. di quanto vuole che io tratti, oliò non man¬ cherò di ubbidire a’ cenni del nostro Sig. Principe. Al quale intanto umilmente m’inchino, e a V. $. con ogni affetto bacio le mani. Di Padova, li 16 di Novembre 1607. Di V. S. niolt' Illustre Servidore Obligatissimo. Galileo Galilei. 169 . GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze]. Padova, 4 gennaio 1008. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, ciir. 9. — Autografa. Sol margino superiore a sinistra si logge di mano di Belisario Vinta: «Se leva cinque libbre di Firenze quanto ella pesa*: cfr. n. # 170, liti. 7-8. Molto IU. re Sig. re e Pad. ne Col. ,ao Ritrovandomi in obligo di rispondere qualche resoluziono al pa¬ drone della calamita, che è PIll. m0 S. Gianfrancesco Sagredo et havendo ricevuta l’ultima di V. S. molto I., nella quale mi scrive, la mente di S. A. S. esser di non trattare di essa calamita quando quel signore stia 4 — 13 GENNAIO 1608. 187 [169-170] in prezzo così alto, desiderando pure elio S. A. non habbia domandato cosa possibile ad ha versi senza ottenerla, ho scritto a questo signore per veder di persuaderlo ad abbassarsi, et ne ho hauta la risposta che V. S. vedrà (pii alligata 11 : per hi quale, poi che si rimette all’arbitrio mio. io possiamo stimare che la pietra sia nostra. Solamente mi dispiace 1*aver¬ gli io da principio detto di trattare per un signor Pollaeoo, mio sco¬ laro, il quale (per colorir la tardanza delle risposte) si trovi di presente in Firenze ; che quando io potessi mostrarmi con questo signore inte¬ ressato alla metà di quello che sono per servire S. A.S. haverei, con¬ forme alla sua offerta, la calamita ad ogni prezzo, sì come son sicuro che si haverebbe in dono, quando in luogo della mia piccolissima auto¬ rità potessi usar la somma del domandante. Però se parerà a S. A. quello che pare a me, ciò è che dalla risposta del S. Sagredo possia¬ mo, con l’iaterposizion della mia, qual ella si sia, autorità, assicurarci ■20 di liaver la calamita ad ogui honesto prezzo, starò aspettando che V. S. mi comandi : « Proferiscigli tanto », che così esequirò. Ilo voluto mandar la propria risposta a V. S., perchè al manco da quella possa accertarsi et farne poi fede a S. A. S., come io ho procurato di servirla con ogni mio potere. Alla quale intanto inchinandomi, bacio con ogni humiltà la vesta, et a V.S. mi confermo devotissimo servitore. Potrà mandarmi il punto (2) , cbè non mancherò di procurare che V. S. resti servita, per quanto comportano i termini dell’arte. Il Si¬ gnore la feliciti.* l)i Pad. a , li 4 di Gennaio 1608. 30 Di V. S. molto I. Ser. re Oblig ™ Galileo Galilei. 170 *. BELISARIO VINTA a GALILEO in Pn.lova. Dall’Ambrosiana, 13 gennaio 1(508. Blbl. Est. In Moclona. Raccolta Caiupori. Autografi, b.» XC111, u.» 44. — Autografa. iil. r « S. r mio Oss. ,no Ritrovandosi il Sig. Segretario Picchena assente per certa occorrenza del Ser. mo Padrone, io debbo rispondere alla 8. V., per comandamento del suo et mio (*> Questa risposta manca noi ma. forse a quella della figliuola del Piochf.na: efr 1,1 Si accenuu qui ad una qualche natività, c u 201. lbb la GENNAIO — 6 FEBBRAIO UiOtJ. 1.170-1711 Signore, die di quella calamita non ne vorrebbe dare più che dugento scudi; et quando anche bisognasse elio lussino d’oro, questo si acconsentirà, e V. S. può accordargli d’oro: ma a maggior somma non si vuole arrivare ; et anche questo prezzo di dugento scudi si ha da stabilire et dare, sempre che il pezzo di dotta calamita che si compra levi altretanto peso ili ferro quanto pesa egli ; et affer¬ mandosi che la calamita pesi cinque libbre, cinque libbre di ferro bisogna ancora che levi ella: altrimenti, non si ha a pagare nè anche li sedetti dugento scudi, io Ma levando cinque libbre di ferro, la 8. V. arrivi fin a dugento scudi d’oro, quando la non possa far meno; et più non se ne ha ila dare, hit a V.8. bacio di buon cuore le mani. Dall’Àmbrogiana, a IH ili (lennaio ll>07 l,) . Di V. S. molto IH.”» Tutto AH>" per servirla S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. Fuori : All’ IH.™ big. mio Oss. ,no 11 big. 1 ' Galileo Galilei. Padova. Firenze. no 171. GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firn».»]. Padova, 8 febbraio HMJS. Bibl. Niiz. Flr. Mss. Uni., I*. VI, T. V. oar. Il o 12.- Autografa, lll. mo Sig.™ et Pad."® Col. ,uo La gratissima lettera di V. S. 111. ma , scritta da PAmbrosiana li 13 di Gennaio, non mi è stata resa prima che li 3 di h’ebraio ; et di questa tardanza ne è stata, per mio avviso, cagione la immensa copia di. giacci et nevi, che per molti giorni hanno tenuto impedito il tran¬ sito da Venezia a Padova: et di presente ancora Laviamo qui in Pa¬ dova la neve alta per le strade 4 et 5 braccia, cosa orribile et che supera le memorie de gl’ huomini et delle carte 41 . Ilo intesa la resoluzione del Ser. mo nostro Padrone intorno alla calamita, conforme alla quale scrissi all' Ill. n, ° S. Sagredo, padrone io della pietra; il quale, per havermi scritto molte altre mani di lettere (t> Di stile fiorentino. <*> Cfr. n.‘ 170 e 177. 8 FEBBRAIO 1608. 189 [1711 intorno a questo negozio, et per trovarsi occupatissimo nel mettersi all’ ordine per il viaggio di Aleppo, dove va Consolo fra poche set¬ timane, mi scrisse brevissimamente, et mi mandò la calamita, dicen¬ domi che io ne lucessi quanto che a me piaceva, et che non era per ritirarsi indietro dall’oblazione che per altra lettera mi haveva fatto, quando me ne haveva fatto padrone, et che se non mi contentavo dell’haverlo tirato a 200 scudi d’oro, che io lo riducessi anco a 200 d’argento et a quello che più mi piaceva, pur che io restassi sati¬ no sfatto di ha ver gratificato quell’ amico, della cui satisfazione io mi ero dimostrato così ardente. Io ho limito molto caro di haver la calamita nelle mani, per «sperimentar la sua virtù più diligentemente, essendo che V. S. lll. luu mi ha data una limitata condizione, senza la quale non si lia da concludere o effettuare la offerta di S. A. S., per il ser¬ vizio della quale io mi sono adoperato con ogni spirito, non havendo niuno altro rispetto che la sua. satisfazione ; oltre alla quale satisfa¬ zione è ben ragionevole che io procuri anco la mia, la quale non consiste in altro si» non in far sì che 8. A. S. resti certificata, che non ho scritto costà cosa che detragga un solo capello alla mera ao verità, mentre ho parlato delle qualità di questa pietra. Et perchè mi viene replicato sopra una sola, che è circa ’l peso che ella può sostenere, havendo io scritto altra volta che, potendo pesar lei circa f> libre, poteva sostenere altretanto di ferro, bora io specifico più a V. S. lll. ,na , et per lei al S. mo nostro Signore, che la pietra pesa oncie 58 a questo peso, sì che non credo che calerà molto dalle 5 libre al peso di Firenze; ma ben che calasse qualche cosa,'questo poco importa, anzi tanto sarà maggior la meraviglia, quanto che ella sostiene più di libre 5 di ferro, sì come li fo sostenere io, et credo che più an¬ cora li farò sostenere avanti che mi esca delle mani. Nè si meravigli 4o V. S. Ill. ma clic ci sia bisogno di esperienze et investigazioni per sco¬ prir la sua forza; perchè, prima, i punti nella pietra thrve la virtù è robustissima, sono due soli poli, et questi bisogna con diligenza ritrovare; in oltre, la virtù del sostenere non è meno del ferro clic della calamita, sì che non ogni ferro, nè di ogni grandezza et figura, è egualmente sostenuto, ma l’acciaio elaboratissimo, et di una par¬ ticolare figura et grandezza, più gagliardamente si attacca. In oltre, le armature de i poli attaccate un poco più qua o là possono far Lett. 171. 38. altroluHlu — 190 8 FEBBRAIO 1608. 1.1711 gran variazione: et io in questi 4 giorni, che l’ho tenuta nelle mani et che mi ci sono occupato intorno, l’ho fatta reggere quasi una libra di più di quello che il padrone della pietra habbia mai veduto r,o sostenergli ; et sono in speranza, facendo io fabricare alcuni pozzi di acciaio finissimo, di ridurla a sostenere ancora molto più. Reggie dunque già de fatto quasi una libra più di quello che lei pesa; et sì come questo è vero, così haverei di bisogno che constasse a S. A. S. quando l’havessc nelle mani, acciò, per diletto di chi glie ne facesse vedere l’esperienza, le mie parole non havessero a restar immeritamente oondennate; il che a me sarebbe di infinito dispiacere, tenendo io in bilancia la vita propria con la buona grazia del Ser. mo nostro Signore. Onde io credo che mi risolverò, quando non mi sia ordinato in contrario, di mandare la calamita con le sm* armature oo attaccate precisamente a i due poli, et i medesimi due ferri che da quelli sostiene pendenti, acciò, per difetto di chi non gli sapesse così subito ritrovar costà, non habbia a restar S. A.S. senza vederne l’espe¬ rienza da me promessa : se bene saria mia interissima satisfazione il farla vedere in Venezia o all’ 111.“° S. Residente o a chi più li pia¬ cesse; il che si potria fare senza specificar la causa perchè. Però circa questo mi rimetterò a quanto da V. S. Ill. ,nu mi verrà ordinato. Gl’altri effetti di questa pietra sono quali altra volta ho scritto: et nel mandarla manderò anco dui cilindretti «li acciaio, per veder quel mirabile effetto scoperto da me in questo pezzo, et credo che sia ?o singolare di questa sola, non 1’ havendo io potuto far fare a niuir altra di molte che ne ho sperimentate; et è di scacciare sopra una tavola uno de i detti ferri quando se li vuole avvicinar più di due dita la pietra, et tirarselo dietro se se li discosta la medesima calamita. Quanto al prezzo, questo signore, come da principio ho detto, non è per ritirar indietro la parola datami, rimettendosi in me; ma perchè nello scrivergli io de i ‘200 scudi d’oro mi lui risposto che, se par così a me, io gli faccia anco di argento, pur che ci sia la mia satisfazione, però, parendomi che questo signore potesse creder che io habbia voluto ristringerlo più di quello che haverei potuto fare, so quando nel resto S. A. S. restasse satisfatta, la vonvi supplicare are- star servita di convertire li 200 V. dl d’oro in 100 doble, che poco più di quelli importano, perchè così potrei mostrare a questo signore (la cui buona volontà devo io per molti rispetti procurar di conser- 8 — 20 FEBBRAIO 1608. 1.171-178] 19 J vanni) di haver tenuta la sua parte più di quello che credeva. Ma perche l’ho tenuta occupata più di quello che haverei voluto, finirò con inchinarmi humilissimamente al Ser. mo nostro Signore, et con of¬ ferirmi servitore devotissimo a V. S. lU. ma , alla quale prego da Dio somma felicità. yo Di Pad. a li 8 di Febraio 1608. Di V.S.111.™ Ser. ro Dev. mo Galileo Galilei. 172 *. SEBASTIANO VENIER a GALILEO in Padova. Venezia, 17 febbraio 1608. Bibl. Naz. Fir. Uss. Gal., P. I, T. VI, car. 114. — Autografa. 111.™ et Ec. n, ° S. r ll. d0 Hebbi 1* informatione che desideravo, et la ringrazio quanto più posso della diligenza che ha in ciò usato, conforme al solito della sua gentilezza. Farò 1’ uf- iicio coll’ 111." 10 Moresini oportunamente, nella maniera che desidera. Le mando la lettera dell’Arrigetti, poiché comprende altro particolare. Non occore che me le offerisca, perchè sa che son tutto suo: ma ben col line la saluto ili core, et le prego da N. S. ogni maggior contento. In Venetia, li 17 Febraro 1608. Di V. S. 111. 0 et Ecc. ma Ser.™ di core Sebastiano Veniero. Fuori: All’111. 0 et Ecc.®° S. r H. do 11 S. r Galileo Galilei, Matematico di Padova. Al Santo. 173*. MARINO GII ET ALDI a [GALILEO in Padova]. Ragusa, 20 febbraio 1608. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 88. - Autografa. Molto DI.™ S. r mio Oss.° I Sig. ri Reformatori hanno castigato il Capra dinnanzi al popolo assai bene, ma molto più dinnanzi agli inteligenti l'ha mortificato l’apologià 0 di V.S.; di ut Voi. li, pag. 515. 192 -0 FEBBRAIO — 4 MARZO IfiOH. [ 178 - 174 ] inanera clic in un modo et in un altro ò stato acconcio conio meritava. Io mi ricordo che quando ero in Padua del 1600, V. 8. mi mostrò molto operatami dol suo compasso; e quanto a me non ho liavuto bisogno d’altre prove, sebeno vi sono infinite nella apologia, che tutto quello sia sua inventione. La ringratio infinitamente tanto do l’haver voluto legger il mio Apollonio 05 , quanto del’ haveriui mandato la sua apologia : ot ogni volta che mi farà parte¬ cipe delle operationi del suo ingegno, gl' haverò obligo, perchè io sono qui corno io sepolto ; chè non intendo altro so non quello elio mi viene scritto qualche volta dal P. Clavio, o questo rare volte, per esser horamai vocino, che gli è più facile fugir lo scrivere che pigliar la penna in mano. riaverci a caro veder il libro di V. S. della fabrica et uso dol suo compasso militare, perché vorrei far uno, chè Inibiamo qui un maestro, che nelle cose d’otone ò valenthomo. Con che li bacio le mani. Di Ragugia, alti ‘20 di Feb.° 1608. Di V. 8. molto 111.™ Aff>° Sor.™ Marino Ghetaldi. 174 . MICHELANGELO GALILEI a GALILEO [in Padova]. Monaco, l marzo 1608. A Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 116. — Autografa. Car.“° et Honor. d ° Fratello, Ho ricevuto la vostra gratissima, et bene che quello che mi hayete acrit[to] sia stato tutto lamentevole, pure mi son rallegrato in veder che non mi di¬ sprezzate tanto quanto mi andavo inmaginando. Mora, rispondendovi circa il particolar de’ nostri cognati, mi dite che vo soddisfacendovi con la buona volontà. Caro fratello, se non ò hauto il modo di far con effetti quello che desidero di fare, non so che mi possiate tanto biasimare. Voi dite che ho speso una gran somma di denari in un desinare: questo non vi nego; ma considerate che questo desinare fu alle mie nozze l>) , dove non si poteva far di manco, perchè ebbi da 80 persone, tra le quali ci erano molti signori d’inportanza et inbasciadori di 4 io principi: et volendo far a l'usanza di questo paese, et per non rimaner in ver¬ gogna, fui forzato a fare quello che di manco era inpossibile. Ma non mi potrete Lett. 174. tì. Tra d e hautu leggesi, cancellato, nè ò. — • ' Marini Gmrtai.i>i occ. Apollonia » rnlirtivut, uni restituiti Apollonii Purgaci inclina tionuin geome¬ trìa. Yenctiis, apud Hornanliiin Imitimi, MDCV11. Con Anna Chiara Bandinklli. 4 MARZO IG08. 193 11741 già (lire elio io abbia fatto tali spese per cavarmi qualche mia voglia, nè ho mai malamente buttato via tal somma; ma sì bene per risparmiar mi son patito molte voglie. Mi dite ancora che non fa al vostro bisogno con l’avervi scritto che Dio vorrà saper buon conto del’ira che potevi patir meco. So che questo poco vi aiuta al vostro bisogno; ma non è per questo che io non dovessi scri- vervolo, chò ben potete creder che io non ve l’abbia scritto con pensiero che questo vi deva soddisfare quanto allo scarico del debito con [i| nostri cognati. 20 Circha questo particolare, vi dico in poche parole che con ogni mio potere anzi patirò ogni incomodo, acciò io vi dia in parte soddisfazione ; ma che sia possibile che io trovi 1400 A di , che so che restano haver i nostri cognati, questo so che non potrò fare: et tal som[ma] di denari mai à da calare, poiché ci ò fatica a pag[ar] solo l’interessi. Hisognava dar la dote alle sorelle non conforme al vostro animo solamente, ma ancora conforme a la mi[a] borsa. Dio benedetto vede il cuor di tutti; et se io non vo sodisfacendo con li effetti, mi dica uno se ò mai hauto il modo di poterlo lare. Quando vi mandai li f. 50 per.... il Sig. 1 ' Cosimo mi prestò f. 30, i quali non ò ancora pagati, [... spero] in breve pagarlo, poiché mi scrive che vuole un de’ mia liuti; et da poi senza fallo mi tfo farò prestar 50 f., et ve li manderò: altro non so che fare. In questi primi mesi mi è convenuto spendere assai in casa. So che direte che dovevo lasciar star di tor moglie, et considerare alle nostre sorelle. Dio mio benedetto, stentar tutto il tempo della mia vita per avanzar quattro soldi per darli poi alle sorelle ! soma (» giogo troppo amaro e grave, et sono più che sicuro che stentando 30 anni, non potrei avanzar tanto, che io potessi dar l’intera sodisfazione. Dio mi aiuti, voglio fare più di quello che potrò: abbiatemi un poco di conpassione, et con¬ siderate che non potrete mai dire che io abbia hauto il cuor a cavarmi le mie voglie senza curarmi rii altri. Del’aver tolto moglie direte che questa sol voglia è stata bastante a dichiararmi poco desideroso di far il debito mio. Qui non vi 40 risponderò: sallo Iddio a che fine l’ò fatto, il quale ringratio della gratin con¬ cessami, et mi dia l'acuità di poter con gli effetti conrispondere al desiderio che ò di far il debito mio. Più a lungo non mi estenderò : vi pregherò bene che mi vogliate tener per vostro buon fratello, et siate sicuro che con ogni mio potere vederò di darvi qualche sollevamento, poi che per mia colpa dite di trovarvi in tante angustie. Scusatemi, chè quello che non ò fatto, è mancato da non haver il modo. Ilo inteso che mi farete mandar presto la cassa, la quale ho aspettato con molto desiderio per li liuti soli, chè invero in questa quaresima ne ò gran ne¬ cessità per sonar in concerto, et per averli non mi sarei curato spender qualcosa 15. In luogo
  • . GALILEO n [HELISAHIO VINTA in Firenze). Padova, 14 Marzo 1(508. Bibl. Nnz Flr. Mss. Gal., 1'. VI, T. V, car. VA Autografa. Ill. mo Sig. re et Pad." 0 Col. 11,0 Risposi 5 settimane sono 10 alla cortesissima lettera di V. S. Ill. ma , nella quale mi liaveva significata la mente di S. A. S. in materia di quella calamita; et perchè non ho poi vedute altre sue lettere, vo dubitando che, per qualche sinistro accidente, la mia possa essersi smar¬ rita : onde ho resoluto replicar con brevità in questa quanto nell’al¬ tra li dicevo, acciò che qualche accidente non mi facesse apparire men diligente nel servizio del Ser. m0 nostro Signore. V. S. lll. ,na mi scriveva, la volontà di S. A. S. esser di non dar della detta calamita più di ~7. dl 200 d’oro, et questo prezzo quando la io detta pietra sostenesse tanto ferro quanto pesava essa, sì che suppo¬ nendosi il suo peso esser di libre f), ella sostenesse 5 libro di ferro; altramente non intendeva S. A.S. volerla. Io riscrissi a V.S. lll." ia , haver significato il prezzo all’ Ill. mo S. Gianfrancesco Sagredo, padrone della pietra, il quale, rispondendomi, come altra volta liaveva fatto, mi faceva padrone di questo negozio, et mi mandò la calamita, la quale ancora si trova appresso di me ; la forza et vigor della quale havendo io più volte esperimentato, gli fo sostenere più di 5 libre di ferro, ancor che il peso della pietra non arrivi a questo segno : “> Cfr. n.° 171. 14 — 21 MARZO 1608. 195 [175-176] 20 mule è manifesto, il valor di quella essere assai più eccellente di quello che S. A. S. si contentava et che io havevo scritto nelle mie prime lettere. Soggiugnevo apresso, che per mia satisfazione havorei man¬ dati, insieme con la pietra, i ferri et le sue lamette attaccate a i poli, acciò per diffetto di chi non potesse così improvisamente ritrovare le parti più vigorose della calamita, nell’ esser mostrato a S. A. S. l’effetto, le mie parole non l'ussero apparite in qualche parte manche, essendo che la verità è che fo sostenere alla detta pietra più di una libra di più di quello che pesa lei; o vero, quando non fusse parso altramente a S. A. S., ne larverei volentieri fatto veder l’effetto in Te¬ so nezia all’IH." 10 S. Residente, o a chi mi fusse stato ordinato. Questo, et altri particolari circa i suoi effetti, havevo scritto a Y. S. IU. ma , et tanto gli riconfermo, supplicandola con sua comodità a darmi risposta, per poter liberare questo signore. 11 che sarà por line di questa, con inchinarmi humilissimamente a S. A.S., et con offerirmi servitore devotissimo di V. S. Hl. ma , alla quale prego da Dio somma felicità. Di Pad. a , li 14 di Marzo 1608. I)i V. S. 111.™ Ser. ru Dev. mo Galileo Galilei. 176 *. LORENZO PIGNORI A a PAOLO GUALDO [in Roma]. Padova, ‘21 marzo 1608. Blbl. Marc. Vonozia. Cod. LXV1 (lolla CI. X II., oar. 38. — Autografa. -I)i novo V. S. non aspetti, se non che Monsign. Michele (*) è Cuor di pericolo, che il freddo è tornato a farsi sentire, e che la neve s’è sgombrata da por tutto o gettata noi (lume, per consiglio de’ medici, de’ quali va in volta una forbita scrittura G), dettata dal Sig. Minadoi e sottoscritta da gli altri, con regretto del Cremonino e Galileo, che (diter sentiebant .... («) Girolamo Miehiel. » se non si sgombrava, come s’ò fatto, averia cft- (*) Circa questa scrittura mandava il Pionokia » gionato corruzione d’aria, malo di punta, infiam- al Gualdo sotto il di 11 aprilo 1008: « I* scrittura » inazione de’ polmoni, febri di varie sorte e morbi » de’ medici intorno la neve intendeva provare, clic * popolari ». Cod. cìfc. car. 37. MARZO 1 «08. 196 Li??] 177 *. [GIUSEPPE GAGLIARDI| n GALILEO in Padova. (marzo 1008). Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Par. 1, T. Ili, onr. fill-70. — Di «inno sincrona. Al me caro, lustri*», cielentiss." 10 e da ben Pegnore e paron ol S. r Galileo do i Galiliegi, vero arecoltore delle sinateinateghe, c slenzuore in lo Do de Dava à gi scuelari della so prefissimi, spiego d’lianore della nostra itè. L’è assè agni, paron lustrio, me caro e ciolontisB.""' Seg. ro , que A sonto inna¬ morò in le vuostre virtuliose vertù, eh’A no sè faelare, que A no v’ babbi in bocca, e, con disse quelli, mieritamen ; perque, lagon niò minare que vù in tutte le scinti e e facoltà d’lianore A limitò sì ben, que A no inviliò nigun, sì con po in quella cb’A bragagnè contugnamen, delle sinatemateghe, quo A la vostra pro- fession snatorale, el no gli’è homo, sea chi se vuogin, clic ve vaglio al paro. Perque A suogio mò dire così, e so que A no me rego, che vù, Segnore, col vostro io sLare la maor parte de i vostri dì, con tutto l’anemo e con tutto ’l spiretto, cazzò in quelle ca d’i pianuotti de sora A furegaro por lo suò massarie, A v’hi fatto compagno de barba Giove, frollo zurò de Marte, se ben mò le bravar! no ve piase, cusin carnale de Mercorella, c compare de tutti gi altri : de muò que A stage A spittare, che da ’l gran ben que tutti (pii pianuotti vo vò, eli’ un dì, A pe d iggi, i ve intartegne la su, e in luogo d’ un Galileo i ve stranimi in t’una lidia legura d un nuovo Galion, per larve così quel lianore que A niicritò, de- gneole delle vuostre lustrie iaiglie e prefetto saere; (pie ve farà po un vù restare in la smalmuoria de tutti i buoni slettran, le bissecolc d’ agni. E perque mò sto me amore e asservation, que a ve porto, n’babbi da restarme sempre mò adosso, 20 in confessimi, con le quel della mea Portola do N'alo col so moroso, spigamelo d i fragi da I ramonte, que la no ghc vosse mò far saere el ben che la ghc volea, selomè quel dì che buttanto el derean sospiero, che fu d’altro cha d’amore, con se suol dire, traganto del peto al muro, la tirò su i scolmi ; A gir he vogiù adesso, con sta bolla casion de sto me faelamento sora la nievo passò, così fatto con 1 è, vegnirve a far rebelintia, e onfririne, co’A fugo, per vostro gastaldo e sierviore ; così pregantove, che smiranto no alla qualitè do quel eli’A ve mando, que xè un gnente al palangon dell’amor eli’A vo porto, ma solamen al puro af- fìetto de quelli che ve 1 manda, que A son mò mi, che al vogiè cotture e vere ontiera, e tegnirvelo A pe de vù per na smalmuoria de quel ben elio mò sempre so IiOtt. 177. 4. L' atte — 10. eh' vù, tieynore — 22 MARZO 1IJ08. 197 1177 - 178 ] à ve soli per portare. Con die, agurantove da ’1 cielo quella felicitò quo à vorae an mi, à ve vegno, co’ un bel repetton d’inchin basantove le man, il pregarvc quc à me vogiò ben, e il ubigarme, e sempre, pre tutti gi vuostri comandi. Della vostra !Seg. rì ‘ l lustria e cielentÌ8s." lft Sierviore e Castaido Itovegiò bon Magon dalle Valle de fuora (,> . 178 . HELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Livorno, '2*2 marzo 1608. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 78. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. 111. 1 ' 0 et molto Kcc. tn S. r mio Oss. mo Se bene ho tardato a rispondere a V. S.. non ho però lasciato di far sentire più giorni sono al Ser.‘"° mio Padrone tutta la prima lettera di V. S. 10 sopra quel mirabil pezzo di calamita; et havendomi S. A. confermato che lo vuole in tutti i modi, et che si contenterà di convertire quei dugento scudi d’oro in cento dolile, V. S. lo faccia sapere al patrone della pietra, et dica ancora dove egli desideri le cento doble. Et quanto a quel discorso che tanto ingegnosamente ha fatto intorno a detta pietra V. S. nella sua lettera, et la prova nella sua stanza con quelli ordigni et con quelle giuditiose accuratezze che ella ha avvisate, S. A. io l’ha sentite attentissimamente; ina dice che forse anche da lei medesima et da altri lui uditi altre volte questi avvertimenti, et mi pare che anche l’A. S. ne sappia parlare per esperienza. Contuttociò non veggo che habbia a essere discaro clic, nel mandare la pietra., l’invii preparata et ordinata come meglio paia a lei per sostenere quanto più peso le sia possibile, et che ella mandi ancora quei cilindretti (l’acciaio, perchè si vegga quel maraviglioso effetto scoperto da lei in questo pezzo con specialità. Et quanto al modo dell’assettare la sudetta calamita 1,1 Questa lotterà in dialetto pnvnno è la de¬ dicatoria d'una poesia dinlogica, scritta ossa pure in quel dialetto o intitolata Faelamcnto de Itovegiò bon Magon dalle Valle de /uora e de Tuogno Urgono dalla Villa de Vcgian, uora la niece dell' anno 1008 , che si leggo a car. (18-81 del codice contenente la de¬ dicatoria: l'ima e l'altra, di mano sincrona. Sul tergo della car. 82 -si leggo: « Bacco faciliti, sta a S> Maria d’Avanzo, portò » ; o questo appunto po- trebb'essere di mano d’ALR88AN0Rn Piersanti, servi¬ tore di Cìai.ii.ko in Padova. Occasiono alla poesia e alla dedicatoria dotte una straordinaria nevicata, che nei primi mesi del 1608 afflisse Padova o il suo conta¬ do: di questa nevicata, alla quale si riferiscono puro lo lettere di n.®171 o 176, vodi A. Favaro, ScantpoliGa- lilciani, Serie prima, nogli Atti e Memorie della II. Ac¬ cademia di adente, lettere ed arti in Padova, voi. II, pag. 14-17. Che Rovegiò bon Magon dalle Valle de fuora sia pseudonimo di Giuseppi) Gagliardi, si ha dal Ragionamento dello Academico Aideano [Niccolo Villani J sopra la poesia giocola de' Greci, de' Latini, e de Toscani etc. In Vonetia, MDOXXXIV, appresso Gio. Pietro Pinelli, pag. 75. Cfr. ancho, doi citati Scampoli, la Serie seconda, nei medesimi .Ini e Me¬ morie, voi. 111, pag. 14. <*> Cfr. n.® 171. 108 22 — 29 marzo 1608. [ 178 - 179 ] in una cassetta,
  • ° S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. Fuori: All’ Ill. ro et molto Ecc. 10 S. r mio Oss. mo 80 Il [S.]*' Galileo Galilei. Padova. 179 **. RAFFAELLO GUALTEIIOTTI * 0 ALT LEO in Padova Firenze, 20 marzo 1G08. Bibl. Naz. FIr. Mss. Mal., P. I, T. VI, car. 121. — Autografo. Molto Ill. re Sig. Risposi giò a V. S., por mano del suo cognato a Vinezia, che V. S. mi man¬ dassi i libri cambiati in doana, ch’io pagherei il nolo, etc. Non ne ho poi saputo altro, come harei desiderato per legger l’opre di V. S. lo mi sto qua come il prete dola poca offerta: e perch’io vorrei finire alcune opere di filosofia naturale, volentieri terrei una lezione straordinaria di filosofia, perchè con la provisione potrei far le spese, e con l’occasione della lezione stu¬ dierei i miei concetti e servirèmi. Per più che la metò deio studiato, è scritto, e ridotto al netto. Se V. S. in cotesto collegio nobilissimo mi potesse fare havere tal luogo, la mi favoriria infinitamente. io Se V. S. havesse il dì della natività di Fra P. 10 Servita, desiderei che me ne favorisse. Lett. 178. 22. n a dire o a — O) Di stile fiorentino. 29 MARZO -4 APRILE 1608 . [179-1801 190 Lessi un libretto «lei Giuntino ° Raffael Guaiterotti. Fuori: Al molto 111.™ et Eccellente Sig. r il Sig. r [Galijleo Galilei, nobil iior.“° e mat. co Ecc. ,no , in Padova. 180 . GALILEO GALILEI a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Padova, 4 aprile 1608. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car 15. — Autografa. Noi margino superiore n sinistra si leggo, di ninno di Belisario Vinta: « Questo si è trattato ut concluso in assenza ilei Secretano Piccinina, et bisogna loggerln a S. A. et far prevedere lo doble, et poi rispondere a V.» (?) por ultima ossocuzione ». 111." 10 Sig. ro et Pad."* Col." 10 Quanto mi scrive V. S. lll. ,,,a per conclusione del negozio della ca¬ lamita, ho io già fatto intendere all’ ili." 10 S. Sagredo, padrone della pietra; di che resta S. S. satisfatta, et io obligatissimo a S. A. S., che si sia compiaciuta di arrivare alle 100 doble a i prieghi miei, poi che questo purga interamente quel poco di sospetto, che mi era di qualche pregiudizio nella opinione di questo signore, che io havessi hauto poco a quore il suo vantaggio: onde ne rendo grazie infinite a S. A. S. Quanto alla consegna de i danari, Bendo volontà di S.A.S. ìoche il compratore stia celato, potrà ella, se così gli piace, farla fare in mano mia in Venezia alla risposta della presente, dove io mi tra¬ sferirò subito ricevute sue lettere, sì per ricevere i danari et nume- Lett. 179. 19. Le nozze /tonno — Leti. 180. 6. * optilo — <’> Trantatio de eometarum cauti», effeetihu», di/- excerpta. I.ipsiae, 1 ÒSO. ferentii» et projirictatibu» ex F. IuHOTINl voluniinibus 200 4-12 APRILE 1008. [ 180 - 181 ) rargli al padrone, sì ancora per consegnare nell’ istesso tempo la cassetta con la pietra, la quale si trova ancora nelle mie mani, et sarà bene accomodata con li sui ferramenti et ordigni ; consegnarla, dico, in mano di chi olla mi comanderà. Panni bavere scritto altra volta a V. S. 111. ma , come questa pietra sostiene una libra di più del suo peso; et perchè mentre l’ho Lauta nelle mani vi ho fatto attorno molte esperienze et speculazioni, spero di farla veder a S. A.S. sostener, non senza grande ammirazione, poco 20 meno che ’l doppio del suo peso, oltre a qualche altro stupendo sco¬ primento fattovi (la me, come in un poco di minuta gli darò conto. Che poi la calamita del mio valore possa attrarre l’affezione di V. S Ill. ,ua , con sua pace non ammetterò io, conoscendomi pove¬ rissimo di tutte le doti meritevoli di tanto favore. È per avventura più presto la calamita dello stato mio, che muove il pietoso affetto della cortesissima natura (li V. S. lll. ,,m ad amarmi et protegermi ; nel quale devo io sperare et confidare assai più che nel mio merito, et per tanto restarne con tanto maggiore obbligo a V. S. Ill.' nn , sì conio veramente fo, ricordandomegli intanto vero et devotissimo servitore, so Et con pregargli la buona Pasqua, gli bacio reverentornente le mani, come anco al S. Francesco, suo nipote et mio Signore. Di Pad. a , li 4 di Aprile 11108. Di V. S. lll. ma Oblig. m " Ser.™ Galileo Galilei. 181*. BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Livorno, 12 aprile lliOS. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. 1, T. VI. car. 137. — Autografa la sottoscrizione, 111.** et molto Ecc. l ° S. r Hon."'° Si è scritto a Firenze al S. r Depositario Generale, che ci mandi un ordine di cento doble di buon peso per pagarsi a V.8. a lettera vista in Venetia; ma perchè hoggi, che siamo al sabbato, essendo così lontani da Firenze, non ei può essere l’ordine in tempo da inviarlo costà, seguirà con il primo coiniuodo, et ne avviserò in un medesimo tempo V. S., acciò eli’ ella vadia per il denaro et per darlo a chi la sa, et per consegnare la calamita, acciò che ce la porti uno de’ no- 12 - 19 APRILE 1608. 201 [ 181 - 183 ] atri procacci. Ben ò vero elio il Gran Duca nostro Signore desidera quest* estate di rivedere V. S. in Firenze, havondo gran bisogno della presenza et opera di io loi ; et perciò m’ha comandato di scriverle ch’ella venga in tutti i modi. Et io le bacio di tutto cuore le mani. l)a Livorno, a 12 d’Aprilo 1608. Di V. S. Ili” et molto Eco. 1 * Serv.” S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. Fuori: All’ lll. r " et molto Ecc. tó S. r mio Oss. 1110 [Il S.)‘ Galileo Galilei. Padova. 182 *. ANTONIO SANTINI a [GALILEO in Padova]. Venezia, 18 aprile U*>08. Blbl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, II.» JjXXXVUI, u.® 162. — Autografa. Molto lll. ra et, molto Eoe. 16 S. r mio, Con occasione di mandarle l’alligata del Sig. Ghetaldi (,) , le mando anche il titolo della propostone che nel Vieta, le accennai, era scabrosa. Le manderò anche la solitone mia, quando si coinpiacci di essaminarla ; e se anche prima haverà tempo dirmene la sua sentenza, mi gusterà: e se io fosse libero, volen¬ tieri verria a vedere Padova, chè in sei anni che ho stantiato a Venetia, ancora non sono uscito. Le bacio le mane, et me le raccomando. Di V.“, li 18 Aprile 1608. Di V. S. molto 111.” et molto Ecc. le Suo Aff. n '° io Ant. Santini. 188 *. PEL1SAWO VINTA n GALILEO in Padova. Livorno, 19 aprile 1608. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» XCII1, n.® 15. — Autografa la sottoscrizione. IU.” et molto Ecc. to S. r mio Oss. ,no Mando a V. S. l’alligato ordine (1) . Può andare a sua posta a pigliar le doble .a Venezia, et quivi per parte del Ser." 10 Gran Duca consegnerà la calamita et. di Ma ai so (Iiiktai.iu. Cfr. n.° 173. '** Quest’ordino non ò ora allegato alla lotterà. X. • 2(1 202 19 APRILE 1008. [183-1841 quelle appartenenze al Si," Asdrubale Montante, et procurerà che tutto ai uc- commodi molto bene in una cassetta, a lino che nò la pietra nò quegli ordigni non patiscano punto; c gli sogghignerà, pur per parte ili S. A., clic al primo nostro procaccio per Venezia consegni et raccomandi cariasi inamente il tutto, come carissimamente prego V. S. ad amarmi et comandarmi. Di Livorno, li 19 di Aprilo 1008. Di V. S. lll. re et molto Ece. 01 Serv. Air.'"*' llelisario V i nta. Fuori : All’ 111/" et molto Eco/ 0 S. r mio Os8. mo Il S. r Galileo Galilei. Venezia per Padova. 184 *. 1 RIFORMATORI DELLO STUDIO ni RETTORI «li Padova. Venezia, 19 aprile 1608. Aroh. Universitario di Padova. Filzasegnata: 29. Cattodru e Prof. 1 «li Astronomia, Meteor., Astro!., Fisica, Gooiii., ftlat., Arehit., Oatetr., Cliitnica o Medie., R. M., car, 103. — Originalo : Autografa la fUluiimiouo di Ckhakr Ckkuoni.no. La minuta della lettoni, sonza però la firma di Antonio I’kiui.i, è nulla filza dell'Archivio <]i Stato in Vuiiozia intitolata: Lotterò dalli Ree.** Sig. rt Riformatori dolio Studio scritte ai diversi HI.*' Rettori od altri. 1001 al 1622. Riformatori dello Studiu di Padova, n." 64. 111.»" SS/ 1 Gi ha rnpreaontato D. Galileo Galilei con tanta evidenza di necessità Poccasiono che ha di ricercarci aiuto del Baiario suo di un auno anticipato, che non ci è parso di dover- glilo negaro : et così damo a V V. SS. Ul. ,nB libertà di farnelo accomodare dei danari della Cassa di quel Studio, togliendo però sufficiente fideiussione di vita et in ogni caso, come in altri parimenti in tal proposito si è osservato, et dovendo osso D. Galileo bcou tur la detta sovvontione con tutto il suo salario nel spatio del medesimo anno. Et a VV. SS. Ill. m * si raccomandiamo. In Venetia, li 19 Aprile 1G08. Frane.® Molin, K. r P. \ Ant.® Prioli, Gav. r P. j Reforin.* And." Mor. Bl ’ Io Cesare Cremonino, filosofo dello Studio, mi constituisco piezzo conforme al contenuto «.lolla lettera, intendendo cominciar l’nnuo l’Ottobre venturo prossimo. Fuori: Agli Ul. mi SS/' Oss."’ 1 Li SS. r ‘ Thomaso Contarini K. r et. P. ro Duodo, Rettori di Padoa. Padoa. [ 186 - 186 ] 22 - 20 APRILE 1008. 203 185*. GIOVANFRANUESCO SAGUEDO a GAI.ILEO in Padova. Venezia, 22 aprile 1608. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, li.» LXXXV1II, u.° 38. — Autografa la sottoscrizione. lll. ro S. r Ecc. rao So ben eri io diedi aviso a V. S. Ecc. ma della festa et regata che si doveva fare a questi Principi di Savoia 10 , tuttavia ò voluto con queste replicarle che è stato fermato P ordino della festa per giovedì, et della regata per venerdì pros¬ simo; onde senza falò aspetto il Sig. Francesco 10 et V. S. ancora, alla quale in solidum col Sig. Francesco bacio le mani. Da Ferrara ho liavuta una respostina da M. Rocco Berlinzone, il quale non voi dispute co’l mio frate, o si ascosa dicendo che esso frate si dimostra più eretico che religioso 10 io In Venotia, a’ 22 Aprile 1008. Di V. S. Eec." ,a Desid." 10 di servirla G. F. S. Fuori : All’ III.™ S. r ()ss. ,no 1/ Ecc.'"° S. r Galileo Galilei. Padova. 18G*. GIOVANFRANCESUO SAGRERÒ a GALILEO in Padova. Venezia, 26 aprile 1608. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Cniupori. Autografi, li.* LXXXVIII, u.« 89. - Autografo lo liu. 26-33. III.™ S. r Ecc. mo La lettera delli Sig. ri Reformatori fu espedita già alquanti giorni 10 , et con¬ forme al desiderio di V. S. Ecc. ,na nella parte essenciale, so ben quanto allo sconto t„ no e ferri che un «o/o, poi corresse corno stampiamo. - 48-44. il piano della calamita u ag¬ giunto in margino. — f.2. In luogo di comporta prima aveva scritto dimostra, che non 6 cancellato. - 3 MAGGIO 1008. 207 [ 187 ] perché spero di esser per trovar la pietra ancora in mano di S. A. S., come cosa stimata da quella degna di haver luogo tra le altre cose ammirande. Su la qual credenza et acciò che S. A. S. possa insieme compiacere a quel signore oltramontano, essendo io venuto a Vene¬ zia, mi son messo a cercare tra questi lapidarli et antiquarii, et ne ho trovato un pezzo poco minore di mole, ma assai di virtù, se bene la qualità della pietra mostra di esser di bonissima vena ; ma, al mio parere, non è stata segata por il buon verso, tal che chi la riducesse 70 in una palla, conio per avventura potria bavere in animo quel si¬ gnore, aqquisterebbe assai forza, et la palla si caverebbe così grande in questo minor pezzo, come nell’ altro maggiore. Su questa opinione V ho presa, credendo di far bene, et la mando insieme con 1’ altra. Però V. S. Ill. ma mi farà grazia di presentare a S. A. S. con la pietra il mio buono animo, pregandola che a quello si compiaccia di riguardar solamente, perdonandomi se ho fatto questo di più sopra il suo co¬ mandamento, et tanto più, quanto che scrivendo al S. Picchena del- 1’ eccellenza dell’ altra, mi scrisse che la pietra doveva esser mandata in luogo dove tanta esquisitezza non saria stata per avventura neces- 80 saria, o stimata molto sopra la mediocrità. Se la pietra resta apresso S. A. S., io ho nella fantasia alcuni altri artifizii da renderla ancora assai più meravigliosa, et son certo che non mi falliranno, ma non ho hauto qua la comodità di potergli usare : et son di credere di potergli far sostenere forse quattro volte tanto di quello che lei pesa, il che in una pietra così grande è molto mirabile ; perchè io non ho dubbio che segandola in pezzetti piccoli, se li potria far sostenere più di 30 libre di ferro, et anco 40. Io noto in questa pietra, che ella non solamente non si stracca nel sostenere il suo peso, ma sempre si invigorisce più : però saria bene accomo- no dargli un sostegno su P andar di questo poco di schizzo 1 , sul quale riposando tenesse tuttavia attaccati i suoi ferri. Et per dare qualche poco di spirito a un tal corpo, alludendo alla miracolosa natura et proprietà di questa pietra, per la quale i ferri così avidamente se gli 67. Prima aveva scritto trovalo un altro pcito alquanto minora, poi corresse come stampiamo. - 69-70. rtcbt- un una — 71. In luogo di e» la palla .. caverebbe cori prima aveva scritto una jxilla riunirla cori. - 74. con la pietra ò aggiunta interlineare. — 75. In luogo di pregandola che a quello prima fivova scrittoi quale. — 93. Tra pietra o per loggosi cancellato ic gli potria aggiugnere uno. — • *) Questo schizzo non ò unito alla lotterà. 208 3 MAGGIO 1608. 1 . 187 ] accostano et, uniscono, vi si potria inscrivere uno
  • Cioè il giorno 3 maggio. Cfr. Ltìtt. n.° 187. X. 27 210 29—30 MAGO IO 1008. [ 189 - 190 ] 189*. BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. , Firenze, 29 maggio 1608. 131bl. Est. In Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, B.» XC111, u.° 40. — Autografa. Iil. re et Ecc. te S. r mio Oss." 40 Arrivò la calamita (1) benissimo conditionata, et arrivorno tutti quelli istru- menti ; et il Gran Duca, mio Signore, et il Sig. Principe n’ hanno fatta la prova con tutti quegl’ instrumenti che son arrivati, et con tutte quelle regolo et avver¬ timenti che V.S. n’ha dati, et ne sono rimasti sopramodo sodisfatti et conten¬ tissimi: et m’hanno comandato di scrivergliene, et aspettano a far la risposta por poterle dare il contento compiiti) della loro sodisfattione et approbationo ed aggradimento insieme, havendomi certo comandato eh’ io gli dica clic restano sodisfattissimi della sua diligenza. Et ha ragione V. S. a dolersi clic io babbi indugiato un po’ troppo ad avvisarle di ricevuto, et la prego a perdonarmi ; et io son più che mai desiderosissimo di sorvire a lei in tutto quello eh’ io possa. Et le bacio le mani. Da Firenze, a 29 di Maggio 1608. Di V. S. ili.™ et molto Ecc. te Tutto suo Air."' 0 per servirla S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. * Fuori: All’ Ill. ro et molto Ecc. 10 S. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei, lettore delle Matematiche. Padova. Subito. 190. GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Padova, HO maggio 1608. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 25. — Autografa. Ill. mo Sig. re et Pad. ue Col. mo La- posta passata ricevei, per mano (li persona di Corte, un ordine in nome di Mad. ,na Ser. ma et del Ser. mo Principe in proposito del ri- <0 Questa calamita andò poi perduta, o la por- niolne rx « utographi* in Iliblioth. Mugliabechianu, dita no fu grandemente deplorata dal Lkibniz in quae mine publica Florentinortim est adservatis de- duo lettere ad Antonio Maomabkciii doi 17 gon- scriptue. Tonni» priinus. Fiorentino, MDOCXIYVI, ex naio o 13 giugno 1698. — Cfr. Clarorvm Ucrmnnorum typogrnphia ad insiguo Apolliui* in platea S. C. RI., itti Anlonitim Maqliabechium nonnullosque «fio» Epi- pag. 87, HO. 30 MAGGIO 1008. 211 [1901 trovarmi io questa ostalo a Firenze: il quale, benché babbi a sembianza di conformità con l'altro scrittomi alcune settimane avanti da S. Y. Ill. nw , tutta via viene espresso con modo tale, che potria anco, senza stor¬ cimento di parole, ricever senso di una benigna et mite revoc.azion dell’ordine primo. Da V. S. 111."" 1 mi furono scritte questo formali parole: firn è vero io che. il & ter."" (*. D. nostro Signore (Irrìderò di rivede mi quest’estate in Fi¬ renze, havendo {irmi bisogno dell'opera et presenza vostra; et però mi ha comandato che io ri scrìva che (laviate venire in ogni modo {i) . Et io, come mi pareva che convenisse, breve et semplicemente gli risposi, che sarei venuto ad obediro. La forma di questo secondo ordine, anzi pur tutta la lettera intera, è precisamente questa : Madama Sermi ha imposto che io vi scriva, che se vi torna bene di venire questa estate a Firenze, che gli sarà caro, et simile mi dice il S. r Principe; si che mi¬ sentite, et in tanto io vi prego a conservarmi in vostra grazia. Di Fi¬ renze, eie. Hora, se si rimuovo il servire a i Ser. 1 Padroni, il venire 20 a Firenze a me non torna nè bene nò presso che bene, sì come al- V incontro, concernendo il servizio di loro Altezze, il venire a ser¬ virle mi torna non pur bene, ma ottimamente bene ; non essendo sotto la potestà mia cosa alcuna, la quale io volentieri non spenda per servire al mio Principe, dico sino al dispendio della vita stessa. Pare che questo secondo ordine metta come per accessorio degl’ altri miei affari il servizio di loro Altezze Ser. B ; ma, all’ incontro, questo non solamente è in me il principale, ma il tutto : in guisa tale, che assolutamente a Firenze per miei interessi non ho che far niente ; ma se ci si aggiugne il servire a i Padroni, non ho che fare altrove so che a Firenze. Le parole dunque di questa seconda lettera, che pure è di persona molto accorta, mi hanno messo in gran confusione, et promossomi dubbio che P aggradire che facessero loro Altezze Ser. 0 la mia venuta in Toscana et il mio frequentare la Corte, fosse solamente un trabocco della somma benignità et Immanità di quelle, col quale, et non senza qualche lor tedio, si degnassero di concedere un poco di cibo al famelico mio desiderio, che vanamente mi trasporta ad insinuarmi nella servitù di quelle ; ma non già perchè dal mio ser¬ vizio, utile alcuno, comodo o diletto a loro Altezze ne provenga. Il qual punto deve con molta circunspozione esser considerato da •io me. Sì che l’invito, Ill. m0 mio Sig. r0 , è grande, et importa tutto ’l mio («) Cfr. n.° 181. 212 30 MAGGIO 1008. 1100] resto ; onde a me conviene molto ben consultare, et considerare le due carte elio ho in mano, delle quali la prima mi dice Tienlo, et la seconda Pensavi sopra. È pertanto necessario che io conferisca questo mio scrupolo con persona confidente et atta a rimuovermelo, la quale per tutti i rispetti non deve essere altri che V. S. lll. ma Et però io la supplico, che deposta quella parte che è in lei di cortigiano, et ritenuta solamente la libertà et ingenuità cavaleresca, mi dichiari con la saldezza della punta dello stocco, et non mi adombri con la pie- ghevol penna, quanto io devo fare: perchè so mi dirà solamente: Vieni, che così si vuole da i Padroni, tanto mi basterà; et lo scrivermi r>o altramente saria un mettermi in maggior confusione di quella in che mi trovo di presente. Io la supplico a presso a non differir più di dirmi qualche cosa della ricevuta et della riuscita della calamita, perchè giuro a V.S. lll. n '“ che la febre continua, che da 25 giorni in qua mi travaglia senza darmi un minimo intervallo libero, non mi affligge tanto, quanto il non sentire la satisfazion di S. A. S. ma ; la quale se bene io non metto in dubbio o che S. A. 1’ habbia hauta o la sia per bavere, essendo in effetto la pietra il triplo, et anco il quadruplo, più eccellente di quello che si dimandava, tuttavia il non sentir niente non passa senza mio no grave dolore. Io vo insi no ruminando col pensiero se mi potesse es¬ sere stato ascritto a grave mancamento il non haver consegnate le pietre et la cassetta al S. Residente, secondo 1’ ordine datomi da V. S. Ill. ma , ma inviatole solamente per il procaccio : onde per mia scusa è forza che io dica a V. S. Ill. ma , come essendo in Venezia li 3 primi giorni di Maggio, il terzo, che fu sabato et il dì di Santa Croce, fui continuamente attorno a due fabbri a farli lavorar contro a lor vo¬ glia, perchè era festa, a forza di danari, intorno a quelle due ancore ; et sopraggiuntami la notte col lavoro anco imperfetto, mandai una poliza al S. Residente, dicendoli che dovevo consegnarli un lavoro 70 non ancora perfetto, per inviarlo con quel procaccio a S. A. S., et do¬ mandandolo sino a che hora ci era tempo, avanti che il procaccio par¬ tisse. S. S. mi riscrisse, che ci era tempo sino a 4 hore di notte, ma che dubitava che quella sera non si saria potuto mandar niente, non vi essendo tempo di far bullette et essendo alcune nuove costituzioni de i Signori sopra i dazii : dal che compresi come S. S. haveva cre¬ duto che io fussi per consegnarli roba da gabella. Finalmente, havendo 30 MAGGIO —9 GIUGNO 1608. 213 [190-191] fatto lavorar sino allo 4 boro di notte, feci chiamare una gondola, la quale con difficoltà si trovò, sì per esser Y bora tarda, come per¬ so che il tempo era piovoso et oscurissimo ; et ritrovandomi 2 grosse miglia lontano dalla casa del S. Residente, quel gondoliero borbot¬ tando mi condusse in Rio delle 2 Torri, dove habita detto signore: ina essendo il rio molto lungo, la notte oscurissima, et la pioggia grande, non fu mai possibile a ritrovar la porta del S. Residente, et a quante porte si picchiava, o non si liaveva risposta, per essere ogn’ uno a dormire, o se alcuno si levava, ne rispondeva con qualche villania. Andarvi per terra non potevo, per l’oscurità, per la pioggia et per gl’intrighi delle robe; talché mi risolvetti a farmi vogare a casa il maestro do i procacci, dove al ricevitor delle lettere consegnai 90 le 2 caiamite fuori della cassetta, acciò le potesse mettere nella borsa delle lettere di Corte, et gli mostrai la commissione di V. S. Ill. mn et come quelle eran robe per S. A. Ser. ma Egli tolse in nota il tutto, et mi disse che io non mi pigliassi altro fastidio, clic rilaverebbe inviato con quella sicurezza che si conveniva. Mi si potria dire che io dovevo indugiare a 1’ altro ordinario: et io Y Laverei anco fatto ; ma perchè mi trovavo haver ricevuti i danari, et consegnatili all’ Ill. m0 S. Sa- gredo, non volsi mettervi altra dilazione. Questa ò l’istoria: et io, ritrovandomi aggravato dal male, porrò fine a questa mia, scritta in 5 giorni, et tornerò solamente a supplicare V. S. Ill. ma , per le viscere ino del Signore, a cavarmi di queste travagliose angustie con due sole sue righe. Et senza fine mi raccomando nella sua buona grazia, et con ogni reverenza li bacio le mani. 11 Signore la feliciti. Di Ead. a , li 30 di Maggio 1608. D. V. S. Ill. ma Dev. mo et Oblig. mo Ser. re Galileo Galilei. 101 *. FERDINANDO SARAGINELLI « GALILEO in Padova. Artiini no, 9 giugno 1608. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 123. — Autografa. III.” et molto Ecc. tó S. r mio Oss.'"° La gran perdita, che ho l'atta, del S. r Cipriano, mio zio, et tanto caro amico di V. S., è stata tale, ch’io non potrei si non con molto mio dolore et travaglio 214 9—11 GIUGNO 1608. [ 191 - 192 ] significargliene una minima parte; et però passando di toccar questa corda, tanto dura all’orecchio mio et che tanto m’offende il cuore, sarò forzato a tacer quello di elio pur sempre vorrei trattare. Dovrei certo et per la gentilissima lettera di V. S. et per molti altri rispetti consolarmi ; ma bisogna pur che questa carne si risenta a ogni simil colpo, et tanto più d’huoinini non ordinarli, et tanto con¬ giunti e d’ amore et di sangue. Confesso bene, che dove non può la forza Humana, viva la divina, alla quale applicatomi et conformatomi, con la Dio volontà trovo io questo sol rimedio per refrigerio d’un cuore alllitto, clic congiunto con il buono aviso che mi ha dato della sua ricuperata sanità, m’ hanno molto consolato. Ne lodo il Signore Dio, et me ne congratulo seco, riserbandomi al suo ritorno et con la voce et con gli effetti a olferirmegli quel medesimo servitore di sempre, rin- gratiandola intanto della memoria che tiene de’ suoi veri et cari amici. Con che le bacio le mani. Della Villa Ferd.“, il dì 9 Giugno 1608. Di V. S. Ill. re et molto Eco. 1 * A(f. mo Ser. rn S. r Galileo. Ferii. 0 Saracinello. Fuori: Al molto 111” S. r mio Oss. mo so Il Sig. r Galileo Galilei, Professor di Mattoni. 0 * in Padova. 192 . BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Firenze, 11 giugno 1008. Blbl. Nat, Flr. Mas. Gal., P. 1, T. VI, car. 125. — Autografa la sottoserisiouu. 111.” et molto Ecc. ttì Sig. r mio Oss. mo Havendo detto a Madama Ser. ma nostra Padrona, clic (pianto al comodo et bisogno di V. S. ella non ha punto voglia nò occasione di venir qua questa estate, anzi che a lei torna di grande incomodo, et elio sebene V. S. ha un’assidua in- clinatione et ambitione di vedere i suoi Ser. mi Principi et Padroni naturali et d’esser ben visto da loro, che ad ogni modo per questo solo la non si muove- robbe, ma che ben si muoverà subito, senza guardare a nessun suo disagio nè danno ancora, quando sapia per (laverò che loro Alteze desiderino per loro sti¬ mato servitio che ella venga in tutti i modi ; supplicai P Altezza sua a dirmelo alla libera, et ella mi rispose subito: < Scrivi al Galilei che essendo egli il primo io et il più pregiato matematico della Christianità, che il Granduca et Noi deside¬ riamo che questa estate venga qua, ancorché gli sia per essere (l’incomodo, per 11—20 GIUGNO 1608. 215 [192-l!)3| esercitare il 8. r Principe nostro figliuolo in (lette matematiche, che tanto so ne diletta ; et elio con lo studio clic farà seco questa estate, potrà poi rispiarniarlo di non lo far venire così spesso qua; et che e’ingegneremo di far di maniera che non si penta d’esser venuto >. Et a V. 8. significo nettamente la cosa come la stà; et quanto prima la potrà venire, sarà meglio. Et le bacio le mani. Da Firenze, XI di Giugno 1608. Di V. S. Ill. r " et molto Ecc. u ’ Scrv. re Aff.""> S. r Galilei. Belisario Vinta. Fuori: All’ III.™ et molto Eec. t0 Sig. r mio Oss."'° 11 S. r Galileo Galilei. subito. Padova. 193 . GALILEO a BELISARIO VINTA in Firenze. Padova, 20 giugno IMS. Blbl. Nuz. Flr. Mm. Onl., P. I, T. IV, cnr. 27. — Autografa. IH.»» 0 Sig.™ et Pad. ne Col." 10 Ilo inteso quanto V. S. Ill. ma mi ordina: il che sarà da me ese- quito secondo il suo comandamento quanto prima, ciò è subito che l’Kcc.’" 0 S. Aqquapendente me ne darà licenza et le forze me lo per¬ metteranno; et spero che non passeranno più di otto giorni che sarò in viaggio. Et sovvenendomi di liaverla molte volte tediata con mie lunghissimo lettere, per non mi habituare in questa cattiva creanza, voglio elio per bora mi basti haverli detto questo solo. Et restandoli devotissimo servitore, con ogni reverenza li bacio lo mani, et li prego io da Dio felicità. Di Pad. a , li 20 di Giugno 1608. I)i V. S. m. ma Ser. re Oblig.'“° Galileo Galilei. Fuori : All* IU."® Sig.™ et Pad.® Col."® 11 S. Cav. Belisario Vinta, Seg. 10 di S. A. S. Firenze. 21 GIUGNO 1IÌ08. 21 fi \VM\ 194 *. OTTAVIO BRKNZONI a GALILEO in Padova. Verona, ‘il giugno UH»#. BIGI. Naz. Plr. Rine. Gal., 1*. VI, T. VII, cnr. 8». - Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo Sig. r mio ( )ss. ,uo Alla lotterà eli V. S. Eoc. mH al Sig. r (limiamo Mugugnati non potei cosi tosto far aver il suo ricoapito, sondo egli all’bora partito con altri gentirimomini di Verona por veder lo nozze di Mantoa (,) ; ma ritornato elio fu, feci Poflieio com¬ pito. Egli si trova ancora quivi. A ino fu gratissima la maggior parte della let¬ tera sua a me dimetta, come, il sentirla assicurata dalla malatia, et die si degni honorarmi de’ suoi commandi. Ben molto mi dolse della sua infinnità passata: bora, lodato Iddio. Di grada, lei non resti scandalizato ili questo mio tardo re- scrive.ro, per scrivere poi quattro dance sotto aH’inclusa figura W, perchè, come desiderosissimo di servirla, cercavo pure d’investigare notai>il cose et sicure lo per rispondere a quei tre quesiti: ma il troppo assottigliare la filosofìa in rotai cose mi riusciva quasi sempre in fino ilei pensiero più die cercare nella eon- chiusiono di quello elio proposto mi bavova; sì elio di tre quesiti mi riuscivano novo dubii, et di novo duini ne Ilo cavato spesso 27 difficoltà. Ilor vegga V. S. Ecc. ma s’io havovo bisogno del filo di Tosco por rittornar al segno onde mi ero tolto. Non bo però dubbitato entrar in tal labirinto per farli cosa grata. Mi per¬ doni so tardi ne riesco; et Dio sa quello ch’avrò detto di buono. Se il carat¬ tere ovoro il tosto ha bisogno di lucidatione, non inanellerò di novo commento. Et por fino li prego da N. S. la compita sanità, et li baccio le? mani. Di Verona, il dì 21 di (Bugno IfiOS. 20 Di V. S. molto 111.™ et Ecc. mn Atleti. m " Servitore Ottavio Brenzoni. Fuori: Al molto 111. 10 et Ecc. mo Sig. r mio Oss. in " 11 Sig. r Galileo Galilei, il Matematico dello Studio di Padoa. (*) Wr. n.° 1S5. In cosa >|tti richiamata, « por la nessuna Bua impor¬ tò A questa lettera non è allegata alcuna figura: lama, m* abliiamo omessa la riprmluziono. abbiamo bensì trovato un oroscopo, accompagnalo Noteremo soltanto chi. è relativi) « persona nata da uno schema di natività, che fu annesso alla il 2 marzo 1502 in Vilna, lotterà n.° 115: ma 0 per il dubbio dui aia proprio Li%j 3 AGOSTO 1008. 217 1 95 *. ALESSANDRO SERTINI a GALILEO fad Arti mi no]. Firenze, 8 agoato lfiOs. Bibl. Est. in Modona. liaccolta Campori. Autografi, li.» I,XXXIX, u.® 112. — Autografa. Molto 111.“ ed Ecc. ,n0 Sig. mio, V. S. mi ha fatto sempre grazia di amarmi e. onorarmi sopra ’l mio merito, ma questa volta l’affetto e la cortesia in vero han traboccato: e se in’è lecito (che la sua gentilezza mi persuade che sia), io le ricorderò che gli huomini grandi, qual è V. S., bisogna che vadiano adagio e considerati a lodare eziam gli amici cari, e bisogna eh’ e’ non concedano ogni cosa all’amore ; perchè, mettendosi a ri¬ schio che i lodati non riescano, mettono anche a rischio il credito e la reputazion propria. E questo basti per tinello che sia dovuto alle cerimonie. lo presu pongo che V. S. abbia detto all’A. m del Ser. ra0 Principe, che io ho, io molti anni sono, professione del tutto diversa dalla poesia, e che quello che io ho composto è stato fatto da me assai da giovane, sì come V. S. sa benissimo, la quale si ricorderà haver sentito anni e anni alcune cose che io le mando per obbedire. Marci havuto caro mi avesse accennato, in che materia avesse volsuto i sonetti e anche la canzone. Le cose amorose dilettali più ; ma non so come sien ricevute in Corte, lo me ne rimetto a lei. Voleva mandare quella canzone amo¬ rosa che io feci tanti anni sono; credo ch’ella n’abbia memoria; ma io non l’bo scritta, e mi sono dimenticato una stanza, della quale io non mi ricordo più che s’io non 1’ havessi mai fatta: sì ohe ho tolto quella in morte del Sig. Agostino del Nero, materia cosi fatta, ma volendo obbedire non ho potuto fare altrimenti. 20 Mi è convenuto scrivere ogni cosa da me per più presta spedizione, sichè lo scritto non sarà più degno di tanto Principe che si'eno le poesie stesse. V. S. con la sua destrezza andrà scusando ogni cosa. Quanto al sig. Andrea 0) , e’ conosce haver ricevuto favor grandissimo da lei, haveiulolo ella messo in notizia di S. A. sì onoratamente, cosa eh’ egli stima per molti rispetti e in particolare per la testimonianza di V. S. Ne la ringrazia per¬ tanto infinitamente, e se le conosce obbligatissimo. E’ vorrebbe riuscire, e perciò la supplica eh’ e’ sia con sua grazia che egli indugi un poco a mandarle quel¬ l’ode sopra ’l Cardinale Gonzaga, nella quale egli vorrebbe mutare alcune cose eli’ e’ vede poter migliorare ora ch’egli è in quiete, havendola composta a Man¬ ne tova tra i disagi e romori delle feste e ’n fretta grandissima. Altro composizioni. (l > Andrka Sai.vaooki, X. 28 218 3 — B AGOSTO 1608. (195-198] dov’egli abbia sodisfazione e «he siali punite a proposito perla materia, non ha pronte, 1 giovani di spirito, corno V. S. sa, con l'esperienza acquistai! sempre giu¬ dizio e ’l rafliiiano } e di mano in mano conoscon più, e perciò non si sodisfanno mai troppo delle cose passate. Pertanto e’ prega V. S. distantemente, clic siccome l’lui favorito in far sì ch’ai Sor. 1 " 0 Principe sia venuto voglia di veder cose sue, ella voglia proccurare eh’ e' non sia lmvuto in considerazione eh’ e’ faccia l’ob¬ bligo suo intorno a ciò un poco prima o un poco dopo, purché e’ lo faccia, sì coni’ e’ farà, E con questo e’ bacia le mani a V. S., sì come anche Luigi mio fra¬ tello, il quale dice haver alVreltato il suo ritorno di villa per amor di V. S., e poi non ce l’ha trovata: ed io fo il somigliante, ringraziandola delle buone nuove 40 del nostro Ser. mo Padrone, al quale il sommo Dio si compiaccia concedere intera sanità e lunghezza di vita. Di Firenze, il dì 3 di Agosto 1(508. Ebbi la sua ieri da Matt<- • •>, ma tardi, e non ho potuto far più presto di quel ch’ella vede: però, Sig. mio, mi scusi. Di V. S. molto Ill. r ® ed Koc. m * Sor. Aff. mo Alessandro fortini. Al molto 111. 0 ed Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei, mio Sig. r e P.rone Oss.*" 0 Alla Corte l,) . 60 196*. ALESSANDRO SERTI NI n GALILEO [ad Àrtimino]. Firenze, 5 agosto UHM. Il Ibi. Naz. Fir. Mas. Gal.. P. I, T. VI, car. 108. — Autografa. Molto 111.® ed Ecc. n, ° Sig. r mio, Io credo clic V. S. abbia in memoria d’havermi sentito ragionare d’ungen- tilhuomo palermitano, amico mio, il quale è stato il verno passato qui in Firenze in medicamenti per una indisposizione, cred' egli, di mal franzese, la quale gli tiene pieno il capo e la testa di volatiche, cosa clic danno brutezza, facendo scorza e forfora; ma sopra la sua persona non sente sorte alcuna di dolore. Egli ha fatto medicamenti grandissimi, da prima del male, rinfrescativi, e poi l’ha curato come mal franzese, e mai non ha potuto guarire; cosa che la credere che non sia mal franzese, poi che non cede a’ medicamenti se non quanto l’evacuazioni Dal 14 giugno al 23 agosto 1008 la Corte al trattenni- nella Villa Perdi nandù ad Àrtimino. Cfr. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gino Capponi 261. Voi. 1, car. 218<- 2181. [190-197] 5 — 18 AGOSTO 1608. 219 io e la dieta scemano pi’umori. Ritornando da Mantova, ove era stato allo feste, si fermò in Bologna, por esperimentare un medicamento propostoli per cosa buo¬ nissima, il quale non gl’ ha tatto giovamento più elio tanto. Perciò gl’ è venuto volontà far prova de’ medici di Padova; e sapendo quanto io sia servitore di V. S., mi ha pregato che io intenda da lei quanto V. S. intenderà dalla sua lettera, la (inalo io le mando alligata 01 . Perciò la prego che mi voglia far grazia quanto prima, avvisarmi quello eh’ ella dice intorno a ciò che desidera sapere questo gentilhuomo da lei. K arrivato qua un libro di un Tommaso Botio (*>, scritto contro a* modici ra¬ zionali, dio’ egli, ed alcuno è parso che vi sia qualcosa di considerazione. Di 20 grazia, V. S. mi dica che huomo e’sia stira ito da lei e dagl’ alt(rij, e se, stante che gl’ altri medici non arrivano al male di D. Vincenzio, questo, che ha del nuovo, se sarebbe il caso suo. Le bacio le mani, e ’1 Sig. 1 ' Andrea< 3 > ancora, il quale è dietro a mettere in ordine l’ode e qualch’altra cosa per mandarla a V.S. No¬ stro Signore la feliciti. Di Firenze, il dì 5 di Agosto 1608. Di V. S. molto 111.® Serv. r ® Aff>° Aless. Sertini. Fuori: [Al] molto 111. 0 ed Ecc. ,no Sig. r e P.ron mio Osa. 1110 B Sig. r Galileo Galilei, SO Alla Corte. 197 *. ALESSANDRO SERTIN1 a GALILEO [ad Artimino]. Firenze, 18 agnato 1608. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campuri. Autografi, B.* I,XXXIX, n.° 111. — Autografa. Molto lll. r ® Sig. mio, 0 questa sì eli’ è giuliva, che le lettere e scritture che io inviai giovedì a V. S., sieno ite male. Io diedi il plico alla posta al Sig. Brunacchi, al quale haveva dato l’altre lettere, e mi disse che ne arebbe fatto il servizio. E possi¬ bile che a quest’ otta V. S. le abbia havute, e vedrà essere scritta la lettera sino di giovedì, il qual giorno, come io le ho detto, le detti alla posta. Ora, se la fortuna si accorda per far apparir maggiore la mia colpa, io non ne posso far altro; e(l è un pezo ch’io sapeva che a me non era ella troppo amica. Ma ( l ) questa lettera manca nel ms. Tommaso Bovio. i*i Cosi sta scritto, ma veramente il libro è ili ( :ì ) Andrea Sai.vadori. 220 18 — 30 AGOSTO 11)08. [197-198] io voglio presuporre che V. S. a quest’otta l’abbia ricevute, perchè, essendovi occasione sera e mattina di huomini die si spediscono costassù, quando sia av- io venuto che ’l Brunacchi, a dii io le diedi, se le dimenticasse giovedì sera e anche venerdì, l’avrà mandate il sabato. Ho inteso che costassù si ritrova un giovane de’ Ciampoli allievo del Sig. r Gio. Bat. Strozzi, conosciutissimo da me e degno d’ogni bene e d'ogni lode per le virtù sue e d’ogni onore, e intendo che si trattiene assai con V.S.: però io non vorrei eh’ ella, so non è seguito sin ora, mi menzionasse seco per conto di poesie, dico di haverne mandate a lei perchè le facesse vedere a S. A.S.. La ragione è, perdi’ io non mi curo di andare in bocca del popolo per questa via, e mi sono trovato dal Sig. Gio. B. e da lui ho inteso del Ciampoli, e non gli ho volsuto dir nulla nè di me nè del Sig. Andrea 51 ; perchè di me non mi 20 curo che si sappia, e di quell’altro anche non giudico bene fare gli stianomi, ed egli anzi non se ne cura e massime col Sig. Giob., che intendo che ha mar¬ tello, per conto del Ciampoli, del Sig. Andrea. Serva a V. S. per avviso. Di grazia, mi avvisi se ha poi ricevute lo lettere, e mi tenga in sua grazia e comandi. Di Firenze, 18 di Agosto 1608. Di V. S. molto 111. 8 ed Ecc.* 110 Ser.° Aff. m0 Alessandro Sertini. Fuori : Al molto HI.™ od Eec. mo Sig. r e P.ron mio Uss. n, ° Sig. 1 ' Galileo Galilei, so Alla Corte. 198 *. PIETRO DUO DO a GALILEO in Firenze. Padova, 80 agosto lGOs. Bibl. 3?»t. in Modonn. Raccolta C&mpori. Autograti, 11.* LXX1V, n.° 81. — Autografa In Hottoscrizione. 111.™ et Ecc. n, ° Sig. r La lettera con la quale ha piacciuto a V. S. TU.™ et Eco. 1 "» di honorarmi, a me è riuscita carissima, perchè ho conosciuto in lei un non so clic d'individuo verso di me, che so non esser così commune con tutti; e però, sì come l’assicuro di corrisponderle per ogni verso, così 1* accerto appresso, non mi si rappresenterà mai occasioni di farle servitio, che non lo faccia. A quel Ser. mo Principe bascio humilmente le mani per 1’ amorevole alFettione che dimostra di portarmi e per la memoria che resta servito di serbar ili me; <0 Giovanni Ciampoli. <*' Anuria Salvadohi : cfr. n." 195. 30 AGOSTO — SETTEMBRE 1608. 221 [198-1991 e mi farà favore, con occasioni, rallegrarsi con sua Altezza Ser. mR delle sue io auguste nozze l '\ et le prego da Dio tutti quegl’ effetti felicissimi che si hanno oonceputo nell’animo. Io non ardisco dirle cosa alcuna delli Serenissimi Gran Duca e Gran Duchessa; ma se, in congiuntura, potesse fare un simil ofìitio con essi, mi sarebbe gran favore, essendo io obligatissimo a l’un e l’altro delle loro Altezze per favori così estraordinarii, che in diverse occasioni ho ricevuto dalle loro mani. Di figliuoli 1 * 5 stanno bene, e le rendono i saluti quadruplicati. Studiano, et . l’attendono al tempo promesso: et nel resto le auguramo ogni compita felicità. Di Padova, li xxx Agosto 1608. Di V. S. lll. re et Ecc. ,ua All'. n, ° per ser. la 20 Piero Duodo. Fuori : All’ Tll. ro Sig. r L’ Ecce." 10 Sig. Galileo Galilei. Fiorenza. 199 . GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze]. [Firenze, settembre 1608). Blbl. Naz, Fir. Mhs. Gal., P. 1, T. IV, car. 29 e 80. - Bozzu autografa. Mad. rail Ser. ma Essendo questa delle felicissime nozze del Ser .™ 0 Principe, figliuolo di Y. A. S. et nostro amatissimo Signore, la prima occasione per la quale tutta l’università de i suoi fedelissimi servi et vassalli, chi con uno et chi con altro segno di amore, di fedeltà, et di obedienza, compa¬ rendo innanzi alla sua Ser. raa Altezza, dimostri il vero et vivo giubilo che sente nel vedersi per sì fortunata copula stabilire la speranza di perpetuarsi sotto così dolce et soave governo; parmi che S. A. S., in risposta di così grati alletti, dovesse all’ incontro con qualche espli- io caute segno manifestare a quelli l’interno alletto suo, la innata sua Immanità et la sua singoiar protezione, con la quale abbraccia et è Lett. 199. 7. Tra nel e vedersi leggasi, cancellato, cuore. — (l ' Accenna alle nozze ili Cosimo, Gran Prin- <*> Intendi i nipoti Franoksoo o Akdhka, Agli cipo di Toscana, con Maria Maddai.kna, figlia del- di ài.visk Duodo, fratello di Piktro, che mori celibe. l’Arciduca Cardo d’Austria. Olr. n.°2l0. ‘222 8ETTEMBBE 1608. [ 199 ] per abbracciare tutto il popolo dalla Divina Previdenza sotto il suo governo et patrocinio costituito. Et questo per avventura potrà 1 »A. 8 . fare, se comparendo nel cospetto publico di tutto il concorso de i suoi vassalli, spiegherà misteriosamente nella sua impresa, non carattere che denoti qualche suo più particolare affetto, ma sì bene che sia simbolo il quale gl’ animi di tutti universalmente venga a consolare, con rassicurargli della celeste pietà che nell’Immanissimo suo petto risiede, con la quale è per protegergli sempre et per sempre solle¬ vargli, rendendosegli grati, obedienti et fedeli più con l’amore et con 20 la carità, che col timore o con la forza. Tale et. sì generoso pensiero panni che acconciamente possa esplicarsi col figurare per corpo del¬ l’impresa una palla di calamita, dalla quale pendano molti ferri da essa sostenuti, aggiugnendovi il motto Vim facto amor: il cui senso allegorico è, che sì come quei ferri dalla calamita sono contro la pro¬ pria inclinazione mossi all’in su et sostenuti in alto, ma però con una quasi amorosa violenza, avventandosi ristesse ferro avidamente a quella pietra et quasi di volontario moto correndovi, sì che dubbio ancor resti se più la forza della calamita 0 il naturale appotito del ferro o pure un amoroso contrasto d'imperio et di obedionza così so tenacemente ambedui congiunga; così l’affetto cortese et pio del Prin¬ cipe, figurato per la pietra, che a sollevare et non ad opprimere i suoi vassalli solamente intende, fa che quelli, rappresentati per i ferri, ad amarlo et obedirlo si convertino. Ohe poi per la palla di calamita acconciamente si additi la persona del Ser. mo Principe, è manifesto: prima, per esser le palle antica insegna della Casa; in oltre, essen¬ dosi da grandissimo filosofo diffusamente scritto, et con evidenti di¬ mostrazioni confermato, altro non essere questo nostro mondo infe¬ riore, in sua primaria et universal sustanza, che un gran globo di calamita, et importando il nome Cosmo il medesimo che mondo, po- -io trassi sotto la nobilissima metafora del globo di calamita intendere il nostro gran Cosimo. Farmi altresì che non meno acconciamente ven g hi no da i ferri pendenti dalla pietra circonscritti i devotissimi vassalli di S. À.S. ; perchè se il ferro solo è quel metallo dalla cui durezza si traggono le più salde armi, sì per la difesa nostra come per l’offesa dell’ inimico, chi non sa che nelle mani, nel cuore et nella 25. contro la leggasi frft lo righe sostituito .1 dallo cancellato. — 2W. Tra però 0 con loggosi, cancellato, ■innoi. — 40-41. potrà*»! «• mrgìiinta interlineare. [190-200] SETTEMBRE - 10 OTTOBRE 1608. 2*23 fede do i sudditi h riposta ogni difesa et. sicurezza del principe et de' suoi stati? Questa dunque, Madama S. a , quando così paia al suo purgatissimo giudizio, potrà esser l’impresa con la quale, a consola¬ lo zion de i suoi popoli, in questa universale allegrezza potrà il Ser. n, ° Principe scoprire quale egli voglia essere verso i suoi sudditi, et quali egli desidera che si inantenghino loro verso di esso. Et quando vo¬ lesse l’A. V. mantener vivo nelle memorie de i suoi vassalli questo pensiero, potria in questa occasione fare stampar medaglie d’argento et d’oro, dove da una parte fosse questa impresa col suo motto, et dall’altra intorno a l’imagine del S. Principe quest’altro : Magnus Magma ('fosmos, che nel senso litorale altro non dice se non che il mondo sia una gran calamita, ma sott' altro senso dichiara l’impresa. 200 *. PIETRO DUODO a ITALI LEO Ir Firenze. Padova, 10 ottobre 1608. Bibl. E.it. In Modena. Raccolta CamporL Autografi, li.» LXXIV, u.» 77. — Autografa la sottoscrizione. lll. r ® et Eec. ,no Sig. r Ricevo gran eonsolatione dalle lettere di V. S. Ill. re et Ecc. ma , poiché in esse scuopro l’amor che mi continua; di che la ringratio infinitamente, assicurandola che l’amor suo è benissimo corrisposto et con altrettanto desiderio di servirla; quando si compiacerà valersi di me. Ho salutato li figliuoli (l) , li quali gli rendono molte gratie et la risalutano doppiamente. Intanto le desidero felicità, et me le raccomando. Di Padova, li x Ottobre 1608. Di V. S- 111."» et Ecc. n,a •o S. r Galileo. Fuori : All’ III.™ et Ecc“° Sig. r Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Afi>° per seri 11 Piero Duodo. <»> Cfr. u.° 108, liu. 16. 224 18 DICEMBRE 1008. 201 . OTJRZIO PI COHEN A a GALILEO In Padova. Firenze, 1K dicembre 1608. Blbl. Naz. "Flr. Mrr. (lai., P. 1, T. VI, car. 127. — Autografa. Molto 111” S. r mio Oas. m ® Quando V. S. era sul partir di qua, io le dissi che poi per lettera havrei replicato alcune cose a quel che scrisse a V.S. il suo amico di Verona 0) in¬ torno alla nascita della mia iigliuolina l,) , perchè da questo io son venuto in dubio elle forse 1’ bora non sia giusta. Prima egli dice, che quest’ anno corrente ella correva pericolo della vita, mas¬ simamente nel mese di Settembre: et a questo io dico, chi' la detta figliuola non ha mai havuto male di considerazione ; et già si trova presso alla line del- P undecimo mese. Poi dice eli’ ella liavrà roba da’ suoi parenti ecclesiastici : et 10 rispondo che non mi resta parente alcuno, donde a lei possa venir roba nò io anche di qui a cent’anni, nè dal canto mio nò di mia moglie. Stante adunque 11 dubio che 1’ bora non sia giusta, riceverei per favore da V. S. che il suo amico vedesse se si può aggiustare dall’istesso tempo della nascita, perchè intendo che la figliuola nacque in modo, che per me/./.’ hora o più fu tenuta per morta o che in breve spazio dovesse morire, perchè era nera et non faceva quasi movimento alcuno nè segno di vita, fintanto che, lavatala nella malvagia calda, ella rin¬ venne: et questo pericolo avvenne perchè nacque vestita et col tralcio avvolto intorno al collo, che quasi P bavera soffocata. Da tale accidente potette forse avvenire che si tardò un poco a dar avviso della nascita a quelli che stavano lhor della camera per notar V hora. Et il sopradetto pericolo mi par assai noia- so bile per poter rettificare la natività, non essendocene fin hora occorso alcun altro. Con questa occasione ricordo a V. S. il mio solito desiderio di servirla, et le bacio la inano. Da Fior.**, alli 18 di Dicembre 1608. Di V. S. molto 111.” Alf. n, ° Serv. r * Curzio Piccliena. Fuori, (V altra mano : Al moli’ Ill. rn Sig. r mio Oss. mu Il Sig. r Galileo [.] Matematico nello Studio di Padova. (il Ottavio Bkknzoni. <*> Catkkixa. [202-203] li) DICEMBRE 1008 — 8 GENNAIO 100!)* 225 202 . GALILEO n CRISTINA DI LORENA in Firenze. Padova, 10 dicembre 1008. Bibl. Nnz. TMr, Mas. Gal., P. I, T. IV, cur. 81. — Autografa. Sor."" 1 Mad. ma Il benignissimo affetto che da diversi segni ho scorto in V.A.S. verso la persona mia, mi presta di presente ardire di supplicarla con ogni maggiore humiltà, che voglia esser servita di favorire Mesa. Be¬ nedetto Landucci mio cognato, il quale li porgerà la presente, a presso S. A. S. ma , sì che resti graziato di ottenere quanto in un suo memo¬ riale domanda; assicurandola che in diligenza et fedeltà da niun altro lor vassallo sarà superato, et raccomandandoli la povera sua famiglia, che per tale aiuto sarà dalle lunghe sue miserie sollevata, che è opera io prima della somma bontà di V. A.S.: di che et essa bisognosa fami¬ glia nelle sue calde orazioni a presso Dio ne le renderà merito, et io iu perpetuo gliene bavero quell’ obligo istesso che se nella mia propria persomi funse tal benefizio stato conferito. Et con ogni humiltà inchi¬ nandomi all’A. V. S., reverentemente li bacio la vesta, et da Dio li prego il colmo di felicità. Di Padova, li 19 di Dicembre 1608. Di V. A. S. Hum. mo Servo Galileo Galilei. 20 F/utrì, Di stilo fiorentino. 10 GENNAIO — 11 FEBBRAIO 1609. 227 [204-2061 Intanto, inchinandomi con ogni luuniltà a V. A. S., li bacio la vesta, et dal Signore Ilio li prego il colmo di felicità. l)i Pad. n , li 16 di Gen» 1609. Di V. A. S. Humiliss. 0 et Oblig. 1 " 0 Servo et Vass. 10 Galileo Galilei. 20 Fuori : Alla Sor. raa G. Duchessa di Toscana, mia Sig. ra et Pad. ua Col." 111 205 *. CURZIO PICCIIENA a GALILEO in Padova. Firenzi), 31 gennaio 1(501). Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autogrill!, li.» LXXXY, u.« 20. — Autografa. 111. 10 S. r mio Oss. 1 " 0 be bene il Gran Duca liaveva quasi destinato et promesso a un altro quel luogo clic chiuso il cognato ili V. 8. (,) , poiché era stato dato ad intornierò a S. A. che egli non era atto ad esercitarlo, non di meno Madama Ser." ,a s’ è messa di nuovo a farne gagliardo ofiizio, sì che oggi, nella consulta degli Auditori, il luogo gli ò stato dato (,) : et Madama ini ha commesso di farlo sapere a V. S., sì come faccio. Kt di cuore la saluto, et le bacio la mano. Di Firenze, alli 31 di Gen.° 1008 t3) . Di V. S. lll. re Afl>° Ser.™ Curzio Picohcna. Fuori : All’ 11l. r “ S. r mio Oss. 1 " 0 Il S. r Galileo [Galilei], Lettore di Matematica. Padova. 206 . GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze]. Padova, lì febbraio ÌGOS. Blbl. Naz. Fir. Mhs. Cai., P. I, T. IV. Olir. 35. — Autogrnfft. Mad. ,,,a Sor. ma et mia Sig. r: ‘ Col. ma La ditìicultà attraversatasi nella resoluzione del negozio di Mess. Be¬ nedetto Landucci, mio cognato, lia partorito dui buoni edotti : 1 uno, (*) Cfr. mi.' 202 «' 203. (-•) Cfr. Voi. XIX. Ooc. XV, «, 3). 0') Di stilo fiorentino. 228 11 VK.BBKA10 1609. [200-207] che ha porto occasione a loro A. S. n, ° di accertarsi dello honeste con¬ dizioni di dotto mio cognato; et l’altro, di dimostrare a me come, sopra ogni mio inerito, hanno in considerazione la mia devotissima et li umilissima servitù : onde io devo doppiamente ringraziare Iddio et la loro benignità, che non meno cortesemente che prudentemente hanno disposto di quello uffizio ad utile et commodo di detto mio parente. Io rendo dunque grazie infinite a Y.A.S. per la benignalo intercessione apresso il Ser. m0 Ct. I).: nè potendo altro por adesso de¬ rivare dalla mia debolezza che un purissimo affetto di devozione, con questo humilissimamente mi inchino alle loro A.° S."' 0 , nominando il mio obbligo perpetuo, et pregandoli da Dio il colmo di felicità. Di l’ad.' 1 , li 11 di Febbraio 1609. Di V. A. S. ma Dev. mo et lIum. n,H Servo et Vassallo ftalileo Galilei. Fuori: Alla Ser. ,na G. Duchessa di Toscana, mia Sig. ra (Jol. ma 207. GALILEO ad [ANTONIO] DE’MEDICI in Firenze. Padova, 11 |fi:bbraiwj 1609. Cibi. tlaz. Fir. Mas. lini., 1’. Vi, T. V, cnr. 19. — Autografa. Ill. mo et Ecc. ,nn Sig.™ et Pad. 0 ® Col. m ° Ilo inteso minutamente da Mess. Benedetto Land ucci, mio cognato, il cortesissimo affetto col quale V. E. Ill. ma si è mostrato favorevole nella consecuzione della grazia domandata da quello, et finalmente, con l’aiuto del suo favore, ottenuta 111 : ondo io ne le rendo grazie in¬ finite, et T accerto che in quanto la debolezza delle mie forze si esten¬ derà, non mi bavera V. E. Ill. ma a posporre ad alcuno de i suoi più pronti et fedeli servitori. Mi ordina in oltre mio cognato, che io deva scrivere a V. K. qual¬ che cosa di nuovo intorno a i miei stridii, sondo tale il suo desiderio; io il che ricevo a grandissimo favore, et mi è stimolo a speculare più del mio ordinario. Onde [. .. .jere a V. E., come dopo il mio ritorno (l) Cfr. Voi. XLX. Hoc. XV» «, 'I. (favo por In primi» volta volino stampata fpioata let- <*' Le Novell* letterarie pubblicate in Eireme l'anno Un a sopri» I' autografo, olio Corso ora allora iti con- MDCCLXXXIV, Voi. XV, In Fironzc MDCCLXXXIV, dizioni mono deteriorato elio oggi, leggono Onde Ja nella stamperia di Antonio Bonucci, occ., pag. 161, mpere u 1'. E. |20?1 11 PERNIATO 1609. 220 (li Firenze sono stato occupato in alcune contemplazioni et in diverse esperienze attenenti al mio trattato dello meoaniche (l> ; [n]el quale Lo speranza che la maggior parte saranno cose nuove, nè da altri state tocche per addietro. Et pure ultimamente ho finito di ritrovare tutte le conclusioni, con le suo demostrazioni, attenenti alle forze et resistenze de i legni di diverse lunghezze, grossezze et figure, et quanto siali più debili nel mezo clic negli estremi, et quanto maggior peso so¬ no sterranno se quello sarà distribuito per tutto il legno che in un sol luogo, et qual figura doveria bavere acciò fusse per tutto egualmente gagliardo : la quale scienza è mol[to] necessaria nel fabricar machine ed ogni sorte di edilizio, nò vi è alcuno che ne Labbia trattato. Sono adesso intorno ad alcune questioni che ini restano intorno al moto do i proietti, tra le quali molte appartengono a i tiri dell’ artiglie¬ rie : et pure ultimamente ho ritrovata questa, che ponendo il pezzo sopra qualche luogo elevato dal piano della campagna, et appuntan¬ dolo livellato giusto, la palla uscita del pezzo, sia spinta da molta o da pochissima polvere o anco da quanta basti solamente a farla uscir :jo del pezzo, viene sempre declinando et abbassandosi verso terra con la medesima velocità, sì che nell’ istesso tempo, in tutti l tiri livellati, la palla arriva in terra ; et siano i tiri lontanissimi o brevissimi, o puro anco esca la palla del pezo solamente e caschi a piombo nel piano della campagna. Et 1 * istesso occorre ne i tiri elevati, li quali si spediscono tutti nell’ istesso tempo, tuttavolta che si alzino alla medesima altezza perpendicolare : come, per essempio, i tiri aef, agli, uih, idb, contenuti tra le medesime parallele cd, ab, si spediscono tutti nell’ istesso tempo; et la palla consuma in far la linea aef tanto tempo, quanto nella ailc, et in ogn’altra; et in consequenza le loro metà, ciò 40 è lo parti ef, gli, ih, Ih, si fanno in tempi eguali, che rispondono a i <«) Cfr. Voi. Vili, pag. II. 230 11 — 26 FKllBKAIO ÌOOD [207-208] tiri livellati. Nella materia delle aqque et degl’ altri Hindi, parte an¬ cor lei intatta, lio parimente scoperte grandissimo proprietà della natura; ma non mi basta P angustia del tempo a potorie scrivere al presente, dovendo spedir molto altre lettere. Mi riserverò dunque a maggior oportunità a dir a V. E. 3 o 1 conclusioni et effetti veduti et già provati da me, che avanzano di meraviglia forse le maggiori curiosità die sin bora siano state cercate da gl’ huomini. Ma tanto basti per bora. Restami a supplicar V. K. Ill. n,a a conservarmi (pud luogo nella sua grazia, elio la sua somma bontà mi lui sin (pii conceduto, assicurali- bo dosi che ha un servitore che di devozione non cedo ad alcuno altro. Et per fine, inohiiiandomegli con ogni reverenza, li bacio le mani, et [. .. .] Dio somma felicità. Di Pad. a , li 11 [....] 609. Di V. E. lll." m Sor. 1 -' I)(>v. ,M " et. ()blig. ,no Galileo Galilei. Fuori : All’ [. . . ] ro et Pad." 0 [... .J Medici. Eirenzo. 208. GALILEO a COSIMO II DE* MEDICI, Grnmltmi ili Tohc.iuu, [m Firenze]. Padova, *2t» febbraio 16CJ. Blbl. Naz. Flr. Mas. Un)., I’. I, T. IV, car. :t7. — Autografa. Ser. mo G. D. wl , mio Sig. re e Pad. 1,0 Cul. mo Con le medesime lettere mi è arrivata l'acerba nuova della morte del Sei*. 1 "" G.D. Ferdinando, di gloriosa memoria, et l’avviso della co¬ ronazione di V. A. S. mn ; onde io nell’ istcsso tempo mi dorrò doli’una, e mi rallegrerò dell’altro, con l’A. V. Et il dolore di sì gran perdita deve invero esser comune di tutta la Cristianità, essendo mancato un Principe, il cui prudentissimo governo era specchio a gl* altri po¬ tentati : doviamo però consolarci nel voler divino, il quale, vedendo la sua gloria esser arrivata a quel segno oltre il quale non si dà passaggio tra le grandezze terrene, l’ha volsuto condurre alludesti- )° 26 FEBBRAIO J609. 231 [ 208 - 209 ] nata beatitudine celeste, della quale non possiamo dubitare, havendo Sua Divina Maestà con lunga serie di felicissimi successi reso certo il mondo della stima che Ella faceva di un tanto Principe ; et ha non meno provisto i suoi sconsolati vassalli di un presentaneo con¬ forto, scoprendo nell’ Altezza V. S. nm , tra i primi fiori dell’ età sua, frutti di senno maturo, che hanno di già dato materia di far parlar di loro, e non senza stupore, a i popoli lontani; ma non già nuovi a me, che, havendo per mia benigna fortuna et per Immanità di Y. S. A. hauto tante volto grazia di essergli appresso, havevo più e più volte 20 letto nel suo silenzio l’altezza de i pensieri, che ella custodiva per questo tempo. Io supplico l’A. Y. S. ma , che essendo ella stata costituita da Dio per comune rettore di tanti suoi devotissimi vassalli, non sdegni tal volta di volgere anco verso di me, pur uno de i suoi più fedeli et devoti servi, l’occhio favorevole della sua grazia; della quale devotamente la supplico, mentre con ogni humiltà me gl’inchino et bacio la vesta. 11 Signore Dio gli conceda il colmo di felicità. Di Pad®, li 26 di Febraio 1009. I)i V. A. S. Humil. ,no et Dev. mo Servo et, Vassallo Galileo Galilei. so Fuori. : Al Ser. mo Don Cosimo Medici, G. D. di Toscana, mio Sig. re e Pad." 6 Col." 10 209. GALILEO al « S. VESP. » [in Firenze]. | I’ailovn, febbraio 1G09). Bibl. Naz. FIr. Mss. fluì., P. I, T. IV, cnr. III. — Minuta autografe. La lettera di V. S. per molti rispetti mi è stata gratissima : prima, col rendermi testimonianza della memoria che tiene il Ser. m0 G. D., mio Signore, di me; poi, con l’accertarmi della continuata affezione dell’ Ill. mo S. E. Pie. (1) , da me infinitamente stimata, come anco del¬ l’amore di V.S., il quale, facendogli prendere a quore i miei inte- Lett. 200. 1. Prima
  • ] ressi, l’induce così cortesemente a scrivermi intorno a particolari di gran momento. De i quali uffizii et a l’Hl. mo S. Enea et a V. S. io resto perpetuamente obligato, et gliene rendo grazie inlinite; et panni debito mio, in seguo di quanto io gradisca tanta cortesia, slargarmi con lo SS . 0 loro intorno a i miei pensieri et a quello stato di vita io nel quale sarebbe inio desiderio di passar quelli anni che mi restano, acciò che in altra occasiono, che si presentasse all’ lll. mo S. Enea, possa con la sua prudenza et destrezza rispondere più determinata¬ mente al Sor. nm nostro Signore : verso la cui Altezza, oltre a quel re¬ verente ossequio et humilissiina obedienza che da ogni fedol vassallo gli è dovuta, mi trovo io da così particolare devozione, et siami le¬ cito dire amore (perchè nè anco Idio stesso altro affetto richiede in noi più che l’amarlo), inclinato, che, posto da banda ogn’ altro mio interesse, non è condizione alcuna con la quale io non permu¬ tasse la mia fortuna, quando così piacere intendessi a quell 5 Altezza; 20 sì che questa sola risposta potria bastare ad effettuare ogni resolu- zione, che a quella piacesse di prendere sopra la persona mia. Ma quando S. A., come è credibile, colma di quella Immanità e cortesia che tra tutti gl’altri principi la rendono, et sempre più renderanno, riguardevole, volesse col suo servizio accoppiare ogn’ altra mia sn- tisfazione, io non resterò di dire, comej havendo hormai travagliato 20 anni, et i migliori della mia età, in dispensare, come si dice, a minuto, alle richieste di ogn’ uno, quel poco di talento che da Dio et da le mie fatiche mi è stato conceduto nella mia professione; mio pensiero veramente sarebbe conseguire tanto di otio et di quiete, che 20 io potessi condurre a fine, prima che la vita, 3 opere grandi che ho alle mani, per poterle publicare, et forse con qualche mia lode et di chi mi havesse in tali imprese favorito, apportando per avventura a gli studiosi della professione et maggiore et più universale et più diuturna utilità di quello che nel resto della vita apportar potessi. Otio maggiore di quello che io habbia qua, non credo che io potessi bavere altrove, tuttavolta che et dalla publica et dalle private let¬ ture mi fosse forza di ritrarre il sostentamento della casa mia; nò io volentieri le eserciterei in altra città che in questa, per diverse 14 -15. Prima aveva scritto quel reverente omequio, poi corresse quella reverente devozione o citi ultimo tornò a correggere quel reverente otncqnio. — 19. In luogo di con la prima aveva scritto nella. 31. prima chela vita ò aggiunta marginalo. — 32. Dopo publicare si logge, cancellato, al mondo. — 83-35. Da apportando a potetti è aggiunta marginalo.— 39. In luogo (li etercùervi prima avuva scritto farei. — KKBHRAIO !(»()!). 233 [2091 40 ragioni che Barin, lungo il narrarle: con tutto ciò nè anco la libertà che ho qui mi basta, bisognandomi a richiesta di questo e di quello consumar diverse lioro del giorno, et bene spesso le migliori/ Otte¬ nere da una Repubblica, benché splendida et generosa, stipcndii senza servire al publico, non si costuma, perchè per cavar utile dal pu- blico bisogna satisfare al publico, et non ad un solo particolare; et mentre io sono potente a leggere et servire, non può alcuno di Re- publica esentarmi da questo carico, lasciandomi li emolumenti: et in somma simile comodità non posso io sperare da altri, che da un prin¬ cipe assoluto. 60 Ma non vorrei, da quanto ho sin qui detto, parerò a V. S. di haver pretensioni irragionevoli, come che io ambissi stipendii senza merito o servitù, perchè non è tale il mio pensiero. Anzi, quanto al inerito, io mi trovo haver diverse inventioni, dello quali anco una sola, con l’incontrare in un principe grande che ne prenda diletto, può bastare per cavarmi di bisogno in vita mia, mostrandomi l’esperienza, haver cose per avventura assai meno pregiabili apportato a i loro ritrova¬ tori comodi grandi : et queste è stato sempre mio pensiero proporle, prima che ad altri, al mio Principe et Signore naturale, acciò sia in arbitrio di quello dispor di quelle et dell’inventore a suo benepla- oo cito, et accettare, quando così gli piaccia, non solo la pietra, ma anco la miniera, essendo che io giornalmente ne vo trovando dello nuovo ; et molte più ne troverei, quando havessi più otio et più co¬ modità di artefici, dell’opera do i quali mi potessi per diverse espe¬ rienze prevalere. Quanto poi al servizio cotidiano, io non aborrisco so non quella servitù meretricia di dover espor le mie fatiche al prezzo arbitrario di ogni avventore ; ma il servire qualche principe o si¬ gnore grande, et chi da quello dependesse, non sarà mai da me aborrito, ma sì bene desiderato et ambito. Et perchè V. S. mi tocca alcuna cosa intorno all’utilità che io ?» traggo qua, gli dico come il mio stipendio publico è fiorini 520, li quali tra non molti mesi, facendo la mia ricondotta, son come sicuro che si convertiranno in tanti V ; et questi gli posso largamente avan¬ zo-li. In lungo di In libertà che ho qui prima «tot» scritto qvcstu libertà. — 50. In luogo di a \ r . S. prima aveva scritto ad alcuno.- 51-52. In luogo di merito o miniti prima aveva scritto servire. - 54. In luogo di può bastare prima avova scritto basteria.- 03. In luogo dì AelVojnna prima aveva scritto del ser¬ vino. 05. Tra dover od espor si logge, cniicollato, per presto. - 67. et chi da quello Spendesse o aggiunta intorlinonro. — 72. In luogo di si convertiranno in prima avova scritto arriveranno a. — S. no 234 FKHUKAIO — G MARZO 160!). [209-210] zare, ricevendo grand’ aiuto, por il mantenimento della casa, dal te¬ nero scolari et dal guadagno delle lezioni privato, il (pialo è quanto voglio io. Dico così, perchè più presto sfuggo il leggerne molte, che io lo cerchi, desiderando infinitamente più il tempo libero che l’oro; perchè somma ili oro tale che mi possa render cospicuo tra gl’altri, so che molto più difficilmente potrei aqquistare, che qualche splen¬ dore da i miei studii. Eccovi, S. Vesp. mio gentilissimo, accennati succintamente i miei so pensieri : del quale avviso potrà V. S., se così sarà oportuno, far par¬ tecipo Plll. , "° S. Enea, del favore del quale, insieme con quello del- l’111." 10 S. Silvio (1> , so quanto mi posso promettere, et a quello solo ricorrerei in ogni occorrenza. Intanto prego V. S. a non comunicar con altri quanto ho confe¬ rito seco, etc. 210 *. PIETRO DUO 1)0 a GALILEO in Padova. Venezia, tì marzo 1G0U. Bibl. Ent. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11.» LXXIV, u.° 76. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. ro Troppo mi favorisce V. S. molto 111.™ et Ecc. m '* con le sue lettere c con la continuatione che vedo in lei del desiderio ilei bene do’ miei nepoti l,) ; di elio certo le portiamo quell’ obligo ch’ella può per sua prudenza imagi «arsolo. Quanto a quello che mi scrive, io le dirò il mio scuso, rimettendo però tutto alla sua pru¬ denza. Per me io credo che sia bone proseguir 1’ opera lino alli sei libri d’ Eu¬ clide, per spalancar loro la porta a tutte le sorte delle matematiche ; e se bene a’ figliuoli pare forse aspro, ciò non dove parer novo, perchè sono di questa na¬ tura, clte facilmente intraprendono le cose e facilmente le lasciano : e questo è un Inibito cattivo, nò bisogna lasciar far radice, perchè questa sarebbe una strada io di lare che non sapessero mai cos’alcuna; oltreché a me non piacciono le cose imparate per metà, che vuol dire un saper nulla. Questo è quello che posso dire a V. 8. molto IU. re et Ecc. ma , rimettendo a lui però, che è su ’1 fatto, quello che la stimarà meglio di fare; e potrà inanimarli con la sua destrezza, mostrando 73. In luogo di ijrand'aiuto prima aveva scritto yran tollevamenlo. — (>> Silvio Piocoi-omini. (*> Cfr. u." 1U8. 20 [210-211] G marzo 1609. 235 die babbi parlato con me qui a Veri/ e che mi sii doluto del poco progresso, e con quel di più elio lo parerà: e se vorrà che le scrivi alcuna lettera, perchè la possi mostrare, io lo farò quando mi aviserà, perchè chi in questa età non dà la spinta alla barca, tardi in altro tempo si affaticaremo. V. S. molto 111/ 0 et Ecc." 1 * mi conservi in sua grazia; et le odoro, in tutto quello che posso, il mio servitio. l)i Ven/, li G Marzo 1G08 ll) . Di V.S. molto III/" et Ecc. m:i Ser/° Afi>® S/ Galileo Galilei. Piero Duodo. Fuori: Al molto 111/" et Ecc. mo S/ 11 S/ Galileo Galilei. Padova. 211 . ALESSANDRO DE’MEDICI :i GALILEO in Padova. Firenze, 0 marzo l(>09. Blbl. Nam. Flr. Mas. (lui., 1’. I, T. VI, rnr. 117. Autografa. Molt’ 111." et Eoe. 1 '' Sig/ mio ()ss.° 11 dolore della perdita di sì gran Signore sarebbe veramente insopportabile, per cosi dire, se non venisse mitigato da speranza più che ordinaria del valore, bontà et clemenza del Sor. ,,, " nostro Padrone nuovo: et in vero sino al dì d'hoggi ha dati presagi tali, che ciascheduno non solo P ama cordialmente, ma P ammira straordinariamente. Piaccia a N. S. di prosperarlo, et dargli gratia che risponda con gli elVetti al nobilissimo concetto che tutti hanno di esso. Io poi non man¬ cherò con bona occasione fare quanto V. S. mi cornette con S. A. S. ; et so chia¬ rissimo che stima il suo valore, et spero che glie lo mostrerà in ogni occasione, io Circa alle nove della Corte, non saprei altro che dirgli, salvo che S. A. S. ha. confermato tutto il servitio di suo padre f. m. nel’istessa maniera di prima, senza mutare niente in qual si voglia modo, o pochissimo alterando, lutti gli amici salutano V. S. cordialmente, et io in particolare sono servitorissimo suo. Il Ciclo lo feliciti. 20 Di Fior/, 6 di Marzo 1G08 (1) . Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. t0 Fuori : Al molt’ 111. 0 et Ecc.*° Sig/ Galileo Galilei, mio Oss.°, a Padova. Ser. rc Aff. mo Alesa." Medici. Oi Ili stile veuoto. <*> Di stile fiorentino. 23tì 7 - 0 MARZO 1009. (. 212 - 218 ] 212 . COSIMO II I)K’ MEDICI. Granducu ili Toscana, a GALILEO in Padova. Firenze, 7 marzo ltMM. Bibl. Nnz. Flr. Mas. Uni., 1*. 1, T. XIV, cnr. 21. — Autografa la Urna Don Cosimo Gran Duca di Toscana, ole. Mag/° nostro Diletti»»."* 0 Li vostri affetti per la morte del Sor.'"" Gran Duca Ferdinando, mio Signore et Padre, elio Labbia il Cielo, et per la mia successione, vengono graditi da Noi ennesimamente, perchè sono sincerissimi. Kt portandovi noi benevolenza et. tanto maggiore inclinatione, quanto sappiamo per prova il merito delle vostre virili, vi certifichiamo che siamo per mostrarvene segni nell’occasioni di vostro commodo, contento et lionore. F.t il Signore Dio vi prosperi et conservi. Di Firenze, li vii di Marzo 1(>08 l,) . Galileo Galilei. Il Granduca di Tose.* Fuori : Al Mng. co Galileo Galilei, Nostro DilotL.'" 0 Padova. 213 *. GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia. Padova, 1 ) marzo 1G09. Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolala sul dorso: Atti 1 1MJ7 1000. Riformatori dello Studio (li Padova, n.° 419. — Autografa. IIl. mo Sig. ro o Pad."" Col .™ 0 Fn da prudentissima determinazione do i primi ordinatori di questo Studio ordinato, che la lettura delle Matematiche, al presente da me esercitata, fusse letta in un’ bora sola, nò da altre letture occupata, acciò che i medici et filosoli, bisognosi di molte cogni¬ zioni che da questa sono loro sumministrate, potessero, senza perdere altre lezioni, ascoltar questa ; et si accomodò il Mat. co a legger dopo io Ut Dì stilo fiorentino. !) 10 MARZO 1609. 237 [213-214] tutte lo altro bore, por non impedire nò medici nò filosofi, che tutte lo altro horo tendono occupate (l) . Dora, non so da qual cagione mosso, io 1' Ecc. mo S. Rimbiolo (!> , dopo Phaver sin fiora letto all*fiora sempre sua consueta, et pure nell’ ultima sua ricondotta riassegnatali da la parte dell’ Ecc. mo Senato, ò venuto in pensiero di voler leggere ai- fi fiora mia, con notabilissimo disturbo della mia lezione et danno de i miei scolari, li quali, sondo la maggior parte medici, non possono ascoltar quella senza perder la mia ; onde mi è parso necessario dar conto a loro lll. mi et Ecc. 1 " 1 SS. 1 Riformatori di questo disordine, et supplicarle che voglino esser servite di prendere sopra ciò quella provvisione che alla prudenza loro parrà oportuna per restituir le cose nel loro ordine et rimuovere ogni confusione : perchè in effetto, 20 da 17 anni in qua elio io leggo in questa catedra, nissuno ha mai letto all’ bora deputata alla mia lettura, salvo che il medesimo Ecc. m0 S. Riminolo due anni fa alcuni pochi mesi, taciuti da me per havermi dato parola di esser per ridursi alla sua bora consueta, sì come ha- veva fatto, poi che tale ò il comandamento dell’Ecc. mo Senato. Io non mi estenderò in altro, rimettendomi al giustissimo et pruden¬ tissimo parere dello loro S. e El. me et Ecc. me , le quali son sicuro che regoleranno il tutto con ottimo consiglio. Et con ogni humiltà li fo reverenza, et prego da Dio somma, felicità. Di Padova, li 9 di Marzo lf>09. 30 Di v. s. Ill. nm Ser. ro Abbli. mo et Dov. n, ° Galileo Galilei. 214 *. PIETRO nUODO a GALILEO in Padova. Venezia, 10 marzo 1G09. Blbl. Est. In Moderni. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXX1V, n.® 79. — Autografa. Molto 111."» et Ecc. mo S. r Con questa sarà la lettera che V. S. molto 111."» mi scrivo f3) , la quale sarà indrizzata a lei, che potrà mostrarla come le parerà. Scriverò a Cattaro per quel suo soldato, e farò quanto potrò per suo ser¬ pi Cfr. Statuto Alnrno Univorsitatis I). Artisti- scnm Bolzctam, M. U. XOV, cnr. 512. rum nt. Modicornin Patavini Oymnasii. Bornio corrotta ('•) Annui. w. e Bininolo, ot, omomlatn, ore. l’atavii, A pud Ioannom ot Franoi- (3) Cfr. mi.’ 210 o 21G. 238 10 MARZO 1005). 1.214-215] vitio ; nò occorre olio usi cerimonie meco, perchè so mi vedesse il cuore, non lo vedrebbe risplender d’altro che di un affetto singolarissimo di servirla, perchè così olla merita ot io son obligato di farlo. l>i Veri. 11 , li x di Marzo 1608 l '’. Di V. S. molto 111.™ All'.""* ser.™ S. r Galileo Galilei. Piotro Duodo, io Fuori: Al Molto 111.» et Kcc. mo S. r 11 f$ig. Galileo Galilei. Padova. 215 * PIETRO DUODO a GALILEO in Padova Venezia, 10 marzo H10U. Bibl. Est. tn Modona. Raccolta Canipnri. Autografi, B.» l.XXIV, ».« 80. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc.'"° Sig.™ Sono stati i figlioli questi giorni a Ven.\ et havendoli intcrogati nelle cose delle matematiche, vedo che ancora non havevano passato il primo di Euclide; e questo mi ha fatto dubitare che poco pensino a questo studio così nobile et così illustre, et io la voglio pregare a non stancarsi per questo, perchè ogni ra¬ gion vuole che siino capaci del loro bene. Io mi vado pensando che V. S. molto 111.™ sii troppo dolce con loro; et qualche volta qualche ammonitione non sarebbe se non a proposito, perchè sono di natura che vorrebbono saper tutto in un su¬ bito, e coni’ incontrano nelle cose difficili, si smarriscono, non sapendo essi che Iddio ha poste le virtù sopra l’altissimo monte di sudori e di fatiche, senza lo io quali non occorre sperar di pervenire. Io voglio sperare in fine che, con li amorevoli raccordi et indrizzi di V.fe. molto III.™, prenderanno cuore; e quando facessero altrimente, facilmente se nc accorgeremo. Io riposo sopra l’amore di V. S. molto III.™, e da questo spero tutto quel frutto che posso desiderare. E nel resto mi olierò al suo servitio. Di Ven. a , li x di Marzo 1608 (,) . Di V. S. molto 111.™ Ser. Afl>° Pietro Duodo. Fuori: Al Molto 111.™ et Ecc." 10 S. r Il S. r Galileo Galilei. 20 Padova. Lett. 215. 18. Ili luogo «li neeorgtrrmn, prima ora scritto accorgerellona. — '*• Di stilo vomito. •** Di stile vouoto. |21tt-217J 12 MARZO — 4 APRILE 1609. ‘2ÓU 216*. GlOVANCOSIMO GERALDINI a GALILEO in Padova. Firenze, 12 marzo 1(R)9. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1’. 1, T. VI, chi. Ili». Autografa. 111.™ et Eco.""’ Sig.™ mio Oss.'"° Non mancai subito fare il debito mio in presentare la lettera di V. S. al Ser."'° Gran Duca, e ci aggiunsi quelle parole che mi parse, come tanto caro amico che li sono. L’A. Sor. ,uft mi rispose con tanta Immanità, che non si può dir più; e mi disse: < Scriveteli, che dove potrò, vedrà dall’effetti quanto l’amo >, e altre parole molto amorevole, elio ne ho preso di nuovo gran contento. Non mancai baciare lo mani aU’ill." 10 Sig. 1 ' 0 Silvio, (l > Sig.™ Cav. 10 Ferdinando (*), Sig. r0 Piovano, Sig. r0 Gonzaga 0 ’, che tutti gnene rondano dupplicati, come fo io con ricordarmeli servitore e pregarla a degnarsi di comandarmi. E il Signore Iddio li dia ogni io contento. Di Fiorenza, il dì 12 di Marzo 1608 0) . Di V. S. Ill. ro et Ecc." ia Serv.™ Ol>lighat. mo Giovancosimo Geraldini. Fuori: AH’ 1 U. ro et Ecc. n, ° Sig.™ mio Oss."' 0 Il Sig.™ Galileo Galilei. Padova. 217. LUCA VALERIO a GALILEO in Padova. Roma, 4 aprilo 1009. Bibl. Na*. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, ear. 93. - Autografa. Molto lll. ro et Ecc. ,no S. r mio Col.- 10 Moggi sono otto dì ch’io ricevei la lettera di V. S. dal S. r Lodovico Cigoli, nostro commune amico, pittore eccellentissimo, il quale se m’ havesse portato il ritti-atto di V. S. fatto da lui, com’egli sa fare, portandola noi cuore, certo ch’egli Lett. 216. 7. le mano — 12. Kcc. mv Sn.vro Ptoooi.omini. •*i Fkkdinando Saraoikbi.u. <*> Forso Fuancksco elei marchesi Uonzaoa. (*' Di stilo fiorentino. 240 4 APRI OH 1 (>09. [217] m’ havrebbo fatto cosa gratissima: ma poi elio invece (ti quell’imo n’ho rice¬ vuti due del bell’animo di V. SS., fatti l’uno dalla sua scienza, l’altro dall’elo¬ quenza, che sono la lettera et il teorema, parto del suo felicissimo ingegno, a quello del gran Siracusano (so ch’io non mento) di nulla inferiore ; tanto questi mi sono più cari et riguardevoli elio non sarebbe quello, quanto la naturai figura nel rappresentare le bellezze interne è inferiore alla favella, vero rittratto del- io l’animo. Ma di tutto il diletto eh’ io ho preso dalla lettera, quello elio nella prima apparenza mi s’ è offerto, ò il non essere io stato bora conosciuto da V. 8. per altro, che por lo libro de’contri della gravità de’ solidi (,) : chè s’ella m* havesse riconosciuto per quell’ antico amico et devotissimo servitore eli’ io lo sono, cre¬ derei eli’ il giuditio, eli’ ella fa de’ miei componimenti, nascesse più dall’ affet- tione, che questa ila quello, essendo questa tale, nell’ eccesso dell’ lionorar gli amici, scusa de gli errori del giuditio da ninno rigettata ; con eli’ io scusai li SS." miei amici Pompeo Caiino et Gio. Pemissiauo nel riferirmi in publico le lodi che V. S. m’havea date in Firenze, parendomi ch’eglino troppo le abbel- 20 lissero. Nè che V. S. non m* habbia conosciuto per lama, giudicandomene degno, punto mi maraviglio, sapendo che la fama è di due sorti: l’una, figlia del volgo, nata por forza de’ suoi stolidi gridi, la quale V. S. con ragione disprezza ; 1’ altra è quella clic nasce da pochi huomini et savi, elio con la loro autorità, et signoria naturale piegano et volgono a segno ragionevole lo sfrenato giuditio della plebe : et questa faina è stabile et degna del nome; l’altra, a guisa d’animale imper¬ fetto, sorto dalle brutture della materia, oltraggiata dal tempo, a pena nata muore. Della prima maniera è la fama che V. 8., per sua grafia, ha sparsa di me in coteste parti, ot. accresciuta quella eli’ io liuveva in queste. Dunque V. S. non potea conoscermi per fama, poi ella stessa la dovea partorire. Et bastarebbe 30 a me l’intelligenza d’un savio per secolo, simile a V. 8., senz’ultra fama: la quale intelligenza, se si potesse por su le bilancio, mostrerebbe la leggerezza delle lodi popolari, et sanerebbe della pazzia coloro che le seguitano. Ringratio dunque Dio elio ni’ habbia fatto nascere et conservato fin bora in questi tempi, benché nemici di virtù, poiché per mia buona ventura godo dol- L amicitia di \. 8., persona di singolar bontà, di scienze fornitissima, et di pro¬ fondissimo ingegno. Laonde io ben corosco quanto gran favore V. S. mi fa. offe¬ rendomi la sua amici ti a et la mia ricchiedendomi, cho, come lio detto, è vecchia di moli anni ; et per non tenerla più sospesa, io sono quel Luca Valerio, devoto suo servitore, eh ella conobbe in Lisa appresso la felice memoria del S. r Camillo 40 Colonna, quando per quelli ameni et ombrosi prati andavamo, in compagnia d altri filosofi, beilo spesso gridando et disputando insieme. Itingratio V. S. final- -De centro gravitati» tolidormn libri tros toc ah Uymnnsio Romano professori». Roram-, typis Carlini• Vai,brìi, Mathematica!) ot Civili» l’hilosopliiao in lonuoi 1 Soli furi ini, MUCIIII. 4 — 9 APRILE 1609. 241 [217-218] monte dell*amorevole proferta, che mi fa, di favorirmi d’altre sue pellegrine inventioni, il elio desidero sommamente, pur olio non sia delle piramidi ; la qual materia io presi a trattare et ne ho già finiti tre libri, et altri tre finiti nel- l’intelletto, nò voglio di tal soggetto vedere inventioni d’altri: et in ciò vinco mo stesso, per non impigrire. Il teorema di V. S. m’ò piaciuto al pari de’più maravigliosi d’Archimede. L’ha letto ancora la S. rn Margarita Saracchi, che fu giù, mia discepola, donna no dottissima in tutte le scienze et d’ingegno acutissimo ; et giudica del facitore l’istcsso che io, et a V. S. s’arricommanda, pregandola a farle gratia, s’ eli’ ha letti quei canti della Scanderbeide, suo poema heroico, che le furono tolti prima ch’ella li revedesse (1> , di scrivermene il suo parere et quel che altri ne sentono costi, sì come aneli’ io la prego. Et per non darle più noia, a forza fo fine, riser¬ bando quel che mi restava di dire ad altro tempo. Prego Dio la conservi sempre felice, et a me dia occasione di goder V. S. di presenza et di poterla servire ; il che sarà in ogni luogo et in ogni tempo, siccome ho fatto con la lingua, predi¬ cando il suo valore per tant’ anni che non ci siamo revisti : sì che dove V. S. mi vedrà atto, facciami degno de’ suoi comiuttiidamenti. Et le bacio le mani. f.o Di Roma, li 4 d’Aprile 1609. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Ser.™ Devotissimo Luca Valerio. Fuori: Al molto 111." et Ecc. ,nn S. r mio Oss. mo il ÌS. 1- Gali ileo Gallilei, Lettor di Mattematica nello Studio di Padoa. 218 *. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Padova. Roma, il aprile 1009. Blbl. Nae. Flr. Mas. Oal., P. I, T. VI, car. 100. - Autografa. Eoe."* 0 Sig. r et Patron mio Oss. n '° Ricevei la sua lettera, et così stracca la portai a il Sig. r Luca Valerio, il quale si mostrò molto a V. S. affezionato, ricordandosi di quando eri a Pisa, che andavi così fieramente disputando sopra molte belle cose gustose, delle quali dice il Sig. r Luca non c’ essere con chi conferirne, se non di cose che abbino per fine lo empiere la borsa. Ora dice che à finito una altra opera di cose bellissime, la quale sarà un poco più intelligibile et facile del’ altra, et che presto la darà fuori. »‘l Cfr. n." 221, lin. 22-21). X. #1 I 242 9 — 30 APRILE 1609. [ 218 - 219 ] Non so se A dato risposta a V. S., perchè ine ne sono stato tutta la settimana a S.° Pagolo, Ut dove ò dato principio alla maggior tavola, et però no l'ò piè rivisto; anzi cerche di spedirmi, per fuggire poi la malaria, che vi porta la state, io et tornarmene a Roma, per ispedirini di alcuni quadri che io ci ò cominciati, perchè, s* io posso, me ne vo’ venire a vedere cotesti paesi, et imparticolare V. S., la quale sopra tutte desidero di vedere et servire con tutto il quoro. Et bacian¬ doli le mani, le pregilo da Dio ogni maggior bene. Di Roma, il dì 9 di Aprile 1609. Di V. S. Ecc. ma Afl>° Ser. r " Lodovico Cigoli. Fuori : All’Ecc. ,no Sig. r et Patron mio Oss. n, ° 11 Sig. r Galileo Galilei, Lettore dello Matematiche. Padova. 2 o 219. GIOVAN FRANO ESCO SAGREDO a GALILEO in Padova. Aleppo, :k) aprile 1609. Dlbl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B. ft I.XXXV1II, n.° -IO. - Autografa la Kottosrrizlono. Un .secondo originale, elio fu spedito :i Venezia, pure con la sottoscrizione autografa o in capo al quale o accanto all’indirizzo si legge rrpliente, h noi Mss. Gal. della Itili). Naz. di Firenze, I’. I. T. VI, cnr. lOii: esso presenta pochissime differenzo di lozioue, dello quali uotoromo con la sigla r quelle elio ci sumlirano degno d’osaorvaziono. 111.™ S.™ Ecc. mo Io parlo, io discorro, et sono con l’animo a tutte Pbore con V. S. Ecc. ,n ", nò doppo il mio arrivo qui ho potuto nò saputo scriverle ; non per difletto di ma¬ teria (perchè sono qui tante le novità et le occasioni di lilosofare, che non muovo alcun passo che non desideri haverla meco per intendere da lei P opinion sua), ma ben perchè, dall’ altro canto, infiniti negotii et disturbi (et di questi, molti ancora travagliosi et molesti) mi distraono et occupano V animo in modo, che riesco inhabile per poterle scriver come vorrei. Pure, già che non vedo mai ap¬ parire quel tempo che io possi scriverle con animo libero, ho voluto almeno con queste levarlo quella meraviglia che le potesse dare il mio silentio. io Qui mi si è destato un desiderio così ardente di sapere infinite cose, che male¬ dico, mille volte P bora, la mia ignoranza et il tempo perduto nell’ otio, che do¬ vevo et potevo consumare ne’ studii. Se V. S. mi vedesse alcuna volta nel mio studio andare sciolgcndo et rivolgendo i libri, so che riderebbe, osservando che mentre io, tratto dalla curiosità, apro alcuno di essi, ho il cuore a studiarne un altro; et come se temessi che quello mi fugisse di casa, sono astretto da sover¬ chio alletto a pigliarlo, et doppo quello un altro et un altro, fino che mi sia ca- L.ett. 219. 14. andare iiciclgendo et rivolgendo, r -• [219-220] 30 APRILE — 22 MAGGIO 1609. 243 ricalo a misura ili asino; et lilialmente dandomi alla lettura di alcuno, i pensieri et i negotii, che continuamente mi scorrono in capo, fanno che la lingua et gl* oc- co dii si affaticano in leggere, senza che l’intelctto possa capire nissuna cosa ; et se per disgrafia ne apprende alcuna, la memoria, distrata da travagli et da biso¬ gni, non sa ritenerla : sicliè i miei studii consistono solo in una ardentissima volontà, distituta dall’ intelotto et dalla memoria, che, tiranegiati da una molesta occupationc, riescono totalmente odiabili a darle audienza. Mi consolo nondimeno con la speranza di stare seco in Padova un par di mesi a filosofare et godere ; ma in un istesso tempo mi sgomenta oltre misura il pensare che debbano correr tre anni almeno avanti questo desideratissimo effetto, et die i pericoli di un molto lungo viaggio mi vietino raccertarmi del ritorno: et in quest’ultimo impedimento pare che più si bacchi la speranza, che in quello della longhezza del tempo; co perché, parendomi breve spatio il corso di cent’anni, assegnato per ultimo ter¬ mine alla vita humana, so che tre passeranno pur troppo presto, et che con essi ancora sensibilissimamente passerà buona parte del vigore di questa vita. Si con¬ tenti in gratia V. S. Ecc. m;l in questo mentre consolarmi con le sue giocondissime lettere, et fare che, acciecato dal gusto che io goderò leggendole, inganni me stesso, credendo haverla presente. Ahimè, che l’occupatione ini vieta il tratenermi più longamente con V. S., alla quale per fine et senza fine mi raccomando, pre¬ gandole da N. S. Dio ogni contento et felicità. In Aleppo, l’ultimo d’Aprii 1609. Di V. S. Ecc. ,,Kl Tutto Tutto suo 40 S. r Galileo Galilei. G. E. Sag. Fuori: Almi.™ et Ecc. mo S. or mio Oss. n, ° 11 S. 01 ' Galileo Galilei, Matematico di Padova. 220 *. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Padova. Roma, 22 maggio ICO!). Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., 1*. I, T. VI, «ir. 101, - Autografa. Ecc. 1 " 0 Sig. r mio, Ricevei la cortesissima sua, et la inclusa portai a il S. r Luca Valerio, a cui in voce et con la medesima sua feci fede del’alletto et ossequio che ella gli porta; e da lui furono riceute cortesissimamente, mostrando di tenerla cambiata con altrettanto affetto et amirazione delle virtù sue : et spero che 1’ esere conosciuto 3G-87. pregandole dal Signore Dio. r - 39. Di V. S. Eco..™ Desidero*»».* di *erJ° (/. E. Sagre,lo. r ~ •10. Ecc.'"* S.r 6’. tì.. r_41 -48. Al molto M<»j. c0 S. r mio 1.' Eco.»* Si° Sor/" Lodovico Cigoli. Fuori: All’Ecc. n, ° Sig. r et Patron mio Oss. m ® 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei, Lettore dolio Matematiche. Padova. 221 . LUCA VALERIO u GALILEO in Padova. limila, 23 maggio 1001). Bibl. Nttz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 1)5. — Autografa. Molto lll. ro et Eoe. 1 " 0 S. r " et P.ron mio ()ss. ,no Da questa seconda di V. S., resami dal S. r Cigoli, a ine gratissima, et dalla scritta a lui, non tanto piacere ho ricevuto per le lodi eli’ ella mi dà, molto su¬ periori al mio merito, quanto dall’ affettione elio ini mostra, ond’ella sì calda¬ mente è mossa ad honorarmi; il che lare io non posso verso di V. S., come che io inai non cessi di predicare la sua singular scienza et sublime ingegno, adorno d* una incomparabile modestia, per la quale V. S. si degna di volere conferir meco la sua eccellentissima opera de’ corpi gravi naturalmente mossi et de’ proietti ; la qual materia V. S. con ragiono stima intatta fin bora. Prego dunque V. S. a <*> Cfr. Voi. IX, pag. 12. 23 — 30 MAGGIO 1609. 215 [ 221 - 222 ] io seguitarla et, quanto piti presto potrà, condurla al fine; oliò nel vero ella ò per partorire al mondo grandissimo utile et ammiratione. Quanto alla quadratura già da me publicata, non è quella dell’ hyperbole, oliò, considerando io le proprietà di tal figura, non ho mai aspirato a sì grande inventione, ma ò la quadratura della parabola (,) , da me concliiusa con due dimo- strationi differentissime da quello d’Archimede, come V. S. vedrà, con un discorso logico sopra 1’ hypotesi delle superlicie gravi et delle due linee descritte da’ centri di gravità di due gravi naturalmente mossi, ambedue perpendicolari ad un me- desmo orizonte, eli’ usa Archimede nella sua prima dimostratione. Non la mando bora, per le varie et molte occupationi che mi togliono il tempo : per quest’altro so ordinario, piacendo a Dio, non mancherò d’inviargliele, col sagio anco d’alcuni miglioramenti eli’ io lei 1’ anno passato, et vo tuttavia facendo, ne’ miei libri pu- blicati, che V.S. s’è degnata di leggere, et con gli undici canti della Scander- beide della S.™ Margarita Sarrochi (t) . Ma un negotio, eli’ al presente mi chiama, favorisce V.S. per ch’io non le dia occasione di magior tedio, mala ricompensa del diletto eh’ io ricevo dalle sue lettere, piene di sostanza et non di materie frivoli, come V. S. per sua modestia dice. La S. rn Margarita, non manco affettionata a V. S. che ammiratrice del suo chiaro vaierò, le bacia le mani, coni’ aneli’ io fo con tutto ’l cuore, pregandole da Dio N. S. intiera felicità. 30 Di Roma, a dì 23 di Magio 1609. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m, ‘ Se.™ Devotiss. 0 Luca Valer,). Fuori: Al molto Ill. rH et Eoe." 10 S. r et P.ron mio Oss." 10 11 SA Galileo Galilei. Padova. 222 * LUCA VALERIO tv GALILEO in Padova. Bontà, SO maggio 1600. Bibl. Est. In Modena, «accolta Campori. Autografi, 0.» XC1I, n.» 20. — Autografa. Molto lll. re et Ecc.'"° S. r et P.ron mio Oss. lno Ricordevole della promessa eli’ io feci a V. S. otto dì sono, vengo con queste quattro righe a sodisfare in parte al debito mio, riserbando 1’ altra parte ad <‘l Quadratura parabola e. per eimplcx fahuu,. < ! > Cioft i primi novo, il duodecimo od il deci- FA altera, quam aecunda Archimedi« expeditior. od n.oq.iarto do La ticandcrUide, Poema oroico «lolla Martium Columnam, Luoak Vaucrii, niatlioinaticaeet Signora Maughkrita Sarroocmi, dedicato «.11* lll.'*»» civili» pl.ilosopl.iao in almo Urbis gymnaaio pubblici Si*." »• Costanza Colonna Sforza, eco. In «orna, profossoris. Uomo, apud Lepidui» Faeton., MUOVI. appresso Lepido Facci), R1DVI. 246 30 MAGU10 — 27 GIUGNO ÌUU'J. [222-223] altro temilo, poiché non ho potuto ancor copiare alcuni mie’ problemi e teoremi, co’quali V.S. s’habbia a trastullare. Mandole dunque per bora gli undici canti della Scandorbeido l ”, come che scorrettissimi siano di stampa, per la fretta di chi li fé* stampare, oltre al non ussero prima stati rovisti dalla facitrice; sì ehe da una parte dello schizzo potrò. V. S. agevolmente comprendere qual possa essere tutta l’opera, condotta a perfottione. Mandole, involta con essa, la quadratura della parabola 10 ; et perchè nel mio libro, eli’ha V. S., non so se ci sia il primo io loglio della seconda parte, eh’ io foci già ristampare, per maggior chiarezza, poco tempo doppo la publicatione, perciò le mando ancor quello. 101 non havendo al presente altro che scriverle, se non quel eh’havrò sempre, di pregarla che mi conservi nella sua buona gratia, a V. S. bacio le mani, come anco fa la S. r « Mar¬ gherita Sarrochi, pregandole da Dio felicità. l)i Roma, a dì 30 di Maggio 1G0!). Di V. S. molto lll. r ® et Ecc. laa S. r ” Devotiss." Luca Valerio. Fuori: Al molto 111.™ et Eco.» 10 S. r " et P.ron mio Oss.' uo Il S. r Galileo Galilei. 20 Con un fascetto. Padova. 223 ** ENEA PICCOLOMINI ARAGONA a GAI,ILEO in Padova. Firenze, 27 giugno 1001». Autografoteoa Morriaon In Londra. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.™ et Ecc.'"° Sig. mio Oss. ,no Sono tanto obligato ull’ammorovolezza di V. S., elio haverei dovuto più spesso con lettere farli noto il desiderio che io ho, elio mi si porga occasione di po¬ terla servire; ma perchè sapevo che ella era del continuo occupata ne’ suoi studi, por non darli più fastidio che gusto, mi sono andato rattenuto a scriverle lino a quest’bora, nella quale, spronato da una voce che mi ò venuta all’urecchio, che questa state non siamo per godere della dolce conversatione di V. S., sono forzato a rompere il silenzio et interrompere con questa i suoi studi, con dirle che tutti noi altri, suoi amici, di ciò habbiamo preso infinito disgusto. Laverò dunque per gratia singulare, la mi porga almeno modo che io la possa in qual- 10 che cosa servire, chè servendola mi parrà di vederla e goderla. E con questa occasione non voglio mancare di darle avviso, come il nostro Scr. mo Padrone, m Cfr. n.° 221, lin. 23. Cfr. il.» 221, lin. 14. 27 — 29 GIUGNO 1609. 247 [ 223-2241 no’ ragionamenti occorsi sopra di V. 8., ha mostrato tenerne quella memoria che le sue virtù meritano, e ne parla sempre con molto affetto, conforme a quello che gl’ ha mostrato gli anni addreto. Et io in tanto offerendomi prontissimo ad ogni suo cenno, le bacio con il Sig. r padre le mani. I)i Firenze, li 27 di Giugno 1609. Di V. S. molto Ill. ro et Eco.™ Ser. AfT." 10 Enea Piccoiomini Arag." :i 20 Fuori: Al molto Ill. r " et Ecc ."' 0 8 ig. r mio Oss.'"° il S. r Galileo Galilei. Padova. 224 *. PIETRO DTIODO a GALILEO in Padova. Venezia, 20 giugno 1600. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Cnmpori. Autografi, B.» I.XX1V, n.° 78. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. 1 " 0 8ig. r " Non tralasciai, prima eli’ io mi partissi di Padova, di trattare con alcuni di quei SS. rì del negotio (,) di V. 8. molto 111.™ et Ecc.»"*; il che feci con quel ter¬ mine che stimai a proposito per la riputatone sua e perché la cosa havesse quell* effetto che desideravo per reputatone publica, e spero che ottenirò assai facilmente l’intento mio: ma è vero elio dubito, la cosa sii per andar alla longa, per non esser noi in tempo di poter far ridurre quei SS.' 1 Ma olla creda certo che il negotio mi è a cuore; et le ho voluto scriver questo, solo perchè se nel mio partire mancai di dargliene parte, fu solo perchè non potei, ma non giù. io perchè me ne fusai scordato, come non mi scordarò in eterno mai di tanti favori che riceve la Casa nostra dalla virtù e dalla cortesia di V. S. molto Ill. re ed Ecc.™ Ho preparato il suo compasso et libro per inviare costì alli figlioli C!) ; il che sarù con prima occasione sicura, perchè non sii guastato. Et nel resto le bacio le mani. Di Venetia, li 29 di Giugno 1609. Di V. S. molto ni.- et Ecc.™ AfO° Ser. 1 * 0 Pietro Duodo. Fuori : Al molto 111.— Sig. rn L’Ecc." 10 S. r Galileo Galilei, Lettor pub. co di Mai— Padova. <'» Intonili lidia ricondotta alla lettura. <*) Cfr. n.» l‘J8, lin. 8. 248 18 LUGLIO l(ì09. [225] 225 . LUCA VALERIO a GAI .ILEO in Padova. Roma, 18 luglio 1609. Blbl. Nas. FIr. Mss. (lai., P. VI, T. VII, car. 07. — Autografa. Molto 111.» et Ecc. n, ° S. r mio Col." 10 Alla lettera di V. S. delli 5 di Giugno, a me gratissima, non ho risposto prima, por voler ben considerare i due principii eh’ ella si ò degnata di commu- nicarmi. Per tanto io dico, che per principii d’una scienza di mezo a me non paiono duri, anzi chiarissimi, atteso che in principii di tali scienze non è neces¬ sario che sodisfaccino in prima vista a gl’ intelletti privi in tutto dello scienze superiori. Ma un intelletto geometrico, con qualche lume di metafisica, o naturale o acquistato, subito intesi li termini di quello due propositioni, della verità di esso non potrà dubitare, potendo agevolmente intendere, esser verità nota per sè stessa, che moltiplicandosi la virtù della causa sufficiente, è necessario si molti- io plichi la quantità dell’effetto secondo la medesima moltiplicatione, levatone ogni sorte d’impedimento: eh*altrimente parte della virtù causale verrebe ad esser vana, il elio involve manifesta contradittione; poiché la virtù causale, in quanto tale, alla quantità dell’effetto si riferisce, et con la quantità dell’effetto la quan¬ tità della causa misuriamo, sì in quanto all’estensione et intensione, come alla perfezione et nobiltà : dal che, come geometrico, il medesimo intelletto inten¬ derà, potersi facilmente dimostrare la generai somiglianza dello proportioni, per le ragioni solite addursi in molt’altre materie geometriche, et perù non da in¬ culcarsi in queste scienze medie. Dunque, se P impeto o inclinatione della gravità del corpo À (l> sopra il piano 20 inclinato all orizonte secondo l’angolo B si supponga esser doppio dell’ impeto della gravità del medesimo A sopra il piano inclinato all’orizonte secondo l’an¬ golo C, maggiore dell’ angolo B; et tali due diversi impeti nascono dalla gravità di A, limitata verso la produzione dell’ impeto diversamente por le diverse in- clinationi de detti piani ; si vede, per immediata conseguenza, che la velocità (*) Il Valerio non ha disegnata nella lotterà la figura alla quale qui si richiama, prolmldiluente perchè egli si riferiva a quella che Oai.ii.eo avrà delineato nella lotterà a cui questa rispondo e che non ò pervenuta sino a noi. Forse la figura corri- spendeva a questa elio qui aggiungiamo per agevolare l'intelligenza del testo. 18 LUGLIO 1609. 249 [2251 del moto naturale di A sopra il piano meno inclinato, sarà doppia della velocità del moto del medesimo A sopra quell* altro piano più inclinato. Dunque il vigore della causa immediata della doppia velocità, eh’è l’impeto o 1*inclinatione alla doppia velocità, dovea essere doppia dell’ inclinatione alla meza velocità, secondo so la maggior inclinatione dell’altro piano. La seconda suppostone non mi si rende men chiara della prima: per ciò eli’essendo il moto del corpo grave D, mosso per l’AC all’ orizonte BC, composto di due moti retti, l’uno per una parallela alla BC, mobile verso la BC, et 1’ altro per una perpendicolare aH’orizonte, essa ancor mobile, cosa chiara è che (piando 1) sarà in C, havrà acquistato tanto impeto o inclina- tione a velocemente muoversi, eh’è la quantità dell’ef¬ fetto (in quanto effetto, dico, di quella parte del moto composto clic si fa per la perpendicolar mobile, eguale io alla stabile AB), quanto havrebbe acquistato se I) si fusse mosso per la sola perpendicolar.e AB : et ciò dico in vigore del sopradetto principio metafisico. Et tanto bastimi haver detto per mostrarle il buon animo eh’i’ho di servirla, ri¬ mettendomi sempre al purgato giuditio di V. S.; la quale ringratio ancora del teorema mandatomi, elegantissimo et degno di lei, che nel vero m’ha porto gran diletto. Non ho ancora havuto tempo di copiare quel ch’io promisi a V.S. (l) , pel¬ le mie molte occupationi, delle quali, piacendo a Dio, ne sarò in gran parte alleg¬ giente a questo Agosto; sì che potrò attendere alla promessa et seguitar gli altri mie’ componimenti, non solo per quel che ciascuno autore dee disiderare r»o per sò stesso, ma ancora per non esser dal mondo giudicato indegno dell’ ami¬ ci tia di V. S. Alla quale baciando riverentemente le mani, prego da Dio N. S. intiera felicità. Di Roma, li 18 di Luglio 1609. Di V. S. molto IH* 0 et Ecc. nm La S. ra Sarrochi ringratia V. S. del favore fattole in mandarle il giuditio dello stile del suo poema, e della diligenza che dice di voler fare sopra ogni parte di esso ; et le bacia le mani, restandonele con perpetuo obligo. co Fuori.: Al molto Ill. re et Ecc. mo S. r mio Col."' 0 Il S. r Galileo Galilei. Padova. "I Cfr. n.‘ 221 o 222. So. re Divotiss." Luca Valerio. A x. £2 250 1° — 24 AGOSTO 1 226 * LOltENZO PIGNORI A a PAOLO GUALDO [in Roma|. Padova, l.° agosto 1009. Bibl. Muro, in Venezia. Cml. l.XVI della t'I. X, It.. c-iir. 03. Autografo. _Uno degl’occhiali in canna, di clic olla mi scrisse già, ù comparso qui in ninno iPun Oltramontano- 227 **. GIOVANNI UAUTOLI [a IILLUSA 1110 VINTA iu Firenze]. Venezia, ‘22 agosto UHM. Arch. di Stato in Firenze. Filza Modicmi 3001, u.o 03. — Autografo. _È capitato qua un (alo elio vuol dare in Sig. r|n un acereto il’un occhiale n can¬ none o altro istrumento, col (inalo si vede lontano sino a Ufi e.l. .'»() miglia lauto chiaro, clic dicono elio paro presente*, et molti P hanno visto et provato dal Unni pani lo di San Marco. Ma dicosi che in Francia et allrovo sia liormai volgare questo secreto, ut ohe per pochi soldi si compra; et, molti dicono haverno havuti et visti.... 223 . GALILEO a LEONARDO DONATO, Doge ili Venezia. 121 agosti» 1G0UJ. Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolala sul donai : Turni lOU'J. lìiugnu, Luglio, Agosto. Sonato I. F. 15)1. — Autografa. Sor. 11,0 Principe, Galileo Galilei, liuniilissiino servo della Ser. à V. n , invigilando as¬ siduamente et con ogni spirito per potere non solamente satisfare al carico elio tiene della lettura di Matematica nello Studio di Padova, ma con qualche utile et segnalato trovato ajiportare straordinario benefizio alla S. Ul V. a , compare al presente avanti di quella con un nuovo artifizio di un occhiale cavato dalle più recondito speculazioni di prospettiva, il quale conduce gP oggetti visibili così vicini all’ oc¬ chio, et così grandi et distinti gli rappresenta, elio quello clic è di¬ stante, v. g., nove miglia, ci apparisce conte se bisso lontano un mi- io glio solo : cosa che per ogni negozio et impresa marittima o terrestre 24 — 26 AGOSTO 1609. 251 [228-229] può esser di giovamento inestimabile ; potendosi in mare in assai maggior lontananza del consueto scoprire legni et vele dell’ inimico, sì die per due bore et più di tempo possiamo prima scoprir lui che egli scuopra noi, et distinguendo il numero et la qualità de i vas- selli, giudicare le sue forze, per allestirsi alla caccia, al combatti¬ mento o alla fuga ; et parimente potendosi in terra scoprire dentro alle piazze, alloggiamenti et ripari dell’ inimico da qualche eminenza benché lontana, o pure anco nella campagna aperta vedere et par¬ so t,molarmente distinguere, con nostro grandissimo vantaggio, ogni suo moto et preparamento ; oltre a molte altre utilità, chiaramente note ad ogni persona giudiziosa. Et pertanto, giudicandolo degno di essere dalla S. V. ricevuto et come utilissimo stimato, ha determinato di presentarglielo et sotto l’arbitrio suo rimettere il determinare circa questo ritrovamento, ordinando et provedendo che, secondo che pa¬ rerà oportuno alla sua prudenza, ne siano o non siano fabricati. Et questo presenta con ogni affetto il (letto Galilei alla S. V., come uno de i frutti della scienza che esso, già 17 anni compiti, professa nello Studio di Padova, con speranza di essere alla giornata per pre¬ so sentargliene de i maggiori, se piacerà al S. Dio et alla S. V. che egli, secondo il suo desiderio, passi il resto della vita sua al servizio di V. S. Alla quale humilmante si inchina, et da Sua Divina Maestà gli prega il colmo di tutte le felicità. 229 *. ALESSANDRO SERTINI a GALILEO in Padova. Firenze, 2(ì agosto 1600 ('). Bibl. Naz. Tir. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 100. — Autografa. Molto Mag. co Sig. p mio ()ss. mo Se noi non ci conoscessimo, io ini sbraccerei por fare una menata
  • d’Ag.° 1<»09. Di V. S. Sor." AIV.""’ 20 Alesa. 0 Sertini. V. 8. rispondendo invierà le lettere per i SS. ri Strozi indiritte a me. Fuori: Al molto Mag.™ et Ecc.'"° Sig. r Galileo [Galjilei, SSig. r mio Oss.'"°, in Padova. 230 . GIO. BATTISTA DELLA PORTA a FEDERICO CESI in Roma Napoli, 28 agosto H>09. Bibl. della R. Aooad. doi Lincei In Roma. Mss. n.® 12 (già cod. Roncomp&gui 580), car. 820 -Autografa. ....Del secreto dell’occhialo l’ho visto, et è una coglionarla, et è prosa dal mio libro 9 De rcfractione * 1J ; o la scriverò, che volendola far, V. E. ne bara pur piacere. È un cannelo di stagno di argen¬ to, lungo un palmo ad, grosso di tre diti di diametro, elio ha nel capo a un occhiale convesso : vi è un altro canal del medesimo, di 4 diti lungo, che entra noi primo, et ha un concavo nella cima, saldato b, come il primo. Mirando con quel solo primo, se vedranno le coso lontane, vicine ; ma perchè la vista non si fa nel cathoto, paiono oscure et indistinte. Ponendovi dentro l’altro canal concavo, che fa il lo contrario effetto, so vedranno le cose chiavo e dritte: e si entra e cava fuori, come un trombone, sinché si aggiusti alla vista dol riguardante, che tutte son vario.... Ioah. IUptistar PoitTAK Noilp. De re/raetione De culorii,uè ex re/raetione, *. de iride, luctco cimilo eia., astice* parte. Libri noveni, ccc. Nespoli, apud Io. nò il libro Vili, elio ò intitolato De. specilli», nulla Incolumi Carlinum et Antonimo I'acein, ex officina contengono di ciò che in quosta lettera si doneri ve. Uoratii Siilviani, 1598. — Nò il libro IX, che tratta Cfr. n.° 297, lin. 123 u sog. 29 AGOSTO 1009. 253 m) 231. GALILEO n BENEDETTO DANDUCOT in Eirenzo. Venezia, 2'.* agosto 1009. TUbl. Naz. Fir. Mas. (ini., 1*. VI, T. VI, ear. 17. — Copia ili ninno si no. rima, in capo lillà qnnlo si logge il'al tra ninno, pur .sincrona: « 1000. lini lìalilno, sopra l'Oceliialo ». Dubitiamo gravemente «Ioli*autenticità ili ipiftstn lettera. ('Ir. A. Favaiio, Gal Ufo Galilei e la jyrmrntatioHi: ilei utiutiucultiule ni In Repubblica Veneta, nel Nuovo Archivio Vendo, Tomo I, l’arto I, pag. fiS-ifj. Car. mn et JIon: ìo Cogniato, Doppo che. riceveil il vino mandatomi da voi,, non vi ho pia scritto per mancamento di materia. Vi scrivo Uovo, perche ho da dirvi di nuovo che sto in dubbio se di tal nuova sentirete più, di contento o di dispiacere, poi che vini tolta la speranza (Vhavenni a rimpatriare, ma da occasione utile e honorata. Dovete dunque sapere, come sono ebrea a 2 mesi che (pia fa sparsa fama che in Fiandra era sfato presentato al Conte Jfa uriti o (,) un occhiate, fabbricato con fide urtiflio, che le cose molto lontane le faceva vedere come vicinissime, sì che un Intorno per la distantia di 2 miglia si poteva distin- io tornente vedere. Questo mi parve affetto tanto miraviglioso, che, mi delle occasione .di pensarvi sopra ; e parendomi che dovessi bavere fondamento su la sdentici di prospettiva, mi messi a pensare sopra la sua fabbrica : la quale finalmente ritrovai, e così perfettamente, che uno che ne ho fabbri¬ cato, supera eli assai la fama di quello di Fiandra. Et essendo arrivato a Vendici voce che ne havevo fabbricato uno, sono (> giorni che sono stalo chiama[lo] dalla Ser.’" a Signioria, alla quale mi è convenuto mostrarlo et [in]sterne a tutto il Senato, con infinito stupore di tutti ; e sono stati mol¬ tissimi i gentil’ Immuni e senatori, li quali, benché vecchi, hanno più d’una volta fatte le scale, de’ più alti campanili di Vencftia ] (2> per scoprire in mare 20 vele e vasselli tanto lontani, che venendo a tutte vele verso il porlo, pas¬ savano 2 bore e più di tempo avanti che, senza il mio occhiale., potessero essere veduti: perdio in somma Veffetto di questo strumento è il rappre¬ sentare queir oggetto che è, ver [hi] gratta, lontano 50 miglia, così grande e vicino come se fossi fontano miglia 5. Tlora, havendo io conosciuto quanto vi, sarchi)[e] stalo d’utilità per le cose sì di mare come di terra, e vedendolo dcsidcraf. J da questo Ser ." ,0 Drincipe, mi risolvetti il dì 25 stante di comparire in Collfegio] e farne (') Cfr. Voi. XIX, 1)00. XIX. 254 21) AGOSTO 1G09. [ 231 - 232 ] libero dono a Sua Serl ,uv Et essendomi stalo hordinato néll’f.. Jre del Col¬ legio che io mi trattenessi nella sala del Pregadi, di lì a poco [l']lll. mo et Ecc. m " S. Proccurator Prioli, che è uno de informatori di s[. . .], uscì fuori .io di Collegio, e presomi per la mano mi disse come V Kcc. mo Collegio, sur pendo la maniera con la quale havevo servito per anni J? in Padova, et havendo di più conosciuta la mia cortesia nel farli d Cfr. Voi. XIX, Doc. XI. 20 — 31 AGOSTO 1609. [282-234] 255 comandato che io saluti a suo nome V. S., et insieme le dica che ha presentito clic lei ha fatto uno occhiale, che in vedere lontano fa effetti maravigliosi, e però che haverebbe caro che ne facessi uno per lui e gli lo mandassi, e se questo gli lussi d’incomniodo, la scrivessi il muodo come deve farsi, oliò gli ne farà servitù), io Mi duolo poi in estremo della sua indispositione, e che per ciò ne stia impedito, prima per causa di V. S., e poi per rispetto di noi altri, suoi tanto alfettionati, ohe non la possiamo vedere : e porchò io vedo horamai passato il tempo di posserlo vedere per questa state, son quasi rissoluto di voler veder lei avanti passi l’in¬ verno. Alla quale, desiderando impiegarmi in cosa di suo gusto, le bacio le mani. Di Firenze, li 23 di Agosto 1609. Di V. S. molto Ill. r ® All'." 10 Ser. r Enea Piccolomini Arag. nn Fuori : Al molto 111.™ Sig. r mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. 20 Padova. 233 **. GIOVANNI PARTO LI a PELISAUIO VINTA in Firenze. Venezia, 20 agosto 1000. Arci» di Stato in Firenze. Filza Medicea SODI, n.° (14. — Autografa. ....Più di tutto quasi lui dato da discorrere questa settimana il S. rc Galileo Galilei, Matematico di Padova, con l’inventione dell’occhiale o cannone da veder da lontano. Et si racconta che quel tale forestiero che venne qua col secreto, havendo inteso da non so chi (dicesi da Fra Paolo teologo servita) che non farebbe qui frutto alcuno, protendendo 100O zecchini, se ne partì senza tentare altro; sì che, essendo amici insieme Fra .Paolo et il Galilei, ot datogli conto del secreto veduto, dicono elio esso Gallilei, con la mente et con l’aiuto «V un altro simile instrumento, ma non di tanto buona qualità, venuto di Francia, hahbia investigalo et trovato il secreto; ot messolo in atto, con Paura et favore tl’ alcuni senatori si sia acquistato da questi SS. rl augumento alle sue provisioni sino a io 1000 fiorini ranno, con ohligo perù, panni, di servir nella sua lettura perpetuamente- 234 *. LORENZO PIGNORI A a PAOLO GUALDO [in Roma]. Padova, 31 agosto ltìOU. Bibl. Marc, in Venezia. Uod. LXVi della CI. X. It., car. 08. - Autografa. _Di ml ovo non lmbbiamo altro, se non la reincidenza di S. Serenità, o ricondotte di Lettori : fra’ quali il Sig. Galileo ha buscato mille fiorini in vita, o si dice co ’l benefizio d’ un occhiale simile a quello che di Fiandra fu mandato al Card, borghese. Se ne sono veduti di qua, et veramente fanno buona riuscita.... -I S10TTKMHUK llilK). 12:55-2:^1 256 ANDREA MOUOSINl u (JAl.Il.KO in Padova. Venezia, l aottcuibru Itici». Btbl. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autocrati, 11." I.XXXl, u.° 1W. Autografa. Eoe." 1 " Sig-. r Osa." 10 Cari molto mi sono stati li duo libri che V. S. Kcc. ,n * ini ha inviati: così lui vessi io tanta commoditù di tempo, die ne potessi coglier il frutto che vorrei. Con quello dell’uso 0 ha dato 1’ anima al Compasso ; con quello doli’apoi logia (,) ha rintuzzato l’ardire do’maligni, et ò venuto molto a proposito por la presente congiuntura tocca anco nella sua lettera. Dell’uno et l’altro le rendo molte gratin; nò più oltre mi estendo, se bene a bocca gli havorei a dire qualche altra cosa. Intanto V. S. mi nini :il solito, et io di cuore, me lo raeeounnando. Di Vcnctia, ulti -1 di Settembri' 1(10!». di V. S. Ecc. m “ All'. 1 "" por servirla io A 11 d rea Morosin i. Fuori: All’Eccell."'" Sig. r Oss.»'" Il S. r Galileo Galilei. Padova. 28(ì*. .a GIOVANNI CAllOLUS in Strasburgo. Venezia, 1 settembri) 1009. Blbl. dcH'TTnlv. eli Heidolborg. ‘2 Hamlsclirifton/iuiiiu'r, Scbnnkitston XXIV, 4; :i pajr. 2 dol n.° 117 «l'una ofTcìnoriilo col titolo: «Relation allor filriiutniiiuti mimi t'odcnckwlirtligcn llistorioii, so tsicb bili unml wider in Ilocii mimi Kiodur Tuutschland, aneli in Fraiikroicli, llaliou, Scliott und KiikuIIuikI, IIìks panidi, Mungerti, Polon, Siobonbilrgcn, Yi'allachuy, Jloldaw, Tlhxkoy, «tc., imi diosom 1000 Jnbr ■vorlaufon unnd zutragcn mttchto; allos «uff da» troivlichst, wio leb 1 " solcho bukounne» uimd zu wogeu briiigcu mag, in Truck verfurtigen «vili ». ....Hit unserm Ilertzog wird es tiiglich widor hesscr, der soli, wie dio Bag willeiiB sein, so bald or seiner Ivranckoit vòllig genesen, dio rogiorung /.u rosiguiren, und sioh ius Kloater S. George», dess grosaeu Jienedictiner ordeus, zu begebon. lliesige UerrschafTt hat dem Signor Gallileo von Florentz, Profcssoren in dei- Mathe¬ matica zu l'adua, eiu stattliche berelimng gethaii, aucb scino Provisiou uinb 100 Crono» m ctr. Voi. ir, pag. aiis 0 sop. <*' Cfr. Voi. II, pag. 51 ó 0 .seg. ‘•■'i Cioè della ricondotta alla lettura. O* Giovanni Caiiolus, editore della effemeride. 4—12 SETTEMBRE 1609. 257 [236-288] jiihrlich gebessert, weil or durch sei» embsings studiren ein Rcgel unnd Augcnmasz erfunden, durch wolche man einerseits auff 30 meilen entlegcne ortt sehen kan, als were solches in der nelle; anderseits aber erscheinen die anvesende nodi so vici gro&ser, als aie voi - Augeu aein : welclie ivunst er dami zu gemeiner Stutt nutzen praesentiert liat.... 237 **. GIOVANNI B ARTO LI [a BELISARIO VINTA in Firenze]. Venezia, 5 settembre 1609. Areh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 65. — Autografa. _Il secreto o cannono dalla lunga vista del S. ro Galilei vion bora venduto publiea- menta da un tal Franzeso, che gli lubrica qui come secreto di Francia, non del Galilei; et torse devo nuu esser il medesimo, et questo veramente vale pochi zecchini.... 238 *. ANTONIO I)E* MEDICI a GALILEO in Padova. Firenze, 12 settembre 1609. Bibl. Nnz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 23. — Autografa. Molto Mag. co et Ecc. to S. r dome con infinito mio contento ho sentito la mirabil prova et esperienza che V. S. ha fatto doli* occhiale inventato da lei, et che per ciò dal Ser.‘ a0 Senato di Venetia n’ è stata, conforme al merito suo, rimunerata, così vengo a rallegrar¬ mene per questa mia con lei ; et insieme la prego, che quando, con buona gratin di cotesti Signori, li sia permesso di potermene lubricare uno et inviarmelo, da me sarà ricevuto per favore così segnalato, che non potrà esser maggiore : et con I* effetti dimostrarò a V. S. quanto da me sarà stimata questa sua amorevol dimostrationc, della quale di nuovo la prego a trovar modo, se lia possibile, che io ne venga compiacciuto ; di’ oltre al renderlene il contracambio dovuto, mi obli- garà eternamente a procurar l’occasione di poterla servire. Et promettendomi molto della solita sua amorevolezza, resto con offerirmele paratissimo in ogni conto, et di cuore me le raccomando. Di Firenze, li xn 7mbre 1609. Di V. S. molto M. ca et Ecc. to Aff. t0 per ser> S. r Galileo Galilei. Don Ant." Medici. Fuori : Al molto Mag. co et Ecc. to Sig. r Il Sig. r Galileo Galilei. Padova. Lett. 238. 3. invenluta ila lei — li) SKTTKMBKK IGOi). L*2a«-240J 258 239 *. (HO. BATTISTA STROZZI a GALILEO in Padova. Firenze, li* Rettemi»™ 1609. Blbl. Nini. Fir. Mss. (lai., P. I, T. VI, cur. 108. — Autografa la firma. 111. et Ecc. mo Sig. r mio, Sono stato in dubbio se io scrivevo a V.S. o no: movevami il desiderio che io havevo di rallegrarmi seco; ritenevano V immaginarmi di vederla occupatis¬ sima. Finalmente ha prevalso il parermi mio debito il darle conto, come l’altra mattina, trovandomi intorno alla tavola di queste Altezze, il (Iran Duca mi fa¬ vorì di voler che io sentissi la lettera che ella gl' haveva scritto, e ’l nostro Ciani- poli ne fu il lettore, maravigliandosi ogn’un grandemente del mirabile effetto del suo desiderabilissimo occhiale. Io per me dissi, che se io non havessi prima che hora saputo che T Donatore d’ogni bene l’ha di sopì’humano ingegno dotata, me ne maraviglierei molto pili ; o quel che io soggiunsi in sua lodo, non coni- io porta che io lo dica la modestia, che non si scompagna mai dall’ altre virtù che in lei sommamente risplendono. Bacio a V. S. con tutto l’affetto la mano, insieme col Ciampoli, palidetto alquanto per lo studiar troppo. Prego il Signore Iddio che lungamente la conservi, perchè il suo valore possa al mondo far di questi gio¬ vamenti, c accrescer tanto più fama a lei. Di Firenze, il dì 1!) di 7mbre 1609. Di V. S. III. Sorv.™ Aff." 10 G. tó Strozzi. Fuori: All*111. et Ecc." 10 Sig. r mio ()ss. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. 20 Padova. 240 *. ENEA PICCO DOMINI ARAGONA a GALILEO in Padova. Firenze, 19 settembre 1600. Bibl. Nas. Fir. Mss. Gal., P. Vt, T. VII, c»r. 101. Auloffiiifa la sottoscriziono. Molto III.” et Ecc.""’ S. r mio Oss. mo La lettera di V. S. mi è stata di sommo contento ; et havendo riferto a S. A. S. ma quanto la mi scrive sopra l’occhiale, e gl’honori ricevuti costà, lui nm- Lott. 230. 5-G. mi faoui dì — Il» — 2G SETTEMBUE 1009. 259 [240-241] strato sentirlo con tanto piacere, che monto più, et lui fatto conoscere a tutti l’affettione che porta a V.S. e la stima che fa di lei. K circa il cavallo, tengo per fermo la no salii compiaciuta, poi che S. A. mostra gran desiderio di far cosa clic sia in commodu di V.S. (Ili si mandano i cristalli conforme all’avviso sno; e se la desidera far cosa grata a questa Altezza, procuri che 1’ occhiale sia fatto quanto prima, perchè è io da lei molto desiderato. lo poi, ini pare di possermi lamentare di lei, perchè, non comandandomi nulla, stimo che la non mi tenga per quello buono amico e servitore che le sono, e tanto desideroso de’ suoi comandamenti. Ma si assicuri pure, che se bene la fa così poco capitale di me e del S. 1 ' padre, quale tanto stima et honora V. S., con tutto ciò (corno nell’altra mia le scrissi) son rissoluto questo inverno trans¬ ferirmi (in da lei, por participare aneli’ io della sua dolce conversatione. Starò bene spettando in tanto, la mi dia occasione che io mi possa impiegare in servir V.S.: alla quale, pregando intera o presta sanità, bacio le mani, corno fa il S. r padre. 20 Di Firenze, li 19 di 7mbro 1609. Di V. S. molto 111.™ et Ecc."'* Ser. r Afl>" Enea Piccolomini Arag."' 1 Fuori : Al molto 111.*» et Ecc." 10 Sig. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Con una scatoletta. Padova. v 241 **. GIOVANNI BARTOLI a BELISARIO VINTA in Firenze. Venezia, 26 settembre 1600. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medico» 3001, ».° 67. - Autografa. _Del secreto o cannone della vista lunga devo dire che veramente si vende in più luoghi, et ogni occhialaio pretendo d’haverlo trovato, et ne fanno et vendono; et un Francese in particolare, che gli fa secretamele, gli vende 3 et 4 zecchini et 2 ancora, et credo manco, secondo di che perfettione, essendovene di cristallo di montagna, che costano molto, 10 e 12 scudi i vetri soli, di cristallo di Murano, et di vetro ordinario: et questo pretendo che il suo sia il vero secreto, et simile o migliore di quel del Galilei. Ma io quanto a me, che n’ ho visti qualcheduno et in particolare un che n’ ha venduto 3 zec¬ chini al maestro della posta di Praga, conlesso che non vi ho intera sodisfattione, perchè, essendo lungo più d’un braccio, bisogna stentar un pezzo a trovar con l’occhio la cosa 10 che si vuol vedero, et trovata, bisogna tener l’istromento tanto fermo, che un poco che 20 SETTEMBRE- 17 OTTOBRE 1000. 200 [241-244] bì muova la perderla, lineilo del Galilei dicono non patir tanta imperfettione (bc ben an¬ che quello un poco), ma elio, liavendolo egli dato per secreto et dovendone lare 12 pol¬ la .V", ha ordino di non insegnarlo ad altri ; et io non ho potuto parlargli, perchè è a Padova. Sento però che in breve facilmente si troverà anco da altri, il Beerete Blando nella bontà della materia dell’occhiale et nell’aggiuntarli noi cannone: eL della seguente vedrò se no trovo uno che aia a proposito, et lo manderò.... 242 **. GIOVANNI B ARTO LI a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Venezia, 3 ottobre 100'J. Arch. di Stato in Firenze. Filisi» Modicoa 8001, n.° fili. Autografa. ....aspetto quel clic mi si commanderà circa al secreto o cannone della vista lunga; il quale havrei preso et mandato sin bora, s’io non lmvessi considerato clic mi bì eom- niandava che io lo pigliassi ile i più belli ot buoni, et elio belli et buoni si dice esser quelli inventati o fatti dal Galilei, dal quale non so so so no possa bavere, liavendolo egli dato qua por secreto ot dovendone far soli 12 per la S. rU D'altri, et d’uu Franzese in particolare, si veggono et vendono a 2 zecchini et manco ot, più, secondo la qualità del vetro o cristallo; et ne manderei uno, ma dubito so darò o no sodisi attiono. Conformo però a quel elio me si dirà con lo seguenti, mi governerò.... 243 *. LORENZO PIGNORI A a PAOLO GUALDO [in limimi. Padova, 15 ottobre 1600. < BIbl. Mure, in Venezia. Coll. 1.XVI della 1 1. X 11., car. 104. - Autografa. -Qui siamo intorno a’cannoni; et se ne suno veduti di eccellentissimi ; ma ’l secreto ò ancora in puelii, c sta con riputatioue. Va in volta certo lanternino maraviglioso, clic non è di minor inventiono dell’occhiale, poiché, con un lume dentro, di notte porta lo splendore tanto manti, elio ci si leggerà una lettera lontana 500 passi.... 244 ** GIOVANNI BARTOLT a [BELISARIO VINTA in FircimeJ. Venezia, 17 ottobre ÌGO'J Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, ri.» 71. — Autografa. ....Quanto al cannone o cannoni della veduta lunga, io essequirò il conimandaincnto di comprargli, et di già sono stato col Franzese, il quale me n’ha mostrali duo o tro ili iorme diverse; ma dicendo esser quelli destinati, uno all’Ambasciatore di Francia, et 17 — 28 OTTOBRE 1609. [iS44-24(»] 201 l’altro ail un altro peraouaggio, io gli ho orcliuato olio me ne faccia due ancora a me, nè .so so me gli farà: pure lo pregarù avanti che parta, dicendomi di iiaver a partir presto, et gli nininlarò con la cassa do’ vetri che ini viene ordinata dal maestro di casa, se però sanui latti i vetri et i cannoni; in clic io invigilerò et userò ogni diligenza, et procurerò che segna della settimana seguente.... 245 **. GIOVANNI BARTOLI a [BELISARIO VINTA in Fireiusc'|. Venezia, 24 ottobre 1601). Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.® 72. — Autografa. _V. 8. 111.""' ini commandò elio io comprassi uno o due di quei cannoni da veder lontano, et n* ho preso uno da quel Franzose nel partir che faceva di qua, et credo ba¬ sterà questo, perchè io, quanto a me, non trovo tanti miracoli quant i sentivo che facevano questi instromenti ; seben veramente quelli del Galilei intendo far gran giovamento et vantaggio, dicono di 10 per uno, cioè elio multiplichi la vista 10 volte più di quel che si vedo senza esso. So non me lo commandava V. S. I. tanto espressamente, io non lo compravo; se però le piacerà far pagare il costo di esso, che in tutto e per tulio, tra il cannone, stagno et cassetta, sono 12 lire, al S. rc Bencivenni Albertinelli o a Mess. Baccio Cicognini mio parente, me no farà favore, pregandola ad appagarsi più della mia pronta 10 volontà di servire, elio dell’ effetto istesso, che mi par vanità. Pensavo mandarlo con i ve¬ tri clic mi sono stati ordinati, ma non mi succede il poterli bavere prima della settimana prossima.... 240 . GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Padova. A leppo, 28 ottobre 1600. Blbl. Naz. Fir. Mhh. Gal., P. VI, T. VII, cur. 104. — Autografi! In lin. 25 o la sottoscrizione. III.™ Sig. r Eoe."* 0 Tralascio il rispondere alle cirimonie scrittemi da V. S. Ecc."‘ a con le sue di 4 Aprile, ricevute da me per via di Costantinopoli a 10 Tmbre, sì per la stro- tez/.a del tempo, come per avvertirla che de utero non si diffondi in queste superfluità. Il processo che ella non hebbe per communicare col suo scolare, rifiorito a bocca, gli haverà forse dato gusto bastante, et avertimento sofìiciente per cono¬ scerò et guardarsi da quelli nostri nemici. La loro institutione di fare tutti i giorni natali col vespero et la compieta, ha qualche conformità con la superstitione di io questi del paese, che cinque volte al giorno repplicano i lor cantici. 2S — 30 oTTOitlìK 100!). 202 [2-16-247) Se il nuovo Gran Duca leverai bertoni et attenderà alle coso buo senx,a stur¬ bare quelle de #l’altri, potrà essere con ragione riputato generoso, poi che, si come l’arte di corsaro non ò da prcncipe grande, così l’attendere ad imprese non riuscibili ù più tosto effetto di pazzia ehe di generosità. Ilo fatta 1’ osservatione della calamita, la quale certissimamcnto cpii declina sette gradi e raezo verso maestro, in tanto che da Venetia a qui la differenza sarebbe di quindici: ne vada ino’ V. S. investigando la cagione. Alti Padri Ge¬ suiti di Goa ho mandata una Pinzetta buona, pregandoli farne cola una essatta osservatione ; et spero con loro bavere l'istossa corrispondenza che haveva la Colomba col Rerlinzone (,) , anzi ricevere più spesso lettere da loro che da V. 8. 20 Kco. ma , dalla quale in un anno ho liavuto una sola, et una dal re ili Persia, et voglio star a vedere da chi avanti ricoverò la seconda. Che sarà line di queste, raccomandandomi suo al solito senza nissuna diminutione. in Aleppo, a 28 Ott." 1601). Di V. 8. Ecc. Fuori: All’111. r ® Sig. r Ecc. mo 11 Sig.'' Galileo Galilei, Mattoni atico di Padoa l ”. 247 . GALILEO a RELISAKIO VINTA in Firenze. Padova, SO ottobre 1001). Bibl. Na-/.. Flr. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 89. — Autografa. lll. mo Sig. ro et Pad."® Col. m ° Subito giunto a Padova, usai ogni diligenza per trovare PEt'e- ìneride desiderate da V.S. IU. ma , et non si ritrovando in queste li¬ brerie, commessi la medesima inquisizione in Venezia, ina parimente invano; onde ne ho scritto in Germania, di dove le bavero indubi¬ tatamente. Intanto invio a V. S. lil. ma le mie, acciò non resti più <" Cfr. n.° 185. Tavoletta sottile. **’ Accanto all’indirizzo si leggo quest’appunto Maschera ». di mano di tiAMi.Ko: In altro luogo (lolla stessa carta ò doliuoatn « Sc&tolini. una costituziouo dui l’innoti Medicai. Soldi. 30 OTTOBRE 1600. 263 |247] lungamente senza ; nè io ne ricevo incomodo alcuno, essendo per un pezzo occupato in altri studii. Io sono in necessità di dare un poco di briga a Y. S. Tll. ma , et io questo per aiutare un povero liuomo, mio servitore di molti anni, il quale circa 3 anni sono prestò da 800 scudi, che soli possedeva al mondo, ad alcuni gentil’ huomini Pollacelo ; li quali, sondo molti mesi fa ritornati alla patria, non pure non hanno rimandato il de¬ bito, ma nè anco hanno mai risposto a pur una delle molte lettere che se gli sono scritte in questo proposito. Ilora io supplico V. S. Ill. ma che voglia restar servita di pregare alcuno di quei segretarii di Corte o altro amico suo, che sia contento di abboccarsi con que¬ sti gentil’huomini et procurare d’intender l’animo loro, et per qual causa non rispondono non solamente all’ obligazione, ma nè anco alle 20 lettere, acciò si possa poi pigliar qualche resoluzione et modo di es¬ ser satisfatti ; ben che io credo che detti signori, quando vegghino che, bisognando, si haveranno de i più potenti mezi, non aspette¬ ranno di far, violentati, quello che la coscienza gli doveria far fare spontaneamente. TI nome di questo creditore, mio servitore, è Ales¬ sandro Piersanti, et i debitori sono Giovanni Liczbo di Rijglice et un suo fratello, benissimo conosciuti da i Montelupi. Io supplico di nuovo V. S. lll. ma a metterci un poco della sua autorità et del suo favore, assicurandola che farà grandissima opera di carità sollevando questo pover’ huomo, che non ha altro al mondo, et essendo indi¬ llo sposto di infirmità incurabile, è da me mantenuto, acciò non muoia di necessità : et io gliene terrò obligo perpetuo. Che sarà per fine di questa, con pregarla a ricordarmi all’ occasione humilissimo servo a coteste Altezze Ser.°: et a V. S. Ill. ma con ogni reverenza bacio le mani, et dal Signore Dio gli prego somma felicità. Di Pad. a , li 30 di 8bre 1609. Di V. S. Ill. ma Ser. re Oblig. mo Galileo Galilei. 40 Fuori: AH’111™ Sig. rc et Pad. ne Col.™ 11 S. C. Belisario Vinta. Con un libro. . Firenze. LiCtt. 247. 2fi. eonoHfiuli (li » Afontelujii - ai OTTOBRE—4 NOVEMBRE 1001). 1_248-24‘,)J 204 248 **. GIOVANNI RARTOL1 a [ DELUSA RIO VTNTA in Fironzoj. Venezia, 81 ottobre lfiO'J. Aroh. di Stato in Flren/.o. Filza Modicoa 8001, n.® 78. — Autografa. _Inviai con le passate uno delli cannoni, tenuti qua per tanto Intoni, quanto che sono lubrica ilo! Fnmzese, nè so come riuscirà, perchè i buoni sento elio vuiirouo di Fian¬ dra, o sono fatti dal Galilei; nè io l’havrai preso, se la S. V. 111."* non me lo havesso espressamente comninndato con più lettere. Et di questi altri che l'anno diversi maestri, se ne trovano, et forse migliori di cotesto ; ma io, quanto a me, nè da cotesto nè da questi cavo troppa sodisfàttioue.... 249 *. GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia. Padova, 4 novembre 100U. Aroh. di Stato in "Venezia. Filza intitolata sul dorai) : Leltoru di fuori, 1001-1028, Riformatori dolio Studio di Padova, n.» ICS. - Autografa. Hluat. ml et Eoe."*' Sig. rl llif. ri Parve a i primi regolatori dello Studio di Padova, che la lettura delle Matematiche, come quella che è necessaria tanto a i medici quanto a i filosofi, fosse letta in bora tale, che nè a quelli nè a que¬ sti fosse inoportuna, sì che per sentir quelle dovessero gli scolari lasciar questa o per l’opposito; et però determinorono, questa esser letta Unite tutte le altre lezioni del Studio, et in tempo che nessun altro leggesse. Questo rito et costituzione si è osservato sempre, et in particolare per li anni 17 che io ho letto in questo Studio, ec¬ cetto però che per alcuni pochi mesi, due o vero tre anni fa, che io hEec. mo S. r l>imbiolo (n , allegandomi alcune sue indisposizioni et as¬ serendo voler in breve cessare dalla lettura, lesse, non repugnando io, alla mia medesima bora, riavendo poi intermesso per alcun tempo la lettura, et essendo di poi ritornato a leggere, cominciò leggendo Lott. 249. 14. Fra di e poi logirasi, cancellato, hora. i ' 1 Anniu.w.r Rimbioi.o. •1 - 7 NOVEMBRE 1009. [249-250] 200 al* hora de i suoi concorrenti, sino al fine della quadragesima pas¬ sata; nel qual tempo di nuovo gli venne humore di leggere all’hora mia, con notabile interrompimento delle mie lezioni. Per tanto io supplico le Signorie Vostre Illust. me et Ecc. m° S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. 20 Fuori: All’111. et molto Ecc. tó Sig. r mio Osa."' 0 11 [S. r Galijleo Galilei, Mathematico. Padova. 251 **. BELISARIO VINTA a GIOVANNI LICZKO DI RYGLICE fin Cracovia]. [Firenze], 7 novembre 1609. Ardi, di Stato in Firenzo. Filza Medicea 77, li.® 315. Minuta originalo. Una copia .sincrona dolio II 11 . 1-12 {lino alla parola * vecchiaia »), in capo alla quale si leggo: « Minuto divorso del Gav. r And.» Gioii, da Gennaio a tutto Xcuibro doli'anno Ululi, a 815», si ha noi Max. Ual., I*. 1, T. XV, car. 80. Per il Sig. r Cnv. ro Vinta. Alli SS. rl Giovanni (3 > Liczko di Ryglice. do’7 di Novembre 1609. 11 Sig. r Galileo Galilei, mathematico famoso, Lettore nello .Studio di Padova, amato et stimato per le sue celebri virtù da tutti i principi, et dal Sor." 10 Gran Duca di Toscana, mio Signore, in particolare, del quale egli è vassallo, essendo stato a questi giorni qui, come suol fare ogn’ anno di questo tempo, o por dir meglio di state, mi ha raccontato, con sua et mia meraviglia, che mentre lo SS. rle YV. furono in quella città et in quello Studio di Padova, per qualche bisogno che dovette loro BOpragiugnere, conio bene spesso interviene ad altri Gentilhuomini et SS. rl che si trovano in paesi alieni et lontani, furono “1 Cfr. n.® 247. <*> Gfr. n.® 251. ,3 > L'altro fratello si chiamava Stanislao. 7 NOVEMBRE 1009. 207 [251-252] IO amo re voi iss i mairi ente nccommodati da un suo vecchio et buon servitore, chiamato Alessandro Piersanti, di trecento scudi, che in tutto il tempo della sua servitù liaveva il pover’huomo durato fatica a radunare per la sua vecchiaia et per gli accidenti delle malattio elio so¬ gliono avvenire; et che apparendo che le SS. rl ° VV., in cambio di riconoscere un tanto piacere con qualche segno di gratitudine, come si poteva sperare da i pari loro, si sieno scordate inaino della dovuta sodisfattione del debito, poiché in tre anni non hanno pur risposto alle lettere, non che scritto mai di lor primo moto un verso, egli sarà costretto, per la pietà che deve a detto suo servitore, elio piagne del continuo questo suo sudore, di ricorrerne con suo dispiacere, per mezzo de gli offitii del nostro et di altri Principi ancora, so bisognerà, alla giustitia della Maestà di cotesto Ile, al quale si può tener per 20 fermo elio non piacerebbe punto questo latto, quando puramente passasse di questa ma¬ niera. Ma io quanto a me, che sono informato della nobiltà dell’ animo et della generosa natura della nobiltà di cotesto regno, havendone praticati molti con i quali tengo tuttavia stretta amicitia, non potendo mai credere quello che apparisce, et dubitando più tosto del mal ricapito delle lettere dall’ima et l’altra banda, sobonu il Sig. r Galileo afferma essere state mollo le sue o di detto suo servitore, non ho voluto che per ancora egli ne tratti con il Gran Duca, nò clic pensi ad altro ricorso, ma havendo preso sopra di me questa cura, l’ho obligato ad aspettare che ci faccia prima io qualche diligenza; et. egli volen¬ tieri se n’ è contentato, perché nè anche esso finisce di credere una stravaganza come questa, et massime ricordandosi dell’ ottimo honoratissime qualità eh’ egli scorse nelle 30 SS. rlft VV. mentre hebbe occasione di conversar con loro. Et la prima diligenza ch’io ci voglia fare, la quale spero che habbia a essere così sola come è semplice, è questa dello scriverne, come faccio, a dirittura alle SS. r, ° VV., nel che anche pretendo di haver a fare acquisto dell’amicitia loro, così come oflcro io loro la mia; et promettendomi che con la loro presta risposta, o rimetteranno il denaro che non possono tenere con lor honore, non che con salvezza della loro conscienza, o che daranno ferma promessa di doverlo senza indugio rimettere, io non sogghignerò altro, seuonchè so con detta risposta et con detto denaro mi comanderanno alcuna cosa, farò forse loro conoscere che la già offerta mia amicitia non riuscirà loro disprezzabile. Et con tutto l’animo bacio alle SS. ri ® VV. le mani. 252 **. GIOVANNI BAItTOU a BELISARIO VINTA in Firenze. Venezia, 7 novembre 1609. Aroh. di Stato In Firenze. Filza Medicea 8001, n.“ 74. — Autografa. Ill. mo Sig. rn et P.ron mio 0s8. m0 In quanto a me, credevo che il cannone o occhiale che ho mandato fusso per riu¬ scire una burla, perchè al mio occhio non fa tanti miracoli: et di quella sorte si tro¬ vano bora per tutto, che sobene non sono fabrica del Franzese, ma di occhialari ordinarli, a me par che facciano il medesimo. Et io sento contento d’ haver accertato noi servitio per non pensata, et V. S. Ul. ma ringratio del costo che mi dice farà pagare- 20—21 NOVICMIWK 1000. 268 253 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Padova, 20 novembre iGOb. Blbl. Na 7 .. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. IV, rur. 41. — Autografi* Ill. mo Sig. re et Pad. 06 Col." 10 Dalla copia della lettera mandata da V. S. Tll. ma in Pollonia per aiutare questo mio povero servitore, ho veduto quanto la sua infinita cortesia eccede non solo il mio merito, ma il pensiero ancora, ha- vendo ella trovato modo tanto eccellente per ottenere il desiderio. Et come non haverei saputo desiderare nè domandare tanto, così non so nè posso ringraziarla a bastanza, non che contracambiare un tanto favore : però, rendendo a V. S. lll. ma quelle grazie eliti posso maggiori et restandogli con obligo perpetuo, insieme con Alessandro mio ser¬ vitore, lasceremo che Iddio benedetto la rimeriti, Esso che può, et io noi di ciò humilmente Lo pregheremo, sì come faremo per il compi¬ mento di ogn’ altro suo desiderio. Et qui baciandogli reverentemente la mano, nella sua buona grazia mi raccomando, et la supplico nelle occasioni a tenermi viva la memoria di coteste Altezze Ser. me , alle quali humilmente bacio la vesta. Di Pad/ 1 , li 20 di 9mbre 1609. Di V. S. Ill. ma Ser. rn Oblig. mn Galileo Galilei. 254 *. GIULIA AMMANNATT GALILEI ad ALESSANDRO PIERSANTl in Padova. Firenze, 21 novembre 1609. Blbl. Nasi. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 87. — Originalo, uuu autografa. Hon.' 10 Mesa. Alex. 0 Sono più settimane che partii di costà, nè per ancora ho bavuto dii voi nuova alcuna, nò so la cagiono : ho bene che sto aspettando con desiderio di sapere quell’ che passa costà di tutto, e lo potete lare liberamente, perchò le lotterò mi capitano sicurissime. Vi scrissi la settimana passata, inviando le lettere a M.° Iacopo ciabattino, padre dell’Agata: caso [254-255] 21 — 28 NOVEMBRE 1609. 269 che non l'avessi ricevuta, vedete di recapitarla. Potete pensare che sto con gran desiderio di sapere qualche particolare : però non mancate. Desidero che mi recuperiate la tela che à la tessiera, e fate che in modo alcuno sia vista in casa, perchè è cosa mia; e la desidero qua quanto prima, e di tutto quello che io vi sia di spesa, svisatelo, che subito darò ordine al S. r Baldini che vi rimborsi di quanto bisognerà; e se per via del detto S. r Baldini me la potessi inviare, molto 1*barerei a caro e bisogno. Questa settimana ò visto lettere di Galileo, quale dice che presto piglierà qualche spediente di quello che possa fare della Verginia non ci havendo per haucora pensato. Voi sapete il reato, e sapote quello voglio dire. Kacomandatemi al Freddolino et a tutte quelle gentildonne e la S. rft Lucietta Zaba- rclla; e sopratutto non mancate di scrivermi et empiere un foglio di tutti i contenti, de¬ lizie che passono e causate per la mia partita, perchè so che non basterà, volendomene accennare. Che è quanto per ora mi occore. Nostro Siguoro vi prosperi. 20 l)i Firenze, il dì 21 di 9bre 1609. V. a Aff. n,tt quanto madre Giulia Galilei. Quello clic havessi speso il P. Fra Cipriano per g. ro , riuborsalelo. Fuori, d'altra mano: Al molto Mng. CH et mio ()ss. n '° Musa. [Àl]ex.° di Piero Santi, in casa il Matematico. Padova. 255 *. OTTAVIO BRENZONI a GALILEO in Padova. Verona, 2:i novembre 1009. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 100. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,no Sento gran contento da i commandi di V. S. Ecc. mn , oc non me gli scema alquanto il suo dubbitare nel commandarmi, et iscusarsi meco; benché io debbi ascriver questo pili tosto alla sua naturai gentilezza, che che così lei giudichi clic sii di bisogno. Io spero a un’ altra posta di servirla di quella genesi ; tra tanto mi ha parso convenevole al debito mio scriverle della sua ricevuta, et particolarmente per rallegrarmi dell* bonore et premio conferitoli solo per questa così rara, dilette¬ vole et utile invencione: che se s* havesse a rimunerare tutto il valor suo, biso- gnarebbe decuplare lo stipendio, ancorché 1’attione del vedere fosse solo dup- ILetfc. 254. 18-19. volendomene accanere¬ te lUl.l'INO UIIKHA Itili. 121 Ln primogenita di Gaui.ro, 270 23 — 24 NOVEMBRE 1609. [265-256] plicata. Sì che è horinai tempo che godi ot si conservi, senza tanto allatti care, io Et io, per fine, riverente, li boccio le mani. Di Verona, il dì 23 Novembre 1609. Di 'V. S. molto 111.“ et Kcc.™* A(T<>tt. m0 Servitor Ottavio Brenzoni. Fuori : Al molto 111.“ et Kcc. mo Sig. r mio Oss.' no 11 Sig. r Galileo Galilei, il Matem. c0 di Padoa l,) . 25 ( 5 *. GIULIA AM MANN ATI GALILEI ad ALESSANDRO PIERSANTI in Padova. Firenze, *24 novembre 1609. Bibl. Nftz. FIr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. ‘29. — Autografa. All suo carisimo. La setimna passata ricovie una vostra, inseime cor mia di Micolagnolo e la poliza del Signire Baldino, tuta a me giatisium. Ora li dico come io arivai qua sana o salva, ma non trovai nessuna nessuna duuie cose che mi ereno stato lieto, a tale che bisogna atribuile a’ngani e bugio; ma non so so la l’arà pensata bone. Vi prego che la aliatola non vdia uelo mani della signora vostra padrona 1 * 1 . Vorei mi dessi minuto raguaglo di tuto quello sii dice costà in casa, e scrivte liberamente, chù lo lotro vengano in mano che non c’è sospeto, et io le mia lo vierò a maestro Iacopo ciabatino. Mi dispice di sentire che vi siato atrisato di cuoio che tutti li altri di casa bì sono raglagrati ; pur paziezn. E non mi ocorendo alltro, a vi mi racomando ; e Dio d male vi guidi. 10 D Firenze, il dì 24 di 9 ne 69 (sic). Vostra A fazionata G. G. Fuori: All molto Magnifico Mossero Alesandro di Pirsanti. Padova. 1,1 Accanto all 1 indirizzo si leggono questi ap¬ punti di inano di Gamlko, vorisimilmente fatti in occasiono di un viaggio a Venezia: « Scarfarotti o cappelletto por Vinc.°. La cassa dello robe di Marina. Lento, ceci bianchi, risi, uva passa, farro. Zucchero, pope, garofani, cannella, spezie, con¬ fetture. Sapone, aranci. Pettine d’avorio n.® 2. Malvagia da i 8.* Sagredl. Palle d’artiglieria u.»2. Canna d’organo di stagno. Vetri todeschi spianati. Spianar cristallo di monte. Pozzi di specchio. T ripolo. Lo specchlaro all'insegna dol Ilo. In callo delle Aqquo si fanno sguhio. Trattare in materia di scodelle di ferro, o di gettarlo in pietre, o vero coinè lo palle d'artiglieria. Privilegio por il vocabolario. Porro da spianare. Pece greca. Feltro, specchio por fregare. Follo. Pareggiarsi col S. Maininoci ot rendergli l'Kdilio. » '*> Macina Gamiia. 4 DICEMBRE 1G09. 271 L257J 257 . GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI in Firenze. Padova, 4 dicembre lfiO'.». Museo Britannico in Londra. Add. Mss. 2318 ( J, cnr. 80. — Autografa. Molto Ill. re Sig. re et Pad. ne Osser. mo Con la cortesissima lettera di V. S. ho ricevuto l’altra del molto I. e molto R. do Sig. Cosimo Minerbetti ; alla quale non occorrendo altra risposta, basterà che V. S. mi favorisca significar la ricevuta a detto Signore, et insieme ricordarmeli servitore obligatissimo. Alla gen¬ tilissima sua mi è impossibile il rispondere con parole, et molto meno con fatti ; ma se più di quelle, et non meno di questi, si deve prez¬ zare l’affetto dell’ animo, certo non mancherò di corrispondere al debito, al quale gl’infiniti meriti di V. S. mi legano: procurerò anco, io il più che potrò, che gl’ effetti diano segno di questa medesima di¬ sposizione, qualunque volta da V. S. mi sarà fatta grazia di suoi comandamenti, da me infinitamente bramati. La mia venuta sarà costà indubitatamente avanti S. Giovanni, piacendo a Dio che io sia sano, essendomi molte volte stato così co¬ mandato dal Ser. mo nostro Signore, mentre ero costà ; mi vi tratterrò tutta la state, ciò è sino alla fine di 7mbre, conoscendo adesso quali sono le maniere et i termini veramente onorati della nobiltà fioren¬ tina : intanto in questa mia assenza supplico V. S. a conservarmi, insieme con la sua, la memoria et la grazia di tanti miei Signori 20 quanti V. S. sa e conosce, li quali non posso nominare ad uno ad uno. Haverò meco qualche miglioramento nell’occhiale, et forse qual¬ che altra invenzione. Altro non mi occorre dirgli : di nuovo nella sua grazia mi raccomando, et con ogni affetto gli b. le mani. Di Pad. a , li 4 di Xmbre 1609. * Di V. S. molto I. Ser. re Parat. m0 Galileo Galilei. Fumi: Al molto Illustro Sig. r0 et Pad.“® Osser. mo 11 Sig. Michelagnolo Buonarruoti. Firenze. Lett.267. 2. Fra cortesi*aima o Altera loggesi,cancellato, tua. Lo parole di V. S. sono scritto tra le lineo.— io DioiiMmtfc UiO'J. |258] 272 258 *. OTTAVIO HRKNZONl a OAMl.KO fin l’iidovu|. Verona, 15 tlicembro ltìOD. Bibl. Naz. PIr. Mhiì. UiiI., 1‘. I, T. VI, uur. 113-113. Autografa. Molto 111.'" et Meo.""' Kig. r mio Oss. mo Molti et diversi affari lnvno potuto così ritteiier il desiderio mio, conforme al inio debito, che più tosto clic boni non 1’ ho inviata la promessa risposta. Ma per quella stima che si dove fare di questi curiosi pronastici et da giuoco, certo non si può dire eli’io li scrivi tardo, poi che, quali olii si siano, sono sempre fuor di tempo et di consiglio all’huomo prudente. Con tutto ciò, per servir a V.S. Kcc.' U!l et per segno d’obedienza, non devo restar di scriverli quelle quattro righe, con le quali et con la presente, riverente, li buccio le mani. Di Verona, il di 15 di Decembre ÌUO'J. Di V.S. molto 111.”* et Ecc. ,na Affctt. mo Servitor io Ottavio tirenzoni. Pro vero et cxcieto tempore nalivitatis accetti dinn 29 Augusti anni 1570, fiora LO.37' noctis pracccdeutis a solis accasa ; atipie tfiemale cadesti condrudo — Ani siglerà nutum ostendant fulurum aliquando clericali habitu rtlligiosum , vai in eo futurum coniugium —, acque utruinquc ambiguum est, quoniam lori admixta stella Saturni per varios successila conturbai utrumque. Ali quo vero modo forte super - stilimi fUiam sigierà declarant. Trium antem astrorum congressus rum inerrantibus primae atipie diavi magnitudinis secumiae spondei pcrUlustrem existimationem, modo stella Veneri s, mulierum causa, multa bona non a tiferai; sed cadmi omnia conci- liabit. Cacterum astrorum lutee constitutio, quanwis laudabilem sanitutem portendat, 20 visoni lumen non acutum facit, ac natimi reddil malis contagiosile subiectum, inlcr- dum diavi doloribus remivi e.i: flatuosa materia et mdancolica . propter praccalidwn cpar; mule diavi tertianae febres cimi tur minibus ventris. Veculi tir iter utitem anno 05 ab ardenti felrre cavendmn est, quae maxime possct obesse. Interim vero annus 44* non inuiilis est, sed attira ex parte casa d fortuna: timor diavi , qnamvis inanìs, de ferro et igne. Sed annus 35.* vtagnos habet asscntiUorcs, liisus diavi et voluptales, et si quos ulios tentubit fwnores, quos quidem et omnes illi tribuat omnipotcns Deus. Fuori : Al molto lll. n ’ et Ecc. mo Sig. r mio Oss."'" Il Sig. r Galileo Galilei, Digli."' 0 Matematico di Padoa. 80 7 GENNAIO 1610. 276 [259] 259 . GALILEO a [ANTONIO BE’ MEDICI in Firenze?]. [Patiovai, 7 gennaio 1610. Attenendoci ad una copin di mano del soc. XVII, della quale ci fu comunicata la fotografia dalla cortesia del P. b’KANCitaoo Ehblk, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, riproduciamo questa lettera secondo una lozione notevolmente diversa da quella finora conosciuta, con la data ed un lungo squarcio (a partire dalla Un. 122) prima inediti, o con figure che possono dirsi esse pure por la prima volta date alla luce. Un’altra copia, di mano del soc. XVIli, ò noi Mss. Gal., P. Ili, T. VII, I, car. 58r.-61>\; o in capo ad essa si logge: « T)cl Sig. r Vincenzio Galilei. Copiata da me da una bozza originale man¬ chevole in un foglio rect.« ». E da credere, secondo ogni verosimiglianza (cfr. Voi. Vili, pag. 562. nota 2), che siffatta copia sia stata esemplata da ultra di mano di Vinoknzio Viviani, il quale abbia alla sua volta trascritto dalla bozza originalo, avuta per mezzo di Vtnoknzio Galilei, e che quello parole siano stato dall’amanuense del soc. XVIII copiate dall’esemplare di pugno del Viviani, die le avesse scritte in testa alla trascrizione propria. La copia dei Mss. Galileiani (e così le stampe, cho da essa derivano) arriva soltanto fino alla li». 121 della nostra edizioue, ed ha materiali errori, dovuti manifestamente a false lottino: questi errori furono talora corretti da mi’ altra mano, ma, come apparo, senza che si ricorresse all’originalo, o quindi non sempre felicemente. Neanche la copia del sec. XVII è scevra di trascorsi di penna o di ortografia, elio abbiamo dovuto correggere e de’ quali alcuni ci parve opportuno indicare oppiò di pagina: li abbiamo distinti con la lotterà A, mentre con la lettera 0 abbiamo regi¬ strato le numorose varianti della copia derivata dalla bozza. Per satisfare a V. S. Ili. ma , racconterò brevemente quello che ho osservato con uno de’ miei occhiali guardando nella faccia della luna; la quale ho potuto vedere come assai da vicino, cioè in distanza mi¬ nore di tre diametri della terra, essendoché ho adoprato un occhiale il quale me la rappresenta di diametro venti volte maggiore di quello che apparisce con l’occhio naturale, onde la sua superficie vien veduta 400 volte, et il suo corpo 8000, maggiore di quello che ordinaria¬ mente dimostra : siche in una mole così vasta, et con strumento eccellente, si può con gran distintone scorgere quello che vi è ; et in io effetto si vede apertissimamente, la luna non essere altramente di superfìcie uguale, liscia e tersa, come da gran moltitudine di gente vien creduto esser lei et li altri corpi celesti, ma all’ incontro essere aspra et ineguale, et in somma dimonstrarsì tale, che altro da sano discorso concluder uon si può, se non che quella è ripiena di eminenze et di cavità, simili, ma assai maggiori, ai monti et alle valli che nella terrestre superficie sono sparse. Et le apparenze da me nella luna osservate, sono queste. Prima, cominciando a rimirarla 4 o 5 giorni dopo il novilunio, Lett. 259. 1. a V. S. molto F. et Eoc.”">, racconterò, G — 8. come dn vicino, G — 6. che mi apparisce, G — 6-7. veduta maggiore 400 volte, et il suo corpo 8000, di quello, G — 8. dimostra: onde in, G — 10. si vede àUissimametite. quella non, G — 11. eguale, G — di genti, \ — 14. non se nc può. G — 16. sparsi, G — 17. sono questi, A — 85 271 7 GENNAIO 1610. [269] vertasi il confine elio è tra la parta illuminata et il resto del corpo tenebroso, esser non una parte di linea ovale pulitamente segnata, 20 ma un termine molto confuso, anfrattuoso et aspro, nel quale molte punte luminose sporgono in fuori et entrano nella parte oscura; et all’incontro altro parti oscuro intaccano, per così dire, la parte illuminata, penetrando in essa oltre il giusto tratto dell’ellipsi, come nella figura apresso si vedo. Di più, non solamente è il predetto confine e termine tra ’l chiaro e ’l tenebroso, sinuoso et ineguale, ma scorgonsi vicino ad esso di¬ verso punte luminosissime poste nella parte no oscura, et totalmente separate da le corna illuminate; le quali punte a poco a poco vanno crescendo et amplian¬ dosi, sì elio dopo qualche bora s’uniscono con la parte luminosa, divenendo lucido anco quello spatio che tra esse et la parte risplen¬ dente si fraponeva : et si veggono simili a quelle che ci rappresenta la figura appresso. Yeggonsi in oltre nella parte illuminata, et massi 111 amento nel confino tra ’l chiaro et l’oscuro, et più che altrove intorno alla punta 40 del corno australe, moltissimo macchiette oscu¬ re, et terminate con certi orli luminosi, li quali sono posti tutti verso la parto oscura della luna, restando le macchiette oscure tutte sempre verso la parte onde viene il lume del sole, dalla frequenza delle quali macchie viene quella parte resa simile ad uno di quei vetri che volgarmente si chiamano di ghiaccio. Siane un poco di essempio la figura presente. Secondo poi che il lume vien successivamente 60 •20. parte de linea, A —22. punte Ultiminole sporgono, A — 23. intace,ire, G - 23- 24. co,ì dire non si leggo in U. — 25. trotto dell 1 ombra, come, G - 25-20. nella presente figura ei vede, G — 30. punte inu¬ minole pone. A — 34-30. luminosa : et iono limili, tì — 37-38. rappreienla ialini figura. Veggonei ap- prc.o nella, G - 89. maieimamente veno il confine, G — 41. corno inferiore, molti,,ime, Q - 44-45. o.cure tempre et tutte verso, G — 40. iole, come li vede urli altra figura, dalla tfrequenta, G — guati mac¬ chiette. Ci — 48. che ,i chiamano, G chiamano ghiaccio. A. In G non si leggono poi lo parolo Siane... presente (liti. 49). 7 GENNAIO 1610. 275 [250] crescendo, sciamano le dette macchiette di grandezza et d’oscurità, sì che nel plenilunio poco si distinguono; nello scemar poi della luna tornasi a vederne gran moltitudine : et pure in tutte et sempre la parte oscura è verso il sole, et l’orlo illuminato risguarda la parte tenebrosa del corpo lunare. Et tutte queste apparenze sono puntual¬ mente simili a quelle che fanno in terra le valli incoronate da i monti, come ogni sano giuditio può comprendere. Apparendo le sopradette macchiette di diverse figure et molto irregolari, una ve ne ho io, non senza qualche meraviglia, osservata, co che è posta quasi nel mezo della luna, la quale apparisce perfettis¬ simamente circolare, et è tra le altre assai grande : nella quale, et quando il sole comincia ad illustrare la sua altezza, lasciando lo spatio di mezo tenebroso, et quando poi, alzandosegli maggiormente, comincia ad illuminare il fondo, et successivamente mutandosi gl’aspetti di esso sole con la luna nel crescere et nel calare di quella, si veggono le medesime apparenze a capello di lume et di ombre, che fa in terra un grandissimo anfiteatro rotondo, o per meglio dire che faria la pro¬ vincia de i Boemi, quando il suo piano fusse perfettamente circolare, et da altissimi monti fusse con perfetta circonferenza abbracciata. 70 Et i suoi aspetti avanti et dopo il plenilunio sono si¬ mili a questi, av¬ vertendo die sem¬ pre la parte tenebrosa è verso il sole, et la chiara all’opposto; inditio certo, quella essere una gran¬ dissima cavità perfettamente rotonda et da ter¬ mini eminenti circondata. Quando la luna è intorno alla quadratura, si so scorge nella parte inferiore, ciò è nella australe, un immenso seno, il quale incava la parte lu¬ cida nella maniera apresso : nella qual cavità, 52. plenilunio pochissimo ni, G — 51. l'orlo illustralo risguarda, G — 55. corpo luminare: et, A — 55-56. lu¬ nare : aspetto onninamente simile a quello che /anno, G — 56-57. da monti, G — 57. conprendere, A. In (.1 non si leggono lo pardo come ... comprendere. — 58. le eopranominate macchiette, G —58-59 . figure irregolari, G — 59. ho, non sema grande stupore, osservata, G — 60. che è quasi, G — 61. In G non si logge nella quale; invece ft 1 in. 65-66 si leggo si veggono in essa macchia le medesime. — 62-68. lasciando il cerchio di, G — 66. apparenze di lume et di ombre a capello, che faria in terra, G — 67. dire la, G — 69. da % suoi altissimi, G — 69-70. abbrac¬ ciata: i suoi, G — 78-74. avertendo, A — 77. perfettamente rotonda et non si leggo in G. — 79-80. si vede nella, G — 80. ciò è nella australe non si leggo ili G. — 31-82. lucida nel seguente modo: nella, U — •276 7 GENNAIO 1610. [ 269 ] crescendo la parte lucida, comincia poi a sporgere, in guisa di un promontorio, un’ eminenza triangolare ; et nell’ aqquistar più lume, se li seuoprono poco dopo intorno alcune altre punte lucide, total¬ mente spiccate dall’ altro lume et circondate da tenebre ; le quali crescendo et allargandosi, lilialmente si uniscono con la parte lumi¬ nosa: in quella guisa apunto che in terra gl’altissimi monti, benché molto occidentali, nell’ aurora prima si illuminano che lo larghe pia¬ nure, che dalle radici di quelli verso levante si distendono. Le pre- so dotto disugualità si veggono solamente nella parte della luna più lucida ; ma in quelle grandissime macchie le quali senza altro stru¬ mento da ogn’ uno si veggono, non ci si scorge tale disegualità di chiari e di scuri, nò vi produce il solo alcuna sensibile mutatione : onde si argomenta, la superficie di esse macchie essere assai più eguale, et mancare delle cavità et eminenze le quali tutta la parte più lucida ingombrano. Sì che quando alcuno volesse paragonare la luna alla terra, le macchie di quella rispondemmo più ai mari, et la parte più luminosa al continente, cioè alla superficie terrena: et Lo ho veramente ancora per avanti haute sempre opinione, che il ioo globo terrestre veduto da grandissima lontananza illuminato dal sole, più lucido aspetto faria nella parte terrena, et meno risplendente apparirebbe il mare et la superficie dell’altre acque. Vedesi tuttavia che la parte meri lucida della luna, cioè quella che communemente si chiama le macchie, non è per tutto et in tutte le sue parti consimile, ma ha sparse alcune piazzette alquanto più chiare del resto di esse macchie : et una di queste gran macchie è racchiusa di sotto et di sopra da due gioghi lunghi et molto illumi¬ nati, li quali, inebriando l’uno verso l’altro no incontro all' oriente, quando la luna ha 5 o 6 giorni, sporgono mirabilmente in fuori et si distendono oltre al conline sopra la parte oscura, in questa guisa. 84. nell'agyiuitar più, A. La parola aggiuttar è sottolineata, e sopra <• scritto aquietare. — nell'acquietar que*«> lume maggiore, te., G - 85. dopo alcune, 0 — 80. circondale dalle tenebre; et quetie, tì - 88-80. »» terra nell aurora gl'allietimi monti, ben che molto occidentali, prima, (i 92. maecAiV della luna le quali, G — 08-91, tale inegualità, ni vi/a il lume del «o le, G - 06. mancare dalia rarità. A — 96-07. delle predette eminente et cavità. Sì che, tì — 07-08. mieter paragonarla alla terra, le macchie della luna ritponderiatto alti mari, G 100-104, «Ae vedendoti da gran dittonga il globo tcrreitre illuminati' dal tale, più lucido uepetto faria il terreno, et più otouro il mare. Veda! tuttavia, lì — 101. Vedati tuttavia, A — Ill.VlOfl. tutto et totalmente timile. ma, G — 108. ifueetr 2, li — 110-111. l'altro verta la parte orientai,-, quando, tì 111 -119. 5 <» ver 0, Il — 112. mirabilmente et, tì — 7 GENNAIO 1610. 277 1.259] TTU). [259-260] dalla respiratone stessa procede, formare il cannone in qualche luogo stabile. I vetri si tenghino ben tersi et netti dal panno o nuda che il fiato, l’aria liumida e caliginosa, o il vapore stesso che dall’occhio, et massimo riscaldato, evapora, vi genera sopra. È ben che il cannone si possa allungare ot scorciare un poco, cioè 3 o 4 dita in circa, 150 perchè trovo che per distintamento vedere gl’ oggetti vicini il cannone deve esser più lungo, et per lo lontano più corto. È bene elio il vetro colmo, elio è il lontano dall’ occhio, sia in parte coperto, et che il portuso che si lascia aperto sia di figura ovale, perchè così si ve¬ dranno li oggetti assai più distintamente. Et tanto per bora posso dire a V. S. Ill. ma , alla quale di vivo cuore bacio le mani e dal S. ro Dio prego felicità. Di casa, li 7 Gennaro 1G10. Di V. S. lll. ,na Ser.™ Aff.™ Galileo Galilei. uro 2 (IO**. BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Firenze, l» gennaio 1610. Blbl.Eat. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, U.*XCIII, n." 47. - Autografa. Illustre et molto Eccellente Sig. r mio Oss.'"° La lettera eh’ io scrissi a Cracovia per V. S., non ostante l’assenza del Sig. Va¬ lerio Montelupi, 6 stata mandata, coni’ella vedrà per l’inclusa 10 , a Inumo et fidato ricapito, et ne staremo attendendo la risposta. Et io son tutto di V. S. al solito, et le bacio le mani. Di Firenze, li 9 di Gennaio 1G09 1,) . Di V. S. 111.» et molto Ecc. t0 Serv. M AfT. mo Belis. 0 Vinta. Fuori : All’ 111.” et molto Ecc. to Sig. r mio Oss. mo Il Sig. Galileo [Galilei], Matematico dello Studio di Padova. Padova. 158. Genaro, A — ‘‘i Questa non ò filigli autografi della raccolta <*> DI stilo fiorentino. Campori. 9 GENNAIO 1010. mi 279 i 201 *. GIULIA AMMANNATI GALILEI ad ALESSANDRO PIERSANTI in Padova. Firenze, 9 gennaio IG10. 13ibi. Naz. Flr. Mas. Gal., F. I, T. XV, car. 31. — Originalo, non autografa. Honor. d ° Mesa. Aless. r0 Son molto settimane elio non ho ricieuto vostre Ietterò, nè so la cagione: mi son mussa n larvi scrivere la presente, per la quale vi prego a dar[mi] qualche nuova di costì, conio si passi per tutti. Da poi la mia partita, quando Galileo scriveva a Benedetto (1) , sa¬ pevo qualche cosa; ma da un mese in cpia, che non scrive, non sento cosa alcuna: mi imagino che non scriva per non li mandare e’ danari che à sposo per m[e] e per la Ver- ginia (i) , o forse per non li mandare dua vetri che più volte li è. mandato a chiedere, se bene indarno. Però, caro Mess. Alessandro, vi prego a far di modo che lui ne liabbia duo o 3, ma non di quelli dalla vista corta e incavati, perchè ha quello che li lasciò Ga¬ io lileo, ma di quelli piani che vanno di sotto al cannone, cioè quelli che sono in fondo, e che quando si guarda dalla parte loro, si vede le co[se] lontanissime. E perchè Galileo no ha quantità, non vi sarà dillicilc il pigliarne [2J o 3 o 4, e metterli in fondo di uno sca- tolino, empiendo il resto di pillore di Acquapendente (1) , di quelle che portai io qu[a] : o questo ve ne prego caldamente, poi che Galileo ò tanto ingrato a uno che li à fatto e fa continovamente tante carezze allo cose suo, che niente più. E la putta sta tanto volen¬ tieri qua, che non vuol più sentir nominare cotesti paesi. Vi raccomando la tessiera, che quanto prima sia servita; o scrivetemi, perchè per ancora non son comparse le robe che lasciai che mi mandassi, nè so a quello [che] pensi di fare. Se direte il costo delle pillore, ve lo farò riuborsare dal S. r Bandino <*». 30 E N. S. vi feliciti. Di F. # , a 9 di Gen.° 1U09 <•>. [....] madre Giulia Galilei. . 'Fuori: Al molto Mag. 00 et Honorand. 0 [Mess. Alessandro, in casa il [Matematico, in Ven.“ per Padova. <*> Dknkdktto I.anulcci. <’> Cfr. n.° 254, liti. 14. <»> Cfr. Voi XIX, Doc. XIII. O) I.a Virginia, nominata di sopra. BaI.DINO (ÌHRRAMDl. l # > Di stilo fiorentino. #0 UKNNA10 1610. •2ttO [m j 262 . GALILEO a BELISARIO VINTA [in Eirouz«J. Venezia, 30 gennaio 1U1U. Blbl. Naa. l’ir. MM. Gal., P. VI, T. V, dar. 22. — Autografa. 111.' 00 Sig.™ et Pad.' 1 ® Col." 10 Io rendo infinite grazie et resto perpetuamente obligato a V. S. lll. rau dell’ olii zio incaminato a benefizio di Alessandro Piersanti, mio servitore, il quale liumilniente gli fa reverenza et, sta con grande speranza attendendo di ricuperar, per mozo del favore di V. S. IU. mu , quello die può essere il sostegno della vita sua et di che egli era già fuori di speranza ; et intanto non resta di pregare il Signore Dio per la buona sanità et lunga vita di V. S. lll. ma Io mi trovo al presente in Venezia per fare stampare alcune os¬ servazioni (i) le quali col mezo di uno mio occhiale ho fatte ne i corpi io celesti ; et sì come sono di infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si Ria compiaciuto di far me solo primo osserva¬ tore di cosa ammiranda et tenuta a tutti i secoli occulta. Che la luna sia un corpo similissimo alla terra, già me n* ero accertato, et in parto fatto vedere al Ser. m0 nostro Signore, ma però imperfettamente, non bevendo ancora occhiale della eccellenza che ho adesso; il quale, oltre alla luna, mi ha fatto ritrovare una moltitudine di stelle fisse non mai più vedute, che sono più di dieci volte tante, quante quelle che naturalmente son visibili. Di più, mi sono accertato di quello che sempre è stato controverso tra i filosofi, ciò è quello che sia la 20 Via Lattea. Ma quello che eccede tutte le meraviglie, ho ritrovati quattro pianeti di nuovo, et osservati li loro movimenti proprii et particolari, differenti fra di loro et da tutti li altri movimenti del- Taltre stelle; et questi nuovi pianeti si muovono intorno ad un’al¬ tra stella molto grande, non altrimenti che si muovino Venere et Mercurio, et per avventura li altri pianeti conosciuti, intorno al sole. Stampato che sia questo trattato, che in forma di avviso mando a Accenna al Siderru* Nunoiu», nolla edizione principe del quale il titolino corrente a capo di pa¬ gina ò Obitrvalionti tidgrtae rterni habitat. Cfr. Voi. ili, Par. I, pag. 9, nota 2. 30 GENNAIO —fi FEBBRAIO 1610. 281 [262-2631 tutti i filosofi et matematici, ne manderò una copia al Ser. m0 G. D.. insieme con un occhiale eccellente, da poter riscontrare tutte queste 30 verità. Intanto supplico V. S. Ill. ma che con oportuna occasione faccia in mio nome humilissima reverenza a tutte loro Altezze ; et a lei con ogni devozione bacio le mani, et nella sua grazia mi raccomando. Di Venezia, li 30 di Gen.° 1610. Di V. S. Ill. ,na Ser.™ Oblig. mo Galileo Galilei. 2G3. R ELISA RIO VINTA a GALILEO in Padova. Firenze, 6 febbraio 1610. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. VI, cnr. 94. — Autografa la sottoscriziono. 111. et molto Eco. 16 S. r mio Oss. mo Per conto di quel credito di Alessandro Pier Santi, servitore di V. S., scrivo Roggi di nuovo, acciò ne venga quanto prima qualche risposta; et non lascerò mai di servirla con ogn’ amore et prontezza in tutto quello che potrò. L’ avviso eh’ ella mi ha dato delle sue nuove stupende et memorande osser- vationi, mi è parso tanto mirabile et degno delle orecchie de’ Ser. ,n ‘ Padroni, che subito ch’io ricevetti la lettera, la lessi a lor Altezze, le quali, rimaste oltre modo stupefatte di questa nuova prova del suo quasi sopranaturale ingegno, sono entrate in eccessivo desiderio di veder quanto prima dette osservationi et io P altro occhiale più eccellente : et però V. S. le manderà subito che saranne finite di stampare, et doverà poi anche piacere ad ogn’ uno che per modo di avviso ella le Rabbia indirizzate a tutti i filosofi et mathematici ; et io ancora, se bene ho poco tempo di levar gli occhi dalle scritture di segreteria, voderei volentieri opera cosi rara. Et con il solito mio affetto le bacio le mani. Di Firenze, li 6 di Feb.° 1609 l0 . Di V. S. 111. et molto Ecc. te Serv.™ Afl>« S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. Fuori : All’ 111.” et molto Ecc.‘" Sig. r mio Oss." 10 Il [Sig. r Gajlileo Galilei, pr.° Lettore di Matematiche. 20 Padova. Lett. 203. 6. delle orecchi — <» Di stilo fiorentino. X. 88 282 6— 13 FEBBRAIO 1610. [264-265] 264* ENEA PICCOLOMINI ARAGONA a GAI,IGEO in Padova. Firenze, 6 febbraio 1010. Bibl. Est. In Moderni. Raccolta Cauipori. Autografi, B.‘ LXXXV, d.» 41. — Autografa la sottoscrizione. Molto Tll.™ et Ecc. mo Sig. mio Oss. mo Rispondo tardi alla lettera di V. S., poiché sono andato quasi ogni giorno a caccia ; sì che la prego scusar questa mia tardanza. Feci l’offitio, che mi accenna con l’ultima sua, con S. A. S.'"' 1 et con Madama, anzi li lessi la medesima sua lettera ; e 1’ uno et 1’ altra gradirono molto quest’ otìitio, et udirono volentieri quanto ha scritto a me e tutti quelli particolari che ha scritto ad altri 11 ’, pure sentiti dalle medesime A. s) , quali sapendo quanto sia il valore di V. S., non sene maravigliono molto : et il S. m0 Gran Duca in particolare mostra e conserva una grata memoria verso di lei, e sta tuttavia con desiderio di rivederla. Et tanto mi ha commesso che io li scriva. 10 Io poi haverò carissimo sentire spesso nuove di V. S. et insieme ricever suoi comandamenti, chè in tutto quello che potrò la servirò sempre di quoro. Le pillole qua non sono anco comparse, con tutte le diligentie usate : però quando V. S. si compiaccia mandarne dell’ altre, saranno carissimo al S. r padre, quale insieme con me le bacia le mani. Di Firenze, li 6 di Feb.° 1609 l8) . Di V.S. molto 111/* et Ecc. ma Scr. AfT. m0 Enea Piccolomini Aragona. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. mw 11 big. 1- Galileo Galilei. 20 Padova. 265. GALILEO [a BELISARIO VINTA in Firenze]. Padova, 13 febbraio 1010. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. V, car. 24. — Autografa. ill. mo Sig.™ et Pad."® Col ." 10 Non prima di ieri son tornato di Venezia a Padova, et ho ritro¬ vata in casa una di V. S. lll. ma , giunta il giorno avanti, piena, se¬ ni Cfr. n.o 262. <*> Cfr. li.» 268. <3> l)i stilo fiorentino. <*> Cfr. n.o 268. 13 FEBBRAIO 1610. 283 condo il costume suo, di cortesissimo affetto, nella quale mi dà conto del replicato offizio per la redintegratione dell’ bavere intero di que¬ sto mio povero servitore ; il quale si ritrova in età et in maniera tra¬ vagliato da una gravissima indisposizione di diffìcultà d’orinare, che de i 30 giorni del mese ne consuma più di 20 in letto, et già saria morto di necessità, se la sua buona condizione et fedel servitù pas- 10 sata non bavessero meritato che io lo sostenessi per carità. Egli rende a V. S. IU.h» gratie infinite, et in lei sola ba riposte tutte le speranze; et io resto a parte de gl’ obligbi che in perpetuo haveremo alla sua benignità. Quanto alle mie nuove osservazioni (1> , le mando bene come per avviso a tutti i filosofi et matematici, ma non senza gl’ auspicii del nostro Ser. m0 Signore ; perchè, havendomi Dio fatto grazia di poter con segno tanto singolare scoprire al mio Signore la devozion mia et il desiderio che ho che il suo glorioso nome viva al pari delle stelle, et toccando a me, primo scopritore, il porre i nomi a questi 20 nuovi pianeti, voglio, all’ imitatione degl’ antichi sapienti, li quali tra le stelle riponevano gl’ eroi più eccellenti di quelle età, inscriver que¬ sti dal nome della Ser. ma S. A. Solo mi resta un poco di ambiguità, se io deva consecrargli tutti quattro al G. D. solo, denominandogli Cosmici dal nome suo, o pure, già che sono a punto quattro in nu¬ mero, dedicarli alla fraterna con nome di Medicea Sydera. Io qua non posso nè devo pigliar consiglio da alcuno, per molti rispetti : però ricorro a V. S. Ill. ,na , pregandola che in questo voglia dirmi il suo parere et porgermi il suo consiglio, sendo io certo che lei, come prudentissima et intelligentissima de i termini delle gran corti, saprà co propormi quello che è di maggior decoro (2) . Due cose desidero circa questo fatto, et di quelle ne supplico V. S. Ill. ma : 1’ una è quella se¬ gretezza che assiste sempre a gl’altri suoi negozii più gravi; l’altra è una subita risposta, perchè per tal rispetto solo fo trattener le stampe, restandomi da determinar questo punto nel titolo et nella Lett. 205. 5-6. quelito mi povero — »*> Cfr. il." 262. i 9 » In un foglio, elio orti, allegato alla lotterà, forma la cart. 25 del codice, si leggo, di mano, a quanto sombra, di Bkmbario Vinta, ciò elio seguo: « Reggasi questa a S. A. ; ot perché quella donomi- nationo Cosmici è greca, o si potrebbe interpretare elio la fusse data a quello stollo por la natura di qualche lor qualità ot moto, o non por gloria del Sor. ,uo nomo della Casa do’ Modici ot dolla loro na- tiono et città di Firenze, io piglierei quella dono- minatione Medicea Sidtra : ot piacendo così a lor Al tozzo, il Gioii risponda subito a Venotia, ot la mandi al Vinta ». Cfr. n.° 266, o Voi. Ili, Par. I, pug. 9, nota 2. 284 13 '20 FEBBRAIO 1310. [8(15-2661 dedicatoria. Io torno domani a Venezia, dove attenderò la sua ri¬ sposta, la quale potrà, così piacendoli, raccomandar lì al maestro delle poste, acciò, capitando in altra mano, non fusse inviata a Padova. Quanto al desiderio che mi accenna V. S. 111. 1,1,1 di bavere, di veder queste osservazioni, io non mancherò di far sì che resti servita tra breve tempo ; et se incontrerà qualche poco di diilìcultà per non io haver altra volta praticato lo strumento, alla più lunga questo Giu¬ gno le leveremo tutte, dovendo io, per replicato comandamento di S. A. S., ritrovarmi costà. L’ho occupata più elio a bastanza: finisco di scrivere, ma con¬ tinuo di vivergli devotissimo servitore. 11 Signore la feliciti. Di Pad. a , li 13 di Feb.° 1010. Di V. S. lll. ma Ser. rtì Oblig. mo Galileo Galilei. 2 66 *. BELISARIO VINTA h GALILEO in Padova. Firenze, 20 febbraio 1G10. Bibl. Naz. Fir. Ms«. Gai., P. 1, T. VI, car. ‘JG. — Autografa la sottoscririono. 111. et molto Kcc. te Sig. r mio Oss. mo Non contento della lettera, elio, come avvisai a Y. S. ( ", io scrissi ultimamente al S. r Valerio Montelupi, pregandolo a ricordarsi di procurarmi quella risposta dal S. r Gio. Liczho di llyglice, ho scritto bora di nuovo al medesimo S. r Gio¬ vanni ; et con raccomandare anche il ricapito di questa al medesimo S. r Mon¬ telupi, son tornato a fargli la medesima instanza: et quel che ho replicato con questa seconda lettera a detto gentil’ huomo, non posso credere, che non P habbia a muovere a qualche cosa. Et invero che al povero servitore di V. S. io ho la medesima compassione di lei. Il pensiero di V. S. intorno al porre i nomi a i nuovi pianeti trovati da lei, io con inscrivergli dal nome del Sor." 10 Padrone, è generoso et heroieo, et conforme agli altri parti singolari del suo mirabile ingegno : et poiché ella ha voluto farmi l’onore del domandarmi il mio parere circa ai chiamar detti pianeti o Cosmici o Medicea Sydera, io le dirò liberamente che questa seconda inscrizione tengo per fermo che piacerà più, perchè, potendosi la voce greca Cosmici interpretare in diversi sensi, non sarebbe forse interamente attribuita da ogn’ uno alla gloria del Ser. ,no nome della Casa de’ Medici et della loro natione et città di Firenze, Accanto all’indirizzo sono delineate, corta¬ mente di mano di Cammeo, duo configurazioni dei Dia¬ noti Medicei, senza indicazione di data. < s > 11 sonetto non è ora allegato alla lottora. (»> Diacono di Rakpail Gualterotti, gentil- huomo fiorentino, sopra V appariilio ne de la nuova niella. E sopra le tre oscurazioni del sole e de la luna ne l'anno 1005. Con alquanto di lume del arte del oro, ecc. In Firenze, nella stamperia di Cosiino Giunti, MDCV. — Il passo a cui nolla lottora si accenna, non è però contenuto nella dotta opera, bensì a pag. 26 dell’ altra intitolata : Scherzi degli spiriti animali, dettati con l'occasione de 1‘ oscurazione de l'anno 1005 di Rapvael Gualterotti, ecc. In Fi¬ renze, nella stamperia di Cosimo Giunti, MDCV. 28(5 1° — 6 MARZO 1(510. |2«7-268j vono parere o maggiori o minori le tenebro. Et io rispondo iv V.S., che io non niego che ciò non potessi esser vero; imi niontodimeno dico, ciò essere avvenuto por essere la luna più scarica o più carica di vapori ella in sò stessa: o di ciò no sia vero testimonio, che 20 io Iìo veduta alcuna volta essa luna rincontrare la stella di Venero, e ’ntorponondosi fra l’occhio nostro e Venere, faro eh’essa Venere non si reggia ed oscurarla al tutto, per dir così ; alcuna altra volta io ho visto Venere nel mozzo al corpo dela luna cosi chiara¬ mente risplendere, come so ossa luna stata non vi fusai. E perchè V. S. mi dirà, ciò non potere essere, che troppa gran cosa sarebbe, io gli adduco, por mia prova che gli è stato, altri in altro tempo che ciò hanno veduto, corno scrive Giovati Villani nel libro quarto, capitolo XV, nela morte d’Arrigo secondo, l’oi io non d’oppinionc che la luna non sia un corpo sferico. Ma per non esser di doppia noia a V.S., impongo lino, e lo bacio le mani. Che Dio la faccia sempre felice. Di casa, il primo di Marzo 1009 *’>. Di V. S. molto 111 " et Ecc.'° Afl>° Se." ltaffael GualLerotti. SO Fuori: Al molto T11. T * et Ecc. ,n Sig. r * mio OsBer. mo 11 S. r “ Dottoro Alessandro Sartini [sifì|. In casa. 208*. RAFFAELLO GUALTEltUTTI a GALILEO in Padova. Firenze, (5 marzo 1010. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 91. — Autografa. Molto 111 » et Ecc. mo 8ig.*° Ho letto qua le lettere de’ sua avvisi 0 dolo sue nuove osservazioni. E circa la prima considerazione, elio il sole sia nel centro, io non ci ho dubbio nessuno. Che sieno più stelle e più pianeti, io lo credo, perchè molti altri hanno anchora così creduto; ma di certo non ne so niento: desidero ben saperlo. Dola luna e dela strada Lattea so qual cosa, perchè io ci ho fatto qualche considerazione; e tengo che la luna sia un corpo che riceva 1’ esalazione e ’1 vapore da altro luogo si elevi, e che in essa anchora si generi, sichè tal ora ella sia di esso sca¬ richissima e tal ora ripienissima: e di ciò mi è argomento, che l’anno 1598 egli oscurorno pochi punti e le tenebre fumo grandissime, e l’anno 1604 egli oscu- Torno molti punti e le tenebre fumo piccole. V. 8. mi potrà dire che quelle esa¬ lazioni e vapori eron nel’aria, e ’nterponendosi fra l’occhio nostro e la luna, nela luna ci apparivano. Rispondo a V. S., che ciò è vero che può essere, ma non perciò I.ett. 267. 28. io ho vino Venere — Lett. 268. 12-18. noniro itela la luna oi apparivano — Di stilo fiorentino. 6 MARZO 1610. 287 [268] è men vera la mia oppinione, perché ha una prova inropronsibile : perciochè la luna, congiungendosi diametralmente con qual si voglia stella, la oscura ; niente di meno io ho veduto due volte congiungersi la luna e Venere, et essa Venere apparire nel mezzo del cerchio dela luna così chiaramente come se la luna non vi fussi stata, cosa che per l’ordinario si tiene impossibile; pure, havendovela veduta una volta io specialmente, ò possuto e posso credere .agevolmente, ciò 2 o essere avvenuto per essere stata in quel tempo la luna scarichissima d’ogni esa¬ lazione e vapore. Questa osservazione e questo accidente è vero ; e se V. S. non lo vuol credere a me, la lo creda a Giovali Villani, il quale nel quarto libro, al quindicesimo capitolo, versi cinque, dice: « Et in quel’anno si vidde la pianeta di Venus nel cerchio dela luna, cosa non mai più veduta >. Ci sono molte altro verità da me osservate, le quali, per non esser tedioso e per non parer di far raccolta di paradossi, io mi taccio. Desidererei, havanti che io morissi, di vedere quella grande stella co i quattro pianeti da V. S. osservati, perchè io caggio in pensiero che, essendo la stella grande, ella si haverebbe ordinariamente a vedere, se già la non lussi la terra 30 o una di quelle macchie un poco più chiare dela strada Lattea. Ma siasi come si voglia, V. S. si degni in particulare di farmi grazia come io posso fare a ve¬ derla; e se la consiste nel’occhiale, la mi mandi due luci a proposito; che se io non gliene potrò donare le centinaia degli scudi, almeno io gliene dirò gran mercè di quore; perchè con questi occhiali che hanno fatto qua questi malandrini, io veggo la luna grande grande grande, e più chiara che io non la veggo con gli occhi ordinari, e ’ntorno ala strada Lattea veggo più distendersi il suo albore, ma finalmente quello che io la veggo con gli occhi, quello mi riesce con l’oc¬ chiale. Per la qual cosa di nuovo la riprego che, sicorae ella à dato a molti amici l’avviso di questa nuova osservanza, ella dia avviso a me come io ho a faro a 40 certificarmene, perchè questa è cosa molto del mio particulare interesso. Ma per non la infastidire più lungamente, io me le ricordo al’ ordinario servitore. Che Dio le dia ogni sorte di felicità. Di Firenze, li vi di Marzo 1609 (n . Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ,na Ser. ro Aff.'"° Raffael Gualterotti. Fuori : Al molto Ill. ro et Ecc. mn Sig. ro Il S. ro Galileo Galilei, Lettore di Matem. cho nel Studio di Padova. Rac. ta al R. mo P.re M.ro Paolo, Servita. bo In Venezia per Padova. 22. la lo credo a Giovati — (*' Di stilo fiorentino. ‘.m 12 — 13 MARZO 1610, 1269 - 271 ] 269 . GALILEO a COSIMO II DE’ MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenze], Padova, 12 marzo 1010. Cfr. Voi. Ili, Pur. 1, pag. 65-57. 270 ** MALICO WELSER a CRISTOFORO CLAVIO [in Roma]. AugUBta, 12 marzo 1010. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal , P. VI, T. XIV, car. 20. — Pi questa o doli* altro lotterò, elio pubblicheremo, del VVf.lhkk al Ci.a vio conosciamo soltanto una copia di mano del soc. XVIII, elio vorisimilmento fu in¬ viata a G. B. Nki.li da Apostolo Zumo con una lottora, alla quale ora ò allogata, dei 10 uoveuibre 1714. Molto 11.'* 0 S. or P. Oss. mo Ebbi da Magonza un trasmesso con 25 copie dolla risposta di V. R.“ scritta contra il Germanno (l) , quale lo inviarò con qualche coromodità di mercanzie, se bone mi dispiace cito sogliono esser rade e lunghe. Con questa occasione non posso mancare di ricordarle, che da Padova ini viene scritto per cosa certa e sicura, che il S. or Galileo Galilei, Matiteraatico di quello Studio, ha ritro¬ vato coll’istromento novo, da molti nominato visorio, dol quale egli si fa autore, quatro pianeti, novi quanto a noi, non essendo mai stati visti, per quanto si habbia notizia, da Intorno mortale, con di più molte stelle fisse, non conosciute nò viste prima, e circa la Via Lattea mirabilia. Io so molto bene che tarde credere est nervus sapientiae: però non mi io risolvo a nulla, ma prego V. R.** che ino no dica in confidenza liberamente la sua opi¬ nione intorno questo fatto. E con bacciarle la ninno, mi raccomando alle sue sante oratioui. Iddio la feliciti. Di Augusta, a’ 12 di Marzo 1610. Di V. R.'* etc. 271 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Venezia, 13 marzo 1510. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. V, car. 27. — Autografa. Ill. mo Sig. re et Pad. ne Col. rao Non prima che oggi, et ben tardi, si è potuto bavere alcuna co¬ pia del mio Avviso Astronomico 2 , tal che non ci è tempo da poterne far legare uno per S. A. S., ina sarà forza che io indugi alla setti¬ mana ventura ; oltre che mi bisogna tornare a Padova per poter in- <•> Confìttatio Calendari * Georg ii Germnnni Mar- Reinhanlus Kltz, almo Domini M. UC. X. tenbergeniie tìoruni. Anelerò Cristopiidro Ci.avio •*' Intonile il Sidereu» Nuneiu» : cfr. Voi. Ili, Bambergensi, Sociotatis Iesu. Moguntiao, excudebat Par. I, pag. 58 e seg. 13 MARZO 1610 [ 371 ] 260 viar l’occhiale insieme con l’opera; perchè, sperando di essere spe¬ dito sin quattro giorni sono et di li aver tempo di tornare a Padova et inviare il tutto di là, mi son lasciato traportare avanti. Tutta via non ho voluto mancare di inviarne una copia a V. S. Ill. nia , così sciolta io et ancora bagnata, per ogni buon rispetto. Io non so quanto sia per succeder facilmente al S. G. D. et a quei signori di Corte il poter trovare i quattro nuovi pianeti, li quali sono intorno alla stella di Giove et con lui in 12 anni si volgono intorno al sole, ma intanto con moti velocissimi si aggirano intorno al me¬ desimo Giove, sì che il più lento di loro fa il suo corso in giorni 15 in circa. Non so, dico, quanto facilmente saranno ritrovati, se ben manderò il mio medesimo occhiale eccellentissimo, col quale gli ho osservati ; perchè a chi non è ben pratico ci vuole sul principio gran pazienza, non ha vendo chi aggiusti lo strumento et ben lo fermi et 20 stabilisca. Però in tal caso, quando paresse a V. S. Ill. ma che per abon- dare in cautela io mi trasferissi sin costà in queste vacanze della settimana Santa, che sono 23 o 24 giorni, io lo farei : tutta via mi rimetto al suo consiglio. Se si potesse differire sino alla state, nel qual tempo sarò costà per ubidire al cenno di S. A. S., non direi altro; ma in tutta la state nè Giove nè i 4 pianeti si vedranno, mediante la vicinanza del sole : nè altre vacanze ci sono sino a quel tempo, se non queste di Pasqua. Però sopra questo particolare aspetterò il pruden¬ tissimo parere di Y. S. Ill. ma ; il quale se sarà che io debba venire, mi. farà favore clic io trovi una lettiga a Bologna per il lunedì della set- so timana di Passione, perchè di Padova potrò partire il venerdì avanti. Questo incontro, d’ha ver potuto con maniera tanto pellegrina et da non se ne poter mai più sperare una simile per dimostrarmi quanto sia io devotissimo servo del mio Signore, mi è tanto a cuore, che io non vorrei che da veruna difficultà o intoppo mi fusse perturbata : però V. S. Ul. raa non si meravigli se io 1’ ho a cuore, et se io desidero che ella sia conosciuta et ricevuta per tale quale ella veramente è. Io non ho più tempo di scrivere, essendo notte: però, con fargli reverenza, con ogni devozione gli bacio le mani, et dal Signore Dio gli prego somma felicità. Di Venezia, li 13 di Marzo 1G10. Di Y. S. Ill. ma Ser. re Oblig\ mo Galileo Galilei. 40 Ili — Iti MARZI» Hi 10. 1372-278] 2'JU 272*. [PAOLO SARPI a GIACOMO LESCIIASSIER]. Venezia, 16 marzo HilO. Blbl. Naz. In Paridi. Cod. lat. SCOI (già Colbortino 2832), car. 93 e 94. — Copia di inano sincrona. Dolio liu. 1 14, fino «Ilo paiolo « socundis 17 », è copia, di ninno do! sor. XIX, nei Mas. Gal., Dar VI, T. VI, car. 18. questa copia, elio fu trascritta quando fu messa insidino la rnccolta Palatina dei Mas. Gali- leinni, non deriva, a quanto sembra, dal cod. Parigino: e mentre lin nmnorosi o gravi orrori, sana, d' altra parto, altri orrori elio fu quel codico non mancano. Noi porciò, riproducendo il presento squarcio sul ma. Parigino, abbiamo profittato anche dell'altra fonte, o dolio ditf«renzo dell'uno o del¬ l'altro codico dalla lozioni) da noi stabilita abbiamo reso conto appiè di pagina, dove distinguiamo i duo codici, Galileiano e Parigino, con lo iniziali 0 o P. _Scia, ante biennium repertnm instrumentum in Ratavis, quo rea longinquae vi- dentur, qua© al iter voi nou appnrorent, vel obscure. Hoc invento noater Mathrmaticua Patavinua, et alii ex nostris earum art.ium non ignari, ad cooleatia uti ceporo, et usu edooti magia accomodarunt et expoiierunt. Oonstat, ut Boia, instrumentum illud duobtis perspicillis (luneUcs vob vocatia), spliaoricia ambobua, altero superiìcici convexao, altero concavae. Convexuin accepiuma ex apliaera, cuiua diametri- <> pedum; concavum, ox alia, cuius diauioter latitudine digiti minor. Ex his coniponitur instrumentum circiter -1 pedum longitudinia, per quod videtur tanta pars obiecti, qtme, si rccta visione inspiceretur, sub- tenderet serupuln 1 .* 6 ; applicato vero inatrumento, videtur sub angolo maiori quam 3 graduuiu. Ea obsorvata sunt in luna, in Iovis stella et in Tixarum coBtellationibus ; quao io tu legea in libello quem meo nomine 1). Legatus tibi exbibobit, et plura alia miranda magia, de quibus tibi alias acribam. Interim ne mirere, videri atollas lovem circumeuntes tam brevi intervallo. Namque oculo in love exiatento, diatantia lunae a terra non excedit scrnpula p. a 31. et ipsuni lunae corpus non apparet humus scrupulia secundis 17. Ea si libnerit L). Aleauine cominunia Tacere, Torto non illi eruut ingrata.... 278*. LODOVICO CARDI I)A CIGOLI a GALILEO in Padova. Roma, 18 marzo 1610. Blbl. Naz. Fir. Mas. dal., P. I, T. VI, car. 39. Autografa. Ecc. ,no Sig. r " et Pat. n mio Oss. ,n0 Venendo costà il Sig. r Ferdinando Martelli, sono forzato con questa a salu¬ tarla, et per questo che mi viene scritto di Fiorenza dal Sig. r Annidori 1 ”, a ralle- Lett. 272. 2. quae alias vel non apparent vel obscurae, G — 3. vii conferì, et, tì — 4. aecommodareruut et expoliveruni, G — 5. Lunato» vos vocalis, G — 6. cuiiu diametri U pedum, I’ — 7. digiti minori», G — l'rufrn- mentum quatuor circiter pedum, G - 8. videtur tantum pan, P — 8-9. vinone vidcrelur, mbtenderet tantum ecruputa. G — 9-10. instrumento, videbitur sub (iugulo maiori quam lertium graduimi, G — 10. sunt in lucia, in Iovis, P — 11. quem tibi meo nomine Domimis legatus exibebit, G — 14. iptum lunare corpus, G — G» Giovassi Battista Auauoki. 18 MARZO 1610. 291 [273-274] granili con lei, avendo ridotto a tale perfezione il suo ochiale, ch’ella à potuto scougiere et osservare nel cielo cose maravigliose, et che sopra di ciò avea fatto non so che suo discorso, et era a Venezzia per farlo stampare. Lessi la lettera al Sig. 1 ' Luca Valerio, che è ancora, per la malattia di molti mesi, convalesciente ; il quale la saluta, et la pregila per ciò averlo per iscusato del non li avere mai scritto. Ritrovandomi anchora dal Sig. r Cardinale Dal Monte io per altro, venendo a così fatti ragionamenti, le lessi la lettera del Sig. ro Anni- dori ; il quale subito ordinò a Venezzia ad un suo ministro, ne procurassi il detto ochiale, et se il libro era stanpato gniene mandassi. Ora la pregilo, perchè non li sono meno affezionato del Sig. r Amadori, al farmene partecipe, perchè no rice¬ verò quello maggiore contento che per me propio averrebbe. Et con questa ba¬ ciandoli le mani, le pregilo da Dio ogni contento. Questo dì 18 di Marzo 1610, in Roma. Di V. S. Ecc. ma Aff. ,n0 Servitore Lodovico Cigoli. Fuori : All’ Ecc. ,n0 Sig/“ et Pad.” mio ()ss. ,n0 20 [....] Galileo Galilei, in Padova. 274 *. GIO. BATTISTA MANSO a PAOLO BENI [in Padova]. [Napoli, marzo 1610J. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 84-87. — Copia di mano sincrona; n car. R7f. si logge quosta indicazione, di mano di Galileo: « Del S. GÌOVailb. a MailSO, da Napoli ». JJolIa mano di Gai.h.ko sono pure duo aggiunto, che indichiamo in noto. Molto 111/ 0 et Ecc. m0 8/ mio (l) , Spettava con ardentissimo desiderio lettere di V. S. per ricever avviso del suo arrivo in Padova, della sua saluto e del luogo in che mi conserva della sua gratia: della quale io fo quella stima che si deve alle sue singulari virtù, e ne vivo tauto ambitioso, che non cambierei il titolo di suo servitore con quel di padrone di tutto il rimanente mondo. Aggiugneva sprone al mio desiderio la promessa che ella mi lece delle sue lettere con un’altra da Roma, alla quale ancor ch’io havessi incontanente risposto, non per ciò haveva veduta sin qui replica alcuna. Ma hora questa de’ 19 del passato ha non pur adempito ogni mio desiderio, con assicurarmi che V. S. tenga memoria dell’ affetto doli’ animo mio 10 verso lei e con darmi certezza della sua giunta con salute (a me tanto più cara, quanto Lett. 273. 6. Venetza — 11. stipilo — 1*1 Galileo aggiungo di sua ninno : « il S. Paolo Boni. » 292 MARZO 1010. [2741 più acerbamente ho sentito il sinistro die ricevette nella gamba por la caduta), ma di gran lunga otinndio lm sopmvanzato ogni mia speranza con la giunta di nuovi favori, o sopra¬ fatto ogni mio pensiero con 1’ avviso di nuove meraviglie, e tali che ’l dire che giuntai non siano stato udito nò cadute in intelletto Immane (ancor che intorno alPistesse cose si sieno affaticati sin dal principio del mondo tutti gli ingegni), anzi che siano coso clic trascen¬ dono l’ngume e la capacità d’ogni mortai intendimento, ò dir vero, ma ò dir poco. Lio io con is tu poro et con dilotto grandissimo molte volto riletta la lettera sua, o co¬ municatala con il S. r Porta l, > ot con gli amici conosciuti da WS. ot con altri, che perla brevità del tempo non ebbero ventura a farsi conoscere da lei : la maggior parte de’quali ò atterrita dalla novità o dalla difficoltà dolio cose in ossa contenute; ma i più dottinoli 20 lo giudicano impossibili, et io, mosso dalla autorità di V. S. o del S. r Galileo, lo tengo non pure possibili, ma verissimo, poi elio ninna di quelle coso elio possono eBsoro (come conosco esser questa) si dco negare all’ osservatine fatta da due huomini così singolari in dottrina ot in bontà, quali sono lo SS. VV. Anzi io porto ferma speranza, che corno il se¬ colo passato si vanta a ragiono (li hnver scoverti nuovi et non più conosciuti mondi, così questo presente si gloriarli d’lui ver ritrovati nuovi et non più immagginati cieli, con tanto stupore dell’età a venire, che invidieranno noi elio senio nati in questi avventurati tempi ot habbiamo possuto conoscere così rari o divini ingegni, o me spotialmentc che ho Imita parti colar gratia di esser servitore di V.S. odi sperare di essere anche, per inezo suo, del S. r Galileo: onde, come Piatone ringratiava gli Dii che l’ha vesserò fatto nascere nel mondo 30 no’ tempi di Socrate, così stimo dover io ringratinro il Sommo Iddio elio in’ babbi fatto venire in questo felice secolo, dove io possa dalla lor voce e dalle lor lettere apparar quelle cose che la soma sapienza di Lui lm voluto sin qui tener al mondo tutto celato, et bora primieramente allo SS. VV. scovrirò. Meritarebbc gran lodi il S. r Galileo per ha ver ridotta a tanta perfettione l’invention do gli occhiali, che estenda la vista oltre 60 et SO miglia, et renda lo spotie delle coso vedute così vicino et grandi elio non paiono lontane più elio duo miglia, et ai veggano anco lo minutissime; il che ha recata non picchila gelosia al nostro S. r Porta s} , il quale ha pensato un pezzo fa, elio ciò si potesse fare etiamdio in infinito (dico, per quanto si potesse estendere la linea visuale, rimoti gl’ impedimenti), con proportionare i punti del concavo e del convesso de’ vetri. Ma so il S. r Galileo voleva di queste cose far 40 meravigliare il inondo, bisognava che si fermasse qui, ot non rivolgesse questo suo nobi¬ lissimo istru monto verso il cielo, perciò che, scoprendo con esso le meraviglie di colà su. fa cessare lo stupore delle cose terrone, per istrnne et grandi elio elle si sieno. lift prima (lolle quali, o ciò è che in cielo si veggono con l’aiuto di questo occhiale nuove stelle nel fermamente, non prima osservate nò conosciute, è per avventura la minore di tutto 1’ altre : per ciò che gli antichi etiandio credettero, s’io non fallo, che nel ciclo fossero più stelle di quello elio appaiono a gli occhi nostri. E Tolomeo noll’Almagesto, là dovo favella delle stello e dell’uso dell’astrolabio nell’osservarle, volendo mostrare clic con l'aiuto di quell’istrumento si potevano misurar tutte, soggiunge: Quotquot possibile Brut pcrspiccrc : ondo chiaramente si raccoglie, clic non tutte le stelle si possono vedere, o 50 elio egli conosceva elio ve ne sono più di quello che da lui si vedevano, le quali noi col <" Gio. Battista iiklla Porta. <*> Cfr. a.» 230. MARZO 1610. 293 [2U\ benifitio del meraviglioso occhiale, facendolo molto maggiori e più vicine, potremo senza fallo agevolmente mirare. Et innanzi a lui mostrò di conoscerlo Aristotile nel primo libro delle Meteore, nel quale, favellando delle stelle, diceva che oltra quelle d 1 osservata gran¬ dezza (lo quali poscia gli astrologi annoverarono fino a mille e ventidue) ve ne sono altre innumerabili, che, per esser fuori delle 48 imagini celesti, egli chiamò.... <*> ; delle quali, perciò che di quelle che si veggono se ne sa il numero, bisogna necessariamente confessare che l’altro, credute innumerabili, non si l'ussero per allora vedute. L’iatesso disse più chiaramente Alfagranio, et altri più moderni etiandio. Per la qual cosa di questa prima 00 maraviglia, quantunque ella in sè medesima sia grande, pure per ciò che fu da gli antichi conosciuta almeno, se non veduta, sarà maggiore l’obbligo che habbiamo al S. r Galileo elio ce la porga a riguardare co ’l suo maraviglioso instrumento, che la novità delle stesse cose mirate. Il medesimo si potrebbe affermare della seconda maraviglia della Galassia, della qual ancorché Aristotile favellasse in modo che paresse anzi favoleggiare che filosofare, non è egli però che A verro© non si forzasse di darci a credere, essere oppinion di lui che il candor di quella fosse il picciolo et confuso lume d’innumerabili e spessissime stelle. La qual sen¬ tenza non solamente è stata tenuta per vera in sè stessa e seguita quasi universalmente da i moderni, ma molti so P hanno beuta etiandio come oppinione d’Aristotile, e fra gli altri 70 Alberto (non so per qual ragiono chiamato Magno), il qual, non contento d’haverne in¬ vestito Aristotile, l’attribbuì anche vanamente a Tolomeo, attestando il cap.® 2° del libro 8 dell’Almagesto ; là dove ancorché Tolomeo parlasse della Via Lattea, non però entrò mai a favellare di che cosa ella si fosse, ma solamente ne descrisse il suo sito. Ma, ad ogni modo, cosa chiara è che molti hanno creduto (et io P ho sempre stimalo vero) che la Via Lattea sia sparsa e ripiena di minutissime e moltissime stelle, le quali ciascuno ha con¬ fessato non potersi per la lor picciolezza vedere: ondo grand’obbligo habbiamo a V. S. et al S. r Galileo, che ci facciano testimonio di veduta di quello che molti secoli s’è per ra¬ gione di buona filosofia creduto. Ma molto maggiore senza fallo ò la terza maraviglia che appartiene alla luna: grande 80 non solamente in sè stessa, ma ingrandita mirabilmente dallo stil di V. S., che ci rappre¬ senta le rarità c le densità di lei, e la varietà et inegualità della superficie delle sue parti, i suoi seni, i monti, le valli, P ombre e P illuminationi che in essa appaiono, così viva¬ mente, che ci fa meravigliare e dilettare insieme; anzi ci persuade in modo, che havendola anche noi osservata con gli occhiali che habbiamo qui (co’quali possiamo vedere un huomo assai distintamente oltra 3 miglia), veggiamo, o ci par di vedere, se non le stesse, almeno somiglianti cose, e specialmente le rarità e concavità : ma per la debolezza dell’ istrumento non possiamo discernere que’seni e que’monti e quell’asprezza della superficie che veg¬ gono le SS. VV. Del che, a dire il vero, non saprei che ragione assegnare in filosofia, nè solamente secondo la quinta essenza immagginata da Aristotile, ma nemeno secondo i 90 principii di Platone: salvo se volessimo dire, che la luna, per esser corpo diafano e forse più simile ad uno specchio che ad altri, rappresentasse in sè stessa l’immaggini de’soni, de’ monti e delle valli del globo terreno, apparendo quasi, so non tutto, il Mediterraneo <•> Noi ms. ò stato qui lasciato un piccolo spazio bianco. 204 MARZO 1G10. 1274] o 1’ Oceano o quasimente tutta l’Italia o la Spagna. Il ohe non sarebbe por avventura impossibil cosa eh’avvenisse, anzi ce’1 potrebbe racconfermaro quel modo d’illustrationo che volgono lo SS. VV., col qual ai indorano prima le parti superiori, et poi lo mozzane, et ultimamente lo più busso ; il qual modo non potendo essere se non quaggiù nelle parti dolla terra, alle quali apparisco il Bole a poco a poco sensibilmente per lo moto diurno, e non nello parti lunari, alle quali il sole o si mostra sempre intiero, o so puro so ne di¬ scosta, ciò fa con tardissimo et insonsibil moto, ne segue quasi necessariamente che quelle parti così digradatamente illuminato siano più presto della terra, rappresentato nella luna, 100 che nella luna stessa irraggiata dal solo. Ciò potrebbe venirne anche persuaso dall’ottima interprotatione data da V. S. alle voci pitagoriche d'antittona et antistrofa, poi clic in questo modo sarebbe vera similitudine tra la luna e la terra, non di specie nò di ana¬ logia, ma di rappresentationo. Ma se ciò fosse voro, per qual ragione le macchio della luna, o quest’ altro cose clic in loro si scorgono, si dovranno vedere sempre nel mozo di lei, e non mai vicino alla cir¬ conferenza ? poi che, se fossero innnaggini de’corpi terreni, dovrebbero apparire ora in un luogo et bora in un altro dol suo cerchio, conforme dove cadesse il punto della re- lles8Ìone, il elio s’osserva negli specchi. O forse la luna, per ossore specchio convesso, rap¬ presenta più facilmente 1’ buaggini nel mozo, che negli orli del globo suo? Ad ogni modo, Ilo comunque la cosa stia, quest’osservationo dello SS. VV. è degna d’altissima speculatiouo. Ma quella elio avanza ogn’ altra maraviglia, et alla qual difficilmente par che possa la debolezza del nostro ingegno pervenire, è 1’osservationo di quattro, o pur di cinque, nuovi pianeti, che le SS. VV. hanno veduti : perciò elio quello che alle stelle fisso si può agevolmente concedere, e che so pur si riceva con maraviglia del senso, riguardante cose non più mai vedute, si può nondimeno apprendere con quiete del’ intelletto, eli' intende cose non aliene da quelle che egli poteva inmingginare, non è cosi facile a credersi nò piano, Incendo prima mestiere di molto ellicaci provo por dimostrare che le stelle vedute non siuno dell’altre fisse, e poscia molto matura considorationo per salvar gli inconve¬ nienti che potrebbero per avventura nascere dal concederlo. 120 Io veggo bene, elio havendo le SS. VV. osservato nelle dotto stelle il moto della re- trognulatione, necessariamente ne segue che esso debbano essere erranti, e non fisse: ma mi dà grandemente cagione di dubitare che questo lor moto si faccia così sovente liora retrogrado bora antegrado, il elio non par elio possa accomodarsi con alcuna dolio oppinioni de’filosofi nè degli astrologi, o molto mono con 1’osservationo o con le dimostrationi latte sin qui nò da Tolomeo nò dal Copernico nè dal Fracustorio ; poiché nò per gli epicicli, nè per gli ravvolgimenti in sò stessi, nè per quelle fasce honiocontricho, si potrebbero così spesso far innanzi et indietro : ondo, porchè nel riguardare con questi nuovi occhiali non si può vedore, per la picciolezza del lor buco, se non pochissimo Hpatio di cielo intorno alle stelle che si mirano, nò se ne possono veder molte insieme, sicliè si potesse osservare 180 il sito e la distanza tra loro, si potrebbe grandemente dubitare d’alcuno scambio, e tanto più quanto queste nuove stelle o pianeti fa mistiere che siano più piccole dell’altre; se non fosse che ogni cosa si deve credere al testimonio dello SS. VV., di ciascheduna delle quali si dee diro Ipse dixit. Ma per me potrebbo accrescere anche questa difficilità la ma¬ lagevolezza con che si possono a questi nuovi occhiali accomodar gli astrolabii o gli altri MARZO 1010. 295 1274 ] strumenti di misura, co* quali potessimo vedere l'altezza loro ; onde prego Y. S. ad avvi¬ sarmi se questi nuovi pianeti sono stati da loro osservati superiori o inferiori del solo : per¬ ciò elio la velocità del moto, osservato in così pochi mesi dalle SS. YV., ci argomenta la picciolezza del lor cerchio, e che per consequenza siano più bassi del sole ; ma la poca I to distanza che ò tra lui e la luna, non par che possa in quel breve spatio ammettere cicli poi- quattro o cinque nuovi pianeti, per lo che bisognerebbe che essi fossero superiori al sole. Ma questo contradirebbe alla velocità del lor moto : di modo che fra tali contrarietà non saprei, senza l’aiuto delle SS. VV., a qual delle due mi dovessi più sicuramente accostare. M’aggiunge sospettione l’intendere che i quattro nuovi pianeti accompagnino bora innanzi et bora indietro un altro (conio V. S. dice) de’ maggiori, del qual desidero som¬ mamente sapere s’anch’egli è nuovo, e so no, qual sia de’cinque già conosciuti. Perciò che questo corteggiamento è segnale di maggioranza e di principato, come ottimamente dimostrò Tolomeo là dove egli favellò del sntellitio; e perciò ora ragione che Venere o Mercurio accompagnassero il sole, come principe del*universo: ma questo pianeta, accora- 150 pagliato da quattro nonché da duo, bisognarebbe elio fosse, se non maggiore o uguale del sole, almeno non minore degli altri cinque; e se questo ò, non sarà nuovo, ma più presto alcuno de’ conosciuti. Ma di quei che sono già noti, Saturno, che è il maggiore, non merita tanto honore, per la malvagità e tardità de’ suoi effetti ; e Giove, che ne sarebbe più me¬ ritevole, cede di grandezza a Saturno. Perciò prego V. S. che mi avvisi quello che s’ò os¬ servato intorno a queste cose, che io confesso di non poter da per me stesso sapere. Dietro a tutte queste difficoltà, nate dalla debolezza del mio ingegno e dalla poca cognitione delle scienze (del che so elio mi scusarà appo V. S. la continua violenza delle perpetuo occnpationi e privato e publiclie, che mi traggono assai sovente fuori di me stesso, non che dallo studio e dalla città), scriverò anco un’ asprissima querela fattami da tutti lf »0 gli astrologi e da gran parte de’medici; i quali intendendo che s’aggiungano tanti nuovi pianeti a’ primi già conosciuti, par loro che necessariamente no venga rovinata 1*astrologia e diroccata gran parte della medicina, perciochè la distributione delle case del zodiaco, le dignità essentiali ne’ segni, lo qualità delle nature delle stelle fisso, l’ordino do’ croni ca¬ toni, il governo dell’età de gli huomini, i mesi della formatione dell’embrione, le ragioni do’giorni critici, e cento e mill’altre cose, che dipendono dal numero settenario do’pia¬ neti, sarebbero tutte sin da’ fondamenti distrutte. A questo ho risposto io, che conciosia cosa che le stelle influiscano quaggiù non per altro istrumento che per quello del lume loro, necessariamente ue segue che le stelle eh’ hanno minor lume debbano ancora influir minori effetti ; onde questi nuovi pianeti, havendo debolissimo lume, conio dinota la lor 170 picciolezza e ’1 non potersi da noi vedere, fa mistiero che non possino influir effetti di molta consideratione: dal che segue che non sarà necessario mutar gli ordini della astrologia o della medicina, ancor che s’accresca il numero delle stelle. Con questo ho sodisfatto a molti ; ma io ho replicato a me stesso: A che dunque far cinque pianeti che non habbiano a giovare ad alcuna cosa, se la natura non fa niente in vano ? forse per maggior orna¬ mento del’universo ? Questo si potrebbe affermare più voluntieri nelle stelle fisse, che nello erranti. Ma che vo io balbutendo all’ orecchie di V. S. ? Pur questa ò licenza che si de’ con¬ cedere a gli ammirati; e che io debba essere uno di quelli, V. S. me lo concede nella sua lettera, et è proprietà della mia ignoranza, alla quale spetto il rimedio da V. SS. e dal S. p Ga- Lott. 274. 163-164. de' eronocutori — 177. conceda — 20 (> l.s MAltZO Hi 10. [ 274 - 275 ] lileo, supplicando dio mi favoriscano «lui trattato che Bopra di dò \. S. mi avvisa scrivere detto Signore, o che pur questa sua mi promette: il qual sto aspettando con tanto «le- 180 siderio, che nulla più. Stimo anche mio dovere «li far consapevole di il S. r Galileo del molto ch’io rimango obbligato alle sue singolari virtù, et quanta parte luibkia in me il debito universale che ha tutto il mondo d’osservarlo e di ammirai lo; e per ciò vengo a riverirlo con 1’ alligata lettera l,) . Di V. S. Eco.-* Ser. r * Giovani).'* Munsi. 275 *. G IO. BATTISTA MAN SU a GALILEO [in Padova]. Napoli, 18 marzo 1010. albi. Naz l?ir. Mas. Gal.. P. I, T. VI, car. 41. - Autografa la sottoscrizione. Moit’ ni . 10 sig. r ° Stimo a mia somma ventura l’esser nato in secolo tanto felice, c’ ha prodotto nel mondo personaggio di così rare virtù e singoiar dottrina qual ò V.S., in cui ha voluto Iddio non solamente unir tutti que’ doni che per adietro bave sparsi ne gli altri huomini, ma riserbarlo etiandio, con nuovo e non più inteso modo, allo scovrimento do’ nuovi cieli, e fattolo di loro nuovo Atlante ; c colà dove To¬ lomeo fu giudicato un altro Alcide, oltre a’ cui termini non fosse lecito trapas¬ sare, 1 ’ ha condotto per vie non più calcate da intelletto lmmano, quasi novello Colombo. Prendo anche a mia particolar gratin esser, per cortesia del S. or Paolo Beni, stato uno de’primi ad haver parte delle sue maraviglie ; ond’io ho scritto io a lui che, come Platone ringratiava gli Dii che l’havessero riserbato a nascere nell’età, di Socrate, così rendo io al vero Iddio doppiamente gratin, che m’habbia conceduto di vivere in questi fortunati tempi, c molto più d’ haver occasione, come spero dalla Immanità di V. S. c dall’intercessione del S. or Beni, d’essere «la lei accettato per molto suo particolar servitore. Io come tale me le profero ; e se dell’essere da lei per tal ricevuto me n’assicurasse alcun suo comandamento, me ’l recarei a magior fortuna dell’altre due. Sa V. S. adunque il modo di favo¬ rirmi, et io non dubito della sua cortesia: onde, spettando l’effetto delle sue grattò, resto priegando a V. S. da N. S. ogni felicitò. Di Napoli, il dì xvni,di Marzo Itilo. 20 Di V. S. molt’Ill.™ Certo Ser. ra Al S. or Matematico. Giovani».* Man so. Fuori : Al molt’ lll. TO Sig. ru Il Sig. or Galilei. 11 1 Conutpevole è aggiunto trfc le lineo di mauo 1*1 Cfr. u.« 275. di Galileo. [276-277] l'J marzo 1610. 297 io 276 . GALILEO a COSIMO II DE’MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Padova, 19 marzo 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 45. — Autografa. Ser. mo G. D. et mio Sig. r Col. mo Mando all’Altezza Vostra Ser. nia il mio Avviso Astronomico (1) , dedicato al suo felicissimo nome. Quello che in esso si contenga et l’occasione dell’inscriverlo a lei, vedrà dalla dedicatoria dell’opera, alla quale mi rimetto per non tediarla due volte : solo con questa con ogni humiltà me l’inchino, et reverentomento gli bacio la vesta, augurandoli da Dio il colmo di felicità. Di Padova, li 19 di Marzo 1610. Di V. A. S. Humiliss. 0 Servo et. Vassallo Galileo Galilei. 277 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Pisa]. Padova, 19 marzo 1610. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 29-33. — Lo car. 29-30 contengono una prima stesura autografa, scritta iu Venezia (cfr. pap. 299, lin. 57) a cho Gat.ii.bo lasciò incompiuta: la pubblichiamo qui appresso, e ad essa facciamo seguirò la lettera, pur autografa (car. 81-83), qualo fu efTottivamonte mandata e molto diversa dalla prima stesura. Ill. mo Sig. re et Pad. ne Col. mo Invio a V. S. Ill. ma la dedicazione de i quattro nuovi pianeti alia Ser. ma et felicissima Casa Medici, sotto gli auspicii del Ser. G. D. Co¬ simo II, nostro Signore: la quale mando a S. A. S. insieme con quello stesso occhiale col quale ho ritrovati i pianeti et fatte tutte le altre osservazioni, et lo mando così inornato et mal pulito quale me l’havevo fatto per mio uso ; ma da poi che è stato strumento a sì grande sco¬ primento, desidero che sia lasciato nel suo primo stato, non conve¬ nendo che si rimuova cosa alcuna delle vecchie per onorarne delle (•> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 53 o sog. X. 83 298 19 MARZO 1610. [277] nuove clic non sono state a parte nelle vigilie et fatiche delle osser- io vationi. Però supplico Y.S. lll. ma a far mia scusa in questa parte a presso S. A., anzi a pregarla a lasciarlo in questo stato, perchè non gliene mancheranno di altri ornatissimi. Sarà ancora necessario che io sia scusato se l’opera non esce fuori stampata con quella magni¬ ficenza che alla grandezza del soggetto si saria richiesto, essendo che l’angustia del tempo non l’ha permesso, et l’indugiare et differire la publicazione era con mio troppo pericolo et risico che forse qualche altro non mi havesse preoccupato; onde mi sono resoluto mandare innanzi questo avviso, insieme con la denominazion delle stelle, per publicar poi in breve molte altre particolari osservazioni, le quali vo 20 continuando di fare intorno a queste medesime cose. Resta bora che si procuri che questa azione, la quale per sua natura è la più eroica et sublime maniera di spiegare et propagare all’ eternità le glorio de i gran principi, sia con ogni maggioro splen¬ dore et grandezza ricevuta dal mondo; et per ottener questo, dirò quanto mi occorre in mente. Et prima, essendo verissimo che la reputazione comincia da noi medesimi, et che quello che vuole essere stimato bisogna che sia il primo a stimarsi; quando S. A. S. per la sua infinita benignità darà segno di stimare in sò stessa quest’ incontro, non è dubbio alcuno so che non solo tutti i suoi vassalli, ma ogni nazione, ne farà stima, nè resterà penna nelle ali della fama che non si occupi nella gloria di questo fatto. Stimo in oltre necessario il mandare a molti principi non solamente il libro, ma lo strumento ancora, acciò possino incon¬ trare la verità della cosa. Et in quanto appartiene a questo partico¬ lare, io mi ritrovo ancora 10 occhiali, che soli, tra cento e più che ne ho fabricati con grande spesa et fatica, sono idonei a scoprir le osser¬ vazioni ne i nuovi pianeti et nello stelle fisse; li quali saria mio pen¬ siero mandare a parenti et amici del Ser. mo G. D., et di già me u’ hanno fatti domandare il Ser. ,no di Baviera, et il Ser.‘ no Elettor di Colonia, 40 et l’Ill. mo et Rev. rao [S]. Card. Dal Monte: domandar, dico, l’occhiale insieme col trattato, essendosi sparso prima assai il grido che l’opera. Gli altri 5 gl’haverei volentieri mandati in Spagna, Francia, Pollonia, Austria et Urbino, quando havessi hauto, col favore del S. G. D., tale ingresso con questi principi, che io potessi sperare che la devozion Ijett. 277. 18-19. mandarli innanzi ò scritto aoi.ra inviar, cho non è cancellato. — 83. tjueto /atto — 19 MARZO 1610. [277] 299 mia lasse rimirata et gradita. A questi tre Signori che me lo fanno domandare, manderò lo strumento et il trattato senz’altro, come anco ad altri principi che facessero l’istesso; ma a li altri nominati non veggo come io potessi far ciò senza qualche favorevole indirizzo dalla r>o banda del S. G. D. Però in questo caso supplico V. S. 111.™ del suo et consiglio et favore, il quale starò attendendo quanto prima, promet¬ tendomi et assicurandomi che ella mi sia per incaminare per la più honorevole strada che ci sia. Sarà, anco necessario tra brevissimo tempo ristampare l’opera, compita con moltissime osservazioni, le quali vo continuando, et con molte et bellissime figure tagliate in rame da valente huomo, il quale ho già incaparrato, et lo conduco meco a Padova; per li quali di¬ segni si rappresentino a capello le figure di tutta una lunazione, le quali sono cosa mirabile da vedersi, et di più molte imagini celesti co con tutte le stelle che veramente vi sono, le quali saranno più che dieci volte tanto che le conosciute sin qui, et a presso tutte nove le costellazioni che sin qui sono state credute stelle nebulose, ma in ef¬ fetto sono gruppi di assaissimo stelle unite insieme. Spero ancora che bavero potuto definire i periodi de i nuovi pianeti. Questa credo che bisognerà farla toscana, sendone da moltissimi stato richiesto sin qui ; oltre che non credo che siano per mancare molti componimenti di tutti i poeti toscani, già che so che qui sono di belli ingegni che scrivono. Questa seconda edizione haverei gran desiderio che fusse fatta più proporzionata alla grandezza del Padrone, che alla debo- 70 lezza del servo: però in tutto mi rimetto a i cenni di S. A. 111.™ Sig. re et Pad. ne Col. mo Invio a V. S. Iil. ma la dedicazione de i quattro nuovi pianeti alla Ser. ma et felicissima Casa Medici, sotto gl’auspicii del Ser. m0 G. 1). Co¬ simo II, nostro Signore ; la quale mando a S. A. S. insieme con un oc¬ chiale assai buono, se bene son siouro di presentargli in breve cosa migliore. Scrivo in tanto al S. Cav. Enea Piccolomini una distruzione di molte avvertenze et circunstanze, che è necessario di osservare 6t>. da veleni* huomo — 67-58. In luogo di disonni prima aveva scritto, o poi cancellò, figure. — 70. Dopo n t cenni di S. A. si logge, cancellato, quanto segue: Mi i forza rStampare anco l'Uso del Compasso Geometrico, non se. ite trovando più copie et /nimicandosi continuamente di questi miei compassi, de i quali sin hora ne sono passati per le mie mani più di 300; et me no vengono continuamente domandate Uu diverse bande. — 300 1!) MARZO 1610. [277] nell’accomodare lo strumento por poter ritrovare i pianeti con minor difficoltà M) ; et ne tratto con questo Signore, non sapendo so Y. S. Ill. ma sia per essere a presso S. A. S. mu o pure per trattenersi in Firenze, et so non sapendo ancora se fosso di parere di V. S. Ili. raa che in re duUa io arrivassi sin costà, come per la passata gli scrissi et ne sto aspettando suo consiglio. Sarà necessario elio Y. S. 111. ma faccia mie scuso a presso loro Al¬ tezze se l’opera non vien fuori stampata con quella magnificenza et decoro che alla grandezza del soggetto saria stato necessario, perchè l’angustia del tempo non l’ha permesso, nò io ho voluto punto pro¬ lungare la publicazione, per non correr risico elio qualche altro non havesse incontrato ristesso et preoeupatomi; et per ciò l’ho mandato fuori in forma di avviso 12 ', scritto la maggior parto mentre si stani-so pavano le cose precedenti, con proponimento di ristamparlo quanto prima con molte aggiunto di altre osservazioni ; il clic ò anco ne¬ cessario farsi, perchè 550, che no hanno stampati, sono già andati via tutti; anzi di 30, che ne dovevo bavere, non ne ho hauti altro che 6, nè veggo verso di potere bavero il resto, havendogli lasciati in Venezia in mano del libraio, perchè vi mancavano a stampar le figure in rame. Questa seconda volta credo che lo farò in lingua to¬ scana, sì perchè, oltre a i librai, ne sono pregato da molti altri, sì ancora perchè credo che le Muse toscane non taceranno in così grande occasione le glorie di questa Ser. nìa Casa <; ", perchè sin qua sono al- ioo cuni che scrivono in questo proposito lv : et tali componimenti si po¬ tranno prefigere all’opera. Io poi vo descrivendo altre costellazioni, et voglio disegnare le faccie della 3 di un periodo intero con gran¬ dissima diligenza, et imitarle a capello, perchè in vero è una vista di grandissima meraviglia; et il tutto ho pensiero di far tagliare in rame da artefice eccellente, il quale ho di già appostato et incapar¬ rato : con speranza però che S. A. S. sia per compiacersi che il tutto sia esequito con quella maggior magnificenza et splendore, che al suo potere, et non più alla mia debolezza, risponda; sopra di che ne starò aspettando un motto da V. S. lll. ma 110 Il moto è stato et è grandissimo, et il pensiero è piaciuto infini¬ tamente; et io son sicurissimo, che conoscendo Iddio benedetto bar¬ in Cfr. n.® 281. Cfr. Voi. Ili, Par. I, png. 53. < 3 ' Cfr. Voi. IX, App. I <*’ C1Y. n.® 310, liti. 7. li) MARZO 1610. SOI LOT] «lentissimo affetto et devozion mia. verso il mio clementissimo Signore, già che non ini liaveva fatto nò un Virgilio nò un Homero, mi è voluto esser donatore di un altro mezo non meno peregrino et eccellente per decantare il suo nome, registrandolo in quelli eterni annali. Una sola cosa diminuisce in gran parte la grandezza di questo incontro, et è l’ignobilità et bassezza del cancelliere. Tuttavia il nobilitarlo, Ill. ra0 Sig. Cav. re , ò non meno in mano di S. A. S., elio sia stato in mia 120 il mostrar segno della mia devotissima osservanza ; nè io diffido punto della sua infinita benignità, qual volta non mi manchi una di quelle cause medie, senza le quali ordinariamente non muovono le cagioni prime: nò di questa despero, anzi saldamente me n’affido, havendo l’appoggio et il favore di V. S. Ill. ma , alla quale io non voglio sog- giugnere altro se non le ultime parole che lei mi disse quando, i mesi passati, ne i Pitti, mi licenziai da lei, che furon queste : « Ga¬ lileo, nelle tue occorrenze et affari tratta meco, et non con altri ». Panni necessario, oltre a le altre circuspczioni, per mantenere et augumentare il grido di questi scoprimenti, il fare che con l’effetto ìso stesso sia veduta et riconosciuta la verità da più persone che sia pos¬ sibile: il che ho fatto et vo facendo in Venezia et in Padova. Ma perchè gl’occhiali esquisitissimi et atti a mostrar tutte le osservazioni sono molto rari, et io, tra più di 60 fatti con grande spesa et fatica, non ne ho potuti elegger se non piccolissimo numero, però questi pochi liavevo disegnato di mandargli a gran principi, et in partico¬ lare a i parenti del S. G. I). : et di già me ne hanno fatti doman¬ dare i Ser. mi I). di Baviera et Elettore di Colonia, et anco l’Ill. mo et ltev. ,n0 S. Card. Dal Monte; a i quali quanto prima gli manderò, in¬ sieme col trattato. Il mio desiderio sarebbe di mandarne ancora in no Francia, Spagna, Pollonia, Austria, Mantova, Modena, Urbino, et dove più piacesse a S. A. S. ; ma senza un poco di appoggio et favore di costà non saprei come incaminarli, non mi venendo massime doman¬ dati: et senza strumenti esquisiti non si possono vedere le cose più importanti, et questi, se non escono da me, non credo che sin bora possino haversi da altra banda; perchè, havendo io fatti vedere di questi miei pochi occhiali a diversi Signori oltramontani, li quali ne hanno veduti assai in Alemagna, Fiandra et Francia, sono restati stupiti, et affermano, li altri veduti da loro esser bagattelle in pro¬ porzione di questi. Però anco sopra questo particolare desidero l’aiuto 302 19 MARZO 1610. -278] et il favore di V. S. 111. 1 "'': la quale doverà scusarmi delle tante mo- ir,o lestie, considerando che il mio line non tende ad altro che al man¬ tenimento di questa grande impresa, concernente al Ser. mo nostro Signore, per la quale ho passate la maggior parte delle notti di questo inverno più al sereno et al discoperto, che in camera o al fuoco. Supplico per tanto V. S. Ili. ,na a scusarmi et perdonarmi se forse più del conveniente la molesto; et se non gli mando adesso un occhiale, non se ne maravigli, perchè ne ho a pena tanti per il bi¬ sogno detto di sopra, et l’indugio sarà compensato con tanto mag¬ giore eccellenza, perchè gliene darò uno quale ancora non se ne son fatti di tali: et alla mia venuta costà questo Giugno porterò al G. 1). in ioo questa materia cose di infinito stupore. È tempo di finire : gli bacio con ogni humiltà le mani, et nella sua buona grazia raccomando tutto 1’ esser mio. Il Signore la feliciti. Di Pad. a , li 19 di Marzo 1610. Di V. S. 111“» Ser.™ Oblig. mo Galileo Galilei. L’alligata (1) senza mansione è por Madama Ser. a , madre del G. D.: la prego a fargli far la mansione, perchè non vorrei prender qualche errore. no 278. BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Pisa, 19 marzo 1610. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., ?. 1, T. VI, car. 98. — Autogrnfb la sottoscrivono. 111. et molto Ecc. 40 S. r mio Oss. n, ° Ilavendo ricevuto la copia del suo Avviso Astronomico, 1’ ho subito fatta ve¬ dere a S. A. Ser. mi1 , alla quale havendo anche letto la lettera di V. S. che 1’ ha accompagnata, se le è accresciuto di sorte il desiderio di veder quei nuovi pia¬ neti, che per assicurarsi che lo riesca, aspetta che V. S. alle prossime vacanze U) Quost' allogata oggi manca. 10 — 20 MARZO 1610. [278-270] 303 venga con il suo eccellentissimo occhiale a facilitarne ella propria il modo, coni’ ella ha offerto ; et a questo effetto darà a suo tempo 1* ordine, che il lu¬ nedi della settimana di Passione ella possa trovare in Bologna la lettiga. Et io dovendo così presto, con l’aiuto di Dio, rivederla, con speranza di haverla anche io a servire, non le soggi ugnerò altro con questa. Et le bacio con tutto P animo le mani. Di Pisa, li 19 di Marzo 1609 Di V. S. 111. et molto Eoe. 10 Serv.™ Aff. mo S. or Galileo Galilei. Belisario Vinta. Fuori : All’ 111. et molto Eco. 10 S. or mio Oss. mo Il S. 01 ' Galileo Galilei, subito, subito. Padova. 270 *. GIROLAMO SELVATICO a FRANCESCO VENDRAM1N in Venezia. Padova, 20 marzo 1G10. Ardi. Universitario in Padova. Filza G29, car. 3G. — Autografa. 111." 10 et R. mo Sig. r mio Col."' 0 Mi dispiace che la di V. S. 111.”* mi sia rivata tardi, et che di già sia stabilito, haveudo hoggi a far la eletione, chi debbi dover esser proposto, cometenclone al mio colega et a me che si sii per proponer perssone che habbi letto nella materia matematici»! (2) ; ot se mi sarà concesso tempo et occasione, farò conosscv a V. b. 111." 11 che li suoi ceni mi serali coman¬ damento. Professando esserli sempre devotissimo servitore et facendoli riverenza, li baccio le mani. Addì 20 Marzzo 1610. Di Pad. 1 Di V. S. Ill. m * et R. ,,,!l Obligatiss. 0 et Devotiss.® Ser.® Ger.° Sai.® Cav. Fuori: All’111. m0 et R. m ® Sig. r mio et P.ron Col. m ° 11 Sig. r Francesco Vendramini, Dignissimo Patriarcha di Venetia. (i ) pi s tii G fiorentino. 20 marzo, o nella quale a Gami.ro ora stato preferito 12' Alludo alla elezione del Matematico dcll’Ac- il Conto Ingolpo db’Conti. Cfr. n.® 280, o Voi. XIX, endemia Delia in Padova, avvenuta l’istesso giorno Doc. XX. 304 20 — 27 MANZO 1010. [280-281] 280 *. GIROLAMO SELVATICO a FRANCESCO YENDKAM1N in Venezia. Padova, 2fl marzo 1G10. Aroh. Universitario in Padova. Filza 629, car. Cò. Autografa. 111."'* 1 et It.'" 0 Sig. r mio Col. 0 * 0 Io confesso che quando V. S. 111."** mi comandò elio dovessi nominar il Sig. r Conte In¬ golfo •" pei- Mathenmtico della Accademia, restai mal sodisfate in non potoria Borrire. Prima, perchè la nostra coraissione stava clic dovessimo elegger unft perssonn atta ad dis¬ sonnar la scicntia della mathematica all’Accademia et che havosse fato questo oflitio, fu il primo doto il figliuolo <*> elio fu giudei Conto Giachomo Zahbarclla qual tuttavia ha in questa scienzza libri in stampa, et V altro fu il Sigs Galileo, famoso Lettor in questo Slu- (lio {2) Parve ino' clic questi SS. rl di Ranella giudicassero ancor loro poter etagere, et come va nelle universsità, provatale questa opinion, con desordini per molti capi, sì che per quello dicono rotto [sic] il Sig. Conto; et uscii io con doi altri di Accademia* 1 *, con penssiero elio io per concionzza potessi, protestando, tagliar questa sua elettane. Ma quando conssiderai, V. S. 111."'° havormi racomandato questo sngeto, io non ne votasi far cosa alcuna, ma lassici- clic pigliasse paciticho possesso, come prego Dio che faci quel tanto elio ha bisogno questa Accademia, con honorovoleza sua et dell’ III."** sua Casa, da ino tanto stimata. Voglio pregar V. S. IU. ma restar sodisfato di quanto ho potuto fare, et a V. S. 111.*"* facio riverenzzn. Addì 26 Marzzo 1010. l)i Pad.* Di V. S. Iliet R.“* Aff.° ot Obligatiss. 0 Sor. 0 Gor." Sai." Cav. Fuori: All*IH."* 0 ot R. m0 Sig. r mio Col.™ 8 Il Sig. r Patriarcha di 20 Venotia. 281 *. ENEA P1CCOLOMINI ARAGONA a GALILEO in Padova. Pisa, 27 marzo 1G10. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. VII, car. 114. — Autografa la sottosciiziono. Molto Ill. ro et Ecc; m0 Sig. r mio 0ss. ,n " Hiersera ricevei la lettera di V. S. delli l‘J del presente* 5 *, quale lessi a S. A., volendo ella sentire gl’avvertimenti che si devono usare in adoperare il nuovo chiostro diverso da quello con cui ù scritta la lotterà. H) Cfr. Voi. XIX, Dot. XX. (5) Cfr. n.* 277. (*) Cfr. n.» 279, lin. 4. (*) Giulio Zabarella. ( 3 ) Lo parole in corsivo sono sottolineato, con in- 27 MARZO 1010. 305 [281-2821 occhiale, quale non è ancora comparso qua, ma si spetta d’ora in ora, creden¬ dosi sia restato a Firenze ; e S. A. mostra lmverne gran desiderio, sperando di vedere un nuovo miracolo, a confusione di quelli che stanno ostinati in non voler credere quelle cose che V. S. afferma di liaver viste e di volere far vedere a qual¬ sivoglia. E poiché la dii piena facultà che questo si mostri, si farà vedere a tutti quelli che fanno professione d’intendere qualcosa, acciò credine alla propria io vista, se però non saranno abbagliati dall’ostinatione. 10 poi sto con molto desiderio di havere uno de’ suoi libri, desiderando an¬ eli’io di partecipare di queste nuove cose, recandomi a gran ventura mia che cose tali sieno state ritrovate da un tanto patrone e amico mio. 11 Sig. r padre gli rende duplicati saluti, c desidera V. S. gli dia occasione elio li possa mostrare il desiderio che ha di servirla, come faccio ancora io. E pre¬ gandoli il colmo de’contenti, li bacio le mani. Di Pisa, li 27 di Marzo 1610. Di V. S. molto Ill. ro et Eec. ,n:i Ser. p Aft>° S. r Galileo Galilei. Enea Piccolomini Arag““ 20 Fuori: Al molto 111. 10 et Ecc. ,n0 Sig. r mio Oss. m0 Il Sig. r Galileo Galilei. Padova. 282 . ALESSANDRO SERTINI a GALILEO in Padova. Firenze, 27 marzo 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Givi., P. I, T. VI, car. 48. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. mo Sig. r mio, Iermattina, arrivando in Mercato Nuovo, mi si fece innanzi il Sig. r Filippo Mannelli, dicendomi che ’l Sig.' - Piero ; suo fratello, gli scriveva, che ’l procaccio di Venezia mi recava uno scatolino da parte di V. S. Questa cosa si divulgò in maniera, che io non ini poteva difendere dalle persone, che volevan sapere che cosa era, pen¬ sando che fosse un occhiale; e quando si è saputo ch’egl’era il libro, non è cessata la curiosità, massime negl’ huoinini di lettere, e credo che ’l Sig. r D. Antonio 10 harà che fare a mostrarlo. lersera in casa il Sig. r Nori (s) ne leggemmo un pezo, quella parte che tratta de’pianeti nuovi; e finalmente è tenuta gran cosa e maravigliosa. io II Vivai (credo che V. S. se ne ricordi) ne scrisse a’ dì passati al Magi no ; rispose che era cosa di maraviglia e stupore, ma che consisteva nella sperienza. Leti. 281. 13. ritrovato — 0' I). Antonio or’ Mkuioi. <2 ' Francesco Nori. 306 27 MARZO 1610. [ 282 - 288 ] Ora, padron mio, V. S. debbo sapere che Firenze ò piena d’occhiali venuti di Venezia a instanza di diversi, i quali sono più che ragionevoli ; di maniera che, vedendo io la cosa sì divulgata, haveva risoluto di pregar V. S. che mi vo¬ lesse far grazia di mandarmene uno, non pretendendo delli squisiti, ma de’ ma¬ nuali, come paresse a lei. Ma sentendo da lei che ne ha fatti ben cento, lasciati stare li dieci da principi, ne desidero (so la domanda non è troppo ardita) uno de’ 90 da amici ; e mi scusi s’io son troppo importuno, perchè, per dirgliela, il popolo mi ci ha fatto pugnerò, col tanto dire che ossendo io tanto servitore a V.S., è maraviglia eli’ io non sia stato favorito da lei: sì ch’ella sente. 20 Quanto alla sua figliuola 10 , io ho per negozio finito il metterla nella Nunzia- tina CS) , perchè le monache dicon di sì, e’1 governatore ha risposto che non crede ci abbia a esser difficoltà. Si conchiuderà il negozio, e io non mancherò di sborsare quello che bisognerà : dicono volerci un letto 0 non so che altro cose, e ’l salario di 6 mesi anticipati, e vogliono 42 scudi l’anno, chè così dicono esser il solito. Si farà il meglio che sia possibile. Il Sig. r Andrea 10 scrive di nuovo a V. S. ; sì che io non so che me li dire di lui, se non eh’ egli gl’è servitore. Le Muse vanno un poco adagio, perchè le nove sono rimaste indietro per una decima che debbo haver più bel muso. V. S. biso¬ gna che gli scriva da sè, s’ ella vuole che faccia qual cosa sopra le stelle Me- 80 dicee lM . Io ne ho gettato un motto co’l 8ig. r Buonarruoti 10 ; con gl’altri, non havendo tanta familiarità, non so come mi faro, anello volendo. E perchè è tardi, finisco, e le bacio le mani. Di Firenze, il dì 27 di Marzo 1G10. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc.° Ser.° Afi>° Alesa. 0 Sertini. Fuori : Al molto 111.® et Ecc. mo Sig. 0 P.ron mio Oss. mo [II] Sig. r Galileo Galilei, in Padova. 283 **. GIOVANNI BARTOLl a BELISARIO VINTA in Firenze. Venezia, 27 marzo 1G10. Aroh di Stato in Firenze. Filza Medicea 8001, n.» 105. — Autografa. .... Inviai subito a Padova la lettera per il Galilei, del quale viene da ogniuuo letto et considerato un libro fatto di nuovo, dove mostra d’haver col suo occhialo trovato 4 piuueti <*1 Virginia. i s i Andwra Sai.vauori. Monastero dolio Ammantellate doli'Ordino 0» Cfr. Voi. IX, pog. 288. di S. Maria di Monte Carmelo, oltrurno. Micuelanokm) Buonarroti il giovano. 27 — 30 MARZO 1610. 307 [283-284] di più, et visto un altro mondo nella luna, et cose simili, che danno pastura dilettevole ai professori di quelle scientie, massime per il titolo di Sidera Medicea. Non posso già restar di dire, elio da molti di questi signori vien stimato bora eh’ egli li habbia burlati, quando diede per secreto quel cannone che era molto vulgare, et che nelle piazzo si è venduto sino a 4 o 5 lire, della medesima qualità, come si dice; et molti poi se no ridono, chia¬ mandoli corrivi, mentre egli ha cercato di fare il fatto suo, come ha fatto, et gli è riuscito con un augumento di 600 fiorini alla sua provisione ordinaria per la sua lettura. Et in- 10 tendo che veramente è valentissimo huomo, et è molto amico di F. Paolo.... 284 . BELISARIO VINTA a GALILEO in Firenze. Pisa, 30 marzo 1G10. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 45. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ et molto Ecc. 10 Sig. r mio Oss. mo Con la lettera di V. S. de’ 19, scritta a me ultimamente di Padova, ricevetti le altre due, P una per il Ser. rao Gran Duca, mio Signore, et 1’ altra per Madama la Gran Duchessa madre, mia Padrona : et questa certo è lettera admiranda, et amendue P AA. LL. la volsono sentir legger da me attentissimamente, et ne mo- strorno un eccessivo applauso et gusto, et haverebbono subito risposto a V. S. ; ma havendole per mia mano scritto eh’ ella venga qua nelle vacanze in tutti i modi, ot inviatole la lettiga a Bologna, che vi sarà arrivata perlomeno la do¬ menica di Passione prossima passata, et dovendo cosi tener per certo eh’ ella io sia in viaggio per qua, se ne sono astenute, et voglion supplir con P affetto della viva voce. Mi sa ben male che nè la dedicatione stampata nè P occhiale, che ella dice di mandare con le sudette ultime sue, non sono comparse, nè si ritrovano sin ad bora; ma doveranno arrivare, non potendo io credere che le possano esser mal capitate. Et venga via lei sana et lieta, che vedrà quanto lietamente di cuore quest’ AA. amino et stimino il suo raro valore più che habbino fatto mai, et li onorevoli et liberali effetti che useranno verso la sua persona et in aiuto della reputatone et fama della sua ingegnosissima inventione. Detti la sua lettera al Sig. r Cav.™ Enea Piccolomini, ma egli ancora non ha 20 potuto far nulla, non ci essendo il libro nè P occhiale, come ho detto ; ma re¬ puto che sarà stato meglio, venendo tutto reservato alla presenza et operatone di lei, che riuscirà tanto più mirabile et grata: et havendola Iddio privilegiata di questo singolarissimo discoprimento et dono, le somministra ancora tant’inge¬ gnosa et giuditiosa et faconda eloquenza et espressione, che ottimamente rap- 30 — 31 MARZO 1610. 308 [284-285] p r 0se nterà al mondo tutto, et con la voce et con la penna, così stupenda gratta et oasorvatione, a gloria dell’eterno Fattore et a contentezza et utilità del mondo tutto. Et dovendo anche io rivederla, abbracciarla et servirla presto presential- mente, non sogghignerò altro più con questa, senonchò, Bicorne il Ser. mo nostro Signore approva elio questa notitia si sparga et che s’inviino a’principi gl’oc¬ chiali, che così anche aiuterà a fargli pervenir et ricevere con dignità et gran- ao dezza. Et alla S. V. bacio lo mani. Et al Ser. mo mio Padrone ho allegato con quanto perpetuato grido si è immortalato il re Alfonso con le suo Tavole Alfon¬ sino, et che molto maggiormente sarà fatto immortale S. A. et il suo nome dal- P intitolatane, osservatone, teoriche et tavole, che si faranno dei quattro nuo¬ vamente scoperti pianeti. Di Pisa, li 30 di Marzo 1610. Di V. S. 111.™ et molto Ecc. t0 Serv. ro Aff>° S. p Galileo Galilei. Belisario Vinta. Fuori : All’III.™ et molto Eoe.* Sig. r mio Os8. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 285 . MARTINO HORKY n GIOVANNI REPERII in Praga. Bologna, 31 marzo 1G10. Bìbl. Palatina in Vienna. Cod. 10703, cur. 63. — Autografa. Et» Tipàneiv. Prestantissime Domine Keplere, Saepo ad te, nullaa abs to. Proxime Nuncium Sidereum do quabuor novis planetis, pel¬ ine remissum, si conseeutus es, id ut volili factum; sin rainus, tuis hac de re edocori cupio. Est res miranda, est res stupenda: vera au falsa, ignoro. Proin, si tua erga ino volimtas, do qua omnis mihi dubitandi ansa est praecisa, est prompta, si, inquam, tua erga me bene¬ volenti», qua me semper, Pragae delitescontem, es prosecutus, antiquum obtinet, iudicium de bis Galilei quatuor novis planetis quin inecum sis eoiiimunicaturus, nullus dubito. Quicquid horum arcauorum caelestium per literarum aequor cominiseris et concrcdidcris, lapidi te concredidisse credas. Nulli etenim, sit ilio quicunque velit, illa communieabo, 10 sed veluti in theca omnia olausa habebo, dum oòv 8e p. Sbracino da Quhwano. 3—11 APRILE 1610. 311 [287-289] 20 mente quelle perle, provate ingegnosissimamente per cavità da V. S. Dei cornetti io, fondato sopra le sode dottrine di V. S., pronontiai che erano a guisa di ele¬ vati e continui gioghi di monti sul dorso della luna, c per conseguenza prima feriti dai raggi del sole; del resto, quanto a quelle cavità et altre più osserva- tioni e speculationi, nen ho osservato nò pensato prima del’aviso di V.S. Alla quale facendo riverenza, bacio le mani, e me li olfero servitore, P istesso facendo D. Serafino nostro. In S. Faustino di Broscia, il 3 d’Aprile G10. Di V. S. Ill. re e Eccell. ma Oblig. u, ° Ser. ro e Discepolo D. Benedetto Castelli. 30 Fuori : AH’ III » et Ecccll." 10 Sig. r * Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, Lettore delle Mat. cho e P.ron mio Oss.'"° Padoa. 288 *. MARTINO HOBKY a GIOVANNI KEPLER in Praga. [Bologna], G aprilo 1G10. Bibl. Palatina In Vienna. Cod. 10703, car. 64. — Autografa. .... Er [ Muginus\ hat.t mieli wol fiolnmhls angestiftefc, clan ich inich wieder «lem Ori- ganum mifc der Foder brauchon soli lassen, undt ut publice, typis excuso scripto, den Mn- ginum defenderem. Soli diess, ob Gott woll, von mir dor Gatte ehrliclio Mann Origanus gewartig sein. Den ich der gantzen Teiitschen undt Bdhmischen Nation in der Zoitt dienen will. Aber, was mir moglich vvahr, wieder einem Wellischen, fur nehmlich wieder Galilea ni Galileum de quatuor lictis planetis, wolt ich fìol liebor sebreiben. Sed iam ululaudum cum lupis.... _Wann der Hcrr mir Responsum gibt, bitt ich schliesslich, auf die 4 novos Galilei pianeta» des Ilerrn Iudiciura undt was dor Ilcrr Kepler darfon halt, mieli zne berichten. io Doch tuas, non ita ut ego, sed allegoriis obscura; quia si fortassis alius intorciperet, de¬ trimento ni ibi essent.... 289 *. CARLO CONTI a GALILEO in Padova. Ancona, 11 aprile 1610. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I. T. XIV, car. 25. - Autografa la firma. Hl.ro e t molto Ecc* Sig. ro Questi giorni Santi appena mi permettono di accusare a V. S. la ricevuta del libro che si è compiaciuta mandarmi, non che renderle le gratie che son tenuto 312 11 — 1-1 APRILE 1010. [2811-290] et darle le debite lodi del suo molto valore, imissimo che non ho possuto tìn bora vederlo a mia sodisfattione : onde non si maravigli V. S. se così brevemente ne la ringratio, perchè, cessato questo impedimento, scriverò, piacendo a Dio, più a longo sopra alcuno cose che mi occorrono, le quali so che sarit di gusto a lei di sentirle, come di molto piacere è stato a me che il S. r Antonio Negro ini Labbia procurato la cognitiono di Y. S. Alla quale in tanto offerendomi, re¬ sto raccommandandomi di tutto core. i 0 Di Ancona, li 11 di Aprile 1010. Al serv." di V. S. S. r Galileo Galilei. 11 Car. 1 Don ti. Fuori: All’Ill. rtì et molto Ecc. w S. r ® 11 S. 1 * Galileo Galilei. Padua. 290. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO [in Padova]. Monaco, 14 aprile IC.10. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. 1, T. VI, car. 191. — Autografa. Car. mo et Honor.* 10 S. r Fratello, Il venardl Santo passato, che fummo a li 9 del presente, ricevei la vostra gratissima insieme con i libri, quali P istesso giorno feci legare, con pensiero di volerli presentare a li Ser. mi Patrone et Elettore ; ma sondo tanto il mio Pa¬ trone intento a P orationi, fui consigliato a indugiare al lunedì dopo la Pasqua, poi die S. A. in quei giorni Santi forse non baveria applicato l’animo a tal cose: sì che accettai il consiglio. Ieri venne il Sor." 10 Elettore da Fraising, che è una città appartenente a lui ; et così trovandosi questi principi insieme, mi si aperse comodissima occasione di presentare detti libri, sì come feci. Subbito dopo che ebbono desinato, mi messi nel* anticamera del Ser. mo Elettore aspettare le loro io Altezze; quale venute, mi feci avanti, et ebbi una gratissima audienzia, et fumo ricevuti i libri con somma benignità da quelle Altezze, replicandomi il mio Pa¬ trone più volte, che li era tal cosa gratissima et che V occhiale li sarà altretanto più grato : et questo non è stato poco, sentir questo dal mio Patrone, poiché è un principe di poche parole; et vi assicuro, se P occhiale riuscirà di sodisfazione di S. A., come non dubito, ne riceverete non piccolo segno di gratitudine. Basta; b. A. aspetta P occhiale con gran desiderio. Il Ser. mo Elettore poi, come principe Lett. 290. 4-5. Tra Patrone e intento si leggo, cancellato, in particolare. — 10. Tra riceverete o non si teggo, cancellato, qualche. — 14 APRILE 1610. 313 [2901 umanissimo, si misse a parlar meco, et mi disse liaver già hauto un de’ vostri libri, ma senza figure, et vi prega che vogliate far un trattato sopra de la fab- co brica de lo strumento, et insegnarlo a fare ; et non liavendo voi, in questo vo¬ stro primo libro, insegnato chiaramente tal fabbrica, li pare che sia mancamento; et dice, se metterete inneseeuzione quello che scrivete, che vi farete inmortale ; et vi prega, non volendo voi insegnar a altri detta fabbrica, al manco siate con¬ tento di volerne conpiaccrc S. A., clic vi si dimostrerà quel principe che gli è; et dettoli che li mandate un occhiale, ne à ricevuto sommo contento, et mi dette la mano in fede, dicendomi che vi sarà gratissimo: et perchè S. A. deve partir per Praga fra pochi giorni, à dato ordine che li sia mandato subbito detto oc¬ chiale. Vedete bora voi se potete conpiacere questo principe circa l’insegnarli il modo di fabbricar lo strumento; quanto che no, scriverteli una lettera a vo- oO stro modo. Vi dico bene che S. A. si diletta infinitamente di tal professione. L’occhiale che vi ho dimand[a]to per me, non mi rispondete niente. Se bene io non son principe, da potervi remunerare, sono al manco vostro fratello, et per questa causa mi pare strano che non vogliate conpiacermi di tal cosa: pure non sono interamente fuora di speranza. Li dui giorni che ò hauto li libri appresso di me, li ò fatti vedere a diversi signori int[en]clenti, i quali restono stupiti di sì miracoloso trovato, et in parti- colar il Sig. r Talbotto, signore principalissimo Inghilese, stato scolarlo ) di nostro padre già circa 30 anni fa; et (lice cognoscervi voi ancora, et per esser inten¬ dentissimo di tal proflesionc, resta marav[i]gliatissimo ; et vi saluta caramente, to rallegrandosi infinitamente il sentir le vostre virtù. Io poi non vi dico niente de P allegrezza eh’ io sento del vostro bene, et questo S. Giovanni a Firenze ho paura che non siate rubato dal nostro Patrone a cotesti Signori : il che prego Nostro Signore che segua quello che sarà per il meglio. Altro non mi occorre ; solo vi prego a scrivermi spesso, et non mancate mandarmi le corde, et sopra tutto che quando sarete a Firenze, mi procuriate lettere di raccomandazione dal G. D. al mio Patrone; ma che sieno di quelle buone, sì come voi potete facilissimamente ottenere. Altro non vi ò che dire, solo pregarvi a ricordarsi di me et di quello che vi ò dimandato. La mia moglie vi si raccomanda di cuore, sì come faccio io ancora, dispiacendomi sentire che siate travagliato dal mal vecchio, sì come so son io ancora; ma pazientia, rimettendo tutto a Dio. Poscritta. Havendo il Sig. r Lorenzo Peti-angoli, senese et cappellano di S. A., vostro amico vecchio, scritto a Siena al Sig. r Domenico Meschini la copia di quella lettera che mi scrivesti circa le maraviglie scoperte da voi in cielo, li dà questa risposta : 38 39. in(«nten(ii*iii»io — X. 40 314 14 — 15 Al'RILE l(iIO. [200-291] < La nuova che V. S. mi (là del’ occhiale del S. Galilei non mi è stata nuova, ma grata, conio procedente dall’ a {lezione di V. S. ; perchè tengo appresso di me un occhiale, non così buono corno dico il Sig. r Galilei, ma ragionevole, et in breve ne spero un migliore, per veder poi la mia vista a chi più si accosta, o a quella del Sig. r Galilei, o a quella d’ un altro osservatore in Roma, che dice haver ve- eo dato che la luna traspare, contrario appunto al S. r Galilei; alla oppeniono del quale non solo mi accosto per una certa mia opcnione, ma anco per saper il va¬ lor suo, per altro tempo et in altre oeuhasioni noto >. Detto $ig. r 1). Lorenzo vi saluta, et vi si ricorda affezionatissimo. Di gratin, non mancato mandarmi ancora dui o tre copie di libri, per mostrarli qua ad altri mia cari patroni, quali li desiderano grandemente. Dio vi feliciti. Di Monaco, li 14 d’Aprile Hi 10. li’ inclusa vi sia raccomandata. Vostro Aff. mo Fratello Micholag. 10 Galilei. 70 201 . MARTINO IIASDALE n GALILEO in Padova. Praga, t& aprile 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. (Ini., P. VI, T. A'li, car. 120. — Autografo. Eco.*" 0 Sig. r P.rone Colend." 10 Essendo un pezzo che disegnavo di ritornare in Italia, et particolarmente a Padova et Venetia, pili per godere quella gentilissima conversatione di V. S. che per altro ; et tanto più me ne cresce il desiderio, quanto che veggo nuovi parti del suo felicissimo et divino ingegno: delti quali l’ultimo, intitolato Nuntius Sy- dercus, ha rapito ultimamente tutta questa Corte in ammirationo et stupore, affati¬ candosi ogniuno di questi ambasciatori et baroni di chiamare questi matcmatbici di qua per sentire se vi sanno fare alcuna oppositione alle demostrationi di V. S. Però vanno procurando di bavere di quelli occhiali doppii, per vederne Y esperienza. Io mi truovai, XII giorni fa, a desinare dal Sig. ro Ambasciatore di Spagna, io dove il Sig. r0 Velsero portò al detto Ambasciatore uno di questi libbri, mostran¬ dogli molti luoghi notabili di quello libro. 11 Sig. r Ambasciato re mi domandò delle qualità di V. S. Io gli risposi quello che potei, non già quanto V. S. merita. Mi disse che voleva sentire l’openione del Kepplero sopra questo libro, sì come credo che habbia latto chiamarlo. Ma io questa mattina ho liavntu occasione di lare Leti. <391. 14. de Kepplero — 15 APRILE 1610. 315 L291J amicitia stretta con il Kepplero, havendo egli et io mangiato con l’Ambasciatore di Sassonia; et domattina siamo invitati da quel di Toscana, dove io vado fami¬ liarmente di continuo, essendo quel Signor mio padrone vecchio. Hora gli ho do¬ mandato quello che gli pare di quel libro et di V. S. Mi ha risposto che sono 20 molti anni che ha prattica con V. S. per via di lettere, et che realmente non conosco maggiore huomo di V. S. in questa professione, nè manco ha conosciuto ; et che con tutto che il Tichone fosse tenuto per grandissimo, nondimeno che V. S. 1’ avanzava di gran lunga. Quanto poi a questo libro, dice che veramente ella ha mostrata la divinità del suo ingegno; però, che ella viene bavere data qualche occasione non solo alla natione Todesca, ma anco alla propria, non havendo fattone mentione alcuna di quegli autori che le hanno accennato et porta occasione di investigare quello che hora ha truovato, nominando fra questi Giordano Bruno per Italiano, et il Copernico et sè medesimo, professando di bavere accennato simili cose (però senza pruova, come V. S., et senza demostrationi) : et haveva so portato seco il suo libro, per mostrar allo Ambasciatore Sassone il luogo. Ma in quello eli’ eramo in questi ragionamenti, è sopragionto un estraordinario di Sas¬ sonia al detto Ambasciatore, che ha disturbata la conversatione. Ma domattina, piacendo a Dio, ci rivederemo, che senz’ altro porterà il medesimo suo libro con quello di V. S., come ha fatto hoggi, per mostrarlo all’Ambasciatore di Toscana. Seppi poi la morte del Cl. mo nostro Sig. r Cornaro (,) , con mio grandissimo di¬ spiacere, che me lo scrisse il S. r Ottavio Pamfilio, quale desidero sapere se si truova ancora costì, perchè gli vorrei scrivere. Et la prego, havendo occasione, di fare un cordialissimo baciamano al Padre Maestro Paolo et Padre Maestro Fulgentio (,) , suo compagno, et che spero fra alcuni mesi lasciarmi rivedere con 40 qualche carico. Con che fine le bacio le mani. Di Praga, alli XV d’Aprile 1G10. Di V. S. Ecc. ma Serv. 10 Devot. mo Martino Hasdale. To mando questa per via dell’Ambasciatore di Venetia. Mi ricordo degli suoi melloni Turcheschi. Fuori: All’Ecc. m0 Sig. r P.rone Oss. mo Il Sig. r Gallileo Gallilei, Mattematico di Padova. 25-20. no» havendo fattionc mentione — 26. Tra accennato o et si legge, cancellato, quelle cotte. — O) Un Lorknzo (li Marcantonio Cornaro ora abitate ria Galileo Galilei in Padova, negli Atti e Me - morto il 25 settembre (lei 1009 (Necrolotjio Nobili, morie della II. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti nolPArehivio di Stato in Venozift, Arch. dell'Avotjaric in Padova, voi. IX, pag. 249, nota 2) si risalirebbe del Uovi un). Con la morto il’nn altro Cornaro (Qta- al 29 ngosto 1608. covo Ai.vi.sk, del quale cfr. A. Favaro, Delle enee <*) Paolo Sai:i*i o Fulgknzio Micanzio. 316 1(1 ANGUS HHU. t80:!-293j 292 * GIORGIO FEGGEIt a GIOVANNI KKPLKR in Praga. Venezia, 1G aprile 1810. Blbl. Palatina in Vienna. Cod. 10703, car. 88. — Autografa. _Ad Galilnoi Nuneium Aethoroum quoti attinet, tludum ad tnnnus moas devenit: et quia multis, in studio nmthoseos versatiti, diaciirsus aridus seti absquo iundamoutis philoso- phicis palliata ostentatio videtur, ad Sac. Cno. Mniestat. mittere huhuh non fui. Novit ol solet homo ilio nliorum pernii» Itine indo colleotis, nti curvila apud Aosoputn, ho decorare; quemadniodum ot artiliciosi illiua perspicui inventar Imbevi vult, cunt tnmon quidam Jlelga, per Galliam in busco partes prò fedita, priinum bue uttnlerit, quoti ipanni mibi et aliis ostensum fuit, et ut Galilaeus vidit, alia ad iuiitatinncm conferii, atipie' aliquid forami, quod facile ost, invenlis addidit.... 293 . MARTINO 1I0RKY a GIOVANNI KF.PEER in Praga. Bologna, 16 aprilo 1010. Bibl. Palatina in Vienna. Cod. 10703, cur. CO. — Autografa. Esse salutatum te vult raea litera priinum. Snepe, Excellentissime D.ne Keplere, ad te, nnllas a te. Distantia loci, magna ad vos onntium penuria. Germanico idiomato meas priore» num acceperis, in trivio vorsor. Ilisce peto odoceri nil aliud, nisi do quatuor Galilei Galilei, Patavionsis professoris publici, pla- uetis, an 1’. E. illos videat? Indieium T. E. bue de re audire, erit mibi pulcruni, erit gratum, erit aceeptum. Ephemerides, quas T. E. cum Mugino secundum fundamenta Tychonica edere vult. opus ost ut undccim pianeta» babeaut, si datur fabula il la Galilei esse vera. 1). Maginus ad to brevi literas suas duturus est. Interim te valere, una cum tuo liliolo et omnibus claris et caris gommulis, diecupio. Plani non do, iudioium tuum Ime de ro ore bianti 10 eipectans. I). Racckaciuni (*) oflìciose saluto. Bononiae, 10 Aprii. a.° XpiotoY&vIot;; 1010, ut vulgus. E.- Studiosissimi^ M. H. L, quom misti, m.pp. Fuori: Excollentissimo Viro 1). M. Ioan. Keplero, S. G. Mai est. Matheniatico, Maecenati, fautori et promotori suo cariasi ino. Praga. Martino Paohaozkk. 17 APRILE 1610. 617 L2WJ 204 *. ILARIO ALTOBEL] ,1 a GALILEO iu Padova. Ancona, 17 aprilo 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1». VI, T. VII, car. 122. - Autografa. 111.™ et Ecc.'"° S. r mio Oss. mo Il Nlincio Sidereo di V. S. Ecc. ,nft fa tanto strepito, ch’ha potuto destarmi da un profondissimo letargo a cui soggiaccio per un lustro continuo. L’Ill. nu> S. r Card. Conti, mio signor, m’ha fatto vedere il libro; che se non havesse saputo la nuova se non per fama, et non havesse veduto la verità, con tanta diligenza dimostrata da V. S., io me ne sarei burlato. E chi 1’havesse inai creduto? e pur è vero. Impazzirebono, se fusser vivi, gli Hipparchi, i 'Polonici, i Copernici, i Ticoni, e gli Egittii et i Caldei antichi, che non hanno veduto la metà di quello che si credevano di vedere, e la gloria di V. S. Ecc." ,a con sì poca fatiga offusca io tutta la gloria loro; del che io ne godo tanto, che niente più. Ma vorei pur partecipar del gusto in pratica, et cooperar con V. S. Ecc. mu per testificare il medesimo al mondo, acciò non ci fusse persona alcuna che queste cose le repu¬ tasse vanitade e sogni ; e lei anco, acciò questa verità fusse ben promulgata e ben dechiarata, doverà usar ogni studio che altri vedano il medesimo oculata fide. Per tanto la supplico a farmi gratta, di mandarmi qui in Ancona, per mezzo dell’ 111."" 0 S. r Card. Conti, i vetri congrui, coni’ella appunto gli descrive nell’ libro, e mandarmene diversi, ch’io ci farò il tubo, e con diligenza e patienza le pro¬ metto di giustificare il tutto e servir sempre V. S. in ragguagliarla delle confor¬ mità, essendo mia particolar inclinatione di osservare ; et m’ingegnerò d’ adat¬ to tare il tubo in forma della fiducia nel dorso dell’astrolabio, per osservar anco i periodi ; e scriverò a V. S. il tutto in lingua latina, acciò lo possi poi annettere nelle sue osservationi. Significandole appresso che, ex necessario praesuppositis, arguitivc, si può tener per certo che cinque pianeti s’aggirino intorno a Saturno, e tre intorno a Marte: perchè, se doi intorno al Sole, c quattro intorno a Giove, adunque, per osservar l’ordine, ci doveranno esser anco gli altri, che con gli luminari istessi sariano 19, revolutione perfetta della luna, la quale, come mi¬ nistra di tutti, non haverà corte, ma moto analogo con ciascuno. Questa speculatione è ragionevole, e spero clic la giustificaremo. V. S. ci facci bene riflessione, e mi facci gratta d'avvisarmi del suo giuditio. Non le dirò altro 318 17 — 11) APRILE 1010. 1294-296] por bora, aspettando con estremo desiderio i vetri. Et per lino le bacio la mano, 80 et me le ricordo affezionatissimo servitore. D’Ancona, li 17 Aprile 1(510. Di V. S. 111.” et Ecc. raa Forai la corte di Saturno non sarà possibile di vederla; ma veduta quella di Marte, basterà. Doditiss." Sor.™ F. llario Altobelli. Fuori: All’111.” et Ecc. mo S. r mio Oss."»° 11 Sig. r Galileo Galilei, Matem/ 0 di Padova. 40 295*. GIUSTINA TU LOIIENA a VINCENZIO GIUGNI in Firenze. Pisa, 18 aprile 1010. Aroh. di Stato in Firemo. Guarii n roba Mediceli, Filza 807, n.» 200. — Autografa la (Irma. Molto Mag. <0 Cav. r# nostro I)il. m0 Il Granduca vuole che voi facciate fare una catena d'oro di quattrocento scudi, di più la medaglia di S. A. per mettervila, perchè la vuol donare al Galileo, che viene adesso a Fiorenza; et glie la potrete presentare da parte di S. A. Si clic mettetela in ordine subito, mettendola a uscita di donativi. 29 (>*. GIULIANO BE’MEDICI a GALILEO in Padova. Praga, 19 aprile 1610. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gai.. P. I, T. Vi, car. 47. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. 111.™ et Ecc. ,n0 Sig. ro Non posso dir a V. S. che favore mi ha fatto in mandarmi il suo nuovo libro, del quale essendone venuto qua odore, era ripieno ogn’ uno di curiosità di ve¬ derlo, et io più de gl’altri, poi che tanto più ero per godere della riputatone sua particolare e dell’honore della nostra patria, la quale liarà liauto adesso e chi liarà trovato nuova terra e nuova parte del cielo : che questo mi basterà bavere detto a V. S. per testimonianza del contento che ne ho riceuto, e per debito del rallegramento che ne devo far seco. E del libro mandatomi non ho mancato di farne parte al Sig. r Gleppero, il quale, doppo havcrlo visto, m’ ha referto pia- 19 APRILE 1610. 319 [290-297] io cergli grandemente, ma che gl’ occhiali di qua non arrivano a quella perfettione che è bisogno per goderlo e vederne 1’ elFetto : però è necessario che V. S. ne mandi uno de’ suoi, acciò che si possi anco far gustare a S. M. tà , la qual con gran contento ha sentito 1’ avviso di V. S. Però potrà far gratia d’involtarne uno e mandarlo a Venezia, che sia dato al Sig. r Asdrubale da Montauto, se vi sarà ritornato ancora; se non, al Bartoli, suo servitore, che supplisce in difetto suo: che haranno ordine d’inviarmelo. E mi promette il Sig. r Gleppero di fare alcune considerattioni quanto prima sopra il suo libro, che subito le barò, gliele man¬ derò ; non volendo restar di dirle, havermi egli detto, che per conto delle mac¬ chie della luna egli ò stato sempre di contraria oppenione a quella di Plutarco, 20 ma che adesso, vedendo con quante efficace ragioni V. S. difende Plutarco, egli s’ arrende e si quieta nell’ oppenione che ha preso a difender V. S. Con la quale mi rallegro poi, che costì si possa godere il gentilissimo Sig. r Gualdo, che glie- n* ho grand’invidia. E nel resto se la potessi in cosa nessuna servire di questi paesi, non userò seco cerimonie, potendo esser sicura che riceverò sempre per particolar gratia ogn’ occasione che ella mi dia di servirla. Con che baciandolo le mani, preglierrò Nostro Signore Iddio che gii dia ogni felicità. Di Praga, li 19 d’Aprile 1610. Di V. S. 111.» et Ecc. ,na Raccomando a V. S. l’alligata per il Sig. r Gualdi. so AiT.'"» Ser. ro • Giuliano Medici. Fuori: All’111. ro et Ecc.'"° Sig. r mio Hon. m ° Il Sig.'° Galileo Galilei, Matematico nello Studio di Padova. 297 . GIOVANNI KEPLER a [GAI.ILEO in Padova]. Praga, 19 aprile 1010. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 7-22. — È autografo quanto soguo alla data; e autografe sono puro parecchio aggiunto o correzioni (elio spesso emendano errori materiali dell'auianuonso), inter¬ lineari o marginali : noi indichiamo quello elio ci parvero più notevoli. S. P. D. Iam pridein domi meae consedcram ociosus, nihil nisi te cogitans, Galilaee pre¬ stantissime, tuasque literas. Emisso enim superiorihus nundinis in publicum libro 320 l‘> APRILE 1(>10. |W1 meo, (kmmnitana de Martis motibus inscripto u) , multorum aimorum labore, exque eo tempore, quasi (pii diflìcillima expoditiono bellica gloriae satis peperissem, va- cationo non nulla stiuliis ineis interpoaita, l'oro putabam, ut inter caeteros et Gal- lilaeus, maxime omnium idoneus, meoum de novo astronomiae seu phisicac cae- lustis genere promulgato per literas conferret, intorni isumque ab annis amplius duodecim institutum resumeret. Ecce vero, tabi ex inopinato, circa Idus Marta, celerum opera, nunciatum in Germaniani, Galilaei mei, prò lectione alieni libri, io occupationem propriam insolentissimi argumenti, de quatuor planetis antea inco- gnitis (ut cantera libelli capita praeteream) usu perspicilli duplicati inventisi quod cum illustri8. S. 0. M. Consiliarius, I). Io. Mattbaeus Wackherius a Wackhenfelsz, ile curru niilii ante habitationem meam nunciaret, tanta utrumque incessit admi- ratio, tanti orti animorum motus absurdissiini acroamatis consideratione, ut cachinnis et gaudio confusi, ncque ilio narrando, neque ego audiendo, sulbceremus. Augebat stuporcm VVackherii asseveratio, virus esse clarissimos doctrina, gra¬ vitate, constantia, supra popularem vanitatem longissime evectos, qui liaec de Galilaeo perscribant, adeoquo iam librum sub praelo versal i, proximisque cursibus affu tur uni. 20 Me, ut primum a Wackberii ore discessi, Galilaei potissimum movit autbo- ritas, iudicii rectitudine ingerìiique solertia parta. Itaque meditatile mecum sum, qui possit aliqua fieri accessio ad planetarum numerum, salvo meo Mysterio Cosmo- graphico^, quod iam ab annis 13 prostat publice; in quo quinque illae Euclidis figurae, quas Produs ex Pitbagorao Platonisque sententia Cosmicas appellat, plu- netas non plures sex admittunt. Apparet autem ex praefatione illius libri, et me tunc quaesivisso plures circa solcm planetas, sed frustra. Quod igitur haec perpendenti incidebat, curriculo ad Wackherium detuli; ni- mirum: uti terra, unus ex planetis (Copernico) lumini suam habeat, extra ordinem so sese circumcursitantem, sic fieri sane posse, ut, Galilaeo, quatuor aliai minutis- simae lumie, angustissimi meatibus, circa Saturni, lovis, Martis et Veneri corpu- scula, circumvolvi videantur; Mercurium vero, cireuinsolarium ultimimi, tam esse immersum in solis radios, ut in eo nihil adirne simile potuerit a Galileo de- praeliendi. Wacklierio, contra, visum, si quatuor planetae latuerint hactenus nihil impe¬ dire cur credat, infinitos porro Intero V adeoquo, vel mundum liunc ipsum infinitum, ut Melisso et philosophiae magneticae authori, Gulielmo Gilberto Aiiglo (,) , placuit, Lett. 207. 19. praeicribant — 25. Promilut — npellat — 82. anyuttiiimi* — "1 .-Wronomta nova alxioXÓYTjXO?, Cfr. n.° 88, lin. fi. IL) APRILE 1610. 321 [2»7] vai, ut Democrito et Eeucippo et, ex recentioribus, Bruno et Brutio (tuo, Galilaee, 40 et meo amico) visum, infinitos alios mumlos huius nostri similes esse. Sic mihi, sic illi visum, interim cium librum ipsum Galilaei, ut erat spes facta, cupidine mira legendi discruciati expectamus. Primum exemplum, concessu Caesaris, mihi contigit inspicere cursimque pervo- litare. Viilco magna longcque admirabilissima spectacula proposito, philosophis et • astronomis , ni fallor et mihi ; video ad magnamm contetnplationum exordia omnes verae pldlosophiae cupidos convocavi. Iam tum gestiebat mihi animus, me rebus interré, quippe provocatimi, et qui eadem de materia ante annos sex scripsissem, tecumque, Galilaee solertissime, Giuuano db’ Mudici. fol. 7 i X. 41 li) APRILE ILIO. 322 [297] invitanti, et, quoti caput est, vel ipsurn suum instrumentum, ad facicndam fidern oculis, offerenti V An panini hoc fuerit, Magnorum Iletruriae Ducuni fainiliam 1 udi li cari, Mcdi- ceumquo nonion iigmentis suis praofigere, veros pianeta» interim pollioentem ? Quid, quod propriis oxperimentis, quod aliorum asseverationibus in parte so libri doprelieiido veracissimuni ? Quid causae »it, cur solimi de quatuor pianeti» deludendola sibi putaverit orbemV Tres sunt mense», cimi Aug. Imporator super lunao raaoulis varia ex me quaesivit, in ea constitutus opinione, terranno et eontinentium simulaclira in luna, ceu in speculo, resplondescere. Allegabut hoc potissiinum, sihi vitleri ex- p ressa ili Italiae cimi duabus adiacenti bus instili» elligiom. Specillimi etiam suum ad oadein contemplatala olFerebat in dies sequente», quod omissunt tamon est. Alleo codoni tempore, (ialilaeo, Cbristi Domini patriam vocabulo prnoferens, Cbri- stiani orhis Moiuircham, eiusdem irrequieti spiritila instinctu, qui naturam de- tectum ibat, deliciis tuis aemulatus es. 90 Sed et antiquissima est linee ilo maculi.» lunao narratici, fulta authoritato Py- thagorao et Plutarchi summi pliilosophi, et qui, si hoc ad rem facit, proconsulari imperio Epirum tenuit sub Oaesaribus; ut Maestlinuni adeoque et mea Optica 10 ante unno» sex edita pruotorcum, inquo suum locami inferius differam. Ilaec igitur cum, consontiontibus testiraoniis, etiam alii do lumie corporo asse- verent, consentanea iis, quae tu do eodem longe dilucidissima atler» expcrinienta; tantum aliest, ut fidern libi in reliquo libro et do quatuor eircum-Iovialibus pla- notis derogom, ut potiusoptom inihi in parato iam esse perspieillum, quo te in deprebendendis circum-Martialibus (ut mihi proportio videtur requirere) duobus, et circum-Saturniis sex vel octo praevertani, uno forsan et altero Venerio et ciroum- ìoo Mercuriali nccessuro. Quam ad venaturam, quod Martelli atti net, tempus crit maxime idoneum Oc- tober venturus, qui Martem in oppositosolis exbibct, terris (praoterquam anno 1G08) omnium proximum, errore calculi trium amplius graduimi. Age igitur, ut de rebus certissimis meisque oculis, ut ornili no spero, videndis, tecum, (xalilaee, serraonem conferam; tui quidomlibri metbodum secuturus, oiniies vero philosopliiae partes, quae vel ex hoc tuo Nlincio ruinam minantur, vel con- firmantur, vel explicantur, iuxta pervagaturus : ut nihil supersit, quod lectorem pliilosopliiae deditum suspousum teneat, et vel a fide tibi praebenda probibeat, vel ad contemiiemlam quae liactenus erat in precio pbilosophiam impellat. no Prinium libelli tui caput in lubrica )»ers])icilli versatur, tantae quideni effi- caciae, ut rem spoetanti millies exbibcat inaiori planitio, quod tum lit, si dia- 99. requirere ò aggiunta marginalo. — oi Ad Vitelli,mem paraiipomrna, quibu» (introno- mine par» op ticut r adita >*, e tu. A u 11 a or e Iuankk Kki-i.kro. Francnfurti, apml Claudi. Marnium ot lmcredos loiiiinia Aubrii. Almo AlUOiV. 19 APRILE 1G10. 323 [207] mcter tricies bis repraesentetur longior. Quoti si facultas aestimatoria manet in sententia consuetae magnitudinis, necesse est ei tunc rem videri tricies bis pro- piorem. Distantiam enim oculus non videt, seti coniicit, ut docent optici. l)a enim, hominem aliquem abesse tribus millibus et duecntis passibus, videri vero sub an- gulo tricies bis maiori, quani videtur alius sino perspicillo centum passibus ab- scns: cuni certum habeat oculus, hominem illuni remotum liabere consuetam magnitudinem, censebit non pluribus centum abesse passibus, adiuvanto et clari- 120 ficatione visionis, perspicillo procurata. Incredibile multis videtur epicbirema tam efTìcacis perspicilli, at impossibile aut novum nequaquam est; neo nuper a Belgis prodiit, seti tot iam annis antea proditum a Io. Baptista Porta, Magiae Naturalis libro XVII, cap. X, De cry- stallinae lentis affectibus (l) . Utque appareat, ne compositionem quidem cavae et convexae lentis esse novam, age verba Portae producamus. Sic ilio: Posilo ondo in centro, retro lentem, qaae remota fuerint, adeo propìnqua vidc- bis , ut quasi marni ea tangere vidcaris, ut valde. remotos cognoscas amicos : literas epistolae in debita distantia collocataci, adco magnas videbis, ut perspicue legas : si lentem inclinala s, ut per obliquimi epistolam inspicias, literas satis maiuscidas ilio videbis , ut etiam per righiti passus remotas legas: et si lentes multiplicare nove- ris, non vereor quin per centum passus miniraam iiteram conspicieris, ut ex una in alterarli maióres reddantur charactcres. Debilis visus, ex visus qudlilale specUlis utatur. Qui id rode sciverit accomodare, non parvum nanciscetur secretimi. Con- cavae lentes, quae longe sunt durissima cernere facìunt, convexae. propinqua, linde ex visus connnoditate his fruì poteris. Concavo, longe parva vides, sed perspicua; convcxo, propinqua malora, sed turbida: si utruinque recte componere noveris, et longinqua ut proxima malora et clara videbis. Non parimi multis amicis auxilii prae- stitimus, qui et longinqua obsoleta, et proxima turbida conspiciebant, ut omnia per- fectissimc contuercntnr. Haec capite X. no Capite XI novum titulum facit de specillis, quibus supra omnem cogitatimi longissime quis conspicere queat; seti demonstrationem de industria (quoti et profitetur) sic involvit, ut nescias quid dicat, an de lentibus solis pellucitlis agat, ut hactenus, an vero speculum adiungat opacum laovigatum : cuiusmodi unum et ipse in animo liabeo, quoti res remotas, nullo discrimine absentiae, in maxima quantitate, ideoque ut propinquas et praeterea proportionaliter auctas oxliibet, tanta claritate, quanta ex speculo (quoti necessario coloris fusci est) sperali potest. Iluic loco libri Portae cum vidcrem praefixam querelam initio cap. X, Cava- rum et convexarum tentimi et spccìllorum, tantoperc humanis usibus necessario- 150 rum, ncque effectus ncque rationes adirne a nomine allatos, eam operaia sumsi (U Io. Bapt. Pohtar Noapolitani Magiae A r «tw- vitine et dditiae demoimlrantur, ote. Nonpoli, apud ralis libri XX, in quibui scientiarun i naturulium di- Horatiuin Salvianuii), M. 1). LXXXV111I, pag. 2fi9. 324 19 APRILE 1610. [‘>97] auto annos sex in Astronomiae parte Optica, ut, quid in simplicibus perspicillis accidorefc, luculenta demonstratione geometrica redderem expeditum. Videro est ibi capito V, ubi demonstro illa quae pertiuent a cado apparcntibus irregularitalibus, etc. M. Mae» sti.ihi, etc. Tubi ugno, 1C0C. <*) Vedi Voi. Ili, Par. I, pag. 71, lin. 5-G. 332 19 APRILE 1610. [m\ milii liceat, ego, et si aerein concedo, tainen super hoc experimento maneo in sontentia: lumen hinc lunae, inde stellae, de die etiam, sese in oculo ampliare, locumque partis tenebrosae carpare, ut eu, minuta, lucida magna putetur. Vide Optica mea, fol. 217. Sequitur in tuo libello, fol. 13 c,) , ingoniosa et legitima demonstratio eius, quod a me quoque fol. 250 et passim dietimi quidem est, demonstratum vero minime: montes lunares multo maiores esse terrenis ; idque non tantum in proportene suorum globorum, quod ego dixeram, sed in comparatione simpliei. Scilicet, desi- ico derabatur ad hoc demonstrandum tuuin perspicillum, tua in ohservando diligentia. Noe minus ingeniose te fol. 14 l,) comparii» ad ohservationem disci lunarie, cum ei primuin enascuntur cornila, docesque, cornua obiectu teeti tegere, ut reliquus discus emineat. Est lue milii modus observandi usitatissimus. Quod vero demonstrationem attinot, quae ostendit hoc lumen ex nostra tel¬ ili re ottundi, ea iam a vigiliti annis, coque ampline, fuit penes Maestliuum, ex cuius doctrina illam transtuli in raeam astronomiae purtem Opticara, cap. VI, mini. 10, fol. 252, pienissimo Iractatu, ubi easdem etiam opinione» (quod lumen hoc sita sole, vel a Venere) tecum eodeni modo refuto, nisi quod hanc ultimam, merito suo, palilo, melius excipio. 470 Putas fol. 15 i3) ruborem illum lumie aheneuni, quem circa extremitates umbrae terrenae luna cclipsata retinet (reliquo porpore l'osca et evauida) esse ex illumi- natione vicinac substantiae aetheriae. Adiuvas meam de eodem rubore disputa- tionem fol. 251 Optioorum, ubi eam ex refractis in nostro aere solis radiis (le- iluco, et accominodas ea, quae fol. 301 adduxi, ad rationem dicendara, cur in totali solis eclipsi non semper nox fiat mera: quae in libro De stella nova fol. 117 repelli 05 . Dubito, Galilaee, an possit liaec a te dieta causa buie sutticere rubori; linee enim, uti vis, aurora lunare corpus circumstat multo aequabilius, quam ut rubor iste sic inaequaliter in lunam derivetur, ut ostendunt mea fol. 276 aliata experimenta: quae ubi in tuo Systemate muiuli in considerationem adduxeris, 4So spero te line in parte tanto felicius de rerum causis disputaturum. Ad pallorem tamen lunae in mediani umbrara immersae ettìciendum, ubi ces- sant radii solis refracti, facile patior, ut iuxta sidera solem circumstantia, quibus ego folio 277 palloris causam transcripsi, linee tua aurora ut potior causa adducatur. Absolvi alterum libelli tui caput de luna : transeo ad tertium de sideribus caeteris. Prima tua observatio est magnitudini siderum, quorum corpuscula, perspi- cillo inspecta, in proportene ad lunae diametruw uis minui. Adducis et alia si- 477. a (a cauta. Cfr. Voi. Ili, P»r. I, pag. 117, lìti. 20. — il» l' n - 24 — png. 72, lin. 18. <*i Ioannis Kkm.kiu Sac. Caos. Maiest. Matlie- C *G P ll K- "2, lin. 84 — J»ag. 73, lin. 4. malici l)r tte.lln nova tn pede $ì'erpenlarii, otc. Fragno, Voi. cit., png. 73, lin. 20-30. ex officina cnlnogrnpliicn Pnuli Sessii. Anno MDCVI. 19 APRILE IGLÒ. 333 L H>7] india, quibus stellac minuuntur, verissima et mihi longo usu comporta, erepuscu- •ii»o lum, diem, nubem, velum, vitrum coloratura. FTic tuas excutio locutiones : angulum visorium non a primario stellac corpuscolo, sed a late circumfuso splendore terminal i : itera : perspicillo adscititios accidenlct- lesque fulgores steUis aditili. Quaerere ex te lubet, Galilaee, num acquioscas in causis a rae allatis huius rei, ubi de modo visionis disputo fol. 217 ac praesertim fol. 221 Opticae. Nani si nihil desideras, licebit tibi porro proprie loqui, luminosa puncta conos fondere suos in crystallinuin, et, post eum refractione facta, eos rursum in punotimi con- traliere : quia vero id punctura non attingit retinain, dilatatone nova nonnullara superficieculam retinae occupat, cmn debuerit occupare punctum : itaque perspi- 500 cillorum opera fieri, ut, alia refractione intercedente, punctum illud in retiformem competat. Non igitur aliqui descendunt radii in oculum a splendore stelìis exte- rius circumfuso ; sed contra, qui descendunt ab ipso lucido corpore radii, ii, vitio refractionum et per nocteni amplificatione foraminis uveae, diffunduntur in splen- dorein in retiformi circa punctum, quod stellam debuit repraesentare, circunt- iectura. Ncque perspicillum in terra adimit aliquid stellis in caelo, sed adimit aliquid lucis retiformi quantum eius redundat. Altera iucundissima tua observatio est figurae fixarum radiosae, differenti a planetaruni figuris circularibus. Quid aliud inde, Galilaee, colligemus, quara fixas lumina sua ab intus cmittere, planetas opacos extrinsccus pingi, hoc est, ut Bruni 5io verbis utar, illas esse soles, hos lunas seu terras? Ne taraen is 1109 in suam pertrahat sententiam de mundis infinitis, totidera nempc, quot sunt fixae, omnibus huius nostri siniilibus, subsidio nobis venit tertia tua observatio innumerabilis fixarum multitudinis supra eam, quae antiquitus est cognita, qui non dubitas pronunciare, videri stellarum supra decein raillia. Quanto enim plures et confertiores, tanto verior est mea argumentatio contra infinitatem mundi, libro De stella nova, cap. XXI, fol. 104 proposita; quae probat, lume, in quo versamur homines, nostro cura sole et planetis, esse praecipuum mundi simun, ncque fieri posse, ut ex lillà fixarum talis pateat in raundum prospectus, qualis ex nostra tellure vel etiam sole patet. Locum brevitatis causa supersedeo 520 describere; proderit ad fidera totum porlegi. Accedat auctarii loco et haec argumentatio. Mihi, qui debilis sum visu, sidus aliquod maiusculum, ut Canis, panini cedere videtur magnitudine diametro lunae, si radios fulgidos accenseara : at qui sunt visu correctissinio, quique instrumentis utuntur astronoraicis, quibus non imponunt hi cincinni ut oculo nudo, ii quanti- tates diaraetris stellarum suas describunt per minuta et rainutorura partes. Quod si ex mille solum tìxis nulla niaior esset uno minuto (sunt tamen pleraeque ex 408. nova nannullavi ò aggiunta marginalo. — 504-505. Da x molibui tUllae Martin, cap. 38. X. 43 338 19 APRILE 1610. [297] Quid igitur, inquies, si sunt in caelo globi similes nostrae telluris, amie igitur cnm illis in certame» venimus, utri meliorem mundi plagam teneant ? Nani si nobiliores illorurn globi, non suniiis nos creaturarum rationalium nobilissimae? Quoniodo igitur omnia propter hominem? Quomodo nos domini operum Dei? Difficile est noduiii lume expedire, eo quod nondum omnia, quae bue perti- nent, explorata tenemus, ut temeritatis notara yìx effugituri siraus multa de hac quaestione disserendo. Non reticebo tamen, quae mihi pliilosopliica videantur argumenta adduci posso, quibus obtineatur, non tantum in genere, ut supra, hoc planetarum systema, in odo quorum uno nos homines vorsamur, in praecipuo mundi sinu, circa cor mundi, solera nempe, versari; sed etiam in specie nos homines in eo globo versavi, qui creaturae rationali primariae et nobilissimae (ex corporeis) piane debetur. Prioria affirmati de intimo sinu mundi, vide argumenta supra a multitudine fixarum (quae prò muro lume sinum certo vallant) et a claritate nostri solis prae fixis. Quibus addo hoc tertium, quod mihi bisce diebus expressit Vackherius, assensuque laudavit. Geometria una ot aetevna est, in mente Dei refulgens, cius consortili!» ho- minibus tributimi inter causas est, cur homo sit imago Dei. In geometria vero figurarum a globo perfectissimum est genus, corpora quinque Euclidea. Ad borimi 700 vero normam et archetypum distributus est hic noster mundus planetarius. Da igitur, infinitos esse rnundos alios : ii aut dissimiles erunt buius nostri, aut si¬ miles. Similes non dixoris. Nani, cui borio infiniti, si unusquisque in se perfectio- nem omnein liabet ? Aliud enim est de creaturis generationis successione peren- nibus. Et Brunus ipse, defensor inlinitatis, censet, differre oportere singulos a reliquis totidem motuum generibus. Si motibus, ergo et intervallis, quae pariunt motuum periodos. Si intervallis, ergo et figurarum ordine, genere, perfezione, ex quibus intervalla desumpta. Adeoque, si rnundos invicem similes statueres per omnia, creaturas etiam feceris similes ot totidem Galilaeos, nova sidera in novis mundis observantes, quot rnundos. Id autem cui bono? Quin potius cavemus, uno 710 verbo, ne progressus fiat in infìnitum, quod recipiunt philosophi : cum assentiatur progressus versus minora finitus, cur non et versus maiora ? Esto enim spliaera fixarum ; buius pars forte ter millesima Saturni spliaera, buius item decima pars telluris sphaera ; telluris porro tercentiesmillesima homo, hominis tantula pars cuniculus subcutaneus. Hic sistimus : nec progreditur natura ad minora. Perga- mus igitur ad alterimi membrum dilemmatis : sint illi infiniti mundi dissimiles nostri : aliis igitur quam perfectis quinque figuris erunt exornati, ignobiliores igitur hoc nostro : unde confìcitur, ut noster hic mundus sit illorurn omnium, si plures essent, praestantissimus. Dicamus iam etiam hoc : cur tellus globo lovio praestet, digniorque sit domi- 720 nantiB creaturae sedes. 19 APRILE 1610. 339 [297] Sol quidem in centro mundi est, cor mundi est, fons lucis est, fona caloris, origo vitae motusque mondani est. At videtur homo acquo animo ilio throno regio abstinere debere. Caeluin caeli Domino, soli iustitiae, terroni autem dedit. (ibis hominum. Nani, etsi Deus corpus non liabet, nec habitaculo indiget, in sole tarnen (ut passim per Scripturam, in cacio) plus exerit virtutis, qua munclus gubcrnatur, quam in globis caeteris. Àgnoscat igitur homo, ipsius etiam habi- taculi sui distinctione, suam indigentiam, Dei abundantiam ; agnoscat, se non esse fontem et originem ornatus mundani, sed a fonte et ab origine vera depen- 780 dere. Àdde et hoc, quod in Opticis dixi, contemplationis causa, ad quam homo factus oculisque ornatus et instructus est, non potuisse hominem in centro quie- scere ; sed oportere, ut navigio hoc telluris annuo motu circumspacietur lustrandi causa, non secus atque mensores rerum inaccessarum stationem statione permu- tant, ut triangulo mensorio iustam basin ex stationum intervallis concilient. Post solcm autem, non est nobilior globus aptiorque homini quam tellus. Nam is primum numero medius est ex globis primariis (circulatoribus hic et lunae globo circumterrestri seposito, ut par est) ; liabet enim supra : Martem, Iovem, Saturnum; infra complexuin sui circuitus currentes : Venerem, Mercu- rium et, tornatum in medio, solem, cursuum omnium incitatorem, vere Apolli- 740 nem, qua voce Brunus crebro utitur. Deinde, cum quinque corpora abeant in duas classes; trium primariorum, cubi, tetraedri, dodecaedri ; duorum secundariorum, icosaedri et octaedri ; tel¬ luris circuitus sic inter utrumque ordinem, veluti maceries, intercedit, ut supe- rius dodecaedri centra planorum duodecim, inferius respondentis icosaedri an- gulos duodecim, stringat; quo vel solo situ inter fìguras prae caeteris orbibus notabilis est orbis telluris. Tertio, nos in tellure Mercurium, planetarum primariorum ultimum, vix visu apprehendimus propter propinquam et nimiam solis claritatem. Quanto minus in love vel Saturno Mercurius conspicuus erit! Summo itaque consilio hic globus 750 homini videtur attributus, ut omnes planetas contemplari posset. Adeoque, quis negabit, in compensationem latentium lovialibus planetarum eorum, quos nos ter- ncolae videmus, attributos esse Iovi quatuor alios, ad numerum quatuor inferio- rum, Martis, telluris, Veneris, Mercurii, solem ambientium intra Iovis ambitum? Iiabeant itaque crcaturae loviae, quo se oblectent; sint illis etiam, si placet, quatuor sui planetae dispositi ad normam classis trium rhombicorum corporum, quorum unum (quasi rhombicum) cubus ipse est, secundum cuboctaedricum, ter- tium icosidodecaedricum, sex, duodecim, triginta planorum quadrilaterorum : lia- beant, inquam, illi sua ; nos homines terricolae non utique frustra (me doctore) de praestantissima nostrorum corporum habitatione gloriali possumus, Deoque 760 conditori grates debemus. 726. ut pattini ò aggiunta interlineare. — 740. Primi» — 340 19 ABBILE 1610. [297] linee super novi» dubitationibus, quas tuia, Galilaee, experimentis excitasti, philosophice tecum disserere mihi placuit. Sed cum saepius iam structuram mundi per quinque regolarla corpora ex meo Mysterio Oosmographico adduxerim, tri bus verbis obiectionom initio epi- stolae tactam penitus eliminabo. Cum quatuor lii planetae angustissimis meatibus Iovem ipsum circumambu- lent, uomo metuat, turbatimi iis iri rationem meam interpositionis tìgurarum Pythagorae inter planetas. Quin potius spero, lios eirculatoroR Iovios, et si quos habent alii etiain planetae, tandem omnein quae reafcat discrepatitiam sublaturos. Rationem enim a Deo etiam horu in circulatorum habitam in tìgurarum inter- 770 positione, circulator terrae (luna scilicet) arguit, cuius circuituin circa terram negligere non potili, cum illud negooium serio tractarem. Adeoque etiamnum in restitutione orbiuin et motuum Marti», telluris, Ve- neris ex observationibus Hrahei deprehendo, liiare plusculum interstitia, ut do¬ decaedri anguli a perihelio Marti» extensi, non assequantur centris planorum, lur.am in apogaeo suo et aphelio telluris consti tu tam ; neque centra icosaèdri, aphelio Veneris accomodata, porrigant angulos icosaèdri usque ad lunam in apogaeo suo et perihelio telluris constitutam : quod argumento est, superesse aliquid loci inter perihelium Martis et angulos dodecaèdri ; sic inter centra icosaèdri et aphelium Veneris; et, quod miraculo esse possit, paulo plus illic, 780 quam Ilio: quibus ergo spaciolis spero me lunas circummartiales et circumve- nerias, si quas, Galilaee, oliai deprehensurus es, facillime locata rum. Tecum, Galilaee, incepi; tecuin finem faoiam. Miraris non frustra, cur tanto discrimine magnitudine Medicea Sidera suas mutent facies. Causas, quas com- minisci quis iiosset, tres reiicis argute et inatheinatice. Ponis unam pbysicam ut possibilem: de qua tempus doccbit. Occurrit vero mihi ista: si quatuor hi pla¬ netae, disci forma, plano ad Iovem converso, circumeant, ut ad excursus maxi- mos nobis et soli obiiciantur ut lincae. supra et infra irradientur perpendicula- riter, videanturque magni, et forte diversicolores sint, prò diversitate planitierum. Sulticiat monuisse. 700 Quod superest, veliementer abs te peto, Galilaee celeberrime, ut in obser- vaiulo strenue pergas, quaeque observando fueris assecutus, nobis primo quoque tempore cominunices ; denique prolixitatom meam dieendiquo de natura liber- tatern boni eonsulas. Vale. Pragae, 19 Apri. 1610. Nob. Exc. T. Observantissiirms loannes Keplerus, S. C. M. tis Mathematicus. 780. itoeaedri — 781. quibtu ego. Cfr. Voi. 1!!. Par. I. pmr. 125, liti. 14. — 782. facilimc (.298-800] 20 - 24 APRILE 1610. 341 298 * GIO. ANTONIO MACINI a GIOVANNI KEPLER fin Praga]. Bologna, 20 aprile 1610. Arch. Malvezzi de’ Medici in BoIortiu. Carteggio di (1. A. Mngini. — Autografe. .... ilo 4 Galilaei uovis planetis quid sentias, iudicium audire expocto.... 299 **. CHIARISSIMO FANCELLI a MATTEO BARTOLINI [in Pisa?]. Firenze, 20 aprile 1610. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 1158. Fase. 1. 8 — Autografa. Cari." 10 mio Padrone, Sono arivato qua..., e gli mando l’ochiale; e quando V.S. vedessi die sia appallato, la cavi i vetri co diligienzia, e gli netti co diligienzia co panno lino.... E questa mattina il Galilei à visto questo occhiale, che l’avevo su in Guardaroba; e vi oro perchè il Giugni ini spedissi.... 300 *. RAFFAELLO GUALTEROTTI a GALILEO in Padova. Firenze, 24 aprile 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI. T. VII, car. 126. - Autografa. Molto 111.” Sig. r V. S. si parti senza che io potessi dirle alcune cose a bocca di qualche mo¬ mento; pure forse ritornerà, migliore occasione. Fratanto io ho sentito che V.S. ha visto l’occhiale di Mess. Giovani batista milanese, et attribuitoli alcuna loda. Hora, 12 anni sono, io feci uno strumento, ma non già aline di veder gran lon¬ tananze e misurar le stelle, ma per benefizio di un cavaliero in giostra e in guerra, e lo proposi al Ser. mo Gran Ferdinando et insieme al* ili.'" 0 et Eccel. mo Sig.'' Duca di Bracciano, Don Verginio Orsino; ma parendomi deboi cosa, lo tra¬ scurai. Pure ancor io, sentendo il romore del Fiammingo, presi i miei vetri e i io miei cartoni, e li rimesi insieme, e tornai a considerare il loro uficio, e vedi in 342 24 — 27 APRILE 1010. [ 800 - 801 ] terra e’n cielo molte cose molto meglio che non fa l’occhiale di Giovambatista milanese : e tale strumento mi insegnò fare quel foro che V. S. vide circa a trenta anni sono noia camera mia ala Torre aP Isola, dal qual foro io sino da la mia prima fanciullezza inparai a dubitare del modo del vedere, che la terra reflet¬ teva i raggi del sole con gran lume e molto regolatamente, e vi imparai molte bagattelle elio io havova lotto esser possibile a farsi, o finalmente lo strumento che 12 anni sono io feci; dal quale indotto, 6 anni sono scrivendo sopra la nuova stella, in proposito del modo del vedere io dissi, elio chi voleva veder le stelle di giorno, guatasse per una cerbottana 0 ’. Hora io ho detto tanto parole non per contrariare a la gloria di V. S., ma per esservi a parte molto e molto 20 giustamente, poi che a me si deve quella lode che V. S. dà ad uno Belga, quelo che V.S. può dare ala sua patria. Mirabil cosa non mi parrà mai Ciò eh’io diro deli atti fiorentini. Dio l’ami. Di Firenze, il dì 24 di Aprile IfilO. Di V. S. molto 111.™ Servi.™ Afi>° Raffael Gualterotti. Fuori: Al Molto IH.™ et Eccellente Signor Galileo Galilei. Padova. BOI* [MARTINO HORKY] a GIOVANNI KEPLER in Praga. Bologna, 27 aprile 1610. Blbl. Palatina In Vienna. Cod. 10708, car, 68-69.— Autografa. S. D. P. Grata hora, nccoptissima venit, 20 Aprilis litera. Hanc amo, illas exosculor. Tres ad te placet. Fnbulosum mercatorem caelesteui ad Garauiantas et ludos, displicet. Sud quid rniruin ? Hoc eunt ordine fata. Alterum liic vide, loge, iudica. Tuum iudicium mecum. Ego tibi nostrum. Tota in Bo- nonia male audit: quia capilli docidunt ; tota cutis ot cuticula flore Gallico scatet; cru- nium laesum, in cerchio delirium; optici nervi, quia nimis curiose et pomposo scrupula prima et secunda circa lovem observavit, rupti; visus, auditus, guBtus et tactus periit; in manibus chiragra, quia philosophicam et mathematica!» pecuniam furtim sustulit; cor 10 <■> Cfr. li.» 267, liu. 4, 27 - 28 APRILE 1610. 343 [301-302] palpitat, quia fabulam caelestcm omnibus vendidit; intestina tumorem praeter naturam deponunt,, quia ulterius apud studiosos et viros illustre» non titillat; pedes podagra cla- mnnt, quia per onines quatuor anguli limites vagatur. Felix ac terque quaterque beatus medicus, qui infirmimi Nunciura ad sanitatem pristinam [s/cj. Misso infirmo, redeo ad vos, gennnulas claras, gemmulas caras .... Postscriptum. Concredam tibi furtum, quod feci. Galileus Galileus, Mathematicus Pntaviemis, venit ad nos Bononiam, et porspicilluin illuni, per quod 4 fictoB planetas vidit, attulit. Ego 24 et 25 Aprilis die et nocte nunquam dormivi, sed instrumentum hoc Galilei millies mille 20 modis probavi, tam in bis inferioribus, quam in superioribus. In inferioribus facit mi¬ rabilia; in coelo, fallit, quia aliae stellae lixae duplicatae videntur. Sic observavi nocte sequente cum Galilei perspicillo stellulain, quao super mediani trium in cauda Ursae maioris visitar ; aeque quatuor minutissima» stellulas vicinas vidi, uti Galileus in love observavit. llabeo testes excellentissimos viros et nobilissimos doctores, Antonium Koffeni, et in Bononiensi Academia mathematicum eruditissimum, aliosque plurimos, qui una mecum pracsepc in cacio cadem nocte 25 Aprilis, praesente ipso Galileo, observarunt; sed omnes instrumentum fallere sunt confessi. At Galileus obmutuit, et die 26, die }, au , tristis ab Illu¬ strissimo 1). Magino discessit summo mano; et prò beneficila, cogitationilms infinitis, quia fabulam vendidit, repletus, gratias non egit. D. Maginus honoratum convivium, et lautum et 80 delicatum, Galileo paravit. Sic miser Galileus Bononia cum suo perspicillo 26 die discessit. Ego, quamdiu Bononiac fuorat, numquam dormivi, sed instrumentum hoc semper infinitis modis probavi. In altera occasione plura dabo de bis. Vale. Ich li ab das Perspicillum als in Wachss ahgestochen, das nicmandt weiss, undt wen mir Gott wieder zue Hauss hilft, will ich fiel eiu pessers PerBpicilluui machen als der Galileus. Fuori: Excellentissimo Domino M. Ioanni Keplero, 8. O. Maie. Mathematico, amico meo caria». 0 Praga. 302 . FRANCESCO MARTA DEL MONTE a GALILEO [in Padova]. Roma, 28 aprile 1010. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gai., P. I. T. XIV, car. 27. — Autogrufa la sottoscrizione. 111. Sig. 0r Il Sig. or Baldino Ghepardi mi ha presentato da parte di V. R. l’occhiale, e’1 discorso che ci ha fatto sopra, che 1’ uno e 1’ altro mi è stato oltra modo caro per amor di V. S. e perchè io gli desideravo ; e le ne resto con molto obligo, ren- dendolene le gratie che devo. Con P occhiale ho già fatte belle esperienze, e spero 844 28 aprile 1610. [302-808] farne dell’altre: e perchè ’l S. or Baldino mi (lice che V. S. lo va tuttavia perfet- tionando, desidero che mi avvisi in che modo si possa migliorare, et in partico¬ lare, se col farlo più lungo si potrà vedere più da lontano ; se quel vetro eh’ è concavo da una parte, facendosi concavo anco dall' altra, come sono gli occhiali che si fanno per quei che hanno la vista corta, mostrarebbe le cose meglio e più io lontano ; e se pigliando cristallo di montagna, in cambio di vetro, sarebbe meglio. Mando a V. S. un quadretto, al quale il Papa ha concesso l’indulgenze di’ ella vedrà nell' accluso foglio, uccioehè lo tenga per divotione e per amor mio, sebene per altro è cosa ordinaria e di poco momento; che io non glielo mando già pel- ricompensa del libro e dell’ occhiale donatimi, perchè ci sarebbe troppa disaggua- glianza, essendo quelli cose rare. V. S. nondimeno accetti il mio buon animo. Che ’l Signore Iddio la contenti. Di Roma, li 28 d’Aprile 1610. Di V. S. 111. Come Fratello S. or Galileo Galilei. Il Card. 1 * dal Monto. 20 Fuori : AH’111. Sig. or 11 Sig. or Galileo Galilei. 303 . MARTINO HASDALE a GALILEO in Padova. Praga, 28 aprile 1G10. Blbl. Nnz. Pir. Mss. Gai., P. VI, T. VII, car. 128. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc."*° Sig. r P.ron Oss." 10 L’ambitione che ho della servitù di un così grand’huomo come è V. S., inven¬ trice di cose che chiarisce hi crassa ignoranza degli huomini et che fa stupire gli eruditi, mi rende costante in mantenere et sostentare (benché io vermicello) la reputatione di V. S., et avvisarla di quanto sento alla giornata delle opposi- tioni che le vengono fatte per quello libretto ammirabile et miracoloso, benché piccolo, del perspicillo nuovo. Scrissi già a V. S. del S. r Chepplero, quale certamente si mostra molto affet- tionato a V. S. et favorisce quanto può 1’ inventarne di V. S., ancora che habbia dati quegli avvertimenti (quali già comminciano a verificarsi), ciò è dell’emula- io tione eh’ ella si sarebbe concitata sì da Todeschi come da Italiani. Ma questi mi pare che siano i primi, come ella sentirà. Gionse non hieri l’altro il Sig. rtl Elettore di Colonia, quale ha seco un amico mio, chiamato Gio. Zugmanno, matematico stimato de’ primi di qua da’ monti. Lett. 803. 12. Dopo itnlirà si legge, cancellato : Mi giova crrdarr die. — 28 APRILE 1610. 346 [303] La prima cosa die le domandai, dopo li compimenti, fu se egli havea visto il libretto di V. S. Disse, havorne duo essemplari, ch’orano stati mandati a S. Altezza suo padrone. Addilli andato poi Quid sibi videretur deillis demonstrationibus di V. S., rispose: Ncc probo, nec improbo , doncc Domini Gallilei instrumentum videro , et expcrlus fitero. Iiora, questa mattina (perchè gli liavevo detto all’hora che il Chep- 20 pierò non vi metteva difficoltà sopra le dimostrationi sudette, et molti altri eli’ erano della professione), mi ha sfodrato fuori una lettera del Magino (quale mi era stato ad intendere fosse morto), nella quale dà giuditio del libro di V. S. et dello stromento. La sostanza della lettera è questa; ma vederò di haverne una copia, essendo poca cosa, ciò è di una facciata: Quanto al libro et stromento del Gallilei, io credo che sia un inganno, perchè quando con occhiali colorati, fatti da me, guardavo V ecclipsi solare, mi faceva vedere 3 soli ; così anco credo che sia av¬ venuto al Gallilei, quale si deve essere ingannato dal reflesso della luna. Sono molti altri che oppugnano questa opcnione del Gallilei , et tra gli altri il Dottore Papaz- zone voleva ex professo nelle scuole publiche confutare tutto il libro; ma le lettioni 30 si sono finite più presto del solilo : ma spero che subito dopo V ottava di Pasqua eseguirà il suo intento. Poi dice : Ma per tornare al proposito, mi pare una cosa ridicolosa di. quei 4 nuovi pianetti, che presuppone il Gallilei che vadino intorno al pianeta ... l,) (non mi ricordo), et che discostandosi un minuto bora da una banda bora dalV altra, finiscano il suo corso in un mese. Bisogna che V. S. m’intenda per discretione, perchè non son della professione. Poi soggionge: Io spero d’an¬ dare queste feste di Pasqua a Venetia. Non mancherò di procurare di haverne uno di quegli instromcnli, per chiarirmi meglio della verità. Dixi. Ilo dimandato a chi scriveva questa lettera. Mi ha risposto che S. Altezza gli haveva dato ordine di ricercare il S. r Magino della sua opcnione, et che il io Magino ha risposto questo a S. Altezza. Io non ho potuto contenermi di dire che questa non era altro che una mera invidia, perchè biasimano l’opra senza bavere visto lo stromento ; et che già il pronostico del Chepplcro comminciava a riuscire, perchè dispiace al Magino che altri gli inetta il piè avanti, tanto più nella sua patria propria ; chè se altrove fosse seguito, meno gli brusciarebbe. Exigua est virtus, quae carct invidia. V. S. non dubiti che ella baverà séguito di qua, oltre che la verità ha da confondere gli einoli. V.S. intanto ha d’havere singolare obligo al S. r Ambasciatore di Toscana, comune padrone, perchè non tralascia cosa veruna per difesa dell’ honore di V. S.; et già ha lavata la testa a più di due di questi nostri Italiani, medichetti di 50 merda, che non sanno se sono vivi. Di nuovo non posso dire altro, se non che questi Principi comminciano a com¬ parire, essendo gionto hor hohi Magonza, et non hieri l’altro Colonia et il Land- 52. Motjanzn — IO I pmitoliiii sono noli’autografo. 28 APRILE HilO. 346 [ 303 - 804 ] gravio Lodovico di Messia, et alcuni giorni il Duca di Brunsvich ; domani, Sas- aonia. Baviera non voleva venire, ma intendo che gli hanno spedito un corriero perchè venga. 8’ aspetta anco domani Massimiliano, et poi Ferdinando. Avvisarò poi dell’assemblea et lo risolutioni di essa, se bene si dubita elio non si conclu¬ derà nulla, overo se si concluderà, non si eseguirà. Con che lino le bacio la mani. Di Praga, questo dì 28 di Aprilo 1610. Di V. 8. molto lll. ro et Ecc. 11 " 1 Una riverenza alli molto Rcv. dl Maestri Favolo et Fulgentio 60 Coscritta. Caro Sig. r , mi favorisca d’intendere del S. p Ottavio Pamfilio, perchè gli vorrei scrivere. Aspetteremo con desiderio la sua risposta allo considerationi del Chepplero (I> , mandatele dall’Ambasciatore di Toscana. Non ardisco doman¬ darle uno de* suoi libretti, non havendo con lei alcuno merito. V.S. potrà man¬ dare sotto al plico della Sig. ri!l due righe della ricevuta dello mio, indrizzandola al S. r Marcant. 0 Patavino 01 , Secretano di Venetia in Praga, mio amico vecchio; et s’ella non havesse tempo di scrivere, basterà accennarlo nella lettera che ella scriverà al sudetto Ambasciatore di Toscana. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. rao S. r mio Oss. mo il S. p Gallileo Gallilei, Matematico di Padova. 70 304 *. ALFONSO FONTANELLI a [ATTILIO RUGGERI in Modenal- [Fireuze, aprile (?) 1610 ]. Arch. di Stato in Modena. Cancelleria. Dispacci Ambasciatori Kstonni a Firenze, I!.* XLIV. — Autografa. Un'annotazione (l'archivio dico: « Fu ritrovata quo sta poscritta, cosi scompagnata, fra lettore oh'orano tulio dell’anno 1610»; e sul di fuori del foglio si leggo: « Ilei Co. Alfonso Funtauulli. Occhiali». Dopo scritto. Non può esser che costì non s’liahbia notitia dell’inventiono doll’oc- chiale trovata in Fiandra, co ’1 quale si vede di lontano parecchie miglia e si distinguono (1 > I*a oi,o .Sarpi e Foi.oenzio Mioanzio. lSl Cfr. Voi. Ili, Par. 1, |>ag. 91) 0 seg. '*) Marcantonio Padavino. APRILE— 1 MAGGIO 1610. 347 [ 304 - 305 ] molti; cose che senza quell’ instrumento non si vederebbono ; ma non so già se cotesti principi u’ habbiano. Hora sappia V. S. lll." ,a che di molti mesi prima ch’io venissi in Lombardia, il Galileo, filosofo e matematico esquisito che legge in Padova, et è suddito del Granduca, ne donò uno a S. A., compagno d* un altro che poco prima haveva donato alla Rep/ 11 di Venetia, et ottenutone per premio mille scudi di pensione servendo, et cin¬ quecento l’anno, non servendo: et io mi trovai qui presente all’esperienza prima che se ne fece, e fra l’altre cose si vide di lontano tre miglia un caprioletto assai picciolo. 10 E perchè mi parve cosa nuova e da prezzarsi da ogni principe per lo frutto che può cavarsene, oltre alla curiosità, motteggiai a Madama che subito che si risapesse che qui fosse una sirnil cosa, i principi parenti et amici ne ricerchercbbono S. A. ; e’l Granduca et ella rispose subito che risponderebbouo d’haverla da Venetiani, et di non potere co¬ municarla ad altri. Pare poi che si sia fatta in modo familiare questa inventione, che se ne siano veduti diversi, più e meno perfetti secondo l’Inibii ità de gli artefici; onde posso credere che cotesti principi n’ habbiano aneli’essi, e non se ne curino. Tuttavia non vo’re¬ star, ad ogni buon fine, di dire a V. S. 111. 1 "*, che bevendomi detto il Sig. Paolo Giordano Orsino, tornato hora dal suo viaggio, d’ haverne portato alcuni di Fiandra, caso che coteate Altezze n’ havessero desiderio, non sarebbe forse difficile d’haverne uno da 8. Ecc.*“. È 20 vero che non converrebbe fondarsi su la mia proposta, non essendo forse espediente che qui si sapesse del mio presente motivo: ma so il S. r Duca, o, non volendo S. A. cimentarsi per duino della negativa, il S. r Principe, scrivesse a questo S. r0 d’havere inteso il suo ritorno, o che se per caso liavesse portato alcuno di quelli occhiali di Fiandra che veggono così di lontano, havrebbe gusto d’haverne uno, potrebb’ essere che S. E. Itt incontrasse volentieri l’occasione di servire a S. A. Non creda però V. S. Ill. mB eh’ io sia invitato a dir questo da intenzione alcuna ch’io n’Iiabhia, perchè se l’havessi, parlerei in altra maniera: ma mi è venuto solo questo pen¬ siero dal parermi l’occhiale cosa da principe e dall’haver inteso ila S. Ecc. ZB che n’ha portato più d’uno, ch’io m’immagino elio non sia se non ad effetto di regalar principi SO che non ne habbiano. Sopra tutto è necessario di non illustrar che da me ne possa esser presentita cosa alcuna in questa materia; nè io saroi buono da esservi impiegato, per non generar sospetto. 305 *. CARLO BART0LI a GALILEO in Padova. Venezia, 1 maggio 1(510. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. I, T. VI, car. 49. — Autografa. Molto Ill. lro et Eco." 0 Sig. re e P.ne Oss. mo Io li do il ben tornato, et li mando un mazzo di lettere venuto da Progha et consegnatomi dal segretario del Residente di Toscana, il quale, come credo che sapia, non si trova qui al presento. Et questo suo segretario mi ha detto elio il Sig. ro Giuliano di Medici li accenna che fra V. S. e lui potrebbe esser passassero molte lettere, et che 1’ uno all’ altro mandasse diverse cose ; che però Labbia cura 348 1 — 7 MAUU10 1610. [305-307] rii mandare a Pragha a buon recapito tutto quello che lei mandasse, sì come anchora tutto quello che per lei li venisso nelle mani. Dice dunque detto segre¬ tario, che non ha comodità, di mandar queste cose se non fra quele del G. D., la qual cosa volentierissimo farebbe, se di sopra ne havesse qualche ordine ; che io però potrebbe V. S. agevolissimamente ottenere dal $ig. ro Vinta che così li ordi¬ nasse, che la servirebbe con ogni diligentia. L’ambasciatore non porta pena: io ho fatto l’ambasciata. In quello che io sarò buono, si serva di me, che la servirò, come sono obblighato. Credo che liarà ricevuto alcune mie lettere, nelle quali [la] ringratiavo del favore fattomi col suo libro: però in ques[...] non l’infastidirò di nuovo. Li dico bene che una volta, con occasione, spero di liaver a restar favorito da lei di andar anchor io a spasso per il cielo, et di poter dar[...] occhiata a quo’ monti della luna, de’ quali ne ho tanta voglia, che so lussi donna gravida, mal per me; nò temo che sia por essermi scarsa di questo favore, havendola sempre trovata a 20 favorirmi prontissima, si come mi troverà a servirla, se mi honorarà delli suoi comandamenti, come la pregilo. Et per line li b. 1. itl Nostro Signore la guardi. Di Yen.'*, a 1 di Mag.° 1610. Di V. S. molto Ill. lro Att>° Ser. Carlo Ilartoli. Fuori: Al molt’Ill. 1 ™ et Ecc. mo Sig. ro mio Oss. mo Il Sig. r0 Galileo Galilei. Padua l ‘>. 306 . GIOVANNI KEPLER a GIULIANO DE 1 MEDICI. Praga, 8 maggio 1010. Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 101-102. 807 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Padova, 7 maggio 1010. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 81-87. — Autografa. Ill. mo Sig. re et Pad. ne Col. mo Come per la mia passata accennai a Y. S. Ill. mn , ho fatte 3 lezioni publiche in materia de i 4 Pianeti Medicei et delle altre mie osser- LGtt. 305. 21. honerarò. — O) Accanto all’ indirizzo (car. r>Of.) si logge, di mano di Gai.ii.bo: < Nuoci! Sydorei fraginonta » ; e a car. 4&r., in capo al foglio, sono quuste limo¬ le, di inano sincrona: « Nuntius Sidereus. lioza ». Prolmbiìroento la lettera del Uahtom, scritta so¬ pra un foglio di formato grandissimo, fu usata da Gai.ii.ro come camicia di bozzo del Nidermu A’un- eiu*. 7 MAGGIO 1610. 340 vazioni ; et havendo liauta V udienza di tutto lo Studio, ho fatto re¬ stare in modo ciascheduno capace et satisfatto, che finalmente quei primarii medesimi che erano stati acerbissimi impugnatori et con¬ trarii assertori alle cose da me scritte, vedendosela finalmente dispe¬ rata et persa a fatto, costretti o da virtù o da necessità, hanno coram populo detto, sè non solamente esser persuasi, ma apparecchiati a io difendere et sostener la mia dottrina contro a qualunque filosofo che ardisse impugnarla: sì che le scritture minacciate saranno assoluta- mente svanite, come è svanito tutto il concetto che questi tali have- vano sin qui procurato di suscitarmi contro, con speranza forse di esser per sostenerlo, credendo che io, atterrito dalla loro autorità o sbigottito dal profluvio de i lor creduli seguaci, fusai per ritirarmi in un cantone et ammutirmi. Ma il negozio è passato tutto al rovescio; et ben conveniva che la verità restasse di sopra. Saprà a presso V. S. Ili. ,na , et per lei loro Ser. me Al.*®, come dal Matematico dell’ Imperatore ho ricevuta una lettera, anzi un intero 20 trattato di 8 fogli (l) , scritto in approbazione di tutte le particole contenute nel mio libro, senza pur contradire o dubitare in una sola minima cosa. Et creda pur Y. S. lll. ma che 1’ istesso haveriano anco parimente detto da principio 'ì' literati d’Italia, s 5 io fusai stato in Alemagna o più lontano ; in quella guisa a punto che possiamo cre¬ dere, che gl’altri principi circunvicini d’Italia con occhio un poco più torbido rimirino la eminenza et potere del nostro Ser. mo Signore, che gl’immensi tesori et forze del Mosco o del Chinese, per tanto intervallo remoti. Hora il negozio è qua in stato tale, che l’invidia bora mai non ha più attacco di abbassarlo, col convincerlo di falsità, nè pure .io anco col metterlo in dubbio. Resta a noi, ma principalmente a i no¬ stri Ser. mi Padroni, di sostenerlo in reputazione et grandezza, col mostrare di farne quella stima che a così segnalata novità si con¬ viene, essendo ella in effetto stimata per tale da tutti quelli elio ne parlano con sincero animo. L’ Ill. mo S. Ambasciato!' Medici mi scrive di Praga, non essere in quella Corte occhiali se non di assai mediocre efficacia, et per ciò me ne domanda uno, accennandomi essere desiderato anco da S. M. à ; et mi scrive che io lo deva far consegnare in Venezia al Secretar io <*> Cfr. n.“ 297, o Voi. Ili, l J ar. 1. pag. 105 o seg. 350 7 MAGGIO 1910 [307] del S. Residente, acciò lo mandi sicuro {l) . lo però intendo che detto Secretano non riceverà o manderà cosa alcuna senza l'ordine di V. S. HI. 1 " 11 (2) : però, contentandosi S. A. che io ne mandi per tal via sarà V. S. Ill. ma servita di dar ordino in Venezia che siano ricevuti et mandati. Intanto, non ine ne ritrovando di ^squisiti, vedrò di con¬ durne a fine un paro o dui, se bene a me è grandissima fatica, nè io vorrei esser necessitato a mostrare ad altri il modo vero del la¬ vorargli, se non a qualche servitore del 0.1)., come per altra gli ho scritto. Però, et por altri rispetti ancora et principalissimamente per quietarmi di animo, desidero grandemente la resoluzione dell’altro negozio, statomi più volte accennato, ma particolarmente da V. S. Ill. ,na ultimamente in Pisa : perche sono in tutti i modi resoluto, vedendo oo che ogni giorno passa un giorno, di mettere il chiodo allo stato fu¬ turo della vita che mi avanza, et attendere con ogni mio potere a condurre a fine i frutti delle fatiche di tutti i miei studii passati, da i quali posso sperarne qualche gloria. Et dovendo trapassare quelli anni che mi restano o qui o in Firenze, secondo che piacerà al nostro Ser. mo Signore, io dirò a V. S. 111.“* quello che ho qui. et quello che desi¬ dererei costà, rimettendomi però sempre al comandamento di S. A. S. Qui ho di stipendio fermo fiorini 1000 l’anno in vita mia, et questi sicurissimi, venendomi da un principe immortale et immutabile. Più co di altrettanto posso guadagnarmi da lezioni private, tuttavolta che io voglia leggere a signori oltramontani; et quando io fusai inclinato a gl’ avanzi, tutto questo et più ancora potrei mettere da canto ogn’ anno col tenere gentil’ huomini scolari in casa, col soldo de i quali potrei largamente mantenerla. In oltre, 1’ obligo mio non mi tien legato più di 60 mez’ bore doli’ anno, et questo tempo non così strettamente, che per qualunque mio impedimento io non possa, senza alcun pregiudizio, interpol' anco molti giorni vacui : il resto del tempo sono liberissimo, et assolutamente m&i iuris. Ma perchè et le lezioni private et gli scolari domestici mi sariano d’impedimento et ritar- 70 danza a i miei studii, voglio da questi totalmente, et in gran parte da quelle, vivere esente ; però, quando io dovessi ripatriarmi, deside¬ rerei che la prima intenzione di S. A. S. fosse di darmi otio et comodità di potere tirare a fine le mie opere, senza occuparmi in leggere. Lett. 307. 47-48. per quilarmi — (>) Cfr. n.» 290. (») Ofr. n.“ 805. [307] 7 MAGGIO 1610. 351 Nè vorrei che per ciò credesse S. A. che le mie fatiche fussero per esser men profittevoli agli studiosi della professione, anzi assoluta- mente sariano più ; perchè nelle publiche lezioni non si può leggero altro che i primi elementi, per il che molti sono idonei ; et tal let¬ tura è solo di impedimento et di niuno aiuto al condurre a fine le so opere mie, le quali tra le cose della professione credo che non ter¬ ranno V ultimo luogo. Per simile rispetto, sì come io reputerei sempre a mia somma gloria il poter leggere a i Principi, così all’ incontro non vorrei haver necessità di leggere ad altri. Et in somma vorrei che i libri miei, indrizzati sempre al Ser. mo nome del mio Signore, fussero quelli che mi guadagnassero il pane ; non restando intanto di conferire a S. A. tante et tali invenzioni, che forse niun altro principe ne ha di maggiori, delle quali io non solo ne ho molte in effetto, ma posso assicurarmi di esser per trovarne molte ancora alla giornata, secondo le occasioni che si presentassero : oltre che 90 di quelle invenzioni che dependono da la mia professione, potria esser S. A. sicura di non esser per impiegare in alcuna di esse i suoi danari inutilmente, come per avventura altra volta è stato fatto et in grossissime somme, nè anco per lasciarsi uscir delle mani qualunque trovato propostogli da altri, che veramente fusse utile e bello. Io de i secreti particolari, tanto di utile quanto di curiosità et admirazione, ne ho tanta copia, che la sola troppa abbondanza mi nuoce et ha sempre nociuto ; perchè se io ne havessi liauto un solo, P haverei stimato molto, et con quello facendomi innanzi, potrei a presso qualche principe grande bavere incontrata quella ventura, ìoo che sin fiora non ho nè incontrata nè ricercata. Magna longeque admiralnlia apud me habeo: ma non possono servire, o, per dir meglio, essere messe in opera se non da principi, perchè loro fanno et so¬ stengono guerre, fabricano et difendono fortezze, et per loro regii diporti fanno superbissime spese, et non io o gentil’ huomini privati. Le opere che ho da condurre a fine sono principalmente 2 libri De sistemate seu constitutione universi (1) , concetto immenso et pieno di filo¬ sofia, astronomia et geometria : tre libri De nwtu locali w , scienza interamente nuova, non havendo alcun altro, nè antico nè moderno, scoperto alcuno de i moltissimi sintomi ammirandi che io dimostro (•> Cfr. Voi. VII, pag. 3. <*> Gir. Voi. Vili, pag. 11, nota 3, e pag. 190 o scg. 352 7 màuoio ItilO. 1.307] essere ne i movimenti naturali et ne i violenti, onde io la posso ra- no gionevolissimamente chiamare scienza nuova et ritrovata da me sin da i suoi primi principii : tre libri delle mecanicke, due attenenti alle demostrazioni de i principii et fondamenti, et uno do i problemi (1) ; et benché altri habbino scritto questa medesima materia, tutta via quello che ne ò stato scritto sin qui, nò in quantità nò in altro è il quarto ili quello che ne scrivo io. Ilo anco diversi opuscoli di soggetti na¬ turali, come De sono et voce, De visu et colori bus, De maris estu, De composilionc continui, De unimalnm motibus { '\ et altri ancora. Ho anco in pensiero di scrivere alcuni libri attenenti al soldato, formandolo non solamente in idea, ma insegnando con regole molto esquisite 120 tutto quello che si appartiene di sapere et che depende dalle mate¬ matiche £a> , come la cognizione delle castrametazioni, ordinanze, for¬ tificazioni, espugnazioni, levar piante, misurar con la vista, cognizioni attenenti alle artiglierie, usi di varii strumenti, etc. Mi bisogna di più ristampare 1 ’ Uso del mio Compasso Geometrico, dedicato a S. A., non se ne trovando più copio ; il quale strumento è stato talmente abbracciato dal mondo, elio veramente adesso non si fanno altri stru¬ menti di questo genere, et io so che sin bora ne sono stati fabricati alcune migliaia. Io non dirò a V. S. lll. ma quale occupazione mi sia per apportare il seguir di osservare et investigare i periodi esqui- 130 siti de i quattro nuovi pianeti ; materia, quanto più vi penso, tanto più laboriosa, per il non si disseparar mai, se non per brevi inter¬ valli, l’uno dall’altro, et per esser loro et di colore et di grandezza molto simili. Sì che, Ill. mo S., bisogna che i’ pensi al disoccuparmi da quelle occupazioni che possono ritardare i miei studii, et massime da quelle che altri può fare in cambio mio : però la prego a proporre a loro Alt. 6 , et a sè medesima, queste considerazioni, et avvisarmi poi la loro resoluzione. Intanto non voglio restar di dirgli, come circa lo stipendio mi 140 contenterò di quello che lei mi accennò in Pisa, essendo honorato per un servitore di tanto Principe ; et sì come io non soggiungo niente sopra la quantità, così son sicuro che, dovendo io levarmi di qua, la benignità di S. A. non mi mancherebbe di alcuna di quelle < 1 ' Cfr. Voi. Vili, |>Ag. r.64. <*> Cfr. Voi. Vili, pa«. Ó67 568. *•» Cfr. Voi. li, png. (307. [307-308] 7—10 MAGGIO 1610. 353 comodità che si sono usato con altri, bisognosi anco mono di me, et però non ne parlo adesso. Finalmente, quanto al titolo et pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico, che S. A. ci aggiugnesse quello di Filosofo, professando io di bavere studiato più anni in filosofia, che mesi in matematica pura: nella quale qual ino profitto io habbia fatto, et se io possa et deva meritar questo titolo, potrò far vedere a loro Alt.®, qual volta sia di loro piacimento il con¬ cedermi campo di poterne trattare alla presenza loro con i più sti¬ mati in tal facoltà. Ilo scritto lungamente per non haver più a ritornare sopra tal materia con suo nuovo tedio : mi scusi V. S. Ul. ma , perchè, se bene questo a lei, che è consueta a maneggiar negozii gravissimi, parerà frivolissimo et leggiero, a me però è egli il più grave che io possa incontrare, concernendo o la mutazione o la confirmazion di tutto lo stato et V esser mio. Aspetterò sua risposta ; et in tanto, suppli¬ co candola ad inchinarsi humilmente in mio nome a loro A. Ser.°, bacio a V. S. Ill. ma con ogni reverenza le mani, et dal Signore Dio gli prego somma felicità. Di Pad. a , li 7 di Maggio 1G10. Di V. S. Ill. ma Ser. r ® Oblig. mo Galileo Galilei. t 308 *. GIOVANNI KEPLER a GIO. ANTONIO MAG1NI [in Bologna]. Praga, 10 maggio 1(510. Arch. Malvezzi de’ Medici in Bolofi-na. Carteggio
  • , il Padrone et la patria. Da Firenze, a’ 22 di Maggio 1610. Di V. S. 111.™ et molto Eco. 1 ® Sorv. rfl Afi>° 30 S. r Galilei. Belis. 0 Vinta. Fuori: All’111. r ® et molto Ecc. la S. r mio Os.s. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Padova. Si raccomanda alla cortesia del S. r Montauto. 312 **. BELISARIO VINTA a ORSO D’ELCI in Madrid. Firenze, 23 maggio 1610. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 802, cnr. 107.— Di ninno d' un segretario. .... Se un Sig. ro Galileo Galilei, nobil fiorentino, primario Matematico dello Studio di Padova, et che ha ritrovato et osservato iu cielo nuove stelle et l’Ini nominate Medicea Sklera, mandasse a V.S. Ill. ro * alcuno suo dimostrationi et compositioni in stampa sopra tali stelle et pianeti, et anche certi occhiali di sua inventione per rimirarle ot osservarlo più facilmente, affinchè ella le faccia presentare costi o a Sua M. u o a eotesti S. rl let¬ terati, et in particolare al Sig. Contestabile, ella gli accetti et lo favorisca iu essequire la sua volontà, perchè è matematico et filosofo di gran merito et di gran fama, et è anche amicissimo mio, et tutto anche ha a resultare in honoro et gloria del Ser.®° nostro Padrone.... [313] 24 MAGGIO 1610. 357 313. GALILEO GALILEI a [MATTEO CAROSIO in Parigi]. Padova, 24 maggio 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 19. — Copia trascritta quando fu messa insieme la raccolta Pa¬ latina doi Mss. Gnliloiani. Iti capo ad ossa si logge: « A di 15 Fobbraio 1694 ab Itic. no Dal Sig. r Giov. Patta dol Sig. r Agostino Nolli nobil Fior." 0 ». La dotta copia apparisce adunque tratta da altra copia d'un originalo cho ora nel 1694 presso il Nulli. Altra copia, di mano dol soc. XVII, ò nella Biblio¬ teca Nazionale di Parigi (Fonds Du Puys n.° 663, car. 208) e porta la soguonte annotazione : « Dot¬ tora del Galileo ad un modico elio è in Pariggi, chiamato S. r Matthoo Carosio. Havuta in Marsiglia dal S. r Gallanzo de Gallonai 11 ! nrimiuose, ch’era in Corto dol Card. 10 di Gioiosa, all! 26 Aprilo 1611 ». Questa copia ha gravi orrori, cho accusano nell’amanuense poca conoscenza dell’ italiano ; ondo abbiamo proferito attenerci all'altro esemplare, dol quale però abbiamo corrotto qualche orrore che lo vizia, giovandoci della copia Parigina. Si sognano appiè di pagina con Q lo lozioni dolio fonte da noi sognila, dallo quali ci discostiamo, o con P quollo lozioni del codice Parigino, di cui abbiamo croduto oppor¬ tuno toner nota. 111.» Sig. re Mando a V. S. l’Avviso Astronomico domandatomi da lei, acciò possa con suo comodo vederlo. Quello che mi scrive in proposito di quello che dicono i mattematici di costì, mi viene scritto da altre bande ancora, et fu similmente pensiero d’ altri qui circunvicini, ai quali, col fargli io vedere lo strumento et i Pianeti Medicei, ne è ri¬ mossa ogni dubitazione. Il simile potrei fare ancora con i remoti, se potessi abboccarmi con loro. Ben è vero che le loro ragioni di du¬ bitare sono molto frivole e puerili, potendosi persuadere che io sia io tanto insensato, che con lo sperimentare centomila volte in cento¬ mila stelle et altri oggetti il mio strumento, non vi habbia potuto o saputo conoscere quegl’inganni che essi, senza haverlo mai veduto, stimano havervi conosciuto ; o pure che io sia così stolido, che senza necessità alcuna habbia voluto mettere la mia reputazione in com¬ promesso et burlare il mio Principe. L’occhiale è arciveridico, et i Pianeti Medicei sono pianeti, et saranno sempre, come gli altri: hanno i loro moti velocissimi intorno a Giove, sì che il più tardo fa il suo cerchio in 15 giorni incirca. Ho seguitato di osservargli, et séguito ancora, se bene horamai per la vicinanza dei raggi del sole comin- 20 ceranno a non si poter vedere più per qualche mese. X,ett. 313. 6. Medicei, «i è, P — 18. ninnino havermi, G — <*» Gallaxzokk Balanzoni. 24 MAGGIO 1610. 358 [ 313 - 314 ] Questi, che parlano, dovemmo (per fare il giuoco del pari) met¬ tersi come ho fatto io, cioè scrivere, e non commettere le parole al vento. Qua ancora si aspettavano 25 che mi volevano scrivere con¬ tro; ma finalmente sin bora non si è veduto altro che una scrittura del Cheplero, Mattematico Cesareo, in conlirmazione di tutto quello che ho scritto io, senza pur repugnare a un iota: la quale scrittura si ristampa bora in Venezia tn , et in breve V. S. la vedrà, sieome an¬ cora vedrà le mie osservazioni molto più ampliate et con le soluzioni di mille instanze, benché frivolissime ; ma tuttavia bisogna rimuoverle, giacche il mondo è tanto abbondante di poveretti. Non sarò più lungo so con V. S. ; mi conservi la sua grazia et mi comandi. Di Pad. a , li 24 di Maggio 1610. Di V. S. ' Ser. re Aff. mo Galileo Galilei. 314 . MARTINO IIORKY a GIOVANNI KEPLER in Praga. Bologna, 24 maggio 1610. Bibl. Palatina In Vienna. Cod. 10708, car. 70. — Autografa. _Scripsi enim durissimo conti li Nuncium Sidoroum : illa omnia Nuncii lmius pater, me inscio, cura in nostra domo Rononiae pornoctatus est, abstulit. Quia autem multos ainicos hic lrnbet, muto animum, et, secundum Dissortationem tuani doclissimaui, formai» aliam Bequar; et quamprimum illa quae contra Nuncium typis dare voluero deacripaoro, primo tibi ad revidondum mittam. Scio, doceptio mulo veniat: hanc tu, vir doctissime, in Dissertatione, in ultimo argumen- to, p. 31 (*>, invenisti; ego contra cum eiusdem Galilei perspicillo in caelo errorem inveni et probavi. linee tibi, Vir doctiasimo et aeteruum houorande, coucredo; extra limen nihil. Video, omnes Italoa Galileo favore; video, illa quae contra acribo, Magiuum, ut typiB prodcant, impedire. Es beiaat ein Fuchss don andern nicht, undt eia Hundt boldt den 10 andern nicht alni. Aber ich will dem wellisohon Gsellen zuc Padua die 4 noue Plancton in acinein Nuncio’nicht lassen, wensB mir meinen Kopf undt mein Leib undt Leben khosten aollt; deu disa Perspitzill, daaa er goacbmitt hatt, belrioget hic undt droben: bie khan ich cin Liecbt bei der Nacht (irfaoli zeigen; drobou haben wir undt dor Galileus selbsteu, in cinea Edellmanns Ilauss, a» Massimianus Kavrara iS) beiat, Spicnm Virginia mediante hoc perspicillo duplicatam 25 Aprili» nocte soquente Bononiae gesehen. Omnia quae vidi 22. e non conmr.ttere, O ; e non mettere, P — 25. «h conformazione di, (ì — 82. alti 87 di Maggio, P — <*) Cfr. Voi. XIX, I)oc. XIX. Tifone limite, occ. pubblicato ed illustrato da Antonio ( 2 ) Vedi Voi. HI, Par. I, pag. 121-122. Favaro. Bologna, Nicola Zanichelli, 1880, pag. 120- (3) Massimo Capkaua. Cfr. Carteggio inedito di 121. Cfr. anche Voi. Ili, Par. I, pag. 142, liti. 9. 24 — 28 MAGGIO 1610. [ 314 - 317 ] 35 9 in mea Peregrinatone terapua dabit. Nam brevi eo (ubi omnia mea requiescunt, et T). pater tibi forsan aperuit) me couferam, et quicquid vidi in caelo lovis liberius dicam. Hic nil excu- ditur, nisi prina Inquisii or, a N. P. Paulo V eloctua et confinnatus, viderit et probaverit.... Postscriptum. Habeo, vir doctissime, in animo conficiendi, auxiliante Deo, hic in Italia instrumentum cnm quo longanime distaila per 15 miliaria remotus homo colloqui cum altero queat, et maiora visibilia quam cum Galilei rancido perapicillo videro possit. Serviet, auxiliante Deo, in caelo ad observationes melina quam Galilei perspicilluiu ; serviet in tumulLu et atrepitu Bollonae. Iterum vale. 815 *. MARTINO IIORKY a GIOVANNI KEPLER in Praga. iBologna, 26 maggio 1G10J. Bibl. Palatina in Vienna. Cod. 10703. car. 33.— Autografa. _Brevi meam Peregrinationeui cum Nuncio Sidereo finitala tibi ad revideudum mittam.... 316 * GIOVANNI ANTONIO MAG1NI a GIOVANNI KEPLER [in Praga]. Bologna, 2C maggio 1010. Bibl. Palatina in Vienna. Coti. 10708, car. 32. — Autografa. S. P. D. Tua, Vir diarissime, Dissertatio cum Nuncio Sidereo inclusa litteris, 20 die Maii mihi est tradita. Methodus placet: Galilaeo haud gratam futa rara credo, quia ad sua principia ai’gute et arnice revocasti. Quatuor tantum novi Ioviales famuli eliminandi et excutiendi relinquuntur. Vix obtinebit. 24, 25 Aprilis raca in domo sno cum perspicillo pernoctavit, novos lios Ioviales ciroulatores ostendere cupiens; nihil fecit. Nam magis quam 20 viri doctissimi aderant, nomo tarnen planetas novos perfecte vidit.... 317 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze].- Padova, 28 maggio 1610. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 17. — Autografa. 111.® 0 Sig* et Pad. ne Col." 10 Non mi occorro con la presente altro, se non accusar la ricevuta della gratissima di V. S. Ill. raa , per la quale intendo la resoluzione di 360 28 MAGGIO 1610. [317-318] loro A. S. ,ne , et ne starò attendendo l’ultimazione, sicuro che loro Al.*® et V. S. Ill. ma havoranno ogni ragionevole riguardo allo stato che io lascio, et che lasciato non lo posso piti ritrovare. Io sono tanto stanco dal rispondere a tante lettere ohe da tante bande mi sopraggiungono, che son mezo morto : però con sua buona grazia finirò con far humilissima reverenza a loro A. Ztt Ser. me Et a V. S. Ill. raa bacio reverentemente le mani, et dal Signore Dio prego io somma felicità.. Di Pad. a , li 28 di Maggio 1010. Di V. S. Ser. ro Oblig. mo Galileo Galilei. SI 8* ANDREA MINUCCI a GALILEO in Padova. Venezia, 28 maggio 1010. Bibl. Naz. PIr. Mss. Gal., P. I., T. VI, car. 56. — Autografa. 111.™ et. Ecc. mo S. r mio Oss. mo La virtù et il valore di V. S. è tanto predicato nel mondo, elio non si può stimare vivo chi non ne ha notitia: por questo non mi do meraviglia di’anco nella nostra Corte (li Baviera sia anvato ’l suo nomo, et coni’ ella haveria oc¬ casione non solo di meravigliarsi ma di scandelizarsi, s’io non V honorassi et stimassi. Ma perchè bramo con fatti, più che con parole, comprobare questa ve¬ rità, io ne starò attendendo l’occasione; et tra tanto invierò quanto prima la casseta al S. r Merraanni, amico mio singolarissimo et suggeto amabilissimo, come V. S. dove sapere. Alla quale bacio per line la mano. Di Vin.°, il dì 28 Maggio 1610. io Di V. S. 111.'® et Ecc. ma Affett."' 0 et Sor. S. r Galileo Galilei. And. Minutio. Fuori (Valtra mano: AH’IH.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss." 10 Il Sig. r Gallilleo Gallillei. Padova. [ 319 - 320 ] 28 - 29 MAGGIO 1610 . 861 319 *. GIORGIO FUGGER a GIOVANNI KEPLER in Praga. Venezia, 28 maggio 1(510. Bibl. Palatina in Vienna. Mss. 10708, car. 40. — Autografa. Doctissime ac Prestantissime Domine Keplero, Ad proximas quod respondeam non habeo, prueterquam quod disertai» sane Disser- tationem in Galilaei Nuncium perlegi, ex quo is, si vult, larvai» sibi det,metani facile de- prehendet. Ad perspicillnui quod attinet, eiusiuodi, S. Caos. Maiestati mox trausmittendum, suniuia diligentia confici curavi.... 320 * ANDREA LABIA a GALILEO in Padova. Roma, 29 maggio 1610. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B. n LXXVIU, n.° 61. — Autografa. Molto 111." Sig. ro Oss. ,no La fama dello stromento di perspettiva trovato da V. S. ò arrivata tanto oltre, che ha di sè invaghiti molti prencipi, et tra gli altri 1’ Ill.‘ n ® Sig. Card. 6 Borghese, il quale, se per altra occasione conoscesse V. S., le ne liarebbe volen¬ tieri scritto. Sappia dunque, esserle tanto caro tale stromento, che se da lei le capita nelle mani, come glie potrà, haver dato cenno il Sig. r Benzio, non solo le riscriverà, in ringratiamento, ma anco conoscerà, quanto ciò le potrà essere gio¬ vevole ; onde la prego quanto posso a dar gusto a sì fatto prencipe, chè, oltre la sua sodisfattione, le resterò obligato in perpetuo. Et le bacio le mani. io Di Roma, li 29 di Maggio 1610. Di V. S. molto Ul. r ® Aff. mo S. ro And. a Labia. Fuori, Tommaro Minooni. <•' Ottavio Panfili. 31 MAGGIO — 4 GIUGNO 1610. 367 1 . 324 - 325 ] tardissimo, perchè ho mutato d’ alloggiamento, non saputo da nessuno so non hoggi. Io son diventato castellano di Cesare, ciò è sto in Castello da un amico. Iio ricevuta singolarissima gratia da V. S. del favore fattomi in fare rive¬ renza a quelli S. ri Padri Maestri Tavolo et Fulgentio, a’ quali resto di scrivere per scarsità di tempo. Tuttavia voglio pregare V. S. ad avvisare Maestro Pavolo di <• non fidarsi di continuare la prattica di scrivfere] a uno di Parigi (l) , quale mostra le sue lettere ad altri, i quali mi hanno dotto particolari scritti da S. R. che sono sfor- 70 zato a crederlo. Ma no scriverò con le prime a S. Reverenza; et intenderò me¬ glio anco li particolari dall’ amico, quale è un barone todesco venuto di fresco di Parigi, che fa professione di gran politico, senza dichiararsi di che religione egli si sia: ma havendo havuto io seco amicitia in altri luoghi, so quanto pesa, et ne darò minuto raguaglio al Padre Maestro con le prime. Intanto la supplico di favorirmi di rendere a questi RR. di Padri centuplicati saluti. Di Praga, all’ ultimo di Maggio 1610. Di V. Ecc. za Serv.™ Aff. n, ° Martino Hasdale. Fuori: Al molto Tll. ro et Eoe."' 0 S. r mio Oss. n, ° so 11 S. r Galileo Galilei, Matematico in Padova. 825*. FRANCESCO MARIA DEI, MONTE a GAI,ILEO in Padova. Roma, 4 (bugno 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 29. — Autografa Iti sottoscrizione. III. Sigi¬ llo ricevuta la lettera di V. S., che mi è stata gratissima per le cose che mi scrive dell’ occhialo ; e particolarmente mi è piacciuto intendere quello ch’ella va pensando di fare del cristallo di rocca, perciochè spero che mediante la dot¬ trina et ingegno di V. S. si possano trovare altre cose mirabili, sì come ella ne ha trovate fin hora : et s’ella me ne farà partecipe, io le ne restarò con molta obligatione. In Roma si lavorano i cristalli di rocca con arte e facilità mirabile : però 'se in questo particolare io posso fare servitio alcuno a V. S., lo farò molto volentieri. io Quel gentil’ huomo fiorentino che ha domandato a V. S. un occhiale, io credo, per dire il vero, che V habbi chiesto a instanza del Cardinal Cappone: ma non Giacomo Badovkre. 368 4 — 5 GIUGNO 1610. [825-326] lo sapendo io, e desiderando intendere il desiderio del Cardinale Borghese, mo¬ strai a 8. S. lll. ma Ih lettera di V. S. ; la quale vide con molto gusto, e mi fece grande instanza eh’ io scrivessi a V. S. che gli sarebbe carissimo bavere uno de’ suoi occhiali, et me lo replicò più volto. Però se V. S. glielo manda, credo che gli farà, gran piacere. E con questo per line la saluto. Di Roma, li 4 di Giugno 1610. Di V. S. 111. Come fratello, S. or Galileo Galilei. 11 Card. 10 dal Monte. Fuori: All’111. Sig. or 20 11 Sig. 01, Galileo Galilei. Padoa. 326 . VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova. Firenze, 5 giugno 1610. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 69. — Autografi la sottoscrizione o V indirizzo interno. Molto 111." et Ecc. l ° Sig. r mio, Delli 7 et 28 di Maggio mi trovo sua a far risposta. Per la prima mi dice che mi mandava tre fila di catone, et elio dando negli zalli corse risico di per¬ derle, ma non seguì, mediante l’amicizia che liaveva et l’essere sopra gl’ori gen- tilhomini molto amorevoli inverso la sua persona; et mi diceva che il giovedì vegnente l’harebbe consegnate al procaccio di Venezia, perchè me le rendessi in mia mano, il che per ancora non ò seguito. Per avviso le sia. Sì bene por la sua de’ 28 m* è stato reso una scatoletta con una verghetta d’ oro al peso di once sette et mezzo, acciochò io gliene faccia una medaglia del Sor. mo nostro Gran Duca, con il rovescio delle stelle trovate da lei, et nel modo che Tordi- io nasti al Ligozzi (l) per far l’impresa nell’anticamera. Ma il Ligozzi, che ha di molte faccende, ancora ci ha da dare l’impresa che se gl’ordinò; et il Gran Duca mi disse che non voleva che si facessi se prima non era bene giustificata dalle ri¬ sposte delle lettere che havevi scritto: et io risposi che già n’havevi ricevuto, et che approvavano quanto diceva, e che sarebbono messe alla stampa. Credo che come sarà messo su quella che ha fatto il Ligozzi, si farà ancora nelle me¬ daglie d’oro: et all’bora mi ricorderò di servire a V. S. Et intanto, perchè la sappia ogni cosa, io ho havuto la parola da S. A. che il soprapiù dell’ordine che m’ haveva dato quanto alla collana per V. S. Ecc. ma , sia a V. S. da me ben data. in Iacopo Ligozzi. 5 GIUGNO 1G10. 369 [326-327] 20 M’è parso dargliene notizia, perchè la cognosca quanto il Ser. mo Padrone l’ama, et cognosca che aneli’ io desidero di servirla. Et baciandoli le mani, le prego dal Signore Iddio il colmo delli sua desiderii. Di Fior.* 1 , li 5 di Giugno 1610. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. 10 Àff. mo por ser. ,la Al S. r Galileo Galilei. Vino.® Giugni. Fuori: Al molto lll. ro et Ecc. 10 S. r mio Oss.'"° Il S. r Galileo Galilei in Padova. 327 . BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Firenze, 5 giugno 1610. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 57. — Autografa la sottoscrizione. 111. 10 et molto Ecc. 1 ® Sig. r mio Oss. mo Hanno queste AA. deliberato di dar titolo a V. S. di Matematico primario dello Studio di Pisa et di Filosofo del Ser. rao Gran Duca, senz’ obligo di leggere et di risedere nè nello Studio nè nella città di Pisa, et con lo stipendio di mille scudi l’anno, moneta fiorentina, et con esser per darle ogni commodità di segui¬ tare i suoi studii et di finir le sue compositioni ; et sì come vivendo appresso all’AA. loro et con esso loro conversando, conosceranno et proveranno sempre pili la sua valorosissima et eminentissima virtù in tanti et tanti conti, così ac¬ cresceranno al suo merito amore et stima, et alla sua persona favori, honori et io gratie. Et se V. S. si contenti di questo, bisogna' che la me lo specifichi bene bene con sue lettere, con farsene poi in nome di lei la supplica, et da S. A. il decreto et rescritto, et la publicatione quando vorrà la S. V.: et intanto si terrà più segreto che sarà possibile. Et non havendo potuto questo giorno faro il mandato de i 200 scudi, che S. A. le dona per le spese intorno a gli occhiali et stampa d’altra sua compositione sopra i ritrovati pianeti, si farà domani o pos¬ domani: et questi faccia conto d’haverli in borsa. Et le bacio le mani. Di Firenze, li 5 di Giugno 1610. Di V. S. Ill. ro et molto Ecc. 10 Serv. re Afl>° S. r Galileo Galilei. Belisario Vinta. 20 Fuori: AH’Ill. r6 et molto Ecc. 1 ® Sig. re mio Oss. n, ° Il Sig. r ® Galileo Galilei. Venetia per Padova. IiOtt. 327. 7 -8. tempre pii, è aggiunto tra lo lineo, di mano dol Vinta. — X. 47 370 7 GIUGNO 1010. [3281 328 . MARTINO HASDALE iv GALILEO in Padova. Praga, 7 giugno 1010. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 1»5. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r P.rone Osa." 10 Non lio voluto mancare di scrivere queste 4 righe a V.S. per farle sapere che ho trattato più di una volta con quel Zugmesser, Matematico di Colonia, che si tiene essere stato calonniato da V. S. contro ogni ragione in quel libro ch’ella scrisse contro i Capri. Fra le altre cose dice che V. S., in presenza del S. r Cornaro (,) , confessò che lo stromento di lui fosse migliore del suo; Clie egli non ha mai visto Tichone Bralie, et V.S. mette ch’egli l’havesse li avuto da lui ; Che V.S. lo chiama Fiamengo, essendo Tedesco da Spira; Che V.S. mostra di non haverlo conosciuto se non per sentire dire, Che nello stromento di V. S. ci era un mancamento, che non era nel suo. Io vorrei, se fosse possibile, di riconcigliare V. S. con questo huomo, se possibile fosse, perchè ha pensiero di scrivere contro di lei et di esserle ne¬ mico mortale. Però V. S. in’ accenni la sua volontà, et quello olla vuole che io faccia. Con le ultime dell’ Ill. mo S. r Cardinale Capponi, ho che li matematici di Roma et Toscana restavano capaci della inventione di V. S. ; il clic ho voluto mostrare al Kepplero per sua consolatione, et al Zugmesser per sua confusione. Raccomando l’inclusa a V. S. Di Praga, alli 7 di Giugno 1610. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na Serv.™ AIT.' n0 Martino Ilasdale. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Gallilei, Matem. co di Padova. n» Giacomo Ai.visk Cornako. Cfr. Voi. li, pag. Mó-SM. [320-381] 8—16 GIUGNO 1610. 371 329 *. GIO. BATTISTA MANSO a GALILEO fin Padova]. • Napoli, 8 giugno 1610. ' f , Blbl. Est. la Moderni. Raccolta Cam pori. Autografi, li.* l.XXIX, n.° 110. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ Ill. ro Sig. r0 mio, Poteva la fortuna ritardar le mio lettere a capitar nello mani di V. S., ina non già ritener lei da’ favori che m’ ha fatti con questa sua. Era affettionatis- simo alla sua dottrina, al suo valore, alla sua virtù; bora sono obligatissiino alla sua cortesia, alla sua amorevolezza et al conto che fa dell’ osservanza eli’ io le tengo. Vorrei esser cosi buono a servirla come sono affettuoso nel riverirla et ardente nel predicarla ; ma questo favore anche spetto da V. S. per mezzo de’ suoi comandamenti, e dalla fortuna con porgermene occasione. Il suo Aviso Astronomico è stato con sommo desiderio spettato da tutta questa io città. Sin bora non ve n’ ò capitato alcuno : credo che sieno ritenuti per istrada ; ma io n’ho procurato uno per ogni via, e spero havcrlo o da Roma (se ve ne sono rimasti) o da Venetia. Fra questo mentre, restarò raccommandandomi vivo alla cortesia di V. S., a cui priego da M. S. ogni felicità. Di Napoli, il dì vili di Giugno 1610. Di V. S. molt’ Ill. ro Ser.™ Aff. mo Giovani).' 1 Manso. Fuori: Al molt’ 111.™ S. r mio Il S. r Galileo Galilei. 330 *. MARTINO IIORKY ai DOTTORI DI FILOSOFIA E DI MEDICINA dell’ Università di Bologna. Bologna, 15 giugno 1610. Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 181. 331 *. ORAZIO DEL MONTE a GALILEO in Padova. • . Crema, 10 giugno 1010. Blbl. Naz, EIr. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 186. — Autografa. Ul. ro et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,no V. S. Ecc. ,,m dà frequente dimostrattioni al mondo della vivacità et felicità del suo bellissimo intelletto, et poi non lascia occasione di darle a me della singoiar 372 10 — 18 GIUGNO 1010. [ 331 - 332 ] sua cortesia ; onde troppo dimoio fanno seco tant’ oblighi miei, et quanto vaglio, li rendo gratie del suo Aviso Astronomico. L’inventione del’occhiale è cosa ve¬ ramente di grandissimo gusto, nò mi posso persuadere che Olandesi, o altri in¬ gegni barbari, vi siano a parte. Ma questa, d’ haver scoperto quattro pianeti di più, è cosa maravigliosa, et simile allo scoprimento d’un mondo novo; et V. S. Ecc.™* potrà con molta raggione gareggiar di gloria con il Colombo, non che avantaggiaro il Montereggio : et io, che professo portarle particolare affetto, godo io in estremo che il suo nome cresca con il suo molto merito. Aspettatilo qual cosa sopra l’istroiuento suo geometrico, porchò nelli libretti V. S. Ecc. ma promette un giorno far vedere cose di più. Io mi ritrovo in essere alcune opere di mio padre b. m., che le vorrei dar fuori; ma li stampatori di Venetia ini hanno tradito troppo con le scorrettioni ne’ Problemi Astronomici l,) . Se fosse possibile cho in Padova io fossi servito di buon correttore, io le darei fuori volentieri, perchè son consigliato et importunato farlo, et le opore son curioso: La Coclea che inalza 1* aqua, divisa in 4 libri (s) ; Opuscoli : In Quintnm; De motu terrac; De horologiis; De raditi in aqua refractis; In nono (?) opere (?) Scoti ; De proportione composita, et la fabrica di alcuni istro- 20 menti ritrovati da lui, delle quali tutte cose vi sono le ligure intagliate ts) . Io prego V. S. Ecc. ma avisarmi come potrei fare. E per non tediarla più, le bacio le mani. Di Crema, li 16 Giugno 1610. ■ Di V. S. Ill. ro et Ecc. ,na Afi>° Ser. di core S. r D. Galileo. Pad.* Oratio del Monto. Fuori d'altra mano: All’Tll. ro et Ecc. mo Sig. r mio ()ss. n, ° Il Sig. r D. Galileo Galilei, Mattoni. 00 nello Studio di Padova. 332 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze! Padova, 18 pillano 1C>10. Bibl. Naz. Fir. Msb. Gal., P. VI, T. V, car. 38. — Autografa. Ill. mo Sig. re et Pad . 110 Col .™ 0 La lettera Immanissima di V. S. Ill. ma , scrittami ultimamente, non mi fu resa qui in Padova se non il sabato prossimo passato, sì cho Lett. 331. 19. Da horologiis rndiia in fiqua — O) GuiDiURAi.ni k Maroiiionirus Moxtis Pro • MDCVIIII. hlematum anronomieorum libri soptoin. Vonotiis, apuli <*i Cfr. n.* 51, lin. 10. Bornardum Iuutaui, Io. Baptistaiu Ciottuni et socios, Tutto questo opero rimnsoro inadito. 18 GIUGNO 1010. 373 [332] era trascorso di un giorno il tempo di potergli dar risposta. Havendo bora intesa la determinazione di loro Al.* 0 Ser. me et ricercandomi lei sopra ciò l’ultima mia et specificata deliberazione, gli dico che a quanto loro A. 26 Ser. me hanno stabilito, sì circa lo stipendio come circa il titolo, niente o poco sono per domandare che si alteri, come quello che altro mai non ho desiderato che l’intera satisfazione di loro A.*° Ser. ,ne : io et questo poco si ristringe a stabilire et specificare, la mia condotta essere durante la vita mia, sì come in vita ero condotto qua, se co¬ minciavo il servizio al prossimo Ottobre venturo; e circa il titolo, piacendo a loro Alt. 0 Ser. mo di nominarmi Matematico primario dello Studio di Pisa, desidero che pur tuttavia mi resti il titolo non solo di Filosofo del Ser. mo G. I)., ma di Matematico ancora. Et sopra que¬ sto mi fermo, et di tanto ne do certa et resoluta parola a V. S. IH. mu , acciò possa ultimare et effettuare quello che resta: il che stimo che sarà bene che segua quanto prima, perchè havendomi il Ser. mo G. D. comandato che io fusai costà questa state, io potessi liberarmi di qua 20 con ogni prestezza e trasferirmi a Firenze, senza haver più bisogno di ritornar qua di nuovo. Circa poi il ristampare il libro intorno a i Pianeti Medicei, giu¬ dico che sia bene aspettare il ritorno di Giove fuori de i raggi del sole, per poterlo osservare ancora mattutino, et por nell’ opera molte osservazioni fatte in questa costituzione, oltre a quelle che ho fatte di più mentre è stato vespertino, il quale ho potuto vedere benis¬ simo, insieme con i suoi pianeti aderenti, sino a 3 settimane fa (1) . 11 tempo di poterlo ricominciare a vedere orientale mattutino sarà tra meno di 2 mesi (2) , et si vedrà comodamente 2 hore avanti giorno : so et tra tanto andrò seguitando le mirabilissime osservazioni et descri¬ zioni della luna, la qual vista avanza tutte le meraviglie, et massime bora che ho perfezionato maggiormente l’occhiale, sì che scuopro in essa bellissimi particolari. Questo istesso tempo mi basterà ancora per ampliare il trattato, nel quale voglio inserire tutti i dubbi et tutte le difficilità statemi promosse, insieme con le loro risposte et soluzioni, acciò che il tutto resti indubitatissimo, sì come in effetto è non solamente vero, < 1 ' Ciofì fino al 21 maggio. Cfr. Mas. Gal., Par. IV, <21 Ricominciò a vederli addì 26 luglio. Cfr. Mas. T. VI, car. 19‘r. Gal., Par. IH, T. IV, car. 73t. 374 18 GIUGNO 1G10. [ 332 ] ma più di quello che ho detto e scritto. Non voglio restar di far sapere a loro Al/ 0 Ser.' ne , come ho con diligenza osservato più volte intorno a Marte et a Saturno, vedendosi ambedue la mattina avanti 4o giorno, et in effetto non veggo che habbino altri pianeti loro assistenti ; cosa che mi è di sommo contento, poi che possiamo sperare di dovere esser noi soli, et non altri, stati graziati da Dio di quest’ honore. Se loro Al.*®'Ser. mo haveranno fatto ordinare in Venezia che mi siano contati li V di 200, che mi scrive V. S. 1U. mn ' 11 , verranno opor- tuni o per la spesa della stampa, se mi tratterrò qua tanto, o per la condotta mia et delle mie robe et per parte di risarcimento del danno che sentirò nel disfar casa qua et rifarla in Firenze, il quale non sarà leggiero; et in questo caso io stesso poi farò la spesa in¬ tera della stampa. 00 Restami finalmente di significare a loro A . ztì Ser. rao , come per ri¬ durmi in perfetto stato di quiete di mento mi bisogneria liberarmi da alcuni oblighi che ho, et in particolare con 2 miei cognati 2l , per il resto di dote che (loveria per sua parte pagar loro mio fratello, havendo io sborsata la parte mia et assai più; ma perchè mi trovo obligato por lui, et osso non si trova in facoltà di poter satisfare al suo debito (:,) , ò forza che sottentri io per lui. Però mi sono promosso tanto della benignità di loro Alt/ Ser. mo , che quella comodità che ad altri molte volte hanno fatta, et io più volte ho ricevuta qua da questi Signori t4) , mi deva, supplicandonele io, esser conceduta : et «o questa ò l’imprestito dello stipendio di 2 anni, per doverlo scontare ne i prossimi quattro venturi ; et ciò domando io per grazia spe¬ cifica dalla loro infinita cortesia, dalla quale sola intendo di ricono¬ scerla et non da altra condizione, havendo io, come da principio ho scritto, fermo proponimento di non mutare articolo alcuno essenziale di quelli che dalla assoluta deliberazione di loro Alt. 0 mi sono stati proposti. Altro più non soggiungo in questa materia, ma starò attendendo da V. S. IU. ma quanto prima lo stabilimento et effettuazione del ne¬ gozio, per venirmene poi subito a servire et reverire presenzialmente 70 i miei Ser. mi Signori et Padroni naturali. A i quali intanto reverente <‘> Cfr. n> 327. < s > Cfr. Voi. NIX, Hoc. XV. < 3 > Cfr. il.» 174. <*• Cfr. Voi. XIX, Doc. XI. 18 — 22 GIUGNO 1610. 875 [332-8341 m’inchino, et a V. S. Ill. ma con ogni spirito bacio le mani, pregan¬ dogli dal Signore Dio il compimento di ogni suo desiderio. Di Pad. a , li 18 di Giugno 1610. Di V. S. IH.™ Ser. re Oblig. ,no Galileo Galilei. 333 **. ANDREA LABIA a GALILEO in Padova. Roma, 19 giugno 1610. AutoRTafotcca Morrison in Londra. — Autografa. Molto lll. re Sig; r Oss. mo L’occhiale di V. S. è stato presentato al personaggio destinato 0) , se bene con mancamento di uno de’ vetri necessarii : non so donde possa nascerne il diletto : tutta via è stato gratissimo, et per lettere ella se ne a vedrà. Fra tanto io ho participato del favore da Y. S., et insieme sono avvinto dall’obligo che da esso per mio conto ne dipende. Del quale pregandola a tener memoria, impiegandomi dove le parrà, le bacio di tutto cuore le mani, et infinitamente la ringrazio. Di Roma, li 19 di Giugnio 16T0. Di V. S. molto HI.** ÀfT. ,no Ser. re io S. r Galileo. And. a Labi a. Fuori : Al molto 111.™ Sig. r Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Padova. GIOVANNI ANTONIO ROFFENI a GALILEO in Padova. Bologna, 22 giugno 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 138. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 S.™ mio, Arrivai a Bologna giovedì, per Iddio gratia, sano: fui. come è solito mio, con il Sig.™ Magino, al quale feci le raccommandazioni sue, et le fumo gratissime. Gli addimandai di Mess. Martino todesco, suo servitore, perchè volevo ve¬ derlo; ma lui mi rispose che era andato a vedere la città di Modena, che tanto Lett. 334. 8. a quale — <»> Cfr. un.' 320 e 340. 376 22 GIUGNO 1610. [334] desiderava vedere, con alcuni suoi amici. Ma il giorno seguente certi gentil huo- mini Modonesi, amici del Sig. r8 Magino et miei intrinseci, scrissero ad esso che in Modena si ritrovava il suo servitore, quale faceva stampare una opera contra il Sig. ro Galileo, et che V istesso gli lo haveva detto, et 1* istesso scrissero ancora a me: il che inteso, tanto fu il sdegno che prese il detto et io insieme, stante io già li molti protesti fateli et parole mille volto dette a questo furfante, che usceti di casa et subito spinsi A. 0 , mio servitore, a Modena con lettere calde a certi miei, che cercassero di impedire simile negotio. Et il giorno seguente ar¬ rivò Martino, quale, prima che il Sig. ro Magino lo vedesse, lo vidi io, et li dissi, elio stante li termini usati et il mal procedere suo con amico mio carissimo come lei, et del S. ro Magino ancora, haveva commosso una indignità gravissima, ma che no portarebbo la penna, se non cercasse modo di retratare questa, conio mi referirno, maledica scrittura, et che il suo padrone era molto incolerito. Lui mi negò ; ma arrivato a casa, subito la mattina il Sig. ro Magino lo chiamò, et li foco molte brusche parole, dicendoli che se li levasse di casa, poi che non voleva 20 apresso di sè homini, che essendo sui servitori, ardissero obstare contra amici suoi, e tanto più quanto che gli lo haveva detto lui et io mille volte ; et lo cacciò fuori di casa. Dove andasse non lo so, ma lo saprò ; et il Sig.™ Ma[..„] mi riferse, che domenica sera l’incontrò nella strada di Modena, tutto mal andato 0 disperato. Determinai volerne dare conto a V. S. Ecc. n,n , acciò sappi quanto passa circa simil negotio, et insieme conosca quanto conto tenga di lei in simile oc¬ casione; assicurandola che se per sorte costui fosse tanto ostinato, come essere sogliono li Tedeschi, che volesse pure stampare questa sua opera, non ò però mai seguito con consentimento di alcuno di noi, ma ben sempre bavere bravato seco et straziatoli mille scartafazi, et in oltre saremo por fare ogni sforzo pos- so sibile acciò non habbia l’intento suo ; chè, per Dio vero, il Sig. ro Magino et io ne sentiamo dolore interno. Ma al sicuro 1* habbimno fugato in modo, che a quest’ hora forsi ne sarà pentito, perchè li resta troncato mille dissegni. Et ad altro spatio forsi scriveròli molto più distintamente, chè fra tanto intenderò il successo del tutto. Resta solo che mi conservi nella buona gratin sua, et favori¬ scami de’ suoi commandi, che con straordinaria prontezza li mostrarò quanto desideri servirli effettualmente. E li buccio con ogni alletto le honorate mani. Di Bolog. 11 , il dì 22 Giugno 1610. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc."' a Sc. ro di cuore Gio. Ant.° Roffeni. *o Fuori : Al molto Ill. ro et Ecc. mo S. re 0 P.rono mio Oss. mo Il Sig.™ Galileo Galilei, Eminentiss.'" 0 Lettore di Math a nello Studio di franca per Venetia. Padoa. 14 . el li dime — [335-337] 22 — 24 GIUGNO 1610. 377 335 . [GIO. ANTONIO MAGINI ad ANTONIO SANTINI in Venezia], [Bologna, 22 giugno 1610]. Bibl. Naz. Fir. Mas. (Ini., P. VI, T. XIV, car. Al. — Copia di mauo di Antonio Santini, da lui inviata a Galileo con lotterà do’24 giugno (cfr. n.» 887, lin. 18). Faccio poi sapere a V. S., che sono stato astretto levarmi di casa quel Mesa. 1 ' Martino Uorki tedesco; e questo perchè ogli è stato tanto incivile et inconsiderato, di andare a Modona a fare stampare quella scrittura che egli liavea fatto contra il S. r0 Galilei, con tutto elio io li protestassi in sul saldo eh’ io non intendevo che facesse questa cosa mentre stava in casa mia: ansi, havendolo inteso io domenica sera, lo licentiai in modo, ch’io non volsi elio ci stesse la sera. E perchè li dissi che volevo io stesso correggiero questa sua imprudenza, et impedirli la stampa di quel libro con scrivere a Modona ad amici, si risolse quasi subbito di tornare a Modona per prender la dotta scrittura. Iluverò caro che V. S. facci sapere questo successo al detto Sig. r Galilei, acciò egli io prenda quella resolutiono che li piacerà: e la resposta a costui sarebbe di farlo bastonare, muovendosi a tal impresa più per bestialità che per altro. Et io le ho detto che la licentia datoli non è per lui solo, ma por tutti i Tedeschi, che sono inimici di noi altri Italiani. 336 ** OTTAVIANO LOTTI a BELISARIO VINTA in Firenze. Londra, 28 giugno 1610. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea -1189. — Autografa. .... Se il S. r Galileo Galilei manderà qua et imporrà a me cosa veruna, io haverò quella cura di sodisfarlo et servirlo, che prima mi comanda il cenno datomene da V. S. Ill." ,a con l’ultima sua do’22 di Maggio passato, et che richiede poi opera si degna, che certo doverà portar gusto grande alla Maestà di questo Re... . (,J 337 . ANTONIO SANTINI a GALILEO in Padova. Venezia, 24 giugno 1610. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 140. — Autografa. Molto 111.” et Ecc." 10 Sig. r mio Oss. ,no Havevo sentito che V. S. havea risoluto di tornare a Firenze, e stavo in speransa dovesse passar per qua per baciarli le mani, essendo stato impedito a Lett. 337. 3. baciali — (*> Cfr. il.» 811. X. 48 378 24 GIUGNO 1610 . [ 837 - 388 ] me il trasferirmi a Padova per qualche occup&tione ; et acciò V. S. non partisse a dirittura scusa elio potessi salutarla, lo farò con questi dui versi. E quello che maggiormente mi premeva trattar seco, liavevo carico di farle testimonio, che quella voce si era sparsa fosse scritto centra il suo Sidereo Nuncio, o clic il S. ro Gio. Antonio Magini ne fosso consapevole, o vero autore, era del tutto vanità. Bene un certo Martino tedesco, che esso teneva in casa per scri¬ vere, si era incapricciato in ciò; et essendo venuto a sua notitia, lo liaveva acre- io mente ripreso della sua presuntionc, per non dire pazzia: e quando pensava che si fusse distolto da questo humore, con lettere che ricevo in questo punto do’ 22, mi scrive il contenuto dell’ incluso capitolo 05 ; et se essa haverà occasione di esser per qua, no le farò vedere l’originale. E creda che il S. 1- " Magini ò molto inve¬ lenito contra questo huomo, perché non ostante che confessi che la materia ò di fatto, li dispiace che, con mille spropositi che doverà dire, possa sapersi, questo tale esser stato in casa sua, per la profettione che tiene esso dell’otti ma conrispon- den/.a con V'. S. E più oltre anello a bocca ini allargherei con seco, clic per brevità non segue: et io per me stimo che V. S. non haverà nessuna fatica a respondere ad uno ingnoranto simile, che da per sè gli suoi argumenti li faranno contra. 20 Non ho volsuto mancare di darli questo aviso, stimolato anche dal S. r, ‘ Magini; dal quale fu approvato il testimonio mio della vista de’ pianeti, poi elio osso da impedimenti naturali stenterà a poter ricevere aiuto suiiciente con l’instruincnto. Io lo vivo poi il solito affezionatissimo servitore, et aspetto occasione, per non esserli del tutto inutile, di ricevere qualcho suo comandamento : et le b. le m. Di Venetia, adì 24 Giugno 1610. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ,nft Scr. ro A(F." 10 Antonio Santini. Fuori: Al molto 111.”* et Ecc. mo Sig. r mio ()ss. n, ° Il S. r " Galileo Galilei, in ao Padova. 338 **. GIO. ANTONIO MAGINI a [ANTONIO SANTINI]. [Giugno 1810|. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, c&r. 88. — Copia di mano di Antonio Santini, da lui inviato a Gai.ii.ro con lotterà do' 10 luglio (cfr. n.° 35fi, lin.fi). In capo al foglio kì leggo, som prò della mano del Santini: » Copia d’un capitolo d'una lettera dol S. f0 Magini di Bologna », o a tergo, di inailo di Galileo : « copia. S. Magmi ». Ho riceuto il vetro che V. S. mi ha mandato, che mi è stato oltre modo caro, come quello che s’ft benissimo accompagnato con l’altro; o ne rendo molto gratie alla sua in¬ in Cfr. n.<> 835. 25 GIUGNO 1(510. 379 1338-339] fluita cortesia, avi Bandoli che ho limito incredibil satisl'attione dell cannone ultimo, che l’ho sperimentato nella luna, e veduto benissimo quelle macchie con la medesma distintione tutte le sere che le ho osservate: et a me appaiano come goccio d’oglio nella superficie dell’acqua; et. ho scoperto 1’ eminenza della luna benissimo, parendomi che sia come un bullone di nove non ben formato, ma alla grossa, che fa poi qualche oscurità in certi luoghi e inequalità. Ilo provato a mettere insieme duo vetri concavi da una parte, uno sopra l’altro, e vengano le cose grandemente accresciute, ma però confuse ; e però io credo che 10 se i vetri fossero grossi e concavi da ambi due le parti, farebbe meglio. In proposito del S. r0 Galilei, dico che io cercarò i[n] ogni modo di sgannare il mondo, oho io non ho parte nella coglionarla che ha fatto quel mio Tedesco; e già si sa publi- camente per tulio Bologna, e lo farò non manco per sincerare col detto S. r0 Galilei, quanto anche per proprio mio interesse, che mi vergognerei d’bavero acconsentito a ragione così frivolo et insulse, che porta costui. Io non sono stato buono di cavare una di quelle scrit¬ ture di sua mano, se bone ho adoperato alcuni buoni mesi* 1 ’, perche egli s’è impaurito e teme a darla fuori por le rainaccie eli’ io le ho fatto : anzi, si ò egli lasciato intendere clic 1* haverebbe trattenute a fatto, quando li fossero stato pagate le suoi spese ; ma poi si è inviato a Milano fin 4 giorni, clic si ridurrà in casa del Capra, già nemico del S. ro Galilei : 20 ma sarà in luogo che se gli potrà far qualche scherso finalmente, quando bavero qualche resposta dal S. re Keplero, ma in nome suo proprio. Et ultimamente ricevè una lettera che non mi volse mostrare. Costui mi ha smarrito il foglio b del Nuncio Sidereo : se lo potessi bavero, mi sarebbe cosa gratissima, etc. 339 . GALILEO a [VINCENZO GIUGNI in Firenze]. Padova, 25 giugno 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 40. — Autografa. Ill. mo Sig. re et Pad. ne Col. mo Ho inteso per la cortesissima di V. S. Ill. ma delli 5 stante, resami solamente li 19, la ricevuta della verghetta di oro ; et quanto alle 3 fila di collana, che havevo scritto di esser per mandargli, mi ri¬ solvei in quel cambio mandar la verglietta al peso giusto di un filo della collana, che V. S. Ill. ma mi diede sopra più di quello che era l’ordine del S. G. D. Ma hora che, per favore di V. S. et grazia della benignità di S. A., questo sopra più ini vien lasciato, mi sarà gratis¬ simo che ella mi favorisca di far tirare la detta verghetta in un filo io di catena, che accompagni li altri, et alla mia venuta a Firenze ve Lett. 338. 11-12. sgannare il modo che — 13-14. Galilei, quando anche — O) Intondi meni. 380 25 GIUGNO 1010. l’aggi ugnerò ; ot essendo questo nuovo dono di S. A. aggiunto all’al¬ tro mandato, nel quale si conteneva una medaglia, questa, per non abusare la liberalità di quell*A. 5 *, riceverò quando sia fatto il conio con i Pianeti Medicei. In proposito de i quali, mi par di dover dire a V. S. Hl. ma , già che lei mi scrive che S. A. va riservata in metter¬ gli nella sua anticamera (1) o in altri luoghi, che l’andar circuspetto è atto degno della prudenza di ogni savio principe, et perciò lauda¬ bilissimo: tutta via mi farà grazia soggiugnergli, che quello che ha scoperti i nuovi pianeti è Galileo Galilei, suo fedelissimo vassallo, al quale bastava, per accertarsi della verità di questo fatto, l’osserva- 20 zione di 3 sere solamente, non che di cinque mesi, come ho fatto continuatamente, et che lasci ogni titubazione o ombra di dubbio, perchè allora resteranno questi di esser veri pianeti, quando il sole non sarà più sole; et si assicuri S. A. S. ma , che tutti i romori nascano dalla sola malignità et invidia, la quale sì come io provo contro di me grandissima, così non creda S. A. S. in questa materia di andarne esente; et io so quel che mi dico. Ma gl’invidiosi et ignoranti ta¬ ceranno a lor dispetto, perchè I10 trovato il modo di serrargli la bocca; ancor che assai chiaro argomento è che loro non parlano sinceramonte, il gracchiar solo per i cantoni, dando fuora il lor con- so cetto con le parole vane, ma non con la penna et con gl’ inchiostri stabili e fermi. Ma in ultimo l’esito et il frutto di queste malignità ha da esser totalmente contrario all’ intenzione de i loro autori, li quali, havendo sperato di annullare questa grandissima novità col gridarla per falsa, per impossibile et contraria a tutti giardini della natura, P haveranno in ultimo resa tanto più sublime, immensa et ammiranda, se bene per sè stessa è veramente tanto nobile et degna di stima, che nissun’ altra lieroica grandezza se gl’ avvicina. Et di quanto ella sia stimata et ambita da i maggior re del mondo, siane a V. S. Ill. ma argomento quello che da un servitore molto intrinseco iu del defunto re di Francia di f. m. mi fu scritto li 20 di Aprile pros¬ simo passato; il che non terrò con V. S. occulto, già che nel mise- rabil caso sono passate tutte le altre grandezze di quello invittissimo re. Le parole formali del capitolo della lettera scrittami da Parigi sono precisamente queste : Lett. 339. 44. da Parigli — «') Cfr. n.o 826, lin. 11. [339] 25 GIUGNO 1610. 381 « La seconda richiesta, ma la più instante, che io possa mai fare a V. S., è che ella si risolva, scoprendo qualche altro bello astro, di denominarlo dal nome del grande Astro della Francia, anzi dal più lucido di tutta la terra; et più tosto dal proprio nome d’Arrigo, che 50 dal gentilizio di Borbone, se così le pare: che V. S. farà una cosa giusta, dovuta et proporzionata; illustrerà se insieme, et renderà se et casa sua ricca e potente per sempre. Di questo ne assicuro V. S. sopra 1’ honore mio, la servitù che io le ho, et il merito suo parti¬ colare. V. S. investighi dunque con ogni prestezza et accuratezza, per iscoprire di nuovo qualche cosa bella in questo proposito et per esser la prima, et ce n’ avvisi subito, mandando le lettere per via delli SS. 1 Vanlemen ; et si assicuri, come se ricevesse la voce et certezza dall’organo principale, che resterà contenta et felice in perpetuo, riavendo reso il debito alla patria, V. S. può rendere questo mentis¬ co simamente alla vera virtù et valore heroico del maggiore, più potente, bellicoso, prudente, fortunato 11 ’, magnanimo et buono principe che sia comparso al mondo da molti secoli in qua: il quale havendo, tra tante principesse, scielta una de’ Medici per sua legittima con¬ sorte, et postposte le donne di tutte le parti, originariamente et nel presente regie, per crearne un degno successore di lui in questo po¬ tente regno, all’ imitazione dell’ altro Arrigo 2°, suo predecessore, il quale lo prevenne nello sposare similmente un’ altra de’ Medici, che tanto tempo ha regnato col marito e 3 figliuoli, successivamente re di Francia; V. S. verrà col nome di Arrigo a comprendere i 2 re di Fran- 70 eia che ne i nostri tempi si sono accasati nella Casa de’ Medici, et ne hanno lasciati regii successori, et si obligherà la Casa de’ Medici maggiormente, et compiacerà alla Republica di Venezia, tanto osser¬ vante, amica et benemerita di questa Corona et Maestà, dalla quale scambievolmente ne ha ricevuti quei grati et grandi offizii che si sa da poco in qua, che sempre si continuano et continueranno di più in più. Sì che V. S. non manchi di trovare et di avvisarmene il primo, sicura di esser per aqquistarsi un monarca et una grande e bellicosa nazione sua obligata et protettrice in tutte le sue occorrenze, etc. » Da questo, e più dalla natura istessa del fatto, può comprendere so V. S. Ill. ma la sua grandezza: et però nelle occasioni, che oportuna- mente se gli presenteranno, la prego ad operare che S. A. S. non ri- W fortunato uell’ autografo ò sottolineato. Eniuoo IV ora stato assassinato il 14 di maggio. 382 25 — 26 GIUGNO 1610. 1839 - 3401 tardi il volo alla fama col dimostrarsi ambigua in quello elio pur col proprio senso ha più volte veduto, et elio la fortuna ha riserbato a lui solo et spogliatone ogn’altro; perchè hor mai comincio ad esser certo che non si troveranno altri pianeti, havondo con diligenza fatte moltissime osservazioni et inquisizioni. Sono stato prolisso soverchiamente con V. S. Ill. raa : ne incolpi l’im¬ mensa devozione mia verso il Ser. m0 nostro Signore, al «piale per suo mezo humilmente ni’ inchino ; et a lei con ogni reverenza bacio le mani, et insieme a i SS. 1 suoi figliuoli et miei singolarissimi padroni. 90 11 Signore li conceda quanto desidera. Di Pad. 11 , li 25 di Giugno 1010. Di V. S. III."* S«ir. r,! 01)lig. mo Galileo Galilei. 340 *. SCIPIONE BORGHESE a GALILEO in Padova. Roma, 26 giugno 1610. Bibl. Nasi. Fir. Mss. Gai., 1’. 1, T. XIV, car. 88. — Autografa la firma. Molto Mag. co S. ro M’ha causato desiderio et curiosità d’haver uno degli occhiali inventati da V.S. 1’ haver intese, et in parte vedute, lo sue mirabili oporationi : onde può assicu¬ rarsi che mi sia stato sopra modo caro quello di’in suo nome m’ha presentato il S.' Andrea Labia (t) , il quale devrà farle anco fede della stima ch’io fo delle virtù di V. S., et della particolare volontà eh’.io ho di farle piacere, sì come dall’opere stesse ne sarà meglio certificata nelle occasioni di suo servitio. In tanto la rin- gratio del dono dell’ occhiale, et dell’ amorevoli et cortesi dimostrationi con che Pò piaciuto d’accompagnarlo ; et per picciol segno del mio buon animo, le pia¬ cerà di ricevere quel che le viene in un picciolo scattolino con questa mia. Ch’io io per fine me P offero et raccomando di cuore. Di Roma, li 26 di Giugno 1610. Al piacere di V. S. S. r Galileo Galilei. Il Card. 10 Borghese. Fuori: Al molto Mag. co S.™ Il S. r Galileo Galilei, a Padova. Cfr. ri».* 820, 83H. [ 341 - 342 ] 26 GIUGNO 1610. 383 341*. FRANCESCO MARTA DEL MONTE a GALILEO in Padova, lloma, 26 gingilo 1610 . Bibl. Naz. Fir. Mss. Uni., 1\ 1, T. XIV, cnr. 31. — Autografa la sottoscrizione. 111. Sig.«>- L’ occhialo elio V. S. ha mandato al Sig. 01 ’ Cardinal Borghese, non è capitato in mano mia : però io non ho trattato con S. S. III."" 1 di quei particolari che V. S. mi scrive. Ch* è quanto posso dirlo; e con questo me le oliere nelle sue occor¬ renze. Che Dio la prosperi. Di Roma, li 26 di Giugno 1610. Di V. S. 111. Come fratello S. or Galileo Galilei. Il Card. 1 ® dal Monte. Fuori : AH’ 111. 8ig. or io II Sig. or Galileo Galilei. Padoa. 342*. BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Firenze, 26 giugno 1610. Bibl. Naz. Flr. Nuovi Acquisti Galileiani, n. 6. — Autografa la sottoscriziono. 111.'" et molto Ecc. to Sig. r mio Oss. mo L’ultima lettera di V. S. de’ 18, scritta a me (,) , et da me letta tutta a i Ser. mi Pa¬ troni, et da loro udita con attenzione et piacere, ha latto fermare et risolvere stabilitissimamente il suo negotio: et perchò questo giorno è il sabato, et l’hora ò tardissima, non si può questa sera rispondere con la firma di S. Alt. 11 , come le vuol rispondere l’Alt.° sua medesima; ma seguirà con le prime. Et intanto questa sera l’Alt* sua ha soscritto il mandato per il S. r suo Depositario generale di du- gento scudi di donativo, che ella le fa; ma non so già, dubitando io che il S. r De¬ positario haverà serrati i suoi dispacci a quest’ bora, se darà in questa gita la coni¬ lo messionc a i Sig. ri Mannelli per il sudetto pagamento: ma in somma seguirà a (*) Cfr. n.° 832. 26 - 21) GIUGNO 1610. 384 [342-3441 canto a canto. Et io sono et voglio essere suo procuratore, et sempre servirla : et le bacio le mani. Da Fir26 Giugno 1G10. Di V. S. 111.''* et molto Ecc.* Serv. ro S. r Galileo Galilei. Delis.° Vinta. Fuori: All* 111.” et molto Ecc. te Sig. 1 ' llon. 1 " 0 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Venctia per Padova. 343 **. ASDRUBALE BÀRBOLANI DA MONTAUTO a BE1JSARI0 VINTA in Firenze. Venezia, 2<> giugno 1610. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Modicen 3)001, n.° 128. — Autografa. _Mi ò anche stato adimamlato se ò vero che il Dottor Galileo venga a servir S. A. con condizioni grandissime; et pure ho detto che non so niente: et questo se è vero, scoprendosi, gli potria esBor di noia (pia.... 344 . G10. ANTONIO R0FFEN1 a GALILEO in Padova. Bologna, 29 giugno 1010. Blbl. Nnz. Fir. Mbs. ani., P. VI, T. VII, rar. 142. Autografa. Molto 111/® et Ecc. m0 S. ro mio Oss. ,no Siamo, il Sig.™ Magini et io, questa mattina stati insieme, et hoggi a punto poi ho receputo. Intendo quanto mi scrive ; et assicuro V. S. per risposta, che non ò stato di consenso del S. ro Magini clic Martino habbia scritto ad alcuno nò in Alemagna nò altrove, ma ha fatto il tutto per mera sua temerità., et il detto sempre ha cercato levarlo di questo pensiero ; ma in soma li oltnunontani sono zervelli molto stravaganti. 11 Magino manda la copia di una lettera venutali di Firenze, dove a pieimo si scorge quanto fosse arrogante, et volere scrivere alli amici suoi come se di suo consenso 1’ avesse fatto ; il che ò falsissimo, come con il tenpo V. S. conoscerà benissimo. E basti. Arrivò costui a Bologna, doppo licentiato dal S. ro Magino, et referì ad alcuni che era stato a Milano, et a Pavia si era abbocato con il S.™ Capra ; et ò andato ad habitare nello Colleggio do’ Nobili, governato da’ Icsuiti. Io non ho ancora io 29 — 30 GIUGNO 1610. 385 [ 344 - 315 ] potuto vederlo ; ma mi scrisse un gentiluomo, che haveva stampato, et si era par¬ tito subito di Modena, ma che non sapeva dove. Iiora dunque che è in Bologna, vorrei pur cercare modo di intendere 1* animo suo, poi che per simil causa sde¬ gnato non li parlo nò io nò tain poco il S.™ Magino, et siamo tutti dui pronti di scrivere una epistola, della quale V. S. se ne potrà servire, giustificandosi che sempre 1* habbiamo disuaso a questa impresa, et babbi scritto a chi si voglia, co T ha fatto per sua temerità et non di conseglio del S.™ Magino. E tanto basti per bora, per la fretta del coriero; se altro occorerà, avisaròla. Che per fine li bacio le manni, insieme con il S.™ Magino. Di Bologna, il dì 29 Giugno 1610. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. m:i Se.™ di cuore Gio. Ant.° Bolle ni. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. n '° S. re e P.rone mio Oss. mo 11 Sig.™ Galileo Galilei, Eminent.'" 0 Letorc nello Studio di Padoa. 345*. BERLINO 11IEHO GESSI a GALILEO in Padova. Venezia, 80 giugno 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I*. I, T. XIV, car. 85. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ Sig.™ Mi ò inviata da Itoma una lettera dell’ Ill. m0 S. r Card. 10 Borghese, con uno scat¬ tolino et una catena d’oro per V.S. ; et aciochò habbia il tutto in mano sua presto et sicuramente, mi sono risoluto inviare apposta il presente mio staifiero, che la consegnerà in mano sua: et ella si contenterà avvisarmi della ricevuta, et anco rescrivere all’ 111." 10 S. r Card. 10 sudetto per risposta della sua lettera, che io poi la invierò per l’ordinario di sabato ; et si contenterà dare ambedue le lettere al medesimo stalliere. Che con ciò di tutto cuore me le olierò et raccomando. Di Venetia, li 30 di Giugno 1610. io Di V. S. Affett. m0 per ser> S. r Galileo Galiloi. Padova. Berli ng. u , Vescovo di Rimini. Fuori : All’111.™ Sig.™ Il S.™ Galileo Galilei. Padova, in mano sua. x. 49 386 30 (ilUGNO 1(310. [ 34 : 0 - 347 ] 846 *. [MARTINO HORKY1 a GIOVANNI KEI’LER in Fraga. Bologna, 30 giugno 1610. Bibl. Palatina in Vienna. Mss. 10703, car. 34. — Autografa. .... Non plumbum, prò mea Perogrinationo, sed argentimi brovi vidobo. Ulani inclu¬ simi vide, logo, indica. Eo parenti die, ut et. suaB*. non autem plumbum sed argentuui, aòv 0s(p. Est meus qui te Ianus Perneggerus, ibidem astro rum cultor. Dubitationcm priatinam excusam scias, antequam tuas vidi. Careo providentia patroni : iuraiuontum fecit Italico contra me. Ego vero niliil timeo, quia Deus (et omnoa Sancti) providebunt_ Illa perpendo, bcìo, omnia, de quibus tuia mouea— Wenn marni mieli dem Geldt verliindert hatt, will ich nicht lenger die Welliach verliindern, aondorn non plumbum etc. ropotirn. Sed scias, primum hoc exemplar esse, quod mitto. Volo enim eum eaeteris 5(X), propriis impensis excusis, Galileum expoctaro, qui brevi tempore ad no9 veniot. Tum ipso adibo, et unum eidem in luanus proprias praesentabo. Me Geo, et illia cui dedico, couimendabo. Scopuli io maria Iladriatici non nocebunt. Ululandum contra Galiloum? Sed non in plumbo; argentimi videro, prò Peregrinatione, brevi cito cito cupio. Eo tuas spectabo.... 847 **. [MARTINO HORKY a FRANCESCO SIZZE), [giugno 1610). Bibl. Naz. Fir. Mss. fi al., P. VI, T. XIV, car. 89-90. — Copia (li mano (li Alksrandbo Skrtini. Di fuori, ili umuo (li Galileo, ò scritto: « Lettera di Martino al S. Sizi ». Mitto tibi rneam Perigrinntionom contra Nunciutn Sydereum: illam nomo Bononiae vidit. Ecce tibi, amico, omnia dicam. Feci impcnsa in hoc negocio, inscio Magino, Mutinae. Ilio, cum reacivit, statini iuravit hoc modo: Ver Dio S.°, Sig: Martino, se voi scriver rete contro ’l Galileo, io voglio voi impedire, et voglio fare che voi non potete andar fuora senza grandissima burla dell'Italia. Ego nihil moror Maginum; et tibi iam formalia vorba acribo I). Kopleri, ubi sic ad me ait: « Ilaeres tu quidotn adirne in pristina dubitatione super Galilei ayderibus : non miror nec culpo: philoaophantium sententias oportet esse liberas. At. si me rospiciR, simili et candor bene atat iuxta libertatem. Quod si impugnasti quod iam probaa tecum, ago, mihi gratifi¬ care, qui veritatem, qui te, amo; aollicitudine me libera, et ad Galiloum perscribe, quid, leda io mea Dissertatione, credere incipias, quod antea tibi veri dissonimi videbatur. > Praeterea ait in eadem littera, quam eodem temporis momento in posta cum T. E. littoria, iuvenis mihi IiOtt. 347. 12. litterii invciiù mi'At — GIUGNO —2 LUGLIO 1010. 387 [ 847 - 348 ] vita mea propria carior, accepi, hoc modo: «Tu uis, tibi caudelum et Spicam Viryinis ilio instruuitìnto visam duplicatimi |1) . Non potuisses me continuare aptiua : nam ita piane eat, et milii, (lum hoc genus iuatrumenti tonto, duplicata© rea videntur. Nam duni liaec ipsa ver ha scribo » (ait I). Kcplerus eisdem) « auperveuiunt Magini litterae de 2(»Maii, quibus tua manns erat adiecta, ubi Magino idem obatare video. Dicami credo equidem nec ipBi Ga¬ lileo coguituin esBO. Ego vero dixi Dissertationis fol. 10 fine et 11 initio <*>. Niinirum hoc suspicor, Galilei oculum esse lyncaoum, caeterorum vestrorum, qui uogatia voa endem 20 agnoscere, |ióomac esse oculos. Quod bì Galileus sciret moderi, facile omnefi BUBpiciones lalsi subteriugorot : medebitur autom, bì peculiarem ouilibet. oculo applicucrit lentein ca¬ valo. Loquor experientia certissime snfìultus ; et ratio domouBtrationum incarnili idem oxigit, idem instrumentum, ex iis quae iam vulgo circumferuntur, uni prodesso, alii mi¬ nime. » Ecce verba formalia doctiasimi viri Ioli. Kepleri tibi hic doHcripta mitto. Impera mihi quicquid vis ; otnnia tempore faciam. T. E. opto esse addictus. Sed vis ne ut tibi dicam fallaciam huius Galileici instrumenti? Illam ego in Penigl i milione moa non attigi. Ecce tibi concredo. Tota hallucinatio in uovis istis plauetis fit hoc modo: Mahtino Horky. Studiosa.* Fr. Paulus M. )l Cittadinius, in almo Bonon. Gymnasio Tbeolog. 390 Ò LI IO LIO 1610. 1*51] 351 . MARTINO II ARDALE a GALILEO in Padova. Praga, 5 luglio Itilo. Bibl. Nna. Plr. Mss. (lai., P. VI, T. Vili, car. 21-22. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,n0 Sig. r P.rono Colcnd. mo Dovevo scrivere a V. 8. con V ordinario passato del triomfo che il Zugmesser andava cantando per tutto del Magino contro di lei, mediante tre lettere scritte da Bologna in contirinatione, anzi essaggeratione, delle prime o&lonnie, alle quali 24 di Bologna della professione sottoscrivono: ciò è di essere stati presenti quando V. S. si sforzò di fare la dimostratone del suo libro con il suo stromento, et che ella diceva : Non vedete la tale , la tale et la tale cosa ma elio non fu pure uno che confessasse di vedere, ma ben tutti dicevano di non vedere nulla di quello ella affermava di vedere: di maniera che tutti quei elio hanno viste queste lettere restano confusi altrettanto di quello che si rallegravano di simile inventione truo- io vaia da V. S. Ma non ho mancato di confortare parecchi con le lettere dell’ 111. 11,0 S. r Card.' 0 Capponi, et questa mattina con quelle di V. 8., lo quali ho mostrato questa mattina al S. r Vacchero, huomo della prima classe fra’letterati, oltre che è de’primi conseglieri di S. M. u Cesarea et mecenate do’virtuosi. Però l’altra sera, cenando io seco, havommo contesa sopra 1’ essere stato il primo inventore di questo stromento, volendo egli sostentare che Giovanni della Porta havesse detto stromento 10 ; con il quale dice bavere parlato 4 volte, et che l’haveva truo- vato huomo singolarissimo, non ostante che io dicesse tutto il contrario, sforzan¬ domi di convincere con infinito tare che so contra il Porta, quale non intendeva molti capitoli della sua Magia, nè manco le sapeva ispiegare in volgare, iscusan- w dosi die erano tutte cose havute da altri così scritte in latino come stavano stam¬ pate nel suo libro. Appunto si truovò nella medesima compagnia l’antiquario di S. M. a , amiGO di quello, che confuse il Porta. Il medesimo antiquario, come intimo di S. M. u Cesarea, disse che S. M. u re¬ stava ogni giorno tuttavia più sodisfatta di questa inventione, particolarmente di quegli ultimi occhiali mandati dal S. r Ferdinando Tassis di Venezia al S. r Am¬ monii Tassis, che risiede qui, ambedue amici miei, et quello primo del S. p Ottavio 10 . Appunto, per saltare di frasca in pertica, non ho havuta risposta dal S. r Ot¬ tavio ad una mia, o forsi il tempo non serve ancora. Con il conierò ordinario Lett- 3B1. 18-19. iforxandoiii — «O Cfr. un. 1 280 e 4B0. i*i Ottavio Panfili. 5-0 LUGLIO 1610. 391 [351-352] •'io gli scriverò di nuovo. Intanto mi favorisca di un baciamano, come anco alli no¬ stri Padri venerandi. Quel gentilhuomo che mi disse di quelle lettere di Parigi che scriveva Maestro Pavolo (,) , andò a casa, ma P aspetto di giorno in giorno di ritorno. Con che line le bacio le mani. Di Praga, alli 5 di Luglio 1610. La prima volta che S. M.'* mi chiama, voglio intendere di sua bocca quello dice et sente dello stroinento di V. S. Ma forai sarà in tempo che quello che ella disegnava di mandare sarà venuto. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. raa Ho invidia a V. S. mentre s’accosta Serv.™ Aff. rao do la stagione de’melloni. Martino (lasciale. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m0 S. r ()ss. n '° 11 S. r Galileo Galilei, Matematico di Padova. 352 . GIO. ANTONIO ROFFENI a GALILEO in Padova. Bologna, (5 luglio 1G10. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 144. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig.™ mio Oss. ,no Mi piace che V. S. Ecc.“ tt resti sganata di quanto forsi haveva concepiito in occasione di ciucilo furfante di Martino (4) , poiché ancora dall’opera conoscerebbe che in modo alcuno il Sig.™ Magino ci poteva bavere mano, come ancora qual si voglia altro che la vedesse; perchè voglio che mi credi, che non vi è cosa, levato la mordacità, corno mi Vienne referto, che una pietra, per così dire, si de¬ gnasse legcrle, non che solverle, essendo pienno di parole pedantesche. Da quello giorno in qua che partì di casa del S.™ Magino, mai più l’ho veduto io, se bene l’ho fatto cercare, chè mi fu referto che era venuto: et quello a cui cominisse io il carico di cercarlo, mi referse con chi haveva egli trattato, et volevo che li tenesse dietro, come Laverebbe fatto, per levarli le opere, passato che esso fosse il territorio di Bologna, con darli ancora un buono raccordo ; ma perchè stava con sospetto et temeva, si accorse et alla sfugita partì : ma non haveva nulla, come mi fu referto poi, perchè le opere eranno rimaste apresso al S.™ Baldassara Capra, con il quale lui era stato alcuni giorni a Pavia, et haveva detto che era l‘> Cfr. 11 .» 324, lin. G8. Mautino Borkt. 392 6 LUGLIO 1G10. [352-353] venuto a pigliare certi denari a Bologna e poi che andava a stare con il Capra, et che farebbe conoscere che diceva la verità di quanto liaveva scritto, et che si era accorto che il S. ro Magino et io l’insidiavamo per farli qualche mala burla, ma che andava a staro in uno Iodio che non temeva alcuno. Ma mi credi, Signore mio, clic la buona fortuna sua ò stata che lui conosceva certi galanthomini, et sa- 20 peva il loro mcsticro, con l’occasione di vederli meco; et quando ha veduto che alcuni di essi lo hanno seguito, si è smarito. Et se V. S. si fosse allargato nelle prime, rilaverei fatto conoscere che le sono amico: e basti. Non so più che dire intorno a simile negotio, salvo che se mi nascerà occasione di potere giovare allo Todescho in contrario, lo farò, poiché così richiede l’insolenza sua. Godo poi minutamente che sii per vedersi l’aggiunta del suo nuovo Aviso, et vivo bramoso di vederla. 11 Sig. ro Pappazone et molti altri di questi Signori la salutano infinitamento. Et pregola per line a tenermi vivo nella buona gratia sua, favorendomi do’ commandi suoi all’ occorrenze ; che por non tediarla, farò line allo scrivere, ma non ad amarla et servirla. E Nostro Signore gli concedi 3o prosperità e felicità di vita. Di Bolog. il , il dì 6 Luglio 1G10. Di V. S. molto IU. r ® et Ecc. mn Sor." di cuore Gio. Ànt.° ltoffeni. Fuori : ÀI molto 111.” et Ecc. mo S. rt ' e P.rone mio Oss."‘° Il Sig. ro Galileo Galilei, Eminentiss." 10 Letore nello Studio di Padoa. 353 **. MATTEO BOTTI a BELISARIO VINTA in Firenze. Parigi, ti luglio Itilo. Bibl. Naz. FIr. Mss. tisi,. 1’. VI, T. XIV, car. 25.— Autografa la sottoscrizione. IH.® 0 Sig. T tnio Gas." 10 La partenza di Piero Capocci, che seguì tre giorni sono, mi ha cvacnvato di quanto havevo che dire; e però non mi resta so non qualche particolare ch’ella vedrà nell’in¬ clusa eopi», e quel che ho sentito dire qui al Garosi :l1 , cioè che questa Regina liaveva fatto provar qua a più d’uno, se si sapeva fare l’occhiale del Galilei, e che n’liaveva mostro molto desiderio, e non era riuscito. Credo che, oltre al far piacere a S. Maestà a mandarne qualcuno, si farebbe anche honore allo Stato del Ser. mo Padrone, perchè qua hanno per gran cosa quelli ordinari, e ce ne sono le botteghe piene. ... i 1 ' Mattko Carosio. Cfr. u.® 818. 1354-355] 8 LUGLIO 1010. 393 354 . MASSIMILIANO, Duca di Baviera, a GALILEO in Padova. Monaco, 8 luglio 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 87. - Autografa la firma. Massimiliano por la gratia di Dio Conte Palatino del Rheno, Duca dell’ una et l’altra Baviera, etc. Sicome io ho tenuto sempre in molta stima la persona di V. S. por le rare virtù sue, così m’ è stato di special contento V Bavere, all’ incontro, da lei segno della affettion sua verso di me, come l’ò piacciuto darmi con la sua de’25 di Maggio et con P occhiale mandatomi. Onde ne la ringrazio vivamente ; et in te¬ stimonio della buona volontà che serbo io di sua gratificatone, le invio il qui an¬ nesso ben piccini dono, et ine le olierò con ogni prontezza. Che Dio la prosperi. Da Monaco, li 8 di Luglio 1010. io Mass. 0 Duca di Bav. r “ Fuori : Al Nobile Sig. r 11 Dottor Galileo Galilei et cet. franco per Ven. ft Padova. 355 **. BARTOLOMEO SCIIROETER a GALILEO in Padova. Zerbat, 8 luglio 1G10. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 9-12. — Autografa. Xalpe'.v -/.al eÙTtpàxteiv. Perlegenti mihi, Vir Nobilissimo, durissime, nundinarum proximarmn vcr- nalium Francofortensium catalogum librarium, inter alios libros philosopliicos et mathematicos, partim de novo emissos, partim vero auctos atque recognitos, etiam sese obtulit titulus libelli cuiusdam, sane novus, mirus et insolitus, materiam innuens magnani inspiciendamque longeque admirabilem : mox vero mihi ex bi- bliopolis nostris inquirenti, amie libelli istius exemplum attulerint, responsum fìt, nullum sibi visum. Ecce vero, ut domum redii, voti mei et desiderii exopta- tissimi compos fio: mandato enim et iussu Illustrissimi et Clementissimi Principia io ac Domini nostri Dn. Augusti, Principis Anhaltini, Comitia Ascaniae, Dn. Servestae Lett. 355. 8-9. exoplnlisaime — X. 50 394 8 LUGLIO 1610. [355] no Bernburgi ctc., por eius Celsitudinis Secretarium cxemplar mihi transmittitur legendumque exhibetur, meumque de Imo materia insolente et augusta iudiciura expetitur. Libellula avide anipio ; uno spiritu, ut dicunt, peri ego et iudico. Si quid praeter spem et exspectationem, Galilaee clarissime et solertissime, hac ultima et corruentis mundi senecta, in artibus et scientiis uccidere potuit admi- rabilius, maius longcque gratius, viris timi illustrissimis, tura aliis cuiusvis ge¬ neris mathematum studio naturalique disciplinae deditis, hoc certe est tui, Ga¬ lilaee celeberrime, libelli, cui nomea fecisti Nuncii Siderei, materia; qua pandi» suspiciendumque proponis spectaculum de natura superiore cadesti, ea in parto qua, inde usque a condito fundamine suo, nomini adhuc fuit cognita atque per- 20 specta, licet a tot iara seculis, tot. durissimi, acutissimi, et summa diligentia obser- varali caolestium tuia corporum tum borimi motuum naturas praediti viri, vixerint, nec non adhuc magna eorum turba in vivis sit, quorum aliqui tum disciplinam naturalem tum raathesin exeoluerunt, ampliarunt et divinis canonibus confir- marunt. Verum omnos hi, quoquot fuerunt, solummodo aciei oculorum naturali, et exinde rationibus per consequentiam dcductis, innitentes et conlidentes, quae- cunque sese offerebant Cfr. Voi. Ili, Par. 1, pag. 72. 8—10 LUGLIO 1010. 897 [ 355 - 356 ] Venetiis liabitantibus, tradat, et prima occasione transferendum Ime iuboat; item- que paria perspiciliorum duo vel tria sine tubis, a te bene examinata, siquidem illa bisce in regionibus ex olìicinis vitriariis haberi non possunt. Surntus quos- cunque ea in re tua Humanitas fecerit, cum gratin benigna et voluntate bene- i-w vola quam citissime ab Illustrissima sua Celsitudine remittenti!r. Et praeterea si Celsitudo sua hoc ipsum a tua llumanitate, Vir Clarissime, obtinebit, ut se obtenturam piane conlidit atque sperat, affoctam se officio gratissimo existimabit, nominÌ 8 que tui celebritas etiam bis in locis, viros inter tam illustris quam in- fcrioris status atque conditionis, modis inultis augebitur et accrescet, tibique Celsitudinis suae magnificentiam, aliorumque quam plurimorum benevolentiam, devinctas studio tenobis singulari. Cura ut valoas, et petitioni Illustrissimi Principis, Domini nostri Clementis¬ simi, ut laudabili ita honestissimae, satisfacias quam citissime, in quantum per occasionem ti cri potest. 140 Dabantur vili Iduum lui., Scrvestae. Excell. et Spectabilitatis Tuae Observantiss. et Addictiss. M. Bartholomaeus Scbrbterus, in illustri Principum Anhaltinorum Gymnusio, quod est Scrvestae, linguae sanctae et mathematum professor. 150 Fuori: Nobilissimo et Excellentissimo Viro Dn. Galilaeo Galilaei, Patritio Fiorentino, Professori Matheseos in Gymnasio Patavino Clarissimo, ad proprias dentur. C ito Padova tl) . ito ito 356 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Padova. Venezia, 10 luglio 1610. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXVIII, n.° 1G3. — Autografa. Molt’ Illustre et Ecc . ,n0 S. r mio Oss. rao ♦ Mandai a V. S. una lettera del S. r Roffeni, di Bologna, 3 giorni sono, e non le scrissi alcuna cosa per non molestarla senza causa. Ora mi è capitata la m Portavo è d’altra mauo. 398 10 LUGLIO 1610. [356-357] sua gratissima di lucri con le lettere per Firenze et altrove, ove si inviano fida¬ tamente : in ogni altra occorrenza desidero cssor atto a servirla. Io le mando un capitolo della lettera hauta in questa settimana dal S. r Magini 05 : vedrà quello passa del Martino Tedesco, che è pur ridicolosa. Se potrà haversi quella scrit¬ tura, ne li farò capitare; ma fino ora a Bologna non si è possuta bavere. Vedrà che il S. r Magino ha cominciato ad usare il cannone, e non si contentò d’un solo, chò ne ha due: comincia a confessare del corpo lunare, et non dubito che ove io haverà la pazionza e modo da osservare, non sia per venire alla verità del facto. Ilo piacere che di Roma havesse hauto l’assenso, e per me non ho bisogno di testimonii. Io vivo tutto suo ; e desideroso di servirla come devo, li b. le mani. Di Ven. tt , li 10 Luglio 1610. Di V. S. molto Illustre et Ecc. mn Sor.™ Parat." 10 An'tonio Santini. Fuori: Al molt’ 111.™ et Ecc. n,# S. r mio Oss. mo Il S. or Galileo Galilei, in Padova. 357 *. ALESSANDRO SERTINI a GALILEO in Venezia.. Firenze, 10 luglio 1610. Bibl. Nuz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. VI, car. C3-C4. — Autografa. Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. r mio, Questa bestia di quel Tedesco del Sig. r Magmi, non contento del libro che V.S. dice ch’egli ha stampato, ha scritto anche una lettera a un altro Tedesco, pur sopra la materia dell’ occhiale e pianeti ; e non ò piena se non di maledi- cenze che contengono scherni, cosa che invero non richiederebbe altro elio un carico di bastonate, come dice il Sig. r Magini. 11 furfante ò tanto presuntuoso, eh’ egl’ ardisce entrare nel S. G. D. nostro, con dire che gli è stato dato ad in¬ tendere qua e là. Ne è venuta la copia a Firenze, non so mandata da chi, ed ora in mano al Colombo 1 ” e io l’ho vista, ed è la più scimunita cosa che si possa vedere. Non sento già che si sia sparsa, nè vista per molti. Di più odo eh’ egl’ è venuto io in Firenze un’altra scrittura, pur d’un Tedesco, contro il [...] di V. S., e’ntondo che è deboi cosa e che [...] persona che non è delle più sviscerate elio V. S. abbia. Vedrò se posso intenderne particolari. E questo è quanto passa di nuovo. Lott. 367. 7. con dire ch'egli i — “1 Cfr. u.o 388. Ludovico DKi,Lr. Coi.ombe. 10 LUGLIO 1610. 399 [ 357 - 358 ] Quanto alle composizioni, fui dal Padre Claudio Seripandi, il quale mi mo¬ strò i versi latini eh’ egli ha fatto, clic mi son parsi bolli adatto ; o ne ha pel¬ le mani dclli altri, e altri gliene sono stati mandati di fu ora, che son cosa bella; e mi ha detto che voleva mutar non so che, e che però io mi contentassi che si man¬ dassero quest’ altra settimana. Che poteva io rispondere V II Sig. r Buonarroti an¬ eli’ egli della prossima le manderà qual cosa, c tra [sic] io le mando un sonetto 20 del Sig. r Piero de’Bardi (,) . Non so come questi signori se l’intendino circa’l met¬ tere il lor nome, caso che V. S. le voglia stampare : intenderò 1* umor loro. Il Sig. r Chiabrora ò un pezo che se n’ andò a Savona, e mi promesse di fare : por ancora non ho havuto cosa alcuna. Ella è aspettata ; e volendo stampare, po¬ trebbe farlo qua, e venire quanto prima. Gl* amici le baciali le mani : non gli novero per brevità. Io son tutto suo al solito. Dio la feliciti. Di Firenze, il dì 10 di Luglio 1610. Di V. S. molto Ill. ro ed F;cc. a Ser.® Aff. mo Aless. 0 Sertini. 30 Fuori: Al molto Ill. ro ed Ecc. m0 mio Sig. ra Il Sig. r Galileo Galilei, in Venezia. Padoa t * ) . 358 *. MARTINO IIORKY a PAOLO SARPI [in Venezia]. Milano, 10 luglio 1610. Riproduciamo questa lotterà dall’opora Delle intenzioni veneziane raccolto ed illuetrato da Km kanuki.k Antonio Cicogna, Voi. IV, Venezia, MDCCCXXXIV, pag. G7G. Il Cicoqna 1’ aveva autografa tra le sue carte. Mng. 00 et molto R. d0 Padre, Sapendo quanto la aia affetionnta al S. Galileo, perciò, havendo io fatta stampare questa mia operetta < 8) contra de lui, m’è parso mandarne una copia a V. Paternità, aciò la vedi: se dico la verità, admonisca esso Galileo, aciò possi emendar l’error suo; se io <*> Si Im, trascritto di mano di Galilko,u oar. 104r. del Tomo III dulia Far. I dei Mss. Galileiani: « Doli' I. S. F. B. Su 1’ ali di virtù, di gloria acceso, L' almo invitto di Cosmo o Ferdinando, Di Giovanni o Francesco, al ciol volando, Nel sosto giro sono eterno ascoso; E so già furo al nostro bone intoso, Or In sembianze lucido rotando, E con Giovo no’cor virtù spirando, Si fanno scorta a glorToso impreso. Tu, Galileo, apri ’l tesor do’ cieli Col vetro illustre, o i gran Toscani Regi, Fatti stollo immortali, a noi rivoli. Qual sol novello, gli stellanti fregi Dall’ orror dolio touobre disvoli, A to crescendo, al ciclo o al mondo, i pregi ». < s > Padoa fu aggiunto d’altrn mano. <*> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. liJy-145. 400 10 1 , 001.10 1010 . 1358 - 36 *)] al* incontro in’ingano, la ino no dia avido, oliò io mi ri tra tarò et non sturò ostinato. Siamo staiti alloghiti insieme in Rulogiiu in casa del Magini, ut con quello suo ochiale lmbbiamo fatto prova molte volte, et sempre si è trovato falso tutto quello ha scritto. l)i questo mie opere no sarà datto al (Iran Duca, et no sarà portato por tutte le parti, aciò sii fatto iudicio de la verità. Da Mil.°, olii x lidio 1(510. 10 Di V. Paternità AIT. m0 Sorv. Martino ilorky a Louhovic. Fuori: Al M. 00 ot medio Reverendo Padre M. ro Paolo ilo’ Servi. 359 * COSIMO II, Granduca di Toscana, a GALILEO in Padova. Firenze, 10 luglio 1010. Blbl. Naa. Fir. Mrs. Hai., P. I, T. XIV, cnr. :19. — Autografa la firma. Noi Mas. (fai., P. 1, T. I, cnr. H»7, ti una copia sincrona, in capo alla quale sì leggo : « Fclo por me infrascritto, qualmente nella filza segnata con lotterà A do' nogoti dell'almo Studio Pisano o Fiorentino, u c. 1. apparisco quanto ap¬ presso », o in fino ò la firma di Ilio. Battista Tozzi, che, come l-ancollioro dello Studio, la autontiea. Questa copia, clic non il molto osatta, ci fornisce qualche parola elio nell'originale, essendo molto guasta la carta, più non si distinguo. Don Cosimo Gran Duca di Toscana otc. Mag. co nostro Dilett. mo L’ eminenza della vostra dottrina et della valorosa vostra sufiizienza, accom¬ pagnata da singular bontà nelle matematiche et nella filosofia, ot P ossequen¬ tissima affezzione, vassallaggio, et servitù clic ci liavete dimostra sempre, ci hanno fatto desiderare di liuvervi appresso di noi; et voi a rincontro ci liavete fatto sempre dire che, ripagandovi, lmvereste ricevuto per sodisfazione et grazia gran¬ dissima di poter venire a servirci del continuo, non solo di Primario Matematico del nostro Studio di Pisa, ma di proprio Primario Matematico et Filosofo della io nostra persona: onde, essendoci risoluti di havervi qua, vi luibbiamo eletto et deputato per Primario Matematico del suddetto nostro Studio, et per proprio nostro Primario Matematico et Filosofo; et come a tale habbiamo comandato et comandiamo a chiunque s’ appartiene de’ nostri Ministri, elio vi diano provisione et stipendio di mille scudi, moneta fiorentina, per ciascun anno, da cominciar- visi a pagare dal dì che arriverete qui in Firenze per sorvirci, sodisfacendovisi ogni semestre la rata, et senza obligo d’ habitaro in Pisa, nò di leggervi, so non honorariamente, quando piacesse a voi, o ve lo comettcssimo espressa et estraor- dinariainente noi, per nostro gusto o di Principi o Signori forastieri che venis- 10 — 12 LUGLIO 1010. 401 [ 359 - 860 ] 2 o sino ; risedendo voi per l’ordinario qui in Firenze, et proseguendo le perfezioni de’ vostri studii et dolio vostro fatiche, con obligazion però di venir da noi do¬ vunque saremo, anche fuor di Firenze, sempre che vi chiameremo. Et il Signore Iddio vi conservi et contenti. Di Firenze, li X Luglio 1610. Sig.° Galileo. Il Granduca di Tosc. a Fuori: Al Mag. co Mess. Galileo Galilei, nostro dilett. ra ® Padova. 300 . MARTINO HASDALE a GALILEO in Padova. Praga, 12 luglio 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. VI, car. 65-66. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. n '° Non risposi alla cortesissima lettera di V. S. delli 24 del passato per carestia di tempo, riducendomi il lunedì.(che parte l’ordinario per Italia) tardi a scri¬ vere. Hora con questa supplirò in qualche parte. Imprimis , che quello che le ho scritto del Magino et suoi seguaci sia vero, lo torno a confirmare, nè occorre dubitarne un pelo, et m’obligo sempre di ve- rificarlo con le loro medesime lettere. Et haveano fatta una fattione sì gagliarda, prima partisse il Zugmesser per Vienna con il suo padrone, che havevano in¬ fettata tutta Corte ; ma per gratia del Signore Iddio et mercè della verità, sono io restati chiariti, almeno si vanno chiarendo poco a poco. Il povero Chepplero non poteva più resistere a queste oppositioni, clic le venivano fatte con le lettere di Bologna, con le quale pretendevano che V. S. fosse partita da Bologna confusa et convinta, cantando già il triomfo costoro, come clic appoggiati in una sententia diilinitiva dell’ Università di Bologna. S. M. tt Cesarea è stata cagione, che il progresso fatto dagli avversarli sia andato calando, perchè S. M. ,k si chiama contentissima et sodisfattissima. Come torna il Zugmesser da Vienna, non mancherò di ingegnarmi di farlo capace, con quello ch’ella mi ha scritto della contesa con il Capra. Torno a S. M. u Due o tre settimane sono il S. r Ammorale Taxis ricevè da 20 Venetia dal S. r Ferdinando, suo parente, un paro di occhiali, de’ quali S. M.‘“ disse che restava sodisfattissima, come ho detto di sopra, flora, hieri il mede¬ simo Taxis n’ ebbe un altro per 1’ ordinario, insieme con lo stromento fatto dal- x. 51 402 12 LUGLIO 1G10. [800] l’istesso maestro elio serve a V. S. Questo fu portato Inori a 5S. M. u al tardi; ma perchè sopragionsero negozii aromatici per la venuta di questo Duca di Brunsvich, venuto per le poste in 20 liore da Vienna, però non so ancora come sia riuscito. Il Sig. ro Tassis, stato da me questa mattina, mi ha detto di bavero scritto che il penultimo occhiale sodisfa meglio a S. M.' 4 che l’ultimo. Ma trovandosi da me 1» antiquario di S. M.**, et con la quale ogni giorno parla, rispose che S. S. ria non haveva bene inteso, perchè S. M.' 4 hieri sera a un’bora di notte non P haveva ancora pruovato; et che questo bavere mal inteso nasceva da un equivoco, che so il cameriere haveva fatto per non sapere di quell’occhiale venuto hieri, ma di quell’altro, pure del Tassis, che ho mentionato di sopra, et di un altro mandato otto giorni fa da Vonetia a un cameriere di S. M.' 4 Ma spero avanti sera sapere se S. M. u n’ liaverà fatto la pruova di questo ultimo, et se supera di bontà quel- 1’ altro, mandato 3 settimane sono, al quale S. M.“ fece uguagliare la concavità di una banda d’ un occhiale con buon successo. Il non bavere havuta risposta dal S. ro Ottavio 10 ad una mia che gli scrissi cinque settimane sono, mi fa dubitare che sia andata a male insieme con quelle che scrissi a V. S. Et pure ne sto con grandissimo martello di quello gentil liuomo, al quale porto singolarissima affettione: nò minore è il desiderio che ho di con- -io solarlo, sì come credo di haverne quasi il potere. Io ricevo molti favori da S. M.*\ particolarmente per gli amici : ma, fra gli altri, stimo non poco che S. M.' 4 mi ha fatto, et fa tuttavia, vedere bellissimi libri manuscritti di cose curiose, confidandomeli anco in mano le tre et 4 settimane. Appunto n’ ho fatto copiare dal mio servitore questi giorni passati uno, clic forsi darebbe gusto al molto R. do M.'° l’avolo, perchè tratta di sympathia, antipatica et liarmonia, venendo ad infiniti particolari. Un baciamano a quegli amici, et un baciabocca a quegli meloni prelibati. Di Praga, 12 di Luglio 1010. Serv. 1,0 Aff. ,n0 50 M. Hasdalo. V. S. volti « Io fui chiamato la settimana passata da S. M.'\ ma non vi fu commodità di uscire de’ ragionamenti fuori della materia per la quale io ero chiamato. Ma sarà per la prima, desiderando sapere dalla sua propria la sodisfattione di S. M. u circa lo stromento. Fuori: Al molto Ill. r0 et Kcc. ,no S. r mio Oss.'"° Il Sig. 1- Galileo Galilei, Matematico di Padova. Oi Ottavio Panfili. recto «lolla seconda carta «lui foglio, il poscritto si <*> I,a lottora occupando por intero ancho il logge sul tergo, sul «inalo, più sotto, ò l’indirizzo. [361-362] 1G — l‘J LUGLIO 1610. 403 361 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Padova, 10 luglio 1G10. Bibl. Nnz, Pir. Mss. Oul., P. I, T. IV, car. 40. — Autografa. lll. mo Sig. re et Pad. n0 Col.™ 0 Ho ricevuta la determinazione del Ser. mo 0. D. nostro Signore (1) , mandatami da V. S. Ill. ma , in esequuzione della quale procurerò di spedirmi di qua quanto prima, per venirmene di costà a ridurmi in stato di quiete per i miei studii, et di negozio solamente per il ser¬ vizio di loro A.™ S. me Ilo anco, questo giorno, inteso dell’ordine dato a i SS.' Mannelli per lo sborso dei "7 di 200, e di tutto per bora de¬ sidero elio da V. S. Ill. ma ne siano in mio nomo rese grazie a S. A. S., sin che in breve presenzialmente in voce, et più con li effetti di una io devotissima et fedelissima servitù in perpetuo, renderò a tanti favori quei ringraziamenti et quella maggior ricompensa, che dalla Bontà divina sarà conceduta alle mie piccole forze. Restando in tanto a V. S. Ill. ma perpetuamente obligato, con ogni reverenza gli bacio le mani, et dal Signore Dio gli prego somma felicità. Di Pad. a , li 16 di Luglio 1610. Di Y. S. Ill. raa Ser. re Oblig. mo Galileo Galilei. 362 *. GIULIANO DE’MEDICI a GALILEO in Padova. Praga, 10 luglio 1G10. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.° 41. — Autografa la sottoscrizione. 111."» et Ecc. m0 Sig. ro Non prima ho risposto alla cortesissima lettera di V. S. delli 28 di Giugno, per non haver potuto haver da me il Sig. Gloppe.ro che due giorni sono, che li feci i baciamani di V. S. e gli detti quelle osservattioni mandatemi da lei (,) , che in of r n « 359, 3(1»-. o P. IV, T. VI, cnr. 19'r. Nei manoscritti ICopio- <*> Cortamonto rotative ai Pianeti Medicei, o con- riani giunti inaino a noi, per quanto ci risulta dallo cernenti lo configurazioni tra il 9 marzo od il 21 mag- indagini a tale uopo istituite, non no ò rimasta traccia gio: ofr. Mss. Uni., P. ili, T. Ili, car. 34r., 34f, 35r, di sorto alcuna. 404 19 — 22 LUGLIO 1610. [ 362 - 368 ] li sono state carissime e ne la ringratia infinitamente, con molto accrescimento doli’amore e affezione sua verso V. S.: nò mi maraviglio punto di quello elio la mi dice intorno alla sua Epistola 10 , perché mi pare che in tutte le coso sia cer¬ vello veloce e che stracorra assai. E sto con estremo desiderio aspettando 1* oc¬ chiale di V.S.; il quale mettendo in un cassettino conforme alla lunghezza sua, potrà far darlo al Sig. Montatiti (,) , il quale quando ci havesse dillicoltà, potrà V. S. io farlo dare da qualche altro, indiritto semplicemente a me, al maestro della posta di Venezia, che spedisce le lettere per qua, oliò 1’barò benissimo, havondo molte volte per la medesima strada cassette d’ olii, rinvolti grandi di libri e di drappi ancora, che so che eccedono di molto la grandezza dell’ occhiale. Intorno poi a quel che dica il volgo, io non ne resto punto maravigliato, perchè so che le cose grandi non possono esser senza invidia, la quale serve poi a quelli stessi di gastigo quando restano chiariti, come doverrà seguire delle cose di V. S., che havendo il testimonio del senso, sono appoggiate a inconcusso fondamento; e mi rallegro più tosto con V. S., chè tutte queste coso serviranno a far più ce¬ lebre il suo nome e raffinare la sua dottrina. E con pregarla a darmi segno di 20 ricordarsi (fella nostra antica amicitia con qualche occasione dove io possa ser¬ virla, le bacio le mani, come la prego anco a fare in mio nomo al gentilissimo Mons. or Gualdo. Che N. S. Iddio lo conceda ogni contento. Di Praga, li 19 di Luglio 1610. Di V. S. DI.» et Ecc. ,nft Afl>° Ser.™ Giuliano Modici. Fuori : All’ Ill. ro et Ecc. mo Sig. r mio Honorandissimo, 11 Sig. or Galileo Galilei, Matematico nello Studio di Padova. In Padova. 363 **. ORSO D’ELCI a BELISARIO VINTA in Firenze. Madrid, 22 luglio 1G10. Aroh. di Stato in Firenze. Film Medicea 4941. — Autografa. .... Il Sig. r Galileo Galilei, del quale V. S. 111.'"* mi fa montione nella sua lettera de’ 23 di Maggio Cfr. a.® 312. [304-3M] 23 — 24 LUGLIO li» 10. 4 or» 364. GALILEO a [COSIMO II, Granduca di Toscana, in Firenze]. Padova, 23 luglio 1(110. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 50. — Autografa. Ser. mo Sig. re mio Sig. r Col. mo Ancorché io Ria in brevi giorni per poter presenzialmente far questo uffizio debito di congratulazione con V. A. S. per la nascita del S. Principe novello, tutta via quel gaudio universale et eccessivo che per la nuova del felicissimo parto ingombra i petti di tutti i suoi devotissimi vassalli, non ha potuto lasciarmi la lingua et la penna in silenzio, sì che io non corra a dar segno all’A. V. S. del¬ l’immensa allegrezza clic ho sentita et sento per la grazia singolare conceduta dalla Divina Sapienza et Bontà al suo fortunatissimo Stato, io con 1’ assicurarlo doppiamente, e nella giovinezza dell’A. Y. et nella succedente prole, di volergli continuare il più soave et benigno go¬ verno, che in qualsivoglia più avventurosa etade si sia ritrovato in terra. Perpetui dunque Sua Divina Maestà nella felicità di V. A. S. la beatitudine terrena di tutti i suoi sudditi, tra i quali io devotis¬ simo me gl’ inchino, et humilissimo gli bacio la veste. Di Pad. a , li 28 di Luglio 1 (>10. Di Y. A. S. Hum. mo et Dev. mo Servo et Vass. l ° Galileo Galilei. 365*. GIOVANNI 0IAMP0LI a GALILEO in Padova. Firenze, 24 luglio 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI. car. 67. — Autografa. Molt’ Ill. ro et Ecc. ,no S. r mio Oss. ,uo Dal S. r Dottor Sertini hebbi avviso, come V. S. Ecc. nm desiderava di vedere qualche poesia del Poeta Contadino (,) ; o perchè allora mi pareva bene eh’ei fa- in Gio. Domenico Peri, d'Arcidosso noi Sonoso. 406 24 LUGLIO 1610. [865] cesso qualche canzone appartenente a cotesto Studio, indugiai a servirla, aspet¬ tando eh’ il favor divino lo fecondasse di concetti ammirabili o degni di loi. L’oc¬ cupa tioni ch’egli ha haute sono stato tanto, elio in questa città non ci poteva quasi vivere: tanto era importunato dalla copia di favori insoliti, che quasi Ria¬ vevano fatto sbalordire. Oli pareva, su questi caldi, inaridito per lui il fonte il’ Elicona, che solamente gli pare di saper trovaro tra i boschi e le fontane d’Ar- cidosso, donde però non si vuol partire, non ostante l’invito cortesissimo di questi io Ser.'"‘ Padroni, che 1’ hanno regalato di libri a sua volontà, di vestito per tutta la sua famiglia, o di quattro altro moggia di grano; e 1’ hospitalità liberalissima del S. r Gio. Bat. a(,) a pena l’ha potuto persuadere a ritornarci qualche volta, o lasciare per un poco di tempo quello sue montagne, dove ei dice sentirsi piò favorito dalla Musa e dal cielo, sì che quagiù ha potuto compor poco, riebbero forza non piccola di risvegliarlo l’allegrezze universali del nato Principe; onde la mattina subito fece l’inclusa canzonetta, con 1’ altra odo a Madama Scr. ma Lo mando por bora questo due, col sonetto di partenza al S. r Gio. Bat. ftt,) , per essere l’ultimo opero suo e non sapendo clic parte seenni d’ottavo in questo nuovo poema, esscndovene in tanti luoghi dello ammirabili assolutamente, conio 20 dicon molti, e tutti so si riguarda al componitore. So vorrà altro, accenni, chè i cenni ili V. S. Ecc. mtt mi saranno in questa et in ogn’altra occasione, dove io habbia ventura di servirla, espressi comandamenti, gloriandomi di vivere obbli¬ gatissimo alla sua cortesia, et havendo particolare ambitione d’ esser tenuto per servitor non discaro, e non inutile al tutto, di persona tanto ammirabile, sì come per tale il S. r Gio. Bat. a ama et lionora V. S. Ecc.'" a , che con la felicità del suo divino ingegno honorando tanto questa patria nobilissima, fa stupire con la lama delle sue maraviglio tutt’ Europa. Baciole con devoto alletto la mano; e dalla divina Bontà, por benefitio uni¬ versale, per gloria sua e per contento di tanti suoi amici e servitori, lo prego so lunghezza di vita et ogni prosperità più desiderabile. Di Firenze, il di 24 di Luglio 1G10. Di V. S. Kec. ,na All’." 10 et Ohblig. mo Ser. ro Gio. Ciampoli. Fuori : Al molt’ Ill. re et Kcc. mo S. r mio Oss. mo 11 S.' Galileo Galilei. Padova. m Gio. Battista Strozzi. <*> Non soiio ora uuiti alla lutami. 24 LUGLIO 1610. 407 366 * FRANCESCO MARIA DEL MONTE a GALILEO in Padova. Roma, ‘24 luglio 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Qal., P. I, T. XIV, cnr. 41. — Autografa la sottoscrizioni). 111. Sig. or Ilo ricevuto l’occhiale mandatomi da V. S., il quale mi par bollissimo, e spero che mi babbi a riuscire tuttavia meglio. Le ne rendo molte gratie e me le obero di core, acciò che si vaglia di me con ogni sicurezza in tutte le sue oc¬ correnze. Con la prima commodiU avvisarò il Sig. or Cardinal Montalto de’ particolari clic si devono osservare intorno all’uso dell’occhiale; et io non mi lasciarci scap¬ pare di mano quello che V. S. mi ha mandato ultimamente, porohò lo voglio pel¬ ine, chiedamelo pure qualunque si sia. Il Signor Iddio prosperi V. S. Di Roma, li 24 di Luglio 1010. Di V. S. 111. Come fratello S. or Galileo Galilei. 11 Card, dal Monte. Fuori : All’ 111. Sig.^ Il Sig." 1 ' Galileo Galilei. Padoa. 367 *. ALESSANDRO PERETTI DI MONTALTO a GALILEO in Padova. Roma, ‘24 luglio 1610. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XIV, car. 48. — Autografa la fimi A. Molto Mag. co Sig. ro E vero ch’io disideravo molto d’bavere uno de gli occhiali, onde vien co- mendata e celebrata tanto l’industria di V. S.: e però, essendosi ella compiaciuta mandarmene uno di bellezza e bontà incomparabile, può esser certa che mi ò stato di singoiar contento. La ringratio dunque della sua cortesia e gentilezza e dell’affettione clic mi dimostra, alla quale corrispondo compitamente con ot¬ tima volontà; e sempre ch« mi si offerisca opportunità di mostrargliela con ef- 408 24 — 27 LUGLIO 1610. [887-368] fotti, il farò con ogni prontezza. Intanto mi raccomando a lei di buon core. Dio, nostro Signore, la conservi o contenti. l)i Roma, alli 24 di Luglio 1010. io ÀI piacer di V. 8. S. r Galileo Galilei. A. Car. Monta Ito. Fuori: Al molto Mag.'° Sig. r " 11 Sig. r Galileo Galilei. Padova. 868 *. tìlO. ANTONIO UOFFENI a GALILEO in Padova. Bologna, 27 luglio 1010. Dibl. Naz. Flr. Mas. (Sul., 1*. VI, T. VII, cnr. 140. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. ,no 8.™ e P.rono ()ss. mo Stavo con grandissimo desiderio che V. S. Ecc." m , come già ini significò in Padoa, venosse a Bologna, et ini sono andato trattenendo, ma non è ancora ar¬ rivata; onde nello passaggio suo desidero e goderla et servirla. Mi fu dunque V altro giorno mostrato quella piccola operuzza di quello sciagurato di Martino Morelli, servitore del S. ro Magino, et a penna hebbi patienza di legerla, et P ho ancora apresso di me; et credami che sarà tenuto por quello che veramente ò, cioè uno solenne ignorante. E perchè fra molte et ridicole raggioni, che non fanno a proposito, dice che una notte, in casa delli SS. rl Caprara, Gio. Ant.° Rof- foni li fece vedere una stella duplicata, et esso non voleva confessarlo 0) , sii come io si voglia, voglio chiarire questo furfante et arrogante ; et ho risoluto volere scri¬ vere una lettera (,) , a questo altro spatio, a V. S. Ecc. ma , nella quale voglio inse¬ rire molte cose, tolte di peso da authori et directo contro di lei senza proposito, et insieme mostrarli Y ignoranza sua, et all’ occasione farli conoscere quelle pa¬ role : Et hacc illis qui Galileo mihique favent et invident (,) ; la quale lettera desidero che sii stampata nella agiunta che loi mi significa dovere fare, ut cunctis inote- scat : chè se altrimento, non starei ad affaticarmi nò tam poco a mandargliela. Sto dunque aspettando risposta, e me gli olierò prontissimo in ogni occasione. Bolog. n , il dì 27 Luglio 1610. Di V. S. molto HI.» et Ecc. ma Se. ro di cuore 20 Gio. Ant.° R offe ni. Fuori: Al molto 111.» et Ecc." 10 S.™ e P.rone mio Oss. n, ° Il Sig.™ Galileo Galilei, Eminentiss. mo Letore nello Studio di franca per Venetia. Padoa. O) Cfr. Voi. Ili, Par. I, psg. M2, Un. 9 o scg. <»» Cfr. Voi. Ili, Par. I, pa*. 145, lin. 31. Cfr. Voi. Ili, Par. T, pag. 195-200. [369-370] 20 — 80 luglio 1610. 369 * ROBERTO STROZZI a GALILEO in Padova, ltoma, 29 luglio 1G10. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, U. K XC, u.° 175. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. mo Il sig. Cardinale Montalto 111." 10 ha ricevuto il canone clic V. S. si è com¬ piaciuta mandarle, e ne ha havuto tanto gusto quanto immaginar si possa; et es¬ sendo in cocchio con S. S. Ill. ,nft , raggiornassimo assai della persona di V. S. Io gli dissi parte e delle virtù e delle qualità sue, per le quali mostrò esso Signore de¬ siderio di poterle lare qualche servitù). Io poi resto a V. S. tanto obligato che non potrei più, poiché ad instanza mia si è compiaciuta regalare questo 111." 10 Si¬ gnore di cosa tanto segnalata. V. S. però commandi a me liberamente in quelle occasioni che mi conoscerà buono, eh’ io la servirò sempre prontamente e volon- ìo tieri. Et le bacio le mani. Di Roma, adì 29 Luglio 1(510. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc." m Ser. r0 di core Roberto Strozzi. Fuori: Al molt’Illustre et Ecc.'"° Sig. r mio [...]“ , ° 11 Sig. r Dottor Galileo do’Galilei. Venetia per Padova. 370 . GALILEO a [BELISARIO-VINTA in Firenze]. Padova, ìlO luglio 1010. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Par. VI, T. V, car. 42 — Autografa. IH.™» Sig. ro ot Pari . ne Col."' 0 Sarà questa solo per far reverenza a V. S. Ili . n,n , et significarli come per diverse occupazioni, et tra le altre per la gravissima et finalmente mortale infirmità del mio povero Alessandro (l) , non sono potuto an¬ cora andare a Venezia, dove anderò domali l’altro, et spedito di lì m’incaminerò a cotesta volta: ma prima gli scriverò ancora, et la (*) Alessandro Fieiisaktt. CO*. Voi. 19, Doc. XIII, png. 174. X. 62 410 30 LUGLIO —6 AGOSTO 1610. [370-371] supplicherò a impetrarmi da loro A. S. me una lettiga da Bologna a Fi¬ renze, sendomi impossibile il cavalcar per sì lunga et malagevole strada. Ho cominciato il dì 25 stante a rivedere Giove orientale mattutino, con la sua schiera de’Pianeti Medicei, et più ho scoperto un’altra io stravagantissima meraviglia, la quale desidero che sia saputa da loro A. z0 et da V. S., tenendola però occulta, sin che nell’opera che ristamperò sia da me publicata: ma ne ho voluto dar conto a loro A. ze Ser. mo , acciò se altri rincontrasse, sappino che ninno la ha osser¬ vata avanti di ino; se ben tengo per ferino che ninno la vedrà se non dopo che ne l’haverò fatto avvertito. Questo è, che la stella di Saturno non è una sola, ina un composto di 3, le quali quasi si toccano, nò mai tra di loro si muovono o mutano ; ot sono poste in fila secondo la lunghezza del zodiaco, essendo quella di mezzo circa 3 volte maggiore delle altre 2 laterali : et stanno situate in questa forma oOo , SI 20 come quanto prima farò vedere a loro A. z0 , essondo in questo autunno por haver bellissima comodità di osservare le cose celesti con i pianeti tutti sopra l’orizzonte. Non occuperò più V. S. Ill. ma ; et baciandoli con ogni reverenza le mani, la supplico ad inchinarsi huinilmente in mio nomo a loro A. zc Ser. ,no II Signore la feliciti. Di Pad. :l , li 30 di Luglio 1610. Di V. S. IU.‘ na Sor.™ Oblig. mo Galileo Galilei. 371 *. OPOARTÌO FARNESE a GALILEO in Padova. Roma, 6 agosto 1(110. Dibl. Naz. Tir. Mss. Gal.. P. I, T. XIV, car. 46. — Autografa la firma. Molto Mag. co Sig. re Il desiderio ch’io tenevo d’uno de gli occhiali inventati da V. S., et la pron¬ tezza con la quale ella si ò mossa a compiacermene, possono renderla persuasa del molto obligo ch’io riconosco alla cortesia sua di quello che mi ha mandato. Tuttavia serviranno anco le presenti righe per un testimonio del mio riconosci¬ mento, et insieme della particolarissima stima eh’ io faccio della persona et va- Lett. 370. IL miraviylia — 6 — 7 AGOSTO 1610. 411 1371-372] loro suo, ii fin eli’ ella habbia da fare capitale de i meriti che tiene meco et del prontissimo desiderio mio verso di lei, in ogni occorrenza, come di cuore ne la prego. Et il Signore Dio la prosperi io Di Roma, li 6 d’Agosto 1610. Tutto di V. S. S. ro Galileo Galilei. Il Car. Farnese. Fuori: Al molto Mag. co Sig. r Il S. r Galileo Galilei. Padova. 372 . ALESSANDRO SERTI NI a GALILEO in Padova. Firenze, 7 agosto 1010. Bibl. N Fhancksco Sizzi. <*> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 209-250. <») Cfr. u.° 947. 412 7 AG08T0 1610 . 13721 nendo che V. S. da lui ne havesse havuto notizia, dicendo in oltre che anche 20 esso Macini era consapevole e consenziente ad ogni cosa e che ne haveva let¬ tore, e che poi ch’egli haveva scoperto lui, egli ancora voleva palesarlo 10 : al che gli fu risposto che non poteva essere che ’l Magini havesse fatto tal cosa, poi che per mille vie si era volsuto giustiticare con V. S. Ora cohI è passato il negozio: il tutto serva per avviso; e se V. S. vuole far sapere al Magini questa cosa e mostrarli anche questa lettera, a ino non rilieva: mi sa male eh’ eli’abbia a far con fanciulli. Et de his hadvnus. Il Sig. r Buonarruoti le bacia le ninni e lo manda 1’ alligata composizione pregandola che vuoglia migliorarla dove le paia che ne sia capace, e che le piac¬ cia aggradire la buona volontà di servirla. Credo, anzi son certo, che le piacerà, so IO perchè V. S. disse di volere stampare, ogn’ uno ne ha paura, ed egli ancora non vorrebbe il suo nomo in istampa, ma come il Sig.r Piero de’ Bardi (, \ havendosi a stampare, si contenterebbe che si dicesse: dell'Imjxistato, Accademico della Onisca. V. S. non mi ha mai detto cosa alcuna dello stampare : forse vuole indugiare, per vedere quello elio hanno in corpo tutti questi che scrivono o vogliono scri¬ vere, per poter rispondere a tutti ad un tratto; e mi piace, si per la minor briga, non havendo a fare tanti trattati 0 leggendo, ma una sola, si ancora perchè V. S. può rispondere a tutti senza menzionar nissuno, e non entrare in altro che ne’meri termini della cosa, il cho a me piace estremamente, e credo che sia la vera. V.S. harà havuto un sonetto del Sig. r Niccolò Arrighetti 4) , cho io l’inviai 40 Stella poi *n elei tra l'altro stelle appare, F. ili ina gloria I' universo alluma. Tal Ferdinando, chiusi gl’ orchi al mondo, l)al cui -.guardo pomi.)» d’Ktruria il freno, Lasin'i gl'aprrse; e assiso n (Uovo in sono, Il sento cerchio piò remino giocondo: E nell'abisso doli'eterna monte !>«' quattro figli In virtù fatalo Scorgendo al fin dover farsi immortalo, Seggio loro approntò divo o lucento. quattro a noi non più veduto stollo, Cho '1 lincei. sguardo sol dell’alto Ingegno Tuo, Galileo, cl scuopro, albergo doglio Saranno in elei dello quattro alme bolle. Al Medirco splendore Argo o Perseo No Unno oscuri, o di suo glorio il vanto 11 boi cigno Lodco dirà col canto Su l'aurea cetra onde fu chinro Orfoo. » Cfr. n « 857. ,M Nei Mu, Galileiani, Par. I, Tomo III, a car. 104f.. ò trascritto di mano di Galilko un so¬ netto, in capo al qualo, sompro di mano di Gai.m.ko, si logge: « Del Sig.»» A.» Sospettiamo sia appunto il sonetto doli' Akhkiiiktti qui accomiato, quantunque VixcsMiu Vivia.ni a queir « A » abbia soggiunto di sna mano « ndrea Salvador! ». 1,1 Cfr. Carteggio inedito di Tifone lirahr, Gio¬ vanni KepUro, acc. con Giovanni Antonio Magini occ. pubblicato ed illustrato da Antonio Favaro. Bologna, Zanichelli, 1880, pag. 808-850. '*• Si loggo, di mano di Galilio, nei Mi*. Ga¬ lileiani, Par. I, T. Ili, car. 108r.-10dr.: « DEL S. MICnELAGNOLO BUONARRUOTI. Quando 'I custode do gli aurati pomi Caddo dal formidabil braccio estinto, Mirando Olovo dal figlino! Tirinto Gli orribil colli insanguinati o domi: Questa, fra cento o conto ardito impresi-, Sovr'ogn’altra innalzando il maggior Dio, Por furio schermo dal mortalo obblio, Il ciol della sua imago illustre rose. Ivi Alcide il gran pondo ancora scuoto K par cho flammo di valore spiri, K tra’ fulgor dogli stellati giri L'aminirn Arturo o n’ha stnpor Boote. Tanto vai di virtù terrena luco, Cho non disdegna ’l ciel fanone adorno : Quindi veggiam cho 1’©tornai soggiorno Dolio splendor di tanti eroi riluco. Chi doli’ eroico onor P anima inpiuma Por Io sontier d’ opro sovrano o rare. 7 — 9 AGOSTO 1610. 413 [372-3741 la settimana passata: credo le sarà, piaciuto. Non ho visto ancora il padre Claudio 10 : non mancherò farle i ringraziamenti. Qua è rinfrescato assai, e se così fossi seguito costà, 1* aspetterei di certo ; se no, piova quanto prima, perchè una volta co’ 1 bicchiere in mano leviamo un gran croscio di risa contro l’in¬ vidia delli ignoranti e maligni e le loro coglionerie. Il Sig. r Andrea (,) va facendo, e dice che non sa perchè Venere abbia eletto il suo cervello per campo da combattere contro Apollo, poiché appena mancato un rigiro, ne vien un altro: ma le stanze si finiranno in ogni modo. Non le scrivo altro. È aspettata con desiderio. Dio la guardi. Di Fir.°, il dì 7 di Ag.° 1610. Di V. S. molto lll. ro ed Ecc. a Ser. 8 A(T. mo Aless. 0 Sertini. Padron mio, 1’ avvisarmi del nuovo scoprimento senza dirmi che, è stato ap¬ punto un farmene venir voglia o piantarmi quivi. Fuori : Al molto Ill. ro od Ecc. mo mio Sig. ro Il Sig. r Galileo Galilei, in Padova. 873 . FRANCESCO SIZZI a GIOVANNI DE’MEDICI [in Pisa]. Firenze, 7 agosto 1610. Cfr. Voi. Ili, Far. I, pag. 205. 374 . GIOVANNI KEFLER a GALILEO [in Padova]. Praga, ‘J agosto 1610. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., F. Ili, T. VII, 2, cnr. 85-86. — Autografa. Lo car. 87-88 del medesimo Tomo con- tengono copia, di inano di Gai.ii.f.o, della lettoni stossn ; proliabilmonto preparata per la stampa elio questi disegnava di fumo. Questa copia proscnta alcuno varianti, elio registriamo appio di pagina con la iniziale 0 . S. P. D. Excellentissime D. Galilaee, amico colende, Accepi al>. 111."' 0 Oratore M.‘ Ducis Hetruriae continuationem tuarum obscr- vationum circa Medicaea Sidera lS) . Magno me desiderio incendisti videndi tui 0) Claudio Skuipanoi: cfr. u.° 357. <*' Andkka Sai.vadoki: cfr.Voi. IX, pag. 233 e sog. (»» Cfr. n.» ÌJ62. 414 il AGOSTO KilO. [ 874 ] instru menti, ut tondoni iisdem tocum poti tir caclestibus spectoculis. Nam quae hic babemus ocularia, quae optima, decuplant diametrum ; caetora vix triplicanti ad vigecuplum monili unum pervonit, sed debili et maligna luce. Causa me non latet, et video ut clarifìcari possint; sed sumptus subterfugimus. Nullo ex iis, quae hactonus videre potili, stellae minutac doteguntur, uno excopto quod ipse constiuxi : id non maiorem tripla diametruin facit, aut suminum quadrupla, io Stellas tainen Viae Lactoao plurimas distinctisaimo cxliibet ; mirum, culli in hunc usuili formatum sit, ut illudcret spectatori. ('ausa est claritatis, quia copiosissi- mam odili itti t lucom: neo «nini, ut caoteris, limlma lentia convexae tegitur, tota lons paté! ; itaquo et in latain regionem visus excurrit, et tacilo quae quaero assequor. Proximo interlunio Martelli matutinum anni contemplatila. Aliquot mimitas vidi, sed non in longitudinein /.odiaci dispositela : puto accensendns lino Piscium. lovom nondum per id aspexi. Caotera, ut quodquo melius, et praosertim quod vigecuplat, palliatila mihi detegunt lunae faciein; satis enim illa luininis habet, otiam cum per tonuissimas rimas inspicitur. Video igitur dispOBitionem macula-20 rum accurate; video in media sectione primae quadrue promontoria duo lucida; video paulatim et vitri glacialis spcciem. Dio S. Iacobi, ut et ante duos mcnses, notavi in imo conni iioduin lucidum, divisimi et a conni supra et ab extromo lucis acumine ad ortum. Quos diciinus oculos, suleo comparare quadrupedi in pastura aut praodam ruenti, rictu et podibus primoribus; idquc est sinistor oculus o regiono nostri dextri. linee efligios cum gena dextra, latissima macula, con- nectitur tlcxuoso maculae ductu, qui quamproximc Graecornm E repraesentat in typis Ilenrici Stepliani. In gena ipsa sex distinctas numero lucidas insulas in rocta transversa versus os. Dumi liaec scribo, in manna meas venit importuna ebarta bominis lloborni, -io Mutiline excusa (,) . Mirai» adolescenti temeritatem, qui inussantibus omnibus indigenis doctis, ipse, peregrinus et imporitus, solus obloquitur, re nondum com¬ porta. Credo, ut histrionibus persona, sic ei novitas et obscuritas nominis auda- ciam addidit. An babes tu fortussis aemulos Italos, (pii coiiduxcrunt oporam peregrini, ut meani Germani Dissertationem invidiosam petulanti» liberai uleisce- renturV Imlignae paginac in quibus tempus teras; sed tamon, quia mea epistola abutitnr, statui rationem libi qiiodammodo reddero facti alieni. Noscere me cepit Prugne, anni sunt aliquot. Superiori Ianuario, cum opera mea indigeret, litoris Pononia missis fores amicitiae meae pulsare cepit: vix tandem agnovi quis esset. Cepi de novo favere Immilli, quod studiosus esset io literarum et mei. llt priimini intellexi ex eius literis, esse tibi obtrectatores, Lett. 374. 1 1 . itmjue in, 0 — 10 - 17 . minutai itedlulai vidi, (ì — 18. per illuni ai/tcxi, 0 — m Oiof) lft Peregrinati*) dell’ Hokky. [3741 9 AGOSTO 1610. 415 ipsum vero sequi studia vulgi, gnartis qnam ea novis obstent inventis, properavi ad te scribore, si forte praeriperem occasiones. Ad ipsum exemplar Epistola© (,) misi impressac, ut ex oa disceret vel sapere voi certe èusxetv. Quid vero is ea fecerit, vides : amicitiam hanc, inquam, vix dum spirare visam obscurissime, nece famosissima iugulavit Arcanum hoc effert, scilicet: revocatum te a me ad principia tuarum obser- vationum? Scilicet, non ipse hoc in praefatione dixeram: hoc coniectore, ant pro- ditore, opus fuitV At non ideo recensui quid simile antea fuerit observatum, ut no ipse obtrectaret, sed ut caeteri crederent pluriura testimonio, et ut epistola mea fuco carerot, ingonuitate sua lucrifaciens aemulos et pertinaces. Snepe irati sa- tiantur oxigua, exosi multa; at non ille : quin exprobrat, iactat, insultat, auget. Si quid te habere dixi meorum simile circa maculas lunae, at et plura habere te dixi, nec mutuatum dixi : temeritatis esset hoc certo affirmare in illa publica epistola : saepe diversis ad eundem scopum convcnitur viis. Si me credit obiter aliquid innuere voluisse, ne quaeso oscitasse putet, qui neglexerim id aperte di¬ cero : me mihi relinquat. Ego non existimo cuiquam licere in quoquam aliena recognoscerc, nisi qui etiam peculiaria, nova, rara, pulchra, quae invenit, agno- scere, capere et discernere aptus est. co Sed nihil magis me pungit, quam quod laudibus me effert, sputum hominis. Contumeliam mihi inl’ert, quicunque laudem crimini quaerit ex mea qualicun- que fama. Dubitationem mihi impingit ex co, quod salvimi volui cuiuscumque iudicium. O vanum argumentum ! Quod ego porpendo, tu non perpendis : possum et ego credere, et tibi non credenti ignoscere. Sed dogmata propria subiicio examini? Quid vero haec ad fidem habitam alieno afHrmato? Exaggeravi scelus, si prò veris ficta tradidisses. Hoc ille vult impugnali fidem Nuncii. At haec quidem vix est. Ego fidem N micio asti no. Certamen hoc virtutis est cum vitio: ego, ut bonus vir, de Galilaei affirnmtis iudico, non cadere in illuni tantam nequitiam ; ille, 70 nullo adhuc gustu honestatis, eoque illam susque deque habens, cadere affirmat, ex suo forte ingenio caeteros aestimans. Esto ut deceptus siili (quod absit). Ego, mea credulitate bonus, facto miser habehor ; ipse, eventu foclix, calliditate pes- simus. Quia haec via iuris est, ut quilibet praesuniatur bonus, dum contrarimi! non probetur : quanto magis si circamstantiae fidem fecerint? Et vero non pro¬ blema philosophicum, sed quaestio iuridica facti est, an studio Galilaeus orbem deluserit. Hanc mihi quaostionem placuit initio tractare, cum quia vestibulum obsidebat, tum quia tam multi erant, qui malebant credere te fallere, quam reni no vani detegi. 70. eoque illuni Dunque, G — (*l CÌOÒ (lolla Diimertatio. I*) Cfr. u.®!176. 41C 9 AGOSTO 1610. [374 j Rationes vero me et argumentationes invictissimaa contra hunc Kuncium protulisse? Boccino bon&e imlolis indicium, amici et benefactoris intentum, per- so vertere V Et ubi arte» inversionum? Cur non probat quod dixit? Cur non re- cen8et illa arguì»onta, ut omnes videant, pessima fido dictum ? Extat epistola mea; illa loquatur. Passim per illara lusus interporsi, hoc consilio, ut irrisores risu praevenirem in traditone rei novae et in vulgus absurdae. Si quis forte, parum attentus, ex his 1 usi bus ansam aumit dubitandi de mea sententia, hic certe sourra ex eorum numero uon est, qui ex privatis meis litoris satis quid tenerem fuit edoctus. Haec sunt, Galilaee, quae me mordent; reliqua rideo. Nam punctus eius pro- miscuos, quibus me impetit, ut muscae aliouius aeque contemno. Noe sum adeo stupidus, ut movoar authoritate vulgi negativa, aut a vulgi oscitanza et inopti- oo tndine contra astronomi experientiam et dexteritatem ratiociner. Quid mirum, profesaores Àcademiarum promiscuos opponere sese inventioni rei novao in illa provincia, in qua rei tritissimae et apud omnes astronomoe contestatissimae, pa- rallaxium scilicet, extant oppugnatores loco eminentissimi, eruditionis fama cele¬ berrimi? Neque enim celare te volo, complurium Italorum literas Pragam ferri, qui tuo perspicillo planetas illos a se videri pernegant. Ego quidem mecum ipso causafl di spie io, cur tam multi negent, etiara qui perspicillum tractent; et si comparom ea quae in ibi interdum eveniunt, video non esso impossibile ut unus videat quod non vident mille alii. Sic Varus ilio ex Dropano prospexit classem e portu Chartaginis solventem, numeravitque navea; quod nomo tota Sicilia potuit. 100 Saepe usuvenit, ut quae mihi proeunt perspicilla, oa non proaint alii, et quae caeteri laudant, ea ego de nebulis accusem. Ipse unus et idem, curii i nei pio con¬ templari, puro fruor aspectu ; ubi aliquantum immoror, colores iridis oriuntur. Igitur, etsi mecum nondum quicquam dubito, dolet tamen me taradiu destituì testimoniis aliorum, ad tìdem caeteris faciendam. Te, Galilaee, rogo, ut testes aliquos primo quoque tempore produeas. Ex literis enim tuie ad diversos didici, tibi non deesse testes ; sed nemineni, praeter te, hoc referentem producere possum, quo famam epistolae meae defendam. In te uno recumbit tota observa- tionis authoritas. Nisi forte placet tibi testimonium ab liosto; quod inter scriben- dum incidit. Fatetur, se tuo instrumento die 24 Aprilis vidisse duos planetas no circa Ioveni, 25 Aprilis quatuor {,) . Raptim produxi chartam tuam ad 111."' Ora- torem tronsmissam : et ecce tu quoque ad 24 Aprilis exhibos duos, ad 25 Aprilis quatuor planetas. Invenit tamen ista sycophantia naeniam impudentissimam de refiexionibus, qua populum abduceret. Vulgus enim, opticarum rationum imperitum, aurea 80. indoli» indicium, umici, 0 — 88. lusu* interponiti, hoc, G — 1 IO. incìdit. Tetta tur, te, G — Cfr. Voi. Ili, Par. I. pag. 140, liu. 32-35; pag. 141, liu. 1-0. • 9 AGOSTO 1010. 417 1 . 374 - 375 ] libenter accommodat obtreotatori, ex opticis loquenti ; quia inter caecum et vi- denteni nescit distinguere, gaudetque qualibuscunque imperitiae suae tribunis. Quos si iubeas, adire scriptores opticos, in rem praesentem venire, libellum stul- tissimum ex scipso refellere, experieris eos malie, hoc authore, curvum dicere 120 rectum, ut lascivirc contra philosophiam possint, quam ut id laboris sibi sumant. Et imperabit sibi doctus aliquis, huius scientiae gnarus, ut papyrum perdat in rofutandis bis nugis ? O sapiontem Pythagoram, qui nulla re alia maiestatem pliilosophiae contincri censuit, quam silentio ! E uno quia iecisti aleam, Galilaee, vulgoque propalasti liaec eaelorum adyta, quid aliud restat, quain ut contemnas concitatos istos strepitus, gratumque stultis mercimonium, inscitiam, accepta con¬ tumelia loco precii, vendas? quippe vulgus contemptum pliilosophiae in se ipso ulciscitur perpetua ignorantia. Licobit tibi tamen hanc epistolam publici iuris lacere, si tua interesse puta- veris: mea nibil interest, nec dignor hominem. Vale et resciibe. 130 Pragae, 9 Aug. 1610. Officiosiss. U8 Ex. T. I. Keplerus, S. 0. M.tis Mathematicus. 375 . MARTINO 1IASDALE a GALILEO in Padova. Praga, 9 agosto [1610]. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 148-149. — Autografa. Molto lll. r ® et Ecc. m0 Sig. r P.ron Colend. m ° Come il Sig. r Zugmesser sia qui, non mancherò di renderlo capace di quanto ella mi scrive nella sua. Mi pare che egli habbia letta la risposta fatta da V. S. alli Capri, ma so bene che egli desiderava di vedere il loro libro, che dice non bavere visto ; et questo lo desidera grandemente, havendomene fatta istanza. Ho caro sapere quello particolare che V. S. nel suo libro non dice altrimenti, ch’egli havesse havuta quell’ inventione dal Brahe (l) . Signor mio, una parentesi. Ilo stretta amicitia con un figliuolo di Brahe et con la sorella del Brahe, matrona vecchia molto honorata, che scrive in unite¬ lo matica precipuamente, et traduce libri di latino in tedesco per suo gusto. Un altro figliuolo del Brahe si truova in Italia di presente. N’ ho voluto avvisare V. S., se per sorte le occorresse qualche cosa con loro in detto genere. Quanto poi a quella scrittura uscita da quel Boheino, già servitore del S. 1 ' Mag- gino, la va per manus, essendone qui un essemplare solo, mandato d’Italia al Lett. 376. 8. In luogo ili Mi pare ohe prima aveva scritto, o poi cancellò, Non no — ««) Cfr. n.» 328. . ;•*. X. 53 9 AGOSTO 1010. 418 L375] Velsero Augustano, tutto spagnuolo ot poco amico de* Venctiani. Non lio vista ancora dotta scrittura, ma la potrò vedere. Non pensi V. S. che io habbia detto fuori di proposito che il Volsero sia tutto spagnuolo; perchè gli Spagnuoli sti¬ mano, per ragione di stato essere necessario che il libro di V. S. si debba sop¬ primere, come pernicioso alla religione, con il mantello della quale si fanno lecito di fare ogni poltronia per arrivare alla monarchia. Questa lega, eh’ ò qui contro 20 di V. S., non viene fabricata da altri che da loro et loro dependenti et adherenti, tra’ quali il Residente di Lucca 10 , così bel cttius quanto inai habbia conosciuto, et por tale anco tenuto. Ci è poi un dottorello, che fa vita con detto Lucchese, che abbaia con gli altri, come i cagnuoli che sentono abbaiare i altri cani, perchè egli, come anco il Lucchese, confessano non bavere mai studiato matematica. Io ini chiarirò meglio, come V. S. m’accenna, di quelle lettere scritte da Bo¬ logna, se sono state scritte con participatione del S. r Magmi. Ma mi pare che io facessi replicare 3 o 4 volte il Zugmesser, eh’il Magino era nominato tra gli altri che sottoscrivovano all’ oppositioni di V. S. Quel furfantello appunto mi ha chiarito con essere andato a servire il Capra, so Quanto al Chepplero, mangiammo l’altro giorno insieme, et volendolo accom¬ pagnare a casa, per bavere io d’ andare da un suo vicino, fui desviato altrove. Ma mi haveva comminciato a ragionare di V. S. et di questa opera del Bohomo, quale ò figliuolo di un predicante luterano, come questa mattina uno mi ha detto. Io dopo havute le lettere di V. S., non ho havuta commodità di vedere detto S. r Chepplero, essendo venuto un giorno più tardi del solito; non prima di lioggi le ho havute : ma domani gli mostrerò la lettera di V. S., et a lei risposta per il prossimo, piacendo al Signore, come anco al mio patroncino et signor, il S. r Ottavio, la cui lettera ho baciata molte volte, come a me gratissima. Intanto prego V.S. a fare lo mie scuse con S. S. rio , perchè ho da scrivere fogli di carta. 40 Quanto all’ultimo occhiale, S. M. u dice eh’è il miglioro di quanti n’ ha havuti, in rappresontare le cose grandi et da lontano ; ma le pare che potrebbe essere più chiaro. Questo è quello mandato dal b ucchero (,) , ambasciatore. Non man¬ cherò di dire, con la prima occasiono, di quelli fatti per mano di V. S., de’quali mi pare che l’Ambnsciatore Toscano doveva darne uno, et questa mattina me ne soli scordato di domandarne. Bacio le mani. Di Praga, 9 d’Agosto. Serv.™ AfT. m0 M. Hasdalo. Fuori: Al molto 111™ et Ecc. m0 S. re mio ()ss. m0 Il Sig. r Galileo Galilei, Matematico di co Padova. 3i. Tra et o a U% si leggo, cancellato, ne. — 45. Prima aveva scritto doveva mandarne uno, poi cancellò le primo tro lettore di mandarne. — <*> Cfr. n.« 824, lin. 57. *** Gioroio Finitimi [376-877] 9 — 16 AGOSTO 1610. 419 376 . [GIOVANNI KEPLER a MARTINO HORKY in Milano]. [Praga], 9 agosto 1610. Bibl. Palatina in Vienna. Cod. 1070!ì, car. 85. — Copia di mano sincrona. .... Tuam Perogrinationem ex concessi! I). Mattai Welsori nactug, legi. Etsi igitur candoris mei famam inxfca tuam amicitiam tueri non possimi, ooque nuncinm tibi l’omitto, patria tamen tui causa, et quia no hosti qnidcm alicuius mali causa esse velini, duo tabi significo, tertium admoneo. Primum est, quod epistolam ad Galilaeum seri pai, qualcm te meruisse aestimare potes, eique potcstatem feci, si velit, publice imprimendo 1 ). Alternili, quod conditio tui parentis W nota sit secretano Regia Ilispaniaruin Oratoria, et ex oius relatu caeteris Italis qui lue sunt; ad lui enim cum recenseret illis: videris igitur tu, an iis in partibus tibi haec notitia sit incoramodaturn, nisi Torte omnes Snnefci cennilium tibi suppeditaverint pericula ist.a praeveniondi. Tertium: pater, non minus quam ogo, imo 10 multo maxime, prò te est sollicitus; quanto magia, si sciret de tua Pevegrkmtione et mea invectival Eius patcrnum consilium si vis sequi, primo quoque die te ex illis loois proripies, uteunquo potoria. Vale. 9 Augusti, 1610. Quem noati. 377 **. GIO. ANTONIO ROFFENI a GALILEO in Padova. Bologna, 16 agosto 1610. Autogrrafoteoa Morrison In Londra. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc." 10 S. r mio, Resto con molto obligho a V. S. Ecc. ma della gratiosa sua lettera, datami ne¬ gligentemente dallo coriero; et doppo il poterli non rispondere, ho inteso il con¬ tenuto di essa et con prudenza, chè da sugetto tale altro non si può sperare, godendo infinitamente che sii per venirsene presto, et di già forsi per strada: onde la godremo, et rimeterò a lei quanto già le scrissi, havendo quasi fornita l’Epistola (S) . Et con questa occasione gli olierò la casa mia, pregandola a volersene valere in questo passaggio, et ancora in altro occasione, chè riputeromi favore segnalato che cosi povere mura fossero degne di ricevere così honorato et orni¬ lo nente sogetto: che se altrimente, a nome del S. r Magini 1* invito parimenti a casa sua, et ha imposto a me con grandissima instanza il fare simil offitio seco; il (»> Cfr. II.» 374. '*> Cfr. n.» 376, liu. 34. < 3 > Cfr. n.° 368. 420 IH — 17 AGOSTO 1610. [377-878] che esseguisco con quello affetto possibile, pregandola che ne favorisca uno di noi et non altro, perchè non bavera l'orsi servitori che tanto bramino d’ hono- rarlo et servirlo quanto noi. Et perchè non mi è concesso il scriver più alla longa, fornisco, et ine le raccomando in gratin. Di Bologna, a dì 16 Ag.° 1010. Di V.S. molto lll. r ® et Ecc.“ a Sor.™ di cuore Dio. Ant.° ltoffeni. Fuori: Al molto 111.'“ et Eec. mo «S. ro P.rone mio ()ss.' n0 Il Sig. r Ualiloo Galilei, Eminentiss.® Letore nello Studio di 20 franca per Venetia. l'ailoa. 378 . MARTINO BARDALE a GALILEO in Padova. Praga, 17 agosto 1010. Blbl. Naas. Pir. Mss. Uni., P. 1, T. VI, car. 72. — Autografa. Molto 111/*’ et Ecc. mo S. r mio Colend." 10 Con tutto che io non sappia dove questa mia sia por ritruovare V. S., non¬ dimeno non voglio tralasciare di scrivere questo 4 righe. Il Zugme8ser sarà qui questa settimana : farò con lui, et so non basterà, con Pistesso Elettore, quale so che haverà caro di leggere le lettere di V.S., piene di modestia et Immanità, da contundere Sciti et Tartari, non che barbari Germanici. Ho fatto venire il sapore alla bocca, non meno che colera al fiele, a C. 10 con quel capitolo, che il Cardinale Borghese gli havea levato dalle mani quell’ oc¬ chiale fatto di mani sue. S. M.** ha prorotto in queste parole : < In somma, que¬ sti preti vogliono ogni cosa >. Mi ha dato ordino di scrivere a V. S. a nome io suo; ma mi son scusato con dire, ch’ella havea scritto al S. r Ambasciatore di Toscana, che al sicuro harebbo mandato un al doppio più perfetto di quello che lui havuto Borghese. Vedendo che S. M. tìk non s’acquietava, l’ho fermata final¬ mente con dire, che ella a posta era stata chiamata a Fiorenza dal G. D. per farno qualche numero, da mandare a varii prencipi. Ilo fatto vedere al S. r Chepplero quello che V. S. scrive et al S. r Ambascia¬ tore et a me. In parte ha supplito con 1’ ordinario passato, in parte mi ha pro¬ messo di supplire questa sera con una altra lettera, se però il vino, che habhiamo bevuto insieme a pranzo, non gli fa mettere la testa sul capezzale. Si ha havuto ad impazzire ad intendere quella cifera (,) . Caro Signoro, non ci tenga così a 20 (l > Intonili Cesare. Ol La cifra relativa a Saturno tricorporeo. 17 — 10 AGOSTO 1G10. 421 [378-379] bada, kavendo così segnalati raalevadori contro chi volesse arrogarsi lo scopri¬ mento di quella così grande maraveglia, maggiore della prima, ciò è de’ Pianeti. V. S. mi creda, che oltre che ho il cervello fuori di gangani (come si dice ìi Roma) per troppa crapula, scrivo questa in fretta grandissima. Le bacio le mani, pregandola a conservarmi suo, come soli in effetto. Di Praga, alli xvn di Agosto 1610. Di V. S. molto ILI.™ et Ecc. 10 Serv.™ Àff. mo M. ilasdale. Fuori: Al molto 111. 10 et Ecc. 1,10 S. ro Oss.'"° so 11 Sig. r Galileo Gallilei, Matematico di Padova. 379 . GALILEO a GIOVANNI KEPLER [in Praga]. Padova, 1!) agosto 1610. Bibl. Palatina in Vionna. Cod. 10702, cur. 05-00. — Autografa. S. P. D. Dinas tuas epistolas, eruditissime Kepleri, accepi : priori, iam abs te iuris publici factae, in altera mearum observationuui editione re- spondebo ; interim gratias ago, quod tu primus ac fere solus, re minime inspecta, quae tua est ingenuitas atque ingenii sublimitas, meis as- sertionibus integram fìdcm praebueris : secundae, ac mox a me re- ceptae, responsum dabo brevissimum ; paucissimae eniin supersunt ad scribendum horae. Primo autem significas, perspicilla nonnulla apud te esse ; verum io non eius praestantiae, ut obiecta remotissima, maxima atque duris¬ sima repraesentent, ob idque meum te expectare. Verum excellentis- simuin quod apud me est, quodve spectra plusquam millies multi- plicat, meum amplius non est : ipsum enim a me petiit Serenissima Hetruriae Magnus Dux, ut in tribuna sua condat ibique, inter insi- gniora ac preciosiora, in perennem facti memoriam custodiat. Paria excellentiae nullum aliud construxi; praxis enim est valde laboriosa: verum machinas nonnullas ad illa configuranda atque expolienda excogitavi, quae Ilio construere nolui, cum exportari non possent 19 AGOSTO 1610. i‘2'J (879] Florontiam, ubi in posteruui mea futura est sedos. ibi quam primum conficiam, ot amici» mittam. Ex tuia adnotatis in coniicio, tuum 20 perspicillum mediocris tantum esso eftìcaciao, ob idque ad planetas conspiciendos forto minime idoneum; quos quidom planotas a xxv Iulii iam cimi ‘Jf.® matutinos orientalo» pluries conspexi, atque adnotavi. Ex caolo donique doscendis ad Orcuin, ad Hoemum scilicct illuni, cuius tanta, uti vidisti, est audacia, stultitia et ignoranza, ut absque nominis illius gloria do 00 vorba proforre, voi etiani iniuriosa, minime possimus. Latoat igitur apud Orcum, totiusque paritor valgi contumelias susque deque faciamus; namque contra lovem noe gigante», nedum pigmei. Stet Iuppitor in cacio, ot oblatront sicopbantae, quantum volunt. Petis, carissimo Keplero, alios testos. Magnimi Ilotruriao Ducoin so produco, qui, cum superioribus mensibus Planetas Mediceos ineemn saopius observasset Pisis, in meo discessu ìnunus pretii plusquam au- reorum mille dodit, modoque in patriam me convocat, cum stipendio paritor aureorum mille in singulis annis, cumquo titulo Phylosophi ac Mathomatici Cclsitudinis su no, nullo insuper onero imposito, sed tran¬ quillissimo ocio largito, quo meos libros perficiam mechanicorum, constitutionis universi, nec non motus localis, timi naturai» timi vio¬ lenti (n , cuius 8 Ìntliomata complurima, inaudita et admiranda, geomo¬ trice demonstro. Me ipsuni produco, (pii, in hoc Gimnasio stipendio insigni Horenorum 1000 decoratus, et quale niathomaticariun professor 10 nullus habuit unquam, et quo tuto, dum viverem, frui possem, etiam illudentibus planetis et effugientibus, (liscedo tainen, et eo me conferò, ubi iilusionis moae poenos inopiae atque dedecoris luerom. Iulium, fratrem Iuliani Illustrissimi Oratoria Magni Dacia, exibeo, qui Pisis cum multi» .‘ibis aulici» pluries Planotas observavit. Veruni, si estat ad versami» meus, quid aniplius egemus testibus? Pisis, mi Keplero, Fiorentine, Pononiac, Venotiis, Paduae, complurimi viderunt; silent omnes et haesitant : maxima enim par», noe lovem aut Martelli, vix saltem lunarn, ut planetam dignoscunt. Quidam Venetiis contra mo obloquebatur, iactitans se certo scire, stella» meas, circa lovem a se i»o pluries observatas, planetas non esso, ex eo quod illas semper cum love spectabat, ipsumque aut omnes aut pars modo sequebantur, praeibant modo. Quid igitur ageminili? cimi Democrito aut cum Ile- l 1 ) Cfr. n.* 007, liti. 105 e seg. (*) Forso «love diro letlalur. ( 879 - 381 ] 19 AGOSTO 1G10. 423 raclito standum? Volo, mi Keplere, ut rideamus i usi gnorri vii] gi stul- titiam. (^uicl dices de primariis huius Gimnasii pbilosopliis, qui, aspidis pertinacia repioti, nunquam, licct me nitro dedita opera millios of¬ ferente, nec Planetas, noe 3? nec porspicillum, videro voluerunt ? Veruni ut ilio aures, sic isti oculos, contra veritatis Incoili obturarunt. Magna suut liacc, nullam tanien milii inferunt admirationem. Putrii: co enim hoc hominum genus, philosopliiam esse librimi quendani velai Eneida et Odissea; vera autem non in mundo aut in natura, sed in confrontatione textuum (utor illorum verbis), esse quaerenda. Cnr tecuin diu ridere non possimi? quos ederes cachinnos, Keplero hunia- nissime, si audires, quae contra me, Corani Magno Duce, Pisis a plii- losopho illius Gymnasii primario prolata fuerunt, duin argumenti* logicalibus, tanquam magicis praecantationibus, novos planetas e caelo divellere et avocare contenderet? Veruni instat nox, tecuin esse ampline inibi non licet. Vale, Vir eruditissime, et me, ut soles, ama. Paduao, 1!) Augusti 1610. 70 Excell.' 10 tuae Stud. m,,s Galileus Galilens M. D. lieti’.' 10 Pliyl. 118 et Mat. c,,s 380 . GTO. ANTONIO ROFFENI a GALILEO [in Padova]. Bologna, 19 ngosto 1G1U. Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. Il, 198-200. 381 **. BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova. Firenze, il) agosto itilo. Autogrmfoteca Moi'rison in Londra. — Autografa. Illustre Sig. r mio ()ss. m0 Nell’inclusa copia d* un articolo di lettera del S. r Cont’Orso d’Elei, Amba¬ sciatore del Gran Duca mio Signore in Corte Cattolica 10 , la sentirà et conoscerà <» Cfr. a.» ac>8. 424 19 — 20 AGOSTO 1610. [381-382] l’accurata commissiono elio SS. A. gli liavova dillo, intorno alle dimostrazioni ma¬ tematiche et ad ogn’ altra cosa che V. 8. gli liuvosse inviato et raccomandato ; et bora mai saremo a tempo a ragionar qui di quel ohe la voglia inviare, non solo a quella, ma anche all’ altre Corti. Et quando la vorrà elio s’invii lettica a Hologna, la ce l’avviserà per tempo: et di me disponga in tutti i conti. Et li bacio le mani. Da Firenze, li 19 Agosto 1010. io Di V. S. III. 1 "* 8erv. ro AfT.° S. r Galiloo Galilei. lidia. 0 Vinta. Fuori: AH’ 111. r " Sig. r mio Oss. ni ° 11 Sig. Galileo Galilei. Venezia per Padova. 382 . GALILEO n [UELiSÀUlO VINTA in Firenze]. Padova, 20 agosto 1010. BlbL Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 51. — Autografa. Ul. mo Sig. ro et Pad.™ Col. mo Sono hor mai, per la Dio grazia, vicinissimo all’essermi sviluppato di mille e mille intrighi, li quali era necessario che avanti la mia partita di qua lusserò sciolti et spediti. La prossima settimana in¬ vierò miei arnesi a Venezia per consegnarli al conduttore, et il primo o secondo di 7mbre, piacendo al Signore, mi metterò in viaggio per cotesta volta, et in carrozza mi condurrò sino a Bologna ; il resto del cammino, non comportando la mia indisposizione che io lo possa fare per sì luuga e faticosa strada a cavallo, supplico V. S. lll. ma ad im¬ petrarmi dal Ser. ,n0 nostro Signore tauto favore et honore, che io io possa farlo in una delle sue lettighe, sì come più altre volte ho fatto : di che a S. A. S. et a V. S. Ill. raa terrò obligo particolare. Sono per arrivare a Bologna ahi 5 di Settembre, dove alloggerò col S. Magini, Matematico di quello Studio, convenendomi trattar seco di molti par¬ ticolari scrittimi da diverse parti d’Europa sopra li nuovi pianeti, li quali hanno promossa tra gl'huomini tanta confusione, ma tutto in fine, per grazia divina, a esaltazione et a grandezza di un tanto sco- 20 AGOSTO 1610. 425 [382-383] primento. Séguito di fare le loro osservazioni, vedendosi adesso nel¬ l’aurora benissimo. ao Otto giorni sono ricevei da i SS.* Mannelli li V.‘ 200, dei quali rendo infinite grazie al Ser. m0 0. D. ; et saranno impiegati nella nuova impressione, per farla di maestà proporzionata alla materia et alla dedicazione. Restami il ringraziarne parimente V. S. Ill. ,na , et non di questo solo, ma di tanti altri favori, per i quali gli viverò sempre obligato et pronto ad ogni suo comandamento. Con che, reverente gli bacio le mani, et dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. Di Pad. a , li 20 di Agosto 1610. Di V. S. 111.**** Ser. ro Oblig.™ Galileo Galilei. BBS*. GIO. CAMILLO GLORIOSI ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA [in Venezia]. Venezia, 20 agosto 1010. Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata: Lettore di fuori. 1601-1602. Riformatori dolio Studio di Padova, u.° 108. — Autografa la firma. Ill. ml et Ecc. ml SS. Riformatori, Sono quattro anni che ini trattengo in Veneti», aspettando l’occasione di servirò que¬ sta Serenissima Repubblica nel carrico della lettura delle Mathematiche, e già mi son fatto intendere dall’ 111." 10 S. r Andrea Moresini e dagli altri Ill. ml SS. Riformatori antepas- sati, addimandando loro la concorrenza nello Studio di Padova, overo d’introdur questa lettura publica in Veneti»: per la prima mi risposero, esserci parto in contrario di non potersi dare la concorrenza nelle Mathematiche; per la seconda, neaneo, per non essere in uso, e che non potevano innovar cosa nessuna: per lo che cessai dall’impresa. Hora, es¬ sendo venuta l’occasione che vachi la lettura delle Mathematiche nello Studio di Padova 10 per la partenza del Sig. r Galileo, vengo con Vistano alletto ad offerirmi di servirli in detto carrico, offerendomi ancora ad ogni pruova con qualsivoglia concorrente, sì come commen¬ deranno le SS. rl ° VV. Ill. mo et Eccoli. 010 , alle quali humilmente faccio riverenza. In Veneti», a 20 Agosto 1610. Delle SS. VV. Ill. mB et Eccell.”* Serv.™ Humiliss. 1 " 0 Il Dottor Gio. Camillo Gloriosi. X. 54 12G 23 — 2-1 AGOSTO H» 10. L384-88BJ 384*. GIULIANO DE’MEDICI a [GALILEO in Padova]. Praga, 28 agosto 1010. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, li.» 1, XXX, n.*> 46. Autografa la soltoscriziouo. 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Ilonorand. 100 Ho salvato appresso di me il polizino mandatomi da V. S. con le lettere tra¬ sposto, con haverne dato copia ad alcuni et in particolare al Sig. (ìiepero; il quale si consuma di sapere che cosa sia 10 , e va inmaginandosi mille coso, e dice di non saper quietar 1* animo: e la lettera ili V. S. ò ita ùì mano a S. M. lh Cesarea, sì come V.S. doverrà sentire dal Sig. r Asdalio. con alcuni altri particolari. Al quale rimettendomi, solo pregherò V. S. a affrettare di favorir qua del suo strumento, per poterlo far fare un altro effetto, che ò di turar la bocca a molti che vo¬ gliono parlare al buio. E del Sig. (ìleppero mandai alcun tempo fa una lunga epistola a V. S., in proposito di quello che ha stampato contro di lei <1) , che vo- le glio presupporre che l’ habbia liauta. Clic ò quanto le saprei diro, con baciarlo le mani e pregarle da Nostro Signore Iddio ogni felicità. Di Praga, li 23 d’ Agosto 1610. Di V. S. lll. ro et Eec. ma Afl>° Ser. r# Giuliano Medici. 885 *. MARTINO IIASDALE a GALILEO in Firenze. Fraga, 24 agosto [lfìlOJ. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 150. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mt ' Sig. r P.ron Colend. m ° Sopragionto dalla strettezza del tempo, mi conviene di attaccarmi all* àncora laconica. S. M. u Cesarea, havendo havyto da me il sommario dell’ultima lettera scritta da V. S. all’ Ill. mo S. r Ambasciatore, ha voluto vedere 1’ originale, (pialo ho pro¬ curato et datogli, et poi anco recuperato. Insomma S. M. t5k sta con la bocca sa- Lett. 385. 2. Tra di o utttwcarmi si logge, cancellato, mirre breve. — Cfr. Voi. HI, Par. I, p«g. 185, lin. 17. «*> Cfr. n.« 374 24 AGOSTO — 6 SETTEMBRE 1640. 427 [386-386] perita d’intendere quello significa quella cifra di lettere trasportate, clic con¬ tengono quello di più da lei ultimamente ritruovato. Inoltre mi ha commosso di scrivere a V. S., s’ Ella havesse per sorte il se- io creto della parabola d’Archimede che bruschi da lontano, et quanto da lontano. Ilo risposto che scriverò, ma che so per certo che un suo svisceratissimo amico 1’ ha ; però, che lo tiene tanto caro, che non 1* ha voluto vendere per molte mi¬ gliaia di V al Gran Duca Francesco. Io intendo M. r0 Paulo 10 . Così mi ò stato dato ad intendere al mio paese da un gran matematico, amico suo. In materia poi degli occhiali, S. M. tà ha fatto dire per me all’ IU. m0 di To¬ scana, che dovesse scrivere a V. S. eh’ ella tenesse un poco in più prezzo quegli istromenti eh’ ella fa di sua mano, havendo ricevuto a sdegno che i preti le Imb¬ ibilo levato di mano quello era destinato per S. M. tà(,) . Insomma n’aspetta di quei perfettissimi quanto prima, almeno uno. Con che fine le bacio le mani. 20 Di Praga, 24 d’Agosto. Di V. S. Ecc. 1 "" Il Zugmesser gionse questa notte : non 1’ ho ancora visto. Non mancherò. Serv.™ Devot."' 0 M. Hasdale. Fuori : Al molto 111.” et Ecc. mo S. r 11 big. 1 ' Galileo Galilei. Fiorenza. 380 *. GIULIANO DE’ MEDICI a GALILEO In Eironze. Praga, G settembre 1610. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Canipori. Autografi, B.» LXXX, n.° 45. — Autografa. 111.” et Ecc. m0 Sig. r mio Honor. m ° Ho ricevuto particolarissimo contento di sentire per la sua gratissima, che V. S. li abbia havuto dal Ser. ,n0 G. Duca nostro Signore quel riconosci mento che ai conviene alla sua virtù; et tanto più, che spero una volta di poterla go¬ dere in Fiorenza, quando mi sia concesso di potermene tornare, che por questo rispetto mi sarà anco il ritorno più desiderabile. Al Sig. Gleppero detti la let¬ tera di V. S., che li fu in estremo cara; et perché mi dice che non ricerca altra risposta, in quel cambio stamperà un foglio, nel quale confermerà d’ bavere os¬ servate le cose viste da V. S. con uno de’suoi occhiali che ha il Sig. or Elettore di lU Fra Paolo Sarpi. i*' Cfr. n.° 878. 428 (5 — 7 SETTEMBRE 1610. [886-8871 Colonia, come V. S. potrà vedere dilli’ alligata che le scrivo il Big. Seghetti che io stava con il Sig. r Pinelli. Al quale rimettendomi, solo dirò a V. S. che il Sig. Glep- pero volentieri andrebbe nel luoglio che biscia lei a Padova; che se gli potesse faro qualche lavoro in questo particolare, gli no resterebbe con grand’obligho: et spererebbe che S. NI. C. gli dosso liceutia, poiché in ogni modo ha gran dilfi- cultà, secondo lo stile di questa Corte, a esigere i suoi stipendii ; et spererebbe che [....jolesse torre la ventura altrove. Et con questo poi [....]olto tarda, bacierò lo mani a V. S. et le [....(Dio ogni felicita. Di Draglia, a (> di 8ett. r, ‘ 1610. Sor.™ Air ." 10 Giuliano Medici. 20 Fuori : All’ 111 . rn et Kcc. mo Sig. or mio Ilonor. 1 " 0 li 8ig." r Galileo Galilei, Matematico del Sor." 10 G. Duca di Toscana. Firenze. 387*. MICHELE MAESTLIN a GIOVANNI KEl’LEH in Praga. Tubinga, 7 settembre 1610. « Blbl. Palatina in Vienna. Cod. 10702, car. 36.— Autografa. _latri Ime occasione huius Martini Horckii, viri, ut animadverti, in rebus nmthe- matieis et aliis literis non aspernandi, de Galileo novorutn planetarum autore et inven¬ tore liaoc seri barn, lite M&rtinus profocto me magna Holicitudine liheravit. Egregio sane tu in tuo scripto (cuius exemplar, a te mihi missutn, lectu iucumlissimum est; prò quo etiam ingentes tibi ago gTatias) Galilaeum deplumasti: videlicet, quod non ipso novi huius pcrspicilli priuius fnerit autor ; quod ipse non primus in luna anirnadverterit. impolitani superQciem ; quod non primus mundo ostendat plures in cacio Btellas, quatu quas liactentts in veterum scriptis annotatas habentus; et quae caetera sunt. (In qua I)Ì8sortationo, prò honestissima etiam mei facta mentiono tibi rursus gratias ago, non quas deboo, sed quas possuin maximas.) Unum restabat, quo adhnc exultare potuit: videlicet observatio ipso 4 pia- 10 netnrum novorunt circa Iovem. Mane clavam ipsi extororum netno ex raanibus extorquore potest, quia hic nulla valent arguinenta theologica, philosopbica, astronomica, optica, etc. Ea omnia poterat eludere. Naw Sacra Scriptum numerunt planotaruni nobis non prodidit, quin potius Dei sapientiatn et potentiam imniensam praedicat, cuius nostra mena capax non sit. Philosophia nobis perfecte cognita non est; sed quoeunque in ea nos convertimus, vi- demus nobis, ex infinitis, paucula esse nota, et. quotidie plura invoniri, quae antea orant Lett. 380. 11-12. Tr* Qleppero e volentieri loggesi, cancellato, ie potette. — Ut Tommaso Srooktt. Quost'allogata uon si trova nella raccolta ilo! Camfoiu. 7 — 8 SETTEMBRE 1010. 429 [387-388] incognita. Mathemata quam sint inexaustu, quia mathematicoruni ignorat? Exemplo sit unica arifchinetica cossiea, quam quadratam quidcm nteunquo habemus cognitam : quidam oam in cubici» otiam adoriuntnr; sed ubi in quadratia quadrutornra, in sursolidis et aliis 20 quantitatibua, quae in infiuituni asaurgunt.? Certe ego in co infinito quantitatuui arithme- ticarum campo existimo residere veram circuii quadraturnm. Sed baec praeter institutum. Aatrouomorum nullua hactenus hos 4 planetas novit.. At diceret Galilueua: Instrumentum hoc eos obscrvandi non habuerunt. Quid do opticis? Quicquid alius opposuisset, etiamsi longe perfectius confecissot pcrspicillum, so were dodi keineB bosser demi dass seinc ge- wesst. Sein Ubr were recht gangen: es miiaste vii ehe die Sonn nicht recht gelimi. Veruni hic Martinns Ilorlcy nos hac solicitudine liberat; qui deceptionem visus animadvertorat non in alio simili, sed in ipsiua Galilei perspicillo, ipsumquo autorom suo proprio gladio sic iugulavit, ut cum antea exemplaria Siderei Nuncii multa passim in Italia extarent, mine nullum amplius (sicut refert) prostot venale. Idcirco ipsius Martini scriptum (Pcre- 30 grinationem inscribit) milii vehomenter placet: loquor autem de iis quae in eo proprie ad rem faciunt: caetera enim, quae in eo non pauca sunt, pinne omissa optarem. Non enim dubito quin ad illa caetera Galileo respondondi materia non sit defutura, adeo ut, propter copiam eorum, principalem quaestionis statimi sit magno silentio praeteritums. Sed dica dabit quid responsurus sit. Verum spero, te quoque contra eutn mutuili non futurum. Sed de bis iam satis : proxime plura_ 388 *. GIO. ANTONIO MAG1NI a [SPINELLO BEN CI in Mantova]. Bologna, 8 settembre 1(>10. Aroh. Gonzag-a In Mantova. Rubrica Bologna E. XXX. 3.—Autografa. .... Ho saputo che in Padova tutti mi desiderano a quella lettura; o sono stato invitato da amici a lasciarmi intendere che trattino destramente per me con i SS. Rifor¬ matori dello Studio di Padova, che sono tre nobili Venetinni primarii, e ch’io gli dica le condittioni di’io ricerco : ma havendo io questa pena da partirmi*’), vado molto riservato, per non sdegnare i SS. rl Bolognesi. E ho havuto anco dalli amici elio m’hanno raccordato che ci ò una legge del Cardinale Morone, fatta qui a Bologna, che nelle convontioni non si può astringere alcuno a pena di denari; e nella mia ricondotta par cho dal canto dei SS. ri Bolognesi ci sia poca sincerità, volendomi obligare con pena, perchè vengono in questo modo a dichiararsi che conoscono di non mi pagare quanto io merito, e che temendo che 10 altri mi paghino meglio e più giustamente, non gli sia levato dalle mani. Veda, di gra- tia, V. S. : io ho servito questo publico a quest’bora 22 anni, et fui condotto da principio con stipendio solamente di 250 scudi, perch’ io m’ero rimesso alla discrottione loro, et così sono andato ricevendo a poco a poco tenui accrescimenti sino alla somma di 500 scudi: e pure in altri Studii altri mathematici sono pagati meglio; perchè ultimamente il Si- <’> Nella scrittura della sua condotta alla lot- pattuita la penalità di &00 scudi, qualora egli di tura di Matematica noli» Studio di Uolognn,ora stata sua volontà la lasciasse. 430 8 - ir» SETTEMBRE 1610. [388-390] gnor Galilei ottonilo da’ Vonctiani mille fiorini, e al presente è condotto dal Gran Duca con mille c dugouto scudi in vita; o puro ho io in coscienza mia ili non essergli punto inferiore, ma più tosto di avanzarlo d’avantaggii. Di Bologna, li 8 Settembre 1(»1U. Di V. S. molto Illustro Sor/* AfT. mo fi. A ut. Magini. 20 Aspetto qui in casa mia fra 1 giorni il S.«w Galilei per passaggio, il quale intendo eli’Im da parlarmi da parte dei SS.ri Vonotinin per quella lettura; e giù è arrivato da me suo cognato con una lattica del Gran Duca per condurlo. 389 **. ANDREA CIGLI t» a BELISARIO VINTA in Firenze. Parigi, 18 settembre 1010, Arok. di Stato In Fironzo. Filza Modico» 4620. — Autografa. .... Questa mattina, por non so che condotta, è arrivato Bocchini grande del Sig. Ga¬ lilei por la M. u della Regina, del quale noi medesimo tempo elio si hobhe la suddetta lettera, si hohbero nuovo di Lione; et al Sig/ Marchese ; tocca il presentarlo alla Regina, poi che a lui lo chiose, et dorerà, noi dargliene, farlo l’otVurtu d'altri, come ha scritto V.S.... 390 **. FRANCESCO STELLI : TI a CIO. BATTISTA STELLUTI in Fabriano. Roma, 15 settembre 1610. Bibl. Vaticana in Roma. Cod. Vat. 0084, cnr. 104. — Autografa. -Giù credo clic a quest 1 bora luvbbiate visto il Galileo, cioè il suo Si/dereus Kunrius, et lo gran cose che dice: ma bora il Keplero, allievo del Ticone, gli lui scritto contro, et giù n’ò venuto di Vonetia un libro al Padre Clavio; et gli dice, elio lui si fa autore di quell 1 instromento, et sono più di trent'anni elio lo scrivo Gio. Battista della Porta nolla sua Magia Naturalo et l’accenna anco nel libro De refradiane opliccs :v : sì che il povero Galileo restarù smaccato. Ma intanto il Gran Duca gli ha donate 800 piastre, et. la Si¬ gnoria di Vonetia gli ha accresciuta la provigione_ 1,1 Andrea Ciom, segretario del (Irunduea, fu giu» IGLÒ, trattenendosi fino ni 1° febbraio 1011. mandato a Parigi con una missione speciale alla Ito- i*> Matteo Botti. gina di Francia, Maria de’ Medici: vi andò 1’ 11 giu- Hi Cfr. nu. 1 280 o 297. lin. 121 o sog. 17 SETTEMBRE 1010. 431 mi 391 . GALILEO a [CRISTOFORO CLAVIO in Roma]. Firenze, 17 settembre 1010. Votli P informazione promessa al n.° 8. Molto Itcv.' 10 Sig.™ mio Pad." 0 Col. m0 È tempo ch’io rompa un lungo silenzio, clic la penna, più che ’l pensiero, ha usato con V. S. M. li. Roinpolo liora, die mi trovo ripa- triato in Firenze per favore del Serenissimo G. Duca, il quale si è com¬ piaciuto richiamarmi per suo matematico et filosofo. La causa perchè io Phabbia sino a questo giorno usato, mentre ciò è che mi sono trat¬ tenuto a Padova, non occorre che io particolarmente la narri alla sua prudenza; ma solo mi basterà rassicurarla che in me non si è mai intepidita quella devozione che io devo alla sua gran virtù, io Per una sua lettera, scritta al S. Antonio Santini ultimamente a Venezia, ho inteso come ella, insieme con uno dei loro Fratelli, havendo ricercato intorno a Giove, con un occhiale, de i Pianeti Medicei, non gli era succeduto il potergli incontrare. I)i ciò non ini fo io gran meraviglia, potendo essere che lo strumento o non fusse esquisito sì come bisogna, o vero che non l’havessero ben fermato; il che è necossariissimo, perchè tenendolo in mano, benché appoggiato a un muro o altro luogo stabile, il solo moto dell’arterie, et anco del respirare, fa che non si possono osservare, et massime da chi non gli ha altre volte veduti et fatto, come si dice, un poco di pratica nello 20 strumento. Io, oltre alle osservazioni stampate nel mio Avviso Astro¬ nomico, ne feci molte dopo, sin che Giove si vedde occidentale; ne ho poi molte altre fatte da che egli ò ritornato orientale mattutino, e tuttavia lo vo osservando. Et havendo ultimamente perfezionato un poco più il mio strumento, veggonsi i nuovi Pianeti così lucidi et distinti come le stelle della seconda grandezza con l’occhio naturale; sì che volendo io, 15 giorni sono, far prova quanto duravo a vedergli mentre si rischiarava l’aurora, erano già sparite tutto le stelle, eccetto la Canicola, et quelli ancora si vedevano benissimo con l’occhiale. Spariti dopo quésti ancora, andai seguitando Giovo per vedere pa- 432 17 SETTEMBRE Hi 10. 1 . 391 - 892 ] rimente quanto durava a vedersi; et finalmente era il sole alto più 30 di 15 gradi sopra l’orizonte, et pur Giove si vedeva distintissimo et grande, in modo che posso esser sicuro elio seguitandolo col cannone, si saria veduto tutto ’l giorno. Ho voluto dar conto a V. S. M. li. di tutti questi particolari, acciò in lei cossi il dubbio, se però ve? n’ ha mai liauto, circa la verità del fatto; della quale, se non prima, li succederà accertarsi alla mia ve¬ nuta costà, sendo io in speranza di dover venire in breve a tratte¬ nermi costà qualche giorno. Restami, per non tediarla più lunga¬ mente, il supplicarla a ripormi in quel luogo della sua grazia, il quale dalla sua cortesia et dalla conformità degli studii mi fu conceduto 10 gran tempo fa, assicurandosi, niuna cosa essere in poter mio, della quale ella non possa con assoluta potestà disporre. Et con ogni re¬ verenza baciandogli le mani, gli prego dal S. Dio felicità. Di Firenze, li 17 di 7bre 1610. Di V. S. M. li. Devotissimo Servitore Galileo Galilei. 892 *. FRANCESCO TINELLI a GALILEO in Firenze. Napoli, 17 nettuni bru Itili). Bibl. Nftz. Flr. M8 b. Gal., !’. I, T. XIV, cur. 47. - Autografa. Molt’ Ill. r “ Sig. n Desidero fuor di modo un di quegl’istrumenti clic scrissi l’altra volta a V. S., insieme con un di que' libri d’ osservazioni da V. S. latte con detto isfcro- mento. Scusimi il mio S. r “ Galileo se io l’incomodo, et all’incontro mi comanda, clic farò qualsivoglia cosa che li sii grata. Con questo, restando così servita di man¬ darmi dette cose subito, o li prego da N. S. Iddio salute e contento. Da Nap., a 17 di Sett." 1610. Di V. S. molto 111. < .... > 11 Duca dell’ Acerenza. Fuori: Al S. r Galileo Galilei, che N. S. guardi. io Fiorenza. [893-394] 18—19 SETI’IfiMH RIC 1610. 433 303 **. GALILEO a [VIRGINIO ORSINI in Roma]. Firenze, IH settembre 1(510. Arali. Orsini In Roma. Corrispondouza di Virginio 11, dal 1010 al 1011. 1IC. Prot. XXI. — Autografa. ni. mo et Ecc. mo Sig. r0 Richiede il debito della mia humilissima servitù verso V. E. Hl. ma , che io le dia conto del mio ritorno in Firenze, dove per benignità del Ser. mo Gran Duca mio Signore sono fermato al suo servizio. Io, nell’altro dimore fatte a presso S. A., scusai con la brevità del tempo la mia fortuna, del non mi haver ella presentata occasione di poter mostrar con qualche segno esterno di servitù la devozione dell’animo mio verso V. E. lll. ma et gl’ Ill. mi et Ecc. ,,li Signori suoi figliuoli : bora che cessa questa causa, se io continuerò di vivere totalmente ozioso io nel servirla, non potrò più scusar me a presso me stesso, ma con¬ verrà che-io mi reputi et condanni per servitore assolutamente inutile. Io per tanto la supplico, che, con l’impiegar 1’ opera mia in qual¬ che suo servizio, voglia in un tempo medesimo accertar sè stessa dell’ ardentissimo affetto col quale io bramo i suoi comandamenti, et me dell’esser la mia devotissima servitù da lei gradita. Qui humilis- simo me gl’ inchino, et dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 18 di 7bre 1610. Di V. E. Hl. ,na IIum. mo et Dev. mn Ser. re Galileo Galilei. 394 **. MATTEO BOTTI a BELISARIO VINTA in Firenze. Parigi, 19 settembre 1010. Aroh. di Stato In Fironzo. Filza Modicoa 4624, car. ISO. — Autografa la sottoscrizione. _Sua Maestà ( l > mi ha confessato, discorrendo con me, come fa sposso lungamente, — che sia venuto l’occhiale del Galilei, sehen mostra poco più degl’altri- (•) Maria do’ Modici. 55 X 434 19 — 24 SETTEMBRE 1G10. [395-396J 305 r;* LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUARDO in Vicenza. Padova, IH settembre 1610. Blbl. Marc. In Vonozia. Coti. I.XVI «lolla Cl. X 11., cnr. 10R. — Autografi». ... E V. S. non mi dii nova alcuna ilei ano occhialo, portato costai? Di gratin, non in¬ vidii la gloria sua al S. r Galileo; ch’io non posso crederò elio non liubljiu dato a lei cosa so non portoti a .... 30 fi*. LUCA VALERIO a GALILEO fin Firenze!. Itonia, ‘J I sci Ir aulir*' 1610 . Raccolta Lozzl In Roma — Autografa. Molto Illustre ot Ecc. mo Signor mio Oss. mo Grande allegrezza m’ha data otto di fa il Sig. Cigoli, havondomi letta la lot¬ terà di V. S., intendendo per ossa la dimostratione ch’il Ser. mo Sig. Gran Duca lia fatto nella persona di V. S., ch’egli 6 veramente fautore ot protettore della virtù; cosa, nel vero, che da’ prencepi di quest’avara età, et prodiga noi piaceri del senso, suol esser per lo più molto lontana. Non minor diletto ho ricevuto dal disidèro che V. S. mostra dello mio lettere, segno manifesto di’olla m’ama; quantunque io a me medesimo mi dispiacili, per haver data occasiono a V. S. di farsi maraviglia ch’ella delle duo ultimo lettere, che m'ha scritte, non hahbia havuta risposta di ninna. Ma pur 1. S. ha da sapere, che alla prima di quelle io 10 non risposi, per esser ricaduto nel male acerbissimamento, et non haver havuta per ciò commodità di dire al Sig. Baldino *d quel ch’io desiderava ch’egli di¬ cesse a Y. S. per mia parte. Alla seconda io risposi, facendo la mia scusa ot ringrattandola del dono del suo libro, a me gratissimo per l’acutissime ot mara- vigliose osservationi, avisandola ancora coni’io ni’era portato, prima ch’io havessi 11 libro, contra i calunniatori, che tingevano V. S. haver dette della luna coso da mover riso alle pietre. Ch’ ella non habia ricevuta la lettera, credo essoro stata la causa, perdi io la indrizzai a Padova, dov’ io credeva elio V. S. dovesse tosto da Vonetia ritornare, per passar a Firenze, et indi a Pisa, per ordine del suo 1 rencipe. Ma poiché V. S. è per haver ferma stanza nella patria, giuochorò al 20 Lett. 39G. 8-4. Grand-Duca — ( l ) Baldino Giibuardi. [39(5-397] 24 — 25 SETTEMBRE 1(>10. 435 sicuro, nò haverò occasione eli simili confusioni. Quanto al mio stato, che V. S. disidera di sapere, al presento io sto sano, la Dio grafia, et parrai haver racqui- stata gran parte delle forzo perdute por sì lunga malatia, et di poter seguitar lo mie deboli imprese. Nè m’occorrendo altro che scriverlo, bacio a V. S. le mani, conio fa ancora la Signora Margherita Saroclii, pregandola a conservarmi nella sua buona gratta, et pregando Dio N. S. le dia ogni contento. Di Roma, li 24 di Settembre 1010. I)i V. S. molto Illustre et Ecc. lun Servitore Afr. ,,, ° 30 Fuori: Al molto 111. 10 et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Luca Valerio. 11 S/ Galileo Galilei. Firenze. 397 . ANTONIO SANTINI a GALILEO in Fircnzo. Venezia, 25 settembre 1G10. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. 8. - Autografa. Molt* 111. 1 * 0 et Ecc. m0 S. or mio Oss. mo Finalmente mi risolsi di rivedere Giove mattutino, se bene, por quello aspetta a me, haveo tanta confermassione dalThaverlo veduto vespertino, che non du¬ bitavo se li pianeti intorno a esso da lei scoperti vi fossero o no (se però non si desse là sopra qualche alterassione). Lo riveddi lunemattina, alle liore 10, giorno che fu do’ 20 stante, e trovai li 4 pianeti tutti orientali. Alli 23 poi li riveddi nel modo che notirò da basso. Io non so come, essendosi fatto tanto comune e facile questo uso del can¬ none, no*i sia da quelli che attendono alle specolative chiarito questa partita e io dato I’ assento. Invero, o non la ponilo negare, o sono ostinati. Desidero sen¬ tire bone nove di lei, e clic mi dia occasione di servirla; e le b. le mani. Di V. a , a 25 Sett.° 1010. Di V. S. molto 111. 0 et Eec. ma a 20. L. o o o o O a 23. L. o O o o o Ser. ro Afl>° A. Sant.'“ Fuori : Al molt’ Tll. ro et Ecc. m0 S. or mio Oss.*"° Il S.° Galileo Galilei. 20 Firense. m 2G — 27 SETTEMBRE 11)10. [ 31 ) 8 - 399 ] 398 *. LORENZO PIGNORI A n PAOLO GUALDO in Vicenza. Tiulova, 26 settembre 1610. Bibl. Maro, in Venezia. Coti. LXV1 della 01. X It.. c. 109. - Autografa. _Sia corno bì voglia, io, elio non so tacerò, le do nova come in Germania il Ko- plero ha osservato ancor osso i quattro pionoti novi, et cito, vedendoli, esclamò, come già Giuliano Apostata: U-alilaec, vìcisti. Questo ò afvvijso del S. r Volsero, cho baschi le mani a V. S. Ma cho lo sto io a scriverò osBorvationi d’altri? o’non può essere clic co ’l con- spioillo donatole Questo è quanto me ne scrive detto S. 0, ‘ Santini, del cui testimonio si po¬ trebbe valere, massime che per altre sue m’ ha acertato haver veduti più volte li detti pianeti. Il S. or Roffeni è partito questa mattina per villa, ma gli scriverò che mandi a V.S. l’Epistola così volgare, chè gli sarà di manco briga, et sarà più a pro¬ posito, Bendo scritta da un Italiano. 20 Quanto allo specchio mio concavo et convesso eh’ havevo destinato alla Mae¬ stà Cesarea, è vero ch’io n’havevo ricevuto dalla detta Maestà una ricognitione O) P. Skuahno da Quikzano. 438 28 SETTEMBRE 1610. [ 400 ] di tre millia taleri, ma computandovi il prezzo dell’ altro mio specchio, che già 7 anni gli mandai, et anco per la dedi catione delle mie Tavole del Primo Mo¬ bile (,) et per la fatica eh’ io feci per il discorso della gran congiontione di h et* 9t del 1603 ; si che mi viene S. Maestà a valutare quest’ ultimo specchio più tosto più di mille taleri che manco : il che io non dico per trattar mercantilmente col Ser. n, ° G. Duca, quando se ne compiacesse, alla cui liberalità sempre mi rimet¬ terò. Et a punto voglio hoggi scrivere all’Ecc. n ' 0 S. or Ambasciatore FuccarD 5 ’, che facia sapere alla Maestà Cesarea, elio quando non mi manderà per tutto Ottobre la detta ricognitione, voglio esser libero da disponere di detto specchio so a mio piacere, secondo le occasioni che mi si rappresontaranno. Et saprà V. S. che ultimamente vene un ordine all’111.® 0 S. or Carlo Gonzaga, che mi havesse a pagare questi tre millia taleri delle contributioni che si doveva detto S. or Carlo far pagare a i feudatarii d’ Italia dell' Imperio; ma non ci ò stato alcuno eh’Imb¬ iba voluto cominciare a pagare: et ha risposto alla detta Maestà, che non ci ò alcuna speranza d’ haver denari in tal modo; et staremo aspettando se darà altro ordine. Voleva in ogni modo il S. or Fuccari cavarmi dalle mani detto spocchio per amor di questa lettera; ma io gli ho risposto, non voler ch’esca dalle mie mani s’io non vedo i denari, chò pur troppo sono stato burlato per il passato. Non voglio restar di dire a V. 8., che Testado passata diedi il compagno di 40 quest’ ultimo mio specchio al Ser. ,no S. or Prencipe di Mantova, il quale mi disse non volermi dar più di 500 scudi, come quello ch’era figliuolo di famiglia et che bavera poco da spendere, donandomi insieme alcuni diamanti in aneli, che valevano circa cento scudi, et soggiongendomi che ad altri tempi mi si sarebbe dimostrato grato ; li quali denari a punto mi furono fatti pagare qui in llo- logna dal Maestri per ordine del S. or Antonio Pavesi, a cui furono consigliati doppo la mia partita per mandarmeli, non havendo dotto S. or Prencipe il com¬ modo di sodisfarmi avanti la sua partita per Casale. Che è quanto m’occorre rispondergli in tal materia, soggiongondole eh’ io haverù più gusto che questo specchio ultimo tochi al Ser. m0 G. Duca clic all’ Imperatore, massime elio non &o so ne trova d’ altri che quello del S. or Prencipe di Mantova, seiulosi rotte lo forme. Et questo accendo il fuoco alla distanza di due piedi et mezo, et rivolta Timagine alla distanza di cinque piedi: et il primo specchio fa le dette cose alla metà di detto spatio, sendo molto più concavo ; et ho ancora le forme d’esso in essere, per farne qualch’altro. Porta la spesa d*haver l’uno et l’al¬ tro, perchè tanno le apparenze alquanto diverse. Et qui bacio a V. S. le mani, IiCtt. 4 00. 66-56. Da Porta la iprta a alquanto dicerie è nsrjriuntn marginalo. — **' 1°. Automi Macini, occ. Tabular primi mo- mobile, avero delle dirrttioni doli’Ecc. mB S. Gio. An* lahe, qua» dtrectionum vulgo dieunt, occ., neeno n Apo- tonio Macini, occ. All'Illustrissimo et Sacratissimo logia Kphemeridum eiuedem Auctorie. Ad Angustia- imperato™ Rodolfo il Socondo. In Veneti», MUOVI, simuiu Imperatore»! Rudolplimn II. Venotiis, upud appresso ritorcilo di Dumiaii Zonaro. Da mi unum Zcnarium, MDCI1I1. - Tavole del primo <*i G,OBQIO Fuuorb. [400-402] 28 SETTEMBRE — 1° OTTOBRE 1610. 439 ofterrendomi sempre prontissimo a’suoi commandi, et ringratiandola (li quanto ha fatto per me. Di Bologna, li 28 Settembre 1610. co Di V. S. molto I1L W et Ecc.'"' 1 401*. GALILEO a COSIMO II, Granduca di Toscana, fin Firenze]. (ottobre 1010]. Arch. di Stato in Pisa. Archivio doli’ Università, Nogozi dolio Studio di Pisa dal Itilo al 1G12, cur. 2. — Autografa. Ser. m0 Gran Duca, Galileo Galilei, umilissimo servo di Y. A. S., dopo essere stato di¬ chiarato et eletto da Y. A. per suo Primario Matematico et Filosofo etc., et dichiaratogli, con sua lettera, provisione di mille scudi Panno, da cominciarsegli a pagare dal dì che arriverà in Firenze, dove arrivò fino alli dodici di Settembre prossimo passato, supplica reverente- mente l’A. V. a voler far dare ordine a i ministri, a chi aspetti, che in conformità della volontà di V. A. gli sodisfaccino durante sua vita la detta provvisione per i suoi tempi : che prega et pregherà sempre io Iddio per la conservazione et felicità di V. A. S. 402. GALILEO a GIULIANO DE’MEDICI [in Praga]. Firenze, 1° ottobre 1010. Bibl. Palatina in Vienna. Cod. 10702, car. 71. — Autografa. Ul. mo et Rev. mo Sig. re Col. rao Io ho sentito gran contento che il S. Keplero, et altri insieme, habbino finalmente potuto vedere et osservare i Pianeti Medicei col 440 1° OTTOBRE 1610. 1408] mezo dell’ occhialo che mandai al Ser. mo Elettore di Colonia (1) , et molto mi piace che ei voglia di nuovo scrivere in questa materia, a confusione di una gran moltitudine di maligni et ostinati, lo non ho ancora data alici stampe l’ultima sua lettera scrittami in biasimo di quel Martino Orchi 14 *, sì per le occupazioni del trasportar casa da Pa¬ dova a Firenze, sì ancora perchè volevo accompagnarla con un’altra scrittami nel medesimo proposito dal S. Giann’Antonio ltoffeni, il quale io è pur citato dal medesimo Martino a suo favore, nella qual lettera esso S. Roffeni gli lava la testa non meno che il S. Keplero; et solo sto aspettando che ei me la mandi fatta latina :l ', havendomela mo¬ strata in Bologna scritta volgarmente. 11 S. Keplero, per bavere scritta la detta lettera nell istesso tempo che leggeva la Peregrinazione di Martino, cioè in grandissima fretta, ha tralasciate alcune estreme balordaggini di colui, le quali son sicuro che bavera vedute dopo ; come quella, quando cita la mia scrittura tronca, et quando, non intendendo egli niente la ragione immaginata dal S. Keplero, e posta nel fine della sua Dissertazione, in proposito dell’ apparire i Pianoti 20 Medicei hor maggiori et hor minori, dice che quella principalmente mi estermina. Io son sicuro che se il S. Keplero havesse veduto, et havuto tempo di avvertire, questi et altri luoghi, non gli haverebbe lasciati sotto silenzio ; e però se ei volesse aggiugnere et inserir qual¬ che altro concetto in questo proposito, io tratterrò il publicarla sino alla risposta di V. S. Illustrissima. Non ho intanto mancato di scrivere a Venezia, dove mi è parso oportuno, come non saria impossibile P bavere un soggetto così eminente in quello Studio (V) , quando loro procurassero di haverlo ; e tanto è bastato, non havendo il suo valore bisogno di attestazione so di altri là dove è benissimo conosciuto: però io tengo per fermo che ei sarà ricercato, e condotto lionoratissimamente, il che saria a me di contento infinito, per la comodità del poterlo godere da presso, et anco talvolta presenzialmente. Io non sono ancora accomodato di casa, nè sarò sino a Ognisanti, conforme alla consuetudine di Firenze; però non ho potuto fare ac¬ comodare miei artifìzii da lavorar li occhiali, delli quali artifizii parte vanno murati, nè si possono trasportare : però non si meravigli V. S. I'> Cfr. n.« 886. Cfr. n.° 874. <*> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 163-200. <*> Cfr. n.» 886. [402-4031 1° OTTOBRE 1G10. 441 Ill. ,ua so tarderò ancora a mandargli il suo ; ma procurerò bene che iu la dimora sia compensata con l’eccellenza dello strumento. Mi neces¬ sita ancora a indugiare il lavoro il mancamento del vetro, del quale fra quattro giorni M. Niccolò Sisti ne deve, di commissione del G. 1)., mettere una padella in fornace, et mi promette di fare cosa puris¬ sima et eccellente per tali artifìzii. Io prego V. S. Ill. ,na a favorirmi di mandarini l’Optica del S. Keplero H) , e il trattato sopra la Stella Nuova (i) , perchè nè in Venezia nò qua gli ho potuti trovare. Desidererei insieme un libro che lessi due anni sono sul catalogo di Francofort, il quale, per diligenza fatta con librari di Venezia, che mi promossero farlo venire, non ho mai potuto bavere : io 50 non mi ricordo del nome dell’autore, ma la materia è de motu terme ; et il S. Keplero ne haverà notizia. Mi farà insieme favore avvisarmi della spesa, la quale rimborserò qua in casa sua, o dove mi ordinerà. In questo punto ho ricevute lettere dal S. Magini, il quale mi avvisa, i Pianeti Medicei essere stati osservati più sere in Venezia dal S. Antonio Santini, amico suo, e dal S. Keplero. Io per hora non ho comodità d’osservargli, per non haver luogo in casa che scuopra l’oriente; ma nella casa che ho presa, et dove torno a Ognisanti, ho un terrazzo eminente et che scuopre il cielo da tutte le parti, et vi haverò gran comodità di continuare le osservazioni. Non voglio co più lungamente occuparla : degnisi continuarmi la grazia sua, et re¬ verente gli bacio le mani, e dal Signore Dio gli prego felicità. Fa¬ voriscami salutar caramente il S. Keplero. Di Firenze, il 1° di 8bre 1610. Di V. S. lll. mtt et Rev. ma Oblig. mo Ser. re Galileo Galilei. 403 . LODOVTCO CARDI DA CIGOLI a GALILEO iu Firenze. Roma, 1° ottobre 1G10. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, cur. 74. — Autografa. Eccel. mo Sig. r mio Oss. ,no Scrissi a V. S. (lue settimane sono per Fiorenza, come ella mi avisò di Pa¬ dova, et dello stato del Sig. r Luca Valerio ut come li avevo fatto le racomanda- <0 Cfr. II.» 297, lin. 98. <*> Cfr. n297, lin. 47G. 5rt X. 442 1° — ‘2 OTTO BUE 1610. [403-4041 zioni, le quali rendeva duplicate. Di me poi, doli non la poter godere che pure tanto tempo ò desiderato il suo ritorno alla patria, et quando è effettuatosi, la mia inala fortuna à volsuto abbia questo impedimento, por contempcrare ogni mio piacere con tanta amarezza ; pure, se piacerà a Dio, fra uno anno o di¬ ciotto mesi credo sarò spedito e di ritorno per goderla, che è quello che io sopra ogni altra cosa desidero. Intanto, s’ ella può dare una volta di qua, non credo che sia fuori di proposito, perché questi Clavisi m , che sono tutti, non credono io nulla; et il Glayio fra gli altri, capo di tutti, disse a un mio amico, delle quat¬ tro stelle, che se ne rideva, et che bisognierà faro uno ochialo che le faccia e poi le mostri, et che il Galileo tengha la sua oppiniono et egli terrà la sua. Gli ò da dire anello, che alcuni Unno tassato il titolo del libro che l’à messo fuori, et che ora, avendo volontà di farlo volgare, pure agli amici vostri vorrebbono clic fusse pili semplice et positivo, lo non 1’ ò visto, et quando lo avesse visto, per essere latino, non lo arei inteso : però ella sa che il l’etrarcha, Dante e ’l boccaccio quanto semplicemente 1’ ànno posto. Io non so, nè chi me lo disse mcl seppe bene dire : basta ; V. S. vi avertisela, se lo fa vulgare. Et anche dà lor noia c gran fondamento fanno sopra lo avere inventato altri l’ochialo, et che ella se ne fa bello. 20 Tutto dico a V. S., acciò si armi et che i nimici non la trovino sprovista alla difesa. Mi scrive in una sua che io presentasse una lettoni a Sua Eccl.* 11 , mi immagino al Sig. r Don Virginio (I) ; la quale lettera io non ò auta, nò no so nulla altro. Ora V. S. comandi so io l’ò da servire in cosa alcuna, perchè io sono cor ogni prontezza prepa¬ rato ad ogni suo cenno: et baciandoli le inani, le prego da Dio ogni maggior contento. Di Roma, questo dì primo di Ottobre 1610. Di V. S. Ecc. ma Aff>° Servitore Lodovico Cigoli. Fuori : Al molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. ao Fiorenza. 404*. GIO. ANTONIO MAO INI a GALILEO in Firenze. Bologna, 2 ottolirc 1G10. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 154. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo S. or mio Oss. ,no Feci sapere al S. or Roffeni quanto V. S. m’ haveva scritto, mandandogli una polizza in villa ; il quale m’ ha mandata questa lettera per lei (S) , con occasione XiOtt. 403. 4-5. pure tatto tempo — 7-8. Dio, fa uno «inno « dicotto nini — 23. Don Virjini — < 3 < quostu lotterà non si trova noi Mss. Gali¬ leiani. <*' Intendi gli aderenti del P. Ci.avio. <*> I>. Virginio Orsini. Cfr. n.® 393. 2 — 8 OTTOBRE 1610. 443 [404-405] della quale voglio scriverle quello che non ho voluto scrivere nella mia prima lettera (l) , acciò eh’ havesse potuta nell’ occasioni mostrare, et massimo al Ser. mo G. Duca in occasione dello specchio. Dicole dunque bora, che se mi farà questa gratin di farmi dare a S. A. uno di questi miei specchi grandi, che pesano sino a cento libre et hanno di diametro sino a 20 oncie del piede di Bologna, dal quale comprenderà poi il giro, oltre 1* obligo eh’ io gli tenirò in perpetuo, gli sarò an- io cora cortese d’un specchio assai bello et nobile, di mediocre grandezza; eh’è a punto quello ch’io tengo nel mio studio sopra quel tavolino, che fu da lei et dal S. or suo cognato t!) veduto, il quale a punto io liavevo destinato di donare al S. or Fuc- cari, ambasciatore Cesareo, se mi faceva riscuotere dalla Maestà Cesarea i tre millia taleri assignatemi per la ricognitione do i miei specchi : et ho a punto scritto martedì al dotto, eh’ bavero caro di ultimare quanto prima questo ne- gotio ; altrimenti io darò via questo eh’ liavevo destinato alla detta Maestà, se me ne venirà occasione. Starò dunque attendendo che lei incamini bene questo negotio con S. A. ; il che se si effettuarà, sperare poi di cavarmi il capriccio in far fare certi altri specchi molto gustosi, cioò il colunnare et il parabolico : 20 et V. S. non haverà occasione di dolersi di me, che mi raccordarò sempre di fargli parte delle cose mie. Con che fine bacio a V. S. le mani, et al S. or suo cognato insieme. Di Boi. 11 , il 2° Ottobre 1610. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ,na Ser. ,a di cuore G. Ant.° Magi ni. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. ,n0 S. or mio Oss. n, ° il S. or Galileo Galilei, Math. co del Ser. ,uo G. Duca di Toscana. Firenze. 405 *. VIRGINIO ORSINI a GALILEO in Firenze. Roma, 8 ottobre 1G10. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X.1V, car. 40. - Autografa la sottoscriziouo. lll. r0 Sig. r6 Può assicurarsi V. S., eli’ io habbia sentito con gusto strasordinario che ella si sia fermata al servizio di S. A., così convenendo al particolare mio buono af¬ fetto verso di lei, et alla stima clic meritamente fo’ delle sue virtuose qualità. 1 laveranno anche i miei figliuoli occasione ° di V. S. S.™ Galileo Galilei. Virg. u Orsino. Fuori: All* 111. ro Sig. rn io 11 Sig-. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 400 *. FRANCESCO MARIA DEI, MONTE a GALILEO in Firenze. Roma, li ottobre 1610. Blbl. Niu. Fir. Mas. Hai., 1’. I, T. XIV, cur. 51. — Autografa la sotloacmioiie. 111. Sig." r La lettera di V. S. mi ò stata tutta di gran gusto, ma particolarmente in quella parte dove mi ha significato che T Gran Duca 1’ habhi richiamata in To¬ scana con sì honorati titoli e con sì nobile provisione ; la (piai attiene è stata veramente degna cV un tanto Principe, che si mostrato simile ad Augusto in favorire i virtuosi. Io me ne rallegro di core con V. S., e prego il Signore Iddio die continui di bene in meglio le sue prosperità, desiderando occasione di ado¬ perarmi spesso per lei. Di Roma, li 9 di Ottobre 1610. Di V. S. I. Come fratello io S. 01 ' Galileo Galiloi. Il Card. 1 " dal Monto. Fuori : AIE 111. Sig. or 11 Sig. 01 ' Galileo Galilei. Fiorenza. 407 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenzo. Venezia, ottobre luto. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. VII, cnr. 15G. — Autografa. Molt’ 111.» et Ecc. mo S. or mio ()ss. ,no Il Padre Clavio mi scrive haver riconto lettere da V. S., dove li fa. mentione haver inteso da me clic loro a Roma se la burlano de’ pianeti novi, e mostra di [407-408] 9 —15 OTTOBRE 1610. 445 aspettar lei di andar in esso luoco per certificarsi del fatto. Io per me li ho scritto, clic più fiate li ho veduti, e mutati di sito, talmente che non ne dubito punto. La verità è una sola; e quando Laveranno imparato a maneggiare 1*oc¬ chiale, e che la potenza del vedere sia integra, forza è che confessino. Io dubito che alcuni di questi più grossi, voglio dire di più riputassiono, non stiano duri, acciò V. S. si metta in necessità di mandargli lei uno instrumento. io Di Praga sin qui non ho sentito alcuna cosa: nè per caosa delli libri del S. or Keplero V. S. si dia pensiero, poi che, come ella sa, ogni mia cosa è al suo comando. Desidero bene mi dia occasione di servirla e mi conservi in sua gratin, e li b. le mani, come fanno li amici che per sua parte ho salutato, e già alcuno si querelava della sua taciturnità ; ma il S. or Magagnati è consolato per l’aggre- gatione fatta della sua persona dalli SS. ri Cruscanti, lo ho giudicato V. S. Laverei la maggior parte. Mi sarà carissimo intendere la sua salute, che Nostro Signore Iddio conservi. Da Ven. !l , a 9 Ottobre 1610. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. nm 20 II S. or Magagnati tratta partire per costì fra 8 giorni. Sor.™ Aif. m< * A. Santini. Fuori : Al molt’ IU. ra et Eoe."' 0 S. or mio Oss. mo 11 S. 1 ' 0 Galileo Galilei, in Fi r enso. 408 *. GIO. ANTONIO MACINI a GALILEO in Firenze. Bologna, 15 ottobre IfilO. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, r.nr. 158. — Autografa. Molto IU. ro S. or mio Oss. mo Il S. or Roffeni mandò a V. S. hoggi otto la lettera fatta latina et- il mio servitore a punto la portò alla posta con le mie, sì che mi meraviglio che lei non P Labbia ricevuta. Mi dispiacque che per la freta io non le potessi dar una scorsa, per veder s* haveva bisogno di qualche accommodainento, il che potrebbe far lei; et a me Laverebbe piaciuto che gli l’havesse mandata così volgare, per¬ chè so quello eh’ era, et haverebbe havuto più del buono. Lett. 407. 15. persona li SS. r ‘ Cruscanti — 0> Cfr. n." 380. 446 15—16 OTTOBRE 1610. [408-400] Il S.°«- Card> Giustiniano s’è fatto venire da Venetia, già più di due setti¬ mane, Bortolo, figliuolo di queir occliialaro dall’ Imp.", pei- far lavorare do’ vetri da canoni, et se ne caverà, a suo modo la voglia, et n’ bavero ancor io alcuno, io facendone colui d assai buoni così per canoni lunghi come per mediocri; et credo voler tenir ancor io questo giovane una settimana in casa. Il b.‘ ,r Santini mi mando sino a 3 lenti assai grandi, tra le quali penso co ne sia una molto buona: ma io non ho traguardi molto a proposito, et n’aspetto da Venetia. Ma se lei mi farà gratin di qualche vedri, sperare che mi debbano riuscire molto migliori di questi, et gli ne restarò con obligo et con disiderio di non me le dimostrare ingrato. Ilo poi inteso quanto mi scrive del specchio grande, et spero fra poco d’haver fornito un poco di discorso sopra lo specchio concavo, ad instanza del nostro Cardi¬ nale , il quale lorse mi risolverò di far stampare, chè potrebbe esser che movesse 20 maggior desiderio al G. D. d’haver uno di quei specchi, vedendo questo discorso. Ilaverei caro, che V. S. Incesse sapore con qualche bel modo al S. or Keplero, che Martino è stato tanto insolente et indiscreto in casa mia, che si prendeva licenza di metter mano sino nelle mie lettere che ricevevo da gl’ amici et ripo¬ nevo sopra le mie tavole; et questo io dico, raccordandomi che nell’ultima lettera d esso Keplero, che mi lesse nell’hostoria, ci era non so che, che attaccava quasi la mia persona. Però haverò ancor io campo franco di risentirmi in qualche parte dell istesso Martino, con 1 occasione di quest’operetta dello specchio concavo. Io fornisco, sondo interrotto da un gentil’ huotno di’ bora è arrivato da me, et le bacio le,mani, offerrendomi sempre prontissimo a’ suoi commandi. 80 Di Bol. a , li 15 Ottobre 1610. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc."'« Ser. ro Afl>° Gio. Ant.° Magini. Fuori: Al molto 111.™ et Fcc. mo S. or mio Oss. mo il ìS.°«- Galileo Galilei, Math.™ del Ser. ,HO G. Duca di Toscana. Firenze. 409 . GALILEO n MICHELANGELO BUONA RUOTI in Roma. Firenze, lfi ottobre lf>10. Galleria e Arohivlo Buonarroti in Firenze. Filza 48, Lett. U, ear. 930. — Autografa. Molto 111» Sig. re La speranza che li avevo di ritrovar V. S. molto I. in Firenze, mi ritenne in silenzio quando in Padova ricevei, per mano del S. Ser- 1G OTTOBRE 1610. 447 [ 409 - 410 ] tini (1) , la sua bellissima canzone sopra i Pianeti Medicei. Dopo il mio arrivo qui, la medesima credenza del suo presto ritorno mi ha rite¬ nuto dal rendergli quelle dovute grazie, che pure a bocca speravo di potergli rendere più proporzionate alla grandezza del favore. Fi¬ nalmente l’haver io pur oggi vedute due lettere di V. S., una al S. ca¬ nonico Nori et l’altra al S. Sertini, nelle quali ninna parola dice del io ritorno, mi ha fatto risolvere a scrivergli, se non il debito ringrazia¬ mento, al meno la confessione dell’obligo che a tanti altri mi ha ag¬ giunto nel favorirmi della sua leggiadrissima composizione; et quando lo scoprimento di questi nuovi pianeti non producesse altro benigno in!lusso in terra, assai è egli stato il dare occasione all’ingegno del S. Buonard di parturire opera così gentile, lo ne rendo a V. S. quelle grazie maggiori che capir possono in una piccola carta : grandi le rende la mente, et grandissimo è l’obbligo che resta nell’animo, pron¬ tissimo a compensar con l’affetto quello che all’effetto delle forze manca. Io non posso dire di star contento' in Firenze, sendo restato de¬ so fraudato della presenza di 2 padroni et amici tanto primarii : dico di V. S. et del S. Cigoli. Consoli V. S. 1’ amarezza col darmi spe¬ ranza di presto ritorno, et con 1’ assicurarmi che io hahbia luogo nella sua grazia. Gli b. le in., et per grandissima fretta finisco. Di Firenze, li 16 di 8bre 1010. Di V. S. molto I. Ser. ro Parat. mo Galileo Galilei. Fuori: Al molto lll. re Sig. ro mio Sig. Osser. nl ° 11 S. Michelang. 10 Buonar. 1 * Roma. 410 *. PIETRO DUODO a GALILEO in Firenze. Venezia, 1(5 ottobre 1610. Bibl.Est. In Modon». Raccolta Campori. Autografi, U.“ LXXIV, n.» 76. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r Mi ritrovavo in vila quando mi capitarono lo lettere di V. S. molto 111.™ et Ecc. n,n , in modo che non potei renderle quelle grati e che facio bora della amo- I,ett. 409. 23. nella su gratin — m Cfr. n.o 372. 448 10 — 18 OTTOBRE 1610. 1410 - 412 ] revolissima lettera che mi ha scritto, la quale mi dimostra molto bene l’affottiono sua cosi verso il publico come verso il nostro particolare; di clic lo ne rendo quelle gratie inagiori che io posso: e sappia \ . Eoe.* 1 , elio so ci ha lasciato il core, ha anco portato via il nostro, in modo che so crede esser a Fiorenza lei, ella so ing&na, perché ci siamo noi. Li figliuoli 0 vivono obligatissimi per li tanti beneiicii che hanno ricevutti da lei, o tutti insieme andaremo attendendo occasiono di corisponderle di quel modo elio merita la tanta amorevole™ che ci ha usata, io V. Ecc.* a donquo ci conservi per suoi amorevolissimi o ci comandi, perché lo ol- ferimo tutto il nostro potere in suo servitio. Di Venetia, li 10 Ottobre 1610. Di V.S. molto HI. 1 * ot Eco. 1 " 0 Afl>" per servirla Piero Duodo. Fuori: Àirill. r# Sig. r L’Ecc. mi> 8ig. r Galileo Galilei. In corte di S. Altezza. Fiorenza. 411 *. GIOVANNI WODDERBORN a ENRICO WOTTON in Venezia. Padova, 1(5 ottobre 1(510. Cfr. Voi. Ili, Far. 1, puff. 161. 412*. GIULIANO 1)E’ MEDICI a [GALILEO in Firenze]. Praga, 18 ottobre 1(510. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, 1(.“ LXXX, n. u 17. — Autografa. 111.™ et Ecc. mo Sig. or In questo punto che sono per faro il piegho, mandandomi il Sig. Gloppero 1’alligata (1) , in risposta, della lettera di V. S., della quale subito che l’ebbi ri¬ cevuta gli feci parte, non ho voluto tardare di mandargliene qui alligata. Et per conto de’ libri che la desidera 13 *, li due del Sig. Gleppero gli manderò senz’altro, et quell’altro farò ogn’opera di trovarlo senza che pensi a altro, se non in pen¬ sar sempre a quello la possi servire, chè da V. S. non potrò ricevere maggior favore. Non voglio restare di dirle ancora, che qui ci ò un Fiamminghe che viene d’Inghilterra, che pretende bavere trovato il moto perpetuo; et havendone solo (») Cfr. n.° 108, Un. 1(5. (2) Cfr. n.* 421. P) Cfr. n. # 402, liti. 45 « sog. 18- 22 OTTOBRI'! 1010. 449 [ 412 - 418 | io prima dato un istmmonto al Ito d’Inghilterra, no lia adesso dato un altro a S. M> Cesarea, che mostra di pregiarsene molto et ha caro che non lo comunichi con altri: et consiste, questo moto, d’aqua che in un cannello, fatto quasi in forma di luna, va bora in su et bora in gii! da una banda a l’altra; (l) et il Sig. Cloppero non ci ha una fede al mondo, se non vede come gli sta. Con che baciandoli le mani, le pregherò da N. Signore Dio ogni felicità. Di Pragha, a 18 d’Ott.™ 1010. Di V. S. S. M Afl>° Giuliano Medici. 413 * FORTUNIO IACETI a GALILEO in Firenze. Padova, 22 ottobre 1610. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 100. — Autografa. III.*» et Ecc. n, ° Sig. 010 lo ho sentito grandissima contentezza del suo prospero viaggio, l'elice arrivo in Firenze, e dell’ottimo stato di sanità che gode : la ringratio infinitamente del favore fattomi nel darmene ragguaglio, e le resto con molt’ obbligo della nobile relatione fatta di me a coteste Ser. mo Altezze, la quale in gran parte ascrivo al- FalFettione che si degna di portarmi. Le sue osservationi scranno dal tempo fatte note a ciascuno. Qui giorni sono si disse che in Alcmagna il Cheplero col suo stromento haveva veduto intorno a Giove le Stelle Medicee; c F altr’hieri mi disse Mess. Francesco Bolzetta, che un io oltramontano! 2 ) gli haveva parlato di voler dare alle stampo un trattato in ri¬ sposta alla Feregrinatione del Boemo, in favore del Nonc.io di V. S. : intorno a che altro non si dice se non le cose già dette, e che il S. or Muggini non confessi di haver veduto li pianeti nuovi, o più tosto attenni di non haverli veduti con tutto che habbia adoprato l’occhiale. Di suo successore si tratta, ma non per quest’anno^ e sono in predicamento il S. or Maggini, et un oltramontano (3) clic dimora a Vinetia: così corre lama in Fadova, non sapendosi l’animo degl’Ill. ,ni SS. ri Riformatori. Feci li suoi baciamani all’ Ecc. mo S. or Cremonino et agli altri amici, che glieli rendono moltiplicati. Sborsai le sette lire a Mess. Antonio tornidore, conforme (0 Cfr. mi. 1 4:12, 652, 665. o Gin. Camillo Gloriosi, elio ila oltre quattro anni (*) Giovanni Woddbrborn. s’ora trasferito a Venezia ed aveva offerti i suoi sor- fa) Qui forse il Licf.ti confonde tra il Kkpleii, vigi alla Repubblica (cfr. n. # USI)), che aveva aspirato a succedere a Galileo (cfr. n.* 386), X. 67 22 - 23 OTTOBRE 1610. 450 [ 413 - 414 ] all’ordine datomi da V. S., e feci ricapitare in mano propria di M.“ Marinala 20 lettera elio mi raccomandò. L’alligarla tic del S. or Bronziero acre difensore de’ dogmi di V. S., col quale e col S." r Conte Zabarella più d’una volta con molto mio gusto mi ò venuto fatto di discorrere. Altro non mi occorre, se non pregarla mi vogli conservare nella sua buona gratin e favorire de’ suoi comandamenti. Di Padova, alli 22 di Ottobre 1610. Di V. S. Ecc. ma Ser.™ Afl>° Fortunio Liceti. Fuori : All* 111“ et Ecc. m » Sig. or “ Oss." 10 11 S. or Galileo Galilei. Firenze. co 414 *. GIO. ANTONIO MACINI a GALILEO in Firenze. Bologna, 28 ottobre 1010. Bibl. Nnr,. Tir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. If>2. Molto IH."* et Ecc. mo S. or mio Oss."'° Mi sono acertato che quel furbo di Martino Morelli m’ ha portati via alquanti de’ miei libri, per la libertà eh’ egli liaveva di maneggiare il mio studio ; et tra gl’ altri s’ ò preso un grosso libro, nel quale erano legate insieme quattro opere curiose, cioè Fisces zodiaci infcrioris scu de solutionc physica, Della fisica subii- mafione del Tornea, Hieronymi Rubei De distillatone, Fratris Celestini De bis (pine in ninnilo mirabiliter eveniunt et de mirabili poteslate artis et naturar Ungerti Ila- chonis: nel qual libro quest’ auttore toccava qualche bel segreto dello specchio concavo, dicendo che si poteva, mediante quello, rappresentare nella luna un con¬ cetto da esser inteso da chi stava lontano ; ma però non mi raccordo se propo- 10 nova così detto segreto. Però desidero che V. S. facia dire al S. or Roffeni nella sua Epistola qualche cosa dell’intideltà di costui, il qual so certo che m’ha rub- bati questi libri, poi che mi fu scritto da Modena che egli si vantava d’ aver tal segreto narrato dal Buccone. Mi sono ancora assicurato che m’ ha portati via alcuni altri libri, de’ quali io ne tengo poco conto : et ò stata la mia aventura di licentiarlo improvvisamente, non lo lasciando fermare nò anco un giorno in casa, perchè forse incaverebbe tolto qualch’altra cosa di più importanza. Il S. or Roffeni si meraviglia che V. S. non gli habbia accusata la ricevuta della sua Epistola 1 ”; ina io gl’ho detto che non può tardare ad avisarlo. Il Marina Gamba. 1,1 Nessuna lettera di personaggi della famiglia Bronzirro è nei Mss. Galileiani. « 9 » Cfr. n." 409. 23 OTTOBRE 1G10. 451 1414-4-15] •20 S. or Santini mi mandava la posta passata quella sua lente perfetta, con la quale osservava i pianeti circolatori di Giove, insieme con alcuni traguardi : ma quanti’io sono andato dal ooriero, m’ ha risposto non havor ricevuta quella scattola ; et mi dispiacerebbe che fosse ita a male. Io spero che le lenti eli’ ho fatte lavorare sopra la concavità d’ un mio specchio, debbano riuscire, quand’ io potrò accom¬ pagnarle con traguardi a proposito, perchè fanno la tromba più grande di quante io n’habbia vedute, et fanno ancora gl’oggetti grandissimi et da vicino; et non vedo 1’ bora di certificarmene meglio. Con questo line mi raccordo deditissimo a servir sempre V. S., alla quale bacio le mani insieme col S. or lioffeni. Di Bol. n , li 23 Ottobre 1G10. so Di V. S. molto 111.' 0 et Ecc." ,a Ser. ro A(T. mo G. Ant.° Magini. Fuori: Al molto 111.™ et Eco."' 0 S. or mio Osa."’ 0 li S." r Galileo Galilei Math. c0 del Sor." 10 G. Duca di Toscana. Firenze. 415 . LUCA VALERIO a GALILEO iu Firenze. Roma, 23 ottobre URO. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gol., P. I, T. VI, cor. 70. — Autografa. Molto 111» et Ecc.'"° S. r mio Oss. ,no Non so 8’ io mi rallegri più della sua lettera, resami lucri a un’ bora di notte dal S. r Cigoli, o pur m’attristi del dispiacere ch’ella prende dalle ciancio di co¬ storo, li (piali, dove lor manca il fare, si erodono di supplire al suo honore col cicalare et biasimar l’opere altrui. Signor mio caro, io, che dalle lingue di molti di questa città son stato et sono molto più mal trattato di lei, et ho imparato di ridermene, conforto V. S. a fare il medesimo, considerando questa esser parte della divina Previdenza, acciò intendiamo che i nostri parti, quando per nostri si pigliano, sono da molti scherniti, a fin che conosciamo più chiaramente che io qualunque buone opere che noi fàciamo, in quanto buone e perfette, non ven¬ gono da noi ma da Dio solo; nel che ci sono costoro di grande aiuto, li quali, considerandoci come huomini che siamo, ma non con I* aiuto del ciclo, nè perciò giudicando verisimile che da noi possa procedere alcun bone, ci danno occasione d’allegrarci che la gloria delie nostre lodevoli fatighe, scoperta la verità, non solo da noi, ma etiandio da tutti, si renda tutta a Dio. Ma dove mi son lasciato trasportare, sapendo io che V. S. intende questo me¬ glio, et è più atto a farlo, di me? Però, passando a quel eh’ella tocca rallegran- 452 23 OTTOBRE 1010. [415-41 (>| dosi della mia sanità, et eh* io sia in stato di seguitar le mie opere, come fo, la ringratip infinitamente dell’amor suo verso di me, eh’in ciò riluce; pregandola ad assicurarsi d’haverne da me degno contracambio, quanto però alla grandezza 20 dell’ affetto, non quanto alla qualità che prende dal soggetto orni’ ò prodotto, poi che tal ricompensa tanto non è in mia mano, quanto il mutar 1’esser proprio: sì che V. S. accetti per supplemento dell’ impotenza la buona volontà. Pregola ancora a darmi occasione onde s’accresca in me l’allegrezza della fertilità del suo sublime ingegno, dandomi aviso s’ ella séguita l’opera di quei moti et che altro pensa di faro; ch’io per me séguito la materia de pyramide , avendo già quasi rassettata quella de centro gravitatis solidorum in miglior forma di prima 10 , discostandomi al solito dallo stile d’Archimede, et accresciuta sì, che m’è necessario partirla in 5 libri. Et per fine bacio a V. S. le mani, come ancor fa la S. ra Margherita (l> , renden- 80 dole li saluti duplicati. Ella ò predicatrice del gran valore di V. S., et s’appa- rechia a dare in luce la sua Scanderbeide, ridendosi anch’ essa della guerra pue¬ rile che pur le fanno talhora gli homai rochi e sprezzati parlatori. Se V. S. costì vedesse il S. r Francesco Fondacio, mi farebbe gran favore a dirlo da parte mia che S. S. si degni di darmi raguaglio del suo stato, e dirgli eh’ io et la S. r * Mar¬ gherita le baciamo le mani. Di Roma, a dì 23 d’ Ottobre 1010. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ma Ser.™ AfT. mo Luca Valerio. Fuori : Al molto Illustre et Ecc. mo Sig. r mio Oss.™ 0 40 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 416 . MICHELANGELO BUONARROTI a GALILEO in Firenze. IKoma, ottobre 1(310]. Cibi. Nuz. Fir. Mas Gal., P. i, T. XV, car. 8.— Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio, Le grazie che si convengon rendere a chi ò desideroso di servire altrui a ragione, e per quanto ò in suo potere si studia di farlo, ben che il servizio ne Lctt. 415. 22. non ? mio — <*» Cfr. n.o 217, Un. 14. I*» Makuukrita Sarkocciu, 23 OTTOBRE 1610. 453 [4101 succeda poco efficace, sono lo accettar una buona voluntà ; la quale ero sicuris¬ simo che era accettata da V. S. subito che da me le venne la poverella e rozza • mia canzonetta 01 , che da lei troppo più cortesemente del merito è così lodata. Non ci avevano adunque luogo quelle scuse che V. S. fa meco, in aver (dice ella) differito a rendermi grazie da Padova a Firenze, e da Firenze a Roma. Ma bene dal mio ritrovarmi qua alla sua venuta costì (benché da me invidiata) ne è in- io contrata buona ventura, poi che le stesse grazie che la sua amorevolezza testifica che mi avrebbe fatte in voce, mi avrebber fatto più arrossire che lontane non fanno, se il non meritato dono suol porger qualche vergogna al ricevitore. In qualunque modo finalmente mi siano venute, quantunque non meritate, mi fanno al presente riringraziar V. S. di quelle e del cortesissimo affetto che le muove e clic muove V. S. a tanto onorarmi quanto ella fa, e massimamente in dolersi della assenza mia costì alla sua venuta, quando io qua, intendendo la sua venuta costo, debbo dolermi della mia partenza, per essermi privo e del goderla e del poterla servir di presenza; il che spero che sia per succedere fra non molti giorni, non ostanti gli allettamenti di Roma, che non son pochi. Ma io mi guarderò dalle Sirene. Il Sig. r Cigoli, con altri amici, son di quelle Sirene che allettando posson gio¬ vare ; e a me ha giovato assaissimo il suo commercio, quando 1’ ho potuto avere, perché mi è torcia fra le tenebre di queste antichità. Ricevei iersera la corte¬ sissima di V. S., essendo a veglia seco col Sig. r Passignano ; e a vicenda leggen¬ doci la sua lettera ciascuno, ci parve ragionar seco : e io nel fatto de’ Sig. ri Serri- stori messi aneli’ io sopra la efficace forza di V. S. il mio manino. A’ quali, sicome al Sig. r Alessandro Sertini, V. S. mi farà grazia baciar le mani, e parimente al Sig. r Amadori (,) , sì come io fo a lei, espostissimo e desiderosissimo de’ suoi coman¬ damenti ; desiderandole dal Signore ogni felicità, e fortuna prospera sempre mai più al singular merito delle sue virtù. so II Sig. r Cigoli è nel colmo del più alto cielo, ciò ò nel pinnacolo della lanterna della cupola della cappella del Papa, dinanzi al Dio Padre e al suo splendore. Di V. S. molto 111. 0 S. r Galileo. S.° A.ff. mo Michelag> Buonarroti. Fuori: Al molto 111. 0 Sig. r Galileo Galilei, Sig. r mio Oss.° Firenze. Raccomandata alla cortesia del Sig. r Alessandro Sertini. <>) Cfr. n.« 372. i 1 ' Gio. Battista Amarori. 4;j4 24 OTTOB11E 1010. im 417 . TOMMASO SEGGETT a (rAI/ILEO in Firen:o. Praga, 24 ottobre 1610. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1*. 1, T. VI, cnr. 78. Autografa. Molto lll. ro Sig. ro P.rone Oss."'° Ilo differito aposta liti a questa settimana di rispondere alla cortesissima et a ine gratissima lettera (li V. S., por marni arie l’inchiusa relafciono del Sig. r Ke¬ plero 10 intorno a quel c’havevamo osservato nelle Stelle Medicee. Egli fece in¬ sieme stampare i miei versi ; ma è stata usata così poca diligenza nello stamparli, ch’io mi vergogno. Per questo, disegnando V. S. di farmi 1’ bollore (di che la ringratio di buon cuore) clic escano in luce con le sue osservazioni celesti (il che a me sarà (li sommo contento), io glieli mando ancora una volta, scritti di mia mano et cresciuti d* un epigramma, eh’ è il settimo, et su questa copia V. S. gli potrà fare stampare 10 . Lo ringratio V. S. dell’ honoro che m’ ha latto a farli vedere io Lett. 417. 1. oeicrmili — (" Cfr. Voi. Ili, l’nr. I, pag. 181-188. <*> Noi Mss. Galileiani, P. I, T. Ili, cnr. 99».- 102r., si hanno, scritti ili ninno ili Gai.ii.eo, gli epi¬ grammi di Tommaso Srooktt, elio abbiamo ripro¬ dotto noi Voi. Ili, Par. I, pag. 188-190, di seguito alili Narratili de favi» intcllitibui del Kkpi.kk; più il sottimo, elio il Srooktt mandava a (1aui.ko con la presento lotterà, o duo altri, dolio stosso autore. Noi erodiamo opportuno di pubblicarli qui tutti, perchè quelli clic abbinino stampato nel Voi. Ili offrono, nella lozione di mano di Gai.u.ko, notevoli varianti. Tu omak Stanuri Britanni in (iatiluci Halilari obaervationei notici* caelcstm Epigrammata. I. Quae Intuere soli saoclis incognita priscis. Magno auso in lucimi proto 1 it unto Liguri Accola mine Arni, saoclis incognita eunctii, Protulit in lucciii quno tatuerò poli. Ilio ilodit multo vincendas sanguino territs; Sidoni at hic nulli noxia. Maior uteri* II. Uni quno quondam lucobant si dora cucio, Quno fuornnt solis cognita caolitihus, ninnano spcctanda ilodit generi Gallinoli;: Mortales hoc est reddoro diis siuiiIcs. III. Lucobant cado, inni torris sidorn Incoili. Ali non bue Incoili ost adderò siiloribus? Quantum, o quam pulcnim, uisi tu, Giililaco, fuissos, Divinilo mentis dolituisset opus! Abdita quoti por te pn'uiuin patofocit Olympi, l’oriniiltuni dobus tu, lìnlilaou, Uoo : At tibi multimi houiines, dohont tibi sidora inni timi ; Multum otiaui dobot luppiter ipso tibi. IV. Aotlioro snbductum mortallbus iiitnlit ignom, Kmeritus poonam est Inpetionidos. At tu, qui occultoa antehac, Galilaoo, tot ignos Investi torris, quid moroaro? I'olum. V. Turrigenos, gonus iiivisum, moliinino vasto Conatos torras iungoro siiloribus, Vindox doxtra lovis manes dotrusit ad imo:;! Ambiti morcos liaoc fuit imporli. Nil telo affoctans, Galilaous sidora torris Iunxit, ot ignotas odocuit choroas ; Et docus astruxit. cado, divisque sibiquo, Ausns inaccossns primus iniro vias. Pro mcritis, Gulibioo, tua intor sidora quondam Ipse novum Ambibis sidus, ut illa lovoiu. Quod si nulla dios Medicela sidora perdei, Nulla dios pordot nomon in orbo turni). 24 OTTOBRE 1610. 455 20 Progne. [ili] iti Ser. mo Gran Duca. Mi spiace che la lode di sì gran liberalità sia più tosto guasta dalla mia rozza musa, che adornata. Come che sia, dopo c’ ho inteso che non sono spiacciuti a S. A., hanno cominciato a piacer a me. Stiamo, il Sig. r Keplero et io et tutti i migliori spiriti, con gran desiderio aspettando lo scoprimento della sua nuova osservazione 10 . La prego, s’ egli è cosa clic si possa sapere senza suo pregiudizio, sia servita di farmene parte. Il favore si farà ad uno, il quale, se non lo potrà ricompensare, lo saprà almeno stimare secondo il merito. Con che, pregandole da N. S. Idio ogni contento, gliene bacio le mani. Il medesimo fa il Sig. r Keplero. Di Praga, a dì 24 d’ Ottobre 1610. Di V. S. molto Ill. r0 Ser. ro A ff>° Tomaso tìeghoto. Fuori: Al molto 111.™ Sig. ro et P.ron mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei, Filosofo et Matematico del Ser.'"° Gran Duca. Firenze. (Jtiac praecesacrc Epigrammata, nondimi mm «6 Autore Sydrrihua Mediceia e/7 usa mini ; ijune aequuntur, póatquam conapej-.it. VI. Koplorus, tialilaeo, tuus tua siilora vìdit: Tanto quia dubitot credere tosto tibi V Si quid in hoc, ot nos MedicoYa vidiinus astra, Voltava marmorei!in fort ubi (lava iugum.* Vicisti, Oalilaoo ! Fremant licet Orcus ot umbrao, Iuppitor illuni, istas opprimot erta dios. VII. Invontis nnper Florentia nomina torris, Mime dedit invontis nomina sidoribus. Iam tua (caolostos quid possis posenro maiua?) Perquo solimi faina ost didita porque poluni. Ad Sor. Mag. Hetmriae Ducem de collutta in Qn- Meniti, oh Siderum Mcdiccoruni dcdicnlioncm, mnnerihua tituloque Philoaophi et Matematici ani unni Itonorurio mille uureorum unntioruin. Vili. Tuscorum Dux Magno, animo, quam nomino, iunior, Auspice quo patuit regia tota Iovis, iMoiis cacio cognata tua est, praoclara fovontis Ingenia, oxomplo ut rogibus osso queas, Rogins isti animo titnlus dobotur, et olim Hetrusco reges iura dedero solo. Felix patrono Galilaous ! Iuppitor illi, Quao tu donasti, praomia dobuorat. Pro meritis, Dux Magno, soli cimi soro rolinqnos Scoptnv, locuui cedet Iuppitor ipse tibi. IX. Eìuadem argomenti ad Oalilacum. Non frustra medio os vonatiis in actliore stollas Olim latentcs, ot stupenda Cynthiao. Foociindus labor hic tibi: Tu, Galilaeo, cohortoni lavi dodisti, Iuppitor lovoin tibi. X. De. fiera/ncillo quod Eer."’ Magnila Hetmriae Dux Technothecae ai tue, memorine va uea, aaacrvtt udii in curavi!. Per proao/iopciam. Quo primuui patuoro poli socrota, dioptron, Hic liabito. Dices, dignum liabitaro polo. Non libet: obvonit potior inilti sedibus illis Gloria ; tecta mihi sunt Medicea polus. De raduni inetrumcnto ad eundent Magnani Ducem Autor idem qui auperiorem Ode.m compaauit. Quisquis cs, aothorio» qui nostris artibus ignos Atquo novas, longo tramite, cernis opos. Artifici» no qnaero iiianus, no quaero latobras, Ropperit ambages ingoniosus Amor. Scilicot ut longis quoque tractibus adsit amanti Dux nieus, lins artes daodalus urgot Amor. Astra licot nova contomplor, nova sigila valete. Hoc ago: Dux oculis adsit ubiqno uious. De codem inatritmento ad. Autorem. Quao sompor latuoro ingloria sidora cacio, Auspico to, rutila iam patuoro conia. Tu docus ignotmn rosoras, vitaque poronnas, Et potis obscuras luco animasse faccs. 0 quid agiuit obstricta tibi prò numero tanto Sidora? to socium sidus adesso volent. (, t Cioè la soluzione dell’anagriuiima coucur- nonte Saturno. 45G 24 OTTOBRE 1010. i m 418 *. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 ottobre 1G1U. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. VI, car. 7». — Autografa. Ecel. ,no Sig. r mio, Dotti ricapito alle lettere. Il *Sig. r Luca Valerio sta bone del male: la lobre P A lasciato, et comincia un poco a rifarsi ; ot le salute tornano duplicate, et dice che scrisse a V. S. et di nuovo lo farà di questa. Girella alle racoman- dazioni do’ Sig. ri Sei-ristori, non ocorrova, perchè lo sono obligato, ot mando per essu (,) per finirla qua ai tempi rubati del lavoro di Sua Santità, il quale 6 cominciato. Avanti le due sue ultime avevo detto al Sig. r Don Virginio che io avevo auto una vostra lettera, nella qual diceva < La inclusa la darete a Sua Eccellenza > ; ora, che io non la avevo anta, et che dubitavo venisse a lui: mi disse che l’avea io autama non mi disse altro, et io non replicai niente. Ò auto molto contento della risposta datami, contro alla mormorazione di questi Romaneschi ; ot il lasciarsi vedero qua l’orso non sarebbe fuori di propo¬ sito, massimo trattenendosi qua punto il Signore (s) . Ora, se in cosa alcuna la posso servire, mi comandi, perchè sono tutto suo, nè ò altro martello di Firenze se non di non la poter godere et servire presen¬ zialmente : ma se a Dio piacerà, finito che arò questa opera, me ne voglio tor¬ nare a riposarmi et essere tutto mio et del Sig. r Galileo : al quale lo bacio le mani, et le prego da Dio ogni maggior grandezza. Di Roma, questo dì 24 di Ottobre 1010. 20 Di Y. S. tt Ecel. n,i ‘ Umilissimo Servitore Lodovico Cigoli. Il Sig. r Cavalier Domenico Passigniani le bacia le mani. Fuori : Allo Eeel." 10 Sig. ro ot I'at. n mio Oss. lno Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, in Fiorenza. 1,1 Cioè por In tavola, alla quale lo stoRso Cigoli accenna nella successiva del 13 novembre (cfr.n « 128). <*! Cfr. nn.t 303 e 40.'». * 3 * Don Vikuinio Ousim 2b OTTOJiltE 1G10. im 4 b'i 419 . GIOVANNI KEPLEIt a [GALILEO in Firenze]. Praga, 25 ottobro 1(510. Bibl. Naz. 3?ir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, ci\r. 12-13. — Autografa. S. P. D. Ex literis tuia, Celeberrime Vir, quaa .ad 111." 1 Or.atorem Florentinum Cai. Octo- bribus Florentia misisti tl) , salutem, qua me impartiri voluisti, percepi, proque ea gratiaa ago, tequc mutua mea impertior. Ad caetera, quae desiderasti, D. Se- gethus, quid nobis in commune visum, meo loco respomlebit; nani in Italica tyro sum. Narrationis etiam mcae (,) exemplum ex ipsius literis accipiea. Querelala tamen super ipsius facto reticere non possimi, qui nimio tui, nonnullo etiam raei, studio, sed praepostero, sed pertinaci, Epigrammata sua meae Narrationi per vini subnexuit <5) : nobilissima illa quidem et in te honorificentissima, sed quibus io ego semper existimavi Narrationcm meam adulationis in te suspectam redditum iri, praesertim si quo pacto innotescat, quid ad me promovcndum ex instinoti! Ill.mi Oratoris moliaris. Tunc cnim invidi detrectatores, quorum pieni sunt lio- dicrni literatorum coetus, aperte prorumpent, et causabuntur mulos mutuum scabere. Saepe monui, sua seorsim ederet: caeterum is ita se comparaverat, ut citra ollensionem repelli non posset. Quod tanto concessi facilius, quod perpen- derem, tcmporis diuturnitate omnes furiosorum oblocutiones focile expiiraturas, love interim cum suo famulitio perpetuam semitam pergcnte. Certiorem te reddo, venisse ad me hesterna die Martinum Ilorky, reduccm ex Italia, quamvis passim in itinere moras nexucrit. Miram et spectabilem occur- 20 sationem ! cum ille exsultanti vultu, et voluti triumphato Galilaeo, me ut con- sentientem alloqueretur, ego vero responderem, ex formula epistolii, quo ipsi amicitiam renunciaveram w . Id tanto utrumque magis pcrturbavit, quod nec ille de mea rcnunciatione sciebat (quippe literae meao Bononiam perlatae sunt post ipsius disccssum), ncque ego aliter, quam lectum ipsi epistolium, animum induxe- rain. Post multam altercationem, demum patuit error utriusque persuasioni!m : ntque ille mihi suarum rationum momenta, sui certissimus, sincerissimo aflectu, recensuit ; ego illi argumenta sua solvi, scu potius oppressi, niliil nisi meis ipsius Lett. 419. 15. In luogo di fncilìu* prima aveva scritto, o poi eancollò, libentiu». — 20-21. ui con»cn- ticntem 6 aggiunto in margino. — M) Cfr. li.® 402. ' 3| Cfr. n.® 417, e Voi. III. Par. I, jmg. 188-190. • *» Cfr. Voi. Ili, Par. 1, pag. 181-1S8. «*> Cfr. u.° 37G. X. 58 458 25 OTTOBRE 1010. [410] observationibus propri» ingestis. Non orat, opinor, constantiae, non ex authori- tato publici scripti, ad primam monili iustantiam sontentium mutare: mansit hac vico in sententia. Caetorum doluit pessime, cimi ipsi recenserem quid ad to so scripsissem. Tunc enim, quasi Ime unico labore proposito, summa persuasionis vi ine coepit oppugnare, ut de eonccpta opinione me dciicerot, nihil ipsum syco- pliantice centra me agisse: omnino persuasimi fuisse, liane, quam ipse in scriptum siiuin transtulisset, esse genuinam menni sontentiam. Faciebant fidem liis atte- stationibus etiam argumenta, quibus otiamnum contra Ioviales Satellites, adeoque et contra meas ipsius observationes meamque Narrationem (quam corara exhibui), pugnabat acerrime. I)e iis vero quae contra te durius scripsisset, sic respondebat: obsecundatum se liic publicae famae, doetissimis in Acadomia Bononiensi profes- soribus non paucis, aliisque per Italiani; de quorum eonsensu lìdem milii fecit docunientis manifestissimis. Quanquam iis mihi non erat opus. Anne igitur Irne io non esse viri boni, iustissimo dolori Academiarura accommodare calamum ? oppu¬ gnare commenta portentosa, in fraudem vcritatis, in contumeliam naturao com¬ parata? Denique eo rediit summa orationis, ut appareret, plurcs por Italiani viros doctos in procinctu stetisse publicae contradictionis, quos non mutatio sen- tcntiae, sed tui domicilii translatio, id est nietus offensionis tui l’rincipis, liac- tenus retinuisset ; certainen igitur hoc fuisse, quinam caetcros in hac palaestra publicae scriptionis praevertoret. Caetera, quae plus apud me ponderis liabebant, prudens praetereo. Quid multis ? expugnavit me, agnovi temeritatis illocebras, ignovi: rediimus in gratinili; sic tamen, ut ille, primura atque, me monstrante, visurus et agniturus sit Ioviales Satellitcs, sententia sua cessurum profiteretur. do E rat aufcem in transitu ad parentes suos: revortetur brevi Pragam. Nunc tc, Galilaee, rogo, quando vides mihi satisfactuni, ut, quia to usquo ad praesentium Ill. mi Oratoria literarum adventum differre velie dixisti publicam literarum mearum (,) descriptionem, illa igitur in meani gratinili supersedeas in totum. Maior erit gloria triumpbi, si tibi, uti spero, liostis tui confessionem ultro- neam transmisero. Nani etsi carco Electoris instruniento, successit tamen alimi, propinquo perfectionis gradii : plus enim quam decuplat. Eo inni bis vidi binos Planetas Medicaeos : eodem spero me et illi ìnonstraturuni. Interim excusa Narratione mea, authoritatem meam, perperam contra te adductain, rectissime dilucs. Si adolescenti ani ipsius rcspicis, nihil est in hac notato familiarius, quam <'*o in placita praeceptorum fervide transiro, exquc iis, voluti ex aliquo propugnaculo, temerario ausu procurrere et manus cum lioste eonsercre. Sin oculos in teipsum convertis, equidem non adeo decorum noe ex gravitate tua est, proicctam liane 47-48. Dii Onderà a praetereo ò aggiunta marginale. — 58. Planetai ò corretto ili luogo ili mt Alitei, elio prillici avova scritto. — 58-60. Da Interim a ililuei ò aggiunta marginale. — 1*1 Cfr. il.» 374. 25 OTTOBRE 1610. 45!) [ 41 »] lacessendi et impetendi libidinem in curae parte ponere, aut sumptus in publi- candas eius refutationes impendero. Si doctus vir essct, si alicuius nominis, alimi dicerem. Piane existimo, tum demum pravum vulgus hominum aliquid tributu- runi liuic futili scripto, cum tu contra id, seu ipse seu per alios, insurroxeris. Nam imperitia suspiciones etiam do innocentissimis suppeditat. Omnino magni animi est, mediocria etiam parvi aestimare et contemnere. Contra, si ceperis 70 altercari cum uno, cxcibis et caoteros; passim occasiones praebebis obloquendi etiam levibus, si de scopo ipso nullam spem habent. Praeterea, si dissmiulaveris, principum morem sequeris; sin autem responsabis, ad scliolasticorum subsellia rursum descendes. Atqui non habes iam a quo expectes insanos clamores : Ile- sponde , responde, de suggestu descende: relinque igitur scholae, qua de exiisti, mores suos. Atque haec in genere, de quibus tu videris. Meam in specie epistolam unice contendo omitti. Quod si non persuasero, saltem suinmas facias, rogo, argu- mentorum seu responsionum mearum. Denique, si ne hoc quidem obtineo, jfsal- tem titulos personales et probra verborum, iustissima quidem, sed iam remissa, expungas: cuiusmodi sunt, quod aio, nondum ipsum famae suae curam habore so (contra quod ipse totani vitam suam ad examinandum proposuit), quod petulan- tiam illi tribuo, quod sputimi hominis vocito, quod proditionem incuso, quod sycopbantiam, quod scurram appello. Imperitiam, temeritatem, stupiditatena, infoelicissimum meorum verborum intellectum, et quae alia liuius classis, tole- rabiliora existimo, quia non animi morbi, non vitae probra, sed voi naturae vel aetatis viti a. Satis multa de his, ne nostrae amicitiae aut tuae virtuti videar dillidere. Desinam igitur, si hoc adhuc subiunxero. Audio enim recusam esse Florentiae Dissertationem meam l,) : cupio eius exemplum videro. Iamque vale, et nos primo quoque tempore desiderio tuae novae inventionis 90 leva : neminem habes, quem metuas aemulum. Pragae, 25 Octobris anno 1610. N. Ex. T. Ci vCM J 1 ?- 71. nmtpo lituo ò sostituito a gravi!,ut, elio prima aveva scritto o poi cauccllò. — Praetera — 84. morbi ò corrotto in luogo di vitia, elio prima avovu scritto. — 87. Fra adhue o tubiunxero si leggo, cancellato, m uniti! ro. — (U IoANNIS Kki-I.kRI, Matliematici Caosaroi, Dm- gingillare de Mercurio ni, eodem Keplero in sole de- ter la t io cum Nuncio Sidereo nuper ad mortale» mi»», prehemo. Fiorentino, apud lo. Alltoiiiuin Cftuaoum, a Otdilaeo Gnlilaeo, occ. liuic nccettit phacnomanon 1010. 4G0 29 OTTUIIKI: IGLÒ. Ltóo] 420 . MARCO WKI.SER a GAI,II.ICO in Firenze. Augusta, 29 ottobre 1010. BIW. Nftz. Fir. Mas. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 24. — Autografa. A questa lotterà facciamo seguire il parure ili Uro. Uiokoio Uiikmiokk, elio ad ossa era allogato o elio si trova autografo a car. 20-27 dui medesimo codice. Sempre nello stosso codice, a car. 70-72, si lin copia cosi dulia lotterà conio del pa¬ rure, scritta di uiano di Vimcknxio Viviaki, elio vi promise (car. 00) quest’annotazioni!: a lettere, ìo/o [cioè, la proselito con l'allogato parere, o quelle elio pubblichiamo sotto i un.' 421 o -125). Copie. Dal Si" Servit.® Marco Vulneri. Fuori : Al molto 111. 0 et Ecc. ,n0 S. or mio ()ss. n, ° Galileo Galilei. Firenze. 20 Inter alia multa, quae nobis Sytlereus Galilaei Nuncius nova mira et. memorahilia retulit, haud extromum loeum tenet eius ile altitudine montimi) in corpore lunae iliscur- 8U8 : quoB tam celsos i'acit, ut eos ultra 4 miliaria italica attollat. 1.ilici igitur, liane ra- tiocinationem accuratius perpeudere, et, collatis inter su diverbi» Gabbici oliBervationihuH, eius veritaLein inquiiere. 29 OTTOBRE 1610. [•420] 401 Duiio sunt qims Sydereus Nuncius not-avit obsorvationos, ox quibus de moutium ilio- rum altitudine coniecturam lacere possineus : prior est quae tempus anticipationis luminis, altera quae intervallate inter verticem inuniinatum et terminimi lucis, nobis significai.. Quamvis enim illa certior videutur, baco incertior ot errori magia obnoxia, plaeuit tamen 30 Autori hanc prò illa amplecti, ot ox bue sola montium mensnram invostigare. Scribit ille, pag. 24 (editionis Franeofurtensis (l) ), ae alii|uoties intra tenebrosam limae paltoni observasse montium vertices nonnullos lumiue pcri'usos, licet a termino lueia aatis fuerint remoti, quorum distantia a parte lu¬ cida fuerit aequalis vel etiam umior vigesima parto diametri lunaria, ut in schemate adiocto. Sit corpus lumie CBFII, cuius para luminosa CUF, tenebroaa vero CI1F, et in Ime mona AD, cuiua vertex I), a radio solis GCD illustratus, distct a termino lucis 0 intervallo CD, quod ■IO sit */» diametri CF : quando igitur diamoter lumie sumitur miliarium italioorum 2000, fit DO 100 miliaria, et, per penultimam primi Euclidis, ED 1004 a87 /iooo ; ex qua si auferatur radius EA 1000, relinquitur montis AD alti- tiulo 4 ,,9T /iooo, ex sententia Galilaei. Ilanc ratiocinationem ut non reprobo, ita eius hypothesin, cui illa innititur, probare ncqueo : quia terminimi lucis apparentem C sumit pio puncto contactus, quod quideni locum haberet, si lunae corpus esset exacte rotundum ; et cura sit inacquale et montosum, Ht ut, propter floxuosuin dccursum lineae confinii, terminus lucis apparena a puncto 50 contactus declinet. Eato enim radius aolia STVX, illuminans verticem X in parte tene¬ brosa, socans lineam confinii, scu terminimi lucis apparentem, in T : dico, punctuni in- tersectionis T non esse punctum contactus, sed aliud quod cadit inter T et X, nimirum V, esse punct.um contactus, per 18 111 Euclidis ; quod quidem etiam natnralis terminus lucis vocari possit, quia si luna exaote esset gloliosa, lioc punctum incideret in ipsum torniinum lucis. Quod ai quis in schemate praemisso distantiam TX, idest. verticis illuminati a termino lucis apparente, auniat prò tangente vera, quae est VX, eum graviter hallucinari et in computo errare necesse est. Tale quid hoc loco Autori contigisse suspicor, praesertim cum videam, mensnram altitudini AD 4 987 /moo cum ea quae ex altera Galilaei observatione elicitur, non convenire: quani nunc quoqno suspiciemus. 60 Scribit Galilaeus, pag. 14 lS) , lmec verba : Permutine apparcnt lucidae cuspides intra tenebrosam lunae partem, omnino ab illuminata plaga divisile, quae palliativi, uliqua intcriceto mora, magnitudine et lumino augentur, post vero secundum boravi aut tcrtiam rcliquae parti lucidae et ampliavi iam faetae innguntvr. linee altera est obaervatio, quae nostro instituto accomodavi potest: secundum quain cftcumen montis D a puncto contactus C Leti. 420. 57. suspicior — Sidevrun Nuneius, magna longripia udtnirn- in Pftlthoniaiio. Cfr. Voi. ITI, T’nr. I, pag. 71, lin. 1S bilia specillatiti pande.m QCC., ipiue il (ìai.M.KO (ÌAU- 0 sog. i.ko ecc. suiti ohservnta, ecc. MDCX, proslnt Fnuicof. Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 64, lin. 6-10. 462 29 OTTOBRE 1G10. [420-421J (sivo illud iuoidat in tonuinum lucia apparontom, sivo non incielai) separatili- intervallo non niaiori, quam ut post duas tresve horas piagne lucidne adnocti et cum ea eontinuari possit ; idost ut a prima verticis D illuininatione transactis (luabus aut tribù» boria, ipsa monti» radix A quoque illustretur, propagato naturali lucis termino ex C usquo in A. Supputemus igitur quantus sit arcua GA, tribua horis conipotens, Binnpta proportiono a inotu monstruo, qui absolvitur diebus 29 ‘/a fero : hoc modo. Ut se babot. tempii» dio- 70 ruin 29 •/* ad ambitum globi lunaria grad. 300°, ita spatium borarum 3 ad arcuili CA, voi angulum CEA, 1°. 31'. 32": bic angulim in tabula aocantium ostendit lineam EAD miliarium 1000 3M /iooo, qimndo, tam hanc moain, quam illam Galilaei, speculat.io- nem; et bue inclino, ut credam, cum Modicaea sunt proxime Iovcm tam cvidentia visu, 30 semper esse supra Iovcm ; cum vero sunt inconspicua, tunc infra esse : quod si veruni esset, sequeretur, Iovcm ipsum esse qui illa etiam gloliosa existentia illuminet, et fo[ r jtius illuminot de propinquo, quam sol de longinquo. Sed nxpectanda sunt plura experimenta. Haoc, aOìVoipl ad communicationem literarum Galilaei scripta, 111. 11 D.° Yestra boni oon- snlat, cui me commendo. Ill. an D. 1 * Vestrao OliBervantiss. I. Keplerus. 422 *. GIO. ANTONIO MAG1NI a GALILEO in Fireu/o. Bologna, 2 noveinlire 1010. Blbl. Est. In Modona. Raccoltn Cainpori. Autografi, B. 1 '1-XX1X, n.« 4G. —Autografa. Molto 111.* -0 et Ecc. mo S. or mio Osa." 10 Ilo riferito al S. nr RolFeni quanto V. S. mi disse por suo conto, il quale mo¬ strò di non restare a pieno sodisfatto, dicendo che non si sogliono perdere le let- Lott. 421. li), non ex nitri» ò aggiunta marginalo. — 23. irradimi» vitrum ò aggiunta marginalo. — Ul Cfr. n.o 374, lin. 88 o Un. 114 a liti. 121. i*' Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 181-190. 464 2 — 1) NOVEMBRI-: 1610. [ut-mi toro che, gli vengono, et che gli dispiaceva non lmvor la lettera italiana in buon termino, sondo che, per l’occasione di farla latina 10 , egli l’liaveva in molti luo¬ ghi guasta ; et si parti poi per villa, ove ò ancora al presente. So ritornare pre¬ sto, come io credo, per il principio dello Studio, gli tornarù a riparlare dell’istessa lettera. Con che fine gli bacio le mani in freta. Di I3ol. a , li 2 Nov. ro 1010. Di V. S. molto Ill. re et Eoe. 1 '* Ser. r " AH’."» 0 10 (ì. Ani." Magi ni. Fuori: Al Molto 111. ro et Ecc. mo S. or mio Oss. mn Il S. 01 ' Cali leu Galilei, Mutli.™ del Ser. ,,,u G. Duca di Toscana. Firenze. 428 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenzo. Venezia, (5 novembre liìlO. Bibl. Na«. Flr. Mas. Gal., P, I, T. VI, cnr. SI. — Autografa In (Irma. Molto lll. ro et Kcc. ,n0 S. or mio Oss. ,no Ricevei la gratissima di V.S. de’ lfi di Ottobre, alla quale non feci pronta risposta per ricercare quanto V.S. mi commetteva o darli sodisfattone di quelle opere che ricercava. Io non trovo chi sia 1’ autore fiorentino Sisi. clic V. S. mi accenna li scrivi contro. Quanto a Padre Marsilio. ( *> intendo che l’ha compita; sono però in dubbio, se la stamperà o no: intanto, perchè V.S. no Labbia copia, lio procurato che il Clar. mo S. or Antonio Calvo me no facci bavero una copia, e me V à promessa ; ma perchè m’ è sopragiunto a me una febbre terzana doppia, che da X giorni in qua mi tiene a letto, non ho possuto retirarla. Vodcrò che la pratica non svanisca, ch’io pur desidero di vedere qualche bella pazzia. Di io quel’Orchi, qua non ve ne sono; ma so V. S. scriverà a Modena, no potrà bavere quella quantità che desidera. Ilo gusto che V. S. si trattenghi con intera sua satisfatione al servitio di co- testa A. Debbe ritrovarsi anche il S. or Macagnati, al quale favoriachami «li un bacia mano. La settimana passata mandai a cotesto Ill. ,no Ambaseiator nostro un occhiale, da lui richiestomi : perchè la mia indispositione non mi lasciò ben considerarlo, come Laverei volsuto, prego V.S. con suo comtnodo volerne haver vista, e farmi sapere se risponde, acciò che io possa mandarli un altro vetro, so occorresse; (I) Cfr. Voi. HI. Pur. I, pag. 193-200, ( s ) Giovassi Mahsim. 0 — 8 NOVEMBRE 1610. 465 [423-424] 20 e questo lo lo, dubhitando che esso, per termine di complimento, non me lo laudi oltra il inerito. Fo line e li bacio le mani, raccordandomeli servitore. Nostro Si¬ gnore la conservi. Di Venetia, adì 6 Novembre 1610. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na Ser. ro Afl>° Ant.° Sant. ni Fuori : Al molto 111.™ et Eco." 10 S. or mio Oss. mo Il 8ig. or Galileo Galilei, in Firenze. 424 . GALILEO a [MARCO WELSER in Augusta]. Firenze, 8 novembre. 14510. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gol., P. Ili, T. VII, 1, car. !12.— Bozza autografi!, dalla quale fu trascritto la copia di mano eli Vi.nckn /,10 Viviani, elio è a oar. 78 ilol moilosinio codice. Cfr. l'informazioni) promossi al u.° -120. Ill. mo Sig. re et Pad." Col ." 10 To non pure ho frequentemente sentito il nome di V. S. Ill, ma per le lingue dei SS.‘ Gualdo et Pignorili, ma molto - avanti per quella del S.Gianv.°Pinelli eli gloriosa memoria, et infinite volte per quelle della fama; et come ho sempre bramato d’incontrare occasione di potermi dedicare servitore alla sua gran virtù, così ho con lietissimo cuore abbracciata questa, del mandarmi ella le contradizioni dell’ eruditis¬ simo Sig. r Brengger (1) : le quali quando anco fossero insolubili, mi pre- gerei più ne gl’ errori dell’ opera mia che nelle cose ben dette, se io pur ve n’è alcuna, sendoini quelli stati mediatori all’aqquisto di un tanto padrone, frutto a cui simile non mi è provenuto, nè spero clic sia per provenirmi, dal resto de i miei trovati ; li quali bora con gran ragione posso reputare per indubitati et assolutamente veri, per- Lott. 424. 2. frequentemente è corretto in luogo di molte volte, elio prima aveva scritto. — 4. infinite volte ò aggiunto tra lo linee. — 5-6. potermi .... virtù è corretto in luogo di potermeli dedicare, per servitore, elio prima aveva scritto. — 7. contradizioni è oorrettO in luogo di dubitationi, elio prima avova scritto. — 8. Tra fossero e insolubili si leggo, cancellato, state. — 8-9. In luogo di mi pregerci .... nelle cose prima avova scritto liuverci pregiato più gl'errori nell'opera mia [o prima ancora aveva scritto gl'errori miai], che le cose. — 10. In luogo di all'aqquisto dì prima avova scritto a guadagnarmi, elio poi aveva corretto in a potermi guadagnar .— 10-11. In luogo di un tanto padrone prima aveva scritto un padrone tale, quale io pretendo che mi deva esser V. S. — 11. Ili luogo di a cui simile .... n? «pero che prillili aveva scritto asso¬ lutamente maggiore, di qualunque altro mi sia provenuto, o che io speri che .— 12-22. I)a li quali hora fino a spalle ò aggiunta in margino.— 12-13. In luogo di con gran prima aveva scritto non senza. — atet quod, constituto sole paulo supra radium CDG, tota vai- j lis DCB erit luminosa, iunctaeque erunt luces verticis B et termini D per continuationem loo spacii luminosi DCB : quod si abrupta magis foret montis declinatio DC, nempe secundum lineam HDI, iam sole in G constituto, interstitium HO adirne tenebrosuin foret, cuius umbra plagani luminosam BC a lucida DE disterminaret, nec prius iungc- rentur lumina, quam sol ad lineam HDI pertingeret ; quod longum post temporis intervallum accidet. Non licet, igitur, ex mora coitionis luminum sublimitatem montis ABC venari. Dices, sat esse tibi perceptionem temporis, quo altitudo BC illu¬ stratili’ ? Veruni et haec mutabilis ac dubia paenitus est : quis enim loo tinelli illustrationis montis a principio illuminationis plani distinguet ? Sed, quod magis urget, esto in apposita figura idem mons ABC, transenti]ue idem radius BDEF per trium montium vertices B, D, E : 137 . confinio luci» è scritto tra lo lineo sopra termino, non cancellato. —138. neo non 6 stato corretto in luogo di et, elio logge»! cancellato. — 144. Tra illa o versus loggesi, cancellato, usque ad. — 159. ac dulia ò aggiunta intorlinearo. — 159-101. Da quis a urget è stato aggiunto in margino. Dapprima, dopo paenitus est continuava: Esto enim in apposita eoe.: mini fu poi cancellato. 472 h NUVEMMiK Itili». l«6J constat, solo | » oh ito in linea E E, illustrar! apicem B ; eius vero radius citius ad radicela C pervuniet, si obex rumotior fuerit, riempe in loco E; timo eniui, ducta linea GEG et in ipsa posilo sole, pervuniet radius ad punctum 0: si vero obiiciatur mons vicinior, nonipe 1), non pro- fecto illustrabitur radix G, nisi cum sol in GD1I looetur ; quod serius fiet. Videa, igitur, quanaiii ratione idem mons aliis atipie aliia temporibus illuminotur, prò divorsis remotionibus interpositorum corporum : ox quo anceps atque incerta redditur omnia calculatio in altitudine m disquireuda. Noe forte credas, te declinare posse incomoda ac diftìcultates consimiles, producoudo illustrationis radium, non per sinuosum con- iiiiii ductum, sud por oxquisitum nutunilcmque contactuni ; iisdciu onim detinoberis angustiis: oadem eiiiui allitudo citius modo, modo vero tardius, illuminubitur, lieet ex eodem aequabili et perpolito ori¬ si onte proveniat irradiati. Sit onim spliuorica supcrlìcies BCD, montis alienius elevatio BA, tangons vertici A occurrens sit EDA; sit autem mons modo praeruptus, ac fere ad porpeiuliculuni eroctus, secundum lineam AB, modo vero leniter ascondens secundum lineam GA. Si iso igitur j)er punctum 0 ducatur tangons, quae utrinque oxtendutur, super hac erit tota linea montis GA, et infra oandem erit pars rupis AB : quare sol, in ipsa tangente locatus, totani extensioiiein GA illu¬ mi nabit, sed rupis AB inferior pars adirne in tenebrie erit. Gonstat itaque, undique esse angustias. Amplius, ne te praetereat, nullas alias observationes, seu a inora coitionis luminimi, seu a distantiis verticuin a conlinio lucis, potitas, accomodas esse altitudinibus diinetiendis, nisi (pino habentur circa 161). rem olio ni Iaih ù scritto tra lo lineo sopra elonijndoniliui, inni canee II ito. — 178. orcurrn » — 176 180 li# pardo temitiii ih lineimi AH sono aggiunto in marcino.— 8 — 9 NOVEMBRE 1610 . 473 [ 125 - 426 ] lunae quadraturas ; ibi enim tantum distantias directe, non autem tuo oblique, intuemur, luminumque copulas citra erroris periculum pro- spicere possumus : at cuin 3 i n quadrato fuerit, non tam diu sopra orizontem noctu versatur, ut remotissimaruin cuspidum lumina cum coniinio lucis applicentnr. Atque ex bis manifestum esse reor, secon¬ dali! illam methodum, a te propositam, non modo dubiain atque per- plexaiu, veruni impossibilein forte, existere. 426 * GIO. ANTONIO MAGINI a GALILEO in Firenze. Bologna, 9 novembre 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 165. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,no S. or mio Oss. mo Mi sono arrivate in un istesso tempo le lettere
  • Cioè a Ma «tino IIorky. X. 60 474 13 NOVEMBKt; 1G1U. m\ 427 . GALILEO a GIULIANO DE* MEDICI in Pruff*. Firenze, 18 novembre 1010. Riproduciamo quotilo capitolo di lotterà duil'omuncolo Ioanxi» Kurunu s.« M.'“ Ualhmnatiel Dioplriet, tru Demonatratin forum i/uae viiui fi ritilnVihii prvpttr cunapirilta. non il ri pridam infinta, meidunt. Proemia far Epiatolar (ì alitar i tir Ha qunr /■<>•< edilinnrm Nmneii Sideri* opr )*rapicilli, musi et l. Nuz. Fir. Mas. Gul., P. 1, T. VI, car. 83. — Autografa. Ecel. mo Sig. r mio ()ss. mo In risposta della sui», dei G di Ombre non ò elio dirli altro, so non molte sa¬ lute da il Sig. 1 ' Passamani et dal Sig. r Micelagniolo Buonaruoti et il Sig. r Ciani- poli, che sono qui presenti. Quanto allo mormorazioni romanesche, alla venuta del Sig.'' Gianbatista Strozzi, nello andare a visitare Monsig/ Dal Borgho, il Sig. 1 ' Cianpoli disse che aveva veduto le stelle, et il Sig. r Mioelagniolo altrove da corti 111.'"’ 1 il medesimo; et io non manche mai in ogni occhasione del mostrare le sue lettere, che tcmgo carissime, et massimo V attinia: ma ogni principio porta dificultà in coloro che sono assodati et invechiati in una oppinionc. Pure al line io la verità arà il suo luogho. Non ò ancora comparso la tavola dclli Sig. ri Serristori, nò Bastiano mio Ra¬ teilo; ma credo sarà qua domani o l’altro, per lo aviso che io tengho da Uliviori. Non ò fatto anchora le racomandazioni al Sig. 1 ' Luca Valerio : la farò domani. Ner resto V. S. mi comandi, perché io sono tutto tutto suo, nò ò altro martello che del non la godere. Nel resto io sto bene et allegramente ; et baciandoli le mani, Dio la feliciti. Di Roma, questo dì 13 di Ombre 1610. Di V. S. Eoel."" 1 Aff. mo Ser.™ Lodovico Cigoli. co Miclielag.' 0 Buonarroti bacia le mani a V. S., e li conviene tal volta esser testimonio oculato sopra i pianeti, e dice che gli ha veduti, e lo ridice, tanto che qualcun, clic non lo credeva, lo va credendo. Fuori: Allo Ecel. mo Sig. re et Patron mio Oss. 1 " 0 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, in Fiorenza. Lfitt. 423. 2-3. Prima aveva scritto •aiuti; poi mutò la i in e. — 0. Cunpali — 8. ogni princ.ipo — 11 . sonuttutto tutto suo — 470 20 — 25 NOVEMBiìE 1610. 1420480 ] 429 * GIO. ANTONIO MARINI a GALILEO in Firenzo. Bologna, *20 novembre 1610. Cibi. Est. in Modena. Raccolta Camper). Autografi. II.* LXXIX, u.° 47. — Autografa. Molto Ill. ro ot Kcc." 10 S. or mio Oss.'"° Do parto a Y. S. Kcc. ma , elio questi giorni passati i SS. rl del Redimento di Bologna si sono compiaciuti di accrescermi la provisiono di 125 scudi, sotto pretesto d’aiuto annuo per la stampa, non havendo voluto far alteratione do i patti vecchi, confirmati por instromento publico; et non ini sono curato d’attendere alla lettura di Padova, perchè mi sarebbe stato di troppo impaccio far una tanta mutationo, nè si sentiva che quei Riformatori volessero danni più stipendio di quello che io havevo qui. lo ho da ringratiare V. S. ancora per quest’ accrescimento, poi elio con la partenza sua da Padova m’ ha data occasione di lasciarmi qui intenderò arditamente, che se mi verrà occasione di maggior salario, io abbandonala) questa io cathedra et m’attaccarò al miglior partito. Diedi poi la lettera al S. or Polloni di V. S., che credo le haverft risposto. Mi fu mandata la risposta di quel Francese 0) a Martino, la quale in’6 piacciuta assai, et l’ho prestata ad alquanti di questi SS. ri , per non essersene vedute d’altre qui. Bacio con questo fine le mani a V. S. Kcc. roa , et lo prego dal Cielo ogni suo contento. Di Boi.' 1 , li 20 Nov. ro 1610. Di V. S. molto ill. ro et Ecc. ma Ser.™ All'."* 0 G. Ant." Magi ni. Fuori: Al Molto Ill. ro et Ecc. mo S. or mio Oss. mo 11 y. 01- Galileo Galilei, Math. co del Ser.'"° G. Duca di Toscana. 20 Firenze. 430 *. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenzo. Padova, 25 novembre 1010. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 85. — Autografa. lll. ro et Ecc." 10 S. r mio Oss. 1 " 0 Solamente beri V altro io ho recevuto la lettera di V. S. delli 13 del presente, in Vicenza, dove son stato quasi duoi mesi continui. Ritornai beri a Padova, e Cfr. Voi. ili, Par. 1, pag. 110-178. A questa monto il Mai. ini, dicomlo, por orroro, frauceso il Confutatici «lolla scrittura dell’ Uorky alludo corta- Wouukcuukn. 25 NOVEMBRE 1610. 477 L480] doppo havorla letta e riletta più volte con mio grandissimo gusto, V ho commu- nicata con li nostri più cari et intrinsici amici, che pur essi ancora hanno sen¬ tito estremo piacere. Volevo mandarla al S. r Velsero, ma mi son imaginato che, doppo la contratta familiarità con detto signore, gli barerà dato minuto conto d’ogni cosa; sì come all* incontro esso S. r Velsero gli haverà scritto d’ un Ollan- dese, che con un suo occhiale vuol far leggere una lettela coni nume, lontana quanto io un lniomo può caulinare in un’bora e più. Sinhora tutti questi fanno i loro mi¬ racoli a terra a terra ; ma V. S. va sopra i cieli, ondo può cantare con ’l Petrarca E volo sopra ’l ciel, e giaoio in terra. Qui non s’ è veduta 1’ opra del Keplero, ma sì ben certa risposta alla lettera dell’ Orchi (,) . Non so se V. S. haverà inteso, per uscir del cielo e della terra, il caso mise¬ rabile occorso in acqua al S. r Filippo Contarmi, il quale, passando la Piave, li cade il cavallo sotto, e restò morto nell’acqua, con grandissimo ( travaglio del S. r Francesco e di tutta la sua casa. Si contenterà V. S. che per questa volta io le accusi solamente la ricevuta 20 della sua lettera, poi che, per esser se non giunto, non ho quell’ informatione delle cose di questo Studio, e’ haverò la ventura settimana, nella quale procu¬ rerò di scriverle più allongo. In tanto le bacio con ogni affetto le mani, ralle¬ grandomi infinitamente che la sua virtù et il suo valore sia conosciuto da chi può eccellentemente riconoscerlo con ’l dovuto premio. Guardi V. S., in tanta altezza et in tanta serenità, di non abbagliare et ingrossar la vista, sì che non degni di mirar più a basso: serbi di gratia anco un occhialo per mirare noi altri suoi servitori, conformandosi con Dio, qui Tmmilia rcspicit , d alta a long a cognoscit. Il qual sia quello che doni a V. S. il compimento d’ ogni vera felicità. Di Pad. a , alli 25 Nov. 1610. 30 II S. r Baldino e R. di Sandelli e Pignoria (,) bacian la mano a vostra Sig. r,a Di V. S. 111.™ et Ecc. ma Ser.™ Atì>° Paolo Gualdo. Questa lettera la mando alla ventura. Ci farà gratia scriverci come per l’avvenire si dovranno inviargliele sicure. S. r Galilei. Fuori : All* 111.” et Ecc. mo Sig. r mio il S. r Galileo Galilei. Firenze. 40 In Corte di S. A. Ser. ma («* Intendi In Confutano del WooDKitnoUN : cfr. <*• Bai.tijho Ghf.harm, Martino Sahdbu.i, !.<>■ Voi. Ili, Par. I, pai?. 149-178. nmwo Pigwoiua. 478 20 —2'J NOVEMBItK 1U10. L131-4:ì2J 431 . LODOVICO CARDI DA CKJOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 2(1 novembro 1(110. Bibl. Non. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 87. — Autografa. Ecol.“° Sig. r mio, Non risposi a V. S., perche non avevo trovato il Sig. r Taira m , al quale poi ù mostro la sua lotterà, «lolla quale si rallegrò molto, dicendo elio a’era trovato molto volto a difenderla. Li è dispiaciuto molto la nuova della sua indisposi¬ zione; che a Dio piaccia recuperi la sanità presto, acciò che, poi che io non la posso godere costà almeno per uno anno, ella possa venire qua, sì por goderla, come perche V. S. possa chiarire questi satrapi e gran bacalali. Feci le racomandaziono al Sig. r nuotiamoti: tornano duplicate, et così da il Sig. r Luca et. dal Sig. r Passigniani. Et io li sono, sehene per mia disgrazia lontano, più affezionato servitore di tutti; et con tutto il cuore li bacio lo mani, io Di Roma, questo di 20 di Novembre 1010. Di V.S. molto 111.™ et Ecel.”* Alf." ,n Servitore Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto 111." et Ecel. mo Sig. r mio Uss. 1 " 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 43 - 2 *. GIULIANO DE* MEDICI u GALILEO in Firenzo. Finga, 20 novembre 1010. Bibl. Est. in Modena, Raccolta Campori. Autografi, li.» LXXX, n.» 42. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ et Ecc. mo Sig. ro Resto molto maravigliato di sentire dalla gratissima di V. S. delli 13 del presente come mi havesso scritto con il precedente ordinario, poi elio non le ho altrementi ricieute, con mio molto disgusto ; sì come con altretanto contento Lott. 431. 4. n difendere la. Li — ,l > Looa Valerio. *' Cfr. ii.« 42S. [432-433] 29 novembre — 4 dicembri*] 1G10. 479 mi trovo la presente sua, insieme con la disertattiono del Sig. r Glcppero (,) , clic havendola pur bora riceuta, non ho tempo di vederlo. Ma mi riserberò a dar ragguaglio di tutto a V. 8. per questo altro ordinario, sì di questo come do gl’altri particolari che si contengono nella sua lettera, e specialmente circa al far sapere a 8. M."' 1 Ces.“ la deciferattione di quelle lettere; volendo solo dirgli io per adesso, che con il presente ordinario servo V. S. col Ser. n '° Padrone circa il farle sapere quanto desidera intorno al moto perpetuo c % et in quella stessa maniera appunto elio la mi dice, stimandomi a molta ventura di potermi im¬ piegare in cosa di suo gusto: nè si dubiti che a altri sia scritto o fatto sapere. Con che per adesso baciandole le mani, le pregherrò da Nostro Signore Iddio ogni contento. Di Praga, il dì 29 di Nov. ro 1610. Di V. S. 111.™ et Ecc." ,a S. r Galilei. Fuori : All’ III.™ et Kcc."'° Sig. r mio IIonor. m ° 20 11 Sig. 1 ' [Galileo Galilei], Filosofo e Matematico di 8. A. S., in Firenze. S.ro Aff. mo Giuliano Medici. 433 * ANTONIO SANTINI a GALI CEO in Firenze. Venezia, 4 dicembre 1(510. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. 14. — Autografa. Molt’ 111.™ ot Ecc.'"° S. or mio Oss. ,no Ho riceuto particolar gusto dalla lettera di V. S., per liaver sentito che quell’ occhialo, mandato al S. or Ambasciator nostro, sia riuscito ; e so che esso liaverà gradito estremamente il favore di V. 8. di visitarlo, et io la ringratio quanto posso. Il mio male, Iddio gratia, ò partito, sehene anche sto alla camera, per ac¬ comodarmi alla cattiva stagione. Se quelle apparenze delli pianeti, che non mi parevano rotondi altre volte, sono false, dubito che nel traguardo, clic non stesso saldo, fosse qualche impe¬ lo dimento; clic quando potrò meglio, mi ci proverò. Ora li dico, die finalmente (*) Cfr. Voi. III. Par. I. pag. 181-190. (2) Cfr. n.° 412. 052. G55. 4 — 0 DICEMBRE Ili 10. 4ÓO I488-434J il 1\ Clavio di Roma mi scrive come hanno osservato Giove ; e li metterò ubasse le osservationi, copiate apunto dalla sua lettera. A poco a poco la gente si chia¬ rirò. Quando potrò veder Saturno, li dirò se mi riuscirà di riconoscere ciucile differenze. E perchè scrivo con diflìcultà, le b. le mani, facendo line. Di V.*, a 4 Die." IG10. Di V. S. molto Ill. ro et Eco. mtt Sor.*’ Particol.™ 0 Ant.° Santini. Le stelle intorno Giove cosi comparsero: Siiptentrìo-ne * * o % * * * * o * * o * Oriente ~ * o * ai 22, la sera ai 22, la mattina ai 2t >, la mattina o usqne multiplicetur, ìnanus tamen artificis non eo usque sequcutur. Nani si non tantum deest politissimae vitri rotunditati, quod vel lunae corpus vel eiua partein centesiinam distorqueat et luculas confundat, at tantum donique deerit, quod decies millesiinam abo- lcat: ut si iuboas reculam quinquaginta mille milliarium abbine diBtantem sic exhibere praesentem ac si distarct unum milliaro, deerit ibi-tasse rotunditati vitri particula, verbi causa, quinqnagiea millesima, quao iam totum iliaci idolum confundet. Nescio an argu- mentorum horuni alterubrum conlirmctnr ilio exporimento, quod in praestantissimis tubis, qnos hactenus mihi contigit videre, aura caelestis iam alluda et splendens repraesentalur, por quam vix agnoscuntur stellulae illae minutae. l)ixi, me liniere; itaque turpe ubili non est, partem etiam victam restaurare. Concedo co enim, ut in Dissertai.ione quoque, aliquid a Galilaeo pracstitum, quod nequaquam spera- verain. At rursuni, si »go id non speravi, liabeo tamen, quem libi, roganti Quia hoc pii- tasset? exhibcam ex Dissox-tationc mea: Pistoriumb), adeoque ipsum Caesarem. Adeoquo et in ea diffidenti», quod visus nudus praestare non possit ea qune speculo armatus, adver- sariuin liabes Wacherium, qui omniuo putat, in hoc infinito gcntis luunanne numero re¬ perii, qui simplice visu omnem specularne visionis subtilitatem imitentur. Noe valilo ei repugno. Vidi enim (pii de die omnia assequerentur nudis oculis, quae ipse vix asséquebar iustrumento, (pioli docuplani exhibebat rei diametruni. Quia vero tu, vel tandem qui, cum etiam me intus et in cute nosse protitcaris, nomen tamen celas? Anne hoc simula», ut tutius lateas meamque eludas indaginem, obiecta hac 70 falsa specie ? Credo equidem, et hoc inquirendi vestigium desero: non enim me noeti pc- nitissime. Aberrasti a foribus, fallit te cimiectura : seria disserui cum Nuncio Galilaei. Si error est, gcmbims est, minime (ictus. Audiam igitur, uti tua instrumenti Galilaei descriptio meae labricao descriptae rednrguat errores. Equidem prolixam tuam et liberalom volun- tatem erga me lubens exosculor, qui me eo argumenti genere ccnsueris exhilarandum; coque nomino et Soussio meo gratias debeo, qui a solito oflìciorum, quao inter nos excrcemus amici, tramite non deilectit, et simili subirascor, qui, cum consolari debuerit affli ctoni curie imminentium, immisso hoc porsonato eqnite in ludendi necessitatera me coniecerit. Qui si tibi adeo farniliaris est, ut raeam festivitatem oum esse Bcias ; si prnetorea tua est ilio comnioditas alia quam a festivitate porcipiatur; si donique pietatis legibus ei usque ad no- 80 niinis etiam opprobria es obligatus; quia tu igitur es? et quaenam haec pietatis à|icpi.poXoY£a a Soussio ipso nexae? an ab alio, qui te buie obstringere necessitudini iure potuit? Eli vero, pei-Boiiftin palilo ante plagosam, durn o latibulis insultaret, mine,- postquam intra nuinus eam tento pertentoque, mitissimam, nianusque supplices tendentem. Opprobrium simulat in sumnia laude, imperitiain post demonstrationem scient.iae; et simili dextro pede post si¬ nistrimi vibrato, mihi iuxta stanti posticam infert pi agalli, quia Galilaeum reprehensurus carere debui ornili nuovo. Nihil patior decedere gratino descriptioni tuae, Immanissime, Cfr. n‘297, lin.215 e seg. 488 18 DICKMHKK Itili). 1488] quod inatrumentorum ab ipso Galilueo inissoruni copia interim uiihi est faota; ex qua cort.ua aum to omnia verissimo caso porsecutum. Yideudum laiuon, ai quid tua verba sup- poditent, quo moa fabricu, in Disaortationo tradita, rodurguatnr. Primo, canaloni describis tubae forma, umplioreui inferiore orificio. Nihil hoc contra 90 mea. Agnovi in inea dosoriptione, vitrum extinmni latiua requiri : reliquum, oculo propin- qunm, uteunque latum, oculo non totum aurvit. Tubae vero l'orma, quoil vitra attinet, in libera artificis est potestate; at bì valde latum vitrum inferius, oa aervit prò diaphraginato, quod adhibent in cylindris ad avertendos a lateribua cavati» radios diei, inducendamquo obscuritatem. Itaquo in domotiendis diainetris orificiorum et longitudine caimlis industriali! demonstraati, ad rei summain proferisti nihil. Fateor, scripta iam l>ÌHsertation«, postquaui ad oxporimonta accessi, conturbatum ino fuisso fama tubae. ('uni ouiln non quantuin snffi- ciobat in instruinentis versarer, noe udmitterent mea in»trumenta ut roniotius vitrum quantacunque fenestellu paturet, mi rubar cui borni canal ia infra tanto pateret orificio, cuius potissima pars essot iterimi tegonda. Subiit, tubae olligiom ornatila ot delectat ionia 100 causa oxprimi : postea et hoc iucidit, diaphragma pertusuiu angusto forammo, loco in- t,erniedio inter vitra, praestare obturationem laxi orifici! camilis, et ostemli totum vitrum furia in buco orificio xpO^eio? Bv6xa, cura intus diaphragnmtis angusto forumine prolixitaa isthaec oxterior occulto coerceatur. Rursum, necessitati» causa putubam limi tubae forumui; lontes euiin convexas non posse polivi, nisi sint iustao lati!udinis, ut ita manus artificis, sbylum tenons, quo vitrum applicatili', coti rotato subnixa, lata vitri basi, minus incumbat in latua alterutrum, minusque decedat rotunditati; polita» igitur lontes alleo latus non posse citra periculum diminui extcriori limbo, itaque totae ut inseri possint, necessario foris hiare canaloni; angustum vero fiori circa oouluni, ut maini teneri possit. At postquaui alia post alia, et doniquu quoddam ipsius Guidaci, tradavi, etsi id erat teoto vitro convexo usque no ad anguBtiain grossi Polonici, doprehendi, praesertim noctu ad lumen stellarum, totum, quantum erat, vitrum patere posse, nullo etiam intus diaphragmate olistante: atque ita tandem posbliminio reduxi meas demonstrationes fabricamquu in Diasertatione desoriptam, cui propter talsas delationes insuflicientis experientiue uuucium remiseram. Nani erat mibi in animo, in descriptione lubricae, totum convexum versus .stellila patere debere. Soquitur tubulU8, qui cavum vitrum gerit, ductilis sou exeinptilis. Kius usum fabricae aia ignorare te. Docebo. Piane ita est: nisi ductilis fìat, iudagari vitrorum insta distantia non potest prò videndis remotis. Alter usua: ut, quia distiuguuntur ornili facultatibus, igitur variabilis vitrorum distantia posset sublevare omnes ; alius enim alio longius educit tu- bulum, ut distiucte videat; qui tauien lougissime educit, ilio etiam maxima rei visibili» 120 quantitate fruitur. Tertia utilitas in eo : ut qui res propinquas ininutissimas in maxima quantitate vult videro, is distantiam vitrorum augeat; quo nomine nulla unqunui longi- tudo, nulla vitrorum distantia, omnibus omniuo rorum appropinquatiouibus sufficit. In lentium crassitie nihil est sitimi, dummodo figura ad liane attemperotur ; hoc potius incommodi liabent crassae omnes, quod prò ciassitudinis moduli» etiam lucem imbibunt suae substantiae coloribus et tenebrositate. Caeterum de politurae eiì’ectu puto te recto ratiociliari, quod, antequam poliautur, sint eiusdem crassitiei. Bracteola stunnea duoa lmbet usua : unum in materia, quae spissa simili est et tanmn inollis, quare vitrum incumbeus tutuui praostatur; alterimi in figura, quod togit vitrum 18 DICEMBRE 1G10. 48.0 im 180 usque ad angustimi forameli contra copiam lueis diuruao. At de noeta reinovendii est, ut. vitrum latius plus lueis a quolibet puncto lucente sparsae admetiatur oeulo. lloe idem eandem ob necessitatelo iu.ni a rerum primordio ut natura est. amplexa in conforrmitione ptipillae ocnli, quae naturali motu connivet et coit ad multam luceni, subito patescit ad tenebra*: id lieet experiaris, caput a fenestrac conspectu ad penetraiia obscura vertente, si eius pupilla» in utroquo site de proximo inspexeris. Atque en veruni anten dietimi, tubao formam niliil vitris aut visioni conferre. Nani quid os laxum conferat canalis Iiuìub, si vicissim obtegitur braetcn stannea? Ad vitra transis. Spirant tua vestigia violas, quacunque incedis. Atque ego tot tuia arti- bus, tot lesti vi tati bus, quibus tuam personam, imo vero quibus tu lini nomeu tuumque vultuni 110 sub persona latenteni, depinxisti, in epistola hunc superscribam tituluni : Ilic Gratiarum soboles, lepos est; Nat.urae simia; Pegasus philosophiao; Lyra eloqucntiac. Coniecturis tamen usus ego non sum, sed demonstratiouibus. Ombia ista Constant figura bine hypm bolica, inde convexa. Adi, si fors alfulserit, meani Dioptricen, quae versatili* in umnibus Ser. ml Electoris Uoloniensis, et ab eo, uti spero, typo publico exornabitur (l >. Cui* igitur tu divorsum dcpreliendisti in instrumcnto Galilaei? Quia demonstrntioues rerum apices con- sequuntur subtilissime, machinainenta possunt rursmn prorsumque vagari. Itaque quam ego internani supcrficiem volili osso hyperbolicaiu, ca Galileio instrumcnto fuit exterior convexitas; vicissim, quam ego exteriorem posili convexitatern, ea fuit Galilaeo interior planities. Causas diversitatum reddam omnos. Primum ignorabam tane, quod iam est demon¬ io) straluni in Dioptrice, situs aequipollere, noe interesse utra superficies introrsum vertutili* extrorsumve. Deinde ignorabaui, refraetiones vitri voi erystalli usque ad trieesimum gradimi ineliiifttionis ad sensum aequipollere inolinationibus : hoc posterius ab experientia fuit mutuandum. IIoc vero obtento sequitur, hypcrbolam ad sensum niliil dilforre a convexo spbaerico in tanta subtilitate. Quid igitur planities? quia (quod cognatum est primo) igno¬ rabam, convcxitates utriusque superficioi posse accumulari in imam, reliqim manente plana. Quarto: in institutam bano subtilitatem, ut vitrum exterius osset. circuitu 30 minutorum convexum etc., me hoc induxit, quod scirein, vitrum cavum ponenduni esse non longe a coneursu radiorum ; nani sic instituta aubtilitas, ac si in ipsissiino punct o concursus collo- caudum esset vitrum, quod fieri non potest. ('uni ergo distare debeat cavum ab hoc radio- ir.O rum concursu, iam igitur omnia illa fabricae meac subtilitas, a me moticulose observata, irrita efficitur ; etsi, si observarotur, non impedirei effcctum, iuvaret potius. Hunc itaque plagam non declinabo; recte sentis. Non tantuui tu in Galilaei instrumento frustra con- sectareris gradns et minuta, quia Galilaeus ad numerum non respexit, sed mechanicnni explorationeni magistram liabuit, sphaericam imam supcrficiem fecit, alteram planam (quam insuper etiatn excavari magno profectu posso mea Dioptrice docct), non certo nee destinato arcu totiu 9 sphaerao; sed nec ipse quidem subtilitates mearuni demonstrationum applicare scio, ut praecise ad quaesitum cffectum pertingant. Atque tu piane art.ilex egregio rem epiphonernute concludis : plura proponere contemplantem, quam exBoquatnr opere is cui imperatur. Cur igitur (ut mutuum liabeas) tu paulo supra non potuisti credere, me animo (» Ioannis Kkim.kki S.« C.*“ M. u * Mathoniatici Franci, M.DCX1. I/opora f. «Indicata all’Elettolo di Dioptrice occ. Augustae Vindolicoruni, typis Davldia Colonia. Cfr. n.<* 441), lin. 53 o sog. f 490 18 DICEMBRE UIIO. [4*8] praeaenti ot serio cxliibuiaso mcaia fabricam ? neri bis eniui, ine nullo oporis expornnento no aiti, sod mera speculatane, ut prolitotur Dissertati»}. Quoti cavum attinot specillimi, nova milii vorbera intentas, seti irrita. Specillino cavino eodem intervallo a convexo distinctum si sic adbaeroseat, ut. loco moveri non possit, uequaquam sorvit omnium oculis, ned opus erit ad cannino sic invnriabilem perinutatione cavarum lentium. At utilissimo compendio subvenit licontia variamii liaoc distantiam tubo cxonitili et trusatili : sic enim lons oadem cava vario situ vicem gerit xoultarum codoni ot uno situ. Demonstratio in Dioptricis. SuporcHt figura cavitatis in lente propioro. Non puto, aliam te vidisse quam sphaoricam. Nani hyperbolicmn constnntor nogant onines nostratos tornari posso: sulcos onim rodili circularos, dum intimo formantis sphaerao hyperbolicae urabo pone nihil radit, quippe 180 axis tornati conoidis, oxteriora piar inni in radunt. Neo licot buie rei subvoniro variotate applicationum. Nani portio spluiorao potost ubique applicati ad cavitatom patollae oadem sphaerica superfìcie excavatae, tara in oius centro voi axe, quam apud limbum extimum et vicissim. Non sic conoidea vulgati in fabrica: umbo enim nonnisi vertice sodet in ca- vitatis centrimi sou fuudum. Itaque puto, vi tri cavitatom fuissc sphaoricain. Nani ot hoc noto, etiam Galileio instrumento distorqueri visibiliu et rodili extcriora muiora, ot prò quadratis aurita. Vitium est in eo, quia cavimi non est hyporbolicum. Causa cur io cavo conoides figura non possit sine inconnnodo negligi, unni in convexo possit, astista: quia cavum est necessario magna portio suno sphnerne (voi quasi), convexum non item. Sod non difficile fuerit Galilaeo comminisci novum genus machione, qua etimo funilus cavi radatur 190 veliomentius quam vulgaritor, a partibus circa niotus axom foro quiesceotibus. Tnlem ino- dum inm ipso quoque in promtu habeo: et fortasse, bì succosserint insti tuta, voi mea manu aggrediar fabricam. Dixi, in Disscrtatione, do multiplicatione convoxarum lentium ; verissima deprohondo etiam experientia, sod succossu non tali, quaiem in bue gonoro instriimonti quaeriimiB. Situs oculi ante puncta concnnms ost similiter cortua et plano neco.ssariuH. Dioptrico mea etiam ulterius prucedit. Nani si oculo liceat, punctum hoc concursus traiiBcendore et multiplicaro convexas lentes, xpiasi? oriuntur vix explicabilcs, niai quia a priori causas inspiciat. Successit bic et mecbanice. Itaque docot Dioptrico, etiam meris convexis emioni praeBture, quae concavo et convexo ; item situili cavi ot convexi pervortere; deniquo vario 200 ot iucunde causarum rimatores eludere. Tu vero quid in Galilaeum respicis, ut instrumentum mihi porrigat, quo tui animi sensa porvidere possilo ? quasi ad liane rem mihi non ahunde tua sufficiat epistola, aut quasi quisquam te ipso possit esse Ime in ro ingcniosior. Atipie ego, otsi band equidem tali me dignor bollore, ut eum docere sporem, qui ino doccro poaBÌt, quia tainon pliilosopliiao eius, quae reruni naturarli inspicit, fructus non aliundo praastantior percipit.ur, quam ex convorsatione bonorum, eodem cognitionis desiderio flagranti uni, non minori tui voi videndi voi audiendi et denique frnendi desiderio sino incensus. Nani nequit oxularo virtus ox co animo, in quo sedem tìxit amor doctrinae operumque Dei admirutio.... l'J DIUEMJJliE 1G1U. 4'Jl 439 . MARTINO HASDALB a GALILEO in Firenze. Praga, l'J dicembre 1(510. Bibl. Naz. Fir. Risa, «lai., P. VI, T. VII, car. 168-170. — Autografa. Molto Ill. ro et Eco.'" 0 Sig. r Oss."' 0 Io scrivo in fretta; però m’iscuserà, della maniera carlonesca. Fu dato da me a S. M. til quel capitolo che V. S. mandò al 15. r Ambasciatore Toscano circa lo scoprimento fatto da lei del li. triforme (,) ; cosa che a S. M. tt ha dato non minore gusto che maraveglia, come n’ liaverà testificatole il Sig. r Kep- plero con lettere, perchè questo capitolo fu cagione che S. M. tà lo chiamasse subito et gli ordinasse d’incontrare la verità, facendogli consegnare a questo effetto il migliore occhiale che havesse et il maggiore, insieme con 200 V di mo¬ neta et intentione di fargli pagare gli suoi avanzi, che sono di milliara. In somma iole inventioni di V. S. et scoprimenti de’nuovi .astri tantum abcst che truovino più oppositione, che l’istesso Martino Horehy llohemo, che stampò quella coglio¬ neria in Italia, giolito qui et abboccato con il Kepplero, restò il più confuso li uomo del mondo, facendogli toccare con mano il Kepplero gli errori grossissimi suoi, sì che pagarebbe egli hora due libre di sangue (come ha detto), che non havesse stampato quel libro contro V. S. Non crederebbe V. S. quanta consolatone sento per la confusione che il Zug- messer ne deve bavere, per non dire rabbia, havendo io qualche ragione (oltre T interesse di V. S.) a volergli poco bene a quell’ huomo, per bavere egli resomi sospetto di che religione mi fosse: cosa nata dalle faceti e che soglio dire in con- 20 versatone, essendo egli huomo non meno scropoloso che superstitioso nella cat¬ tolica. Ma non farebbe scropolo di acquistare un spirito per qualunque prezzo, modo et via. Non lo posso dipingere per altro che per un Giovanni do’ Vitelli, che di notte rubbava le vacche, et il giorno fuggiva vedendo un vitello. Non potei contenere, nel suo partire, di farne risentimento gagliardo con lui, et da me solo a solo, et per mezzo di communi amici, offerendogli anco il duello, se voleva mantenere quello mi era stato riferito bavere egli detto di me. Ma riparò il tutto con la negativa. Lett. 439. 26. mi ero /italo — (•1 Cfr. n.° 485. 492 19 DK’KMHKK 1610. W)] Non voglio lasciare «li diro a V. S. un particolare ila farla «mascellare dalle risu. Costui, dico il Zugracsser, per persuadermi meglio, come linvea fatto al- 1’ Elettore di Colonia, che tutto quello V. S. havea scritto di lui nel libro contro so il Capra, gli proposi che qui si trattava il Cava*/* l'ompeio \ uno de’ tcstimonii citati da V. S., et che detto Cavaliere lrnvea bisogno grandissimo del mezzo suo appresso V Elettore, di maniera eh’ egli liarebbe havuta bellissima comniodità di fivi'gli cantare la palinodia con un scritto. Pareva elio allhora gli fosse cascata la manna dal cielo, riputando l’hora
  • ì tutto il contrario, perchè, con tutto che il ('muliierc andasse più et più volte là per truovarlo, il /ugniesser sempre andò fuggendo la seri ma «li abboccarsi seco, dopo la prima volta che gli fece bavere audienza dall’ Elettore, inanzi alla quale nè dopo non liebbe ardire mai di toccare un minimo tasto di questa palinodia. Ma so si veniva a questo 40 cimento, et che il Cavallaro havesse mostrato un minimo segno di volere pie¬ gare, per interesse «le’ suoi crediti che ha con quella Altezza, gli hnvevo apparec¬ chiata una bella intemerata. De liis satis. Quanto a quello specchio parabolico, io riferii a S. M. u quanto ella mi havea risposto. L’autore del moto perpetuo*' 1 concorre nella medesima openione «li V.S., come se havesse parlato con lei. In questo proposito, mentre mi ricordo, il Magi ni presentò a S. M. u , gli anni adietro, un specchio concavo, nè mai havea hnvuto nulla «li ricompensa. Mora un medico di S. M. u , suo amico et compagno «li studio (a Padova giù), gli ha otte¬ nuto (la S. M. u assegnamento di fiorini sopra il negotio di Piombino, da pa- &o garsi dal S. r Appiani. Credo elio il modico farù a vacca con il S. r Magini. Quanto allo stroinento che V. S. disegna «li mandare a S. M. u , sarò suo pro¬ curatore per l’honorario; ma vorrei ch[...] vi aggiungesse qualche altra cosa di clcdicatione nuova, se vi fosse l’occasione: et l’occasione di Piombino è bel¬ lissima por li contanti, de’ quali il pagamento si doverù faro in diversi termini a S. M. tà 11 clic sia per avviso a V. S. Con che line me le ricordo servitore di cuore, con uno profumatissimo baciamani. Di Praga, ullfi] xix di Xbre 1610. Di V. S. Ecc. ma Scrv. ro Aff. mo M. Hasdale. CO Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. nu S. r mio Oss. tno 11 S. 1 ' Gallileo Gallilei. Fiorenza. «n Pompeo do’Conti da Panxichi. Cfr. Voi. II, pag. 546,' 601. |S ’ Cfr. n.® 412. [440-141] 20 — 24 DICEMBRE 1010. 493 440 *. GIULIANO BE’MEDICI n [GALILEO in Firenze]. Praga, 20 dicembre 1610 . Blbl. Est. in Modena. Raccolta Camperi. Autografi, B.» LXXX, u."48. — Autografa la sottoseriziono. 111.™ et Ecc. m0 Sig.™ Con l’alligata del Sig. Asdalio (n intenderà V. S. quanto ha passato S. M. Ccs. n intorno a quello haveva nuovamente ritrovato : ot al Sig. Gleppero lessi la let¬ tera di V. S., il quale non ha preso niente in mal senso quello di che olla si du¬ bitava, sì come egli stesso doverrà facilmente scrivergliene. Et per li due libri che V. S. desiderava di suo, gliene mando per Girolamo Malatesti, che di casa mia se no torna a Firenze, che non credo potrà tardare un mese a arrivare; e l’al¬ tro, clic V. S. desiderava (i , non 1* habhiamo saputo ritrovare. E perchè presto ci sarà occasiono di persona che di costì se ne verrà a questa volta, ho scritto a io mio padre che lo facci sapere a V. S., acciò sappi il tempo di potermi favorire del suo occhiale, che sia perfetto; il quale, come V. S. già sa, ci è tanto deside¬ rato, et io ne resterò in particolare obligatissimo. Con die baciandole le mani, le pregherrò da Nostro Signore Iddio ogni felicità. Di Praga, li XX di Dicembre 1G10. Di V. S. Ili™ et'Ecc.™» S. ro Aff. mo Giuliano Medici. 441 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Brescia, 24 dicembre 1610. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. I, T. VI, car. 00. — Autografa. Molto lll. ro et Eccell." 10 Sig.™ Con questa mia, prima intendo di augurarli le felicissimo Feste di quest’anno e dell’almo futuro e di ìuill’ apresso ; poi, di significarli un mio pensiero e desi¬ derio, rimettendomi in tutto e per tutto al suo savio consilio e gagliardo aiuto. Il desiderio è questo. Io desidero di impiegare, qual si sia, quel beneficio elio Lett. 440. 1). ijuehin è corrotto di inano del Mudici sopra coleniu, elio leggessi cancellato.— 11. occhiaie ò scritto di mano del Mudici sopra «frumento, elio leggosi cancellato.— U> Cfr. li.» 43S). (*-) Cfr. li.® 402, lin. 50. 494 24 DICEMBRE 1910. 1441 - 442 ] ho riconto da V. S. Ecc." 1 " nei studii, (li impiegarlo, dico, in modo tuie, clic una volta hubl)in, prima, da otturar la bocca a tanti che mi dicono che queste scienze non mi daranno un aiuto al mondo ; poi, di accomodar in maniera lo cose mie, che possa, con la quiete del vivere, liavcr comodità, di dar qualche sorto di per¬ feziono allo cominciato fatiche. Ilora, havendo inteso che il Ser.'" 0 Sig. r 1). Frati- io cesco 10 dove andar in Spagna (di grazia, V. S. Kcc. ,,, “ mi perdoni; chò il mio bisogno mi fa desiderare), so vi fosse loco tra tanti servitori che il nominato Signore condurti in sua compagnia, volentieri mi ci metterei in frotta: alla peggio, lo servirò con la Messa per capellano. Se li pare miscibile il negozio, mi ei pro¬ ponga et aiuti, oliò 1’ assicuro che favorirà uno, non solo che tonerà perpetua memoria di tanto beneficio, ma che nello azzioni sue non si scostarli dai suoi indrizzi e comandi ; c quando questo non riesca, la suplico a voler pensar qual¬ che volta al caso mio, che pur li son e discepolo e servitore. I*cr la prima comodità son per mandar a V. S. Kcc."*» la demostrazione di certe proposizioni elio ho dimostrate sopra il primo di Archimede Ih a&fuejmi- 20 derantibus, per sottometterle alla censura del purissimo intelletto di V. S. Kec. tna Alla quale facendo riverenza, bacio le mani. In Brescia, il 24 di Xmbrc 010. Di V. S. molto 111." Oblig. mo Ser. 1 ^ I). Benedetto Castelli. Fuori: Al molto III*’ nt Ecccll. mo Sig. r " 11 ì$ig. r Caldeo Galilei, Philosofo di S. A. Firenze. 442 *. ODOARDO FARNESE a GALILEO in Firenze. Roma, 24 dicembre 1GI0. Blbl. Naz. Pir. Mas. Gal., 1’. I, T. XIV, cm. 63.— Autografa la firma. 111.™ Sig.™ Con mio grandissimo disgusto si è rotto questi giorni il vetro piccolo ° Gio. Ant.° Magi ni. :jo V. S. avertisca che nel primo loglio, che con¬ tiene le due ultime carte, vano posti dentro tutti gl’altri fogli, et questo per troppo accortezza d’un novello compositore Venetiano. Ma però, sendosi stampati pochi fogli de i primi, dimani voglio laido disponere in altro modo, et gli ne potrò mandar qualcli’ altra copia all’ occasione. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. ,no S. or mio Oss. ,no 11 S. or Galileo Galilei, Math. co del Ser. 1 " 0 G. Duca di Toscana. Firenze. 445 * PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 29 dicembre 1G10. Bibl. Naz Fir. Mss. (lui., P. I, T. VI, car. 02. - Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. S. r mio Oss. mo Doppo ch’io scrissi la mia a V. S. Ecc'." 1 *, mi sono sopravenuti tanti impicci, essendo che M. r Vicario è andato per stare alcuni giorni a Modena e mi ha la¬ sciato suo Vicio, sì che non ho Lavato appena il fiato che sia mio; onde m’ha bisognato commettere molti mancamenti di complimento, specialmente con V. S., di che gliene chieggo perdono. Qui habbiamo quest’anno uno Studio assai sgangherato: certa riforma, la¬ sciata dal gi;\ Cavalier Duodo l,) intorno al leggere, è con la sua morte allatto sva¬ nita. È morto il povero Montecchio (,) , refrigerio de’ forsenati scolari : vi è gran io concorrenza di soggetti per la sua lettura, sì come per quella di V.S. SinLora non si sente alcuno, temendo ciascuno sormontare in quel suggesto et in quella cathedra occupata giìt dal S. r Galilei, Cui nè primo fu simil nè secondo. Lett. 444. 20. in lingua Italia, per — (Il PlRTRO J)U0l!0. |S| Sub ASTIANO MoNTKOOHI. X. «3 4«J8 21» DICEMBRE 1010. [4451 Dui S. r Voi Boro hebbi questi giorni una lettera con un corto libretto De ye- stis Pclayii, ritrovato già un anno o più in Fiesole in una libraria di canonici regolari, latto stampar da lui 1 ”, non più veduto alle stampo. Delle cose del Clie- plero non mi ilice niente. Ilo bone lettere da Parma da un 1*. Gesuita, che mi ricerca s’io ho veduto un libro del Uhoplero, intitolato Dissertano ami Nuntio Syderao Guidici, et un altro intitolato Narrata) da oOscrvutis phaenoinenis circa quatuor Stjdcra Medicea, le quali opero mi scrive esser tutto conformi all’in- 20 ventami del S. r Galileo ; le quali opere ancora non sono comparse a Padova, e me ne stupisco. Quanto alla zi fra dell’ o. y. ( ", io le dirò con ’1 servo Torentiuno Davus sum, non Ondi pus. ha mostralo a questi nostri lilosoli, se bene son tanto ostinati nelle loro opinioni, clic dubito elio non la vorrano n’ anco vedere, non elio alìaticarsi per interpretarla. lo ho portata la lettera al S. r Pandolfo ; ma non lmvcndolo ritrovato a casa, et havendovi trovato il S. r Dottor suo fratello, l’ho data a S. E., il quale l’ha letta, e mi disse clic stava ansiosissimo per scrivere a V. S. per l’accidente elio intenderà nell’inclusa sua 131 , del quale m’ha dato parto e son restato meraviglia¬ tissimo; e mi pare impossibile che l’amico li facesse mai burla alcuna, poi elio 3 dove che le ombre che si scorgono nella mede¬ sima 3) cagionate dalle eminenze che sono nell’ istesso corpo, sono terminate, crude et taglienti. Delle quali eminenze, rupi et grandis¬ simi tratti di gioghi eminentissimi, sparsi per tutta la parte più lucida della 3> V. R. non ne abbia dubbio alcuno, perchè a chi bavera buona vista, et intenderà un poco poco di perspettiva et di ragione di ombre et di chiari, lo farò così manifestamente toccar con mano, quanto manifestamente siamo certi delle montagne et delle valli terrestri, et niente meno. Dora, la notte passata, con l’occasione dell’aspettar l’eclissi, os- 7o servai molte volte i Pianeti Medicei, notando lo loro mutazioni nella medesima notte in diverse bore ; le quali furono tali, notando anco le distanze tra essi et in proporzione al diametro apparente di esso % : Die 29 Xinbr. lim a sequentis noctis 3." Hor. 3." Oriens Hor. 7." Hor. 10." * * * * * O * 0 * Quarta sub latebat. O * * Vedromo dunque, quanto ci piacerà, le mutazioni anco nella mede¬ sima notte. Ma perchè le osservazioni che ho fatte da 2 mesi in so qua, le ho fatte tutte la sera, non ho potuto incontrare quelle che ella ini ha mandate, fatte costà la mattina; perchè, come vede, in 7 o vero 8 bore fanno gran mutazione. Hora, per rispondere interamente alla sua lettera, restami di dirgli come ho fatto alcuni vetri assai grandi, benché poi ne ricuopra gran parte, et questo per 2 ragioni: Runa, per potergli lavorar più giusti, essendo che una superficie spaziosa si mantiene meglio nella debita figura, che una piccola; l’altra è, che volendo veder più grande spazio in un’occhiata, si può scoprire il vetro: ma bisogna presso all’occhio mettere un vetro meno acuto et scorciare il cannone, altramente ai 502 30 JDlOttUBKK 1010. [440-447] vodrebbono gli oggetti assai annebbiati. Che poi tale strumento sia do incomodo ad usarsi, un poco di pratica leva ogni incomodità; et io o-li mostrerò come lo uso fàcilissiinaniente et con minor fatica assai O die altri non fa nelPasfcrolabio, (quadrante, arinille, o altro astrono¬ mico strumento. Haverò soverchi amonto tediata S. 11.: scusi il diletto che ho nel trattar seco, et continui di conservarmi la sua grazia, di (die la supplico con ogni instanza, come anco che ella mi procacci quella dell’altro Padre Cristoforo ( ”, suo discepolo, da me stimatissimo per le relazioni che ho del suo gran valore nelle matematiche. Et per line all’ uno et all’altro con ogni reverenza bacio le inani, et dal Signore ìoo Dio prego felicità. Di Firenze, li SO Dicembre 1610. l)i V. S. M. li. lltt Servitore Devotissimo Galileo Galilei. 447. GALILEO n BENEDETTO CASTELLI in Brescia. Firenze, ‘M dicembre 1010. Vodi l’in forum* inno promossa ni n.° 434. Al molto Il. f, ° P. e mio Sig. p 0ol. mo il P. D. Benedetto Castelli, Monaco Casinonse. Broscia, S. Faustino. Molto R. do P.ro, Alla gratissima di V. S. molto R. delli 5 di Xmbre darò breve risposta, ritrovandomi ancora aggravato da una mia indisposizione, la quale per molti giorni m’ ha tenuto al letto. Ho con grandissimo gusto sentito il suo pensiero di venir a stan¬ ziare in Firenze, il quale mi rinova la speranza di poterla ancora io godere et servire qualche tempo : mantengasi in questo proposito, et sia certa che mi haverà sempre prontissimo ad ogni suo comodo, Cristoforo Guikniu'.kokr. 30 DICEMBRE 1010. 503 [447] benché la felicità del suo ingegno non la fa bisognosa dell’ opera mia nò di altri. Quanto alle sue dimando, posso in parte satisfarla; il clic fo volentieri ssi mo. Sappia dunque che io, circa tre mesi fa, cominciai ad osservar Venere con lo strumento, et la vidi di figura rotonda, et assai pic¬ cola ; andò di giorno in giorno crescendo in mole, et mantenendo pur la medesima rotondità, sin che finalmente, venendo in assai gran 20 lontananza dal sole, cominciò a sdentar dalla rotondità dalla parte orientale, et in pochi giorni si ridusse al mezo cerchio. In tale figura si è mantenuta molti giorni, ma però crescendo tuttavia in mole: bora comincia a farsi falcata, et sin che si vedorà vespertina, anderà fissotigliando le sue cornicellc, sin che svanirà: ma ritornando poi matutina, si vedrà con le corna sottilissime et pure averse al sole, et anderà crescendo verso il mezo cerchio sino alla sua massima digres¬ sione. Manterassi poi semicircolare per alquanti giorni, diminuendo però in mole ; et poi dal mezo cerchio passerà al tutto tondo in pochi giorni, et quindi per molti mesi si vedrà, et Lucifero et Vesperugo, :jo tutta tonda, ina piccoletta di mole. Le evidentissime conseguenze clic di qui si traggono, sono a V. R. a notissime. Quanto a Marte, non ardirei di affermare niente di certo ; ma osservandolo da quattro mesi in qua, parrai che in questi ultimi giorni, sendo in mole a pena il terzo di quello ohe era il Settembre passato, si mostri da oriente alquanto scemo, se già 1’ affetto non m* inganna, il che non credo. Pure meglio si vedrà al principio di Febraio venturo, intorno al suo quadrato; se bene, per I’ apparire egli così piccolo, difficilmente si distingue la sua figura, se sia per¬ fetta rotonda o se manchi alcuna cosa. Ma Venere la veggo così 40 spedita et terminata quanto l’istessa luna, mostrandomela l’occhiale di diametro eguale al semidiametro di essa luna veduta con l’occhio naturale. O quante et quali conseguenze ho io dedutte, D. Benedetto mio, da queste et da altre mie osservazioni ! Sed quid inde ? Mi ha quasi V. lt. n fatto ridere, col diro che con queste apparenti osservazioni si potranno convincere gl’ ostinati. Adunque non sapete, che a convin¬ cere i capaci di ragione, e desiderosi di saper il vero, erano a ba¬ stanza le altre demostrazioni, per V addietro addotte; ma che a con¬ vincere gl’ ostinati, et non curanti altro che un vano applauso dello 504 30 D1UKMUKK 1010. [447] stupidissimo et stolidissimo volgo, non basterebbe il testimonio delle &o medesimo stelle, che sciose in terra parlassero di sè stesso V Procu¬ riamo pure di sapere qualche cosa per noi, quietandosi in questa sola sodisfaziono ; ma dell’avanzarsi nell’opinione popolare, o del gua¬ dagnarsi l’assenso dei lilosoli in libri*, lasciamone il desiderio e la speranza. Che dirà V. R. a di Saturno, che non è una stella sola, ma tre con- gionte insieme et immobili tra di loro, poste in linea retta parallela all’equinoziale, così OOO? lift media è maggiore delle laterali tre o quattro volte ; tale F ho io osservato da Luglio in qua : ma bora in mole sono diminuito assai. co Horsù, venga a Firenze, elio ci goderemo et Laveremo mille cose nove et ammirande da discorrere. Kt io in tanto, restandogli servi¬ tore, gli bacio le mani et gli prego da Dio felicità. Ronda i saluti duplicati al P. I). Serafino e alli Sig. ri Lana et Albano"'. Di Firenze, li 30 di Xmbre 1010. Di V. S. molto R. Ser. 1 * A(T. 1,10 Galileo Galilei. Mi ero scordato di dirgli, come la passata notte osservai l’eclisse della luna, che fu alle dieci ore e un terzo. Non vi è cosa notabile, nò pruder hnaginationem : vedesi solamente, il taglio dell’ombra con- 70 fusissimo, cioè non tagliente e terminato, ma indistinto et annebbiato molto, dove che le ombre causate nella luna dalle eminenze sue pro¬ prie sono crudissime et terminatissime, come quelle che nascono da corpi tenebrosi, vicinissimi ad esso ombre ; ma 1’ ombra della terra, tanto remota dalla luna, non può fare il suo termine et contine con la parte luminosa altrimenti ohe sfumato, indistinto et annebbiato. Ebbi l’istessa notte Occasione di osservar più volte i Pianeti Medicei et le loro mutazioni, le quali metterò di sotto, insieme con le di¬ stanze giuste tra loro et Giove. Se la mia mala complessione mi con¬ cedesse il far continue osservazioni, spererei ili breve di poter definire so i periodi di tutti quattro ; ma mi è necessario, in cambio di dimo- ’’ Cfr. n." 484 w *, Un. 21-83 0 30-21. 30 — 31 DICEMBRE 1010. 506 [447-44:8] rare al sereno, starmene bene spesso nel letto. Bacio a V. Riverenza di nuovo le mani. Die 20 Dee. Ilot a scq. Hora 7 " (t) Ilota LO." * . 1 4 . 1 * . 1 •*.* .(>•* 2 5 3 • *.* . O-- * 2 5 3 *.o • * * 2 5 3 I Occidens I 448 . FORTUNIO LICET1 a GALILEO in Firenze. Padova, SI dicembre 1(510. Blbl. Nasi. Fir. Msb. Gal., P. VI, T. VII, car. 173. — Autografa. 111.' 0 et Kcc. mo Sig." ro Quando Laverò dal 8. or Oont’Alessandro {i) li danari, secondo l’ordine datomi, li consiglierò subito in mano di Mad. a Marina 1 *’; alla quale, ha quasi un mese, diodi lire 124, per resto di quanto io era debitore a V. S. in virtù della scritta fattale. Il S. or Camillo Melloni desiderarebbe di succedere nel primo luogo di Filosofia in Pisa al fu S. Dottor Libri 0 ’, che sia in cielo ; e mi ha accennato di volerne scri¬ vere a V. S. Giorni sono qui morì il S. Dottor Montccchio <5) , et hora sta male il S. or Dottor Sommo (6) . io Ilo con gusto sentito che le sue osservationi siano confermate dal testimonio delli Padri Giesuiti in Roma 4 ”, se bene alli emuli di V. S. tal testimonio è alle¬ gato sospetto. Li due nuovi pianeti sostenenti il vecchio Saturno, se bone, per non ha ver moto diverso da quello, non doverebbero dar tanto fastidio, pure agli stessi sono impossibili. La terza osservatione, che V. S. accenna meravigliosa, muove tal un di loro a prestar men fede alle prime, dicendo che quanto più no¬ vità. divolgherà, tanto meno verisimile dimostrerà ciò che pretende ; ma io sporo che il tempo chiarirà il tutto, sendo queste cose nelle quali altrui non debba (M il Venturi, elio noi r|ni soguiamo (cfr. l’infor- <*> Alessandro Montai.han. m:izinnu promossa al n.° 134), fu, senza dubbio,inesatto < 3 ' Marina Gamba. noi riprodurre l’ossorvaziono di tiara 7 a : cfr. infatti <*' Cfr. n.° 436, lin. 9. ,,.o .ufi, lin. 70, o Mas. Gal., 1’. Ili, T. IV, car. 7Gl., < 5 ' Cfr. n.<* 445, lin. !). nello quali fonti lo osservazioni rolativo alla stessa ora (0 ' Faustino Sommo. sono autografe di QaLILKO o tra loro concordano. |7 > Cfr. nn.‘ 430, 137. IH X. 506 91 dicembre 1610. f448-449] formati»onte asseverare eoa’ alcuna, so molto volto e por molto tempo non ha os¬ servato la loro natura o conditami. L’ Ecc. mo S. or Cremonino la saluta, o si rallegri» ili sua sanità ricuperata; io, 20 congratulandomi seco dello stesso e pregandola a conservarmi nella sua buona gratin, lo bacio lo mani, 0 lo prego da N. S. il buon Capo d’anno e felice il viaggio di Roma. Di Padova, V ult. n del 1610. Di V. S. HD® et Kco..'"* Af!>° S or™ Fort."' Lieo ti. Fuori - All’ TU.h® et Kcc. mo S." 1- min Oss. mo 11 Sig. 1 "' Galileo Galilei. Firenze. 440 *. GIOVANNI KEI’LER a GALILEO |in Firenze]. [Praga, dicembre 1610 Bibl. Palatina di Vienna. Uod. 10702, car. 158. — Minuta autografa <'». S. P. D. Ego, Calilaec clarissime, neque Italus snm, ncque ex politissima Oermanorum nationo oriundus, ncque lautis domus patriae conditionibus in ter speciosa sermonis gostuunique cxercitia educatila, ut tecum, insigni artitico, urbanitate contondam, qui, cum quidvis alitici scripturus videreris, dcprccationem putissimma arripuisti. Lecto Bohemi scurrili libello, emindui, ad te seribenduui censui, no silontio viderer approbare simulationem pessimain mihi imputatala. Eam epistolam ita scripsi, ut si torte tui defendendi causa cani velles odoro, id intelligoros tibi per me licere. Cum postea rogares mearn sententiam super loco quodam Dissertntio- nis a me praeterito, hoc iam certuni argumentum mihi erat destinatao ahs te 10 editionis; coque sic attemperavi responsum, ut quod esset edenduni. Si edidisses tui defendendi causa, nihil eram hahiturus, quo de quererer, quippe quod iam bis concesseram; sin autem mei nominis studio id fecisses, insuper etiani gratiae tibi a me debebantur. Suporvenifc reconciliatio Bohemi, hominis contemnendi potius oh nominis obscuritatem ingeniique tenuitatem, adeoque commiserandi oh tomeri- tatern infoelicem, quam persequendi puhlico oh scurrili totem. Itaque revocavi quod concesseram, non iure nisus sed precibus. Si iam erat edita mea responsio, nihil in me peccatum; temporis culpa est: sin rea est integra, tuque intermittis meique O) Non pare che quoste lotterà sia stata effettivamonto spedita a Ualii.ho. Cfr. 11 ." 165. DICEMBRE 1610. 507 [4491 amore tibi ipsi dees, ruvsum ego gratias debeo. Sin autem, quod scribis, multo 30 minoris l'aeis a Bohemo vituperari, quam ego laudari, gratulemur inviceli! uter- que: ego, quod errore sum liboratus circa tuum editionis agitatae consilium; tu, quod editionis mihiqiie gratificandi onere, coniuncto cum aliqua tua molestia. Nullum allibi reperio doprecationi locuin, nisi in tua civilitate moique cultu, quelli vieissim deprecor. Quare mittamus ista. Unum rogo: transmittaa ad Illu- strissi in uni Oratorem si quid est editum. Vidi Wodderbornii Confutationem t0 : placet. A ludicris ad paulo seria magis, quamvis teimia: ignosce; diffidi ltates aulicae docent aestimare etiam tenuia. Dissertationem edidi meis sumptibus, misique Francofortum aliqueni instimi numerimi. Fiorentina itaque typographua ad damnum me redigit sua editione t2) : so id per se inliunianum ; an etiam iniustuin, vidcrit Florentia. Nani si non reco- gnoscit Caesarcm superiorem, nihil queror; sin autem, equidem privilegio mu- nitus erat libellus. Propter liane ambiguitatem, in suspenso erit quo nomine Illustrissimo Oratori siili obligatus. At, nisi fallor, non sedet is Pragao typograpbi causa, sei! Magni Ducis; suamque munificentiam sibi vindicat. Quod si inihi iuris aliquid esset in typographum, condemnarem illuni ad multam liane, ut. tuis operis solvcret prò uno bono et lato vitro convexo, quod esset fragmentum sphaerae duodccim pedum semidiametri, aut ei aequi poi leret. Nam hic Pragae facile inve- nirem, qui cavimi mihi accommodaret; in convexis solis diltìcultas est. Suis enim pliialis parimi efficiunt, et mea dictata simulant se spernere; ex quo intelligo, esse io ipsis cxpiscandi consilium. Atque ego sumptus non habeo instruendi domi ma- cliinam, et alias manu infoelix sum, solis speculntionibus deditus. Huiusmodi vitro nisi aliunde instruar, adempta mihi est conimoditns contemplandi tuum illuni vetuluin Greryonem tricorporem; in quo in terras vincto deducendo, tu alterimi te praestitisti Hercuiem. Est et altera querela, negligentiae, quae mutilavit meum libellum Phaenomeni Singularis 3) . Aut si omnino breve aliquid excerpere voluit, cur non ipsuin ìiucleuin exseripsit, ipsairi scilicet meam observationemV cur in refutatione eiusqui observa- tionem Adelmi Benedictini negavit, filum abrumpit? 0 pestoni librorum, si id ex more facili Itaque tanto maior est eius culpa, qui non tantum privilegia con temnit, oo sed etiam vitiosa et mutila recudit. Sed baco typographo meo remitto, qui sumptus in Plmenoinenon impendit. Nam, nisi fallor, solent illi mutuimi invicem rependere. Certiorem te facio, scripsisso me superiori Augusto et Septcmbri l)ioptricen (t) , m Volli Voi. 411, Pur. I. pag. Ufl-178. i*' Cfr. n.» 410, lin. 88. < a > Cfr. il.» 297, lin. 273. Ncll’oiliziono fiorentina (lolla Diaaertnlìo cum Nuncio Sidereo voline ristam¬ pata anche una parto Cfr. n." 280. FINE DEL VOLUME DECIMO. INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEI. VoL. X (1574-1G10). 1 Muzio Tcdaldi a Vincenzio Galilei. 2 s> » ... 3 * t . 4 » x> ... 5 » » ... (i » » . 7 .a. 8 Galileo a Cristoforo travio. 1) Cristoforo Clavio a Galileo. 10 Guidobaldo del Monte » . 11 Enrico Oaetani al Senato di Bologna. 12 Galileo a Cristoforo Clavio. 13 Cristoforo Clavio a Galileo. 14 Antonio Riccoboni » . 15 Guidobaldo del Monte » . 10 Michele Coignet » . 17 Guidobaldo del Monte » . 18 » * . 10 Gai.ii.ko a Guidobaldo dui Monte . 20 Guidobaldo del Monte a Galileo. 21 * » . 22 » » . 28 » # . 24 Giovanni Ricasoli Baroni a Neri Ricusali Baroni. 25 Giovanbatista Ricasoli Baroni a Ruberto Uanclolfìni... 20 Giovanni Ricasoli Baroni a Francesco Guadagni, Neri Ricasoli Baroni e Lorenzo Giacomini. Pag. 13 gennaio 1574 17 9 febbraio » » 10 marzo » 18 4 gennaio 1575 19 29 aprile 1578 V) 18 luglio V 20 1588 21 8 gennaio 1588 22 16 » » 24 » y> » 25 10 febbraio » 26 25 » » 27 5 marzo » 29 11 » 30 24 » » 31 31 » » » 28 maggio » 33 17 giugno b 34 16 luglio y> 35 22 » » 36 16 settembre » 37 7 ottobre » 38 30 dicembre » 39 11 maggio 1589 » 25 » » 40 15 giugno * » S INDICE OiiUN OLUUlCl). jIU 27 Guidobnldo del Monto a (laiileo. 3 agosto 28 Galileo a Lorenzo Giacomini.| & ottobre 2!) Benedetto Zorzi a Baccio Valori. - dicembre ItO Guidobaldo del Monto a Galileo. 10 aprilo Iti Galileo a Cappono Capponi. 2 giugno 82 » a Vincenzio Galilei. 11> novembre 38 Guidobnldo dol Monto a Galileo. N dicembre 84 Galileo a Vincenzio Galilei. 28 » 85 Guidobnldo del Monto a Galileo. . 21 febbraio 88 Gio. Vincenzo Piacili > . 3 settembre 87 » • . » ■IO Giovanni Ugaeoioni al Granduca di Toscana. 1 20 » •il Benedetto Zorzi a Galileo. .... 12 dicembre 42 Marc’Autonio Bissaro > lf> * 48 Giacomo Uontarini » 22 • 44 Gullio Sosceride (?) a. 28 * 45 Guidobnldo del Monte a Galileo. 10 gennaio 40 Girolamo Mercuriale * . 3 marzo 47 Galileo a Giacomo Contarmi. 22 » •18 Giacomo Contarmi a Galileo. 2s •19 Livia Galilei * 1 maggio 50 Giulia Anmmnnati Galilei » 29 » 51 Guidobnldo dol Monte » 3 sottembro 52 Alessandro Sertini » 19 novembre 58 Galileo ad Alvise Mocenigo. 11 gennaio 54 Luigi Alamanni a Gio. Battista Strozzi. 7 agosto 55 Galileo a. 14 giugno 50 » a Iacopo Mazzoni. 30 maggio 57 » a Giovanni Kupler. 4 agosto 58 Giovanni Kopler a Michele Mastlin. settembre 50 Giovanni Kepler a (ìaliloo. 18 ottobre 00 Guidobaldo del Monto » . 17 dicembro Gl Giovanni Keplor a Giangiorgio Herwnrt von lluhcnburg. 2G marzo G2 Alessandro d 1 Este a Galileo. 20 » G3 Cosimo Tinelli » .[ 3 aprile G4 Agostino da Mula » . 3 luglio INDICE CRONOLOGICO. 511 Pag. (15 Girolauio Mercuriale a Galileo. ; 9 luglio 1599 74 66 Giovanni Kepler a. . 18 » » 75 (17 Antonio (Rubini a Galileo. 24 agosto » 76 (18 Giovani'rancesco Sagredo a Galileo. 1 settembre » 77 69 Ticono Grati e a (rio. Vincenzo Pinchi. 3 gennaio 1600 78 70 » a Galileo. 4 maggio » 79 71 Galileo a Giulia Ammulinati Galilei. 25 agosto » 81 72 » a Gio. Battista Strozzi . 5 gennaio 1601 82 78 Girolamo Mercuriale a Galileo. 29 maggio » 83 74 Galileo a Michelangelo Galilei. 20 novembre » 84 75 Giovanf’rancesco Sagredo a Galileo. 17 gennaio 1602 86 76 Galileo a Baccio Valori. 13 marzo » » 77 » » ... 26 aprilo » 87 78 » ai Riformatori dolio Studio di Padova. maggio » 88 79 I Riformatori dello Studio ai Rettori di Padova. 9 maggio » 89 80 Giovani’rancesco Sagredo a Galileo. 8 agosto » » SI Edmondo Bruco a Giovanni Kepler. 15 » » 90 82 Giovani'rancesco Sagredo a Galileo. 23 » » » 83 Paolo Sarpi » . 2 settembre » 91 84 Paolo Pozzobonelli » . 12 » » 93 85 Giovali Francesco Sagredo » . 28 » *> 95 86 Lorenzo Pignovia a Paolo Gualdo. 8 ottobre » 96 87 Giovali Francesco Sagredo a Galileo. 18 » » » 88 Galileo a Guidobaldo del Monto. 29 novembre » 97 89 Giovani'rancesco Sagrodo a Galileo. 20 dicembre » 100 90 Francesco Morosini > . 10 gennaio 1603 101 91 Sebastiano Venier » . 23 » » 102 92 Galileo ai Riformatori dello Studio di Padova. 12 febbraio » 103 93 T Riformatori dello Studio ai Rettori di Padova. 20 » » » 94 Edmondo Brace a Giovanni Kepler. 21 agosto » 104 95 Francesco Tengnagel a Gio. Antonio Magini. 1603 » 96 Giovanfraucesco Sagredo a Galileo. 12 aprilo 1604 105 97 Galileo a Vincenzo Gonzaga. . 22 maggio » 106 98 Costanzo da Guscio a Galileo.. 24 » » 108 99 Vincenzo Gonzaga » . 26 » » 109 100 Gio. Camillo Gloriosi » . 27 » p 110 101 Antonio de’Medici » . 28 giugno » p 102 Marco Lentowioz » . 13 agosto » 111 103 Davide Ricques » . 6 settembre » 112 104 Paolo Sarpi » . 9 ottobre » 114 105 Galileo a Paolo Sarpi. 1G > » 115 512 INDICE CRONOLOGICO. 1045 llario Altobclli a Galileo. . 8 novembre 1604 ' l’ag. 116 107 !» P . . . . 25 118 108 Antonio Alberti a Giovanni Malipiero. 17 dicembre 120 101) Cristoforo Glavio a Galileo . 18 » # 110 Leonardo Tedeschi * . 22 » » 122 111 llario Altobelli » . 30 * »• 132 112 « Onofrio Castelli » . 1 gennaio 1005 138 11» Galileo a Onofrio Castelli (?). gennaio P 134 114 ; llario Altobolli a Galileo. 10 » 135 115 Ottavio II ronzoni » . ir» >> 137 Ilo I iialdassaro Capra a dio. Antonio della Croco. l(i febbraio p 141 117 Girolamo Spinelli ad Antonio Quoreugo . 28 * p »» 118 Giovaufrancesco Sugrodu a Gulileo. 12 marzo P 112 110 Alessandro Sertini * . Ili aprile »* * 120 Vincenzo Giugni » . 4 giugno p 114 121 Galileo a Niccolò Giugni. 11 » 145 122 Giovanni del Maestro a Galileo. 15 agosto » 146 12» Cristina di Lorena *• . 25 ottobre P » 124 Asdrubalo llarbolani da Montanto a Belisario Vinta 29 » P 147 125 » » a Ferdinando l, Gran¬ duca di Toscana.. . . . * » » _ 120 Vincenzo Giugni a Galileo. 5 novembre P 148 127 Galileo a Cristina di Lorena. 11 » P 149 188 » a Cosimo de* Medici. 18 P » 120 Cipriano Suraeinelli a Galileo.. 5 dicembre » 150 130 Ottavio firenzoni » . 19 P 152 131 Galileo a Cosimo do’Medici. 29 o » 153 132 Cosiino de’ Modici a Galileo. 9 gennaio 1606 155 1»» Ferdinando Suraeinelli » . 12 » *> 1»4 Vincenzo Giugni » . 21 * » 1 156 135 Galileo a Michelangelo Galilei. 11 maggio » 157 186 Cipriano Saracinolli a Galileo. 26 ** * • 158 137 Asdrubalo llarbolani da Montatilo a Ferdinando I, Granduca di Toscana. IO giugno » 159 138 Vincenzo Giugni a Galileo. 20 » » 160 135) Galileo n Cosimo de* Medici. 10 luglio P » 140 1 Asdrubalo llarbolani da Montauto a Belisario Vinta. 12 agosto p 1» 141 »» *> » ..., 26 » » 161 142 .... a Vincenzo Giugni. 23 settembre P » 148 Cipriano Saracinolli a Galileo. HO »> » > 141 Galileo a. 27 ottobre 1 162 145 ! Giovanl'rancesco Sagralo a Galileo .. . i 2» novembre >■> 168 140 Galileo a Cristina di Lorena. 8 dicembre 4> 161 INDICE CRONOLOGICO. 51 a 147 Tonnnes Anfonius F’elrarolus a Baldassaro Capra ... 1 gennaio 1607 Pag. 106 148 Alessandro del Monte a Galileo. 8 » » » 141) Curzio Piccherai » . 25 » » 167 150 Galileo a Curzio Picchena. 9 febbraio » 168 151 Baldassare Capra a Gioacchino Ernesto di Rrandeburgo 7 marzo » 169 152 Benedetto Castelli a Galileo. 1 aprile » » 153 Giacomo Alvise Cornare ad Aurelio Capra. 4 » 171 154 Galileo ai Riformatori dello Studio di Padova. 9 )> » » 155 Cipriano Saraci nell i a Galileo. 13 » <> 173 15(1 Giacomo Alvise Cornavo » . 21 s> » » 157 » » . 24 » » 174 158 * » . 25 » J> 175 151) Lodovico delle Colombe » . 24 giugno » 176 160 Galileo a Cosimo do’Medici. t> agosto » 177 1(11 » a Girolamo Gannitesi. r> » » 178 162 Cosimo de’ Medici a Galileo. 11 settembre » 179 163 Cipriano Saracinolli » . » s> 180 164 Silvio Piccolomini » . 8 ottobre » 18] 105 Raffaello Guai ter otti » . 20 » » 182 l(J(i Girolamo Magagnati » . 21 » » » 107 Benedetto Castelli a 1). Ennagoni di Padova. 24 » » 183 IGS Galileo a Curzio Picchena. 16 novembre » 184 161) » » . 4 gennaio 1608 186 170 Belisario Vinta a Galileo. 13 » » 187 171 Galileo a Belisario Vinta. 8 febbraio » 18S 172 Sebastiano Venier a Galileo. 17 » » 191 17» Marino Ghetaldi » . 20 » » s> 174 Michelangelo Galilei » . 4 marzo » 192 175 Galileo a Belisario Vinta . 14 » » 194 176 Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo . 21 » >» 195 177 Giuseppe Gagliardi a Galileo . » » 196 178 Belisario Vinta * . 22 » » 197 171) Raffaello Gualterotti » . 29 » » 198 180 Galileo a Belisario Vinta . 4 aprile » 199 181 Belisario Vinta a Galileo . 12 » » 200 182 Antonio Santini » . 18 » » 201 183 Belisario Vinta » . 19 *> » » 184 I Riformatori dello Studio ai Rettori di Padova. » » » 202 185 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo . 22 » » 203 18G » » . 26 » » » 187 Galileo a Belisario Vinta. 3 maggio » 205 188 » » . 23 » » 209 180 Belisario Vinta a Galileo. 29 i> » 210 100 Galileo a Belisario Vinta. 30 A » » 101 Ferdinando Saracinolli a Galileo. 9 giugno » 213 INDICI-: UKONOLUMICO. 102 Belisario Vinta a Galileo. 11 giugno 1608 Pap. 211 193 Galileo a Belisario Vinta... • 20 » 215 104 Ottavio Bronconi a Galileo. .. .... 21 » » 216 195 Alessandro Sertini » . 3 agosto ► 217 tlHi » > .| 5 * 218 107 » » . 18 » 219 108 Pietro Duodo * . 30 »> » •22li 190 Galileo a Cristina di Lorena.. settembro * 221 200 Pietro Duodo a Galileo.. 10 ottobre » 223 201 Curzio l’icchona «• . 18 dicembre » 224 202 Galileo a Cristina di Corona. 19 » > 225 208 Cristina di Corona a Galileo. 8 gennaio 1609 » 204 Galileo a Cristina ili Corona. 16 » v> 226 205 Curzio Picchona a Galileo. 81 » » 227 200 Galileo a Cristina di Co rena. 11 febbraio » » 207 » ad Antonio de’Medici.. .. * « * 228 208 s> a Cosimo li ile’Medici, Granduca di Toscana. 26 > 230 200 » a Vesp. » » 231 210 Pietro Duodo a Galileo. . 6 marzo » 234 211 Alessandro de'Medici a Galileo. » >> b 235 212 Cosimo 11 de’Medici, Granduca di Toscana, a Galileo. 7 * » 230 218 Galileo ai Riformatori dolio Studio ili Padova. 9 » » » 214 Pietro Duodo a Galileo. 10 * » 237 215 * » . » * » 238 210 Giovancosiino Geralilini a Galileo .. 12 » 239 217 Luca Valerio » . 4 aprile » » 218 Lodovico Cardi da Cigoli * . 9 f» 211 210 Giovanfrancesco Sagredo - . 30 » 242 220 Lodovico Cardi da Cigoli » . 22 maggio * 243 221 Luca Valerio » . 23 » »• 241 222 » » . 30 *• * 245 223 Enea Piceolomini Aragona * . 27 giugno » 216 224 Pietro Duodo > . 29 » » 247 225 Luca Valerio » . 18 luglio » 248 220 Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo. . 1 agosto » 250 227 Giovanni Bartoli a Belisario Vinta. 22 » » 228 Galileo a Leonardo Donato, Doge di Venezia.... 24 * * b 220 Alessandro Berlini a Galileo. . 26 » 251 230 Gio. Battista della Porta a Federico Cesi.. .. 28 * 252 231 Galileo a Benedetto Canducci. 29 * » 253 232 Enea Piceolomini Aragona a Galileo.. » * » 254 233 Giovanni Bartoli a Belisario Vinta. » »• » 255 234 Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo. 31 » » 235 Andrea Morosi»i a Galileo. 4 sotteiubrc » 25G 230 «• » » » INDICE CRONOLOGICO, 515 237 Giovanni Bartoli a Bulinano Vinta . 5 giugno 1609 238 .Antonio do’ Medici a Galileo . 12 » * 239 Gio. Battista Strozzi » . 19 » » 240 Enea Piccolomini Aragona *> . » » i* 241 Giovanni Bartoli a Belisario Vinta . 26 » ■» 242 » » . 3 ottobre > 243 Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo. ... . 15 » » 244 Giovanni Bartoli a Bolisario Vinta . 17 » » 245 » » . 24 » »> 246 Giovatii'ranoesco Sagredo a Galileo . 28 » » 247 Galileo a Belisario Vinta . 30 » » 248 Giovanni Bartoli a Belisario Vinta . 31 » » 249 Galileo ai Riformatori dello Studio di Padova . 4 novembre » 250 Belisaldo Vinta a Galileo . 7 » » 251 » a Giovanni Liczko di Uyglice . » s> » 252 Giovanni Bartoli a IJolisario Vinta . » » 253 Galileo » . 20 1> ì> 254 Giulia Aimnannati Galilei ad Alessandro Piersanti. ... 21 » » 255 Ottavio Brenzoni a Galileo. 23 » » 256 Giulia Aimnannati Galilei ad Alessandro Piersanti- 24 » » 257 Galileo a Michelangelo Buonarroti. 4 dicembre » 258 Ottavio Brenzoni a Galileo. 15 » » 259 Galileo ad Antonio de’ Medici (?). 7 gennaio 1610 260 Belisario Vinta a Galileo. 9 » » 261 Giulia Aiumannati Galilei ad Alessandro Piersanti.... » » » 262 Galileo a Belisario Vinta. 30 » » 263 Belisario Vinta a Galileo. 6 febbraio » 264 Enea Piccolomini Aragona a Galileo. » » » 265 Galileo a Belisario Viuta. 13 » » 266 Belisario Vinta a Galileo. 20 » » 267 Raffaello Gualtorotti ad Alessandro Sertini. 1 marzo » 2(58 » a Galileo. 6 » » 269 Galileo a Cosimo 11 de’Medici, Granduca di Toscana 12 » » 270 Mareo Welser a Cristoforo Clavio. » » » 271 Galileo a Belisario Vinta. 13 » » 272 Paolo Sarpi a Giacomo Leschassier. 16 V » 273 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 18 » u 274 Gio. Battista Manso a Paolo Beni. » » 275 » a Galileo. 18 » » 276 Galileo a Cosimo II do’Medici, Granduca di Toscana. 19 » » 277 » a Belisario Viuta. » » » 278 Belisario Vinta a Galileo. » » » 279 Girolamo Selvatico a Francesco Vondrainin. 20 » » 280 » » . 26 » » 281 Enea Piccolomini Aragona a Galileo. 27 » » Pag. 257 » 258 » 259 260 » » 261 » 262 264 » 265 266 267 268 » 269 270 271 272 273 278 279 280 281 282 » 284 285 286 288 !> » 290 » 291 296 297 » 302 303 304 » 516 INDICE CRONO CODICI}. 032 Alessandro Sertini a Galileo. 27 marzo 1610 298 Giovanni Marioli a Molisano Vinta. . » • 294 Belisario Vinta a Galileo.. 30 » » 295 Martino llorky a Giovanni Kepler. 31 » » 286 Ottavio Brenzoni a Galileo. 3 aprile v 297 Benedetto Castelli » . p 1» l> 288 Martino llorky a Giovanni Kepler. 6 ù » 285) Carlo Conti a Galileo. 11 » » 290 Michelangelo Galilei a Galileo. 11 0 P 291 Martino IInsdale » .. 15 *1 » 292 Giorgio Fugger a Giovanni Kepler. li» - p 293 Martino llorky » . » O * 294 Mario Altobelli a Galileo. 17 » 295 Cristina di Lorena a Vincenzo Giugni. 18 » P 290 Giuliano de’Medici a Galileo. 10 P P 297 Giovanni Kepler * . » P • 298 Gio. Antonio Magi ni a Giovanni Kepler. 20 » P 25)9 Chiarissimo Fancelli a Matteo Bartolini. » » p 300 1 Raffaello Gualterotti a Galileo . 24 *> » 301 Martino llorky a Giovanni Kepler. 27 1* a 302 Francesco Maria dol Monte a Galileo . » ì> 308 Martino llasdalo » . » » » 804 Alfonso Fontanelli ad Attilio Roggeri.. aprile (?) P 805 Carlo Bartoli a Galileo. 1 maggio P 300 Giovanni Kepler a Giuliano de’ Mediei. 3 P P 307 Galileo a Belisario Vinta . 7 P P 308 Giovanni Kepler a Gio. Antonio Magini. .. 10 > » 309 Tommaso Mermanni a Galileo. 12 » » 310 Galileo a Belisario Vinta. 21 » » tu Belisario Vinta a Galileo. 22 1» » 312 » a Orso d’Elci . 23 * » 313 Galileo a Matteo Carosio. 24 0 » 314 Martino llorky a Giovanni Kepler . » » » 315 » » . 26 » » 310 Gio. Antonio Magini a Giovanni Kepler. 9 » » 317 Galileo a Belisario Vinta. 28 P * 318 Andrea Minucci a Galileo. » P » 319 Giorgio Fugger a Giovanni Kepler. » P » 820 1 Andrea Labia a Galileo .. 29 » » 821 ! Luca Valerio » . P P P 822 Giov. Camillo Gloriosi a Giovanni Terronzio. » P p 323 Asdrubale Barbolnni da Montauto a Belisario Vinta.. » ì* P 324 Martino Masdale a Galileo. 31 » p 825 Francesco Maria del Monte a Galileo. 4 giugno » 320 Vincenzo Giugni » 5 » p 327 Belisario Vinta * » a » Pag. 305 3» Mi 307 308 809 310 311 » 312 314 310 » 317 318 k 819 341 >• x» 312 343 344 340 347 348 > 353 364 » 365 856 357 358 351) > » 360 301 » 362 303 364 365 367 368 369 INDICE CliONULUGICU. 517 328 Martino Hasdale a Galileo. 7 giugno uno Pag- 370 321) Gio. Battista Manso » . 8 » » 371 «80 Martino Horky ai Dottori di Filosofia e di Medicina doli’ Università di Bologna. 15 » » » «81 Grazio del Monto a Galileo. 16 » » 882 Galileo a Belisario Vinta. . 18 » i* 372 383 Andrea Labia a Galileo. 19 » » 375 384 Gio. Antonio Bottoni a Galileo. 22 » » » 385 Gio. Antonio Magini ad Antonio Santini. » » » 377 838 Ottaviano Lotti a Belisario Vinta. 23 » i> i» 837 Antonio Santini a Galileo. 24 ;> » » 838 Gio. Antonio Magini ad Antonio Santini. » » 378 331) Galileo a Vincenzo Giugni. . 25 » » 379 340 Scipione Borghese a Galileo. 2(1 » 0 382 341 Francesco Maria del Monto a Galileo. » » » 383 342 Belisario Vinta » . * » » » 343 Asdrubalo Barbolani da Montante a Belisario Vinta.. » » » 384 344 Gio. Antonio Bottelli a Galileo. 29 » » X" 346 Borlinghiero Gessi » . 30 » >* 385 340 Martino llorky a Giovanni Kepler. » » » 386 317 » a Francesco Sizzi. » V » 348 Galileo a Belisario Vinta. 2 luglio » 387 840 Boberto Strozzi a Galileo. » » » 388 850 Paolo Maria Cittadini » . 3 » » 389 351 Martino Hasdale » . 5 >* » 390 352 Gio. Antonio Rotteni » . 0 V 391 353 Matteo Botti a Belisario Vinta. » » » 392 354 Mussimiliano, Duca di Baviera, a Galileo. 8 » !> 393 355 Bartolomeo Schvotor » . » » » » 350 Antonio Santini » . 10 » 397 357 Alessandro Sertini » . » » 398 858 Martino Horky a Paolo Sarpi. » V >* 399 850 Cosimo II, Granduca di Toscana, a Galileo. » » » 400 •Mio Martino Hasdale » . 12 » U 401 301 Galileo a Belisario Vinta. 16 J» » 403 302 Giuliano de’ Medici a Galileo. 19 » » * 303 Orso d’Elci a Belisario Vinta. 22 t> f 404 304 Galileo a Cosimo II, Granduca di Toscana. 23 » » 405 305 Giovanni Ciampoli a Galileo. . 21 » » » 300 Francesco Maria del Monte a Galileo. » » » 407 307 Alessandro Peretti di Montalto » . » » » » 808 Gio. Antonio Rotteni » . 27 » » 408 30» Roberto Strozzi » . 29 » » 409 «70 Galileo a Belisario Vinta. 30 » » t> 371 Odoardo Farnese a Galileo. 6 agosto » 410 «72 Alessandro Sertini » . 1 7 » » 1 411 518 INDICE CRONOLOGICO. «73 Francesco Sizzi a Giovanni de’ Medici . 7 agosto Kilt) •big. 413 374 Giovanili lvepler a Galileo. il » » * 375 Mai-tino Guadale » . .. » » » 417 373 Giovanni Kepler a Martino Horky. » » ! 419 377 Gio. Antonio Itofieni a Galileo.1 1(5 » » » 378 Martino Guadale » . ' 17 * » 420 379 Ga unito a Giovanni Kepler.i 19 :> » 421 380 Gio. Antonio RoiFeni a Galileo . 1 » » » 423 381 Belisario Vinta » . » * > » 382 Galileo a Belisario Vinta. 20 > » 424 083 Gio. Camillo Gloriosi ai Riformatori dello Studio di Padova. » » » 425 384 Giuliano de’ Medici a Galileo. . 23 » » 421) 395 Martino Ilasdale » . 24 » » > 383 Giuliano do’ Medici » . (> settembre » 427 397 Michele Miistlin a Giovanni Kepler. 7 » » 428 389 Gio. Antonio Magini a Spinello Benci. 8 » *• 429 389 Andrea Gioii a Belisario Vinta.j 18 ► » 430 390 Francesco Stellati a Gio. Battista Stellati .. 15 » > > 391 Galileo a Cristoforo Clavio. 17 •> j» 431 392 Francesco Pinelli a Galileo. » » » 132 398 Galileo a Virginio Orsini. 18 » » 433 394 Matteo Botti a Belisario Vinta.. 19 * » » 395 Lorenzo Pi gnor in a Paolo Gualdo . » » * 434 390 Luca Valerio a Galileo. ... 24 » * X 397 Antonio Santini . 25 » 435 398 Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo. 20 * » 130 399 Benedetto Castelli a Galileo . 27 » i » 400 Gio. Antonio Magi ni » . 28 » * 437 401 Galileo a Cosimo II, Granduca di toscana . » » ■139 402 » a Giuliano de’ Medici . 1 ottobre » P 403 Lodovico Cardi da Cigoli a Galiloo . » P s> 141 404 Gio. Antonio Magini » . 2 » » ! 442 405 Virginio Orsini » . 448 444 400 Francesco Maria del Monte » . 9 • » 407 Antonio Santini » . 1 « A » » 408 Gio. Antonio Magini >> 15 445 409 Galileo a Michelangelo Buonarroti ... Hi > » 440 410 Pietro Duodo a Galileo . 1 v> » » 447 411 Giovanni Wodderborn a Enrico Wottou.. *> o 448 412 Giuliano de’Modici a Galileo . 18 w » P 413 Fortunio Li ceti » . 22 » » 449 414 Gio. Antonio Magini » .... 23 » 450 415 Luca Valerio » » » T> 451 410 Michelangelo Buonarroti » _ * » 452 417 Tommaso Seggett » 24 P P 454 418 INDICE CRONOLOGICO. Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 24 ottobre 1610 519 rag. 45(5 410 Giovanni Kepler » . 25 » » 457 •4-0 Marco Welser t> . 21) » » 400 421 Giovanni Kepler a Giuliano do’Medici. » » 462 422 Gio. Antonio Magini a Galileo. 2 novembre » 4(53 438 Antonio Santini » . (i » 464 424 Galileo a Marco Welaer. 8 » » 465 425 » a Giangiorgio Brenggcr. » » » 4(5(4 420 Gio. Antonio Magmi a Galileo. 1) » » 473 427 Galileo a Giuliano do’Medici. 13 » » 474 428 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. » » » 475 420 Gio. Antonio Magini » . 20 » » 476 430 Faolo Gualdo » . 25 » » » 431 Lodovico Cardi da Cigoli » . 2(5 » » 478 432 Giuliano do’Modici » . 29 » v> » 438 Antonio Santini » . 4 dicembre y> 479 434 Benedetto Castelli » . 5 » » 480 435 Galileo a Giuliano de’ Medici. 11 » » 483 •130 * a Paolo Gualdo. 17 » 484 437 - Cristoforo Clavio a Galileo. » t> » t> 438 Giovanni Koplor a Filippo Miiller(V). 18 » » 485 480 Martino llascialo a Galileo. 19 » » 491 440 Giuliano de’Medici » . 20 » » 493 441 Benedetto Castelli » . 24 » » » 442 Odoardo Famose » . » » » 494 443 Antonio Santini » . 25 » » 495 444 Gio. Antonio Magini * . 28 » » 496 445 Paolo Gualdo » . 29 » » 497 440 Galileo a Cristoforo Clavio. 30 » » 499 447 t > a Benedetto Castelli . » » » 502 448 Fortunio Liceti a Galileo. 31 » » 505 440 Giovanni Kepler > . » » 506 450 Gio. Battista della Porta a Federico Cosi. 1610 508 ÌNDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. X (1574-1610). Alamanni Luigi ft (rio. Battista Strozzi Alberti Antonio a Giovanni Mnlipiero. Altobelli llario a Galileo. » » . » » .. N» Pag- 7 aposto 1594 54 66 17 dicembre 1604 108 120 3 novembre » 106 116 25 » t- 107 118 30 dicembre » 111 132 10 gennaio 1605 114 135 17 aprile 1610 294 317 1 maggio » 805 347 22 agosto 1609 227 250 29 » » 233 255 5 settembre » 237 257 26 » » 241 259 3 ottobre » 242 260 17 » » 244 » 24 » » 245 261 31 » » 248 264 7 novembre » 252 267 27 marzo 1610 283 306 8 luglio » 354 393 15 dicembre 1592 42 51 20 giugno 1610 840 382 6 luglio » 353 392 19 settembre » 304 433 4 maggio 1600 70 79 3 gennaio » 60 78 15 » 1605 115 137 19 dicembre » 180 152 21 giugno 1608 104 216 23 novembre 1609 255 269 15 dicembre » 258 272 3 aprile 1610 286 309 x. GG b'2'2 INDICE ALFABETICO. Brace Edmondo a Giovanni Kopler » » . Buonarroti Michelangelo a Galileo. Cucinili Enrico al Senato di Bologna. Capra Baldnssare a Gioacchino Ernesto di Brandeburgo. x> a Gio. Antonio della Croce. Cardi da Cigoli I.odovico a Galileo. » » » » » * » «* Coscio (da) Costanzo » Castelli Benedetto a I). Ennngorn di Padova » u Galileo. » » - > » - » »... » »... Castelli Onofrio » elaiopoli Giovanni » doli Andrea a Belisario Vinta. Cittadini Paolo Maria a Galileo Clavio Cristoforo » » > » » Coignet Michele Colombe (dello) Lodovico Contarla 1 Giacomo » Conti Carlo Cornar» Giacomo Alvise » » » » . » . » . » . » . s> . » . ad Aurelio Capra a Galileo. » . » . Duodo Pietro a Galileo N° Pag. 15 agosto 1002 81 90 21 p 1603 94 104 25 ottobre 1610 410 452 10 febbraio 1588 11 20 7 marzo 1607 151 169 1<) febbraio 11.05 110 141 » aprile 1009 218 241 •>•> *-* — maggio » 220 243 IH marzo 1610 278 290 1 ottobre fi 403 441 24 » » 418 •150 13 novombro fi 428 475 20 » fi 481 478 24 maggio 1604 08 108 21 ottobre 1607 107 183 1 aprile » 152 109 3 * 1610 287 310 27 settembre » 899 430 5 dicembre » 484 480 24 » » 441 493 1 gennaio 1605 112 133 24 luglio 1610 866 405 13 settembre » 889 430 3 luglio » 850 389 16 gennaio 1588 9 24 5 marzo » 18 29 18 dicembre 1604 109 120 17 » 1610 •187 484 31 marzo 1588 10 31 24 giugno 1007 159 170 22 dicembre 1592 48 52 28 marzo 1593 48 57 11 aprilo 1610 280 311 4 » 1007 158 171 21 » » 156 173 24 » » 157 ITI 25 » » 158 175 3( agosto 1008 198 220 10 ottobre » 1 200 223 6 marzo 1009 210 234 10 » » 214 237 » » » 215 238 29 giugno » 224 247 1(> ottobre » 410 447 INDICE ALFABETICO. Bici (d*) Orso a Belisario Vinta. Uste ( » V » Galileo a Giangiorgio Brengger. * Michelangelo Buonarroti.. » » . » Cappone Capponi. » Matteo Carosio. » Benodefcto Castelli . » Onofrio Castelli. t> Cristoforo Clavio. » » . » » . 9 * .. s> Giacomo Contari ni. » Leonardo Donato. » Michelangelo Galilei. » » . » Vincenzio Galilei. » . » Giulia Ammnnnnti Galilei. » Lorenzo Giacomiui. » Niccolò Giugni. » Vincenzo Giugni. » Vincenzo Gonzaga. » Paolo Gualdo. v Giovanni Keplcr. » » . /> Benedetto Landucci. » Cristiua di Lorena. > » . 523 N° Png. 22 luglio 1610 868 404 20 marzo 1599 62 72 21 aprilo 1010 299 341 f. agosto > 371 410 24 dicembre » 442 494 aprile (?) » 304 346 10 aprile 292 316 28 maggio » 319 361 marzo 1008 177 196 1 maggio 1593 49 60 4 marzo 1008 174 192 14 aprile » 290 312 29 maggio 1593 50 61 21 novembre 1609 254 268 24 » » 256 270 9 gennaio 1610 261 279 8 novembre » 426 466 4 dicembre 1009 257 271 10 ottobre 1610 40» 446 2 giugno 1590 81 43 21 maggio 1010 313 357 30 dicembre » 447 502 gennaio 1605 113 134 8 gennaio 1588 8 22 25 febbraio » 12 27 17 settembre 1010 391 431 30 dicembre » 446 499 22 marzo 1593 47 55 24 agosto 1609 228 250 20 novembre 1601 74 84 11 maggio 1006 136 157 15 novembre 1590 32 44 26 dicembre » 34 46 25 agosto 1000 71 81 5 ottobre 15S9 28 41 11 giugno 1605 121 145 25 » 1610 339 379 22 maggio 1004 97 106 17 dicembre 1610 436 484 4 agosto 1597 57 67 19 » 1610 379 421 29 » 1609 281 253 11 novembre 1605 127 149 8 dicembre 1606 146 1 161 524 INDICE ALFABETICO. Galileo a Cristina «11 Lorena Iacopo Mazzoni. Antonio de’ Medici . Antonio de* Medici (?) Cosimo do’ Modici Giuliano do’ Medici Alvise Moconigo. Guidobaldo dol Monte » Virginio Orsini. Curzio I'iochonn . Girolamo Qnnratesi.. ai Riformatori dolio Studio di Padova » * » » » » :> a Taolo Serpi. »» Gio. Battista Strozzi .. . » Baccio Valori. » » . . . » Belisario Vinta. * i> . » » . » » » » 0 *> > » » p » » » I N° I'ag. settembre 1608 199 221 li) dicembre » 202 225 1(1 gennaio 1009 204 220 11 febbraio » 200 227 30 maggio 1697 56 07 11 febbraio 1009 207 228 7 gennaio 1010 259 278 18 novombre 1005 128 149 20 dicembre » 131 153 10 luglio 1606 180 160 24 agosto 1007 100 177 26 febbraio 1009 208 230 12 marzo 1610 209 288 li) * » 270 297 23 luglio » 804 405 settembre » 401 439 1 ottobre » 402 » 13 novembre > 427 474 11 dicembre * 485 483 Il gennaio 1594 53 01 10 luglio 1588 19 35 29 novembre 1002 88 97 18 settembre 1610 303 483 9 febbraio 1007 150 108 10 novembre p 108 184 4 gennaio 1608 169 180 24 agosto 1007 101 178 maggio 1002 78 88 12 febbraio 1003 92 103 9 aprilo 1007 154 171 9 marzo 1009 213 230 4 novembre » 249 201 10 ottobre 1004 105 115 5 gennaio 1001 72 82 18 marzo 1002 70 80 20 aprilo p 77 87 8 febbraio 1008 171 188 14 marzo » 175 194 4 aprilo » 180 199 3 maggio p 187 205 23 » 188 209 30 * 190 210 20 giugno » 193 215 30 ottobre 1009 217 202 20 novombre » 253 268 30 gennaio 1610 202 2t0 indice alfabetico. 525 («alileo a Belisario Vinta u » » » ■) s> v> »> » 7» » » P » .. » » . # » . » Marco Welsor. » Vesp. . » a . . . . .. » a. Giorni<11 ni (ìiovancosimo a (laliioo Glossi Boriinghiero * Glielnldl Marino >. Gl lutili Vincenzo i> r> » » » p » » Gloriosi Gio. Camillo » » a Giovanni Tcrrenzio. * ai Riformatori dello Studio di Padova . Gonzaga Vincenzo a Galileo. Gualdo Paolo » . » » . Guai toro tti Raffaello » . » » y> » >• » . ad Alessandro Serti ni Hasdalo Martino a Gallico >' '* » » » » » » » >> » » » » » » !> i> 13 febbraio 1610 N» 265 Pag- 283 13 marzo » 271 288 19 » r> 277 297 7 maggio * 807 348 21 ^ » 810 354 28 »• 817 359 18 giugno » 832 372 2 luglio » 848 387 16 f » 861 403 30 » 870 409 20 agosto » 882 42 4 8 novembre » 424 165 febbraio 1609 20» 231 14 giugno 1596 55 66 27 ottobre 1606 144 162 12 marzo 1609 216 2J9 30 giugno 1610 845 385 20 febbraio 1.608 178 191 4 giugno 1605 120 144 5 no verni irò » 126 148 21 gennaio 1606 184 156 20 giugno » 138 160 5 » 1610 826 368 27 maggio 1604 100 no 29 o 1G10 822 363 20 agosto » 383 425 26 maggio 1601 99 109 25 novembre 1610 430 476 29 "dicembre » 445 497 20 ottobre 1607 105 182 29 marzo 1608 17» 198 6 » 1610 208 286 24 aprile * 800 341 1 marzo » 207 285 15 aprile 1610 291 314 28 > » 808 344 31 maggio » 824 365 7 giugno 828 370 5 luglio p 351 390 12 » » 800 401 9 agosto » 375 417 17 » » 878 420 24 » 885 426 19 dicembre » 439 491 520 INDICE ALFABETICO. llorky Martino ai Dottori di Bologna » a Giovanni Keplcr .. » » » » » > » » » » » » » a Paolo Sarpl. » a Francesco Sì/.zi- Koplcr Giovanni a Galileo. » » . * » . » >* . V » . y. a Giangiorgio Horwart von lloUcnburg. » a Martino llorky. » a Michele MiLsllin . ?> a Gio. Antonio Magiui. » a Giuliano do’ Modici. » » ...... » a Filippo Milllor (?). » a. Laida Andrea a Galileo. » » . Lcntowicz Marco » . Licoti Fortume » . » T> . Lorena (di) Cristina » . » » . » a Vincenzo Giugni. Lotti Ottaviano a Belisario Vinta. Maestro (del) Giovanni a Galileo.... Magagnati Girolamo » .... Magi ni Gio. Antonio a Spinello Beaci » a Galileo. » » . » » . » » » » » » N" Pag. 16 giugno itilo 330 371 SI marzo * 285 308 6 aprilo ► 288 311 10 » » 293 316 27 » » 801 342 24 maggio » 314 358 20 » » 815 359 30 giugno » 846 386 10 luglio » 868 399 giugno » 847 386 13 ottobre 1597 69 69 11) aprilo uno 297 319 9 agosto » 374 413 25 ottobre r> 419 457 dicembre » 449 506 20 marzo 1598 (il 72 9 agosto 1610 376 419 settembre 1597 68 69 10 maggio 1010 308 353 3 » 306 348 ottobre » 421 462 18 dicembre 1610 488 485 18 luglio 1599 66 75 29 maggio 1610 820 361 19 giugno » 333 375 13 agosto 1604 102 111 22 ottobre 1610 413 449 31 dicembre » 418 505 25 ottobre 1605 128 146 8 gennaio 1609 208 225 18 aprile 161-0 295 318 23 giugno 1610 336 377 15 agosto 1605 122 146 21 ottobre 1(107 166 182 8 settembre 1610 888 429 28 » » 400 437 2 ottobre » 404 442 15 > » 408 445 23 » » 414 450 2 novembre » 422 463 9 * s 426 473 20 » s> 429 476 INDICE ALFABETICO. 527 Munito Gio. Battista a Paolo Beni Medici (do’) Alessandro » Medici (do*) Antonio » » » Medici («le’) Cosimo » Medici (do*) Giuliano » Mercuriale Girolamo s> » Meritimi ni Tommaso Minucci Andrea Monte (del) Guidobaldo » 28 dicembre 1610 20 aprile » 2(5 maggio » 22 giugno » » i> marzo » 18 & » 8 giugno 7 settembre 1610 6 marzo 1609 28 giugno 1604 12 settembre 1609 9 gennaio 1606 11 settembre 1607 7 marzo 1609 10 luglio 1610 19 aprile » 19 luglio » 23 agosto » G settembre » 18 ottobre » 29 novembro » 20 dicembre » 3 marzo 1593 9 luglio 1599 29 maggio 1601 12 » 1610 28 » » 24 luglio » 29 ottobre 1605 10 giugno 1606 29 ottobre 1605 12 agosto 160(i 26 > » 29 maggio 1610 26 giugno » 8 gennaio 1607 28 aprile 1610 4 giugno >> 26 > » 24 luglio » 9 ottobre » 16 gennaio 1588 24 marzo » 28 maggio » 17 giugno » 528 INDICE ALFABETICO. Monte (del) Guidobaldo a Galileo. Monto (del) Orazio Morosi»! Andrea Morosità Francesco .Mula (da) Agostino 22 luglio 10 settembre 7 ottobre 30 dicembre 3 agosto 10 aprile 8 dicembre 21 febbraio 10 gennaio 3 settembre 17 dicembre 16 giugno 4 settembre 10 gennaio 3 luglio Orsini Virginio 8 ottobre Petrnrolus I. A. a Bnldassare Capra. 1 Plcchena Curzio a Galileo. 25 » » . 18 » » 31 Piccoloinini Silvio » 8 Piccolominl Aragona Enea a Galileo. 27 » i> 29 » » 19 » » . 6 » » 27 Pignoriu Loronzo a Paolo Gualdo. 8 » » . 21 l'inclli Cosimo a Galileo. 3 Piacili Francesco » . 17 Pinoli! Gio. Vincenzo » . 3 » » 9 » » 25 Porta (della) Gio. Battista a Federico Cesi. 28 gennaio » dicembre gennaio ottobre giugno agosto settembre febbraio marzo ottobre marzo agosto i> ottobre settembre » aprile settembre Pozzobonclli Paolo a Gallico. 12 agosto 1(510 settembre Quirinl Antonio 24 agosto INDICE ALFABETICO. llicasoli Baroni Giovanni u Francesco Guadagni, ccc.. '> u Neri llicasoli Baroni. llicasoli Baroni Giovanbatista a Ruberto Pnndolflni... lliccoboni Antonio a Galileo. Ilicquos Davide » . Riformatori dello Studio ai Rettori di Padova. » t> » » i> » ltoiToni Gio. Antonio a Galileo. . » » . » » . • *> » . » » . y » . Sagredo Giovanfrancesco » » » z* » x> » » » » » j> » » » ■» » » » » » » » » » i» » Santini Antonio » » » » » » » t> n > » » » » » Snrnclnelli Cipriano » » » » » » » » * Saracinolli Ferdinando » > » Sarpi Paolo » » *> 521 ) N° Pag- 15 giugno 1589 26 40 11 maggio » 24 39 25 » » 25 40 li marzo 1588 14 30 6 settembre 1604 103 112 !) maggio 1602 79 89 20 febbraio 1603 93 103 19 aprilo 1608 184 202 22 giugno 1610 334 375 29 » » 344 384 G luglio » 852 391 27 » » 368 408 1G agosto » 377 419 19 » » 380 423 1 settembre 1599 68 77 17 gennaio 1602 75 86 8 agosto » HO 89 23 » » 82 90 28 settembre » 85 95 18 ottobre » 87 96 20 dicembre » 89 100 12 aprile 160-1 96 105 12 marzo 1605 118 142 23 novembre 1606 145 163 22 aprilo 1608 185 203 26 » » 186 » 30 » 1609 219 242 28 ottobre » 246 261 18 aprile 1608 182 201 24 giugno 1610 337 377 10 luglio » 856 397 25 settembre » 897 435 9 ottobre » 407 444 G novembre » 428 464 4 dicembro » 488 479 25 » » 443 495 5 » 1605 129 150 2G maggio 1606 186 158 30 settembre » 148 161 13 aprile 1607 155 173 11 settembre » 163 180 12 gennaio 1606 183 155 9 giugno 1608 191 213 2 settembre 1602 88 91 9 ottobre 1604 104 «7 114 x. 530 INDICE ALFABETICO. Stirpi Paolo a Giacomo Leseliassier. Sascorido Gollio a (?). Scliriiter Bartolomeo a Galileo. Seggett Tommaso » . Selvatico Girolamo a Francesco Verni rumili.. i> » Sertini Alessandro a Galileo. » » . » » . 9 » . » » . » » . » » . t> » . » fi . Si/zi Francesco a Giovanni de* Medici. Spinelli Girolamo ad Antonio (Jucrcngo. Stellali Francesco a Gio. Battista Stellili!... Strozzi Gio. Battista a Galileo. Strozzi Roberto » . » » . Todaldi Muzio a Vincenzio Galilei. » s> . » » . » » . » " . » » . Tedeschi Leonardo a Galileo. Tenguagel Francesco a Gio. Antonio Muglili. Uguccioni Giovanni al Granduca di Toscana. » a Belisario Vinta. Valerio Luca a Galileo. » » . » » . j> » . p » . » » . » » . Vonler Sebastiano » . » » . ' . Vinta Belisario a Orso d’Elei. » a Galileo. » • p . 16 marzo 1610 N" 272 Pag. 290 28 dicembre 1592 44 53 8 luglio 1610 «55 393 2-1 ottobre » 417 454 20 marzo » 279 303 26 » » 380 304 19 novembre 1593 52 63 16 aprile 1605 119 142 3 agosto 1608 195 217 5 » » 19(1 218 18 » 197 219 26 » 1609 229 251 27 marzo 1610 2S2 305 IO luglio •» 857 398 7 agosto » 872 411 » t> t> 878 ; 413 28 febbraio 1605 117 141 15 settembre 1610 890 430 19 » 1609 239 258 2 luglio 1610 349 388 29 » » 309 409 13 gennaio 1671 1 17 9 febbraio fi 2 1 »> 10 marzo fi 8 18 •1 gennaio 1575 4 19 29 aprile 1578 6 » 16 luglio fi 0 20 22 dicembre 1604 110 122 1603 95 104 26 settembre 1592 40 50 21 » j> 38 49 4 aprile 1609 217 239 23 maggio » 221 244 30 » » 222 245 18 luglio » 225 248 29 maggio 1610 821 362 24 settembre » 396 434 23 ottobre » 415 451 23 gennaio 1603 91 102 17 febbraio 1608 172 191 23 maggio 1610 312 35(5 13 gennaio 1608 170 187 22 marzo » 17.8 197 INDICE ALFABETICO. Vinta Belisario a Galileo. 12 aprile 1608 N o 1S1 » » . 19 » » 188 » » . 29 maggio » 189 » i> .... . 11 giugno » 192 » » ... 7 novembre » 250 » D .. 9 gennaio 1610 260 » 6 febbraio » 263 » /> ... 20 » » 266 » i .. 19 marzo » 278 » 80 » » 2S4 » 22 maggio » 811 » » . 5 giugno » 827 » » . 26 » » 842 » » . 19 agosto 9 881 » a Giovanni Liczko di Ryglicc. 7 novembre 1609 251 Wolaor Marno a Cristoforo (.'Invio. 12 marzo 1610 270 » a Galileo. 29 ottobre » 420 YVodderborn Giovanni a Enrico Wotton. 16 » » 411 Zorzi Benedetto a Galileo. 12 dicembre 1592 41 » a Baccio Valori. 2 » 1589 29 4 settembre 1609 236 23 * 1606 142 .a 1588 7 531 Pag. 200 201 210 214 205 278 281 284 302 807 355 369 383 423 266 288 160 •148 50 42 256 161 21 INDICE DEL VOLUME DECIMO. Carteggio. — 1574-1642.Pag. 7 Avvertimento . 9 Carteggio. — 1574-1610. 15 Indico cronologico dello lettere contenute noi Voi. X (1574-1610). 509 Indico alfabetico dolio lettere contenute nel Voi. X (1574-1610). 521 yv K > LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XI FIRENZE sociktA anonima G. BARBÈRA EDITORE 1934 - XII LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume XI. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE BOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. IL EE D’ITALIA E DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XI. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. 80CIKTX anonima 19 34-XII. KdIZIONR DI SK1CKNTO ttRUPUltl. ESEMPLARI N* 169 FIRENZE, 229-1033-34. - Tipografia Harl>*rm - Al.fAM K Tgvrvftl proprietari Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CEIIRUTI — G. GOVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale k posta sotto gli auspicii DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ABETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1611 - 1613 . 451 GALILEO a [GIULIANO DE’ MEDICI in Praga]. Firenze, 1° gennaio 1611. Riproduciamo questa lotterà dallo pag. 16-20 doli’opuscolo citato nell’informarono premessa al n.° 427. 111." 10 et Iiever. mo Sig. re mio Col. 1 " 0 È tempo elio io docifori a V. S. Ill. ma et R. ma , et per lei al S. Ke¬ plero, le lettere trasposto, le quali alcuno settimane sono gli inviai l1) : ò tempo, dico, già che sono interissimamente chiaro della verità del fatto, sì che non ci resta un minimo scrupulo o dubbio. Sapranno dunque come, circa 3 mesi fa, vedendosi Venere ve¬ spertina, la cominciai ad osservare diligentemente con l’occhiale, per veder col senso stesso quello di che non dubitava P intelletto. La veddi dunque, sul principio, di figura rotonda, pulita et terminata, io ma molto piccola : di tal figura si mantenne sino che cominciò ad avvicinarsi alla sua massima digressione, tutta via andò crescendo in molo. Cominciò poi a mancare dalla rotondità nella sua parte orientalo et aversa al sole, et in pochi giorni si ridusse ad essere un mozo cerchio perfettissimo ; et tale si mantenne, senza punto alte¬ rarsi, sin che incominciò a ritirarsi verso il sole, allontanandosi dalla tangente. Plora va calando dal mezo cerchio et si mostra cornicolata, et anderà assottigliandosi sino all* occultazione, riducendosi allora con corna sottilissime; quindi, passando ad apparizione mattutina, la ve¬ dremo pur falcata et sottilissima, et con le- corna averse al sole; Lett. 451. 8. le lue traipoite — 4. inlerinima mtnte — del verità — 7. cornei inefai — diligente mente — 9. vedi — 10. comminced — 12. Commineid — 18. averci! il iole — 15. «ncommmoid — 17. nndarà — al oc cui- fazione — 18. come lettiliiiime — 19. robtiliiiima — co» le come — Cfr. n.° 485. E circa lo « lottore trasposto» del Keplzr alla sua Dioptrice, pag. 15, o il Voi. Ili, concernenti Saturno (cfr. n.® 427), vedi la Prefazione Par. I, pag. 185, lin. 18 o seg., della nostra edizione. 12 1® GENNAIO Itili. 1461] nuderà poi crescendo sino alla inanima digressione, dove sarà * mi- a> circolare, et tale, senza alterarsi, si manterrà molti giorni , et poi dal mezo cerchio passerà presto al tutto tondo, et cosi rotonda h i conserverà poi per molti mesi. Ma è il suo diametro i l o circa cui que volte maggiore di quello che si mostrava nella sua prima appa¬ rizione vespertina: dalla quale mirabile esperienia bariamo h* rinata et certa dimostrazione di due gran questioni, state sin qui dubbi* tra’maggiori ingegni del mondo. L’una <*, che i pianati tutti nono di loro natura tenebrosi (accadendo anco a Mercurio 1' n*t« v>o e h* a Ve nere) : 1’ altra, che Venere necessariissimamente si volge intorno .d sole, come anco Mercurio et tutti li altri pianeti, cosa ben cr» duta so da i Pitagorici, Copernico, Keplero et ine, ma non sensatamente provata, come bora in Venere et in Mercurio. Uaveranno dunque il Sig. Keplero et gli altri Copernicani da gloriarsi di bavere cr» duto et filosofato bene, se bene ci è toccato, et ci è p r toccare ancora, ad esser reputati dall’universalità de ì filosofi in litui* p.-r poco intendenti et poco meno elio stolti. Le parole dunque che man¬ dai trasposte, et che dicevano Jlaee irti mal tua a »m* fm4r a Iryun- tur o y, ordinate Cynthiae fiyuras acmulalur maUr amium, ciò «• chu Venere imita le figure della luna. Osservai 3 notti sono l’eclisse, nella quale non vi è coma notabile: Ma forte 1* istro mento di V s . i cavarebb di questi dubbi a vista d’occhio; et le pomo dire che il tu «lo d- :* fabrica è molto desiderato in questo parti: et havendo Iti data intenti ne puhli.amcnte di a> divagarne la theoria, si presuppone che le ne nasca oblig»» ; di che parò è dovere rimettersi alla sua mera volontà, come ano ra il c.'imnunu ire *1 mondo tanti altri suoi trovati, de’quali corre sorda voce par tutto; ma io malamente mi risolvo di credere, se non quel Unto che lei tteasa alleala. Kt reato eoa boc¬ ciarlo la mano, pregandole felicissimo (àpo d anna Di Augusta, a'7 di Gennaio 1611. Di V. S. molto 111.* et Ecc.** Servit* Marco Velieri Fuori: Al molto III* et Eco.** S.** mio Osa.“* [Il S.] or Galileo Galilei. 40 Firenxe. 453 . MARCO WELSER a CRISTOFORO CI.AVIO fin Roma) Augusta, ? (tornio 1611. Bibl. Naz. Flr. M«. f»al., P. VI, T. XIV, e*r. 20. Cfr. I'IiIuiuIim i f7n tot confido poter espugnar alcuni di cotesti filosofi, o per dir meglio non credo che ano per c«*rr 10 così facili a lasciarsi cacciar da me queste carote. A Pica * morto il filosofo libri, acer¬ rimo impugnatore di queste mie ciancio, il quale, non lo hamMo mai voluto rsdrr in terra, le vedrà forse nel passar al cielo >. Desidero, V. R.** confermi l’aviso, in quanto tocca lei et suoi scolari, per cavarci totalmente di dubbio. Et bacciand'do la mano, mi raccomando allo mi» ante orationi. Di Augusta, a’7 di Geun* IMI. Di V. R.** < l > Cfr. n.» 486. AH- Servii.* Marco Velieri L454-455J i 9 GENNAIO 1(511. 15 454*. MARCO WELSER a PAOLO GUALDO fin Padova]. Augusta, 7 gennaio 1611. Blbl. Marc, in Venezia. Cod. LXVIII della Cl. X lt.. car. 85. — Autografa. _Renilo a V. S. sommo grazie per il capitolo della lettera del S. or Galilei commu- nicatomi, so bene non penetro punto quel verso mistico a me assai più oscuro che non fu l’antico Aio et Aeacides, perchè in quello il vincere era corto, consistendo la difficoltà solo nello scambiamento dell’attivo et passivo, dove che questo 0 , y mi mette totalmente fuor di sesto, senza eh’ io sappia puro sotto qual predicamento registrarlo. V. S. non mi manchi di conservarmi la grazia di questo valenthuomo, che a poco a poco fa condescender alle suo propositioni gli più ritrosi ; nò mi pare di sentire più quo’ tanti oppositori elio gli minacciavano contra. Ho risposto alla sua letteraW, e spero che le mio scuse, d’Lavorio l'atto un poco tardi, debbano passar per buone- 455. GIOVANNI KEPLER a GALILEO [in Firenze]. [Praga], 9 gennaio 1611. Blbl. Naz. PIr. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 7. — Autografa. Quas ad Ul. ,n Magni Ducis Hetruriae Oratorem dedisti literas 11 Decem- bris (3) , ipsius concessu legi. Mira me differs cupiditate cognoscendi, quodnam argumentum illud quod ex tertia tua observationc extrudis. Nam duae obser- vationes praecedentes tantum liabent raritatis, ut de tertia, quae tituiis insuper commendatur, nihil vulgare praesuniam. Obsecro, id ne nos diu celes, quicquid est: vides, tibi rem esse cura Germanis germanis. Ego, impatientia occulti, literas varie digessi. Nihil quod successerit habeo, nisi hoc: Nani Iovcm gyrari macula hem rufa testatur. Caotera imperfecta : io Maculam rufam gyrari notavi eie.; (•) Galilro aveva comunicato anche a Paolo Gualdo (cfr. n.o 445) i’ftiiagrainma rolativo allo fasi ili Venero, inviato a Giuliano db’ Medici (cfr. n.» 435), ad Antonio Santini (cfr. n.° 443) e a Gio. Antonio Uovì'KNI (cfr. u.° 444, liu. 90). Molto probabilmente sarà stato incluso nella lettera del 17 dicembre 1010, di cui noi pubblichiamo il capitolo, cho co no perven¬ ne, sotto il n.° 430. <«> Cfr. n.» 452. « a > Cfr. il» 435. 16 9 GENNAIO 1611. IWJ Macula rufa in love eri, gyrcdur matkem d< ; Solerti gyrari etc.; Firmawmtum maculai hard gyratur q lov< d ; Saturnum et Marlem gyro maculai tic. ; Mercurium fiamma haurit de.; Theatrum cèleri gyratur foni avìum de. Vidon in quas me coniiciaa miseria*, tua reticenti*? Itaque d«*in*m de hi*: ad tuarum literarum caput venio. Petis responsum ad duna epistolaa ultima*. Non arcopt ab* U nui un am, scriptam 19 Augusti 1 ' 1 , ad quam rispondi. legisti re»pon»uui r> . Rrpln a»U cium » indealiqua literia ad 111» Oratore», acriptis 13 Novembri* Altera* e*.p<- tare vului: audivi enim ab 111. 0 Oratore, illa* errare. None, qui* penna* illa* video, paucula respondebo ad illas do 13 Novembri* ad Oratort-m. Piane mira est obBervatio vetuli illiu* Incorpori* Ucrjoaia, in quo rin i« ndo inque terras deducendo tu te alterimi praeetitiiti Herculen». Kui raroo idonei* instrumentis diguoscendi tres hosce globo*: ncque quod Elector ab* te habet, nloneum fuisset 10 ; quadrangola* enim exbibuit »t*llaa, ìpsumqoe adeo Saturnum. Caeterum, quod attinet speciom tricorporem, ridere t mi»*» etiaiu a*, jue etiam, e an perpetuo sit constane: auperest enim, ut pictum ride* in mar¬ gino litcra A, modus quo tres non oontigui ndcantur contigui. *> Atque hoc si est quod pinxi, possibile sano est ut, i quieti aint C, D,E respoctu sui ipeorum, transito telluri* ex A in H permutent situin, sitque C in consequentia ex B, qui crai ex A iu anteo- lentia. Hoc igitur esset argumcntum moina terra* et npbaerae Coper- nicanae, at nondum Pythagoreae: prò qua, a me auto 13 ann<« publicataquid tu ex risu poe ù* premere aliud quam atatione* et retrogradationea, miro cupio «ciré. Si noi gyratur ad »en»um oculorum, est quod sibi Commentari* ruta Marti* * gratulentur; at nondum ideo vicit Pythagorica ordinario, ac ne Copernico* quidem expresse piane. At si est quod pinxi ad marginctu, aliquid 40 lucratnr sane motus terrao Copernicauu». 6 Caeterurn nihil magia ad faraam inventionum tuarum faterò scito, nisi si miseri* vitrum rotundurn, maximao aphacrae portionem exquisitissimo politam. Cavas lente* hic facile comparabimus. Scripsi Dioptricen (1) , quae superiori Septembri venit in manu» Ser.* 1 Electo- ris. Puto nihil a me praeteritum, quod non ex suis causi* domonstrarerim. <*> Cfr. n.° 879. «*> Crediamo cho con quasi» risposta alluda alla Narratio: cfr. Yol. Ili, Par. I, pa*. 18S-188. <»> Cfr. n.° 427. «»» Cfr. n.* 800. «•' Cfr. a.» 68, Ilo. I. ««' Cfr. a.* 297, lin. 4. I 7 ' Cfr. a.» 4*8, Ho. 144. 17 [ 455 - 456 ] 9 — 10 GENNAIO 1611 . Equidem campus est exercendi ingcnii : prodeat qui ex aliis demonstrot prin- cipiis, quam qui bus ego sum usus. Typographus vester Phaenomenon Singulare decurtavit prius quam ad rem 50 veniretur. Quatuor sunt paginae, cum ilio vix unam aut duas impresserit t,) . Pro hoc reatu condonino ipsuni in multala vitri convexi unius de sphaera diametri pedum 24 aut aequipollente, quam tu aequipollentiam procul dubio nosti. Puto te iocanti ignoscere velie; itaque te constituo exactorem. Sumptus fabriles ipsc refundat, tu vitrum ex tua mitte fabrica. Quae alia movisti deprecationis specioso gestii, civilitatem demonstrans, ca supra meum Germani captum sunt; eoque ignosces, quod rideo. Uno verbo: si nihil excudisti contra Ilorkyum {,) , gratulor utrique, mihi gaudeo; sin est aliquid excusum, iure tuo usus es ; non habeo quod querar, nisi quod oro, exemplum mittas. Vale, co 9 Ian. 1611. Ex. T. Off. I. Keppler. 456 *. ODOARDO FARNESE a GALILEO iu Firenze. Roma, 10 gennaio 1611. Bibl. Naz. Flr. Mss. Hai., V. I, T. XIV, car. 55. — Autografa la firma. Molto Mag. co Sig. r Ilo ricevuto i due vetri mandatimi da V. S. (8) , et spero che uno di essi al¬ meno mi Labbia da restituire l’uso di cosa che mi era tanto cara quanto l’oc¬ chiale di lei : la quale, nell’ incontrare il mio desiderio, non ha fatta cosa che non mi promettesse la particolarissima inclin&tione mia verso la sua persona; et nel darmi poi speranza di dover in breve capitare in Roma, non ha potuto se non recar molta sodisfattione al desiderio che ho di conoscerla di presenza. Nostro Signor Dio la conduca felice, et le conceda ogni vero contento. Di Roma, li 10 di Gennaro 1611. Tutto di V. S. S. r Galile[o Galilei]. P Car. Farnese. Fuori : Al molto Mag. co Sig. r Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Lett. 455. 50. «inani and dim* — «») Cfr. il.® 419, Un. 88. (3 ' Cfr. u.® 442. <*' Cfr. nn.» 374, 419. XI. S 18 11 GENNAIO 1611. L467] 457*. DANIELLO ANTONINI > GALILEO 1. P«doT». Llnghen, 11 fonsslo 1611. Blbl. Naz. Pir. Mu. Gal., P. VI, T. Vili, enr. 8* • V. - Molto III." et Ecc.“° Sig. r mio Qua.** Nel’altra mia V. S. havrà hauta quella bilancia di braccia ornali, nella quale un’ oncia d’acqua d’ una parto può solerar* facilmente 100 libra di peto, dal’altra parte posto, con il mezo di quella fona per la quale potrebbe il ffalioae nuotare in una inghistara d’acqua: non ao se •’scorderà con la Ih reato non ho cosa alcuna di novo, con tutto che qualche volta io m’ sfati* i.i d’im¬ picciar la lucerna, per scoprir qualche coeetta nelle oKurimtui tenebre nelle quali dalla natura le più belle coso al’ingegno nostro un a«< >»<•; ma tn ppo debile è il mio lume alla folta nebbia. Pure, por testimonio d< Ila mia buon» to- lontà, V.S. havrà qui inclusa una passionarla del triang lo rettane.’.* ». m cercar io cosa più grave bor hora incontrata. La prego farmi saper nuova di lei et del Sig. r Paolo Aproino t< he Dio fac¬ cia siano felici), et insieme farmi degno vedere alcuna di quelle eoe®, qur qui- dem prius in natura fuerant, sed unica a firmi né cognita, le quali eoa! copiose piovono nel suo ingegno. Spero sentire qualche gran miglioramento r.ol'm. bsale, sicliò le babbia manifestato alcun più Botile secreto d* l c.elo o d.lla luna. Sento da questi cervelli di questi soldati lo più ridicci**e comi del mondo. Hieri, passeggiando con un ingegnere tanto stimato, che se venisse Archimede a domandar soldo, lo poriano per suo garzone, costui, d< ; ;*o alcun raggxmamento, disse queste parolle: Veramente io mi meraviglio dm non *i ritr ovino Ir f i ti- » fìcationi di Euclide et di Archimede, Et perche?, le soggiunsi io; bano foni scritto di fortificationi loro? 0, replicò egli, vuole V.S. che quelli cod grandi huomini in mathematica babbiano tralasciata la più importante parte di quelle scienzio? Di qui può veder V.S., che s’ella ha da far con teste che kabmt ali- quid extra et nihil intra, ho io ancora poco miglior fortuna. Facendomi degno d’alcuna risposta, potrà inviar la lettera a Veneti* al P. M.t™ Fnlgentio^ de’Servi. Et pregandole ogni bene, le faccio riverenza. Di Lingben, il di 11 Gen.° 1611. Di V.S. molto 111.™ Aff."° Ser. r Daniello Antonino. so Fuori: Al molto 111 « et Ecc“° Sig. r P.ron mio Oss.®« Il Sig. r Galileo Galilei. Padoa m . Leti. 457. 22. coti gradi — •') Foloeneio Micaxzio. «*> Daniello Antonini non arerà ancor» saputo della partenza di Gauuio da Padova, Cfr. n.« 4SI, Un. 2-4. [467-458] 11 GENNAIO 1611. 19 In omni trianfjulo rectangulo, unius laicris, cortini qtie circa redimi stilli an- gulum, quadratimi eguale est reliquorum laterum rectangulis, altìtudincm habentibus equalem excessui quo redo angulo subtendens latus , rcliquum , ipsum angtilam con¬ tinnitimi, superai. SU triangolimi abe, cuius angulus acb rectus sit: dico, quadratimi ac eguale esse rectangulis, basini habentibus ipsa ab, bc luterà, et aUitudincm equalem excessui 40 quo ab ipsum bc superai. Et ut demonstretur , centro b, di- a stantia bc, describatur circulus cdo, qui secat latus ab in d, ita ut bd ipsi bc sit equalis : ergo da erit exccssus quo ab supcrat bc. Producatur nane ab tisque ad circunfcrcntiam in e, cuin ipsa ac tungat circulum et ae sccct; crit quadratimi tangcntis ac rectangulo sub tota ac et eius parte extra circulum cxistcntc, nimirum ad, contento eguale: sed rectangulo sub ad et ac contento equalia sunt redangula sub ad et ab et sub ad et bc contenta, cimi sit bo ipsi bc equalis : ergo quadratimi ipsius ac eguale est rectangulis bases habentibus ab, bc et aUitudincm da, nempe 60 exccssum quo ab ipsam bc superai. Quod crai demonstrandum. 458*. GIO. ANTONIO MAGINI a GALILEO in Firenze. Eologna, 11 gennaio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gii)., P. VI, T. VII, car. 108. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. ro mio Oss. mo Le lodi clic V. S. ha date al mio trattateli) dello specchio concavo (,) , sono da me riconosciute per effetto della sua cortesia et amorevolezza, che eccelle tanto quanto manca i opera di merito ; perdi’ io veramente lo riconosco per parto immaturo, eli’ liaveva bisogno d’ un poco più d’otio et d’applicatone d’ animo, la quale non ci ho potuto mettere, sondo io tutto intento alla mia de¬ scrittone dell’Italia, per volerla ad ogni modo espedire quest’anno 1 * 5 . Onde rin¬ grato V. S. di vivo cuore, elio m’habbia dato taut’ lionore per questa bagatella, ma molto più perchè m’ha favorito straordinariamente di darmi parto dell’ap¬ io paranze ch’ha vedute in Venere; di che io sono restato a pieno sodisfattissimo, rallegrandomi molto seco di questo discoprimento, che gli apportarli molto honore 86. reliqum — in Cfr. n.° 144, liu. 3. <*> Cfr. n.o 111, liu. 14. 20 11 - 12 GENNÀIO 1611. (46*-4M] per il lume che dà all’astrologia et alla f;! > -tu. Ho a p nt > pr« --t .* t la hit. ra di V. 8. al Cav.™ Botrigaro 10 et ad altri, che l’hanno letta eoa Bollo gusto. Le fu poi Bapcro che già otto giorni mi «crime il S.”' Annibale Appiano d’ havsr lì avuto ordine da Praga di pagarmi 3 mila 6orini in nome della M. u Ca¬ sarca, di quelli che doverà esborsare alla detta M. u per l'Inn -titani del Prin¬ cipato di Piombino nella persona del S." Carlo Appiano, suo fratello; onde io sto con questa buona bocca, aspettando questi denari K l* n vero che 1 mno quei ministri Cesarei preso errore nell' asaignarmi " fiorini, ««bene dovevano dir j taleri, chè così sta il decreto ohe mi foce l'anno potato 8. M. u , di che n’ ho io scritto a quella Corte, perché ci è di Screma in tutta questa lumina fona 666 ta¬ leri. Ma se bene io darò ria quello spacchio, non voglio però restare di Carne fare un altro in maggior perfezione ancora, quando io barerò da poter » p endere allegramente. Starò poi aspettando con suo commodo d’esser regnaglielo da lei di qual- eh’altra curiosa novità, essortandola a continuare le sue cn^rvati-mi, con pro¬ posito di communicarle al monda Et in tanto bacio a V. 8. le mani, insieme al S. or Rofieni eh’bora è arrivato da me, augurandole la tua perfette sanità. Di Boi.», li 11 Gennaro 1611. Di V. S. molto IH." et Ecc.-» g« r *• di cuore ss G. Ani.» Magmi. Fuori: Al molto 111." et Eoe.*" S." mio Oss Il S. or Galileo Galilei, Math.°* del 8er.*« G. Duca di To.< • Mirtina 459 *. BELISARIO VINTA a GALILEO in F.rtmw Pisa, 12 («aailo 1611. Blbl. Naz. Ftr. Mks. Gal , P. I, T. VI, c*r. 8.ì. Autufrafa U tl i. n-. Ill. r0 Sig. or mio Oss. mo Quanto alla gita dì V.S. a Roma, questo Alt.* mi par che ti «ano inclina¬ tissime, ma non hanno per ancora roluto farne l’ultima reaoluxione ; ma la ram¬ menterò con ogni occasione. Et intanto, perchò io potati p.Marr innanzi nell, prattica per conto del Sig/ Dottor l'apazzoni, «intendo io che qui ai «illecita, 458. 26. continart — <’> Ercoi,* Bottrigari. (,) Cfr. a.. 439, Un. 47-61, dorè bona! 1» cifra d* P*r»re r| Mas tiri por coito doli latratori è di duomi}* «orimi. 12 — 18 GENNAIO 1611. 21 [450-460] in luogo del Sig. r Libri, di condurre un filosofo, et ci sono de* chieditori, vorrei elio la mi avvisasse subito di elio età egli sia, et di conio buona et robusta sa¬ nità da poter durar fatica nel leggere, et clic condizioni egli Labbia nello Studio di Bologna et quello che pretendesse in questo ; et bisogna far presto, perché io hoggi s’è fatta una sessione sopra questa deliberazione et sopra altri filosofi proposti, et ho fatta menziono del Sig. r Papazzoni, ma non ho potuto passar più oltre, poiché anche più oltre non arriva la mia notizia dell’ animo di quel Signore ; et strignendosi qui il negozio, come ho detto, bisogna che la mi mandi ogni ragguaglio innanzi che la vadia a Roma. Et di tutto cuore le bacio le mani. Da Pisa, li 12 di Gennaro 1610 c ”. Di V. S. Ill. r ® Serv. r ® Aff." 10 S. or Galilei. Belis.° Vinta. Fuori : All’ Ill. ro Sig. or mio Oss. mo 11 Sig. or Galileo Galilei. 20 subito. Firenze. 460 * TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO [in Padovai. Napoli,*13 gennaio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. Ili, T. VII, 2, car. 66-63. — Copia autografa di Qu.ii.tn, di cui mano puro si leggo, sui tergo doli’ultima carta: « Lettera del P. Squilla T. C. ». Exce. mo D. Galileo Gali. 0 , Patavini Cymnasii Mat. co (,) , S. Sidereum Nuncium, quae recens vidisti in caelo arcana Dei, neque non licot homini loqui, narrantem, duabus horis iocundissimc audivi: atqui pluribus sano diebus extensam narrationem optassem. Haud quidem Copernicus vel 'J'hycon, vcl alius quispiam, tam praepropere lmiusmodi Nuncium emisisset, nisi prius omnes adhuc latentcs stollas adnotasset, et distantias carum inter se et ad fixas patentes conscripsisset, et modum conversionum Astrorum Mediceorum et pc- riodos metitus esset, et siqui alii caeteros planetas vel fixas circumeunt consi- dcrasset, et motus omnium stellarum, in quibus Copernicus et forte Thycon non io potuerunt non errare, quia tam mirifici organi, quale a te inventimi est, bene¬ ficio destituti erant, emendasset. lllud et maxime investigandum crat, nuin in superioribus absidibus planetae, propriis, inquam, non ad solem vel ad aliud sidus quod circumeunt nactis, vero eleventur, aut potius retardentur ; et num Loti. 400. 2. .SWer«u« JVunciu» — («) Pi stilo fiorentino. Cahtarella, noi suo carcero, della partenza di Ga- <*> Eyidontemonte non era giunta notizia al muso da Padova. \ 22 )3 GENNAIO 1611. 1 * 0 ) tanta Bit caeli, omnia continenti*, peripheró, nt cuiascvnqa* pianeta* habiuto- res, quorum aingulos oportot eoo pieno* ut Cjrbele* tea teline noiln Bielle, pt> tent 8C80 in mundi centro poeitoe esse ; et nam refrmcùo vuoi in orbe famoso bcu vaporoso faciat videri sopra horiioatem ipu* cecli figura*, qua* edhuc nm emorserunt, unde semper supre sex, beo forte re Lione, oonepicinma ; itera, qua* lem habent aatrologiam et aatronomiam rangulorum in • la* *»tr«>ruta; et tan- dora, num lateant corpora in aethere, quee noe e sole illtutrenLnr niti ubi fiant » vaporo 8 multi, undo crinita apparent super ip .n quoque pUmrt.i Muli* quoque disputando sunt de figuri» fìxururu et errantium, et «le reputi. % qu.ira munì in ostris habitatores, sive beati, sire quale* noe. Nam si luna vilior est Miti re, quod minorità» corporia et motus eiu* circa terram.qu iti amanti» rt nvipicntii ab hac vigorem et influentiam, et inaeqoalitas maior, declarant, utiqus lunare* incolao nobis infeliciores erunt: et taraen in 3 K* a a “* r * *• r, qu*»i l'ilha- gorizans, ponit Paradisum terrestrem, quod Ariostui seqnutu* e^t. Ned hoc ne- gocium est mothafisicum, de quo ipso pi uri bui* rgi : qua* a utero nr*at* mali, am tangunt negociationem, abs te expectab&mus. Displicet milii, libellum tirano, antoquam Methafisi.-o* ah- drerrm . non ti- so disse. Sed bene ibi docui, longe plura sistemata in cario latore quam pateant, et con8tructionem universi pottibDsm esse iuxta Copernico** hjrpotbsses, *ed in pluribue ipsum falli, quia p&rtim ex Pithagoreis, partito ex Plbolomaicis, in sui* libris accopit, quac profecto consona non sunt. 11 in et »<4 mobili»rimus ponen- dus erat, qualem calor, qui quaecunque compii, attenuai et motel rapidi»*imo, si potcntissimus siet (1) , ostendit: ot cum nullutn circa ©entrain fera tur, in se ipsum circumvolvi videri debet, quod specula : ib equi* n i n vnlant, et ij. e matutinus et vespertini», quando oculorum edera minua ferii. IUqu*», qu un via sidera aliena luco et calore dinota vigeant, sol taraen proprio gaudot ; et eo t lurem gravidam reddit ad parturiendum seconda etiam. *o Sic ergo stant principia doctissiini Telesii noatri, si tuotua telluri» ait ab anima origenica - 11 . Tu vero omnes mortale* tuae glorine partici pes r«ae p iterisi nemo enim tuo perspicillo nunc non utetur, ot qua© tu non tonfati declara- bunt, et libro* nova© astronoraiae implebunt, Laudo raagnanimitatem tunm, nulli quippiam invidentem, et rogo ut, cunctis admodum pensiculatia, astronomiam no- vam ita cudas, ut nemo meliorem poesit conficele; alioqnin non 0 tur 22. di figuri» — 83. quia parte m ex Pitkagorti» - 1,1 1 libr * I 7 * ir ertali» Pkiloeopkiae teu Metapii- tiearum rerum dol Cahtarella furono pubblicati lol- tanto nel lfiR8; ma l'opera era compiuta già nel 1603, o poi fu dall*autore rifatta nel 1610, o npprem di nuovo elaborata. Cfr. D. Berti, Lettere inedite Hi Tarn maio Campanella e Catalogo dei tuoi ter itti, negli Alti della R. Accademia dei Lincei, 1877-78. Sari* Urta, V-moria della Ha».* di aria»*» morali, •UritM e filologiche, Voi. 11, Roma, col tipi d»l JUlvUcc», 1878, p«g. SIS. I*' ei potenti tri m%t n.i » nell* copi» di mano di Giulio. 1,1 origenica 4 aoUolioMto Dalla copia di mano di Qalilio, 13 GENNAIO 1611. 23 [460] liuius doctrinae sequaces, sed ab ilio qui primi» quamoptime de bis totum soien- tiae arborem proclucet. Equidem aubirascebar Italiae nostrae, quod, cum imperii sit mater et religioni sanctae tribunal, in caeteris scientiis cxternorum ope in- 50 digeret; et licet tanquam domina utatur ancillis vocatis ad arcem, tamen vidi ancillas super dominam superbire. Aristoteles factus erat oraculuni philosopho- rura, Homerus poetarum, Ptolemeus astronomorum, Hippocrates medicorum, et ipse Virgiliua palmam concedit: Excudent alii spiraniia mollius aera (Credo equidem), vivos ducerti de mar more vultus, Orabunt causas inclius, caclique incatus JJescribent radio, et surgentia sidcra diccnt; Tu regere imperio populos, Romane, memento (7/rtc libi crunt artes), pacique imponere . . . < l) co Parcere subicclis et debellare superbos, eie. Sed cum et hao primariae artes ad Iiispanos et Germanos migrasscnt, nulla nobis reliqua laus est ; et quod peius, poetae nostri falsos lieroas et Deos natio- num cantant, nostrates silent aut vituporant : hoc in cantione ad Italiani (,) de¬ ploravi. Sed profecto viget adliuc imperium Italicum : nani Pontifex Maximus supereminet cunctis principibus terrae, et tlieologia Romana cunctis scientiis prescribit leges. Toti est nota mundo Italiae virtus, sibi uni ignota : et quidem in doctrinis inferioribus Italia praepollet iam cunctis. Reliquum est ut infideles expellat ancillas, et ex propriis sibi paret auxiliares. Telesius oxpulit iuxtissimo Aristo telem ; sed tamen funera huius w adliuc honorantur: Virgilius et Danthes 70 Ilomerum obscurarunt : habet et Celsum Hipocratem suum Italia, et Plinium Dioscoridem : in iudiciis astrorum Cardanus Arabes prodigavi. In astronomia nos Ptolemeus et Copernicus pudefaciebant : sed tu, Vir durissime, non modo re¬ stituì nobis gloriam Pythagoreorum, a Graecis subdolis subreptam, eorum dogmata resuscitando, sed totius mundi gloriam tuo splendore extinguis. Et vidi caelum novum et terram novam, ait Apostolus et Isaias : illi dixerunt, nos caecu- tiebamus; tu purgasti oculos hominum, et novum ostendis caelum, et novam terram in luna. Quidquid cecinit Ovidius de priscis astronomi foelicissimis, tibi soli et vere convenit: Foeliccs animae, quibus haec cognoscere primum, 80 Inquc domos superas scandere, cura fuit. 70. et Plinius — 72. pudefaciebat — • *> Questi puntolini sono nollft copia di mimo di Gamuco. Alludo alla poesia cho ha por titolo: Agl'Ita¬ liani che attendono a poetare con le favole greche. Cfr. Poesie filosòfiche di Tommaso Uaui-ankli.a pubblicato por la prima volta in Italia da Gio.Gaspahk Orki.m, Lugano, presso Gius. Ruggia o C., MDCCCXXXIV, pag. 89-94. < s ) tamen fune) a huius ò sottolineato nella copia di mano di Galii.ko. 24 13 GENNAIO 1611. 1400J Aihnovm. oeukn distantia suini nostri*. Aetheruque ingenio suppostine suo. Elogium secundi distici tibi uni vere decantatimi rid aiii* vero per hyp«*rlH> lem. Sed vide ne, sicut Columbus invento novo orbi non im^uit importuni neque nomen smini, sed Hispanis dominatimi et Fiorentini* nomination!'m on* sit, ita et tu Thyconi aut alteri nova® astronomia® decua proda*. Arar rie ui novo mando terrestri nomen, tu novo caolesti, dabis: utrique Fiorentini, quorum mi- per suspexi indolem. Dante» prophetavit de stelli» pili antartici, qu i** quadra- gesimam nonam figuram, dict&m Cruciferum, effingunt; nam note io unde potuerit, nisi a numine, hoc discare: nullain namque scriptaram Hanno Carthaginenai», se quem totani navigando perlustrasse Africam, testai Plinio, acini us, n-liquit d« Crucifero. Tu vero, spernens quasi ea quao vulgaribus cernuntur ocelli*, ad invi- sibilia, numine praeeunte, penetrasti, eaque nobis viribili.i r«ddi -. Semper honoa nomenque tuum laudesq ue mattini ni. Foclix Medicea Domus, cui novum caelum per te arrid t. S. demoni Romana», qui ultra Gades novos orbes esse docuit, ot detenendo» a novo Tyfi Seneca in Medea praedixit, ille idem Clemens, ex ore S. Patri, docet aliud e*,e cai-lum aliaque sidora, inviaibilia nobis, quoniam fumosus circulus telluri» » a nubi» obte- git, et non nisi in fino mundi propalanda montt. Tu vero, buiu** vaporo i mundi cortices et volamina ante tempua rampona, no» ad caelum illud ricrncntinum too lapis, vel caeluin ad nos inclina». Gaudeamus: ri murmuraverint theologi, pr».- pbetizantes defendent te patres theologiae, Cbrysoetomus, et Theodorua episeo- pus laisensis magister eius, et Procopius (ìazeus, qui raduni stari*, praeaertim supremum, et stellas circumvolvi, docent; et Augustinu» hanc opmioncm suo tempore a nmthcmaticis rite demonstraUm frisse docet, neque per Sacra* Lite- ras evertendam esse nobis, no simus irrisui mathe malici » : quod debui^et ipso diserrare, cum antipndas negavit Habcs Origenem, qui tcrram caso animai et riderà omnia docuit, et Pithagorica dogmata laud.it et ex Scripturi* probaU Scnpsi et ego do phylosophia Pitbagoreorum libro» tres ”, et de bis in Meta- pbyricis prolixo disputavi; scripsi libros 4 de motibus natrorum, potiti» phyiice no quam matematico, contra Ptolemeum et Copemicum, ot de sympthomatis mundi por ignem interituri (t) , non tamen interitu totali, Red quadam renoratione, quam nova phaenomena ostendunt: utinam beerei inibì de bis conferiti tecum! Quoniam vero ita peti», monebo te quod non videa tur recto dicturn, macu- Tra lo opero ilei Campaseli^ i repUtrtU una col titolo Philoiophia Pgthagorica carmini I.u- credano instaurata : ma non vide la luce. Cfr. D. Lettrrr lardile di Tommato Campanella eco., pa&. 515. i ' ur tra Io °P er0 Jttl C-AJIPANEU.A,cho puro non ridarò la Ine», tono indicati irMurw aetrom- micormm litri 4. U timui De egmpiomaUtnt mundi p*r Ujncm inUrituri trr~ml„m ri Cfr. I». Barri, Artieri inedite Ut Tvmmnev l'am imiti la eCC-, PMT- aie. 13 GENNAIO 1611. 25 [460J laa lunae grandiores et patente 9 aqueas esse, et aieut mare in nostra Cybele : nani ex opposito sole lumen vividum emitterent. Lux enim in aqua, quoniam transpicua ac sibi pervia, quia similis (a calore enim liquefaciente et vincente, cuius lux est calor, efficitur), multiplicatur et augetur ; et in nigris maribus di- recta lux, licet foedetur usque ad offuscationem in profundo, tamon vivida est in 120 superficie : non modo enim resilit a fundo, sed a quacumquo intercepti spacii particula. Quapropter aliud quidpiam tibi addendum est in huiusmodi dogmate enucleando. Desideratili* quantitas deliquii telluris et solis ad lunam, et diameter umbrae lunaris ad nos. Cui* autom centrimi universale et peripheria stellata stent immobiliter, undecim vero sidera choreas ducant circa centrum alia aliud, abs te non requiro, nisi nmtbesim transcendas. Illud quoque mirimi, si stellao omnes orbe vaporoso ambiuntur, cui* planetae tantum videantur vere rotundi, non au- tem et fixae ? nuinquid hae robore et copia lucis materiaquo omnino similari Constant, ita ut vapoi'es nullos emittant? Et cui* circa ipsas immotas alii non convertuntur planetae? Et cui usui quelibet stella cuilibet sit ? Causa scintilla- 180 tionis a Copernico et Aristotele reddita, puorilis est, ut nosti. Procul dubio, quaecumque propria non lucent luce, vaporem educunt aliena attenuate. Dabisne fixis lucem propriam atque centro, et privabis modo planetas ? et cur, si ita est, non rotundae sunt fixae prorsus uti sol? Neque illud exacto declaras, cur sol et luna per vapores spectantur grandiores, non autem et caetere stellae : nani et hae sub modico forte vapore ad proportionem videntur grandescere. Praeterca, si circulus vaporosus Sidera Medicea in suprema abside efticit longe minora quam ipsa potest effìcero distantia, quaelibet stella prope lunam et alios evaporantes planetas conspiceretur minor quam solet; et hoc te observare oportet. Videntur quoque Copernico planetae in auge, ubi sese ipsorum intersecunt orbes, no minus ab invicela distare quam ipsa remotio requirit; quod non vaporoso dabis circolo, nisi et solimi eodem circundes, quod ridiculum est affirmare : ipse enim i'ons est purissimi ignis, et visum stellarum non aufert vapore crasso, qui nullus apuli eum esse potest, sed lucis robore, cui noster impar est sensus, ncque posset esse in causa minuendae distantiac, sed quantitatis tantumrnodo. Quapropter le considerare cupio, et num circuii Medicearum in superiori abside mutuara habeant intersecationem, quae forficis instar coniungatur et disiungatur. Hoc autem dico ex hypothesi: nani circulos esse nullos sentio, sed per se ferri sidera, suo quodquo ninnine ad primae mentis miturn. Plurima Copernicea dogmata emendanda tibi sunt: Tychonica nescio, quoniam 150 non licuit hactcnus eius commentarios videro, iniquae subiectionis freno cohibente. Nequaquam satisfecisse prorsus videris questioni, cur fixae et errantes non gran- descunt, perspicillo conspectae, acque ac luna: si enim fulgidi illarum crines (quo¬ rum causam ncc doces) usque ad quintuplam rationem (ut aia) augent, non fiet Ufi. Tra vividum eiì emitterent si legge, cancellato, redderent et. — 129. cui uaui usui quelibet — 131. attenuatele — 131. ejievtautur rjrudiores — 13(5. eupraemu — XI. 26 13 - 15 GENNAIO 1611. 1400-461] ut, cum luna ad contuplam imiltiplioatur, non n.*i ad quintuplam dine multipli- centur, pern iilo demente crine», *ed n*que ad ngecuplam erotemi»! oporttt. ld ergo ememìes velini, aut declarts. Quod autem putas, Galaxiam viaam «w priaeia phptotogto «metto dmaiorem caeli partem, vide ne fallare : nam »tellula* mi, maini* luraimbu* w prope col lumi nantes, teatatur Albertus in primo; Ari Au~u«tini Patavini epistolas nomine Ferdinandi Magni Duci* tu redduliiti, quum pnmnm Patavium iam veneraa), ut statini ad me mitta* p* r virum oj iimum vtqu*' docti*- simum, qui til>i Ima perfemflas ab Urbe curabiL Scia* quoque, me in prrdictioM astrologica, in magna synodo 1603, nova* lentia' < iele«t< j>: .o ’• r alia multa, ito in lioc acculo propalandaa fore praedixi, quoniam prope augem Mrrcurii, eodem Mercurio adsistente, celebrata est synodu* in Sagittario: riu» pr.*«di' t ■ >!..«• amicus tc compotem forte faciet. Nec quod et tu augurarin intu-ior. omn» * .• r ii ,iaxta liane arcanorum reserationem reformatum iri. Probe cum Ino Dante pruiioaticam: Poca faviUa gran fiamma stronca : Dunque direiro a noi con miglior taci Si pregherà perchè Ctrrka rispond i, tir. Oblitus eram comiuonere te, ut Copernici hypothetim de obliqnitatb e: ecren- tricitatum restitutione corrigeres: id cnim nunquam fiori po**«>, varani perpetua imminutio admonet, et librationum oppositnrum et corolla* in torta* liginenta, de quibus etc. Vale, et Deus caeli, cuius effectun ea Muncius, coi pt * farc ii tui*. etc. ldib. lana. 1611, Neap. t. a 401 . GALILEO a [DEL1SAU1U VISTA in Firena*]. Lo Solre, 15 gt nonio 101 1 . Bibl. No*. Fir. Kn. Or]., P. I, T. IV, c*r. <8. — Aat^raf». Ill. mo Sig. re mio Sig. r Col.® 0 Non posso per bora satisfare se non ari una parto ri< 11- dimanda rii V.S.1U.™ intorno al S. Papazzoni: ciò ò cho è di età di circa 164. atgutdtm — 167. reddiditli, quam primnm — 180-161. di qmAma — 0» Flaminio Papazzoni. Cfr. n.» 469. 15 GENNAIO 1 Gl 1. 27 [461] 6[0] anni, al mio giudizio, di complessione però assai robusta, gioviale [et] di graziosa conversazione, per quanto lo conobbi nel passare per Bologna 8 mesi sono. Quale stipendio habbia quivi, o quello che ei pretenda altrove, io non so ; ma liavendo pur hora ricevute lettore di Bologna dal medesimo (1> che mi scrisse l’altro giorno del medesimo negozio, io gli bo riscritto, et ordinatogli che quanto prima vegga io di intendere V animo di detto S. Dottoro, avvisandomelo su[bi]to, insieme con li altri particolari domandati da Y. S. 111.™, et in br[e]ve ci doverà esser la risposta *, et sin hora ci saria stata, quando io havesse stimato clic loro Alt/ 0 l'ussero per fare elezione et prov[i]siono così presto. Quanto all’altro negozio della mia and afta] a Roma, starò atten¬ dendo l’ordine di loro Alt. 20 Ser. me , ricordando però in tanto a Y. S. 111.™ come il tempo, prolungandolo molto, non saria cosi oportuno come di presente, nè accomodato a far toccar con mano ad ogn’ uno tutte lo novità dello mie osservazioni ; le quali sono tanto et di sì gran 20 consequenze, che tra qu[ello] che aggiungano et quello che rimutano per necessità nella scie[nza] de i moti celesti, posso dire clic in gran parto sia rinovata ot tratta fuori delle tenebro, come finalmente sono per confessare tutti gl’ intendenti. Però so io, come professore di essa, me ne mostro a[n]sioso, devo non solo trovare scusa, ma aiuto in far vivo et palcs[i] lo cose che, per il favor di Dio, ho scoperte. Io al presente mi tr[ovo] alle Selve, villa del Sig. Filippo Salviati, dove dalla salubrità dell’ aria ho ricevuto notabil giovamento alle molte indisposizioni che mi hanno i mesi passati grandemente tra- ao vagliato in Firenze. Qui, et in ogn’altro luogo, vivo desiderosissimo de i comandamenti di V. S. 111.™, et di quegli la supplico instantemente : et con ogni humiltà inchinandomi a loro Alt. 0 Ser. me , et a V . 8. 111.™ baciando le mani, li prego da Dio compita felicità. Dalle Selve, li 15 di Gennaio 1010 2) . Di Y. S. 111.™ Ser. re Oblig.™ Galileo Galilei. Hi i'iybubillUUlitc lilO. A.YiOMO lioi'l'KM. (*> Ui ubilo liuruutiuo. 23 15 — 30 OEXHAK) 1611. [462-464] 462 °. LORENZO r IGNORI A * PAOLO GUALDO («• \*—m) Padova, 13 («amalo UH Blbl. Marc. In Veneala. Cod. LXYl della CI. X H. <** 111 - !•«.« */ _Qui le genti b’ affaticano intorno 1'«ingiù* «ho *1 3 / Gualco tooodu a V.8 par k sua nova osservatioue.... 463*. LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [.n \ »«•««*; Padova, 19 («amalo 1411. Blbl. Marc, in Vonexla. C<*t. LXT| della CL X I» c*r Ili li» -Il S. r Galileo ò ricaduto; et la nova a'ha di buona Kaaih In nmu, Pandar# minutamente ricercando i secreti del cielo fu «riapro aUion« poco n-coo ci^. Kwcirna; o tanto più, se egli ci haveaae piantato delle carota .. 464*. BELISARIO VINTA a GALILEO in Firtn** Llrorao, SO (rasato Ull. Blbl. Koz. Fir. .¥«« Gai., P. 1, T. VI, w. 37. - A«io«v*fc la Ito. «I «la -rfp - 111." Sig. or mio Obs.™ 0 Si desidera et si aspetta con desiderio U risposta et informai., ne eh \.S. potrà bavere per conto del Sig/ Elosofo Papaiaoni. perchè ai poau propor qua et farvi deliberazione, venendo anche proposti due o tro altri fijotoé, «I in par¬ ticolare il Belloni di Padova ■ t) . Quanto all’andata di V.S. a Roma, hsrendo io detto a loro A A. che hor» 6 il tempo, per respetto della speculazione et oe serrani* di quei Piane li, et che perciò non è da tardar più, et che, chiaritosi ciò in Roma, con 1. conferma¬ zione che si ha del ...atematico dell'Imperatore, del Padre Clavioet d'altri,sti- tuto che in Roma la Tenga confermata et stabilita, si potrà dire chiarita tal 10 20 — 22 GENNAIO 1611. 29 20 [164-465] constituzione a tutto ’l mondo, et dandosene parto a S. H Santità, dorerà questa nuova osservanza et dichiarazione di Pianeti venir ricevuta dal consenso univer¬ sale do’ matematici et astrologi, hanno determinato che la vadia via a posta sua, et le daranno una lettiga et denari ; che per il viaggio sia fatta la spesa a tutta la sua condotta, menando anche seco un suo proprio servitore a suo modo ; et in Roma commetteranno al Sig. r Ambasciato!’ Miccolini, clic faccia lo spese a V.S. et all’huomo che la morrà per servizio della sua persona: et si daranno quest’ ordini subito che la me P avviserà. Et le bacio le mani, l)i Livorno, li 20 Gennaio 1610 (l) . I)i V. S. 111." et starà in casa del ìS. ro Àmb. ro S. or Galileo. 'rfyf ? Vi Fuori: All’ 111. ro Sig. or mio Oss. ni ° il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 465 **. GIO. FEDERICO BREINER a [GALILEO in Firenze]. Roma, 22 gennaio 1611. Bibl. Nm. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 175. — Autografa. Mobilissime et Excellentissime Domine, Pax Christi et paratissima officia. Triplicibus ad L). V. Excell. datis literis Paduam absque recepto responso, quartas addo, easquo non Paduam, quam D. V. Excell. deseruisse cognovi, sed Elorentiam, quam D. V. Excell. prò tempore inhabitare a nonnullis Societatis Pa- tribus, quibuscum de 1). V. Excell., prò ea quam ipsi porto amicitia, non vulga- riter sum conversatus, intellexi, por meliorem, ut potui, commoditatem dirigere volili. Et licet praeteritarum mearum, Paduam directarum, literarum nunc re- peterem argumentum, quia tamen Professor Collegii Romani Mathemathices, <*> Di stile fiorentino. 22 GENNAIO 1611. 30 mi Pater Sociotatis, Malchot 10 nomine, cum macna tam propri* tu* iam me* M laetitia, D. V. Excel 1. huc brevi ventura» ex uni* I). V. ad Piina CU vinai datis inihi indicavit, omnia coram potiu* quam hi*c« htcnt rum I*. V. Excell. poragere decrevi; haec solura adden*, difnetur mihi D. V. non moiette mihi gratificari, et il la in inclusa hac acheduU denotata, *i poMibilo «t, aut inittore, si adventus D. V. BfWÌl diutiu* forte tardarci, aut mcub ipaa adSrral i;.un enim quem, authore D. Y. Excel!., con» mihi aimul cum 1» 1* tingerò** Paduae Compassimi suum Militarem et Gfointtricum expl.-.m t, *4 ( ] ma- thematicam apposili animarti, non modo non drpmui, *r4 in dir* auxi : noe dubito foro ut D. V. Excell., quara mihi affcctionatiMimam aemprr agnovi, et in hanc meam descendat petitionem, atque "«•, uni a n.< patita aft-rat, cui rum » summa gratiarum actiono, omnia libentEdm* pcrv lvam ; **4 etiam foro ut D. V. Excell. me qui, mutata sententi», prò aula Suae SanctiUti ('ollcgiurn (ternia* nicum prò aliquo tempore, ad tiniendam m< im l!ic ! *-i.vn h ' »*ti< .mi, deh gì, impetrata a Sua Sanctitate licentia, non gravate mI tioUt ir*. qi it< : . dola»* sima simul et doctissima I>. V. Excell. converta tione aliquantulum fruì, et nml- tum ex illa utilitatis capere, possem. Interim I). V. Ex - .1 prò »t:t .*r- Ho m ino omnia fausta et felicia precor, ac preciba* mei» n u4 Drum imj-tr.irc conabur, meque D. V. Excellen. amicissime cominendu. Gruti.ii l\u ; «.un». Datum Romae, 22 Ianua. 1611. I). V. Excellen. » Addictivtiinu* et Sincera* Amica* ac Srnru* Ioanne* Iridericu* Premer, Liber Baro, Suae Sanctilatu ('ameranua et Canonicu* Ulouiucen*:*. NoUta. Tractatus copiam imam in Compassum Militai- m. Syderiura Nuncium. Ac duos bonos circinos, qui Roma e hic non inv^nitmt or. Unum tale instrumentum, ut L). V. Excell. mihi *upr* tuoenia Paduana exhi- buit videndi in longuui. 40 Et si D. V Excell. in promptu haberct instrumentum ipsum, tou Compaasum Geometricum et Militarem, cuius usum mihi Paduae ante annum monttravit. Quae omnia D. V. Excellen. cum summa gratiarum action* |>er*olvara, tuo* que vicissim D. Excell. ad omuia paratum et proinpti->simum odoro. Lett. 406. 15. /orla dardarH — 16. | MSI _ (*) Odo vah Masdcuim. Ft**aioo litroo* »■ l'unuu l 22 GENNAIO 1G11. 31 [406] 466 **. CRISTOFORO GRIENBERGER a GALILEO in Firenze. Roma, 22 gennaio 1611. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. G4-G5. — Autografa. Galileo Galileo, Viro Clnrissimo, et novorum longcque admirabilium spectacu- lorum primo fortunatissimoquo assertori, Ghristophorus Grienbergerus S. Quod pluribus, ne dicam omnibus, hoc etiam mihi circa tuas caelestium pro- digiorum observationes fateor accitlisse. Nuncio eniin tuo Sidereo etsi derogare lidem penitus nec potuerim nec debuerim, quia tamen in perspicillis multas inesse fraudes ballucinationesque plurimas non ignorabam, verebar inprimis ne saltem quatuor illa sidera, quae per vitra te primum adspexisse circa Iovem multis asscrebas, vitrea potius essent nuncupanda, fragilitatique obnoxia, (piani Medicea, et Medicea fìrmitate digna. Suspicabar enirn, ex quatuor superfìciebus io duorum perspicillorum eiusdem Iovis quatuor sinnilachra a te conspccta fuisse, vitrique fuisse vitium potuisse, quod non eodem semper loco visa sint. Suspi- tioni ansam dederat experientia. Nani, praeter lumen duas inter tabellas vitreas inclusimi, quatuor eiusdem luminis imagines, quatuor ex superfìciebus (ut mihi vidotur) reflexas, ipso emn aliis non semel adverti. Nec dubito me suspicioni buie firmius adhaesurum fuisse, si tunc etiam in astris eam multiplicationera observassem, quam non ita pridem ridere contigit in Marte. Cum enim nostro in perspicillo, vitro acuto aliud multo acutius substituisscm, eoque Martora dili- gentius intuitus fuisseni, vidi non unum sed duos Martes, eiusdem fere magni- tudinis et splendoris, atque adeo dare ut iam credere inciperem, vere Martelli 20 duplicatum esse nec velie cedere tricipiti Saturno ; idque (minino apud me sta- tuissem, nisi alia quaedam observatio acutioris illius vitri vitium aperuisset: manifeste enim mine expertus sum, ad diversum instrumenti sitimi, mentitum Martelli nunc Martis veri dexteram, nunc levam, et pedes modo, modo capili, obsedisse. Lunae quoque seabrositas inprimis nova mihi peneque incredibili visa est, sed multo incredibilior ratio, quam Nuncius tuus eloquentissimus, tantae novi- tatis novam, ne dicam paradoxara, dabat ; et quamvis satis proliabiliter novo- rum effectuum novas causas astruere videntur, montes tamen ac vallea libenter cum aliis causis, minus niontuosis, permutassem. Unde cum, narrando, eo Nun- Lctt. 466. 23. «un levam — 28. ejfectum — 32 22 GENNAIO 1011. m\ cius tu li s devolutola fuisset, ubi (le ilio lumino agitur quoti in novilumi? et prope ao noviluuia luna o terris recipit, cogitare coepi, acabrositati* illius quoe in luna apparet verum causam esso, non quoti re vera parto? aliao aliis in luna sint eminentiores vel demissiores, sed quod luna, voluti speculimi aphaerhain om- vexum, terrae nobis inaequalitatem repraesentet. Ncque enim vide*», rur, si lu¬ men e terris reperoussum ad lunani pervenire possit, non rtiam spe. ics rerum terrestriura, quarum liimen illud est instar vehiculi, ad candem luniun porre- niant, et si perveniunt, cur a nobis videri non pO"*int: et quod do lumino soli* repercusso tu ipse asseris, cur idem de lumino lumie in plenilunii-t non assora- tur, non video ; ita ut, deficiente soli? lumino in pleniluniis ot prop • plenilunia, ipsum lumen lunae, domisaum in terra?, e torri? it. rum ad lanam rodi it, et *o vanam terrae faciera, secum deferens, speculo lunari appinzato Quo statuto, vi- debam etiam nullo negotio reddi posse causam, quare in pleniluniin orbita luna»* non fracta et interrupta, ut ratio montium postulato sed integra et circularib, deprehendatur. Ratio enim erit, quia luna non est rotonda et jqihaerira, et ideo mirimi non est si talis apparet; quod vero in partibus intermcdiis varietà? et inaequalitas luminis appareat, hoc ideo contingit, quod soluto ex dlis partibus speculorum sphaericorum rerum obiectarum species ad Titani nostrani porve- niant, non autem ex partibus prope orbitam, ubi radii incidente» disperguntur potius quam uniantur. Sed instabat Nuncius tuus; et revera monte? .»-*«• in luna, sic confirmabat : Quemadmodum in terris, sole oriento, primo montium vortice?, so tum partes mediae, et tandem inlimae, vallesque ipsaa, illuminantur, ita et in luna contingit videre partes quasdam illuminari, quae postea lenaiin lumino augentur, et denique reliquia partibus luminosa coniunguntur : indicium igitur est, etiam in luna partes illas, primo illuminatas, aliis esso eminentiores. Ego vero liane contirmationem ita milii infirmare videbar, ut etiam do experientia club ita rem. In terris enim id ideo contingere animadvertobam, quia sol, motu suo diurno, sensim supra horizontem elevatur, ideoque sennini alias atque alia? montium partes immobile» illuminat. In luna vero, quamvia etiam montuosam concedèrem, non vidi quomodo similes mutationes fieri possint, cimi ip?a imiuo- b lhs non existat > S0(1 una cum sole motu diurno rapiatur, atque adoo eodem go seraper modo a sole illuminetur: quod enim asole motu proprio recedat voi accedat, id mihi non videbatur tanti momenti, ut tam notabilem quam assoritur tacere mutationem eadem nocte paucisque horis queat. Atque lmec sunt quae tunc mihi occurrebant centra Nuncium tuum Siile- ìeum, cum me superiori anno in Sicilia, duobus fere inensibus post quam a to discessit, Panormi convenisset, eramque omnino eius animi tecum, ut per literas eisdem iilico consultai em ; quia vero propediein Romani revenurus eram, placu.t tana mutare proposito, ot deferre mecum llomam oHioium scribendi. GC. dinacetii — 22 GENNAIO 1611. 33 14GG] Cum vero superiori autumno Romani rediissem, atque ex Clavio intellexissem, 70 eodem te quam primum venturum esse, itorum mutavi consiliura, teque malui exspectare quam scribere ad te. Quamvis enim scribendo veteri meo desiderio ex parte satisfacere, explere tamen, nullo modo potuissem: explebitur vero, ut spero, ubi te, tuo famosissimo cum instrumento, Corani conspexero, et to inonstrante didicero quae hactenus discere diu multumque optavi. Sed placuit tamen etiam interea niilii satisfacere, praesertim quia ita postulare videtur tua benevolenza, quam postremis in literis ad Clavium datis erga me non obscuram monstrasti; quae etiam fecit ut tecuin egerim liberius quam debueram, observationibus tuis, quas admirari potius suspicere ac defendore debueram, aliqua opponendo. Sed spero, facile dabis veniam quam hactenus pluribus dedisti, esque daturus multis so aliis, quos adhuc sustines quidem adversarios, sed non times. Creditu difficillima, cuiusmodi sunt quae asseris, facile credi lice possunt noe debent; et sat scio quam durimi sit, opiniones tot seculorum intervallo introductas, totque sapien¬ toni autoritate corroboratas, nunc demuin deserere. Et certe nisi ipse, saltcm eo modo quo per Romana instrumenta licuit, ea quae recentor et primus in or- bem prodigia invexisti, ipse oculis propriis inspexissem, aliisque nonnullis com- monstrassem, nescio si adhuc tuis rationibus assentircr. Sed iam experientia tandem didici, nequaquam hallucinationem esse, quod circa Iovem quatuor lo- vianos satellites conspexeris, nitro citroque oberrantes ; et quod de inaequalitate lunae asseris, vix aliter recto defendi posse; stellas etiam nebulosas et partes oo fere omnes cadi albicantos, minimarum quarundam stellarum copiam esse : et quamvis in Via Lactea non ubique tanta appareat multitudo quantam eiusdem amplitudo desiderat, id tamen ex aliis locis similibus concludi videtur, plurimas etiam illic esse, quamvis, prae minia parvitate, per instrumenta hactenus rubri¬ cata non distinguanoli*. Iam Clavius, iam quotquot fere Romae nova plienomena inspexere, tecum sentiunt, vel minus certe quam antea a te dissentiunt; et ego sane plurimum mirarer, si quis reperiretur qui ea quae vidi viderit, non vero crediderit. Talis profecto non tecum, sed secum cumque sensu, volens atque ex industria, pugnaverit. Solis inexpertis aliquid concedendum putarem, si tamen quae alii, praesertim in observationibus practici, se vidisse affirraant, ipsi vidisse ìoo non negent. Sed audire fortasse ex me desideras, quid quave ratione ea quae palici vi¬ dero praeter te, vel certe non sine te, ipse cum aliis viderim sine te. Sic ergo accipe. In Sicilia instrumentum quo novas viderem stellas, nullum offenderam ; sed neque Nespoli, dum illic transirem: solum in luna inaequalitatem videre licuit, notatu dignam. Romani vero ut appuli, inveni ex nostris unum, Ioannem Paulum Lembura, qui, antequara quicquam intellexisset de tuis, perspicillis qui- busdam, non tam ad imitationem alterius sed potius vi coniecturae factis, timi lunae inaequalitatem, tum stellas in Pleiadibus, Orione et aliis plurimas, obser- 34 22 GENNAIO 1611. {466) vavit; Planetas tamen novos non vidit. Ponti * Toro, non psrvo rum labore ao diligentia, tantae perfezioni» perspicilla fieri procuravit, ut etiam tu»*, qme Ho- no mani ad diversos misisti, coinparari vel etiam pracferri i*»Uerint ; quibus tan¬ dem novos Planetas, saltem puriore cacio, detesimiia. Quoti vero po*t*>a danti* eosdem agnoverimus, hoc onmino munificenti** Domini Ant«>mi Santini tribuni- dura est, eiusquo perspicillo quod secundo Patri Clavio Yen* tu» dono ra»»it, quo quidem hactenus perfoctius non vidi: quamvi* enim non ut clan unum, multi- plicat tamen plus millies, iinmo millie» et fero ducenties, fa. itque 'uum otlicium non male etiam cum diversi» vitris concavi», quod in aliin non depn* bendi. Hoc igitur instrumento iam fere a duobus menaibus non aoluni agnovimus manife¬ stissime Iovialia Sidera, sed annotare etiam coepimus eorum vario* ailua; et antequam ex te intellexissemus modum tuuiu in noUndis distanti i«, u»i sumus l» visa Iovi diametro, more tuo. Et quia snepim commoda oflervbatur «•> »\*mo inspi- ciendi Venerem, advertimua quidem illico neseio quid defcctu* in em* corpore: sed in principio id perspicillis potius adscripsimus qumm a*tro ; non multo ta¬ men post, etiam ante quam a te moniti fuissemu[»), clarii»iiue obscnavimu», non perspicillorum fuisso defectum, sed re vera Venerem, mure luna*, s.-nsim lumino deficero dum soli appropinquat Et quidem p. r pra. dirla p< n.p:. dia \i- deramus tunc Venerem non multo minorem dimidinta luna; postquum vero a te admoniti sumus, coepi etiam investigare inodora ut eandem co mudo viderem quo lunam: id quod etiam ex parte assequutus vide.»r; quamvi» inim eius splendorem non ponitus cxtinxerira, sustuli tamen rum qui umbr.io luminisque iso confinia penitus distinguere non permittebat. Et deuique idem per-jurillum ea ratione temperavi, ut ean.l.iu \ entrali, non ipso solita sed pi uree alii mecum, et Clavius ipse, inspexerimus non, ut ante, quasi dimidiatae, ned vel omnino luuae aequalem, vel non multo minorem; et hoc ita es-.o, omnino comprobavit ob . r- vatio ad vesperam Sancti Antonii facta, quando lunam uno oculorum risani sino perspicillo, et Venerem altero cum perspicillo, ooniponere inter ■>*» conce hs uni fuit. omnes enim qui tunc ad spectaculum aderant et vidrrant, acquali* inter se, quae videbant, se fatebantur videre. Quantum tunc desidernbam tuam prao- sentiam, ut per tc approbarentur nostrae, qui observatione* tuas approbare co- namur ! praevidebam enim non facile eandem, sod noe sirailem, redituram. For- uo sitali tuo tunc perspicillo, praedicto modo temperato, multo vidi* t ìnus Venerem luna maiorem. Sed video me, scribendo, longius provectum esse quam proposneram : quare finem facio, et illud tamen ad extremum a te peto, ut, si grave non sit, quam primuni ad nos inittas formae illius, in qua praecipue tua perspicilla elaboras, seinidiametrum, nisi forte cum ea coiucidat, quam ex convoxitate perapicilli San¬ tini collegi esse palmorum 2 1 2 . Pater Clavius, una cum reliquia matheseos 131. permitubant — 117. moIAmmo* — 35 [406-467] 22 - 27 GENNAIO 1611. studiosis, to plurimum salutat et avidissime mecum exspectat. Vale, et mihi tuos inter voi ultimimi locura concedo. 160 Itomae, 22 Ian. anni 1611. T.“ D. In Christo Servii» Chris top li or us Grieu ber geme. Fuori: All’111.® Sig. ro Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 467 **. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Padova, 27 gennaio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. VI, car. 177. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. m0 Sig. r Essendo debito mio far riverenza a V. S. alcuna volta con mie lettere, vengo con queste mie quattro righe a baciarle le mani, et avisarla come che, lodato Iddio, in Venetia se è retrovata una figlia del speciale dal Cavaleto, abita in Realto, la qual puta ha receuto le stigmate ; le quale ho vedute io questi giorni che sono stato a Venetia. Questa dalla fronte getta sangue, del quale divorsi gentil’ huomeni Venetiani ne liano hauti nelli facioleti ; et si ò veduto in questa un miracolo, che guardando una caldura da bugada, et essendo andata in estasi, cascò con un brucio nella bolente caldura, et con la testa nell 1 ardente foco, et io rechiamata poi da soi fratelli si risvegliò, non essendo stata nè toca dal foco nè dall 1 aqua. Questo me ò parso scrivere a V. S., per farla partecipe delle cose che qui occorono. Et non occorendomi altro, a lei di cuore buccio le mani, pregandola a favorirmi alcuna volta con suo lettere. Di Padoa, li 27 Genaro 1611. Di V. S. molto Hl. p ® et Ecc. m * Ser. r " Afl>° Francesco Duodo. Fuori : Al molto Ill. r ® mio Sig. r Oss. mo L’Ece. mo Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 36 28 OBKHAIO 1611. mi 408 ** LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO m Firsiuo. Kouui, iW franalo 1611 . Bibl. Nnz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 173. Ecc. mo Sig. r mio, Non risposi per la passata, porche non avevo anchora presentata la lotterà al Sig. r Luca 10 , al quale ò stata gratissima et mo n'à fatto partecipe: del che molto mi rallegro, et ne presi nota per poterla recitare ad altri, fra ì quali A stato il Sig. r Giarabatista Strozzi et il Sig. r Ciampoli, che la salutano. Ò inteso anello di qua dol Padre Clavio, che dice che k vinto i nuovi pia* noti, et cosi uno altro suo compagnie, dicano essere maggiore del Padre Clavio, il quale à non so che dotto avere altre ossenrationi della mattina più di quello di V. S. L’ò sentito da terzo persone, perchè non li conoscilo, oltre che sono molto ocupato per servizio della cappella di Sua Santità, nella quale tiro inanzi io molto allegramente : nò mi rimane altro di disgusto in questo mondo, se non di non la potere e godere et vedere anclior io et sentire di Unto bellezze del cielo: ma so a Dio piacerà, finito 1’ opera, che sarà u Agosto, voglio venire a stare duo mesi costì, et imparticolaro per veder lei, alla quale cor ogni alletto lo bacio le mani. Di Roma, il dì 28 di Gennaio 1611. Saluti il Sig. r Amadori ir) . Di V.S. molto 111." et Eccl.** Servitore AfT-« Fuori: Allo molto IU." et Eccl.® 0 Sig/ mio 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Leti. 468. 6. Gambata - Campoli - 7. diramo - 10. —p** . (,) Luca Valerio. *** Gto, Battuta Amarori. 4 28 GENNAIO Itili. 37 [409] 469*. LUCA VALERIO a GALILEO in Firenze. Koiu», ‘28 gennaio 1011. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. VII, car. 110. — Autografa. Molto m« et Eec. mo S. r mio Oss. mo Rallegromi moltissimo con V. S. et della sua racquistata sanità et delle sue mirabili osservationi fatte intorno a Venere, coni’ancor fa la S. ra Margherita 10 , rendendolo li saluti duplicati, e dicendole elio i compagni di Giove, scoperti da V. S., apporteranno grand’ utile alli giudicii astrologici, poi eh’ è stato osser¬ vato molte volte che tal pianeta, con li medesimi aspetti o congiuntioni et altre circostanze, si è mostrato negli effetti da sò medesimo molto differente, non sa¬ pendosi la causa della varietà non per altro che per la ignoranza di quest’altri lumi, come si dee credere. Dunque V. S. séguiti pur l’impresa; ma la prego però io a sollecitar 1* opera De motu gravimi , la quale grandemente desidero che venga in luce quanto prima sì per l’honor di V. S. come per l’utilità publica, havendo io in ciò riguardo più alla velocità del suo pellegrino ingegno che alla diffi¬ coltà della materia : et se V. S. per mia consolatione si degnerà d’avisarmi a che termine 1’ habbia condotta, lo riceverò per favore singularissimo. Quanto alla venuta sua, non credo che sia in Doma chi la desideri più di me ; ma pregola a venirsene in tempo elio quest’ aria, eli’ ogni dì muta stagione, non le sia dannosa, coinè che questo cielo alle gambe sia salutifero. Ma io m’as¬ sicuro che la prudenza di V. S. si consiglierà prima con Galeno. Quanto all’ lll. mo S. r Filippo Salviati, gentilhuomo di bonissime lettere, come 20 V. S. mi scrive, per esser tale, V. S. lo preghi ad accettarmi nel numero do’ suoi servitori, benché inutile. Nè havendo altro che scriverle per bora, bacio a V. S. le mani, conio fa ancor la S. r,L Margherita, augurandole da Dio felicità. Di Roma, li 28 di Gennaro 1611. Di V. S. molto 111.*' 6 et Ecc. ma Ser. ro Aff. mo Luca Valerio. Fuori : Al molto lll. re et Ecc. m0 S. re Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. IO MakuukkitA Sauhocchi. 38 FEBBRAIO 1611. 1470] 470 . GALILEO » MARCO WELSKR [»n Au^.u) IKirenw, febbrai® 1611.J Bibl. Nius. Fir. Ma*, (ini, f. III. T. VII, !. ear. 10-41. — HfaMrt® *®W»*f* A *•». i|. .iiva® «n®|6i « Copia d’una lettera scritta da me ul .Sig. YeN. ro «. Hl. mo Sig. w et Pad. 0 * Col." 10 Altro stilo che quello di un semplice, ansi roso, matematico ftaria necessario per condegnamente rispondere alla gentile-ima letteradi V. S. 111.™ delli 7 del passato ma benché dalle noto della voce e della penna io resti di sì lunga mano sup. rato et confuso, procurerò almeno che negl’affetti dell’animo io non sia vinto, - non in quanto una sola stilla della grazia et del favore di V. S. è senza misura da pregiarsi più che l’intera mia servitù et devozione. Condoni pertanto la sua benignità le imperfezioni et mancamenti del mio ingegno alla prontezza et osservanza della buona volontà; né meritando io di es- io sere arrotato tra i suoi cortigiani facondi, assai grato luogo mi sarà tra i servidori sinceri: et talo gli sono et sarò in perpetuo. Io sto con desiderio aspettando risposta dal S. Prefiggerò, et tanto più, quanto mi è nata speranza che ei possa restare appagato di quanto riscrissi, da l’intendere la satisfanno dell* altro amico di V. S. 1 , sì come ella mi avvisa; ancor che questo, in genere, non stimi per con¬ cluso necessariamente quanto ho scritto circa la inegualità della su¬ perficie lunare, di che adduce alcuno ragioni, le quali io non inte¬ ramente capisco. Però mi scuserà V. S. se fonie nel rispondergli io non interamente lo satisfarò. 20 Et dove nel principio dico • Ex actenus allatis etc. 3 ' -, viddur in corpo) e lunari plures superficies considerare ; particola cairn maximam contradistintionem importare viddur ad alias superficie non maximas, ut m s l^ iaera circuii quidam maximi vocantur ad distintionem minorum, in eade.m sphaera desenptorum : ai in solàio quolibet plures superficies consi - FEBBRAIO 1611. 39 [470] clenire, novmi et inauditum miìii est. Veluti igitur corpus terrestre una su¬ perficie tcrminatur, quae non exacte sphaerica, sed aspera est; ita dico ego, 3'“ superficiem non sphaericam exacte, sed asperam, lacunis, inquam, et eminentiis confertam. Atipie inde improprie quoque dictum videtur quod 30 sequitur : « cum ipsa superficies 3 maxima etc. » : 3“" enm superficies a verticibus montimi, a montibus ipsis, a depressioribus partibus, et umilino ab omnibus extimis et apparentibus partibus, simili desumitur. Prosequitur : « Hoc solimi constat etc. ». Omitto, quod improprie dicitur, praeeminere extra circulos maximos 3 ao montes: omnes enm cminentiae ad maximos circulos referuntur; mensurantur cniin per perpendiculares lineas, iurta quas maximorum tantum circulorum superficies extenduntur. Considero autem, velie autliorcm, ex a me allatis pJiaenomenis lacmias po- tius ac voragines sólwn introrswn, non autem montes extra praeemi nere ; quod tamen falsum est. Nani si superficies 3; alioquin aequàbilis ac per¬ la polita, lacunis tantum bine inde scateret, proferito in confinio luminis et um- brae sinus tantum aliqui obscuri intra luminosani partem curvarcntur, ut in apposita figura; nullae autem cuspides illuminatae, omnino a plaga lucida separatac, intra tenebras rcliquae partis emica- rent : cuius oppositum docet experientia. Amplius, omnes fere magnae et antiquae maculae, quae scilicet acie naturali vi- dentwr, iugis altissimis sunt circumvallatae ; quod inde con¬ stai, quia, dum terminus illuminationis super ipsas maculas transit, supra infraque illas promin ent veluti promontorio quaedam, super ienebrosam par- lem scandentia longoque duetti extuberantia, ut altera prue se fert ddincatio : 60 quod nulla ratime in superficie aequabili, at cavitatibus tan¬ tum nonntdlis corrosa, locum polest habere. Amplius, maculae illae nigerrimae quae procul a confinio lucis intra partem hminosam creberrimae visuntur, si roragines solimi, infra superficiem 3 excavatae, fioroni, nidlis montimi iugis circum- septae, carimi ori fida ex ad verso solis posila nubiani prof erto proiicerent umbram : modo experientia contrarium docet. Ut enirn in apposita figura ceni itur, veniente illuminatione ex a, ci reumi imbus c clarius ful¬ gidi ; quasi cnim montilim dorsus , co lumen dircele magis recipit: lume sequitur obscurissima lacuna I), 27. cxactac — 41. Prima aveva scritto sinus aliqui ... lumìnoiatn tantum parici» ; poi corresse conformo stampiamo. — 52. nigeriìme — 40 FEBBRAIO 1611. 1470] obice monlìum c et propria profunditate obumbrata : post hanc kabes sltinm dormirti e, satis clarum, quem seguiti* umbra f, quae qmdem umbra ama ■ cum luci diore parte o non adment, si simplex lacuna I) infra plamm excavarelur. lluiusmodi autem figura* sexeentas videas h dam a e- ri tre, qui meas maculas obscuras, lacunas potine intra solidUaicm, reluti la- pillos diversicolorcs in cristallino globo, esse affinnabunl, rstmua interim 3 superficie pellucida ac perpolita esistente. JJic, pnmum, atlnumeo, meas istas nigerrimas maculas re vera tiil aliud eeoe quam umbra»; quandoqub detti augentur, immnmntur, abolmtunjio omnino, mutantur a dt dea in sinistrata et e contea, prout solia irradiai io modo oblique , motto direcie, motlo ex, occidente, modo ex oriente, in 3*" incidit : quorum rffrctuum nulla rn- tionubilis assigndbitur causa, nisi ipsius superficie! inacquatila*. Esse deinde lacunas istas rcplctas materia alijua diafana, adn«juc y»lhuuia ut visual nostrum et solia irradiati/metti nidiatenus imp'diat, qmaninu-, et W ilUis efficcre nosqtte eas intueri possimus; phihtsophis »/ t* dnwmdrandum re-io linquo. Ego etti ni dum assero, 3** superficie* esse asperam instar super- ficici ternie, prò 3“ intelligo corpus illwl per se bnebm^/m alque oj- innn, guadi cum cotia lumen recipere ac coibere sii patene, illusi rat nr ac visiima nostris exponitur;ób idque toto cado a pellucido et invisibili aetere, sibi cir¬ cuiti fuso, discrepai: idque tale a ttobis visum corpus eminentin* cavitatesque innumeras in superficie habere, assero. Ai si quia prò 3% non corpus illud tantum quod videmus, sed circa hoc mvisibiUm qua nolani maleriam alque imaginatam, accipcrc vdit; iste idem, nec minun ratimabilitrr, b rram quo/pie perfede sphacricam faciet, vallihua illius alque lacunis afre circurnfuso n pletis, aèreague et vmaginaria superficie per alti, ima motdiuw fastigio 90 extensa, molati terrestrem ex suo determinati* arbitrio. Dixi**em, consimi¬ le™ buie phglosophycae 3” extitisse terram, si temere diluì ii No? gclu stridimi mare relidum fuissd : ut aquac, Urei limpidissimae, tanta non inest pdluciditas ac transpn,, ntia, ut tisibus nostris iti tantum profundi- tatem prebeat transitimi ad scoputorum infemorum umhras didinguendas. 4 FEBBRAIO 1611. 41 |470-471] Obducant igìtur necesse est visibilem 2 diafana quadam substantia, vitro, crystallo, adamante, aqua ipsa multis patiibus pellucidiori, quale unum tantum esse aetera sensus nos docent. Veruni, statini atquc effectum id fuerit, quid aliud inde colligemus, nisi quod lunare corpus visibile superficie qui - 100 dem aspera terminatur, sed in aethere locatur? Ma forse troppo mi sono disteso, et, come ben dice ella, lo stru¬ mento eccellente per avventura rinnoverebbe ogni dubbio, sì come è accaduto de i Pianeti Medicei, li quali, dopo essere per lungo tempo stati negati fermamente da matematici eminentissimi, sono in ultimo stati conosciuti et confessati, dopo elio sono stati veduti da essi. Ma quello di che mi meraviglio non poco, è che dell’ havergli loro rico¬ nosciuti per verissimi pianeti, non ne adducono incontro alcuno che da me non sia stato scritto et publicato innanzi: che se pure pro¬ ducessero qualche necessario requisito da me pretermesso, potrei cre¬ ilo dere che mi havessero reputato veridico, ma difettoso nell’ arte; dove che così non veggo di poter fuggire la nota, da me abominatissima, di esser da loro stato reputato bugiardo. Quanto alle nuove osservazioni fatte da me, posso dirgli, come da 8 mesi in qua ho osservato continuamente, Saturno non essere una stella sola, ma tre così disposte oQO, etc. 471 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 4 febbraio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mas. Qui., P. VI, T. Vili, car. IO. — Autografa. 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Io son in Padova, dove ho incominciato a divulgare la dechiaratione del¬ l’enigma Venereo, con stupore di questi SS. ri filosofi, se bene si rendono più facili a credere questa osservatone, che non fecero quella delle Stelle Medicee : credo che si vergognino, e dubitino che tanto maggiore non appaia la loro ignoranza, ovoro ostinatone. Sinliora V. S. ha penetrato i secreti della luna, di Venere, di Mercurio, di Giove e di Saturno ; non veggo che ancora ella s’accosti al solo : 66. Prima aveva scritto Ponant igìtur nr.ee uso. est circa vùibilem, poi corresse Obducant ìgitur ocC., con¬ forme stampiamo. — 105. e**» ò stato sostituito da Galileo a loro, che prima aveva scritto o poi cancellò. — 108. Tra et e publicato leggesi stampai, che Galileo lasciò così in tronco o poi caucollò.— 110-111. dove che ò stato sostituito da Galileo a ma, che prima aveva scritto o poi cancellò. — XI. 0 42 4 - 7 FEBBRAIO 1611. (471-47*] sovvienle forsi il caso di Fetonte o d'Icaro, eh»* l’uno <* 1’ nitro, p«r avtu mani troppo a quello, rea torno malamente trattati. Mi piare anco vrdrria m.Lora lon¬ tana dal furibondo Marte, tanto più dopi» ch' ella » ir "min* tata ad nitri» ire lo con Venere sua favorita, acci.', bob li fanuse qualche furore di feloata, e li fa¬ cesse qualche strano incontro. Diedi subito iurte al S. r Viivro li tutto »*rà facil cosa che questa settimana ventura babbi qualche tua in tal proposito. Ho referto anco a M. r Bel Ioni ” quanto V. S mi * timi. o al «1 lMt»r« suo fratello, quali pure havevano ricevuto una ctirteaiiMina triterà di V S • tappia che hanno collocate tutte le loro speranze in lei *\ Però U «applico io di nu>»to a prestarle tutto quell’aiuto e favore che mai ♦ jxmibilc. &»■ .»'► il. ito D atore ottenghi tal gratia, tanto da lui deeidcrata. Ho fatto lo sue raccomandationi con questi Rii Pignori» et Sandelli : amen- dua le baciano con ogni affetto le mani, al come pur face' io, piegandole da N. 8. M ogni vero bene. Di nuovo non so che vi sia co-a di momento. Di Pad.», alli 4 Feb. 1611. Di V. S. 1U.» et Ecc.— Fuori: All 1 111» et Eoe.*® S. r mio Osa.»* 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. S«*r» Aff¬ inolo Gualdo. 472 *. GIULIANO I)E' MEDICI a GALILEO in FWn *• Fraga, 7 febbraio iati Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camporl. Aiterai, K.» l.XXX, a* il A»i. r a/s. 111.» et Ecc. mo Sig.™ Detti subito al Sig. Gleppero la lettera di V S. eon I. dichiaratione di quell, antecedente, ohe ne resti ammirato et eontentiwum.., .1 come egli mi dico vo- lerlo scrivere da per sè a V.S.; che se lo farà di que.1» aettimnnn, «ri qui alli- gata la lettera. Ne feci ancora parte al Sig. r Consigliere Vaocher perdona ain- gularissima in questi paesi, il quale è diventato innamoratissimo di V.S. a vedere che ella dimostri la verità di molte coso che dico egli bavere sempre credute che stessero per quel verso; e spera che babbi ancora a p,»,r molto più oltre, et la pregha a continuarci do’ lumi del suo singular ingegnio : et vorrebbe che V. 8. ni Monsignor Giovassi Bkiluxl •*> Cfr. nn.' 446, 448, 464. **' WaitBU. [472-478] 7 —10 FEBBRAIO 1611. 43 io dessi una volta una scorsa per la Germania, ckò spererebbe fusai per ritornar¬ sene sodisfattissima. Il Sig. Seghetti cl) se ne è ito in Pollonia a vedere que’ paesi, in compagnia del Sig. David Riches (,) ; et il Sig. r Asdalio per mille volte risaluta V. S. Et ba¬ ciandoli le mani, le pregherò da Nostro Signor Dio ogni felicità. Di Pragha, a’ 7 di Febbraio 1611. Di V. S. Ili/® et Ecc. mu S/® Aff.™ Giuliano Medici. Fuori, (Coltra inano: All’111/® et Ecc. mo Sig/° mio Ilonor/' 0 11 [Sig.] Galileo Galilei, Filosofo e Matematico di S. A. S. 20 Firenze. 473 *. PAOLO GUALDO a GALILEO in Fironzc. Padova, 10 febbraio 1G11. La lettoni 6, autografa, nella Bibl. Nuz. Fir., Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 179; la poacrlttA (Un. 30-40), pur autografa, in un fogliottiuo a parto che ò puro noi Mss. Gal., P. Ili, T. X, car. 62u. Ili/® et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Credevo haver questa settimana lettere dal S. r Velsero, in risposta della mia ch’io le scrissi a Vicenza, dandoli raguaglio dell’interpretatione della cifra; ma sinkora non è comparso niente, c me ne maraviglio. Ho mostrato detta in¬ terpretatione al giovane (3) clic scrisse contra 1’Orchi, il quale restò maraviglia- tissimo di tal osservanza, nò seppe, così all’ improviso, farle altra oppositione se non che 1’ occhialo può ben far che una cosa che non si vedeva senza quello, con quello si vegga, et anco quelle che si veggono, possino apparerei più grandi ; ma elio una cosa che si vede, mutti forme e sembianze, differenti da quolle che si io veggono, li par strana cosa: onde, vedendo noi, con la nostra vista ordinaria, Venere sempre piena e rotonda, senza accorgersi mai d’alcuna crescenza o di- crescenza, non la sapeva ben capire. Qui ancora non s’ ò fatta provisione di Mathematico. Intendo che il Conte In¬ golfo Tommaso Skooktt. I*) Davide liicquKa. |3 > Giovanni Woddkrbokn. (*> Incolto db’ Conti. 44 10 — 11 febbraio 1611 . [478-174] Io son di nuovo sforzato a raccomandare, con quel maggior affi tto oh'io so o posso, il S. r Dottor Belloni por la lettura di Pia* a V.8.: di gratin, vi metta tutto lo spirito, poiché è opinione oommaniaaiiua di tutti, che ma* vorrà ado » pi arsi vivamente, resterà compitamente consolato. Qui, p-r dirlo confidente mente a V.S., s’è detto ch’ella habbia racordnto a 8. A. 8cr. fc * il Lap.-u/oni- ‘. Per l’amore che V. S. porta et ha portato a Padova, adopri il ^uo favore a prò di e*»,, Bel¬ loni, poiché nella sua persona darà compita sodisfa tionr a molti altri h noi amici o servitori. Staremo a sentire qualche buona novella: in unto Ir prego da N.8, compita sanità e felicità, e le bacio le mani. Di Pad», al li 10 Peb. 1611. Di V. S. 111.™ et Ecc."“ Ser.™ Aff.»® Paolo Gualdo. Havevo già serrata la lettera, quando m’é arrivata quella del S. r Veliero,» che mi scrive : < Rendo gratie a V. S. per l'sviso della nuora inventione <1.1 S. r Galileo circa la stella di Venere, che corto è curiosa e Iteli», bene io non comprendo come no segua necessariamente che Venere aggiri intorno al iole ; perché, se bene tutti gli astrologhi veggono crescere e diminuire 1» luna, non inferiscono però, il sole esser centro del moto della luna. Ma il S. r Galileo debbo formar l’illatione non precisamente da questa sola osservatione. Credo ne baveri dato jtarte subito al S. r Keplero, ma a cautela ne ho pur scritto ad un amico mio a Praga. Mi di¬ spiace che la mia risposta tardi tanto a giunger»* a Firenze ; pare hubbui voluto far parallelo con la lettera del detto S. r Galilei. > io Fuori: All’IH.™ et Ecc.® 0 S. r mio Osa.*® Il S. r Galileo Galilei. franca. Fiorenza. 474 **. GIO. ANTONIO ROFFENI a GALILEO in Firenze. Bologna, lt febbraio 1611. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. TI, T. Vili, car. 18.-Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S.™ mio, Ho inteso dalla sua delli 4 dello corente, come haveva receputo V informar tione che l’havevo mandato in matteria del negotiu del S.™ Pappazone, del quale cioè media circa (plet¬ tro volte maggiore delle laterali, le quali sono tra di loro eguali. Non hanno, in sette mesi che le ho osservate, fatta mutazione alcuna ; onde assolutamente sono tra di loro immobili, perchè (giacché sono co così vicine che pare che si tocchino) ogni moto elio avessero, benché minimo, si saria fatto sensibile. Perchè, per mio avviso, il diametro dello due minori non arriva a quattro secondi: sicché, o si sariano totalmente congiunte con la media, o evidentemente separate, quando il lor moto fusse anco dieci volte più tardo di quello delle stelle fisse ; tuttavia, come ho detto, in sette mesi non hanno fatto mutazione 48 12 FEBBRAIO 1611. 1*76] alcuna, se non di mostrarsi più piccole tutte tre por la maggiore lontananza dalla terra, ora che sono alla congiuntone, che quando erano all* opposizion del sole: la qual differenti» è fi««iwibi!ÌKiima. Stimando pure esser verissimo che tutti i pianeti si volghino in¬ torno al sole come centro dei loro orbi, o più credciido che siano ?o tutti per sò tenebrosi ed opachi come la t rr » e la luna, mi posi, quattro mesi sono, a osservar Venero, la quale, eso ndo vespertina, mi si mostrò perfettamente rotonda, ina aa-sai piccola; o di tal figura si mantenne molti giorni, crescendo però notabilmente in mole. Av¬ vicinandosi poi alla medesima digressione, cominciò a Macinare dalla rotondità nella parto verso oriente, ed in pochi giorni »i ridusse ad esser semicircolare ; e di tal figura si mantenne circa un mese, senza vedersi altra mutazione che di mole, la quale notabilmente si ac¬ cresceva. Finalmente nel ritirarsi verso il sole cominciò ad incavarsi dove era retta, ed a farsi pian piano corniculata: ed ora è ridotta» in una sottilissima falce, simile alla luna quatriduana. La mole però della sua sfera ò fatta tanto grande, che dalla sua prima apparizione, quando la veddi rotonda, a elio si mostrò mezza ed a quello che si vede adesso, ci è la differenza che mostrano le tre presenti figure O [) j) Sciemerà ancora sino alla occultazione, ed u mezzo quest’ altro mese la vederemo orientale, sottilissima ; e seguitando di lontananti dal gole, crescendo di lume o sciemando di mole, nello spazio di tre mesi in¬ circa si ridurrà a mezzo cerchio, e tale, Bonza conoscervi sensibile mutamento, si manterrà circa un mese ; poi, H'guitando sempre di sciemare in mole, si farà in pochi giorni interamente rotonda, della » qual figura si mostrerà per più di dieci mesi continui, trattone quei tre mesi incirca che starà invisibile sotto i raggi del sole. Or eccoci fatti certi che Venere si volge intorno al solo, e non sotto (come credette lolommeo), dove mai non si mostrerebbe se non minore di mezzo cerchio ; nò meno sopra (come piacque ad Aristo- telo), perchè se fusse superiore al solo, non bì vedrebbe mai falcata, ma sempre più di mezza assaissimo, e quasi sempre perfettamente rotonda. E l’istesse mutazioni aon sicuro che vedremo fare a Mer¬ curio. Perchè poi tali diversità di forme e di grandezze in Venere siano impercettibili con la vista naturale, so io benissimo per le sue ioo cagioni non occulte all’ingegno di Vost. Riverenza: tra lo quali la 12 FEBBRAIO 1611. 49 [ 476 ] piccolezza e la gran lontananza di essa Venere, in comparazion della luna, ne è la principale, siccome anco V esperienza ci mostra ; perchè rivoltando il cannone sì che rappresenti gli oggetti piccoli e lonta¬ nissimi, la medesima luna, quando è corniculata di tre giorni e non più, ci apparisce rotonda e radiante, similissima a Venere veduta con la vista naturale. Siamo in oltre da queste medesime apparizioni di Venere fatti certi come i pianeti tutti ricevono il lume dal sole, es¬ sendo per lor natura tenebrosi* Ma io di più sono, per dimostrazione no necessaria, sicurissimo che le stelle fisse sono per sè medesime luci¬ dissime, nè hanno bisogno dell’ irradazione del sole ; la quale Dio sa se arriva in tanta lontananza. Ho finalmente investigato il modo di poter sapere lo vere gran¬ dezze dei pianeti tutti : nell’ assegnar delle quali, trattone il sole e la luna, si sono ingannati quelli che ne hanno trattato, in tutti gli altri pianeti grandissimamente, ed in taluno di loro di più di seimila per cento. Quanto ai Pianeti Medicei, vo continuando di osservargli ; od avendo migliorato lo strumento, gli scorgo più apparenti assai che le stelle 120 della seconda grandezza : di che ne è certo argomento il vedergli adesso poco dopo il tramontar del sole, ed un pezzo avanti che si scorghino i Gemelli o il Cingolo di Orione. E spero di aver trovato il modo da poter determinare i periodi di tutti quattro; cosa stimata per impossibile dal Keplero e da altri matematici. Io speravo di esser per venir costà questa quadragesima, per ri¬ stampar queste mie osservazioni : ma mi sono tanto multiplicate per le mani, che mi sarà forza indugiare a fatto Pasqua. Intanto non voglio mancar di dire a V. S. molto R. e all’ Illustris. Sign. Sebastiano Veniero, che caso che gl’ lllustriss. Signori Riformatori non abbino 130 fin qui fatto provisione di Matematico per Padova, voglino proccurar di trattenergli ; perchè spero di esser per metter loro per le mani persona di grande stima (1) , ed atta a poter difendere la dignità ed eccellenza di così nobil professione contro a quelli che cercano di esterminarla, li quali in Padova non mancano, come benissimo sanno. E so che tali proccureranno che sia condotto qualche soggetto da poterlo dominare e spaventare, acciocché se mai si scuopre qualche Intendo il Kkplkk : cfr. un. 1 386, 402. XI. 7 50 12 FEBBRAIO 1611. (476-477] cosa vera e di garbo, ella resti dalla loro tirannide «ofTogata. Maini giova sperare nella prudenza di tanti che intendono in roteato Se¬ nato, che non seguirà elezione se non ottima. Ora io T ho impedita assai : perdoni al diletto che ho di parlar 140 con lei ; e volendo favorirmi di sue lettere, potrà mandarmele, come questa, sotto quelle dell’ Illuatriss. Signor Vernerò. Hestumi a pregarla di farmi grazia di ricordarmi servitore devotissimo a tanti Illustri»*. miei Signori, dei quali vivo, come sempre jui, devotissimo servitore; o con ogni affetto gli bacio le mani. Di Firenze, li 12 di Febbraio 1G10 Di V. S. molto li. Servitore Devotissimo Galileo Galilei. 477 *. ANTONIO SANTINI a GAIJI.EO in F rm *. Veneti a, 12 febbraio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, ctr. 181. - AatofraJfc. Molt’Ill.™ et Ecc. mo S. or mio Osa." 10 La settimana passata non respuosi a Y.S., sperando di potere haver quel- 1 operetta del Sizio da mandarli, la quale nè anche è compita. Por quanto ho inteso dal proprio I’. Inquisitore, ha bisognato che sii rimandata costi jier ac¬ conciare alcune cose, in particolare dove asseriva che le nuove steli.» mobili ri¬ trovate erano de divedo contra la Sacra Scrittura, e non portava autorità niuna: e parmi che quanto vi sia stato aggionto o acconcio, sia con senso mistico, e non fa al caso. Quando potrò mandarne a V. S. resse ni piare, lo farò subito, o lasserò ordine che sia mandato, poi che penso passare verso la città nostra ora al prin¬ cipio di quadragesima, credo per fermarmi qualche giorni o mesi; «t in ogni io loco, al solito, sono paratissimo et obbligatissimo i>er servirla. Di Roma anche io sono avvisato delle osservassioni che fanno; et ora non resta di huomini emi- .. nenti altri che contradicbino alla verità asserta da V. S. Il S. or Magagnati se la passa benissimo, et ha haute parte da me di quanto mi ha ordinato. Attenda V. S. a conservarsi sano, e quanto prima faccia vedere alcuna cosa del suo; e non saria che molto approposito pensasse a far la fatica 1,1 Di stile fiorentino. '*1 Cfr. Voi. HI, Par. I, 402 t Mtf. [477-478] 12 — 18 febbraio 1611. 61 di nuove theoriche, chò certo V. S. si compareria perpetua gloria. V. S. faccia sa¬ pere al S. r Filippo Salviati, che quando sia in Lucca, penserò trovare una copia De ìnsidentibus aquae con il Commandino (1) , e come ho fatto sapere al S. r Gua- 20 dagnine li farò bavere. V. S. mi dia occasione di servirla, e li b. le m. Di Ven. a , a 12 Febraro 1611. Di V. S. molto 111. et Eec. nm Ser. ra Aff. Ant.° Santini. Fuori: Al molt’Ill. ro et Ecc. mo S. or mio Oss.'" 0 11 S. r Galileo Galilei, in Firense. 478 . MARCO WELSEIt a GALILEO in Firenze. Augusta, 18 febbraio Itili. Bibl. Nasi. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, cnr. 42. — Autografa. Molto 111. 6 et Ecc." 10 S. or Oss. mo La modestia di V. S., congionta colle qualità che sono palesi al mondo, mi fa sovenire un senso replicato più volte da persone spirituali in insegnare la buona strada della vera virtù : che gli edifici, quanto sono più alti et maestosi, tanto più tengono profondati gli fondamenti ; nò altro le voglio replicar in tal materia, riaffermando solo che quale me le offersi nella prima mia lettera, tale sono et sarò sempre, riputandomi a molto favore se lei vicendevolmente non diminuirà nulla dell’ amore che di presente mi porta. Dal S. or Brenggero non ho visto altro; il che interpreto per tacita confos- io sione di restar appagato delle sol utioni di V. S. Ma certa ingenuità richiedeva, a dir il vero, che questa confessione venisse ancora espressa in iscritto, sì come ho pensiero di instare che segua. All’altro amico (8) communicarò quanto V. S. hora scrive. Io non dovrei an¬ ticipare di Immetter la debolezza del mio giudicio ; ma certo lei convince l’in¬ telletto tanto chiaramente, et risolve gli dubbi dell’amico con tal sodezza, che stimo sia per arrendersi molto prontamente, riconoscendo 1’ obligo che tiene di esser insegnato con tal amorevolezza. V. S. non si maravigli se per tutto incontra oppositori, poiché l’inaspettata novità della sua dottrina non poteva esser accettata dal mondo senza nota (l ’ Di Frdkricio Commandino si lm la traduzione Niccolò Tartaglia (Vonetiis, apucl Cui tinnì Troia- di AkoHIMRDIS De Ut quue vehuntur in aqua libri duo num, 1565). (Bononiftu, ox officina Alexandri Boimcii, 1565) : i <*> Kranckbco Gi’adaoki. duo libri De intidentibu» aquae si hanno tradotti da < 3 > Gfr. n.° 452, lin. 17. 52 18 — 26 FEBBRAIO 1611. |47S479j d’ignavia, se non precedeva lo squittinio de’ rifi dietimi Marni. Il R.* 1'. CUrio» mi scrisse ultimamente, confessando con molto candore eh’ egli era stato duro et renitente a creder questi miracoli, ma che finalmente, con un buon iatromento pervenutogli, si era chiarito talmente a vista d’ocellio, ohe non gli ne restava dubbio alcuno. Et così dovranno fare poco a poco tutti gli maggiori (Mia profes¬ sione; o quando pure alcuno si ostinasse a negar il senso, non ne gnadagnarà salvo la propria vorgogna. Mons.° r Arciprete di Padovami svisò PoeservaUone di V. 8. dulia stella Venere soli quindeci giorni sono: mi parve co* Unto vaga et curiosa, che nulla più ; so bene non comprendo ancora come se ne inferisca indubitatamente la contricità, per così di[re], del sole. Aspettando che il libro ili V. 8. me ne dia» tutto quel lume che bisogna, ne vivo con desiderio singolare. Kt perchè da Vi- netia sono comparsi alcuni tubi visorii poco migliori tirili ordinarli di qua, in¬ tendendosi che vi ò maestro quale, ooil* indinne di V. S., gli fa a-*» ù più esatti, se la me ne dirà, il nome lo riputarò a favore, dando subito ordine ad amici che con esso trattino. Finisco con baciarle la mano et pregarle ogni perfetto bene. Di Augusta, a’ 18 di Feb.° 1611. Di V.S. molto 111.* et Kcc.** Aft** Servii.* Marco YeUcri. Fuori: Al molto 111.® et Ecc. rao S.® r mio Oss.** B S. or Galileo Galilei. » Firenze. 470. GALI!JiO a . . . . IFirenze] 86 febbraio 1*11. Blbl. Nar.. Pir. Ms*. Gal., P. Ili, T. VII, 2, c..r. 68-.V». - Copia di d*l « - X V II IH p (fnn di Tur- ckn7.io Viviaxi ai logge sulla carta che ora , .-acade la lottai» { ar. M): « r . P i. I latterà del 1610. Dal Sig. c Abate Luigi Strozzi ». E sul margine supcriore, a di tra, dalla rar. .'.S II enj >U aeri» « Copia di letteradi M. Galileo Galilei », cui il Vitjaxi «orrian«i: « l*i Pir.\ al '■ir. 1 . . PI -n iuo di \is- CES7.IO \ ivi ani sono pure poche poetille, che, secondo il n ro lali’.iti., u«a riproducati •>. Molt’ 111” Si g. re Adì 25 di Febb.° 1610 Quello clie mi occorre dire a V. S. molt’ Ill. r * per informazione sua e del Sig. r suo figliuolo, è questo. **> Paolo Gualdo. Ili stile tarantino. 25 FEBBRAIO 1611. 53 [470] Tenendo io pur ferma opinione che i pianeti tutti, por sò stessi, fussero corpi oscuri et opachi, come già si era certo della luna, e più stimando il sole esser centro di tutto le rivoluzioni d’essi pia¬ neti, mi messi, 5 mesi sono, ad osservare col mio occhiale la stella di Venere, la quale si vedeva vespertina ; e la veddi distintamente io di figura rotonda e piccola assai, quale ero certo che doveva appa¬ rirci in quel tempo. Continuando poi di osservarla, andando olla verso la massima lontananza dal sole, cominciò a diminuire dalla perfetta figura circolare, mancando dalla parte verso oriente ; o continuando di diminuire dal cerchio perfetto, in pochi giorni si ridusse alla forma semicircolare appunto, o tale, senza alterare la forma, si mantenne circa un mese, mentre fu intorno alla massima digressione dal sole. Cominciando poi a ritirarsi et avvicinarsi verso il sole, cominciò anco a diminuire dal mezzo cerchio e farsi fal¬ cata ; et ha continuato sino ad ora ad assottigliarsi in guisa, elio 20 ora è come una sottilissima falce. Deve però V. S. supero, che dal principio che la cominciai ad osservare, quando appariva rotonda, sino ad ora, è sempre notabilmente andato crescendo il suo globo, in guisa tale, che da quello che appariva ne i primi giorni, a quello che si mostrava quando era mezza, et a quello che apparisce di presente, eh’ è falcata, ci ò la medesima differenza che si scorge tra le 3 figure poste qui appresso 0[)^). F ra 3 giorni, ch’olla sarà alla congiunzione col sole ll) , spererei in ogni modo di vederla, mediante la sua gran latitudine boreale, eli’ ò 6 gradi, se i tempi non andassero così torbidi come vanno : e si vederebbe con le punte 3o dello corna volte verso settentrione, cosa che non avviene mai nella luna. Comincoremo poi a vederla, la mattina, orientale (e notisi, che se fusse il cielo serenissimo, non ho per impossibile che ella si potesse vedere la sera, occidentale, e la mattina prossima seguente, orientale, mediante la sua gran latitudine boreale) ; o la vedremo fal¬ cata e sottilissima: e secondo che ella si anderà allontanando dal sole, anderà anco ingrossando le corna, ma scemando la grandezza del Ut Dallo Effemeridi del Macini, Io quali, ben¬ ché calcolato con tavole vecchio, cortamente non possono sbagliaro di un giorno in dati di questa na¬ tura (specialmonto por un pianeta la cui teoria, uu- cho uolln ipotesi degli epicicli, già allora rappresontnva abbastanza beno lo osservazioni), risulta che lacon- giuuziono (inferiore) di Venere col solo sarobbo stata veramente addì 1° marzo. 54 25 FEBBRAIO 1611. [4791 globo ; e vicino alla massima digressione «i mostrerà mosso cerchio, o tale si manterrà circa un mese, diminuendo però sempre la mole apparento del suo corpo. Dopo, cominciando a crescere, la parte il¬ luminata in pochi giorni s’empierà, e moetrerasM perfettamente ro *o tonda; e tale la vedremo circa 10 metri continovi, nel mezzo del qual tempo ella starà circa 3 mesi ascosta sotto i raggi del sole: o quanto più ella gli sarà vicina (nel tempo, dico, ch’ella hi xnrmtra rotonda), tanto più si vedrà piccola. Nell’ allontanarsi poi dal sole, sondo tor¬ nata vespertina, anderà crescendo di mole, ma diminuendo di lume, reiterando il periodo già di sopra esplicato, il quale ella compisce in mesi 19 in circa. Da queste apparizioni si viene in necessaria conH<*quensa di 2 gran conclusioni: Pana, che Venere si raggira intorno al «ole corno centro della sua rovoluzione ; e l’istesso vedremo faro a Mercurio: l’altra, co che essa Venere, Bendo per sua natura tenebrosa, risplonde, come la luna, in virtù del sole ; e ciò indubitatamente è vero di tutti gl’altri pianeti. Io poi con ragioni necessarie concludo il contrario delle stelle fisse : cioè che quelle Bono por sua natura splendidiiwinie, nè ànno bisogno d’illuminazione da i raggi del solo, i quali formi in tanta distanza non arrivano se non debolissimi. Quanto al modo dell usare l’occhiale p»r veder Venere, non ci vuol altro che fermarlo sopra qualche sostegno, perché sostenendolo a braccia non è possibile che stia fermo, mediante il moto della re¬ spirazione e dell arterie. Bisogna anco che lo strumento sia eccellente, «o e che mostri grande assai. In oltre, ne i seguenti giorni, elio Venere si vedrà mattutina, sarà bene andarla osservando v seguitando con 1 occhiale sin dopo il levar del sole; ]>erchè quanto più sarà chiaro et alto il giorno, tanto più distinta si vedrà la figura, mancandoli, per la lucidezza dell aria, quella irradiazione che nelle tenebre ce la fanno parere maggiore e dentro alla quale si asconde la vera forma di Venere, sì die non si può con la vista naturale distinguere. Quanto a i I ianeti Medicei, ne ho fatte più di 300 oeaerv azioni, e bene spesso 2, et anco tal volta 3, nell’ istesaa notte. Veggonai lo loro mutazioni velocissime e grandissime; et essi Pianeti, mentre Giove 70 è stato all’ opposizione col solo, si vedevano con l’occhiale più grandi e con spi cui che stelle della seconda grandezza; e pochissimo manco si veggono adesso, benché più lontani assai dalla terra. E per sodisfa- im 25 FEBBRAIO 1611. 65 zione del figliuolo di V.S. e de i Reverendi Padri, gli metterò alcune osservazioni fatte nell’istessa notte (i) . Li 29 di Xmbre, a 3 ore di notte, erano come nel primo esem¬ pio ; all’oro 7, quello vicino a Q|. si era congiunto seco, e non ap¬ pariva; all’ore 10, era passato dall’altra banda, e gl’altri si erano avvicinati o discostati, come nelle figuro si scorge ; * * * O * * * O * * * O * * so Alli 2 di Febbraio prossimo passato, a mezz’ora di notte, si ve¬ devano 2 soli Pianeti orientali, sondo gl’altri 2 congiunti con Giove; continuando d’ osservarli, li 2 congiunti si separorno da Giove, uno verso oriente e l’altro verso occidente, sì che le 2 posizioni furono in questa maniera : Or. 0.30. . * * O Or. 4. * * * O * Molte altre di simili mutazioni potrei aggiugnere, die per brevità, le tralascio: in somma dall’una all’altra notte ci sono sempre, di giorno in giorno, mutazioni grandissime, come, per esempio, si vede 90 nelle 2 seguenti osservazioni, 1* una alli 24 di Gennaio a oro 0.30, 1’ altra alli 25 del medesimo mese a ore 0.30: * O * * * * * o * Parimente alli 30 et alli 31 del detto mese si veddero nelle seguenti differenze, la prima alle 7 ore di notte, e la seconda all’ ore 3 : * o * * * * * o * Quanto alla Via Lattea et alle stelle nebulose, se averanno oc¬ chiale buono, fermandolo e dirizzandolo verso essa Via Lattea o ne¬ bulose, scorgeranno sempre stelle, le quali con l’occhio naturale non si veggono, et in particolare in notti serenissime e senza luna. Ma in tutte queste operazioni ci vuole pazienza, diligenza et un poco di pratica : le quali cose se si potessero insegnare con lettere, sì come Caviamo queste configurazioni, elio nella co- dagli autografi di Galii.ro, elio sono noi Mas. Gal., pia dolla lotterà sono riprodotto con poca esattezza, P. Ili, T. IV, car. 7 Gl « 77r. 56 25 FEBBRAIO 1611. 1479-480] con lo strumento a mano, lo farei con ogni diligerne molto volen¬ tieri ; ma non si potendo, è forza esercì tarsi da per uè, r sopra tutto procurare d’ avere strumento eccellente, o fermarlo ; elio quanto al resto, non si troverà mai mancare un capello nelle co*** che ho scritte o fatte vedere a molti. Non so se averanno ancora inteso di Saturno, ofnervato da me da 9 mesi in qua ; il quale non è una stella sola, ma sono tre, che pare che si tocchino, poste in linea retta, equidistante all’oquinottiale. Quella di mezzo è maggiore circa 4 volte delle laterali ; e sono tra di loro assolutamente immobili, e stanno in questo modo oQq. 480*. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firmai Padova, 26 febbraio 1611. Bibl. Est. in Modena. R&ccolU Cumpori. Autografi, II.* LXXVll, n &S. - Aatofrafa. IH.” et Ecc. rao S. r mio Oss .™ 0 Non puoti, per diverse occupatami, rispondere all’ultima lettera di V. S., massime che non haveva da dirli cosa alcuna di momento, se non renderli infi¬ nite gratie delii favori fatti alli SS. ri Bulloni appresso a consta Altezza Ser."“: o veramente V. S. ha fatto opera degna di lei, solevando questi poveri gentilhuo- mini mal trattati per malignità altrui senza lor colpa ; « come gratin che et essi e io riconosciamo affatto dalla molta bontà et autorità di V. S., li restiamo senza fine obligatissimi. Mi rallegro che olla habbia dalla sua, nelle mio osservationi, hormai tutti i maggiori intendenti della professione che sono in Europa, b) che non so quello clic vorrano dire questi nostri indiamantiti filosofi : alcuni d* quali, quanto più V. S. porta innanzi la testimonianza di Padri Gesuiti, tanto più si pervertono e si stabiliscono nella loro ostinatione. I)i nuovo, di questi paesi non saprei che dirli. Siamo ancora senza mathe¬ matica nò ancora s’è data la lettura del Montecchio . Il Dottor Beni ha stam¬ pato un libro di historia nel quale dà giudicio di molti historici, specialmente di Tito Livio, qual tratta molto male; si che questi SS.* Datavi son tutti alte¬ rati, nè so come la digeriranno. <*» Cfr. n».‘ -145, 448 , 4C4, 471. t= ’ Skhastiano Moxtkcohi : cfr. n.» 445. *** PACT.I tlixi|, cce. Dt kiMarin libri quatmor, WJC. VtotUla, ipod Ueobum Vinwntium, CIO- I0C< XI. 25 — 2G FEBBRAIO 1611. 57 [480-481] Horaù, attendi V. S. a star sano et allegro, et attendi a desingannare questi 20 filosofoni di tante lieresie c*hanno liavuto sinliora nel capo: e se talliora mi consolerà con qualche sua lettera in tal proposito, mi farà singolarissimo favore. Starno poi tutti con gran brama che mandi alle stampe tutte queste suo inara- vigliose osservationi, desideratissime da ciascuno. Il S. r Sandelli e S. r Pignoria (,) et io le baciamo con ogni alletto le mani, pregandole da N. S. compita felicità. Di Pad. a , alli 25 Feb. 1611. Di V. S. Ill. ro et Ecc. nm S. ro Afl>° S. r Galilei. Paolo Gualdo. Fuori: All* 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. so franca. Fiorenza. 481 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 20 febbraio 1611. Bibl. Naz. Flr. Mss. (Ini., F. VI, T. VII, car. 112. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. mo Sig. 1 ' mio P.rone Col. mo 11 Sig. r Antonini w crede che noi siamo più fortunati di quello diesiamo in fatti, poiché non sa la perdita e’ habbiamo fatto della conversatione tanto pre¬ giata e soave di V. S. molto 111.™ et Ecc." m ; di cui il P. M.™ Paolo et io spesso fucinino rimembranza nei raggionamenti, e particolarmente nei giorni passati, havendo coll’occhiale pienamente osservato che Venere è di punto una luna, et quanto s’accosta al sole, tanto più s’assottiglia, et in somma fa precisamente come la luna, eccetto che li corni non sono tanto aguzzi, forsi per non essere tanto vi¬ cina quanto è necessario: che il nudo poi ci ha impedita la vista. Ma ella, c’ha io fatte osservationi tanto pili degne, Laverà fatta esquisitamente anco questa. Io non mi posso satiare di assaltar 1* inventore di questo strumento, che qua nelle nostri parti è stata V.S., a cui assolutamente si deve la lode d’ Laverei dato con arte certa il miglioramento, c da cui, in così honorato odo, si deve aspettare la perfettione ; come in altra scientia, tanto rara quanto incognita, si promettiamo di vedere, con stupore universale e sua comendatione, il tutto ap- parer insieme et inventato e perfetto : dico del moto, alla cui speculatone Dio e la natura l’ha fatta; et il bene comune mi sforza, come tante volte in raggio- in Martino Sandelli e Lorenzo Piunobia. <*> Daniello Antonini. Cfr. n.» 457, lin. 33. XI. 8 58 26 FEBBRAIO 1611. [4SI 482J munenti cosi anco per lettera, dargline questo motto, sicuro che, come sino a questa età il mondo non 1* ha saputo, se lei non ci mette la sua fortunata mano, possi stare altrotanto tempo senza uscire delle tenebre o uio>-><» e stai none quasi moto imobile senza vita, che da lei aspetta. Tengo espressa comissione dal P. M. ro Paolo di far a V S. i suoi più affet¬ tuosi baciamani e salutationi ; et io per fine, offerrendo |wr sempre » miei hu- mili ossequii a V. S. molto IH. 1 * et Kcc.®», gli prego da l)io Nostro Signora vero bene, e la supplico del mio luoco nella sua grati». Di Ven.‘, li 26 Febr&io 1610 ”. Di V. S. molto lll. r * et Eoe.®* Ilum.** Ser."* F. Fulgentio, Servita. Fuori, (T altra mano: Al molto 111.** et Ecc.*" 0 Sig.' mio U»a.*-‘ 4 11 Sig. r Galileo Galilei, in so Fiorenza. 482**. GIO. ANTONIO ROFFENI a GALILEO in Firton. Bologna, 26 febbraio 1611. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VI, car. 188. — Aatofrafa. Molto III. 1 * 0 et Ecc.» 0 S. re mio Gas.® 0 Mi pareva grave trascuragino che il S « Pappatone, che Unto viene favorito da lei nello suo negotio apresso di questa Altezza, non scrivesse a lei et non lu ringratiasse di quanto ha fatto, so bene io a nome suo molte volte con lei ho essequito simil ringratiamenti. Ilora dunque mi ha dato una lettera, che io gli la faccia capitare ; nella quale mi persuado, se bene non ho vedutola, che adem¬ pisca a quanto liavesse mancato, mandandogliela qui inclusa 1 ’ : et P a -sicuro io in oltre, elio 1 istcsso Signore gli vive servitore di cuore, et in occasione che il negotio sortesse per elettione nella persona sua, ne vederebbo V. S. molto 111 » molti edotti in ogni occasione che se li appresentasse per honore suo; poiché so io io quanto lui habbia in ogni occasiono celebrato le cose sue. Il S. ro Magino le bacia le mani di cuore ; et io con ogni alletto le prego da Nostro Signore Iddio ogni contento. Di Bolog. a , il dì 2G Fehraro 1611. <*> DI stile veneto. ( *> Cfr. n.* 4b3, 26 FEBBRAIO 1611. 69 [182-483] Nè voglio doppo <• • •> restaro di raccordarli, che quando si tratta di con¬ durre dottore alcuno, si ha ancora considoratione al viatico, per potersi transferire con la faldiglia et robbe in altro luoco. Di V.S. molto lll. ro et Ecc. ma Sc. r ® di cuore Gio. Ant.° Buffoni. 20 Fuori: Al molto 111.” Ecc. mo S.™ e P.rono mio Oss. mo 11 B. ro Galileo Galilei, Math.° del Sereniss.*" 0 G. Ducca di Toscana, a Firenze, 483 *. FLAMINIO PAPAZZON1 a GALILEO in Firenzo. Bologna, 20 febbraio 1611. Bibi. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, I!.» LXXX1V, n.» 111.— Autografa. Molto 111.” et Ecc. m0 mio S. r Oss. mo Dal primo giorno eh’ io cominciai a conoscere la soavità do’ costumi, V eru- ditione et destrezza di V. S. molto 111. et Ecc. ma , io me li affettimiui di maniera, che altro non bramavo che pigliar occasione di rendermeli in fatti devoto, come ero di animo: ma me felice, et ella feconda de i suoi favori verso li suoi svi¬ scerati, che mi ha data ansa di salutarla con miei (sic), et non dirò rengra- tiarla dclli amorevoli uflioii usati per me con quest’Altezza Ser. ma , alla quale io vivo riveritissimo, ma di perpetuamente restarli ubligatissimo, come in ef¬ fetto li resto. Et siami Dio così favorevole, ch’io possi goder l’uno et servire io a’cenni dell’altro. Pene sarà in me impiagata (sic) la <• • •>, so potrà essere in me tale, che mi rendi degno di participare il splendore di Prencipe sì raro et di impiegarne in esaltare il mio S. r Galileo, al (sic) cui col S. r lioffeno bacio l’honorata mane (sic). Di Bologna, il 26 di Feb.° 1611. Di V. S. molto 111. et Ecc. ma S. r TJb. mo Flam.° Pap . 4 Fuori : Al molto 111. et Ecc. mo mio S. r Oss. TOO Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 60 27 FEBBRAIO 1611. [484-486J 484 *. COSIMO IT, Granduca di Toscana, a GIOVANNI NICCOLINI n Roma. Firenze, 27 febbraio 1611. Aroh. di Stato In Firenze. Filza Medicea SB02. Ant-.*raf* la ftiaa S . • »..a M -.eoa 140, car.Mt, è la minuta di questa ste«*a lettera. Don Cosimo, Gran Duca di l'ooc."* de. 111.” AmbftK. nr noatro Dilett. , " a Venendo costà M. Galileo Galilei, primario noatro Mate mali « • i Fil »fo et ila noi amatissimo, gli habbinino ordinato elio Tenga a polare apprraao di toi hi ««**<• to anatro palazzo; et vogliamo elio raccattiate et spesiate la persona sua et un auo servitore, «t obo ne facciate tener conto per farvela rimborsare. Et vodundulo volrnt eh, 1‘aerarci/rrcte per la sua bontà et virtù; et da lui vi sarà conferito i*r qual rag . n- c„a venga C‘»*tà, et in tutto quello che gli occorra lo favorirete, «•< >udo che egli vi ri- n I». » ft ■>.- -ondo che giudicherete bisognare, con il parere particolarmente del Sig. r Card ’ dal Monte, a chilo indirizziamo ot raccomandiamo con lettera nostra Kt il ni goti.» che tratti ti ci * a cuore IO et per benefizio degli studiosi et per gloria ancora Et il Signor Idd .<» vi cotucrvi et con tenti. Da Firenze, li 27 Febb.* 1610 ab Imam: Vostra Ambas/ Niccolini. Il Granduca di Tose.* Fuori: IH'Ill/* Sig. r Giovanni Niccolini, Amb. r * nostro Dilett. wo Roma. 485 *. % COSIMO II, Granduca di Toscana, a FRANCESCO MARTA DEL MONTE fin Roma]. Firenze, 27 febbraio 1611 . Arcli. di Stato in Flrenzo. Filza Medicea 303, car. 38i. - Minata «ittinalo, Febbraio 1610<'>. Al S. r Card. 10 del Monte, li 27 d.° Il Dottor Galileo Galilei, mio primario accettissimo Matomat.ro ot K.loaofo, conosciuto et amatissimo da V. S. M- per 1. ,„a orninone. ..oltana et noli'altra profetano, ta costa respetto alle osservata! di quei nuovi Pianeti scoperti da In,, et por .tab.Hr ben. I* 1 Di stile ftoruutiuo. 27 FEBBRAIO 1611. Gl [485-486] ogni notitia et riscontro intorno a ciò con il parere ci aiuto dolli eccellentissimi huoniini che si ritrovano in cotesta città, intelligentissimi (li questa scienza : negotio che mi preme infinitamente, per la lodo di lui, nato Fiorentino, ot per la publica utilità et per la gloria della nostra età, laudandone sempre Iddio. Raccomando carissimamente a V. S. HI.**; et 10 appoggiandolo tutto al consiglio, all’opera et al patrocinio di lei, la prego a incamminarlo et introdurlo comunque et dovunque bisogni, d’una sorte che tanto facilmente gli riesca il dar sodisfattione di bò et il chiarire il vero. Et u V. S. 111.“* bacio di cuore le moni. Da Firenze. 480 . GALILEO a GIULIANO DE’MEDICI [in Traga]. IFirenre, febbraio lflll.J Riproduciamo questa lettera dallo pag. t!3-‘25 dell'opuscolo citato ucll'inforniaaiono pretnesaa al n.® 427. Ili. 1 "" ot Rov. n, ° Sig. w Col. mo Ho ricevuto guato ot contento particolarissimo nella lettura del- P ultima ili V. S. Ill. ma et ltev. m * dolli 7 stante 11 et in particolare in quella parte dove ella mi accenna la favorevole inclinazione del- P lll. mo Sig. Cons. Wacker verso di me, la quale io infinitamente stimo ot apprezzo. Et poi che quella ha principalmente origine dal- P bavero io incontrato osservazioni necessariamente dimostranti con¬ clusioni per avanti tenute vere da Sua Sig. 111., per confermarmi maggiormente il possesso di grazia tanto pregiata da me, prego io V. S. Ill. ma a fargli intendere per mia parte, come, conforme alla cre¬ denza di Sua Sig. ria Ill. ma , ho demostratione certa, che sì come tutti ì pianeti ricevono il lume dal sole, essendo por se stessi tenebrosi et opachi, così le stelle fisse risplendono per loro natura, non biso¬ gnose della illustrazione de i raggi solari, li quali Dio sa se arrivano a tanta altezza più di quello che arrivi a noi il lume di una di esse fisse. Il principale fondamento del mio discorso è nell’osservare io molto evidentemente con l’occhiali, che quelli pianeti, di mano in mano che si trovano più vicini a noi o al sole, ricevono maggiore splendore, Lett. 485. 9. Prima ora stato scritto Et raccomandandolo carUtimamente, o poi fu corrotto Macco- mando carinimamente. — 12. chiare — Lott. 488. 7. Aue«re in incontrati — dimoitrati — 8. tenuti — 9. magiormcntr — 11. di Sua Sig.™ III. • — 19. o afe iole — “l Cfr. n.« 472. 62 FEBBRAIO 1611. (4*6] et più ilhiRtremente ce lo riverberano: et perciò Marte perigeo, et» a noi vicinissimo, si vede assai più splendido che Giove, benché a quello di mole assai inferiore; et difficilmente se gli può con l'oo- , Inule levare quella irradiazione che impedisce il v» suo disco terminato et rotondo, il che in Giove non accade, vedendosi inqui- sitamente circolato : Saturno poi, per la sua gran lontananza, si vede essattamente terminato, sì la stella maggior»’ di meso corno lo due laterali piccolissime ; et appare il suo lumo languido et abacinato, senza niuna irradiazione che impedisca il distinguerò i «moi 3 pic¬ coli globi terminatissimi. Bora, poiché ap» rtissimaniente viaggiamo che il solo molto splendidamente illustra Marte vicino, et che molto io più languido è il lume di Giove (se bene sema lo strumento appare assai chiaro, il che accade per la grandessa et candore della stella), languidissimo et fosco quello di Saturno, con»»* inulto più lontano, quali doveri ano apparirci le stello fisse, lontane indicibili nenie più di Sa¬ turno, quando il lume derivasse dal sole? Certamente debolissime, torbide o smorte. Ma tutto l’opposito hi wd- : però che se rimire¬ remo, per essempio, il Cane, incontreremo un fulgore vivissimo che quasi ci toglie la vista, con una vibrazione di raggi tanto fiera Oi possente, che in comparazione di quello rimangono i pianeti, e dico Giove et Venero stessa, conio un impuntano vetro apprendo un lini- pidissimo et finissimo diamante. Et : nchè il duco di « < .me aj>- parisca non maggiore della cinquantesima parte di quello di Giove, tutta via la* sua irradiazione è granilo et fiora in mudo, che 1’ istcnao globo tra i proprii crini si ini).: i perda, et con qualche difficultà si distinguo; dove che Giovo (»• inulto più Saturno) hi veg¬ gono et terminati, et di una luce languida et per ood dire quieta. Et per tanto io stimo che bene filoeoferecno referendo la canna della scintillazione delle stollo fisso al vibrare che elle fanno dello ‘ pl* n- doro proprio et nativo dall intima loro sustanza, dove elio nella su¬ perficie de i pianeti termina più presto et *i finisce la illuminazione &o che dal sole deriva et si parto. Se io sentirò qualche particolare questiono ricercata dal mede¬ simo S.Wackher, non resterò di affaticaruuci intorno, j>er dimostrarmi, quale io sono, desiderosissimo di servire un Unto Signore, ot uou già 26. "ntamtnu - 26-27. co**. U 0 , 0 " ‘ - 4t- ** U. FEBBRAIO — 1° MARZO 1G1Ì. 63 [486-487] con speranza di aggiugnere al termine consequito dal riio discorso; percliò benissimo comprendo elio a quanto sia passato per il finis¬ simo cribro del giudizio suo et del Sig. Keplero, non si può aggiu¬ gnere di esquisitezza, nò io pretenderei altro che, col dubitare e mal filosofare, eccitargli al ritrovamento di nuove sottigliezze. GP in¬ co gegni singolari, clic in gran numero fioriscono nell’Aiomagna, mi hanno lungo tempo tenuto in desiderio di vederla; il qual desiderio bora si raddoppia per la nuova grazia dell*111. mo Wackher, la quale mi farebbe divenir grande ogni piccola occasione elio mi si presentasse. Ma ho di soverchio occupata Y. S. 111.™ et Rev. n,a Degnisi per fine di offerirmi et dedicarmi devotissimo servitore all*111. mo S. Wackher, salutando anco caramente il S. Keplero : et a lei con ogni reverenza bacio le inani, et dal Signore Dio le prego somma felicità. Di Firenze, li.1011 (,) . Galileo Galilei. 487*. FLAMINIO PAPAZZON1 a GALILEO [in Firenze]. Bologna, 1° marzo 1611. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXIY, n.° 112. — Autografa. Molto 111. et Ecc. m0 mio S. re Osa."' 0 So ben scrissi a V. S. molto 111. et Ecc. raa l’altro giorno (v , nondimeno bora di novo la saluto et rengratio (li tanta cortesia, ratificandole tutto quello li vene scritto dal S. r Ilofifeno (,) , sperando clic si Laverà anco risguardo al viaggio. Mi farà favore intendere dall’ Ill. mo S. r Cavaglier Vinta se gli è stata inviata una del Ser. mo Prencipe di Modena all’Altezza del Ser. mo Gran Duca. La certifico eh’ Laverà un trombeta delle sue meritevoli laudi. Mi ami, mi commandi, et stia sana, conservandomi Lumilissimo del Ser. mo Gran Duca, da me amirato et riveritissimo. io Di Bologna, il p.° di Marzo 1611. Di V. S. molto 111." et Ecc. ma S. r Db.™ Flam. 0 Pap. 1 65. (ormine —.57. guidi zìo — 68. pretenderei — 59. Jìlosophare — CO. fioriscono — 61. il quod desiderio — 03. farebbe diviini — 68. Di Firenta — G9 Gallileo de' GaUilei — (*> La stampa ha Di Firenta, li SO di Mano car. 75(.). Cho la lotterà sia, invoco, dol febbraio, ri- idi: ina quosta data ò certamonto orronea, perchè sulta dalla lin. 3. In quosto giorno Gamico ora ad Acquapendente, in <*> Cfr. n.° 183. viaggio por Roma (cfr. Mss. Gal., Par. Ili, Tomo IV, (8) Cfr. n.® 482. 64 4 JtlAKZU 1611. mi 488**. GIOVANNI BELI A) NI * GALILEO ia Firmo* Padova. 4 marzo 1*11. Bibl. Na«. Tir. Ms«. Gai., P. I, T. VI. ear. 187 188. - Aatofraf*. Molto 111."* et Eco.® 0 S. r mio Osa."* Io, per dir il vero, scrissi » V. S. parole piene di affetto et ciliari segni del- l’animo mio; ma da lei hebbi parole colme di amore et ministre di effetti. Io diedi occasione a V. S. di esercitare una eccellente virttì, che consiste nel bene¬ ficare et aiutaro i depressi, gli amici, i servitori; ella porge a me, a mio fra¬ tello, et a tutta la nostra casa, materia di perpetuamente celebrare la mia be¬ nignità, di pregar Dio per lei, come di continuo vo facendo, et di restarle eternamente obbligati. Sa Dio che parlo ex corde, et che inai »i cancellerà dalla memoria et da cuori nostri il favore che V. S. ha fatto a mi.» fratello, confes¬ sando con ogni sincerità che tutto ’l bene di questo negocio è proceduto da lei. io Et se bene liabbiamo procurato i favori di Mona.' Nasciti Ap ^toli.del S. r Ite* Bidente Vendramino, del S. r Residente in Yenetia per il > r.* Gran Duca, et di altri, tutto s’è fatto per servitio di mio fratello, acciuchè il Sereni» ùmo, promosso da tanti, si risolvesse far capo con V. S. per l'informatione del soggetto, nella quale stava la forma e ’l fino di tutto ’l nego u>. Ilorsù, per gratta di Dio, et co’l mezzo di V. S., si corno si comprende dallo ^ue lettera ritte dupplkata- mente a Mons. r Arciprete (,) et da quella indrizzata a mio fratello, et anco dal- 1’ ultima scritta a me, la lettura vacata sarà di mio fratello. Sig. r Galilei, non posso esprimere il contento del mio cuore: bea .-.i può pensare che essendo mio fratello da un naufragio, nel quale perdò ogni co*a fuor che la vita, uscito nudo et ridotto in una solitudine, Labbia poi ritrovato un i»orto, una \ itri.i, un rico- vero, utile, honore, un vero amico, un principe cosi grande, et ogni bene. Mio fratello ha posto il suo cuore in pace, et comincia a pensare a*.suoi studii, non mai però intermessi, havendo del continuo letto duo et tro lettioni in casa. Adesso non ha altro nell’animo che di riuscire- sopra l'ordinario nello Studio di Pisa, et di far conoscere sè stesso non indegno servitore di co testa Altezza, et insieme V.S. per tedele et leale al suo principe, al quale ha date di lui così nobili et cortesi informatami. Egli sarà suo i , dipenderà dal *00 volere, et in somma non Laverà altra mira che di compiacere et di celebrare con ogni suo potere il S. r Galilei, come suo vero benefattore. 80 <** Paolo Gualdo. [488-489J 4 MARZO 1G11. G5 Poiché non piace a coteste Sor." 1 * Altezze di publicare P elettione, ò assai a mio fratello per adesso P esser sicuro del luogo, per poter viver con 1* animo quieto; se bene nò meno havrebbo potuto egli venire ai presente, per diversi rispetti, ma specialmente per non venire alla stanza di Pisa verso ’l caldo, es¬ sendo, per quanto ci vien detto, l’aria di quella città molto diversa da questi paesi. Speriamo che V. S. non lasciarà passar P occasione senza valersene, per procu¬ rare P espedittione ; ma poiché ha fatto il più, piacerà ancora a lei di far il mono, somministrando a noi quello che converrà faro et a cho tempo, sì nello stipendio come in ogni altra cosa. In somma supplichiamo con tutto P affetto 40 dell’ animo V. S. ad essere più che mai nostra tramontana, et commandarci con ogni libertà, perehò di certo ha dominio assoluto sopra di noi : et sì come il fa¬ vore che ci ha fatto non ò comune, ma passa di gran vantaggio i termini del consueto, così mio fratello et io vorremmo trovar parole per ringratiarla ; ma certo non habbiamo quasi affetto proportionato a tanta benignità. Dii persolvunt grates. Et lo baciamo con tutto ’l cuore le mani. In Pad.*, a 4 di Marzo 1611. Di V.S. molto ili/* Obblig. 0 Ser. r8 Gio. Belloni Can. co Fitorì : Al molto 111/ 8 et Ecc. mo S. r mio Col. 0 50 II S. r Galileo Galilei, B'ilosofo et Matematico del Ser. mo Gran Duca, franca. Eiorenza. 489 . LORENZO PIGNORIA a GALILEO in Firenze. Padova, 4 marzo 1611. Bibl. Nar. Plr. Mi». Gai., P. I, T. VI, car. 1S5. - Autografa. Molt’Ill. 1 * et molt’Ecc. 1 * S. r mio Oss. rao Nella mentione che V. S. fa in tante sue lettere, scritte a Mons. r Arciprette (, \ della mia persona, io ho riconosciuto P amoro eh’ ella per bontà sua mi porta ; et resto chiarito che nò per bavere gl’occhi tutto di in cielo, nò per stare a lato a coteste terrene deità, V. S. non si scorda de’ servitori che ha lasciati in Padova. Macie virtute: così fanno i galant* homini. 0 quanti sono, che s’ haves- sero scoperte lo sole macchie della luna, non vorriano rispondere so non per l*> Paolo Qua tuo. XI. 9 66 4 MARZO 1611. 1489-490] interprete, dariano audienza sotto ’1 baldachino, et non tratt&riano se non co* me¬ moriali! Credami V. S. che la memoria de’Colombi «t de' Ve spacci «i nnovarà in lei, et ciò tanto più nobilmente, quant’ è più degno il cielo che la terra. Si io leggerà il nome suo, al dispetto dell’invidia, ne più famosi ardii vii del nostro secolo. Ad alcuni, sinistra ® S.™ o P.rone mio Col «• Il S. r Galileo Galilei, Malli.»® del Sereni»,® G. Ducca di Toscana, a Firenze. Lett. 490. C. che li icritti — 5 MAIiZU Itili. 67 [491] 491 . GALILEO a CRISTOFORO OLAVIO in Roma. Firenze, 5 marzo 1611. Cfr. r informazione promossa al n. # 8. Molto Rov. do P. M et mio Sig. r Col. mo La speranza ili dover trasferirmi sin costà per alcuni miei affari, mi ha di giorno in giorno trasportato sino a questo tempo senza rispon¬ dere alla cortesissima e dottissima lotterà del molto Reverendo Padre Cristoforo Griembergero, alla quale mi pareva di non poter piena¬ mente satisfare so non a bocca, por lo molte repliche che mi potriano esser fatto ; ma prima un poco di malattia, poi alcune estraordinario occupazioni, et insieme una pessima et fastidiosissima stagione lun¬ gamente durata et elio ancor dura, mi hanno condotto a questo tempo, io Finalmente, per grazia di Dio ot del Serenissimo G. Duca mio Signore, sono ridotto in termino di spedizione ot in procinto di partirmi, come spero alla più lunga fra 8 giorni, concedendomi la benignità del G. Duca ogni comodità nel venire, nello stare et nel ritorno. Con tutto questo non ho voluto restare di scrivere a V. S. molto R. et al molto Reverendo Padre Griembergero insieme, acciò più lungamente non prendessero ammirazione del mio silenzio, proceduto solamente perche è più di un mese elio sono, come si dice, col piede in staffa per par¬ tire. Subito giunto, sarò con le Reverenze loro a far mio debito, et a satisfare, almeno col reverirle, all*obbligo et all’animo mio. Intanto 20 si compiaccino di continuarmi la gratia loro, nella quale con ogni affetto mi raccommando, mentre dal S. Dio gli prego felicità. Di Firenze, li 5 di Marzo 1610 Di Y. S. molto R. Servitore Devotissimo Galileo Galilei. Fuori : Al molto Rev. do mio Sig. or Col." 10 Il P. ro Cristoforo Clavio, Giesuita. Roma. •') Di stile fiorentino. 68 7 — 8 MARZO 1611. 14924 * 1 ] 492*. PAOLO GIORDANO ORSINI a 0AMI.HO in Firmi:* Pisa, 7 mino IMI. Bibl. Naa. Pir. M*s. Os!., P. 1, T. XIV, car S7. — Aalofrift U •«Umoijio-«. 111.™ e molto Kcc. u Sig.™ Ilo ricevuto lo rime mandatemi da V. S. et insieme la sua cortese lettera; che perciò rendole molte gratie dall’atnorevol briga che -i è presa v del con¬ servato suo buono affetto verso dì me. Che per line aiuto V S. afiVUu«*amente. Da Pisa, il di 7 di Marzo 1611. Aff — di V. 8. Paolo Giord.'* Orsino. Fuori: All’111." o molto Kcc. u Sig. rt Il S. r Galileo Galilei. Firenze. io 493*. CRISTOFORO DI ZBARAZ a GALILEO in L.rrnz. Iiologna, 8 mano Blbl. Nftz. Fir. Mhs. fial., p. |, x. XIV, c»r. &9. — Autografa. Kccclcntis8. mo Sig. r Dottore, Mi rincrose molto ,li non Imverla trorato a Padova corno mi |wn«»To. por poter godere la sua dolcissima conversationc, doli» qunllo, por esser tanl’anni privo, con questa occasione della mia venuta in Italia credevo di ,x,lor .ndisfaro al animo mio. Ma poi che questo per adesso non in ò lecito, non ho voluto man¬ care almeno con queste poche rigo di salutarlo, con l’offerirmeli per suo amico desideroso di servirlo in quello mi comanderà. Le suo lucidissimo Stelle Mediceo sono pervenuto fina in quella fedissima zona di Moscovrn. Un amico mio mi haveva mandato d’Italia il huo libretto, ve- rumente degna osservationo di un cosi raro ingegno. Non I,avorii il Ptolomeo io quel vanto d. haver posseduto tutta questa dottrina: la nostra «tede sarà, al pa¬ la P ,L Pri "* [493-494] 8 —9 MARZO 1611. 60 rangone con l’antica, così da tutti colobratu. Io, come amico et senritor suo, mi ralegro molto che ’l suo nomo alla imortalità sarà consacrato, e da tutti hono* rato e admirato. Se non fosse con suo discomodo, io la pregerei che si degnaso farmi partecipe di queste sue osservationi, rimetendomi però alla sua buona vo¬ lontà ; alla qualle per fine, desiderandogli ogni suo gusto, gli baccio le manni et m’ offero. Di Bologna, li 8 Marzo 1612. Di V. S. Ecc. m * Aff. mn Amico et Sor. 1 * 20 Christophoro Duca di Sbaras. Fuori : Al Ecc. mo et Amico mio Oss. n '° 11 S. r Dott.” Galiloo Galilei. Fiorenza. 404 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Lucca, 9 marzo 1611. Bibl. Kat. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, II.» LXXXYIII, n.<* 164. — Autografa. Molt’ Ill. r * et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Sono alquanti giorni clic mi trovo gionto qua alla patria, ma non anche ac¬ comodato per la quieto; chè nullo altro negocio che la villa non mi preparo. In ogni loco sempre sa quanto habbia obbligo di servirla. Qua ò stata mandata l’operetta del Sizio 10 , molto spropositata o di nullo fundamento. Io l’incarico di far quanto prima uscire qualche altra suo fatica, c far tacere tanti o siano invidiosi o vero ignoranti. Desidero saper qualche bona nova di lei ; et mi conservi in sua gratia, che per fine le b. le mani. Di Lucca, a 9 Marzo 1611. io Di V.S. molto 111.” et Ecc. ma S” Aff>° Ant. Santini. Fuori : Al molt’ 111.” et Ecc." 10 S. r Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei, in Firenze. La risposta di questa lettera si desidera sia mandata nella libreria de’ Giunti a Santi Baccio- lini, dal quale è mandata questa a V. S. <*> Cfr. Voi. HI, Par. I, png. 203 a seg. 70 12 MARZO 1011. 14UÓ-4MJ 495 * GIUSEPPE IV ACQUAVIVA • GALILEO in Padova, Napoli, 12 mano 1611. Bibl. Noa. Flr. Mus. Gal., P. 1, T. XIV, car. Gl. - Autografa la Ima. 111.”» Sig. r# Partendo io gl’anni passati da Padova, portai mero tanta cognitione del va¬ lore di V. S., che in sentire ultimamente questo suo artificioso parto dell’occhiale, mi posi in curiosità di cosa singolare (come in atto prattico mi ^ veramente riu¬ scito), et communicato il tutto con Mons. r Vescovo di Feltro 1,1 e Sig.' Livelli T . llora l’uno o l’altro mi assicurano della cortesia di V. S., ma molto più la sua modestissima lettera, con la quale accompagna detto occhiale. Onde a sì gran dcmostrattione dell’ animo suo corrispondo per bora con ringra turni enti efficaci; che appresso, aiutato da occasioni di suo servitù), ella conr.*.c«Tà rii qual sorte sia l’affetto mio verso la sodisfattione di lei. E per fine N. contenti V. S. iv Di Napoli, li 12 di Marzo itili. Al commando di V. 8. S. r Galileo. Gioaeppe d'Acq. Ta Fuori: All*Ill. r ® Sig. r * Il Sig. or Galileo Galilei. Padova 496 **. SEBAS1IAN0 YENIER a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 12 marzo 1611 . Bibl. Nftz Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 1S9. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. mo S. r II. 1,0 Io ho vedutto le lettere che scrive al nostro J\ M. Paulo con infinito gusto, et ne la ringrazio quanto posso più. Sul S. r Sagredo li posso dir che bì hanno sue lettere de 26 Xbre, con aviso del suo buon stato, et che alla fine di Aprile di- in Aoobtiko Graossioo. «*> Ottavio Livelli. •*' È chiaro eho il Card. lJ'Àcqt'Avi v a non «opera della parUnu di Qaulxo da Padova. 12 — 19 MARZO 1611. 71 [496-497J segnava mettersi in viaggio per qua. Vivo, al solito, affezionatissimo alle sue virtù, et bramosissimo di adoperarmi, in quello che posso, per suo servizio. Si vagli di me con ogni maggior confidenza. Con che, pregandole da N. S. ogni maggior prosperità, le bacio le mani. In Venetia, li 12 Marzo 1611. o Di V. S. lll. r * et Ecc. m * S. ra di coro Sebastiano Veniero. 497 . GALILEO a BELISARIO VINTA [in Pisa]. Fireuzo, 10 marzo 1611. Bibl. Naz. Plr. Mu. Gal., P. I, T. IV, car. 44. — Autografa. Ill. mo Sig.™ et Pad. 110 Col.® 0 Io sono stato ansioso aspettando la lettiga per inviarmi a Roma, la quale non ò comparsa, nò meno nuova alcuna di essa. Dispiacerai elio il tempo va fuggendo, sì elio non potrò (poco più che si tardi) esser là per i giorni Santi, come desideravo, già che per altri rispetti ancora si era stabilito che io andassi ; et così mi pareva che fusai ne¬ cessario per serrare una volta la bocca a i maligni, lo prego per tanto V. S. Ill. ma a farmi grazia di scrivermi quanto prima quello che devo fare circa questo particolare, et se forse cotoste Àlt. te Ser. ma hanno io o in tutto o in parte per avventura mutato pensiero, acciò non babbi a star con P animo sospeso, ma sappia come esequire la loro volontà. Le raccomando anco il negozio di mio fratello 11 ', conforme a quella memoria che lasciai a V. S. lll. raa notata; di che gli viverò perpetua¬ mente obbligato. Et qui, baciandole con ogni reverenza le mani, gli prego dal Signore Dio somma felicità. Di Firenze, li 19 di Marzo 1610 t2> . Di V. S. 111.™ Ser. re Oblig. rao Galileo Galilei. Cfr. n.o 290, Un. 45, o n.° 522, Un. 3. 1*1 Di stilo fiorentino. “ 72 19 22 MARZO IMI. 142&-4WJ 498*. BELISARIO VINTA a GALILEO in Flrenva. Piu, IV mano Idi. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Cambrì. Autofra*, B • IflOI» a.* O- - Aal«*r%fc la nWiiririna 111.™ et molto Ecc. u Sig. mio Osa.*» Arrivai l’altra sera in Pisa, et trovai che la Corte era partita j^r Livorno; et visto che innanzi che io potetti seguitarla, dovevo eaequtr* qualche ooon» sione qui, spinsi innanzi M. Matteo B mio nipote, con ordinargli, fra l'al tre cose, che ricordasse a Madama Sor.®' la spedizione di V S Kt havrndo S A in¬ viatone l’ordine a me, perchè io lo mandassi al munirò di cuna Cerotti. In fa. ciò in questo punto ; et 1’ avviso a V, S., perchè la possa andar# a trovarlo et met¬ tersi a sua posta in viaggio, che il Signor Iddio glielo conceda he no et felice. Et le bacio le mani. Di Pisa, li 19 di Marzo 1610 <0 . A V. S. propria invio Bordino suddetto. Serv." Atf — S. r Galilei. Belisario Vinta All’IH.” et molto Ecc.*® .Sig. mio Osa.»® 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 499*. MICHELANGELO BUONARROTI a MAFFEO BARBERINI in Roma. Firenze, 22 marzo 1611 . Bibl. Barberini in Roma. Cod.LXXiV. 6, Ili. - Aut frafa. Ill. wo e Rev. mo Sig/* o Pat. B * mio Colendi**.* La venuta costi del Sig/ Galileo Galilei mi porge occaaione di far reverenda a V. S. 111.-*, e di darle le buone feste, già prossime. Il merito singolare delia pennino, che farà quoeto uhzio per me, mi potrà far più degno della sua benigna e consueta gratitudine.... 11 ' Di stile fiorentino. [500-501] 24 — 25 marzo 1611. Tò 500 **. ERNESTO. Elettore* di Colonia, a CRISTOFORO OLÀVIO in Roma. Wolbeck, 24 marzo 1011. Di nna copia di quatta lotterà andiamo dobitori alla gentilezza dol 1*. KuzNoaaco Kiiklb, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Rev. d0 in Christo Padre. Mi viene mandato un estratto di una certa «un lettera, quale va qui unito W; et rice¬ verò per favore se V. P. tt mi aviserà di ciò, se la ha osservato simil cosa, et essendo così, che mi mandi più ampia informatone sopra questo particolare: del che glie ne Buprò grado, piacendomi molto di tenere seco alquanto di corrispondenza in simili cose, degno vera¬ mente d’ogni osservatone. Ilora, dal detto estratto hì vedo, cho per mettere simil effetto in prattica, necessariamente ò ricercato un istromento d’ogni perfettione, come il suo man¬ datoli de Vinegia 1 * 1 . Ma se bene credeva di haverne di gran perfettione, trovandomi in mano uno che mi viene mandato dal Sig. r Galilei w , con tuttociò non lo trovo bastante 10 per simil effetto; ot perciò la mi farà sommo piacere se la vorrà pigliar assonto di scriver a quell* annoo suo in Vinotia, o ben avisarmi chi sia, poiché desidero sommamente haverne un simile, a ohe prezzo che sia: di che gliene resterò con obligo. Et raccomandandomi allo suo orationi, prego Iddio che dopo questa vita li conceda il Cielo immobile. Di Wolbekallio, 24 di Marzo 1611. R. dm * Paternitatis Vestrae Addicessi. Arnione Ernestua, Elector Coloniensia. Fuori: Al R. d0 in Christo Padre Chrietophoro Clavio, della Società di Giesù. Roma. 501 . MARCO WELSER a GALILEO in Roma. Augusta, 26 marzo 1611. Bibl. Noz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 44. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. mo S. or Os8. mo Il S. or Brenggero non rispose mai, il che io interpretai ingenuamente, come scrissi, per confessione di chiamarsi vinto ; ma poiché V. S. no tira senso diverso, (M Oggi manca. '** t)fr. n.° 277. < ! > Cioè da Ajuonio Santiki : cfr. n.« 466. XI. 10 7i 25-26 MARIO 1611. 1501-502} non raancarò di fare nota incUmm, prr cnvar» o confraaiot» foni al* capra**, o replicata instanza di quanto gli puma* m* ristar intiera* »*•!* » dibatto Al Padre Giesuita ho mandato la latterà di V .8 ; al bora starano Mattando ciò che vorrà dira, perchè paoao eoauuunkarla il poco et 1' muu. che in qaatto genere mi perviene, vedendo quanto eorteMOMQte il tolto è da Ut ricavata Et in tal proposito le debbe eeeer capitata all'arrivo d. iia pre*. ita, <■ le capitari poco appresso, la lettera che inviai a Mona** Arciprete d» h l*>ra ' beffi otto. io Il vincer V. S. 1* oetinatione di tanti oppostoci, et guada*nar 1' ■■ermo dalli huomini palmo a palmo, la aaeteura meritamente della cortaoa dell' mrentione, et le serve di capparra che panari ern*'altro ini |»p aiU patenti; di che molto più havrebbe barato a dubitar*, ee ti foaea imbattuta in un secolo eem* plico et credulo, che bareaee admesuo il tutto »*iua ab una «nvrlUtura La nova sua opera, che Dii accenna, è de-iderata di qu» quanto menu. ma prrnò non le ne voglio esser importuno, vedendo eh.- non |wrdr t. in a ntinue <**«•- vationi, et che la tardanza sari finalmente molto ben nfalta dalla | • vfettione. Resto con bacciarle la mano et prefarb ogni bri¬ lli Augusta, a’ 25 di Marzo 1611. so Di V. 8. molto 111.* et Fcc.“ Aff** Servii.• Marco Velieri Fuori : Al molto IH,* et Ecc.** S." mio (Ma.** [11 S.l° r Galileo Galilei. Roma. 502*. FRANCESCO S1ZZI a GIO. ANTONIO M AGI NI ,t> Bologna Firenze, rn nano UH A.rch. Uni vezzi de’Medici in Bologna- Ca*t. mU« BiMtotaee kUrnaaa, la relntt** aeoaapa maleria «fe arre»* «arala «Mt Ui 11 m*n* 26 MARZO 1611. 75 150*21 Biu ; i quali ma*?»»™-* sono -tati dell 1 espilazione mia, ma non già minori di quelli elio V.S. Ecc.** spartisce a**!'altri, (irande utilità iu questo omo ra’lm apportato la mia pro¬ to sontuosaggine, la quale con al nle et indegno dono <’> m'ha spinto a venire alla presenza sua. Harò in tale occasione a**omigliato a’ pescatori, i quali con l’esca d’uu vii vermicello no ritirano un inumi* et exquiaito pesce; ma molto più, poiché d'un nonnulla son diven¬ tato qualch’ cosa, et in cosa imperfetta ha rieeuto la sua purfe/.zione, bevendomi di grazia sua et con smaniar favor mandatomi la tavola della equazione del moto della stellala più tarda, a che il mio bosso ingegno non ora potuto pervenire, et inaiente la demouslrazione, la quale tanto dottissima quanto che ella procede dalla dotta mano di V. S. Ecc."*: ma mi mette dua dubbi nel mio rozzo ingegno. I.' uno è, elio nella sua lettera lei cosi scrive: < Nel 2" quadrante EC, che è orientale, sarà l’equazione adiettiva, ma la stella sarà retrograda; nel 3“ quadrante L'I), occidentale, sarà l’equazione da sottrare, secondo •20 poro il moto retrogrado; et nel'ultimo quadrante sarà 1*equazione da sottrare, sondo poi la stella diretta ►. fucato dubbio mi vieti cagionato, perché non intendo iu che modo lei pigli questa retrogradazione; poiché mi pare che dalla Mia tavola dell’equazione io cavi che la stella nel 3* quadrante aia diretta, c imi quarto retrograda, intanto che la stella ritorna a Giove, come ella fa nel 2* quadrante. 1,'altro è, che io veglio la sua equazione sempre semplice, pigliandola (come io credo) nell’arco della via di love, et non havendo riguardo a moti acquali o apparenti ; donde io stimo che lei non abbia riguardo alle linee del moto acquale o del vero, che sono dRgl’aatronomi notato nelle loro theorice dei pianeti: et perù,' por confessar l’ignoranza mia, non posso pervenire alla cognitione delle Bue dotte deinon- strazione, se lei, di tuignità maggiore, non piglia questa faticha, di insegnar un ignorante 80 più distintamente et facilmente, l^a giudichi che per questa volta la guadagnerà l’opere di misericordia, insegnando oolui al quale ella •’à degnato participar tanti favori, aggiun¬ gendo cortesie et fa .-ori a tanti da lei già comunicatimi; d’onde lei potrà vedere quanta briglia la sia per ricevere da me, presuntuoso et ignorunte. La scusi la mia ignoranza per la molta sua cortesia et benignità. Non occorre che V. S. Ecc.** entri meco in «scuse per cagione di Martino w , perchè, essendo padrona, non è necessario dia conto ad un servitore, come io li sono, delle sue azzioni, ma»nimo in tal conto: però V. S. mi fa vergognare, entrando in tali cerimonie meco. In quanto al tener secreto quel che V. S. Eoe.** conferisce meco, s’assicuri che altri che il P.re Don ilor&zio non sarà partecipe di questo negozio ; nè anco una 40 minima parola uscirà della bocca, poiché cosi V. S. Eco."’ 4 comanda : et in questo caso mi stimo felice, perchè V. S. potrà riconoscere da questo mio silenzio quanto io le sia afTozzionato, perchè in resa di tanta mia necessità, che dimostrar al mondo che opinione habbia lei circa questa nuova invenzione, da mo non sarà dichiarata. Ma mi dispiace bene, per util comnmne, che lei non habbia concesso che i litterati habbino, per cagione di V. S. Ecc.**, restato di essaminare lo scritto del Sig.** Galilei, perchè so elio grande utilità nel’ ubo continuile ne sarebbe accaduta; perchè per tal cagione potranno pullulare di molte opinioni absurde et erronee, faticandosi sopra cattivi fondamenti. Ho considerato la radice che V. S. piglia a 26 di Gennaio, nel che ci ritrovo grand "* Cioè doli» Alivola. Cfr. Voi. Ili, Tzr. I, PHf. 208 o *>g. «*> Martino Horky. Cfr. tifi 872, lin. 12. 76 26 MARZO 1611. [Wj dubbio, essendo di bisogno presupporre che la steli* distanU de Chete un t»in«to vano l’occidente sia la più tarda; il che non li può rettificare. Io erederei pià prerto, «he Ul 80 radice (stando porò tutti i suppoiti ohe da lei eooo itati meeai) nella Ma maggior lon¬ tananza da Giove occidentale, nel qual luogo apparilo» alh 2 di Febbraio e bure 7, nel qual luogo bisognerà sempre presupporre la radice di nove sogni del' anomalia, et secondo tal radice ho fatto di molto osservazioni, et non conviene in neesun modo il moto il qoele si piglia con la vostra dottissima tavola con quello che PoasnrrajuMt ci mostrano : le quali osservazioni, per non esser noioso, non gioie mando, perchà, sUntr che ».rno i <*>r«llani del Galileo veri, che tale stellula faccia il suo circuito in 15 giorni, l'ob«trraaioni sono false ; et volendo poi, per far più piacere, oonsUtuire il moto periodico di tale stellala di 17 giorni, nella qual opinione son oondotto dalla c»airva*>oo«' fatta a 2 di Febbraio a bora 7 et dalla osservazione fatta a li» del mede-imo a bore 0 e mimili 40, nella quale le fio dotta stellula bì ritrova occidentale, 13 minuti dietanU da Giove; perch* •• Urne a cor», piro 17 giorni pare che manchi qualche cu»a, cioè 6 ì "re e 20 minuti, mente di tu- no po¬ tendo noi dire, la detta stellula non essere arrivata ancora nell» lungbwa maggiore, perchè in capo a dua giorni noi la veggiamo por l’osar nazioni-, cioè de 21 giorni di Feb¬ braio, nel medesimo luogo dove ella era il giorno innanzi, però menUmmtc a Ul bora i può conchiudere, tale stella non esser arrivata alla sua maggiore lungl.-sx* Hora, nv^ndo tal tempo periodico mando a V. 8. Eoe." - una Uvola ' csdoolaU per il moto del- l’anomalia, il quale presuppongo e-ner di 21 gradi, 10 minuti rt .'v. r > «cvondi eie inanello di quello di V. S. Ecc.** di 2 grudi e 4'J minuti e 25 secondi quasi; bora servirse di questa tavola, la quale pare avvicinarsi più alla venti dolio oaMirvaiuoni. ma die«-«»eUrsi 70 dalla verità de i corellarii del Galileo; nè anche la oonfronta (sor»end- ei dolla oquasione che V. S. Ecc."** in’ ha mandato, perchè io giudicho con la ima igi. ranaa che Ul oosa possa stare), come V. S. potrà riconoscerò dm questo eeseiup.o A' quattro di Febbraio, a bore 7, sono scorsi dal principio della mia radice giorni dua, ohe mi danno di gradi d'ano¬ malia, per la mia tavola, g. 42.21' et 10": hora nel Ul Uropo lunazione è, aggiunto la radice, di 4 sex. et 30 gradi; fanno 5 sex. e 12 gradi: l’equazione è 9* et 40 " ftrt, alla quale aggiungo l’eccentricità di Giove ; viene ad essere e 10 minut e 40": b ra l’è segnata nella osservazione 7 minuti. Credo haver tenuto troppo a disagio, con tal seorteee ragionati mito, quella et havere abusato della sua cortesia; et però finirò la presente, pregandola a danni occaaione che io 80 possa mostrarli quanto io li Bia servitore. Et con questo pregherò il * umto Iddio per ugni sua maggior felicità. Di Firenze, alli 26 di Marzo 1611. Di Y. S. molto 111/* et Eco.** 9.»* AfT.** Francesco Siti!. Fuori: Al molto IlL r * et Ecc.*® Sig. r# mio Ose.*» 11 Sig. r Gio. Ant.® Magini, in Bologna. Lett. 802. 49. Trm dubbio e e—ndo legati. camcelJato, por olir. — M. Tra nJU a ìu«.,\,wm Vrrssi, cancellato, piiì. — ,l) Questa non è prosoiitouienU» allegata alla lotterà. [503J 28 MARZO 1011. 77 503 . GIOVANNI KEPLER a GALILEO in Firenze. Praga, 28 marzo 1611, Bibl. Naa. 3?ir. Mas. Gai., P. Ili, T. VII, 2, car. 61». — Autografa. S. P. D. Ilttc ipsa discésene posta© bora, Galilaee celeberrime, D. Ilaadalius mihi re- tulit quid per ipsum a me potereB. Quantum igitur poterò, tibi satisfaciam. Libellum Sitii, ex concessu I). NVelseri nactus, legi, seu pervolitavi potius, idque somnolentus. Titulo Aiavoia? Astronomicae in catalogum venit nundinarum Francofordenaium autumnalium. At iam auctus est titulus bisce verbis : qua Nuncii Siderii rumor de 4 Flanetis vanus redditur. Dedicatili - Magno Hetruriae Duci 10 , miro argomento: rem aibi esse cum for¬ tissimo illiii8 Ducis beroe Galilaeo, se vero imbecillem ; clientela igitur indigere. io Invebitur in Horkyura; quoritur de iniuria accepta; navrat quid inter ipsos actum. Ostendit, sibi dispbcere hominis petulantiam iocandi et cavillandi et ma- ledicendi. Reipsa videtur in llorkyi sententiam abire ; nisi quod ait, ista se dis¬ putare exercitii causa, quod cum titulo quidem male convenit. In genere id agit quod tu ad Hasdalium scripsisti : repudiato mundo sensibili, quom nec ipse vidi! nec expertis credit, ratiunculis puerilibus spaciatur Peripateticus in mundo cbar- taceo : ncgatque solem lucere, quia ipse coecus est. Allegat mea scripta saepius honorifìcentissime, ac si praeceptor ipsi fuissem ; et uno loco talibus utitur ver¬ bis, ex quibus ignarus colligat, multa illum mecum per literas comnnmicasse : quod factum tamen nunquam, te monitum yoIo. Stilus paulo emendatior est quam 20 tlorkii ; iuveniliter tamen haeret in obscuritatum dumetis. Ratiocinationes suas tingit speculationibus opticis, sed pessimis ; at plus illum in boc genere appre- hendissc puto, quam Horkyum. Sed quia commenta sua opponit veritati oculo- rum, quid aliud expectabit quam ut cordati omnes dicant, illum cum ratione iuveniliter insanire? Neque tamen memini omnium; erunt fortasse multa acriori censura digna, quae si serio librum legero, et si tempus ad Lane operaia impen¬ dere poterò, pauculis verbis consignabo. Contumeliosius nihil deprebendi, quam verba tituli, supra allegata. Denique talis libellus videtur, qui et sine veritatis iactura negligi, et salva gravitate viri cordati refelli publice, possit, si talis re- futatio suscipiatur instituendi causa iuvenem non sane malum, nec indoctum Ut Non già al Granduca, ma a Giovanni di:’ Mkdioi. Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 205. 78 28 — 30 MARZO 1611. P&0I4MH] impolitumvc, et cuin ilio multo» alio» in eodem luU» haerentc*. Ita mihi visum. 80 Plura forte alias. Tuam incrementorum Voncris decremento™ raque oWTitionem, ante nostro* tumultua magna iu[cunlditate legi, cum literarum et philoaophiao cultorihus oom- municavi, etiainque Caesari nunciandum curavi. Cupio tpecUtor e*se. In truraen- tum habet DL*®* Orator caetera optimum, et quo hcri, Dominica Palmarum, vidi, ni fallor, omnes quatuor, forma et disposinone hic adiuncta, • • o • * 8od quod non amplius quam septuplicat diametrum : luna enim nudo oculo risa aequat maximam lunae maculano in instrumento. Hoc instrumentum non suf- fecturum puto ad Saturni Voneriaque figura* dignoacendat. Inopinata mihi quodauimodo fuit tua obaervatio; naia propter ingentom eia- 40 ritatem Veneria opinabar proprium in illa lumen inesse. Itaquc raultum mecum meditor, quali superficie globum hunc oporteat esse praeditum. Mi rum ni$iCjrnthi& tota aurea est, aut, quod in Fundamentis Aatrologicis ' dixi, oiectrin*. Atquo illa te, nisi tetrico vultu aversaris, blande respiciat. Vale Pragae, 28 Martii anno Hill. Ex. T. Observant. I. Keplerus. 8, C. M.*“ Mathematica*. Fuori: Nobili Excell.® 0 D. Galilaeo Galilaeo, &o Ser. rai Magni Hetruriae Ducis Mathematico, amico rneo. FlorenUam. 504*. GIOVANNI NIOCOL1NI a COSIMO II, Granduca di Toscana, iu Firenze. Roma, 80 marzo 1611. A.rch. di Stato in Firenze. Pii** Medio** S3Z6. - ÀuU*r*fe U Iiom 11 11L Ser.“° unico mio Sig. M Hieri arrivò qua Mesa. Galileo Galilei, al quale, conformo al comandamento della lettera di V. A. S. de’ 27 w , si ò dato alloggiamento, iusiome con due suoi servitori che ha menato, in questo palazzo di V. A.: e si farà loro le spese, et il detto Mea*. Galileo sarà ben visto, honorato et accarezzato, come servitore di V. A. e per il valore insieme ben noto a ognuno. h quando mi conterirà la cagione della Bua venuta, non mancherò di porgergli ogn’aiuto in tutto quel lo che gli potesse bisognare. Egli fu hiersera dal 8/ Card. 1 * dol Monte, accodi pa- <‘l Do fondamenti» aerologia* Mrtferito nova philoaopho* «cripta a M. lOAirvv KarMBO, «oc. Praga* auieriatiunoula ad ca^nothécriam prò- Boemomm, typi» 8ehon»*o.ank Iftull. ynoMi jpkjftioa anni ineunti a a nato Ohrieto J00S, &d <*» *7 febbraio. Cfr n • 484 [604-505) 30 MARZO - 1° APRILE 1611. 79 guato da uno delli miei; e così procurerò che segua in avvenire, dando conto alla giornata all’A. V. di tutto quello che seguirà. Et humilissimamente a V. A. ot a Mad.* Ser.“* in' inchino. 10 Di Roma, a’ 30 di Marzo 1611. Di V. Alt.* Ser." 1 * Humiliss. 0 ot Devotiss. 0 Ser.'° Giovanni Nicoolini. Fuori: Al Ser.“° Gran Duca di Toscana Unico mio &ig. r0 505 . GALILEO a [BELISARIO VINTA in FirenzeJ. Roma, 1° aprilo Idi. Bibl. Naz. Pir. Mss. (lai., P. VI, T. V, car. 44. — Autografa. Ili® 0 Sig. re et Pad. n# Gol.® 0 Giunsi quii il martedì Santo (1) con buona salute, et presentai la lettera del Ser. ,no G. D. all’111.® 0 S. Ambasciatore u; , dal quale fui cor- te8Ìssimamente ricevuto, et qui mi trattengo. Fui P istesso giorno dall’111.® 0 et Rev. mo S. Card. 10 Monte (3) , al quale parimente resi l’altra lettera di S. A. (4) , et trattai sommariamente del negozio por il quale son qua ; il che da S. S. Ill. ma et liev. ma fu attentamente ascoltato et cortesemente abbracciato, con ferma speranza elio io non sia per par¬ tire di qua senza ricevere et dare compita satisfazione et giustifica¬ io zione dello verità integrissime di quanto ho scoperto, osservato et scritto. Fui il giorno seguente da i Padri Giesuiti, et mi trattenni lun¬ gamente col Padre Clavio et con due altri Padri intendentissimi della professione et suoi allievi !:il : li quali trovai occupati in leggere, non senza gran risa, quello che ultimamente mi è stato scritto contro et stampato dal S. Francesco Sizii ir,) : et credami V. S. lll.® a , che no sentii gran dispiacere in vedere scritte, et in mano di huomini tanto inten¬ denti, cose degne di scherno come sono queste, per esser loro di autore Fiorentino, et anco per altre cause che per hora lascio sotto silenzio l7) . Ho trovato che i nominati Padri, havendo finalmente conosciuta 20 la verità de i nuovi Pianeti Medicei, ne hanno fatte da 2 mesi in Lett. BOB. 13. profetine — **’ 29 marzo. <*' Cfr. n.® 484. < 8 > Franokbco Maria del Monte. <*> Cfr. n.° 486. <*' Cristoforo Gribkbkroer o Odo van Mari.- COTE. <«> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 208-250. <’> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 205. 80 1° - 2 APRILE 1611. [606-606] qua continue osservazioni, le quali vanno proseguendo; et lo haviamo riscontrate con le mie, et si rispondano giustissime. Ix>ro ancora si affaticano per ritrovare i periodi delle loro revoluzioni; ma concor¬ rono col Matematico dell* Imperatore ' in giudicare che sia por esser negozio difficilissimo et quasi impossibile. Io però ho grande speranza di havergli a ritrovare et definire, et confido in Dio benedetto, che sì come mi ha fatto grazia di essere stato solo a scoprire tante nuove meraviglie della Sua mano, così Bia per concedermi dio io habbia a ritrovar l’ordine assoluto de i suoi rivolgimenti: et forno al mio ri¬ torno liaverò ridotto questa mia fatica, veramente atlantica, a segno so di poter predire i siti et le disposizioni che end nuovi Pianeti siano per bavere in ogni tempo futuro, et habbino anco hauto in ciascuno tempo passato ; pur che le forzo mi concedino di poter continuare sino a molte bore di notte le osservazioni, come ho fatto sin qui. Io rimando a Y. S. Ill. raa la lettera per P IH.® 0 et Ecc. n ‘° S. 1). Vir¬ ginio l2) , poi che, per mia sventura, sono arrivato tardo. Io non occuperò più lungamente V. S. M.®*: solo la pregherò a farmi grazia di ba¬ ciar la vesta in mio nome a loro S.®* Al.*; et a V. S. 111.®*, con ri¬ cordarmeli servitore devotissimo, prego da Dio felicità. Di Roma, il p.° di Aprile 1611. Di V. S. 111.®* Sor." Oblig.™ 0 Galileo Galilei. 50 fi*. MAFFEO BARBERINI a MICHELANGELO BUONARROTI in Firenze. Roma, 2 aprile IMI. Galleria e ArcMvio Buonarroti in Firenze. FUsa 42, Leti. H. e»r. 968. — Antn f rafa la firma. .... Il S. r Galileo, per la virtù onci’ è ornato, ai rende meritevole della mia buona dispositione verso di lui; al qnalo mi sono eeaibito, corno a V. S. mi ricordo prontissimo in tutte 1* occasioni di suo Bervitio, con pregarle ogni contento. Di Roma, li 2 di Aprilo 1611. S* Como fratello AfT. m0 S. r Michel Ang. 10 Buonarroti. Il Cord.* Barberino. Fuori: Al molto IH. S. r< 11 S. r Michel Ang. 10 Buonarroti. Firenze. 82. circuito — <*> Cioè il Kkpi.hr. •*' Ymoia io nasuti. [507-50»] 2 — 3 APRILE 1611. 81 507 *. MAFFEO BARBERINI ad ANTONIO DE’ MEDICI [in Firenze]. Roma, 2 aprile 1611. Arch. di Stato in Firenze. Filia Modicoa 6131, u.° 81. — Autografa la firma. I11. M0 ot Eco. 010 Sig. r# L’efficace raccomandatione ohe V. Ecc. m ha passata meco della persona del S. r Galileo Galilei, et la dependenza che ha da cotosta Ser.'"' 1 Casa, mi rendono disposto a giovargli in tutto quello che potrò, come me gli sono csHibito ancor tanto più volentieri, quanto più eminente ò la fama delle virtù suo. Rosta che l’E. V., dove mi conosce atto a servirla, si compiaccia di non rispiarmarmi, perchè possa havere sodisfattiono il particolare desi¬ derio che ne ho. Et bacio a V. E. le mani, pregandolo ogni prosperità. Di Roma, li 2 di Aprilo Itili. Di Y. E. Ser." S. r D. Ant.° Medici. Il Card. 1 Barberino. 508 **. FRANCESCO MARIA DEL MONTE a COSIMO II, Granduca di Toscana, [in Firenze] Roma, 2 aprilo 1611. Arch. di Stato in Flronae. Filza Modicoa 8790, n.® 99. — Autografa la sottoscrizione. Ser.® 0 Sig. r * e P.ron mio Col. ro0 Il Dottor Galileo mi trovare sempre prontissimo in tutto quello che potrò giovarli, si per¬ di’ò mio amico vecchio e Btimo molto l’eminenza del suo valore, bì per essermi comandato da V. A. S., alla quale desidero edevo servire in tutte l’occasioni. Resta eh’esso Galileo si vaglia di me dove gli occorre, che ne vedrà gli effetti. Intanto humilmonte bacio le mani a V. A. S. Di Roma, a’ 2 d’Àprile 1611. DI Y. A. S. ObiSer. r " vero G. Duca etc. Il Card. 1 '’ dal Monte. Fuori: Al Ser. m0 Sig. or o P.ron mio Col. m0 10 11 Gran Duca di Toscana. 509 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Brescia, 8 aprile 1611. 9 Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. 'Vili, car. 78. — Autografa. Molto Ill. re et Eccell. mo Sig. ro e P.ron Col. mo Son quasi sicuro di venire a stanziare in Firenze, già che tengo lettere di promessa dal R.* 0 Abbate di Badia. V. S. Ecc. mR pensi al giubilo imo: altro non ni’ aggrava che 1’ aspettar questi doi mesi. XI. li 82 8 — 8 APRILE 1611. (MMf-510] Qua in Brescia ila diversi gentil’ huomini, da D. Serafino ' e da un Padre D. Silvio Stella, Priore qua in Brescia d’un nostro Monasteri, tutti ©snervan¬ tissimi del nomo e scienza di V.S. Eco.®*, si va fucendo amplici r\ tioni dell’ apparenzo di Venere, mossi dalla lettera che lei mi seri* -e : et in fatti nel vedere che si va verificando ad unguem tutto quello che nella lettera 1 *’ è pro- nontiato dell’apparenza mattutina, come ancora della vespertina, restano fuori io di sè; et il P. Priore disse : Felice il nostro secolo, noi quale dal S. r Galilei bì sono scoperte sì stupendo cose! Di Saturno crediamo solo, ma nou h&bbiamo ancora visto, per la debolezza delli strumenti, cosa alcuna. Non so poi se V. S. Eco.®* habbia riceuta una mia, data circa il principio del passato (,) . E non occorrendomi altro, la prego a mantenermi nella sua graffa; e se mentre son qua posso servirla, mi comandi, eh è sa lei quanto son obligato, et io so che desiderio tengo di servirla. E li bacio le mani. In Broscia, il dì di Pasca 611. Di V. S. 111." et Ecc.®* Ser." [...] e Discepolo D. Benedetto Castelli. 20 Fuori-: Al molto 111." et Eccoli.® 0 Sig. r mio Col.® 0 11 S. r Galileo Galilei, Filosofo di S. A. Firenze. 510 **. GALILEO a [VIRGINIO ORSINI in Fireiao]. Roma, 8 aprila 101 i. Aroh. Orsini in Roma. Corrispondenza «li Virginio 2«, dal 1010 al 1611. IH’, l’rot. XXI. — Autografa. 111. 1 ** 0 et Eoe.™ 0 Sig. re Col.™ 0 Sapendo io quanta aia 1’ affeziono con la quale V. E. Ill. m * risponde a i meriti della devotissima servitù del molto Illustre Signor Giovam- batista Strozzi, et scorgendomi bavere occasione di scriver nuova ili gusto a lei et di bonore al Sig. r Giovainbatista, non mi è parso di pretermettere di farla consapevole della meravigliosa azione fatta due giorni sono da Sua Signoria nella Acadomia\lelP 111."*» et Kov. m0 S. r Card. Deti, trattando, con erudizione et insieme vaghezza incom¬ parabile, della superbia; alla quale intervennero, sopra molti altri Lett. 509. 6-7. oncrvandittimi — **> Skrafino da Quinzzno. <*> Cfr. u.o 447. 1,1 Quatta letta™ non b off! nel Mu. Galileiani dell* Biblioteca Kazionale di Firenze. [510-5111 8 APRILE 1611. 83 io Prelati, li Ill. m ‘ et Rov. mi Card. 15 Aldobrandino, Bandini, Tosco e San Clemente, invidiati poi da molti altri, che, per varii accidenti et per poca ventura del S. r Giovambatista, non vi potettero inter¬ venire : tra i quali V Ecc. rao S. p Ambasciata' Niccolini, prevenuto da uno spontaneo invito di quello di Savoia, ne è restato con dolore non piccolo. La bellezza dell’ opera ha dato et dà occasione a tutta Roma di celebrare la dottrina del S. r Giovambatista ; et io, che come forestiero qua son muto, desidero di parlare in cotesta Corte, et farvi pervenire in parte la meritata gloria di questo mio Signore: et ben¬ ché la mia attestazione sia di piccolissima autorità, ricevila come 20 relazione dell’ applauso universale di Roma. Io poi, benché speri di esser per quietare ogn’ uno et levare tutti gli scrupoli circa la verità dei miei scoprimenti, tutta via mi dolgo della mia sventura, mancandomi il favore et protezione di Y. E. IU. ma , la quale con la sua autorità mi haverebbe agevolato tutte le diffi¬ coltà. Vagliami il suo medesimo favore in cotesto parti, se però vi resta ancora contradittore : et come io infinitamente confido nel suo patrocinio, così ella si accerti della devotissima et humilissima mia perpetua servitù. Et qui, inchinandola, gli prego dal Signore Dio il colmo di felicità. so Di Roma, li 8 di Aprile 1611. Di V. E. lll. iua Dev. rao et Oblig. mo Ser. M Galileo Galilei. 511* FRANCESCO MARIA DEL MONTE ad ANTONIO DE’MEDICI [in Firenze]. Roma, 8 aprile 1611. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 6181, n.° 88. — Autografa la sottoscrizione. 111. 1,10 et Eco.® 0 Sig. or mio Osa.® 0 Io mi sono offerto prontamente al Sig. or Galileo d’adoperarmi per lui in tutto quello ch’io possa giovarli; et s’egli vorrà valersi di me, gli riuscirò più in fatti elio in parole, sì per l’eminenza del suo valore et percli’è mio amico vecchio, come per li comandamenti del Gran Duca e di V. E., a’ quali devo sempre obedire. Tardi rispondo alla sua lettera, perchè ’l Sig. or Galileo non me 1’ ha resa prima di questa settimana: et il medesimo mi ha mostrato l’ingegno della fontana da lei manda- 84 8 — 9 APRILE 1611. [611-612] tarai, che ogu’hora mi riesce piò bolla; et io le ne reato con partioolameimo oblilo, pre- gandola vivamente che mi comandi, acciò che io po* Cfr. Voi. Vili, pag. 208, Un. 29 o seg. 86 9 APRILE 1611 . ( 51 * 2 - 618 ] caldamente la suplico, com* anco la prego oonaerfa. mi tra’ suoi servitori. Kt le buccio le mani. Di Brusseles, il di 9 Aprii 1611. Di V. S. molto 111/* et Eoe.** Aff'** 8<*r. r Daniello Antonina Post scripta. Questo Ser. reo Arciducca c,) ha rotolo veder la lettera di V.8„ et m’ha detto che le debba mostrar tutte quelle che da lei Natiò. Parò prego V.8. a darmi 70 ocasione di potergliene mostrar spesso, perché questo !’rrnrip<* g-d* a»sai di queste novità, et assaissimo ammira le sue virtù. Non dia però, di grati*, segno nella lettera di saper questo. Le buccio le mani. Fiwri ; Al molto III.™ et Eco.** Sig. r mio Ow."* Il Sig. r Galileo Galilei. Firense. 513 * OTTAVIO BANDINI ad ANTONIO DE»MEDICI fin Yirsaml Roma, 9 aprila 1611. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medi 6181, a.* 86. — A«U*r*/a la MUacmm IlL m0 et Eco. BO 8." Conoscevo per fama il 8. r Galilei, et stimavo, Bicorne tuttavia stimo, il meiito delle suo virtù, llora mi è stato carissimo il vederlo qui et conoscerlo di progni*, maa»iroc essendovi intervenuto il uiezo di V. E., allo quale devo renderne grette. Et poiché all’in- clinationo che per me stesso havevo verso di lui, a’aggiunge bora il guato che ho di poter servire a V. E., deve ella restar corta che oon tanto maggior affetto piglierò ogni occasione ohe mi verrà d’impiegarmi per interesse di eaao. Intanto bacio a V. E. le mani, et le prego dal Signore ogni contento. Di Roma, li ix d’ Aprile m.d.o.xi. Di V. E. Scrv.” 10 S. r D. Ant.° Medici. Il Card. Bandino. <*J Auihrto d’Aubtria. [514-515] y — 19 APRILE 1611. 67 514 *. TIBERIO MUTI ad ANTONIO DE’MEDICI [in Firenze]. Roma, 9 aprile 1611 . Aroh. di Stato in Firenze. Filza Modico» 6181, n.° 84. —Autografa la firnm. m."° et Eco. 1 " 0 Sig. r * Ero per me stesso inclinatissimo a compiacer o gratificare, ovunque io potessi, il Dottor Galileo Galilei ; hora aggiungendovisi la raccomandatione di V. Eco,**, 1* inclinationo si è convertita in obligo: sichè non lascierò opportunità alcuna, che mi si offerisca, di giovarli; nel che sentirò particolar contento, servendo V. Eco.** et. adoperandomi a profitto di per¬ sona così meritevole. Intanto le bacio le mani, e nella solita buona gratin sua mi rac¬ comando. Di Roma, alli 9 d’Aprile 1611. Di Y. Ecc.“ Serv. r * 10 S. r D. Anton do’ Medici. 11 Dar. Muti. . 515 . ROBERTO BELLARMINO ai MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO. [Roma], 19 aprile 1611. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Ili, car. 2. — Autografa la sottoscriziono. Molto Rov. dl Padri, So elio le RII. VV. hanno notitia delle nuove osservationi celesti di un valente mathe- matico per inozo d’un instrumento chiamato cannone overo orinale; et ancor io ho visto, per mezo dell’istesso instrumento, alcune cose molto maravigliose intorno alla luna et a Venere. Però desidero mi facciano piacere di dirmi sinceramente il parer loro intorno alle cose sequenti : Prima, se approvano la moltitudine delle stelle fisse, invisibili con il solo ochio na¬ turale, et in particolare della Via Lattea et delle nebulose, che siano congerie di minutis¬ sime stelle; 10 2°, che Saturno non sia una semplice stella, ma tre stelle congionte insieme; 3°, che la stella di Tenere habbia le mutationi di figuro, crescendo e scemando come la luna; 4°, ohe la luna habbia la superficie aspera et ineguale ; 5°, che intorno al pianeta di Giove disoorrino quattro stelle mobili, et di movimenti fra loro differenti et velocissimi. 88 19 — 20 APRTLE 1611. [ 515 - 516 ] Questo desidero sapere, perchè ne sento panare variamento; et le UH. N V., come p«»er- citato nelle scienze mathematiche, facilmente mi sapranno dire queste nuore inrentioni siano ben fondate, o pure siano apparenti ot non vere. Et se «li piace, potranno mettere la risposta in questo «tesso foglio. Di casa, li 19 d’Aprile 1611, 20 Delle RII VV. Fratello in diritto /. 516 *. FRANCESCO SIZZI a CRISTOFORO CLAVIt) (in Remai. [Filtrate], 20 aprile 1611. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIV, car. 27. — Copia di mano di 0 aulito. Doctiss. 0 Viro Christophoro Ciarlo «6 x?&vt siv. Officio me defuisse fatoor; etenim to iam pridem convenire debuernm. At deeral oc- casio, nec solum, veruni amicus, qui erga te hoc miniere fungeretur. l'ostquam vero a iuvane ut nobilissimo, sic omnibus virtutura numeris absoluti animo, accepi, occasionala milii se pracbiturum tc conveniendi et 8 ffipov xal £8®pov ti hi offe rondi, occnsionem oblatam libon- tiasimo arripui: undo statini diem dixi, ut pollicitin starot;qaod libentissirae ae facturum promisit. Qua do re liane ad to mittere docrevi. Miraberis fornati bominis ignoti audaciam; at dosiderium discendi, quo trahor, ad hoc facinus impulit, et bunmnitaa tua, iam in Galliis ex fama mibi nota, calcar addidit. Magna te invisendi atque inserviendi cupiditate ducor, ut faroiliaritate tanti viri, hoc àYoV/ttuxcoc accipe, frui possem ; ned in Gallinai redire coactus, IO cuin coram non liceat, per litteras obscquium meum, qualecumque sit, obero, l'ibi pili erit, fateor; donatori» voluntas, non munua, spoetandomi in nutgnis enim n luissc sai est. Ilac spe fultus, te adii. Quid insuper? hoc animi donum cura corta aliqua tesserula sodare decrevi. At non nurum aut ebur Iiulicum mea curta nupellex largiri potest; quid, queso? meam Atàvoiavvagientis tenellulique ingonii mei foetum: nani quid c&rius, quid pre- ciosius, nunc otlerat, non habet. Parentibus diari sunt proprii liberi; nobis, qualiscunque sit, ingenii foetus longo gratior. Hunc, si lubebit, amicitiae obsequii expiabo. In gratinai igitur ut ma recipias, rogatimi volo. Yalo. xii Kal. Mai., anno Xprjox. mdoxi. Tuub Franciacus Sitius. 517 . GALILEO a [FILIPPO SALVIATI in Firenze], Roma, 22 aprile 1C11. Riproduciamo questa lotterà dall’opuscolo Due lettere di Galileo Galilei ed una del Keplero inedite, con noto di Pirtko Bigazzi, Firenzo, prosso I’ editoro, 1811, pag. 7-11. Ignoriamo doro ora sia In «copia dol tempo », elio Roditore possedeva o della quale si valso. Ad ogni modo ristampiamo il capitolo della lettura del Kri'I.rk conformo l’autografo (cfr. n.» 503), limitandoci a registrerò in variatiti» lo lozioni divorso doli’edizione. Molto Illustre Signor mio Osservandissimo, Non avendo io tempo di scrivere a tutti gli amici e padroni par¬ ticolarmente, scrivendo ad un solo farò conto di scrivere a tutti. Io sono stato favorito da molti di questi Illustrissimi Sigg. Car¬ dinali, Prelati e diversi Principi, li quali hanno voluto vedere le mie osservazioni e sono tutti restati appagati, sì come all’ incontro io nel vedere le loro maraviglie di statue, pitture, ornamenti di stanze, pa¬ lazzi, giardini ec. Questa mattina sono stato a baciare il piede a Sua Santità (1) , pre¬ io sentato dall’Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Ambasciato nostro il quale mi ha detto che io sono stato straordinariamente favorito, poiché Sua Beatitudine non comportò, clic io dicessi pure una parola in ginocchioni. Tra i litterati reputati in queste corti, ne ho trovati alcuni ve¬ ramente dotti, ma anco all’ incontro de’ molto sori, corno a bocca sentirà V. S. Circa al mio particolare, tutti gl’ intendenti sono a segno, e in particolare i Padri Gesuiti, come per alcuni segni evidenti cono¬ scerà ognuno in breve. Saprà Y. S. poi, come non son mancati alcuni (’> Paoi.o V. <*' Gir, vanni Niccoli»! : cfr. n.° 519. XI. 12 22 AVKll.K 1611. yo 1517] de’soliti amici, che hanno di coati scritto qua diverse cose: alcuni, che io ini son partito in mala sodisfazione dei Serenissimi Padroni, 20 onde è bisognato produr le lettere di loro Altezze al Cardinale dal Monte e all’Ambasciatore; altri, che io sono scappato per fuggir l’acqua calda venutami addosso perle pubblicazioni di scritti 0 stampe contro di me, e disperato di poter rispondere e render buon conto delle mie asserzioni. Ma volesse Dio elio non fosscr più vero lo pione, che io veggo muoversi a sommergere i miei avversari. Dispiacomi del- P essere stato troppo vero indovino dell’esito dell\»p» ra del Sig. Sizzi, scritto già al Sig. Sertini, 0 procurato por quanto ho potuto che non segua, con il procurar di mettergli, o che gii fosso messo, avanti Pesemplo di Martino Orchi, sì per sua propria reputazione come della so nazione, siccome osso Sig. Sertini e altri amici comuni possono esser sempre buoni testimoni. Senta V. S. il giudizio che fa il Keplero sopra la Dianoia, con tutto venga il suo nome sommamente esaltato in tale opera da esso Sig. Sizzi. Io, disperato di esser per veder questo libro e sentendo come era stato mandato in Francoforte, scrissi al Si /. Asdalo a Praga elio mi avvisasse il giudizio che ne faceva il Keplero ; ora il medesimo Keplero mi scrive la seguente lettera. S. P. D. lTac ipsa discessus postar lumi, Gal il are celeberrime, 7). Ifasdalius mihi retulit quid per ipsum a me peleres. Quantum igitur poltro, Ubi satisfadam. 40 Libellum Sdii, ex concessa D. 1 Vclseri nactus, legi, sru pentitavi potius, idque somnolentus. Ululo Aixvotxe Astronomica!» in catalogarti venti nundinarum Franco fordensium autumnaUurn. At inni uudus est tàulus 1lisce verbis: qua Nuncii Siderii rumor de 4 Pianeti* vaiius redditur. Dedicatur Magno Iletruriae Duci ' , miro ar(tu mento : rem sibi esse cum fortissimo illius Ducis heroe Galilaeo, se vero imbecillem ; clientela igitur indigere. Invehitur in Ilorhjum; queritur de imuria accepla; narrai quid inter ipsos aduni. Ostendit, sibi displicere hominis pdulantiam iocamii et cavil- 48. ~ 48 * ‘V- 46. ™ - 22 APRILE 1611. 91 [517] so laudi et maledicendi. Iteipsa videtur in Horkyì sententiam àbire; nisi quod ait, ista se disputare exercitii cazisa, quod cum Ululo quidem male convenit. In genere id agii quod tu ad Easdalium solipsisti: repudiato mundo sen¬ sibili, qucm ncc ipse vidit nec expertis credit, ratmnculis puerilibus spacia- tur Peripateticus in mundo cliartaceo; negalque solem lucere, quia ipse coecus est. Allegat mea scripta sacpius honoriftcentissime, ac si praeceptor ipsi fumem; et uno loco talibus utitur verbis, ex quibus ignarus colligat, multa illuni mecurn per litcras communicasse : quod factum tamen nunquani, te monitum volo. Stilus paido cmendatior est quam Ilorlcyi; iuveniliter ta¬ men Jiaeret in obscuritatuni dumctis. Patiocinationes suas tingit specul atio- Go nibus opticis, sed pessimis; at plus illuni in hoc genere apprcliendissc puto, quam Eorhyium. Sed quia commenta sua opponit ventati oculonim, quid aliud expectabit quam ut cordati omncs dicavi, illuni cum ratione iuveni¬ liter insanire ? Ncque tamen menimi omnium; erunt for tasse multa aerimi censura digna, quae si serio librimi legero, et si tempus ad liane operavi impendere potevo, pauculis verbis consignabo. Contumeliosius nihil depre- hendi, quam nerba titilli, supra allegata. Benigne talis libéllus videtur, qui et sine veritatis iactura negligi, et salva gravitate viri cordati refelli publicc, possit, si talis refutatio suscipiatur instituendi causa iuvenem non sane malum, nec indocium impólilumvc, et cum ilio multos alios in eodem luto 70 haerentes. Ita mihi visum. Plura forte alias, eie. Ilo voluto conferir con V. S. questo giudizio, acciò si sappia per qualcuno quello che si dice di là da’ monti. Prego V. S. a non lo comunicar con molt’altri, perchè io non mi curo di procurar lo scorno, nè anco appresso a una città, a quelli che hanno tentato di procu¬ rarlo a me appresso al inondo tutto ; perchè, come altre volte ho detto a V. S. e a molti altri, più presto vorrei guadagnarmi l’amici¬ zia del Sig. Sizzi col rimettergli ogni vilipendio, che averlo con vit¬ toria per inimico. E per tal rispetto ho anco procurato di scusarlo appresso i Padri Gesuiti, che con gran risa leggono le sue puerizie, so Ho pieno il foglio, però finisco. Saluti tutti gli amici e mi con¬ servi nella sua buona grazia e liberalità. Di Roma, alli 22 Aprile 1611. 50. Iforchii sententia»> venire — 51. quod in Ululo — 67. litterat comunicasse — tamen unquam — 68. Uurchìi — 61. Horchium — 92 22 - 24 aprili: Itili. J6 18*620] 518**. GIO. ANTONIO MACINI a SPISELI A) RESTI in Mentova. Bologna, 88 aprile usi 1. Ardi. Gonzaga in Mantova. Rubrica Bologna K XXX. I. - Aul* graie. 111.*** 0 et R. B0 S. r , mio Sig." e Patrono Co).°* Subito ch’ho veduto il commandamento di V. S. IH.**, uti sono poeto a copiargli di mia mano quel’esperimento che lei mi ricerca, e gli lo mando; avi- indo ,v, che -o iwn* io feci copiare molte altre cobo per V. S. 111.**, mi furono poi portata »*a Ua quii Tedesco ch’io cacciai via all’iuiproviso pur umor del S. r Galilei.... 519 *. GIOVANNI NICCOLINI a BELISARIO VINTA in F'irmaa. Roma, 83 aprile 1 alla solita «udiente di S. S.*\ por introdurr* a baciare i piedi alla S.*& (come ho fatto) il &'Galilei; il quale ha ricevuto grati*»®» cera da S. S. u , huvendo lutto P iatesso il S. r Card. 1 * Borghesi par fino la aettiuwuia poetata.... 520 . 1 MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO a ROBERTO BELLARMINO in Roma. Roma, 24 aprile 1611. Bibi. Kaa. Fir. Ita. Gal P. I T. III. car. «*. - Autografa I. In*. A Urr». di «ano di flitrt.o, ri legga: Attestazione do’ PP.' Giesuiti al iiever. 11 * 0 Card. Bellarmino. Dl.* # et R Sig. r et P.ron Col. 100 Responderemmo in questa carta conforme al commandamento di V. 8.11L~ » intorno alle vane apparenze che si vedono nel cielo con l’occhiale, et con lo stesso ordino delle proposte che V. S. 111.®* fa. <•> Quosta lotterà, compiuta o datata il giorno 23 aprilo, dove essere stata incominciata il giorno 22: efr. n.» 617. lin. 9. Cfr. n.» 615. 24 APRILE 1611. 93 [520] Alla prima, è vero che appaiono moltissimo stello mirando con l’occhialo nello nuvo¬ lose del Cancro e Pleiadi ; ma nella Via Lattea non ò così certo che tutta consti di mi¬ nuto stollo, et pare più presto che siano parti più dense continuato, benché non si può negare elio non ci siano ancora nella Via Lattea molte stollo minute. È vero che, por quel che si vede nelle nuvoloso del Cancro ot Pleiadi, si può congetturare probabilmente 10 clic ancora nella Via Lattea sia grandissima moltitudine di stello, lo quali non si pomio discernere per essere troppo minute. Alla 2 a , habbiamo osservato elio Saturno non ò tondo, conio si vede Giovo o Marte, ma di figura ovata ot oblonga in questo modo OOo; so bene non babbuini visto lo due stelletto di qua ot di là tanto staccato da quella di mozzo, che possiamo dire essere stello distinte. Alla 3 a , ò verissimo elio Venero bi scema et cresce come la luna: et havendola noi vista quasi piena, quando ora vespertina, habbiamo osservato elio a puoco a puoco andava mancando la parto illuminata, che sempre guardava il sole, diventando tutta via più cor¬ nicolata; et osservatala poi matutina, dopo la congiontione col solo, V habbiamo veduta 20 cornicolata con la parte illuminata verso il sole. Et bora va sempre crescendo secondo il lume, et mancando secondo il diametro visuale. Alla 4*, non si può negare la grande incqualità della luna; ma pare al P. Olavio più probabile elio non sia la superficie inequalo, ma più presto elio il corpo lunare non sia denso uniformemente et elio liabbia parti più denso et più rare, come sono le macchie ordinarie, che si vedono con la vista naturale. Altri pensano, essere veramente inequalo la superficie: ma infin bora noi non habbiamo intorno a questo tanta certezza, che lo possiamo affermare indubitatamente. Alla 5 a , si veggono intorno a Giove quattro stello, che volocissiniamento si movono bora tutto verso levante, bora tutto verso ponente, et quando parte verso levante, et 30 quando parte verso ponente, in linea quasi retta: le quali non ponilo essere stelle fisse, poiché hanno moto velocissimo et diversissimo dallo stelle fisse, et sempre mutano lo di¬ stanze fra di loro et Giove. Questo è quanto ci occorre in risposta alle domande di V. S. 111." 10 : alla quale facondo humilissima riverenza, preghiamo dal Signor compiuta felicità. Dal Collegio Romano, li 24 d* Aprile 1611. Di V. S. 111.- ot R. ma £VtV/ yfajfor» C^a.ui-o G/infTyirf {/ > ritn/ery&: Q&0 !M Pietro Ooiccusdixi, 27 APRILE 1611. 1522 ] y & 522 . MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Roma. Monaco, 27 aprilo 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, cnr. 192-193. — Autografa. Car. mo et Ilon.' 10 S. r Fratello, La vostra gratissima mi ò stata resa insieme con quella della Ser. n,a Arcidu¬ chessa, quale a vostra requisitione (,) il scritto al Ser."'° Duca Guglielmo l,) in mia raccomandatione ; et per ancora non l’ò possuta consegnar a S. A., mediante la sua absenza. La lettera la tiene il Sig. r Dottor Mermano t#) appresso di sò, quale alla tornata del Duca gliene presenterà con comoda occasione ; et di quello che sia por fruttarmi, vi avviserò a suo tempo, ringratiandovi intanto per mille volte del’ufitio che avete fatto per me : et mi vi raccomando di cuore a volermi aiutare in qualche maniera, poi che Iddio vi à dato la gratin di poterlo fare. Et es- ìo sondo voi in tale felice stato, non vi sdegnato a riguardar in dreto verso i vostri clic sono in bisogno, nò voler vendicarsi de’ disgusti ricevuti ; chò a 1* ultimo, se vorrete considerare alle cose passate, tutto in quello clic vi contrariavo ^ era solo pregiudizioso a me solo: et in somma l’animo mio è stato sempre alletionatis- simo verso i mia, et in particolare verso di voi; et voglio credere che non abbiate mutato quella vostra solita benigna natura, et che vi ricorderete del povero Mi- chelagnolo vostro fratello, et oltra alle infinite vostre lodi, clic sono sparse per il mondo, crederò che vorrete che la carità verso i vostri non rimanga in dreto, et quella faccia più manifesto le vostre virtù. Io non so esprimer il mio con¬ cetto; ma havendo a trattar con voi, basta per esser inteso. Ho presente da più 20 bande, in che consideratione et stima siate, non solo alle Ser. mo Altezze di To¬ scana, madi tutta l’Europa; et oltra a gl’ honorini e carezze che vi vien fatto, siate stato da diverse bande presentato molto largamente; et in conclusione che siate in stato di poter soccorere i vostri senza alcuno vostro incomodo. Et bora che il mio Vincenzino è qui a tavola, vi si raccomanda di cuore; dieso voi lo vedessi, son certo che diresti non potersi veder la più gratiosa e bella creatura : et so che l’affetione non m’inganna. Mi dite in questa vostra ultima, come mi liavete scritto 3 lettere senza averne risposta. Io 1’ ò ricevute tutte, et a tutte ò dato risposta. Tutte le cose scoperto da voi sono state molto grate intendere a queste Altezze et a molti in so questa città, a’ quali ò fatto vederne parte, ciò ò li Pianeti et le cose della luna, Lett. 622. 7. ringrantiandovi ~ (U Cfr. a.» -197. <*> Guor.iKi.iio V. < 3 > Tommaso Mkhmanni. ai Cfr. n.o 174. 27 APRILE 1611. 96 [522] che n’hanno ricevuto gran meraviglia: et se io non fossi «tato, molti non have- riano creduto nè vieto mai niente ; et in particolare questo Altezze, poi che hanno inteso come io ò fatto vedere tutte queste cose a diversi, 1’ è messe in desiderio d’affaticarsi ancora esse ; ot intendo come hanno hauto il loro intento, con molta lor maraviglia o gusto. Il Ser." 10 mio Padrone à un comodo istrumento, dove posa su la canna; et l’occhiale che li mandasti, lo porta sempre seco quando va fuora della città, et gl’à fatto fare una bellissima canna d’ebano. 1/occhiale del Ser. mo Duca Guglielmo lo tengo ancora appresso di me ; et havariti che io intendessi quello che è occorso, stupivo vedendo elio S. A. non lo domandava : salvo che, circa 2 mesi fa, disse al S. r Dottor Mermano che cosa era del suo oc- 40 cliiale. Li rispose che l’aveva il Galilei, con l'aiuto del quale 4 giorni havanti havova visto ottimamente cobb lontanissime, et elio li pareva uno strumento ra¬ rissimo. S. A. allora non disse altro, solo elio credeva che non dovessi servir per la sua vista. Et perchè il Dottor Mermano à sempre mille negotii inportan- tissimi da trattar con S. A., da l’ora in qua non »’ è più parlato d’occhiale, et ancora perchè S. A. sta il più del tempo fuori. Quello che volevo dirvi è, che il mio padron di casa, eh* è pittore del Duca Gu¬ glielmo et molto suo domestico, mi disse a questi giorni che ai trovò presento quando S. A. ricevette l’occhiale; et per haver isso pittore visto più volte il mi[o], et per consequenza qualche poca di pratica, subito ai messo a metterlo 60 insieme; et senza star a guardar se i vetri erano netti, o vero aggiustar lo stru¬ mento, et più sonza alcun sostegno, si messeno a guarda[r] fuori d’una finestra; et quello che aiutava questo bel maneggio, era un giorno che fioccava la neve a più pottere: a tale che S. A. et il pittore si risolvettero a diro di non haver visto niente. Et io li dissi et mostrai tutte le circustanze che bisognava osser¬ vare in mettere in opera tale strumento. Io mi sono accorto che il Duca, non havendo potuto veder allora cosa alcuna, si ìnmagini che non sia strumento per i suoi occhi, et per questo non se ne curi nè ci pensi più. Ma io ò informato del tutto il S. r Mermani, il quale con comodità informerà 8. A. ; et crede che presto lo vorrà vedere, tanto più di’ ò fatto faro uno strumento da poter ma- fio neggiar con grandissima comodità il cannone, secondo che altre volte v’ò scritto {fi . Io poi non ò mancato nò manco di goderlo, in fino che mi resta nelle mani : et la mattina sono stato più volte, all'aprir della porta, fuori per osservar Ve¬ nere lunata, la quale appariva in circa un’ ora avanti lo spuntar del sole ; ma sempre che 1 è osservata, è stata 1’ ora troppo tarda, a tale che non ò potuto discerner quello che mi scrivete, per la chiarezza del giorno. Credevo ancora poter osservar Saturno, non essendo molto lontano da Venero; ma nò anco quello ò 31 ‘ monUi — 87 - Mtonma — 53. fiume — 64. oppine* - Massimiliano I. i*' Lo lettere (cfr. Un. 28) nello quali Miche- i.anoei.o Qaui.ki entrò in siffatti particolari, non pervennero inaino a uni. 27 APRILE 1611. 97 [522] potuto veder niente, a tale che per 1* avvenire mi voglio risolvere andare a dormir fuori della città, qui poco lontano in un luogo d’un mio amico : et voglio usar 70 ogni diligenza di veder tutte quest’ altre cose, acciò quando haverò un altro oc¬ chiale da voi, secondo che m’ avete promesso, io possa far veder lo dette cose a’ mia amici, sì come ò fatto veder quest’ altre. Ò inteso con molto «aio piacere clic i vostri avversari si sieno resi vinti: et P havcrli hauti un pezzo per contrari, et poi restati chiariti, maggior honore e gloria ò la vostra. 0 di più inteso la vostra andata a Roma et la maniera che andate, et del tutto sento infinito contento, del qual luogo so che no riporte¬ rete honore et utile; et di quello che seguirà mi farete sommo piacerò tenermi avvisato, consegnando costì in Roma le lettere al S. r Giovanbatista Crivelli, per la via del quale riceverete questa, non vi scordando però lo corde, chè ne sono so in gran necessità. M. Cristoforo 10 me ne mandò da Padova dui mazzetti, che non son buone a niente. Quando tornerete a Firenze, aspetterò che mi mandiate i ritratti, quali molto desidero d’ avere. Io non posso far di manco di non tornar a pregarvi a volermi haver per raccomandato, et a soccorermi adesso che Dio vi dà gratia di poterlo fare et che io sono in bisogno, senza diro eh’ haveto fatto assai per me : lo confesso; ma non ò già tanto quello ch’avete fatto, che non sia maggiore la vostra amorevolezza et le vostre presenti forze. Et pensate che non ò più che 220 fiorini Panno, et se non fussino stati alcuni scolari che ò liauto, mai per me : et al presente non ò più che dui, et Dio sa quanto dure¬ ranno : oltra che il mio mal vecchio mi torna a travagliare, et bora in’à tenuto ao in letto 3 giorni. Oggi mi son pur levato, et sono stato a trovar il Sig. r Mermani, quale vuole ch’io faccia una purga elio mi costerà qualcosa. Vi torno a ringratiar de l’occhiale che mi mandasti, per il quale il Ser. mo Elet¬ tore (5) , a riquisitione di mio suocero, mi donò 100 scudi, che quelli m’hanno sollevato un poco. Il Sig. r Mermani vi si raccomanda con ogni affetto, et insomma ò tutto vostro, et vi celebra sommamente ; et a suo tempo vi prego a ricordarvi di lui circa P occhiale, et credetemi che sarà bene inpiegato. Et per fine io con tutti di casa vi ci raccomandiamo di vivo cuore, con pregarvi da nostro Signor ogni felicità, et in particolare la sanità. Di Monaco, li 27 d’Aprile 1611* 100 Vostro Aff." 10 Fratello Michelag. 10 Galilei. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r mio Oss."’ 0 Il Sig. r Galileo Galilei. • In palazzo del Ser. mo G. Duca di Toscana. Roma. 104. de Set ™ Krnrsto, Elultore di Colonia. 08 29 APRILE 1611. I6mw] 523 * DANIELLO ANTONINI « GALILEO in FW». Uraxelle», » aprilo 1611 . Blbl. Noz. Flr. M«*. Gal., P. I, T, YI, car. 1M. - Àatog-afc. Molto 111.**® Sig. r mio Oss. rao Non conosco la mia poltroneria solo che quando «loto seri vero a V.8. molto 111.**, che mi vergogno non haver alcuna cosa di novo : purlo di intrinseco, ben¬ ché cV estrinseco ancora non sia nulla ; ina quello non agrava me. Pure non mi manca scusa; chè bisogna corteggiare, atender a raggioni di stato, et altro va¬ nità, ad comode , o più tosto ad ambitiose , w,n>ium indirixnte. Vorei haver oca- sione un giorno di servir quel Ser. roo G. 1)., per poter ritornare a godere delle meravigliose contemplationi di V. S. Per Dio, che allo volte sto in pensiero di venirmene in Italia et far Fiorenza mia patria, por questo. Non dubito però che ella non mi dia consolatione di farmene alcuna volta parte. IO I)oppo clic questo Ser. mo ha veduta la sua lettera, tutto il mondo la vuol vedere; et io ho gusto estremo in mostrarla, chè vedendo tutti stupire et am¬ mirar la virtù di V. S., paro a me ancora participar di questa gloria, essendo suo servidore. Mi conservi tale, chè tale le vivo. Et le haccio lo mani. Di lirusseles, il di 29 Ap> 1611. Di V. S. molto III.** AfT- Ser.** Daniello Antonino. Fuori: Al molto IH.** Sig. r et P.ron mio Os3. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Fi ronzo. 20 &altra inano : fr.«* fin a Mantova. 524 *. MARCO WELSER a GIOVANNI PARER in Roma. Augusta, 29 aprile 1611. Archivio dell’Ospizio di S. Maria in Aqniro in Boma. Carteggio di Qloranni Fabar. Fllra 419, car. 12. — Autografa. » ....Confesso che il Nunzio Sidereo del S." Galilei a prima vista mi riuscì molto ina edibile, e trovando che molti principalissimi inathematiri concorrevano in tal incre¬ dulità, impuntai lungo tempo la mia oatinatione, sino che qnesti istessi mathematici op- [524-526] 29 aprile — 6 MAGGIO 1611. 99 ponitori furono convertiti, in particolare il P. Clavio, quale mi assicurò talmente della verità, che non mi resta più scrupolo alcuno, maggiormente aggiungendovisi il testimonio di Y. S. Della gentilezza del S. or Galilei non mi può diro cosa nova, poichò egli si mostra tale verso me in tutto le sue lettere ; e io P honoro anco et osservo altrettanto per questa sua bellissima parte, quanto per la dottrina et por P invontione di tanto coso mirabili in ciclo, che bastaranno a far admirahilo il nostro secolo a tutta la posterità .... 525 *. FEDERICO CEST a FRANCESCO STELLUTI in Fabriano. Roma, SO aprilo 1611. Bibl. Vaticana. Cod. Vat. 9684, car. 87. — Autografa la sottoacrulouo. _Se mai fu tempo che V. S. fosso in Roma, è bora; et se io co ia desiderai, hora tanto più la desidero: il perchè, ella stesso lo saprebbe in parte, ma io glie lo dirò a pieno. Ogni serena sora vediamo le cose nuove del ciolo, ollicio veramente da Lincei: Giove co’suoi quattro e loro periodi, la luna montuosa, cavernosa, sinuosa, aquosa. Resta Venere cornuta, e ’1 triplico suo Saturno, che di mattino dovo vederli. Delle fisse non dirò altro. Si con¬ clude tra’ filosofi, o il cielo flussile e non differente da- l’aere, overo, conforme alla vecchia sentenza de’ Pitago- 10 rici et nova osservarono (li hoggigiorno, l’orbi in questa forma di pianeti. Non è però piccola difficoltà, se la torra sia il centro dell’ orbi.... .... Se voi ire a Napoli, tanto poi farlo, et nude¬ rebbe assiemo con P istesso Galileo, che pensa andarci fra 15 giorni in circa; et lì non sarebbe anco inutile alle cose comuni W .... Tello. 526 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 6 maggio 1611. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal.. Par. I, T. VI, car. 19G. — Autografa. 111.™ et Ecc." 10 S. r mio Oss. mo Invaginandomi che V. S. sia ritornata a Fiorenza, prendo ardirò di scriverle, poiché in quelle altitonanti grandezze di Roma malamente questa mia sarebbe potuto penetrare alla sua abbagliatissima vista. Gl T)i una « colonia Lincea Napolitana », fon- Lincei nei Manoscritti Galileiani, noi Bullettino di data colà per opera di Fimunioo Cubi, vedi A. Fa- Bibliografia e di Storia delle .dente matematiche « VARO, nocumenti per la storia della Accademia dei fisiche, ecc. Tomo XX. Poma, 1888, pag. 107-108. 100 C MAGGIO 1611. [626] Ho sentito grandissimo contento nel leggero li molti honori e gratissime ac¬ coglienze fatte in quella gran Corte alla meritevolihhini» sua persona; si che m’imagino che sarà, ritornata alla patria carica di gratie humane e divine, ondo ò bene il dovere che ne participi anco con gli amici c servitori suoi. Vengo adunque a racordarli, se ben so che non ve n’ è bisogno, il negotio de’ nostri SS. ri Iielloni, poiché ho penetrato che in Pisa si son fatti gran brogli io per alcuni filosofi, specialmente, credo, per un Aretino. I>i gratia, V. S. con la sua autorità o diligenza operi che non siano scavalcati, e non restiamo defraudati della gagliarda speranza che in tutte le sue lettere sinhora ci ha duta, essendo già quasi divulgata 1* elettrone di questo gcntilhomo. Scrissi al S. r Volsero quanto V. S. mi scrisse da Roma intorno alla stella di Venere per risposta a quel Gesuita non ho ancora sue lettere: se veuiràcosa alcuna, ne darò parlo a V. S. Parlai allongo, un di questi giorni» cou ’l Cremo- nino lt) , il quale si burla affatto di queste sue osservatami, o si maraviglia che V. S. le dica come coso vere. Presto darà fuori alcuni suoi trattati J)e facie lunac, De Via Lactea , De denso et raro, e di altre cose del cielo, come anco del moto so della terra, nelli quali piglia a diffondere Aristotile, che sanno tutti contra a V.S., sì ben non la nominerà; et a tutti dice quell’autorità di Plutarco, corno autorità irrefragabile intorno all’inganno do gli occhiali. riabbiamo qui P 111™ 0 S. r Andrea Morosi ni, il quale non può patire che ’l Cro¬ monino, mentre V. S. ò stata qui, non hahbia procuruto nè voluto vedere queste sue osseivationi, liavendolo io detto ch’olla so gli era offerta d’andar sino alla sua propria casa per fargliele vedere; onde le pare che habbia torto contrariarle senza haverno fatto qualche esperienza. Io dissi a S. S. III.™» conio il Cheplero, il Clavio e molti altri mathematàci approvano le ossorvationi nella luna e quelle delle Stelle Medicee: in somma discorressimo assai di V. S., e mostra esserli so molto affettionato, et haverli rincresciuto molto eh’ ella sia partita. Ancora siamo senza mathematica Al Magmi non badano, perchè pretendo troppo stipendio. Par eh’ egli inclini al Conte Giulio Zabarella. 11 Conte Ingolfo b’ aiuta esso ancora per quanto può. Staremo a vedere. Che la terra giri, sinhora non ho trovato nò filosofo nè astrologo che si vo¬ glia sottoscrivere all opinione di V. S., o molto meno lo vorrano fare i theologi : pensi adunque bene, prima che asseyerantemente publichi questa sua opinione per veia, poiché molte coso si possono dire per modo di disputa, che non è bene asseverarle per vere, massimo quando s’ha l’opinione universale di tutti contra, imbibita, si può dire, ah orbe condito. Perdonami V.S., perchè il gran zelo ch’io *> ho della sua reputatane mi fa parlare in questo modo. A me par che gloria s’ hahbia acquistata con l’osservanza nella luna, ne i quattro Pianeti, e cose si- i,’ r0babu “ ente c «mo»obo Bonus*. <«> Ikoowo os’CwmT '*> Cesahk Chkhokini. 6 — 7 MAGGIO 1611. 101 [526-528] rolli, senza pigliar a diffendere cosa tanto contraria all’ intelligenza e capacità de gli huomini, essendo pochissimi quelli che sappiano clic cosa voglia dire l’osser¬ vanza de’ segni et aspetti celesti. Di nuovo in questo Studio non habhiamo cosa di momento. Attendi V. S. a conservarsi sana et allegra; e se son buono a servirla, mi coinmandi; e quando potrà, si lasci un poco rivedere in questi nostri paesi. Il S. r Baldino (,) è a Verona; lo salutai però, prima che partisse, a nome di V. S., e così li SS. ri Sandelli e Pi¬ no gnoria (I) , clic amendua con ogni affetto le baciano le mani, sì come pur io faccio affettuosissimamente. Dio la feliciti. Non si scordi, di gratia, il negotio dell’Eco. Bul¬ loni, perchè si sente elio le cose fluttuano, s’ ella non lo aiuta. Di Pad.' 1 , alli 6 Maggio 1611. Di V. S. 111. 1 ® et Ecc. raa s.r® Aff.™° Paolo Gualdo. Fuori: All’ IU. r0 et Eco. ,n ° Sig. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 527 * GIOVANNI NICCOLINI a BELISARIO VINTA in Firenze, lioma, 6 maggio 1011. * Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3825. — Autografa la sottoscriziono. .... Il Galilei tiene impedito la camera eh’è nel salone dove atavo io quando venne il S. r Don Antonio < 3) , che vi son mie massoritie; o perchè, per quel che veggo, tarderà dopo di me a venire in costà, ot io non solo gli ho fatto il commodo delle stanze, ma anche spesatolo, conforme all’ordine datomi da S. A., però, dovendo io partir prima, sarà ben die V. S. ordini se ha da tenere la medesima stanza, o chi sia quello che gl’liabbia da fal¬ lo spese dopo di me .... 528 . PIERO DINI a COSIMO SASSETTI in Perugia. Roma, 7 maggio 1611. Non conoscomlo alcuna fonte manoscritta di quosto capitolo di lotterà, lo riproduciamo dalla prima odiziono, dia ò a pag. 22-28 doli’opuscolo intitolato Lettera (lei Portoghese autore dell.: Riflettimi sopra il Me¬ moriale pretentato dai PP. Gesuiti alla Santità di Papa Clemente XIII, al Romano autore della ('ritira Baumno Oiik.ua uni. '*> Martino Sandelm a Lorenzo Pignouu. Don Antonio or* Medio;. 102 7 — 14 Ma ou io 1611. dt‘ PP, (inviti, «rafia dall» Crdti »a ala Mentimi a A^la Immm fWàa Mmm Toe sono grandissimi uomini, ed i maggiori aono qua. j 0 istori: Al Molt 1 Illustre Sig. mio OassrianUaa. (eie) 11 Sig. Goaimo Sassotti. Perugia. 529 *. DANIELI/) ANTONINI a GALILEO in Ftm**. Bmxellaa, 14 aicrfe teli. Blbl. Non. Pir. Km. «si., P. TI, T. Tifi, e«r Il A«t« C tafa. Molto 111.*» Sig. r inio Patos Osa.»* Sono stato questi giorni passati in Anversa, dove ho veduta una cosa degna di scriverai a V. S. Un certo, il quale è sopra la lecca di qu* ito 8er"* \ fa (a chi vuol vederla) questa tal prova. Lui piglia una pallina d’oro, et la fa pesare a chi vuole, sopra una bilancia giustissima et esatta ; poi balle detta pallina et ne fa una focaccietta ; si ritorna a pesare, et pesa sempre 8 et anco 4 granni più che prima. La comune opinione di costoro è che la forma p*ni. Non utancano di quelli che dicono che vi resta del ierro del martello n« l’oro: ma sono opinioni ridico* lose, par a me. Questa cosa mi conferma l'opinione di V.8., che ri mano de’va- cuetti ne corpi, i quali, per il battere del martello, ai riempirlo, onde il oorpo IO non ocupi poi tanto loco nel’ aria, et per con-eguenzA non aia tanto sostenuto dal medio, et pesi più. Non so quello che circa questo giudir.irè V. S, Lett. 520 . 10 . maJtfUo — “> Cfr. n.o 615. «*) Cfr. il.» 620. **» CO. ».« Alt, Ila. te. 14 MAGGIO 1611. 103 [529-530] Non lio altro di nuovo. La prego, se in queste parti io son buono a servirla in alcuna cosa, honorarmi di qualche comandamento ; et le baccio io mani. La suplico far un bacciamano al Sig. r Apruino (l \ scrivendolo. Di Brusaeles, il dì 14 Maggio 1611. Di V.S. molto 111.™ Ser. r A(T. ,,, ° Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r mio P.rone Oss. mo [II] Sig. r Galileo Galilei. Firenze. D’altra mano: fra. ca fin a Mantova. 530 . COSIMO SASSETTI a PIERO DTNI [in Roma]. Perugia, 14 maggio 1611. Bibl. Naz. Tir. Mss. Gal., P. III. T. VII, 2, Cftr. 1S. — Copia di mano di Gami.ro, elio sul margino suporiore, a sinistra, annotò di suo pugno : « Copia di una lettera scritta di Perugia a Mons. Dini ». .... Qua è un gran minore contro al S. Galileo; e a dua de’ principali, a* quali ho par¬ lato, nè meno Tolomeo li convertirebbe, so bene bì convertisse prima lui. Desidererei se non la risposta a una ragione quale sento, che mi pare assai concludente: ciò è, che o Poc¬ chiale faccia apparire quello che non ò, o sì vero, quando pur sieno, sieno tanto minimi, che non influischino; delle quali pare a me che dichino che non ne manca in cielo. Questa ragione è fortificata da moltissimi argomenti e probazioni, cominciandosi dalla creazione di Adamo etc., corno V. S. Rov. ma sa meglio che non saprei per tradizione raccontar io. Ilo sentito addurre alcune altre ragioni, ma io lo stimo troppo sottili e facili a ributtarsi; o per ciò, so si levasse loro la suddetta, credo che sarebbe vinta la lite. E con questo le fo reverente fine, pregando per ogni sua felicitò. Di Perugia, li 14 Maggio 1611. Di V. S. molto I. et Re. ma Dev.™ ot Oblig. mo Ser. r0 Cosimo Sassetti. (‘l Paolo Aphoiko. ÌOI 20 HA 9090 1611. IMI) 531 * LUCA VALERIO a MARCAR TOKIO BALDI fin Rom). Uoma, V) Moto iati. BiU.Naa.Flr. Mas. Gai., P.VI, T. XIf, <*» «. -Co*.* Mkfril* »• c* f all* viali Ur» Turno scrina: • Copi» scritta at a- ttoacniu da Un Vaiarti 41 aia pr- pria »>■>• • * nrya. 41 ma»* 41 Galileo, ai leffv: • AttoritAZ."* dol S. LtlCA Val. 10 • U aa»U * anta *•!«• firma dall’ Inchiostro. Molto 111." et molto R. 4 * S.' Marcant.* Baldi, l’.ron mio Oea.** Perché V. 8. hiori sera mi domandò sa l’osvarvationl dal r»#lo, eh* il S » Galileo ool suo occhialo alti giorni panati ha fatto fara a tua et a molti altri in Ih.ma, sono vara o apparenti per fona di refration», io non (Unto) par V 8 rteponoo n i irta, quanto per alenai che si [...] dati a credere ch'io, per I*annotta dal 8/ Galilsfo] et come [suo] pi artigliano, dica esser vere, et non vana appare:.«a, qu|.. | per ( . .J rechisi* ti rap- presenta. Dicole adunque, da filosofo p(iù] afnuoo] della verttA ci.a di qoaisivrgha hoocno del mondo, non mi esser mai caduto nella menu*, ch’il m. ••>lai. ». Una copia, di mano dol soc. XVII, è a car. 408-426 del cod. Trivulziano 505, o no abbiamo fatto di¬ ligente collaziono ; ma possedendo l’autografo, erodiamo inutile tener nota dolio varianti elio essa presenta, commisto a numerosi o gravi errori elio derivano in buona parto da false letture, poiché non sapronuno qual valore attribuirò a quelle varianti, e dovremmo giudicarlo, con molta vorisiuiiglianzn, Boinplici arbitri! o negligendo doli’ amanuense. Ho vedute le occasioni di dubitare circa i 4 Pianeti Medicei de i Signori principali in lettere di Perugia, et conforme al comanda¬ mento di V. S. molto I. et Rev. ma , benché occupatissimo in altri affari, risponderò quanto mi occorre in questo proposito ; stimando util¬ mente impiegata questa fatica, la quale al cenno di V. S. ubidisce, et mi dà in un tempo speranza di conciliarmi V assenso, non pur di uno particolare, ma di una Università intera di Studio tanto celebre e famoso. Et se bene la questione è de fatto, la cui vera decisione dal senso et dall’ esperienza doveria dependere, tutta via, poi che le dil¬ lo bRazioni et instanze derivano da discorsi et imaginazioni, nè posso in tanta distanza dar la vera e propria satisfazione, che sarebbe la sensata, tenterò discorrendo rimuovere le cause del dubitare, quelle cioè che espressamente sono contenute nella lettera del S. Sassetti. E prima, che possino quei Signori dubitare che nell’ occhiale sia inganno, panni veramente mirabil cosa : perchè so che non mi ne- Lett. 532. 7. Tra di o Studio si loggo, cancellato, uno. — Cfr. n.® 530. XI. 14 21 MAGGIO IT,11. 106 (&«] gheranno elio il ritrovare lo decettioni e fallacie di uno strumento o altro artifìcio appari imo et è facoltà propria di clu mìo intendente in quella arto dalla quale tale strumento depende, ot in oltre che del medesimo strumento habbift fatto molte esperienze ; bora, sa¬ pendosi che et la fabrica et la teorica di questo occhiale depende so dalla cognizione dello refrazioni, che ò parte delle scienze* matema¬ tiche, mia particolare professione, nò si potendo dubitar, ohe io, per lo spazio hor mai di 2 anni, habbift del mio •tramenio, un/i pur di decine di miei strumenti, fatte centinara di migliar» di p*perien*e in mille e mille oggetti, et vicini e lontani, e grandi e piccoli, e lu¬ cidi et oscuri, non so vedere come ad alcuno possa cadere in pen¬ siero che io troppo semplicemente sia rimasto nelle mie oeservazioni ingannato, e cho tra la perspicacia dell’ ingegno di un nitro o la stupidità del mio possa cader tanta discrepanza, che quelli, senza pur mai li aver veduto il mio strumento, babbi» in lui scoperte quelle fai-so lacie, dello quali io, cho cento mila esjierienze ne ho fatte, accorto non mi sia, anzi non puro io solo, ma niuno di quelli molti che in¬ sieme meco V hanno adopruto. Ciò sarebbe un presuppor tanto di sè stesso, e sì poco del compagno, elio non credo che siinil concetto caschi in mente di persona ragionevole. Forse potrebbe diro alcuno, cho io, accortomi pur troppo dell’ in¬ ganno del mio strumento, non inganni ino, ma mi prenda gusto di ingannare gl'altri. A questi io rispondo, dichiarandomi primieramente, protestando e confessando di non conoscere tali inganni : sì che so inai accadesse che qualche ingegno sublime fact-'te palesemente co- <0 noscere tali fallacie, io non intendo di separarmi dal numero degl* in¬ gannati, nè di volere col manto dell’ astuzia coprire la mia ignoratila; anzi mi dichiaro in quella occasiono tanto più ignorante degl’ altri, quanto la continuata esperienza doveva meglio et in più breve tempo rendermi accorto. Aggiungo poi, che non è il mio solo occhiale, o gl* al¬ tri fabricati da me, che faccino vedere li 4 Pianeti Gioviali, ma tutti gl’ altri, fatti in qualsivoglia luogo e da qualunque artefice, pur cho siano ben lavorati et che mostrino gl'altri oggetti grandi e distinti; et con tutti questi strumenti, in ogni luogo adoprati, si veggono lo 13. in olir, è stato corretto io loofo di pii. che ti Uff* multali — 94 . Dopo di d~im, *1 bm. cancellato, « dteint. - 26. onnri è stato corretto fai tafo 41 «pool., ehm pria* »e«v» auitU e poi can¬ cellò. — 33. hano — 38-39. Tra primÌ4nmm*nU • pntmUmdo al Uffa, cancellalo, a. — « 21 MAGGIO 1611. 107 [632] so medesimo mutazioni di sera in sera et le medesime costituzioni a ca¬ pello di essi Pianeti : tal che quelli che vorranno mantenere che pur tali fenomeni siano illusioni, Laveranno gran briga in ritrovar cagioni per le quali tutti gli strumenti, e grandi e piccoli, e lunghi c corti, siano così conformi nelle fallacie, ot nel mostrarle, tra V innumera¬ bilità degl’ oggetti visibili, circa la sola stella di Giove. E di più sog¬ giungo, che se pure alcuno havesse ferma opinione che si potesse fa- bricare un occhiale di tal virtù, che intorno a qualche stella o lume o qualunque altro oggetto particolare facesse apparire per illusione altri lumi o altre moltiplicazioni di specie, elio poi realmente non vi co fussero, et che tale apparenza accadesse intorno ad un oggetto solo et ad altri no ; procuri pure di fare un tale strumento, perchè io mi obligo di farglielo pagare 10000 scudi. Et se il mio occhiale havesse facilità di far vodore altro che quello che realmente è, non lo per¬ muterei con qualsivoglia tesoro. Et questo basti haver detto circa il levar la credenza delle fallacie, la quale con una sola occhiata che si dia con lo strumento, si rimuove da ogn’ uno. Quanto all’ altra parte, ciò è che tali Pianeti, quando pur real¬ mente siano, restino per la loro picciolezza inefficaci, ciò non veggo io come sia contro di me, il quale mai non ho mosso parola dell’ effi- 70 cacia o influssi loro ; tal che se pure alcuno gli reputa superflui, inutili et oziosi al mondo, muovane pur lite contro la natura o Dio, et non contro di me, cho non ve ne ho che fare nulla, nè sin qui ho preteso altro che il mostrare, loro essere in cielo, et di movi¬ menti proprii raggirarsi intorno alla stella di Giove. Ma se, come avvocato della natura et per servire a V. S. R. ma , io devo dir qualche cosa, dirò che io, per me, anderei molto riservato in asserire, questi Pianeti Medicei mancar di influssi, dove le altre stelle ne abbondino ; et parrebbemi arditezza, per non dir temerità, la mia, se dentro a gl’angusti confini del mio intendere volessi circuscrivere l’intendere so et l'operare della natura. Adunque dovevo io li giorni passati, quando in casa 1’ Ill. m0 et Ecc. m0 S. Marchese Cesi (l) , mio Signore, veddi le pitture di 500 piante Indiane, affermare, o quella essere una finzione, negando tali piante ritrovarsi al mondo, o vero, se pur fossero, essere 70-71. Tra superflui ed inutili si leggo, cancellato, et. — <‘i Fbdkrico Cksi, Marcheso di Monticolli. 108 21 MAGGIO 1611. pati frustratone et superflue, poi che nò io nò alcuno do i circostanti co¬ nosceva lo loro qualità, virtù ot effetti? Certamente che io non erodo che nogP antichi o più rozzi secoli la natura si aatenefc-so di produr l’immensa varietà di piante et di animali, di gemme, di metalli et altri minerali; di fare ad essi animali ogni lor membro, muscolo et articolo ; in oltre, elio ella mancasse di muover lo celasti «fere, et in somma di produrre et operare i suoi effetti; perchè quelle inesperte 90 genti le virtù delle piante, delle pietre o de i focili non conosce¬ vano, gl’ usi (li tutto le parti degl* animali non intendevano, et i corsi dello stello non penetravano : et veramente panni che h.iria cosa ri¬ dicola il erodere, che allora comincino ad essere le coho dell» natura, quando noi cominciamo a scoprirle et intenderle. Ma quando pure l’intender degl’ huomini dovesse esser cagiono (lolla eeistenia delle cose, bisognerebbe, o che lo medesimo coso fusero et insieme non fussero (fussero, por quelli che le intendono; e non fui»-ero, por quelli che non V intendono), o vero che l’intender di pochi, et anco di un solo, bastasse per farle essere : et in questo secondo et meno e»or- ioo bitante caso, basterà che un solo intenda la proprietà de i Pianeti Medicei per fargli essere in cielo, et che gl 1 altri per bora si con¬ tentino del vedergli solamente. Ma quel dire che non influischino perché sono cosi piccoli, per dedurne poi (por quanto mi immagino) elio, come su(mtHuì et inef¬ ficaci, non siano (legni di esser considerati o stim iti ; panni detto più per scusarsi dalla fatica dell’ osservargli et dell’ investigare i loro periodi, difficilissimi ot quasi inesplicabili, che perchè veramente con¬ venga reputare opere di Dio, et opero tanto sublimi, supervacanee, oziose e contennende. Et quali regole o osservazioni et esperienze, no per grazia, ci insegnano elio P efficacia, la nobiltà et P eccellenza delle operazioni, dalla grandezza solamente de gli .strumenti con i quali la natura et Iddio operano, attender si debba? Chi di sano intelletto misurerà dalla sola mole la virtù e perfeziono dello cose? Io, per me, non diffiderei di poter numerare altrettante cose, indi'uni¬ versità della natura, piccolissime et efficacissime nel loro operare*, quante alcuno ne potesse assegnar delle grandi : ot sì come le arti, per la varietà delle loro operazioni, hanno bisogno non meno del- SO, mancati* h ntato corretto in lno«o di ti si logge, cancellato, «mi commettano. — aittntiM, eh* si Ufgt cancellato. — 91. Tra piami* a d*Ut [532] 21 MAGGIO 1611. 109 1 ’ uso di cose piccolissime clie delle grandi, cosi la natura nella di- 120 versità de’ suoi effetti lia bisogno di strumenti diversissimi, per poter quelli accomodatamente produrre ; et tali operazioni con piccolissimo . machino si effettuano, che con maggiori, o non cosi bene, o puro in conto nissuno, effettuar non si potrebbono. E chi dirà che V ancora, per esser ferramento di così vasta mole, presti uso grandissimo nella navigazione, et che all’ incontro l’indice magnetico, come cosa mi¬ nima, resti inutile et di niuna considerazione degno ? È vero che per fermar la nave F aiuto dell’ indice è nullo ; ma non meno ò inutile l’ancora per drizzarla et governarla nel suo viaggio: anzi per avven¬ tura la operazione di quello è più eccellente et ammiranda che questa. 130 Un palo di ferro, accomodato a far fosse e smuover pietre, non oscura il gentile uso dell’ ago, col quale artificiosa mano di leggiadra donna lavora vaghissimi trapunti (,) . Che se la piccolezza della mole sem¬ inasse o togliesse l’efficacia et eccellenza nelle operazioni, quanto men nobile saria il quore che il polmone, et le pujiille de gl’ occhi che altre parti del corpo molto grandi et carnose ? Et chi dirà che le zucche vinchino di nobiltà il pepo o i garofani, o che le oche tol- gliino il pregio a i rosignuoli ? Anzi pure, se noi vorremo riguar¬ dare più sottilmente gl’ effetti della natura, troveremo, le più mirabili operazioni derivare et esser prodotte da inezi tenuissimi. Et discor- mo rendo prima per le cause motrici de i nostri sensi più perfetti, quello che ci muove il senso dell’ udito, et per esso trasporta in noi i pen¬ sieri, i concetti e gl’ affetti altrui, che altro è che un poco di aria, sottilmente increspata dal moto della lingua et delle labbra di quello che parla ? et pure ninno sarà che non conceda, questa leggerissima affezione dell’ aria superare di gran lunga in eccellenza e nobiltà quella grande agitazione de i venti, che scuote le selve e spinge i navilii per 1 ’ oceano. Quale è la picciolezza e sottilità delle specie vi¬ sive, che dentro all’ angustissimo spazio della nostra pupilla racchiude 120-121. Prima aveva scritto potergli accomodatamente, poi corresse potergli in poter quelli. — 128. m’s- suno ò stato corrotto in luogo (li atomo, dio si logge cancellato. — 125. indice è stato corrotto in luogo di ago. che si leggo cancellato; o così a liti. 127. — 188. >tfìtli — 140. Tra le e caute si leggo, cancellato, ope¬ razioni ino. — 142. Tra affetti o altrui si leggo, cancellato,^.— HI. l'oceano è stato corretto in luogo di mare, cho si leggo cancellato. — l 1 ) Sul margino, di fronte allo parole « Un palo ti, i rubini et 1’ altro gemmo preziose, elio solo di di ferro ... vaghissimi trapunti», si legge, sempre picciolissima molo si ritrovano», restando cosi iu di mano di Galileo : « o cho le porle, i diamau- tronco. 110 21 MAGOIO 1611. IMtl la quarta parte dell’ uni verro ? et qual mola hanno i fantasmi che alterano il nostro cervello, lioraeccitando rimagin.ttiva a farei presento ijo quanto li a vi amo veduto, sentito o inteso in vita nostra, bora svegliando la memoria a ricordarci di tante coso pacate? Io |*otrei raccontare mille e mille grandissimi affetti <*t effetti, elio da picciolissime calino dependono ; ma credo bastar questo jkhm», che ho accennato, |x»r mo¬ strare come la sovranità della virtù non ri devo solamente dalla gran¬ dezza del corpo misurare, anzi che molti et molti nuio gli effetti, nella perfezione de i quali si ricerca et ò necessaria la picciolrzza e tenuità dello cause efficienti : et tali par eho riano i più spirituali, et in consequenza quelli che, per cosi dire, più della divinità sono partecipi. ico Et se noi volessimo discorrere per le cau-e inferiori, motrici de¬ gl’ affetti, delle potenze et delle virtù dell’ anima nostra, non ci uian- clieriano mille esempi sensati e certi, come alcune facilità *ouo ec¬ citato in noi da cause massime et veementi, le quali caus** non solo non Bono accomodato a commuovere in noi alcune altre virtù, ma totalmente le impediscono et le destruggono, ni* paiono ho non da i loro contrarii essere promosso et attuato. Ecco 1* ardire nel cuore, 1’ animosità negli spiriti, il disprezzo dei pericoli e della morto stessa, desto prima dal vino, poi mirabilmente eccitato dallo Htridore dello argute trombo et dal suono de i tamburi tra gli strepiti d’armi e ito di cavalli, no i tumultuosi movimenti d* annate squadro, jkt 1’ aperte campagne, al più lucente sole ; et all' incontro, eccovi nella più pro- 155-156. Prima aver» «ritto mm « dtet daBm fmaJetm JW Monomio mimrmro. « pei carme* come stampiamo. — 156. Prima avara •eritto «Wie « m aiti tene U T i— rti-n. a poi corro*** *4h M mM $oao Ijli effetti. — 157. ptrfttaitm» 4 »t\to sotti tu ito a «pame».»». ,fc* •« , tb la concilile* ture. — 161. Da Et m a ai a et quoti intintili (Un. 187) 4 arrivato eepre na f^lio a parta '• ~ 117. irf i stato sostituito a dei, che si terre cancellato. - 169. dei 4 .Uto aoeUUito a •*—. che si legge cancellato. — 170. no» 4 alato corretto la l«go di teawra, ebe al terge cento! lato, — 171 Movimenti o d‘ ormato si logge, cancellato, *Wr*p«rta mmff*. — e> In capo al foglio ani quale 4 scritto il tratto da Et te noi a it quoti incintiti, ti legge, di mano di Galileo, quanto teglie: « Pa qoanto differenti depend-.no gl'affetti nostri, v. ggatl coma por eccitare gl’ animi al valor militare la molU- iatiine del popolo, le grida, gli atrepiti, I moti di cavalli e di armi, I romori di trombe e tamburi negl’ aperti campi o luminosi, il vino, sono «corno* datissimi: ma l’oscnritA [tra ma e roteerà* ti feg. go, cancellato, per eccitar U i menu alla d*lle tonebr», la «libidine, il tileatfo », ruttando *•*» le tronco iefr Ila. 167 174). Poco pi* giù, s«l »od**lao foglio ai Ugge pere, «apre di porno di Gaulso : « Attribuito dnnqae al grand* e linai* ■ove % le digaiU cen**g«i«e eoa attioni molto coopicno, et farei* mm dignità parimente grandi et inaigni ; et t (ne) ano! satelliti lasciato U prosino* vara n debali al basai gradi di d«alt4 quelli ebe con librati tbtdii », e anche qui reato in bosco lefr. Un. 16* 167). 21 MAGGIO 1611. Ili [532] fonila o tenebrosa notte, dal imito silenzio di deserta solitudine sop¬ presso 1 ’ ardire, et promosso il timore e la paura. Ma so attenderemo quali cose rischiarino, e quali perturbino, la facultà discursiva et speculativa dell’ intelletto nostro, troveremo come le tenebre, la quiete, il digiuno, il silenzio et la solitudine mirabilmente la eccitano ; dove clic i tumultuosi movimenti, gli strepiti, et i fumi del vino 1 ’ otte¬ nebrano e totalmente impediscono. Se dunque, tra le cause inferiori, 180 diametralmente contrarie sono quelle che 1 ’ audacia del cuore et la speculazione dell’intelletto promuovono, ò ben anco ragionevole che differentissime siano le cagioni superiori (se pure operano in noi), da le quali 1 ’ ardire o la speculativa facultà dependono ; et se le stelle operano et influiscono principalmente col lume, potrassi per avven¬ tura con qualche probabile coniettura dedur 1 ’ ardire et la bravura dell’ animo da molto grandi et veementi stelle, et. 1 ’ acutezza et per¬ spicacia dell’ ingegno da lumi sottilissimi et quasi invisibili. Lascinsi dunque a i corpi celesti più vasti le operazioni più grandi nelle cose inferiori, come le mutazioni delle stagioni, le commozioni 190 de i mari e de i venti, le perturbazioni dell’ aria, et (se hanno ope¬ razione sopra di noi) le costituzioni e disposizioni del corpo, le ge¬ nerali qualità e complessioni, et simili altri influssi; elio non man¬ cheranno in terra mille e rriill’ altri particolari effetti da referirsi a più sottili et spirituali influenze da quelli che vorranno in simili cu¬ riosità occuparsi. Et se pure qualche impaziente volesse stringermi a dire qualche particolare influsso che io creda da questi, nuova¬ mente da me scoperti, Pianeti dependere ; io gli risponderei, che tutti gl’ influssi li quali egli sin qui ha stimati essere stati di Giove solo, sono derivati non più da Giove che da i suoi satelliti, et che l’bavere 200 egli creduto che Giove operasse solo, et il non haver saputo che havesse 4 compagni, ninna autorità ha posseduto nel fare che Giove 188. Prima avova scritto speculatone, poi corrosse speculativa /acuità. — 185. coniettura ò stato sostituito ad apparenza, che si legge cancellato. — 186. dell'animo è stato corretto in luogo di del cuore, elio prima avova scrilto. — grandi ò stato sostituito a lucide, che è cancellato. — Tra itelle od et si leggo, cancellato, ma. — 187. Prima avova scritto lumi più tonili e minori, poi corresso lumi *ottMurimi. — 188. Tra più o v itti si leggo, cancellato, grandi. — 192. influssi è stato sostituito a effetti, che si leggo cancellato.— 198. Prima aveva scritto gl’influiti stimali da lui riu qui eisere, poi corresso conio stampiamo. — 197- 199. Prima avova scritto io gli risponderei, tutti ... Giove solo, essere non meno di Giove che de i suoi satelliti; poi corresso essere non meno in essere stati non più, o da ultimo corresse conforme stampiamo ; so non elio dimenticò di correggere de t »uo» satelliti in da i, corno abbiamo dovuto emendare. — 199-201. Prima aveva scritto satelliti, ni bavere autorità ninna la sua credenza che Giove ... compagni, nel fare; poi fìlli col cor¬ reggerò conformo stampiamo; se non elio prima di risolversi por la lezione l'bavere egli creduto, scrisso pura il creder lui, che poi cancellò. — 112 21 IIAOOIO 1611. LW8] cessasse di havergli appresso et di cooperare con loro. Di*tinguere più particolarmente i loro efiùtti non saprei io, prima qualcuno non gli rimovesso i suoi satelliti dal fianco, et per qualche tempo lo facesse operar solo. E chi vorrà sapere so l'ira, 1*amore, l’odio, et altre tali passioni, siano affezioni residenti nel cuor»-, o pure nel cer¬ vello, so prima non prova a viver qualche tempo **#>• ~ *M. J WI M .II l i i r «I. 4 .tato oo. ti tatto . por*. oh* * «u». OH Tr, r ,°*° dl ntl m0ndo prlB * fa mcU, tkt poi «ratta. - tll. mOU - 110- rra prnffnoihcali o procurane al lepgtf mir.Il.to, «*•. — 21 MAGGIO 1611. 113 [532] con poca fatica imparate le scienze a spese eli altri sopra le carte scritte, ma che i primi inventori trovarono et aqquistarono le cogni¬ zioni più eccellenti delle cose naturali e divine con gli studii e con¬ templazioni fatte sopra questo grandissimo libro, che essa natura sio continuamente tiene aperto innanzi a quelli che hanno occhi nella fronte e nel cervello; et cho più honorata e lodevole impresa era il procurar con le sue proprie vigilie, studii e sudori, di ritrovare qual¬ che cosa admiranda e nuova tra le infinite che ancora nel profon¬ dissimo abbisso della filosofia restano ascose, che, menando vita oziosa et inerte, affaticarsi solo in procurar di oscurar le laboriose invenzioni del prossimo, per escusar la propria codardia et inettezza alle spe¬ culazioni, esclamando che al già trovato non si possa aggiugner più altro di nuovo. Ma ciò sia detto come per digressione, et non come punto che direttamente appartenga alle risposte de i dubbi scritti : 250 et perdonimi Y. S. R. ma questa scorsa di penna. Et ritornando al proposito della inefficacia attribuita a i Pianeti Medicei mediante la picciolezza loro, io soggiugnerò quell’ istesso che pure con un altro astrologo qui in Roma mi occorse li giorni pas¬ sati. 11 quale havendo detto che loro nell’ arto non tenevano un conto al mondo delle stelle dalla terza grandezza in giù, fu da me, dopo un lungo circuito di parole, interrogato, come loro facevano gran capi¬ tale delle stelle nebuloso: et egli mi rispose, quelle essere di efficacia grandissima nello ottenebrare la vista, et anco offuscare l’intelletto, di coloro che nelle lor nascite le havessero haute pravamente cesti¬ sco tuite. Allora io gli replicai : Come dunque direte voi più, che le stelle minori della terza magnitudine non operino, sendosi ultimamente da me scoperto che le nebulose non sono, come si credeva per l’addie¬ tro, una sola stella ingombrata da parte di cielo alquanto più densa, et per ciò atta a rifrangere e dilatare il suo lume, ma sono una con¬ gerie di minutissime stelle, minori non solo di quelle del terzo lionore, ma di quelle della sesta et anco decima grandezza? Taqque; et con¬ tro al costume di quelli che disputano, non per scoprire il vero, ma per restare nelle contese superiori, si quietò, et mostrò di restare satisfatto. 243. tra le è stnto corretto in luogo di dtlle, cho prima aveva scritto. — 254. havendo detto è stato corrotto iu luogo di dopo haver detto, cho prima aveva scritto. — 2G2-2C3. Prima aveva scritto non, coire si credeva per l'addietro, nono una noia niella, e poi corresse conforme stampiamo.— XI. 15 114 21 MAliOlO 1611. m) Ilora io soggiungo, di più, che se ò vero quello che essi astro- »:o logi et molti illusoli affermano, che le stelle operino lumini d mUu; et più se ò vero che i lumi più grandi più efficacemente inlluischino; doveri anco la velociti del moto et le celeri et frequenti mutazioni vantaggiarsi molto sopra la pigrizia o tardità delle stello che lenta¬ mente cambiano : et se questo è, le operazioni de i 4 nuovi Pianeti doveranno essere veementissime, Bendo loro dotati di periodi così ve¬ loci, che il più tardo di essi finisce la sua revoluziono intorno a ‘J(. in poco più di 1G giorni, et il più veloce in meno di giorni 2. Quello dunque che mancasse in loro por la tenuità del lume, può beniMimo esser compensato dalla velocità del moto; et se tutti 4 insieme sono, sso v. g., la metà «li Saturno, ei sono bene, all’incontro, mille •• mille volte più veloci di lui. Quanto |>oi ei posino coadiuvare et alterare le operazioni dell’ istesso Giove (se puro noi lo vogliamo porre per primario tra loro cinque), potrà dalle osm* rvazioni future particolar¬ mente esser raccolto, et al presento in generale stimato ila chi può conietturaro quello elio importi P haver quattro Mollo, hora con¬ giunte, bora divise, hora tutto orientali, hora tutto terso occidonte, liora parto a destra e parto a sinistra, hora tutto o parto diretto, hora all’ incontro retrograde, hora ripiene di luco et hora ottene¬ brato et eclissate ; le quali tutto diversità si vanno di giorno in giorno 290 alternando. Ma quando puro alcuno volesse ristringersi a nogaro gl' indussi dove non arrivi il lume do i corpi celesti influenti, et pertanto a dire, il moto senza il lume essere inefficace ad operare, io, prima, gli domanderei che lume hanno quei luoghi del cielo, dove non è puro stella alcuna, non che suo lume; come è l'ascendente, il mezzo ciclo, la parte della fortuna, et poi tutti quegl' altri luoghi che loro per direzzioni muovono, et che, senza havervi stella veruna, sono di tutti gl eilutti che seguono, per lor sentenza, operatori. I)i più, doveriano le stelle sotto il nostro orizzonte mancare di effetti, non jiervenendo soo il lor lume al nostro emisfero; o se puro sono potenti, con la lor forza, di penetrare il terrestre globo, non doverebbono lo tanto u così grandi , vantaggtani è «Uto «rtlMh, » a/,™., eb# ,J Uff rwclUU. - *2. ^ - Ni Ita Afa *****TSfTZ pprim * : u * a **■» + •«.a *».ma corrosso Afa la (7 /^^-298-294. Tri.. .ì. N «ritto rf ^ a L .LJ « JiSZI poi corresse conformo stampiamo,— * * 21 MAGGIO 1611. 115 [532] fisso australi, ascose sotto il nostro orizonte, restar neglette. In oltre, chi vorrà diro il lume do i Pianeti Medicei non arrivare in terra? Vor¬ remo ancora far gl’ocelli nostri misura dell’espansione di tutti i lumi, sì che dove non si fanno sensibili a noi le specie de gl’oggetti lu¬ minosi, là si dova affermare che non arrivi la luce di quelli? Forse tali stelle veggono lo aquile o i lupi cervieri, che alla debile vista nostra rimangono occulte. Ma concedasi in grazia più che non sanno 310 domandare gl’avversarli, nò sia cosa alcuna al mondo fuori che quanto è veduto o inteso da noi: non per ciò manca di arrivare in terra il lume delle nominate stello. Imperò che, non sendo le spezie visibili altro che luce figurata, o al meno non si diffondendo senza luce, là dove arrivano esse specie, arriva il lume ancora: bora, se le spedo do i 4 Pianeti Medicei, nel diffondersi, svanissero et si perdessero avanti che arrivassero in terra, non basteriano quanti cristalli ha Murano a renderle visibili, perchè quello che non è nulla, non si può multiplicare, et la dilatazione et augumento suppongono l’esistenza di quello che si ha da dilatare et augumentare : per tanto, vedendosi 320 col telescopio le spezie de i 4 Pianeti Medicei molto grandi et lumi¬ nose, non si può negare che il lume loro assai vivamente sino in terra si diffonda. Soggiungo finalmente, che quando per effettuare gl’ influssi bisognasse una molto apparente et sensata illuminazione, gl’ effetti di Mercurio veramente resteriano o nulli o debilissimi, poi che la luce sua il più del tempo et quasi sempre resta incospicua; e Marte vicino al solo, dove a pena ò una delle 60 parti, in gran¬ dezza visuale, di quello che apparisce nella opposizione, sì che in mole cede anco all’ apparente grandezza delle stelle del quarto or¬ dine, pochissimo o niente doverebbe influire. Concludasi dunque, che sso se le altre stelle influiscono, le Medicee ancora non restano di operare. Ultimamente, a quello che soggiungono quei Signori, dicendo elio di tali stelle, per loro credere, non ne manchino in cielo, non posso negare nè affermare cosa alcuna, ma solamente dire che per la parte mia non ne ho sapute scoprire et osservare altre che queste quattro intorno a Giove, et le duo immobilmente congiunte a Saturno; et prego che se altri ne ha scoperte altre, non gli dispiaccia farmene 303. In oltre ò stato corrotto in luogo di Di piò, che prima aveva scritto. — 80G. Tra specie o de gl’ si legge, cancellato, visive. — 318. al meno 6 stato sostituito a pure, elio si leggo cancellato. — 314. Tra specie 0 arriva si logge, cancellato, molto piò. — 814-813. le specie di i 4 — 317. Murano è stato sostituito a il mondo, che loggosi cancellato. — 322. cjfctlurc — 327. Tra opposizione o «ì che si leggo, cancellato, pochittiipo. — l 116 21 - 27 MAGGIO 1611. Omtt] parto, chè gliene terrò obligo particolarissimo. Io non credo già, cho quei Signori intendino di altro stello cho dello mobili et vaganti, quali sono i Pianeti Medicei, perchè il parlare delle fi**»* innuim rabili saria fuori del caso; et io già ho scritto, immensa c r la moltitudine delle no fìsse invisibili al semplice occhio naturale: ma qui tto, come che non ci inducono a por nuovi orbi et a variare il sistema dell’ universo et a conoscerò necessari amento che non un nolo ò il centro al quale hanno rispetto tutte lo revoluzioni dello steli»', ponsono con meno scru¬ poloso esame esser trapassate. Et se, coni’io pure stimo, (lolle erranti intendono questi Signori quando dicono erodere che di tali non ne manchino, onde ò che nell* intenso tempo si rendono co i ddlicili a concedere queste quattro? Gl’argomenti poi per confirmaro le loro già prodotte et da me esaminate ragioni, tolti in grandissimo numero sin dalla creazione «6o di Adamo, non sondo specificati, ma supposti come benh-dmo intesi da V.S. It. n,a , et per tanto in certo modo indirizzati a lei, ila lei la¬ scierò cho siano esaminati, et ponderato qual momento hahbino in farle credere di non haver veduto quello che più «li una volt t Ita visto. Ilo, per obedire al conno di V. S. U.**, scritto sin qui: essa, so stima questo poco discorso potente a satisfare allo dubitazioni et in¬ stanze di quei Signori, glielo invii, et con lui una spontanea esibi¬ zione della devozione e servitù mia; altramente lo doni al fuoco, nè resti di scusare appresso i medesimi Signori 1* impotenza mia et di fargli V istesso dono. Et con ogni reverenza gli bado lo mani. mo Hi casa, li 21 di Maggio 1611. Hi V. S. molto L et Rov. m ' Sor." Oblig."*° Galileo Galilei. 533 . PAOI.O Gl AI.PO a GALILEO In Firenze, Padova, 97 maggio 1611. Bibl. Naz. Fir. Un. Gal., P. I, T. VI, car. 198. - Autografa. ni." et Ecc.“° S. r mio Oss." 5 ® Ileri ricevei la lettera di V. S. delli 21 da Roma, dalla quale mi pare che V. S. non si sappia sviluppare ; onde io concludo che la conrersatione do’ preti non è 345. nimo è stato .ostitoiU, a ertilo, che leggìi cancellato. - SM. ^umtm - 27 MAGGIO 1611. 117 [633] tanto contentibile come in questi nostri paesi si crede. Ho referto al S. r Ca¬ nonico (,) quanto ella mi scrive ; in somma ogni lor speranza è collocata nel S. r Galilei. Dal S. r Volseri hobbi beri Ietterò delli 20 del presente (,) . Mi scrive: < Mi fu tanto più cara la communicatione di quel capitolo della lettera del S. r Galilei, che V. S. mi partecipa, quanto clic già molti giorni manco a non io haver sue; e pure mi vado sempre più affetionando a’suoi dogmi, vedendo clic a poco a poco si rendono le prime teste della professione. Quanto a Venere, la ingiotisco facilissi mani ente ; ma circa il moto della terra vorrei esser dispensato ancora un pozzo, essendo in effetto punto che merita esser considerato matura¬ mente : e malamente posso captivaro l’intelletto fin a là. Aspetteremo quello dirà il S. r Cremonino, benché, essendo il suo thema del ciclo (S) , non so se calerà a libe¬ rarci da questa vertigine. De gli honori fatti al S. r Galilei in Roma tengo diversi scontri ; et in particolare m* avisa un amico (4> , stato presento ad un banchetto fattoli dal Duca di Acquasparta (5) in compagnia di diversi thcologi, filosolì, mathe- matici et altri, in un suo luoeo assai sopra a S. Pancratio, che doppo che ’1 20 S. r Galilei mostrò loro quei compagni di Giove, con parecchie altre maraviglie celesti, fece vedere co ’l suo stromento la loggia della beneditionc di S. Gio¬ vanni Laterano, con le lettere dell’inscrittione di Sisto V, espressissimamente; e pure scrive questo tale che vi era intervallo di 3 miglia. > Questo é quanto scrive il S. r Velsero pertinente a V. S. ; onde si vede che le sue attioni sono osservate per minuto, c si vanno publicando per universum orbem. Qui s’ ò detto che uno in Vcnetia habbia perfettionata assai questa sorte d’ occhiali ; ma io non so se sia vero, nò chi sia l’artefice. In questo Studio non vi è novità alcuna, nè cosa degna di lei. L’Ill. mo Mo- resini Andrea ò andato a Venetia: liabbiamo qui il S. r Donato Moresini, che pur so lui gusto di saper di V. S. Non mancherò di complire a suo nome. Se è qui cosa in che possa servirla, mi commandi. Che N. S. la feliciti; e le bacio le mani Di Pad. a , alli 27 Maggio 1611. Di V. S. Ill. re et Ecc. ,na Ser.™ Afi>« Paolo Gualdo. Fuori: All’III/ 6 et Ecc. ,n0 S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza (8) . Lett. 633. 24. quanto ty-ive il S. r ecrivc il S. r Veliero pertinente — Giovanni Bklloni. Cfr. n.° 488. <*) Questa lotterà no» ò noi carteggio del Wklskr col Gualdo, cho ò i» parto raccolto noi Cod. LXV11I dolio Cl. X lt. della Biblioteca Marciana in Venezia. <*> Cfr n.» 526, Un. 19-20. 1*1 Giovanni Fabkr. ,8 ’ Noi 1611 portava il titolo di Duca d’Arqua- sparta Federico Cesi, padre di Federico fondatore doli' Accadoinia dei Lincei. '*> Gaui.ro porò ora ancora a Roma, dovo si trattenuo fino al 4 giugno. 118 27 MàOGIO 1611. 1554] 534 . LODOVICO DEIJ.E COLOMBE * CRISTOFORO CLAMO [in Uom.]. 1 ircoxe, *7 maggio téli. Non conoscendo alcun» fonte manovrili» di qu iU UlUra, U i\yi< -'-»«• 4*1U r :i »e tlna dolio Opere di Giulio, T. II. par- W, dove fW p-r la pria» »*«U sUapata. K »»1U ptvfcafctJs eh' em si» atat» motìlata da quo«lt «ditoni cfr. »-• bU, fin. 3«o, • la »«U Iti. Molto Rov. Sig. mio, Ho veduto la risposta che le Paternità vostre danno all' Illustr.s» fard nal* Pelar* niino' : "; e mi piace ch'ella in particolare non approvi che la lana ma di tip* rtioe ine* guaio o montuosa, come crede e vorrebbe persuadere il , v g. Galileo Qmnle montuosità che appaiono nella luna, poaaono enscro vere, perché mostrano, dall*ombro e lumi e dalie mutazioni di quelle, cho siano reali o abbiano le dim«-n»M>ni cmrporoe, e n n parrrrebbe tonda, n«n ai ve¬ dendo le parti puro di quol cristallo, siccome non si vede la pregia guardando verso il cielo. Dubito ancora che Saturno non posaa essere ovato, ma che appaia tale perchè quello stelle a lui congiunte siano veramente atac ite, ma non si pò**» di qua giù vedere, ovvero per cagione di parti più rare che siano in quel corpo, o per cauta del moto, o 30 ch’altro bì sia. Mi muovo a dir questo, perchè nei corpi celesti, dove non è la mistione, non v’è ragione d’inegualità di figura, maa»imamr n te ch’e-seodo )• figura sferica la più perfetta, è conveniente che l’abbiano i corpi e globi celesti ; e tanto più, quanto sono più supremi. Desidero ch’ella mi degni di qualche risposta, acciocché io insirmemente impari e sii onorato da lei; o mi comandi, che la servirò di cuore. E le bacio le mani. Di Firenze, alli 27 di Maggio 1011, Di V. P. molto R. Servii. Affesionatiss. Lodovico delle Colombo. Lctt. 684. 6. moti rado rftW ombre — Cfr. il.® 520. [535-530] 31 MAGGIO — 4 GIUGNO 1611. 119 535 . FRANCESCO MARIA DEL MONTE a COSIMO li, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Roma, 81 maggio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 89. — Copia di mano sincrona, Ser.“° Sig. r P.ron mio Col." 10 Il Galileo, no’ giorni che è stato in Roma, ha dato di se molta sodisfatione, e credo die anche esso l’Labbia ricevuta, poi che ha hauto occasiono di mostrare sì bene lesue inventioni, che sono 6tnto stimate da tutti li valeiit’liuomini e periti di quosta città non Bolo vorissiino e realissime, ma ancora maravigliosissiino ; o se noi fussimo bora in quella Ivepuhlica Romana antica, credo certo che gli sarebbe stata eretta una statua in Campi¬ doglio, per honoraro l’eccellenza del suo valoro. Mi è parso debito mio accompagniare il suo ritorno con questa lettera o far testimonianza a V. A. S. di quanto di sopra, assicu¬ randomi che olla sia por sentirne gusto, per la henignia volontà elio tieno verso i suoi 10 sudditi e valent’ luiomini, come ò il Galilei. E per line bacio bumilinento lo mani a V. A. S. l)i Roma, a’ 31 di Maggio 1011. Di V. A. S. Obl. mo Ser. r ® vero Gran Duca etc. 11 Car. 10 dal Monto. Fuori: Al Ser. ro0 Sig. r c P.ron mio Col." 10 11 Gran Duca di Toscana. 536 *. GUIDO BETTOLI a CRISTOFORO GRIENBERGER in Roma. Perugia, i giugno 1011. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. XIV. car. 28. — Copia di mano di Uai.ilko. Di suo pugno si logge sul margino superiore, a sinistra: « Copiti ». Al molto R. do P.re et mio Pad. 00 Osser. mo 11 P.re Cliristoforo Grieuiberger. Roma. Molto R. d0 P.re, Non so se per la distanza del tempo di quando fui in Roma con la buona memoria deirEcc." 10 S. Marchese della Corgua, mio Signore, sin qui si sia dimenticata di me; et so fusse in oblio, si ricordi di quel suo devotissimo servitore che gli prestò l 1 opere del- rEcc." 10 Ticou Brao, il quale io sono. Et sì come la trovai allora gentilissima et corte¬ sissima, spero non meno bora di trovarla (mercè la virtù sua); et perciò fatto ardito, ho 10 preso la penna c scritto questi quattro versi, et incluseli dentro la presente lettera, la Lett. 536. 2. Qriemlergee — 8. Bue — 120 4 GIUGNO 1611. [536-587J quala ò capitata qua, dcaiderando super* a* «Ila *•"». •* « n «> qoalcba eoa* intorno alli mirabili effetti dell’occhialo, o incremento che dir vogliamo, del S. GaliWo Galilei, et sapendo por prova quanto ella aia oecellonUaa.ma nelle acaenao matematiche et in ritro¬ varsi in compagnia dell’Kcc.- Padre Ciano, lucidiamo specchio di quest* •rima, e d’altri Padri eccellenti di coteato virtuosissimo Collegio, eh* a queet'bora u’havranno fatte mille prove, et oon vive dimoatraaioni bareranno visto ao quello ebe at vede in cielo Bia cosa reale o apparente, o rcfraaaioni o ver» eorpi colesti Tal Utura mcluaa " « alata minmtu finta, poi che il Sig. Galileo ha aerino una lettera. O discorso », che è capitata qua, nella qunlo dice che i virtuosi o Università dello Studio di Perugia gl'babbino acritto Contro alcune oose : la qual cosa non è vero; et ae alcun.) ai fusa# allacciato Ul nome, per 3) haverne poco lui. lui fatto male, poi che uè l'Università o Arati cima ne.«una di Perugia non solo non ha scritto tal coaa, ni tampoco pensata Però prego Vostra l'M molto II* oltre al favorirmi di risposta, ma anco di disingannar* il 8. Galileo di baver tale api- niouo dello Studio di Perugia; che gliene resterò . bligatieaimo Et con questa di nuovo ravvivata la mia servitù verno di lei, la piego a iaimi degno d) buoi coiuaudamenu, ba¬ ciandogli le mani. JDi Perugia, li -4 di Giugno 1611. Di V. P. molto K> S*r" Aff- 4 Guido llettoli. 537*. GUIDO BETTOLI a MARGHERITA BARROCCI» in Roma. Perugia, i giugno 1611. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. XIV. ear. SI Aot-frafa. Molto 111." Sig." et P.rona Osa.- Li mirabili effetti che di continuo ai odono del cannone, o occhiale che dir volemo, del S. r Galileo Galilei, di continuo dò da dire ad ogn'ono Popenionc aua, ut» ha fatto esser presuntuoso dì pigliar la penna et far riverso.:* v V. S . et pregarla a favorirmi del’openion sua. Essendo ella perfettamente compita d'ogn» icioua, ne «pero perfetta notitia del vero, poiché di già anc’ella n’ Ilaverà fatto mille prove et sentito intorno a ciò il giuditio di molti, essendo la ca«a aua ri>. r.o et ar.ideima d* i primi virtuosi di Roma, et con il suo perfetto giuditio et sapere havprne determinato la verità. Qua aon giunte alcune Ietterò delle quali non ao che dirmi ; tra le quali ce ne «• un* del S. r Galileo, nella quale pretende di rispondere a una che gir si »• stata scritta dal'Uni- 10 versiti di questo Studio: la qual coaa non n vero, ebe questT' ni Tersità babbi scritto né detto cosa alcuna del S. f Galileo; et ae alcuno ai é voluto, per autenticare i suoi scritti, farlo con nome de’ virtuosi di Perugia, ha fatto male, cbà qur*U Signori di questo Studio 27. Prima aveva scritto li 4 di Utfio, poi cancellò Ufi~ « eostitai <*#*•*.-». IH K.S.P.— Lett. 537. 10. o uno cA« — 01 Questa lettera non l n«:i Mae. Galileiani. » Cfr. a.* iti 4 — 13 GIUGNO 1611. [537-639] 121 et Accademie di Perugia sin qui non solo non hanno scritto, nè mon pensato di scriver lettere contro il S. r Galileo; che quando il soglion fare, in altra maniera scrivono. Con questa digressione ho voluto disgannare V. S., se alle purgate orecchie di lei o d’altri virtuosissimi fusse capitata tal lettera o openione, elio il S. r Galileo pretende di rispondere; della quale qua da questi Signori non se ne sa so non quanto dal S. r Galileo no vien tocco: cosa che veramente ha dato non poco disturbo, nè so come so la passe- 20 ranno. So quanto ella sia magnanima et virtuosissima, et defendetrice de’ virtuosi, et per questo non mi stenderò più in longo ; solo starò spettando risposta, et che mi facci degno di suoi comandamenti. Perchè bacio le mani con una mia al S. r Luca Valerio, non farò di lui altra memoria, essendo al’uno et l’altro devotissimo servitore. Et di nuovo facon- dogli riverenza, gli bacio le mani. Di Perugia, li 4 di Giugno 1G11. Di V. S. molto 111.” Se.™ De. m0 Guido Dettoli. Fuori: Alla molto 111.” Sig. rn et P.rona mia Oss. ma La S. ra Margherita Sarrocchi. 30 Roma. 5 38 * PIERO GUICCIARDINI a BELISARIO VINTA in Firenze. Roma, 4 giugno 1611. Arch. di Stato in Firenze. Filza Modicoa 3326. — Autografa la sottoscriziono. .... Questa mattina si è partito di qua il Galileo, che se ne viene a cotesta volta, il quale io ho hospitato in mia casa e procurato d’honornre et accarezzare, come persona dependente e grata al Ser. mo Padrone; et il S. or Gio. Batista Strozzi se n’è venuto in sua compagnia.... 539 . GIANGIORGIO BRENGGER a GALILEO [in Padova]. Augusta, 18 giugno [1611]. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 4G-49. — Autografa. 8. P. Doctissimao tuae literae {,) , (Ilarissime et Excellentissime Galilee, maiorem in modula me delectarunt, quibus nonnulla, quae Nuncius tuus Sydereus de facie lunae minus dare protulit, dilucidine mihi explicare dignatus es; prò quo hu- manitatis et benevolentiae officio magnas tibi liabeo gratias. Tardius quidem («i Cfr. n.° 425. XI. 16 122 13 GIUGNO 1611. 1589] respondeo, quia interim aliis atudii» et occupationibus dctemtas, nec non itine- ribua quibuadam impeditua, ad mathemata animum attendere rmhi non licuit; a quibus, et praesertim ab hac materia inter noe agitata, faciliu» abatrahi me passus sum, cura ipBe intelligerem, rocte et rere a to seriptum esse, hanc rlispu- tationem do montium altitudine non magni . Ma dirà la R. V.: Bene currebatis; quis vos fateina vit, o insensati GaìaUu? Sappia dunque che di questo Problema io sono stato più tosto revisore et assistenta, che autore. Avvisai l’autore che non dovesse dire contro al Galilei quella parte che 1*offendeva, et egli accettò il consiglio; onde nè avanti il Duca di Mantova nè avanti il Cardin.* lo disso, nè vi si sentì altro che lodi et ammirazioni del Galilei, come ponno testificare i Padri della Congregazione elio vi erano: il che alleggerisce molto la colpa, poi che nou furono dette in tam praeclaro principimi virorum consessu. È vero che quando lo dinne in publico, ove non vi fu Principe alcuno, le scappò detto non so che che mi dispiaqque, et l’avvisai, maa- Lott. 541. 2. CAisto/oro — 22. 0 alt la* — 29. anuNÌ — Fkrdinando Goszaga. **’ Questa lettera non è presentemente noli» raccolta dei Mss. Galileiani, quantunque risolti dal carteggio cou quanta cura Galileo andava racco¬ gliendo e comunicando agli amici e corrispondenti queste prime adesioni alle sue scoperte celesti. «»* Cfr.Vol. Ili, Par. I, pag. 801-807: e tedi anche n.* 646. 14 — 17 GIUGNO 1611. 127 [ 541 - 542 ] 80 sime per ha ver fatto contro al mio volere. Quando se ne faceva copia per Roma, l’avvisai di nuovo che avvertisse di cancellare quell’insulto contro al Galilei: mi disse che lo fa¬ rebbe, et poi anco cho l’baveva fatto; ma non fece quanto conveniva. Io non poteva far altro, perchè ogli ò Padre, et aetatem liàbct. Li voglio oggi mandar la lettera di V. R. a , acciò cho vegga il frutto della sua propria volontà. Quanto alla controversia, so bene ella dice il vero, che, poco più o meno cho si pigli il diametro lunare, corro la dimostrazione, il punto della difficoltà non vien posto da noi in questo, ma sì bene in altro, ciò ò cho ponendo monti nella periferia, fa cho la periferia lunare passa per lo cimo do’ monti et cho il diametro arrivi alla cima di quelli : se sup¬ pone che arrivi alla cima di quelli, conio potrà provare che lo avanzino, et di quanto ? 40 Che poi veramente non vi siano monti in quel giro, lo dimostra l’osservazione, massime quando la luna è sì vicina al plenilunio che paro tonda, perché allora non si veggono adombrazioni verune, se non poche, nella parto però opposta al sole, le quali poi poco dopo spariscono, et resta il giro della luna tutto lucido senza alcuna ombra o segno di inegualità. Ilora io la ringrazio molto della cortese ammonizione, et gliene resto obligato. Risaluto molto caramente il Padre Clavio, et mi dispiace che egli sia in letto; il si¬ mile faccio con gl’altri Matematici. Alle orazioni ot SS.* Sacrifìcii suoi molto mi raccomando. l)i Parma, alli 14 di Giugno 1611. Di V. K. Servo in Obliato Aff. mo Giosoffo Biancano. 542 ** MARCO WELSER a GALILEO [in Firenze]. Augusta, 17 giugno 1G11. 33ibl. Naa. Fir. Mas. Gal., P. J, T. VI, cnr. 200. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. mo S. or mio Oss. mo Non so quello si faccia il S. or Brengger; questo so, ch’io arrossisco in sua vece d* haver tardato tanto a rispondere : et Dio voglia poi che la risposta sia molto a proposito. Di che però ne lascio il pensiero a lui, essend’io puramente mini¬ stro et mezano del ricapito. Resto avisato assai particolarmente dolli hoitori fatti a V. S. in Roma dalli Ill. ml SS.' Cardinali, Ambasciatori et altri Principi, quali hanno fatto conoscere che, se bene pare siamo sull’ estrema feccia del mondo, ci restano però reliquie d’anime ben nate, che si pregiano di honorare le virtù di grand’ huomini. In io particolare mi rallegro con lei del trionfo (non trovo parola più a proposito) conferitole nel Collegio Romano, che pure dovrebbe smorzare ogni scintilla d’in¬ vidia, se puro ne resta alcuna. 12 g 17 - 18 GIUGNO 1611. 1542-648] V. S. ci favorisca a farci vedere le sue nove oeservationi quanto prima, et mi conservi la sua grazia ; eh’ io resto con tacciarle la mano et pregarle ogni bene. Di Aug. a , a’17 di Giugno 1611. Di V.S. molto 111.* et Ecc."“ Affett.»® Serrit® Marco Yolseri. Fuori: Al molto 111.* et Ecc. mo S. or mio Osa."® 11 SS. or Galileo Galilei. 543 ** GIO. ANTONIO ROFFENI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 18 giugno 1611. Blbl. No*. Flr. M». Gal., P. I, T. VI, e*r. 201. Autogrù Molto 111.” et Ecc.“° S." mio Osa.*® Ilieri a punto arrivai di Vinegia, insieme con il 8." Mngino, et reoevoti la di V. S. Ecc. raE ; sentete gusto infinito d«-llo ritorno suo, e con sanità ; intesi il contenuto circa il negotio dell’ Ecc. mo Pappatone, et se bene mi persuadevo che non occoreva il parlarli, per essere il negotio riduto a baso termine, non di¬ meno volsi io ritrovarlo, e le narrai il fatto: il che inteso,ordinomi che ringra- tiasse lei di tanto offitio; et le ne resta con tanto obligo, quanto deve di si affettuosa volontà. Et in particolare mi disse, che in Bologna lui haveva tratte¬ nimento di scudi quattrocento, e ancora qualche cosa meglio, in lotura, et il Colleggio (0 ; e che l’avantaggiarsi egli solamente li scudi 2) , dove inten¬ derà l’opinione di questo Lodovico (e) intorno all’inegualità della luna, che pare 27-28. et eouimendut — 28. cum Qalìlaeo — Lett. 546. 8. eli pure — **> Cfr. n.« 541. Gaui.eo in soguito a ciò cho qui gli fu scritto. <*' crr. n » 586. <*» Cfr. n.° 634. **' Cfr. li.» 686, lin. 27 (nello varianti), dovo (5 > Lodovico delle Colombe. lft sostituziouo di Giugno a Luglio fu forso fatta da 132 26 GIUGNO — 1° LUGLIO 1611. [546-547) a molti probabile. Io sono in una curiosità estrema della verità, al come anco ò l»lll.«no nostro Padrone w ; et per ciò, s’havrà mai tempo, ne scriva dui parole, elio no darò parte al Cardinale, qual m’ha comandato eh’ io la saluta in suo nome, sì corno faccio. Et io por line li bacio le mani, pregandoli dal Cielo il compimento d’ogni felicità. Di V. S. molto 111." Di Roma, alli 26 di Giug." 1611. AfT.™ Sorv." io Gall&nsone Oallanzoni. 547 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firme. Roma, 1* luglio 1611. Bibl. Noz. Fir. Mas. Osi., P. I, T. VI, car. 203. — Autografa. Ecc. rao Sig. r mio salute. Mi dispiace la sua indisposizione, sconsolandomi con la speranza della presta recuperazione ; il che credo li verrà fatto guardandosi dalla neve et dal bere fuor di pasto: nel resto credo elio sia continente. Il Padre Banbergiera (,> dice che li à scritto due lettore'', spinto da certi signori Perugini, elio per lo arrivo della sua lettera li metto in isgomino, dicendo che le sia stata mandata una lettera finta, et che sono molto servitori a V. S. Ecc.®*, et ne lo pregano procuri con lei, sapendo quello essere suo amico. Non ò ancora visto il Sig. r Luca w : farò lo saluti, quali so che li saranno grate. Mi abbattei una sera cor un satrapo, che somigliava Pilato: deprezzando io con grand’ impeto V. S., afrontò il Sig. r Luca, dove egli con non men furore li rispose; et imbreve, facendo una gran ritirata, disse che non se ne intendeva. Ma intanto, oltre alla devozione che mostrava al Magino, rimase goffo, igniorante et ostinato, dicendo che apresso al Cardinale Farnese ' 5 era uno altro che li aveva presentato uno ochiale che mostrava tutto il contrario : et noi li dicemo che lo stesso Cardinale non solo vi aveva favorito e banchettato in Roma, ma che fino a Caprarola ‘ 0) vi aveva onorato, et che era otto di fa, attale che questa sua si scorgeva una fiaba e spantacata romanescha. Et sebene si adusse del Padre Clavio, che era nella medesima oppinione, et poi, chiaro con tutti e’sua, se n’ora fatta lezione pubrica, egli rispose che gli avevano dette delle altre pazzie. Pure con 20 tutto ciò rimase mutolo, con certi ochi gonfiati, che se io avessi a dipingere la ignioranza, non ritrarrei altro che lui : dicendo egli, che se si metteva due, non 10, G. cA’ Me darò — qual m‘comandato — 10. Di Sitma, alli W. La prima odiatone Fiorentina dello Opera «li Galileo, uclla quale vide per la prima volta la luce quosta lettera, e a cui «orvl forno por la stampa In copia di cui noi pure ci gioviamo, ha (voi. II, pag. 79): Di Roma.— Leti. 547. 2. pretto — 14. Fa ritenete — «') Il Card. Frahcbbco di Jotkcpe. ,Sl S’intenda, il P. Cristoforo Qrirkbrroer. < 3 ' Cfr. n.° 545 ; l'altra non pervenne insilici a noi. Luca Valerio. 1,1 Odoarpo Farebbe. <*> Fondo di Casa Farebbe. 1° LUGLIO 1611. 133 [547-548] gradi pii! basso Marte, che i pronostichi tornavano giustissimi ; dove so questa cosa fusse vera, la andava del tutto per terra. Ora, sebene ve la scrivo, non per questo fatene stima, perchè io, che non ne so niente di queste cose, nelle suo ragioni vedevo eli’ egli era uno dottore di quegli che ne sanno tanto, di quella professione, che serve per farsi ucellaro, i quali, quando trovano rincontro, come fu quello del Sig. r Luca, o non imbarchano, o imbarchati fanno ritirate vigliaclie : non dimeno bisognia temerli, perchè dietro allo spalle ti fanno le mino : et di questi 30 malefici se bene ne abbiamo per tutto, credo costo ne sia, se non in numero, almeno in squisitezza malefica, di gran lungha superiori a questi qua di Roma. Però state all’ erta con essi, et chiariteli, ma in pubricho : et quando verrà la disputa di quello 05 , la pregho a darmene aviso del seguito. Intendo che costo apresso al Sig. r Don Giovanni (,) v’ò un suo segretario, detto il Sig. r Pietro Acolti Aretino, gran professore di prospettiva. Desidero sapere se Ila sta così come intendo. Nel resto io attendo a salire 150 scalini a S. n Maria Maggiore, et a tirare a fine allegramente, a questi caldi estivi clic disfanno altrui ; et ivi, senza esalare vento nò punto di motivo di aria, tra il caldo e 1’ umido che contende, me la 40 passerò tutta questa state. Intanto dove io posso servirla, mi comandi. Le prego da Dio ogni onoro o felicità. Di Roma, il dì p.° di Luglio 1611. Di V. S. Ecc. ,ut Umilissimo Ser. re Lodovico Cigoli. Fuori : Al’ Ecc. mo Sig.™ et P.ron mio Oss. mo 11 ì3. r Galileo Galilei. Firenze. 548 **. GIO. LODOVICO RAMPONI a GALILEO in Firenzo. Bologna, 1° luglio 1011. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. 4, 5a o 56. - Autografa. Molt’lll.» et Ecc." 10 Sig. ro Invitando la chiarissima fama di V. S. molt’ Ill. ra et Ecc. ma , già sparsa dal suo Sidereo Nuntio, ciascuno ad amarla o riverirla, non si meravigli se aneli io 35. Pittro a Colti — 40. Intanto due io — (!) Forso accenna alla questiono Insorta, appunto zione o dolla rarefazione. Crr. Voi. IV, png. 5-0. Di in questi giorni, tra Galileo e taluni suoi amici o una disputa orale su tale argomento, vedi lo stesso discepoli da una parto, e dall 1 Altra alcuui sostenitori Voi. IV, pag. 7-S; e cfr. ivi, pag. 19, Un. l'J e scg., dello dottrino Aristotolicho, capitanati da Lodovico e pag. 20, lin. 19 24. Colombe, intorno ai fenomeni della condensa- 1,1 Giovanni db’Medici. 134 1® LUGLIO 1611. m\ a questo universale invito habbia preso ardire di darle un segno dell* affottione che porto grandissima al suo valore, inviandole queste mie os*ervationi ”, qua¬ lunque elle siano, fatte da me ne i tempi soprascritti vi, con un instromento nel quale adopro hor una hor due lenti cavo, dello quali ciascuna, insieme con la oonvessa superiore, moltiplica dodici o tredici volte, in modo che, giuntene due insieme, nella distanza di cento trenta passi incirca veggiontd gli oggetti mag¬ giori almeno venti cinque volte. Queste osservationi adunque parto sono state 10 fatto con due lenti, e parte con una sola, come in appare ; nello quali so che non bisogna esporle elio cosa sia il circolo con gli descritti diametri, essen¬ done essa il primo e vero maestro. Dirolle solo (cosa elio credo necessaria) elio il delineato circolo non ò quello che, trasmettendo la vista per obliquo alla cir¬ conferenza del forame superiore dello stromento, viene descritto dall’ occhio gi¬ rato intorno, ma è quello che, tenendo V occhio fermo nel centro della lente cava, si vede contornato a Giove postovi nel centro: nel qual circolo ho delineato li duoi diametri secantisi ad angoli retti, per determinare il sito (e la] distanza delle Stelle Mediceo in quel più commodo e breve modo che ho saputo imaginarmi per venir semplicemente in cognitione della reale e scienza di c*so stelle. Delle 20 quali V. S. vede (se questa non è illusione dello stromento) che me ne sono ap¬ parso hor una, hor due, hor tre, sempre in quella linea obliqua che sta segnata con punti, la quale, così alla grossa, ho giudicata disposta secondo la eclittica; ma non ne ho mai potuto veder quattro, sì conio anche non ho liavuto satisfat- tiono di haverno vedute tre due volte sole, sapendo che più frequentemente e tre e quattro «apparivano a V. S. quando fece le o&servationi descritto nel Nuntio. Del che io stava molto ammirativo, non sapendo perchè a me non avvenisse il vederle tutte quattro almeno una volta, quando mi è tale admiratione stata le¬ vata dal vedere che a poco a poco queste da me osservato stelle siano andate perdendosi, in modo che quando intermisi 1’ osservare, non più si vedevano nè 80 con una nè con due nè con [..]tro; per il che giudicai, elio giungendo Giove quasi alla sommità, dell’ epiciclo, fossero lo sue stelle rese tanto piccole, che al mio stromento non più potessero apparire : adunque nello stato di mezo ò ragione¬ vole che mancasse la vista di quelle, che forse mi appariranno quando Giovo sarà nella più bassa parte dell’epiciclo. Se questa sia la vera causa di ciò, mi rimetto a lei. Ma nelle distanze di queste stelle da Giove non sono io stato per qualche tempo men dubbioso, non pensando quello che mi ò sovvenuto di poi, che, per essersi nel tempo delle mie osservatami molto più allontanato Giove dalla terra per il sito sì nello eccentrico come nello epiciclo, è necessario che le loro di- *0 stanze, stando le medesime, mi apparissero minori. Per misurar le quali, giudicai •' Vedi 1’ annessa tavola. 1° LUGLIO 1611. 135 [548] doversi prender la misura di tutto lo spatio visto per tale stromento, stando 1’occliio fermo nel centro della lento cava; nel che fare, esporrolle il modo da me tenuto : nel quale s’io prendo errore, piacendole, per gratia sua, a farmene avvertito, le ne restarò obligatissimo. Nella distanza di venti tre passi ho posto un segno circolare, il quale sono ito tanto ampliando, che occupava tutto quello che l’occhio, così posto, puote vedere; comparata di poi la quantità, del semidiametro di tal circolo con la quantità della distanza, e notata la proportione loro, ho ritruovato, per le tavole 50 de i sini, corrispondere a tal semidiametro m. 4'. 18", poste nello stromento due lenti; postane una sola, il segno viene duplicato, o similmente l’angolo della vi¬ sione, perciò clic vi corrispondono m. 8'. 25" (condono la differenza all’operare) : ho di poi mutata la distanza, e quella presa di trenta passi, e fatta la istcssa operationo; con la lento sola ho ritrovato convenirgli m. 2y, minore dell’altra un minuto e più ; allo due pongo convenirgli la metà : dal che mi è parso di ve¬ dere, che quanto le distanze sono maggiori, tanto lo spatio compreso si vada va¬ riando, apparendo maggiori quelli che sono più vicini. Questo panni elio confermi una osservatione eli’ io feci appunto per chia¬ rirmi so lo spatio clic si vede in una piciola distanza sia lo stesso che il veduto co in una grandissima, come sarebbe nel cielo di Giove. Perciò che, havendo la luna dimidiata quasi nel meridiano, misurai il suo diametro con queste lenti, e vidi che le due lo misuravano cinque volte, et 1’ una sola due volte e mezo ap¬ punto : or essendo il diametro della luna dimidiata circa trenta minuti, se per le due lenti si divida tal quantità in cinque parti, gli converrebbono m. 6, et alla lente sola m. 12, quantità minori di quelle che compctivano all’ istesse nelle sopraposte brevissime distanze : là onde sarebbe ragionevole che lo stesso spatio nel cielo di Giove fusse molto minore. Ma dato che fusse quanto si misura in queste piciolissime distanze, non havendo io osservato alcuna di queste stelle fuori della circonferenza de i circoli proposti, et importando il semidiametro di 70 quello, alle due lenti, nella distanza di 23 passi, m. 4 —, appare che non si do- vriano mai essere allontanate di più da Giove : il che paiono confermare anche le cinque ultime osservationi, nelle quali, contenendo il circolo formato da una lente sola, nella istcssa distanza, m. 8'. 25", vedesi che non hanno mai di molto passata la metà del semidiametro. Se ciò fusse, grande sarebbe la differenza da quello che collà nel Nuntio ò posto da V. S. ; la quale differenza senza dub¬ bio sarebbe causata dallo essersi fatta maggiore la lontananza di Giove dalla terra. Ma se tanta si possa esser fatta questa diversità, e se tali distanze habbia V. S. in questo stesso tempo osservato, mi farebbe grandissimo lavoro a dar¬ mene avviso. so Sono, di più, tenuto da un altro desiderio molto più importante: et è, c’ha- vendomi lo Ecc. ni ° S. Dott. r Itoffeni dotto che V. S. ha fatto una certa osserva- 136 1° LUGLIO 1611. [ 648 - 649 ] tione, fla loi chiamata ammiranda, per levare molte controversie che sono nol- l’astronomia, pensando io quale potesse essere tale osservatone, mi è sovvenuto che quella forse concerna le hipothesi ; onde, concetta speranza che per tale os¬ servatone si sia dimostrata mathematicamente la hipothesi Copernicana, impa- tionte di aspettare in luce l'opera sua, desiderarci (n t per questo se le terrebbe quello di che si mostra, e ragionevolmente, molto zelante, mentre nè esprime nò dà un minimo segno del modo in che consiste il tutto) che ini favorisse di av¬ visarmi semplicemente se questa hipothesi sia continuata o per tale osservatone o per altra: il che per bora, sino all*uscir in luce dell’opra sua, bastarehbemi so per levarmi una certa ambiguità che molto mi affligge qual bora mi convenga propormi in qualche mio discorso il sistemala mondano, il quale vorrebbe l’in¬ telletto comprendere secondo elio veramente sta in natura ; tarili poi 1’ oliera sua a venir in luce quanto deve e quanto le piace. A questi lionesti desiderii pregola caldamente ad aspirare, et io all’ incontro mi eshibisco a lei paratissimo a’ suoi oomm&ndi ; e bocciandole riverentemente la mano, le prego dal Signor Iddio ogni suo contento. Di Bologna, il dì p.° di Luglio 1611. Di V. S. molt* 111.” et Ecc. m * AfFott. mn Ser.” dio. Lodovico Ramponi. ìoo Fuori: Al molt.’Ili” et Ecc. mo Sig. r et P.ron mio Oss,® 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 549 *. MARCO WELSER a GIOVANNI FA BER in Roma. Augnata, 1* luglio 1611. Arch. dell'Ospizio di S. Maria In Aqniro In Roma. Carteggio «li Giovanni Faber. Film 419, car. 11. — Autografa. .... Ilo proposto ad amico, che fa professione di filosofia, la difficoltà dello Battolino (| ) del S. r Galilei, e spero risposta, qualo poi a lei comuuicarò *.... l'attenzione degli atndioai. Cfr. Voi. Vili, pog. 409. >*> Cfr. n.» 664. 111 Si allude alia pittm hidftm di Bologna, in¬ torno alla iiuale Galileo avera richiamato in Roma 3 LUGLIO 1611. 137 [650] 550 **. CAMILLO BORSACCHI a GALILEO in Firenze. Koala, 3 luglio 1611. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., ?. T, T. VI, car. 205. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. 10 Sig. ro Patron mio Col." 10 Ilo ricevuto la gratissima lettera di V. S. delli 21 di Giugno, et insieme l’alle¬ gata per il Sig. Galanzoni, Maestro di Camera deH’lll.® 0 Sig. Cardinale Gioiosa 1 ”, la quale, con haver prima fatto il soprascritto, presentai in propria mano, et so ne rallegrò molto, soggiungendo : Sarà forse la risposta di una mia scrittale. Poi la lesse, et insieme discorremmo delle sue ottime qualità et rarissime virtù, et mi disse questo parole: Il Sig. Cardinale lo stima et lionora molto, et è il primo mathematico d’Italia. Et io soggiunsi clic non solo era il primo in questa nobi¬ lissima scienza, ma raro in molto altre, et complitissimo in ogni sorte di virtù ; io a tale che bene un terzo d’bora, con gusto particolare d’ ambi duoi, passammo in discorso delle sue mcritevol lodi. Mi increscie della sua indispositione, come mi rallegro della sua convalescenza, pregandola ad haversi cura, chè non è proceduto da altro se non dalla mutatimi dell* aria in questi tempi estivi. Io anchora stetti 3 giorni malato, non di feb¬ bre, ma di una fiacchezza tanto grande che non potevo stare in piede; et nella prima uscita di casa mi incontrai nel suo piccol servitore, o domandandole di V. S., rispose essersi partita, et egli restato con un gentil homo de’ Guidetti. Feci il saluto da parte sua a Mess. Nuntio banderaro, il quale, per esserle devotissimo servitore, non tanto gliene rende duplicato, ma humilmente et con ogni reve- 20 renza so le inchina, pregando Iddio nostro Signore elio faccia felici i suoi nobi¬ lissimi desiderii et le assista sempre con la Sua santissima gratia. Finirò di scrivere, et continuerò in amarla et riverirla con quel puro affetto che è in me, suo devotissimo servo; supplicandola che in ogni occasione, tanto sua quanto de’ suoi amici, me favorisca de’ suoi comandamenti, chè mi troverà prontissimo, et io me ne sentirò honoratissimo dalla persona sua, a cui bacio humilmente le mani. Di Roma, alli 3 Luglio 1611. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. t0 Humiliss. 0 e Devotiss. 0 Servo Camillo Borsacelii. Fuori: Al molto 111. 8 et Ecc. t0 Sig. ro Patron mio Col." 10 so II Sig. p Galileo Galilei. Fiorenza. Fkanoksco di Joybosb. 138 6-9 LUGLIO 1611. 1661 - 562 ] 551 ** QIO. ANTONIO ROFFEN1 a 0Al.ILEO iu Firenze. Bologna, K luglio 1611. Autografoteca Morriaon In Londra. - Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 Ilo inteso dalla sua quanto m’accenna circa il negotio dello S. r Pappazone: in risposta di che non posso dirle altro, poiché ceso S. r Pappatone ò in villa, e lontano sino a 14 miglia ; clic se fosse stato un poco più vicino, sarei montato a cavalo, e per il fresco Phaverei ritrovato: ma mi referiscnno che questa sera o domattina potrebbe arrivare, e subito non mancarò persuaderli quanto mi scrive ; et se io fossi lui, al sicuro pigliarei questa occasione, perchè, fornite le prime conditioni, vorrei starmene poi su la mia. Intanto s’ attendi a conservare sano, chò noi in Bologna stiamo male di caldo: o di nuovo la ringratio di tanti offitii. Che per tino pregola ad amarmi; e le bacio le mani, come fa il S. r Magini, che la saluta. Di Bologna, el dì 5 Buio 1611. Di V. S. molto 111.” Serv.™ di cuore Gio. Ant° Koffeni. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo P.rono mio Oss.*® Il Sig. r Galileo Galilei, Mathem. c * del ì$erenias. B,w G. I iucca di Toscana, a • Firenze. V ' > 552*. DANIELLO ANTONINI a GALILEO in Firenze. Bruxelles, 9 luglio 1611. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 23. - Autografe. Molto IH.™ Sig. r mio Col. ra0 Nè qui nò in Anversa ho potuto trovar quel libro di quel bel nome Dia pili a Astronomica etc. 10 La prima fera di Francfort V havrò. Nè meno ho ritrovato che alcuni di questi mathematica di qua l’habiano veduto, anzi non m* è stato pos¬ sibile persuadere ad un Michel Cugnetti 1 * 1 (huomo assai stimato nella professione delle mathematiche) che ci sia questo libro, con tutto eh* io le habbia mostrato Gl Cfr. n.® 544, liu. 12. <*> Mi CHILI Cu Hi KIT. 9 — 12 LUGLIO 1611. 139 [552-558] la lettera di V. 8.; tanto istima impossibile il poter contradire alle cose da V. S. scritte. Stupiscono poi tutti che ella habbia ritrovati i periodi de’ Pianeti Medicei, et molti non potcvan crederlo ; ma 1* li averle mostrata la sua lettera li ha fatti io non più dubitare, ma credere et stupire. Già 15 giorni sono lo scrissi per via del Padre M. tro Fulgentio de’Servi: non so se le sarà capitata. Manderò questa diritto a Firenze, ove spero eli’ ella sarà ritornata: del qual ritorno et della sua salute, nec noti d’alcuna sua spe- culatione o invontione, la prego farmene parte, eh’ io rassicuro che cosa al mondo non mi può esser più grata di questa. Le baccio le mani. Di Brusselles, il dì 9 Luglio 1611. Di V. S. molto lll. ro Aff. n '° Ser. re Daniello Antonino. Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r mio et P.ron Col." 10 20 II Sig. r Galileo Galilei. Firenze. J)' altra mano: fra. Ctt fin a Mantoa. 553 * PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Vicenza, 12 luglio 1611, Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.* LXXYII, n.° 84. — Autografa. Ill. ro et Ecc. ,n0 S. r mio Oss. mo La lettera di V. S. Ecc. ma mi capitò in Vicenza sabato della 7. na passata, in tempo eli’ io, per la partita del corriere, non punti a quella rispondere : la let¬ tera, dico, delli 2 del presente, nella quale mi dà ragù aglio della ricevuta della mia con l’inclusa del S. r Velsero ; poiché quella che dice havermi scritta assai lunga, con una dentro per il S. r Cremonino, io non 1’ ho ricevuta, che mi rin¬ cresce assai, e se io sapessi dove poter fare inquisitone per haverla, lo farei volentieri. M’ è dispiacciuto assai intender del suo male : spero nel Signore che a io quest’ bora deve haver recuperata la pristina sanità, e potrà godere il gusto de’ meloni e del buon trebiano felicemente. Qui habbiamo havuto questi giorni più che caniculari, e tanto noiosi, che se non si fossimo aiutati co ’l bere, sa¬ lassimo speditti: par che con l’occasione di certa grandine l’aria si sia al- 140 12 — 15 LUGLIO 1611. (568-554] quanto rinfrescata. Starò qui ancora tutta questa 7 “, e sabato, piacendo al Si¬ gnore, ritornerò a Padova, per servire V. S., alla quale con ogni affetto bacio lo mani e prego da N. S. compita sanità e felicità. Non mancherò di scrivere al S. r Volsero. Di Vicenza, alli 12 Luglio 1611. Di V. S. HI* et EccS.' Aff.»• Paolo Gualdo. co Fuari: All* 111.” et Ecc. mo Sig. r mio Oss.™ 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 554 *. MARCO WEL8ER a GIOVANNI FA BER in Roma. Augusta, 15 luglio 1611. Arch. dell’ Ospizio di S. Muri» In Aquiro in Roma. UiUffio «li (ijotanni Faber. Fili* 419, c*r. 9. — Autografa. Molto 111* et Ecc.* 0 S* Quel mio amico mi atteso la promessa, risolvendomi circa la icattola del S. r Galilei" 5 in questo modo: « I)c scalula Galilaeana ciusque lapillis, liquidila quid dici posset, siscirdur cuiusnam lapilli illi essent spscici : hoc cnim expresstm non est. Interim haec acripiat. Tota istarum obiedionum congeries solviiur unico isto admisso fondamento, t'idei irei, lumen in firn depcndcre a caussa sui produttiva, in conservati non item, sed posse illud ad breve tempus, edam caussa productricc aliata, in subitelo e-'riservari ; id quoti ei praeceptor mais in philosophia, vir dodissirnus, assentii, et ratio experieniiague multa comprobat, et Aristolcles tpse nequaquam negai : unde ipse adhuc vegdis salvisque pedibus, nuUisquc 1C (ut isti arbitranlur) succisi* gcnibus, e.l absqus ulta Perip ateticorum perturbatane, inam- bulat, caputque suum in dulcem sane, ut ante , qutetem reclinai. Nam similes buie expr- ricntiae sunt quamplurimac, et in philosophorum scholis tritar: tametsi non dif/itear, hoc in hac esse peculiare , quod tanto tempore subitela ista, lapilli vi J elicei, luccm semel con- ceptam retineant, qua e ab iisdem deperii, non alitcr atque color in aqua, abscessu caussae generantis et conservante. Haec de bis hadenus >. V. S. metterà queste ragioni iu bilancia per vedere quanto pesano.. . <*' Cfr. n.» 549. [555] 16 LUGLIO 1611. 141 555. GALILEO a [GALLANZONE GALLANZONI in Roma]. Firenze, 10 luglio 1611. Blbl. Wnz. Fir. Mas. dal., P. Ili, T. VII, 1, car. 61-55. — Minuta autografa, ricorrotta da Galileo fors’ au¬ dio in un tompo alquanto posteriore a quello della stesura «lolla lotterà. Sul margine suporioro, a sinistra, della car. 51 ai legge, scritto a matita di mono di Yikobnzio Vivia.ni; «Al Sig. Gallauzono Uallanzoni ». Molto 111.™ Sig.™ Osser.™ 0 Por ubidire al conno dell’ Ill. mo et Rev. mo S. Card. 1 ® (,) mio Pa¬ drone, et satisfare al comandamento di V. S., procurerò di rispon¬ dere quanto mi occorre in proposito del contenuto nella lettera scritta al molto R. do Padre Clavio dal S. Lodovico dalle Colombe ( ‘ 2) , della quale ella mi ha mandato copia (:1) ; et questo fo io tanto più volen¬ tieri, quanto veggo, questo esser P ultimo refugio di quei filosofi, li quali vorriano pure accomodare le opere della natura alle loro inve¬ terato opinioni. Questa nuova introduzione di uno ambiente molto io perspicuo intorno al corpo lunare, per riempiere et adequare le sue visibili cavità et eminenze, ini fu, molti mesi sono, scritta dall* 111.“° S. Marco Velsero d’Augusta, come pensiero di alcuni filosofi di quelle parti ; io gli risposi, et forse con quietare et persuadere i suoi autori (non havendo io poi sentito replicare altro) : non so quello che mi succederà in Roma, dove questo medesimo concetto trova, come bene ella mi scrive, molti clic gli applaudono. Hora, per dire brevemente quanto mi occorre, dico che io ho sin qui, insieme con tutti i filosofi et astronomi passati, chiamato LUNA quel corpo, il quale, sendo per sua natura atto a ricevere et rite- 20 nero, senza trasmettere, il lume del sole, alla vista del quale egli ò continuamente esposto, si rende per tanto a noi visibile sotto diverse figure, secondo che egli è in vario posizioni situato rispetto al sole Ijett. 555. 2-8. In luogo «li mio Padrone prima aveva scritto nostro Signore, elio poi cancollb. Una mano posteriore aggiunse, sopra la linea, Bellarmino. — 4. del contenuto nella è stato sostituito a della, che si leirge cancellato. — 0. opinion» è stato corrotto in luogo di credenze, che si leggo cancellato. — Tra di o uno si leggo, cancellato, parti. — 21. Tra visibile o sotto si leggo, cancollato, et. — Francesco di Joykusk : cfr. n.° 540, lin. 5. <•> Cfr. n.o 684. (*) Cfr. n.-> 546. 142 16 LUGLIO 1611. [555J et noi, lo quali figure, fiora falcate, fiora semicircolari et fiora ro¬ tonde, ci rendono sicuri, quello essere globoso et sferico : et di que¬ sto tale corpo, dal solo illuminato et da noi veduto, hanno sin qui la maggior parto do i filosofi creduto elio la superficie funse pulita, tersa et assolutissimamente sferica ; et se alcuno disse di credere elio olla fusse aspra et montuosa, fu reputato parlare più presto favolo¬ samente die filosoficamente. Hora io di questo istesso corpo lunare, da noi veduto mediante la illuminazione del sole, asserisco il primo, 30 non più per immaginazione, ma per sensata esperienza et per neces¬ saria dimostrazione, elio egli ò di superficie piena di innumerabili cavità et eminenze, tanto rilevato elio di gran lunga superano le ter¬ rone montuosità. Le osservazioni dalle quali io deduco le mie dimo¬ strazioni, non occorro che in questo luogo racconti, si per fiaverle io altrove scritte et in voce moltissime volto dichiarate, sì perché gli avversarli, con li quali si tratta al presente, non negano nò quello, nè tampoco le apparenti inegualità lunari ; ma vengono, in sustanza del loro discorso, a dire elio la luna sia fiora non solamente quol globo che noi sensatamente con gl’ occhi veggiamo ot sin qui bave- 40 vaino veduto, ma che, oltre al veduto da gl* huomini, vi ò intorno un certo ambiento trasparentissimo, a guisa di cristallo o diamante, totalmente impercettibile da i sensi nostri, il quale, empiendo tutto le cavità et cimando le più alte eminonzo lunari, cinge intorno in¬ torno quel primo et visibile corpo, et termina in una liscia et puli¬ tissima superficie sferica, non vietando in tanto il passaggio a i raggi del sole, sì elio eglino possino nelle sommerse montuosità roflettero et dalle parti averso causare le proiezioni delle ombre, rendendo in¬ tanto V antica luna al senso nostro suggetta. Veramente l’immagi¬ nazione ò bella; solo gli manca il non esscro nò dimostrata nò dimo- go strabile. Et chi non vedo che questa ò una pura et arbitraria fin¬ zione, che nulla pone in essere, et solo propone una semplice non repugnanza ? Che se il cfiiiiierizare del nostro cervello dovesse bavere azione nelle determinazioni della natura, a me sarà lecito con al- tretanta autorità dire che la terra ò di superficie perfettissimamente sferica e pulita ; intendendo per terra non solamente questo corpo opaco dove si terminano i raggi solari, ma insieme con questo quella 26. Tra la o tuperjieie gì leggo, cancellato, tua. - 27-28. alcuno ditto ...fu reputato b stato corretto in luogo Sul margino si leggo, pur di mano di Ga- roto « mai nella imaginata ecc. », si logge, sempre mi.bo, il seguente appunto : « alcuno potrobbe abor¬ rii mano di Gaulko: « Col brunitoio si può faro a rire la mia posiziono por la novità; ma avvertasi costoro un servizio rilcvnto ». elio pii» nuovo ò quello che dico l’avversario». 144 16 LUGLIO 1611. [565] senza condennaro della medesima nota la posizione dell’ avversario? Pare in oltre che questo diafano, nuovamente introdotto a riempiere le cavità della Q)> uon P 0Bsa differente dal resto della auatanza oo celeste che per P espansione del mondo superiore si diffonde ; atteso che i medesimi filosofi nò anco tra 1’ «tesse stello et il resto del cielo pongono maggioro o altra differenza che di più o meno raro e denso, più o mono diafano et opaco: fiora, poiché ninna di tali differenze si scorgo tra ’1 prossimo ambiento lunare et il resto del cielo, adun¬ que il termine et la distinzione tra il corpo lunare et il resto del cielo ambiento si doverà prendere dalla superficie che finisce et rin¬ chiude il corpo della 2) tenebroso, denso et opaco, et per ciò diffe¬ rentissimo dall’ ambiente suo raro et trasparentissimo, e non da que¬ sto nuovamente imaginato cristallo, in tutto e por tutto similissimo ìoo anzi istessissimo col resto dell’ etere. Et qui si noti l'incongruenza dell* esempio addotto della palla di smalto bianco, ma di superfìcie montuosa, rinchiusa dentro ad un cristallo tra.sparente et di superficie tersa et pulita : nella qualo ninno intoppo ritrova il nostro discorso, mentre dal concepito globo di smalto opaco trapassiamo al cristallo diafano, che lo circonda et con sferica et liscia superficie lo termina; il qual poi subito distinguiamo dall* altro ambiente, che è la nostra comune, familiare et notissima aria ; ma dopo il passaggio dall’ in¬ terno corpo lunare opaco al diafano cristallino, suo prossimo am¬ biente, a quale altro terzo corpo, pur diafano, doviamo noi senza no intoppo trapassare? Bisogna che avvertiamo come il globo cristallino addotto nell’ esempio può benissimo esser da noi locato non solo nel- P aria ma nell’ aqqua, nell’ olio, nel vino, nel fuoco, et in altri dia¬ fani da noi per P esperienza conosciuti et intesi ; ina in cielo, di che altro diafano haviamo noi contezza, fuori di questo solo che per quella immensità si diffondo? Hora, sì come il pigliare P addotta palla cri¬ stallina et immergerla in un grandissimo vaso pieno di altro simile cristallo, nel confondere, anzi levare totalmente, i termini de i 2 cri¬ stalli, dico del primo, che con superficie tersa terminava la palla, e dell’ altro nel quale si immerge il primo, verrebbe a fare che in ve- 120 94. poichì ò aggiunta interlineare. — 99-101. Da « no» t, elio ni leggo cancellalo. — 105. Corresse concepito in luogo di emerito, che prima arerà scritto.— 107. il qual ... ilietinguiamo è stato sostituito a Jùdnyucntlofo, che ò cancellato. — 108. Tra comune o familiare si legge, cancellato, et. 109. Cor¬ resse yrottimo in luogo di proprio, che prima arerà scritto. — 115. fuori è stato corretto in luogo di che, che si legge cancellato. — 117. immergila — 119-120. Da dico del primo a ri immerge il primo è aggiunta ìuuigiiiulu. 120. 'fra altro e nei si legge, cancellato, del tato. — 1G LUGLIO 1G11. 145 [555] rità altro non havessimo che uno smalto groppoloso, chiuso dentro una gran massa di cristallo ; così non sapendo noi essere in cielo altro che una sola sustanza diafana et omogenea, che altro potremo con verità affermare, se non che il corpo lunare è opaco e montuoso, ma locato nel cielo? Ma forse alcuno non così scrupolosamente additto ad ogni parola di Aristotile, mi potrebbe dire di non haver per inconveniente alcuno il credere che 1’ etere celeste sia un liquido tenue et sottile come 1’ aria, ma più puro et permeabile, per il quale vadino i pianeti va¬ ino gando, et che la 3» c ^ ie P or esso discorre, sia rinchiusa dentro una corteccia cristallina solida et liscia, et per ciò distinta dal resto del- 1’ambiente liquido; distinta, dico, se non per la trasparenza, almeno per la solidità o durezza. A chi tale opinione producesse io potrei rispondere, che ha vendo egli ardito tanto, quanto è il porre il cielo fluido et permeabile, senza riguardo alcuno della impenetrabilità e impermeabilità del cielo d’Aristotile, non si peritasse in por la 3 di superficie aspra; licenza assai più tollerabile dell’altra, come quella che altera con leggerissima offesa una minima parte del cielo, e quella con gravissimo danno inette in scompiglio et in rovina tutto ’l no mondo : et egli sa bene in coscienza che niun’ altra cosa lo persuade a voler mantener la pulitezza della superficie lunare, fuor che un semplice detto d’Aristotile. Aggiungo di più, che se noi ci volessimo governare in cielo con 1’ analogia de i nostri corpi elementari, po¬ nendo 1’ etere omologo alla nostra aria, et il cristallo lunare propor¬ zionato a qualche altro corpo solido et trasparente de i nostri, o sia vetro o gemma ; noi veramente non troveremmo appresso di noi dia¬ fano alcuno, nè anco 1’ aqqua stessa più di ogni gioia trasparente, il quale, circondando la terra et alzandosegli intorno sino alle mag¬ giori altezze de i monti, non togliesse, a chi di lontano la riguar¬ do dasse, il poter vedere tutte le particolari varietà di altezze e bassure, di lumi et di ombre et di qualunque altra cosa che dentro a tale 130-131. Prinm aveva scritto: et che. la J), per ceno locata, eia dentro una corteccia cristallina et solida et liscia rinchiusa, et per ciò ; poi corresse conformo stampiamo. — 182-133. Da liquido a durezza ò aggiunta, parto intorlinoaro e parte marginalo. — 131-143. Prima aveva scritto: quanto è il porre contro all'autorità di Aristotile il cielo fluido et permeabile, non temesse di porre la di superficie aspra fe prima ancora, in luogo di di superficie aspra aveva scritto montuosa], scusa entrare in altre imaginazioni ascose a tutti i sensi; et piti gli sogghignerei, che se noi ci volessimo governare; poi corresse conforme stampiamo.— 139. Corresso gravissimo danno in luogo di gravissima rovina, che prima aveva scritto. — in in scompiglio — 141. a voler manter — 147. Prima aveva scritto ogn’altro, poi corresso ogni gioia .— 149. Corresso non togliesse ... il poter in luogo ili non ci togliesse il poter, che prima aveva scritto. — XI. 10 146 16 LUGLIO 1011. [565] profondità fosse contenuta. Kimirisi, per prova di ciò, da qualche eminenza qual si sia limpidissimo et tranquillo stagno o lago, che, ben che non molte braccia profondo, tutti i segreti del suo letto ci asconde : hor che faria una profondità di dieci o dodicimila brac¬ cia? Noi dunque non haviamo, dall’aria et l'etere celeste in poi, cognizione di diafano alcuno il quale oltre una piccola grossezza non impedisca il passaggio alla nostra vista, ut forse anco alla illu¬ minazione del sole. Di qual cristallo dunque riempieremo noi le ca¬ vità profondissime della 2), il quale sia così limpido che ci lasci ico penetrar con l’occhio a distinguere esattamente anco minutissime inegualità? certo, s’io non m’inganno, niente altro che l’istesso tenuissimo et purissimo etere riporre vi si potrà. Kt so così è, ra- gionevolissimamente si può concludere, la 3 esser indubitatamente di superficie ineguale et montuosa, ma circondata da purissimo et trasparentissimo etere, nella cui profondità ella et gl’ altri pianeti sono contenuti. Potranno per avventura persuaderai gl’ avversarli di arrivare con 1’ efficacia del discorso et delle ragioni là dove il senso in modo al¬ cuno nè si conduco nè si avvicina, et credersi ili poter demostrati- i"o vamente concludere, esser necessario che la 3 s ut figura osattis- simamente sferica, per essere ella corpo celeste et in consequenza purissimo ot iinmisto, et per convenirsi a tali corpi perfettissimi figura perfettissima, qualo tra le solide vien reputata la sferica? Il discorso è assai trito per lo scuole Peripatetiche, ina dubito che la sua maggiore efficacia consista solamente nell’ essere inveterato nelle menti de gl’ huomini, ma non già che lo sue proposizioni siano nè dimostrate nò necessario ; anzi crederò io che le siano molto titu¬ banti et incerte. Et prima, elio la figura sferica sia più o meno per¬ fetta delle altre, non veggo io elio si possa assolutamente asserire, iso ma solo con qualche rispetto: come, per esempio, per un corpoche si liabbia a poter raggirare per tutte le bande, la figura sferica è perfettissima ; ot però gl’ occhi et i capi degl’ ossi delle cosce sono stati fatti dalla natura perfettamente sforici : all’ incontro, por un corpo che dovesse consistere stabile et immobile, tal figura saria so- 15C. Tra et o l’etere si logge, cancellato, la materia. - 157. Corre»* piccola in luogo di piecolittima, cho prima aveva scritto. — 165. Tra cireondata e da si legge, cancellato, et. — 179-181. Prima aveva «critto: Kt prima, l asserirà che la figura .. . aeeolutamcnte, ma eolamenle eoa qualche rispetto ; poi CorrOSSO conformo stampiamo. 181. Prima aveva scritto ad un corpo, poi corrosse per un corpo. _ 16 LUGLIO 1611. 147 [555] pra ogn’ altra imperfettissima ; e chi nella fabrica delle muraglie si servisse di pietre sferiche, faria pessimamente, et perfettissime sono le angolari. Che se assolutamente la figura sferica fusse più perfetta delle altre, et che a i corpi più eccellenti si dovessero le figure più loo perfette, doveva il cuore, o non gl’ occhi, esser perfettamente sfe¬ rico ; et il fegato, membro tanto principale, doveva egli haver dello sferico, più tosto che alcune altro parti del corpo vilissime. Più, io non veggo che la inclinazione et appetito che hanno molti corpi na¬ turali di terminarsi con figura sferica, derivi solamente da loro per¬ fezione o purità. : anzi pure vediamo, la terra et 1 ’ aqqua, corpi da i medesimi filosofi reputati impurissimi et imperfettissimi, in compa¬ razione massime de i celesti, ridursi loro ancora sotto figura sferica, et ciò non per alcuna perfezione che sia in loro, ma solo per esser gravi et por cospirare tutte le loro parti ad un solo termine ; et 2oo V aqqua, che alla gravità aggiugne V esser liquida et fluida, tanto più perfetta rotondità conseguisce, nò dalla sua mistione et impurità (arguita dalla salsedine) vien ella punto nella sua figurazione impe¬ dita ; nò impedita saria quando anco ella ftisse cento volte più im¬ pura, mista et imperfetta, purché gli restasse il peso et la flessibi¬ lità. Resta parimente ambiguo se sia ben detto, i corpi celesti essere così puri, immisti et eccellenti in comparazione de i nostri elemen¬ tari, perchè veramente questi et gl’ altri attributi di inalterabili, ingenerabili, incorruttibili, impassibili etc., concessigli da i filosofi, dependono tutti da un altro fonte et principio, che è V haver loro 210 soli da natura il muoversi di moto circolare ; il che da Aristotile non ò stato dimostrato, come io altrove (l> dichiaro: sì che se alcuno sosterrà che il movimento circolare competa non meno alla terra et a gl’ altri elementi elio a i corpi superiori, cessano tutte le ragioni di dover porre quella quinta essenza celeste, eterna et non generata, immortale e non caduca, impassibile, inalterabile etc., diversissima dalle nostre inferiori sustanze ; et sarà dottrina non solo più salda, 18fi. fabricha. Prima aveva scritto nelle fabriche, poi corrosso nella fabrioha. — 1S9. eccellenti è stato sostituito a perfetti, elio si logge cancellato. —192. Sostituì più tonto che alcune a et non, dui prima aveva scritto. — 207-208. di inalterabili ... imponibili etc. ò aggiunto in margine.— 2li. Tra non o generata si logge, cancellato, caduca. — (•> Alludo a quel « Systoma mundi », del quale da molti anni volgeva in monte l’idea: cfr. Voi. VII, png. 3. i 148 16 LUGLIO 1611 . [r, 56 ] ma più conformo alla verità delle Sacre Lettere, che (lolla croaziono et mutabilità del cielo ci assicurano. Lascio stare la inconvenionza grande che è nel volere che i corpi celesti siano cosi eccellenti et divini, et la terra, quasi feccia del mondo, imperfetta, impura et vi- 220 lissima, et a canto a canto dire i movimenti et le azioni de i cieli esser solamente indirizzati allo nostro coso inferiori, senza il qualo indirizzo oziosi 0 vani reuterinno tutti i movimenti et operazioni del sole et dello stelle. Ma 1 ’ entrare in sì vasto oceano non ò materia da potersi in una lettera ristagnerò. Basti per bora, quanto appar¬ tiene al nostro proposito, haver mostrate di quanta poca efficacia siano quelle proposizioni, che la figura sferica sia più perfetta delle altre, che questa competa a i corpi perfetti, et elio la luna, come corpo celeste et perfettissimo, deva esser (li figura sferica, et non come la terra solamente, ma tanto più liscia et osquisita, (pianto ella 230 ò corpo più eccellente elio la terra : discorso tutto vanissimo et ninna cosa concludente, sì corno pessimamente concluderebbe chi discor¬ resse circa la terra e dicesse : La terra ò sferica, ma non perfet¬ tamente, essendo di superficie aspra et ineguale ; sarebbe bene la sua figura sferica perfettissima, quando ella fusse liscia, tersa et egua¬ lissima ; et pertanto la terra sarebbe allora assai più perfetta di quello che 1 * è bora. Tal discorso è mendoso et equivoco : perchè ò vero che, quanto alla porfezion della figura sferica, se la terra fusse liscia, saria una sfera più perfetta che essendo aspra ; ma quanto alla perfeziono della terra, come corpo naturale ordinato al suo fine, 240 non credo che sia alcuno che non comprenda quanto ella sarebbe non solo meno perfetta, ma assolutamente imperfettissima. Et che al¬ tro resterebb’ ella che un immenso deserto infelice, voto di animali, di piante, di huomini, di città, di fabriche, pieno di silenzio e di otio, senza moti, senza sensi, senza vite, senza intelletti, et in somma privo di tutti gl’ ornamenti li quali così spettabile et vaga la ren¬ dono? Certo, elio saria stato un discorso mirabile quello di colui, elio mentre le aqque del diluvio havevano ingombrato tutta la no¬ stra mole terrestre, adequando le cime de i più alti monti, si fosso posto a consigliare la natura che ella convertisse in ghiaccio o sai- 250 218-224. Da Latcio ilare a tulle b aggiunto In margino. — 233. Corrode * die in luogo di »n colai gitila, cho prima avova scritto. — 243-241. Prima aro?» acritto un {minia darri a, privo di animali... di fabriche, et in lomma privo di ogni ornamento, piino di ti/tnrio ; poi Corrauo conformo stampiamo. — 249. ade¬ guando ... moliti ò aggiunta marginalo. — 16 LUCILIO 1611. 149 [5551 dissimo cristallo tutta la aqqua, nè si lasciasse fuggire si oportuna occasione di perfezionare con una ben pulita et sferica superfìcie questo globo inferiore, rendendolo simile alla luna del Sig. Colombe. È vero che la luna saria corpo di figura sferica più perfetta se la superfìcie sua fusse liscia et non aspra ; ma 1’ inferirne poi : « Adun¬ que la luna, come corpo naturale, saria più perfetta » è una con- sequonza stravolta. Et chi sa che l’inegualità della superfìcie lunaro non sia ordinata per mille e mille meraviglie, non intese nè intelli¬ gibili da noi, non imaginate nè imaginabili? Altrettanto grande 2 co quanto frequente mi pare 1’ errore di molti, i quali vogliono faro il loro sapere et intendere misura dell’ intendere et sapere di Dio, sì che solo perfetto sia quello che loro intendono esser perfetto. Ma io, per 1’ opposito, osservo, altre perfezioni essere intese dalla natura che noi intendere non possiamo, anzi pure che più presto per imperfe¬ zioni giudicheremmo : come, per essempio, delle proporzioni che ca¬ scano tra le quantità, alcune ci paiano più perfette, alcune meno ; più perfette, quelle che tra i numeri più cogniti si ritrovano, come la dupla, la tripla, la sesquialtera, etc.; meno perfette quelle che ca¬ scano tra’numeri più lontani e contra sè primi, come di 11 a 7, 17 270 a 13, 53 a 37, etc.; imperfettissime, quelle delle quantità incommen¬ surabili, da noi inesplicabili et innominate : talché quando ad un huomo fusse toccato a dovere a sua elezione stabilire et ordinare con perfette proporzioni le differenze de i prestantissimi movimenti delle celesti sfere, credo che senza dubbio gl’ haverebbe moderati secondo le prime et più rationali proporzioni ; ma all’ incontro Iddio, senza riguardo alcuno delle nostre intese simmetrie, gli ha ordinati con proporzioni non solamente incommensurabili et irrazionali, ma total¬ mente impercettibili dal nostro intelletto. Uno poco intendente di geometria si lamenterà che la circonferenza del cerchio non sia stata 280 fatta o tripla a punto del suo diametro, o rispondentegli in qualche più conosciuta proporzione, più tosto che tale che non si sia per an¬ cora potuto esplicare qual rispetto sia tra di loro ; ma uno che più intenda, conoscerà che sendo stati altramente di quello che sono, 251. Dopo la aggira aveva scritto: acciò che, et non perdesse. sì oportuna occasione: poi cancellò questo paiolo, e sostituì conformo abbiamo stampato. — 253-254. Tra Colombe e È vero si leggo, cancellato: Jlfa se la terra, per conservarsi tutte le bellezze et perfezioni che ella di presente possiede, ha bisogno di una superficie ineguale. — 276. simmetrie è stato sostituito a proporzioni, che 0 cancellato. — 278-288. l)a Uno poco a quale ella è ò aggiunto in margino. — 283. tendo stale — ) 150 10 LUGLIO 1611. [555] mille e mill’ altre ammirabili conclusioni si sariano perdute, e elio nessuna delle passioni dimostrate del cerchio saria stata vera : non la superficie della sfora sarebbe stata quadrupla del cerchio massimo, non il cilindro sesquialtero della sfera, et infioratila nissun’ altra cosa della geometria sarebbe stata vera e quale ella ò. Uno de i nostri più celebri architetti, so havesse hauto a compartire nella gran volta del ciolo la moltitudine di tante stelle fìsse, credo io che distribuite 290 le haverebbe con bei partimenti di quadrati, esagoni et ottangoli, interzando le maggiori tra le mezzane et lo piccole, con sue intese corrispondenze, parendogli in questo mudo di valersi di belle pro¬ porzioni ; ma all’ incontro Iddio, quasi che con la mano del caso lo habbia disseminate, pare a noi che senza regola, simmetria 0 ele¬ ganza alcuna le habbia sparpagliate. Kt cosi a punto, quando noi fanciullescamente havessimo limito a formare la luna, galantissima ci saria parso di figurarla dandogli una rotondissima et pulitissima superficie ; ma non giù cosi ha inteso di far la natura, anzi tra quello diversissime scabrosità è credibile cho olla mille misterii, da soo lei sola intosi, habbia rinchiusi. Kt non è dubbio alcuno, elio so nella luna fossero giudizii simili a i nostri, rimirando di là la superficie della terra, nella quale altro che la disparità de i mari et do i con¬ tinenti et la inequalità della parte terrea non distinguerebbono, al¬ trettanta ragione liaveriano di nominarla meno perfetta che se fusso di superficie pulitissima, quanta ha il S. Col. di desiderar elio la su¬ perficie lunare sia ben tersa, por maggiore perfezione di quella; poi che tutti gl’ ornamenti et vaghezze particolari, cho si mirabilmente la terra abbelliscono, rcsteriano di là su invisibili et inimmaginabili. Così a punto, fermandosi il nostro vedere et intendere nella sola mon- sio tuosità et disegualità della luna, senza vedere o poterci immaginare quali particolari tra esse eminenze et cavità possino esser contenuti, parti che ella da una pulitissima superficie riceverebbe perfezione e bellezza. Io credo haver a bastanza dimostrato la debolezza del discorso avversario ; et se bene molte altre considerazioni potrei sogghignare, tutta via i termini di una lettera, li quali panni anco di haver tra¬ passati, non permettono che io continui più la fatica di V. S. nel log- 284. mili altri 290. Tra cWo e la si loggo, cancellato, /«. — 296. iparjjagUait h stato aostituito a ditpotte, cho loggosi cancellato. — 811-812. Da «raso a oomUmhìi è aggiunto in margino.— 16 LUGLIO 1611 151 [555] gore. Solamente, per fine di questo discorso, voglio additare a V. S. a 820 quali gradi di sconvenevolezze si lasci traportare il nostro S. C. dalla immoderata brama del contradire ; dalla quale allucinato non si ac¬ corge, che mentre egli vuol trovar ripiego per mantener la equabi¬ lità et lisciezza ne i corpi celesti et rimuover 1’ asprezza dalla 3> in cambio di veramente levar quest’ una scabrosità che io gli attri¬ buisco, gli n’ addossa due : perchè, ammettendo clic la superficie della parte opaca et interiore della 3 sia aspra e montuosa, di necessità bisogna che oi conceda che aspra sia parimente la superficie dell’al¬ tra parto diafana o cristallina, la quale contermina con le montuo¬ sità interiori, et a riempiere le traposto cavità si adatta. È dunque 330 asprissima la visibil parto della 3) densa et opaca ; et tale ancora è 1* invisibile, rara et trasparente. Non voglio già passare alcuni altri particolari che nella lettera del S. Col. si contengono : l’imo de i quali è, che io non veggo sì grande occasione di rallegrarsi che il molto li. P. Clavio non approvi la montuosità della 3> P°i c ^ 10 ^ medesimo Padre è altresì molto differente da esso Col. nell’ assegnare la causa della apparente ine¬ gualità, attribuendola al denso et al raro. Et se il S. Col. ( ha caro che il P. Clavio dissenta da ine, è forza che egli Labbia altrettanto discaro che gl’altri tre Padri Cfr. Voi. HI, Par. I, pag. 251 o seg. (S) Sul margine, e soma segno di richiamo ad alcnn luogo del tetto, ti legge, tempre di mano di Giulio: « con» a ponto al medetlmo Col. 6 accaduto, il quale, non Rapendo altro della dottrina ot ragioni de) Copernico che alcune poche Rotazioni che io soglio darò alle ragioni addotte da Aristotile o Tolomeo, lo quali per rclatione di ter** persona gli tono in* cidontemenU) perveuute all'orecchio, noi mettersi a •crivenni contro si ò dichiarato di haver tolto ad impugnare l'opinione [il in*.: opisitb] del Copernico, senza produrre pur una delle me domoitrazioni, anzi apertamente dichiarandosi di non lo havor mai lotto non che in toso, come appre so [tra rame e appretto »1 legge, cancellato, : 405. Tra mobile o e si logge, cancellato, ma. — <«' Cfr. Voi. III. l’ar. I, pag.253,lin. 10; pag.234, lin. 4, 12, 24-25, ecc. < 5 > Essomlo stata tagliata in quosto punto la carta noi manoscritto, manca il principio del brano citato. Lo paiolo della scrittura Contro il moto della terra di Lodovico dkllk Colombe, elio immedia¬ tamente procedono quello rimasteci nell' autografo della presente lotterà, sono lo seguenti: «Diranno, elio quegli che bone intondon le loro matomaticlio positivo di quosti orbi, non ammotton quosta filo¬ sofica conseguenza ; perchè, so ben la terra gira, ella è locata in luogo elio l’aria non può soutir violenza del suo moto : e la situazione è quosta. La terra o tutti gli altri clomenti circondati dal cielo della luna sono eccentrici al centro del mondo, nel qtialo è locato il solo immobile e fisso. Dopo il sole, Venero, socondo la comune : so bone, secondo il Co¬ pernico, è Mercurio, conio io dissi gii\ nello mio ri¬ sposto piacevoli contro i giudiciarii astrologi ; ma, porcliò non varia il concetto, mi piace non partir dalla piò ricevuta opinione. Porò a Venere facciamo seguitar Mercurio, quindi la luna, nel concavo dol cui cielo son tutti gli elo ... ». Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 2G8, lin. 24 e seg. XI. 20 154 1G LUGLIO 1611. [ 666 ] (<) .monti e corpi resultanti da quelli, e tutti hì volgono intorno al solo, corno intorno a lor centro, dicono essi, portati dal moto del primo mobile o da elio che altro si sia, che nulla per bora importa, no con tutte le altre sfere celesti. » Già vede V. S. come egli stima che il Copernico possa anco at¬ tribuire il moto annuo alla terra, communioatogli dal primo mobile; vede anco 1’ altro puerile assurdo, di credere che, posto il O nel cen¬ tro, se gli possa egualmente far succedere intorno immediatamente tanto Mercurio quanto Venere ; et come, per dichiararsi ben bene incapacissimo di ogni intelligenza, gli piace di dar il primo orbe a . Venere et il secondo a Mercurio, non sapendo ancora che le digres¬ sioni di Venere, maggiori circa il doppio che quelle di Mercurio, co¬ stringono necessariamente a porro Mercurio prossimo al sole, e non 420 Venere, non si potendo dentro di un cerchio minore descriverne un altro maggiore. Questi, come ben vedo V. S., sono errori tanto gros¬ solani, che generano meraviglia immensa come possino ritrovarsi al mondo cervelli così stolidi, che di si solenni scempiaggini siano ca¬ paci. Et sappia V. S. di più, che questo è tutto quello che il S. Col. apporta della dottrina del Copernico, che egli prende ad impugnare. Giudichi liora V. S. se metta conto ad huomo che liabbia scintilla di senso o di giudizio ingaggiar contesa, in materie tanto difficili et eccellenti, con huoraini di discorso cosi stupido e stravolto. E da qual tino sospinto, o da quale speranza allettato, dovevo io intra- *30 prender la briga d’insegnar 1’ oscurissima dottrina di Niccolò Coper¬ nico a chi, dopo il dispendio di cinquanta e tanti anni di vita, non ò stato capace d’intendere i primi et semplicissimi principii et le più facili ipotesi della di lui scienza? anzi, por più ver dire, a chi ini lia reso certo, col suo passare et ammettere incompatibili contradi- zioni, sè esser d’ ogni vero e di ogni falso, di tutti i possibili et de gl’impossibili, egualmente et indifferentemente conceditore? Io mi sono lasciato trasportare in tanta lunghezza, elio non so se mai V 111.™ 0 et Rev. mo S. Car. le haverà tanto di ozio di poter sen¬ tire queste mie ciancio : quando V. S. non possa fargli sentire il no tutto, al meno non gli taccia 1’ ultima conclusione, che ò il ricor- 421-422. Corresse d«»mwrn« un altro maggior* in luogo di dttcrirm un altro cerchio maggior*, che prima aveva scritto. — 426. Tra Cosmico e eh* si legge, cancellato, yr*H\ ad impug ... — 429. Tra di o ducono si logge, cancellato, taU. — 429-437. Da E da guai fin* a concedilo»- « è aggiunto in margine.— •«’ Cfr. Seppi. Voi. XVIII, pag 412. 155 [555-556] 1G - 20 luglio 1611. dare a S. S. et Rev. ma la devotissima ot liumilissima servitù mia, con la quale reverentemeute 1* inchino, et a Y. S. di cuore ba¬ cio le mani. Di Firenze, li 1G di Luglio 1611 (n . 556 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Lucca, 20 luglio 1611. Bibl. Naas. Flr. Nuovi Acquisti Galileiani, n.° 7. — Autografa. Molt’ III.™ et Ecc. ,n0 S. or mio Oss. n, ° Ilo sentito particolar gusto del ritorno di V. S. Ecc. ma o clic sia anche re¬ staurata dal male sopravenutoli. Non 1* ho salutata prima con miei lettere, poi la sua partenza per Roma, non sapendo quando arrivasse. Ora le dico, haver riceuto li duo libri del Keplero l,) ; ma haveo carissimo, V.S. li ritenesse, tanto più che ne ero provisto; et io desidero che disponga di ogni mia cosa ad ogni sua volontà. Sento anche gusto grandissimo, V. S. si sia messo alla fatica delle theoricho de’ periodi e tabule de’ nuovi pianeti da lei scoperti, c non dubito punto clic sia per assestarli come conviene, di modo che per ciò sia latto il nome di io V. S. immortale nella republica letteraria. Non posso esser longo, liavcndo il piede in staffa per la volta di Livorno ; c di là passerò con queste galere sino a Messina o vero a Palermo por certo ne- gotio urgente, e fra un paro di mesi spero esser qua, come darò avviso a V. S., per ricevere li suoi comandamenti. Quando V. S. scrive a Venetia al S. 1 ' Maga¬ gnati, li facci sapere in gratia come in questo viaggio doverò trattenermi a Napoli e conoscere il S. r Porta, tanto suo intrinseco. V. 15. mi conservi in sua gratia; e le b. le mani. Di Lucca, a’20 Lug.° 1611. Di V. S. molto 111. et Ecc. ma Sor.™ Aff. 20 Ant.° bau tini. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei, in Firenze. ") È stata tagliata la catta al di sotto dolla <*• R molto probabili) iuleuda la JJittertatio o data. la Narratio. I X5G • 21 - 22 LUGLIO 1611. [ 657 - 558 ] 557 *. FRANCESCO NICCOUNI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 loglio 1611. Bibl. Hat. In Modena. Raccolta Cenipori. Autografi, B.» LXXX1I, n.» 106. Autografa la lottoscrUione. 111.™ o molto Ecc> S. r mio Oss. ,no Ha molta ragione V. S. di dolersi della morte del S. r Giovanni, mio padre, che sia in Cielo, perch’ella ha perso un amico che l'amava e stimava grande¬ mente ; et ella, mentre è stata qua in Roma, può haverne veduto, so non effetti convenienti al suo morto, almeno un cordiale affetto d’ amore o d* ottima vo¬ lontà. Ma poiché Dio 1* ha voluto per Sè, è debito di christiana prudenza a rimet¬ tersi in S. M. u , ricevendo tutto per il meglio. Io rendo a V. S. grazie infinite della memoria che conserva di me, e del pie¬ toso ufficio che l’è piaciuto far meco: e l’assicuro eh’ io professo d’ esser restato herede di quella stima e ben affetta volontà del S. r mio padre verso di lei, in io augumento della mia particolare, la quale per sò stessa è grandissima, come si richiede al valore e virtù di V. S. Ben la prego di cuore a pigliarne il possesso con il comandarmi ; eh’ io fra tanto, restando con desiderio di sentire eh’ ella totalmente habbia ricevuto la sanità, lo bacio per fino le mani. Di Roma, a’21 di Luglio 1611. Di V. S. 111.™ e molto Eco,** Ser.™ Aff>° S. r Galilei. Francesco Niccolini. Fuori : All’ 111.” e molto Ecc.® S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 20 558*. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 22 luglio 1611. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, B.» LXXY1I, u.* Ut». — Autografa. ILI.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. n, ° Finalmente m’è capitata la lettera lunga di V.S.Ecc.™*, con l’inclusa pel S. r Cremonino, qual mandai subito: et ecco la risposta ”. • ') Questa, cho paro fosso allegata (cfr. n.» 564, lin. 3-4), non si trova oggi, nò nei Mss. Galileiani della Biblioteca Kazioualo di t'iremo, uè nella Raccolta Cam r oki. 22 LUGLIO 1611. 157 [558-669] Ritornai heri a Padova ; dissi a Mons. r Belloni quanto V. S. mi scrive, che ha sentito con grandissimo gusto, vedendo e la memoria e 1* affetto che ella ha alle cose loro. Di gratia, V. S. continua, perchò farà un’ opra di gran carità e n’ haverà honore. Ilo fatto parte al S. r Velsero di quanto V. S. in questa sua lettera lunga mi scrive; ho fatto anco i suoi complimenti con li SS. ri Sandelli o Pignoria, che io amendue le baciano affettuosamente le mani. In questi paesi non habbiamo altro di nuovo, che sia di momento, se non la venuta delle popone e meloni, che quest’anno sono comparsi più presto e mi¬ gliori del solito, per rifocillare le arsiccio fauci, per gli eccessivissimi caldi straor¬ dinariamente inaridite. Habbiamo, S. r Galileo mio, provato li giorni passati caldi tali, che quello descritto da Ovidio, cagionato per lo mal guidato carro di Fe¬ tonte, si stimava un non covelle. Del S. r Magini non habbiamo più sentito altro, so bene ci diede intentione di ritornare. Sarà facil cosa che lo faccia quest’ autunno. Sto con desiderio attendendo che V. S. si sia ben rihavuta, che così piaccia 20 al Signore. Se qui son buono a servirla, la prego a commandarmi. E con ciò li bacio le mani. Di Pad.-' 1 , alli 22 Luglio 1611. Di V. S. 111.” et Ecc. ma S. r Afl>* Paolo Gualdo, Fuori: All’111.™ et Ecc. rao Sig. mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 559 . GIO. BATTISTA DELLA PORTA a FEDERICO CESI [iu Roma]. [Napoli, luglio 1611]. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. Vili, car. 2(1.— Copia di mano sincrona, in capo alla qunlo si leggono, di mano dello stesso, copista, questo parole : < Giuditio del Sig. r Gio. liat. Porta sopra il libro del Sig. r Sitii, scritto al Sig. r Marchese Monticelli, figliuolo do] Duca d’Acquasparta ». Cfr. n.°560, lin. 12-13: il presente capitolo di lettera non fu mandato però dal Orsi a GAr.it.KO in questa copia a noi per¬ venuta, la quale ò d’ una inatto che ricorro audio in altro copio cito si trovano oggi nella colloziouo dei Mss. Galileiani. Ilo ricevuto il libro contro il Sig. r Galilei, del quale non ho visto cosa più spropo¬ sitata al mondo. In esso si sforza l’autore con tanti argumenti provare il contrario, e non ne vale niuno; e mentre ha pensato torgli l’autorità, ce P ha più confirmata. Attesta me nolla prospettiva molte volto ( l >, c mai a proposito : conoscesi, non sapere prospettiva. (*’ Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag 221, liu. 15; pag. 222, lin. 8, 12; pag. 223, lin. 9, 22, 25; ecc. 158 23 LUGLIO 1611. [ 560 ] 560 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 luglio 1611. Blbl. Niue. Plr. Mss. Gal.. P. VI. T. Vili, car. 25. - Autografa. Molt’Hl." et molto Ecc.* Sig. r Oss. mo So bene la gratissima (li V. S. non m’ apporta nuova della sua intera sanità, tuttavia, venendo a predirmela vicina col narrarmi notabil miglioramento, dovo, come d’ essa desiosissimo et d’ogni suo bene, rallegrarmene non poco. Mi sarà carissimo veder la lettera in difesa delle asserzioni lunariquali so bone poco n’ hanno di bisogno, tuttavia non è se non bene fermar alcuni in¬ telletti vaganti, et rimover gl’ altri troppo ostinati e veternosi. Sollecito il S. r La- galla a mostrarmi il suo Discorso 01 , et spesso lo persuado a non starsi così imprigionato no’ chiostri del Peripato, ma contentarsi d’ uscirne tal volta fuori, poiché a’ degni intelletti devesi la libertà, et egli istesso à visto che Nifo concedo io nella luna etherci monti e bassezze, indotto da necessità assai minori. Il nostro S. r Porta, visto il libro scritto contro i Medicei Pianeti di V. S., se ne burla con le quattro righe eh’ io gli mando qui accluse et con più tempo scriverà, conformo al’intento. Saluta V. S. ; et quest’altri Signori anco seie ri¬ cordano servitori. Il S. r Deinisiani 01 dolovasi d’esser cosi presto uscito della memoria di V. S., eh’a richiesta del suo S. r Cardinal Gonzaga olla havesse negato conoscerlo, poiché così li veniva dotto ; ma s’ è consolato, vista la sua. Ila fatto bellissimi epigrammi 0 ', ma ha bisogno essere solleticato. V. S. mi commandi, et séguiti pure a adunare conforme al pensiero. Bacio a V. S. le mani, e le prego dal Signor ogni contento. 20 I)i Roma, li 23 di Luglio 1611. Di V. S. molto III.™ et molto Eoe. 1 ® Il P. Christoforo scrive non so che sopra le cose da lei osservate, et già si stampa 1 * 1 . AfT. ma per ser. ,a sempre Fed. ro Cesi, Mar.** di Mont. 1 ' Fuori: Al molto 111.™ et molto Ecc.*" Sig. r Oss."' 0 Il S. r Galileo Galilei. Firenze. Lott. 600. 18. tue loUttieato — alla qualo ai accanila più «opra. Cfr. Voi. Ili, l’ar. 1, pag. 815. <•' Kra veramente coraa voco che il P. Cribto- roao Clatio roleeae pubblicare un ano scritto (cfr. n.*547) in merito alla questiono dibattuta tra (Lu¬ tilo e Lodovico d«.lb CoLOM*K(cfr.iin.‘ò34,546,&55). 01 Intendi quella a Gallamonk Gali.akzoxi: cfr. n.® 555. Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 811 e seg. «•) Cfr. n.° 559. 0' Giovanni Demisiani. i*> Fra gli altri, uno per l’opera del Lagai.la [ 661 ] 23 LUGLIO 1611. 159 561 ** G10. LODOVICO RAMPONI a GALILEO in Firenze. Bologna, 28 luglio 1611. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 28-29. — Autogralu. Molt’ IU. ro et Eco.'" 0 Sig. r0 Ilo ricevuto la risposta ili V. S. molt’ 111. 1 '* 1 et Ecc. ma , la quale mi è stata sopra modo grata, sì per liaver compreso con quanta benignità eli’Labbia, fuori di ogni mio merito, accettata la mia (l) , benché di cose leggieri, come per la infinita satisfattione c’ ho sentito dalle sue dotte e gratiose ressolutioni eli quanto presi ardire di chiederle. PI prima, èmmi stato molto cliaro di esser fatto certo clic le da me vedute siano veramente di quelle Stelle Medicee, e che tali apparenze non siano illu¬ sioni dello stromento, come il S. r Sitii et altri hanno havuto opinione ; i quali io se vedessero la dispositione di quello in quella linea obliqua secondo la eclittica, con il confronto di tante osservationi fatte da diversi in diversi luoghi e con diversi stromenti, e considerassero quelle mutationi delle distanze proportionate alla lontananza di Giove dalla terra, non so se stessero persistenti nella loro opinione. Che se non ho havuto gratia di vederle tutte quattro, per diffetto dello stromento, troppo bene da me conosciuto anche in altro, per bora poco m’im¬ porta, non havendo io havuto in queste mie osservationi altro pensiero che di vedere con gli occhi proprii se realmente collii vi si rivolgano stelle, come ve¬ ramente me ne sono assicurato, rimettendomi poi, e quanto al numero e quanto alle distanze et altre loro passioni, a chi tiene stromenti esquisitissimi e fa prof- 20 fessiono di trattarne compitamente, cosa che pare che Dio Labbia destinata a lei in questi tempi, acciò ne sia maestro a noi altri ; e perciò aspettare di ap¬ prender il tutto dall’ opera sua, quando uscirà in luce. Ilo, di più, sentito grandissimo gusto dello esser stato accertato che l’angolo che abbraccia lo stromento si varii secondo la diversità delle distanze piciole sino a un certo segno, oltra il quale non più patisca diversitade alcuna che sen- sibil sia : del che ne ho havuto qualche sperienza, vedendo che quanto più le distanze sono vicine, tanto la diversità sia maggiore. Circa che, panni ragione¬ vole eli’ io emendi un errore, anzi duoi, eh’ io commisi nella mia prima. Le scrissi, che quanto le distanze si prendono maggiori, tanto l’angolo riesce 30 minore; e veramente così havevo compreso: ma in questo mezo tempo volli ite¬ ci Cfr. u.° 548. ino 23 LUGLIO 1611. [MI] ratamente piglili 1* Messe misure; e statuite medesime di,! in», mi è riu¬ scito tutto il contrario, ciò è che quanto le distanze sono maggiori, tanto l’an¬ golo viene maggiore: et eccole. Posta allo stromento una lente sola, nella distanza di 17 passi, il semidiametro del circolo importa m. 6. ló ; nella distanza di passi 23, importa m. 7.4"; nella distanza di passi 29, contiene m. 7.24 . La causa di questa diversità credo che sia stata, che nel prender le prime misure io tenessi il tubo nella istessa lunghezza, là dove in queste seconde io andava mutando la sua lun¬ ghezza fin eh’ io vedea che l’oggetto fusse appreso più distintamente che si po¬ tesse in tal distanza; da elio forse nasce questa pa*sione, che fora dimostrabile di tale stroineuto quando altri volesse trattarne theoricalmente. Ma communquo 40 sia, lo credo che queste diversitadi in lunghi-,ima distanza svaniscano, restando fermo un angolo determinato che ci serve per misura delle quantità degli og¬ getti compresi. Per certificatane del qual angolo diasi di havor misurato il dia¬ metro della luna, ponendolo min. 30; ma in questo commisi il secondo errore: chè bisognava un poco più precisamente determinar il *uo diametro secondo la distanza oh* all* bora teneva dalla terra ; il che si dovrebbe fare qualunque volta, per mancanza di altra commoditA, ni elleggesse questo modo, eh’ io non giudico essere del tutto fuor di proposito. Son restato in oltre molto contento di haver inteso apertamente (cosa che non chiedeva, nò sperava), qual sia quella osservatimi© per la quale si levano do molte controversie nell’astronomia: la quale in vero è bellissima, e conferma in parte la hipothesi Copernicana, ma non )a dimostra compitamente, come io havea dentro di me concetto cho le fuse© avvenuto : e perciò, per il desiderio che tengo di esser certo di ciò, mi piace di scuoprirle quello o'ho havuto et ho nell’animo che si potrebbe osservare per venirne in qualche cognitiom* ; il che se le parrà convenevole (se non l’ha fatto sin bora, chè temo di portar vasi & Samo), qualhora si truova con lo stromento in mano, potrà muoverlo anchora a questo effetto. Parmi di haver letto cho Saturno ammetta la parallasse, per causa del semidiametro della terra, di una terza parte di minuto ; adunque le stelle fisse, qualunque si supponga il sistemala, essendo più lontane, o non V ammetteranno co che punto sia sensibile, o molto minore. Or con questo stromento, cho puote vèdero e distinguer quello che non può la vista diretta, si osservino alcune stelle fisse, clic siano giudicate atte a questo, in una semplice rivolutione diurna, prima nell’oriente, indi nel meridiano e poi nell'occidente, e si noti se si scuopra pa¬ rallasse alcuna. Se vi se ne faccia qualche piciola sensibile, non credo che resti luogo alla hipothesi Copernicana, giudicando che per la immensità della distanza delle stelle fisse non possa cadervi alcuna parallasse, per causa del semidiametro della terra, che sia sensibile nè per vista diretta nò per reffratta; ma se nulla vi se ne veggia, doppo lo spatio di cinque o sci mesi osservinsi le medesime stelle : nelle quali se vi si scuopra parallasse alcuna, non potendo ciò avvenire <0 23 LUGLIO 1611. 161 [ 661 ] se non dal moto annuo della terra, credo che sarebbe matheinaticamente dimo¬ strata questa hipothesi Copernicana, o altra che in questa guisa proceda; ma se non se ne scorga alcuna, niente sarà dimostrato per la istessa hipothesi nò contra, rimanendo quanto a questo il poter stare nell’uno e nell’altro modo. Per far questo, giudicarci che lusserò molto a proposito quei luoghi ne i quali si veggiono le stelle frequentissime, corno V. S. ha di già dissegnato nel Nuntio (1) , perciò che per la loro quasi contiguità, per la quale sono comprese con lo stro- mento tenuto immobile, potrebbesi vedere con più facilità e sicurezza so mutino le configurationi e distanze tra loro; il che se lia, ecco dimostrata a un tratto la so mobilità della terra, la distanza delle stelle fisse, da molti per la grande vastità abhorrita, e il sito delle stelle fisse, 1’ una più lontana dell’altra dalla congerie di questi nostri corpi, che solo credo poter essere cagione di questo truovamento, come appare qui accennato : dove, al sito della terra in D vedesi la stella A congiunta con la C, et la B antecedere la C ; là dove poi nel sito E vedensi le due A et C disgiunte, et la B seguire alla C. Quando in quelle stelle così fre¬ quenti apparisse una tale disordinanza nelle figure 90 e distanze loro, panni che la hipothesi Copernicana sarebbe dimostrata. In ultimo, lo intendere clic V. S. per molto sue ragioni inchini a tale hipo¬ thesi più che ad ogn’ altra, mi ha apportato grandissimo sodisfacimento, e mes¬ somi insieme grandissimo desiderio di veder quanto prima l’opera sua, nella quale spero di truovarci, oltra le fondate ragioni che la dimostrino, la ris- solutione di un dubbio, il quale parrebbemi che dovesse esser rissoluto da quei che tengono tale hipothesi o simile, et è quello che mosse principalmente il S. r Thicone a partirsi da questa hipothesi: ciò è, che si siano vedute comete nel- l’opposito del sole, non tanto distanti, come le stelle fisse, che havessero ad ioo esser libere dalle passioni de i tre superiori, e con tutto ciò non vi siano state- soggette, coni’ ei dice nel primo libro dell’Epistole (,) , fol. 149 (oliò per non ba¬ vere di questo auttore altro libro che questo, et il secondo della cometa del 77 (3) , non posso allogarlo in luogo dove più ex professo tratti di ciò); il che se fusse Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 77-79. <*> Tyconis Buauk Dalli Epistolarum Aitronomi- curum libri. Quorum privata hio Illustrisi. et Laudatila. Principia Utili elmi llaaaiae Landtyravii ac ipiiua Matite- mutici litcraa unaque reaponea ad siuyulai complectilur. Urauiburgi, cum Caesaris et rogum quorundain pri- vilegiis. Anno CIO IO XCYI. (S| Tycoon rs Brauk De mundi aetkerei rccentio- ribus phaciiovicnia libcr aecundua. Typis inclioatus Ura- niburgi Donine, absolutus PragaoBolicmiae CIO DC. 111. Cum Caesaris et regimi coinplurium privilogiis. — Tychonis BraTIF. Dani De mundi (tedierei recentiori- bua phaenomenia liber aecundua. Clini Caesaris et re¬ gimi (juorumlnui privilegio. Excudi primuni coeptus Uraniburgi Daniao, ast Progne Bolieniiao absolutus. Prostat Francofurti apud Godofriduiu Tainpacliium. M. DCX. — Il titolino corrente a capo di pagina ò Tychonii lirahe Liber 11. De Cometa anni 1577. XI. 21 162 23 LUGLIO 1611. [ 561 - 562 ] vero, come essere persuadono l’essatto sue osaervationi, particolarmente nello ossame delle parallassi, panni che veramente restarebbe abbattuta, quando non si truovi modo di salvare le loro apparenze : il che se sia stato fatto, io non l’ho potuto risapere nò anche da alcuni che professano astronomia ; ma gli scubo, per non tener essi tale opinione. Alla quale vedendo \ . S. inchinevole, sto in spe¬ ranza di bavere a restar appagato intorno a dubbio cosi importante. Ho tenuto homai la penna troppo lungamente in mano, e temo che non le no sia venuto anzi tedio olio no di tanto ciancio: ma in questi giorni estivi, il leg¬ gero tai leggerezze nell’ bore del diporto arrocca anzi diletto che no. Conosco bone che le sarebbe gravo il rispondervi, come la somma sua gentilezza, fattami in questa sua prima risposta soprabondantemente palese, la muoverehhe a fare; ma io, che le compatisco, o per le occupatami gravi t»l de i studii suoi come di rispondere alle moltissime lettere elio lo devono volare ad honorarla e riverirla conio n’ è meritevole, e per la indispositione sua che molto mi dispiace, no la ritiro, e prego elio nò per bora nò mai, se cosi le piace, si prenda incommodo di darmi altra risposta. Itestarebbo ch’io mi affaticassi a truovar modi e paiolo per ringratiarla di tanta cortesia usatami in dar compitissima satisfattone a 120 quanto ardii di proporle; ma conoscendo non potere far cosa che fusse sofficiente, lo dirò semplicemente senza ceremonie che la ringratio quanto più so e posso, e che le vivo amantissimo e bramoso di servirla ad ogni suo commando. Con che fine le bacio le mani, et le prego dal Signor Iddio ogni bramato contento. Di Bologna, il dì 23 di Luglio 1611. Di V. S. molto Hl. r * et Ecc."** AlTett. mo Sor.™ Gio. Lodovico Ramponi, Fuori : Al raolt* 111.” et Ecc. m0 Sig. r et i’.ron mio Osa." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 130 562 *. GREGORIO DE SAINT-VINCENT a GIACOMO VAN DER 8TRAETEN in Bruges. lloma, 23 luglio 1611. Arcb. di Stato In Bruges. Papiers dea JésuiUa, carton n.» 7. — Autografa. .... Nescio, utrum in Belgio t&ntus rumor de novis aideribua quantus Ilio est Romite, in venti s beneficio specilli cuiusdam oblougi. Hic in Collegio Romano P. Odo Malcot hac de re problema exhibuit<**, coralli authore huius novitatia, Galilaeo Galilaei nomine, maximo certo applanau et concursu virorum Oi Cfr. ol. Ili, Par. I, pag. 293—29-S; e redi demi* i di wùnu, lettere td «rfi « Padova. Voi. \ 1, pure Strie quinta di Scampoli Ualileiani raccolti da pag. 64-66), Padova, tipografia 0. li. Haudi, ISSO. Antonio Favaro (negli Atti » Memorie della II. Acca - 23 — 29 LUGLIO 1611 . 163 [562-563] doctorum et nobilumi ; ita ut, praeter plurimos nobilissimos viros, Comites et Duces, praeter Praelatorum ni a g num numerimi, tres ad minimum ex Purpuratis Patribua sua praesentia et auribus cohonostare et gratilicari voluerint. Item breviter totani exponam. Saturnus apparet nobis non esse rotundus, sed figurae ovalis, diametro maiori liuius figurae (l) , aequinoctiali parallela. io Iupiter continuum liabet satellitium quatuor planetarum, qui cuui semper comitantor, et in girum circa ipsum continuo aguntur, et singulis lioris diversa» habent positiones et aspectus ad invicom; semper auteni in linea apparenti. Ipse autem Iupiter est omnino ro¬ tundus semper. Mare nihil liabet singularo. Venus omnino circa solem vorti, similiter et Mercurium, compertum est, ita ut cen- trum illorura motus sit centrum solis; Venusque nova Oynthia vocata est, eo quod omnino sicuti luna crescat et decrescat. In luna maculas non satis posse por raritatem et densitatem saivari, etiam plus quam probabile habemus. 20 Mercurium satis diu consideravimus, quam vis varo ; sed cuius figurae sit, adverti non potuit proptcr scintillationes nimias : valde enim scintillat hoc astrum. Plciades triginta trium stellarum constellatio est; Nebulosa Praesepis, 37. Si apud vos liuiusmodi (?) specilla non extant, quandoquidem (?) hic illa nos ipsi, mathesis studiosi, construimus, mittam ad Y. R., cuius precibus et Sacrificio ino enixe commendo. Iloinae, 23 Iulii 1611. Vester in Christo Servus Gregoriua a S. t0 Vincentio. Fuori: Reverendo in Christo Patri Iacobo S tratto, Rectoi’i Collegii Brugensis. 80 Brngas. In Flandria. 563 *. MARGHERITA SARROCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, 29 luglio 1611. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 8. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.™ Sig. r mio Col. mo Molti giorni prima che V. S. me favorisse con la sua gentilissima lettera, havea inteso dal Sig. r Cigoli la indespositione sua, che a me et al Sig. r Luca (i) havea apportato grandissimo dispiacere : là onde V haver inteso da lei che ella sia già in sicuro di recuperare la salute ci ha oltra modo consolati, et in particulare me, che in honorarla et in istimarla non voglio cedere a nessuno. Et così ringratio Dio del suo miglioramento, et la prego ad haversi buon riguardo per lo avenire. Lett. 662. 28. Tra extant o quandoquidem loggosi, cancellato : quum hic illa nos. — <‘) Noli’autografo non ò figura alcuna. <*' Luca Vai.khio. • 164 29 LUGLIO 1611. [563] In quanto a quello elio V. S. me scrive delle pitture et del poema, si io conio il Sig. r Luca ci appigliatilo al suo consiglio, perchè, oltre al purgato giudicio che sappiamo che ha V. S., ella, che ò costì nel negotio, sa meglio gli humori, io et per consequenza conio si devono lo cose guidare. Dico bene a V. S. che il fa¬ vore elio io prencipalmente desidero da lei, è che rivegga il mio poema 10 con quella diligenza che sia maggioro et con occhio inimico, acciò che ella vi noti ogni picciolo erroro : et creda elio io lo dico davero, et che tutto quel male clic ella mo ne dirà io lo pigliarò a segno di gran bontà et di grande affettione, perchè il nostro Signore Iddio mi ha fatto grutia che io non sono inamorata punto dello miei coinpositioni, et mi ha fatto conoscere che sì come la stampa mostra il saper de gli huomini, così alcuna volta mostra il poco giudicio; là ondo io, che non vorrei incorrerò in simile errore, in propria catisa advocaltim (lucro. Riveduto poi che l’haverà V. S., so le parerà cosa conveniente, circa .alla 20 dedicarono potrà d 1 esso faro quello che piò le piacerà, chò io me rimetto in tutto et per tutto al suo sano consiglio. Il poema è fornito et reveduto, per quanto le mie debole forzo si sono potuto stenderò in picciol tempo, con i travagli domestici et con le continove malattie. È beno il vero che la rassegna de gli Italiani elio hanno da andare in aiuto di Scanderebech, non l’ho fatta, per non bavero a pieno determinato tutti coloro che vi vorrò mandare, et ancora per lasciare alcun loco [da] lodare alcun prencipe; sì che so V. S. mi manderà alcun[o] do’ suoi, io honorarò lo mie carte del nomo della sua casa, et ancora con buona occasione farò mentionc di V. S., come di cosa futura. Cotal rassegna non fa nulla 1’ haverla sospesa, perciò che a persona tanto so essercitata in simil materia, come io sono, sarà fatica do quindici o venti giorni. S’ attendo in tanto a rescrivere il poema, nel quale io ho molta fatica per haver a trovar chi lo scriva corretto: però potrà tardare alcun giorno; il che tornerà beno, chò si darà tempo a V.S. d’essere interamente sana, prima elio ella si metta a questa fatica. Et però la riprego che ella si governi bene et cer¬ chi tosto di risanarsi ; ot mi tenghi in gratia, et mi commendi, chò i[o] lo sono serva davero, et il mio Sig. r Luca servitore : et come tali, ambiduo facciamo a V. S. reverenza, che N. S. conservi et feliciti Di Roma, adì 29 di Luglio 1611. Di V. S. molto 111.™ Serva Affettinnatiss.™ 40 Margherita Sarrocchi do Biragh[i]. Fuori : Al molto Ill. r « Sig. r et P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 663. 10. gli huomori — <*> Cfr. u.° 221, lin. 28. 29 LUGLIO 1611. 165 [564] 564 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 29 luglio 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 80. — Autografa. Ul. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. n '° Per la lettera scritta da me a V. S. la settimana passata, Laverà inteso come rccevei la sua con l’inclusa per il S. r Crewonino, et Laverà anco liavuto la rispo¬ sta di quella. Mi piace eh’ ella sia ritornata nella pristina sanità. Fui uno di questi giorni dal detto S. r Cremonino, et entrando a ragionare di V. S., io lo dissi, così burlando : Il S. r Galilei sta con trepidatione aspettando ch’esca l’opra di V. S. Mi rispose: Non ha occasione di trepidare, perchè io non faccio mentione alcuna di queste sue osservationi. Io risposi : Basta eh’ ella tiene io tutto l’opposito di quello che tiene esso. 0, questo sì, disse, non volendo appro¬ vare cose di che io non ne ho cognitiono alcuna, nò 1’ ho vedute. Questo ò quello, dico, c’ ha dispiacciuto al S. r Galilei, eh’ ella non habbia voluto vederle. Rispose : Credo che altri che lui non 1’ Labbia veduto ; e poi quel mirare por quegli oc¬ chiali in’ imbalordiseon la testa : basta, non ne voglio saper altro. Io risposi : V. S. ìuravit in vcrla May i stri ; o fa bene a seguitare la santa antichità. Doppo egli proruppe : Oh quanto harrebbe fatto bene anco il S. r Galilei, non entrare in queste girandole, o non lasciar la libertà Patavina! Sopravencro alcuni, onde finissimo il nostro dialogo. Questa sua opra non uscirà se non quest’inverno 10 . Non faccia V. S. che le penetri eh’ io le scriva queste cose. 20 Di Germania non ho lettere, questa posta. La nuova della lettura Pisana ha sconcertato assai questi nostri amici (,) , che la speravano. Non si può far altro : si volteranno a quest’ altra {3 \ o se V. S. potrà farli qualche giovamento, non se lo scordi di gratia. Doppo quel noiosissimo caldo siamo stato alquanti giorni, con un poco di ven- tarello e certe pioggette, assai bene. Par che da beri in qua ritorni il caldo a rcpigliar le forze. Si sentono molti informi, ma però senza morte ; vi è un poco di sospetto di peste verso Trento, contra la quale s’attende a far buone guar¬ die e provisione. Lett. 504. 14. imbarlodìscon — 15. fa bene e seguitare — Invoco non fu data allo stampo elio nel 1013, mam llalionuni, MDCXII. col titolo: Disputalo de catto , in tres parte* divisa : <*' Cioè i fratoUi Hf.i.loni : cfr. n.° 446, liu. 84. de natura caeli, de mota cadi, de motoribus cadi ,s ' Cioè alla lettura straordinaria di Filosofia abstract!*. Adiecta est apologia dictorum Aristoteli* de nello Studio di Padova, alla qualo Camili.o Belloni via lactea, de /acic in orbe lumie. Venetiis, per Tho- fu chiamato un moso dopo. 166 29 - 30 LUGLIO 1611. [564-566] Li RR. Sandelli n Tignoria stan bene et a V'. S. barian le mani, sì come face’ io con ogni affetti, pregandole dal Signore compita felicità. Di Pad.", itili 29 Luglio 1611. Di V. S. III.™ et Ecc. m4 Sor.™ Aff. ra ° S r . Galilei. . Paolo Gualdo. Fuori : All’ 111.™ et Elee.® 0 S. r mio Osa.® 0 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 565 *. INNOCENZO PERUGINO a GIROLAMO PERUGINO in Roma. Perugia, SO luglio 1611. Blbl No*. Fir. Ku. Gal., Par. I, T. XV, car. 41. — Autografa. .... In materia delle novità del 8ig. r Galileo, ero informato della sua scrittura ^ man¬ data qua, o per ciò desideravo intenderò P opinione della Sig.™ Margarita 11 ; ma dalla vostra lettera ho conosciuto ch’ella è troppo affettionatu al Sig. r Galileo, onde si lascia trasportare più dall’ affettione che forai dalla verità. Qua sono molti di quelli occhiali, e con nessuno si vedono questo stravaganze ; onde i nostri, fin tanto che non vedano, non si possano indurre a credere novità così grandi, et in particolare come Venere possa andare sopra il sole, per essere tutta illuminata: oltre che il libro di Francesco Sitio W, pur Fiorentino, ci persuado il contrario, lo ragioni del quale sono molto probabili. Però sarò bene che la Signora lo veda, se non l’ha risto, e poi giudichi secondo che li dettarii il suo acutissimo intelletto : et avisatemi quello eh’ ella ne sente, perch’ io per bora non 10 ve ne dirò altro.... 566 *. GIOVANNI KEPLER a NICCOLÒ WICKENS fin WolfenbUttelJ. [Praga, luglio 1611). Riproduciamo questo capitolo di lettera dalle pag. 831 -832 dolio Spinoti» n d Ioann*m KtjrpUnm ecc. icriptae, ìntcrlù ad catdem rupontionibu* Kepleriani,, edito da M. 0. OiSaOM. .... Alind opus Mario ,l! sub manibuB esse, iucunda raihi auditiojsed festivum iuxta, tanto ipsum studio sibi caverò a porsonalibus, quasi res sit scandali piena et cum periculo coniuucta, aut quasi argumentis snis infamiam personis sii conciliaturus. Dico ego Mario, **' Intendi, il Sideretu Jfunciug. I* 1 Maruhkuita Sarrocohi. f *' La Alivola del Sizzl ,4 ' Suiori Mai*. LUGLIO — 11 AGOSTO 1611. 167 [566-567] non Keplorutn tantum et. Galilaeum, sed plerosque liodie mathematicos ex iis qui aliquid carne ponuut in sua professione, philosophorum profundissimos, plurimos medicos, non paucos iureconsultos, qui scilicet liaec studia inter deliciaa privatim babent, noe minus et ex theologis aliquos, pcnes me in numerato esse, buie haeresi mobilitatis terrae addictos_ Imprimis gaudeo, esse in Germania qui emù Italo Galilaeo in certamen veniat aporieudi nobis arcana coelestia, et rogo D. Tunm, adliorteris Marium, ut obtrectandi atfectus, 10 inter nationea usitatos, tanta diligentia cxcludat, quantum sibi cavendum statuit prius a personalibus : veritatis enim rea agitur. Galilaena Pragam acripsit ante menses aliquot, steli am Ganis non obtinere quinqungeaimam partem do quantitato Iovis<‘>. Opinor, discos, ut solot, inter se comparat, quorum diametri sunt in ratione septupla. Ilaec sunt Marii instituto piane consentientia. De Veneris cpàosoi Galilaeus, mense Novembri supcrioris anni, seripsit Pragam hoc aenigma linee immatura a me iam frustra legunlur o y : <*> ; post tres menses aporuit aenigma sic : Cynthiac figuras aemulatur mater amorum < 3> . Ecce consensum inter Galilaeum et Marium. Oportet Mario esso perfectissimum ex Belgio instrumentum, quali quidem ego careo; nani Itali perfecta sua nimis aestimant. Opinor, non neglectunnn esse Marium argumen- 20 tum, quod ex Ime illuniiuationis Veneris ratione extruitur prò Copernico, Bralieo, Urso, Capella, quod Galilaeus multa oum lestivitate explicavit literis Italicis, quae coniungentur, ut, spero, cuni mea Dioptrice<‘ 5 , quae Augusta© iniprimitur. Quod si interim consuli potest. IMarius, consulatur; ego enim liane opistolao Marianae particulam adiungam Galilaei lite¬ ris <*>, nisi diversum interea Marius a me petierit. Velini scirc, an et in Saturno novi quid agnoscat Marius. Gratulor etiam do inventis dnorum Iovialium satellitum periodis. Seripsit Galilaeus superiori Decenibri : Spero che haverò trovato il metodo etc. W Ego mensibus Aprili et Maio, instrumento non valdo ex- cellenti, quo supremam rarissime cernere potui, periodimi pene-supremi invenisse videor. Octo dieruni spacio circumit; Galilaeus sapremo dies, ni fallor, 15 dedit. Inventis duorum 80 motibus, oportet et reliquorum tandem inveniri posso, ope boni instrumenti.... 567 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 11 agosto 1611. Blbl. Naz. Fir. Mm. Gal., P. I, T. VI, car. 207. — Autografa. Ecc. rao Sig. r mio Oss. 1 ' 10 Havendo giù. per 1’ altra lettera sentito la sua indisposizione, nò havendone mai Lauto altra nuova, ne vivea non com meno martello di Lei che ella si fac¬ cia di me, et con molta più ragione, sì per la diferenza grande del merito, come O) Cfr. n.o 486, lin. 41-42. <*' Cfr. n.» 435, lin. 2-8. < s > Cfr. n.o 451, lin. 38. <*> Cfr. il.» 449, liu. 52. < 5) Cfr. 1. Kf.i'I.kiu occ. Dioptrice ecc., pag. 27-28. l fl > Cfr. il.® 435, liu. 13. 168 H A008T0 1611. [5671 ancho perchè sapete che qua Ordinariamente ci sono ogni giorno le quattro sta¬ gioni, onde ci dà sempre campo di qualch’ ora di respirazione ; oltre che ci ò due o tre volte piovuto, et allo intorno molte volte, onde Anno partorito molto refligierio ; sebene da quindici giorni adreto erano alati da venti giorni caldi ec¬ cessivi, dove io atavo in cupola a stillare. Sono stato alcuni giorni a casa in¬ torno a’ cartoni ; stamattina torno di nuovo ; et coni interponendo, vo di quando io in quando ripigliando un poco di fiato, fino che la conduca al fine, della quale sono a più dei due terzi fatto; et so non ave si da Sua Santità interroiupimento di alcuni quadretti, et dal Cardinale Uorgesi a Monto Cavallo mia sua logetta del suo giardino, che mi interrompono, tra due mesi mi sarei spedito della cu¬ pola, che mi pare millanni per veliere di che morte io ù da morire. Nel resto stiamo tutti allegramente, 1 1 Commino è del continuo imperatore, a cinque volte raffermato, e studili come un disperalo. Il Sig. M (immondo Coc- capani à sentito con gusto la visita del fratello 11 , il quale V. S, lo troverrà bo¬ llissimo giovano et ingegnioso in giribizzi di marchine; che se forse avesse at¬ teso, arebhe fatto buona riuscita. Ma è giovane rispettoso e timido; imperò V. S. 20 lo faccia carezze. Sento com molto gusto la conversazione che ella à «li cotosti gentilomini vir¬ tuosi, et imparticolare del Sig. r Filippo Salvia ti, al quale mi favoriscila baciar le mani. Mi piace grandemente; et se ella è poi travagliata da gente arrab¬ biata 10 , peggio saria se non se ne parlasse: però viva contenta, perché questi sono principii, un poco duri a chi ò incallito a credere solo quello che passa per la comune in giu[di]cat[o], et se ne ridono, nè vogliono le cose nuove nò vederlo nò credere, cor una massima, che quello che non à saputo nò detto Aristoti[le] ot Tolomeo et altri grandi omini, non può stare; come il Sig. r Luca 1 fieramente alla mia presenza, et una altra volta fuori di me, so che in difesa di V. 8. si so portò con certi satrapi noh[il|inente Ebbi dal segretario del Cardinal dal Monte la nota della domanda del 111." 10 Bellarmino fatta ai Gicsuiti nella quale restai molto maravigliato del giudi¬ zio del Padre Clavio intorno alla luna, eh’ ei dubiti della sua inegualità, paren¬ doli più probabile ch’ella non sia densa uniformemente. Ora io ci ò pensato et ripensato, nò ci trovo altro ripiegho in sua difesa, so non clic un matematico, sia grande quanto si volo, trovandosi senza disegnio, sia non solo un mezzo ma¬ tematico, ma ancho uno huomo senza ochi. Imperò, Sig. r Galileo, la verità à per suo propio, quanto più si rimesta, più presto si squopre : sì che rallegratevi delle perseguzioni ; basta che abbiate l'ochio che non vi impedischino il corso dei vo- (0 Lett. 507. 6. tempre campio — 10-11. di quando in quanto — 29. Toiomemo — <“ ICC* Valerio. ■»> Cfr. n.« 5-17. «•» Cfr. un.* 615 « 620. tM A S.» Maria Maggioro. i*> Giovanni Coooapani. < 3 > Cfr. Voi. IV, pag. 6-0. 11 — 13 AGOSTO 1G11. 169 [567-568] stri studi, il die vi si[a] sopra tutte le cose a quore, poi die la vita è breve. Et baciandoli le mani, le prego da Dio ogni felicità e contento. Di Roma, il dì li di Agosto 1611. Di V. S. molto 111." et Ecc. u,a Umilissimo Ser." Lodovico Cigoli. Fuori: Allo Ecc. rao Sig. ro et Patron mio Oss. n '° Il Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 568 * FEDERIGO CEST a GALILEO in Firenze. Roma, 13 agosto 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Qui., P. VI, T. Vili, car. 31. — Autografa la sottoscrizione. • Molto III." et molto Eoe. 10 Sig. r Oss. ni ° Non ho per ancora veduto la lettera di V. S. sopra le asprezze lunari (n : però mi credo esser ciò causato dalla assenza del Sig. r Card. 10 Gioiosa, e subito che ritorni, farò diligenza eguale al desiderio che ho di vederla. Il S. r La Galla non ha ancora compito il suo discorso (,) , del quale mi fece vedere la metà; et in essa, doppo haver difesa la verità del telescopio, perchè (come egli dice) potrebbe alcuno per le novo apparenze lunari credersi die la luna sia un altro globo terreo, et a ciò par che 1* opinione di Copernico faccia molto, che pone la terra quasi un’ altra stella mobile, egli si pone a confutar io detta opinione, disputando per li Peripatetici : nè altro ho visto sin bora. Le ho ben detto quel che V. S. mi scrive in questo particolare, et quello che m’ è parso: vedrò il resto, et poi glie ne darò raguaglio. Ho mostra la sua al S. r Demisiani, il quale li è più devoto che mai, et credo ben saprà dimostrarlo. Se uscirà cosa alcuna da’ PP. Giesuiti, o altri, a proposito, l’inviare subito a V. S., alla quale non son ineu desioso che obligato servire. N. S. la conservi; e le buccio le mani. Di Roma, li 13 d’Agosto 1611. Di V. S. molto 111." et molto Ecc. te Afì>° per ser. ,!t sempre 2 Q Fed. co Cesi Mar. 80 di Atout. 11 Fuori: Al molto 111." et molto Ecc. ta Sig. r Oss. mo 11 S. r Gallileo Galilei. Firenze. l») Cfr. n.« 655. (1 > Cfr. u.*> 573. XI. r 22 170 13 AGOSTO 1611. [6IÌ9J 5G9. GIO. FRANCESCO SAGREIX) a GALILEO in Firenze. Venezia, 18 aguato Itili. L* prima due carte dell’originala tono Dalla Bibl. Jf*t Fir. M*a. Gal.. F. VI,T. XIV, car. 18 lft.o giun¬ gono (tuo allo parola « lavorati In India di » ilio. nì»; 11 reato * nella Blbl. Sat. In Modena, Raccolta Campori, Autografi, B.» LXXXVIII, n.« 41. (jueat'aHiaa parte, eoupreee la data • la aot- toicriaione autografa, Tede ora per la prima Tolta la leee. Molto 111." Sig. r Eoe.** Iinayinatio facit casum. Il sabbato pausato feci una lista di tutti quelli a’quali volevo scrivere por dar loro uviso «lei mio ritorno. Tra questi havendo posto prima V. S. Ecc. m *, quando fui per essequire il mio intento, diedi principio a scrivere a certi dalli quali desiderava più tosto sbrigarmi, che occupare il mio animo nel tratenirmi con loro, et lasciai V. S. per ultimo, desiderando star un pezzo con lei. Ma tanta e cosi intensa fu la imaginatinne (anco mentre scri¬ vevo ad altri) di essere a ragionar seco, che, por Dio giunto, essendomi sopra ve¬ nuta la note, et havendo con molta fretta chiuso et espeditte le lettere, ho cre¬ duto liaver scritto ancora a lei ; fin che la domenica seguente, essendo a Consiglio, io incominciai a dubitare, et dopo lungo pensamento mi accorsi di haverle scritto per imnginatione, et non in effetto. Per gratia divina, il mio viaggio è riuscito felicemente per via di Marsiglia, di dove mi sono invilito per terra alla patria, et con questa occasione ho ve¬ duto molto città, con mio grande gusto ; si come anco qui ricevo piacere in ve¬ dere et avvertire tutte le fabriche et sitti, et ancora qualche usanza a ragion di huomo nuovo et forestiero, in comparationo delle altro città: et veramente panni che Iddio mi liabbia concessa molta gratia, facendomi nascere in questo luoco tanto hello et cosi dissimilo da tutti gli altri, che, per mio giudicio, chi havesse veduto tutto il mondo, trasferendosi poi qui, potrebbe esser certo di so vedere molte cose degne e non più vedute. Qui la libertà et la maniera del li¬ vore in ogni stato di persona panni cosa ammiranda, et forse unica al mondo. Perciò, mentre elio io consumo il tempo in pensare a queste cose, creda pure V. S. Kcc. ma che io son corso con l’animo subito alla sua persona, considerando che si sia partita di qua ; et le mie considerationi sono tutte fondate sopra il suo et mio interesse. Quanto al mio, io non vi trovo rimedio o consolutione sofeciente, perché dalla absenza alla presenza vi è tropo gran passaggio ; et si come in alcuni gu¬ sti, che ella mi intende, pare che con P imaginatione et con qualche manuale agiato P huomo gode in absenza quasi tanto come se fosse presente, non dimeno 30 13 AGOSTO 1611. 171 [569] è impossibile haver il gusto del trattenimento et della conversationc, con altri accidenti i quali sono quasi più essentiali che quell’ ultimo diletto che da quasi tutti viene reputato coinè ultimo line. Orsù, io mi posso ben imaginare di essere con il mio Sig. 1 ' Galileo, posso volgermi nella memoria molti de’suoi dolcissimi ragionamenti ; ma come è possibile che l’imaginatione mi serva per rapreson- tarmi et indovinar tante giocondissimo novità clic nella sua gentilissima conver- satione io soleva trarre dalla sua viva voce? Possono forse queste essere com¬ pensate da una letteruccia alla settimana, letta da me sì con molto gusto, ma scritta torsi da lui con troppo incommodo? In questo capo adunque, che è Ion¬ io dato sopra l’interesse mio, mi riesco la partenza di V. S. Eoe." 111 di inconsolabile et incompensabile dispiacere. Quanto poi a’ suoi interessi, io mi riporto al suo giudicio, anci al suo senso. Qui lo stipendio et qualche altro suo utile non era, per mio credere, in tutto sprezzabile ; 1’ occassione della spesa credo molta poca con assai gusto, et il suo bisogno certo non tanto clic dovesse meterla in pensiero di coso nuovo, per aventura incerte et dubbiose. La libertà et la monarchia di sò stessa dove po¬ trà trovarla come in Venetia? principalmente liavendo li appoggi che haveva V. S. Ecc. ma , i quali ogni giorno, con l’accrcssimento della età et auttorità de’suoi amici, si faceva più considerabile. V. S. al presente è nella sua nobilis- 50 sima patria ; ma è anco voro che è partita dal luogo dove haveva il suo bene. Serve al presente Prencipe suo naturale, grande, pieno di virtù, giovane di sin¬ goiar aspettatione ; ma qui ella haveva il collimando sopra quelli che comandano et governano gli altri, et non haveva a servire se non a sò stessa, quasi mo¬ narca dell’ universo. La virtù et la magnanimità di quel Prencipe dà molto buona speranza che la dovotione et il merito di V. S. sia agradito et premiato ; ma chi può nel tempestoso mare della Corte promettersi di non esser dalli furiosi venti della emulatione, non dico sommerso, ma almeno travagliato et inquietato? Io non considero la età del Prencipe, la quale par che necessariamente con gli anni babbia da mutare ancora il temperamento et la inclinatione col resto di gusti, co poi che già sono informato che la sua virtù ha così buone radici,- che si deve anci sempre sperarne migliori et più abondanti frutti ; ma olii sa ciò che pos- sino fare gli infiniti et imcomprensibili accidenti del mondo, agiutati dalle im¬ posture do gli Inumidii cattivi et invidiosi, i quali, seminando et alevando nel- P animo del Prencipe qualche falso et calunnioso concetto, possono valersi appunto della giustitia et virtù di lui per rovinare un galantuomo? Prendono per un pezzo li Prencipi gusto di alcune curiosità; ma chiamati spesso dall’in¬ teresso di cose maggiori, volgono l’animo ad altro. Poi credo che il Gran Duca possi compiacersi di andar mirando con uno de gli occhiali di Y. S. la città di Lett. 569. 40-41. di contclabile et incompcntibile — 1-4. npczzabile — •16-17. Tra potrà e trovarla si legge, cancellato, alcuno. — 64. valimi — 65. yuvtilia — yaluthuomo — 13 AGOSTO 1611. 172 [569] Firenze et qualche altro luoco circonvicino; ma se per qualche suo bisogno im¬ portante gli farà di mestiere vedere quello cho ai fa per tutta Italia, in Francia, 70 in Spagna, in Allomagna et in Levante, egli ponerà da un canto l’occhiale di V i a quale seben con il suo valore troverà alcun nitro stromento utile per questo nuovo accidente, chi sarà colui che possi inventare un occhiale por di¬ stinguere i pazzi da i savii, il buono dal cattivo consiglio, l’architetto intelli¬ gente da un proto ostinato et infiorante? Chi non sa che giudice di questo do- verà esser la rota di un infinito numero de inillioni di sciochi, i voti de’quali sono stimati secondo il numero, e non a peso? Non voglio più difendermi nel suo interesse, perchè già da prencipio mi obligai stare al suo giudicio et volere, fili altri ornici di V. 8. Ecc parlano molto diversamente; anzi uno, cho già era de*suoi più cari ', mi ha protestato80 di rinonciure alla mia amicitia, quando io havessi \oluto continuare in quella di V.S.: la quale, Bicorne non può ricuperare il perduto, cosi mi persuado cho sapia conservare l’aquistato. Ma quell’ essere in luogo dove l’auttorità degli amici del Borlinzone come ai ragiona, vai molto, mollo ancora mi travaglia. Se questo auttunno ella si lascierà vedere, sentirò grandissima consolatone. Di Levanto non ho portato nisauna cosa curiosa: solo ho un tavoliere et uno scrittorio lavorati in India, di fattura maravigliosa. Quattrini di là non si sono portati, anzi saranno certamente restati ben tremili© ducati de’ miei ; tutta via me ne contento, essendo sano alla patria, haver veduto qualche cosa di questo mondo. In India ho tenuta stretta corrispondenza con li fratelli do M. Rogo 1 ’ , oo et ho un altro picciolo registro da aggiongere a quello di Mad.- Anzula Co¬ lomba 0 ’. Vedo essere troppo lungo e tedioso: la settimana ventura sequirò il resto, et darò risposta allo suo gentilissimo lettere, hor bora rieeute. Et cordialmente me lo raccomando. In V.», a 13 Ag.° 1611. Di V. S. Ecc. ma De'iiderosiss. 0 di s. ,a S. r GalileoUio. F. 8ag. Fuori: Al molto 111.™ 8ig. r Ecc. m< ’ Il Sig. r Gal.° Galilei, Mathem.™ di 8 Alt ® Firenze. 83. 'iqiitnto — 86. yramUnitno — 0» Sebastiano Ykxixr. Cfr. n.° 590. •*» Cfr. n.» 185, lin 7. *** Intende, i Gesuiti. O) Cfr. n.« 246, lin. 20. 1,1 qiiMt' indiriuo »i 1*ggo appiedi dell* prima psginn, ci oh io quell* parta dell’ originale cho oggi è nei Mu. Galileiani doli» Blbliot«c» Nn/:louale di Firenze. [570] 18 AGOSTO 1011. 173 570 . MATTEO BOTTI a GALILEO in Firenze. Parigi, 18 agosto 1611. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 83. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111.™ et Ecc. mo Sig. ro mio Oss. n, ° riavendo io presentato alla Maestà della Regina (l) lo strumento di V. S., ho fatto vedere a S. Maestà che è meglio assai d* un altro che era venuto prima li) , forse non così ben condizionato. S. M. tà n’ ha havuto gran gusto, et si è messa lino a ginocchioni in terra, in presenza mia, per veder meglio la luna. Gli ò pia¬ ciuto infinitamente, et ha aggradito assai il complimento che io ho fatto in nome di V. S., il quale è stato accompagnato da molte suo lodi, non solamente dalla parte mia, ma dalla parte di S. Maestà ancora, che mostra di conoscerò et di stimar V. S. com* ella merita. Et io vorrei poter bavere occasione di servirla, io come io ho desiderato sempre, et come mi par d’essere in obligo non solamente alla buona volontà che mi ha sempro mostrato, ma ancora alle sue rarissime qualità. Et pregandole da Iddio ogni maggior contento, le bacio con molto af¬ fetto le mani. I)i Parigi, li 18 di Agosto 1611. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. mft Monsig. or Bonsi (,) m’ha detto elio alla Fleccia, dove è quel grande Studio di Gesuiti, et dove uno de’ suoi nipoti ha un di questi strumenti, si è fatto grandi osservationi sopra a quel che V. S. ha scritto 20 in questo proposito, e tutto ò stato approvato per verissimo. Rer.™ Aff>° S. or Galileo Galilei. Matteo Botti. Fuori: Al molto Ill. ra et Ecc. m0 Sig.™ mio Oss. lno Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. Lett. 570. 4. n' Ancufo — gina. *•> Maria de’Medici. <*) Ofr. li.® 35)4. ,s > Gio. Battista Bossi, olomosiniero (lolla Ro- m 16 — 20 AOOttTu 1611. [ 571 - 678 ] 571 ** MATTEO BOTTI a COSIMO 11, Granduca di Toscana, in Firenze. Parigi, 18 attuato 1811 Arch. di 8tato in Flrcnie. File* Medierà 1624. rar. TJO. — OrifinsU, o In piti* autografa. I rapitoli che pubblichiamo non sono autografi. ....È cosa di tanto stupore rallegrati» che fa S. M.* d’ogni eoa» clic li venga da V. A., che hiersora hebhi guato grandissimo che ri fu ♦« presento Mona/ Donai, quando gli mostrai l’occhiale del (ìalilei et il disegno di mattoni di Montelupo. Quando io ar¬ rivai al Lovro, Su» Maestà era tornata di fuor» e f»c«v» qualche servizio necessario nel piccol gabinetto: io feci intanto mettere aopra la tavola del gabinetto grande l’occhiale et il disegno. Sua M.* venne là con la Marche*» di Garritili e subito guardando verso la tavola, mi disse: che cose ton quello? voi venite sempre a rallegrnrme con qualcosa. E mostrandogli io il disegno del pavimento, Sua Maestà si fece dar da sedere, e ne foco tanta gran festa, e tante coso disse, e tanta sodisfaxion ne mostrò, che. come sopra ho detto, hebhi gusto grandissimo che Monsig/ Bonsi vi fu ri presenta, perché non vi era 10 quasi nessun altro: e creda V. A. che senza quatto testimone io mi vergognerei a diro che S. Maestà non harebbe potuto mostrare maggior gusto se i mattoni fuiain arrivati e fussin tutti di diamanti, rubini e smeraldi; et a detta sua, quinti pavimenti hanno a essere una dello bello cose di Francia.... Doppo questo, 8. Maestà si rizzò e prese con molto gusto l’occhiale del Galilei, et amiamo a una finestra; et quivi 8. Maestà si messe fino ingi- nocchioni in terra, per veder meglio la luna: lo lodò assai, e disse che era meglio del¬ l’altro. Rizatasi in piedi, cominciò a passeggiar con me per il gabinetto, e si durò tanto, sebeu venne il Re e molti Signori, che fu più d* una grossa hors.... 572 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Ruma, 20 agosto 1011. Blbl. Nas. Fir. Usa Cai., P. VI, T. Vili, car. 85. — Autografa la sottoeerlii' na. Molto 111." et molto Ecc.** S. M Oss. m# Il Sig. r Lagalla non m 1 ha per ancor mostro il restante della sua opera, o tutt.’ hoggi habbiamo in terzo, con il S. r Terentio l ‘\ discorso sopra la sua opi¬ nione: dice ne scriverà a V. S. Non siamo stati però sin hora bastanti a rimo¬ verlo dalla sferale perfettione Peripatetica. 11 libro, che si stampa qui, solo ho <“ Giovanni Scusici, il cui eognoms fu latinizxato iu Tiauxrius. | 572 - 573 ] 20 — 23 AGOSTO 1G11. 175 potuto sapere esser pieno di tavole, di numeri, forse per i calcoli di Pianeti Medicei. Devo, per ogni buon rispetto, essortar V. S. a dar quanto prima in luco il supplemento del suo Euntio Sydereo. Ella non lia ancor scritto cosa alcuna io della cornuta Venere e del tripplice Saturno. Faccialo, per gratia, quanto prima, acciò i suoi figli non trovino qualche sfacciato padre che ardisca adottarseli ; chò se bene ciò infelicemente gli riuscirebbe presso gl’ liuomini di giudicio, pure sarebbe con qualche applauso de gl’ emuli et invidiosi della virtù. Sollecito il S. r Porta, et procuro di veder la lettera dello cose lunari ll) . Baccio a V. S. la mano, et me le riccordo non meno desioso che obligato di servirla. N. S. la conservi. Di Roma, li 20 d’Agosto 1611. Di V. S. molto Ili. 1 ' 6 et molto Ecc. t0 AlF. mo per ser. ,Jl semnre 20 Fed.°° Cesi Mar. so di Mont. 11 Fuori: Al molto 111.' 6 et molto Ecc. ta Sig.*' Oss. 1 " 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 573 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze, lloma, 23 agosto 1611. Bibl. Naz. Fiv. Mss. Gal., 1*. 1, T. VI, cnr. 209. — Autografa. Ecc. mo Sig. r mio, È tornato di Bolognia uno molto virtuoso Monsigniore il quale dice che il Magino à audio esso uno ochiale, et che non fa mai altro che mirare la luna et le stelle, ridendosi di questi bachiochi die dichino eli’ elle non ci siano, et di questi non ne tiene conto nissuno ; et già vedetelo che non diede risposta a quello che già io scrissi a V. S. di Roma. Dice anello che poco importa 1’ avere o non avere scoperto prima queste cose, ma che bene importa ora il trovare il corso di queste quattro stelle di Giove, et che in questo sarà tutta la lode, nel quale lui, per ritrovar, fa del continuo le sue osservazioni con continua dili- 10 genza, e spera in breve di conseguire il suo fine ; et questo Mons. ro se lo crede, perchè dice essere del Magino sua propia professione più che di nissuno altro. m Cfr. u.° 1)55. < s > Gio. Battista Agucchi 170 23 ÀL.08TU 1611. m) Imperò V. S. solleciti, perchè, sebene io ò detto che la gli à ritrovati, nondimeno, come homo di poca autorità, non mi danno fede; si che sollecitate, nè vi ritardino cotesti malefici, acciò che il Magino otl altri non vi trapalino, m[a] Biate il primo, al come siate stato allo scorgerli, et in questo et in altro, al come spero in Dio le abbia da sucedere : ilei die ne lo prego, come per mio servigio propio. Ò inteso come con il Pippione ’ la aveva, in casa il Sig. r Nori ’, a venire alle mani, dove egli non è poi comparso. Non so se del passato venisti mai alla dicisione: di grazia, avisatemi; et vi ricordo a venire una volta sola, et poi le- varve[....] da torno, et aU-mlore con quelli che sono già famosi e noti al mondo 20 a concorrere, perchè cotesti ucellacci si vogliono far luogho, non per valore pro¬ pio, ma per la elezione del rivale, Però protestatevi che i>er una volta farete buono, ma che poi di grazia badi a fare i fatti suoi ; et fatela publicha, et non solo colle semplice pratiche, ma principalmente con le buone teorico, acciò poi non vi possino mordere chome fanno, acciò sia manifesto per sodisfazione et do¬ gli amici et del Principe; nè gli dar poi più orechia, ma attendere ai suoi studi et a ritrovare i periodi dei quattro Pianeti, b1 come fa il Magino, reputando che in questo stia tutto 1’ onore, et non nella prima scoperta. Ora, avendo sen¬ tito, non ò, come amiche e servitore di V. S., volsuto mancare del’ohligho mio di darli conto di quello che segue. 80 Il Sig. r Luca Valerio, la Big/* Margerita et quel pretino virtuoso, segretario di Monsignior Dal Borgo, la saluta, cioè il Sig. r Murici....]; et io con questa le bacio le mani. Di Roma, il di 23 eli Agosto 1611. Di V. S. Ecelentissiuia. V’ ò volsuto scrivere già più volte a V. B., ch’ella di grazia mi faccia le soprascritte sem¬ plici, et non di eminenza sopra gli altri, perchè bì aquista più tosto delle invidie, et in cambio di gio¬ vare nuochano. 40 Afi>" Serv.*^ Lodovico Cigoli. Fuori : Allo Eccel. mo Sig." et Patron mio Oss."° [I1J Big. r Galileo Galilei, in Fiorenza. Lett. 573. 89. inviti• — (l ' Lodovico diu* Colosibr. CO-. Alcuni «ritti inediti di Galileo Galilei, tratti dai manotcritti della Hiblioteea Nazionale di Firenze, pubblicati pii Mo¬ strati ila Antonio Kayaro (UulUttino di biUioyrMjia 1 di itoria deli* «Unte matrmalicAe • /Uicht. Tonio X\ 1, png. ICO 171). Homa, tip. dello ideino uiatouiatiche • ftalcho, 1888 . **» PtAKCMOO NOU. 27 AGOSTO 1611. 177 L674J 574 *. MARGHERITA SARROCCHI a GUIDO BETTOLI [in Perugia]. Roma, 27 agosto 1611. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gai., F. VI, T.X1V, car.33. — Fuori, al posto dell’ indirizzo, si logge, della stessa mano elio scrisse la lettera: * Copia della risposta scritta dalla Sig. r * Margherita Sarrochi al Sig. r Guido Bettoli»; o piu sotto, di mano di Gai.m.ro: « Tratta dell’occhiale e de’ nuovi scoprimenti ». Tuie copia ò dolla mano stessa dalla qualo la Sakkocgui fece scrivere parecchie dello lottare a Galileo. IU. re Sig. r mio Oss. ,DO Ho recivuto la di V. S. de 4 d) di Giugno, che ini è parso un miracolo che me sii capitata così tardi, poiché ogni ordinario io mando alla posta del Papa, et la lettera non la recevetti prima di hieri; et però non se maravigli se ancora io tardi le rispondo. Gli è vero che due mesi sono n’ hebbi una da un frate, alla quale non resposi, per irritrovarmi in letto ammalata et perchè il Sig. r Luca W scrisse a V. S. che per saper la mia opinione ne domandasse a Padre Innocentio del’ordine di S. t0 Agostino, che sta costì in S. tB Ma¬ ria Novella. Hora le dico a V. S., che tutto quello che se dice del ritrovamento delle stelle del Sig. r Gallileo è vero, cioè che con Giove son quattro stelle erranti con moto proprio, 10 sempre egualmente distante da Giove, ma non fra di loro ; et io con li proprii occhi 1’ ho vedute mediante l’ochiale del Sig. r Gallileo, et fattele vedere a diversi amici: il che tutto il mondo il sa. Con Saturno sono due stelle, una da un lato et 1* altra dal’altro, che quasi lo toccano. Venere, quando si congiunge col sole, si vede illuminare et diventar, come la luna, corniculata, infino a tanto che la si vede poi tutta piena ; et mentre si va [em¬ piendo, appar minore, chiaro segno, anzi demostratioue geometrica, che ella s’ aggira in¬ torno al sole; et quando è piena, gli è sopra, et per la gran distanza appar minore: questo, dico, si sa per demostratioue geometrica, poi che non può apparir piena per oppo- sitione che liabbia col sole. Molti matemateci grandi, et in particulare il P.re Claudio col l’.rc Gambergero W negavano questo da principio, et dipoi si sono disdetti, essendosene 20 certificati, et ne hanno fatte publiche lettioni. Quanto poi che cotesti Signori dello Studio et Achademici non habbino scritto con tra al Sig. 1 ' Gallileo, io lo credo, et lo farò sapere al Sig. r Gallileo ; anzi gli mandarò la let¬ tera di V. S. In tanto V. S. gli assicuri che il Sig. r Gallileo, oltre alla sublimità dello in¬ gegno mirabile che ha, ò di tanta buona conditionc, che quando ancora eglino gli havessero scritto contra, s’ acquetarebbe ad una minima loro scusa, essendo che egli non pretende altro che giovare al mondo ; chò se fusse avido di haver fama, ne può haver molto mag¬ giore da molte singolari compositioni che egli in diverse scientie ha fatto. Lett. 574. 8. fiora la dico— Gl II rns. lift 14. Cfr. n.° 587. < 3 > Intendi i PI'. Clavio o Grikkbekgf.u. •*' Luca Valerio. 21 XI. 178 27 ÀG08TO 1° SETTEMBRE 1611. [574-57(1] Questo ù quauto ini occorre dire in risposta della sua domanda: del resto la rin- g ratio del cortese affetto che ella dimostra verso di ino, et dell# lodi che, oltre al m j 0 merito, mi dà; et cosi la prego a vaierai di me in ogni tua occomnua, chè mi troverà 30 prontissima et grata alla sua lmona voluntà. N. N. la guardi. Di Roma, u dì 27 di Agosto Itili. 575 *. INNOCENZO PERUGINO a QIROI AMO PERUGINO in Roma. Perugia, 27 agosto 1611. Blbl. Naa. Fir. M*s. (lai., P. 1, T. XV, car. 43. - Autografa. Girellatilo Carissimo, Ilavrei prima d’hora dato risposto alla gratissima vostra, ma il duino di non fare sdegnare la Sig. r * Margarita 0 in’ ha trattenuto, l’or tanto li direte ch’io ho scritto quelle cose per imparare, e non per contradirli, onde non dorerebbe sdegnarsi, ma considerare che cosi si ritrova meglio la verità; et poi unn novità tanto grande non può cobì alla prima esser riceuta da tutti, massime eh’ ha ddlicultà più eli’ ella non pensa, come alla giornata si mostrurà da altri dotti anco in geometria con figure geometriche: e già vi è chi vi scrive, e ai farà vedere a tempo debito; onde giudico mal fatto il chiamare igno¬ ranti e vulgari quelli che non aono dell’opinione del Galileo. Io non fo questa profes¬ sione, nò mai ho studiato geometria, ma ho una semplice infarinatura d’astrologia; con lo tutto ciò, fin che non vedo la cosa più chiara, l’intelletto mio non si può acommodare a capire questa novità; e questa forai sarà una di quelle opinioni stravaganti che In Signora m’ha praedotte nella mia genitura: e quel che più importa, non sono Bolo. Per tanto mi scusi, chè quando havesai veduto, come havete fatto voi, non sarei così incredulo: oltre che per quosto mi doverebbe lodare, 0 nou biasimare, dicendo Salomone : Qui cito credit, levìB est corde .... 570 . GALILEO a CRISTOFORO GRIENBERGER [in Roma]. Firenze, 1® settembre 1611. Riproduciamo quo.ta lettura, dulia quale non conotciamo alcuna fonte manoscritta, dalla prima «lampa, elio ò noi Voi. 11 dell'bdiziono Bologne»» dolio Opere di Qalilro, dove forma uu opiucolo col fronte¬ spizio: « Lettera del Sii/. Galileo Galilei al Padre Ckriet-foro Grimi*r Cfr. n.« 6I&. 1 ° SETTEMBRE 1611 . 179 [ 676 ] sono stato in letto ammalato, il cumulo delle lettere arrivatemi da diverse bande si è fatto così grande, che mi tiene sbigottito come e quando io possa rispondere a tutte; rendendomisi di più tal debito difficile in una convalescenza molto languida, et da gl* estremi et in¬ soliti caldi travagliatissima. Aggiugnesi che molte delle dette lettere, come quelle che contengono alcune difficoltà promossemi intorno allo io cose scritte et osservate da me, ricercano non solamente necessarie, ma assai lunghe, risposte ; et forse ne bavera V. R. già veduta qual¬ cheduna costì in Roma (1) . Ho differito di mano in mano più il rispon¬ dere a quelli amici, della cortese familiarità de i quali mi pareva poter prendere maggiore sicurtà ; per lo che non diffido da lei scusa e perdono della dimora et silentio tenuto per questo tempo, et tanto più, quanto mi bisognerà essere alquanto prolisso, volendo, se potrò, dar sodisfattione a i dubbii del molto R. P. Gioseffo Biancano, et del- l’altro molto R. P. autore del problema De lunamim montium altitudine™ \ per il quale uffitio male la mano, e peggio la testa, mi haveriano 20 ne i passati giorni servito. Ho veduto la lettera del P. Biancano scritta alla R. V. <;5) , et ne ho preso partieoiar contento, scorgendo in essa non solamente la continuata affettione di S. R. verso di ino, ma il dispiacere che mostra essersi preso per le mordacità che in più di un luogo pone contra di me nel sopranominato problema il suo autore, le quali, per confessione di S. R., sono fuori della ragione et del mio merito, anzi rendono sospette di simulatione et fìntione lo altre parole che paiono esservi poste in mia lode ; perchè non è nis- suno così semplice, che non intenda come le laudi possono essere per ironia o per adulatione, et insomma con affetto di animo contrario so a quello della lingua, profferite, ma non già i biasimi o gl’ insulti, li quali sempre procedono ex corde. Et se bene, considerata 1 ’ occa¬ sione delle rampogne in se stessa, io potevo senza pregiudi tio alcuno della reputatimi mia disprezzarle e trascurarle, essendo pur troppo chiaro, a chi haverà veduto il mio Avviso Astronomico et il detto Problema, quanto immeritamente mi erano opposte ; tuttavia rispetto al luogo onde elle escono, et a i luoghi dove furon pronuntiate et inviate, non conveniva che io le trasandassi o dissimulassi : perchè l’attesta- Lett. 676. G. possa risponde — 24. pone coira — <‘l Ofr. nn.‘ 532, 555. <*> Cfr. ij.° 546, Un. 8. <»> Cfr. n.° 541 180 1* SETTEMBRE 1611. [576] tione ili uno do i Frattelli ili uua Congregationo, per somma scel¬ tezza eli lettere et perfettione di dottrina già fatta di assoluta auto¬ rità nel persuadere et arbitra nel determinare circa i particolari di io tutte lo scienze, deve essere stimata non poco ; e tanto più, venendo pronuntiata in publici concorsi di litterati, et mandata sino nello Home, cho tanto ò quanto nel cospetto del mondo tutto : onde pare elio ili non minor difesa mi fosse necessario cho ili quella di alcuno do i medesimi Fratelli, quale è il Padre Biancano, la R. V. et qual¬ che altro professore del vostro famosissimo Collegio. Per quanto dunque aspetta a questa parte, io resto infinitamente obligato al P. Biancano, et dispiacerai che la lettera, la quale S. II. accenna havermi già scritta, si sia persa, nè mi sia pervenuta in mano; il qual disordine mi haverà, senza mia colpa, fatto apparire poco diligente so in rispondere a i debiti che ho a S. U. Quanto poi all’ altra parte della lettera, dove il P. Biancano mo¬ stra di concorrere con P autor del Problema in haver duo difficultà nello cose determinate da me circa la (£ ; cioè, che io con methodo impossibile habbia tentato di misurar lo altezze ili alcuna delle emi¬ nenze di quel corpo ; et P altra, cho falsamente et senza alcuna ne¬ cessità habbia creduto e posto che lo dette eminenze si distendino sino all* estrema visibile circonferenza di essa Q > già cho le mede¬ sime difficoltà sono anco scritte nel Problema, tenterò di solverlo nell 5 esaminare unitamente anco le altre cose che in osso Problema eo mi sono scritte contro : se bene in effetto et essentialmente niun’ al¬ tra contrarietà vi ritrovo, eccetto che alcune tagliate di parole vee¬ menti, pronuntiate forse per agumcnto del suo credito et diminutione del mio ne gl’animi de gP uditori, di quelli però cho non havessero veduto il mio Avviso Astronomico ; perchè qualunque veduto lo havesse, haveria ben anco riconosciuto come il detto Problema, e nel tutto et in ciascuna sua parte, è P istesso a capello, senza pure un minimo punto di più o di meno, che quello che scrivo io nel mio Avviso : et non posso a bastanza meravigliarmi che un Padre, ripieno di tanta eloquenza, di tanta dottrina e, come io stimo, ornato ili ottime qua- ?o lità et santissimi costumi, si sia indotto a voler impugnare un tro¬ vato di altri come mal fondato et mendoso, et a palesarlo per tale col porgliene a fronte un altro perfetto et, come diciamo, nunicris 42. pronuiiata — 46. ColUggio — 1 ° SETTEMBRE 1611 . 181 [ 576 ] omnibus absolutum, et elio poi in ultimo non si vegga produrre altro che T istessa cosa ad unguem biasimata e condannata. È il primo assunto o fondamento del Problema, che le eminenze nella (Q siano veramente reali, et non fittitie ; il che prova con una ragione presa da una certa esperienza. Io dico Pistesso nell’Avviso, et con la medesima esperienza puntualmente lo dimostro. so Suppone nel secondo luogo, che la circonferenza estrema della (£ non habbia di tali eminenze, ma sia perfettamente circolare. Or que¬ sto pare veramente che sia detto più per un poco di occasione di tassarmi, che per bisogno che ve ne sia per fabricar la dimostra- tione, la quale di tal principio niente si serve nè può servirsene, già che in essa circonferenza tali eminenze non si scorgono ; et il me¬ desimo autore, nel fabricar la dimostratione, imagina un altro cer¬ chio massimo, il quale, passando per il vertice dell’ eminenza da mi¬ surarsi, seghi ancora le parti più depresse et, come diremo noi, le pianure di essa (^. 90 Or qui voglio, prima eh’ io passi alle altre considerationi, fer¬ marmi alquanto, et tentare di purgarmi appresso P autor del Pro¬ blema, se mai occorrerà che S. R. possa veder questa lettera, dimo¬ strando che per avventura non (come esso scrive) lapsus est Galileus, quoti, mdlis rationum momentis coactus, lunarem sphaeram montuosa super¬ ficie uitclcquaque circumambiri wluerit : itaque, in maximas difficultatum angustias coniectus, ca r espander e conatus est, quae cum magis in laqueos inducant qiiam eximant. Ac nos ipsi multiplex ac maximum ratimum agmen brevi qmclarn comcntariolo, memoriae atque exercitationis grafia, explicuimus, quos cius rationes labcfactari ac profligari nccesse est (il . Dispiacerai bene ìoo di non haver questo tali ragioni et obictioni, per potere o rispon¬ dergli, o cedendo quietarmi et mutar opinione ; et se per mezo delia R. V. mi potesse succedere di vederle, gliene terrei obligo particola¬ rissimo. Ma tornando al caso, dico che non senza niuna ragione mi son mosso a dire elio le asprezze della superficie lunare si estendono sino all’ ultima visibil circonferenza, anzi pure che et la ragione et anco in parte il senso mi persuadono a ciò credere ; perchè, scor¬ gendosi come la parte più chiara della (£ è ripiena di montuosità, 80. nc secondo — 5)5. und quoque < l > Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 304, liu. 80-36. 182 1° 8ETTEMBRE 1611. [576] dovo elio lo gran macchie no hanno pochissime, et essendo che esso partì chiare ni dilatali sino all* ultima viaibil circonferenza, alla quale non si vede elio arrivino lo gran macchie, perchè non devo io con no ragione erodere che anco quella parte sia montuosa? Rispondo 1 ’ autor del Problema : Apparent in ea (£ facie, quae terras aspicit, tumorcs ? est igitur ratio cur eoe inibi esse affirmmus. Km ap¬ parent in extrema periphaeria ? non est igitur ratio cur cos inibi esse af- firmemus ; cum si inibi csscnt, nulla suffidens ratio prohibcat rjuin appare- reni c,) . Ma io domando al Padre, come ei fa a vedere che nello parti di mezo della (£ vi sono eminenzo? Mi risponde nel Problema : per¬ chè vede alcune cuspidi nella parte tenebrosa, vicine al confine della luce, illuminate, benché interamente separato da essa parte lucida. Hora io metto in consideratane a S. II., come simile effetto non può 120 accadere, nè havor luogo nelP estrema circonferenza, nè meno nello parti assai vicine a quella, et ciò por duo ragioni : prima, perchè (piando il confine della luce è vicinissimo all'estrema circonferenza et elio la parte oscura della (£ è verso noi, allora le parti montuoso della © hanno la parto illuminata avversa a noi, ot ci volgono l’oscura, onde i loro vertici solamente un poco per fianco potriano farciti visi¬ bili ; ma ciò ò anco impossibile, quando bene fossero tutti lucidi, per la seguente seconda ragione : cioè perchè gli spatii et intervalli te¬ nebrosi o bassi, elio separano lo cuspidi illustrate dal confine del lume, restano invisibili a noi nelle parti estreme della luna mediante 130 la loro bassezza e lo sfuggimonto et il vedersi, come dicono i per- spettivi, in scorcio P ultimo parti della superficie lunare, che piegano verso P estrema circonferenza, por lo che tali cuspidi devono apparire attaccate e congiunte co’ i lumi vicini posti sopra P istosso termine e confino della luce ; il elio non accado quando il detto confine passa sopra lo parti più interiori del disco lunare, dovo i raggi dell’ occhio, cadendo meno obliqui, comprendono benissimo lo separatioui di tali cuspidi luminose dal contine delle tenebre. Non vai dunque l’illatione del Padre : Apparent tumores in medio V ergo ibi sunt : non apparent in circumferentia ? ergo inibi non sunt ; perchè non ci ù ragione per la no quale nella circonferenza devino apparire. 115 110. prohibcat tpti upparereut — 131. hautxa* a e lo e/uggimtnUt 131). tunt ergo non apparent — 0» Cfr. Voi. Ili, l’ar. I, pag. 301, lin. 24-38. 1° SETTEMBRE 1611. 183 [576] Soggiungo : Scrive il Padre : Apparali in © fu eie, qiiae terras aspi¬ di, tumores ? Rispondo io di no, et dico che i tumori et eminenze della (come eminenze) non solamente non si veggono o possono vedere da tanta distanza, ma non si scorgerebbero nò anco dalla vi¬ cinanza di 100 miglia ; sì come i nostri colli et le maggiori montagne niente si discernerebbero sorgere da i piani, da un’ altezza e lon¬ tananza di 50 miglia et di meno ancora. Como dunque sappiamo noi, la (Q esser montuosa? Lo sappiamo non col semplice senso, ma ir.o coll’ accoppiare e congiungere il discorso coll’ osservationi et appa¬ renze sensate, argumentando in simil guisa. La linea od arco che distingue la parte oscura della dalla illuminata, si vede crestata, sinuosa, merlata et in somma inequabilissima ; adunque ella non può esser termine dell’ illuminatione in una superficie sferica, tersa et eguale, ma sì bene di una montuosa et ineguale. Di più, veggonsi nella parte illuminata della (Q moltissime macchiette negre et assai maggiori, più frequenti et più oscure vicino al confine della luce che più lontano ; veggonsi in oltre tutte le dette macchie oscure di¬ stendersi verso la parte opposta all’ irradiamone del sole, et circon- ìoo date verso la parte del sole da alcuni dintorni più chiari che le parti circonvicine, et di altri simili dintorni ancora dall’ altra parte oppo¬ sta, dopo i quali seguitano alcune proiettioni oscure : et tali macchie si vanno diminuendo secondo che il confine dell’illuminatione va procedendo avanti, cioè secondo che il sole più se gli eleva, sì che finalmente si perdono del tutto et si anni¬ chilano, restando nel plenilunio lucida ogni parte ; et all’ incontro, nel voltar del sole et nel decrescer la tornano a vedersi vicino ito al confine della luce altre simili macchie negrissime, le quali nell’ abbassàrsegli il solo vanno allungandosi, mostrandosi parimente circondate da alcuni dintorni molto lucidi. Et finalmente, dentro a la parte non illumi¬ nata di essa (£), alquanto lontano dal termine della luce, appariscono in guisa di stelle alcune particelle illustrate, le quali crescendo appoco appoco si vanno a congiugnere col termine 142. Apjterent 1° SETTEMBRE 1611. 184 [576] della luce, che parimente camina verso ili quelle, quando però la (£ è crescente ; et per 1 ’ opposito, nella decrescente simili stellette si separano più e più, et finalmente si estinguono e si perdono. Ma tali iso accidenti et apparenze in niun modo possono accadere in una super¬ fìcie sferica, che sia liscia et eguale ; ma ben rispondono ad mguem in una ineguale e montuosa: adunque con necessaria dimostratione ai conclude, la superficie lunare esser piena di eminenze et bassure. Queste sono le apparenze e fenomeni, li quali fatti, suppositioni et ipotesi del discorso, necessariissimamente convincono altrui a tenere senza niuna dubitatone che la superficie lunare, che riguarda verso la terra, sia montuosa et ineguale. Ma che simili montuosità et pro¬ minenze fossero a noi visibili (rimosse le narrate mutationi di om¬ bre o di lumi) mediante il loro sporgere et rigonfiare verso la vista m nostra, è del tutto impossibile ; sì come apertamente si scorge nelle parti di essa superficie lunare lontano assai dal confine del lume, et in tutta la medesima superficie nel plenilunio, quando per esser dall’ altezza de i raggi solari sopra essa superfìcie tolte tutte le om¬ bre, et ripiena di luce tutta quella superficie che ò esposta alla no¬ stra vista, ci si rappresenta solamente un piano di parti egualmente distese. Hora, perchè delle sopranarrate apparenze di lumi et om¬ bre, quando bene, Bicorne io assolutamente credo, siano ancora circa 1 J estrema circonferenza non meno che nelle parti più interne, niuna può in modo alcuno da noi scorgersi e distinguersi ; però niuna 200 coniettura, inditio ed argomento ci possono elle somministrare dell’es¬ sere o non essere la detta circonferenza montuosa. Et che le narrate varietà di ombre et lumi non possi no nell’ estrema circonferenza da noi vedersi (ancorché realmente vi siano quando la (£ è vicina alla congiuntione col solo, et anco nell’ istessa oppositione e plenilunio), procede dallo sfuggimento et inclinatione della sferica superficie lu¬ nare, sopra la quale i raggi della nostra vista niente si elevano ne gl’ istessi toccamenti che si fanno nell’ estrema circonferenza, et pochissimo si inalzano sopra le parti ad essa ultima circonferenza vicinissima ; onde le ombre, che solamente occupano le parti più 210 depresse et circondate dallo eminenze, ci restano totalmente ascose, et le cuspidi luminose, benché separate dal confine della luce, ci ap¬ pariscono congiunte con quello, restando gli spatii tenebrosi et bassi, che tra esse cuspidi et il confine della luce s’interpongono, non toc- 1° SETTEMBRE 1611. 185 [576] cati da i raggi della vista, e per tanto invisibili a noi. Io dichiarerò con una particolar dimostratione più apertamente l’intention mia, et ciò non per intelligenza della R. V., che so che anco il detto sin qui è a lei et a’ suoi simili superfluo, ma per meglio esplicarmi a qual¬ che altro che non lusso esercitato nella prospettiva quanto bisogne- 220 rebbe, se per accidente questa mia lettera gli pervenisse alle mani : però S. R. et gli altri suoi Fratelli intendentissimi mi perdonino et scusino se io troppo mi diffondo. Dico dunque, che qualunque volta una superficie ineguale e mon¬ tuosa viene illuminata dal sole o da altro lume particolare, sì che vi restino le eminenze illustrate et le bassure tenebrose, il sole, o chi nel sole fusse collocato, assolutamente non vedrà alcuna delle parti ombrose, ma solo le illuminate ; perchè procedendo in tal caso i raggi della vista et della illuminatione per le medesime linee rette, nò po¬ tendo esser ombra dove arriva il raggio illuminante, adunque niuna 230 delle parti oscure potrà esser veduta ; ma bisognerà che per vederlo il raggio visuale si elevi sopra la detta superficie più del raggio so¬ lare: come nella presente figura si scorge, sendo il punto 0 il luogo del corpo illuminante, e la super¬ fìcie montuosa BC, le cui eminenze vengono illustrate, et le parti basse restano adombrate. Qui è mani¬ festo, che V occhio posto in 0 non vedrà alcuna delle ombre della superficie BC, avvenga che i suoi raggi procedino con quelli del corpo 240 illuminante ; ma per veder le parti ombrose ò necessario che 1 ’ oc¬ chio si elevi sopra i raggi luminosi, come per esempio nel punto A. Dico di più, che quando il corpo illuminante fussi lui più elevato sopra la superficie da illuminarsi, et 1 ’ occhio meno, come se V occhio fusse in 0 et il sole in A, allora molto più resteriano le parti adom¬ brate di essa superficie ascose alla vista. Hora, perchè i raggi visivi che abbracciano l’estrema visibil circonferenza del corpo lunare, non hanno elevazione alcuna sopra essa, ma toccano in lei la superficie della luna, manifestamente si scorge come, costituito il sole in qual¬ sivoglia luogo, mai non potranno da noi esser vedute le ombre delle 250 bassure alla detta circonferenza vicinissime ; anzi, restando tali parti 215. invisibili a voi — 224. sole da — XI. 24 18G 1» SETTEMBRE 1611. [576] oscure celato tra le eminenze circonvicine illuminate, altro non si scorgerà che una continuazione tutta luminosa. Io sento F autor del Problema dirmi, che il detto da me sin qui, ben che concluda di necessità che le montuosità nella circonferenza lunaro quando ben veramente vi fossero , come nelle parti da essa circon¬ ferenza remote concluse, et non passino da noi per via delle medesime ap¬ parenze essere dimostrate, non però inferisce che necessariamente elle vi siano ; et che sin liora io non Laverei più ragione di affermare che quelle vi siano, che egli si habbia di negarlo: anzi di più mi sogghigno, che se bene lo diversità di lumi et di ombre non hanno luogo nella 2co circonferenza lunaro per farci conoscere se sia montuosa o no, plu¬ vi ha luogo altra apparenza, per suo credere necessaria, la quale scorger da noi si dovrebbe, se veramente la detta circonferenza fusse montuosa ; e questa è, che si doveria veder dentata in guisa di sega, et non egualmente piegata senza tumore o cavità veru¬ na ; il che non si scorgendo da noi, paro a S. K. che io et habbia detto il falso, et che senza necessità nissuna mi sia andato ad invi¬ luppare in intrighi da i quali impossibil mi sia lo sciogliermi et svilupparmi. Resta dunque, che io dichiari, come i motivi et le cause che mi hanno indotto a credere che lo montuosità lunari si disten- sto dono sino all* ultima visibil circonferenza, et forse più oltre, non son state arbitrarie, ma necessario ; et poi, che io di nuovo mi affatichi in dichiarare più lucidamente et diffusamente che non feci nel mio Nunzio Sidereo, come nissuna dentatura od asprezza si può nò si deve scorgere nell’ ultimo cerchio visibile della (£. Dico per tanto, tre principalmente esser le cause, dalle quali per¬ suaso o convinto ho stimato e stimo che le montuosità lunari siano per tutta la sua visibil circonferenza. La prima delle quali è, elio essendo la superficie della distinta in duo parti, per cosi dire, in¬ tegrali, cioè in quella che meno vivamente riceve il lume solare (per 2so lo che vulgarmente la domandiamo le macchie) et nell’ altra più chiara et splendente, delle quali due parti questa, o la più lucida, si dif¬ fonde sino all’ ultima circonferenza, et le macchie si raccolgono nello parti più interne, senza che alcuna di loro (per quanto si vede) si distenda sì eli’ arrivi alla circonferenza ; in oltre, scorgendo noi coi telescopio come le macchie lunari sono egualissime, ritrovandosi so- 256-257. uppartnta —260. Aano — 270. ktino 1° SETTEMBRE 1611. 1S7 [570] lamento in alcune di loro sparse alcune poche quasi isolette o scogli (che altro esempio più simile per hora non mi soviene) ; et all’ in¬ contro vedendosi, frequentissime esser le eminenze et le cavità nelle 290 parti più chiare, sì che (siami lecito usar questa parola) lo pianure et piccole o rare vi si ritrovano ; io non so qual ragione deva per¬ suadermi a negare che simili asprezze si distendine) sino all’ estrema circonferenza, la quale dalle parti più ciliare solamente (per quanto l’occhio ci mostra) è ingombrata. Ciò veramente non liaverei io inai potuto fare senza defraudare la propria coscienza, la quale poi con¬ tinuamente mi haverebbe mormorato all’ orecchio queste parole : Fra¬ tello, tu neghi le inegualità nell’ ultima circonferenza lunare, perchè tu non puoi assegnar ragioni, che quietino, all’ obbiezzione, onde è che quelle non si veggono ? ; et ben che forse tu satisfacia a qualcuno, 300 tu sai bene che non satisfai a te stesso. La seconda e più potente ragione è questa. Il termine e confine clic divide la parte illuminata della (£ dall’ oscura, col mostrarsi an¬ frattuoso, merlato et tortuoso, è, come di sopra si è dichiarato, uno de gl’ argomenti potentissimi et necessariamente concludenti l’asprezza della superficie lunare : ma tali anfratti, merlature e tortuosità si scorgono sempre in detto confine, ancorché ei sia vicinissimo all’ ul¬ tima circonferenza visibile della ; il che accade in quattro termini, ciò è nella prima et nell’ estrema apparizione della quando avanti e doppo il novilunio si dimostra falcata, ma sottilissima, et un giorno sio avanti et uno doppo il plenilunio : adunque le lunari montuosità già indubitabilmente si spargono et estendono vicino all’ ultima circonferenza limare. Ma perchè in tali luoghi le dette merlature et adombrazioni si veggono in scorcio, me¬ diante lo sfuggimento et incurvazione della globosità della luna, appariscono solamente lunghe, ma strette et sottili, come nella presente figura si scorge : dove le medesime inegualità del confine, che nella quadra¬ si» tura, per esser vedute in faccia o maestà, appariscono grandissime tanto per lunghezza quanto per larghezza, trasferite vicino all’ ultima circonferenza lunare, dove si veggono in 288. «uui'enc — 188 1° SETTEMBRE 1611. [576] scorcio et quasi in profilo, perdono assai della larghezza, ot appari¬ scano lunghe sì, ma strette et sottili, perchè pochissimo se gli eleva il raggio visuale. Ma trasferendolo finalmente sin all’ ultima circon¬ ferenza, sopra la quale la vista non lia elevazione alcuna, quivi in consequenza totalmente si perdono ; il che accado nell’ esquisito ple¬ nilunio. Qui non posso dissimulare un poco di ammirazione che mi appor¬ tano alcune parole del P. Biancano, quando nella lettera a Y. R. scrive: 330 Che poi veramente non vi siano monti in quel giro, lo dimostra V osserva¬ mmo, massime quando la (Q è sì vicino al plenilunio che pare tonda, per¬ che allora non si veggono adombratimi verune, se non poche, nella parte però opposta al sole ; le quali poco doppo spariscono, e resta il giro della (Q tutto lucido, senta alcuna ombra 0 segno di inegualità'". Meravigliomi, dico, come S. R. Rabbia trascorso di notare, che procedendo nel ple¬ nilunio i raggi della nostra vista per le medesimo linee rette con i raggi del sole, impossibil cosa ò di veder alcuna delle parti ombrose, sì come impossibil cosa ò elio resti ombra dove arrivano i raggi so¬ lari : anzi che, per essere il diametro del sole assai maggiore del- sio l’intervallo tra le nostre pupille, i raggi solari abbracciano et illu¬ minano maggior parto dello bassure vicine alla circonferenza lunare clic quello elio noi veder possiamo, essendo clic i nostri raggi visivi si parton dall’ occhio nostro corno da vertice 0 conicamente si vanno allargando sino al perimetro lunare, et quei del sole, per P opposito, derivando dal corpo solare come base, conicamente si vanno verso la (Q ristringendo ; sì elio maggior parte della (£ abbraccia P illumi¬ nazione del sole, elio non fanno i raggi della nostra vista. Io I10 gran sospetto che questi PP. discorrino circa la faccia della luna veduta da noi, come se ella fosso non il convesso di una meza palla, ma una 850 superficie circolare distesa in piano ; nel qual caso si vedrebbono le proiezzioni dell’ ombre, procedenti dalle eminenze, non meno spaziose e grande verso P estremità, che intorno alle parti di mezzo. Conoscesi dunque sin qui, in virtù di sensata apparenza presa dal mescolamento di lumi et di ombre, come le montuosità et asprezze lunari si estendono vicinissime all’ ultima circonferenza visibile ; et 330 . Ultra — 348 . /ano — <" Cfr. u.° 641, lin. 40-44 1° SETTEMBRE 1611. 189 [576] più s’intende come tal mescolamento, bencliò ne i plenilunii si ri¬ trovi nell’ estrema circonferenza, non vi si potendo scorgere mediante lo sfuggimento della curvità lunare, non ci può in conseguenza ar¬ so) guire la montuosità ; ma solamente restano alla nostra vista esposti i dorsi tutti illuminati delle eminenze, che in multiplicate falde 1* una doppo 1’ altra con lunghissimi ordini si distendono. Finalmente la terza ragione, che mi ha forzato, non che per¬ suaso, a porre le montuosità sino nell’ estrema circonferenza della luna, è tale. Quando la parte illuminata della luna ci si dimostra sotto la forma di una sottil falce, la circonferenza cava et interiore di essa falce non è parallela all’ altra periferia esteriore e convessa ; anzi nelle parti di mezzo, le quali potriano chiamarsi il ventre della falce, è ella assai larga, et verso i corni si va ristringendo, sì che 870 nell’ una et nell’ altra estremità termina in due acutissime et sotti¬ lissime punte, nelle quali la cava et la convessa circonferenza, unen¬ dosi insieme, ristringono e serrano la parte lucida tra angustissimi spazii : et già in queste estreme corna il confine dell’ ombra et della luce doventa quasi l’istesso ultimo cerchio che termina 1’ emisferio della luna da noi veduto ; il qual cerchio, per la sua sottigliezza, non sarebbe da noi ritrovato in cielo senza la scorta del ventre più spa¬ zioso e lucido, che a quello ci guida e conduce. Osservisi bora tanto nella crescente quanto nella decrescente luna, et tanto nel superiore quanto nell’ inferior corno ; et vedrannosi incontro all’ una et all’ altra sso estremità di esse corna, per assai lunghe distanze, poste nell’ ultima circonferenza una, due e tre cuspidi illuminate, staccate non sola¬ mente dalla punta del corno, ma tra di loro divise e distinte : il quale effetto in modo alcuno non accaderebbe, quando 1’ esteriore et ultima visibil circonferenza della luna fusse eguale e non montuosa. Ma che tali cuspidi illustrate si vegghino per grandi intervalli disgiunte so¬ lamente dall’ estremità delle corna, et non dal confine dell’ ombra incontro alle parti di mezzo, cioè incontro al ventre, la ragione sarà manifesta a chi delle diverse vedute in virtù della prospettiva sarà capace, et se considererà che le cuspidi incontro al ventre non sola- 890 mente ci volgono la parte di loro aversa al sole, et però tenebrosa, ma che gli spatii ombrosi, che dalla parte luminosa le separano e distinguono, si perdono, per esser da noi veduti in scorcio ; ma le 380 . estremità ci esse -- 190 1» SETTEMBRE 1611. [576] cuspidi o cime poste incontro all' estremità dello corna non solamente ci mostrano, almeno per fianco, la loro parte illuminata, ina gli spatii tra esse et il confino della luco ci si rappresentano non in scorcio, ma in proffilo, et secondo la loro massima lontananza da osso con¬ fine ; o gli stuccamenti, cioè gli spatii tra 1’ una e 1* altra cuspide, non sono perché esse siono realmente discontinuate e separate, ma perchè la parte della superfìcie lunare tra quelle frapposta resta adom¬ brata, e por ciò invisibile. 4oo Da quanto sin qui ho narrato credo che ciascheduno che medio¬ cremente intenda i termini et gl’ effetti di prospettiva, haverà sen¬ tito che non senza momento alcuno di ragione, come assai resoluta- mento pronunzia V autore del Problema, ma spinto o forzato da manifeste apparenze et necessarie confetture, ho affermato, le montuo¬ sità lunari distendersi fino all’ ultima visibil circonferenza. Rosta fiora che con ogni possibil chiarezza io tenti di rimover le difficoltà cfie perturbano alcuni, a i quali sembra pur necessario che dotte eminenze dovessero farsi visibili anco nell’ estrema circonferenza col renderla dentata in guisa di una sega o di una ruota da carro, et che io di- no mostri come in modo nissuno può una simile dentatura et scabrosità esser veduta da noi. Io non credo che alcuno sia per negarmi che non ogni piccolo oggetto è da la medesima lontananza egualmente visibile come un grandissimo, anzi che infiniti per la loro picciolezza restano da gran distanze insensibili. Supposto questo, io considero che delle tre di¬ mensioni do i corpi solidi alcuna può esser grandissima et immensa, et altra piccolissima ; et nella (Q possono essere, et veramente sono, alcune continuazioni di monti lunghe centinaia et continaia di miglia, larghe non tanto, ma per avventura 50 o 60, ma di altezza 3 o 4 mi- <20 glia solamente : et di tale montuosità vastissime sono principalmente circondate le macchie boreali della (£, restando esse macchio egua¬ lissimo in guisa di pianure immense, et. solamente una di loro con alcune poche eminenze et cavità. Soggiungo appresso, che quando simili montuosità dovessero esser vedute secondo la loro lunghezza et larghezza, da tal lontananza si potranno benissimo distinguere, che veder non si potrebbono in conto alcuno quando per la sola altezza loro si havessero a far visibili. Consideriamo adesso, che le montuosità locate nello parti della 1° SETTEMBRE 1611. 191 1576] 430 luna remote dall’ estrema circonferenza ci si espongono alla vista se¬ condo la loro lunghezza et larghezza ; ma quelle che sono nella cir¬ conferenza non possono diversificare la perfetta rotondità dell’ arco, se non con la disparità delle loro altezze. Hora, stante questo, qual meraviglia sarà se l’immense lunghezze et larghezze delle montuosità lunari si rendono sin dalla terra visibili, con tutto che le loro piccole altezze distin¬ guere non si possino ? Et acciochò più aper¬ tamente io mi dichiari, veggasi la presente figura, nella quale la linea DAE sia il con¬ cio fine dell’ illuminazione, et sia CNA una delle macchie della (£), sopra la quale passi il detto confine, segandola equabilmente, per esser lei pulita e non aspra ; et perchè ella è circondata da grandissime montuo¬ sità, restano li due dorsi ABC lunghissimi et larghi, che in guisa di promontorii si distendono sopra la parte ancora tenebrosa : et perchè sono grandissimi, luminosi et circondati da oscurissime te¬ nebre, distintissimamente si fanno a noi visibili. Ma se noi ci ima- gineremo, i medesimi esser trasportati nell’ estrema circonferenza 450 DEG, altro di loro non resterà esposto alla nostra vista se non le due eminenze FG, FG ; le quali non importando più di 4 miglia, cioè più che la cinquecentesima parte di tutto ’l diametro lunare, reste¬ ranno del tutto impercettibili. Soggiungo di più, che ritrovandosi nella luna, sì come manifestissimamente il senso ci dimostra, le più alte et discoscese rupi intorno alle macchie superiori, et vedendosi sensatamente che niuna macchia si ritrova nell’ estrema circonfe¬ renza, molto ragionevolmente possiamo concludere et affermare che nissuna delle massime eminenze sia posta in essa circonferenza, ma solamente asperità simili a quelle che il resto della parte più lucida 4oo ingombrano ; le quali quando ascendino all’ altezza perpendicolare di 2 miglia, verranno ad elevarsi intorno alla detta circonferenza la millesima parte del diametro lunare, che è cosa insensibilissima in una tanta distanza, come potremo anco dall’ esperienza compren¬ dere, formando due cerchi concentrici, il maggiore de i quali si allontani fuori dell’ altro la millesima parte del suo diametro ; perchè 448. fano — 453. imprecettibilì — 4C1. vermini — 192 1® 8F.TTEMBRF. 1611. [676] ee tra le due circonferenze vorremo segnarne una linea flessuosa e dentata, non potremo fare inegualità cosi grandi, che in non molta distanza non svaniBchino. Ma procediamo più oltre in fortificar la nostra dimostrazione, la quale conclude, che quando bene nel- T estrema circonferenza fusse un solo ordine di dentature che s’in- 470 nalzassero sino all’ altezza di 2 miglia, non però sariano visibili dalla terra : hor elio doviamo «lire, quando non un ordine solo di monti, ma molte e molte falde, 1’ una contraposta all’ altra, vi se ne tro¬ vano, lo quali, alternatamente interponendosi, et facendo questo osta¬ colo con lo loro eminenze all*incavature di «inolio, vengono incerto modo a pareggiarsi et adequare tutti i lor vertici secondo la me¬ desima linea? Io sento farmi da persona di acutissimo ingegno et esquisita perspicacia una gagliarda distanza, 0 dirmi : Tu affermi che quelle isolette lucide che, quasi piccolo stelle, nella superficie della (£ non iso ancora illuminata si veggono lontano dal confino del lume, sono vertici di eminenze già illustrati dal sole, li quali sopra le minori montagne si elevano, 0 poi a poco a poco si allargano, illuminandosi le partì più basse e più spaziose : bora so tali piccolo escrescenze si rendono visibili nelle parti medie della superficie lunare, per qual cagione vi¬ sibili non sariano anco nell' ultima circonferenza, so veramente olla fosse montuosa? Se io risponderò che tali punte luminose si fanno visibili nelle parti di mezo perchè quivi sono circondate intorno in¬ torno da un campo oscuro e tenebroso, che le fa spiccare, il che non avviene delle sopraeininenzo dell’ estrema circonferenza, le quali sono «no impiantate sopra lucidissimi gioghi ; sentirò all’ incontro acutamente soggiugnermi, che se bene le cuspidi supreme dell’ ultima circonfe¬ renza non sono interamente divise dall’ altro parti lucide, sopra lo quali si elevano, pur sono, al meno per la loro esteri or metà, circon¬ date dal tenebroso campo del cielo notturno, non meno oscuro della parte ombrosa della (£ : per lo che o queste ancora doveriano ve¬ dersi, o le altre interiori, non meno che queste, restare invisibili per la piccolezza loro. È la replica, non meno che la prima instanza, in¬ gegnosa e sottile ; tutta via (tale è il privilegio della verità) non credo che mi sia per mancar risposta potente a rimovere ogni club- &00 bio : oltre che la natura non ha obbligo 0 convenzione alcuna con gl’ huomini, et massime con me, di fare che 1’ opere et effetti suoi 1° SETTEMBRE 1G11. 193 [570] non siano se non quando io gl’ intendo et posso diffondergli da quelli die volessero negargli o destruggergli ; et il mio ignorare la causa per la quale noi non veggiamo le asprezze nella circonferenza della (Q, non inferisce cho tal causa non ci sia, potendo esserne molte in¬ cognite a noi. Tuttavia rispondo doppiamente : et prima dico, clic i vertici luminosi che sono nelle parti medie della (£, per la sola lor posizione sono di assai maggiore grandezza che altri simili a loro, 510 ma posti nella circonferenza ; et la diversità deriva dal vedergli al¬ lora in faccia, et bora in profilo : sì come, per esempio, la superficie sferica compresa dentro a uno de i cerchi polari, a chi babbi a P oc¬ chio perpendicolarmente eretto sopra il polo, apparisce un cerchio perfetto ; ma a chi havesso P occhio nella linea che tocca la mede¬ sima sfera nel suo polo, il medesimo cerchio si rappresenterebbe sotto la figura di una sottilissima porzione di cerchio contenuta sotto Parco di gradi 47 in circa ; et il primo dal secondo aspetto sarebbe in grandezza differente, quanto 520 è il cerchio ÀBCE dalla portione dell’ al¬ tro cerchio ÀDC. Ilora, perchè i vertici de i monti hanno per lo più del rotondo e globoso, posto che due di loro habbi- no, per così dire, la cherica illuminata ; ma che uno, sondo posto vicino al mezo della ce la mostri in maestà, simile al cerchio BAEC ; et P altro, situato nella circonferenza, ce la esponga in profilo, simile alla por¬ zione ADC ; la sola diversità di positura, caeteris paribus, farà che P area visibile e luminosa nel primo caso sarà eguale al mezo cer- 630 chio ABC, et nel secondo si mostrerà piccolissima et in proporzione quale è la porzione del cerchio ADC. Considerisi dunque la differenza grande che è tra ’l vedere la verticale escrescenza illuminata di un monte locato nelle parti medie della (^, al vederla posta nella cir¬ conferenza. Ma fermiamo con maggior saldezza i fondamenti della verità della nostra asserzione, e diciamo : Ogni corpo luminoso, men¬ tre è veduto da vicino, ci si mostra sotto la sua vera et reai figura ; ma da lontano pare che s’inghirlandi di alcuni raggi ascitizii, tra i quali i termini della sua figura si perdono, et pare che la sua mole si accresca. Esperienza sensata di tale accidente ci porgono tutti i B c JE XI. 25 194 1® SETTEMBRE 1G11. 1*576] lumi, et le stelle medesimo : perchè quelli, lo cui fiammelle da presso sto si veggono profilate in guisa di lucilie linguette, da lontano ci appa¬ riscono assai maggiori o raggianti, et la lor figura tra bì grande ir¬ radiazione del tutto si smarrisce; e queste, elio nel tramontar del sole o poco doppo piccolissime si veggono, nel crescere delle tenebre si accrescono esso ancora in grandezza et di raggi s’incappiano, ascondendo tra quelli i termini delle lor forme : le quali forme quanto mirabilmente si alterino, veggasi nella stella di Venere, la quale, vi¬ cino al suo occaso vespertino e 1* orto matutino, «i mostra, come 1’ altro stelle, rotonda e radiante, benché la sua reai figura sia di una sottilissima falce, simile alla (£ quando non eccede F età di due m giorni. Tale irradiatione o capellatura si fa maggiore o minore, se¬ condo che la luce è più gagliarda o meno : onde Mercurio, per esser vicinissimo al sole illuminator di tutti i pianeti, riceve il suo lume tanto vivo e così fieramente s’incorona di raggi, che nè anco col telescopio si può spogliare di così splendida capellatura ; F istosso quasi accado a Marte ; ma Giove, e più Saturno, ricevendo il lume, per la molta lontananza, assai più languido e fiacco, s’inghirlandano sì, ma non come Marte e Mercurio, et con F occhiale assai distin¬ tamente si scorgono le lor figure, tosandogli et muovendogli la loro capellatura. l)a così fatto accidente non resta esente la (£ ; anzi ella mo ancora (li una simile ghirlanda si incorona, et massime in quelle parti dove ella più direttamente riceve la solare irradiazione. Vero è elio la sua figura non si deforma, mediante la sua molta gran¬ dezza ; perchè i crini della medesima lunghezza ingombrando una piccola figura F alterano più che una grande, in quella guisa che i peli ascondono e tolgono totalmente i dintorni della pelle et la mu¬ scolatura di un piccolo ghiro, ma poco celano le fattezze di un gran cavallo. Hora, perchè la (Q s’incorona ella ancora, come ogn’ altro corpo luminoso, de i suoi raggi, qual meraviglia sarà se i piccolis¬ simi colmi et i cavi che potessero intaccare la sua ultima circonfe- wo renza, resterano tra la propria capellatura celati ? Siaci di ciò ar¬ gomento Venere, la quale quando ò cornicolata, pur ci apparisce circolarmente irradiata, come se i suoi crini havessero radico sopra una luce rotonda. Se dunque tra i raggi di Venere si asconde o perde il grandissimo cavo della sua falce, è ben ragionevole che le picco¬ lissime asprezze che nel perimetro lunare potessero da qualche cima 1° SETTEMBRE 1611. 195 [576] di monte un poco più sublime de gl’ altri cagionarsi, rimanghino ingombrate, et dalla propria irradiazione celate. Qui forse potria dirmi alcuno, che questo discorso conclude quando bso noi riguardiamo col semplice occhio naturale, ma non usando il te¬ lescopio, il quale toglie via la irradiatione e ci rappresenta gl’ og¬ getti luminosi con la loro vera figurationc. Io rispondo, che l’effetto del telescopio non è altro se non di approssimare le specie de gl’ oggetti visibili, portandocele vicine se¬ condo la decima, vigesima, trigesima od altra minore o maggior parte della loro vera et reale lontananza, rappresentandoci i mede¬ simi oggetti tali, quali in simili picciole distanze li vederemmo ; et l’edotto de i lumi o corpi illuminati è di incoronarsi di raggi quando sono collocati oltre una certa lontananza, la quale si ritrova essere eoo e maggiore e minore, secondo che il lume è più vivo o meno, sì che i lumi gagliardissimi in poca distanza si irraggiano, et i più lan¬ guidi in maggiore ; et oltre a questo, la irradiatione de i lumi più fieri è maggiore, et de i più debili minore. L’ ambiente ancora al¬ tera grandissimamente questi medesimi effetti : imperò essi medesimi corpi lucidi, circondati da un campo tenebroso, di molti et lunghi raggi si incoronano ; ma situati in spatii chiari, da pochi e picco¬ lissimi raggi si veggono inghirlandati, riabbiamo di tutti questi ac¬ cidenti essempi da esperienze manifestissime. La fiammella di una candela, veduta da vicino 4 o 6 braccia, si vede terminata et prof- r,oo filata da la sua propria figura; ma in distanza di 100 o vero 200, apparisce assai maggiore, aggrandita da molti raggi, tra i quali la sua forma si perde : et questa variatione accade molto più ne i luo¬ ghi tenebrosi che ne i chiari ; et ogni stella, fuori che la (£, di giorno, o mentre che 1’ aria ò ancor molto chiara, si vede piccolis¬ sima et con pochissimi raggi, ma nelle tenebre della notte appare molto grande et radiante. I pianeti più vicini al sole molto mag¬ giormente si irraggiano che i più remoti, perchè ricevono il lume del sole più gagliardo e potente ; et però Marte si illumina più fie¬ ramente che Giove o che Saturno : et di qui avviene clic il telescopio ciò ci mostra il corpo di Giove assolutamente rotondo, senza crini, e di luce alquanto languida ; il che assai più accade in Saturno, il quale ci mostra i suoi piccolissimi globi linearmente terminati et senza irradiatione alcuna, ma di lume debolissimo illuminati ; all’ incon- 106 1° SETTEMBRE 1611. [576] tro il globo di Marte difficilmente si può distinguere tra la sua incapellatura, la quale non si può rimuovere col telescopio so non in parte ; et Venero quando ò superiore al solo, et elio ci mostra il suo emisferio tutto illuminato di luco vivissima, perchè dal sole suo vicino la riceve, si irraggia di fulgori così potenti, elio non basta la virtù del telescopio por avvicinarcela, si che noi possiamo perfet¬ tamente distinguere il suo vero globo, et separarlo dalla sua irra- 620 diationo ; ma, all’ incontro, quando ò sotto al Bole et presso alla sua congiunzione, perché allora è vicinissima alla terra, sì ancora perchè ci mostra una piccola parto del suo emisferio illuminato, et quella anco di luce obliquamente ricevuta et perciò più languida, ancor che alla vista naturale ci apparisca irradiata, tuttavia il telescopio ci porta la sua specie così vicina, che comodissimamente distinguiamo la sua figura cornicolata, simile a quella della (Q tro giorni doppo il novilunio veduta con la vista naturale. Hora applicando queste considerazioni al nostro proposito, dico clic la (£, illuminata dal sole, si irraggia et incnpolla di fulgori lei m ancora, ma non tanto quanto Venere, per esser più (li quella remota dal sole, et perchè la sua capellatura non solamente è più corta di quella di Venere, ma è aggiunta et attaccata intorno a un gran¬ dissimo globo che tale por la sua vicinanza, ci si rappresenta il corpo lunare ; 0 quindi ò che la figura di essa (£ non solo tra la sua irradiamone non si smarrisce, ma pochissimo et quasi insensi¬ bilmente si altera, et solamente si vedo che la circonferenza della parte illuminata, alquanto si eleva sopra la circonferenza della parte oscura, sì elio questa paro termino di un corchio minore, et quella di uno alquanto maggioretto : et questo apparente ricrescimento della 010 parte lucida sopra la oscura non ò altro che la irradiatione ascitizia. La quale irradiatione, so bene non ò bastante, per la sua brevità, ad alterare o nasconderò la total figura della (£, sì come ella onni¬ namente cela quella di Venere, non è però elio ella non sia di so¬ verchio potente a rimuovere 0 confondere quelle minimissime ine¬ gualità et asprezze le quali in uno immenso cerchio di due mila miglia di diametro potessero alterare la sua assoluta rotondità : et benché il telescopio toglia in gran parte la detta irradiazione, col portarci la specie della (Q molto vicina, non è però tanta la vicinanza, nò 018. vicino lo riceve — 1° SETTEMBRE 1611. 197 [ 576 ] 630 sì poca la irradiatione, che non ve ne avanzi soprabbondantemente più di quello che basterebbe per adeguare la scabrosità delle escre¬ scenze di alcune rupi' che in qualche parte soverchiassero lo eminenze disposte in molti e lunghissimi ordini intorno al perimetro lunare. Nò sia chi mi opponga, dicendo che questa tale irradiatione deve essere intorno intorno a tutta la parte illuminata di essa (g, e elio per ciò, sendo essa potente a rimuovere le scabrosità et asprezze che deveriano vedersi nella esteriore circonferenza, doveria far l’istesso anco nella interiore, cioè nel confine dell’ illuminatione, rimovendo ogni apparente inegualità e dentatura, sì che il detto confine si scor- 6co gesso regolare et equabile. A chi instasse in cotal forma io rispon¬ derci, che grandissima è la disparità tra le cagioni per le quali le asprezze collocate in questo o in quel luogo devono farsi al nostro senso suggette : imperò clic quelle cime che possiamo credere che s’inalzino sopra la continuatione de gl’ altri gioghi posti nella cir¬ conferenza, probabilissima cosa è che di poca altezza si elevino et sormontino sopra la comune altezza di essi gioghi, la quale sopra- eminenza assai saria che noi ammettessimo che fusse un terzo di miglio ; dove che i dorsi delle montuosità li quali, oltre al confine della luce, cavalcano, già tocchi dal sole, sopra il nero della parte r ,70 tenebrosa, et in guisa di promontorii sporgono infuori dentro a quel mare di tenebre, essendo veduti da noi non secondo la loro altezza, ma per la larghezza et lunghezza, ci si mostrano lunghi dieci, venti, trenta, cinquanta e più miglia, et di così immense disegualità e den¬ tature intaccano il con lino delle tenebre. Àggiugnesi che presso al detto confine, et nella parte illuminata, si veggono innumerabili ca¬ vità oscurissime, di lunghezza non solo di decine di miglia, ma al¬ cune anco di centinaia ; et finalmente, delle cuspidi luminose elio dentro a la parte oscura si scorgono, separate totalmente dal termine della luce e circondate da tenebre, molte se ne veggono parimente oso per molte miglia da detto termine lontane : sì che, posto che queste ancora si irraggino intorno intorno, et che l’istesso faccino gli ar¬ gini illuminati che circondano le sopradette valli, et i lunghissimi dorsi che sporgono già luminosi sopra la parte della tenebrosa, non però tale irradiationo può allargarsi tante miglia, che venga ad unire le parti illuminate con 1’ altre sue óirconvicine, di maniera 653. ditjiotle i multi — 198 1° SETTEMBRE 1G11. [5761 elio tanto ot sì grandi disegualità si pareggino, et si dimostrino al senso continuatamente et equabilmente distese. Concederò bene, senza difficultà veruna, che molte cuspidi illuminate, et vicinissime al ter¬ mine della luce, apparischino ad esso congiunte, ben che per avven¬ tura siano veramente talvolta da quello separate per qualche angu- m sta interpostone di tenebre ; et così, che alcune piccolissime vailette oscure non si scorghino, mediante il congiugnimene delle irradia- tioni de gli argini illuminati, da i quali vengono circondate : ma le cuspidi e denti della circonferenza, clic, scudo impiantati e congiunti col cerchio lucido, pochissimo sporgono sopra il campo tenebroso del cielo, restano necessariamente ingombrati dalla irradiatione, la quale inghirlanda tutto 1* ambito lunare ; et so una tale irradiazione è po¬ tente a nasconderci la immensa cavità di Venere, quando ò corni¬ colata, et die noi la rimiriamo con la vista naturale mostrandocela similissima alle altre stelle, ben si può senza un minimo scrupolo m ammettere et senza alcuna ombra affermare, che i piccolissimi cavi c colmi dell* immensa circonferenza lunare siano talmente dalle loro scambievoli irradiatami ingombrati, che del tutto si perdino, veduti ancora col telescopio. Et per non lasciare luogo alcuno di dubitare, questo clic assai necessariamente mi paro di haver dimostrato, vo¬ glio che anco 1* esperienza stessa lo faccia manifesto a chi Laverà gusto di vederlo. Prendasi una piastra di ferro assai sottile, et in essa s’intaglino due fessure, simili a queste duo segnate appresso, una delle quali sia contenuta tra due linee che egual- no mente siano distese, et l’altra sia tra linee tortuose et aspro ; costituiscasi poi la detta piastra in luogo tene¬ broso, et doppo di lei si ponga una fiamma, grande a bastanza per allargarsi quanto è lo spatio delle due fessure, et celisi poi intorno intorno a lo splendore della detta fiamma, sì che non si vegga altra luce elio quella elio trapassa per lo fessuro, flora, so noi riguarderemo tali fessure da vicino, vedremo distintamente due strisce lucide, una terminata tra linee pulite, et P altra tutta aspra et quale è la fessi tura; ma se ci discosteremo 100 720 o 150 passi, ci appariranno amendue irradiate intorno intorno nel- P istesso modo, et tra i raggi si perderanno le inegualità dell’ una, sì 1° SETTEMBRE 1611. 199 [576] die amendue ci faranno il medesimo aspetto : ma se da tale distanza le guarderemo col telescopio, torneremo a vederle differenti, come prima quando le guardavamo da vicino. Ma se finalmente ci allonta¬ neremo 1000 o 1500 braccia, non basterà il telescopio per avvicinarci tanto le loro specie, clic noi le veggiamo differentemente terminate ; nè più si potrano distinguere le scabrosità et asprezze di quella che veramente lo ha. 730 Credo, s’io non m’inganno, bavere a bastanza dichiarato, come non senza momenti di ragioni, come vuol 1’ autore del Problema, ma da cagioni assai necessarie spinto, ho affermato che le montuosità lunari si distendono, anco sino ali’ estrema sua circonferenza ; et pa¬ rimente stimo, bavere assai probabilmente dimostrato, non esser ne¬ cessario che tali montuosità siano vedute da noi : in confìrmatione di che non ho voluto replicare la causa del diafano alquanto più denso, che probabilmente pongo che circondi la (^, in quella guisa che la sfera vaporosa circonda la terra ; sì perchè a bastanza ne ho parlato nel mio Avviso, sì perchè V autor del Problema non ne muove 7io parola. Ma per quanto mi vo imaginando, questo è uno di quegli scogli ne i quali S. R. stima che io liabbia fatto naufragio ; et forse di questa parte intende, quando scrive : Itaque, in max-mas diffìcid- talmn angustias conieclus, ea respondere conatus est; quae eum magis in laqueos inducant quam exuant. Ac nos ipsi muUiplex ac maximum ragio¬ nimi agmen brevi quodam commcntarìolo, memoriac atque exercitationis gratin, explicuimus, quo eiiis rationes labefactan ac profligari nccessc est (l) . flora, se mai mi sortirà di poter vedere queste tali ragioni, sarò prontissimo a mutare opinione, se mi sentirò convinto, o a rispon¬ dere, se mi parrà di poterlo fare. 7óo Ma ritornando all’ altra parte principale della mia intentione, che fu di manifestare che io non sono così semplice che non cono¬ sca, la dimostratione, posta dall’ autor del Problema per suo trovato, esser a capello la medesima che io pongo nel Nuntio Sidereo ; dico che S. lì. suppone nel terzo luogo, il corpo lunare esser quasi per¬ fetta sfera, et il suo diametro contenere 2000 miglia italiane : et io il medesimo suppongo nell’Avviso. Finalmente suppone nel quarto luogo, esser vero che alcuna delle cuspidi che si scorgono già illu- (•) Cfr. Voi. Ili, Tar. T, png. 304, li». 32-30. 200 1° SETTEMBRE 1611. [576] minate dentro alla parte tenebrosa della (C> aia- lontana dal termino della luce la vigesima parte del diametro lunare, cioè miglia 100 : et io suppongo l’istosso nell’Avviso. Passa ultimamente alla demo-' tuo stratione ; et in virtù della penultima del primo d’ Euclide, col me¬ desimo metodo ad unguem elio tengo io nell’Avviso, conclude quello che io ancora concludo, cioè che il detto vortice si eleva più di quattro miglia. Vero è che nel dimostrare si allarga in dichiarare con molte parole il suo argomento, come so parlasse con fanciulli di pochissima intelligenza ; et contro al costume do i geometri, se¬ gna nella figura tre quadrati, senza bisogno alcuno et solo per av¬ ventura per render la figura più riguardevole : dove che io, sup¬ ponendo di parlar con persone di qualche intelligenza, non pongo altre parole che le necessarie, et massime essendo la dimostrationo no in sò stessa facilissima et breve. Ilora, se lo premesse, la dimostra- tione et la conclusione sono ad unguem 1* istesso elio io suppongo, dimostro e concludo, io per me resto sommamente meravigliato, conio altri possa e voglia condennare et come falsa confutare ne’ miei scritti quella medesima cosa, la quale ne’ suoi propone por giusta e perfetta. Panni che altro non mi resti, per purgarmi dalle macchio addi¬ tatemi dall’ autore del Problema, che il tor via quello che nel fino mi oppone in luogo di corollario, et che anco pare al P. Bianoano che sia la somma del mio difetto: cioè, elio non si potendo formar 780 la dimostratone so non col pigliare il semidiametro della (Q solo, senza 1’ altezza del monte che s’intende di misurare, io liabbia preso il semidiametro insieme con la detta altezza, et che perciò io non liabbia potuto concluder nulla. Ma io domando a le loro R R., donde esse cavino che io pigli il semidiametro insieme con l’altezza del monte, et non il semidiametro solo? Mi rispondono, che dicendo io che 1’ estrema circonferenza veduta da noi è montuosa, et serven¬ domi di quella nella dimostrationo come di cerchio massimo per il quale passi il raggio tangente del sole, chiara cosa resta clic tal rag¬ gio non potrà, incontrare, oltre al contatto, vertice alcuno eminente 790 et lontano dal contatto non solo lo 100 miglia poste da me, ma nò anco un palmo. Ma io di nuovo domando, da qual luogo della mia scrittura essi raccolghino che io nella dimostrationo mi serva del- 702 . tono ad ad unyium — 790 . contalo — 1° SETTEMBRE 1611. 201 [576] V ultima circonferenza visibile della (£) per cerchio massimo che passi per il contatto del raggio solare nel confine della luce e per il vertice del monte remoto dal detto contatto 100 miglia? Certo che dalla mia scrittura non raccorranno mai tal concetto, nè mai lo potranno rac¬ conce se non dal loro arbitrio. E se quando io scrivo Intélligatur lu- naris ylóbus, cuius maxinms circulus CAF (1) , loro hanno voluto inten¬ do dere che io pigli questo massimo cerchio per quello che termina V emisferio lunare da noi veduto, et non un altro de gli infiniti che sono nel corpo, ciò è stata loro eletione, ma non già mia intentione ; perchè se già ho detto che 1’ estrema circonferenza veduta è tutta montuosa, et che in essa, per le ragioni assegnate da me, non si veggono vertici più eminenti dell’ altre parti, saria bene stata sem¬ plicità più che puerile il volermi servire di un cerchio che solo è inetto al mio bisogno, tra infiniti altri che sono all’ intento mio ac¬ comodatissimi. Forse mi replicheranno che io dovevo più diffusamente dichia- 8io ranni, con dire che bisognava intendere un piano che segasse il globo lunare per il contatto del raggio et per il vertice illuminato, il quale facesse nella settione il cerchio massimo CAF et 1’ altezza del monte AD. Io, come di sopra ho detto ancora, ho sempre supposto di parlare a persone di qualche prattica nella geometria, le quali, esercitate in Euclide, in Archimede, in Apollonio, in Tolomeo et al¬ tri, sappino come nello dimostrationi delle passioni de i solidi fre¬ quentissimamente si segano con piani, et sopra le loro settioni si formano le figure et le dimostrationi insieme ; onde in questa mia, semplicissima et facilissima, ogni maggior allargamento di parole 820 saria stato altrettanto superfluo et indecente, quanto fu conveniente et a proposito il distendersi a più larga dichiaratione sopra una cat¬ tedra, a numero di uditori non tutti capaci egualmente di quanto doveva dichiararsi. Io voglio finire di tediar la li. V., ma non senza pregarla di nuovo, che ella voglia essermi intercessore appresso 1’ autor del Problema, acciò che S. R. mi favorisca che io possa vedere gli altri suoi argo¬ menti contro di me, li quali scrive essere et in numero et in peso grandissimi : la qual cosa io mi prometto di esser per ottenere tanto 814 . a persoge di — <*) Cfr. Voi. Ili, Par. I, pa*. 71, lin. 25-27. XI. 26 202 1° SETTEMBRE 1611. 1576] più facilmente, quanto il zelo et la carità christiana commandano elio i primi ammoniti siano i peccatori, li quali so poi, sprezzando sso le correzioni, perseverano no i loro errori, allora si devono scoprire e pubblicare per delinquenti. Ne di poco momento mi doverà essere, per conseguire questa mia domanda, il chiedere io spontaneamente, anzi supplichevolmente pregare, di esser gratiticato di tali avverti¬ menti ; li quali se mi fossero negati, haverei occasione di dubitare che il Padre, nel raocorgli o palesargli havesse havuto più la mira alla mia vergogna elio alla mia emenda. Per tal rispetto dunque, et per quella generalo e perfetta intentiono di vero lìlosofo, che è di venire in cognitione delle verità recondito, mi giova di speraro il compimento di questo mio desiderio, il quale avidamente resto at- m tendendo. Quanto all’altra lettera scritta alla R. V. da Perugia sotto li 4 di Giugno (<) , io non posso dir altro se non che, spinto da una lettera scritta di Perugia a Roma al molt’ Illustro et Rover. Monsig. Dini, nella quale si contenevano, tra le altre, questo parole : Qua è un gran remore contro al S. Galilei, et a due de* principali, a i (piali ho parlato, nè meno Tolomeo li convertirebbe, se bene si convertisse prima lui eie . t2 ’, seguendo poi gli argomenti, a i quali procurai di rispondere ; mosso, dico, da tal lettera, scrissi quanto mi occorso a detto Monsig. Dini (3> , et non tanto per giustificarmi appresso quei Signori di Perugia, &o quanto appresso di infiniti altri, li quali apertamente parlavano con¬ tro alle mie assertioni ; do i quali, come bene sa V. R., il numero è stato infinito, et ancora non ce ne mancano. Ilora, sì come io non mi sono mai tenuto aggravato da chi, non solo in pensiero, ma in parole et in scrittura ancora, mi lia contradetto, così desidero ohe ogn’ uno et in particolare que’ Signori di Perugia non prendino a male clie io habbia cercato di mostrarmi veridico, se però ò vero che alcuni di loro hnbbino havuto et habbino opinioni contrarie alle cose scritte da me ; il elio quando anco sia falso, ricevino la mia scrittura non come scritta a loro Signorie, ma ad altri, li quali, senza suo offendermi punto, mi sono stati contrarii : et sì come io non haverei restato di esser servitore affettuosissimo alle Signorie loro quando 812-848. li 4 di Luglio Cfr. n.® 530, Un. 1-2. <*> Crr. u.® 582. <»> Cfr. n.® 545, Un. 9, o In noti» ivi. 1° — 2 SETTEMBRE 1611. 203 [676-577] bene bevessero creduto diversamente dalla mia scrittura, così desidero che restino sicuri della medesima devotione mia. Qui finisco, con pre¬ garla a salutare il molto 11. P. Clavio ; e con ogni reverenza li bacio le mani. Di Firenze, il primo di Settembre 1611. Di V. S. molto R. Servitore Àffetionatiss. Galileo Galilei. 577. DANIELLO ANTONINI a GALILEO iu Firenze. Bruxelles, 2 settembre 1611. Eibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 87. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. r mio Oss. mo Ho hauta questa settimana la lettera di V. S. de 1 29 di Luglio, dalla quale, per singolare effetto, ho compreso esser V. S. tanto pronta in favorirmi, quanto io caldo in amarla et riverirla ; et perchè ai fatti con i fatti corispondcr si deve, intimando superfluo lo stendermi in parole di ringratiamento, pregare» Dio che mi dia ocasione di poter con fatti dimostrar T obligo et la gratitudine mia. Ilora, poiché ella mi dice eh’ io posso con lei conferir ogni cosa (benché que¬ sto lo sapessi io molto bene), sappia V. S. che il desiderio mio è sempre stato d’avanzarmi (se pure debba meritar avanzamento) nelle cose militari ; sì che, io havendomi io proposto questo line, et sapendo che sicome uno non sarà, inai stimato buon medico se con medici et nelle scole de’ medici non versa, così d’un soldato anco aviene, fei risolutione di venirmene in Fiandra, dove, per comune opinione, è la vera scuola di questa arte militare: et poiché la fortuna vuole ch’io sia quivi in tempo di vacanze, convienimi haver patienza d’atender qual¬ che tempo, per vedere se vogliono una volta finire. M’aletta molto ancora a que¬ sta patienza il vedere che dalli Olandesi sia somamente desiderata la guerra, et che facciano et tentino di giorno in giorno mille ocasioni per romper questa ociosa tregua, et I* esser parimente dalla nostra parte da tutti desiderata, fuor¬ ché dal Capo ; et se la cosa succede, come io la desidero, potrò poi forsi servire 20 il Ser. mo G. D. con più sua utilità et con maggior mio honore, assicurando V. S. eli’ io sopra tutte le cose desidero quel sorvitio, sì per particolar mia devotione verso quel’Al.”-, sì anco per lo somo gusto che nella conversation di V. S. sento. In oltre può ella assicurarsi eli’ io travaglio per l’lionesto solo, lasciando in tutto 204 2 SETTEMBRE 1611. [577] et per tutto da parto ogni pensiero eh'al’utile può declinare; siohè, dovendo lei alcuna volta favorirmi, potrà a quel solo liavor risguardo. Non mi sono poi meravigliato delle stravaganze di que’ filosofi, essendo già assuefatto a sentir tante loro strambane. Le rincresce eh* altri pongano una disugualità nella luna et loro ne pongono due ; perchè, sebene la parte opaca con la diafana (a loro modo) fano poi un corpo liscio, non resta per questo la opaca per sò esser aspra, et di più la diafana ancora nella parte che 8* acomoda 30 alla asprezza del’opaca. Insoma non mi son io mai persuaso che la luna sia di superficie liscia et pulita, perchè non potressimo mai vedere tutta la faccia di quella iluminata, ma vi ve de ressi ni o dentro un picciol sole refiosso, sicome ne’ specchi convessi si suol vedere. Questo è facile dimostrare, che nissuno oggetto riempirà mai quella parte veduta d’ uno specchio sferico, so per aventura 1* og¬ getto non circonda quasi tutto allo intorno lo specchio. Ho poi sentito somo gusto che habbia guadagnati que’ più stimati ingegni nel sistema Copernicano, la qual cosa stimai sempre dificilo al pari del’illumi¬ nar ciechi; ma questi sono miracoli soliti del Sig. r Galileo. Ilo veduti de’ più esquisiti occhiali che si fabriehino in queste parti ; ma « non vagliono nulla a rispetto di quello di V. S. eh’ io vidi a Padova, perchè non è ninno che multiplichi la linea in più che 10. Ben n’ ho io fatto uno che l’acre¬ sce circa 45 volte, ma non fa chiaro quanto faceva il suo con il minor concavo, ben un poco più (se ben mi ricordo) che non faceva con il concavo maggiore. Oltre di questo, egli è dificile molto al maneggiarsi, per esser lungo quasi 4 brac¬ cia, et vedo pochissimo spatio in una volta, come saria a diro la quarta parto del diametro della luna. Questo ò quanto di buono sia in questa materia per questo parti. N’ho veduti di quegli del proprio primo inventore, dati poi a que¬ sto Ser. motn ; ma son tutti dozinali. Non ho cosa alcuna di nuovo: in resto, se di qua posso servir V.S. in cosa so alcuna, la prego usar altretanta libertà in comandarmi, quanta usa prontezza in favorirmi. Le baccio le mani. Di Brusselles, il dì 2 7. brtl 1611. Di V. S. molto 111.”* AfT. n, ° Ser.” Daniello Antonino. Fuori: Al molto Ill. r ® Sig. r P.ron mio Oss. rao il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. D’ altra mano : fr. CI * fin a Man. Lett. 577. 50-51. »n eoi a alcuni — Ai.bkrto d* Austria. [578] 9 SETTEMBRE 1611. 205 578 . GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze, lioma, 9 settembre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 39. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ill. r0 et Ecc. ,n0 Sig. r mio Oss. mo Una sol volta hebbi per ventura di essere con V. S. et alle stanze sue et alla Trinità de’Monti, con la guida del S. r Luca Valerio; ma hebbi tanta cer¬ tezza della singolare Immanità sua, come se vi fossi stato ben mille volte : onde io non ho da dubitare di pregarla confidentemente. Un Signor principale mi strigne a farle un’ impresa di cose celesti ; et io ho pensato di prender per corpo le nuove Stelle Mediche o Galilee, che mi mettono innanzi un bel concetto, sicomo un autor grave il motto. Ma perciocliè egli de¬ sidera ancora, che non meno per dichiaratione che per ornamento della cosa io io le aggiunga un poco di discorso, perchè ella si dee presentare ad un’Accademia fuori di Roma, io vorrei, con più sicurezza di quel che la memoria mi dà, po¬ terne formare la figura et esprimere la grandezza de gli orbi che girano; per- ciochè mi mostrò ben V. S. cortesemente la figura di quegli, e dissemi ancora i minuti del loro diametro ; ma come che io possa da vicino figurare gli orbi, non mi sovviene però quasi punto della misura di essi. Per tanto io la prego a favo¬ rirmi di significarlami più particolarmente, et aggiungervi oltreacciò in quanto spatio di tempo ciascuna delle stelle compia suo orbe. Si aspetta poi con grandissimo desiderio, non che da me, ma da tutto ’l mondo, l’intiera teorica loro ; per la qual cagione, ma più per rispetto di lei 20 stessa, io fra tutti, come il S. r Luca sa, mi son preso grave dispiacere della sua passata infermità, e grande allegrezza ho sentita della ricuperata salute. Questa con ogni altro bene le prego dal Signor Iddio, anche per beneficio publico. E sicome io non ho cosa eh’ io non stimi dovuta al suo merito, così tengo un ef¬ ficace volontà di adempire ciò che a me saria di debito, col servirla. Et a V. S. bacio affettuosamente le mani. Di Roma, li 9 di Settembre 1611. Di V. S. molto Ul. re et Ecc."™ 80 S. r Galilei. Fuori : Al molto 111. et Ecc. n ’° Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Lett. 578. 8. il molo — 206 IO ttSlTWJMtfi 1611. IM9] 570*. MARGHERITA BARROCCI» » GAI.ILEO [in Firenze], Itomi», 10 seltombro IMI. Blbl. Nm. Tir. Mm. Qkl., P. I, T. XIII, e*r. 10. - Aul ,-ia« U |>o»criUo ♦ la •oltoacrixiona. Molto 111.™ Sig. r mio Col."* 0 Credo che già V. S. molto tempo fa habbia munito una delle mie in ri¬ sposta alla sua gratissima, llora io le torno a rencnvcre, principalmente portarle di nuovo riverenza, desiderosa di sapere di sua saluto et di suo stato, ma an¬ cora per narrarle quanto m’ occorre per conto di Y. S. con questi SS. Perugini. Scrisse già un Padre Innoccntio, frate di S. u Agostino, elio sta in Perugia in S. 11 * Maria Novella, ad un mio servitore, che desiderava che io vedessi una sua cerbi natività, et insieme ini fece pregare, da parti dello Studio di Perugia, che io gli dicesso la mia opinione circa le nuovo stelle ritrovate da V. S. Io lo feci il piacere della natività, [et] gli ne fece chiedere un’altra d’ una fanciulla, io alla quale era succeduto un accidente maraviglioso ; la cui madre, pensando haverla strangolata, la gettò in una chiavica, et la fanciulla fu poi sentita pian¬ gere, et pigliata se risanò benissimo, et vive. 11 caso successe in Perugia, dove si trova detto Padre, al (piale io scrissi che mi mandasse la natività. Egli me la mandò calculata ; et havendogli ancora scritto io la verità delle Stelle, et lo¬ dato lo ingegno di V. S., se non quanto è, almeno quanto per ino si potea, egli me risposo una lettera, la quale m’alterò molto; et per ciò gli replicai, come pareva a me cho convenisse, et per ragione, non dovendo io far torto al valore di V. S. et alla osservanza che le porto. Egli replicò, conio potrà V. S. vedere, perciochò le mando ambe due P ultime sue lettere Le mie non le mando, non 20 havendone io tenuto copia, non pensando che si dovesse venire a tanto duello. Le mando bene la copia d* una che io rispondo ad un certo Guido Bettoli, come la vederà dalla sua, che pur le mando* 0 . La lettera sua ò vecchia, ma io l’ho hauta nel tempo cho la vederà che io gli rispondo : credo che la data sia fin» tione. Ilo voluto cho V. S. veda tutto quello cho passa. Il Sig. r Luca sta bene di salute, et la vede con la mente, et la lionora con la lingua et con la penna. Il simile fo io: dico il simile, perchè se egli avanza me nel’ eloquenza, sia detto con sua pace e d'ogni altro, io avanzo lui d’ affetto verso V. S. Il poema si attende a porre in netto; et cosi credo di mandarlo presto a so V. S., per iricevere il tavore cho ella mi vuol faro del suo purgatissimo giudicio. I‘l Cfr. uu.‘ 56ó, 676. «*> CXr. un.' 637, 674. 207 [579-580] 10—11 SETTEMBRE 1611. Facciami gratta di risposta, et mi tenga in gratta : col qual fine a V. S. senza fine bascio le mani. N. S. la guardi. Di Roma, a dì 10 di 7mbre 1611. Di V. S. molto 111 ~ Sig. r Galileo mio, io scrivo a V. S. alla carlona, come si suol dire : però V. S. accetti la buona vo¬ lontà, et creda eli* io le sono serva davero. Al mio Sig. r Nori bascio le mani tanto tanto. 40 Serva, che la servirà sempre, Margherita Sarrocchi. Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 S. ro et P.ron Col."' 0 11 Sig. r Galileo Galilei. 580 ** GIO. ANTONIO ROFFENl a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 11 settembre 1011. • Cibi. Naz. Flr. JIss. Gal., P. I, T. VI, car. 213. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r0 mio Oss. mo Parte di Bologna per la volta di queste bande il S. ro Fabritio Bartoletti, persona di qualitadi non ordinarie, che a punto ò V anima mia, e degno d’ es¬ sere amato et veduto volontieri, con il quale intercede stretta amicitia, invechiata con molti anni e commintiata sino dalle fascio. E perchè, mentre egli sta in Bo¬ logna, vcdolo spesso e godo dell* honorata conversatione, partendo, ancora non posso mancare di accompagnarlo con P animo, et raccommandarlo ancora con let¬ tere, dove arrivarà, a’ padroni mici, nello cui numero tengo lei, et osservola per tale. Appresentarà egli la presente a V. S. Ecc." a , e mi sarà gratissimo lo vedi io volontieri, pregandola quanto posso (valendo molto lei in questa Corte) a procu¬ rare die vedi quelle cose clic sono degno di essere vedute in Firenze, poiché des- sidera sommamente il vedere le cose notabili : di che non dubito punto, sapendo quanto lei ami simili huomini, et ancora quanto sii solita a favorirmi in ogni occasione ; assicurandola che, oltre la memoria continua che servare di questo favore, s’ obligarà ancora persona meritevole di ciò. In che non starò estendermi più oltre, havendo di già hauto molti segni della cortesia sua, etc. Dello S. ro Pappazzone non so che dire, se non che si prepara, e comparirà con sattisfatione di chi l’ascolterà: e questa mane siamo stati insieme sino a tre hore, et consultato molte cose sopra il viaggio et altro. Nel resto le yìvo 11 — 16 SETTEMBRE 1611. 208 [580-582] quello servitore elio sempre, pregandola a porgermi occasione ili poterla servire; 20 che per fine gli bacio riverentemente le mani. Di Bolog.*, il di 11 di 7rabro 1611. Di V. S. molto IU. W et Koc.“* Se. M di cuore (dio. Ant.° RoffenL 581 * FRANCESCO DI JOY FUSE a GALILEO in Firenze, 'liroli, l. r » settembre 1611. Blbl. Nu. Flr. Uu, 0»1.. 1*. I, T. XIV, ear. 68. — Autografo U Sroui. 111. S." Io ho gradito l* occhialo elio Y. S. m* ha mandato, non meno per la bontA sua et bellezza, che per haver appresso di me questo testimonio della sua cor¬ tesia. Le ne rendo le gratie eli’ io devo ; et Biconi’ ella in’ ha non poco obligato, cosi desidero ch’ella mi porga occasione di mostrarle la grata memoria ch’io son per tenerne, con adoprarmi in suo servitù», eh’ io son per farlo altrettanto volentieri, quanto me le oficro di cuore. Et le prego dal Signor vero bene. Di Tivoli, li XV di Sett. r * MDCXI. Di V.S. Come fratello [S.]. r Galileo Galilei. Il Car.“ l de Joy e use. 10 Fuori: All’111. Sig." Il S. or Galileo Galilei. Firenze, 582 ** LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenzo. Roma, 16 BCttembrr 1011. Blbl. Naz. Flr. M». Gal., P. VI, T. Vili, car. 41. - Aut-grufo. Ecc. m0 Sig. r mio, Volevo scriverli sino per la passata, come il Passigniuno, avendo auto datino amico suo in Venezzia uno ochiale simile a quello di Y.S., con il quale dice avere osservato già molte volte nel sole la mattina, al mezzo giorno et la sera; et il figliuolo et il genero dice che la vista non li resiste, nò io mi sono ardito, oltre al non avere auto occasione nè tempo di tentare se la vista mi resiste; Lett. 682. 5, 6. rettiti* —. 1G SETTEMBRE 1611. 209 [582-583] dove dice il Passigniano, che guarda, et leva l’ochio, et per un pezzetto non vede, ma poi, tornando, vede benissimo et com molta commodità; et che à os¬ servatovi nel sole insino a otto machie, et quando più et quando meno, et in varii io aspetti, et quando più scuri, et quando più spenti, quasi come se fussero infusi più o meno nel centro e nel mezzo del corpo luminoso: ma uno imparticolare nerissimo l’à osservato la mattina, come per esempio vederlo in A, il mezzo giorno in B, et la sera in C. Et tre giorni sono, che ero a S. a Maria Maggiore, mi disse che la mat¬ tina avea guardato et ne aveva visti 4 insieme, come nel secondo esempio, et uno, dì sempre detto di sopra, da sè separato, oscuris¬ simo. Et dice del certo che girano dentro alla detta sfera del grobo del sole : dove io li disse che lo osservassi una settimana, et lo disegniassi et ne desse aviso a V. S. À detto di farlo, ma che 20 assolutamente tiene vi girino dentro, et che per quella vadino vagando per il detto corpp. Però tutto le dico per aviso. Dissi a Ms. ro Dini quanto la mi scrivea, ma non ci siamo ancora stati. Egli ò a mia posta, ma io sono stato la cagione della tardanza, per alcuni impedimenti. Credo domenica, che sarà posdomani, andrò, et insieme vedremo dal Padre Gan- bergiera (l) quanto scrive. Il Sig. Luca (S) la saluta, et gli amici tutti le baciano le mani et le pregano da Dio vita e felicità. Di Roma, questo dì 16 di Settembre 1G11. Di V. S. Ecc. mtl - Afl>° Ser. r0 Lodovico Cigoli. so Fuori : Allo Ecc. mo Sig. re et Patron mio Oss. n '° Il Sig. r Galileo Galilei, in , Fiorenza. A > 583 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Padova, 16 settembre 1011. Bibl. Estense In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.« LXX1V, n.° 70. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. n '° mio Sig. r Già alcuni giorni scrissi una mia a V. S. Ecc. ma , della qual non vedendo ri¬ sposta, vo dubitando che se sii smarita, poi che se lei P havesse riceutta, sono 11 . pi O menu — O) Il P. Cristoforo Grienbkuger. l*> Luca Valerio. XI. 27 1G - 17 SETTEMBRE 1611. 2iQ 1G - 17 SETTEMBRE 1611. [583-584] certo, anzi certissimo, che (per 1* amore che lei mi porta) mi liaverehbo di già risposto, se per aventura non fosse travagliata da suoi affari, i quali, per quanto posso intendere, sono grandissimi. Ma sia come, si voglia, mi A parso debito mio scriverli questa mia altra, renovandomele nella memoria servitore perpetuo; accordandole insieme elio per sua gratin si vogli degnare favorirmi di un poco de vetri, li quali gradirò per amor suo, et tanto più mi sarano grati, quanto che vengono dalle sue mani, dalle quali sono certo che non può uscire se non cosa buona, io Non occorrendomi altro, a V. S. molto 111.™ baccio lo mani, otlerendomele ad ogni suo commando. Di Padoa, li 10 Settembre 1611. Di V. S. molto 111.™ et Eco."™ S.™ Afl>° S.™ Afl>° Francesco Duodo. Fuori: Al molto 111.™ mio Sig. r Os3. roo L’Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei. Appresso S. Altezza. Fiorenza. 584 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 17 settembre [1611]. Bibl. Naz- Fir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 45. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.™ et molto Ecc.*° S. r Oss.® 0 ITo ricevuto et vedo con molto mio gusto i discorsi, che li è piaciuto man¬ darmi, delle sue difese (,) ; et ne la ringratio. Conosco con V. S., sì per le raggioni che mi scrive nella sua, come anco per quello eli’ io consideravo, eli’ ella è si¬ cura a bastanza de’ suoi inventi contra qualsivoglia maligno, presso i giusti giu¬ dici; però desideravo, ciò fosse anco presso V ingiusti et l’istessa moltitudine; che sa bene, quanto questa suol moversi dalle parole di qualche saccntone, et sa quanto i Peripatetici siano poco amici di novità et n’ odiino gl’ autori. Spero, per quello mi scrive, la sua prestezza non sia per lasciar luoco a giudicio o contro¬ versia alcuna. Mi trovo con l’istesso desiderio di godermi la lettione delle sue lettere lunari (!) . Non potei fornir di veder il libro del S. r La Galla C5) : intesi mandava a farlo stampar fuori : m’ha pregato invii 1* inclusa tl) a V. S. Questi altri Signori stu- >*' Probabilmente uno di questi discorsi era la Griknbkroer (cfr. n.° 57G). lotterà al Diri (cfr. n.« 582). ( s> Cfr> n „ 660 _ Con tutta probabilità, le lettore a Gallar- La lettera a cui qui si accenna non 6 pre- zoxk Galla nzo.ni (cfr. n.« 555) o al P. Cristoforo sontomonte nella raccolta dei Mss. Galileiani. 17 SETTEMBRE 1611. 211 [ 584 - 585 ] diosi sono con la solita divotione verso di lei, et aspettano le sue opere con gran¬ dissimo desiderio. 11 S. r Demisiani ha fatto galantissimi epigrammi : però, come T accennai, conosco che lia di bisogno d’esser stuzicato (l) . Sollecito il S. r Porta pol¬ lina lettera a proposito, et credo haverla presto, se bone la vechiaia lo fa andar un puoco adagio. Di novo, devo dirle eli’ ho fatto incominciare a stampar il libro delle piante Indiane 1 **, che V. S. vide (8) ; et il S. r Tcrcntio ci fa un puoco di com- 20 mento. Bacio a V. S. lo mani, et me le ricordo al solito desiderosissimo et obli- gatissimo a servirla. N. 8. Iddio li conceda ogni bone. Di lloma, li 17 7mbrc 1[G11]. Di V. 8. molto lll. ro et molto Ecc. 1 ® Afi>° per ser> sempre Eed. co Cesi Mar. 8 ® di Mont. H 585 ** GALLANZONE GAI,PANZONI a GALILEO [in Firenze]. Tivoli, 17 settembre 1011, Bibl. Naz. Fir. Mss. (in!., P. VI, T. Vili, car. 48. — Autografa. Molto 111.™ Sig. re mio Oss. ,no Ho riceuto l’occhiale, et appresentatolo in nome suo al Sig. r ® Cardinale (l) , quale la ringratia infinitamente, come cosa che vonglii dalla sua mano. L’ hab- biamo esperimontato, et trovato bollissimo, ma non così bono come uno che fu mandato da Vcnetia al Cardinale, che veramente crediamo che sia quasi così bono come il suo; et l’habbiamo parangonato con molt’altri, in fatti passa tutti. Scrivo in questo medesimo tempo a Roma, che sia portata la sua lettera al Marchese Cesis. Quando vedrò il Padre Christophano '* ) , lo pregarò che mi facci gratia della lettera (8) , che la desidero con ogni passione. Li mando la lettera del io 8ig. r ® Cardinale ;7) , quale m’ha detto a bocca che li scriva eli’ egli desidera gran¬ demente d’ bavere occassione da potersi impiegare per suo servitio, che cono¬ scerà che non è persona al mondo che sia per farlo di così bon coro che lui. Et con tal fine li bacio le mani. Di Tivoli, alli 17 di 7mbre 1611. Di V.S. molto 111/® Aff>® Sei-/® Gallanzone Gallanzoni. Fuori: Al molto IU. ra Sig. ro P.ron Oss. mo Il Sig. r ® Galileo Galilei. Lett. 585. 12. aia farlo — Cfr il.® 560, lin. 17-18. <»> Cfr. tifi 532, lin. SO-82. ,2> Intorno allo vicende di questa pubblicazione (*> Francesco di Joybusr. Cfr. u.» 5S1. cfr. Breve storia della Accademia dei Lincei scritta < 5 > CRiSToroRO Gbienuerukr. da Domenico Carutti. Roma, coi tipi del Salriucci, < 61 Cfr. n.° 576. 1883, pag. 53-69, 83-97. . f»> Cfr. ufi 581. 212 22 — 23 SETTEMBRE 1611. [586-587] 586 . GIULIO CESARE I.AGALLA a LUIGI CAPPONI [in Roma]. Roma, 22 settembre 1011. Cfr. Voi. Ili, Far. 1, pag. 818-814. 587 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 settembre 1011. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VI, ear. 215. — Autografa. Ecc. m0 Sig. p mio, Andai con Mona. Dini dal Padre Grienbergiero, et per impedimento non si lesse, ma ce la prestò (,) ; et io l’ò copiata, perchè mi paro bellissima, et mi pare sia da lasciar vedere, et tanto più per cagiono del parere dato il Padre Clavio, del quale ebbi copia dal segretario dell*IU. mo Sig. r Cardinal Dal Monte: et la vo’ legare davanti, et così se arò, come mi il promesso Monsignore, quella di Perugia. Il qual Monsignore dice, che saria bene che poi V. S. le facesse stam¬ pare tutte insieme. Sto aspettando quella del Colombo {,) ; però la se ne ricordi. Li scrissi già come il Cavalier Passigniani à fatto lo osservazioni del sole la mattina e la sera, et elio le machie che vi sono lo vede in diversi aspetti, et io n’ à viste già et notate molte ; et mi dice che lo volo mandare a V. S., et che oltre alla diversità degli aspetti le vede più apparenti et più spento lo nere, et maggiori che se siano nella superficie di verso noi, et poi girando ora verso il mezzo et ora verso la circonferenza per linee spirali si inmergano nel corpo lu¬ minoso. Io non so : non ò visto, et malvolentieri mi risolvo e mi ardiscilo a ten¬ tare se 1’ ochio mi serve, sebene egli dice elio guarda un pocetto, et levato la vista, ritorna di quivi a un poco, et vede benissimo e quanto egli volo. Ci è comparso molti ochiali di Venczzia: n’ò visto uno assai ragionevole, et se mi intendevo della bontà, la quale senza paragone io non conoscilo, lo com¬ pravo. Il Passigniano n’ à uno che è ragionevole, ma non mi pare ottimo, con il 20 quale à veduto quanto ò detto di sopra. Questo è quanto 1’ ò da dare per nuova: sebene ne scrissi per 1’ altra (5) , l’ò replicato, so fussc ita male. Leti. 687. 12. le neri — 18-14. ora vero il mezzo — 18. V'?n«xz Cfr. n.o 576. <*> Intemli, la lettera di Galiuo a Gallanzosb Gallanzoni (cfr. n.° 555). < s > Cfr. n.» 582. 23 SETTEMBRE — 1° OTTOBRE 1611. 213 [587-588] Il Sig. r Gualterotti (1) alla richiesta di duo paosetti, eh’ egli accattò già da me quattro anni sono, alla richiesta che ò stata di soi in sei mesi, ha sempre bra¬ vato mio fratello; et elio pretende, oltre a molte cose che io li ò clonate, que¬ sti, et altre pretensioni di quadri e disegni ; et per farmi spaventare, che ò stato gente di mia conversazione, che apresso alloro Altezze ànno fatto male ofizio, et che, se non era lui che 1’ à ritocce di bella maniera et ricolorito, che io la fa¬ ceva male. Pensando di farmi cagliare, à fatto peggio, perchè, come li ò scritto, 80 io mi sono partito di Firenze per dar luogho alla invidia et ai mali dicenti, et confidatomi nella mia innocenza non ò paura di simil mostri, anzi mi adirerei quando tali dicessino bene di me : però non mi scriva più di tal novelle, et mi lasci vivere nella mia quiete, et mi renda cortesemente quello eh’ egli à accat¬ tato da me, e con amorevoleza, e non com bravate come à fatto. Et perchè dice che io guardi quello eli’ io chieggo, a chi i’ Ilo chieggo, et perché io lo chiegho, li rispondo che il Gran Ducha, quando si è servito di me et delle coso mie, mi à pagato con molta cortesia, et pure è il mio signor naturale : pensate quello che deve fare il Gualterotti et altri. Se mi risponde più, come credo, con imperio, vi vo’ far ridere, perchè io mi vo’ cavar la maschera e chiarirlo, poi clic 40 me ne à fatte tante, che io ò lo stomaco carico, e perciò è necessario una buona medicina da purgarci. Sig. r Galileo, stategli lontano, gli è huomo molto malefico. Non ò visto ancora il Sig. r Luca nè la Sig.™ Margerita: farò le saluti. Et il Sig. r Passigniani et io le baciamo le mani. I)i Roma, questo di 23 di Settembre 1611. Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. ma Servitore Lodovico Cigoli. Fuori: Allo Ecc. mo Sig. r et Patron mio Oss."'° Il Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 588 . GALILEO a LODOVICO CARDI DA CIGOLI [in RonmJ. Firenze, 1° ottobre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 20. — Copia di mano sincrona. Sono in obligo di rispondere a due gratissime di V. S. ; ma per¬ chè sono occupatissimo per finire una scrittura di 15 logli, in pro- 82. però mi mi scriva — 36. (fra rlucha — <0 Raffakm-o Goaltkbotti. <*> Luca Vai.kkio e Mabghkrita Sarrocohi. 214 1° — 7 OTTOBRE 1611. [588-589] posito (li corta contesa stata tra corti di questi filosofi Peripatetici e me questi giorni passati m , la quale fo per il G. Duca e forse si stamperà, mi è forza esser brevissimo con lei. Ilo caro elio V. S. habbia veduta la risposta mia mandata al P.re Granbergero, et elio li sia piaciuta. Quando il Sig. r Card. 1 ® di Gioiosa sarà in Roma, V. S. potrà vedere quello elio scrivo in materia del Co¬ lombo circa V asprezza della luna, perché tal mia scrittura è una let¬ tera che scrivo al Maestro di Camera ^ del detto Cardinale. Darei ben io caro vedere quello clic risposo il P. Clavio al modesimo Colombo. Ilo caro che il Sig. r Passignani vadia osservando il solo e le sue revolutioni : ma bisogna che V. S. li dica, elio awertisca che la parte del sole la quale nel nascere ò la più bassa, nel tramontare poi è la più alta ; perlochè gli potrebbe parere che perciò il solo havessc qualch’ altro rivolgimento in se stesso, oltre a quello che veramente credo elio egli Rabbia, c che mi pare d’ osservare mediante le rnuta- tioni delle sue macchie. Ilaverò molto caro 1’ osservationi fatte in ciò dal Sig. r Cavaliere, per confrontarle con le mie, etc. Di Firenze, il p.° d’ 8bre 1011. 20 Di Y. S. 111. 0 Sur." Aff. mrt Al S. r Cigoli. Galileo Galilei. 589 . GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 ottobro 1611. Bibl. Naz. !Flr. Mss. Rai., P. VI, T. Vili, car. 17. — Autografa. Molto IlL ro et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no Gentilmente in ogni modo e con l’usata cortesia V. S. mi favorisce, et a pieno sodisfà. so non al desiderio, che in sì fatte coso non ha quasi misura, certo al bisogno mio. Io m* avvidi nel vero di pregarla di troppo, chiedendole do’ pe¬ riodi degli orbi delle Stelle Medico; ma mi persuaso a farlo 1’ haver udito che alcuno ne havesse havuta notitia da lei. Tocca dunque a me di scusarmi intorno a ciò, poiché Y. S. con molta ragione non ha da publicaro a pochi quel che ma- Lett. 588. 17-18. mutationi dalle tue — Cfr. Voi. IV, pag. 5-6. **> li ALI. A SKUNK U ALI.AN/.UNI. 7—9 OTTOBRE 1G11. 215 [589-590] lagevolmente si può comprendere da chi che sia, etiandio osservando con dili¬ genza le stelle istesse. Nel rimanente rendo a V. S. affettuose grafie della parte io che mi ha significata ; e comechè io sia per vivere in questo mentre con gran¬ dissima voglia di vedere in publico 1’ opera elio da V. S. si aspetta, molto mag¬ giore 1’ havrò sempre di servire alla persona sua, che per mille rispetti il ri¬ chiede: e so intanto altro non mi sarà, permesso di fare, ne loderò almeno e l’Immanità e ’1 valore, quanto io potrò il più. Et a V. J$. con ogni affetto bacio le mani. Di Roma, li 7 di Ottobre 1611. Di V. S. molto 111.' 0 et Ecc.™ Aff™ Ser.™ S.r Galileo Galilei. Gio. Batta Agucchi. 20 Fuori, cV altra mano : Al molto 111. et Ecc.'"° 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Sig. r mio Oss. n '° 590*. SEBASTIANO VENIER a GALILEO in Firenze. Venezia, 9 ottobre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 217. — Autografa. 111.® et Ecc. mo S. r È statto superfluo V uflìcio che V. S. Ecc. ma ha fatto meco per non mi liaver vedutto nel suo partire di questa città : non tengo conto de certe apparenze con quelli massime che amo di vivo core, come fo la sua persona, la quale può es¬ sere certa di bavere il medesimo alletto che ho sempre liavuto di adoperarmi per suo servicio. Quanto alla voce che la perturba, de qualche condoglienza che d’alcuni se facci de qua per la sua partita, parendole che Labbia contesso man¬ camento almeno de ingratitudine (l) , egli è verissimo che in alcuni regna questo concetto, dicendo loro che T liaver V. S. Ecc. n ' a ottenutto dalla Republica una io demostratione insolitissima de stima et de affetto, la doveva persuader a rcco- gnoscerla con la continuatione del suo servizio et con qualche altro termine anchora: et a quello che ho detto ben spesso in sua dift’esa, che si ò retirata per finir alcune sue opere, ini respondono che a Padova liaveva tanto ozio, et la sua ettà frescha anchora le suministrava tanto quanto potteva desiderar per questo fine. Ma, S. r Ecc. mo , non si può tenir clic cadauno non dica quello le pare. Le Gl Cfr. 11 .» 5C9. 216 9 — 11 OTTOBRE 1611. [660-591] posso dire che quelli del governo, et che hanno gran senno, non ne parlano, come se fusse negozio delle Indie, et li suoi amici, tra’ quali io non mi contento del secondo loco, si contentano et godono de quello clic le torna conto, et haverano gusto che la rcsolutione le aporti gusto, reputatone et contentezza perfetta. Quanto a me, le replico che son tutto suo, che dandomi occasiono de adope- 20 ra r m i in suo favore, lo vederti dalli effetti chiaramente. In tanto me lo racco¬ mando affettuosamente, et le auguro ogni maggior contento. In Venetia, li 9 Ottobre 1611. Di V. S. 111.® et Ecc. n ' a Aff. mo per ser. a Sebastiano Veniero. Fuori : AH’ 111.® et Ecc. mo S. r 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 591 . MAFFEO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Bologna, Il ottobre 1011. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 65. — Autografa la firma. Molto 111.” Sig. 1 '® Mi dispiace molto che V. S. non fusse in stato da potermi vedere quando io parti’ di cotesta città, non perchè reputassi necessaria qualunque dimostratione dell’ amorevolezza sua, da me molto ben conosciuta, ma per il male che la so¬ praprese. Io prego il Signor Iddio che la preservi, poiché gl’ huomini, come ella è, di gran valore meritano di vivere longo tempo, a benefitio publico; oltre che a ciò mi muove ancora il mio particolare interesse dell’ affettione che le porto et le comprobarò sempre, come me le offero con tutto 1’ animo, ringratiandola dell’ offitio che ha passato meco. Di Bologna, li xi di Ottobre 1611. Di V. S. Come fratello Aff. nu,(,) S. r Galileo Galilei. 11 Card. 1 Barberino. Fuori: Al molto III. Sig. r « 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 691. 5. gl' huomi — (') « > è aggiunta autografa del Bamkrixi. 11 OTTOBRE 1(511. 217 [592] 592 ** GIO. ANTONIO ROFFENI a GALILEO in Firenze. Bologna, 11 ottobre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 40. - Autografa. Molto 111.» et Ecc. mo S.» mio Oss."'° Sono stato in villa, et erano molti giorni elio non ero nella città, e per que¬ sto non ho potuto rispondere all’ ultima sua : bora ringratiola quanto so dello cortese ollitio che si compiacque in parole usare con l’amico (,) ; essendoli stato vietato il poterli, conforme alla sua solita gentilezza, mostrarli 1’ effetto, fu assai : et ancora io cercare in sue occasioni far quanto mi si deve. Sono stato uno pezo con il S.™ Pappazzone, che a punto gli scriveva della partita che debbe Lire, et il quando, sì che la povera citta perde quanto haveva di buono, e tanto me ne duole, che non voglio vederlo partire al sicuro : et se il io negotio si commintiasse di nuovo a trattare, mi credi che mi sforzerei di distur¬ barlo. Ma non è più tempo: utinam dulcìs patria eius haheat illius ossa. In que¬ sto ultimo di vitta sua, gli aggrava quanto a me di abandonare le proprie co- moditadi. Allo comparire, legerà il soprascritto, e ne farà il iuditio. Et de his hactenus. Ho lettere da uno patrone mio, che m’addimanda certe dichiarationi d’ una maravigliosa proposta fatta, nella citta dove egli si trova, da persona di valore. Non truovo sogetto che mi dii lume : forse potrà lei sapermene dar qualche puoco. È proposta fatta ad un’Altezza, e l’amico, di ordine suo, devosi abboc¬ care seco, et avanti ne ricercava qualche dicliiaratione. Senti, per cortesia. Pro- 20 fessa di dare in luco un maraviglioso tlieatro di stupenda armonia, col vero ter¬ mine del genero multiplice, dal quale ogni professore dell’ arte musica potrà in un momento impatronirsi del maraviglioso secreto d’ accordare 1’ otto con il nove, vero contrapunto, et di divider l’unità di tutti li tuoni, di tutti li semituoni, di tutti li diesis, e di cavare la radice quadrata e di moltiplicare per tutti i lati, che servirà per la cognitione di tutte le dodici parte della musica, non co¬ nosciuta sin bora se non una parte sola. Lett. 592. 10-11. dùturlaìo — <*) Cfr. n » 580. XI. 23 218 11 - 12 OTTOBRE 1611. [592-598] Mi conservi in gratia sua, e ne dica il parere suo; che per fine mole offro servitore al solito. Di Bolog.*, il di 11 8bre 1611. Di V. S. molto HI." et Hoc. 10 * Se.** di cuore Gio. A ut , 0 KoffenL Fuori: Al molto HI." et Eoe.** S." e P.rone mio Osa.®* Il Sig." Galileo Galilei, Math.° del S. G. Ducca di Tose." a Firenze, 593 *. MARGHERITA SARUOCCHI a [GALILEO in Firenze], Roma, 13 ottobre 1611. Bibl. Naz. Flr. Hu. Ozi., P. I, T. XIII, c»r. IS Antofnfo U < ,lto«° Ser. ro G. Batta Agucchi. Fuori, d'altra mino: Al molto 111.™ et Ecc.™ Sig/ mio Oss.™° Il big.' Galileo Galilei. _ Fiorenza. 00 [595] 14 OTTOBRE 1611. 221 595 ** GIOVANNI GEMISI ANI a GALILEO in Firenze. Roma, 14 ottobre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. VI, cnr. 219. - Autografa. Molto 111." et molto Eco. Sig. r mio Oss. mo Trionfare» pure una volta della modesta ostinatone di V. S., e mi potrò glo¬ riare d’essere stato honorato dall’oracolo, insieme con Socrate; quantunque ella nomini questa honorevolezza servitù, la quale senza dubio è simile a quella delle sue stelle, che servono bone alla terra, ma con abbellirla, fecondarla et illumi¬ narla. In somma, a dirla com’io la sento, io mi stimo da qualche cosa potendo favellare con gli heroi, e tengo d’ essere maggior di colui qui concoquere magnani foélicitatem non potuti, sed saturitate accepit damnum imtnensum, come canta Pin¬ daro ; perché non mi satiarò giù mai io delle gratie che V. S. m’ ha fatto e fa, io nè pretenderò altro che felicitarmi con i suoi comandamenti. Nè mi dica qui, che le mie parole sono nella superficie colorate, e non altamente tinte, perchè le giuro per la crambe di Socrate e per la cappari di Zenone, eh’ io la riveri¬ sco e stimo quanto si può desiderare da un humile e riverente affetto ; e se il S. Conte Montalbano (l) non ha fatto il dovuto inchino a V. S. a nome mio, gliel perdono, sapendo ch’egli Labbia liavuto l’animo occupato insieme con Testili. Mi spiace che quel Cavaliere sia stato tanto poco ricordevole delti miei prieghi, e tanto poco felice spositor dell’ animo et intentione mia. Io mi contento che l’IU.mo s. Marchese (,) sia comraune giudice; e s’ egli giudicarà ch’io sia degno di castigo, riceverò la sentenza per beneficio, perciò che quanto fosse maggior 20 la pena che mi volesse imporre, tanto s’accrescerebbe il favore: anzi io voglio scommettere che il mio desiderio sarà sempre maggioro di obedir a V. S., del¬ l’ordine che quel Signore mi potrebbe dar in questo particolare. Nò occorre ac¬ cusarmi come inventore di tavolette o poco divoto osservatore del suo valore, perchè in vero il S. Cardinale t4) , senza eh’ io gliel domandassi, affermò, con sommo mio stupore, eli’ ella Labbia detto di non conoscermi. Hor se quel Pren- cipe Labbia voluto co ’l suo bello e fecondo ingegno partorire questa novella, a guisa di molti altri nobili pensieri, non so : 1* autorità di V. S. mi persuade, l'os¬ servanza che le porto me ’l fa credere, e quel suo puro e limpido affetto mi ne¬ cessita a tenere per sicuro, eh’ egli Labbia finta la storietta. Ma sia come si 30 voglia, è stato tanto grave errore 1’ haver accennato al S. Marchese, con parti¬ ci Alessandro Montalban. < S| Federico Cesi. Ferdinando Gonzaga. Cfr. n.° 560. 222 14 15 ottobri: 1611. [595-596] colar tenerezza e soavissimo lamento, che il S. Galileo habbia scancellata la me¬ moria del povero Demisiani dal suo animo? Io no *1 ni ego di non haver sentito affanno per tal cagione, perché, sì coinè me no pregio d’ essere in quel sacrario della sua memoria riposto, così ne sentirei estrema afflittione d’esser levato: nè sarebbe, uguale il suo et il mio danno, poco, anzi nulla, importando a V. S. la perdita della mia servitù ; a me sì, che sarebbe d’infinito danno il non bavere un padrone tale, quale non saprebbe generare la stessa Cortesia: alla protettione e favori di cui mi raccomando, baciando le mani a V. S., pregandole dal Cielo ogni maggior e miglior felicità. Da Roma, li 14 di Ottobre 1611. 40 Di V. S. molto 111." et molto Kcc. Oblig. mo Ser. Gio. Demisiani. Fuori : Al molto 111." et molto Kcc. Sig. r mio Oss. mo Il S. Galileo Galilei. Fiorenza. 596 * MARGHERITA «ARROCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, 16 ottobre 1611. Bibl. Naz. Flr. lfss. Gai., P. 1, T. XIII, c*r. 14. — Autografa la aottu»cruioDo. Molto 111.™ Sig. r mio Col. 100 Sono alcuni giorni che io hebbi una di V. S., nella quale rispondeva a quelle oppositioni fatele da’ Perugini : io non le risposi subito, sperando di poter far questo offitio per mezo del Sig. r Spinello Benci; ma la partita del Card. 1 Gonsaga fu così di ripente, che non potei scrivere a V. S., corno havea designato. Hora con questa me le ricordo serva, et la prego a tenermi per tale, assicurandola elio potrà bavere chi me avanzi di forza et di merito, ma non di affetto verso lei. 11 Sig. r Spinello mi ha scritto la buona voluntà elio ha V. S. di favorirmi nella revisiono del mio poema, del che mi sono sommamente rallegrata, ancora che io non ne fusse in dubbio. Et chi potrebbe dubitare della cortesia del mio io Sig. r Galileo, ornato di tante vertù et amatore così de’ letterati ? Io non 1* ho per ancora fatto fornir di cupiarc, ci manca poco, sì che spero di poterlo man¬ dar presto a V. S. per irricever questa gratia dal suo purgato giudicio, clic sarà la maggiore che io possi desiderare. La lettera che V. S. dice di havermi scritto, io non 1’ ho hauta, per mia desgratia; però V. S. supplisca a questo difetto con non essermi parca delle altre. 15 — 21 OTTOBRE 1 Gl 1. 223 [596-597] Di Perugia non le dirò nulla: credo che già la verità habbia lor messo il senno. Il Sig. r Luca, come già scrissi a V. S. t0 , continova a vederla col core, et ad honorarla con la lengua et con la penna : credo che V. S. ne vederà effetti, che 20 non le despiaceranno. Non sarò più lunga: la prego a basciar lo mani da mia parte al mio Sig. r Francesco Nori, et favorirmi di risposta, et arraguagliarmi dello stato et salute di lui. In tanto a V. S. con ogni affetto di cuore buscio le mani. N. S. la conservi. Di Roma, adì 15 d’8bre 1011. Di V. S. molto Ul. ro Serva, che sempre la servirà, Margherita Sarrocchi ne’Diraghi. Fuori: Al molto IU. re Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 597 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Tivoli, 21 ottobre 1011. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 53. — Autografa. Molt’ Ill. re et molto Ecc. 16 Sig. r mio Oss. mo L’haver tutti questi bei giorni minutamente visitato et ricerco il mio Monte di Giano qui vicino, con quattro eruditissimi botanici, ha cagionato che sin bora non ho potuto dar risposta alle sue gratissime. Feci ricapitare l’incluse. Pro¬ curai veder la lettera scritta al Grunberger lI> , desideroso non meno per inte¬ resse proprio di dottrina et gusto, che per P osservanza che tengo a V. S. et ammiratione allo cose sue, di goderla; come feci l’altra scritta al S. r Gallan- zoni C8) , che ultimamente mi fece recare. Non era in mano del Padre, per es¬ serli stata, avanti la leggesse, rapita et non ancor resa ; alla tornata mia, o per io l’una o per V altra via, vorrò senz’ altra tardanza vederla : et aspettarò con de¬ siderio il Discorso che V. S. mi dice hayer fatto sopra le sentenze Peripatetiche nel quarto celeste ( ‘\ 11 S. r La Galla ha scritto della luce per causa delle pietre eli’ ella li fece vedere (8) . La materia ò difficile, et difficilissimo sempre il ritrovar le cause senza partirsi delle inveterate opinioni. O) Cfr. n.° 579. Il Ditcorao a cui qui si accenna, è quello sullo Gal- Cfr. n.° 576. loggianti : cfr. Voi. IV, pag. 57 o sog., ed in parti- Cfr. n.» 555. colare da pag. 123, lin 26. **' Intendi, il libro IV De caelo (li Ari9Totei.e. (5 > Cfr. Voi. Vili, pag. 469. 224 21 - 23 OTTOBRE 1611. [597-598] IL S. r Terrentio et li altri Lincei et amici scriveranno per il proposito, et io sollecitarò. 11 libro delle piante Americane va tuttavia preparandosi allo stampe 0 ’. I vecchi filosofi, più minici dolio novità che amici della verità, non cessano darmi materia di ridere delle loro calunnie, et scoprirle et impugnarlo al possibile. 20 V. S. si conservi sana, mi dia sposso nuova di sò ot suoi studii, et mi com- mandi. Le bacio le mani. Di Tivoli, li 21 d’8bre 1011. Di V. S. molto ili. 1 ' 0 ot molto Ecc. t0 Air.'" 0 per ser> sempre Fed. co Cosi Mar. 8 ® di Mont. 1 * Fuori: Al molt’Ill. ra et molto Ecc. ta Sig. r mio Oss. n, ° 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 598 **. ENEA PICCOLOMINI IV ARAGONA a GALILEO in Firenze. Siena, 23 ottobre 1611. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. VI, car. 221. — Autografa la sottoserhiono. Molt’ 111. Sig. r mio Oss. mo Presentai a S. A. S. li ochiali mandati da V. S., quali sono riusciti molto bene ; e la medesima A. n’ ha preso molto gusto, o graditoli maggiormente. Del terremoto che V. S. desiderava sapere, qua mi dicono essersi sentito, et assai bene (!) . Altro di qua non lo posso dire, se non che lioggi si trasporrà la Madonna di Provenzano, o lunedì si farà una giostra al Saracino. Ricordo a V. S. 1’ affettuosa mia volontà verso di lei, esposta sempre a quanto mi coman¬ derà; e le bacio le mani. Di Siena, li 23 di Ott. ro 1611. Ser. AlT. mo 10 Enea Piccolo. 11 ' Arag. uit Fuori: Al molt’111.™ Sig. ra mio Oss. mo Il S. re Galileo Galilei. Fiorenza. r ". 0 ° ' ed il 9 settembre, che si soliti iu Firenze e iu nitri -> Probabilmente fu quello della notte tra P 8 luoghi della Toscana. [599] 29 OTTOBRE 1611. 225 599 **. GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Fireuzo. Roma, 29 ottobre 1011. Bibl. Naz. Fir. Msa. Gal., P. VT, T. Vili, cur. 55 . — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. n '° S. r mio Oas. mo Molte gratie io rendo a V. S. della cortese risposta die si è contentata di darmi, la qual è del tutto conforme a quanto mi conveniva di aspettare; e ni’è piaciuto di esser da V. S. fatto certo, che quantunque non sieno giusti per ap¬ punto i luoghi delle Stelle Mediche da lei osservati nel principio dello scopri¬ mento loro, non di meno io n’habbia da vicino tratti i periodi: perchè, quanto al maggior orbo, io era veramente in forse se fosse il suo giro di bore 18 , overo di bore 20 in circa, oltre a 16 giorni ; ma io m’ appigliai alle 20 , perchè in giorni 51 , no’quali la stella il fe’ tre volte, una mi mostrò le 18 o poco meno, io e V altre due 1 ’ hore vinti. E quanto alla retrogradatione, quattro volte la di¬ mostra manifestamente, tre dalla parte occidentale, et una dall’ orientale : e però, non essendo così il fatto, bisogna affermare che i luoghi non sieno giusti. Nel rimanente, debbo dire a V. S. che son ben sempre stato desideroso della notitia di tali stelle e del lor movimento, ma ho anche moderato il mio affetto con la speranza di quello che V. S. sarà por insegnare a tutti. L’ occasione però di quell’impresa, che mi veniva dimandata da un Signore grande, e Thaversi ella da presentare ad una Accademia nobile, accompagnata da discorso, mi pose in animo di sapere al presento qualche cosa di più dello dette stelle di quel che se ne sa in comune; e tra per questo, e per poter dissegnare la figura degli 20 orbi, mi assicurai, per la cortesia di V. S., di darne a lei molestia; o poi cercai di trarne i periodi da vicino: i quali venendomi da lei approvati, ho fornita qui la mia operatione; nò io ho già mai pensato di mettermi ad osservare i moti di queste stelle, sì perchè non ò opera da me, come perchè, appresso alla diligenza et al sapere di V. S., stimo che non che la mia fatica, che niente vale, ma quella d’ ogni perito matematico riuscirebbe se non del tutto vana, almeno so¬ perchia. Non nego già di non andare tal’ bora per mio diletto, da poi che Giovo ò orientale, riguardando le medesime stelle ; ma perchè io non ho strumento troppo buono, per ogni piccolo impedimento d’ aria turbata mi fuggono dalla vista. Ma col trattarne questo poco, ho almanco compreso che ò difficillissima 80 cosa da raccorne il movimento giusto, et ho non solamente fatta stima grande deir opera di V. S., ma l’ho predicata dove mi è accaduto di favellarne ; per- ■XI. 29 22G 29 OTTOBRE 1G11. [599J oliò lo scoprire delle stelle fu certo virtù, per rispetto dell’ istrumento fabricato, ma accompagnata da sorte; ma lo stabilirne la teorica ò opera di gran valore: e per tanto, se ho per l’adietro havuta gelosia che qualcli’ uno innanzi a V. S. non tentasse di darla in luce, bora, non ostante quel eh’ io ne senta dire in con¬ trario, mi sono quasi assicurato che non sarà per avvenire; o dall’altro lato mi allegro che V. S. truovi nuovo vie da rendere la cosa perfetta, e prego Iddio che così le faccia felicemente accadere, per sua gloria o per publico benefìcio. Frattanto io non ho comunicato ad alcuno la vicina misura de’ periodi, nemeno sarò per farlo, o se non forse a qualche persona molto amorevole di 40 V. S., perchò quanto all’ occasione della già detta impresa ò intervenuto quel ch’io le accennai. Quel Signore mutò pensiero, o no dimandò un’altra, la quale gli ho già fatta; e questa è rimasa a me, che l’ho subito fatta dipingere in forma assai grande, perchò ò molto opportuno il concetto ad esprimere la somma do’miei pensieri. Egli è vero che non diedi intiero fino al discorso, poiché io seppi che più non era per bisognare ; ma già che V. SS. mi favorisce di volerlo vedere, coll’accomodarlo a me stesso, il compirò, e gliele invierò con altre: ma si persuada pure che sia una piacevolezza accademica, elio da per sò vale poco e niente, essendo distesa da me, onde più noia che diletto le apporterà. E qui, tutto volto col desiderio al servitio suo et alla sua folicità, le prego questa da 50 Dio, et aspetto ch’ella mi dia cagiono di adempire quello; o di cuore lo bacio le mani. Di Roma, li 29 d’Ottobre 1611. Di V. S. molto Ill. rtì et Ecc. ma Lessi, molti dì sono, con mio gran piacere la lettera scritta da V. S. il primo di Settembre a que¬ sto Rev. P. Bamberger 10 : dove mi pare ch’ella sodisfaccia a pieno ad ogni dubbio; anzi mi sem¬ bra, che per mostrare le cagioni perchè non si veg- gan nella circonferenza lunare l’eminenze de’ monti, 00 ella conceda quasi e pruovi di troppo; e mi ma¬ ravigliai anche non poco di quell’ autore del Pro¬ blema (,) . Ilo fatta più volte ancor io, per conside¬ rare se vi sicno monti, la medesima osservatione delle cuspidi che appaiono nella stessa circonfe¬ renza in quei quattro tempi, e ne son rimaso per¬ suasissimo; ma di più mi son dato a credere elio vi possi anche esser qualche pianura : perchò, so O) Intendi, il Griknbregkb: cfr. n.® 570. <*> Cfr. Voi. Ili, Far. I, png. 30l o so*. 29 — 31 OTTOBRE 1611. 227 [690-600] si riguarda tutta la grandezza dell’ orbo o quanta 70 sia la parte del cerchio luminoso elio Pò dintorno e che da noi si vedo in iscorcio, bisogna elio sia tanto ampio lo spatio che vi si racchiude, che ’l mezzo possa ben contenere qualche pianura, co¬ perta da i continui dorsi de’monti, senza che noi la possiam vedere. Me ne rapporto tuttavia al suo parere, e di nuovo le bacio la mano. S. r Galileo Galilei. Ser. r AfT. m<> G. B. Agucchi. so Fuori , d'altra mano: Al molto 111. et Ecc.™ S. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Eiorenza. 600 . ANTONIO DE’ MEDICI a GALILEO in Marignollo. Oalapplano, 31 ottobre 1611. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 67.— Autografa. Molto Mag. 00 et Ecc. to Sig. r0 Havendo io saputo che V. S. si trova alla villa di Mangniolle et perchè vado credendo che li tordi devino haver finito il loro passaggio, ho volsuto man¬ darli un poco di caccia che ho fatto qua, che d’ un porcho insieme con quatro cotornice, lo quale la lo goda per mio amore. Et harò molto caro di sentile dallei se li piace il logo di cotesta villa ; con che per fine li prego colmo d ogni contento. Di Calapiano (s) , li 31 d’Ott. 1611. Di V. S. molto Ecc. 10 Aff>° per farle ser. tio Don Ant.° Medici. Fuori: All’molto Mag. c0 et Ecc. 4 ® Sig. r * Il Sig.*'° Galileo Galilei. In Fiorenza, per Marigniollo. Villa Moilicea presso Firenze. <*) Calappiano, villa e fattoria di Don Antonio ok’ Medici, nella potostoria di Vinci. 228 11 NOVEMBRE 1611. [ 601 - 602 ] 601**. FRANCESCO DUODO n GALILEO in Firenze. Padova, 11 novembre Itili, Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, cnr. 225. — Autografa. Molto lll. r0 et Ecc. mo mio Sig. r Sono parechi giorni che con mio lettere non ho fatto a lei reverenza ; et perciò bora vengo con queste quattro righe a suplire al debito meo, recordandomele quel servitore che sempre le sono stato, et pregarla a volermi alcuna volta favorire co’suoi comandamenti, chò certo non potrò recevcr maggior favore di questo. Non mancherò tornarla a suplicare che si vogli aricordare del mio ochiale, ciò ò di inviarmelo, al che fare la no prego con prima coraraodità, essendo io desideroso di portarlo meco a Yenetia, dove spero andare per questo feste di Natale. La prego donquo a non voler mancare, et a favorire un suo servitore che cotanto 1’ anima. Se lo do troppa noia, di gratia mi escasi, poiché ciò nasce io per desiderio di goder alcun frutto del suo valore, ancorché questi stimi de’ mi¬ nimi, essendo la sua natura inclinata a coso maggiori. Non ocore elio mi mandi il canone, ma li vetri soli, poi elio di quello di qui provederò. Et non occorendomi altro, a V. S. molto Ill. ro di cuore baccio le mani, offerendomele servitore perpetuo, So non me li po’ mandare li vetri, mi avisi, so così li piaco. Di Padoa, li 11 Novembre 1611. Di V. S. molto 111.™ et Eco.™ Serv.™ Aff. mo Francesco Duodo. Fuori : Al molto Ill. ro mio Sig. r Oss. ino L’ Ecc. m0 Sig. r Galileo Galilei. 20 appresso S. Altezza. Fiorenza. 602 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenzo. Roma, 11 novembre Itili. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, cnr. 227. — Autografa. Molto 111.™ et Ecel. mo Sig. r mio, È già un tempo che non ò scritto a V. S., esendomi stato promesso e trat¬ tenuto di speranza di avere la lettera, se però il Padre.Clavio haveva scritto al Lett. 801. 12. inclinita — ló. Uopo li piace si legga : cA« procurerò altrove ; ma queste parole sono semicnnccllate.— 11 NOVEMBRE 1611. 229 [ 602 ] Pipjiione; ma finalmente averati et quasi certificati die il Padre Clavio non •\ scritto lui in risposta al Colombo, ma uno altro Padre in suo cambio. Poi quanto alla scrittura di V. S., amiamo Monsig. r Dini et io al Gambergiera {t \ et perché diceva avere molto da fare non la havea letta; noi dicemo che sa¬ remo tornati, et egli co la volse dare, acciò a nostro agio la leggessimo ; dove a Monsignore le parve, doppo che la avemo letta, del prenderne copia et darla io ancho per Roma ad altri, et così ancora io : et di più habbiamo auto da quel Maestro di Camera di Gioiosa (8) la copia del Problema latino, et tradotto an- chora { ‘\ et di più la risposta di V. S. sopra il Colombo (5) , della quale ò auto molto gusto. IV ò tutte insieme legate, et la prestai al Sig. r Luca Valerio, la quale non P ò ancora riauta. La scrittura mandata da V. S. al Gambergiera, quando la avevo, la portai al Marchese Cesis, et gli era in villa ; poi apunto in quello che l’avevo resa, tornò. Pregai il Padre a mandarla; mi disse che lo fa¬ rebbe : non so poi il seguito. Sono stato molte volte con il S. Passigniani, et Pò pregato a mandare a V. S. quanto aveva osservato del sole : mi à, doppo molto volte promesso, detto 20 che manderò, insieme con il Sig. r Luca Valerio, cho mi dice le voi mandare non so che sue cose. Questo ò quanto lo ò da dire : del fatto solo ci resta che parlai a quel Maestro di Camera, et volevo la scrittura mandatali dal Colombo tU) : me la promesse, e cho vedrebbe di riaverla, ma dubito mi desse parole; pure me ne chiarirò. No discorremo un poco, et egli pareva die lo difendesse, dicendo che P era quasi cosa cho si poteva anche credere come diceva questo l’ippione, che quasi mi pareva da acompagniarlo seebo, per lo annaspare che faceva per difender tale oppinione pippionica. Harei finito tutto lo affrcscho della cupola (7 \ se il Cardinal Borgese non mi havesse fatto cominciare una sua logetta. Pur ò impetrato un poco intervallo, 30 tanto cho finiscila lo afrescho della cupola, et poi, mentre rasciuva, tornerò a finire la logetta; che credo mi sarò spedito fra quindici giorni di tutto lo afre¬ scho della cupola, cho me ne par millanni. Intanto mi comandi, et mi favoriscila a baciar le mani al Sig. r Filippo Sal- viati et al Sig. r Iacopo Giraldi, dal quale, per mano di Monsig. r Dini, ebbi il sonetto gentilissimo del Sig. r Ottavio Renucini fatto sopra V. S., il quale ho co¬ piato davanti alle copie delle sue scritture : nello quali guardate a non vi ocupar tanto, che perdiate il filo di tanti bei pensieri : però il Sig. r Luca grida clic li Lett. 602. lp. quinto — 1G. mi tlissi — lìti, ^^ Cfr. Voi. Ili, Par. I, png. 301-307. ,7) Di S. Maria Maggioro. li novembri: 1611. 230 [ 002 - 603 ] lasciato al) ai are, et attendete a tirare a finir di quelle cose, che li avete detto Però avvertiteci molto bone, chè dico il vero. Et con questo baciandoli lo mani, Idio la feliciti. io Di Roma, questo dì 11 di Novembre Itili. Di V. S. molto 111.™ et Ecel. ,na Umil. m< * Sor.™ Lodovico Cigoli, Fuori , d’altra mano: Al molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r mio 11 Sig. r Galileo Galiloij. Fiorenza. 603 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 11 novembre itili. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Gal, V. VI, T. Vili, cnr. 57. — Autografa. 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss."’° Onde tanto silenzio ? è possibile che V. S. si sia affatto scordata di questi paesi ? Se io non gli lio scritto, sappia elio ò pochi giorni oli’ io son ritornato a Padova, essendo stato a Vicenza quasi sinhora por travagli domestici: bora mi par di repigliaro la penna, et eccitarla con questa mia a darci qualche nuova dell’esser suo, elio piaccia al Signore cho sia prospero c felice. Qui s’era divulgato cho V. S. pensava di ritornare all’ antica quieto e liberti! Patavina, che mi era di grandissima consolatione, quando fusse stato di suo gusto ; ma poi questa voce s’ ò svanita. Per un tempo hahhiamo pensato cho almeno venisse a vederci, e forsi anco a stampavo le suo osservationi ; ma quo- io sto ancora ci ò andato fallito, llor, poi cho non ha voluto consolarci con la per¬ sona, ci consoli almeno con suo lettere, c ci dia speranza di farci vedere lo no¬ bilissimo sue osservationi, da tutto ’1 mondo aspettate o desiderate ; e so oltro le cose già scrittemi ha inventato altro, non mi defraudi di darmene nuova. Qui s’ò detto che ha trovato modi eccellentissimi per perfettionar più l’oc¬ chiale, se bene in Venctia, dove io son stato questi giorni, dicono cho non si può perfettionar più di quello che sinhora s’ ò fatto, e specialmente dalli mastri di detta città. Vene questi giorni al R. Pignoria avvisi del S. r Volsero, che in Germania erano di quelli che incominciavano a mirare anco nel sole. Hor, inteso questo, 20 SS. a Jini — Lett. 003. 8. che pochi — (1> Lo scritturo intorno al moto. Cfr. n.« 115. 11 NOVEMBRE 1611. 231 [603-604] il Pigliano (,) , elio ha gran gusto di questi occhiali, et un gentilliuomo di Dotti (5) hanno mirato, e trovano che nel centro del sole non vi sono raggi, sì che vi ai può mirare, ma che li raggi in grandissima copia sono intorno alla circonfe¬ renza, e elio hanno osservate in detto centro due macchie simili a duoi occhi, et una per lungo, elio pare appunto formi il naso. Questa veduta 1’ ha fatta su¬ bito passato il mezzogiorno: vogliono mirarlo anco nell* orto e nell’occaso, per notare se vi scorgono l’istesse macchio. 11 S. r Dottor Coradino 115 ha fatto con estrema diligenza mettere in disseguo la luna sotto diverse apparenze, con tutte quelle macchie c segni che in quella so si vanno in diverse bore e tempo scorgendo ; si che V. 8. vede che qui tuttavia P liumoro seguita. Ilarrei altre coso da dirle, ma il tempo non mi serve. Gli amici di V. S. tutti son sani, o facciamo spessissimo commomoratione di lei ; et il S. r Velsero in ogni sua lettera mi stimola ch’io la solcciti a mandar fuora le sue osservationi. M. r Querengo 05 ci dà. speranza di venire a stare un mese di questo inverno a Padova, dove habbiamo dua lettori nuovi : uno, nei luogo del Montecchio (5) , detto il Dottor Marta (#5 , che altre volte ha letto in Pisa; l’altro il medico Santorio 05 , che stava in Venctia, in luogo del già Massaria 185 o Eugenio t0) . Dicessi che trat¬ tano di condurre alle Mathematiche un Francese ° 0> . 40 E questo basti per bora ; il Signor la feliciti e li faccia fare un soave S. Mar¬ tino, nel qual giorno io scrivo questa a V. S. da Padova del 1611. Di V. S. Ill. r0 et Ecc.'" a Ser. ro Aff. m0 Paolo Gualdo. Fuori: All’Ill. ro et Ecc." l ° S. r mio Oss. 1110 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 604 . LUCA VALERIO a GALILEO in Firenze. Roma, Il novembre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 223-224. — Autografa. Molto Ill. ro S. ro et P.ron mio Col. n, ° Iloggi la S. ra Margherita m’ ha letta la lettera di V. S., della qualo non manco a me communi ho stimate tutte 1’altre sue, scritte alla detta Signora; •'I GaSPAKE PlGNANl. Vincenzo Dotti. G) Luigi Cokkadini. 0) Antonio Queuenoo. Gl Sebastiano Montkochi : cfr. nn. 1 445, 418. <°i Iacopo Antonio Manta. Gì Santohiu: Santokio. Gl Alessandro Massauia. l°> Obazio Augknio. t'O) Giacomo Ai.kaumk. Forse ò questi P oltra¬ montano, al quale abbiamo già veduto accennare il Liokti : cfr. ii.° 413. 232 11 NOVEMBRE 1611. [604] ai come erodendo io dio V. S. dovesse tener per mie tutte quello die le scrive la S. ru Margherita, non mi son curato, dopo la sua partita, di farle riverenza con alcun’ altra mia particolare ; o più tosto non ho voluto, oltre alla detta causa, per non darle fatiga di rispondermi in particolare, vedendola tanto occu¬ pata in rispondere a tanto et si strane oppositioni. Ma credo eh’ liora, che V. S. ha data piena sodisfattione all’ autor del Problema, commuiio a tutti quelli elio dell’ asprezze della luna potessero mai dubitare, non lo sarà di tanta noia il io mandarmi le ricevute del canone dovutole dell’ osservanza et riverenza mia. Quanto a quel che V. S. temo, eh’ io dia troppo eccessive lodi al valor suo, da una mia elegietta, più elio dall’incluso epigramma, potrà vedere, se voràco¬ noscer sò stessa, quanto il mio dir sia lontano dal potere agguagliar la menoma parte delli ineriti di V. S. Manderò l’elegia per quest’ altro ordinario, insieme col teorema della superficie della sfera già promessole, s’io haverò huvuto tempo di copiarlo. Per non esser più lungo, con poche parole, ma col magior affetto elio sia possibile, priego V. S. et supplico che, poiché la Scanderbeide della S. ra Marghe¬ rita, già copiata del tutto, sta in procinto d’inviarsi a V. S., ricevuta elio l’hab- so bia, a rivederla con ogni diligenza, et pregar anco il S. r Is'ori a fare il mede¬ simo; chè, oltre alla S.™ Margherita, obligheranno ancor me con tal legame, che, per la testimonianza della detta Signora senza dubio, et per la mia forse anco, dalla memoria degli liuomini mai non si scancellerà: tanto in me la gran¬ dezza del desiderio inalzerà la bassezza dell’ ingegno. Et per fine, pregando V. S. molto 111.™ a conservarmi in sua gratin, le bacio le mani con ogni affetto di cuore, come ancor fo al S. r Noli; et Dio N. S. le conservi lungamente et feliciti. Di Poma, a dì 11 di Novembre 1611. Di V. S. molto III.™ Se." Devotiss. 0 so Luca Valerio. J)um radio, Galileo, tuo copimi fìttine rctecium Special, et insolito murmurc Terra fremit , Quod cantra tetnpus solido non acre resista , Aderita in fragili stai Ubi fama vitro (,) . Fuori: Al molto III.™ S. r et P.ron mio C-ol. rao 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. G04. 10-11. noia il il marni,irmi — 16. havtrù huuto — “> Cfr. Voi. V, pa S . 91. [G05-606J 11 — 12 novembri-: 1611. 233 605* DARIO TAMBURELLI a CRISTOFORO GRIENBERGER in Roma.' Parma, Il novembre 1011. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. XV, car. 45. — Autografa. Sul tergo, nccanto all'indirizzo, si leggo, di mauodi Galileo: P, Dai’io Tamburelli. A Galileo la prosante fu inviata dal Giukmskiiokr con la lotterà del 5 febbraio Hi 12. Molto R.‘ l0 in Christo P.rc, JPax Christi. Già che il Sig. r Galileo hebbe per mezzo mio, ma senza mia colpa, il Problema fatto in Mantova W, in’ ò parso bene indrizzar a V. II. queste poche righe, qui incluse, acciò per mezzo mio sappia quanto qui in Parma lo stimiamo e riveriamo; o V. R. mi farà grafia a mandarglile. S’ò fatta qui nello Studio di Parma quest’anno l’orationo della rinova- tione de’studii da un nostro Padre eli’insegna Rettorica, alla quale oratione son stati presenti il Duca di Poli w , il Marchese Cesar ini <*>, con altri duoi suoi fratelli Don Alessan¬ dro e Don Virginio, i Couseglieri dello Stato di S. Altezza, i Dottori dello Studio, con quasi 10 tutta l’Università do’ studenti ; o parte di questa oratione è quest’ istesso eli’ io gl’ invio <*>, in lode del Sig. r Galileo, non mai a bastanza lodato. Con quest’ occasione ho voluto an¬ cora salutar V. R., pregandola a far l’istesso in mio nome col P. ministro, P. Lembo, P. Clavio, P. Malcotio (8) , e raccomandandomi all’orationi o Santi Sacrificii. V. II. per carità mi faccia gratia d’ avvisarmi so alcun autore ha fatto diligenza in dichiarar i loghi d’Aristotilo e di Platone, dove toccan esempi di mattematica, e corno si chiami l’autore, oliò circa l’esservi, credo certo che vi sia. Di Parma, 11 di Novembre 1611. Di Y. R. Servo in Christo P. Granborger. Roma. Dario Tamburelli. 20 Fuori : [A]l molto R. d0 in Christo P.ro 11 P. Christoforo Granborger, della Comp* di Giesù. Roma. 606. [CRISTOFORO SCIIEINER] a MARCO WELSER [in Augusta]. [Ingolstadt], 12 novembre 1611. Cfr. Voi. V, png. 25-27. <’) Cfr. Voi. Ili, Pur. 1, pag. 801-807. < s > Conte Conti. < s > Giangiorcio Cesariki, » Non è oggi allegata alla lettera. (5) Paolo Lembo, Cristofouo Clavio o Odo vaH Maelcote. XI. 234 14 — 18 NOVEMBRE 1611, [607-008] 607*. GIULIANO DE’ MEDICI a BELISARIO VINTA in Firenze. Praga, 14 novembre 1611. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Modico» 4a0G. - Autografa la aottoacrizlom». 111." 0 Sig." mio Osa." 0 Doppo essere sigillate le lettore et essere un gran pezzo (li notte, f* venuto qui un Fiammingo alchimista W, molto favorito ili Sua Maestà Cesarea, a dirmi per parte sua che io scrivesse al Gran Duca nostro Signore, pregandolo in nome bug u volergli mandare due di quei vetri da fare occhiali del Galileo et del vetro appresso, il quale egli farà poi lavorare qui, conformo a due vetri lavorati che desidera, cosa nella quale preme Sua Maestà più che in uessuu’ altra.... 608. FRANCESCO MARIA DEL MONTE a GALILEO in Firenzo. Roma, 18 novembre 1611. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. X1Y, car. 69. — Autografa la sottoscriziouo. 111. Sig. op Ilo visto quanto V.S. mi scrive circa le difficultit clic ha di monacare le due sue figliuole lt) : et in risposta le dico, eh’è vero che Papa Leone XI, quando era cardinale, cavò un breve, che in Fiorenza non potessero essere accettate due sorelle nel medesimo monasterio ; nondimeno io, per amor di V. S., operarei con la Sacra Congregatione de’ Vescovi o Regolari, o, se bisognasse, con la S. li di N. S., che le facesse gratia di poterle mettere ambedue in uno istesso mona¬ sterio. Et se si havessero a monacare altrove che a Fiorenza, non ci sarebbe questa difficultit. Quando il monasterio ha pieno il numero dello monache che vi è prescritto, io bisogna, per monacarvisi, dare la dote duplicata; e così se ne dò licenza, se al¬ tro non osta. La terza difficultit è del tutto insuperabile; perchè non si otterrebbe mai di dare Thabito a fanciulla alcuna innanzi 1’età legitiina: che se io ci vedessi via da spuntarla, mi ci metterei con ogni prontezza o con ogni sforzo, e non pretermetterei diligenza veruna acciò V. S. fusse compiaciuta, perchè P amo e la stimo grandemente, come ben merita il valor suo, accompagnato con tante O) Coen elio Drkbdru <*> Virginia o Livia. [608-610] 18-21 NOVEMBRE 1611. 235 altre honorate qualità; ma, corno ho dotto, si tratta dell’impossibile, ot a me ne incresce per amor suo. Clic ’l Signor Iddio la contenti. Di Roma, a’18 di Novembre 1611. Di V. S. 111. Come fratello S. or Galileo Galilei. 11 Card.' 0 dal Monto. Fuori : All’ 111. Sig. or Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. 009 ** MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma. Augusta, 18 novembre 1011. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Faber. Filza 410, car. 14-9. — Autografa. Molto III." et Ecc. m0 S. oro Certi miei amici hanno osservato col tubo ottico certe macchie apparenti nel sole con tanta conformità, che le tengono per cosa indubitata : ma avertiaca V. S. che dico apparenti, non esistenti noi sole, perchè con certi buoni argomenti bì persuadono elio siano stelle, elio, per esser di sotto o a canto del sole, incorrendo nella linea nostra visuale, fac¬ cino tal mostra. Desidero sapere se costì ci ò nova di questo, ot se aleuuo no ha latto osservationi.... / 610 *. GIULIANO DE’ MEDICI a BELISARIO VINTA in Firenze. Fraga, 21 novembre 1611. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4866. — Autografa la sottoscriziono. Ill. mo Sig. r# mio Oss. rao Mi vien di nuovo ricordato di Sua Maestà Cesarea quegl’occhiali et vetri del Ga¬ lileo, che scrissi a V. S. la settimana passata; che per sodisfare tanto più a questa voglia di Sua Maestà, se parrà così a V. S., si potranno facilmente mandare per la posta, nella stessa forma che si fa dello cassette d’olii. Et V. S. da questo potrà giudicare V humorc dell ’ Impr, di attendere in questi frangenti a queste cose et stare sul volere impedire i maritaggi, come le scrissi la settimana passata. Et nuovamente è arrivato dell’ Imperio nn alchimista , col quale sta tutto il giorno in quel tempo che egli non sta travagliato dal timore d’ un successore.... Lett. Q09. 2. Le parole col tubo ottico sono aggiunte in margine. — Lett. 610. 5-7, 8. V humorc ... maritaggi o alokimiita ò scritto in cifra, e la traduzione si legge tra le righe. *— , 236 25 NOVOIBRE - 3 DICEMBRE 1611. [611-612] Gli*. MARCO WELSER a PAOLO GUALDO in Padova. Augusta, 25 novembre 1611. Bibl. Marc. In Venezia. Cod. LXVIII della Cl. X Ita!., cor. 41. — Autografa. _Non so conio il S. or Galilei stia Bonza lasciarsi sentire. Scrivo ni S. or Pignoria ap¬ presso, che ancora di qua andiamo non cercando il polo nell’ uovo, ma sì bene trovando le macchie, saltem appar&nter, nel sole. Credo elio Iddio permetta o disponga questi trovati, per confonder la superbia huniana et farlo toccare quasi con mano la propria ignoranza.... 612 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 3 dicembre 1811. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 59. — Autografa. Molt’ Ill. re et molt’ Ecc. t0 Sig. r Oss.™ 0 Non vorrei che col longo silentio, cominciato da clic lo scrissi di Tivoli, V. S. potesse persuadersi, che, scemandosi P amoro et osservanza elio le porto, com¬ mettessi grave errore nella Lincealità, et fessi meno ricordevole di tanto chele devo. Panni però dover romperlo col salutarla et inviarli P acclusi epigrammi del S. r Demisiani 0> , che finalmente hoggi m’ ha dati et lo bacia le mani ; pro¬ mettendoli d’inviarli di mano in mano quelli ornamenti per la sua gloria che d’altri potrò accapare, elio spero, in confusione delli aversari, tanto più saranno, quanto meno ella n’ ò bisognosa : nò credo tardarà molto il S. r Porta a sodisfare con P epistola, et altri amici darne a proposito. Et credo, facilmente mi creda io che molti delli ingegnosi hanno bisogno di sprono. Il S. r Terrentio, nel tempo eh’è stato Linceo libero, ha illustrato l’historia de’ semplici Indiani, che V. S. vidde et bora è molto ben incaminata alla stampa ' 5) . Finalmente si trova egli a pregar Dio per noi tra’ Gesuiti l,) . Il S. r Fabri c *\ aneli' egli de’ nostri, et molto dotto et erudito, ha riceuto let¬ tere da quei filosofi d’ Alemagna, che dicono osservarsi ivi da molti lo macchie solari ; del che, perchè egli stesso n’ avisarà V. S., non dirò altro (S) . (>) Non sono oggi allegati alla lotterà. appartonero all’Accademia dei Lineo!. <*' Cfr. n.» 584.. i*> Giovanni Fabkb. * ’ Non potevano gli ascritti ad ordini religiosi <*i Cfr. n. # 614. 3 — 10 DICEMBRE 1611. 237 [612-613J - - È qui il S. r Teofilo Molitor (1) , filosofo molto dotto et diligente, et che mo- stni, per la poca età, grandissima cognitiono et esperienza di tutta la natura, et 20 ardentissimo fervore d’imparare, onde so ne dove sperare gran riuscita ; et di già è condotto con straordinaria provisiono per professore botanico d’Ingolstat, Desidera esser de’ nostri Lincei : penso d’ammetterlo et ne do conto a V. S., con¬ forme al debito. Viddi finalmente, con molto mio gusto, la lettera di V. S. al Padre Grun- bergcr ( * } ; et così come ne ricevei grandissimo gusto et conobbi dover esser molt’utile a risolver alcune obiettioni delli Peripatetici, feci legerla al S. r La Galla, nè ho ancora sentito come resti sodisfatto nel suo limbo lunare non mon¬ tuoso. Nè volendo per hora esser più longo, restarò aspettando risposta et buona nuova di V. S. et di suoi studii, et desideroso mi commandi. Lucio a V. fc>. le mani. so Di Doma, li 3 di Xbve 1611. Di V. $. molto 111. 1 ' 0 et molto Ecc. t0 Aff. ,n0 per 8er> sempre Fed. co Cesi, Mar.* 0 di Mont. 11 613 . GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO in Fircnzo. Murano, 10 dicembre 1011. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 229. — Autografa. Molt’111. 1 ' 0 et Eec. mo S. ro , S. r mio Oss. mo Ilo inteso la difficoltà, anzi impossibilità, che V. S. trova nella prestanza delli A senza le solite sicurtà (3) , e lodo, come cosa buona o ben latta, l’osservanza delle regole del buon governo, ottimamente intesa da que’ prudentissimi Signori che assistono a gl’ interessi di S. A. Ser. ma ; se bene, per 1’ utile che n’ avrebbe tratto il suo Stato, e massime ora che l’Indie cominciano a suscitar negozio, non saria stato fuor di proposito un piccico di quel sai politico, che in extraor- dinarìis orilo est ordinetn non servare. Parlo però con ogni debita riverenza, c mosso solo dalla consolazione, eh’ io desidero nell’ animo, di quell’ A., a cui per io lo eterno Dio ho consacrata tutta la mia divozione; chè in fine la modestia della mia fortuna non ha necessità di miglioramento, e posso contentarmi di esser, per grazia di Dio, esposto anzi all’ invidia che alla compassione. Lctt. 012. 18. Molilr — U> Tkofii.O Muf.M.kr. Galileo Galilei. JIT. Girolamo Magagnati (Atti del <*> Cfr. n.° 676. H- Imitato Veneto di udente, lettere ed arti. Tomo VII, < 3 > Cfr. A. Fa VARO, Amici e corrispondenti di Serio VII, pag. 448-419). Venezia, tip. Forrari, 1896. 238 10 — 15 DICEMBRE 1611. [ 618 - 614 ] E 80 mi ò viotato il poterla goder e servirò in Toscana, non ò però inter¬ detto a lei il favorirmi a Murano, dove 1* attendo questa ostato a goder meco il palazzotto de’ Giuliani, che ho tolto ad affitto : il quale ha un giardino quanto la piazza di S. Marco, copiosissimo di ottimi frutti, o nella più bella o più deli¬ ziosa vista di tutto il paese, dove la tranquillità della stanza m’ha porto occa¬ siono di finir il mio Iddio 10 , il quale ho già ricuperato dall’Inquisitore, e si stampa (ben che sia presunzione) donato a S. A. Ser. n,tt A tempo novo spero goderla insieme con gli amici, o particolarmente 20 co’ SS. ri compari Ferrari e Maininoci {,) , a’ quali desidero dar alcuna volta, questo carnovale, salciccia che superi la Vicentina, et olivo che superino lo Veronesi e Bolognesi : però la prego a inviarmene un barlotto, c siano di quelle gigantesso e polpute che mi dava l’anno passato a Firenze, 0 sei over otto lib. di ottimis¬ sima salciccia, per ora, consigliando, spezialmente l’olive, a Mess. Lorenzo Beleorpi corriere, il qual per amor mio le condurà con particolar diligenza. Mi mantenga V amor suo, c Nostro Signor Dio la faccia contenta. Di Murano, a’X ci di Xmbre 1611. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma AfT. n, ° Ser. r " Gir. mo Magagnati. 30 Fuori: Al molt’ 111.™ et Ecc. mo S. re S. r mio Oss.'"° li S. r Galileo Galilei. Firenze. 614 **. GIOVANNI FABER a GALILEO in risa. Roma, 15 dicembre 1611. Blbl. Naz. Flr. Mhs. Gal., P. VI, T. Vili, car. 61. — Autografa. Molto 111.™ Sig.™ et Padron mio Oss. mo Credo che V. S. ancora habbia fresca memoria de i nostri ragionamenti clic delle volte hebbessimo del Sig. Marco Velsero, commono amico nostro, et che si ricordi puro delle letere sue, che io a V. S. mostrai, dalle quali facilmente poteva comprendere quanto esso la stimava, et meritamente. Plora, scrivendomi lui nel- P ultima sua letera t3) alcuui quesiti, et fra 1’ altri uno del quale V. S. facilmente potrebbe dare conto o a lui stesso o a me con sua bona commodità (in altra Leu. 014. 3. dal Sig . — 0) La Vernata . Poomotto di Girolauo Maga- <*' Cristokobo Ferrari e Fiurro Makxccoi. «nati. Al Sereniss. Cosmo II Gran Duca di Toscana. (»> Cfr. n.° 60‘J. In Vouetia MDCXII. Presso Trivisan Bertolotti. 15 DICEMBRE 1611. 239 [ 614 - 615 ] maniera non lo voglio nò lo dimando, sapendo quante sono lo sue lionoratissime occupationi), sono stato quasi forzato a ricercarglilo ; oltra die ho occasione, io anco con questa mia letera, di offerirle la mia servitù, come commone membro del Lyncaeo nostro, della quale V. S. si potrà prevalere quando et dovunque lo tornerà commodo. Et sono le parole del Sig. r Volsero queste: < Certi amici mei hanno osservato col tubo ottico certe machie apparenti nel sole con tanta conformità, che le tengono por cosa indubitata: ma avertisca V. S. che dico apparenti, non esistenti nel sole, perchè con certi boni argumenti si persuadono che siano stelle, die, per essere di sotto o a canto del sole, incorrendo nella linea nostra visuale faccino tal mostra. Desidero sapere se costi ci è nova di questo, et se alcuno no ha fatto osservationi >. Finhora il Sig. r Velsero, alla cui Indevotissima curiosità pare die V. S. non 20 possa mancare, quando liavrà agio. Altro non mi occorre di dire a V. S., se non dargli conto clic il Sig. r Mar¬ chese 10 di fresco ha aggregato al Lyncaeo Theophilo Molitore, futuro Lettore di Semplici, Anatomia et Chirurgia in Ingolstadio, giovine tanto curioso nell’indagine delle cose naturali, che io posso bene affermare che nello studio di animali forse hoggidì non ha pare. Si trova bora in casa mia, et fra poche settimane torna in Germania, dove sarà al servitio di V. S., come io a Roma al suo commando. 11 Sig. r Terrentio nostro attende bora alle speculationi celesti non del firma¬ mento, ma del Cielo Empyreo, et è ben voluto da quelli Padri Giesuiti al No¬ viziato di S. Andrea in Monte Cavallo (J) . Iddio lo mantenga in questo suo santo so proposito, et a V. S. conceda ogni compita felicità. Di Roma, alli 15 di Xmbre, anno 1611. Divotiss. 0 Ser.™ Di V. S. molto 111.™ Giovanni Fabro, Semplicista di N'. ro Sig. re Fuori: Al molt’Ill. ro Big.'' 0 et Padrone mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei, Mathematico Celeberrimo. Pisa. 615 **. TEOFILO MUELLER a GALILEO [in Firenze]. (Roma, dicembre 1611]. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 20. - Autografa. Perillustris et Clarissime vir, Quamvis ego noe de facie nec de nomine D. V. ne notus existam, duae tamen praecipuae sunt causae, quae, etiam renitentem, me possent impellere, ut hanc O) Fp.dkiuco Cesi. <*> Cfr. il.» 612. 240 ir, dicembre 1 gì 1 . [615-016] legendi rneas liternlas molostiam ipsi crearem : quartini prima est Celebris illa D. V.“° fama, quae in tota Europa, sed maxime in Germania, ubi ego natus suui, porcrebuit, quae certe quamvis ignotuin ad eese posset allicere; altera vero est vinculum quo iam D. V."° teneor, cum 111™°’’ et Excell. Princeps Fridcricus Cae- sins, Montis Caelii Marchio, iuvenis ad maxima quaeque natus, et perspicacissimo ingenio dotatus, dignatus ino fuerit Lyncaeo suo associare, cui fidelissiniam meam operam, veluti et I). Vestrae, in Germania, quo intra paucas septimanas In- io golstadium, nempe Medicinao professor, abiturus sum, sancte spondeo. Quare si qua in re opera mea ibidem indiguerit, otfero me et promptissinium et fìde- lissimum, et D. V.'*® Lyncaeos oculos ad nova sydera invenienda diu incolumes opto: cuius gratiae et favori me submisse commendo. Clarissimae D.n. Y. no Addictissimus Tlieophilus Molitor. Fuori: Porillustri et durissimo Viro Galileo Galilei, Mathematico celeberrimo. Gl G* FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 10 dicembre 1011. Blbl. Naz. Pir. Ms 8. Gal., P. VI, T. Vili, car. 05. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molt’ 111.™ et molto Ecc. t0 Sig. r Oss." 10 Di dua altre mie, che gli ho inviate per il corriero di Milano, non havendo aviso alcuno, mi fa dubitare che sia stato ritardato il ricapito. Potril V. S. farci usare diligenza, perchè in esse vi erano molti particulari, oltre P haverci alligati P epigrammi che, per sodisfare a lei, procurai et liebbi dal Demisiani: et acciò lei in ogni maniera venga servita, di novo gli ne rimando copia, congiunte con dui lettere : ' ! di altri due nostri Lincei. Mi sarà carissimo intenderne nova, come del’ essere suo, che prego il Cielo sia sempre di beilo et d’ ogni suo contento. Con che li bacio le mani. Di Roma, li 16 di Decem.™ 1611. 10 Di V. S. molto 111. 0 et molto Ecc. ,a Lett. 61(5. 10. I).""' Yeilrae — 13. D . a * — Cfr. un.' 614, 615. 16 DICEMBRE 1611. 241 [616-617] 11 S. r Porta et questi altri Lincei scrivono, et presto credo mandarò a V. S. delle epistole a pro¬ posito. 11 S. r Fabri, professore botanico di questo Studio, eruditissimo nostro Linceo, le dà conto delle macchie solari viste in Germania. 11 S. r Teo¬ filo, giovane di dottrina et fervore nelle scienze maraviglioso, et perciò condotto allo Studio d’In- golstadio con straordinaria provisione di 400 V, 20 ha desiderato esser de’ nostri Lincei : ne diedi conto, molti giorni sono, a V. S. conforme al de¬ bito, et finalmente, parendomi attissimo a farci honore, l’ho connumerato. Desidero sopra modo nova di V. S., et che mi comandi. AfF. ,n0 per ser> sempre S. r Galileo Galilei. Fed. co Cesi, Mar. so di Mont. 11 Fuori: Al molt’Ill. et molto Ecc. t0 Sig. r Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 617 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenzo. Roma, 1G dicembre 1011. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 231. - Autografa. Molto lll. ro Sig. r mio Ecc. n10 Vi dovea scrivere per la passata la risposta dello lll. mo Sig. r Cardinal Mon- talto, come non mancerebbe di proporre quel Padre; ma non avendo potuto an¬ dare il sabato per la lettera, mi disse il segretario avervela mandata : però credo, meglio arà sentito dalla sua lettera la risposta. Feci le racomandazione a il Sig. r Luca (,) et al Sig. r Domenico Passigniani : dicano di scriverli et di man¬ dar ciascuno quanto avevano promesso, come più volte li ò ricordato. Da un mio amico, et è un galante Padre et molto affezionato a V. S., mi vien detto che una certa scierà di malotichi et invidiosi della virtù et dei me¬ lo riti di V. S. si ragunano e fanno testa in casa lo Arcivescovo :l) , et come arrab- Luca Valerio. <*) Alessandro Marziuedioi. 242 16 DICEMBRE 1611. [617-618] biati vanno corcando se vi possono «puntare in cosa alcuna sopra il moto della terra od altro, et che uno di quelli pregò un predicatore che lo dovesse dire ini pergamo che V. S. dicesse cose stravaganti ; dal qual Padre scorto la mal¬ vagità di colui, li risposo come conveniva a buono cristiano et buon religioso. Ora gliene scrivo, acciò apra gli oclii a tanta invidia e malignità di così fatti malefici, parto dei quale avete dei loro scritti satirici ot ignioranti ; però mi in¬ tendete a un di presso quali si siano. Et con questo le prego da Dio ogni feli¬ cità e contento, et che la difenda dalla invidia, perché sopra ogni altro n’ à di bisognio. Di Roma, questo dì 16 di Dicembre 1611. Di V. SS. molto 111/® et Eco.”'* Servitore A(T. rao Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto 111.» 1 ® et Ecc. mo Sig. r mio 0s8. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Gl 8* FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Padova, 16 dicembre 1011. Blbl.Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXIV, n.° 72.— Autografa. Molto 111. 1 ® et Ecc. mo Sig. r Invitato dal tempo, scrivo a V. S. molto 111/®, pregandoli felici queste feste di Natale et felicissimo un longo corso d’anni, suplicandola a ricever questo tributo della mia dovotione, come offerta fattale da uno de più partiali et pili sviscerati servitori che ella lmbbia. Ilaverei più spesso scritto a V. S., se non liavessi giudicato di esserlo molesto, come temo haver fatto con lo mie passate, delle quali mai ho hauto risposta. F,t qui fo fine, baciando humilmente le mani a V. S. molto 111/® Di Padoa, li xvi Decembre 1611. Di V. S. molto 111/® et Ecc. nm S/° Afl>° io Francesco Duodo. Fuori: Al molto 111/® mio Sig/ Oss/" 0 L’ Ecc. mo Sig/ Galileo Galilei. Fiorenza. [619] 1G DICEMBRE 1611. 243 619 *. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 16 dicembre 1611. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXVII, u.® 80. — Autografa. Molto IH.™ et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo Io son debitore di rispondere a due lettere di V. S., una datami dal S. r Ciam- poli (,) , gentilissimo o quale V. S. ino lo dipingo, et una liavuta questa settimana, runa e l’altra a me sommamente cara: quella prima, per havermi fatto pi¬ gliare amicitia c conoscenza di gcntilhuomo così virtuoso e dotto ; 1’ altra, per li molti particolari elio s’ ò compiacciuta di darmi, de’ quali ne stavo bramosissi¬ mo: onde dell’una e dell’altra ne rendo gratie infinite a V. S. D’ una cosa mi son attristato in queste sue lettere, et ò delle sue indispositioni. Prego la M. u Divina a ritornarla nella pristina sua sanità, acciò possa con franchezza atten- io dorè a così nobili e nuove osservationi e farne parte al mondo, clic ne sta con grandissima brama. Le giornate curte e 1’ occupationi molte non m’ hanno ancora lasciato com¬ municare quest’ ultima lettera di V. S. con questi nostri amici, che so che go¬ deranno straordinariamente : come essi 1’ habbiano veduta, no farò anco parto al S. r Vclsero, che so che ò per sentire grandissimo gusto, poiché in ogni sua lettera mi fa sempre affettuosissima commemoratione di V. S. Horsù, attendi a star allegra, e pensi, so non prima, a primavera di lasciarsi vedere in questi nostri paesi, chè li prometto che ritornerà nel suo primiero vigore. Staremo in¬ tanto aspettando il Discorso l,) che ci promette; e se qui siamo buoni per servirla, 20 ci commandi. 11 Signor la feliciti e li doni queste santo Feste, con mille altre appresso, felicissime: e li bacio le mani, raccomandandoli l’inclusa di buon recapito. Di Pad. a , al li 10 Xmb. 1611. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,,m S. r Aff. mo Paolo Gualdo. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo S. p Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. (I ' Giovanni Ciampoli. <*> Intendi, quollo sullo Galloggiauti. 244 1G D1C KM BUE 1611. [ 020 ] fi 20. FORT UN IO LI CETI a GALILEO in Firenze, l’adova, 16 dicembre 1611. Blbl. Nati. Flr. Mas. fini., P. VI, T. Vili, car. «3. — Autografa. Ill. ro et Ecc. m0 S. or mio Os8. mo Ilaverà V. S. inteso cho’l S. or Vincenzo Dotti e’1 S." p Pignoni m con un loro occhiale hanno osservato molto macchie nero nel corpo solare, e ciò senza ve¬ runa offesa nella vista dallo splendor del sole. Io non ho ancora potuto essere a parte di tale osservatone, però non gnene posso dare più minuto ragguaglio; procurerò di vederlo più volte, o le darò contezza dell’ osservato : questo solo ho veduto nelle descritto osservationi da essi Signori, che detto macchie variano molto da un giorno all’ altro nel numero, nel sito e nella figura, pochissimo nella grandezza. Clic è quanto di nuovo adesso le posso scrivere. Nel resto, havendo io aH’Ecc. rao S. or Od. 0 Dias, portatore della presenterò date certo commissioni, se da S. 8. lo saranno ricchiesto liro sette di moneta, mi farà gratin a sborsargliele, che saranno a sconto di quelle elio l’anno pas¬ sato io spesi di ordine di V. S. Ecc. m * nello scritture del S. or Quaratcsi w . E con tal fine le b. 1. m., pregandolo da N. S. ogni contentezza. Di Pad.*, alli 16 di Xmbre 1611. Di V. S. 111.” et Ecc. ma Hebbi l’altro giorno dal S. or Ciampoli la ve- sticcina pe ’1 8. or Vincenzo 1 * 5 , a cui la feci subito ricapitare. Aff. rao Se. r0 20 Fort.' 0 Liceti. Fuori: All*Ill. r ® et Ecc. mo S. or mio Oss. rao Il S. or Galileo Galilei. Firenze. O) Cfr. n.° 603. '*> Francesco Quaeatebi. i*i Yi.vcen7.io di Galileo Galilei. 16 DICEMBRE 1611. 245 [ 621 ] 621 . FRANCESCO MARTA DEL MONTE n GALILEO in Firenze. Roma, 16 dicombro 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 71. — Autografa la sottoscriziouo. 111. Sig.°* Ilo ricevuto la lettera ili V. S., et inteso quanto ella mi replica circa il fare accettare le sue figliuole 10 nel inonasterio. In risposta le dico, che io havevo inteso molto bene che V. S. non domandava che le sue figlie lusserò velate di presente, ma cito solamente per fiora fussero accettate, ad effetto di monacarsi poi, quando fossero in età legitima; ma, come già le ho scritto, non si accet¬ tano anco in questa forma per molti rispetti, et in particolare por dubbio che sia poi da gl’interessati messo a punto d’ honore alle fanciulle il non farsi mo¬ nache ; o questo ò un punto insuperabile, nò V. S. potrà mai ottenere tal cosa, io perchè la Sacra Congregatione non vuole a modo veruno dare sì fatte licenze. Quando poi le figlie di V. S. saranno in età legitima, se ’1 monasterio, nel quale entraranno, non havrà pieno il numero prescritto delle monache, potranno essere accettate con la dote ordinaria; ma se entraranno sopra numero, sarà necessario dar loro la dote duplicata, ancorché le monache si contentassero di pigliarle con la dote ordinaria ; et se V. S. non vorrà dare la dote duplicata, bisognarà aspettare che in quel monasterio sia qualche luogo vacante del nu¬ mero prescritto, perchè non si possono assegnare ad alcuna zittella i luoghi che hanno da vacare, sotto gravi pene, et in particolare della privatone per la ba¬ dessa, come si vede in un decreto di Papa Clemente, fatto l’anno 1604. 20 H mettere ambedue in uno istesso monasterio è difficultà superabile: così fossero l’altre, eh’ io ci havrei fatto ogni sforzo, desiderando fare ogni servitio a V. S.; e di ciò può esser sicura. Che T Signor la contenti. Di Roma, a’ 16 di Dicembre 1611. Di V. S. I. Come fratello S. r Galileo Galilei. * Il Card. 1 ® dal Monte. Fuori : All’ 111. Sig. 0 ' Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. w Cfr. n.° 609. 240 io - 17 dicembri: idi. [622-683] 622 *. MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma. Augusta, 1G ili cembro UHI. Archivio dell’Ospizio di S. Maria in Auuiro in Roma. Carteggio di (iioranni Fatar. Fllia 419, car. MG. — Autografa. _Sporo che il mio amico W puhlicarà lo sue osscrvationi solari; et allhora lei ne sarà partocipo. Mi dispiace d’ intender, non so so con verità, cito la virtù del S. or Galileo non sin stimata ot honorata quanto il dover ricerca, ritrovandosi egli non troppo sodisfatto della stanza della patria ot desiderando di ritornar al primo luoco in Padova; ma che gli Si¬ gnori Vinitiaui si mostrano difficili, parendo loro d’ essere stati da lui sprezzati ; ot quando puro lo riconduohino, gli vorranno diminuirò il salario, elio, a mio giudicio. sarebbe af¬ fronto del S. r Gnlilei ot poco honor loro. Ma io non ini assicuro di creder queste ciaucie, sapendo che por tutto ci sono iuvidi et maligni- 628 ’ GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO in Firenze. Venezia, 17 dicembre lGli. Autoffrafotoca Morrison in Londra. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S.™, S. mio Os8. mo Invio a V. S. V alligata per S. A. Serenissima, nella quale è incluso il mio Idilio w , so consentirà presentarlo a S. A. e conservarmi nella solita grazia; ch’io di vivo cuore le bacio lo mani, riserbandomi al prossimo ordinario di man¬ darle la sua parte di così fatta composizione, per aver avuto a gran fatica il primo. Di Vinegia, a’ 17 di Dicembre 1611. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ,,,a Aff. n, ° Sor" Girolamo Magagnati. Fuori : Al molt’ 111." S. or , S. r mio P.ne Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. 10 Firenze. Ckistokoro Schkinkh. «*i Cfr. U.“ GIU. [624-025] 17 — 19 DICEMBRE 1611. 247 624 *. GIOVANNI REMO a GIOVANNI KEPLER In Praga. Roma, 17 dicembre 1011. Bini. dell’Osservatorio in Fulkowa. Mas. Kepleriani, Voi. I». XI. — Autografa. _Et in hypothesi lunari maxima difficultas oritur, licct non desint lue in Roma, qui librationem illam lunarem inotui alicui terree recto, in suo tamen centro, ascribant. Ego credo pianeta» gyrari, prout in Marte W mentionem quidera fecisti, hoc modo • Sed cui* sol non gyrum epicyclicum efficeret? Addo et hoc, quod per perspicillum illud (Ga- lilaeo Galilaeo alias ascriptum, in quo luna maxima et durissima apparet, et por idem 4 planetae iuxta Iovem ab eodem conspecti sint, sed refutatus est a Sitio Fiorentino) inve- niam, maculas certa» lunares in forma quasi satyri in luna nova sive paululnm corniculari, et quadrata et piena etimo, foro, semper in eodem loco mancntes, hoc est iuxta meum situm versus dextram sive occasum •, ideoque luna non rotabit.ur, sivo instar motus ter- 10 reni cii’cumvolvetur, quod tamen necessario quasi ornili bora lieri deberet.... 625 . GALILEO a FEDERICO CESI [in Roma]. Firenze, 19 diccmbro 1611. Blbl. della R. Acoad. del Iiinoei in Roma. Mss. n.° 12 (giù cod. Bonconqmgni 680), car. 135. — Autografa. Ill. mo et Ecc. mo Sig. r mio Col. mo La mia anzi le mie molt’ indisposizioni m* hanno ritenuto dal dar subita risposta alla cortesissima di V. E., con la quale ricevei gl’epi¬ grammi del S. Demissiani, al quale con V alligata rendo parte delle debite grazie. La nuova del S. Terenzio m’ è altrettanto dispiaciuta per la gran perdita della nostra Compagnia (2) , quanto all’ incontro piaciuta per la santa resoluzione e per 1’ aqquisto dell’ altra Compagnia, alla qual io devo molto ; et alla nostra V. E. bavera trovato compensa con 10 T aggregazione del S. Teofilo, del valor del quale basta il testimonio di Y. E. Lett. 624. 3-4. Da Sed ad rjfìceret? è aggiunto in margino. — 01 Cfr. n.o 297, Un. 4. (*) Cfr. n.° 612. 248 19 DICEMBRE 1611. [626-626] Ilo sentito contento elio eli' liabbia letta la lettera scritta al Padre Grembergero c,) con qualche gusto, sì come io ho auto per fine di non disgustar alcuno, ma solo dir mie ragioni o mie scuse. Io non so come ’l Padre 1’ liabbia ricevuta, poi che non ho hauto sua risposta. Saprei anco volentieri se il S. Lagalla vi ha trovato cosa di sua sa- tisfazione o che gli diminuisca qualche scrupolo, et sto con gran de¬ siderio attendendo la sua scrittura in questo proposito, ot intanto gli vivo, al solito, servitore affezionatissimo. All’ ultima parte della sua, dove mi domanda avviso particolar 20 dello stato mio, non posso dirgli cos’ alcuna di buono, attenente alla costituzion del corpo, poi che mi trovo da 2 mesi in qua con dolori continui di rene e di petto, e con altri intermittenti di gambe, brac¬ cia et altre parti, et più, da 15 giorni in qua, con gran profluvio di sangue, che mi ha quasi votate le vene et reso molto debile. Ho in tutto perso il gusto e l’appetito, il sonno quasi inter[o]; e tutti i mali referisco alla contrarietà di quest’ aria, et in part[ico]lare a chi non la fugge totalmente la notte. Queste cose mi conturbano la mente et arrecano melancolia, et essa poi &gumenta loro : tutta via v[o], così zoppicando, facendo qualcosa, et tra pochi giorni man- so derò a V.[E.] un Discorso di certa disputa haute con alcuni Peripa¬ tetici l2) ; e spedito da quejsto], voglio attender por qualche giorno ad alcune risposte di lettere, non inter[met]tendo tra tanto le osser¬ vazioni celesti, con qualche aggiunta di osquisitezz[a.] Ma ben che im¬ pedito in tutte 1’ altre operazioni, sono speditissimo nell’o[sser]vare e reverire Y. E., della quale vivo il solito servitore devotissimo: et con ogni revferenza] gli bacio le mani. Di Firenze, li 19 di Xmbre 1C11. Di Y. E. Ili “ a Ser. re Oblig. mo Galileo Gali [lei]. « 626 . [CRISTOFORO SCHEINER] a MARCO WELSER [in Augusta]. [Ingoiatala], 19 dicembri) 1U11. Cfr. Voi. V, png. 28. Cfr. a.» 576. <*) Cfr. Voi. IV, pag. 6-6. [627] 23 DICEMBRE 1611. 249 627 . GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 dicembre 1611. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 67. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no Si compiacque V. S., per favorirmi, di mostrare desiderio di veder V impresa e ’l discorso, eh’ io le scrissi di haver quasi del tutto fatto sopra la ligul a de gli orbi delle Stelle Medice ; et io, benché conoscessi esser una piacevolezza acca¬ demica, non acconcia a comparirle davanti, m* avvidi però eli’ io non poteva fare assai stima del suo favore senza inviargliele, qualunque si fosse : onde le scrissi che con le prime gliele harei mandata, perchè mi conveniva di aggiungerle una parte, e di più addattarla al mio dosso, poiché fu prima tagliata alla misura d’ altra persona. Ma mi sopravenne poco appresso un’ occupatimi necessaria, che io per alcune settimane mi tenne fra sé stessa involto ; e mi prese da poi un indispo- sition di catarro, che non mi ha permesso per buona pezza di attendere a cosa veruna. Non è però molto che ho potuta compiere la scrittura; ma fattala tra¬ scrivere, P ho riveduta con occhio assai diverso da quel eli’ io la vedea nel di¬ stenderla : laonde, havendo creduto fermamente che non sia in modo alcuno da lasciare venire alle mani di V. S., sono stato per più giorni in pensiero di farne seco una giusta scusa ; ma questo santo tempo ha liavuta forza di levarmene. Sono giorni ne’ quali si presentano, per segno d’amore e di rispetto e per an- nuntio di felicità, anche le cose di poco prezzo, e si hanno care etiandio da i grandi le picciole dimostrationi delle povere persone. Con sì fatto titolo in fronte 20 ella viene dunque a pararsele davanti 05 ; nò per certezza ch’io Labbia che V. S. sia per raccorla humanamento, dovrei lasciare di pregarla ad haver patienza nel leggerla, quando pur convenisse che la leggesse : ma la prego più tosto a non mettersi a perdervi tempo intorno, desiderando io che le basti che in ciò io le habbia ubbidito ; e se pure ne vuol sapere il soggetto, potrà farla vedere a qual¬ che giovine, che glielo riferiscili. Nel vero, quand’ io seppi che non doveva più esser presentata a quell’Accademia, nè veduta da alcuno, sì come io deliberai d’ usarla per me, così non posi mente alla lunghezza, et invece di fare un poco di discorso per dichiaratione d’ un’ impresa, feci un discorso da per sé, e gli ap¬ piccai, quasi per ornamento, un’impresa. Furono l’uno e l’altra mal disposti, 3fì ma più per difetto dell’ artefice che della materia : perchè non si può negare l 1 ' La scrittura dell’Aauooin, intitolata Del ronzo, Mss. Gal., Discepoli, Tomo 136, car. 95-110. metto, si conserva nella Biblioteca Nuzioimlo di Fi- XI. 32 250 23 — 24 DICEMBRE 1 Gl 1. [627-628] che questa non sia bella, e che non lmbbia almeno di singolare in rò, cheniun altro concetto, eh’ io mi creda, poteva convenire per appunto a simigliale figura, nò alcun’ altra figura ci haveva che potesse acconciarsi a cotal concetto. Ma qualunque ella sia, non si prenda, di gratia, V. S. noia di leggerla; ma riceva solamente da me questo debito con 1’ usata sua cortesia, et habbia nel rimanente per certissimo ch’io preghi Iddio per la sua prosperità, acciochèfra l’altro coso, e per gloria di S. D. M. là e per beneficio publico o per la perpetua nominanza del valore di V. S., le faccia riuscire felice quanto ella intende di operare. E se ciò in altri tempi io adempio, molto più son tenuto di mandarlo ad effetto in questi santi giorni, la felicità de’ quali desidero però che copiosa- 40 mente piova sopra la persona sua. Et a V. S. bacio affettuosamente le mani. Di Itoma, li 23 di Dicembre 1611. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. mfc Afi>° Sor.™ S. r Galileo. Gio. Batta Agucchi. Fuori , (V altra mano ; Al molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 628 * FEDERICO CESI ti GALILEO [in Firenze]. Acquaspartn, '2-1 dicembre imi. Bibl. Naz. Pir. Msa. Gal., I*. I, T. VI, cnr. 233. — Autografa la sottoscruiono. Molt’ 111. 0 et molto Ecc. 10 Sig. r Oss." 10 Non vorrei ch’il dubio che ho che V. S. non riceva lo mie lettere, che molte gli n’ ho scritte senza haverne aviso di ricapito, mi facesse dubitare anco ch’ella credesse eli’ io vivesse immemore del’ ottime qualità sue et virtù, le quale tanto preggio quanto ogn’ altra cosa di questo mondo. Però non lasciare io di scrivere sin tanto che mi accerterò del fido recapito, come spero sarà di questa con l’al¬ ligata 10 del S. r Francesco Stclluti, nostro Linceo, che desidera estremamente conoscere lei di presontia, come P ama et osserva per fama. Ch’ò quanto m’oc¬ corre; et li bacio le mani. Di Acquasparta, li 24 di Decem.™ 1611. Di V.S. molto IH.® et molto Ecc. 10 Aff. mo per ser. Ia sempre [S. r ] Galileo Galilei. Fed. 00 Cesi, Mar. 80 di Moni. 11 Ol Cfr. n.° 029. 21 DICEMBRE 1611. 251 [620] 629**. FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Firenze]. Acquasparta, 24 dicembre itili. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VJ, T. Vili, car. CO. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,no Sono più mesi che l’Ill. mo et Ecc. mo Sig. r Marchese Cesi, nostro commini Prencipe, mi scrisso haver arricchita la nostra Accademia d’ un si degno sog¬ gettocome ò quello di V. S. Ecc. ma , il che m’obligava a rallegrarmene seco et ad offerirmele in ogni suo servizio ; ma perchò, essendo chiamato a Roma da detto Signore, sperava di ciò fare con la presenza, per questo restai, et son re¬ stato ancora, d’effettuarlo con lettere per la mia assenza di Fabriano et per altre mie occupationi : dalle quali disciolto, me ne venni qui subbito in Acqua¬ sparta, dove detto Sig. r Marchese ancora si ritrova. Dal detto intesi apieno tutti io i suoi studii circa l’osservationi celesti, con mio non poco contento, se bene ama¬ reggiato dal dispiacere di non haver potuto, in quel tempo che lei fu in Roma, participare ancor io d’un sì gustoso e curioso studio. Godo non dimeno estre¬ mamente che V. S. vada tuttavia nuovi lumi discoprendo et osservando, per ve¬ derla incaminata per la via dell’immortalità, con suo eterno nome o fama. Et per mostrarle io in parte questo mio contento, et il gran desiderio che ho di lodarla et honorarla (so pur non scema 1’ honore e la gloria lode di rozi detti, ove ò merito tanto), feci 1’ accluse compositioni (,) , quali, come elle siano, la prego a gradirle, a scusar la Musa, et appagarsi di quanto le viene da chi più non le può dare. 20 Mi resta bora a dirle, che subbito eh’ io intesi il grido del suo valore (3) , al- l’hora me le dedicai per servo, oltre-modo affettionandomele, con non picciolo desiderio di conoscerla e far di presenza quel che hora mi convien fare con let¬ tere; onde con questa di nuovo per tale me lo ratifico, e me le offerisco pron¬ tissimo per servirla in ogni sua occorrenza, come doppiamente devo, e come Linceo e come al suo molto valore e merito obligato. E qui restando, le bacio con ogni affetto maggioro le mani ( 4 ). Di Acquasparta, li 24 di Docombre 1611. Di V. S. molto IU.” et Ecc.™ S. r * Devotiss. 0 et Aff. m0 Frane. 0 Stelluti. 111 Cfr. Voi. XIX, Doc. XXII. Non sono oggi allegato alla lettera. "> Cfr. n.o 390. 14 ' Cfr. Elogi d'huomini letterati scritti da Lo- rknzo Crasso. In Venezia. M.DC.LXVI, png. 247. 252 26 — 29 DICEMBRE 1611. [630-631] 630 . [CRISTOFORO SCHEINER] a MARCO WEIiSER [in Angusta]. Ingolstadt, 20 dicembre 1611. Cfr. Voi. V, pag. 28-81. 631 ** ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Lucca, 29 dicembre 1011. Bibl. Nqz. Flr. Mss. fìtti., P. VI, T. Vili, car. 71. — Autografa. Molt’ Ill. ro et Ecc. mo S. r mio Oss.' no Dopoi che ritornai di Sicilia, che fu con le galere di colesta A. S., sopra le quali quasi naufragammo, sono stato tanto impedito,, che mi sono astenuto ili far mio debito con li amici c patroni, particolarmente con V. S. in non salu¬ tarla et rinovarli la memoria della mia servitù. Lo faccio bora con l’occasione di annunciarli le Sante Feste et il bon Capo di anno, desideroso di servire a V. S., sicome me ne trovo molto obbligato. Mi vo persuadendo elio V. S. havrà ridotto a perfettiono quell’ opere sue, o bona parte, c che dovrà publicarle, come si desidera dalli curiosi, ma più da’par¬ lali servitori suoi, come professo essere io. Ilavrò però caro sentire da lei ciò io che vada fabricando a benefitio della republica littcraria. Li do poi nova che in Palermo mi fu parlato da alcuni cavalieri e signori principali del suo oc¬ chiale ; ove mi piace, si faccia il nomo suo segnalato. Mi favorisca V. S. di avvisarmi che nuove tiene del Keplero, o se sa alcuna cosa di una opera che faceva circa un anno fa De Hj/pparchi observationibus 0) , chè questo mi pare il titolo, se la memoria male non mi serve. Haverò parti- colar gusto di sentire la sua salute, e che Paria natia li prohibisca quelle in- dispositioni che fra P autumno et il verno lo impedivano in Padova. Faccio re¬ verenza a V. S., b. le mani con ogni affetto. Di Lucca, a* 29 Decembre 1611. so Di V. S. molto 111/* et Ecc. ma Rer. 1 "' Paratiss. 0 Antonio i3ant. ni Fuori: Al molt’Ill.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo 11 [S. r J Galileo Galilei, in Firenze. Quest’ oporn restò incompiuta, e ciò cho no rimase fu pubblicato dal Friso» tra i Frammenta tludioruin Krpteri nilronomicorum (IOAKXIS Kepi.RR! Ojiera, Voi. Ili, pag. 620-649). [632] 30 dicembri; 1611. 253 032 **. DOMENICO PASSIGNANI a GALILEO in Firenze. Roma, 30 dicembre 1611. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, csr. 75. — Autografa. Molto Ill. ro S. r et P.ron mio Oss. mo Credo che dal S. r Cigoli li sari\ stato fatto molte reverenze et baciamani in mio nome, da poi che la si partì di qua, sì come da esso mi è stato dato nuova di lei, et che la va tirando avanti li sua studi; et anchora ho visti al¬ cuni sua scritti sopra la luna, drizati al F. Panbergor (,) , veramente molto bene esplicato il suo pensiero, cosa che ho sentito molto gusto. Credo che il S. r Lodovico li averà scritto, come con un mio ochinle ho fatto alcune osservationi di nohi nel sole, li quali in questa ne mando copia a V. S. (,) ; dove la vedrà il giorno et 1’ ora che sono visti. Ora io li ò mostri alli io Padri Panbergero et Malcotto t8) , li quali dicano che si vedano, et mi Anno ditto come posso sofrire la vista del sole: li ò ditto che avanti il vetro piccolo ci metto un vetro azurro, che mortifica il calore del sole. Ora vorrei si degnassi vederli, et ancora avisarmi so con le sue osservationi si riscontrano, et dove man- chano, che mi sarà gratin. Li do nuova come il S. r Luca Valeri sta benissimo, et li bacia le mani et è molto osservatore del suo valore, sicome sono ancora io, et desiderosissimo vivo di servire a V. S. Il S. r Cigoli li bacia le mani : quanto è suo, non occorre scri¬ verlo. Et per non la tediare, con ogni affetto li bacio le mani, con pregarli il colmo di ogni contento dal Signor Dio. 20 Di Roma, li 30 di Dicembre 1611. Di V. S. molto IH.” Servitore AfO 0 Domenico Passignani. Mi favorisca far un baciamani al S. r Michelagnolo Bunaroti, ai S. r Àma- dori 0) et altri amici. Fuori: Al molto 111.” S. r et P.ron Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. **' Cioè, la lotterà al Grienbkrorr : cfr. n.° 576. <*> Quost’allegato non è noi Mss. Galileiani. <*' Odo van Marmjotk. <*> Gio. Battista Amadori. 254 1633 - 034 ] 1° — 2 GENNAIO 1012. 633 **. ENEA PICCOLOMINI D’ÀRAGONA a [GALILEO allo Solvo]. Firenze, 1° gennaio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I*. 1, T. VII, car. 6. — Autografi il poscritto o la sottoscriziono. Molt’ 111. S. re mio Oss. mo Ilebbi l’ochiale elio V. S. mi mandò per S. A. S., quale ho fatto scortare apunto come mi diceva per la Bua ; ma a ino pare elio facesse meglio in quella lunghezza, elio scortato tanto. Tuttavia 1’ ho fatto accomodare apunto come av¬ visava, c fattoli fare i coperchiati o tutto. Della lettera che V. S. mi diede, no feci passata con la medesima Alt™, la quale mostrò haver gran gusto, o desiderare di provaro il segreto; et all*hora poi, segondo la riescita e la qualità della persona, non mancherà di darle sati¬ sfatene, come m’ ha mostrato. Nel resto, se posso servire in altro a V. S., sa che non ha so non a coman- io darmi. E rincrescendomi non poco della sua indispositiono di rene, resto pre¬ gandoli da Nostro Signore l’intiera saluto et ogni felicità che sa desiderare. Di Fir.°, il p.° di Gen.° 1612. Di V. S. molto 111. Detti conto a Sua A. della indisposition sua, et feceli riverenza a suo nome, che molto lo gradì. Ser. r Aff. rao [S.] r Galileo Galilei. Enea Piccolomini Àrag. na • 634 *. GIO. FRANCESCO SAGRERÒ a GAI.ILEO in Firenze. Venezia, 2 gennaio 1612. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXY1II, n.” 87. — Autografa. Ill. ro Signor Ecc. mo Qui con questi fredi riesco così ineommodo lo scrivere, che non si deve V. S. meravigliare se le sue lettere sono rimaste due settimane senza risposta. Li tar¬ tufi sono riusciti gratissimi, et goduti nel solito casino con parte della compa- Lett. 033. 15. inditpotion — 2 — G GENNAIO 1612. 255 [ 634 - 635 ] - - gnia antica. Diferisco il renderle gratie di tanta sua amorevolezza in tempo die lo scrivere riesca di minor fatica. Aspetto con inesplicabile desiderio le sue let¬ tere nel proposito elio ella sa, perchè certo il martello che io ho di lei, passa di gran lunga quello che io habbia mai sentito per alcun’altra persona. Vorrei poter esser con lei cento anni, solamente per poter accennarlo qualche mio con¬ io cetto. Non altro. Le prego dal Signore Dio ogni contento. Il Berlinzone 10 la saluta. In Venetia, a 2 Gennaio 1611 Di V. S. Ecc. m * Desiderosissimo di servirla Ecc. m0 Galileo. Gio. F. Sag. Fuori. All’ Ill. re Sig. r Ecc. ,uo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 635 **. GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, 6 gennaio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, cnr. 7G. — Autografa. Molto Ill. ro et Eee. mo S. r mio Oss. 1 " 0 Per tre cagioni io scrissi a V. S. con lettere delti 23 del passato (,) , eli* io liaveva differito fin all’bora d’inviarle l’impresa da me fatta delle stelle di Giove: due furono quasi necessarie, di faccende e di indispositione; ma la terza, benché volontaria, doveva haver più forza di trattenermi dell’altro, perchè non mi si conveniva mai, o se non per sodisfare al suo desiderio o per ubbidire al suo comandamento, mandarle cosa che non meritava in modo alcuno di compa¬ rirle davanti. Là onde tanto più io arrosso in questo punto, che ricevo, per via dell’ordinario di Genova, la sua gentilissima lettera delli 19, trattenutasi non so io dove, e che veggo in essa la cortese espettatione che liaveva V. S. della detta impresa; perch’ella liavrà potuto a ragione grandissima dire di essa e di me: jParturient montes etc ., benché nel vero io dichiarassi fin da prima eh’ essa non era cosa di lei degna. Per tutto ciò contentandomi che i miei difetti sieno nelle mani della sua Immanità, mi godo poi e mi pregio del favore che V. S. mi ha fatto di mostrarne novamente desiderio, et oltre acciò di farmi parte del suo felice processo nell’osservare le sue Stelle (cliè così si vuol dire), e di più della “> Cfr. nn.< 185, 210. < 2 ' DI stilo veneto. < 3 > Cfr. u.« G27. 256 6 GENNAIO 1612. [635-636] prosperità che in questo Santo tempo ella mi ha pregata. Sono tre gratie che non possono con un sol atto (li animo grato esser riconosciute: nondimeno io ringratio V. S. con affetto che potrebbe tutte agguagliarle, se potesse apparire; o la rendo certa che non per altro che per ubbidirle le inviai alli 23 l’impresa, 20 e che sento sommo piacere delle sue Telici operationi, tanto da me bramate, e che le ho corrisposto con tutto ’l cuore nel pregarle da Dio ogni bene, come pur bora faccio. Et a V. S. bacio affettuosamente le mani. Di Roma, li 6 di Gennaro 1612. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m * Aff. mo Sor.” S. r Galileo. Gio. Batta Agucchi, Fuori, (Valtra inano: Al molto 111."* et Ecc. n '° Sig. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza, G36*. MARGHERITA SARROCCUI a GALILEO in Firenze, limila, G gennaio 1012. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 16. — Autografa la sottoicrlziouo. Molto 111” Sig. r P.ron mio Col.“° Per lo procaccio prossimo elio verrà, che sarà quest’ altra settimana, man- darò la mia Scanderbeide a Y. S., acciò che la rivegga, corregga, et finalmente castiebi: però la supplico a stare in aviso, acciò non vada in sinistro. La man- darò franca di porto. Confido molto nella sua cortesia et nel suo sapere, et so che non me inganno. Curi la sua sanità, et tenga memoria di me, che le son serva da vero. Con qual line, senza fine a V. S. bascio le mani. N. S. lungamente la conservi. Di Roma, adì G di Gennaio 1612. Di V. 8. molto 111.” Serva affettionatiss. 11 et obligatiss.» 10 Margherita Sarrocchi. Fuori: Al molto lll. ro Sig. r P.ron mio Col." 10 11 Sig. r [Galileo] Galilei. Firenze. Lett. 635. 18. riconosciuto — [637-638] 6 GENNAIO 1612. 257 637 . MARCO "WELSER a GALILEO in Firenze. Augusta, G gennaio 1612. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. Ili, T. X, car. 8. — Autografa. Cfr. Voi. V, pag. 93. Molto 111.® et Ecc.'»° S. or Oss. mo Regnimi caélorum vini patilur, et violenti rapinili illud. V. S. è stalo il primo alla scalata, et ne ha riportato la corona murale. Hora le vanno dietro altri, con tanto maggior coraggio, quanto più conoscono che sarebbe viltà espressa non secondare sì felice et honorata impresa, poiché lei ha rotto il giaccio una volta. Veda ciò che si è arrischiato questo mio amico; et se a lei non riuscirà cosa totalmente nova, come credo, spero però che le sarà di gusto, vedendo che an¬ cora da questa banda do’ monti non manca chi vada dietro alle sue pedate. Le baccio le mani, con annunzio di felice capo d’ anno, et la prego che, uscendo le io sue osservationi nuove, non lasci di farmene parte. Di Augusta, a’ 6 di Genn. 0 1612. Di V. S. molto 111 • et Ecc. ma Aff. mo Servit.® Marco Velseri. Fuori: Al molto 111.® et Ecc. mo S. or mio [Oss.] mo Il S. or Galileo Galilei. Firenze. 638 *. MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma. Augusta, 6 gennaio 1612. Aroli. dell’Ospizio di S. Maria in. Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Fai)or. Filza 419, car. 152. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. mo S. or8 Il tempo et le occupationi non mi permettono di allargarmi; però le dico solo, che per mano de’ miei nipoti V. S. riceverà certe osservationi solari, quali forse non sarà di¬ scaro di vedere all’Ecc." 30 S. or Marchese Cesia. Io me ne feci beffe da principio; ma con¬ fesso di restar convinto. Aspetto con desiderio ciò che ne dirà il S. 0P Galilei, quale so che XI. 33 258 8 - 9 GENNAIO 1612. [638-640] n’hebbe qualche odore; ma la diligenza del inio amico 1 panni sia passata assai avauti. Iddio la feliciti. Di Augusta, a’6 di Genn. 1612. Di V. S. mollo ili.* et Ecc.** AfT. m0 Servii.* Marco Veleori. Fuori: Al molto 111.* et Ecc. m0 S. or mio 0*8."° Il £>. or Gio. Fubri, Medico et Semplicista di N. S. Roma. 639 ** FEDERICO CESI a GIOVANNI PARER in Roma. Acquasparta, 7 gennaio 1614. Arch. doli’ Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio ili Uior&nni Fabor. Filza 423, car. 130. — Autografo le iin. 5-0. .... Nel particolare che detto S. r Volsero scrive <*> havere inteso del S. r Galilei, come lo reputo malignità inventata da emoli, così lodarci, con l’intesta dubitatane, che lei, com’amico, ne avisase il S. r Galilei, et nel rispondere al S. r Velsero tenesse l’isteso modo, sperando che presto si chiarirà della verità. -Mi parrebbe che V. S., per mostrar più strettezza col nostro S. r Galilei, potesse mandarli ristessa lettera del S. r Velsero, o almeno copiarli il suo particolare.... 640 . GALILEO a [ANDREA CIOLI in Livorno]. Firenze, 9 gennaio 1612. Blbl. Naz. Plr. Mss. Oal., P. I, T. IV, car. B8. — Autogiaf». Molto 111.” Sig.™ e Pad." Col. ,no Subito ricevuto l’ordine di V. S. molto I., me ne venni a Firenze, non havendo alla villa ,3) comodità di poter servir S. A. S. Mora gl’invio lo stuccetto, et in supplemento del cristallo che mancava, ne mando due a maggior cautela, de’quali uno mostra alquanto maggior che l’altro, ma amendue fanno in eccellenza. Nel renderlo a S. .A., favo¬ riscami Y. S. di baciargli la vesto in nomo mio; e ricordimi servitore «‘1 Cristoforo Scintisi». Lr vj , )a dol j 0 g 0 ) TO dove orft ospito di Fi- <*> Cfr. n.» 622. Q „ 9 — 10 GENNAIO 1612. [640-641] 259 devotissimo all’ Ul. mo S. Cav. Vinta. E restando desiderosissimo di ser¬ vir V. S., con ogni affetto di quoro gli b. le mani. io Di Firenze, li 9 di Gemi. 0 1612. Di V. S. molto lll. re Ser. ro Dev. mo Galileo Galilei. G41* GIO. ANTONIO MAGINI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 10 gennaio lGlii. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. G. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. or mio Oss. mo Havevo molto opportuna occasiono un pozzo fa di rompere tanto lungo si- lentio con V. S. Ecc. ma , mentre eh’ io 1’ havessi voluta ragguagliare che doveva comparire a quella Corte Mess. Gasp. 0 Bindoni, con un specchio falso di (pici grandi ch’ha fatto fare di nascosto dall’ artefice clic foco già quei miei, per pre¬ sentarlo al Ser. ,no G. Duca; ma sono restato per non mancar di parola et di fede al S. or Gio. Ant,.° Rofteni, tanto mio caro amico, elio m* haveva scoperto questo fatto in confidenza, astringendomi a promettergli di non mi intrometter punto per impedir costui, eli’haveva conferito il tutto con esso S. or Iloffeni, dal io quale voleva una lettera di raccomandatione per V. S., il che non parve honesto ad esso di fargli. Io non ho dunque procurato d’impedirlo, perch’ ero sicuro eh’ haverebbe dato in scoglio et che si sarebbe scoperta la sua rasa, confidando io molto nell’ accortezza et prudenza di V. S., che si sarebbe facilmente chia¬ rita che il detto specchio era lavorato senza misure et buone regolo et che non meritava di cader in mano di tanto Prencipe. Hora mi pare di farle sapere, ch’io sono restato altretanto sodisfatto et edificato di lei, quanto sono restato contaminato dell’indiscretezza et del sinistro modo di trattar di quest’liuomo, che porta scolpito in faccia, di carattere di fuoco, l’idea della sfacciataggine et dell'aroganza, che lo fa comparire sino davanti a gran prencipi con tanta coli¬ co fidenza e importunità, che non se ne vuol partire senza cavarne qualche buon construtto: il che V. S. haverà benissimo scorto. Quest’huomo è a punto quello da me adombrato nel mio trattatello dello specchio concavo (1) , eli’ ha portato a volta per molte parti d’ Europa di quei miei primi specchi, lavorati similmente liett. 640. 9. d» quori — 1,1 Breve inttrultione sopra l'apparenze et mirabili eletti dello specchio concavo sferico del (lottor Liio. Antonio Macini. In Bologua, presso Gio. Battista Bellagamba, MDCX1, pag. a. 260 10 GENNAIO 1612. [641] di nascosto senza adopraro sagome o misure, lo quali erano appresso di me. L’occasiono elio quest*huomo s’ò <•••.> a venire a quella Corte, è nata dal- l’haver veduto quel mio specchio grande, mentre eli’ io gli ho dato alquanti do i miei Primi Mobili 10 et de\V Italie l *', ch’orano nell’istcssa stanza ch’io te- niva dotto specchio : ondo costui, prendendo detto specchio in mano, mi ricercò s’io P Laverei dato ad un proncipe ch’egli mi propellerebbe ; et lasciandomi io intenderò d’haverlo destinato alla Maestà Cesarea, et quando non fosse toccato a 30 quella speravo col mezo di V. S. di darlo al G. Duca, prese questo parabolano animo, et procurò di farne gottaro uno noll’istcsse forme che furono fatti i primi grandi et un altro ultimamente per il Card> Borghese ;,) ad instanza del Card> Giu¬ stiniano al quale l’artefice diede ultimamente parola di non no far d’altri, di¬ cendo che le formo erano rotte: et veramente le vidi io crepato nel mezo, sendo saltata via una parte di pietra in tre o quattro luoghi, sì elio non mi sarei mai imaginato che si fosso assicurato di farle armar di ferro, et valersene, come ha fatto; et son sicuro che non saranno ritornati quei pezzi in buona continuationc di superficie sferica: et porò ò necessario clic detto specchio sia molto sconcio et difforme, et so eh’anchora l’artefice non ci liaverà usata quella diligenza che io soglio usarci io, di provar spesso con la sagoma se vengono giusti nel lavorare. Subito ch’io intesi questo fatto, che costui s’era incaminato a Firenze, diedi parte all’ HI.*" 0 S. or Card. 1 ® Giustiniano, per impedire costoro elio non procedes¬ sero più oltre; dal quale ho tratta la risposta che lei vede noli’occlusa, et ho di nuovo replicato all’ istesso Cardinale come devo faro per ponersi in sicuro che l’artefice non n’Labbia a far d’altri. Supplico dunque V. S. a darmi parte della qualità del detto specchio, che l’ha benissimo veduto et essaminato, etjo può di nuovo vedere, perdi’ ò restato nella guardarobba di S. A. Ser. ,u * sino che il Bindoni lo fa levare; et quello elio lei mi scriverà in confidenza, restarà sepolto in silentio, mettendogli però in considerarono che dove tenir più conto di me &o che del Bindoni, et che puoco gli può pregiudicare eh’all’occasioni io dicacho detto specchio ò stato da lei scoperto por falso et mal lavorato : però quando vorrà eh’ io lo taccia, lo farò, et bastarà a me saper la pura verità per certo mio fine. Mi dispiace che sia nato questo disordine, et eh’ io sia in obligo di farne qualche honorato risentimento. Non son più lungo elio in raccordarmi deside¬ rosissimo di servirla sempre, et sto con molti altri qui aspettando con gran desiderio di goder qualche sua fatica intorno alle sue inventioni et scoprimenti celesti. 11 S. or Roffeni le bacia le mani, sendo convalescente d’ una ferita rice- U> Primum mobile cluadecim libri$ contentimi, eco. liti, 15), nm il’un saggio « in forma grande di otto fo- Auctore lo. Antonio Marino, ecc. Bonouiae, impelisi» gli » che sembra avesso allestito fin dal dioombru 160S. ipsius Auctoris. Anno MDC1X. 1*1 Soipionr Bohoiif.sk. «*> Non già doli’ opera completa (cfr. n.» 444, <*» Benedetto Giustiniani. 261 [641-6431 io — 13 GENNAIO 1612. 60 vuta un mese fa in testa, noli’andar di sera a casa, da 4 armati; et io fo l’istesso, dandogli 1* augurio di felicità et contentezza del presento anno nuovo, che lo possa per Divina Bontà godere con molt’ altri appresso. Et mi favorirà di rimandarmi l’istessa lettera del S. or Card. 1 " Giustiniano. Di Bol. n , li 10 Gennaro 1612. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Sor.™ Aff. ,no Gio. A ut. 0 Alagini. 642 *. ANDREA CIOLI a GALILEO in Firenze. Livorno, 12 gennaio 1612. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Cai.. P. I, T. VII, car. 8. — Autografa. Molt’ 111. et Ecc. mo S. or mio Oss. mo Nel rendere a S. A. l’astuccio 10 rimandato da V. S. Ecc. ma , le ho letta la lettera di lei, perché habbia tanto meglio potuto vedere et gradire la diligenza sua, come ha fatto. Et a V. S. Ecc. ma bacio le mani, confermandomele servitore. Di Liv.°, li 12 Gen.° 1612. Di V. S. molto 111. et Ecc. ,na Ser. ro Ded. n '° And. Gioii. Fuori: Al molto 111. et Ecc. mo Sig. or mio Oss. mo 11 S. or Galileo Galilei, P.° Mathematico et Filosofo di S. A. io Firenze. 643 *. MARGHERITA SARROCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 gennaio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 18. — Autografa la sottoscrizione. Molto lll. re Sig. r P.ron mio Col. n, ° Io ho dato lioggi la mia Scanderbeide t4) al procaccio: spero che sarà renduta a V. S. ben condittionata, et le la mando franca. I)e la cortesia di V. S. non è giusto diffidare, et non credere che sia compitissima: però non le starò a dire altro, se non che sottopongo talmente questo poema al giudicio di V. S., che s’ella, con la sua solita sincerità, me dirrà ohe non vai nulla, io lo darò più tosto a Vulcano eh’ al Sole, sapendo molto bene che sì come le stampe mostrano il saper del* huomo, così palesano altresì T ignoranza. Però supplico V. S. a dir¬ mene liberamente il parer suo et esser me in ciò rigorosissimo giudice, et favo- <*) Cfr. u.° 640. <*> Cfr. n.» 036. 262 13 GENNAIO 1612. [643] rirmi di traspone™ et mutare i versi secondo che più le piaceri!, et in quelli io che non vorrà durare tanta fatica, avisarmene, chò io mutare le parole et lo coso secondo che ella me imponcrà. Pacciame ancora gratin di riveder la lingua et emendarla, perchò io vorrei elio la fusse toscana più che lusso possibile, almeno nello frase, pur elio non guasti la grandezza del diro, essendo che la toscana è molto dolce: il perchè dove ella suol levar gli r, qualche volta io boccioli la¬ sciati, corno sarebbe, por essompio, che dove toscanamente si suol dire trincea, io ho detto trincera, et coso simili. Pure del tutto me rimetto a V. S., che muti, gietti a sua voglia. La lettera è mal corretta, perchò chi ha scritto non intende, nò si trova di questi scrittori chi intenda, nè ci è rimedio, tanto più quanto l’opera ò longa: so però vorrei elio V. S. la rivedesse ancora quanto alla ortografia. Vi troverà ancora molte rimesse ot molti versi mutati quanto allo parole prime o poi: ci sono e’sogni et i numeri, ot V. S. è intelligente. Mi perdoni della fatica. Il poema è compito, se non elio ci manca la rassegna del soccorso di Scan- darebcch, la quale ho lasciata per potervi poner dentro de’miei amici et padroni, come V. S. vedrà in molti nomi, o’quali io havea posto a caso, et poi hogli mu¬ tati in nomo do gli amici miei. A me la rassegna sarà una fatica d’8 o vero 10 dì. Dessidcrarei ancora elio V. S. me favorisse do devidero questo poema, col suo giudicio, in più canti, perciò che questi me paiono troppo longhi. Le dirò ancora che io mi sono forzata di far questo poema secondo le regolo di Aristotile, di so Falereo, di Ilermogene, di Lungino et di Kustatio, i quali convengano tutti in uno; et però mi sono forzata col verso d’immitare lo cose, et così nelle cose di guerra ho cercato inalzarlo, et nelle coso d’ amore addolcirlo, et insonima non mi è parso di tenerlo eguale, se non in quanto che senipro sentisse della tromba. Se io haverò conseguito questo mio pensiero, V. S. ne sarà giudice. Et por fino le conchiudo clic io sompro sono stata affittionata a cotosta città di Firenze, come a genetrice do tutti i begli ingegni; ma bora elio V. S. mi fa questa gratia di rivedere il mio poema, le sarò non solo affittionata, ma obligata, come patria di V. S., dalla quale ricevo tanta gratia ot tanta cortesia, elio solo in lei ho po¬ tuto trovare. Il Sig. r Luca bascia a V. S. le mani, con tutti questi Signori elio 40 l’hanno conosciuta in casa mia, et io in particularo, come fo ancora al mio Sig. r Nori. N. S. la guardi lungamente. Di Roma, adì 13 di Gennaio 1612. Di V. S. molto 111.™ Serva Affettionatiss* et ObligatissA Margherita Sarrocchi. Fuori: Al molto 111.™ Sig.' P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Ijett. 643. SI. di Lvgn.* —• [644-645] 13 GENNAIO 1612. 263 644 * MARCO WELSER a GALILEO iu Firenze. Augusta, 13 gennaio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. Ili, T. X, car. 52*\ — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. mo S. or mio Osa." 10 All* amico elio fece stampare le osservationi solari, sopravenne circa la con- iuntione Solis et Veneris lo scrupulo che porta 1* incluso polizino, quale desi¬ dera sia collato nell’ ultima pagina per non esser prevenuto da questi oppo¬ sitori. Et io resto sempre con desiderio di servire V. S. Iddio la feliciti. Di Augusta, a’ 13 di Gennaro 1612. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. nm Fuori: Al molto 111.® et Ecc. n, ° S. or mio Oss. mo Il S. or Galileo Galilei. io Firenze. 645 * MARCO WELSER a GIOVANNI FA BER in Roma. Augusta, 13 gennaio 1612. Ardi. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro iu Roma. Carteggio di Giovanni Fabor. Filza 419, car. 150. — Autografa. .... Il mio amico, che ha osservato lo macchie solari, è entrato in certo scrupolo, al quale ha voluto rimediare coll’inclusa cartolina, che desidera sia collata nell’estrema pagina delle Epistole. V. S. si contentare di darne una a Mons. or Cobelluzzi < 2> , l’altra al P. Clavio, ritenendo la 3 a per aè .... Cfr. Voi. V, pag. 32, liu. 5-9. <*> Scipio.sk Conti, i. uzzi, 264 20 GENNAIO 1612. l«*6] 646 **. 010. BATTISTA AGUCCHI » GALILEO in Firenze, Roma, 20 gennaio 1012. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 78. — Autografa. Molto 111.”* et Ecc.'" rt S. r mio Osa." 1 ' Ha voluto V. S. con le primo lineo della sua gentilissima lettera levarmi il giusto timore eli’ io havova, che ’l discorso dell’ impresa delle nuove stelle non le dovesse arrecare noia; nò contenta di ciò, mi ha ancora assicurato, col leg¬ gerlo duo volte e mentre veniva molestata da dolori, che le sia piaciuto; ma si ò anche fatta assai più avanti, Ignorandolo con diverso lodi. Certo che, cono¬ scendo io la bontà di V. S. et insieme il giudicio, 1’ una e 1’ altro grandissimi, sono stato da prima in forse, a qual di loro io dovessi più tosto attribuire tanto favore. Ma la cognitione di me stesso mi ha spinto a riconoscerlo principalmente dall’ Immanità ; ondo tanto più a V. S. ne so grado, quanto debbo più haver caro io che la volontà sua mi sia favorevole, che ’l conoscimento, perché desidero più di esser da V. S. amato, che stimato. Non lascio però di ricevere in alcun modo il favore etiandio dal giudicio, perchè tanto egli vale verso di sè, che quantunque inchinato a seguire la cortesia, mi fa quasi a credere che la cosa sia più di quel eh’è: e pertanto più mi pregio di haver un testimonio e un honore da persona tale, che non mi riputerei se ’l ricevessi da mille e mill’altri grandi. Ma il pia¬ cere da me sentito per questo favore, ha havuto il contrapcso d’ un maggior dispiacere per l’indispositioni e molestie di V. S. E nel vero che no vivo con pensier travaglioso: ma confido che la Divina Bontà non permetterà che cotesti suoi mali privino più oltre il mondo del beneficio che da lei attende, e lei stessa 20 della gloria che merita, et i suoi servidori et amici della contentezza che ne riceveranno. Io non lascio intanto di fare quel che mi si conviene: così si degni il Signore di gradire il mio alletto. E qui di cuoro le rendo gratie, e le bacio le mani. Di Roma, li 20 di Genn.° 1G12. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m » Afi>° Ser. ro S. r Galileo. q Ratta Agucchi. Fuori, d'altra mano: Al molto 111. et Ecc. mo S. r mio Uss."‘° Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. [647] 21 GENNAIO 1612. 265 647*. GALILEO a [MARGHERITA «ARROCCHI in Roma]. Lo Selve, 21 gennaio 1G12. Aroh. Gonzapft in Mantova. Raccolta di autografi. — Autografa. Molto I. Sig. ra et Pad. na Cole. raa Il poema di V. S. mi è pervenuto ben condizionato (<) , ma ben ha trovato me in malissima condizione, travagliato da molte e molte indisposizioni, e tutte gravi e fastidiose. E perchè io stimo che la prima origine dependa dalla malignità dell’ aria iemale di questa città, mi sono da 10 giorni in qua ritirato in una villa di aria più salubre : con tutto ciò il male ha preso tanto piede, o siamo in tempi tanto austeri, che per ancora non posso sentir benefizio alcuno, ma me ne sto travagliando, con molti dolori di petto, di rene, con una io grande effusione di sangue, del quale ho quasi vote le vene, et con una continua vigilia ; le quali cose, insieme con altre ancora, mi ren¬ dono inetto ad ogni operazione di corpo, e di mente ancora. Però se io sarò breve in rispondere alla sua cortesissima lettera, et in rendergli le debite grazie del continuar ella con tanta benignità in conferirmi de’ suoi favori, scuserà 1’ impotenza mia, la quale non mi permette di affaticare il pensiero, non che la mano, senza grandis¬ simo nocumento. Ma perchè lei non stesse con pensiero del buon ricapito del poema, li ho voluto scriver queste poche righe, ricor¬ dandogli insieme la servitù mia, e pregandola a conservarmi la gratin 20 del S. Luca (2) et di quegl’ altri SS.‘ litterati che conobbi in casa V. S. Et per fine, con ogn’ affetto di cuore gli bacio le mani, et dal S. Dio gli prego felicità. Dalla Villa delle Selve, li 21 di Gennaio 1 Gl 1 (;i) . Di V. S. molto I. Ser. rc Dev. mo Galileo Galilei. Cfr. nn.i- G3G, G43. Luca Valerio. ( s ) Di stilo fìoroutino. 266 24 — 26 GENNAIO 1612. [648-649] 648 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO falle Selve], Firenze, 24 gennaio 1612. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 10. — Autografa. Molto lll. r ® et Eccell. mo Sig. r mio. Perchè il negozio trattato da V. S. Eccoli." 1 » por favor mio con PIU."» Mon- t’Alto (,) è riuscito oltre ogni speranza mia e merito felicemente, bora con questa facendone parte a V. S., insieme gli ne rendo quelle grazie maggiori che posso. E perchè dell* iatosso grado di Decanato è stato parimente honorato il nostro P. D. Gironimo di Padoa (l1 , con dua altri matematici, cioè un D. Lorenzo di Genoa, et un D. Agostino Napoletano, a consolazione sua gli no do nova, baciandoli le mani e facendo humile riverenza all* III.™ 0 Sig. r Filippo w . Di Badia, il 24 di Gennaio 612. Di V. S. molto IU. ro et Ecc. m » Sor." Oblig. mo io I). Benedetto Castelli. Fuori: Al molto Ill. pe ot Eccoli." 10 Sig. r c l’.ron mio Oss.®° 11 Sig. r Galileo Galilei. 649 ** GIO. FRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 26 gennaio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuovi acquisti, n.° 8. — Autografo lo lin. 28-32. lll. re S. r mio Ecc. mo Ilo ricevuti i tartufi benissimo conditionati, et in tempo che più opportuno non potevo desiderarlo, poiché il giorno seguente doppo eh’ io gli Debbi, convi¬ tassimo i nostri parenti (fra’ quali fu annumerato il S. r Vcniero) ( * ) , che come pro¬ visione estraordinaria se li portorno crudi a casa. Della febre et delli dolori sopravenuti a V. S. Ecc. ma ne ho sentito infinito dispiacere : ricevo nondimeno consolatione dalla speranza eh’ io tengo che al giunger di queste ella si trovi in perfetta sanità, come io le desidero. *') Alessandro Pr.RKTTi di Moktalto. t*> Forse Girolamo Spinelli. •*> Filippo Salviati. O» Sebastiano Vknikb. [610-650] 26 — 31 GENNAIO 1612. 267 Ho comprato una mapa universale di Pietro Plancio (,) , molto ben colorita e io vaga tanto che non saprei trovar nò altra mapa o parte del mondo, che P ac¬ compagnasse di vaghezza: tuttavia liavendo ordino da loi di comprarne due, non ho voluto senza sua nuova commissione comprarne un’altra dell’istessa sorte o bellezza, dubitando forse elio ella desiderasse variatione: però mi avisi quanto prima quello ch’io havrò da fare. La spesa non ò più elio lire venti, et ho vo¬ luto avisargliela, perchè, sì come da P un canto, per esser cosa minima, non se ne Laverebbe a far moto, cosi, essendo questa la prima cosa che mi ò stata ordi¬ nata da lei et da quel Signore al quale dovrà ella servire, non ho stimato bene, col far cerimonia sopra una coglioneria, troncargli forse la strada di comandarmi. Essa mapa si consignerà alli SS. ri Guadagni, con ordine che sia inviata costì. 20 Mi è stato carissimo sopramodo l’intendere che V. S. Ecc. nm stia col suo animo quieto, et che non senti altra perturbatione che quella degl’ignoranti e maligni do’ quali con animo intrepido et filosofico non bisogna prendersi cura. Ilo fin bora sgannato molti che credevano il contrario, et ho consolati diversi amici, come il S. r Veniero, Maestro Paolo, Maestro Fulgentio et simili, che non si muovono dall’aura populare. Aspetto aviso della ricuperata sanità, et le prego dal Signor Dio ogni contento. In Venetia, a’ 26 Genaro 1612. Di V. S. Ecc. ma Pront.'" 0 al solito Ecc. ,no Galilei. G. F. Sag. 30 Fuori: All’Ill. ro S. r Oss. mo L’Eco." 10 S. r Galileo Galilei, Mathera. co ot Filosofo di S. Alt. a Firenze. 650 **. FEDERICO CESI a GIOVANNI FABER in Roma. Acquasparta, 31 gennaio 1612. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro in Eoma. Carteggio di Giovanni Fnbor. Filza 423, car. 73. — Autografa la sottoscriziono. .... Il S. r Galileo nostro mi scrive sol quattro versi, che non contengono altro so non il scusarsi, con una lunghissima et molestissima iufirmità che non lo lascia far niente, se non risponde subito allo lettere di V. S., S. r Teofilo (! > et S. r Stelluti^ et mie a pieno: mi prega, porga io la scusa, et preghi il perdono et la prorogatone, come faccio .... Lett. 640. 22. Jilorifico — Pif.tro Planck. Trovilo Mokller. «*) Fbancesoo Stellutj. 268 3 FEBBRAIO 1612. [651] 651 **. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 febbraio 1612. Bibl. Nnz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 12. — Autografa. Molto Ill. ra ot Kcc. mo Sig. r mio, 10 non li ho scritto prima, perché non mi pareva bavere che dire, se bene poco sia da dirli ancora; ma con questo libretto stampato ”, di coso lette qui pubicamente nella Sapienza et fatto stampare da lui stesso, mi ò parso diman¬ darlo so è cosa buona o cattiva : io non intendo se sarà buona a niente ; so che yoIo stampare non so che altro do’ sogni, et non so che: so li parrà a pro¬ posito, lo scriva; quando verranno fuori, li vedrò di provedere. 11 Padre Ganberghiera à stampato non so elio'*’, che l’à lui : non l’ò Lauta: forse gnie n’arà mandato: se non l’à aula, et la vole, vedrò d’averla. Lo vidi non ò molto, il quale venno improposito ch’ella non debba rispondere a questi io can botoli, perché li impediranno il corso, et che gli avoano nel Collegio recitato non so che problema del moto della terra, il quale a chi era piaciuto ot a chi non, e clic gli starebbono freschi, però che la gli lasciasse diro. Il Passigniano (,) fa gran coso e gra’ romori e millantamenti, approdandosi del guardare et del bavero scoperto nel sole lo machie e le osservazioni ; et in oltre mi disse iarsera elio à gran coso per le mani, et cor una sua invenzione, qual non mi volse dire, nò anello al Sig. r Luca, clic saperrà diro coso minutis¬ sime, et che Giovo lo vedo montuoso. Vidi bene con il suo ochialc nel dintorno della luna due merlature assai evidenti; ot questo fu l'altra notte, quando ella era quasi piena. Imperò me no à fatto venire voglia d’uno; et ci ò qui uno che 20 ne la venire, et gli ho dato l’ordine, et i Padri Giesuiti me lo scierranno: im¬ però datemi qualche avertimento, come io ò da fare, haverlo buono da vedere così Saturno, il quale dicio il S. Passigniano che i Padri Giesuiti li hanno detto che OOO si vede cor una stella più staccata del’altra, et non eguali 0 ’, conio dice V.S. , Circlia a quanto già li scrissi, non ò altro da dirli, se non che il Padre Fra Luigi Marraffi di S. a Maria Novella gli ò molto servitore, et ò qua por servirla, et tal volta ragioniamo di lei ; et in un certo ragionamento li sovenne avere letto Lett. 651. 4-5. di mandurlc — (, i Alludo assai probabilmente all'opera dal I.a- bkrqkri Oeni Ilalcnsis, S. I., calculo ac delinontione c ai.la, De phoenomcni* in orbe lùnae: cfr. Voi. Ili, elaborata. Romao, apud Bartholoiimuuui ZWJUettuni, Par. I, pag. 311 e seg. MDCXII. ( ' aUtlo 9 ut velerei affieearum longitudine» ac la- «•» DoMKKICO PASSIONACI. mudine, conferenti cumnovi* ecc. Chhibtophori (ìrikk- Ot Ofr. u.° 520, lin. 16. 3 — 4 FEBBRAIO 1612. 269 [ 651 - 652 ] questo, il quale P incrudo di sua mano (,) : sobonc credo lo sappia, gnie ne mando in ogni modo, perchè cita il luoglio. so Altro non ò che dirli, so non elio io attendo a rivedere diramano immano di quanto va seccando la pittura a frescho della cupola (,) , la quale mi trattiene perchè secca adagio, che ne sarei già spedito. Nel resto io sono sano e lieto, nè altro mi mancha che lei, la quale io amo, et le desidero ogni bene ; et le prego da Dio ogni contento, baciandoli le mani. Di Roma, questo dì 3 di Debraio 1612. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Afl>° Ser.™ Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. rao 11 Sig. r Galileo Galilei. Cioè por il « volume epistolico ». Cfr. n.° CG5. < 7 ) Fausto Costanzo della Torta. 272 4 — 5 FEBBRAIO 1G12. [658-664] buono lettere latino et greche et eccellente naturalista, come si vede per doi suoi volumi stampati, politico anco assai perito; similmente il S. r Nicolo Antonio Stel- liola, filosofo, modico, matematico (et credo Coperniceo), di bellissime lettere, et greche specialmente. Ilora detto Stelluti si trova là, et aspetto da lui ragguaglio so di quanto sarà trattato, del quale farò subito parte a V. S., come devo. Mi farà grafia V. S. di presta risposta, et darmi in essa, et poi continuamente, nova della sua sanità, che ben poi creder grandissimamente mi prema, essendole tanto obli- gato et stretto con tanti vincoli, et ammirando tanto le sue tanto rare virtù et operationi. Di V. S. molto 111.” et molto Kcc. t0 La stampa del libro delle pianto Indiane 0 ’ va tuttavia manzi, et ne sono già intagliate presso il Gentili aro: giunto in ltoraa, le ne mandare le mostre. AtT." 10 por sor. 1 * sempre Feti. 00 Cesi, Mar.” di Mont. 11 Fuori: Al molto 111.” et molto Eco. 1 * 5 Sig. r Oss. mo 11 S/ Galileo Galilei. 654 **. CRISTOFORO GRIENBERGKR a GALILEO in Firenze. Roma, 5 febbraio 1012. Bibl. Nftz, Tir. Mss. Gnl., T. VI, T. Vili, crvr. 84. — Autografa. A questa lettera facciamo seguirò uno doi «duo excerpta ox oratiouibus », che ad ossa erano allegati, o che si trova a car. 71 del T. Ili della ^ L dei Alss. Galileiani. Il titolo che ad esso precede: « Excerpta ox Orationo Inibita iu instauratione studioruni Collegii Romani » è di mano del Grirxbxhukr ; o a trfjo del foglio (cnr. 72/.) si legge, di mano di Gami.xo: « Estratta cTun’OruZ. 8 do’ PI*. Gies. li ». I/ altro excerptum non abbiamo riiivoiiuto noi Mss. Galileiani. Galileo Galileo, Viro durissimo Doctissimoquo, Christophorus Grienbergerus S. Apologia, quam plures ante menses misisti 1 *’, quod longior esset, meque in aliis occupatissimum offendisset, legi tunc a me non potuit ; concessa tamen aliis flllt , a«ibus eam communicari voluisti. Postquam iterum domum rediit, perleota statini est ea diligentia qua debuit ; eandem etiam Clavius totani simul perlegit. O) Cfr. u.° 684. **> Cfr. u.° óTC. 5 FEBBRAIO 1612. 273 [654] Quid tunc senserit, mine non meraini; ego mine idem sentio quoti tunc: pluribus inihi persuasati, quod multo ante paucioribus persuaseras ; et credo etiam aliis persuasi»ti. Sententiam Patris Biancani ab ipso Biancano quam primum recipies ; io idemque procul dubio exspectandum est ab autliore Problematis, ad quem nunc temporis pervenisse apologiam puto. Ante duas circitor septimanas pervenere ad P. Clavium Domini Marci Vel- seri literae, una cum tribus Epistolis 10 ad eundem Velserum exaratis, Apellis cuiusdam nomine post tabulam latitantis, in quibus, praeter schema, quod, aere incisum, apparente» solis maculas duorum circiter mensium spatio observatas, rationes adferuntur, nequaquam solem maculosum esse, sed neque id vel aeris vel vitrorum vitiuin esse, sed satellitium solis esse, qui eura perpetuo circumeunclo studiosius observent. Qua de re Dominus Yelserus iudicium Clavii expostulat in suis. Sed bonus Clavius alimi nunc cogitat, alio propcrat; itaquo ad me delata 20 est res. Respondi, epistolarum et observationum authorem non improbabili ad- ferre, atque ingeniose solem vindicare a maculis, rccte aerem purgare, et a vitris naevos abstergere : me vero nunc temporis non liabero quod certo affirmem ; maculas satis notabiles et numero 7 semel tantum observasse, non ca qua par erat diligentia ac circuinspectione, et maculas similes aliquando per quaedam vitra viciosa in aere vidisse ; non tamen aeri, sed vitro, adscripsisse, iisdem in- diciis quibus ipse maculas a vitris abstergit; ita ut in promptu haberem nihil, quod rationibus ab autliore prolatis opponerem. Illud vero monui, eum 11 De- cembris anni superioris frustra Venerem infra solem inquisivisse ; scilicet eo in congressi! necessario super solem extitisse, ut observationes hacteiius in Venere, so beneficio tubi optici, factae postulare videntur. Quod enim solem circumeat, clarissime demonstrant mutationes annuae, menstruis lunae mutationibus quam simillimae ; fuisse vero tunc in auge epicycli, et Magini calculus et observationes ipsae adeo firme persuadent, nulla ut ratione dubitari possit : semper enim dum ad coniunctionem iliaca accederet, magnitudine apparente diminuta est, et nunc ab eadem recedens, sensim apparet maior. Dum lue paulisper scribendo subsisto, ecce accurrit qui Clavio nostro dandum Viaticum nunciat, quod etiam hoc vespere, prima noeti» bora, accepit. Ne igitur mirere quod intempestivius literas abrumpo : diutius bis immorari tanta novitas non sinit. Disces plura ex harum latore, qui est P. Odo Malcotius, qui, Fian¬ co di-iam repetens, scliolae mathematicae me iterum alligavit. Mitto cum epistola Patris Darii (S) duo excerpta ex orationibus a nostris in instauratione studiorum babitis, eisque addidi aenygma de perspicillo (S) , tale quale quod ab academicis Lett. 064. 20. improbalia — 41. duo exerccpta — 42. addili — <’) Cfr. Voi. V, pag. 23 o seg. O) Dario Tambuurlu. Cfr. u.° GOó. (3) Non è oggi allegato lilla lettera. 5 FEBBRAIO 1012. 274 [ 654 ] studiosis propositum oxercitii causa et solutum fuit. Vale ut me, mprimisque Clavium nostrum, commendatum habe. Itomae, 5 Febru. 1612. Litcras P. Darii poteris remittere cum commodi- tate, faciesque rem eidem Patri non ingratam si autho- res, si quos novisti quosve ipso petit, subscripseris. Tui Ob8orvantis9. u * Christopherus Grionbergerus. Fuori: Al molto Mag. co Sig. r mio et P.ron Osa. 010 11 fc>ig. r Galileo Galilei. Fiorenza. co Excerpta ex Oratione hdbìla in imtaurationc studiorum Collcgii Romani. At ilio longe oculatissimus, qui minutissima sydera vitreo specillo doprehendit. Solem, credo, superabinms, ad quem plebea illa inanium Deorum, rerurn quae fieront ignara, olini perhibotur confngisse. Quid euim auiplius deesso potest? voi tempori ad gloriam, vel sapien- tibus ad scientiam ? Non altitadines montium, non vallium profunditatos, non internaceli- tium irumensitates corporuin, non ai ; r sublimibus spatiis intorfusus, non ultimus et omnia coerccns caeli complexus, tanto locorum intervallo recessi!, ut mihi si forte individua De- 60 mocriti corpora coalescant, infinitis propo partibua multiplicata, aciem Algore possint in- tuentium. Visum est peno ante oculos (et ridomus antiquitatom, portontosis opinionibus refertissimam), raenstruis spatiis vagal i, cornu aspero et inacquali, obscuria macuba tam- quam fluctibus undulatum, curvatis hemicyclia ideutidem conaperaum, splendidia globulis quasi genimis distinctum, sparsim regesta luce oppacatum, angulia tanquam incisum, emi- nens, lacunosum, lunare corpus. Volui uno lacteo circulo minusculoa orbes strictimque conglobatas forinas lactentium atollarum crescere Ploiadum clioros, iniectoque noctis terrore manere in mundi vigilia ignotum auto populum intornitentium aBtrorum; aemulam lunae, mutuari a sole facos, induotisque in arctuin corni bus, Venereo), prodire cominunicato com¬ mercio crescente lucis ac senoscentis ; Saturnum triplici sydere coronari; lovem, omnium 70 fortunatissimuui, Mediceorum Planetarum comitati!, disparibus molionihus anteccdcntiuni, subsequentium, abeuntium, insistentium, tutum clatumque procedere. 0 posteria invidaw vetustatem, quae fabulosa monstrorum prodighi toto consporso cacio syderibus obstruseras, steliarunique lucentes domos inanibus belluis oneraveras, uurn te futuram nostris ingeniis industriam putasti, neque homines fuisse facturos, ut excellentissimis altissiniisque animis atque lieroicae virtuti novae Byderum faces eluceront; quiquo, gentibus fructuosi, ad ser- vandum bumanum genus opes suas viresquo contulissent, illos non usque co moraretur, dum brachia contrahit ardens Scorpius, aut justa caeli plus parte rolinquit, (quod ante nostram aetatem promittere solebant), sed in recenti frequentissimoque stei- 80 larum concilio statini, sapientum beneficia referentium suffragio, collocarentur ? CO—61. Demoerat! — [655] 11 FEBBRAIO 1G12. 275 655 **. DANIELLO ANTONINI a GALILEO in Firenze. Bruxelles, 11 febbraio 1G12. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, cnr. 85-87. — Autografa. Molto 111” Sig. r mio P.rone Oss. ,no La posta passata mandai a V. S. molto 111.” il profilo et la pianta del nostro moto perpetuo (l) , sebene mi scordai dirle la misura; et ò che il canaletto di vetro è circa 2 braccia lungo: bora le invio il dissegno del moto perpetuo che si ri¬ trova appresso il Ite d’Inghilterra. Il cerchio interiore nota una sfera vacua di metallo, la quale per lo canaletto D comunica dentro il canale eAB di vetro, nel quale è il liquido, che hora da una, bora da un’ altra parte con tardo moto si vede esser montato: la parte ef del canal vitreo è con certe foglie di metallo coperta; ma io m’immagino che stia come io l’ho dissegnata, dinotando per la 10 ^ una trapartita, et in o un buco, acciò l’aria possa subintrare quando il liquido B “1 Gir. n.o 652. 27 6 11 — 17 FEBBRAIO 1612. [655-656] scende, et uscire quando monta. Clio la causa di questo moto sia la rarefation et condensationc del’ aria chiusa nella sfera metalica, credo eh’ anco a V. S. sarà assai manifesto, si che se sentisse o liavosse sentito dire alcuna cosa di questo moto, lo potrà, credere. La misura di questo, ch’io l’ho limito, in dissennogrando conio è, da buon messo, è il canal di vetro di diametro di un piede o poco più. Qui non è cosa alcuna di nuovo: solo si van preparando l’cssequie per lo Imperatore (,) . Ogni giorno mi bisogna disputar con alcun di questi sotili ingegni per questo moto, che è uno spasso. Apunto hoggi, uno voleva argomentare elio non dureria, dicendo elio sarà necessità elio l’acquasi corrompa; al quale io ho risposo clic non farà, perchè io v’ lio messo da principio acqua corrotta. Corner- 20 vimi V. S. in sua gratia, et si ricordi alcuna volta elio non ha servitor più affe- tionato di me. Le Laccio lo mani. Di Brusselles, il dì 11 Feb.° 1612. Di V. S. molto Ill. r ® Ser. ,or Aff. rao Daniello Antonin[o], Fuori: Al molto 111.” Sig. r mio Pad."* Oss. mo Il JSig. r Galileo Galilei. Firenze. D'altra mino: fr. c * tin Mantoa. 65G**. DOMENICO PASSIGNANI a GALIL LO in Firenze. Roma. 17 febbraio 1612. Bibl. Nuz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 88. — Autografa. Molto Ill. r ® E. or et P.ron mio Oss. mo Avendo visto un discorso venuto di Alemagna sopra lo machie che si ve¬ dono nel sole, et anchora una dimostrationo di alcune osservationi, et avendone parlato con il P. Panbcrger S) , il quale ò del’istesso parere di quello che scrive, che è questo: dice che lo machie che si vede, sieno stelle, come quello che si vedono attorno a Giove; io sono di contraria oppinione, perchè avendone fatto per cinquo mesi osservationi, non ho potuto comprendere che sieno fuora del corpo del sole, et dico che sono dentro nel corpo del sole, perchè in detto tempo non è possibile che non avessi visto qualcheduna che mi occupassi il dintorno del sole, si come iarebbe se le lussino fuora del corpo del sole: ma non ho mai viste vi-io cino a ditto dintorno, anzi cominciano un poco lontano et si vedono poco, et di Lett. 850. iitctio pare di — 1*’ Ronoi.ro II. <*i Cristoforo Uriksberoer. 17 FEBBRAIO 1612. 277 [ 656 - 657 ] inano a mano, quanto più si avicinano al mezo, si vedono più; et anchora ne ò viste da un giorno al* altro venire apresso al mezo in un tratto, et poi fare il suo corso in più giorni et svanire: et anchora ne ù viste che quando sono a mezo venute, in parechi giorni svanire, et non si vedere più : et con queste dimo- strationi non so capirò die le sieno stuccate dal sole. Se quando in un tratto le si vedono apresso il mezo, et poi faro il corso in più giorni, qui averrebbe che in un tratto venissero et poi mutassero corso et se ne andrebbono adagio, et per contrario ne ò visto venire adagio, et poi sparire quando sono vicine al 20 mezo svanire. Di qui averrebbe, che avessino corso veloce et adagio et non se¬ guente, la qual cosa non credo che possa stare, che tengo che tutti e’ corpi ce¬ lesti abbino il loro corso seguente et che non si muti. Io tengo che sieno dentro il corpo del sole, non solo in superficie, ma che si incentrino dentro et venghano in superficie: et al P. Pamb. ho detto questo che ho veduto, che adesso che si è risoluto di far le oservationi, clic troverà tutte queste cose che ho ditte. Et così da lei vorrei sapere se nelle oservationi che ha fatto, la ci à trovato que¬ ste coso che dico: la me ne farà gratin, et dirmi in questo quello la ne sente. Crede il P. che sarà stato mandato ancora a lei questo discorso ; che se non P averà auto, la mi avisi, chè ne le manderò copia. Non le sono più tedioso: solo 30 le dirò che il S. r Cigoli et il S. r Luca Valeri li baciano le mani et le desiderano sanità, pregandone il Signore Dio, sì come fo io con tutto il cuore per benefitio universale et particulare. Di Roma, li 17 di Febraio 1G12. Di V. S. molto IR.™ Servitore Aff. mo Domenico Passignani. Fuori: Al molto 111.™ S. r et P.ron mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 657 * FRANCESCO MARIA VIALARDI a [FERDINANDO GONZAGA in Parigi]. Roma, 17 febbraio 1612. Aroh. Gonzaga in Mantova. Rubr. E. XXV, 3.— Autografa. -Morì Clavio, matematico insigne tra’ Gesuiti, tra’ quali è gloria, cavando di qua o di là, far libracci senza ingegno e senza invenzione. Si è stampato un libro contro le Stelle Medicee del Galilei, mostrandosi che Giunio Ornano W Gallo Belga le trovò prima che il Galilei so le sognasse, ondo si tiene che di detto luoco le ha cavate.... 16. »'» parchi giorni — 1 '* Adriano Iunius di Hooru. Cfr. Serie ottava lettere ed arti in Padova. Nuota Serie. Voi. IX, l’a- di Scampoli Galileiani raccolti da Antonio Favaro, dova, tip. G. B. Raudi, 1893, pag. 14-16. negli Atti c Memorie della Ji. Accademia di fetente, 278 24 FEBBRAIO — 2 MARZO 1612. [658-659] 658 ** GIOVANNI BARTOLINI a GALILEO in Fironzo. Roma, '24 febbraio 1612. Bibl.Naz. Flr. Mas. Gal., Tur. VI, T. Vili, car. 90. — Autografa. Molt* III.™ et E."'° Sig. r mio Oss. mo Già, scrissi a V. S. che il S. r Antonio abbate Persio, mio Signore c Padrone o di lei amico e servitore, era passato di questa a miglior vita, essendo stato indisposto (li febre maligna nove giorni, e elio li suoi scritti li farria stampare 1* Ecc. mo Sig. r Marchese Cesi, quale s’aspetta (li giorno in giorno, ritrovandosi egli al ducato del padre, ciaf! Acquasparta: non so so V. S. l’habbia ricevuta 10 . Hora ardisco di pregar V. S. a favorirmi d’una gratin: quale ft, che essen¬ dosi degnata di inviare quelli Discorsi Astrologici all’Eec. m0 S. r D. Francesco 121 a Pisa, cho mi favorisca di intenderò se P ha ricevuti, e se Pini liavuti cari,poi che la Corto tiene clic P babbia luivuto a malo, non liavendo dato risposta; e io no potrà- V. S. parlare col secrettario di detto S. r I). Francesco : et havrò caro ancora (l’intenderò che titolo si dà al detto, poi cho so se li dà del Serenissimo, Barria necessario di scriverlo una lettera con adimandarli perdono et escusarmi, essendo clic ciò ho fatto seguitando il stile di tutta la Corte di Roma, cho non passa P Eccellentissimo, fuor che a S. A. Ser. ma : o so potesse haver resposta per honor mio, mi sarria sommo favore, e no lo restarei in etterno obligatissimo. E qui fine le bacio le mani, con pregarle dal Cielo compita felicità. Di Roma, li 24 di Febraro 1612. Humiliss. 0 Ser.™ Di V. S. molt’ 111/ 0 et Ecc. ma Giovanni Bartholino. Fuori: Al molt’111/ 0 et Ecc. mo S. r P.ron mio Colend. 0 20 li Sig/ Galileo Galilei, Mathem. co di S. A. 8er. ,n ' 1 di Toscana. Fiorenza. 659**. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO allo SelvoJ. Firenze. 2 [marzo] 1612. Bfbl. Naz. Fir. Mss. Gal., V. Ili, T. VII, 2, car. 26. — Autografa. Molto Ill. r " et Ecc. ,n0 Sig/ 0 Mando a V. S. Eco.""' quello osservazioni che ho fatte alli 28, 29 di Feb.° o primo di Marzo. So sono latte con la solita imperfezione, ne dii la colpa non Non è proso» tomoli te nolla raccolta dei Mas. lottora del Hartomni a Gami.ro a noi nota. Galileiani: ansi questa, che riproduciamo, ò la sola i*i I). Fkancksco i»k'Mudici. 279 [659] 2 marzo 1612. solo alla insufficienza mia, ma alla debolezza ancora dello strumento. I numeri significano diametri interi Die 28, liora p.* Lo. 2 J *. altera corrigenda ve- nit propter sequon- tem npparentinni in liora 4\ Lo. 4\ Or. Lo. G*, m. 30. Oc. ho. d*, in. 20. 1 4 - ■l-~ 2 -. Dio 29, lio. 0, m. 40. Or. lio.* 1 ) m. 30. (§)-__ ,Yf i i i-~ i-r 2 1 -J- *** Oc. Die p\, Murtii, ho. 0, in. 50. ho. 2, m.30. lio. 3, m. 80. Or. ho. 5, in.20. ho. G, m.0. Oc. Se poi V. S. Eccell. ma giudica bene il scrivere a Mastro Paolo in materia della lettura (t) , la prego a favorirmi, chè gli ne resterò obligatissimo. Questi Padri (l > Nel riprodurrò con segni tipografici lo se¬ guenti configurazioni abbiamo, per maggior chiarezza, stimato opportuno di prescinderò dalla precisa rap¬ presentazione delle distanze in diametri, quali pro¬ porzionalmente sarebbero stato ricliioste dallo dimen¬ sioni adottate por il segno rappresentante Giovo. <*> Manca l’indicazione doli’ora. ,3 > Forso accenna alla lettura di Matematica, tuttora vacante nollo Studio di Padova, o alla quale può essere che il Castelli aspirasse, confidando nel¬ l’appoggio di Fra Paulo Saupi che Galileo gli avesso lasciato sperare. 280 2 — 3 MARZO 1612. 1659 - 660 ] li mandano mille saluti, c stanno aspettando l’occasione di servirla con scrivere quelle coso da mettersi in stampa; come fo ancor io, baciandoli le mani. Di Badia, il 2 di Feb.® (sic) 612. 10 Di V. S. molto lll. ro et Eco."" 4 Disce. 10 e Scr. ra Oblg.“® D. Benedetto Castelli. 660*. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 marzo 1618. Bibl. Na«. Fir. Mss. (lai., P. VI, T. Vili, car. 92. — Autografi il poscritto a la uottoscriziono. Molt’Ill. r ® et molto Ecc. l ° S. r Oss. mo Le scrissi, sarà torsi un mese, d’Acquasparta 10 , et li diedi conto di molti par- ticulari, desideroso d’haverne risposta et intendere nova della sua sanità, che mi premeva et preme molto, et masime bevendomi V. S. prima dato aviso d’una sua longa et fastidiosa indispositione, che molto mi dolse. Non ho ricevuto ri¬ sposta n* altra sua, et crescendomene per ciò il desiderio, ho voluto con questa salutarla, et dimandarli si ricevette quella et come si trovi. Mi sarà carissimo mi sodisfaccia subito, che poi li darò conto di quanto passa. Con che di core a V. S. bacio le mani. Di Roma, li 3 di Marzo 1612. 10 Di V. S. molto lll. r8 et molto Ecc. 1 ® Apeìles ìatens post tabularti chi sia, ancor non lo so: ha scritto al S. r Marco Welseri tre epistole De mactdis solaribus (t5 , et crede siano stelle er¬ ranti, die girando circa il sole, si vadano varia¬ mente interponendo tra 1* occhio nostro et il sole. Riceuta risposta, Laverò molto che scrivere a V. S. Aff. rao per ser. ,a sempre Fed.°° Cesi, Mar. io di Mont. 1 » Fuori: Al molto IH.™ et molto Ecc.*® S. r Oss. mo 20 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. Cfr. n.® 053. <*> Cfr. Voi. VI, pag. 23 e seg. [661-662] 13 — 16 MARZO 1012. 281 661 * PAOLO GIORDANO ORSINI a GALILEO in Firenze. Napoli, 13 marzo 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 73. — Autografa la firma. 111. Sig. re Mi ricordo che quando io fui costì ultimamente in Firenze, mi lodò e pro¬ pose V. S. una giovine zittella Romana molto virtuosa, che, oltre al sonare e cantare, si deiettava di disegnare, e mi feco vedere alcuni disegnetti che dalle stampe detta giovine havova copiati. Adesso facilmente ci potrebbe in casa esser occasione di haverne a pigliare una. Mi farà dunque piacere V. 8. di darmi no- titia di detta giovine, dove stia e come si chiami, et anco il nome del padre ; mentre per fine le prego da Dio ogni contento. Da Napoli, a’ 13 di Marzo 1012. io Aff. m0 di V. S. S. r Galileo. Paolo Giord. Orsino. Fuori: All’111. Sig. ro il S. r Galileo Galilei. Firenze. 662*. MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma. Augnata, 16 marzo 1612. Aroh. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Pabor. Filza 419, car. 154. — Autografa. .... Non le so dire ciò che paia al S. or Galilei delle macchie solari, perché non ebbi mai risposta: causa no debbo esser 1*indispostone, et certo travaglio d’animo che mi si dice lo tiene sossopra Non erodo che possa contradire il fatto ; ma forse si lamentarli, che essendo egli stato il primo ad osservare queste macchio già molti mesi prima, altri se ne attribuisca la gloria: il che però ad simulavi rei non rileva nulla, et di più posso affermare con verità, che il mio amico, elio si batteza Apelle (3 >, non seppe nulla delle osser- Iiett. 601. 5. copiate — ,l > Prima ili questa lettera dovrebbe trovarsi il li.» 493. <*' Cfr. n.« 622 <*' CmsToroRO Sciikinrr. 2C XI. 1G — 17 MARZO 1G12. 282 [C62-G63] vationi del S. or Galilei; nò ai debba stimare cosa nuova che nelle roso naturali s’incontrino divorai inventori, senza che l’uno linbbin notizia doli’altro. Oltre che, so l’opinione che tengo della modestia di Apollo non m’inganna, credo cho cederà facilmente quest’ honore a chi cho ai sia, purché de ventate rei constet .... 663 . FEDERICO CESI a GALILEO fin Firenze]. Roma, 17 marzo 1012. Bibl. Naz. 3?ir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 04 95. — Autografa. Molt’Ill. ro et molto Ecc. ttì Sig. r Os8. mo Dalla sua desideratissima delti 9 di Marzo, riconta questo ordinario, fornisco di conoscere cho doi mie, scritteli dopo la prima d’Acquasparta, non le sono al- trimente capitate; et similmente una dello sue a me non ò gionta: qual cosa tanto più m’ha noiato, quanto l’ultima sua mi lasciò con nuova di sua grave indi- spositiono et intenso desiderio d’udir presto miglioramento e compita sanità. Ho scritto a’miei amici di quelle parti, mi dassero nova di V. S.; ho dimandato, gionto in Roma, a communi amici, quali a me stesso ne ricercavano, presuppo¬ nendo no fossi meglio informato. Di maniera cho la sua ò arrivata molto a pro¬ posito, et molto più so havesse recato nova della ricuperata sanità: pur portali- io done col miglioramento certa speranza, ha dato a me et a tutti i Lincei molto contento. Risarcirò dunque con questa il mancamento cagionato dalla perdita del’altre, narrandole quanto passi. 11 S. r Gio. Ratta della Porta, havendo mostro semprò grandissimo desiderio die la nostra studiosa Compagnia andasse avanti et cominciasse ad effettuarsi et stabilirsi secondo la mia intentione, finalmente mi pregò a mandarli quanto prima alcuno de’nostri per trattarli sopra ciò alcune cose necessarie. Mandai il S. r Stelluti, dichiarato procuratore do* Lincei; et conoscendo elio primieramente detto Porta desiderava, alcuni suoi amici et compatrioti fossero ammessi tra di noi, scrissi a V. S. il tutto ”, et le proposi le persone eh’ io intendevo et loro qua- 20 lità, per sentirne il suo parere; et dissi al Stelluti che, non scrivendoli altro in contrario, sentita bene la volontà delle persone, so so li faceva istanza et fretta, avanti la sua partita gl’ammettesse, sodisfacendo apieno le loro buone qualità. Questi erano: 11 S. r Nicol’Antonio Stelliola, medico, filosofo e matematico di gran dottrina et inventione, raro nel’ architettura, erudito di lettere greche, che già ha composto molti libri di proprio e non alieno intelletto, e di continuo fatiga operando e scrivendo ; il Sig. r Fabio Colonna, erudito aneli’ egli di belle lettere <') Cfr. il.» G53. 17 MARZO 1612. 283 [663] latine et greche, et d’esquisitissimo giuditio sopra lo cose naturali e cognition d’esse, massime dello piante, come si vede per doi suoi libri stampati ; possiede 30 anco assai bene le medianiche et spiritali, et è buon iurisconsulto, che questo anco poi giovar nella attiva; il S. r Filesio Costanzo della Porta, nipote del S. r Gio. Batta, giovane di 18 anni, di buon ingegno et ottima natura, che segue i vestigi del’ avo, et perciò egli se 1* ha eletto et lo fa studiare ferventemente ; poi anco il S. r Don Diego d’Urrea, cavalier nobile et di dottrina non ordinaria, poiché, oltre la filosofia et buona cognition cl’ altre scienze, ha compitamente la lingua arabica, persiana et turchesca; fu prima secretano del re di Fez, bora è di quello di Spagna di dette lingue, provigionato di cinque mila V l’anno, come mi scrivono. Pregai V. S. di subita risposta, come ricercava il negotio; non capitò, nè sin 40 bora, ancorché reiterassi, ho visto altra sua che la sopradetta. Ricevè adunque il S. r Stelluti, non parendoli bene il trattenere, essendo già di ritorno, dopo es¬ sersi trattenuto in Napoli quasi un mese. Hora m’ ha ritorto, che oltre la con- numerationc di questi tali, il Porta ha trattato seco molti particolari, elio non scrivo hora per non allungar tanto questa: li saprà di mano in mano: solo dirò eli’ il principale è eli’ instantissimamentc dimanda, si facci quanto prima il Liceo di Napoli, per avviarlo lui, promettendo donarli tutta la sua libraria et studio; onde, per dar sodisfattione a lui et principio al’ opra in così buona occasione, ho scritto al Porta cho con 1’ altri Lincei di là cerchi sito o luogo fatto a proposito nostro, et trovatolo avisi, chè io mandarò subito il Stelluti a comprar et dar 50 l’ordini necessairi (1) . Mando copia di doi lettere di nuovi Lincei (,) ; l’altre, una è in Arabico, l’altra non ha cosa di particolare, essendo di ringratiamenti et offerte. Scorgerà V. S. qitalch’ indicio del’ ingegno di questi doi, seben forse dal nome che hanno et dalli scritti li conosce ; et possiamo di tutti certo liaver gusto, clic non mancaranno di farsi lionore. Ilo visto con altrettanto gusto quello V. S. scrive del libro del S. r Lagnila, con quanto dispiacerò vidi l’istesso libro (3) , et principalmente il titolo, che vo¬ leva la modestia istessa, oltre la verità, che fosse in altra maniera, et io le ne liaveo più volto parlato molto, conforme a quello che V. S. hora ne scrive, et propostole obiettioni a sufficienza : bora le mostrarò l’istessa sua lettera per corn¬ eo pimento. Et perchè mi pare che V. S. nel fine, dicendo che saluta tutti i Lincei et lui in particolare, mostri forse di credere sia aneli’ egli Linceo, però sappia che non è, et che se fosse stato non havrebbe in alcun modo scritto contro le sue opinioni; chè ciascuno di noi scriverà sempre per lei, seben non ve n’è di Cfr. n .0 526. (,) Una di questo è quolla di Fabio Colonna fi Iedkrico Cesi, senza data, elio ò in copia nei Mss. Galileiani, Contemporanei. Tomo III, car. 13-10, sul tert/o doli’ultima carta della quale si legge, scritto di mano di Galileo: « S. Fab. Col.» sopra l'instit." 8 de’ Liucoi. » (3) Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 311 o seg. 284 17 — 18 MARZO 1612. [063-664] bisogno et quelli istessi olio li scrivono contro le accrescono lodo, come ben disse il Porta del Sitio °. In oltre V. S. sa quelli che sono Lincei, et non se n’am¬ metterà mai alcuno senza sua saputa ; et quelli clic *' Laveranno ad ammettere non saranno schiavi nò d’Aristotele nò d’ultro filosofo, ma d’intelletto nobil o libero nelle cose fisiche. ITora, in conformità di ciò, fo saper a V. S., che me se no propongono in Roma doi: il S. r Luca Valerio, elio lei molto bene conosce, nò occorre io m’affatichi 70 per dipignerglielo ; il S. r Angolo de Filiis, giovano conio di famiglia nobile et antichissima, così d’ ingegno acuto et già versato nella filosofia, di molta cogni- tiono dello coso naturali et secreti, desiderosissimo di far gran profitto no’studi et attissimo a ciò, et da potersi anco adoprar no’ nostri oflicii attivi. Volentieri tanto più l’ammetterei per haverne in ltoma softìciente numero, dovendosi in- caminar il negotio con liavor primieramente gl’ huomini degni, nè essendo qui altri Lincei che li SS. ri Labri, Stelluti, Molitor, che ò di partenza, et Terentio, che ò Gesuita. Non farò altro so prima non sento che le ne pare, ot lo scriverò di mano in mano altri particolari et il successo di tutte le cose. Por l’ordinario seguente vorrei le capitasse subito et sicura una lotterà con so una scatoletta di questi affari, che lo mandarò per il procaccio di Firenze; però mi farà gratin farci esser subito, o così ogn’ordinario, per tre o quattro a ve¬ nire almeno, al’ istcsso procaccio. V. S. non s’affatighi a scrivere, ch’io più stimo la sua sanità eli’ altra cosa ; o duo versi, o scritti o fatti scrivere, mi bastano. Mi rallegri presto con nuova della sua sanità, eh’ io con i compagni somma¬ mente desideriamo ; et le baciamo le mani. Di II.* 1 , li 17 di Marzo 1612. Di V. S. molto ili.™ et molto Ecc.*® Aff. mo per ser. ,a sempre Fcd. C(> Cesi, Mar.** di Mont. 1 ' Fuori: Al molto Ill. r * et molto Ecc. 1 * Sig. r Oss. ,no 90 IL Sig. r Galileo Galilei. 6G4*. GIOVANNI KEPLER a GIOVANNI REMO in Roma. Praga, 18 marzo 1612. Btbl. dell’Osservatorio in Pulkova. Mas. Kepleriani, Voi. L. XF. — Autografa. .... Et Iupitor procul dubio rotatur circa axem, ut bau rotatione Reclini circumiro faciat. quatuor suos satellites : quos certissimo intuiti! videmuB etiam in Germania, vule- ìuusque Sicium vestrum nostrumque Horkyum manifosta nogantes.... Lett. 003. 77. Multir — partenze — < l > Cfr. n.® 560. 22 MAIiZO 1612. 285 [665] 665*. FEDERICO CESI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 22 marzo 1612. Blbl. Nftz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 96. — Autografa. Molt’IU.™ et molto Ecc. to Sig. r Oss. mo L’ordinario passato le scrissi una longa di molti particolari per il corriero di Milano, che credo le sarà capitata; et in essa le accennavo di questa ch’ho risoluto inviarli per quello di Firenze, poiché, desiderando le sue et che le mie le capitino, m’ò parso necessario usar maggior diligenza che per il passato. Spero et desidero grandemente preste nove della sua sanità et felici studii. L’opra del S. r Lagnila (,) partorisce a Y. S. molti difensori, e fa che molti, prima renitenti, hora, vedendo dal detto esser in vano fatto il possibile per to¬ glier la scaltrezza lunare, confessino quello prima negavano. Questi rumori però io sono nella classe scolastica, et massime peripatetica, poi che i filosofi reali dal suo Nuncio in qua, o almeno dalla veduta telescopica, non si sono punto rimossi dalla certezza delle sue osservationi et evidenza dell’ assertioni, et in essi non rimane se non desiderio eh’ olla séguiti a scoprire. Il detto Lagalla desidera ri¬ sposta, et mi pregava ne scrivessi a V. S. Credo nel volume epistolico c,) , sia per haver sodisfatione a pieno. Il S. r Persioche era tutto di V. S. fuor che nel’ opinione di Copernico, passò, coni’ havrà inteso, a miglior vita, con disgusto di tutti, tanto più che molte settimane avanti, parlando con i nostri et intendendo parte delle cose Lincee, mostrò gran desiderio d’esservi annumerato, et ne trattò con loro, essendo 20 io assente ; onde, sapendo di che natura, nome et valore fosse, pensavo, datone conto, sodisfare, al ritorno, numerandolo tra’ Lincei. Successe il caso ; et egli sapendo in questa parte il nostro fine, di tener conto e promover le studiose fa- tighe et opre, non prima s’accomodò a morire, che per codicillo m’hebbe rac¬ comandato le sue opre a vederlo, et essendovi mancamento supplirle, et far che quanto prima si stampino. Hora li parenti, sapendo Y intention sua et l’affetto mostro verso noi, fanno istanza si faccia mention di lui, dove occorre, corno Linceo. Ilo voluto prima pregar V. S. m’avisi il suo parere, dovendo particolar¬ mente regolarmi con la sua prudenza in questa nascente opra, che spero habbia esser grande et grandemente da lei illustrata. (,t Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 311 o sog. gomenti cho tenevano in quel tompo maggiormente ,s ' È questo un volumo noi (inalo i Lincei avreb- desta l’attenzione dogli studiosi, boro dovuto trattare, in forma di lettere, degli ar- <*' Antonio Pkhsio. Cfr. n.° 658. 286 22 — 26 MARZO 1612. [665-666] Le mando, tra alcune figuro delle piante Indurne del libro che si stampa co il segno o sigillo che ciascuno de’ Lincei di continuo deve portare in dito », ser¬ vendosene anco per segnar le studioso epistole et spettanti allo coso Lincee in qualsivoglia modo; avertendola però elio primieramente scusi la tardanza del scultore longhissima, poi consideri che la pietra et la grandezza non hanno po¬ tuto corrispondere alli ineriti, ma al solito fraternalo, poi elio per lo qualità et doti naturali et significationi fu eletta tal pietra, et per commodità di tal gran¬ dezza. Tale il S. r Gio. Batta della Torta, quest’altri Lincei più vecchi et io, di continuo portiamo, chè per i nuovi, elio lo scrissi esser ammessi, si lavorano bora, V. S. mi farà gratin honorar dotto segno col portarlo, considerando che la Lince, elio da esso gli vien rappresentata, spera nel suo valore et prudenza grande-13 mente. Non dirò altro per hora, so non che desidero mi conuuandi et dia nova dolla sua sanità. Bacio a V. S. lo mani. Di Roma, li 22 di Marzo 1612. Li V.S. molto III.” et molto I\cc. to Air . 1 " 0 por sor. 1 * sempre Fcd.°° Cesi P. L., Mar.** di Mont,* Fuori: Al molto III” et molto Ecc* Sig. r Oss.™ Il tìig. r Galileo Galilei. 666 **. LODOVICO CARDI I)A CIGOLI n GALILEO in Firenze. Roma, 23 marzo 1012. Bibl. Naz. Flr. Msh. Gal., P. Ili, T. X, far. 61. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r mio, Ricevo grandissimo disgusto il sentire la sua indisposizione: però la prego nel miglioramento a darmene nuova. Feci lo scuse con tutti : con la Sig. ra Mar- gerita 131 , la quale rispose lo vegga a suo comodo °, dispiacendoli il suo male; et con il Padre Granbergero et anello egli li risponda a sua commodità; et il Sig. r Luca 141 è tutto suo, et cosi il Sig. p Passigniani ; et io sto aspettando a suo comodo la lunga lettera promessami intorno al Copernico. Cfr - n -° &84 - <•> Margherita Sarrocchi. 1,1 Cfr. Notizie tuli' anello linceo invialo ria Fe- Ol Intonili, il poema doli» ticandcróeide, Cir. derico Ceti a Galileo, n pag. 240-249 delia UiieeUanm n.» 221. lin. 23, o n.» 647. Galileiana Inedita. Studi o ricerche di AXTOXIu Fa- t»i CRIBToroRU Uriknbkkohr. varo. Venezia, tip. AntoneUi, 1837. i*. Luca Vai.kbio. 23 MARZO 1G12. 2S7 Non erodo avere scritto a V. S. come io ò uno ochiale, et 6 assai buono, tanto che veggo da Santa Maria Maggiore 1’ orivolo di S.° Pietro, la lancetta io dello orivolo, ma i numeri del’ ore non così distinte et intelligibile come vedevo con il suo; però se mi à da dare qualche avertenti di piò squisitezza, me ne avisi. La luna la veggo benissimo, e nel dintorno, pur di verso la parte lumi¬ nosa, qualche inegualità: le stelle di Giovo me lo mostra benissimo; Saturno non lo conoscilo, nò Venere non l’ò provata. Del vedere de’ paesi come Trasciniti, die ci ò 10 miglia o 12, si vede non solo le porte e le finestre, ma in sulla porta di trascinati gli huomini, ma confusi ; et Pigoli, che ci è da Hi o diciotto miglia, le porte e finestre scolpite, attale che mi par sia assai buono. Le machie del sole, con il vetro biancho piccolo non potevo fissar l’ochio, che mi lagrimava; ma poi cor un vetro verde grosso, et perché ò incavato, come il biancho, ve ne 20 pongo sopra uno altro piano, similmente verde, di maniera che non mi dà fastidio niente attutto l’ore il guardarlo: et per la commodità a Santa Maria Maggiore ù fatto queste 2G osservazioni incluse. Sopra le quali poi che gli altri pittori in¬ cogniti o cogniti ànno detto il loro parere, mi fia lecito ancora a me il dirlo, che siano nel sole, come bruscholi dentro una caraffa, che vagando per quella si aco¬ stino ora alla circunferenza et si faccino visibili, et ora si incentrino et così si vadino spegniendo. Non lo conoscilo, ma mi pare più verisimile che siano stelle che passando si interpongano fra noi e ’i sole, se bene audio in questo ci ò qualche dubbio. L’una, clic io non ò mai vedute in sulla circonferenza apunto, ma ben vicine, e sempre entrare (se però passano) di verso oriente et andare 30 verso occidente, et molte spegniersi, nè mai nissuna condursi al fine della estre¬ mità della circonferenza. Molte ne ò viste ovate, massimo negli estremi; dove dice il Padre Gremborgero che viene che noi aquistiamo della parte luminosa, et però ci paro ovata: la qual ragione mi quieterebbe, se però non fusse in con¬ trario a quel che il senso mi mostra; chè le ovate, elio io ò viste, mi apparivano così -J, con la parte ombrosa verso il centro del corpo solare, in queste contra- segniatc così ■}, et altre tonde chiaramente. Ora se mi è parso, non lo credo, perchè l*ò fatte vedere ad altri ancora; nò credo sia imperfezione dello ochiale, poi che le veggo varie, et delle tonde et dello bislunghe: nò credo siano un cu- molo di stelle, se però fra di loro facendo un cerchio non lasciassero uno spazio 40 di spiracolo di foro del corpo solare. Ma mi dà noia quel sempre esser la parte più carica di scuro verso il centro del corpo solare : però non essendo pasto da mia denti, ci lascierò pensare a voi. Li mando queste poce osservazioni : non so se saranno bene agiustate, perchè il non le vedere tutte in una ochiata mi arà fatto forse male agiustare: però pigliate la buona voluntà, et ricordatevi della promessa della lettera. Et intanto mi favoriscila al gentilissimo S. Filippo Salviati et al Sig. r Iacopo Giraldi fare Lett. 666. 15. miylio — 23 MARZO 1612. [666-667] 289 un baciamani: et con questo pregilo Dio, li recuperi la sanità et le dìa forze del condure 1’ opere affine, per gloria sua et utile publico. Di Roma, questo dì 23 di Marzo 1G12. 50 Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Servitore Afl>° Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto 111. et Ecc. mo Sig. or mio Oss. m ® Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. MI**. MARCO WELSER a GALILEO in Firenze. Augusta, 23 marzo 1G12. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. Ili, T. X, car. 58. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. ,no S. or Oss. ni ° Scrissi a V. S. a’ 6 di Gennaro (,) , con mandarle certi brevi discorsi sopra le macchie solari, et supplicarla del suo parere. Ma perchè non mi capitò mai ri¬ sposta, cosa molto insolita alla sua amorevolissima cortesia, sto in dubbio clic stanti le presenti strettezze, per causa della sanità, o il mio piego o la sua ri¬ sposta si sia smarrita. Però torno a pregarla, se questi fogli stampati sotto nome di Apellc le sono pervenuti, o col mio piego o per via di altri amici, poiché ne sono andate molte copio in Italia, la mi faccia grazia di dirmene liberamente il suo parere, se giudica tali macchie stelle o altro, dove crede siano situate, et io quale sia il lor moto. Il mio amico si trova molto impacciato che dette macchie non tornino; però mi scrive con sua di 19 stante: < Maculae solarcs antiquati needum visuntur : paulatim ile reditu haerco : quid dicam ambigo. Unutn enirn haclenus argumentum, et illud unicum, me torquet: videlicei , quod cnm a sole multimi non absint , qaod probari potest evidentissime, et partivi in editis proludimi est, fini vix possit ut tomàia emanerò debeant. Quo dato, simili ilio posilo, ut perpetuo tamen aliquae appareant, quod ordinarie fit, difficil- litnttm est scse extricare, ut non statuantur aliae inferire aliac oboriri. De qua tamen re suo loco ex instituto. > Baccio la mano a V. S., et le desidero ogni bene. 20 Di Aug. a , a’ 23 di Marzo 1612. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. mft Affi 1110 Servit.® Marco Velseri. Fuori: Al molto 111.® et Ecc. mo S. or mio Oss. mo Il S. or Galileo Galilei. Firenze. “1 Cfr. n.o G87. XI. 37 290 2-13 APRILE 1612. 1.668 689] 668 **. FILIPPO SALVIATI a GALILEO in Firenze. Le Selve, 2 aprile 1612. Autoffrnfotecft Morrlson In Londra. — Autografa. Molto 111." Sig/ mio, Credevo elio a questa ora V. S. dovesse avere spedito le suo visite e altre faccende, per potersene ritornar da noi; ma non la vedendo comparire, nè sa¬ pendo qual se no possa esser la cagiono, mi son risoluto a scrivergli, per saper da lei se io devo servirla in cosa nessuna, acciochè ella se ne possa venire, o almeno per dargli qualche stimolo di farlo quanto prima: o per lo meno questo gli serva, che qui non si può pigliare ricreazione del piacevolissimo Ruzzante senza la sua esposizione {l) . Avvisi dunque V. S. so io gli devo mandar carrozza o cliinea, perchè, oltre al desiderio che molti hanno di goder V.S., a me medesimo ella sarà gratissima. E gli b. le mani. Dio la guardi. 10 Dalle Selve, adi 2 d’Aprile 1612. Di V. S. molto 111/® Ser.® AfT. ra0 Filippo Salyiati. Fuori: Al molto 111/" Sig/ mio 11 S/ Galileo Galilei, a Firenze. 669 **. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 aprile 1012. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 10. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig/ mio, Quanto alle osservazioni, ne ò fatte delle altre; e quanto alla medesima ora, mi ingegnierò, ma ci sono bene spesso o nuvolo che si interpongono, o per qualche mio impedimento che bene spesso non mi vien fatto: chè la mia inten¬ zione sarebbe la mattina o la sera sempre, perchè ci veggo qualche variazione nello istesso giorno in alcune, et altre più giorni vi riconoscilo per lo stesse. Basta: mi ingegnierò, per quanto io posso, di far quanto la dice. Lett. 060. 8. bene ipexso — <0 Galileo rallegravi* i suoi amici toscani con In letteratura rustica pavana. 13 — 14 APRILE 1012. 201 [669-670] Del buono ufìzio fatto per me, la ringrazio ; et sebene nel dipigniere a fresche io ò bisoguio di difesa, mi basta qua clic la duri il non aver questo bisognio, io tanto che io acomodi un poco la necessità. Quello poi elio sogiunse quella sparata, mi pare sia della maniera del G. (l) , che la notte le sognia e la mattina le dà fuora per vere, se però la cosa cscic di costà; ma se viene di qua, non può essere uscita se non da qualcuno di que’ mia persecutori per burlarmi, perchè io non solo non ò scoperto, ma nò anello fornito; ma son bene a buon termino, et credo questa Pasqua sarò forzato a scoprire tutta la parte di verso la Madonna, la qual cosa mi sarà di giovamento, il veder da basso, per ricoprire poi et per ritoccar, bisognando. Quanto al prezzo, non siamo ancora a conclusione alcuna; ma se mi sarà dato finalmente, senza altro donativo, quanto dagli buoni ini da bene e periti sarà giudicato, mi chiamerò sadisfattissimo, che a Dio piaccia. Fino a ora non no mi posso punto dolere di quello elio io ò auto, a buon conto. Ilarei Unito un mese fa, ma per la grossezza della muraglia et frescha va adagio al seccar, per ritoccar un poco con aquerelli gli apostoli elio mi restano a rivedere, e raguagliare le commettiture o qualche machia come fanno lo calcio. IL resto, tutto il cielo, la Madonna, e tutti gli angioli, et ogni restante, è fornito, et con sadisfazione del Sig. r Cardinal Serra ;?) et degli altri. Ci resta ora il più e 1 meglio, che ò Sua Santità, et anco come nella veduta da basso tornerà. Io mi sono ingegniato di colorirle gagliardo, e.t lo ligure non azuffate o ammontate, et le amontate sepa¬ rate con chiari e scuri: però non credo mi abbino da mancare per la distanza. Et questo ò quanto ò fino a ora. 80 Bacio le mani a Y. S., et dal Signore Dio le prego felicità. Di Roma, questo dì 13 di Aprile 1612. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Servitore Aff. mo Lodovico Cigoli. Fuori : Al molto 111. et Eec. mo Sig. r mio Il Sig. 01 ' Galileo Galilei. Fiorenza. 1 * 5 670 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 14 aprilo 1612. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. VII, car. 18. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione Molt* 111. 0 et molto Eec. t0 Sig. r Oss. ,no Non ho voluto eh’ il passagio del Bartholini 0) per cotesta volta sia senz’ i miei cordiali saluti a V. S.: così salute dal Cielo conseguisse, come io preghi con- Raffaello Gualterotti. Cfr. n.° 587. lilko, alcuni calcoli relativi alla dotoruiinaziono dei **> Iacopo Serra. periodi dello Medicee. 131 Accanto all’indirizzo sono, autografi di Ga- Oi Giovanni Bartoi.ini. 292 14 — 16 APRILE 1612. 1670 - 671 ] tinovi v’invio. La stagiono tuttavia favorevole spero la restituirà nel pristino stato, et all’hora potrassi con lettere comunicare quello che bora tralascio, di¬ cendoli solo clic lio ricevuto la sua con il recapito dell’altra. Riceverò a sommo gusto, clic mentre ella non può affatigarsi in scrivere, mi faccia d’altri avisaro di loi. Con che pregandoli da Dio N. S. ogni vero beno, li bacio lo mani. Di Roma, li xim di Aprile 1612. Di V. S. molto 111.® et molto Ecc. u Fatte le feste, il S. r Stelluti ambirà a Napoli por effettuar quello lo avisui k,? , già elio, per la di¬ ligenza de’ S. ri Lincei di là, già si sono trovati luo¬ ghi a proposito, do’quali s’eleggerà il miglioro. Del tutto intenderà più a longo c pienamente. Desidero nova della sua sanità. Aff>° per ser> sempre Fed. co Cesi, Mar." di Alont. 11 ()7 r i * ARTURO PANNOCOI MUSCHI D’ERCI a GAMI MEO in Firenze. Pisa, 16 aprile 1612. Blbl. Est. in Modena. Kaccolta Cauipori. Automi idi, 11.» LXX1V, u.» Di, — Autografa. lll. re et Ecc. n '° Sig. r mio Oss. mo Ho fatta la poliza di mille scudi per la provisione di V. S. (,) per un anno da fornirsi per tutto questo mese di Aprilo 1612, e data al S. r Filippo Calippi, ministro de’ Sig. ri Salviati con banco in Pisa, conforme alla lettera scrittami da V. S. di Fiorenza sotto li 9 stante. Desidero bene che V. S. da qui innanzi dia ordine della sua poliza per restar pagata l’annà per tutto il mese di Ottobre, perchè, rivedendosi di Novembro i conti delle speso dello Studio, non resti ac¬ ceso il suo credito, e si faccia meri confusione ne’libri elio si tengono; e da un Novembre all’ altro potrà con suo commodo esser servita e sodisfatta. Intanto me le offerisco a servirla, come io la stimo e honoro molto; c baciandole le mani, io le prego dal Signore Dio ogni felicità. Di Pisa, li 16 Aprile 1612. Di V. S. S. r ® Aff. m0 Arturo d’Elci. Fuori : All’ 111/® et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,T10 11 S. r Galileo Galilei, Matematico Primario di S. A. Fiorenza. duca voniva pagato sopra i fondi dolio Studio di Pisa. Gfr. il.» 369. “t Cfr. n « 663. I*' Lo stipendio assegnato a Galileo dal Gran- [ 672 - 673 ] 4 MAGGIO 1012. 293 672 . GALILEO a MARCO WELSER pn Augusta]. Lo Solvo, -1 maggio 1012. Cfr. Voi. V, pftg. 94-113. 673 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 4 maggio 1612. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal., 1*. VI, T. Vili, car. 98. — Autografa. Molt’ Ill. re et molto Kcc. t0 Sig. r Oss." 10 Sto con grandissimo desiderio et speranza della sua sanità, et non intendo ancor la nuova, et se sia ritornata in Fiorenza 05 et quando goderò i suoi scritti e dispute. Il non sentire mi fa dubitare che l’indispositione séguiti, il che mi dorrebbe troppo. Le cose Linceo, per Dio gratin, vanno molto bene avanti, et il Porta non cessa scrivermi ch’io non ammetta altri filosofi in Napoli, poi che, havendo scelti i meglio, molt’altri, che hanno intesa la cosa, vorrebono connumerarsi; ma in ciò io vado adagio per me stesso, et essendone ivi cinque, mi ci bastano. Il detto Porta è tuttavia in cerca d’un luogo per il Liceo da farsi lì, ma sin bora non io s’è trovato in tutto al proposito ; non potrà mancare, et presto. Fu ammesso il Filiis, et dovea ammettersi domenica passata il Valerio; ma per la disgratia del Fabri cancelliere, che, per esserli caduta sopra la carrozza nel’andare alle chiese, si trova con un braccio slocato in letto immobile, non fu fatto : sarà fra pochi giorni sano, et si farà. Et questa sera habbiamo trattato lungamente di V. S., et c’ ha recitato un epigramma, che lo ha mandato t2> . Il gusto che si siamo presi nel burlarsi de’ suoi aversari, non lo dico. Le mando in una scatola un catalogo de’ Lincei : mi farà grafia scrivere il suo nome nel modo eh* ivi vede osservato, al suo luogo, che è immediatamente dopo il S. r Porta per raggion di tempo, per la quale notarà Panno 1611, che trat- 20 tanimo assieme (1) . Ciò fatto me lo rimandarà subito, ritenendosene copia. Mi resta ricordarmi al solito desiderosissimo di servir V.S., et baciarle le mani. Di Roma, li 4 di Maggio 1612. Di V. S. molto Ill. re et molto Ecc. te *'» Cioè dalla villa (lolle Solvo. Francesco Stklluti, Anastasio dk Filiib o Giovanni Cfr. il.» 604. Battista Forta, in data 25 aprilo 1611. Cfr. Voi. XIX, (8> Noi catalogo originalo dei Lincei Galileo Boc. XXII. viene sosto, cioè dopo Fkdkkico Cebi, Giovanni Eceio, m 1 — 8 MÀGGIO 1612. [678-674] L’opra Indiana va tuttavia innanzi 11 ': quello del Persio (,) son bolle, et anco loro non tardarnnno troppo a vederla luce. Tutti i Lincei B'affatigano ot scrivono: anch’io pongo in carta non so che, elio so non servirli ad altro, almeno mostrarli al mondo l’affetto ch’io porto a V. 8. et alla stessa verità. A(T. ,no per ser> sempre so Fod.®° Cesi, Mar.*® di Mont. 11 Fuori , d'altra inano: Al molto Ill. r ® et molto lice. 1 ® I5ig. r Os8. m ° Il Sig. r Galileo Galilei. Con una scattola. Firenze. 074 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [allo Selve]. Firenze, 8 maggio IG19. Bibl. Naso. Flr. Msb. Gal., P. Ili, T. X, cnr. 55. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. n '° Sig.” Nel negozio della stampa il Sig. r BastTan do’ Rossi è tanto diligente, che più non si può desiderare; ma egli stesso reputa per impossibile ohe questa stampa possa riuscirò corretta: e la principalissima cagione è che il stampatore o non sa o non volo legger in piombo. V. S. Ecc. mR però resterà servita in questo, che io, avanti se ne venda copia, rimetterò tutte lo correttioni a’loghi suoi; e sarà manco male, già che non si può far altro. Mando a V. S. Ecc. m “ lo incluse osservazioni 0) , designato alla meglio che ed io ho saputo e ’l mio occhialo me l’ha mostrate : credo però elio i centri delle macchie siino alli suoi lochi, massime elio avendo descritti separatamente e’dia-io metri de’ cerchi che descrivono, se si movono sopra il corpo solare, e partiti i semicerchi in quindeci parti, le mutazioni loro in 24 boro corrispondono alli ec¬ cessi successivi de’ sini versi di detti archi; di modo tale elio non vi trovo errore che o non si possa attribuire all* imperfettione del mio osservare o a qualche diffetto della supposizione della velocità do’ moti; anzi bave più tosto dell’insen¬ sibile che altri mente. Mosso poi da sì bella occasiono di filosofare, dico prima, elio se mi fosse lecito filosofare del corpo lucido solare dai corpi luminosi nostri, direi che non <“ Cfr. ti.® 584. <*’ Cfr. u.« G6Ó. ( 3 < Non buuo oggi allogate alla loltora. [ 674 - 675 ] 8 — 12 maggio 1612. 295 solo è necessario elio queste macchie siino nel corpo solare, ma che io non posso 20 pensare altrimente. Per dichiararmi meglio, piglio il lume che si fa dalla carta bianca accesa dal fuoco: chiaro è che a quella lucidezza precede una negrezza o dirò oscurezza del pabulo di quella luce, quale, a puoco a puoco passando per l’azurro e puoi al rosso, finalmente diventa luce; e questo accidente è comunis¬ simo a tutti que’ corpi elio spandono per sè stessi luce. Se donquo dal sole si spande luce, non ò meraviglia so si fa il passaggio dal nero et oscuro, et appa- rischino quelle macchie. Aggiongo (e conforme alle mie suppositioni della luce), che non essendo altro corpo lucido, che un corpo che vibra di continuo e sca¬ glia corpuscoli velocissimi, ed essendo il sole lucido, e conseguentemente saet¬ tando di continuo corpuscoli velocissiniamente, e non potendo e’ corpi principiare 80 a partirsi con somma velocità, non mi faranno al sicuro quella apparenza che io chiamo luce, mentre con tardità si movono : saranno donquo le macchie di necessità nel sole, che ò quello che noi vediamo. E cosi meraviglia sarà appresso dei Peripatetici che il corpo immutabile si muti, o sii hor scuro hor chiaro; ma appresso di me meraviglia sarebbe se il corpo lucido non havesse dentro di sò, come fonti della lucidezza sua, parti oscure e maculoso. E non occorrendomi altro, li rendo i baciamani da parte del P. Priore o di tutti questi Padri, duplicati, et io me li offero, come sono, servitore obligatissimo. Di Badia, P 8 di Maggio G12. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na * 40 Fo riverenza all’ 111." 10 Sig. Filippo, mio Patrone. Oblig. ,no Ser.™ e Dis. 10 D. Benedetto Castelli. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. rao 11 Sig. r Galileo Galilei. 675 . GALILEO a FEDERICO CESI [in Roma]. Lo Selve, 12 maggio 1012. Riproduciamo questa lotterà, della linaio non conosciamo alcuna fonte manoscritta antica, dallo lettere me¬ morabili, 1 storiche, politiche ed erudite scritto o raccolto da Antonio Bumpoh, ecc. «accolta quarta. In Napoli, presso Antonio Bulifon, 1697, pag. 31-8-1, dove vide per la prima volta la luco. Una copia di mano dol soc. XIX, trascritta quando fu mossa insieme la raccolta Palatimi dei Mss. Galileiani, ù nella Bibl. Naz. di Firenze, Mss. (lai., Par. VI, T. VI, car. 27-28, o deriva probabilmente dall’ edizione del Buufon. Io non posso per ancora dar a V. S. Illustrissima nuove della mia sanità; anzi pur vanno continuando le mie indispositioni, et tuttavia 296 12 MAGGIO 1G12. [675] mi trattengo alla Villa, dove ho cominciato a purgarmi per veder di superar il male. Ilo notato il mio nome conforme al suo coman¬ damento, e le rendo gratie di tanto favore, «ondosi ella degnata di darmi luogo tra uomini di tanta eccellenza l,) . Il mio Discorso intorno alle cose che stanno sopra l’acqua si va stampando, e ne sono finiti f> fogli: tra 15 giorni doverà esser finito del tutto, et lo manderò a V. S. Illustrissima et Eccellentissima. Col prossim’ordinario le manderò una lettera che scrivo al Si-io gnor Marco Velserio in materia dello macchie solari, pregato da S. Si¬ gnoria di dover dir il parer mio intorno alle 3 lettere mandategli dal finto Àpelle, le quali Y. S. Eco. avrà veduto costì in Roma. Circa lo quali macchie io finalmente concludo, o credo di poterlo necessa¬ riamente dimostrare, che le sono contigue alla superfìcie del corpo solare, dove esse si generano e si dissolvono continuamente, nella guisa appunto delle nugole intorno alla terra, o dal medesimo solo vengono portato in giro, rivolgendosi egli in sò stesso in un mese lunare con revolutione simile all' altre de i pianeti, cioò da ponente verso levante intorno a i poli dell’eclittica: la quale novità dubito» che voglia essere il funerale o più tosto l’estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofìa, essendosi già veduti segni nelle stello, nella luna e nel sole; e sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peri- pato per mantenimento della immutabilità de i cieli, la quale non so dove potrà essere salvata e celata, già che l’istesso sole ce l’ad¬ dita con sensate manifestissime esperienze: onde io spero che le mon¬ tuosità della luna sieno per convertirsi in uno scherzo et in un sol¬ letico, rispetto a i flagelli delle nugole, de i vapori e fumosità, elio su la faccia stessa del sole si vanno producendo, movendo e dissol¬ vendo continuamente. Io ne ho scritto questa lettera di sei fogli,» che sarà buona por il volume 1,1 ; ma con altra occasione ne scriverò più risolutamente e demos trattamento. V. E. e l’altri SS. Lincei aver- tiscano, nello scrivere intorno alle cose mie, di non pregiudicare a quella stima nella quale 1' hanno poste appresso il mondo le loro tant’ altre condizioni eccellentissime. Perchè la scatola in che venne la nota de i Lincei, arrivò in pezzi, e qui in Villa non ce ne sono, nò ci è tempo di mandare a Firenze, Leu. 07 5. 10. mandar* - 23. icatorire - 34. I* hanno patto - l*> Ufr. n.® 065. Cfr. Voi. XIX, Dee. XXII. 12 — 17 MAGGIO 1612. 297 [675-676] glie la rimando accomodata in quest’ altro modo, insieme con alcune osservationi notate delle macchie solari (<) , fatte con somma giustezza 40 sì delle forme come de i siti. Prego S. Eco. lasciarne pigliar copia al Signor Cigoli pittore, che verrà a domandargliele. Gli bacio con ogni reverenza le mani, et la supplico a conser¬ varmi la sua buona gratin e quella di quei Signori Lincei a i quali sono ancor debitore di risposta: ma scrivo con tanto incommodo e danno della sanità, che ben merito scusa della dilatione, e per sua intercessione spero d’ottenerla. Dalla Villa delle Selve, li 12 di Maggio 1612. 67 G. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 17 maggio 1612. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, cnr. 100. — Autografa. Molt’ 111.” et molto Ecc. te Sig. r mio Oss. ,no Hor a punto, per il corriero di Genoa, ho riceuto la gratissima sua, con il catalogo honorato del suo nome (J) ; et essendo restato, per non haver sue lettere et nuova eh’ ella fusse alla città, di mandarle la scrittura del proponimento de’ Lincei 1 * 5 , bora, sicuro del ricapito, la mando per questo ordinario di Milano, acciò, similmente honoratola che l’havrà del suo nome, me la rimandi, facendola consigliare al procaccio, acciò venghi più sicura. Il non poter ancora haver nuova della sua sanità, mi dole grandemente : starò sperandola et aspettandola. Il Discorso et la lettera al S. r Volsero mi io saranno carissime, sicome l’opinione delle macchie solari a confusione de’pseu- dofilosoli m’è sopramodo piaciuta 185 . Nè io nò gl’altri Lincei in questi rumori scriveranno cosa che prima non passi per le mani di V. S., per la quale et sue cose non si pò dir tanto che basti. L’intento è di sbacchettar questi veternosi ostinati, e celebrar prò viribus le sue inventioni et scoprimenti. Il S. r Porta la saluta, et brama veder presto le sue lucubrationi : tutti i Lincei le sono servitori, et desiderano solo la sua sanità. Ho veduto con gusto <•> Questo osservazioni non giunsero Susino a noi. del R. Istituto Veneto di ecienze, lettere ed arti, Io¬ ni’Cfr. n.® 675. moV, Serio VII, pag. 1321-1826). Venezia, tip. Fer- * 3 ' Cfr. Notizie sui cataloghi originali degli Ac- rari, 1894. endemici Lincei tratte dalla «toriu inedita di Fran- Intendi, quollo sullo (^allogginoti. cetco Cancellieri por cura di Antonio Favako (Atti I 8 ' Cfr. n.° C75. XI. 88 298 17 — 19 MAGGIO 1012. [676-678] grande le macchie solari, et ne ringrazio V. S. Il S. r Cigoli potrà copiarle a suo gusto. Altro per bora non dirò, se non che mi commandi, et le bacio le mani Di ltoma, li 17 Maggio 1612. Di V. S. inolt’ 111." et molto Kcc." AtT. ni0 por ser> sempre Feci. 0 * Cesi, Mar.* 9 di Mont.u Fuori : Al molt’ IH." et molto Ecc. 1 * Sig. r Us.s. Ino Il S. r Galileo Galilei, franca. Fiorenza. 677**. GIULIANO DE’MEDICI a BELISARIO VINTA in Firenze. Praga, 17 maggio 1612. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea, 4860. — Autografa la lottoacrlrlnne. -Il Marescial Wolski ancora ricorda non ao clic occhiali di Guliloo, che altra volta ha chieati a V. S. 678. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 10 maggio 1612. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 19. — Autografi il poscritto u la sottoscriziouo. Molt* 111." et molto Eoe. 1 ® Sig. r Oss. mo Con questo moderno ordinario di Milano ho congionta ad un’altra mia una scatola, coperta di tela incerata, rinchiusovi una scrittura diretta a V. S. ; et perchè pervenghi presto et sicura alle mani sue, et eh’ ella possa altresì riman¬ darmela, ho qua fatta fare ogni possibile diligenza, consegnandola con promes¬ sone che sarà portata in proprie mani a V. S. Mi è parso anco replicarli ch’ella inedema vi facci usare avertenza. Per l’altro seguente ordinario di Firenze 1* in* vi arò anco alcune cose del S. r Persio, stampate per adempire la sua voluntà 11 ’; et credo saranno molto noiose a’ Peripatetici. Del tutto mi sarà caro bavere aviso subito, come della sua sanità, nella quale il Signor la prosperi. Di Roma, li 19 di Maggio 1612. Di Y. S. molto 111." et molto Ecc. 10 Lett. 078. 6. proprie mano — Cfr. u.° 605. 19 — 21 MAGGIO 1612. 299 [678-679] Il S. r Fabri (l) nostro si va tuttavia liberando dal dolore et impedimento del suo braccio c,) , et speriamo presto starà bene. Bacia le mani a V. S., et come medico dice che V. S. con una diligente purga discacci il suo catarro che l’offende le reni, che bora per la stagione le dovrà esser facile, come desideriamo. 20 S. r Galileo Galilei. Aff>° per ser. 1 * sempre Fed. co Cesi, Mar. 80 di Mont. H Fuori : Al molt’ 111/® et molto Ecc. 1 ® Sig. r Oss. mo Il Sig/ Galileo Galilei, a Fiorenza. 679 *. GIO. LODOVICO RAMPONI a GALILEO in Firenze. Bologna, 21 maggio 1G12. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXXXVI, n.« 10. — Autografa. Molt’ Ill. r ® et Ecc. mo Sig/° L’occasione di M. Frane. 0 Magnanini, che, alloggiato in casa del molt’ 111/® S. Cav/° Ercole Bottrigari (dove spesso all’ bore di diporto mi truovo per hone- sta conversatane), dimani s’invia verso Fiorenza, mi ha invitato a fare un’altra volta riverenza a Y. S. molto I. ed Ecc. mn doppo il lungo corso di molti mesi eh’ io (non so se troppo audacemente) le scrissi una mia ,8) e replicatamente la rispostaa quanto lei benignissimamente, senza mio morto invero, si degnò di rispondere; la quale tanto più volentieri ho abbracciato, quanto ch’io sono si¬ curo che la lettera capiterà in mano sua, il che 1’ altra volta sospettai molto io che non avvenisse : il qual sospetto mi fu levato si che la prima le pervenisse, ma non già se la seconda, della quale so bene, havendo io riguardo alla sua indispostone ed alle molte sue occupationi, la pregai ad astenersi dalla rispo¬ sta, tutta via non havendone mai sentito pur un minimo segno, mi ha fatto du¬ bitare o che V. S., ricevutala, non habbia scritto, o che la lettera non sia stata ricapitata a me. Se quello fosse, quando lo havesse trattenuto lo scommodo suo, mi sarebbe molto caro, chè altro non amo che ogni suo commodo ; ma quando fosse stato per mio demerto, li chiederei perdono del fastidio apportatole : ma Giovanni Fauf.r. <*> Cfr. u.® 6Ì3. «»i Cfr. n.° 548. <*> Gfr. n.» 561. 300 21 MAGGIO 1612. 1679-680] 86 questo, il cl»e tomo grandemente, o sia stato caso o opra altrui, troppo mi dispiacerebbe, perciò elio, avendole io in quella mia chiesto due graffe, l’una circa rosservatone dello stello fìsso con lo stromento suo, per notarvi se vi si 20 reggia mutationo alcuna nelle distanze, l’altra circa la rissolutione di quel dubio delle comete apparse in opposto del sole, che fu potente a cacciar dall’animo del S. r Ticono la hipotesi (Copernicana, quando WS. me lo havesso concesso, oltre la privationo delle dette sue rissolutioni, di che non mi potova essere cosa più grata, non havrei potuto far con lei il debito compimento di ringratiarla e attri¬ buirle ogni dovuta lode, il che mi si potrebbe ascrivere ad incivilitade; per il clic schifare, godo che occasiono cosi opportuna e sicura mi si sia presentata di riverirla, e raffermare la servitù abboni con lei contratta, con P offerirmele pronto a’ suoi commandi. Crederò clic V. S. babbi havuto novella delle macchio osservate nel sole (be- so neiicio pure di quel suo non mai abbastanza lodato istromento), cosa da molti riputata per favolosa: se mi facesse gratia di darne qualche avviso di quanto ella no sente, ini sarò, gratissimo. Io vidi poi, con duoi stromenti ottimi cowmodatimi dall’ Eec. ,no S. Gio. Ant.° Jloffeni, la vigilia della festa di S. Lucia, tutte quattro lo Stello Medicee, cosa che per la debolezza del mio non havea potuto sin allhora vedere; del che ne sentii grandissimo contento, non perchè io ne dubitassi, ma per bavere una volta otte¬ nuto la bramata satisfattiono di vederle con gli occhi proprii. Nè questa essendo por altro, ine le raccomando in gratia, e le prego dal S.™ Iddio ogni contento. Di Bologna, il dì 21 Maggio 1012. 40 Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m » Affett." 10 Ser.™ Gio. Lodovico Ramponi. Fuori : Al molt’ 111.™ et Ecc. mo Sig. r et Padron Osa. mo 11 Big. Galileo Galilei. Fiorenza. « 80 *. GIULIANO DE’MEDICI a BELISAKIO VINTA in Firenze. Praga, 21 maggio 1612. Arch. di Stato in Firenze. Filza Modico*, 4366. - Autografa la sotloscmiouo. .... L agente del Duca di Sassonia dicova al Segretario d’bavere ordine dall’Elettore suo Padrone di cercavo degl’occhiali del Galileo, et domandava elio modo s’ havrebbe havuto a tenero per comprarne; aichò ae fuase commodità a V. S. di mandarne, si può credere che sarebbe cosa gratissima a cotesto Elettore.... [681] 20 MAGGIO 1012. 301 681 . GALILEO a FEDERICO CESI [in Roma]. Firenze, 26 maggio 1612. Riproduciamo questa lettera, dolla quale non conosciamo alcuna fonte manoscritta antica, dallo LeUcrc me¬ morabili, oce. (citato nell’informazione promessa al n." 675), pag. 84-36, dovo vido por la prima volta la luco. Una copia di ninno dol scc. XIX è uolln Bibl. Naz. di Firenze, Mss. Gal., Par. VI, T. VI, car. 29-80. Ricevei la scatola con la scrittura Cfr. u.° 678. <*) Cfr. un.- 673, 678. 302 26 MAGGIO 1612. [ 681 - 682 ] Sono alla fine della mia purga, o domattina erodo che piglierò l’ultima medicina; non però spero di essere per ridurmi nel pristino stato di sanità, non havendo usato troppo requisita diligenza nell*aste¬ nermi da i disordini, et in particolare dall’ aria notturna, dalla vi¬ gilia o da continua fatica et agitatone di mente: sì che in questo30 sono stato, o posso essere, poco ubbidiente al consiglio del Signor Fa- brima non sarò già tale in eseguir gli altri suoi comandamenti concernenti al commodo suo, qualunque volta lo piacesse di Igno¬ rarmene, sì come desidero. Quando scrivo al Signor Porta, la prego ad offerirmegli per servidore, 0 per tale mi ricordi a tutti questi Signori Lincei; et a V. E. con ogni debita reverenza bacio le mani, et dal Sig. Iddio lo priego il colmo di felicità. Di Firenze, li 26 di Maggio 1612. G 82 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 26 maggio 1612. Bibl. Nftz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 102. - Autografa. Molt’Ill.” et molto Ecc.‘® Sig. r mio Oss.™ 0 L’inviai, 1’ ordinario passato, con l’istesso di Milano, il proponimento de’Lin¬ cei, ove tutti siamo sottoscritti, pregandola a porvi il suo nome et rimandar¬ melo sicuro ; et sebene credo le sia già capitato, et V aspetto di ritorno l’ordinario seguente, tuttavia m* ò parso bene, in ogni cautela, accennarlo anche adesso. Aspetto con desiderio veder la sua epistola al S. r Velseri. Il Cigoli fu da me, et le diedi i disegni delle macchie, acciò ne prenda copia (!) . Raggionammo assiemo più di due hore di V. S., prendendoci non poco piacere e riso de’ suoi arrabbiati aversarii, desiderando V. S. altresì faccia cho questi sono stromenti d’accrescer gloria co’lor spropositi cavilli. io Il S. r Valerio è tutto di V. S., o questa altra settimana erodo l’ascriveremo tra nostri, con pensiero però di lassarlo speculare ne’ suoi recessi, contentan¬ doci vederlo una decina di volte 1’ anno ; tanto egli ò solitario et de’ suoi pen¬ sieri: ma gl assicuro non perde tempo, et è di buonissima conditone. Pensavo 681 , 85. me ricurdi — 1,1 Giovanni Fabku: cfr. n.» 678. «■» Cfr. n.° 675. 303 [082-683] 2G maggio — 1° giugno 1G12. mandarli un indice delle materie trattate dal Persio stampato (,) , ma i revisori ancor me lo trattengono, per esser grandemente contrario ad Aristotele, che da questo poi considerarsi quanto domini lioggidì : credo mandarlo per il seguente procaccio. Non sarò più longo questa volta. Bacio a V. S. le mani. 20 Di Roma, li 26 Maggio 1612. Di V. S. molto Ill. r « et molto Ecc. t0 Aff. rao per ser> sempre Fed. co Cesi, Mar. 89 di Mont. 11 Fuori: Ai molt* Ill. ra et, molto Ecc. t0 Sig. r Oss. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. G83. MARCO WELSER a GALILEO in Firenze. Augusta, 1° giugno 1012. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. X, car. 5. — Autografa. Cfr. Voi. Y, pag. 114-115. Molto 111. 0 et Ecc.'"° S. or Oss. rao Grossa usura paga V. S. per dilatione di poco tempo, mandandomi in ri¬ sposta di poche righe di lettera sì copioso et diffuso discorso Lo lessi, anzi, posso dire, lo divorai, con gusto pari all’ appetito et desiderio che ne haveva ; et le affermo che mi servi d’ allevamento d’ una lunga et dolorosa indispositione che mi travaglia straordinariamente nella coscia sinistra, non havendo sin hora gli medici saputo trovarvi efficace rimedio, anzi havendomi detto uno de’prin¬ cipali d’ essi in termini molto chiari, che gli primi della professione havevan lasciato scritto di questo male: Alti aegro curantur , olii omnino non curantur: io di che conviene rimettersi alla paterna dispositene della bontà di Dio : Dominus est ; faciat quod est bonum in oculis suis. Ma troppo mi diffondo in materia ma¬ niconica. Torno a dire che il discorso mi fu charo sopra modo, et, per quel poco eh’ io posso discernere in questo proposito, mi pare scritto con sì buone et fon¬ date ragioni, spiegate modestissimamente, che Apelle (3) , con tutto che V. S. con- O) 1/opera del Persio, elio i Lincei avevano classane Boncompagni, compilato da Enrico Nar- stnbilito di pubblicare, era molto verosiinilmento il nuoci. Seconda Edizione. Roma, tip. dolio scienze De natura igni*, pervenuto manoscritto insino a noi matematiche o fisiche, 1892, pag. 163. nei codd. 270, 271 della biblioteca Bonoompagni. <*> Cfr. u.° 672. Cfr. Catuloyo di manoscritti ora posseduti ila D. Dal - * 8 > Cfr. u.° 637. 304 l<> — 2 GIUGNO 1612. 1683-684] tradica por il più la sua opinione, se ne debbe stimar honorato molto. Ci vorrà del tempo a farlo capace del contenuto, poiché non intende la lingua italiana, et gli interpreti intendenti della professione, come il bisogno richiede, non sono sempre alla mano ; ma si cernirà di superare ancora questa difficoltà. Ho scritto al S. or Sagredi, et lo replico a lei, che s’io fossi in città dove si trovassero stampatori italiani, sperarei d’impetrare dalla gentilezza sua di poter pulii -20 care subito questa fatica, credendo di poterlo far sicuramente ; poiché essa pro¬ cede con maniera tanto giudiciosa e circospetta, che quando bone si scuopra all’avenire in questo proposito cosa alla quale di presente noi non pensiamo, non sarà mai tassata di precipitanza nò di liaver affermato cose dubie per certe: et sarebbe beneficio publico elio di inano in mano uscissero trattatelli circa que¬ sti novi trovati, per tenerne la memoria fresca et per inanimar maggiormente altri ad applicarvi la lor industria, essendo impossibile che tanto gran machina sia sostentata dalle spalle d’una sola persona, quantunque gagliarda. Promet¬ terò ad Apollo, sopra la parola di V. S., le osservatami et disegni delle macchie solari di assoluta giustezza, che so da lui saranno stimato un tesoro. Io per hora 30 non mi posso più difondere, restando con bacciarle la mano et pregarle ogni lene. Di Augusta il p.° di Giugno 1612. Di V. S. molto 111." et Ecc. ,n * Aff. mo Servit." Marco Velseri. 684* GALILEO a [MAFFEO BARBERINI in Bologna]. Firenze, 2 giugno 1612. Bibl. Barberluiana in Roma. Cod. LXXIY, 25, c*r. 1-3, non disegni a car. 18-2G. —Autografala firma. 111. 11,0 et Rev. mo Sig. re et P.ron Colon.™ 0 Tra i molti favori riceuti da V. S. Ill. ma et R. raa , mi resta fisso nella memoria quello che ella mi fece alla tavola del Ser. ra0 Gran Duca mio Sig. re nel passar ella ultimamente di qua, quando, disputandosi di certa quistion filosofica, lei sostenne la parte mia contro all’111." 10 e ll. mo Sig. re Card. 1 Gonzaga et altri di opinione contraria alla mia; e perchè mi è convenuto, per comandamento di S. A., mettere più distintamente in carta le mie ragioni, et appresso publicarlc con la stampa, che pur hora si è compita, mi è parso di doverne mandare una copia a V. S. R. ma , et appresso supplicarla che con sua io 2 GIUGNO 1612. 305 [684] comodità resti servita di vedere o sentire quanto io propongo in questo trattato (1) , dove credo elio ella non meno scorgerà che prese il patrocinio tanto di un suo servitore quanto della verità stessa. Credo che bavera inteso il romore che va a torno in proposito delle macchie oscure che continuamente si scorgono et osservano con l’occhiale nel corpo del sole; e perchè di costì mi viene scritto che huomini di molta stima di cotesta città se ne burlano come di pa¬ radosso et assurdo gravissimo, mi è parso di toccare brevemente a Y. S. Ill. ma quanto passa circa a questo negozio, so Sono circa a diciotto mesi, che riguardando con l’occhiale nel corpo del sole, quando era vicino al suo tramontare, scorsi in esso alcune macchie assai oscure ; e ritornando più volte alla medesima osservazione, mi accorsi come quelle andavano mutando sito, e che non sempre si vedevano le medesime, o nel medesimo ordine dispo¬ ste, e che tal volta ve n’ eron molte, altra volta poche, e tal ora nessune. Feci ad alcuni mia amici vedere tale stravaganza, e pur l’anno passato in Roma le mostrai a molti prelati et altri huomini di lettere; di lì fu sparso il grido per diverse parti d’ Europa, e da quattro mesi in qua mi sono state mandate da varii luoghi varie os¬ so servazioni disegnate, et in particolare tre lettere circa a questo ar¬ gomento scritte al Sig. r Marco Yelsero d’Agusta, e date alle stampe con un nome finto di Apelles latens post tdbulam (t) ; le quali lettere mi furon mandate da l’istesso Velsero, il quale mi ricercò del mio parere intorno alle dette lettere, e più circa a quello che io stimavo di poter sapere dell’essenza di esse macchie. Jo gli scrissi una Ietterà di sei fogli in tal proposito, confutando l’opinione del finto Apelle e di quelli che sin qui ne havevano parlato ; e finalmente, dopo molti e varii pensieri che mi sono passati per la fantasia, mi risolvo a con¬ cludere et indubitatamente tenere, che le dette macchie siano conti- 40 gue alla superficie del corpo solare, e che quivi se ne generino e se ne dissolvino continuamente, essendo altre di più lunga et altre di più breve durata: sonvene delle più dense et oscure, e delle meno; per lo più si vanno di giorno in giorno mutando di figura, la quale è il più delle volte irregolarissima ; frequentemente alcuna di loro Lett. 034 . 29. varii lungi — “1 Cfr. Voi. IV, pag. 59 o sog. 39 XI. l*i Cfr. Voi. V, pag. 23 o sog. 306 2 GIUGNO 1612. [684] si divide in due, tre o più, et altre, prima divise, si uniscono in una: e finalmente, in virtù di un loro universale e comune movimento, son venuto in certezza indubitabile che il solo si rivolge in sè stesso da occidente verso oriente, cioè secondo tutte le altre revoluzioni de’ pianeti, terminando un' intera conversione in un mese lunare in circa. E por quanto ho osservato, la moltitudine massima di tali 50 macchie si genera tra due cerchi del globo solare che rispondono ài tropici, e fuori di tali cerchi non ho quasi mai osservata alcuna di tali macchie; le quali, quanto alla generazione 0 dissoluzione, rare¬ fazione, condensazione, distrazione e mutamenti di figura et ogn’ al¬ tro accidente, se io dovesse agguagliare ad alcuna delle materie nostre familiari, non se no troverebbe altra che più l’immitasse che le nostre nugole. Tutto questo che dico a V. S. Ul. raa ot R. ma è talmente vero, e per tanti e tanto necessari riscontri da me confermato, che non mi pe¬ rito punto a darlo ornai fuori per sicuro; et il burlarsene molti, comeeo intendo, non mi spaventa punto, perchè siamo in materie che sem¬ pre potranno da infiniti ot in tutte le parti del mondo esser osser¬ vate, e di mano in mano da quelli di miglior senso riconosciute per vere: onde io animosamente ardisco di esser il primo a dar fuora conclusioni che hanno sembianza di sì strani paradossi. Solo mi di¬ spiace che quelli che se ne burlano, giuocano, come si suol dire, al sicuro, certi di non perdere e con rischio di guadagnar assai; per¬ chè, se quanto io affermo et loro negano si trovasse esser falso, loro senza fatica nessuna havrebbono il vanto di haver meglio in¬ teso, che altri doppo molte e laboriose osservazioni ; e quando si venga «0 in certezza che quanto io dico sia vero, essi restano scusati dal non bavere prestato 1 ’ assenso a cose tanto inopinate. Se V. S. Ill. n,a haverà vedute le tre lettere del finto Apelle, io gli potrò mandare copia della lettera che scrivo al Sig. Yelsero in tal materia: intanto gli mando alcuni disegni delle macchio solari, fatti con somma giustezza tanto 45. «1 untiamo — [0841 2 GIUGNO 1012. 311 circa al numero quanto circa alla grandezza, figura e situazione di esse di giorno in giorno nel disco solare. Se occorrerà a V. S. 111.“* trattare di questa mia resoluzione con i litterati di cotesta città, liaverò per grazia il sentire alcuna cosa de i loro pareri, et in particolare so de i filosofi Peripatetici, poi che questa novità pare il giudizio finale della loro filosofìa, poi che iam fuerunt signa in luna, stellis et sole; onde, insieme con la mutabilità, corruzione e generazione anco della più eccellente sustanza del cielo, tal dottrina accenna corruzione e mutazione, ma non senza speranza di rigenerarsi in melius. Ilo tediato a bastanza V. S. Ill. ma e R. raa : scusimi per la sua infi¬ nita benignità, et per la medesima mi conservi il luogo che si è de¬ gnata donarmi nella grati a sua. Et liumilmente me l’inchino. ao Di Firenze, li 2 di Giugno 1612. Di V. S. Ul. raa e R. mft Devot. mo et Oblig. mo Ser. re Galileo Galilei. 312 2 GIUGNO 1312. [685] 685 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Fimixe]. Roma, *2 giugno 1012. Bibl. Naz. Flr. Ms«. Gal., Par. VI, T. Vili, rnr. 101. AnWrafa. Sul tergo del apponilo foglio della lotterà (car. lOf.) r! di mano di Oaui.ko: LynCPOPUIÌl ConstitlltiOllGS. Cfr. Un. 0 . Molto III." et molto Ecc. 18 Sig. r mio Osa. 1 "® È stato questa sera meco il S. r Luca Valerio, contentissimo (Fosser am¬ messo tra (li noi, e me n’ha ringratiato grandemente. Io comincio a sodisfarmi del numero elio ne sono qui o in Napoli, et pensare a farne fuori ; et già in Germania ho qualche notitia, come P avisarò con più tempo. Ilo voluto bora solamente soggiongerli, che havendo qualche soggetto o in Fiorenza o in Padoa, che gli paia a proposito, o capitandogli tale, mi farà gratia particolare farci ri¬ flessione et propormelo, che mi sarà carissimo. Le mando perciò qui accluso un ristretto delle costitutioni 10 necessarie ad osservarsi, che già mandai al S. r Porta. È cavato dal Linceografo, quale presto sarà .finito et verrà da V. S., acciò lo io favorisca di rivederlo et avisarmi quello li parerà ci si muti o accomodi, deside¬ rando quest’ impresa, sì come da lei vien tanto illustrata, così al valor suo par¬ ticolarmente s’appoggi. Ammettiamo decottissimi et elio già hanno operato molto nella republica litteraria, per reggere, guidare, esser d’essempio et illu¬ strare; de’ giovani, ch’hanno già fatto i studi ordinari e mostrano gran ingegno, per operare, seguitare et succedere; et l’uni et l’altri, per poter godersi il star ne’ Licei, quando saranno fatti, secondo il loro puro arbitrio et quello de’ supe¬ riori, regolato dalle costitutioni, et ivi studiare con tutte le forze. Per il Liceo di Napoli mi propongono un luogo nobilissimo, che credo sarà a proposito, et sarà per concludersi: ma prima ne manderò a V. S. la relatione, 20 et non farò cosa alcuna senza lei. È tardissima P bora, et io havrò pur troppo distratta V. S. da’ suoi degnis¬ simi studi. Restarò diinquo col mandarlo alcune piante Indiane, che per la lor bellozza et macchie di lince è parso già al Terentio nostro, commentator di quell’opra 10 , ornarle del nostro nomo. Il ristretto delle Costitutioni ò copiato in fretta, e perciò inale. V. S. lo scusi. S’ habbia cura alla sanità, et le bacio le mani. Di Roma, li 2 Giugno 1012. Di V. S. molto Ill. re et molto Ecc.’ 8 Aft>° per ser. ,a sempre Fod. 00 Cesi, Mar.* 8 di Mont. H 80 111 1° Praeeipuae nonullae Lyncaeorun i Con- stillitioiu*, occ. dello quali rì ha una copia sincrona noi Mss. Gal., a car. 9-10 dol Tomo 111 elei Contemporanei. <»» Cfr. 11 .» 584. [680-687] 2 GIUGNO 1612. 313 686 ** ANGELO DE FILIIS a GALILEO in Firenze. Roma, 2 giugno 1012. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 21. — Autografa. Molto Ill. r ® et Ecc. mo Sig. r P.ron Oss. mo Ho amato e riverito il nome di V. S., assieme con tutti che conoscono il suo molto valore e 1’ utilità grande che ella, co’ suoi mirabili scoprimenti, ha apportato et apporta al nostro e futuri secoli, et ho assieme desiderato esser da lei conosciuto per uno de’ suoi servitori et ammiratori, sperandone l’occa¬ sione; nè megliore o maggiore potea venirmi che questa, d’esser, per gratia del Sig.or Principe, di V. S., e delti altri S. ri Lincei, ammesso a compagnia tanto nobile, de spirti si dotti e sì sublimi; per la quale devo correndo venir a pa¬ lesarmeli d’obligo, d’ amore, di fede, di devotione, vero servitore, e non minor io d’alcun altro che V. S. habbia. Pregola per tale voglia conoscermi : e P assecuro che tale mi troverà sempre a’ suoi commandi, che grandemente bramo; e che non mancherò con tutte le forze oprarmi ne’ studii delle nobili scienze, per poter de¬ gnamente servirli. Bacio le mani a V. S., pregando N. S. Iddio le conceda longa e felice vita con ogni contento. Roma, 2 Giug.° 1612. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Aff. mo e Dev. mo Serv. ra Angelo de Filijs. S. r Galileo Galilei. Firenze. 687 . GIOVANFRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 2 giugno 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 10. — Autografo le liu. 86-87. Ill. r ® Sig. or Ecc. mo Può essere molto ben certa V. S. Ecc. ma , che sì come le sue lettere mi rie¬ scono sempre carissime, così l’ultime di 12 Maggio mi hanno dato la vita, per¬ chè avanti la ricevuta di quelle un Thedesco bestia portò nuova al Bacci eh’ ella era morta; onde intendendo io da lei stessa la ricuperata sanità, mi è pa- xi. 40 314 2 GIUGNO 1612. [687] rute essere seco risusitato. Lodato Iddio che le nuove cattive siano false et le buono vere. Io la ringratio senza fine della memoria di’ ella tiene di me, et della conti- nuationo dell’ amor suo verso la mia persona; et per ciò desidero che sia dato d’ accordo da noi per l’avenire un severissimo bando al silentio, et che ogni io settimana ci scriviamo scambievolmente. Et io per la mia parte mi sottoporrò ad ogni pena, quando che non osservi questa capitulatione. Mandai la settimana passata le lettore di V.S. al Sig. or Marco Velser (,) col quale, già. quattro mesi, foci amicitia per via do’ R. dl Padri Gesuiti, suoi svisce¬ ratissimi. Ilo ancora inviata la copia bori a Mons. op Arciprete (,) , et quando dal- l’uno et dall’altro mi capiti la risposta, lo inviarò subito a V. S. Sopra lo macchie del sole io ne ho fatto pochissima speculatone, rispetto che in tanto ho creduto che egli sia tutto lucido, in quanto che egli mi appa¬ riva tale; onde apparendomi poi altrimenti, poco travaglio ho recevuto a mu¬ tarmi di opinione, restando persuaso di quanto V. S. scrivo nel suo discorso. 20 Io mi trovo diversi occhiali di mediocre bontà, o, per meglio dire, buoni come gli altri. Il Bucci ba un’ottima forma di quattrp in cinque quarte, et un’altra mezana di otto quarte. Un pover’ huomo, amico mio, ne tiene una di sei, die riesce benissimo, et lo specchiaro dalla R[...]a no ha una di sette, assai buona. Però mi avisi V.S. di qual lunghezza desidera li suoi vetri, chè ne farò subito provisione. De’ longhi se ne trovano fin quatordeci quarte et anco venti, ma non riescono chiari, per non esser le forme molto esquisito, et ancora perchè la lon- ghezza porta seco oscurità. Aspeto il suo discorso stampato (1) , et se bene più caro mi sarà il riceverlo per mano di V.S. medesima, tuttavia la prego mandarlo subito che sia fornito so di stampare; et potrà farlo consigliare al Sig. r Residente, al quale io ho rac¬ comandate queste mie. Io non ho osservati li Pianeti Medicei : ben, essendo in Soria, osservai lo Stelle Medicee col primo instrumento che io hebbi ; anzi avanti che io l’havessi, restava in grande aspetatione per osservare le istesse costellationi, che a punto ella ha osservato : onde leggendo poi il Ùidrrcus JSuticius } restai con qualche ma¬ raviglia d’bavere incontrato così puntualmente la istessa parte del cielo. Se mi sarà da lei mandato le sue osscrvationi do’ sudetti Pianeti, sarà cagione che io li osservarò. Io, come ho scritto qui sopra, vorrei che continuamente si scrivessimo; et già che la separatane et lontananza nostra mi vieta il poter godere la soavissima eon- Lett. 687. 13. .Varco Keniol — 30. mnnibtrU — Cfr. n.» 072. Paolo Gualoo, |J > Intendi, quello sullo UftlloKifiauti. 2 GIUGNO 1612. 315 [687] versatone sua et l’imparare dea lei, come facevo già qualche anno, prego V. S. Ecc. mil al meno esser contenta con sue lettere ristorare in parte la mia perdita, rispon¬ dendomi alli quesiti elio io le farò. Et perché io intendo affaticarla poco, et va¬ lermi io solo delle sue risposte et instrutioni, per ciò basterà eh’ ella si compiacia rispondermi brevemente, tanto che io possa intendere la risposta, perchè poi io repplicherò li dubii che mi nasceranno, et le dirò l’opinione mia. Versa bora la mia speculatione, anzi dirò meglio il mio desiderio di specu¬ lare, sopra il modo col quale si faccia la vista, et come gli occhiali, così ordi- 50 narii, come questi della nuova inventione, siano di aiuto per acrcsccr et miglio¬ rarla. Et perchè (come V. S. Ecc. raa sa) io sono mathematico di nome et niente di essenza e verità, perciò non liavendo veduto nò Vitelione nò altri auttori che trattano della prospetiva, io non ho in testa altra dottrina che quella che mi ha dettato il proprio discorso, della quale nondimeno io resto molto [pa]go, sì come all’incontro il S. r Malia (,) et Maestro Paolo tengono per falsa l’opinione mia: alla quale havendo io preso qualche affettionc, ma però non volendo met¬ termi bora a studiare nè Vitolione nè altri, prego perciò V. S. scrivermi brevissi¬ mamente et senza dimostratami la opinione degli auttori circa la vista ; et se non vuole affaticarsi tanto di scriverlo tutto in una volta, si compiacia al meno ogni co posta dicchiarirmene con dieci sole sue righe una al meno. Et perchè io stimo più lei et il suo giuditio che quello dolli scrittori, in particolare la prego con lo prime scrivermi sommariamente la sua. Ho inteso con molto contento elio V. S. habbia trovato luoco di buono acre per la sua complessione, et in particolare che ricevi questo commodo dalla cor¬ tesia del S. or Salviati, godendo in un istesso tempo della felicità dell’ aere èt della soavissima conversationo di un tanto Signore, amato et stimato da me per molte relationi del merito suo venutemi da più parti, ma certamente per lo infalibile testimonio di V. S., la quale, sì come, guidata dalla verità, m’ ha fatto cenno delle sue nobilissime conditioni, così devo io ringratiarla che, per ecesso 7 o di benevolenza et per favore particulare, habbia, con offitiosa bugia, procurato di inetermi in gratia di quel Signore; il quale acciò in alcun tempo non habia a scemare quella credenza eh’ egli ha alle parole di lei, scoprendomi nudo di quole buone qualità eh’ ella mi ha atribuito, deve V. S. procurarmi alcuna oc¬ casione di sorvirlo, sì che restando pago della prontezza mia et vedendomi in¬ clinatissimo a servire chi merita, più facilmente condoni a lei et a me li miei mancamenti. La morte del Sig. r Paulo mio fratollo seguita questo carnevale passato, et una incredibile opressione che io ho patito dal soverchio freddo di questo verno, mi hanno oltre modo sbigottito; ma, lodato Iddio, da un mese in qua io sono 1,1 Agostino da Mula. 316 2 — 4 GIUGNO 1612. [687-688] alquanto rihavuto, et spero ritornare allo solite speculationi et gusti, alla per- so fettione de’ quali manca solamente la persona di V. S. Ecc. m *, et perciò convengo pregarla far sforzo a sò stessa di lasciarsi un poco vedere ; che sarà fine di que¬ ste, pregiandole dal Signor Dio perfetta sanità et contento. Tutti gli amici la risalutano, rallegrandosi della recuperata sanità. In Ven.» a 2 Giugno 1612. Di V. S. Ecc. ,u * Dosiderosiss. 0 di ser. 1 * Gio. Fran. Sag. GALILEO a BELISARIO VINTA fin Firenze]. Firenze, 4 giugno 1612. Bibl. Ntw. Flr. Usa. G&l., P. I, T. IV, car. 54. — Autografa. Hl. mo Sig. M e Pad. 0 Col. mo Ho mandato al Ligozzi (1) per bavere il cannone, e gl’ho anco mandata la lettera di V. S. 111.®*, acciò ch’oi vegga con quanta in¬ stanza venga chiesto da S. A. S.: in somma il cannone non è ancora miniato, o per mio credere non si minierà così por fretta, se non si gliene fa maggior instanza. Io vi sono stato molte volte, ma veggo che poco mi giova: però V. S. Ill. nu vegga di farlo sollecitare per qualche altra banda. Io ho i cristalli all’ordine, già 4 mesi sono, per detto cannone, et quanto prima farò che siano in pronto per due altri strumenti, sì che per me non si resti di servire S. A. S., et lei io ancora; alla quale con ogni reverenza bacio lo mani, e gli prego felicità. Di casa, li 4 di Giugno 1612. Di Y. S. Ill. ma Fuori: All*111.™ 0 Sig. r Ca. Vinta. 82. a «fetta — Lett. 688. 8-4. infatua — Oblig. mo Ser. rd Galileo Galilei. UJ Iaooi’O Ligozzi. [689-690] 4-5 GIUGNO 1612. 317 680 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 4 giugno 1612. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. VII, car. 23. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molt’ Ill. re et molto Ecc. to Sig. r Oss." 10 Mons. r Magi 10 , vescovo di Lucerà, passandosene a Milano per cotesta volta, si è mostrato desiderosissimo conoscere V. S. di presensa, come l’ha stimata et amata per fama ; et io, che honoro molto le peregrine virtù di S. S. ria R. ma , mi è parso con questa significarlo a V.S., acciò lei, non solo conforme alla sua nobil natura, ma anco per mio rispetto, partecipo detto Monsignor del suo singolare valore et dell’ammirande speculationi celesti, sicuro che ne sentirà quel gusto che prova ogni dotto ingegno. Ch’ò quanto m’ occorre ; et a Y. 8. prego continua prosperità. io Di Roma, li 4 di Giugno 1612. Di V. S. molto 111. 0 et molto Ecc. tó Monsignor desidera di veder egli proprio, poi che non credendo prima, ha cominciato poi a farlo per l’autorità di molti, et voi finir di sodisfarsi al’ istesso fonte. Bacio a Y. S. le mani. Aff. mo per ser. ,R sempre Fed. co Cesi, Mar. 80 di Mont. H Fuori : Al molt’ 111." et molt’ Ecc. t0 Sig. r Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. 20 Firenze. 690 . MAFFEO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Bologna, 5 giugno 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 75. — Autografi il poscritto e la sottoscriziona. Molto 111. S. ro M’è pervenuto il trattato composto da V. S. sopra le differenze che nacquero mentre ero costì nella questione filosofica (1) , et con molto piacere l’andrò vedendo, G' Ludovico Maui. <*> Cfr. Voi. IV, png. 5-6 e png. 59 e scg. 318 5-8 GIUGNO 1012. [690-691] sì per confermarmi noli’opinione elio havevo simile alla sua, come per amirare questa con 1* altre opere del suo rarissimo ingegno. Ho v[eduto] quello che V. S. m’ha scritto 1 dell’osservatone fatta da lei dello macchio scortesi nel solo, et la distintione che si contiene nelle figure man¬ datemi, et la conclusione eh* ella ne cava ; et non mancherò di pigliar occasiono da ritrarrlo il parere do gl’ intelligenti di questa città per avvisarglielo. Non viridi già le tre lotterò del finto Apollo ; et però se con eRso V. S. mi favorirà io della risposta data da lei al S. r Valsero, mi sarà accettissimo di sapere tutto quello che passa in questa materia, et potrò tanto più fondatamente discorrerne. Fra tanto la ringratio particolarmente eh’ella si compiaccia di comunicarmi le cose sue, da me stimate quanto richiedo il suo valore, et le ne resto obligatis- simo, pregandola a continuare, dandomi occasione di mostrarle il mio alletto verso di lei, alla qualo prego da Dio ogni felicità. Di Bologna, li 5 di Giugno 1(112. Di V. S. la quale io ringratio dell’affettuosa dimostra¬ tone eh’ ella s’ è compiaciuta di far verso di me. S. r Galileo Galilei. Fuori: Al molt’111.™ Sig.™ li S. r Galileo Galilei. Firenze. 691 **. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenzo. Koma, 8 giugno 1012. Bibl. Na*. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 27. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc.™ Sig. r mio, Creilo, fino due settimane fa da il Sig. r Marchese sappia con quanto gusto noi rincontrarne le sue giustissime machie con lo mia, le quali, sebeno sono ab¬ bozzate, nondimeno si riconoscieva benissimo la principale ; sobene anello le mio erano osservate a diverse ore, per lo impedimento che ò ilei continuo a Monte Cavallo alla loggia di Borcheso lJ ', per la quale mi affretta sì che non mi lascia dar fine alla cupola di S. a Maria Maggiore. 20 Come fratollo aff. mo 11 Card. 1 Barberino. “> Cfr. tifi fl$+. 1,1 Cfr. Voi. V, pag, e seg. <*> Cfr. Ufi 602. 8 GIUGNO 1612. 319 [ 691 - 692 ] - Quanto alla sua oppinione, che ella à di queste machie, mi piace et. mi quieta del tutto, et nelle altre ò molti scrupoli; ma credo bene che sarà dura io a persuadere 1* universale inveterata oppinione. Però dice il Sig. r Marchese, il Padre Ganberghiere l,) che non vorrebbe in queste sue oppinioni andasse cosi a un tratto dichiarandosi, ma per via di disputa dicesse lo istesso, e stesse a udire. Non ò ancora detto dell’ ultima sua, perché dice elio io la taccia ; et così ò fatto. Ci siamo maravigliati, non sia comparso ancora la promessa et della lettera et delle cose sotto la stampa : però ricordatevi della promessa, perchè non ci è di me chi più P ami et le desideri ; sì che non le mettete nel dimenti¬ catoio. Dello machie, le osserverei con giustezza, ma non ò commodità, di casa, et sono anello molto impedito dalla fretta de’ lavori, i quali camminano inanzi allegramente, non con tante spanpanato, ma immodo che mi contento e onora- 20 tamente, con grandissimo disgusto di alcuni pochi malefici, i quali stanno molto rintuzzati. Io delle loro abbaiate ne fo poca stima: fo il meglio che io so, et Dio mi aiuta. Et con questo le bacio le mani, et Dio la feliciti ; et saluti il Sig. r Filippo (t) et cotesti Signori. Di Roma, questo dì 8 Giugnio 1612. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. m » Fuori : Al molto Ill. re et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. mo Il Sig. Galileo Galilei. Firenze. Aff. mo Ser. r ® Lodovico Cigoli. 692 . « PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 8 giugno 1012. Blbl. Nnz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 10G. — Autografa. Molto lll. ro et Eco. S. r mio Oss. mo Non potrebbe credere V.S. il gran gusto ch’ho sentito in leggere l’ultima lettera di V. S., poiché n’ ero bramosissimo per esserne stato digiuno tanto tempo dubitando senz’ altro che ciò avvenisse per qualche sua corporale indispositione, di che sentivo grandissimo travaglio. Lodato il Signore del notabile migliora¬ mento che V. S. ha fatto : spero nella divina Sua bontà che con le prime Laverò aviso eh’ ella sia perfettamente risanata. ai CniSTOFOUO Guibnbergkr. (*) I-'imppo Salviati. 320 8 GIUGNO 1612. [692] Dal Cl.“° S. r G. Fr. co Sagredo ho havuto, insieme con la lettera, anco la scritr tura elio V. S. ha scritto al S. r Velaero intorno alle macchie solari, ciò è copia di quella ; la quale lessi subito con grandissima avidità, per esser materia molto io curiosa. L’ ho poi data a leggere a questi nostri amici, si elio adesso va praemu- nibus con molto lor gusto : andarò poi raccogliendo l’opinioni loro, che con altre mie più distintamente le scriverò. Intanto le dico eh’ ella con tal sua scrittura ha eccitato gran contrasti in queste librarie fra questi filosofi ; uno de’quali, che l’ha veduta, disse al S. r Cremonino ch’io volevo mostrarla anco a S.E., a che rispose: Io non la voglio vedere. Dubita pure che V. S. gli infraschi il cervello e sia necessitato a non prestar quella pienezza di fede alla sua filosofia come sinhora ha fatto. Il suo libro De caelo ( " ancora non s’ ò incominciato a stam¬ pare : subito che sia stampato, procurerò che V.S. sia de’primi ad haverlo, se bene meriterebbe che ella facesse 1*honore alle cose sue, che egli fa a quelle di V.S. 20 Quell’opera di quel S. r Giulio Cesare , elio ella dice, non pcrvenit ad aures nostras, non che ad manus, si che non se le può dir cosa alcuna. Il S. r Ciam- poli l8) parti un giorno prima che venisse la scrittura di V. S. per la volta di Mi¬ lano, per tratenirsi con quel S. r Cardinalequalche giorno, e poi venirsene alla volta di Fiorenza. Il S. r Lorenzo, cugino del S. r Baldino va con ’l Prcncipe Peretti in Germania, Fiandra e Francia et altri paesi vedendo del mondo, ser¬ vendolo per guida fedele. Ho fatto le raccomandazioni di V. S. a gli amici : resta il S. r Livello (l) , il quale pur sta bene : e tutti la risalutano di cuore. Era sparsa voce che ella ve¬ niva a stare un mese con noi in queste parti, eh* era di gran consolatione a tutti, 30 e forsi li gioverebbe molto per ricuperare le forze. Di nuovo non saprei che dire a V. S. Morse questi giorni qui in Padova il 8.' Giorgio Cornaro, figliuolo primogenito del S. r Nicolò 0 nipote di Mons. r Vescovo nostro, quello che, per esser dottore et in età di 30 anni hormai, doveva essere il fondamento di questa casa ; onde questi Signori sono restati addoloratissimi. Ancora siamo senza mathematici, e non si sente moto alcuno : e questo basti per questa volta. Il Signor la feliciti, e le bacio le mani. Di Pad.*, a gli 8 di Giugno 1612. Di V. S. molto 111.™ et Lee.""» Ser.” Aff. m0 Paolo Gualdo. <0 Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. S. r mio Oss."'° U S. r Galileo Galilei. Firenze. <" Cfr. n.» 520, Un. 19 e *eg. < a > Giui.io Cbsahk I,agalla. (3 > Giovanni Ciampoli. oi Fkdkbtco Horkomko. <*' Haldixo Uhkhardi. Ottavio Livkllo. 8 GIUGNO 1612. 321 L698J 693 * GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO in Firenze. Murano, 8 giugno 1012. Bifol. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 25. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc.» 10 S. r0 , S. r mio Oss. mo Ho ricevuto il Discorso di V. S. (,) clic in’ ò stato carissimo in sommo, e par¬ ticolarmente perchè, non sentendola lamentar d’indispositioni, argomento che sia fatta del tutto sana, die ne sia ringraziato Dio. 11 S. r Giacomo Badovere è qui, e farò le sue raccomandationi quanto prima lo vedrò. La ringrazio delle nove, e sento infinita consolazione, per gl’ interessi di S. A., che quelle famiglie Portoghesi si riduchino a Pisa e Livorno, perchè sendo quelle genti attissime al negozio e molto pratiche, non potranno se non essere di io gran giovamento al paese e sodisfattione di S. A. Ser. ,na ; e si come il sito per le navigazioni è di gran lunga più commodo d’ogni altro dell’ Europa, mimo ec¬ cettuato, così chi v’ introducesse industrie e traffichi, senza dubbio diverrebbe in poco tempo un emporio del mondo ; e sì come il colmo della navigazione per le Indie si è ridotto in Olandesi, e gran parte del negozio di Levante in Marsilia, onde Venezia e dell’ una e dell’altro è poco men che priva, così il tutto si ridur¬ rebbe a Livorno e Pisa. Et io, che per molti discorsi liavuti co’ primi pratici di negozio, e per qualche mio naturai giudicio, ho conosciuto il medesimo, havevo già determinato di menar il poco rimanente di mia vita in que’paesi, e tanto più di buon cuore, quanto eli’ io vi haveva così caro amico e padrone com’ è V. S. ; so ma conosciuto a più d’un segno eli’ io non ho merito o qualità da potermi ren¬ der grato C8) , ho stabiliti qui i miei pensieri e radicatili per negozii interpresi più profondamente di prima, poi che l’indizione corrente così apporta, per esser le ceneri d’Alicante e di Soria, nerbo principale del mio negozio, in grandissimo smacco, con certezza, Dio lodato, di molto utile, tutto ch’io sia astretto da dura necessità, per opera d’Ill.'" 1 a chi non ho potuto negarlo, di partir il guadagno con tre Muranesi (5) , e solo goder la quarta parte de’ miei sudori. Ilo ricevuta una lettera di Torino dal Cav. r Marino, al quale è nato pen¬ siero di far un discorso, nel quale piglia a persuader i Prencipi di Germania ad eleggere Re de’ Romani il Duca di Savoia, e mi dà conto del metodo che <*> Cfr. Voi. IV, pag. 59 u seg. < 8 ’ Pietro Bali.akin, Battista Serena o Vin- <*» Cfr. n.° C13. cenzo Dai. Tedesco. XI. 41 322 8 — 9 GIUGNO 1012. [693-694] tiene e delle materie più importanti che tratta, pregandomi die in questo prò-# posito io scriva alcuna cosa. 1/ ho servito, e m' è venuto fatto non so sediscorso o pronostico, per quel di’ io credo di curiosa se ben brevissima lettura; e se non che si disconviene lasciarmi uscir di mano scritta nata per lui, che in confidenza me 1* ha richiesta, glie la havrei inviata, perchè vedesse fin dove arriva la poesia Napolit ani e la politica mista d‘ astrologia Veneziana: ma rideremo un giorno se le promesse di WS., di venir a goder per qualche mese il mio orto Mura- uose, non riescono vane, il che non vorrei; però, caro el me bel comparerà che no si vegnà « macinar delle burgarelle , tio me lasse alanti aire da vuota de verve e pegni à regiottar dell'uà t starghe eh in ni tempo ilellc polente e an tutto el tempo d* i favolò , s’ à volt errine à vegnir grasso co i un porcaio, per no dir co si vù. io Orsù à posso dir: Canti el gaio, e pò fù Intonili, della prima. 9 GIUGNO 1612. 323 [694-695] io fiato Apollo non ne sono qui altre copie, supplico V. S. 111.™*, che dopo che con suo comodo le bavera vedute, resti servita di mandar¬ mele indietro. E perche 1’ hora ò tardissima, finirò con baciarle con ormi reverenza la veste, pregandogli da Dio il compimento d’ogni suo desiderio. Di Firenze, li 9 di Giugno 1612. Di V. S. Ul. ma et R. ma Devot. mo et Obbligat." 10 Ser. ro Galileo Galilei. 695. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Soma, 0 giugno 1612. Blbl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, cnr. 108. — Autografa. Molt’Ill.™ et molto Ecc. t0 Sig. r mio Osa." 10 Questa mattina ho riceuto i libri 10 , de’quali la ringratio, et bora sto avida¬ mente leggendoli. Il S. r Fabio Colonna, al quale ho dato cura di negotiare in quel Liceo di Napoli, m’ ha mandato un ragguaglio del luogo da comprarsi : ho voluto man¬ darle acclusa la copia (0 , acciò ne dica il suo parere. Io v’inclino, seben la spesa è maggiore di quello vorrei spendere in casa, poiché ha molte buone qualità. Havremo tempo a risolvere sino a rinfrescata, chè allhora mandarò il S. r Stel- luti, nostro procuratore, a pigliar questo o altro, come risolveremo, io II S. r Luca Valerio fu ascritto giovedì. Scrissi a V. S. per la passata di pro¬ pagar altrove : favoriscami andarlo a bel agio considerando. Resta qui il S. r De- misiani, mio amico vecchio et conosciuto da V. S. ; chè, già che non s’astringono i Lincei tutti ad altro che a quelle generai constitutioni che l’inviai la passata, et il vivere ne’ Licei sotto le regolo studiose toccarà a quelli che vorranno riti- rarcisi solamente, et a’ giovani particolarmente, sarà soggetto molto riguarde¬ vole, come eh’è eruditissimo. N’aspetterò da V. S. risposta; et hora, per non trattenerla più in longo, le bacio le mani. Di Roma, li 9 di Giugno 1612. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et molto Ecc. to Intontii, esemplari del Discorso sullo Gal¬ leggianti. <*' Segue, nel codice, immediatamente la lettera, ma stimiamo superfluo il riprodurla. 324 0 GIUGNO 1612. [095-696] So vorrà elio lo due lettere al S. r Volsero si stampino e publichino qui, sole o accompagnate, et in quel modo vorrà, accenni, chè si farà subito; et commandi, chè tutti desider&mo servirla, et io particolarissiraameute, come devo. Afl>° per sor. 1 » sempre Fod. c <> Cesi, Mar." di Mout. u Fuori , d'altra mano: Al molto IH." et molto Ecc. 1 * Sig. r Uss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 6M>*. MARGHERITA ^ARROCCHI a GALILEO in Firenze. Roma, U giugno 161‘J. Blbl. Naa. Fir. Mas. (lai., I*. I, T. XIII, i ar. ‘20. — Autografa la auttosuuiunc. Molto 111." Sig." et P.ron Os8. ,no In questo punto ho recevuto la lettera di V. S., co’l trattato 0 ’ che ella mi ha tavorito mandare. Io et il Sig. r Luca lo leggeremo con ogni affetto et con ammiratione, come meritano tutte lo cose di V’. S., et lo rondemo amboduo in¬ finite gratie della gratia elio ci ha fatto. Mi sono ancora infinitamente rallegrata che la stia con ferma speranza di salute. Quanto al mio poema, V. S., come già le ho scritto, mi farà favore riman¬ darmelo, perchè ci ho fatto molte mutationi, di modo elio quello non è più buono, lo lo laro di nuovo copiare et lo mandarò a V. S., et sarà in miglior tempo, perciò che spero cho ella all 1 bora starà con sanità. Se intanto con cotesta Altezza si può io far nulla, V. S. favorirà una sua serva. Nel tempo che le mandarò il mio poema, la pregare a riveder le cose mio liriche. Intanto leggeremo il suo trattato, et scriverò piu lungo poi a V. S., alla quale con ogni affetto di cuore bascio le mani. Di Roma, a’ 9 di Giugno 1G12. Di V. S. molto III." Serva Affettionatiss. a davero Margherita Sarrocchi. Fuori: Al molto 111." Sig." et P.ron mio Oss. mo Galileo Galilei. Firenze. "» Il Discorso sullo Galleggianti. [697-698] 13 — 15 giugno 1612, 325 697 . MAFFEO BARBERINI a GALILEO In Firenze. Bologna, 13 giugno 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T.XIV, car. 77. — Autografa la firma. Molt’ Ill. ro Sig. ra Quando mi pervenne la lettera di Y. S. con le scritte al Velscro (,) et la risposta fattagli da lei, apunto havevo Unito di vedere il discorso eh’ ella m’haveva prima inviato (2) ; nel quale mi pare eh’ ella con ottime ragioni, tanto filosofiche naturali, quanto mathematiche, sostenta egregiamente la sua opinione, se bene a me non sta il darne giudicio, dovendosi aspettar da persone più intendenti di me in queste materie. Et quanto alle macchie solari et a quello eh’ ella ne di¬ scorre, veggo parimente che tocca cose nuove e curiose con molto buoni fondamenti, et ch’ella è arrivata col suo raro ingegno a quella cognitione clic in sì breve tempo io di osservatione si può bavere ; o certo ò che l’opinione reprobata da V. S., al parer mio, per le considerationi che V. S. ne adduce, non è subsistente. Ho letto e considerato il tutto con mio grandissimo diletto, e starò aspettando la replica che V.S. fa in questo proposito, per cavarne dupplicato piacere. Et fra tanto rendendole gratin infinite di quanto si compiace di participarmi, le ne resto con obligatione et le rimando le dette tre lettere 135 ; et prego che Dio Nostro Signore la feliciti. Di Bologna, li 13 di Giugno 1612. Di V. S. Come fratello AfT. mo (k) S. r Galileo Galilei. Firenze. Il Card. 1 Barberino. Fuori: Al molt’III.™ Sig. 1 '® 20 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 698 *. GALILEO [a FERDINANDO GONZAGA in Roma]. Firenze, 15 giugno 1612. Arch. Gonzaga in Mantova. Autografi. — Autografa. Ill. mo e R . m0 Sig.® e P.ron Coleri . 1110 Si compiacque il Ser. mo Gran Duca mio Signore di comandarmi che io mettessi in carta le mie ragioni intorno a certa disputa che <*) Cfr. n.° 694. < s > Cfr. n.° 690. < 3 > Cioè quello del finto Ai>klmì. t*1 Aff. ma ò di mano del Bahukhini. 326 15 — 16 GIUGNO 1612. [698-699] cadde alcuni mesi fa tra certi litterati di questa città e me, della quale anco incidentemente V. S. 111. 1 ®* e K. ma no inteso alcune cose una mattina alla tavola del Gran Duca 1 : et essendosi pur liora finito di stampare tal mio Discorso, mi ò parso mio debito d* inviarne una copia a V. S. Ul. ma et lt. raa , non senza speranza di guadagnarmi il suo assenso, so mai accoderà che ella mi lionori di dargli una vista; il cho reputerò mia somma ventura o favore, come, e molto più, so io ella mi degnerà di qualche suo comandamento, vivendogli io humi* lissimo servitore. Con che, reverente gli bacio la veste, e dal sommo Dio gli prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 15 di Giugno 1612. Di V. S. HI.™* et ll. ma Devot.® 0 et Obbligati 0 Ser. M Galileo Galilei. 699. GALILEO a [PAOLO GUALDO in Padova]. Fironse, 16 giugno 1612 . Blbl. Mare. In Veneria. Cod. XI.VII dell» CI. X It.. n* 18. — Autografe. Molto 111.” e molto It. do Sig.™ Ossor. m ° Ilo inteso per la gratissima sua quanto passa sin bora in pro¬ posito della lettera mia circa le macchie solari ; di che mi prendo gusto, et in particolare di quelli che, per non bavere a credere, non vogliono vedere : et il gusto procede perché io sto sempre sul gua¬ dagnare e mai sul perdere, perché continuamente si vien conver¬ tendo qualche incredulo, e de i già persuasi mai non se no ribella veruno ; perchè tutto ’1 giorno si vanno scoprendo nuovi rincontri in confermazion della verità ; la quale chi 1* ha dalla banda sua, sta bene, e può ridere nel veder gl’avversarli sbattersi et affaticarsi in io vano. Ho anco un’ altra consolazione : che questo macchie solari, o gl’ altri miei scoprimenti, non son cose cho col tempo passino via e non ritornino così per fretta, come lo stello nuove del 72 et 604 o come le comete, che pur finalmente si perdono e danno agio, con la lor mancanza, di riposarsi a coloro che, mentre esse furon pre- «'1 Cfr. Voi. IV, pag. 6. <*> Cfr. u.» m. 1G GIUGNO 1612. 327 [ 699 ] genti, stettero in qualche angustia ; ma queste gli terranno sempre al tormento, perchè sempre si vedranno : et è ben ragione che la natura mandi una volta a vendicarsi contro V ingratitudine di coloro che tanto tempo 1 ’ hanno bistrattata, et che per certa loro sciocca 20 ostinazione voglion tener serrati gl’ occhi contro a quel lume eh’ ella, per loro insegnamento, gli tien sempre davanti. Ecco che ella final¬ mente con caratteri indelebili ci mostra chi eli’ è e quanto ella sia nemica dell’ozio, ma che sempre et in ogni luogo gli piace di ope¬ rare, generare, produrre e dissolvere, e queste sono le sue somme eccellenze. Ma non voglio bora entrare in materie da non esser ca¬ pite in una lettera. Ho ricevuto dal S. Velsero avviso (,) come la mia gl’è pervenuta, e che gl’ è stata grata ; ma che Apelle per bora non potrà vederla, per non intender la lingua. Io 1 ’ ho scritta vulgare perchè ho biso¬ so gno che ogni persona la possi leggere, e per questo medesimo ri¬ spetto ho scritto nel medesimo idioma questo ultimo mio trattatello w : e la ragione che mi muove, è il vedere, elio mandandosi per gli Studii indifferentemente i gioveni per farsi medici, filosofi ete., sì come molti si applicano a tali professioni essendovi inettissimi, così altri, che sariano atti, restano occupati o nelle cure familiari o in altre occu¬ pazioni aliene dalla litteratura, li quali poi, benché, come dice Ruz¬ zante, forniti d’un bon snaturale, tutta via, non potendo vedere le cose scritte in baos, si vanno persuadendo che in que’ slibrazzon ghe suppie de gran noelle de luorica e de fduorica, e conse purassè che strapasse in 40 etto purassè ; et io voglio eh’ e’ vegghino che la natura, sì come gl’ ha dati gl’ occhi per veder 1 ’ opere sue così bene come a i filuorichi, gli ha anco dato il cervello da poterle intendere e capire. Contutto ciò vorrei che anco l’Apelle e gl’altri oltramontani potessero ve¬ derla ; e qui, per esser io occupatissimo, liaverei bisogno del favore di V. S. e del S. Sandeli (3) , il quale mi facesse grazia di trasferirla quanto prima in latino o mandarmela poi subito, perchè in Roma è chi si è preso cura di farla stampare insieme con alcune altre mie. Io intanto anderò finendo la seconda per farne l’istesso, e parimente l’invierò a Y. S. ; e caso che il S. Sandeli voglia favorirmi, perchè so Lett. 699. 42. il cenarlo — <*) Clr. il.* 683. <*' Intendi, il Discorso sulle Galleggianti. < s > Maktino Sa.nuei.li. 328 16 GIUGNO 1612. [699-700] che alcuni termini proprii et alcune frasi dell’arte potriano dargliw qualche fastidio, non occorre che guardi a ciò, perchè io in questa parte la ridurrò a i proprii nostri termini. Se io potrò liaver tal gra¬ zia, V. S. mo n’ avvisi subito, et ne procuri quanto prima l’espedi- zione; et intanto si comincerà a fare stampar la italiana in Roma, et il tutto resti inter im. Clio sarà per fine di questa, con 1 baciar a V. S. e a tutti gl* amici con ogni affetto le mani, pregandogli da Dio ogni contento. Di Firenze, li 1G di Giugno 1612. Poiché il S. Ciampoli sarà qua di corto, V. S. sarà contenta dar V altro mio Discorso al Clar. ,uo S. Francesco Duodo, insieme con «o P alligata. Di V. S. molto I. et molto R. da Ser.™ Oblig.“° Galileo Galilei. 700. GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Henna, lf> giugno 1012. Blbl. Nuz. Plr. Mss. Hai., P. VI, T. Vili. rar. 111-112. - Autografe Molto 111/® et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no Mi duole che V. S. non possa comprendere quanto io stimi la persona sua, perchè intenderebbe ancora da per sè qual favore ella mi habbia latto nello scrivermi la cortesissima lettera delli 4, et inviarmi il Discorso (,) che ad essa era congionto. Però io debbo prima rendere a V. S., come fo, affettuosissime gratie del pensiero, che la sua propria Immanità le ha messo nell’animo di fa¬ vorirmi, e poi dirle che le havrei scritto più volte o sarei ricorso a lei per esser latto chiaro di alcune cose, se non mi fossi dato a credere di noiarla. hon già eh’ io porti opinione che la gentilezza di V. S. venghi meno nel sodisfare agli altrui honcsti desiderii, ma perch’io intendo che sono tanti coloro, che da tutte 10 le parti le scrivono e le muovono dubbii, che le trattengono molto il corso delle principali opere et occupationi sue ; ond’ io non ho voluto accrescerle impedimenti con cose di poco momento, dove io bramo più tosto di servirla per metter fretta al medesimo corso : la qual cosa io adempio almeno col pregare il Signor Iddio U) Il Discorso sulle Gallegginoti. 16 GIUGNO 1612, 329 [700] che lo Tenda felice, secondo il desiderio di V. S. stessa e l’aspettatione de’ servitori suoi e degli amatori della verità delle scienze. Io mi trovava a Frascati, alla villa del S. r Card. Aldobrandino, per occasione delle nozze della nipote che vi si sono celebrate, quando mi fu renduto colà su e la lettera e’l Discorso di V. S., in tempo ch’io non potei per 1 * ordinario 20 passato risponderle ; ma nè meno, fra quella frequenza e quasi tumulto di persone e strettezza di luogo, ho potuto mai ritirarmi a leggerlo, benché io n’ar¬ dessi di voglia : onde havendolo solamente cominciato da poi che io no son tor¬ nato, non posso ancora dirle d’ haverlo finito, e per la brevità del tempo e per la qualità della materia, che, essendo sottilmente trattata, ma non meno soda¬ mente, vuole una particolare attentione. Con altre dunque ne le scriverò; e in¬ tanto io sento grande allegrezza che V. S. liabbia ridotto i calcoli del moto delle Stelle Medicee a perfettione, opera veramente grande et insieme eterna: et an¬ corché mi basti di aspettare di vederne le determinationi quando essa le pu- blicherà al mondo, poiché io spero che ciò sia per accadere fra non lungo tempo, so nondimeno, per incominciare a partecipare più presto del benelicio del suo valore, la prego a favorirmi delle costitutioni di quindici dì solamente innanzi che Giove si occulti, perchè con l’aiuto di qualche amico havrò diletto, bora che la stagione è buona, di raffrontarle; e benché io sia certo di non poterlo fare con l’squi¬ sitezza che fa V. S., nondimeno da vicino io mi avvedrò della giustezza loro e ne goderò grandemente. Egli è già più d’ un anno, che V. S. mi diede notitia a bocca delle macchie solari e del moto loro intorno al corpo del sole; da poi vidi l’Epistole scritte ai Velsero da quell’autore non nominato, et una lettera del medesimo Yelsero, nella quale ben mostrava di sapere che Y. S. n’ havesse cognitione, ma si per- 40 suadeva eh’ ella non fosse arrivata tanto oltre in sì fatta specolatione quanto il predetto autore l,) : il quale certamente argomenta bene, eli’ elle sieno vicine al corpo solare e si girino intorno a quello, e bene ha compreso che si unischino insieme e si dividino ; ma la conclusione che poi ne fa, che sieno stelle, sì come a me non parve buona per più ragioni, così mi è piaciuto di sapere bora, dalla lettera di Y. S., eli’ ella sia falsa, con altre cose di più che mi hanno empiuto di maraviglia : e nel vero fra quante celesti apparenze si sono scoperte da lei, questa mi sembra la maggiore e di maggiore conseguenza. Io l’ho vedute molte volte, e mi è stato avviso di scorgerle distintamente, quali V. S. le mi rappre¬ senta, et in particolare le mutationi che fanno da un giorno all’altro. Ma io 60 spero di dovere anche intendere lo ragioni, che la persuadono e costringono a prononciarne ciò che n’afferma; e mi era però stato detto che si dovevano stam¬ pare alcune lettere di V. S. in questo proposito, con le figure delle macchie osser- Cfr. n.» 68S. XI. 42 330 16 GIUGNO 1612. [700-701] vate e quello delle dimostrationi ch’ella ne fa, che io non so se io dovrò più aspet¬ tare: ma se non per tempo, almeno tardi, io mi assicuro di haverne a vedere da V. S. molta dottrina. Fra questo mentre sommamente mi ha dilettato l’in¬ tenderò la sostanza che V. S. me n’ ha significata, e ne la ringratio senza fine, obligato rimanendole non meno per ciò, che per la memoria che di me tiene, il quale certo le corrispondo nell’osservarla e nel desiderare di servirla : e con ogni affetto le bacio la mano. l)i Roma, li 10 di Giugno 1612. I)i V. S. molto 111/" et Kcc.“ Aff. mo Ser. M S. r Galilei. G. Batta Agucchi. Fuori, d*altra tuano: Al molto 111.™ et Eec. mo Sig. r mio Osa.'" 0 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 701 . GIO. FRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 10 giugno 1612. urbi. Naz. Pir. Mai. Oal., P. VI, T. Vili, c»r. 113-1H. — Autografa. 111. 0 Sig. r ()ss. ,n0 Ilebbi il libro, et ultimamente le sue de’9 del presente. Io ringratio V. S. Ecc. ml senza fine. Del Discorso poco lo posso dire, poiché il S. r Mula me lo ha tenuto, sichè apena l’ho transcorso in diversi luoghi con l’occhio. Della dottrina, non credo che ella aspetti che io dica che sia vera, perché giù ella sa che io non sono Peripatetico nò pazzo ; ma più tosto mi farò lecito dirle con la solita mia libertà, che mi sono meravigliato che ella habhia scritto in così fatta materia per via di discorso, et, col rispondere a quelli che di essa non intendono niente, habhia quasi posto in diticoltùla verità patente e dimostrata, dando riputatione alle goierie filosofiche de’ presenti tempi. Il S. r Mula et qualche altro m’ ha fatto instanza per haver copia delle calcu- lationi fatte da lei delle Stele Medicee ; ina invero mi ò spiacciuto che queste siano di questi prossimi giorni, perché in questa brevità di tempo non posso dar sodisfattione a tutti. Però se per l’avenire V. S. Ecc. ,na no facesse anticipatamente di quattro o ver sei settimane, mi farà gratia mandarmene copia subito, perchè metterei ancora all’ ordine buoni stromenti. Degli occhiali che ella desidera, ne farò la provisione per la prossima posta. Quanto alle imperfettione che ella mi scrive essere in tutti i vetri, ò molto tempo 16 — 18 GIUGNO 1612. 331 [701-702] che è stata avvertita, ma non b’ è trovato il modo di far meglio : puro vi pen- 20 scrò un poco insieme con questi artifici. Già clic ella non vuole significarmi la sua opinione circa il modo che si fa la vista almeno la prego scriver la volgala per modo Ìlistorico senza dimostra- tioni, ma però in modo che io, che sono grosso molto, la possi intendere. Io non so se ella liabbia veduto un trattatalo dell’arcivescovo di Spalatro l,) circa l’occhiale. Se costì non si trova, m* avisi, chè le ne manderò uno subito, perchè mi serebbe caro intender il giuditio di V. S. sopra esso trattato. Haverò a singoiar favore che mi avisi delle osservationi che si possono faro in proposito della vista, perchè queste mi apriranno la strada a conoscer la ve¬ rità et mi daranno cuore di dirle il mio senso, sebeno fin qua riprobatissimo dal 30 S. r Mula et da Maestro Paolo. In gratia mi ami et si raccordi di me ; et col rispondermi sopra le cose pro¬ poste, seben con qualche incommodo, si contenti che la godi lontana, già che i Pianeti Medicei mi vietano poterla goder davvicino. Et per fine le buccio la mano, pregandole dal Signor Dio sanità. In V>, a 16 Giugno 1612. Di V. S. Ecc. Tutto suo S: r Galileo. G. F. Sagre do, in fretta. Fuori: All*Ill. re Sig. r Ecc. mo 11 S. r Galileo Galilei, Filosofo et Mathem. 00 di S. Alt. a Ser. ,ntt io Firenze, 702 **. GIOVANNI TALENTONE a GALILEO in Firenze. Fivizzano, 18 giugno 1612. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 20. — Autografa. Ill. re e molto Sig. r mio, Mi doglio della mia ria fortuna, che mi fa bora tanto lontano da V. S. 111.™ e molto Ecc. 10 , che si truova in Toscana, perchè non posso, come vorrei e come altre volte ho fatto, mostrarle qualche amorevolezza : ma poi che co’ fatti darle sodisfattion non posso, vengo per far con questa quel supplimento che posso. Sarà facil cosa che le sia detto costì quel che per lei feci V anno passato dopo Pasca, eh’ essendo in Pisa, fui chiamato a ragionare mentre S. A. S. man- <*) De raditi vinti» et luci» in nitri» pertpectivi* Yenotiis, MDCXI, «pud Thomam Baglionuui. et ìride. Tractatus Marci Anconii 1>k Domini», occ. 332 18 — 20 GIUGNO 1012. [702-70:1] giava; poi ohe, fra lo altre cose dissi che pochi pari olla haveva nell’intendere Euclide, e però che havrebbo fatto bene a condurla per Matematico in Pisa con grosso emolumento : e se ben S. A. S. mi rispose che per bora ne hanno un voi- io gare dallo Pomearanze 1 ”, mostrò però d’haver di lei buonissima opinione, poi cho mi ragionò doli' invention di quel suo occhiale che fa veder lo cose lontane o della nuova stella. E perchè so cho occorrerà a lei hora all* incontro ancora di ragionare avanti a quella A. S., la prego che vacando il primo luogo di Teo¬ rica Medicina in Pisa, et essend’ io da molti pronto, mi faccia gratia di farle saper che questi anni adietro fui proposto in Senato per la medesima caricai» Padova dagli IU. n,i Sig. ri lieforraatori, cioè dal Clariss. 0 Sig™ Andrea Moresini o suoi colleglli, e che ’1 partito riusciva senza fallo so ’l Doge non si fusse op¬ posto, col propor Bernardino Enio, Venetiano, suo medico, in guisa che’l luogo ha a me tolto, cho a lui non ha però potuto laro bavere. Perchè, dicendo que-io sto, dirà grandissima voritade, e favorirà un suo già amorevol dottoro 1 ”, et hora dolcissimo amico. Nè essendo questa mia per altro, facendo line le bacio la mano, pregandole dal Signore Iddio ogni bene. Di Fiviznno, il di 18 di Giugno lfil2. Di V. S. 111.” o molto Ecc. u Ser/'' Affett. m ® Giovanni Talcntono. Fuori : All’ 111.™ et molto Ecc. u Sig. r mio Oss. m0 11 Sig. r Galilei. Fiorenza. 703. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Villa di 8. Polo, 20 giugno 1612. Blbl. Naz. Plr. Mac. 0 * 1 ., I». VI, T. Vili, c*r. 113 . - Autografa. Molt* Ill. r * et molto Ecc. u Sig. r inio Ub8. m0 Fiaterà riceuto molte delle mie quasi insieme ; onde hora non dirò altro, salvo che, per esser a diporto in un mio Polo, e perciò talvolta considerando cose celesti e mondiali, veggio che m’aggradarebbc molto il sistema Coperniceo quando togliesse via affatto gl’eccentrici e V epicicli, quali, si come benissimo in tutte 1 altre parti leva, cosi nella terra et luna par che ammetta; poiché per l’inegual lontananza del sole et della luna dalla terra, questa in epiciclo overo eccen- Antonio Saxtoooi. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. VI. 20 — 22 GIUGNO 1612. 333 [703-704] trico, la luna in epiciclo d’epiciclo, par che riponga. Non so che habbiano in ciò stabilito 1*astronomi che l’hanno seguito, nè se d’accordo. Nè meno vedo che JO Copernico tratti mai della solidità del’ orbi, quale Tichone ha destrutta, appresso il Co- perniceo Keplero, a sufficienza. Desiderarci un cenno da V. S., solamente che non in¬ tendo con ciò interrompere le sue utilissimo occupationi, so dobbiamo nel sistema Co- perniceo considerare la disposition de’ moti secondo la prima o seconda figura, e se con gl’ orbi o no, o pure se s’è trovata altra maniera. 20 Procuri V. S. la sanità et mi commandi. Bacio a V. S. le mani. Di S. Polo, li 20 di Giugno 1612. Di V. S. molto 111. 1 ' 6 et molto Ecc. t0 Aff. mo per ser. ln sempre Fed. co Cesi, Mar. se di Mont. 11 Fuori, d'altra mano: Al moli’lll. re et molto Ecc. t0 Sig. 1 ' 086.™° 11 S. or Galileo Galilei, a Firenze. 704 *. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 22 giugno 1612. Bibl. Naz. Fir. Nuovi Acquisti Galileiani, n.® 9. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 S. r mio Oss." 10 Ilor hora ho rccevuto la lettera di V. S. qui in casa del S. r Baldino (,) , in casa del quale ho pransato con Mons. r Nuncio di Venetia, con 1 quale io son stato quattro o cinque giorni a Liviano, senza il detto S. r Baldino; il quale si ritruova in letto con un poco di febre catedrale già sei o sette giorni, con una tosse assai fastidiosa, eh’è cagione, per quanto m’ha detto, che non può sole- citare il negotio di V. S., di riscuotere quei quattrini di ragiono di V. S. Ho havuto lettere dal S. r Velsero, il qual mi scrive che harrebbe fatto stam¬ par la sua scrittura se non fusse stata volgare (,) , poi che quei stampatori non ‘‘1 Baldino Ghkkakdi. <» Cfr. un. 1 683, 705. 334 22 - 23 GIUGNO 1612. [704-706} sanno stampare in tal lingua. Quella copia che mi mandò il CI mo Sagreo è in io mano di questi che di queste materie hanno gusto, o non la posso recuperare* credo elio la copiano, si come il suo libro doli* acqua 10 va pur per le mani di tutti questi filosofi ; ma stanno chiotti nò ardiscono parlare, so non che biso¬ gnerebbe venire alla pratica delle cose clic ella sottilmente discorre, molte delle quali senza la pruova non vogliono concedere. In fatti V. S. mette loro certi sirnpi in corpo, che li fan molto contorcere. Non posso per fretta esser più lungo. Farò capitare il lil.ro al CI.™ Duodo^. E con ciò lo bacio lo mani, pregandolo compita felicitò, come fa il S. r Baldino* Di I’ud.*, alli 22 Giugno 1612. Di V. S. molto III." ot Eoe."* Ser.” Afì> « Fuori: Al molto IH.” et Eoe.** S. r Il S. r Galileo Galilei. Paolo Gualdo. Firenze. 705* MARCO WFJAER a GIOVANNI FA UER in Roma. Augusta, 22 giugno 1612. Aroh. dell’ Oaplaio di 8. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Fsber. Fili» 419, car. 189. — Autografa. .... Il discorso del S. ttr Galilei sopra la macchie solari mi riuscì di tanto gusto,che lo desidero veder in lnce; et so di qua havessimo commoditA di stampa italianaW, havrei tentato d’impetrar licenza dall'autore di publicarlo. Forse ch’egli stesso si risolverà di farlo un giorno.... 706. GALILEO [a GIULIANO DE’MEDICI in TragaJ. Firenze, 23 giugno 1612. Btbl. Palatina in Vienna. Cod. 10702, car. 78. — Autografa. Ill. mo e Rev. mo Sig. M e Pad. n Col. rao Con l’occasione del mandare a V. S. Ill. ra * o R. m * una copia d’un mio trattato, scritto intorno allo cose elio stanno su P aqqua o che 704. 14. ditcorrere — !? n T)iscor8 ° sul,e noleggianti <*< cfr . nn .i 683i 7(H . ' ’ r iu.se esco Duono, 23 GIUGNO 1612. 335 [706] in quella si muovono, vengo a ricordargli la mia devozione e servitù, rompendo quel silentio che varii accidenti, et in particolare una mia molto lunga indisposizione, mi hanno fatto usare per molti mesi. Mi è convenuto scriver questo Discorso in lingua italiana, acciò possa esser inteso, almeno in gran parte, da tutta la città, perchè così ha portato 1’ occasione di certa disputa, come nel principio dell’ opera io intenderà, se mai haverà ozio di dargli una lettura, sì come io som¬ mamente desidero. Ben mi dorrà se il S. Cheplero, mancando della nostra lingua, non lo potrà vedere ; del qual S. Cheplero è gran tempo che non ho nuova alcuna, e suppongo che i tumulti passati ne siano stati cagione : liora, in questa quiete, bavero molto caro intender di lui e quello che fa, se però ella ne harà notizia; il quale credo che sentirà con gusto come io ho finalmente trovati i periodi de i Pianeti Medicei, e fabbricate le tavole esatte sì, che posso cal¬ colare le lor costituzioni passate e future senza errore di un minuto secondo. Sapia di più V. S. Dl. ma come gli scoprimenti celesti non 20 hanno ancora finito, ma sono circa 15 (1) mesi e più che cominciai a vedere nel solo alcune macchie oscure, o pur V anno passato, del mese d’Aprile, essendo in Roma, le feci vedere a diversi Prelati et altri Signori ; onde poi, sendosi sparso questo grido, sono state in molti luoghi osservato, e dette e scritte diverse opinioni intorno a questo particolare, ma tutte lontane dal vero. Io mi sono finalmente accertato di quello che nel primo aspetto gli parrà forse cosa assai stravagante, et è che tali macchie sono non pur vicine al sole, ma contigue alla superfìcie di quello, dove continuamente altre se ne producono et altre se ne dissolvono, essendo altre di breve et altre ao di lunga durazione ; cioè alcune si disfanno in 2, 3 o 4 giorni, et altre duran 15, 20, 30 et ancor più. Yannosi mutando di figura, le quali figure sono per lo più irregolarissime ; si condensano e si distraggono, sendo talhora alcune oscurissime et altre non cosi ne¬ gre ; spesso una si divide in 3 o 4, ed altra volta 2 o 3 o più si ag¬ gregano in una sola : hanno poi un movimento regolato, secondo 1 quale uniformemente vengono tutte portate in giro dall’ istesso corpo solare, il qual si muove in sè stesso in un mese lunare in circa, con moto simile a quelli delle sfere celesti, ciò è da occidente verso oriente. Tali macchie non cascano mai vicine a i poli del rivolgimento del • ') Di lettura alquanto incerta. Cfr. n.° 684, lin. 20. 33G 23 GIUGNO 1612. [700-707] sole, ma solamente intorno al cerchio massimo di mezo, nè da quello w se ne trovano in maggior lontananza di 28 o 29 gradi in circa, tanto verso Tulio quanto verso l’altro polo; il quale Bpazio risponde giusto alla zona torrida, o per meglio dire a quella fascia elio comprende le massime declinazioni de i pianeti. Turon scritte circa 6 mesi fa al¬ cune Lettere in questa materia al S. Marco Volsero in Augusta, e poi ai 8tamporno sotto nome liuto «li Apollo, et il medesimo S. Velsero me le mandò, pregandomi che io dovessi scrivergli il parer mio sopra tali lettere: il che feci, reprovando Topinione del detto Apelle e accennando la mia. Hora gliene scrivo un’ altra più resoluta, e fra pochi giorni farò che V. S. 111.®* vegga Tuiia et l’altra. Intanto voglioso finir di tediarla, et con baciargli reverentoiuente le inani, gli prego da Dio ogni maggior felicità. Di Firenze, li 23 di Giugno 1612. Di V. S. 111.“»* et Uev.^ Ser. M Oblig.™ Galileo Galilei. 707*. PIETRO ÀLDOBRANDINI u GALILEO in Firenze. Roma, 23 giuifuo 1612. Bibl. Nuz. Flr. M«. Gal., P. I, T. XIV, car. "«.— Autografa la liima. Molto Mag.°° S.™ Ho ricevuta la scrittura «li V. S.. la qual m’ è sommamente pincciuta, perchè è sua e perchè per sè stessa è mirabilmente bella. Io però godo a un tempo e della sua virtù e della sua amorevolezza, e dell’una o dell’altra ringratio V.S. infinitamente. Se poi verrà fuori quella della parte, V. S. mi farà accettissimo piacere a mandarmene copia, sicura che mi obligarà alla sua cortesia molto e molto. In tanto resto con desiderio ben grande che mi si porga occasione d’ado- prarmi in servigio di V.S. Qui di cuore le mi raecowmando. Roma, 23 Giug.° 612. Al piacere di V.S. Galileo Gulilei. Fior.* Il Car. Aldobrandino. Fuori: Al molto Mag. 00 S. r 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. [708-700] 337 23 GIUGNO 1612. 708 **. OTTAVIO BANDINI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 giugno 1G12. Bibl. Waz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 81. — Autografa la sottoscrizioni). III.™ Sig. ro Sapendo V. S. la stima ch’io fo di lei o della sua virtù, potrà facilmente per¬ suadersi che mi è stato carissimo il libro da lei mandatomi, nel quale tratta delle cose che si movono e quietano nell’ acqua, massime parendomi materia non meno utile che curiosa. Vengo però a ringratiarnela, con farla certa eli’ io godo gran¬ demente d’ogni frutto del suo ingegno. Mi ha poi reso il Can. co Petrozzi da Chiusi 1* altra lettera di V. S. di XXI del passato, dalla quale mi è stato caro il sentire che il S. r Filippo Salviati si trovi con intiera sanità, e che liabbia commodità di godere della gentil conver- ìo satione di lei. Al sudetto Canonico non mancherò di dar ogni aiuto che potrò ne’ suoi negotii : e a V. S. intanto mi offero. Di Roma, li xxm di Giugno M.D.C.XII. Al piacer di V. S. S. r Galileo Galilei. Il Card. Bandino. Fuori : All’ Ill. ro Sig. r0 11 Sig. r0 Galileo Galilei. Firenze. 709 . ROBERTO BELLARMINO a GALILEO in Firenze. Roma, 23 giugno 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 83. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ Sig.™ Con la lettera di V. S. ho riceuto il trattato suo circa le cose che si muo¬ vono et si quietano nell’acqua; et come sarà visto da me volentieri, per esser certo che sia cosa degna d’un tanto autore, così ne rendo molte gratie alla cor¬ tesia di V. S., assicurandola che all’ alletto che mi dimostra, ne riceve da me xi. 43 23 GIUGNO 1G12. 333 corrispondenza, et lo conoscerà occorrendo eh’ io possa cosa di suo servitù). Che con (jue8to mi oiToro a V. S., et ila Dio gli prego ogni bone. Di Roma, il di 23 di Giugno 1012. Di V. S. 111.** Per fargli servitio S. p Galileo Galilei. Firenze. 11 Card.' 0 Bellarmino. io Fuori : All* 111." Sig. r * 11 Sig. or Galileo Galilei. Firenze. 710 * GIO. BATTISTA DETI a GALILEO [in Firenze]. Roma, ‘23 giugno 1618. Bibl. Na*. Pir. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 87. - Autografa la Arma. 111." S." Ilo veduto il trattato mandatomi da V. S. e con molto mio gusto, per con¬ tener cose belle e curiose : e coni’ io la ringratio della sua cortesia, così l’assi¬ curo che le continuo la mia buona volontà por giovarle sempre. Et a V. S. mi raccomando. Di Roma, li 23 Giug. 0 1612. Di V. S. Come fratello S. or Galileo Galilei. 11 Card. 1 Deti. 711 *. FERDINANDO GONZAGA a GALILEO in Firenze. Roma, 23 giugno 1012. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, oar. 85, — Autografa la firma. 111." Sig." Nò cosa di maggior mio gusto, nè tanto cara, poteva venirmi da V. S., quanto m ò stato il suo Discorso mandatomi. Ho cominciato leggerlo; ma non ho co¬ minciato scorger adesso le vivezze dell’ intelletto suo, perchè prima d’ bora mi sono note: ben è vero eh'in leggendolo mi si rinuovano alla memoria. Mi ral- [711-712] 23 GIUGNO 1612. 339 legro però con V. S. di così nobile fatica, et la ringratio della parte clic me n’ ha fatta. Et qui offerendomele in ogni sua occorrenza, le desidero felicità. Di Roma, a’23 di Giugno 1612. Per fare piacere a V. S. io S. r Galileo Galilei. Il Card. Gonz. a Fuori: All’Ill. ro Sig. r0 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 712 * GIO. ANTONIO MAG1NI a GALILEO in Firenze. Bologna, 23 giugno 1612. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, D.» RXXIX, u.» 18. — Autografa. Molt’ 111. 10 e Ecc. ,no S. or mio Oss. ,no L’ Ecc. mo S. or Dott. Papazzoni, sendo ritornato di Toscana con così buona e allegra ciera, ha consolato molto c rallegrato tutti gl’ amici suoi, tra’ quali non mi tengo per T ultimo, e maggior allegrezza sarebbe la nostra, s’ egli si lasciasse goder da noi tutta questa estade. Però haveremo patienza, quando si parta da noi, sapendo quanto sia ben veduto da quelle Ser. me Altezze e da tutti quei Si¬ gnori. Ho ricevuto dal detto S. or Papazzoni la lettera di V. S. insieme col suo dottissimo Discorso, il quale sarà da me veduto con molta avidità, se bene non potrò esser il primo, poiché m’ è convenuto prestarlo ad un cavaliero hoggi, che io lia voglia di vederlo. Intanto rendo infinite gratie a V. S. della sua cortesia e della memoria e conto che tiene di me, che professo d’ essergli partiate servi¬ tore, baciandogli con molto affetto le mani. Di Bologna, li 23 Giugno 1612. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Ser. r ® A£f. m0 Il Magi ni. Fuori: Al molto 111.™ e Ecc. mo S. or mio Oss. mft Il S. op Galileo Galilei, Mathematico del Ser. mo G. Duca di Toscana. Firenze. Lctt. 712. 17. Oalitelo — 340 26 GIUGNO 1612. [ 718 ] 713 *. GALILEO a LODOVICO CARDI DA CIGOLI in Rama. Firenze, 26 giugno n»isi. Aroh. Ma*otti lo Firenze. IVI. .-.il titolo Uutrr di OaUI->. t pi* dell* asconda motA del soc, XVII. Dubitiamo grareunmto dell’«aleatici U di quoaU lettera; ai* perchè dell* queitlone in ossa tratuta non è alcun ricordo nello numerosa l-tt. r • d»l (‘nini t a <; Attuto, e, par contrario, dei molti argo¬ menti di cui quatta discorrono non è qui ebo uu coum» d un solo [Itu. Idi); 8i» porche lu stilo non ha aorapra aaporo galileiano. Al SS Lod.° Cigoli. Roma. Moli' lllr SigS R.ron mio Oss. m * È tanto falso che la scultura sia più mirabile della pittura, per la ra- gionc che quella abbia il rilevo e questa no, che per questa medesima rar gione viene la pittura a superar di maraviglia la scultura : imperciocché quel rilevo che si scorge nella scultura, non lo mostra come scultura, ma come pittura. Mi dichiaro. Jntctulesi per pittura quella facoltà che col chiaro e con lo scuro imita la natura. Ora le sculture tanto avranno ri¬ levo, quanto saranno in una parte cdoi'ate di chiaro et in uri altra di scuro, io E che ciò sia il vero, V esperienza stessa ce lo dimostra ; perchè se espi¬ rano ad un lume una figura di nino, et anderemola in modo colorendo, col dar di scuro dove sia chiaro, sinché il colore sia tutto unito, questa ri¬ marrà in tutto priva di riino. Anzi quanto è da stimarsi più mirabile la pittura, se, non avendo ella rilcro alcuno, ci mostra rilevare quanto la scultura! Ma che dico io quanto la scultura? Mille volte più; atteso che non le sarà impossibile rappresentare nel medesimo piano non solo il rilevo d’ una figura, che importa un braccio o due, ma ci rappresenterà la lon¬ tananza d > un paese, et una distesa di mare di molte e molte miglia. E quelli che rispondono che il tallo poi ne dimostrerebbe V inganno, certo che e’par 20 eh’ ri parlino da persone debili; quasi che le sculture c pitture sieno fatte per toccarsi non inaio che per vedersi. In oltre, quri che stimano il rilevo delle statue, credo certo che ciò facciano, credendo clic con questo mezzo possano esse più facilmente ingannarci e parerci naturali. Or notisi questo argomento. Di quel rilevo che inganna la vista, ne è cosi partecipe la pittura come la scultura, anzi più ; poiché nella pittura, oltre al chiaro et allo scuro, che sono, per così dirlo, il rilevo visibile della scultura, vi ha ella i colori 26 GIUGNO 1612. 341 irn naturalissimi, de’ quali la scultura manca. Basta dunque che la scultura superi la pittura in quella parte di rilevo che e sottoposta al tatto. Ma sem- so plici quelli che pensano che la scultura abbia ad ingannare il tatto più che la pittura, intendendo noi per ingannare V operar sì che il senso da ingan¬ narsi reputi quella cosa non quale elV è, ma quella che imitar si volle ! Ora chi crederà che uno, toccando una statua, si creda che quella sia un uomo vivo? Certo nessuno: et è ben ridotto a cattivo partito quello scultore, che non avendo saputo ingannar la vista, ricorre a voler mostrare V eccellenza sua col voler ingannare il tatto, non si accorgendo che non solamente è sottoposto a tal sentimento il rilevato c il depresso (che sono il rilevo della statua), ma ancora il molle e il duro, il caldo c ’l freddo, il delicato e V aspro, il grave e : l leggiero, tutti indizi dell’ inganno della statua. 40 Non ha la statua il rilevo per esser larga, lunga e profonda, ma per esser dove chiara e dove scura. Et avvertasi, per prova di ciò, che delle tre di¬ mensioni, due sole sono sottoposte alVocchio, cioè lunghezza e larghezza (che e la superficie, la quale da’ Greci fu detta epifania, cioè periferia o cir¬ conferenza), perchè delle cose che appariscono e si veggono, altro non si vede che la superficie, e la profondità non può dall’occhio esser compresa, per¬ chè la vista nostra non penetra dentro a 3 corpi opachi. Vede dunque l’oc¬ chio solamente il lungo e ’l largo, ma non già il profondo, cioè la grossezza non mai. Non essendo dunque la profondità esposta alla vista, non potremo d’una statua comprender altro che la lunghezza e la larghezza ; donde è so manifesto che noi non ne vegghiamo se non la superficie, la qual altro non è che larghezza e lunghezza, senza profondità. Conosciamo dunque la pro¬ fondità, non come oggetto della vista per sè et assolutamente, ma per acci¬ dente e rispetto al chiaro et allo scuro. E tutto questo è nella pittura non meno che nella scultura, dico il chiaro, lo scuro, la lunghezza e la lar¬ ghezza: ma alla scultura il chiaro e lo scuro lo dà da per sè la natura, ed alla pittura lo dà l’arte: adunque anche per questa ragione si rende più ammirabile un’ eccellente pittura di una eccellente scultura. A quello poi che dicono gli scultori, che la natura fa gli uomini di scultura e non di pittura, rispondo che ella gli fa non meno dipinti che co scolpiti, perchè élla gli scolpe e gli colora, ma che questo è a loro imper¬ fezione, e cosa che scema grandissimamente il pregio alla scultura: per¬ ciocché quanto più i mezzi, co’ quali si imita, son lontani dalle cose da imitarsi, tanto più V imitazione è maravigliosa. Era anticamente molto più Lett. 713. 48. tpifagnia — 342 26 GIUGNO 1012. [713] stimata quella sorta d'istrioni che. co ’ movimenti soli c co’ cenni sapevano recitare una intera storia o favola, che quelli che con la viva voce Vespri¬ mevano in tragedia o in commedia, per usar quelli un mezzo diversissimo et un modo di rappresentare in tutto differente dalle azioni rag)presentate Non ammireremmo noi un musico, il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d'un amante ci muovesse a compassionarlo, molto piò che se piangendo ciò facesse ? c questo, per essere il canto un mezzo non ?o solo diverso, ma contrario ad esprimere i dolori, e le lagrime et il pianto similissimo. E molto più V ammireremmo, se tacendo, col sólo strumento, con crudezze et accenti paietici musicali, ciò facesse, per esser le inanimate corde meno atte a risvegliare gli affetti occulti dell’ anima nostra, che la voce raccontandole. Per questa ragione dunque, di qual maraviglia sarà limitare la natura scultrice colTistessa scultura, r. rappresentare il rilevato collistesso rilevo? Di ninna certo, o di poca; et artificiosissima imitazione sarà quella che rappresenta il rilevo nel suo contrario, che è il guano. Maraviglim dunque, per tal rispetto, si rende più la pittura che la scultura. L’argomento poi dell’eternità non vai niente, perchè non è la scultura so che faccia eterni % marmi, ma i marmi fanno eterne le sculture; ma questo privilegio non è più suo, che d’un ruvido sasso: benché e le sculture e le pitture sìeno forse egualmente soggette a perire. Soggiungo che la scultura imita più il naturale tangibile, e la pittura più il visibile; perocché, óltre alla figura, che è comune con la scultura, la pittura aggiugne i colori, proprio oggetto della vista. Finalmente, gli scultori copiano sempre, et i pittori no; e quelli imitano le cose coni elle sono, e questi coni elle appariscono : ma perché le cose sono in un modo solo, et appariscono in infiniti, ó vien perciò sommamente ac¬ cresciuta la difficoltà pei * giugnere all eccellenza della sua arte. Di qui è che 90 sommamente più ammirabile è l’eccellenza nella pittura, che nella scultura. Tanto per ora mi sovviene potei * ella rispondere alle ragioni di cotesti fautori della scultura, partecipatemi questa mattina di ordine di V. S. dal Sr Andrea nostro. Ma io però la consiglierei a non s’inoltrar gnu con essi in questa contesa, parendomi eh’ ella stia meglio per esercizio di spi¬ rito e d’ingegno fra quei che non professino nè V una nè l’altra di queste due veramente ammirabili arti, quando in eccellenza sono praticate; poiché oramai V. S. nella propria s’è resa così degna di gloi'ia con le sue tele, quanto il nostro divino Michelagnoto co’ suoi marmi. 74. rimgliart è scritto tra le linee, sopra rajipreicntarci cho non è cancellato.— [713-715] 26 “ 29 GIUGNO 1612. 343 ioo E qui cordialissimaniente le b. I m., c la prego a continuarmi il suo amare, e Vosservazioni ancora delle macchie. Di Firenze, 26 Giugno 1612. Di V S. molt’111r Obblr 0 Ser. ri Aff." >0 Galileo Galilei. 714*. ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO in Firenze. Noma, 27 giugno 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 88. — Autografa la firma. Ill. ro Sig. r0 L’amorevolezza di V. S. è tanto grande, clie le fa giudicar necessarie certe dimostrationi, le quali non hanno altr’ obligo che quello vien prescritto loro dalla disposta sua volontà. Carissima m’ò stata la copia del Discorso che mi ha mandata, e lo leggerò con ferma opinione di trovarlo bellissimo. Intanto ne la ringratio, e le offero l’opera mia per ogni sua occasione. Co ’l qual fine auguro a V. S. vero contento. Di Roma, li 27 di Giugno 1G12. Al piacer suo io S. or Galileo Galilei. . Il Card. 10 d’Este. Fuori: AlPIll. ro Sig. oro 11 Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. 715 * PIERO DINI a GALILEO in Firenze. Roma, 29 giugno 1612. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cautpori. Autografi, B.» LXX1Y, u.° 29. — Autografa. Molto 111.° S. r mio Oss. 1 " 0 Martedì sera fui qua di ritorno da Venetia, e in quella città hebbi speranza di riveder V. S., con molto mio gusto ; ma, come avviene il più delle volte, non hebbi allora tutto quello che stavo aspettando. Ma non aspettavo già d’ esser tanto favorito, come mi trovo, dalla sua gentilissima lettera e dotto libro, il 344 29 — 30 GIUGNO 1612. [ 715 - 716 ] quale m’ ha fatto scordare in gran parte il disgusto che hebbi di non mi poter trovare con V. S. o goderla ; ma per sua gratia lo posso fare, e lo fo bora, col mezzo di questo suo libro, del quale le rendo molte gratie, pregandola a darmi occasione di servirla e a faro un baciamano al S. r Filippo Salviati. E io prego a lei intera felicità. io Di Roma, li 29 di Giugno 1612. Di V. S. molto 111.* S. r ® Afl>° S. r Galileo. P. Dini. Fuori: Al molt* 111.™ Sig. r mio Oss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 716 . GALILEO a FEDERICO CESI in Ronm. Firenze, 30 giugno 1612. Riproduciamo questa lottar», (lolla qualo non conosciamo alcuna fonta manoscritta antica, dalle Ittim memorabili ecc. (citato nell' informazione promessa al n.* 675), pag. 86-89, doro vide per la prima volta la luco. Una copia (li mano del aec. XIX ò nella Bibl. Nua. di Firenze, Mss. Gal., l’ar. VI, T. VI, car. 33-34. Ho sentito con gusto che V. E. Illustriss. rì occupi tal volta nella conteraplatione del sistema di Copernico, et non senza inclinatione all’ anteporlo al Tolemaico, e massime se con quello si potessero totalmente levar gli eccentrici e gli epicicli. (1) Circa il qual partico¬ lare, io voglio solamente rappresentare a V. E. quello che egli sa molto meglio di me, et è che noi non doviamo desiderare che la na¬ tura si accomodi a quello elio parrebbe meglio disposto et ordinato a noi, ma conviene che noi accomodiamo P intelletto nostro a quello che ella ha fatto, sicuri tale esser l’ottimo et non altro; e perchè ella si è compiaciuta di far muover le stelle erranti circa centri di- 10 versi, possiamo esser sicuri elio simile costitutione sia perfettissima et ammirabile, et clie 1’ altra sarebbe priva d’ogni eleganza, incon¬ grua e puerile. Et benché il Signor Lagalla nomini per stolti quei filosofi che veramente tenessero per veri gli eccentrici e gli epicicli, io ini contento esser riposto in tal numero, liavendo la sensata espe- Cfr. ii.® 703. 30 GIUGNO 1612. 345 L71G] rienza e la natura dal mio, più presto che negar quel che io toc¬ cherò con mano, col séguito di gente infinita. Et se per movimenti eccentrici noi intendiamo quei moti circolari che abbracciano la terra, ma si fanno circa altro centro che quel di lei, e per moti 20 epicicli quelli che si fanno in cerchi che non includon la terra ; se alcuno vorrà negare questi, converrà che neghi le revolutioni delle Stelle Medicee intorno a Giove, e le conversioni di Venero e di Mer¬ curio intorno al sole, et in conseguenza che Venere non si vegga tal’hora rotonda e tal’ bora falcata; et negando quelli, converrà dire die il vedere Marte bora vicinissimo alla terra et bora lontanissimo sia una illusione, benché ci siano i tempi determinati e previsti de i suoi appressamenti e discostamenti, li quali sono così differenti, che ci mostrano tale stella, quando è vicinissima, 60 volte maggiore che quando è remotissima. so Non son dunque chimere l’introduttioni di tali movimenti ; anzi non pur ci sono moti per cerchi eccentrici e per epicicli, ma non ce ne sono d’ altri, nò si dà stella alcuna che si muova in cerchio concentrico alla terra. Io potrei addurre a V. E. cent’ altre ragioni necessarie, se il tempo et Poccupationi infinite me lo permettessero, o se la questione n’ havesse maggior bisogno. Che poi la natura per eseguire tali movimenti babbi a bisogno di orbi solidi eccentrici et epicicli, ciò reputo io una semplice imaginatione, anzi una chimera non necessaria. Quanto alle due figure notate da V. E., dico che il Copernico si 40 serve dell’ una e dell’ altra in diverse occasioni senza considerare so¬ lidità alcuna di orbi, ma solo i semplici cerchi descritti dalle revo¬ lutioni delle stelle. Più ne haverà in breve in una lettera che scrivo, circa le contradittioni del Signor Lagalla, per il volume etc. (n Non posso essere più seco, però mi scusi ; et in difetto di non P liaver fatto altra volta, la ringratio infinitamente de i 2 volumi della Magia (2> , et mi scusi, perchè ho la testa divisa in 80 parti. Baciogli con ogni riverenza le mani, e dal Signore Dio gli prego somma felicità. Di Firenze, li SO di Giugno 1612. Lett. 716. 16-17. toccard — 32. ti muove — ( " Cfr. ».° 665. MDLX. — Della magia naturale del Sig. Gio. Batista <*> Giovanni Battista dei,i,a Pohta. De i vii • or li.a Porta Linceo Napolitano. Libri XX. In Napoli, raeoli et maraviglioti effetti dalla natura prodotti. appresso tìio. Giacomo Carlini, 1011. Liln-i 1111, In Ycnctia, appresso Lodovico Avanzi, XL 44 346 3U GIUGNO 1612. m 711**. GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Koina, 30 giugno Hi 12. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. Ili). — Àntofrara. Molto 111." et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 Io liavcva già letto o riletto il Discorso di V. S. eh’ ella m’inviò con la sua delli 4, quando me ne fu presentato un altro legato, et accompagnato da un’altra sua delli 15. Riconobbi la diligenza sua nel favorirmi, et borane le rendo molte gratie; assicurandola, che non è stato di soperchio il secondo, poichò gli ho po¬ tuti comunicare a più d* un amico, e fare a più palese non meno l’esatta et isquisita dottrina di V. S., che la cortesia verso di me. Io n’hohavuto grandis¬ simo diletto, poiché vi ho imparato molto, et affermo che la materia non si poteva trattare con più soda sottigliezza e diligenza per giungere all’individuo della verità; e certamente alcuni di questi amici si sono in su le prime oppostilo con grande ardore ad alcune determinationi ch’ella va facendo; ma in fine, vinti dalle pruove matematiche e dalle sperienze che V.S. va producendo, si sono renduti, confessando essersi da lei trovato e detto quanto si poteva. Altri hanno creduto di poter trovaro diversa ragione dello stare a galla di alcuni solidi che, più gravi in ispetie dell’ acqua, vanno a fondo ; ma fin bora non hanno recata cosa che vaglia, nè credo 1’ apporterranno. Mi fu detto che ’l Lagalla pensava di scrivere in contrario : non so se sia vero, e se vorrà acquistarsi la medesima lode che fece nello scrivere delle macchie lunari. Intanto, se gli avversari della quistione risponderanno, mi farà Y. S. spetiale favore a farmi vedere la risposta: ma panni eh’ ella habbia per modo messa la falce alla radice del dubbio, che 20 non possa germogliare di leggieri. Mi è giunta la terza lettera di V.S. delli 25 col foglio dello costitutionidelle Medicee, le quali anderò vedendo ogni sera, purché 1’ aria serena il permetta, con mio gran piacere ; e perché con la dichiaratione del moto loro, posta all’in¬ contro, ho facilmente riconosciuto di quali orbi elle sieno stelle, tanto maggior diletto ne prenderò : anzi se Giove non fosso così vicino all’ occultarsi, tenterei di formare delle costitutioni per altro tempo futuro, per avvedermi tanto più della difficoltà dell’ opera, e riconoscere lo studio di V. S. nel determinarle cosi pei appunto. Allo macchie solari sta tutta volta la mia curiosità. Da poi che hebbi la sua w prima lettera, le ho guardate più diligentemente per dodici mattino continuate, e truovo in somma esser vero, per quanto io posso comprendere, ciò clic VS. - [717-718] 30 GIUGNO 1G12. 347 n’afferma. E perchè quel elio hi la maggior maraviglia ò che si disfaccino e produchino di nuovo, parrai anche di essermi chiarito a sufficienza di questa parte, la quale o non fu conosciuta o creduta dall’ autore delle Lettere scritte al Yelsero, sicome anche eli’ elle non eschino dello spatio delli due tropici. Ma il passare più oltre nel considerare che cosa elle sieno, e quale sia la materia, e l’efficiente et il fine loro, non è cosa da esser determinata se non dall’ingegno di V. S., e di più perchè solamente in quel ricinto, et non dai lati, si truovino. do Intanto io desidererei di sapere se si possa raccoglier da altro, che dal movi¬ mento universale delle macchie, che ’l sole si muova intorno al suo centro, perchè si potria talvolta affermare che ’l suo ambiente si movesse, et [egli] stesse fermo ; o di più, so la contiguità delle macchie pervenghi al corpo solare, o pure siano esse vicine al medesimo come le nuvolo alla terra, perchè in tanta distanza pare die non si possa determinare una differenza di sì piccolo intervallo; et oltreac- ciò, se di quelle che si sono ascose nell’ occaso V. S. ha mai veduto nascerne al¬ cuna dall’ orto doppo quindici giorni, sì che dalla figura loro si potesse affermare essere quelle di prima nascostesi; e finalmente mi faccia gratia di significarmi se le macchie che si veggono nel corpo di Giove patiscili no alcuna alteratione, o 50 sieno immobili et sempre d’una forma, a guisa di quelle della luna. E mi scusi V. S. per sua bontà se troppo ardisco nel darle molestia, perchè la sua cortesia mi rende tale, senza poterle io rendere alcun merito di tanti favori ; se però ella non accetta un animo pieno di affetto, e una mente colma di stima verso la persona sua; et un desiderio singolare di servirla. E qui di cuore le bacio le mani. Di Roma, li 30 di Giugno 1612. Di V.S. molto 111™ Ecc. ma Aff.'"° Ser.™ S. r Galilei. G. Batta Agucchi. Fuori , (V altra mano : Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss.’“° Il S. r Galileo Galilei. go Fiorenza. 718**. • LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 30 giugno 1612. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, cir. 117-118. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. ,n0 Sig. r mio, Ricevetti, e già un pezzo fa, il libretto dal maestro della posta et la sua lettera, et ne ho hauto grandissimo gusto, sebene a qualche mal passo ò bisognio 348 30 QIUONO 1312. [718] del bastono del Si^. r Luca Valerio. Il Sig. r Marcese n ò fuori di Roma, nò per an¬ cora so quando si torni; et il Sig. r Luca s’ò imitato di casa et molto lontano nò so ancora la casa: però mi è di qualche dificultà a trovarlo, massimo esondo 10 da molta fretta impedito. Quanto olla dice della sua oppiidone intorno allo machie del sole, mi quieta quanto allo apparenze sensato totalmente; resta solo la dificultà, se si può am¬ metterò che lassù si faccia e disfaccia : però sto con molto desiderio aspettando io 11 suo discorso intorno acciò promessoci ; del quale mi basta scriva a chi lo manda no possa pigliar copia, se sarà scritta a mano; ina so ò in stampa, mi favori¬ scila come del’altro. Il Pasigniano, lumino molto di sua oppimene, à sentito da non so chi questa sua ; et l’altra sera me la diceva, che lo avete chiaro, tenendo ancora duro la sua, et che non guarda più sole, ma che attende ai movimenti delle stelle, et che vede visibilmente che la terra si move in 24 ore, et d’altro moto che fa la state o ’l verno, et il sole sta fermo: dove li soggiunsi che V. S. dico che si rivolgie in sè stesso ancora lui ; dove egli se ne rise, et io ancora delle sue sentenzio così dintornate e risolute, senza mai dire altro che lo cose eh’egli io sente da il Signior Lucha o '1 Padre Gambergier, o lo volo lucidare, o lo storpia, che ò cosa ridicola, et che si fa fare uno ochiale a Venezia, elio sarà lungho tre braccia, con il quale spera da avere a vedere e speculare cose minimissime et nella luna e nel cielo. V. S. desidera delle machie del sole. Io non ò fatto di poi, da che osservai quella gran macliia in qua, rincontra, come ella scrisse, con lo sue*; et perchè di quelle nc avevo fatte avanti tre ligure, le mando nella inclusa a V. S., corno segue. La domenica adì 20 di Aprilo, a ore 22. Adì 30, ore 14. Adì primo di Maggio, oro 22. Nelle quali machie ci ho una dificultà: che V. S. nella lettera al Sig. r Marchese dice che il sole, so ben mi ricordo, le porta da ponente verso levante, et a me mi pare in contrario, cioè che le comincino sempre dalla parte A, et si vadino acostando so sempre verso la parte B, che è verso ponente. I disegni si rincontrono e camminano Lott. 718. 9. alla appartate — ,l ' l'suBRico Guai. 30 GIUGNO 1612. 340 [718-719] sempre verso la parte B; ma cozzo nella parola: però se per lettera mi può fare capace, lo desidero, come acostandosi verso la parte B s’à da intendere. Le tre os¬ servazioni di tre dì avanti alle sue mandate al Sig. r Marchese, sono queste seguenti, Questa ò dove cominciono le sue. Giovedì adì 3, a ore 22. Il dì 6, ore 18 ; et il giorno avanti, quasi lo istesso. Questi due la vede con lo sue la diferenza; ma, come ò detto, sono fatte così a ocliio. delle quali solo notai quella gran machia, per seguitarla fino al fine, per vedere che esito faceva, senza molta oservanza di quelle sparso. Le seguenti 10 sono fatte da Cosiinino maggiori e più giuste, ma porche e massicce. Mi favoriscila di baciar le mani al Sig. r Filippio, al Sig. r Giraldi ( *\ et tutti •io cotesti Signori e patroni ; et allei cor ogni affetto le bacio le mani, et Dio le dia sanità lungha et si immortali. Di Roma, questo dì 30 di Giugnio 1012. Di V. S. molto 111. 10 et Ece. l,m Aff. mo Ser.™ Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto Ill. ra et Ecc."'° Sig. r mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 719 . GIO. FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 30 giugno 1612. Bibl. Nnz. Pii-. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 18-20.— Autografo lo liu. 46-60. Molt’Ill.® et Ecc. mo Sig. r Io rendo infinite gratie a V. S. Ecc. ma delle costitutioni dei Pianeti Mediceli, che si è compiacciuta mandarmi, delle quali ne farò parte all* Ill. mo Mula 00 , et a qualche altro amico, sì come feci anco V altra volta. Io sto con gran deside¬ ri Quest’altre osserva/.ioni, cho forse orano su di un foglio incluso, oggi uiaueano. (*) Filippo Salviati o Iacopo Gikaldi. (*) Agostino da. Mula- 350 30 U1UONO 1612. [719] rio attendendo la sua instrutiono circa la vista, et mi sarà caro clic ella non si scordi scrivermi il suo parere sopra il libro intitolato De radiis visus et lucis dell’arcivescovo ili Spalatro *\ il quale a carte 15 confuta con assai famiglia- rità la mia oppinione elio gli communicai, cioè elio la vista si faccia dentro dei- rocchio per le refrattioni che fanno le spetta passando per 1’ humore cristallo Et so V. S. Ecc. nm si compiacerà farmi altri* instanze più fondate di quelle del-io 1* arcivescovo, lo riceverò a gran favore, perchè io sono assai affissato in questa oppinione, la quale quando sia falsa desidero lasciarla, illuminato da quelle istesse ragioni per le quali ella, che bene intende tutte le cose, non volesse approvarla. Il Padre Maestro Paulo ha molto sobriamente discorso meco in questo propo¬ sito, et solo mi ha detto non farsi, per suo giuditio, la vista di questa maniera; ma le sue et le mie occupationi hanno sempre impedito il discorrere seco da nuovo in questa materia. L’ Ill. mo Mula è distrato molto dai publici negotii, dalla cura famigliare, et da qualche altro affetto che lo invita ad altri pensieri: tuttavia egli, sin da principio che arrivai in questa città, mi fece vedere un numero grandissimo di so tavolette di legno intagliate con diverse dimostrationi, che dovevano servire per un suo trattato, scritto di propria inano, in foglio, do forse loo carte; ma non mi volle permettere che leggessi alcuna cosa, con tutto che mostrasse gran de¬ siderio de conferire meco i suoi pensieri, per levarsi de alcuni minimi scropuli, che, corno esso disse, gli restavano per dimostrare compitamente tutta la sienza della vista, la quale era ex opposito contraria a quello che fin bora si trovava scritto da Vitellone ot altri. Gli dissi il mio pensiero, et more solito non volse intendere altro, affermandomi eli* il mio pensiero era falso. Ma doppo tre mesi, havendomi egli communicati in secretezza i fondamenti della sua dottrina, non mi seppe negare che alli tre modi con li quali egli me baveva dotto fare la vista, so non si potesse aggionger anco il mio per quarto : et da quell* hora iu qua non ha più tenuto meco proposito in questa materia, ancorché avanti mi stimolasse essere seco per mostrarmi il suo libro. diurni delle cose intese nè da lui nò da altri mi fanno dubbio sopra la mia speculatione, et sto aspettando solo quella de V. S., la quale è stata eletta da me per giudice inapellabile di questa causa. 11 S. r Mula fu al Santo et mi riferì haver veduto uno stromento dal S. r Santorio col quale se misurava il frodo et il caldo col compasso, et final- mente mi communicò questo essere una gran bozza di vetro con un colo lungo, onde subito me sono dato a fabricarne de molto esquisiti et bolli. Gl’ordinarli W Lott. 719. 13. I.’amanuense arerà scritto r •olU, n cui il Sfatino aggiunse ut. — 1,1 n, ° ”01. ricorrenza dolln festa di S. Antonio (13 giugno). Cioè, alla fiera che si tiene in Fiderà nella i*> Santuhkk Sartorio. [719-720] 30 GIUGNO — 4 luglio 1612. 851 li faccio con spesa di £ 4 1’ uno, cioè una inghistara, un’ ampoletta et un siono de vetro ; et la mia fattura è tanta, che in un’ hora ne accommodo fin dieci. II più bello che ho fatto è stato lavorato alla lume, et è della grandezza et dise¬ gno qui ocluso in tutte le sue parti (,) . Aspetto intendere eh’ ella liabbia fatto mirabilia magna. Bacci tra i miei vetri ha cernito questi tre, che le mando per buoni. Duo di sei quarte incirca sono del mio pover huomo t5) , et l’altro di otto è di Bacci, il quale mi ha promesso darmene un buono di 4 1 /a , ma poi mi ha mancato. Se quest’altra settimana egli mancherà, ne manderò uno delli miei due, che mi 50 trovo a quella misura. La Diagnia (3) nel mio ritorno fu comperata da me a Milano, et letta in car¬ rozza come solennissima bufoneria, giudicata da me in tutto indegna di rispo¬ sta. Se liaverò tempo da perdere, leggerò anco quell’altro libretto del Lagnila Ck) et di quel Martino Non posso esser più lungo : lo buccio la mano. In V.% a 30 Giugno 1612. Di V. S. Ecc. Tutto suo G. F. Sag. Fuori: All’ Ill. ro Sig. or Hon. mo Il S. r Galileo Galilei, Filosofo et Mathem. co di S. Alt. a oo con uno scatolino. Firenze. 720 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. v Monticelli, 4 luglio 1612. Bibl. Nciz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 121. - Autografa. Molt’Ill. 1 ' 0 et molto Ecc. t0 Sig. r Oss. n '° Particolar contento m’ha apportato la sua, per esser stato molti giorni senza nuova di V. S. Del soggetto w che mi propone, devo grandemente ringratiarla, conoscendo et ammirando l’ingegno, il valore, le qualità, che d’ esso assai mi basta un cenno di V. S. Per la seguente scriverò come potrà compirmi la gratia di effettuar questo acquisto. In Germania mi vien proposto da questi Lincei Ger- 49-50. che mi trova — O) Manca oggi nei Mss. Galileiani. < s > Cfr. n.® 687. G) Intendi, la Aiàvcna dol Sizzi. Cfr. Voi. Ili, Par. I, png. 129 e seg. <•) Finirò Sa lviati. 362 4 — 6 LUGLIO 1612. [720-721] inani (,) il S. r Velsero istesso. V. S. sa di quanto morto egli sia, et oltre le lettere proprie ù in quelle parti mecenate de’ letterati. Non mi movo senza il parer di V.S Passo ad un altro mio particolare, che volo la strettezza, ch’io ho seco, le arisi. Questi miei maggiori di cuna hanno per le mani trattato di darmi moglie, io La persona è la primogenita del S. r Duca Sforza; forse seguirà, ch’io per la parte mia mi ci sono mostro inclinatissimo, et solo per esser maggiormente ser¬ vitore dichiarato di S. A., al quale, per esser la casa mia risorta per beneficio della sua, mi trovo nato tale, e conti rinato per propria inclinatione et dedica¬ tone et puramente, per non h&ver la mia casa nè io attacco con Francia o Spa¬ gna. La persona io non ho veduto, se bone so esser proportionatissima. Di gran dote, per il rispetto aopradetto, io non ho fatto caso: et già sarebbe seguito,so i miei, postisi in questo ad un conveniente segno, secondo il secol d’hoggi, non havessero un poco ditlicultato. Si negotia a- -ai, et io vado facilitando, chò non mi lece far meno caso de’ maggiori et finirla subito. 20 M’ò parso dovere, V.S. no sia consapevole, et possa anco favorirmi di con¬ seguo, chè poi l’avisarò quanto pav-a. Non mi stenderò bora più a lungo. Bacio a V.S. le mani, salutandola ili core. Di Monticelli, li 4 di Luglio 1612. Di V. S. molto III.™ et molto Kce. ,a All'.® 0 per Ber. 1 * sempre Fed. co Cesi, Mar/ 0 di Moni 11 Fuori: Al molt' IH.™ et molto Koc. u Sig. r Usa. 1 " 0 11 Sig. p Galileo Galilei. Fiorenza. * 721 **. LUIGI CAPPONI a GALILEO in Firenze. Roma, lì luglio 1012. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 92. — Autografa la Armo. 111.™ e molto Ecc. t0 Sig.™ Ilo ricevuto, con la sua de’ 25 del passato, il libretto di V. S., che m’ha tro¬ vato appunto ne’medicamenti che io piglio d'alcune acque di Lucca: non nn Lett. 720. 7-8. leder* propria — Krauo Giovassi Kckio ili Dorenter, Ilio- Bamberga o TloriLo MUixek di liordsfeld. vaski Teurkszio di Costanza, Giovassi Fab«r di 6 LUGLIO 1612. 353 [721-722] sono potuto non di meno contenere di non ne bavere visto e sentito leggere qualcosa ; dove io ho riconosciuta la sua singolare et esquisita maniera di trat¬ tare simili materie di matematica con quella chiareza che pare quasi impossi¬ bile a potersi adattare alle sue sottili demostrationi. La ringratio però infinita¬ mente che m* habbia voluto lionorare in questa occasione, e darmi gusto che io veda trattato, come V. S. lo chiama, sterile da per sè, così arrichito dall’ inge- ìo gno suo, che per me lo chiamerei sempre abondantissimo. Con qual fine me le offero di core. Di Roma, il di 6 di Luglio 1612. Di V. S. Come fratello Afi>° (1) S. Galileo Galilei. 11 Card. 1 Capponi. Fuori: All’111.” 5 e molto Ecc. t0 Sig. ro 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 722 *. FRANCESCO MARIA DEL MONTE a GALILEO in Firenzo. Roma, G luglio 1612. Bibl.Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 90. — Autografa la sottoscrizioue. 111. Sig. or Ilo letto con avidità il Discorso mandatomi ultimamente da V. S., e ne ho havuto grandissimo gusto, sì per la dottrina di che tutto è pieno, come per molte belle esperienze che vi sono sparse, et che a me erano ignote. In somma è opera degna dell’ ingegno di V. S. Io la ringratio di questo dono, il quale stimo anco particolarmente per 1’ amorevolezza eh’ ella mi conserva. Et offerendomele in ogni sua occorrenza, di core la saluto. Di Roma, a’6 di Luglio 1612. Di V. S. I. Come fratello io S. or Galileo Galilei. Il Card. 1 ® Dal Monto. Fuori : All’ 111. Sig. or Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. I') Aff .»» ò aggiunto di mano dol Capponi. 7 LUGLIO 1G12. 354 1728 J 723 . CARLO CONTI a GALILEO in Firenze, li uni a, 7 luglio 1612. Bibl. Naz. Plr. Msi. Gal., I*. I, T. XIV, car. 94. — Autografi il poteri Ito • la firma. 111. 1 ’ 0 et molto Ecc.‘* Sig. r# Lo questione mosse da V. S. nel suo libro sono molto bello et curiose, fon¬ dato in assai ferme ragione et esperienze certe : però, conio sono le cose nove, non vi raancaranno impugnatovi, quali spero serviranno solo a fare più chiaro l’ingegno di V. S., et la ferità più certa. In quanto poi a quello che me rechiedo, se la Scrittura Sacra favorisca a’principii do Aristotele intorno la constitutione dell’universo ; se V. S. parla dell’incorruttibilità dei cielo, come pure clic accenni nella sua, dicendo scoprirse ogni giorno novo cose nel ciclo, lo respondo non essere dubbio alcuno che la Scrittura non favorisce ad Aristotele, anzi più tosto alla sentenza contraria, sì io che fu comune opinione de’Padri che il cielo fosso corruttibile. So poi queste cose che di nuovo si scorgono in ciolo, dimostrino questa corruttibilità, ricerca longa consideratione, sì perche il cielo essendo da noi sì distante, ò difficile af- fermare di lui cosa di certo senza lunghe osservatione, sì anco perchò se è cor¬ ruttibile, bisogna babbi determinate cause di queste mutatione, quale a certi et determinati tempi si debbino vedere, nò salvare si posa ino senza che il cielo pa¬ tisca corruttione, come facilmente alcuni pentiranno potersi salvare le macchio elio si vedono nel sole con il moto de alcune stelle che sotto de lui se aggirino. Queste ragiono, et altre molte, penso siino state ila V. S. molto ben considerato et «esaminate; et però aspetto haver da lei più longa dechiarationo delle sue so osservatione et ragiono. Quanto poi al moto della terra et del sole, si trova che de due moti della terra puoi essere questione: l’uno de'quali ò retto, et lassi dalla mutatione del centro della gravità; et chi ponesse tal moto, non dirrebbe cosa alcuna contro la Scrittura, perchò questo ò moto accidentario alla terra: et così la notò Lorino sopra il primo recto (sic) dell’Ecclesiastico (sic) ' . L’altro moto ò circolare, siche il cielo stii fermo et a noi appare moversi per il moto della terra, come a’na¬ viganti appare moversi il lido; et questa fu opinione di Pitagorici, seguitata poi dal Copernico, dal Calcagnino et altri, et questa pare meno conformo alla Lett. 729. 2V. dal Copernici« — ''' Cfr - Ioann ' 9 ko'ux» Areuionenais, Sociotati* tibus Morati! Cartoli, 1C06, pag. 27, al cap. I, ws.4 esu. ommentaìiiin LcclteìaUen, ecc. LugJuni, sump- « terra autem iu aetornum stnt ». 7 LUGLIO 1612. 355 [723-724] so Scrittura : perchè, se Lene quei luoghi dove se dice che la terra stii stabile et ferma, si possono intendere della perpetuità della terra, come notò Lorino nel luogo citato, nondimeno dove si dice che il sole giri et i cieli si movono, non puole bavere altra interpretatione la Scrittura, se non che parli conforme al cornun modo del volgo; il qual modo d’interpretare, senza gran necessità non non si deve ammetterò. Nondimeno Diego Stunica (l) , sopra il nono capo di Giob, al versetto 6°, dice essere più conforme alla Scrittura moversi la terra, ancor che comunemente la sua interpretatione non sia seguita. Che è quello si è potu[to] trovare fin bora in questo proposito ; se bene quando V. S. desideri di bavere altra chiarezza d’altri luoghi della Scrittura, me lo avisi, che gli lo mandarò. 40 Et quanto a quelle macchie negre che V. S. vede nel sole, ho voluto man¬ darle copia 10 di quanto si trova scritto in un libro non comune, dal quale si ri¬ cava che sono stelle che lo girano. Et rengratiando V. S. della parte che ha voluto danne de questa sua nobile fatiga, fo line, et me le raccomando di cuore. Di Roma, li 7 di Luglio 1612. Mio fratello (,) è a Parma, et presto doverà esser a Roma, et gli farò parto del libro, che, come parto del suo ingegno et dottrina, gli apportarà molto gusto. Al piacere di V. S. S. r Galileo Galilei. Il Car.i Conti. so Fuori : All’ Ill. ro et molto Ecc. 10 Sig. r0 11 S. or Galileo Galilei. Firenze. 724 . GIO. FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 7 luglio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VIIT, cnr. 123. - Autografo lo Un. 33-80. Molt’ 111.® et Ecc. mo S. r Io credo che quando si volesse stare sopra il rigore dello statuto, saressimo ambedue incorsi nella pena 10 , perchè, se non mi inganno, habbiamo uno et l’altro Didaoi a Stunica Sftlmaticonsis Eroinitae Angustiuiani In foli Commentarla. Romae, apud Fran- ciscum Zannottum, M.D. XCI, pag. 110-141. < 2 > Non ò ora allogata alla lettera. t 1 '! Conte Conti, Duca di Poli. <»> Cfr. n.o 687, lin. 12. 356 7 LUGLIO 1612. [ 724 ] trascorsa una settimana senza scriverai ; però oonriend usare per questa prima voi Li demenza, con espressa leggo di radoppiare per l’avenire la pena al tran- sgres8ore. Mandai la settimana passata a V. S. Ecc “• tre vetri, et le diedi conto an¬ cora di certo etromonto per misurare il caldo Moggi io pensava poterle in¬ viare un paro di vetri del nostro Baci ; ma l’asinaccio con iscusationi di non bavere cosa degna di lei, mi ha portato avanti tre settimane, et levata quasi io la speranza di essere servito la quarta. I«o mando il trattato dell’Arcivescovo di Spai atro ”, et prima le haverei man¬ dato se havessi creduto clic da altra parto ella, 8Ìn da principio che fu stam¬ pato, non lo ha vesso ricevuto. Con questa occasione ho comprato il libretto del Keplero, quello di Martino Orchi et di Giulio Cesare Ia Gala li \ per leggerli quanto prima potrò; ma con maggior desiderio io sto aspettando l’instrutione di V.S.Ecc.”», della quale, o non di altri, voglio essere scolare, per assicurarmi di apprendere buona dottrina. Quanto a quello che ella mi scrivo de i raggi visivi et delle spetie, io non so trattare della differenza tra loro, poiché io non credo che vi siano raggi vi -20 sivi, nò per ancora io comprendo conio questi siano necessarii per vedere; ma sì come il suono nelle nostre orochio si fa per la percussione causata dall’aere nel timpano, senza cho da esso timpano parti co a alcuna, così credo che suc¬ ceda nell'occhio. Et circa a quello che mi scrivo della inversione delle macchio del sole, cho si vedono nella carta, io non inetto dubio che 1* istesso non occorri nell’occhio, il quale, per essere avezzo ad aprendere tutte lo spetie roverscie, lo giudica dirite. Spontino 1 già una settimana si trova nel mio casino, con dui lavoranti, per farmi certe bizarie, et con tutto ciò non mi assicuro cho lo fornisca, per¬ chè lavora mal volentieri. Nondimeno gli ho proposto il partito scrittomi da so V. S. Eco.”* ; ma egli, veduto l’invito por lavorar, assolutamente ha refiutato ogni guadagno. Un’altra settimana sarò più lungo; et li baccio la mano. In V.» a’7 Luglio 1612. Di V. S. Ecc.”» Tutto suo S. r Galileo. G. F. Sagi Fuori : All’ IH." Sig. T S. r Oss L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei, Filosofo et M&them."» di Sua Alt.* con un libretto. Firenze. <*» Cfr. n.» 719. <*» Cfr. n.» 701. <» Cfr. n.» 719, llu. Ù3-54. «*) Cfr. n.» 788. [726-726] 7 — 8 LUGLIO 1612. 357 725 **. FEDERICO CESI a GIOVANNI FABER [in Roma]. S. Polo, 7 luglio 1(312. Arcli. doli’ Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giorauni Fabor. Filza 423, car. 69. — Autografa la sottoscrizione. Dottissimo Sig. r Fratello Carissimo, Ilo visto con molto gusto la lettera del S. r0 Volsero; et, perchè fra quattro o cinque giorni tornarò in Roma, et potremo sopr’essa discorrer assieme, V. S. trattenga la rispo¬ sta, già elio pò anco farlo, non ricercandola la lettera così subito. Il S. r Galilei resta consolatissimo del sito per il Liceo di Napoli, et ci propone un soggetto nobilissimo et dottissimo in Fiorenza, che è il S. r Filippo Salviati, del quale discorreremo et anco d’altre cose che scrivo il S. r Porta di Napoli, quale veramente ò troppo prolifico. Io, per porre quanto prima in chiaro tutto il modo di governarci et le cose d’osser- 10 varai, qui non ho atteso ad altro che al Linceografo, et ne ho già compita la terza parte. Il S. r Galilei voi che stampiamo in Roma le lotterò et discorsi scritti al S. r Velsoro, dando principio al volume epistolico delle novità celesti <*>, di maniera che bisogna che pensiamo che ci porremo noi del nostro, et che scriviamo qualche cosa.... 726 **. GIULIO CESARE IAGALLA a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 luglio 1612. Dilli. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 125-127. — Autografa. Molto Ul. ro et Ecc. mo S. r mio Padron Oss. mo La cortesissima di V. S. molto 111.” ho ricevuta molti di sono, assieme col libro, o mi scusi di cossi tarda risposta per occasione de indispositione et anche per avidità di legere il libro, ben che picciolo di mole, grande però di momento, a guisa do’ gravi in specie, e per ciò di non cossi presta digestione, quantunque felicissimamento sia stata da V. S. masticata e facilitata alla intelligenza ogni difficoltà. Ringratio V. S. infinitamente, sì perchè mi tien vivo nella sua memoria, cosa da me tanto stimata, sì anche per bavere inparato tanto dal suo dottissimo trattato; intorno al quale per bora dirò confusamente alcuna cosa, quantunque io mi riserbi il luogho di altra scrittura, più consideratamente fatta. *‘l Cfr. u.° 705. Gfr. u.° 665. 358 8 LUGLIO 1612. [7261 Che le coso che vanno al fondo, hnbiano tal moto dalla magior graveza in specie rispetto al raezo nel qual si moveno, e questa sia la causa immediata del descendere e non altra, lo ho per verità irrefragabile; ma ritrovo che Aristotele ha scrito l'istesao, nell 1 ultima somma, nel capitolo 2 del 4 del Cielo, da V S ben considerato n , cioè nel testo 28, 29 et 30 : nel qual concimale che le cose o misti che han predominio di terra, vanno sempre a fondo nelle acque, e quelle che han predominio d’aria soprastanno nell’acque, coinè anche quelle che hanno predominio d’acqua si affondano nell’aria, o per dir meglio vanno in giù. Dalla qual doctrina si scioglie la prima questione, occasione del tractato, ciò è perchè il giaccio vadi a galla nell’ acqua : e la causa é, perchè nell’acqua non va a 20 fondo l’altra acqua, essendo di equal gravità, tal che il giaccio, essendo acqua, benché congelata, non andarà a fondo. Nè stimo sopra a ciò la risposta d’alcuni, che questo venghi dalla mistione di exalatione, perché ciò saria causa di gravità, essendo la exalatione terrestre e però mista, causando gravità, corno si vede in tutti minerali, et in particolare nel piombo. Quanto al resto, che la figura non sia causa di far stare a galla, stimo vero tutto quanto V.S. scrive, e credo sia mento d’Aristotele, quantunque pare che afììrme il contrario nel 4 del Cielo, al capitolo ultimo. E che questo sia vero, lo racoglio dalle parolo d’Aristotele da V.S. citate 1 ”, dove dice elio le ligure non Bori causa di moto sìnpliciter, ciò è assolutamente, al’in giù o vero al’in su, ma30 ben di più veloce o più tardo, le quali pardo manifestamente escludono questa conseguenza, ciò è che per alcuna figura restino lo cose gravi di andar al fondo ; poiché so le figure non son causa do levitare o staro a galla, che è i’istesso, come Aristotele qui dice, talché le figure non son causa de inpedire che le cose gravi in spetio non vadino al fondo ; e benché Aristotele par che dichi contra, assignando la latitudine o figura piatta causa al ferro o piombo di non discen¬ dere, tutta volta credo non dica questo esser causa principale, ma accessoria. E che sia ciò vero, lo racolgo da questo, ciò è che presupposto siano doi corpi de la stessa gravità in specie, ina pochissimo gravi di gravità assoluta, messi in una bona quantità d’ acqua, se saranno di diversa figura, quello che sarà di ligula w largha si tuffarà più difficilmente, e quello di figura stretta più facilmente; o tutto ciò, perchè la figura piana divide meno la superficie dell’acqua, la quale, benché di corpo humido o cedente, tutta volta ò di corpo continuo e che resiste al men grave, e quello di figura più stretta divide più facilmente il continuo de l’acqua, in modo che, sommerso, sempre vion più aiutato dalla gravità del’ acqua che lo sommerge e lo manda al’ in giù, conio le cose che vanno a galla sempre venghono aiutate dalle parti più gravi di essa acqua, che non solo resistono, ma sospingono al’insù, come da V.S. dottissimamente vien dimostrato: tal che giudico Topi- Cfr. Voi. IV, pag, 12 Ur. Voi. IV, pag. 125 8—11 LUGLIO 1612. 359 [726-727] nione di V. S. molto Ill. ra et Ecc. n,a non discordar dalla verità nè da Aristotele, 60 se però malamente non ho inteso la mente di Y.S. riavrò sommamente caro in¬ tender la solutione dell’ argumenti d’Aristotele, nei quali prova la legiereza come qualità positiva nelli elementi e toglie la pulsione, o la confirmatione della po¬ sinone de li antichi. 11 S. r Marchese Cesis non è in Roma, che sta a diporto in un suo castello 10 , quando verrà, sarò favorito del discorso di V. S. sopra le machie solari. Deve ogni uno haver obligho a V.S., che dà occasione de sollevarsi alla cognitiono del vero, sin bora inaccessa per l’inpedimento della assentatone o viltà. Mi per¬ doni della lunglieza e della inala scrittura. Del resto io li vivo devotissimo et osservantissimo servitore, et la pregilo favorirmi dell’ombra di cotesta Serenis- co sima Casa, e, se possibil sia, mettermi in numero de i servitori da farsi per 1 »ni.™ e Serenissimo S. 1 ' Cardinal futuro: il che tutto rimetto alla sua genti- leza e prudenza, riavendo ragionato con il S. r Cardinal Capponi del libro di Y. S., del quale era stato io favorito, me ne fe’ richiesta, come è curioso questo Signore de lettere; ma havendoglielo portato, trovai che V.S. mi haveva prevenuto 11 Discorso sullo Galleggianti. (M Non sono ora allogate alla lettera. XI. 362 14 — 15 LUGLIO 1612, [729-780] Ò letto il libretto mandatomi, tre volte, tanto mi è piaciuto ; solo arei biso- gnio, a quelle dimostrazioni geometriche, del Sig. r Luca; ma gli [è] tanto stra¬ vagante diventato, che se ne può far poco capitale : sebene gli è tanto detto aperto per il reato, che in ogni modo ai intende. Mi sono innamorato della arguta risposta del Sig. r Filippo Salviati, al quale farete) umilissima reverenza. Mi ero scordato di dire che le machie sono cavate dal’ochiale così dentro la stanza: però credo tutte vanghino da rovescio. Si fa¬ ranno in un cerchio simile al so suo, delle sue mandateci. Non ò visto il Padre Gara- berghiera, perchè torno ogni sera a [....] quattro ore; attale clic non li ò da dir niente del parere di questi. Il Sig. r Domenico Passigniani ò in valigia, 8Ì perchè la non gi i\ dato risposta alla sua, come audio della diversità della sua risoluzione delle machie del sole; atteso che egli è huomo molto amico di sua oppinione, et ne dice alle volte di quelle elio mi fa ridere solennemente. Quanto al modo da tenersi nel ritrarre le machie, di lei non ò auto lettere, ma bene dal Coccapani 0) , che dice per una sua che così facevi; però mi svisi: oltre che, lo occhiale non ò molto esquisito; ma vedrò, come posso, di far io. Circha al viaggio delle machie, ò inteso, et la ringrazio. Nel resto sto con molto desiderio aspettando, et in tanto godo le passate scrit¬ ture; et al ritorno del Sig. r Marchese vedrò di essere insieme per sentire la let¬ tera, et intanto si ricordi della altra, et Dio le dia forza e vita di farne molte e grandi, come spero. Et baciandoli le mani, le prego da Dio ogni contento. Di Roma, questo dì 14 di Luglio 1612. Di V.S. molto 111."* et Ecol."* Umilissimo Servitore Lodovico Cigoli. 730 *. ARTURO PANNOCCHIESCHI D'ELCI a MARIA MADDALENA D’AUSTRIA [in Firenze]. Pisa, 16 luglio 1013. Cfr. Voi. IV, p*g. 147. 26. per il reio - 46. li ricordi della altra, et dilla altra it Dio - 47. e frati — •*' Giano*DO OoCCAfAXl. [731] 363 21 LUGLIO 1612. 731 *. DANIELLO ANTONINI a [GALILEO in Firenze]. Bruxelles, 21 luglio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 132-181. — Autografa. Molto 111.” Sig. r mio Col." 10 Se io volessi esprimer il gusto che dalla lettera di V. S. de’ 16 di Giugno ho hauto, converebbcmi senza dubbio spender tutto il foglio, et poi anco so che sarei stato scarso nel dire: per tanto non m’affaticarò mostrarglielo, spetialmento potendo con una sola parola darglielo a considerare, cioè che m’è stata nuova la osservation delle macchie solari; hor pensi V. S. se n’ho hauto gusto liaver anco in nello stesso tempo la maniera di osservarle et notarle così essattamente, oltre poi la lettura del sotilis3Ìmo suo Discorso et della lettera al Valsero. Co¬ minciai, subito doppo Lauta la lettera di V. S., a dipinger il sole, ma non ho po¬ lo tute far le osservationi continuate, per le nugole nostrane, tanto comuni in questi paesi d’ogni staggionc. Le mando dunque questi pochi ritratti °\ ne’ quali vera¬ mente non mi son curato di tanta essattezza nel color delle macchie: ho ben usata diligenza in porle giusto ne’loro siti, tanto rispetto 1’una al’altra, quanto ri¬ spetto alla circonferenza. Continuerò osservandole quest’ altra settimana. Per tanto prego V. S. mandarmene4 over 5 d’oggi in poi, chè son curioso anch’io di veder se fano paralasse; ma non le mandi già in Fiandra, perchè hoggi a otto credo che sarò partito di qui per Italia. Per tanto potrà V. S. favorirmi mandarle a Udine, chè le ritrovarò là senza dubbio, s’altro non m’obsta. In quanto alla speculatione che V. S. mi dà della figura che sopra la carta 20 si inverte et non sopra l’occhio, a me non pare che perciò ne segua che siano diversi quo’ raggi eh’ apportan le ’mmagini da quegli co’ quali si fa la vista. Et prima, io nego che quelle immagini che s’invertono sopra la carta non s’inven¬ tali anco sopra l’occhio. Et che sia vero, inmaginisi V. S. che l’occhiale sia fermo verso qualche oggeto grande : so V. S. vorà scoprire una parte di quello oggetto più bassa, lasciando fermo 1’ occhiale, non alzerà ella 1’ occhio ? et se ne vorà •scoprire una a man dritta, non metterà ella l’occhio più a man sinistra? Questa mi pare che non sia altro che inversione : et che sia la inversione a questa ma¬ niera, è chiaro, perchè, per esempio, col mio occhiale io non posso veder in una volta più che la quarta parte del diametro della luna, et in questa osservatione 30 m’apporta sopra la carta tutta la faccia del sole, et ancora c’ avanza qualche Non souo presentomouto allegati alla lettor» 364 21 LUGLIO 1012. [ 731 ] spacio allo ’ntorno. Mi si potrebbe rispondere, che almeno quella parte che v giamo con 1’ occhio, non dovrebbe invertersi. Al olio io dico che forse così è ma non ò parte sensibile nella distanza che notiamo sopra la carta le immagini Hora il considerare dove si faccia questa inversione m’apportò qualche fastidio, perchè suponevo che il vetro concavo fosse entro la distanza del concorso de’raggi del convesso ; et il concavo per sé tantum abrst che inverta, che separa et alarga i raggi: ma ho poi trovato che il mio RUposito in due maniere era falso: cioè che il concavo si collocasse entro la distanza del punto del concorso, o delti punti del concorso ; l’altra, che se non eran concorsi lino al concavo, elio poi il concavo li separasse et non li lasciasse ooncorore: le quali falsità nella inclusa figuralo credo potrò mostrarle. Sia il canone A, et la parte c in q. Così tengo per fermo che infiniti raggi, che più al largo cadono sopra il convesso, s’invertano et non vengano a cadere sopra il concavo, come i raggi ag, bh, che concorendo w in i s’invertono et vano a cadere in tt, .r, et di qui venga quello splendore quasi irremediabile che veggiamo ne’ cannoni. Alla altra fallacia, i raggi gr, hs, che non s invertono o non concorono nel canone, può ben esser elio concorano luori del concavo, ma che se, per essempio, non vi fosse il concavo concoressero in o, et col concavo concorano in t, et cosi i due raggi che da’ punti y, Jc procedessero, andassero a concorer in e: et di qui viene che quanto (più] lontano dal concavo mettiam 1 occhio, tanto meno quantità doli' oggetto veggiamo. 21 LUGLIO 1612. 365 [ 731 - 732 ] In questa maniera pare a me che camini il negotio, rimetendomi alla sen¬ tenza di V. S., se però mi parerà meglio di questa, cliè non vuo’ promettere quello co che al sicuro non potrei atendere. Se questa mia speculatone è vera, ne segue che le parti del’ oggetto, spetiamente le medie, rapresentate sopra la carta, hab- bino minor proportione al tutto di quello che liano in effetto ; et di qui ne se¬ guirà forse che le macchie del sole si moverano, o parerai! moversi, più tardo nel mezzo che vicine alla circonferenza, il che dovrebbe esser tutto al’oposito, quando servassero la istessa proportione. Non starò più a thediarla, ma ringratiandola senza fine del favor fattomi, pregare Dio che le conceda sanità, acciò che, novo Ercole nelle cose di natura, possa finir di spegner tutte le peripatetiche mostruosità che per quella scorrono. Le baccio le mani. 70 Di Brusselles, il dì 21 Luglio 1G12. Forse forse non passerà molto che potrei esser a Firenze, almeno per visitar V. S. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na AfF. 1 " 0 Ser. r Daniello Antonino. In alcuno di questi dissegni m’ò bisognato far tanto presto, per lo nugole ch’hora lasciavan vedere bora coprivano il sole, che ho lasciato di notare alcune picchile macchie. 732 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Itonia, 21 luglio 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 130-131. - Autografa, Molt’ 111.™ et molt’ Elee. 10 Sig. r mio Oss. ,no Restai di scriverle circa il suggetto degnissimo da lei proposto, et devo ri¬ sponder anco alla sua intorno a’ pensieri Copernicei. Cominciai, quanto al primo, subito a ringratiarla che offerisse al nostro or¬ dine persona sì carica di tutte le sorte de* beni, et sì pienamente di quelli del¬ l'animo et de’ più scelti. Séguito horal’istesso offitio, insieme anco con tutti gl’altri nostri, assicurando V. S. del’ obligo particulare che di ciò gli habbiamo ; et la prego baciar le mani, a mio nome in particolare et poi di tutti gl’altri Lincei, al’ istesso S. r Filippo Salviati, dicendoli similmente che haveremo noi grandissimo io contento ricever nella nostra studiosa compagnia la persona sua che tanto sti- 21 LUGLIO IH! 2 . 366 21 luglio 1612. pjq miamo ot ammiriamo, et egli havorà tanti veri fratelli et servitori: et certamente eh’ il nomo suo era appo tutti dal’ iates^a virtù roso celebre, quando la relatione di V. S. ce lo confirma et maggiormente notifica por tale. Verrà con commodità il segno (,) o i fogli, acciò V.S., conio promotore, dia l’ultimo compimento lin- cealo, eh’ intanto già l’lmbbiamo per Linceo, fratello e signore. Quanto alle qualità del sistema Coperuiceo, non ò dubio alcuno che una delle grandi sodisfazzioni che dia è col rimover la multiplicità do’moti et orbi, et loro si grande o sì intrigata diversità, ot sarebbe questa anco maggiore, se, comodò fa in gran parto, lo facesse totalmente; chè non senza causa l’intelletto tramano ove vede si fatta farraggine d’orbi et rivolutioni, et ch’ella, non punto stabile o 20 sufficiente, vien accrescendosi, rainuendosi, variandosi giornalmente, come nel To¬ lemaico aviene, difficilmente s’accomoda a creder sia opra della natura, ma più tosto se l’immagina aborto d’ huorao cerebroso o miscuglio di strani fantasmi,0 alla più pura e semplice dimostratami» volentieri b’ accosta, credendo tale l’opi¬ ficio della natura. Non credo così habbia fatto il S. r Lagnila, negando l’eccen¬ trici et epicicli, ma più tosto al contrario lasciando un poco d’intrigho per ingol¬ farsi nello bizzarrie di Fracastorio e, in vece delli 33 orbi Tolemaici, prenderne da quello una schiera di 77 , negando, per affiitigarsi meno, gl’apogei et perigei, con il stiracchiamento delle refrattioni e co’ cieli pezzati 0 ’ntarsiati a foggia nuova. Non posso però non lodare, senza partirmi dall’opinione di V. S., l’odio so delli eccentrici et epicicli : orbi però, non orbite 0 motioni, poiché se queste la natura non secondo le regolo eh’ a noi paiono belle, ma a suo modo, ha drizzato, così devono da noi conoscersi et riceversi, et credersi anco tali esser perfettis¬ sime, conio V. S. benissimo dico 1,1 et in in alcuni miei scartafacci, per stabilimento maggiore del mio chaos naturalo, ho in qualche parte considerato, credendo con Keplero che l’obligar Ferranti alla giustezza de’circoli sia un attaccarli contro lor voglia al pistrino et chiuderli onde sposso scappino; et perciò conobbi con V.S. molte motioni non concentriche nò al sole nò alla terra, alcune alla terra, alcuno al sole, et forse tutte, se la via de' pianeti è elliptica, come voi Keplero. Mi di¬ spiacquero porò gl’orbi adamantini, cbò tali eccentrici et epicicli nelle Peripa-M teticho 0 almeno Tolemaiche scuole si celebrano et propongono con tanto fasto per certissimi; et chimera con V. S. riputandoli, v’ ho speculato alquanto d’in¬ torno, come mi farà poi gratia vedere: onde primieramente dimandavo se solidi orbi voleva Copernico, et intendendo d’ essi, 0 puro delle semplici motioni, se po¬ neva in epiciclo di concentrico al sole, 0 puro in eccentrico semplico, la terra, et se alcuno di suoi seguaci h&vea osservato meglio e variato in ciò, poiché Ke¬ plero, ancorché Coperniceo, dal’istesso Copernico varia, havendo le osservationi migliori di Tichone, et variandosi nolli moti della terra et luna poteva sperarsi m intendi, l’Anello Linono. <*1 Cfr. D .« 710. 21 LUGLIO 1612. 3G7 [732-783] sodisfattione maggiore al’intelletto in quella parte che sola restava con molti- 60 plicità di giri et motioni, nè la novità poi desiderarsi nella natura, ma nella co- gnitione nostra, migliorandosi l’csperimenti. Desiderava un matematico da Ticone, che li sbrigasse il giro del sole da quello di Marte. In somma, vista ben la cosa, deve accettarsi et considerarsi coni’ eli’ è, et conoscere che la natura spesso burla o rompe le regole che da gi’huomini le son posto. Assai per liora 1’ haverò trattenuta, et solo per esprimerle a pieno quello l’altra volta, di montagna' 0 , in fretta le scrissi delle mie speculazioncelle celesti. Resto dunque baciando a V. S. le mani. N. S. Dio le conceda ogni contento. Di Roma, li 21 di Luglio 1612. Di V. S. molt’ lll. re et molto Ecc. t0 Aff. m0 per ser> sempre Fed. co Cesi, Mar. so di Mont. 11 733 *. GIROLAMO MAGAGNATI a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 21 luglio 1012. Autografotoca Morrison in Londra. — Autografa. Molt’Illustre Signore, Sig. r mio Oss. ,no Siamo in sede vacante, e li soggetti che più sono in predicamento per fu¬ turo Principe sono il Procurator Mocenigo, il Procurator Priuli, il Procurator Memo, il Procurator Bembo e ’l Procurator Sagredo, tutti cinque pretendenti alla scoperta. Si vuole che il Mocenigo si abbia il meglio, nè se gli fa altra obiezzione che 1’ esser troppo giovane. Il Procurator Moro fa broglio per non essere, asse¬ rendo che per la sua decrepità non si deve eleggerlo, per non dar così presto novo disturbo alla Repubblica di fargli successore. Si vuole che, in caso di di¬ scordia no’sopranominati, possa cader la sorte sopra Nicolò Ferro, o vero Fran¬ co cesco Loredan, detto Campanon, soggetti di purissima bontà. L’Ecc. ,no Sig. r Cris. ro Ferrari, autor degli acclusi componimenti' 0 (non già del sonetto ed ottava), caramente la saluta; et io, con l’occasione d’inviarle queste curiosità, me le ricordo il solito divotissimo servitore, et aspettando la pezza da stomaco, affettuosamente le bacio le mani. Di Venetia, ai 21 di Luglio 1612. Di V. S. molto Illustre et Ecc. ma Aff. t0 Servitore Girolamo Magagnati. U) Cfr. u." 703. <*> Non sono ora allogati alla lotterà. 368 21 LU0L1U 1612. [734] 734 **. (iiO. FRANCESCO SAOREDO a OAl.ll.EO in Firenze. Vcncxia, 21 luglio 1612. Autovrafotectt MorrUon In Londra. — Autografo fo Im. li» 23. Molto 111.»» Sig. r Eco." 0 Queste serviranno per accusare a V. S. Eie." ' la ricevuta delle sue lettere, et non pei darle risposta, iw>i che, essendo morto il l’rencipe, bora sono occupatis¬ simo nel broglio per mio padre, se ben con jioca speranza di riuscita, essendo la concorrenza di cinque ’ , et si come io credo, la nostra parte manco delle al¬ tro; oltre che anche tra quelli che non dimandano, vi è più d’un sugetto mi¬ scibile. Mi trovo per lei un vetro sciolto dal Bucci per {squisito al pari d’ogn’altro; ma però infine confessa, non essere il migliore «li quelli che gli mandai, ethavendo veduta la lettera ch’ella mi scrive, m’ha detto non poter essere che quelli del io Nuntio Grimani siano migliori di questo, ma ben uguali : et quasi che io gli lo credo, perchè ho osservato che qui «ti della forma di cinque quarte poco meno, fatti da esso Bacci, che incontrano in buon vetro, sono tutti di pari bontà, et sopportano lo scontro doppio della sua più piceiola palla, et fanno chiaro; il che è quel più che si pos.->a bavere, perchè con la istessa forma di colmo et di con¬ vesso non vi può essere uno che faccia maggiore doli’altro, se bene, nialguidnti dal nostro senso, facces»imo alcuna volta giuditio contrario. Et per fino n V. S. Kcc. m * baceio affet uosa mente la mano. Io intenderei volentieri la lunghezza del suo dominicale , et in che consista la sua eccelenza sopra gli altri. M l)i Yenetia, a’21 Lug.° UH 2. l)i V. S. Ere."*» I)esiderosis8.° di s. ,a Mio. F.° Sngrcdo. Fuori: Al molto IH.™ et Ecc. mo Sig. r Hon. w, ° Il Ì5ig. r Galileo Galilei, Filosofo u Alatliem. 00 di S. A. 1 * Firenze. I‘> Cfr. n.» 788. <’> Intendi, del cannocchiale che Galileo arem adoperato per le scoperte colesti, e destinato in douo al Granduca. Cfr. .Yxtoxid Fatabo. [« orn ¬ ai cannocchiali nutrititi ed usati da (tallito Galilei I Atti dd H. l'Ut alo Veneto dì eeiiuu, lettere ed ari,. Tomo I.X. l'arto 11, pa*. 820-840), Venezia, tip. ter¬ rari, 1901. [ 736 - 786 ] 25 — 28 LUGLIO 1612. 369 735 . [CRISTOFORO SCHEINER] a MARCO WELSER [iu Augusta]. Monaco, 25 luglio 1(112. Ufr. Voi. V, pag. 3a-70. 786 **. LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze, liouia, 28 luglio 1012. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 31. — Autografa. Molto Ill. ra et Ecc. mo Sig. r mio, Li mando le osservazioni fatte parte da me et parte da Cosimo (l) , il che è avenuto per non essere del continuo a casa, le quali conoscierà come elle sono fatte: solo ci è una cosa, che mentre si fanno, il sole scorre tanto veloce, che con tutto che con la mano si séguiti a tirare il foglio, non si fa così giusto. Pure vedrò se si potrà acomodare un regolo unito con l’ochiale, che si possino fare più giuste. S’ella à modo megliore, me ne avisi. Fui finalmente, saputo il ritorno del Sig. r Marchese, da lui ; et rimanemo, come egli aveva l’altra lettera, fussimo insieme con il Sig. r Luca (,) : del quale io pure se ne può far poco capitale, perchè è più imerso che mai in quello umore solito della S. a M. u S. (S) , la quale è im molta necessità, et lui vuole per sovenirla c mancare alle sue propie ; et talmente v* è immerso, che si può dire imbestia¬ lito. Però lo aiuto che havevo per bene intendere quelle dimostrazioni geometri¬ che del libretto di V. S. (4) , non potendo da lui, ò trovato, mentre sono a S. u Maria Maggiore, il Padre proccuratore Don Orazio di Santa Persedia (S) , monico di S. ìl Tri¬ nità; et credo che sia quello. Basta: mostra di leggerlo con molto gusto, et mi serve molto bene, et lo trovo molto cortese, et m’à pregato al farli per parte sua caldamente un baciamani. Se le rimanderete in qua, l’arò caro, per mostrargliele. Fui dal Padre Ganberghier, il quale mi disse che havea auto i duoi libretti, 20 ma che non l’avea ancor finito di leggiere. Credo lo facesse per fuggire di dirmi il suo parere, sebene gli uscì a dire che nella maggior parte V. S. averà ragione, ma che lo aveva così scorrendo letto. Basta: io vi veggo un modo sempre so¬ spetto, e non libero. (*' Non sono presentemente unito alla lotterà. •*' Il Discorso sulle Galleggianti. (** Luca Vai.kbio. 0ba*io Moiundi, aliato del monastero di < 8 ' Marghkrita Sarrooohi. S. Prassedo in Roma. XL 47 370 28 LUGLIO - 4 AGOSTO 1612. [ 736 - 737 ] Il Sig. r Marchese è da sei giorni che io non Pò visto, ma mostra d’essere tutto suo. Vi delibo avero scritto il suo desiderio, che le due lettore le arebbe fatte stampar qua et che li pareva passare meglio et con più honor suo. Ora la sa lei quello che Bia meglio: scriva, e non perda tempo, e lasci stare e’chiachie- roni o le pippionate ; et intanto mi tengha vivo nella sua memoria, et ini favo¬ riscila di un baciamani al Sig. r Filippo Salviati, con dirli che il dubbio che mandò a domandare a quello amico, à fatto ridere più di quattro galantomini. Et con so questo, Dio la feliciti. Di Roma, questo dì 28 di Luglio 1612. Di V. S. molto Ill. r " et Ecc.®* A(T. mo Ser. w Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto 111. 1 * et Eccellentiss. 0 Sig. r mio Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 7 •i i. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Koma, 4 agosto 1612. Blbl. Nftz. Fir. tftt. dal., P. VI, T. Vili, rar. 135. AuD-fiafa. Molt’ III. 1 * et molto Ecc. u Sig. r mio Oss. roo Conosco 1’assidue occupationi di WS., et la compatisco in fatighe si grandi, ammirando la sua diligenza nel sodisfare a si gran parto d’ esse, col porre anco a sbaraglio la propria sanità. Quello che mi promette del Sistema Massimo, mi contentarò poi vederlo a suo tempo nol’istesso trattato 11 Porta, visto il libro del La galla, intendo li scrisse rilaverebbe desiderato matematico. 11 trattato di V. S. v ragionevolmente vien lodato et approvato da’sani gin- dicii ; et questi tutti giudicano che V. S. non debba risponder ad alcuno ex professo , nò intorno a questo nè ad altra dello sue speculazioni o osservationi, io ma solo in altri trattati, o scrivendo altro, obitcr possa sodisfarli secondo il morto. Aspetto la seconda al S. r Welsero, oliò ciascuno parla della novità solare, e i Peripatetici, al solito, storcono e schivano. V. S. procuri la sanità, e mi commandi. Di Roma, li 4 d’Agosto 1612. Di V. S. molto 111." et molto Ecc. ta Aff." 10 per scr. 1 * sempre Fed. co Cesi, Mar. 80 di Mont. tl Fuori, d * dira mano : Al molt’ 111" et molto Eco. 1 ® Sig. r0 Oss. ,n0 Il Sig." Galileo Galilei. Firenze. <•> Che fu poi il Dialogo dei Massimi Sistemi. «»> Cioò i) Discorso sullo UallogKÌ* uU - [738] ‘ 4 AGOSTO 1612. 371 738 **. GIO. FRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 4 agosto 1612. Antografoteoa Morrison In Londra. — Autografa la firma. Molto 111. 10 S. r Ecc.»° Le lettere di V. S. Ecc. ma mi hanno trovato a letto con un poco di febretta cottidiana, la qual mi leva dal numero de’sani, se ben totalmente non voglio confessarmi amalato : basta c’ liora io sono in letto, mal contento et dubbioso della mia salute. Queste sue lettere mi hanno dato sommo gusto, et se bene con qualche mia difficoltà et incommodo, ho voluto darle qualche risposta, sentendo in¬ finito contento mentre m’ imagino essere seco. Lo scatolino mi è stato carissimo (,) , ma però non ardisco darmi alla specu- latione della causa di così mirabile effetto, poiché questa a me pare speculatone io per li sett’ottavi fisica, e per consequen/.a da me in tutto posta da parte, poi¬ ché delle cose fisiche io ne parlo solo per negationem. Ma quanto al modo col quale si fa la vista, sebene v* è qualche fondamento fisico, et nella speculatone pare che vi sia incorporata la geometria con la fisica, io nondimeno in tanto vorrei specularvi sopra, in quanto che la mia in tentone è di suporre le propo- sitioni fisiche, o miste di fisica, le quali sono patenti al senso, et doppo, specu¬ lando con termini sicuri geometrici et con esperienze, venire in cognitione del vero: il quale quando dalla moltitudine, così del volgo come ancora de gli huo- mini stimati intelligenti, non fosso creduto, poco travaglio me ne prenderei, sì come ancora quando mi si opponesse che in alcuni ordini o consuetudini osser- 20 vate nelle scienze, io, in questa mia speculatone, per liaverli transcurati, fossi biasimato, purché da questi ordini non dipendesse fallacia o mancamento di ve¬ rità nella conclusione. Quanto a Spontino (5) , se mai io l’ho havuto in concetto di huomo di sommo ingegno et d’isquisita arte nella sua professione, creda pur V. S. Ecc. ,na eh’ io ho sempre maggiormente confermata et certificatomi di quest’opinione della sua persona; ma, all’incontro, tanta è la sua inimicitia col lavorare, che assoluta- mente il dedicarlo al servito d’un Prencipe sarebbe un procurargli la morte, perchè huomo grande et di autorità non potrebbe tolerarlo senza venire un giorno a qualche termine, non so s’io debbo dire di crudeltà o di giustizia. Io, essendo < 1 ' Cfr. nn.' 549, 554 <*> Cfr. n.« 724. 872 4 AG08T0 1612. [738] a Palma* gli ho procurati et ottenuti benefitii importantissimi, et di più gli ho aa prestato per la fabrica d> una ca-a mille durento ducati gratis, et finalmente tra paghe che se gli sono procurate, latori et imprendi di S. Marco, s’è sgra¬ vato da questo debito; oltre che U protettone mia et della mia Casa, anco in , ; ta mia absenxa, eli è stato, di continuo et unportantissimo giovamento: tut¬ tavia, in nuove mesi su guenti al mio ritorno, da lui non ho potuto bavere la¬ voro di un quarto d’hora, iMonbè e PinsUnia dalla par! mia o le promesse dalla sua siano state continue e grandissime: ondo io, mosso a sdegno contro di lui, scrissi a Palma elio tutto le cose mie, che gli bavero dato por accommo- darc, gli fossero levate dalle mani, con una intimatione della mia total disgrafia; per maggior espressione della quale frissi all* ingegnerò di quella fortezza,clic Cfr. n.® 742, liti. 14. 374 13 — 14 auobto 1612. [ 740 - 741 ] et essaltatione della quale debbiamo pregar*, por benefitio et utile commune. Io partii di Roma sono homai due m» « incirca, ma prima hebbi fortuna di vedere il suo libretto delle ooee che «tanno a galla nell’ acqua, et quelle epistole scritte al S. r Volsero sopra lo macchie solari, di che hebbi gusto particolare, per havcr anco lette quelle del finto Aprile, quale mi pare che V.S. lo vada toccando conio tanta destrezza che meglio non si possa desiderare. Dopo non ho di V.S. inteso altro, havendomi il Sig. r Marche scritto poco, per essere stato più giorni fuori di Roma. Mi persuado bene che Y. S. non eh iòta dalle sue fatighe e atudii et osservationi sideree, di che mi sarebbe caro, con sua commodità, sentirne qualche particolare, se altro ha ritrovato di nuovo. Intesi del Sig. r Salviati, proposto da V. S. ", e con gusto particolare; quale, come dal detto 111."® intendo, doverà in breve, insieme con alcuni altri, essere ammesso. Non ci mancheranno de buoni soggetti per illustrare questa nostra Academia: resta solo che ni stabilisca con vaio fondamento, conforme al pen¬ siero del nostro Ecc."° Prenci pe, acciò p< - a eternar -i ; a che con ogni cura attende, co et nuli’ altro con più ardore procura. Intanto una delle maggior lampadi sarà V. S. per illustrarla, e la pietra quadrangolare per fermarla, e supplirà al di¬ fetto mio in particolare, che non son buono e non potrei Rcrvire, nè per una debile scintilla di luco nò per un granello di minuta arena. Iiascio dunque tal peso a lei, per la buona salute et lunga vita della quale pregherò sempre il Cielo con non meno caldezza o con non meno devoto affetto che della propria. E con questo resto, o le bacio le mani. Di Fabriano, li 13 di Agosto 1612. Di V. S. molto 111." et Ecc."** Fratello e Ser." Affetionatissimo e vero 50 Frane.® Stelluti. Fuori: Al molto 111." et Ecc.*° Sig. r mio Oss.®*® 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 741 . GALILEO a MARCO WT.LSER in Augusta Firenze, 14 agosto 1618. Cfr. Voi. V, psg. 116-141. Cfr. n.» 78ò. [742] 17 AGOSTO 1612. 375 742 **. GIOVANNI FABER a GALILEO in Firenze. Roma, 17 agosto 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas, Gal., P. I, T. VII, car. 38. — Autografa. Molto Ill. re ot Eccll.® 0 Sig. r mio Oss. mo Volesse Iddio die io così prontamente potessi dare la compita sanità a V. S. et al Sig. r Welsero, corninone amico nostro, come io di buon cuore le ne vado augurando: il quale hieri, fra l’altro, mi scrisse queste parole: < Del mio stare, l’affermo questo, che il malo continua ad affligermi con lun¬ ghe et dolorose tirate et con brevissime intermissioni, quae tarnen ipsae non sono totalmente sincere; onde mi persuado clic gli miei mancamenti del non rispon¬ der, o del responder succintamente, debba trovare appresso alli amici pietà, non che perdono, come disse il buon poeta. > io Et veramente s’ha d’bavere compassione a questo buon Signore, come anco a V. S., che, con tutto ciò che stanno male, non tralasciono d’ allargarsi per il bene publico. Però prego Iddio, poiché non posso altro, che da qui a molti anni mi possa rallegrare con ambedue in questo giorno solennizzato per la institutione dell’ordine nostro 10 , poiché anco il Sig. r Valsero è delli nostri, et spero d’bavere fatto un buon guadagno per li Lyncei. Sono certo che V. S., per la stretta ami- citia clic tiene seco, haverà piacere. Et per fine baccio le mani a V. S., pregan¬ dola che mi faccia questa grazia a non affatigarsi a rispondere nò a me nè al- r altri Lyncei, atteso che habbia più cara la sua salute che le sue letere, le quali per altro rispetto ci sarebbono carissime. 20 Di Roma, alli 17 d ! Augusto 1612. • Di V. S. molto 111. 1 '® et Eccll.® a Aff. Ser. Giovanni Fabro Lynceo. Fuori: Al molto Ill. r ® et Eccll." 10 Sig. r mio Oss. ,no 11 Sig. 1 ' Galileo di Galilei. Fiorenza. Lett. 742. 14. dclln nostri — 10 Che fu appunto addi 17 agosto 1603. Cfr. Domenico Carutti. Roma, coi tipi del Salviucci, 1883, Breve «torio dello Accademia dei Lincei scritta da pag. 9. 376 lb Auub'l'u 1612. [ 743 ] 743 . CARI.0 CONTI a GALILEO in Fimue. Hom», 18 motto 1618. Blbl. Nat. Flr. M»i. 0*1, P. I. T. XIV, c*r. 88. — la Bra*. lll. r “ et molto Eoe.* Big.** Le osservationi di V. S. Bono molto diligenti et belle; et siino elio si voglia queste macchie, sono cosa fuor di quello che sin hora è stato creduto. Ma come che è cosa di gran conseqnenza, et in parte sì lontana da noi, ha bisogno de osservationi di lungo tempo, imi- ime che alcuno pigliando occasione dalle Stelle Medicee da V. S. osservate, potrebbe fingere nascere quelle macchie da stelle, ma però sì minute, che tra di loro separate non si redi no, et congiunte faccino apparire quelle macchie, et che ai ino tante in numero et habbino al diversi moti intorno al sole, che, di versamenti; congiungendosi, faccino quella diversità di mac¬ chie : et per convincer questi è necessaria lunga oeservatione, come molto più io per osservare che altra cosa aiino questi* macchie, et quando facciamo il cielo corrutibile, donde noi habbiamo che queste macchie non siino nell'istesso corpo solare, ma in altra parte del cielo. Bene spero che Y.S., cou la sua diligenza et ingegno, sii per dar luce a tutto questo. Intorno poi alla Sacra Scrittura, desidero sapere più in particolare, in qual cosa V. S. cerchi sapere che ella non favoriscili ad Aristotele: perchè se V.S. parla della corrutibilitA del cielo, non vi è dubbio che in molti s’accenni; se parla d’altri dogmi, ò certo esser contrario ad Aristotele, come intorno all’eter¬ nità et governo dell’ universo. Ma questo non ha che fare con le presente osser¬ vationi : facciami però intendere quanto desidera, che non mancaci) 'procurare ^ che resti sodisfatta. Et Dio la guardi. Di Roma, li 18 di Agosto 1612. Al piacere di V.S. [S. r j Galileo Galilei. 11 Car. 1 Conti Fuori : AH’ 111.» et Ecc.* Sig » li S. r Galileo Galilei. Firenze. 18 AGOSTO 1612. 377 [744] 744 ** GALLÀNZONE GALLANZONI a GALILEO. Gioiosa, 18 agoato 1612. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 189. — Autografa. Molto Ul. re Sig. ro P.ron mio Oss. mo Non ho riceuto altre lettere di V. S. se non quest’ ultima scritta sotto li 26 di Giugno, et scrivo a mio fratello che veda se si trovano più alla posta di Fio¬ renza, perchè non è perdita che sia mai per dispiacermi tanto che perdere le sue lettere, sì perchè amo et honoro la persona di V. S., coni’anco ch’ho in vc- neratione ogni cosa (per minima che sia) scritta da lei, ringhiandola infinita¬ mente delle conclusioni che mi manda intorno alle macchio del sole, quali fumo lette da me al Sig. ro Cardinale (n , mentre desinava con l’assistenza di molti si¬ gnori Francesi : con la quale occasione 1’ Ill. mo Padrone disse della persona sua io tutto quello si potea dire, et non solo doli’ inventione d’ haver trovato in cielo i quattro Pianeti etc., ma parlò lungamente de’suoi costumi et maniere, dicendo eli’ anco fuori della matematica non havea gustato la conversatione d’alcuno Italiano come la sua. Le tre lettere scritte al Sig. ro Marco Velsero Li) non mi sono capitate, nè so come ricuperarle, et ne scrivo a Roma con quest’ordinario a mio fratello; et se la risposta che V. S. li fa, n’ ha mandato copia ad alcuno suo amico, la prego avi- sarlo a Roma a mio fratello, che si chiama Giovanbatista Gallanzoni, con fare la coperta al Sig. ra Giulio Pavoni, Maestro di Camera di Borghesi, acciò li sia re¬ capitata la sua lettera ; et s’havesse anco fatte altre scritture da cinque mesi 20 in qua, la prego avisarglielo, perchè li scrivo che prega quelli 'die l’haveranno, di contentarso che ne pigli copia, et me le mandi subitto. Hora son fuori di scola, et le cose sue solamente può rimettermi, perchè le veggio sempre con una estrema curiosità, trovandole d’un altro spiritto che l’altre; et son così apassionato pel¬ le sue opinioni, che credo se per suo piacere volesse inganarmi, potrebbe farlo con molta facilità. Ilo di già letto tre volte, con mio grandissimo gusto, il suo trat¬ tato intorno alle cose che stanno soiira l’aqua, ma ho penato nelle dimostratioiii, 'perchè non havevo mai veduto cos’alcuna in questa materia; et certo non ho mai letto cosa che m’ babbi tanto contentato. Il Cardinale ancora non 1’ ha ve¬ duto, ma da me ha quasi inteso tutto il contenuto, et P amira come cosa degna so del Sig. ro Galileo. Gl Francesco de .Toykusr. (*’ Intendi, le Trei Ejnitotae di Apei.i.b. 16 AGOSTO 1612. 378 [744-746] In queste parti di Franz*., dorè io nono, non ho trovato grandi matematici nè eh’ habbino osservato eoa’ alcuna in cielo, per non bavere occhiali boni 1 et dettoli ro88ervationi che WS. ha fatte, hanno fatti qualche dubbio, eh’io conia sua dotrina gl’ho resoluti. Ma andando alla Forte, forse non inancaranno dubbii che se aaranno degni di consideratione, l’inviar* n V. S. Alla quale per fineba- sciarò le mani, con recor darmeli servitore di core. Di Gioiosa, alli 18 d’Àgosto 1012. Di V. S. molto IU. r * S’inviarà le lettere a mio fratello in Doma, sa¬ ranno pii! sicure. S’ havesi mai scritto eoa’ alcuna intorno all’opinione del Copernico della mobilità della terra, n’ havrei gran gusto per poterla ricu¬ perare, perchè è gran tempo eh’ ho questa curio¬ sità, parendomi ditìcil cosa il rispondere a gl’ar¬ gomenti di quelli della contraria opinione. Ma però non pigli pena alcuna, se prima non barca fatta la fatica et fattone parte a qualche suo amico, dal quale io potessi haverla. AfT. m ® Ser. M Al Sig. M Galileo. Gallandone Gallanzoni. 50 Fuori: Al molto III. 1 * Sig.™ P.ron mio Osa,"** 11 Sig.™ Galileo Galilei. Firenze. 745. GIO. FRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venexla, 18 «gotto 1612. Bibl. Nft*. Flr. Mu, Oal., P. VI, T. \ III. r»r. IST. — Autografo U Ilo. 50 55. Molto IH.»» Sig.”* Ecc. mo Spontino, per contìrmatione di quanto scrissi di lui a V. S. Ecc®* ( '\ è final¬ mente partito per Palma, richiamato dal generale, havendo lasciati imperfetti li due terzi de’miei lavori: è vero che ha promesso ritornar presto, ma di que¬ sta promessa non ho fin hora trovato malevadore. O' Cfr. n.« 788. 18 AGOSTO 1612 379 [745] Delle sue opere non mi trovo cosa degna et estraordinaria, perchè quanto che io haveva, così dello fatture di questo huomo come di curioso, tutto ho man¬ dato a presentare al Ile di Persia, ad instanza del quale è rimasto il mio stu¬ dio totalmente spogliato delle coso che io haveva più care; sì come per la stessa io cagione si è risentita molto la mia borsa, havendo io speso assai centinara di ducati in diverse curiosità, per presentare il detto Ile: il quale, se ben mi ha corisposo con lettere molto cortesi et honoratc, non di meno (eh’ io sappia) non mi ha mandato altro che un tapeto, che non paga un terzo il mio presente et delle speso che ho fatte per lui ; oltre che il tapeto è ancora in Persia, et corre gran pericolo che mi sia trattenuto dal Bassà di Bagadet. Lodato Idio, mi sono liberato dalla febre ; et il modo è stato non ascoltare i medici, ritornare a bever vino, et non mettervi acqua, mangiando secondo l’or- dinario de’sani. Finalmente ho trovato che la opinione eh’ io haveva circa la vista è stata 20 scritta dal Porta et dal Keplero, i scritti de’quali in questo proposito ho deli¬ berato leggere con qualche diligenza, sperando che forse si possi aggiungere alcuna altra cosa buona, non restando io sodisfatto della maniera dello scrivere nè dell’ uno nò dell’ altro, parendomi che si discostino senza necessità dallo stile matematico, et abbraccino quello de’filosofi: et perchè (come ella sa) io ho bi¬ sogno di aiuto per intendere questi libri, mi ho provisto di certo Napolitano, chiamato il Sig. r Gio. Camillo Glorioso, che habita qui in Venetia, col quale ho stabilito che venga due over tre giorni della settimana a dichiarirmi questi autori. Veda mo’ V. S. Ecc. ma se io ho perduto 1* amore alle mattematiche, già che in questa età ho voluto ritornare scolare. Et se bene nelle mie lettere, che le scrissi, 30 ho distinto i filosofi da i mattematici (di che ella mostra havere ricevuto qual¬ che scandalo), vorrei pure eli’ ella sapesse che mi sono valuto di questi due nomi conforme alla volgare interpretatione del popolaccio, il quale chiama filosofi quelli che, non intendendo niente delle cose naturali (anzi essendo incapacissimi d’in¬ tenderle), fanno professione di essere segretarii della natura, et con questa ri- putatione pretendono instupidire tutti i sensi degli huomini, et privarli ancora dell’uso della ragione. Questo nuovo maestro, che mi ho dissegnato, leverà a V. S. Ecc. ma il travaglio di darmi diverse instrutioni, 'sopra le quali havevo di¬ segnato darle occuppazione; ma potrebbe essere che, all’incontro, lo studio della prospettiva mi eccitasse a dimandarle spesso la solutione di qualche dubbio. Ma •io come si sia, voglio et intendo che continui la obligatione reciproca di scriversi ogni settimana, perchè ogni giorno io scopro essere in questo mondo tanto grande la carestia de gli uomini, che non mi pare perduta la fatica, non dirò di scri¬ vere, ma quasi di cambiare da Venetia a Firenze, per abboccarsi con uno che meriti nome di huomo. 745 . 37 . diverti imlrutioni — 380 18 - 23 AOU8TO 1612. [745-746] Scritto fin qua, ho letto otto propositioni del Porta, nelle qual se ben vi è qualche verità, tuttavia renio persuaso che vi siano ancora molle falsità, et panni havere compreso che il suo cervello non »ia molto fino: pure haverò pacienzadi vedere qualche cosa più inanii, per far. più certo Sudicio sopra la scrittura et lo scrittore. Et a V. S. Eco.** boccio affetuo**incute la mano. In V.», a 18 Ag* 1612. Pi \. 8. Ecc." ' Pesiderosiss. 0 di ser. ,# Gio. F. Sag. Fuori: Al molto 111” S. r O**."’-’ L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei, Filosofo et Mathem/** di S. Alt.* Firenze. 74K. LUCA VALERIO » OALII.EO in Firenze Roma, ’.'-i Ag o»to Itili. Blbl. Nat. Plr. Ku. Oal., I*. I, T. VII, r*r. Sii. - AnUfrafa. Molto III.” et Ecc. mo S. r mio Osa.*** 0 1/havere io tardato tanto a rispondere all’ultima delle passate di V.S., ò stato per voler legger prima il suo Discorso<*» inviato alla 8. ra Margherita, nè haverlo ancor potuto lare, havendolo ella dato a legare per mezo d’uno, che non gli è sin qui bastato l'animo di farselo rendere alinea sciolto com’era; nò dice qual si sia il legatore, ma che presto lo rihaverà : forse l’liavorà prestato, nò così facilmente certa sorte di libri si ricuperano. Ma non per questo solo prego V . S. a perdonarmi della tardanza, ma per due causo ancora più importanti. L’una è, eh’ havendo io sempre nell’ animo la sua imagine, et ragionando spesso di lei col nostro S. r Cigoli et altri ammiratori del vulor di V. 8., panni di star con lei; io ondo così sfogandomi, viemmisi ad impigrire il mestiero della penna. 1/ altra, che V. 8. dee provar meglio di me, è che noi altri filosofi, sovente astratti nella contemplation delle cose ch’alia misura del tempo non soggiacciono, la lunghezza di esso, eli a molti suol parer grande, riputiamo per nulla, o al più un momento. Ma quanto al suo Discorso, per quei poco elio la 8. r * Margherita m’accennò, certo che V. S. move un gran dubio contra i Peripatetici nella materia del giaccio: nè della sua legierezza, come che io in varii modi hahbia tentato di render la ra¬ gione conforme alli prineipii d’Aristotele, ho potuto trovarla sin qui tale che mi L«tt. 740. 8. pér dormi — Untilo «all» Galleggianti. 23 — 24 AGOSTO 1612. 381 [ 746 - 747 ] sodisfaccia, et non mi tiri in un pelago di dubii sempre magiori. Ma qualunque 20 si sia la verità, in somma mi piace molto, al mio solito, il filosofar libero, et non come per regole d’ una certa grammatica filosofica, o filosofia grammaticale, se però filosofia se dee chiamare quella clic per lo più lioggi dì s’ usa per tedio di starsi a roder 1’ unghie in contemplando con vero disklero di saper la verità, et non per acquistar cicalando apparenza d’ huomo dotto. Quanto che la figura non giovi per sò stessa allo star de’ corpi gravi a gala, V. S. ha ben ragione ; et non dubito che le ragioni di V. S., che quanto prima di veder procurerò, non siano per darmi magior sodisfationo di quelle che mi sovengono. V. S. havrà havuta la nova della mia lynceatura, et di quella del S. r Demi- siano; quanto alla mia, mercè della buona relatione data da V.S. al nostro 30 S. r Prencipc Marchese Cesis. Mando a V. S. l’inclusa elegia desiderosa di correr per le lodi di V. S., ma lenta et zoppa : eli’ il teorema della superficie splierica non in* è ancor bastato l’animo di copiare, per tanta moltitudine di travagli che questo anno m’affligono et gran parte del passato m’hanno afflitto, che sarebbe lunga cosa il raccontarli. Sarei più lungo, se gran moltitudine d’occupationi non m’Spedissero, et non temessi di noiar V. S. : perciò fo fine, baciando le mani a V.S. et raccomnian- dandomi a la sua buona gratia senza fine. Et N. S. la mantenga sana et le ac¬ cresca ogni dì felicità. Di Roma, a dì 23 di Agosto 1612. 40 Di V. S. molto Jll. ra et Ecc. ina Se. re Affefctionat. m ° Luca Valerij Linceo. Fuori : Al molto lll. r ® ot Ecc. mo S. r mio Oss. mo li S. r Galileo Galilei. Firenze. 747 **. GIOVANNI DEMI SI ANI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 agosto 1612. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 88. - Autografa. Molto 111.® et molto Eco. 0 Sig. r Padron mio Oss. mo Io dubito che P 111.™ S. Marchese de’ Monticelli, principe delle buone e vere lettere, mi habbia dato occasione d’insuperbirmi, perchè, havondomi ascritto nel 82 . ne in’ è — O* Non è prosontouionto allegata alla lettera. 382 24 — 2f> AGOSTO 1612. [747-748] numero do gli heroi, mi ha fatto quasi ernie re eh’ io mi sia qualche cosa. Il gene¬ roso mancamento sarà di quel Signore ; 1’ obligo di non lanciarmi nel mio nulla per termine di soavissima gentilezza, sarà di V. S. ; la riverenza che et a lui, come a mio benefattore, et a lei, come a monarcha de’ letterati Lyncei, si dee offerire sarà mia. Io non mi confido in altro che nella benignità de’nostri SS.* lyncei e nella filosofica dolcezza di V. S., perchè il comune splendore di voi altri dottis¬ simi personaggi illuminerà me, che fra loro mi truovo. Dio N. S. feliciti V. S.: et io, come fratello Lynceo, le bacio le mani; come am¬ miratore del suo alto valore, la riverisco ; e come obligato servidore, le oft'eio il suo del buo. I)a Roma, li 24 di Agosto 1612. Di V. S. molto III* et molto Kcc. Fratello e Veris8. mo Serv. S. Galileo. Gio. Demisiani Lynceo. Fuori, italtra mano: Al molt’Ill™ et molto Ecc. u Sig.™ mio Gas." 10 11 Galileo Galilei Lynceo, a Firenze. 748 *. FEDERKX) CESI a GALILEO in Firenze. Homi, SS sgotto 161‘J. Blbl. Naa. Fir. M»«. GsL, P. VI, T. Vili, car. 141. — Aatofrafa la •oUowrùione. Molt’Ill. r * et molto Ecc. u Sig, re mio Oss. mo Riceute assiemo con la gratissima di V.S. lo poco considerate Considerationi sopra il suo Discorso ‘, mi posi con molto gusto a rilegger quello et ponderare esso, et séguito tuttavia, godendo eh’ i suoi aversarii non possono altro che di¬ scoprire la loro livida et arrabbiata invidia. Subito compito, manderò il trattato a Mons. r Agucchia, com’ avLa. Scriva pure intanto chi vole, che non credo sia per essere punto più felice. Aspetto con desiderio la seconda lettera circa le macchie, et tuttavia più am¬ miro la sua fervente et mai otiosa diligenza; et compatendo grandemente a tanto et così assidue fatighe, mi dole che 1’ occasione dell) scambievoli saluti de’Lincei io circa questo principio di novo anno della Linccalità, instituiti per mantenere fra distanti il vincolo del’amore, come nel ristretto delle communi constitutioni man¬ dateli havrà veduto, sia hora per apportare occuparono di risposte alla sua cor- “» Cfr. Voi. IV, pa«. 14Ò-182. [748-749] . 25 agosto 1612. 383 tesia, dalla quale certamente (tant’è la brama eli’essi hanno d’essere dalla sua domestica penna favoriti) io non vaglio sollevarla. Il S. r Valerio haverà scritto, et mandatole una galante elegia che ci recitò (,) . Scrivono l’accluse ls) il S. r labri, S.‘‘ Stclluti et S. r Demisiani, nuovamente ascritto, qual si prepara con straordinarii carmi alle lodi di V. S. Credo, facilmente per il seguente ordinario haverà lettere di tutti i Lincei Napolitani. La saluto io bora 20 di core; et pregandole non solo il presente anno, ma infinit*altri, a’suoi utilis¬ simi studii, nobilissime speculatione et osservationi et a tutte le sue attione, fe¬ licissimi et pieni di contento, bacio a V. S. le mani, et me le ricordo non meno pronto eli’ obligato a servirla. Di Roma, li 25 di Agosto 1612. Di V. S. molto 111. 0 et molto Ecc. t3 Il S. r Cigoli m’ha mostro un corso di bellissimo osservationi solari, et fra l’altre d’una macchia vi¬ sta entrare, ch’hor a punto, eli’ò il xill 0 giorno, esce. Ali>° fratello per ser> sempre so F. Cesi Linceo P., AI. di M. H Fuori : Al molt’ Ill. ro et molto Ecc.** Sig. r Oss. mo Il S. r Galileo Galilei Linceo, a Firenze. 749 . GIULIANO BE’ MEDICI a GALILEO in Firenze. Praga, 25 agosto 1612. Bìbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, ear. 40. — Autografa la sottoscrizione. 111. 10 et Ecc. mo Sig. ro L’bavere vagato molto tempo in questo viaggio al convento elettorale di Franchfortt, ha fatto che la cortesissima lettera di V. S., ricevuta insieme con il suo Discorso, habbi corso ancor ella la medesima fortuna, et però non mi habbia raggiunto se non doppo essere arrivato in Praga, dove anco lio ritrovato il Sig. r Gleppero partito; il quale, altretanto quanto ò ricco de’beni dell’animo, tanto essendo facilmente povero di quelli di fortuna, ha accettato un partito che li ha fatto la provincia d’Austria superiore con risedere in Linz, dove con meno ansietà delle cose domestiche potrà attendere a’ suoi studii. Onde in suo cambio ") Cfr. a.» 746, Un. 31. (*> Cfr. mi.* 740, 742, 747. 384 25 — 27 AGOSTO 1612. 1749-750] mostrai il Diacono di V. S. al Sif/ Vaocher , il quale me V ha poi lodato gran- io demente, dicendomi di concorrere nella medesima opinione di lei, et in oltre ò restato meco di mandarlo a Una al Sig. r Ulrppero insieme con la lettera di V. S ■ la quale posso solo ringraziare di questo favore che mi ha fatto; chènel resto per quella parte che può toccare a gl' ignoranti, non posso br non grandemente lodare c stimare le coso di V. S. Alla quale baciando di tutto cuore le mani, lo pregherò da Nostro Signore Dio ogni contento. Da Praga, li 25 d’Agosto 1612. Di V. 8. 111." et Eoe.*» Ser." Giuliano Medici. Fuori : All’ 111.** et Eoe.*® S « mio Hon.*° 20 11 8.°' Galileo Galilei, Filosofo et Matematico di 8. A. 8. Fio rema. 750*. ARTURO PAKNOCCH1E9CHI D* ELCI a FEDERIGO BORROMEO iu Milano. Ftroase, 27 sgotto 1612. Blbl. Ambrosiana la Milano. C«4. 0. 210 P. Iaf-, «ar. #2&. — A«U>rr*r* la sottoscrizione. 111.** e R.** S. P.ron mio CoL M Essendomi trattenuto quest'anno in Pisa quasi lotto Agosto, presi n fare certe brevi Considerationi sopra i! Discorro del S r lìslilro liahlei r , solo per mio trattenimento e per esercititi di stile, e per prora se uns volta io mi poto mi mettere a scriverò alcuna cosa più giare. So certo, uon esser degne di -oenparire marni al cospetto di V. S. Ili.”*, non che d*esser proposte all’ottimo et U (aiuto giuditio di lei. Nondimeno l’affetto dell’an¬ tico mia servitù verso V. S. III."* n muore a premiere occonione, ancora dallo cose mi¬ nime. di farle riverenza, come d> - lero r <>n in speranza di potere fare personalmente tra breve tempo. E baciando rercrentein- : •« .»• numi a V.S. IH.**, le prego dal Signore Dio ogni maggiore felicità. Di Fiorenza, li 27 d'Agosto 1612. Di V. S. ni** e R.“ Ser." Iluniiliss.” 9 e Devo.™ 9 Al S. w Card. 1 * Borromeo. Arturo d'Elci. Fuori: All’IR*® e R.** 8. P.ron mio Col** 11 S." Card. 1 * Burro loco. Milano. Lett. 740. 12. di m*ndmrla — Matteo Wackseb. •*< Ufe.Vol.1V, psg. [751-762] 28 — 30 AGOSTO 1612, 386 751*. PATITO COLONNA n GALILEO in Renna.' Napoli, 28 agosto 1612. BIbl. Nasi. T'Ir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 143. — Autografa. Molt’ 111. 6 et Ecc. mo Sig. re Il nostro instituto vuole che io con questa saluti V. S., come fo allegramente, et che T auguri, se ben sia già passato, come spero, felice a Y. S., il giorno 17 di questo : bora le auguro gli altri seguenti simili da Nostro Signore Dio felicissimi con lunga vita, come al nostro S. r Principe, et con augumento delle cose lyncee: et la tardanza ò stata per ricapitar questa a V. S. sicura. Hora resta che io, come minimo de’ Lyncei, me rallegri che sia stato nume¬ rato tra quelli, dove V. S. è il vero Lynceo, poi clic bave superato l’Argonauta di gran lunga, havendo per hora disseminato la sua virtù lyncea al mondo, cosa io veramente unica et sola, tanto degna sopra 1’ altre cose quanto la luce dalle te¬ nebre. Però la prego a tenermi in sua bona gratia, pregandola me comandi, se sia, in suo servitio, buono a cosa alcuna, et me infonda per sua gratia qualche scintilla del suo lume, già che io in particolare l’ammiro et riverisco la sua virtù. F.t perchè non voglio tediarla, resto con basciar a Y. S. le mani et pregar N. S. la feliciti et mantenghi lungamente, in benelitio de’ virtuosi. Di Napoli, li 28 de Agosto 1612. Al comando di V. S. Sempre Ser. r « S. Galileo. Fabio Colonna Lynceo. Fuori: Al molt’111.® et Ecc. mo Sig. ro 20 11 Sig. r Galileo Galilei Lynceo, mio Oss. mo Roma (,) . 752**. NICOLÒ ANTONIO STELLIOLA a GALILEO in Firenzo. Napoli, 30 agosto 1612. BIbl. Naz. T’ir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 145. - Autografa. Molto 111.® et Ecc. mo S. ro Io era obligato di scrivere a V. S. per più cause : l’una de’ quali è l’instituto della nobilissima Academia Lyncea, che invita li suoi Academici, assegnatninente Il Coi.onna credeva erroucamcnte che Gami.eo fosse a Roma. XI. 40 30—31 AGOSTO 1612. 386 30 - 31 AGOSTO 1612. 52-758] nel presente mese ili Agosto, a congratularsi, in commemorazione ilei di che fu istituita 11 ; il che io lioru faccio et con V. S. t-t con gli altri S. ri Academici, loro augurando adempita foiieità. La seconda cauta è propria della persona di V.S., alla quale io et li studiosi tutti conimuneiueiite debbono far riverenza, conriu- graziarla degli alti avvisi datici dal suo Nunzio C eleste, cosa che con ogni ragione deve annumerarsi alle opere hercultc. Alle quali duo causa io aggiungo la terza, dipendente da' proprii mie ali. tti, attero che. ritrovandomi iu occupato nell’esser- io cizio della nobil professione di architettura, et havendo, per la communicanza de’ principi!, trasferito li miei atudii dalla architettura fabrile alla architettura animale et indi alla urchitettura celeste, mi consolo molto che, a mio tempo et nel concorso do’ miei atudii, vegga venire in luco la verità di cono molto profittevoli alla intelligenza della fnbrica mondana, la notizia «Ielle quali per molti passati secoli era stata sepolta in densissima caligine, ot perchè havendo io, alcuni anni sono, fatta composizione di una opera il cui titolo è Jklla investigiusion celeste™, mi viene non lieve aiuto dal consenso delle sue diligentissime osservazioni. La prego perciò a seguir le sue alte imprese in gloria del nostro secolo, et a ponermi nel numero de* suoi affezionati. Che la Maestà Divina lo conceda ogni felicità. 20 Di Napoli, il di 30 di Agosto 1612. Di V. S. molto 111.* et Kcc.** Devoti». 0 Nicolò Ant.° Stellila. Fuori: Al S. Galileo Galilei, Patrizio Firentino et Filosofo Eminentissimo, mio S.™ Firenze. 753 . l/VDOVICO CARDI DA CIUDI I n [GAI.ILEO iu Firenze.] Ruma, SI agosto 1612. Blbt. Na*. Plr. M %. (Ul., P. I, T. TU, car. Oó. Aatografa. Molto IU.™ et Ecc. m# JSig. T mio, Non ò scritto a V. S. aspettando la seconda lettera delle machie del sole, la quale poi che veglio non comparisci, li mando, di tr«*dici giorni, le osservazioni di dodici - 1 : ne inanella una per la interposizione dei nuvoli. Basta che neconten- <*> Cfr. n.* 742, Hn. 14. **’ probftMlaenU alPo^ra pubblicata quindici anni dopo col titolo: 11 v—ro trlrrt' di NiccoiA Astonio Smuou Lm- CN. Napoli, 16*7, P«r Domenico Maccarnua. «»> Non *ono oggi allegata alla lottora. 31 AGOSTO 1612. 387 [7531 ghano di una machia dal suo nascimento fino elio si è oeultata, per quanto mo¬ stra il mio ochiale ; et so bene è andata variando sempre di forma e di sito con l’altre, non di meno si è mantenuta grandissima sempre, fuori che negli estremi, quasi inostrandomisi in iscorcio, e nel mezzo in faccia. Imperò a quanto à detto della sua oppinione io non trovo, per quanto il senso mi mostra, repugnianza, io come a tutte l’altre. Gniene mandai già altre tanto delle dette machie: no ne ò auto nuova della riceuta. So volete si séguiti a farne più, scrivete, chè si farà ; ma non mi pare si possino fare giustissimo, per il continuo moto del sole, clic non ti lascia fare un punto, ch’egli scorre avanti: pure io spingo il foglio, se¬ guitandolo e tenendolo il meglio che io posso dentro a quella circonferenza già fatta, conforme alle sue già mandatemi. Vidi un poco, così alla sfuggita, in casa sua il Sig. r Marchese 05 , che dice avere riconto non so che scrittura fattale contro di autori o academici incogniti 05 , mandata da V. S. Non l’ò letta: ma lo dico che se la vuole rispondere a tutti, ch’ella non farà mai nulla. Però il Sig. r Marchese si offcriscie a risponder lui, 20 et di già ò visto non so che scatafascio, che dice essere in sua difesa. 0 bene o male che si sia, lasciate fare a loro, et voi attendete, perchè vi impediranno il corso, chè altro non desiderano. Non ò visto il Padre Gambergier 05 nè il Sig. r Luca 05 se non così alla sfug¬ gita, perchè sta molto lontano, et sempre impedito per vettureggiare, carico, in servitù della Sig. ra Mai-gerita (S) , tralasciando, per quanto dice, gli studi ; et così, beffeggiato da molti, si sotterra per tale umore ; nè io mi sono ardito a persua¬ derlo più die tanto, perchè lo veggo troppo impreda a tal umore; anzi mi sfugge, perchè sempre à sotto, che io lo trovo, o carne o cose siffatte, che lo porta là da questa cogliona, et si scusa medio con dire che gli à molto obligo, perchè so gli à insegniate. 0 pensate se lei avesse insegniate a lui, quanto e’ li parrebbe d’essere in obligo di servirla. Nuove non ò che darli, se non che io sono tutto suo al solito, et le pregilo da Dio sanità o contento. Di Roma, questo dì 31 di Agosto 1612. Mi favoriscila di un baciamani al Sig. r Filippo Salviati, et al Sig. r Iacopo Giraldi et al Sig. r Mi- celagniolo cr,) . Di Y. S. molto HI." Ser.™ Aff.™ Lodovico Cigoli. Lett. 753. 5. eh* ti oeultata — 21. attendente —■ (l > Federico Cesi. < s > Cfr. Voi. IV, pag. ] 45-183. ,8 ' Cristoforo Orienrkrof.ii. <*> Luca Valerio. < 5 ' Margherita Sarrocchi. Michelangelo Buonarroti. 388 31 AGOSTO lòl2. [754] 754 . LORENZO riGNORIA » GALILEO in Firenze. Padova, 31 mgooto Itili. Dlbl. Nu. Plr. Mm. Oa!.. P. I, T. VII, car. 48. — Autografa. Molt’ IH.** et molt’ Ecc. u S. r mio Osa."* Vedendo io nelle lettere che V. S. ha scritte del continuo a Mons. r Arciprete 0 ’, come mantiene fresca e viva memoria di me por sua benignità, non mi sono ar¬ rischiato fin a quest’bora di traviarla con lettura di mio lettere dall’importanza de'suoi studi, per non peccare (conio dis>e già un galant’homo) contro l’utile publico ; anzi che non osavo nò anco nella presento occasiono dar di mano alla penna, se non vedovo Mons. r Gualdo intricatissimo in certi Buoi negocii di giu- risdittione, chè speravo puro eh’esso accennasse a V. S. l'infrascritto mio desi¬ derio, et no ottenesse il compimento che si desidera da lei. Ilora sappia che, per fine honoratissimo, alcuni miei amici et io bramiamo sapere se alcuno costì ha io scritto la vita di Pietro Vittorio l’lmraanista et di Gio. della Casa, o latina o italiana che sia, o stampata o non stampata. Io mi ricordo vedere certo libro scritto in lingua toscana, stampato costi gl' anni passati, nel quale erano come elogii degl’huoraini illustri di Firenze, ma non mi ricordo il titolo; et lo viddi in mano di Mona. r Quorengo il vecchio et era stampato in forma di 4.* foglio, se male non mi ricordo; e forse conteneva quello che noi andiamo cercando. Hora tutto questo si vorrebbe sapere et bavere, se si potrà : et io rimborsarò volen¬ tieri la spesa a V. S., o facciaci in copiare, o facciasi in comperare cose stam¬ pate. Se ci potrà favorire, sarà contenta far capitare il tutto in mano al Mag. co Mi¬ chel Angelo Sermartelli, che con qualche cominodità mi farà capitare il tutto 20 sicuro. Mi scordavo dirle, che quando altro non < i sia a proposito nostro, ci ser¬ viranno però le orationi recitate in fuwre, o siano latine o siano volgari. Quello ch’io ho detto del Vittorio e del Casa, intendo di qual si voglia altro homo il¬ lustre in lettere de’ tempi nostri. E h io non m'inganno, quel libro eh’ io viddi appresso Mons. r Querengo, gli conteneva tutti. V.S. vede che filza di brighe io le do: se non le pare scusarmene, potrà fa¬ cilmente vendicarsene co ’l non lasciarmi così inutile servidore come per sua mo¬ destia mi lascia. Io la prego instantemente a così fare, chè l’essere honorato de’ suoi commandamenti mi sarà favore del quale io mi pregiare molto. Bacio lo <*> Pà0M> Guai. do. '*• A> ru.Mo Qcmiwoo. [754-755] 31 AGOSTO — 1° settembre 1612. 389 so mani a V. S., et le desidero ogni contento, a nome ancora di Mons. 1 Arciprete et del S. r Sandelli. Di Padova, il dì 31 Agosto 1612. Di V. S. molt’ Ill. re et molt’ Ecc. to Se costì nella galleria di S. A. Ser. ma overo ap¬ presso qualche gentil homo, si trovasse qualche idolo dell’Indie Orientali overo Occidentali, io riceverci molta grafia ad haverne un poco di schizzo, di penna o di lapis, con qualche poca informationo appresso del quid rei et quid nominis; et rimbor¬ so sarò la spesa del disegno di buona voglia. Ser. ro Àft>° Lorenzo Pignoria. Fuori : Al molt’ 111." et molt’ Ecc. te S. r mio Oss. ,no Il S. r Galileo Galilei, a Fiorenza. 755 ". GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Ronm, 1 ° settembre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, cnr. 117-148. — Autografa. Molto 111/ 8 et Eco." 10 Sig. re mio Oss. mo Io non mi credeva che sì agevolmente si dovesse scrivere contra il Discorso di V. S., come ho veduto dallo Considerationi (l) , che, insieme con la cortese sua lettera, il S. ro Marchese di Monticelli mi ha favorito di farmi rendere; ma nel vero tale ò anche l’oppositione, che, quando pur meriti che si ribatta, non lui da recare altra noia a V. S., che la sola opera dello scrivere, e di replicare nel più le medesime cose giù, dette. Perchè, lasciamo stare che l’autore ha tralasciati o fuggiti tanti luoghi e ragioni principali, a’ quali non ha risposto, nè ha forse saputo che si opporre contra le pruove matematiche, et più cose ha attenuato io senza sofficiente pruova o dimostratione ; a me pare, che dove si è faticato più per la difesa di Aristotele, non habbia manco levato in individuo l’obiettioni, ma solo habbia tentato di farlo generalmente, e schifato con de gli scherzi il vigore < l > Cfr. Voi. IV, jmg. 145 o sog. 1® RETTEVI IÌRP. 1612. 390 W] rii quello, bavendo pur anche dato segno in alcun luogo che nè anche quel che afferma Aristotele della larghezza della figura sia del tutto vero e sicuro; si come le risposto fatte per difendere ciò ch'egli ha detto dell’ago che si affonda, delle coso che si muovono più velocemente come sono di maggiore poso, benché sieno della stessa spetio, et altre tali, non mi sono parate bastevole Io mi son avvi¬ sato, per la maniera del trattare, che l’autore sia facilmente il Papazzoni,con¬ dotto, non è molto, a leggere a I’i> i, il quale è veramente riputato gran Pori¬ patetico: ma, qualunque egli sia, potea fare meglio l’officio suo; o contra chi ha 20 la dimostrationc sensata dalla sua, non ha saputo che dirsi di più forte. Delle cose elio qui si disputarono fra gli amici miei, quando V. S. mi favorì di man¬ darmi il suo Discorso, fu la prima, si come è anche nel principio di quello, se sia vero che l’acqua, nel congelarci, ere,chi di mole: perchè si apportò in con¬ trario l’autorità d’Hippocrate nel libro I)e atre, aquis et loeis y il quale dice che manca di mole, et allega 1’ esperienza, et il int‘dr-simo viene pur bora affermato dall’incognito oppositore; ondo V. S. mi favorirebbe di significarmi s’ella n’hab- bia fatta sicura pruova, perchè questi medici non vogliono credere che Ilippo- crate non l’havesso ancor egli sperimentato, nè hora siamo in tempo da chia¬ rirci con nuova sperienza. 30 Con grandissimo desiderio io sono stato attendendo la Lettera, overo Discorso, di V. S. intorno alle macchie solari; ma vorrei ben bora rho ogni altro accidente 1’ havesso impedita, fuorché la sua indispostone, di che tanto più mi doglio, quanto più io bramo eh’ ella si conservi sana, anche per publico beneficio. Ma rinovandomi V.S. la speranza ch’io sia pure, per sua bontà, per vederla, mi acqueterò intorno alla voglia ch’io porto di chiederle più cose, lo quali speronò saranno da quella insegnate. Intanto, perchè non posso negaro che no’due mesi passati ogni mattina per temilo, per l'opportunità della stanza d’onde si scorgo il sol nascente (perchè le vicine case o palazzi mi toglionola vista dell’occidente), 10 non sia andato guardandolo, e riconoscendo la verità delle cose che V. S. mi w significò; e particolarmente ho veduto che tanto tempo spendono a girare la metà del corpo solare quelle che nascono nella linea di mezzo, e, per diro così, nell’ equatore, quanto quelle che sorgono no’ tropici, non ostante che i cerchi che scorrono sieno diseguali; e però duo di esse, da me osservato dalli 12 per tutto 11 dì 23 d’Àgosto, spuntarono nel mode-fimo tempo dalla parte orientale del peri¬ metro, et essendo proportionatamente carni nate ciascuna nel suo cerchio, mi spar- \ero dalla vista anche nel medesimo tempo, nel passare il perimetro occidentale, benché havessero assai diseguale latitudine o declinatane; anzi quelle stesse ap¬ parenze di figura e di movimento che vicendevolmente mostrerieno due macchie simili che si dipingessero sopra un globo, c si facesse voltare, come credo che 50 si giri il sole, sono a punto state da quelle mostrate, come se al corpo solare tessero state affisse, il che ho poi anche osservato nel moto di alcune altre: 1° SETTEMBRE 1G12. 391 [ 755 - 756 ] laonde, senza riguardare ad altri argomenti clic vi sieno, parmi die da questo solo si possa conchiudere, eli’ elle vengono portate dal particolare moto del sole, et sieno a quello tanto vicine, che bì possano dire contigue, perchè la distanza è insensibile e di niuna consideratione. Quanto a gli altri accidenti delle mede¬ sime macchie, ho pur veduto che si conformano a quello che V. S. me ne scrisse; ma havendo intorno ad essi qualche dubbio, attenderò, come ho detto, di vederne la chiarezza nella sua lettera. E qui, rendendole gratie del favore, che mi ha co fatto, di farmi vedere le Considerationi dell’ Incognito, desiderosissimo che ’l suo valore sia conosciuto e stimato da tutti come da me, suo spetialissimo servitore, ma che non ho alcun modo di servirla, le bacio con ogni all'etto le mani. Di Roma, il primo di Settembre 1612. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ,na Afl>° Ser. re di cuore S. 1 ' Galilei. G. Batta Agucchi. Fuori, (V altra mano : Al molto Ill. ro et Ecc. mo 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Fiorenza. Sig. r mio Oss. niu 756 ** ANGELO DE FILIIS a GALILEO in Firenze. Roma, 1° settembre 1G12. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 44. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. or P.ron Oss. mo Se io giudicasse, scrivendo più spesso a V. S. molto lll. r0 , di non noiarla o d’avanzar qualche cosa nella sua gratia, io lo farrei; ma dal timor vengo retar¬ dato, perchè so quali c quante siano le sue occupationi; oltre che il desiderio non me spinge, perchè pur troppo mi pare haver ottenuto fin bora da lei. Nulla di meno il desiderio de conservarmi vivo nella sua memoria mi dà ardire che io parli, e che io nielli recordi quel vero servitore che pretendo esserli, et al- l’bora massimamente che il tacere vien dispensato, e che il silentio sarebbe re¬ putato più presto contumacia o mancamento che rispetto o virtù. Invitato dun- 10 que daU’occasion de questo tempo, prego a V. S. felicissimo questo capo d’ anno, nel quale nove anni sono liebbe prencipio la nobilissima Academia Lyncea, con un lungo corso d’anni appresso, acciò il mondo resti via più beneficato dalle sue rare virtù. Pregola tra tanto a recever questo novo pegno dell’ amor che le 392 1- - 7 BKTTKUUUK 1612. (.756-757] porto, del quale all’ laura mi terrò ev,or coati acauibiato, quando me farti gratia de qualche buo communio. Viva felice iluiuu, p.° 7bre 1012. Di Y.8. molto IlL 1 * et Kcc. ,m » Ser."* Oblig.» 0 sempre Ang. 10 do Filij b Lynceo. Fuori : Al molto IH.*» et l'.cc.** i>ig. #r P.ron U*a. u *<' li S. r Galileo Galilei Firenze. 757 . BELISARIO VINTA « ORSO D’ELCI in Madrid. Firenze, 7 nrttembre 1012. Aroh. di Stato In Firenaa. Fili» X* 1 . •* - Il capii' lo di UU«r» eh* pubblichino™ per primo è tolto ila una minuta della Safr»t»na di Stato. Ad « .«.• I. -umo >.*fuirn una informazione che si ha, autografa di 0zt.it.an, nalla '■-' rm Filza • In capo alla qu»J« Rzuazaio Vnrra zerlzse: «Mandata in Spagna «otto di tu di 8»lt** 1612 ». .... Propone anche, come V. S. Ili** vedrà nella feconda ■crittura, di fare rimostrare et insegnare costì il modo del mihtirare la luiigitudme >" a qualsivoglia hora della notte et quasi tutto il tempo dell'anno; che coloro che a’intendono della navigatione affermano che questo importi infinitamente al «errino del Re per tutta la navigatione delle Indie, et che V habbino a stimare sommamente.... Piace anco a S. A.S. far intanto pervenire all’oroccliie di S.Mi¬ di un nuovo trovato, il quale, messo in uso nella navigazione, può apportar quell’ultima perfezione che sola è mancata sin ora in tal esercizio: e questo è un modo di misurar la longitudine a qualsi¬ voglia ora della notte e quasi in tutto ’1 tempo dell’anno, ritrovato ultimamente da Galileo Galilei, vassallo di quest’Àltozza e suo Filo¬ sofo e Matematico Primario; et è quell’ istesso che col mezzo del suo telescopio, ciò è con l’occhiale che scuopre lontanissimo, ha ritrovate molte novità nelle stelle e moti celesti, incognite a tutti i nostri an¬ tecessori; le quali havend’egli con meraviglia fatte veder molte volte io a queste Altezze et agl’intendenti d’Italia di tal professione, gl’hanno aqquÌ8tuto tanta fede, che noi non mettiamo dubbio nella verità di quant’ ei propone, e massime dependendo, come egli medesimo ci tu Cfr. Voi. V, p»g. 413 a teff. 7-8 SETTEMBRE 1012. 393 [757-758] afferma, tutta la somma di questa operazione da un suo nuovo scopri¬ mento celeste, stato sino a questa età indeprensibile, il ebe fa cessar la meraviglia, eli e in alcuno potrebbe nascere, del non haver potu to gl’astronomi e geografi passati venire in tal cognizione. Quando piaccia a S. M. di porgere orecchio a questo negozio, si comanderà a detto Galilei ebe formi con distinta scrittura una minuta informazione 20 di tutti i particolari concernenti a questo maneggio, e si manderà a S. M. per determinare e concludere quanto sarà di suo piacimento. 758 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 settembre 1012. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. Vili, car. 149. — Autografa. Molt’ Ill. ro et molto Ecc. 1 ® Sig. r mio Oss. mo Non prima eh’lioggi ho riceuto la sua gratissima, con la copia della seconda al S. r Velsero, quale con parti colar sodisfattione si gode già da me e si godrà dall’ altri Lincei ; nè credo sarà alcuno che non desideri che si stampi subito, come si farà, parendo così a V. S., il cui giudizio non ha altamente bisogno d’aiuto alcuno. I disegni e si gustano per la meraviglia dello spettacolo, e per la diligenza del’ espressione. A’ suoi aversari molto ragionevolmente tocca rice¬ ver 8 barbazzate con l’istesso esperimento del senso, mentre, sofisticando con- tr’esso, abusano la raggione. io Mons. r Agucchia hebbo lo Consideratami (,) , et ve[drà] l’epistola; similmente il S. r Cardinal Conti, quale sentirò anco a che inchina.] I Signori Lincei restano delle sue consolatissimi, et sì come sono oblig[atissimi] al valor suo, che tanto riionora, così le saranno sempre veri servitori. Ricevei la cortese del S. r Filippo CI) , e le risposi subito, conformo. L’ordina¬ rio seguente inviarò il simbolo, che V. S. potrà darli ; et perchè i fogli ^ pati¬ scono e corrono rischio, andando in volta, bastarà eli’ in [alcujne schedule pro- portionate, delle quali manderò misura, noti i[l] suo nome, che si porrà al suo luogo, sino che vi sia occasione [di] qualche Linceo, ch’andando in volta possi trasportare ristessi fogli sicuri: così a punto facciamo col S. r Velsero. Intanto 20 mi farà grafia baciar le mani a S. S. in mio nome, chè veramente sento gran contento haver acquistato tal Signore, et a V. S. ne sono oltre modo obligato. Gl Cfr. il.» 755. mano. Cfr. Notizie evi cataloghi originali degli Acca- (, i Fiuppo Sauviatt. dentici Lincei ccc. por cura di Antonio Favaro (Atti <*! Intendi, i fogli nei quali gli Accademici del li. Istituto Veneto dì scienze, lettere ed arti. Tomo V, Lincei dovevano segnare il loro nome di propria serie VII, png. 1321-1339). Venezia, tip. Ferrari, 1894. XI. SU 394 8 — 14 8ETTKMRRK 1612. Le mando 1* accluse di doi de’ nostri Lincei di Napoli cn , le bacio con ogn’ alletto le mani. [758-761] persone degnissime, et Di Roma, 1*8 di 7mbre 1612. Di V. S. molto I1D* et molto Ecc. u fl P. r Porta è stato molti giorni male; bora comincia a star fuor di letto. Aff. rao per ser> sempre Fed.*° Cesi, Mar." di Moni. 11 759 . GIORGIO COUESIO a FRANCESCO DE’ MEDICI [in Firenze], Firenze, io settembre itila. Cfr.Tol.IV, pi*. 201. 700 * BENIAMINO ORSINO a GIOVANNI XEl’LER in Linz, IPrsga], Il aetteuibre ISIS. Blbl. Palatina In Vienna. Mia. 107011, o*r. 299. Autografa. .... Iteri fui cura Wackeno.... Dodit nubi librum iUlicum, Galilaei novum DUcursam de rebus quue sub aqua accidunt quaaque iu ea moventur. Ilime ego per otiuui proximis diebus latiuitate douabo. Vidobaiu etimi, Wackeriuui hoc velie.... 761 . FEDERICO CESI a GAI ILEO in Firenzo. Roma, Il settembre 1«12. Bibl. Na*. Plr. Mu. Gai., P. VI, T. VII!, car. 150. - Autografe. MolC DI." et molto Ecc. u Sig. r mio Oss. mo M’è sommamente piaciuta la seconda al SS. r Volsero, parendomi che V. S. liab- bia spianata aflatto la materia delle macchie. Hora ne lascio gustarci Signori Lin¬ cei, et poi la vedranno gl’altri che V. S. accennò. Lei non solamente dice il vero, e dottissimamente secondo il suo Milito, ma lo porge con gusto et util grande di chi legge. Di ciò m’è testimonio ristesso S. r Volsero, che di più scrisse ch’bavrebbe (chiestane prima licenza a V. 1S.) fatta stampar subito la prima, se in quelle parti ^avessero stampato bene in lingua italiana rna che sperava noi non rilaveremmo <*> Cfr. nu.i 751, 762. •«« Cfr. afi 705. 395 [761] 14 SETTEMBRE 1612. lasciato di fare qui. Non si tardarli dunque la stampa, non essendo nè anco bene io che ciascuno parli, e nelle scuole pubicamente di queste macchie si disputi, e non se ne veda cosa alcuna in luce del loro vero scopritore. Un Padre Dominicano la domenica passata, nelle publiche dispute al Col¬ leggio de’ Gesuiti, difendendo, il sole esser nel centro et girarsi circa lui tutti i mobili, n’ addusse per indicio dette macchie, materia, come lui dicea, solubile et vaporosa, che propinquamente le gira attorno. Le risposero i Gesuiti, esser stelle minutissime, che congionte in folta schiera si veggano, separate non possano di¬ stinguersi. Replicò egli, le stelle esser rotonde, et le macchie di figure strava¬ ganti et irregolari. Le fu fiaccamente risposto, la lontananza non lasciarci distin¬ guer la figura. Soggionse benissimo, che quando ciò avviene, ogni cosa par tonda, 20 e non mai le cose tonde d’altra figura. Si lamentavano altri, che al’obiettimi della figura non era stato ben risposto; che sia ben la stella stessa rotonda, esser necessario, ma non già la congerie di’stelle ; esserne nella Galassia et Nebulose l’essempio. Questo scopro sarà il rifugio de’Peripatetici, che con meno dilfieultà concederanno il cielo fluido, che corruttibile et alterabile; et posto quello, non si daranno molta briga del confuso e inordinato moto delle stelluccie, dicendo con la medema facilità 1’ ordine et via d’ esso esserci ascosta, che propongono ristesse stelle impercettibili. Ho voluto di ciò darle conto, acciò, se le pare, tron¬ chi anco questa via di sfuggir la verità, o interserendo in queste lettere subito qualche cosa al proposito, o in altra occasione riserbandosi a farlo. 30 È gionto, mentre scrivevo questa, da me il S. r Luca Valerio, che conferma le cose sopradette, piacendoli grandemente si stampino subito lo lettere. Le figure farò farle in rame, della grandezza da lei mandate, perchè siano tutte le macchie con- spicue; c perciò, per inserirle nel’istesse lettere a’suoi luoghi, bisognarà stamparle in foglio: che seben sarà poco volume, pur sarà principio del volume epistolico, che sarà poi grande (l) . V. S. avisi subito se le pare altramente, et Paltri avertimenti. Mando per il presente procaccio in una scattola il simbolo per il S. r Salviati : èmmi riuscita la pietra un poco grande, non liavendo bora trovato altra più a pro¬ posito ; pure credo non sarà scomoda a portare. Come abbia a compire il favor che in ciò m’ha fatto V. S., le scrivo per 1’ ordinario presente di Milano. Intanto 40 di tutto coro le bacio le mani. Di Roma, li 14 di 7mbre 1612. Di V. S. molto 111.” et molto Ecc. te Aff. mo per ser. la sempre Fed. co Cesi, Mar. 80 di Mont. 11 Fuori , (Taltra inailo: Al rnolt’111.™ et molto Ecc.* 0 Sig. ro Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Cfr. n.» 666. 396 15 8KTTKMIJKK 1612. [ 762 - 763 ] 762 **. FEDERICO CESI a GIOVANNI FABER [in Roma], (Koala, settembre 1612J. Arch. dell' Osplnlo di 8. Murl.i In Aqulro In Boni*. Csrtoffio di OioTsnni Fab#r. Fili» 423, c»r. 52**. — AuUifrsfs I» sottese ri* »©*•. Doetisa.' et Cbjtri*#.* Fr. S. P. Mitto Adriani Romani Triffononielriam ' Non vidit adhue D. Valerio* noater, ncc etf0 per bene, frater. Tempo* non deerit posto»». Deo fareute. Quaeso Rideremo Nuncium Galilei nostri ad ino reraìttat, ut pò*nini cablatori romniUrum solarium ibidem lunarca caelatn* ad esemplato ostondere. Lynceographum sollicitum me tonH Fr«!inet in «*o pervtdendo et D. V., otre* nostrao Lycaei Neapolitani recto procedaut et •tabiliantur. Misi Bymbolum Salviato ( *. Yaleat D. V. «tiara atque et min. D. V. Fr. tolo poctore amana 10 F. Cae8. Lync. P. Fuori: Doetis* et Chari*a. # Fra tri D. Ioanni Fabro Lyn. 763 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 15 settembre 1612. BLbl. Na*. Fir. Mm. Gal., P. VI, T. Vili, csr. 159. - Aut^ral*. Molt* IH.*" et molto Ecc. u Sig. r mio Oss." d Per il procaccio di Firenze Ito inviato a V. S. il simbolo per il S. r Filippo Salviuti in una scatoletta: potrà dunque ricuperarlo, et in mio nome et luogo porlo a eletto Signore, giungendoci un fraterno complesso. Noti egli il suo nome in pezzi di carta pecorina, come avisai V. S. per P altra mia, in spatii simili al’ acclusi et secondo V istessa forma . Diale anco 1’ accluso ristretto di quelle costitutioni più necessarie a sapcr.M bora, che ciascuno di noi osserva ; ®t rap- Apriam RoMAXI Canon trinnguUrnm ex officia* Iosnnii Albini. Anno MDCIX. ricor um brtvistimut oc famUimmt. tjmamptnrimit^na •* Cfr. nn.' 701, lin. 86-88 0 763. exrmplii optic« proitetti iUuttrntut. in yrntvt*, attro- «*' Cfr. n.“ 758, Ho. 15. nonno*, eoimographia*. gtographiat, etc. ilogantiso, I 4 ' Cfr. n.» 685. 15 — 21 SETTEMBRE 1612. 397 [763-764] presentandole il contento che sentiamo del favore che ci fa, l’assicuri pure che tutti i Lincei le saranno servitori di vero affetto e divotione, et fratelli di vera io fede et amore. Con che baciando al’uno et altro le mani, di tutto core li saluto. N.S. Dio li conservi, et feliciti tutta via più le loro nobilissime speoulationi. Di Roma, li 15 di 7mbre 1612. Di V.SS. molto lll. ro et molto Ecc. to AiT. ,no fratello per ser. la sempre Fed. 00 Cesi Line. 0 P. t M. di M. H Fuori, d'altra mano : Al molt’ Ill. r# et molto Ecc. te Sig. r Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei Linceo. Firenze. 764 *. MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma. Augusta, 21 settembre 1612. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro in Soma. Carteggio di Giovanni Fabor. Film 419, car. 137. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. m0 S. or Oss. mo Mal volontieri et di rado soglio dar conto alli amici della mia indispositione, poiché lo scriver il falso non starebbe bene e scrivendo il vero, conosco che sarei causa di mag¬ gior loro afflittione. i Mando appresso la lettera ringraziatoria al S. or Marchese, tale quale il presente mio stato permette, pregando V. S. si contenti di supplire più diffusamente con S. E. et con gli altri SS. 1 Lincei, che si sono mossi a favorirmi con tanta schietta bontà, senza altro in¬ teresse, poiché non possono attender alcun frutto da questo sterile agro. Bene spero poter dar loro un poco di gusto la settimana prossima con alcuni fogli Accuratioris Disquisi¬ vi turnisM sopra le macchie solari, fatti stampare da un mio amico. V. S. non si scordi di mandarmi il catalogo di tutti gli Lincei, sì viventi come morti ; et se han fatto stampar cosa alcuna in tal qualità, me lo denoti. Inclusi vengono gli cinque polizini col mio nome (S) : se non stanno bene, V. S. si faccia intender meglio ; et mi dica il nome del S. or Marchese, et il titolo del Marchesato. La 2® lettera, che il S. or Galilei dice havermi scritta circa le macchie (s) , non comparse mai di qua: debba trovarsi costì, per esser publicata; in qual caso V. S. mi favorirà d’una copia. Desidero sapere in che termini si trovi il libro de materia medica dell'Indie Occi¬ dentali (kJ . . . . O) Cfr. Voi. V, pag. 35 u sog. <*> Cfr. n.° 758. I» Cfr. nn.i 741, 765, liti. 7-11. <*> lutendi il « Tesoro Messicano »: cfr. ii.° 584. 398 2i BtlTtlMBRK 1612, [ 766 ] ?r,5. GIO. FRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO In Firenw. Venni», '23 •ettnnbra 1613. Blbl. Ka*. Flr. Mw. Oal., I». VI, T. Vili, e*r. 1*4. — Aatofraf# lo Un. 20-21. Molto 111.™ Sig. r Eoe. -0 Questa settimana ni siamo mutati rii ca », essendo venuti a stare qui a S. Marco nella Procurati» giA habitata dal Ser.‘ 1 I’rencipe, onde a mala pena ho saputo ritrovare la penna et calumar, non che le lettere alle quali son debitor di rispo¬ sta : perciò V. S. Ecc. m * si contenti con queste ricever nolo le mie cordialissime sa- lutationi, con l’aviso della ricevuta dello sue lettere e scritturo, a me carissime. Ilo fatto copiare la lettera per Augusta insieme con lo figuro; ma per questa mutatione di ca^a ho perduta V occasione di mandarla heri al suo viag¬ gio, havendo equivocato dal venere al sabato, per la similitudine de’ cibi che si mangiano in questi giorni quadragesimali : ma al sicuro venerdì prossimo sa-io ranno incamminate. Ho veduto il libro del Porta n , goti->iino al possibile. Ho scorso il Parcilipo- rnenon ad Vitelionem del Keplero 5) , huomo veramente dotto; ma tra’ matema¬ tici a me pare che si possi chiamare peripatetico et enigmatico, sicome il Porta tra’ dotti stimo che egli tenga il luogo che tengono le campane tra gli instru- menti di musica. Mi ò capitato ultimamente un trattatello sopra gli occhiali, fatto dal Keplero 1 ‘, e per quanto ho veduto, habbiamo oppinioni molto conformi. Ma con maggior coni modi tà le scriverò altri particolari : e per fine le baccio la mano. In Venetia, a 22 7mbre 1612. Di V. S. Eco,®* Tutto suo 20 Ecc. rao Galilei. G. F. Sag. Fuori: Al molto III.™ S. r Oss.»° L’Ecc. m0 S. r Galileo Galilei, Filosofo et di S. Alt." Lett. 785. 14. fxirepatetieo — Ml Intonili, Ir seconda a Marco Wiuu tatto macchie notori. Cfr. n.« 745. Ad ViUiliontm parali pò* tna, quibut altro**- mine pan optiea traditur, potiti*** de artifieim* obicrvatiane rt a.ti'matton* diametrorvm detiquioru*- que tot* et lunae. Cum esempli» intignino! *dip*iuiu. Firenze. Haben hoc libro, toctor, inter alia multa nova, tracia- tura lucnlentum de modo visionto et huniorum ocu i usu, contra opticoa et anatomico», authore Io*w* Krn.vRo, R. C M. Mathematlco. Francofurti, apo Claudium Marninm et haoredos loanuis Aubru, an¬ no Mnciv. Hi Cfr. n.» 449, lin. 52. [ 766 - 768 ] 22 — 27 SETTEMBRE 1612. 399 766 . TOLOMEO NOZZOL1NI ad ALESSANDRO MARZIMED1CI iu Firenze. [?], 22 settembre [1612J. Cfr.Vol. IV, pag. 289-293, 767 **. LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO in Vicenza. Padova, 25 settembre 1G12. Bibl. Marc, in Venezia. Cod. LXVI della Cl. X It., car. 116. — Autografa. Molt* Dl. r * et R. m0 S. r mio P.ron Osa.” 0 Tengo lettere dal S. r G[alilei], che bacia le mani a V. S., et desidera sapere ae lia ve¬ duto In sua seconda lettera scritta al S. r Vclsero in detorruinationo delle macchie solari, perchè i Peripatetici haveranno iu [...] lo stoma[co] loro, tuttoché io havessero di Struzzo.... 768 * CRISTOFORO DI ZBARAZ a GALILEO in Firenze. Bologna, 27 settembre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 100a o 1001.. — Autografa la Urina. E. mo Sig. or Dotore Galileo etc. Passando per di qua verso la Madona di Loreto, non ni’ è parso se non di visitar V. S. con queste quatro righe, salutandolo et insieme relegrandome del suo buon e felice stato, come ò fatto più volte ; ma non hebbe la risposta delle mie a lei scritte. Piacendo al Nostro Signore, nel ritorno ch’io farò da Roma, mi verà a pigliar la via di Fiorenza, dovo che a bocca la salutarò et in persona. In tanto desidero di saper del’ esser suo : et volendomi scrivere, potrà inviare la sua a Loreto alli Padri Gesuiti, chè là mi sarà data, perchè io spero di esservi in 8 giorni al meno. Et con ciò gli Lascio le mane, et me gli offero et decornando. io Di Bologna, adì 27 Sette. 0 a. 0 1612. Di V. S. molto E.tiss. ft Aft>° Amico e Servitori Chris top boro, Duca di Zbaras, Cavalerizzo Magior del Renio di Polonia. e Servitor è aggiunto di mano di Oiusiopoao di Zbaras. 400 27 - ite tìKTTLMBKfc 1612. r s. (') cereo a Ven.\ a Padova et qui lilialmente uno di quelli occhialli della sua futicha et invelinone, et non mi non potuto intop&r in nisuno che vaglia. La prego che alla mia tornata mi faccia gratin di procurarmi di un che sia, al iuditio suo, buono et perfetto, che per amor uo lo lenirò a caro, come cosa della virtù alia. Se V.S. mi potè»ne mandar li cristalli mio per bora; se non, alla mia ve -20 nuta, la prego. Fuori: Al* E."* Sig.** Dottor Galileo Galilei, Sig. or mio Oab."® Fiore rua. 709 * LORENZO PIQNOR1A » GALILEO iu Firenze. 1 ’aUora, !W «ettembre Iòta. Blbl. Vu. Flr. Mw. G*L, P. VI, T. TI», e»r ISA - Atttofrth. Moli'III.** et molt'Ecc. 1 * S. r mio 0».*° Rendo molte gratie a V. S. di quanto la sua cortesia m’ ha procurato costì per la memoria di quo* galantuomini ' ; e starò attendendo il tutto dal M. co Ser- martelli, al quale di qua s’è dato ordine particolare in questo proposito. A commodo di V. S. attenderò pure qualche nova «Ielle bizarrie Indiane. Del libro ilei S. r Cremonino non sono stampati altro che quattro fogli, co ’l principio, il quale porta questo titolo in fronte: Cucsaris Cremonini etc., Dispu¬ tano de rodo, in trrs partes divisti, de natura coeli, de motu coeli, de motonbus codi, de abstract Ut. Adii da est apologia dictorum Arisiotdis de Via Ladeu, de facie in orbe lunae. Sichò V. S. apparecchi pure un lino usbergo, et faccia bene io arruotare le sue armi. Stampato che sia, io ne mandarò uno a V. S. in diligenza. Mons. r Arciprete ’ sta in villa, nè ho mancato di salutarlo a nome di lei 1 al¬ ci Cfr. n.o 7J*4. <*> Paolo Ucaldo. 28 SETTEMBRE 1012. 401 [760-770] tr’hieri, sicome ho pur fatto ’1 medesimo con tutti questi altri miei Signori. Bacio le mani a V. S., et le desidero dal Signor Iddio ogni contento. Di Pad. a , il dì 28 Settembre 1612. Di V. S. molt’111.™ et molt’Ecc. 1 ® Ser.™ Aff. m0 Lorenzo Pignoria. Fuori : Al molt’ Ill. re et molt’ Eco. 10 S. r mio Oss. ,uo Il S. r Galileo Galilei, a 20 Fiorenza. 770 * MARTINO SANDELLI a GALILEO in Firenze. Padova, ‘28 acttcmbre 1G12. Bibl. Bat. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXXXVIII, u.° 123. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. n, ° mio S. ro Osa." 10 I cortesi saluti datimi da Mons. r Arciprete (,) e dal S. r Pignoria «a nome di V. S. Ecc." m , dovevano prima d’ adesso avisarmi del mio debito di renderglieli duplicati, non solo con la penna di que’Signori, come ho pur sempre fatto, ma con la propria mano. Credami nondimeno V. S. Ecc. ma , che in questo mio man¬ camento non vi ha havuto alcuna parte la negligenza, ma più tosto un mio na¬ turai rispetto di non esserle molesto con lettera di semplice complimento, mas¬ sime sapendo quanto ella sia occupata ne’ suoi nobilissimi studi et quanto sia stata travagliata da una lunga et ostinata indispositione, del che ne ho sentito io quel dispiacere che si conviene all’ amore e riverenza che le porto. Ilora essendo io pur novamente provocato dalla gentilezza di V. S. Ecc. ma con un saluto invia¬ tomi nella sua al S. r Pignoria, non ho potuto contenermi di non darle con que¬ sta mia qualche segno, quanto mi sia cara la memoria che si compiace tener di me, et a quanto onore mi rechi di bavere qualche parto della sua gratia : anzi che, invitato dalla sua natia gentilezza, ardirò di pregarla di un favore, per un bisogno mio di qualche momento. V. S. Ecc. ma ha da sapere che io, da un tempo in qua, ho fatto la vista tanto debole, che il giorno non posso leggere o scrivere senza occhiali, e la notte, al lume della lucerna, neanche con quelli, senza molto patimento della testa e 20 della vista. A questo incommodo non credo si possa rimediare altrimenti che O» Paolo Gualdo. XI. 51 402 23 8ETT1HBRE 1612. [770-771] con qualche ingegno carato dall’optica, ool quale si rinvigorisca la vista, o adom¬ brando il lume, o ripercotendolo, o aggrandendo le specie dell'oggetto visibile o in altra maniera che io non so nè dire nè invaginarmi. Supplico pertanto V.S.Ecc mi di soccorrere a questo mio bisogno con qualche argomento del sottilissimo inge¬ gno suo, col quale per Unte reali et maratigliose prove, al dispetto della invi¬ dia, mortai nemica della virtù, si ha acquistato titolo immortale di Archimede celeste. InUnto se la mia debolezza può ennero atta ad impiegarsi qui in alcuna cosa di suo servigio, la prego con ogni istanza ad honorarmi de’suoi comanda- menti. E col fino a V. S. Eoe."* bacio afiVttuoeisaiuiamente la mano. Di Padova, li 28 Settembre 1612. jd Di V. S. molto III." et Ecc.■* Ser." Deditissimo Martino Sandelli. Fuori: Al molto 111." et Ecc.** mio S." Osn. m ® 11 S. r Galileo Galilei, a Firenze. 771. f|l MARCO WELSER a GALILEO in Firenze. Augusta, SS M>tteoibro 1612. Blbl. Nat Ptr. Vm. GaJ., P. HI, T. X, enr. il. - A«U*raf». Ur. Val. V, >83. Molto 111.* et Eoe.» 0 S." Gas.» 0 La mia greve indispositione continua a travagliarmi tuttavia, sì che non posso visiUre gli amici con spesse et copiose lettere, come sarebbe mio obligo et desi¬ derio, particolarmente verso V. S., colla quale discorrendo sento tanto gusto; ma l’impossibilità me lo vieta, ri in Utero reputati lum est quando Iddio mi fa grazia di salutarli brevemente con poche righe, come segue per la presente. Mando a V. S. alcuno nove speculationi del mio amico circi rrs cadestes''\ quali ho consentito siano stampate principalmente rispetto alle osservatami che mi do a credere siano per esser grate a tutti gli amatori et investigatori del vero, non mi ar¬ rischiando di pender nella decisione del resto più da una parte che dall’ altra, ^ poiché manco il mio affetto non mi permette di applicarvi 1’ animo debitamente. Intendo che V. S. ha scritto una seconda copiosa lettera sopra questa materia, diretU a me, quale non mi è ancora venuU vista^ ma la sto aspettando con sin «•I Cfr. Voi. V, p*g. 3? 0 , 0 j. <»> Cfr. n.' 705, lin. 7-11. 28 — 29 SETTEMBRE 1612. 403 [771-772] golar desiderio; restando fra tanto con baceiar a V.S. la mano cordialissima¬ mente et pregarle ogni bene. Di Aug. a , a’ 28 di 7mbre 1612. Di V. S. molto 111. 0 et Ece. ma Aff>° Servit. 0 Marco Velseri. 20 Fuori: Al molto 111.® et Ecc. mo S. or mio Oss. ,no 11 S. or Galileo Galilei. Firenze. 772 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 29 settembre 1612. Bibl. Naas. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 157-158. — Autografa. Molt’ 111." et molto Ecc.*® Sig. r mio Oss. ,no Mandai subito a Mons. r Agucchia l’operetta del lettor di Pisa 0 ’, havendola però prima veduta et ponderati i scarsi rifugii del’ autore. Quanto alla dedicatone delle sue osservazioni solari, concorro seco nella dignità e nobiltà del’opra, stimandola et conoscendo debbia esser da tutti sti¬ mata sopramodo; et farei anco il rimanente, quando non mi trovassi haver quasi compito un mio trattato, dove pienamente dimostro l’importanza delle celesti osservazioni e novità scoperte da V.S., et l’obligo che deve haverseli da tutti i dotti et studiosi, e quanto ne godano l’intelletti liberi, tacciando a ba¬ io stanza 1’ invidia, che fa gridar gl’ altri e la poca sicurezza de’ loro fondamenti, che li fa temere e risentirsi; quale pensai da principio, visto clic sia da V. S., dedicar al’istesso Granduca: di maniera che, dovendo così più pienamente so¬ disfarmi e servirla in opra propria, non potrei ripeterlo in semplice lettera de¬ dicatoria. Potrò sì bene giugner a queste epistole in fine una mia, che farò al S. p Porta (se le parrà) con la risposta d’esso, ove possiamo dir delle sue osser¬ vazione quello che doviamo, e riderci un poco del scompiglio de gl’ obligati alle sette; et havrò per ciò qualche motivo. L’opra, ch’io ho fatta et chiamo Celispicio , contiene molte materie celesti, come V. S. vedrà, quali vado scorrendo anche teologicamente, e sbatto partico- 20 larmente la sodezza e durezza e molteplicità d’ orbi e copia de* moti. Il tutto “> Cfr. Voi. IV, pa*. 197-244. 29 BKTTFMBRE 1612. 404 P72] starà a giudicio di V. S. Et quanto alla dedicatone di queste Lettere Solari per evitar ©gn’ ombra d’aflfettationo, chè, essendo lettere, potrebbe ad alcuno par rorc non dovessero dedicarsi, esondo già iudrir/at© a chi son scritte, nè potes¬ sero dedicarsi da chi non ha parte iu esse, sarebbe forse a proposito che il Bi- bliothecario della nostra Compagnia, al qual spetta far che si stampino l’opro declino*!, Cacai la dedicatione alla Gran Duch. -a Madre, dicendo eh’essendo queste lettere, : .ritte da V. S. privatamente, utilissime eneceeaariissimc al publico, e volendo egli, conforme alla sua cura, d'ordine anco degl’altri, farlo stampare, a nitino meglio l’è parso dedicarle eh’a 8. A., dalla cui persona et casa, me¬ diante la proteti: i, procedono simili frutti e heneficii alli studiosi,etc, 80 Quando le paia, io lo proporrò come mio motivo ano’ a questi altri Lincei, e laro quanto a V. S. parrà. L’opra, ho pensato posa intitolarsi , qual nome ho proposto al S. r Demisiani, et 1* ò pia- iuto sommamente. Il nome di Linceo sarà anco attri¬ buito al S. r Vels. ro, e t»i dichiarar* meglio nella dedicatoria; et bora si fornisce di stampar quelle materie del Pernio ” con P istesso. Quanto alle osservatami et aggiunte, ai ossenrarà quanto V S. avi-». Alla -p.-:i non si guardarà in conto alcuno, o lo figure dello mar uie b faranno tutte in rame, anco di nuovo quello di Aitile, chè non è breve nò la. ile il farle vrnire; e perciò con la presenza del S. r Cigoli lioggi ho convocato tre intagliatori di rame, et scelto un tedesco 1 ' 1 , che io sarà il meglio, e già comincia. Si stamparà in quarto, e non potranno venir più che quattro figuro per foglio, ciò-' una por carta, e bisognar^ porle tutto assieme nel fine. Le manderò quest*altro ordinario una eooraa d’un innominato Ilollan- dese *’ con Apollo, che eaaendovone una sola in Roma, prestatami, l’ho fatta copiare, credendomi V. S. non P Imbiba hauta. E poca cosa, e non v’è quasi niente di tisico, niente di matematico, e portasi malissimo, non nominando V.S. e gloriandoci che col telescopio (eh** egli duo ma JJatavica Dioylra) si siano da nationi estere fatte gran ooso nel cielo. Qui non si perderà temilo, acciò 1’epistole si stampino presto, conoscendolo, con i Lincei et altri amicL-dmi di V. 8., neceMiariistbmo. A visi e comniandi. Nonio mi pare harer accennato al S. r Filippo d’altro suggetto d’annumerarsi: potrà bene in ciò V. S. ir considerando a bel agio, et avisarne. Ilo scritto in fretta, che non ho più tempo. Bacio a V. 8. lo mani, salutandola di core. Di Roma, li 29 di 7bre 1612. Di V. S. molt’ 111." et molto Ecc. ! * «" Cfr. n." 665. «*' Cfr.Vol.XlX. Doe. XXII. 1,1 Mattco Gwnrr«». Dé *» mnimadr+r,;. H tam ab Ap.U, in tabula ipooiandnm in ino, oMf*- •ùù. BoUti di.v rUtiuncul* ad Amplissimum No i- llwirnuinquo Virum Cornolium Vftiider-Mllliuni, Aea- drmiae r.uj{odinon*U Cur«tor*m Yigilantissimimi. a o«cin» Pl*ntini»u» Kaph«l«ngii. MUCXH. **' Fiurro Salyuti. 29 — 30 SETTEMBRE 1612. 405 [772-773] A visi se in che luogo devono stamparsi le let¬ tere d’Apelle, cioè prima o poi. Il S. r Demisiani difende gagliardamente l’opi¬ nion di V. S., espostali da me, del giaccio e della co figura. Il S. r Valerio affretta compositioni bellissime. Afi>® per ser> sempre Fed. co Cesi. L. 1\, Mar. 8 ® di M. u Fuori: Al molt’ Ill. r ® et molto Ecc. ts Sig. p mio Oss."*° Il S. r Galileo Galilei. Fioren/.a. 7 73 **. FLAMINIO PAPAZZONI a [GALILEO in Firenze]. Pratolino, 30 settembre 1012. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. Vili, car. 159. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo S. r mio, Ilo letto et a me et a questi Signori la prudentissima lettera di V. S. molto 111. et Ecc. ,na In risposta della quale, prima le dico eli’ ho a nome suo fatto ri¬ verenza all’Ecc. mo S. r P. Don Carolo (,) , mio Signore, all’ 111."' 0 S. p Averardo (t) et Ecc. S. r Tromba, quali tutti la risalutano, coni’ io di tutto cuore. Poi le dico che ci mancano anco doi quinterneti del suo libro ristampato (S) , essendo quello si compiacque darmi va sino a carte 50, et quelli mi ha hora mandati cominciano da carte 65, onde vi mancano carte otto : però si degnarà inviarcele, acciò non le manchi all’opera mandatami per sua singolarissima cortesia. Quanto poi al io scriver sopra ciò, 6 un pezzo eh’ io havevo cominciato un’opereta in esplicationo di cose Aristotelice, la quale si agumenterà con quest’occasione con quella mo¬ destia conviene; et se ho mai detto, alcuni non intendere Aristotile, tutto è stato detto per mio parere, senza haver pensiere di offendere [a]lcuni, massimo miei Signori : et sappi V. S. molto 111. et Ecc., eh’ io ho ricosati molti volere intorno a ciò discorrere; ma era ciò interpretare, perchè io cedessi in credere Aristotile bavere errato. Ma hora è ben vero che sì per entrare a leggere la Posteriore al- 1’ Ecc. n '° S. r T. D. Carolo, materia tanto difficile et nella quale io sono molto dif¬ ferente dalle communi espositioni, sì perchè si avicina 1’ andare a leggere a Pisa, Lett. 773. 9. mandatemi — __ < 3 ' Intendi, la seconda edizione dol Discorso sullo Galleggianti: cfr. Voi. IV, yag. 6 o 59. <’> Cari.» db’ Mkdioi. ( *> Avkkaiido db’ Mkdioi. 406 30 6KTTEMBRK — !• OTTOBRE 1612. [773-774] nè io mi contento inai (Irli© fatiche fatte, macinio dovendo cominciare a capite la philosophia naturale, non potrò cosi pretto effettuare il mio et suo desiderio » nel cho ella è senza queeto fastidio, di dovere legere publicamente, onde può liberamente attenderò alle huo cose. Potrebbe però essere, mandassi almeno in luce qualche principio, il quale vedendo ceserò accettato, andarò avanti perla verità. V. S. molto 111. mi riami, et si conservi. Di Pratolino, Volt* di Settemb. 1612. Di V. S. molto 111. et Eco.** S. r Aff. m » Flam. 0 Papazzoni. 774 * DANIELLO ANTONINI a GALILEO in Firenze, Udine, 1* ottobre 1613. Blbl. Kos. rir. Km. Osi., I’. VI, T. Vili, c»r. 160. — AetofrsfS. Molto 111." et Eco.** Sig. r mio Col."* L’ haver per strada incontrato alcuni impedimenti, che m* han ritardato il camino, et poi alcune altre ocupationi, doppo giunto a casa, sono state caggione che cosi tardi avi so V. S. molto 111/* et del mio arivo et della sua lettera riceuta con le immagini del sole, le quali per Y apunto rincontrano a quelle che nelli stessi giorni feci io in Brasatile*; si che poco m’importa più la sua domostra- tione, per assicurarmi che siano contigue alla faccia del sole quelle macchie che in esso appaiono. Ben è vero che p r altro mi saria carissimo ’1 vederla pure, nò ardisco domandargliela, tanto giunta mi pare la sua offerta di mostrarmela s’io vengo a vederla; nè oso prometterle di venir per quest’anno, del che son molte io le caggioni, ma principalmente una ambasderia che deve far mio fratello 10 , oltre certo inimicitie et brighe, et cose cosi fatte. Può bene V. S. assicurarsi che con la prima comodità io sarò là, et spero che sarà meco ancora il Sig. r Paulo Apruino, che cosi m’ha promesso mentre passai per Treviso; del quale direi a V.S. al¬ cuna cosa miracolosa, et degna insoma d’un tanto discepolo del Sig. r Galileo, se non T havessi a credenza. Ricordisi V. S. che io lo vivo servitore, et rai comandi. Di Udine, il dì 1 Ottobhre 1612. Di V.S. molto III." et Ecc.®» Ser. r Afl>° Daniello Antonino. Fuori: Al molto 111." et Ecc,® 1 Sig. r mio Col. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. * l * Aifoyso AkToxmi. [776-776] 4 — 5 OTTOBRE 1612. 407 775 * MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma.’ Augusta, 4 ottobre 1612. Aroh. dell’ Ospizio di S. Maria in Aqulro in Roma. Carteggio di Giovanni Falor. Filza 419, car. 125. — Autografa. Molto 111.* et Ecc. m0 S. oro Finalmente mi è capitata la 2' lettera del S. or Galileo, quale non ho liavuto tempo di poter leggere a modo mio, ma, per quanto veggio così alla sfuggita, mi par una gran bella cosa, et la stimo degnissima di luco, insieme colla prima; se bene dubito elio questa patirà un poco di difficoltà por le tante ossei - vationi solari che vanno aggionte, quali però si possono ridurre in forma assai minore, come ha latto Apelle, sì che non occupino più di mezo foglio. Se il S. or Marchese si contenta d’aggiouger una sua lettera, come V. S. accenna, non ha dubbio che le due del S. or Galilei ne riceveranno molto lustro. Il Discorso del S. or Galilei delle cose che stanno sopra aqua mi sodisfa molto, et mi 10 pare così ben munito di ragioni et di esperienze da tutti i lati, che converrà vi metta del buono chi pretende convincerlo. Mala bestia ò l’invidia, cho dove vede qualche scin¬ tilla di verità suscitata da altri, corre a smorzarla, in luoco che dovrebbe metterci ogni studio per farla crescere in lucidissima fiamma. Il S. Cremonino in Padova intendo che stampa de cado O, et che si conosce sino dal titolo che la vuol attaccare col S. or Galilei. Non so se sia per negare le macchie, che certo mi parrebbe boriimi troppo ardire. Ma se discorda solo nel discorrere ciò che si siano queste macchie, sarà cosa assai tolerabile. Staremo a vedere.... 776 . MARCO WELSER a GALILEO in Firenze. Augusta, 5 ottobre 1612. Blbl. Nftz. Flr. Mss. Gai., P. Ili, T. X, car. 2il. - Autografa. Cfr. Voi. V, pag. 184-185. Molto 111.® et Ecc. mo S. or Oss. mo Comparve finalmente la 2 a lettera di V. S. di 23 Agosto (!) , mandatami dal S. or Sagredo : creda pure che ricevuta come manna ; tale et tanto era il desi- pi Cfr. 11.0 709. Giovanni Echio e Tkovii.o Muroleb. Cfr. Voi. V, png. 37 o «eg. U. 52 C OTTOBRE 1C12. 410 1777-778] copiare per poterla harer stampata. Ho scritto in fretta: lucioaV.S. le mani, salutandola di core. Di Roma, li 6 di 8bre 1012. Di V. S. molt' 111.** et molto Ree.* Aff. mo per ter. 1 * sempre Fed. 0 * Cesi Line, 0 1*., M. di M.“ 778 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Ho ma, G ottobre Itili. Blbl. Naa. Flr. Me*. GaL, P. I, T. TU, car. 4(1 — AaUfraf*. Molto IlL r * et Koc. - * Fig. r mio, Hebbi finalmente le due lettere, per leggere, di V. S., et subito, come volse, le restituii, le quali mi partono bellissime: la prima, aperta e chiara, et la se¬ conda, perchè non bavero lo figure datanti, «stai un poco; pure le si stampe¬ ranno, et allora con comodità la potrà comprami* re a mio gusto: nella quale havendomi favorito, ne resto infinitamente obligato. Ho visto poi la scrittura dello Acadeniico Incognito, la quale, per qu into l'ò potuta intendere, è piena di cimice e doviziose iscempiaggini: come sarebbe, ad esempio, di Alessandro Mftgnio, che per distruggere le fallace delle inveterate oppinioni, favori Aristotile, et questo nuovo Alesamlro perciò disfavoriscila questo altro, che tendo al medesimo fine; io et altrove, elio i maestri, seguaci di Aristotile, faccino testa per non rimaner soli nelle squole ; onde si vede non aver per fine la verità, come lo istesso lor mae¬ stro comanda, ma la ostinazione. Et stando insul fuso, con bellissimi epiteti fra¬ tini, o traslati o metafore (perdonimi il Sig.f* Archidiacano Bonciani ;,! , che èqua presso al Sig." Abate Orsino, che lo difende), va facendo un cumulo di fonda¬ menti, che se non vi fabrica sopra, e* soldati ni mici enterranno dentro senza «diala. Dissi al Sig. r Marcese che queste erano cose da far rispondere a qualche giovane, o al meno sotto tal nome: credo ne Benvorrà a V. S., et intorno al prin¬ cìpio dato dello intagliare le machie solari, e forse ne manderà il primo esempio a V.S., perchè ne dica il suo parere r) . Nel resto sono tutto suo, et insieme ha- “I Francesco Boxoiaxi. rn Cfr. n.o 777. 411 [778-770] 6 OTTOBRE 1612. dando le mani a lei, al Sig. r Filippoal Sig. r Iacopo Giraldi, al Sig. r Micelagniolo Buonaruoti e tutti cotesti Signiori, le prego da Dio ogni contento. Di Roma, il dì sei di Ottobre 1612. TI Sig. r Coccapani (ì) schambiò dallo machie del sole a tiuelle della luna. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. n,a Umilissimo Ser.™ Lodovico Cigoli. Fuori : Al molto 111. et Ecc. mo Sig. or mio Oss. mo 11 Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. 779*. ARTURO PANNOCCHIESOHI D’ELCI a GALILEO in Firenze. Pisa, 6 ottobre 1G12. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.»LXXIV, n.® 96. — Autografa. Ill. re et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo Come dissi a V. S. in Fiorenza, io Laverei desiderato clic innanzi al mese di Novembre V.S. havosse preso ordine e riscossa tutta la sua provisione per tutto questo mese d’Ottobre, per pareggiare il suo conto ne’ libri che mando ogn’ anno a Fiorenza. Però V. S. potrà ordinare chi deve riscuòterò i denari per loi, che io dentro a questo tempo ne farò il mandato. Aspetto con desiderio che V. S. mi favorisca d’un volume del suo Discorso ristampato, come la mi promisse ; e ba¬ ciandole le mani, le prego dal Signore Dio ogni felicità. Di Pisa, li 6 d’ Ottobre 1612. 10 Di V.S. Ili™ et Ecc. ma Àff. m0 per servirla Al S/ Galileo Galilei. Arturo d’Elci. Fuori : All’111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. < 2 ' Gismondo Coccapani. Ol Filippo Sai.viati. - 412 lu ottohub 1612 . [ 780 ] 780**. SIGISMONDO di Cologna a BENEDETTO CASTELLI in Firenze. Monreale, 10 ottobre 1413. Bib. Nu. Flr. M««. Gal.. P. VI. T. XIV, car. : '<-± 6 . Autografa. A car. iiùi., di mano di Giulio si lfgg 4! D. Sigismondo. Molto Ven. ot Osa.** P.re Poppo eh’ io fui «sunto in Sicilia, coti per (rutto mio come anco per obbedire a V. P. molto V. che m#> 1 * impone, ho att*«o aiH tWiWo» Barikolomati iSottri, M-fa* nnoh.- Oro,ISUOMO BaOMm (rfr n .* 812 Ito. 14), r nii,*, tj p©*raphia8«eundinlBonMlIoli,M.DC.XXX) non troviamo il nomo, Cflr. Rttfontio Ioaxhir Cavilli paf. 4. [782] 13 OTTOBRE 1G12. 415 782 . PAOLO APROINO a GALILEO in Firenze. Treviso, 13 ottobre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 62. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. n '° Sig. r , mio Sig. r Col." 10 Bella fortuna ò stata la mia, che il Sig. r Danielle (,) , ritornando di Fiandra, sia capitato a Treviso, havendomi eccitato a dar conto a V. S. molto 111.™ et Ecc. ,ua dello stato mio, dopo tanto tempo eli’ ella non ne ha havuto nova. Et in vero in parte io ne sono da iscusare, per haver travagliato quasi due anni in mare, et in parte no sono in colpa da alquanti mesi in qua, che sono ritornato a casa, non havendo pigliato a ricordarmele, come bora faccio, per quel servi¬ tore obligatissimo che le sono. So eh’ ella haverà piacere di sentir nova del mio ben essere: così potessi io dimostrarmi non indegno del molto amore che si è io compiacciuta sempre di portarmi, se non in altro, almeno in qualche buon frutto degli studii eh’ ella medesima ha piantato con buona mano. Ma qual arbore po¬ trebbe nei nudi scogli fermarsi con buone radici, non che render frutto alcuno, anzi non seccarsi del tutto nell’afflusso continuato delle acque salse ? Io ho pro¬ curato però sempre con diligenza, et procuro tuttavia, quando arrivo pure alcuna volta a qualche tranquillità di animo, di non tralasciar quella poca coltura eh’ io posso, per mantenervi il verde almeno alla radice, et per non perder in tutto la speranza di mandar fuori pur un giorno qualche virgulto. Piaccia intanto a V. S. Ecc. n,a , come io le vivo devotissimo servitore, così haver memoria di me, degnandomi di qualche sua gratia; che per line le facio riverenza, et le mando 20 qui occluse le lettere del Sig. r Danielle a lei drizzate, eli’ egli dal Friuli ha in¬ viato qui da me già alquanti giorni ts) , seben mi sono capitate solamente P al¬ tro lucri. Treviso, 13 8bre 1612. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na S. r Devot." 10 et Oblig. n, ° Paulo Aproino. Fuori: Al molto Ill. ra et Ecc. mo Sig. r , mio Sig. r et P.ron Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. (1 ' Danikllo Antoxiki. <*) (Jfr. u.o 774. 13 OTTuBKE 1612. 783-784] 416 783 . FEDERIGO CESI a [GALILEO in Firnue]. Homi, 1S ottobre 1612. «Ibi. Nu. «Ir. Uh. Od., P. I, T. VII, c*r. 48. - Autografa. Molt’ 111.™ e molto Eoe. 11 Sig. r mio Mi mandò il S. r Marco Velcro T altri opra d’Apollo aacosto (,) ; e appunto rilavoro fornita di Bcorrore, e consideravo ricercasse una terza lettera da V.S. quando m* è gionta la sua delli 8 del presente, nella quale m’accenna il suo pensiero di sodisfarli, che molto mi piace. Farmi però sia necessario sollicitare per più rispetti; et i Germani sono prestissimi, e facilmente prevengono. Aspet- tarò dunque ella avisi come et a chi deve esser la dedicatione, e s’altro voi aver- tire. Intanto saranno forniti Tintagli, havondomene già il Greuter recati dieci: le no mando un paro per mostra. Se le pare bisogni ristampar T ultime d’Ap¬ pello, si farà. È degna di consider&lione la differenza della lingua, e però forse io potrebbe inserirsi alcuna delle lettere del S. r Velaero, acciò apparisse che la ri¬ sposta segue alla proposta. Bacio a V. S. le mani et al S. r Salviati. Stia sana, et mi commandi. Di Roma, li 13 d’8bre 1612. Di V.S. molt’111.™ et molto Ecc. u Afl>° per ser> sempre Fed. fo Cesi Line. 0 P., M. di M. 11 784 . FILIPPO MANN UCCI r GALILEO in Firenze. Venni», 13 ottobre 1612. Blbl. Naz. Plr. Mia. Gal., P. I, T. VII, c»r. 50. Autografa. Molt’ III.™ et Ecc. roo S. r Compare, La presente sarà resa a V. S. Eoe.®* da Gio. Iacopo, mio figliuolo, et ha stret¬ tissimo precetto dal padre, di poi fatto il primo suo debito d’ ossequio e reve* Cfr.Vol.V, p.if.87 o *«g. 13—16 OTTOBRE 1612. 417 [784-785] renza a Mess. Cosimo suo zio, in secondo luogho eleva far 1* istesso con lei, e de¬ dicarseli per servitore affezionato in primo grado, come professa suo padre ; qual glie lo raccomanda con quel più vivo affetto che sa per esperienza che si può far verso i figliuoli, acciò d’opera e di buon consigli et avvertimenti l’aiuti, come creatura del maggior servitore che abbia e come proprio suo. Del S. r com¬ par Magagnati non li porta altro che una semplicie raccomandazione, poi che io ha scritto per mano del Priuli e Grillo musici. 11 S. r Conte Ingolfo 10 le fa re¬ verenza: ò uno de’pretensori della lettura che già fu sua; e quei Signori Pado¬ vani hanno un’ eresia in testa, che V. S. Ecc. nm la proccuri di nuovo, e che de¬ sidera tornar a Padova. O quanto son lontani, per mio credere, dala verità! Così gl’ho detto, e credo non m’ingannare, tanto più che intendo che fa condurre a Fiorenza il suo figliuolo (!) . Finirò con farle umilissima reverenza, baciandole le mani. Ho visto una sua lettera per occasion d’ un Fidia, volsi dir Apelle, molto bella. Dicami se presto è per vedersi alle stampe cosa alcuna di suo. Perdonimi il tedio. Iddio con lei. 20 Di Von. tt , li 13 Ott.° 1612. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. nia Ser. ro e Comp. ra Oblig. ,no Filippo Mannucei. Fuori : Al molt’Ul. re et Ecc." 10 S. r e P.ne Col.' 00 11 S. r Galileo Galilei, a Fior. 2 * 785 * ORSO D’ELCI a [BELISARIO VINTA in Firenze]. Madrid, 16 ottobre 1612. Ardi, di Stato In Firenze. Filza Modicea 4042. — Autografa. -Quanto all’invenzione del S. r Galilei, di poter navigare da levante a ponente* 8 ’, già è stata proposta qua da un altro matematico Spagnuolo, et si è offerto di farne espe¬ rienza; la qual cosa finché non resti chiarita, et disingannato il matematico et questi ministri, non si può entrare con nuove pròpositioni. 1M Incotto de’ Conti. Padova era rimasto presso la madre Mauisa Gamia. (S) Vincenzio, che alla partenza di Gai.ii.eo da ,8 > Cfr. n.° 757. XI. 5:j 418 19 OTTOBRE 1012. 780 . LODOVICO CADDI DA CIGOLI « GALILEO in Firenze. Mutua, 11* ottobre Itili. Blbl. Nax. Flr. Mu. Gai., P. I, T. YII, «ar. M. — Autufrafa. Molto 111.™ et Ecc.®* Sig. r mio, Sono stato dal Sig. r Marchese, il quale mi dice che aspettava lettere di V. S., et si dispera, et domani, che è -ubato, ne farà cercare ili nuovo a tutte le poste. Imperò se non à risposto, risolvete presto, perchè tutti e' vostri amici giudicano che sia bene die quanto prima le radino fuori. Anzi sarebbe meglio olla l’avessi l'atto quando ella fu qua, che la di «li questo machie, acciò non avesse auto campo il finto Aprile di vestirsene, come si vedo ch’egli si ingegnia; et dove non può far di meno di nominarvi, vi inette in dozzina, et il Clavio per il più sublime; et a molti contraibili e modi ili parlare, et imparticolare nel fine, pare a molti sia Giesuito ; in oltre che il Padre Gainborgier difendo e tiene co- li tale oppinione, che le siano stelle. Ora sollecitate, e mandate al Sig. r Marchese quello volete, acciò le possa dare a’riveditori, et così selle stampette delle machie vi piacciono, et tutto con sollecitudine, perchè lo intaglio è a buon termine. Et risolvetevi da qui inanzi a stampare e vulgare et latino le stesse cose, et in copia grande, e non, come avete fatto, con tanta scarsità, et di molte far capitale del Sig. r Marchese, perchè lo desidera, por quanto e’ dimostra. Ora l’essere stam¬ pate in Roma, non mi dispiace punto, et imparticolare di queste due lettere delle machie del sole; chè credo, nella pistola o lettera davanti, che si fini qua, sarà bene si accenni coinè lei, quando fu qua a Roma, lo disse a tutti. Et di Saturno e di Venere pare anchora si voglia osurpare: però sollecitate a preve-so nire, e non dar campo ai malefici et agli invidiosi. Nel resto io non ò che dire, se non che stiamo sani et allegri. Sono al fine dalla cupola, e se non fusse che va adagio a seccare, arci datoli fine fino sci mesi fa, chè questo è quello che mi à trattenuto, nè altro. Mi favoriscila di salutare gli amici e cotesti Signoii, et allei cor ogni affetto baciandoli le mani, le pregilo da Dio ogni grandezza. Di Roma, questo di 19 di Ottobre 1612. I)i WS. molto III.™ et Ecc.®» Umilissimo Servitore Lodovico Cigoli. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. or mio Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Iiett. 780. 4. tutti nostri — 13. nflritudinr — _ m Cfr. n." 7S8, Un. 5. [787-7881 28 OTTOBRE 1612. 419 787 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [alle Selve]. Firenze, 28 ottobre 1612. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 56. - Autografa. Molto 111.' 6 ot Ecc. mo Sig. r mio, Mando a V. S. Ecc. nm gli errori del Coresio, che ho raccolti per sino a quel bello bello contro al Mazoni, perchè non lo voglio notare se non sono con V. S. ll) Starò aspettando un giorno di questa settimana la carrozza, o altra comodità, c verrò a far riverenza al S. r Filippo (S) e concludere quanto si ha da lare in questa scrittura: tra tanto la potrà vedere e correggere dove li pare, che in tutto mi rimetto in lei; c li bacio le mani. Gio. Batta 0 li fa riverenza. Di Badia, il 28 d’ Sbrc 612. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Oblig." 10 Ser. 1 ' 0 c Discepolo io D. Benedetto Castelli. Fuori : Al molto Ill. ro et Eco." 10 Sig. r 11 S. r Gal. 0 Galilei, mio Sig. r Oss." 10 788 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze.] Roma, 28 ottobro 1612. Blbl. Naz. Flr. Mss. Hai., P. VI, T. Vili, cnr. 165. - Autografa. Molt’IU.” et molto Ecc.’° Sig. r mio Oss.' 110 Dopo la sua delli 22 ho riceuto quella delli 12 del presente, cagione che l’or¬ dinario passato non hebbi sue, e mi rammaricavo col S. r Cigoli della tardanza di queste sue solari osservationi c lettere al’ uscir in luce, vedendo quanto fret¬ toloso sia l’inapellato G o( ‘ ) a mandar fuori le sue, e procurar di fraudar lei del debito titolo dello scoprimento, e mantener sò nel possesso che già crede d’haverne: che sebene appresso e’ dotti e s’affatiga in vano, tuttavia, oltre gl’ emuli et invi- Lett. 7S7. 1. In luogo di di questa settimana prima aveva scritto della settimana che viene; poi corresse.— «>) Cfr.VoI. IV, pag. 239-242 e 285. Intendi «Gesuita», doè il P. CiusToFono <*> Filippo Salviati. Sohkineh. Cfr. Voi. V, pag. 21, 3Ó. < 3 > Cfr. Voi. V, pag. 191, nota 2. 28 OTTOBRE 1612. 420 1 ^ 88 ] diosi di V. S., la plebe filosofica et altri lontani (come 1* Olandese *>) facilmente se pi’accostano. Son sicuro, le lettere di V. S. pii troncaranno onninamente l’ap¬ plauso, e porranno un duro boccone fra’denti al Cremonino et Peripatetici. Però io unitamente eollicitiamo a darli da rodere quanto prima. La dedicatone si far A come coro manda. Il nome \ io pensai, e lo coni- municai al S. r Demi&iani e S. r Valerio prima che ini gionge6se il novo discorso d’Apelle; ove vedendolo simile, n'bebbi non poco dispiacere, havendomelo quelli grandemente approvato. Mi nacque perciò lo scrupolo che V. S. accenna. Ma es¬ sendo sicuro che Ypelle babbitt tolto il suo 11elioscopio l,) dal nostro Telescopio 5 * 1 per il libro di Lagalla , gionto in quelle parti, et un altro di Girolamo Sirtori ( *\ che da ine qui P inteso, ambidoi registrati nel catalogo della passata fiera ver¬ nale di Francfort, mi o--a alquanto. E veramente io vorrei, perla dignità stessa e nobiltà del* opra, vi fosso altro titolo che di l.ctUre solamente. Potrà ella con- 20 siderare, et noi anco discorreremo di qua, già che lassaremo il primo foglio al*ul¬ timo a stamparsi, com’è solito. Invero se li S. r ' Frug anti stimassero più la lingua nostra della Latina, dalla qual deriva, mi parrebbe facessero grand’errore. Li latina delle voci greche, come di gioie, sol molto bene adohbarsi. Ma che dic'io? la nostra parimente da quella piglia tutti i nomi e termini delle scienze; e so non ha preso ancora quelli eh’bora tentiamo comporre, nasce che nonhahauto P occasione. Lodo tuttavia Pavertimento, e tanto più per il primo scrupolo, e forse non sarebbe male servirsi di nome Toscano, come Scoprimenti solari, Contempla¬ timi solari, o simile. V. S. rommnndi. 11 Greuter arguita gagliardamente, et credo quest’altro ordinario manderò tutto le ligure fornite a V.S., con quelle prime sa d’Apelle rifatte. Bacio a V. S. le mani, pregandola a far P istesso in mio nome al S. r Salviati. N. S. Dio ci conceda l'adempimento de’ nostri desiderii. Di Roma, li 28 d*8bre 1612. Di V. S. moli’III." e molto Ecc. u Àff. m ® por ser. u sempre Fed. 0 Cesi Line.® P., M. di M. H «*’ Or. n.- 772. Un. 48 44. Intendi, il titolo di UrUtoapia : efr. n.« 772, Un. 33. '* Cfr. Voi. V, p*jr. 57, lin. 11-12. <*' Intendi « nostro » il non» di pWoptd, dato al cannocchiale ; il qttala fa proietto o da Gio¬ varsi Punsi**!, o fora* aqco dallo v»o Finmirn Orsi, se dobbiamo prestar feda a (itoumi Matti* r a DR1.LA Porta, che in una tua lettera ferire : < le- lesoojuuni oitendi (lobet hoc ati nomine, a mao P. iu cipe reperto). » Cfr. Àf,*torù •otoneotniiclt, d,tr.{c rodomù» dei lÀMm e dal Primmpa /«Wo Cmi, line* d' .4 rqunipt, rfo, /Water. • Prjmmp* dJU me- raccolte 0 scritte da l>. IlAunassaai dos¬ ar a trai. Roma, MDCCCVt, nella stamperia di Luigi l’araffo Sali ioni, puff. 93. 1 />• pAo«au, [789] 2 N0YJ£M131tE 1012. 421 789 . MARTINO SANDELLI a GALILEO in Firenze. Padova, 2 novembre 1612. Bibl. Navi. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 16G. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc.. ,no mio S. rft Oss. mo Con troppo grossa usura la gentilezza di V. S. Ecc. mn mi ha ricambiato l’offi¬ cio che per ragion di debito feci seco li giorni passati con una mia ; poiché non solo mi significa la non volgare affettione, che, la sua mercè, mi porta oltre ogni merito mio, condolendosi meco così fiumanamente della mia indispositione de gli occhi, ma di più mi attribuisce quelle lodi, clic con rossore di me stesso sono sforzato dalla conscienza a riconoscere molto più dalla cortese affettione che mi porta, che dal giudicio. Ma che meraviglia che V.S. Ecc. ma sia così liberale nelle parole? se avanza ne’ vivi effetti, dandomi così amorevoli ricordi e così eccellenti io istruttioni per la debolezza della mia vista, alla quale vedo che non si può fiuma¬ namente provedere con altra maniera o istromento che con quello ch’ella mi pro¬ pone, ciò è con li cristalli colmi, eccellentemente lavorati. Onde io fio pensato, come prima possa trasferirmi a Venetia, di fornirmi dal Baci di quelli che più saranno acconci alla vista mia. Farei torto alla somma gentilezza di V. S. Ecc. ma s’io credessi riuscirle noioso pregandola d’un altro favore, pur quasi nello stesso proposito della vista. Io so¬ glio usare in camara la lucerna dall’ oglio, poiché le candele non solo col vibrar della vampa m’ offendono la vista, ma con la loro fumosità, cagionata dalla ma¬ teria, m’infiammano la testa; c perchè il lume della lucerna è debole, nè può 20 allumare la stanza quanto io vorrei, quindi ò clic la mia naturale maninconia vien accresciuta da quel lume mezzo morto. Per ciò, se occorresse a V. S. Ecc. n,a qualche inventione di stroraento col quale, o con la moltiplicatione del lume, o col reflesso o in altra maniera, si potesse spargere per la stanza, dove io siedo o passeggio, una luce viva ed allegra, mi sarebbe in vero di grandissimo solle¬ vamento, perchè passarci quelle fiore della notte senza la noia, la quale m’of¬ fende non poco la sanità e la testa in particolare, che viene molto debilitata dalla maninconia, la quale cagiona aiìlittione d’animo e risolutone de’ più puri spiriti. So che all’altezza dello ’ngegno di V. S. Eec. ,na questi sono puri scherzi; ondo con maggior ardire vengo a pregarla di così fatti favori, e tanto più che la sua bo- 80 nignità mi ci tira, offerendosi con tanta prontezza. Alla quale per segno di rico- gnitione dirò solo, che se le forze mie corrispondessero al desiderio grande che tengo di servirla, io sarei forse il maggior servitore eh’ ella avesse ; ma se mi veli- 422 2-3 NOVEMBHE 1612. [789-790] gon meno le forze, sia certa oh* in affetto di riverenza non conosco supcriore 1 che sarà il fine, con baciarle affettuosamente la mano. Di Pad.*, li 2 Novembre 161*2, Di V. S. molto DI." et KccSer." Deditiss. 1 » Martino Randelli. Fuori: Al molto 111." et Ecc.»« S. r mio Uss. B# D Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. 700*. FEDERICO CESI a GALILEO fin Firenze]. Kotna, S novembre 1012. Bibl. Km. FIr. Mm. Gel., P. VI. T. ▼Ili, ear. 170 171. - Autofrafa. Molt’ 111." et molto Eco. 1 * Sig. r mio (Jh8. mo La sua delli 29 8brc mi c-upitò a punto hier sera, mentro stavo col S. r Cigoli et Greuter rivedendo i tagli delle macchie, quali, ancorché forniti, non gli mando, havendoli al* istesso artefice riconsegnati con i rami o gl’originali istessi, acciò, riconoscendovi certi diffettuzzi, li riduca alla perfettione de’primi; e ciò fatto, le manderò le mostre impresa. Nel stamparle non sarà difficile far più negre quello del mezzo, ot io ci farò usar ogni diligenza; e le stamperà l’istesso Greu¬ ter. Aspetto le lettere del S. p Velsero, et che in* avisi i luoghi dove le voi inserte alle sue, et anco se voi che quelle d’ Apollo -i pongano avanti o pur dopo le sue, poiché r uno et 1’ altro panni pò-sa farsi con qualche raggione. Questi particolari io hanno trattenuto il cominciar a stampare et anco la cosa del titolo, chè mi paro l’opra lo morti particolare e di qualche consideratione. Solleciti dunque, chè non mi par bone lasciar ch’Apelle pigli più campo ; ot son sicuro non dorme bora, vedendo la sua seconda lettera. È favorito da’ Peripatetici et da tutti i suoi com¬ pagni ntc., ch’invero invidiano la gloria di tante inventioni; et oltre il Proble¬ mista ”, scopro io qui in altri l’istesso affetto, o sento ben spesso nelle prefa- tioni e proemii parlar do* nuovi scoprimenti e tacerne l’authore, e talvolta attribuirli in genere alli matematici: ma io in tali occasioni non taccio, ancorché doglia.Il buon l’odesco eh’ è qui (,) , invero è molto leale. Se le pare in questa terza epistola toccar l 1 opinion ch’io l’accennai, che le so macchie fossero congerie di stelle, non sarà forse male, poiché, com’ io a punto pronosticai, i Peripatetici tutti vi si gettano dentro, nò si vergognano dire che Inondi, r anfore del problema Dt Imamium montium altitudini Cfr. Voi. Ili, Par. I, p*f. 301-S07. fc probabile, Intenda 11 GtttKsnwoKn. 3 NOVEMBRE 1612. 423 [790] quelle stelluzze invisibili stiano in alcuni orbicelli, o più presto crostarelle celesti, che co’ loro movimenti le congregano e disgiungono, dolendoli non meno di perder la diamantina solidità celeste eh’ il privilegio dell’ incorruttibilità. Sarà anco ma¬ teria da scherzare; e non è male toglier la radice di sì fatte, ancorché vane, sfug¬ gite, che, posto in campo da famosi e loquenti catedranti, facilmente nel filosofico volgo hanno séguito, e appo i men dotti et infarinati, e finalmente ignoranti. I buoni intendenti nel mondo sono pochissimi; la gloria s’acquista per la voce so di molti. Qui si tratta di sradicare i principali dogmi della dottrina hoggidì magistrale, contr’ il Maestro di color che sanno. La libertà eh’ ella mi porge, mi dà ardire di dirle che non mi pare sia bene in alcun modo tacciar la nazione, ma sì ben la persona e la classe, sotto mano. La nazione è amicissima delle lettere e letterati, c colla moltiplicità de’ libri e stampe sostiene la gloria di quelli, c i Lincei particolarmente devono Laveria amica: sono liberi nel filosofare, et vedo honorano molto l’Italiani, mentre non hanno particolar passione o invidia. Nel catalogo di Francfort è ristampato il libro del’instrumento delle proporzioni di V. S., con commenti di Mattina Perneg- gero 1 ’ 5 ; e son sicuro che le sue opre li saranno stimate conforme al dovere, et 40 laveranno altro honore che quelle d’Apclle, ancorché ei sia della nazione. Le mando l’incluso foglio rifatto d’Apelle. V.S. mi comniandi, e presto. Le bacio le mani, et anco al S. r Salviati, mio Signore. Di Roma, li 3 di 9bre 1612. Di V. S. molt’ lll. ro et molto Ecc. 18 Nella dedicatoria si porrà quello che discorsi col S. Cigoli, delle vedute delle macchie fatte in Poma. La minuta d’essa se le manderà, prima si stampi, acciò sia a suo gusto ; e se Y. S. vorrà vi s’accenni altri particolari, Lavisi; e se le pare ille¬ so glio, poi anco mandarne minuta o ristretto o capi da toccarsi, chè sarà servita. Perdoni alla lon- gliezza di questa e fretta. Aff. ra0 per ser. 1n sempre Fed. co Cesi, Line. 0 P., M. di M. u Fuori: Al molt’Ill. r0 et molto Ecc. 18 Sig. r mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Galilei L. Lett. 790. 24. loro movimen le — 2ó. V diamantina — 1*1 D. GAl.il.AEt dk Gai.ii.aeI8 Patritii Fiorai- SKGGF.no ex Italica in Aurina»# linguam nuna pritnum tini, occ. De proportionum instrumento a se invento, translatus, adiectis etiam notiti illustratus, quilus et quod merito compendimi! dixeris uni versile geomctriae, artificiosa instrumcnti fabrica et usua ulterior expo- tractatus,rogata philoinathematicorum a Mattiua Ber- nitur. Argentornti, typis Caroli Hulleri, 1012. 424 3 NOYLUUKL 1612. L791] 791 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Kouia, 3 novembri- Itili. Blbl. Nai. Flr. Mm. UaL, P. VI, T. Mll. ear 168 Autografa. Molto Ill. r * et Ecc.*° Sig. r mio, Delle due prime lettere ili V r . S. mandata al Sig.r Marchese, ebbe prima la se¬ conda e poi la prima, et dal maestro della posta iarsera la terza, ebo iov’ero; et in questo giunse lo intagliatore con il resto delle machie, le quali sono finite; Bolo le vole un po’ rivedere. Dice il Sig. r Marchese, che non può cominciare a stampare la scrittura se la non gli manda la lettera del Valsero, che va davanti. Circha alla notizia data delle machie del sole, io me ne ricordo eh’ ella lo disse qua; intanto sarò com Mons. Dini. Et del fìnto Apelle, il l'arsi vivo con quella destrezza ch’ella sa, piace; ma toccar lui, e non lallazione oltramontana; anzi quella onorarla, poi che con lo stampar lo sue opere, e tradotte latine e comen- io tate 40 , ci pare li apporti molto onore. Ma ci pare bene che lei ne abbia fatto molta scarsità, poi che dice il Sig. r Marchese che a Roma non ce ne arrivò se non quattro, che ne ebbe due lui, e oggi non à nessuna e non sa dove ne avere: però bÌ8ognia la ne mandi, et se la pensa che io sia capace dello intendere, me ne mandi uno ancora a me, et darò ordine al mio fratello che rimborsi dello strumento 1 V. S. della spesa. Dalla quale scarsità, a Napoli un certo Giesuito, non ve ne essendo, se ne faceva bello, et delle stelle di Giove e d’altro. Mons. Agucchia la saluta, o si scusa per l’impedimento del male; et per que¬ sta ò preso la briga di rispondere io per lui, et per la seguente dice che le darà risposta ; et le bacia le mani, et le è affezionatissimo. 20 Quanto alla nuova pervenuta di me costà 10 , è la istessa per Roma et non è del tutto vana, ma non le ne davo conto per non essere ancora conclusa; il che sarebbe, se non che, avendo io nepoti, ò volsuto alcune condizioni di libertà, le quali non potendo dare il Gran Maestro, è convenuto il breve di Sua Santità per darli tale autorità ; et il Sig. r Cardinale Borgese 1’ à mandato con sue lettere molto favorevoli; et perchè le prime andorno male alla posta, lui a bocca l’à racomandate allo imbasciatorc qui di Malta, et allui mandatolo. Lui è lo autore, sollecitatore; et l'à voluto fare con il consenso del Gran Maestro, perchè di quelli fatti dal Papa ne à fatto la Religione tal volta qualche romore. Ora ci è il plor Lett. 791. 26. j>u4(o — 1 Cfr. n.» 790, Un. 87-40. n» intendi, dulia nomina a Cavaliere dell’Ordmo 4,1 lntondi > ‘I compas»o geometrico e rn.hut». di Malta. 3 — 4 NOVEMBRE 1612. 425 [791-792] 80 cet del Papa e del Gran Maestro : ma perchè le lettere stanno, fra lo andare e tornare, vicino a tre mesi, nel qual tempo può sucedere varii accidenti, perciò non ne avevo dato conto a V. S. et al Sig. r Amadori 10 ; al quale se non scrivo, è perchè, non avendo altro che parole non necessarie, mi parrebbe di far torto a tanta vechia amicizia. Io sto bene et allegro, e non senza disgusto de’ mia ne¬ mici, sentendo e veggendo andare le cose contrarie al loro desiderio, et dello af- frescho ancho a canbiare oppinione che io non sapesse dipigniere ; anzi dicano pur di quelli alcuni, che le paiano fatte a olio. Io fo la gatta morta, fingo di non sapere nulla, e rido drento ; nè mai dico mal di loro nè di loro opere, attale che vanno scapitando, et io guadagnando molto del campo. Basta : Dio mi fa meglio 40 eli’ io non merito, et non ò altro desiderio che di vederla e goderla ; nel resto non mi curo di nulla : però Dio ci dia sanità, e grazia di goderci insieme con il Sig. r Amadori, al quale mi faccino un brindisi, et vivino felici. Di Roma, questo dì 3 di Novenbre 1612. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ma Umilissimo Ser. ra Lodovico Cigoli. Fuori: Al molto Ill. ra et Ecc. mo Sig. r mio Il Sig. 1 ' Galileo Galilei. Fiorenza. 792 . GALILEO a [FEDERICO CESI in Roma]. Lo Selve, 4 novembre 1612. Bibl. della R. Aocademia dei Lincei in Roma. Msa. n.» 12 (già Coti. Boncompagui 580), c&r. 186. — Autografa. Ul. mo et Ecc. rao Sig. re e Pad.» Col. m ° Ho ricevuto grandissimo alleggerimento dall’intender, per l’ultima di V. E. l2) , la ricevuta delle mie, che per la tardanza gl’avevano data occasione di querelarsi della dilazione nel mandar fuori le Lettere Solari, il che rincresce a me ancora ; ma non posso farci altro, per¬ chè varie occupazioni, e le molte cose che mi passano per la testa 82. ne avo dato — 47. Qalilelo — Gio. Battista Amadori. (*> Cfr. n.° 788. XI. 64 426 4 NOVEMBRE 1012. [792] per altre occasioni ancora, non mi lasciano esser tutto qui. Credevo con questo ordinario mandargli la terza, ma non l’ho ancora finita riuscendomi più lunga di quello che credevo: ma non per questo si pigli pensiero che ini venga usurpato molto, porche spero di far ve-io dere quanto scioccamente sia stata trattata questa materia dal G." 1 , col quale voglio far quel risentimento che conviene; ma il volerlo far senza disgusto del S. V. 1,1 mi apporta difficoltà non piccola, e mi ò cagione di tardanza. V. E. 1' ha benissimo accompagnato con quell’ altro eiusdem ordinis 1 . Ma si stupirebbe oltre a modo se ve¬ desse una lunga scrittura che questo medesimo mi ha mandato ultimamente, in risposta ili quella mia die gli capitò in mano; dove è cosa mirabile il veder 1’ audacia e franchezza con la quale e’ persiste in asserire, quella materia essere stata da lui trattata diver8Ì83Ìmamente da quello elio la scrissi io, ancor che possa co -20 staro ad ogn’uno che eT ha copiata dal mio Nunzio. Certo che son restato storditissimo in veder la risolutezza che egli usa meco, come si dice, a quatti*' occhi, 0 penso ciò eli’ e’ direbbe per difendersi in palese. Solleciti pur V. K. quanto può la pubblicazione, oliò la 3 a lettera sarà finita fra 4 giorni, e gliela manderò insieme con quelle del S. Yelsero. La ragione che mi adduce in proposito del titolo l4) , mi ap¬ paga: però accomodilo come più gli piace, chò di tutto mi rimetto, come sempre ho fatto, al suo prudentissimo consiglio. Desidero che nella prima lettera, 20 versi in circa dopo che co-so mincio a trattar di Venere, aggiunga dopo le parole meno che la sesta parte di quello che si mostrerà nell'occulta zùme, aggiunga, dico: inatlvr tina, 0 esorto vespctiiiw 6 . Il Sig. Filippo '° bacia le mani a V. E., e va scrivendo a i fra¬ telli ’. Et io con ogni reverenza gli bacio le mani, 0 dal S. Dio gli prego felicità. Dalle Selve, li 4 di fibre 1612. Di V. E. IU.»‘» Ser. re Obbligò Galileo Galilei, Linceo. Intendi « Gesuita », o cfr. n.‘ 788 e 795. «»' Cfr. Voi. V, pag. 99, Un. 3-5 noi te**® u uull ° *** « Slg. Ncuirro *. varianti, e nota 1. ‘ 1 Cfr - »•* 788. Ho. 10. l«> Filippo Salvuti. Cfr. n.» 788, lin. 12 o »<*. «7i a i colletfUi Lineo! [798-794] 5 — 9 NOVEMBRE 1612. 427 793. NICCOLÒ LOR1NI a [GALILEO allo Selve]. Firenze, 5 novembre 1612. Bibl. Nnz. Fir. Mw. Gal., P. I, T. VII, car. 58. — Autografa. Molto 111. mio Sig. ro e Pad. ne Col." 10 Potrà V. S. molto 111. dal’effetto conoscere, come il sospetto che io la mat¬ tina do’ Morti lussi per entrare a favellar in materia di filosofia contro di veruno, fu in tutto falso e senza veruno fondamento nè vero nè verisimile, poi che io non sono punto uscito del mio filo o proposito, e non solo non ho mai sognato di voler entrare in simil cosa, ma mai ho io profferito parola eli’ habbia accennato quello nè col S. Pandolfini (l) nò con altri; e sono restato stupito dove si sia fondato detto sospetto, poi che mai ci ho pensato. Ben è vero che, non per di¬ sputare, ma per non parere uno ceppo morto, sendo da altri cominciato il ragio- io namento, ho detto due parole per esser vivo, e detto, come dico, che quella opi¬ nione di quel’ Ipcrnico, o come si chiami, apparisce che osti alla Divina Scrittura. Ma a me poco monta, chè ho altri fini, e mi basta che non si dia occasione di creder quello che noi non siam[o]; perchè confido che tutta la nostra nobiltà sia ottimamente cattolica, e che molto tempo fa si spegnessi la Compagnia del Piano e de’ Ghignoni c,) . Io desidero di compiacer e servir V. S. come a mio padrone, e mentre che la non comanda qualcosa, come desidero, prego per l’agumento d’ogni sua felicità spirituale e temporale. Del suo Convento di S. Marco, addì 5 di Nov. ra 1612. 20 Di V. S. molto 111. Servo di tutto quore. F. Nicc. ,f> Lorini. 794*. MARCO WELSER a GIOVANNI FABER [in Roma]. Augusta, 9 novembre 1612. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Fnbor. Filza 419, car. 143. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. m0 S. nr * Mi trovo con duo di V. S. di 19 et, 27 Ottobre, capitatemi ambe giuntamente questa settimana. In risposta le dico, che per l’amor di Dio non pensi che di presento io possa (l > Hf.nbdktto Pandot.pini. **' Intorno alIMccarfcmta del l’inno cfr. F. L. Po- Udori. Prefazione all’ Tutoria Fiorentina di Iacopo Pitti, neUMrt-Aivio Storico Italiano, Tomo 1, Firen¬ ze, 1842, pag. xxix o sog.; e G. E. Saltisi, Due let¬ tere del segretario Lorenzo Pugni al duca Cosimo I riguardanti gli Accademici Pianigiani, nella Miscel¬ lanea Fiorentina di erudizione e storia, alino I, Fi¬ renze, 1SS6, pag. 54-60. 428 9 — IO NOVKMHHK 1012. [794-795] compliro nè col S. M D«rai»3*no nè con altri SS. 1 lincei; anri para miracolo, non dico a me perchè «arci giudico troppo parziale, ma a chi » ot rade il mio stato, ch’io supplisca con semplicissime lettere, quale è la presente, ?er»o gli amici. Y.S. mi fa venir l’aqm» alla bocca, dipingendomi inansi tratto 1’ editione delle Ut- toro sopra le macchie sol tri colle risposto del S." Galilei, Unto polita. Ma dicami di grazia se le une et le altre staranno nella lingua latina et Italiana, come furono scritte, o se si accorderanno per via di traalatione. Aprile ne riceverà gusto indicibile, scrivendomi io egli ultimamente in tal proposito: EpisUdam, una cum tìaldaei obeervattontbus, acetpi. Oblcctor incredibili ter, quando video eas cum mas, mette rum ipsiue, ad ungurm convenire. Intueberis, conferes, mira- beri», deleetaberis, cum ani mad verte», in Ionia locorum dietantta, altcrum cum altero inm belle concordare , quOùd nutr rum, ordinerà, filma, inagmtudinnn d figurata macularum. Quod si (am bene mifu cum Oalilaeo, t ri ipsi tw min, convenirci de corporum istorum subsia alia, puLchrior coautori in rrcogUari non posse!. Interim, dum discreparmi* sententi^, amicitta conglutinemur aninwrum, praescrtnn rum ad unum soopum tendamus utrique, qui est Verità* ; quam nos eruturos, nequaquam diffido. Jònrà bene che Y.S. ne «vverUaca il J>. PI Galilei poiché io non posso far il debito.... 20 795*. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, IO novembre Itila. Blbl. Naa. Fir. Mas. G»)., P. TI, T. Vili, car. 172. Autofrafa. Molt’ Ill. r * ot molto Ecc. u Sig. r mio Oss. mo La sua delli 1 del presento m’accresce il desiderio di veder la terza solare quanto prima, e che la vegga con 1’ altre il mondo a honor della verità e bias- mo dell’ invidi e di quelli che tiranneggiano le filosofiche scole. Hauta risposta alla mia precedente, farò por mano alla stampa, essendo ogni cosa all’ordine. Le mando le mostre delle macchie impresse, nella correttion delle quali il Grcuter non m’ ha sodisfatto; e con tutti i miei spessi avvertimenti, e tal volta del S. r Ci¬ goli, non s’è potuto più: se l’occorro in essi cosa da correggerli, l’avisaràin tempo, dovendosi stampar nel’ ultimo. Mi dirò anco quello di’ io debba faro in caso che non possa superar con le raggioni la volontà de’ revisori circa l’in- io corrottibilità celeste, eh’ella dice repugnante alle Sacre Lettere, nella 2* lettera al fine, poiché sin liora, ha vendo approvato tutto il resto, non ci vogliono que- Lett. 705. 8. Prima aveva acritto » duerni, poi corretto U mo*tr*. Ma a lin. 8 dimenticò di corregger» em e correggerli. — <‘> Cfr. n.» 7U9. 10 NOVEMBRE 1612. 429 [795-796] sto in modo alcuno'’'. To m’aiutarò co’luoghi della Scrittura e col* esplicatione de’S. Padri, havendole a punto alle mani per haver ciò trattato nel mio Celi- spicio (5) ; e mi è sola difficultà Pesser loro Peripatetici e Tomisti. S’assicuri eh’in tutte le cose dette in questa e nel’altre io non liavrò sodisfattione, se non so la volontà sua in tutti i particolari. Il titolo forse sarà buono : Scoprimenti solari del etc ., compresi in tre lettere al eie ., aggiuntevi quelle del finto Apellc. Per scoprir l’errori di questo G. 1 * lS) , a V. S. non mancano modestissimi modi, e sa clic so più scottano le correttioni fatte con parole dolci e raggioni vive, che con le acerbe ; c di quelle niuno poi lamentarsi. Bacio a V. S. le mani, ricordandole il conser¬ varsi sana e commandarmi. Di Roma, li 10 di 9bre 1612. Di V. S. molt’ Ill. re e molto Ecc> A£f. lno per ser. ln sempre Fed. co Cesi Line. 0 P., M. di M. 11 796 *. GIOVANNI KEPLER a SIMONE MAYR [in Ansbach]. Pra^a, 10 novembre 1612. Riproduciamo questa lettera dall’edizione delle Opere del Kepler curata dal Knison, Voi. IT, pag. 478-476. Toniamo a riscontro anche le Epiitolae ad Ioanncm Krpplerum ecc., odiz. Hansoh, pag. 650-553. S. P. D. Aiu’ tu, Mari doctissime male tibi cessisse literas ad amioum, quihus significasti, te invenisse periodo» circulatorum Iovialium? Et apud eum quidem, qui motum terrae defendit? nirairum apud Koplerum? 0 rem abiiciendatn ! Tibine ego vitio vertam inda- gationem poriodorum harum eiusque professionem, qui te unicum ex Germania nostra testem produxi huius veritatis de lovialibus circulatoribus ? At cur, inquis, me vellicasti in margine (s> ? Nimirum fateris, textum ipsum ad tuum pertinere honorem. Nomen et encomium, incuria typographi omissum, repone ex catalogo erratorum. Marginihus vero omnino monstranda fuit genuina moa sententia de mota terrao, quem ohitcr impugnabat 10 tuus textus, ne opinione cedere viderer, quam animo retineo. At offensionem, inquis, po- perit nomini» Kepleriani mentio, sententiae eius contradictio ? Minime gentinnì. Si ofìen- disses, potuissem tuum textum mittere. Et quid aliud est primum margiuale, quam expro- Cfr. Voi. V, pag. 138-139. <*' Cfr. n.» 506. <*> Cfr. n." 772. ,li! Alludo alla nota marginale a pag. 27-28 della ol Gesuita Sohrinbr : cfr. nn.* 788 e 792. Dioplrioe. 10 NOVEMBRE 1612 . 430 [ 796 ] L rat io in©pU»®imae ho ina eiviliUti* (in philosophins quidem dinputationibui), dura putas parcendura e--e norainibus in refu tal ion® doginatum ? Vellem tibi, Mari, persuadere posse ut quotiea tibi videor errar® ratioetnando, toti *•* et errorem ot auctorem publice prode- rea, viciwimque easdem lego* pat«r®ri». Nain qn.xe bn®o lex in plùlosophia, cura umbris voluti luctari, dognmta un pugnare qua© nullo< habeant d.fensoroa, quod equidera est se- cura ipso chartia aut area lud®r<-? De acerbi tate et probri* qua© crirainibus raeremur, non erroribuH ratiocinationum, t ib» orno ino assente >r, non esse deformanda nomina adver- sariorum inter diaputandum : atqa© hie K- dinus “ non piane sibi temperat, viciasimque 20 meara oxcitavit aalmim dicacitatera. At quid bum* est in moia marginalibus? Nnllum libi probrum dixi, nullum convitino).... Galilaoui rerum auarum «ategit: ben® "ibi onniluit, inqnam, qnippe qui rorum sua- rura satageb.it. Bene focit, quod mature no* ccrtiores reddidit d© inventi* Buia; per gry- pbos. tamen. Nani si non mature, tu pnunwiia-e* : ita Galilaeo laus primae inventionis perlina©t. Si non per grjphna, statini no®. ad quo» illr ucripsit, dicere potuissemus, nos codoni tempore end era vidi**®, vel etiam ante a. Tibi quoque, Mari, bene cesait gryphus aeu anagratnmatiaraua iute. Nani »i (valila®!)* dare MTÌp*i»set tanto antea, nemo facile credidisset tuam ©-o secundam buio* ob*ervatioiii» pai in a m. N'iine ©odoro tempore et Ga¬ llinella Fiorentine »un nobis aenigmata ampio detoni, et tu in Franconia obaervareeadem 90 ooepiati, ut imponibile »it tc tua ex (ialilaei lalmribu» habere. Agnoacis, ni fallOr, sensum postremi margini* Drnine igitur te furti inaimulatam queri ab co loco, qui te furti ma- nifcntiBsiino abaulvit. Nani qua© haeo con ■ pientia es « t : Quo tempore Galilaeus Fiorentine fuiuras Veneri 3 apparcnlin» praedixit, eo lem Marini illas eodetn ordine diserrare coepil; ergo Marina ruh ex Galilaei moniti* habuit? Numquid «nini Alpea intersunt, et longum iter, et 20dierum mora, pria juani liter .o, Fiorenti* digrossa®, Pragam appellant. 1 ' quando nondum tamen in Franooniam communicata aunt Praga a nobi*.... Nec rainu* commendabili* o®t tua perseveranti* in indagando circulatorum Iovis periodi*. De pene-sommo exi»timaveram, me paulo mimi* 8 diea inveniaae in eius pe¬ riodo: at rariorea observationea babui, oh oculorum et inatrumenti defectum. Interim tu W dnm ad solem regalare» invenis illorum motu*. non ad terram, quo pacto orbe* ipsorum iam lenti incederent, iam veloce», stante terra? Quid aliud quam novum argumentum exhibea physicum prò motu terra© ©t quieto »olis ? Timo enim velocitas orbium eadem perpetuo esse poteat.... Macula* soli* inde ab nnno ob«ervavi puleberrime, nini fallor, eodem quo tu modo, Ncc Balia mirari possura, ea»e homi ne» qui oculo® per instrumentum in solem ipaum di- rigant continuata conHaetndine. Exiatiino esse analogon quippiam nnbium torrestrium, quod aolis globtis suopte aestu coctus exccmat, matoriaui forte cometarum, qui forte a solo prodeunt. Cam autem 3*> Maii aolia eclipain in hunc xnodum obaervaasem, mira mibi rea accidit, qua® tamen non carot sua dmnouatratione. Vidi duos colliculos in intcriori 50 Bpociei Boiaria circulo, quera formabnt luna corpore. Sunt igitur etiam in oircumferen a luna® raontea, quibus aegre carere se Galdaeus hatid obacur® aignificaverat. Lett. 790. 21. taUam, Uanscb ;/al, sempre Fed. co Cesi Line. 0 P., M. di Al. 1 » Fuori: Al molt’Ill. ra e molto Ecc. to Sig. r Oss. mo 80 II Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Lett. 707. 6. onde u' preso — <»' Cfr. n.o 803, li». 4. 2 1 JioVkXbiu. 1612. 492 798 ~. MICHELANGELO GALILEI . OAULEO in Fir#n m Monaco, tl BoTOmbrc I6IX. JBIbl. Nat Tir M« Ool. P. I, T. TU. tu ** - Wfetfrsfe. Car.** et Ihwr. 4 * 8/ 1 rateilo, ohe pochi fiomi tono io T'ebbi» «enti* assai » lungo, non per questo pouo leader r di reph carri, come r*»to stupefattissimo non aver vostre lettere già paese un anno ; et se di questo voatro el lungo eilentio io non me ne pi¬ tti»***» fanti.li ' non starei con tento repliche a Beccarvi coti spesso, et se pure io aapMai le cauta di tanta mutazione che vi vefgo faro, essendo che mi solevi •crirer spezio, partieip4ndomi ininutam.-nte tl del vo-tro tiene stare come ancora do' Tottri noi i trovati, lo quali cobo mi arrocarano grandieeima consolatione. Di gretia, tì prego scrivermi o farmi scrivere quello eh'è di voi, et non vogliate «•sor p ano amorevole verso di me di quello aiate stato per il passato. io M’è forza mole»lem por Un un'opera di carità, la quale sarà che vi piac¬ cia far chiamar da voi quel peggrtto tedesco del S. r Yinontio Giugni, al quale direte o farete dira ootne ricevei, già molti meai fa, una sua lettera che scriveva a suo padre, quale ho tenuta sempre appresso di ine, non havendoiom&i Lauto occasione [diJ mandargocla Hora dico eh*- fu, 4 giorni fa, qui (...] madre, alla quale detti la lettera; et mi pregò caldamente, [... in] nome suo dovessi darli avviso come suo padre, circa (...) IO del mese di Luglio passato, passò di questa a miglior vita, a tale cb’ A rimasta una povera redova; et lo prega con tutto il cuore che, potendo, la voglia socoorere di qualche cosa, chè lei et sue sorelle non mancano nò mancheranno pregare Iddio per lui; et di più soggiugne, non so ha ver ricevuto cosa alcuna di quello che dice averli mandato, però per l’avve¬ nire cerchi piò sicura strada che non à fitto per il passato. Et in nome mio lo saluterete. Il S. r Francesco Rasi si trova «li presenta qui, quale, essendo stato a Praga con l hoc."** S. r I). Vincent io Gonzaga, li fu forza restarsene là mediante una malattia sopraggiuntali: pure si •' rmtito in maniera che s’è condotto sin qui, dove di nuovo si i tornato a ramina la re, et por 6 giorni liauto gran dolori colici, pure comincia a stare a**ai bene, et quanto prima potrà si farà sentire a que¬ st Altezze, et poi tornarsene n Mantova, con fermo proponimento di non uscir mai più d Italia. In tanto vi ni raccomanda con affetto, et in breve lui stesso*0 vi scriverà piò a lungo circa Tesser suo 1 '». CCr ».* m. 21 — 23 NOVEMBRE 1G12. 433 [798-799] Sto aspettando che mi mandiate un trattato sopra il vostro nuovo istru- mento, et sopra tutto mi diate nuova de Tesser vostro con tutti di casa, con dire al nostro cognato U) che mai ebbi avviso della ricevuta di certe cosette che mandò mia moglie alla Verginia ct) per via d’un certo S. r Domenico, creden¬ ziere di cotesta Corte. Ancora da esso non ò nuove già tanto tempo: pazientia. Di gratia, raccomandatemi di cuore a mia madre, et il simile a tutti di casa; et a voi, insieme con mia moglie, facciamo altretanto, con pregarvi a darci nuova di yoì spesso. Et per line da Dio nostro .Signore vi prego ogni felicità 40 maggiore. Di Monaco, li 21 di Novembre 1612. Vostro Alì>° Fratello Michelag. 1 ® Galilei. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. r mio Osa." 10 il Sig. r Galileo Galilei, Matematico del Ser. mo G. Duca di Toscana. Fiorenza. 799 **. GIOVANNI FABER a GALILEO in Firenze, lìoum, 23 novembre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mu. Gal., P. VI, T. Vili, car. 176-177. — Autografa. Molto 111.™ et Eccll. mo Sig. ro mio Oss. mo Io scriverei più spesso a V. S., come parte ò il debito mio et parte forse lo ricercarebbe delle volte la corrispondenza che tengo con il commone amico nostro Sig. r Velsero, so non temessi che V. S., per l’innata sua cortesia, si di¬ stoglieste dalle sue honorate et utilissime imprese a volermi rispondere ; il che protesto di non volere nò anco adesso: oltra che le letere elio lei dà al Sig. Mar¬ chese, mi sono quasi tutte commoni, et so che V. S. non sta sempre con perfetta sanità; la quale causa fa che anco il Sig. r Velsero non può complire con li Sig. ri Lyncei, et mi commanda in quest’ultima sua (S) che io da parte sua scriva 10 a 7. S. Le parole sue sono queste : < V. S. mi fa venire T aqua alla bocca, depingendomi inanzi tratto Tcditione della Letera sopra le machie solari colla risposta del Sig. r Galilei, tanto polita. Ma dicami, di grazia, se Tane et Taltre resteranno nella lingua Latina et Ita¬ liana, come furono scritte, o se si accorderanno per via di traslatione. Apelle ,l ' Bknkbktto Lakduoci. 121 Virginia Gai.ii.ki no' Landucci <» Cfr. n.« 791. 434 23 NOVEMBRE 1012. [ 799 - 800 ] M ricavar* gusto indicibile, acriv. iidnmi agli ultimamente in tal proposito • ì), stdam, una cum Galilei observatiombus, accepi. OUeotor ineredibditer, quando video «w cum mete, meta cttm ipsius, cui unguem convenire. Itdueberis, conferei, mirale- ris, delcctaberis, rum anima-ù-rtes, in ionia locorum distanti», aUerum cum altero tam beile concordare , quoad nmnerum, or,imeni, situm, magmtudinsm et figuravi mactilurum. Quod si tam bette miti cum , vd tpsi tnccunt, convenirci de cor- 20 porum istonm substantia , pulckrior conhmctio escogitati non posasi. Interim , dm discrepamiis sententi is, amie dui eoiujlntincmur amtnorwn, praesertim cum ad unum scoputn tendnnms utrique, qui est Vtritasi quam riti,-» eruturos, ncquaquam diffido, SarA bene che V. S. avertila il Sig. r (ialilei, poiché io non posso fare il debito. > Finhora scrive il Sig. r Valtero, il quale pure sento dire vada alquanto mi¬ gliorando. Spero che questa operette stampata in Roma gli debbano darò Invita; et credo gli debba anco piacere che le suo lotere si stampono appresso, benché io finhora non glil'ho voluto avisare. Il P. Grttnberger otto giorni fa fa in ca a mia, et mi disse che non liavea visto ancora l'ultima operetta deU'Apelle **: ma in vero, se bene sa che esso è 80 Giesuita, consente ansai pia con V. S. che con Apollo, parendogli l' argomenti colli quali \. S. butta a terra il fondamento che non siano stelle, molto efficaci. Però, come figliuolo di santa obedien/a, non osa dare la sentenza. Altro non m’occorre a dire a V.S., salvo che pregarla, in nome mio faccia riverenza ul- P Hl- mo Sig ro Salviati. Iddio le conceda compita saniti et felicità. I)i Poma, alti 23 di Novembre 1G12. Di V. S. molto III/* et Eccll.*» Divotiss. S.” Gio. Fabro Lynceo. Fum : Al molto Ill. r * et Ecoll. m * Sig.** et Padrona mio Osa. 1 " 6 11 JSig." Galileo Galilei. io Fiorenza. 800 *. PA0I.0 GUAI.DO a GALILEO in Firenze, l'adora, 23 noretnbre 1612. Blbl. Nat. Plr. Naorl Acquieti OaliUUni, o.* 11. — AotyftaCa. Hl- r * et Ecc ®o 8. r mio Oss *° 1 roppo lunga è stata la pausa et il silenzio sinhora tenuto fra noi : la colpa, dal canto mio, P esser stato veramente a Vicenza et in villa, tratenuto, più di Intende I dew^Kor Di^nUUi*: efr. Voi. V, p««. 87-70. 23 NOVEMBRE 1G12. 435 [800*801] quello eh’ io volevo, dalle acque e da i diluvii che sono stati in questi paesi. Lo¬ dato il Signoro, io son in Padova et a’ servitii del S. r Galilei. Ho inteso dal S. r Baldino 10 che V. S. sta bene, o me ne rallegro molto. Stavo pure aspettando d* intendere che fusse uscita qualche nuova sua opra, bramatis- sirae dal mondo. Il S. r Volsero giù alcuni giorni mi mandò un trattato stampato in Augusta io De maculis solaribus Intendo anco esser usciti altri discorsi in simili propo¬ siti, quali non ho veduto. Il libro del S. r Gremonino non credo clic ancora sia finito di stampare (,) ; me n’ informerò, e gliene darò conto. Il S. r Ciampoli (l) ci ò stato rapito in Bologna dal S. r CarJ 0 Barberino, almeno sino a Natale. Credo poi che V. S. bavera veduto il libro del Beni, intitolato L*Anticrusca ; ma più tosto si potrebbe chiamare una fiera invettiva contra ’1 Boccaccio e contra la forbi¬ tissima lingua di voi altri signori Fiorentini, nò so come starete saldi. Ilo inteso che il libro del S. r Gremonino era giù stampato in certa lettera minuta, sì che il volume restava molto picolo, onde s’ ò risoluto di farlo ristam¬ pare in lettera più grossa, perchè pari opra maggiore. Con ciò le bacio lo mani, 20 e le prego da N.S. ogni bene. Di Pad», alli 23 Nov. 1612. Di V. S. 111."» et Eco.®» Ser. pa Paolo Gualdo. Fuori : All’ Ill. rfl et Ecc. mft S. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 801 . LORENZO PIGNORI A a GALILEO in Firenze. Padova, 23 novembre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 61. - Autografa. Molt’ iu» et molt’ Ecc. to S. r mio Oss. mo A quest’ bora io stimo che V. S. haverà ricevute le pillule, che si mandarono un pezzo fa. Del liuto, questi heredi di M. Cristoforo (S) mi dicono che haveranno cosa a proposito ; ma mostrano di dubitare so V. S. vuole o liuto tiorbato o liuto vera- (l > Caldino Gherardi. lingua, nel quale li mostra chiaramente che l'antica sia Cfr. Voi. V, pag. 37 O sog. incitila e rozza, e la moderna regolata e gentile, di <*> Cfr. n.» 526, lin. 19 e seg. Paolo Beni, ecc. In Padova, per Battista Martini, Ot Giovanni Ciampoli. MDCXIII. L'Anticrusca, onero il paragone dell italiana <*> Cristoforo Vbxdeliko. 436 23 MOVMIUKK 1612 . [ 801 - 802 ] munte con due manichi, *1 che sarà contenU a dirmene due parole, o tirare due segni con U penna nella letUra di risposta : chè hora, essendo passato il dilu¬ vio *\ si potrà mandare a buon viaggio. Ricevei gFElogii del Bocchi', nel quale sbaverà a bastanza tutto quello che si desiderava sapere ; et ne rendo gratie infinite a V. S., con rimanerle obligato io all’equivalente. Il libro sopra I Cremooiao, era poco meno che stampato; ma lierché riuscirà libricciuolo, »'» posto da handa per ingrandirlo co’caratteri : si che V.S. sarà oppugnata con madrine; et s apparecchi pure. Qui s’ è velluto un libro ib i S. r li. ni, r* m titolo d'Anti-Crusca'*', et non può he non sia arrivato fin a quest’hora costà. Haverò caro sapere con cho bon .o sarà stato veduto. Bacio le mani a V..S , et le desidero ogni contento. Di Pad.*, il di 23 Novembre 1612. Di V. S. moli’ III.'* et molt’ Ecc. u Ser.™ Aff. m0 Lorenzo Pignorila]. so fuori : Al molt’ 111.”* et moli' Ecc.** 8/ mio Il S. r Galileo Galilei, a Fiorenza. fì02. MARTINO 3ANDELI I a GALILEO in Firenze. Padova, SS novembre 16IJ. Blbl. Naa Fir. M... G»L, P. VI, T. Vili, e*r. ITS. - Ait-ftvfa. Molto 111/* et Ecc."*« mio S." ()ss.*« Poiché cosi fi, come appunto dice V. S. K r. m \ die non si possa moltiplicare il lume d' una randella si che illumini tutu una stanza, ho pensato se la lento grande e colma, ricordatami da lei, |>ote.s»e servirmi por riflettere il lume della lucerna in un libro di foglio o d'altra forma, ch'io havewri avanti, in modo elio io potessi leggerlo disuntamente in ciascuna sua parte senza abbagliarmi; poi¬ ché i libri di foglio in particolare mi riescono impossibili di esser letti ad altio lume cho di giorno. Pertanto prego V. S. K<-c. m * a favorirmi C06Ì della instrut- tione della positura reciproca del lume c della lente, come d'un poco di dissogno **’ Cfr. n.• 800. Ha. 4. f**XQ*Cl Boom l| ghfi* r^. r.iU. riri doMÙnmi nati Rrnrr wU mi ,r.r, I, ,, /.rimmé. Fiorentine, .,,ad louUu, ILOCVUIL - Boccini fui*t Tiri tfarimvai nati Fio™ r. hhtr «cunAu*. Fiorai Um, in otìriu» Miniai tulliani», I«W'T. '• Cfr. D.* 8W, li». U. 23 — 24 NOVEMBRE 1612. 437 [ 802 * 803 ] io della sagoma o misura dello stromonto. So che V. S. Ecc. ma mi perdonerà, anzi mi haverà compassione, se le riesco noioso per occasione di cosa, senza la quale la vita non mi paro altro che una viva morte. Le cortesie, che tuttavia ricevo da V. S. Ecc.™*, mi hanno fatto uscir della penna il sonetto che bora le invio 0) , il quale, benché sia molto inferiore al gran merito suo, spero nondimeno che sarà gradito da lei, come testimonio dell’amore c riverenza grande che io lo porto ; alla quale se in me si pareggiasse il talento poetico, non haverebbe ella da invidiare a quei più famosi dell’ antichità, la quale fu non pur cortese, ma prodiga, delle lodi dogli huomini valorosi, dove la nostra misera età si può dire più che avara, perchè, havendo tutti i suoi pensieri fitti 20 nella terra, poco mostra di curarsi del cielo e de i nobilissimi segreti di lui. Ma non potrà però l’invidia presente, nè il tempo futuro, oscurare punto il nome di V. S.Ecc. nia , il quale, per lo gran valore di lei, passerà chiarissimo a i secoli che succederanno. Che sarà il fine, con baciare a V. S. Ecc. ma con ogni affetto la mano, et pregarlo dal Signor Dio quanto a sè medesima può disiderare. Di Pad. vn , li 23 di Novembre 1612. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Ser. re Deditiss. 0 Martino Sandelli. Fuori : Al molto Ill. ra et Ecc. mo mio S. r ® Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei, a 80 Fiorenza. 803 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 novembre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., T\ VI, T. Vili, car. 180 b o ISOa. - Autografa. Molt’ 111 .™ e molto Eco. 1 * Sig. r mio Osb ."' 0 Ho riceuta la sua, con la mutatimi di quel luogo che credo bastarà; o, por poterle rescriver a tempo, l’ho già data al revisore. Lunedì si comincia a tirare i fogli, havendo il primo verso, Fegnutn etc. t1) , causata la dilatione ; quale final¬ mente non havendo ammesso, ancorché lo lodassero, è bisognato, col parer di tutti i Lincei di qua, accomodar come vede incluso. Si stamparà così, per non ti at¬ tenere, c se parerà a V. S. ; altamente, poco è rifar il primo foglio. Presentemente non è allegato alla lotterà. tosto e nelle varianti. Cfr. n." 037, o Voi. V, \mg. 93, lin. 5-8, nel 24 - 30 KOVKMBKK 1612. • d' Horallo. • Potraros. 438 24 - 30 kovkmrbk 1612. [808-804] n Cani in il Conti e Duca'” erano fuori, e diedi U lettera seconda in mano de’rerisori, che rihebhi ultimamente: però non P hanno ancor recluta ; farò la vedano prima sia stampata, havondola latta per ciò copiare. 10 Ho ('oni ni unica la la novità Saturnina • hoggi all aleno, Fabri, Filiis oltre il 8. f Belio .renberger e eoo oompefno matematico, e altri galant’hointm : a tutti è stata nuova e stupenda. L’bo scritt’ anc’ al Porta, che farà l’istesso. De’libri penso Carne stampar tre mila, o almeno doi *. per serbarne da in¬ serir»? anco nel volume cpritolico ’. Il BiblioiiH.irio bu tre opre che fa stam¬ pare. Quella rscrolU delle materie del Persio 1 l* hanno addormentata i revi¬ sori con alcune difticultà ; vi manca solo un foglio; credo ri spedirà presto. Il libro Indiano 1 va adagio, non potendo altrimente. Alle solari ri attenderà con ogni frotta e diligerne. Bacio a V. K. le mani, non potendo esser più longo. 29 Di Roma, li 24 di 2mhre 1612. Di V. S. molto 111.** e molto Eoe. 1 * Bacio le mani al 8/ Salitati. Afl>* per »cr. u sempre. Fed.** Cesi Line.* I’., M. di M. u * Viri tu, rerludens tmmertitt mori •< (Àirlttm, srya/o tenia! tre ria,* < Già gl’ Immani intelletti (ladovero fan* fona al cielo, e i più gagliardi se’l < vanno acquistando. V. S. ò stato il primo alla scalata, etc. > Fuori : Al moli* III.** c molto Ecc.* 8ig. r uuo Uss."* 11 S. r Galileo Galilei Fiorenza. so 804 . FEDERICO CESI a CtAI.lI.EO in Firenze. Roma, SO novembre ISIS. Blbl. Nu. Tir. Mh. Osi.. P. TI, T. Tilt, eer. IMS • 189*. - Àutocrsf». Molt’ IU. r * e molto Ecc. u Sig. r mio Osa. - * Godo grandemente che V. S. con la sua terza, conforme al mio desiderio, sia per chiuder totalmente le vie de gl’ arertarii e chiarir 1’ emuli. I maligni et in- “* Casio • Corra Cam. **' Ciò*, 1* »o wptm dolio tUUo UUrail. Cfr. Voi. V, m . 74, ha. 11. Do Filiis. O» Cflr. n.* Cfr. b.« SS4. 30 NOVEMBRE 1612. 439 [804] vidiosi son sicuro eli’ in gran parte restaranno mortificati da’ suoi scritti, e par¬ ticolarmente da questi che di qua usciranno stampati, de’ quali già è fatto il primo o, per dir meglio, secondo foglio. Le primo e seconde d’Apelle si porrano nel fin del’opra, com’ordina. La Dioptrica del Keplero 40 mi venne sono otto mesi, et io n’hebbi parti- colar gusto, servendomi in molte occasioni del suo silicei* testimonio de’ primi io scoprimenti di V. S. : non glie n’ ho poi avisato altro, credendomi ella molto prima di me l’havesse havuta. La novità di Saturno tanto più mi par strana, quanto che V. S. qui mi disse, non haver i suo’ laterali moto alcuno, e nella prima lettera solare dice, non es¬ sersi in essi scorta mutatione alcuna, nò dovervisi vedere se non forse qualche stravagantissimo accidente etc. 10 Bacio a V. S. le mani, pregandole ogni contento. Di Roma, li 30 di 9bre 1612. Di V. S. molt’ 111.' 0 e molto Ecc. t0 Aff. mo per ser. ,a sempre 20 Fcd. C0 Cesi Line. 0 P., M. di M. 11 Conobbi seco clic ragionevolmente i revisori dovevano restar sodisfatti del temperamento che V. S. mi mandò: ma in somma non si pò se non pian piano ir togliendo di possesso i Peripatetici. Scrissi in iure (per dir così), adducendo da diece luoghi della Scrittura, e altrettanti S. Padri, in confirmation del detto di V. S., clic la corruttibilità celeste fosse conforme alla Scrittura e da quella ad¬ ditata 10 Non bastò; e risposero, i luoghi esser assai ben interpretati da altri peripateticamente, e bisognò haver patienza : eh’ in somma non vogliono si dica in quel luogo niente della Scrittura. Però avisi come voi che stia. Il luogo del S. Velsero, V. S. havrà veduto come fu rimesso 40 : avisi, se gli so paia in altra maniera. Se vorrà stender a sua sodisfattione qualche cosa della lettera al lettore nelle macchie solari o della dedicatoria, o mandar e capi cho gli paia bene esporvi, non sarà se non a proposito. Fuori, d'altra mano : Al molto Ill. rò et molto Ecc. 10 Sig. r Oss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Lett. 804. 0. si porrane — <*) Cfr. n.«> 449, lin. 52. ,S) Cfr. Voi. V, pag. 138, lin. 24 — pag. 140, <*' Cfr. a.» 803, liu. 11 e Voi. V, pag. 110, Un. 9 lin. 1, nel testo o nelle varianti, o sog. 0) Cfr. n.° 803. uo 30 JCOYIMHKK - 1* UlL'LM&KC 1612. L^05-Ì3i07J 805 *. MARCO WEI£ER a GIOVANNI FA BER in Roma, Acuiti, JO uo.ciubre lolz. Arch. doli* Oaplalo di ®. )UrU In Acuirò in loia Cariatalo Al Ulovannl Fabtr. Fila 419, ear Ili. — lafetrafo. .... Al E.* Galilei Don maneari eh» far», poiché tanti m k!> aventano contri per divani riapatu : ot apunto ricavai gii giorni adì atro il Diacono del CoreMÌo‘>, lettore nello Studio di Pua opra il gallrg«-inra de’corpi col.il Ma il tempo non ini ha servito ancora a poterlo leggera. All’arrivo dalla praaaiU «timo eba Mona “ 111 —trl a a. * di Bambarg* li andati avi- cinando a Roma. Mi aaticuro rha la nationa neavari hooore di quarto «oggetto, et in par- tii'olare gli Bambergheai ha»ranno causa d: tonerai buoni N oglia Iddio che egli resti altre- tanto edificato dal procedere della l .rte, et termini in tane alcuni importanti negozi che «t erode porti in groppa.... 806 . GALILEO a MARCO WELSER in Augusta. Le licite, 1* «Ileumbre 101X. Cfr. Yol. V, lofi «a. 807 **. 010. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO in Firenze. Kotna. 1* dicembre 161X. lì Ibi. Nm. Flr. M». OaL, P. TI. T. Vili, car 164 1«4. - Autofrafa. Molto Ill. p » et Kcc.*° S. r mio 0*8.** Rebbi di Settembre passato dui* lettere di Y.S.: T una, intorno all’anniento di mole che acquista il ghiaccio, et aH’e pusitione ili un luogo d’llippoerate sopift il medesimo argomento; 1*altra, per cagione del Discorso delle macchie solari eli’ ella mi favori di farmi comunicare, e dell' altro Discorso stampato contro Cfr. Voi. IV. p*f. 1 W g44. 1° DICEMBRE 1612. 441 [807] di V.S., scritto da quel professore greco, per difesa di Aristotele 10 . Amendue mi furono rendute nel principio d’ una mia malatia, la quale perchè io credeva che dovesse andarsene in bri e ve, e io liaveva in animo di risponderle a lungo, tralasciai di scriverle incontinente almen qualche cosa; ma il male fu poi sì io fatto, perchè la testa n’ era spetialmente offesa, che fui costretto ad abbando¬ nare ogni opera e studio di mente: il che anche nella convalescenza, che è stata lunga, et dapoi per buona pezza, ho continuato a fare, per consiglio de’ medici. Laonde io priego V. S. ad iscusarmi, per sua bontà, se non ho potuto corrispon¬ dere a i favori suoi, chè ben ne ho portato un continuo pensiero e dispiacere, e se ho tardato fin bora a ringratiarla, perchè questa dimora non me n’ ha le¬ vato nò l’obbligo nò l’affetto, anzi ha 1’un e l’altro aggrandito; e però vorrei bora più tosto con qualche opera, che ne le desse segno, che con parole sup¬ plire a questo ufficio. Ma in ogni maniera V. S. possiede tutto l’animo mio, dietro al quale seguono necessariamente quelle poche forze che mi truovo, che però 20 sono tutte quante obbligate al suo servigio. Ma vengo al soggetto delle nominate lettere. Io rimasi chiarissimo, per al¬ cuna pruova fatta, che ’l ghiaccio cresce di mole : e questi crcdentieri, che con della neve fanno dentro al vetro delle forme di vasi di ghiaccio, me n’ hanno ancora rendalo un sicuro testimonio ; perchè se non sono avvisati di lasciare al¬ quanto scemi d’acqua gli stessi vasi di vetro, per dare luogo al suo accresci¬ mento, si rompono subito. Perciò li medici, che repugnavano, si sono attaccati vo¬ lentieri all’espositione che V. S. dà alle parole d’Ilippocrate, quantunque nuova appresso di loro, amando di salvare l’autorità di sì grand’ huomo in qualunque modo si può ; et havrebbero voluto che V. S. barasse tentato di fare il mede- 30 simo verso Aristotele : ma credo ancora che si avveggano eh’ ella non liaveva eguale opportunità. Mi son però maravigliato e di questa e di alcun’ultra tal cosa, che, potendosi chiarire agevolmente col fatto, vien nondimeno negata da co¬ loro che contro le hanno scritto. Il S. r Marchese di Monticelli mi mandò il Discorso di V. S. sopra le mac¬ chie solari, sicome ho detto, nel principio del mio male; e perchè io non potei leggerlo per me stesso, nò ritenerlo molto tempo per considerarlo o farne fare copia, poiché S. S. ! ‘ Ill.'" ft liavea da farlo vedere ad alcuni SS. ri Cardinali, mel feci solamente leggere, e per quanto mi fu possibile il considerai attentamente, e guardai insieme le figure delle macchie. Il primo piacere fu questo, di vedere 40 che in molti giorni ch’io P liavea pur guardate e notate, le sue note si confron¬ tavano con le mie, eccetto che non havevano le mie figure tante picciolo mac¬ chiette e sì ben distinte come le sue, perchè io non haveva adoperato, nell’os¬ servarle, istromento troppo eccellente. Il secondo fu di sentire gli argomenti, che <» Cfr. Voi. IV. pftg. 199-214. !• DICEMBRE 1G12. 442 [807] cinque mi parvero, co’ quali V. S. pruova, per quanto io etimo, a sufficienza, eh' die sono contigue al corpo solare, nè veggo eh’ eli’ habbia lasciata alcuna ragiono a dietro, che ai potette aggiunger di più. che eeprettamente o virtual¬ mente non sia compresa nelle sue; et intorno a questo mi son anche rallegrato, ch’io bavera innanzi considerate, se non tutte nò con tale dottrina, certo la più parte delle medesime caie; e credo che a qualunque persona che intenda pur un poco la prospettiva, o che habbia giuditio naturale, si parranno le mede-Cu siine. Ma perchè mi sovviene che WS. muovo un dubbio di una sferetta che si mettesse dinanzi al sole, e lo scioglie ancora, non ni potrebbe egli porre una sfera si fatta intorno al medesimo sole, tanto vicina che 1’ apparenze delle macchie si salvassero (perchè, con tutto che fo&s.* di-tante la sola centesima parte del disco, saria in ogni modo lontana da quello più di :>UO miglia delle nostre), e cosi allogare nella medesima sfera !»• macchie, o fare che ’l corpo solare stesse fermo, in quella guisa che ni può affermare che ’l corpo di («iove stia fermo in sè ste-so, e le sferette de’pianeti, benché un pezzo più distanti, se gli girino in¬ torno? Ho per fermo che ciò non sia vero, e tengo esser più conforme itila ra¬ gione cha 1 sole col suo movimento tragga seco l’etera ambiente: non dimeno co io la prego a rispondere ancora a questo altro dubbio. Di più, V. S. suppone alcune volte che le macchie discorrano il disco nello spatio di quindici giorni in circa ; ma io non 1’ ho potute vedere se non per tredici di intieri et un poco di più ”, nè mai arrivare al decimo quarto. Non so se ciò mi sia avvenuto per difetto dello strumento, overo p-Tchè veramente non spendano più di 27 in 28 giorni, che è appunto un mese lunare, a girare tutto il globo. Appresso io non so meno se tutta la parte del di-co che si vedeva nella passata state, si vedrà bora che ’l sole si avvicina all’ altro solstitio, perchè pure che al presento si debba scorgere minore portione del tropico australe che non appariva all’bora, per la declinatione sua verso ciuci polo ; onde le macchie elio fanno i loro cerchi 70 verso quel tropico in minor tempo che non facevano alcuni mesi sono, habbiano da discorrere la parte che noi ne reggiamo. Io non ho potuto osservarlo, ma panai ( he le figure del!'osservatami fatto dal finto Aj < Ile mostrassero quel ch’io dico, massimamente in quel jmese, più settentrionale ilei nostro; e forse per tal cagione non bì avvide che ’1 nolo spatio a i tropici corrispondente, fosse alle macchie sottoposto. Ma quanto alla cagione onde possano nascer le stesse macchie, benché V.S. prudentemente ne lasci il giudicio ad altri, non dimeno panni ch’eli apra altrui gli occhi dell’ intendimento a specolarne, mentre mette in consideratone che ì pianeti, i quali si girano intorno al sole solamente sopra i suoi tropici, potrei)- so " In narriti* l’Aeree™ ha «ritto: « Salto non poco più di tredici giorni di camino», figure delle sue otaervaUoni non si raccoglierà «« 1° DICEMBRE 1012. 443 [807] bero elevare la lor materia dal corpo di esso. E certo, se noi guardiamo a quel che avviene fra i nostri tropici, ci accorgiamo, contra l’opinione degli antichi, che là dove passa il sole perpendicolarmente, ivi sono perpetui nuvoli e pioggio, et ivi è la stagione del verno, per la gran forza che ha il sole di trarre a sè i va¬ pori dal mare e dalla terra ; e questa ò ancora la sola cagione dell* innondationo del Nilo o del Negro nell’Affrica, sì come dottamente dimostra il Fracastoro (,) nel discorso che no fa. Nella guisa istessa, benché gli altri pianeti non habbiano tanta virtù c forza quanta il solo, nondimeno sono in numero di più, et alcuni ad esso più vicini eli’ egli non ò alla terra; e traggono poi anche minor copia qo di materia, rispetto alla grandezza del corpo solare, clic non fa il sole dalla terra, la quale in quello spacio che da lui è percosso, sta quasi del continuo tutta coperta da’ nuvoli : ondo si può più probabilmente congetturare che cotal virtù de’ pianeti elevi la materia delle macchie dal sole, la qual ò dapoi risoluta o disfatta dal suo lume, elio ’1 solo istesso la tragga fin a sò stesso da’ medesimi pianeti e dalla terra, clic gli sono tanto distanti ; perché in sì lungo camino non potrebbe resistere al proprio splendore di quello, che non venisse tutta consu¬ mata, prima di accostategli. Sono alcuni che, concedendo in fatti quanto da V. S. si pruova, portano opinione, che le macchie non sieno altro che condensationo di quell’aria, fatta dal violente moto del sole, che la discioglie poi anche: ma ìoo a me non sembra che con questo presupposto si potessero verificare tutti gli ac¬ cidenti dell’ apparenze loro, le quali sono del tutto conformi a gli accidenti dello nostre nuvole. Me ne rimetto all’ottimo giudicio di V. S. Mi ricordo elio notai alcun* altre cose nel suo Discorso, che mi facevano qual¬ che dubbio, delle quali mi sono dimenticato ; ma benché mi corressero alla mente, non mi vaierei per hora di maggior licenza di noiarla con le mie ciance, di quel che ho fatto sin qui: anzi mi scusi di queste, e mi favoriscili, come la prego, di rispondermi, quando n’ havrà 1’ agio, c non prima; se però ne potrà bavere tanto che basti, fra le sue più gravi e continue occupationi, per rispetto delle quali mi fo quasi scrupolo a scriverle: ma la cortesia di V. S. vince ogni difetto d’ al¬ no tri. E qui di cuore le bacio le mani, eie prego da Dio una perpetua prosperità. Di Roma, il primo di Decembro 1612. Di V. S. molto IH.™ et Ecc."' a Aff.™ Ser ™ S. r Galilei. G. Batta Agucchi. Fuori, d'altra inano: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,no 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Ritpoita dello Kccollentissiino M esser Bis- già da M. Gio. Battista R a mosto etc. In \onefin, Ronymo Fracastoro del ereeeimento del Nilo, al Ma- nella stamperia do’Giunti, l’anno M. D. LXI1I. gnitìco M. Gio. Battista Ramusio, nel Primo volume car. 264r.-268r. et terza editione delle navigaticeli et viaggi, raccolto 444 1* - 10 DICEMBRE 1612. [808-809] 808. FEDERICO CESI » GALILEO in Firenze. Itoma, 1' dicembre IAIX. Blbl. Nu. Flr. Mm. Oal, P. I, T. Tll, rar AS. — A«U*i»f». Molt’ IH. 1 ® e molto Eoe. 1 * big/ mio ( H*.""* Ilo ricanto hoggi un'altra ua con V acclude copie dalle «lue lettere de’ma¬ tematici ", quali mi paiono a proposito ; ma bLognarà far cader qualche occa¬ sione del'inserirle nel'opra, tu\ a prima conrid-rationo, mi par bene cho s’in¬ ducano per teittaKmfo, diè non nppariica m* malevoli che di quello s’habbia bieogi ) Mutarei il titolo delle | breve ed ogni modo, et leverei dal titolo del’altra quel Fortunatissimo. Si |>ò venir considerando. Poco dopo mi aon stati ricapitati li Tinti trattati delle cose che sopranuo¬ tano al’ acqua de' quali la ringratio a verne con tutti gl’altri Lincei, che go¬ deranno della sopr&bondanza della cortesia di V. >. E lo bacio le mani, pregali-io dole ogni contento. Di Roma, il p.• Xmbre 1612. Di V. S. moli’111.** o molto Ecc. u Bacio lo mani al 8/ Salriati. Àff. BO por ser. u sempre Fed.®* Cesi Line. 0 P., M. di M. u F\iori, cCaltra mono: Al molto IH.® et molto Eoe. 1 * big/ mio Oss. mo Il Sig/ Gallileo Gallilei. Fiorenza. 809 *. LODOVICO DELLE COLOMBE a FILIPPO 8 ALVI ATI alle Selve. Firenze, 10 dicembre 1612. Blbl. Nm. Flr. Va*. Gai.. P. I, T. XV. c*r 46. - Àolofr*/*. A e*r. 47».. accanto all' Indlriao, si legge, di mano di (Iaulko: H Coloilbo. 111.“* Sig. r mio Osa."* Quando la terra è bene inxtippa f a e pregna da lunghissima e abbondante pioggia niun giovamento le apporta la soprarvegnente rugiada. Il medesimo debbo stimare adesso Cfr. n.« 989. «*» In Un do, doli» socond» odisiono. 10—11 DICEMBRE 1612. [809-810] 445 che operi verso rii lei questo mio Discorso W, j n comparatoli dell’abbondanza dello dot¬ trino e concetti elio sono in quello del Sig. r Galilei, se già la sua innata gentilezza non le facesse gustare oltre al bisogno un sorso di più, per gradir 1’affetto con che gliel’in¬ vio, benché il gustarlo non apporti diletto. Favoriscami fra tanto presentar per mia parte quest’altro al Sig. r Galileo, poi che è costì da lei. E con tal 6no bacio la mano a V. S. HI»» e le prego il colmo d’ ogni felicità. Fuori: All’ 111. mo Sig. r Filippo Salviati, rad."' Oae. mo Alle Selve. 810 . ODDO VAN MAEIiCOTE a GIOVANNI KEPLER [in Linz], Bruxelles, 11 dicembre 1612. Bibl. doli’ Osservatorio In Pulkova. Mss. Koplorinni, Voi. L. XI.— Autografo. Ignotus licot, doduconte me I)n. Scillerio, ot viva ipsius voce et bisce litteris D. T. salutatum venio. Notissima mihi sunt opera tua, Dioptrice, Nix soxangula (i) , Dissertatiun- cula cum Galilaeo, at prao ceteris opus de stolla Martis, quod bisce diebus nactus, iterimi atque iterimi perlogi, et quod iuvat usquo tueri. Deus bone ! quani sublimia et mira in ilio latent opero; et quam bene, non modo de Copernico sed etiam de Tychone et Ptolemaeo, eorumque assedia, mereris ! Sed nihilne novi D. Timo circa motum illuni solis in centro suo maculae illae solares aperuerunt ? Quas etsi mihi lìomae Galilaeus, et in Germania alii, ostendissent (no oculum ureret, specillimi tccum vexùtus), obser- varc neglexi, donec eas, lecto tuo artifìcio, eoque nonnihil immutato, laeilius conteniplari 10 didici in tabella aut carta, a solo avorsus : transmisso nimirnm per arundinem dioptri- cam, debite diductam et utroque suo vitro cavo et convexo instructam, ipso radio solis. Miror valde, liasce macula» non recnrrerc eodem situ et ordine, si motu moventur epi- cyclico; cum tamen sub sole ad occidentem eadem velocitate tendere videantur. Quaeso I). T. quid de bis seutiat.... <*> Cfr. Voi. IV, pag. 318-369. "xanguln ecc. Francofili ad Moonum, apud Gode- **’ Ioannis Kf.plv.ri ecc. Slrtna, leu De nive friduui Tambach. Auno JIDCXI. 12 li inculino, lo 12. 440 |M 1-812] 811. LODOVICO PELLE CO! OMRK » GIOVANNI DE 1 MEDICI [in Livorno], I Hiiut', 13 diceiubtu 1613. Or. Wi. IV, w - 16 . H 1 2*. FEDERICO CESI « (GALILEO in Fimuc]. Honu, Il dicembre 1613. Bibl. Ha*. TIr. Xm G«L P f. T Vili, cu 117 . A«l<«r»fa. Molt 111/* e mollo Kcc. u Sig. r mio (>*s.» a 1/ essermi hieri capitata l i sua s-M-onda, nella quale m’accenna della prima mandatami con la terra da stampano, in’ ha i lionato non poco travaglio, sin che non ho recuperato questa, eh’è alato finalmente questa sera; o perchè mi trovo, nel leggerla, tutto d'essa invaghito, brevemente le dirò che: Non manc&rò scriver al N. r Veliero in profilo d’Apelle. Mi pare che si potrebbe forse far aggiugner le lettere de’ Padri nel fine allo stesso stampatore. Nelle Ietterò dedicatoria e al lettore, sì t^crvarà quanto comniamla. Mi piace grandemente il pensiero delle fatiche cin.i’l centro della gravità de’solidi, e no discorrerò eoi S. r Luca ’, quale m- ne terrà honoratnrimo. Gustaranno tutti i io Lincei del dottissimo volume della ter.-a lettf-ra. e se conosceranno qualche cosa resavi dalla fretta migliorabile, Favi iranno libito, conforme al suo ordine, V.S. s’assicuri, ch'occorrendo difhcoltA, io in tarò appresso i revisori con ogni efficacia possibile. lai scritture d'Apolle saranno stampato ambedue, et ogni par¬ ticolare da lei accennato n'os-ervarà. I tampatori non sono tanto solleciti com’io vorrei, nò posso più sollecitarli se non permetto orrori, di maniera che per il compimento vi vorrà un mese o poco meno, e massime per il rispetto delle Feste: però potrà calculare e mandar in tcmjH» le costituzioni delle Medicee. Son stam¬ pate lo prime d’Apelle, pensando andassero nel principio: bora molto meglio le serliiamo per 1 ultimo, e faremo forse che l’istosso stampatore dica haverloag-- 10 giunte \ come a V.S. parerà. Il primo foglio netto le mando accluso, e di mano in mano h&vrà gl’altri. I revisori han ritardato non poco, ma bora correrà: però ricordo a \ .S., mi scriva subito come voi che si ponga il luogo per il qual non è bastato il temperamento 0 , chè faremo intanto un salto per aspettar il crr. n.« 8S9. **' UOa V*M.KtO, " Cfr. Voi. V. P»*. 18. »*' Ur. o.* t»04, liu. «J1-S3. 14 — 15 DICEMBRE 1612. 447 [812-813] suo ordine. Qui non vogliono che vi bì attesti la Scrittura. Bacio a V. S. le mani, et al S. r Salviati, con ogni affetto. Di Roma, li 14 di Xbre 1612. Di V. S. molto Ill. ra e molto Ecc. to Alf. m0 per ser. ,a sempre E ed. 00 Cesi Line. 0 P. 813 . GIO. FRANCESCO SAGItEDO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 15 dicembre 1012. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 189-100. — Autografa a partirò dalla Un. 41. 111." S. or Ecc. mo lo sono debitore di risposta a molto lettere di V. S. Ecc. n>il : et veramente non so s’io debba dire elio li miei negotii, o pure i pensieri travagliosi del mio animo, mi luibbino impedita, o almeno prolungata, la risposta; ma qualunque no sia la cagione, io le no dimando perdono. Belli discorsi scritti contra di lei, mi pare il tempo perduto a leggerli, con¬ siderarli et opponerli, poiché sono per sè stessi, a chi intende, così pieni d’igno¬ ranza, che chi vuole correggerli mostra farne di loro maggior stima del dovere. In Padova non si ò provisto di Mattematico, perchè li SS. ri Rifformatori vor- io rebbono uno che havesse letto in altri Studii et fosse liuomo di gran fama, et all’ incontro dissognano pagarlo come principiante. Nella stessa città di Padova sono diversi pretendenti questa lettura, et con molto stipendio: primo, un Zaba- rella (t) , per quello c’ho inteso, figliuolo già del Co. Giacomo; l’altro, il Co. In¬ golfo de’Conti, et il terzo un hebreo (S) : qui in Venetia vi è il Glorioso c,) , al quale pare che inclinino i SS/ 1 Rifformatori; ma egli ancora pretende oltre i tre¬ cento fiorini, et è spesso qui da me perchè io porti la sua causa con essi Signori. Si è sparsa fama ancora che V. S. Ecc. ,na , provando costì 1’ aria et alcun’altra cosa contraria, si ridurrebbe da nuovo in Padova; et io, per ogni buon rispetto, mi son in molti luoghi affatticato di persuadere diversi che questo sarebbe il me- 20 glio che potesse occorrere per honorovolezza dello Studio: ma certo che, sì come io trovo compagni in lodarla e stimarla, così in questo particolare della sua ri¬ condotta non è possibile credere il disgusto che gli huomini dimostrano per la sua partenza, et molto più ancora per la maniera che viene detto essere stata tenuta nel partirsi (4) . Io nondimeno, che misuro le cose col mio desiderio, mi <■' Giui.io Zararklla. ( ” Cfr. n.«781, lin. 15-17. * 3 ' Giovanni Cavillo Gloriosi. L’Archivio di Stato in Venezia non conserva alcuna traccia di rinunzia che Galii.ko, eletto a vita alla lettura di Padova, abbia presentato prima della sua partenza per Firenze; come apparisce che avrebbe dovuto. 44tt 15 DICEMBRE 1012. m) vado nutrendo una crederli» « he potsi v ere vera la divulgatone, et che anco si posai rimettere questo mal animo che hanno diverti contra di lei. Mi piu.-» ehi ella habbia ricevuto il libro del Cheplero (, \ et mi sarà caro int.ndere le oppoaitioni ch’ella la alla tua oppiatane. 11 Oemonino non ha fornito di stampare: nè mancarò a tuo tempo mandar a V. 8. Eoe.** uno de’suoi libri Io, che bevo per l’ ordinario il più tritto vino che aia in casa, sono direnato so studioso di raccoglierne et serrarm di molte et delle miglior sorti per farne parte agli umici; et perchè mi resta una confuta memoria di-1 gusto del nero di sopra di OO tt à» havrei gran piacere poterne magiare un sol fiaaco : e questo mio de¬ siri, no 1*1 comunicai a V.8. Eoe.*» sopra un cerchielo che fraposi n.-lli vetri che le mandili; ma mi sono accorto che, mentre ella è stata intenta a riguardare gli occhiali, le spetta che partivano dal rìroototto non hanno havuto audienza da lei : però ho voluto reificargliele. I>‘ sue lettere mi sono tempre carissime; però, sebene io incorro nellapena w , non vorrei ch'ella volesse ridarsi col «ilentio, ma più tosto che, visitandomi spesso con le sue, commettesse alcuna essocutiono contra di me. io Ho inteso con guato peripatetico la voracità rii Saturno *\ la quale dovrà stimarsi tanto maggiore, quanto che, non harondo masticato il cibo, converrà appunto renderlo intiero come lo trangugiò: di elio li Peripatetici doreranno re¬ star molto contenti, perchè, sicoroe uscendo senza alterationi Tossa delle cerese, si argomenta da questo che siano incorruttibili in breve spatio dalla caliditè dello stomaco, cosi, essendo infinite volto in infiniti secoli state da Saturno divorate due fritelle celesti senza che habbiuno patita alcuna diminuitane, chi non vede et comprende chiaramente che sono.h i «terna et incorruttibili ? Tuttavia starò attendendo T opinione di V. S. Ecc.** Le sue lettere, mandatemi per mano del S. r Giovanni Ciainpoli, non ini sono w lin bora capitate ; et capitandomi, ho giù inteso il suo desiderio. Aspetto con molto desiderio la primavera et TAssenso, per la speranza che mi dà della sua venuta col S. r Salviati, il quale quanto sia amato et stimato eia me, già può ella argomentarlo dalla grandezza del suo merito et dal- 1 inclination© che io tengo a tuli sogetti ; dell’ amor de’ quali non mi reputo indegno almeno per questa mia buona disposinone, seben nel resto nudo di quell altre qualità che sarebbe ilio bisognose per esser degnamente colocato nella lor gratin. Questi primi fredi mi hanno trattenuto in casa per fuggire i mali incontri dell’anno passato, et perciò non ho potuto in persona vedere le carte che ella w desidera, onde convengo differire alla settimana ventura a darle raguaglio di Intèndi la ZWoptrfc». <*' Cfr. n.« Già", Ila. 12. «»• Cfr. n.*tì04, lin. 12-15. 15-23 DICEMBRE 1G12. 449 [ 813 - 814 ] quanto ella desidera. Non manco di salutar in nome suo il P. Maestro, il S. r Mula, Veniero l,) et altri amici; et per fine le Laccio la mano. In V.*, a 15 Decembre 1612. Di V. S. Ecc. nm Tutto tutto suo Ecc. m0 Galilei. G. F. Sag. Doppo scritto ho liavuto informatione che de’ napamondi del Mercatore non se ne vedono più. Delle sue Europe manco se ne è vedute, se non una ritagliata da Iodoco Ondio. 70 Si trovano del medesimo Ondio le 4 parti, le quali in fogli costano £ 28, et colorite costerano almeno ducati 8. Si trova un napamondo molto grande in due emisferii di Giuansonio Alca- mar ; et in fogli costerà £ 18, et colorito ducati 7. Si trova il napamondo di Pietro Plantio in due emisferii ; colorito, costa ducati 4'* ) . 814 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 23 dicembre 1612. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Vili, car. 191. — Autografa. Molt’ Ill. re e molto Ecc. tó Sig. r mio Oss. n, ° Quest’ordinario ho solamente riceuto una sua brevissima delli 1G corrente; e dicendomi in essa, havermi mandate alcune mutationi nella seconda lettera per sodisfare i revisori, le replico non haverle riceute altrimente e starle con desiderio aspettando, facendosi in tanto in quel luogo un salto, trattenendo per ciò il foglio. Nella faccia 53 ho fatto accomodare come avisa (S) , e si spedisce bora questa terza da’ revisori.. Sono acclusi doi fogli, chè T terzo non s’è potuto haver a tempo questa sera, ma è già fatto. Il S. Cigoli s’ ò portato divinamente nella cupola della capella di S. S. th a io S. Maria Maggiore, e come buon amico e leale, ha, sotto P imagine della Beata Vergine, pinto la luna nel modo che da V. S. è stata scoperta, con la divisione merlata e le sue isolette. Spesso siamo insieme, consultando contro P invidi della gloria di V. S. Lett. 813. 71. coeterano d. 11 8 almeno d." 8 — 1,1 Paolo Sarpi, AaoaTixo da Mula o Seda- ,s ' Cfr. Voi. V, pag. 227, liu. 7-13 uel tasto a stiano Vknibr. nello varianti (I > Cfr. n.° G19. XI. 57 815 . FEDERICO CESI « [OAL1LEO in Firma*]. Kotsa. *» diwmbrr 1611. Blbl. Na*. Flr. Usa. Gai.. P. VI, T. Vili. au. I**. — Autografa. Moli’ 111." o molto Kcc. u Sif. r mio O».** Non pervenendomi all»* mani la ter/a nic-dera/ione d*»l luogo dolla lotterà se* ronda ' , et svinandomene V.S. in più lettore, non posno ho non starne ansio, o tanto più arrivando fra dui giorni a quid luogo la stampa, o bisognando per ciò sospender quel foglio. Si emenderanno Terrori nella sua tabella nel fine; nà si maravigli se i stam¬ patori son poco toscani, cbè, con tutto che vi si stia sopra, et il correttore cor¬ regga duo volte e talvolta tre, pur fanno delli errori. Quello del vespertino l! ve¬ ramente io v* bobbi scrupolo, ma il ropiatoro della sua lettera così Thavea posto. Per più gravità del negotio, T aggiunta delle Apellee scritture si farà dallo io stesso stampatore e non dal Bibliotecario 10 che fa stampar quelle di V. S.; e nel fine lo stampatore, pigliando scusa di non lasciar vota qualche parte di fo¬ glio che a bella posta si farà avanzare, porrà le due lettere de’ Padri l,) . V. S. non lasci di pensare al titolo di tutta l'opra, che è necessario sia no¬ bile e conveniente ad ogni modo. »“ Cfr. n.« *04, lin. 21-fct. «•* Cfr. n.- 7W. Ilo. 30-SS. «*' Cfr. Voi. V, pa*. 13. tl ’ A sosto i>* Fluì». **' Cfr. n.« 809. A qae.te « dna lettere », da aggiungersi in fine d«U'/«tor,a » IhmaHr, i»»*». talamo alle marchi* talari »cc., * relativo il B»fn*nU abbono della prefazione che il tipografo avrebbe ad «•«•* premei»a. e che ai legro, autografo di Fa&aairo Cui, «ul leryo d* on cartellino incollato alla car. #7r del cod. Voiplcelliano A. poeaednto delle biblioteca della R. Accademia dei Lincei : « Typographoa fetori 3. Pasini* hlsce vaeantibijs, baee eieraplaria. qua» uactu» suui, duaruiu vputolaiuiu eip^ere «'> cancellato, e corretto In in m*di*m afferri] libili. ; ,*1 | r J * corrotto in cm] a doctissimis cso mi- Ibernatici* arannpUe Ualilnao script** sint. et do un» carl-.tlbui pbaenomeni* perqnam cleganter agant (« ; / 4 »t .• corretto In fendenti. Fluoro tum»g* «.agteqoe aj-lercl» rebus et divini sdgirtWIW» è corretto In minuulù] opifici!. » . U • rr. -. m che abbiamo indicato tra parentesi q : idre « n>. a quanto .ambre, d'altra inano. i * bai.o, in d :• linee a senza alcun sogno di richiamo a «>•» . h- prede, «i Isfono, di mano de! Ossi, que¬ st» parole, forse appunti di pensieri da aggiungerò alla prefazione: » propter elegantia * (»i«); * et viroruin tatefritatetn ». 28 DICEMBRE 1012. 451 [ 815 - 810 ] Il Bibliotecario invia a V. S. et al S. r Salviati le materie del Persio, e pol¬ la fretta a V. S. non scrive altro : ricuperi il fagotto, elio s’è consegnato al procaccio. Bacio a V. S. le mani, pregandoli il nuov’ anno felicissimo et ogn’altro bene. Di ltoma, li 28 di Xbre 1812. Di V. S. molt’ Ill. r0 e molto Ecc. to Viene un altro foglio, chò lo Feste non hanno lasciato compire altro. Ilora a punto, dopo haver scritta la presente, ra’è gionta la lettera di V.S. delli 12 Xbre con la mutazione del luogo, che credo non potrà se non piacere. Il viluppo del Colombe (,) m’ha stomacato, lmvcndone solo visto qualche parola guardando in so qua e in là. A(T. m0 per ser. ,:l sempre Fcd. C0 Cesi Line. 0 P. LORENZO PIGNORI A a GALILEO iu Firenze. Padova, 28 dicembre 1012. Bibl. Naz. Fir. Mss. Cai., P. I, T. VII, car. 65. — Autografa. Molt’III.” et molt’ Ecc. to S. r mio Oss. n, ° Io ho veduto quanto V. S. comanda nella lettera a Mons. r Arciprete (S> circa ’l liuto tiorbato t3) ; et tanto s’eseguirà. È ben vero eh’ io non m’intendo cosi a punto di queste cose ; pure m’ingegnarò di servirla co ’l parere di qualche amico, et credo che sarà a proposito il S. r Antonio Terzo. La lettera di V.S., predicente i periodi delle nove stelle, fa spiritare questi nostri. Et o non si fosse ella mai partita di qua ! io dico per noi, non per lei, chò so pur troppo per prova quanto sia desiderabile l’ocio et la quiete che nella patria si provano. 10 Del libro dell’amico^ si farà ogni prova, acciò che V.S. lo vegga; ma vado credendo che a poco a poco andarà dileguandosi, nè tornarà forse più, al con¬ trario delle stello Saturnie. Cfr. n.o 809. <*' Paolo Gualdo. (»> Cfr. n.® 801. •*> Cksakb Cbkmomni. 28 DICEMBRE lb!2. 452 [ 810 - 818 ] Un mio conoscente desidera sapere sa a Livorno, nel bagno de’ sforzati si rilevami Staffano da Padova. Questi fa professione dì soldato; et p • Gregorio gtj fogli del £>.** Galilei, secondo ai anderanno atampando, cbè ne sto con qualche desiderio.... « 1 8 *. [FEDERICO CESI a FRANCESCO STELLITI (?) in Roma]. [Roma, dicembre IMJJ. Blb] dalla R. Acead. del Lincei In Roma. f -L Volpi .Ili ano A. d’un carUlllno incollato alla car. 97i. — Autografa. La letUra, o biglietto, * .uuU eoo tra linea trasTerrslL quest’ è la mutazione del luogo che finalmente il S. r Galileo m’ha mandata (l) : 8C a V.S. piace, come credo, potrà per 1 i-Ua*o rimandarmela subito 1 * 1 . Cfr. n.» 816, lin. *4-17. * Or. a.» 819. [ 810 - 820 ] di codici; 1612. 453 810 *. [FRANCESCO STELLUTI (?) a FEDERICO CESI in Roma]. [Roma, dicembre 1612]. Bibl. della R. Accad. dei Lincei in Roma. Cod. Volplcolliano A, sul modcsimo cartellino sul qnalo è scritto il biglietto che pubblichiamo col ti. 8 818, o immodiatauieiite sotto ad osso. — Autografo, a quanto ci sembra, di Fiunokbco Stei.ldti. Anche questo biglietto ò cassato con tro linee trasversali. mi pare non Labbia difficoltà alcuna a passarsi ( ‘> : però nelle parole che seguono ap¬ presso queate, non si ha da lare alcuna mentione di Sacro Lettere, ina sempre parlare come lilosoio, etc. 820 **. [GIOVANNI CIAMPOL1] a. [Bologua, 1612]. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 67-68. — Copia di mano sincrona, con correzioni di mano di Galileo. Credo sia bene che prima io lo narri una storiotta con brevità et in sostanza, se potrò. Stimo huomo singolarissimo il Sig. r Galileo : così ne ho parlato assai e per tutto. Ra¬ gionandone altri, a’ quali non ora noto se non per relazione di puri Aristotelici, ho affer¬ mato, o lo scrivo, che il Sig. r Cremonino delle sue osservationi non ne vuole parlare, a me paro per ragion di stato; in oltre ho sentito i congressi seco del Sig. r Librigià, e T anno passato del Sig. r Papazzoni <*’, a me è parso con gran disuguaglianza, portando uno esperienze acute et evidenti, e rispondendo gl’ altri con distinzione molto succinta et arida in apparenza d’ un per accidcns o secundum potcnt'uim o secundum quid. Et in Bologna particolarmente, in honore del Sig. r Galilei, senza depressione dell altro, di 10 cui ho affermato haverlo, come lo ho, per uno do’ primi Peripatetici d’Italia, ho, in via di discorso, con varii amici, ragionato di quelle gratiose dispute dell’ acqua che si Rieb¬ bero tra questi due alla tavola (lei G. Duca (k) ; nel elio io restai (qual se ne sia la cagiono) molto piò sodisfatto dello prove del Sig. r Galilei, che delle risposte del 8ig.‘ Papazzoni. Tanto ho dotto, e non so perchè non lo dire: anzi, hor che mi ricordo, il Sig. r Andrea Alamanni la mattina d’Ogni Santi, a desinar col Sig. r Cardinale me ne sentì ragionare alla lunga, senza che io biasimassi persona. Hora, tornando io qua e nelle prime sere incontrandomi con il Sig. r Papazzoni, e salutandolo et offerendomeli, però senza adularlo, egli tutto ridente mi offerisce con molta affettuosa cortesia che io vada a premier pos¬ sesso della casa sua: indi immediatamente, facendomi sovvenire di quei personaggi che “» Cfr. n.» 818. ,Sl Giulio Limbi. |3 > Flaminio Papazzoni. in Cfr. Voi. IV, pag. ó-6 l*J JIavkko Bauukkim. 4M [iM4 m questa città somministra alle arene a corrà ponderi sa da' nostri Cecco Bimbi, comincia a » riscaldarsi, ia viperini, lasciarsi alati ondar* il ferraiolo, a soprabbondar co' gesti, dicen* ili uni maravigliarsi che io havemà sparlato «li lui lo. a quoto inaspettato complimento lasciandolo diro a sfogare un peno, non osando nè il luogo nò l’hors pruportionaU, emendo ut Pia uà *u le h re a m«* /■*, altro r »pen«ltir quest. > r <». ri .e n. .tra n.. Ino a domattina, «ho io venga a trovarla eon più opportunità ; chi io aon corto dia ella scorgerà cha io non 1* ho offesa, se però non si stimagli olTcta Mia le b> li data al S tìa i .o ». Qui -i rispondeva con una stra¬ vagantissima mistura di rinnovar meco i primi complamanti; di passar poi, che io di let¬ tere uon potevo dar guiditio, • r «- per altro mi nt.mava, honorava, etc., ma in cièche non mi reputava n;« tre; d, tra» .r*-r p *i a • i-d. propria, d' havor insegnato al Car-00 1 Bonroturii ' tutto quello cha ai sa ; «li voler»«us lamentare col Card- 1 Barberino (pareli- th<*ni : V. S. rid i fra tutto, per tana.ua in . mun betta gustosa); di tornar a vilipenderà 1' ugnarsi di scrìvergli contro; che havova in- t mi qin-de una r «ti .i d» < it» • pnm.pali et il tutto c ri una rubli iti zza senile, di qui i furnrrtti ' »!sti c .• presto »i q ur. • .-gì unendomi poi l'offerto della casa sua *ò. lo replicai altra volta le madamine parola scritta di sopra, e che altro non le poteva er tato di tto e r, u *nto *u 1 j-r.r.ipio di qunU commedietta ho scritto. Qui, me/co tra lo sdegno o la r<*rtc ia, lnn 1' alt*» pini. • ; .«•!.. ne entrò poi in un circolo a far 1* intermedio, par quanto intendo, magnificando le sue risposte, con vilipendere la fallacia «Idi* altrui esperirli.- e, iiuerriid" parole di n e quali proffrrireblie uno che per ge-10 loeo sdegno voglia mostrar di dtsprexaarc, e stimi troppo. Io da un Cavaliere mio ami¬ cissimo (fu di nostra camerata a l'tsa ; ella s‘ immaginerà chi) intesi, non ci esser però tra* Bolognesi mala sodiafatione, ma più tosto rìso, per il vehomente riso doli’ ira conci* tata del buon v«*. Però, doppo bavero* parlato a ehi doveva stando dove sto, mi rimdvei a u n trattarne; quand'il «fi ino • guente, doppo desinare, esondo in antica¬ mera, eccoti il principio lietissimo dell'atto 2*. Comparisce tutto cortese; mi prende per mano, me la vuol !*«.* aro; si din rie di vari-' «-.>-«•; fin che io, non sapendo ove tendessi questa subita mutatioim, non io come, «arridendo inferii ragionamento che io la sti¬ mavo, e I rarlo non ero quella mala persona che S. Signorìa Eco."* si figurava: dove, seguitandosi quosto discorso, io prima le domandai che nnove oonsuetudini voleva 60 introdurre tra gl* ingegni d Italia, che ntrnd..*i disputare duo dottori, non si possa diro: «Un mi piare piu; le rapite dell* altro, a imo gusto, non sodisfanno, ote, *. Se- bene non intrndovo, et in c..j «*ra d’a.-. .r>b> ran «-v-o, « io non ho che ella dia precotto »'«noi scolari che appettino d* hnvcr venti anni in catthedra, prima che diro: l.’cspe- r . nze o i discorsi del tale son favole da rìderà >, oome oonportuva elio dicessero con tanta libertà. In oltre, havendo S. Signoria K.v 4 riseduto tant’ anni su lo cattedre, o però scordatosi delia cor->u« Indine corrente ne i banchi dell'udienza, che 8*informassi da quei suoi signori scolari pren oti quivi, *<> ò le nto il «lire a uno « 1/opinione del vostro dottore non mi piace * o « 11 (ale diede la tal riapoetu, che a me pare non concludente». F«ostico Bananwio. mino .li Oaliuso, In luoj,*o di fiondi, cho legassi l* /mrorMU « »UU> corretto, tra lo Unoo. di OUMSlIaiO. [820-821] [\C)Ì2]. 455 60 Replicando egli, e più volte interrompendomi, con dire che questo era fargli torto, com¬ pararlo con chi non sa nè intende Aristotile, non haver ammirato lo sue risposte, io ri¬ spondevo che questa era debolezza del mio ingegno; elio io restavo maravigliato della Signoria S. Ecc. m \ come, dicendo che io non sapeva niente, ei s’alterasse poi tanto d’una mia oppinione, conio se la mia voce havessi autorità, di faro i decretali, qual fosse il primo dottor d’Italia. Qui, con una cortesissima escandescenza, si rispose che la voce di ordinario scolaro non si sarebbe stimata da lui, ma di un soggetto eminentissimo, clic può lionorar lo cattedre, che Principi o Cardinali grandi stimali tanto e reputano delitio singolari la sua conversatione, etc. Non ò questa amplificatimi gratiosa. Entrammo poi in cocchio col S. r Cardinale, nò si trattò altro. La sera poi, raccomandandomi con un 70 alletto tutto amoroso, ma dentro al quale scintillava di volta in volta qualche favillala di sdegno, la reputazione n la fama sua, alla quale la mia voce poteva aggiugnero e de¬ trarre, dopo molti circuiti mi lasciò con amantium irne, amoris redintegratio ; e finì l’atto 2°. Io però sempre parlai con llemnm quietissima, senza parlar riscaldato nò puro una parola, ma in guisa di discorso, corno se havessi ragionato per terza persona inco¬ gnita. L’altra mattina finì questa commcdietta per atto 3® in un banchetto, dove l’invitò il Sig. r Cardinale, senza entrar poro in questi particolari. Poi doppo alla dipartenza, ricordandogli elio io lo stimavo, corno ò veramente, per gran Peripatetico etc., entrò mi amplificarmi le laudi del S. r Galileo, non solo in matematica ma in filosofia, e elio e’gli bavera tant.’ obblighi. E così faccemmo dipartenza da innamorati. Ma in somma , disse il 80 Satiro a Corisca, io non ti creilo; cioò, quando l’occasione portassi un riscaldamento simile, che in mia assenza non si rinnovasse 1’ utto primo. 821 ** GIOVANNI CIAMPOLI a. [Bologna, 10121. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Odi., P. I. T. IX, par. OR. — Copia di mano sincrona. A car. G7f. si logge, di ninno di Gimmo : « S. Ciampoli : parla del Papazzone ». Vengo alla terza parto della sua lettera. In verità che io sento disgusto più che or¬ dinario dell’essersi divolgata quella mia elio olla intende W, non liavendola io scritta ad altri clic a lei, e, se ben mi ricordo, accennando pur nel fino che io la scrivevo per cautela, in occasione elio il buon filosofo Peripatetico bevesse mai fatto, avanti a cotesti Ser." 11 Prin¬ cipi, simili escandescenze. Supplico V. S., dove ella vede il bisogno, a favorirmi in ciò, chè intention mia non è stata d’ofì’endere alcuno. E chi è tanto severo poi, che in un caso simile, occorsomi fuor d’espettatione e giusto anco, come lo scrissi, scrivendo a un Padrone tanto confidente, non voglia che, in un particolare dove ho liavuto cagion di disgusto, possa, narrandolo ad un solo, inserir qualche facotia? Ma in fatti nelle lettere non si scrive mai 10 tanto cauto elio basti. Quel ch’io possa fare, ella è che nell’occasione presente lo scor- Lott. 821. 8. Tra Imito o confidente bì leggo, cancellato, benigno. — ‘‘i Cfr. li.» 820. 456 ' 1M [821-823] gtrà maglio di ma; • non gl- max* UngtiU #t affetto da favorirmi. Intenderò volen. tiari ogni particolari U, » tm pcrrtOM ad Imié «*rt* • ehm m n» dia*. Dubito non esser a tempo alla po*«* pan» tin.*co «aUto Kmrr \> ò • lungo A Monti*.’ Dini foreverenti com'auco ai 6.’ nuo aipofc, « a tutti gl m» c* di t-«r* un raccomando. X. S. la feliciti, 822 ”. BENEDETTO CANTELLI ■ (GALILEO alio balvaj. t'iinif, lieti»). BtbL Ku Flr. Uu Gnl.. P Iti, T. T. Ui li. - l*U«rtfe. Molto Ili. 1 * <*d Eoe,** Si*/ mio, Dal S. r Conino Ridotti mi fu ordinato, jg*r parto di V. S M che facessi le 05 servazioni da' Pianati Madioai alle 6 e 13 bore, l^e ho fatte e notate, al solito mio intendendo delle bore di Piana; ni in tutu- dua apparisce una congion- zione del maggiora con un altro : ma io non ao ae aia il medesimo in tutte dua; sospetto però che aia di vervi. Nella prima o« temutone riddi una stella da donare al Welhero, come 1 k> notato Non p»»iso e**er più lungo: bacio le mani a V.S.,e lo riverenza all* IH.** Si*/ K. ” Di Badia, boggi *iovedl. kor. 6. • -._ Q_ M * kor 13. — *1 M Di V. S. molto Ili/* 823 *. RAFFAELLO GUALTEROTTI a GALILEO in Firenze. (Firenze, 161!*»). Bibl. Su. Flr. Uh. OaL, P. VI, T. XIV. ear la - IdufufL Molto Ma*.'* Mesa. (ìalilco, 11 non bavere io da molti anni in qua adoperato quelle particolari parole che ai tilosof&nti paro che convengano, potrà torre molto di autorità al vero eh io Obli*.® 0 Ser/° e Disc. 10 » D. Benedetto Castelli. , ' 1 Fiurro Siuut!. 457 [823-825] [1612] — 4 gennaio 1613. dirò ; pure non vo’ mancaro di replicare più pesatamente quello che brevemente c in fretta io havessi detto, e seguo cosi : Che se il moto naturale é quello che. in sé ha la cagione che lo muove al suo termine, cosi conio il moto al’ ingiù harà per termine il centro, così il moto al’ insù harà per termine la circonferenza : e sicome il grave tendente al centro allora si fermerà che egli troverrà contrasto (benché non giunto al centro), cosi io quello clic sarà più leggiero si discosterà verso la circonferenza, et allora giun¬ gerà al suo termine che egli riscontrerrà una cosa di sé più leggieri: e se ogni corpo che pesi più del’ aqqua tanto più tende al centro, così ogni corpo che sia più leggiero li soprastarà, o di grado in grado li soprastarà tanto, quanto sarà la sua leggerezza, e la soprastanza sarà il suo termine, perché d’ un legno gravetto non è centro il centro del’ aqqua, ma una lontananza dalla sua super¬ ficie, corispondente alla gravezza propria verso di quella del’ aqqua ; e questo è vero rispetto al patiente, non al’ agente, et a questi bassi corpi elementari sino al corpo lunare, ove si comincia un altro mondo : chè per altra strada tanto è vero che non sia se non il moto al’ingiù, quanto é vero clic non è se non un 20 solo superiore motore di tutti i moti sino al centro inmobile. Ma é un confon¬ dere i termini, o trapassare i principii del filosofo naturale. E tanto intendo circa questo, e le son servitore. Di casa. Raffacl Gualtcrotti. Fuori: Al molto Mag. c0 Moss. Galileo, in Fiorenza. [In] Porta Rossa, nella Torre di quei del Meglio. 824 . GALILEO a TOLOMEO NOZZOLTNI [in Pisa]. [Le Selve (?), gennaio 1613]. Cfr.Vol. IV, png. 297-810. 825 *. FEDERIGO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 4 gennaio 1613. Bibl. Naz. Fir. Mas. (lai., P. VI, T. IX, cnr. 7. — Autografa. Molt’ III.™ e molto Ecc. to Sig. r mio ()ss. mo Poco fa m’é gionta la sua con quelle del S. r Salviati. La facilità che mi dà, dovrò pigliarla conforme alla cortesia sì abbondante che scopro tuttavia mag- Lett. 823. 17. non al ycntc. — XI. 58 458 4 GENNAIO 1613. [825-826] giornante in quel virtuoso Signore: e ne mandarò nota. L* errori de'fogli non sono tenuti ; potrà mandarli di mano in mano, chè ■’ aggiugneranno nel fine o’ntanto serviranno al oompotfcore per avertiinenti. Assicurisi certo che gli a’è sopra, e si farà più hora, che lo fonarono esser toscano, se sarà possibile. Ve¬ drà nell'acclusi fogli la mutaaion ammessa : e credami oh* udendo contrariar alli peripatetici dogmi, ni turbano un poco; ma bisogna si radano accomodando. Si riderà delle due lettere: le »crih*i. vinto l’opre del'amico, mosso da giusta Opl-io leni, in fretta in fretta, e forse appropriate a doi giovanotti di questi Scolastici peripatetici, uno che sia in Roma, 1’ altro in montagna (che non ve ne manche- .<•): potranno mettersi in un cantone del’ epintolico volume. Si finge il Peri- patetico e non amico dal* opinion di V 8 . PO iò 1 ht oono ird indo nella raggione, si come fa nel fatto, non apparisse troppo partiale di V. S. Ho voluto ben che dia Begno della debboleaa della setta e propria. Le mando non reviste; et il scrit¬ tore le havrà (dubito) maltrattale. 11 S. : Puntoni nostro, andando al suo Cardinale Dui finterà V. S. et il S. r Sai viali : credo, lunedi o marioli partirà di qua; fors* anco farà riverenza a S. A. Roggi, nel licentiar-. l'ha honoruto molto. Non ni’idlongarò più 20 per la fretta. Ilacio a V. 8. le mani, pregandole dal Signor Dio P anno presente et infinit' altri felicissimi. Di Roma, li 4 di Oenn.* 1618. Di V. S. inoli’ 111." e molto Ecc. u A(T. m0 per ser> sempre Fed. c * Cesi Lino. 0 P, 82 fi. GIOVAR FRANCESCO 8AGREDO a GALILEO in Firenze. Venerala, 4 gennaio ISIS. ®Ibi. Nan. Fir. Km. QnL t P. TI. T. IX. «r. S. - Int^graf# U Un. 18-22. Moli’ IU.s 8. r Eoe Sono mille e cinquecento anni che non ho scritto a V. S. Kcc. ra “, parte per ocupatione, parte per negligenza, et parte per quella confidenza philosotìca ch'hab* biamo insieme. Rebbi il vetro; ho fatto offitio con M. ro Antonio per fargline bavere un simile, et altri boni di sei et sete quarte : ina egli è pigro, et io non so partirmi dal fuoco. <*> Cfr.YoLV, p*. 188-139. i* 1 Fn»»t*AXuo Uoxxaoa. 4 — 5 GENNAIO 1613. 459 [826-827] Scrissi al Velsor, acciò mi facesse fare dal finto Apollo la equatione del ponto d’ una natività in vintiquatro meridiani, distanti successivamente quindici gradi io F uno all’ altro : et veramente, Bicorne tutti gli altri matematici che sono stati tentati da me con V istesso quesito, hanno vacillato senza penetrare il fonda¬ mento et l’essenza di questa difficoltà 0 *, così egli, volendo strafare, mi è riuscito manco intelligente et più trascurato degl’ altri, havendo, in corso di venti quatro meridiani, mutato 1’ ordino tre volto ; che mi ha fatto argomentare in lui anco un’ ingnoranza delle cose vulgatissime. Sto con disiderio aspettando le sue nove osservationi ; et por fino gli bacio la mano. Di Venetia, 4 Genaro 1613. Di V.S. Eoe.™ Tutto suo S. r Galilei. G. F. Sag. 20 Fuori: Al molto 111.™ S. r Hon. mo L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. 827 . GALILEO a FEDERICO CESI [in Roma]. Lo Solvo, 5 gennaio 1013. Riproduciamo questa lotterà dalle lettere memorabili occ. (citato nell’ informazione premessa al n.° 675), pag. 20-23, dovo vido por la prima volta la luco. Una copia di ninno del soc. XIX, o derivata probabil- niento dall’ edizione stessa dol BuLirox, ò nella Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Par. VI, T. VI, car. 22-2S. Ho, con la cortesissima sua lettera, ricevuto il quarto foglio, c notate quelle poche scorrettioncelle che sono fuggite dalla diligente cura dello stampatore, il quale è veramente un Tullio, rispetto a questi di qui o di Venetia: li manderò poi tutti per farne il suo indice in fine. Continuo intanto i calcoli delle costitutioni future ( ' 2) , i quali mi tengono occupatissimo, e penserò di estendergli sino a due mesi, cioè fargli per Febraio e Marzo <3) , perchè avanti che sia finita la stampa, e che siano poi mandati et arrivati dove bisogna, non vorrei clic fosse passato il tempo del potergli rincontrare; se io bene, quando publicherò le tavole e ’1 loro uso, ciascheduno potrà Lett. 827. 4. mandare — 6. pentarò — Cfr. Oalilco Galilei e lo Studio di Padova per Intendi, dello Medicee. Antonio Favaro. Voi. II. Firenzo, Successori Le Mon- < 8 > Furono poi pubblicato lo costituzioni dal nier, 1883, png. 105-112. 1° marzo all’8 uiAggio. Cfr. Voi. V, pag. 241-245. 400 5 GENNAIO 1013. [827] rincontrargli, calcolandogli por 1 addietro. La dichinratione appar¬ tenente a queste costitutioni, penso farla latina, o separata dalle let¬ tere, niellò anche noia si po—a speditamente mandare in luoghi remoti. Quanto al titolo, rimettendomi alla determinatione di V. E. o degli altri Pignori Lincei, mi par che si potrobbo far coni: tintorìa e Di¬ mostrai inni intorno al Ir tnarrhi> 'Jori e loro (irriti, riti, comprine in trelet- ritte ali /Ila A rise. Sig. Ma>\ , . Duumviro iì Serenisi. D. Cos mo Gr. Duca di fi tara ria rie . 11 20 Ho sentito piacere che la terra mutatione di quel luogo gli sia finalmente pervenuta in tempo, e <-i.peri che la Ma per passare 121 . Sarebbe bene avvertire il compositoi <•. c he imn did inguesso con punti lo lettere maiuscolo che indicano le figure matematiche, se non quando ci proj o lineo o angoli o figure differenti, come per esempio: Io vorrò dire sia il triangolo ABC; essendo una figura sola, non è bene fare le tre note .L B. C. cosi diviso con punti, ma così ABC; ma se dirò sinno le due linee AB. CD, ò bene che tra’1 B e ’l Cs'ia la distintione del punto, perchè si denotano due cose differenti. Io so che il mio copista ci bavera errato quasi sempre, et io ne emendai so quei luoghi elio potetti por la fretta, ma so che molti mi saranno fuggiti; tuttavia quest’errore non è tale, che quando non si potesse far elio il compositore so n’astenete con poco tedio, metta conto a farci gran fatica. Quando habbia parlato al Signor Luca di quel particolare (3> , sentirò volentieri la sua resol utiono, perchè in effetto non par bene che io butti via una fatica non piccola già fatta : et il Signor Salviati, che ultimamente 1' ha veduta, non vuol por niente elio la resti morta. Ma spero che il Signor Luca non doverà ricusar ciò, perchè, a mio potere, tenderà più alla sua gloria elio alla mia; nò io mi asterrò io di celebrarlo, e di conceder la preminenza allo suo veramente divine inventioni; lo quali sicome mi concitarono a bramar la sua amicitia, così mi faranno vivergli sempre servitore, et ammiratore del suo fe¬ licissimo ingegno. Cfr. Voi. V. pa«. 78- eh* pubblicò, Uuli inni più Unii, in appendice *' cfr - »•* 895. lHnlofM dau Nnovt SeUnu. Cfr. Voi. 1, P««- 1S7-208; <*> Cfr. n.» 812. Qui fliuuo accenna al Urori Voi. VUI, pa*. 818. 5 — 0 GENNÀIO 1013. 401 [827-828] Io rendo gratic a V. E. et all’ amico mio carissimo m delle provvi¬ sioni su che stanno continuamente por mia sicurezza contro alla ma¬ lignità, la quale qua ancora non resta di macchinare, e tanto più quanto il nimico è più vicino; ma perchè son pochi in numero, e della lega (che così la chiamano lor medesimi tra di loro) che Y. E. so può scorgere nelle loro scritture, io me ne burlo. È stato in Firenze un goffo dicitore, elio si è rimesso a detestar la mobilità della terra; ma questo buon lmomo ha tanta pratica sopra 1’ autor di questa dottrina, che e’lo nomina V Ipernico <2) . Hor veda Y. E. dove e da chi viene trabalzata la povera filosofìa. Ma io attendo a scriver assai, e i calcoli aspettano (3) , e mi ricor¬ dano la strettezza del tempo. Però augurando a V. E. il buon capo d’anno et molti altri prosperi e felici, mi conceda ch’io torni alla fatica, e m’impetri quindici giorni di proroga per complire con li Si¬ gnori Lincei, de i quali tutti vivo divotissimo servidore ; et a V. E. eo con ogni riverenza bacio lo mani. L’istesso fa il Signor Salviati, dal quale doverà già V. E. kaver ricevuto le lettere che l’ordinario pas¬ sato gl’ inviai per 12 Lincei. Dalle Selve, li 5 di Gennaio 1612 (4) . 828 *. CRISTOFORO SOHE1NER a GIO. ANTONIO MAGINI in Bologna. Ingoiatacit, 9 gennaio 1613. Arch. Malvezzi do’ Medici in Bologna. Carteggio di fi. A. Muglili. — Autografa. ras. Tax Ohristi. Nobilis, Excellens atque Amplissime Vir, et Magister mihi plurimum bonorande (nam Doctorem te menni agnosoo, o cuius soriptis plurimum quotidie disco), Magino sane ma¬ gne, tanta est mea in to benevolenza, tua in me lmmanitas, ut ulterius me non contineam, quo niiuus littoria id declarem, praesertim quod animadvertam, tibi Apellem mine esso notum, quem tu tam officiose salutatimi cnpias : inurbanus igitur et. perquam paganns casoni, si tantae comitati officila millis penitUB respouderom. Gratiaa igitur tibi ago immortale» prò •18. è Jìe.r vicino — fi> Lodovico Cigoli. Cfr. n.° 814. fi' Cfr. n.« 79^. (»' Cfr. liti. 5. <*> Di stilo fiorentino. 462 9—11 GENNAIO 1613. 1828-829] t ,m w fodidia, qitlboa invantioMi bmi de maculi* •olmribtu Unto patrocinio saope propugnati. Ego quod rependam non habeo, ni.i ni me Minptr banafidi momorem ostcn- io da ni et ad t* Kttepr confugiam, nirque et S ntatern nostraui tanta© auctoritatis nomini froquenter eomraendein. Lodimi die et P. Blanran» epietolam, inquo diu tuam Intimiate donatam, et D. Gali- laei de maculi" aolaribua common tallone», ac-rpi. Quid in illi» »it, priinum videbo: hactenus haud licuit, t-uipori» et inU-rpretum penuria. Spero n item fon*, ut huo tempore itorum aliquid prodeat ; quod mi firt, inter primo- jarGcpi eri». Interini quarto te, Vir Claris- ■ime, »i quid obaervationum de maculi* •olaribu* hit**, praeter «a* qua* menate Augusti anno praeterito accepi per l>. Mareum Velserum, nubi communicare ne graveris, addita, quantum fieri potoal, linea echplica : *«*rvirent enim mih» plunmum, egoque tui honorifi- centiuBimam mentionem grat an ter Tana m m u» -|uae fortaaae ali.mando lucani merebuntur. 2 o Quod ai banc tneam an mi grati -‘igniti n«-m t.l-i acceptaro «■■.»« mtellcxoro, racquoinser- vura tuum admi-'-ri*. audobo in «ub»c.:uturw epilobi» plur* premiere. Sed unum teobtestor interim, ne Àpeìleiu alu* proda», dune*- *uo tempore »p-nte pr«xlibit. Noeti cnim, religiosos a celli* sui* «*t in celli* «ui» hbenUr c.iari. Naie, Vir lluiuauiu ime, et me Sociotatemquo nostrum solito favore amplectrre. ingolstadii, 9 lanuani 1613. Tuae ExcellouUao Servii* in (Mirteto OffirioBteaimus Chriatopboru* Scheiner, SocieUtiu llicsu, uianu propria. Fuori: 1HB. 30 Nobili. Exeeltenti Amplùuimoqae Viro Ioan. Antonio Magino, M ithcmatiro I'hiloeophoqne l’eritiaaimo, Domino huo plurimuni Ubeervando. Franco per Mantova. ikiu<>n.am. 820 *. FEDERICI CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 11 gennaio 1613. BIM. Nub. Fi r. Mm 0*1.. P. VI, T. IX, car. 10. - latognf*. Molt’ 111.** e molto Ecc. u Sig. r mio Osa."** Ilo veduto con molto gusto nella sua, che estenda i calcoli per tutto Marzo'", poiché il stampatore, nostro inai grado, s’allunga e scusa; e poi i libri non si spacciano tanto subito, che a molti possano pervenire a tempo ; chò ciò ben potrà succedere di quelli eh’i Lincei doneranno, ma non già di quelli ch’esporrano a' librari a publico commodo. Cfr. n.» 8*7. 11 — 18 GENNAIO 1G13. 4G3 [829-831] Col S. r Luca parlai già di quel particolare (0 , e se ne mostrò sodisfattissimo : glie lo dirò di nuovo risolutamente. Parlai col S. r Duca di Poli (,) , e lo trovai molto ben disposto verso le opinioni di V. S. Le mandai le due lettere stampate io con i disegni, acciò anco le mostrasse al S. r Cardinale (3) : sentirò quello no dice. Non fu possibile fargliele veder a penna, per la stampa e revisori che l’occupa¬ vano. Mi riferì mio padre in confuso, che dopo il Duca V havea detto, non pia¬ cerli che le macchie si tenessero più lucide della luna. Le mando incluse lo ligure geometriche della terza, et una per il S. r Salviati, qual non ha così subito le risposte per esser io stato tardi nel’ bavere e distribuire le sue (t) . Il S. r Demi- siani vien a Firenze l&) : havrei caro, in tutti i modi facesse riverenza al G. Duca, e si trovasse con V. S. e S. r Salviati, come voi fare. Qui è stato molto honorato, e pò e sa servir e far lionor alli amici, e massime bora che è caro a potente Signore (4) . Non distrarrò più a lungo V. S. dalle sue nobilissime fatighe. Le bacio le mani. 20 Di Roma, li 11 di Genn. 0 1G13. Di V. S. molt’ 111. 10 e molto Ecc. le Occorrendo error alcuno o avertimento sopra le figure, l’avisi, chè per dar tempo a queste e la terza lettera, si attenderà a ristampar Apelle. Alf. mo per ser> sempre Fed. co Cesi Line. P. 830 . ANGELO DE FILIIS a FILIPPO SALVIATI [in Firenze]. Koma, 13 gennaio 1613. Cfr. Voi. V, pag. 75-78. 831 . FEDERICO CESI a GALILEO fin Firenze]. Roma, 18 gennaio 1613. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 12. — Autografa. Molt’ Ill. re e molto Ecc. 1 ® Sig. r mio Oss. mo Il fine della sua lettera mi ha arrecato molto travaglio, sentendo con infi¬ nito dispiacere P indisposizione sopragiuntoli ; e se bene la speranza, il desi¬ derio, i prieglii, che sia per restarne V. S. presto libera e tornarne fresca alli sui “> Cfr. nu.'812, 827, lin. 85 111 Conte Conti. (S| Carlo Conti. (») Cfr. n.o 827, lin. 60-62. <») Cfr. u.° 825. ( c ) Fkkdinando Gonzaga. 464 18 GKNNA10 1613. [ 881 - 882 ] ntiulii utilissimi al nostro secolo, m’acquieta in parte, pur Terrei presto sentirlo- nè posso, sin che non l'odo, quietarmi. Sin bora haverà veduto U a» D —M a ni ', quale parti volonterosissimo di salutarla. Habbiamo qui Mons.' Vedovo di Bamberga \ orator Cesareo, Principe che con la potala ha congiunta una somma bontà et Immanità e grand’amor io de'letterati. Mi «’«’• mostro atnicivimo, «*t m’ha particolarmente ragionato di V.S. e dimandatomi delle con- celesti da lei scoperte, mostrando di farne quella stima che si deve; |n>i con grand’istanza mi [aggiunse, coni'havrebbe potuto far ad harer un buon telescopio. Io me la i*assai con dir eh’in Roma non sene poteanofar buoni; ma ho considerato che •»* V.S. n'havesse alcuno di mediocre bontà, sufficiente in qualche \ irte alli spettacoli celesti, le sarrebbe, donando¬ glielo, di non poco honore, massime nella (iirraania, e n’acquistarebbe un buon amico, Principe delle qualità eh’ ho detto. Potrei in tal caso io farglielo qui ben guarnire, e farglielo in mio nome presentar «lui S. r Fabri nostro, che è suo sud¬ dito^ et intrinsechi*sirao. Quando non habbia questa commodità, m’avisi chi in 20 Veneti» ne lavora de'buoni, acciò pc.-»a veder «li procacciargliene uno. Subito stampata l’opra ili V. S., lo ne farò dar una. haccio tuttavia sollicitar la stampa; e stampandone per una parto i rami, hora ai stampa la seconda d’Àpelle, dando tempo acciò V.S. avisi cho le pare circa 1 avertimonti ilei S. Valeri»» '. Bacio a V.S. lo mani, aspettando con gran¬ dissima ansietà nova della sua sanità. N. S. Id«lio la conceda con ogni contentezza. Di Roma, li 18 di (ìenn.° 1613. Di V. S. moli'I11.'* e molto Koc. ta Aflf. wo per ser. 1 * sempre Fed . 00 Cesi Line . 0 P. Fuori, , pareva al Signor Salviati, et anco a me, che non si trattando quella materia teologica ex professo, si potesse oratoriamente dire che Dio per Sua benignità, potendoci fare un verme o niente, ci haveva fatti huomini, onde noi dovevamo ringratiarlo etc.; et io so d’haverlo più volte sentito dire sopra i pulpiti da predicatori stimati assai: tut¬ tavia per fuggire ogni scrupolo, quando loro determinano che si ri¬ muova, si potrà levar quel concetto, e dire : Ilor, qualunque si sia il corso della vita nostra, doviamo riceverlo per sommo dono dalla mano di (,> Cfr. n.o 827, lin. 5. o nello varianti. Notiamo che Gai,u.eo nel citaro lo Cfr. Voi. V, pag. 191, ]jn. 23 e scg., nel testo « faccio » intendo riferirsi a quelle del manoscritto. 25 GENNAIO lfi13. 4M [833] Dio, et anco deli'affi Miotti nmi> > gratti- alla Sm bontà, la quale con tali mezzi eie. 20 Quanto alla diflìcultà dell’(«perimento a fare. 22 nel fine ln , ri¬ spondo, die tocca prima all’avversario il provare che i raggi pro¬ cedenti dalle parti di mezzo del disco solare sien più gagliardi; di poi T esperienza che si potrebbe domandar da me non è per avven¬ tura impossibile, n«* anco molto difficile, perchè riguardando noi ’1 sole nascente o occidente, non lo scorgeremo punto più lucido nel mezzo che nell* «‘stremi, o vero facendo passar la sua specie per lo telescopio sopra la carta, si vedo il cerchio tutto ©qualmente lucido. Però io non crederei haver molta difficultà in sostenere questa propo- sitione, elio io stimo verissima. 20 Alla f&co. 29, linea 3. et face. 30 nel fine, è bene che si emendi come dice il Signor Valerio, dicendo ned primo luogo : e congiungasi la linea retta ND * ; o nel secondo luogo .si leveranno le parole: produ¬ casi la linea ND J . In tanto il Signor Luca scuserà la mia inaver- tenza, et il non haver pur potuto rileggere una sol volta la lettera, et io ringratierò la sua diligenza. Quanto alla notatione della face. 48, lin. 9 v) , dico essere quasi impossibii cosa il trattare materia alcuna, fuorichè lo pure matema¬ tiche, tanto saldamente e deinostrativamente, elio del tutto si tron¬ chi la strada ad altri di potere, almeno con apparente ragione, con- io tradire, et massime dove le materie non si trattano ex professo, ma si vanno trascorrendo quasi incidentemente. Io son sicurissimo che la reflessione della terra è di gran lunga più efficace elio quella della luna, et ho molte ragioni necessarie da dimostrarlo, quando ex pro¬ fesso mi verrà occasiono di farlo: vero ò elio tali ragioni vogliono essere sminuzzate con grand’ ©squisitezza e patienza, il che non con¬ viene farsi dove solo per un passaggio mi viene occasiono di toccar tal problema, corno è in questo luogo. Però che si lasci attacco di contradire, nò lo posso sfuggire, nè credo che sia necessario, poiché io mi sento veramente tanto in sicuro di poter rispondere ad ogn’istanza, 50 et io non haverò punto per male che gli avversarii mi oppongbino. Lott. 833. 82. Signor VtL, dicendo - Cfr VoLV,ptf.901,Ilo. 16 e U noU iti. Cfr * Voi. V. pag. Ì07, lin. 6, nel lesto « nelle varianti. i»’ Cfr. Voi. V, pag. 209. Un. 6, nello varianti <»> Cfr. Voi. V, pag. 222, lin. 17 o «eg. 25 GENNAIO 1613. 467 [833] Quello che tocca il Signor Luca ò verissimo, che il medesimo corpo lucido più vivamente illumina da vicino che da lontano; ma è anco vero che lucidi di grandezza diseguali, ma di luce egualmente intensa, non illuminano egualmente, ma il maggiore da eguale di¬ stanza illumina più, et illuminerà egualmente da distanza maggiore. Quando dunque io considero la reflessione che ci vien da un muro, e la comparo con quella che ci vien dalla luna, è vero che quella che ci vien dal muro ò vicina, ma quella luna è ben da un corpo co incomparabilmente maggiore: et io ho sempre havuta intentione che si paragoni la reflessione della luna con la reflession d’un muro tanto minor della luna, quanto quella è più lontana di lui; sicché il luogo tenebroso, dove si ha da ricevere il riflesso della luna e del muro, non sia illuminato da un muro di superficie apparentemente mag¬ gior del visual disco della luna. Onde, per meglio spiegar il mio concetto, si potranno aggiugner nel luogo citato le seguenti parole. Dopo lo parole e loca) dal sole !l ' cancellinsi la qual, e aggiungasi poi: ancorché tale reflcssione passi per un foro così angusto, che dal luogo dove dia vien ricevuta non apparisca il suo diametro sottendere ad angolo mag¬ io (fiore che il visual diametro della lima; nulladimeno tal luce secondaria è così potente etc. Il luogo della face. 57, lin. prima e seconda, levisi interamente (21 , e credanosi elio io non bavevo penetrata 1’ argutia. Quanto all’ ultima uotatione, per levar la contradittione tra que¬ sti due luoghi et dichiarar meglio l’intentione mia, nella face. 45 (:|) cancellinsi le parole : io non solo lo stimo tale per sino a in questo luogo, dicendo che; et in vece loro scrivasi : intendendo però per habitatori gli ani¬ mali nostrali et sopra tutto gli huomini, io non solo concorro con Apollo in reputarlo tale, ma credo di poterlo con ragioni necessarie dimostrare. Se so poi si possa probabilmente stimare, nella luna o in altro pianeta essere vi¬ venti e vegetabili diversi non solo da i terrestri, ma lontanissimi da ogni nostra imaginatione, io per me nè lo affermerò nè lo negherò, ma lascierò che più di me sapienti determinino sopra ciò, et seguiterò le loro determir 07. canccìlcnti, alla quale aggiunga»i poi (cfr. Voi. V, p&g. 223, nota 2) — 70-71. luce feconda eia, r con'i (cfr. Voi. V, png. 223, lin. 7-8) — 76. cancellcnti — 82. affermard — negati — lasciarò — 83. eegmlarò — <’» Cfr. Voi. V, png. 223, lin. 4-8. <" Cfr. Voi. V, pag. 220, lin. 20-29, noi testo o <*> Cfr. Voi. V, pag. 229, lin. 26, nello varianti. uollo varianti. 468 2f» GENNAIO 1613. [833] naliutii; sicuro chi si no j#r f.vsrr meglio fondate della ragione addotta da Aprile in questo luogo . de*' 1 r/ie sarebbe assunto e te. Favoriscami V. K. «li render gratie infilate al Signor Luca per gli avertimenti, che sono testimoni «li vera ainicitia et allotto puro 11 Sig. Demi.*--iani '* fu qui per poche bore, ina, con disgusto parti- ( t.ì.irc dèi Sig. Sai vi a ti e mio. non volse passare altramente a Li¬ vorno, per dovi* il Signor Salviati gli haveva apparecchiata una delle 90 sue carrozze j>t*r ci>ndurlo e ricondurlo. Io resto con infinit K. della gratin procuratagli presso cot»*sto orator (V arco *. Dispiacemi di non havor cristalli che vagliauo per un teh-copio degno di tanto Signore: dovendo io ri¬ tornar fra pochi giorni a Fironz*’ per Foce. > don e del ritorno del G. I)., tenterò so potrò farne un paro sopra la mediocrità, se bene ci è gran¬ dissima «li; allo puro: se mi lorà di potergli fare, F invierò a V. K. intanto lavori-carni di baciar la veste in nome o ad un tanto Prelato, offerendo servitore devotissimo. Ho te¬ diato assai V. E.; finirò con re : rie il aolito servitore obligatissimo, ioo e con baciarle le mani in nome del Signor Salviati. Dalle Selve, li 25 di Gennaro 1612 ‘ . Sono in necessità di far saj>ero a V. Eccellenza c*ome haveudo mo¬ strato le due lettere mandatemi da lei * a diversi amici letterati, sono state giudicate per tinte, por d 1 ni di -uno autore, e per di V.E., cosa che mi ha fatto maravigliare. L'i*tesso m* è accaduto poi qui col Sig. Salviati, al quale havendo io poi confessato il tutto in confidenza, o più dotto che il medesimo ginditio havean fatto altri amici in Fi¬ renze, gli è caduto in consideratione, che venendo, stampate, in mano de" miei detrattori, e gli potrebbe dare un attacco di mordere ter- 110 ribilmente, opponendo che por palliare lo mie menzogne mi fosse necessario F andar con tìntioni e fraudi ingannando il mondo; del quale artifìcio non sondo io punto bisognoso, bastandomi che solo si sappia la pura verità, pareva a detto Signore elio ogni detto di V. E., inio e di altri, deve essere schiettissimo e nulla palliato; onde il con- 91. eantu* — 9$. laràri) — 111. — 113. — 11S. H»TI tekettitrimo — Cfr. n.* 826, Un. 18-90. ^ 11 Vmcoto di Baaberg : cfr. nn.' 806, S81. Di itile florentino. <*» Cfr. d.« 826. 25 GENNÀIO 1013. 469 [833-884] tenuto di esse lettere, che per altro è piaciuto infinitamente, pareva che per avventura fosse stato meglio porgerlo sotto forma più libera, e sicura di non dar attacco alcuno alla malignità. Lo però mi ri¬ metto a quanto determinerà la sua prudenza, et in tanto si fanno i2o maggiori i miei oblighi nel veder con quanto affetto ella invigili nel mio patrocinio (n . 834 . LORENZO P1GNORLA a GALILEO iu Fironzc. Padova, 25 gennaio 1013. Blbl. Nnz. Sir. M*s. Hai., P. T. T. VII, car. 00. — Autografa. Molt’ III.™ et molt’ Ecc. to S. r mio P.rone Oss. mo Tengo duo lettere di V. S., una de’5, l’altra de’12 del presente. Alla prima rispondo, che ’l liuto era in ordino per eccellenza : tuttavia gl’ heredi di M. Cristoforo ( ‘> si contentano di tenerlo per sò alla ventura, per servire a V. S. Et i denari, eh’ erano A otto da £ 7 T uno, si sono contati a M. a Marina Bartoluzzi t3> , secondo l’ordine dato. Alla seconda, la risposta sarà un affettuoso ringratiamento per l’operato in scrvitio di quel meschino (V) . Prego il Signore che ricompensi questa bon’opera con sanità e felicità di V. S. : alla quale bacio per line le mani, con dcsideiaile io ogni vero contento. Di Padova, il dì 25 Genn.° 1613. Di V. S. molt’ III « et molt’ Ecc.‘° Mons. r Arciprete CB) fa quanto può, et io non manco, per rinvenire quel benedetto semilibro c ' 1 : ma si tiene con gran guardia, et in maggior ge¬ losia che non tenevano i Romani il Palladio. Il S. r Sandelli è gran servidor di V. S., et le desi¬ dera sanità e felicità. Ser. ro Afì>° Lorenzo Pignoria. 20 Fuori: Al molt’ 111." et molt’ Eco.* S. r mio Oss.™ Il S. r Galileo Galilei, a Firenze. "‘Lo lottore a cui qui si accenna furono poi off (attivameli te omesse. <*» Cfr. n.° 801. W Marina Gamba ne’B artoluzzi, (*> Cfr. n.<> 816. <“> Paolo Gualdo. i®> intonilo, il De c itelo del Cbemonini. Cfr. n.° 816. 47U 20 GINN AIO 161J. L‘S35-b36] 2j 835 *. MARCO WEUSKR » GIOVANNI FA BER in Roma. Augnata, 3f> grnuaio IMA. Aroh. dell’ Ospizio di S. Maria In Ayuiro In Roma, Carkjfto di Giovami! Faber. Filza 419, bar. 138. — Autografa. Molto 111.* et Eoe.** sr* All’ Illuatrii'H.* 1 S." Saliiau rispondo » drittoni, ot por il S. ar Angelo de Filiis viene la risposta inchina : V. S. si contentar* di farla capitar tiene. Et sempre mi conservi In grazia dell* Ecc. B »S.~ Principe '. Noti clm ilko sujHuntrr « me la conaervi », perchèdi po¬ nente pretondo d’havertio tanta, rho il voler !a iiin .-n’ irò ir< blu- troppo ingordigia. Aspetto che mi mandi le lettere stampate del S.* r Galilei. Et se mt vorrà favorire di quella pe- t roccia risplendi-nto in loco oh*curo, mi dir.* ancora il modo che debbo teucro per conse¬ guir tal effetto. Il P. Uheiibergar havrà p*>i dato il ino parare circi l'accordo de*Calendari!. Com¬ prendo dal S. w Card. 1 Ballarromo che an<- ra N. S. vi tiene ancora poca inclinatione. Et 10 io mi rimetto. Ma dmìderarei che Ili " di Rara ber ga ', come prattico dello cose di Germania, foase interrogato quel che tal accordo, quando segna non solo senza pregiu* dicio ma eziandio con acqui-to di roputatione della Sede Apostolica, possa importare. Baccio la mano a V. S. Iddio la feliciti. Di Augusta, a’ 25 di Gemi.* 1613 Di V. 8. molto 111.* et Ere.** Aff.* 9 Servii* Marco Yelseri. Fuori: Al molto UL* et Eco.** 8.** mio Osa.** 11 8.** tìio Fabri, Medico o Semplicista di N. S. Roma. 20 838. PAOLO ÀPROINO a GALILEO in Firenzo. Treviso, 96 (funaio 1613. Blbl. Nas. Flr. Ma». Hai., P. VI, T. IX, car. 16. - Autografa. Molto Ill. r * et Ec. mo Sig. r , mio 8ig. r et P.rone Pol. ,p ® Ringrazio infinitamente V. S. Ec.** dell'operato per mio conto con l’Alt. Ser. 1 "* del G. Duca; et senza altro io lo eleggo fin da hora per doverne aggrandir la <*' Fedkrioo Cut. »*> Cfr. n.« 831 2G GENNAIO 1613. 471 [836-8371 mia invenzione, puhlicandola al nome suo. Disegno però innnci di venir io stesso a Firenze, et per veder cotesta Corte et per far gustar di mia presenza l’effetto dello istrumento !,) . Ma la cosa anderà un poco a longo, perchè bora mi tieno distornato del tutto un negocio ch’io non posso nè debbo tralasciare w ; il quale nondimeno io spero che per Pasca sia ispedito, et in tal caso non passerà questa primavera eli’ io sarò costì. Intanto le scriverò poi qualche particolare dello istro- 10 mento, clic, per dir il vero, io non veggo l’hora di metterglielo in mano. Per bora ben le dico che nè io posso fermarmi in cotesti paesi, come le dirò poi a longo, nè meno con cotesto Sei*." 10 Principe io intendo di conseguir altro che un sem¬ plice segno et argomento di existimatione dell’ opera, lontano da altra utilità, et acquistar per me et per la mia casa la protezion di lui, che io tengo per unico et incomparabile sostegno della gloria d’Italia. Con che le faccio riverenza, et le auguro longhi et felici anni. Di Trivigi, li 26 di Gen.° 1G13. Di V.S. molto IU. ro et Ecc.™ Ser. r Obl. mo Paulo Àproino. 20 Fuori: Al molto 111. r0 et Eoe.™ 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Sig. r , mio Sig. r et P.rone Col. 1 " 0 Firenze. 8S7*. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 20 gennaio 1613. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., T. VI, T. IX, car. 14. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. 1 * 0 et molto Ecc. 10 S. or mio Oss. mo La sua dalli 21 del presente (8) ha rallegrato me et gl’altri Lincei fuor di modo, liberandoci dal dolor che dalla precedente n’era stato arrecato. Sia lodato Dio, che V. S. s’è liberata dalla febre et dolore, sperando rinfrancarsi, come desideriamo. Aspetto risposta alle notationi del S. or Luca (4) , e s’altro vuole avvisare circa alla terza lettera, cliè nella stampa in tanto non si perde tempo. La mutatione è stata subito accettata dal revisore, bastando si parli naturalmente, senza me¬ scolarvi sopranaturalità alcuna, chè così vogliono in simil cose. Lodo eli’ i calcoli *•> Cfr. n.® 905. nolla sua dei 25 (cfr. n.® 833, Un. 1), non ò giunta ,J) I.'Arnoixo stava per farsi prete. Cfr. il.® 882. sino a noi. (3 ’ Questa lotterà, a cui accenna anche Gai.ii.ko <*> Cfr. n.° 883. 36 — 38 UKKKAIO 1613. 472 2b - 38 GKNHAIO 1613. [887-838] »i tirino più avanti 1 , non lasciando in Unto d’ affrotUr la stampa; et essendo i cinque fogli il fino dal Greuter per t* impresone de’ rami, le mando il se* io guanto ad aeei. Si »U anco a torno alla seconde d’Apelle; et quelle figure che si Bono potute far in legno e più piccole, ti »on fatte. M’è pano n e oceea r iu inviarle «abito l'accinta demoatratione dello specchio ustorio, nuovo penai ero del Padre (ìrembtrger , alla celebratane della quale mi trovai giovedì al Collegio, e«M-udovi il Prencipe di Bamberga, del quale le scrissi con la prec «niente. 11 S.®* Mora fio Paglioni mio parente et iflvtionati* imo di V. S., trovandosi uno db* noi COnpani geometrìa! et militari. Q bavera anco Pesplicatione del- V ubo, tcritta a penna, et I.avendosela smarrito, mi prega lene mandi una copia dalla mia stampato, che qui ha veduto; il che farò, quando V. S. non babbi un 20 altro esemplare stampato, da potermene favorire. Con che mi restarò, baciando le mani a V.3., pregandole da N. Signore Dio ogni contento. Di Roma, li 26 di Gen.** 1613. Di Y. fi. molto HI.*® et molto Eoe. 1 * Afl>® per ser> sempre Fed.«® Cesi Line. 0 P, 838**. FRANCESCO RASI [a GALILEO in Firenze]. VI auto va. 'A gennaio 1613. Blbl. Ku. Plr. M«« Hai , P. I, T VII. far < « TI lilofrifa Molto 111. 1 ® et Ecc.*' Sig. u, f mio S.®* I laser.™® Ha molto tempo eh#* V. S. non havrà havuto novelle di me, nò meno io di lei, perchè, da ch’io la voddi gli anni a dietro in colente parti, essendo poi corse tante mie disgrazie *• travagli ho rhissimi, sono «tato costretto a penar pili tosto elio far godere altrui, non pótoad lettore, come particolarmente io so¬ leva far con WS. , porgendole al. un i materia di piacere, e non di noia: chèsc io le baveri significato lo -tato mio, ella m’ hurebbe torto compatito, essendomi puntai ahn ente oooam (cosa di stupore) tolto quelle diagraxie che già V.S., in fa¬ condo molti anni sono in quel mio studio in Mantovaia mia figura 10 , quasi da scherzo in un subito mi diceva. Ma «1 come, per Dio grazia, Bono in parte pas- |rt sato (come disse che dovevano pannare, o venire i di più lieti), così sto aspet¬ tando quel di che, dopo tante tenebre, mi scopra il desiderato sole, di cui non '* ^* ■-•SAI, li*. S-6. lui p#rr*nuta lutino « noi. . ... •*» Cfr. d.• MI. intondl, «Urologie». Quitto to » W * Q*** 1 * • U »oU UlUrm 4»! R.ti » fiu.» ivi Mano d*l I«04 ' ft nn. 91, 99 . 28 GENNAIO 1613. 473 [838] voglio dir eh’ io cominci da lungo a scorgerne 1’ alba, ina poco meno. Almeno sto con la speranza di vederlo, se Mantova vedrà, come desidera, il Ser. ,no S. or Car¬ dinale 10 assoluto padrone, e, come si spera, di nuovo di Mantova con Firenze non mai a bastanza l[oda]to ristringimento. Per le disgrazie occorsemi costà con mia matrigna, mi convenne non solo assentarmi da cotesta amatissima patria, ma anco da questa Corte, un anno e più tenuta a Turino dal Ser. ,no S. r Duca Francesco (che sia in Cielo) : poi fui ri¬ so chiamato, havendo fatto là n[on] poca penitenza, dal Ser. mo S. or Duca Vincenzo (che pur sia in Cielo), e tornai qua; d’onde essendo partito il 7bre passato con l’Ecc. ,n0 S. or D. Vincenzo per la Corto Cesarea, sono stato 4 mesi e più di viag¬ gio, essendo stato anco infermo in Praga in casa dell’III. mo e Dev. ,no Mons. r Giu¬ liano Medici, ambasciatore di cotesto Rer. mo nostro Signore, e con tanta singolare Immanità e cortesia da lui trattato, eh’ io son tenuto ad haverne eterna memo¬ ria. Io rimasi quivi dopo la partita di S. E., o fui favorito da S. M. th e dall’Im¬ peratrice tre volte in camera loro, dopo la lor cena, 2 bore ; et al mio partirò fui honorato (cosa insolita là) d’ una collana e d’ una lor medaglia. In Monaco m’avvenne il medesimo, poich’ havendo que’ SSer. mi e Grand." 1 ' Prencipi desiderato 80 per avanti conoscermi, m’ honorarono e mi donarono assai ; e quivi anco avanti io m’infermai degl’ istessi dolori colici ; o quivi a grand’ agio e con mio gran¬ dissimo gusto riveddi il S. r Michelangelo (,) , fratello di V. S., dalla amorevolezza dol quale io fui tante volte visitato, consolato e favorito, che m’ha dato per sem¬ pre occasione di restarli con grandissimo obligo : e certamente dico a V. S. ch’egli è tanto amato e stimato per la modestia e virtù sua, che V. S. deve et è in obligo d’havorlo carissimo (corno credo che l’habbia). Egli ha il più bel puttino 13 e la più bella puttina (4 ’ elio sieno in quello parti, e la sua moglio, benché ciascliedun sappia non esser stata per avanti sua pari, tuttavia tanto modesta, savia, e l’ama tanto, o tanto valorosa, eh’ ogn’ un la riverisce. Et io spesso scrivo al S. r Miclie- *0 langolo (corno V. S. vedrà dall’inchiusa sua ’ ); o non mi rimarrò di pregarla a scriverle e dargli novella di lei, con cui in sua casa spesse volte con grandissima giocondità habbiamo ragionato di V. S. o dogli amici c dogli anni passati : et egli sta in casa pulitissimamonte et acconcio, et è parco o liberale, come il suo giu¬ dizio e la sua fortuna gli concedo. Passai poi, senza uscir di strada, por la via di Salspurgo, da quel gran Prencipe et Arcivescovo, mio antico Signore e prencipa- lissimo Padrone, dovo ricevei lionori o cortesie o regali più che in qualsivoglia altro luogo. Me ne tornava in Italia assai tranquillo, quando intesi la morte in Tronto del S. r Duca sopradetto ; mi conturbò sì, ma più mi rallegrò la presenza del Sor. m ° S. r Cardinale, dal quale fui amorevolissimamonte raccolto : e così sto Lett. 838. 19. tenuta a 'Turilo — Ferdinando Gonzaoa. Vincenzio. <•' Modulile. l«) Cfr. n.* 798. >*) Questa lottora uou ò ogs‘ nei Mss. Galileiani. XI. 00 474 28 OKKMAIO 1° FEBBRAIO 1613. 1838 - 839 ] attendendo ciò die porterà il tempo, raccomandandomi a Dio e confidando prima bo in Lui, o poi negli altri. Mi mancherebbe solo chi mi rammentasse tal volta alla reai pietà del gran Cosimo, per cui ho pur Litigato e Litigo e fatigherò, spe¬ rando in brevissimo tempo mandar fuori ah imè canzoni eroiche e diverse altro cose, le quali, benché sieno di niun momento, pur potrebbero esser lette quan¬ di egli non leggerà più ; il che sia tardi il più che si può. Voglio perciò affet¬ tuosamente pregare e supplicar V. S. a ridurmi alla memoria ad alcun di cotesti Ser.®‘ Padroni, et al p[...] isU->so per forte pentito <* per degno (se S. A. sapesse la verità) d’alcuna pietà, e che, per qual ivoglia humile preghiera et offerta fatta alla matrigna, non é stato possibile ancora mitigarla: odium noverali? , quidpem? S’usi le preghiere verso di lei di nuovo, e le supplichevoli dimostrazioni verso i co Padroni. E desiderando por Pistessa strada rPi>ostu da lei, le bacio di core la mano. Di MantA, li 28 di fienn.® 1613. Di V. S. molto 111. 1 ® Ser. w antico et Oblig. mo Fran. w Rasi. Scritta di poi. Di qua non lo dirò altro, se non elio per li lunga dimora che fanno quali Prencipe di Savoia, il Principe d’Aseoli, e l'Ambaaciatore di Savoia e l’Ambascia¬ tore di Francia et altri forestieri, che si spande vicino a duemila scudi il giorno. Per alcuni si dice, l’Infante non «•- er gravida; alcuni altri dicono diri; maciò si dice esser artificio del Duca di Savoia, il quale si dubita che faccia così per'-o tirare a poco a poco il Cardinale a’disegni suoi et a prender un’altra delle sue figlie: e qua sono dottori Piemontesi, per le pretendenze che dice haver laput- tina nel Monferrato; e così procurano di metterli paura, o volevano far tenta¬ tivo. Per questo si dubitava di menar via la puttina; ma ò stato aperto gli occhi, e 8* apron più tuttavia: e questa am fi ho logia di governo è molto cattiva. Il S. r Car¬ dinale è prudentissimo e si governa ottimamente; e qua, chiarito che saranno queste cose, ognun desidera comuni omnium consensi* Toscana Toscana. Altre coso potrei dire, ma le taccio. 839 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 1* febbraio 1613. Bibl. Nuz. Pir. Ma*. Gal., P. VI, T. IX, ear. 18. - Autografa. Molt'Ul.™ e molto Ecc.*® Sig. r mio Obs . 1 " 0 Spero, la stampa sia per esser finita fra quindici giorni, essendo quasi for¬ nite le cose d’Apelle e starapandoso i rami; e vengono acclusi alcuni fogli¬ ne!’ altri s’ eseguirà quanto in’ aviaa nella sua. [839-84:0] 1° FEBBRAIO 1613. 475 Quanto alla proposta e risposta (l \ io solo pensai che forse nel volume Epi- stolico grande 10 , che doveri esser raccolto da persona ordinaria per levar ogn’om¬ bra, applicate a doi reali Scolastici, liavessero potuto haver luogo, e non nitri- mente. Furon solo fatte per slogamento : però ini piace 1’ avortimento elio scrive; c non ò dubio alcuno che bisogna contro l'invidia e malignità de’suoi avorsarii io andar con molla cautela. 11 S. r Valerio ò contentissimo elio V. S. delle ruo fatiglie cominciate dol centro della gravità do’ solidi 131 faccia come avisa a me, e se ne roputa lionoratissimo. Mons. r di Bamborga ò rrincipo di si gran qualità et ama tanto lo virtù, che mi par miU’anni presentarle questo libro, sapendo n’barerà gusto c conoscerà tut¬ tavia maggiormente il valor di V.S. Veramente del telescopio, due o tre volte, parlandone, ha mostrato intensissimo desiderio d’haverne un buono. Crediamo sia per trattenersi sino a Quadragesima, per ir poi alla Dieta; e si crede sia per ottener ano’ un altro ricchissimo vescovato, et poi a suo tempo l’elettorato per terzo, essendo buonissimo e benignissimo o amato da tutti. 20 Bacio a V. S. lo mani, pregandolo ogni contento. Di Roma, il p.° di Febbraro 1013. Di V. S. moli’ 111.” o molto Ecc.‘® Il P. Grenbergcr non mostrò sodisfarsi molto clic si stampasse la sua : forse sarà meglio stam¬ par solo quella del P. Clavio, elio darà anco men ombra 10 . So lo pare, vederò di scoprir di novo Tannilo del Grenbcrger ; o pure porremo quella del Clavio, eli’è anco molto più famoso. I fogli di rami sono di carta ordinaria ; ma so 30 ne fanno molti, che serviranno per donare, di carta doppia, acciò non traspaiano. Aff. mo per ser. ,a sempre Fcd. C0 Cesi Line. 0 P. 840 . i LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 1° febbraio 1613. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 72. — Autografa. Molto 111” et Ecc. mo Sig. r mio, Affannato da’ travagli di costà, et qua affrettato dallo IU. mo Borgese alla sua loggia, della quale sono presso al fine, sono stato impedito del none scrivere Lett, 839. 28. che anco — 1,1 Cfr. un.' 826, 833. l *> Cfr. u,° C6ó. <»> Cfr. n.® 827. <*> Cfr. n.° S08. 476 1* FEBBRAIO 1613. [840] a V. S.; oltre che non harevo che dirli, se non ringraziarla della cortese offerta per servizio de' mia fratelli : nella quale rovina non si può fare altro se non di racomandazione di spedizione a questi dottori od altri giudici, perchè lo indugio muntiplica la spesa, con danno di ehi avere, per non v’essere il pieno; et la spe¬ ranza di me non li trattengha, perchè non farò poco sdossarmi tutta la sua fa¬ miglia et loro, se usciranno. Mi dispiace bene più di Bastiano perchè fa la pe- nitenzia del peccato del’ altro ; et tutto procede dallo bavere fatto tacitamente lo contro al mio comandamento; per la quale resterò sotto a molti centi di scudi: che se non era la venuta di Roma, io vi so dire elio io ero rovinato ancora io. Purre Idio mi A aiutato, elio io n’ubbia guadagniate qualcuno per sovenire al mio bisognio. Nel resto io non ò clic dirli, se non che il libro dolio machie del sole si tira manzi ; et al Sig. r Marchese, con più lungozza che non si pensava, pure va con suo gusto. Mi fu mostro il libro stampato del Clic pierò *' delle sue lettere, con molto onore di V. S. ; por lo elio mi parrebbe, per fare crepare la legha del Pip- pione che cotosti librai ne avessero, acciò che non potessero voltare ochio che non vi per co tersero dentro. Per la legga et capo del quale, mi è sovenuto una 20 impresa: et questa è un cammino senza sfogo della sua gola, nel quale facen¬ dovi fuoco, il fumo per quella non trovando esito, tornasse indreto e riempiesse la propia abitazione, nella quale si ragunano Gente a chui si fa notte inansi sera. Ilo letto ancora mezzo il Colombo accio, di quello suo Discorso contro aV.S. (l> , nel quale non «o se si mostrji] d'essere più sfacciato che igniorante; dove mi sono molto maravigliato, che i superiori lo comportino si sia lasciato stampare. Lui si vede che tutto fa por entrare in dolina; et io vorrei, per farlo arrabbiare, non ne ragionar mai. Non ò che dire altro, so non implicarla a volermi bene al solito, et salutare il Sig. r Filippo e ’1 Sig. p Àmadori : et si conservi sana, et solleciti a scrivere, perchè il tempo è breve. Et Dio la feliciti. 80 Di Roma, questo di p.® di Febbraio 1613. Di V. S. molto Ili.™ et Ecc.™* Aff. mo Ser. ra Lodovico Cigoli. Fuori : Al molto Ill. r ® et Ecc. mo Sig. r mio Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. O» Uno d«’ fratelli di Loootico. <** Intendi, in Dioptrie*. <*» Cfr. nu.« 674 ; 827, lin, 4®, I*' cfr. Voi. IV, pmr. 818 e s«g. t» tn.irro S*ltiati e Uio. Battisi* Amadoei. [841-842] 1° — 2 FEBBRAIO 1613. 477 841 **. CRISTOFORO GRIENBERGER a GALILEO in Firenzo. Roma, 1° febbraio 1613. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. IX, car. 20. — Autografa. Non ego hanc ad te scribo, Vir Observantissime, quod prima sit quam tibi deberi putem. Scio te literis obruissem, si quoties volili, toties to tuaque studia interpellassem. Quas iam pridem agere debuissem, aliquando tandem gratias ago quam maximas prò libello tuo, in quo verissime ingeniosissimequo de iis dispu- tas quae aquis insident. Nec est quod bisce pluribus tua commendem, vel de ipsis iudicium forum. Talia sunt, quac etiam malevolorum iudicium tutissiine sustineant. Iam ab aliis (,) intellexisti, ut opinor, saepius, quid senscrim, quid iudicaverim. Si ut caepisti, ita progredire, vide rio te ipsum superes. Avide exspecto ea quibus te ornant Romani Principes. Libentissime maculas io inspiciam, quas tanti viri suo nomine illustrante Interea vero etiam tu a me ac- cipe quod Ioannes Godefredus, Princeps Illustrissimus, illustrare dignatus est: Speculum scilicet Ustorium Ellipticum, quod ab 111.”» 0 D. Francisco de Ghevara publice nuper demonstratum est •* ) . Scio tibi novum non esse, quod iam olim Romae a me acceperas : quia tamen iam factum est publicum, fortassis etiam novum videri poterit. Vale, et, quod hactenus humanissime fecisti, mihi locum inter tuos aliquem concede. Romae, l a Februarii 1613. Domi. oui * T. In Christo Servus Christophorus Grienberger, e Societ.® Iesu. 20 Fuori, (Pnltra mano: Al molt’Ill. re et Eccell. roo Sig. r 11 Sig. r Galileo Galilei, Mathematico del Sereniss." 10 Gran Duca di Toscana. Fiorenza. 842 *. BENEDETTO [CASTELLI] a GALILEO alle Selve. Firenze, 2 febbraio 1613. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. IX, car. 22. — Autografa. Molto lll. re ed Ecc. m0 Sig. r mio, Con mio grandissimo gusto ho osservate le constituzioni dei Pianeti Medicei che V. S. mi mandò, e di più 1* infranotata ; ed in somma bisogna che ogn’uno 1,1 Cfr. n.° 799. ac dicntum a D. Fhancisco dk Ghkvara, Illustrissimi “> Speculum uitorium, vcrae ac primigenia» fuae atque Excellentissiuii Ducis Bovini Fra tre, Academico /ormnerM/iiuduij.lllustriss.acReverondiss.D.D.Ioaiini Parthonio in Romano Collegio Societatis losn. Ito- Godefrido, Episcopo Uanibergensi, S. R. I. Principi Cao- mae, apud Bartholomaoum Zauuettuui, M.DC.X1II, snreo, apud Pauluiu V P. M. Legato, demonstratum Cfr. n.° 837. 478 2 KKBHKAIO 1613. [842] confessi una dell»’ duu : o che le stilb* -uno oh» .le nti siine a V. S., e che s’ac¬ comodano ai jiensieri «noi © termi nazioni ; o che lei sa «Mattissima! [ mol ; 1 B< ivigliosiasimament© è arrivata alle ultime precisioni delle constituzioni di quelle, cosa che non credo mai che sia stata concessa a un huomo solo ma ( .impartita alla forza di molti intelletti e diligenza, con beneficio della pluralità do’ secoli, o non in altro modo. Son poi stato violentato dal S/ Iacopo Soldnni. 8.» Benedetto Pandollini o io K. r Nic.lò Arighetti, a non far quella panata col Colombo per bora; manonso che potrà più in ine, o il comando r consiglio di questi Signori, o il giusto sdegno che dalla lettura di quella vilissima serittura ognora più mi vien concitato. Il S. r A inodori ha fatto un bel tiro Dop». haver ih tto al Colombo che il Pa- l>a//oni 1’ ha burlato, l’ha consigliato e ristretto a questo, di fare che il Papaz* soni sottoscriva alla lettera, ohe già ha scritta al Colombo, queste parole : io mi obiigo a di fanfare ; -r vere tutte /< /*■«/► v/.i.mi scritte in questo Discorso Apo¬ logetico, con dirgli: < In questo melo il S. r Gal leo riprenderebbe, e sarà chiaro che il Papazzoni non vi ha burlato». Ma se «*gli ricu :i di far questo, resta al¬ tresì manifesto che quello die il rap e/ -ni scrivo, lo -crive non con saldezza filo- 20 solica, ina con leggerezza di ci rimonia o derisione adulatrice. Questo partito non ò poi stato accettato dal Colombo per un degnissimo rispetto che V. S. intenderà, cioè (efu pentfcr del Palnteriii 0 } per non nettttre in necessità quel grand’huomo (dico il Papazxone) di far studii novi opra questa materia. Nel qual consiglio io scopro che loro stessi, gloriandosi dell’ applauso ed assenso del Papazzoni, co¬ noscono di gloriarsi della lode datagli da un barbagianni, poiché tengono che egli habhia lodato per buono un discorso senza haver in pronto le ragioni di tal loda. Hor veda V.8. a che termini stanno questi meschini, che giudici hanno; e consideri, chi è dalla loro corno viene meritamente da loro stcìsi vilipeso e straz¬ iato. 0 Pò bella! Il Papazxone dice che io ho ragione, ma il Papazzoni non lo 30 sa, ed ha bisogno studiar di novo. Horsù, non più, per amor di Dio. Prego V.S. a mandarmi il suo Discorso con le postille, e cosi le notazioni del S. r F. l *\ perché lunedì and.irò alle Campora ’ od havorò tempo di mettere ogni cosa insieme. Li bacio lo mani, o fo riverenza al S. r F. Di Badia, il 2° di Feb.® 613. Di V. 8. molto 111." ed Ec.“* Oblig. roo Ser. 1 ’" o Discepolo D. Benedetto. Die p. m Feb. t h. s. n. XI. |l> Tomuao Falmmuii. <*» KlUPfo Salvutu U C41Upuf* di Colombaia, noi wboibiu di Pironi*. fuor di l'orto nomali*, dovo 1,1114 1 wuutu C**»iu«iui. 2 — 5 FEBBRAIO 1613. 479 [842-843] Favoriscami V. S. faro elio il cavallino mi sia mandato o questa sera o dimat- 40 tina, oliò il S. r F. me ne fece grazia quando io fui costà. Fuori: Al molto Ill. re ed Ecc. ,n0 Sig. r mio Il Sig. r Galileo Galilei. Allo Selve. 843** CRISTOFORO GRIENBERGER a GALILEO in Firenze. Roma, 6 febbraio 1013. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 24. — Autografa. Yir durissime plurimumquo Colende, Pax Cliristi. Occasionem nactus scribendi ex discessu unius o nostris Patribus, qui cra- stino vel postlùdio Senas voi etiam Florentiam profecturus est, volili superiori ctiam Lane attexere, et Problemati ”, quod cum superiori mitto, buie alia quin- fpie annectere. Roservavit sibi auctor in eodem Problemate aliqua quae propediem fusius explicaturus est, et inter alia locuin euum spoculo liyperbolico dabit, non quod ipsum aliis praeferendum putet, sed no quae ellipsi in plerisque proprie- tatibus persimilis est, in liac dissimili esse existimetur. Erit enim fortasso quis- io piani, cui radii solarcs arrideant qui ab heniisphaerio solari speculo incidunt, et per iraaginationem producti ultra speculum ad unum aliquod punctum con- veniunt. Quo posito, si speculum fìat hyporbolicum, cuius unus focorum, qui a tergo est, sit praodictum punctum concursus, refìectentur omnes illi radii, spe¬ culo incidentes, ad focum anteriorem, per eandem 48 tcrtii Conicorum ex qua speculum ellipticum demonstratum est. At vereor no speculativum potius sit quam practicum. Ego enim, si qui sunt proprii, eos puto esse radios, qui ex centro sunt. Quia tamen apud opticos inter alia hoc etiam supponitur, ab ornili puncto cor- poris luminosi ad quodlibet punctum, ad quod recta duci potest, etiam radium educi ; poterit et cono radioso, cuius basis Solaris cireulus seu potius hemispliae- 20 rica solis superficics est, et vertex in altero duorum locorum oppositarum sec- tionum, suum speculum oblici. Te vero, Vir clarissime ac perspicacissime, dicam etiam Lincee, qualem tua te efligies praedicat, non est quod pluribus doceam, tuaque studia magis scria speculis istis, fortasse non tara, practicis quam specu¬ lativi, interrumpam. Monere tamen de bis volui, ne, quod facile accidit, ex oc¬ casione elliptici de hyperbolico ipso cogitares, et speculationes maioris momenti vel ad lvorulam intermitteres. Cfr. 0.0 841, liti. 12-13. 480 5-8 FEBBRAIO 1613. LS43-S44] Si Keplero haec ootnmnnioare votarle, rem inihi focena non ingratam;et gratiorcm, si meo nomine etiam unum esemplar Problematis mittas. Vale, no- bieqae et Bttpablkme Mathematicme Jiu atque incolumU vive. Ncque mirerò quod de tuia sileam : non eat mihi ©adoni qua© tibi libertà©. Iterum Tale. so Roma©, 5 Februari, ipsoque amanti* ami nostri 1*. Clarii depositionis anni- Ternario die, 1C13. Domi.* T.** Serru» in Christo (’hristophorus Grienberger. In f»«cieulo qn* ni ad Tuam Dominationem mitto, inclusi literas cum aliis quinque probi e mali* prò Domino Magino, qu:i© vellem ipsi per T. D. em mitte- rentur, aine tamen tu<» incoimi» -do : aluquin, dari poterunt noatris i’atribus Fio¬ rentine, ut Lkmuniam p^rferant Fuori: Al molto 111.'* Sig. ar in Christo Oea*° 11 Sig. ,r Galileo Gublei, M.itbe. ° del Sereni*©.*® Gran Duca di Toscana. « Fiorenza. 844 . FEDERICO CES! • GALILEO (in FiranseJ. Homi, H febbraio 1613. Bibl. lTa*. yir. Km 6*1-, P. I. T VII. r*r l« - A*l«fr*S il prefitto • I» lottoicriilono. Molto Ill. r * et molto Eco. 1- S.®* mio 0»g. w ® Tengo In sua breve, dolendomi grandi-^imamente della sua indisposition colica, e sperando a quest’bora ne debbia e *er libera, di elio sto aspettando nuova con grandissimo desideri" Come vedrà, la stampa fra otto giorni esser finita, et si starà aspettando mundi quanto prima le constitutioni delle Medicee, sema pregiuditio però della snnitA, qual*- prima d’ogn’altra cosa si desidera; pregandola per* ià a rallentar tal volta il soverchio fervore delle studiose fati¬ che, essendo la sua sanità utilissima al mondo, carissima a quelli che l’amano, et a me sopr’ ogn’ altro: il quale bario a WS. affettuosamente io mani, et prego da Dio sommo contento. 10 Di Roma, li 8 di Kebbraro 1613. Di V. S. molto III.** et molto Eoe.** Bacio le inani al S. r Sul viali con ogn' affetto. Aff. mo per 8or. ,R sempre S.<” Galileo Galilei Fed.°° Cesi Cine. 0 P. I^tt. 848. 31-88. a.tNrMri, SS. /mtftmlo Cfr. Voi. V, png. 2-U-215 •182 lo KKHHKAIu Iti 13. l«tò-846] come anco si farà questa. E le rimandi canee, aerante, mutate, rifatte, e onni- njimenu- come Ir pare, t hè essendo di qualche gran momento simil publicatione so b’ aspetta il suo giudizio .• ordino. Sopra tutto sia ridotta in buon toscano, cliè qui ciò non ò facile nè proprio. E se le spesse trasposizioni e lo stile un po’ poetico dà noia, si riduca. Le cose d'Àpelle non fornite di stampare : non se ne sono mandati i fogli per esser come 1'altri, salvo che nono di caratter corsivo, e le figuro impiccolite e intagliate in legno tutte, da quelle delle macchie in fuori. Iaj mando bora il principio, acciò veda il modo col quale s’inseriscono nel* epistolotta. Di queste se ne sono stampate mille sole, poiché, per il privilegio delle prime, non potevano ir in Germania. Delle lettere di Y. N (lui mila, poiché, oltre le molto da donarsi, ò bene vadano per tutto e >i diffondano io Viene un foglio; l’altro verrà dimani. Giudico che sia bene, e forse m«f :< . a raccolta citata n*ll'In formailooe premasi» al n.» 87 b. Con l'ordinario pausato gli tu «miai un madrigale fallo porle lettere del Signor Go¬ bio© in proposito delle macchie solari . «*t g>à ohe V E mi dice che se non viene con que¬ st'ordinario non sari più a tempo, perciò di nuovo glie lo replico con questo, caso che fosse l'altro andato a male: N imbuii ciò che non ha può dare altrui: Fu pria detto verace, Ma -i rende boggi al tuo valor mendace, l'oiehè qual luce harer può macchia et ombra, Se ogni chiarezza adombra? E pur dan l'orabre e dati le macchie in tanto Una perpetua luce al tuo gran vanto. “» a,. Voi. XIX, Doc. XXIL •» Cfr. a.» m. [846-848] 15 — 22 febbraio 1613. 483 E so bene in questo T.ettoro non trattasse d’ombre, n’ha però trattato nell’altro libro, parlando dell’ombre della Imm. E giacilo non vi è luogo nò tempo per maggior compo- sitionc, si servirà di questa «". 847*. MARCO WELSER a GIOVANNI FA BER in Roma. Augusta, 15 febbraio 1(518. Ardi, dell'Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Fabei'. Filza 419, tur. 134. — Autografo. .... Ebbi gli tre fogli Jì delle scritture del S. or Galilei. L’haver mutato il passo della mia prima lettera Regnum caelornm vini patitur non solo non ricerca scusa dalla parte di voi altri Signori, ma dal mio canto merita grazie: perché, a elio proposito lasciarvi quelle parole, elio appresso il Maestro del Sacro Palazzo potevano causare negativa? Peti le dico che liavrei desiderato, si ha vesso usato maggior rigore in censurare ezian¬ dio il resto del mio lesto, quando pure sia stato necessario stamparlo, cosa elio mi fa arrossire .... 848 . FEDERICO CESI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 22 febbraio 1GL3. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. IX, car. 30. - Autografa. Molt’ Ill. re e molto Ecc. t0 Sig. r mio Oss. mo La lettera di V. S. ultimamente riceuta tiene perplesso me con gl’ altri Lincei, eh’ bora qui si trovano, circa la prefazione del’ opra. Lodiamo il consiglio suo, ma il bisogno cho vediamo di sbarbare dallo persone indifferenti (de’ quali è molto maggior il numero clic dell’ amici et aversarii di V. S. insieme presi) le cose seminato da gl’invidi et altri aversarii, che vengono defraudandola de’suoi fatti, non ci lascia concorrere affitto seco. Pochi sono di sana e leal mente ; e di questi anco pochi in Germania, Francia, Fiandra, anzi qui vicino in Napoli, hanno giusto ragguaglio de’ succssi delli celesti scoprimenti. I suoi libri non sono io andati per tutto : V. S. non ha stampato ogni cosa. Li so dire io di certo che molti hanno in tali luoghi mostre le cose da V. S. scoperte; e se alcuni di loro non ardivano appropriarsele affatto, pur di V. S. non facevano parola: onde non è male che si pigli a ciò qualche partito, che chiarisca e mortifichi insieme. Si P* I.a qualo sembra non sia piaciuta: e ilei un sonetto. Cfr. Voi. V, pag. 92. medesimo autore fu invece promesso, nulla stampa, (I) Cfr. il.® 803. 22 24 FEBBRAIO 1613. 464 [ 848-8491 ■ne ridurre più grave, si pò con meno affatto e minor dimostrazione far F istesso effetto. Consideri V. S. ogni cosa, e ri olva che modo gli paro si tenga, chè perciò lo rimando la cojiia «lolla ditta prefazione, credendo, por la brevità del tempo che scrive, non 1’habl a; e rifacendoli" altra o correggendola, tanto sarà gratissimo al’autoree tutti. Intanto, «vicinandosi la partenza del’ambasciator Cesareo ”, o conoscendo quanto sia bene egli n’ babbi» o no distribuisca in Germania ad amici, si stara -20 parà il primo foglio senza prefazione per alcuno OOpie, e bisognando, come credo, si tirarà l’ultimo, elio aspettava in ordino Ferrato, che andava nel fine, e le co¬ stituzioni delle Mediceo. A petto, per In arguente V. S. le mandi, chè veramente è bene la fatiga >i goda quanto prima, e i lontani non perdano tutti i rincontri di Marzo, e in Germania non Tengano prima fuori nuove scritture. L’epistola dedicatoria secondo F avertimonto si smagrirà un poco. C’era pensiero di met¬ terò un epigramma in lode di Firenze, per piccar sottomano i suoi aversarii. I punti che rappresentano lo Medicee nclli rami, ho ordinato al Greuter aver- tisca vengano tondi. V. S. commaudi in tutto ; e le bacio le mani. Di Roma, li 22 di Febr. 0 1613. so Di V. S. molt' 111. 1 * e molto Ecc. u Afl>° per ser> sempre Fed . 00 Cosi Line . 0 P. Fuori, (V altra mano: Al molto I11. M et molto Ecc. u Sig. or mio Oss. mo Il Sig. or Galileo Galilei. 849 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Koma, 24 febbraio 1618. Blbl. Nm. Vlr. MM. Oal., P. VI, T. IX, (U. Si, - Autofiafa. Ficc.*® Sig. r mio, Fui iarsera dal Sig. r Maccese Cesie, o per me’dire dal Principe Cesie' 51 . Mi lesse la lettera da stamparsi avanti al libro : mi parve un poco di stile gonfio, ma questo poco importa; basta che mi parevano necessarie le cose che la diceva, anzi vi inanellasse elio del trattati» del’ aque, sebene alcuni avevano ingaggi®* 0 la lite, non era da chi havesse cognizione et di filosofia et di matematica insieme, et però non era meraviglia se vi era una sementa di molti spropositi. Dove il 8ig. r Marcese rispose, che neancho quello che s’era detto, voleva, per non ecitare 11 A* orlo or Fium. m n Crsi «Tara «Manto II titolo di Principi II Ymooto di Urabori. di 9. Angolo. Cfr. n.* 866. 2-1 - 2G FEBBRAIO 1613. 485 [849-850] più la invidia do' malefici. Sig. r Galileo, quando e’ si antivedo il male, et elio si io può scansar, ò prudenza si ; ma poi clic così sconciamente si sono scoperti, non è più tempo, ma di voltare il viso alla fortuna e farsi vivo : noji dico lei con il risponderli, anzi ò stato errore in voco anchora, ma che ella attenda a scrivere le cose suo cor ogni sollecitudine, nò si lasci da questi ciarlatani rompere il corso, et in tanto non luoghi al Sig. r Principe lo stampare questa lettera al lettore, perchè a infiniti le cose giù fuori non sono noto, per la scarsità che ne avete fatta : anzi fatele tutto e vulgari o latini, per più farli crepare, et che ne sia in¬ aino su per le pancaccio. Si contenti dunque che si stampi, perchè tutti lo de¬ sideriamo, o per molte ragioni la reputiamo necessaria: lei non se Pò procac¬ ciata, et è fuori della patria, et ò in Roma, dove più li cocerà di ogni altro luogo. 20 Lasciatevi svoltare, date il placet et presto, perchè fugge il tompo. Non dite di no im modo alcuno, perchè dispiacerà a tutti noi. Et con questo le prego da Dio ogni felicità e contento. Di Roma, questo di 24 di Febraio 1613. Di V. S. molto 111.™ et Eec. ,na M’ero scordato dire che qua ci era aviso che a Padova uno aveva trovato uno strumento che muntiplicava P udito grandemente u) . Aff>° Ser.™ Lodovico Cigoli. 30 Fuori: Al molto 111.™ et Ecc-. mo Sig. r et P.ron mio Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 850 **. BENEDETTO CASTELLI * GALILEO [alle Selve]. Firenze, 26 febbraio 1613. Blbl. Naz. Fir. Mss. fluì., ?. I. T. VII, car. 74. - Autografa. Molto 111.™ ed Ecc. m0 Sig. r mio, Ilo sodisfatto a quanto V.S. m’ha comandato nella sua intorno al piego da mandarsi in Roma, quale andarà hoggi per una stufetta di Milano, e latta Pin¬ ciusa copia della poscritta (,) ; nella quale se ci fossero errori di chi P ha copiata, lio giudicato che poco importino, dovendo venir nelle mani solo di V. S. Nel resto Lett. 849. 9. In invida — 01 Cfr. n.® 886, <») Cfr. n.« 852, liti. 1G-17, e Voi. V, pag. 217-249. 20 FEBBRAIO - 2 MARZO 1013. 486 [850-852] li do nova conio dio. Ratta ha principiato a leggero al Canonico Bonsi ed èin speranza che habbia a riuscire «li quelli buoni buoni, poiché non solo intende felicemente, ma mostra haverri -ingoiar dehttaxione, «• fa non mediocre fatica; a tal che il buon seme della vera maniera «li sapere di V. S., ancorché molto no wtdia a male, e magnato da colombi, e soffocato da spini, e gettato sopra pietre, io spero però elio quello che cascarà nelle fecondissime torre delli intelletti di questi Signori, rendendo centuplicato frutto, habbia a coni pensare a quel poco di disgusto che si sente per la perdita di quell’altro. Io séguito la lezione d’Euclide, e questi signori Inglesi, quali fanno riverenza a V. 8. ed al S. F. ”, hanno fermata la casa per tre altri meni, per poter meglio attendere a questa lezione. Lunedì che viene, disegno, già che la Corte sarà pan ata, di venire n servirla: tra tanto mi con¬ servi nella sua buona grazia e d«*l S. r FiL K li b. 1. m. Di Badia, il 26 di Feb* 613, Di V. 8. molto 111/* Oblig.® 0 Sor" e Discepolo I». Benedetto Castelli. 20 Fuori: Al molto 111." ed Kcc.*« Sig. r mio Uas."® 11 Sig. r Galileo Galilei '”. 851*. x|| MARCO WKI.SF.R » FILIPPO SALVI ATI in Firenze. Augnata, ‘2? febbraio mi.i. Blbi. Niu. Pir. Mm. 8lL, P I. T. XV. ear. 48. - Autografa. A CU. 4*. accauk» all' indirino.ai iene, di mano di Giulio: S. VeluefO. . ...Al S.' r Galilei mille barriamani. Il imo amico ‘ presumo d’liavor osservato, oltre lo macchie, un* ultra novità nel aole *, dico novità quanto u noi, et non quanto alla cosa in bè; ina non ai risolvo (li palesarla ancora. 852* FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Rema, 2 marzo ir,13. Bltol. Naz. Fir. Me», Gai.. P. VI. T. IX, rar. ;U-3i. — Agl.«grata Molt* III." e molto Ecc.*" Sig. r mio 0»s. mo llaverà V. 8. inteso j>er l’altre mie le qualità del Prencipe di Bamberga {<) , ha le quali la benignità verso le lettere e leticati, il potere ch’egli ha e > 1p l su0 **’ Domkxico Boxai. ot Caiatoroxo Scukimx. «*i Fi li r ro Sai.vuti. «»’ Cfr. n.* 088. >*> Accanto all’ indiriuo ai ha, autografo di Cfr. 831. Galilko, un calcolo conevrusuta le MmIicm. 2 MARZO 1 Gl 3. 487 [ 862 ] e appresso tutti gl’ altri Prcncipi di Germania e lo stesso Cesare, e principal¬ mente la gran virtù e bontà sua, mi son parse degne di grandissima considera- tione; e l’ho perciò desiderato e liauto per mio signore particolare e di tutti i Lincei, de’quali, per porgerli qualche segno di devotione, le ho l'atto, a nome di tutto il consesso, porger una dozzina di volumi, composti da’nostri prima o dopo la Lince, e nel primo luogo quelli di V. S.: dico, quello che bora appunto s’ò io compito, e 1’ altro delle cose che stanno su l’acqua. N’ ha mostro particolarissima sodisfazziono o stima, e s' ò humanissimamente offerto ; di modo che potrà non poco giovare alle nostre cose e al nostro nome in Germania. V. S. mi creda, che premendomi particolarmente che conoscesse più pienamente il valor di V. S. e le cose da lei fatte, sì come in parte faceva, stavo tutto ansio aspettando il com¬ pimento delle costituzioni delle Medicee, quali a tre maestri si sono fatte inta¬ gliare per haverle a tempo, essendo finalmente venute perii corrici* di Milano 1 ” con Verrata e correzzioni. Haveva egli inteso molto a bocca: ma grand’impressione fanno i libri, et è questa occasione che egli ne porta seco molti in Germania, c altri ne portano i principali che vanno seco. Ne vanno con questa occasione 15 al 20 S. r Velsero, presto e sicuri. Ne sono fatti quaranta in circa per questa fretta, nò s’è voluto farne più de’ primi fogli, volendo prima saper se le piace in questo modo, e della prefazione, chò molti suoi affettionati vi vorrebbono ad ogni modo qualche cosa. Per la fretta non includo altro che il primo foglio, et il line, quale s’è fatto d’un foglio e mezzo, non sapendosi della poscritta'* ) , essendosi destinate le prime cinque facciate alli rami delle costituzioni. Hora s’aggiugnerà un mezzo foglio, e le costituzioni separate con la poscritta si faranno poi in un foglio. Il S. r Valerio non s’è potuto contenere di non far V inclusa elegia c:,) , perche a mortificatione degl’ aversarii di V. S. si stampasse. Non s’ò fati’altro senza che V. S. non ne gusti: e veramente non possiamo approvare affatto il tacere; pure V. S. so giudichi e commandi. Parte il P.® di Bamberga di qua lunedì, o al più longo giovedì, se bene si tien più sicuro il primo. Verrà a Fiorenza: ho preso ardire d’offerirgli che V. S. le mostrarà i spettacoli celesti: credo senz’altro lo desiderarà: però mi facci gratia farseli conoscere, offerirsele o mostrarli, e potrà dirle che ha saputo da me la sua benignità e da gl’altri Lincei, quali le son tanto servitori etc. Le dissi anco che V. S. haverebbe procurato di provederlc di buon telescopio, come mi scrisse (l) , ma che, per esser artifizio difficilissimo, vi voleva tempo ; mostrò gran¬ dissimo contento o la ringratiò molto. Se il S. r Salviati si compiacerà di visitarlo, son sicuro n’ Laverà particolar sodisfattione : e mi credano che qui ciascheduno 40 de’Principi e Cardinali e S. S. ( “ istessa hanno fatto a gara d’ accarezzarlo. Ha ve¬ dute le cose d’Appelle lui et alcuni de’ suoi, onde ò stato benissimo vedano bora l*' Cfr. n.o 850, liu. a. Cfr. Voi. V, pag. 24 7-249, e n.» 850, liu. 4. l*) Non è oggi allegati» alla lotterà. i*> Cfr. n.° 833, Un. 93-98. 2 13 M au/«o 1613. 468 [ 862 - 863 ] il libro di V. S. Do’ Lincei bavera, anco venendo, honoratiasimo concetto, per ca¬ gione del S. r Volsero ; bora, dall’opre viste, Unto più. I'er dilettarsi de’semplici particolarmente, le habbiamo anco dato un libretto di ligure, al numero d’ 80, dello più belle delle piante Indiane n , e n’includo V iscritioncella e versi ( ‘Un fretta postivi. Vede eh’ io bo Hcritto in fretta ; però mi resterò, baciandole le mani e aspettando risposta. Di Roma, li 2 di Mario 1613. Di V. S. moli' III.™ et molto Eco. 1 * Afi>° per 8er> sempre F. C. L. P. Nel’epistola dedicatoria ancora potrà mutare quanto li pare. 853**. GALLANDONE GALLANDOSI a GALILEO in Faenze. Uiuilnl, 13 tu Arso lòia. Blbl. Nu. Flr. Mm. Gal., P. VI, T. IX. car. W. — Auto* ra/a. Molto 111.™ Sig.™ P.ron Osa.® 0 Mandai a V. S. V osaervationi fatto nel corpo solare da un gentilhomo, mio amico ; la pregai anco di qualche scrittura nova, se però n’ havesse liauta alcuna con occasiono di rispondere albi bestialità de gl’ liomini, cbè pure ve ne sono gran quantità: et per non haver rispoaU alcuna, temo che le lettere non siano capitate a male. ResU hora che dica a V. 8., che delle osservationi nel sole n’ho fatto io, et veduto chiarii' 'imamente : et certo ò uiirabil cosa conio si veggano bene et distinto; et ci ho luiuto gramissimo piacere. Domani partirò per Poma, essendone gelidamente afreUto dall’III.®* Padrone il elio mi fa temere forte il viaggio di Pranza; con la qual occasione la suplico a favorirmi di quelle scritture io eh’ io non ho, acciò me ne possi fare honore in quelle parti. Tra tanto, sin che sarò in Roma, la prego a honorarmi di qualche suo comandamento, assicurandola che non ha et non lmvrà mai servitore al mondo che l’honori et osservi più di me. L’honore che mi farà della risposta, l’aspettarò in Roma, dove sarò sempre a servire a V.S.; alla quale haBciarò le mani, pregandoli dal Cielo il compimento d’ogni felicità. Di Rimini, alli 13 di Marzo 1613. Di V. S. molto 111.™ Aff>° Ser.™ Gullanzone Gallanzoni. Fuori: Al molto 111.™ 8ig.™ P.ron 0»s. m ° Il Sig.™ Galileo Galilei. 20 Fiorenza. «•' Cfr. n.* &S4. '* NT °PP°™ qv*U> composizioni tono orm alla- irata alla IctUra. •*' Il Cardinale Fkaxomco De JotSW* [854-855J 10 — 22 MARZO 1613. 4tì‘J 854 *. LORENZO PIGNOR1A a GALILEO in Firenze. Padova, 15 marzo 1013. Blbl. Naz. Fir. Ma*. Hai., P. I, T. VII, tur. 76. — Autografa. Molti lll. ro et molti Ecc. u S. r mio Osa.™ 0 Io intesi dal padre di quel giovane, alcuni giorni sono, la liberatione sua 10 ; c tuttavia ne rendo gratta a V.S., a contempiattone della quale cotesti moventi operarono. Per i aemi‘% di giù. sono in pratica: et Mons. r Arciprete t5) ne procurarà da Poiana et da Mantova; io, da questi nostri di Terranegra. Et forsi mandarò il tutto per persona che viene costà per suoi affari. 1 semi-libri tM sono tenuti con gran guardia, nò ha bastato il tentare tutto le strade, tanto d'autorità quanto d’interesse. Sì che WS. ci scusarà. io Stiamo aspettando di Roma con desiderio grande le Lettere che ella ci tocca (8) . Et io ne diedi ordine ad un amico un pezzo fa. Mona.* Gualdo e '1 S. r Sandelli baciano le mani a V. S., et io con essi, desi¬ derandole sanità e contento. Di Padova, il dì xv Marzo 1613. Di V. S. molt’111." et molti Kcc. to Io contai poi gl’ otto scudi a M. R Marina Bar- tolucci t0) . Stimo che glien’ Laverà dato aviso. Ser. ro Àff. m0 Lorenzo Pignoria. so Fuori: Al molt’111. re et molti Ecc. td S. r mio Uss. mo Il S. r Galileo Galilei, a Firenze. 855 . FEDERICO CESI a [GALILEO iu Firenze]. Roma, 22 marzo 1613. Bibl. Nasi. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. IX, car. 88. - Autografa. Molti lll. re e molto Ecc. w Sig. r mio Oss. mo Havendo poche bore fa compito il lavoro lo stampatore, c supplito quello de’ rami per un poco di numero, non è stato a tempo un fagotto che bora se ne "> Cfr. nn.< SIC, 834. Di zatte e poponi. Cfr. u.® 868. ,3 ’ Paolo Gualdo. Cfr. n » 884. <> chVlla lm ne’cieli. Similmente ò accaduto al S. r Stellati e S. r tegoli, eh' erano meco. Godo grandemente V. S. vaili superando 1* indisposizioni, sperando in questi buoni tempi il compimento della sua sanità. M‘ è carissimo possa ritrovarsi col buono e gentilissimo Prencipe di Bamberga, sapendo bene quanto ciò sia per esser a proposito per diffonder maggiormente la verità nella littorata Germania. Bacio a V. S. le mani ot al S. r Salviati, mio signore. Di R.\ li 22 di Marz«> 1G13. Di V. 3. moli’ ili." o molto Kcc. u Afl>° per ser> sempre F. Cesi Line. 0 P, 856 * MARCO WEIjSEK a GIOVANNI FA BEH in Roma. Augnata, ‘Al narro 1613. Aroh. dell' Oaplxlo di 8. Maria in Aquìxo in Roma. Can«ggiu di Uiuvaoui Fabsr. Filza 419, «ar. 181. — Autografa. Molto 111.* et Eco.** 6.°" Sono più sottiiusue, anzi meai, cho V. S. mi avi*ò, N. S. harer «lato titolo «li Prencipeal S.* r Marchese Ceni, et coni trattai S. K. da quel tempo in qua; ma veggio che il bolo dello sue lettere lo nomina nolo Marche »', orni© dubito d’hawr prono errore: et V.S. no sarà stato causa. Benché questi peccati, che hauno del tra*, elidente, houo riputati tutti veniali. Le mando l'inclusa: ae erodo cho il titolo di Preucipo poaaa portare scandalo, stracci la lettera; quamìo non, Pappreseuti. Kt in ogni mudo mi dica conio m’ho da governar all’avenire. Avviai a chi ha consegnato le 12 copie delle Macchie Solari, a line io le possa riscuotere.... 857** MARTINO RANDELLI a GALILEO in Firenze. Padova. 2 aprile 1013. Antoi-rafotocu Morrtaon In Londra. - Autografa. Molto IH." et Ecc.® 0 S." Osa. 10 ® Ho ricevuto il libro di V. S. P^cc.®* intorno alle osservntioni delle macchie solari, e le rendo quelle gratie che si dovono a cosi nobil presente et alla cor- 1,1 Cfr - VoL V, pag. 241 - 049 . 2-10 APRILE 1013. 491 [857-858] tesissima memoria che si compiace tener di me. Il leggerò con gusto propor lio¬ nato alla gentilezza o novità della materia et a quella riverente affettione eh’ io porto a i parti del suo chiarissimo o felicissimo ingegno, il quale, per così dire, si fa ogni giorno più conoscere al mondo maggioro di sò medesimo. Finisco, of¬ ferendomi tutto ai comandamenti di V. S. Ecc. n,a in quel poco eh’ io potessi ser¬ virla, et senza più lo bacio con ogni affetto la mano. io Di rad. 11 , li 2 Apr. 1613. Di V. S. molto Ill. ro ot Ecc. nu Ser. ro Deditiss.™ 0 Martino Sandelli. Fuori: Al molto 111.' 0 et Ecc. m0 mio S. r Oss. n:0 11 Sig. r Galileo Galilei, a Fiorenza* 858 *. FRANCESCO SIZZI a ORAZIO MORANDI [in Roma]. Parigi, 10 aprilo 1613, Blbl. Naz. Fir. Mss. Ga)., I'. Ili, T.,X, car. 03 Gl. — Autografa. A car. G il. si logge, (li mano del Moranm : « Parigi, addi 10 Aprilo 1613. 8ig. r Francesco Sizli. Risp.*" addì 4 Giugno». I)i questa stessa lettoni si ha copia noi Mss. Gal., Par. VI, T. IX, car. 65-66: e la copia ha correzioni interlineari di mano di Galileo, di cui pugno si loggono, sul tergo dulia carta elio fa foglio con la car. G5 (cioè a car. 69f.), lo seguenti parole : Lotterà dol Sizli al P. D. Orazio Morandi. La proselito fu comunicata a Galileo dal Moiuxni con la lotterà cho pubblichiamo sotto il n.<> 897, la quale noi Mss. Galileiani ò in copia (lolla mano stessa cho trascrisse la copia (lolla lotterà dol Sieri. Esemplando la nostra edizione Bull’ autografo, indichiamo appiè di pagina con la tuttora G lo corrozioni di mano di Galileo, che sono nulla copia. Molto 111. mio Sig. r# et P.ron Oss.® 0 Quanto più V. S. è stata a favorirmi con il dar risposta, tanto più ha raddoppiato et il favore et contento che no ho riceuto, poiché il desiderio che havevo di quella m’ ha augumentato il piacere, ma, credami V. S., non senza qualche martello nè batticuore, per¬ chè la sa il dir comiiiune, cagionati da i sospetti pernitiosi a chi brama, honora et ama. Ma come all’assetato un piccol biccherra d’aqua raddoppia la sete, et a un gran fuoco uno spruzolar d’acqua accresce l’ardore, così con il poco nettare il quale a me et a questi altri SS. r ‘ Francesi ci ha presentato, ci ha accresciuto maggior voglia et ardore di gustar di quello per assoviro le mio et loro curiosità, dico circa l’opinione del Sig. ro Galileo et 10 di cotesti altri litterati delle macchie solari; et però mi reputerò favor singolarissimo, quando la ci voglia favorire più a lungho circa tal materia. Et per darli cagione, li com- municherò seco quel tanto che da noi è stato con continue osservazioni, quasi d’un anno, conosciuto: il che ci la credere (salva l’auttorità et del Sig. r ® Galileo et delli altri litte- ratissirai, de’ quali ci riconoachiamo discepoli) che dette macchie non si generino sempre Lett. 858. 9. auovire, caucollato, è corretto iu easiart, G. — 492 10 APH1LK 1613. [858] nuovamente intorno al corpo solare nè ai disfaremo, et parò non possine dirsi meteori se non si piglia detto noma MOOado che apprettò CUotnedo et nitri auttori gravissimi Mito i riconoscono Alla prima o ngiunghiatno una causa phyaica, tiratalo dalla assenza del sole: del elio per adì -,-n nou bara altra cognizione, perchè desideriamo cagionare in lei et negli altri curiosi la medi-ima vi glia che in noi hanno prodottola quale se la riconosceremo, ci «forzeremo di contentarli, come desideriamo osser contentati della nostra curiosità, sopra della quale non possiamo fare congetture nessuno, si non quelle che poasouo farsi da’ciechi de i colon. Quanto poi alla disputa tra il Sig/* t'olomlio et (ìahleo. no sentirà con il tempo etiam- dio la nostra opinione, la q tale •* molto diversa da tutti coloro elio hanno imbrattato fogli in difesa d’Aristotile et fatto perder multo tempo in legger le loro ciancio, et principal¬ mente del Sig. r Colombo, il quale, come il più principale mantenito[ro], è uscito l’ultimo nell’arringho con più fast*» et pompa che valore o forza, non ci essendo stato di tutti a 50 tre, ciò è del'Incognito, del Corre» io et del Colombo (perchè non m’ è stato mandato che queste tre operette), che la sola del’ Incognito, primo mantenitore, cho possa farsene qual¬ che conto; la quale opinione non è mia, perchè non ho letto nè l’una nè 1 altra, non havendo potuto, essendo stato costretto sempre prestarle, ma di questi valentuomini et de’ più pregiati di questa città, i quali, per dar la lode a chi la merita, fanno molto stima 42-48. Il «pista imi tra- ritto In 13. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., V. VI, T. IX. car. 40. - Autografa. ^ Molti’ 111.™ et moli’ Eoe. 1 * S. r mio Oss." 10 Ho ricevuto le due copie delle constitutioni de’rianeti Medicei, et ne ho fatto parte al S. r Corradino che ne rende gratie a V. S., sicomc pur faccio ancor io. Hoggi quindici le inviai una scatola di semi scelti delle nostre /.atte di Ter- ranegra. Hora lo ne invio un’ altra, con semi di Mantova, di Poiana et d’ altre parti del Vicentino, havutisi da Mons. r Arciprette, che le bacia le mani 3 '. Mi faccia grafia, per vita sua, di prendere informatione da alcuno dc’SS. ri Aca- demici della Crusca, so Albertano giudice da Brescia, fatto stampare costì dallo’n- io ferigno, appresso i Giunti, del 1610 ° Lorenzo Pignoria. Fuori ; Al molt.’ 111.™ et molt’ Eoe.** S. r mio Oss. mo Il 8/ Galileo Galilei. Con una scatola segnata :J^:. Fiorenza. 60. per di perchì ò cancellato, n corrotto in il, G. — (, > Giacomo Xlkavuk. Lumi Cobuadiju. '*> Cfr. il.» 854. *** Tre trattati d’ Al.BRRTANO flùidi re da lire- *cia occ., ter itti da lui in lin/jua latina dal l'anno 12X5 in fino all'anno 1246, e trattatati ne meditimi tempi in volgar fiorentino, riveduti «ou piti testi a penna o riteontri con lo iteito tetto latino dallo ’nkkkiono, Accademico della Crusca. In Firenze, appresso i Giunti, 1610. 494 12 — 14 APRILE 1G13. [8G0-8G1] *00*. FRANCESCO STEI LUTI a GALILEO in Firenze. Roma, Pi aprilo 1613. Bibl.EHt. In Modena. Raccolta Canpori. Aotograi, li.* XC, n.« 13S. Autografa. Molto Illustre et Eco.*® Sig. r mio Oss. m ® Mandai a V. S. già 20 libri delle Macchio Solari, et bora, per Simone di Do¬ menico mulattiero fiorentino, gli ne mando nitri cento, quanti appunto m’ha or¬ dinato 1’ Ecc. m0 Sig. Principe, acciò se ne serva et possa a ano gusto distribuirgli a’suoi amici, dandone al Sig. labiati per una ventina. Quanto al mandarne a’librari, acciò ciascuno pubiicamente pi- a a suo modo haverne, quando V.S. m’ avvisi a che librare et quanto centinaia devo inviarne, non mancherò di farlo subbito, essendo tutti i libri in potere del no-tro Bibliotecario, quale, compitala debbita distribuzione a’ Lincei et amici, dovorò del restante farne faro esito, appli¬ candone il ritratto a benefizio della Compagnia. Potrebbe il Giunti farsene inviare io di qua qualche somma dal suo corrispondente. Il tutto sia come par meglio a V.S. L’ Kcc.® 0 Sig. Principe le bacia lo mani, desiderosissimo d’intender nuova della sua sanità; et io, ricordandomele servitore, le dico come devo presto pas¬ sarmene in Napoli per trattare col Sig. Gio. Battista della Porta et con gli altri Sig. ri Lincei et effettuare colà i nostri negozi, d’ordine del detto Sig. Principe: però se là devo far cosa alcuna in servizio suo, mi farà grazia a coni mandarmi, pensando dì trattenermiei un mese in circi*. E le bacio le mani. Di Roma, li 12 d’Aprile 1613. Di V. S. molto Illustre et Ecc." 1 * Servitore AfT. m0 Francesco Stei 1 uti Linceo, so Fra li cento libri ve ne sono dieci separati, di carta più lina, per avviso. Fuori : Al molto Illustre et Ecc. mo Sig. r mio Gas.' 00 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 8G1*. GALILEO a [MAFFEO BARBERINI in Bologna]. Firenzi*, M aprile 1613. Bibl. Barberlnlana In Roma. Cod. LXX1Y, 26. rar. 6. Autografa. Ill. mo et Rov. mo Sig. M e Pad. n Col. mo Fj piaciuto all’ Ecc. m0 Sig. p Principe Cesi di fare stampare in Roma 3 mie Lettere scritte all’ ili."» S. Marco Velieri in proposito delle 11—20 Al'KILE 1613. 405 [861-862] macchie solari; e pure ieri ino no mandò alcune copie, delle quali io ne invio una con la presente a V. S. Ill. ma , e mi reputerò sommamente favorito se ella mi farà grazia (li tenerla tra i suoi libri. Io non ar¬ disco di supplicarla a leggerla o ascoltarla, immaginandomi quale e quanta sia la moltitudine dello sue gravissime occupazioni; tuttavia, so a qualche bora meno impedita ella ne potesse sentir qualche parte, ionie V ascriverei a somma gloria: et in particolare desidererei che fa¬ cesse qualche incontro delle costituzioni de i quattro Pianeti Medicei, i periodi do’ quali ho ritrovati, e, come vedrà, disegnatone le costitu¬ zioni di sera in sora sino a gl’ 8 di Maggio. Ella forse bavera qualche occhiale esquisito, e non P havondo ella, intendo che il S. Magini ne ha lui : sin bora hanno risposto puntualissimamente, o ’l simili spero elio faranno per l’avvenire; et in tanto vo seguitando di cal¬ colare le seguenti costituzioni sino a tutto Agosto, e lo manderò a V. S. Ill. ma Alla quale intanto ricordandomi devotissimo servitore, bacio humilmente la veste, e dal S. Dio gli prego il colmo di felicità. so Di Firenze, li 14 di Aprile 1613. Di V. S. Ill. ma e ltov. raa Obblig. mo e Dev. mo Ser. re Galileo Galilei. 802 . MAFFEO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Bologna, 20 aprile 1613. Bibl. Nnz. Flr. Mm. Qal., P. I, T. XIV, cnr. 102. — Autografi il poscritto e la firma. Molto 111. S. ro Mi son pervenuto le lettere da V. S. scritte al Velseri, date in luce, et mi sono state molto accette, nò mancherò di vederle e rivederle con gusto grande, conforme a che merita l’opera ; la quale non è tale che deva così lasciarsi otio- samente riposta fra gl’ altri libri, et che non mi sia per far sottrarre qualche tempo dall’ occupationi di questa carica ”, per leggerla, et attendere ancora al- l’ossorvatione e rincontro dclli Pianeti eh’ ella avvisa, se però gl occhiali che qui habbiamo saranno a proposito. Intanto ringratio infinitamente V. S. della mc- Lett. 802. 7. riconlro — 1,1 Di Cardinal Legato. 490 20 - 23 APRILE 1613. [ 862 - 863 ] moria che ha tenuta di me mandandomi dette lettere, et ricordole la stima che faccio del suo valore, con offerirmele e pregar Dio la feliciti. Di Bologna, li 20 d’Aprile 1013. Di V. 8. Io la ringratio particolarmente, et le resto con obligutione della memoria che tiene di me. S. r Galileo Galilei. Come fratello il Card. 1 Barberino. Fuori : Al inolt 1 111." Kig. r * Il S. r Galileo Galilei. Firenze. «( 33 *. FLAMINIO PAPAZZONl a GALILEO in Firenze. Pina, Si aprile 1613. Blbl. Hat. in Modena. Raccolta Autografi, B.« LXXX1Y, n.» 118. Autografa. Molto Illustre et Kcc.»° mio S. r Ho riceputo il libro mandatomi da Y. S. molto 111. et Ecc. ,n, ‘, et la rengratio quanto posso et so, rendendola certa che mi rallegro grandemente d’ogni sua gloria, alla quale io sempre sarò prontissimo, se non quanto risguarda l’honor mio et la verità in diffonder Aristotile. Ma V. S. molto 111. mi fornisca di favorir con raccordarne h umidissi ino servitore dell’ 111.» 0 S. r Filippo Salviato, non meno da me ammirato per la nobiltà del sangue che per le virtù heroiche. Il S. r Dio conservi longamcnto felice la sua hon.""* persona, età me doni gratin di poterla servire. Di Pisa, il 23 di Aprile 1613. Di V.S. molto 111. et Ecc. ,wa S. re Devotissimo Flaminio Papazzoni. Fiori: Al molto 111. et Fico.»® S. r Col. ,u ° Il S. r Galileo Galilei. Firenze. '* è aggiunto-di mano del Harbmim. [864-805 j 24 — 25 APRILE 1013. 4 l J7 864 *. ARTURO PANNOOCHIE8CH1 D’ELCI n GALILEO fin Firenze]. Pisa, 24 aprilo 1613. Bibl.Naa. Flr. Mss. Gal., P. I, T. VII. car. 78. — Autografa la suttoscriilonc. Molto 111." et Ecc. 1 " 0 S. mio Obs.™ 0 Ringratio V. S. del libro che mi ha mandato della sua TTistoria intorno alle macchie solari ; e sin bora con molto mio pasto ho trascorso sino al fine della prima lettera: e poi che il mio occhio non linceo non arriva a poter scorgere e mirare le macchie nel sole, ammiro con la mente le sperienze, la dottrina, lo stile et il modesto discorso di V. 8. Ànderò con la medesima cupidità, seguitando di leggerlo, concludendo che non si trovi alcuna cosa creala senza qualche neo, poiché tanti se ne truovano nello stesso sole, del quale non ò cosa più lumi¬ nosa [...] che queste macchie non lusserò credute quelle forme de gli [-] quei io Germani, che referisce Tacito tra’ lor costumi ; [.... ] hanno creduto delle mac¬ chie della luna? K certamenf_] lassare il volgare proverbio, di trovare il pelo nell' f... .] Io continuo honorare e stimare V. S. con desiderio particolar [...] servirla, c pronto a farle il mandato del semestre passato per tutto questo mese, quando e come ella ordinari. Intanto le bacio le mani, e le prego dal Signore Dio ogni bene. Di Pisa, li 24 Aprile 1013. Di V. S. molto 111." et Ecc. ma S. re Afl>° [A]l S. r Galileo Galilei. Arturo d’Elci. 865 ** CARLO GONZAGA a GALILEO fin Firenze]. Siena, 25 aprile 1613. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vii, car. 79. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111." et Ecc. mo S. r mio Honor. m ° Troppo grande ò stata la cortesia fattami da V. S. Eec. mR col mandarmi il libro dello lettere in proposito delle machie solari, da me certo ricevuto con par- Lett. 884. 17. mollo et A'cc. ma — XI. 63 498 25 27 APRILE Hi 13. [865-866] ticolar affetto, sì per esser uscito dal fonte «li tante sue virtù, come per veder da ciò eli* ella mi continua la buona voluntà sua. Lo godarò dunque per amor suo: et intanto, quanto più posso ringratiando V.S. di così amorevole dimostra- tione, finisco col pregarla a comandarmi assolutamente nel poco ch'io posso e vaglio a servirla; e le bacio le mani. Di Siena, li 25 d’Aprile 1613. Di V. S. molto 111/* et Ecc. M Certiss.®*» Servitore io S. r Galileo Galilei. Carlo Gonzaga. 866 *. GALILEO a [FEDERIGO BORROMEO in Milano]. Flrcnse, 27 aprilo 1613. Blbl, Ambrosiana in Milano. Cod. 0. 215 Par. Inf., car. 801 a.— Autografa la Arma. Ill. mo et R. mo S. r et P.™ Col .™ 0 Essendo stato» ultimamente stampate in Roma, d* ordine deirEcc. m0 S. r Principe Cesi, alcune mie Lettere scritte al IU. rao S. r Marco Velseri, Duumviro d’Augusta, in proposito delle macchie solari, et liavendomene S. Ecc.“ mandate alcune copie per dispensarle a questo Ser. me Alt." et ad altri miei Signori, ho preso sicurtà della cortesia di V. S. Ill. ra * et Rov. m * che ella sia per benignamente rice¬ vere e gradire questa copia elio insieme con la presente gl’ invio, e massime sentendo da diverse bande, et in particolare dal S. r Gio. Ciampoli, clic ella tal volta interpone tra i suoi più gravi studii Pai-1° zare gl’ occhi a queste novità celesti. Io resterò sommamente favo¬ rito che ella degni questo piccol segno del molto che io devo alla sua bontà, che tanto mi favori appreso questi Ser. mi Principi quando ultimamente passò di qua ; di che io gli vivo con perpetuo obbligo, e desiderosissimo di servire V. S. Ill. ,ua Alla (pialo per fine bacio re- verentemente la veste, e dal S. r Iddio le prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 27 di Aprile 1613. l)i V. S. 111.“ et Rev. ra * Devotiss." 10 et Obbligato 010 Sor.” Galileo Galilei. 20 3U APRILE 1013. 49'J [867J 867 *. GIO. ANTONIO MARINI a GALILEO in Firenzo. Bologna, 30 aprile 1013. Bibl. Naz. FIr. Mas. fini., 1’. VI, T. IX, car. -16. — Autografa. Molt’lU. 1 ' 8 et Ecc. rao S. nr mio Oss."' 0 Se bene dall’ IH." 10 S.» r Marchese Cesia fu dato uno di questi libri di Y. S. a libraro Tamburino (n , che ino lo portasse in nome di quello, in’ è però stato gra¬ tissimo questo che lei s’ è compiacciuta di mandarmi, et per venire dalle sue mani, elio per ciò mostra di tenir conto di me, et per haverlo havuto molto prima di queir altro, che non è ancora arrivato a Bologna peri cattivi tempi; onde per così segnalato favore le rendo molto grafie, confessandomele obligatissimo et de¬ siderosissimo di corrisponderle di gratitudine in ogni miglior modo ch’io potrò. L’ho havuto a punto questa mattina dal libraro che me l’ha legato, et lo leg- ìo gerò con molt’avidità per la curiosità ch’apportano questi nuovi scoprimenti ce¬ lesti, clic porgono grandissimo lume all’astronomia et alla filosofia. Con 1’ occasione che quest’ anno ho lette pubicamente le mie theoriche, sono andato facendo qualche fatica per riformarle all’hipothesi Copernicane] et Ti- chonicho, per dar sodisfattiono ad ogn’ uno ; et per tal rispetto ho travagliato molti giorni intorno al moto di Marte per cavarne le tavole, senza le quali si può malamente goderò: le quali poi mi sono riuscite di molta mia sodisfattione, vedendo ch’incontrano più con l’osservationi Tichoniche che non fanno quelle del- l’istesso S. or Keplero, per quanto egli stesso confessa; et tutta via sono sotto lo stampe, insieme con le tavole Tichoniche de i luminari, ridotte da me a facilità ?) . 20 Non son più lungo per non la fastidire: et le bacio le mani, con offerirmi sem¬ pre prontissimo a’ suoi commandi. Di Boi.' 1 , 1’ ultimo d’Aprilo 1613. Di V. S. molto Ill. ro et Eco. ma Ser.™ Aff. mrt Gio. Ant.° Magini. Fuori : Al molto Ill. r * et Ecc. mo S. or mio Oss. mo Il S. or Galileo Galilei, Math. co del Ser. rao S. or G. Duca di Toscana. Firenze. Lott. 867. 11. eh'porgono — Girolamo Tamburini. putandi veruni motum «oli», lutine et Marti I ex novi« 1,1 Furono pubblicato Tanno appresso, col ti- tabuli» teeundum Tgehoniea» obter vai ione», mine primuin tolo Supplementutn Hphcmeridum ac tabularmi i treun- accurate conitructi», ecc. A onotiis, upud banrodoin Dn- doriwi mobililim lo. Antoni! Maoini, ecc., in quo ha- uiiani Zeuarii, M. DC.XIV. bentur ratio et uiethodii» per/ucili» protnplittime tuj> - 500 1 # - 1 VIAUOlU Ibis. 888*. GIOVANFRANCE8CO 8AQRKDO a GALILEO in Firenze. Vnoriia, l* mag«to IH li. Blbl. Rat. in Modena. KaccolU Caapori Integra*. B • LXXXVIII. d il. - Autografa. Molto Illustre Sig. r Lee.* 0 In questo punto ricevo le curinone lettere di V. S. Lee.' » de’ 14 del presente, insierao con li quattro libri inviatimi: et seben io, tratto dalla curiosità et no¬ biltà della materia che contengono, haverei creduto che mi havessero evitato spe- culationi astronomiche et lincee, nondimeno subito mi ho trovato assalito et oc¬ cupato l’animo da un que ito arithmetico, cioò come, essendo i libri quattro, et il Padre M. r> Paolo, il S.» Moreniii, Mula et il Magio , con la mia persona, cin¬ que, io p •- i far che ne tocchi uno p >r ciascaduno: onde, innncnndomi la scienza per sciolgere il dubbio, mi sono ri seduto, non volendo io star senza, di ritener quello del Gagio, che. essendo infermo, non potrà leggerlo, e tanto più che, io havendo veduto la dedicatoria, ho compreso che questo libro non è mandato al Gaio certissimo . Nondimeno, "e havet-.i usato troppo prosontione, aspetterò che da lei mi sia imposta la penitenza debilita, llora mi sono aopravenuti i suoi messi : però faccio fine, et le baccio affettuosissimainente la mano. In Veneti», al primo Maggio 1013. Di V, S. Ecc.** Aff. m0 Servitore G. F. Sagredo. Fuori : Al molto Illustre et Ecc. 1 "* S. r Oss." 0 Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 20 889 **. LORENZO PIONORIA a GALILEO in Firenze. Pad or», 2 maggio 1S13. Bibl. Naz. Fir. Um. Gai., P. I, T. V II. ear. SI. - Autografa. Molt* Ul. r * et molt’Ecc. u S. r mio Osa.* 6 Io stimo che le due scatole di semi ”, inviate a V. S., saranno venute a buon ricapito, tuttochò io non n’ habbia veduta inai accusata la ricevuta. Lati 868. 18. p**\UnU*wi — Paolo Sauri, Ardua Moaoaixs, lunarino da Mcla, e Uuxakdixo Gaio. <*» Cfr. n.» 874, lìn. 39. Cfr. 859. 2-3 MAGGIO 1613. 501 [869-870] Mons. r Arciprete 11 la prega a procurare che la inclusa vada a* suo viaggio, lo ho ricevuto la Istoria intorno le macchie solari, et ne rendo affettuosissime gratie a V.S.; et l’accerto che sarà letta da ine con gusto grande. In somma haverà in questi mirabili scoprimenti la nostra età, clic contraporre alle più pel¬ legrine inventioni degli andati secoli. Così di prima vista ho scoperto che ’1 S. r Vel- sero ò stato lo stuzzicatore di queste gentilezze publicatesi, et ne ho sentito con¬ io tento. 0 che homo degno d’immortalità! Bacio le mani a V. S. con tutto ’l cuore, et le desidero ogni contentezza. I)i Pad. 11 , il dì 2 Maggio 1613. Di V. S. molt’ lll. ra et molt’ Eec.*® Mi scordavo diro che Mona.' Arciprete le rendo gratie del favore ricevuto. Ser. ro Aff. ra ° Lorenzo Pignoria. Fuori: Al moli' lll. ra et molt’Eoe.* 1 ’ S. r mio Oss. ,no Il S. r Galileo Galilei, a 20 Fiorenza. 870 . LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 maggio 1613. Blbl. N&s. Fir. Mas. Cai., P. I. T. VII, car. 83. - Autografa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r mio. Mando a V.S. le venti dozzine di corde, conforme a quello ch’ella chiede; et per averle buone ho usato cor uno amico quella diligenza che io ho saputo, perch’ ella venga servita. Se in altro la posso servire, comandi liberamente. Fui da il Sig. r Principe Cesi, et ridemmo un poco dello aviso di cotesti ba- buassi ; dei quali se quella immagine somiglia nissuno, lo diano al caso, et non a me, la colpa. Circa alla mia lettera che dice, ella mi ha favorito pur troppo in queste delle macchie del sole le quali ho lette com molto mio gusto. Non lo mostro ancora al Sig. r Don Virgilio (,) , perchè il Sig. r Principe mi disse che io 10 non gniene mostrassi ancora; se bene il Signore così ragionando a caso delle machie del sole, li dissi che V. S. me le haveva fatto osservare, et che poi V. S. mi aveva detto che io non ne osservasse più, et come me le haveva latte Lett. 870. 12. otierevure — Paolo Gualdo. <*> Virginio Omarini. 502 3 MAGGIO 1613. [ 8 ? 0 ] vare di Quali* sleata *ua fraudata*, et dettomi il modo d* farlo: dove egli mi domandò m i>> 1*barava quivi; et pareli.' non !«■ bavera, ohe quando e’mi era comodo le portassi. Non c’è stato occasiono. Li dissi anello eli’ella mi scri¬ veva die faceva non no che intorno alla 0. Mi di »o che lui aveva detto a V S che la facete di rilievo, acciò «li ignioranti o i semplici no resta asino più facilmente capaci, et che V.8. era il primo matematiclio che viva; dove fu Mone. Dal Borgo elio non la poteva sentire. Ma lo scuso, perchè 6 tutto del’Arcidiacano (, \ il quale mandò qua non so che de'libretti ultimi del Pippione 1 contro a quello del*aque ao di V. S. The ella prema nello scrivere queste sua nella nostra lingua, mi piace; ma il consiglio ò più per interri so della lingua, che della gloria di V. S. Però vor¬ rei ch’ella le scrivessi, come ò già detto altre volte, et nell’una et nella altra lin¬ gua, perchè la latina è comune a tutte le nazioni; et di giù. la vede che il Vel- sero quasi gniene accennò im proposito del fìnto A [ielle, per intendere queste suo lettere dello machie ilei sole ". Però et il Nuncio Siderio et tutti fategli ristampare e vulgari e latini, e supliicha in quello elio lei ha mandiate; et se dello passato non volo far lei, lo manch i da farlo faro ad altri et altrove, et ella rivederli, acciò non siano manchevoli. Fatelo, fatelo, fatelo, et non mandiate a so voi medesimo, come havete fatto per il passato. Scrivete il vero senza passiono et senza curarvi di adulare o cedere il campo alla fortuna, nè per loro ritardato il corso, sebene ci è pippioni come oche: ridetevene, Sig. r Galileo, come dice il Casa: Operar bene, e se ti incontra malo, Alzar la testa e dir : Qual cosa tìa ; Perchè la fantasia Che dal pensiero o da l’affanno è strette, Non può producer mai cosa perfetta. Sento coni molto guato, appiè della sua lettera, del Reverendo (alla entrata Cfr. Voi. IV, m , ^ <*' Cfr. n.- 778. 3 MAGGIO 1613. 503 [870-871] celagniolo Buonarruoti, al Sig. r Nori cd al Sig. r Sertini (0 , ot a’ Sig. ri Sei-ristori, so che io lavoro per loro. Et con questo le prego da Dio ogni contento, sanità e forza da scrivere per publico benefizio. Di Roma, questo di 3 di Maggio 1613. Di V. S. molto ill. r « et Ecc. ui » Le corde le consegnisi al procaccio detto Chia¬ vino, che parte domattina di Roma per costà. Fa¬ tevele dare. A fi'." 10 Sei\ ro Lodovico Cigoli. Fuori : Al molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig. p mio Oss. mo co II Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 871 *. BERNARDO PISENTI a INGOLFO BE' CONTI iu Padova. Venezia, 3 maggio 1613. Ardi. Univeruitarlo in Padova. Filza 631, c»r. 46. — Autografa. Molto 111/® S. r (>S8. mo Con quell’all’etto che si convienilo al gran merito di V. S. et alla mia antica osser¬ vanza, ho passato l’officio con l’Ecc. m0 Sagredomio Signore; et quando egli non possi (come sicuramente erodo che non potrà) ritornare il Gallileo, strettissimo amico do’ suoi figli, a quella cathedra, mi ha giurato che non favorirà alcun’altra persona sua. Che il Gallileo possi haverne ragionevole speranza, non lo giudico: prima, perchè non si ritrova esempio che simili leggenti passati ad un loro Principe, siino di novo stati raccolti dalla Republica; poi egli fu honorato di così grandi augumenti, et in un istante ha fatto affronti a quel Studio : onde in particolare il Priolinon vuole udire nè anco il suo nome. 10 Lenirò adunque in officio questo Padrone, considerando che sii bene trattenersi sino a tanto che, riddotti tutti tre li Reformatori, babbi no a deliberare di eleggere ; perchè poi si trattarà del soggetto, et all’bora si riscalderemo, et bora a chiunque le fa instanza, rispondono che vi è strettezza di denaro in quella Cassa, et che si può tener così iu so¬ speso quella lettura. Voglia Iddio che l’assolutione dell’Ecc. m0 Cremonini li giovi più all’anima di quello Francrsco Noni o Ai.bssanuro Skbtiki. < ? > Niccolò Saukkdo. (*> Cfr. n.® 813, lin. 22-24. i*i Antonio Friuli. 1 4 >i aomo 1613. 604 1871-872] cb* fn In mathematica alle anime dalli pruf«-a*oi‘i di n*ia, allontanati dui spi r it U alo Mi lavorine* di farli morena*. Con che le bacio le iu*ui. Di Veneti*, il 3 Maggio 1613. Di V. 8. molto 111. Servitore Oblig Bernardo Piaenti. «q Fuori: Al molto IH" Pad ■ Col.-* 11 8/ Ingolfo Conti. Rado*. 872**. CRISTOFORO FERRARI a GALILEO [in Firenae). \>nciia, 4 ma«irlo itila. Blbl. Nm. Ftr. Mas. 0*1., P. I, T. TU, ear Si Autofra/a. Molto Ill. r * et Eoo.** 8.", 8/ mio 0*a.-* Resto sommamente obligato n V. 8. Ecc.** del corfe?e ufficio ch’ella m’avisa di ha ver fatto, et di voler fare, co 1 I*. Strozzi. Et forse quella mia bagatella potrà esser reputata qualche cosa per opera di V.S., che si sarà compiaciuta di dir di me qualche cortese bugia. All’ incontro questo ò verissimo, che il S. r Magagnati fu hieri a trovarmi insieme co ’l S. r Boccali ni, auttore de i Ragguagli di Parnaso, et si bevette in sanità di V. S. Egli A dietro con le male parole alla vita ili Ro¬ molo n nel suo stile burlesco, in che ha superato s£ stesso. Ho stimato che a lei non debbia e*»M»r discaro veder la lettera ch’io le mando 1 ”, per la curiosità dell' hi storia che riceve gran testimonio di verità contra l’Opinion io di coloro che l’hanno revocata in dubbio. S’è compiacciuto l’IlÌ. B0 S. r Andrea (ìusaoni, bora .Savio Grande, di far la prima iscrittura latina, et a me è convenuto far le due ultime, con ricompensa di una cestella di buzialai per le mie fantoline, le quali tutte fanno riverenza a V.S., et particolarmente la Liberimi; la quale se ben per ragion di stato nou havrebbe voluto che mi nascesse un maschietto, tuttavia mostra bora di compiacersene. Et a V. S. Ecc.“* bacio la mano. Di Yen.*, li 4 di Maggio Ili 13. Di V. S. Eoe.** Afl>° et Oblig. mo Servitore Cristoforo Ferrari Fuori: Al molto 111." et Eoe."** S.**, S. r mio Os9. mo 80 11 S. r Galileo Galilei. '0 L* tltt di Rimulo e di i Pom.pUio primi <ìici Stcondo, Gran Due» di Toscana. In Wnetia, rr di dwcrttt* in tori* rima placatole d» M.DL.X 1 V, apprawo Antonio Piotili. Girolamo Mao ausati. Al SeraetoiiBO Coin da' li* '» Non » or* allevata all» presente. i) MAGGIO 1613. 1873 ] 505 873 . GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 9 maggio 1613. Blbl. Naz. FIr. Mm. Uni., P. VI, T. IX, Cftf. 49-49. Autografa. Molto 111™ Sig.*' Ecc. ,no Seben con altra mia “> ho avisato V. S. Ecc. m “ della ricevuta delli quattro libri delle suo lettere solari, et della dispensa et represaglia clic havevo delibe¬ rato di fare, tuttavia ho voluto anco con queste darli conto della esseculione, aggiùngendo ancora le debbite gratin, già che anco a me ne è toccato uno. Non ho mai inteso la ricevuta dell’ultima mappa che li mandai, seben sup- pono che, sondo stata consignata alli SS. ri Guadagni, non possi essere smarita. Non si è fatta elettione por ancora di mathematico, perchè fin qui non con¬ corrono soggetti di molta stima. 11 S. r mio padre è Riformatore, et m’ha detto io che m’informi per qualche sogetto degno di quella catedra: mi farà però gratia V. S. Ecc. m! * scrivermi in questo proposito il suo giudizio. 11 Glorioso, tra quelli che concorrono, si può dire incomparabile: tuttavia ò così freddo in agibilibus, che non havendosi veduto per altro alcuno effetto della vivacità del suo inge¬ gno, molti credono che, oltre la lettura delle cose ordinarie, da lui non possi ricevere alcuno splendore lo Studio di Padova. Le pietre che V. S. Ecc. nm mi inviò nello scatolino (t) , pare che non serbino più lume : intenderei volontari se sono naturali overo artificiate, con alcun altro particolare. L’opera del Cremonino (,) per ancora non è fornita di stampare, et credesi che so anderà lunga la stampa tre mesi. Ho veduto quello che il S. r Velser le scrive di me nelle sue lettere stam¬ pate 0) ; et mi ò paruto buona fortuna non havergli scritto (come suol accadere) qualche coglioneria, perchè poi fosse mandata in stampa. In conclusione ho im¬ parato con voi altri signori litterati, che stampate le cose vostre et le altrui, andar molto risservato. Con esso Velser io tengo una tal qual amicitia, intro¬ dotta per via de’Gesuiti, i quali sono tutti suoi; et sebene si scriviamo spesso, credo.nondimeno che resti poco sodisfatto di me, per essere io andato ristretto nel titolo: di che però devono essere imputati li Gesuiti, che m’instruirono dargli del Molto Illustre , perchè io, come quello che mi do alla poca fatica, non haverei so posta difficoltà dargli dell’ Illustrissimo et ricever del Magnifico et del Messere. Ma per non mostrar leggerezza, ho deliberato seguire l’usanza incominciata. I" Cfr. n .0 808. <’) Cfr. u.° 738. XI. (*) Cfr. n.® 709. 9-H maggio 1613. [873-874] 1/istromonlo por misurar il elido . inventato da V.8. Eoo.*», è stato da me ridotto in diverse forme a-^ai oommode et squisite, in tanto che la differenza della temperie «li una stanza all’altra si vede fin 100 gradi. Ilo con questi spe¬ culate diverse cose meravigliose, come, por efisempio, che l’inverno sia piùfreda l’aria che il giaccio et lu neve, che bora appari più freda l’aqua che l’aria che pochissima acqua sia più freda che molta, et simili bottigliere, alle quali i nostri Peripatetici non sanno dar in- .una ri -solution?, essendone alcuni (tra’quali il nostro Gageo ' ) tanto fuori di strada, clic ancora non capiscono la causa della prima operatione, stimando cs-i che si dovesse vedere effetto contrario, perchè 40 havendo il caldo (come dicono) virtù attrattiva, bisognerebbe che, riscaldandosi il vaso, tirasse a se 1' acqua. Kt co i latti huomem pretendono le prime letture di l’adova ! Non posso esser più lungo; però mettendo fine al tedio che le do con le mie ciancia, me le raccomando al solito eie. Di V.*, a 9 Maggio UH 3. Ih V. S. Kcc.“* Fuori: Al molto III.** S. r Kcr. 1 ** Il S. r Galileo Galilei. Firenze. Tutto suo (J. F. Sag. 874 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Kotna, 11 maggi 1 ’ 1618. Blbl. Nm. Pir. Mm. Qal.. P. VI, T. IX, far. M. • fili. - AuUigrafa. Molt’IU.'* Sig. r mio ()ss. m * Dalla sua cortesissima ho inteso la rioeuta delle lettere, et notato i sforzi ma¬ ligni delli invidi della sua meritata gloria, quali desidero saper come seguano alla publicazione di quest’opra solar»*, poiché credo gli scotti non poco. Ilo mandato il S. r Stellati a Napoli per veder e considerar i luoghi proposti da quelli Signori , et inteso a pieno, quando conosca esser a nostro proposito e sicuro, concludere. Dovrà anco intendere e haver piena relationo d’alcuni sog¬ getti che da molti me»i in qua, per mezzo di quei Lincei che 11 sono, fanno istanza d’ e&her de’ nostri, acciò poi facciamo sopra ciò la debita discussione e risolviamo. Desiderarci intanto, WS. insieme col S. r Salviati pensassero in dolio Cfr. n.» 719. «*' BKUusnixo U*io. Cfr. n.« S66. 1») Cfr. n.* S60. 11 MAGGIO 1613. 507 [874] o tre soggetti costì, sciogliendone quelli elio le pareranno migliori. Fanno a no¬ stro proposito sì i vecchi conio i gioveni ; i dottissimi già, come quelli che al compimento della dottrina sono di buon passo incaminati, e senza dubio che siano per straccarsi ; habhiamo bisogno di capitani e anco di soldati nella nostra filosofica militili, seben molto meno de’ primi, poiché habbiamo gli ottimi, e pochi bastano a guidar grand’ esercito. I nobili c ricchi sono di più splendore, e più va¬ glino ad inalzar le scienzo c loro stima. Altri di minor (non però vile) grado possono più affaticarsi nella attiva, e di questi alcuno per luoglio ne vorrà, per i negotii di qualche scoinmodo o fatiga, nel principio del’ impresa particolar- 20 mente. In tutti però dovremo cercare che Imbibano vero amore alla sapienza, e perciò a questa impresa, e studiino e vogliano studiar di modo che siano per riuscir fertili di buonissimi frutti di compositioni, et habbiano nella naturai filo¬ sofia libero l'intelletto. Sarà bene anco che in un istesso luoglio ve ne siano di diverse inclinazioni nello scienze e professioni, acciò, essendo difficile che tutte le scienze in uno si ritrovino, siano tutte in tutti, e in molte in un tempo si lavori c cooperi. Almeno dove molti saranno dediti allo profonde speculationi fisiche e matematiche, nostro più proprie, ve ne starà molto bene c utilmente alcun filologo, non però puro. Mi si dirà, in poco numero esser molte condizioni difficili a trovarsi. Non sarà forse impossibile, almeno le più importanti. Ma che 30 importa? io ho voluto esporre a V. S. tutto il mio pensiero, rimettendolo onni¬ namente alla prudenza e giudizio suo. K vorrei, crescendo in Napoli di numero, altrove ancora se ne giugnessero. Si pensarà anco in Agusta e Padova di mano in mano, e dopo all’ascrittione do’soggetti seguirà lo stabilimento de’luoghi. È parso necessario, in alcuni colloquii fatti questi giorni a dietro, pensando all’accrescimento che ò per seguire, di dare una norma allo scrivere delle let¬ tere e loro titoli, poiché nasceranno occasioni spesso di scriver a molti e diffe¬ renti e non praticati; c par che convenga alla purità filosofica, che deve pro¬ fessarsi, staccarsi affatto dall’usi aulici o ordinami, e massime nello scriver per occasione della Lince o suoi negotii, poiché bastarà a questi solo sia ristretta 40 la norma. Lo mando dunque in carta quello s’ò pensato, aspettando sentirne il suo parere di tutto o parte, so meglio e in che modo potrebbe farsi. S’ è hauto mira che i titoli tutti riguardino lo studio o sapere, e possino piacere a ciascuno. Bacio a V. S. le mani, pregandola far l’istesso in mio nome al S. r Salviati. N. S. Dio le conceda ogni contento. Li Roma, li 11 di Maggio 1613. Li V. S. molt’IU. re o molto Ecc.‘° Aff. mo per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. Nella soprascritta : Al Dottiss. 0 e Per spi caci ss. 0 Ss N. N. L. Hora, per maggior sodisfattione, mentre tutti concorrono nella fondanone 508 11 — 17 MAGGIO 1613. 1874-875] del'opra, avanti al compimento, sona differenza s’u arebbe con lutti; dopo 50 il compimento poi, quelli che ni ascriveranno, ai distinguerà : «.Ili emeriti dotti già, ai darebbe come h’ ò detto; «Hi studiosi, avanti la loro probazione: Al Studiosissimo S.‘ N. eie .• dopo la probazione : .4/ Studi osisi' e Perspicaci ss. 0 eie. Dentro la lettera. Non vi sarebbe in-crittione, per lasciar il titolo della sotto- scrittione, che difficilmente poi farsi in modo che sempre possa convenire e piacere a tutti ; ma si porrà a capo alla lettera al modo antico, che tanto piti mostrar A la lettera lontana dal’ uso ordinario, o però, come d’altro genere, dorerà più sodisfare. Sarà l’iute «a ottoscrittione, col nome di chi scrive 60 c saluto: X X Line. S. In meno il discorso, et anco a toc-' nelle attioni Lincee, in luogo della terza per¬ sona de' titoli ordinarli, ò parso bene sin bora, non havendo meglio. V. C., Vostra Chèa ressa ; che in latino andarebhe benissimo : V.' Claritudo. lai sopra coperta cerimoniosa si vieterebbe. Si determinarebbo spazio d’un dito sopra, et un a|ltro] sotto, il nome nel principio della lettera. ?o Quanto a titoli publici, non h’ ò trovato ancor rimedio, acciò le lettere per questo nostro uso non siano contraaegnate. Intanto dio si pensa, si potrebbono inviar "otto mia coperta o d’altri, o ove non caschi dubbio in proposta o risposta, o col semplice] uomo in una coperta senza titoli. Fuori : Al molt’ IH/* Sig. p mio Osa. 1 * 0 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 875*. FEDERI(X) CESI » GALILEO in Firenze. Roma, 17 maggio ISIS. Bibl. Nm. Plr. M». G»L, P. I, T. VII, e*r. 87. - Àntogr»f». Molt’ Ill. r * e molto Ecc. ,# Sig. r mio Oss. ra# Credo col molto scrìvere, che ho fatto l’ordinario passato, haverò supplito alla dilazione d’ esso, cagionata parte dal catarro che m’ ha molestato non poco, 17 MAGGIO 1613. 509 [876-876] parte da infinite occupazioni. Ilora, 1 >io gratin, sto assai bene, e vorrei sentir che V. S. stassc similmente libera dalle noioso e lunghe indisposizioni che la mo¬ lestano. Vagliasi della stagiono, e rimettendo un poco le fatighe, s’aiuti co’ buoni medici da dorerò, che spero non le sarà difficile. Aspetto il pensior suo e del S r Salviati in risposta della precedente. Intanto desidero m’avvisi chi è un medico che si trova in Napoli a trattar col Porta, e io dice d’ordine del Gran Duca e di D. Antonio ”, di che dottrina, e se veramente è stato mandato da S. A. Attendo la quarta scrittura'” degli invidiosi, e che dicano del’opra solare. V. S. mi commandi, e N. S. Dio gli conceda ogni contento. Le bacio le mani, et anco al S. r Salviati. Di Roma, li 17 di Maggio 1613. Di V. S. molt’111/* Aff. m0 por ser. ,n sempre Fod. c ® Cesi Line. 0 P. Fuori , d'altra Diano: Al molto 111/® et molto Ecc. t# S. op mio Oss. mo 11 S. or Galileo Galilei. so Firenze. « 76 *. GIUSEPPE MANGANI a GIO. ANTONIO MAGINI in Bologna. Roma, 17 maggio 1613. Arch. Malvezzi do’ Modici in Bologna. Carteggio di 0. A. M&gini.— Autografa. .... Quanto all’opera del S. Galileo, ho havuto caro intendere che sia uscita in luco. Se ogli nell’arrogarsi quella bella invontione dello macchie solari non ò molto cauto, po¬ trà esser convinto dal P. Christoforo Schoiner, perciocché si trovano alcuni suoi manu- Bcritti presso a molti, ed anco a mo, divulgati prima che egli stampasse quelle epistole, ne’quali si veggono le primo origini. L’opinione sua della liquidezza dei cieli W è piacciuta molto ad alcuni dei nostri Pa¬ dri, lettori di Filosofìa di questo Studio, i quali fanno grande stima dell’autorità di V.S. Eccellentissima, come veramente olla merita. Spero che piacerà molto più al P. Christo¬ foro Scheiner, per causa del quale io P ho procurata, e por esser conforme al suo Apello .... **> Antonio dk’ Mi dici. (l> Cfr. Voi. IV, pag. 373 o seg. *c rii Ione. 111." et Eoe.™ 0 S. r mio lh>n.®° Con Ih gentilissima ili V. S. d« lli 2 C. del pacato ho ricevuto il suo libro nuo¬ vamente stampato in Roma, che mi «'• stato presente favoritissimo; nè io saprei se non grandemente lodarlo, conforme a tutte l’altre cose sue, et l’ho di già dato al Sig. r Vaccher , conte farò ancora ad altri che no posino gustare : obese da loro sentirò partioolar ni-suno degno «lolla ma cognitione, non mancherò su¬ bito d’ avvisamela. Kt fra tanto ringraziando Y.S. della memoria che tiene di farmi gratin, me le ricordo sempre, et le bacio di tutto cuore le mani. Di Vienna, li 18 di Maggio 1013. Di V. S. 111." S." Giuliano Medici. Fuori: Al moli’ 111." et Ecc."* Sig. r mio Ilon.®* 11 S. r Galileo Galilei, filosofo et Matematico del JSc*i '. ni0 G. Duca di Toscana, Fiorenza. «78**. FILIPPO SAI. VI ATI * IFKIiKKICO CESI in Roma]. Ftrenxe, ’JO maggio 1613. Bibl. della R. Accademia dei Lincei In Roma. 11». a.« l* ig>a Cod. boucomjisgui 580), c»r. 129.— Autografa la lottoecmiooe. 111."* et Ecc.®* Sig." e P.ron mio (ol . m * Sentito dal Sig. r Galileo P animo «li V. E. di nuovi Accademici m , credo senza dubbio haver trovato da proporle due soggetti degni «li qualsivoglia onore per lo qualità loro einguhm. Uno è il S. r Coturno Ridolti, filosofo lil>ero, cavaliere di concetti nobilissimi, huomo di grandissimo studio, e tale in tutte le sue axxioni, da apportar più tosto onore e gloria alla sua famiglia coni principale, che mendicarne «la lei. L’altro è ilP.D.Bcne- detto (astelli, Rreaciano, monaco Cassinense, scolare del S. r Galileo, lettore di Matema¬ tiche a una niAno di gentil'huommi Fioreutmi, nominato dal S. r tìalil[oo] nello sue Lettelo Lett. 878. 6. grandissimo twdio — (1 ' Matteo Wackii**. “ Cfr. n.» 874. 511 [878-880] 20 — 22 maggio 1013. inventore di veder le macchie del «ole con agevolezza sì grande O. die so da V. E. sarà 10 gradita ques[ta) elezzione fatta dal Sig. r Galileo e da me con molto discors[o], pretenderò liaver qualche parte ancor io nell’Accademia, benché per i meriti altrui. E con questa spe- ranza ricordandole la servitù mia, lo fo reverenza, e prego dal Signor Dio quant[o] desidera. Di Firenze, il di 20 «li Maggio 1013. Di V. E. IU.“ a Dev.*" 0 Ser. ro Filippo Salviati L.° 879 . FEDERIGO BORROMEO a GALILEO in Firenze. Milano, 21 maggio 1013. Blbl. Naz. Flr. Mas. (lai., I*. I, T. XIV, car. 101. — Autografa la sottoscrizione. 111.” Sig.™ Io vedrò volentieri le Lettere di V. S., bora stampate, sopra le macchie so¬ lari, de’ quali s’ ò compiacciuta inviarmi copia, e per la curiosità dol soggetto e per l’eccellenza dell’autore, da me stimato quanto conviene. Ringratio V.S. molto dell’afTettione ch’ella mi conserva, c la contracambio in ciò benissimo, per particolar mia inclinatione e per rispetto ancora del S. or Ciain- poli (,, t di cui mostra d’esser amico, come son io, più che ordinario. Con qual line prego a V.S. felicità vera. Di Milano, a 21 di Maggio 1G13. 10 Di V.S. Come fratello Aff. m0 S. r Galileo Galilei. F. Car. Borromeo. Fuori: All’111. ro Sig. ra 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 880 **. FILIPPO CALIPPI a GALILEO in Firenzo. Pisa, 22 maggio 1C13. Blbl. Naz. Flr. Mss. Ozi., P. I, T. VII, car. 89. — Autografa la firma. Molto 111.° et Ecc. S. r mio, Vedo, per la gratissima sua de’ 18 stante, come haveva inteso de p. 500 che lrnvevo liavute da questa doghana, che sta bene; e non mi si sondo fino a bora ,l) Cfr. Voi. V, pag. ISO. Cfr. li.» S60, lin. 9-10. U’J J4 MAGGIO Ibi3. 51 2 L880-881] porto occasione di potargliene mandare, ho preso risulutione di furilo stasera con il presente procaccio in un groppo sognato G. G. y che se lo potrà far consegnare con paglmrlli .! jorto « he se bene ci bari questa por., di spesa, « «,-ni mo ,| 0 m >- parso eoa) il meglio per maggior tuo benefitio, massime ancora ohe a volere tro¬ var lettere por costi, d «fatta di : 2 per cento di danno B nel resto se son buono a servir)la in altro mi romandi, dm le h le m e le pragho da N. S. ogni contento Di Pisa, il «Il 11 Mag.* Itil3. Di V. S. molto HI* et Hoc S. Al procaccio pagherà V. S. gitili dua del cento delle piastre. g • Filippo CalippL Fuori : Al molto Uh* et Ecc .*• 8. mio Us» 11 S. r (ialileo Galilei. Fi reiute 881 " GIOVANNI BARDI « (GALILEO in Firsniel. Hoias, 24 magalo 1611. Blbl.ITas.Flr. Mia. «lai., P. VI, T IX. ru *2 A*fefrafo. Molto lll. r# et Kccell.** Sig." Presi il libro delle macchie, e ne ho letto la maggior parto con mio gran¬ dissimo gusto. |>oiciiè veggho eli. molti ostinati, leggendolo, bisognerà che abbas¬ sino tanto orgoglio che hanno, col «lire : In ino a bora non ci A stato nessuno che habhi contradotto a una «ententia comune di tutti i philosophi. \isitui il Padre Itami» rger da parte di V'. S., et insieme lo salutai in nome suo, il quair rende :t \ S. dupli ah diluii Io li domandai quello che gli pareva di questo libro, che KiA 1 •ii bavera vit« . #• mi disse molto bene, e che in mol¬ ti- ime oo»e, tanto «li quoto come di qu. Il* altro delle cose che stanno sull’acqua, • ra da quella «li V.8. Degli* altri non bo sentito molto ragionare; dico di per-io son» intelaienti, come mastri e -innli, p< j hA d'altri, come di alcuni scolari con « In io ne ho ragionato, non m- t» ngho conto, jierchA dicono i maggior farfalloni « he t»i po-Hu -entire i -i credano (come io gli'bo detto), con un mezz’anno di tiloaopbia, p r bavere solamente -> ntito eh» »'• una cosa stravagante, voler dar contro a dii ri ha ud.tto -u queste cose. Kt io credo che questa cosa habbi a terminare come le Steli» o Pianeti Medicei, i quali in su del principio ognuno se ne burlava e gridava che era impossibile, bora nessun no dubita. 1 Ar :,uUi all'intima» tot* Ai u . n*i fi .rat 26, 27, 26, 89 mtfjio 1613, come si er¬ utto, q «..tiro eoaSctwk». U1U a*.,,»!. '•unto «I «a*-, dall» «Ut» dalla prosouU. 1*1 - 25 MAGGIO 1013. 513 [ 881 - 882 ] Quanto allo speculo, V. S. ha molto ragione, perché fu mia mera strascura- tagginc; e per questa volta V. S. mi scusi, cliè non ci incorrerò più di sicuro. 20 Del resto io pregilo V.S. a conservarmi in sua memoria, e resterò con pregarli da N. S. queste feste dello Spirito Santo felicissime, pregandola insieme a salu¬ tare il Sig. r Alessandro , di cui egli, per non haver la lettera adosso, non ha sa¬ puto dirmi il cognome. Altre lettere, oltre di queste, io non ho ricevuto dalla mano di V. S., et pure io mi maravigliava che ella non rispondesse all’aviso che io le diedi di essermi pretato ot di esser passato per costà t8) : sì che resto defrau¬ dato troppo malamente in proposito delle macchie solari, se ben però con spe¬ ranza che V. S. sia per rifarmi dell danno, come io ne la prego instantemente. Et insieme la prego a considerar, se fosse meglio a mandar le mie lettere per lo Lett. 882. 8. io non ricevuto — 0) GlROI.AMO MAGAGNATI. < 5 ' La lettera contenente questo avviso non è ora nella raccolta (lei Manoscritti Galileiani. Cfr. n°. 886. . 111 Ai.kssakdro Skrtini. 1,1 Frokrico Cesi, che però non avora paranco il ti telo di Duca. ,s ’ Gaktano Garzoni. 25 - 30 MAOGIO 1613. 514 [882-883] cornerò, et non per ter** mano, poiché le mie, che pur le tengono semplicemente a quel eh’ io mi avvedo, non fallarono. Li di pa-ati, quando io ero sul Mio di havor ripigliato alle mani 1* instru¬ mento ' , la fortuna rabbiosi*ùmn mi ha levato di vita un fratello, da me unica¬ mente amato, con morte improvisa. troppo aceri* et crudele, di una febbre pe¬ stilenziale, che in 24 bore gli ha tolto il |k>Ko, et in tre giorni l'ha messo in -•pultura. di atà di 9 i anni, et d» » on. ala et robustissima, et di 20 ingegno |nii, ohe i". «elien fratello, non mi urr«. im o di dire elio non nascono al mondo coti per l’ordinario. Kt, i *r Dio Signore, ch'io mi sento cosi arrabbiato Infili alla intima ridice del cuore, ch’io non so se io mi sia vivo, o pure quel oh’ io mi sia ; nè so darmi a credere di dar altro luoco alla prudenza, che di lasciarmi tirar violentemente alla ne< «• otA, aspettando con ansia solo il tempo, che ammolisoa in parte P appressa del dolore, intanto privo di ogni speranza di poter e-sor compensato della perdita. Kt per soprainercato mi soprasta borala cura famigliare, la quale, ben non molto grave, alle mie spalle nondimeno, clic non ne sono avesse, è [per) riuscire, hi può dir, incomportabile. Quella compagnone ch’io credo che V. S. me ne babbi, la supplico a far si so die, emendo stimolata per conto dell’ iatrumentn, mi da havuta anco da co- tcctc Aliaci Sor.** in modo che io neoonsaguiaca dilaziono non dirò ili mesi, ma di settimane; eh*' io, già che mi è levato il modo di mandar l’instrumento in quella ultima perfezione che desideravo, non resterò di mandarlo in quel mi¬ glior modo che io potrò, et quanto prima Intanto ino le ricordo affettuosissimo servitore, et le bacio riverente la mano. Treviso, la vigilia delle Pentecoste, 25 Maggio 1613. Di V. S. molto 111.* et Ec.“* Ser. Oblig." 0 Paolo Aproino. Fuori: Al molto III.** et Bcc.** Sig. r , mio Sig. r * et P.rone Col. 100 il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 883. FEDERICO CESI a 0 ALI LEO in Firenze. Monticelli, 30 maggio 1613. Blbl. Nm, Fir. Um. 0*1, P. VI, T. IX. c*r M«. • W*. - Aotocmfa. Molt’ IH.™ e molto Kcc. u Sig. r mio Osa. 1 * 0 Mi dole continuamente la sua indisposizione; mi piace però ch'ella, co buoni medicamenti e cure, sia intorno a discacciarla : nò a’ afiatighi punto noi scrivere, "* Cfr. a.» 886. i» Cfr. u.* 836. 30 MAGGIO 1613. 515 [8831 sebene io con lo mie glie ne do materia, poiché niente più desidero che la sua sanità. Quello ohe scrissi, mi parso bene svisarlo a V.S., poiché sebene le raggioni con ogni efficacia qui s’espongono, puro l’arbitrio, mosso dalla passione propria, assai più di quello istesse appresso tali sole usarsi evalore; onde stimai neces¬ saria, nel mezzo d’invidia si maligna o noi’ eversione di fondamenti Aristotelici, io elio tanto hoggidì sono in pregio, cautela particolare. Ho ricouta la scatola delle pietro lucifere, o ne ringrazio V. S. con ogni af¬ fetto eli’ invero m* ò stata carissima, o presto no goderò lo spettacolo, chò sin bora non mi lece per l’instabile assenza da Roma. Ilo liauto sodisfattiono particolarissima de’ soggetti che propone ; c quanto al S. r Ridalli (0 , m’assicuro che ciascuno sia per concorrere, et liavernecontento. Quanto al’ altrocrederei che seguisso l’istesso con applauso, cagionandolo la relationc clic V. S. ne dà ; ma il vincolo grande col quale egli già si trova in perpetuo alligato 01 , gl’impedisce 1’eguali e communi funtioni della Compagnia ondo ci potrà favorire col’essere ascritto nel catalogo de’ più cari e stimati amici 20 di quella, come avverrà di faro d’alcuni altri personaggi simili, di molta qualità. Quanto alli titoli filosofici, si propongono solo per usarsi nelli scambievoli of- fìtii e negotii (lolla Compagnia, e muove solo l’occasione d’haver per essa a trattar con persone molto diverse c non conosciuto a pieno o praticate, e ben spesso scru- pulosc in simil materie, e qualche principe, per essempio, che non haverà la cor¬ tesia congionta con lo lettere, c vorrà ricever molto e dar poco ; e non tutti i letterati haveranno veramente filosofica schiettezza. Però parrebbe necessario, alli disgusti che per occasione sì frivola per l’avenire, crescendo la Compagnia di numero, potrebbero nascere, opporre nel principio un simile antidoto. Mi 6arà carissimo, V. S. vi pensi un poco meco, et anco se potesse haversi miglior voce so e più propria e dolce che quella di Chiarezza 0 ', che corrispondesse però a studii, e potesse piac.e[re] e darsi e riceversi indifferentemente a signori e nobili e filosofi privati. Altro por hora non m’ occorre. Prego il Signor Dio, le conceda la sanità et ogni contento, e bacio a V. S. con ogni affetto di core le mani. Di Monticelli, li 30 di Maggio 1613. Di V. S. molt’lll. r ® e molto Eco. 10 Dubbiamo dal principio pensato che li religiosi astretti a clausura, per l’impedimenti della regola, non potevano esser de’ nostri, e credo no discorsi 10 in Roma con V. S. Voleva il P. Tomaso Carafa, n ' Cosmo Rinoi.n. ° J). Uk.nkdktto C 18 TKU. 1 . Cfr. u.® 87S. (•11 Cioè (fossore «scritto ad uu ordine religioso. (M Cfr. n.° 874, lin. tifi. 30 MAGGIO 1613. [ 883 - 881 ] 510 personaggio di molto lettore e spirito, fratello del Mar.* 8 d’Anzi, esser do’nostri; e fu risposto al Porta, che non era possibile per il detto impedi¬ mento. 11 Terentio pure, quando si fece Gesuita 4 ", il giorno avanti riportò il simbolo. Presto potrò mandare a V. S. un stazzo, che ho fatto, della norma 1,1 da osservarsi, ovo nelle bore (se n’haverà) disoccupate potrà considerare il tutto, r questo particolare ancora; e mi dirà in tutto il suo parere, al quale io sempre mi riferirò. M A(T. m8 per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. fluori, ìt altra nu imo: Al molto 111.” et molto Eoe.* 8 S. 8r mio 088, mo 11 i$. or Galileo Galilei. Fiorenza. 884 **. MARCO WELTER a GALILEO in Firenze. Aufnsta, 30 maffio IRIS. Bibl. lfa*. Fir. Mh Osi-, P. Ili, T. X, ear. 87. — Autocrata. Molto 111.* et Ecc. mo S. or mio Oss.** Non settimane, ma me i >ono passati elio mi scrissero da Roma di mandarmi, colle bagaglio di Mons. er Illustri**. 8 di Uainberga, le repliche stampato di V. S. so¬ pra le macchie solari ; ina sin bora non mi ò capitato nulla, o perchò le casse di Monsignore non si aprano sino al suo arrivo, o por qual si voglia altra causa: onde la cortesia di V. S. fu molto tempestiva, et le ne rendo sommo grazie. Ad A pelle mandarò V una copia, so bene egli durarà fatica a potersene servire per la causa scritta altra volta ', l’altra terrò per « baro pegno delTamicitiadi V.S., et leggerò la terza sua lettera con molta diligenza, come ho fatto delle due primo tempo fa. Sin bora non mi £ stato pur possibile di guardarla, havendo liavuto io l’opera solo lucri, et trovandomi occupato et travagliato molto dalle occupati Olii et dal mio male. Troppo volontieri servirei V. S. di que’ vetri et d’ogni altra cosa che da lei mi venga commandata; ma assicurisi che in Augusta non si fanno vetri di sorto •*» Cfr. ii.* 612. Ciocie cosiddette Fratto ripliomt* lontra. Fu. rono pubblicato dal Fa»m nei 16*4. col titolo: ttriptiunn Lynetat Aoadtmiat, curante F.ano Ijik, o Bauborgtaai, ecc. Intont»nae, iu Th.«maa Uaarrtrii M. DC.XXIV. «•' Cfr. n.-Sili. «** Ofr. n.« 778. 30 MAGGIO - 1° GIUGNO 1613. 517 [884-885] alcuna. Potrebbe esser elio mercatanti Augustani mandassero siimi vetri, fabri- cati o in Baviera o in Boemia, lavorandosi vetri in più luoclii di queste pro¬ vince, et che d’indi nasca P equivocatone de’ vetri Augustani. Con che baccio la mano a V. S., et le prego intiera salute. Di Aug. a a’ 30 di Maggio 1613. 20 Di V.S. molto III.® et Ecc. ma Servit." Marco Velseri. Fuori: Al molto 111." et Ecc. mo S. or mio [Oss.]™ 8 Il ì$. or Galileo Galilei. Firenze. 885 **. PAOLO APROINO a GALILEO in Firenze. Treviso, 1* giugno 1613. Bibl. Kius. Jir. Mu. On!.. P. VI, T. IX, car. 66-57. — Autografa. Molto 111.** et Ec. mo Sig. r , mio F.rone Oss. mo Ho ricevuto pur al fine la penultima lettera di V. S. con le considerazioni so¬ pra le macchie solari, da lei inviatemi li 16 di Aprile, che dopo un mese e mezo mi è stata mandata per un contadino il martedì passato delle Pentecoste da uno 1). Tomaso di S. Georgio Maggior di Venezia, rettor qui fuori 8 miglia in una loro corte, detta Monestier. Mi sono riuscite sopra modo carissime, non solo perchè vengono da lei et sono quel che sono (eh’ io di loro non mi saprei altro che dirne più magnifica¬ mente), ma perchè mi sono venute aspettato di quache tempo, et poi per me io opportunissime, poiché, con P ampiezza de’ concetti che portano seco, sono forse per allargarmi un poco il cuore dal troppo dolor che mi opprime tutta via 11 '. No la ringrazio donque quanto so et posso infinitamente, et dopo haverle in questi dua dì, si può dir, divorate tutte, me le anderò ino* godendo con lautezza esqui- sita a parte a parto. Del Sig. r Danielle io no ho da esser altresì geloso et dubbioso come V. S., poi che, liavendolo sollecitato più di due volte, non ne ho potuto cavar una let¬ tera; pur dimani, che passa l’ordinario per Friuli, voglio ritentarlo di novo. Mi do a credere che ce ’l tenghino alienato le brigho vecchie di casa sua; oltre che in quella città ci sono anche altri garbugli, per li quali P ambasceria di suo fra- 20 tello (5) non credo che si sia per ancora effettuata. <*> Alfonso Antonini. Cfr. n.0 882, Un. 17 o s«g. <*> Daniklui Antonini. i 1 G1L0N0 1613. 516 [885] In quanto i>oi allo strumento auditorio, io sono pure por applicarvi l’animo anzi, per meglio diro, la mano; poi cho sebene mi si Httravorsano por la fan¬ tasia varii disegni di poter migliorare, perché nondimeno ricercano nuovi espe¬ rimenti, non ci voglio attendere più che tanto, jter non allungar il tempo. Ma V.S vegga che lo cose da h i portate le Mettono ria ir di tinto splendor.', clic di questa senza altro non ne resterà a pieno -odisfatto. Basta che quanto si è detto si osserverà: di mostrare che il suono, pigliato con instrumento artificioso, riesce all’orecchia 1 volto maggiore che entito naturalmente; et in ciò, che è quello ch’io le scrissi, non solo non si lascierà occasione di dubitare a gli huomeni sen¬ sati, ma se glie ne porgerà d‘ a vantaggio du poter filosofar meglio intorno alla 80 natura del suono, di quello che fin bora si ò fatto. È ben vero mo 1 che in questa materia non ci saranno quelle apparenti diiiiosiratiom, che convincono a prima fiwoift anco ohi vuole star fr i '1 confino doli* ignorante o 1* ostinato. Io le so dir questo, che stando fuori in villa l miglia lontano, ho udito et riconosciuto il suono delle cambine della città, benché mediocri; dove senza V instrumento, a pena d’inverno si sente un poco di non so che di una o duo delle maggiori, non che si possine» sentir «» riconoscer le altro. Kt nel particolare delle musiche pare a me che ci sia del gentile a--ai, poi che dando lontani si odono lo parti in perfetta mistione di consonanza, et tuttavia lo stromento fa sentir vivide le voci, come so fossero vicina: chè, come V.S. haverà osservato, la lontananza de- to bilita ben le voci, ma cresce la soavità del consonare. Come tutte le altre có'sè, cosi questo instrumento ha la sua tara, che ò un j»oco di Imccinamento; onde ne nasce che le parole, nello piccar l'irtiflolttioM, per ohe non si avantaggino tanto, che seguitino in ciò la proporzione della crescita che fanno nell’essenza del suono. Pure, perchè tal accidente non > guit.i alia propria formalità dello stru¬ mento, come non seguita propriamente .il vetro lenticulare il far torbido, io spe¬ rerei che si potaste levare, tentando varii esperimenti con quella patienza et esquisitezza clic ricerca ressero di queste cose, che consistono in minimi*naturile. Sia come si voglia, se uno ragionerà tanto lontano ch’io ne perda la metà dello parole, con l’instrumento non è per passarmene una ch’io non l’intendi. Sa però V.S. M che gran parte ch'ile persone fa concetto in simil cose, chi* siano per far riuscire tutto quello che si imagi nano impertinentemente ; come fu uno che pareva che volesse defraudar di lode il suo divino perspicillo, perché non lo fece vedere di¬ stintamente et a suo modo un oggetto situato in pochissima luce, come egli si dava a credere che dovesse fare. Kt però stimo che sia bene andar parchi nel dar occasione di far entrar in testa degli huomeni simili concetti, acciò che in latti quanto più si può si corrispondi poi all’altrui imaginazioni. Et lacci pur sempre un protesto più che generale, che non intende di far sentir con l’orecchio le armonie de’ cieli, come ha fatto veder le altre loro condizione con gli occhi. Xj6U. 888. 28. oÀe Nalili — 89. lo Hromtnlo far ttnhr — 41. ente* il *i novità — 519 [885-887] 1* - 7 GIUGNO 1613. co È ben vero che, per star su le impertinentie, una sotil tavoletta non ad inetto l’aiuto ilei perspicillo, dove che questo auditorio potrebbe forse anco passar le muraglie. Con che, stando pure su i miracoli, fin di qua io le bacio affettuosa¬ mente la mano, et me le ricordo quel devoto servitore che sono obligato di es¬ serle per sempre. Treviso, il pr.° di Giugno 1013. Di V. S. molto Ill. ro et Eo. m * Ilavrei caro di saper so in coteste Corti si ri¬ trova un Sig. r Georgio Muschietti. Però io non in¬ tendo di incominoliar per ciò punto V. S. 70 Ser. r Oblig. m ® Paolo Aproino. Fuori: Al molto Ill. r ® et Kcc. m0 Sig.™, mio Sig.™ et P.rone Col."» 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 880 . VINCENZIO DI GRAZIA a CARLO DE’MEDICI [in Firenze]. Firenze, 2 giugno ISIS, Cfr. Voi. IV, pug. 376. 887 **. LORENZO PIGNORI A a [GALILEO in Firenze]. Padova, 7 giugno 1613. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 93. — Autografa. Molt’ lll. ro et Ecc. ,no S. r mio Oss. mo Se V. S. resta d’ accusarmi la ricevuta ile’ semi delle zatte (0 per timore eli’ io ne pretenda gran cosa, ecco ch’io le faccio solenne quittanza di non volerne altro che la sua buona gratia. Questa mi saril il maggiore contracambio eli’ io ne possa ricevere, co ’l sapere appresso a suo tempo che i semi habbiano fatto buona riuscita. Saranno quindici giorni che compari qui un foglio stampato in Lucca que¬ st’ anno, sotto nome di Farri da Pozzolatico, podcraio in Pian di Giullari ina fu subito suppresso, per diligenza di chi stimò d’ haverci interesse, flora io lo <’> Cfr. nn.i Sòl, 869. <»> Cfr. n.° 399. 620 7 — 8 GIUGNO 1613. [ 887 * 888 ] lessi, ma ini fu subito lavato di mano, sì che ne sono rimaso senza. So è cosa che io costi si possa bavere, io prego Y.S. a buscarmene una meza dozina, che non sarà dispensata se non a persone di gusto, secondo V intentione dell’ autore, che non può non essere Fiorentino, et galani’ huomo. Se la riuscita si confarà co ’l desiderio, V. S. mi farà gratia mi inviare l’invoglio per qualche amico o per via di mercanti, chè nd ogni modo, venga tardi quanto ni voglia, sarà sempre il ben veduto. S’olla poi vorrà o nomi od altro in concambio, se le darà carta bianca Bopra 1* obligo che sarà riconosciuto o stimato eguale alla gratin. Bacio le mani a V.S. con tutto ’1 cuore, a nome del S. r baudelli ancora, et le prego dal Si¬ gnore ogni contento. Di Pad.*, il di 7 Giugno 1613. 20 Di Y.S. moli’I1I. N et Ecc."* Ser.* Aff. n,ft Lorenzo Piglioria. 888 . GIO. BATTISTA AGUCCHI a GALILEO m PireiiM. Koma, S giugno 1618. Blbi. If a*. FIr. Mu. Chi, P. VI, T. IX, car. W, - Autografa. Molto Ill. r * et Ecc.*° Sig. r mio Osa."'® Non così tosto il Sig. r Principe Cesi mi favori del libro delle macchie solari, che con grandissima avidità il lessi ; e nelle due prime lettere, eh’ io vidi ma¬ noscritte dell'anno passato, bench’io Phabbia lette al presente più attentamente (perché non ho havuto il male che mi molestava all’hora), non ho ritrovata cosa eh’ io non havessi prima considerata, nò clic mi habbia mosso alcun nuovo dub¬ bio, ma più tosto qualcheduno, che già mi venne in mente, bora si è del tutto dileguato, mercè delle sode et efficaci prunve che V. S. va recando per dimostra¬ rne nto delle sue propositioni, le quali, risotto all’ apparenze che noi vegliamo, io stimo tutte vero e sicure: e così panni che sieno da altri, senza paragone piò 10 di me intendenti, stimate. E benché io sappia che non mancano de’ contradit- tori, parto per la novità quasi incredibile della cosa, parte per invidia 0 per osti- natione di haver già cominciato a contradire, nondimeno io son certissimo clic 1 comune consentimento del mondo continuerà eoi tempo le cose detto da V. S., perché havuta che si sarà P intera notitia del fatto, immutabile per quanto 10 stimo, le conseguenze necessarie eh’ ella ne trae, saranno ancora senza dubbio approvate. Mi son ancora allegrato di haverci trovate espresse alcune delle considera- tioni, che, nell’osservare dell’anno passato le macchie, io vi haveva fatto intorno. [888-889] 8 GIUGNO 1613. 521 20 Ma niente io bavera prima considerato, che ne’ suoi dottissimi discorsi io non habbia veduto. Dalla terza lettera poi, eh’ io non haveva più letta, ho preso grandissimo piacere; nella (piale V. S. rifiuta in guisa le false opinioni del falso Apelle, clic non so se sieno in lui più falsi o il nome o la dottrina: ma spero ch’egli si ac¬ corgerà di haver fatto saviamente a scrivere sotto finto nome. Nel rimanente, nella stessa lettera si accennano altre cose maraviglioso, che, non dirò io, ma il mondo tutto sta attendendo che da V. 53. sieno un giorno manifestate. Fra questo mentre aspetteremo, poiché più da vicino ella ne dà. speranza, la teorica delle Stelle Me¬ diche, le positure delle quali ho riguardato più volte, e secondo le note di V. S. (,) so mi sono riuscite assai giuste. La lettera sua cortesissima delli 20 d’Aprile mi ò giunta alle mani assai tardi, trattenutasi non so dove; alla quale nò io manco ho risposto subitamente, perchè ho voluto prima intendere i pareri di alcuni amici, da poi che il libro delle macchie ò stato stampato ; et havemlolo trovato del tutto concorde et a quello di V. S. et al mio proprio, n’ ho sentito contento. Hora io rendo alla bontà sua singolari gratin do’ favori eh’ ella mi va del continuo facendo, et non porto nell’ animo maggiore ramarico che di non poterla servire ; ma in ogni modo con l’affetto e con la voce io la servo dove posso. Et affettuosissimamente lo bacio le mani, e prego Iddio per la sua continua felicità. <0 Di Roma, li 8 di Giugno 1613. Di V. 53. molto Ill. p# et Ecc. m& Aff." 10 Ser. r0 S. r Galilei. G. B. Agucchi. Fuori, d'altra mano: Al molto IU. ro et Ecc. mo Sig. r mio Oss." 10 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 889 *. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 8 giugno 1613. Bibl. Est. in Modena. K&ccolta Campori. Autografi, B.» LXXXYIII, n.® 48. — Autografa. Molto Illustre S. r Ecc. ,uo Pagai al Bacci £60, conforme all’ordine havuto da V. S. Ecc. mn con le sue d’Aprile, capitatemi solo già X giorni. Pare che esso Bacci pretendi per la qua- Cfr. Voi. V, pag. f 24 1-245. XI. aa 8—13 (IIUO.NO 1613 52*2 litil de* vetri haverle fatto gran vantaggio, ma all’ incontro mostra anco timore die ella non ratti guatata, intorniami.. i'«.i da alcuna parte che de’vetri doci- nali fa agli altri alcuna volta miglior mercato. Io 1* ho eccitato a far avantag¬ gio a V. 8. Ecc.»», I bai tuttavia a dargli, come ella mi scrive, honesta Hodisfatticme. Egli ti affatica Si ti MOÌ grandi, ma fin bora non ne ho ve¬ duto alcuno di fornito ; et credo che egli habbia a durare fatica ad agiongere alla bontà d’un mio di tre braccia e mwo a misura venetiana lt \ fatto da un io mio artefice 0 di manco nome del liacci : et so no potrò bavere un altro, mi obbligo a mandarglielo a baratto di un fiasco di vin rosso di sopra 05 . Infinitamente mi è doluto intendere che sia rissentita •*', et che questo le oc¬ corri si spesso, come vedo continuamente dalle sue. In gratia, si governi et por interesse proprio et per gli amici. Non si ò fatta elettione di mathematioo, et essendo mio padre Riformatore, la prego armarmi di qualche buon soggetto. Et per fine le baccio la mano. In gratia, mi avisi se ricavò mai 1* ultima mapa, et come sia riuscita al 8/ Salviati. In Veneti*, a 8 Giugno 1613. 20 Di Y. 8. Ecc.^ Tutto suo G. F. Sagredo, in fretta. Fuori: Al molto Illustre S. r Eoe."* Il 8, r Galileo Galilei. F iremo. 890 * GlOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Fixense. Venni», 13 giugno 1613. Blbl. Hat. In Modena. Ittico! U Campo ri. Aetegrai, B.» IX X XVIII, a.» 49. — Autografi». Illustre S. f Kcc.“* Sono più giorni che io non vedo sue lettere, et pure sto con avidità incre¬ dibile di intendere la sua ricuperata sanità, essendo anco desideroso della rispo¬ sta delle mie et principalmente dell* ultime, nelle quali 1’ ho pregata mandarmi 1’equatione di quelle hore che scrissi nell'incluso foglio . La supplico, in uno Probabilmente Intende il br*. io Cfr. n.« 863, Un. 0-8. Fiorenza. m 15 GIUGNO 1613. 1892-893] 892*. ANDREA MOROSI NI a GALILEO in Firenie. Venezia, 15 riugno 1613. Blbl. Vet. In Morena. Htr>-olU i'»mj r». Aut |i*i. B.» l.WXI, n.« K»ò. Autografa I» »otto*criiione. Illustre et Kcc.""° Sig. r ()**.'*'* Ritrovandomi li giorni jlassati in Padova, mi fu dal Cl. wo Sig. r Gio. France¬ sco Sagredo inviato, per nome ili V. S. Ill. r * et Kcc. m -» 1 il libro da lei posto in luce dello macchie solari, riuscitomi oltre modo caro, non meno per la curiosità et novità delle materie in et^o contenute, nelle quali V.S. con occhio linceo ha superato la vi ta dell’aquila, che per \eder conservarsi da lei la memoria mia. Dell’ uno et Y altro vengo a ringratiurln affettuosissiraamente, et offerirle in ogni occasione tutto ciò che può dipendere da me in suo servitio. Et pre¬ gandole da Dio il colmo di ogni prosperità, me lo racconimando. Di Venetia, alli 15 di Giugno 1613. io Di V. S. III." et Kcc."« Aff. mo S. r Andrea Morosini. Fuori: AH’111." et Ecc. m * Sig. r Gas."*® Il Sig. r Galileo Galilei. F’irenze. 893**. | GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Veneti*, 15 gingno 1613. Blbl. Nat. Plr. Hm. Dal., T. VI. 1 IT. f*r. 60 «I. iutr»*raf* All» leltcra facciamo seguire la risposti» che Oalilio diede al qoeaitu fallo*Il dal mob**o, « che ai (effe, auto*rafa, a (trgo della preposta (car. 60/.). Molto 111." S. r Ecc." 0 Per sodisfare alla curiosità et incredulità, per non dire incapacità, di alcuni gentil* huomeni di grande riputatione, sono astretto mandare la oltrascrittA nota a \. S. Ecc. ra *, acciò resti servita quanto prima mandarmi la equatione M) della oltrascritta bora nelli meridiani che la vedrà ; perchè sehene con ragione 1,1 Cfr. n.« 826, In GIUGNO 1613. 525 [8031 potriano restar persuasi del vero, nondimeno pare elio non voglino restar quieti se non alla sua auttorità. Et le bacio affettuosamente la mano. In V. a a 15 Giugno 1613. Di V. S. Kcc. ma Ser.re Afl><* io S. r Galilei. Gio. Fran. Sagredo. Meriti inn supposti giusti 135 150 . [fora del nascimento di Acabar, Gran Mogor, da uguagliarsi a tutti li infrascritti meridiani. Malacca.a di 18 Luglio 1581 ... . //. ni. />. r 15 Burneo. . detto. 7 165 Mindanao . . detto. 8 15 15 180 Isola di Bonsogni. . detto. . . « 195 Isabella. . detto. . . 10 15 210 S. Nicolò. . detto.. . . 11 15 225 Isola Infortunata. . detto. 19. 15 20 2 40 Anubbada. . detto. . . 13 15 255 S. Giacomo. . detto. . . 14 15 270 Soconisco. . detto. . . 15 15 285 Isola d’Arena. . detto.. . . 16 15 300 Panama. . detto. . . 17 15 315 S. Dominico. . detto. . . 18 15 330 Capo Bianco . . detto. . . 19 15 345 S. Salvator. . dotto. . . 20 15 360 Modera. . detto. . . 21 15 15 Lisbona. . detto. . . 22 15 80 30 Savona . . detto. . . 23 15 45 Corfù. . detto. . . 0 15 60 Rodi. . detto .. . . 1 15 75 Anna. . detto. . . 2 15 90 Aspaan. . detto. . . 3 15 105 Diù. . detto. . . 4 15 120 Bengala. . detto. . . 5 15 Fuori: Al molto 111.*" S. r Oss. m# L' Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. 40 Quel momento di tempo che in Malacca fu il termine dell’bora 6.15' dopo il suo mezo dì, fu in Burneo (cioè 15 gradi più verso levante) il Lett, 893, 12. uyugl inrii — I 526 15 — 18 011X2 NO 1613. [*93-894] termine dell’ bora 7. 15' dopo il >uo mezo dì; tal che chi volesse usare efemeridi calcolate! in Burneo,i)or notar la coatituzion celeste nel detto momento, dovrebbe a i luoghi delle atollo segnati in detto efemeridi aggiugnore il moto di ciascheduna rispondente a 7 boro e 15', essendo in tali efemeridi scritti i luoghi di esae stollo nel punto giusto del mezzo dì nel meridiano di Burneo. Ma servendosi di efemeridi ag¬ giustato in un meridiano ancora più orientale altri gradi 15 (qual sarebbe quello di Mindanao), bisognerebbe a i luoghi notati in esse aggiugnere il moto di bore 8. 15 , et sir de reliquia; 8Ìn che in Corfùso tal punto onderebbe nell’ intenso mezo dì del giorno 14 di Luglio, et in Rodi sarebbe stato il di detto 14 di Luglio, 1 bora dopo mezodì. « 01 *. 010. ANTONIO MAGI NI a (GALILEO in Fironw]. Bologna, 18 giugno 1618. Bibl. Naa. Flr. Mm. Gai.. P. !. T. VII, ear. 06-97. - Autofrafa. Molto IH.” et Ece. mo S.®' mio Oss."® Solamente hoggi ho ricevuta la grati ùma sua delti 8, meravigliandomi della tardità in arrivarmi. Pur troppo è vero che quel giovane che gli comparve è mio nipote; ma non meritava egli d'eoaor aiutato du lei, perchè s’ò portato tanto male meco, che non ho occasione di farne più un conto al mondo. Non so che dirle in poche parole, se non eh’ egli è stato il contrapeso ili tutte le mie felicità, non havendo mai cessato di travagliarmi et danneggiarmi in tutte le maniero; et per lui non mi ritrovo haver latto fondamento reale in Bologna per sostentamento della mia figliolanza, perchè sempre m’ha convenuto sovenirlo et anco ripararlo da qualche gran sciagura, pagandogli debiti fatti in mille mali modi. Finalmente io poi, havendo giocato ciò ch’egli havera, et indebitatosi gravemente et fatte del* 1* altre sconvenevolezze, ha bisognato che si levi di Bologna, se non voleva ca¬ pitare in una galera per il manco, havendomi necessitato di ricorrere dall’Ill. 1 " 0 S. or Cardinale Legato ! per riparare a certe furberie fattomi, perchè, non con¬ tento d’havermi cavati molti denari di mano et fatte per me pagare alcune po¬ lizze duplicate, ni’ ha rubbato sin dei libri dello studio et alcuni strumenti, sì che io gli ho poi voluti da chi li havera comprati senza rimborsare loro cosa alcuua, eli’è stato poi il rimedio di farmelo levare da torno: et s’io sapevo ch’egli 8 inoaminasse a Firenze, scrivevo et a lei et ad altri, acciò che comparendo¬ ci M*rno Barbi rim. 18 — 22 GIUGNO 1613. 527 [ 894 - 895 ] 20 gli davanti, se lo scacciassero, sì come ho fatto a Padova et Venetia, ove credevo che si dovesse inviare. Mi scrive egli una lettera di Montepiano delti 8 di que¬ sto, dove diceva d’esser con la soldatesca deirEcc. mo S. ro Don Francesco 10 , eh’a punto le mando a vedere; et, perdonimi Dio, desiderarci che, se ò vero ch’egli ci sia, che gli toccasse d’andare nelle prime et più pericolose fattioni, acciò che si levi dal mondo questo ribaldo, con tutto eh’ io herediti da lui tre figliuolini, et che non cessino per me i travagli : se però non ci è pericolo che, morendo, egli mi possa più travagliare, oliò por un pezzo temerò sempre ch’egli mi comparisca davanti in ombra; tanto abhorisco la sua memoria, per tanta ingratitudine et indiscretione usata verso me, mostrando anco impiotò verso i suoi figliuolini. so Facciami grati a di rimandarmi poi questa lettera, eh’io devo conservare per ogni occasione: et rendendolo gratie di quanto ha fatto per amor mio, senza mia saputa et consenso, le bacio le mani, et me le offcrro prontissimo in ogni sua occasione. Di Bologna, li 18 Giugno 1613. Di V. S. molto 111 « ot Ecc“ tt Ser. ra Aff. mo G. Ant.° Magi ni. 895 . GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO in Firenze. Venezia, 83 giugno 1613. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 98. - Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. mo S.™ S. r mio Oss. mo È antichissima legge dell’ amicizia, elio a chi bisogna comandi ; nò il titolo di amico si disconviene al padron che si ama di cuore, coni’ io fo V. S. Perciò la prego a pigliar lingua, se costò io potessi haver un poco di cremese canuto, che fusse di onnipotente perfezzione, eh è quando non fnsse tale non mi servirebbe, poi che qui di commune qualità se ne trova, et avisarmi anco il prezzo, perchè rimetterci i danari, per darle la seconda briga Io nel solito casino sopra Canal Grande me la passo allegramente col S. r 'I raian Boccalino, dignissimo amostante di Parnaso, il quale mi favorisce di cotidiana io comensalitò ; e spesso spesso facciamo de’brindes per la salute di V. S., che, so vorrà dire il vero, da qualche tempo in qua ne deve sentire gran giovamento, perchè li facciamo di cuore. Fra le spine de’ negozii nel poggio del mio capriccio fiorisce sempre qualche erba da fieno, che però n’ ho veduto alcuna volta de’ mazzetti in mano a di gran •'> I’hancksco de’ Medici. 22 - 29 GIUGNO 1613. 52« 22 - 29 giugno 1613. [* 95 - 896 ] personaggi, che se ne compiacevano, non perchè ave-ero odore o virtù, ma per la biiaria de’ colori e j»er la forma capricciosa ; et ora sto scrivendo in verso piaomle la vita di Romolo . nella quale pretendo d’aver trovato modo di scri¬ ver burlesco, che anco li ( apuaini posano senza s< rupulo tenerne le compo¬ sizioni appresso il breviario, e leggendole rider aompro. L’ho distinta in due ca¬ pitoli, e n'ho lini tu il primo, che comincia: 20 Komulo fu figliuolo di sua madre, Perchè »’usavi» sino al tempo antico Aver la madre certa, incerto il padre. Continuo il secondo per Sbrigarmene presto presto; e ne do conto a V.S., perchè, so che ai compiace di si fatti chiribixzi, et ama ch’io non iati» in ozio. Lasciando le baie, aspetto subito aviso del creuieae, et affettuosamente le bacio le mani. Di Yin.*, a 22 di Giugno 1613. Di V'. S. molto 111." et Eoc. M Aff. roo Ser." Gir.* 0 Magagnati. Fuori : Al moli’ III." et Ecc. wo S.", S. r mio Oas."° 11 S. p Galileo Galilei. Firenze. 896 * FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Monticelli, «1 giufuo 1618. Blbl. Nm. Flr. Un. 0*1.. P. VI, T. IX, <*r. 02. 63* • 6Si. AaU*r»f*. Moli’111." e molto Kcc. u Sig. r mio Osa.* 0 Li sua, giuntami finalmente con avviso di miglioramento di sanità, m’ha rallegrato molto. Si rihabbi pur questa totalmente, e proceda da che cagione la si vole, e \. S. per gratia non tralasci di servirsi di tutte. Del medico chimico mandato a Napoli a trattare col S. p Porta'”, hebbi dal’istesso Porta avviso subito. Intesi li segreti dimandati e dati, e l’indice della Taumato- logia proposto, del quale ho l’originale in mano da un anno in qua; nè è dubio alcuno che sono tanto stui>endi, elio se la pratica risponderà alla proposta teo¬ rica, saranno delle prime e più degne nperationi che sin qui siano dal’liumana industria procedute. 10 "> Cfr. !.. 872. ** Cfr. n.» Sii. •’ Cfr. o.* SC2. 29 GIUGNO 1(118. 52!) [ 896 ] Quanto al telescopio eccellentissimo, se il lavorarci le lenti che siano esatte portioni sferali è così difficile alti artefici, che n’ incontrano pochissime, che sarà se le vogliamo paraboliche? Sa V. S. che ne ragionammo quanti’ella fu in Roma, e si stimò cosa difficilissima: l’istesso credo accaderà ovunque l’artefice vorrà soggiogar la materia al matematico rigore. L’audace et ostinata esperienza c’in¬ segnerà tuttavia; et invero l’acuto et indefesso ingegno del S. r Porta nostro, in così decrepita età, non cessa di fatigare e speculare, e in molte cose restarà a mettere in pratica. Laverò caro, se a V. S. saranno proposte le dette operationi e segreti (come 20 credo), intenderne poi con sua commodità il suo parere, grandissimamente pre¬ giando il suo giudizio di valor tanto noto nelle teoriche e pratiche, nò solo delle cose inferiori, ma delle superiori e nobilissime nature. Del detto spagirico le di¬ mandai, percliò il S. r Stelluti, elio, come già le scrissi, mandai a Napoli per i negotii del nostro consesso, m’avisò ne ricercassi un poco cP informatone, flora, essendo ritornato e trovandosi meco, mi dice che, essendosi ritrovato presente a tutto il negotiato di detto spagirico con il Porta, questo, mostrando farne gran conto per la cognitionc grande di medicamenti rari e cose naturali eh’ in lui sco¬ priva, lo pregò trattasse meco che si proponesse per Linceo, flora starà a V. S. il considerare se ò a nostro proposito, riguardandone la scienza et altre qualità so dopammo, il nome ch’egli ha, il conto che n’è tenuto, e come si dimostri verso V.S. e le sue cose et altri Signori Lincei, e s’altro le parrà conveniente; poiché non ve¬ nendo da lei approvassimo, non se ne farà pur un motivo, e poi anco s’aspet- tarebbe la ricercasse. Il S. r Stelluti in Napoli non ha potuto effettuar la compra, poiché il luogo di Ghiaia, del quale mandai a V.S. la relatione l,) , ci fu preoccupato da un mini¬ stro regio di quella Corte, che prima di noi 1’ haveva adocchiato, flora si tratta di tre bellissimi luoghi e molto a proposito, conio intenderà, e si procurarà sce¬ glierne il meglio, havendone la cura il S. r Colonna. E per V. S. e per me, essendo amico conimene, e vero e buono amico, ho sen- tito quel maggior dolore che dir si può della perdita del S. Cigoli 5) ; nè conosco alcuno a chi non sia doluta, tanto era nota la sua gentilezza, bontà et eccellenza, e tanto di raro sogliono trovarsi congionte queste qualitadi ; nò mancarò io, e per i suoi meriti e per il cenno di V. S., esibirmi pronto a giovamenti e servitii della sua casa e nipoti. Ricordo in tanto a V. S. il desiderio et obligo che ho di servir a lei e che mi commandi. N. S. Dio le conceda ogni contento. Di Monticelli, li 29 di Giugno 1613. Di V. S. molt’ 111.™ e molto Ecc. tó Aft>° per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. 1,1 Cfr. > 1 .» 095 <*' Lodovico Cardi da Ciqom. XI. 67 29 C1IU0S0 - fi LUOLIO 1813. 630 [ 890 - 897 ] Ho già avisato a tutti i Signori Lincei 1» proposta del S. p Cosimo Itidolfi c di già per mezzo del S. r Stelluti ho riaperta di tutto il Liceo ili Napoli, che n’ha &o sodisfattiuu grande. V. ìà. uii farà gratia avi sare se il cognome va scritto fìudolpkui, Ridolphus, Iiodtdphus, chò tutti tre sono in uso: e questo, por scolpir rulla gemma del simbolo. 897 **. ORAZIO MORANDI » [GALILEO in Firenze]. Ruma, 0 Infilo ISIS. Bibl. Nmu FIr. V lO»I, P. VI, T. IX. r»r. «. — Copie tmrrou*, con eorr«ioi»l di mino di Giulio: tir. I* inlurmazioD. p »«wn ©1 n.* SM. Molto IH.™ S.™ e mio P.ron Oss."*® Mando a V. S. la lettera del Sig. p Francesco Si/ii t'\ acciò insieme con co- desti Signori prosino da questo nuovo accidente confermarsi nella credenza elio la verità è una, e tutti quelli che sono atti nati a poter adeguar l’intelletto loro con quella, conviene che, tardi o per tempo, si riduchino sotto le vittoriose in¬ segne di quelli che filosofano contemplando il bello et ampio libro della natura, e non si legano alle sofisticherie di quelli che hanno volsuto non solo incarcerare questa infelice scienza, ina ristringerla ancora negl’indegnissimi ceppi dell’opi¬ nioni Aristoteliche e nelle noiose manette de’capricci de gl’altri filosofastri, che iurant in verini insani mapidri. E prometto a V. S., che io ho sentito tanto gusto io che il Sig. r Sitii sia uscito dall*ostinato pecoreccio nel quale l’aveva tratto l’insano vulgo, che mi pare avorio veduto rinascere, e di perso che era, averlo ritrovato. Ma invero non poteva il suo bell’ ingegno star sì lungo tempo immerso nel caligi¬ noso pelago di tanti errori. Rallegrinoci dunque, quia ovis quaeptrierat inventa est. Non in’è meraviglia, che il Sig. r Principe Cosi, habbia riconosciuto nel valore «li V. S. il molto che ella merita, essendo «la me ottimamente conosciuto e l’uno e l’altro: mi rallegro con tutto ciò che altri, da molto più che non sono io, concordilo con il parer mio intorno alla persona di V. S. Alla quale restando servitore, al solito di cuore li bacio le mani e le prego dal Signor ogni bramata contentezza. Di Roma, 6 Luglio 1613. * '•-IrI ^ Di V. S. molto 111.™ Ser.™ Devot. m ° Don Orazio Morandi. Xi«tt. 807. 12. II copiata avtvft ■ -ritto mmti, • 0 tLit.cn eom*u« rinateer*. — I" Cfr. n SÌ8. [898-800] 10 - 12 LUGLIO 1613. 531 898*. MARCO WELSER a GIOVANNI KEPLER [in Linz]. Augusta, 10 luglio 1G13. Bibl. dell’ Osservatorio in Pulkova. Uh. Kepleriani, Voi. L. XI. — Autografe. Cuiu Galileua rul Apellis Kpistolas copiose responderit, et ad tuam aententiam do ma- culis solaribus, longo propius (piani ad Apollaeani, accedere vidoatur, tibi omniuo eius gcriptionis exemplum niittendum oxistimavi. Videbis, optimum sonem, quantumvis in opi- nionum dissensi!, modest issime cimi ad versarlo agero; nihil dentatura, nihil aculeatum, ani- madvertcs: cpme, quo bodie iuter scriptorcs rarior, co lmud dubie pulchrior, laus est... t 899*. LORENZO PIGNORI A a [GALILEO in Firenze]. Padova, 12 luglio 1613. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., I\ I, T. VII, car. 100. - Autografa. Molt’ Ill. r ® et molt’ Ecc. 1 ® S. r mio Oss.'"° Ilo ricevuto la Fantastica Visione di Parri da Pozzolatico (n , et ne rendo a Y.S. grati© tanto maggiori, quanto vedo la difficoltà incontrata nel rinvenirne una copia. Sento gusto clic i semi habbiano partoriti figlioli che possano essere di qual¬ che riuscita. Ma clic non venisse voglia a V. S., come già ad un vescovo di Chiog- gia, clic si fece portare a Roma per la posta una cassetta di poponi, che portata in dogana pisciava da tutte lo bande. Il libro l)c coclo™ non è comparso ancora di qua, et mi maraviglio come possa es¬ sere uscito senza che noi ne liabbiamo sentore. In evento che sì, V. S. lo haverà subito, io Mons. r Arciprete ™ le bacia le mani, et il S. r Sandelli et io facciamo il simile, desiderandole ogni bene. Di Padova, il dì xii Luglio 1613. Di V. S. molt* 111.™ et molt’Ecc. to Al libro del S. r Cremonino può mancare un terzo dell’opera per finirò di stamparsi, come mi dicono que¬ sti del Meietti 0) , sichò andarà al principio d’Agosto. <*i Cfr. n.° 854, lin. 8-9. i"' Paolo Gualdo. i»i Paolo Meiktti. ,l * Funlttttica fittone di Parri da Pozzolìtico, moderno l poderni»] in Piandigiullari. In Lucca, MDC. XIII. Cfr. n.o 887. 532 13 LUGLIO 1013. [ 000 ] 900*\ dio BATTISTA AGUCCHI « GALILEO |m Fiwnwj. KoniJ», 13 loglio 161.1. Bibl. Nu. Fir. Vu. OiL, I*. VI, T IT. cu ;o ;| Aot'fraf». Molto HI/* ot Hoc.** 8ig. r mio Om.** Kgli «' pur rosi, eh»» niuua dottrina fu mai, nò uiun valore di persona, per ciliari a grandi rie ios-ìmii.i, die non baratterò i lor contrasti. Quegli non è sti¬ mato che non ò combattuto, o la riputatioue cresco dall’oppositione, massima- mente quando dopo lo con L se succedono le vittorie, quando il mondo già giudica a favore del vincitore, come veggo eh «gli ha fatto, e tuttavia fa, in prodi V.S.: onde a gran ragione ella non >i dee più prender pensiero dell’ ostinatione de’ suoi oppositori, ma rallegrami, sì come io ne sent i spotial contento, ch’eglino ognidì più manchino di numero p di credito, erbe nell’ avvenire V. S. habbia più tosto col disprezzo delle false loro opinioni, che con le risposte, da abbatterli. xVssai eli’ha io combattuto e vinto, monti* le cose da lei insegnate sono state per lo provincio i k .noeciuto per vere, e dall' universale schiera de’ letterati approvate. Volti pur tutto T animo «• l'opera al dare compimento alle coso che ha per le mani, per¬ di.'- ciò più importo et al lx-imfioin comune et alla sua gloria particolare; altri¬ menti essi potrebbono con artificio tenerla sempre occupata, et indirettamente vincere con le proprie perdite. Intanto io ringratio sopramodo Y.S. della parte che di ciò mi ha fatta, et appresso dell’ avviso datomi intorno a Saturno, che, secondo la sua predizione, sia tornato nel passato solstitio a comparire tricorporeo. Io l’ho veduto altre volte, bora di forma ovale, cioò quando io non haveva sufficiente strumento, bora 20 co’ tre corpi distinti : ma non 1‘ ho guardato mentr* era solitario e di perfetta forma circolare. Al presente io T ho veduto chiaramente, secondo che V. S. mi scrive, co’ suoi due piccioli globi allato; et ho preso gran piacere elio ’l suo avviso vada riuscendo vero, per la rìputationc che anche per questo conto se le verrà ad accre¬ scere. Quando io udii la mutatione di forma ch’egli haveva fatta, considerai che ciò potesse esser accaduto perdi’ « gli si trovava nella metà superiore del suo epi¬ ciclo, poiché, essendo questo, rispetto all’altezza sua, grandissimo, mi pareva ra¬ gionevole che, per essersi alzati tanto, dovesse la lor piccolezza del tutto dispa¬ rire ; nò havrei volto il pensiero a raccorne lu probabilità del moto della terra conforme al sistema del Copernico, perché non son mai entrato a considerarlo so diligentemente, non havendoli, quanto alla verità di esso, prestata troppa lede. La sola autorità di \. S. f da poi che conobbi ch'ella portava simile opinione, mi mosse 533 [9001 lo LUGLIO 1613. ad inchinarli l’animo, ma non in guisa di’ io non nc stia oltremodo dubbioso o non penda più tosto nella contraria porte, verso la quale tre principali cagioni mi sospingono. La prima è l’autorità della Sagra Scrittura, che in più luoghi c con molta chiarezza afferma il contrario ; o benché io non ignori la risposta che per sal¬ varla le si può dare, veggo nondimeno eli’ ella non acqueta lo più persone o lo più cattoliche o pie, le quali non hanno per bene d’introdurre sì fatti modi d’in- 40 terprotare i sensi di quella chiarissimi, c massimamento che gli heretici, volen¬ tieri ad essi appigliandosi, li rendono sospetti : onde a loro sembra che nè meno tal opinione debba stimarsi del tutto sincera, ma più tosto sospotta. La seconda cagiono è 1’ autorità di tutti li più stimati matematici che dal Copernico in qua sono stati (chè di quelli che furono avanti non parlo), i quali non solamente non hanno ricevuto per vero il suo sistema, ma gagliardamente se gli sono opposti : o 1’ autorità, nello cose che non si possono dimostrare con pruovc matematiche o per via di senso e di sicura sperienza che convinca, dee prevalere alla sola ragione del discorso particolare ; perchè quella clic a me si dimostra efìicaco ragione, ad altri parerà debole o leggieri, o ciascuno secondo 50 le varie dispositioni delle fantasie havrà i suo’ fondamenti per buoni, e sopra quelli posandosi, vi si acqueterà del tutto: onde non ci resta finalmente altra via da determinare delle scienze non necessariamente dimostrate, che la sola au¬ torità de i più e delli stimati comunemente migliori, perchè si vuol credere che la verità, per altro ambigua, sia dall’ universale o concorde parere scoperta. Hor fra tutti quanti gli astronomi io fo gran conto del Ticone, che nella diligenza dell’ osservare i moti celesti ha vinti i passati ; e 1’ osservationi sue, che già co¬ minciansi a praticare, riescono assai certe c sicure. Egli però avanti che si sia trovato il telescopio, per forza delle solo osservationi fatte nel corso di lungo tempo con tanti e così grandi e giusti strumenti, ha stabilito che Venero e Mer- 60 curio si muovano intorno al sole, benché egli non sia stato il primo nell’affer¬ marlo ; clic in ciclo non sieno sfere nè epicicli reali ; che la materia celeste non sia soda, ma liquida e permeabile, c parimente alterabile et in qualche modo corruttibile ; et havendo comprese le paralassi de’ tre superiori pianeti, etiandio quella eli Saturno, et. i veri loro diametri, all’occhio naturale visibili (perchè non gli ha potuti riguardare, conio si fa col telescopio, liberi da’ raggi), ha parlato della distanza e grandezza loro con più probabilità di qualunque altro ; e si può diro che, almeno nel giudicare la distanza eli tutti quanti, dalla quale si trae l’ampiezza de’loro corsi, egli sia giunto al segno: la onde, non ostante ch’egli habbia acquistata tanta notitia de’ movimenti celesti e latta grande stima del 70 Copernico, non ha potuto approvare il suo sistema, ma, lasciando il centro del mondo alla terra stabile, un altro no ha formato più ragionevole, col quale l’ap¬ parenze celesti ottimamente si salvano. 534 13 LUGLIO lt'» 13. [900] I al tana cagione è finalmente la ragione itteeaa: non perch'io stimi i mi , os _ sibile, corno alcuni fanno, una c«tale poaitione; ma perchè io la reputo absurda mentre senza noto iti hi voglia introdurre un'infinita grandezza noi mondo e porre un intervallo fra Saturno e le «delle fisse più di 7t>0 volte maggiore elio non è quello che da qui a Saturno si truova, e farlo privo del tutto di stelle là «love i cieli non sono fatti se non per le stelle, e senza che liabbia da servire ad alcun particolare movimento et o|>eratione. Bh girerebbe, in tal modo, che P im¬ menso circuito che fa il noie fosse come un punto rispetto al cielo stellato, e dieso qualunque stella della quarta e quinta magnitudine, le quali a pena si discornouo, fossero di e->o maggiori o ud esso « go di ; e per conseguente, se ’1 medesimo giro fosse un corpo luminosi», malagwolnn nte «li là su si vedrebbe : e così convorrin, per rendere il solo visibile da quella smisurata distanza, moltiplicare la sua gran¬ dezza & migliaia di miglioni, non che 1 suo lume potesse, nello stato nel quale si truova, i>er grandissimo spalio arrivarvi. Io lascio la difficoltà del moto e quie te delParia, che in parte habbia da esser rapita dal corso terrestre, et in parte «la rimanere immobile: et aggiugneròso¬ lamente a tutto qui sto, che -e la terra intorno al zodiaco si movesse, et il solo fosse centro del suo giro, accudi rebbe che i tre pianeti superiori, quando sono 90 nella più alta parte ih*’ loro epici'li, sarirno dalla terra più lontani ohe quando nel perigeo si truov&nn, non blamente per tanta distanza quanta è Paltezza del- l’epiciclo, ma i»er tanta di più quanto è il semidiametro del deferente del sole, o quanto è dalla terra al sole; ma gli epicicli loro sono verso di sò assai più grandi del giro di Veuere, la quale •>••, |n*r trovarsi nell’alto o nel basso di quello, appare con sì gran differenza d’aspetto com’ è stata notata da V. S., panni cho possano molto più i tre pianeti, por rispetto della sola altezza dell’epiciclo,fare la differenza ili vista che fanno; ma se appresso al diametro ili cotale altezza vi si aggiungesse ancora la distanza del semidiametro sopradetto, qual differenza cagionerieno V Saturno, posto verso l’apogeo, facilmente non si scorgerebbe ; et ioo i suoi orbi collaterali non compHrircblxrn se non poeti nel perigeo. E come ve- driensi li quattro pianeti di Giove bora cho, passato il mezzo del cielo o del- l’epiciclo, ascendono all' ai»og4>o ? Per tanto, essendo 1’ epiciclo di Saturno d* un’ ampiezza non minore del deferente solare, si può giudicare elio ’1 nascondersi de’suoi orbicoUi da altro non procella che dall'altezza del diametro di quello; della qual cosa saremo ciliari, sì* nill’andare il sole alla sua oppoRitione si scuo- priranno essi più grandi «• manifesti che hora non sono, Bicorne tali in tal tempo si mostrarono 1' anno passato. Ma negli anni che seguiranno, dovendo Saturno discendere dalla mezzana lunghezza del suo deferente verso il perigeo di quello, agevol cosa sarò che in ogni tempo si veggano. Che se niento di questo accadere, ho aspetteremo d’udire da V. S. la vera cagiono del loro occultarsi, perché non havendo io se non una generale notitia della teorica del Copernico, non ho coni- 535 [900-901J 13 LUGLIO 1613. preso per qual cagione ne’ soli due solstitii di state e di verno Gabbiano ne gli anni prossimi da inaniiostarsi. E tutto ciò mi è parato di scriverlo, anzi per modo di dubitare, che perdi’ io non istimi grandemente il giudicio di V. S. ; sicuris¬ simo ch’ella non sarà per mettere niente in publico della verità di questa opi¬ nione, se non havrà in mano gli argomenti certi da provarla: perchè se non av¬ viene ch’ella si renda dimostrabile con pruove matematiche e necessarie, sarà gran l'atto che per le sole probabili ragioni al mondo si persuada, come cosa che non 120 troppo bene cappia neH’humano intelletto. Scusi V.S., di gratia, la lunghezza, e l’attribuisca al desiderio che ho d’ap¬ prendere; o viva così certa del mio affetto et osservanza verso di lei, coni’io fo (Iella sua cortesia e del suo valore. E prego il Signor Iddio che per publico be- neficio le aumenti i gran doni che le ha conceduti; eie bacio di cuore le mani. Di Roma, li 13 di Luglio 1613. Di V. S. molto lll. re et Ecc."'* Afl> 0 Se. ro S. r Galilei. G. Batta Agucchia. 901 *. GIOYANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Fireuze. Venezia, 13 luglio 1013. Blbl. Eat. In Moilona. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVU1, n.® 42. — Autografa. Molto Illustre Sig. 1 ' 6 Ecc. mo I)i tre lettere che V. S. Ecc."" 1 dubbitava che fossero perdute, nc è smarita veramente una sola, et è quella scritta in proposito de’soggetti per la lettura di Mathematica, onde se ella mi volesse favorire della replicata, riceverei sin¬ goiar gusto. In questo medesime mi imagino che m* avisasse della riceuta et riu¬ scita dell’ ultima mapa, et dell’ aviso del pagamento fatto da me al Baci ben molti giorni et settimane doppo l’ordine suo, ma però subito ricevute le sue mandatemi por via del Padre di S. Giorgio (l) , perchè so havesse scritto il me¬ desimo in altre, convengono essere cortamente perdute. 10 Se verrà il vino, lo goderò per amor suo, et rimanderò le zucche ripiene di quel miglior elio bavero, sichè in tutto non sia gettata la spesa della condotta. La curiosità, pili che la gola, mi fa desiderare di gustare anco gli altri, conforme alla qualità do’ tempi; perciò ho menata partita a debbito di V. S. Ecc. m:t a mese por mese. 111 In tornii, ilei Monastero di S. Giorgio Maggioro in Venezia. 13 — 18 LUGLIO 1613. 630 im-M] Mi piace che Saturno Labbia ricuperato le già «luurite Bue stelle; ma però mi duole che cosi io non pos«a operare il ritorno della mia risplendentissima perduta apunto nel tempo che queste con tant’ altre si scopersero da nuovo, le quali, con un intiero cielo appresso, non possono ricompensare il inio inesplicabil danno, poiché Ben/ a di quella non distinguendo io il giorno dalla notte, vivo scon¬ solato in continue tenebre, restandomi p.-r unico ristoro quella poca speranza 20 ch’ella mi dà, che io debba rivederla l’autunno prossimo. 1/ affetto questa volta mi fa credere agli astrologò «come io la estorto prestar fede a’medici quando le dicono che, per risanarla, debba trasferirei qui a pigliar i fanghi 10 . Baci si è affaticato per far li suoi vetri da 4 braccia, et sebene ne lm fatto buon numero, tuttavia ninno ò riuscito a paragone ilei mio. Se egli avesse biso¬ gno di essere sollecitato, non mancarci. Quanto alle equationi , il bisogno nostro non è di minutie, anzi, per dirla, quanto all’bore et minuti siamo tutti d’accordo, et olo versa la questione sopra il giorno, parendo ad alcuni che sia in tutti i luoghi lo stesso, et ad altri dif¬ ferente: però aspetto il mio ste^o foglio segnato, per incontrarlo con altri man- so dati in diversi luoghi. In questa dificoltA io sono solo di upinione, et ho miei avversari! non solo i millioni ordinarti, ma ancora il P. M. ". il S. r Mula et da principio anco il (Boriosi, seben questo assai riservatamente, ma quelli con pre¬ tensione di ha ver dimostratone in contrario; dove io tanto credo il mio para¬ dosso, quanto la prima propositione di Euclide. Murato il foglio, le scriverò più particolarmente; et le bacio la mano. In Venetia. a 13 Luglio 1613. Di V. S. Eoe.** . Tutto suo G. F. Sagredo. Fuori: Al molto III." Sig.' Eoe.* 4 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 902 *. GIOVANNI KEPLEU a ODDO VAN MAELOOTE fin Bruxelles]. Linz. IH luglio 1613. Bibl. dell’Oaaorvulorio In PolkoT*. Mi KopLrfaui, Voi. L XI. — Autarfraf*. Li termo tua*, Clarimime M aleuti, ncripUs 11 Decetnbr. anni duodecimi ( *\ nccepi mense Iulio anni soquentis. l.ator idem «rat qui ot su&aor, l)u. Scillerius. Amplector iu tuo Uo- Lett. 001. 19. gin* - 11 Intanile, I fan(U temali di Abano. Cfr. n. m. <* Il P. Micttro Paolo Sa ari. »*■ Cfr. a.° 810. 18 LUGLIO 1613. 637 [fl'02] niinationo studium philoaophiae contemplativa©, qnae Dei sapicntiam in operibus oius nobis iletegit. Nec possum mihi non gratulavi de tua de libri© meis existiniatione honestissiina. Utinam et rcspomleret fructus buina leotionis tuo desiderio. Sed et mactas me donis gra- tissimis, qua© sunt specimen tuorum atudiorum. Deniqne et quaeationem adiicia philoso- phicam, ut omnibus raodis gratua sia. Do ea quaestione breviter respondebo. Primum atque Galileus, inventia novis aideribus, plura arcana caelestia iactavit, de soli» macuba cogitare cepi, ai forsau earum indicio motum aliquem telluris circa solem 10 comprobaro posaimus, tane nimirum ai sol ipse non fuisset rotatila. Igitur lente convexa teleacopii optimi, quod liabebam ex concossu Electoris Coloniensis p. m., radium solis excepi, et papyrnm in pmieto concursus radiorum applicavi, remoto concavo vitro. Sed fulgor im- mensus radiorum collectomm et speciei exilitaa mihi obstiterunt, ut maculas nullas cer- nerem. Quare curam inquirendi maculas deposui. Asaunipsit autem eas quidam Fabricius Witebergao, libellumque super hac re vulgavit inenao Ionio anni 1611 <*>, quem secutus est Augu9taiiua quidam anonymus, aou fleto nomine Apolles; qunm ad famani ego ad tele- scopium redii, ususque utroque vitro, maculas tandem et ipso detexi. Satia tamen diu me latuit, diducenda eaae vitra paulo longins. Ex eo varia iudioia prodierunt de bis macuba, inter cetera vero accurata discuaaio Galilaei, cuius copia niilii facta est hoc ipso die: non- 20 cium itaque por voi vi. In summa, motum aeu fiiwjoiv solis, in suo spacio mnnentis, satis dare ponimt ob oculos, et qualitate quidem eandem quam ego tanto auto tradidi in Commentariis Martis^, quan- titate vero diversam a coniecturis moia. Ulud quidem demonstratio mea requirelnit, ut ce- leriua © periodimi imam absolveret quam Mercurius, celoriua igitur quam 88 diebus. Et, ita rem babere nmculae teatantur: diebus enim 14 ad suiumum maneut in facie solis ap¬ parente, totideni igitur etiam in latente. Igitur inter dies 26 et 28 versatili’ una periodila. Sunt igitur reliqu&e meae coniecturao irritae de triduo aut de unica die convolutionis huius. Scripsi sub lineili anni 1611, quid de substantia macularne) harum sentirem; et parum quod mutem, ex posterioribna observationibus invenio. Nimiruui non sunt omnes 80 einsdom omnino celeritatis, nec viam eclipticae parabolani incedunt. Itaque non haerent in superficie corporia Solaris. Neque tamen absunt ab ea sensibili intervallo. Ex hia argu- nientia, et quia in ipaa lacie solia oriuntur nounullae, vanescunt aliae, densantur rare- fiuntque passim, schematismos permutant aensibiliter, cluni una alia celerior est, facile colligitur, talo quid esso materiam harum macularum, quale sunt in huius terrestris globi superficie nubes et nebulae, motum nonnullum obtinentes in aere, qui multis partibue a rapida gyratione telluris suporatur. An autem ex ignitissimo ilio Solaris corporis titione exspirent atrae hae fuligines, Deus novit: nani analogia ulterius non tuto extendi potest. Maestliuus W quidem existimat, so visu indice affirmare posso, corpus solis non esse roton¬ dimi exactissime; sed puto ipsum opticis fallaciis decipi, et caimani vel in instrumento 40 inesse, vel in partium solis inacquali claritate, de qua etiam etiam Galileus monet.... I 11 Io». Faukicu Phrysii, Ve maculi/ in iole ofoer- iinpensis Iolian. Bornori senioris et Eliao Rehefeldii vatìi et apparente tarum cum iole contentane narralio. bibliop. Lips. Anno M. DC. XI. Cui uditela e il de modo eduetionii ipeoiertim vìtibilium <*> Cfr. n.° 297, Hn. 4. dubitutio. Witebergao, typis Laureutii Seuberlieliii, Michele Miestlin. XL l 68 536 19 LUGLIO 1013. [903] 908*. FEDERICO CESI a [GALILEO iu Firenze]. Roma, iy luglio 1013. Bibl. Naa. Flr. M*u. Gal., P. VI, T. IX, car. 78u, hoc.— Autografa. Molt’ lll. r ® e molto Kcc. t0 Sig. r mio Oss. mt) Per esser andato tutti li giorni a dietro in volta per i miei luoghi, ho final¬ mente, ritornato in Roma, riceuta la sua, con quella del S. r Ridolli ; poi anco l’altra susseguente, et una del P. 1). Benedetto Castelli in aviso del ritorno de’compagni di Saturno, predetto da V. 8., che m’è stato carissimo intenderlo. Rispondo le accluse, e di già comincio a scorgere l’ingegno, modestia e cortesia insieme del S. r Ridolfi, crescendo tuttavia l’obligo di tutti verso V. S. che ci dà sì buoni soggetti. Circa il chimico, che le accennai spinto dal* istanza del Porta (n , non si farà nè pensarà altro. Quanto al’ istesso Porta, è necessario che in questo fatto del io mandar i secreti, et in molt’altre cose, ella meco compatisca alla sua età otto- genaria, inferma, che le cagiona che trasanda e non pensa molto cose ; in oltre, ha sempre una quantità di compositioni nello mani, che non lo lasciano pensare ad altro, et una continua audienza di moltitudine, che lo scervellano, per dir così. De’numeri, già le havevo detto quello che bora V. S. mi scrive; ma egli ciba partioolar alletto, discorrendoci platonicamente: di molti de gli altri secreti spe- rarò buona riuscita, eh’ io invero non ho hauto otio di provarli ; c venendomi da V. S. qualch’aviso de’successi, mi sarà carissimo. Dora restarò baciandoli le mani con ogni alletto. N. S. Iddio le conceda compimento di sanità et ogni contento. 20 Di Roma, li 19 di Luglio 1613. Di V. S. molt’ lll. ro e molto Ecc. tó S’intaglia hora la pietra (,) per il S. r Ridolfi. Subito fatta, mandarò a V. S. il simbolo per com¬ pire l’ascrittone. AfF. mo per ser. ,a sempre Fed.°° Cesi, Line. 0 P. I Signori Lincei di Napoli, et anco di qua, mi fanno istanza che si pongano in uso i titoli studiosi ;,) , por ovviar ad ogni scrupolo e poter nelle nove admissioni, m Cfr. nn.‘ 896, 914. «*' Cfr. n.o 896. <»> Cfr. u.o 874. [908-9011 19 - 20 LUGLIO 1613. 539 so senza ricercar notitia, scriver liberamente et al sicuro; e crescendo il numero e diversi soggetti, par necessario. V. S. m’ avisant se li pare migliorarli 0 come. Il Campanella ha notato non so che sopra lo macchie solari di V. S., con¬ correndo più tosto seco che altrimenti, almeno nel più, chè così mi dicono. Credo, il S. r Rodolfo, nobil tedesco, che bora si trova in Fiorenza et è spesso con V. S., potrà darlene notitia. 904 *. GIOVAN FRANCESCO SAGUEDO a GALILEO in Firenzo. Venezia, 20 luglio 1013. Bibl. Est. In Modena. Raccolta 1,’nmpori. Autografi, lt.» LXXXVIII, n.° 43. — Autografa. Illustre S. r Kcc. 1 " 0 Ilo ricevute le suo mandatemi por via del Itcssicìcnte, et sto attendendo la cassella; nò mancherò ili (pianto mi ha ordinato. Il Ilacci si affatica, ma non so elio fin bora habbia fatto cosa buona. Il mio maestretto (,) me no ha fatto uno di 14 quarte, stupendo et uguale al mio primo; ma havendolo promesso al S. r Magini, non posso mandarlo a V. S. Ecc."' a ; puro ho tornato a far esperienze per haverno un paro dell’istessa sorte, essendo mia la forma. Sto aspettando la informatione circa la lettura della Mathematica (,) . Ancora io desidero qualche rcsolutione del dubbio, perché io, contro, commune, tengo che non si possino faro questo equationi universali senza errore (S) . Un’altra lite io ho con questi nostri mathematica, perchè io tengo che la dottrina delli specchi, divolgata fin bora, serve solo per quelli di acciaio, che non hanno trasparenza, ma non per quelli di vetro, che, per essere di super¬ ficie corporea transparente, mutano nelle cose cssentialissimamente natura; et panni, la ragiono esser facile o demostrativa. In gratia, mi scrivi due parole in questo proposito, per poter usar l’argomento ab audoritatc, molto buono con gl’ ignoranti. Ho dato ricapito alla lettera del Apruino (i) . 20 Non mi sono maravigliato che tanti scrivono contro il suo trattato dello cose che stanno sopra 1’ aqua, ot sia certa V. S. Ece. m * che niuno ha toccato meglio di me il vero punto della essential oppositione di detto trattato, perchè non bi- Lett. 904. 22. Iratlnnto — "> Cfr. n.» (587. Cfr. u." yoi. (*> Cfr. nn.' 898, 901. (‘5 I’aoi.o Aproiso. 20 — 27 LUGLIO 1613. 540 [904-9051 sogna metter cose dimostrative in discorso ; et l’istesso lo avvorà so volesse fare un discorso doi triangoli otc. Non posso esser più lungo. Le bacio la mano. In Venetia, a 20 Luglio 1613. Di V. S. Ecc. m11 Tutto suo CL F. S agre do, in gran fretta. Fuori: Al molto Ill. r " S. r Ecc. n ’° 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. co 905 . PAOLO APItOlNO a GALILEO in Firenzo.' Treviso. 27 luglio 1613. Bibl. Naa. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. IX, cwr. 72-74. — Autografa. Molto 111." et Ec. rao Sig." mio P.rone Col. mo To ho ricevuto dal Sig. r Gianfrancesco Sagredo la lettera di V. S. Ec. m *delli 13 del corrente li dì passati, nò oltre di questa ho ricevuto altre sue forse da un mese in qua. Mi rincresce che, come V. S. sa, nel filosofare non si può prescri¬ versi tempo, poi che quando si arriva ad intender un particolare, all’ora pure si conosce, et non prima, clic ne restano degli altri da investigare ; pure già che il mondo la vuole altrimenti, non si può far altro che acconnnodarsegli. Et però io mi son risoluto di scriverlo la istoria dello osservazioni ch’io ho fatto insili bora sopra la materia dell’ avvicinar il suono, acciò clic possi far fabricare un instrumento (ohò, per esser assai facile et semplice, non torna il mandarlo fatto, io et tanto meno quanto che qui io non ho persona che mi possi servir bene in lavorarlo), col quale instrumento darà saggio a cotesti mormoratori, che il pro¬ posto da lei intorno a ciò non ò da esser disprezzato nò tenuto per vano. Hebbe donque origine la speculazione da questo, che rivedendo un giorno certe conchiglie, ch’io havevo portato meco del viaggio di maro ch’io feci l’al- tr’ anno, insieme con P Hi stori a intorno a ciò di Guglielmo Rondeletio in , et ve¬ nendomi innanzi quella che egli chiama attrita, mi fece saltar capriccio di forar nel fondo una turbinata assai grande eh’ io havevo, et metterla nell’orecchia per tentar qualche esperimento: il che in fatti successe, che mi parve di sentir molto aggrandirsi la voce, seben bora, che ho l’orecchia avezza a cose maggiori, par a 20 me che facci molto poco, per non dir nienti; ma per esser accompagnato quel poco di aggrandire con un bucinamento grande, mi apparve conspicuo, sì che ne • 0 Gim.iki.mi Ronuki.ktii, Doctoris modici, eoe. ipeorum imaginiku », occ. Lugduni, apud Mattinimi Univerme nqu-tlUium hittorine pan altera, cimi veri « BonllOUline, M.D.LV. 27 LUGLIO 1613. 541 [905] feci qualche conto. All bora io, invaghito (lolla novità della cosa, proposi a di¬ versi amici eli’ io liaveva inteso che uno volea augmentaro il suono, per sentir come essi si moveano, et insieme per Scoprire se sapeano che altri havesse os¬ servato questo particolare: et soben da alcuni il problema fu riputato degno di speculazione, fu però dagli altri quasi tutti deriso et istimato per impossibile. Onde io mi mossi a meglio considerare la natura del suono et delle sue diffe¬ renze: et in ciò hebbi per fondamento principale alcune cose ch’io mi ricordo sohaver imparato da V. S. ; nel resto Boetio (i) mi fu scorta per sapere quanto fin bora ne sia stato detto, svegliandomi in tanto in alcune cose quel galantuomo del Maurolico ( *\ et in corto altre Vitruvio v , in quel capo dove parla del risonar delle scene, soben, per dir il vero, quello che fin bora se ne ò detto è molto poco, et questo poco in gran parte mal inteso, et parte falso et lontano dagli esperimenti. Ma chi sa che questa nobil parte di filosofia, tanto interessata con noi, abbandonata da tutti et negletta, non sia un dì per essere suscitata et ac¬ cresciuta ! Hora donque, montando sopra varii indicii di verità, tentai molte esperienze, et fabricai anco diversi strumenti, girati in spira in varii modi, di diverse ma¬ io ferie, conforme, conio dico, aU’ombre di verità che mi parea di vedere, et alcune volte secondo il capriccio : et quando, già otto mesi, il Sig. r Danielle (M passò di qui, io liaveva dato in un cono, fatto di banda, alto un palmo in circa, che si allargava forse in 15 gradi, et tronco vorso la cima, in modo però che entrava commodamento iioH’orecchia ; la cui superficie conica, dopo esser saldata insieme, di dentro via faceva tre altre girate in spira egualmente dal foro di sopra fin alla base, senza toccarsi l’ima l’altra. Questo fu l’instrumento che vidde et esperimento il Sig. r Danielle, di cui egli ne fece molte maraveglie et tanto conto, che ne volle dar il sentore a V. S., come ile’ ricordarsi (5) : et fece giudicio, come prima havevo fatto io et un amico, che il suono si riducesse ad un terzo della &o distanza et meno, salvo le altre sue differenze. Si fece poi una lunga et continua vacanza, senza più potervi pensare, et a pena già alquante settimane, ai con¬ forti di V. S., ripigliai la speculazione. Prima donque fabricai un cono alto il doppio del sudetto, con sei girate spirali, et più aperto forse otto o dieci gradi, per poter far gli esperimenti in più grande et far riuscir più sensibili le differenze. Et fattone un altro egualo a questo, in luoco delle spire, che erano alquanto difficili da lavorare, vi ho messo dentro sei altri coni successivamente più piccioli, in modo che stavano Lett. 905. 38. ilei *c*ru — De ùutilutione mutai. Lib. V. Vonotiis, «pud Frnnciscum Krniidsduni Sonensem, 1,1 Mutiate tradilione « carpiliti collectar, rei Mu- MI'LXXV. HcaelemenOt MAunot.TCI eluditi congesta; a puff. 145 <3 ' Lib. V, cap. III. -160 doll’opora col titolo: D. Francibci Mauro- ,k * Daniello Antonini. LYCi Abbati» Messnnonsis Opulenta Mathematica, ec-\ 111 C fr - n -° 27 LUCILIO 1613. 542 [905] P un P altro separati ; il qual modo parve che mi riuscisse più tosto migliore del primo, clic altrimenti. Ne feci poi anco un semplice della stessa misura, clic senza altra difficultà parca a me che giovasse molto meno degli altri. Ma de- co sideroso di conoscer più minutamente questo differenze, applicatovi un poco l’animo, ho trovato poi modo assai esquisito di misurare queste minutie: il quale mi ha dato a vedere quanto sia lontano il giudicio che si fa superficial¬ mente delle cose, benché si facci con considerazione, da quello che profonda¬ mento si interna nell’intimo dell’esser loro. In somma io sono uscito primiera¬ mente di un crror grande, nel quale era caduto insieme con gli altri: et questo è che il cono clic ci pareva che riducesse il suono ad un terzo solamente della distanza, non ariva nè anco a duo terzi; et l’altro maggiore, che parca facesso vicinissimo, medesimamente si è conosciuto che in vero non fa più della metà et il soprapiù è una falsa alchimia di bucinamcnto, indegna et inutile del tutto 70 che doveva ben io haverne indicio da quello eh’io mi ricordo haver anco scritto a V.S., che, nel sentire a leggere, l’articolazione non rispondeva alla vicinanza che parca fosse nel suono. Di più, in questa istcssa alchimia del bucinare mede¬ simamente comparo un altro importantissimo inganno di non minor conseguenza: che seben quei molti coni, messi P un dentro l’altro, a prima faccia par clic fac¬ cino più del semplice, eguale al maggior di loro, la verità nondimeno sta altri¬ menti, perché fa tanto per apunto li molti insieme quanto il semplice; con questa differenza, clic quelli intorbidano più, in bucinando, clic non fa il semplice, ondo ha havuto origino P errore. Levatimi donque dinanzi questi intoppi et resomi l’oggetto più facile e piano, so mi son poi chiarito senza molta difficultà di diverse cose, tra le quali basterà ch’io dica a V. S. queste due intorno la figura: che di due coni di base eguale, quello clic ha maggior altezza avvicina più, et medesimamente bucina più; et di due coni di eguale altezza, quello che ha la baso maggiore avvicina più, et bucina meno. Ma seben, come dico, l’avvicinarsi segue le proporzioni della base et della altezza del cono, nondimeno segue P una e P altra non con P istcssa pro¬ porzione, ma con molto minore della loro; sì clic se uno di altezza o di base ini dà uno di crescita, due di base o di altezza mi darà molto mono di due di cre¬ scita. Quanto poi lo detto proporzioni siano minori e quanto fra loro differenti, si come non fa bisogno più che tanto il narrarlo, cosi io non posso per hora 90 puntualmente dirlo: basta ch’io credo ben ciò per vero, che di questo accre¬ scimento di suono si dia il termine, et forsi non molto oltre, fuor del quale, in quanto alla figura, qualsivoglia instrumento, benché cresciuto in infinito, non può passare. llora, dalli detti sperimentati io cavo la forma dello strumento che V. S. farà fabricare, che ò hyperbolica, descritta con quest’arte et in queste misure: la quale non dico però che sia il meglio che si possi fare, ma dico solo che riesce 27 LUGLIO 1618. 513 [9051 assai bene. Sia la linea retta AB tre palmi in circa, et col centro A, all’inter¬ vallo AB, descrivasi il cerchio B(JI>, di cui 1' arco BC sia gradi cinquanta in circa, ioo et si tiri il diametro CAD, et dal punto B alla AC cada ad angoli retti la BE ; et bì hub- bino tre chiodetti fatti con un foro nella loro basta, che si piantino nolli tre punti D, A,C, sì che li fori dei eli imi i vengano ad esser vicini al piano delle elidette linee; et per lo foro del chiodo A caccinsi fuori insieme due capi di filo, de’quali uno vadi a passar per lo no chiodoI) o l’altro per C, et poi di novo si leghino insieme nel punto E ad uno stillo mobile, slclio però il detto nodo in osso stillo non scorra. Accominodati dunque questi iili con questo modo, sì olio stiano tosi mediocremente, in lasciando scorrere egual¬ mente li due capi dal chiodo A, movasi lo stillo dal punto E verso le parti B con de¬ strezza, sì che stiano sempre egualmente tesi li due fili che legati in osso tendono verso li punti I) et C, che verrà a descrivere la linea curva EF, la quale è hyperbola, come si può dimostrar dalla LI del 3° d’Appollonio, et AE è la metà dell’asse et AB l’asymptoto. Ilora KB si prolunghi in G, sì che KG sia poco meno di tre palmi, et dal punto G si levi ad angoli retti la GF, secante la hyperbola in F; et intendasi il piano FGEF girarsi intorno la GF come asse, sì che GF descriva un cerchio 120 et la hyperbola KF la superficie hyperbolica, che ò quella elio si cerca. Si ta¬ glierà donque questa sagoma in su una tavola, che servirà al maestro per regola di far V instrumento, il quale doveri poi esser cimato con questa misura sì che entri assai commodumonte nell'orecchia. Ma in queste cose non occorre che mi estenda punto con V. S. Ecc. ma , ehò essa forse troverà partito anco migliore per facilitar il lavoro. Le dico solo, in quanto alla materia, che io ho lavorato in banda; nondimeno l’argento sarà per meglio riuscire (seben però con poca differenza), liavuto rispetto alla unità et rigidezza del corpo et alla egualità della superficie ; sì come anco io so che oltre queste materie ce ne sono molte altre che fanno effetto, fra le quali si può annoverare infino uno scartoccio di carta 130 ma forse che al fine il vetro sarà la piò utile materia di tutte le altre. Ma io mi son disteso troppo et troppo tengo occupato V. S., a cui dovea ba¬ star solo l’accennare quello che ad altri non dovrebbe però esser detto se non molto più a longo, con proporre gli esperimenti manifesti et le dimostrazioni sopra di quelli fondate, che fanno conoscer per vero ciò che si dice per vero, et rimetter poi il probabile al più o meno giudicio dello persone. Ben mi rincresce non esser in stato di mandarle il perfetto della cosa, che io ho però speranza 544 27 LUGLIO 1613. [ 306 - 906 ] (li ritrovare, quando babbi commodo ili star ancora dieci altri giorni in villa a lavorar in bande per trovar le proportioni di sopra accennate, et dieci a Mu¬ rano per far lavorar in vetro, nella cui rigidezza io ho più fede che in alcun’altra materia, se però in questo non si scoprisse qualche altro particolare da specu- uo larvi. Basta che lo istrumento di sopra descritto darà sì buon saggio, che le so dir io che serrerà la bocca, so non a gli emuli che volessero haver del maligno et ostinato, almeno a gli ignoranti, che troppo francamente si persuadessero che il suono fosse di quelle cose che non patiscono con artificio qualche aggran- di mento. Riceverò dunque questa grazia da V.S. Blc.""*, elio si compiaccia di pigliar con buon animo questo quattro cosarelle eli’ io per bora le scrivo, et in cambio del fantasticare eli’ io ho fatto in questa materia, in parte ben tirato dal genio mio, ma anco in parte dall’ossequio elio a lei porto, liavcrà la briga di far fabri- care lo strumento; il quale, sì come in fatti risponderà in qualche parte a quel 150 molto di che. si haverà fatto concetto per haverne la mossa da lei, così per mio gusto dovrebbe più tosto esser esposto per cosa di non leggier conseguenza in fra i filosofi, che per cosa da principe. Con che ricordandomele al solito servitore obligatissinio, lo bacio riverente la mano. Di Treviso, li 27 di Luglio 1613. Di Y. i$. molto III.™ et Ec. m » Ser.™ Aft>° et Oblig. 1 " 0 Paulo Aproino. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. re , mio Sig.™ e P.rone Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 160 9U6. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 27 luglio 1013. Blbl. Nae. Plr. Mss. Gai., P. VI, T. IX, ear. 76. - Autografa. 111.™ S. r Ecc. ,uo Ho ricevuto la (sassella benissimo condittionata, secondo l’aviso delle lettere di V. S. Ecc. m % et di più alcuni denari de’quali ella non mi scrive niente, et credo siano per restitutione di quelli che contai al Bacci, de’ quali anco mai nelle sue mostrò di sapere che li havessi contati, onde mi vado pensando che si smariscano molte lettere ; et perciò convengo anco dirle che mai ho saputo l’ar¬ rivo costì dell’ ultima mapa, nè di questa nè della prima mai ho havuto denaro alcuno : il che le aviso perchè possi ricuperarli, caso che li havessi dati al [90G-907] 27 LUGLIO - 2 AGOSTO 1613. 545 corriero o ad altri ; oliò quanto al nostro conto tra noi, buono sarà por me che io non si faccia bilancio di speso, per non liaver a saldar il mio debbito. Il Bacci mi dice, haverle mandati alcuni vetri assai buoni, ma non ho potuto vederli per paragonarli con miei; se mi comanderà che li paghi, essequirò il suo ordine in questo et in ogni altra cosa. Con P arrivo del prcciosisaimo vino ili V. S. Ecc. ,,,a , et con questo caldo, la speculatione mia sta sul misurare esso caldo sul bavere fresco. La misura del caldo è già ridotta quasi in perfettiono l,) , et no ho l'atto efemeride da 15 giorni in qua; copia delle quali manderò con prima posta, per non liaver tempo da copiarle. Ilo anco trovato una piria, per la quale passando il vino subito si rinfresca, et bisognando si riscalda; alcuni bicchieri per bever col ghiaccio, et 20 uno nel quale mettendovi il vino si vede quanti gradi di fresco babbitt preso, et serve anco per bevere; un calamaro per conservare l’inchiostro in questi caldi, sì che non si secchi, non venga spesso, nè bagni soverchiamente la pena, di poca spesa e di molta durata. Doppo liaver bevuto duo bicchieri del vino di V.S. Ecc. ma sono scaturite queste inventioni, onde spero, avanti che bever un solo de’suoi baschi, liaver inventato cose divine. Le mie occupationi non per¬ mettono che io possi questa posta inviarle i suoi fiaschi, ma lo farò la settimana ventura. Sebene la bontà del suo vino mi ha tolto 1’ animo di mandarle cosa equivalente, pure provammo di non gettar in tutto il porto. Non posso esser più lungo: le baccio la mano. Con più commodità la ringratierò, overo more pkiìo- 80 sophico tralascierò questo ulìioio. In V.» a 27 Luglio 1613. Di V. S. Eco." 1 * Tutto suo S. r Galilei. G. F. Sag. Fuori: Al molto Ill. ro S. r Oss."' 0 L’Ecc.™ 0 S. r Galileo Galilei. Firenze. 907 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Ito ma, 2 agosto 1013. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, cur. 79. — Autografa. Molto IH.» e molto Ecc. to Sig. p mio Oss."' 0 Ilo veduto la lettera a Mons. p Agucchia con molta sodisfattione, e subito, secondo l’aviso di V. S., inviatagliela; nè mancarà occasione di discorrerci, e 01 Cfr. IIU.I 71», 873. XI. 69 540 2-3 AGOSTO 1613. [907-908] farò il debito insieme col S. r Valerio, clic ci tratta spesso, c tutto verrà da me con ogni destrezza. Opero similmente con questi più pertinaci Peripatetici, che manco mostrano curarsi delle nove esperienze celesti, e pongono nelle loro con¬ clusioni che queste novità non provano altrimente il cielo mutabile o corruttibile; e sempre si viene acquistando. La relatione che mi dà della scrittura del P. Cara.' 0 , cagiona che mi mara¬ vigli non poco di lui : presto potrò veder V istessa, ma non senza sdegno. io Nella cosa di titoli (,) indugiaremo un poco, per considerare e cercar più che si può, tanto più elio il bisogno ò per il futuro più che per il presente. Quando V. S. vorrà che si stampino in latino le lettere solari, sarà serv[i]ta: intanto ho ordinato che si tratti con persone che possino piglia[r]si pensiero d’inviarle sicuramente fuori d’Italia, e sarà così più facile ad Apollo et altri forastiori di goderle a lor modo. Tutto importa che il traduttore sia buono e candido, come credo. Altro non m’occorre. Bacio a V. S. le mani, e le prego dal Signore Dio ogni contento. Di Roma, li 2 d’Agosto 1613. Di V. S. molt’ 111.™ e molto Ecc. to 20 Il quarto contradittore 10 del suo trattato del sopranuotare mi par che non degeneri dalli altri, e che spiri tutto invidia, un poco più coperta del terzo. Hora lo sto vedendo. Bacio le mani al S. r Salviati. Aff. mo per ser. 1 * sempre Fed. co Cosi Line. 0 P. Fuori, d'altra mano: Al molto Ill. r ® et molto Ecc. t0 S. or mio Oss. mo Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. 908 * FABIO COLONNA n GALILEO in Firenze. Napoli, 3 agosto 1013. Dibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. IX, car. 81. — Autografa. Molt’ 111. 6 et Ecc. mo Sig. r mio, Con l’occasione delle sue opere, che m’ ha fatto gratia mandare, ha incitato non solo me, ma molti, a voler godere di tante novità che V. S., come vero lynceo, ha scoverte nel mondo; et io le resto obligatissimo del favor fattomi, poiché ho <•> Tommaso Cavpakklla : cfr. n.® 003. W Cfr. nn.i 871, 888. W Cfr. Voi. IV, pag. 373 o seg. 3 AGOSTO 1613. 547 [908-900] imparato molte cose dalli suoi scritti, conio credo che succeda agli -altri, et spero imparare. Ilo pure notato molti giorni lo macchie solari et quelle della luna, se ben in Napoli non ci è chi sappia far telescopii perfetti, di modo che non gion- gemo a veder le novo stelle; et me son posto di mia mano a farne da tre giorni sono, per veder di trovar, so posso, lo convesso clic riescili buono, che facci io chiaro senza quella nugolctta: et ritrovo molti difetti sì nelli cristalli come nel lavoro, et sto facendone lavorare alla grandezza di otto palmi di diametro et dicco, per acquistar grandezza nelle coso et non troppo esser lungo il cannolo ; et ritrovo elio facendosi di maggior circonferenza il convesso, si acquistar;!, mag¬ gior grandezza nelle coso se gunrdaranno: ma la difiicultà è di lavorarli che rieschino buoni, clu> tutti riescono falsi et fan doppio o vero ombroso. Nell’opera dolio cose che stanno su l’acqua, me ò parso cosa nova, il ghiac¬ cio non esser densato più dell’acqua; et la spcrienza che nuoti ogni forma di ghiaccio, la credo perchè V. S. la afferma, chò si haverà fatto ben la prova, et certo clic era tenuto da tutti il contrario. La raggione che non solo la forma, 20 ma l’aria contenuta da quella superficie facci un corpo, et per questo divenghi minor grave della acqua et nuoti, è ancor bella, et tanto più ne ho goduto, quanto che con Heronc ho familiarità, et ci ho fatto molte annotationi nelli suoi Spiritali. Nostro Signor doni a V. S. salute et lunga vita, acciò facci complimento del suo desiderio nello virtù et utilo al mondo. Et tra tanto, perchè ò già tempo di augurar a V. S. et tutti Lyncei il felice anniversario dell’ institutione dell’or¬ dine de’ Lyncei, et la facci goder anco infiniti altri con salute sua et del nostro Sig. r Principe et tutti, come ne prego Nostro Signor che così le conceda, resto facendo fine et basciando a V. S. le mani. Di Napoli, li 3 d’Agosto 1613. so Di V. S. molt’ 111.® et Ecc. ma Aff. Ser.™ Fabio Colonna Lynceo. Fuori : Al molto 111.'' et Ecc. mo Sig. r mio. 11 Sig. r Galileo Galilei Lynceo. Fiorenza. 909 *. OTTAVIO PISANI a GALILEO in Fironzo. Anversa, 3 agosto 1613. Bibl. Naz. Fir. Mas. «al., P. VI, T. IX, car. 83. — Autografa. Accanto all’indirizzo, a car. 84t. si leggo, di mano di «aulico: Al Prior Buontempi. cfr - 93l) - lllustrÌ8 Domine et Doctissime Galilee, Et si numquam fui tibi amicus, tamen tu mihi maximus : tua enim virtus, qua novum pespicillum extulisti syderibus, tua illa inventio, multos amicus mul- 3 AGOSTO 1613. 548 [009-910] tos adtlictos conciliavi!, inter quos ino hauti iniuria scias, eo quoti multo» etmultos annos astrologiae insudavi et insudo, et novum modum inveni, quo ante oculosomnig astrologia videatur theatri instar; quod quidem excogitatura Maginus doctissi- mus in suis Theoricis l,) annuit. Quare supplico te per tuam virtutem, ut me tibi amicum adscribas, quom non inutilem invenias, et rescribas et respondeas bis littoria, quo initao amicitiae foedus tosteris. Ego observavi maculas in sole obverso perapicillo super substratam paginam, io tuis maoulis non dissimiles; observavi astra Medicea, satollitii instar, circumire planetas: baoc vero phoenomona delineo circa theoricas planetarum: sed dubium est inter ortus et occasus, precipue in uno punto, nempo qua ratione dune stellnc in uno satelliti punto coiro videntur. Responde, quaeso; et si respondebis, pluribus te volo; et me tui studiosissi- muin et addittissimum agnosces. Vaio, et virtutis amicum, ut debcs, ama. Vale. Àntverpiae, dio 3 Augusti anni 1613. Tui Studiosiss. et Addittis. Octavius Risani. Fuori: A Galileo Galilei, Dio lo guardi. Fiorenza. 20 910 *. OTTAVIO PISANI a COSIMO II, Granduca rii Toscana, ^in Firenze]. (Anversa, 3 agosto 1613]. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camper!. Autografi, B.« LXXXY, n.« 81. — Autografa. Scremassimo Signore, Poiché V. Altezza mi ha fatta tanta gratia di concederò il suo Serennissimo nome a l’Astrologia mia w, io ho incoronato il mio libro col Serenuissimo nome Medici, che tante opere illustri, tanti libri famosi, illustra et honora; et potrò io et il mio libro sotto un Lui splendore esser mirato (la tutto il mondo, et sotto un tal nome nominato. Ben mi posso gloriare di haver ottenuto lo Bcudo di l’erseo da V. Altezza, ottenendo il suo Serennis¬ simo nome, che fa stupire tutti i riguardanti a guisa di marmo; così parimente risplende in cielo ne le Stello Medicee. Già si vede la Serennissima Casa Medici tra le imagini ce- Lett. 910. 5. esse miralo — U> Noriae coclcstium orbium thcoricae, congruen¬ te* eum observationibus N. Copernici. Auctore lo. An¬ tonio Macino, eoe. Moguntine, impriinebat loannos Albinus ; anno M. DC. Vili. I' 1 OcTAVII Pisani Astrologia scu motu* et loca siderum, Ad Serouissimuiu Douiiuuui Cosmum Medi¬ coni. Antvorpiae, ex odìciiift Roborfci Hrunoaii. Anno M.DC.X1II. Cfr. Antonio Favaro, Amici e corrispon¬ denti di Galileo Galilei, II. Ottavio risani (Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere cd arti, Tomo \ II, Serio VII, pag. 418-419). Venezia, tip. Ferrari, 1896. 540 [910-9111 ;J AGOSTO 1613. lesti, et nel più degno loco, cioè intorno it Giovo, non altramente che si vede P inviltis- 10 siino et Serenassimo viso DEL GRAN COSMO in Vostra Altezza, et 1* un Cosmo ne l’al¬ tro, a guisa di sole in pianeta et pianeta in solo, rispondere. Al qual splendore io m’in¬ chino con tutti i varinosi, et consacro la mia Astrologia. Di V. Altezza Sereni Servitore humilissimo Ottavio Pisani. Oli* GIOVANFRAN('ESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 3 agosto 1613. Bill. Est. in Modona. Raccolta G'anipori. Autografi, 11.» LXXXVHI, n.® 44. — Autografa. Ili/*' S. r Kcc. m0 In questo punto ricevo le lettere di V.S. Ecc. ma de 1 27 del passato. Ilo inteso la rissolutione, anzi, per meglio dire, la dimostratione, della mia difficoltà. ll) ; ma però anco mi resta un punto da dcfiiniro, perchè io dico ancora che la cquatione si può fare dei Inorili cogniti, come, per essempio, di tutta Europa, di gran parte et quasi tutta l’Asia, di tutta PAffrica, di tutta l’America, ma poi nel resto vi è un meridiano nel quale è tutta la difficoltà 11 ' : sichè, sicome occorse a Maga-* glianes, havendo circondato il mondo, il ritrovar differenza dal suo conto a quello do’ suoi patrioti di un giorno, così ò cosa certa che sono due meridiani vicini et io anco contigui, sichè si possono dir un solo, che qualunque persona che passi di qua di là, et di là di qua, troverà la stessa differenza, perdendo o avanzando un giorno ; et dato un Sant.* 00 Padre, monarca in temporale et spirituale dol- 1* universo, non è possibile clic esso accomniodi questa disparità nelli detti duo meridiani se non col portarla in un altro luogo: et questa è quella verità che lio durato gran fatica a persuaderla di qua a M. Paolo et all’istesso Mula, onde, per usar P argomento ab auctoritatc , ho molestato V. S. Ecc. ,na Ho mandato a consigliare la cassella di V. S. Kcc.'" a , con li due fiaschi pieni, al corrieri). li’ uno di questi è ripieno della miglior malvasia che habbiamo havuto quest’anno, et l’altro di vino d’Istria, detto vino dare. Non so se questo ultimo 20 vaierà il porto, poiché di gran lunga non arriva al rosso di costà; nondimeno qui è tenuto in gran stima. Altri vini, per la condotta, non occorre mandare costa. Invio con queste il mio vetro di 13 quarte, il quale è incomparabilmente migliore di quanti sono stati fatti in questa città, per quello che si sa. Il Baci lo ha veduto, et afferma l’istesso. Io ne ho un altro, lodato dal Baci, et della “I Cfr. n.» 893. per Antonio Favaro. Voi. II. Firenze, Successori Le Cfr. Galileo Galilei e lo Studio ili Padova Monnior, 1888, pag. 105-112. 550 3 — !) AGOSTO 1613. [911-912] grandezza et misura elio ella mandò all’ istesso Cacci, ma non arriva di molto • alla bontà di questo : lo manderò quest’ altra settimana, havendomi scordato metterlo nella cassella et essendo l’bora troppo tarda. Questo grande V. S. Ecc so lo potrà tenere, ma quest’altro picciolo mi farà gratia, doppo liaversene ser¬ vito a suo gusto, rimandarmelo. No ho donato uno al Magini, egual di bontà a questo, una quarta più lungo: ma ò perduta la vena dei vetri, sichò non so quando 30 poterleno promettere. Se ella vonirà qui, faremo altra diligenza, et in tal caso quando non so ne trovi d’ altri, questo mio sarà suo ; ma fino ch’io non la veggo, lo chiamo mio. Non posso esser più lungo. Le baccio la mano. In Venetia, a 3 Agosto 1613. Di V. S. Eoo."'» Tutto suo. G. F. Sagredo. Fuori. : Al molto Illustro Sig. r IIon. mo L’ £cc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. Con una cassella segnata GFS, et un ligaccio 40 con un vetro da canone. 912 *. FRANCIOTTO ORSINI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 9 agosto 1613. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. 1, T. VII, car. 101. — Autografa la sottoscrizione Molto 111. Sig. ra Ancorché di presenza non conosca V. S., celebrandomisi non dimeno per fama la virtù et valor suo, desidero almeno con lettere significarle il molto affetto eh’ io le porto, il che servirà anco per porgerlo occasione di valersi di me in ogni sua occorrenza; et perchè mi nasce un dubbio, che nel mirar per l’instrumcnto da lei inventato fa un effetto, che chiuso l’occhio sinistro, et col destro veden¬ dosi per l’occhiale, se al sinistro si oppone o mano o altro, aprendosi vi si vede la cosa istessa che si vedeva col destro, del qual effetto desiderarei grandemente saperne il parere di V. S. : alla quale mando alcuno conclusioni mantenute qui publicamente da un gentilhuomo Napolitano 1 '; et perchè mi paiono cose di molta io ammiratione et che siano per apportarle gusto, desidero anco sopra queste in¬ tenderne qualche cosa, degna del suo raro giuditio. Ilo presa questa segurtà con 1,1 Pkospkh Ai.korisiub fx Idengraphico Dispntabuntur triduo apud aedos Sanctoruni Apo- iVuntio ha» thcaci, ut nova e seientiae Idengraphirit stoloruui, OCC. Apud Stopll. PttulillUUI, 1613. Ofr. potisi, nm>, publicc Romuc dispuluudas propunit ucc. U.‘* ’J 16. 0 — 17 AGOSTO 1613. 551 [912-914] lei, presupponendo misi quanta sia la gentilezza et cortesia di V. S.: alla quale per¬ fine offerendomi di core, pregole da Nostro Signore ogni bene, et le bascio le mani. Di Roma, li 9 Agosto 1013. Di V. S. molto ili. Afl>° por sor. 1 * Franciotto Orsini. 913 **. NICOLÒ ANTONIO STELL10LA n GALILEO [in Firenze]. Napoli, 17 agosto 1013. Bibl.Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 89.— Autografo le Un. 15-10. Molto 111. 0 et Ecc. rao S.” Io stimo le nobili osservazioni celesti di V. S. tra le cose magiori che siano avvenute nel nostro secolo : et perchè, come nelle altre grandi invenzioni, biso¬ gnava che vi concorressero le due cause (latrici delle cose, dico 1’ una il valore, l’altra la fortuna, la causa fortunale, in esser venuto in uso il telescopio, istro- niento visivo, è stata conimune ad altri, 1’ haverlo applicato alle osservazioni ce¬ lesti con diligenza ammiranda è obligo che il mondo deve tutto a V. S. Resta quel che gli Academici et il secolo debbono al S. or Principe Lynceo, la communicanza da esso instituita delti ingegni eccelsi: il che puote stimarsi bona parte di Teli¬ lo cità nella liumana vita. Et perciò congratulandomi con Y. S. et Signori tutti Academici della nobil fundazion dell'ordino Lynceo, fatta nel presente giorno dell’anno già sono anni dicco, le prego dalla Maestà Divina felice evento nelle cose che essa desidera. Di Napoli, il dì 17 di Agosto 1613. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc." 10 Afl>° Ser. Al S. Galileo Galilei. Nicolò Ant.° Stelliola Lynceo. Fuori , d'altra mano: Al molto 111.” et Ecc. mo S. or mio Uss. 1 " 0 11 Sig. or Galileo Galilei Line. 0 914 **. FRANCESCO STELLUTI a GALILEO in Firenze. Fabriano, 17 agosto 1613. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 87. - Autografa. Molto 111.” et Ecc. m0 Sig.” et P.ron mio Oss. mo Alli 22 di Giugno partii di Napoli per Roma, dove mi trattenni tutto il mese passato, et bora mi ritrovo qui in Fabriano, e prontissimo per servire V. S. Et 552 17 — 24 AGOSTO 1613. [D14-915] perchè so che dal nostro Ecc. mo S. r Principe gli fu scritto di quel medico Sa- nese che fu in Napoli a trattare col S. r Gio. Batta della Porta cn , perciò gli ne dirò alcuni particolari per maggior sua informatione. Sappia dunque che il detto S. r Porta, come quello che ò libberissimo, disse a me piò volte, presente il detto medico, che volessi adoprarmi col S. r Principe per farlo de’nostri Acadeiuiei, et in* inpose che gli ne scrivessi, come feci; ma però l’avvisai che non dovesse risolver cosa alcuna senza il consiglio di V. S. et io senza aspettar prima il mio ritorno di Napoli, poiché, oltre elio non mostrava il detto medico di troppo curarsene, non mi pareva nè anco verso V. S. in maniera affettionato, che ciò potesse meritare, per guanto da più ragionamenti osservai a bello studio : et perciò del tutto ne volevo prima a bocca informare il Sig. r Prin¬ cipe. Giunto poi in Roma, intesi quanto no scrisse V. S., et mi piacque maggior¬ mente l’elettione del S. r Bidelli il ' per più relationi havntonc; sicliè di quello non occorre più ragionarne, havendo in Napoli soggetti principalissimi clic ciò desi¬ derano, et in maniera che s’io havessi tempo a scriverle in longo, la farei ma¬ ravigliare : tanto colò, è desiderato questo nome di Linceo. Ma non v’essendo fra noi altro clic Y.S. che veramente possa chiamarsi tale per i suoi trovati, apper- 20 tenenti solo alla sua vista et al suo intelletto linceo, non meno conoscendo l’in¬ telletto di quel che l’occhio si scorga, perciò noi tutti insieme concordemente dovremmo parte della nostra sanità et parte de’ nostri anni communicarle, acciò potesse proseguire con sì felici progressi tutti i suoi novelli studii lincei. Ma se queste mie voglie non son bastanti a cagionar l’effetto desiderato in V. S., non restarò di pregarglilo dal Cielo, come non resto d’ osservarla et d’li aver sempre volontà di servirla in tutte l’occasioni. K le bacio le mani. Di Fabriano, li 17 di Agosto 1613. Di V. S. molto 111.' 0 et Kcc. lua S. r0 Aff. mo e vero Frane. 0 Stei luti Linceo. so "Fuori: Al molto Ill. r0 et Ecc. mo Sig. ro et P.ron mio Oss."‘° 11 Sig. r Galileo Galilei L.° Fiorenza. 915 . GIOVANFRANCESCO SAGIiEDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 24 agnato 1613. Bibl. Naz. Pir. Mss. (tal., 1’. VI, T. IX, car. 42-45. — Autografo. Molto lll. ro S. r Ecc. ,no Non mandai il vetro grande promesso, perchè essendo (come scrissi a Y.S. Ecc. mft ) di mediocre bontà, stimai sodisfar meglio al desiderio suo et al debbito mio col la- m Cfr. nn.i 8%, 903. <*) Cfr. ».• 890. 24 AGOSTO ini3. 553 [915] sciarle il primo clic le inviai, per essere il migliore et più degno di lei, giù elio la buona sorte me n’ haveva fatto capitare un altro simile. Ilora mo’ che mi ò per¬ venuto questo primo, con aviso del suo desiderio di haverno un maggiore, sospen¬ derò il rimandarle questo, per far esperienza se ne potesse riuscire della gran¬ dezza che la ricerca. Il mio maestro ò un po ver’li uomo, chiamato maestro Antonio, all’insegna di S. Lorenzo in Frezzaria, et lo trovo più suGciente et più sorvitiale io del Dacci. Questo ha una mia forma che gli donai, della quale riescono ottimi vetri da sei quarto; no ha un’altra mia, aggiustata da lui, con la quale sono la¬ vorati questi da 13 in 14 quarte. I vetri lavorati con questa da duo parti, rie¬ scono, come ella sa, di setto quarte, et molti buonissimi ; quelli poi che sono lavorati da una parte con questa et dall’ altra con hi minore, riescono di un braccio ; gli ne riescono anco di perfetti di tre quarte, lavorati da ambe le parti con quella da sei : et volendone di ogni sorte, potrà, scriver a lui il suo desiderio, perché egli desidera grandemente esserli servitore, et se le professa anco obli- gato, poiché, sebene ancora é assai povero, nondimeno egli ha assai accoinmo- data la sua fortuna con questi occhiali, a’quali egli attende continuamente, havendo 20 quasi del tutto abbandonato l’ordinario suo essereitio, che era di specchi et la¬ vorar pietre d’ogni sorte. Mi spiace che V. S. Ecc. ,na stia con questi caldi foderato di saglia scaldata, et veramente la compassiono. Per 1’amor di Dio, non stia all’aria della notte, et si accerti che é pernitiosissima. Lasci andare Giove et Marte et quanti pia¬ lletti sono in cielo : attendi alla sanità et alla vita. Figli i studi per passatempo, et si rivolga alla vera filosofia, nemica dell’ambitione et schiava della sanità et del gusto, somo bene di questa nostra vita. Io, doppo il mio arrivo di Soria, per gratia divina, faccio una vita felicissima. In casa non ho alcuno che mi commandi. Col S. r mio padre 0 non ho altro negotio che di saluto et confabulatione. Del go- 30 verno di casa mi sono fatto del tutto essente. Del resto de’ negotii, mio fratello (,) ha i sette ottavi del poso, havendolo io fatto padrone di tutto, poiché in ogni maniera tutto deve essere do' suoi figliuoli. Una picciolissima parte, alla quale posso attendere anco stando al casino, é raccommandata a me, dipendendo solo dal mio coniando et dalla scrittura di tre o quattro righe al giorno. S’io voglio andar al casino, in quattro passi vi sono ; se anco non mi voglio muovere, ho sei stanze qui in casa per alloggiare il guardiano dell’ istesso casino, et F adito è libero senza contraditione. Mi faccio servire da Lipotoppo; et in conclusione at¬ tendo alla conservatione et al gusto dell’individuo, quanto se meco dovesse pe¬ rirò tutto il mondo. 11 broglio et 1’ ambitione punto non mi travagliano. Farmi anco di essere in sicuro che non mi possi mancare (se il mondo non si rivolta) tutte le presenti commodità senza dipendere da alcuno ; in modo che patisco Lett. 916. 1S. irttr quarti — Niccolò Sacìhloo. '*! Zaccaria Saurkdo. 554 24 AGOSTO 1613. [915] solamente per quella continenza che è necessaria por consorvatione della sanità, nella quale veramente io pongo molta industria, non volendo io elio un gusto pre¬ sente me no lovi molti fatturi. A’ medici ho dato bando generale, essendo riso¬ luto di dargli salvocondotto solo in grandissime necessità. Le mie regole della sanità sono il partire da tavola con un poco di fame, nel bere liaver una lionesta misura, mangiar cose tenere, friabili, di buon nutrimento et dilettevoli al gusto. 1 vini grandi sono esclusi per l’ordinario, ma do’ buoni qualche volta ne bevo doppo i frutti, et ne faccio poco guasto ; ma godo facendone parte agli amici, per li quali ne tengo buona conserva. Mi guardo dal freddo come da capitalis-co simo nimico, et così dal soverchio caldo, che mi possi infiamare. Ilo sbanditala fatica, et il mio essercitio è moderatissimo, congionto sempre con la commodità et col gusto. I miei nogotii sono tutti volontaria Infatti mi sono persuaso che questo mondo sia fatto per mio sorvitio, et non io per lui. Così vorroi clic facesse il mio S. r Galileo, per amore del quale maledico mille volte il giorno lo corti et 1’ ambitione. Lasci, in gratin, di rispondere a certi filo¬ sofi ignoranti ; non perdi tempo a leggere le loro pazzie ; non scrivi più coso dimostrative per via di discorso: et se i predicatori non muoiono dietro agl’osti¬ nati peccatori, perchè ella vuole martereggiarai da sè stessa per convertire gli ignoranti, i quali infine, non essendo predestinati o elletti, bisogna lasciarli ca- co dere nel fuoco dell’ ignoranza, e tanto più allegramente quanto clic questa buona gonte, nutrendosi in queste fiamme senza alcun dolore, si crederanno godere nel cielo della sapienza, et stimando l’anima di V. S. Kcc. ma perduta, si persuade¬ ranno con le loro orationi di tirarla al suo ignorante paradiso? Filosofi (come faccio io) calumando, passeggiando, sedendo ; sia ella a sè stessa maestro e sco¬ lare ; non si attacchi sopra i libri, nè s’ araazzi nello scrivere ; vagliasi (se può) della mano altrui ; non riscrivi so non a chi lo merita : ad alcuni scrivi laco¬ nicamente, spacciandoli con quattro righe, s’ cscusi con l’infirmità ; a me poi faccia scrivere un quinterno di carta per volta, perchè mi persuado che sarà con gusto et senza fatica. Poi in nessun conto lasci questi benedetti fanghi pado- 70 vani 10 , perchè certo la libereranno da quella fodera di scaldato; et io mi olierò per suo protomedico. Già alcune settimane li Sig. ri Guadagni mi nmndorono fino a casa i denari spesi nelle inape • ,) , et me ne fecero mille escusationi della tardanza; ma io, more filo¬ sofico, ho havuto questo ufitio per superfluo, poiché solo mi sarebbe spiacciuto che si fossero perduti. Quanto alla equatione (,) , ho veduto la risposta di V. S. Ecc. n,a( ‘\ la quale ve¬ ramente non ferisce quel segno che è stato cagione di mille dispute con li nia- thematici di queste parti et principalmente col P. Maestro et col Mula, perchè <‘> Cfr. n.« 001. ‘ s > Cfr. uu.i 889, 906. <»> Cfr. un. 1 826, 901, 901, 911. <*) Cfr. n.° 893. 21 AGOSTO 1013. [9151 555 80quello che V.S. Ere. 1 "'' dimostra é vero in ogni meridiano et in ogni instante; ma il mio paradosso consisto in questo, che io tengo elio lo regole date finhora per le equationi usato por far un’ equationo generale, camineranno con buon or¬ dine in tutti i meridiani, fuorché in duo contigui, nei quali si trovorà la diffe¬ renza di un giorno, la qual difìcrenza non si può evitare da industria o sapienza humana: ondo no segue, elio dato un Sommo Pontefice, monarca in temporale et spirituale dell' universo, il quale volesse o confirmare o constituire una deno- minationo di giorni da nuovo, stabilendo feste et vigilie, ancorché potesse con un sol cenno in un instante infondere et commandare la sua volontà a tutto il mondo, non potrebbe fare din tra duo meridiani contigui non fosse tal differenza, oo che in uno si facesse la vigilia et nell’altro la festa, siclié perpetuis temporibus la detta differenza di un giorno fossi tra gl’habitanti di essi. La qualcosa ima- ginaria siconie ò verissima, cosi ancora aggiongo che in effetto bisogna anco ne¬ cessariamente clic si trovi in questo mondo dove Inibita la Christianità Romana : et per ragiono io non trovo che detta differenza possi esser in altro luogo, so non dove i Portoghesi et li Spagnoli Castigliani si sono incontrati insieme con le loro navigatami, il che è seguito tra Maniglia delle Filippine et Malaca; dai quali luochi facendosi passaggio, i Castigliani guadagnano, et i Portughesi per¬ dono, un giorno: et so questo incontro si fosso fatto in terra in due luoclii vi¬ cini ot contigui, ivi sarebbe seguito lo stesso. La qual mia consideratione, ancor- ìoo chè verissima ot ili mostrati va, è riuscita, per la novità, incredibile alli nostri mathematica di qua ; i quali, equivocando sopra la uniformità della sfera, non potevano capire clic in un luogo solo, et non negli altri, dovesse occorrere questo accidente, et che S. Beatitudine, constituita in monarchia, non potesse fare unum ovile nella cclebratione delle feste, onde i vicinissimi non dovessero discordare di un giorno; parendo in oltre cosa molto strana, elio questo accidente di trovar differenza di un giorno, elio occorse a Magaglianes per haver circondato tutto il mondo, occorri nel luogo dell’ incontro predetto agli liabitanti stessi in un corto viaggio, senza clic questo accadesse ad uno il quale partendo da Malaca, con la circuitione del mondo (ot non per la via corta) si transferisse a Maniglia. 110 Aspetto che con suo commodo ini dica quanto nuova le sarà riuscita questa mia speculatione, la quale essendo stata fatta da me già più di quattro anni, io non la communicai con alcuno, riputandola cosa così chiara che ciascuno la sa¬ pessi ; ma havendola a caso communicata col S. r Mula, liebbi tanto contraditioni, clic convenni appellarmene al P. Maestro, il quale non volendo capirla, è stato cagione che P habbia divolgata come cosa molto più sottile di quello che la giu¬ dicai da principio. Già che vedo il suo ritorno disperato, persuaderò il S. r mio padre provedere per la catedra di mathematica, la quale credo sarà data al S. r Glorioso, huomo invero molto intelligente, seben assai fredo e che in ayibilìbiis non mi dà com- 556 24 AGOSTO 1613. [ 015 - 916 ] pita sodisfationc. 11 Keplero non mi piace in nessun modo, oltre che credo sia 120 calvinista; quel Luca Valerio pretenderebbe forse grande stipendio: sichèinfine l’elettione conviene cadere nel detto Glorioso. 11 trattato del Crenionino 0 non ò ancor fornito di stampare, mancandovi l’indice: quost’altra settimana si haverà, et lo manderò; ma, di gratia, V.S. Eec. ma non curi lo ciancio olio egli potesse scrivere : se i suoi discorsi non Barali molto lunghi sopra questo nuove apparenze del cielo, io procurerò di leggerli, et letti scriverò a lei quello elio, per mio senso, se gli dovesse rispondere. Per quel poco elio io lio studiato, vedo elio circa a’ specchi è stato scritto della semplice riflessione, corno succede in quelli di acciaio et altri clic non hanno alcuna trasparenza, senza far mentione delle refrationi che si fanno nelli spec- 1:10 chi di vetro : ondo panni elio resti una grande et nuova speculatione in questo particolare, pcrchò sebene negli specchi ordinarli di superficie paralelli pare che si verifichi V istesso, nondimeno negl’altri regolari, che si possono fare, si vede- ranno effetti inaspettati. Di ciò no ho scritto al S. r Magini, il quale ha opinione molto contraria al vero. 11 P.® Maestro aneli’ esso da principio pareva che pen¬ desse all’ opinione del Magini, ma poi si 6 lasciato persuadere. Mi farà gratia V. S. Ecc. m * pcnsaro gl’ effetti delle infrascritto figure et mi accenni il parer suo, che io, 8eben molto debole geometra, le dirò quel che io credo, rimettendomi però sempre a lei. L’ bora si fa tarda : non posso esser più lungo. Le baccio la mano, pregandole dal Signor Dio sanità et contento. no In V.», a 24 Ag.° 1613. Tutto suo I)i V. S. Ecc. m * G. F. Sag. Ogn’ una dell’ infrascritte forme si può considerare doppiamente, potendosi metter la foglia da ambo le superficie, eccetto C, D, che sono le stesse. B C D 916 *. FRANCIOTTO ORSINI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 agosto 1613. 33ibl. Nax. Fir. Msb. Gal., Nuovi Acquisti lìnlileiani. n.° 12. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Alla lottora facemmo seguire (lin. 83-86) il « discorso > elio 1’ Oksini ìnnudava in essa iucluso, e che anche oggi è allogato, autografo di Prosvero AuioKibio. Molto 111. Sig. r ® Resto con infinito obligo all’amorevolezza di V. S., et dalle raggioni adot¬ tami nella sua lettera conosco il suo raro giuditio et virtù, le quali in’ appagano, Cfr. n.® 769. 21 AGOSTO 1613. 557 [ 916 ] ringhiandola quanto devo; et sì come io sono stato pronto nel prender segurtà di lei, così mi sarà carissima ogni occasiono di poterlo mostrare con effetti il desiderio di servirla. Nell’istosso tempo dio mi fu rosa la lotterà di V. S., si trovava con me il S. or Prospero Aldorisio, del quale mandai lo conclusioni “> ; et letta elio io hebbi la lettera, glio la diedi, dicendoli che volesse dire qualche cosa sopra il carat- ìotcre di essa: ot d’improviso ha fatto Pincluso discorso, reserbandosi di voler meglio dire qualche altra cosa, poi che non vi ora persona che conoscesse di presenza V. S. Onde da questo potrà in parte raccogliere la scienza di questo giovane, chè quasi ancor io vado accostandomi a qualche credenza, mentre lei mi dice non trovarci repugnanza o manifesta contradittiono. Et perchè mi tra¬ sporta un poco la curiosità, desiderarci, se vi fosso in Firenze qualche astrologo eminente, mandarci (sic) di qua la natività di alcuno, clic vi facesse sopra il suo discorso, et di là mi si mandasse il carattere di alcun altro, chè qui dall’Aldo- risio vi farrei scrivere ; chè forse così si potrebbe giudicare conio convenisse que¬ sta nova scienza con P astrologia. 20 Mi perdoni dell’ ingombro elio le do, desiderando all’ incontro si vaglia di me con ogni segurtà; et per line a V. S. bascio le mani, pregandole da Nostro Signore felicità et contento. Di Roma, li 24 Agosto 1013. Di V. S. molto Ill. ra Se altra esperienza megliorc che il far l’astrologo due natività, e dallo scritto desistessi due (con il carattere) si facesse il giuditio qui dal S. r Aldorisio, mi facci piacere avisarinene, chè non posso negare non mi apporti amiratione e curiosità di vedere a 80 che arivi all’ astrologia. Et a V. S. bacio le mani. Aff. mo per ser. ,a Frane. 0 Or. 0 Giudica il temperamento del corpo sanguigno: habbia l'occhio più presto cavato in dentro, la fronto grande, il color della carne biondo scuro, di polo castagnaccio lucido, di statura conveniente, più presto alta. De l’animo, sii persona nell'attieni violento. Fuori: Al molto 111. Sig.™ 11 S. or Galileo Galilei. Firenze. Lett. 916. 25. nitro etptrimte — Cfr, n.o 012. 058 30 AGOSTO 1013. [917-918] 917 *. FEDERICO ('ESI a [GALILEO iti Fiionzo]. Roma, 30 agosto 1618. Blbl. Nnz. Flr. Mas. rial., P. 1, T. VII, car. 101. Autografa. Molto IH.™ o molto Eco.* Sig. r mio ()ss. mo Sono nlcuni orilinarii elio non tengo nuova di V. S. ; onde vado dubitando che non tutte le mie gli siano capitato, c sto bramando aviso della sua sanità. L’invio incluso lo lettere che nella rimembratione de l’insti tu ti on del nostro con¬ sesso scrivono a V. S. li S. ri Colonna, Stelliola et Valerio 0 ’, et anco quello clic scrivono al S. r Salviati. Et pregando il Signor Dio conceda ogni felicità e con¬ tentezza a’ communi studii et impresa, a V. S. bacio le mani con ogni affetto di core. Di Roma, li 30 d’Agosto 1013. Di V. S. molt* Ill. re e molto Ecc> Al S. r Salviati e S. r Ridolfi bacio lo mani affettuosamente. Aggiungo le lettere del S. r Labri l ”. Aff. ,n0 per sor. 1 " sempre Fed. Cesi Line. 0 P, 918**. GIOVANNI FADER a GALILEO in Firenze. Roma, 30 agosto 1613. Blbl. Naz. Flr. Mbs. Gal., P. I, T. VII, car. 102. — Autografa. Molto Ill. re et Eccll. mo Sig. r mio Oss. mo Se P augurare elio fa un divoto servidore et amico di V. S., et medico insieme, che sono io, vale qualche cosa, io auguro a V. S. non solamente felicissimo que¬ sto anniversario della felicissima institutione di questa nostra Academia, ma molti altri appressi, che V. S. goda, ma meglio che per aventura fa adesso, sen¬ tendo io spesso dire et lamentare 1’ Kccll. mo Sig. ro Prencipe nostro, elio lei si trovi con poca sanità, mercè alle continue fatiglie che lei ha fatto et di continuo la per il publico : come al diarissimo nostro amico, al Sig. r Velseri, suole in tra¬ venire, il quale mi scrisse la settimana adietro, che per cose importanti si fece ( “ Cf r- n»- 1 908, 918, 919. La lotterà «lol Va¬ lerio (n.° 919) ò però in data dell’ultimo (l’agosto. <*i Cfr. ik° 918. 30 — 31 AGOSTO 1613. 559 [918-919] io portare in una saggia nel senato; però non cessa di favorire all’amici in questa sua noiosissima indispositiono. Iddio consoli 1* uno et 1* altro, et a noi altri Lyn- cei dia questo contento, elio vediamo molti anni risplendere ista duo luminaria magna nel nostro consesso philosophioo. Et per lino baccio le mani a V. S. Di Roma, alli 30 (l’Agosto 1613. Di V.fci. molto lll. r “ et Eccll. 1 "» All'. Ser. Giovanni labro Lyliceo. Fuori : Al molto 111.** et Eccll.™ 0 Sig. r mio Oss."‘° Il Sig. r Galileo Galilei Ly liceo. Fiorenza. 919 . LUCA VALERIO a GALILEO in Firenze. Hoiim, ;si agosto iota. Blbl. Nttz. Flr. Ma», dal., 1'. VI, T. IX, dir. U0/>. o l)0c. — Autografa. Molto 111." et Ecc. m0 S. r mio Oss."' 0 Benché nel prender la penna por iscrivere a V. S. misi sia rinovato l’acer¬ bissimo dolore della nostra commune perdila del soavissimo amico S. r Cigoli, anzi commune perdita del secol nostro, nondimeno mi sforzo di rallegrarmi con esso lei sensibilmente ancora (quel eli’ io fo con la mente senza misura) del ri¬ torno del di prossimo passato della fondatione del consesso Linceo, il quale, la Dio gratin, si vede andar crescendo a poco a poco certo (eli è così fanno le pianto più vivaci, non pur lo magnanime et gloriose imprese, eh’ hanno per conserva¬ trice do’loro frutti la immortalità), ma di si nobili et heroici intelletti, che, si io come V. S. ha giù fatto, seguiteranno a fare scorno all’ antiche scuole de’filosofi ; della qual’opra certo che V.S. n’ ha gran parte, et ne lo siamo tutti obligati per la scielta di due huomini sì chiari in ogni parte, come sono gl’111."" SS. 11 Fi¬ lippo Sai vinti et Cavalliere Ilidolfi. Nò qui si manca dal nostro S. r Proncipe di promuovere il negotio con la maggior cura e riputatone che sia possibile : et es¬ sendone il fine la sapienza per servigio di Dio, si dee sperare che S. D. Maestà con la sua onnipotente mano sia per protegerlo e diffonderlo da ogni impilo d in¬ vidia e di malignità, et condurlo a buon porto. Ma per non esser in ciò più lungo, vengo a darle ragguaglio d alcune mie nuove fatighc, non havendoglienc dato prima, perciò ch’erano ancora in herba ( \ Ciò 20 sono tre trattati in forma di lettere: nel primo de’(piali si dimostra la quinta (1 ' Nessuna di esse fu |iui data alla luce. 560 31 AGOSTO 1613. [919] dimanda del primo d’Euclide, quella, dico, delle linee concorrenti, doppo haver rifiutata quella de gli Arabi, eli’ ù ancor ne’ Comcutarii del 1\ Clavio (il che sia detto con ogni riverenza della l'elice memoria di si grand’ huomo et mio mae¬ stro), come non geometrica, et che liabbia poco manco bisogno di dimostratone che la detta dimanda, conio che il P. Gamberge ciò non possa inghiottire. La deduttione si stendo por molto propositioni et passi difficili, ma però con facilità et chiarezza dimostrati. Il secondo contiene alquante dimostrationi logiche et motatisiche, cho la prima proposizione del primo del medesimo Euclide non sia stata dimostrata non solo conio problema, ma nò anco come teorema geometrico, senza lo otto propositiimi ch’io dimostro; nel qual trattato tiro a proposito al-30 cuni discorsi contra Aristotele et alcune pazzie di certi Peripatetici, nate dal troppo reggersi per fede humana. Nel terzo finalmente, alcuni sciolti teoremi, l’uno de’quali ò quel della superficie sferica, non mai sin qui mandato a V.S. per impatienza di trascriverlo, causata da infinito mio occupationi: però mi sfor¬ zerò d’inviargliele, insieme con alcun’altre cose, prima ch’io le dii alla stampa. Ciò dico, perciò che il S. r Volsero ha scritto al S. r Prencipe pregandolo a far elio si stampino qualcli’altre cose nuove de’Lincei; et per ciò penso di dar in luce li dotti tre trattati, dovendo poi dare appresso, se Dio vorà, il libro De cen¬ tro gravitatis solidorum, migliorato et accresciuto in guisa, che forse V. S.n’havrà diletto. All’opera De pyramide spesso ritorno. 40 V. S. mi facci gratia d’ avisarini s’ eli’ ha mai ritrovata la dimostratone del centro della gravità del conoide liiperbolico per la via d’Archimede; cosa nel vero aneli’ essa difficile per la potenza dell’ applicato, composta di sì tra di loro diverse altre potenze. La S. lu Margherita Sarrochi, la quale per innanzi havrà più libero spatio di filosofare, sendo rimasta vedova, havendo letto il libro delle macchie solari di V.S., l’ò tanto piaciuto che non si satia di celebrarlo, come fo anch’io, et si duole del profondissimo sonno dell’ età nostra, quasi hornai tutta data al- 1’ avaritia et a’ piaceri di bestia. Ella ha finito di rivedere e rilimare il poema a sua sodisfattiono o d’altri huomini assai dotti in quest’arte, con animo di darlo, 00 piacendo a Dio, l’anno vegnente alla stampa. Et qui facendo fine, bacio a V.S. le mani, et ricontandomi alla sua buona gratia, come fa aneli’essa. Di Roma. 1’ ult.° d’Agosto 1613. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Ser. re Afl’. m0 Luca Valerio Linceo. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei L. Firenze. Lett. 919. SO. ijual trullo tiro — [930-921] 0 SETTEMBRE 1613. 561 920 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenzo. Roma, G settembre 1G13. Blbl Na«. Plr. Mai. dal., P. I, T. VII, rar. IOC. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione. Molto III.™ et molto Lee. 10 S. or mio Oss. mo Ho ricevuto la gratissima di Y.S., et vista con gusto buona parte di (jnella del C. (,) , chè, quanto al resto, non ò dubbio che non ha havuto tempo di con¬ siderare il trattato ili V. S. Ilo ricevuto anco la misura e conformo a quella formato 1’ anello (,) , quale invio a V. S. in una scatoletta consegnata al presonte procaccio, per il quale scrivo anco un’altra mia a V. S. circa questa ascrittione et un soggetto proposto. M’ha apportato grandissimo travaglio la sua indisposizione ; e s’assicuri di’ io e tutti li Signori compagni niente maggiormente desideriamo elio la sua sanità : io la procuri pure V. S. con ogni patientia, et por sè et per noi et por il mondo tutto. Nostro Signore Dio gli la conceda, et io di cuore bacio a V. S. le mani. Di Roma, li 6 di 7mbre 1613. l)i V.S. molto 111. 1 '' et molto Kcc. t0 Mi farà gratia baciar affettuosamente le mani in mio nome al S. r Salviati et S. r Iiidolfi. Aff.' n0 per ser. ,a sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. Fuori: Al molto 111.™ et molto Ecc.“ S." mio Oss.™ Il S. or Galileo Galilei Linceo. so con una scatoletta al procaccio franca. Fiorenza. . 921 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, tì settembre 1613. Blbl. Naz. Fir. - Mas. Gal., P. VI, T. IX, car. 91. - Autografa. Molt’ IU.™ e molto Ecc.‘« Sig. r mio Oss.™ Mando il filosofico simbolo del nostro studioso consesso pei il S. r Cosimo Ri dolfi, che s’ ascrive. V. S. potrà, con la presenza anco del S. r Salviati, havuti ì soliti scritti da inserirsi a’ libri« darglielo, aggiugnendoci ambidoi abbraccia¬ menti e saluti di fratello, in nome anco di tutti i comp agni assenti. _ l'i Cfr. u.° 908, lin. 32, e n.°907, Un. 9. ,8> Cfr> D -° ToS - <*> Cfr. un.' 921. 022. XI. 71 B62 6 — 7 SETTEMBRE 1613. [921-922] Ci si propone il soggetto, filiale con tutte le sue qualitadi vien nel’acclusa relatione 0 rappresentato : considerato elio 1’ Laveranno, ine ne riscriverà il pa¬ rere, e mi sarebbe caro quanto prima. N. S. Dio ci conservi lunghissimamente sana V. S., et feliciti i communi desiclerii. Le bacio le mani. Di Roma, il 6 di 7mbre 1613. 10 Di V. S. molt’lll.” e molto Ecc. t0 All'. 11,0 fratello per ser. ,a sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. Fuori, (V altra inano : Al molto 111.™ et molto Ree. 1 * S. or mio Osa." 10 11 Sig. ur Caldeo Galilei Linceo. Fiorenza. 922 . FEDERICO CESI a GALIIxEO in Firenze. Roma, 7 Betteinbro 1G13. Blbl. Nns. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. IX, car. 93. — Autografa la sottoscriziono. Molto Ill. ro et molto Eco. 10 S. or mio Oss.' no Scrivo la terza a V. S., non già per accrescerle briga di rispondere, chè potrà farlo con commodità. Con Y altre per il procaccio le Lo inviato una scatoletta. Hora soggiungo, pregandola a farmi gratin d’ avvisarmi minutamente, e con tutte le circonstanze di tempo, luogo, figura, peso e simili, della pietra die cadde dal cielo in quello di Fiorenza, che V. S. m’accennò ragionando quando fu qui, eli’allora S. Alt. za la mandò a Pisa, acciò quei filosofi ne discorressero ; et mi sarebbe carissimo, se fusse possibile, Laverno il ritratto disegnato. V. S. mi farà gratia particolare, dovendo io registrar questo tra li oggetti di molte mie speculazioni et trattati io delle cose prodigiose (5) . Resto con questo, baciando a V. S. le mani, pregandole da Nostro Signore Dio ogni contento. Di Roma, li 7 di 7mbre 1613. Di V. S. molto 111.™ et molto Ecc.‘° Aff. mo per ser. In sempre S. or Galileo Galilei. F. Cesi Line. 0 P. Fuori: Al molto 111.™ et molto Ecc. to S. or mio Oss." 10 11 Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. *’> Non ù oggi allogata alla lettoni. gémili degli Accademici Lincei tratte dalla storia ine- I*’ oporft (lei Orsi doveva intitolarsi Frodi • dita di Francesco Cancellieri por cura di ANTONIO gioruni omnium phyeica erpositio. No scrivo Khan- Favaro (.•ini del 11. Istituto Fendo di scienze, lettere CESCO Uancki.mkki nodo suo iuedito Memorie del■ ed arti. Tomo V, Sorie VII, pag. 1321 1889). Veuo l Accademia dei Lincei. Cfr. Notizie sui cataloghi ori- zia, tip. Ferrari, 1894. [923] 11 BKTTEMHUE 1613. 563 t. " éJ 11 • GIOVANI- RANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 14 settembre IBIS. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cnmpuri. Autografi, B.» 1.XXX V111, u.° 15. — Autografa. Illustro S. r Ecc. mo Essendo rissentito il S. Zacaria mio fratello 05 , convengo esser occupato anco in quello elio non voglio ” : però non lo scrissi la passata settimana, et bora le scrivo brevemente con l’animo diviso in mille parti. Noi qui hablnnmo bisogno d’un buon fattore, et habbiamo dato carico a di¬ versi et molti amici, da’ quali siamo stati molto mal proveduti, perchè ognun di questi, intesa la nostra dimanda, hanno fatto disegno di beneficiare qualche suo dipendente, et così, senza haver riguardo al servitù) clic egli ci potesse prestare Inumo solo preteso di collocare in un amico quel commodo clic noi diamo a chi ione serve, et in un nummo di dieci non è stato pur uno che s’habbia imaginato di meritare con noi col metterci in casa uno dal quale potessimo essere ben serviti: onde, sapendo io elio V. 8. Kce." a serverà in tutto contrario termine, la prego procurarmi alcun buon sogetto, dello qualità espresse nell’aduso foglio et darmi aviso. M. Antonio specchiaro (S) mi dice liaverle mandato alcuni vetri corti, assai buoni ; ma si cscusa di non haver potuto così improvisamente provederle di cosa esquisita: ora ho mandato da lui, so con questa posta potesse supplire. Il suo lungo è salvo, et perchè è molto inferiore al mio ritrovato ultimamente, diffe¬ risco a mandarglielo, perchè vorrei accompagnarlo con uno egualo di bontà al 20 mio; et me le raccomando di tutto cuore. Il Glorioso 05 è stato condotto con 350 fiorini: ho detto clic V. S. Ecc. ,na se ne rallegrava molto, et credo che le scriverà per ringratiarla. Et lo baccio la mano. In Venotia, a 14 Settembre 1613. Di V. S. Ecc.' n * tutto suo G. F. Sagredo. M. Antonio mi ha mandato a dire che ha fatto questa settimana 6 vetri lunghi, ma elio non gli sono riusciti per lei. Si desidera un lumino, per tenirlo in casa nostra alla nostra tavola, 1. 11 quale sia sicuro per maneggiar denaro ; Cfr. li.» 028, lin. 16. **’ Cfr. n.o 015, lin. 60-81. 1»» Cfr. n.° 915, lin. 8-10. l*i Giovassi (Jamii.i.o Gloriosi: cfr. n.° 915, lin. 118. 601 14 - 15 SETTEMBRE 1013. [923-924] 2. Sappia tcnir scrittura ot libro doppio sicuramente; 80 3. Faccia buon carattere, et scrivi volentieri lettere et quanto occorrerà; 4. Sia buono per negotiare et trattare con mercanti et simili ; 5. Non habbia tarra o difletto del quale si prometti o speri omendatione, es¬ sendo intention nostra di haver vergine, et non meretrice convertita; (3. Sia di buoni costumi, et non habbia punto l’animo al chiasso; 7. Non sia di grande riputatone, nè pretendi servitù alcuna; 8. Sia di età, poiché, dovendo conversar in casa et alla nostra tavola, non vo¬ gliamo gente della quale si possi bavere alcun sospotto. Potrebbe essere che questo soggetto si potesse facilmente bavere nella bot¬ tega di qualche mercante. 40 Fuori : Al molto Illustre S. r Oss. mo 1/ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. 924 *. OTTAVIO PISANI a GALILEO in Firenze. Anversa, ir» settembre 1013. Bibl. Eet. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, U.» LXXXV, n." SU. Autografa. Carissime et Doctissime Domine, Primo quidetn mille, et omnes quidem ingentes, ex animo gratias ago prò inita amicitia; et me tuura servum omnino addictum agnosce, et si aliquid sum, tuum esse putato : experientia enim ratificabis meuin animum. Quo ad Sydera Medicea spectat, ego to appello coelestein Americum ; lindo dico quod Florentia duos Americos habuit, unum terrestrem, alterum caolestem. Vere, mi Domine Galileo, aeternum nomen comparasti illa inventione, nempe qua hunc pespicillum syderibus volvisti : sic dico in mea Astrologia quam Se- rennissimo D. Cosmo nostro inscribere spero, tuo mediante favore et tutela. Sub tuis auspiciis ego aspexi Iovem, et vcras tuas observationes inveni. Dubium quod tibi praeposui est hoc : Stellae quatuor Mediceae satellitii instar circuire Iovem videntur ; inde vero dune sub uno punto pros (sic) corpus Iovis et sub corpore uniri in uno punto. Tu, optiine et doctissime, respondes quaesito et dubium optirne solvis, dicens quod moventur in circulis inaequalibus et nobis in eadem recta linea videntur, et quod sunt in eodem plano, et solum declinant cum Iuppiter latitudinem sor- “> Cfr. n.°910. 4 21 SETTEMBRE 1013. [924-225] 505 titur: optima sane suppositio, Tolomeo et Copernico non minus quam Galileo Galileo digna. Ego acquiesco tuia rationi, tuoi tanti viri auctoritati. Sed meam opinionem, so geu suppositioncni, tuis manibus do, quae hoc modo procedi!.. Ego suppono omnes quatuor stcllas moveri circa corpus Iovis in uno circulo in cpicyclo Iovis, ut in figura videtur, quam tibi mitto 10 . Quo ad unionem spectat, illa unio lìt sub ipso corpore Iovis, ut Saturnus tricorporeus videtur; Stellar autem ipsae Medicene non uniuntur, sed una post aliam perpetuo pervagantur. Corrige, quaeso, et respondore digneris mcao opinioni. Ho pcspicillo aulrni dicam meam opinionem. Ego paro librum eie tota pro- 8 pectiva, et liabeo multa circa conBtruxionem buina pespicilli et syimnetriam vi troni ni, quanta debet esse longitudo, quis modus formandi. Verum ego non facio lume pespieillum uno oculo apponendum, sed duobus oculis (,) , et ambos so oculos volvo in unum. Si placet, tibi scribam plurilms omnia. Sed ne siili morosior tibi, linem facio, supplicans ut meam Astrologhilo Se- reimissimo I). Cosmo commendes, ut largiatur suum nomen milii. Vale et, mille gratias agcns, vale. Datum Àntverpiae, die 15 Septembris anni 1613. lui Studiosissimus et Additt.isaimus Octavius Pisani. Fuori: Periilustri Dnctissimoquc Viro, Domino Galileo Galileo. Florentiam. 925 . ANDREA CIOU a GALILEO in Firenze. Poggio a Caiano, 24 nettembre 1613. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gai.. P. VI. T. IX. car. 95. - Autografa. MolP 111. et Ecc. mo Sig. r mio Oss. m ® 11 S.' Pandolfo Sprani da Cesena, scrittore dell’ alligata (,) , è un antico ser¬ vitore dol Ser. m " Gran Duca Ferdinando, di gloriosa memoria, insili dal tempo che S. A. era cardinale; et ci si è scoperto a un tratto astrologo, senza che pei Lett. 024. 18. Gulito — La figura,che è una tavola della citata opera a stampa, ò allogata alla lettera. 1,1 Cfr. Antonio Favaro, Amie» « earrityondenli di OaliUo Galilei. 11. Ottavio Pitoni (Atti del R. Itti- Itilo Fendo di tcirntc, lettere ed arti. Tomo VII, se¬ rie VII, pag. 422-424). Venezia, tip. Ferrari, 189S. ij'i £ i„ data del 14 settembre IR13, a car. 24 della Filza Medicea 1852 nolI’Arcliivio di Stato in Firenze. 566 24 — 25 SETTEMBRE 1613. [025-926] prima sapessimo di’ egli si dilettasse di questa scienza. Propose al Ser. 1 ™ Pa¬ drone con lo antecedenti sue 01 un horologio fatto da un gran mathematico se¬ condo elio diceva egli, degno d’esser visto et posseduto da gran principi ; et per¬ che S. A. gli fece rispondere che non mancavano qua nè instrumonti matematici nè famosi huoinini sopra tali scienze, egli ha replicato quello che V. S.Ecc." 1 * vedrà, havendomi S. A. comandato di mandare la sua propria lettera in mano io di lei, la quale sarà poi contenta di rimandarmela. Et le bacio con tutto l’animo le mani. Dal Poggio, li 24 Sott. r " 1613. Di V. S. molto 111. et Ecc. ra * Ser. ro Ded. n '° And. Gioii. Fuori: Al molto 111. et Ecc. n, ° S. r mio ()ss. mo 11 S. r Galileo Galilei, Filosofo ut i\lathem. co di S. A. Firenze. 020 . GALILEO ad ANDREA GIULI al roggio a Caiano. Firenze, 25 ncttcmbro 1613 Blbl. Naz. £lr. Mss. Uni., P. VI, T. V, cnr. 46. — Autografa. Molto 111.™ Sig. ro mio Osscr. mo Ilo veduta Focclu8a ( ' 2> , elio rimando a V. S. molto I.; intorno al contenuto della quale non posso dir altro, non ci venendo descritti usi particolari di questo strumento, o perchè mi pare che un Prin¬ cipe grande non deva recusar la vista di cosa nissuna, perchè tra cento proposto, cattive per la maggior parte, ne possono esser 2 o 3 buone e degne di essere procurate. Nella presente occasione posso dire che mi sovviene liaver, 21 anni fa, conosciuto in Cesena un gen¬ til’huomo, allora giovine e molto intendente delle matematiche, il quale credo che sia il medesimo Cav. Chiaramente nominato nell’oc- io elusa, dal quale si potrebbe bavere informazione di esso strumento; perchè, sendo cosa che apporti per sua eccellenza qualche ammira¬ zione a lui, si potrebbe poi dargli orecchio, e proccurar di vederla: Ltìtt. 920. 11. trumcnlo —- 1,1 Sono, in «lata dei 10 Agosto o 1° Sottom- nell'Archivio di Stato in Fironzo. bre 1G1S, a car. 451, 579 della Filza Medicea 981 <*> Cfr. n.° 925, iin. 2 2i> SETTEMBRE 1613. 567 [926-1)27 J et io, comandandolo S. A., potrei scriverne a detto Cavaliere, an¬ cor clic non babbi hauto altro trattamento seco che quello che liebbi, 21 anni sono, presenzialmente in Cesena. E se altro parrà a S. A. che io debba fare in ciò, V. S. ordini, che sarò pronto a esequirlo; che sarà per fine, con inchinarmi devotamente a S. A. S., e con ri¬ cordarmi a V. S. servitore devotissimo: con che gli b. le m., e dal 20 Signore Dio gli prego felicità, Di Firenze, li 25 di 7mbre 1613. Di V. S. molto 1. Ser. re Obblig. ,no Fuori: Al molto Ill. re Sig. r0 e Pad. ne Osser. mo 11 £ig. r Andrea Gioii, Scgr. io di S. A. al Poggio. 927 ** FABIO COLONNA a GALILEO in Firenze. Napuli, 25 acttembru 101U. Blbl. Nnz. Fir. Mas. fini.. P. VI, T. IX, car. 97 98. — Autografa. A car. 9Sf., accanto all’indirizzo, si leggo, dì umno di uaui.ko: Fabio Colonna, con osserv. 1 * 1 delle macchie. Molt’ 111.° Sig. r mio Oss. n, ° All’offerta da V. S. por la sua fattami, non solo ho renderle gratie, per esser cosa da ino desideratissima, ma con questa ancora pregarla con molto alletto che me ne favorisca con sua comodità, poiché non solo me serviranno li suoi cri¬ stalli per 1’ uso di vedere, ma anco per norma, già che, havendo un pozzo que¬ sta estate sofisticato in osservar la causa de tale effetto de’ vetri, me sono posto a farne da me, et questo Agosto ne ho fatto uno, con clic già veggo Saturno con le stelle, come V. S. descrive et depinge, le quali ine pareno assai minori ili quello che stanno disegnate : credo ben che V. S. 1’ ha fatto quel segno, per 10 solamente dar ad intendere come siano orbi congionti, et non per proponerne alcuna proportione. Io le veggo, le stelle, distinte di globo, over meglio di cii- conferenza, ma non tanto chiare quanto il coruo di mezzo : non so se sia difetto 25 SETTEMBRE 1G13. 5G8 [927] delli cristalli, o pure sia la minor quantità della luce et grandezza minore che ne sia cagione. Ritrovo che il convesso di maggior circonferenza è quel che fa maggioro effetto et migliore, per far le cose obietto maggiori, et che con poco concavo se vegano chiare ; et, per contrario, li concavi di minor circolo, ancor¬ ché faccino assai grandi le cose obietto, per causa della disgregatone le fanno adombrate, che poco vagliono, ancor che sia V istesso sole l’obietto : et però ho fatto un convesso de diametro de palmi cinque et mezzo in circa, che in’ ha dato una canna de quattro palmi et mezzo, che forma il sesto della veduta lontana 20 con un concavo di diametro di tre once fatto. Non ho fatto esquisita misura, et proportene non è osservata ; ma ho pensiero di osservar le misure et effetti di tutto le corrispondenze delli convessi et cavi, secondo lor grandezze. Ho osservato per dui mesi lo macchie solari, delle quali se V. S. lmverà gusto veder quel che ho fatto, le manderò, con tutto che non siano così ben osservate come sono dipinte al suo libro con quelli chiari et scuri. Sono dell’ istessa gran¬ dezza del disco <0 , qual me riesce al mio telescopio in distanza de duo palmi nella carta opposta, in questo telescopio elio ho fatto de mia mano. Se V. S., come più dotto in queste materie, me darà qualche avertiinento, non solo come affettio- nato delle virtù di V. S., ma come Linceo, al quale per causa di fratellanza deve so esser cortese nell’insegnare, farà forai che non solo sia per far cosa bona, che superi 1’ artefici idioti, ma elio forsi sarà possibile dar a lei gusto. Havea già fatto una forma da farne uno de lunghezza di palmi otto, pretendendo veder grande et chiarissimo quel clic bora veggo comodamente con quel clic ho fatto, essendo la regola matematica certa circa lo proportioni, se la distanza dell’aere circonfuso dentro il cannone non facesse danno ; il clic non spero sia per far danno, essendo elio molto più aere et più grosso non dà travaglio in maggior distanza. Ilo scritto così a lungo per dar occasione a Y. S. de impararne alcuna cosa intorno a tal materia, essendo clic in Napoli non ci ò chi ne sappia clic ne possa -»o essere insegnato, poi che non ci ò chi sia utriusque, et theorico etprattico manuale. Nella luna ho osservato et disegnato le escrescenze, che appariscono più luminose et prolongatc, nel crescere che fa, dello eminenze del suo globo, non tanto ben dipinte dal lettor Romano (,) ; et hoggi, che poco ci vuol alla quinta- decima, ancor se ne veggono nella parte orientale, dove manca il cerchio. Se della luna se potesse haver l’imagino come del sole, distinta con quello macchie, se dipingerla assai meglio ; ma con li telescopii migliori so veggono tanto minutio, che mi diffido esprimerle così bene. Lett. 027. 26-27. yrundexta de dùco — O) l’or comodità (li riproduziono lo nostre lìgule ■*> lìiULio (Jksahe Laiialla : cfr. Voi. Ili, l’»»'- fi (clY. ».° 929) furono ridotto nlln metà. pag. ili 1. 25 - 28 SETTEMBRE 1618. 5G9 [927-928] Son stato lungo soverchio, et la causa è di haver gusto trattar con lei, che non bo m* è lecito di presenza, come haveria carissimo, per impalare; però ino perdonarli. Et con ciò finendo, resto basciando a V. S. le mani, et pregandola me tenglii per suo affettionato : et Nostro Signor le doni salute et quella felicità che desia. Di Napoli, li 25 de Settembre 1G13. Di V. S. molt’ ili. 0 Quando me farà la gratia delli cristalli, li facci rinchiuderò in una scatoletta sigillata ben condi- tionata, ne fiat in itinere fraus. Aff. mo Scr.™ Fabio Colonna Linceo. co La luna bave nella parto orientalo una eminenza come un disco piccolo, che questa sera di nuovo ho osservato, più lucida do tutti li altri sparsi nella parte occidentale, elio sta più opposta alla luce del sole ; che se ciò procede dalla emi¬ nenza, sarà maggior de tutti stanno vicino la circonferenza in obliquo : che sa¬ rebbe da dir che sia alta più del semidiametro del globo. Fuori : Al molt’III. 0 Sig. r mio Il Sig. r Galileo Galilei Linceo, Filosofo et Matematico del Seren. m0 Sig. r Gran Duca di Toscana. Firenze. 928 **. GIOVANFKANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 28 settembre 1618. Bibl. Naz. Flr. Mss. dal., P. I, T. VII, car. 108. - Autografa. Ill. re S. r Ecc. mo Mando il libro del Cromonino tn , il quale ho scorso in alcuni capi principal¬ mente della sua Apologia de Via Lactea: nella quale, oltre gl’altri difetti, tro\o che dell’ imaginatione sua non rende alcuna prova; 1’ altra, che non intende punto l’effetto et la forza della paralasse, o tira in senso contrario le parole di lo- lomeo in questo proposito, seben io non 1’ ho veduto. Ma sicome questa sua opcia non potrà mai esser coni end ata da’ filosofi liberi et sensati, così non dubbilo che non debbi riuscir maravigliosa a’Peripatetici et all’infinito numero di millioni etc. Mando ancora il primo vetro et il secondo mio buonissimo, il quale mi farà 10 gratia rimandare quanto prima V havrà adoperato, elio tratanto procurerò anco <“ Cfr. u.° 015, liu. 123 XI. 72 570 28 — 30 SETTEMBRE 1613. [928-920] por loi; ma ò sorto estraordinarìa baver cosa (li tanta perfettione.il Baci dice mandargliene quattro buoni. Mi ero offerto inviarglieli io, ma mi ò paruto che sia entrato in sospetto, onde subito ho disciolto il negotio. Mi piace della lettura di Pisa collocata nel Padre suo scolare, perchè credo die sia Cecco da Ronchiti Il S. r Zaccaria (,) sta bene por gratia di Dio et contra P upinione do’ medici i quali ogni giorno sono più conosciuti da me per ignoranti et anco ingannatori e buggiardi. Non posso esser più lungo: le Laccio la mano. In V. a , a 28 Settembre 1G13, Di V. S. Ecc. Tutto 20 G. F. Sag. Fuor! : All’ Ill. re S. r , S. r Ecc.">° Il S. r Galileo Galilei. con un rotolo di carto et duo vetri tra duo tavolette. Firenze. 929 *. FABIO COLONNA a GALILEO in Firenze. Napoli, 30 settembre 1613. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 99. Lo figuro sono noi Mss. Gal., P. Ili, T. X, car. 78-102. — Autografa. Molt’Ill. 0 ot Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Con un’ altra (>) ho risposto alla cortesissima di V. S., ringratiandola della bona voluntà che dimostra verso di me. Per dimostrar che babbi cominciato ad haver gusto (lolle osservationi celesti, ancor elio con cattivo instrumento, massime (li Agosto, babbi osservato le macchie solari, et con poca prattica a saperle se¬ gnare, pure vedrà qualche vestigio di buona intcntione, che possa con il tempo migliorare ; et già ho pensato un modo che, essendo solo, se possa movere il te¬ lescopio et carta al moto del sole et tempo, acciò non babbi altro che far elio segnar lo macchie perfettamente, cliè bora ha bisognato in più volte rimettere a sesto l’instrumento et la carta : et se ci è difetto, è causa la soprascritta occa- io sione, et il tremar la mano nell’ istesso segnare. Ancora potrà essere che manchi alcuna delle piccole macchie, che forsi non ho vedute per difetto sì di diligenza, come di instrumento : chè bora me sono aveduto di rivederle con allontanar poi la carta, et veder se ve ne paia alcuna altra ; chò le piccole et inordinate, così •n Aliti lettura matematica di Pisa era stato anzi insiemo a Padova noi monastero di S. Giustina, «lotto il P. IIk.nbdktto Castelli; che ora dello stesso <*> Zaccaria Sauredo. ordino Benedettino al qualo apparteneva I). Giro- ,8> Cfr. u.° 927. lamo SriHBLLi (Cfr. Voi. Il, pag. 272) : s’erano trovati 30 SETTEMBRE 1613. 571 [9291 sono accorto se veggano ; et pur 1* avenire, mentre potrò, farò meglio, tanto più liavendo da lei qualche disciplina, della quale no la prego sommamente. Con ciò facendolo riverenza, come al Signor Salviati prego V. S. da mia parte la facci, le bascio lo mani, et prego Nostro Signor la feliciti et conservi lungamente. Di Napoli, li 30 de Settembre 1613. Di V. S. molt’ 111.® et Ecc. m * Ser. ro Aff>° Fabio Colonna Linceo. Fuori, d’altra mano: Al molto 111.” et Eec. ,uo S. r mio Oss. ,no 11 Sig. r Galileo Galilei Line. 0 Firenze. Die 1 Augnati 1613, hor. 20. Soiarea maculai) prout o tubo receptae sunt inverno, Neapoli obsorvatae ac aignia notutao. Dal Sig. r Fabio Colonna.^) Dio 2 Augusti, hor. 20. Lett. 929. 18. la felici et - D’altra mano. 30 SETTEMBRE 1613. Die 7 Augusti, h. Die « Augusti, h. Die 13 Augusti, 1». Dio 14 Augusti, hor. 20. 30 SETTEMBRE 1613. Die 16 Augusti, h. Die 17 Augusti, lior. li). Die 18 Aaguati, hor. 20. Die 19 Augusti, hor. 20. Dio 20 Augusti, hor. 20. Dio 22 Augusti, hor. 20. 30 SETTEMBRE 1613. Dio 23 Augusti, lior. 20. Dio 24 Augusti, hor. 20. Die 28 Augusti, kor. 19-K Die 29 Augusti, 20. 30 SETTEMBRE 1613. Dio 13 Septembris, hor. 20. Die 14 Septembris, hor. 19-r Dio 15 Reptombris, hor. 21. Die 17 Septembris, hor. 21. 30 SETTEMBRE 1613. Die 18 Septembris, hor. 20. Die 19 Septembris, hor. 20. 23 ot 24 nebulosi Die 26 Septembris, hor. 20. Die 20 Septembris, hor. 21. 30 SETTEMBRE — 5 OTTOBRE 1613. 579 [ 929 - 980 ] Dio 127 Septembri*. hor. 21. Dio 29 Septombrin, hor. 19. Dio 28 Septembris, hor. 20 l | 4 . Dio 30 Septembris, hor. 18. 930 *. OTTAVIO PISANI a GALILEO in Firenze. Anversa, 5 ottobre 1613. Blbl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXV, u.« 83. - Autografa. diarissime Domine et Doctissime Vir, Dubito me tibi importunimi, qui audeam toties scribere : verum tanta est benevolenza nostri D. Caesaris et D. Bontempi, ut nil non audendum sub tanto 580 5 OTTOBRE 1618 [ 930 - 931 ] auspicio putom. Quare, bis fretus, rursus scribo; quaeso, ut est tuae magnani- mitatis, boni consule. Misi ad te diobus praoteritis (0 epicyclum Iovis, in quo erat caracter Iovis circa autem caracterom Sydora Medicea, in uno circulo, satelliLii instar, circuentia regale iubar. Quando scripsi quod sydora in unum puntimi coiro observantur, non dixi quod duo sydora, scd tantum quod «iugula sub corpore Iovis in uno punto coire videntur, non secus ac Saturnus tricorporeus videtur. Quaeso, mediante io Domini Prioria Contempi opo, respondo ai» tuis obsorvationibus meae correspon- deant: tuo enim a iudicio pendeo, ot tuam correctionem expecto; nil enim aliud efllagito, quam mcaa observationes tuis obsorvationibus consonas esso. Dominus Prior Ilontempi mibi pollicitus tractare dicationem meae Astrolo- giae Serennissimo Domino Cosmo : in Ime autem Astrologia din et diu (ut opus menni testatur) insudavi. Quaeso, ut tuae virtutis ot goneris est, adiuva me' sis avocatim iustae caussao, nompo supplica Serennissimo Domino ut laeto animo meos laborea accipiat, et dot Serennissimum nomen suum inscribendum. Tua authoritaa me multum adiuvabit; sub ipsa tutissimus ibo. Deus tibi praemiared- det digna; indiani Deus charitatem reliquit non compensatala. Vaio. 20 Die 5‘° Octobris anni 1613. Datum Antverpiae Brabantiae. Qui ot tuae virtutis Studiosissimi^ et Addittissimus Octavius Pisani. Fuori: diarissimo Domino Doctissimoque Viro Domino Galileo Galilei. Florentiam. 931 *. OTTAVIO PISANI a [GIOVANNI KEPLER in Linz]. Anversa, 5 ottobre 1613. Blbl. Palatina in Vienna. Mss. 10703, car. 86. — Autografa. Charissime Domino Keplere, Doctissime Vir, Audax videor tibi, qni audeam ignoto scribere. Scd, si ego tibi ignotus, tn mihi no- tissimus: tua enim opera in mota Martin' 5) , ot Opticaquocunque pervagantur ; quem- cunque doctum sortiuntur, illico nmicum sibi acquirunb ; nemo enim virtutis studiosus tua scripta legere, et non te amare, potest. Est virtus virtutis amicoH ignotos coacervare ; ot Cfr. li.» 024. •*' Cfr. n.o 010. Oi Cfr. il.» 207, lin. 4. “I Cfr. u.o 2U7, lin. 93. [ 981 - 982 ] r ° OTTOBRK 1613. 581 me coacervatala scia» tuia amici*. et praeoipue cum te amicuui nostri Galilei ngnoacam, H quo die heaterno litterua accopi. Vero Galiloua est caelcstis Americus, qui in molo nova sydora, et praecipuo Medicea, invenit: ego autem theorienrn mutua 8yderum Modiceorum delinco circa Iovis regalo iu- 10 bar, Batollitii instar, in epicyclo Iovis. Kgo construxi novum moilum delineandi totuin qlobum in plano in uno circulo, et sic cliurtam cosmographicam construxi, novain sane ac nulli ante visam : velini «ciro tuam opinioneiu, quam ut magistram correctricom expecto. Cum priuium bis littoria nspondes, tibi mittara. Construxi Astrologiam pluni- spliaericam 11 qua oiunes inotus, timi in longitudine tum in latitudine, siniul delineo: siinilo opus l’etruH Appianus Carolo V inscripsit Si placet tibi mecuiu inire amicitiam, ot per littoras comprobare, tibi mittam librum, et moum Mappamundum (ut. ita loqnar). Quaeso, ut tuao virtutia oat, noli oblivisci barimi literarum : responde, et tuuo initam amicitiam credano, et menni aervitutmu non inutileni agnoscos. Vaio. Autverpiae, dio 5 10 H brl * anni 1613. 20 Tur ut tuao virtutia Studiosissinuis et Additassimua Octavius Pisani. 032 **. PANDOLFO 8PRANI a |ANDltEA CIOLl in Firenze]. Cuseua, & ottobre 1013. Ardi, di Stato in Flronao. Filza Mediceli, 981, car. 735. — Autografa. 111." 10 Sig. or mio F.rone Obs.“° Ilieri mi venne a trovare il S. r Oav." Cliiaramonti, mio figliuolo spirituale, dottore in molto disciplino eccellentissinio, et particolare matheuiatiuo de primi il Europa, e mo stratami una lettera del S. r Galileo Galilei in materia dell’ horiolo di cui scrissi io a V. S. 111."* il Luglio andato <*\ fece instanza di vedere P instromento, il quale mi fu lasciato dall’autore. Ma perdi' io alcuni giorni sono, a requisizione d’amici della professione, lo volsi loro mostrare, o lo trovai sconcertato, elio m’accorsi essere stato fatto a fine oli al tri non no pigliasse lume, gli lo mostrai così coperto come si trova dicendoli l’imper- fezziono, di maniera elio quaudo pure S. A. 8. lo volesse vedere, saria necessario che 10 l’autore venisse a mostrarlo; il elio credo egli faria molto volontieii, spelandone acq i sto di così gran servitù. Pertanto bo voluto scriverne tutto questo a lei, elio p conferirlo con dotto 8/» Galilei, lo possa fare, non lasciando a dirle che quantiche >1 8/ Cav. r# Chiara,nonti sia gentiluomo compitissimo e molto sincero e religioso, non e, per mio parere, per dare relazione di questo huomo favorevole, tonerà egli «pedone clic sappia poco o clic sia matboniatico stravagante.... Cfr „ 0 9 , 0 Intorno o quest’ argomento nell’Archivio di Stato in **> Nos8uua lettore dol luglio abbiamo trovato Firenze, t-fr. nn. J- , 582 6 OTTOBRE 1G13. [983] 933 . SCIPIONE CHIARA MONTI a GALILEO in Firenzo. Cesena, 6 ottobre 1013. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1'. VI, T. IX, car. 103. - Autografa. Molto 111.” S. r mio ()8S. ,no La virtù di V. S. non ò di sorto, olio olii l’ha una volta conosciuta se la possa dimenticare ; nè ella, con 1’ avanzarsi tuttavia nel camino della gloria, permette la dimenticanza di aò, anzi si rende, a chi non 1’ ha mai di presenza conosciuta, nota e celebre. Io, all’ incontro, debbo a gran mia ventura riputare, eli’ olla con tanta tenacità abbia ricevuta, e con tanto amoro ritenga, la memoria mia; nò contenta di tanto favore, s’ è compiacciuta procurarmi 1’ bollore del commanda- monto di S. A. Ser. nm , lionore tale et a me di tanto gusto, elio non posso espri¬ merlo. Sarà sua parte, se m* ha procurato il saggio di tanto piacere, operare che ne sia fatto qualcli’ altra volta degno. io Io intanto subito fui a trovare il S. r Pandolfo Spranio (,) per vedere lo stro- mento, quale non mi sovveniva mai havor veduto, come veramente non ho ; et intesi, l’autore, di’bora si trova in Ferrara, liaver seco portato quella parte che servo d’anima per 1’ uso, o però non potersi considerare. Così me ne sono re¬ stato. Credo ch’egli scriverà all’autore, che se ne venga da lei; il che so farà, verrà a parangone da discernerc l’oro vero dall’apparente. Se anco mi sarà fatta parte qui dello stromonto, lo vedrò, e scriverò sinceramente il parer mio. Le buc¬ cio per fine le mani. Hi Cesena, il dì 0 Ottobre 1613. Hi V. S. molto 111."» 20 Conosco quanto honoro faccia un Prcncipe grande commandando a privata persona ; però, come n’ ho io sentimento grandissimo, così inca¬ rico all’amore e gentilezza di V. S. il farne quello dimostratami ch’ella giudicherà convenienti c ch’io por me non ardisco fare, facendo piena dedicationo della porsona mia in tutto quello che vaglio. S. C. Fuori : Al molto 111. 1 ' 0 Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Bologna per Firenze. Afi>° Ser. ra Scipione Chiar. 1 ’ 30 “> Cfr. nu.< 025, 926, 932. [984-986] 12 — l. r > OTTOBRE 1013. 583 934* UlOVAN FRANCESCO SAGRE 1)0 ft GALILEO in Firenze. Venezia, 12 ottobre 1613. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cuoi pori. Autografi, B.» LXXXVili, n.® 1G. — Autografa. Illustre S. r Ecc. mo Queste serviranno solo por avisar V. S. Kcc.“» della ricevuta delle L. 32.12 inviatemi, et come si sono inviate le sue a Padova, c data sodisfationc a M. An¬ tonio. Che sarà lino di queste, tacciandolo affettuosamente la mano. In Venetia, a 12 Ottobre 1013. Di V. S. Ecc. raa Tutto suo S. r Galileo. G. F. Sagrodo, in frotta. Fuori: All’Illustre R. r Ecc. n, ° Il SS. r Galileo Galilei. io Fi ronzo. 935. GALILEO ad [ANDItEA GIOIA a Firenze (?)]. (?), 15 ottobre 1613. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 48. - Autografa. Molto 111” Sig. r0 o Pad." 0 Osser. rao Ilo veduto quanto replica il S. Sprani l,) in materia dell’horologio: nel qual proposito il S. Cav. Chiaramonti mi risponde quanto V. S. vedrà dalla qui aggiunta (2) ; e non ci essendo particolarita nissuna nè circa la fabbrica, uè circa gl’ usi di tale strumento, ma solo una semplice laudo con ammirazione del S. Canonico Sprani, io non no posso dar giudizio alcuno, nè anco conietturale, e massime non sa¬ pendo io manco quanto il S. Sprani sia intendente di queste materie, sì come so che intendentissimo ne è il S. Cav. Chiaramonti, ma egli, Cfr. u.° 982. (*> Cfr. n." 933 584 15 OTTOBRE 1613. [935] corno V. S. vede, scrive non l’haver veduto: oltre clie il Sig. Sprani io revoca alquanto in dubbio il giudizio del medesimo S. Cavaliere, come quello che non faccia molta stima del sapere dell’ autor dello stru¬ mento; il qual particolare mi dà più fastidio di tutto il resto, per¬ chè quando un par suo l'havesso laudato, si poteva esser sicuro eh’e’ fusse cosa buona. Però sta al G. 1). a risolver se vuol far condur qua lo strumento dall’autor medesimo; e V. S., scrivendo la resoluzione di tal particolare al S. Sprani, saprà ottimamente accennargli la stima che fa S. A. delle cose esquisite, come all’incontro le popolari poco la muovono 111 . Havendo scritto sin qui, mi è sopraggiunto il P. Don Benedetto (2) , 20 Matematico di Pisa, con la dolorosissima nuova della morte del S. C. Vinta (3) , sentita da me con quel travaglio che ella può iina- ginarsi maggiore, havendo io perso un tanto padrone e protettore. Consolami che il caso non è seguito avanti che io habbia preso ser¬ vitù con V. S., la quale, come successore del S. Cavaliere, spero che, seguendo le suo vestigie, favorirà con simile affetto i loro comuni servitori, tra i quali reputandomi di esser io ancora, non resterò di ricorrere al suo favore nelle mie occorrenze. Era il detto Padre an¬ dato a casa il S. Cavaliere, che sia in Cielo, per intender se dal loro Presidente, che risiede costà, era venuta la risposta della sua licenza (V) , so conforme all’ordine dell'111. m0 S. C. Montaito (B) ; e poi che non ne ha potuto ritrai* niente per l’accidente occorso stanotte, già che V. S. è costà sul luogo, la supplica a mandar dal P. Presidente, e darci av¬ viso di quanto passa, acciò egli si possa inviare alla volta di Pisa (pianto prima. Io poi, desiderando di esser favorito da’ suoi coman¬ damenti, con ogni reverenza gli bacio le mani, e la supplico ad in¬ chinarsi in mio nomo a loro Al. Ser. m0 , e dal Signore Dio gli prego somma felicità. Dalla Villa, li 15 di 8bre 1613. Di V. S. molto lll. re Ser.™ Obblig. mo 40 Galileo Galilei. d Ignoriamo l'esito di questo trattative,allequali <*> Bknkiiktto C/3TKI.U. si riferiscono duo altre lotterò dolio Sprani noll’Archi- < 3 > Cav. Belisario Vinta. vio di Stato in Firenze, cioò l’una dei 2 novembre 1018 e» Intendi, et rocarsi a Pisa, nella Filza Medicea 1358 (non cartolata), o l'altra dei < B > Card. Alessandro Furetti ih Montai.to. 7 dicombro 1013 a ear. SO della Filza .Medicea 1354. [936-937] 15 OTTOBRE 1G13. 585 936 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. AeqiiiiHparta, 15 ottobro 1513. Blbl. Naz. Flr. Msa. Gal., P. I, T. VII, car. 110. — Autografa. Molt’ Ill. ro o molto Ecc. t0 Sig. r mio Osa. 1 " 0 Mi trovo in queste amenità (lei* Umbria a passare il bello del* autunno, in¬ sieme con qualche negotio o di casa e di sudditi. Qui m’è giontalasua gratis¬ sima e brevissima con i chirografi del S. r Ridolfisoggetto tanto degno e dal qual, mediante V. S., tanto veniamo favoriti. Ho voluto accusargliene la ricevuta con questa, et insieme rappresentarmele desiderosissimo al solito di servirla e d’intender nuova di lei e della sua sanità. Presto sarò di ritorno in Roma: in¬ tanto con ogni affetto (li core le bacio le mani. N.S. Iddio le conceda ogni contento. D’Acquaaparta, li 15 di 8bre 1613. . . IO Di V. S. molt’ 111." e molto Eec. tu Aff. mo per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. Fuori, (V altra ninno: Al molto IU. r ® et molto Ecc.‘° S. op mio Osa." 10 11 S. or Galileo Galilei Line. 0 Fiorenza. 937 . GIOVANNI WELLS a GALILEO in Padova. Londra, 15 ottobre 1013. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. IX, car. 101. — Autografa. Reverendissime Do. Galileo, tuique ingenii foelicitate omnium beatissimo, Tuus ad moas devenit manus, ab bine triennium fere, Sidereus Nuncius, quem quidom gratissiinum accepi, non tam mellifluo captus (quo polles) stylo, quam quod avidus eram abstruaissima illa naturae (de quibus loqueris) invisendi. Ln- bori itaque et suraptibus, in perspicillis quam plurimis construendis, non peperei, “> Cfr. n.° 921. XI. 74 586 15 OTTOBRE 1613. [037] dummodo ad millessimam fero multiplicationem (sed caligine aliqua obductam) a me deventum est, quorum ope Iovis, lunae, Galaxiae, stellarumque nebulosarum secreta inapicio gingilla; Saturni vero et Veneris arcana adirne me latent, tan- tisque laboribus et molcstiis (quaa parit mihi oflìcium meum quod circa rem na- valem possidoo) in dics distrahor, ut proprio marte ulterius progredì haud vacat. io Sunt nostratium aliqui (uti audio), qui ad quinque millia multiplicant : oculatus testis non sum, ncque facile credo; uteunque ex ipso fonte, quam ex stagnis vel vadis, Ì8tas haurire aquas cupio potius. Quapropter si a Dominatione vestra im¬ petrare possim, ut (per hunc tabellarium) aut mihi secretum fabricandi ista or¬ gana, pellucida simulque ad libitum ìmiltiplicantia, placueris impertiri, autsaltem abiicienda aliqua tua perspicilla (sine tubo) vitrea digneris mihi communicare, quorum auxilio possim et Veneris et Saturni caelum adire, fidem tibi presto (viri tuae gratiae studiosissimi), me tuae aeternae glorine et humanitatis plus quam solitae perpetuam foro tubam fidelissimam. Excellontissimum tuum instrumentum, quod Berncggorus merito compendomi 20 universae geometriae nuncupavit l,) , pre omnibus habemus. Sistema mundi, a tuo Sidereo Nuncio promissum (,) , valile cupimus; et singulis nundinis aliquid tuo tanto ingenio dignum avide expectamus. Pluribus te non gravabo : hoc unicum obnixe rogo, ut si quid in hac charta quod scliolasticum minus sapit (qualem me non profiteor) inveneris, illud simul, et hanc temerariam nimis et audacem scriptiun- culam, in meliorem partem interpreteris. (Verte <»>.) Bene vale, vir Excellentissime, cui omnia fausta et felicia intime precor, et me tibi tuoque nomini, prò admirando tuo singularis ingenii acumino, semper addictissimum fore scias. so Excellentissimae tuae Dominationi Addictissimus Iohannes Welseus, Londinensis. Londino Angliae, Octobris quinto iuxta stylum veterem, anno Do. 1613. Fuori: Reverendissimo Viro, omnique omnium laude dignissimo, Doni. 0 Galileo Galileo, Patritio Fiorentino, Patavini Gyranasii publico Matliematico, in Patavio (t) I praye you , dcsyre an Ansuere. dentur hae literae. Cfr. n.* 790, li». 37-39. rM n Wf.u.s, elio conosceva Oai.ii.eo spocial- 11 Cfr. Voi. Ili, Par I, p. 73, 1. 30, p. 75, I 8. monto per la lettura del Sidertu* Nunoitu, credeva ' J| A quosto punto tonnina il recto del foglio. elio fosso pur sempre professore a Padova. 18 OTTOBHK 1013. 58? [ 938 ] 938 ** MARCO WKLSKU a GALILEO in Firenze. Auguiitn, 18 ottobre 1GI3. Bibl. Naz. Flr. Mk». Gai., 1’. HI. T. X, r.ar. b9. — Autografa. Molto III.* et Ecc. m0 S." r 0.ss. mo La (li V. S. di 0 Sottombro mi capitò solo avant’hicri. T, c. Si od antem rac non macnlae solis, sed faculae, partes videticet reliquis circumicctis futgidiores, ita ut luculenfcr prae illis eluccant ; in motti praescrtim ipsius disci Solaris, id quod etiam ipsis macaiis dcbilioribus 20 evenit: motus cairn super chartam factus illas oculis vivacius ingerii. Ncque est quod tantillum de ve¬ rnate huius spectri vacilles : et e nini eius phasin iam ultra amimi saepe animadverti, per inspectio- nem primum , deinde, et multo clarius, per traicctio- nem solis a tubo in chartam ; viderunt una mecum faculam a multi alii, huius rei alioquin imperiti. Ludibrium oculorum id non esse, patet ex co, quod tot hominum diversorum ondi idem in eodem loco simili conspcxcrint ; quod , oeulo immoto, ad motum tubum in aliavi aliamque charlae portevi meaverit; quod, tubo ini - 80 moto, motum oculum non fuerit sequutwn. In vitro non fuisse, probavit eiusdem circtnn- actio : nam in eodem charlae loco facula constanter hacsit. Scd ncque in ipsa charta Lett. 038. 14. fruttavi — 01 Cristoxoko Smurine n. 588 18—10 OTTOBRE 1613. [938-939] id haesisse splendor is, inde colligas, quoti soli s orbi funi, in diaria oberr antem , conti - nenter sequerctur. linde, cum vìtiosum intercurrcrit hiepenitus nihil, esse hanc empha- sin , evidens est : et non in aere, iisdem rationibus quibas est de maculis assertwn • careni cairn ha e facttlae acque ornai pandbui atquc ipsac maculile : a quibus lumen discrcpant in co quod rariorcs et paueiorcs appareant ipsis maculis ; quodadmar- c/incs tantum solis sub inrjressum atquc exitmn, in medio vero nunquam, idquc tridui quatriduivc spatio, compareant ; quod difficulter , idquc vix itisi tnbis clarissimis et figura solis mota super diari am, in conspcctum sese prodant. C etera cum maeulis vidcvtur haberc communio. Quid sint, ignoro. > Baccio la mano a V. 8., et le prego ogni bene. Di Augusta, a 18 di Ottobre 1613. Di V.S. molto 111.® et Eec. n ' a Afi>° Servii® Marco Velseri L.® Fuori: Al molto III.® et Ecc. ,n0 S. or mio [Oss.] mo [I]l S.° r Galileo Galilei. Firenze. D'altra mano: [franca] sin Vinetia. 939. OTTAVIO BANDINI a GALILEO in Firenze. Roma, 19 ottobre IBIS. Blbl. Nnz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 106. — Autografi il poscritto • la aottoscrÌEÌona, 111.” Sig. r ® Della licenza ottenuta por le due figliuole M) di V. S., che si devono mona¬ care in S. Matteo d’Arcotri, non occorreva ch’ella si movesse a ringratiarmi, bastando a me il gusto che mi viene dal poter far cosa clic lo riesca di satisfat- tione. Assicuro però V. 8. che goderò di vedere ch’ella si vaglia sempre di me con ogni confidenza nelle occasioni di suo interesse. E me lo olierò intanto di cuore. Di Roma, li 19 d’()tt. r ® 1613. Io son tutto di V. S., et desidero impiegarmi per lei in cosa di maggioro momento. Al piacer di V. S. S. r Galileo Galilei. Il Card. Bandino. Fuori : All’ 111/® Sig. re Il Sig/° Galileo Galilei. Firenze. 35. ipse — "> VmuiMA o Livia. [940-041] 2 — 6 NOVliilBKK 1613. 589 040 . GIO. CAMILLO GLORIOSI a GALILEO in Firenze. Venezia, U novembre 1613. Blbl. Nn*. Fir. Mas. P. I, T. VII, r.ar, 112. — Autografa. Molto 111/" et Kcc. m# Sig/ Questi giorni passati 1’ III." 10 S/ (1 io. Francesco Sagredo mi fece molte rac- comandationi da parto di V. S., rallegrandosi meco dell* havuta lettura di Ma¬ tematica nello Studio di Padova. Io gli ne rendo gratie infinite, nè ero in dubio ch’ella non ne dovesse haver consolationc, si per succedergli nel suo luogo per¬ sona di qualche buono alletto c d’ingegno libero nel filosofar, non però degno suo successor in quanto al valor o merito, sì anche per esser io creatura del detto Ill. mn S/ Sagredo, tanto suo amicissimo, a cui referisco tutto il compimento di questo negotio. io V. S. dunque non voglia defraudarmi de’ suoi commandamenti, chè in Padova h&vrà persona sua devotissima, la quale sinceramente l’ama e reverisce e sempre tonerà in pregio l’lionor suo e le coso suo come le proprie. Non altro : la saluto carissimamente. Pi Ven. R , a 2 di Novembre 1613. Pi V. S. molto 111/" et Ecc. m * Ber.” Àff. m0 Gio. Camillo Gloriosi. Fuori : Al molto 111/" et Ecc. mo S/ mio sempre Uss. rao 11 S/ Galileo Galilei. Fi ronzo. 941 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 0 novembre 1613. • Bibl. Naa. Flr. Mss. Gai., P. I, T. VII, c*r. 114. — Autografa. Molto 111/" od Ecc. mo Sig/° Domenica sera arrivassimo sani o salvi, ancorché alquanto Lagnati, in Pisa. Subito andai a far riverenza a Monsig/ II. 1 " 0 Arturo ll> , dal quale lui riceuto con ” Arturo Pannocchikschi i>’ Etcì. 590 0 NOVEMBRE 1013. [ 941 ] ogni dimostrazione I3. La dedica ft cosi firmata (pag. 5) : « Il Morato, Ac¬ cademico Filomato, Arturo Pannocchioschi do'Conti d’Elci ». 592 7 NOVEMBRE 1013. limi 943 *. OTTAVIO PISANI n GALILEO in Firenze.' Anversa, 7 novembre 1013. BLbl. Est. In Moileun. Raccolta Camporl. Autografi, B.« LXXXV, n.° 84. — Autografa. diarissime Domine ac Doctissiine Vir, Domino Calilaee, Et si nil praestiti in mea servitute otlicii erga t« cognosco, (amen tuae vir- tuti confido tantum, ut audeam oHìcium amicitiae a te potere. Audebo quidem sub auspiciis Illustriss. 1 Domini Prioria Bontempi, in quo omnem spem fixi; et tuam magnanimitatem oxperiar, quam, ut to dignam, propitiani spero me in- venturum. Credo autem, te iusto corde esse, non unum ex illis quem ulla passio, ullum interesse, possit motare, veruni iustuiu et tenacem debiti virurn, menteque solida quatientem. Annis superioribus ego construxi Astrologiam meam (n , in qua decem annos insudavi, et omncs motus theoricarum et suppositiones astrologicas ante oculos io planispherica ratione posili; et cartliacea instrumenta composui, et tandem sup¬ positiones meclianicas addidi, seu horologioruin rationes : illuni autem epicyclum quem misi tibi diebus practeritis (,) , erat unus ex carthaceis theoricis, nempe lovis; circum autem delincavi Sydera Medicea. Quare rogo te per viscera CRISTI, ut meam Astrologiam Serenissimo Domino praeponas, eo quod illi puto inscribere ac dicare, et iam perfeci opus et calculavi motus ad moridianum Fiorentine. Idem supplico lllustris. 0 Domino Priori Bontempi, qui tuia apud Serenissimum Dominum, tum apud te, debet disponere meum opus. Tu vero ineum honorem tueare; debet enim doctissimus, qualis tu es, virtutis studiosum, qiialis ego sum, protegere : iam enim opus inscriptum est Serenissimo Domino nostro. Quaeso, 20 responde mihi, an velis tantum cbaritatis praestare : unum tamen tibi in men- tem revoco, nempe Cristi dictum in die Iudicii: Quaecunque minimis ex meis feceritis, et Mihi feceritis. Vale. Antverpie, die 7.° Novembris anni 1613. Tui Studiosissimus atque Addictissimus Octavius Pisani. Fuori: diarissimo Domino Doctissiinoque Viro Domino Galileo Galilei, Ma¬ tematico Praestantissirao. Florentiam. Cfr. n.° 910 t*> Cfr. u.o 924. [944-945] 8-13 NOVEMBRE 1G13. 593 944 *. FEDERICO CESI a GALILEO [in Firenze] Roma, 8 novembre 1613. Bibl. Noa. Flr. Mbs. Oal., P. VI, T. IX, cur. 105. — Autografi il poscritto o la sottoseriziono. Molto Ill. r ® et molto Ecc. l ° S. or mio Os8. mo Inviando a V. S. 1‘ inclusa •“ del Sig. or Colonna con le macchie del sole in Napoli delineate dall’ istesso, ho voluto salutarla con questa mia, desiderosissimo sempre intender nuova di lei, et molto più bora, che molti giorni mi trovo senza sue lettere. Di me le dirò solo che d’Acquasparta, di dove ultimamente gli scrissi (,) , me ne sono bora a punto ritornato in Roma, ove sono in raezo a’ contenziosi Pe¬ ripatetici, pochi de’quali, e con gran fatica, si lasciano indurre a vedere l’opra solare di V. S., o pure l’istcsso sole macchiato, conoscendo quanto gl’apporti pregiudizio, et filosofando più volentieri su gl’oggetti fantastici conceputi, che io su li veri et reali, lincio a V. 8. le mani, o prego da Nostro Signore Dio ogni contento. Di Roma, li 8 di 9mbre 1613. Di V. S. molto 111.*» et molto Ecc. la Al S. p Salviati e S. r Ridolfi, miei signori, V.S. mi farà gratia baciar affettuosamente le mani in mio nome. Giù lo avis&i la riceuta delle scritto tS) del S. r Ridolfi, al quale insieme risposi. Aff. mo per ser> sempre S. or Galileo Galilei. Fed.° Cesi Dine. 0 P. 945 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 13 novembre 1613. Bibl. Ntiz. Flr. Mbs. Gal., P. I, T. VII. car. 117. — Autografa. Molto 111.* 0 et Ecc. mo Sig. r mio, Ho riedito il libro del Sig. r Cremonino; e le Lettere Solari mi saranno ca¬ rissime. V.S. poi non si piglii fastidio di scrivermi, perchè conosco benissimo di "I Qfr. n.° 929. ,S| Ctr. u.° 9S6. Cfr. n.° 930. XI. 75 594 13 NOVEMBRE 1613. [945] quanto incommodo li sia; ed a me mi viene a essere di egual disgusto il suo dispiacere, come mi ò consolazione il leggero le sue lettore. Quanto alle consti- tuzioni Mediceo, le diedi in un foglio a M. r Oratio stufaiolo, ed bora non me le ricordo. V. S. procuri di haverle, perché so questo, elio, oltre all’ essere assai di¬ ligenti, erano tali clic i Pianeti si conoscevano l’un dall’ altro. Giovedì feci la mia prefazione ; c lo dico come a padre, non per vantarmi, elio ogni cosa mi riuscì felicissimamente, con la maggiore audienza che liahbia an- io cora visto, non solo do’ scolari ma de’ dottori, e fu gradita da tutti e lodata. Sé¬ guito di leggere con frequenza grande e numerosa di scolari, sì che è sempre piena la scola, e gran parto stanno in piedi. Privatamente leggo a un Conte Pia¬ centino, ed a un altro Signore, pur Piacentino, de’ quali ho grande speranza. In compagnia loro viene un gentilhuomo Milanese, ricco, gentile, e che mostra e d* intendere meravigliosamente e di gustare. Oltre di questi ne ho sci altri sco¬ lari privati, a tal elio le cose caminano bone. Quanto allo controversie nostre (,) , nrx verbum quidem, cosa clic mi fa stupire. I ritrovati meravigliosi di V. S. sono in notitia qua come cose lontanissime, sì clic non se ne sa quasi il nomo. Io non ho liauto altro elio un assalto di un tale, 20 elio sta in casa del S. r Lusimbardi, quale mi affrontò con dirmi che Euclides vi- debatur diminutus, eo quia, cum dixisset, Totum maius est sua parte, postea non adiecit, Pars est suo toto minor. A tanto gran dimanda mi fu fatto un gran cerchio attorno de scolari, quali per affetto, 0 per burlare quello che m’interrogava, co- ìninciorono a urtarseli, senza dir nulla, adosso, et egli, voltosi in dietro, disse loro : Ve uè mentite per la gola ; io son liuomo di farvi vedere chi sono con la spada in mano. Io quietamente, e con qualche gusto de’ circonstanti, soggionsi che la mentita non valeva contro a quelli urti, che erano fatti per desiderio di sentire le nostre disputo ; et in questo mentre appiccandosi questione tra certi altri scolari, si ruppe il nostro congresso. Ilor V. S. giudichi tra chi forbici 30 mi trovo. Questi Signori Eccellentissimi (S> non mancano di honorarmi oltra modo, ed io porto loro ogni riverenza ; di modo che spero che le cose caminaranno bene, e tanto più se V. S. mi continuerà la sua buona grazia, come la prego insfcantis- simamente. E li bacio le mani. Dal Padre Presidente ho hauta la inclusa. V. S. veda come sono trattato, e procuri clic sia mandata la lettera del Cardinale m ; 0 quando li paresse bene passar parola con S. A., che per P honoro che io ricevo dalla sua servitù sono invidiato etc., faccia lei : in tutto mi rimetto al suo prudentissimo consiglio. Gio. Batta li fa profonda riverenza e sta bene, e non scrive perchè ha copiato -io la inclusa copia di una mia risposta al Padre Presidente, nella quale tocco sul O) Cioè quelle relative allo galleggianti. Oi cfr. 11 .“ 1133, Un. 31. <*> Cfr. n.® 941. . Ili NOVEMBRE Uil3. 595 [945-946] vivo quel suo secretano che mi ha fatto il savio adosso. Non altro : di novo li bacio lo mani. l)i Pisa, il 13 di Umbre 613. Di V. S. molto Ul. r ® od Ecc. m!l V.S. mi rimandi la lettera del Padre Presi¬ dente diretta a ino. Oblig. ,uo Sor/ 0 e Discepolo D. Benedetto Castelli. DO Fuori: Al molto 111/® ed Kcc. mo Sig. r mio Oss. mo il Sig/ Cal.° Galilei, Fil.° o Mat. co di S. A. Firenze, FILIPPO SALVI ATI ft [GALILKO in Firenze]. Verona, 13 novembre 1013. Bibl.Naz.Fir. M*«. Cai.. I’. I, T. VII. car. 119. - Autografo. Molto 111.™ S. r mio Oss. roo Lasciai di dir a V. S. per la mia ultima di Venezia, che mi fu detto da un dottor di medicina, amicissimo del Sig/ Alfonso Strozzi, cho quel medesimo Olan¬ dese che fece l’occhiale giti al conte Marizio (,) , ha trovato invenzione di multiplicare il vedere quattro volte più cho il primo, con due occhiali da portar al naso come gl* ordinarti, con facilità, grandissima, senza liaver a cercare il punto con fatica. Nel passar di Padova parlai al S. r Cremonino, che nel discorrere mi pare molto amico e partiate di V. S., fuor che nella dottrina; ma non volsi appiccar disputa seco, non mi parendo a proposito, per veder in lui una squisitezza di umor peripatetico. 10 Prego V. S. a mandar costì, a casa il Sig. r Francesco dal Monte o per chi gli parrà, uno de’suoi trattati delle cose che stanno sull’acqua e le sue lettere delle macchie solari, al Sig/ Uguccione del Monto, figliuolo del S. r Guid’ Ubaldo, che me gl’ ha chiesti con grandissima instanza e mi par un gentilissimo spirito ; 0 fra P altre cose mi ha promesso mostrar un regolo, che senz* altri strumenti fa tutte 1* operazioni del compasso di V. S. : e si trova qui con P Ecc." 10 S. r (rio. Bat. a(S) . Quando l’harò veduto, darò qualche avviso a V.S. E per line le bacio le mani, e prego dal Signor Dio quanto desidera. Di Verona, il dì 13 di Ombre 1613. Di V.S. molto 111/ 0 Ser/° AfF.»’° 2 o Filippo Salviati. (1) Maurizio :>i Nassau. Cfr. Voi. VI, jiag. 2oB, lin.l. <*) Gxo. Battista dui. Mo.vtk. 536 20 20 NOVEMBRE 1013. [947-948] 047**. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Eirenzo. Pian, 20 uovembre 1613. Bibl. N"ttS5. Fir. Mas. Rai., P. I, T. VII, car. 120,— Autografa. Molto 111. 1 ' 0 od Ecc. n, ° Sig. r mio, Brevemente li do nova che le cose mie calcinano con felicissimi progressi, ed ogni giorno mi si accrescono scolari e pulitici c privati. Tengo una affettuo¬ sissima lettera dell’ Ill. mo Mont’Alto 01 , la quale, con diverse altre lettere de’prin¬ cipali Padri della mia religione, m’ è stata ottima medicina e pittima cordiale a quel disgusto che ni’ liavcva dato quella del molto Ih Presidente, che mandai a V. S. per un’altra mia ( ”. Qua non ho altro di novo, solo che il Sig. r Dottor Ruschio anotomista li bacia lo mani, o mostra amarla e stimar le sue singolari virili ; e mi soggionso a lettere di scattalo che V. S. non era invidiata da etc. pel¬ le grandi e meravigliose doti del suo intelletto, come quelle die non cascano io sotto la cognizione nò considerazione de’ maligni, ma per quelli mille scudi, co¬ nosciuti forsi più da loro ed avidamente bramati, che da V. S. Dal P. L. (>) mi ò fatto grande compimento di cerimonie, ed io lo riverisco da lontano, perchè le mia occupazioni non permettono che sia spesso con esso lui. De’ Pianeti Medicei non no mando osservazioni, perché non ho loco da farle, ed il tempo è stato contrario. E con questo facendoli liumile riverenza, li bacio le mani, e me li ricordo servitore. Di Pisa, il 20 di libre (il3. Di V. S. molto 111." ed Kcc. ma Oblig. ,no Ser.™ e Discepolo Sig. r Gal. 0 D. Bened. 0 Castelli. 20 Fuori, (V altra titano: Al molto Ill. pe et Ecc.'"° Sig. r Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. D48*. PAOLO POZZOBONELLI a [GALILEO in Firenze!. Pisa, 2G novembre 1618. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.* LXXXV, n.» 124. — Autografa. Molto Illustre et Ecc. mo S. or mio Oss. ,no Trovandomi qui per occasione di accompagnare una mia nepote a Roma per sposarsi con uno gentilhuomo di casa Scorno, et volendo li SS. ri soi parenti ch’io i” Cfr. n.» 935. <•> Probabilmente il P. Limo Variasi di Fncir/n, **’ Chr. n.° 946, dell'Ordino conventuale di S. Krancosco. 20 NOVEMBRE 1013. 597 [948] mi sia fermato per ricevere molti regali, de’ quali ancor non siamo a fine, mi è parso necessario, (leppo tanto tempo di longo silentio passato tra noi, far queste quattro righe con salutarla e riverirla insieme, come sempre ho conosciuto esser debito mio. Et perchè la fortuna mi ha continuamente portato in luoghi lontani, dove non ho mai potuto bavere occasione di servirla non solo, ma neanche di darli notitia do lo stato mio, per mostrarli la pronta volontà che ho sempre sin 10 hora conservato di farlo, adesso che vado in Roma, dove mi ho da trattenere alcuni giorni, et che poi passerò a Napoli, per ritornarmene a casa di qua da Pasqua al più longo, mi pare bene dargline parte, acciò, volendosi servir di me in qualche cosa da città tanto principale, possa farlo non solo per ottener il suo intento, perchè so non li mancano più opportuni mezzi, ma per fare amegratia, già clic da’suoi comandi sono per ricevere compitissima sodisfatione o contento. Già il S. or Chiahrera (,) mi fece sapere la memoria che V. S. tiene di me, et che mi voleva mandare non so che sua opera, iliache non seguì per la sua partenza; onde, trovandomi qui, et li&vcndonc havuto prattica con D. Benedetto lJ) , lettore eccellentissimo in questo Studio de le matematiche, suo affetionatissiino scolare, 20 egli mi ha dato doi sue opere, cioò Istoria do. le macchie solari, et De le cose che stanno su V acqua, che mi sono state carissime, sebene del primo egli aspetta che V.S. gli mandi quello che era destinato a me. Io, per lo carrico che ho, non posso venir da V.S. a far lo debito mio: supplisca questa appresso la sua cor¬ tesia, sinché al mio ritorno possa vederla dopo tanto tempo, e significarle me¬ glio F animo mio, et restringere qualche maniera acciò in P avvenire non babbi a digiunar tanto de le nuovo de sua persona et esserlo così inutile servitore come per lo passato. Li faccio riverenza di novo, e prego Nostro Signor che la feliciti. In Risa, li 26 di Nov." 1613. Di V.S. Illustre et Eec. ma Aff. mo Ser. ro e Scolare 3 0 P. 10 Pozzobonelli. So che V. S. provede molti amici soi di quelli instrumenti che sonno canna occhiale, che fan veder da lontano, lo ne desidero uno esquisito, et che mi venga di man sua: di gratia, V.S. me ne facei trovar uno quando venirò, ohe prima di Marzo non può essere, che compirò ala spesa, non essendo ragionevole che babbi da V. S. altro che la eccellenza, poi che per altre mani così s’acerta (?) più a caso et è accompagnata con mille altre imperfettioni. Di gratia, cerchi occa¬ siono di comandarmi, acciò sappi che ha gradito la mia affettane perpetua. V occhiale, se sarà esquisito, credo sarà portatile sotto la cappa, et si potrà anche osservare qualche coso dele nuovamente da V. S. ritrovate in cielo ; 11 perciò non vorrei machina sì longa come quella di Don Benedetto, ma di quelli di un braccio incirca. Ne capitano a Genoa alcuni, ma di tanti pezzi che in doi (1 OaBUIKLLO CuUBRKIIA. <*' Bkhkdetto Castelli. 5‘JS 2G — 30 NOVEMBRE 1013. [048-950] dì cascano da luogo, et se multiplicano assai, danno pena estrema in ritrovare P oggetto. V. S. mi favorisca, di gratin, di cosa che non sia triviale, et la depositi in mano di qualcheduno sino ala mia venuta, acciò non sia astretto a darla ad altri et all’ora non potermene fare gratin. 949 . GALILEO a CAMILLO GLORIOSI in Padova. Firenze, 30 uovcnibrc 1013. Riproducici™ questa Iutiera dallo pag. 25-26 dulia lUtpontio Ioannir Camili.i dumosi ad vindleiat Iturtholomei Funeri. tieni Jietjxmtio eiutdem ad tchulium Fortumi Li'ceti, eco. Noupoli, ex typographia Secondini Roncalioli, W.DO.XXX. Io ricevetti contento non piccolo, quando intesi dall’ Illustrissimo Signor Sagredo della elezione caduta in V. S., stimando che non po¬ teva cadero in persona più atta a questa lettura. Y. S. comincia quel corso, nel quale io ho spesi 18 anni con mia gran satisfattione, ser¬ vendo a Principe tanto benigno; onde ella si può prometter l’istcssa, et tanto maggiore, quanto ella è di maggior merito. Le rendo grazie infinite del cortese affetto clic mi dimostra, o P assicuro che ne è con¬ tracambiata, come dall’ esperienza stessa conoscerà, qualunque volta ella si degnerà di comandarmi, corno ne la prego. Intanto favoriscami di far reverenza in mio nome a tutti cotesti Signori lettori, e mi con- io servi la grazia sua, eli’ io per fino con ogni affetto gli bacio le mani. Di Firenze, P ultimo di Novembre 1013. 950 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 30 novembro 1G13. Blbl. Naz. Fir. Mss. fin!., P. VI, T. IX, ctir. 107. — Autografa. Molt’ Ill . r0 e molto Eoe . 10 Sig. r mio Oss. n ‘° Ilo riceuto la gratissima di Y. S., e mi doglio grandemente che tanto se¬ guitino le suo indispositioni a molestarla ; onde perdoni lei al desiderio che ci trasporta d’intender nuova di lei e (lolla sanità sua tanto bramata, e attenda pure ad haversi cura, che così haveremo poi più consolatione; eh’intanto al’istesso desiderio sodisfarà tralasciando ogni cosa nociva. I Peripatetici et Apelle seguono al lor solito : almeno usassero qualche poco di giuditio, per non venir universalmente derisi. Il libro del’amico è nelle veg- Lctt. 949. 5. Ma te pud — D. deynarà — [050-051] 30 NOVEMBRE — 3 DICEMBRE 1G13. 599 ghie nostro desiderato; presto credo comparirà. Intanto n’habbiamo un altro (,) per io le mani, che dico della luna coso bizzarre, richiudendola in una lanterna proi¬ bita, elio venga pian piano scoprendosi e ricoprendosi, poiché non voi che sia illuminata dal sole, et espone l’eclissi a suo modo: ò stampato di qua; c s’ella non 1’ ha veduto, lo mandarò subito. Il P. C. :ltt) avisa liaver scritto de’ natabili et mergibili, dissentendo da V. S. : procuro mi venga alle mani la scrittura; se capitarà, V.S. rilaverà subito. Egli mostra gustar poco dello matematiche ; o le sue cose sogliono andar in volta a pezzi, c restar soppreso in mano de’ particolari. Mi trovo tutti quelli eli’ hanno scritto contro il libro di V. S. delle cose clic galleggiano, dal Coressio (3) greco in fuori. V. S. mi farà gratia mandarlo, acciò 20 possa compire il mazzo, oliò qui non si trova. Foci inviar sicuramente la lettera di V. S. con lo scatolaio de’ cristalli per il telescopio, de’ quali V.S. 1’ ha favorito, al S. r Colonna. Ilora desidero esser da lei favorito similmente, per haverno uno de’ suoi appresso di me, e goderlo nelle osservatami celesti con quest’altri S. rì Lincei, celebrando i suoi scoprimenti. Ho fatto porro in ordino un libro delle macchie del solo di V.S. per darlo al S. r Cardinale Bevilacqua w , molto mio signore, già che ha mostro di gustarne particolarmente. Resta che pregili V. S. a coinmandarmi, come faccio ; e le bacio con ogni alletto di core le mani. N. S. Dio la conservi. Di Roma, Fult. 0 di Ombre 1013. so Di V.S. molt’Ill. ro e molto Ecc. 10 Bacio le mani al S. r Ridolli, mio signore. Aff. mo per ser. ,n sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. 951 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 3 dicembre 1618. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 122. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. ro 1 laverei da scrivere longo per ringraziar V.S. dei favori elio mi fa di con¬ tinuo; ma son uso a riceverne tanti, che non posso altro fare se non significargli che li conosco, e so benissimo che tutto quel che io sono, sono per lei, e per il nome che porto di suo discepolo. «’» Dialogo (li Kr. Vr.lPSE At.BERGOTTI, CCC. Nel «inno causali dall'interpolinone delta luna fra noi et quale *i tiene, contro V opinione «orninone da gli nitro- egli. Interlocutori Antro e Logia. In Viterbo, appresso loyi. matematici e filosofi, la luna tener da eì lumi - (iiroliuno Discepolo, M.OC.XIII. ‘“ita e noh ricevere, il lume dal nule, uè che gl'ectimi Tommaso Campanki.I.a. di lei ai : cannino dall' interponi ione della terra fra ,S) Cff. Voi. IV, jmg. 197 6 S0 o- quieti doi luminarti, c che nè anco quelli del »ole <*! Bonifacio Bkvii.acqua. GOO 3 — 4 DICEMBRE 1G13. [351-952] Le cose mia seguitano con tanta prosperità, elio liomai è troppo. Ilo prin¬ cipiato a leggere privatamente al Sig. r Vicerettore (,) con mia grandissima ripu¬ tazione ; con lui vengono intorno a dieci altri gentiluomini, talché nelle lezzioni private ho intorno a venticinque o trenta scolari, ed il fiore di questo Studio. Non ho tempo da magnare a pena ; fatico, e credo con frutto, perchè, mi pare io bavere de’ buoni et infervorati sugetti, a’ quali ho promesso di leggere, quando sarà tempo, (così da molti ricercato) il libro delle cose che stanno a galla, e quello delle macchie del sole. Discorsi al lungo di V. S. col Sig. r Operario, che è un de’Castelli (,) , persona molto principale; ma come quello che non ha ancora visto nulla dello inventioni di V. S., ancorché per altro si mostri di buon giu¬ dizio, mi dimandò se era vero delle Stello Medicee e delle altre novità. Io li ri¬ sposi, clic quando S. S. havesse visto quello che V. S. liomai haveva mostrato a tutto il mondo, non haverebbe hauto occasiono di dimandarmi simil cose, ma sì bene di restare meravigliato e di questo e di milP altre meraviglie. Egli mi rin¬ graziò, c disse di volere vedere, con offerirmi ogni suo favore con molta genti- 20 lezza; 0 mezo trattassimo come parenti, havendomi fatto vedere certe scritture antiche di casa mia di Brescia. E veramente, oltro l’essere signore di gran stima in questa città, merita, al mio giudicio, ogni serviti! per le sue nobili maniero. Starò aspettando con suo comodo qualche aviso, come mi ho da governare nella serviti! col S. r Principe I). Francesco (8) . Mi perdoni se non scrivo più, perché la campana suona 0 il cocchiere si voi partire. Bacio le mani al Sig. r Amadori con tutti cotesti miei Padroni, c fo riverenza a V. S. ricordandomeli discepolo, figliuolo 0 servitore ohligatissimo. L’istesso fa Orio. Batta, quale ha per discepolo di matematica il suo dottore di logica con quattro altri signori. Pisa, il 3 di Xmbre 613. so Di V. S. molto 111.re et Ecc. m * Oblig. n, ° Discepolo e Ser.” D. Benedetto Castelli. Fuori, Nicolò Cabtblm, Operaio dui Duomo di Pisa. < s ) Francesco de’ Medici. [952-953] 4 — 0 dicembre 1013. 001 particolarmente il tutto, dico intorno alla casa elio egli offeriscie al Sig/ Prin¬ cipe Ccsis per erigere il collegio de’ Lincei : che è in somma, che il (letto Sig/ Nic¬ colò darà la casa in dono con questa condizione, che dopo la morte del Sig. r Prin¬ cipe il ius di nominare gli soggetti che si dovono alimentare in detta casa, resti nella posterità della familia c casa Castelli qui di Pisa, nel medesimo modo e con le medesimo condizioni o ragioni elio in vita liaverà il Sig. r Principe. La casa io ò attaccata alla Sapienza 0 ’, di valuta di millecinquecento scudi in circa: bora, se paro a V. S. elio si possa promovere questo negozio, l'accia lei, e comandi a me quello clic ho da fare, oliò la servirò. Diedi le osservazioni Medicee a M. r Iloratio (,) ; ma era meglio dargli un fiasco di vernazza, che almeno haverebbe servito per lui. Qua io non ne posso fare, perchè, come V. S. sa, ho a levante la casa del Sig/ Ruschio, che m’impedisce; ma quando il tempo sarà sicuro, trovare modo di osservare, e gli ne mandarò le costituzioni. La mia scola ù la più favorita di questo Studio ; séguito, e va crescendo. Nel resto sto bone, e m’ affatico di cuore. Di novo non ho altro per bora. Io li sono quell’ obligato servitore che sa, e li ricordo spesso che quel che io sono, 20 dopo Dio lo riconosco da lei; e li bacio le mani, facendo riverenza a cotesti Si¬ gnori e Padroni miei, e notninaiim al mio Sig. r Niccolò Arrighetti. Pisa, il 4 di Xmbro 1013. I)i V. S. molto 111/ 0 ed Ecc.' na Sor/ 0 [e Dis.]'° [... ] D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111/ 0 ed Kcc. mo Sig/ mio Oss. mo 11 Sig/ Galileo Galilei, Filosofo e Mat. co p.° di S. A. Firenze. 953 * FABIO COLONNA a GALILEO in Firenze. Napoli, fi dicembre 1613. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 109. - Autografo. Molt’ 111. 0 Sig/ P.ne Oss. mo Carissima è stata a me la lettera di V. S., con la quale non solo me dimo¬ stra con le parole la sua benevolenza, ma ancora con P opre, liavendo con ella ricevuti li cristalli per il telescopio; il qual per hora non havendolo a mio modo possuto ben aggiustare, per molti guai che ho havuto, ho solamente veduto che avanza li miei di lucidezza, che fa lo cose apparir molto piu chiare, cagione della gran portione del convesso et poco concavo del vetro dell’ occhio : citò nelli miei più piccoli, per haverli dato concavo più profondo et piccolo, aguagliano la gran¬ dezza della cosa veduta, ma non così lucida. Starò ag giustandolo, che non faccia m Cfr. n.° 5, lin. 3. Cfr - u *° 945 > lin - °* XI. 76 602 6 DICEMBRE 1613. [ 953 ] splendore intorno alle stelle ; perchè liavendoci voluto veder Saturno et Venere, io por la lucidezza et splendore non fa parer esattamente le lor circonferenze, che con il mio, che non fa così chiaro, se vedono benissimo. Saturno, io da questo Settembre l’ho sempre osservato con le due stelle. Et se mal me ricordo, V.S. accenna nel suo libro che se doveano occultare, et alla bruma di nuovo appa¬ rire: hoggi quella nella parte orientale appare meno dell’altra, et pur quella pare pili piccola del mese passato. La orientai eminenza della 3» tanto lucida che io scrissi me pareva doversi stimar altissima al par del semidiametro del suo globo, io non già credo sia; et per accertarmene, l’osservarò alla luna crescente che sarà prima, se non bavero travagli : chè so così sia, apparirà molto prima che se illumini il suo continente, 20 come fa una parte superiore a quella che termina una macchia grande sopra di essa fatta a modo di ombra liumana /V che la parte orientale se illumina molto prima. Che pur la luna babbi un manico a modo bocale io ne ho fatti alcuni disegni ; et se ben, per la moltitudine delle particolarità clic si scorgono, non siano esattamente, pure avanzano quelli fatti in Roma et stampati da quel valent’ buomo lettore (,) . Se il tempo et travagli non me disturbano, sto in humore di far un globo con le eminenze, a mio parere, che debbiano, con il lume del sole o candela, dimostrar quelli globuli et eminenze così illuminati come so veg¬ gano con il telescopio, che credo sarà di gusto a chi se ne dclettarà ; et così sapere a dir tutte l’eminenze et lor proportioni. 80 Ilo volentieri inteso che le gustino le macchie da me fatte (,) , le quali, per esser principiante ot senza aiuto, chè qui nessuno altro se diletta nò fa tali os- servationi che ne potesse imparare qualche osserO • •>, et però volentieri ne farò ancor per l’avenire, acciò, con il rincontro do quelle di V. S., venga a conoscere in che io liabbia mancato; et così imparerò per l’avenire. Me rincresce che lei patisca male, che l’impedisca li suoi gusti et studii. Spero a N. S. che sarà cosa di presta salute ; et intanto, ringratiando V. S. del- 1’ affetto et del dono a me carissimo, che non potrò mai darnele contracambio, la prego a comandarmi alla libera et tenermi per suo atìetionatissimo et obli- gatissiino alla sua cortesia : et con ciò finendo, resto pregando N. S. lo doni presta Cfr. li.® 929. [964-955] 7 — 10 DICEMBRE 1613. 603 954 *. CI IO. ANTONIO MAG1NI a GALILEO in Firenze. Bologua, 7 dicembre 1613. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Csmpori. Autografi, B.» LXX1X, n.« 49. — Autografa. Molto Illustro et Kec. m0 S. r mio Oss. mo Havend’ io stampato un supplemento (lolle mie Efomoridi et tavole dei se¬ condi mobili, nel quale sono le tavole dei luminari et di Marte secondo il cal¬ colo Tichonico no ho voluto far parte a V.S. d’un essomplare, consigliandolo al Mag. co ('attutano Morbiolo, che l’inviarti ai suoi rispondenti costì, da’ quali potrà ricuperarlo. Ho volentieri data fuori al presento questa fatica, perchè sia un stimolo al S. or Keplero di dar fuori i moti Tichonici corretti o almeno qualch’anno di efemoridi, et siamo stali in cianciumc per farle di compagnia col detto; ma alla fine, havcnd’ egli un fine troppo congenito con interesse di guadagno, non io habbiamo potuto attaccarsi. Io non ho alcuna nuova dov’ egli si ritrovi, chè vo¬ lentieri gl’inviarci uno di detti libri, ot non può fare clic Y. S. non n’habbia qualche nuova da potermela partecipare. Col qual fine me le raccordo prontis¬ simo sempre a’suoi commandi, et le bacio le mani. Di Bologna, li 7 Decombro 1613. Di V. SS. molto Illustre et Ece. ,na Servitore Aff. ,no Gio. Ant.° Magini. Fuori: Al molto Illustre et Ecc. mo S. or mio Oss. mo 11 S. or Galileo Galilei, Mathematico del Ser. mo G. Duca. Firenze. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Pisa, IO dicembre 1613. Bibl. Nnz. Fir. Mas. «al., P. I, T. VII, car. 126-1 ‘27. — Autografa. Molto III.™ ed Ecc. mo Sig. r mio Oss. n, ° Ilo riceuta la sua con le copio delle Lettere solari, e la ringrazio infinita¬ mente. Ieri ancora mi fu data 1’ ultima, con l’inclusa al Sig. r Picchcna, e gli |l> Eupplenientum Ephemeridum ae Tabularla» teoundorum mobilila», lo. Antoni! Maoinmi ecc., in quo hubentuv ratio ri inrthodu» perfacili* proniptiitime vipputandi vcrui» motum voliti et lumie et ilartù ex novi « tabulili tecundum Ti/chonicm obiervatione» mine primai» accurate contimeli*, occ. Venetiis, apuli liao- redom Uamiani Zenarii, M. DC. XIV. Fu ristampato u E rauco furto ranno successivo. 604 IO DICEMBRE 1613. [055] la consigliai in man propria, con offcrirmegli servitore; baciai le mani a Mon. r Ar¬ turo 0) ili suo nomo, e l’istesso feci al S. r Cornacliini quali tutti la risalutano. Il Sig. 1 ' Enea 01 mi ha (letto d'havcr un compasso geometrico solo, e l’altro in Firenze, o me lo darà da parto di V. 8. Non ho mai potuto faro altra che que¬ sta miserabile osservazione do’ Pianeti Medicei ; anzi, subito visto Giove, nella prima occhiata sopragionsero nugoli : tale quale glie la mando. JJ. 4 Xnibris, h. noe. seq. IL lo o_—* 2 2 dii. metri Quanto al mio particolare poi, le coso seguitano di bene in meglio, lo buone cioè: leggo in casa tre lezzioni, ed ho 27 scolari nobili e di tutto garbo; di più la sera, a mezz’bora di notte, vicno il Sig. r Enea con sua grandissima sodisfa- zione, ed ha principiato Euclide di sua elczziono. Un dottore di logica mi ha di¬ mandato, per che causa il diametro non 6 commensurabile alla costa ; cd liavcn- doli io detto elio questa era la 117 proposiziono del x libro d’Euclide, e che era impossibile a potergliela dimostrare cosi in piedi in piedi, senza haver visti od intesi li precedenti libri, egli mi soggionse se era buona prova quella d’un espositore per via di una distinzione: cioè che diameter consideralur vcl ut diameter rei ut linea ; ut diameter est incommcnsurabilis ; ut linea vero, commensuràbilis. Qui 20 fummo interrotti, c non hebbi tempo a dirgli elio era bonissima ragione per lui. Domenica mattina fui alla tavola de’ Principi, 0 mi dimandarono informa¬ zione della scola, do’ scolari, e clie lezziono io leggevo. Li risposi che leggevo Euclide; e Madama Ser. 1,1,1 soggionse : Bene il maestro. Li dissi di più che i sco¬ lari erano tanti, clic ero necessitato a leggere tre lezzioni il giorno. Si entrò poi nelle lodi di M. r Antonio (i) b. m., il quale fu celebrato per huomo mostruoso di scienza da quelli dottori assistenti ; ed io soggionsi che veramente il transito da ciabattino all’ esser lettore di matematica era stato un gran fare, e che egli intendeva bene quelli primi sei libri che si leggono, e la Sfera del Sacrobosco. Ilora quelli clic si erano messi a lodare M. r Antonio, pensando torsi che io lo so dovessi biasimare, voltorono, 0 cominciorno a dire che egli non liaveva metodo d’insignare, e elio non si faceva mai intendere; al che pur io soggionsi, essersi sopra di ciò con me doluti alcuni scolari. Il Gran Duca mi dimandò se le lez¬ zioni private erano di maggior frutto ; ed io li dissi di sì, perché la familiarità del dire facilita e domestica assai la severità e maestà delle demostrazioni geo¬ metriche, la quale è necessario mantenere in publico. Ma quello che fu più il hello, e che fece stupir me ed il Sig. r Enea, fu che il Sig. r Can. co Bellavita, lo¬ dando certi loro congressi Accademici, disse che la sera avanti, toccando a lui O) Arturo Pannocohirsciu d’ Kloi. •*' Orasi» Cornauchiki, < 3 > Erra Picoolomim. (*> Antonio Santucci. 10 - Il DICEMBRE 1H13. 605 [955-0561 argomentare*, 1)aveva provato che la terra ai muoveva cd il cielo stava fermo, <0 o che il giorno seguente, che sarò hoggi, sostenerà tutto il contrario. Madama mi guardò sorridendo, ed io abbassai gli occhi o non dissi altro, non essendo interrogato. (ìli voglio dire un’altra cosa, la quale forsi non li sani nova; ed ò che, senza occasione nessuna, si ò sparso nomo per questo Studio che io mantengo le opinioni di V. S. e clic son contro Aristotile e che strapazzo la filosofia, c che questo sarò un concitarmi contro tutti gli scolari e lo Studio : c di ciò son stato svisato. Io ho risposto, che non credo che a quelli, clic si piglino questi pensieri di me, dia noia che mi conciti contro li scolari c lo Studio, ma forsi li deve trava¬ gliare il vedermi tanto da’ scolari e dal Studio favorito, o la mia casa tanto fre¬ so qucntata, massime elio avanti io venissi qua si era detto che io non haverci hauti scolari; dissi di più che io non barerei mai dal canto mio fatta azziono indegna, e clic nel resto poco mi curavo di chi, senza cagione, di me si volesse dolere. In publico io camino longo Arno con bella comitiva ogni sera, finita una mia lez- zionc; e credo elio questo facci rodere i maligni ed invidi. Della frateria, hoggi sarò dal Gioii, ed assccurarò ogni cosa. Quanto al ne¬ gozio di D. Paolo, non ho ancora potuto parlare: por l’ordinario scriverò a V. S. quello elio barerò fatto. Nel resto me li ricordo servitore obligatissimo, e li b. lo m. Michele, qual sta bene e serve, li fa riverenza, ed il simile Gio. Batta. Di Pisa, il IO di Xmbre (513. co Di V.S. molto 111.” ()blig. mo Sor.™ e Discepolo D. Benedetto Castelli. 956 . BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Pisa, 14 dicembre 1613. Bibl. Naz. Fir. Mks. fluii., P. I, T. VII, cnr. 128-129. - Autografo. Molto 111.” ed Ecc. mo Sig.” Giovedì mattina fui alla tavola do’ Padroni, et interrogato dal Gran Duca «Iella scola, li diedi conto minuto d’ogni cosa, e mostrò restare molto sodisfatto. Mi dimandò se io havovo occhiale: gli dissi di sì, e con questo entrai a dire della osservazione de’ Pianeti Medicei fatta a punto la notte passata, e Madama Ser. m ' 1 volse sapere la positura loro, e quivi si cominciò a dire che veramente bisognava elio queste fossero reali e non inganni dell’ istrumento, e ne fu dall’ AA. loro in¬ terrogato il S. r Boscaglia l,) , quale rispose che veramente non si potevano negai e, c con questa occasione io soggionsi quel tanto che io seppi e potetti dire della 1,1 Cosimo Boscaglia. 600 I l DICEMBRE 1613. [956] inventione miratilo di V. S. e stabilimento de’ moti di detti Pianeti. Vi era a io tavola il Sig. r 1). Antonio' 0 quale mi faceva una faccia tanto gioconda c maestosa, che mostrava segno manifesto di compiacersi nel dir mio. Finalmente, dopo molte e molte, cose, tutte passate solennemente, si finì la tavola et io mi partii; et a pena uscito di Palazzo, mi sopragionse il portier di Madama Ser. mft , (piale mi ri¬ chiamò in dietro. Ma avanti elio io dica (pici che seguì, V. S. deve prima sapere elio alla tavola il Boscaglia susurrò un pezzo all’orecchie di Madama, e conce¬ dendo per vere tutte lo novità celesti ritrovato da V. S., disse che solo il moto della terra haveva doli’ incredibile e non poteva essere, massime che la Sacra Scrittura era manifestamente contraria a questa sentenza. Ilora tornando al proposito, entro in camera di S. A. (0 , dove si ritrovava il 20 G. 1)., Madama 0 l’Arciduchessa, il Sig. r I). Antonio e I). Paolo Giordano 10 , et il D. Boscaglia; 0 quivi Madama cominciò, dopo alcune interrogazioni dell’esser mio, a argomentarmi contro con la Sacra Scrittura : e così con questa occasiono io, dopo liaver fatte le debite proteste, cominciai a far da teologo con tanta ripu¬ tazione 0 maestà, che V. S. lmverehhe hauto gusto singolare di sentire. Il S. r D. An¬ tonio m’aiutava, e mi diede animo tale, che con tutto clic la maestà dell’ AA. loro fosse bastante a sbigottirmi, mi diportai da paladino; et il Gran Duca e P Arcbiducbessa erano dalla mia, et il Sig. r D. Paolo Giordano entrò in mia diffesa con un passo della Sacra Scrittura molto a proposito. Restava solo Madama Ser. mn , che mi contradiceva, ma con tal maniera clic io giudicai che lo facesse per sen- 30 tir mi. Il Sig. r Boscaglia si restava senza dir altro. Tutti i particolari elio occorsero in questo congresso nel tempo di due buono bore, sarano raccontati a V. S. dal Sig. r Niccolò Arrighetti (0 . Solo questo io li ho da dire di obligo, che essendo io pur ivi in camera entrato nelle lodi di V. S., il Sig. r D. Antonio ci entrò ancor lui con quel modo che si può imaginare; ed a me nell’ uscire mi fece di molte offerte con animo veramente da principe, anzi di più ieri mi comandò che io dovessi raguagliar V. S. di tutto questo successo 0 di quanto egli haveva detto, c mi disse queste formate parole : < Scrivi al Sig. r Ga¬ lileo, che io ho preso tua conoscenza, e quel che io ho detto in camera a S. A. >. Al che io risposi che baverei dato conto a V. S. di questa mia bella ventura di -*0 essermi dedicato servitor di S. Eccellenza. Dal Sig. r D. Paolo parimente mi è stato fette ogni favore, di modo che le cose mie (e siane lodato Dio benedetto, che mi aiuta) cambiano con tanta felicità, che non so che più desiderare. E perchè non ho più tempo, li bacio le mani, e li prego dal Cielo ogni bene. Di Pisa, li 14 di Xmbrc 613. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Oblig. mo Ser.™ e Discepolo D. Benedetto Castelli. 10 0. Antonio uh’Mudici. ,v Cfr. Voi. V, pag. 204. (Sl Pàolo Giordano Orsini. <*' Cfr. Voi. V, pag. 281, lin. 2-3. 10 DIUEMUUE 1U13. 607 L967J 957 * DANIELLO ANTONINI a [GALILEO in Firenze], Udine, 15 dicembre 1013. Blbl, Nft*. Fir. Msh. fini., I‘. I, T. VII, cor. 131. — Autografa. Multo 111.™ et Kcc. mo Sig. r mio Col." 10 Quando io mi pensava questa stato di venirlo a far riveronza et a godere delle sotilissime sue spcculationi et dei soavissimi suoi discorsi, mi sopragionse un’ infirmiti, la quale con severa ostinationo m’ ha tenuto lungamente oppresso, et finalmente, doppo quella, molti altri travagli m’ hano non solo impedito fin bora questo dissegno, elio con tanto mio gusto liavrei effettuato, ma mi fano anco dubitare quando mai tal ventura mi possa accadere; tanto maggiormente, che pigliando la guerra d’ Ungheria qualche forma, io son già in parola col Sig. r Conte di Bucquoi d* andarlo a servire. Tutta volta di questa molestia mi solleva non io poco l’haver inteso clic in mano del Conte Sforza di Torcia si trova un libro di V. S., quale ò dalla sua gentilezza a me un pezzo fa inviato ; et sebene esso Conte non me n’ha fatto ancora moto, procurarti in ogni modo d’havorlo, rin- gratiandola infinitamente della cortese memoria clic tiene di me, assicurandola che lontano da lei non posso da cosa alcuna al mondo ricever gusto uguale a quello della lettura de’ suoi discorsi. Panni haver inteso da chi ha veduta questa opera, che V. S. si chiama Linceo, et cosi si chiamano tutti quelli che per mezo della luce delle sue osservatigli scuoprono il segno della verità. Pertanto io, che sempre ho vedute quelle cose ch’ella s’è degnata mostrarmi, starò aspettando d’esser da lei fatto degno di 20 questo nome, sicome mi persuado esser (v’ ha molto tempo) fatto degno della sua gratia; nella quale vivamente racomandandomi, le baccio le mani, pregandole felicissimo le prossime feste di Natale. Li Udine, il dì 15 Decembre 1613. Li V. S. molto 111.” et Ecc."'* Ser. r Obl. mo Daniello Antonino. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Col." 10 LHj Sig. re Galileo Galilei. f. c * per V.» • Fiorenza. G08 18 DICKMUKK 1G13. [958] 958 *. OTTAVIO PISANI a GALILEO in Firenze. Anversa, 18 dicembre 1013. Blbl. Kst. In Modenn. Raccolta Campori. Autografi, 11.» LXXXV, n. 86. — Autografo. Molto Illustro S. r mio S. r et Padrone Oss.'" 0 , S. r Galileo, Ringratio V. 8. por mille volto, et per mille volte basandoli le mani et rin- gratiandola li dicho elio ni’ ha fatta la maggior gratia del mondo. Veramente V.S. me Lave ottenuta la gratia da S. Altezza Serennissima, tanto desiderata. Io mi conosco obligatissimo a V. S., et non so che mi faro per reserviro a V.S. tanta gratia che mi ha fatta: solo li dico elio V.S. mi spenda a me per quanto vaglio in servire a V. S., et Idio pagherrà V. S. Quanto a lo conversione de le Stelle Medicee intorno a Giove, a me pare elio hanno in uno cerchio io moto (,) in longitudine et in latitudine, et P occaso hanno cerca Giove, et tutte Vincqualità de moti hanno per la theorica di Giove, come V. S. io vede ne la theorica di Giovo nel mio libro, a S. Altezza Serennissima intitolato mediante il favor di V. S. Behrdetto Castelli. [901-1)62] 27 DICEMBRE 1619. 611 lisca (lolla gente. V. S., quando gli scrivo, lo saluti, come anco tutti i suoi sco¬ lari et il S. r Sortirli l ", come gli vedo. Et a V. S. bacio lo inani. Di Genova, li 27 di Xbre 1613. Di V. S. molto 111. Ser. r Afl>° Filippo Salviati. 20 Fuori: Al molto 111. Sig. r mio ()ss. mo 11 S. Galileo Galilei. Firenze. 9 02 *. GIO. BATTISTA DELLA PORTA a [1013]. Riproduciamo quoslo capitolo di lotterà dallo pag. 92 03 dolio Memorie isterico critiche dell' Accademia de Linci ucc., raccolto o scritto da 11. Raldassakk Ooksoalohi. Roma, MDCCCY1, nella stamperia di Luigi l'orogo Sai violi!. Tuo» litteras acccpi, in quibus amoria in me tui argomenta lucalenta renident. Seri- bis, to maguoporo udinirari, Anglos, iielgas, Fraucos, Italos et Gennanos sibi teloseopii inventum arrogare, me solum, qui inventor extiterim, inter tantoa rumores conticescere. Meno negligentiao et supinitatiB rationcs afFeram. Primo, quod insignia S. C. M. Mathc- raatious Keplerua, sua qua pellet animi ingenuitate, e Germania, me tacente, respondet, ostenditquo, XVII Naturai» moae Magiao libro, capito X, fabricamW, mathematicas autem demonatrationea libro De rofractione Vili quos ante 25 abbine annis typis excu- f" I / bob publieavi, ilarissimo continori) Praeterea, eiusmodi inventum perfeci, toediosae sano ot fastidiosa® operationis, cura por arctum foramen spectro petenda via sit, neo dare 10 ot aperto contuori possis; cura paulo post Bpecilluiu invenissem, quod oculis appositum, per decom milearia pp. hominem diseernere poasim, quod canone conditura, longc mira- biliora opera visuntur et maiora quara Berilli possjnt, quao Taumatologiae <*> nostro libro conduntur; quod specillimi demonstrasse memini Principi nostro Lynceo Federico Cnesio, Montis Godìi Marchioni, iuveni stemmatum splendore, virtute, moribus et eruditione, tota Urbe et Orbe apectabili. Scd cur dissitis tam regionibus viri cousurgant, qui sibi boc inventum arrogent, scito. Literatiores onines, qui a diversis mundi partibus Neapolim confluunt, seraper me con- veniunt, secreta multa a me discunt, multa me docent, amice nundinamur, datia acceptia- quo arcania convenimus. Telescopiuni multis ostendi (lubet hoc uti nomino, a meo li in 20 cipe reperto), qui in suas regiones reversi, inventionem sibi a/ìscribunt, Fateor ingenue, lo f- j ‘T - X / J <" Ai.kssanouo Skrtini. •*» Cfr. 11 .» 297, lin. 124. Cfr. il." 230, lin. 2. (») Cfr. n.» 896. ) H S-MAM. 612 [ 1613 ]. [ 962 ] non tam affabre expolitum ooraptumquej valde tamon gratulor, tara rude et exilo meum inventimi ad tam ingonteB utilitates exoltatum; cum nuper, ope et ingonio doctÌ8BÌmi ina- thematici Galilaei Galilaei (non enim nimplici, sed duplicibus et doctissimis Galilaeis, ad tam ardii am et oxcel^e«4 facinus topcl'iendum, opus erat), tot planot.ao coelo oberrent, tot nova _ / sydera firmamento rouideant, qua© tot sueculis delituorant, ut opera maximi et, divini Conditori loouplotiora conspiciantur. Opera marnami Tuarum annunciai firmamentum. Magnum profocto et invidendum inventum, quod non parvam ali» ansani praebebit maiora inveniendi. . Perspexerum ante in lunae orbita cavitates et eminentias . .. pleiadnm et aliarum imaginum minora sydera; sud orrantium circa lovis stellnm, instrumcnti imperfectio etmor- 80 bosa Henoctus votuit. Ketulit tanien P. l'aulua Lembi» Iesuita, do mathematica (cum quo in illi cara intercessi t neccssitudo) et medianica benemeritus, e orum niotus observasse, l jj* ] nona Galilaeo absonos; quao mihi facile porsuadeo.... »*> La lacuna è nella utauipu. PINE DEL VOLUME UNDECIMO. INDICE CRONOLOCtICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XI (1611-1613). 451 452 458 454 455 456 457 458 459 4(10 461 462 463 464 465 466 467 468 469 470 471 172 478 474 475 476 477 478 479 4H0 481 Galileo a Giuliano do’ Modici... Marco Welser a Galileo. » a Cristoforo Clavio » a Paolo Gualdo ... Giovanni Kopler a Galileo. Odoardo Famoso * . Daniello Antonini * . Gio. Antonio Magmi » . Belisario Vinta » . Tommaso Campanella a Galileo.. Galileo a Belisario Vinta. Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo > > Belisario Vinta a Galileo. Gio. Federico Breiner a Galileo .. Cristoforo Grienbergor * Francesco Duodo * Lodovico Cardi da Cigoli » Luca Valerio * Galileo a Marco Welser. Paolo Gualdo a Galileo. Giuliano de’ Medici a Galileo. Paolo Gualdo » . Gio. Antonio Koffeni » . Marco Welser a Cristoforo Clavio Galileo a Faolo Sai-pi. Antonio Santini a Galileo. Marco Welser » . Galileo a. Paolo Gualdo a Galileo. Fulgenzio Micanzio a Galileo.... Pag. 1° gennaio 1611 11 7 » » 13 z> » 14 » » » 15 9 » » > 10 » » 17 11 » 18 » » » 19 12 » » 20 13 » » 21 15 » » 26 » » » 28 19 * » » 20 » » 22 » » 29 » » 31 27 » » 35 28 » * 36 » » » 37 febbraio » 38 4 » » 41 7 » » 42 10 » » 43 11 » » 44 » » » 45 12 » » 46 » » 50 18 » » 51 25 » » 52 » » » 56 26 » » 57 614 INDICE CRONOLOGICO. I 482 Gio. Antonio Roffeni a Galileo. 26 febbraio 483 Flaminio Papazzoni * » » 484 Cosimo li, Granduca di Toscana, a Giovanni Niccolini 27 » 485 » » a Francesco Maria del Monte. » 486 Galileo a Giuliano de* Medici. » 487 Flaminio Papazzoni a Galileo . 1° marzo 488 Giovanni Uelloni » . 4 » 489 Lorenzo Pignoria » . » * 490 Gio. Antonio Roffeni » . * » 491 Galileo a Cristoforo Clavio. 5 » 492 Paolo Giordano Orsini a Galileo. 7 » 493 Cristoforo di Zbaraz * . 8 * 494 Antonio Santini » . 9 * 495 Giusoppo d’Acquaviva *• . 12 «• 490 Sebastiano Vonier » . » » 497 Galileo a Belisario Vinta. 19 » 498 Belisario Vinta a Galileo. » » 499 Michelangelo Buonarroti a Maffeo Barberini. 22 » 500 Ernesto, Elettore di Colonia, a Cristoforo Clavio- 24 » 501 Marco Welser a Galileo., 25 * 592 Francesco Sizzi a Gio. Antonio Magini. 26 » 503 Giovanni Kepler a Galileo. 28 » 504 Giovanni Niccolini a Cosiino li, Granduca di Toscana 30 » 505 Galileo a Belisario Vinta. . 1° aprilo 500 Maffeo Barberini a Michelangelo Buonarroti. 2 » 507 » ad Antonio do* Medici. > * 508 Francesco Maria del Monte a Cosimo II, Granduca di Toscana. » * 509 Benedetto Castelli a Galileo. 8 » 510 Galileo a Virginio Orsini. 8 » 511 Francesco Maria del Monte ad Antonio do’ Modici... * » 512 Daniello Antonini a Galileo. 9 » 618 Ottavio Bandini ad Antonio do’ Modici. » » 514 Tiberio Muti ad Antonio do’ Medici. » » 515 Roberto Bellarmino ai Matematici del Collegio Romano 19 » 510 Francesco Sizzi a Cristoforo Clavio. 20 » 517 Galileo a Filippo Salviati. 22 » 518 Gio. Antonio Magini a Spinello Benci. » » 519 Giovanni Niccolini a Belisario Vinta. 23 «* 520 1 Matematici del Collegio Romano a Roberto Bellarmino 24 » 521 Galileo a Belisario Vinta. 27 > 522 Michelangelo Galilei a Galileo. » * 523 Daniello Antonini * 29 » 524 Marco Welser a Giovanni Faber. > » 525 Federico Cesi a Francesco Stelluti.*. 30 » INDICE CRONOLOGICO. 615 526 527 628 52!) 580 531 532 533 534 535 530 537 538 53!) 540 541 542 543 544 545 540 547 548 540 550 551 552 553 554 555 550 557 558 559 660 561 562 568 504 565 560 507 508 660 570 Paolo Gualdo a Galileo. 6 maggio 1611 Giovanni Niccolini a Molisano Vinta. » » p Piero Dilli a Cosimo Sassetti. 7 » Daniello Antonini a Galileo. 14 » » Cosimo Snssotti a Piero Dini. » » » Luca Valerio a Marcantonio Baldi. 20 » » Galileo a Fioro Dini. 21 » » Paolo Gualdo a Galiloo. 27 » p Lodovico dello Colombo a Cristoforo Clavio. » i> » Francesco Maria dol Monto a Cosimo li, Grunduca di Toscana. 31 p p Guido Bettoli a Cristoforo Grienberger. 4 giugno » » a Margherita Sarrocchi. » » » riero Guicciardini a Belisario Vinta. p p p Giangiorgio Brengger a Galileo. 13 » » Belisario Vinta a Pioro Guicciardini. » p j> Giuseppe Binncaui a Cristoforo Grienborger. 14 » i> Marco Welser a Galileo. 17 » p Gio. Antonio Rofieni a Galileo. 18 » » Daniello Antonini p . 24 » Cristoforo Grienberger » . p » p Gallnnzono Gallanzoni » . 26 » p Lodovico Cardi da Cigoli p . 1° luglio p Gio. Lodovico Ramponi p . p » p Marco Welser a Giovanni Faber . » p » Camillo Borsacchi a Galileo . 3 p » Gio. Antonio Rofieni » . 5 » » Daniello Antonini * . 9 » p Paolo Gualdo » . 12 » p Marco Wolscr a Giovanni Fabor . 15 p p Galileo a Gallandone Gallanzoni . 16 p » Antonio Santini a Galileo . 20 » » Francesco Niccolini » . 21 p p Faolo Gualdo » . 22 p » Gio. Battista dolla Porta a Federico Cesi . p » 23 » » Gio. Lodovico Ramponi a Galileo . » » p Gregorio do Saint-Vincent a Giacomo van der Straeten » » p Margherita Sarrocchi a Galileo . 29 p p Paolo Gualdo » . » p » Innocenzo Perugino a Girolamo Perugino . 30 » p Giovanni Kepler a Niccolò Wickens . p p Lodovico Cardi da Cigoli a Galiloo. 11 agosto p Federico Cesi » . 13 p p Giovanfrancesco Sagredo » . » » » Matteo Botti » . 18 » » Png. 99 101 » 102 103 104 105 116 118 119 » 120 121 p 125 120 127 128 129 130 131 132 133 130 137 138 » 139 140 141 155 150 » 157 158 159 102 163 165 1GG » 107 109 170 173 616 57 L INDICE CRONOLOGICO. Matteo Botti a Cosimo 11, Granduca (li Toscana. 18 agosto 1611 Pag. 174 672 Federico Cesi a Galileo. 20 > > * 578 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 23 » 2> 175 574 Margherita Sarrocchi a Guido Bettoli. 27 » J> 177 675 Innocenzo Perugino a Girolamo Perugino. > » S > 178 576 Galileo a Cristoforo Grienbergcr. 1° settembre » » 677 Daniello Antonini a Galileo. 2 » » 203 578 Gio. Battista Agucchi » . 9 » » 205 679 Margherita Surrocchi * . 10 » ► 206 580 Gio. Antonio RofFeni > . 11 » » 207 681 Francesco di Joycuso > . 15 * » 208 582 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 10 » » » 588 Francesco Dnodo * . > » » 209 584 Federico Ce9Ì * . 17 » > 210 685 Gallanzone Gallanzoni » . » » » 211 586 Giulio Cesare Lagnila a Luigi Capponi. 22 » > 212 587 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 23 » > » 588 Galileo a Lodovico Cardi da Cigoli. 1° ottobro » 213 589 Gio. Battista Agucchi a Galileo. 7 » » 214 590 Sebastiano Venier » . 9 > » 215 691 Malico Barberini » . 11 > > 216 592 Gio. Antonio RofFeni > . » > > 217 598 Margherita Sari-occhi » . 12 » » 218 594 Gio. Battista Agucchi > . 14 » » 219 595 Giovanni Deraisiani » . » » » 221 596 Margherita Sarrocchi » . 15 » » 222 597 Federico Cesi » . 21 » » 223 598 Enoa Piccolomini d’Aragona a Galileo. 23 » » 224 599 Gio. Battista Agucchi » . 29 » » 225 600 Antonio de’ Medici > . 31 > » 227 601 Francesco I)uodo » . 11 novembre » 228 602 Ixidovico Cardi da Cigoli » . > » » » 608 Paolo Gualdo * . » » » 230 604 Luca Valerio » . » » » 231 605 Dario Tamburelli a Cristoforo Grienberger. » » » 233 606 Cristoforo Scheiner a Marco Welser. 12 K » » 607 Giuliano ile’Medici a Belisario Vinta. 14 » » 234 608 Francesco Maria del Monte a Galileo . 18 » > 609 Marco Welser a Giovanni Faher. > » 235 610 Giuliano de’Medici a Belisario Vinta . 21 * » » 611 Marco Welser a Paolo Gualdo. 25 » » 236 612 Federico Cesi a Galileo. 3 dicembre > » 618 Girolamo Magagnati a Galileo. 10 » » 237 614 Giovanni Faber » . 15 » » 238 G15 Teofilo Mfiller » . » » 239 616 Federico Cesi » . 10 » » 240 INDICE CRONOLOGICO. 617 f>17 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 16 dicembre 1611 Png. 241 «18 Francesco Duodo » . » » » 242 CIO Paolo G «aldo » . » » » 243 «‘20 Fortunio Liceti » . » » » 244 «21 Francesco Maria dui Monte a Galileo. » » » 245 «22 Marco Welser a Giovanni Fabor. » » » 246 028 Girolamo Magagnati a Galileo. 17 » » » 624 Giovanni Uomo a Giovanni Kepler. > » » 247 «25 Galileo a Federico Cesi. 19 » » > 626 Cristoforo Scheiuer a Marco Welser. » » 7> 248 «27 Gio. Battista Agucchi a Galileo. 23 » » 249 «28 Federico Cesi » . 24 » 250 «20 Francesco Stelluti » . i> » » 251 «80 Cristoforo Schoinor a Marco Welser. 26 » I> 252 «81 Antonio Santini a Galileo. 29 » » » 682 Domenico Passignani a Galileo. 30 » » 253 688 Enea Piccolomini d’Aragona a Galileo. 1° gennaio 1612 254 «84 Giovanfraucesco Sagredo » . 2 » » » «35 Gio. Battista Agucchi » . 6 » » 255 636 Margherita Sarrocchi » . » » » 256 «87 Marco Welser » . » » » 257 633 > a Giovanni Faber. » » » » «30 Federico Cesi a Giovanni Faher. 7 i> » 258 «40 Galileo a Andrea Gioii. 9 » » » «41 Gio. Antonio Magini a Galileo. 10 » » 259 «42 Andrea Cidi » . 12 » » 261 043 Margherita Sarrocchi » . 13 » » » «44 Marco Welser » . » » » 263 045 » a Giovanni Fabor. » » » » «40 Gio. Battista Agucchi a Galileo. 20 » » 264 647 Galileo a Margherita Sarrocchi. 21 » » 265 «48 Benedetto Castelli a Galileo. 24 » » 266 «40 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 26 » » » 650 Federico Cesi a Giovanni Faher. 31 » » 267 «51 Lodovico Calili da Cigoli a Galileo. 3 febbraio » 268 «52 Daniello Antonini » . 4 » » 269 «53 Federico Cesi p . » » » 271 654 Cristoforo Grienberger » . 5 s > » 272 055 Daniello Antonini * . 11 » » 275 «56 Domenico Passignani * . 17 » » 276 «57 Francesco Maria Vialardi a Ferdinando Gonzaga .... » » » 2 11 «58 24 » » 278 «50 2 marzo i> » 280 660 3 » «61 13 » 281 662 Marco Welser a Giovanni Faher. 16 » » » XI. 78 618 608 INDICE CRONOLOGICO. Federico Cesi a Galiloo . 17 marzo 1612 Png. 282 664 Giovanni Kepler a Giovanni Uomo . 18 » » 284 665 Federico Cesi a Galiloo. 22 » p 285 666 Lodovico Cardi da Cifoli a Galileo . 23 » » 28G 667 Marco Welaer » . > » » 289 668 Filippo Salviati » . 2 aprile » 290 669 Lodovico Cardi da Cigoli » . 13 p » 670 Federico Cosi * . 14 p p 291 671 Arturo Pannocchieschi d’Elei a Galileo . 16 » p 292 672 Galileo a Marco Welaer . 4 maggio p 293 678 Federico Cesi a Galileo . » » p » 674 Benedetto Castelli a Galileo . 8 p p 294 675 Galileo a Federico Cosi . 12 » » 295 670 Federico Cosi a Galiloo . 17 » p 297 677 Giuliano de’Medici a Belisario Vinta . » p p 298 678 19 p * » 679 Gio. Lodovico Ramponi a Galileo . 21 » » 299 680 Giuliano do’Medici a Belisario Vinta . » p p 300 681 Galileo a Federico Cosi . 26 p » 301 «82 Federico Cosi a Galileo . » » » 302 688 Marco Welaer » ... 1° giugno » 303 684 Galileo a Maffeo Barberini. 2 » » 304 685 Federico Cesi a Galiloo . p p p 312 686 Angelo de Filiis » . » p » 313 687 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. » p » » 688 Galileo a Belisario Vinta . 4 p » 316 689 Federico Cesi a Galileo . » p > 317 690 Maffeo Barberini » . 5 p > » 691 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 8 p » 318 692 Paolo Gualdo > . » p » 319 693 Girolamo Magagnati » . p p * 321 694 Galileo a Maffeo Barberini. 9 p » 322 695 Federico Cesi a Galiloo. p p p 323 696 Margherita Sarrocchi a Galileo. » p p 324 697 Maffeo Barberini » . 13 p p 325 698 Galileo a Ferdinando Gonzaga. 15 » » » 699 » a Paolo Gualdo. 16 » » 326 700 Gio. Battista Agucchi a Galileo. » » » 328 701 Giovanfrancesco Sagredo » . ► p X> 330 702 Giovanni Talentone » . 18 p P 331 703 Federico Cesi * . 20 p » 332 7(44 Paolo Gualdo » ... 22 p » 333 705 Marco Welsor a Giovanni Faber. » » » 334 706 Galileo a Giuliano de’ Medici . 23 » » » 707 Pietro Aldobrandini a Galileo. » » » 330 708 Ottavio Bandini » . » » P 337 INDICE CRONOLOGICO. 709 Roberto Bellarmino a Galileo . 23 giugno 1612 710 (rio. battista Doti * . » » » 711 Ferdinando Gonzaga » . » » » 712 Gio. Antonio Macini » . . » » 713 Galileo a Lodovico Cardi da Cigoli. 26 » r> 714 Alessandro d’Este a Galileo. 27 p 715 Pietro Dini » . 29 » » 716 Galileo a Federico Cesi. 30 » » 717 Gio. Battista Agucchi a Galileo. » » » 718 Lodovico Cardi da Cigoli n (ìaliloo. » » » 719 Giovanfrancesco Sugredo *> . » » » 720 Federico Cesi » . 4 luglio » 721 Luigi Capponi » . 6 » » 722 Francesco Maria del Monto » . » » » 723 Carlo Conti » . 7 » » 724 Giovanfrancesco Sagredo » . > » » 725 Federico Cosi a Giovanni Faber. T> » » 726 Giulio Cesare Lagnila a Galileo. 8 » 727 Gio. Lodovico Ramponi p . 11 » » 728 Marco Welser a Paolo Gualdo. 13 » 2> 729 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 14 » » 760 Arturo Pannocchieschi d’Elci a Maria Maddalena d’Au¬ stria . 15 » 731 Daniello Antonini a Galileo. 21 » » 782 Federico Cesi » . » p I» 788 Girolamo Magagnati » . » p » 784 Giovanfrancesco Sagredo » . » » » 735 Cristoforo Scheinor a Marco Welser. 25 » » 736 liodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 28 » P 737 Federico Cesi » . 4 agosto P 738 Giovanfrancesco Sagredo » . » » » 789 Francesco di Joyeuso > . 6 p » 740 Francesco Stellati » . 13 p » 741 Galileo a Marco Welsor.• • • 14 » 742 Giovanni Faber a Galileo. 17 p » 743 Carlo Conti > . 18 » » 744 Gallanzone Gallanzoni a Galileo. » » » 745 Giovanfrancesco Sagredo » . » p » 746 Luca Valerio » . 23 » » 747 Giovanni Demisiani » . 24 p » 748 Federico Cbbì » . 25 p » 749 Giuliano de’Medici » . » p P 750 Arturo Pannocchieschi d’Elei a Federigo Borromeo.. 27 p » 751 28 » » 752 Nicolò Antonio Stelliola a Galileo. 30 » » 753 Lodovico Cardi da Cigoli » . 31 » » fila Pag. 337 338 » 339 340 343 » 344 346 347 349 351 352 353 354 355 357 » 359 360 361 362 363 365 367 368 369 » 370 371 373 » 374 375 376 377 378 380 381 382 383 384 385 » 386 620 INDICE CRONOLOGICO. rag. 754 Lorenzo Pignori» n Galileo. 21 agosto 1(512 388 755 Gio. Battista Agucchi a Galileo. 1 1° settembre » 889 756 Angolo do Filiis » . * * » 391 757 Belisario Vinta a Orso d’Elci. 7 * » 392 758 Federico Cesi a Galileo. & * 9 393 750 Giorgio Corosio a Francesco ile’Medici. 10 » » 391 760 Beniamino Ursino a Giovanni Kepler. 11 » » » 761 Federico Cesi a Galileo. 1*1 9 * 9 762 > a Giovanni Faber. 9 9 39(5 766 » a Galileo. U> * * * 764 Marco Wclser a Giovanni Faber. 21 » » 397 765 Giovanfranccsco Sagredo a Galileo. 22 » » 398 766 Tolomeo Nozzolini ad Alessandro Marzimodici. * » 9 399 767 Lorenzo Pignoria a Paolo Gualdo. 2:> » » > 768 Cristoforo di Zbaraz a Galileo. 27 » » > 760 Lorenzo Pignoria » 28 » » 400 770 Martino Sandelli » * 9 * 401 771 Marco Welsor » * * 9 402 772 Federico Cesi » 29 » » 403 778 Flaminio Papazzoni » 30 » * 405 774 Daniello Antonini » . 1° ottobre » 406 775 Marco Welser a Giovanni Faber. 4 » » 407 776 » a Galileo... 6 9 * 9 777 Federico Cesi * . 3 9 9 409 778 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 9 9 9 410 770 Arturo Pannocchieschi d’Elci a Galileo. 9 9 9 411 780 Sigismondo di Cotogna a Benedetto Castelli. 10 9 9 412 781 Lorenzo Pignoria a Galileo. 12 » » 414 782 Paolo Àproino » 13 9 9 415 783 Federico Cesi » 9 9 9 416 784 Filippo Mnnnucci * . 9 9 785 Orso d’Elci a Belisario Vinta. 16 » 9 417 786 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 19 9 787 Benedetto Castelli * 28 * 9 419 788 Federico Cesi » . 9 9 789 Martino Sandelli > 2 novembre » 421 790 Federico Cosi * 3 » 9 422 791 Lodovico Cardi da Cigoli 9 . 9 9 792 Galileo a Federico Cesi. 4 » 9 426 793 Niccolò Lorini a Galileo. 6 9 9 427 794 Marco Welser a Giovanni Faber. 9 * 795 Federico Cesi a Galileo. 10 9 t 9 428 796 Giovanni Kepler a Sirnone Mayr. * 9 797 Federico Cesi a Galileo. 17 » 9 431 798 Michelangelo Galilei a Galileo. 21 » 799 Giovanni Faber a Galileo. 23 » 9 *33 INDICE CRONOLOGICO. 621 800 801 802 803 801 805 800» 807 808 800 810 811 812 813 814 815 81(5 817 818 810 820 821 822 823 824 825 82(5 827 828 820 830 831 882 888 834 835 83(5 837 838 880 840 841 842 843 844 Paolo Gualdo a Galileo . 23 novèmbre 1612 Lorenzo Pignoria a Galileo . » *> > Martino Sandelli a . » » » Federico Cesi » . 24 » » » » . 30 » » Marco Wolser a Giovanni Fabor. » » » Galileo a Marco Wolser. 1° dicembro p Gio. Battista Agucchi a Galileo. » » » Federico Cesi a Galileo. » » »* Lodovico dello Colombo a Filippo Salviati . 10 P » Oddo van Maolcoto a Giovanni Kepler . 11 » » Lodovico delle Colombe a Giovanni do’Modici . 12 J> 7 > Federico Cesi a Galiloo . 14 P P GiovanFrancesco Sagrcdo a Galileo . 16 I» » Federico Cesi a Galileo . 28 » » » >» . 28 » » Lorenzo Pignoria a Galileo . » » » Marco Wolser a Giovanni Fabor . » » » Federico Cesi a Francesco Stolluti (?) . » » Francesco Stellati (?) a Federico Cesi . P » Giovanni Ciainpoli a . 1612 Benedetto Castelli a Galileo . » Raffaello Gualterotti a Galileo . p Galileo a Tolomeo Nozzolini . gennaio 1613 Federico Ce8i a Galileo . 4 » » Giovanfrancesco Sagrcdo a Galileo . » » » Galileo a Federico Cesi. 5 » » Cristoforo Scheincr a Gio. Antonio Magini . 9 » » Federico Cesi a Galileo . 11 » » Angolo do Filiis a Filippo Salviati . 13 » » 18 » » Marco Wolser a Giovanni Fabcr . * » > Galileo a Federico Cesi . 25 » » Lorenzo Pignoria a Galiloo . » p » Marco Wolser a Giovanni Faber . » » » 26 » » » 28 » » 1° febbraio » Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo . » » » Cristoforo Grienberger » . » » Benedetto Castelli » . 2 » » Cristoforo Grienberger » . 5 » Federico Cesi % . 8 p rag. 4M 485 486 4.87 438 440 s> » 444 » 445 446 » 447 441) 450 451 452 » 453 » 455 456 » 457 » 458 459 461 462 463 » 464 465 469 470 » 471 472 474 475 477 t> 479 480 622 INDICE CRONOLOGICO. 845 Federico Cosi a Galileo. 15 febbraio 1613 840 Francesco Stellati n Federico Cesi . » » » 847 Marco Welaer a Giovanni Faber . » » » 818 Federico Cosi a Galileo. 22 » » 849 Lodovico Cardi da Cigoli a Galileo. 21 * » 850 Benedetto Castelli » . 26 » » 851 Marco Welsor a Filippo Salviati. 27 » » 858 Fedorico Cesi a Galileo. o marzo » 858 Gallanzone Gallnnzoni a Galileo. 13 » » 854 Lorenzo Pignori» * . 15 » » 855 Federico Cesi * . 22 » V 850 Marco Welaer a Giovanni Faber. 29 » » 857 Martino Sandelli a Galileo. 2 aprile b 858 Francesco Sizzi a Orazio Morandi. 10 » » 859 Lorenzo Pignoria a Galileo. 12 » b 800 Francesco Stelluti » . > » 801 Galileo a Maffeo Barberini. 14 » » 802 Maffeo Barberini a Galileo. 20 » » 803 Flaminio Papazzoni » . 23 » » 804 Arturo Pannooobiesohi d’ Elei a Galileo. 24 » b 805 Carlo Gonzaga a Galileo. . 25 » ' b 800 Galileo a Federigo Borromeo. 27 » b 807 Gio. Antonio Magini a Galiloo. 30 > » 808 Giovaufrancesco Sagrcdo a Galileo. . 1° maggio b 809 Lorenzo Pignoria » . 2 » » 870 Lodovico Cardi da Cigoli > . 3 » *• 871 Bernardo Pisenti a Ingolfo de’ Conti. » » b 872 Cristoforo Ferrari a Galileo. 4 » » 873 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 9 » » 874 Federico Cesi » . 11 * > 875 » » . 17 » b 870 Giuseppe Biancani a Gio. Antonio Magini. » » b 877 Giuliano do’ Medici a Galileo. 18 » » 878 Filippo Salviati a Federico Cesi. 20 » b 879 Federigo Borromeo a Galileo. 21 » b 880 Filippo Calippi s . 22 » » 881 Giovanni Bardi > . 24 » » 882 Paolo Aproino * . 25 t> b 883 Federico Cosi * . 30 » » 884 Marco Welscr » . * » » 885 Paolo Aproino » . 1° giugno » 880 Vincenzio di Grazia a Carlo de’Medici. 2 » » 887 Lorenzo Pignori» a Galileo. 7 » » 888 Gio. Battista Agucchi a Galileo. 8 » » 889 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. » » » 890 x> » . 13 » » Pag. 481 482 483 ► 484 485 486 » 488 489 » 490 » 491 493 494 » 495 496 497 » 498 499 500 » 501 503 50-4 505 506 508 509 510 > 511 » 512 513 514 516 517 519 » 520 521 522 INDICE CRONOLOGICO. 891 Bernardino Gaio a Galileo. 15 giugno 1613 892 Andrea Morosini > . » » » 893 Giovanfrancesco Sagralo a Galileo. » » » 894 Gio. Antonio Magi ni » . 18 » s> 895 Girolamo Magagnati » . 22 » p 896 Federico Cosi p . 29 » » 897 Orazio Morandi p . 6 luglio » 898 Marco Welser a Giovanni Kepler. 10 » » 899 Lorenzo Pignori» a Galileo. 12 » » 900 Gio. Battista Agucchi a Galileo. 13 » » 901 Giovanfrancesco Sagredo » . » » » 002 Giovanni Kepler a Oddo van Maelcote. 18 » » 903 Federico Cesi a Galileo. 19 » p 904 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 20 » 905 Paolo Àproino » . 27 » » 906 Giovanfrancesco Sagredo » . » » » 007 Federico Cesi » . 2 agosto » 908 Fabio Colonna p . 3 » » 009 Ottavio Pisani » . » » p 910 * a Cosimo li, Granduca di Toscana.... » p p 911 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. » p p 912 Franciotto Orsini » . 9 » p 918 Nicolò Antonio Stolliola » . 17 x> » 914 Francesco Stelluti » . » » » 915 Giovanfrancesco Sagredo » . 24 » » 916 Franciotto Orsini » . » » » 917 Federico Cesi » . 30 » » 918 Giovanni Faber » . p » p 919 Luca Valerio » . 31 » » 920 Federico Cesi » . 6 settembre » 921 » » . » » » 922 » p . 7 j> p 923 Giovanfrancesco Sagredo » . 14 » » 924 Ottavio Pisani » . 15 » » 925 Andrea Gioii » . 24 » 926 Galileo ad Andrea Cioli. 25 » 7> 927 Fabio Colonna a Galileo. » » » 928 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 28 j> P 929 Fabio Colonna » . 30 » P 930 Ottavio Pisani » . 5 ottobro 5> 981 » a Giovanni Kepler. » » P 982 Pandolfo Sprani ad Andrea Cioli. » » » 988 Scipione Chiaramonti a Galileo. 6 » » 934 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 12 » » 935 15 5> i> 986 j> S> » 623 Pag- 523 524 » 526 527 528 530 531 » 532 535 536 538 539 540 544 545 546 547 548 549 550 551 » 552 556 558 » 559 561 5 > 562 563 564 565 566 567 569 570 579 580 581 582 583 » 585 624 INDICE CRONOLOGICO. 987 988 989 940 941 942 948 944 945 940 947 948 949 950 951 952 953 954 955 950 957 958 959 900 901 902 Giovanni Wells a Galileo. Marco Welser » . Ottavio Bandini » . Gio. Camillo Gloriosi a Galileo. Benedetto Castelli » . Arturo Punnocchioschi d’Elci a Galileo Ottavio Pisani * Federico Cesi » Benedetto Castelli » Filippo Salviati » Benedetto Castelli » Paolo Pozzobonolli » Galileo a Camillo Gloriosi. Federico Cesi a Galileo. Benedetto Castelli a Galileo. » > Fabio Colonna p Gio. Antonio Macini » Benedetto Castelli » » » Daniello Antonini » Ottavio Pisani » Marco Welser » Galileo a Benedetto Castelli Filippo Salviati a Galileo.... Gio. Battista della Porla u . Png. 15 ottobre 1G13 585 18 » » 587 19 » > 588 2 novembre » 589 6 » » > » i» » 591 7 » * 592 8 r> » 593 13 i> » » ► p » 595 20 » i> 596 20 :> r> » 30 i* » 598 » » » » 3 dicembre » 599 4 » p 600 G » » 601 7 » » 603 10 » p » 14 » » 605 15 » » 607 18 » p 608 20 » » 609 21 » » 610 27 » » j> 1613 611 INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL V'OL. XI (1G11-1013). Acquari™ ( » » » » » AMobnuidini Pietro » Antonini Daniello » » » » » » » » x> p » j> » » » » » p » p p Aproino Paolo » >» » » p * p » p 12 marzo 1611 N* 41)5 9 settembre p 578 7 ottobre p 589 14 p p 594 29 p p 599 23 dicembre » 027 0 gennaio 1012 085 20 p p 040 10 giugno p 700 A o co » 717 1° settembre » 755 1° dicembre » 807 8 giugno 1613 888 13 luglio » 960 23 giugno 1012 707 11 gennaio 1011 467 9 aprile » 512 29 p p 523 14 maggio p 529 24 giugno p 544 9 luglio p 652 2 settembre p 577 4 febbraio 1012 652 11 » » 665 21 luglio » 731 1° ottobre p 774 15 dicembre 1613 957 13 ottobre 1012 782 20 gennaio 1013 830 25 maggio p 882 1° giugno » 885 1 27 luglio p 905 : rag. 70 205 214 219 225 249 255 204 328 340 389 440 520 532 330 18 84 98 102 129 138 203 209 275 303 400 007 415 470 513 517 540 G2G INDICE ALFABETICO. Bandini Ottavio a Galileo. » • . * ad Antonio do’ Medici. Burberi ni Maffeo a Michelangelo Buonarroti. » a Galileo. » t> . > » . > > > ad Antonio de* Medici. Bardi Giovanni a Galileo. Barlolinl Giovanni a Galileo. Bellarmino Roberto ai Matematici del Collogio Romano. » a Galileo. ltelloni Giovanni > . Bettoli Guido a Cristoforo Grlonborger. » a Margherita Nnrrocchi. Biancaul Giuseppe a Cristoforo Grieubergcr. » a Gio. Antonio Maginl. Borromeo Federigo a Galileo. Boi-succhi Camillo a Galileo. Botti Matteo a Galileo. » a Cosimo li de’Medici. Breiner Gio. Federico a Galileo. Brengger Giungiorgio » . Buonarroti Michelangelo a Maffeo Barberini. Cnlippi Filippo a Galileo. Campanella Tommaso a Galileo.... Capponi Luigi a Galileo. Curdi da Cigoli Lodovico a Galileo » » » » » j> » » > » * » » j> » > » » ► » » » » > * * » » j> » » j> N° P«R. 23 giugno 1612 708 337 19 ottobre 1613 939 588 9 aprilo 1611 513 86 2 » > 50G 80 11 ottobre > 591 210 5 giugno 1612 690 317 13 * » 697 325 20 aprile 1613 802 495 2 » 1611 507 81 24 maggio 1613 881 512 24 febbraio 1612 058 278 19 aprile 1611 515 87 23 giugno 1612 709 337 4 marzo 1611 488 64 4 giugno » 530 119 » j> 587 120 14 » » 541 126 17 maggio 1613 870 509 21 » » 879 511 3 luglio 1611 550 137 18 agosto » 570 173 » » j> 571 174 22 gennaio » 405 29 18 giugno *> 539 121 22 marzo » 499 72 22 maggio 1613 880 511 13 gennaio 1011 400 21 6 luglio 1612 721 352 28 gennaio 1611 408 30 l c luglio » 547 132 11 agosto » 507 167 23 » » 573 175 Ili settembre » 582 208 23 » > 587 212 11 novembre » 602 228 16 dicembre » 017 241 3 febbraio 1612 051 268 23 marzo » 666 286 13 aprile » 009 290 8 giugno » 091 318 30 » » 718 347 14 luglio » 729 361 28 * » 786 369 31 agosto » 758 386 6 ottobre » 778 410 INDICE ALFABETICO. Cardi da Cifoli Lodovico a Galileo V » » t> » » » » Castelli Benedetto a Galileo. » p . » i> . j- j> . » p . j> » . » » . !> !> . J> P . r> » . p » . 5 > » . e » . r> » . i> » . Cesi Federico a Giovanni Fabor ... » » » » » » t> a Galileo. » & . » » . j> j> . & » . » » . t> » . i> s> . » » . » » . » » . 5 > 7 > . r> » . & » . » » . & » . s> » . j> » . ?' j> . 5> » . » » . » » . 627 N a Pag. 19 ottobre 1612 786 418 3 novembre » 791 424 1° febbraio 1613 840 475 24 » j> 849 484 3 maggio » 870 501 3 aprile 1611 609 81 24 gennaio 1612 648 266 2 marzo » 659 278 8 maggio » 674 294 28 ottobre » 787 419 1612 (?) 822 456 2 febbraio 1613 842 477 26 & 850 485 0 novembre » 941 589 13 » P 945 593 20 » » 947 596 3 dicembre y> 951 599 4 » p 952 600 10 p 3> 955 603 14 » » 956 605 7 gennaio 1612 639 258 31 » p 650 267 7 luglio » 725 357 settembre » 762 396 23 luglio 1611 660 158 13 agosto » 568 169 20 i> » 572 174 17 settembre » 684 210 21 ottobre » 597 223 3 dicembre » 612 236 16 p & 616 240 24 » » 628 250 4 febbraio 1612 653 271 3 marzo » 660 280 17 » » 663 282 22 p » 665 285 14 aprile » 670 291 4 maggio » 673 293 17 » » 676 297 19 j> » 678 298 26 » p 682 302 2 giuguo » 685 312 4 » » 689 317 9 » » 695 323 20 » » 703 332 4 luglio * 720 351 G28 INDICE ALFABETICO. Cosi Federico a » * i> » * » p p Galileo » » » > » > » p » * » » » a Francesco Stellili! ... a Francesco Stellati (?) Chini'Hinonti Scipione u Galileo. Ciamnoli Giovanni a. N» rag. 21 luglio 1612 782 365 4 agosto p 737 370 36 » » 748 382 8 settembre » 758 393 14 » p 761 394 15 p p 763 396 20 » » 772 403 6 ottobre p 777 409 13 » » 783 416 28 » p 788 419 3 novembre > 74)0 422 10 » p 795 428 17 p p 797 431 24 p p 803 437 30 * p 804 438 1° dicembre p 808 444 14 » » 812 446 23 p p 814 449 28 p r 815 450 4 gennaio 1613 825 457 11 » > 829 462 18 p » 831 463 26 p » 837 471 1° febbraio » 839 474 8 * » 844 480 15 p p 845 481 22 p » 848 483 2 marzo p 852 486 22 » p 855 489 11 maggio p 874 506 17 p p 875 508 30 » p 883 514 29 giugno p 896 528 19 luglio p 908 538 2 agosto p 907 545 30 » » 917 558 6 settembre » 920 561 » » » 921 > 7 » * 922 562 15 ottobro p 936 585 8 novembre » 944 593 30 » » 950 598 30 aprile 1611 525 99 dicembro 1612 818 452 6 ottobre 1613 933 582 1612 820 453 INDICE ALFABETICO. Ciflinpoll Giovanni a » > . Cotogna (di) Sigismondo a Uenedotlo Castelli. Colonna Fabio tv Galileo » » » » » » > *• Conti Carlo » »» r» Doti (ìio. Battista Dini Fiotro » a (Jos Elei (d’) Pnnnoccliiosrlil Arturo a oraria Maddalena d’Austria. > a Federigo Borromeo. » a (Galileo. Elei (d’) Orso a Belisario Vinta. Ernesto, Elettore di Colonia, a Cristoforo Clavio Kstc (d*) Alessandro a Galileo. Fabcr Giovanni a Galileo Farnese Odoardo Ferrari Cristoforo Filiis (de) Angelo a Filippo Salviati Gaio Bernardino a Galileo ... Galilei Michelangelo a Galileo. 12 gennaio 1612 21 settembre 1613 10 ottobre 1612 27 maggio 1611 12 diccmbro 1612 10 » i» 28 agosto *> 3 » 1613 25 settembre » 30 » » G diccmbro > 7 luglio 1012 18 agosto » 10 settembre » 14 ottobre 1611 24 agosto 1612 23 giugno » 29 » 7 maggio 1611 27 gennaio *> Iti setteuibro » Il novembre » 16 diccmbro » 15 luglio 1612 27 agosto > 16 aprilo »> 6 ottobre » 24 aprile 1613 6 novembre » 16 ottobre 1612 24 marzo 1611 27 giugno 1612 15 diccmbro 1611 17 agosto 1612 23 novembre » 30 agosto 1613 10 gennaio 1611 4 maggio 1613 2 giugno 1612 1° settembre » 13 gennaio 1613 15 giugno 1613 27 aprile 1611 630 INDICE ALFABETICO, («alitai Michelangelo a Gallico Galileo u Malico Barberini. » » . » » . » a Federigo Borromeo. » a Lodovico Cardi da Cigoli 5 > » » a Benedetto Castelli. » a Federico Cesi. » » . » » . » » . » j> . » x> . » » . » ad Andrea Cioll. » t> . » » . j> a Cristoforo Ciarlo. » a Pietro l)ini. x> a Gallandone Gallanzoni » a Gio. Camillo Gloriosi.. » a Ferdinando Gonzaga .. » a Cristoforo Grienbergor » a Paolo Gualdo. » a Giuliano de’ Medici.... » » .... » » » a Tolomeo Nozzolini .... » a Virginio Orsini. » a Filippo Salviatì. » a Paolo Sarpl. » a Margherita Sarrocchi . » a Belisario Vinta. » » . » » . * » . » > . » a Marco Welscr. » » . » » . » » . » a. . Gallanzoni Gallandone a Galileo » » » » N“ Pag. 21 noverahro 1612 798 432 2 giugno » G84 304 9 » * 694 322 14 aprile 1613 801 494 27 » » 800 498 1° ottobre 1611 588 213 26 giugno 1612 713 340 21 dicembre 1613 900 610 19 * 1611 026 247 12 maggio 1612 075 295 26 » » 081 301 30 giugno » 710 344 4 novembro » 792 425 5 gonuaio 1613 827 459 25 » » 838 465 9 » 1612 040 258 25 settembre 1613 926 566 15 ottobre » 935 583 5 marzo 1611 491 67 21 maggio » 532 105 16 luglio » 656 141 30 novembre 1613 949 598 15 giugno 1612 098 325 1° sottombro 1611 570 178 16 giugno 1612 099 326 1° gennaio 1611 451 11 febbraio » 486 61 23 giugno 1612 700 334 gennaio 1613 824 457 8 aprilo 1611 510 82 22 * » 517 89 12 febbraio » 476 46 21 gennaio 1612 647 265 15 1611 401 26 19 marzo » 497 71 1° aprilo » 505 79 27 » » 521 94 4 giugno 1612 088 316 febbraio 1611 470 38 4 maggio 1612 672 293 14 agosto » 741 374 1° dicembre » 800 440 25 febbraio 1611 479 52 26 giugno » 540 131 17 settembre » 585 211 18 agosto 1612 744 377 INDICE ALFABETICO. 031 Gallnnzonl Gnllanzone a Galileo. Gloriosi Gio. Camillo » . Gonzaga Carlo » . Gonzaga Ferdinando » . Grazia (di) Vincenzio a Carlo «1«* Medici. Grlenberger Cristoforo a Galileo. » » . j> » . » » . s> » . Gualdo Paolo a Galileo. * » . » » . » » . t> » . » » . » » . » »» . » » . » » . » » . » » . » » . Gualtcrottl Raffaello a Galileo. Guicciardini Piero a Belisario Vinta Kepler Giovanni a Galileo. » » . j> a Oddo vnn Maelcote.. » a Simone Mayr. » a Giovanni Remo. » a Niccolò Wickens. Joyeuse (di) Francesco a Galileo. » » . Lagnila Giulio Cesare a Luigi Capponi.. » a Galileo. Liceii Fortunio » . Boriili Niccolò » . Maelcote (vali) Oddo a Giovanni Kepler Magagnati Girolamo a Galileo. » » . » » . . • • » . N* Pag. 13 marzo 1013 853 488 2 novembre 040 689 25 aprilo » 805 497 23 giugno 1012 711 338 2 » 1013 880 519 22 gennaio 1011 400 31 24 giugno » 545 130 5 febbraio 1G12 054 272 1° » 1013 841 477 5 » » 843 479 4 » 1011 471 41 10 » » 473 43 25 » » 480 56 G maggio » 520 99 27 » » 533 116 12 luglio » 658 139 22 » » 558 156 29 I> » 564 165 11 novembre » 003 230 10 dicembre » 01» 243 8 giugno 1612 092 319 22 » * 704 333 23 novembre x> 800 434 1012 (?) 823 456 4 giugno 1611 538 121 9 gennaio 1611 •155 15 28 marzo » 608 77 18 luglio 1613 902 536 10 novembre 1612 790 429 18 marzo » 064 284 luglio 1611 506 166 15 settembre 1611 681 208 G agosto 1612 739 373 22 settembre 1611 586 212 8 luglio 1012 720 357 16 dicembre 1611 020 244 5 novembre 1612 793 427 11 dicembre 1612 810 445 10 » 1611 013 237 17 S> » 628 246 8 giugno 1612 093 321 21 luglio » 783 367 » 632 INDICE ALFABETICO. Magagnati Girolamo a Galileo. Mugliti Ciò. Antonio a Spinello Beaci. » u Galileo. » » . » » . t> » . » > . » > . Mannucd Filippo * . Matematici (I) del Collegio Konmno n Roberto Bellarmino Medici (de*) Antonio a Galileo. Modici (de*) Cosiino li a Francesco Maria del Monte.. » a Giovanni Xlccolinl. Medici (de*) Giuliano a Galileo. » » . » * . » a Belisario Vinta. t> » . p » . » > . MIcnnzio Fulgenzio a Galileo. Monte (del) Francesco Maria a Galileo . 9 » ... » 9 . > ad Antonio de* Medici.. » a Cosiuio li de' Medici. * » Mommi! Orazio a Galileo. Moroslni Andrea » . MUller Teofilo » . Muli Tiberio ad Antonio de’ Medici. Niccolini Francesco a Galileo. Niccolini Giovanni a Cobìiiio 11 de’Medici .... » a Belisario Vinta. » » . Noz/olini Tolomeo ad Alessandro Mnrzimcdici Orsini Franciotto a Galileo. » » .. Orsini Paolo Giordano a Galileo. » » . Pnpazzoni Flaminio a Galileo. » p . J> > . N* Png. 22 giugno 1613 805 527 22 aprilo 1G11 518 92 11 gennaio » 458 19 10 » 1012 «41 259 23 giugno » 712 339 80 aprile 1013 867 499 18 giugno > 804 526 7 dicembre » 054 603 13 ottobre 1612 784 410 24 aprile 1611 520 92 31 ottobre » «00 227 27 febbraio 9 485 60 9 » P 484 » 7 » P 472 42 25 agosto 1012 740 3S3 18 maggio 1618 877 510 14 novembre 1611 «07 234 21 > » «10 235 17 maggio 1612 «77 298 21 » » 680 300 2G febbraio 1611 481 57 18 novembre 9 «08 234 1G dicembre » 621 245 G luglio 1612 722 353 8 aprile 1011 511 83 2 » » 508 81 31 maggio » 535 119 G luglio 1613 807 530 15 giugno 9 802 524 dicembre 1011 «15 239 9 aprilo » 514 87 21 luglio 1611 557 156 30 marzo p 504 78 23 aprilo 9 510 92 G maggio P 527 101 22 settembre 1612 700 399 » agosto 1613 012 550 24 » » 010 556 7 marzo 1611 402 68 13 » 1612 «01 281 2G febbraio 1611 483 59 1‘ marzo » 487 63 30 settembre 1612 773 405 INDICE ALFABETICO. 633 23 aprile 1613 N* 863 30 dicembre 1611 632 17 febbraio 1612 656 30 luglio 1611 565 27 agosto » 575 23 ottobre » 598 1° gennaio 1612 688 4 marzo 1611 48» 31 agosto 1612 754 28 » »> 769 12 ottobre » 781 23 novembre » 801 28 dicembre » 816 25 gennaio 1613 834 15 marzo » 854 12 aprile » 859 2 maggio » 869 7 giugno » 887 12 luglio » 899 15 gennaio 1611 462 19 » » 463 25 settembre 1612 767 3 agosto 1613 009 15 settembre » 924 5 ottobre » 980 7 novembre » 943 18 dicembre » 958 5 ottobre » 931 3 agosto » 910 3 maggio » 871 luglio 1611 55» 1613 962 26 novembre 1613 948 1° luglio 1611 548 23 » » 561 21 maggio 1612 679 11 luglio » 727 28 gennaio 1613 888 17 dicembre 1611 624 11 febbraio » 474 26 * » 482 4 marzo » 490 18 giugno » 548 5 luglio » 551 11 settembre » 580 » ottobre » 592 F«g. 496 253 276 166 178 224 254 65 388 400 414 435 451 469 489 493 500 519 531 28 » 399 547 564 579 592 608 580 548 503 157 611 59G 133 159 299 359 472 217 44 58 66 128 138 207 217 XI. so G34 INDICE ALFABETICO. Sagrodo Giovanfrancesco a Galileo. V p » » » p » » » » p » > > » > > ;» > » » > » P » J» » * » » 2 > X» » » » P » X> » > » » » » » » x> » Saint-Tinccnt ( i> . > » . *> » . N» Pag. 13 agOBto 1611 569 170 2 gennaio 1612 649 266 2 giugno » 687 313 16 * » 701 330 30 » » 719 349 7 luglio » 724 355 21 » p 734 368 4 agosto p 788 371 18 » > 745 378 22 settembre » 765 398 16 dicembre » 818 447 4 gennaio 1613 826 458 1° maggio » 868 500 9 » j> 878 505 8 giugno » 889 521 13 * p 890 522 16 » ► 898 524 13 luglio > 901 535 20 » » 904 539 27 * > 906 544 3 agosto > 911 549 24 > » 915 552 14 settembre x> 928 563 28 » » 928 569 12 ottobre » 984 583 23 luglio 1611 562 162 20 maggio 1613 878 510 2 aprilo 1612 6(58 290 13 novembre 1613 946 595 27 dicembro » 961 610 28 settembre 1612 770 401 2 novembre » 789 421 23 » > 802 436 2 aprile 1613 857 490 12 febbraio 1611 477 50 9 marzo » 494 69 20 luglio » 556 155 29 dicembre p 681 252 27 agosto p 574 177 29 luglio » 563 163 10 settembre 579 206 12 ottobre » 598 218 15 » » 596 222 6 gennaio 1612 636 256 13 » » 648 261 9 giugno p 696 324 INDICE ALFABETICO. 035 N # Pag. SwHfttll Cosimo a Pietro Din!. 14 maggio 1611 530 103 Sclicinor Cristoforo a Gio. Antonio Magini. 9 gennaio 1613 828 461 » a Marco Welsor. 12 novembre 1011 «OC 233 * 19 dicembre » 020 248 » » . 26 » » 030 252 » » . 25 luglio 1612 735 369 Sizzi Francesco a Cristoforo Ciarlo. 20 aprile 1611 510 88 » a Gio. Antonio Magini. 26 marzo » 502 74 » a Orazio Morandi. 10 aprilo 1613 858 491 Sprani Paudolfo ad Andrea Gioii. 5 ottobre » 932 581 StoUiola Nicolò Antonio a Galileo. 30 agosto 1612 752 385 » * . 17 » 1G13 913 551 Strilliti Francesco (?) a Federico Cosi. dicembre 1612 819 453 Stelluti Francesco » . 15 febbraio 1613 840 482 * a Galileo. 24 dicembre 1611 029 251 » » 13 agosto 1612 740 373 9 » 12 aprile 1613 860 494 » J> 17 agosto » 914 551 Talentone Giovanni n Galileo. 18 giugno 1612 702 331 Tamburelli Dario a Cristoforo Gricnbcrgcr. 11 novembre 1611 005 233 Ursino Beniamino a Giovanni Kcplcr. 11 settembre 1612 700 394 Valerlo Luca a Marcantonio Baldi. 20 maggio 1611 531 104 » a Galileo. 28 gennaio » 409 37 » » . 11 novembre » 604 231 » x> . 23 agosto 1612 740 380 » x> . 31 » 1613 919 559 Venier Sebastiano a Galileo. 12 marzo 1611 490 70 » » 9 ottobre • » 690 215 Vialardi Francesco Maria a Ferdinando Gonzaga. 17 febbraio 1612 057 277 Vinta Belisario a Orso d’Elci. 7 settembre » 757 392 » a Galileo. 12 gennaio 1611 459 20 » » . 20 » » 404 28 » » . 19 marzo » 498 72 » a Piero Guicciardini. 13 maggio » 540 125 Wells Giovanni a Galileo. 15 ottobre Wolser Marco a Cristoforo Clavie. 7 gennaio x> j> 11 febbraio & a Giovanni Faber. 29 aprile » ' » . 1° loglio 5> » 15 » » » 18 novembre p » 10 dicembre 636 INDICE ALFABETICO. Welser Marco a Giovanni Faber. 6 gennaio 1612 N* 688 Pag. 257 » » ... 13 » » 645 263 » » . 16 marzo » (562 281 )» » . 22 giugno r» 705 334 x> j> . 21 settembre » 764 397 » » . 4 ottobre » 775 407 » » . 9 novembre » 794 427 x> . 30 » » 806 440 » t . 28 dicembro » 817 452 > » . 18 gennaio 1613 832 464 » » . 25 * » 835 470 » » . 15 febbraio > 847 483 » > . 29 marzo » 856 490 » a Galileo. 7 gonnaio 1611 452 13 j> » . 18 febbraio » 478 51 t> » . 25 marzo » 501 73 t> > . 17 giugno » 542 127 T> > . 6 gonnaio 1612 637 257 b > . 13 » » 614 263 » » . 23 marzo » 667 289 > » . 1° giugno » 683 303 » * . 28 settembre » 771 402 » > . 5 ottobro b 776 407 3> > . 30 maggio 1613 884 516 > » . 18 ottobre » 938 587 l> » . 20 dicembro » 959 609 1» a Paolo Gualdo . 7 gennaio 1611 454 15 > » . 25 novembre » 611 236 » » . 13 luglio 1612 728 360 » a Giovanni Koplor . 10 » 1613 898 531 » a Filippo .Salviati . 27 febbraio » 851 486 /bara/ (di) Cristoforo a Unlileo . 8 marzo 1611 493 68 » i> . 27 aottembre 1612 708 399 INDICE DEL VOLUME UNDECIMO. Carteggio.— 1611-1613.l’ag. 9 Indico cronologico dello lettore contenuto nel Voi. XI (1611-1613) . ... 613 Ìndico alfabetico delle lettere contenuto nel Voi. XI (1611-1613).625 LE OPERE GALILEO GALILEI VOLUME XIL FIRENZE ROCIKTÀ ANONIMA 0. BARBÈRA EDITORE 1934 - XIII LE OPERE DI GALILEO GALILEI. Volume XII. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO di S. M. IL HE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XII. FIRENZE, G. BARBÈRA EDITORE. HOCIKTA ANONIMA 1934- XIII. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N°469 FIRENZE. I ( 1 - 19 . 11 - 33 . — TipofraHa HuWr» - Aitai: b Tnmi Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario: ISIDOIIO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTI — 6. GOVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per la cura del testo: UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale fe posta sotto gli auspicii DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore : GIORGIO ABETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori : ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1614-1619. XII. 963 ". GIO ANTONIO MACINI a GALILEO in Firen&a. Bologna, 1* gennaio 1614. Bibl. N*j Flr. Msi. Hai, Nuoti Acquisii, u.“ 13. Autografa. Molto Ill. r * et Ere." 10 S." mio Oss. mo Mi meraviglio che a quest' hora V. S. non hahbia potuto ricuperare il libro eh’ io stesso consignai al Morbido, dal quale hebbi il nome ilei suo rispondente in questo polizzino eh’bora le mando 01 , che mi scordai all’hora in mano. Del S. nr Papazzone'* me n’è incresciuto grandemente, sì come a tutta la città, rh' a punto questa mattina se ne ragionava nella casa del nuovo Gonfaloniero, che faceva l'entrata. \P incresce grandemente che V. S. hahbia dato nell' istesso male che afflige ancora me da tre anni in qua, delle reni et ardore d’orina; et doppo eh’ io sono io posto a regola di vivere, sto assai manco male. Bisogna che V. S. si guardi dal troppo moto, et massime da carrozza, et sopra tutto da vini grandi et dal coito, et cerchi di rimediarci quanto prima, non lo negligendo come feci io. Col qual line le bacio le mani. Di Boi.*, il p." deiranno presente 1614. Di V. S. molto III.” et Ecc. m * Ser. r * Afl>* Gio. Bat H M[agini]. Fuori: Al molto 111." et Ecc.*° S." r mio Osa." 1 * Il S. or Galileo (Galilei, Math.** del S$er. mo G. Duca di Tose. -1 Firenze. O» Non « i>i«»enUtneut« allegato ella lettera. <*> Fcami^io I’aiuzzo.si. Ufr. n.° 970. 12 3-18 0ENJCA10 1614. 964 \ FEDERICO CESI • GAl.Il.EO ra Fir**»* Koraa, 3 (Mulo 1614 . Btbl Nu Flr. P. VI. T IX, Ili AaUfr*fa Molt’ 111"* e molto Ecc.** Sig. r mio Oli.*» L’ordinario passato scrissi a V. S. a lungo circa il rif©t»o di Pi'A r hora m’è parso inviarle ceri© conclusioni tenute qui al Colleggio, »t p«-r «■*•*»*» il di¬ sputante valuto delle pietre lucifere per impresa, con*anco per «-mt tra*cor*^ ad accompagnar le macchio solari et apparenze Innari, *t insieme dichiarar!© parte più rare di quei lucenti corpi; al che s’agciugne il compisti imento pretori in dar altro nome al telescopio, e qualch'altra galanterìa. I,o scarso maneggio di questi librai di Roma mi fa star in continua w*t© de’ buoni libri eh’ escono in luce e fanno per i studi delle mie comportimi», dan¬ domene essi a pena i titoli e, dopo lungo tempo, la decima di quello dimando Ut lo hora esser stampato in Firenze l’Arte Vetraria del P. Antonio Neri *, et mi credo vi sia qualche cosa di buono. Prego V. S. ad inviarmelo, mi creda eh* mltfiUer li do briga, acciò mi faccia gratin tal volta di coramimdnrmi Bacio a V S 1- unni, pregandole da N. S. Dio l’anno nuovo, con moltissimi altri appresso, felicissimo Di Roma, li 3 di Genn.° 1614. Di V. S. molt’111.” e molto Ecc/* Aff. m * per ser. u sempre Fed/" Tem lane.* P. Fuori, d'altra ninno: Al molto lll. r * et molto Ecc. u S.* r mio t ibs." 10 11 Sig. nr Galileo Galilei. Fiorenza. 965 . FILIPPO SALVIMI a GALILEO in Firenze. Gcnoia, 13 jjennaio Hi4. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal, P. I. T. VII, car. 13*. — Autofraf*. Molto 111.” Sig.” OàS. rno Dissi al S. r Gio. Batista Ballano quanto la mi scrireva per conto di po^ar l'aria. Mi rispose che desidera grandemente, con comodità di V. S.. di saper il " ffr n ° 952 - «rtnjUt, «4 • «ynft W- ' l; Art' Vetrari*, dirtinta in libri ,.U t dal heeimi del tetra nel /mm H mitre *rr R. P D. Antonio N«*> Fioreutlno. .Va' quali « * ' < • Giulio 01 et Marco Antonio Munta?, i quali meco gli pregiano da Dio ogni bene. l)i Pad.*, li 17 Gena.* 1614. Di V. S. molto I. et Kcc.~ AB - Silveitro Landini. Fuori: Al molt*Ill. ré et Ecc. wd mio S.** Col 11 S. re Galileo Galilei, Matem. 00 di S. À.S.*** Fiorenza. 967 . FEDERICO CESI a GALILEO fin Fireiua). Roma, 19 gennaio imi. Blbl. Kas. Flr. Mìs. Gal., P. VI, I IX, < »r. IH. Aatojrrafo. Molt’Ill/* e molto Ecc. u Sig. r mio O— Ilo inteso con sodisfazion particolare quello m’ accenna nella u • j il *« \ del soggetto in Genova 01 , quale Bono molti mesi che sentii lodare, e \i qualche riflessione. Favorisca hora V. S. che il S. r Salvigli intruda il prn^rn e ci dia ragguaglio pienamente delle qualitadi, tentandone destramente 1* «ni' d’osso, chè subito lo proporrò a SS. ri compagni, assicurandomi siano jwr -i< * verno tutti contento. Tengo un trattateli» del S. r Lagalla sopra il celeste e notturno r** r. , h* fu veduto in Roma et altri luoghi il mese di Novembre pa - ito. quale. a ri¬ chiesta del’istesso, l’inviarò per il seguente procaccio con la kuh lettera * lo io ho osservato l’istesso spettacolo o questa et altre volte, et ili parti»-■••lari U notte precedente, nò posso sentire con il detto; quale credo desideri V. S v da la sua scrittura, perchè veda che comincia a licentiarsi dal Perduti*. avwl-n dosi che quei gran fogaracci eterei sono ridicoli totalmente. K n.-a di gt ' sentir come gli altri fedeli Peripatetici lo chiamino heretico nella filnntia V s mi oommandi, ricordandosi che son prontissimo et obligatisaimo a • mrU 1! lo bacio le mani, pregandolo da N.8. Iddio ogni contento. Di Roma, li 18 di Genn.® 1611. Di V.5S. molt*IH. 1 " e molto Ecc.‘* Afl>" per *er> -empre Fed.®* Ceni Line* I’ tn "i OiBi-ro Zar arf.i.i.a. <*» Uro. Battista Bali ani. i*» Gir. o.« V«« im-wsj 2ft GENNAIO 1614. 16 9 ( 38 *. FEDERICO TESI « GALILEO in Firenzj. Kuuia, ai granulo 1014. BUI. Vu. Tir. Vm. OiL, P VI. T. IX. «ir. 131. - Autografi. Muli* Ill. r * e molto Ecc. u Sig. r mio (hs.*• Kingrntio V.S. del libro della Vetraria che mi riesce molto ricco (Vespe- nenie e Iteli» artificii. I cristalli verranno opportunissimi con sua comodità, e Unto più che queste notti non sono punto godibili. Attenderò l'nviso del F. D. Benedetto ‘, et fari» intendere al Lagalla quanto m’accenna. Intanto le mando il suo trattato che il detto mi congegnò, con la lettera che V accompagna * ; e coi^ ttgni affetto di core bacio a V. S. le mani. N. 8. Iddio ci consoli presto, con¬ cedendole compita winitA, e le di» ogni contento. In Homi, li 24 di (ìonn. # 1G14. io * In WS. moli'III,**e mollo Kcc. u Aff. roo per ser. 1 * sempre Kod. eo Osi Lino." F. Fuori, J"ultra tuono: Al molto IH." et molto Kcc. u S. wr mio Uss. ,uu 11 Sig.** (ìalileo Galilei, con un ligaccietto. Fiorenza. 9 ( 39 *. GALILEO a (GIO. BATTISTA BALI ANI in Genova]. Firenze, li gennaio UH. Ulti Brildem* te Milano. CimatU A V XIII 13 I - Autografi. Molto III. 1 * Sig. p et P.ron Oh*. 109 L’111.»* 4 * Sig. p Filippo Salviati con le sue ultime lettere mi ha si¬ gnificato, come V. S. desiderava di veder certe mie lettere intorno alle macchie solari, le quali con questa gl’ invio, sebene è lettura assai popolare e indegna dell’orecchie di \. S., non mi havendo porto il finto A pelle occasione di troppo sottilizzare, come ella dalle Cfr. ■ • w '* biHioirro CabTOJJ. »* CIr B • 9*7 Li ««fi* <*«l trattato dui La «alia, eh* fa Inviati ■ 0AUUO, • »•! M» Oli , I VI. T IX. e*r. 110-120, col titolo: Trottate, Jmhi IVmi.1 Lutili.», l‘k ilut- j’hiar in Humnnu Oi/mnaiìo Pn/iMOm, d* militerò yno«/ dit nona NovmM, asm pr*tr»tit 161 » in l'rU ap/Mniit tujjrit colltm Putrirne» U lattar» iccuinpignitorl* d«J La «ALLA non « pr«*ent«mento noi Ms». Galileiani. 1U 25 27 GENNAIO Ibl4 lIM»N7U| sue lettere comprenderà. Forse in breve, con opportuna occasi■•«»**. tratterò questo medesimo argomento più » snttaun-nt- Il in* l«f mio Signor mi scrisse, più giorni sono, come V. S liaveva v* «luto quid mio trattateli delle cose che stanno MiPacqua, scritto, con»’ Fila >■ de, io incidentemente; nel quale intendo che V. S. ha alcune com* che non gli satisfanno interamente le (inali io la applico a c< infarinili a* smurandola che io riceverò per maggior favore leo n «ire di «p. il¬ eose che non gli piacessero, che l’assenso o le lodi del resto, pu « h-* quelle saranno di mio utile, e non queste. Al medesimo Sign-»r man dai un modo, delli tre che ne ho, di pesar P aria, acciò lo conferì**.? con V. S.; ma perché non so se la mia lettera sarà giunta avanti la sua partita, potrà V. S. farmene avvisato, acciò, in difetto di quella, le possi supplire con altra al comandamento di V. S. Il Sig. Filippo, al quale ho conferito buona parte delle um* immani * nazioni filosofiche, mi scrive haver trovato gran conformità ts.» fi ,u speculazioni eie mie; di che io non mi sono molto maravigliar- p u che studiamo sopra™ il medesimo libro e con i medesimi fumi,unenti. Restami di dovere offerirmi a V. S., il che fu con ogni itti, ttu di cuore e sincerità di animo; e la prego a gradire tal* m.* ati* tt*i . • a darmene segno col comandarmi e col conferirmi alcuna delle sue contemplazioni: il che riceverò per gratin singolare. K con que-to gli bacio le mani, come fo anche al Sig. Giovanni Batista Pimlb mio antico padrone; e dal Signor Dio gli prego somma felicita. Di Firenze, li 25 di Gennaio 1 Gl3 Di V. S. molto 111" Ser." Parati*». 1 Galileo Galilei, 970 ** GIULIO CESARE LAG ALLA a [GALILEO in Firtnxej. Roma, *27 gennaio IG14. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. VII, car. 140. — Autografa. Molto 111." S. r mio Patron Oss. mw Dal S. r Prencipe Cesis ho inteso che Y.S. mi bavera w’irnifit alo coi. una *ua la morte del S. r Papazoni (>} , per saper la mia volontà intorno a colata lettura, Cfr. n.° 961. paro, con inchiostro Ai VMM Cfr. n • Ni .*?* Le parole studiamo sopra sono sottolineate <*i pj s til« fiorentino nell’autografo, con una linea molto sottile e, a quauto •» Cfr n*96il lin '• [970-971 i 27 - 80 GENNAIO 1814. 17 per la quale altra Tolta haveva richiesto il suo favore. La di V. S. non ho rice¬ vuta; »*t al particolare rispondo che receverò gratin singolare esser proposto e lavorito da V. S. molto Ma» in simile occasione, e ne la pregilo» assicurandola che ne li terrò obligo perpetuo, parte per huver io grande ambitione di servire cottat i Alte/a. non solo per la sua grandeza e gloriu de la casa regia et im¬ mortale, ma anche particolarmente per la magnianimità di questo Prencipe, m unico mecenate di questi infelici tempi e Nero imitatore de la virtù de'sui an¬ tenati, parte anchora per esser proposto ila la persona di V. S. e non per via de’ favori e mendicati -uflVagii. E pertanto in questo negotio non voglio nò in¬ tendo adoperare nitri tnezi che l’authoritA di V. S., eccetto quanto a lei pa¬ resse espediente adoprarli; nel che e nel tutto alla sua prudentia mi rimetto. Il S A Hioan Patti-ta Raimondo, tanto amorevole et osservante di V. S. e mio anche padrone, potrà, parendo a V. S. che li fusse scritto per iuformatione de la persona mia, essendo lui nnticho servitore de la Serenissima Casa, darne buon iuguaglio, e costì il SA Ambasciator Guicciardini però in niente mi moverò senza ordine di V.S., la quale, come per sua cortesia ha cominciato a favorirmi, cossi spero ridurrà anche il negotio a buon line. Credo balia V. S. ricevuto] un mio Discorso, inviatoli li giorni a die¬ tro 1 : la pregio favorirmi de* sui avertimenti, sotto la cui censura volentieri sottometterò sempre le cose mie. Con che pregandoli ogni contento, li resto servitore. Da Roma, li 27 di Gennaro 1614. Di V. S. molto 111." Serv." Aff. m0 Giulio Cosare La galla. 971 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Ruma, 30 gennaio 1614. Bibl. Naz. Flr. Mi». Gài., P. VI, T. IX, czr. 183-134. - Autografa- Moli’ 111" e molto Ecc* SigA mio Oss.* 0 Scrissi l’ordinario passato a V. S. eh’ ero occupatissimo in negotii di matri¬ monio ; hora devo darle conto che n’ è seguita la conclusione, havendo fermati li capitoli col S. r Principe di Pelestrina, che mi dà la SA» D. Artemisia Co¬ ti Pizzo Gciccuzdixi. xn ‘*i Cfr. n.® 968 8 18 80 UKNMAIU 16M. ItTI) lonna, sua figlia, per moglie. Ilo voluto, Y.S lo -.tpp.a *uUl«. y--. »> l* « •-** cortesia e per mio (diligo, tanto partecipa *1**11*? iui«* lo c*rt.* ma» | t**vo haver maggior sodisfattione in altra persona di qu«- U città, n- 4» tuo i, essendo questa per tutti i rispetti al mio prop ùto Del soggetto eh’ ella scrive del suo discendo ", h»> himto parti».dar » d;>i»t tione; e mentre ella lo giudica atto ad es-er ascritto. m'aMicuiot iti» t"*« «v concorrervi meco con particolar contento. Potrà Y.S. maiular i*U d« I non».* patria e studii di quello c della sua mente, secondo ric ader* ftia'aU la n ■»* zia ohe V.S. le ha data del nostro filosofich* instituto. amò, ©nnfon..«t *1 '-dii»» venga da me proposto a tutti, per effettuarne faM-nttione. Non potrei facilmente esprimerle il gusto che ho sentito legg- n.lo qu »ns. nn scrive circa i notturni splendori. Mi trovavo apunto haver contr.»d»*u«i ai > I * galla nel parelio, consentito nel rifiutar rabhrucianieuti, mwi coimn.ut«» • vertir il detto nello comete, che pria teneva co* Peripatetici som ; et htvrvo già. nelle mie contemplatami delle cose prodigiose e mirabili , «listi qur l«i re devo di questi splendori e rossori, inalzando, a dispetto dc’ivrip »’• ti : •* pra *■ l’ombra della terra talvolta i vapori, ch’illustrandoci aigionawrro turni 'i-a* colo: tutto che bora mi vedo nella sua canfirmato in* •>>*/»*«Uba «ma *«*n tenza, e ne prendo non poco ardire e franchezza nel ftlo-olui. vegg.mh» in questo incontrato il vero, come mi rendo per lei sicuro, che imi» . tnins altrove che in quello. Esposi quanto V. S. mi scrisse al S. r Lagnila, et dopo gli ricapitai I* tu *. subito riceuta. In somma non haveva riceuta la prima: scrive lindu** -t - desideroso più che mai d*esser favorito da Y.S. per il luogo chi* vaca, lo glie lo raccomando, perchè mi rendo sicuro se ne mostrerà degno * grati on.- Mi farà gratia particolare favorircelo. Egli è gran pezzo che )m mitrai.» d» .. b i • d’esser Linceo; ma io con i SS. n compagni habbiamo lasciato <-ner avanti perchè egli era troppo giurato Peripatetico, e per il libro che - m • che non sodisfece: con un poco di tempo, e massime ottenuto eh hai» •* tal »t» li a e trattato spesso disputando con V. S., sarebbe torsi preparato opj*.rtunan ■ ut- ali’ascrittione, che toccarebbe poi a suo tempo a \ S. * considerarlo 1«< in tanto restarò baciando a Y.S. le mani con ogni affetto di c«*r»* N S Iddio le conceda ogni contento, et in particolare il compimento di wnitA. che tutti li desideriamo. Di Roma, li 30 di Genn.° 1814. Di V. S. molt’Ill.” Aff. m ® per aer. u sempre Fed.** Ctai Line • P • ' Filippo Fixdolfixi. '*! Cfr. n.° 922. <» Cfr n.«97i (972-978] 30 — 31 GENNAIO 1611. 19 972 **. GIULIO CESARE I.AGÀLLÀ a [GALILEO in Firenze]. Roma, 30 gennaio 1614. Albi. N«« Flr Mt». Al)., P. I. T. VII, rar. 141. — Autografa. Molto Ill. r * S. r inio Patron Os8. ma La prima di V. S. molto IU. ro non ho ricevuta ; ben il S. r Prencipe Cesìs mi lignificò l’altro hieri la vacanza et il favor 0 di V. S., et hieri consigniai a 8ua Eoe. 1 * la mia risposta. Questa matina per la istessa via ho ricevuta una di V. S., alla quale anche separa lamento ho voluto rispondere, acciò, Be l’altra si smarrisse, restA.ssp questa. K dico che tengho obligho immortale a V. S. molto 111/'*, e la pregho a favorirmi per il loco, quale desidero tanto per servir cotesta Alteza, che stimo piò ottener questa lettura che diventar Cardinale, o principalmente ottenerla con il mezo di V. S., il che mi sarà di più ornamento che la lettura : io la pregilo dunque a favorirmi, chò so che la sua authorità superarà la mia de- boleza, assicurandola che favorirà un servitore grato, nel quale niun altro havrà parte che V. S. Io del tutto mi rimetto alla sua voluntà e comandamento, quali non intendo preterire; e cossi non farò altro se non che star aspettando il suo favore e quanto da lei mi sia comandato. 11 S. r Prencipe molti di sono ha inviato a V. S. un mio trattato mano¬ scritto v ,c.on una lettera mia: mi maraveglio, non sia stato a quest’ bora conse¬ gniate a WS. Mi farà gratia havisarmi, chò se sarà perso, ne inviarò un altro, acciò Ria favorito del suo giuditio, e parendoli degnio venglii in notitia di sua Alteza. Con che li fo riverenza, e li resto humilissimo servitore. 30 Da Roma, li 30 di Gennaro 1614. Di V. S. molto HI.” Serv/* Obligatisaimo Giulio Cesare La galla. 973 . GIO. BATTISTA BÀLI ANI a [GALILEO in Firenze]. Genova, SI geunaio 1614. Albi. Na». Flr. Mw. Gai., V. VI, T. IX, c*r. 13Ó-I36. - Autografa. Kcc. ^,,, S. r mio ()ss. mo Fra gli altri obligli! ch’io mi reputo di havere al $. r Filippo Salviati, tengo per principalissimo l’bavermi data occasione d'acquistar l’amicitia di V. S., la l»» Cfr. n.« 970. l*i Cfr. n.» 968. 31 GENNAIO 1614. 20 |t»l quale io procurerò con ogni mio potere di oonserrarmi, ucome \ ' ■ ' ' v ogni volta che mi favorirà de’suoi comandamenti ; eh*, per poco eh io m» *x\ pia, non è però ch'io non sia fuor di modo amico dei!** - •? r 1 * r 1 guenza di chi le possiede, quale ho conosciuto prima d’ h«»rm »»rtr \ > ìu<*! suo dottissimo trattato delle cose che stanno su 1* acqua, e di protoni# nello Lei tere che mi ha favorito mandarmi, che trattano delle macchie del 1* t '.le quali cose tutte si scorgon infinite, bellissime e nuore opptmom filo < ’ he prò- ? vate con sotilissime diinostrationi geometriche, senza lo quali la ni »otia ! " merita il nome di scienza, ma più tosto d’oppinione. Et invero io mi * n M*m pre riso di tutte le conclusioni filosofiche, che non dipendami (oltre quell# eh# sappiamo esser vere per lume di fedo) o da dimottrationi matematiche o da esperienze infallibili; e se pochi si sono ntrorati un al di d’hocfi che habb;an filosofato in cotal maniera, ciò è per avventura avvenuto j r > ver vi p * he habbiano piena contezza delle due sudette scienze : la quale conoscendo »o squi¬ sita in V.S., non posso di meno di non far di lei grandissima atima • di non portarle, come già ho detto, grande affottione, e tanto magiorinenle quanto ch’io conosco haver incartato più volte nel’istesss sue opinioni; il che, coaio io te già dissi al S. r Filippo e come mi scrive V. 8., non è per altro che per havri ambidue studiato nello stesso libro ", se ben con questa ditlcrnuo. che \ > vi sa legger meglio. E per dirle qualche cosa delle sudette Lettere io le ho lett-* rnn mio i vr dissimo gusto, e veduto 1* historia che WS. fa delle macchie del «"le. e come, pruova bene la loro vicinità al corpo solare, et i loro moti, augni Miti.»■ sieno stelle, nel che si porge; a’ bell’ ingegni occasione di speculare « h*.. * • no sieno: che so ben V. S., a f. 142 l, \ accenna qualche cosa, p ire ne patii» i . It dubbiosamente, come eonvien fare delle cose che non hanno ceri.» pru-va. Et ir vero, oltre che non pare verisimile che sieno il nutrimento dell# fiamma del *> sole, vi sarebbe gran difficoltà a ritrovare come si generino, di mstt.n* elle mentale (a che non pare che tutti gli elementi potemmo supplire p r chi giorni, ancor che tutti si convertissero in vapori), o se pure di odiate nel che sarebbe dubbio come ella si oscurasse o si condensasse, e in virtù di eh- ella andasse verso il corpo solare, poichò non par veri&imile th il ole -.jyn in altra maniera che riscaldando, con che la matteria più tosto si rsr>-ià t divieti diafana che si condensi e s’oscuri, e col detto calore non tir.» a • U matteria, ma rarefacendolala fa più leggiera. Quindi ò ch’ella \a all*in »u non vrr’M» il corpo solare, ma più tosto verso il zenit. Ma comunque aia. m vede chiaro che queste cotali macchio impediscono in parte ì raggi solari, onde non crebbe p' i in Lett. 973. lo. eh* kabbiam — SO. inetrlalo Cfr. n.° 969, Un. 22-23. «*» Cfr. VoL V, MO. [973] 31 GENNAIO 1614. 21 avventura cosa strana il giudicare che possa essere che di qui in parte proceda il maggiore o minor calore nelle stesse staggioni e nell’ istesso clima. Mi sarebbe stato caro che V. S. ha resse dato cosi minuto raguaglio dèlie piazzette chiare che sono nel sole, come delle macchie : il che spererò che V. S. debba fare. Non |K>bso negare di non haver un poco di difficoltà a conceder quel che V. S. dice, a f. 51 »', del moto del sole: perchè, tutto che si concedesse che la nave mosaa, a cui si togliessero gli impedimenti estrinseci, si havesse a muover sem¬ pre, non neséguita, s’io non m’inganno, che il sole si habbia sempre a muover, so poiché non par neccessario conceder che l’ambiente non gli debba dare qualche piccolo impedimento; nè basta, per mio aviao, dir che anche egli se ne muova, poiché T aria, che è intorno ad una ruota che gira, si muove aneli’ essa per lo moto di lei, nè perciò credo che V. S. stimi che non le dia qualche puoco trat¬ tenimento. Vedo che V. S. tiene che le stelle sieno opache e ruvide : nel che mi piace fuor di modo 1’ esperienza con che, a f. 185 lB , si mostra che la terra, tutto che opaca, maggiormente risplende per la refflessione de i raggi solari che non fa la tìuinma; se ben io, quanto a me. ho sempre giudicato che si pruovi più tosto la ruvidità che la opacità nelle stelle: perchè, se fossero polite e perfettamente so rotonde, farebbon quello che fa la palla di christallo, di cui si vedo poca parte illuminata, la qual nelle stelle, per la lontananza, non si potrebbe vedere; dove « he una palla di pietra, che sia ruvida, posta al lume, si vede illuminata per la inettà. Però è da nottare che la palla del christallo, tutto che di matteria dia¬ fana, se haverà la superficie ruvida, tanto se ne vedrà la mettà illuminata quanto di quella di pietra; ondo l'istesso seguirebbe se le stelle fussero di matteria diafana, purché la superficie loro sia ruvida. Vorrei sapere se V. 8., che ha ricercato così diligentemente tutte le regioni celesti, ha per avventura osservata col canone, o sie telescopio, la stella nuova che è nel petto del Cigno, per vedere se a sorte vi si scorgesse qualche diffe- ■o reo za dalle altre stelle. Mi par di vedere che V. S. appruovi le oppenioni del Copernico. o pur io crederei che le osseryationi che si fanno col cannone circa Venere e le Stelle Medicee e le macchie del sole più tosto provassero la flussi- hilità della materia celeste, onde par che più tosto venga ad essere più prova¬ bile l’opinion del Ticone. V. 8. mi scrive eh’ io le dica quel che non mi sodisfa nel trattato delle cose che stanno su 1‘ acqua ; et io V assicuro che tutto quel Discorso mi parve dot¬ tissimo e bellissimo. Vi hebbi un sol dubbio, fondato su che io sempre supposi S9 — 77 dubbio, fondai *t «'• Cfr. Voi. V, pa*. 134-18Ó. «*> Cfr. Voi. V, pa*. 222-228. 22 31 GENNAIO 1614. per verissimo che il gi.H.l.m fosse acqua condensata, il qual* perno havaaaa maggior peso dell’acqua, che per consequenxa doverebba andar a fondo, dal qual errore, mi tolse il S/ Filippo, dicendomi che il giacchio occupa «agfìor lnogo ae dell’ acqua : il che io poi anche provai per isperienza, e fli di*« la ima o \■»* nione, come possa esscro che il giacchio si faccia dal freddo che rondanti 1 a> qua e che ad ogni modo egli occupi maggior luogo; perché »« condrnwi n-n nini-ri¬ mente, ma più tosto in diverse parti, fra le quali restano dell** parti più rare, l’aria e quello dell’acqua, lo riputerò a molto favorr. E perché V S mi di-e ch’io le scriva qualcheduna delle mie speculai ioni, come che io Fibbia fatto puoco di buono, lo dirò solo per bora che ho notamente ritrovato un tu* do, a parer mio nuovo, di cuocere senza fuoco, mediante il moto di du» Frn «he si riscaldano insieme; o lattane 1'esperienza (sciame assai imi > ?• Maro»--nin. m A riuscita assai bene. Procurerò di farla di nuovo meglio; e qu*«to et ogni *!’ra cosa mia sarà sempre a’suoi comandi, poiché, come già le ho detto, \ > può valersi d’ogni mia cosa e di me stesso; e mi serà gran favore, tempi» «1 . •• eompiacierà di farlo. M’è di nuovo sovenuto, intorno a quello che ho detto di sopra, t hè Ir mar •<* chic del sole possono esser caggione di più e men caldo, che aie He può e%*#re elio sien caggione della varietà de’tempi e delle mutationi dell'ari*, onde n.-»n sarebbe per avventura inconveniente farne qualche e»pcrieitra poiché prvirdm dos[i| le macchie alcuni giorni prima che sieno dirimpcto al entro del empo solare, può essere che per questa via si possano prevedere i tempi j r qualche giorni, che sarebbe di grandissimo giovamento a molti, r principalno ni* * ma¬ nnari. Col qual line il S. r Gio. Patta Tinelli, a cui ho fatte le sua ra-ornai da* tioni, et io le baociamo le mani. Di Genova, all’ultimo di Gennaio 1614. Di V. S. Ecc. m * .$ 1 - 82 . mia opjvniont . (, l Cfr. u.« 963. Sor.*" Aff — no Oiob. 4 Ballano. f) FEBBRÀIO 1(314. 1 * 7*1 123 974 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. PUa, 5 febbraio Itili. BILI Ku. Flr. Un. OaL, P. VI, T. IX. ear. 137. - Aut^rafa. Gioito 111.™ ed Kcc.*° Sig. r mio, Il Sig. r Car. r Aquila ni n bacia lo inani a V. S. Ecc. m *; anzi voleva scrivergli, ma io, perche sapeva che non voleva scrivere altro clip compimenti, l’ho impe¬ lliti), con dirgli che non occorrono questi termini con V. S. : e questo l’ho fatto per difendere le sue reni dal scrivere la risposta. Questo Signore seguita di amarmi ed lionorarmi con ogni affetto. Ilo scritto al Sig. r Principe 1 intorno al negozio della casa quando n'ba¬ vero risposta, darò del tutto conto a V. S. Qua io non ho possnto fare osservazioni di Giove por le continue pioggie: io quando ne potrò fare, glie le manderò disegnate. (ìli giorni passati viddi Venere di questa figura distintamente l’ho fatta vedere a diversi, e ne restano meravigliati ; ma per bora si attende a questo magro Carnevale, dove elio spero a questa Quadragesima di havermi da pigliar qualche bel gusto. Séguito però a legger le mie ordinarie famigliali lezzioni d’ Euclide e del suo veramente me¬ raviglioso Compasso, la lezzume di*l quale è gradita sopra modo da questi Signori. E stato qua da me quel navicellai io) che ha hauti i cantucci, e in’ ha fatto fare un policino, con dire che non si sapeva trovare la casa di V. S., e m’ ha promesso che li farò bavere : però io ne mandarò delli altri, insieme con un poco di maccaroncelli, con la prima occasione. Tra tanto V. S. attenda a conservarsi ì:u in questi tempi fastidiosi, e lasci andare gli colombi, che da loro stessi si tra- tformaranno in cornacchie: dico, gli lasci andare con quello che si è latto sin bora ‘, del quale ne basteria una carta sola a confondergli, se ha vesserò cer¬ vello, e non si stanchi, con offesa della sua complessione, a farci altro, perchè a me, che so far di conto, ini riesce più una picciola doglia di V. S. che la total rovina di tutte queste pecore. Michele li fa riverenza, ed io me li ricordo servitore. Pisa, il 5 di Feb.® 614. Di V. S. molto 111.™ ed Ecc. ra » Oblig. mo Ser.™ e Discepolo D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ ed Ecc.®° Sig. r mio Oss.'“° so 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo e Mat. co di S. A. Firenze. «>» Scino» Aquilaxi. «*' Fromeo Cwt. <» Cfr. n.® *ò2. i») Cfr. Voi. IV, pa*. 13-14. 24 11—12 FEBBRAIO 1614. |B7B-B7ttj 976*. MARCO WEL8ER a GIOVANNI KEPI EH [in I r Augusta 11 febbraio 1614 Bibl. dell’Osservatorio lu Pulkov*. M«- Kepleriani, f I* !• XI _Si illa in quibus te a Galilneo diaaentir* «nbi*, c< rasi. 1 » * -n e! *r<*u* ' r« viter coniicias, mihi rem pergratam faciaa, et ipei quoque Oalil.e opw.ur 97(i**. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO io tirane* Pisa, li febbraio 1614. Bibl. Naa. Flr. Mss Gai, P. IH, T. VII, 2, car. Aatograi*. Molto 111.” ed Ecc. m0 Sig. r mio Oas.“» Mando a V. S. Ecc. mA le osservazioni de' Pianeti Medi, i I. UiaUnm « >i. j. al solito mio, numerate dalla circonferenza di Giove in dumetri di l.wii t« hore, dell’ horologio comune della notte seguente il giorno notato D. 9 Fel. 1614, h. 6. Or. * - O, Oc 2 t 7 *T D. 10'Feb., k. 7. Or. *r , '~ 77 ^'VvO Or. 4 t t t D. 11 Feb., hor. 8. Or. 7^*^! * 7 s T Di quest’ultima io non m’assicuro, perchè li vidi ben tutti quattro ma u n affermo resolutamente che le distanze siino giuste: ben è ver.» . 1 e tre erano ,; » orientali, ed uno occidentale. Gli ne mandarò dell’altre, acciò lei babbi occasione di guardarti dall aria della notte e non osservi. Sono occupatissimo, perchè dimani si principia a leggere p* i ò n n t..r . longo; solo di nuovo li dirò, qualmente fui a far riverenza a Mon»ig r Ar ne scovo 1 *’, quale trattò meco molto amorevolmente, e non mi fece altra «morta zione, come mi era stato intimato. <*> Noi riproduciamo, al solito, esattamente l« Cfr. \ol. XI, p«g *> j n,ta I distanze, conformo alle proporzioni degli autografi 1 Faainaco boccio ( 976-977 1 12 — 15 FEBBRAIO 1614. 25 11 lug' tto che io ho pnqiOHto a V. S. per huraimista, ò eminente, od ha letto in collisti pubi ir i in Milano; ed £ liuoino da oondur seco una ventina di gentil- huomini di quelli paesi. Ma di queste promesso andarò scarso cori pii nostri m Ser.® Padroni, e stilo li tratterò tanto quanto giudicalo essere servizio del- l A A loro. V. Sig/ k * mi f.tvori-'Ca far intendere a Gio. Batta 0 che se ne venga a’suoi studi, quando non aia per servizio di V.8. che resti; e ine li raccomandi assai assai. K con questo me li ricordo nhligatisaimo servitore. Di Pisa, il li Peli. GM. IM V.8. molto 111. 1 * ed Eco.** Oblig." 0 (Ser/* e Dis.J 0 1). Benedetto Gas. Fuori: Ài molto 111/* ed Kcc.*° Sig. r mio Osa.® 0 11 Sig/ Galileo Galilei, p,* Pii.® e Mat.®° di S. A. Firenze. 977 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 16 febbraio 1614. Bibl. No*. FLr. tfaa. Gal P. V], T IX, ear. 15». - Aotofrah. Moli’ 111/* e molto Ecc. to Sig/ mio Osa.® 0 Non tengo sin bora risposta di due scritto a V. S. l’ordinarii passati. Ilora devo dirle solo che il S. r Gio. Batta Raimondi è passato u miglior vita, quale hebbe già dal G. D.* Ferdinando in cura una libreria di manoscritti scelti Ara¬ bici et insieme stampa, essendo mente di quel buon Prencipe uscissero a publico utile in luce; ma egli n’è stato solo strettissimo custode, havendo, a util delli nostri, poco o niente dato fuori, restando in ciò da parte P util publico e honore che a questa gran Casa ne veniva. Io haverei desiderio particolare che sei o otto volumi ili cose naturali e matematiche, clic non habbianio in latino, fossero trn- ìo dotti e si stampassero, acciò non ne restassemo tanto tempo privi. Però mi farà gratia V. S. d’intendere che mente habbia S. A. in queste cose del Raimondi; e se le parrà ottenibile, veda d’impetrare che di questi volumi particolari si po¬ tesse far copia, a fine che fossero tradotti e stampati, dedicati a S. A. come con¬ viene, chò noi habbiamo il S. r Don Diego d’Urrea ct> che lo farebbe benissimo. 11 tutto si farebbe con ogni sicurezza dol’opre, e solo a questo fine: però ho voluto • »> Cfr. n.* 787. lin. 7. t * 1 Diboo di I’kkka Cosca. Xll. 4 15 - 26 FEBBRAIO 1614. 26 l977-tt?S| accennarlo alla prudenza di V. S., che potrebbe «un bimi.a.'• tt sitai questo negotio come di letterati suoi amici. I t *• '••mlomi v.t’ il t- n»i - * » >' 1 > ! <» da moltissimi negotiì del mio accasamento, del qu ii- il n < ur * \ passate 10 , ho scritto la presente in grandissima fretta, giuda n i •-i • V. s fosse quanto prima avisata della sopradetta o< < .« iun. ì‘. ■ a \. 1* m »r.. di core. Di R.», li 15 di Febr. 0 1614. Di V. S. molt' 111." All •• per «er u srmpre Frd.** Cesi lane.* I*. Fuori, (Poltra mano: Al molto IH.** et molto IV ' s ’ mi» 11 Sig. or Galileo Galilei l..* 1 ìorenia. 978**. BENEDETTO CASTELLI a UAl.ll EO in l'mcu l’ina, se fri, bruii» 1611 Bibl. Nax. -Plr. U««. Gal., P. VI, T. IX, r*r. 143. Aat« p* r» hè egli ogni mattina, ogni mattina, ogni mattina, quando si al/avn dal *i ve¬ deva la porta della camera avanti, come Bilama lai. iat i la r» .nJr qu< t-» i * buon prete rostò talmente scaiuhdi/ato di questa balorda*; in«-, «~ii < «h «li. la quiete della terra non poteva essere, già che nuli h uomini la diti. i.d. » »uo : e così mi viene a trovare spesso con mio grandissimo gu-u». i»«-Mder j i «li 1 ..»i«t*- quella lettera scritta a V.8. da quel matematico Genove-,. j. rii.' m i mn tativo gagliardo a questi signori Genovesi, miri scolari. 1 noti u« > ori* :.*i mi liti •. li bacio le mani, pregandoli sanità e contento. Pisa, 26 di Feb.° 614. "i Cfr. n.° 971. Ut. 2(5 - 26 FEBBRAIO 1614. 27 20 1078-979] -- Qua havemo predicatore a’Cavalieri un Cappuccino, huomo miracoloso. Lo vo a sentire ogni mattina. Di V. S. molto 111/® ed Ecc.'"' Oblig. mo Ser/® e Dis.’° 1). Don. 110 Cast. Fuori, d'altra mano: Al molto III/® et Kcc."'° Sig/ e l’.rii Uss." 10 Il big/ Galileo Galilei. Fiorenza. 071 )**. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 febbraio 1G14. Bibl. Na*. Flr. Mu. Gal., P. VI, T. IX, car. 141. — Autografa. Pax diritti. Molto III/* et Ecc. m ® S/ r ()ss.™° L’no anno in circa da poi che fui ritornato di Veneti», come haven\ sino al¬ lora sentito, mi ritolsi «li entrare nella Congregatione nostra 10 ; et a questo ef¬ fetto venni a Roma, sono vicino a due anni, nel qual tempo non ho havuto oc¬ casione di scriverle. Con questa mi fi parso di romperò il silentio, per dirle come, essendo quivi venuto a morto il S/ Gio. Ratta Raymondo ", del quale essa deve haver piena contezza per essere stata creatura di S. A. S. et huomo di tante lettere, sento che la sua libreria è obligata alla medesima A.S. ; e fra essa V. S. io deve sapere che teneva in lingua Arabica li otto libri di Apollonio et alcune altre opere che erano in qualche credito: ma perchè mi immagino siano per venire nella bibliotheca di S. A. 8., saria, a mio credere, beneficio universale, se per mezzo di V. S. facesse divulgare in qualche altro idioma li 4 libri ultimi di Apol¬ lonio, che mancano in latino; et senza una sopraintelligenza di un suo pari, temo non si vedrà a’ nostri giorni questa opera compita. Si compiacci di farci un poco di consideratione ; o parendoli approposito il tentarlo, V. E. credo ne sarà pa¬ drone. Et questo mio avviso nasce pure da quello antico affetto che liebbi a que¬ ste facoltà; e se bene dismessi, per applicarmi a stridii sacri, la continoatione, mi compiaccio di veder quello che esce di novo. 20 Più mesi sono hehbi un’operetta sua delle cose che stanno su l’acqua, quale mi piacque sommamente per la sua acutezza; o veramente vi sono bellissime considerationi. Penso che havrà poi stampato qualcosa altro: e quel suo Systoma (8) '*• Cfr. Voi. Ili, Pnr. I, pag. 75. lin.8, o pag. 96, Un. 2; e cfr. paro u.° 737, lin. 4-5. <•' Dei Chierici Regolari Somaaehi. <»' Cfr. n.° 977. 28 I979-9M)] 28 FEBBRAIO — 1* MARZO 1614. desidero di sentire l’habbia perfettionato, nel quale >pero t*rà quanto «i d-i dera et die manca nella dottrina de* secondi mobili. Mi sari ’ dr’uh* indispositioni di travagliar V. S. Hor sia lodato Iddio ri».* -t* mrgi •*, * n m- I* miglior stagione a giovarle. Il S. r Colonna m* ha significato che in Napoli un frate, in una sua opra di cose teologiche o miste, s’era posto con molta rolb ra e n- duti i •• i rq • ii li scoprimenti di V. S. e particolarmente i nuovi Puun-ti, i»mc p t -gnidi nli al>«t- tenario e non figurati nel Candelabro; ma che crede non m j-r far » llro. jm- rendoli haverlo a bastanza dissuaso con le ragioni «* p.»m ni.iti» p.u 1 • n.--. Intesi qui in una conversatane che un poeta moderno (cr«*do l ir/i ll» ttnu, benché nò anco potei intenderne il nome) componeva «opra i n»»ii Pian»ti in lode d’ un Principe, alludendo con essi (non altrimento che >' » Ji ci bav».qual¬ che ius sopra) al’arme di quello stellata, serrandoseli» n -no modo, s.-n/a no¬ marli Medicei. M’è parso dover subito significar a V. S. l’uno »i diro c >-l confusamente come l’ho inteso, chè intendendone poi a pieno. min. preparo, saprà il tutto ; se hon poco pensiero bisognerà darsi di qu. lla temerità che da n sè stessa si condanna. Lett. 979. 27. Fra UlUrt o ail* si caacallato: a SS* »« Ptrti—, • .. 1° MARZO 1614. 29 (980| Le darò un’Altra nuova, so pur sanile nova: Apollo é uscito in publico, fa¬ cendosi torre la tavola davanti. Francesco Aguilonio, Gesuita, nel suo volume d'Optica, dato in Anversa frescamente in luce 10 , nel libro 5° et disputatone alla prop." 56*, ha questo parole : lHcat aliits, lutine macidus non earum rerum ima - gines esse quae in terris sunt, seti macularmi quas supcriore anno Christophorus Schetncr e Societale nostra, atque in Ingolsladicnsi Academia matheseos professor, nomine Apriiis post tabulwn, primus in sole deprehendit ; has, scilicct, una cum solis pini nt asta , in luna Inni (piani in speculo a nobis conspici: sed ncque hoc recte a ffirmare so quispiam poterit. Io certamente non so a che fine sia quest’Apelle venuto in pa¬ lese; e ri sto maravigliato che pur gli pretendano il primato in questa osserva¬ tone i l'adri, che sanno quanto prima V. S. ne trattò e le mostrò. Mi sodisfece corto il Cicognini ”, poiché, trovandomi alla veglia o festino sce¬ nico nelle nozze dellu Principessa Peretti mia cugina, vidi che fra P altri pia¬ neti haveva, con molto garbo, posti i Medicei in choro intorno Giove. Piacque lo spettacolo a tutti, e la novità inserta al suo luogo. Ben è vero eh’ io mi feci sentire ad alcuni primati Peripatetici, che non potevano contenersi di ringhiare, come vetcrnosi e niniici d’ogni cosa nuova. Nel personaggio che Y.S. in'accenna, conobbi anch’io, trattando seco, che w non havea puro P affetto verso di lei, poiché, lodando li scoprimenti di V. S. e celebrandoli degni della protettion di tal Principe, soggiunse che non sapoa poi se fossero coso da sussistere realmente. Io risposi quello mi parvo a proposito, e confesso che non vi ho trattato più volontieri. Quant’ a libri °, invero che ò notabil danno do’studiosi che dormano cosi persi ; e quelli eh’ io desiderarci si traducessero, sono rarissimi, e sarebbono di non poco honore al Principe della cui libraria c sotto la cui protettone escono. La ('ameni qui pretende sopra detta libraria o stampe, et ha inventariato ogni cosa. Quanto nlli S. rl Antonini e Baliani, io sento con V. S.: aspetterò suo aviso, perché possa conferir il tutto a’S. ri compagni, ch’altro non desiderano che sog- •*>o getti di tale eminenza, acciò, inteso il tutto, si venga al’ ascrizione. Al S. r Lagnila ho detto il tutto: resta obligatissimo a V. S., et attenderà altra volta il suo favore^’, sperando non debba tardarne molto l’occasione. Il Creinonino Celeste, overo il Cielo del Crernonino 6) , pur gionse a Roma, et è poco ben visto da’superiori per que’suoi animali celesti o cieli animati. Io, ancorché habbia pochissimo otio, pur lo vado tal volta leggendo, come V. S. mi "• Fmahcibci Aon I-okii. e Soclet. Ietti, Opti- mrum IUri t*r, philoeophic ac mathematica utile*. Intverpiao, ex ofllnna Plantiniana, apud viduaui et filios loannis Moreti, 1613. i*» Amor pudico. Festino e balli danzati in Roma nelle none deci 1 HI.* 1 od Kceell." 1 Si**." Frmeij.o di Ve^afro eSig.'* Priucipo*»* D.Àuna Cesi, l'anno 1614, nel Palazzo della Cancelleria. Del Sig. Iacopo Creo- ovini, ecc. In Viterbo, per Girolamo Discepolo, 1614. Anna Maria Casi, sposa aMicuKUf i'snr.TTi, Principo di Vonafro. «»> Cfr. nn.' 977, 970. «»' Cfr. nn. 1 970, 971, 972. l«i Cfr. un.' 664, 769. 30 1® - 5 MARZO 1614. (•ML«*1] accennò, gustando di sì bel cielo elio i lVnpat»*tici ci bum.*' ».*>•:t- »t" p**»»'h* io credo che dova distinguersi molto bene il pcripntclnv mio d.%1 re*!»-, il i.% tionalo loro da quello elio vediamo. Hora non la tediarò più a lene* N.8. Iddio lo tmmAà »l «mìimiIoMIb sanità, et ogni contento. Bacio a V. S. di tutto core U mani, « la ro mandarmi. Di Roma, il p.° di Marzo 1614. Di V. S. molt’Ul.** c molto Ere.» AfT — |«tr v»r • »*mpr* S. r Galilei. i* Ct«i Unc.* P 981**. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO m Kir*«- l’isa, 5 marzo 1*14. Bibl. Naz. Fir. M*s. Gai., P. IH. T. VII, 2, car. 2*•• • A'.l-,*«afa. Molto 111." ed Kcc. wo Sig. r mio, Ho sentito quel dolore che V. S. si può imaginara jwr 1* n ' \ d- Ila t i » in¬ disposizione, tanto, come mi scrive, peggiorata. Per amor di Dio. >t* ' Otiti»*, lasciate andare tutte lo stelle in malhora, e con^rTateri la uniU. eh* qu**»U importa a V.S., a me, ed a tutti gli suoi rari. Io, rhe non pali •* ponto, •»> serverò con gli occhii del corpo; e lei con quelli dell’intelletto |**tr\ mno^cre senza danno quanto bora con tanto pericolo ront» mp!a. Il primo di Marzo, la sera, osservai gli Pianeti Medicei, r n- IV i Li qui in elusa descrizione, notando lo declinazioni, corno V. S. i*»tr| vedere Li mando a punto quella elio notai originale 0 , acciò pona conoacare cha io non mi ingannai io punto in notare le strano declinazioni di quest»* Stelle, «he . fim»linrnt* qu.-lLt a punto che lei mi ha mandata, senza che io po*aa conoscervi nna minimi diff- renza. Il secondo giorno fui assasinato dalle nuole 11 t» r;n. « q»iattr ih l l’oriolo comune, Stando la Spica della Vergine alta dall'onxonte gr. X, oMervai Giove in questa costituzione * O r* 5 T che è la medesima con quella che V. S. mi ha mandata. Nel r »to le t intime nugole mi hanno prohibito l’osservare. Se mi daranno In • n i. farò » <>n ogni «hit genza quelle altre osservazioni, come V. S. mi comanda. Tra tanto h i c»*n ogni sicurezza (per quello che ho visto dalla constituiione d* l primo di Marzo) mi può mandare lo predizioni di tutto questo mese, «alodaL dall* lavo!»* ve ■ m- - h > 0> Le costituzioni del 27 e 28 febbraio o 1» marco «ono notai- n di un polonio il *, prrch'è gran vergogna che ci vincan d'intelletto I« n i . ■ 1 • fatto domestiche. Io, sepolto, fo quanto un ni.» |- r V » j. I » r • min ine. Per amor di Dio, lasci ogni faconda d'altri . , . *u •• : U. chA non sa so morirà dimane, otc. Per le sue infirmiti io in' offerti i qu*-l . j- .» dtMi . ■ mi m i» a 1 litto¬ ria di quelle, e mi dia la sua natività, « »>• 1* 1*a f.*r V , •• \ eh » avvisi d’amici, perché no» omnia j cmv . Ar. .•%>«• : i n. 1 « !- •t. lle, e non lo fosso. Il Principe noatro n dice che per lai la chiede a WS., • che non voi darla, dicendo che non ci en ti la itup p* r. I ». V S n..n ri crede, perchè nell'epistola dice al (ì. 1). r| kt » *)| in in it ira i. !.. • !• et. ■ Dun* que 1’ ha burlato. Absil. Kon • lidio a V. S„ come poeta, arriir»» d’opmioai falaO, credute dal solo volgo, etc. Pur io non .erto eh* •' pi m.lit».!». •• ( iìhu * o lori^il idin«*. »• . 1 . il .it.» (,% pur ni ti a* 1.8 lettera alla qual» qui acetati », a et* *>« giunse insino a noi, fu da G a uno cobijsi ili si Cesi : cfr. n.« 920, lin. 2-il *• Si*««sfai '* fimtrn ram» •* Ctr V«L III. l ai ^4 i*. be CA-41. 8 - 12 marzo 1614. 38 1982-988] varietà e naturalità, è chiaro andito ne’ corpi morti, nuotanti con la faccia al cielo, secondo furo nell’ utero materno, etc. Assai haveria «dio «lire, c ne fei sei libri, e spiegai la superstitione. In questa dottrina si procede per scienza e per coniatura e per su pitioue; distinguendo, non s’erra troppo : sia detto con sop- portatione. All’ ignoranti non parlo cosi libero, ma alli savii, clic ricevono me¬ glio le riprensioni che 1’adulationi, o correggerlo a vicenda il riprensore. Et io tengo sempre in me quel principio del Vangelo: Quaccumque vultis ut furiant roVis homi noi, rt vos facile illis, ete. Resto al suo comando, e prego, quando manda qualche cosa fuori, eli’io bo sia del li primi ad Laveria per via del Principe nostro inclito e del Sig. r Barto- lino, che V inviar:! questa. Il Signor Dio la conservi per benefitio universale. So ch'occorrendo col (ì. I)., farà etc. Dell’offerta di denari che mi disse il Tobia' 1 ’, la ringratio; tengali per sè. Io non posso offerir a lei se non affetto, e quel poco di fatica che m’é permessa dall’arcasinità u cui, per li peccati della gioventù, Dio mi sottopose etc. T. C. 8 di Marzo 1014. Scrissi |...) in natura c> composta di violenza e spontaneità nelli corpi. Fuori: A Giovanni Bartolini, che Dio guardi, co Roma. In casa dell’ lll. m0 Card. 1 Cesi 1 * 5 . 983*. GALILEO a G10. BATTISTA BALI ANI in Genova. Firenze, 12 marzo 1611. Bibl. Bmidonso la Milano. Convita A F. XIII, 13, 1. — Autografa. Molto III*" Sig.” Ossei*. mu Prima che risponder alla gratissima lettera di V. S., devo far mia scusa della tardanza nel riscrivergli, cagionata dallo varie mio indi¬ sposizioni che da molti giorni in qua mi travagliano assai più del consueto : o come quelle che dependono in gran parte da disagi pa¬ titi per lo scrivere, così da quello ricevo notabil danno; onde mi è forza pigliarmi spesso di quelle licenze con i miei padroni, che non prenderei s’io fessi in migliore stato di sanità. Però V. S. mi scuserà, prima della dimora, e poi della brevità, la quale, contro a mia vo¬ lo glia, mi bisogna usar seco. »*i Tobi* Adami, BaRtolomubo Cibi. XII. 5 12 MARZO 1GU. 34 [9M] Io gli rendo grazie della fatica che ni è pre-a in legger Ir mn> Lettere e Valero tratta tei lo ll '. E quanto all' « — «'iuta dell»* i miccini o- lari, io veramente non ardirei mai di affermarne runa alcuna, *«• non a quello die par che le si assimiglino, delle co-»* conosciute >i.i noi ma a quante più cose hanno similitudine, tanto più è dubbio I ntlV-rinar di loro quel che lo aieno; oltre che po.-son esser mille cose ignotis¬ sime a noi. Quanto a le piazzette ll: più lucide, le sono a*-ai meno * • -• • i- vabili che le macchie, o non se ne veggono sempre di molto appai■••nti. Panni ben di scorger tutta la faccia del sole di luce, pernmd.. di dir»», eterogenea, cioè come circondata da una sottil nugola di di-, cual trasparenza. Quanto a quel ch’io scrivo a fac. 51 l , io vt-nuiu-nb- non lio hauto intenzione di dir che '1 corpo solare, rivolgnulo-i in sé stesso, non fusse per ricever qualche impedimento dall ambo nto che stesso fermo; ina hehbi pensiero di dir che, dato che P andò.aiti¬ si girasse intorno al sole, esso ancora da tal rivolgimento ar*-l»l-* me¬ nato in volta: però V. S. mi favorirà eli riveder quel luogo p. rcliè forse ne potrà cavar questo senso che non ha dell* unprob dui- Vi come V altro sarebbe veramente erroneo. Quanto alla sustanza delle stelle, io fo gran differenza tra le lì--.- e Ferranti; e tengo per fermo che le fisse sien lucide per loro -t--e, *. siccome mi par esser certo che i pianeti ricevvino ’1 lume dal sole j. quanto alle fisse, come splendidissime, non credo che agPocrhì nostri potessero esser trasparenti. La (distanza intenta d/ pianti» ptnU < r diafana; ma bisogna di necessità par ìu su)»rfìri' l,n, m i-/w. la qual ruvidezza rende agl’occhi nostri opaca qualunque materni tra-p.irsute : talché, per quel che appartiene a noi, non credo che p«>--iam»> coni* prender tali corpi se non come opachi quanto una pietra e eh.* in conseguenza, come tali devano esser giudicati e forse c i- -luti, n<«n apparendo ragion alcuna sin qui per la quale ai devino ninnar «• *n- zi al mente dialani, marosi poi opachi con 1 a>pr»*//.i < 1* * Uh. »up. rii ir « Non ho per ancora osservata la stilla mima d*l Ogim; lo farò - Cfr. n.» 978. **) Le pnrolo cho qui, e appresso, sUmpUno in corsivo, sono sottolineato n«ITauto(rafó, con mia lln»« molto Mitilo • 4 McklMtr*. • «uii« par#, divorao. Cfr. ».• *9. * Cfr. VoL T, k Itt» [983] 12 MAIIZO 1611. 35 per le sole osservazioni di Venere, dello macchie solari e delle Me¬ dicee, ma per l'altro sue ragioni, e per molt’altre mie particolari che mi paiono concludenti. Che poi la sostanza celeste sia tenuissima e cedente, io l’ho creduto sempre, non havendo mai sentito forza alcuna nelle ragioni che s’adducono per provar il contrario. Nel- m {'opinione del Ticone mi ci restano quelle massime difficoltà elio mi fanno partir da Tolomeo, dove elio in Copernico non ho cosa alcuna che mi apporti un minimo scrupolo, e men di tutte le instanze quelle che fa Ticono contro alla mobilità della terra in certe suo lettere 0 . [I penderò di V. «S’, di scaldar tanto con 2 ferri, mi è parso bellis¬ simi <, e credo che il modo sia altrettanto ingegnoso; il quale io sentirò volentierissirao, quando V. S. havrà determinato di farne parte ad altri amici suoi. l’er posar l’aria, io piglio un fiasco di vetro AB, grande come la testa d’un huomo incirca, il quale nel collo habbia la strozzatura B, per fri potervi legar fermamente un ditale di cuoio CD; il qual ditale nel mezo habbia un’animella da pallone ben fermata, per la quale con uno schizzatolo caccio molt’aria ned fiasco AB, havendolo prima pesato in una bilancia esatta; o dopo havervi compressa mol- t’aria por forza, la quale in virtù doiranimella resta carcerata, torno a posaro il fiasco o trovolo notabil¬ mente più grave: o però salvo appartatamente il poso elio bisogna aggiunger di più, il quale vien a esser il peso deU'aria straniera. E per assicurarmi 7o che non ne vada traspirando punta, inetto innanzi nel fiasco un poco d’acqua, e tenendolo sempre con la bocca in giù m'assicuro che l’aria non può uscire, perchè prima caccerebbe l’acqua et io la vedrei gocciolare. Resta bora che io misuri l’aria estranea. Però piglio un altro simil fiasco KFG, col collo strozzato in F e con un piccol foro in G, e con la bocca che termina sottile, come si vede in E, dove ò il foro assai stretto. Questo lo lego nella n«tt. 988. 52 ntNimo crupnlo — «»• Cfr. n* 561. 36 12 MARZO 1614. I9H3-9MI parte inferiore del ditale, cioè verso l), si che la punta K risponda incontro al foro deiraniiuella ; e dopo haverlo saldamente legato, epm «» - la punta E contro al coperchietto che serra Faniiii-lhi ; et up- rtolo. l’aria compressa del vaso AB fa impeto e caccia fu ora Tacqua del l’altro vaso per il foro G. o seguita di cacciarne tanta, qu inta è la mole dell’ aria che esce dal vaso AB: e questa e tutta quella che v era compressa oltre alla costituzione naturale. Salvando dunque 1' :»• • 11 ;.i che verrà fuori del foro G, la peso poi diligentemente, e tr ovo quanto ella sia multiplice in peso all’aria che fu pesata nel va*o pruno: la quale, per quanto mi ricordo, pesava circa i 60 volte più, ma non me n’assicuro. Si può reiterar l’operazione molte volte, jw*r venirne in certezza. » Torno a pregare Y. S. che scusi il mio >criver alla laconica, per che non posso diffondermi conforme al desiderio e debito. Mi comandi e conservimi la grazia sua e del Sig. Tinelli ; e ad amendue bacio le mani, e gli prego da Dio felicità. Di Firenze, li 12 di Marzo 1613 ' . Di V. S. molto I. Ser." Parnt.*® Galileo lì a l ilei. Fimi: Al molto 111. 1 * Sig. w e Pad." Gole."* Il S. Giambat.'* Baliani. Genova. io© 984 **. RENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Kirmz* Pisa, 12 marzo 1614. Bibl. Naz. Fir. Mss. felli., P. IH. T. VII, 2, car. <0. Aotunf». Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. r mio 0».*"** Finalmente ieri sera hebbi grazia di vedere sua Maestà dico Giove, e ti si trovorono presenti diversi signori Genovesi, ne' quali laminò del pari il glielo e la meraviglia in vedere riscontrare tanto per V spunto il tutto. Fumo presenti ,l > Di stilo fiorentino. 12 MARZO 1614. 1984] 37 alle rìua prime osservazioni ; e cosi, sicuri che il tutto dovesse cambiare come V. S. prediceva, si partirono sodisfattissiini. 1/ altezza di Giove e delle stelle fisse che io nomino, sono state prese da me con il quadrante del suo compasso, dalle quali poi ne ho cavate le ore dal tra¬ montar del sole con la sfera agi untata a 43 gr. di elevazione di polo, supponendo io che Giove sia intorno al 25 gr. della Libra con latitudine settentrionale di gr. 2, nel che non credo che possa essere errore notabile. Con altra più esquisita ma¬ niera non ho potuto pigliare il tempo: a V. S. non nianc&rà modo. Le osserva¬ zioni sono le poscritto (u , quanto più diligenti si sono possute fare. Die 11 Mariti , in node stq. % &lev. gr. 16 . 30; tipica Virg. gr. 21.40'; hora 4 . 24' post occ. O- o % cl. gr. 24; hor. 3.16 post occ. suhs. T O 9t cl. gr. 34 ; ho. 6.26 posi. oc. o Qt el. gr. 38, et Cor Scorp. el. gr. 7 ; ho. 7.20 . o Il Sig. r Federico Capponi studia matematica con suo grandissimo gusto e 20 profitto. 1/istesso fa il Sig. r Abbate Griffoni, il Merli, Guadagni, Abbate Stufa, Minorbetti e Barducci. V. S. mi faccia grazia di darne nova, per partieolar mio disegno, alti Sig. H Niccolò Arrighetti e Benedetto Pandolfìni, a’ quali mi ricordo servitore obligatissimo, insieme con tutti quelli altri Signori miei padroni; ed a lei bacio le mani, pregandoli dal Cielo ogni bene. Pisa, il 12 di Marzo 614. Di V. S. molto 111." Oblig. mo Ser.™ e Dia. 10 D. Benedetto Castelli. Fuori : Al molto 111." Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo e Mat. co di S. A. so Firenze. iti q u **u puro!* si Ungono «a! nwlo del foglio ; lo o**erra*ioni tono sul tergo. 38 15 MARZO 1614. |9H5-y*«| 985 *. MARINO GHETÀLDI a GALILEO in Fir*n-f. Venezia, 15 manto 1614. Bibl. Naz. Flr. Mu. Gal., P. VI, T. IX, cm. 148. Aut- gnlh. Molto III.™ S. r mio Oss.® Questi giorni passati feci stampar il secondo libro iM inio ^«ilU-nio r. li- vivo 0 ’, del quale mando a V.S. un esemplare p»-r M-gno di rivcrn, a « ho le porto et per memoria della nostra antica amiciti». So chr i r I.- sur r>. npa tioni dello intento osservationi celesti non hnverA tempo da legarlo; non di meno, per la ricreationo che portano agl’huomini le varietà, non potrà «■ mt che non lo darà una ochiata, so non per altro, almeno i**r censurarlo, p. rrb* n<*n n ,;o che non habi bisogno della censura. Con che fine baciandoli le mani, li pn *;n da Dio ogni compita felicità. Di Venetia, alli 15 di Marcio 1611. Di V.S. molto 111.™ Aff - Ker.™ Marino Uhetaldi. Fuori : Al molto IH.™ S. r mio Oss.® 11 Sig. r Galileo Galilei, a con un libro. Firenze. 986 **. TOMMASO GIANNINI a GALILEO tn Pisa. Ferrara, 15 manto 1614. Blbl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. I, T. VII, car. 14ò. — Aotofrafa. Molto 111.™ et Kcc. mo Sig. r rnio Oss." 1 ® Questa mia operetta 01 , la quale ho data alle stampe piti Lwtn indotto da altri elio per desiderio di lode alcuna, mando a V.S. K<«\■ *, ;irnodi> j rvc- nendo alle sue mani goda di quell’honore che suol recare la >ola vista d* gli buomini illustri, c le sia segno della molta osservanza che le i*irto; in virtù 01 Marini Uiiktamm, oce. Apollonia* rrAiti- Thoma» Otumni FTr*r»-n- . vui, occ. Lilior secumlug. Venetii», ujiud Ilaretium , Fkanoesco Bonciax;. l*> Cioè dello Cnntidcraxioni intorno al Ditcorto 40 10 — 21 MARZO 1614. 19H7-1IH81 Lessi finalmente 1’ ultima crudele, non apcnna-rhiatun, ma orti. «tura, anzi anatomia sin all’oBBa, del povero Colombo, e tu ila é m.raugh-.i. n i t.-t metterci del buono a farlo passare, perdi»' non ci man*«unno min- In. «i.. tm taranno con ogni via d’impedir che non si «lampi Per la frequenza do’ scolari, acciò non fossi di I .'ti.! - all»- signor dd » Sil¬ vio, mi sono ritirato in casa del Sig. r Matto Piu., uum imo -d-u- «' « he si farà il capitolo de’Cavalieri ; poi ritornarò nd medmimo j.»!*■ .- »! .re ho la sciate ancora la maggior parte delle robbe. H ora |*i «io mah di itan « j.- gio son stato gli giorni passati; ma q« ro -Urmem megli.. l a ( .rt. . .» I.» vorno. Altro non ho di novo; viro tutto suo al solito, r r<>n „i,u sicura li * mandarò quattro cantucci. Tra tanto ai conservi e mi com-ti.di.ihè sa t- n« quanto li devo ; e li bacio le mani. Pisa, il 19 di Marzo 614. Di V. S. molto IH.'* ed Kcc ' ■ Quanto alli occhiali, se io ne baveaai, li ven¬ derei senz’altro, quando fossero buoni; ma rosi in aria non so come fare. Dio. Patta ha finita la «crii tura, e la mandarò con la prima occasione Oblif.“* et Aff>* Ser" i* 1 >«•.»* D. Benedetto Castelli. 40 Fuori, d’altra mano: Al molto 111." et Kcc.** Sig f et P.ri» U > *• Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 988*. FEDERICO CESI a GAI.I1XO io Firo.se Roma, SI mano 1614. Bibl. Naz. Fir. Mm. Gal., P. VI, T. IX, car. IH. AaU.fr*-» Molt’IU. 1 " e molto Eoe. 1 * Sig. r mio Om. & * Ricevo con la gratissima di V.8. il favor che nii fa de* rhriaUlli accomo¬ dati da lei per telescopio celeste. Li porrò al tulio, I' .iggimtarò alla mua vista, ci goderò pienamente i suoi nuovi fami, i suoi mirabili acoprim. oli Starà in questo Liceo a prò de’ Lincei, contemplatori della natura sublime, in i-debrali *n del opre sue. Ne ringratio hora V.S. con ogni affetto, m . ridotta « invilii-», e 01 Cfr. n.o 1007. 1988-989) 21 — 23 MARZO 1614. 41 tanto più quanto eh»* tutti i miei, et altri che si fanno o vengono qui, che sin a questo tempo ho provati, non arrivaranno di gran lunga a tal perfezione. Ilo lasciato io j»er non poco intervallo il farne a mio gusto lavorare, per il difetto i" della materia che qui viene e della diligente patienza in chi lavora, riaverci gusto particolare sentir che V. 8. ne provasse in altre ligure che si giudicano migliori ad ingrandire, poiché non le saria punto difficile il far che restasse superata ogni ditlicultà del lavoro. Ilaverà V. S. già veduta l’Optica del’Aguilonio che smaschera Apelle, come le accennai ", et l'Apollonio redivivo, ultimamente dato in luce dal Ghetaldi ”. Altro non le dirò bora; solo, ricordandomele obligatissiino e desiderosissimo mi commandi, bacio a V. S. le mani. N.S. Dio le conceda ogni contento. Di Komn, li 21 di Marzo 1614. Di V. S. moli’ III.™ e molto Ecc. 1 ® 2 o Fuori, iV olirti ni mio: Al molto 111.™ et molto Kcc. te S. or mio Oss. mo Il S. or Galileo Galilei L.° Fiorenza. 989 **. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Pisa, 23 marzo 1614. Blbl. Nms. Pir. Mhi. Ual., P. 1, T. VII, car. 147. — Autografa. Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig.™ lo e tutti questi Signori suoi affezionati stiamo afflitti per la nova della sua indisposizione, tra’ quali il Sig. r Cav. r Girolami o T Sig. r Cav. Aquilani ts) partico¬ larmente con V. S. si condogliono e li baciano le mani. Dal detto Sig. r Cav. r Gi- rolarai, con occasione di un’orazione che reciterà al capitolo de’Cavalieri, vien fatta honorata menzione di V. S., e degnamente; ed in oltre favorisce ancor me con konorato passaggio, si come ho saputo da persona che ha vista quell ora- “> Cfr. n.» 980. i*i Piero Giroraui o Scipione Aquilani. 42 23 MARZO 1614. l«G*-9*0) zio ne. Questo scrivo a V. 8., perché sappia ohe !<• <*u-o tuia , r.« L ■ • all*- p«-t sone ili garbo, sì come, per essere intirizzati' in Imi- atHn’o.in» • tori,,. ntaim gl» invidi e maligni. >« La Colombeido <0 è finita, e dio. Balta la rimanda. \ S. mi facon gì.»/»*, il latore, che è il Sig. r Federico Capitoni, dar a.-no chr lo un ama. i-r.h* io fu gran conto di questo Signore, mio scolare e p ulr m . ullum* quanto al n,* credo primo di spirito. Non altro: li prego dal Ciri., sanità r«.n • ni Im-i». , «* h lo riverenza. Pisa, il 23 di Marzo 1014. Di V. S. molto IU. r * ed Ecc."* OLhic Scr *• e Di- '• li. Benedetto Castelli. Fo profonda reverenza al S. r Canonico Non ', e l’istesso fa Oiob.* 1 ' 1 990 *. PAOLO POZZOBONELLI » GALILEO »n F.rtnr. Pisa, 23 ma rio IdU Blbl. Eat. in Moderni. Karfùlt* Campori. Autogialt, H» LWM • I.- « »'* .Molto HI.” et Kcc. mo S. or mio 0*s.*° Da dura necessità sono astretto di far camino contro tuia t gin in qui >ti giorni, et però non ho potuto essequire il mio pr. ni umilio di p i*.* »r ili r«Ur »• lì qualche più quantità di giorni con la compagnia «lei S C ).. »Lr. i t .tu. lo da casa scriverò a V. S. ; ella si compiaccia di tem riui p-r -• it -r.. . t in »■«• <• sue et di amici valersi del poco esser mio, acciò mi p.• i lu.iu.i.ire -t pt».nari- di essor tale. Lacrimi gratta a favorirmi ile l’occhiai* ni i.d .nd L- .| n .il n • stro compitissimo Padre perchè a lui lascio forma et di • •dni'at- la *.|h i et io di mandarmi detto occhiale. Li bacio le mani, e pregi» Dio che U fdicili. Di Pisa, li 23 di Marzo 1014. Di V.S. molto 111.* et Ecc.“ S " Atl » ante h| | Paolo Pox/obonelli. Fuori : Al molto 111. 0 et Ecc. mo S. or mio ()>,." 0 Il S. r D. r tlalileo Galilei. Firenze. 1 Cfr. n.°987. m#nt« tra lo •»#»«.. ..isuintt (cfr » • 9 m ,t. i») VRAsrasco Nori. Un. 22. • #.• Wl.lit. *7». |S * questo poscritti* è d'altra inano, e prerii». «*> ti a tu bua Caunnt mente di quella dell*amanuense che ape»** f» gli • Cfr »• *>4 h, liu il t>. indirizzi delle lettere del Castelli, e che probtbil* •* bi«anrto C.mui. m] 2 Ai’KILK 1614. 43 901 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze, risa, Vi aprilo 1614. Bibl. Naa. Flr. Mi*. 0»1., P. VI, T. IX, c*r. 154. — Auto*rifa. Molto 111/* ed Ecc. mo Sig. r mio, Roggi solamente ho riceute le constituzioni dalli 21 di Marzo Rinoli 3 d'Aprile: o per essere stato il tempo nugoloso, non ho fatte osservazioni di sorte alcuna, da i«*ri sera in poi, che fu il primo d’Aprile, alle tre bore, e riscontra meravi¬ gliosamente con quella che V. S. mi ha mandata. Porsi questa sera sarò a Pa¬ lazzo ria Madama Ser. ra \ e farò ivi P osservazione. Il Sig/ I). Antonio ' seguita a favorirmi, e tratta meco molto domestica¬ mente: m i io ogni giorno me li presento novo avanti, senza mostrare di avanzarmi in cosa alcuna per i favori che 8. K. mi va facendo, e così spero conservarmeli io servitore. Desidero intender nova della salute di V. S., della quale moltissimi di questi Signori o Cavalieri e gentil huomini ne sono gelosissimi, ed io sopra tutti, e per 1* obligo che li tengo, e, per diro il vero, che dice ancora il Sig. r Niccolò Àrrighetti nostro, per l’interesse che habbiamo tutti nella conservazione di V.8. Il Sig. r Aquilani, S. r Cav. p Carolami, arditissimo o vivo difensore della gloria di V. S M li baciano le mani, insieme con li Sig. ri Ruschi e Cornachini, S. r Poz- zobonclli e (fio. Ratta. Io me li ricordo ohligatissimo servitore. I)i Pisa, il 2 d’Aprile 614. Di V. S. molto 111/ 6 ed Ecc. ma ()blig. mo Ser. M e Discepolo 20 D. Benedetto Castelli. là ho mandata hoggi la copia delti sessanta cantucci che erano persi. Son tutti lini, o sono con¬ segnati ad un tale Emilio navicellaio, elio parte do¬ mattina. Fuori , d’altra mano: Al molto 111.™ Sig.™ mio Oss. mo Il Sig/ Galileo Galilei, p.° Filosofo e Mat. co di 8. A. S. Fiorenza. o» Ahtomo d*' Mkuici. 44 4 APRILE 1614. [MI] 992 . GIO. BATTISTA BALIA NI « GALII.KO :n Fir™* Genova, 4 aprile Irti 4. Bibl. Naz. Fir. Ma». Gai., P. VI, T. IX. car. lòfi. - Aulitala. Ecc. m0 S. r mio Oss. mo Non mi ha dillo pur altro tanto gusto la lettera di V. o., ih»- non mi Bibbia etiamdio apportato molto dispiacere il veder la poca sua saniti, eh* pur o.bl- il dovere elio i pari suoi godessero di longlim-iniu vita ron Lumia • ilut.. p« r |m. tere con lo loro fatiche apportar di quei giovamenti al mondo, corno V. S. va facendo tutto il giorno. Io risponderò brevemente alla detta carissima sua lettera , e perdi- re tu appagassimo delle risposte che V. S. fa alle raggioui mie, le quali più L*io i<' le scrissi per haver a imparar qualche co-a dalle sue risj • te, di» | -idi- m un havessi dubbio veruno che V. S. bavesse detto cosa nelle me L< tter* di<- non ' stesse allatto benissimo, e tanto più die l'essere cosi piene di dottrina ** novità è stato cagione che io, da che scrissi a V. S M ne rimasi privo e lo n»n tuttavia, perchè non ho poco che fare, in mandarle » questue a qu< Ilo cure so di v dori , chè non mancano a Genova di quelli che son curimi di c<. •> di ju.»U-’ui.»h< a, e principalmente di quelle di V. S. Vedo che non dice cosa veruna intorno a quel eh' io le «cii-vi, che il variare delle macchie solal i potrebbe per avventura esser cagione della varietà de' tempi e questi ultimi giorni di Marzo sono stati tempi piti freddi e turbati di quel die pare che comporti la stagione; e se bene io so clic se ne può dar la i iu«.i albi congiontion di Saturno col solo, io non mi pos o però dar ad intcnd-re chi* inni possa essere che siano state questi giorni, p sieno tuttavia, più macchie e più dense nel sole, di quel che si bisserò il mese di Gennaio. Mi è stato oltre modo caro la ingegniosa maniera di ritrovar il pevi dell .irta . e perchè V. S. desidera eh’ io le dica il modo di cuocer senza fuoco ’, io ho fatto far un vaso di ferro col fundo piano, rotondo, di diametro circa una spanna, et un altro ferro, pur rotondo e piano, dell’isteaso diametro, il qual ferro io faccio voltar velocemente, o per uiezo d’una ruota grande o di acqua corrente, sopra il quale faccio posare il fundo del detto vaso, che stia ben fermo. Hor donquo con lo stropicciarsi insieme si riscaldan tanto i detti due ferri, che si u> Cfr. n.° 983. '*> Cfr. n.® 973. •1 APRILE 1614. 46 (992-9931 so riscalda anche e si cuoce ciò che si pone dentro nel vaso. E per bora faccio fine, et a V.S. buccio lo mani e le priego presta e longa sanità; e quanto prima vedrò il S. r Tinelli, gli farò le Bue raconiandationi. Di Genova, alli 4 Aprile 1614. Di V. S. Ecc. m * Ser.* 0 ' Afl>° Giob." Baliano. buon : All Ecc. n, ° S. r mio Osa.'”'' 11 tóig.' Galileo Galilei. Firenze. 993 . r»IOYANFRANCESCO SAGREDO a MARCO WELSER [m Augustal. Venezia, 4 aprile 1014. Blbl Naa. Flr. W flal., P. Ili, T. X, car. 86 «0. — Copi» di mano dello stesso Saorspo (cfr. n.« 997) In cap • alla lattar» al lafga, d’ altra mano sincrona: « Copia di lettor» scritta al 3.» Marco Yolser > ; a nna tri » mano, un po’ più recente, «Ripulite: « dal ìì. 0. F. Sagredo ». Molto 111.” Sig. r mio, Ho trascorso le lettere di Apelle ", et pormi haver molto ben avvertito le conclusioni «•he egli tiene, gli argomenti con li quali si crede provarle, i schermi che egli adopera per coprirai dalle opposizioni fatte al atto calcolo, et ancora le puntut e che usa per ferire la riputatone altrui: et in vero, Bicorne nella maniera di trattare egli mi è riuscito oltre modo pretendente et in tutto privo di quei termini che sono dovuti tra chi professa virtù et nobiltà, coni nella intelligenza si è scoperto manco provetto di quello che si mostrò nel calcolo Io scrissi sopra le sue equatio»i l,) modestamente, et scrissi il vero; egli scrisse sopra il mio giuditio arditamente, et conclude il falso. A lui non intendo dare alcuna l i¬ ni r- posta, poiché le sue lettere sono piene di dottrina così falsa, che io comprendo non poter o dover imparar da lui altro che fuggire i suoi errori; et all’incontro io lo trovo tanto colmo ili pretensione, che quanto meno lo scorgo desideroso di apprendere la verità, tanto piu lo giudico indegno che gliela mostri. Io son gentil Intorno Venetiano, nè spesi mai nome di litterato; portai ben affetto e tenni sempre la protesone de’ litterati : nè attendo avantaggiar lo mie fortune, acqui¬ etarmi lodi o riputatione, dalla fama della intelligenza della filosofia et matematica, ma più tosto dalla integrità et buona administratione de’ magistrati et nel governo della Repn- hlica, al quale nella mia gioventù mi applicai, seguendo la consuetudine de’ miei mag¬ giori, che tutti in quello si sono invecchiati et consumati. Versano i miei studii circa la ■ju cognitione di quello cose, che come christiano devo a Dio, come cittadino alla patria, come nobile alla mia casa, come sotiabile agli amici, et come galantuomo et vero filosofo a me 1,1 1.0 lettore a cui qui accenna, non aono per- 1,1 Cfr. nn. 1 826, 898, 901, 904, 911, 015. venuto inaino a noi. 46 4 APRILE 1611. 1998] stesso. Spondo il mio tempo in servire a Dio et alla patria, et e.»« n lo -• f « r.. dal a cura famigliare no consumo buona parte nella «mvemUoD*, wniìiù « .odiafatUon# dngb «re o tutto il resto lo dedico alle commodità et gusti miei; et «e t .l volt i mi do «l i «peen- lntione delle scienze, non credi già V.S. che io mi profumi cm orrore r<>' prd».ri Hi quelle, e tanto mono garrire con loro, ma solo per ricrear* il imo animo, indagando hbc ramento, sciolto da ogni obligatione et affetto, la verità di aleni a pr«»| t ' •• • he id mio gusto: ondo non s’aspetti, elio, essendo io provocato da Aprile. v**gl» ho Bastimi dire a V.S. che lo nssertioni da hip scritte .-••no vrre nell* mai ■ r.» «ponto • • al proposito cho le scrissi; il calcolo di Apollo, orrato noi m-d.. rhr lo c t od. .«i, !*• lettere di lui, pieno di errori, tra’quali inesca ubi li »mnio è qm !•• di eroder»- eli.* «i p<>.*i instituire una solennità per lutto il mondo, m-n/.i elio mila e. . hi .di • tia dnr ln.>.h. vicini o contigui vi sin effettuai differenza, non dico di dcm>tnir> iti"ii< ma l-n di un gì in¬ di tempo. Perde il semplice Aprile il tempo, la carta rt l’indn •tu*, in |nour» 1* eoa* chiarissimo, Torso per dare ad intendere a’semplici di e- ere difensore dell.» venta, con culca il parlar commune con le puntualità indivisibili malli» m iti. Iv p« t . ivdUr* •n»r i chi parla sodamente; et poi mette in disputa le cose dimostrativi», r... n fai silà, confidato per aventura nel suo nome incognito, come gli anttori del 1 il din»-* rt d. ! io Squitinio (1) , ma invano, perchè bì sa benissimo chi li mti*.«i», rt r» n q mi iffrtt.. » t int«-rr»»r Mi duole solamente che por questa occasione dopiamole mi si convenga • rivai** a V.S. et parlare in tal modo di amico, si corno credo, amato •• «Invito n -Ito da In mi noti si meravigli so io, per questa volta et in questo caco, non j con ■ rr*r* nini *fMt». et voler suo, poiché, sicomo debbo lodare ramici Lia et la utili .i eh.- rlla fa di lm j-r ita*. . sempre dimostrato seco buona dottrina et usato termini civili, c<-»i panni tv«*nur u* i so essomlo ogli stato meco in tutto contrario, Invidila in me partorii. rfT.-tt • .Imi .» A| pelle si ò acceso contro di me, perchè non ho approhatu la mm dottrini, rt pur h. Ui* che col dimostrarla m* havosse convinto, ot in quanto egli si »• for. .»to far q ini», io n .n ne ricevo disgusto: ma la maniera, lo sprezzo et il mal modo u»ato m qur>«t.» ,iv. inni » fondato tentativo, congionto con lo essersi diccluarito incapici* ilei uno .pv» io rt ..n la falsità della sua conclusione, mi ha certo in qualche parte conturbato l’ero «zuppino V S esousarmene e troncare seco ogni disputa per non accctidrtlo magginnncut'*. amo. trat¬ tando io per 1 aveniro con lei di materie piu dolci, fugga ogni so*petto di potrrlr ap portar noia. Basta che io ami et riverisca V. S., e diaideri i'-rvirla et ubbidirla in tutto quello cho si compiacesse commnmlarmi, et che mi dolga che U fortuna hakbia voluto in questo caso dispiacevole interporvi la sua persona. Che sarà bue di quoate, eie. In VA, a 4 Ap." 1614. Lett. 993. BS. Prima aver* scritto Auto rA, ,7» Hm T. A. * M«l mrrteln. mi • nmo 0 rtverueo in ohi» o riverisca, senza però correpRcra dmdero. 01 Con lo pseudonimo di Giovanni Filolheo da Asti si hanno più pubblicazioni del P. Antonio Poa- srvino, concernenti lo polemiche sollevate dall'in¬ terdetto lanciato da Papa Paolo V contro la .si- gnoria di Venezia. n ' Sanili» i« della hUrtà l ’enetn. nel fai, ». ad ducono anele le ragioni deir impura Homo*., empen lm città et itenori» di Veneti* Stampato in Un aiutala, appretto Giovanni B«ninca*a. l»94j 11 APK1LK Ili 14. 47 994 * CONTE CONTI a GALILEO in Firenzo. l'arma, 11 aprile 1(114. Blbl. Na». PIr. M*«. dal., P. I. T. XIV, far. 108-109. — Autografa la iotto»cri*ione. Molto IH/* Sig. r mio ()s 8 . mo l’or mio trattenimento vo facendo alcune consi il ora tioni sopra il Genesi, e parmi haver trovato il senso litterale per capire quello che Moisù intende per firmamento : che sia (ciò è) un corpo con tutte le sue dimensioni, il quale pas¬ sando per il centro dell’ universo, occupi tutto lo spatio che si comprende sotto i tropici, dentro al quale, come dentro ad una sfattola (per dir così), fossero poi collocati i pianeti e lu terra che noi habitamo, e ciascuno faccia il suo moto sopra i poli ilei zodiaco. Da che cavo che l’arco iride, dato da Iddio a Noè per segno di non volere inondare mai più il genere humauo, sia un segno di ciò per io natura propria demostrativn, perchè mentre quest’arco puoi apparire, è impos¬ sibili* cl»e si facci diluvio, perchè è segno che necessariamente suppone che non siano più Tacque in quel loco nel quale, per la narratione litterale di Moisè, è forza che fu- ero collocate quando Iddio creò il mondo; e non potendosi il di¬ luvio fare naturalmente senza quell’ncque, ne seguo per necessitò che T appa¬ renza dell’ iridi* dimostri necessariamente die non si farò più diluvio. Tutto questo eh’ io ho detto ili sopra, si prova (secondo me) alla lettera con il testo di Moisè, e si comprova con ragioni matthematiche e fisiche e con diversi lochi della Scrittura che confermano ristesso; di modo che non mi pare che possa replicarsi. Ma io non me estendo a dirne le ragioni a V. S., nò meno farlene le 20 figure, perchè passeria il termine di lettera so io volesse trattarne distintamente come conviene; ma spero in Dio eh’baveri) pur fortuna un giorno di rivederla e poterla servire, et all’ bora a bocca confido di provarle questo mio pensiero per verissimo. In tanto son forzato di supplicarla a contentarsi di farmi grafia di mandarmi una positura do i pianeti conforme all’ opinione ch’ella ha, ponendo il sole nel centro; perchè, si come io credo senz’altro, per quello che \. S. mi ha honorato d’ accennarmi altre volto (che per ciò io ci ho dopo fatta conside- rutionc), eh’ in questa maniera stia veramente la positura, così voglio lare le de- mostrationi mie con questo supposito: ma per non errare nella positura degl altri pianeti, son forzato (come ho detto) a supplicarla che me la vogli mandare, non so la ricercando giù d’accennarmi ancora qualche cosa de i moti, perchè, sicome «trapassa la mia speranza di poter ottenerlo, conoscendo molto bene ili non me¬ ritar tanto, così voglio fugire la nota seco di troppa presuntione. Ardisco ben 48 11 — 12 APRILE 1614 . 1994-996 ) di pregarla a farmi gratta, se puoi®, di mandarmi quelle due operette thè WS. fece, che l’una tratta delle cose che galleggiano sopra l’acqua, »• l'altra delle macchie o nuvoli ail* intorno del sole, perchè, se bene io hebbi fortuna di legerle, ch’il S. r Prencipedi S. Angelo (0 me le diede, nondimeno desidero som mairi puti¬ di poterle di novo ben godere, perchè all’ bora fui impedito, chè no privò d. libri chi haveva ahutorità di comandarmi, <• li volse por «è. Signor mio, a me, che sono ammiratore delle sue scienti»- «• delle *ue raris¬ sime qualità, si puoi perdonare ogn’atto eh’ in altri for^ par»- ^ tropp». ardito <■ e però, se pure conoscesse in questa mia domanda qualche noti di qu» t<. vitto la supplico a compensarla con il desiderio eh io ho d’imparare «la lei, e con la certezza (ch’io stimarò sempre per favore) che V. S. mi comandi tutto quello che le tornerà comodo, perchè io notarò [..]llu partita *li grandi imo a quieto il poterla servire. E le bacio la mano. Di Parma, gl* XI Aprile 1614. Di V. S. molto 111.** Cordiali a*.'* 1 ' come fratello e <• • > S. r Galileo Galilei. Conte Conti. Fuori: Al molto lll. ro Sig. r mio Osa.® 0 [....G]alìleo Galilei. t*> Fiorenza. 995 . hLDERlCO CESI a GALILEO in I-iranso. Roma, 12 aprilo 1614. Bibl.Naz. Flr. Msi. Gal., P. VI, T. IX, c«r. 15». - Autografe la toU.vciUwn* Molto 111.™ et molto Ecc. 10 S. or inio l)ss.™° Perchè, dopo molte considerazioni e negozio, il nostro Bibliotecario ’ ha per concluso buon modo con un libcaro (come in breve se ne darà conto a V. S a pieno) circa la fedel impressione e diligente distribuzione de’ libri che il con sesso in commune, o alcuno de’compagni in particolare, vorrà che per questa via più sbrigatamele esebino in luce; e perciò gran parte de’libri dello Mac* cine, che stavano trattenuti, dovranno a questo consegnarsi, e mandarsi fuori in più luoghi; sarebbe molto a proposito se portassero seco altre cinque tavole, in vece delle già passate, delle predizioni delle costituzioni de’ Medicei por li mesi autunnali a venire, Ottobre e Novembre. Onde m’è parso accennarlo a V. S., io “ Federico Orsi. **• Axoiuo dr Fan». 12 — 10 APRILE 1014. 40 [995-996] acciò trovandosi tal fatica fatta, o vero non essendolo scommndo o parendole farla, possa arricchirne il libro, a nuova confusion delli invidiosi, Bisognarebbc però molto presto, acciò r’ intagliasse et imprimesse a tempo, cliò i librari s’in¬ carnimmo di Maggio per la fiera autunnale. Altro non le nggiugnerò, riserbandomi scriverle più a lungo con più tempo; se non che sono desiderosissimo d’intender nuova di V.S., e che mi comandi. N. Signore Dio la conservi. Di Roma, li 12 d’Aprile 1014. Di V. S. molto 111.” et molto Ecc. t0 Aff. mo per ser. ln sempre so S. or Galileo Galilei. F. Cesi Line. 0 P. Jr'uort : Al molto Ill. r « et molto Ecc. u S. or mio Us3. rn0 11 Sig. 0T Galileo Galilei L.° Fiorenza. 996 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 16 aprile 1614. Blbl. Na*. Fir. Mit. Gel., P. HI, T. VII. 2, enr. 32. — Autografa. Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. r mio, Scrissi io a Y. S. una lunga lettera del seguito tra me e PEcc. mo Sig. r Dò- scaglia 1,5 avanti a sua A., e come il tutto riuscì con molta mia riputazione ed avan- % taggio. Sopra di che di nuovo li torno a dire che la cosa ò cambiata tanto bene, che per sin») le persone interressatissiine ed affezionatissime del S. r Boscaglii si sono ridotto a dargli il torto; tra’ quali è il Sig. r Alessandro Medici, quale si è ridotto perciò a pregare il Sig. r Enea (, \ per degni rispetti, a voler far opera che la cosa non vada più avanti, poi che e’Principi stessi sono sodisfattissimi: e perciò il Sig. r Enea non ha voluto fare Pinstanza a S. A., giudicando che non io faccia bisogno e che sarebbe un disgustare quelli che restano sodisfatti del mio modo di trattare, sì come hanno a nausea le transccndenze di qual eh' altro ; e m* ha detto che S. A. medesima gode vedendo la mia modestia : e che io gra¬ disca, ne ho continui segni dalli Ser. mi G. D. e Mad. a Séguito con mio grandissimo avantaggio la servitù del Sig. r D. Antonio, quale ini favorisco straordinariamente. Nel resto son sano di corpo, ma afflitto di mente »‘i Cosino Boscaglia. 1,1 Enea Piccolouho. XIL 7 10 APRILE 1GU. 50 \'.m\ per l’inferni ità di V. S. ’. o so questa sua indisposizione travimi in t rii it i uni umili u S. A. raederaa, dalla cui bocca io l’ho inteso, con ordine aurora di durgiinc spesse nove, V. S. s’imngini come io me ne stia, che pur po so dir.* di cono cere meglio di molti il danno che risulta al publieo dal male di lei. Dio to rnaletto li conceda presto la desiderata sanità, acciò possiamo questa t tt•• u\n.* con- •> solati, e tirare avanti le desiderate da tutto il mondo sue latuhe. Quanto alle osservazioni de’ Pianeti, son stato di continuo a- usinato da rut¬ tivi tempi, e non ho potuto servir V. 8. come desideravo. Ilo fatt** solo b* infra¬ scritte, nelle quali mi pare di scoprire qualche cosa che meriti considerazione, come lei meglio potrà vedere. D. fi, 9J. el in ortu gr. 32 *. D. tì, 9J. inter nebuìas hit Haute (latice elevaretur ab or. gr. 37, non potai observare coni lindi onem ; sed ime bora sic apparuit. l)ic 11, dum Spicci Virginia essetin medio cadi, 9J. inter nebuìas apparuit in hoc constitutione. Die 15, Spica in medio ceti. * • JD ° O O o •. o Il G. D. ha comprato un astrolabio per trenta scudi, e spero haverne io l’uso- frutto, dove che Laverò comodità di far l*osservazioni in diligenza. Bacio le mani a V.S., e me li ricordo obligatissimo servitore. Pisa, il 1G d’Aprii e 614. Desidero sapere se ha riceuta la mia passata per il S. r Mario Guiducci. Di V. S. molto lll. ro ed Ecc. ,u * Fo riverenza a tutti tutti cotesti miei signori e padroni. Devot.“*° et Oblig. ,Uu Ser.* e Discepolo D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ 8ig. r mio Col."' 0 il Sig. r Galileo Galilei, primo Filosofo e Mat. ro di S. A. Firenze. [m 19 APRILE 1614. 51 097. OIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Veuexia, 19 aprile 1614. Bibl. Nas. Flr. Mw. Gal., P. I, T. VII, cu. 119. - Autocrata la »ottoicrulono. Molto IH- S. or Ecc. mfl Mando otto oncie r meza di citta et una libra di salsa '\ della più eletta robba che sia nella città: se questa restituirà la pristina salute a Y.8. Ecc. m \ me ne contento d’avantaggio ; quando altrimenti, le confesso bene che vorrei più tosto eh’ella ra’havesse comandato che le inviassi una botte di moscato. In gratin, guardi (die in luogo di medicarsi non pregiudichi maggiormente alla sua vita. Il viver sobriamente, di cibi buoni, con una Rtessa maniera di vita, senz’al- terationo, panni che sia unica et eccellentissima medicina de’corpi nostri. Io, per gratia di Dio, mi sono ridotto in stato che mi contento; nè ho pregiudicato io punto con questa maniera alli miei gusti, lmvendo però eletto una honesta ino- deratione per poterli continuare lungamente. Le accennai con altro mie la maniera del mio governo, et la pregai ad imi¬ tarlo, in particolare lasciando lo studio, o per meglio dire Pambitiono; al qual proposito lo mando copia di una mia che scrissi al S. r Volger per rintuzzare Par¬ dire del tìnto Apollo m (il qual credo sia Francesco Aguilonio Gesuita), dalla quale comprenderà che sebene non ho voluto cedere a questo compagno del Ber- linzono, tuttavia non ho voluto manco scomodarmi per rispondergli. Mi farà però gratia V. 8. Ecc." 1 * non ne far altro moto, poiché il S. r Velscr mi ha scritto af- fettuosissimamente a questo effetto. Mi dia presto nuova del suo miglioramento, •io chè poi trattare ni o alcun’altra cosa di gusto, ma non di Tattica o di occupa- tione, havendo io al presento molte materie curiose. E per fine le prego dal Signor Dio perfetta sanità et contento. In Venetia, a 10 Aprilo 1614. Di V. S. Ecc. m * Il S. r Veniero e M.° Paulo si riporteranno per avventura a queste mie, sapendo eh’ io ho fatta la provisione di quanto ella desiderava. 30 Fuori : Al molto 111.— Sig. or Ecc." 10 Il Sig. or Galileo Galilei. Firenze. Intendi, di (salsapariglia. Ofr. n.« 993. <*» Cfr. n.® 916. Cfr. n.° 980, liu. 23. Tutto SUO G. F. Sag. 52 21 APRILE l«14. \\m\ t 998 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Fin-» e. Pisa, 2t aprile 1«14. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. TII, car. 151. - Autoftafa. Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. r mio, Non havendo io Lauto nova di V. S. Ecc.™ e de! mio atato ne *on restato alquanto geloso, o non so che mi desiderare, perchè »< voglio le nove da lei, s-» di quanto danno li ò il scrivere, so non lo voglio, sto in continuo travaglio. Per tanto ho pensato che sar;\ bene che V. S. mi mandi un foglio di carta bianco, con la sola soprascritta di sua mano, che tanto bastar i per quietarmi Quanto a me, non so che diro altro se non che sto bene, bene, bene di su- nità e di contentezza d’animo. Desidero spedirmi di quegli cinquanta giorni, e venirmene a goderla e servirla. Di novo li ho da dire che il Gr»go Suino, di scorrendo alla tavola di sua A., si vantava di superar in teologia il P. Confo' m sore di Madama Ser. ma ed il P. Lelio 0 ’, in filosofia tutti, ed il Gale do in parti colare, sfidando tutti a disputare; di modo che per questa eccellenti» si meritò da S. A. titolo o di grand'arrogante o di grande ignorante-. Con tutto ciò, senza sbigottirsi punto, seguitò a discorrere, non come che haveaso il s ingue di Greco, ma il cervello ancora, lo tacqui, e restai con obligo a S. A. che non mi diede occasione di trattare con quell’ animale. Desidero saper nova della Colombeide. V. S. mi faccia grazia pregar da parte mia il Sig. r Niccolò Arrighetti o altro di cotesti miei padroni, quali tutti riverisco, che me ne diano raguaglio. E con questo facendo line, li prego sanità. 30 Pisa, il 21 d’Aprile fil4. Di V. S. molto 111. 1 " ed Ecc. ra# Oblig."* Ser. r * e I)ia> D. Benedetto Castelli. Fuori : Al molto 111.™ Sig. r mio Obs.® 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo e Mat°* di S A. Firenze. S. Pancratio. Due erano, intorno a questo tempo, i lettori di teologia dello Studio di Pisa che aror&uo il me* deaimo nome, dot il P. Lauo Ma**aju • li P. Latto Baouoki. [999] 26 APRILE 1614. 53 999 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenzo. Roma, 26 aprilo 1614 Blbl. Na*. Pir. Mi*. Gal., P. I. T. VII, car. 153. — Autografa. Moit f III.™ e molto Ecc. u Sig. r mio Oss. mo Il dolore ch’io sento della perdita del Sig. r Salviati 10 è tale, che più non si pò dire; e tutti i compagni, quali ho convocati hoggi per dartene parte, concor¬ rono meco, non cessando di lagnarsene. Stimavamo et amavamo questo soggetto da dovero, et conoscevamo bene quanto il mondo ne ha carestia o quanto V. S. ci havea fatto gratin darcelo. Hora le faremo qui essequie, secondo il debito, pre¬ gando il Signor Dio per lui, e che ce no conceda de simili personaggi e ce li lasci godere lungamente. . Quanto allo costitutioni ', più in là si facessero, più sarebbe mirabile e io commodo per i libri : però qual si voglia tempo che V. S. elegesse del futuro o altro anno, p anco terzo, sarebbe a proposito, chè altrimente passano prima che i libri siano distribuiti, facendosi la prima distributione al’autunno venente, nella fiera. Quello che più importa è la sanità di V. S. Oh Dio, quanto provo in me stesso il travaglio di cosi lunga et importuna infirmiti che la molesta! Per gratia, mi faccia avisare di sé spesso; e lei non s’incommodi, ch’io farò le scuse. Attenda ad haversi cura, chè, migliorando la staggione, spero non le sarà dillicile ria¬ versi presto, come bramiamo tutti. Bacio a V. S. le mani di tutto core. N. S. Iddio le conceda la sanità et ogni 20 contento. Di Roma, li 26 di Aprile 1614. Di V. S. molt’ IH™ e molto Ecc. ta Afl>° per ser> sempre Fed. co Cesi Line.® P. Fuori, d'altra mano: Al molto 111.™ et molto Ecc* Sig. r Oss. m ° Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. <•* Filippo Salt iati. <*> Cfr. li.® 996. 54 26 APRILE 1614. 11000 ] 1000**. BERNARDINO GAIO a GALILEO in Firaoia. Venezia, ‘J»ì aprile 1614. Blbl. Naz. Fir. Mis. Gal , P. I, T. VII, car. 15ó 1>* — Au' *r» f v IH.re et KcC . ,n0 S. r Os8. m0 Mi duole che anco ella sia incorai in indi •p'^itinn-' p r 1.» qual»* hal.bia Bisogno di questa vaga et vana medicina di questo ufolo, p< n b. y "*»*m- tata a priseti temporibus!, chi è versato nella lettura del gran vr< In» Hqxcr.itr. elio pur meritò cho quel gran discepolo prorompervi in questo divino ringhio llipoerutcs, primus omnium quorum scripta mi n> < /» n> wrr, «rumina n‘. mrn, omnium attillili, fundammla tedi, ncque unquam frustra nrhum Hi ut. Io non fui a tempo di poterla servirò nella fiction del! t < luna t mio fu - », perchè rill. mn S. r Gio. Francesco volendo con la «ma relcrima b- t». voglu-mlo scorrer al suo bisogno, non hebbo tempo di convenirmi. M i •• in cu» p« r difetto v< di tempo non l’ho servita, doverrei anco in qui l’altro oftitio u> • r, non es¬ sendo ricercato, ondo iuxta illud Caiontanum : In cornili » *<>« < ilm, n, aerea- scris, fermar il passo alla reverenda che le porto et al desiderio del ben suo. Ilo voluto obedir un rigorosissimo comandamento di III." Sagredo: ma prima tra noi facciamo un inviolabile patto, che lei secondo il vuo ri« ■ va questo oftitio amorevolissimo, non divulgandolo. Mi fingo per le suo lettere il S. r (ìio. Francesco, che Y.S. sia opre?» a d i una soverchia liumidità di tutto il corpo, alla qualo si congionge un mal rena'e di calcolo di sabia: a questi due inali sogliono accompagnar-u alcuni altri diffetti di testa, eli stomaco, di fegato et di spienza. Come si sia, io la prego pensar a 90 questi benedetti decotti; et nel rissolversi, pensi bene quello che queliti «lue grand’huomini in molti luoghi pniitus prope iusscrunt, ne gli AplmriMiu, m' libri De tcmpcramcntis, nel libro De rictus attenuante, nel C Ih tarmici - ir.itale, lb.ra comandano che ne’ stati ineguali de’ nostri corpi si fugano le medicine: impero» hò già statuitoli est quidquid mcd. m est, naturata vincere et m hoimni (V) -nntl.~ simil. m tradicerc (sic); nani si vita hòminis similitudini canon renna quibus su-tnirtur et alitar, contrarietate vero carundcm coingninatur, ìahefactatur et tandem d> .tnntur, consegui nccesse est, in iis ìnacqualibus stalibus ut honuncs medicano uh- lanini,tur, longo horum usa: et per ciò il gran Galeno, nel principio de'libri J)c f'acult ali¬ ai Cfr. n.» 998. 26 APRILE 10M. 55 [ 1000 ] m*i bus alimentorum, ciperi issi ni is vrrbis lincei, Infissi ninni vi renili rntionem, nullo ad¬ dito offensionum perirulo , qua ii status inacquales corporum ad natnrales tempc- rationcs resti tua» tur ; il che conferma con esempi (le fierissimi mali nel principio del libro De rictus attenuante. Et la ragion credo io esser quella che unum con- trarium non pnssit esse itisi tini contrari uni, ner pi uribus ; al che conseguita (li necessità che un contrario, ritrovando in un stato inacquale temperatimi simili a aè, queste le acresce tanto, che non si può poi moderare o vincere. Sarei piò lungo se non baveri chi m’ascolta di tanta ecelentia d’ingegno, che ha penetrato lin li cieli, non che la voce d’ un lumino vicino. Nò si mi opponga «diesi vanno frenando la virtù de’medicamenti et si fanno temperati; perchè ri- 40 sponderò «lui* cose, una communo, et l’altra propria a lei. La prima ò che questi freni ejruunt medicamento viribus, onde gli huoniini, se mi perdoni, vanni intenti fanno, et sconcertano la cucina, cioè il ventre, nel qual si fa la prima con- coctione. So che se mi potriano adur pensieri di sudori. A ciò assai giocosa¬ mente potrei dire, che chi gioca alla pala, corro et fa simili esercitii, suda. Ma torsi V. S. con ragione mi interrogherà: Dunque devo viver eternamente infermo? No, Signor mio; ma bene che ricoriate all’ombra d’Ilipocrate, il quale, con la sua solita gravità, si lasciò un modo sicurissimo di viver sani et portar la no¬ stra vita al fin della natura. Questo divino et grand’ lumino a questi bisogni lasciò questa sacra àncora, dicendo: Comes hàbentibus fameni aùhiberc oportit , quo- r*« ninni fame* criccai carpimi; et io credo necessariamente che s’intenda clic vo¬ glia che l'usino cibi temperatissimi, li quali siano alla natura liumana convene¬ voli, et aro titi, non lessi. La ragione è quella che insegna più chiaramente Aristotile, che asso humidiora sint quam clixa; citameli exiccanf , et in pandori mule, quam clixa furiant, nutriunì tHOffis. Queste sono cose tanto manifeste, che non hanno bisogno di parole, et però chiudo questo ragionamento; et in questo viver credo che V. S. farà bene lasciar la parte esterna dell' arosto, et magnar solo l’interna. Commemorerò solo quello elio le occorse in Padova. lo credo mandar Bernardo, vostro servilor, a Fiorenza, dove si fermerà forse tre o quatro mesi. In questa occasione V. S. mi farà grandissimo favore oflerirlo a cu Sua Altezza, con le lettere che io lo accompagnerò. Denique illud addam , che V. S. non dia occasione a me d’esser ripreso d’alcuno. late , bene uyere et laetcni. Di Venetia, li 26 Aprii 1614. Di V.S. IH" et Eco.®* Ser.» Amorevole 0 Bernardin Gaio. Fuori: All’ 111." et Ecc. mo S. r P.ron Oss.® 0 Sig. r Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 56 26 APRILE 1614. [1001J 1001 * GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in F.rfnzc. Vonesto, 2G aprile 1614. Bibl. Eat. in Modonn. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXXVIII. n • ivi. - Aat *r*f» I* flr; » IX fu >ri. acconto ali’ indirizzo, si leggo, di mano di Gamico: S. SagTfHÌO, Coll Una CO pia al fìnto Apelle Cfr. n.« 1000. <*> Cfr. n.® 997. «*» Cfr. n.« 901. V [1002J 4 MÀGGIO 1014. 57 1002. BENEDETTO CASTELLI n GALILEO iu Firenze, l’ina, 4 maggio UH I. Blbl. N ut Pir. Mn. Gai.. 1*. I, T. VII, car. lf.7-158. — Autografa. Molto IH.*» eil Kcc.'"° Sig. r mio, Resto molto meravigliato che V. S. Kcc. m » non Labbia riconta in questi passati giorni mie lettere, perchè in questa settimana passata ne ho scritte due, e per segno nell* ultima 1 io li dimandavo un poco di danari, ritrovandomene asciutto, perchè non ho ancora potuto riscuotere un quattrino del mio assignamento dalla Religione. Son stato questa sera tre volto da Mons. r Arturo w per il negozio delli danari , ma non 1’ ho mai ritrovato in casa: o perchè il S. r Giuliano d’Avanzati, latore della presente, vole partire di qua di mattina alle nove bore, non posso dargli altra risposta intorno a questo particolare ; solo che non mancarò trattare io il negozio, conforme a quanto mi comanda. Nel resto sto bene ; séguito le mie fatiche ogni giorno con più credito, poiché son pregato «la più degni sugetti a leggergli; ed in particolare diversi cava- glieri e gentilhuomini Pisani, vedendo V applauso con che caniina la mia scola, in hanno richiesto per questo anno che viene : ed io di tutto con bel modo ne ho fatto consapevoli gli Ser.'" 1 nostri Signori, con loro sodisfazione e mia non poca riputazione. Séguito la servitù con il Rig. r D. Antonio e S. r 1). Paolo 1 *’, Sig. r Silvio ed Enea Piccolomini, ed ho aquistata P amicitia di molti di questi Signori cor- tegiani, con mio grandissimo vantaggio, e spero tuttavia superare ogni difficoltà; e di già si va tuttavia conoscendo le qualità mia e di chi depende da V. S. Ecc. ma , 20 quanto siino differenti da quelli pochi invidi e maligni che si sono voluti tra¬ versare alle coso mie. Vengo honorato da tutti, ed io non manco fare il debito mio con tutti. Dal Gran Duca vengo spesso dimandato del stato di V. S. Ecc. ma , e mostra disgusto notabile della sua indisposizione. Questa mattina passata in particolare gli ho detto, che quando io sarò in Firenze voglio levar a V. S, tutte le fatiche ed aiutarla a scrivere e terminare lo cose sue ; e S. À. m’essortò a farlo, e mi disse che era bene; al che io soggiungendo che metteva conto il mantener V. S. in qualunque modo vivo, ancorché con continuo riposo, S. A. lo confermò, e mi diede occasiono di dire, con mia reputazione e sodisfazione di S. A., parte delle 30 lodi di WS., quali furono sentite con benignissimo orecchio. ai D. Antonio db' Medici o D. Paolo Giordano Orsini. Oi Questa non è pervenuta instilo a noi. «*• Arturo Pannocchiksciii d’Kloi. <*i Cfr, n.° 1008. XIL 8 58 4 — 7 MAGGIO 1014. 1100 $- 1008 ( 11 Principe 1). Francesco va ritornando da morto a vil i, per «stor*ione ma¬ nifesta dello orazioni, elemosine ed altre opere pio di questi* A A., ed in parti¬ colare di Madama Ser. ma , quale veramente fa. i*er dir cosi, viohn/n a I>io benedetto. Si vede tutto questo popolo impiegato in devozioni, ormoni »* prò cessioni continue per la salute di questo Principe, run tanto •‘•a no d affetto eia- non si può dir più. Se bene poco aiuto vi si vede liumano, tu tu ma quel puro ni attribuisse al Scozzese ' 0 , alias Coccamonna, del Sig. r D. Antonio, con nua gran¬ dissima riputazione e non poco scapito (folli medici vulgati. Ieri sera, con buona occasione, lodai alla tavola il valore del Sig. r Porto¬ ghese, medico di V. S., e se bene vi fu diliicoltà il’ alcuni, ritto »up0 li n»- dia nova. Pisa, il 4 di Maggio 614. Di V. S. molto 111.**® ed Ecc.** Oldig* Ser." e 1 »ìh> D. Benedetto Castelli. Fuori : Al molto 111.™ ed Ecc. m0 Sig. r mio Col.*" 0 Il Sig. r Gai.® Galilei, p.° Filosofo e Mat°° di S. A. Firenze. ho 1003. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in F.reuio. Pisa, 7 maggio 1614. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Camporl. Aotogrftfl, B.» LXX, u.« 4. — Autogi»!*. Molto Ill. ra et Ecc. rao Sig. r et I'.rn Col.*® Mi ritrovo nelle mani i cinquecento scudi, e secondo che V.S. molto III." et Ecc. mH mi commesse, ho procurato di inviarglieli. Il S. r 1). Antonio mi ha promesso di fargli recapitare tra dieci giorni al piti nelle sue mani ; «* per quanto mi posso immaginare, nel dir di farglieli recapitare, non deve per ancora rader pensiero al G. D. di ritornarsene in Firenze. I/isteso S. r D. Antonio, col baciargli le mani, si condole seco della sua pertinace indisposizione. Dal S. r Enea Piecolomini non ho potuto ritrarr»* particolari* alcuno di queste AA. Z0 , quando sieno di ritorno. Starò aspettando, con altra lettera, nuova coin- *) Iacopo Maccolo. 9 MAGGIO 1(514. 59 11003-10041 io meggione di quello in elio io ni’ babbitt a impiegare per ciiuba do' denari di V. S. ; alla quale, con baciargli le mani o pregarli da Dio sanità et ogni contento, me li ricordo servitore. Di Pisa, li 7 di Maggio 1014. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. nm Ser. ro Obbligai" 10 e Dis> D. Benedetto Castelli. Con due altre mie 0 ho pregato V. S. che mi favorisca di venticinque scudi, perchè, non havendo potuto bavere dalla Religione per ancora un quat¬ trino, me ne ritrovo senza. Mi perdoni se io ardisco 20 troppo; e ini faccia scrivere del stato suo, perchè S. A. ogni giorno con affetto singolare me ne di¬ manda. WS. mi scriva con la comodità continua delle staffette. Fuori: Al molt’Ill. M et Ecc. mo Sig. r " et P.rn [Co]len. mo Il Sig. n ' Galileo Galilei. Fiorenza. 1004 *. MARCO WELSER a GIOVANNI FABER in Roma. Augusta, 0 maggio 1614. Arch. dell* Ospizio di S. Maria in Aqui.ro in Roma. Carteggio di Giovanni Faber. Filza 410, car. 186. — Autografa. Molto Illustro ot Eco.®* S. or * Rispondo a due lettore di V. S. de' 19 et 26 Aprile giuntamente, per essermi capitate ambe solo questa settimana. Grandemente mi duole la morte del S. or Filippo Salviati, che sia in gloria, si per le cause accennate da V. S., come perchè mi si mostrò sempre amorevolissimo. Gli scrissi per certa occasiono hoggi otto ot quindeci giorni sono, non sapendo che fosso partito per Ispagna; starò aspettando se gli heredi si pigliaranno cura di risponder. Assai mi pesa ancora la indispositiono dol S. 01- Galilei; ma parendomi comprendere dalla lettera di V. 8. elio l’avviso derivi da lui stesso, argomento che la febre continua 10 non debbo esser molto intensa, permettendogli di scrivere doppo 800 bore di durata. Cerio, parlando humanamente, et non mettendo in consideratione la volontà di Dio, che non può errare o contra la quale non si può dire perchè, sarebbe pur peccato eh’ egli U1 I)i queste, una soltanto è pervenuta iusino a noi: cfr. n.° 1002. 60 9 — 10 MAGGIO 1614. [1004-1005] finisse gli giorni suoi senza haver prima spiegati Unti belli concetti intorno le cune co¬ lesti, elio andava partorendo. Prego V. S. non si scordi di dirmi qualche cosa «opra gli r.ipn.-ct ifergotti circa il lume della luna. Et non occorrendomi di presente altro, I »■ -io 'a mano a V.S. Iddio la contenti. Di Augusta, a’ 9 di Maggio 1614. Di V. S. molto 111” ot Ecc."* Aff.■* Serviti»!* Marco \ «litri. 20 Fuori: Al molto III.* et Ecc.“° S. or mio Ut». 1 "* Il JS. 0 ' (jrio. Fabro, Medico e Semplicista di N S. Roma. 1005 *. FRANCESCO STELLLTTI a GALILEO in Firmi*. Roma, 10 maggio Bibl. Est. In Modena. Raccolta Camporl. Au!'»fraA, B.» XC, n. r * Autografa Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio et P.ron (La."* 0 La mia venuta qui in Roma mi £ parso notificarla a WS., t ri., potendola qua servire in cosa alcuna, Labbia occasione di commandarcii : ma ha*nido in¬ teso dal nostro Sig. r Principe la sua lunga indispostone et con mio molto dispia¬ cere, vorrei, insieme con i suoi commandamenti, entir anco buone novelle di V. S con la recuperata sanità. Questa buona no\a dunque aspetto *• ntir da lei, come fa anco con molta voglia il detto Sig. r Principe, quale bora sta occupatissimo per dover, fra tre o quattro giorni, far le nozze ". Appreso, hsvendo V. S. scritto qua la certezza della morte del Sig. r Salviati, che tutti con infinito cordoglio hab- biamo intesa, desideriamo ancoraci favorisca di far notare da qualche suo amico io informato lo qualità, attioni, studii, virtù et altre parti heroiche et notabili di detto Signore, et mandarci questa informatione, a fin che quello che qui deve fare l’oratione funerale sia bene instrutto, oltre quello che ne sappiamo noi. Che è quanto m' occorre dirle ; et ricordandomele .servitore, le bacio le mani. Di Roma, li lo di Maggio Di 14. Di V.S. molto IH.™ et Ecc."* S.™ Afi. ,r " et vero Frane.* Strilliti Line* Fuori : Al molto 111.™ et Ecc."™ Sig.™ et P.ron mio Osa."’ 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza, so <>' Cfr. n.o 950, Un. 9. 1,1 Cfr. «.• 971. [ 1000 ] U JIAGG10 1614. 61 1006 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 14 maggio 1614 BIU. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, B.* LXX, n.® 5. — Autografa. Molto 111.” ed Ecc. mo Sig. r mio, Ilo inviati gli denari, cioè S. 475, al Sig. r Ottavio Galilei, perché il S. r D. An¬ tonio noiì poteva mandargli (e li voleva mandare per messo a posta) sino sabato per domenica. Mi dispiace sin all’anima di non Laveria servita a suo gusto, e di essere stato necessitato a valermi delli 25 S. (,) ; ma li prometto che gli primi che io bavero nelle mani, saranno al comando di V. S. Perchè poi il stato del S. r Principe è peggiorato, non ho passato altrimenti con S. A. termine di con¬ gratulazione per parte di V. S., ma solo li baciai la voste; ed essendo con ogni affetto interrogato come lei stava, gli ho dato conto del particolare del male, ed io in universale de’disgusti che la travagliano. Io séguito d'essere tuttavia ben visto ed honorato da questi Ser. ml Padroni, ed ogni giorno mi guadagno maggiori servitù con diversi Signori cortigiani, ed in particolare ultimamente con il Sig. r Balduino del Monte m , cavaglieli di molta erudizione e che fa professione d’esser servitor di V. S.; anzi m’ha commesso espressamente che io baci le mani a V. S. da sua parte, e li dica che egli de¬ sidera, quando sarà in Firenze, di servirla più strettamente : e son state sue pa¬ role formali. Io mi ritrovo spesso alla tavola di S. A., ed ho Lauto occasione di ragionare molte volte ; e per quanto dall’ esterno si può comprendere, non solo il G. D., so ma la Ser. m * Madama, mostrano gradire la mia servitù. Gli Sig. ri Ecc. n,i l). An¬ tonio e D. Paolo CM si condogliono della ostinata indisposizione di Y. S., e la salu¬ tano caramente. Io me li ricordo servitore obligatissimo al solito, e la suplico a comandarmi, facendoli riverenza. Pisa, il 14 di Maggio 614. I)i V. S. molto Ill. r * ed Ecc. ma Oblig. mo ed Aff. mo Ser. ra D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.” ed Ecc. ra0 Sig. r mio Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo e Mat. co di S. A. Firenze. “> Cfr. nn.» 1002, 1008. <*' Fhaxorsco dk’Medici: cfr. n.® 1002. <*> Balduino dal Monte Simonoklli. W Cfr. il.® 1002, lin. 16. G2 15 - 10 MAGGIO 1014. 11007-10061 1007 . GALILEO «i MICHELANGELO MONARROTl in Firm. • Firenze, 13 maggio 1514. Galleria e Archivio Buonarroti in Flrenxe. Fila» O. < ai *11 4ut r»»'i Molto 111. 1 * S. mio, Consegnai più giorni sono il libro r al Giunti dandomi . -li pa¬ rola di cominciare a farlo stampare sino lunedi pacato, b ri mi ri¬ mandò il libro a casa a 20 boro, facendomi dire «lai suo fattore che allo 21 sarebbe stato da me per parlarmi; ma non l’ho poi veduto, nò so immaginarmi che girandola sia questa. Però pregi» WS., che passando da bottega sua (pianto prima potrà, di^imulando la noti¬ zia di questo fatto, anzi entrando a domandar se ne • già stampata parte alcuna, vogga destramente di penetrar qual sia 1 suo pensiero, quali queste dilazioni e impedimenti, *• donde derivino; •• con «uà m comodità mi faccia intendere quanto no ritrarrà: et in grazia mi scusi delle tante brighe. Io me no sto al solito, o più presto alquanto più grave «la 1 giorni in qua, ma, in ogni stato, paratissimo a servir WS. giusta la mia possibilità. E gli bacio le mani. Di casa, li 15 (li Maggio 1614. Sor.'* Obbligò Di V. S. molto I. Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111." Sig. r Col. 1 ™ Il S. Michelagnolo Buonarruoti. In rasa. 2° 1008 *. FABIO COLONNA n GAI.lbKO in Firenze. Napoli, Ifi maggio 1514. Bibl. Naz. Fir. Mn. Cai.. 1*. VI, T. IX, car. 160-161. - Autografa. Molt’ I11.** Sig. r mio Oss. 1 0 Con grandissimo cordoglio ho inteso la morte del S. r Malvisti, che sia in (Jielo, come speramo; et so può doler certo tutto il consenti Linceo di haver IiOtt. 1008. 2. la morte dtU SS — Ul Cfr. Voi. IV, pag. 451 o seg., o n.« 087. 1G MAGGIO 1614. C3 [ 1008 | perduto persomi di tal qualità, olio sarà difficile trovar il contracambio. Nostro Signore doni salute et vita a quelli sono rimanti, et a V. S. anco ristami, oliò intendo sia stato anco indisposto, elio non poco dispiace al commune, poiché fa danno a tutti il non poter V. S. attendere a’suoi studii tanto illustri; che cer¬ tamente siamo oblienti pregar por la sua saluto et vita, acciò ci venga scoprendo sempre cose nove. io Scrissi a V. S 11 ringratiamlola delli cristalli, quali per li mali tempi non ho poasuto adoprarli a mio gusto, havendo interrottamente da quindici volte osser¬ vate le sue Pianole Medicee con grandissimo gusto, ma non perfetto, per non luiver posatilo varare ad osservar per piò bore li moti, acciò riconosca le stelle et purticolur moto. Per bora non se riconosce so non una maggiore da me; et bier sera, che furono li 15 del presente, non potei veder se non tro di quelle, delle quali la piò prossima a Giove era dilatata, a mio giudicio, fuori della la¬ titudine del corpo di Giove, che altre volte non l’ho veduta troppo distaccata dalla compagna, che sta per l’eclittica. Ilo notato quattro giorni in questo foglio, come meglio ho saputo, desideroso de impararo et supero che sia vero che la gran- co dezza dell’ ogetto proceda dalla pianezza maggiore della portione del circolo mag¬ giore, che, per esser meno curva, fa cono luminoso maggioro, por la concomitanza de linee più prossime et dritte alla media perpendicolare, quasi come parallelle, il che ho osservato facciano li convessi di maggior circolo; et che però, facendo un vetro di maggior sfera, la portione farà sempre maggior l’obietto, tanto che possa crescersi quanto si voglia. Dubito dell’aria mezzana, che non impedisca; il che V. S. bavera forsi provato. Et desidero saper se V. 8. n* ha fatto far vetri «li maggior sfera, et si riescono, chò io teneria pensiero questa estate far una forma che facesse un telescopio più lungo assai, sperando quelle stelle clic bora se veggono piccole, vederle «loppio maggiori; et ehi sa che scoprisse quel che so non si vedesse per bora. In tanto se V. S. me favorirà di qualche calcolo fatto in tavole del mese venturo, uscirò di duhio, quando non si veggono tutte quattro le pianeto, se sia per congiuntione o eclisse loro, o difetto mio o del cannone; chi* per bora, non sapendo il lor corso, non mi sono accertato. Io la prego quanto posso a conservarsi sana et procurar la salute con tutto il suo sforzo, perché così é obligato, et tanto più che la sua persona è tanto utile al mondo per la sua rara virtù, che certo dir si può tra noi fenice, cosa rarissima et unica, secondo la commune. La quinta stella de Apelle, credo che o se la sognasse, o forse sarà stata quella fissa che se vede prossima a Giove, che all’ bora forsi dovea esser più vicina a quello, o altra simile: et già trovo che •lu alcuni Giesuiti «pii anco se ne ridono, et non possono far di meno di accettar la verità con loro invidia, chè intendo et vedo che si vogliono impadronire delle “l Cfr. n.« usa. 04 1G — 17 MAGGIO 10U. [ 1008-1009J scientie dopo die altri l’Uà ritrovate; et bora ò uh, ito un gr«n volume «li optu* dell’Aguilonio ll \ et così dell’altre cose vogliono mitrar r^er loro 1 arca de scienze. Intanto non credo potranno mai offuscar In « hiar. / .4 dell.- mt latu b.- et novi trovati, anzi più l’illustraranno, come che la vi-ntA - •mpre * chiara. Con ciò, liavendo dato troppo trattenimento a WS con lungi diceria. la prego a perdonarmi, chè l’affettione le porto A causa che me IraM-rU c *nie - fus-e rapito in Fiorenza in sua pn mi* Et le beecio le mani, et prego K.S. la feli¬ citi et conservi lungamente sana. Di Napoli, li Hi di Maggio l»*U. Di V. S. moli’ III.- Die 9 Maii, h. Die 10, h. —• Vie 11, h.~~ Vie 15, h. ~ o • •* o * u • . *• o AH.— Set." taUio Colonna Linceo. Fuori: Al molt’ 111.® Sig. r l’.ron mio ()>*.'■’ 11 Sig. r Galileo Galilei Linceo, Filosofo et M «temati co dall'Alt - n i Q cr •“» di Fioretta. 1009*. MICHELE MAESTLIN * GIOVANNI KK.ri.ER .«« L.ua. Tubinga, 17 maggio Ioli. Bibl. Palatina in Vienna. Mt*. 10702, f»r. 40 - Au«-rr»f« .... Galilaei scriptum, qnod Italico idioDiti aditimi MTihìt, optarem latin# liim pro¬ dusse, praesertira si in eo, ut dicis, orane taleni punrtum I»ol*o tuihi nullum eiusmodi perfectnm perspicillara obtmgere, quo tei inumi, nrduni «min*-, loti, .«tei lite * videre vuleam. Sic etiara per nentrain ineonim prmpinll.irum (. -ali-, m!> quì accurata) Venerom corniculatam videre poMam, licet nuper auto ciui o *»mu, cario falde sereno, seduto cani fuerim intuitus.... 60 ") Cfr. n.» 980. Lioio-ionj 23 MAGGIO 1G14. G5 1010 **. LORENZO PIGNORIA a GALILEO in Firenzo. Padova, 23 maggio 1014. BILI. Nnz. Flr. Mi* (Ini.. P. I, T. VII. car. 159. - Autografa. Mult’ lll. r " et En;. mo S. r mio Oss. mo Si farà ogn’opera per venire in luco ili quanto V. S. desidera per servitù) dell’amico suo, nè si lasciali d’usare ogni possibile diligenza. Mi duole che cotesta febre la tratti sì male; ina voglio sperare nella bontà della stagione, che darà luogo et se n’ andari. Di qua noi pure habbiamo havuto a combattere con una pertinacissima e tediosissima invernata. Mons. r Gualdo partì alcuni giorni sono per Roma, dove farà la state, se non più. 11 S. r Sandulli sta bene, et è, al suo solito, gran servidore di V.S., alla quale bacia le mani di tutto cuore, et io con esso. io Di Padova, il dì 23 Maggio 1G14. Di V.S. moli'III. 1 * et Ecc. ma Ser. ro Devoti ss. 0 Lorenzo Piglioria. Fuori : Al molP Ill. ra et Ecc. mo S. p mio Oss.' 110 11 b. r Galileo Galilei, a Fiorenza. 1011 *- MARCO WELSER a GIOVANNI FA BER in Roma. Angusta, 23 maggio 1014. Ardi, doli' Ospizio di S. Maria In Aqulro in Roma. Carteggio di Giovanni Faber. Filza 419, car. 119. — Autografa. _Il giudicio che forma PEco." 0 nostro Principe sopra il discorso dell’Albergotti<'>, panni sia quasi universale di tutti gli valenthnoniini. Ilo sentito la morte del S. or Salviati con infinito cordoglio. Iddio dia pace all’anima, l.a continua del S. or Galilei spero havrà rimessa, voglio dire elio P havrà lasciato, poiché V. S. non ne dice altro. E certo se ci fosse tolto prima che ben fondare nell’opinione dolli huomini gli suoi novi discorsi, ricevuti già da molti intendenti con tanto applauso, si potrebbe riputare un singolar castigo di questo secolo.... 1*1 Cfr. nn.‘ 950, 1004. XII. 9 » oe 24 MAOQIO 1614. IIOMJ 1012. G10VANPRANCESC0 SAGHEDO • GAl.II.KO in Tir.,, j. Veneri», 24 maggio l«ii4 Bibl. Naz. Fir. Mis. G»l., P. I, T. VII, t*r. 161 18 *. Aut *r»i la Ini • i i» 4 u "> 111.™ S. or Kcc. mo V.S. Ecc. ,nH mi tiene per huomo troppo diverso di irli alti» fpcr non dire pii! eminente di tutti), poiché mi rie riwpirtr* In su» wilè, « t vuole ch’io dica il vero senza rispetto, co* a che da ali uno mai rio '-rva: onde 10 sono solito a dire, che quando uno A portato dalla diiperatiom- ut che ria risoluti- morire, in caso che non roglifl di stesso ammazzarci et volesse incon¬ trare certamente la morte per mano altrui, b:iatarebbe che dir»* • d ogn* uno la verità: poiché tratando con la voce, com’-gli tiene intrin-i- ui..*nt-- nel suo concetto, gli uomini potenti et nobili per ingiusti, vitiosi. infami h donne p r dishoneste, i mercanti et gli artefici per ladri, » t quasi tutti i* r il , mnitori d< I io prossimo, come potrebbe incontrare in tanta paticiua et hoiu->U, che in un giorno non fosse ucciso publicamente? Veda ino’se io baverei gran < non*a pillare con- tra i medici liberamente, invehendo contra di loro j r« b<- non appiano con«»'o*re 11 buono dal cattivo, restando ad arbitrio loro la mia viti, - n. i» che p<»t* ri meno sperare vendeta dell* homicidio che potessero commi tt- r< .•* Oltr.-. le *ri-n V. S. Kcc. m * ò savia e prudente, tuttavia (mi lardoni) «e hi fatto Unti disordini in pregiuditio della sua sanità, come potrei annoverarglieli et tu limar!» * i- i eli'ella se ne ressentisse? Parlo di quelli che son manifesti et non hanno dubbio; che quando volessi discorrere anco sopra infiniti altri, fondati -opra la divulpitione, temerei di perder la sua gratin, quando P affetto mio amorevole ver o di lei, che 20 mi persuadesse a parlar seco liberamente, non mi dii- e iperanru di -un tu me appresso di lei. Tuttavia, acciò sappia ch’io dcriibro servirla, quando si com¬ piaccia confermarmi da nuovo il desiderio suo, mi accoinmod »ri» n quanto mi comandarà. Ben desidero che mi proponga qualche zifra over rulmonr por poter discorrere liberamente et impugnare P oppimene de’ nn dici; •«•!».me quando anco ella si risolvesse di curarsi con li fanghi, raccordali da me , non é |x> sibilo più bavere quelle conunodità che s*hebbero altre volte: ri converrà trovar ca-a et pagar l’affitto, et in conclusione la cura passata non irebbe da iiiett-re con la futura. Se a bocca potessi trattar seco questo negotio, mi darebbe l'animo nel discorso riuscirle un Galeno : dico nell’indovinare, ma non già nel curare, il suo ao i«' Cfr. nn.i 901 o 1001. 24 MAGGIO 1614. G7 [1012-1013] malo; poiché quando, o por l’età o per li disordini, si perdono corti benefitii della natura, non può il medico provedervi con l’arto. Non altro. A V.S. Ecc. ,na baccio la mano. Il S. r Gaio dà all’arma perché non ha risposta della sua lettera 01 ; né ha accettato la escnsatione fattali per lei, dicendomi cho poteva lar scrivere per mano d’altri. In Veneti», a 24 Maggio 1614. Firenze. 1013 * FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 24 maggio 1614. Blhl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» XC, n.® 140. — Autografa. Molto III.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Con la lettera del Sig. Principe 01 ho ricevuto l’informatione che desiderava, et inteso con disgusto la continuatone del suo male con P augumento di piò, <*> Clr. li.® iuoo. <*l Federico Cesi. 68 24 - 31 MAGGIO 1614. 11013-10141 dove che aspettavo con desiderio sentire il suo miglioramento, quale gli lo prego dal Cielo con la pristina sanità. Il Sig. r Principe già celebrò le none in Pelestrina, et consumò felicemente il matrimonioSi trattiene tuttavia in detta città sono homai 12 giorni; ma la seguente settimana sarà qui con la sposa, facendosi intanto quelli api^n o hi necessari] per riceverli con ogni splendidezza. Furono spiati dal R f < ard - ( -d, con intervento del S/ Duca et fiat, Ili dèi 8/ Principe, et anco S ' Duc i Sforse io et S. ra Duchessa sua moglie et Duca d’Onano suo figlio, et S. r Duca rii / ,gamia con la S. r * Duchessa tua mogìia* quali pel tutti furono riten >T Principe di Pelcstrina et lautamente banchettati, con musiche et altre f^te et allegrar* Che è quanto m’occorre. I»e mando l'inclusa del S. r Colonna ', et le bacio le mani. Di Roma, li 24 di Maggio 1614. Di V. S. molto 111.™ et Eoe."* Ser.™ AfT** Frane.* Stelluti Linceo. 1014*. FRANCESCO 8TELLUTI a GALILEO in Firme. Roma, SI maggio lAli. Blbl. Naz. Flx. Ms*. Gal., P. VI, T. IX, car. 1*2. AuU»fra/a. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig.™ et P.ron mio Osa.** Con altra mia l> scrissi a V.S., hater ricevuto la sua diretta all E- "" Sjg* Principe Cesi con 1*informatione che desideravo; hora, < >n,lo tornato di Peli strina detto S. r Principe con la sua Rig.™ sposa, ha letto la lettera di Y.S., et con molto disgusto per sentire la continuatione del suo male, poi che S. K. et noi tutti non desideriamo altro che la sua sanità. I*a procuri dunque n>n ogni diligenza, et lasci intanto gli sturili, lo scrivere e tutte V altre fatighe della mente et del corpo. Il detto S. r Principe ò hora occupati* imo per ritrovarsi qui in ua casa il S. r Principe di Pelestrina et S.™ Principessa, con due figli, fratelli della sposa; io et perciò ha ordinato a me che scriva a V. S., et che la saluti di tutto cuore a suo nome, et di piò che le faccia sapere Csebene già gli devo e>ser noto) che uno ha stampata un’opra nella quale si fa inventore de’ Pianeti Medicei, coinè bah* biamo visto nel Catalogo de’libri di Francofort; il titolo della qual opra ò que¬ sto: Mundtis lori alia, anno 1609 detectus ope perspiciUi Belgici, tram/ ■■ Si mone Filippo Pamdoi.vini. O* Vivckxzo Mirabella. 72 14 UIUGNO 1614. noni 1017*. FRANCESCO STELL0T1 » |GAULKO in Fir«ns«j Kouia, 14 gingia» 1614. Bibl. Naz. Flr. Mas. Oal., I’. VI, T. IX. car. 166. Au». «r*f«. Molto Ill. r * et Kcc."* 0 Sig. r ® «t P.ron O-v * Dal libretto 10 inviatomi da Y.S., ili cui buoni | »rte ho «iti • on v. liuto in cognitione che quel Simon Mario Todtsco p»T novi lLineiiti* di»pi.»*. re ;» \ S Rabbia composto quel Mumltis Iovialìs ma chiarito amor lui » uà- il Capra, quale non so come di vergogna et confusione non mori ■■ “ubbito p. r le gagliarde difese et risentimenti di V. S., nò <» come havesse più famia d.t farsi vedere. Et di poco giuditio, dico pochissimo, i .timo il *udrtto D*h . o, men¬ tre non gli serve per essimi piu la fine che hehbe il furi • tiri i api». qui n*»n .no per anco comparsi quei libri, sebene il Sig. r Principe l'ha me- «• m Iota jmt haverlo; et subbito clic qui capitammo, gli ne manda rò uno, acciò v. d.» il bri io furto, chè per tale, senz’ altra dichiaratone, farà tinhora da tutti rn duio. Tutti questi SS. ri Lincei, et particolarmente il S. r Princq»- d. mimiti » bavere un ritratto del Sig. r Salviati b. ni.; però Be costi ci fu qualche pittori che n’havesso copia, ci farà gratia avvisarlo, acciò pos- lamo procurarlo, ovrro dar ordine V. S. che ci sia procurato. Mi ò piaciuto sentire che la sua febre faccia pure alle volte qualche pau a, et presto aspetto sentire che V habbia lasciata lihbera. N’»' vitro mi c«- nrre, • •• non ringratiarla del libro mandatomi et ricordarmeli servitore : * |«» bacio con ogni alletto le mani. Di Roma, li 14 di Giugno 1614. io Di V. S. molto Jll» et Ecc. aa Nel fine della prefat-ione della Dioptrica di Ke¬ plero >8) si vede che il Mario pretendeva usurpare. Ser. r * VtV' ra Frane.® Stellati Line 1 11 Cfr. Voi. II, pag. 616-601, e iu pnrticoUr* l*6g. 519 «*• Cfr. n.« 1014. Cfr. u.- 796. Un. 6-7. Lioia-ioi» 17 uiuono ir»l i. 73 1018. GALILEO * ( »»S1MU li, Graudani dì Touchiir, (in Firenze], (t-irruir, giugiio itil i). Bibl. N*s. Fir. M>. U»l., I* I. T. I »-ai ~ul noi»!» di in»no introna. Noli 1 nugolo tiiptrinro a alni- tir» dol foglio, il • o|)k»i» n-rUM • Cogli» ». Di fuori (c»r. 204t.) m inggo, di luanu di (Ialii.ru: Supplica per 1’ impresto ili 7 J ' ùUU. Scr."* u (irai» Duca, f> al ileo (lalilei, hiimilÌ88Ìmo «servo o vassallo ili V. A. S., lmmilmonte la supplica, stretta da'»uoi urgenti bisogni, a volere esser servita (li dar unirne che .«li sia adesso pagato il semestre della Bua provvi- sionc clic finisco alla tino (l’Ottobre prossimo avvenire, contentandosi di più che In sconto » li qmsto impresto si faccia nelle tre rate se¬ guenti, il ter/o per rata: del «piai favore, oltr’al restargliene in per¬ petuo obbligatissimo, pregherà Sua Divina Maestà per la Rumimi feli¬ cità dell A. \ . Alla «piale rcvorcntisidniumente b’ inchina. io , Concedesigli, et il Proveditor dello Studio Jiucr. „ .. , ne dia gl ordini opportuni. Pietro Cavallo. 15 Giugno 1(314. UU9*. AETl'Ho l'ANNOCCMESCHl 1VKI.CI a GALILEO in Firenze, l'ina, 17 giugno 1614. Bibl. Nas. Plr. 3 d»«. Oli. P. I, I. VII, c»r. 166 . Autofrifft J* «oltoacriilone. III. ot Kcc,*"° S. or mio Os8. rao Dal P.re D. Benedetto matematico mi fu presentata la lettura di V. S., con la supplica , sognata da S. A., del pagamento da farsele di 500 V di del semestre da finirsi per tutto fibre prossimo futuro: e perchè queste gratie di prestanze S. A. non le suol mai fare senza haverne sicurtà (lolla sopravivenza e continua- tione nel servitù), e noi rescritto si dice eh’ il Proveditore dello Studio ne dia Lctt. 1018. fi. prtgrrò Sva — «•» Cfr. n.» 1018 . xn. io 74 17 — 19 GIUGNO 1014. 11019 - 1020 ) gl’ordini oportuni, però per maggior ispeditione ho latto il minai i'o *1**1 Li denari per lei al sudetto Padre, ma con parola ferma di non presentarli u V. S. senza participar prima al S. or Auditore llardini, al quale ne scrivo, iuvi.«hè apprc o di lui V. S. ne possa far dare costà in Fiorenza la sicurtà oportuna, quando non io disponesse altrimenti S. A. Ella può veliere intanto come io ho latto quanto ho potuto perchè resti servita. E baciando a WS. le mani, le prego dai nou Dm ogni felicità. l)i Pisa, li 17 di Giugno 1014. Di V. S. 111. et Ecc. w * Atì>° per ver u Al S. r Galileo Galilei. Arturo d’Elei Pror." Fuori: All* 111 . et Kcc. u '° S. wr mio Oss."® 11 Sig. ur Galileo Galilei, p. Mat. lu e Filmi.* ili S A. Fiorenza. 1020 *. FABIO COLONNA a GALILEO in Fimo». Napoli, 1*J giuguo ICI4. Bibl. Naz. Fir. Mas. (Ini., P. VI, T. IX, r*r. 16$. Autografa. MolF IH.® Sig. r mio Oss. mo Non può crederò V. S. quanto dispiacere hahbiamo non solo io in partico¬ lare, ma tutti, cioè il S. r Porta et Stegliola, d’intendere che Y.S. stia miei ina: et corto che so io potesse, con prenderla in me, levarla a Y.S. quanta Libro, lo farei volentieri; così meritano le sue virtù et qualità. Et Unto più ine *e ac cresce il desiderio della salute di V.S., quanto elio, havetulomi favorito delle costitutioni <0 da lei fatto delle sue Pianeti- Medicee, essendomi pervenute n 18 del stante, trovo che esquiaitissiinamente Y.S. ha calcolato et deMj n.Uo h dette Pianete, conforme io qui havea osservato il giorno ló, ir. et 17; et lucrami os¬ servai il 18, che, a mio ginditio, ad un’ bora di notte non differì in altro se i" non che le due prossime a Giove non erano più distante d’un diane tru «la Giove, et altro tanto l’altra da quella, et le due congiunte, cioè la grande et la piccola, erano distante, al mio parere, cinque diametri dalla circonferenza di Giove, con¬ forme stavano disegnate: solo la seconda, vicino Giove, era un poco più lontano disegnata, che forai sarà stato scorso di penna. Et certo che pare ad o^ni uno Leti. 1020. 8. eiyuitiitixiunttiiU — “i Cfr. n » 1016, liti. 6-7. in GIUGNO 1614. 75 [10201 cosa incredibile olir WS. tanto ben babbi aggiustato li lor periodi, che non così giusti snn fatti quelli delle pianete maggiori, conosciute da tante migliaia de anni. Però tanto piti, conoscendo li meriti di V. S., clic Ita illustrato il mondo di cosi rare novità, consistenti et solide, non, conto altri fanno, più in voce clic a<> in fitti, clic perù devo più amarla et riverirla et desiderarle ogni bone: et però prego N. S. per la sua salute et lunga vita, per beneficio del mondo, acciò le apra in tutto et per tutto il ciclo, et resti a'posteri la verità dello cose. Intanto ringratio infinitamente WS. del favore fattomi, del quale ne le resto obligatis- simo; et procurerò che alcuni amici mi hubbino rclatione et invidia, et che anco loro ammirino la sua scientia et le diano il trofeo elio merita. Kt perche Ibernerà ancora volsi osservar quella parto così lucida nella luna, elio a punto se trovava nell' extrenj» illuminato, trovai clic se ritrovava più dentro dell’altro corpo meno lucido, et pur lei era lucidissima più elio altra in tutto il resto della luna; di modo che non ò riuscito come pensava io, clic 1*havessi •■•<> ìi ritrovar distante dal resto, come appareno le altre eininentic et seni più lucidi, et particolarmente quel a lei superiore, che par come un manico di bocale o pi¬ gliata (piando in quello giunge la prima volta il Unno del sole, avanti cresca più la luna. Ilo voluto raccontarlo a V. S., acciò me insegnasse, con tal occa¬ sione, clic voi dire che alla prima crescenza della luna falcala se vedo il resto del gioito lunare et poi non si vede, dovendosi tòrsi, per star più lontano dal sole et opposto, meglio vedere, ricevendo più luce secondaria dall’ambiente, et pure percliò, essendo corpo più denso del cielo ambiente, non pare quella den¬ sità in qualche modo più oscura del cielo. Sono stato soverchio lungo et tedioso a WS., non considerando clic perderà io molto tempo et haverà fastidio. La priego a perdonarmi, et anco a tenermi per suo atìcl t innato servitore : et con ciò finendo, lo bascio le mani, et N. S. la feliciti. Di Napoli, li 10 di Giugno 1614. ih WS. inolt’111." ot Ecc. ma Fuori: Al molt’111." et Ec.c. ma Sig. r mio Oss. mo Il Sig." r Galileo Galilei Linceo, D. Filosofo ot Matematico del Sereniss." 10 Sig. r Gran Duca di Toscana. Firenze. "> Gir. n.» 953, lin. 28. 7 li 20 GIUGNO 1014. 110211 1021 . GIOVANNI BARDI a |GAl.lLKO «n Fireiur limila, 20 giugno 1614. Bibl. Naz. Flr. Mss. Hai., P. VI, 1 IX, c»r. ITO. - Atit<*:»fa. 111." 10 Sig. r mio 0ss. mo Non posso se non accusarmi appresso Y. S. della mia negligenza. usata già tanto tempo, in salutarla e farli riverenza con mie lettere in uiult*- w aiwiii, et in particulare nella morte del Sig. r Filippo Salviati, non mostrandoli dolor*' di perdita tale quale è stata quella; della qual* un voglio parì.tr«* altro, p r non rinovarli la memoria di cagione cosi giusta ili dolore. Solo dico rii. -a può us sicura re, clic se bene non l’ho mostrato con fargliuo sapere, tutta d» n» h«.*n- tito quel dolore elio può apportare una tal co i. insieme con il dolore idi- sente una persona sopramodo amata, come son sicuro elio bar* «« unto .< \. Ma *.» per il passato ho inanellato, non già posso raanebare ««lesso. i*> Li mando un problemma (, \ il quale io farò e reciterò lunedi, dove in fra gli’altri assisterà 1* U1. M# Sig. r Marchese Cesi, il quale io inviterò. < nd«-i Ih sciato intendere che come si faceva questo, voleva venire a . -utirlo, havendo inteso che era intorno a questa materia. Ci iranno, oltre all» dip.nt. e Cam¬ pate, tutte queste.esperienze in sur un tavolino, acciò u v-gghinn da tutti, di maniera che non potranno neghare quello che w.ghono cerigli'orchi. L/occa- sione in su che si è fatto, non è stata altra se* non che. dovendoli tar- uno di questi problemi et essendo stato destinato a me. mi domandò il Padre Ghani bergier'” di che cosa volevo farlo, proponendomi alcune altri- r• , bora io gli dissi che balia desiderato di faro di qualche materia iutile a questa, • r<. 1 lui > prese questa, che non credo che sii per apportarli |>ocho gust", par « In' A tutta conformo al suo parere, anzi quello istcsso, con raggiunta di quell- dui c pi ricn/.e che non possono be non conferire.* alla sua - nt-n/a. K mi ha detto il Padre Ghamhergier, clic se non havessi hauti» haver rispetto ad Aristotile, al quale loro, per ordine del Generale, non possono opporsi niente, ma lo devono sempre salvare, liaria parlato piò chiaro ili quello che ha latto, perche in questo lui ci sta benissimo; e ini diceva che non • meraviglia clu* Ari-tritile di contro, perchè aneli ora si è ingannato chiarissi inamente in quello che V. b. anchora mi diceva una volta di quei doi pesi che caachano prima o poi. Lett. 1021. 11. itti jiroltmmn - cfr. Voi. IV, paj. 195, nota 1. 1,1 CauToroRo Urirxmborr. 20 GIUGNO 1614. 77 [1021-1022] 8<» Ma noii voglio esser tanto luuglio o coiiseqncnlomonto importuno, riserbando a dire ho altro occorrerà quando sarà seguito, oliò non inanellerà che dire, poiché credo senz’altro elio questa cosa babbi a esser occasione di disputarne molto a tutti questi mastri et philosoplii. K con pregarla ad accettarla benignamente, qualunque la si sii, farà line, pregandoli dal Cielo lungha sanità et il colmo di felicità. Di Roma, il dì 20 di Giugno 1614. Di V. S. lll.‘“* Obligatiss. 0 Servitore Gio. Dardi. 11 Padre Ghambergier m’ha detto che io la sa¬ io lutassi da parte sua, e che gli scriverebbe quando saria fatto. Nelli spatii vi andavano fatte le figuro con le linee, ma non ci è stato tempo. Però V. S. scusi. 1022 * MATTEO WELSER a GALILEO in Firenze. Augusta, 20 giugno 1014. Bibl. Nas. Flr. Ms*. Gal., P. VI, T. IX, csr. 172. - Autografa. MoltMll.* et Kcc. ra0 S. or mio Oss. mo 11 S. or Marco, mio fratello, ha havuto la lettera di V. S. R delli 7 stante, ma, per trovarsi oltra modo aggravato dal suo fiero et ostinato male, non può scri¬ vere ; et però m’ha commesso di far la sua scusa con V. S. a et inviarle il Mondo Gioviale che V. &.* disidcrn di vedere, come faccio, mandandolo all’ IlL" 0 S. or Gio. Francesco Sagrcdo insieme con questa, clic glielo farà pervenir allo mani. Et senza più a V. S.* mi raccomando, et le prego da N. S. a perfetta sanità et ogni bene. Di Aug.\ alli 20 di Giugno 1614. Di V.S.* Àff. mo Servitore io Mattheo Velseri. Fuori, U'alba mano: Al molto Ill. p ** et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Cfr. u.« 101*. 78 28 GIUGNO 1614. [ 1023 ] 1023* FRANCESCO STF,I»t.FTI a [GAMI I'.O in ! i *m-’ Koina, 28 giugno lfill T»’ntifo(?rafV> dulia prenotito appartenne al fonilo mennonaW» «.- 11 * mi n.» |» vonno poi in proprietà del Principe h. Bom-nvru. « •• f - r *»• " » t< «'o. rilutta OOP, II." 40) tifila sua ìmmitiio Bil-liot» a ' . Prima -lolla *1' r* ' •> ’• " l ♦ ilio, per (contile conoossione ilei po sonore. collanionara il docam-nt.. .11 a Cata/ago di mann*rritti ara p&ueduli da D. fi'ildasiarrt lloncompagni, compilato tU Enrico Nari» noci. Seconda Eilixiotx», ere. Roma. tip. dello scioii/.o mateinaticho o fìsiche, 1892, pag. 121. 1*1 Cfr. n.° lu20. «•' Cfr. n.« 1081. **' QiMtl. nella Bu»U della PihlioUc* Bon- compagni n-n era alterata alla lattara. BAtTornuvan Caal Lcca Vaccino • (ìiotajuh K*aaa [10*241 2 LUGLIO 1CU. 7U 1024. GIOVANNI BARDI a [GALILEO in Firenze]. Koinu, '2 luglio 1614. Blbl. Nu*. PJr. Mn. lUI., P. VI, T. IX. c»r. 174. - Autografa. Ill.* nu Sig. r mio Oss.""* Ricevetti lu gratissima «li V. K., o por quella intesi essere assai ineghorata del suo male, del olio no ho sentito particular piacere, o pregilo Iddio N. JS. che la liberi affatto o la conservi sana. Sentii ancora come V. S. hebbe molto gusto e gradi insieme il prohlemnm fatto M , il che mi animò o spronò a fare quello che si trattava di lare e che m’ora stato mosso in consideratione, cioè di stamparlo per poterlo mandare per tutto il mondo; conio di lutto arnioni., chè tutti questi Ladri no mandano fuori, por essere un quasi compendio del suo trattalo, il quale, per esser volgare, non può esser letto da gente straniera: e tanto più volentieri io l’ho fatto, quanto che tutto ridonda in V. S., per esserli (come V. S. liarà visto) scritto elio io recito quello che da lei ho imparato. E ringratio molto Iddio d’bavere occasione, almeno con lo fatiche d’ altri, di mostrarmeli grato, et in qualche parte sodisfare a tanti ohlighi che li tengho, come ò quello di quel podio che so in questa materia, o, quel che è più, dell’ havenui eccitato a sì belli stmli, ne i quali spero, con l’aiuto suo, d’bavere a ire binanti, se ci atten¬ derò come ho animo di fare. K tanto più me n è venuto voglia, quando lio trat¬ tato con l’111. 1 " 0 Sig. r Principe Cesi, mio padrone (al quale, come vedrà, 1’ ho de¬ dicata, non sapendo trovar chi più lo dovessi favorire clic lui, come veramente ha fatto); perchè quando gliene portai, ci stetti al men doi bore a discorrere, -i» c mi mostrò molte delle suo cose curiose che ha, riserbando il resto a un’ altra volta, perchè era tardi e ci ero stato, come dico, un gran pe/.o; e l’altra volta anchora, che ci andai a portargliene scritta a mano, ci stetti similmente un gran pezo a discorrere, con grandissimo mio gusto: e certo elio desidero d’ bavere occasione spesso d’ andarci, perchè, oltre a quello che io imparo nel discorrere con una persona che sa come lui, mi parto sempre con un desiderio mirabile di studiare, et in particolare di questo scientie. Ne mando dunque una a V. S. ; e se verrà occasione di qualcheduno clic vengha costà, gliene manderò più quante lei vorrà, acciò ne possa dare o man¬ dare a chi lei piacerà. <“ Cfr. n.° 1021. 80 2 LUGLIO 1614. [10*24-10%] Dissi quanto V. R. mi oomisse al Padre Gramberger, il quali* mi «li <» cheto io la salutassi, con dirli che se lui haTesai poi nodo, haria detto anchor più, ma ohe non poteva far altro, «t Hit eia i t • fati - più di quello . r. di rivederla presto, :.»■ bene per poco loop >, ehé -onte tal line pregilo N. S. che li conceda il colmo di felicità Di Iloma, il di '2 di Luglio 1614. Di V'. S. lll.“* iluimhfta.* Servo tuo Bardi. 1025 *. LODOVICA VINTA a GAULKO ... K.nnw. (Arcetrt), 2 loglio 1614 Blbl. Naa. PIr. Iln. (3*1., P. I, T. XIII. c«r M. latofrtfe. Molto 111." S. or Galileo Oss.* 0 Con la presente vengo a visitar \.S. 111.**, rallegrandomi eh. \.uli recupe¬ rando la sanità, della quale ubiamo auto gran | . et io n.m I. > n.incitato di far pregare conventualmente per V. S. IH.** Ma •■mio venuto qui il S. or Dot¬ tore, con il quale sono stata seco in molti riigiomimri.ti -■•pr.i i- Ile »u.i figliuole, quale el nostro S. 0P Governatore non si contenta che più » tic no s. n/.i v>*itin»i e pigliar quel hahito santo; ma perchè quella credo che **ndo stala malata tanto tempo e molti altri anchora in casa, crrdeiò che h sia di gran fastidio, però desiderei che la si contentassi di vestirle, e quelle c che u.am hano ridurle in danari, senza che V.S. ne Ves-d fastidi*, di prevedere e far rugiiitate: ohè IO molto più utile sarà alle vostre figliuole dar quella amorevolezza che vi piace alloro, senza elio vi aitiate a pigliar fastidio di condurre umici <■ parenti, eh. pare sia molto meglio sì per \. S. e sì per le fanciulle; e di tal pensiero el S. or Dottore molto conferisce, lodando assai eh** io insieme con la Mai-(tra pi¬ gliamo questa buona resolutione, acciò, piacendo a Sua Ma.-dà Divina, abbi grazia di lasciar acommodate, inanzi che io lasci questo o ti zio. K di tanto hi prego a dar questa sodisfazione a tutte. Lctt. 10:34. 37. a quell finto — l | 1025 - 102 <>| 2 - 5 luglio 1014. St La Virginia questa mattina à proso la medicina, e sta bene e saluta V. S. ; et io di continuo dal N. Signore li prego ogni felice contento. 20 11 di 2 di Lug.° 1614. Di V. S. Ul. re Abb. a di S. Matteo S. Lod. ca Vinta. Fuori: Al molto Tll. r " S. or Galileo Galilei, sempre Oss. mo , in Firenze. 1020 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Roma, f> luglio 1014. Bib). Naz. Flr. Mss. Gal, P. VI. T. IX, cnr. 170. — Autografa. Molto Ul. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Troppo lungo è questo nostro silentio,ond’io medesmo meco mi vergogno. Horsfi, il ben far non fu mai tardo, dicono i predicatori : ecco che dalla gran Roma, dove mi ritrovo già alquanti giorni, vengo a render tributo a V. S. de' miei do¬ vuti complimenti et affettuose offerte, pregandola compiacersi di volermi dare con una sua cortese lettera un’ampia relatione del ben esser suo, che composi- tioni ha per le mani, quando usciranno in luce, e se o da lei o d’altri matlie- matici è stata fatta nissuna nuova osservatone nelle sfere celesti. Di questi paesi, per esser, si puh dire, ancora lumino nuovo, non saprei che io dirle. l)a Padova ho inteso che lo stampilero Bennio (l> ha ino’ sotto il torchio un aureo, vago, dotto e bel commento sopra X canti della Gerusalemme del 'l’asso e, di più, presto farà vedere due centurie di lettere in forbita c tersa lingua italiana, scritte da lui per dar nonna a voi altri signori Toscani, e specialmente alli signori Cruscanti, del vero modo del parlare e del scrivere elegante, poiché scorge che dal picciolo libricciolo intitolato Anticrucca (,) le Signorie loro non hanno ancora voluto accorgersi del loro errore, renderle gratie, e con humile e dimesso supercilio pctere veniam del troppo loro ardire; e questa volta spera che non gioverà a voi altri signori liaver gli Orlandi (4) , che impugnino spade, lancie e brochieri per riparare i colpi della sua scutica e del magistral suo bacillo. S’è 20 risoluto di stampare questo commento al Tasso prima che li ponga P ultima mano, "> I*a oi.o Brki. pubblico Lettore vello Studio di Padova, dedicata al (*) Cfr. n.° 1061. Serenistimo Cotimo II de' Medici, Gran Duca di To- (3i of r- |, o goo. «ernia. In Verona, Nella stamparla di Angolo Ta¬ rn Rispetta d' Obi.ando Prscktti att'AnfiVriinca mo, 1618. del molto libo, ai Eccellenti*». Eig. D. Paolo Peni, 82 i r. - LUCILIO ir. 14 11026 1027| perchè l»a pur inteso ohe V. S. ha commentato V intero pm» , orni* ha du¬ bitato esser prevenuto nell’ editione, o così da h i lo 1W pror. pl » hi gloria Horsù, per questa volta liabbiamo cicalato abastanza : mi farà grati:», vedendo il S. r Ciampoli, racordarmeli devoto servitore, e dirle die sto puri- a p ' t *»d« die paghi certo debito, del quale, sin quando S. S. era in l’adora, mi •« »• I"* 1 cortesia sua, debitore. Mona* Querenghi bene, et è bl velie di V.S., alla quale prego compita felicità, e le bacio le rumi. M iro in Roma, credo, sino ad Ottobre, per servire ambedue le VV. SS. Dalla detta città, il quinto di Luglio lid i. Di V. S. molto IH." et Ecc.~ S. r Galilei. Sor AfT *• so Danio Gualdo. Fuori: Al molto 111.*» et Ere.- 0 Sig.r Il Sig. r Galileo Galilei, Fiorenza. 1027** VINCENZO MIRAI!ELLA a GALILEO [,u Kirrnxcj Siracusa, 7 luglio 1014. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 107. Aubirra/a. Molto III.® Sig. r Oss. mo Non m’essendo concesso di poter dimostrare con altro effetto di servitù il molto che devo a tutti SS. ri Lincei, e particolarmente a \.S p. r «ver princi¬ palmente concesso all’ ammissione 1 della persona mia tra qu> ll'online, vengo al meno a farlo con queste due righe di lettera, ringraziandola «li tanta j.artico- lar e segnalata grazia gli ò piaccialo ili fare; la quale in vero quanto da me vien riconosciuta immeritata, tanto maggiormente viene alti* A l'diligo a farsi mag¬ giore. E però intenda di'egli è intiiiito, o come tale non solo non sarà scemato dal tempo, ma non mi farà giatnai stanco in impiegarmi in co - di suo servi¬ gio, anzi in guisa sempre in quello col maggior affetto impiegandomi, die -.e non n* in altro, almeno nell’amore ed osservanza clic terrò sempre ver w tutti, sarò ri¬ conosciuto da loro per vero Accademico Linceo. Non però redo ili prometterli con tutte le forzo mie d* impiegarmi nell’imitazione delle loro eroiche virtù, le quali con tanta eminenza si scorgono fiorir tra si degno ordine, e particolar¬ mente nella persona di V. S. ; la quale, non contentandoci di render manifeste le cose occulte qua giù della natura, ha voluto ascendere al cielo, e, come me**4g- i‘> Cfr.Vol.IX, pa; 12. l s Antonio ^ubrkngo. '* CU. II.» lou. 7 — 11 MIGLIO 1611. 83 fi 027-1028] giero di quello, ci ha riferite tante e sì nuovo coso; nè meno (o maraviglia) re¬ stando contenta di riferirle, A l'atto sì che. da gli altri quello si riguardassero ed ammirassero, perfezionando queir istrumcnti con 1’arto, clic la natura per sì 20 gran cose lasciò deboli. Intanto, baciando a V. 8. con ogni allotto di cuore le mani, li prego da Nostro Signor Dio quel colmo di contento eh’ ella medesima desidera, c che dia a me occasione di servirla. Da Siracusa, li 7 di Luglio 1614. Di V. S. molto III.® Serv. 1 * Àff." 10 Galileo Galilei. 1). Vincenzo Mirabella Linceo. Fuori: Al molto III,® Sig. r e P.ron mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei Linceo, compita felicità. 1028 **. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Roma, 11 luglio 1014. Bibl. Nnz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 178. — Autografa. Vox divisti. Molt’ I11.W et Ecc. m0 S. or Col." 10 Non dubitava io punto, che so V. E. si fosse ritrovata in meglior stato di sanità, havria, per sua bontà, dato molto prima resposta alle mie lettere; nò meno era necessario addur scusa, poi che pur troppo haveva sentito delle sua indispositione et grave et longa, cosa che, per riguardo della sua persona, mi attristava assai, come ancora per veder interrompere la fatica che si aspetta da ciascuno dalla sua diligente et compita mano intorno a questi moti. Spero pure che, con haver essa aggiustatamente ritrovato i periodi delli Medicei, vorrà io arricchir il mondo di qualche nuova hypothese de’ secondi mobili, o vero sal¬ dare qualche altra, con dar l’ultima mano in questa età a parte così difficile: non dimeno è peso che in conseguenza cade appresso alle sue osservationi, nò può disponcr tavole di nuove stelle senza dar al mondo il fondamento di tutta la constitutione. Penso che sia occupatissimo : non dimeno io sono di quelli che non la esento da questa fatica. Iiavevo commisso una certa operetta, che a’dì passati si vidde sopra il Ca¬ talogo di Francofort, di un certo Simon Mario 10 , dove si conosce che esso s’hab- Lett. 1027. 18. riferirli affatto — <‘> Cfr. u.o loH, 11 LUGLIO 1611. 84 posai bia assunto di esser inventore intorno a questi nuovi Pianeti : non ho potuto ancora veder detta opera, ma bene mi meraviglio di tanta presuntimi** Si ag- giongerà qualche fatica a V.S., so pure merita che gli sia r. |> -r«». so Ilo ricevuto le constitutioni di tutto questo in» che i *’• compiaciuto di participarmi, e mi proverò per farci qualche osservatimi*», ano.r «I" da quali h- tempo in qua la vista mi sia debilitata molto; et ritrovandomi pure PuMriunenti con li quali altre volte ho osservato queste co«o celeste, non r. d*r | - r defletto di questi, di non gustar delle sue vigilie. Ilo participato all’ Per ‘ S Prmeip*- Cesia le medesime constitutioni, come mi comandava; et il S. r Duca, suo padre, ò molto alfottionato alla nostra Congregatione, et li S. r Cardinale ' • stato molti anni titolare d’ima delle nostre chiese che hahbiamn in Honia, < he fu In prima elio havossiino, alla qual poi ò successo il Srr. w " di Muntola . Scrivendomi, può mandar le lettere sotto il detto S. r Principe. Non havevo veduto quel suo trattato di lettere ma ora le darò una lettura Oriti V. S. sa quanto mi gustino lo cose sue; e veramente quel trattato Ih inni dentfbus m a me è piaciuto estr&ordinanamente. Mi meraviglio bene che non mi stato a quest'ora ristampato in lingua latina, por l'ultramontani. Intorno a quei libri di Apollonio che in Arabico ri storno ili (in», lhitta Ila,) mondo 151 , sentii dopoi che erano quivi in mano al S. r Nicol mi (*’ io non far ciò errore), agente ili S. A. S., e elio facilmente sanano transferiti conti. In effetto saria dignissima fatica il darli in luce: per ciò V. S. non si ritiri dall'impresa, che a nissuno altro riuscirà nè più facilmente nò più foli' » mento per P inulti gonza e por la commodità. Oltra li quattro de eonis, vi sono de u- et io resólutione, de spoeti sedicine, et altri fragmeuti, che, per •-mt d Apolh-mo, non ponno esser che acuti et desiderabili. Senza la sua pn>t»*ctione « t dilig» n; i non spero di vedergli in luce; et se altri vanno con il radio sinovi-ndo qnidche -cin tilla delle ceneri di quel valenthuorao, V. S. potrà dargli la vita m intermm. Non però voglio dire che essa si affatichi tanto clic non sparagni la samtù, rhò sa ri a troppo perdita senza avanzo: ma so che non devono mancargli alimi ni «• studiosi da sollevargli le molestie. Procuri dunque restaurarsi in borni > liuti* ; et io prego il Signor Iddio a concederli colmo di felicitò, b. le mani affettuosi-'iimamente. Di Roma, alli 11 Luglio 1614. Di V. S. molto Ill. re et Eec. ma Servo Aff.*® in (’hristo Ani.® Santini. Fuori : Al molt’ 111. 1 *® et Ecc. mo S.'* r Col. n ° Il Sig. or Galileo Galilei, in Firenze. Haktoi.omuko Cksi. Ferdinando Gomaoa. !l Cioè 1’ filorin a UimoHraxioMi infurilo a iU uniteliie toltivi ucc. Cioè II /A**oni inforno nU« e A* «f #;u. Qiovaxiii Niccoli» i. 11029] 12 LUGLIO 1614. 85 1020 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 12 luglio 1014. BlbJ. Nnz. FJr. Mbs. Hai., 1’. VI, T. IX, car. 180-131. — Autografa. Molt’ 111." e molto Ecc. ,e Sig. r mio Oss." 10 Dalla sua gratissima mi vado persuadendo clie le sue indisposizioni non le siano tanto moleste, ma che, stante anco il benefizio della stagione, vadano ces¬ sando. Piaccia a Dio che sia così, e che V. S. resti sana e noi consolati. M'è caro grandemente elio già Rabbia pienamente scoperta P usurpazione del Mario e voglia anco farla restar scoperta al mondo, come è necessario, e (pianto prima. Circa il modo, ne discorremmo lucri pienamente li S. ri compagni che son qui et io (,) , o piace più a tutti quello del scrivere a Keplero in forma d’ epistola, come ad astronomo del’ istcssa Germania e ben informato, cliè l’altro io modo patisce qualche difficultà. Le lettere e costitutioni si sono subito ricapitate, come V. S. ordinò, al T. San¬ tini e S. r Colonna 1 **; e noi godiamo qui la nostra copia, e troviamo sempre giu¬ stissimo il tutto. Quanto alli soggetti, mentre V. S. vole che se ne proponga alcuno, corno bora l’amico 0 ’ del S. r Salviati bo. me., mi farà sempre grafia mandarmene più piena rclatione clic sia possibile, et in particolare de’ loro studii, compositioni, virtù etc., acciò io possa dar sodisfattione alli S. ri fratelli, servando il solito, quali hanno gran contento d’liaver soggetti per man sua. Dalla parte di Napoli negotiano bora per doi soggetti Siciliani, de’ quali Lauta la relatione, la mandarò a V. S., 20 proponendoli. Mala nova arrivarà all’orecchie di V. S., coni’ ò arrivata alle mie, della per¬ dila eli’ habbiamo fatta del S. r Marco Velsero, che sia in Cielo. È morto intre¬ pida e santissimamente, e con dolor di tutta la sua città, della quale era padre. Buona e gran coppia c’ è mancata quest’ anno : io certo ne sento tanto dolore die non posso dir più, più certo che se padri e fratelli mi fossero stato. Ciascuno di noi è obligato farli celebrare una messa : poi io farò, si facciano qui 1* offici funerali. E bisogna andiamo pensando a buon risarcimento di questa perdita. (i) Cfr. u.® 1014. **' Filippo Pandolpinj. Cfr. n.® 1016, o Voi. XIX, <*» Cfr. Voi. XIX, noe. XXII, c, 2), liu. 6-10. Doc. XXII, o, 2) t lin. 4-5. i*> Cfr. uu.i 1020 a 1U2S. gg 12 —18 LUGLIO 1614. I1O29-10H0Ì Hora non dirò altro a V. S, so non ohe di tutto core le bacio le mani e prego N.S.Dio gli conceda la sanità et ogni contento. Di Roma, li 12 di Luglio 1614. Di V. JS. moli’ 111.'" o molto Eoe* Mi farà gratin baciar lo mani al S. r Kidolfi in mio nome, o notificarli il passaggio da questa vita del S. r Yelscri. Mi parrebbe molto bone, o forse anco necessario, clic lo tavole do’moti de* Medicei uscissero quanto prima in luce a confusimi de’ maligni, so però la sanità concedesse a \ . 8. il tarlo. Afl> A per sor.’* sempre Feil.** Cesi Line." 1*. 40 1030 *. OTTAVIO TISAN1 a GALILEO in Fina»*. [Anversa), 18 luglio 1614. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cani pori. Aatografl, B.» l.XXXV, n. A«W>fTftfa Molto Ill. ro S. r , mio S. r P.ne Oss. mo , S. r (ìalileo, Con questa occasione del mio S. r Priore Rontcmpi, die sta qua in \nvernn, torno a scrivere a V. S., et ringratiarla del favor che ha fatto a me et al mio libro, di anteporlo a S. À. ,a Serenissima ' . Sappia, mio S. r ( ìalilcn, eli» ba f itta una de le, maggior chaiità del mondo, perchè io ho faticato dieci anni in questo libro, come si vede nclli disegni de le theoriche, et ho h|k»so durcnto m udì. Io spero in Dio elio inspirali a S. A.** Serenissima di farmi qualche chaiita, me¬ diante il favore di V. S. et del mio S. r Priore. L’Astronomico (V irei» di Appiano ’ non habet orbimi si/mmctriam, nè è stato homo al mondo che b ibbi di-••guato la proportene do lo theoriche in longitudine et in latitudine ; deh» supplico a V. S. io per amor de Dio a pregar a S. A.»* clic mi voglia far qualche charità, perchè in son povero gentiluomo foro di casa mia, ho faticato a ..ai, ho speso hs.aì, et resto molto impigliato, molto impigliato, per la stampa «le T libro. Il S/ Priore è testimonio. Io ho latto una nova sorte di mappamondi, mettendo in un cerchio tutto il globo in piano, cosa non fatta da nullo ancora. Io ho fatto uno «li quelli oo* O) Cfr. n.° OÒS, liu. 2-4. 0) Cfr. n.« Oòb, lui. 23. 18 — 25 LUGLIO 1014. 87 11080-10811 ehiali che V. S., quasi nuovo et celeste Americo, Imve rivolto al cielo ; ho fatto, dico, uno telescopio a due. occhi ”, conio li altri sono ad uno: il corpo è poco, e di figura ovale. Quando piacesse a 8. A.*' 1 Sorennissima farmi cliarità, io manda- 20 ria ltì di Luglio 1014. Di V. S. molto lll. r ® Servitore Affss. mo Ottavio Pisani. Fuori: Al molto Illustre S. r mio P.ne S. r Galileo Galilei, clic Dio guarde. per dare in propria mano. Fiorenza. 1081*. GIULIO CESARE LAGALLA a GALILEO in Firenze. Roma, 25 luglio 1014. Bibl. Est. In Modena. Haccolta Campori. Autografi, B.» l.XXVIII, u. G3. — Autografa la firma. Molto 111 » et Eec. m0 Sig. r P.ron mio Oss. mo Con grandissimo cordoglio ho inteso la lunga et noiosa indispositione di V. S. molto 111", et non ho prima scritto eh 1 babbi hauto nova del suo mcgliommento. Per non tediar V.S. con la presente, ho voluto solo renfrescar la memoria della servitù eli’ io li tengo, et renderli il saluto eh’ a suo nome m’ha fatto Mons. r Pa¬ squale'”, pregandola che non voglia pigliar briga di respondermi, perchè assai sodisfattane me sarà intendere della sua salute, del che al spesso son favorito dal Sig. Principe Cesis. Con che per fine a V. S. molto lll. ,e bacio le mani. Di Roma, li 25 di Luglio 1014. io Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ser. re Afi>° Giulio Cesare Lagalla. Fuori: Al molto IU. r0 et Ecc. ro0 Sig. r P.ron mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 1031. 8. Ir mano — II) a due occhi à sottolinealo nell'autografo. Cfr. u.« OóS, Ijn. 9. < 2 > Scipione Pasquale Cosentino, 88 29 LUGLIO IBM. litmi 1032 * FABIO COLONNA a GALILEO in Firenze. Napoli, 29 luglio 1614. Bibl. Nuz. Vir. Mss. Gol.. P. VI, T. IX, c*r. m. - Autografe. Molt’lll.* et Ecc." 10 Sig. r mio Oss. rao Obligatissirao resto alla cortesia et amorevolezza vii WS., «•!»«' rie/»r. 1 mdo-i di me, ha voluto augurarmi' quello che tutti ad tintemi duvetini jmt l'oblilo dell’insti tu tione, ma più di amor come fraterno. I«> già per inio obli,:-, et per l’af fettione particolare che ho a WS., per suoi ineriti et virtù et per haver cono- sciuto che me ami, havea, molto tempo è, anticipato P ufficio; et credo che foiM ad un medesmo tempo WS. baveri! ricevuto la mia. se il S. r Strilliti non hai à mancato de favorirme de inviarcela. Et per supplir»- in ca» solutamente venir perfetti, havendo trovato modo di far la tazza tornita ili una differente perfettiono dell’ordinario torno, et più «squisita: il che *ap. rù poi V. S. corno sarà. Et bora con 1 aviso de WS., che la \icinauza del sole le difficulti, me son quietato più. lla>emo tenuto il S. r Porta nostro malissimo et disperato por causa di do¬ lori nella line dell orinare, che io penso sia debilezza et ostruttione de viscosità vitreate, che ne suol lare, et di pietra o simile materia, perché ♦> nella fine, et al principio lui dice haver quasi incontinentia de urina, di modo che non è ul¬ cere nò carnosità. Hora sta respettive bene, perchè, havendo affatto perduto l'ap¬ petito, mangia benissimo, et non orina così spessissimo, che ho le iteravano tanto 3<» <*> Cfr. n.o 1023. 20 LUGLIO - 1° AGOSTO 1614. 89 ( 1032 - 1088 ) piti i dolori. La vecchiaia è il mal peggiore, et la propia opinione di non vo¬ lersi medicare come doveria. L’ altro giorno andai da lui, ine dichiarasse la sua parabola per far un specchio clic avanzasse li cavi de circolo perfetto: et come che stava esinanito dell’infìrinità, non potei darle troppo fastidio; con tutto ciò me insegnò «ilici che poteva ricordarsi: il che me par una intersecatione de cir¬ coli maggiori che fanno un cono nella testa, per il che differente sarà pigliarne la portione della tosta «love è il cono, che quella laterale. Et però prego V. S., se havesse alcun bel pensiero sopra di ciò, me oft'ero a farne prova materiale et fonder di propia mano, già che ho fatto esperienza de altre et so che non 4o mancherà per mia diligenza, se V. S. me farà gratin «li una delineatione perfetta, ma piccola, per farne prova in picolo, acciò si veda respettive se dilunga li raggi del sole et cono luminoso da lontano pili - del concavo de circolo, o pur unisce più raggi iiell’istesso punto, come dice. Io vorrei la distanza dell’effetto maggiore della quarta parte del circolo. Me perdoni della confidenza di donar fastidio a V. S., sapendo che, essendo dottissimo nelle matematiche et amorevolissimo con tutti, non solo con me in su¬ perlativo, et che riuscendo cosa degna sarà l’Iunior et gloria certa ili V. S., da chi ricevessi la gratin della regola et misura ; chè così conviene che facessi, et così le prometto osservare et publicare al mondo, come già ò di convenienza r»o et ohligo. Intanto prego V. S. a tenermi per suo affettionatissimo, et finendo le resto basciando le mani, pregando N.S. per la sua salute et longa vita. I)i Napoli, li 29 do Luglio 1014. Di V. S. molt’ 111. 0 et Ecc. ma Aff>° Ser. ro Fabio Colonna Linceo. Fuori: Al molt’111. 0 et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei, D. Filosofo et Matematico dell’Altezza Ser. n,a di Fiorenza. 1033. LORENZO PIGNORI A a GALILEO in Firenze. Padova, 1° agosto 1614. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 169. — Autografa. Molt’ IU. ro et Ecc. ,no S. r mio Oss." 10 La morte dell’immortale S. r Velsero è doluta tanto a me, ch’io non ho sa¬ puto contenermi di non darne qualche segno con la penna. Quant’io ho fatto 05 , (i) Accenna ad un foglio volante cho cornili- et amico optimo in/cria» calamo mlvebat XV J Kal. eia Marce Veliere, te fortem, pian, leatum. etc., ed Aug. M DC. XIV. Patavii, curante Petro Paulo lift in lino In firma: Laubentios Pignorius patrono Tozzio. XII. 12 90 1 ° — ‘2 AGOSTO 1014. [1088-1034] viene a farsi vedere a V. S., por dolersi insieme con essa della pcrditu th dub¬ biamo falto in commune d’homo sì grande. Il Signor Iddio doni a quella gl«>- nosa anima luogo di riposo, et a V. S. et :i gl limici suoi tcrmin*- -li colinola* tione, ehè certo il danno, che se n’ò ricevuto, è di sua natura inculi i»l tilde. Bacio le mani a V. S., a nome ancora del S. r Randelli l)i Pad. 1 *, il di p.° d' Agosj .0 1614. Di V. S. molt’IU.» et Ere.»* Ser." Aff-« io Lorenzo Pignonu. Fuori: Al molt* lll. r ® et Kcc. m ® S. r mio Osv"*® 11 S. r lìalileo (ìalilei, a Fiorenza. 1034**. FRANGERLO STELI.U 11 « GALILEO in Firenze. Roma, 2 ngùatu 1614. Blbl. Nftz. Flr. Mas. Uni., I’. VI, T. IX. • ar. 184. -- AuU./r»f» Molto III."* et Ecc.®° S. r P.ron mio Osa.*»® 11 Sig. r Bardi l’eco lilialmente risolutione ili stampare il problema già recitato da lui nel Collegio del Oiesù come nell’altra mia significai .. V. .s., « t i ha de¬ dicato al Sig. r Principe, al quale son due giorni elio 1’ ha portato ; ma huv* mlolo letto, non ha liavuto molta sodisfatione dell’epistola dedicatoria. A per non hav «ir notificato in quella che sia stato recitato publicamente mi ('ollrgio sopr.ulctto, si anco perché non fa quella menzione di \. S. che si richiedo al suo valore, pas¬ sandosela con detti molto languidi, còme V. S. in essa epistola u In Inoltre nelle conclusioni stampate ultimamente da questi Padri (ìie-uiti. da tenersi da detti Padri pubicamente nel salone del lor Collegio, dicono che le marchi'* del lo sole non son altro che le parti più spesse di molti epicicli insieme fr:i|M.ste et congionte, havendo neramente colasù nel cielo o campo del sole moltitudine d’epicicli seminati: opinione allatto ridicola, et da non potere in m--.Mina ma¬ niera salvarsi. Altri s’aiutano col dar varie condcnnutioni e rarel.ittioni in questi epicicli intorno al sole, limitate però in maniera che ai faccino senza alcuna al- teratione del cielo o pregiuditio della celeste incorruttibilità. In ..mina si vede che l’esperienza delle macchio scotta molto alli Peripatetici, nò hanno rifugio. 11 nostro Sig. r Principe istesso diede conto a Y.S. della perdita ilei Sig. r V el¬ se™, sono due ordinarli ’. \ eminente e por il Sig. r Sab biti et p»-r lui siamo molto IO Cfr. nu. 1 1021, 1024. i l ! Cfr. n.-> 1028. •*> Cfr. n • lv2i». o 8 AGOSTO 1614, 11034 - 1035 ] 01 •-'o dolenti ; et è mancato poro dio non liabbiamo anco perduto il Sig. r Gio. Batta della Boria, sebone ancora non siamo in sicuro: tuttavia già avvisò il Sig. r Fi¬ le^ 0 1 nostro, suo nepote, dio stava malissimo, et dimandò la benedizione di S. Santità, quale il Sig. r l’rincipo subbito gli ottenne; poi, Dio grazia, habbiamo bavuto nuova olio migliorava tuttavia. Che ò quanto m’occorro. Il Sig. r Principe le bacia lo inani di tutto cuore, e tutti ci siamo rallegrati intendendo miglior nuova della sua sanità. Con elio me lo ricordo servitore et prontissimo a* suoi comandamenti, baciandole con ogni adotto maggiore le mani. Di Roma, li 2 (l’Agosto 1614. Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. msl Ser. r " Frane. 0 S tei luti Line. 0 Fuori: Al molto III/" et Kcc. mo Rig/" et P.ron mio Oss. ,no 11 R/ Galileo Galilei L.° Fiorenza. 1 085 FATUO COLONNA a GALILEO in Firenze. Napoli, 8 agosto 1614. Bibl. Nat. Fir. .M^s. Uà!., P. VI, T. IX, car. 180. — Autografo. Molfc* IH. 0 et FiCC,"' 0 Sig. p mio 0s8. mo Sono obligatÌ8sinio alla cortesia di V. S M elio non solo me mandò li cristalli, ma anco le constitutioni futuro, acciò le osservassi: et veramente che con gran¬ dissimo mio gusto, et piti con grandissima ammiratone della sua virtii et sa¬ pienza, ho osservato quello da lei con grandissima verità anteviste et calcolate, et ultimamente recorrette in alcune minutissime avertenze, che credo non molti le haveriano considerate, et particolarmente quella del giorno del 10 di Luglio, che V. R. prima havea posto, forsi per errore del copista, le stelle orientali quasi equidistanti dal corpo de Giove, et nella ultima carta mandatami già ho veduto io clic, conforme io con il mio poco giuditio havea segnato, erano tra loro molto più vicine, cioè a proportione de dui diametri, et da Giove tre diametri, et la stella picela sopra l’ultima lontana (la Giove, più orientale ancor essa. Così l’os¬ servai prima venisse la sua revisione, rimettendomi alla sanità del suo esquisito giuditio et tempo del calcolo: chò veramente me ha fatto stupire che così pun¬ tualmente babbi trovati il certo periodo de tal piede pianeta, le quali, por mia disgratia, essendosi il di 11 de Luglio rotto il convesso mandatomi, non ho fin bora Lett. 1035. 16. »ion fin horn — Kii-kbio Ijkm,a Corta. 02 8 — 0 AGOSTO 1614. f1036-10861 potuto vederne se non due grandi; stando con apparecchio di furili* uno adesco che son le ferie de’ tribunali, che ho maggior tempo, vacando dall, liti che ine tengono sollecito per ricuperar parte dui patrimonio. È anco tempo che auguri a V. S. questo et mille altri annivu aru della in 20 stitutione Lincea felicissimi et con saluto, che b quanto desidero io in partico¬ lare, che 1’ ho tanta affottione che non predico altro che la sua eccellenza, vera¬ mente ad mirabile nella nostra età, di haverci scoverto il Cfr. Voi. XIX, hoc. XXII, e, 21 . Un. 17-22. tir. n.* llrt». 0 - 15 AGOSTO 1614. 93 [1036-10811 e così V. S. potrà pigliarne il voto del S. r liiiloUi « osti, eh* all’altri tutti s’è scritto in grandissima diligenza, acciò 1* ascrizione segua (pianto prima, eli’ a tutti m’assicuro sarà gratissima. Subito conclusa, l’avisarò a V. S., acciò possa com¬ pirla. Intanto, essendo sul ricominciare 1' anno dalla nostra filosòfica institutione, lo prego dal Signor Iddio felicissimo a V. S., desiderandolo colmo d’allegri e buoni successi per la communo impresa e studii, e mi ricordo prontissimo a’suoi commamlamenti. Bacio a V.S. lo mani di tutto cuore et al S. r Itidolfi. Di Roma, li 9 (l’Agosto 1014. Di V.S. molt’lll. ro e molto Ecc.^ ao L* orazione por il S. r Salviati 10 in’ ò stata gra¬ tissima, e m’ò piaciuta sommamente: me l’ba anco mandata 1* autore. Presto sarà fatta la nostra. Afi>° per ser> sempre Fed.° Cesi Line. 0 P. In questo annuo saluto V.S. non s’incommodi in modo alcuno a scrivere o rispondere, cliè io farò la sua scusa compitamente con tutti, quali pretendono più la sua sanità che altro. Desiderarci sì bene, con destrezza significasse al S. r Ridotti clic il solito degli ascritti ò salutar con lettere tutti li altri, come già fece il S. r Salviati f. m., e similmente in questo tempo scrivere a tutti; ond’egli, so non bavendolo fatto allbora, potrebbe in questa occasione supplire, per evitare anco cortesemente d’ esser prevenuto. Non so se egli havesse il ristretto di quelle costitutioni nostro più communi et il catalogo de’fratelli: potrebbe V.S. dar¬ gliene copia ; o vole le si mandi ? Muori, il' altra mano : Al molto Ill. ro et molto Ecc. to S. or mio Oss. mo Il S. or Galileo Galilei Line. 0 Fiorenza. 1037 *. CONTE CONTI a GALILEO in Firenze. Parma, 15 agosto 1614. Bibl. Naz. Fir. Mbs. Gal.. P. I, T. XIV, car. 110. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111" S. r mio Oss. mo La lettera di V. S. delli X di Maggio, co i libri che si è contentata mandarmi, non mi è capitata prima di adesso ; onde non ho potuto prima accusargliene la in Velie lodi del Sig. Filippo Salviati. Orazione in essa Accademia. In Firenze, 1614, nella stamperia di Niocoi.ò Arbiohkttt, Accademico della Crusca, di Cositno Giunti, cognominato il Difeso, recitata da lui pubblicamente 94 15 - 1 fi AGOSTO 1614. [ 1037 - 1088 ] ricouta. Lo fo con questa, et insieme lo mulo afl«ttm-i inn gratii* ili questa cortesia elio mi ha fatta o l’assicuro che nessuno pi il ili nn* twlr con cu%to l’opero sue, elio la portano all'immortalità. I«o rendo ancora lentie ih» i sia dichiarata meco nella sua lettera elio creilo che la rontilutionr «lei mondo stii corno la pone il Copernico, perdi* so bene indi quelli hatrva notitia . rilavata vista, nondimeno non sapeva se a lei fosso par>o ili mutarli in qualche parte; c porò con questo presuposto io anilerò tirando innanzi qu« 1 mio pensiero che io le accennai 10 . Io spero din il male che travagliava WS. nel temim che mi • ri ■•*, \xr\ pas¬ sato, o con questa speranza mi consolo, e la prego, in meni .tato « he m trovi, sempre di comandarmi, perdi* a nessuno servirò più volentieri di quello che farò a lei. E In bacio la mano. Di Parma, li XV Agosto Itili. Di WS. molto 111/- A IT— S.~ S. r Galileo Galilei. Ponte Ponti. Fuori: Al molto III/* Sig. r mio Om / 1 11 ì$ig. r Galileo Galilei. *> Fiorenza. io:?s. GALILEO a PAOLO GUALDO , n Roma Firenze, Ifi aR<>*tn 1614. Bibl. Marolnna in Venezia. Cod. XLVI1 tirila 1.1. X II-, b* 19 Aat e-*!* U f-t* t Molto lll. r * et molto Kev. do Sig. M et P.rn Colon."'* Molto tardi mi è stata rosa la cortesissima lettera di V. S. molto R. t,a : ma è ben vero eh’a un silenzio di duo anni poca giunta è la proroga di un mese. Ilo preso sommo contento nel vedermi ancor vivo nella memoria di V. S., o per avventura non mi è stati» m»n grato elio il ritrovarmi ancor fra* viventi dopo una molto lunga ma¬ lattia, la quale mi ha in guisa interrotto il filo do* miei studi, che non posso accusar a V. S. opera alcuna, di nuovo risoluta. Si ritro¬ vano solamente sotto il torcolo le risposto a i quattro oppositori del mio trattato circa allo cose che stanno su l'acqua, le quali risposte io m Cfr. n® 904. Ili AGOSTO 1 li 14. 11088-1089] sono state scritte da un mio scolare, monaco di S. Justina, compa¬ gno di Cecco do’ Uonuhitti, et al presunte lettor delle matematiche nello Studio di Pisa' 1 '. 11 commento del Sig. Beni {i) viene aspettato ansiosamente da tutti li eruditi. Mi farà gratin far ghignerò i miei saluti a Monsig. r Que¬ reli go, mio Signore, insieme con un profondissimo et devotissimo baciamano; et un simile ne invio a lei medesima, con ri cordar in egli servitore di cuore o con pregargli da Dio somma felicità. Di .Firenze, li 1(> Agosto 1014. •jo Di V. S. molto IH.” et molto R. da Ser. ra Àffet. rao Galileo Galilei. Fuori: Al molt’Ill. pe et molto Rev. do Sig. r et P.ron Colon. mo Monsig. 1 * Paolo Gualdo. In casa del Vesc. di Padova. Roma. 1039. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Ruma, 10 agosto 1014. Bibl. Nnz. Fir. Mss. (Ini.. I’. VI, T. IX, ciir. 100. — Autografa. Molt’lll.™ e molto Kcc.“> Sig. r mio Oss ." 10 Scrissi a V. S. V ordinario passato, che subito riconta la sua lettera convocai il colloquio de’ S. rl compagni presenti, e feci tare la proposta del S. r Pandoliini per l’ascrizione poi subito per lettere la feci trasmettere alli assenti, sollecitando le risposte, di modo che presto dorerà seguirne la conclusione, come avisarò su¬ bito a V. S., acciò lo dia compimento costì con ristesso soggetto. Quest’ è il modo clic s’usa; e mi par necessario, consistendo la forza e vigor della nostra impresa no l’union e stretto vincolo de gli animi, che si conserva con l’amore, che, dan¬ dosi un fratello a tutti, tutti siano prima informati e richiesti a concorrer favo¬ lo revolmente, acciò v’ habbiano parte, ne siano contenti o vedano clic il negotio caniina ordimitameuto. Intanto che vengono le risposte, per avanzar il tempo, ho già fatto por mano al’ intaglio del simbolo. 1 llKNKDKfTO Castkm.j. Cfr/Vol. IV, jmg. 18-14; u ofr. j.uru u.° 928, liu. 15. i- < 3 > Cfr. n.« 1026. ‘ a > CIV. un. 1 1029, 1020. 96 16— 19 AGOSTO 1G14. 11089-1(>40| 11 ritratto del S. r Salviati mi sarà caro sopra modo, Bicorne M>pra modo mi dote non haver veduto lui stesso, e che sì presto 1 hahbiamn pi i "' Quanto al Problema 01 , io non posso sodisfarmi; chè mentre si tratta de gl’ huomini veramente grandi, vorrei se ne trattasse come conviene. Ilo visto con particolar consolatione V elogio sopra 'i S. r VrLeru nostro \ e deve lodarsi certo con raggione. Vorrei sentire che V.S. stasse bene allatto, e veramente sur. libi* bora boriimi che tanto ha patito; godo tuttavia sentendo il miglioramento, .• mi contentarci ao che durasse questo caldo, ancorché noiosissimo, poiché é giovevole ;i \ . S. Sai A ben necessario clie si prepari a buon luogo e buonissima caia p i il treddo che se ne verrà. Non sarò bora più longo, ma ricordandomi desiderosissimo de’suoi rotnman- danienti, mi restarò baciando a V.S. le mani di tutto cor«*. N. >. Iddio le con¬ ceda ogni contento. L)i Roma, li 16 d’Agosto 1614. Ri V.S. molt*lll. ro e molto Ecc.*' 1 Atì.““ per ser> sempre Fed. co l e sj Lim - 1'. Fuori, d'altra mano: Al molto 111.™ et molto Kcc.“ S. r mio l»rf. n - 30 [llj S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1040 **. VINCENZO MIRABELLA u [GALILEO in Firenze]. Siracusa, l‘J agosto 1014. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 104. - Autografa. Molto 111. 0 S. r mio l'.ron Oss. mo Molte cose giunte insieme mi rendono ardito di venir con questa a doman¬ dargli una grazia. La prima è l'all'etto co ’1 quale io vivo a Ilei io nato alla sua persona mediante le sue rare qualità e virtù, che non laverei covi al mondo di lare per suo servigio. Seconda ò il ritrovarmi io (benché indegnamente) onorato del nome (li Linceo, il quale altresì V.S. possedendo, la fratellanza di sì degno ordine acresce e l'affetto e la servitù. Finalmente la gentilezza sua mi rende si curo ili assai maggior grazie, la quale per me sarebbe 1’ accertarmi ella con qual che suo comandamento di tenermi per uno de’ suoi servitori. i Di Giovanni Bardi. Cfr. un 1 1021, lu'24. »*» Cfr. n • Urli. 10 AGOSTO 1GU. 97 [ 1010 ] io La grazia dunque ch’io desidero ò due cristalli proporzionati ad unafabrica d’un telescopio: intorno alla quale avendomi io travagliato, benché con qualche ragione nella teorica, come sarebbe a dire proporzionando il concavo al convesso, con li gradi dell’ ombra retta per congregare, o li gradi dell’ ombra versa per disgregare, o voglium dire parte concava, e tutto questo mediante la partizione del quadrante; tutta volta, perchè in questa benedetta città non ho la collimo- dilà dell’operazion prattica de’vetri per incavarli ed abbozzarli, conforme ri¬ chiederebbe il bisogno, non ho potuto far cosa perfetta. E credami il mio S. r Ga¬ lilei, che ’l desiderio d’aver un istromento perfetto, d’altro non mi vien cagionato, se non dall’ aver letto le 8 sue pistole intorno alle macchie solari, inviato al* 111.“° 20 S. r Marco Velseri; perchè avendo osservato, con questo istromento ch’io tengo, dette macchie quasi per due mesi, non posso accertarmi, mediante 1* imperfezione dello stromento, di quanto io intorno a ciò desiderirei ; e però non ardisco a dir cosa intorno a dette osservazioni, sì come nè anche gli huomini co’ quali ho detto osservazioni comunicate, benché huomini di qualche garbo, se ne possono assi¬ curare. Ben sì godiamo tutti del modo che V. S. nella 2* lettera insegna per po¬ terle vedere, maravigliandoci deH’Apelle, ch’avendosi avvicinato tanto al detto modo, non avesse quello accertato. In quanto poi a gli scritti di V. S. e del- l'Apelle, li dico ingenuamente, e per lo mio debole parere e per quello di molti altri di qualche stima, è troppo grande la differenza. Del lutto ringraziane V. S. su il Signore, al quale prego per la lunga vita di V. S., atìine che il mondo si vada arricchendo ili giorno in giorno di somiglianti novità, che ’l suo raro intelletto li porta dal cielo. E baciandoli le molto illustri mani, con supplicarla mi vogli comandare, Unisco. Da Siracusa, li 19 d’Agosto 1614. L’allegata mi farà grazia far donare a chi va, dal quale, come mio cono¬ scente, può avere raguaglio in che mi posso impiegare per suo servigio. Di V. S. molto IH.® In rispondere, V. S. lo potrà fare per via del Ricevitore di Malta. •io Serv. rQ Afì>° D. Vincenzo Mirabella Linceo. Se V. S. scorgesse eh’ io non fosse in istrada per la fabrica di questi cristalli, avverti8camene per farmi grazia, non per lame, ma per goderne 1 intelletto con qualch* altra raggione. Lett. 1040. 32. le molle illutlre mani — XIL 13 23 AGOSTO - 13 8ETTKMHRK 1014. 11041-10421 98 1041 . FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Koinè, '23 agosto 1614. Blbl. Naz. Fir. Msa. dal., V. I, T. VII, car. 171 Autografa. Molt’lll.™ e molto Eoe.* Sig. r mio OsH. mo Bendo a V. S. graffe con ogni maggior affetto del favor che m ha fatto, eh io mi consoli con la vista del’iraagine del S. r Salviati , insieme con qu« >ti S." compagni di qua, poiché non c è stato concesso veder lui stesso e cosi presto ile siamo restati privi. Desideriamo tutti V anno, che ricomincia, lelicUhimo al consesso, e che questa felicità cominci con la sanità di V . S., come ne preghiamo il Signor Dio con tutto ’1 core, dolendoci intanto delle minaccio eli accenna dello sue indisposizioni, che speriamo con la buona cura, e particolarmente heu guar¬ dandosi ne’tempi freddi, restino totalmente superate. Per V admisBione del S. r Pandultini, già i voti de* S. fl compagni «li Napoli io son gioliti favoritissimi, onde pochi restano d’assenti ad aspettai si, et al primo colloquio sarà conclusa. Bacio a V. S. le mani, e le prego dal Signor Dio ogni contento, restando sempre desiderosissimo de’ suoi commandameuti. Di Roma, li 23 d’Agosto l(i 14. Di V. S. inolt’ 111.™ e molto Ecc. u A8>° per ter. u sempre E ed.*® Cesi Line.® P. Fuori, d'ultra mano: Al molto IH.™ et molto Ecc. u S. u ‘ imu Um.“ Il Sig. or Galileo Galilei L.° Fiorenza. 20 1042 *. FEDERICO CESI a (GALILEO in Firenze]. Ruma, 13 settembre 1014. Blbl. Naz. Fir. Mia. Gal., P. 1, T. VII, car. 173. — Autografa. Molt’ Ill. rB e molto Ecc. 1 * 8ig. r mio Uhs. mo L’ordinario passato non Rebbi lettere di Y.S., ma con questo ho riconta la sua gratissima e compita: la lettera al S. r Mirabella 1* ho fatta subito inviare, et anco la sua al S. r Porta. <‘> Cfr. II.® 1039. 13 — 21 SETTEMBRE 1614. 09 [ 1042-10431 Vorrei intender che lei stesso benissimo per rallegrarmi da dovere. Ilo sen¬ tito aneli' io grandissimo travaglio della indisposizione di S. A. Sor. mft , come mio signore particolarissimo, per essergli vero servitore o nato tale. Sia lodato Iddio che è in sicuro : starò bora con desiderio d’intender sia affatto guarito. 1 voti per 1’ ascrizione del S. r Pandoliini sono giunti tutti favoritissimi. Rol¬ lo lecito il simbolo por mandarlo quanto prima. Intanto, ricordandomi desidero¬ sissimo de' commandamenti di V. S., resto baciandole lo mani di tutto core. N. S. Dio lo conceda ogni contento. Di Roma, li 13 di 7mbre 1614. Di V. R. inolt' III.™ e molto Ecc.‘® AlT. mo per ser. ,a sempre Fed. 00 Cesi Line. 0 P. 1043 ** ANTIOCO BENTIV0GL1 a GALILEO in Firenze. Ostino, '21 settembre 1014. Blbl. Naz. Fir. Un. «lai., P. VI, T. IX, cnr. 200.— Autografa. Molto 111.™ et Ecc. n, ° Sig. r mio, Da molti giorni in qua leggo con grande ammiratioue et indicibile deletta- tione li mirabili discorsi di V. R. intorno alle macchie solari ; le quali se bene da principio mi parvero assai difioili a credersi, come nuovi et diversi dalla corn¬ imi ne et già invecchiata opinione non dico del vulgo ma anco di huomini dotti, nondimeno per le molte osservationi da me fatte et diligentemente esaminate so’sforzato confessare elio V. S., non solo come Linceo, ma come un altro Prome¬ teo, sia veramente salito nel cielo et habbi penetrato le più secreto cose che possono riconoscersi in esso : onde ringratio Iddio che per mezzo di V. S. habbi in voluto me ancora far partecipe di cognitione cosi rara et per tanti seculi occulta. E perchè nessuno virtuoso suole esser scortese, mi sono bora mosso, per l’amore die porto alle sue virtù et per desiderio che ho di essergli servitore, a scriver¬ gli la presente, con dargli anco qualche raguaglio di quello eh’ io sento intorno a questa nuova et rara dottrina ; et se si degnar* rispondermi, conferirò anco per 1’ avvenire quanto con il mio debbole ingegno mi sarà concesso conoscere. Dico dunque che le macchie da V. S. osservate nel disco solare, veramente si vedono ; ma non però credo, come nè meno lei affirma, che quelle siano nella sostanza o corpo del sole, non parendo convenevole che nel fonte della luce possa esser tal mancamento; et poi, se vi fussero, non sarriano mobili, come sono: 20 nè meno terminami quanto a quello siano vicine, potendo esser più et meno, senza 100 21 SETTEMBRE 16 U. [10431 dare inconveniente alcuno. Non concedo già, come l’autore del finto Ape Ile as¬ serisce, die sia Mercurio, Venere o altre stelle non conosciute, l*- (|uali hi rivol¬ gano intorno al detto corpo solare, perchè lo ragioni «li \. K. poi troppo dimo¬ strano r impossibilità del fatto; et quando non co fu^e altra prova, banturehbe il vedere che dette macchie non solo mutino luoco, crescono o diminuiscono, ma anco svaniscono a fatto, il elio non accaderia se stelle fusero. I'. ben vero che non ardisco per ancora, partendo dall’ anticlm filosofia et massime IVi ipotetica, dire che nel cielo si diano ulterationi ; anzi più tosto mi induco a credere che quelle macchie siano causate da alcune parti delli cieli inferiori al stile, nelle quali non è gran cosa nè absurda concedere che si trovino molte parti più rare e più '*> dense, le quali non potendosi vedere per sé stesse, opposte al s i vedano, et faccino apparir quello macchialo, come otto anni fa mi ricordo lutverlo veduto io, esseri dosigli opposta una cometa di quella sorte corno carboni ••stinti, gene¬ rata nell’aere: perchè, si corno in una tavola oltre li nodi, dieci rappresentano 10 stelle, sono anco altro imperfettioni et parti ineqimli, cosi non è gran cosa che in tanta gran macchina siano molto parti Ira loro dissimili, corno nella luna, anco picciola parto del cielo, si vede, et il circolo latteo ne fa fede. Nè mi pare dover recedere da Aristotile et dare alterationo nel ciclo m*iizh bisogno: et que¬ sto tanto più me induco a credere per la variamone et sparita ne di e- e mac¬ chie, dalli quali accidenti argumento che esso non crescano veramente o «timi- io fluiscano, ma perchè subintrando a dritto del sole altre parti del urlo di giorno in giorno, è facil cosa elio appariscano altre macchie, diverse da quelle che si vedevano; perchè essendo il sole 166 volto maggior della terra, et occupando però gran parte del cielo, non è gran cosa che comprenda in tanto .patio varie imperfettioni di esso. Ma forse queste mie ragioni non vagiamo, *1 però mi ri¬ metto al giuditio di più intendenti di me nell’astrologia, et ma Mine a quello di V.S., alla quale attribuisco molto. Alcuna di queste macchie ho veduto senza occhiale, potendo, per Dio gratin, fissar l'occhio al iole anco nel mezzo giorno con poco fastidio. Quanto poi alle stelle Medicee et al triplicato Saturno, non so clic dire del M certo, perchè credo d’haverne vedute alcune, ma non ho havuto tempri «li consi¬ derarle per le molte occupationi, stando io al servitù» del Sig.M’ard. 1 Gallo 1 nel suo collegio del Seminario, et massime per servitù» do’ suoi nepoti ; oltre che non ho luoco molto commodo, nè compagno che si diletti di simili speculatomi. Ma 11 maggior difetto nasce dall iinperfettione deirocchiido, il «piale veramente non ho, come vorrei, buono, et di quella sorte di vetri che fa V. S„ de’ quali se mi iiisse lecito haver coinmodità, sperarei veder maggior cose : ma non è a tutti Lett. 1048. 26-27. noi» nrdiitono ptr — 41. ■vAtlran'lo — <*) Antonmakia Galli. [1043-1044] 21 — *26 SETTEMBRE 1614. 101 concesso irò a Corinto, ni' io tanto presumo di poter ottenere. Aggiungo a que¬ sto che li nostri occhiali, per la trbppa lontananza d’un vetro dall’altro, non 60 si possono tener saldi, et si stenta a operare con essi grandemente. Pur me con- tentarò di questo debbole stato, et reputarò a somma gratin se potrò tanto me¬ ritare appresso V. 8., che mi riceva nel numero do’ suoi servitori, et si degni leg¬ gere le mie lettore et a quello dar breve risposta; il elio mi giova sperare dalla sua molta cortesia. I/e altre opero ili V'. S. ancora non ho potuto haverle, ma ho scritto a Ve- netia et a Roma, perchè, dovendo io presto far stampare un compendio di sfera, voglio pur vedere come la terra sia mobile, et altre coso fin qui tenute por false. Ma pur troppo per questa prima volta mi sono allungato, et dubito non essergli venuto in fastidio: però finisco et gli bacio le mani, pregandoli dal Signore Dio 70 il colmo di ogni felicità. Di Osimo, li 21 di 7rabro 1614. l)i V. S. molto Ill. r ® et Ecc.“ a Ser. ro Aff. ,r " , Antioco Bentivogli. Fuori: Al molto Ill. r " et Ecc. ro0 Sig. r mio P.ron Oss. mo Il Sig. r Caldeo Galilei Linceo. Firenze. 1044. GIO. BATTISTA DELLA PORTA a GALILEO in Firenze. Napoli, 26 settembre 1614. Bibl. Nat. Flr. Ni*. Gel., !\ 1, T. VII. cur. 174. Autografa. Molto 111/ S. or e I’adron Uss. ,n0 Io stava anebora convalescente, ma la lettera di V. S.e P amor che mo¬ stra portarmi mi ha risanato del tutto. Ho questa salute molto a caro sol per essere afiettionatissimo servitor di V. S., la qual prego mi mantenghi in sua grati a. (ìift. risorto in sanità, son risorti gli antichi capricci. Fabricamo co ‘1 S. Fabio Colonna, die è molto ingegnoso e metanico, una nuova forma di telescopio, il qual farà centuplicato effetto più del solito ; che se con ’l solito si vede fin nel- l’ottava sfera, con questo si vedrà fin nell’ empireo, e piacendo al Signore spia¬ lo remo i fatti di là su, e faremo un Nlincio Empireo. <‘i Cfr. n.° loia. 102 20 SETTEMBRE — 3 OTTOBRE 1814. [1044-1045] Supplico V.S., ritrovandosi col Scron.""' Gran Duca, ricordargli la mia ser¬ vito, e parimente incontrandosi co 1 S. Benedetto l’unta, di gnis.simo medico «li sua Àlt. a Ser. mn , ricordargli la mia affé tt io ne. K con ciò li bacio le mani con ogni affetto, pregandogli dal Ciclo ogni felicità. Da Napoli, hoggi 215 di Settembre Itili. Do V. 8. molto 111." S. #r di tutto poro Gio. Ratt.* della Torta l.in.® Fuori: Al molto 111." S. or c mio Padron Oss. ,mi 11 S. Galileo Galilei Din. Firenze. 20 1045 *. FABIO COLONNA a GALILEO in Fi re n*e. Napoli, 3 ottobre IBM. Bibl. Naz. Fir. Mss. Oal., r. VI. T. IX, car. 20-U. «• — Autnitrar». K irr, r dall» r, r >*»., vii r«i è la fidimi, si legco, «li mano «lei Colohka: « l’or il Sig.» «iaJilao OahU» Linci* • tfr. Ilo. i b. Molt’ 111.® et Ecc. mo Sig. r mio Os8. mo Ho scritto a V. S. prima della sua amorevolissima, facendo V ufficio dovevo secondo le nostre constitutioni, et dopoi risposto alla sua : non •>«) - *• le sia rica¬ pitata, havendolo tutte due mandate per mezzo dell’K< c. mo S. r i'rinnpe nostro, come anco questa. lai quale non à per altro, se non eli»* p«‘r tener viva la allet- tione che per le sue virtù le porto: et per haver occasione di ricordarle lamia servitù, le mando sei inmgini dell* eclisse di hoggi, le quali, per haver havuto necessità di assistere a’tribunali per l’esigenza del vivere, che hoggi tanto à stretta in Regno che non se trova persona che paghi conti senza li sbirri et con mille sentenze do giudici, et con tutto ciò con mille stenti et travagli et gres i io spesa, pure la curiosità, con interrotti intervalli di esser a’ tribunali «lue volte, et tornato in casa per tal osservatone, l’ho fatta alla peggio che ho potuto et saputo, si nello camino della luna, o per dir meglio del solo, che più scorreva, come nel signare le macchie solari precise et con lor grandezza, che per la fretta et poco pensiero non ho possuto: pure -fi ci in quantam V. S. vedrà un .bozzo di ogni cosa grossissimo, et potrà conoscere il vero et pigliarne quel che si può, et drizzarle alla positionc dritta, essendo quelle alla riversa uscite dal cannone. So che V.S. et altri suoi discepoli haveranno fatto il simile, et desiderarci veder alcuna di quelle, por imparare per un’altra volta a farne alcuna buona. Intanto 3 OTTOBRE 1014. 103 [ 1046 ] 20 la prego, oltre tante gratie che mi ha fatto, fanne sapere se il pulimento de.’ cri¬ stalli convessi che lei fa fare, sono fatti alla rota, o puro al feltro in piano, come usano li artefici de occhiali; poiché io trovo clic al pulire fuori (lo lor forma in rota, con il feltro, come fanno li artefici, in piano, sfregandoli, se guasta la forma: il elio me sarà di favor particolare. Intanto le hascio le mani, et prego me tanghi per suo minimo discepolo et grandissimo servitore di core, che de¬ sidero poter servirla di tutto cuore. Et Nostro Signore la feliciti et guardi sana lungamente. flO Di Napoli, li 3 de Ottobre IG14. l)i V. S. molt’ 111. 8 et Kcc. n,a Afl>° Se. ro Fabio Colonna Linceo. Fuori: Al molt’111." et Eco."' 0 Sig. r mio Os8. mo 11 i$ig. r Galileo Galilei L.°, Filosofo et priim 0 [Matemjatico del Sereniss. 0 Sig. r Gran Duca di Toscana. Firenze. 104 3 — 4 OTTOBRE 1014. 11040-1047] 1046. LUCA VALERIO a GALILEO in Firenze. Roma, 3 ottobre 1614. Btbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII. i-ar. 176. - Autografa. Molto lll. ro S. r mio Osa." 10 Hora eli’io ho inteso con molta mia ni log rezza «Ini nostro S T* Principe elio V. S. sta sana, assicurandomi di doverlo dar manco fastidio eli' io non Laverei fatto prima, torno con questa a lamentarlo ch’io lo vivo quel devoto servitore et amico eli* esser le devo per molte cause, non facendo mai tini* di pregar Dio per la sua sanità et lunga vita. Ni' altro por liora sovvienimi ehe scriverle, so non pregarla a conservarmi nella sua gratin et a supplire al mancamento d»*’ me¬ riti ch’ella in me vede, o di quei segni elio la mia humil fortuna non mi con¬ cede, ond’io possa mostrarle quanto io la stimi et ami. Con che bacio a \. S. le mani con ogni affetto del cuore. Di Roma, li 3 d’Ottobre 1014. Di V. S molto 111. 1 » Ser." Afl>° Luca Valerio Linceo. Fuori: Al molto III.™ S. r mio Oss. 110 Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1047* FEDERICO CESI a GALILEO in Fireuzc. Roma, 4 ottobre 1GI4. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, cnr. 173. — Autografa. Molt’ 111.™ Sig. r mio Oss. roo Tornato a Roma da Pelestrina e Tivoli, e sul partire por Vrqua^parta, ho ri¬ cevuta la gratissima di V. S. ; e sentendo allegrp/.za granile della ricuperata sa¬ nità di S. A. Ser. raa , resto anco con desiderio intenso d’udire che V. S. sia libera affatto dalle sue indisposizioni. Scriverò a lungo, subito che mi sia sbrigato da questi moti, che mi tengono occupatissimo per esser con tutta la famiglia, o ri¬ sponderò alla cortesissima del S. r Filippo Pandolfini, che m’è stata cara -opra- X.ott. 1047. 7. eh' c ni' e ttata — [1047-1049] 4-13 ottobre 1614. 105 modo. Intanto V. S. farà seco scusa di questa tardanza, baciandole in mio nome le mani. Mi ricordo prontissimo a'comandamenti di V.S., e le bacio le mani. io Di Roma, li 4 d’Sbre 1614. Di V.S. molt’IU." Viene inclusa una del S. r Porta 10 . Non a’è ri¬ cevuta la risposta del S. r Ri dotti al S. r Mirabella. Atti 1,10 per ser> sempre Fed. co (Jesi Line. 0 P. Non ho se V. S. habbia trattato col S. r Ridolfi del’ascrizione del S. r Pandol- tini, poiché non ho saputo altro del suo voto. 11 simbolo é quasi Unito, e presto 10 mandurò. Fuori, d'ultra vìntio : Al molto Ill. ro et molto Ecc. t0 Sig. r inio Oss. luo co 11 Sig. r Galileo Galilei L.° Firenze. 1048 **. NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC a PAOLO GUALDO in Roma. Alx, Ci ottobre 1014. Libi. Marciumi In Venuziu. Coti. LXVI1I dalla CI. X It., car.62f.-68r. —Autografa. _Kt bi* non lo fosso troppo importuno, vorrei ben sapere che cosa habbia fatto 11 S. r Galileo doppo il ano Nuntio Sy dereo, il quale ne diede dell’ esserci ti o quasi un anno ud osservare i suoi Pianeti Medicei et a regolare i moti loro. V. S. mi farà gratin singo¬ lare di volermi mandare quanto egli lmverà stampato in quella materia doppo il detto Nuntio Sydereo.... 1049 . GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI in Firenze. Firenze, 18 ottobre 161-4. Galleria e Archivio Buonarroti in Firenze. Filza 48, Leti. O, cnr. 032. — Autografa la firma. Molto 111.™ Sig. re et P.ron Oss. rao Prego V. S. a favorirmi appresso il P. Inquisitore, et ottenere ancora che P opera Non potrei esprimer con parole quanto la corte .i- .ima ri | I «li V.S. mi sia stata grata, poiché non solo si é degnata ricevermi nel numero ile' suoi ser¬ vitori, ma anco mi ha dato occasione che io arditamente gli |mv-a scrivere altre volte; se ben non vorrei che le mie lettere, continenti co »• che poro \ igliono, gli apportassero tanto più noia trovandola indisposta, come mi avvisa e -.. r ac¬ caduto nello ricevere l'altra mia, perchè io non intendo apportargli incoinmodo, anzi mi farà gratin differire la risposta et anco tacere in tali occasioni. In quanto poi al nostro proposito delle macchie solari, sappi pure \ . S. ch’io tengo da lei et accetto per buone et belle h» sue dotte ragioni « t dimo tr ilioni : io nè creda eh’ io sia di quelli che inrarunt in verini mai/istii ; hii/ì (come \. S. dice) laccio più conto d una ragione et vera deiuostrutione che «li tutti gl' bitumini «lei mondo, dalle cose di lede in poi, nelle quali le dcino'.tnitioni non ammet¬ tono. Ma quello eh’ io procuro «'• «li chiudere la bocca ad ah um apuli, li quali, senza intendere che cesa sia cielo, vogliono riputare per impo sibili le cose fa¬ cili. In due cose principali desidero bora esser sodisfatto da V.S. U prima è, che li nostri avversarli insistono nel fondamento principale di questa nuova dot¬ trina, con dire che essendo il cielo da noi tanto lontano, non è punibile per 1 indebita distanza poter fare che un vetro, il «jnulo a \ • na per trenta miglia con 1 approssimatione dell oggetto la parerlo come è a gl'occhi nostri, possa anco scopiii nel cielo, tanti milioni di miglia distante, le c««se come veramente là su si trova no; anzi si come la semplioe nostra vista s’inganna nel guardare 1,1 <-’fr. Voi. IV, pop. 7SO. lin. 11-16. 10 OTTOBRE 1(111. 107 rior,oi al mare, il quale ci appare turchino, benché non sia, et questo anco così appa¬ risce con l’occhiale, così può molto più ingannarsi in oggetto senza comparatione più lontano del mare. 11 secondo punto é, clic V. S., benché creda e dimostri che detto macchie appariscano nel sole, non dimeno non par elio bene si risolva se siano contigue a lui, overo siano nell’istesso corpo solare ; et di qui argomen¬ tano che non si deva, per salvare dotrina di cosa incerta, metter nel cielo alte¬ ratami, contro la sentenza di tutti i filosofi et astrologi che fin bora hanno scritto. 80 Et io, so voglio dir a V. S. liberamente il mio parere, mentre non si può dire che lo dette macchie siano in orbi inferiori, terrei più tosto che lusserò nel’istesso corpo solare, et che con esso si rivolgessero, onde perciò variassero grandezza e positura, perché questo non haveria dell’impossibile, come non ha doli’impossi¬ bile olio siano nella luna et in altre parti del ciclo; et cosi non occorrerla dare nlterationi nel cielo. Ma a questo mio pensiero replicano anco questi tali, con dire elio il corpo solare non ha dc*l probabile che si rivolga in sè stesso, mentre né la luna né le stello o altri corpi celesti fanno tale rivolgimento, et che, se bene ciò pare alla nostra vista, nondimeno questo viene dalla frequente scintillatione del si ilo, et dal nostro vedere molto di lontano sensibile eccedente di gran lunga 40 il nostro senso. Dicono anco elio é duro il credere che boggi si sappia quello che da tanti valent’ huomini por il passato non si è saputo. Ma di questa oppositionc, come ridicula, non mi curo; quasi Iddio, quando diede a gli altri filosofi o astrologi f ingegno di sapere molte cose, chiudesse la via a gl’altri d’inventar nuovo dotrine: il die se funse, non si sariano di nuovo ritrovati gli antipodi, da gli antichi negati, et tante altro cose lo quali tuttavia si trovano et s’insegnano. Di gratia, V. S. noi rispondere a questa dia qualche sodisfationo alle leggiere oppositioni di questi tali : et la prego con ogn’ affetto di cuoro a ricordarsi della cortese promessa clic mi fa nella sua, cioò che capitandogli per lo mani un paro di vetri, se non esquisiti almeno buoni, me ne faccia gratia; et se bisogna pagarli, non 50 guardi a spesa, perché io non tengo conto di danari dove ci è l’interesse del sapere: ondi* vorrei che V. S. lusso in Vcnetia, come è in Firenze, donde sperarei più presto d’esser sodisfatto, poiché questi nostri vetri sono troppo ordinarii, et in considera- tionc dello coso celesti danno pochissima sodisfationo. 11 Signore Dio la consorvi sana di corpo e di animo, et a me dia gratia di poterla in qualche cosa servire. Di Osino, a dì 19 di Ottobre 1614. Nel rispondere alla lettera, V. S. farà: Ancona per Osmo. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Aft>° Ser.™ Antioco Bentivogli. Fuori : Al molto 111." et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss."’° co 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 108 22 OTTOBRE 1614. 110511 1051 *. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 22 ottobre Irtl4. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuoti Acquisti, n.’ 14.— Aut /rifu. Car. m0 et Honor. d< * Sig. r Fratello, Per lettera del nostro cognato ò inteso con mio piacere «Irli'amorevolezza usata al S. r Ridolfo Tasso, per la quale ve no resto obligatiwimo «*t quanto ho ve ne rendo gratin. Mi £ stato di sommo contento l'intendere che\i troviate in buona sanità, che prego Dio, nostro Signore, \i mantenga lungo tempo. Le vostre Lettore circa lo macchie solari hanno messo in desiderio me et al cimi mia amici d’avere un di quei vostri trattati delle cose chi* stanno su l’acqua: però vi prego, con P occasione del S. r Sini, mandarmene copia, non sapendo in maginarsi che. cosa sia questa. Vi prego di gratia a mandarmi ancora un vetro da occhiale, di ciucili che ingrossano, avendone disgratiatuinente perso uno un- m dando a spasso fuor de la città; e rimanendomi il piccolo solo, non *n «he ne fave. Vi avviso come di quelli che mi mandasti ne n dati quattro via, et n'ò cavato qualche fiorinuccio, Cuora d’ogni mia credenza; et vi dico cln di Venetia viene tanti di questi stranienti fuora, et tanto buoni, che è cosa «li stupore, et già son ridotti a vilissimo prezzo: et se quelli che m* avete mandato io l’avessi hauti circa un anno e mezzo fa, averei fatto tiene il fatto mio Pure ve ne resto con ristesso obligo, e da qui inanzi non se ne farà più stima, se però non fossi di tale eccellenza non ancor veduta in queste parti; et non resto totalmente fuor di speranza che ancora n’abbiate a far de’migliori di quelli che avete fatto. Ho, queste mattine adreto, osservato Venere, quale di presente ò tonda. Sa- -•» turno ò desiderato osservarlo, ma non lo cognosco, et per consequenz.i inpossi¬ bile a trovarlo a me: di gratia, datemene qualche avviso. Altro non ò per bora che dirvi. Circa la sanità sto assai bene, per gratia di Dio, con tutti ili casa, quali di cuore vi ci raccomandiamo, et preghiamo a salutar da parte di tutti nostra madre e sorella et tutte le monachine: et di gratia, non mancate scrivermi spesso. Dio, Nostro Signore, vi feliciti. Di Monaco, li 22 d’Ottobre 1014. Vostro A0>° Fratello Michelag. 10 Galilei. Filari: Al molto Ul. r ® et Ecc. mo so Sig. r Galileo Galilei, Matematico del Ser. n1n G. Duca di Toscana. Fiorenza. 11052-10531 5 — 7 NOVEMBRE 1611 . 109 1052 *. GIROLAMO DA SOM MAIA a GALILEO in Firenze. Pisa, f» novembre 1(514. TUbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXIX, u.« 58. — Autografa. Molto 111.™ S. or mio Oss. n, ° Ilo molta pena che V. S. non possa ancora superare la pertinacia del suo male : mi giova bene di credere che sia ridotto a termine, che pochissimo Roggi manchi o niente all’ intera sua sanità, la quale piaccia a Dio concederli, come questo suo servitore li desidera. Circa il suo negotio, non ho fortuna di poterla servire, di che mi duole ; ma mi consolo, poi che V. S. ha conseguito l’intento suo, come barò. sentito dal Padre J>. Benedetto °. Io sono o sarò sempre, di forze debolissimo, ma devotis¬ simo o prontissimo di volontà, a quanto sia di gusto o servitio suo, come ve¬ lo nendo occasioni V. S. vedrà: e baciandoli le mani, con tutto l’affetto li prego da Dio ogni felicità. Di Pisa, a’5 di Nov/* 1614. Di V. S. molto 111.™ S. ro Aflf. m<> S. or Galileo. Girol. 0 da S. ia Fuori : Al molto 111." et Ecc. mo S. or mio Oss. mo J1 S. or Galileo Galilei. Firenze. 1053 **. LUCA VALERIO a FEDERICO CESI [in Acquasparta]. Roma, 7 novembre 1614. Blbl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Mss. n.° 12 (già cod. Boncompagni 5S0), car. 316.— Autografa. .... Non è però tal gusto passato senza scotto di ramarico, causatomi dalla nuova indisposizione del mio Sig. Galileo, molto noiosa, com’ egli stesso mi scrive, oltre a quel eh’ io n’ ho inteso dal Sig. Stelluti. Perchè io non manco di far pregar Dio N. Signore da’ suoi servi, allui cari, che lo liberi da sì ostinata infermità, nemica della gloria del secol nostro ; chè quanto utile al mondo apporti un tale splendore, V. Ecc. ,a sa meglio di me.... “i Cfr. u.® 1065. no 8—12 NOVEMBRI- 1614. 11064 - 1066 ] 1054 . GIOVANNI CIAMPOLI n GALILEO in Faenze. Roma, 8 novembre 1014. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. VII, car. 180. Autografa. Moli’ 111.™ et Ecc. mo S. r " o P.ron mio Oss.""* Perché io non potei, avanti alla mia parien/n, tornare a dotar V S I rr m », vengo bora, subito dopo il mio arrivo, a ricordarle la mia affettuoM- ima «••rviti'i e darlo nuova di me. Il viaggio non ò stato totalmente avverso, havomlo hauto pinogli una mat¬ tina solamente su la montagna di Viterbo: é ben vero dio <11.» ri affrontò ron sì terribile accompagnatura di grandine, vento, tuoni » baleni. < he ne liavemrno la parto nostra; o ben che il cielo si rasserenassi, po’ fiumi e |»«>r I< pianure havemmo elio travagliar fino a Roma. Per gratin di Ino sono arrivato salvo, et anco robusto. Sono dal nostro S. r Cheliino, che fa reverenza a V. S. (Inviamo rasa io su ’1 Tevere, nella Lungara, tal che la finestra della mia camera mi scopro molto nobile prospettiva su la riviera del fiume; e se ben molto inferiore, pur mi fa sovvenire di quella del Canal Grande in Veneti». Non ho per ancora lasciato rivedermi: desidero, conio ella sa, andar a far reverenza all’ K< n S. r Principe C’esis ; ma però la supplico ad honorarmi d’intrnduttiniie con una sua lettera, la quale staro attendendo. K con questo, facondo a V. S. Kcc. ,n * liuniili ima reve¬ renza, le prego da Dio col più intimo affetto del cuore, per gloria ili cote.->ta pa¬ tria e per publico benefitio delle lettere, lunga e felice vita. Di Roma, il dì 8 di Umbro 16U. Di V. S. Kcc. m * S/ Galil. 0 Fir. DevoL 100 et Ohblig. 1 "” Ser. r Gio. Ciappoli. Fuori: Al molto III.™ et Hcc.™ S.™ e P.ron mio Il 8. r Galileo Galilei. 20 Firenze. 1055 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO i„ Firenz., fisa, 12 novembre 1814. Blbl. Naz. Fir. Mss. Uni., p. I, T. VII, c »r. 182. - Auto^raf». Molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. r mio ()ss. ,n0 Mando a V. S. molto 111.™ et Eco.-»' ducento e vontisei previsione elio ho riceuta in nome (li V. S. dalla Dogana ; al bidello; all’altra paga a’incontrarti 4 nel poco di resto! piastre, restante delia una piastra ho data 12 — 20 NOVEMBRE 1GU. Ili [ 1055 - 105 ( 1 ] Quanto a quello elio V. S. mi scrive di Mons. r Bomuiaia, deve sapere che egli scrive" cosi, di non haver liauto occasiono di servir V.S., perdici questa spedizione è stata fatta in nome del Proveditor morto (9) , dove 8. S. rii * Itev. ma non ha clic fare. Ilo cominciato a leggere al S. r Francesco Usimbardi con mio grandissimo gusto, perchè mi son incontrato in un ingegno vivacissimo c docile e di tutto io garbo. Uoggi son stato favorito alla lezzione dal S. r fìalesio (1 \ vecchio molto hono- rato, e da Mons. r Proveditor. 11 S. r Galesio, alla colonna, per lionorarmi, havendo 10 trattato del modo d’ argomentare secondo la permutata proporzione, mi disse che ancora Aristotile ne liaveva parlato in un tale capitolo, dicendo: 4 a 8 c come ICì a -V?; adunque , j prrmutanilo, 4 a 1G è come 8 a 32; et io li soggiunsi che si era servito del medesimo modo ancora nell’Anima, con artificio meraviglioso concludendo che essendo l’intelletto all’intelligibile come il senso al sensibile, permutando, l'intelletto al senso era come l’intelligibile al sensibile: la qual cosa piaceque in colmo a S. S. Ere.™*; e così, offerendo io la pers[ona] mia alla sua nella medesima proporzione elio era la matematica alla filosofia, gli restai servitore. 20 II S. r Pier Francesco Itinuccini è qua in mia compagnia, o studia alla ga¬ gliarda, e bacia le mani a V. S. Nel resto io sto bene, e spero di star meglio: scolari non mancano, o son piegato da’ maestri stessi e lettori, quali desiderano, e sono formate parole di alcuni di loro, di levarsi da questa servitù de’ libri e studiar al modo di- V. S. Ecc."'\ Alla quale mi ricordo servitore obligatissiino e 11 bacio le mani. Di Pisa, il 12 di Ombre 014. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. n,a Oblig - ." 10 Ser.™ e Dis. 10 D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r mio Oss. n, ° so il Big.' Galileo Galilei, p. u Fil.° e Mat. co di S. A. Firenze. 1056 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Roma, “20 novembre 1614. Blbl. Nftz. Flr. Mas. rial., V. VI, T. IX, car. 214. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc."'° S. r mio Oss." ,u Pochi giorni doppo il mio arrivo in Roma, scrissi a V. 8. Ecc. ma una mia, dandole parte di questa mia venuta 4 \ offerendomele per quell’antico servitore <'i Cfr. n.» 1052. i*i Arturo l’ANKoocniKscm t>' Ki.ct. < 3 t Agostino lJAi»t.K£ i. IO Cfr. il.» 1026. 112 20 NOVEMBRE 1614. [10661 ch'io le son sempre stato; della qual lettera mai ho havulu risposta alcuna, e ne stavo con maraviglia, sapendo quanto V. S., e in questo et in ogn altra su» attiono, sia cortese e compita 1 , quando die dal S. r (*i*». 1 latta Bottini, gentilhuomo Lucchese, che veniva da coteste parti, mi fu referto d’ una grave indispoaitiune che V. S. questi mesi adietro haveva havuto, ma che per gratin del Signore adesso si ritrovava in buoni termini : di che ne sia lodato Dio benedetto, che faccia che vadi sempre di bene in meglio. 10 Ho havuto questa posta duo copiose lettere, da me molto tempo desiderate, del nostro S. r Nicolò Fabritii Francese, Signor do Peiresc, in una delle quali mi prega eh’ io voglia darle conto di V. S. e se doppi» al suo Nonno Sidereo ella ha mai più stampato cosa alcuna in tal proposito, e che di gratin tutto quello che si trova del suo stampato io glielo mandi quanto prilliti, scrivendomi che’1 suo Noncio Sidereo gli ha dato per un anno intiero grandissimo gusto nel far l’osservationi di quelli nuovi Pianeti r '. lo questa settimana le mando quelle Lettere maialate ila V. S. al S. r Volsero di lion. meni *, delle macchie del sole, stampate qui in Roma. Quel trattato delle cose che nuotano ««opra 1‘ acque, non l’ho potuto trovare; gliene mando però uno ilio i può dire ohe sia come -0 un compendio di quello, d’ un Giovanni de’ Bardi . stampato que ti giorni pur qui in Roma, donatomi dal P. Ganibergerio, il quale è molto ali» tternato a V. S., e ne parla con tanti encomii che più certo non si può dire M ha detto die a quest’bora in Golstadio sarìl stampato un trattato del sole di Apelle 1 *’, il quale finalmente s’è smascarato, mettendovi il suo proprio nume, emendo un Gesuita. V. S. intende il desiderio del detto 8. r Nicolò: però se, oltre il Noncio Si¬ dereo e le Lettore al S. r Valsero, ella ha dato fuori altro, mi farà gratin met¬ termi su la strada di trovare ogni cosa, acciò possi servire il detto Signore, che, come ella sa, merita molto. so Non so se le sia venuto alle mani un elogio del nostro S. f Fnreii/o Pignori» in lode del Velsero \ il quale ò stato commendato molto e qui e in Germania etin Francia: gliene invio mio, chè se più non l’bavera veduto, o che le sarà caro. Io starò quest’inverno a Roma per servirla. Gabbiamo qui il S.' t’iampnli, vestito in habito presbiterale; e.t il nostro Mons. r Querengo sta benissimo, allegro al solito, honorato ultimamente da S. Santità dell’ habito pavonaz/o, come t>uo XiGtt. 1056. 29. di trovar* ogni un — tuoi, stranie loco eco. Homi no JUnmllUoo. Archili Ansime 0 cc., offert. dicat, don»! CniuaTorHOKUa ScBfctitRR, ecc. Anno Domini, CIDPCXV. Augusta» Viudellcorum. t»pi« Chrirtophori Munrll Cfr. n • 1031 <*• Galileo aveva risposto fin dal 16 agosto cfr. n.° 1038. '*> Cfr. 11 .“ 1048. Cfr. n> 1021. Sol clliptieiu; hoc e»t nrntm et j^rpttvum coli*, contralti soliti, j-hui noi,.a,un, ijucd noviter inveii- 20 - 2G NOVEMBRE 1G14. 113 11050-10571 prelato domestico. Ilorsù, attendi V. S. a conservarsi, e si racordi ch’io le son pi an servitore. Continui ad amarmi et a commandarmi dove mi conosce buono. 40 Dio la feliciti, o le bacio le mani. Di Roma, alli 20 di Nov. 1G14. Di V. S. molto 111.** 0 et Ecc. ma Ser. re Aff. mo Paolo Gualdo. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc.“° S. r Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1057 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 26 novembre 1614. Bibl. No» Fir. Mas. Cai., P. 1, T. VII, car. 1K4. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. n, ‘ Sig. r mio, A stare nel letto io vedrò Giove a nascere, perchè nella casa dove io abito, che è in via Fasoli, ho fatta assettare una stanza giusto a proposito : ma per bora bisogna ha ver pacienza con questi desperatissimi tempi e nugoli Peripatetici. Di nuovo non ho altro che scrivere, se non che V humanista (1) ha fatto il suo principio conforme alla speranza et al gran concetto che di lui si haveva : mi si mostra amorevolissimo, e vole che io legga a certi suoi nepoti. Ilo principiato a leggere a certi Sig. ri Cievoli et altri, e non mi mancano scolari. Desiderarci, se V.S. mi può favorire, un occhiale eli questi piccoli per un gen¬ io tilhuomo, padrone della casa dove io habito: in contracambio mandarò a V.S. due propositioni geometriche, una per il Padre D. Serafino, e l’altra per il primo ordinario, pregandola a castigarle. 11 Sig. r Pier Francesco f) li bacia le mani ; et io la suplico a favorirmi di dire, a Gio. Batta l>) che ho riceuto il vino ben condizionato e T cannone rotto, e clic io sto in via Fasoli, dove potrà indrizzare il piede dell’ occhiale. Facciami grazia ancora di mandare in Badia al Padre D. Adeodato una copia di Lettere Solari, le quali saranno da lui inviate a Piacenza. Mi scusi se son troppo impor¬ tuno, o mi comandi dove mi conosce buono a servirla, che sa bene quanto li devo. ti. Cfr. n.o 1062. Un. 8. ,3 > Cfr. n.» 976, lin. 22, e n.° 981, lin. 27. <*> I’ikr Frakcksco Biroccini. XII. 15 20 NOVEMBRE — 1° DICEMBRE 1014. 114 11067-10681 Attenda a conservarsi in questi tempi, e con occasiono ini ricordi servite»!.* al Sig. p Niccolò Arrighetti e a tutti gli altri Signori, mici padroni. 20 Pisa, il 20 di 9mbre (114. Di V. S. molto lll. ro et Kci\'“ J (Jl»lig. m * S»*r.” »• 1 I>. benedetto Castelli. Monsig. r Sommaia bacia le mani a V. S. Fuori: Al molto Ill. rB et Kcc. ,n0 Sig. r mio ()s*. n, ° Il Sig. r Oulileo Galilei, p.° Fil.° di S. A. S. Firenze. 1058. GALILEO a PAOLO GUALDO in Roma. Firenze, 1° dicembre 1014. Bibl. Marotana In Venezia. Coti. XI.VII della CI. X It . car. 20 — Aotufrafa la Arma. Molto 111.” ot molto Rev. a ° Sig. r Osa.™ 0 Il concetto clic ha V. S. molto 111. 1 * et molto R. J * 1 , del mancare io del vitio di negligenza in dar risposta alle lettere, e mussano a quelle che mi vengono da padroni così cari coinè è Y.S., è concetto vero; et alla lettera che ella mi scrisse nel suo arrivo in Uoina, detti subita risposta 121 , o, se bene ho in memoria, V imliri/.ai all’ iate.v*j maestro de’corrieri di Firenze, acciò fus«e più sicuramente recapi¬ tata: però scusi me, e ne incolpi hi fortuna. L’avviso ch’ella hebbo della mia grave malattia dal Sig. bottini, fu pur troppo vero, e tale dui per ancora me ne risento, e ine ne io risentirò per un pezzo ; e come V indisposizioni passate mi hanno ri¬ tardato et impedito il finire e pubblicare alcune mie opere, cosi temo che il continuarsi le presenti mi ritarderanno la medesima esecutione: però al Sig. Fabbritii 1-1 non ci è al presente da mandargli che 1 mio trattato delle cose che stanno su 1’ acqua, del quale gliene invio una copia, acciò lo habbia assoluto e non tronco. In breve se gli potranno «*» Cfr. n.° ior.0. Cfr. d.o 1038. Niccotd Farri di I‘kikkrc. 1° — 3 DICEMBRE 1614. 115 [1058-10591 mandare le risposte ad alcuni oppositori che mi scrisser contro in questa materia li' elogio del Sig. Pignoria ini è stato gratissimo, se bene dal- 20 ristesso autore fui favorito di due copie (2) . Facciami grazia con la prima occasione di far riverenza in mio nome al I\ r " Granbergicro, assicurandolo che io gli son vero et affe- tionato servitore et ammiratore della sua bontà e virtù ; e preghilo, Bicorne io ne prego V. S., che come prima arrivi costà la nuova scrittura del finto Apollo (:|) , ma ora smascherato, me ne faccia parte. Godasi la eonversationo del Sig. r Ciampoli, la quale non potendo io ])resentialmente godere, insieme con quella di V. [S.], mi consolerò che la mia idea la goda essa nel loro cortese af[fetjto e grata me¬ moria. Con elio gli bacio le mani, e me gli ricordo servitore di cuore. so Di Firenze, il p.° di Xmbre 1614. Di V. S. molto 111.” et molto R. da Affet. mo Ser.” Galileo Galilei. Fuori: Al molto IH.” et molto Rev. do Sig. r et P.ron Uss. mo Il 8ig. r Paolo Gualdo. Roma. 1059 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pi8a, 3 dicembre 1614. Bibl. Nnz. Fir. Miis. «ini., 1’. VI, T. IX, cur. 220. — Autografa. Molto III.” et Eoe."' 0 Sig. r mio, Mando a V. b. Ecc. ma una constituzione de’ Pianeti Medicei, non ne li avendo potute far altro per la sceleratissima constituzione de’ tempi ; non già che ogni mattina non sii in piedi allo dodeci bore, quando a punto Giove si leva. Vero 6 che, non so per qual cagione, con gran fatica li distinguo, ancorché io adoperi il mio occhialo: Torsi deve essere per la gran lontananza, crepuscoli o vapori. Quella mattina che fu la congionzionc di Venere e di Giove, non mi fu mai pos¬ sibile il vedergli : tutte le altre mattine il tempo è stato nugoloso. <») Cfr. Voi. IV. png. 451 o seg. !■' Cfr. u.° 1083. U) Cfr. ii.» 10ÓG. 116 8 DICEMBRE 1614. 110591 La constituzioiiG è stata questa: 1). 3, h. noe. seq. 13, m. 13. io , i-t- or. # oc ‘ 4 La più remota orientale mi ò parsa congionta con un' altra, ma ne sto in dubio. Non mancarò osservare con quella maggior diligenza sarà possibile, e no mandalo, se mi servirà il tempo, le costituzioni per ogni ordinario. Quanto a quella lettera del Sig. r Agostino Seta, scrissi già a V. S. por un car¬ rozziere che non si trova in reumi natura, nò questi signori Pisani conoscono chi sii Agostino Seta: però la lettera ò appresso di me, e starò aspettando ordine da V. S. La mia scola cantina bene o in publieo e in privato, e séguito con il S/ Fran¬ cesco Usimbardi, quale va ancora insegnando al fratello. 11 Sig/ Ottavio Ciani- poli ha resulto il problema de’ due circoli etr. con un modo facilissimo, che ò ro questo : Piglisi il punto g, et alzisi la gc perpendicolare alla ah, eguale alla gb, e descrivasi il circolo chi, centro// e intervallo gb, e producili*! cg in d; tirata la linea ac, dividasi in parti eguali in e, e sia >f perpendicolare alla ac; da f alti punti c, d siino ti¬ rate le linee fc, fd, quali saranno eguali alla fa : o perciò, fatto centro f, descritto il circolo con so l’intervallo fa, sarà fatto. Io poi ho ritrovato un teorema, con la sua demostrazio ne, quale mandare al P. D. Serafino. V. S. Lec.' nf ‘ lo vedrà, et emenderà dalli errori. Nel resto séguiti ad amarmi, e mi comandi. Pisa, il 3 di Xmbre 1614. Di V. S. molto 111/" et Ecr. m * Oblig. mn Ser/" e Dis> I). Benedetto Castelli. Fuori, d’altra ninno: Al molto 111/" et Kcc. mn Sig.° r mio Oss. mo Il Sig/ Galileo Galilei, p. mo Philosopho di S. A. S. Firenze. 40 Xi8tt. 1050. 93-24. c tntro gb, « produchi$i _ LIMO] 6 DICEMBRE 161 i 117 1060 *. GIOVANNI TARDE a GALILEO in Firenze. Roma, 6 dicembre 1614. Bibl. Naz. Fir. Msa. Gal., P. I, T. VII, car. 186. — Autografa. lllust.™ 0 ac Clariss.® 0 Viro Domino Domino Galileo Galilei, rerum mathe- nvaticarum peritissimo, Ioannes Tarde, Canonicus Ecclesiae Sarlatensis in Aqui- tania et earundem inatliematicarum studiosus, S. Luetor et magni perpendo, diarissimo Vir, tanto numero a Deo Optimo Maximo me fuisso donatuin, ut in itinere meo Italico Dominationem Titani potili videro et per quosdam dies alloqui, et ab eadem multa nova et praeclara viva voce discere l '\ Multis spero me narraturum humanitatem tuam ingeniumque tuurn, de matbemuticis tara bene meritum. Quem Florentiao dedisti libellum de niaculis solis, legi ot porlegi Iiomae maxima cum delectatione, et spero mecum in Gal¬ lo barn deportare, ut ipsuin Douiinus Robertus Balforeus videat et legat. Caetermn recordor tibi dixisse Florentiae, nos esse Roma© mansuros per duos menses ; sed quia ob aliquain causam cogitnur discedere, et re vera sumus discessuri circa lineili liuiiis mensis Decenibris, volili te monifcum esse quod si praefato Domino Balforeo es responsurus illiquo missurus literas, perspicillum aut aliquid aliud, necesse est ut ante diera Natalem, idest ante finem liuius mensis, mittas : si enim in principio lamiarii Romani appulerint, invenient nos iter arripuisse versus na¬ talo solimi. Valetudinem tuam interim cura, ut mathematicarum studiosi te tuisquo observationil)U8 et inventis diutius fi ni valeant. Romae, die 6 Deceinbris 1614. 20 Tuae Dominationis Devotissimus Ioannes Tarde, Canonicus tlieologus Ecclesiae cathedralis Sarlati, in provincia Burdigalensi. Dirigantur et suscribantur. si placet, litterae Dominationis Tuae: Al S. nr Ma- thurino Le Paintre, sullicitatore, in Poma, alla calata di Monte Citarlo, appresso il barbiero. Fuori: Al molto Illustre Signor Il Signor Galileo Galilei, nobil Fiorentino, Filosofo e Matematico Primario del Serenissimo Duca di Toscana, in so Firenza. (, 1 (Jfr. Di Giovanni Turile e di timi tua visita scienze matematiche e fisiche, Tonio XX, png. 345- a Galileo dal 12 al 15 novembre 1614 por Antonio 371). Roma, tip. dolio acieuzo matematiche o fisi- Fayaro (BulUltino di biblioyrajìa e di storia delle che, 1887. 118 13 DICEMBRE 1611. i 1061 ) ioni. PAOLO GUALDO a GALILKO in Firenze». Roma, 13 dicembri' 1614. Blbl. Naz. Fir. Mas. Hai., V. VI, T. IX, rar. 225. AuU.jci.afa. Molto 111.™ et Fec. n '° S. r mio ()ss.'"° Ilo reccvuto la gentilissima lettera di V. S. Mi rincresce nel cuore 1»* sue in- dispositioni : piaccia a Dio benedetto di riconvalidarla, acciò possa con le dottis¬ simo et honoratissimc sue opere render celebre, come ha fatto sinhoru, questa nostra età. Io ho recuperato il libro 11 dalle mani del corriere : sto aspettando di giorno in giorno alcuni marinari Francesi, per li quali rinvierò al S. r Nicolò Fabricii insieme con alcuni altri libri. Non mancherò anco di farei complimenti di Y.S. con ’l Padre Gambergerio, et intenderò a che termine stia l’opra di Aprili* fuori della tavola (f> . i° Son spesso con ’l S. r Ci am poli granosissimo, con mio grandissimo gusto: spero anco poterlo godere più frequentemente, haveuduini dato intentione di pi¬ gliar stanza in queste nostre contrade. Li nostri amici di Padova stan tutti bene, eccetto il Leni , clic sta travagliato per cotesti vostri SS. ri Cruscanti. Voleva mandar fuori il suo commento sopra la Gerusalemme del Tasso, con altre sue opere; ma questo accidente l'ha talmente mortificato, elio si credo non no fari altro ‘. Mi rincresce, perchè poneva V. S. in necessiti di dar fuori ella ancora le argutissime o dotte sue postille, fatto sopra l’istesso auttore w . Mi scrivono che l’Acquapendente w stava nel lotto con febre; e pochi giorni so sono mori il medico Tarquinio Carpanedo. L’accidente del Doni ha cagionato un poco di danno al Dottor Livello il quale ora deputato dalla Itepublica a rivedere li libri die si stampavano in Pa¬ dova, con previsione di 150 V‘ ,> ; e perchè ha lasciato passare l’opera del Leni, l han cassato dal detto otficio, et hnn fatto una parto che de carierò non si possi più stampar opra alcuna in nissuna città del Stato se prima non si mandi la copia di tal opra da esser rovista a Venetia : cosa eh'è di grandissimo travaglio "I Cfr. 11 ." 1058. '*1 Cfr. 11 ." 1056. < 3 ' Cfr. il." lOCO. <*' 11 «oimnonto dei primi dieci canti dulia fì<. niialcmntr usci alla luce noi 1616, sotto il titolo: Il Goffralo ovcro la QieriuaUmme Liberata dd laatìo, col commento del linai »*.*« In Padova, por Francesco BoUotta. I' anno M HC.XVI. 1,1 Cfr. Voi. IX. pa*. 12. 1,1 OlMLUCO FA HRI7.10 u'AOQL'ArEKDMTK. ,7) Ottavio Livello. 13 - 19 DICEMBRE 1614. 119 [1001-1062] e longhezza per quelli elio facevano stampare in detta città. Hor veda V. S. a quanti ha fatto e danno e dispiacere il Itene con questo suo Cavalcanti 0 ’. E que- 80 sto basti per risposta della cortesissima sua lettera. lo mi tratcnirò qui tutto questo inverno: s’io posso servire V. S. a cosa alcuna, si degni commandarmi. I\lons. r Vescovo 0 ’ sta bene, e la saluta caramente. Dio doni a V.S. compita saniti! e felicità; c con ogni alletto le bacio le mani. Di Roma, alli 13 Xmbre 1014. Di V. 8. molto IH.™ et Ecc. ma Di gratin, V. S. mi faccia un giorno sapere qual¬ che cosa del S. r Giuliano de’Medici; c se li scrive mai, non si scordi farle a mio nome un affettuosis¬ simo baciamano, vivendole gran servitore. 40 S. r Galilei. Fuori, d'ultra mano: Al molto 111.™ et Eco.™ 0 Sig. v mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. WlfC tumido 1062 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, il) dicembre 1014. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. VII, cnr. 190. — Autografa. Molto 111.™ et Eco." 10 Sig. r mio Col. 1 " 0 Ali scordai per l’ordinario passato scrivere a V.8., che finalmente liaveva ritrovato che il Sig. r Agostino Seta è morto : bora gli ne do nova. Ilo fatto quanto V. S. m’impose col Sig. r Michel Angelo Bonaroti, e mi disse clic voleva scrivere. Spero di mattina osservare Giove, e gli mandarti le costitutioni. ih li Cavalcanti, onero La tlìfcsu dell’Anticritica Francesco Bolletta, MDCXIY. — Sotto lo pseudonimo ili Michelangelo Fonte. Al Sereniss. e (ieuerosias. di Mjchki.anuklo Fonte si nasconde il Beni. Granduca di Toscana Cosmo II ccc. In Padova, per Marco Antonio Counarq. 120 19 DICEMBRE 1G14. [1062] Quanto alla mia scola, cantina tanto bene che é troppo. Ieri principiorono a sentirmi privatamente tre nepoti del Sig. r Giulio Bulingiero, huinanista di questo Studio, giovani, per quanto posso conoscere, di molto garbo; v mostrano «1 ea- sere spiriti elevati. (ìli Sig. ri Usimbnrdi seguitano al solilo, »• larari passata straor io dinaria, con mio sommo contento. Leggo al Sig. r Cap." Ottavio Adami e duo altri (Jav. ri di Palazzo. Parimente un nipote del Cav. Giustiniani sente Iettioru* privata. In oltre ho una scola di gentilhuomirii (pia Pisani, in modo che non mi manca occasione di faticare; e ogni giorno cresce il numero di scolari. Questa sera ha presi i punti per dottorarsi il S. r Ciio. Latta Itinumni. «piale s’è degnato favorirmi e nella publica lettione e con privati comandamenti: di mattina si dottorala. Quanto al Sig. r Galesio 1 , legge con molta sodisfazione do’sco¬ lari, e mostra nella conversatione d’essere un honnratLsimo sugetto: ho sentite diverse sue lellioni, e S. S. riil s é «legnato aldina volta honorar la mia bassa scola con la sua presenza. 20 Quest 1 huruanista ha eccitato grandissimo concetto del fatto suo, «t *■ per dare gran sodisfazione: si mostra assai affabile e domestico nel trattare, man¬ tenendo pure il suo grado e riputazione. Io ho .sentite diverse sue lettomi, delle quali ancorché da me non ne possa dare giuditio, tuttavia da olii intende le ho sentite a lodare in sommo. A ine dispiace non poterle frequentare, per essere occupatissimo nel mio scrvitio particolare. È gionto questa sera il Sig. r Marchese Botti . Altro non ho «li novo. 1<> vivo suo servitore obligatissimo, e me li raccomando in grazia, pregandoli ogni bene. Pisa, il 19 di Xmbre 014. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. raB so Saluto carissimamente Gio. Batta 1 , quale prego che intenda dal S. r Secretar io se é venuta risposta a S. A. per il P. D. Flaminio, e mi dia nova del S. r Enea l%) . Il Sig.' Pier Francesco ltinuccini li fa riverenza. Devot. mo c OMig. wo St»r." 1). Ben ed. 4 Castelli. Fuori: Al molto 111."» et Ecc."'° Sig. r min Col.“° Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Fil.° e Mat. co di S. A. Firenze. £0 Lott. 1002. 2ò. A mt ditpiat — OI Cfr. n.o 1055. (I ) Matteo Botti. «*> Cfr. n.» 976. fin. 92, c n.«* 981, lin. 27. O» Kkka Pi eoo w mi xi. [ 1003 ] 20 DICEMBRE 1614. 121 1063. GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI in Pisa. Firenze, *20 dicembre 1G14. Galleria e Archivio Buonarroti In Firenze. Filza 48, Luti. U, dir 1)83. — Autografa la firma. Molto 111.™ Sig. ro et P.ron Oss. mo Ho preso dalla gratissima lettera di V. S. quel contento maggiore die si può ricevere no i casi tanto pericolosi e di speranza così dub¬ biosa; la quale puro si fortifica in me per la confidenza nella divina grazia, nella gioventù dell’ infermo o nella diligente cura di loro che gl* assistono. K voglio credere, poi ciré da quattro giorni in qua non si senti 1 qui altro di nuovo, che il Signore suo nipote sia a que¬ st’ ora in stato di sicurezza. Resto poi sommamente obbligato a Y. S. per la replicata e cortese io offerta della sua villa ,n , la quale ricevo e godo per ora con l’animo e col pensiero, con speranza di goderla anco in breve con la pre¬ senza corporale e con mio notabile benefizio; e se diversi impedi¬ menti non mi tenessero occupato, già ne Laverei preso ’1 possesso. La ringratio de i particolari scrittimi, attenenti al Padre D. Be¬ nedetto et a cotesto Studio. Feci i suoi baciamani a questi Signori, li quali le rimandano multiplicati, et in particolare il Sig. r Giraldi qui presente a favorirmi con la solita sua cortesia ; e tutti aspettiamo con desiderio il suo ritorno, sì por goderla, come per tirarsi in coli- sequenza il line e mancamento della causa molesta che lo trattien l>o costì. Con clic bacio con ogni affetto a V. S. le mani et al Sig.™ Man¬ fredi Macinglii, e dal Signore Dio le prego felicità. Di Firenze, li 20 di Xmbre 1G14. Di V. S. molto 111." Affet. m0 Ser. re Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111." Sig. r et P.rn Oss. mo Il Sig. r Michelangelo Bonarruoti. Pisa. •*» A Sottlgnftuo. <*> Iauoi‘0 Giraldi. XII. 13 m 24 — 31 DICEMBRE 1614. LÌ004-1065J 1064. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze! Acquusparta, 24 dicembre 1614. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal. P. I, T. VII. car. 102. — AutograA il poscritto u la aottuacririon». Moli’ III."* et molto Eoe. 10 Sig. r mio Oss.** 0 Sento particoìar contento vedendo le gratissimo di V. S., coni’apunlo è stato al ricever ch’io ho fatto l’ultima sua del primo del corrente; all'incontro poi ho sentito grandissimo disgusto d’intender ch'ancora non si sia rihavuta dalla sua indispostone, peroiochò conosco esserle molto più necessario attendere alla recupcrationo della sanitil ch’alia fatigha de'studii, qual facilmente può « er cagione di tutto il suo malo: e però, concorrond’aneli’io con '1 parer de’ me¬ dici, laudo elio V. S. lasci un poco questa fatigha da banda. Mi dispiace anco sommamente esser fuori di Roma, per non poterla servire come desidera; tut¬ tavia procurar» far con lettere quell’officio che far rei a homi se meri trova te io presente. Vi ci si aggiunge maggiore il disgusto per non poter conoscere il S. r t’iam- poli, che P havrei visto veramente molto volontieri: non dimeno resto con desi¬ derio particolare di conoscerlo et offerirmele pronto ad ogni suo servigio. Ancor non ho visto il libro ch’ella mi scrivo: se mi capitani per le inaili, oprarò anco che V. S. ne sia provisto. Altro non ho da dirli per risposta della sua: solo baciandoli per fine le mani, lo prego dal Nostro Signore Dio ogni contento. D’Acq.‘ a , li 24 Xmbre 1614. Di V. S. molto 111.™ et molto Ecc.** Procuro il libro, con sete di vederlo e servirne V. S. Bacio le mani alli S. rl liidolii e Pandolfini con no tutto l’animo. Mi faccia ha ver nuova di *0 e mi eummandi. Alì>° per sor. u sempre F. Cesi Jane." P. 1005**. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. I Pisa,] 31 dicembre 1614. Blbl. Naz. Pir. Mss. fluì., 1*. VI, T. IX. car. 227.— Autografa. Multo Ill. ra et Ecc.™° Sig. r mio Col. m ° Non mando osservatami a V. S., perchè le signore nugole non vogliono, e qua le mattine de quei pochi giorni sereni passati son state tenebrose per certi Lett. 1084. 3. io /utto — 31 DICEMBRE 1614. 123 [ 1065 ] nebbioni che in’hanno impedito 1'osservare. Pure a’26 del presente, la mattina, a li. 13. 15’, viddi Giove in simile stato. Lo misure sono semidiametri dal cen¬ tro di 2f. ‘J. 20 0 ""« -_~ -—* -1 B 4 0 D. SI, in mane, ho. li . lo. 1.80 Questa sera mi dà speranza per di mattina. Quanto a quelli ladroni e vota borse etc.. delli matematici, non so che dirgli, io Per quanto ho inteso, il P. Lorino (l \ che si ritrova qua, V ha sentita male che quel buon Padre ,a) si sia lasciato trascorrere tanto. Ma sia come si voglia, sup¬ plico V. S. a far intendere con la prima occasione a S. A. S. m * che il numero de tali ladroni mi va tuttavia moltiplicando in modo, che non mi potrò partire punto questo carnevale, ma sarà necessario che io resti qua, massime che ven¬ gono da me, oltre a’ soliti scolari, molti Cavaglieli di S. Stefano; e spero di rav¬ vivare questo studio delle matematiche, già quasi morto: e forsi questi signori avversami, che io havevo qua vicini, quasi restano riverenti, se non capaci delle nostre ragioni. Tra tanto mi dispiace ben sopra modo che l’ignoranza d’alcuni sia in tal colmo, che condannando scienze delle quali ne sono ignorantissimi, li 20 diino attributi dello'quali simili scienze no sono incapacissime, conoscendo ogni mediocre intendente che non si dà disciplina più lontana dall’ interesse c da’ ter¬ mini empii, quanto lo matematiche. Ma pazienza, poi che queste impertinenze non son le prime nè l’ultime. Io li bacio le mani e me li ricordo servitore al solito, dandoli il buon capo d’anno. L’ ultimo di questo 1614. Di V. S. molto III.™ et Ecc. m * Oblig. mo Sei*.* 8 D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo Sig. r Col." 10 so II S. r Galileo Galilei, p.° Fil.° e Mat. co di S. A. Firenze. <’> Niccolo Loriki. i s > Tommaso Caccini. 121 DICEMBRE 1014 - GENNAIO 1015. [ 1000-10071 106G*. OTTAVIO PISANI a GIOVANNI KEPLKU in Lina. (1611). Bibl. Palatina in Vienna. Mss. 10708, car. 90-01. - Aut.frafa. .... Mea Astrologhi (,) iarn «ubbia est, et inserìpta Serenissimo Mastio Aelruriao Duri, mediante favore Domini Galilei: ego appello Galileum eoelestem Amrrirum. Metta glolms plnnisplmericus, coeleatia et. terrestri», iam din prodiilit in lucera, et inscriptuH est Serenissimo nostro Alberto Arclmluci Anatrine- Quoti dicis, quoti veroria quoti actum agam in tbeorica Inviali» mutua, crede mi militili : nani ego delincavi tbeorica Iovis in huu orbium ayiumetriu, et circa dianietrum epicycli atlditli circuluin, in quo quatuor erronea circa Iovem, satrllitii instar, incedere ac stare delineo; et sic ctiam scripsi Domino Galileo, et miai librimi ad Screnissinium Magnum Ducem. Galileus mihi scripsit, quoti veretur, unicum circulum non mfliccrr ominbua ap- parentiis: ego rcsponclidi quoti inacquaiitates tlieoricae Iovis et unns ili»' rirenlu* omnes io apparentias salvat, scu exprimit; hoc autem clariua videbis in libro. Quoti dici» do opho- meridibus Galilei, nil sane autlivi : poto autem quoti, ai quid novi crii, ip** 1 Gali hit» mihi scribet.... 1007*. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenzi. lAcquaapartn, dicembre 1611 — gennaio ltllò.| Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 111. — Aut iurafii. Molt’IU. ra e molto Ecc. 10 Sig. mio ()ss. ma Dopo alcuno digressioni di piccoli viaggi 1 ino no son vomito a trattenermi un poco in Acquasparta, sì por sodisfattione di questi miei sudditi, come anco por fuggir alquanto lo distrattioni Romano o godor di filosofico o salubre diporto. Qui m’è giunta la sua gratissima, o in’ lui recato non poco doloro intenderò nuova malattia ove bramo sentire sanità; o li travagli et inquietudini di mento chele danno fastidio, creda pure che affliggono me anco in un istesso tempo, poiché vorrei vederla e sana e quieta e colma d’ogni felicità. Drogarti N. S. Dio che, conforme al suo o mio desiderio, glie la conceda, e WS. che, conoscendo ch’ili qualche cosa io possa servirla, mi commandi, oliò me ne farà gratia particola- io rissima, e non cessi di farmi haver nova di sé spesso. di Cfr. u.o 909. «*» Cfr. n.° 1017, DICEMBRE 1614 — 2 GENNAIO 1615. 125 ( 1067-10681 Fu concluso (lai S. r Stelluti, nostro comm uno procuratore, partito con un libraio (l) [che] pigliasse sopra di sè i libri elio si stampavano dalla nostra filo¬ sofica compagnia, acciò, a publico utile de’ studiosi, eliminassero e l'ussero tra¬ sportati e distribuiti per tutto, cbò altrimente ne dormiva la maggior parte. Questo pigliò sopra di sè i libri delle macchie del sole, e credo almeno n* li abbia ancora quasi un migliaro da dar via, e se n’è andato a negotiar in Venetia. Sarà necessario, avanti che si ristampino latini, darli un poco di tempo di spedir più avanti questi ; altrimente non servirebbe. Subito che sarà tornato, intenderò e 20 sollecitarò. Ma si potrà subito por mano a stampar quelli delle cose stanno in su P acqua, tradotti, chè non havendo il libraro che fare con i volgari, farà il debito. Venuto che sia, ne avisarò V. S., desiderando grandemente che, a com¬ modo et utile di tutta Europa, escano quest’ opre, e particolarmente essendo la traduttionc d’esse del S. r Pandolfini (5) , che non poi esser se non Follissima. Questi S. ri compagni stanno tutti ferventi nelle fatighe delle compositioni ; et io, per compir alcune mie esercitationi et operette, ho procurato rubbar un poco di quiete col ve.... lS) 1068*. NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC a PAOLO GUALDO in Roma. IRoquebnme], 2 gennaio 1615. Bibl. Marciana in Venezia. Cod. LXVIIJ della Cl. X It., car. (M. — Autografa. .... Starò con inqmtienza grande aspettando il nomo di quel finto Apollo, clic molto mi dilettò nelli suoi raggionamenti col S. r Velsoro, et d’intendere che nuova osscrvatione haverà fatto il 53/ Galilei, riavevamo veduto et osservato la Venere falcata avanti che fossero stampati i libri suoi Ù> et del Keplero (D) , et molte altre curiosità celesti, anzi il moto intiero de’ Rianeti Medicei; ina havendoci noi ricognosciuto qualche irregolarità, elio voleva maggior assiduità et conlinuatione in osservare elio non permetteva la profleasione che facciamo, bisognò lasciar ogni cosa. Se havessimo la continuationo delle osservationi fatte da lui doppo l’editione del suo Sidereo Nulitio, et che le potessimo conferire con quelle di questo bande, forai elio non gli sarebbe inutile_ »*» Cfr. n.o 995. i s ' Filippo Pandolfini. Circa la traduzioni) dolio Gnlloggianti di Filippo Pandolfini, cfr. A. Favaro, Documenti inediti per la storia dei Manoscritti Gali¬ leiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze noi Bidlct• tino di bibliografo c di storia delle scienze matematiche e fisiche, Tomo XVIII, Roma 1885. pag. 20, nota 1. < a > Qui termina il primo foglio dolio lettoni, o nei Mas. Galileiani non è il resto. Si sarebbe indotti a pensare elio il secondo foglio fosso staccato dal primo fin dal tempo eli Galilro, poiché questi scrisse sul tergo ilol primo foglio « S. 1’. Cosi », cioè quella notazione ilei nome del mittente ch’egli per abitudine segnava sul di fuori delle lettore, accanto all'indirizzo (cfr. Voi. X, pag. 10, nota 5). Sotto a < S. P. Cosi » si leggo d’altra mano < XXX Gon. », la qual data però, elio ignoriamo da olii sia stata soggiunta, non sembra si possa assegnare alla lotterà (cfr. n.° 1071). ( *> Cfr. Voi. IV, pag. 63 ; Voi. V, pag. 98. GENNAIO lliló. |. 1009 | 1069**. BENEDETTO CASTELLI a (ìAI.ILEO in Firenze. Pisa, gennaio H'I.V Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal.. I*. III. T. VII. 2. car. *6. Aulo/rafa. Multo 111. 1 " et Erc. mo Sigr. r mio Col."* Mando a V.S. questo tre onnstitutioni, osservate rnn qualche difficoltà di vapori e fumi sollevati la mattina, sì come ò stato aucnr.i nello altre oshervationi. Forai in quella del giorno del presente haverà occasione di rincontrar meglio la prima vicina a Giovo, la quale, se non in’inganno, Punica orientalo D. .9, h. U . 20'. I). 4, fi. 12.40'. D. 5, li. 14 . 20'. _ 9 2 —o 11 » 7 5 * Questa mattina non in’è stato po.àlide veder meno Giove. Qua ò stato il Sig. r Vincentio Salviati e Sig/ Filippo Pandolfini, <« di già son io partiti per Firenze. Il Sig. r Michelangelo 1 parte dimani. Il Padre Abbate di Badia m* invita, anzi mi prega, eli.- io mi trasfi i isca sino a Firenze per suo servititi. Veda V.S. a che termine vengano finalmente le cose Se fosse possibile, verrei volentieri, per miei negl. tu ancora, avanti S. Antonio. Tengo lettore del P. D. Flaminio, elio il Padre Grillo ha scritta una lettera di bo¬ llissimo senso al Procuratore in Roma per conto mio, e mi s’olìcrisce a tenerla totale protettione dello cose mie. Le mie faconde caminano sempre al meglio, quanto alle fatiche, dico, e su- getti a chi servo. Del nostro Dottor Greco non ho scrìtto, perchè à caso di compassione; ma già elio V.S. me ne ricerca, deve mpcr questo solo, che egli 20 ha ogni giorno visioni di Santi e Sante, con tante revelationi che A un piacere: ma perchè toccano di pazzie troppo solenni, non le scrivo. A’ giorni p.wsati vo¬ leva dir messa in Duomo, come sacerdote della Madonna. Io son alle mani con il Padre Predicatore de’ Rcrnabiti, affezionatissimo alla dottrina di V. S., e m’ha promesso certi passi ili S. Agostino e il’altri Dottori , * 1 Giorgio Corra io. Clr. Voi. IV. 4M, Un. 1B-.IO. Ut Miohki.anoki.o Buonarroti. Ufr. u.« 10G3. <*» Ufr. 11 ii.i *J4ó, 017. (I — 10 GENNAIO 1615. 127 [1069-1070] in confermatione del sentimento dato da V. S. a Giosuè (,) . Quando gli bavero, li manderò ; in tanto attenda a risanarsi, e vada in villa. Noi qua liavemo come una primavera. Li bacio le mani e me li ricordo obligatissimo. Pisa, il fi di Gen.° 1615. 30 Di V. S. molto ili. 1 ' 0 et Ecc. n,!l Oblig." 10 Ser. ro D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Col." 10 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, p.° Fil.° e Mat. co di S.A. Firenze. 1070. LUIGI M Alt AFFI a GALILEO in Firenze. Roma, 10 gennaio 1015. Eibl. Naz. Flv. Mss. Gal.. 1’. I, T. VII, cnr. 103. — Autografa. Molt’ IU. ro Sig. r mio Oss. mo Dello scandolo seguito (,) n’ ho sentito infinito disgusto, et tanto più che Fau¬ tore n’è stato uno frate della mia religione (1) , poiché per mia disgratti a sto a parte di tutte le bestialità che possono fare et che fanno trenta o quarantamila frati. Qua volò subito la nuova, non pure dal 1*. Antifossi' 0 , ma innanzi da due diversi gentillmomini. Ancora che io sapessi la qualità dell’huomo, attissima a essere smosso, e le condittioni di chi F ha forse persuaso, ad ogni modo non harei creduta tanta pazzia, tanto più clic il medesimo P. Antifassi mi dette certa speranza che non Farebbe parlato. Qua chi lo porta ha per male che si sia sparsa, io et clic universalmente a’ buoni et savi sia dispiaciuta, dubitando che non gli sia inpedi mento di servire il Sig. r Cardinale Arrigoiie (5) di teologo, come intendo che trattavano suoi amici et parenti. Pigline informattione dal Cardinale Giustiniano \ che essendo legato a Bologna, et il medosimo predicando in S.° Domenico, lo fece ricantare a forza di birri per una simile scappata fatta in pergamo. Ilor di questo non più, per non dire qualche cosa che non convenga, dovendo io pigliare exempio da V. S., che me ne scrive due versi soli, con tanta modestia et temperamento come non toccassi a lei. Se io eccedo, sono degnissimo di scusa, come et per lettere et a bocca ho detto altrove, parendomi che il farlo sia sacrifittio a Dio, almeno per non aprire una porta che ogni impertinente dica tutto quello che gli 20 detta la rabbia di altri et la pazzia et ignoranza propria. Hi eIV. Voi. V, pag. 2S5-288. itati» adtpicicnUt in coelumf , non abbiamo Innato. 1*1 Cfr. nn. 1 1060, 1071, o cfr. pure Lettore inedite < 3 > Tommaso Caccini. di uomini Muniti, In Fironzo, MDCCLXXIII, nella Vinornzio Antifassi. stamperia di F. Moilcke, png. 47, nota 1. Ricordo più < Bl I’omfko Akrigonj. antico della famosa invettiva: l r ir» Guliluci, quid /n/i>««/.W d* la renai»- coni r over già con l'Inquisitone dì Padova e di linoni tane» rn Italie ('V».irr t'munitimi, par L4 Ma- (Atti della R. Accademia dei Lincei, Anno CCLXXV, Bii.MtAD. Parie, iibrsirio llaehettu et C.‘«, ISSI, 1377-TS, Serio terza, Memorie (lolla classo di scienzo pag. 819 366. 12 GENNAIO 1G15. 129 11071] punto, attendere a rihaversi bene, per compire poi le sue opre o darle al mondo a dispetto loro : che se poi sanno o pretendono, escano fuori a far veder a’ dotti le lor raggioni ; il che non ardiranno, o faranno in proprio vituperio. Intanto sentirà più a pieno il mio parere circa il reprimere la loro esorbitanza et iniquità, o far risentimento conveniente e giusto. Mi dispiace non esser in Roma, nò in stato di potermici trasferire per adesso, chè potrei, circa il negotio che mi scrive, tastare con destrezza, et oprar poi, se¬ condo trovassi riuscitale a sodisfattione, con ogni efficacia. Intanto non mi sov- vien partito come vorrei io. V. S. consideri il tutto, e risolvendosi m’arisi, et in che so devo fare il mio sforzo; e mi commandi alla libera quello li paresse, facendo conto che le sue o prosperità o travagli sono con me communi, et io le son sempre obligatissimo e prontissimo a servirla. N. S. Dio le conceda l’anno nuovo con altri moltissimi appresso felicissimi : con che bacio a V. S. affettuosamente le mani. D’A. ,a , li 12 di Genn. 0 1615. Di V. S. molt* III." V. S. ha tre mie in un tempo, e le mando Fanello per il S. r Pandolfini. Delle sottoscrittioni già V. S. ha la forma e grandezza. Li potrà dar copia delle cose attinenti, e significar alla sua cortesia il sa- 30 lutar tutti i S. ri compagni, come ò solito et ulti¬ mamente ha fatto il S. r Mirabella. Aff. 11,10 per ser. ,a sempre F. C. Line. 0 P. Fuori : Al molto 111.™ Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei L.° Fiorenza. Conosco la sfacciatagine estrema di chi 10 ha ardito parlare coni’ella m’ha riferito, et è certo cosa degna d*ogni risentimento; ma dubito, stante le cose della Corte e maneggi simili, che non si cavarà quanto bisognaria dal risentirsi, •io e l'orsi si darebbe più ardire alli altri, mentre non si negotiasse con molta cautela. Quant’ all’ opinione di Copernico, Bellarmino istesso, eh’ è de’ capi nelle con¬ gregatone di queste cose, m’ ha detto che P ha per heretica, e che il moto della terra, senza dubio alcuno, è contro la Scrittura : dimodo che V. S. veda. Io sempre son stato in dubio, che consultandosi nella Congregatoli del’Indice, a tempo suo, di Copernico, lo farebbe prohibire, nè giovarebbe dir altro. Quanto all’liaver biasmata e vituperata generalmente la matematica e’ma¬ tematici, questo sì che forai castigarebbono; ma si devono considerar più cose: O) Tommaso Caccini. Cfr. un. 1 10G5, 1070. XII. 17 130 12 GENNAIO 1615. [1071] Prima; la religion della persona in questi fatti giudica t* dispone, e V un P filtro più presto s’ aiuteranno et scusaranno. Seconda; con la prima, che giudicaranno facilmente haver detto con ragione, r,o scusaranno la seconda, come transportato un poco più oltre da ferver soperchio. Terza; elio il castigo elio se no potesse cavare, sarebbe poco <• segreto. Pure si potrebbe cautamente procedere in questo modo: llaver fede da quattri o cinque liuomini, in questo genere non scienziati, che provassero che questo tale alla presenza loro ha detto che la matematica è arte diabolica e che li matematici, come antliori ili tutte l’herosie, dorerebbero esser scacciati ila tutti li stati ; e «li questa solo valersi, non entrando punto nelle cose contro Copernico dette, in niun modo. Di questa lede vorrei si valessero i due matematici ili-ili Studii di quello stato (,) , e che essi ne querelassero appresso a’ superiori, ma che V. S. non ci lusso nominato in alcun modo: e se non si potesse fare chi* tutti due lo facessero, ha- co starebbe uno di loro; e convenientemente, come parte, doverianu esser intesi bene. Se si potesse far buon colpo appresso aPArcivescovo di costì, che lui proce¬ desse al castigo, sarebbe meglio; e quando dalla parte del delinquente si ricor¬ resse qua, l’Arcivescovo istesso farebbe assai con la sua relatione. Sarebbe bene corcar nell’ «stessa Religione qualche adver^ario e contrario al delinquente, che giovarebo assai al negotio; e sempre ci sono le parti contrarie, delle quali si potria valere ; et in questo caso sarebbe necessarissimo. Si potrebbe anco tirare in parte li matematici che funsero in detta Religioni*, e '-redo hi trovi bora in Roma il Padre Paganelli, persona tale, stato giù matematico et archi¬ tetto del Card. ,a Alesandrino ; e se si potessero bavere dell’iatessa Religione te- 70 stimonii, sarebbe ottimo. Portandone querela a Roma per parte, come ho detto, da qualche procura¬ tore, si iloven\ trattare nella Congregatone de’Cardinali sopra vescovi e regolari, ove non ci sarebbono molti fautori del delinquente, e schivar affatto il parlare di Copernico, acciò questa non sia occasione che si tratti in altra ( ongregatione se Poppinione si deva lassiar correre o dannare; Cfr. ».• 10155. 1,1 Intendi, degli Studi di Firmo o di PUa. 12 — 14 GENNAIO 1015. 131 [1071-1072] È vero die facilmente la parte del delinquente addurrà haver parlato contro Copernico, e con questo cercarti scusarsi: bisognarti però star forte nel’addurli contro Pinfaniatione e calunnia della matematica c matematici. Si poiria anco in tal caso dire che Copernico è stato sempre permesso dalla S. ,A Chiesa da.... 10 90 anni in qua, e non essendo dannato da quella, egli non dovea porvi bocca. Ma non vorrei si corresse rischio disputar Copernico, oliò dubito gli 1’ attacchino a questo scrittore, e sarria più la perdita che il guadagno. Questi matematici delli Studii potrebbono avvisar anco l’altri matematici cathedranti d’Italia, acciò facessero aneli’ essi rumore, almeno questi eli Roma ; chè veramente l’ingiuria è notabile contro questa scienza, c darà nel naso a tutti, insomma mi parrebbe molto meglio cosi, che se V. S. si dichiarasse lei; poiché ò più riputation sua che operino gl*altri e lei non si mova punto, e clic l’avver¬ sar» non liabbino questo gusto, che lei se no travagli. Intanto mi piacerebbe grandemente e sarebbe molto a proposito, che altri ino predicatori, c sarebbe ottimo qualchuno del’istessa Religione, se si potesse bavere, se non altri, di qualche nome, nel’istessa città, non affettatamente, ma con bella e ben presa occasione, intrassero a lodare le scienze matematiche o li novi sco¬ primenti concessi da N. S. Rio al nostro secolo, e le hello fatigho che a gloria di Rio, nella contemplatone dell’opere Sue, hanno fatte Tolomeo, Copernico etc., non toccando però punto il moto della terra. Questo è quanto ho in fretta in fretta considerato in questo negotio. V. S. scusi P animo pieno d’infinito occupationi domestiche travagliosissime. 1072 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 13-14 gennaio 1015. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I’. Ili, T. VII, 2, car. 38. — Autografa. Molto Ill. rn et Ecc. mo Sig. 1 ' mio, Non ho fatte altre osservazioni che le seguenti, quali mando per il presente Sig. r Ottavio Ciampoli, che m* ha sempre favorito in ogni mia occorrenza. ]). 10, h. 13 . 4.0'. TX Ih h. 10 . 30'. IX 12, h. 12. HO'. 3 oo- 16 24 23 10 4.30' -w "Q 4.45 4.40 w C) I puutoliui sono noi manoscritto. 132 13-11 GENNAIO 1615. 11072] Prego poi V. S. a far i miei baciamani a cotesti Signori miei padroni. l)i novo habbiamo una nova occasione di conoscere il valore del Rev. mo nostro Pro¬ cediteleet ò, che ritrovandosi questo Studio provisto d’un Dottore Sardo, gio¬ vine di poco peso, ora per nascere ieri sera gran disordine tra detto Dottore e io la nation Genovesa, se Monsig. r Rev.™ con la sua solita prudenza et, aggiugnerò, toleranza dei spropositi del Rettore per degni rispetti, non havesse sin bora ri¬ mediato al tutto: o veramente siva tuttavia più conoscendo l'alto consiglio de’ Ser. mi nostri Padroni in haver fatta questa provisione ili Proveditore, o si spera che il Studio habbia da megliorare in doppio. Io vo tuttavia faticando, e non credo ili venir a Firenze, perché sono occu¬ patissimo. Mi dispiace di Gio. Ratta ”, al quale offerisco di novo la mia bassa sorte. Li scriverò per l’ordinario: con che, pregandoli sanità, me li ricordo servitore. Pisa, il 13 Gen.° 1615. 20 Di V. S. molto 111.™ et Erc. ma Ohlig." 10 Ser. r e Discepolo 1). Renedetto Castelli. Verte ‘ >J . Perchè giù. era partito il Sig. r Ottavio, ho riaperta la lettera et aggiontovi la seguente constitutiono : Il 5.40 D. 14, h. 11.6. * ~~ ^ * 4.20 Di più do nova a V. S. che il disordine delli soprascritti Sig. ri Genovesi s’ è accomodato in tutto, per opera e prudenza di Mona/ Rev. mo Sommala, nè ci vo¬ leva manco. Questo Signore mostra di conoscere le mie fatiche, e mi si mostra affezionatissimo : però quando V. S. con qualche bella occasione li facessi sapere 80 che io mi lodo di S. Sig. r,B Rev." 1 *, credo mi sarebbe gran vantaggio, l’accia lei: e noti occorrendomi altro, finisco, e li bacio le mani. Pisa, il 14 di Gerì. 0 1615. Di V. S. molto 111.™ Ser. r di cuore et Oblig.® 0 D. Renedetto Castelli. Fuori: [....]“• Sig. r mio Col. mn Il [....]i, p.° Fil.® di S. A. Firenze. 1,1 Girolamo i>a Sommai.». <*> Cfr. il.» 10G2, lin. 81. 1,1 I.& poscritti «t sul uryo. [1073-1074] 17 — 21 GENNAIO 1615. 133 1073 **. NICCOLÒ TASSI a [GALILEO in Firenze], llornn, 17 gennaio 1615. Bibl. Naa. Pir. Mss. Gal., P. I. T. VII, car. 195. — Autografa. Molt’ lll. ro Sig. r mio Oss. mo La vicinanza clic tengo di stanze al Sig. r Horazio Gentileschi è stata cagione che ho havuta fortuna di prendere domestichezza con lui ; donde son stato fatto degno d’ esser ammesso a poter vedere le sue opere maravigliose, tra le quali è la Cleopatra, elio egli ultimamente ha mandato a S. A. Io, in segno d’animo grato a tanta cortesia, ho fatto l’aggiunto Epigramma 10 , non havendo stimato esser buon termine il tacere, mentr’ogn’ uno ragiona e celebra la bellezza di quel qua¬ dro. E perchè V. S. s’ò degnata di prenderne, insieme con l’autore, particolar pro- tettione, ho stimato parimente che non le sia per esser discaro il sentirne lodi, benché incomposte; e si degnerà di perdonarmi se lio preso ardimento d’inviarle a lei medesima, con la quale non ho alcun merito se non di devotionc verso la persona et incomparabil suo valore. La supplico con tal opportunità a ricevermi nel numero de’ sui servitori et a farmi partecipe della sua gratia, mentre io col fine bacio a V. S. affetionatamente lo mani. Da Roma, li xvij di Gen. ro 1615. Di V. S. molto 111. 10 Ser. re Devot. mo Nicolò Tassi. 1074 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 21 gennaio 1616. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. Ili, T. Vili, 2, car. 40. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col. n '° Mando a V. S. Ecc. ma le tre seguenti osservationi delle constitutioni Medicee, la prima delle quali, perchè havenclone io tenuto poco conto per essere poco Bett. 1073. 7. mentr’ otjri ragiona — 0» Si logge, di mano del Tassi, a cnr. 888 della admoventi», ab Horatio Gentilesco de Lumie, pici or e Filza che noli’Appendice ai Mss. Galileiani della Bibl. intigni ac celeberrimo, dcpictam et ad Magnum Ducem Nazionale di Firenze è segnata : « 9. Galileo. Lavori llelruriae, Sereniteimum Coemum Secundum, Florentiam per servire alla vita di Galileo, raccolti dal Viviaui Roma trunnittendam. Audiit ut cari fatum Cleopatra e dal Nelli » : * In ejjìgiem Gleopatrae atpidem peclori inaliti ecc. » 134 21 GENNAIO Ih ir». 110741 atta alla correttione, ò incerta, altre due sono essatto. senza le misure, havendone io persa la nota ; le D. 17 Tannarii, ante solis ortum, ho. 12.35'. * O n * 17 J). 20, h. 12.53. O * n 9 B. 21, h. 12. 7. IO _^( \ ** * ir» y. tu Ieri mattina fui favorito da Monsi^. rrt lìev." 10 Somnmia, quale m’invitò a pranzo io in compagnia del Cav. r (ìirolami t ‘ ) «lei Sig. r Cosimo Bidoltì, doli’ humaiiista 1 ”, o di Giovanni alchimista; nel qual congresso, dopo essersi liento, per instan/a di Monsignore, alla sanità di V.S. Eco."'* o dopo essersi fatta da tutti quei Si¬ gnori honoratissima rimenbranzu dei inoriti e valor suo, 1’alchimista toccò non so elio dell’opera di Simon Mario w : della qual materia fui forzato, con quei termini elio si conveniva, a dar piena contezza di questo fatto a quei .Signori, quali mostrorono di restar poco sodisfatti dell*impertinenza dpi chimico, il quale si mostrò d’liavcr ben letto sì il titolo o forai qualche parte del libro del Mario, ma ignorantissimo delle osservazioni di V.S. e quasi maligno laudatore del To- desco por defraudar le lodi a chi le meritava. Ma a tutto fu risposto da me in 20 modo che gli uditori restorno sodisfatti. Staro aspettando la lettera 1 *’ con devotione, come cosa sua e per la materia di che tratta. Quanto al particolare del legger la .Sfera, come V. S. Ecc.»"* mi con¬ siglia, per crescer scolari, prima li dico che non ne ho bisogno, anzi tuttavia si cresce il numero; in oltre, il prescritto è di leggere il quinto libro e ’l sesto d* Eu¬ clide, c sin bora non ho letto altro elio ’l V. Però sarò preparato per leggerla almeno in casa. Mi vien fatta instanza grandissima del mio libro *>, se però si può chiamar mio dove V. S. ha posto tanto del suo: per tanto la snplieo a solleci¬ tare il libraio. E con questo baciandoli lo mani, me li ricordo al solito servitore. Pisa, il 21 di Gon.° l(ì 15. 30 Ilo ritrovata 1 inclusa al procaccio, e l’ho riscossa, acciò non si perdesse. Di V. S. molto 111.™ et Eoe.'"-' Oblig. mft Sor.™ e Dis> D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc.' no Sig. r mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Firenze. T'IICRO (JlROI.AMI. ,s ' Cfr. 11.'* Infili. ,3 > Cfr. u.» 1014. «*' Cfr. Voi. V, (.a* 201 •*’ Cfr. Voi. IV, |>hk. 4ól o bc*K. [ 1075 ] 28 GENNAIO 1615. 135 1075 **. BENEDETTO CASTELLI n GALILEO iu Firenze. Pisa, 88 genuaio ltìlD. BILI. Naz. Fir. Mss. dal., P. Ili, T. VII, 2, car. 42. — Autografa. Molto lll. re et Ecc. ,no Sig. r mio Col." 10 Giovedì passato venne qua l’Ecc." 10 Sig. r Minadoi (,) , o venerdì fu in Sapienza a sentire diversi di questi Signori, tanto la mattina quanto la sera: volse pari¬ mente favorir la mia scola, nella qual occasione io hebbi più di cento cinquanta auditori, per singoiar favore delle nationi Genovesa, Piamontese, Pisana, con molti altri scolari, con tutto che bora il Studio, per le vacanze, si ritrovi assai diminuto di scolari. Basta: li dico, per sua consolatione e perchè è vero, che nes¬ suno di questi altri Signori con occasione simile alla mia hebbe simile auditorio. Mi successe di portar la lettione con solennità, in modo che questo gcntilhuomo io mostrò restar sod Sfattissimo, e mi disse, con occasione che io gli andai a far riverenza a palazzo, che Laverebbe fatta honorata relatione delle mie fatiche a S. A. Desiderarci, so così giudica bene V. S., hor che si è visto P lionorato successo delle cose di Badia c del P. Abbate, che Madama Ser." ,:l ne fosse informata, acciò da questo comprenda chi siino, e come conosciuti dalla Religione, i miei perse¬ cutori: e in tanto V. S. ancora ripensi, essersi verificato nel P. Abbate tutto quello che io li dissi 1 ’*. Per omnia benedictus Deus. Del successore ne spero bene, perchè ò tenuto per huomo giusto e timorato di Dio. Com’ho detto, havrei caro che V. S. no facesse buona passata con Madama Ser. n,!l , e in tanto scoprir come io li stia in gratia. Di qua Monsig/ Sommaia mi si mostra afletionatissimo. 20 Due sole osservationi ho fatte di Giove, per le nugole che mi fanno disperare. 8.20 8.20 D. 26, h. 12. 0'. * *^7^0 ^5720 17 D. 28, //. 11 . 30'. lo restai in dubio se da levante ne fosse una vicinissima a Giovo : e per dirla, il mio occhiale non mi servo in quella eccellenza che desiderarci ; anzi credo che delle vicine a Giove non sia per vederne se non quando sarà all’opposizione col sole: e pure queste sono le più importanti. Se V.S. giudica bene il mandarmi (U Gio. Tokmabo Minadoi. <*) Cfr. n.« 1009. 28 GENNAIO — 2 FEBBRAIO 1015. 136 11075 - 1076 ] uno de’ suoi occhiali, li prometto tenerne quella custodia che tengo della pupilla dell’occhi miei: però faccia come meglio giudica per suo servitù). Favoriscami dire a Gio. Batta 111 che mi mandi la lista delle mutationi della Dieta, e solleciti il stampatore, perchò qua son tormentato per questa scrittura so Mi conservi nella sua gratin, e attenda a risanarsi, lasciando ogn’altro pensiero da parte. Michele li bacia le mani, et io li prego ogni bene dal Cielo. Pisa, il 28 di Gen.° 1G15. Di V. S. molto 111/* 5 et Eec.™ Oblig."‘° Ser/° e Dis> D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111/® et Ecc. M0 Big/ e Padron Col."* 0 11 Sig/ Galileo Galilei, p.° Filosofo e Mat/° di S. A. Firenze. 107 ( 3 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Acquasparta, 2 febbraio 1015. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, cur. 233 e 2336. — Autografi il poacritto [lin. 21 22] « la aottoncrizioua. Molt’ 111/ 0 Sig/ mio Oss. mo Sono due settimane che scrissi tre lettere in una volta a WS., e li mandai Fanello per il S/ Pandolfini (,) , consegnato al procaccio: non so se V Labbia rice¬ vuto. Mi sarà caro ine lo facci intender quanto prima, e non havendolo ricevuto, facci ogn’opra per ricuperarlo. Non m’è potuto ancora capitar nelle mani il libro d’Appelle. Ilo ben visto nel catalogo della fiera auttunale di Franeforte che v’è inserto il titolo, come mando qui incluso. V. S. s'imagini come sto con desiderio di veder che razza di fondamento babbuino queste sue contrattioni o ellipsi solari. M’ è ben bora appunto stato mandato di Roma un’ operetta di stanze sopra io le stelle e macchie solari scoperte col nuovo occhiale. L’ authore di questa ò un Sig/ Lorenzo Salvi, gentillmomo Senese ". Non F ho ancor veduta, se non elio in una guardata ho visto clic parla anco di V. S., ma non quanto si converebbe, e mette Appello a parte nel’ inventimi delle machie. Di ragione V. S. già F havrà veduta; caso che non, me Faccenni, chè io farò far diligenza se le mandi subbito. Intanto altro non m occorre, se non baciar le mani di Y.S. di tutto core, come Lett. 1076. 9. quale tue contrai!."' ellìpii — <‘) Cfr. n.° 1062, lin. 81. «*' Ftt.trpo pAKimi.riKf. < ! > Cfr. n.o 1074, liu. 27. (*» cfr. n.* 1089. 1077 . CRISTOFORO SCHEINER a GALILEO in Firenze. Ingoiatatit, 6 febbraio 1615. Bibl. Naa. Flr. Mas. Gal.. P. Yl, T. IX, car. 285. — Autografa. Ihs. Pax Cliristi. Nobilis, Fxcellcns atque Amplissime Domine etc., Qnod saepe propositi, tandem, occasionem nactus, libenter fac.io, ut Tuam videlicet Amplitudinem epistola alloquar, munusculo satis vili interpellem. Disqui- sitiones nuper mathematica» discipulorum meorum unus propugnavi (f) , quartini unum exemplar Tuae Dominationi etiam transmitto, non ut docere quidquam velini, sed ut animum meum bene alìectum declarem, vicissimque litterarum ali- quam communicationem, si par est, impetrem. Tametsi enim me non fugit, opi- ìo nionem illam et hypotheses Copernicanas Dominationi Tuaemultum arridere, mea tamen, aut potius discipuli mei, talia sunt, quae censuram doctiorum evitare non Hi cfr. n.° 1050. propugnavi mense Sopteinbri, die 5, nobili» ot doctis- <*> Disquisì tioncs mathematìcae de controventi» simus iuvenis Ioannes Gkoroios Loohek, Boius Mo- a novitatibu» astronomici ». Quas sub praosidio Curi- nacensis, artiuui et philosophiae bacculaureus, magi- STOPnoRi SciiKiNER de Societato Tosti, sacrao linguae sterii candidntus, iuris studiosus. Ingolstadli, ox typo- et mathosoos in alma Ingolstadionsi Uuiversitato grapheo Ederiauo apud Elisabetham Angermariaui, professoris ordinarli, publice disputandns posuit, anno M. DC. XIV. XII. 13 138 G — 7 FEBBRAIO 1615. [1077-1078] velint; linde, licet suam cuique bisce in rebus sententiam violenter eripiencìam non exÌ8timem, rationibus tamen prò ventate emenda parcomlum non arbitror. Quod si Tua Amplitudo quidquara in contrarium signitìcabit, nos nequaquam oilen- demur, sed quae contra afferentur libenter legemus, Bpcrantes seniper aliquid lucis amplioris ventati inde accesaurum. Novi iam in rebus astronomiois vix quidquam occurrit. Kdidit quidam Simon Mariua Mundum Iovialem (l) , quein si Domi natio Tua non liabet, significet mihi: dabo operam ut acquirat. Mirabitur hominia urrogantiam, et errores, si volet, merito retundet. Unum est quod hao vice peto, ut si habet, uti habere vix am- 20 bigo, tabulas revolutionuin Siderum Medicaeorum, niihi communicare dignetur: ego omni vicissim obsequio paratimi me oflfcro. \ alcat Tua Dominatio, et Donni per me oret. Ingolstadii, G Fedir. 1015. Tuae Amplitudini Fuori : Ihs. Nobili, Illustri atque Amplissimo Viro Galilaeo do Galilaeis, Philosopho atque Matematico prestantissimo, Patricio Fiorentino, Domino suo multimi observando, etc. Florentiam. 80 1078 . GIOVANFKANCESCO SÀGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 7 febbraio 1U16. Bibl. Naz. Pir. Mas. (lai., P. VI. T. IX. car. 237-288. — Autografo I» liu. f.G CS. Molto IH.*» S. r Ecc.'"° Hoggi, nel registrar alcune mie scritture, ho trovato una lettera di V. S. Ecc. m * scritta sino li 27 Settembre, alla quale non mi racordo liaver dato risposta, nò so come sia uscita del mazzo senza che me n’ hahbia acorto ; tuttavia, già che questo debito, latto in ragion di contanti, non s’ò pagato subbito, si contenterà V. S. Ecc.'"* ricevere il pagamento nel termine di quattro mesi, usato tra mer¬ canti di credito. Prima io le dirò che se V. S. Ecc. m * vuole elio tra noi corrino lettere ogni settimana, non deve restare di scrivere anco ogni settimana, seben vedesse restar “) Cfr. n.° 1014. 7 FEBBRAIO 1615. 139 [10781 io per una volta differita da me la risposta, perchè io all’ incontro le prometo di non mancare dalla mia parte, non tanto per compiacer lei, quanto per dar gusto a me stesso con leggere le sue lettere, tanto a me più care di qualunque altre, quanto elio 1* affetto mio verso di lei c la stima che io faccio della sua persona avanza di gran lunga ogn’ altra. Il Padre Mastro Paulo sta benissimo, per grafia di Dio, et sempre elio mi vede vuole supero di lei. Il S. 1 'Mula si trova podestà a Verona, ma sporo fra po¬ chissimi giorni vederlo di qua. Il S. r Veniero sta bene, et P ama al solito. 11 S. r Francesco Moresini, a Dio piacendo, sarà di ritorno di Candia fra due over tre mesi. Infati la compagnia è viva c sana e di buona voglia, et altro non desidera, 20 per colmo de’ suoi contenti, che la presenza di V. S. Kcc. ,na , la quale non potendo in persona sodisfare al nostro desiderio, può almeno con suo lettere consolarci. Occhiali lunghi, o migliori do’ primi, non mi sono capitati, o sia perchè al maestro non ne siano reusciti, o anco perchè ò gran tempo clic non lo solicito, nè maneggio canoni. Quando 1’aere s’indolcisca e si possano tener senza inco¬ modo le finestre aperte, dissegno attendervi qualche volta ; et se mi capiterà cosa buona da novo, farò parto con lei. La condota del S. r Cremonino non è stata rinovata fin bora. Il S. r Procurator mio padre tiene pessimo conceto della sua persona, credendo clic egli con la sua dottrina dell’anima habbia impresso l’ateismo in molta gioventù 0 ; il qual con- 30 ceto pare che sia divolgato assae tra la nobiltà, onde molti lo giudichino Intorno scandaloso, imprudente et indegno di essere confi rinato nello Studio di Padova. Uscirà nondimeno fra pochi giorni il S. r mio padre, et si farà nuovo Riformatore in luogo suo. Quanto a nuove speculati olii, io ne li averei tante in capo, che mai mi man- carebbe matteria da speculare ; ma non potendo digerire le vecchie senza l’agiato di V. S. Ecc." m et senza la sua presenza, attendo, più tosto che a speculare, a procurare i miei comodi e qualche gusto, parendomi in questo modo non per¬ dere inutilmente il tempo. La pi-attica dell’ istrumento per 'misurare il caldo et il fredo t5) , è stata molti- 40 plicata et assotilgiata da me, per quanto mi pare, a termine tale, che vi sarebbe assai da speculare ; ma, come ho detto di sopra, senza P agiuto suo malamente posso sodisfare al bisogno et a me stesso. Con questi istrumenti ho chiaramente veduto, esser molto più froda 1’ acqua de’ nostri pozzi il verno che l’estate; e pel¬ ine credo che l’istesso avenga delle fontane vivo et luochi soteranei, ancorché il senso nostro giudichi diversamente. Scrissi questa lettera fin la settimana passata, ma perchè la comedia m’im¬ pedì il chiuderla et espedirla, io 1’ ho trattenuta lin hoggi : et mi occore dirle <‘i Ufr. u.° 1070. t*> Ufr. n.° 719, liu. S7-45. 140 7 - 9 FEBBRAIO 1 filli. 11078-10801 che giil due giorni, che nevigò, mostrava il mio istrumento 130 gradi di caldo qui in camera più di quello che era già due anni in tempo di fredo rigorosissimo ' et straordinario ; il quale stromento, immerso et sepolto nella neve, ne ha ino- 60 strati 30 meno, cioè soli 100 ; ma poi immerso in neve mescolata con sale, mo¬ strò altri 100 mono : et credo che realmente mostrasse ancor meno, ma non si potea vedere per impedimento della neve et sale. Sichè, essendo stato nel colmo del caldo dell’ estate lino a gradi 300, si vede che il sale congiunto con la neve accresse il fredo per quanto importa un terzo della differenza tra 1' coesivo caldo dell’ estate et l’ecesivo fredo del verno ; cosa tanto raaravigliosa, che io non ne so apportare immaginabile cagione. Intenderei volentieri da V. S. Ecc. m * il parer suo, et ancora quello elio ella ha veduto in prati ioti del fredo cagionato dal sai- nitro, perchè, se bene io ne ho sentito a dir molte ciancio, tuttavia in effetto non ho mai veduto niente. co Il mandare costì istrumenti aposta, acciò ella potesse vederne 1'esperienza, credo sarebbe cosa difficile, e che potesse forse reusciro più facile il fabricarne costì : tuttavia se da lei mi sarà accollato il suo desiderio, la servirò a suo gusto. Et per line li buccio la mano. In Venetia, a 7 Febraro 1(515. Di V. S. Ecc. m « Tutto suo G. F. Sag. Mi perdoni : non ho tempo di riveder queste. Fuori : Al molto 111.™ S. r Osser. mo L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. 70 Firenze. 1079*. [NICCOLÒ LORINI] a PAOLO SFONRRATI in Roma. [Firenze, 7 febbraio 1616). Cfr. Voi. XIX. pag. 397, Doe. XXIV, b. J. ai. 1080. SANTORRE SANTORIO a [GALILEO in FirenzeJ. Venezia, fl febbraio 1615. Bibl. Naz. Flr. Ma*. Cai.. P. VI T IX. rar 269 240 - Autografa la liu. 4« 60. Molto Ill. ro et Eec. luo S. r mio, Dia la colpa V. 8. molto 111.™ et Ecc."" 1 al libravo di non haver havuta prima che bora la presente mia letica, che si scordò di mandarglila con un’altra mia sopracoperta. 9‘ FEBBRAIO 1(515. .141 [10801 L’opera 10 è ridotta in afforismi, i quali nascono da due principii certissimi. Il primo è la diffinition della medicina, proposta da llippocrate nel libro De flatibus , dove dice: Medicina est additio et ablatio: additio eonon queir, deficiunt , et ablatio corion quae excedunt : diffinition degna di un tanto vecchio ; et da questa nasce il primo afforismo, che ò prova di molti altri. Il secondo principio di quest’arte io è 1’ esperienza, la quale ò prova del resto. Che quest’arte, da me inventata, veramente sii importantissima, è cosa chiara, perchè può distintamente mesurar l’insensibile transpiratione, che, alterata o im¬ pedita, secondo l’opinion d’llippocrate et Galeno, è origine quasi de tutti i mali; perchè lei sola, come dice il nostro quarto affioriamo della prima settione, è mag¬ giore de tutti gli escrementi sensibili insieme del nostro corpo, ascendendo a quella quantità di evacuatione che è notata nel sesto afforismo, et più et meno secondo le conditioni ricordate nel settimo seguente afforismo. Che quest’arte sii accennata da Galeno, è cosa chiara in molti luoghi, et spetialinente nel sesto De tuenda sanitate , cap.° 6°, dove si leggono queste parole: Ubi quod ex, or por e cxhalat minus 20 est iis quae accepit , redundantiae orit i morbi solent ; ergo prospiciendum est , ut corion quae eduntur ac bibuntur , respcctu eorum quae expeìluntur , conveniens me- diocritas servetta-. Sane is modus servabitur, si ponderabitur a nobis in utrisque quantitas. Ma se ben Galeno non l’liavesse conosciuta, poco importa, pur che sii vera. Per conservar o ridur un corpo convalescente al buon stato, non è possibile saperlo senza queste osservationi. Li medici de’ nostri tempi, che conchiudono di non far cosa alcuna al conva¬ lescente, procedono prudentissimamente, perchè è cosa da savio il non far quello che non si sa, perchè saria un inganar il patiente, il che è provato nel 2° affu¬ so rismo della prima settione,'et replicato nel 74° della terza, che serve al proposito ch’io voglio inferire; perchè se il medico non sa di giorno in giorno quanto il patiente transpira, et quando più et quando meno, senz’ altro si rende vana la sua arte, come si ha provato nelli sopradetti affiorisini. Dico quando più et quando meno ; perchè non è lecito dar medicamento purgante o alterante, o il cibo quo¬ tidiano, nell’ bora della maggior transpiratione. ma solo doppo essa, il che è ben insegnato nel 56° et altri della prima settione. Onde restano inganati queli che credono a quel medico che dirà: Mangia questo o quell'altro cibo, o lievi questo o queir altro licore, in questa mesura, a questa o altr ’ bora, non sapendo di giorno in giorno quando et quanto il corpo transpira, et a che bora sia fatta la reso¬ lo lutione del precedente cibo ; il che solo da questa statica si può sapere : dico solo , perchè è impossibile a pieno certificarsi per via de’ polsi et per gli escre¬ menti sensibili. i*> Ari SanctorU Sanctorii OCC. de. antica risninruni, sectioiiibus leptein compvehensu. Venotiis, medicina et de reiponsione ad tlalicomastium apho- MDCXIV. 9-16 FEBBRAIO 1615. 142 fi 0*0-1082] Ma io non tedierò più V. S. Kcc.'"\ perché lei col suo mirabile ingegno, et con l’esperienza che farà in detta mia fatica, scoprirà gl’arcani suoi, da me anco communicati a tutti questi miei Signori suoi amici, come Mula, Sagredo, tarozzi ”, Maestro Paulo et altri, osservati per spatio di 25 anni in più di dieciinilla sog¬ getti, tra’ quali ò anco V. S. molto 111/'' et Eco.™ Et le baccio le mani. Da V.“, alli 9 Fohraro 1615. Di V. S. molto 111.» et Ecc.™ Atì>° per srr. u Santorio Santoni. 60 1081. GALILEO a ri ERO PINI fin Roma) Firenze, 16 febbraio 1615. Cfr. Voi. V. |J»K. .'01-235 1082 ** PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Roma, 18 febbraio 1616. Blbl. Naz. Pir. Mss Gal . P VI. T. IX. car. 211. Autografa Ill. rR et Ecc. m0 S. r mio ()ss. ln0 Scrissi già molti giorni a V. S., dandole conto della ricevuta del libro dolle cobo che stanno sopra V acque, per inviare al S. 1 Nicolò Francese Monsieur de Peiresc, qual le inviai subito, insieme con altri libri **’; dal quale sin bora non ho risposta alcuna che gli Imbiba ricevuti. Ilo havuto ben doppo sue lettere , nello quali mi scrive eli’ io bacia le mani a V. S. a suo nome, e poi mi soggiunge queste parole : < Starò con iinpatienza grande aspettando il nonio di quel liuto A pelle, che fece quei ragionamenti con *1 S. r Velsero, e d’intenderò parimente qualche nuova osservatione fatta dal detto S. r Galilei. Ilavevimo veduto et osservato la Venere io falcata avanti clic frissero stampati i libri suoi e del Cheplero, c molte altre cu¬ riosità celesti, anzi il moto intiero de’ Pianeti Medicei; tua havendoci noi rico¬ nosciuta qualche irregolarità, che ricercava maggior assiduità o continuatione in osservare che non permetteva la professione che facciamo, bisognò lasciar ogni cosa. Se havessimo la continuatione delle osservationi fatte da S. S. doppo l’edit¬ inoti. 1080. 46-47. in più
  • Giacomo Ba rozzi. <*) Gir. n.« 1001. Cfr. n.« 1068, 18 — 20 FEBBRAIO 1615. 143 [1082-1083J Lione del suo Nunlio Sidereo, e che le potessimo conferire con quelle di questo bande, forai che non lo sarebbe inutile. > Sin qui scrive il S. r Nicolò. So Y. S. dunque ha da dirmi qualche cosa eh’ io lo possi scrivere in (al proposito, starò aspettando per inviargliela. Io le scrissi 20 il nome del liuto Apollo, ch’ó il P. Christoforo Scheincr della Compagnia di Gesù, che logge le mathematiche in Ingolstadio et ha stampato un’operetta intitolata: >b'o/ ellipticus, hoc est novnm et perpetuilin solis contraili soliti phaenomenon; la qual opera qui in Roma non so che sia comparsa. Nel resto non ho che dire a V.S. di nuovo. Delle coso di Padova ella ne sarò stata compitamente raguaglinto dall’ Ecc. S. r Minadoi to . lo soli tuttavia qui in Roma, in casa di Mona. 1 * Vescovo di Padova (S) , a’servitii suoi. E con tal line le bacio le mani, e le prego dal Signor buona sanità, e corn¬ iti ta felicità. Di Roma, alli 18 Febr. 0 1615. so Di V. S. 111.™ et Ecc."'* Ser.™ S. r Galilei. Paolo U u al d o. Fuori , d'altra mano: Al’lll. ro et Kcc. mo Sig. r mio Oss. ,uo 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1088*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 20 febbraio lGlf». Bibl. Est. in Modena. Uaccolta Oautpori. Autografi, li.» LXX, n.° 0. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc." 10 Sig. r mio Col.*" 0 Son sicurissimo che trattando V. S. per me, in ogni occasione mi tratterà da figliuolo e servitore, come ha fatto con Madama Ser."“ l nella passata occorenza. Quanto a’ Sig. ri Usimbardi, li dico che sono tanto sodisfatti e contenti, che il S. r Francesco (quale ù il maggiore) mi Ita promesso di voler raccomandarmi in modo al Sig. r Lorenzo, elio ne sentirò frutto singolare; e sopra questo punto havemo divisato molto bene, corno si Labbia da guidar il negotio. Sia perù sempre mai Dio benedetto, che ci aiuti. Scrivo al Padre R."'° Presidente, oiVerendomegli pronto ad ogni suo comanda¬ lo mento; la lettera 1’ ha nelle mani il Sig. r Gap. 0 Marino. Se pare bene a V. S., e se lo può far senza scommodo, la prego che resti servita trasferirsi sin in Badia, e l'i C'fr. n.° 1075. (*1 Marco Antonio Counauo. 144 20 — 21 FEBBRAIO 1015. [ 1083 - 1084 ] presentandogliela in man propria accompagnarla con quattro parole, et in par¬ ticolare con una breve ma buona informatione del stato mio, perchè questo Padre ò persona di singoiar bontà, e credo che V. S. no haveri! sodisfazione. Attenda alla sanitil, si guardi da questi tempi tanto contrarii alla sua costitutione, ini ami e mi conservi nella sua buona gratin. Monsig. r Sommaia li bacia le mani, e mi tormenta di continuo del mio libro 10 . Pisa, li 20 di Feb.° 1615. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. 1 "* Ser. ro e Discepolo ()blig. fno D. benedetto C. 20 Fuori: Al molto 111." Sig. r mio Col.™ 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Firenze. iUÒd. PIERO PIMI u GALILEO in Firenze. Uuina, 21 febbraiu 1015. Bibl.Nnz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 201. — Autografa. Molt’ 111* S. r mio Oss." 10 Questa mattina dal maestro delle poste mi ò stalo mandato il piego di V. S. alla quale servirò come sarò, possibile il meglio ; e non mi fermerò nel Padre Grembergero, ma ne parlerò ancora al medico Fabii Fiammingo, che spesso è in casa mia et ò gran Galileista e da’ dotti molto stimato; e dove vedrò di poter far bene, non lascerò occasione di parlare degli interessi di V. S., come surebbe col S. r Ciampoli, che a' dì passati tenne dalla sua alla presenza del S. r Abate Orsino che dava orecchio alle solite dottrino del Dottor Grazia °. Nel resto io la compatisco molto, e alla giornata mi piglierò pensiero d’av- vÌ8arla di queste cose, e soprattutto di quel elio barò fatto ; e per lun a finisco, con io baciarli le mani e pregargli intera felicità. Di Roma, li 21 di Feb.° 1015. Di V.S. molto 111. 0 Ser. Afl>‘> S. r Galileo. p. Dini. Fuori : Al molt’ Ill. ro S. r mio Oss. raj il S. r Galileo Galilei. Firenze. ni Cfr. n.» 107-1. Cfr. n® 1081. Airbbaxduo Ousimi. Ol VINGENUO DI GRAZIA. [ 1086 ] 28 FEBBRAIO 3 li 15. 145 1085. GIOVANNI 01 AM POLI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 febbraio 1615. Bibl. Naz. Flr. Mas Gal. P. 1. T. VII, car. 203-204. — Autografa. Molt’Ill. po S . r0 e P.ron mio Col .*" 0 lo vivo tanto devoto servitore di V. S. Ecc. ,ua , ebe quasi mi pare d* essere ac¬ cusato per sospetto d’instabilità mentre mi si domanda sc io continuo ad amarla, lo non trovo, a praticare tanti gran Salamoili, che io deva stimar per oracoli infallibili i loro dotti talmente, che, per parole proferite da loro o per poca infor- matione o per non molto alletto, io deva in un subito trasformare quella vene- ratione e benevolenza affettuosissima che verso la persona sua hanno generato in me le sue tanto eminenti qualità, conosciute da me in tante occasioni, et am¬ mirate pure, ad onta dell’ invidia, da tanti singolari ingegni delle più nobili pro¬ io vincie d’Europa. A me non par possibile baveri a praticata e non amarla; infino gl* avversarli suoi hanno detto eh’ ella incanta le persone : e certo in un cuor no¬ bile non credo che possa adoprarsi più efficace magia, quanto la bellezza della virtù e la forza dell’ eloquenza. Io non so dichiarare a mio gusto quanto ho nel- l'animo: assicurisi che io reverisco il suo nome più che mai, e che ancora io ho cuore clie sa esser costante nell’ amicitia, e non mi manca voce per difender dalle calunnie l’innocenza de gl’ amici assenti. Ma per venir più al particolare, dirò in poche paiole: ne tantos mihi finge metus. Quelle grandissime orribilità sicuramente non vanno attorno, non trovando fin qui prelati o cardinali, di quei pure che sogliono sapere sì fatte materie, che 20 ne habbia sentito muover parola. Il medesimo mi conferma Mons. r Dini, affettio- natissimo di V. S., col quale ragionai a lungo di questo negotio; e’l P. F. Luigi Maraffi, che le è più che mai servitore, mi dice haverci avvertito, e che i frati loro, che hanno la grande autorità, non ci pensano e non ne ragionano : sì che la re- latione data costà da quella persona 10 , non mi so immaginare che possa esser uscita da malignità, ma dall’ haver forse udito qua da tre o quattro della na- tione aggravar, discorrendo tra loro, quel che potesse recar di pregiuditio la pre¬ dica fatta costà da quel frate (0 , che è bora qua per pretensione, per quanto in¬ tendo, di non so che suo baccellierato. Io bobbi nuove una sera, circa a tre settimane fa, di questa sua predica; nè 30 sapendo io che cosa si fusse, e se bene non omnia mctuenda, mi ricordai pure del <*i Niccolò Lokini. (*' Tommaso Cacoini. X4G 2i< FEBBRAIO 1015. 11085] nihil spemmAum. Benché fossero duo boro di notte, non volli differire ; andai subito a trovare il S. r Card. 1 Barberino ”, il quale conserva molto affetto verso V.S., e la saluta e ringratia dell*ofVitio die in nome di lei ho passato con S. S.*» 111»* Non ci è ancora stato tempo da fargli vedere la copia della lettera scritta al P. D. Benedetto si come si faril da Mona/ Dini o da me, o da tutti due in¬ sieme: il che ancora pensiamo che sia ben fare co’1 S/lard. 1 Bellarmino. Stia dunque certa che quel che io non facessi per lei, no 1 farei in verità per huomo vivente; particolarmente trattandosi di l'aro un torto cosi incomporta¬ bile a persona tanto famosa por le sue virtù, tanto benemerita delle lettere e di tutti gl’amici suoi. Ma questi torrenti rovinosi e mugliunti, clic le sono statilo figurati, non si sentono qua; e pure io pratico in qualche luogo, clic ancora io, che non son sordo, ne bavrei a sentir lo strepito, i. ben veri» che bisogna ricor¬ darsi sempre, aerea rase viroa, ctwi Aura profila genie, in questi* materie dove i frati non sogliono voler perdere, l'crò quella cIuuhuIh salutare, del sottomettersi alla S. ta Madre Chiesa ete., non si replica mai tante volti* che sia troppo. Su che sempre ella lo ha fatto, non solo con 1’ animo, ma anco con la voce e con lo scritto; ma l’infinito affetto che io le porto fa che io non pos*a astenermi di ri¬ cordarlo, ben che questo olìitio sia molto spropurtionato alla mia età. 11 S. r Card. 1 Barberino, il quale, come dia sa per esperienza, ha sempre ammi¬ rato il suo valore, mi diceva pure hiersera, che stimerebbe in queste opinioni oo maggior cautela il non uscir delle ragioni «li Tolomeo o del Copernico, o final¬ mente che non eccedessero i limiti fisici o mathematica perchè il dichiarar le Scritture pretendono i theologi che tocchi a loro; e quando si porti novità, ben che per ingegno ammiranda, non ogn’uno ha il cuore senza passione, che voglia prender le cose come son dette: chi amplifica, chi tramuta; tal cosa esce di bocca dal primo autore, che tanto sarà trasformata in-l divulgarsi, che più non la riconoscerà per sua. Et io so quel che ini dico : perchè la sua opinione quanto a quei fenomeni della luce e dell' ombre della parte pura e delle macchie, pone qualche similitudine tra ’l globo terrestre e 1 lunare; un altro cresce, e dice che pone gTliuomini habitatori della luna; e quell’altro comincia a disputare come possano esser discesi da Adamo, o usciti dell’arca di Noè, con molte altre stra¬ vaganze eli’ ella non sognò mai. Sì che T attestare spesso di rimettersi all’autorità di quei che hanno iurisditione sopra gl’intelletti Immani nelTintcrpretationi delle Scritture, è necessarissimo per levar questa occasione all’altrui malignità. Parrà bene a V. S. che io voglia far troppo il savio seco : perdonimi per gratiu, c gra¬ disca l’infinito affetto mio che mi fa parlare. Avvisimi pure all’occasione, e co¬ mandimi con libertà: più affettuoso amico e servitore ili me, V. S. qui troverà diffìcilmente, e forse non molti di più efficacia e prontezza. Quando V è incom- • l| Maffeo Barberini. •*> Cfr. Voi. V, PW? . 2=1-ZSS. FEH UH AIO 1615. 147 [ 1085-1086] moilo per la sua sanità lo scrivermi di proprio pugno, vagliasi della mano d’altri, 70 o facciami scrivere: io sono servitore obligato, ufi meco ci vanno cerimonie. Mona/ Gualdo si ricorda servitore a V. S., e cercherà servirla per conto de gl’ Apolli smascherati Indugiai a rispondere alla lettera che mi mandò pe ’l S. r Principe Cesia, perche speravo poterla presentare in sua mano; ma, per quanto intendo, la lontananza sua di Roma anderà molto a lungo. A questa ultima sua non ho potuto prima rispondere, perchè non mi fu recapitata prima di lunedì. Io del restante, per gratia di Dio, mi conservo con assai buona sanità, sì come desidero a V. S., elio tanto ne ò più degna e tanto più fruttuosamente P im¬ piegherebbe in henefitio delle scienze, che dall’ inventioni del suo ingegno rice¬ so vono sì nobili augumcnti. Ricordimi servitore al P. D. Benedetto lS) et al S. r Nic¬ colò Arrighetti ; e facendole humilissiiua reverenza, le prego da Dio vera felicità. Di Roma, il di ult.° di Febb.° 1615. Di V. S. molto TU.™ et Koc. ,,,R Devot-." 10 et Obblig. mo Sor. 1 '' Al S. r Galileo. Firenze. Gio. Ciampoli. 1086. GIOVANNI FARER a GALILEO in Firenze. Roma, 28 febbraio 1(515. Blbl. Na*. Flr. Mbr Hai . P. VI. T. IX. ctr. 216. — Autografa. Molto 111/" et Kecll. mo Sig/" Padron ()ss. n, ° Vengo con questa mia, costretto parte per il commandamento espresso del Sig/ Preucipe nostro, parto per il vincolo della fraterna nostra amicitia lyncea, dare parte a V. S. della dolorosa perdita che liabbiamo fatta nella morte del Sig/ Gio. Battista della Porta, seguita su ’l principio di questo mese; et altra con- solationo non liabbiamo clic questa, clic possiamo assicurarci che sia andato a miglior vita, essendo morto santissiniamonte : et no lui havuto anco un honor funerale tale, quale lo rare suo vcrtù meritavono. \ . S. di quello ne darà anco parto all’altri Sig. ri compagni in Firenza, alli quali farà anco riverenza in nome io mio, rallegrandosi da parto mia con il Sig/ Pandolfini, clic novamentc tu rice¬ vuto nel nomero nostro. A noi resta che preghiamo Iddio per l’anima del nostro confratello, et ci ingegniamo di procurare molti simili soggetti per 1 Acadomia "> Cfr. mi.' 1056, 1U77. < 2 > 1>*mkdktto Casti-:i.i.i. 28 FEBBRAIO — 2 MARZO 1615. 148 [ 1080 - 108 ?! nostra, et imitiamo V. S. et detto Gio. B. li. ir», nella compositione di tante ec¬ cellenti opere. Altro non mi occorre a dirle. Il Sig. r Prcneipe nostro «i ritira con V Kccll. m » Sig. ra sua consorte et tutta la famiglia a Roma, et vi Rar:\ poslimane sera. Et per line baccio le mani a V. 8., pregandole da Dio ogni vero bene. Di Roma, ulli 28 di Febr. 1615. Di V. 8. molt* Ill. p0 et Eccl. mft Fuori : Al molto 111.™ et Eccll. 1 " 0 8ig. r et Padron mio Oss. mo 2 c Il Sig. r Galileo Galileo, Mattheniatico Celeberrimo <4 Lvnceo. Fiorenza. 1087 *. OTTAVIO PISANI a GALILEO iu Firenze. [Anversa], 2 marzo 1615. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 15. — Autografa. Molto Ill. r0 S. r , mio S. r , P.ron Oss. mo , S. r Galileo Galilei, Poiché io ottenni per mezo de ’l S. r Priore Bontempi ■' la gratin di V. S., et per mezo di V. S. la gratta di sua Altezza Serennissima de intitolar la mia Astro¬ logia lS) a suo Serenassimo nome, io intitulai il mio libro, lo mandai per la posta, et, come me disse il S. r Priore Bontempi, hebbe Sua Altezza Serennissima il mio libro. Dopoi sono venuto, per mezo de ’l S. r Gioseppe Camorrini mio patrone, a domandar mercede a Sua Altezza Serennissima, ciò é qualche elemosina per la spesa che ho fatto a la stampa, la quale, come si vedo ne ’l libro, é ducento scudi, et per la faticlia di dicci anni, come si vedo ne l’istessa opera: la elemosina ser- ria di trecento scudi, perchè ducento ne ho speso a la stampa, et cento per la fa- io tica di dieci anni in dotto libro. S. r Galileo, mio S. r , se Y.S. mi ottone questa elemosina da Sua Altezza Serennissima, io restarò obligato a V.S. e riconoscerò da V.S. questa gratia, et si venerrA l’occasione, io la reservirrò a V. S., perchè trovandomi pover gentil’ huomo fuore de mia casa, riconoscerei V. S. per mio be- m Cfr. mi.» 909, 930. «*> Cfr. n.« 910. 2 — 7 MARZO 1G15. 149 [1087-1089] nefattore. Sempre li ricordo quelle parole che dice Idio : Quaecnnquc tninimis ex meis fcceritis, ri milii fcceritis: e li sono servitore obligatissimo, iifletionatissimo. Iloggi, 2° di Marzo Hi 15. Di V. S. molto fll. ra Se.™ Afl>° Obl. mo Ottavio Pisani. Fuori : Al molto Ill. p * S. r , mio S. r et P.ron ()ss. mo , 11 S. r Galileo Galilei, che Dio guardo. Fiorenza. 1088*. OTTAVIO riSANI a COSTMO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. (Marzo 1G15.J Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI. T. V. car. 51. — Autografa. Sereiunsfliino Signore, Ottavio Pisani supplicando espone qualmente ha ottenuta gratin de intitulare al suo Serennissiino nomo la sua Astrologia per mezo del S. r Galileo Galilei; et havendo già il supplicante intitulato suo libro a Vostra Altezza Serenuissima, supplica che li faccia qualche charità per la spesa di ducento scudi no la stampa et por la fatica di molti anni in detta opera di Astrologia. Fit. Idio remunerarà Vostra Alteza Serennissima, come ha promesso Idio a chi fa charità: Quaecunque minimis ex meis fcceritis, et mihi fcceritis. 1089. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 7 marzo 1015. Bibl. Naz Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. IX. car. 243-244. - Autografa. Molt’ III.” e molto Ecc.** Sig. r mio Oss. mo Mi son trasferito in Roma, ove continuo ancora con travaglio per l’indispo- sition della S. ra mia consorte di tanti mesi già ; sto ben con speranza, per l’as- serzion de’ medici e sopravenenza della miglior stagione, che presto sia per esser guarita. Intanto mi trovo due carissime di V. S., non quieto punto della sua sanità, che vorrei sentirne buone nove, e che lei trasandasse ogni cosa e solo a quella attendesse, chè poi haverà tempo di sodisfarsi nel compimento delle sue heroiche imprese e mortilìcatione de’ suoi invidi e rabidi contrari, quali bora a 150 7 MARZO 1615 [1089] questo solo faticano, di nocerli nella sanità con apportarli occasione di disgusto e fatiga. Di gratin, li lasci gracchiare, eli è poi ci sani tempo; r mi taccia saper io nova di sè, che no sto ansiosissimo, nè s’ ulVatighi lei, ma facciami scrivere. Scusi li mici moti et travagliose occupatami anco con il S. r Pandoltìni, albi cui cortesissima risponderò subito che possa respirare. Intanto ho inviate le alilo a’ S. ri compagni ”, notando la sua molta cortesia. Mando a V. S., por il procaccio partito questa mattina, un invoglio in carta, nel quale sono le stanze {9) et un libro uscito in luce bora a punto, cioè una let¬ tera d’un Padre Carmelitano, che difende P opinion di Copernico salvando tutti i luoghi della Scrittura; opra certo che non poteva venir fuori in miglior tempo, se però P accrescer rabbia alli avversari non sia per nocere, il che non credo. Lo scrittore, reputa per Cupernieei tutti i S. rl compagni, ancorché ciò non sia, no professandosi solo communcmente libertà di filosofare in mturalibus. Dora pre¬ dica in Roma. Io trattarò con Mons. r Dini o con questo e con il P. Torquato do Cuppis, Gesuita, nobile Romano, che è del’ istesso senso, o con altri ; et ho pensato a buoni motivi, e credo non si correrà a furia, e saremo a tempo, et io farò il possibile : « V. S. mi creda che, in questa et in ogni altra occasione, mi ò a core il servirla ferventemente, come devo. Sarà molto a proposito e mia so- disfattione particolare, eh’ io habbia la lettera elio V. S. mi avisa liavcr scritta in proposito e la sto aspettando con desiderio, e se altra scrittura le par a proposito. Con clic bacio a V. S. le mani, salutandola di tutto core. N. S. Dio la contenti. 80 Di Roma, li 7 di Marzo 1615. Di V. S. molt’ 111 » Il nostro Cancelliero (R) già lo Laverà dato conto della perdita eh’ habbiamo fatta del nostro S. r Porta. Passò a miglior vita santìssimamente il mese pas¬ sato. N’ habbiamo persi tre buoni n : bisogna pen¬ siamo a rimetterne simili. Afl>° per ser. la sempre F. C. L. P. C* In tondi, il saluto del nuovo l.incoo Kiurro I’anooi.i'Ini ai colleglli. 7 ' Stantie sopra Ir tirile r macchie solari troprrle col nuovo occhiale, con una breve ilirhiaralionc. Dedicate all’ Illustriss. o Reverendi». Siy. Cani. Aldobrandino, Camarlengo di Sanln Chiesa, da Flaminio Fiui.iooci. In Roma per il Mascardi, ISIS.— Autore dello stan¬ co, corno risulta dalla dedicatoria, è Lorenzo Salti. ,s > Leti' »•«» del R. P. M. rAOl.ii Antonio Fosca- RISI ' ’NrmelitMiio sopra l'opinione tir.' PiUngorici e >lrl Copernico tirila mobilità tirila terra e stabilità del sole e del nuovo Pitlagoriaa sistema del mondo, OCC. In Napoli, per l.azaro Sconcio, 1615. “i Cfr. Voi. V, pHp 281 -288. i*' Giovanni Fabkr: cfr. n." 1086. |6 > Cioè, oltro al Corta, il Whlhrk o il Salviati. 1.1090] 7 MARZO 1G15. 151 1090 . PIERO DINI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 marzo lGlfj. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. I. T. VII, car. 205-208. — Autografa. Molto lli. ra S. r mio Oss. n '° Questi giorni (li carnovale, e le molte rappresentationi e altre feste che si sono fatte m’impedirono il trovar lo persone che bisognava; però, in quel cam¬ bio, feci fare molte copie della lettera di V. S. al P. Matematico 10 , e l’ho poi data al P. Grombergero, con una lettura di quella che V. S. scrive a me 1 ' 1 : c così ho poi fatto con molt’ altri e con l’Ill. 1 " 0 Bellarmino, col quale parlai a lungo delle cose che V. S. scrive; dello quali mi assicurò non ne haver mai più sentito parlare in conto nessuno, da che ella ne trattò seco a bocca. E quanto al Co¬ pernico, dice S. S. 111.*" 11 non poter credere che si sia per proibire, ma il peggio io che possa accaderli, quanto a lui, crede che potessi essere il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse introdotta per salvar l’apparenze, o simil cose, alla guisa di quelli che hanno introdotto gli epicicli c poi non gli credono; c con simil cautela potrebbe parlar V. S. in ogni occorrenza di queste cose, le quali se si fermano secondo la nuova constitutioue, non pare per adesso che habbino mag¬ gior nimico nella Scrittura che Exultavit ut cjiyas ad currcndam vi ani w con quel che segue, dove tutti gli espositori sino bora l’hanno inteso con attribuire il moto al sole : e se bene io replicai che anche questo si potrebbe dichiarare col nostro solito modo d’intendere, mi fu risposto non esser cosa da correrla, sì come non è per corrersi a l’uria nò anche a dannare qualsivoglia di queste opinioni, io E se V. S. barò, messo insieme in questa sua scrittura quelle interpretationi che vengono ad causimi , saranno veduto da S. S. Ill. m * volentieri : e perchè so che V.S. si ricorderà di rimettersi alle ileterminationi di S. Chiesa, come ha fatto a me et ad altri, non li potrà se non giovare assai. E havendomi detto il S. r Cardinale che harebbe chiamato a sè il P. Grombergero per discorrer di queste materie, stamattina son ritornato da questo Padre per sentire se ci era novità alcuna; e non trovo altro di sustanza, olire al detto, se non che harebbe hauto gusto che V. S. havesse prima fatto le sue dimostrationi, e poi entrato a parlare della Scrittura, lo li risposi, che se V. S. havesse fatto in questa maniera, li a rei creduto che ella si fusse portata malo a far prima i fatti suoi e poi pensare alla Scrit¬ to tura Sacra; e quanto agli argomenti che si fanno per la parte di V. S., dubita «n Benedetto Castelli: cfr. Voi. V, pag. 281- 2S8. <*> Cfr. Voi. V, pag. 291-295. < 3 > Salai. 18, v. 7 : cfr. Voi. V, pag. 301-305. 152 7 — 10 MARZO 1615. f 1090-1093] detto Padre non siano più plausibili elio veri, poi che li fa paura qualch’ altro luogo delle Sacre Carte. Stamattina ho mandato una di dette copie al S. r Luca ^ alori, col quale an¬ cora non mi sono abboccato. Sono bene andato a trovare il S. r Card. 1 ” Del Monto (l< per informarlo ; ma per havervi trovato gente olio non mi piaceva, ho «liscorso seco d’ogn’altra cosa : ma vi tornerò, perchè ò molto affezzionato a V. S., c sarò ancora col S. r Card. 10 Barberino, per lasciarli una di quelle copio, che di giù sta aspettando, essendo in parte da me stato avvisato cosi alla sfuggita. Ma a que¬ st’ bora forse sarà stato del tutto informato dal S. r Ciampoli, che a tal fine da me era stato ragguagliato 1 ”. E così andrò facendo simili ofizi dove vedrò poter *o giovare alla causa, della quale li parlo, come vede, confusamente, perchè per ancora ogniuno sta all’erta in negotio di tanta portata: mai matematici non la sentono tanto dubbiosa come i professori d’altre scienze. Che è quanto per bora posso dirle: e senza più le bacio le mani, pregandole dal Signore Iddio quanto desidera. Di Poma, li 7 di Marzo 1615. Di V. S. molt’ IH. 8 Ser. Afl>° P. I)ini. Fuori: Al molto 111/ 8 SS/ mio Uss.'"° 11 SS/ Galileo Galilei. Firenze. &o 1091*. LELIO MARZA RI a G10. CARSI A MILLINI [in Roma]. Pisa, 7 marzo 1015. Cfr. Voi. XIX, pag. 806, Doc.. XXIV, b. 5). 1092*. FRANCESCO BONC1ANI a CIO. GARSIA MILLINI [in Roma]. Pisa, « marzo 1615. Cfr. Voi. XIX, pag. 306, Hoc. XXIV, b, 5). 1093. GALILEO ad ANDREA CIO LI in Firenze. Firenze, IO marzo 1015. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 50. — Autografa. Molto 111.” Sig. r mio Col.™ 0 Sono circa 16 mesi che questo Ottavio Pisani mi scrisse d’Anvorsa f3> clie Darebbe voluto dedicar al S. G. D. nostro Signore un suo libro Francesco Maria ubi. Monte. < 5 ' Cfr. n.° 1085. '*> Cfr. n.« 009. 10 — 12 MARZO 1615. 153 [1093-1094 ] attenente ad alcune operazioni astronomiche, desiderando di dedicarlo più a S. A. tdie ad altro Principe, perchè in esso trattava ile’ nuovi Pianeti Medicei; e però mi pregava che io vedessi d’bavere \\ placet da S. A. Così feci, e l’hebbi. l)i lì a 6 mesi incirca venne l’opera stampata, et inviata a S. A. insieme con una lettera' 1 ', et l’una e l’altro presentai al G. D.: e perchè il libro haveva patito assai per il viaggio, mediante le piogge, io et è in fogli grandissimi, mi fu comandato da S. A. clic io lo facessi raccomodare ; però di suo ordine lo detti a quel legatore Romano che serve al Palazzo, acciò lo sciogliesse, asciugasse e diligentemente lo rilegasse, o così fece: e perchè io allora ero molto indisposto, gli dissi che lui medesimo lo riconsegnasse al G. I)., e così mi par ricordarmi che lui mi dicesse d’haver fatto. Però il libro sarà appresso S. A. Quanto al giudizio dell’ opera, io poco gli posso dire, perchè ap¬ pena hebbi comodità di scorrerla assai superficialmente : so bene i‘lio vi sono molti intagli di figure astronomiche in rame, e gran¬ dissimi, che di necessità sono state di grande spesa. Se S. A. cornan- 20 derà che io lo rivegga, V. S. mi farà grazia di farmi mandare il libro, poiché ritrovandomi io, oltre all’altro indisposizioni, con una fastidiosissima infreddatura, non posso uscir di camera, e appena di lotto. Con che gli bacio le mani, e me gli ricordo servitore devotissimo. Di casa, di X di Marzo 1614 12> . Di V. S. molto I. Ser. ro Obl. ni ° Galileo G. Fuori: Al molto 111.™ Sig. ro e mio Pad. ne Col. mo 11 S. Andrea Gioii, Seg. rio di S. A. S. Ne’ Pitti. 1094. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO iu Firenze. Pisa, 12 marzo 1615. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. 1, T. VII, cur. 207. - Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r mio Gol. mo Gionto che fili in Pisa, andai a far riverenza a Monsig.' IU. mo Arcivescovo <5) , dal quale fui benignissimamente riceuto ; poi, introdotto in camera, fatto sedere, Lett. 1093. 8. In luogo di con una lettera prima aveva scritto col libro. — “> Cfr. il.» 958 ,3 > Francesco Bonoiani. •*' Di stile fiorentino. XII. 20 154 12 MARZO 1616. [10941 fui di primo interrogato del stato di V. S. Ecc. ma ; e a pena finita la risposta, S. S. ria 111." 1 ' 1 cominciò caritativamente a esportarmi che io lasciassi certe opinioni stravaganti, et in particolare del moto della terra, soggiongendomi che questo sarebbe stato il mio berne, o non lo facendo la mia rovina, perche queste opinioni, oltre l’essere scioccherie, erano pericolose, scandalose e temerarie, essendo di di¬ retto contro la Sacra Scrittura. Io non potetti far altro, vinto da tanta benignità, che rispondere che la mia volontà era prontissima a’ cenni di S. S/'“ 111.** 1 *, o che io mi restava solo accomodarmi l’intelletto con le ragioni, il che io poteva sperare dal profondo sapere e saldo discorso di S. S. 111." 1 *; e così con una ragione sola, tralasciandone molte, quasi mi tirò dalla sua, la somma della quale fu questa, che essendo ogni creatura stata fatta in servitio dell’ huomo, per necessaria con¬ seguenza restava in chiaro che la terra non si puoteva muovere come lo stelle : e se qui io havessi haute sentimento tanto capace di potere apprendere questa dependenza, forsi mi sarei mutato d’opinione; onde fu necessario a Monsignore replicare che queste opinioni erano scioccherie e mere pazzie, e che questa era stata la rovina di V. S., c che egli gli ne aveva dato salutifero aviso, e che l’havevn con¬ vinta: anzi disse «li più (riscaldandosi veramente d’affetto), che era pronto a far 20 conoscere e a V. S. e a S. A. S. mtt e a tutto il mondo, che questo sono tutte fra¬ scherie e che meritano essere dannate. Poi mi pregò che di gratin li facessi vedere quella lettera 0) che V. S. mi scrisse; c dicendogli io che non ne havevo copia, mi pregò a farne instantia a V. S., come fo con questa, pregandola ancora a dar l’ultima mano alla scrittura (t) , la quale copiaremo qua subito ho V. S. comandare così, e forsi questo Illustrissimo potria quietarsi. Io dico farsi, non dir vr Vacan ti Monsig. r Sommata li bacia lo mani, et io me li ricordo servitore al solito. Gli cantucci saranno sabato o domenica in Firenze. Pisa, il i2 di Marzo 1015. Di V. S. molto 111/® et Ecc. n, “ Oblig. mo Sor/® e I)is.'° 20 I). Benedetto Castelli. Ilo poi inteso con mio grandissimo gusto che lo ciancio di Poma non sono tanto grandi quanto si diceva. E a me pare che il romore fatto in Roma non sia Romano, ma che sia stato forestieri: voglio dire che è stato fatto da questi si¬ gnori die P hanno fatto ancora in Firenze. Il Sig/ Giorgio tM li bacia le mani. Fuori, d* altra mano: Al molto 111/® et Ecc. m ® Sig/° et P.ron Oss. ,uo 11 Sig/ Galileo Galilei. Firenze. 1,1 Cfr. nn.‘ 960, 1092. i>) f,e pnrolo /» ... accerti sono sottosegnntu 1,1 Accenna molto probabilmente a quella clic, nell’autografo con puntolini, in forma di lettera, fu indirizzata da Galileo a Ma- O) Giorgio Giorgi. dama Cristika di Loreha. Cfr. Voi. V, pag. 309-348. L1095] 14 MARZO 1615. 155 1095 . PIERO DINI a GALILEO in Firenze. Roma, 14 marzo 101 fi. IMbl. Naa. Flr. Mss. Gal.. P. 1. T. VII, car. 148. — Autografa. Molt’ 111." S. r mio ()ss. ,n0 Scrissi a WS. la settimana passata 01 , e di casa mia doveri-fi have.r ricevuto la lettera; o io questo giorno mi trovo l'altra sua de’ t) stante 01 , o non ho potuto abboccarmi col S. r Ciani poli. Ho ben di poi trattato con P 111.'" 0 Barberino, il quale mi disse Pistesso coso che si ricordava haver detto a Y. S., cioè del parlar cauto e come professore di matematica, o ni’assicurò clic non n’haveva sentito parlar mai di questi interessi di V. S. ; e pure o nella sua Oongrcgatione o in quella di Bellarmino capitano i primi discorsi di sì fatte, cose ; onde andava dubitando ebe qualche, poco amorevole lo andasse accrescendo: ma non per questo ò da io non ci pensar piò. Al S. r Car. ln Del Monte 01 non ho di poi parlato, ma seguirli forse domattina; o stante le cose sopradette andrò più temperato a discorrerne, pa¬ rendomi che non sia così necessario come pareva nel primo ingresso di questa causa, della quale, piaccia a Dio elio V. S. ne riceva ogni contento e il mondo ogni utile. (Jomo per line gli prego quanto desidera, c li bacio le mani. Di Roma, li 14 di Marzo 1615 (4> . Di V. S. molto 111.*, la quale desidero che col nuovo anno e migliore stagiono si liberi dal suo male; ma quando non segua, lasci gli studi nocivi, perchè l’assicuro che il mondo ò arcicontento di lei ; 20 Ser. Aff. ,no S. r Galileo. P. Di ni. Fuori: Al molto IU. ro S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. ih 0f r . n.o 1090- corrosione della carta, fra 1614. che sarebbe di stilo (*> Questa non è giunta insino n noi. fiorentino, e 1615 «li stilo comune, secondo il qualo Francesco Maria dei. Monte. il Pini soleva datare. Forse prima scrisse 14 di (M Lu data nell’autografo è incerta, audio por marzo 1614, o poi corresse 1615. 156 15 MARZO 1615. 1101 ) 6 ] 1096. GIO YAK FRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Firenze! Venezia, lf» marzo 1(515 Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. IX, car. 248-246. — Autografe lo lin. *7 SS. Molto 111." S. r Ecc. mo Così valesse molto la gratin mia, pomo V. S. Kce. nw ne è padrona senza altro istrumento di donationo inter virus; o, por meglio diro, così potesse ella trarne per cento anni continui quella vera letitia che mi significano le suo lettere, come io mi contentarci fargliene sollonissima hipoteea, dandole piena auttoritù. di ap¬ propriarsela tutta, torchiarla et distilarla et cavarne la quinta essenza, quando questa potesse, come ella mi scrive, aggiongere gli anni et secoli alla sua vita, apportarle et conservarlo perpetuo contento et godimento. Mi duolo in estremo delle sue molestie di mento et di corpo; et più clic quello dell’animo mi travagliano le corporee, poiché in queste trovo il rimedio più dirti- in eile et recondito sì come nello altre panni che, adnprandosi la prudenza et valen¬ dosi della fondata et vera filosofia/, dalla volontà nostra sola dipende la salute, non essendo alcun dubbio che quando 1’ huomo facia un cuore generoso et si spogli di certe upinioni inventate daH’humana legerezza, può tolerare molto facilmente ogni sinistro incontro, pur che di questo non partecipi la massa corporea, la quale non può con le speculationi ricevere il caldo, il freddo, gli alimenti, i gusti et le altre cose necessarie per sostentamento della vita et por gusto et solevamento de’ sensi. Continui perciò V. S. Ecc. ma la lettura del Borni et di Gazante, et lasci per bora da una parto Aristotile et Archimede; speculi in letto, dove la mente participi della commoditA del corpo ; contempli cose di gusto, et attendi alla sanità, non con me- 20 dicine, non con dieta, ma con la quiete et con una prudente sobrietà ; fugga quei cibi che per esperienza ha conosciuto apportarle nocumento, et sciolga i più gio¬ vevoli et gustosi al suo senso, serbando in ogni pasto un poco di apetito per mag-J gior gusto del sussequento : nò dubiti con questa regola di non superare ogni indispostone, poiché, per gratin di Dio, le mancano molti anni alla vecchiaia. Io, per divina clemenza, col mezo di questa medesima osservatione sto bene, più sano et più gagliardo assai che non ero giù due anni: et nel resto, quanto all’animo, vivo allegramente, lontano in tutto da ogni travaglio : ninno accidente mi par nuovo o inaspetato ; sono tutti i miei desiderii limitatissimi et modera¬ tissimi; ricevo allegramente ogni bene che mi succede, et, per renderlo gustoso so maggiormente, reputo che non mi si convenisse o non fosse cosa mia, onde non Lett. 1000. U. quelli — 15 MARZO 1615. 157 [109111 come rendita ordinaria et dovuta, ma come donativo, anzi impresto, della for¬ tuna, lo ricevo con tanta maggior letitia, et, per la stessa ragione facilmente mi accomodo a disposessnrinene, se il caso lo ricercasse, riavrei ancor io, quando non ini valessi della vera filosofia, buona occasiono di ci uciarmi per Y ambitione, quinto elemento della nostra nobiltà; non già perché comparando gli honori, i titoli et. la riputatone mia con 1’ universale di quelli della mia età non fossi de gli avantaggiati et primi tra questi, ma per cagione più tosto che, essendo pio¬ vute le gratie de gli lionori nella nostra casa tanto piene et estraordinarie, non 40 havendo io di queste participato così largamente come hanno fatto l’avo, il padre et tutti miei fratelli, potrebbe parere, anzi so certo elio pare a molti, che qualche mio diffetto ne sia stato cagione : ina tenendo io piena cognitione della radice di questa differenza, nè mi dolgo, nè per questo scemo punto i miei contenti, poiché sicome reputerei scioca ingratitudine il dolermi delle fortune della mia casa, cosi reputo pazzo chi pone la sua felicità nel concetto sregolato et scioco del volgo; et tratanto, libero da infinite gravezzo et fastidiose occupationi che seco portano gli honori della nostra patria, godo la libertà, et dispenso il mio tempo conforme al gusto et bisogno mio; et se non par ticipo di certa estraordi- naria veneratione, poco anzi nulla conforme al genio mio, vivo essente dalla in- r>o vidi a et dalle detrationi. Discorro seco questo cose della persona mia, acciò ella, che è savia et pru¬ dentissima, vedendo il fonte dal quale provengono i miei gusti, dal medesimo, che è abbondantissimo, con le ranchine della sua prudenza facia scaturire anco per lei un nuovo rivo di felicità, dandomi, per mia consolatione maggiore, spesso nuova delle inondationi che seguiranno. Et tanto basti bora in questo proposito. All’intra mento per misurar li temperamenti 10 io sono andato giornalmente aggiongiendo et mutando, in modo che quando havessi a bocca et di presenza a trattare con lei. potrei, principiando ab oro, facilmente racontarle tutta l’historia dello mie inventioni, o, per meglio dire, miglioramenti. Ma perchè, come ella mi fio scrisse et io certamente credo, V. S. Ecc. m> è stata il primo auttore et inventore, perciò credo elio gli istrumenti fatti da lei et dal suo esquisitissimo artefice avan¬ zino di gran lunga i miei ; onde la prego con prima occasione scrivermi qual sorte di opere fin bora ella habbia fatto fare, che io lo scriverò quel di più o di meno che fin bora s’ è operato di qua; et toccando in ogni nostra lettera alcuna cosa in questo proposito, io le scriverò alcune mie imperfette speculatami, le quali da perfidissimo suo giuditio et intiligenza saranno senza studio, et an¬ cora con gusto, perfettionate. Quello che si fa inventore di questi stromenti (,) , è poco atto, per non dir in tutto innetto, per instruirmi conforme al bisogno et 81». Trn quinto e Armento k neH’sutnsrrnfn nno spazio bianco. — 59. delle miei inventioni — Cfr. nn.‘ 71». 1078. •*> Santorrb Santokio. 158 15 - 18 marzo 1615. 11096-10071 desiderio mio, sì come io vanamente mi sono affaticato a dargli ad intendere la cagione de gl’ effetti che si vedono in alcuni do’ miei istrumenti (dirò così) com- ?o positi et, moltiplicati. Qui non si trova il libro di Apollo l '\ nò questa ultima fiera sono stati li¬ brari Venetiani in Francfort. Se V. S. Ecc. ma mi darà maggior lume, procurerò di servirla. Vetri lunghi della bontà che ella desidera, non si sono fatti certamente fuor che due, conio intendo, esquisitissimi, che ha havuti V 111."’ 0 »S. r Vicenzo Gussoni, che fu ambasciator in Savoia, et li fece lavorare di un suo vetro elio cavò di uno specchio rotto, del quale ne ha fatto fare ancora molti altri esquisitissimi più corti ; nò è possibile cavarglieli dalle mani. Egli professa che superino di gran lunga la bontà del mio; tuttavia Maestro Antonio, che li lavorò, mi dice so non esservi differenza. È ritornato da Verona 1’ 111." 10 S. r Agustin da Mula, al quale sono stati ru¬ bati tutti i suoi; credo elio ne farà lavorare con estraordinaria diligenza. Io non mancherò valermi dell’ occasiono por mandarne uno almeno costì, poiché la forma ò mia. Et por fine le prego dal Signor Dio ogni prosperità et contento. In Venetia, a 15 Marzo 1615. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo G. F. Sag. 1097 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 18 marzo Irti5. Bibl. Naz. Plr. Mbs. Gal.. P. VI, T. IX. car. 247. - Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. mo Scrissi per 1 ordinario passato •*’ a V. S. Ecc. ma , dandoli conto del cortese avviso fattomi dall’111.'" 0 Sig. r Arcivescovo, et insieme la pregai a nome suo che mi mandasse la lettera ” inviatami sin 1’anno passato sopra il portar la Sacra Scrittura in quistioni naturali, e particolarmente intorno al passo di Giosuè. Di novo la suplico del medesimo favore, poiché di novo S. S. ria IU. ma me n’ ha fatto instanza ; e ieri in particolare fui con lui per città in carrozza, o trattan¬ domi di questa materia, mi disse che il Padre Gori, predicator qua nel Duomo, biasima et ha biasimato il brutto termino usato dal Padre Caccini (,) . Mons. r Som¬ maci mi fa instanza della scrittura ; mostra portarmi singolarissimo affetto et io («> crr. n. n 1077. <*> Cfr. n.« 1094. Crr. n." 900. <“ Cfr. uuJ 1065, 1070. 18 MARZO 1615. 159 [1097-1098] alle cose mie, e desidera ancora di veder la lettera et insieme quest’altra scrit¬ tura che V. S. ha per le mani l0 . Questa notte passata, alle otto oro in circa, ho osservato Giove, nè mi son curato di notar molto diligentemente l’hora, perchè non vi era cosa notabile: solo dico questo, che havendo alle 6 boro in circa osservato, l’haveva visto solo con tre stelle occidentali , in questa positura : * * * o * poi, osservatolo alle otto, viddi la quarta assai lontana da 2J-, che forsi potrebbe esser stata nell’ecclisso. Alla seconda osservatione vi turno presenti il S/Giorgio' 1 ’, qual bacia le mani a V. S., il S/ Miglior Guadagni et il paggio Tornabuoni. E non -‘0 occorrendomi altro, ine li ricordo al solito servitore. risa, il 18 di Marzo 1615. l)i V.S. molto 111/ 0 et Ecc." ,a Oblig. mo Ser/° e Dis. l£> 1). Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111/° Sig/ mio Oss.'"° 11 Sig. 1 Galileo Galilei, p.° Fil.° di S. A. Firenze. 1098 * ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO in Firenze. Modena, 18 marzo 1015. Bibl. Naz. Flr. Mss. (Ini., 1'. I, T. XIV, car. 112. — Autografa la firma. 111/° Sig. oro Ho ricevuto l’opero di V.S. elio con tanta amorevolezza s’è compiaciuta mandarmi, e può credere che mi siano accette al pari della stima eli’ io faccio del valor suo. Tali riusciranno ancora 1’ altre che m’offerisce <5) , e di tutte le con¬ serverò obligo con una dispostissima voluntA. di mostrarglielo in tutte 1’occor¬ renze di suo piacere. Et a V. S. auguro per line molta contentezza. Di Mod. a , li 18 Marzo 1615. Al piacer di V. S. S/ Galileo Galilei. Il Card.' 0 d’ Este. io Fuori: All’IH/ 0 Sig. oro 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. ni Cfr. u.° 1091, Un. 25. '*i Nella configurazione elio, al solito, riprodu damo esattamente, le tre stollo non sono occiden tali, ed è incerto se la più orientale sin cancellata Giokuiu Giokui. luteudi, le Lettere delle macchie solari. 1*' Cfr. n.o 1125. 160 21 MARZO 1615. |1090] 1099. GIOVANNI CIAMBOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 marzo inif». Bibl. Naz. Fir. Msa. Gal.. I'. I, T. VII car. 211-212. — Autografa. Molt’ III. 10 et Ecc. mo S. rtì e P.ron mio Col. 1 " 0 Torno a confermarle quanto le scrissi pochi giorni fa 10 . Quei gran rumori credo che Inibimmo fatto strepito nell’orecchie di quattro o cinque e non pili. Per diligenza che si sia fatta da Mons. r Dini e da me, di scoprire se ci era moto considerabile, non si trova assolutamente nulla, e non si sa elio ne sia stato par¬ lato; sì che io mi vado immaginando che i primi autori di questa voce si siano dati a credere d’essere lina gran parte di Roma, havendo publicato per cosa no¬ toria quel che non si trova chi ne babbi», parlato: sì che quanto a questa par¬ ticolarità V. S. cominci pure a quietarsi, chè a lei non mancano amici affettuosi e che più elio mai sono ammiratori dell’ eminenza de* suoi meriti. io Sono stato questa mattina con Mons. r Dini dal S. r Card. 1 Dal Monte, il quale la stima singolarmente e le mostra affetto strasordinario. S. S. n » 111."*» diceva d* haverne tenuto lungo ragionamento col S. r Card. 1 Bellarmino : c ci concludeva che quando ella tratterà del sistema Copernicano e delle suo dimostrationi senza entrare nelle Scritture, la intorpretatione delle quali vogliono che sia riservata a i professori di theologia approvati con publica autorità, non ci dorerà essere contrarietà veruna; ma che altrimenti difficilmente si ametterebbero dichiarationi di Scrittura, benché ingegnose, quando dissentissero tanto dalla comune openione de i Padri della Chiesa. Ingomma, per non le replicar lo stesso, si discorsero ra¬ gioni assai simili a quelle elio nell’altra mia lettera io lo toccai da parte del- 20 P 111. 1 " 0 S. r Card. 1 Barberino. Non ho fin qui parlato con alcuno che non giudichi grande impertinenza il volere che i predicatori entrino su jie’ pulpiti a trattare, fra le donne e ’l popolo, dove è sì poco numero d’intelligenti, materie di cat¬ tedra e tanto elevate. Intendo esser uscito ultimamente un libretto, stampato in Napoli, die tratta non esser contraria alle Scritture Sacre et alla religion cattolica P openione del moto della terra c della stabilità del sole 1 ’. È ben vero elio per entrar, come le ho detto, nelle Scritturo, il libro corre gran risico nella prima Congregatone del Santo Offitio, che sarà di qui a un mese, d’esser sospeso. Farò il possibile per trovarne uno e mandarglielo, avanti che segua altro. Se ci sarà niente di ao nuovo, ne farò subito avvisato V. S. i>) Cfr. n.° 1085. <*> Cfr. li.» 10S», lin. 18. 21 — 25 MARZO 1015. 161 [1099-11011 Ricevei la sua lettera Ibernerà, et hoggi la giornata ft stata tutta impiegata col S. r Card. 1 Dal Monte, con Mons. r Dini e col P. F. Luigi Marraflì per questo servitio : però non ho potuto andare ancora a lar reverenza al S. p Principe Cesis, come farò quanto prima. V. S. mi conservi la sua benevolenza, e credami in ve¬ rità, che io ambisco come titolo di molta gloria 1’ essere amato da lei ; alla quale humilissimamente inchinandomi, prego (la Dio vera tranquillità d’animo e felicità. Di Roma, il dì 21 di Marzo 1615. 40 Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ,na S. r Galileo. Firenze Devoi. mo Ser.™ Gio. Ciani poli. 1100 . GALILEO a PIERO LINI in Roma. Firenze, 23 marzo 1615. Cfr. Voi. V, p&K. 297-805. noi**. RENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 25 marzo 1615. Bibl. Nhz. Fiv. Mss. Gal., P. I, T. VII. car. 213. —Autografa. Molto lll. ro et. Ecc. mo Sig. r mio Col." 10 Soli sforzato a ripregar V. S. di questa benedetta scrittura (0 , perchè così ho in mandatis da Mons. r 111." 10 Arcivescovo: c mi sarà carissima la lettera del Padre Carmelitano (,) , della quale quando diedi nova a Mons. 16 III." 10 , parve che restasse tutto d’ un pezzo, e massime che il Padre Cori, predicatore qua in Duomo, come nell’altra li scrissi (3) , biasima alla libera il Padre Caccini della dichiaratione che fece in S. Maria Novella (i) ; di modo che sentendosi uscir sopra quest’altra let¬ tera, non credo che sappia più che si dire. Hoggi son stato a visitare il detto Padre Cori, quale ni’ è riuscito in privato persona di molto garbo, sì come in io publico riesce con sodisfazione universale e con frutto singolare; e veramente si può dir di lui che predica la parola di Dio. lo non lascio le suo prediche nè le lascierò, perchè vi sento spirituale utile e diletto. Per questa prima volta non son entrato con S. P. u a trattare del Padre Caccini, ma con la prima occasione voglio sentire da lui proprio la sua sentenza, e ne spero bene, perchè si mostra Cfr. n.® 1000- '*» Cfr. n.° 1100. <*> Cfr. n.® 1103, lin. 5. 27 — 28 MARZO 1615. 163 11102 - 1103 ] è qua predicante, e s’offerisce con prontezza a disputarne con olii bisogni. Farò vedere la sua lettera al S. r Principe Cesis, perchè non credo di far male ; o se¬ condo che io vedrò, cosi farò, essendomi non meno a cuore P lionore et esalta- tione di V. S. che P interesse mio proprio. E senza più baciandoli lo mani, la prego a risalutarmi quei Signori' 0 che si trovorno al serrar dello sue lettere, con pregare a lei da Dio quanto desidera. 20 I)i Roma, li 27 di Marzo 1615. Di V. S. moli’ 111.® Ser. Àff>° S. r Galileo Galilei. P. Dini. Fuori: Al molto Ill. r ® S. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 1103. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 marzo 1615. Bibl. Naz. Fir. Mas. Rai., P. T, T. VII, car. 217.— Autografo. Molt’ 111.™ et Ecc. mo S. re e P.ron mio Col." 10 Andai a far reverenza all’ Kcc. mo S. r Principe Cesi ; stetti con S. Ecc.™ più bore ; hebbi un gusto da muovere invidia a chiunque sente diletto di eminente virtù, nobiltà e cortesia. Non si può parlare con maggior veneratone et all'etto dì quel di’ ei faccia di V. S. Ecc." ,a . Mi disse, haverle mandato il libro del P. Foscarino et io P ho letto con molta soddisfattone, e fui subito a visitare il Padre, molto affettuoso ammiratore del merito di lei. Ila trovato di più autorità di Padri, e mi disse voler perfettionare il libretto, e ristamparlo, e difenderlo da qualunque scrupoloso oppositore. io Iliernmttina con Mons. r Dini lessi la sua modestissima et ingegnosissima let¬ tera sopra il passo del Salmo Codi marrani (S) . Quanto a me, non so conoscere che possano opporvi. Siamo affatto chiari che della opinione non si è trattato qua tra più che quattro o cinque non molto affettionati suoi; e ninno di loro ha par¬ lato col Maestro di Sacro Palazzo, ma con un Padre, amico di detto Maestro, il che mi fu confermato dal Gratia (0 istesso : però è forse bene non ne trattare molto; che così pareva al S. r Principe Cesi, per non parere d’incolparsi col voler tentare le difese ove non è chi muova guerra. IO Cfr, Voi. V, pag. 305, Un. 20-22. <*> Cfr. n.° 1089. <*' Cfr. Voi. V, pag. 301-305. m Cfr. u.o 1084. 164 28 MARZO — 3 APRILE 1615. [ 1103-11051 Desidererei intenderò il miglioramento della sua sanità, quanto al restante essendo certo che l’eminenza del suo merito sia per trionfare d’ogni invidiosa detrattione. E facendole con la debita humiltà affettuosissima reverenza, prego 20 Dio per ogni sua contentezza maggiore. Di Roma, 28 di Marzo 1615. Di V. S. molto 111." et Ecc. m& Devot.“° et Obblig.™ 0 Ser." S. r Galileo. Firenze. Gio. Ciampoli. Fuori: Al molt’Ill.** et Ecc. mo S." 0 P.ron mio Col."' 0 li S. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 1104 * FRANCESCO BONCIANT a GIO. GARBI A MI CLINI [in Roma], Pisa, 28 marzo 1010. Cfr. Voi. XIX, pag. 311, Doc. XXIV, b, 8). 1105 *. PIERO BINI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 aprile 1615. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autogrnfi. B.» LXX1V, n.® 80. — Autografa. Molto Ill. ro S. r mio Oss. mo Non è stato possibile che io mi sia abboccato ancora con P 111."’ 0 Bellarmino con agio proportionato al bisogno di V. S., ma ho differito a farlo di questa setti¬ mana. Intanto al S. r Principe Cesi ho fatto vedere, con molto suo gusto, la lot¬ terà che ella ultimamente mi scrisse 10 ; e per assicurarla della ricevuta di essa, 0 non altro, gli rispondo così brevemente coni’ ella vede. E gli bacio affettuosa¬ mente le mani, con pregargli felicità. Di Roma, li 3 d’Aprile 1615. Di V. S. molto III." Ser." Aff. mo S. r Galileo. P. Dini. 10 Fuori: Al molto III." S. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. L«tt. 1105. 6. com‘eli» — m Cfr. Voi. V, pag. 297-305. [ 1106 ] 0 APRILE 1615. 165 1106. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Pisa, 9 aprile 1G15. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., I*. I, T. VII, car. 219. •— Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. mo Sig. r mio, Mando il libro c,) e la lettera di V. S. (1) Quanto alla lettera, è stata vista, senza uscirmi, però di mano, da diversi nostri ordinis, a’ quali è piacciuta in colmo. La lessi a Monsig. r 111." 10 , essendovi presenti diversi Sig. ri canonici. Da S. S. ria lll. ma fu lodata con maestà, e decoro ; dico, con poche parole e asciutte : da quelli altri Signori fu approvata la maniera del dire, il bel modo di trattare, la sottigliezza della interpretatione, e sopra ogni cosa la modestia e riverenza con che V.S. tratta della Sacra Scrittura. Io credo che Mons. rft Arcivescovo, dall’ haver visto che finalmente il frate teologo ha stani¬ lo pato, e con solennità, grande di Crocifissi e di Santi (1) , in difesa di questa opi¬ nione, sia restato attonito più per questo che per le ragioni, come quello che torsi non si credeva che ciò potesse essere. Basta : S. S. rin IU. ma non dice più che siano scioccherie, ma liora comincia a dire che Copernico fu veramente un grand’ huorao e un grand* ingegno. Quanto poi alla Lettera del frate Carmelitano, io 1’ ho letta con mio grandis¬ simo gusto, e mi ò parso bello il modo che tiene di considerare questa materia, evacuando, si può dire, tutta questa questione ; ma haverei voluto che fosse più informato delle cose di V. S. Ecc. ma , perchè quella Venere tricorporea e quel Giove quadricorporeo non l’intendo. Vero è che questo non importa alla principal 20 causa che si tratta: tuttavia è un intricar le cose belle. In oltre parmi che resti ancora grandissimo campo per le considerationi di V. S., molto più elevate o più vere e più, in conseguenza, conformi alla Sacra Lettera. Sopra gli altri passi che mi sono piacciuti nella Lettera del Frate, mi par bello quello che comincia a fac. 12, verso 18 ; e honorato, ma dovuto, quello a fac. 13, ver. 25 ; vivo, quello a fac. 20, versi 3, e tutta la faccia 20 e 21 ; degno di gran consideratione, dal verso 24 della fac. 30 per tutta la trentunesima, 32, 33 e trentaquattresima. Nella trentacinquo e trentasei vi è di peso la mia risposta data 1’ anno passato a Mad. a Sor. ma Alludo ngli emblemi o allo figuro elio sono u." 1101, Un. 3-4). bu) frontespizio, e a tergo dol frontespizio, della Accollila o alla lettera ad esso Castelli dol citata Lettera del Fosoarini. 21 dicembre 1618 (cfr. Voi. V, pag. 281-288; o cfr. < 4 » Cfr. n.« 966. 166 0 — 11 APRILE 1615. [1106-1107] opera Ina , Domine : nimis profumine factae sunt cogitutiones fune : vrn imsipiex.s noti cognoscct et stultus non intclligct linee. E questo, quanto allo lettere. so Quanto al Sig. r Giorgio fl) , V. S. non ha occasione di sentir dispiacere di me, perchè non ho fatto attionc se non con consiglio di Mona. 1 ’ Uev. mo Sommaia, quale darà sempre buon conto di me e dello mie oporationi, come di quello che son state indrizzate solo in servitio di S. A. : anzi erodo che Monsignor voglia scri¬ vere a V. S. lettera tale, elio la potrà esser mostrata et a S. A. (dove non credo nè anche che bisogni) et a altri che fossero mal informati de’ fatti miei ; non dico, a’maligni, co’quali non si trova rimedio. In somma V. S. resti consolata, perchè, a dirgliela, Monsig.*' Uev." 10 mi tiene che io sia stato mezzo efficace a quietare i romori età rendere questi signori ohedienti a’suoi comandi. Con che li bacio le mani e ino li ricordo, al mio solito, servitore obligatissimo. io l'isa, il 9 d’Aprile 1615. Di V.8. molto 111. 1 ' 0 e Ecc.'"" Oblig.""’ Ser.™ e Dis. 1 " D. Benedetto Castelli. 1107 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 11 aprile 1015. Bibl. Naz. Fir. Ut». Gal., 1*. I, T. VI, oar. 190. — Autografa. Molt’ lll. ro o molto Eco. 10 Sig. r mio Oss. mo 1/assicurarmi che la cortesia di V. S. e Painor che mi porta fa la mia scusa, mi lascia tacere, oppresso dalli continui travagli e cure che m'arrecano In gravi infìrmità della Principessa mia consorte e Duchessa mia madre, alle quali assisto et insisto di continuo. Piaccia al Signor Dio concedermi in esso la desiderata sani!è. Non lascio in questo tempo di far quanto posso, servendo V. 8. conforme al mio debito; e mi par lo cose passino assai bone, c si potrà tuttavia oprar qualche cosa a proposito, come poi le scriverò. 11 Padrele bacia le mani, n credo le scriverà. Intanto io, rallegrato assai della nova che V. S. mi dà di miglioramento nella sua sanità, le bacio affettuosamente le mani. N. 8. Dio ci doni contentezza. io Di R. a , li 11 di Aprile 1615. Di V.S. molt’III.™ Bacio lo mani alli S. ri Ridolfi e Pandolfini. Affi 1 " 0 por ser. ,a sempre F. Cesi Line. 0 P. Lett. 1100. 29. nii/ii» profumine — **) Giukuio Giorgi. (*> I’aouTAntomio Fosca tini: cfr. n.° 1089, lin. 21-22. i [ 1108 ] 11 APRILE 1615. 167 1108. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ ft GALILEO in Firenze. Venezia, 11 aprile 1615. Bibl.Naz.Flr. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 251-2B3. — Autografo lo lin. 96-102. Alla lotterà facciamo seguirò un appunto, ad ossa attinouto, elio si logge, di mano di Galileo, sul teryo doli' ultimo foglio della missiva del Sagrrdo. Mollo IH.™ S. r Ecc.“° Ilo ricevuto le lettere (li V. S. Ecc. ma de’ quattro stante col solito mio pasto et consolatione ; e se ben sono state per la maggior parte di aliena mano, che mi dà sospetto che ella non si trovi in perfetta sanità, nondimeno le sei over otto righe ultime di sua mano mi han fatto credere che almeno ella sia a buon termine della reouperatione della sua, da me desideratissima, sanità: la qual prego il Signore clic le conceda quanto prima et per molti anni. Del suo negotio col S. 1 ' Cremonino ne procurerò buon essito col mezo del Giu¬ dice del Malofficio 0) , che è mio confidentissimo; et ne scriverò questa sera, io Quanto a gl’ istrumenti di vetro per misurare i temperamenti lJ) , i primi che io feci furono della maniera elio V. S. Eoe."" 1 ha fatto fare i suoi, ma doppo ho multiplicata l’inventione in varii modi, che tutti non posso scrivere nelle pre¬ senti, non essendo io tanto otioso quanto sono stato quindici giorni fa, essendo rimasto di Pregadi et havendo liavuto carico alli ciùque Snvii della Mercantia. Ma il partire questo negotio in più lettere, non portando alcuna fretta, darà oc¬ casione di visitarci più spesso, non intendendo io che l’occupatami mie inter¬ rompano i soliti et scambievoli nostri ufiìtii, che sono di solevamento al nostro animo et non di gravezza, ancorché, consumandoci il tempo, ci prohihissero al¬ cun’ altra operatione. 20 Ilo intesa l’oppinione sua circa la cagione dell’operare di essi istrumenti, la quale m’è riuscita carissima et molto ingegnosa, et ardirei quasi di dire anco vera, se non fosse che questa non è per sé stessa palese al senso, né credo che per le cose palesi al medesimo senso si possi perfetamente provare ; ma appaga assai più la ragione che i discorsi de’ Peripatetici : poi che, se col calore esterno l’aero, che si trova nella palla di vetro riscaldata, si didatta evidentemente in modo che spinge fuori l’acqua, è ben credibile che il calore (S) penetri dentro il M» Tra lo carte del « Giudico dol Maleficio», elio tuttora si conservano ìioll'Archivio «lui Colmino di Padova (a questo toinpo tale Magistrato non esi¬ steva in Venezia), non si rin voline alcuna traccia della pratica alla quale qui acconnu il Saokkdo. <*> Cfr. un. 1 719, 873, 906, 1078, 1096. <»» Di fronte alla liuoa del manoscritto che con¬ tiene lo parola « ovidentomento ... caloro », si logge, di mano di Galileo, sul margiuo: «pallina di cera rugiadosa ». Iti8 11 APRILE 1G15. [ 1108 ] vetro, et che ivi penetrato in maggior o minor quantità, richieda più o manco luoco ; il quale non potendo in un istesso tempo capire l’aere et lo spirito tenue et igneo, ò constretta l’aere a dar luoco: sì come,rnffredondosi l’ambiente esterno, è credibile che lo spirito igneo, che sopraboiula nella palla, esca tino che si equi- 80 libri con l’ambiente; onde, evacuandosi il luoco che lo capiva, convien succedere l’aere, et dopo di esso l’acqua o vino. Ma però è ben cosa chiara che s’habbia ancora a concedere il vacuo: il che io ho fatto vedere con la sottoscritta esperienza. Alle fornaci di Murano ho fatto fare un vaso di vetro con un palmo di collo ; et essendo ben caldo, l’ho fatto rinchiuder, sì che tutto F aere elio v’ era dentro rinchiuso, pieno di calore, non potesse più uscire; et doppo, ralfredato e per con¬ sequenza uscito lo spirito igneo e restatavi dentro l’aere di ugual temperamento all’ambiente, persuasi chi erano presenti che dentro vi fosse pochissima aria, sì come al senso era manifesto che non vi fosse lo spirito igneo. Le prove fumo duo. La prima, che havendovi fatto rinchiuder dentro un sonaglio da sparaviero, 40 questo, mosso, non faceva suono alcuno, so non in quanto percoteva nel vetro et, per conseguenza, faceva un suono esterno; il che fu assai facilmente creduto che non avenisse per altro che per lo mancamento dell' aere nel vaso sudetto, et tanto più che, essendosi rotto detto vaso, si trovò il sonaglio sonoro, secondo F ordinario. La seconda, perchè liavendo io posto esso vaso col collo in una ma¬ stella di acqua, con un ferro gentilmente apporsi la bocca, per la quale salendo entrò tant’acqua, che pareva che volesse riempire in tutto il detto vaso, se ben F impatienza, che fu cagione che si rompesse affatto, non permesse che si vedesse totalmente riempito. Quanto alla differenza o disugualità dell’ ascesa dell’ acqua o vino, se ben da 50 principio io fecci un’ esperienza in tutto simile alla sua dell’ applicatione della eanella più grossa, ma però senza vino, regolata da un’altra misura equivalente, tuttavia usai altra maniera, che fu col lasciar attraer nella eanella una termi¬ nata quantità di liquore, et levato il vasetto di sotto lasciavo ascendere et di¬ scendere quel liquore : maniera però che fu da me tralasciata in poco tempo, sì come un’ altra, che fu il torcere ad angoli retti il capo della eanella verso la palla, et parimenti dalla parte contraria F altro capo, sì che posto a questo il vasetto la eanella restasse a livello, in questo modo Ma perchè queste due mie cautelle non possono servire coramunemente anco a gl’ istrumenti che havessero la cannila molto grossa, che certamente sono i più perfetti, le ho dismesse, come sottilità imperfette, e tanto più che veramente, per Fesperienza fatta da me, come forse in altre mie le scriverò più distintamente, non trovo che sia la difìerenza troppo grande ; onde, se ben ho liavuto animo di usare F altra cautella scrittami da V. S. Ecc. ma , di andar diminuendo i gradi più alti, I*ett. 1108. 37. di ut/al temperamento — CI -62. per/etti, li ho diimtiri — CO 11 APRILE 1615. 169 [ 1108 ] tuttavia non mi sono mai posto all’ impresa, perchè veramente non ho saputo speculare la regula per tlieorica: onde se V. S. Kcc.' r,a me ne darà qualche lume, lo riceverò a molta gratta. Li ntilgiori et più perfetti stromenti che ho latti, sono stati con una canella 70 grossa un dito, voglio dire nella parte dei vano di dentro, in capo alla quale, alla fornace di Murano, ho fatto soffiare un vaso di tenuta di tre o quattro In¬ cineri, adopperando poi detto stromento nella maniera che V. S. Ecc. rna scrive. Di questa maniera io me ne trovo tre di grandezze diverse, che giù quasi tre anni lavorano con tanta proportione tra di loro, che è meraviglia. Questi sono stati osservati da me, per un anno in circa, una, 2, 3, 4, 5, 6, fin otto volte il giorno, con tanta corrispondenza, che havendo io dalle osservationi sudette cavata una tariffa delle corrispondenze et equationi tra loro, ho prima veduto che assoluta- mente caminano con la medesima proportione tanto nel sommo caldo quanto nel sommo fredo ; si che ogni volta che ne guardo uno, con la tariffa indovino so il grado de gl’ altri due, ma però con la variatione qualche volta di due over tre gradi, poco più poco meno. Il che occorre ancora a quelli che, partendosi da Firenze, vanno a S. n Giacopo di Galitia in peregrinaggio, i quali ritrovandosi a cavallo, qualche volta o per capritio o per bisogno fanno una carriera avanti il compagno, overo arrestano adietro due tiri di arcobuggio, ma però ogni sera si trovano all’osteria all’istessa tavola: cosi questi istromenti alterandosi alquanto per minimi accidenti, s’ alterano più e meno secondo che più o meno sono esposti a detti accidenti, o per la vicinanza dei fori delle stanze, o delle persone, o dei lumi etc. ; oltreché essendoveno alcuni più grossi, altri più sotilli di vetro, è da credere che non tutti si alterino nell’ istesso tempo, onde, facendosi alcuna mu¬ so tatione nel temperamento dell* ambiente, il più solile ò primo a sentirla et di¬ mostrarla. Ma ne gl’ istromenti di canella sottilissima, come quelli di V. S. Ecc. n,a , creda pure che anco la viscosità dell’ acqua et del vino fa variatione ; onde mi sono apigliato ad istrumcnti di tanta grandezza, che quando si leva di soto il vaso, la canella si svoti. Un’altra volta le scriverò alcun altro particolare, et per fine li baccio la mano. 11 S. r Gagio (,) è qui in camera, et mi sturba, et io non voglio che vedi ciò che scrivo ; però queste mio le reusciranno forse troppo confuse, havendo io la mente occupata in più parti. In V. a , a 11 Ap. e 1615. ioo Di V. S. Ecc. 1 "* Tutto suo G. F. Sag. La posta ventura li scriverò circa quel giovane che ella mi propone (i >. <*> Bernardino Gaio. i*i Cfr. n.» 923. 170 11 APRILE 1015 . [ 1108-11091 Tengasi un gozzo voto sopra ! 1 fuoco, o dalla bocca (che sia angustissima) osservisi con una volandina se esca lo spirito igneo continuamente. Metti nel gozzo x pochissimo vino, inchiostro, argento vivo, etc.; poi, postolo sopra ’1 fuoco, vedi se si consuma detto vino etc., o quello che fa. 1109 *. CRISTOFORO SCI1EINER a GALILEO in Firenze. Ingolstadt, 11 aprilo 1G1G. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, U.» LXXXIX, n.« 3ìi. — Autografa. Ihs. Salutem pluritnam opto. Vir clarissime, Post nuperas Disquisitiones (,) , nunc Solem Ellipticum (,) mitto tibi, sperans non ingratum fore, tametsi exilo sit, munusculuni. Quaeso, si vacabit et operae Bett. 1108. 107. te si continuo — <0 Cfr. n.° 1077. <*> Cfr. n.o 1056. 11 — 12 APRILE 1015. 171 [1100-11101 precium iudicabis, ne graverò sentenliam tuara super eo ferro et mihi indicare : neque est quod oflensam meam verearis ; libenter audiam, sive prò me sive contra facies. Yeritas enim uti neminem palpat, ita agnita, grata est: nani quando odium parit, cognita non est, ncque ut cogn’oscatur impetrati. Vale, et me tuum servimi io esse patere. Ingolstadii, 1015, 11 Aprii. Dominationis Tuae Servus in Christo Christophorus Scheiner m. p. a Fuori : Ihs. Nobili atquo diarissimo Viro atque D.no L). Galilaeo do Galilaeis, Philosopho atque Mathematico praeclarissimo, D.no suo plurimum colendo, Florentiae. Ilio*. ROBERTO BELLARMINO a PAOLO ANTONIO FOSCARIN1 [in Roma]. Roma, 12 aprile 1615. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cod. Volpicollinno A, car. 15flj*.-I60r. — Copia di mano sincrona. In capo alla car. lo9r. si leggo: «Copia», o a car. 1- : « Copia (lolla risposta dell'111.™ 0 S. r Card. 1 » Bollarmino. AI ?. M."> Paolo Antonio Foscarini, Provinciale do’ Cani».» 1 di Calai).», sopra la sua lettera stampata (lolla mobilità (lolla terra ». Al Molto R. d0 P.i'O M. r0 F. Paolo Ant.® Foscarini, Provinciale de’ Cannelit." 1 della Provincia di Calabria. Molto R.' 1 ° P.re mio, Ilo letto volentieri l’epistola italiana e la scrittura latina che la P. V. m’ ha mandato: la ringratio dell’ima o dell’altra, o confesso che sono tutte piene d’ingegno o di dottrina. Ma perchè lei dimanda il mio parere, lo farò con molta brevità, porche lei bora ha poco tempo di leggero ot io ho poco tempo di scrivere. P.° Dico che mi paro che V. P. et il Sig. r Galileo facciano prudentemente a conten¬ tarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che habbia 10 parlato il Copernico. Perchè il dire, che supposto elio la terra si muova et il sole stia fermo si salvano tutte' Papparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è be¬ nissimo dotto, c non ha pericolo nessuno ; o questo basta al mathematico : ma volere af¬ fermare che realmente il sole stia nel centro del mondo, e solo si rivolti in sè stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la terra stia nel 3° cielo e giri con somma velo¬ cità intorno al solo, ò cosa molto pericolosa non solo cl’ irritare tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anco di nuòcerò alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante; per¬ chè la P. V. ha bene dimostrato molti modi di esporre lo Sante Scritture, ma non li ha applicati in particolare, ohè senza dubbio havria trovate grandissime difficultà se havesse voluto esporre tutti quei luoghi elio lei stessa ha citati. 172 12-13 APRILE 161 Ti. [monili 2. ° Dico che, come lei sa, il Concilio prohibisce esporre lo Scritture con ira il commnne 20 consenso de'Santi Padri; o se la P. V. vorrà leggere non dico solo li Santi Padri, ma li eonmientftrii moderni sopra il Genesi, sopra li Salmi, sopra V Ecclesiaste, sopra Giosuè, trovava che tutti convengono in esporre ad litcram ch’il Bolo c nel cielo e gira intorno alla terra con somma velociti, e che la terra è lontanissima dal cielo o sta nel centro del mondo, immobile. Consideri bora lei, con la sua prudenza, so la Chiesa possa soppor¬ tare che si dia allo Scritture un senso contrario alli Santi Padri et. a tutti li espositori greci o latini. Nè si può rispondere elio questa non sia materia di fede, perchè se non è, materia di fedo ex parte obiedi, è materia di fedo ex parte dicentis; e così earebbo bei-e¬ tico chi dicesse che Àbramo non liabbia havuti duo figliuoli o Iaculi dodici, come chi di¬ cesso che Christo non è nato ili vergine, perché l'uno e Pulirò lo dice lo Spinto Santo 30 per bocca de’Profeti et Apostoli. 3. ° Dico elio quando ci fosse vera demos! rat ione che il sole stia nel centro del mondo r la terra nel 3° cielo, e che il solo non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, nllliora bisognerai andar con molta eonsideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, c più tosto dire elio non P intendiamo, elio «lire elio sia falso quollo che si di¬ mostra. Ma io non crederò elio ei sin tal dinio6trationo, fin cito non mi sia mostrata: nè è P istesso dimostrare elio supposto di'il sole stia nel centro o la terra nel cielo, si sal¬ vino lo apparenze, e dimostrare che in verità il sole stia nel centro e la terra nel cielo; perchè la prima dimostrationo credo che ci possa essere, ma della 2* ho grandissimo dub¬ bio, et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa, esposta da’ Santi Padri. 40 Aggiungo che quello che scrisse : Oritur sol et occidit, et ad lacum situm revertitur etc., fu Salomone, il quale non solo parlò inspirato da Dio, ma fu lumino sopra tutti gli altri sapientissimo e dottissimo nelle scienze humane e nella cognitione delle cose croate, e tutta questa sapionza l’hebbe da Dio; onde non è verisiiuilo che affermasse una cosa che fusse contraria alla verità dimostrata o elio si potesse dimostrare. E se mi dirà che Salomone parla secondo P apparenza, parendo a noi eli’ il sole giri, mentre la terra gira, come a chi si parto dal litto pare che il litto si parta dalla nave, risponderò che chi si parte dal litto, se bene gli paro che il litto si parta da lui, nondimeno conosce che questo è errore e lo correggo, vedendo chiaramente che la nave rì muove e non il litto ; ma quanto al sole c la terra, nessuno savio è che habbia bisogno di correggere l’errore, perchè chia- 50 rumente esperimenla che la terra sta l'ernia o che rocchio non s’inganna quando giudica che il sole si muove, come anco non e’inganna quando giudica che la luna o lo stelle si muovano. PI questo basti per bora. Con che saluto elmi-amento V. 1\, e gli prego da Dio ogni contento. Di casa, li 12 di Aprile 1615. Di V.P. molto R. Come fratello Il Card. Bellarmino. 1111 * CORNEI.TO .... Inquisitore di Firenze, a GIO. GARSIA MILL1NI in Roma. Firenze, 13 aprile 1615. Cfr. Voi. XIX, pag. 312, Doc. XXIV, 6, 9). [1112-11131 16 — 20 APRILE 1615. 173 1112*. riERO DINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 18 aprile 1615. Blbl. Naz. Flr. Ma». Gai., P. 1, T. VII, car. 221. — Autografa. Molto 111." S. r mio Os8. mo Dopo che io accusai la ricevuta lettera eli V. S. da mostrarsi all’Ill. n, ° Bellar¬ mino non ho, si può dir, latto altro a favore di questo negozio, perché liavevo proprio gusto di trattarno io col detto 111."' 0 , ma una raucedine grande m’ha tolto il poter discorrere con galantuomini, nè d’ altri mi son voluto fidare, lima in questi santi giorni, che stanno occupati, m* è parso lasciarli staro, tanto che finiscono questo fazioni cardinalizie. Intanto V. S. dall’aggiunta lettera (S) potrà vedere V umore di questi Signori; e io a questo Padre, in ricompensa d’altre sue cortesie, ho dato la lettera di V. S., che ancora non 1’ ho lasciata in altre mani io che del S. r Principe Cesia. Scusimi V.S. di quello che non ho fatto per lei; e le bacio le mani, con pregarle felicissime feste e ogni altro bene. Di Roma, li 18 di Aprile 1615. Di V. S. molto 111. 0 Sor. Aff." 10 S. r Galileo. P. Dini. In vedendomi il S. r Card. 1 * Barberino, mi disse spontaneamente queste pa¬ role : Delle cose del S. r Galileo non sento che se ne parli più ; e se egli seguiterà di farlo come matematico, spero non gli sarà dato fastidio. 1113**. PIERO DINI ft GALILEO in Firenze. Roma, 20 aprilo 1615. Autoflrrafoteoa Morrison In Londra. — Autografa. Molto 111." S. r mio Oss. mo Scrissi sabato sera quanto in’ occorse, e di poi mi trovo la gratissima di V. S. delli 14 corrente, rallegrandomi che m’habbia scritto per segretario : così vorrei che ella facesse tutte le scritture o la maggior parte. 0> Cfr. n.° 1102. chiamo sotto il n.° 1110. K il « Padre» a cui ac- <*) Ora non ò allogata alla presente; ma è prò- cenna, è probabilmente il P. Paolo Antonio Fo- babile fosso una copia di quella che noi pubbli- scarini. 174 20 — 25 APRILE 1615. 11113-11U] Passato domani proccurorò d’essero con V lll. ,no Bellarmino, al quale sogghi¬ gnerò ancora le cagioni del mio indugio, acciò non credesse elio V. S. havesse stentato a mettere insieme quelle dottrine etc. Mi ricordo servitolo a V. S.; e trovandomi occasiono straordinaria d’appor¬ tatore, son brevissimo, tanto più. che il mio catarro non mi lascia faro quel che vorrei. Il Signoro la feliciti. io Di Roma, li 20 d’Aprile 1615. Ser. Aff. ra0 S. r Galileo. T. l)ini. Fuori: Al molto IH." Sig. r mio Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1114 *. PIERO D1NI a GALILEO in Firenze Roma, 26 aprile 1616. Bibl. N«7. Flr. Mas. Gal., r. I, T. VII, car. 228. - Autografa. Molt’.Ill. 6 S. r mio Oss." 10 So che V. S. con ragione aspetta di sentir da me 1' esito del negoziato con quell’ Ill. ,no (,) ; ma la mia voce, con havermi tenuto nello stato scritto più tempo ch’io non credevo, n’ha tutta la colpa, o son ancor qui dov’ella sente. Ilo ben parlato al S. r Falconieri (,) , che mi dice non saper più di quello ha scritto costà, nò meno haverne sentito più favellare; il che credo verissimo per sò stesso, e ancora perchè feci capitale di quanto scrissi di bocca dell’ Ill. ,no Barberino e bora, per buona gionta, dico clic il Padre Matematico (non mi ricordo del nome), compagno c in compagnia del T. Grembergero, venne duo dì sono alla volta del mio cocchio, cho andavo a messa, dicendomi con grande allegria : < Mi ral- io legro che lo cose del S. r Galileo sono accomodato > ; ma non volsero dirmi più, forse perchè ero con gente da loro non conosciuta. Aggiungo questo contrasse¬ gno: che il S. r Filippo Arrighetti m’ha parlato più d’una volta, da poco in qua, di certa maniera eh’ io veggo cho egli ha caro eh’ o’ si creda che egli habbia par¬ lato di questo negozio poche volte c come Aristotelico, c non per aderire por picca ad alcuna fazione, o simili cose dirà costà ; ma da ino V. S. se ne vaglia solo per suo avviso, acciò non si creda che io voglia troppo sottilizzare sopra lo CI Cfr. mi.' 1112, 1113. <*> Ottavio Faloomirri. < 5 ' Cfr. n.« 1112, lin. 15-17, 25 APRILE — 2 MAGGIO 1615. 175 [ 1114 - 1115 ] parole degli amici. Gli altri non sono appresso di ine in tanta stima ; però non parlo di loro. E a V. S. per line bacio le mani e prego ogni contento. 20 Di lloma, li 25 di Aprile 1615. Di V. S. molto 111. 0 Ser. Aff."‘° S. r Galileo. P. Di ni. Fuori: Al molto 111. 0 S. r mio Osa.'" 0 [il] S.*' Galileo Galilei. Firenze. 1115 . PIERO PINI a GALILEO in Firenze. Roma, 2 maggio IC15. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal.. T\ I, T. VII, car. 225. — Autografa. Molt’ 111. 0 S. p mio Oss. 1HO Fu da me, son due giorni, il S. r Principe Cesi, e lungamente discorremmo quasi sempre di V. S., e ci distribuimmo alcune coso da farsi qua; e nel ragio¬ nare parve al S. r Principe clic io non presentassi quella lettera a quel personag¬ gio 10 , poiché essendo esso, c altri molti d’autorità, pretti Peripatetici, si dubita di non gli irritare in un punto già guadagnato, cioè clic si possa scrivere come matematico c per ragion d* ipotesi, come voglion che Labbia latto il Copernico : il che se bene non si concede da’ suoi seguaci, basta a gli altri che P effetto me¬ desimo ne risulta, cioè del lasciare scrivere liberamente, purché non s’entri, come io s’ è altre volte detto, in sagrestia. Ilora, se bene s’è detto di far così, si eseguirà non dimeno P ordine che ella ne darà. In tanto posso dirgli questo, che io non so eli’ e’ ci sia novità alcuna, se non quella che potesse partorire un continuo sfatamento, per così chiamarlo, di questi Aristotelici, i quali ragionando dell’altra setta dicono : < Questi mettono il sole nell’ inferno, noi nel 3° cielo >, et similiu : le quali tutte cose (se bene non si dicono in quella guisa che essi le profferiscono) posson nondimeno dar gran fastidio alla causa; ma se non cagioneranno sonori lunghezza, sarà poco male. Il P. predicatore (1) si partì con pensiero di ristampare, conforme a che ella forse sa ; e per esser della protezione dell’ 111."' 0 Meliino (3> , non credo harà gran •jo fastidi, tanto più che nella religione ò persona graduata e di sapere non ordinario. Trovo mi qui al giardino di Monte Cavallo dell’ Ill. mo Bandini c *>, dove V. S. mi lece vedere per la prima volta le macchie del sole : bora ci sono per ritrovar <0 Cfr. un. 1 1000, 1105, 1112, 1118, 1114. (*) Paolo Antonio Fosoarini: cfr. u.° 1089, liu. 21-22. «si Giovanni Gaksia Mii.mxi. ° et Obbl.® 0 Ottavio Pisano. Fuori: Al molto Illustre Sig. ro et P.ne Oss.' 110 il S. r Galileo Galilei, che Dio guardo. Fiorenza. 1117 . BENEDETTO CASTELLI a ENEA PICCOLOM1NI PARAGONA [in Firenze], Pisa, 2 maggio 1015. Gtr. Voi. IV, ima. 453. 1118 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 6 maggio 1615. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 227-228. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. n, ° Sig. r mio Col.'" 0 Ho riceuto la lettera di Y. S. Ecc.' na , e subito ho ritrovato Mons. r0 Sommaia per fargli spedire V ordine del pagamento del suo semestre ; ma S. S. Rev. raa si scusò con dire che teneva ordine da cotesti Signori ministri di Firenze di non pagare a Y. S. Ecc. ma altro che un terzo dei scudi 500, se prima da V. S. non era data sicurtà del servizio e della sopravivenza : e sopra questo mi mostrò otto o dieci lettere delli detti Signori ministri, con questo ordine espresso e replicato. Per tanto starò attendendo il suo comandamento di novo, e la servirò subito. Monsignore m’ ha detto di volergliene scrivere : e questo è quanto posso dirgli io di questo particolare. Della mia malatia, mi fu di noia assai, massime che dovevo, per servire Mon¬ signore, fare, come feci si può dire con la fobre, il viaggio di Genova, noi qual viaggio il mare nell’andare mi fu medico e medicina; di modo che ritornai gio¬ vedì passato sanissimo, con lmver fatto compitamente il servitio per il quale io ero andato: di modo che Monsignore mi mostra d’essermi obligato. In Genova hebbi occasione di conoscere il S. r Gio. Batta Bagliani, quale mostrò restare so- 178 G — 11 MAGGIO 1615. [1118-11191 disfattissimo delle cose mie ; mi trattò di molti particolari di V. S., e si dichiarò di fare grandissima stima del valor suo; mi imposo che li baciassi le mani per parto sua, offerendosi prontissimo ad ogni suo comandamento. Trattai parimente con altri signori di molto garbo, che mi dimandorono informationc delti mera- 2 u vigliosi scoprimenti di V. S., a’ quali procurai dare sodisfazione con i semplici racconti, aggiungendovi solo quelle poelie conseguenze clic loro m'andavano ri¬ cercando; e questo, per fuggire le dispute con i spropositati: e così la cosa m’ò riuscita assai felicemente. Non gli mando osservazioni di Giove, perchè da che son ritornato non ne ho fatto altro che una di quelle senza guadagno ; nel resto i signori nugoli non vo¬ gliono consolarmi. 11 S. r Massimo l ", dottore, primario di legge, li vidde con suo grandissimo gusto, essendo la prima volta che li ha osservati ; e vidde ancora con stupore la luna, trattando di V. S. con molta riputatione : o veramente liora posso dire clic, per quanto io sento, gli ignoranti non sanno che si dire, c gli so huomini di garbo vanno tuttavia sempre più lionorando c ammirando le virtù di V. S. Quanto alla lettera del Padre Carmelitano l ”, ero sicuro che dal santis¬ simo giuditio di S. ,!l Chiesa non poteva nascere altra deliberatione ; e godo che questi meschini siino cascati nel laccio elio hanno teso. A che rifuggii) si siino per dare non lo so, ma direi che se li bastasse V animo, che si metteriano vo¬ lentieri all’ arme per sfogar la lor rabbia. E con pregare a loro cervello e a V. S. saniti!, me li ricordo servitore, non potendo scrivere più in lungo, perchè Mon¬ signore m’aspetta a cena, dove li faremo inviti ctc. 11 G di Maggio 1015, Pisa. l)i V.S. molto Ill. rt * et Ecc. n,s Ser. r ® Oblig. mo e Dis. 10 -io Aspetto l’Apologià (3) . D. Benedetto Castelli. Il Sig. r Giorgio li bacia le mani, e spera vederla in breve. Fuori, d* altra mano: Al molto 111.™ et Kceell. 1 " 0 mio Sig. re Col." 10 Il Sig. p Galileo Galilei. p.° Filosofo di S. A. S. ,u « Firenze. 1119*. CORNELIO . . . , Inquisitore di Firenze, a GIO. G ARSI A MILL1NI in Roma. Firenze, 11 maggio 1615. Cfr. Voi. XIX, pag. 813, Hoc. XXIV, b. 10). **' tu. IP PO Massini. vico delle Colombe « ilei 8. Kincensiu di Oratiu ; cfr. in Paoi.o Antonio Fosoahini. "Voi. IV, pag. 451 o aeg. |S ’ Cioè la Hiipoita alle oppotixioni del S. Lodo- « 4 > Giorgio Giorgi. [ 1120 ] 13 MAGGIO 1615. 179 1120 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 13 maggio 1615. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. 44. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r c P.ron mio. Mando a V. S. Ecc. ma un sacchetto, dentrovi novecento e trenta quattro te¬ stoni, quarantacinque zecchini, e dieci grazie, che sono in tutto trecento trenta due scudi, due lire, sei soldi e otto dinari, havondo dato un scudo di colletta al bidello. 11 sacchetto è sigillato con due sigilli et arme mie, presente Gio. Batta (l> , quale bacia le mani a V. S. L’istcsso fa Michele. Le osservationi elio ho fatte son queste: 4.30' 16 D. 10 Mail, post oc. solis ho. 4.44'. Die 11, ho. 2.30'. io eadem die, ho. 4 . — Die 12, ho. 1.15'. eadem die, ho. 2.50'. eadem die, ho. 3.40'. Se non mi fosse sopravenuta una furia di nugole, haverci osservata la con- giontione del più vicino a Giove. Se V. S. ha constitutioni future in ordine, me le mandi, perchè lo osservarò con diligenza : in tanto questa sera non credo si potrà osservare per le nugole. Ilaverei a caro che V. S., con suo comodo, s’ abboccasse con il S. r Lorenzo Usimbardi, col quale entrando in ragionamento di me, vedesse di ridurli in mente 20 di trattare con Mad. a Ser. ma d’impiegarmi questa estate nel servitio del Principe D. Lorenzo (S) , come S. S. ria mi disse di voler faro. Però in tutto mi rimetto alla Q; * 4 4.80' (*»c) 4. SO' *-—** ^ oro c °niuncti r,. 45 15 5 16 2.63* 6 7 23 <*) Cfr. n.° 787, lin. 7, u.° 976, occ. <*) LORBKZO DB’ MkDIOI. 13 — 15 MAGGIO 1615. 180 [1120-11211 prudenza di V. S., alla quale per line bacio le mani da parte del vS. r Giorgio (,) e li prego dal Cielo ogni bene. Pisa, il 13 di Maggio 1015. Di V. S. molto 111.™ et Kcc. ma Oblig. mo Ser. ro e Die. 10 1). Benedetto Castelli. Fuori : Al molto lll. ,e et Kcc. mo Sig. r mio Col. mrt 11 S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. con un sacchetto di danari. Firenze. 1121 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 15 maggio ir*15. Bibl. Nasi. Flr. Mfi$. (lai., P. I, T. VII, rur. 229-280. — Autografa. Molt’ 111.™ e molto Ecc.'* Sig. r mio Os8. mo La prima lettera che V. S., con V alligata per il Padre l!) , mi scrisse questi giorni passati, mi capitò finalmente; et essendo il detto partilo por la sua pro¬ vincia, già li ho inviate le sue. Mi dole che non sento che V. S. stia affatto bene, cruciandomi delle sue così lunghe o ostinate indispositioni : la stagione bora ò buona, o spero certamente sia per rib Aversi affatto, mentre eseguisca quanto mi scrive, di ritirarsi fuori e riposarsi sino che stia bene, alienato totalmente da ogni fatiga et inquietudine. La prego dunque con tutto P animo ad effettuarlo quanto prima. I miei ammalati (3) di qua seguitano a migliorare, benché a poco a poco : Dio io sa clic necessaria perturbarono di tanti mesi c che continuo travaglio è stato il mio, e da quante parti: sia ringratiato Lui elio s’è compiaciuto liberarmene, cbè certo nelli aiuti Immani c medicinali poco c’ora da sperare. Flora seguitiamo 1’ acquisto con allegrezza. Nello conclusioni dello smascherato Appello (k) noto quanto V. S. m’accen¬ na: l’affetto ò evidentissimo; e sempre vorrebbe mettersi a parte, si lascia tra¬ sportar molto. Godo per gratia di V. S. della amicitia del gentilissimo Sig. r Ciampoli, al quale non mancarò, per il cenno di V. 8. e per il suo merito, d’ogni prontezza in suo servigio. Spesso con essolui, spesso con Mons.* Dini, mi trovo, e cornimi- 20 nielliamo quanto passa, oprandoci per ogni verso e con ogni efficacia e destrezza <*' Giorgio Giorgi. <*' Paolo Antonio Foscarini. ' 8 > Cfr. n.® 1127. '*> Cfr. a.® 106G. 15 — 16 MAGGIO 1615. 181 [1121-11221 insieme, acciò V.S. resti servita; quale desidero sempre mi commandi, por so¬ disfare al mio perpetuo obligo. Con clic le bacio le mani, pregandole da N. S. Dio ogni contentezza. Di Roma, li 15 di Maggio 1615. Di V. S. molt’Ill.” e molto Ecc. t0 Àff. mo per ser. ,a sempre F. Cesi Line. 0 1*. Fuori: Al molt*lll. r0 c molto Ecc. t0 Sig. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei L.° so Fiorenza. 1122. PIERO DIN1 a GALILEO in Firenze. Roma, 16 maggio 1615. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. VII, car. 231. - Autografa. Molto Ill. r * Sig. r mio Oss." 10 Non so pensare qual sia stata la cagione che tanto Labbia commosso V.S., mentre qua non si tratta rinovatione alcuna. E quanto al Copernico, hormai non se ne dubita più; e quanto all’opinione di V. S., li dico che per adesso non ò tempo di voler con dimostrationi disingannare i giudici, ma sì bene ò tempo di tacere e di fortificarsi con buone e fondate ragioni, sì per la Scrittura come per le mathematiche, et a suo tempo darle Inora con maggior sodisfationc : e non sarà se non bene che V.S. dia V ultima mano a quella scrittura (,) clic mi dice haver abbozzata, so la sua sanità glie lo comporta ; e fra tanto dal S. r Principe io o da me s 1 andrà destreggiando con questi Tll.*"’, elio potremmo trovar qualche via facile da far ottenere a V. S. 1* intento suo. E della Lettera del frate Carme¬ litano, mi dice il S. r Principe che presto si vederà con aggiunta d’altre authorità, per maggior chiarezza della sua interpretatione. Intanto V. S. proccuri di ricuperar le forze, c stia di buon animo, perchè non si sente nè pure un minimo motivo contro di V. S.; e se a Dio piacessi che lei potessi venir qua fra qualche tempo, son sicuro clic darebbe gran sodisfatione a tutti, perchè intendo che molti Gesuiti in segreto sono della medesima opi¬ nione, ancorché taccino: o con questi e con ogn’altro non mancherò mai di fare quanto saprò, per benefizio universale de’ letterati, rincrescendomi solamente 20 P haver poche forze a tanta carica. Xi©tt. 1123. 12. *» venderti, con — • >' lutendi, la lettera a Madama Cristina di Lork.na. 182 16 — 20 MAGGIO 1615. [1122-1123] La dichiaratone del solenon la lo vedere se non a persone elio sono con V. S., perchè per ancora non pare che possi haver ricapito buono la neces¬ sità elio terra inoveatur. E senza pili li bacio le mani, e pregoli da N. S. ogni Itene. Di Roma, li 16 di Maggio 1615. Di V. S. inolt’ 111.* S. r Galileo. Ser. Aff>° P. Dini. Fuori : Al molto IH.™ S. r mio Oss. reo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1123 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 90 maRRio 1615. Bibl. Na*. Fir. Mas. Gal.. V. III. T. VII, 2, car. 46. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. r e P.ron Col. mo Feci P osservatone delli 13 del corrente, nella quale vedendoli tutti quattro assai lontani da Giove, mi fece passar il desiderio di replicar Posservatone, come ho fatto gli altri giorni, massimo dove vedevo qualche cosa di bello. Notai bene, c mi parse strano, nella costi tu tione dolli 13 il lontanissimo Pianeta Mediceo occidentale, che mi parse lontano quasi tre volte più dell’altro pur occidentale, e questo mi pareva dal centro undeci semidiametri di Giove. Por tanto V. S. Flcc.™ potrà farvi sopra quella consideratone clic li parrà oportuna ; et io, bora che sarà lontanissimo orientale, non mancarci farvi diligenza. L’ bore lo piglio pro- cisamente dal tramontalo. il il Die 13 Mail, ho. 3. Die 14 , ho. 2.44'. Eadem die, ho. 3.36'. Die 15, ho. 1.20'. Fadem die, ho. 2. 16'. 12 14.20' *_ _ 13 4.3Ó' 6. 35' 03?* 8 f>. 35' 2 . 10 ' o ) O * tr * Lett. 1123. 6. Trn quasi o tr» si legge, cancellato, due voti*. — 10 “> Cfr. Voi. V, pag. 801-305. [1123-1121] 20 MAGGIO 1015. 183 Eadcm die , ho. 2.34'. Die 17 , ho. 2.15'. Die 19, ho. 2.20'. Eadem die , ho. 4. so Questo ò quanto li posso scrivere intorno le osservationi, fatte, si può diro, a dispetto delle nugole, con aspettar Giove tra una nugola o l’altra: però se non fossero così essatte, mi scusi. Deve poi sapere V. S. che l’111. 11,0 Sig. r Giorgio Giorgi, eletto giìt Rettore di questo Studio con applauso universale, ha accettato il carico, ondo io mi ritrovo occupatissimo. S. Sig. ria 111."* bacia le mani a V. S. K. ,na , et io me li ricordo servitore al solito. Risa, il 20 di Maggio 1015. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Oblig. n, ° Ser.™ e Disce.'° D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Eoe." 10 Sig. r e R.ron mio Col." 10 so 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Fil.° di S.A. Firenze. * no' *-0 2. IO' oi 8 » 4 ' 18.50’ 0 * _-X>—'* 9 5.20' 0. 30' 12 * 1 : •» o: * » lì 24*. [GALILEO a PIERO 1)INI in Roma]. [Firenze, maggio 1616.] Blbl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cod. Volpicelliauo A. car. 177r.-178>\ — Copia di ■nano sincrona. lo scrissi 8 giorni fa a V. S. molto I. e Rev. n,a , rispondendo alla cortesissima sua delli 2 stante (l) , e la risposta fu brevissima; perchè mi trovavo, come anco di presente, tra medici e medicine, trava¬ gliato di corpo e di mente per molti rispetti, e in particulare per non veder venire a un fine di questi rumori, promossi senza nissuna mia colpa contro di me, c recevuti, per quanto mi pare, da’ supe¬ riori come se io fossi il primo motore di queste cose; le quali per me sariano dormite sempre, parlo dell’ entrare nelle Scritture Sacre, nelle quali non è mai entrato astronomo nessuno nè filosofo natu- l‘» Cfr. a.o 1115. 184 MAGGIO 1615. [ 1124 ] rale die stia dentro a i suoi termini : e mentre io seguo la dot- io trina di un libro ammesso da S. la Chiesa, o mi escono per traverso filosofi nudissimi di simili dottrine e mi dicono che in esse son pro- positioni contro alla fede, et io voglio, per quanto posso, mostrar che forse loro s’ingannano, mi vien serrata la bocca et ordinato ch’io non entri in Scritture; che è quanto a dire, il libro del Copernico, ammesso da S. ta Chiesa, contiene in sè eresie, o si permette a chiun¬ que per tale lo vuol predicare il poterlo fare, e si vieta a chi vo¬ lesse mostrare che e’ non contraria allo Scritturo 1’ entrare in que¬ sta materia. 11 modo, per me speditissimo c sicurissimo, per provare elio la 20 posizion Copernicana non è contraria alla Scrittura, sarebbe il mo¬ strar con mille prove die ella è vera, 0 che la contraria non può in modo alcuno sussistere ; onde non potendo 2 ventati contrariarsi, è necessario che quella e le Scritture sieno concordissime. Ma come ho 10 a poter far ciò o come non sarà ogni mia fatica vana, se quei Peripatetici, che doverebbono esser persuasi, si mostrano incapaci anco delle più semplici e facili ragioni, et a P incontro si vedon loro far grandissimo fondamento sopra propositioni di nissuna efficacia? Tutta via non despererei anco di superar questa difficoltà, quando io fussi in luogo di potermi valer della lingua in cambio della penna: so e se mai mi redurrò in stato di sanità, si che io possa trasferirmi costà, lo farò, con speranza almanco di mostrare qual sia P affetto mio circa S. l!l Chiesa, e il zelo che io ho che in questo punto non sia, per gli stimoli di infiniti maligni 0 nulla intendenti di queste ma¬ terie, presa qualche resoluzione non totalmente buona, qual sarebbe 11 dichiarare che il Copernico non tenesse vera la mobilità della terra in rei natura, ma che solo, come astronomo, la pigliasse per ipotesi accomodata al render ragioni dell’ apparenze, ben che in sè stessa falsa, e che per ciò si ammettesse l r usarla come tale e proibire il crederla vera, che sarebbe appunto un dichiararsi di non liaver letto 10 questo libro, sì come in quella mia altra scrittura ho scritto più dif¬ fusamente. E però, se bene ho lodato a Y. S. il non liaver mostrato tale scrittura a quel personaggio (n , sì come glielo lodo ancora, tutta Lett. 11134. 25. pvotrr — 29. ileiperarei — 84. gli itimoli d Cfr. n.® Ilio, liu. 5. MAGGIO — 9 GIUGNO 1615. 185 (1124-1125) via non vorrei che l’liavcr alcuni grandi costà opinione che io non applauda alla posizion del Copernico so non come ipotesi astrono¬ mica, ma in effetto non vera, e stimando loro che io forse sia de’ più additti alla dottrina di questo autore, sì che tutti gl’ altri suoi se¬ guaci ancor la reputili tale, gli fusse stato più facilmente scorrere al dichiararla erronea quanto alla verità naturale ; che, s’io non mi 60 inganno, sarebbe forse errore, perchè prima la verità è che in altre dimostrationi. Però sopra questo punto desidererei che fosse con S. P., e lo andassero esaminando. Ma, per concluderla finalmente, se io, mosso da pari zelo verso la reputatone di S. tfl Chiesa, et havendo imparato da Santo A gu¬ stino e da altri Padri quanto grave errore sarebbe il dannare una pro¬ postone naturale che non sia prima convinta, per necessarie dimostra¬ tioni, di falsità, anzi che tardi o per tempo si potrebbe dimostrar vera, mi offerisco, in voce e in scrittura, di produr quelle ragioni che hanno persuaso me, e tutti gli altri che l’hanno intese, a creder tal posi¬ no zione, che perdita(?) ci è nel sentirle? come non sarà facilissimo il con¬ futarle? Chi, disinteressato, sarà così poco avveduto che non scorga che quei che fanno le furie per far dannar quest’ autore senza sen¬ tirlo e questa dottrina senza esaminarla, fanno ciò più per manteni¬ mento del proprio errore elio della verità? e che, non potendo nè sapendo rispondere alle ragioni non capite da loro, cercano in ogni possibil modo di precider la strada, di dover venire a trattarne? * 1125 *. ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO in Firenze. Modena, 9 giugno 1(515. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 114. — Autografa la firma. 111.” SÌ£. re Ilo ricevuto il libro W clic V. S. nv ha mandato, e ne la ringratio altrettanto quanto m* è stato accetto e quanto stimo la sua virtù. All’amorevolezza sua cor¬ rispondo con un’ ottima volontà, e corrisponderò anche con gl’effetti, se non sarò 44-51. 11 tosto ili questo periodo evidentemento è corrotto. — 51. desiderarci — <’) Cioè la Risposta alle opposizioni del S. Lodovico delle Colombe eoe.: cfr. Voi. IV, pag. 451 o SOg. XII. 24 186 0—17 GIUGNO 1615. ( 1125-11261 trattenuto dal mancamento dell’ occasioni : può perù V. S. accelerare il mio gusto con la sua confidenza, come barrò caro che faccia sempre in ogni cosa ili suo piacere. E le auguro ogni prosperità. Di Modena, li fi di Giugno 1615. Al piacer suo S. r Galileo Galilei. 11 Card> d’Este. io Fuori : All’ 111.™ Sig. 1 ' il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 112 G. GIOVANNI BATTISTA BALI ANI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 17 giugno 1015. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., I*. VI, T. IX, car. 254-255. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. r mio Oss. luo Farei mia scusa con V.S. d’haver l'atto partenza di costi senza licentiarmi da lei, se non lusso eh* io in’ assicuro che V. S. sa benissimo eh* io 1’ haverei fatto pur troppo volentieri per mio proprio interesse ; ma mancai di farlo per non dar noia a V. S., pur troppo travagliata dalla sua infirmiti: che può pure imaginarsi ch’io sia rimaso con l’estrema curiosità di saper la vera cagione di quelle tante conclusioni, e cosi belle, delle velocità de i moti. Perù mi conviene haver pa¬ rtenza, e pregar il Signor Iddio che li doni quanto prima l’intiera sanità, accio- chò, oltre mille altre cose belli', possa quanto prima darne in luce il trattato che mi disse haverne sbozzato; e se non le rincrescesse un giorno darmene qual- io che lume per lettere, lo riputerei a multo favore. Hier sera osservai le Stelle Medicee, e lo vidi benissimo. Facevano quasi una cotal figura * *O* * e vorre i pure die V.S. no mandasse in luce la teorica. lo, venendo a Genova, hebbi molto gusto per la strada, perchè a Pisa trattai col gentilissimo Padre Don Benedetto suo. Giunto qui, ritrovai di nuovo un du¬ lia ritrovato il tanto desiderato moto perpetuo. Egli ò il vero di’ io non gli credo punto. Cerca privileggio dalla nostra Republica, e si obliga di porlo in atto fra sei mesi ; però prima vuole il detto privilegio da tutti i prencipi : dice però d’ haverlo già ottenuto dalla più parte. Perchè mi parve elio V.S. desiderasse vedere la propositione del Vieta, della 20 proportione della forza che si richiede a tirar un peso sopra piani variamente inclinati, è la seguente. 17 GIUGNO 1615. 187 [ 1126 ] Intendasi il cerchio, et in esso il diametro ABC et il centro B, et duo pesi d’eguali momenti nelle estremità A, C, sì che essendo la linea AG un vette o libra mobile intorno al centro B, il peso C verria sostenuto dal peso A. Ma se ci ima- gineremo, il braccio della libra BC essere inclinato al basso secondo la linea B/', in guisa tale però che le due linee AB f restino 30 salde insieme et continuate nel ponto B, all’ bora il momento del peso C non sarà più eguale al momento del peso A, per essersi diminuita la distanza del ponto f dalla linea della dirottionc che dal sostegno B, secondo la BI, va al centro della terra. Ma so tiraremo dal ponto f una perpendicolare alla BC, quale ò la /’K, il momento del peso in f sarà come se pendesse dalla linea K/; et quanto la distanza KB è diminuita dalla distanza BA, tanto il momento del peso f è sce¬ mato dal momento del peso A. Et così parimente, inclinando più il peso, come saria 40 secondo la linea Bi, il suo momento verrà sciomando, et sarà come se pendesse dalla distanza BM secondo la linea Mi; nel qual ponto l potrà esser sostenuto da un peso posto in A tanto minore di sò, quanto la distanza BA. Vedasi dunque come nell’inclinare a basso per la circonferenza Gfll il peso posto nell’ estremità della linea BC, viene a scemarsi il suo momento et impeto d’andare a basso di mano in mano più, per esser sostenuto più e più dalle linee B/‘ Bi. Ma il conside¬ rare questo gravo descendente, et sostenuto dalli semidiametri B/', B l bora meno et bora più, et costretto a caulinare per la circonferenza C/7, non ò diverso da quello che saria imaginarsi la moderna circonferenza C/71 essere una superficie così piegata et sottoposta al medesmo mobile, siehò apoggiandovisi egli sopra fusse 50 costretto a descendere in essa, perchè sì nell’ uno et nell’ altro modo disegna il mobile il medesmo viaggio: niente importerà s’ei sia sospeso dal centro B et sostenuto dal semidiametro del cerchio, o pure se, levato tal sostegno, s’apoggi e camini su la circonferenza C/71. Onde indubitatamente potremo affinnare, che venendo al basso il grave dal ponto C per la circonferenza C/71, nel primo ponto C il suo momento clic discende si è totale et integro, perché non viene in parte alcuna sostenuto dalla circonferenza, et non è in esso primo ponto C in dispositione a moto diverso di quello che libero farebbe nella perpendicolare et contingente I)CE ; ma se il mobile sarà costituito nel ponto /", all’ bora dalla circolare via che gli ò sottoposta viene in parte la sua gravità sostenuta, et il r>o suo momento d’ andare al basso diminuito con quella proportione con la quale la linea BK è superata dalla BC. Ma quando il mobile è in f\ nel primo ponto Lett. 1136. 24. nella tilremilà — 188 17 GIUGNO 1615. [ 1126 ] di tale suo moto è conio noi piano elevato secondo la contingente linea 0/11, perciò clic l’ìnclinatione della circonferenza nel ponto f non differisse dall' in- clinatione della contingente f (i altro elio por l’angolo insensibile del contatto. Et nel medesmo modo trovaremo, nel punto / diminuirsi il momento dell’istesso mobile come la linea BM si diminuisce dalla BC; sì che nel piano contingente il cerchio nel ponto l , qual saria Recoiulo la linea N/o, il momento di calar al basso scema nel mobile con la medesimi proportione. Se dunque sopra il piano HG il momento del mobile si diminuisce dal suo totalo impeto, quale ha nella sua perpendicolare DCE, secondo la proportione della linea KB alla linea BC et Bf, 70 concluderemo, la proportione del momento integro et assoluto, che ha il mobile nella perpendicolare all’ orizonte, a quello che ha sopra il piano inclinato II/', bavero la medesimi proportione che la linea II/ alla linea /'K, cioè che la lon- ghezza del piano inclinato alla perpendicolare clic da esso cascherai sopra l’ori¬ zonte. Sichu passando a più distinta figura, quale è la presente, il momento di venire al basso che lui il mobile sopra il piano incli¬ nato FU, al suo total momento con il quale gravita nella perpendicolare all’orizonte FK, ha la medesimi proportione che essa linea KF alla HI; et se cosi è, resta manifesto che siconie la forza sostenente il peso fio nella perpendicolare FK devo essere ad esso uguale, così per sostenerlo nel piano inclinato FU basteria elio fusse tanto minore quanto essa perpendicolare FK manca dalla linea FII. Et perchè la forza per movero il peso basta che insensibilmente superi quella che lo sostiene, però concluderemo questa propositione : Sopra il piano elevato la forza al peso haver la medesima proportione, che la perpendicolare dal termine del piano tirata all’orizonte alla longhezza d* esso piano. V. S. mi favorisca di baciar le mani in nome mio al S. r Andrea Salvadori. e dirgli che non gli scrivo sin bora, perchè desidero di accompagnar la lettera con quel serpente eh’ ei mi richiese; o credo che seguirà fra pochi giorni. E vorrei m anche che non le fusse incomodo dar miei bacciamani al S. r Giacopo Giraldi 4 et. al S. r Filippo Sertini, come anche al Coccapani l, \ Noi resto io vivo o viverò sempre servitore di V. S., e con molto desiderio di esser favorito de’ suoi coman¬ damenti ; e pregandole dal Signor Iddio intiera sanità c longhi anni, le baccio le mani. Di Genova, alli 17 di Giugno 1615. Di V. S. molto Ill. re et Eoc. ma Ser. ,nr Àfi>° Gio. B. a Bali ano. <•7. la linea .Vlo di calar — O' Giovanni Coccapani. [ 1127 ] 20 GIUGNO 1615. 189 1127. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Firenze, 20 giugno 1615. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 257. — Autografa. Alla lettera facciamo seguire un foglietto, pur autografo tlol Cesi, elio presontomonte nel ms. è ad ossa allogato (car. 256), quantunque potrebbe dubitarsi (cfr. liu. 6-7 o Un. 47-49) elio sia stato veramente inviato con altra, di poco a questa an¬ tecedente, la qualo, come avvenno d' altro lotterò dol Cebi, sia andata smarrita. Molt’ 111.™ e molto Ecc.'* Sig. r mio Oss. mo Son stato fuori (li Roma alcuni giorni per negotii de’ miei luoghi, ot in questo tempo ho ricevuto doi gratissime di V. S. ; una, accompagnata con la risposta a’ suoi maligni aversarii, nella materia del galleggiare, del Padre suo discepolo (,) , che certo è non meno dotta e soda che arguta, et in somma tale quale si ricer¬ cava ; l’altra, con la scrittura per il Padre. Questa capitari sicura, et m’è piaciuta sommamente ; quella seguitare) tuttavia a godere, havendo a pena co¬ minciato. La Duchessa mia madre e Principessa mia consorte sono convalescenti; io ma ho ritrovato nel ritorno qui il Duca mio padre con accidenti di apoplessia, seben, Dio gratia, migliorato : di modo che son parecchi mesi che sono fra me¬ dici e medicine. V. S. si quieti un poco dalle fatighe, e mi dia buona nova della sua sanità e mi commandi, citò le son sempre servitore, e le bacio le mani di tutto core. Di Roma, li 20 di Giugno 1615. Di V. S. molt’ III.” Àff. m0 per ser> sempre F. Cesi Line. 0 P. Fuori , cV altra mano : Al molt’ 111.™ Sig. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. 20 Fiorenza. Ilo sentito gusto grandissimo delle prediche fatte costì, e clic per esse, e per parole de’ Padroni et altro, gl’ invidiosi malignanti restino ben mortificati e re¬ pressi, o che anco la Lettera del Padre (,) Labbia sì ben operato. Qui non s’ è lasciato di faro ciò che s’ è considerato a proposito; e finalmente, havendo oprato e scoperto paese per tutte le vie, ci pai- d’ haver sicurezza che in Cfr. Voi. IV, jmg. 451 e sug. <*i Paolo Antonio Fobcabini : cfr. u.° 10S9. 20 GIUGNO 1615. 190 ri 127-1128] nè il primo autore, nè la Lettera del Padre, nò l'opinion stessa (stando con la debita cautela), correranno alcun pericolo. Cautela necessaria sani, sino elio detto Padre habbia compita la sua fatiga (, \ che sarà pieno e diffuso trattato in lingua latina, usar silentio qui, non trat¬ tando piè oltre di questa opinione, e altrove ancora trattarne poco, per non stuz- so zicare in quest’ interim la passione do’ potentissimi Poripatetici; c trattandosene da altri in qualunque modo, dir che non si tratta della verità o realtà d’essa, ina, lasciandosi da parte o sottoponendola al giudirio do' superiori, si usa solo ex hi/pothesi , per salvar più commodamcntc o semplicemente tutte le apparenze, come già fece 1’autor primo: in somma non contrastar della verità d’essa, nò dir di tenerla per vera. L’opra del Padre presto arrivarà, e sarà tanto ben munita, per la diligenza ch’egli ci voi faro e risposte pienissime a tutte le obieltioni che le. sono state opposte qui e tanti luoghi de’ Santi Padri con i quali egli si corrobora, che credo bastarà a quietar per sempre e saldar il negotio, o restaranno gl’aversarii quieti, 40 e li superiori, cho giudicano, sodisfatti dell’ istessa o raggione o autorità che vo¬ gliano, nò potranno ostare le passioni e invidie; et il tutto creda puro che si guidarà e fortiticarà con ogni maniera possibile, chò noi pratichiamo continua- mente quello che qui si ricerca. Àllhora, tolte le difficultà e levato ogni attacco alla passione. 1’ opinione re¬ starà permessa et approvata tanto pienamente, che chi vorrà tenerla potrà libe¬ ramente farlo, come, nelle cose meramonto fisiche e matematiche tuli, va. E questa fatiga ò bene, anzi necessario, che esca di mano a professor teologo e religioso, di molto nome nella sua religione, come ò il Padre. PI perché il Padre farà presto, V.S. potrà inviarmi tutto quello elio havea 50 steso sopra ciò c quanto le parerà a proposito, cho al Padre credo sarà di somma gratia et utile. E avisi la riconta di questa. Ilo scritto in fretta. 1 1 28*. GIOVANFRANCESCO S AG REDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 20 giugno 1615. Bibl. Est. in Moderni. Raccolta Campori, Autografi, B.» LXXXVI1I, n.® 52. — Autografa. Molto ll!. ro S. r Ecc. mo Io sono debbitor di risposta alle suo gratiosibsimo lettere, da me ricevute già molto settimane ; et sicomo ho (liferito pagar questo debbito per non havormi (*' Cfr. 11 .® 1122, liti. 11-18. 20 GIUGNO 1G15. 19] [ 1128 ] ritrovato mai con l’animo libero o per carestia di tempo, così hora manco posso, come vorrei, supplire al bisogno per la stessa cagione, rispetto che non ho, per attendere a’ mici negotii, un’ hora al giorno di libera doppo che sono rimasto di Pregadi et clic mi è stato adossato l’ufficio delli cinque Savii sopra Morcantia Però prego V. 8. Ecc. ma escusarmi et compassionarmi. Mi scrisse V. S. Ecc. n,il di (pici suo giovane clic le scriveva le sue lettere: io hora le dico in risposta, clic noi liabbiamo bisogno di un l'attore per montagna, il quale attendesse a’ nostri negotii sotto la disciplina et obedienza di un altro nostro fattore. In questo ministerio liabbiamo bisogno di persona che habbia l’animo suo interessato nel nostro servitio, et attendi con amore et assiduità alle cose nostro ; clic sia leale et habbia fedel cura delle robbe nostre, clic saranno maneggiate da lui. Ci sarà caro che sappia tenir scrittura doppia, o almeno sia atto ad impararla, assiduo et diligente in tenirla. So di liaverli altre volto scritto, che quando habbiam havuto bisogno di cosifatti soggetti et siamo ricorsi agli amici perchè ci trovino alcuno, questi, conoscendo che quelli che ci servono sono prontamente pagati et ben trattati, hanno subito applicato il loro pensiero 20 a trovare alcun amico suo per beneficiarlo, come appunto se bavesscro havuto da dar via un’ abbatia o una comcnda, nò mai liabbiamo trovato alcuno clic abbia pigliata cura per ritrovare persona clic ci potesse ben servire. Io perciò scrivo a V. S. Ecc." 1il , che intende bene il vero termine dell’ amicitia et che è mio cordiale amico, acciò ella, guidata dal desiderio che ella tiene della buona riuscita de’miei negotii et della mia sodisiàttione, vedi se il soggetto raccorda¬ tomi da lei potesse, sapesse et volesse, ben servirci con avantaggio delle cose nostre, o se si trovasse costì altri soficientc per questo servitio; et sicome io li do parola che possi promettere a chi venisse a servirci che troveranno buoni patroni, così desidererei che ella potesse prometterci che saremo fedelmente et so con diligenza serviti. Ilo anco bisogno di un camcriero buono, poiché doppo la mia venuta di Soria credo haverne cambiato una docina, senza liaverne incontrato pur uno che sia tolerabile. 11 mio cameriero deve servirmi alla camera in tutto et per tutto, scri¬ vere e tenir all’ ordine tutte le cose mie. Ha buone spese, conforme i’ uso di questa città, et ha una stanzetta sua propria. 11 salario ò stato sempre dalle £ 10 il mese fin 10, secondo i soggetti; et quando fosse liuorno di giuditio, assiduo et dili¬ gente, che mi dasse sodisfattione, non guarderei cosi per sottile. Mi farà gratia scrivermi subito l’attitudine et le pretensioni di quel suo giovane, chò li darei subita rissolutione. Non posso esser più lungo; et facendo fine, a V. S. Eco. mft 4o baccio la mano. Ilo a cuore il negotio di V. S. Ecc." m col S. r Cremonino ma non gli ho fatto l'i Cfr. n.° 1108, lin. 11. <*t Cfr. n.o 1108, lin. S-9. 192 20 GIUGNO — 4 LUGLIO 1615. [1128-1130] molta violenza, aspettando che sia fatta certa provisione di danaro per pagar li dottori dello Studio. In Y. a , a 20 Giugno 1615. Di V. S. Ecc. nm Tutto suo G. F. Sag. in fretta. Fuori, iV altra mano: Al molt’lll. re S. r Ecc." 10 Il S. or Galileo Galilei. Fiorenza 1 129 *. DESIDERIO SCAGLIA a GIO. G ARSI A MILIARI in Roma Milano, 24 giugno 1015. Cfr. Voi. XIX, psig. 313, Doc. XXIV, b, 11). 1130 * GIOVAR FR AN CES CO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 4 luglio 1015. llibl. Est. in Modena. Kaccolt» Campori, Autografi, B.» LXXXV1I1, n.» 50. — Autografa. Alla lotto»» fac¬ ciamo seguire il « memoriale », d’altra mano, di cui ò cenno a lin. 2, e che anello proaontenionte o allegato. Multo lll. r ° S. rB Ecc." 10 Dall’ocluso memoriale, formato dal S. r Zaccaria mio fratello, vederti V.S. Ecc.'" 14 il bisogno et pensici- nostro circa il fattore che lo ricercassimo nò aggiongorù altro, se non die Cadore ò luogo alpestre, sabatico, freddissimo, dove non si può dissegnare sopra alcuna delicatezza. Se crederti V. S. clic il giovane proposto sia per acconnnodarsi a 1 nostri pensieri, potrà subito inviarlo, perchò n* habbiamo instante bisogno. Quanto all’ amico suo venuto in questa città, so clic si ù abboccato con quel gentil’ Intorno suo padrone, che l’ha benissimo veduto ; ma però scuopro elio l’ac¬ coglienza fattagli ha fondamento più tosto sopra le qualità, sue, che per alcun 10 pensiero che liabbia a valersi di lui. Non è però alcuno che si possa far savio a dire certamente ciò che seguirà, perchò non ò possibile penetrare il cuore degli huomeni; onde, essendo costume di quel gentil’ Intorno in tutte le cose prender il parere degli amici, clic son molti, et essequirc quello che ò consigliato dalla • ‘i Cfr. li.» 1128. li I : iti.. 4 LUGLIO 1615. 193 [ 1130 ] maggior parte, sarebbe temerità, olii non parlasse con tutti, 1’ affermare certa¬ mente quello che dovesse seguire : ma se egli si valesse del mio consiglio, al si¬ curo farebbe elettione di persona più tosto di minor condizione, dalla quale po¬ tesse promettersi un servizio certo, che fermarsi in questo, clic 1’ ha abbandonato con evidente sprezzo. Oltre che i parenti suoi, che per altro sono degni di gran 20 stima, si sono dimostrati poco zelanti della sodisfattione di questo gentil’ huomo, in particolare quando fecero ripresagli di un levriero dalmatino che non ha molto fuggi in casa sua, che non fu possibile rihaverlo, ancor che fosse bestia di niun valore. S’ aggiunge ancora che da’ suoi bravi fosse fatta una scandalosa insolenza ad un parente di detto gentilhuomo, che andava per viaggio con molti denari, di che essendosi fatta condoglienza, non s’ò veduto nessuna dimostratine contro gl’ insolenti, sotto scuse, ridicole che non fosse conosciuto per parente di esso gentil’ huomo : di che (parlerò di me solo) io sono rimasto cosi mal edificato, che sicome nel primo caso non ho potuto prender sodisfattione della prudenza e tanto meno dell’affetto suo verso questo gentil’huomo, così nel secondo son ve- so nulo in opinione che non faccia punto di conto dell’ amicitia sua. Sì che, tornando al proposito nostro, per mio consiglio dovrà 1’ amico sperare poco di ritornare nel primiero carico, ancorché per debbilo di buona creanza riceverà buone pa¬ role e trattamento honorevole. Scriverò a Padova per trattare col S. r Cremonino (,) , V amicitia del quale di buona voglia io rinoneierò, purché faccia il debbito pagamento a V. S., alla quale baccio la mano. In V. a , a 4 Luglio 1615. Di V. S. Ecc." ,a Tutto suo G. F. Sag. io Fuori, (V altra mano: Al molto Ill. re S. r Oss. n)0 L’ Ecc. m0 S. r Galileo Galilei. Firenze. 11 giovane che si desidera per il servitù) di Cadore doveria haver queste qua¬ lità: principalmente, che fosse persona trattabile, che sapesse con destrezza et avvertenza trattar con persone povere, et clic non si sdegnasse di somministrar a quelle il loro vito, che è pane, vino, farine e formaggio, ad uso de’ boschieri ; che sapesse tener buon conto, e per interesse nostro e per interesse suo ancora, perchè potesse render buona ragione di quanto gli fosse stato consignato et bavesse dato fuori. _ <*' Cfr. nn.« 1103, 1128. XII. £5 194 4 — 18 LUGLIO 1015. [1130-11311 Quanto al salario o trattenimento suo, prima die parti de dove è, sarà bene 50 intenderai con lui, porchò, andando in Cadore, non venisse a pretendere quanto guadagna il nostro fattore principale, al quale fumo prima assignati ducati qua¬ ranta all’anno; ma essendosi poi dimostrato amorevole et diligente mollo nel nostro servitù), gli furono assignati scudi cento all' anno, clic se gli danno per nostra urbanità et cortesia, non per salario ordinario. Tre altri fattori ohe noi habbiamo, oltre questo principale, in Cadore, guadagnano tra i quaranta et ses¬ santa ducati all’anno; e dentro questo termine si doverà stabilire la mercede di quest’ altro. In Cadore larverà buono spese. Mentre stasso in questa città per poco o molto tempo, conforme all’uso della nostra casa non barerà la tavola; ma volendo per pochi giorni viver separato dai camnricri di nostro padre et nostri, co che non si crede, si potrà, anco dargli bodiafattione. Sarà bene ili tutto far moto al S. r Caldeo, pregandolo sopra ogni cosa essami nar nel giovane la sofììcienza, inteligenza et attitudine, perché quando l’huomo intende et si maneggia bene anco nelle cose picciolo, riesce poi in tutti li negotii convenientemente ; che noi appunto nella persona del nostro fattore principale habbiamo esperimentato, per¬ ché essendo venuto in casa nostra con pensiero solamente di scrivere et servire quasi noi servitù manuali, di’ egli faceva con molta attitudine et diligenza, si é fatto conoscere lumino buono da tutto, ondo, con sodisfattiono dell* animo nostro, non habbiamo dubitato di porgli in mano la somma di tutti li nostri negotii. Il S. r Galileo ò savio, e basterà accennargli ogni poco il nostro pensiero. Te 1131 *. GIOVANFUAN CESCO SAGUEDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 18 luglio 1015. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campnri, Autografi, H.» I.XXXVIII, n.® 51. Autografa. Molto Ill. ro Sig. r Eec. mo Seben io credeva haver dato sofieiente commissione a V. S. Ecc. mtt per fermar l’ ordine di mandar il giovane eh’ ella ci propose, quando fosse delle qualità con¬ tenute nel memoriale che le inviai l,) , nondimeno, poiché ella nell’ultime sue mi ricerca pili espresso ordine, le dico che, sperando ella clic questo giovane riesca utile per il nostro servitio et si contenti della provisione accennata nel suddetto memoriale, immediatamente lo invii, chè sarà ben veduto da noi. K perché egli ha da maneggiare la nostra robha et il nostro denaro, desidererei che egli ve¬ nisse ben accompagnato di lettere di alcuno de’ suoi parenti o amici, i quali faces- ni Cfr. u.® 1130. 18 LUGLIO — 14 AGO,STO 1615. 105 [1131-1134] io sci o fedo per lui, perchè, siconio questo attostationi aqueterebbono molto l’animo nostro et ci darebbono occasione di valersi di lui in maneggio più importante, cosi queste apporterebbero a lui maggior riputarono, poiché quanti più un huomo ha chi volontiori prometti per lui, tanto riesce di maggior stima. Dell’amico, a me pare elio il negotio non sia in quella disperatione clic le scrissi; et io stesso mi sono rimosso dalla prima opinione, poiché il suo manca¬ mento è di natura più comportabile di quello che mi fu raprescntato. Ben credo che se il mantenersi nel primo stato è cosa mollo ragionevole, et per consequenza taccile da conseguire, cosi il sperar di avanzarsi al presente sarà, molto difficile. Che sarà (ino di queste, tacci andò a V. S. Ecc." ,tt la mano. 20 In V. a , a 18 Luglio 1615. Di V. S. Eco." 111 Tutto suo G. F. Sog. Fuori , Cfr. u.° 1127, lin. 9 e sag. l3 > Cfr. n.® 1121, lin. 2-4, e n.® 1127, liu. 6. 25 AGOSTO - 10 SETTEMBRE 1615. 197 [1136-1136] dar in mano del Padre 0 ’, per liaver sicuro inviamenfco; ondo ancora non ho nova lo siano capitato, che presto 1’ bavero, per esser mandate con ogni diligenza. Egli havea intenzione di scrivere, come già io accennai a V. S. (S) ; non so bora corno si sia risoluto a maggior impresa. Io lo persuaderò secondo la niente di V. S.; intanto nelle lettere che m’ha scritte non m’accenna altro. V. S. m’ami e mi commandi, c mi tenga per quel’obligatissiino che le sono. Bacio a V. hi. le mani. io I)i Tivoli, li 25 d’Ag.° 1615. Di V. S. molt’lll. P0 Aff. mo per ser. la sempre F. Cesi Line. 0 F. Bacio le mani alli S. ri compagni, pregando il pre- sent’anno l,) felice a tutti, cliè il passato veramente è stato travaglioso. Includo doi del S. r Stellati 1 1 3 «**. LUCA VALERIO a GALILEO [in Firenze}. Roma, 10 settembre 1015. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., T. VI, T. IX, car. '260. — Autografa. Molto 111.™ S. r mio Oss. mo Oltre al venire a rallegrarmi con V. S. dell’anniversaria memoria deli’ insti- tution Lincea, come fo, mi congratulo altresì della sua sanità, che da più d’uno ho intesa; onde V. S. continuerà li pellegrini suoi componimenti : chè quanto alli miei studi, da tanti et così strani impedimenti sono stati interrotti, che se non fusse il nome di Linceo e ’1 suo line che mi pungesse, havrei, credo, sdrucita l’amicitia co’ libri et con la penna, solo attendendo a quel che più mi importa per lo mio principal fine. Dunque, animato e spinto dal commune interesse del consesso, et invitato dalla nuova stagione, et per non essere, a mio potere, del¬ io l’amicitia di V. S. indegno riputato, mi metterò a copiare le mie fatighe fatte et finir l’imperfette. Et altro non havendo ch6 scriverle, fo fine et le bacio le mani, pregando V.S. a tenermi in gratia, e Dio N. S. ch’amandola la renda felicissimo. Di Roma, li 10 di 7mbre 1615. Di V. S. molto Ill. r * S. r Devotiss. 0 S. r Galileo. '*) Francesco Striduti. Questo duo lotterò non si trovano noi Mss. Galileiani. «n Paolo Antonio Foscarini. <*> Cfr. li.» 1122. I 3 ' Cioè Fauno liucoo. Cfr. n.° 742, liti. 14. 108 10 OTTOBRE 1615. L1187] 1137* (iloVAKFRANCESCO SAGRKDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 10 ottobre 1613. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cunpori. Autografi, B.» I.XXXYIII n." 53. Aulogiaf.\ Molto III." S. r Ecc. mo Mando a V. S. 111."“* il mio vetro, poicliò non ho potuto hftverne alcun altro nò miglioro nò pari a questo. Potrà ella tenerlo come cosa sua, chè sarà più util¬ mente adoperato elio da me. M.® Antonio va dietro tirando a perfetiono certa forma, sopra la quale io ho giu ridi ti one. I vetri di questa tirano dieci braccia ve¬ neziani 10 : et lavorandosi lenti per la metà, elio sono venti quarto di questa lun¬ ghezza, veramente fin qui non ne ò riuscito alcuno; ma però le lenti lavorate da una parto con questa et dall’altra con quella da 14, fanno buona riuscita di quarte dicci. Se ne riuscirà alcuno di 5 braccia, farò elio ella sia la prima ad huverne. La esperienza dimostra elio le lenti lavorate sopra 1* istessa forma rendono io il canono por la metà della lunghezza che ricercano lo meze lenti. La forma da 14 quarto da una parte, et la forma da sei quarto dall’altra, rispondo quattro quarte. La forma da 40 quarto con quella da sei risponde un braccio incirca. Mi sarebbe caro liaver alcuna regola per saper quanta lunghezza rispondine qualun¬ que due date formo. Se dalle sperienzo soprascritte, le quali sono certo et presso cho giuste, potrà olla cavarne la ragione, mi farà gratia darmi alcuna instrutiono. Non ho ancora trovato nuovo cameriero, sperando alcuna cosa da lei. Mi trovo liaver un altro assai buon pezzo di calamita, et disegno forse la ventura posta indrizzarlo a V. S. Ecc. ,ni1 , acciò, armandolo a modo suo et osser¬ vando in quello alcun particolare, mi favorisca di ridurlo nella miglior apparenza -0 che sia possibile. Et per fine a V.S. Ecc. mi ' baccio la mano. riebbi le suo lettere mandato col Sig. Michiel Angelo 5) , che molto volentieri veduto da me, seben come baleno 6parì, che non potei apena salutarlo. In Ven.% a 10 Otto. 1615. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo G. F. Sag. 1 utti i vetri lavorati da ambe lo parti rispondo canon per la metà dolio meze lenti. Parimente due lenti rispondono il quarto. Non ho provato una lento et meza. Cfr. 11 .** S89, lin. 10. <*) Michelangelo Uai.ii.ki. 10—17 OTTOBRE 1615. risponde q. t0 IO. risp.® q. lH 4. risp.® q. l ° 5. 199 [ 1137 - 1138 ] forma di q. te 14 con quella di q. to 40 30 q. 1 ® 14.q. l “ G q. 1 ® 20 .q. to G Fuori, d’altra mano: Al molto lll. ro S. r Oss. mo L’ Ecc. rao S. v Galileo Galilei. Firenze. 1138 **. G IO VAN FRANCESCO S AG REDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 17 ottobre 1015. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. I, T. VII, car. 233-234. — Autografa. Molto lll. ra Sig. r mio Eco. 1 " 0 11 nostro Doge ò moribondo, et pretendendo mio padre concorrer alla suc¬ cessione di quello, già due giorni mi trovo occupatissimo; tuttavia non ho voluto mancar con queste di salutar V. 8. Ecc. ,n * et dirli clic, subito espedite le lettere della posta passata, mi posi a speculare la regola della lunghezza de* canoni ri¬ spetto la multiplicità delle lenti; et trovai che il numero de’vetri della mede¬ sima sorte, partendo il numero delle misure della longhczza di un vetro solo, dà il numero della lunghezza di tutti i vetri: v. g. a , 8 vetri di 40 quarte l’uno ricor¬ cano il canone lungo quarte 5; medesimamente, proposto quanti vetri di 40 quarte io ricerchino il canon lungo quarte 4, partendosi il 40 per 4 ne viene il 10, numero de’ vetri che ricercano il canon di quarte 4. Se dunque ci viene proposto che di¬ ciamo (pianto dovrà esser lungo il canone con un vetro da 40 et l’altro da 14, prima divideremo 40 per 14, clic ne rissulta 2 -y, et così havremo trovato che due vetri et ~ da quarte 40 sono equivalenti al vetro da quarte 14; onde aggiungen¬ dosi un vetro (la quarte 40, diremo far l’istesso effetto il predetto vetro et quello da 14 quarte, quanto 3 ~ da 40; et dividendo 40 per 3 -®, no venirà 10 lun¬ ghezza del canone proposto. Scrivo con l’animo in mille parti: mi escusi se non ho saputo ben esplicare, ma ella liavrà forse ritrovata prima questa medesima et altra miglior regola; suplirà al mio difetto, so Se a Dio piacesse che questo broglio havesse buon essito, vorrei tornar a goderla da dovere, almeno con lettere, poiché vestendo li figliuoli del Prencipe l’habito senatorio solamente et essendo esclusi da ogni magistrato et regimento, io sarei libero dal broglio et dall’ocupatione che porta seco il governo delle cose publiche, et Laverei per un doppio principato questa lionorata maniera di ostracismo. 200 17 OTTOBRE 1615. [ 1188 ] In questo punto un mio balordissimo cameriero, che io non posso più sopor- tare, mi ha dato le Ietterò di V. S. Ecc. mB scritte a Mesa. Camillo 0 ’, et per mo¬ strar soffi cienza di conoscer il suo carattere, nel porgermele m’ha detto : < Let¬ tere del Galileo > ; onde io, senza attender punto alla soprascritta, le ho aperte con molta avidità, credendo che fossero per me, et accortomi che erano scritte 8o a Camillo, m’ò rincresciuto assai, con tutto che, letta la loro continenza, m’ac¬ corgo che sono scritte per conto mio: tuttavia, per non dar disgusto a detto Camillo, non gliele manderò, poiché non contengono altro che il mio negotio del cameriero, del quale ho veduto il carattere, che m’è riuscito. Il resto dcll’infor- matione non m’è piacciuta troppo: tuttavia tanti sono i diletti de’nostri Vene- tiani, che (piando questo si moderasse, et per l’absenza degli amici et per la di¬ versità della usanza di qua, lo pigliarci volontieri. Una sul cosa voglio conferire: che io tengo, conforme il mio solito, un carino qui appresso, dove, per custodia ho una mora, con un' altra persona bianchissima di anni 18, nò posso far di meno di non mandar per diversi miei servigi il mio cameriero ad esso casino; et -io facendo per le settimane continue venir essa custode a staro nelli miei mezadi, io non vorrei che essendo il camariero più giovane di me, pensasse farmi ser¬ vigio a supplir per conto mio : però se il giovane facesse il lascivo o havesse del vistoso, non voglio tentar la fortuna. Hor, havuto riguardo a questo avver¬ timento, mi farà gratia V. S. Kcc. ma trattar co ’1 Bellini, et parendo a lei buono, potrà inviarlo subito, promettendogli iin tre ducati il mese et buon trattamento, conforme l’uso ordinario della città et delle miglior case. Mando qui inclusa 0 ’ certa polizza che io feci scrivere al presente mio cameriero: sarà bene che que¬ st’ altro la vedi et consideri, acciò, venuto qui, non si lamentasse di lei o di me. Aspetto subito risposta. 50 Mess. Camillo andò col S. r Zaccaria (>ì in Cadore, et è restato al suo carico: ba detto di farlo allegramente et di contentarsi di tutto, havendogli il 8. r Zaccaria più tosto protestato che dica liberamente la sua volontà, offerendosi, quando non gli piacesse servire, di rimandarlo a spese nostre lino a Firenze: ha risposto voler restare, et cori è restato. Yederemo ciò che ne seguirà. A noi è riuscito il gio¬ vane molto buono : dubbitiamo che quegli altri fattori et famigli, che sono parte di loro di natura contraria, siano per far qualche cattivo ulìitio. Ci sarà caro elio con sue lettere lo ammonisca ad essere prudente et circonspetto. Non altro. A V. S. Ecc.""‘ baccio la mano. In V. a , a 17 Ott. 8 1615. co Di V. S. Ree."* 1 Tutto al suo servitio G. F. Sag. Oi Camii.i.o Ueiuiixj. i*i Non « presentameli te allegata alla lettera. 8 > Zaccaria Saorsuo. 11189 - 1140 ] 21 — 24 OTTOBRE 1615. 201 1139 *. DESIDERIO SCAGLIA a GIO. GAltSIA MILLINI in Roma. Milano, ‘21 ottobre 1U15. Ofr. Voi. XIX, |»agr. 315, Doo. XXIV, b, 13). 1140* GIOVAI FRANCESCO SAG11ED0 a [GALILEO in Firenze], Venezia, 24 ottobre Itti5. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, 11.“ LXXXV1II, u.° 54. — Autografa. Molto 111.' 0 S. r Eco.'" 0 In questo punto ricevo le gratissime lettere di Y. S. Kcc. raa Ilo inteso le con- ditioni del Bellini, et invero io resto molto sospeso. La suBcienza et l’ingegno mi piace; ma quando questo non sia accompagnato da sodezza et patienza, non credo che possi riuscire. Mandai la settimana passata un memoriale, che feci già per instrutione del cameriere che al presente mi serve. Se il Bellini in veden¬ dolo si sgomenta punto, sarà segno che non sia per darmi sodisfattione. Del sa¬ lario già ho scritto nelle stesse lettere. Circa poi a levarlo, questa è condittione molto considerabile non solo per la spesa, ma ancora perchè questa sarebbe troppo io grande sua riputatone, et a me pericoloso assai, non sapendo le sue condittioni. Però quando V. S. Ecc. ma stimasse che costui havesse buona volontà et si con¬ tentasse del mio partito, bastarebbe dirgli che venisse allegramente a servirmi, perchè continuando alla mia servitù et guadagnando P affettione mia, sarebbe per altro verso a suficienza rifatto. Inoltro sarebbe necessario informarsi se costui ha fatto mai cosa dishonorata, et particolarmente truferie et cose simili, perchè, es¬ sendo forassero, non vorrei un giorno havergli a correr dietro, dovendo egli haver in sua libertà le coso mie, nelle quali spesso ve n’ è di molto valore ; che quando non vi fosse questo pericolo, stimerei poco il provarlo. M. Thomaso Landini, nostro fattore, che mi raccordò questo Bellini, mi disse che egli era molto incli- 20 nato e quasi rissoluto di venire in questa città, et me lo propose per cameriero, aggiongendomi che me n’ haverei potuto valere anco per scrivere, havendo carattere perfettissimo et essendo molto assuefatto a scrivere, come egli mi disse, giorno et notte; però intendendo io dalle lettere di V. S. Ecc. ma che egli desiderava sa¬ pere qual dovesse essere il suo servitio, non vorrei che egli credesse che il Prin¬ cipal servitio fosse lo scrivere per patto espresso, con tutto che, quando vedessi 20 XII. 202 24 OTTOBRE UH 5. 11140] potermene valere nel negotio et potermene assicurare non solo per suo commodo ma per mio ancora, mi vaierei più in quello che in altri servitii più bassi: ma temo che il metterlo in cotali speranze lo guasti totalmente. I)a 20 mesi in qua credo haver combiatato 0 di questi animaluzzi, et giuro a V. S. Kco. n “, per Dio giusto, haver incontrato in gente così stolida, che se le sue scioehezze fossero in una ao commedia rappresentato, havcrebbono dell affettato ; et in particolare questo at¬ tuale non so come non ni’habbia fatto impazzire: onde se trovassi un huonio spiritoso, mi parerebbe esser felice ; ma .se questa suficienza fosse accompagnata con qualche scioca pretensione, sicliù havessi a pigliar sempre la scritta in mano per sapere se è obligato a far questo o quell' altro servigio, misurar o pesar i servigi di un giorno per saper se sono troppi, o compassar le mie parole per ngiusturlo alla sua pretensione, crederei presto perdere la patlenza et restarmi col mio ragazzetto solo, che altre volte in sedo vacante mi ha servito esquisi- tamente. Da questa indigesta farnginc di ciancio credo che ella comprendi in uno stesso »o tempo il desiderio ch’io tengo di incontrar in persona che sia atta a servirmi discrettamente et sappia incontrar il mio gusto, et il timor grandissimo che ho di dar in alcuno che, col portarmi via cosa di momento, oltre il danno nella robba, mi apporti anco detrimento nella riputatione, havendo fidato in persona sconosciuta et forastiera le cose mie ; chò quanto all’ insolenza o poca voglia di servire, con licentiarlo si rimediarebbe al bisogno. Rimetto perciò questo negotio, che molto mi preme, nelle mani di V. S. Ecc.™*, aspettando subita rissolutione. Oggi ho lmvuto lettere di Cadore da M. Camillo' 0 , il quale mostra haver gran desiderio di servirci et darci ogni maggior sodisfattione ; il che mi è piac- ciuto assai, perché pareva che gli ministri c’ habbiamo in quel luogo ci haves- co sero fatto capitar gentilmente allo orecchie clic egli crji troppo delicato, clic l’asprezza del luogo non gl’haverehbo conferito, sieonie la qualità del servitù) non corrispondeva al suo nascimento, con altri simili concetti, che m* havevano veramente dato qualche ombra. Chi può esser servito da altri, è pazzo andar a servire ; ma quando si mette al servitù» d’alcuno, deve far buon cuore et lasciare 1’albagie, perchè io tengo quel servitore più honorato, che meglio servo et clic più incontra la soflisfattione del padrone, il quale ben devesi scieglior tale che possi e vogli ricompensare la buona servitù. Che sarà line di queste, bacciandoli aftettuosamento la mano. In V *, a 24 Ott.« 1615. Di V. S. Ecc. u,;i Lett. 1140. 29. haver eomhìtalo fi — CO Tutto suo G. F. Sag. < l > Camillo Ukrmini. [ 1141 - 1143 ] 15 — 28 NOVEMBRE 1615. 203 1141 *. LELIO MARZA RI a B'ABUIZIO VERALLI in Roma. Firenze, 15 novembre 1615. Cfr. Voi. XIX, i»ng. 31ò, Doc. XXIV, li, 1 1, a). 1142 *. [COSIMO II, Granduca di Toscana,] a PIERO GUICCIARDINI [in Roma]. [Firenze], 28 novembre 1615. Aroli. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3505 (non cartolata). — Minuta di mano di segretario. AH’Amb/ 0 Guicciardini. 28 Ombro 1615. II Galilei matematico ci lift chiesto licenza di venir a Roma, parendogli necessaria la presenza sua per giustificarsi da alcune opposizioni letteli da’suoi emuli intorno alle opero che egli ha mandato fuora, et spera di haver a render buon conto di sè. Noi gliel’ ha libiamo conceduto volentieri, et anch’ordinato die gli siano dato due stanzo nel palazzo della Trinità do’ Monti, barando egli bisogno di far vita ritirata o sobria, rispetto alle suo indisposizioni. Et se bene principalmente 1’ acompagniaiuo con una lettola nostra al Sig. Cardinalo dal Monte, nondimeno vogliamo che voi ancora Paiutiate o favoriate in 10 tutto quello elio gli possa occorrere, come da lui medesimo giornalmente intenderete. E Dio vi conservi. 1143 . [COSIMO li, Granduca di Toscana,] a FRANCESCO MARIA DEL MONTE [in Roma]. [Firenze], 28 novembre 1615. Arch. di Stato in Fironne. Filza Medicea 87, car. 281-282. — Minuta dottala da Curzio Picchrna. Al Card. 1 * Dal Monte. 28 Nov. r * 1615. Il Galilei, matematico molto ben conosciuto da V. S. Ill. n,n , mi ha detto die essen¬ dosi sentito aspramente pugnere da alcuni suoi emuli, i quali lo vanno calunniando di haver nelle opere suo tenuto opinioni erronee, s’è risoluto spontaneamente di venirsene a Roma, et. me n’ ha chiesto licenza, con animo di giustificarsi da tali imputazioni et far apparir la verità et la sua retta e pia intenzione. Io me ne son contentato molto volen¬ tieri, perchè, havcndolo sempre tenuto in concetto d’ huomo da bone et che stima 1’ honore et. la coscienza, mi persuado che con la presenza et voce sua renderà buon conto di sè, 10 et ribatterà agevolmente le opposizioni che gli vengono fatte. In questa parte io stimo che 204 28 NOVEMBRE 1615. 11143 - 1145 ] egli non habbia bisogno della mia protezione, si come non prenderei mai a protegore qualsivoglia persona clic pretendesse ricoprire col mio favore qualche difetto, massima- mente di religione o d'integrità di vita; ma l'accompagno solamente a V. S. IH.®* con questa mia lettera, acciò elio ella, vedendolo volentieri corno mio grato et accetto servi¬ tore, si contenti di favorirlo per il giusto, e particolarmente in liaver l’occhio che egli sia udito da persone intelligenti et discrete et che non diano orecchie a persecuzioni ap¬ passionale e maligne: perchè quando egli, conforme alla speranza che io ne ho, sarà tro¬ vato netto da ogni sorto dì soepizione la quale possa macchiare la sua virtù, tengo per certo che V. S. 111."’* sia per fare stimu più che ordinaria di lui » riceverlo nella benevo¬ lenza ot grazia sua, con dargli maggioro animo di continuare ì suoi studii et condurre 20 a fine lo sue opere, le quali si può credere che accresceranno lumore et reputazione a Ini, ot giovamento ed utile all’universale, hit con questo bacio a WS 111.”* affettuosamente la mano. 1144 **. COSIMO II, Granduca di Toscana, a PAOLO GIORDANO li ORSINI in Roma. Firenze, 28 novembre 1615. Arch. Orsini in Roma. II, D. Prot. XIII. — Autografa la aotti.icriinine. Nella Filza Modico* 87 del- l’Ardi, di Stato in Firenze, a cnr. 284, si ha la minuta, dettata da Ci azio Piccherà, di questa lettera. III. 100 et Ecc.“° Sig. r “, mio Nipote Amat® 0 Venendo a Roma il Galileo matematico per l’occasione che V.E. intenderà da lui. ho voluto accompagnarlo con questa mia lettera all’ E. V., «1 perchè ella sappia olle egli viene con buona licenza et grazia mia, come per pregarla a vederlo volentieri et favo¬ rirlo in tutto quello die gli possa occorrere. Et sapendo V. E. quanto egli sia virtuoso et meritevole et da me amato, stimo superfluo ili allungarmi da vantaggio in raccomandar¬ gliene, poiché ella lo farebbe anche senza esserne richiesta da me. Et le bacio la mano. Di Fiorenza, a'28 di Novembre lt>15. Di Vostra Eccellenza AfF. mo zio per servirla A M. r Paolo Giordano. • Il Granduca di Toscana. 10 1 145 * [COSIMO II, Granduca di Toscana,| ad ALESSANDRO ORSINI [in Roma]. (Firenze, 28 novembre 1816]. Ardi, di Stato in Firenze Filza Medicea 87, car. 281.— Minuta dottata da LYnzio Picriiriu. Al S. r Abate Orsino. V. S. 111.” 1 * è naturalmente lauto inclinata alla virtù, et conosce cosi beno il merito e valore del Galilei matematico, che, venendo egli bora a Roma per l 1 effotto che V. S. 111." * 28 NOVEMBRE — 2 DICEMBRE 1615. 205 [ 1145-11471 intenderà «la lui, io stimavo superfluo
  • . — Autografa la firmi. Molt’ Ill.«» Sig. r Ecc. m ® / È finito il nostro broglio 10 con una pessima fortuna. Siamo entrati in qua¬ rantanno con diccisotte creature. Quattro no ha havuto il Sig. Proc. r Landò, quattro il Sig. Proc. r Cornaro, et sedaci il Nani. Sono stati in conciavo venticinque giorni: et sondo il Nani bugiardo et perfido, ancorché havosse più volte, con inescusa¬ bile simulatione d’amore, promesso favorire, ha con mille insidio escluso nostro padre n cartolata). Originale. In capo al foglio li leggo, dolio filo .su mano di «ogrotario : « Inserto de'6 di Diconibre 1615 ». Sento che vien qua il Galilei ( °. Annibaio Primi mi ha dotiorbe, d'ordine del Ser. rrn Pa¬ drone, ricevuto per mozzo di V. S., 1’aspetta al GiardinoAl principio elio io venni qua, *•> Cfr. n.° 1138. Le parole che stampiamo in corsivo anno «*' Niccolò Saorkdo. scritte in cifra, e tra le linee ne è la traduzione. <>' Giovanni Iìkwbo, che riuscì eletto Dogo. <»i Cfr. n.« 1146. **■■■ 5 — 11 DICEMBRE 1615 . 4 207 [1149-1150] ce lo trovai, et egli stette alcuni giorni in questa casa (,) . La sua dottrina, et qualche altra cosa, non dette un gusto che sia a’Consultori et Cardinali, del Santo Offizio; et fra gli altri Bellarmino mi disse che era grande il rispetto che si doveva a ogni cosa di co- teste Serenissimo Altezze, ma che se fosse stato qua troppo, non lmrehbono potuto far di meno di non venire a qualche giustificazione de’casi suoi: et dubito che qualche cenno o avvertimento che allora egli havesso da ino, perchè ora in questa casa, forse non le desse intero gusto. Io non so se sia mutato di dottrina o d’hmnore: so bene che alcuni 10 frati di San Domenico, che bau gran parte nel Santo Offizio, et altri, gli hanno male animo addosso; et questo non è paese da venire a disputare della luna, nè da volere, nel secolo che corre, sostenere nè portarci dottrine nuove. Et perchè io sento che viene in casa di S. Altezza nostro Signora, et so elio è suo servitore, ancorché io non no sia stato da V. S. avvertito nè ella mo n’ li abbi a detto nulla, tuttavia ardisco, per bene, di dirne questo motto, perchè, secondo che egli viene qua o per curiosità o per negozi suoi o per alcuno servizio di S. A., si possa liaver lume et cercar sempre che tutte le cose dependenti da cotosta Serenissima Casa ci camminino di umilierà d’li averci il loro pieno et da poter dare ot. ricevere quella sodisfai ione clic conviene et è ragiono. Fuori: Al molto IU. rw Sig. r mio Osa." 10 2o 11 Sig. 1 ' Curzio [PicehennJ, p.“*° Seg. rl ° di Stato di S. A. S."' H Firenze. * 1150*. PIERO GUICCIARDINI a COSIMO li, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Roma, 11 dicembre 1015. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3330 (non cartolata). — Autografa la sottoscrizione. Ser. 1110 Signore, 11 Galilei, arrivato qua, mi ha porto lettera dell*A. V. S., et anco in voce, sondo stato da ine, mi ha esposto le molestie dalle quali li pare esser tocco e travagliato. Et se bene ò misera cosa stare con sospetto di doversi giustificare in certa sorto di materie, io in ogni bisogno che gli venga gli porgerò tutta quella assistenza et aiuto che sarà possibile et che è ragione, come servitore dell’A. V. S. et huomo di molto sapere et merito, et come IVA. V.S. mi accenna et comanda. Alla quale liumilissimamente m’inchino. l)i Roma, li xi di Dic. re 1615. Di V. Alt. Ser."* Humil.“° e l)evot. mo Ser. r9 10 Piero Guicciardini. Fuori: Al Ser. m0 Gran Duca di Toscana, Mio Signore. Cfr. un.' 638, 540. 208 Il — 12 DICEMBRE 1015. [1151-1152] 1151. FRANCESCO MARIA DEL MONTE a COSIMO li, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Roma, li dicembre 1CIG. Bibl. Naz. Fir. Mss. Uni., 1*. I, T. XV, car. 52. Autografa la sottoscrittone. Serenisi»." 10 S. r et l’.ron mio Col." 10 Il Galilei matematico è Liuto urn» umico, die per questo rispetto solo, et per la co- gnitione olio ho dal suo valore, mi sarai ni oh ho a prestargli ogni Borie di servitio; ma per l’avvenire ini troverà lauto più pronto ad aiutarlo et proteggerlo dove sarà Insogno, quanto che il communduinento di V. A. S. mi si converto in violenza. Con che le ricordo la mia .solita Constant issima servitù, et lo bacio huinilÌ8simamentr le mani. Di Roma, li xi di Xinbre 1G15. Di V.A.S. Obi. m * Ser.” Vero L’A. S. w * di Toscana. 11 Card.'* dal Monte. 1152. GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze]. Roma, 12 dicembre 1015. Bibl. Naz. Fir. Mas. Qui., P. I, T. IV, c»r. 515. Autograf:;. 111.® 0 Sig. rtì e Pad.» 0 Col. ,uu Non posso per ancora dare avvisi particolari a V. S. Ill. raa circa i progressi dello cose mie, ma solo in generale, da quello che mi posso accorger d’bavere operato negl’ animi di tutti quei Signori con i quali mi sono abboccato, mi confermo gagliardamente nella speranza che la sincerità mia non sia per restare oppressa da chi maligna¬ mente ha cercato e fa forza di progiudicarmi. La mia venuta qua è stata sommamente laudata da tutti questi 111."“ e Uev. 1 "' Prelati a i quali sin bora sono stato a far reverenza, (5 oltre a loro anco da tutti gP amici miei, che desiderano il mantenimento della repatazion mia. Crederò bene che a tal uno, che volentieri mi liarebbe veduto in travagli, ella sia stata molesta, o che forse con mente simulata non la lauderà, e per avventura, quando havesse potuto, P liarebbe im¬ pedita ; ma spero che l’esito del negozio mostrerà, con l’effetto stesso, 12 DICEMBRE 1(515. 209 [ 1152 - 1153 ] quanto io ragionevolmente liabbia presa questa resoluzione, e quanto prudentemente ella sia stata approvata e concedutami da coteste Al. ze Ser. me , e da V. S. ancora. Io mi trovo talmente con l’animo con¬ tento, mentre veggo spianarmisi la strada al mantenimento et agu- mento della mia reputazione, che non poco mi sento andare avan¬ zo zando nella sanità; al qual mio acquisto viene a parte l’amorevole trattamento del Sig. ro Annibai Primi, il quale con altrettanta dili¬ genza esequisce il comandamento del S. G. I). nella persona mia, con quanta benignità S. A. S. gliel’ ha ordinato, lo non sogghignerò altro a V. S. lll. raa , se non una nuova confessione degl’obblighi che gli tengo e una ratificazione della mia devotissima servitù, pregandola con oportunità ad inchinarsi humilmente in mio nome a loro A. S. rae ; e per fine gli prego dal Signore il complimento di ogni suo desiderio. Di Roma, li 12 di Xmbre 1615. Di V. S. 111.*“ so Dev. mo et Obblig. mo Ser. re La supplico a presentar l’alligata. Galileo Galilei. 1153 ** LUIGI MARAFFI a GALILEO in Firenze. Roma, 12 dicembre tifili»}. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. VII, car. 188. Autografa. Molt* 111.” et Ecc. 1 " 0 Sig. r mio, Fui forzato di partirmi di Firenze cosi repentinamente, che non potetti ba¬ ciare le inani a V. S. nè salutare il Sig.™ Amadori : questa mia servirà per com¬ pire al debito, et insieme per darli conto di quello che forse saperrà per altra strada. Qua è uno certo Flamminio Figliucci, che manda fuori uno libretto di rime et prose sotto nome di Lorenzo Salvi (ambidue, secondo me, Sanesi), inti¬ tolato (,) : Stanze sopra le nuove stelle scoperte col nuovo occhiale, con una breve diehiarattione, dedicate all’Ill. mo Cardi 0 Aldobrandino. Fa due canti, il primo di 54 ottave, il secondo di 68, et poi se gli dichiara et se gli comenta da sè Lett. 1152. 25. ratificazione delle mia — Cfr. n.o 1089. XII. 27 210 12 DICEMBRE 1016. [ 1153 ] medesimo. Io 1* ho letto tutto, ma quanto al darne giudittio non posso dirne io niente, perchè non è mia professione la materia della quale egli ragiona. Dirò solamente che fa notomia et rendo le ragioni di tutto quello clic si fa lassò ne’ cieli con tanta sicurtà, che bisogna che ci sia qualche cosa di grande, per¬ chè con tanta sicurtà non possono parlare so non gli huomini di gran sapere o di grande ardire. Quello che pare a me, è che molto scarsamente sia proceduto con la lode dove et con chi la meritava, tanto più che, vestendosi da poeta, po¬ teva maggiormente allargarsi. Inculca più volte che 1’ occhiale è stato trovato in Fiandra, migliorato in Italia, ma non dico da chi ; che con 1* occasione delle stello di Giove altri hanno osservate altre stelle, come sono i matematici del Col¬ legio Romano Giesuiti; che il primo osservatore delle macchio solari è dubbio chi so sia, ma però che la sta nel liuto Apelle Giesuita et in V. S. ; et perchè debbo bavero la procura dalle parti, si fa arbitro, et giudica che 1* uno et 1* altro è il primo, ina uno in Germania et l’altro in Italia. Dove parla delle stelle in¬ torno a Giove (le quali mai, che io mi ricordi, chiama Medicea), dice pure che rinventione è di V.S.; et quanto dice e s’allarga è questo poco d’ottava, dalla quale vedrà, come da uno saggio, la S. V. la qualità del verso: Ma quale spirto pellegrino il primo Fece di gloria sì pregiati accquisti? Tu, Galileo, sopra il terrestre limo 11 sentier chiuso a noi primiero apristi; SO Tu co i cristalli, che io ne’ canti esprimo, Di nuove stelle il ciel ricco scopristi; Mentre altri al terreo suol, tu il core alzasti A merci eterne, o ’1 mar del ciel solcasti Non ho tempo di dire più oltre a V. S., cliò è notte et voglio rendere il libro. Resti servita non nominarmi, et scusi la fretta. Mi conservi suo servitore, et mi comandi. Di Roma, dalla Minerva, la vig.» di S. # Lucia. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. 1 '*- 1 Ser. re Devotiss.® Fr. Luigi Maraffi. 40 Fuori: Al molt’ 111. 10 et Ecc. mo Sig. ro Il Sig. r Galileo Galilei, P.ron Oss. ll '° Fiorenza S. t0 Sisto. ('I Statue aopra U nuova itali* a macchia iolari, vaa. **> Il Maravh non sapeva elle, quando ejjli 8t. XIII, pag. 9. scriveva, Oalilko era in Roma [1154-1155] 19 — 26 DICEMBRE 1615. 211 1154*. CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, 19 dicembre 1615. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, B.* LXXXV, n.° 21. — Autografa la sotloscriziono. III. 10 Sig. r mio Os8. mo V. S. m’ha dato un contento grande con la sua lettera de’ 12 ( ‘\ dandomi nuova clic le cose sue cominciavano a pigliare buona piega ; et havendono io dato conto a loro Altezze, ne hanno havuto particolare gusto, c non si persuadevano altrimenti. Et io la prego a continuare di darmi ragguaglio di quello che di mano in mano ella farà, sperando io elio gli avvisi saranno tali, che tutti i suoi amici haveranno cagione di rallegrarsene : e se di qua le occorre qualche altra cosa, accennimelo pure liberamente, perché sì come ella sa che lo A A. LL. sono pronte a favorire e protegere V. S., così ella sa ancora (pianto io desideri di servirla, io E con tutto 1’ animo la saluto, e le bacio la mano. Di Firenze, li 19 di Dicem.® 1615. Di V. S. 111.™ Aff.' n0 Serv.™ S. r Galileo. Curzio P i c c h e n a. Fuori : All’ III.™ Sig. r mio ()ss. mn Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 1155. GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze]. Roma, 26 dicembre 1615. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 57. — Autografa. 111.™ Sig.™ e Pad. ne Col.™ Io rendo grazie infinite a V. S. Ill. ma dell’affetto cortese che veggo che ella va continuando verso la persona mia, nò mancherò all’oc¬ correnze di ricorrer sempre a lei come mio fautore e protettore. Qui <‘> Ofr. li.-» 1150 212 26 — 30 DICEMBRE 1015. fi 155-1166] non ho cosa di momento che dirgli di nuovo, se non che sono occu¬ patissimo in finir molte visite, dello quali mi so ne vanno giornal¬ mente scoprendo molte nuove, comandato da diversi Cardinali e altri personaggi grandi. Quanto a i miei negozii, per quello che aspetta all’individuo mio particolare, non veggo scaturir difficoltà fuori della mia espettazione ; ma nel generale vo scoprendo essere state fatte ga- io gliardissime impressioni, lo quali per esser addolcite e rimosso ricer¬ cano gran tempo e placidita nel trattarle, col passar per molti e molti raezi prima che arrivare a gl’ ultimi termini. Scusimi se non posso venire a più distinte particolarità. Quanto alla sanità, vo scorrendo assai mediocremente, e meglio starei se le molto visito o fatiche mi lasciassero godevo lo comodità concedutemi dalla benignità di S. A. S.: ma in ogni stato sono paratissimo ad ogni suo comando; c con augu¬ rargli le buone fosto et il compimento d’ogni suo desiderio, con ogni reverenza gli bacio lo mani. Di Roma, li 26 di Xmbre 1615. 20 Di V. S. lll. ma Dev. mo et Obblig. mo Ser. 1 * Galileo Galilei. 1156. ANTONIO QUERENGO ad [ALESSANDRO D’ESTE in Modena]. Roma, 30 dicembre 1615. Bibl. Naz. Fir. Mss. «lai., I’. 1. T. XV, car. 38. Riproduciamo <|Uo»t<> o gli aliti capitoli di lettore di An¬ tonio Ql'erf.ngo ad Ai.kssanuro o' Kstk da copio di matto d«l soc. XIX. lo quali sono tratte da manoscritti già esistenti nella Biblioteca Estense, ma elio presentemente più non vi si rinvengono. In capo alla copia della prosante lettera si logge, di mano di (ìiauhatihta Ykxturi : • Lettore Que¬ religli! nella Bibl. e * Eston.so ». -Abbiam qua il Galileo, che spesso in radunanze d’uomini d’intelletto curioso fa discorsi stupendi intorno all'opinione del Copernico, da lui creduta por vera, che '1 solo stia nel centro del mondo, e la terra e '1 resto dalli elementi e del cielo con moto per¬ petuo lo vadano circondando. Si riduce il più delle volto in casa de’SS. rl Cesarmi, per rispetto del Sig. D. Virginio, eh’è giovanetto d’altissimo ingegno.... I»6tt. 1156. 1-2. fa diverti itupendi — 4. lo radano circondando : U copista postilla : « Nel tosto è la, ma dov'essere uu error del copista*.— 1.1157] 31 DICEMBRE 1615. 213 1157 * ONOFRIO CASTELLI a [GALILEO in Roma]. Graz, 31 dicembre 1616. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., 1\ 1, T. VII, car. 235-28G. — Autografa. Molto 111.™ et Eco." 10 Sig. r mio Oss.' no Benché V. S. Ecc. ma sì lungamente ha lasciato di tenermi honorato con il co¬ mandarmi, non però in me è restato che io non le habbia del continovo portata una grande osservanza, et che non mi sia sommamente rallegrato mentre in varii tempi et in diversità di occasioni ho sentito, por li riporti, delli aumenti del va¬ lore di V. S. Perchè dal 1604 in qua, che non ci siamo più veduti, ho seguitati li studi et abbracciato lo scrivere, elio si vede dalla alligata (l> a’ lettori et altro, chi dedicato a N. S., chi al Sor."' 0 Prencipe di Spagna, chi a cotesta Sei\ ,na Al¬ tezza, chi all* III."" 0 Montalto (,) , della quale mia attitudine di valere a tali abbilità io è V. S. stata il fondatore et formatore in sì gran parte; per il elio dissi in Po¬ lonia al Sig. p Tomaso Vandeni che me le confermasse obligatissimo : la quale confirmatione acciò sia di maggior efficacia, vengo a farla anche con la presente, in occasione di questo santo tempo et capo di anno, che le auguro felicissimo con altri molti appresso. V. S. se mi procurasse copia della Vita del Ser. mo Ferdinando, ne spargerei molto per il volumetto Del bene publico, nel quale già fino bora ò tanto delli Ser. ml Gran Duchi, che il lettore ne raccoglie clic mimo principe più si avvicina di loro Altezze alla perfettione del prencipe apportatore dell’intero bene publico, che io (mi credo) formo. Et nel precetto che il prencipe non deve mettere datii 20 più del dovere, et dimostrarvisi qual sia il dovere, si vede che l’À.” loro non trapassano, anzi nè anche arrivano a quel segno. V. S. se sia per bavel la per via dell’ 111. 1 " 0 Geraldini (3! , non può se non coadiuvare il dirli che è per me, cliè esso è parente de’ miei parenti, lasciando io di scriverne all’111." 10 Marchese Bar¬ tolomeo del Monte, che lo reputo a’ sui castelli. Mando a V. S. questa, che è la dedicatoria per Sua A. Ser. ma , che potrebbe lei favorirmi di accrescerla et rimandarmela, desiderando io con continovati segni di mostrarmi sì devotissimo della Ser. ma A. S., che sono però stato in Polonia una volta a pericolo di essere ucciso. Et pregai con il mio Sig. 1 ' padre, sei anni sono, l’111."» 0 Montaito di ottenermi logo di servire l’Ill. mo Card. 0 de’ Medici quando «*) Non è presentemente unita alla lotterà. (*) Ai-kssàndro Furetti da Montalto. < 3 > Gio. Cosimo Geraldini. Carlo de’Medici. 214 31 DICEMBRE 1615. [1157-1158] si fosse creato cardinale ; al clic S. S. 111.** rispose tarlo, tlopoi di che ci riferì 30 T abate Tritonio, V Ill. mo Cardinale elio io vi dica. Già io ho scritto per una lancia spezzata ; ma mentre scriverò per un pari suo, et elio dirò che grande¬ mente) F amo, mostrerei, con il volere prevenire, di diffidare di non potere rom¬ pere un biccliicro come posso con quei Serenissimi. La dedicatoria detta potrebbe V. 8. Kcc."‘\ in rimandarmela, farla diretta a Vcnetia all’ Ill. mo Montatiti {n , che me la manderà qui. Ma la Vita del Ser. ,n0 Fer¬ dinando, che non potrà haversi così di breve, scriverò a V. S. dove potrà inviarsi, perchò al ritorno fra duo mesi da Praga dell’ Ill. mo Ecchenberg, partirò por Na¬ poli con lettere di questa Altezza a quel Vicirò, clic faranno havermi S. S. HI."» et li Padri Gesuiti, raccommandatoli io dal generai loro, mio parente. Per le quali R) lettere, et li talenti di elio io non sono senza, potendo in vario cose essere fruttuosi a quel regno, devo credere clic esso Ecc. mo Vicirò mi accetterà (et con trattamento che si richieda alla qualità et allo abilità che P homo ha) al suo servitio, lasciando io quello dell’ Ill. mf> Card." do’Medici; chè quando sono in Roma, mi danno sì occupa¬ tone le genti del mio paese per loro occorrenti, che non posso quasi punto studiare. S. A. S. ma poi che si diletta bavero omini boni a qualche cosa in tutto le pro¬ fessioni, et vedendo che io sto in procinto di pregare di servire detto Vicirò, et che sono così devoto di S. A. Ser. ma , forsi potrebbe dimandarla so io servirei alla Ser. ,na A. Sua. Al che prego V. S. a favorirmi rispondere che io li ho scritto che lei dica di sì, et elio lo reputerei per favoritissima gratia, et elio potrei anche 50 dargli delli omini nelle occasioni, et che io potrei ossore avantagiato nel stipendio dalli altri signori et baroni pari mici per la qualche attitudine clic mi trovo. Se gli seguisse P effetto, no sentirci consolatone, particolarmente per staro ap¬ presso a V. S. Ecc. ina , sì per riportarne novi frutti di imparare, come per poterle meglio servire. Il che essendo qui il line, bacio vivamente a V. S. Ecc. mn le mani, pregandola delli desiderati et dolci sui comandamenti. Di Graz, 31 Decembro 1615. Di V. S. molto III.™ et Ecc. raa Obblig. mo Sor. 1- * Onofrio Castelli. Fuori: A V. S. Ecc." 1 *^ co 1158. GALILEO a CRISTINA DI LORENA in Firenze. (Firenze, 1616]. Cfr. Voi. V, pag. .309-348. Lett. 1157. 65. le mano — I' 1 Asduubalk Harbui.ani di Montauto: cfr. n." 1165. i*i Hio, uè altro è aggiunto. [ 1159 ] [1615-1616]. 215 1159 *. [PAOLO ANTONIO FOSCA Iti NI (?) a GALILEO]. (1015-1616]. Bibl. della R. Accademia del Lincei In Roma. Cod. Volpicelliano A, cnr. 169r.-171f. — DI inano del sec. XVII. Dovendo io scrivere il mio parere in questa opinione con quella debita cir- cospettione clic si conviene, non mi pare bone ch’io per bora mostri esser tal¬ mente inclinato a quella, che altri giudichi eh’ io faccia (per modo di dire) pre¬ venire l’atto della volontà, a quello dell’intelletto; e potendo vestirmi in qualche guisa in questa controversia 1’ habito di giudice, non devo vestirmi quello della parte. Perciò mi sono deliberato di fare che l’opra mia 10 ’sia una disputa overo discussione, nella quale, ordinatamente procedendo, io incominci da principio a separare le cose più certe et ammesse da tutti dalle più incerte et controverse, dico fra Tolemaici et Copernicani, over Peripatetici e Pitagorici ; et venendo io all’opinione Copernicana, io distingua in quella ciò eh’è più probabile da quello che pare meno probabile, e questo in tutte quelle materie (o siano filosofiche o astronomiche) le quali si veggono essere antecedenti o consequcnti o concomi¬ tanti o che habbiano qual si sia connessione con lo stabilimento del sistema mondano. Onde primieramente mi ò nell’animo di trattare della forma et figura del mondo, delle sue parti integrali, del numero de gl’ elementi e del ciel c se si deve ammettere la sfera del fuoco o la moltitudine de gl’ orbi ne’ corpi celesti, della distintione che si trova tra la materia de’ cieli e de gl’ elementi, e simili cose. Nelle qualli discussioni dovendosi stabilire (sì come è il vero, quan- tumque contradica alla setta de’ Peripatetici), che le parti integrali del mondo 20 non sono altro che il cielo, il quale non è più che uno, et gl’ elementi, quan- tumquo siano quattro, nondimeno nè in tutto dal cielo differenti nò con quel sito disposti che comunemente si tiene, e per consequenza clic la materia del cielo et de gl’ elementi è l’istessa, e così soggetta alla gcnerattione et corrottione et ad ogni ìnutatione l’uria come 1’ altra, non essendo altro il cielo che un spatio, per dir così, sferico, pieno di corpo dell’istessa figura, tenue et aereo, nel quale si muovono la terra et gl’altri pianeti, levato il sole, il quale non è pianeta, ma è il centro (immobile cui locum, ma mobile in loco) di tutto questo spatio cor¬ poreo e sferico, attorno il quale sole, come intorno a proprio centro, con varii periodi si muovono (esplicando una indicibile harmonia e sapientissima distri- so butione dello cose, fatta dal sommo Architetto) tutti i globi de’ pianeti c delle stelle fisse nel predetto spacio che chiamiamo cielo; nè è altro la quinta essenza, Cfr. n.° 1127, Un. 28, e n.° 1135. 216 [1615-1616]. [1159] corrispondente al quinto corpo o figura regolare de’ mathematica, so non che il cielo empireo, corpo di sovrana e differente natura da ogn’ altra corporea, e da sò inalterabile et incorrottibile e privo d'ogni sensibile qualità, e di quegli attri¬ buti dotato che la commune filosofia Peripatetica ha applicati promiscuamente, ma senz’alcun fondamento, a questo cielo visibile nostro, nel quale nondimeno tutto dì reggiamo mille altorationi di comete e di altre impressioni o spettacoli, che vanamente gli Aristotelici hanno attribuito alla terza regione dell’aere; tutte queste cose, per ciò clic per il più vengono a contra[dire] ad Aristotele et alla comune filosofìa, mi apriranno la strada a trattare del methodo et vera ragione io del filosofare, e quanto ella debba essere aliena dalla pertinacia di seguire qualsi¬ voglia auttore, n quanto in ogni cosa dove ricercare la nuda verità, sia pure ella detta da chi si voglia: et qui si tratterà do gl’errori d’Aristotele e della sua filosofia, la quale si mostrerà con varii essempi non essere tanto perfetta nè cosi mirabile come i suoi seguaci la fanno, al c he si aggiugneranno testimonianze di molti de gl* istessi Peripatetici e. persone gravissime et religiose e pie. Quindi me ne verrò alla dichiaratione di varie openioni de’sistemi del mondo, riprovando ciascuna in ciò che mi parerà meno probabile, et approvando la parte di lei che sarà più, a mio giuditio, verisimile. E qui per il sistema Copernicano, e particolarmente por la mobilità della terra, dalla quale pure eli’ egli principal- 60 mente dependa, addurrò una grandissima selva di ragioni et argomenti, che già me ne trovo bavere raccolti non pochi, includendovi molte osservazioni fatte da me, tra’ quali non mancherà alcuna ragione di mia inventarne, che forai havrà non piccola forza di demostrazione et di argomento necessario ; oltre gl’ altri pro¬ babili, che saranno cavati dalle allegorie profundamonte nascoste nell’ antichis¬ sime favolo de’ primi et più vecchi poeti, da’ quali ogni filosofia hebbe principio, da oracoli di Dei gentili e di sibille e di altri, da molte note ioroglifiehe de gl’Egittii, da molte imagini misteriose et altri attributi di Dei gentili, dal con¬ senso di molti antichi et moderni filosofi, ove saranno anco inclusi de’ Peripa¬ tetici, come furono Nicolò Cardinal Cusano, eccellentissimo mathematico, Celio co Calcagnino, huomo universale, et Andrea Cesalpino, moderno filosofo, et altri degni auttori. Ultimamente si addurranno molti misterii cavati dalle Scritture Sacre, et molte autorità, fra le quali sarà anco quella di V. S. mandatami, di Iob al cap. 9, interpretata da quel Padre Agostiniano Diego Astunica di Salamanca c,) : e qui con questa occasione si tratterà della interpretatione delle Scritture et ile Padri, in che modo e senso si debba ella fare quando lo ragioni o l’evidenza del latto ci persuadono l’opposito di quello che pare che l’autorità accenni nella scorza delle parole, e per qual cagione le opinioni nuove nelle cose dot¬ trinali e filosofiche che non trascendono i limiti naturali et dependono in tutto i" Cfr. n .0 723, lin. 33. 217 [ 1159 ] [ 1615 - 1616 ]. 70 dal scuso, ma per contrario le vecchie nelle cose appartenenti alla Fede, sempre si deono più tosto seguire et abbracciare ; finalmente, del pericolo che può ap¬ portare all’autorità sacrosancta del Vicario di Christo il decidere et determi¬ nare, alcuna cosa essere di Fede o no, in materia naturale et dependente dal senso, ove il tempo può talvolta, a lungo andare, scuoprire il contrario. Questa è la testura dell’opra che sto facendo. Hor, perchè tra i molti argomenti giù detti per la mobilità della terra, ne considerai talvolta uno, leggendo le Relazioni del Butero 10 , che mi apportò alcuna materia di dubitare e di richiederne il parere di V. S., ne vengo brevemente alla narratione di quello, lasciando per bora gl’ altri molti e più efficaci, de’ quali a so luogo e tempo V. S. no sarà fatto partecipe. Riferisce il Butero, che sotto l’equi- nottiale, là dove più 1’ oceano si allarga et è senza alcuno impedimento di terra o isole o scogli, vi venga un perpetuo e continuo levante, il quale senza alcuno interrompimento, sempre a sò stesso uniforme, spira, il quale non può essere vento caggionato dalla essalatione della terra, come de i venti ordinarii vuole la meteo¬ rologia Aristotelica, sì per la lontanissima distanza dal continente della terra, sì per la perpetua uniformità del detto vento ; onde, secondo la comune filosofia, tanto il Butero quanto altri attribuiscono questo effetto alla violenza del primo mobile, al cui moto vogliono che insino questa nostra bassa regione dell’aere sia soggetta. Ma io, che con varie ragioni conchiudo et demostrativamente provo, non so darsi il moto ratto del primo mobile, e nell’istessa via Aristotelica (nella quale egli comunemente si concede) mostro, non potere nè anco defendersi almeno che passi la sfera del fuoco, ho giudicato questo accidente, di vento perpetuo orien¬ tale sotto la linea equinottiale, non essere altro che un poco di resistenza del- l’aere, che fa egli incontra il moto della terra, la quale, dentro di lui e da lui concordata, si muove dall’occidente all’oriente, facendo la notte et il giorno. Et clic ciò sia il vero, si è osservato, il detto vento quanto più s’ allontana dalla linea equinottiale, tanto più esser debile, e finalmente sotto i tropici et altri mi¬ nori circoli dividersi in varie difformità; il che non per altro si deve credere avenire, se non perchè l’impeto dell’ aere che resiste, e perciò in alcun modo va ìoo incontro al moto della terra, là si scorge più, ove parimente la terra fa mag¬ giore impeto ali’ incontro di lui : hor la terra maggiore impeto fa ne’ circoli mag¬ giori che ne i minori, perciò che maggior spazio passa ne i circoli maggiori che ne i minori : perciò dunque non è maraviglia che sotto il circolo equinottiale si scorga tale vento uniforme et perpetuo, tanto più ove cessano gl’impedimenti d’isole, monti, scogli, valli, canali, promontorii et simili cose, le quali in altre parti fanno in varii modi spezzarsi et ragirarsi il detto vento, il quale, anco per (I) Delie rclationi univer$ali di Giovanni Ho- Ferrari. MDLXXXXI.—Parte seconda ecc. In Roma, tf.ro ecc. Prima parte ecc. In Roma, appresso Georgio appresso Geòrgie Ferrari. M.D.XCII. XII. 23 218 [1615-1G16]. [ 1159 ] lare altrove minori circoli, non ha tanta forza nè vigore. Sopra questa mia ima- gin&tione desidero sapere ciò che ne sente V. S. Ma se per caso si havesse più tosto da dire in questi opinione, che non la terra sola si muova particolarmente del moto nictimerino, di’ella fa in sè stessa racco- no gliendosi in 24 bore et caggionando la nocte et il giorno, ma si muove con l’ag¬ gregato de tutti quattro gl’elementi, all' bora sarebbono molti dubii da sciogliersi. Primieramente, io dubito clic non bisogna concedere la sfera del fuoco : pcr- ciocbè non mi pare troppo ragionevole che questa sfera liabbia nè il moto nieti- m eri no nè anco rannuo; per ciò che, tanto con l’uno quanto con l'altro, in poco tempo biaognarebbe che passasse tanto immensi spazii che apena 1* imaginazione li può capire, et essendo il fuoco corpo tanto tenue et dissiparle, sarebbe im¬ possibile, per la sua rarità e poca resistenza, mantenersi nella sua consistenza sferica, conpenetrare tanto aere, corpo tanto più denso et sodo del fuoco (pianto è l’acqua dell’aere e la terra dell’aqua: oltre che sarebbe un grande e sovercio i -'0 confarcinaniento il porro una congerie tanto grande di terra, aqua, aero et fuoco, conglobati l’uno sopra l’altro, andar ravvolgendosi et cambiando oltre per l’aura etlierea senza punto di disconciamento, e così fare un moto velocissimo di molte migliaia di migliaia 1’ bora, senza punto variare nè disturbare loro .siti nò le loro simmetrie, ove sono per lo più tenuissimi. Secondariamente, se non si muove tutto 1’aggregato de gl’elementi, per ciò che non si dona la sfera del fuoco, dunque si moverà solo il globo della terra e dell’acqua, che fanno una perfetta sfera; e l’aere non sarà elemento che si muova con il moto della terra et dell’ acqua, ma sarà quel corpo continente nel quale si riceverà per immensi spazii il moto della terra e dell’acqua: il che mi iso pare più raggionevole che non è porre sopra l’aere l'elemento del fuoco, et fare eli’ esso luoco disopra e disotto liabbia aere, disotto come sfera elementare, et di sopra come corpo continente et universalmente ambiente tutti i corpi planetarii et stellari, insieme con i moti loro. Ma posto questo modo di dire, all’ bora io dimando, nel moto nictimerino overo di 24 bore, che fa la terra rivolgendosi in sè stessa, quante migliaia la l’bora: perciò che me pure che, essendo la circon- ferenza maggior della terra, secondo una delle più famose opinioni, vintidue mila miglia o più, non farà in spatio d’ un’ bora nel suo maggiore circolo, quale è sotto 1 equinottiale, meno di ottocento o più miglia; la qual velocità è tanto grande, che non pare che possa essere insensibile, e le nubi, le quali non si muo- 140 vono dell istesso moto, se non vogliamo che anco 1’ aere vicino a noi si muova insieme dell istesso moto con la terra, ne dovrebbono dare indichi, con vedersi continuamente abandonare il primiero sito et luogo e mutarlo in altro nuovo, senza mai, per qualsivoglia cagione, da tal mutatione cessare : il che non si vede. Ma se 1 aere che contiene le nubi si muove dell’istesso moto della terra, per che cagione anco le nubi non si muovono dell’istesso moto? E se mi adduce per 219 [ 1159 ] [1615-1616]. cagione il vento, io dirò che è maggiore 1* impeto che porta il naturai moto del- l’aere insieme con la terra, clic non ò qualsivoglia impeto di vento: poiché es¬ sendo la circonferenza dell’ aere più ampia di quella della terra, so la terra fa ino ottocento miglia 1' bora o più, l’aere ne farà forse mille e cinquecento; alla quale velocità nissun vento, per impetuoso che sia, può arrivare. Nondimeno che l’aere non si muova all* istesso moto della terra, pare che lo manifesti espressamente l’osservatane poco avanti detta dal Butero, dell’uniformità del vento levantino sotto la linea equinottiale nel mar Pacifico, il qual vento mostra l’aere andare contro il moto della terra, il che non è altro che quel poco di resistenza che fa 1* ambiente aere al velocissimo moto della terra. Se dunque P aere non si muove al moto della terra, anzi per la resistenza piutosto all’ incontro di lei e del suo girare, e la terra fa ottocento miglia P bora e più, che vuol dire che veggiamo talvolta una e due o più bore le nubi nell’ istesso luogo e nell’ istesso sito nel- ir>o l’aere senza alcuna mutatione? Questa ragione astringe molto più sotto la linea equinottiale elio in altra parte, perciochè il maggiore circolo che faccia la terra, e nel maggiore spatio trapassi, è Pequinottiale: gli altri circoli che ella fa verso tropici e verso i poli, essendo sempre minori c minori, non richieggono in lei tanta velocità ; onde la terra nel suo moto nictimerino (come dal greco lo deno¬ mina il Copernico) sotto i tropici non fa ottocento miglia 1’ bora, come gli fa sotto P equinottiale, ma di gran lunga ne fa molto meno, e poi assai più meno sotto i circoli arctico et antarctico; ma sotto i poli direttamente ne fa tanto pochi (secondo la distanza o vicinanza de’ poli), che vi è luogo che non solo non ha bisogno di far la terra ottocento miglia P bora, come fa sotto P equinottiale, no ma apena in tutte 24 bore non fa mezo miglio. Ma in ogni modo a rispetto di noi, che stiamo tra il tropico del Cancro et il circolo arctico, bisogna che ci sia nello nubi alcuna sensibile mutazione, proportionata alla velocità del molo della terra, che poco varia in meno delle ottocento miglia l’hora in simil clima; che se bene fossero non più che quattrocento o cinquecento miglia, pure dovrebbono fare una notabile varietà nell’aspetto delle nuvole e di simili altre coso che si veggono nell’aere. Questo ò quanto mi occorre dubitare con l’occasione dell’osservatimi e del Butero ; nel che non dubito che alla risposta che V. S. mi farà cessare (sic) ogni dubietà. 180 Mi sarà caro poi intendere se con l’occhiale di prospettiva V. S. ha scorto di nuovo alcuna cosa degna di sapersi o nel corpo lunare o pure del sole o sopra le macchie di lui ; e così se vi è alcuna cosa scoperta di nuovo sopra i compagni di Giove, Pianeti Medicei, oltre di ciò che V. S. pose nel publico gli anni passati; di più, se nell’auge appaiono di notabile quantità minori, o nell’oppo- sito maiori, i pianeti, per ciò che per la proportione dell’ altezza bisognarebbe essere molto sensibili le varietà; ultimamente, in qual spacio un liuonio, asce»- 220 [1615-16161 - 1“ GENNAIO 1616. [1159-1161] fiondo a’ globi del sole o luna o Venere o Mercurio, voltarebbe i piedi verso qual globo e la testa verso la terra, et per contrario, scendendo di là a noi, farebbe l’opposito. Nò occorrendomi altro per bora, fo line, etc. 11 « 0 . GALILEO n [CURZIO PICCIIENA in Firenze]. Roma, 1° gennaio Iftlfi. Bibl. Naz. Blr. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 58. — Autografa. Ill. mo Sig. re e Pad. nft Col. mo Conosco più 1’un giorno elio 1’nitro conio oro grandemente biso¬ gnoso di trasferirmi qua por poter una volta ridurmi in stato di quieto, la quale sporo in Dio d’esser per ottenere, non porche io creda che i miei nimiei si sieno por placar mai, ma perchè non dovrà rimaner loro più campo dove esercitar lo loro calunnio contro di me, quando le più gravi gli saranno riuscito vano, come tutte l’altre macchino sin qui. 11 venire a i particolari sarebbe cosa lunghissima per me o tediosa per V. S. lll. ma , occupata sempre in negozii gravissimi : però differendo a bocca i miei casi varii e gl’ accidenti particolari, solo terrò raggila- io gliata V. S. sopra i generali; nò per bora gli dirò altro se non che, so bene continuamente mi si vanno scoprendo intoppi, tutta via altrettanti se ne vanno superando, nè mi spavento punto nelle tempeste, lo quali col tempo e con la sofferenza, e prima con l’aiuto divino, supererò tutte. Bacio reverentemente a V. S. Ill. mà le mani, augurandogli felice Capo d’anno insieme con molti altri, e la supplico a baciar humi- lissimamente la veste a loro A A. Ser. tnft in mio nomo. Di Roma, il p.° dell’anno 1616. Di V. S. Ill. ma I)ev. mo et Obbligò 10 Ser. w Galileo Galilei. 20 noi. ANTONIO QUERENGO ad [ALESSANDRO D’EST E in Modena]. Roma, 1® gennaio lfilfi. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. XV, rar. 58. Cfr. l'informaziono promoisa ni n. fl 1166. .... A quello che scrissi mercordì sera 1 del Galileo, aggiungo ora che la sua venuta a Roma non ò, come si credeva, adatto voluutaria, ma che si vuole farli render conto come solvi il movimento circolar della torre e la dottrina, in tutto contraria, della Sacra Scrittura.... Cfr. n.® 1156. [1162-1163] o 7 GENNAIO 1610. 221 IO 1162 * CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, 2 gennaio 1616. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXV, u » 22. — Autografa la sottoscrizione. Ul. re Sig. r mio Oss. mo Io non ho il maggior desiderio che di sentir qualche buona nuova de’ ne- gozii di V. S., et vivo con una sicura speranza che ella Rabbia a disingannare tutti quelli che havessero conceputo opinione sinistra contro di lei dalli suoi emuli. Però la prego a favorirmi alle volte delle sue lettere, perchè il medesimo desi¬ derio, la medesima speranza, hanno anche lor Altezze. Che ò quanto posso dire a V. S. in risposta della sua de’ 26 {,) ; et augurandole il buon Capo d’anno con molti et molti altri appressò, le bacio la mano con tutto l’animo. Di Fior. a , a’2 Gennaio 1615 Di V. S. 111.»' 8 Aff. mn Ser. 1-8 S. r Galilei. Curzio Pi ochena. Fuori : All’Ill.™ Sig. r mio Oss. m0 Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 1168 *. CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, 7 gennaio 1616. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B. a LXXXV, n.® 23. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ Sig. r mio Oss. mo Le lettere di V. S. mi son sempre carissime, stando io con molta ansietà di bavere spesso nuova del successo de’ suoi negozii ; et mi rallegro di sentire che camminino con buona speranza, se bene, coni’ ella dice, non possono certe im¬ pressioni spontarsi se non con un poco di lunghezza di tempo. Ci era una lettera di V.S. perii nostro piovano Scarperia w , il quale questa mattina, che io la ricevei, era appunto a desinar meco insieme col Sig. r Cosimo («1 Cfr. a.® 1155. ' (8 ’ Cfr. a.® 1191. »*> I)i stile fiorentino. 222 7—8 GENNAIO 1610. [1163-1164] Ridoliì; et tutti i nostri ragionamenti non hebbero quasi altro suggetto ohe della persona di V. S., si che ella può credere come fu trattata. Sopratutto mi piace d’intendere che ella stia bora con buona subito, il che ò anco segno d’un animo io scarico et tranquillo. Et con questo le bacio la mano con tutto 1 animo. Di Fiorenza, a' 7 Gennaio 1615 ab ine.* 4 Di V. S. Ili™ Àfl>° Serv.™ S. p Galileo Galilei. Curzio Picchena. Fuori: AH’111.™ Sig. r mio <)ss. m0 11 Sig.*' Galileo Galilei. Roma. 1164. GALILEO n [CURZIO PICCHENA in Firenze]. Roma, 8 gennaio 1610. Bibl. Naz. Flr. Mts. Gal., P. I. T. IV, car. 59. — Autografa. lll. mo Sig.™ o Pad. ne Col. mo Io vo tutto ’1 giorno più o più scoprendo quanto utile inspirazione e ottima resoluzione fusse la mia nel risolvermi a venir qua, poi elio trovo elio mi orano stati tesi tanti lacci, che impossibil era elio io non restassi colto a qualcuno, dal quale poi tardi o non mai, o non senza grandissima difficoltà, io mi fussi potuto distrigare; ondo io ringrazio Dio e la somma benignità di loro Alt/* Ser. m * elio mi hanno conceduta tal grazia, che non solo mi sarà mezo oportuno a giustificarmi in modo che non havrò da temer più in vita mia, ma farò honorata vendetta do’ miei minici, solamente col fargli restar confusi et oacu- io rati per lor medesimi in quelli stessi luoghi dove havevano macchi¬ nato contro alla mia reputazione con tante e si gravi calunnie, clic per liaverne, come si dice, voluto troppo, si sono da lor medesimi scoperti e rovinati. Et havendo, tra lo altre macchine, seminato in luoghi eminentissimi segreto concetto che io per miei enormi delitti fussi del tutto caduto di grazia di loro Al. 1 ", o che però me ne stavo ritirato in una villa, onde il proceder senza riguardo alcuno contro la persona mia sarebbe stato non solamente senza disgusto 8 GENNAIO 1016. 223 [ 1164 ] di loro Alt/ 6 , ma che più tosto saria loro stato grato il vedermi ca¬ so stigato da altri anco delle offese loro ; hora, che io sono stato veduto comparir qua tanto honorato da i miei Ser. mi Signori, e favorito di lettere amorevolissime e ricevuto nella lor propria casa, si è, con lo scoprimento della iniquità di così grave calunnia, rimosso tutto ’l credito a tutte V altre false imputazioni de’ miei minici, et a me si è aperto cortese adito et orecchio, e facoltà di poter sincerare ogni mio fatto, detto, pensiero, opinione e dottrina, solo eh’ io habbia tanti giorni di tempo da portar le mie giustificazioni, quante settimane o mesi hanno hauto i miei avversarii per imprimer i sinistri concetti della persona mia. Ma spero che il tempo non mi sarà abbreviato, so se bene mi arrivano qui alcuni motti, li quali potrei ricever per co- mandamenti della partita, se il non ne veder vestigio alcuno nelle lettere di V. S. IU. ma non mi togliesse simil timore. Perù la supplico, per quanto può meritare la mia devotissima e reverentissima servitù verso di lei, che ella mi assicuri in questo dubbio, x>^i‘ohò io desi¬ dero e spero di poter partir di qua non solo con la redintegrazione pari della mia reputazione, ma con triplicato agumento, e con haver condotta a fine un’ impresa di non piccol momento, maneggiata da molti mesi in qua da personaggi supremi di dottrina e di autorità. Ma e di questo e di molti altri particolari conviene che io mi ri¬ io serbi a bocca. Intanto mi scusi se, assicurato dall’ ultima sua corte¬ sissima, sono stato troppo prolisso, e ricevalo per certo segno della intera confidenza che ho nella sua benignità e protezzione, e con oc¬ casione inchini liumilniente in mio nome loro À. ze Ser." u ‘, e saluti la S. ra sposa, sua dilettissima figliuola m . 11 S. Annibaie w si trova in letto, con una mano un poco sini¬ strata per una caduta, ma l’impedimento sarà breve : in tanto non potendo scrivere, gli fa hiunilissima reverenza; et io, restandogli servitore devotissimo e desiderosissimo de’ suoi comandamenti, gli bacio le mani, e gli prego da Dio somma felicità. so Di Iloma, li 8 di Gen.° 1616. Di V. S. Ill. ina Dev. mo et Obblig. mo Ser. ra Galileo Galilei. ll > Caterina Picciiena no’B uonoelmonti. <*) Annusale PniMr. 224 10 — 12 GENNAIO 1616. [1185-1166] 1165 * ONOFRIO CASTELLI a A8TVRUBALE BARBOLANI DI MONTAUTO [in Venezia]. Graz, 10 gennaio ltiltì. Aroli. di Stato in Firenze. Filza Medieoa 1477. — Autografa. 111.® 0 Sig. r mio Ohs." 10 La gentilezza da V. S. 111.®* piaciuta usarmi .. .. n me è occasione che io vada alle volto pregandola, conio ora fo, del ricapito nll’alligate, et a scusarmi, oliò l'andare di pre¬ sente così infallo le lettere mi costringe ad inviargliele. Del Galilei, perchè ai è ultimamente qui inteso che sta male, so fosse però passato all’altra vita, il piago (>> può inviarsi a qualche servitore di S. A., perchè, ntteso che l'Altezza Sua vorrà la materia inclusa in esso, possa esso aprirsi come S. A. la dimandi, et daraegli.... 1166 * CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, ri gennaio itilo. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cuuipori. Autografi, B.M.XXXY, n.« 24. Autografa la sottoscrizione. III. 10 Sig. r mio 0S8. ,U0 In risposta della lettera di V. S. dell! 8 ( *\ le dirò brevemente Laveria letta a lor Altezze, le quali hanno sentito particolare gusto della buona speranza che ella mostra delle cose sue. Et quanto a i motti che V. S. dico esserle arrivati costì per conto della sua partita, all’Altezza loro sono interamente nuovi, poiohò non ci hanno pur mai pensato, et dicono che ella stia pur costi quanto compor¬ tano li suoi negozii et quanto ella vuole, perchè sarà con loro intera buonagra¬ zia. Et io di cuore le bacio la mano. Di Fiorenza, a’ 12 Gennaio 1615 ab Ine."* Di V. S. lll. r ® Afl‘. ,no Serv.™ io S. r Galilei. Curzio Picchena. Fuori: All*III. 1 » Sig. r inio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Roma. <" C'fr. n.° 1157. Vedi A. Fa varo. Serie dwkU- Voi. XIII pag. 17-22) Padova, tip. 0. B. Bandi, 1897. cima ili Scampali Galileiani (Atti e Memorie della C*> Ufr. n.° 1164. il. Accademia di *cicnse, lettere ed arti in Padova. LI167-1168] 13 — 16 GENNAIO 1616. 225 1167. ANTONIO QUERENGO ad [ALESSANDRO D’ESTE in Modena]. Roma, 13 gennaio 1616. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. XV, car. 54r. Cfr. l'informazione premessa ul li. 0 1156. Ili e Rev. m0 Sig. r * P.ron Col."' 0 Quel che per via di scherzo mi dice V.S. Illustrissima intorno all’opinione del Ga¬ lileo, ò pieno di tanta grazia, eh’ egli medesimo, se 1* udisse, bì pregierebbe d’aver porta occasione a lingua così faconda di trasferire dall’aggiramento del suo cervello la stessa passione all* immobilità della terra.... 1168. GALILEO a [CURZIO P10CHENA in Firenze]. Roma, 16 gennaio 1616. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. IV, car. (10. — Autografa. 111. 1110 Sig. re e Pad. ne Col. rao L’ordinario passato scrissi assai diffusamente a Y. S. Tll. ma , elio sarà causa di tanto maggior brevità al presente, e massime non ci essendo di nuovo cosa di momento, che io sappia. Solo intendo elio il molto R. do P. Dorino' <1) vien qua, non gli parendo che l’impresa incominciata da lui, o al meno fomentata, proceda conforme al suo desiderio: ma spero che, se vorrà trattar di simil negozio, haverà ventura di chi con grande autorità muterà in meglio il suo consiglio; in meglio, dico, per la sua reputazione, se bene a disfavor della sua causa, io Sto con ansietà attendendo suoi avvisi sopra i particolari che gl’accennai nell’ultima mia: e poi che dalle sue cortesissime lettere veggo con quanto affetto si applica a i miei interessi, non farò altre scuse se forse con troppa frequenza e libertà gl’ arreco occupazione ; ina solo gli dirò, che sì come per tanta cortesia haverà me per sem¬ pre obbligatissimo e devotissimo servitore, così dal Signore Dio sarà premiata d’ haver favorita una causa giusta e degna d’esser protetta (*) Niccolo Lohini. X1T. 29 226 16 — 20 GENNAIO 1G16. [1168-1170] da i buoni e giusti. Con che reverentewente gli bacio le mani, e gli prego dal Signore Dio somma felicità. Di Roma, li 16 di Gen.° 1616. l)i V. S. 111.™ Obblig.“° Sor. re 20 Galileo Galilei. uno* CURZIO PI COHEN A a CAI.ILEO in Roma. Firenze, 19 gennaio 1010 . Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, B.« I.XXXV, n.» 26. — Autografa la aottoscrixiona. Ill. r * Sig. r mio Oss. mo Ilo ricevuto una lettera di V.S. do’ 10, e resto maravigliato che allora ella non havesse havuto quella elio io lo scrissi la settimana passata, per la quale 1’ assicuravo che loro Altezze non havevano havuto pur pensiero che V. S. havesse. da partirsi di cotesto luogo; anzi ini comandarono di scriverle di’olla vi stesse pure tanto quanto ricercavano i suoi negozii, perche era con intera loro buona grazia : il che ho voluto replicarle con ogni caso. Quanto a quel frate (,) elio V.S. dice bavere inteso voler venir costi!, io non lo posso credere, perchft, essendo egli stato pur oggi a parlare a Madama Sor." 1 *, l’A. S. nel venir poi dentro dal Gran Duca haverebbe detto qualcosa, sicoine 10 sentii eh’ ella disse non so che il’ un altro negozio. Et a Y. S. bacio la mauo. Di Firenze, li 10 di Gennaro 1615 al» Ine."* Di V. S. Ill. r * Serv. r * S. r Galileo. (’ur/.io Picchena. Fuori: AH’111. 1 ' 0 Sig. r mio Ossei*.® 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Roma. 1170 . ANTONIO QUERENGO ad [ALESSANDRO 1)' EST E in Modena]. Roma, 20 gennaio 1616. Bibl. Nuz. Fir. Mu. Gal., P. I, T. XV, car. 50. Cfr. l'informaxlone premessa al n.« 1156. .... Del Galileo avrebbe gran gusto V. S. Illustrissima se 1’ udisse discorrere, come la spesso in mezzo di xv e xx che gli danno assalti crudeli, quando in una casa e O» Cfr. u.° 110S, liu. ó. 20 — 23 GENNAIO 1G16. 227 [1170-1171] quando in un’altra. Ma egli sta fortificato in maniera che si ride di tutti; e sebbene non persuade la novità della sua opinione, convince nondimeno di vanità la maggior parte degli argomenti co’quali gli oppugnatori cercano di atterrarlo. Lunedì in particolare, in casa del Sig. Federigo Ghisiliori, feco pruove maravigliose ; e quel che mi piacque in estremo fu, che prima di rispondere alle ragioni contrarie, le amplificava o rinforzava con nuovi fondamenti d’apparenza grandissima, per far poi, nel rovinarle, rimaner più ridicoli gli avversari.... 1171. GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze]. Koma, 23 gennaio 1616. Bibl. Nasi. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 61. — Autografa. IU. n, ° Sig. ro e Pad. 08 Col. rao Devo rispondere a due gratissime lettere di V. S. scritte nel medesimo tenore et in mia consolazione : nò si meravigli se io non risposi subito alla prima, poi che la ricevei oggi fanno 8 giorni, a 5 bore di notte, in tempo che havevo già mandate le lettere alla posta; ma ciò liarebbe importato poco, se non che il mio servitore tornò tardissimo, et il tempo era estremamente piovoso. Sì come d ini¬ quo io la prego a scusar la mia tardanza, cosi doppiamente la rin¬ grazio, mentre veggo con quanto eccesso, di cortesia ella abbraccia iole cose mie, che è a me il sigillo d’ogni mia sicurezza. Devo anco rendere infinite grazie alla benignità di loro Al. ze Ser. me , che tanto humanamente mi onorano e favoriscono in una tanta mia urgenzia; poi elio il mio negoziar vien reso più difficile e lungo per accidente di quel che sarebbe per sua natura, e questo perchè non posso andar direttamente a scoprirmi con quello persone con chi devo trattare, pei* sfuggire il progiudizio di qualche amico mio, sì come nè anco quelle persone possono aprirmisi a nulla senza il rischio d’incorrere in gravissimo censure: talché mi bisogna andar, con gran fatica e diligenza, cercando di terze persone, le quali, senza anco sapere a 20 che fine, mi sieno mediatrici con i principali a far che, quasi inci¬ dentemente e richiesto da loro, io habbia adito di dire et esporre i particolari de’ miei interessi ; et anco alcuni punti mi bisogna disten- 228 23 GENNAIO 1616. [U711 dergli in carta (n , o procurare che sogro talli ente venghino in mano di chi io desidei'o, trovando io in molti luoghi più facile concessione alle scritture morte che alla voce viva, In quali scritture ammettono che altri possa senza rossore ammettere e contradire e finalmente ce¬ dere alle ragioni, mentre non haviamo altri testimonii che noi me¬ desimi a i nostri discorsi; il che non così facilmente facciamo quando ci convien mutare opinione notoriamente. K tutte queste operazioni, in una Boma, et a un forestiero, riescono laboriose e lunghe; ma. so come altra volta lio accennato a V. S., la speranza certa elio ho di condurre a fino impresa grandissima, e clic già havova fatta gagliarda impressione in contrario in quelli da chi depende la determinazione, mi fa tollerare con pazienza ogni fatica: al che si aggiugne la con¬ solazione elio sento nel veder quanto Dio benedetto gradisca T inte¬ grità e purità (lolla mia mente, poi che fa risultare in mia reputa¬ zione quei medesimi artifìzii che i miei avversar» havovano orditi per mio ultimo detrimento. Ma più chiaramente di tutti i particolari a bocca. Degnisi in tanto V.S. Ill. nm di continuarmi l’aiuor suo, o con occasione s’inchini in mio nome humilissimameiito a loro Al.** Ser. me ; io e con ogni reverenza gli bacio le inani, e dal Signore Dio gli prego somma felicità. Di Roma, li 23 di Gen." 1616. Di V. S. 111." 1 » La supplico a favorirmi d’inviar l'al¬ ligata a buon ricapito. «*» Cfr. Voi. V, pftg. 277. 11172-1173] 27 — 30 GENNAIO 1616. 229 1172. ANTONIO QUEREN(X) ad \ALESSANDRO D’ESTE in Modena]. Roma, 27 gennaio 1616. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 54<. Cfr. l’informazione premessa al n.° 1156. _Il Galileo, che vide, due giorni sono, quanto di gloria ella gli prometta so gli succede di mandar per terra un’opinione approvata dal consenso di tanti secoli, si con¬ fida in maniera di poterlo fare, elio si offerisco ad ogni conno di V. S. Illustrissima di ve¬ nir fin a Modena a far toccar con mano e a lei e a ciascun altro ch’ella vorrà, eBsor verissimo il dogma difeso da lui; ma a lei particolarmente, dell’ingegno della quale, non mai pertinace contro l’evidenza della ragione, dice d’esser molto bone informalo. Vode V. S. quanto ella sia presso a girar con la terra da oriento in occidente in un mezzo di naturalo, lo l’ho invitato per un di questi giorni con tre o quattro suoi contrari a un conflitto inlcr poetila; cd allora scriverò da me stesso conio io cammini. Bacio intanto 10 umilmente lo mani a V. S. Illustrissima- 1173. GALILEO a [CURZIO PICCHÈNA in Firenze]. Roma, 80 gennaio 1616. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., F. I, T. IV, car. 62. — Autografa. lll. rao Sig. re o Pad.™ Col ." 10 Continuo, per la Dio grazia, in assai mediocre stato di sanità e nella solita quiete di mente, scorgendo tutto ’l giorno guadagno no¬ tabile nella reputazione e concetto, contrario a quel che havevano procurato di imprimere i miei nimici, i quali si trovano molto con¬ fusi; et il principale degli esecutori delle macinile (n mi ha fatto pre¬ gare eh’ io voglia esser contento che ei mi venga a trovare o discorrer meco. Credo che vedendo in quanto sinistro concetto e’ sia appresso tutti questi personaggi, consapevoli della sua azzione, possa sperare che io io deva esser buono strumento a temperar V indignazione, a se molto dannosa: sentirò quanto dirà, et a che fine si incaminerà, e di tutto ne darò conto a V. S. Ill. ma Alla quale intanto ricordandomi servitore Lett. 1173. 11. a che fine si incarnirli — • l t Tommaso Cacoini : cfr. n.° 1174. 230 30 GENNAIO — 6 FEBBRAIO 1610. [1173-1174] devotissimo, bacio reverentemente le mani, e gli prego dal Signore Dio il colmo d’ogni bene. Di Roma, li 30 di Gen.° 1016. Di V. S. Ili ma Dev. mo ot Oblili g. nw Ser.™ Galileo Galilei. 1174. GALILEO a [CURZIO PICCHENA in F.renze]. Roma, fi IVI»tirai» 1610. Bibl. Nnz. Pir. Mss. rial., P. I, T. IV. csr. 63. — Autografa. Ill. mo Sig.™ e Pad. na Ool. m ° Continuando, conformo al desiderio che altre volte mi ha accen¬ nato V. S. lll. ma di bavere et al debito insieme o desiderio mio, di dargli ragguaglio de’ progressi miei, gli dico, il mio negozio esser del tutto terminato in quella parte elio riguarda 1* individuo della persona mia ; il elio da tutti quelli eminentissimi personaggi che maneggiano queste materie mi ò stato libera et apertamente signifi¬ cato, assicurandomi la determinazione essere stata di li aver toccato con mano non meno la candidezza et integrità mia, che la diabolica malignità et iniqua volontà do’ miei persecutori : sì elio, per quanto io appartiene a questo punto, io potrei ogni volta tornarmene a casa mia. Ma perché alla causa mia viene annesso un capo che concerne non più alla persona mia che all’ università di tutti quelli che da 80 anni in qua, o con opero stampato o con scritturo private o con ragionamenti pubblici e predicazioni o anco in discorsi particolari, havessero aderito o aderissero a certa dottrina et opinione non ignota a V. S. Ill. mn , sopra la determinazione della quale bora si va discor¬ rendo per poterne deliberare quello che sarà giusto ot ottimo; io, corno quello che posso per avventura esserci di qualche aiuto per quella parto che depende dalla cognizione della verità elio ci vien 20 sumministrata dallo scienze professato da me, non posso nò devo trascurare quell’ aiuto che dalla mia coscienza, come cristiano ze¬ lante e cattolico, mi vien sumministrato. Il qual negozio mi tiene occupato assai; pur volentieri tollero ogni fatica, essendo indirizzata a fine giusto e religioso, e tanto più quanto veggo di non affaticarmi 6 FEBBRAIO 1616. 231 [ 1174 ] senza profitto in un negozio reso difficilissimo dalle impressioni fatte per lungo tempo da persone interessate per qualche proprio disegno, le quali impressioni bisogna andar risolvendo e removendo con tempo lungo, e non repentinamente. Che è quanto per liora posso deporre 3o a V. S. in scrittura. Hieri fu a trovarmi in casa quell’ istessa persona (1) , che prima costà da i pulpiti, e poi qua in altri luoghi, liaveva parlato e ma¬ chinato tanto gravemente contro di me : stette meco più di 4 bore, e nella prima mez’ liora, che fummo a solo a solo, cercò con ogni sum- missione di scusar l’azzione fatta costà, offerendoti! isi pronto a darmi ogni satisfazione ; poi tentò di farmi credere, non essere stato lui il motore dell’ altro romore qui. Intanto sopraggiunscro Mons. Bonsi (2) , nipote dell’ Ill. mo e Iiev. mo S. Cardinale (:n , il S. Can. co Venturi (4> e 3 altri gentil’ huomini di lettere ; onde il ragionamento si voltò a discor- •lo rere sopra la controversia stessa, e sopra i fondamenti sopra i quali si era messo a voler dannare una proposizione ammessa da S. t! ‘ Chiesa tanto tempo : dove si mostrò molto lontano dall’ intendere quanto sarebbe bisognato in queste materie, e dette una poca satisfazione a i circostanti, i quali dopo 3 bore di sessione partirono ; et egli, re¬ stato, tornò puro al primo ragionamento, cercando di dissuadermi quello che io so di certo. Sin che il negozio mio particolare è stato in pendente, non ho voluto, conforme a che dissi a loro AA. ze Ser. me , usar favore di nis- suno, non si potendo nè anco parlare o aprirsi punto con quelli che so maneggiano queste cause; bora il negoziare è più aperto, trattan¬ dosi in certo modo causa pubblica, se bene rispetto a gl’ altri tribu¬ nali questo, anco in queste azzioni, è molto segreto : però non ho voluto, e così è parso ad altri miei Signori, presentar la lettera di S. A. all’ Ill. mo S. Card. Borghesi (5> sino a questo tempo; ma la pre¬ senterò martedì prossimo, con attissima scusa della dilazione. E poi che ho facuità di trattare con più libertà, ho trovata una singolare inclinazione e disposizione a protegermi e favorirmi nell’ lll. mo S. Card> Orsino lG) , e tanto pronta e ardente (promossa non da mio merito, ma Cfr. u.° 1173, liti. 6. Gio. Battista Bonsi. Qai.ii.ro aveva dedicato 11 Diacono delftvteo e reflusso <*) Francesco Vettori. del mure , scritto « in Ronin, dal Giardino do’ Medici, < 8 > Cfr. il," 1 147 . li 8 di Gennaio 1616 ». Cfr. Vol.V,.pag. 373 e seff. 232 6 FEBBRAIO 1616. [1174-1176] dulia lettera di favore del S. G. D.), che mi è parso farne particolar conto a S. A. S. ma , ot insieme per inezo di V. S. Ill. nia supplicar la me- go desima A. S“ a a favorirmi di quattro altre ri glie al medesimo S. Car¬ dinale, in segno dell’avviso che tiene da me di quanto siano con pron¬ tezza da S. S. Ill. ma effettuate lo sue richieste o di quanto S. A. resti gustata di sentir la protezzione della persona mia: la qual lettera mi sarà di grandissimo utile e sollevamento di fatiche, o mi varrà ad effettuar prontamente quello che non potrei faro senza una lunghis¬ sima pazienza e gran dispendio di tempo. Però supplico V. S. Ill. ma , e per lei S. A. S."‘ a , a far di’ io resti favorito di tal grazia, che gliene terrò obbligo particolarissimo, e la starò aspettando quanto prima 11 ’. Che sarà il fino di questa, con fargli humilissima reverenza e con to pregargli da Dio il colmo di felicità. Di Roma, li G di Feb.° 1G1G. Di V.S. Ill. ma Dev. mo et 01>b. mo Ser. ra Galileo Galilei. 1175 *. CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, 6 febbraio 1016. Blbl Est. In Modena. Raccolta Cainporl. Autografi, B.» LXXX, u.* 17. — Autografi» la sottoscrlilona. I11. M, ° Sig. r mio Os8. mo Le buone nuove di V. S. sono sentite sempre volentierissimo non solamente da me, ma anche dall’ÀÀ., alle quali io sono solito di farne parte; però desidero che V. 23. m’ avvisi di mano in mano i progressi dello cose sue, o sopratutto attenda alla conservazione della sanità, senza la quale ella non potrebbe fare cosa buona. Siamo tutti immersi nel carnevale, e giovedì prossimo si farà quel balletto a cavallo, se il tempo lo permetterà, perchè ci è di molto diaccio ; e questa mattina, che il Gran Duca voleva provare il detto balletto su la propria piazza di S. ,a Croce, è bisognato zapparla quasi tutta per levare il diaccio che vi era. Ma ci console¬ remo poi con esso questa estate. Et io saluto V. S. di cuore, e le bacio la mano, io Di Firenze, li 6 di Febbraio 1615 al Ine.* Di V. S. IH.** Aff. mo J3erv. p# S. p Galilei. Curzio Picchena. Fuori : Air lll. ro Sig. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Roma. “i Cfr. n.° 1176. [1176-1177] 12 - 13 FEBBRAIO 161G. 233 117 6*. COSIMO II, Granduca di Toscana, ad ALESSANDRO ORSINI [in Roma]. [Firenze], 12 febbraio ItìlG. Bìbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 50. — In capo al foglio si legge, della stessa mano: t Copia di lettera del Ser. luo Gran Duca al Card. 1 ® Orsino. 12 Febb.® 1615 (> ) »; o fuori, di mano di Galileo: « Copia. Al C. Orsino. Scrive il G. D. Cos.° ». cfr.u.» 1178,ìin. 10-12. Il matematico Galilei, doppo elio ò in Roma, m* ha più volte fatto lede con le sue let¬ tere de’favori elio ha ricevuto da V. S. 111. 1 " 8 et della protezione che ha tenuto di lui et della riputazione sua, tanto che egli mostra di riconoscere in gran parte da lei il buon esito del suo negozio. Et perchè io l’amo quanto V. S. 111."' 8 havrà potuto conoscere, e faccio quella stima che conviene delle sue più che ordinarie virtù, conosco d’esser in ob¬ bligo di render grazie a V.S. 111." 18 di tutto quello che ella ha operato in benefizio del dotto Galilei, et di riconoscerlo io stesso come se ella si fusse impiegata in cose di mio proprio interesse. Per questo io stimo superfluo di raccomandarlo di nuovo a V. S. Ill. nm ; ma voglio bene che ella sappia che io sentirò particolar gusto elio da lei gli ranghino fa¬ lò cilitate le strade da spedirsi di costà più presto et con maggior sodisfazzione sua che sia possibile. Et di cuore le bacio la mano, etc. 1177 . GALILEO a [CURZIO ITOCIIENA in Firenze]. Roma, 13 febbraio 161(3. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. Gl. — Autografa. lll. mo Sig. re e Pad. ne Col . 1110 % La cortesissima lettera di Y. S. Ill. ma delli G stante mi è stata di tanto maggior consolazione, quanto per li 2 ordinarli precedenti non ne havevo ricevute altre; però la supplico di un verso solo in cia¬ scuno ordinario, che tanto mi basterà. Scrissi per V ultima mia (2) , come per quello che aspettava alla persona mia ero stato reso certo che tutti i superiori crono restati sinceratissimi esser senza un minimo neo, come, all’ incontro, de i miei persecutori si era fatta palese la malignità e impietà; e di que- 10 sto ne è stato principalissima cagione la cortesia del S. G. D., senza <*) Di stilo fiorentino. ,s * Cfr. n *° H74» XIL 30 234 13 FEBBRAIO 1616. [ 117 :] olio forse S. A. no sappia la maniera. Ma il tutto mi riserbo a bocca, havendo da fargli sentire istorie inopinabili, fabbricate da tre fabri potentissimi, ignoranza, invidia et impietà. K benché i miei nimici si veggliino del tutto finiti et cstorminati nel poterò offender me, tutta¬ via non cessano di procurar, con ogni sorto di machine e strata¬ gemmi iniqui, di sfogarsi almeno sopra 1’ opere di altri, che mai non hebber riguardo alla loro ignoranza nò ponsorno al fatto loro, cercando non solo di oscurar la fama di quelli, ma di annichilar 1’ opere e gli studii loro, sì nobili e utili al mondo. Ma spero nella bontà divina elio nè anco in questa parto otterranno il lor fine; poi 20 che quasi miracolosamente si vanno scoprendo e tutta via più cono¬ scendo i trattamenti loro, lontani assai dal zelo di Dio e dalla pietà christiana. Desideravo, come por l’altra scrissi a V. S. Ill. ma , una lettera del S. G. I). all’Ill. mo S. Card. Orsino, per la «piale S. S. Ill. ma non solo con¬ tinuasse, come fa, efficacemente a favorir questa causa, comune «li tutti i litterati, ma sentisse insieme quanto S. A. resta gustata «Iella protezione che S. S. Ill. ma presta per amor di quella a i suoi servitori et alle cause giusto, che so che sua S. IU. ma sentirà particolarissimo con¬ tento di tal cenno di S. A. S. ma ; però la sto con desiderio aspettando, so Qua tra l’instabilità dell’aria, hor chiara bora scura, hor ventosa et hor con pioggia, va continuando una costituzione fredda assai, 0 quale rarissime volte suole essere in questo luogo ; «lai che argomento gl’ eccessivi freddi elio sono costì, e de’ quali poi V. S. ini ha dato avviso : onde tra gl’ altri benefizii che «levo riconoscere dalla mia ve¬ nuta qua, questo ne ò uno di considerazione, d’ haver fuggiti i ri¬ gori di cotcst’ aria, tanto contrarii alla mia complessione. Io pensavo al mio ritorno quando il viaggiare, per la stagione manco aspra, fusse ritornato meno incomodo ; e questo, quando, o per la venuta qua dell’111." 10 S. Cardinale 1,1 o per qualche servizio di loro AA. S. mp , 10 non comandassero iu contrario : nel qual caso, sì come il mio poco valere mi fa riservato nell’offerinni, così il desiderio «li s«‘rvire a’miei Signori mi fa desiderare i lor cenni. Havrei anco, dopo il servizio di loro A A., hauto qualche pensiero «li dare una passata sino a Napoli, Lett. 1177. 18. annihilnr — I 1 ' Carlo dk' limici. 13 FEBBRAIO 1G1G. 235 [1177-1178] o noi ritorno ]joì di qua, arrivare anco sino alla S. ma Madonna di Loreto: e ben olio io non possa del tutto risolvermi, dovendo riguar¬ dare a quello che mi permetterà la mia sanità, tuttavia mi sarà di somma grazia V intendere se, risolvendomi per altro, ciò potesse esser con buona grazia di loro AA. S. me , che in altro modo non intendo 50 di farlo. Sopra di che ne starò aspettando un motto da V. S. Ill. ma ; alla quale in tanto, ricordandomi servitore devotissimo, bacio reveren- temente le mani, supplicandola ad inchinarsi humilmente in mio nome a loro AA. Se. me , alle quali et a V. S. Hl. ma prego da Dio il colmo di felicità. Di Roma, li 13 di Feb.° 1616. Di V. S. 111.™ Presentai martedì passato la lettera del S. G.D. all’111. mo S. Card. Borghesi (l) , intro¬ dotto et accompagnato dall’111. mo S. Card. # oo Orsino, la quale fu ricevuta con somma cortesia, et anco la mia persona, ricevendo amorevolissime offerte etc. ; onde di nuovo rendo grazie a S. A. S. di tanto favore. Dev. mo et Obblig. mo Ser. re Galileo Galilei. 1178* CURZIO PICCHENA a GALILEO [in Roma]. Firenze, 13 febbraio 1616. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Canfori. Autografi, B.» LXXXV, u.» 2G. - Autografa In sottoscriziono. 111.” Sig. r mio Oss. mo Io posso far fede a V. 8. clic loro Altezze hanno sentito grandissimo gusto quando io ho letto loro la sua lettera de’ G (i) , che conteneva 1* avviso che tutto quello che apparteneva alla persona sua era terminato con sua sodisfazzione ; c noi resto hanno caro eh’ ella habbia da essere impiegata costì in quel che tocca all’ universale del negozio, poiché veggono non potergliene risultare se non ac¬ crescimento di riputazione. E perchè hiermattina fu a desinare da me lo Scar¬ ni Cfr. mi.' 1147, 1174. (*) Cfr. a.» 1174. 236 13 — 17 FEBBRAIO 1616. 11178-11801 poria in , io gli dotti conto eli tutto, acciochò egli no potesse ragguagliare anche gli altri amici di V. S. Il Gran Duca si è contentato molto volentieri di scrivere al Sig.r Card. 1 * Orsino io nel modo elio V. S. m’ha accennato; et io mando in sua mano la lettera con questa, et anche la copia'* 1 , acciò ella sappia il tenore di essa. K di cuore le bacio la mano. Di Firenze, li 13 di Fohbr. 1615 Mando a V. S. la descrizione del balletto a cavallo che si è fatto qui ”, elio riuscì una bellissima festa. Di V. S. Ili/* Aff. ,n0 »Serv. r " S. r Galilei. Curzio Picchena. 1170 . SCIPIONE BORGHESE a COSIMO 11, Granduca «li Toscana [in Firenze]. Roma, 13 febbraio 1616. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., 1*. 1, T. XV, car. 57. — Autografa la «ottoicruione. Ser.“° S. r mio Oss. mo Al Galilei, che so n’è venuto a Roma per alcuni «noi negotii, prestarò volentieri l’opera mia in tutto quel che la stimerò opportuna, così eccitatone dalla cognitiono elio 10 ho do i suoi meriti et dal testimonio così ampio che me no fa V. A. con sue lettore. Ma 11 rispetto principale, che a ciò mi dispone, ò il calore con che vien egli protetto et rac- commandato da V. A., a cui desideroso di servirò in altro occorrenze, le bacio per fine affettuosamente le mani. Di Roma, li 13 di Febraro 1616. Di V. A. Aff.®° Serv." S. r Gran Duca di Toscana. Il Card. 1 Borghese. 10 1180 *. CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, 17 febbraio 1616. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. VII, car. 197.— Autografa la «ottoacrialone. Ili/® Sig. or mio Oss. mo Ilo ricevuto questa mattina l’ultima lettera di V. 8. t4 \ et la leggerò a lor Altezze col primo commodo ; et io già ho mandato a lei quella elio ella ha chiesto Lott. 1180. 3. eta ella cÀieeto — O) Cfr. nn.i 1163 e 1191. Cfr. n.« 1176. 8.A.S. Floroma. 1615. Cfr. n.« 1174. !•> Di Btilo fiorentino. «»ì Cfr. n.» 1177. < 4 ' Il alletto fallo nel batteiimo del Urto genito 17 — 19 FEBBRAIO 1016. 237 [ 1180 - 1181 ] per il S. r Card. 10 Orsino (0 . Ilora non ho eia dirle altro, se non che, essendomi capitato da Venezia un pieghetto suo (,) , ho voluto inviargliene con questa mia coperta. Et le bacio la mano. Di Fiorenza, a’ 17 Febb.° 1615 ab Ine." 6 Di V. S. IU. re Aff. mo Serv. 1-0 Curzio Picchena. io Fuori: All* 111/® Sig. or mio Oss. mo Il Sig. ve Galileo Galilei. Roma. 1181*. CURZIO PICCHENA a GALILEO in Roma. Firenze, 19 febbraio 1616. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 199. — Autografa la sottoscriziono. Ill. r ® Sig. r mio Oss. mo All’ultima lettera di V.S. (3) non ho da dire altro in risposta, se non che quanto al disegno che ella ha fatto di passare fino a Napoli, lor Altezze ne sono con¬ tentissime, ma mostrano che havrebbono caro che quando il S. or Cardinale (i) verrà a Roma, V. S. fusse tornata costì, per poter trovarsi alle volte a visitare S. S. Ill. ma , et particolarmente quando saranno persone di qualità alla tavola sua, per havervi uno che con li suoi ragionamenti et discorsi possa dar gusto a quei Signori ; al quale effetto lor Altezze giudicano che V. S. possa essere instrumonto attissimo. Però mi pare che il tempo sia tanto lungo, che V. S. possa molto commoda- 10 mente faro il viaggio disegnato e trovarsi poi in Roma doppo Pasqua, quando vi arriverà il S. r Cardinale. Et le bacio la mano. Di Fiorenza, a’ 19 Febb. 0 1615 ab Ine." 6 Di V. S. Ili » Àft>° Serv. r ® S. r Galileo Galilei. Curzio Picchena. Fuori: All’111." Sig. r mio Osser. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. Lett. 1181. 6. e> , e gliene rendo grazie. Ilo anco ricevute lettere so del S. Antonio Speziali ; ma perchè 1’ bora è tarda, risponderò col prossimo ordinario. Di Roma, li 20 di Feb.° 1016. Di V. S. IU. ,na Dev. mo et Obblig.' 110 Ser. ra Galileo Galilei. 1183. ALESSANDRO ORSINI a COSIMO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Roma, 20 febbraio 1G1G. Eibl. Naz. Fir. Mss. (lai., 1'. 1, T. XV, car. 58. — Autografa la sottoscrizioni). Sei*.'" 0 Sig. r mio Oss." 10 Nelle coso di servitù) di V. A. io non ho maggior morti ficaiione, che quando non posso pareggiar gli effetti alla volontà, benché a questa parto soccorre la benignità di Cfr. ri.® 1178, liti. 14. l a > Cfr. n.° 1180. 240 20 — 28 FEBBRAIO 1616. [1188-1184] V. A.: la quale nel particolar del matematico Galilei sodisfacendosi di quant’io ho potuto operar iìnhoro, mi dà animo a sperare che del successo hakbia a tenersi compitamente servita. Con che baciando di cuore le mani a V.A., le pre^o da Dio continova felicità. Di Roma, a’ 20 di Feb.° 1616. Di Vostra Alt.** Ser. ra * Aff."° et Obbl.® 0 8er. r# Ser.® 0 Gran Duca. A. Card. 1 * Orsino. 1184. GALILEO a GIACOMO MUTI in Roma. Roma, 28 febbraio 1616. Riproduciamo questa letto», dulia quale non conosciamo alcuna fonte manoscritta,«lai Tomo Ili, pag. 474-475 ( della prima edizione Fiorentina delle Optrc di OaliUo, doro vide per la prima rutta la luce. Ulustriss. od EccellentisB. Sig. o Padron Colendiss. Li giorni passati, quando foci reverenza all’ Illustrissimo e Reve¬ rendissimo Signor Cardinal Muti, fu discorso, in presenza di Vostra Eccellenza, dell’ inegualità della superficie della luna; ed il Sig. Ales¬ sandro Capoano, per impugnarla, in materia di discorso propose che quando il globo lunare fosse di superficie ineguale e montuosa, si potrebbe in conseguenza dire, che avendo la natura prodotto la mon¬ tuosità nella terra per benefizio di vario pianto e d’animali, indiriz¬ zati al benefizio dell’uomo, come creatura più perfetta dell’altre, così anco nella luna vi fossero altre piante ed altri animali, indirizzati io al benefizio d’altra creatura intellettiva più perfetta; quali conse¬ guenze essendo falsissime, concludeva che nè meno vi fosse montuosità. A questo io risposi, dell’ inegualità della superfìcie della luna averne noi sensata esperienza per mezzo del telescopio ; quanto alle conse¬ guenze, non solamente non esser necessarie, ma assolutamente false e impossibili, potendo io dimostrare che in quel globo in conto al¬ cuno non solamente non vi potevano esser uomini, ma nò animali, nò piante, nò altra cosa di queste o simili a queste, che si trovano in terra: e la mia dimostrazione fu la seguente. Prima dissi, e dico, che non credo elio il corpo lunare sia coni- 20 posto di terra o di acqua; onde mancandovi questo due materie, di necessita conviene che vi manchino tutte le altre che senza questi elementi non possono essere nò sussistere. Di più aggiunsi, che quando bene alcuno, benché molto improbabilmente, volesse dire, la materia del globo lunare essere come la terrestre, non però vi poteva essere [1184-1185] 28 FEBBRAIO — 4 MARZO 161G. 241 niuna delle cose die in terra si producono. Imperocché alla produ¬ zione delle piante e degli animali clic in terra si generano, non sola¬ mente vi concorre la materia della terra e dell’ acqua, ma il sole ancora, come ministro massimo della natura, il quale colle sue vicis- .!o situdini delle diverse stagioni, calde, fredde e temperate, e più colle alternazioni degli spazi vicendevoli de* giorni e delle notti, efficace¬ mente concorre alla produzione delle cose terrene. Ma tali vicissitu¬ dini, dependenti dall’illuminazion del sole, sono diversissime nella luna: poiché, dove alla terra il sole, per far le diversità delle stagioni, si alza ed abbassa più di 47 gradi, passando dall’ uno all’ altro tro¬ pico, nella luna tal variazione è cinque gradi solamente di qua e di là dall’ecclittica; e dove in terra il sole ogni 24 ore l’illumina tutta, nella luna l’illuminazione totale si fa in un mese, toccando a ciascuna parte della superficie lunare ad esser ferita dal sole per 15 giorni con- 40 tinui, e poi per altrettanto tempo restare in tenebre e nella priva¬ zione de’ raggi solari. Onde, siccome appresso di noi quando le nostre piante e i nostri animali dovessero esser percossi dal sole ardentissimo ogni mese per giorni quindici continui, cioè per 360 ore, e poi pel¬ ai trettanto tempo restar nell’orrore o nella freddezza della notte, in modo alcuno non potrebbono conservarsi, e molto meno prodursi e generarsi ; così per necessaria conseguenza si conclude, nessuna delle cose che tra noi, cioè in terra, si ritrovano, poter prodursi e ritro¬ varsi nel globo lunare. * E questo, come bene può avere a memoria Vostra Eccellenza, fu quel 60 tanto che in quel giorno fu detto, senza che s’entrasse in altro discorso filosofico, nè che nella detta materia fosser dette altre parole. E con ogni umiltà le bacio le mani, e dal Signore Dio le prego il colmo di felicità. Roma, 28 Febbraio 1616. 1185. PIERO GUICCIARDINI a [COSIMO II, Granduca di Toscana, in Firenze]. [Roma], 4 marzo 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 3-4. — Originale. In capo al foglio si logge, della stessa mano di segretario: « Inserto de’ 4 di Marzo 1616 ». 11 Galileo ha fatto più capitale della sua opinione che di quella de’suoi amici: et il Sig. or Card. 1 ® dal Monte et io, in quel poco che ho potuto, et più Cardinali del S. <0 Of- nett. 1184. 27. ri genera, non — 33-34. diversissime dalla luna — 36. più 4 7 gradi — XII. 31 242 4 MARZO 161G. [ 1186 ] tizio riavevano persuaso a quietarsi, et non stuzzicare questo negozio; ma se voleva te¬ nere questa openione, tenerla quietamente, senza far tanto sforzo ili disporre e tirar gl’altri a tener l’istesso, dubitando ciascuno che la sua venuta qua gli fusse pregiudiziale et dan¬ nosa, et che non fusse venuto altrimenti a purgarsi pt a trionfare de’suoi emuli, ma a ricevere un fregio. Egli, parendoli che per questo altri fusse freddo nella sua inten¬ zione et ne’suoi desiderii, doppo bavero informati et stracchi molti Cardinali, si gettò al favore del Cardinale Orsino, et per questo procurò cavare una lettera molto calda di V. A. S. per esso' 15 ; il quale mercoledì <*> in Concistoro, non so come consideratamente io et prudentemente, parlò al Papa* 1 * in raccomandazione di detto Galileo. 11 Papa gli disse che era bene che egli lo persuadesse a lasciare questa openione. Orsino replicò qualcosa, incalcando il Papa, il qual mozzò il ragionamento et gli disse che lmvrehhe rimesso il ne¬ gozio u’SS. rl Cardinali del S. t0 Uffizio; et partitosi Orsino, fece S. S. a chiamare a hò llel- lurmino, et discorso sopra questo fatto, fertnorono che questa openione del Galileo fusse erronea et horetiea: et hier l’altro, sento fecero una congregazione sopra questo fatto, per dichiararla tale; et il Copernico, o ultri autori che hanno scritto sopra questo, o sa¬ ranno emendati et ricorretti, o prohibiti: et credo che la persona del Galileo non possa patire, perchè, come prudente, vorrà et sentirà quello che vuole et sente S. u Chiesa. Ma egli s’infuoca nelle ano openioni, ci ha estrema passione dentro, et poca fortezza etpru- 20 densa a saperla vincerò: tal che se li rendo molto pericoloso questo cielo di Roma, mas¬ sime in questo secolo, nel quale il Principe di qua aborrisce hello lettere et questi inge¬ gni, non può sentire queste novità nè queste sottigliezze, et ogn’uno cerca d’accomodare il cervello et la natura a quella del Signore; sì che anco quelli che sanno qualcosa et aou curiosi, quando hanno cervello, mostrano tutto il contrario, per non dare di sò so¬ spetto et ricevere per loro stessi malagevolezze. 11 Galileo ci ha de’ frati et degl’ altri che gli vogliono male et lo perseguitano, et, come io dico, è in uno stato non punto a proposito per questo paese, et potrebbe mettere in intrighi granili sè et altri, et non veggo a che proposito nò per che cagione egli ci sia venuto, nè quello possi guadagnare standoci. La Seren."** Casa di V. A., lei benissimo sa quel che in simili occasioni babbi a 80 ne’ tempi passati operato verso la Chiesa di Dio, et meritato con essa per persone o cose toccanti la S.*“ Inquisizione. Mettersi in questi imbarazzi et a questi risichi senza cagione grave, donde possa resultare utile nessuno, ma danno grande, non veggo per quel che sia fatto; et se ciò segue solo per sodisfaziouu del Galileo, egli ri è appassionato dentro, et, come cosa propria, non scorge et non vedo quello bisognerebbe, sì che, come ha fatto sin a bora, ci resterà dentro ingannato, et porterà sè in pericolo et ogn’ uno che secon¬ derà la sua voglia o si lascerà persuadere da lui a quelle cose che egli vorrebbe. Questo punto, questa cosa, hoggi nella Corte è vergognosa et aborrita; et se il Sig. ur Cardinale 1 *’ nella sua venuta qua, come buono ecclesiastico, non mostra ancor lui di non si opporre alle deliberazioni della Chiesa, non seconda la voluntà del l'upa et d'una Congregazione 40 come quella del S.'° Uffizio, che è il fondamento et la base della religione et la più im¬ portante di Roma, perderà assai et darà gran disgusto. Come ambisca per le suo anti- t‘i Ot'r. u.« 117tt. 24 febbraio. <*> CAr. n.« 1182, Un. 7-8. **> Carlo ds* Mudici : cfr. n.° 1177. 4 — 6 MARZO 1616. 243 [1185-118?] camere o ne’circoli Intontirli che si appassionino, et con le gare voglino sostenere et osten¬ tare le loro openioni, massime di coso astrologiche o filosofiche, ogn’ uno fuggirà, perchè, come ho detto, il Papa qua no è tanto alieno, che ogn’uno procura di farci il grosso et l’ignorante: sì che tutti i littern.ii, che di costà verranno, saranno, non ardisco di dire dannosi, ma di poco frutto et pericolosi, et quanto mono ostenteranno le loro lettere, se non lo faranno con estrema discrezione, tanto sarà meglio. Et se il Galileo aspetterà qua il Sig. or Cardinale, et l’intrigherà punto in questi negozii, sarà cosa che dispiacerà assai; 50 et egli è vehemontc, ci è fisso et appassionato, si che è impossibile che chi l’ha intorno scampi dalle sue mani. E perchè questa è càusa et cosa non di burla, uta da poter do- vontaro di conseguenza et di gran rilievo (se a quest’ bora non è diventata), corno be¬ nissimo la prudenza di V. A. S. potrà comprendere, et l’essere anco quost’ ltuomo qua in casa dell’A.V. S. ot del S. or Cardinale et sotto il loro amparo et protezione, et spacciar questo nome; per questo mi è parso, per sodisfaziono del mio debito, rappresentare al- l’A. V.S. quel che è passato et quello cho si sente intorno a ciò. . 1186. ANTONIO QUERENGO ad [ALESSANDRO D’ESTE in Modena], Roma, 5 marzo 1516. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1’. I, T. XV, cav. 5o<. Cfr. l’infonnazione promessa al n.» 1156. _Le dispute del Sig. Galileo son risoluto in fumo d’alchimia, avendo dichiarato il Santo Ufficio che ’l sostenere quella opinione sia un dissentir manifestamente dai dogmi infallibili dolla Chiesa. Ci siamo dunque assicurati una volta che, dall’andar attorno in fuori cho si fa con lo girandole del corvello, possiamo star fermi a nostra posta, senza volar con la terra come tante formiche sopra un pallone che andasse per aria.... 1187. GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze]. Roma, 6 marzo 1616. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 58-54. - Autografa. 111.™ Sig. re o Pad. n ® Col. mo Io non scrissi la posta passata a V. S. Ill. ma , perche non ci era cosa di nuovo da avvisargli, essendo che si stava sul pigliar resolu¬ zione sopra quel negozio che gliel’ havevo solamente accennato per negozio pubblico, e non di mio interesse, se non in quanto i miei nimici mi ci volevano havere, fuor d’ogni proposito, interessato. Questa 244 G MARZO 1616. [1187] era la deliberazione di S. ,a Chiesa sopra il libro et opinione del Co¬ pernico intorno al moto della terra e quiete del sole, sopra la quale fu mossa difficoltà V anno passato in S. la Marianovella, e poi dal medesimo frate qui in Roma, nominandola egli contro alla fede et io heretica; il qual concetto ha egli co’suoi aderenti, in voce e con scritture, proccurato di far rimaner persuaso: ma, per quello che V esito ha dimostrato, il suo parere non ha trovato corrispondenza in S. tR Chiesa, la quale altro non ha risoluto se non che tale opi¬ nione non concordi con lo Scritture Sacre, onde solo restano proibiti quei libri li quali ex professo hanno voluto sostenere che ella non di¬ scordi dalla Scrittura; e di tali libri non ci è altro elio una lettera di un Padre Carmelitano e tenuto che tale opinione non repugni alle 20 Scritture, resta sospeso donec corri(jatur ; e la corre/,ziono è di levarne una carta nell’ espositiono sopra lo parole: Qui commovet terroni de loco suo de. All’opera del Copernico stesso si leveranno 10 versi della prefazione a I’aol terzo, dove accenna non gli parer che tal dottrina repugni alle Scritturo; 0 , por quanto intendo, si potrebbe levare una parola in qua e in là, dove egli chiama, 2 o 3 volto, la terra sidus: e la correzzione di questi 2 libri ò rimessa al S. Card. Gaetano (3J . Di altri autori non si fa menzione. Io, come dalla natura stessa del negozio si scorgo, non ci ho in¬ teresso alcuno, nò punto mi ci sarei occupato, se, corno ho detto, i 30 miei nimici non mi ci havessero intromesso. Quello elio io ci habbia operato, si può sempre vedere dalle mio scritture, lo (piali per tal rispetto conservo, per poter sempre serrar la bocca alla malignità, potendo io mostrare come il mio negoziato in questa materia ò stato tale che un santo non rilaverebbe trattato nò con maggior reverenza nò con maggior zelo verso S. ta Chiesa : il che forso non hanno fatto i miei nimici, che non hanno perdonato a machine, a calunnie et ad ogni diabolica suggestione, come con lunga istoria intenderanno loro A A. Ser. me , 0 V. S. ancora, a suo tempo. E perchè P esperienza mi ha con molti rincontri fatto toccar con mano con quanta ragione 40 io potevo temere della poca inclinazione di taluno verso di me, del «'» Cfr. n.® 1089. <*> Cfr. n.® 728, Un. 85. **> BoxirACio Castani. 6 — 11 MARZO 1616. 245 [1187-11881 quale mi par che io gli dessi qualche cenno, onde anco posso credere che il medesimo affetto rappresenti a lui, e forse faccia rappresentare ad altri, le cose mie alquanto alterate ; però prego Y. S. che mi con¬ servi sino al mio ritorno quel concetto, dove bisogna, che inerita la mia sincerità: se ben son sicurissimo che la sola venuta qua del- l’Ill. rao e Rev. m0 S. Cardinale o mi sia governato, e con quanto rispetto io habbia hauto riguardo alla reputazione di chi, per l’opposito, senza veruno riserbo ha acer¬ bissimamente sempre proccurata la destruzzione della mia ; e la farò stupire. Questo dico a V. S. IU. ma , in evento che sentisse da qualche banda giugner costà cosa che paresse aggravarmi (2) , che assoluta¬ mente sarebbe falsissima, sì conio spero che da altre bande non al¬ terate si intenderà. Quanto alla mia scorsa sino a Napoli < n , sin bora i tempi e le strade sono state pessime; se si accomoderanno, vedrò quello che potrò fare, volendo anteporre il ritrovarmi qui alla venuta del S. Cardinale ad fio ogn’ altro mio affare. In tanto rendo grazie alla benignità di loro AÀ. Ser. me , le quali trovo sempre tanto humanamente inclinate a fa¬ vorirmi ; et a V. S., come mio singolarissimo padrone e protettore, resto infinitamente obbligato, e con ogni reverenza gli bacio le mani. Di Roma, li 6 di Marzo 1616. Di V. S. Ill. nia Dev. mo et Obblig. mn Ser. rc Galileo Galilei. 1188. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Roma. Venezia, 11 marzo 1616. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I. T. VII, car. 237-238. — Autografi la sottoscriziono e l'indirizzo. Molto 111. Sig. r Ecc. mo Seguì già un mese et mezzo in circa la morte del Sig. r mio padre'* 1 per accidente di apoplesia, la quale sì come fu improvisa et inopinata, cosi per la <*' Cart.o dk’ Mudici, i*) Cfr. ìì.o 1185. '*1 Cfr. n.« 1177. <*) Niocolò Sagredo. 246 11 MARZO 1616. [ 1188 ] grave perdita mi afflisse in estremo, et particolarmente perchè essendo io rimasto il più vecchio di tutta la nostra famiglia, conosco avicinarsi il tempo di passar all’altra vita, principalmente conoscendo la debolezza della mia complessione, esposta a ricevere danno gravissimo da picciolo et inevitabile patimento di freddo nel tempo del verno, seben nel resto mi sento, Iddio lodato, assai bene, essendo libero et sollevato dall’ offesa ricevuta dalla passata stagione ; per rispetto del quale et per la soverchia malinconia ho usato silentio con V. S. Kcc. ma per tante io settimane 10 . Hora mi ralogro seco del commodo et honore ch’olla riceve da S. A.** in questo viaggio di Roma, et del beneficio ch’ella spera conseguire dalla felicità di co testa aria et buona qualità do’ vini ; et tanto maggiormente me no r al egro, quanto che qui s’ò sparsa voce esser lei transferita costi con incommodo, sforzatamele, per mali uflicii di quelli nostri amici confederati con Mess. Rocco Berlinzono 1 *’, i quali bau fatto passar qui voce che sia stata ella chiamata al- l’Inquisitiono por render conto se il sole si muove o pur so stia immobile nel centro doli’universo ; aggiongondosi che, per schermire, convenga ella far pale¬ semente il collo torto. Credo che questi ladroni facciano anco altrove il lor po¬ tere contro di noi ; ma Iddio, sì come spero, dissiparà i suoi mali et ingiusti 20 consegli. Ileri solamente parlai con Maestro Antonio specchierò per li vetri desiderati da lei, poi che, a confessarlo il vero, fin qui non ho saputo muovermi dalla mia stanza, nè operare alcuna cosa nò jier me nò per altri. I)a qui inanzi lo solle- citarò ; et liavendo alcuna cosa buona, glie la farò capitare per la via che V. S. Ecc. ma mi scrisse. Intenderò volontieri quando V. S. Ecc. 1 "» sia per passare a Firenze, perchè vorrei per mezzo suo procurar cV hayer una cagna et un cano gentile. Ilo scritto di questo a Bologna, ma di là mi scrivono il prezzo tant’ nlto che mi sono sgo¬ mentato. Mi vien detto che in Firenze S. A. et Don Antonio' 1 " no lia quantità; 80 et che coloro che n’ hanno la cura, alcuna volta per convenientissimo prezzo no danno a qualche amico di palazzo. Se questo fosse vero, desiderarei che V. S. Ecc. ma trattasse con questi, et me no facesse bavere di bella sorte, giovanotti, subito levati dal latte, poi che io pensarei, contro 1 ’universal costume, d*alle- levarli con abbondanza di cibo, acciò venissero forti et gagliardi et riuscissero più atti alla genoratione, desiderandoli io per razza et non per godimento par¬ ticolare di essi. Il mio casino c fatto l’arca di Noè, et è ben monito d’ogni Borte di bestie, nò mi manca altro che questa sola. Lett. 1188. 17. m« il mole ti muore — Oi Cfr. n.® 887, lin. 10—12. Axtonio d«’ Medici. '*i Cfr. uu.‘ 185, 216. 11-12 MARZO 1616. 247 [1188-1189] •io Nel Friuli habbiamo una guerra formatissima, et per grafia di Dio va il no¬ stro essercito ingrossandosi di bellissima gente, oltre quello clie forse molti si credevano. L’esito di questi motti è nella mente divina; poi che non desiderando altro la Republica eli’esser liberata dalle continue et insopportabili ingiurie di Uscocchi, in conformità, della promessa fatta da Cesare, non so vedere quali pos- sino essere i suoi lini et speranze, incontrando, piutosto elio essequire, di ricever danni et ingiurie et addossarsi una guerra nella quale, per quanto si può scor¬ gere, non può avanzar altro che publicar al mondo una hereditaria et ingiusta mala volontà verso la Republica. Mi sarebbe caro intendere ciò che se ne di¬ scorre costà. Che sarà fine di queste, augurando a V. S. Ecc. ,na dal Signor Iddio 50 sanità et contento. In Venetia, li XI di Marzo 1616. Di V. S. Jbcc." ,il Tutto suo S. r Galilei. G. F, Sag. Fuori: Al molto Ill. ro S. r Oss. mo L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Al Giardino de’ Medici. liac. ta al S. r Ruggiero Ruggieri, Roma. M. ro delle poste di Toscana. 1189. GALILEO a [CURZIO PICOHENA in Firenze]. Roma, 12 marzo 1G1U. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. G6. — Autografa. Ill. mo Sig. re e Pad.» 0 Col.™ 0 Già ho dato conto* 11 a V.S. Ill. ma della determinazione presa dalla Congregazione dell’ Indice sopra il libro del Copernico, che è che la sua opinione non sia concorde con le Scritture Sacre, e però vien sospeso doncc corrigatur ; e la correzzione si Laverà presto, nè sarà toc¬ cato altro che un luogo della prefazione a Papa Paol 3°, dove egli accennava la sua opinione non contrariare alle Scritture, e si rimove- ranno alcune parole nel fino del cap. N del primo libro, dove egli, dopo haver dichiarato la disposizione del suo sistema, scrive : Tanta nimirum io est divina lutee Optimi Maximi fabrìca. Cfr. n.o 1187. 246 12 MARZO 1616. 11189] Ieri fui a baciare il piede a S. S. li , con la quale passeggiando ragionai per \ d’hora con benignissima audienza. Prima gli feci re¬ verenza in nome delle Ser. n,e Alt. 1 * nostre Signore; la quale ricevuta benignamente, con altrettanta benignità hebbi ordine di riman¬ darla. Raccontai a S. S. tk la cagione della mia venuta qua; e dicen¬ dogli come, nel licenziarmi da loro A. S. m ", rinunziai ad ogni fa¬ vore che da quelle mi fosse potuto venire, mentre si trattava di religione o d’integrità di vita e di costumi, fu con molte e replicato lodi approvata la mia resoluzione. Foci constare a S. S. l “ la malignità de* miei persecutori et alcune delle loro false calunnie; e qui mi ri-so spose che altrettanto era da lui stata conosciuta P integrità mia e la sincerità di mente: o finalmente, mostrandomi io di restar con qualche inquiete per dubbio di havere ad esser sempre perseguitato dall’ implacabile malignità, mi consolò con dirmi che io vivessi con l’animo riposato, perchè restavo in tal concetto appresso S. S. u e tutta la Congregazione, che non si darebbe leggiermente orecchio a i ca¬ lunniatori, e elio vivente lui io potevo esser sicuro ; et avanti che io partissi, molte volte ini replicò d’esser molto ben disposto a mostrarmi anco con effetti in tutte lo occasione la sua buona inclinazione a fa¬ vorirmi. Io no ho dato volentieri conto a V. S. lll. mu , stimando che ne so sia per sentir contento, corno anco loro AA. zn Sor.™*, per loro Immanità. Io son continuamente favorito dall’ 111. 11,0 et Kcc. ,n0 S. Principe di S. Angolo (1) , figliuolo del Duca d’Acquasparta o devotissimo servi¬ tore delle nostre AA. Z0 Ser. ,ne , come quello che è benissimo consape¬ vole di quanto la sua casa è obbligata alla caaa Medici, con la quale grandemente desidera di strigner più la sua servitù ; di che gli da¬ rebbe buona occasione l’imparentarsi con la casa dell’ 111. 11,0 S. Mar¬ chese Salviati W) , come si va trattando. Se una santità di vita, una mente angelica et una indicibile soavità di maniere nobilissime meri¬ tano di esser messe in qualche conto con la nobiltà del sangue e con 40 le ricchezze, questo Signore ne è grandissimaniente adornato; et io lo so per lunga et intrinsechissima pratica, et ho voluto che V. S. lo sappia anco da me, perchè non si essendo per concludere il negozio senza la satisfazione di loro A A. S. ,ne , in occasione elio si presen¬ tasse a V. S. 111.®» campo di favorir questo Signore, ella sappia che Federico Cesi. ai Cioè sposando Isabella Salviati. 12 MARZO 1616. 249 f1189-1190] impiegherà l’opera sua per un suggetto da far viver felice quella con chi si accompagnerà. So che la bassezza della mia condizione do¬ vrebbe ritenermi dal por bocca in questi negozii ; ma se la benignità di questo Signore fa stima di me sopra il merito, io non potrei renun- r>o ziare senza nota di scortesia alla confidenza clic ha meco : però V. S. scusi me, e gradisca l’affetto col quale vorrei servire i miei padroni. E qui ricordandomegli servitore devotissimo, gli bacio reverenteinente le mani, e gli prego dal Signore Dio somma felicità. Di Roma, li 12 di Marzo 1610. l)i V. S. Ill. ma Dcv. u, ° et Obblig.™ 0 Ser. re Galileo Galilei. 1190*. CURZIO PI COHEN A a GALILEO in Roma. Livorno, 12 marzo 1G1G. Libi. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, B.» LXXXV, n.° 27. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ Sig. 1 * mio Oss." 10 L’ultima lettera di V.S. de’ 6 (,) è stata letta da me al Gran Duca nostro Signore alla presenza di Madama e dell’ Arciduchessa, e la sentirono attenti»- si inamente; et io veramente non so che sia stato scritto a loro Altezze in bia¬ simo della persona di V. S. E. Quando ciò fusse stato fatto, ella può credere che poco orecchio gli sarà dato. Il Sig. r Cardinale (>> fa disegno d’andarsene a Firenze alla fine della setti¬ mana prossima, e partir poi per Roma 1’ ottava di Pasqua al più lungo. E con questo bacio a V. S. la mano con tutto 1’ animo. io Di Livorno, li 12 Marzo 1615 ab Ine. 0 Di V. S. 111.™ Aff. m0 Serv.™ S. r Galilei. Curzio Picchena. Fuori: All’111.™ Sig. r mio Oss. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. U) Cfr. n.» 1187. <*i Carlo db’ Medici. 250 20 — 26 MARZO 161G. [ 1191 - 1192 ] 1191 *. CURZIO PICCIIENA a GALILEO in Roma. Livorno, 20 marzo 1610. Blbl. Naz. Flr. Mm. Gai., P. I, T. VII, car. 209. — Autografa la aottoacrulopo. 111.™ Sig. or mio Oss. mo L’ultima lotterà di V. S. do’ 12 10 ò stata letta da me a lor Alt. 18 , le quali hanno havuto molto contento di sentire che ella havesae havuto da S. S. 1 * cosi benigna audienza ; et parendo loro che V. S. habbia bora la sua riputatione in tutti i conti, m* hanno comandato di esortarla per parte loro che si quieti et non tratti più di cotesto materie, et più tosto se ne torni. V. S. sa che l’Alt.* loro Tamano, et lo dicono questo per suo bene et per sua quiete: et a me intorno a ciò non occorre dirle altro, se non die qui bì erano sparse voci molto diverse * 5 , per quanto io sentii dallo Scarperia, piovano di Fogna, che era qua i giorni passati ; et io gli mostrai le due ultimo Ietterò di V. S., acciò che egli potesse disingan- io nare ogn’uno. Et con questo saluto V. S. di cuore, et le bacio la inano. Di Livorno, a’ 20 Marzo 1615 ab ine.*" Di V.S. 111.™ Afl>° Serv.™ S. r Galileo. Curzio l’icchena. Fuori : All’ 111.™ Sig. r mio Osser." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Iioma. 1192. GALILEO a [CURZIO PICCIIENA iu Livorno(?)]. Roma, 26 marzo 1616. Blbl. Naz. Flr. Ms*. Gal., P. 1, T. IV, car. 67. — Autografa. Ill. mo Sig.™ e Pad. ne Col.® 0 11 ridurmi horamai in stato di quiete, al quale la benignità di loro AA. Ser. me per inezo di V. S. lli. ma mi esorta, ò da me somma¬ mente desiderato, o certo ne ò tempo. Io, come lo desidero, così lo spero, poi che consiste nella prudenza et Immanità delle mede¬ sime AA. Ser. me ; le quali, aggiugnendo alla loro propria e naturale l'J Cfr. u, 1 - USO. Cfr. nn.' 1196, lios, 1208. [1192] 26 MARZO 1616. 251 circospezzione quello che l’esperienza nel mio caso particolare gli può haver dimostrato, ben possono liaver toccato con mano a che segno si distenda ha malignità di qualcuno, mentre, accecato da strane pas- io sioni, si applica alla persecuzione del prossimo : e molto più se ne accerteranno, quando sentiranno da me altri particolari che non è bene che io metta in carta. Lo sperare altronde la desiderata quiete sarebbe del tutto vano, si per esser la invidia immortale, sì per haver trovato i miei minici modo di travagliarmi impune, col mascherar se stessi di simulata religione per fare apparir me spogliato della vera: ma ringrazio Dio elio quanto ho detto 1’ ho prodotto sempre con scrit¬ ture, delle quali restano copie appresso di me, molto più atte a ma¬ nifestale], a chi le vedrà, la mia religione e, ardirò di dire, santità nel negozio tr[at]tato, che le maligno calunnie a persuadere il contrario. 'ìo Del negozio già terminato da i superiori non si tratta più, nè si aspetta altro che la pubblicazione della correzziono del libro già fatta, conforme a che scrissi a V. S. 111 , la quale se sarà sollecitata, o almeno non ritardata, da qualcuno d’ autorità, doverà uscir presto. Quanto al mio ritorno, non ordinando loro AÀ. S. me in contrario, aspetterò, conforme al comandamen[to] loro, la venuta deH’Jll." 10 o Rev. m0 S. Car¬ dinale (2) , havendo io dato conto di tal commissione a molti, et a S. S. t; ‘ medesima. Dopo la venuta di S. S. IU. raa resterò quanto piacerà a loro AA.** o all’istesso S. Cardinale. E perchè punto principalissimo della mia reputazione è 1’ affetto di loro AA. Ser. ma , del quale ne ha so dato e dà continuamente segno la magnificenza e liberalità loro usatami nella venuta e dimora qui in casa loro, sarà necessario, per mantenimento del[la] mia medesima reputazione, che V. S. con la solita sua cortesia mi impetri d’esser anco nel ritorno lionorato del co¬ modo d’una lettiga da loro AA. Ser. me , di che et a quelle et a V. S. re¬ sterò singolarmente obbligato: et in tanto V. S. Ill. ma andrà pensando di comandarmi alcuna cosa nel ritorno, essendo io desideroso quanto obbligato a servirla sempre. Con che revorentemente gli bacio le mani, e dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. Di Roma, li 26 di Marzo 1616. 4o Di Y. S. lll. ma Dev. m0 et Obblig.™ 0 Ser. re Galileo Galilei. Lett. 1192. 37. Con ehi reverente»!ente — Cfr. M. 1 1187, 1189. <*1 Cfr. n.® 1181. 252 2-8 APRILE 1616. [1198-1194] 1103 *. PAOLO 8FONDRATI all’INQUISITORE di Modena w. lturna, 2 aprile 1616. Aroh. di Stato in Modona. Inquisizione- Lettere delia Sacra Congregailoii* di Roma. - Autografa la firma. Molto Rev. a# Padre, Essendo stati proliibiti dalla Sacra Congr."* dell Indice, d'ordine anco di Sua San¬ tità, alcuni libri giudicali molto perniciosi, et fattone perciò 1* inchi uso decreto, con questa si manda a V. P., acciò quanto prima lo facci stampare, intimare e pubblicare in tutta la sua iurisdizione, conforme al solito, uè manchi in questo osare ogni sollecitutline e di¬ ligenza, et quanto prima «lare avviso del tutto; scordandole non tal occasione l'invigilare di continuo sopra ogni osservanza delle regole dell' Indice, et senprondo di nuovo qualche libro, darcene subito avviso. Con che, assieme con questi miei 111."* colleghi, le prego da Dio il vero bene. Di Roma, 2 d’Aprile 1616. io Al piacer suo Il Card, di 8. u Cecilia. 1194 *. RAFFAELLO GUALTEROTTI a GALILEO in Roma. Firenze, 3 aprile 1616. BIbl. Nfiz. Flr. M*s. Gal., P. VI, T. IX, car. 249. — Autografa. Molto 111." et Eco. 1 * Sig." Da uno mio confidente, e forse amico di V. S M mi è stato accennato che du¬ bita che io non Imbiba scritto contro a le suo oppinioni. Quello che io dissi già a V. S., quello ridirò anchora, cioè che 1* invenzione di tale strumento, che ella concede a un Fiammingo, molto più giustamente si deve a ino che a ninno altro do’ tempi nostri. Poi, molti anni sono havendo stampato clic le stelle sono nere, e percosse dal sole risplendono, io non potrò hor negare a V. S. che Venere non somigli la luna. Che nela luna si vegghino alcune macchie che paiono un pae¬ saggio, non pure io ho detto esser vero, ma esse macchie ho molte volte dise¬ gnate di mia propria mano ; ma che detto paesaggio vi sia di rilievo, non oserò io mai d’ affermare, perchè, come dice V. 8., le parti più oscure e le parti più lumi- "* Con simili circolari fu inviato anche aali altri Inquisituri il deuoto delia Congrugaxiune del¬ l'Indice del 5 marzo 1616. IValtra di tali circolari è noi Museo Copernicano in Roma. 3 APRILE [616. 253 [ 1194 ] nose per lo più non si mutano mai : quelle che si mutano cì’ ombre e di lumi sono poche, e più legittimamente del loro mutamento può essere cagione un’ altra cosa naturale, che 1’ essere di rilievo. Ma a voler ragionar bene di così fatta cosa, egli bisogna principalmente fabbricare migliore occhiale, perchè 1* arte può e deve soccorrere ala manchevole natura in questo caso : e solo dirò che io adopro tre occhiali; uno, che molto conforta la vista, fa chiarissimo, distingue molto bene i colori e perfettamente disegna gl’ idoli dcle cose ; io ne adopro uno che fa molto maggiore, sicché per esso si veggiono molto bene le stelle picciolette intorno a 20 Giove, ma fa torbido grandemente. Ilora, con questi tre strumenti mirando nela luna, io veggio generalmente le medesime cose, ma in specie con qualche dife- renza. Però, quando egli si haverà uno occhiale che faccia chiaro e ben distinto come il mio primo, e grande come il mio terzo, allora io terrò che si possa di¬ scorrere dele macchio dola luna, di quelle di Venere, e de’ i moti e dele gran¬ dezze dele picciole stelle intorno a Giove, e sopratutto con sì fatto strumento aspettare di vedere una grande eclisse, et allora si potrò, conoscere dirittamente da quello che nasce: ch’i’ò veduta alcuna volta Venere congiunta con la luna, e benché la luna sia densa e nera, non ha possuto ritenere a gli occhi miei eh’ io Venero non veggia, e come scrive Gio. Villani (l) che altri hanno veduto, so Poi, quanto al moto dela terra, io certo molto volentieri mi accorderei che la si movesse : c dove alcuni dicano che nel metterla nel quarto luogo non si può, perchè noi metteremmo l’inferno nel cielo, io direi ch’egli si può, e direi molte cose molto belle; et dove altri ponessero inanzi lasciar cadere da una torre un sasso, e volessero provare che la terra non si muove, io con la medesima torre e col medesimo sasso proverei che la terra si muove; o dove questa prova fussi falsa, assai sarebbe ella vera s’ella dimostrassi che quella prima fussi falsissima. Ma il mio vero c naturai dubbio è, clic se la terra si movesse, noi doveremmo ogn’ bora mutare altezza di polo, la qual cosa per sei anni continui io lio spe¬ rimentato che non si fa : perciochè il S. mo Gran Duca et il Ser. mo D. Francesco 4o favorinno il vescovo Ignazio Danti che facessi un regolo d’ottonile di dodici braccia di lunghezza, in forma di un corrente voto, con sostegni, posari e sue apparte¬ nenze ed un pezzo d’arco nela cima in croce, in cui erano segnati i gradi, i mi¬ nuti e i secondi molto grandi, ne’ traguardi del quale strumento crono due vetri non dissimili a quegli clic V. S. mette ne’ i suoi occhiali, al quale strumento io accennai a V. S. due anni sono, siila piazza dela Nunziata, che voleva aggiungere molte cose e farne un altro più ufiìzioso, ma simile ; con questo strumento ogni sera si misurava in quei tempi l’altezza del polo, e come egli fermato (sic) che il polo alzassi 43 gradi e 45 minuti sopra Fiorenza, per molti mesi che l’istrumento Liett. 1194;. 27. ch'io veduta alcuna Venere : cfr. n.° 267, lin. 20-21.— <*> Cfr. u.» 267, liu.26; n.° 268, liu. 22. 254 3 - 20 APRILE 1616. [1194-1105] stetto formo, non si vide mai fare ad osso polo alcun mutamento, o pure l’istru- mento por la sua grandezza poteva dimostrare ogni minimo mutamento: sicliò 60 questo solo mi riterrà che io non creda che la terra si muova. V. S. forse du¬ biterà elio un vetro non possa pigliare e rendere gl’idoli per la distanza di do¬ dici braccia. Se la toglie un vetro la cui superficie sia un pezzo di cerchio che Labbia per diametro dodici braccia, gliene renderà subito; ma la lente vicina al’occhio vorrà essere fabbricata con grand’arte, a volerò che l’aiuti, e non di¬ saiuti. Tanto ho volsuto scrivere a V. S. per mia giustificazione, anchora che le medesime cose io gliele habbia dette a bocca. E le bacio le mani, pregando il Signore per ogni sua felicità. I)i Firenze, li 3 di Aprilo 1616 l,) . Di V.S. molto 111/* et Ere. 1 " Aff. m0 Se" co Raffael Gualtorotti. Fuori : Al molto 111/" et Ecc. 1 " Sig/Galileo Galilei, mio Sig." Oss.»" Roma. c d'altra mimo: In Corte di Sig/Amb/" di Firenza. 1195 *. [BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Roma]. Pisa, 20 aprile 1616. Aroli. segreto Vaticano lrv Roma. Holluriniuo. Lettere e miscellanee, n.* 19 (già Mélanyti n.° 71), car. lU3r. — Copi» di mano di Galileo. Di Pisa, li 20 d’Aprilc 1G1G. Ma quel che più importa è che qui è stato scritto dal medesimo B. che V. S. ha abiurato 1 ” segretamente in mano dell’111»* C. Belammo: il elio se ò passato, bisogna che sii stato santamente; ma se non ò successo, non essendo questo altro che irutto di quella medesima sorto che fumo quelli pubblicatoli contro due anni fa in Pisa in voce, e poi con lettere in Firenze, in materia del discorso che io hebbi in camera di S. A. etc. L ’ aat0 K r * r ° •»* 1615. certamente per tra- la lettera sia dell'aprile 1616. è dimostralo dall'es- scorso fra lo stile comune o il fiorentino, secondo sero indirinata a Roma, il quale il millesimo ora da poco mutato. Ma che (*> Cfr. nn. 1 1198, 1208. [1196-1197] 21 — 23 APRILE 1616. 255 1196 *. TOBIA MATTHEW a FRANCESCO BACONE in Londra. Bruxelles, 21 aprile 1610. Riproduciamo questa lettera, (lolla qualo non conosciamo alcuna fonte manoscritta, dal Tomo VI, piig. 91, della ediziono di Londra, 132-1, di The worka of Francia Bacon. I presumo to send you thè copy of a picco of a letter, which Galileo, of whoin, I am sure, you bave heard, wrote to a monk (1 ) of my acquaintance in Italy, about thè answering of that place in Joshua, which concerna thè sun’s standing stili, and approving thereby thè pretended falsohood of Copernicua’ opinion. The lotter was written by occasion of thè opposition, which sonio few in Italy did inalce against Galileo, as if he went about to establish that by experiments, which appoars to ho contrary to lioly Scripture. But he makes it appear thè whilo by this piece of a letter, which I send you, that if that passage of Scripture doth expressly favour either side, it is for thè afiirmative of Copernicua’ opinion, and for thè negativo of Aristotle’s. To an attorney-general in thè midst of a 10 town, and such a onc, as is eniployed in thè weightiest alfaira of thè lcingclom, it niight seem unseasonablo for me to intorrupt you with mattcr of this nature. But I know well enougli in how high account you bave thè truth of t.hings, and that no day can pass, whorein you give not liberty to your wiso thoughts of looking upon thè works of nature. It may please you to pardon thè so mudi trouble which L givo you in this kind; though yet, I confoss, 1 do not deservo a pardon, because I fine! not in inysclf a purpoae of for- bearing to do thè lilce hereafter. 1 most hurnhly lciss your band. Brussds, this 21 sl of Aprii, 101G. Your most faithfnl and affect.ionate servant Tobi e Matthew. 1197 . GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze (?)]. Roma, 23 aprile 1616. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 08. — Autografa. IU. mo Sig. re e Pad. ne Col. mo Benché per un poco di indisposizione, che da 3 giorni in qua mi travaglia, io sia male atto a potere scrivere, tuttavia non ho voluto mancare di significare a V. S. Ul. ma in genere e con brevità quello che da molte altre bande havrà distintamente inteso : e questo è che (>) Benedetto Castelli. 256 23 APRILE 1616. [1197] l’entrata e cavalcata dell’111“° e Rev. m0 S. Cardinale ll) è stata tale, quale non ci è memoria in Roma che altra no sia seguita con tanto applauso o pompa; sì che in tutta la città si ò subito ravvivata la memoria dello splendore del Ser. mo Ferdinando, e la speranza che por questo Ill. mo suo successore si Rabbia, con pari grandezza, a con- io tinuare in questa Corte. Fu iersera S. S. Ill. ma e Rev. u,a qui al Giardino l,) , accompagnato da i SS. 1 Card. 1 * Monte e Orsino; vedde con diligenza il palazzo e tutto il resto, e mostrò restarne molto satisfatto. Qui hebbi oportu- nità di baciarle di nuovo la vesto, e per quanto compresi dal ragio¬ namento di S. S. III.™, non gli sarà discaro che io la serva mentre si tratterrà qua, nel che io mi sono dichiarato prontissimo ad ogni suo cenno, e tale ordino tenere da S. A. Ser. raa : però in questo parti¬ colare mi nuderò governando secondo che vedrò l'inclinazione o’l gusto di S. S. 111."**, pensando in questo modo di fere anco la volontà 20 di loro A. Ser.™, al cenno delle quali io sono sempre prontissimo. In¬ tanto mi sento in necessità di faro un poco di purga, ma la farò leggiera e breve. Si trova qui il Itettor di Villa Ilermosa' secretano deirEcc. 1110 Conto di Lemos Cablo db’Medici »*» Cfr. nn.* 1142, 1146, 1149. < 8 * Babtolomko Leonardi d’Aroensola. e» Pietro di Castro. Cfr. Voi. V, pag. 413 e »eg «•' Cfr. nn. 1 767. 786. «^l Cfr. n* 870, lin 41; n* 1191, lin. 9. [ 1108 ] 23 APRILE 161G. 257 1198. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Roma]. Venezia, 23 aprile 1616. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., B. 1, T. VII, car. 239-240. — Autografa la sottosciiziouo. Molto 111. Sig. r Ecc. m0 Mi hanno le lettere di V. S. Ecc. n,a levato di gran pensiero, poiché quelle stesse calunnie che i suoi nemici han procurato far credere costì, furono, la set¬ timana seguente ch’io le scrissi, divolgate in questa città, dicendosi lei essere stata violentemente tirata a Roma per rendere conto al.S. 10 Offitio delle sue opi¬ nioni, et finalmente essere state queste dichiarate per eronee et heretiche, et licentiata V. S. con severissime ammonitioni et comminationi, aggiongendo an¬ cora che le fossero state imposte diverse penitenze salutari, di digiuni, freqnen- tationi di sacramenti ctc. (1> ; et ancorché io, illuminato dalla ragione, dalla cono- io scenza eh’ io ho di lei, et dalle sue lettere scrittemi da Roma al suo gionger colà, procurassi di levar in molti questa falsa credenza, nondimeno, essendo esse lettere più vecchie de gl’ avvisi venuti posteriormente, a fatica in alcuni pochi potei far sospendere queste false divolgationi (1) . Ilora mo’, che dalle sue a me carissime lettere ho inteso i particolari delle maligne et diaboliche machinationi et congiure fatte contro di lei, insieme con 1’ esito in tutto contrario ai pensieri de’ suoi ignorantissimi et inaliti osissimi nemici, io resto consolatissimo, sì come sono rimasti tutti gl’ amici nostri di qua, a’ quali ho fatto parte delle sue lettere, con le raccomandationi impostemi da lei ; et tutti insieme seco se ne rallegriamo, sperando ancora che con la divolgatione, eh’ io procuro far ad ogn’ uno, della 20 verità, rimanga scancellata la falsa fama sparsa li passati giorni. Volevo risponderle la passata settimana, ma la strettezza del tempo, con- gionta con le occupationi mie, non me 1’ ha permesso ; procurai nondimeno trovar li vetri desiderati da V. S. Ecc." a , il che non essendomi riuscito, consigliai a qucl- l’amico suo alcuni pochi che mi trovavo tra li miei, i quali mi parvero migliori de gl’ altri, stimando che con questi, sehen non potesse dar intiera sodisfattione ad alcun amico suo meritevole et galant’ huonio, le dovessero almeno riuscir com¬ modi per liberarsi dalle importune instanze di qualche indiscreto, che per av- (»» Cfr. nn.i 1195, 1208. < a ) Nel codice dell’Archivio segreto Vaticano con la segnatura * Bellarmino, Lettore e miscellanee, a.» 19 (già Mélangos, n.° 71) », a car. 193r„ si ha co¬ pia, di mano di Galileo, dello lin. 2-13 della pro¬ sante lettera. Galileo diodo comunicazione di quosto squarcio e di quello da noi riprodotto sotto il n.° 1194 al Card. Bellarmino, il quale gli rilasciò la nota dichiarazione in data del 26 maggio 1G16. Notiamo ancora cho Galileo in capo al brano di lettera del Sagrerò da lui trascritta appos» la data : « I)i Yc- uozia, li 25 d'Aprilo 1616 ». All. 33 258 23 APRILE 101 fi. [1198] ventura si persuade che ella con la sua benedittione possi trasformare i vetri delle finestre in questi per vedere da lontano. Quando ella havesse troppo carica da cosi fatto persone, crederei haverne in pronto tra li miei una dozina, per libo- so rarsi dalla seccatine di costoro, et gli li man darò ad ogni suo cenno. 11 Dacci 1' alti*’ beri me no diede 22 di quarte 8, riusciti (diceva egli) eccellentissimi in una quantità di 800 lavorati da lui. Io gl’ ho fatti vedere et veduti, nò tra questi n* ho ritrovato più che tre che a mio giudicio meritino nome di buoni, ancorché non in tutto perfetti. Di questi lo ne mando un paro, essendomi il terzo stato levato con 1’ auttorità da chi fu presente a vederlo. Maestro Antonie specchiaio s’é affaticato invano tutta questa settimana; m’ha detto nondimeno che spora avanti la speditionu di questo darmene uno di 14 quarte asmi buono. So così sarà glie lo invierò con le presenti, et procurerò por la settimana ventura haver alcun' altra cosa. 40 Quanto ai cani 4 ”, io ne desidero di quella sorte che qui chiamiamo cani gen¬ tili, che sono con lungo pelo, bianchi, macchiati di rossetto, i quali ancorché rie¬ scano più belli quanto più piccioli, nondimeno sono desiderati da me di mediocre grandezza, desiderandone due, un maschio et l’altro feinina, per farne razza, pa¬ rendomi clic quelli che con la soverchia astinenza non sono lasciati pervenir alla naturai loro grandezza possine riuscire deboli et quasi inhabili alla propagatione : anzi se si potessero bavero subito levati dalla madre, mi sarebbo caro allevarli io stesso a modo mio, nel solito mio casino, il quale al presente, per cagione d’ un nuovo humor peccante, è fatto 1* arca di Noò; et in particolare mi trovo un ucel- lino mai più veduto certamente in Italia, il ritratto del quale sarà con questa. fio J1 predetto animaletto fu condotto da me di Seria con un altro di diversa specie, che mori: mi fu mandato di babilonia dal mio Viceconsole, et ò nato in Agvà, città regia del Gran Mogor, situata tra l’Indo et Gange, condotto con una incre¬ dibile patienza in un viaggio d’un anno fatto per terra da un Francese capric¬ cioso, che diceva portarli al re di Franza. Qui nto non canta, nò tiene altra virtù che di vivere con semplice meglio et acqua, senza governo ; et occorrendo, come più volte ò accaduto, ritrovarsi senza vittuuria, fa tanto strepito per la gabia, sia di giorno o di notte, elio con la sua insolenza m’ ha sempre avertito del suo bisogno. Io, a dir il vero a V. S. Kcc. m ‘, lo apprezzo poco o niente, poi che, oltre la rarità, in che ù riguardevole molto, non trovo cagione d’ haverlo più caro d’un eo gardellino; ma tante sono stato l’instanze elio ho havute di darlo via, che mi sono posto in obligo, già clic non 1’ ho dato al primo che me 1’ ha richiesto, di non donarlo ad altri. Tuttavia mi parerebbe ricever sollevamento a darlo a V.S. Ecc." 1 *, perché, col presentarlo ad alcuna persona curiosa che 1’ havesse caro, mi liberasse dalla seccagine di tanti che me l’limi richiesto, et insieme m’assicu- (M Gfr. n.» 1189. 23 APRILE — 14 MAGGIO 1616. 259 [1198-1200] rasse eli non ricever disgusto, caso che lo vedessi morto di fame per mancamento di chi ha cura del suo governo. In fatti restarò obligato a V. S. Ecc. ma che mi liberi da questa bestiola, sì come prego il Signor Dio che liberi V. S. Ecc. ma da quelle tante bestiazze che continuamente la travagliano, e che, scrivendomi spesso, 70 mi assicuri clic la loro diabolica natura non vaglia per impedir la memoria di quelli che l’amano. Et per fine le bacio la mano. In Vcn. a , a 23 Ap.'° 1616. Di V. S. Ecc. nm Tutto suo G. F. Sag. 1199*. PIERO GUICCIARDINI a CURZIO PICCIIENA in Firenze. Roma, 13 maggio 161G. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. II, oar. 5. — Autografa la sottoscrizione. Il secondo foglio (lolla lettera, cou la sottoscrizione, ò nella filza Modicoa 3331 dcll'Arch. di Stato in Firenze. .... Strano e scandoloso lavoro è quello clic si ò fatto nella lunga dimora clic ha tenuto il Galileo al Giardino W in compagnia o sotto il governo di Annibale Primi, il quale è stato licenziato dal Sig. r Cardinale; et il Galileo attende a tener duro con lo star là su. Annibaie dice havor fatto una grossa spesa. Nel resto ognuno vede et sa elio vi hanno tenuto una pazza vita. Io ricevei ordine di pagarli il danaro elio occorreva per le suo spese. Annibale dice che non ha tenuto altro conto elio quello elio io credo egli manderà a V. 8., cioè a occhio e croco. La spesa è grossa, c per tutti gli altri mguardi o rispetti è dannosa; però giacile il caso è qui, li farò pagare il suo resto, et al Galileo si conti¬ nuerà a pagargli quel olio vorrà o dirà luivor di bisogno. Ma egli ha un liumorc fisso 10 di scaponire i frati, et combattere con chi egli non può so non perdere: però un poco prima o poi V. SS. ri0 sentiranno costà clic sarà cascato in qualche stravagante precipizio, sebene, almeno cacciato dalla stagione, non dovrebbe tardar molto a venirsene; et lo staro abscnto da questo paese li sarebbe di gran benefìzio et servizio.... 1200*. PIERO GUICCIARDINI a CURZIO PICCIIENA in Firenze. Roma, 14 maggio 1616. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. Il, car. 7. — Autografa la sottoscrizione. _Perchè V. S. vegga il particolare di quelle spese fatte da Annibaie Primi per il Galileo, sebene egli mi ha detto volergliene mandare, mi è parso, haveudoniele date, per ogni buon rispetto farle pervenire in ninno di V. S. < 3 >.... (i) Cfr. un. 1 1142, 1146, 1149. n.® 1199), non è ora allegato alla prosente; e indarno (*i Carlo dr’ Mudici. ne abbiamo fatto ricorea noli' Ardi, di Stato in <*' 11 conto a cui qui si accenna (cfr. audio Fircnzo. 260 16 MAGGIO 1616. [ 1201 ] 1201. GALILEO a BARTOLOMEO LEONARDI D’AUGENSOLA in Napoli. Roma, 16 maggio 1616. Riproduciamo questa ed altre Iettare, relative al negozio della longitudine, delle quali non conotciamo al¬ cuna fonte manoscritta, dal Tomo III della prima edizione Fiorentina delle Ojxrt d» Galileo, dove videro por la prima volta la luce. La predente è a pag. 129. Di Roma, 16 Maggio 1616. Approssimandosi la mia partita per Firenze, e, per quanto mi ha riferito il Sig. (’av. Vostri " , quella di V. S. moli' IH. por Ispagna insieme coll’Illustrili, ed Ecc. Sig. Conte di Demos, mi è paruto mio debito venire con questa a fargli reverenza, con ricordarmogli servitore devotissimo e molto obbligato alla sua cortesia, che mi ha dato occasione di iniziare appresso di lei quella servitù che io desi¬ dero di perpetuare. Subito giunto a Firenze, darò conto al Soreniss. Gran Duca mio Signore di quanto ò passato tra lei e me, e procurerò che Sua A. S. io rimetta in piedi 2 il negozio che a bocca accennai qui a V.S. ; e mi rendo sicuro che S. A., conio desideroso del servizio di Sua Maestà, procurerà ogni agevolezza acciò l’esecuzione di questa opera non venga impedita o perturbata. Sarà dato ordine al Sig. Imbaeciatoro residente là che tratti con V. S., e che insieme (facendo principalis¬ simo fondamento sopra la prudenza ed avvedimento dell’ Illustriss. ed Ecc. Sig. Conto
  • Domknico Bonsi. 0) Gio. Battista Bonsi. 84 151 Boi 5, e non rìol 7 marzo, è il Decreto al quale qui si accenna: cfr. Voi. XIX, pag. 822, Doc. XXIV, b, 18). («i Cfr. nn.< 1195, 1198. XII. 2G6 2D — 20 GIUGNO 1G1G. [1209-1210] Ilo trattato col S. r Butio cl \ o cercarà d’intendere. I/alligata olio V. S. nella io seconda delle sue gratissime dice mandarmi, non ò comparsa. Il negotio di Spagna l,) , ho gusto grande che s’incannili con speranza di buon compimento. Io sto involto nelli negotii come V. S. mi lasciò, quali pare che s’av¬ vicinino a buona conclusione i%) : quest’altro ordinario forse haverò qualche cosa da poterle avi saro. La scrittura rihavuta dal S. r Huzio, io la diedi al S. r Stelluti, che la por¬ tasse a V. S. : la cerchi che non sia smarrita, et io in Unito ne scrivo a lui (che ò già partito per Fabriano) per intendere. K con questo di tutto core a V. S. bacio le mani, desiderosissimo mi commandi sempre. Di Roma, li 25 di Giugno 1G16. 20 Di V. S. molt’ IH. 1 * Aff>° per ser. 1 * sempre F. Cesi Line. 0 P. 1210 . ALESSANDRO ORSINI a GALILEO in Firenze. Koinn, 2C giugno miti. Bibl. Naz. Pir. Min. Ozi., P. I, T. XIV, c*r. liti. — Autografa la anltoscrUiona. Ili « Sig.™ Se bene io non potevo credere ebe li cortesi oflìzii di V. S. dovessero riscon¬ trare altra buona disposiziono di quella che lei mi scrive d’bavero trovata, con tutto ciò carissimo in’ ò giunto il suo testimonio. La ringrazio sommamente del particolare pensiero che ha Lauto di compiacermene, e del molto alletto co ’l quale gl’ ha accompagnati, per maggioro confermazione del mio verso la persona di WS., alla quale resto desideroso piò che mai di dichiararlo co’ vivi effetti in suo servizio, sempre ch’ella me ne porga l’occasione o mi si scuopra alcuna di quelle eli’ io medesimo andrò incontrando. Starò attendendo con molto desiderio il S. r tìiannozzo Attivanti tM a quel tempo che spera essere libero da’negozii che 10 con ragione tanto gli premono: et intanto a WS. quanto più affettuosamente posso mi oflero c raccomando. Di Roma, li 2G di Giugno 1G1G. Aff. ra0 di V. S. [Sig.] Galileo Galilei. A. Card. 1 " Orsino. Fuori: All’ lll. re Sig.*" Galileo Galilei. Firenze. »‘> Cfr. Voi. V, |»ag. 74, Ho. 11. «*• Cfr. u.° 1201. « J > Cfr. n.« 1189. **> Cfr. Voi. XIX, J. 14 C. 316-8)10. [ 1211 ] 30 GIUGNO 1616. 267 1211 . CURZIO PI COHEN A a ORSO D’ELCI in Madrid. [Firenze, 80 giugno 1616.] Dal Tomo ITT, png. 125-127. dell'adizione citata noli’informazione premessa al ».° 1201. erodiamo di non andar lontano dal voro, giudicando elio ipioRta e la sogiiente lettera, o memoriale, siano stati stesi diotro minuta di Galileo (cfr., p. o., lo lin. 68-68 della prosante con n.° 1201, lin. 19-25). Sono circa quattro anni, elio (l’ordine del Serenisi. Gran Duca fu scritto a V. Eccd‘* d’un negozio molto desiderato da S. M. C., conio necessarissimo ed unico per ridurre al¬ l’ultima perfezione lo navigazioni per tutto il mare; o questo fu il modo di potere in ogni tempo trovare la longitudine, la quale, congiunta colla latitudine, ci determina la situazione precisa nel globo della terra di qualsivoglia punto di mare, d’isola o di continente. Questo si scrisse essere stato ultimamente ritrovato da Galileo Galilei, Filo¬ sofo e Matematico primario del Sereniss. Gran Duca nostro Signoro. Ebbesi da V. Ecc. per risposta, come già era stato mosso a Sua Maestà trattamento sopra la medesima ma¬ teria da un altro, e ebo prima bisognava spedirò quello, elio intraprendere negozio di 10 altri (l) . Ora è ultimamente accaduto, clic ritrovandosi il predetto Galileo in Roma, si è abboccato col Sig. Rettore di Villa Erniosa (3) , segretario dell*Eccoli. Sig. Conte di Demos, o con esso è venuto a discorso di questo suo trovato; del quale dandogliene una tale universale informazione, 1’ba fatto assai capace della sicurezza della riuscita: nella quale opinione mostra anco d’essere venuto P istesso Sig. Conto di Demos, come si comprende per lettere scritte ultimamente dal dotto segretario al Galilei Voleva il Sig. Conte, insieme col suo segretario, parlarne con Sua M., o tirare il negozio alla spedizione; ma il Galilei ba detto e scritto a i medesimi SS., che sondo il negozio stato principiato da V. Eco., da lei ancora fosse tirato a fine, conferendone però col Sig. Conte e col Sig. Ret¬ tore, con i quali V. Ecc. averà occasiono di trattare : cd acciò ella possa parlarne con- 20 forme alla qualità del trovato ed alla volontà del G. Duca, se ne manda la seguente in¬ forni aziono. L’operazione ò infallibile c sicura, dependendo da movimenti particolari di alcune stelle vaganti, state occulte agli uomini sino a questa età. Di questo nuovamente sco¬ perte stollo dal Galilei, ne son anco dal medesimo stati trovati i periodi esattissimamente, con lunghe vigilie e fatiche grandissime. Da quelle e da i loro movimenti si hanno, in ciascheduna notte, congiunzioni ed aspetti differenti e momentanei, da i quali, con molta maggiore esattezza che dagli eclissi lunari, clic anco sono rarissimi, si hanno le differenze ed intervalli de’meridiani, che sono in somma le desiderato longitudini. Con questo oBser- vazioni primieramente, mandando S. M. gente ad osservare nell’uno o nell’al tre Indie e »*» Cfr. n.° 757. <*> Cfr. li . 0 785. Cfr. n.° 1201. <*> Cfr. n.° 1208. 30 Giuri NO 1016. 208 f1211] in tutto risole, porti ed altri luoghi di mezzo, in tanto tempo quanto basta a fare il so viaggio od il ritorno si emenderanno ed aggiusteranno puntualmente tutte le carte nau¬ tiche o geografiche, le quali al presente si trovano piene di errori ; e per la somma esat¬ tezza delle predetto celesti osservazioni, si aggiusteranno in maniera tutti i luoghi parti- colavi del mondo, che non vi sarti assolutamente errore di quattro miglia in qualunque massima lontananza. E questa prima operazione è tanto sicura, che ogni persona di mediocre intelligenza subito no resta capace. Aggiustati che stono i luoghi, si potrà, navigando, ogni notte riconoscere colle me¬ desime osservazioni in che longitudine sia la nave, servendosi del benefizio di alcune ta¬ vole de i movimenti ed aspetti dolio sopraddette nuove stelle, fabbricato o calcolate di anno in anno dal medesimo Galileo, e ridotte a tal facilità, che altre cose più sottili sono 40 intese e maneggiate da i periti nocchieri; onde non casca dubbio che i medesimi potranno benissimo intendere e maneggiar queste. E sappia di più V. Eoo., come il Galilei ha pensato o provveduto a tutte quello difficoltà che forse ad alcuno potessero sovvenire: però non si resti per qualche immaginato impedimento di abbracciare e condurre a fine sì nobile impresa. Il Gran Duca, come desideroso del servizio di S. M , e come quello che da i ragio¬ namenti avuti col Galilei è restato capacissimo della verità «lei fatto, non resterà di co¬ mandare ad osso Galilei, che senza riguardo di tempo, di fatica o di viaggio mandi ad esecuzione una tanta impresa; e poi che la distanza di qui a costà è grande, onde la con¬ ferenza per lettere riesce tarda, e di più il Galilei, oltre al non ersero d’intera sanità, 50 è anco in là coll'età, però sari» bene prender presta deliberazione, acciò un tanto negozio per qualche infortunio non si perdesse. Proocuri dunque V. Eco, d’mitrarne quanto prima quella generale resoluzione che si può, usando il mezzo dell* Ecc. Sig. Conto di Lemos, stato già Soprintendente alle cose di more e dell’ Indio od ora Presidente dello cose d’Italia, acciocché incamminandosi il negozio alla spedizione, il Galilei possa far qua le provvisioni necessarie por P offettnazione del negozio, e poi incamminarsi costà, insieme con persone atto ad aiutarlo nella instruziouo che ni doveri dare a quelle persone che doveranno poi, in maro ed in terra, ridurre all’atto pratico ed all'effetto stesso tutto il maneggio. Di più, intendendo noi come S. M. e suoi antecessori hanno, molto tempo fa, stabi¬ lito o deputato certo premio di onorcvolezza od utile a chi portasse una tale invenzione, 60 desideriamo sapere puntualmente la qualità della recognizione ; e sopra tutto soggiungo a V. Ecc. (quello che assai specificatamente ò stato significato dal Galilei in voce e per lettere al Sig. Rettore, e per esso al Sig. Conte di leraos), che si proccuri, caso che il negozio si abbia a trattare, di sfuggire quanto è possibile che il detto Galilei, in luogo di ricovero quello onore e premio che si conviene alle Btie fatiche, non incontrasse qualche disgusto, di quelli che spesso si affrontano nello Corti, e massime quando una persona intelligente di qualche professione nobile ed ingegnosa ha da essere giudicato da chi poco o niento intendo di quelle materie. Il Galilei, che a bocca ha trattato col Sig. Rettore e conosciutolo per persona molto intelligente e discreta, e elio per relazione di altri lift il medesimo concetto del Sig. Conte, spora, aggiuntovi il favore, intelligenza e destrezza 70 di V. Ecc., di avere a sfuggire e superare queste difficoltà. Lett. 1211. 44-45. condurre ajjin• «1—60. di onore voi t*Ma — [1212-1213] 30 GIUGNO 1616. 269 1212. CURZIO PICCHENA a BARTOLOMEO LEONARDI D’ARGENSOLA (?) [in Napoli (?)]. [Firenze, 30 giugno 1616.] Dal Tomo 111, png. 127, dell’edizione citata nell’informazione promossa al n.°120l. L’edizione a cui attin¬ giamo intitola questa scrittura : * Ricordo al Rottore di Villa Erniosa, segretario del Conto di Lernos, Vico Ro di Napoli ». Cfr. pure l'informazione premessa al n.° 1211. Sono circa quattro anni che il Sig. Cav. Vinta di felice memoria, primo Segretario di Stato del Sereniss. Gran Duca di Toscana, scrisse, d’ordine di S. A. S., al Sig. Imbascia- torc residente alla Corte di S. come Galileo Galilei Fiorentino, primo Filosofo e Matematico di S. A.S., aveva sicuramente trovato il modo di prendere la longitudine de’luoghi in qualsivoglia notte dell’anno, con modo più sicuro che quello che si fa, meno di una volta l’anno, per gli eclissi lunari, o che però, sondo questo negozio importantis¬ simo per Sua M., lo dovesse proporro e trattarne. Si ebbe per risposta, che in quel me¬ desimo tempo già si era cominciato a negoziare con un altro per simile invenzione; che però sino alla spedizione di quello non si sarebbe intrapreso trattamento con altri t a >. Ora, 10 dato clic non si sia effettuato con quello, si tornerà a mettere in campo ed in considera¬ zione a Sua M. il medesimo Galilei, scrivendone di nuovo all’Imbasciatoro del Sereniss. G. Duca, c si farà anco capo al Sig. Rettore di Villa Erniosa, come quello elio di presenza averà conosciuto in Roma il Galilei (l,) e con quello trattato a bocca sopra questa materia ed altri particolari; il quale potrà agevolare la spedizione di questo maneggio, conoscen¬ dovi il servizio e 1’ utile grandissimo di Sua Maestà. 1213 *. COSIMO li, Granduca di Toscana, ad ORSO D’ELCI in Madrid. Firenze, 30 giugno 1616. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4948. — Minuta. Al Conte Orso d’Elei. 30 Giugno 1616. Il Galilei Matematico è amatissimo da Noi per il merito della sua eminente virtù, et per (sic) gli desideriamo ogni augumento di bene, et gliene procureremo ancora nelle occa¬ sioni che ci si offeriranno. Egli ha havuto qualche trattamento col Conte di Demos sopra il negozio che egli vorrebbe proporre aS," Maestà Cattolica, del quale egli gli scrive bora lungamente ; ot Noi ci contentiamo et vogliamo che voi ne abbracciato la protezzione, aiutandolo ot favorendolo con quelli elio havranno la cura di trattarne, come se lusse coBa di Nostro proprio servizio. Et Dio vi conservi etc. Di Fior.™ 10 <*> Cfr. n.° 757. <*> Cfr. n.° 785. <»> Cfr. n.o 1197. 270 1G LUGLIO 1616. L1214Ì 1214*. S10VANFRANCESC0 SACfREDO a GAI.II.EO in Firenzn. Venezia, lrt luglio Miri. Bibl. Est. In Modonn. Raccolta Campori. Autografi, II.* I.XXXVI1I, n.* ò8. — Autografa. Molto Ill. r * S. r Ecc. rao Crederò che a quest’ liora V. S. Kcc. mi haverà ricevuto 1’ ucelino Indiano che li ho inviato per il Cl. rao Hessidente lM nuovo elio vien costì, dandomi a cre¬ dere c’haverà usato ogni diligenza per condurglielo sano, essendo egli amico mio amorevolissimo et galanthuomo, elio si vaierà della partenza de’ suoi famigliari per non riuscir a V. S. Ecc."“ tanto nien diligente di quell’ liuomo da bene che lo condusse di Agni in Aloppo, quanto ò quest’ultimo viaggietto da quello dif¬ ferente. Desidera esso S. r Hessidente la grafia di V. S. Ecc. n, \ et m’ha pregato scriverli in sua raccomandatione : ondo mi farà somo favore, quando s’abboc- carà seco, fargli sapere che non ho transcurato questo uflitio. io De’ cani (J) , ho inteso la sua buona volontà; ondo sono entrato in grande spe¬ ranza di ricevere il desiderato favoro nella maniera elio la ricercai. So l’amico suo verrà qui per far stampare la sua opera, sarà favorito et protetto da me anco senza la promessa do’ cani, bastandomi un solo cenno del desiderio di V. S. Ecc. nm Al S. r Crenionino 0) lio scritto, et panni impossibile che non mi dia qualche risposta. Se avanti il chiuder di queste la riceverò, li aggiungerò quanto occorrerà. Il Germini 0) si porta bene, c per quello che so, dà buona sodisfattione al S. r Zaccaria t<;) . Gl’altri fattori, vedendo forso l’attitudine sua al nostro servitù), han procurato di attraversarlo et metter qualche malo con noi, descrivendolo troppo pretendente et perciò non atto a maneggiare i nostri negotii ; tuttavia 20 egli con la prudenza e pationza sua ha superato ogni difficoltà, et aquistata ap¬ presso di noi reputatone di liuomo incomparabilmente più savio di loro, et dirò anco più accorto, seben più giovano et non tanto malitioso quanto essi sono. Il Bellini *’ mi scrisse, già molte settimane, alcuno lettere per eccitarmi a riceverlo al mio servito ; ma perché io non voglio, come altre volte li scrissi, intricarmi in putano convertito, non gli ho dato altra risposta. Mi sarebbe caro ha ver una persona di buona volontà, simile apunto al Germini, di mediocre vi¬ vacità, et che mettesse spirito et s’interessasse, per dir così, nelle coso mio. La «*» Cfr. n.° 1198. 1,1 Krancisbco Trìti»AM. Cfr. un.‘ 1188, 1199. <*' Cfr. ua.' 1128, 1130. *•» Camju.0 Curvisi (*> Zaccaria Sa untino. I 7 ' Gio. Battista Bkm.ixi. 16 — 23 LUGLIO 1616. 271 [1214-1215] fatica corporale deve essere pochissima, l’assiduità molta, sicome ancora la dili¬ so gonza et la cura delle cose mie. Se la mia buona fortuna le facesse capitare alcun soggetto stimato da lei a mio proposito, mi farà, gratin darmene aviso. Quanto al carattere, se non havesse quello del Bellini, mi basterebbe anco quello del Germini. Per gratin di Dio mi trovo in assai buona sanità,; tuttavia, essendomi pas¬ sata in tutto la voglia de’ cibi et vini gustosi forastieri, liavendone qui di sover¬ chio di paesani, che per timoro sono aneli’ essi abbandonati da me, non occorre in nessun modo che Y. S. Ecc. m:i si prendi cura di mandarmene : et veramente è stata inspiratone divina lo scropulo di coscienza che ha havuto, di non inviarmi alcuna cosa senza mio aviso ; onde lo confermo lo stesso scropulo, con aggionta •io di un monitorio sub poma escommunicationis maioris latac sententi ae. Ilo fatto le sue raccomandationi, le quali sono reso a lei centuplicate. Et io le buccio la mano. In V. a , a 16 Luglio 1616. Di V. S. Ecc." ,a Tutto suo S. r Galilei. G. F. Sag. in fretta. Fuori , d'altra mano: Al molto 111.** Sig. r Oss. mo L’ Ecc.‘"° S. r Galileo Galilei. Firenze. 1215. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Eoi»a, ‘23 luglio 1610. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 8. — Autografa. Molt’ Ill. ro e molto Ecc.‘° Sig. r mio Oss. mo Già il S. r Butio (l) haveva chiarito che qua non c’era ordine alcuno circa le risposto del P. Castelli. Dopo tengo la gratissima di V. S., e vorrei intender clic stasse benissimo; al che credo che la stagione deva favorire, et i caldi credo sian molto più benigni là, che qua. Saria mia felicità grande il trovarmi a godere delle celesti contemplationi che V. S. fa di continuo. M’ò stato carissimo intender che il negotio in Spagna (S> passi inanzi. Di me devo dirli, clic il negotio matrimoniale (3) sta per concludersi, Lett. 1214. 38. che. lanuto — <‘i Cfr. ii“ 1209. ,8 > Cfr. u.« 1189. I») Cfr. un. 1 1211, 1212, 1213. t 272 23 — 30 LUGLIO 1616. [ 1216 - 1217 ] et bora ai stendono i capitoli. Subito firmato, V. S. ne haverà, aviso, ohè non si¬ curissimo sente contento d* ogni mia allegrezza, et di questa particolarmente, per io i rispetti discorsi qua. Succederà il tutto per la benignità con che S. A. Ser. 1 " 0 s* è compiaciuta favorire, ricordandosi della mia antica servitù e vera divotione. Intanto a V. S. di tutto coro bacio lo mani, e lo prego ogni contento, ricordan¬ domeli obligatissimo e prontissimo a servirla sempre. Di Roma, li 23 di Luglio 1616. Di WS. molt’lll.™ 11 S. r Butio le bacia le mani. Afl>° per ser. u sempre 1*'. Cesi Line. 0 P. 121 fi*. FEDERICO CESI a [GAI.ILEO in Fi rance]. Roma, 28 luglio 1616. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. VII. cnr. 247 . - Autografa. MolC lll. r0 Sig. r mio Oss. mo Li capitoli del matrimonio concluso tra me e la S. r * D. Isabella Salviati fu¬ rono firmati il giorno di S. Giacomo con reciproca satisfattone, restando io ca¬ rico delle gratie o favori di S. A. Ser. m> , che verso la persona mia s’ò mostra benignissima; ondo V. S. poi considerare s’io ne sento contento. In fretta ho vo¬ luto significarle questo subito; e scusi le infinite occupationi, se bora non mi stendo più a lungo. Bacio a V. S. le mani di tutto core. Di R.“, li 28 Luglio 1616. Di V. S. molt’ Ill. ro per ser. 1 * sempre F. Cesi Line. 0 P. io 1*21 GIO. ANGELO ALTEA!PS a GALILEO in Firenze. Roma. 30 luglio 161G. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XIV, oar. 1 lb. — Autografa la firma. 111 .™ Sig.™ Il valor di V. 8. merita che se ne faccia sempre mentione, sì come avvenne l’altra sera fra ’1 S. r Prencipe di S. l ° Angelo (,) e me, da quale può giudicare Fkdkrico Cesi. 30 LUGLIO — 27 AGOSTO 1616. 273 [1217-1219] con die honore fu ragionato della sua persona, sapendo quanto congiuntamente 1’ amiamo. Mi dispiacque bene d’intender eh* ella sia stata qua e d’improviso partitane, sì che non Labbia havuto campo d’haver qualche discorso seco, poi che havend’io atteso per lo spatio di duo anni alle matematiche, nelle quali V. S. ò di tanto grido, son certo eh’ ogni poco c’ liavessi pratticato con lei, Laverei acqui¬ stato notabilmente. io Se ben io ho prospicilio o toloscopio (sù?), o, come volgarmente dicono, occhia¬ le, assai buono, Laverei nondimeno caro d’haverne uno di quelli a cui dà ella titolo di perfetto, fabricato di mano di lei, che n’ è stata l’inventore. La prego dunque a farmene piacere, sicurissima che le ne terrò obligo. E Dio la feliciti sempre. Di Roma, li 30 di Lug.° 1616. Di V. S. Aff>° [...] Galileo. Il Duca Altymps. Fuori: Almi.™ Sig.™ 11 S.™ .... (,) Galileo. Fiorenza. 1218 .** GALILEO a FEDERICO CESI [in Roma]. [Firenze, 27 (?) agosto 1G1GJ. Cfr. u.° 1222. 1219 . GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. . Venezia, 27 agosto 1G1G. Bibl. Naz. 3?ìr. Mss. Oal., P. T, T. VII, car. 24'J. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111™ S. or Ecc. mo Sono miir anni che non ricevo lettere di V. S. Lascio pensare a lei in quale stato io mi trovi. Intendo essere giunto costì il Ressidente Trivisano (S) , et bavere condotto sano et salvo 1’ uccelino a lui consigliato per dare a V. S. Sarebbe gran cosa che fosse stato felice il suo viaggio dalla corte del Gran Mogor in Scria, di Soria a Venetia, da Venetia a Firenze, et che poi dalla casa del Ressidente a quella di lei corresse nauffraggio. Io le raccordo i cani, pregandola escusarmi se io fossi per avventura troppo importuno, poiché mi trovo all’ orrecchie di continuo una cagna che me li tiene io addimandati C3) . <0 1 puntolini sono nell’originale. (3 > Queste parole che stampiamo in corsivo, sono (*> Cfr. n.° 1214. sottolineate nell’originale. xn. 35 274 27 AGOSTO — 3 SETTEMBRE 1010. [1219-1220] Al S. 1 ' Magmi ò stato mandato, già 23 mesi, un libro stampato in Ingolstadia, intitolato Disquisì tiones malhemoticae de conirovcrsiis d novi tot ibus astronomicis U) , il quale mi lio fatto prestare por mia curiosità, lmvendo inteso elio ex processo impugnava 1’ oppinione dei Copernico. Se V. 8. Eoe.'"* non lo ha veduto prima che bora, credo le sarà caro il vederlo, essendo questa opera del I\ Cristofforo Scheincr Gesuita, che ò quell’amico del S. r Velser, al quale una volta lavai la testa senza sapono lt) per l’indiscreta maniera usata scrivendo della persona mia : perciò vado trattenendo esso libro per poterlo mandar a V. 8. Ecc." 1 *, caso che non lo havessi pià veduto. Io ne ho letto pochissima parte, havendo bora altre occu- pationi, uà (in bora mi trovo sodisfatto dalla dottrina di quest’huoino pretenden- 20 tissimo. Che sarà lino di queste, bocciando a Y. 8. Ecc."'* uffettuosamente la mano. In Venetia, a 27 Agosto 11»Ili. Di V. 8. Eoe. 1 "* Ecc." 10 Galilei. Fuori: Al molto lll. ra S. or IIon.'"° L’ Ecc. roo S. or Galileo Galilei. Firenze. Tutto suo G. F. Sngr. 1220. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 3 Hettombre 1610. Bibl. Na*. Tir. Ma*. Gal., P. VI, T. X, car. 10. Autografa. Molt’ 111.™ 8ig. r mio Oss." 10 ltendo duplicato e con tutto 1’ animo a V. S. P annuo saluto, e prego N. S. Dio conceda felice corso alla nostra impresa e communi studii, 0 liberi me affatto da ogni molesta occupatione 0 briga, acciò possa con ogni opra impiegarmi in essa conforme al desiderio e debito mio. Mi trovo tutto involto nelli preparamenti nuzziali, sendo sempre più contento di questo accasamento; e sarebbe mia compita consolatone il potere anco so- disfare all 1 miei oblighi e volontà, col trasferirmi almeno con una scorsa costì. V. 8., che sa le mie cose domestiche, sa anco quanto poco mi lasciano promet¬ tere e disporre di me stesso: sappia anco fermamente, che mentre non mi 10 riesce, a me dole più che ad alcuno; e quanto più mi sarà trattenuto, più anco sarà il dispiacere che sentirò di questi noiosi viluppi che ni’ impediscono, quali spero puro superare. Intanto supplisca V. 8., testificando sempre della mia mente e desiderio di servire. Oi Cfr. n.o 1077. ‘*1 Cfr. n.» 993. 3 SETTEMBRE 1G1C>. 275 [1220-1221] La novità celeste «li Saturno 05 m’ è veramente stata d’ ammirazione e gusto, e n’ ho dato parte a molti amici, quali meco staranno aspettando con desiderio intendere che la continuazione delle osservatami discopra qualche cosa di più, e V. S. ne faccia subito participare di quosti suoi mirabili scoprimenti et invenzioni. Sollicitarò la publicatione dell’ espurgatone (;) , eh’ hormai i negotii della Corte 20 cominciaranno a frequentarsi. V. S. si ricordi quanto le son servitore e quanto desideroso mi commandi. Bacio a V. S. lo mani di tutto core. Di Roma, li 3 Settembre 1616. Di V.S. molt’Ill.' 0 AfT. m0 per ser> sempre F. Cesi Line. 0 P. 1221. GIOVANNI FABER a GALILEO in Firenze. Roma, 3 settembre 1010. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 12. — Autografa. Molto 111.™ Sig.™ et Padron mio Oss." 10 Mi ho da rallegrare con V.S. doppiamente, et che lei, felicemente giunta nella patria sua, la gode, et dio è giunta al giorno dell’ instituto felicissimo della nostra Academia. Iddio la faccia vedere et godere moltissimi anni questa coni- memoratione, et arrichisca per lei il mondo di novi fenomeni come fa, sì come liieri il Sig. r Prencipe mi ha dato parte di quelli nella stella di Saturno, che io non mancalo di commonicarc subito con 1’ amici et inimici nostri, acciochè non possino levare questa gloria a V. S. Li manderò ancora al Sig. r Cardinale Borro¬ meo (l,> , curiosissimo di queste novità, col quale ho contratto qualche servitù per io mezzo del P. Terrentio 05 , che di presente si trova col P. Nicolò in Augusta. Et non occorrendomi altro a dire a V. S., con ogni divoto affetto gli Laccio le mani. Di Roma, alli 3 di 7mbre 1616. Di V.S. molt’Ill.™ Divotiss. Ser. Gio. Fabro Lynceo. Fuori: Al molt’Ill.” Sig. r et Padron mio Oss.™ 0 Il Sig. r Galileo Galilei, Matlie. et celeberrimo Lynceo. Firenze. "i Cfr. n.° 1222 ; o cfr. pare A. Fa varo, Intorno pag. 415-132). Venezia, tip. Ferrari, 1901. alla apparenza (lì Saturno osservata da Galileo Galilei **' Intendi, dol libro del CoPKBNIOO: cfr. n. n 1189. nell' a/josto dell'anno Iti Iti (/Ut» del li. Istituto Veneto •*' Cfr. n.° 1222. di scienze., lettere ed arti. Tomo LX, Parto seconda, <*' Cfr. n.° 572, lin. 8. 27C 3 SETTEMBRE 1616. [ 1222 ] 1222 **. GIOVANNI FÀBER a [FEDERIGO BORROMEO in Milano]. Roma, 3 settembre 1616. Blbl. Ambrosiana In Milano. Cartario del Card. V. Borromeo. Cod. 0 228 Inf., car. 165. - Autografa. 111.®» et R. m0 Sitf- r Padrone ColondÌBBimo, Sono debitore a V.S. 111."'" et Rt-v.™ della risposta ad una sua letera, non giorni, nè netti mane, ma mesi, et confessarei in eiò haver peccato gravemente, ho non havessi vo¬ luto portar il debito rispetto a V. S. 111."’“, non comparendole dinanzi con lctere di poco momento, atteso cho non ho mai linvuto materia conveniente. Ma bora mi bì presenta occasione di un aviso elio liieri mi ha mandato a casa il Sig. r Principe Cosi, datogli per letcro dal f>ig. r Galileo, il quale al solito suo, come curioso Lynoco, ha scuoperto un altro nuovo fenomeno nella stella di Saturno. 1/ istesse parole del Galileo mando qui inserite a V. S. IH."*, corno Prencipo letteratissimo et ammirator dello coho novo celesti. Ilo speranza cho por mozzo di questo instrumonto visorio habbiamo d’arricchire la philosophia et niatlio- io matica. Se altro il Sig. Galileo soggiungo, io di man in mano darò conto diligentissimo a V. S. 111."*, la quale in tanto potrà comniunicare questa novità con li matheinatici di là.... « Non voglio restare di Hignitieare a V. E. un nuovo et strava¬ gante fenomeno osservato da me da alcuni giorni in qua nella stella di Saturno, li due compagni del quale non sono più due piccioli globi perfettamente rotondi, come erano già, ma sono di presente corpi molto maggiori, et di figura non più rotonda, ma come vede nella figura appresso C 3 J& , cioè due mezze ecclissi (sic) con due trian- golotti oscurissimi nel mezzo di dette figure, et contigui al globo di mezzo di Saturno, il quale si vede, come sempre si ò veduto, per- 20 fettamente rotondo 1 ”. » •*» A car. 94*. del Tomo IV della Par. Ili dei Mas. Calilolaiiì trovasi, sema che noli’ altro ri aia ad essa relativo, la figura cho qui esattamente ri¬ produciamo. Quantunque non possa con piena certezza affer¬ marsi ohe quel disegno aia do¬ vuto alla mano di Oii.ii.ko, pure è molto ragionevole attribuirglielo, trovandosi in meno a calcoli, configurazioni ed appunti rela¬ tivi alle Mediceo, cho sono dello stesso inchiostro o di suo pugno, e appartengono ai mesi da giugno a ottobre 1616. Sulla rarta 95r., di fronte alla 94*., o che forma con ossa un solo foglio, sono le date « 1616 . Octob. Dio 9 », « Di . 23 Sopt. », * D. 22 » ; sulla stessa car. 94*. si leggono le date « luu. D. 18 », « Octob. Die 20 ». [1223] 6 SETTEMBRE 1016. 277 1223. PIETRO IACOPO FAILLA a GALILEO in Roma. Napoli, 6 settembre 1616. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. VII, car. 251. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. ro Oss. mo Grandissimo obligo invero devo a chi mi dà occasione ch’io facci questo ufficio con V. S., dandomi occasione di dedicarmi appo lui per servitore. 11 P. Fra Thomaso Campanella, oppresso di varii pensieri, mi comanda ch’io dovessi fare l’ufficio suo con V. S., dicendoli che mandò all’111." 10 Sig. r Card. 1 Gaetano l0 , per mezzo del Sig. r Giovanni Bartholino (S> , un’Apologià 13 ’ in difesa del modo del filosofare di V. S., dimostrando che non è contro, unanimcm conscnsim Sanctorum Patrum et Sanctac Scripturac, ma che chi proibisce questo modo di filosofare, proibisce al senno christiano l’essere christiano. Lui desidera sapere di questo il parere io di V. S. e che le ne pare di quella Apologia, se l’ha vista, o vero se la facci mostrare dal detto S. r Bartholino. La priega anche l’avvisi qualche novo osser¬ vato, chè l’haverà per favore particolare di V. S., a cui fa mille riverenze, e spera un giorno esser fuora di travagli e seco esser alla difesa della virtù Italiana, op¬ pressa dalla invidia etc. Et io me li dedico per servitore, benché di presenza non lo conosca, cioè esteriormente, sendo ammiratore particolare del valore di V. S., a cui bacio le mani. In Napoli, li 6 di 7mbre 161G. Di V. S. molto III. 0 Ser. re Divotiss. 0 S.r Galileo. Pietro Giacopo Failla. 20 Fuori : Al Sig. r Galileo Galilei, N. S. feliciti. Roma (4) . 0» Bonifacio Caktani. m Cfr. il.® 982, lin. 59. <»> Fu data alla luco roì anni dopo, col titolo: F.Thomaf. Campankixab, Calabri. Ordiuis Praedicato- rum, Apologia prò Oalilaeo mathematica, ubi diaquiritur utrum ratio philotophamli, quam Galilaeu # celebrat, faveat Sucri a Scripturis a» aclvertelur. Frauuofurti, impensis Godefredi Tnmpachii, typis Erasuii Keuipffo- ri, anno M. DC. XXII. i*l I.o «divento ignorava, come è chiaro, che Gai.ii.ko era ormai tornato a Fironze. — Accanto all’ iudirizzo sono sognato, ili mano di Gai.ii,f.o, due schemi di configurazioni delle Medicee senza data nè altre indicazioni. 278 10 SETTEMBRE 1G1C. [ 1224 ] 1224 * GIOVAI FRANCESCO SAGREDO n [GALILEO in Firenze]. Vcnozin, 10 «ettembre 1616. Blbl. Eat. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, R.« LXXXVlll, n.* 59. — Aulngi^fa. Molto 111.” S. r Ecc. mo Gran diagratia ò stata quella doli’ureiino Indiano 0 *, et certamente fatale, poiché in Aleppo tre no giunsero in una Htossa gabbia, et nel mutarli di stanza, avanti elio io li potessi vedere, uno «gratuito fugl di mano a chi n’ havea la cura et cado in bocca ad un’ altra maledetta gatta, l’orò, dovendosi ubbediro ai cieli, conviensi portar anco quest’ ultimo accidente con patienza. Io ringratio V. S. Eec. m:l de’ cagnoli r) , che sopra modo mi riusciran cari; ma non mancherò di dirlo che desidero più tosto differire ad haverli, che metterli a manifesto pericolo di perderli per viaggio, essendo io informato elio muoiono fa¬ cilmente quando non siano condotti da persona pratica et diligentissima. Onde io prego V.S. Ecc. ma metter molto studio per attender occasione della venuta di persona discrctta, che s’interessi nel nostro desiderio et si prendi briga per con¬ durli sicuramente; et se questa fosse alcun corriere, condottiero di robbe o altro mercenario, V. S. Ecc. mB gli prometti una terminata et buona mancia quando giongano qui sani et salvi, cliò pagarò volentieri la taglia. I’er questo rispetto si converrò, aspettare che i cagnoli di qualche giorni Imbibano fornito di pren¬ dere il late, et mangino francamente. È stato bene liavergli fatto scavezzo il muso leggiermente, poiché, volendoli per razza, mi è più caro non liavergli debili¬ tata la natura, si come non intendo che si faccia con l’astinenza et in particolare con 1’ usarli a poco cibo masticato, piacendomi questi animali che mangino di 20 tutto, come fanno anco i mastini. Non ho avuto commodità di veder il libro, e quando iol’habbia veduto, mi risolverò conforme al suo aviso. Ilo veduto l’epigramma et 1’ elegia, della quale dirò col Poeta: Giunto Alessandro alla famosa tomba Del fiero Ulisse (sic) occ. Di quell’amico suo non posso dirle quello elio possi essere, poiché io non sono di quelli che sono partecipe de’ suoi negotii ; ben ho sontito a dire tra alcuni galanthuomeni che egli non'sia huomo che s’habbia a tenero in nessun prezzo, per¬ chè ò fantastico, caviloso et senza termino di virtù, perché caviliosamente tratta con troppo avantaggio lo cose suo, vuole esser pagato, et sotto vani pretesti et IiCtt. 1224. 9-10. che mvioMo facilmente — 26-27. alcuni galanthumeni che — Oi Cfr. nn.' 1198, 1214, 1219. <*> Cfr. nn.‘ 1188, 1198, 1214. [1224-1225] 10 — 13 SETTEMBRE 1616. 270 30 ridicoli, a chi intende, nega adoprarsi in servitù) di chi lo paga, il quale non es¬ sendo niente servito, pare ancora vilipeso et ingannato: vuole però la pantalonica prudenza che si disimuli. Io nondimeno, se lo cose riferitemi fossero vere, non vorrei tanta dissimulazione, quando fossi interessato, perché in fine io non correrei mai dietro ad uno che mi sprezzasse. So che ella m’intende, et le boccio la mano. In V. a , a 10 Sett. 0 1616. Di V.S. Ecc. ,na Tutto suo G. IT. Sagr. Il Cremonino (1) promise pagare cole prime paglie dell’anno venturo, et man¬ dar le sue lettere a V. S. Ecc. nm 1225 **. MALATESTA PORTA a [GALILEO in Firenze], llimiui, 13 settembre 1610. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. 78-82. — Autografa. Molto 111.™ et Ec. ,no S. ro Os. n, ° Io non so, Ecc. mo Sig. ri! , se a me sia così parato perch’io non hahbia bene os¬ servato e se pure sia vero, come mi son fin lioggi persuaso, che dalli 22 d’Agosto dell’ anno andato 1615 Marte non pure colossi a gli occhi nostri, ma all’ artificio¬ sissimo telescopio ancora, maraviglia dell’ettà. presente c dell’ ingegno singolaris¬ simo di V. S. Lo vidi io il di 20 del già mentovato Agosto in congiontione con Venere, e fino alla sera delli 22 del medesimo, che poi più non mi apparve; e prima che si coprisse, così piccolo si mostrava, che non era per aventura mag¬ giore di stella della quarta grandezza, secondo gli astronomi. Intorno a che due io dubbietà mi nacquero: l’una dello quali ò, che Marte è corpo grande, et oltre al testimonio del Padre Clavio, 1’ ho veduto io, anni sono, che al cader del sole nel Leone sorgeva esso in Acquario di tanta apparenza et ardore, clic da molti venne stimato nuova stella o cometa ; e se allhora fosse stato P uso del telesco¬ pio, non sarebbe stato gran cosa che si fosse trovato essere il suo diametro vi¬ sivo di quattro o di sei volte maggiore che quando ò lontanissimo : che così vengo osservando degli altri pianeti, i quali tutti sopra P liorizonte, o mntutini o vespertini, di qualsivoglia nascimento visibile, si mostrano più e men grandi ; ma con diversità simile a questa, non giammai. La seconda, molto più conside¬ rabile, è la totale occoltatione di Marte in sito del cielo et in lontananza sì fatta <*> Cfr. n.» 1214. 280 13 SETTEMBRE 1016. [1225] «lai sole, elio non so capere come ciò possa naturalmente accadere ; et in conse- 20 guenza vengo riconoscendo non vera la dottrina che fin qui credei buona, del ricorso a gli epicicli, a i deferenti, a gli eccentrici, a gli augi et a gli opposti o appogei, o vero che, se pur sono, non salvino gli aacondimenti : perciochè, se questi cerchi vengono da Marte discritti, non ini pare eh’ ad altro servire doves¬ sero, che a difendere la diversità dell’ apparenze ; ina che bastino per difendere le occoltationi, io non li stimai, nè so eli’ altra stella si sia mai occoltata, se non quella che si vide in Cassiopea 1’ anno 1572 e sparve il seguente, che eh’ ella si fosse o dove ; 0 se que’ circoli havessero a servire anche a salvare lo occoltationi, gran fatto mi parrebbe che prima di questo sparimento di Marte non ne fosse mai altro seguito in tanto migliaia d’anni (giachè quello eh’avenne di Giove 80 sotto ’l corpo lunare non si deve porre qui in costrutto, chè fu spacio brevissimo), si come si veggono tuttavia le diversità dello apparenze in loro con la discrit- tione di que’ cerchi salvate. Non ò donque vero che soli sian quelli da’ pianeti aggirati, anzi è necessario ch’altri ne formino, come V. S. accennò nel suo trat¬ tato delle macchie nel sole; e tanto men vera quella dottrina mi si reca inanzi, quanto è certo che lo apparenze di Marte non si sono mai alla diversità di questa appressato : perciochè bene qualche sensibile diversità si è vista nel suo diame¬ tro, come in quello degli altri erranti; ma che l’habbia fatto sì piccolo vedere che simigliasse stella della quarta grandezza, non so che sia accaduto fin bora mai, in tanta lontananza massime dal sole, che si trovava allhora in parti 28. HO 40 si del Leone, e Marte-in 9.24 della Libra, secondo il calcolo del S. r Mngini. fio che Tolomeo assegna spacio di gr. 26, m. 14 (so male non mi sovviene) a Marte, nel quale ha 1’ occaso eliaco ; ma fuori di quello, e di tanto, come si è visto, non so per quale ragione debbia togliersi il nascimento eliaco a questo pianeta. Nè mi salda il l’adre Clavio, che non sa risolversi della distanza di questa o di quella stella dal sole per mostrarsi, adducendo elio non ciascuna è d’ una stessa gran¬ dezza, nò ciascuna è nella medesima latitudine dall’ecclittica; perciochè favella egli solo per aventura dello fisse, come da’ luoghi di Vergilio e di Ovidio ch’ei porta resta assai provato : e se ci piacesse pure di non torre dal favellar suo l’erranti, non resto perciò soddisfatto, perchè non debbiamo inforsaro eh’altra 50 fiata Marte liabbia havuta molto menor latitudine dall’ecclittica e molto menor lontananza dal sole di che liel.be il dì 22 «l'Agosto 1615 et ha pur hoggi, che è di gr. 60, due minuti meno, presso al menzonato S. r Magini ; epure si vide molto ben grande e ben noto, ed hoggi non appare. Che ci arrivi l’arco della visione o ’l vaporoso, presso di me è impossibile ; e la stessa cagione milita, che per tante migliaia d’anni ò stato a que’termini, e non ha fatto di questi giochi di cieca. Bisogna donque conchiudere con V. S., essere necessario che discrivano i pia¬ neti altri cerchi cho gl’ inventati fin bora, et uno sia quello che, già scorso è 1’ anno, discrive, e nel quale è sparito Mirte. ■■Hi 13 SETTEMBRE 1G1G. 281 [1225] co Ma, di grazia, come direni poi eh’ egli habbia tanto questo suo nuovo viaggio indugiato ? perchè, se doveva rivedersi là verso li 4 del Maggio prossimo andato, secondo le regole di Tolomeo, si trattiene egli pur anche tanti mesi? Non direm già che Spagnuoli, lioggi tutti in arme, 1* babbuino a loro soldo condotto, giach’è uno de'padroni del Trigono, ov’è la Spagna tutta? se però non fosse stato il povero cavaliere in queste rivolte spogliato dell’ arme, e da’ masnadieri Uscocchi rubato, onde si rechi a vergogna il comparire in farsetto. Ma per uscire di scherzo, dico a V. S. che mi son sempre persuaso di dover sentire alcun suo parere in¬ torno a così notabile effetto di lasù ; e per dirgliele senza punto di adulatione, se da lei, quasi da nuovo Alessandro, non si discioglie questo nodo, a me più 70 dell’antico Gordiano intricato, io non so farmi a credere ch’altri (con pace sempre e riverenza di ogni elevato ingegno) basti a svillupparlo. Ho già veduti tre di¬ scorsi, mandatimi dal molto Rev. Padre Inquisitore di Ancona, mio riverito pa¬ drone, sopra questa fuga di Marte ; ma, vaglia il vero, si ricappa anzi spirito d’imaginata profetia e di fin predire saeculum per ignem , die ragione filosofica o matematica della piccolissima apparenza e poscia dello sparimento totale di Marte. Ma perchè fin bora V. S. tace, e la mia curiosità o ’1 naturai disiderio di sapere non sa più oltre rattennersi, ho risoluto scriverle questo poco, ancor- ch’ ella non mi conosca anche per aventura di nome, affidato nella cortesia di cui la sento per molte bocche segnalatamente lodare, e per dar di mano a so questa occasione di accennarle la riverenza eh’ io porto al suo nome e la stima ch’io tengo prencipalissima dell’opre sue, le quali son tutte da me con diligenza procurate, c le tre stampate non solo, ma altre a penna ho con mio incredibil di¬ letto viste. Vengo donque a vivamente pregarla in luogo di grazia singolare a voler dirmi, con suo agio, qualche cosa intorno a questa materia, et a benigna¬ mente permettermi eli’ io le dica : Quamdiu atiimam nostrani, torques ? Promise V. S. nel suo Aviso Sidereo d’insegnare il modo vero di formare il telescopio, si che potessero vedersi tutte le forme che sono alla naturai vista invisibili ; nè lino a questo giorno 1’ ha fatto. È il vero che pare se ne voglia scusare nel suo trattato delle cose clic stanno su l’acqua o si muovono in quella; et il mondo yo haverà la scusa ammessa e quella proroga, fatta anche senza citar la parte e da giudice troppo interessato, eli’ è Y. S. stessa : ma non so poi quanto volentieri senta la seconda dilatione, molto più lunga, e pur senza essere citato. Tuttavia cessino queste contese e questi tribunali, e si rimetta la cognitione della causa al suo giudice, eli’ è V. S. medesima. Io le confesso di bavere liavuto per lo mani più di venti telescopi, e tutti giudicati buoni e che intorno a gli oggetti di quagiù hanno data qualche sodisfatione, e coi quali ho vista la luna anfrattosa et i quattro Medicei, e massime col mio, che per telescopio ordinario è molto buono ; ma di due soli ho liavuto maggior gusto che degli altri : il primo de’ quali hebbi per qualche giorno dal S. r Galanzone Galanzoui, gentilhuomo di questa città, che XII. 30 282 13 SETTEMBRE IG16. [1225] ai trovava e si è trovato a’ servigi dell' lll. mo JS. r Card. 1 * di Gioiosa (l) , passato ulti- ìoo Diamente a miglior vita, et era 1 * occhialo di quell' Illustrissimo ; il secondo, fatto in Vinetia a mia requisitone e mandatomi, nmchiua di dodici pezzi, lunga so¬ verchio, e molto sconcia a maneggiarsi. Con questo ho visto il corpo di Giove molto maggiore che con tutti gli altri, c parimenti i Pianeti Medicei ; ma non arriva a mostrarmi Saturno triforme, corno V. S. lo vede et io debbo credere essere così fermamente : me lo figura bene in forma ovata, (pialo essa lo mostra lineato nel suo libro delle macchie nel sole ”. Venere cornicolata non ho possuto vedere, perchè il giorno apunto elio detto telescopio mi capitò, l’Agosto dianzi passato, si coperse ella sotto i raggi del solo : e perchè molte notti sono poi state oscure di nuvole, e quando pure erano chiare, lo splendor grande della luna mi no toglieva la Galassia, non ho fatta aperienza in quella; ho però congetturato, elio non mostrando le tre stelle di Saturno, meno mi haverebbe di quel cerchio latteo certilicato. Me ne chiarirò nondimeno, se bene alla prova della moltipliea- tione e dell’avicinamento, eh’ olla nel suo Massaggierò Sidereo insegna, non arriva. Io sono, Kc. mo S.™, hoggimai nell’ età di cinquanta e quattro anni ; e se molto ella indugia a farne grazia al mondo, io lascierò con questa brama la vista o la vita. Scusi, per vita sua, questa mia non so so virtuosa o impronta curio¬ sità, poiché pure qualche apparenza ritiene di essere sul fondamento della virtù appoggiata. E non indegni intanto l’affetto col quale faccio di lei mentione in certo mio prencipiato poema, in luogo dove un angelo custode racconta il pas- 120 saggio che fanno le preghiere de’ fedeli di Christo centra Aureliano imperatore, alzandosi al trono di Dio nel ciolo empireo; e nel farle da cielo a cielo ascen¬ derò, scuopre le maraviglio die nella luna, nel sole o intorno al sole, in Venere, intorno a Giove et in Saturno, ha V. S. nuovamente trovate; e di Saturno si dice: Ma son già dove il più sublime e tardo Lume errante là su, non ben riluce, E sembra, a cui v’alza ed affisa ’l guardo, Sparger ne’ raggi suoi pallida luce, Gli’ il funesto di lui nero stendardo Segue, ch’il prende horrida schiera in duce; E tra voi grido ò eh’ egli fa por tutto La Fame errar, la Pestilenza, il Lutto. Meraviglia dirò: s’è liuto in terra Triforme Gerìon, Saturno è ’n cielo, C’hor tre lucidi globi unisce, ed erra, Hor solo ruota, e fassi a gli altri velo. Ma di tanto saper vaneggia et erra Altri, e ciò sol per grazia a te rivelo, Oi Francesco di JuTtcau. «* Cfr. Voi. V, p*f. 110. [1225-1220] 13 — 21 SETTEMBRE 1616. 283 Finché LINCEO mirar verrà, che scopra uo Quelle, eh’ ignote son, forme là sopra. Tu, GALILEO, là ’vc fondò primiero Generoso Troian l’eccelse mura Del Medoaco in su la riva, altero Saprai con Farti tue vincer Natura; Di contemplar negli ampi cieli il vero Eia eh’a te solo il mio Signor dia cura, E penetrar co’ tuoi christalli ogni ombra, Ch’ a sì lontani oggetti il guardo adombra. E perchè il faticare in virtuose occorrenze i pari suoi anzi è lodevole che no, 150 giachè si essercita la virtù e si giova al mondo, non voglio restarmi dal pregarla con tutto l’animo di nuovo favore, clic sarà: se questa mia patria ha lo Scor¬ pione in horoscopo, secondo la commune degli astrologi antichi c moderni, e ho possuto vedere fino al modernissimo Errico Ranzovio, o se ci fosse alcuno ch’altro ascendente lo assegnasse; e se giudica V. S. più sicuro partito 1* attennersi alla comune, che ad alcuno (se ci fosse) di parere diverso. Potrebbe ciò parere altrui materia difficile, ina non può dubitarsi che sia facilissima a lei, il cui parere servirà a me per quasi decisione di Ruota: così stimola io nell’opre sue. Et in ricambio di quanto mi giova dalla benignità sua sperare intorno a questo mie motive, non posso altro promettere che obligation singolare e continovata divo- ino tione, accompagnata con desiderio incredibile di poter servirla in cose di suo pieno gusto et essere da lei honorato clic me lo comandasse, come di vero cuore ne la supplico. E col pregarlo felicità et, a servigio della republica de’ virtuosi, lunghi anni, le faccio riverenza. Di Rimino, questo dì 13 di Settembre 1616. Di V. S. molto Ill. ro et Ec. ,n:i Divotissiino e perpetuo Ser.™ Malatesta Porta, Seg. rio di Rimino. 122f>**. FEDERIGO BORROMEO a GIOVANNI FABER in Roma. Milano, 21 settembre 1616. Aroh. dell'Ospisio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Fabor. Filza 423, car.646.— Autografa la sottoscrizione. Ill. m0 Sig. ro Con la lettera di V. S. dclli 3 (,) ricevo F osservatione del S. r Galileo sopra la stella di Saturno, che F è piacciate parteciparmi, et insieme la lettera per il S. r Scioppio <*\ col <» Cfr. n.® 1222. <*> Gabpark Scioppio. 284 iìl — 29 SETTEMBRE 161G. [1826-1237] quale, venendo, pome si tiene, a queste parti in breve, tratteremo «li questo et d’altro coso del medesimo genero. La ringratio in tanto della memoria che tiene di me e del- Pafféttione che mi porla, di cui contracambiaudola io d’affetto particolare, le auguro per line vera contentezza. Di Milano, a’ 21 di Sett." 1616. Di WS. Come fratello F. Car. Borromeo. io Fuori: All’111/' Sig/ Giovan Fabro. Roma. 1 227 **. ALESSANDRO CAPOANO n GALILEO in Firenze. Koina, 29 settembre 1616. Bibl. NftZ. FIr. Mu. Gal., P. I. T. VII, r»r. 253. — Autografa. Molto 111.*' et Eco . 1 " 0 S. r mio Oss. m ® 10 devo tanto all’ infinito valore de V. S., e* ho giudicato haver mancato assai dal debito mio in non haverla salutata in tanto tempo eh’ ella parti da Roma con universale disgusto di dii bene la conosce : però vorrei che ’1 molto affetto di questa, con la quale li bacio le mani, supplisse al passato mancamento, cer¬ tificandola che siccome io conosco li suoi molti meriti, cossi me forzerò in ogni occasione far domostratione di quel che a quelli se deve. 11 S. r Duca 10 , quale con il S. r Cardinale spesse volte la nominano, m’ha imposto particolarmente che la saluti in nome di S. E., come fo ; ed io baciando le mani a V. S., desideroso de haver avviso della sua salute, fo fine. io Di Roma. ’1 29 di 7inbre 1616. De V.S. molto 111.® et Ecc, mm Afl>® Serv. rt di cuore Alesa. 0 Capoano. Fuori: Al molto 111/* et Ecc. mo S. r * P.ne Oss.® 0 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. in Giacomo Muti. Tanno Muti. [1228] 8 OTTOBRE 1616. 285 1228 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 ottobre 1616. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 14. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111.™ Sig. r mio Oss. mo Invio per il procaccio (li Fiorenza a V. S. un fagotto con quattro dello opre del S. r Fabio Colonna pure bora finite di stampare, cioè la prima et 2 a parte delle Piante più rare 10 , et la Purpura da lui osservata et ritrovata (,) . V. S. po¬ trà darne una alli SS. ri compagni per ciasch’ uno. Hebbi la scrittura (,) che V.S. m’avisa, et la diedi a coppiare per poterla mandare a V. S., come farò subito ch’io la rihabbia: intanto non gliene so dire cosa alcuna, non havendo havuto tompo di vederla. Il Sig. r Card. 1 Gaetano <4) si tratterrà ancor tutto questo mese fuori di Roma io nel suo stato : al suo ritorno, credo havrà effetto 1’ emendatione tM , come saprò subito et l’avisarò a V.S. La morte del Padre Maraffi (f,) apportò qui dolor grande a ciascuno che lo conosceva, et a me grandemente per 1’ affetto che so egli portava a V. S. Il Padre Grembergero et il Padre Gulden <7 \ molti giorni sono, fumo tro¬ varmi, mostrando buon affetto verso V. S. et disgusto dell’ essito de’ passati ne- gotiati, et massime il Padre Gulden, quale ha dato fuori un diffuso et pieno trattato {S) in diffesa del calendario contro il Calvitio, che intendo è molto lodato, che io sin bora (ancorché detto Padre me l’babbia cortesemente recato) non ho (*' Fa un Co i.umnak I.yncei mi» h» eognitarum rariorumqne nostro r.oel» orientimi stirpium EK'IjJ* A- SIS, qua non fiancar ali nutiquioribiu Theophrasto, Dioscoride, Plinio, Galeno nliisque descriptae, praeter illus in fusa, de hoc ipso animali aliieque rarioribu» testacei» qnibutdant. Ad lll." u,m et Rovor."""" Principoin ac Dominimi Incolumi Sanno- Riunì, 8 . R. E. Cardiimlem Ampi issi ninni, cum iconi- bus ox aoro ad vivum re presentati», olonclio rerum et indice. Rolline, MDCXVI, apud lacobum Mascardum. <*> Intende, l'Apologià del Campanella. Cfr. n.® 1223. 0' Bonifacio Caktani. «»> Cfr. 1111 .» 1187, 1189. ,6 > Luigi Maraffi. CD Paolo Guldino. < 8 > Refu tot io elenchi calendarii Gregoriani a Setho Calvitio eotucripli et opera Davidi * Origani editi OCC., auctoro Paulo Guldino. Moguutiae, ex officina typo- graphica Ioaunis Albiui, MDCXVI. 286 8-15 OTTOBRE 1816. [1228-12301 potuto logorio, poicl^ le mie foltissimo occupa turni domestiche non mi concedono quella libertà ch’io mi vado tuttavia procurando, Con che ricordandomeli obli -20 Ratissimo et desiderosissimo di servirla, bacio a V. S. lo mani, pregandole da N. S. r Iddio ogni contentezza. Di Roma, li 8 8. h " 1616. Di V. S. molto III." Àff. wa i»er sor.'* sempre F. Desi Line.® I\ 1229 *. ORSO D'ELCl a CURZIO PIUCHKNA fin Firww*). | Madrid), 13 ottobre ISIS. Aroh. di Stato in Firenao. Kilia Medicea 40IV Antofrafe la Ann». ....Al Sig. r Galilei già ho acritto d'haver pallaio col Sjg/ Conte di Lumino» della sua invenzione; e siamo restati ch’egli scriva duo lettere, una a! Sig.' Durarli 1 .ernia, e T altra al Conte medosimo, offerendosi di venir qua a proporla 0 dimostrarla e dar tolti quegli ordini che aarauuo neeesurii per uaarla.... 1 230 *. GIOV ÀNFRANCE8CO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 15 ottobre 1616. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Aulirai!, B.» LXXXVIII, u.® 60. - Autografa. Molto IH.» S. r Ecc. mo Dal corriero ho ricevuto i cagnolini ', con la scatola, tutto ben condittlonato. Io rendo infinite gratie a V. 8. Ecc. m * non solo a nome mio, ma ancora a nome di chi fu cagione che glieli ricchiesi, restandole l’uno et l’altro di noi obliga- tissimi. Si procurerà custodirli et conservare non tanto i loro individui, quanto ancora di propagar la spetio. Mi duole non haver alcuna gentilezza della qualità elio ella desidera, et che sia degna della persona alla quale havova pensiero di darla, poichò quanto di laro io mi ritrovo è impossibile che egli non ne huhhia. Di quell amico suo mi occorre aggiongero che potrebbe per aventura esser 10 aperta la via che quel gentil’ huomo si valesse di lui ; il che m* imagino che i'a- <" Cfr. n.® 1224. 15 OTTOBRE — 3 NOVEMBRE 1016. 287 [123012311 cilmento potesse seguire, se dal suo canto non saranno promosse, come si dice Iiaver fatto altre volte, nuove difficoltà.. Io però parlo per publica voce et fama, et non perchè quel gentil’ huomo communichi meco alcuno de’ suoi negotii, de’ quali manco io sono punto curioso, bastandomi che le cose sue passino bene, senza che mi siano communicatc. Sto aspettando con desiderio il suo Discorso circa il flusso et riflusso del mare 0 ’, per imparare qualche cosa in questo proposito, nel quale confesso non saper nulla. Non mancarò di pensarvi sopra, ma può ella comprender qual debba £0 essere il frutto delle mie speculationi. Et per line le buccio affettuosamente la mano. In V.«S a 15 ()tt.° 1616. Di V. S. Ecc. lua Tutto suo Ecc. mo S. r Galilei. G. F. Sag. Fuori , (Vultra mano: Al molto 111.™ S. 1 ' Eco."’ 0 11 S.*‘ Galileo Galilei. Firenze. 1231 . TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO in Firenze Napoli, 3 novembre 1010. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. X, car. 50. — Autografa. Io ho mandato a Roma et a V. S. una questione (! \ dove si prova theologi- camente ch’il modo di filosofare da lei tenuto è più conforme a la Divina Scrit¬ tura elie non lo contrario, o al meno assai più che non l’Aristotelico ; e questo, per via del* III." 10 Gaetano (,) : e non ho hauto risposta di V. S., come li piacesse. Ilora m’è capitato in mano un discorso di un Ravennate, contrario al filosofar suo e di Copernico 0 ’, et bavere! risposto se V. S. si fosse degnata significarmi c’ hab- bia hauto a caro la questione mia, e se li argomenti theologici non fossero stati da me sciolti, et li mathematici da Plutharco e Copernico et altri : et credo eli’a V.S. pareranno assai fragili et imbecilli, e furo anche sciolti nel primo libro de m le questioni mie contra li settarii di tutte nationi r) . Mora io son forzato da un amico a scriver a V.S. Costui è Fra Pietro di Nocera, huomo di sagace giuditio, c’ha fatto un inirabil vascello, ressistentead o» Cfr. Voi. V, pRg. 377 395. <*> Ufr. il.® 1223, lin. 0. < 3 > Bonifacio Carta ni. <*i Cfr. Voi. V, pag. 103-412. (*) Furono dato alla luco ventidua anni dopo, col titolo: Expontio auprr cap. IX Epùtolae Paul* Apostoli ad Romanoa, contro settario». Ad petitionem limiiu. do (bilami. Corniti» de Brossac, Chriatianis- siuiao Maioatatis in Rouiann Curia oratoria contra sectariosdisputaDtis.Parisiis,Thoussani Debray, 1636. 288 3 — 12 NOVEMBRE 1616. [ 1281 - 1282 ] ugni vento et artiglieria ; o vorrebbe, poi che qua » 6 fatta prova, dar la sua fatica al Serenis. ,no G. Duca, per mille rispetti che lui scriverà, et anche la forma e l’uso. Pertanto supplico a V. 8. che negotii questo col G. Duca, e mi n’avvisi quel che deve succedere e che farsi. Resto al suo comando, e sto quasi in libertà, e desidero vederla, e prego Dio per lei. Nap., 3 di Umbre 1616. Fuori: A Galileo Galilei, f ilosofo e MaLhem. Cy del G. Duca. Fiorenza. 20 1232 **. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 12 novembre 1G1G. Bibl. Naz. Fir. Mss. Dal., P. 1, T. VII, car. 255. Autografi la aottoscrialuoe c l’Indirizzo. Molto IU.« S. or Ecc." 10 Già due giorni solamente ho ricevuto le sue de* 22 e 29 del passato, le quali mi sono state portate per inano del portalettere da Udine; perciò sarà bene per P aveniro, per evitare così fatto disordine, che V. S. Ecc.®* invii le sue lettere al M. uo S. or Giulio Caopenna alla bolla, che esso me le farà capitare subito sicu¬ ramente. Circa il suo Discorso del (lusso et rofllusso del maro 10 , scorso da me, posso dire, a volo, non posso dirle altro se non che il principio trovato da lei è sotil- lissimo, verissimo e neccessario con tutte le consequenze considerate da lei, stante. 1’ hipotesi del motto della terra et sua rivolutione et stante la natura de’prog- io getti et fluidi, per la quale non pure si verriticarebbe il flusso et reiìlusso sensi¬ bile de’ mari, ma ancora l’insensibile dell'acque che sono rincchiuse in minime caraftine, le quali, proportionatamente alla loro grandezza, neccessariamente de¬ vono sentire l’accellerainento et rittardatione del motto della terra, e per con¬ sequenza patire i loro minimi et insensibili flussi et retflussi. Ma se questa dottrina s’ havesse a divolgare, so che 1’ humana ignoranza di tanti infiniti huomini, in¬ capaci delle sottilità del vero et della ragione, farebbe una bestiale ressistenza. Lett. 1U32. 5. farà capitarà — Cfr. u.“ 1280, lin. 17-18. [1232-1233] 12 ~ 13 NOVEMBRE 1616. 289 Con prima commodità di tempo rileggerò esso Discorso, e 1’ avisarò alcuno altro particolare. 20 Heri sera nell* Ecc. m0 Senato fu espellilo il S. 01 ' D. Giovanni ,n al campo in Friuli con honoratissime condittioni. Prego il Signor Dio clic prosperile sue at- tioni, a sua gloria et servitio della Republica. Per la partenza di mio fratello al suo regimento di Verona, sono caduti sopra di me tutti i pesi della casa e de* nostri negocii; onde se la naturai mia negli¬ genza ò stata sin qui sempre begnignamente escusata da lei, spero che per P ave¬ nire debba escusare maggiormente le mie occupationi. Ilebbi, già molti mesi, lettore da quel Dio. Batta Bellini che desiderava ve¬ lare al mio servitio; ma le condittioni che ho inteso di lui, mi hanno sgomentato, sì che non gli ho data alcuna risposta, riaverci bisogno di un giovane quetto et 30 savio, della natura del Germini, ma di riputatione inferiore, volendolo con titolo rii cameriere, et non di l'attore nò di cancelliere o scrittore, seben quando le condittioni sue et i buoni suoi portamenti lo ricercassero, col tempo vorrebbe anco migliore occasione di valersi di lui. Quel tale Ascanio Fioroni non s’è più veduto: non so per qual accidente: con tutto ciò se V. S. Ecc. ma haverà Lauto informatione, mi sarà caro intenderla. Et ringraciandola della diligenza usata iin qui, le bacio la mano. Di Venetia, a 12 Nov.'° 161G. Di V. 8. molto molto lll. re Tutto suo G. F. Sag. 40 Fuori: Al molto 111.™ S. r Ecc. mo Jl S. r Galileo Galilei. Firenze. 1233 . GALILEO a PIETRO DI CASTRO, Conte di Demos, [in Madrid], Firenze, 13 novembre 1010. Dal Tomo III, pag. 137, dell’ ediziono citata nell’informazione premessa al n.° 1201. Di Firenze, 13 Novembre 1616. Il desiderio di presentare a Sua M. Cattolica il mio trovato circa il modo di prendere in ogni tempo e luogo la longitudine, fu ravvivato in me dal Sig. Rettore di Villa Erniosa (2) , mentre mi dette speranza <*) Bartolomeo Leonardi d’àrgbnsola. 37 Ut Giovanni de’Medici. XII. 290 13 NOVEMBRE 1616. 11233 - 1284 ] clic tal negozio potesse essere intrapreso o favorito da V. Eoe.: e re¬ putai a mia grandissima ventura che egli avesse a cadere in mano di persona di tanta intelligenza, cortesia ed autorità, senza le (piali condizioni io averei diffidato 1' esecuzione del mio disegno. Di que¬ sto, oltre a quanto ne passai in voce e per Ietterò con detto Sig. Ret¬ tore ll) , ne scrissi anco a V. Kcc., o consegnai le lettere a Monsig. io Reverondiss. Vescovo Ronsielio fu favorito di passaggio sino a Mar sili a dalle galero sopra le quali V. Eco. ultimamente passò in Spa¬ gna. Ora, poiché sento che il Sig. Rettore non é appresso V. Ecc., uè son sicuro del recapito delle altro mio lettere, torno con questa a far nuova oblazione della mia invenzione a Sua Maestà per mezzo di V. Ecc., e ne scrivo anco all’ lllustrisa. ed Kccellentiss. Sig. Duca di lierma l: ”, con speranza che siccome non poteva far capo a SS. di mag¬ gioro autorità, prudenza od umanità, cosi il negozio abbia a sortire T esito desiderato. Io mando sopra questa materia una generale rela¬ zione al Sig. Iinlmsc. di Toscana 1 , acciò la conferisca alTEccel -20 lenze loro quando le sia di minore incomodo, non mi parendo di doverla di presento soverchiamente tediare. Io supplico V. Ecc. a degnarsi di ricevermi nel numero de’suoi più devoti servitori ed am¬ miratori di quelle virtù che tanto accrescono la sua grandezza ori¬ ginaria, e con ogni umiltà me T inchino, o gli prego dal Signore il colmo di felicità. 1234 . GALILEO a FRANCESCO DI SANDOVAL, Duca di Derma, [in Madrid]. Firenze, 13 novembre 101G. Dal Tomo III, |>*g. 136, dell’ edizioue citata nell’ informazioni* premei»» al n.° 1201. Di Firenze, IR Novembre 1610. La ferma speranza elio ho di porgere a Sua M. cosa lungamente cercata e desiderata, come quella che contiene 1' ultima perfezione della navigazione, mi ha dato animo (li far capo a V. Ecc. ed al- F Illustriss. ed Kccellentiss. Sig. Presidente d'Italia h \ come quelli che Cfr. nn.‘ 1201, 1203, 1212. Domenico Bonsi. '»■ Cfr. a “ 1234. '*1 CTr. Voi. V, puf. 423 425. «*> 0«si» d' Km». <•> II conte di l.iuns. 11234 - 12.151 13 NOVEMBRE 1616. 291 coll’ autorità, intelligenza e somma benignità possono essere ottimo mezzo a collegare il benefizio e 1’ utile di Sua M. coll’ interesse e sod¬ disfazione mia, sicché quella esibizione clic io con sincerissimo affetto fo a Sua M., possa incontrar quella grazia colla quale ella è solita io di abbracciare la devozione ed affetto de’ suoi umilissimi servi. Quello che io offerisco, è il modo di potere in ogni luogo e tempo prendere la longitudine ; ed in questo proposito scrivo a lungo al Sig. Imbasc. di Toscana (,) e ne mando una generale relazione, per comunicarla con V. Ecc. in tempo che gli possa essere di minor tedio, non inten¬ dendo io in questo di noiarla, ma solo di dedicarmegli per devotis¬ simo servitore ed ambizioso di avere avuto occasione di far pervenire il mio nome allo suo orecchie. E qui umilissii ri amente inchinandomegli, gli bacio la veste, e dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. 1235. GALILEO ad ORSO D’ELCI [in Madridl. [Firenze], 13 novembre 1616. Dal Tomo III, pag. 133-136, dell'edizione citata nell'informazione promossa al n.° 1201. 13 Novembre 1616. Mando a V. Ecc. 1’esplicazione in genere del mio trovato 121 , in¬ sieme colle due lettere per gli fllustriss. ed Ecc. SS. Duca eli Lerma c Conte di Lemos (:,) . Ora mi è paruto necessario sogghignerò a V. Ecc. alcuni particolari, per servirsene secondo che gli parrà 1’ occasione ricercarlo nel maneggio di questo negozio. E prima, V. Ecc. levi pure con resolutezza ogni dubbio che altri potesse mettere sopra la verità e sicurezza del principal fondamento dell’opera: perchè, se tutto ciò che hanno conseguito i periti di queste io professioni ne’ passati tempi, è stato mediante il benefizio degli eclissi lunari, benché così rari nè in tutto accomodati a prestarci quella esattezza di cui siamo bisognosi, non dovrà mettersi dubbio sopra il poter cavar benefizio mille volte maggiore da questi altri accidenti celesti, mille volte più frequenti e mille volte più puntuali di detti eclissi ; oltreché il dubbio sarà da me levato immediatamente ‘col mo- Lett. 1235. 9. perchè tutto — (M Cfr. n/> 1235. <*’ Cfr. Voi. V, pag. 423-426. < J i Cfr. un. 1 1229, 1233, 1234. 292 13 NOVEMBRE 1616. [1235] strare il fatto di sera in sera, e le stelle ed i loro aspetti da me pre¬ visti e notati anticipatamente, siccome io gli ho molte e molte volte fatti vedere a queste Altezze Serenissime. Bisogna bene, secondariamente, che non sia preteso da alcuno con chi fusse ordinato elio io trattassi questo negozio, che io possa in uno 20 o due giorni instruiro ogni soggetto propostomi, che ne divenga così padrone come lo som» io che ci ho consumato sei anni nel ritrovarlo; perchè gli artifizi grandi ed illustri non sono mai esposti in tutto ad ogni maggior grossezza del vulgo, e questo, elio è sottilissimo e pur ora nascente, ricerca d’ esser maneggiato con pazienza e studio, siccome avviene degli altri esercizi nobili: perchè mai non si sarch¬ iamo introdotto tra gli uomini la pittura, la scultura, la musica,. Partii del cavalcare e mille altre di grande ingegno, so tutti quelli a chi non succede di farsi in sei giorni perfetto scultore o pittore, musico eccellente 0 gran cavallerizzo, P avessero deprezzate e di- 30 smesse; 0 Parto stessa del navigare mal si sarebbe ridotta a tanta perfezione, se chi prima P esercitò con un piccolo 0 mal composto legnetto, P avesse deposto, disperato del poter mai contrastare 0 su¬ perare Eolo e Nettunno. Dico bene nondimeno che l’uso pratico della mia invenzione non ò più difficile elio molti altri che da migliaia 0 migliaia d 5 uomini sono appresi 0 esercitati ; anzi, Btando nella ma¬ rinaresca stessa, dico elio non ò più difficile che P uso della carta 0 del pigliar la distanza dalla linea, cioè la latitudine, per via di stelle fisse o del solo, col mezzo della balestrigli e coll’ intervento delle tavole del moto 0 della declinazione del sol»', operazioni giornalmente 40 esercitate da’marinari. Di più, siccome nell’osservare puntualmente i movimenti di queste stelle, e nell’applicargli all’uso del descrivere con somma esquisitezza tutte le carte geografiche e nautiche, io ho superato tutto le difficoltà, sicché nulla ci ò da desiderare, essendo operazioni che si fanno in terra col mezzo doli’ occhiale 0 telescopio da me trovato per tale uso, così ho anco trovati mezzi da poterle fare in nave, rimediando al disturbo dell’agitazione dell’acque. Finalmente, perchè i trattamenti per lettere, per la distanza de’luo¬ ghi, sono lunghi, ed è bene che il negozio si abbrevi quanto hì può, non mi permettendo nè l’età nè la robustezza del corpo che io mi 50 prometta lunghe dilazioni, sogghignerò a V. Eoe. quanto aveva pen¬ sato intorno al modo di effettuare questo negozio. 11235 ] 13 NOVEMBRE 1016. 293 Prima, non si potendo fare alcuna di queste cose senza V osser¬ vazione delle nominate stelle, e non essendo questo nè visibili nè osservabili senza perfettissimi telescopi (chiamo telescopi questi oc¬ chiali con i quali io moltiplico la vista quaranta (5 cinquanta volte sopra la vista naturale), è necessario elio io abbia ordine o tempo di farne fabbricare almeno un centinaio, per condurli costà, acciò sieno distribuiti a chi ne averà di bisogno. Ho pensato poi di venire, fio e di condurre anco meco persona intelligente ed in buona parte in¬ strutta in questa materia, di complessione forte, e atta a quelle fati¬ che che già cominciano a superare le mie forze. Penso di restar costà sinché io abbia fatto vedere il tutto a S. Maestà ed a cotesti SS., che senz’ altro ne riceveranno diletto, e massime facendogli io vedere molte altre novità, ritrovate da me in cielo pur col medesimo tele¬ scopio. Dopo questo comunicherò tutta l’invenzione a chi piacerà a Sua M., con lasciare anco, bisognando, la medesima persona in luogo opportuno per instruire quanti e quanto sarà necessario, acciò si possa perpetuare questa opera ; ed in tanto mi obbligherò, durante 70 la mia vita, di dare ogiv anno al tempo debito 1’ effemeride degli aspetti di queste stelle, calcolati di giorno in giorno cd ora per ora, onde ogni notte ed in ogni luogo si possa conoscer la longitudine. Di più, oltre all’ instruire c lasciare chi in atto ed in voce instruisca quelli che debbono esercitare la professione, darò a Sua M. copioso e chiaramente spiegato discorso e trattato in iscrittimi di tutta que¬ sta parte della nuova astronomia, acciò gli astronomi futuri possano perpetuare la scienza, e ne’ tempi avvenire non solo continuare le calcolazioni di tali movimenti, ma andarle di tempo in tempo emen¬ dando e raggiustando sempre più, come accade de’ movimenti degli so altri pianeti, già migliaia d’ anni osservati. Circa 1’ aggiustamento delle carte nautiche e geografiche, si farà con questo nuovo artifizio in pochissimi anni infinitamente più che non si ò fatto in tutti i secoli decorsi, poiché non ci si ricerca altro che T andar una volta per luogo e dimorarvi due o tre giorni ; o questo potrà esser fatto da quelli che ci vanno per altri loro negozi. Ma quando Sua M. fusse desiderosa di effettuare in breve tempo una impresa così nobile qual sarebbe una giustissima descrizione di tutti i suoi regni e della maggior parte del mondo, col mandare uomini apposta, presto si spedirebbe, non vi bisognando più tempo di quel 204 13 NOVEMBRE 1616. 11235] elio si consumasse nell’ andata o noi ritorno ; essendoché per faro % no’ luoghi particolari quelle osservazioni elio sono necessarie, non ci bisogna aspettare occasioni e tempi opportuni, essendo le mio osBer- vazioni in pronto ogni notte. In somma, questa è impresa illustre o magna, poiché e intorno a suggetto nobilissimo, riguardando la perfetta descrizione dell’ arto navigatoria ; ed il mezzo con elio procedo è ammirabile, servendoci de’ movimenti ed aspetti di stelle osservato con instrumonto che tanto e tanto perfeziona il nostro più nobil senso. Io in questa materia ho fatto quanto da Dio benedetto mi ò stato conceduto di poter fare: il resto non ò impresa da me, che non ho nò porti nò isolo nò prò- ioo vinco nò regni, nò anco navili elio gli vadano visitando, ma ò im¬ presa da un gran monarca o dotato d’animo veramente regio, clic voglia col favorirla aggiugner all’ immortalità del suo nomo il farlo vedere scritto per tutti i futuri secoli in tutte lo descrizioni de i mari e della terra; nò altra corona si trova ora al mondo a ciò più proporzionata che quella di Spagna. Tale fu il giudizio di queste Sere- niss. Altezze, subito che io conferii loro la mia invenzione. Restami por ultimo il raccomandare di nuovo alla prudenza di V. Ecc. la mia reputazione e quiete. Non che io ci metta dubbio alcuno, per quel che depende dalla persona di Sua M. e di questi no due Ecoellontis 8 . SS. a i quali io scrivo, della benignità, umanità e grandezza d’ animo de i quali canta palesamento la fama ; ma perchè talvolta accade, e massime nelle gran corti, il dovere uno eminente in qualche professione soggiacere a’giudizi di tali che intendono sotto la mediocrità, infelicità la quale io ripongo tra le maggiori che acca¬ dano a gli uomini, e perchè colla poca intelligenza va sempre ac¬ compagnata l’invidia, fregiata anco bene sposso con qualche poco di malignità, nò io credo che si trovi nel mondo odio maggiore che quello dell’ ignoranza contro il sapere, però non ò senza ragione se io ci lo sopra gran reflessione, e no ricorro per iscudo al favore dell’ accor- 120 tezza e prudenza di V. Ecc. : e sebbene io son sicuro che, palesando io il mio trovato, egli è per essero resolutamente messo in uso e som¬ mamente stimato in questo o in altro tempo, poiché altro modo non ci è, nè miglior di questo si può anco immaginare o desiderare, nul- ladimeno io non vorrei aggiugnere alle fatiche durate un travaglio 92. occasioni <1 tempi — 13 NOVEMBRE 1G16. 295 [ 1235 ] all’ animo e nuovo disagio alla vita, per ricompensarlo una volta con quel poco di gloria che dopo morte fusse renduta al mio nome. 11 mio fine ò di apportare a Sua M. cosa nobile ed utile : questa mia buona intenzione è stata laudata e fomentata da queste Sereniss. Al¬ ito tozze, desiderose d’ ogni piacimento di Sua M. : non debbono questi affetti altro contraccambio ricevere che di grazia, e questo si spera da Sua Maestà, e dall’umanità di chi proporrà o maneggerà questo negozio. Poscritta. Io ho scritto altre volte al Sig. Conte di Lemos, e consegnai la lettera al nipote del Sig. Card. Bonsi C1) , che passò a Marsilia sopra le medesime galere che condussero ultimamente in Spagna detto Sig. Conte. Dubito che si sia smarrita, poiché non ho inteso nulla, nò anco dal suo segretario (2> , al quale pure scriveva : e forse questa ò uo la causa che il Sig. Conte non si è mostrato così acceso coinè ne aveva data intenzione detto suo segretario, il quale mi aveva detto, insieme con altri di casa del Sig. Cardinal Borgiache già era stata stabilita più tempo fa certa recognizione di onore ed utile a chi avesse portata l’invenzione che io propongo; il che potrà V. Ecc. facilmente intendere. Quando il negozio si annodi c che io debba ve¬ nire costà provvisto delle cose necessarie, sarà conveniente che io possa farlo senza dovere aggravare nò il mio Padrone nò la mia tenue fortuna ; il clic metto solo in generale in considerazione a V. Ecc., intendendo io di avere sopra tutto riguardo alla mia reputazione, non i5o meno per quello clic ha da derivare da me stesso, e massime essen¬ dosi, sin dalla prima volta clic se ne scrisse a V. Ecc., interessato in certo modo il Sereniss. nostro Padrone. Scusimi se sono stato nello scrivere prolisso, e forse in alcuna parola troppo libero ; perchè la distanza de’ luoghi ed anco il negozio stesso, per diversi rispetti, non ammettono il poter ritornare per molte repliche sopra lo medesime cose; e quello che liberamente scrivo, non dee passare oltre la vista di V. Ecc., alla quale fo devotissima reverenza. 130. Sig. Cav. Jionsi — MG. provvisto dulie cose — 156-157. vista V. Ecc. — l'i Domenico Bossi, nipote del Card. Oio. Bat¬ tista Bossi. Cfr. n.» 1233, liu. 9-11. U) Bautoi.omro Leonahdi d'Auukssoi.a. * 3 > Gasparo Bokui.v. 296 16 NOVEMBRE 1616. [ 1286 ] 1236 ** BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze], Pisa, 1(5 novembre 1616. Bibl. Naz. Pir. Mi*. Uni., P. VI, T. X, car. Iti. Autografa. Molto Ill. ru et Eco.'"" Sig. ro e P.ron Col.»" 0 Servirò V. S. con mandargli i cantucci e gl’aranci per Michele, questa set¬ timana die entra; ma per non faro errore o spirituale o temporale, già ohe hanno da servire per le monache (<) in quest’Avvento, desidero sapere se hanno scro- polo die siino con 1’ova o senza. Quanto al Sueellotto (sir), non occorre che li dica che può disporre della vita mia in ogni conto, e tanto più trattandosi di servire i nostri Ser. ,ni Padroni: però mi sarà carissimo il sentir di questo negozio nova. Et io all’ incontro, per dar gusto a V. S., li mando P inclusa w di I). Eugenio, scrittami di Perugia: e sappia clic io tengo ancora lettere particolari di quid molto Rev.‘ , ° Abbate, che mi ringrazia io dell* officio che passai col Ser. m0 Or. Duca nel mio ritorno da Perugia; e venen¬ dogli occasione, desiderarci che V. S. ne passasse parola con Madama Scr. ma , anzi col Sor." 10 (ìr. Duca stesso et con Pili. 1 " 0 Sig. r Cardinale m % acciò conoschino la particolar devozione che porta la Congregazione Cassinense a questa Ser.“* Casa. Quanto poi alla scola, sappia V. S. che ogni giorno mi crescono le fatiche, ma con tanta riputazione della bottega, che non so elio desiderar più. Ilo osservata di novo la constellazione della prima dello tre stelle nella coda dell’ Orsa maggioro post educlionem caudac , e mi ò parsa tale la constituziono con (limila che se li vede vicinissima con la vista naturale e quell’ altra visibile solo con l’occhiale: quella notata A è la prima delle tre ctc. ; quella notata B è la vi- 20 cina etc.. e finalmente quella notata C ò la visibile con l’occhiale. Ma [{ se mal non mi ricordo, questa estate a Bellosguardo la C era tal¬ mente situata con l’altre due, die in lei si formava un angolo ^ retto, tirando le linee dalla C alla B et A. Però V.S. ci faccia un ^ puoco di refiessione, quando ne h&bbia comodità ; et in tanto mi conservi suo servitore, come li sono. Pisa, il 16 di Ombre 1616. Di V.S. molto lll. ro et Ecc. ,n;l Oblig. mo Sor/ 8 e Dis.*° D. Benedetto Castelli. Lett. 1236. 18-19. la conititvtìone con con i/iitlla • 'i luti*lidi, del monastero di S. Matteo io Ar¬ retri, dov' erano lu figlia di Galileo. •** Non è presentemente allegata alla lettera. (*' Carlo uk - Medici. [1237-1238] 28 NOVEMBRE — 24 DICEMBRE 1616. 297 1237 *. GIÙ. BATTISTA BONS1 a GALILEO in Firenze. Roma, 28 novembre Itilo. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 120 — Autografa la sottoscrizione. 111.** e molto Eec. t0 S. ro La cortese dimostratione clic V.S. lia voluto darmi, per la gratissima sua, della memoria che tiene di me e della partieolar affezzione che ella mi porta, ec¬ cede tanto il merito della prontezza ch’io posso haverle mostrata nelle sue oc¬ correnze, eli’ io la ricevo più presto in testimonio della sua amorevolezza che in segno di quanto ella confessa dovermi. No la ringrazio pertanto con tutto l’animo, e l’assicuro che in corrispondenza dell’ottima volontà eli’ella mi conserva, mi troverà sempre paratissimo ad impiegarmi in ogni occasione di suo servizio. Che così mi olierò a V. S. con tutto 1’ affetto, e le prego da Nostro Signore Dio quanto io desidera. Di Roma, alli 28 di Nov. r ® 1616. Di V. S. Come fratello Aff. mo S. r Galileo Galilei. 31 Card. 1 Don si. Fuori: All* 111. 1 ' 0 e molto Ecc. te S. 1 ' 0 Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1238 ** MALATESTA PORTA a GALILEO |in Firenze]. Rimini, 24 dicembre 1616. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 17. — Autografa. Molto Ill. re et Ec."*° S. ,e P.rone Oss. ,uo Con l’ordinario di Roma ricevei giovedì prossimo scorso la lettera di V. S. Ec. ma delli 12 del passato, e doveva capitarmi per via di Bologna ; onde mi faccio a credere che sia stata portata inanzi, e poi rimessa. Tardi o per tempo, non XII. 38 298 24 DICEMBRE 1616. [ 1238 ] poteva essermi elio gratissima por ogni rispetto, ma particolarmente perchè mi ha levata la dubietà che mi dava pensiero intorno all’occoltatione di Marte (l) : e mi vengo accorgendo essere verissimo quello clic disse il Padre Clavio intorno al senso del Copernico, di emendare i periodi de’ pianoti, ut tnirutn sane sit, Derni optimum maximum planetarum mutua tuntis diffiniitatibus obstruere voluisse, ut nemo hominum eos perfede assegni possit ctc., poiché dopo tanti secoli si ò conipiac- io ciuta la Divina Maestà di scoprire, col mezo di V. S., tante e si fatto maraviglio nella luna, nel sole o ne’pianeti, ch’io, per me, non so qual pensiero humano avisi di più oltre avanzarsi, e troppo si restano mal sicure le dimostratami di Tolomeo o tanti altri assiomi. Il sistema del Copernico, oltre alla dillicilezza del capersi, non si approva da più alta scienza, et il Padre Foscarini<*> viene, in quella sua lettera al suo Generalo sopra quosto o P altro de’ Pittagorici, espressamente mortificato. Ma ciò che sia che l’adoperi, non veggo più dimostrativa cagiono per difendere o saivaro e la passata fuga di Marte e P altre apparenze, su le quali si sono formati più circoli che non seppero mai formare Malagigi et Ismeno. Ma non posso io faro l’osservationi ch’ella scrive, della minore o maggioro ap- 20 paranza de’ pianeti apogei o perigei, perché non posso incontrare in telescopio che ci arrivi, con tutto che ci ho speso parecchi scudi, nò veggo Saturno se non di questa figura -di»-, e l’ombroso paro di color ben azuro, effetto del cristallo. Dio lo perdoni a V. S. Non ho fatta diligenza per riveder Marte per lo mie troppe occuppationi, alle quali s’ò aggiunta una lite diabolica, oltro all’es¬ sere sempre il cielo carico di nebbie 0 di nuvoli: ma voglio ad ogni modo ve¬ derlo, s’ ò visibile. Mi confesso intanto singolarmente ubligato all’ amorevolezza di V. S., alla quale desidero anche dover obligo maggioro, quando olla si compiacerà favorirmi intorno all’altro motivo dell’ascendente di Rimino, s’ella tiene che sia lo Scorpio so con la comune, 0 se ha visto alcuno clic le dia il Granchio, e so giudica il me¬ glio accostarsi ad essa comune o almeno alla più parte, che a particolare opi¬ nione o congettura e traditione. Torno a supplicarla di questa grazia con ogni suo agio, et a persuadersi di bavere in Rimino un così divoto servitore e tale ammiratore del valore di V. S., quant’altri 0 ’lmggi viva: e col pregarle felicis¬ sime le feste del Santissimo Natale, e così pieno di felici conseguenze tutto il nuovo anno, con molti appresso, quanto si saprà la prudenza di V.S. desiderare e spe¬ rare, le faccio riverenza. Di Rimino, li 24 di Decembre 1G1G. l)i V. S. 111."* et Ec. ,n * Dirotta. 1 " 0 e perpetuo Ser. ro 40 AU’Ec.® 0 S. r Galileo Galilei. Malatesta Porta. <«> Cfr. n.° 1225. <*> Cfr. n.° 1100 [1239] 31 DICEMBRE 1016. 299 1239. VIRGINIO CESARINI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 31 dicembre 16143. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 257. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. mo Mi giunse gratissimo 1’ arrivo del S. r Giovanni Ciampoli, unito con la corte¬ sissima lettera di V. S., nella quale ella si mostra meco prodigo di quelle lodi che da me appresso lei non sono meritate se non in picciola parte, cioè mentre 1’ ammiro o formo giusto concetto di riverenza verso la dottrina che ’n lei ho veduto risplendere; la quale, ancorché sia di materie sublimi e sopra la sphera degli intelletti vulgari, contuttociò viene da V. S. sì dolcemente dichiarata, che a me non si celò, ancorché pochissimo esperto nelle mathemathiche, quando ella l’inverno passato mi honorava della sua desideratissima conversatione, in cui io quanto maggiore conobbi la differenza de gli suoi ragionamenti dagli consueti, tanto superiore fu il concetto elio mi restò impresso di lei; dal quale son sfor¬ zato, benché lontano, a rivederla con l’osequio dell’ intelctto spesse volte et a desiderarla presento, tanto piò clic la sanità più felice che ora godo mi rende¬ rebbe più atto ascoltatore delle sue contemplationi, da cui l’anno passato conobbi nello sue visite un maraviglioso rimedio, clic mi sospendeva 1’ animo dalle mole¬ stie della infermità. Ma già che a me non si concede questa fortuna, che bra¬ merei sopra ogni altra, non mancherò spesso no’ ragionamenti, che abbiamo di continuo il S. r Ciampoli et io, di honorarc con la nobile commeinorationo di lei i nostri studi, poiché ambedue concoremo del pari in riverirla et a sottomettere 20 gli ingegni oluscati al suo chiarissimo lume, il quale non meno partorisce in me et in altri tenebre d’una ingenua et allegra confusione, di quello elio asperga chiarissimi raggi di gloria al suo nome ; il quale (se 1’ humiltà, congionta alla sua prudenza, le lascia scorgere sinceramente il vero) di già gode sicura caparra del- l’inmortalità, mentre si è scritto nel cielo con stelle avanti non conosciute, o fra noi risuona seguito da infinite spcculationi, intentate ag[li] spiriti eminenti. Quanto dunque più ardente e giusto [è] il desiderio eh’ havrei di satiare gli orechi delle sue parole, tanto più facile, in luogo di quelle, sia l’impetrare da V. S. le sue lettere ; di che mentre la suplico d’onorarmi, le bacio le mani, augu¬ randole felicissimo 1’ anno novo. 80 Di Roma, il dì ult.° del 1616. Di V. S. molto Ul. ra Aff. mo Ser. 1 ' 0 Virginio Ce sari ni. Lett. 1239. 25. intentante — 300 31 DICEMBRE IBI6. [im] 12 40. GIOVANNI CIAMPOLI » GALILEO fin FirenseJ. Roma, .'Il dicembre Ifilfi. Bibl. Nft*. Flr. Mn. ‘ini-. P. I, T. VII, - *r. 2 > 9 . Aotofnf». Molt’ 111/" et Ecc. ,no S. r " e I\ron mio ( >Rs. mo Vivo pii! elio mai devoto servitore di V. S., e vorrei che, conforme all'affetto et alla venorationo elio io lo porto, mi bì porgesse occasione di testificarle lamia servitù. So i suoi comandamenti vorranno una volta provarsi a vedere se io devo esser messo nel catalogo de i servitori disutili totalmente, io non recuso di venire a questo cimento, anzi no la supplico, perchè io spero che dalla prontezza dol desiderio siano per ricevere augumento le mio poche forze, b\ che in qualche parto ella non si havesse a distorre dal reiterarmi le gratie d’altri suoi coman¬ damenti. Io qua mi trovo con ottima sanità. Venni per alloggiar dal S. r Don Virginio 01 io due giorni, o la cortesia di questo Signore non mi vuol lasciar partire; si che mi credo che per questa invernata riceverò il commodo e la gratia profortami con sì affettuosa instanza che non mi par lecito il ricusarla, anzi al genio mio è desiderabilissima, particolarmente seguendo ciò senza una minima diminutiono della mia solita libertà. Le lettere di V. S. son desiderate da noi infinitamente; e s’ella si risolvessi a farci gratia di qualche suo discorso, corno tanti ne ha fatti per lettere ad amici suoi, io non so dove ella possa inviare le maraviglie del suo intelletto, dove più siano ammirate o stimate. Al S. r Don Virginio ella farebbe piacere singolarissimo ; o principalmente per potere bene comprendere le sue speculai ioni, si vuol tutto 20 applicare questo inverno alle matematiche. Signor mio, noi dileggiamo cose di prezzo inestimabile, a chieder frutti della sua mente : il merito del S. r Don Vir¬ ginio, e quel devotissimo affetto con che io la roverisco, non facciano riuscir vana la nostra petitione. <*on questa speranza io finirò per non tediarla, pregandole felicissimo principio di questo e molti anni appresso, con augumento di sanità c d* ogni altro più bramato bene. I)i Roma, il d) ult.° di Xmbre 1616. Di V. S. molto III.”* et Ecc. ma Devot. mo Ser." S. r Oal.° Giovanni Ciampoli. Oi Virginio Chiarini. [ 1241 ] 7 GENNAIO 1617. 303 1241 ** BENEDETTO CASTELLI & GALILEO in Firenze. Pisa, 7 gennaio 1017. Bibl. Nnz. Fir. Mss. «al., T. Ili, T. VII, 2, car. «2. — Autografa. Molto Ill. ro et Eco." 10 Sig. r e P.ron Col." 10 Per P osservazione della Canicola ho ritrovato un luogo nel quale si potrà collocare il lumicino, e rii poi allontanarsi 150 braccia in circa per osservare: e quanto prima il tempo me ne dia licenza, mi metterò all’impresa. Venere la¬ vora tuttavia, ma non ò ancora ridotta al semicircolo (,) . Non manco d’andar in busca di stelle fisse; ma non trovo cosa al proposito, fuor die le avvisate nelle passate. Desiderarci che V. S. Ecc. ma , concedendoglielo la sanità, una sera desse un’ occhiatina a quella stella di mezo delle tre che sono nella coda del- 1’ Orsa maggiore, perchè è una delle belle cose che sia in ciclo, c non credo che io per il nostro servizio si possa desiderar meglio in quello parti. Quanto alla scola mia, a dire il vero, è più in fiore clic mai, havendo quat¬ tro giorni sono cominciato a leggere a cinque gentilhuomini Genovesi, tutti delle familie nobili. Gli meglio scolari di filosofia del Ho (S) vengono alla mia bottega, con grandissima sodisfazione e loro e mia ; e non passa giorno che non si faccia la comedia dei spropositi, et universali della Peripateticheria, e particolari del prelibato Ho: e credami V. S. che io posso dir d’haver messo il piede della ri¬ putazione nelle fantasie di questi Signori, di modo che non Ilo occasione d’haver timore di lingue maligne. Sto eternamente in casa, e quasi sempre occupato con scolari. Il tutto gli scrivo, perchè so quanto siino a V. S. a cuore le cose mie; ' 2 o e credami che ò tutto vero, da quell’obligatissimo servitore che li sono. Pisa, il 7° di Gennaio 1617. Di V. S. molto 111. 10 et Ec. ma Oblig.™ 0 Ser. rA o Dis. ,n I). Benedetto Castelli. Fuori : Al molto Ill. r ® et Ecc. rao Sig. r e P.ron Col. m ° Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. «> Cfr. n.° 476, lin. 84, e n.° 479, Un. 26. cora fino a pochi anni or sono 1’ Università a Pa- ,s ' Col uome di Bo, cioè Bue, chiama vasi an- dova. 302 7 — 20 GENNAIO 1017. 1.1242-1243] 1242 *. 610. ANTONIO ROFFENI n GALILEO in Firenze. Bologna, 7 gennaio 1617. Bibl. Nuz. Pir. Mu. «Sai.. Nuoti Acquiati, n.® 16. Autografe. Molto 111.™ et Ecc. mo S.™ e P.rone, 1/ Eco. 010 S. M Gio. Antonio Magini, suo servitore, fra poche bore, se ne passa di questa a racglioro vitta, oppresso da ni ale di pietra, ardore d’ori na, continua febre, mancamento di forze e mille gravi o noiosi accidenti che lo precipitano e fanno volare alla morto. Io ho risoluto darne conto a lei, e insieme ancorn ad avisarla so havesse alcuna pretensione nella prima cattedra di questo Studio di mathematica, e che ci voglia applicare l'animo e che dichiari a me lo dessi- dcrio e pensiero suo. L’assicuro che a mo darà l’animo farlo sortire con molta reput&tiono et honore il tutto. Dissidero sommamente servirla in ogni interesse, o gli bacio le mani. l)i Bologna, li 7 Genaro 1617. Di V. S. molto Ul. r * et Ecc. m » Aff. mo c vero Ser. r " Gio. Antonio Eoffeni. Fuori: Al molto 111.™ ot Ecc. mo S. 1 ^ P.rone mio Osa. 010 11 Sig. r0 Galileo Galilei, Matli. 0 del Ser. ,no G. Ducca di Toscana, a Firenze. 1243 *- GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a [GALILEO in Fironze]. Venezia, 20 gennaio 1617. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Cainpoii. Autografi, U.» LXXXVIII, n.® 16. — Autografo lo 1 in. 27-80. Molto 111.™ Sig. r Eec. mo Ringratio molto V.S. Ecc. raft della diligenza usata da lei por liavcr l’infor- mationi ch’io desiderava ma sì come quelle ch’ella ha potuto bavere ver¬ sano circa lo qualità occulte et impenetrabili, così quelle che sono apparenti et certe riescono tanto incompatibili al mio bisogno, cho non credo certo poterlo io <»■ (Jfr. u « 1287. 20 — 2G GENNAIO 1617. 303 [1243-1244] comportare: onde se costì ella potesse bavere soggetto più a proposito, stimerei grandemente questa buona fortuna. V. S. Ecc. ma la prima volta ha havuto molta buona mano; se ella potesse haver la medesima ancora in quest’altra occor¬ renza, mi stimerei molto fortunato. io I cagnolini 10 son venuti molto grandi; ma il barbino si fa tanto bello, che è una maraviglia. La cagnola è alta et lunga, ha brutto pelo, nè lungo nè corto, e macchia rovana più tosto che rossa ; in conclusione non pare sorella del bar¬ bino, granosissimo et bellissimo. Io non di meno, che mai più ho veduto di questa razza di cani se non di ettà maggiori d’un anno, non saprei far certo giuditio; sì come ancora quattro poledri comprati in un anno mi sono riusciti di bellezza tale, clic ancora mi pare impossibile che siano quelli che mio fratello comperò. Mi sarebbe caro, se V. S. Ecc." ,!l se lo raccorda, sapere quando nacquero essi cagnolini. Credo haver mandato a V. S. Ecc. ,na , già alcuni mesi, una lettera del S. r Cre- 20 monino, nella quale, se ben mi raccordo, prometteva pagarla a questo principio di Studio (,) : bora, solecitato da me, ha scritto già due setimane le incluse (3) , le quali io mando a V. S. perchè mi scrivi quello che se gl’ habbia a rispondere, temendo io che la cosa debba andare molto alla lunga. Delle mie occupationi io non le dico altro, se non eli’ io fo la penitenza del- l’otio de gl’ anni passati, et mi consolo con la speranza di quello de gl’anni ven¬ turi, doppo il ritorno di mio fratello (4) . Non altro, per freta; faccio line, et le buccio la mano. 30 In V.“, a 20 Gen. 1G1G (8) . Di V. S. Ecc."’ a Tutto suo G. F. Sag. 1244. TOBIA ADAMI a GALILEO in Firenze. Norimberga, 20 gennaio 1017. Bibl. Nnz. Fir. Mss. (ini., P. I, T. Vili, car. 7. — Autografa. Molto 111. 1 ’ 0 S. r mio Oss.‘"° Sì come hebbi grandissimo contento, stando in Firenze, di conoscer le segna¬ latissime virtù di V.S. e quella eccelsa industria che prima ci ha scuoprita le celesti meraviglie, a tanti secoli nascondite, eil restai insieme sommamente tenuto alla sua cortesia e amorevole affettione verso di me; così bora, ha vendo finalmente in Civ. n.° 1230. <*> Cfr. ».“ 1224. (*> Non sono presentemente allegato alla lotterà. ai Cfr. n.» 1232, Un. 23-20. < B > Di stile veneto. 304 26 GENNÀIO 1617. [ 1244 ] a buon termine ridotto (grazia a Dio) i lunghi nostri viaggii, e trovandomi in patria alcuni mesi sono, non posso mancare di non sospirar molte volte per la felice vostra conversazione ed affettuosissima gentilezza ; e questo tanto più, quanto manco l’occasione mi volse far commodità di saper delle osservazioni vuostre, senza ogni dubbio con somma diligenza continovate mentre sto fuora d’Italia, io D’Inghilterra erano, se non m’inganno, I*ultime mie a V.S., raccommendate in mano del molto HI.™ S. r Francesco Quaratesio, mio gran amico, residente al¬ libra nella corto ili quel Ite de parte del S»*ren. n, ° Gran Duca. Stava io aspet¬ tando con singoiar desiderio di trovar qualche bolle cose della vuostra celestini guardia alla mia tornata in Alemanna; ma ancorché io bavessi posto ogni dili¬ genza ili spiar ancor in Frao coi urto per tutte lo librarie, so dalli parti di là dall' ingegno di V. S. fosso venuto qualche parto, con tutto ciò non ho potuto penetrar fin qui nulla. Credendo però cosa impossibile clic in tanto tempo da V. S. non sia cosa vista, benché noi di qua «le i monti siamo privi, supplico dun¬ que officiosamente, se V. S. tra tanto, o del suo gran sistemate o dello altre os- 20 servazioni o ragionamenti o disquisizioni philosophiehe, bavesse publicato qual¬ che cosa, si degni di avisanni e farmene parte, almanco corno ci è succeduto con li movimenti delle due stelle Saturnie dopo la mia partenza. Del nostro Campanella, si ò vivo o morto, si libero o nella prigion antieba, non sento nulla; spero medesimamente, V.S. non lasciarti di dirmi quel che sa, pregandola a porgermi occasioni di servirla, come ne son desiderosissimo. Con questo bacio cordialissimamento a V. S. le mani, ed al S. r Cavnlliero Cosiino Ki- dolli, od al Padre I). Benedetto de Castelli». Il Nostro Signore Dio vi conceda ogni felicità e contento, e buon Capo di anno. Di Norimberga, li xxvi di Gennaio, che mese come tutto questo inverno a 3u noi fa tempo molto strano, si elio quasi adesso lmvemo la primavera, con li fiori e calore non usato altramente in questi paesi, di elio ognuno si maraviglia. 1617. Di V. S. multo 111."’ Le sue piacerà a V.S. raccommendar in Pisa al li S. ri Scheurlin e Pfaut, mercanti Tedeschi di Norimberga, chi tengono casa là, de donde sicu¬ ramente ricapiteranno nelle miei mani, benché rade volte mi trovo in questa città di Norimberga. Serv.™ Affett." 10 Tobia Adami. 40 Fuori : Al molto 111.™ S. ro mio Oss. ,uo Il S. 1 Galileo Galilei, Nobil Fiorentino, filosofo e Matematico primario del Seren.* 0 Gran Duca di Toscana. Fiorenza. [1245] 3 FEBBRAIO 1617. 305 1245. FABIO COLONNA a GALILEO [in Firenze]. Napoli, 3 febbraio 1017. Bibl. Naz. Fir. Mss. Uni., P. VI, T. X, car. 19. — Autografa. Molt’ 111. 0 et Ecc." 10 Sig/ mio Oss. 1 " 0 Carissima m’ è stata la lettera di V. S., per conoscere die molto me ami et me tenga per suo affetionatissimo, come certo che lo sono, ammirandola per la sua rara virtù, che certo non potrà mai esserle oscurata. Qui non è chi parla di cose appertencnti allo cose celesti, sì perchè non vi è persona ne sappi veramente, se non il nostro Stelliola, il quale sta anco animoso, et haverà V. S. a quest’bora potuto saperlo dall’indice stampato, che forsi, se n’ havo anco havuto V. S., le manderà il S. r Prencipc quanto prima, che detto S. ro Stel¬ liola ha stampato in Napoli (lolla sua Enciclopedia : nella quale si contonono io molti trattati appartinenti a tali cose; et sta in animo, se haveràil S/ Prencipe voluntà, di far stampare il trattato De dimensione cadesti quanto prima, donde chi l’intenderà, conoscerà la verità del sistema qual sia per quella strada, come anco dal trattato della proprietà del centro et delle apparenze de’ movimenti, che ha posti nella XI partitione della sua Enciclopedia, di clic credo V. S. bavera gusto. La lettera del S. r Pietro Giacomo Failla per ancor non ho data, perchè fin bora non ho possuto haverne nova tra’ amici virtuosi et librari. V. S. me farà grafia avisarmi di che natione sia o paese, et chi sa tenga per amici o per prat¬ ica, chè cosi facilmente ne bavero nova; in tanto ho commesso tra’Calabresi se ricerchi, già che nè meno fra questi Padri del Carmine ci n’è notitia, che vi 20 sono amici di quel Padre et della natione. Io sto intorno alli Spiritali di Ilerone, perchè se possano mandar fuori, havendo riformate quasi tutte le machine, mancandovi proportioni et raggioni, quali dichiaro come ho saputo trovar per experienza. Con ciò, aspettando da V. S. sempre alcun comandamento, lo fo riverenza et baso le mani, et prego Nostro Signor le doni lunghissima vita con salute, per beneficio do’ virtuosi et chiarezza della verità. Di Napoli, li 3 de Febr. 0 1617. Di V. S. molt’ 111.® et E. Afl>° Se/ 0 Fabio Colonna Linceo. Fuori : Al molt’ 111. 0 et Ecc."' 0 Sig/ mio Oss. mo so II Sig/ Galileo Galilei, Matem/ 0 del Sereniss. 0 S/ Gran Duca di Toscana. (M Encyolopedia Pytkagorca mostrata da Nicolò stantino Vitale, MDCXVI. Antonio Stklliola Lynceo. In Napoli, appresso Con- XIL 39 30G 7 FEBBRAIO 1017. 11246] 1246 * GIOVANFRANCESOO SAGHE DO n l GALILEO in Firenze] Venezia, 7 febbraio 1(517. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.« LXXXV1I1, n.° 57. — Autografe le Un. 84-90. Molto 111." S. r Ecc. mo Non sapendo in qual miglior modo ricrearmi quest’ultimo giorno di carne¬ vale, vengo a scrivere a V. S. Ece. 1 ®*, la memoria della quale più mi consola eh’ ogn’ altro gusto, et tanto maggiormente, quanto elio ricevendo io spesso let¬ tere da lei, m’accerto più dell’amor suo et della sua salute. Il Germini 10 in’è stato sempre raccommandato, cosi per la buona riuscita, fondata sopra la bontà della sua natura, come ancora per dipendere da lei; nè si mancherà di incaminarlo in quei maneggi più importanti, onde a lui et a noi possa riuscirne maggior benefitio. Egli al presento si trova in Cadore, appresso il primo fattore; si trattiene ad haver cura della dispensa delle robhe che te- io niarao in quel luogo, scrive lo lettere et raguaglia le partite nei libri, rivedendo ancora col proprio occhio tutti li nostri negotii ivi circonvicini, si che ha molta commodità di impossessarsi di tutto quel maneggio: ma tra tanto che il primo fattore serve, non possiamo cambiargli il carico, perchè veramente è huorao esqui- sito, intende et scrive benissimo, usa diligenza singolare, è zelantissimo del no¬ stro utile, si che ne riceviamo buona sodisfattione, ancorché egli sia di natura aspra con ciaschuno et ostinato in modo, che quelli che contrattano con lui gli sono poco amici ; il che m’immagino essere in parte seguito ancora con ristesso Germini, il quale, con la bontà della sua natura et per quel desiderio ch’egli tiene di continuare al nostro servitù), mi vien detto (dio vadi prudentemente dis- 20 simulando et portando con pacienza un poco di indiscretione del compagno, il quale credo che non molto volentieri vedi il Germini incamin&rsi a termine di poter maneggiarsi in luogo suo. Sono i nostri negotii moltiplici, grandi et impor¬ tanti per molte deceno di migliara di ducati, e di tal natura che, senza parti- eolar pratica di essi, non possono esser retti da persona nuova, ancorché sufli- cientissima, onde conviene al nostro interesse bavere in pronto sempre almen un altro per tutto quello che potesse occorrere; et il nostro disegno ò sopra l’istesso Germini, il quale (pianto più sarà stimato sufficiente dal suo compagno, tanto maggiormente sarà cagione che egli si trattenga in ollicio, liberandoci per que¬ sta via da quella tiranide che potrebbe essercitare contro di noi quando ci ve- so 7 FEBBRAIO 1617. 307 [ 1240 ] desso privi di persona che se gli potesse sustituire: et perciò, quanto nella pra¬ tica de’ nostri negotii e nel maneggio di essi il Germini si scoprirà pili intelligente et accurato, potrà egli tanto più meritar con noi, e per quel servitio che rice¬ veremo dalla sua persona, et per quel di più che ci prestasse il suo compagno, spronato dalle conditioni sue; nè col tempo si mancherà per ciò di rimunerarlo. Tra tanto V. S. Ece.' na potrà tenerlo consolato et eonfirmato nell’incomminciata sua buona volontà, accertandolo che a conto lungo gli sarà posto in credito anco la patienza che haverà sostenuta per conservarsi in pace et unione col compa¬ gno, perchè questa non si può interompere senza notabile confusione delle cose 40 nostre. Esso Germini sarebbe ottimo per lo ministerio che mi bisogna qui in Vo- netia, in luogo del Pieroni (1) , il quale assolutamente non può continuare ; ma si come qui ogn’ liuomo di mezano giuditio, che sappia tener scrittura o sia atto ad imparar a tenerla, potrà servire, così in Cadoro è necessaria sullìcienza et intelligenza maggiore, congionta con la pratica: onde non ricerca il nostro et il suo servizio levarlo di là por impiegarlo di qua, e tanto più che questa città per i giovani porta seco gran tentatione. Perciò convengo di nuovo pregarla, già che ha havuto sì buona mano di provedenni di quello che più difficilmente si trova, mettere qualche studio per bavere alcuna persona fedele et sofficiente per tenere 50 il conto, in una bottega di legno et legnami, di tutta la robba che entra et esco di bottega o del danaro speso et riscosso, lasciando poi la cura ad altri di ven¬ dere a contadi o in credenza. La particolar conditiono che si convienne, è la fe¬ deltà o P assiduità, convenendosi di continuo star sempre ove sono i legnami, e non potendo riuscire persona impaciente, delicata et dedita ai piaceri. Dovrà ma¬ neggiar denaro, andar a riscuotere, e far altre simili operatami che non si pos¬ sono commettere a persone poco sicure et dedite a’piaceri. Dovrà la matina molto per tempo transferirai alla bottega, che è lontana quanto da Santa Giu¬ stina di Padoa al Portello, et la sera ritornarsene a casa al principio della notte. Se gli farà la sposa in casa e se gli darà salario conveniente, et tanto maggiore 60 quanto la persona fosse di minor sussiego e pretensione. La gioventù progiudi- carebbe, per l’incertezza elio si potesse bavere della riuscita del soggetto, et an¬ cora per pericolo che il lusso della città invitasse il fattore a gl’ immoderati gusti et speso : tutta via quando i commandamenti et P auttorità del padre et la buona natura di un figliuolo potessero in parto assicurarci da questo peri¬ colo, si motteressimo a rischio di qualche cosa, entrando però il padre o altri per malcvadore. Nè restarò di dirle che il maneggio (lisseguato nella persona di questo che io ricerco, ha da essere di giorno per giorno, senza che se gli lassi altro denaro in mano che dalla matina alla sera. La provisione di quest’ huomo < l > Ahoanio Birroni, 308 7 — 14 FEBBRAIO 1017. 11240-1247] mi preme assai, et quando lo trovassi, rimarei grandamente sollevato et conso¬ lato. Ma certamente un molto giovane non può riuscire. 70 Al Creinonino oggi ho repplicata una instanza nuova, assai efficace Yederò quello che egli mi risponderà, et ne sarà ella avisata. 11 cagnolino maschio riesce di singoiar bellezza (se però non fosse troppo grande), et por certa gratia che gli danno i mostacchi e gl’occhi impediti dalla lunghezza del pelo, si rende tanto caro alla patrona, elio non lo darebbe por cento cechini; ma veramente la cagnola, o per la cortezza del pelo, per la sua altezza et lunghezza della vita, accompagnata da nessuna gentilezza, paro mutare nelle nostre mani da quella elio appariva da principio tutta gratiosa et gentile. È nondimeno, per esser sorella de Mesa. Barbino, aneli’essa ben veduta; et quando senza nessun inconmiodo di V. S. Ecc. raa non si possi proveder di altra più bella, so sarà aneli’essa tenuta cara, con speranza che la prole raso migli il padre. Che sarà fine di queste, augurando a V. S. Kce. ma ogni felicità. In Venetia, a 7 Feb.° 1616 ( *h Scrissi martedì otto tiri (pia, per avanzar tempo; ma, da valonthuomo, sabato mi scordai mandarla. Ilora aggiongo lo lettere havute dal S. p Cremonino l>) , al quale, se cosi lo paresse, mi offrirei farle la piezaria per trovar i denari a cam¬ bio, o procurerei elio mi rinonciasse in scrittura i denari del suo stipendio, ac¬ ciò non trovasse alcun altro termine. Et per tino le laccio di nuovo la mano. Di V. 8. Ecc. ,n * Tutto suo G. F. Sag. 1247. GIO. ANTONIO ROFFENI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 14 febbraio 1(517. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 9. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. rao S. r ® Passò a più sicura vitta il Sig. r " Magino* 0 gabbatilo sera all’b. 2, e con tanto mio dolore che non credo per un pezo potermelo scordare, essendomi man¬ cato uno precettore di tanto valore coni’lei sa, e conoscendo d* bavere puoco conosciuto questa gratia, bavendo getato il tempo, e nella perdita dello maestro essere restato innetto scolare. Pausavo perciò dovere servire sugetto simile; ma bora che nella sua mi segnifica apertamente, non dovere alcuno credere che lei si levi di dove ò, ha aggiunto nuovo fastidio, per vedere abbandonato la lettura “« Cfr. n.° 1241. (*' Di stilo veneto. •*' Non sono orn allogate alla presente. <*> Cfr. u.® 1240. 14 — 22 FEBBRAIO 1617. 309 [1247-12481 da chi meritamente poteva sostenerla. Ma pacienza. So quello liavrei trattato, e io con quanta prontezza l’liavrei servito in ogni occasione, come farò sempre quando si (legnerà porgermi campo farlo col cominanrlavmi e valersi di me. Che per line gli bacio le mani e auguro da Dio longa vitta et ottima salute. Di Bologna, li 14 Febraro 1617. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. nia All. 1,10 e Vero Ser. ro Gio. Ant.° Roffeni. Fuori: Al molto lll. ro et Ecc. mo S. re P.ronc mio Oss. mn Il big.*' Galileo Galilei, Math.° dello S.° G. Ducea di Toscana. Firenze. 1248 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 22 febbraio 1617. Dibl. Naz. Fir. Mss. dal., T. VI, T. X, car. 21. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 Sig. r e P.ron mio Col." 10 L’osservazione accennatami da V. S. in Orione non m’è riuscita, perchè non ho mai ritrovate le stelle che lei mi nota. È ben vero che havendo ai 30 di Gen¬ naio osservato tra ’l Cane maggiore e la spalla sinistra d’Orione circa ’l mezo un triangolo e nell’ angolo orientale una stella, restai in dubbio, dopo diligente c replicata osservazione, se era una o due; et bora, ritornato alla medesima osser¬ vazione, le ritrovo chiaramente due, sichè il gioco si fa. Similmente le (lue della coda dell’ Orsa si sono tra di loro allontanate, se ben poco ; ma io che so be¬ nissimo come stavano, almeno quanto alla vicinanza tra di loro, non ho dubbio io dell’ essersi allontanate. Io ho ancora certe altre osservazioni, delle quali meglio trattaremo a bocca, compiacendosi lei di trasferirsi sin qua ; e così ancora po¬ trà dar ordine all’ altro capo dell’ osservazioni, il che riuscirebbe esquisitamente di qua e di là d’Arno, stando noi a osservare nel Long’Arno esposto al mezo giorno, et il segno sopra lo case che sono di là d’Arno, riaverci ancora qua nel giardino de’Padri di S. Girolamo qualclio sito per il Can maggiore, ma dubito che la distanza non basti ; tuttavia, se lei si risolve di venire, trattaremo e con¬ cluderemo qualche cosa. Con che fine li bacio le mani. l.)i Pisa, il 22 di Feb.° 1617. Di V. S. molto lll. re 01>lig. ,no Ser. r0 e Dis. 10 20 D. Ben. tt0 Castelli. Fuori : Al molto Ill. ro et Ecc. ,n0 Sig. r e P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 310 11 — 18 MARZO 1017. [1249-1260] 1249*. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Roma, 11 marzo lfil7. Bibl. Nasi. Plr. Mas. Gal.. 1». I, T. Vili. ear. 11. - Autografa. Molt’Ul.” o molto Eco. 1 " Sig/ mio Oss.™ 0 Il S. r Stellati nostro m’lia rallegrato grandemente con darmi buona nuova di V. S., ch’io n’oro in gran desiderio, sicomc son sempre di servirla, come devo. Spero eli* boriimi, dopo tanti travagli et inquietudine così continua e di monto o di corpo, N. S. Dio sia por concedermi alquanto del felice otio deside¬ rato per esser un poeo a me stesso, poiché, trovandomi accomodato e ben con¬ tento della compagnia che V. S. stessa ni’ ha desiderato 4 ", mi parodi cominciare a respirare. Questo bora di me posso scriverlo: mi dia ella nova di sé e di suoi studi, ché so, o almeno mi rendo certo, che c l’estate o l’inverno non Labbia lasciato di contemplare e sperimentare et in cielo et in camera; così potesse io io assisterlo o participarno. Con che per bora a V. S. affettuosamente bacio le mani, pregandola a salutaro in mio nomo i S. ri compagni. Di Roma, li 11 (li Marzo 1617. Di V. S. molt’ IH/® Afi>® per sor. 1 '' sempre Fed. co Cosi Line/ P. Fuori, d'altra mano: Al molto 111.” et inolio Eco.*® Sig/ mio Oss."'° 11 Sig/ Galileo Galilei L. Fiorenza. 1250*. PIETRO 1)1 CASTRO, Conte di Leraoa, a GALILEO [in Firenze]. Madrid, 18 marzo 1617. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. 1. T. XIV. car. 122. — Autografa la firma. E1 Embaxador del S/ Duque de Toscana me dio su carta de V. M., y comu¬ nicò el desco qde tenia de deci arar a su Mag/ el modo quo a liallado para tornar en qual quiera tiempo con ccrtidumbre la longitud; hnlgué muclio do oirlo, y de ver la relacion generai quo d’esto mo ha cmbiado V. M.; lo qual cs de tanta Cfr. u.® 1189. 18 — 22 MARZO 1617. 311 [1250-1251] consi do radon, que a mi parezer no dexara su M. d do, acetar la oferta quc le liaze, a quo deve tener por cierto quc en lo que me tocare ayudaré con cl gusto que se promete, y que con ol mismo acudiró stempro a qual quiera cosa suya. G. de Dios a V. M. muclios aìios. Madrid, a 18 de Marzo 1617. io S. r Galileo de Galiley. E1 Gonfie de Lemos y de Aiulrade. 1251. GALILEO a [CU11ZIO PIOOHENA in Firenze]. Pisa, 22 marzo 1017. Cibi. Waz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. V, car. 55. — Autografa. Ill. mo Sig. ra e Pad." mio Col. rao Fui a Livorno, e perchè non vi era alcun vassello fuori del molo, non potetti veder 1’ effetto dell’ occhiale se non sopra una navetta dentro del molo, dove il moto dell’ acqua era poco, benché il vento fusse gagliardissimo, e quel poco movimento non apportava impedi¬ mento alcuno all’ uso di esso occhiale : dico, senza nissuno aiuto di strumento che ovviasse ad esso moto, onde maggiormente vengo in confidenza di bavere a superar tutte le difficoltà con 1’ aiuto delle machine da me imaginate, delle quali ne è di già fatta una (,) qui io nell’ arsenale, e quanto prima ne farò l 5 esperienza. Questa ohe ho fatta, non è veramente quella delle due nella quale conietturalmente ho più speranza che sia per servire in nave per la longitudine; ma Y ho voluta fare, perchè credo elio sia per servire molto hene anco per le galere di S. A. S. ma , per scoprire e conoscer vasselli in mare navigando, nella quale speranza è venuto anco il S. Cav. Barbavara ( ' a) e M. r0 Borio con i quali ho discorso a lungo et esaminato minutis- simamento questo negozio. Et havendo da loro inteso di quanto gran benefizio sarebbe al corseggiare dello nostre galero il potersi nelle occasioni servire dell’occhiale, mi sono applicato con ogni spirito a 20 proccurar di superar tutte le difficoltà et ridurre il suo uso propor¬ ci Allude al celatone. Cfr. Sulla invenzione, dei Voi. XVI, pag. 585-594). Torino, 1881. cannocchiali binoculari, nota del prof. Antonio Fa- Marco Barisavaua. VARO ( Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Cfr. n.» 1246. 11 > Caterina Picche»a. 7 — 18 APRILE 1617. 313 [1252-1253] io efficaci elio participi seco tutti i negotii e lo iostruisca di tutte le cose nostre ; il che aggiùnto all’attitudine et buona volontà del Germini, ne succederà certa¬ mente l’effetto elio egli et noi desideriamo et pretendiamo. Ho ridotto il S. r Creinonino a farmi procura per poter pigliar a cambio li 124 cechini, et volevo pagar io l’interesse, perchè il negotio si espedisse in una sol fiera; ma egli mi dà intentione di aspettar un anno a pagare, nò ho rifiutato il partito, stimando in altra maniera potesse riuscire la dilatione maggiore. Potrà dunque V. S. Ecc. ma dar ordine se vuole che io rimetta il danaro costì, o pure valersene di qua, chè subito sarà sodisfatta. La scrittura, come ella sa, è di ce¬ chini 248, et ancorché non si veda sotto di quella nessuna ricevuta, nondimeno 20 il S. Cremonino pretende gli sia restituita, asserendo liaver esborsato la metà o restar li soli 200 ducati. Però sarà necessario che ella m’avisi subito come m’havrò a governarmi. Tengo più bisogno che mai del fattore per questa città, liavendo licenziato il Pieroni, lumino inettissimo (,) . Scrissi già le qualità che si ricercavano per no¬ stro servitio, le quali seben per necessità non sono dell’esquisitezza che ricerca il ministerio di Cadore, tuttavia quanto maggiore fosse l’attitudine et il giu- ditio di chi accettasse il nostro servitio, per aventura si potrebbe impiegarlo anco in cose più importanti, nascendo improvisamento de gli accidenti per li quali s’havessero a cambiare i nostri agenti, come pareva fosse per seguire del 30 Paderno; oltre che l’occupatioue della scrittura elio teniamo per li nostri negotii, con gran nostro coni modo e sodisfattione si potrebbe dare a questo fattore che io ricerco. Ma sopra il tutto convengo desiderar che la persona proposta sia molto soda, sicura e non sottoposta allo leggerezze e piaceri, perchè in questa città il precipito della gioventù e de gli huomini dediti a’ piaceri è tanto facile, che la speranza del contrario è vanità indubitata. Et per fine le baccio la mano. In Venetia, a 7 Aprile 1017. Di V. S. Ecc." m Tutto suo G. F. Sag. 1253 * PIETRO FRANCESCO MALASPINA a GALILEO [in Firenze]. Panna, 18 aprile 1(517. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 124. — Autografa la sottoscrizione. Alla lettera facciamo se¬ guire la scrittura inedita alla quale il mittente accenna, o elio si legge a eur. 126 dol medesimo codice. Molto Ill. ra S. r mio Oss. mo Non scrissi il dubbio eh’ io proposi a V. S. in Pisa, per esser tanto tardi che liebbi tempo di poterlo fare, essendomi sopragionto, doppo la partita di V. S., Cfr. nn.i 1230, 1246. non 314 18 APRILE 1617. [1253] alcuni amici mici elio m* occuporono per molto spatio di tempo. Glielo mando liora, con desiderio d’imparare quello ch’io confesso di non sapere; nò ho ver¬ gogna di palesare l’ignoranza mia, poiché viene congionta co ’l desiderio di scacciarla co ’l mezzo del sapere o della cortesia sua, della quale in’ assicuro, poiché lo persone elio sanno devono desiderare di communicaro il suo sapere, et io odo da tutti elio V. S. ò per sua natura gentilissima, lo per aventura lo sarò spesso importuno, ma rassicuro anco olio non sarò meno desideroso di servirla, io ove mi dia occasione di poterlo faro o io sappia di poterla incontrare. E le bacio per line le mani. Di Parma, li 18 Aprile 1617. Di V. S. molto Ill. ro Sor. 1 * di core S. r Galileo Galilei. Pietro Jb’ran. 00 Malaspina. Nella prova del fondamento delle mecaniehe, distesa da Guido Ulmldo noi primo degli Kquiponderanti alla prop.°® G» l '\ pare elio quando s’arriva alla dif¬ ficoltà principale cessi l’evidenza in tutto: porciochò, doppo lunghissima con- struttione, sempre approvata con distribuire magnitudini d’ ugual grandezza o peso in spetie et in distanze eguali, o dessignar i centri delle gravità sì di eia- 20 Bcheduna come de’ varii composti di loro, mostrando che il centro comnninc dol- P aggregato sarebbe in C (,) , quello del composto dello quattro S, T, V, X in E, dell’ altro due Z, M in D, 0 elio la proportene della distanza di I) a C con quella di E alPistesso C ò come la proportene della gravità del composto di S, T, V, X a quella del composto di Z, M, vuol conchindcre che se quando le magnitudini uguali stavano disposte in distanzo uguali, c così facendo la magnitudine X la sua gravitatane di là dal punto di mezzo C, in compagnia delle altre duo Z, M, contrapesanti lo altre tre parti S, T, V, similmente disposto di qua dal C, allhora il centro commune, circa del quale si sono mostrate uguali ponderationi, era il punto 0, l’istesso resti quando la magnitudine X s’intenderà trasferita di qua so dal C, lasciando di là le sole Z,M, mutando la disposinone d’uguali momenti, con la quale sola si era provato il punto C esser centro di gravità di tutto l’ag¬ gregato, senza portare nova prova 0 dimostrare veruna difficoltà in cosa nella quale pare che consista il punto della dimostratione olio in simil materia si do¬ vrebbe fare. Desidero dunque che mi favorisca d’insegnarmi come si proverebbe a dii negasse il centro commune esser l’istesso C, trasportando il peso X dalla parte di S, T, V ; poiché con tal variationc non veggo che le prove fatte siano bastevoli, 0 almeno l’iugegno mio non le riconosce per tali. Dico nondimeno •*> Cfr. n. 8 10, lin. 11. <*> Manca la relativa figura. [1253-12541 18 APRILE -16 MAGGIO 1617. 315 ch’io non dubito del quod, atteso elio la detta propositione si mostra vera con •io l’isperienza. L’istesso intopo ritrovo in Luca Valerio (,) , quando arriva a simil passo, o nell’auttore A’ un trattato delle Mecaniche che, venuto da Roma, va a torno con molto credito (,) , il qual facendo la demostratione con pesi legati con funicelli al vecte, quando slega il funicello che prima era di Ut dal centro commune, all’ bora mi paro clic ritorni nella stossa difficoltà. Circa alla velocità del moto do’ corpi gravi, verbigratia della stessa gravità in spetie, quantunque molto disuguali in grandezza e nel peso, che porta seco la maggior mole di sostanza grave, pare ad alcuni liaver avertito per replicate prove da non mediocre altezza che non vi sia differenza sensibile, arrivando in- 50 sieme al piano, lasciati cader insieme, c si ode esser stato provato da altri ; onde viene in pensiero clic la velocità del moto in detti corpi non séguiti tanto con¬ forme alla proportione del peso totale d’uno al peso totale dell’altro, quanto dell’eccesso sopra la resistenza del mezzo: per il che, liavcndo una palla di piombo d’ un’ oncia quella proportione d’eccesso, o centupla o altra, alla resistenza del mezzo che riempio e spartisse, che una pur di piombo d’ un peso a quanto le corrispondo, perciò l'ima et l’altra con ugual velocità si movo. V. S. me ne dica il suo parere, anco con qualche sperienza clic farà con maggior essatezza, perchè i corrolarii che da ciò ne verrebbero non sono di puoeo conto. 1254. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 16 maggio 1(517. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 23. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc."' 0 Sig. r mio Col. ,no Sin bora non è ancora giolito in Pisa, di ritorno di Livorno, il navicellaio Angelo di Matteo da Capraia : quando verrà, lo spedirò subito, acciò V. S. resti servita. La medesima sera che V. S. partì di Pisa, alloggiò qua un Padre D. riacido Mirto, Napoletano Teatino, lettore di filosofìa, e predicatore e teologo singolare, e, quello che mi diede 1’ ultimo gusto, laudatore miracoloso dei meriti e valore di V. S. Ecc.™ Legge filosofia peripatetica sì, ma reputa ben fatto il mutare le opinioni che non si possono accommodare alle nove osservazioni ; si contenta di io confessare il cielo generabile o corruttibile, di sustanza duttile e cedente più che in Cfr. n.o 217, liu. li. «*> Cfr. Voi. Il, pii*. 161-162. 316 16 — 20 MAGGIO 1617. [1254-12551 l’aria stessa; si ride della superstiziosa multiplicità delli orbi ; osserva a dilongo le macchie solari ; ha rincontrati i Pianeti Medicei, fatte lo osservazioni di Sa¬ turno, et in somma non ha difficoltà a dire che Aristotile babbi fallato e in que¬ sto et in moltissimo cose. Mi disso d’essersi imbattuto più volte a diffondere la dottrina di V. S. sino nel particolare del moto della terra, tenendo il libro del Copernico sospeso, ma la opinione non dannata nò dannabile; si che io hebbi grandissimo gusto. In questi ragionamenti mi significò che in Roma, di novo e di presente, questi nemici delle verità non cessano di tentare nove machine: però se V. S. procurasse di saperne l’intero, non sarebbe se non bene. E perchè non m 4 occorro altro di uovo, li bacio le mani, rallegrandomi del felice arrivo, 20 che m’è stato significato da Mess. Gio. Ratta. Pisa, il 16 di Macgio 1617. Di V. 13. molto 111." et Ecc.'"* Oblig. mo Ser." e Dis. u I). Bened. tt0 Castelli. Il Padre Teatino sarà presto di ritorno da Genova, dove ò andato a far l’ora¬ zione nell’incoronazione del Duce. Desiderarci li aver quel maggior numero di costituzioni che si potrà con coromodo di V. S. Fuori : Al molto III." et Ecc. mo Sig. r 0 P.ron Col. n, ° Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Firenze. 30 1255*. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 20 maggio lf»17. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camper». Autografi, B.» LXXX.V1II, n.® 66. — Autografa la sottoscrizione. Molto IH." S. r Ecc. mo Ricevo più mani di lettere da V. S. Ecc. ra *, mandatemi da Pisa; e le con¬ tinue e molestissime occupationi mie mi bau fatto differire la risposta. Mastro Antonio specchiaro s’è affaticato molte settimane per far alcuni ve¬ tri buoni per lei, nè in tanto tempo glie n’ò potuto riuscire pur uno che arivi alla mediocrità, fieri solamente me ne portò egli uno di lunghezza di sette quarte, stimato da lui di estraordinaria bontà. Me lo fece vedere, mi parve buono, ma non tanto miracoloso quanto me lo faceva. Volevo mandarglielo hoggi, ma per¬ chè è assai grande, non mi sono arischiato inviarlo senza accommodarlo con qual¬ che diligenza; il che non ho potuto fare di mano mia per la atretezza del tempo, io Lo manderò la posta ventura, et forse con qualche cosa altro. 20 MAGGIO 1617. 317 [1255] La sorella di Barbino m è aspettata da me con sommo desiderio. Il fratello è riuscito di esquisita bellezza, ma grande; la sorella gcntilletta, minuta, careta, ma alta di gambe, scanna oltre misura, et lunga di muso; in somma non par sorella di Barbino, il che fa desiderare quest’altra, con speranza di allevare bel¬ lissima razza. La lettera per India sarà fedelmente capitata, havendo io in quelle parti amici c corrispondenti. Colà mandai il tratto della calemita che V. S. Ecc. ma mi foce vendere, con ordine che mi fossero mandate curiosità solamente; ma quel 20 ribaldo che n’hebbe la cura, mi mandò mercantie delle quali ho apena ritratto il primo capitale. Doppo clic io ritornai in questa città, mandai ad un altro amico dieci cannoni, che mi costorono, guarniti, dieci cechini; et doppo mille lettere e disperationi, che non si potessero vendere, rispetto che ne fossero giunti molti e che liavessero in quelle parti imparato a farli, finalmente ho liavuto lettere che mi inviava ducento dramo di rubini minuti: sicché giongendo queste, spero trarne almeno cento ducati, che mi rimborseranno di buona parte le male speso fatte in vetri e cannoni che ho convenuto donare a questo et quello per la buona reputatone che io tengo di ben conoscerli, come amico di V. S. Ecc. n,a Se venirà il Piovano tS) galant’huomo che ella mi scrive, lo vederò volentieri, 30 e lo servirò ancora in tutto quello che occorresse. Sto ancora in aspettazione del fattore, essendo stato da me licenziato già molte settimane quel tal Ascanio l8) , huomo inetto al bene et assai accorto nei proprii, ancorché ingiusti, avantaggi; il quale se non fosse absentato di qua, haverebbe ancora da far qualche conto meco, che si pensava dover passar in silentio. Mi mandò il S. r Cremonino la procura per pigliare li ducento ducati a cam¬ bio (t) , ma ricercato da me della riforma di quella per poter scriver in banco, mi ha pregato soprasodere, promettendomi sodisfare in contadi in breve tempo. Ho fatto procuratore di ciò il Morsi, il quale a fatica gli ha cavato dalle mani quat¬ to trocento lire correnti. Non si manca di sollicitarlo et importunarlo, aspettando io da lei il conto che la mi scrisse. Et per fine le bacio la mano. In Venetia, a 20 Maggio 1617. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo G. F. Sag. Fuori : Al molto 111.™ S. r Hon."'° L’Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. <» Cfr. un.» 1248. 1246. <*) Cfr. n.® 1197, liu. 33. < S| Ascanio Pjkroni. <" Cfr. n.® 1252. 318 21 MAGGIO 1617. 1250 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pian, 21 maggio ini 7. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. X, car. 25 o 27. Autografa. Molto IH.” ot Eco. 1 " 0 Sig. r e P.ron Col. 010 Finalmento ò venuto il navicellaio l,) , e dimattina, che sarà lunedì, sarà spe¬ dito dalla Dogana. Quanto al mio venire in Firenze, ci verrei volentiorissimo, o massime per haver a servire un intelletto tanto miracoloso conio ò quel giovino elio V.S. m’ac¬ cenna; ina Laverei a caro elio ciò si facesse con qualche nostro vantaggio: non parlo cVinteresso di danari, chè in questo son pronto io per spendere del mio, come ho fatto sin bora; ma dico vantaggio di servitù con i nostri Scr. mi Padroni, cioù d’esser honorato con qualche titolo di sorvitoro particolare, citò del resto poco o niente mi curo. So elio V. S. ò prudentissima o che intendo e sa l’animo io mio, et in oltre comprende che le coso mie particolari sono ancora suo; o final¬ mente lei, elio m’ha allevato dalla bassissima ignoranza, può a buona Ghiera diro che io so biro il mestieri, o che ò ben fatto l’adoprarmi. Mi perdoni so parlo alla libera, oliò con lei, che m’è padre, maestro e padrone, così devo fare. In tutto però mi rimetto in lei, e starò aspettando novo avviso, o mi sarà carissimo. Questa notte ho osservato i Pianeti Medicei a ott’ore o un terzo, e stavano così: * * * o * Fra Buonaventura (T) li ha visti, e li fa riverenza insieme con il Padro Priore e tutti questi Padri, quali aspettano il vino (pianto prima: et io li bacio le mani. Pisa, il 21 di Maggio 1017. Di V. S. molto ni.» 20 Si può ancora aggi ugnerò che son stato ricercato da quei paggi e signori pur di questa lettura otc. Oblig.*™* Sor." c Dis> D. Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mf * Sig. r e P.ron mio Col.'" 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. Cfr. u.® 1264. <*> liONA VKNTUKA CaVAMKM. L1257J 24 MAGGIO 1G17. 319 1257 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze, risa, 24 maggio 1G17. Bibl. Nftz, Fir. Mss. Gal., P. 71, T. X, car. 28. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 10 Ieri mattina partì di qua Angelo di Matteo da Capraia navicellaio con le robbe di V. S., cioò mattarasse e lino, al quale diedi l’ordine conforme a quello che da lei qua ini fu lasciato. Io compongo due occhiali fra quattro regoli, come V. S. può nella figura sottoposta vedere, in modo tale clic restando il cannone A fermo, l’altro B possa muoversi avanti e indietro, ma sempre parallelo al cannone A. Preparato questo strumento, appostai il sole, che si andava io scoprendo, a me che stava qua in mo¬ nasteri© di S. Girolamo, si andava sco¬ prendo, dico, fuori del campanile di S. ta Catterina; et esposti i cannoni al sole come quando si osservano le macchie, mi accommodai con gli occhiali in modo, al¬ lontanandoli e avvicinandoli fra di loro, che da uno si scopriva per l’appunto tutto il disco del sole, si che se fosse stato più vicino all’ altro cannone sarebbe restato 20 il detto disco intaccato dal campanile; e nel medesimo tempo l’altro cannone non mi mostrava se non una picciolissima parte del disco del sole, restando tutto per Tapinilo coperto dietro al campanile. Fatto questo, conclusi clic dal loco dove 10 ero sino al campanile vi era d* intervallo cento e sei in circa di quei spazii che restavano tra le due boccilo dei cannoni: e perchè so che la ragione del tutto è nota a V. S. Ecc.‘" a , non sarò longo a scriverla; ma solo li dirò, che essendo 11 detto spazio per l’apunto tre braccia, ritrovai con misura propria la distanza tra me e ’l campanile essere trecento e venti braccia: e veramente è una cosa galante e di mollo gusto e che riuscirebbe a misurar distanze grandissime, come 320 24 MAGGIO — 14 GIUGNO 1617. [ 1257 - 1268 ] (li isolo in mare etc. Ma percliò sono al line del foglio, rimetto il tutto alla con- 30 sura di V. S., e finisco restandoli servitore al solito. Pisa, il 24 di Maggio 1617. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. m * A1T. U, ° Ser/° e Dia. 10 I). Ben. lu> Castelli. Fra Buonaventura (,) Ai riverenza a V. S. Ecc. ,,,m , e la prega a conservarli la sua buona grazia. Fuori: Al molto III.™ et Ecc." 10 Sig. r e P.ron Col.® 0 Il Big/ Galileo Galilei, p.° Filosofo di A. S. Firenze. 1258. FEDERIGO BORROMEO a GALILEO [in Firenze]. Milano, 14 gingilo 1017. Blbl. Naz. Fir. M»>. Gal., P. I, T. XIV, C*r. 127.— Autografa la »utto«crÌ£Ìuno. 111/ 0 Big/ 0 Nel presente ritorno del Dottor Giggio ricevo da V. S. in grado di parti- colar sodisfattione la cortesissima sua lettura e le molte dimostratami della vo¬ lontà et all'ettione sua verso di me, ch’egli mi testifica haver chiaramente cono¬ sciute. Però, come io faccio conto della persona e valore di V. S. et ho havute care l’osservationi che l’è piacciuto inviarmi, cosi rassicuro di serbarle parti- colar obligatione, con prontezza di darle contrasegni di questa stima e volontà mia verso di lei in qualunque cosa elio le possi esser di gusto e servitio. E qui, riserbandomi di dir anch’io alcuna cosa sopra lo medesime osservationi, racco¬ mando a V. S. Fra Bonaventura Milaneseaffine che con l’aiuto di V. S. egli io possa giungere a quel termine della professione che ci promette l’inclinatione et habilità ch’egli mostra haverci tanto singolare. Con pregare a V. S. per fine ogni vero bene. Di Milano, a’ 14 Giugno 1617. 1A V. S. Come fratello Aff. mo S/ Galileo Galilei. Fed.° Car. Borromeo. Fuori: All’ 111/ 0 S/° Il S/ Galileo Galilei. “1 Cfr. n.° 125ti. Antonio Gigot. ,S| Bonaventura Cavalieri. [1259-1260] 16 GIUGNO 1G17. 321 io 1259*. GALILEO ad ANDREA CIGLI [in Firenze]. Firenze, 16 giugno 1617. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 686. — Autografa la firma. Molto lll. ra Sig. re e P.ron mio Col." 10 Ilo parlato a lungo con l’li uomo mandatomi da V. S. et inteso il suo pensiero, intorno al quale parlerò domattina a bocca con V. S., poi¬ ché il medicamento che ho preso hoggi non mi permette di potere uscir di casa. E tra tanto anderò meglio esaminando se nel pensiero di quest’ huomo ci sia cosa di fondamento, acciò S. A. non tralasci le cose buone nò dia molto orecchio alle vane. E questa serva per mia scusa con V. S. e per ricordarmegli devotissimo servitore : con che re¬ verente gli bacio le mani. Di casa, li 1G di Giugno 1617. Di Y. S. molto 111. 10 Ser. re Oblig.™ 0 Galileo Galilefi]. Fuori: Ài molto Tll. re S. e P.ron mio Col. 0 Il S. Cav. r Andrea Gioii, Segr. io di S. A. In sua mano. 1260. GALILEO ad ORSO D’ELCI in Madrid. [Firenze, giugno 1617.] Uni Tomo III, png. 1-13-147, deirediziono citata nell' inforinnziono premessa al n.« 1201. Tn questa edizione, Uopo lo ultime parole che qui riproduciamo, « il ebe servii por avviso a V. S. Eoe. », la Poverina con¬ tinua ancora con un altro brano, il quale però, come è manifesto dallo paiolo con cui comincia: « Vedo da quanto è scritto di sopra, come sono circa quattordici anni ebe io faceva offerta di trasferirmi, bisognando, in Siviglia o Lisbona por incamminare il negozio alla pratica », non può essere asse¬ gnato al 1617, e porciò sarà da noi pubblicato più avanti, secondo il criterio cronologico. Mentre io andava pensando a i modi di superare quelle difficoltà c-be ritardano P effettuare il mio trovato circa il navigare per la lon¬ gitudine, mi è accaduto d’incontrare un’ altra invenzione di gran- XII. 41 322 GIUGNO 1017. [12fì0] dis 8 Ìma utilità por la navigazione dolio galere per questi nostri mari, della quale io vorrei servirmi per mozzo d’agevolarmi con Sua Maestà la conclusione dell’ altro trovato. Narrerò succintamente a V. Ecc. la nuova invenzione, ed anco la maniera del prevalersene con Sua Maestà. Ritrovandomi tre mesi fa a Livorno, cadde, tra il Sig. Ammira¬ glio (l) od alcuni capitani di galero o me, ragionamento sopra l’utilità grandissima elio apporterebbe al corseggiare dello nostro galero il io potersi, navigando, prevalere dell’uso dell’occhiale sopra ristesse ga¬ lere od in cima dell’ albero o del calcese, poiché potrebbero scoprire e riconoscere i vascelli nomici, o loro qualità, numero o forze, molto tempo avanti che essi riconoscessero i nostri ; ondo con gran van¬ taggio, anzi con intera sicurezza, potremmo prendor quella resoluziono di caccia o di fuga elio fosso opportuna. Ma dicevano, tale uso essergli del tutto impedito dalla continua agitazione della galera, e massimo nella sommità dell’ albero, il qual movimento impedisce del tutto il poter col cannone trovar l’oggetto e formarvi, anco per minimo tempo, la vista. Io, dopo i discorsi fatti, ni’ appressai alla specula- 20 zione intorno a questo servizio, o finalmente ho ritrovato una ma¬ niera d’ occhialo differente dall’ altra, col quale si trovano gli oggetti coll’ istessa prestezza elio coll’ occhio libero, 0 trovati si seguitano quanto ci piaco senza perdergli, sicché si ha tempo di numerargli e riconoscergli benissimo con grandissimo nostro vantaggio : poiché questo mio nuovo modo augumenta la vista più di dieci volte sopra la naturale, sicché quello elio si scorgo naturalmente, v. g., nella lon¬ tananza (l’un miglio, si vede nell’ istesso modo in distanza di cento; 0 guardasi con amendue gli occhi nell’ istesso tempo, con gran faci¬ lità ed anco con diletto del riguardante. Questa invenzione è stata yo tanto stimata da queste A A. SS., elio per tenerla segreta, sicché non possa veniro in notizia dell’inimico, hanno deputato due cavalieri no¬ bilissimi all’uso di questo strumento sul calcese, dove per la scoperta ordinaria si suol tener solo gente di vii condizione, alla qual non sa¬ rebbe bene fidar cosa di tanto momento; e questo strumento ò fab¬ bricato in maniera che si può tener occulto, sicché solamente quello che 1 ’ adopra ne può intender la struttura. Apportaci l’istesso stru¬ mento un* altra utilità, stimata grandemente da’ medesimi SS. periti • Iacopo l.suHiKAMi : cfr. a.® 1251. GIUGNO 1G17. 323 [ 1260 ] del mare : ed ò clic nello scoprire vascelli si può, senza nessuna fa- •to bica e dispendio di tempo, sapere immediatamente la lontananza tra loro e noi. E questo è quanto all’ invenzione. Quanto poi al servir¬ mene appresso Sua M. per agevolar la conclusione dell’ altra per la longitudine, lio pensato questo. Mi scrive V. Ecc., che avendo Sua M. sborsato molt’altre volte grosse somme di danari anticipatamente su le semplici promesse d’al¬ tri, che si sono offerti di darle invenzioni intorno al medesimo ef¬ fetto, le quali poi son riuscito vane, ha finalmente risoluto non voler più per 1’ avvenire far simili sborsi se non dopo la sicurezza della riuscita del negozio : al che io non replico altro; ma all’incontro dico bo che nè alle mie facilità nò alla mia reputazione conviene eh’ io mi esponga ad un viaggio lungo ed incommodo, di grande spesa, per presentare ad un Principe grandissimo cosa di suo utile notabile e da esso molto desiderata, con dubbio d’incontrar di quelle difficoltà e di quei disgusti che spessissime volte incontrali quelli che hanno a superare o l’invidia o la malignità o qualche altro difetto che tal¬ volta risiedo in persone a’ giudizi delle quali si riportano i gran si¬ gnori. Però, ed acciocché Sua M. possa assicurarsi di non buttar via il suo, e che io possa con minor incommodo e maggior mia reputa¬ zione trasferirmi costà, per dimostrare in Siviglia o Lisbona o dove co fosse più opportuno, sinché appieno si effettuasse la mia promessa, ho pensato, e ne lio ottenuta licenza dal Gran Duca mio Signore, di of¬ ferire alla Maestà Sua questo mio ultimo trovato, già del tutto fatto sicuro ed effettuato, per sicurezza delle galero di Sua M., e clic quella all’ incontro mi dia 1500 doppie, le quali mi debbano servire per la spesa del viaggio, dimora in Ispagna e ritorno per me c per quelle persone che mi sarà necessario condurre per aiuto al compimento del negozio della longitudine, c per la spesa di strumenti che di qua mi bisognerà condurre: e che io sia per impiegar questo danaro per tal servizio, ne darò a Sua M. ogni sicurezza, lino alla parola dello stesso 70 Gran Duca. Sicché, come Y. Ecc. vede, il rischio resta tutto sopra di me, e Sua M. premia solamente un’ invenzione utilissima ; ed anco il premio ò assai leggero, se si riguarda all’ utilità che si trae dall’ in¬ venzione: ma il desiderio che ho d’effettuare l’altro trovato, da me assai più stimato, fa che io mi metta a segno sopra il quale non LcU. 1260. 54. volle incontrar quelli — 324 GIUGNO 1617. [1260] debbiino cader repliche con dispendio di tempo, del qual mi conviene essere avaro rispetto all’ età ed alla corporal disposizione. Resta ora che io dica qualche cosa intorno alle difficoltà che V. Ecc. m’accenna che io posso incontrar costà; dello quali alcune riguar¬ dano P essenza stessa del mio trovato, ed altre risiedono in quelle persone dalle quali esso dee esser giudicato o praticato. Quanto alle so difficoltà elio sieno essenzialmente nel trovato stesso, dovorebbe cia¬ scheduno restar sicuro, che sovvenendo quelle ad essi improvvisa¬ mente o senza praticar questo negozio, possano esser sovvenuto a me ancora nello spazio di molt’anni che continuamente lo maneggio: c tanto più, che questo non è un trovato elio casualmente sia caduto in mano (corno spesso d’altri suolo accadere) a persona di professione lontana da quella dove questo è fondato, ma P ho incontrato io che por tutto il corso della mia vita ho por professione esercitato questi studi; ondo non dco aver del vorisimile elio io prenda di quegli errori elio ben si vedono continuamente prender da coloro che, mancando % de’ vori fondamenti c buona intelligenza di qualche professione, si applicano per corta vivacità o piuttosto leggerezza d’ingegno a voler effettuar conclusioni lo quali sono impossibili in natura, e per tali son conosciute dagli intelligenti al primo motto che no sentono : e di questa sorta d’uomini io ne ho continuamente allo mani. Dico dun¬ que, che lo difficoltà che erano nella cosa stessa, lo ho superate tutte ; le quali erano diverso e molto maggiori che quelle por avventura non sono elio ad alcuno improvvisamente o cosi ab extra possono sovve¬ nire. Mi accenna V.Ecc. elio costì gli vion mossa gran difficoltà circa l’aver io detto di servirmi d’alcune stollo invisibili all’occhio natu- ioo rale, comecché sia per esser cosa o impossibile o impraticabile P in¬ contrarne in cielo molto, mentre con tedio infinito s’ hanno a cercare col telescopio o cannone. Questa difficoltà, la quale io rimuovo sei mesi dopo P esser proposta, se io fossi stato presente P averei rimossa in tanto tempo quanto basta a dir sei parole: perchè averei dotto al- P oppositore che queste stello invisibili s*incontrano con quella age¬ volezza elio qualsivoglia dello più grandi e risplendenti, e clic la luna o il sole stesso ; e questo, perchè elleno son sempre vicinissime ad una delle maggiori stello del cielo, sicché trovata quella, son per neces¬ sità trovate tutte queste ancora. L’istesso son sicuro che accaderebbe no d’ altre obbiezioni, se altre ne fossero state proposte a V. Ecc., e per GIUGNO 1617. 325 [12601 lei a me. Ben è vero che il desiderare e domandare che questa ope¬ razione sia ridotta a tal facilità e viltà, che ogni più stolida ed in¬ sensata persona 1’ abbia, subito vista, a intendere e praticare, e che non essendo tale ella debba esser rifiutata e disprezzata, mi par che sia un volere che quello che per la sua gran difficoltà ha stancati senza frutto sin (pii infiniti grandissimi ingegni, si risolva poi in una cosa delle più grossolane che sieno al mondo: nè mi so a bastanza maravigliare, come praticandosi tra gli uomini tante arti assai manco 120 utili o necessarie della navigazione, come pittura, scultura, musica, V arte del tesser broccati, del ricamare, e cento e mill’ altre, tanto difficili che ricercano, per esser imparate, lo studio di molt’anni, e pure vi si applicano tanti uomini quanti bastano, in questa sola, tanto necessaria per la navigazione, s’abbia a desiderare e ricercare tanta facilità, che ogni più grosso cervello la capisca in un istante, senza veruno studio o esercitazione. Io non ho avuto fortuna d’incontrar tal cosa: ma per trovare il modo, che assolutamente è solo al mondo, di riconoscere in mare e in terra ogni giorno la longitudine, prima mi è stato necessario tro- 130 vare modo di accrescer la virtù visiva, e non un poco, ma trenta e quaranta volto sopra i termini della natura, e questo ho io fatto, ed è cosa mirabile ; ma ciò non bastava, se la natura non aveva collo¬ cato in cielo alcune stelle vaganti, ed invisibili a tutti quelli che sono stati avanti di me, le quali colle continue e frequenti mutazioni de’ loro aspetti potessero servire al bisogno nostro. Erano, e sono, tali stelle in cielo ; ma erano invano, se io non le ritrovava. Io le ho scoperte, ed è stato incontro nobilissimo ; perchè è stato un ritrovare un altro piccol mondo in questo gran mondo. Ma tutto questo era poco o niente, so io di più non trovava esattissimamente i momenti loro ho ed i periodi ; il che pure colle vigilie o con diligentissime osserva¬ zioni di cinque anni continui ho conseguito, con grande scapito della sanità e pericolo della vita. Ma nè anco tutto questo bastava, se non mi veniva in mente l’applicar tutta questa gran macchina all’uso della navigazione, provvedendo a quelle difficoltà che potevano ostare al porla in atto ; e questo ho similmente fatto. Ora, che questa ope¬ razione, che depende da principi sì grandi o nobili, s’abbia a ridurre proporzionata alla stolidità di cervelli eletti tra i più stupidi, io non 124. a ubbiuno u — 320 GIUGNO 1017. [ 1260 ] lo so nò voltoì saper fare : ma dico bone a V. Eccoli. ed a Sua ÒSI., olio r lio ridotta a tale agevolezza, elio i marinari medesimi, che pren¬ dono 1’ altezza della linea, del polo, del sole e elio maneggiano la bus- 150 Boia o la carta, faranno anco tutti in eccellenza questa operazione della longitudine dopo l 5 distruzione di dieci o quindici giorni al più, mentre io d’anno in anno gli darò scritte o stampato le constituzioni ed aspetti di esso nuovo stelle, che son per seguire continuamente d’ ora in ora; una sola dello «piali constituzioni basta elio essi riscon¬ trino in quella notto elio desiderano di ritrovare la longitudine, o subito la sapranno, solo col saper contar l’oro dopo il lor tramontar del solo. Ma più dirò, per non avor a ritornar con dispendio di tempo sopra le medesimo cose, che io ini obbligherò a condur meco persone già distrutte, ed anco attissimo a instruir altri, o che di più navi- igo ghoranno anco sino nell’ Indie, por maggiormente ammaestrar chi ne averà di bisogno. Quella fatica che ricerca qualche cognizione d’astro¬ nomia e di calcoli por fabbricar le tavolo d’ anno in anno, 1’ ho da far io, o non i marinari, a’ quali s’hanno a dar lo tavolo bolle e fatte ; e mancando io, ed anco in vita, darò le rogole por calcolar detto tavole ad altri astronomi : lo quali regolo o teoriche non si perde¬ ranno mai, siccome non si son perduto nò si perderanno quello degli altri movimenti celesti, benché Tolomeo, Alfonso o gli altri inventori e professori sien mancati essi. E questo è «pianto allo difficoltà che dissero nella cosa stessa ; le quali veramonto io reputo per niente, 170 siccomo ali’ incontro stimo assai quello elio, benché nulla attenenti all’ essenza e realtà di questo negozio, mi potrebbero essere opposto da taluno clic, o per poca intelligenza o por invidia o per qualche suo interesse, proccurasso d' attraversarlo o disturbarlo, o elio fosse di tanta autorità e credito appresso Sua M. o cotesti SS. principali, elio interamente deferissero al suo giudizio e alla relazione. Ma nò di questo temerei ancora, quando Sua M. o gli SS. Grandi medesimi vo¬ lessero risolversi di applicar T animo a questa cognizione ; perchè assolutamente in brevissimo tempo, col discorso, colle ragioni o col- T esperienza stessa sensata, gli potrei far rimaner del tutto capacis- iso simi e soddisfatti. Ma quando non si possa sfuggire di soggiacere a i giudizi d’altri (cosa che io non solo non schiverei, ina la cercherei, quando si avesse a trattar con persone intelligenti e di niente sin- 164 . U teuole bcllt c futi* — GIUGNO 1617. 327 [ 1260 ] cera), io domando bene che ogni contradizione e opposizione, che altri voglia farmi, mi sia data in iscrittura, acciò in ogni occasione io potessi prevalermene per mia giustificazione appresso il mondo, acciò non dall’ esito solo, come per lo più suol fare, ma dalle mie proposte e dall’ altrui opposizioni potesse meglio restar capace c far giudizio più retto delle cose mie. ioo Finalmente, quanto alla recognizione che Sua Maestà pensi di dare al ritrovator di questo artifizio, quella elio mi viene accennata da V. Ecc., dei duemila ducati di rendita perpetua, ò molto inferiore a quella che aveva intesa in Roma in casa l’Illustriss. Sig. Card. Borgia (1) , che era di ducati seimila, con una croce di S. Iago, e che tal premio era già gran tempo fa stato in tal modo stabilito. Però prego Y. Eco. ad ac¬ certarsi di ciò : ed essendo come intesi in Roma, questo si potrà sta¬ bilire ; ma quando ciò non fosse, io rimetterò in V. Ecc. il serrare il partito con ogni mio maggior vantaggio, concernendo anco l’onorc¬ volezza del premio alla reputazione: con questo però, che il più basso 200 segno al quale V. Ecc. descenda, non sia meno di scudi quattromila di rendita 1 ’ anno durante la vita mia, li quali dopo la mia morte si riduchino e si perpetuino in duemila a’ miei credi e successori, a mia disposizione; intendendo anco che io sia onorato del sopraddetto grado di Cavaliere di S. Iago, se però è vero che nell’intenzione di Sua M. e de i re antecessori sia stato questo pensiero, di onorare il ritrovator di questo negozio di tal grado. Poscritta. Come per altre ho scritto a V. Eco., questo negozio fu ravvivato da me in Roma in casa P Illustriss. e Reverendiss. Sig. Card. Borgia, 210 trattando io col Sig. Rettore di Villa Erniosa (2) , Segretario dell’Eccel- lentiss. Sig. Conte di Lemos: e perchè Pistesso Sig. Cardinale, discor¬ rendo con un Cavaliere Romano (:1) , suo intrinseco o molto mio amico, si è mostrato desideroso di favorir questa impresa, come per più repliche mi ha il detto Cavaliere avvisato, esortandomi a far capitale del favore di esso Sig. Cardinale, però ho determinato (e cosi è anco parato al Sig. Picchena) di non lasciar di prevalermi di tal favore, e per mezzo ili questo Cavaliere mio affezionatissimo ho dato conto al Sig. Oar- ‘ 1 ' (1 A8PARO IlOROIA. <*> Cfr. u.o 1107. Ol Lelio d’ Oriolo. Cfr. u.o 1203. 328 GIUGNO — 8 LUGLIO 1617. [1260-1261] (liliale di quanto tratto costì per mezzo di V. Ecc.; il qual Sig. Cardi¬ nale averà scritto costà a di cotesti SS. principali di corte, e forse a Sua Maestà medesima : e per la sua relazione ed informazione in- 220 torno alle condizioni mie, potrà esser che si accresca qualche cosa di credito al negozio che si tratta. Il che serva por avviso a Y. Ecc. 1261 *. G10VANFRANCESCO SAGREDO a (GALILEO in Firenze]. Vanesio, 8 luglio 1G17. Bibl Eat. in Modena. Raccolta Cauiporl. Autografi, B.» LXXXVU1, n.» «7. — Autografo le lin. 25-40. Molto lll. ro Sig. r Ecc. mo Ilo scritto bori in banco ducati 100 a’Capponi, che mi bau fatta la inclusa 10 di cambio di A dl 80 Va, che tanto dicono havor fatto hoggi il cambio per costà. Li detti ducati cento sono por cechini sessanta due che mi scrivono i Morsi liaver ricevuti dal S. r Cromonino a conto del scritto; et se bene fin bora non ho havuto il danaro, et mi venga scritto li cecchini essere scarsi, tuttavia ne ho posto in banco di buoni, acciò V. S. Ecc. nm et il S. r Cromonino resti servito. Solliciterò destramente per riscuotere anche il resto. Mando una scatola con duo docine di vetri da 3 quarte, datimi da M.° An¬ tonio per buoni. Ilo aggiunto in un’altra scatola sette altri vetri di diverse lun- io gliezzo, che ho trovati nel mio studio, seben crocio che non possino servire ad altro che a sbrigarsi da alcuna persona ignorante et importuna, che ne volesse per forza alcuno da lei. Con questi saranno 4 copie d’un dissegnetto (0 di quella parte del Friuli che è ingombrata dalla guerra, et contiene i confini et tutte le fortificationi che son fatte al presente. Non lift scala, essendo fatto d’aviso, ma però ò esquisitissimo, diligente, disegnato et intagliato ad istanza mia. Ilo creduto che ella possi vederlo volentieri, o tanto più elio li confini son posti dalla virtù et valor di I). Gio¬ vanni l,) , il quale sì come con la forza batte valorosamente l’inimico nella miglior maniera che concede la contrarietà di tempi et difficoltà de* siti, così con la pru- 20 (lenza e desterità sua superando le difficoltà et impedimenti frapposti da quelli che dimostrano poco zelo del servitio publico, si ò sopra modo avanzato nel con¬ cetto d’ogn’uno et ha acquistata compitamente la gratia pubblica et di tuttala nobiltà. Non è preseti tomento allegata alla lettore. l *' Neppur questo è ftlkgato alla lettore. < 5 ’ Giovanni »t‘ Attuici : cfr. n.“ 1232. 8 — 12 LUGLIO 1617. 329 [1261-1262] Mi sono capitate alcune rime del Marini, che mi paiono degne di lei; perciò saran con queste lettere (,) . Il Germini mi raccommanda instantissiinamente il ricapito delle alligate; però V. S. Ecc. ,,,a mi farà grafia procurarne la risposta et mandarmela, accu¬ sandomi la ricevuta. Bagatella cresce molto in grandezza et bruttezza, et gioca sempre; ma Bar¬ bino è fatto uno de’ belli et nobil cani che sia mai nato in Bologna. Panni im¬ possibile che questa Bagatella sia sua sorella, e ne intenderei volontieri il vero, perchè, verificandosi il parentado, vorrei sperare elio col tempo, se ben grande, potesse esser non brutta. Non altro: a V. S. mi raccomando. In Y.°, a 8 Luglio 1G17. Io non ho chi mi scriva, se non quello che ha principiato queste mie, il qual è tanto inetto che maggior fatica faccio a dotar che a scrivere, oltre che non è buono manco da far una suina nè copiar un conto. Non so se costì si trovasse persona assidua et quieta per questo essercitio et servire alla camera, seben al¬ tri mi fanno quasi tutti li scrvitii. Il titolo è di cameriere; le spese a tinello, da servitore; il salario, di L. 14. Ma se vi fosse persona che fosse atta a tenir libri da conti, si pagherebbe anco tre scudi; et il tener i nostri libri se gli insegne¬ rebbe presto. Di V. 8. Ecc. n,a Tutto suo G. F. Sag. 12 ' 1262 ** ASCANTO TURTORINI a GALLANDONE GALLANZON1 [iu Rimini]. [Kiniini], 12 luglio 1017. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 87. - Autografa. Sig. r ® Galanzone Amatiss. 0 HieriV.S. motivava il nobile pensiero del’ Ecc. ,n0 S. rc Galileo sopra la mobilita della terra; ma non no intesi le ragioni, elio pure devono essere degne di sapersi, se me ne vorrà favorire, come ne la prego. In tanto non lo seppi d’improviso risponder altro che : Terra stai et in aeternum pennanet, dice Chi non erra. Lett. 1262. 3. Priuia aveva scritto la ragiono, poi corresse ragione in ragioni, ma non corresse la in le .— c*> Non sono ora allegate alla lettera. « foglia sorbilo. 1*1 Sul tergo della seconda carta, che del resto Mascherarsi, è bianca, si leggo, di mano di Galileo: Instruz. 0 da Mad. m » ». 330 12 LUGLIO 1017. [ 1202 ] Se altrimenti fusso, elio la terra non conservalo una perpetua quiete, ma si movesse circolarmente, struggerebboilsi lo apparenze, rovinariano lo moli, coprirebbesi d'acqua la parto discoperta, et sovvortirebbonsi molti ordini già oostabiliti della natura, cui piacque darò alla terra un corpo semplice et un Bolo moto naturale intrinseco, a bosso et, come dicono lo scole, ad medium. Chè, movendosi cireolarmcnte, olla Imvrobbe duo moti, uno io naturale, l’altro violento, nè so quale potesse figurarsi l'agente violento; oltreché tale moto non potrebbe essere perpetuo. Et so lo volessimo considerare preternaturale, biso- gnnrebbe assegnarlo naturale a quale’altro corpo; elio non convolerebbe se non al ciclo, olii solo è concesso il moto diurno, et non a gl’altri elementi, quali hanno il loro proprio moto naturalo et rotto. Se lo stesso moto bevesse circolare, in tuie caso la terra et il cielo sareblmno sempre nel medesimo sito, et un aspetto del cielo guardnrohhe la medesima parte della torre. So si dica elio l’acqua si mova con lo stesso moto della terra et con la «tessa velo¬ cità con ossa terra, ot così anco gl’altri elementi, in ta[lo] caso non si comprenderebbe il moto loro: ot puro sensatamonto proviamo il moto diurno del'aere sopra gl'altissimi 20 monti, quali nondimeno vediamo immobili starsene et perpetui con la quieta tona. Tra gli moti circolari, quanto più l’inferiore è distante, da tanti più moti viene mosso, come ci si fa manifesto in tutte lo «fero; chè la prima, propinquissima a semplicissimo et immobile Ente, moveai d’unico moto, semplicissimo et regolato: che perciò la terra, so circolarmente si movesse, dovrebbe moversi di più moti, massime diurno ot di quello elio si fa noi zodiaco. Ma tale moto non rì scorge polla terra, poiché sempre le stello fisso appariscono o tramontano dalla medesma parto del cielo; il che non succederebbe, so la si inovesso di questi due moti. Sperimentisi co ’l gittaro un sasso in alto, cho sempre cascherà diametralmente nello stesso luogo doiulo fu lanciato; che se la terra si movesse con tanta velocità diurna, 80 onderebbe molto lontano, come si prova nella nave quasi volante, elio '1 sasso rado fuori d’ossa nave. Et già consideriamo che la terra di gran lunga si morena più veloce della nave, so havosso tale moto circolare. l’armi bavere visto un luogo d’Aristotilo De musa mnlus animaiitim , che nè anco tutti i Dei potrebbono movcro tutta la terra, essendo necessario cho olla sia in mezo et quiescente; perchè, movendosi il cielo secondo li suoi principii naturali, ot essendo neces¬ sario cho ogni moto ritrovi onde s’acquieti, forza è elio la terra sia, fuori della quale niun altro corpo quiescente sarebbe sofiicionto al moto ilei rielo che si fa intorno al mezo et ha la sua quieto nel suo mo/.o : elio tutti acconsentono che la terra sia il niezo ot il centro dei’ universo. 40 I.a natura dol moto n è a mrdio o ad medium. So la terra si movesse, ascenderebbe dal mezo, nò più sarebbe nel mezo, come pure tutti s’accordano. Et. se si movesse in¬ torno al mezo circolarmente, non si potria discernere il moto circolare del cielo, perchè quello della terra parerebbe del cielo. I,a verità dunque paro irrefragabile, che la terra sia immobilmente quieta, per la natura della sua gravezza, di moversi al basso, non ad alto; conciosiachò ogni grave tenda al centro, cho è un punto, ot quel punto in mezo al firmamento, havendo natura tale da Saturno, pianeta ili tutti più freddo et secco; come Marte influisce al fuoco, caldo 12 - 21 LUGLIO 1617. 331 [1262-1263] efc secco; Mercurio domina l’aria, indifferente ad ogni disposinone, calda co 1 calidi, et 50 fredda con le cose frigide; et la luna, l’acqua, elio con la sua frigidità et humidità agge ne gl’ altri elomeuti, elio però in ventiquattro bore, por la grande affinità con la luna, si move ogni dì quattro volte. Volonticri vedrò le ragioni [del] S. ro Galileo, cui già tanto m’affettionai pe ’l suo Si¬ dereo Non-/io, sopra il quale feci anco alcune mie considerazioni, come suo discepolo, per impararne qualche cosa di più dal suo elevato ingegno; et mi fingerò d’essere seco in trattandone con V. S., clic sì gli è familiare, hit le bacio la mano, ringraziandola della occasione apprestatami. Di casa, li 12 Luglio 1617. Di V. S. molto Ul. r0 fierv/* Aff. n, ° 00 Ascanio Tur tori ni. 1263 * GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 21 luglio .1 (il7. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campo». Autografi, 15.» I.NXXVfII. n.« (IR. — Autografa. Alla lotterà facciamo soffrirà la « replicata di cambio » (cfr. liti. 2), elio ò audio prosuiitomonlo allogata. Molto 111" S. r Ecc. mo Ricevo le sue lettere, et le mando la replicata di cambio. La prima (,) fu man¬ data con un gran piego et due scatole per via del Ressidente; voglio creder che l’Labbia ricevuto. Circa allo Stecchi, il S. r Zaccaria mio fratello parve che restasse adombrato dalla varietà della sua vita, et non molto sodisfatto della lettera. Noi certo siamo in gran bisogno, et per attendere al terreno, et per Cadore in un carico di di¬ spensa di vittuarie, al quale da principio fu applicato il Germini ; et finalmente ho bisogno qui in Venetia di uno con nome di cameriera, ma che servisse e io potesse accommodarsi a tenir conti, poiché questo che bora mi serve è così inetto che non posso più sopportarlo, facendo io più fatica a fargli scrivere che a scri¬ vere di mio pugno. A questo non do più che £ 14 il mese, e le spese a tinello come gl’altri servitori; se il soggetto che si trovasse valesse anco per servitio de’conti, potrebbesi arrivare alli 3 ducati il mese. Che sarà (ino di queste, pre¬ gandole dal Signor Dio felicità. lu V. a , a 21 Luglio 1G17. Di V. S. Ecc. ,na Tutto suo Gio. Fran. Sag. «»> Cfr. li." 12431. <*> Fkanoksco Treviean. 21—26 LUGLIO 1G17. 382 [1263-1264] Al dispensiere» di Cadoro diamo ducati 10 al mese, a tutte suo spose. Al fattore per il terreno disegniamo dar le speso c 30 ducati all’anno, o 20 cosa simile. Fuori , d'altra mano: Al molto 111." S. r Ilon. mo L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. Agl’8 di Lug.° 1617. In Ven.* d. u 100 a s. SO e mezzo <• • •*>. A uso, non avendo per la prima, pagate per questa seconda di cambio al S. r Galileo Galilei d. l< 100 a s. 80 e mezzo <•••>, cambiati con 1’Ul. rno S. Gio. Frane. Sagredo del’ Ecc. mo Procuratore ll) , o ponete come per la di avviso. A Dio. Amerigo, Pioro Capponi. 30 Fuori : A’ Mag. cl SS. ri Lucantonio, Ubertino et Esali Martellini. In Firenze. 1204 *. ANTONIO GRIGI a GALILEO in Firenze. Milano, ‘20 luglio 1017. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXVl, n.° US. - Autografa. Molto Ill. r ® et Ecc. m0 Sig. r et P.rone mio Oss." 10 Non è convenevole elio V. S. voglia fare scusa della tardanza, dove P errore è mio, elio ardisco ai gravissimi negotii di V. S. aggiungere importuno travaglio di scriverò ; e perciò protesto a V. S. elio mi sarà di favore singolarissimo che col mozzo del P. F. Bonaventura {,) , so occorrerà, mi faccia avisato di quello forsi ricorcarò con mio lettere. L’III." 10 Sig. Card.® Borromeo ringratia V. S. della cortesia sua dol volere mandare i suoi libri, e priega V. S. a non fare altro se non mandarci la nota di quanto sino al presente è stampato. Si trova nella libraria di S. S. 111. 1 "* la Di¬ fesa, le Gonsiderationi V I Ustoria e Di mostrai ioni, Sydcreus Nuncius. Potrà io dunque V.S. avisarci del resto, che si procurarà da Milano. Quando V.S. si risolvesse venire a godere la Lombardia, offerisco con vivo affetto la mia persona e casa; et il ricapito sarà vicino alla libraria mirabile (l) , <’i Nioooi.6 Saqkido, Procuratore di S. Marco, **> Cfr. n.° 760. padre di Qiovanpranoksoo. l») Intendi, TAmbrotiaua. t*i Bonavkntcra Ca vAi.ir.si. 26 — 28 LUGLIO 1617. 333 [1264-1205] dove si potrà fare mirabile trattenimento. Tratanto V. S. si conservi con cura singolare, essendo la sua persona troppo utile e necessaria allo lettere. E per fine con vivo affetto le bacio lo mani. Di Mil.°, il 26 Luglio 1617. Di V. S. molto 111“ et Ecc. m * Sor.™ Humiliss. 0 Ànt.° Giggi. 20 Fuori: Al molto III.™ et Ecc. mo Sig. r et P.rone mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1265 **. GALLAI ZONE GALLANZONl a [GALILEO iu Firenze]. Kiinini, 28 luglio 1617. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, cnr. 80. — Autografa. Molto 111“ Sig. ro P.ron mio Oss. mo Avanti ch’io partissi di Roma, lessi tutt’ il libro 10 clic V. S. mi donò in Fio¬ renza, e P amirai come soglio fare tutte le cose del Big. 1-0 Galileo, e compatii grandemente questo vostro Sig. Pe Colombo, perche panni che fra gl’ Immilli di lettere egli sia Botterato. V. S. deve in conscienza restituirli quella picciola repu¬ tatone eli’ haveva fra i professori, et ò tenuta in quella guisa apunto eh’ è te¬ nuto quello clic divulga una impudicità d’una bella dama, che forsi per passione d’amore havrà fatto un fallo. Son pregato da un mio grand’ amico, qual non gusta molto questo moto della io terra, di rispondere all’obietioni elio mando 10 a V. S., cioè, come astronomo, se si potesse rispondere a questi dubbii, lasciando però la verità eli’ babbi il suo loco, con tralasciare anco di rispondere a i passi della Sentina, parlando sempre come puro matematico. La prego avisarmi come salva la maggiore e minore pa¬ ralasse del sole, o ia maggiore o minore grandessa d’esso corpo solare. V.S. pi¬ gliarti ogni commodità, havendomi a tratenermi ancora doi mesi nella patria, sperando a Novembre tornarmene a Roma, dove vorei essere borio pure una volta a servire V. S. ; alla qua[le] per fine bascio le mani, con recordarmeli servitore di core. Di Rimini, a’28 di Luglio 1617. 20 Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Aff. mo Ser.™ di core Gallanzone Gallanzoni. <») Cfr. Voi. IV, pftg. 455 691. t*> Cfr. u.° 1262. 334 5 AGOSTO 1317. [ 1260 ] 1 2 (ìli*. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 5 agosto 1G17. 1)ibi. Est. in Modena. Raccolta Cumpori. Autografi, B.* l.XXXVUI, n.*69. Autografa. Molto 111.*» S. r Eco." 10 Soleva esser tempo elio io, vi verni o a me stesso, erano tutti i mici negotii et occuputioni volontarie; ma la lunghezza del conclave per Polettione del pre¬ sente Proncipe, adossata a mio padre che liaveva la esclusione, ha in modo ossa- cerbata la città contro di noi, che per pura vendetta, subito dopo la morte di osso mio padre (n , fu mandato inio fratello Podestà a Verona, dove pur aggionta sostenendo anche il carico del Capitano mancato di vita, riposano bora sopra di me tutti li negotii nostri: ondo ambedue restiamo, P uno per li pubiici et l’altro per lo private occupationi, angustiati in modo, che non lmbhiam tempo da respi¬ rare. Pensi mo’ V. S. Ecc. ,nu qual sia il mio ramarico affaticar tanto, non essendo io stimolato alla fatica dall’ avaritia nò dall’ ambitioae, ma solo da un estremo desi¬ derio elio tengo di sodisfare a mio fratello ; et per ciò ancora m’ oscusi se non solo diferisco, ma ancora manco molte volte di rispondere alle suo, o, rispon¬ dendole, havoudo l’animo a mille negotii, o molti ancora travagliosi, non so quasi quello elio io mi scriva. Ilo inteso il desiderio clic ella barerebbe di poter mostrar alcun’oliera di Spuntino (5) a S. Altezza: le mando perciò tre chiavi et un anelletto per tenerne molto insieme, lavori clic possono scorrere, nm non sono de’ suoi diligenti da dovero. Mi farà singoiar grafia rimandarle, perchè Pumi servo all’amaro degli argenti, P una alla mia camera, et la terza ad uno scrignetto. Ilo liavuto da co- 20 stni altri lavori esquisitissimi, ma 0 con buone paralo o con fraudi mi sono stati levati di mano. Lavora egli benissimo; ma sicome in questo può liaver 0 pari et superiori ancora, così nell’ in veri tione et nell’ingegno credo non Rabbia para¬ gone tra lo persone manuali. Come persona bassa eli’ egli ò, ha nondimeno molti buoni termini civili ot honorati, ot ò più tosto liberalo che avido, nè mai con persone di conto P ho udito patuire. Con tutto ciò non è generale, tbesoriero, governatore 0 altro personaggio, elio sia stato in Palma, clic non gli sia nimico per la sua lunghezza et infedeltà nell’ attendere quanto promette di lavorare. Credo elio certamente egli sia in Palma ancora, dove, oltre lo molto provisioni Lutt. 1266. 24. penone mainali — 01 Ufr. 1188. <*' Cfr. un. 1 788, 746. 5 AGOSTO 1617. 335 L1266] 30 che tira come bombardiere, armarolo et horologiaro publico, riceve molto paghe di lavoranti et ligliuoli, et sento grandissimo utile nel lavoro di tutto le ferra¬ mento per uso della fortezza, et nella presente guerra nel vendere et acconciar armi d’ogni sorta, non affaticando in altro che in comandare «a’suoi lavoranti et bever un secchio al giorno del miglior vino elio produca il Friuli. Egli si trova diflìnitivamente sbandito dalla mia gratin por la sua ingratitudine, perchè, liavendo ricevuto da me, oltre gl’altri benefitii, buona parte dello sedette provisioni, un imprestito di 1200 ducati per duo anni gratis, con li quali ha fabricato una casa che afiitta ducati 120 all’anno, e la sua liberatone assoluta dalla giustitia di delitto grave, che fu, a caso pensato, di haver assalito con un gran martello il 40 capo (lelli bombardieri presso un corpo di guardia et haver offeso quelli elio lo ritencro; all’incontro mi ha tenuto tre anni a fornirmi fuor di tempo alcune serrate ri ne che gl’ ordinai, sicché, scacciatolo dalla mia presenza, non ho più voluto sapere alcuna cosa di lui. Si trova qui in Venetia un lavorante allevato nella sua bottega, che ò ingegnoso assai et lavora chiavo di ugual bellezza a que¬ ste. Egli ancora nella lunghezza rassomiglia a Spuntino, et è meco in contumatia per la stessa cagione. Hora lavora in casa di un mercanto Fiamengo, mio com¬ pare, che lo spesa con la moglie, et lo paga, per quanto intendo, generosamente. Subito ricevute 1* ultime lettere di V. S., ho presa informatione da diversi gentil’ huomini clic si dilettano di frutti d’estraordinaria belczza; et ho finalmente 5o inteso che il Cl. mo S. r Andrea Morosi ni, nipote del generalo Laudo, si trovava delli cospersici descritti da lei, et in Pregadi mi sono aboccatn seco. M’ ha detto che n’haveva due piante grandi et bellissime, che quest’anno han l'atto quantità di fiori molto per tempo, ma sopravenuto un freddo grande, non solo siano ca¬ duti i fiori, ina una sia totalmente morta, et l’altra, mal viva, liabbia gettato dal piede, offerendomi tutto quello clic a suo tempo se ne possa trare per ser¬ vire a V. S. M’ ha detto, il frutto essere con osso di persico, gialo affatto, per¬ fettamente tondo come il pomo, senza pollo, di mirabil gusto et odore, di grandezza di una picciola naranza, et dal suo giardiniere essere chiamato alberges, che credo sia parola spagnola corotta, et mi dà inditio che sia pianta di Spagna, di co dove forse potrebbesi bavere ciò cho si desidera. In Soria certamente non v’ò alcun frutto buono, fuor che il pistacchio, la musa, che non mi piace, et il da¬ tolo, clic ivi maturiscc malamente. Ilo scritto, quando mi trovavo in fjuello parti, etili fratelli di M. Hocco Ber- linzone 10 nell’Indio, acciò mi mandassero semi di fiori o altre pianto che non sono in Italia; ma da loro non ho liavuto altro che ciancio et promesse. Può esser V. S. certissima che sento infinito dispiacere non poterla servire, et per rispetto ancora del soggetto così grande (8) che li desidera. Non abbandonerò la pratica, «n Cfr. n.° 185. (U Intende, il Granduca. 5 — 10 AGOSTO 1617. 336 [1266-1267] et se in queste parti si troverà cosu degna, spero conseguirla. Et per line le prego dal Signore Dio felicità. In V. a , a 5 Agosto 1617. Di V. S. Ecc. mtt Fuori, d'ultra mano: Al molto III.® 8ig. r Eec. mo Il Galileo Galilei. Con un lagotiuo con tre chiavi. Firenzo. 70 Tutto suo G. F. Sag. 1 207 *. FABIO COLONNA a | GALI LEO in Firenze]. Napoli, IO agcmto 1017. Blbl. Naz. Plr. Mas rial., P. VI, T. X, car. 31. — AiiUifrafa. Molto Ill. u Sig. r mio sempre Osa." 10 È obligo do’ Lincei di augurar felice anniversario alli S. ri compagni nel mese di Agosto; et perchè io desidero osservar, in quanto posso, 1*institutione, con questa ho voluto far il mio debito con V. S., con pregar Nostro Signore le con¬ ceda a V. S. altri cento di questi anniversarii felicissimi, per benefìcio de V. S. et do’ virtuosi, che aspettano le sue osservationi dottissime. 11 S. r Stelliola nostro ha cominciato a stampar sopra il telescopio 10 , et ne manderà il foglio a V. S., acciò Lavisi delti mancamenti, come a maestro, et che lo favorisca poi nelle altre occasioni, come ne scrive a V. S. Et io intanto le basio le mani, accertandola che le vivo afl'ettionatissimo, con sempre lodar la io sua gran virtù; et finendo, le resto servitore, con pregar N. S. per la sua salute et lunga vita. Di Napoli, li 10 de Agosto 1617. Di V.S. molt’Ill.® et Ecc.®* Vi sono in Firenza alcuni Sig. ri Lincei, conio intesi; ma non ricordandomi i lor nomi, non scrivo: V. S. me scusi, et facci, per l'arme gratin, l’ufìicio da mia parte. Afi>° Sor.™ Fabio Colonna Linceo. 20 [ 1208 - 1269 ] 10—11 AGOSTO 1017. 337 1268 *. ORSO D’ELCI a CURZIO PIOOHENA in Firenze. Madrid, IO agosto 1(517. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4945 (non cartolata). — Autografa la sottoscriziono. .... Ilo letto tutto il discorso clic mi fa il S. r Galilei <*), con quel più elio mi dice V. S. in attestazione del suo merito e dell’ esperienza eli’ ella dice haver visto di tatto quel ch’egli propone; c bastandomi supero che V. S. resti capace delle ragioni del sudetto Sig. r Galilei, uii sforzerò tanto più di persuadere al S. p Duca di Lerma eh’egli sia chia¬ mato qua con l’aiuto di costa che il S. r Galilei m’accenna: e V. S. l’assicuri elio lo ser¬ virò, por il suo merito e per comandarmelo V. S. medesima, con tutto il poter mio. Dia non gli posso già risponder bora, perchè non ho tempo, facendomi avvisato il Segretario Arostigui che il corriere partirà questa mattina manzi desinare.... 1269 ** FRANCESCO STELLUTI a GALILEO in Firenze. Fabriano, 11 agosto 1G17. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 33. — Autografa. Molto Ul. re et Ecc.'"° Sig. r P.ron mio Oss. mo Di Acquasparta scrissi un’altra mia (S) a V. S., di dove fui necessitato par¬ tire e tornar qui in Fabriano con occasione delle nozze d’una mia sorella, e penso di trattenermici per tutto Ottobre: però qui intanto, occorrendole, potrà comandarmi. Scrissi in detta mia a V. S. l’osservationi fatte in cielo col telescopio del S. r Principe, quale riesce assai buono; et perchè dopo osservai anco Saturno, lo vidi ovato: non so poi se ciò procede dall’imperfettione dell’occhiale, opure così apparisce anco a V. S., che desiderare! saperlo. Et in simil forma apunto me io lo mostra anco bora qui un occhialaccio che mi trovo: però mi farà gratia dir¬ mene sopra questa apparenza qualche particolare, et se altro ha di nuovo, e come si trovi di sanità, giachè è un pezzo che non tengo avviso alcuno di V. S.; et mi dirà se ha ricevuti quei miei epitalamii (8) , fatti in occasione delle nozze del S. r Principe, che di Roma ordinai gli fossero mandati. Nò occorrendomi al¬ ni Cfr. n.° 1200. 11 Pegaso, Epitalamio in sosta rima nello i 2 > La lettera a cui qui si accenna non per- nozze di Federico Cosi c d’Isabella Salviati. Roma, venne insino a noi. por Giacomo Mascardi, 1617. XII. 43 11-12 AflORTO 1 f> 1 7. 338 [1269-12701 tro, Ha non pregarla elio mi comandi, lo bacio per line le mani, augurandole dal Cielo ogni bramato contento. Di Fabriano, li 11 di Agosto 1017. Di V. S. molto lll. 1 * et Ecc. mR Sor.™ AfT. mo Frano. 0 SStelluti. Fuori: Al molto III.™ et Ecc. roo Sig.™ et P.ron mio Osh«“» 20 Il Sig. r Galileo Galiloi. Perugia per Fiorenza. 1270*. G10VANFRANCKSCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 12 agoHto 1017. Blbl. 35at. In Modena. Unecolta Cnmpori. Autografi. D.« LXXXVI1I, a.» 70 — Autografi». Molto 111.” S. r Ecc. mo Per servire ad un amico mio fui malevadore di circa 400 ducati di un cam¬ bio; ma perditi non volli in tutto mettermi a rischio ili pagarlo, accettai l’of¬ ferta fattami da lui di un deposito di 1 Stagioni dell’anno del llaisan vecchio (,) , apprecciate da lui mozo migliaio di ducati. Dopo qualche tempo ho fatta instanza per l’estintiono (li detto cambio, ot hebbi licenza di procurar la vendita di dette Stagioni, come ho latto col mezo del S. r Girolamo Passano, ligliuolo dell’ Ruttore di esse, il quale ha negotiato con un mercante Dalla Nave (i) , accordato il prezzo, con consenso del padrone, in quattrocento scudi. Volendosi levar li quadri, io non acconsentii senza la parola di detto mercante, il quale ini promise senza al- io cunaeccettione, passato un mese, contarmi scudi 4(X). Hor, passato il mese, quando credeva rimborsarmi del denaro per estinguer il cambio, è venuto a trovarmi il Passano, dicendomi essere stati comprati li quadri dal detto Dalla Nave per com¬ missione di cotesto Ill. mo Cardinale 1 *', et gionti quelli a Firenze, essere stati giu¬ dicati copie, et perciò dover esser rimandati, non prestandosi fede all’attesta- tione fatta dalli figliuoli del Bassan vecchio, che detti quadri siano di propria mano del padre, come verissiinamente sono. Di ciò ho presa infinita meraviglia, non potendo persuadermi che liuomo vivente possi conoscerli meglio delli proprii figliuoli, delli quali uno anco è testimone di veduta mentre il padre li dipingeva: onde ho pensato che qui sotto possi esser qualche fraudo o avantaggio dell’istesso 20 mercante, per detrai- per aventura alcuna cosa del prezzo stabilito. Io qui den¬ tro non ho altro interesse che per la piezaria fatta, della quale o per una o por **> Il pittori! lilACOMO DA l'OKTR, dotto il Ba8- BANO. <’> Bartolouko Dalla Navr. <*) Carlo dk'Medici. 12 — 16 AGOSTO 1017. 339 [12704271] l’altra via assicuratami, poco m’importa clic sia accresciuto o diminuito il prezzo. Solo mi spiacerebbe che, ritornando i quadri con titolo di copie, convenisse re¬ star scoperto di molto, non sapendo in qual altra maniera assicurarmi, overo per forza di giustitia astringer il mercanto all’esborso promesso; poiché quanto alli quadri io non ho contrattato seco alcuna cosa, ma solo presa et accettata la parola per il denaro predetto, et concessogli il poter levare i quadri, senza nessun patto di ripigliarli. Ma li pittori Bassani danno all’arma, che non sia cre¬ so (luto ad una loro fede sottoscritta con giuramento, di cosa che, per così dire, ninno del mondo può sapere meglio di loro. Ma perchè in questo caso panni non esser bene che io venga a nessuna rissolutiono senza esser informato se veramente li quadri siano stati condotti costì, et se per ordine dell’Jll. ,n0 Cardinale predetto o di altri, la prego favorirmi di prendere, con la solita sua destrezza, particolar informationc, sichè io sappia non solo se la difficoltà sia vera et non imaginata, ma ancora il vero prezzo che si sia scritto costì Lavorìi pagati, dubbiando che vi sia qualche artifitio a pregiuditio del padrone di essi o dol compratore. Scrivo queste in Pregadi in molta fretta, nò so dovo Labbia la testa, per haver mille che mi stanno atorno. Mi raccordo di quanto mi ha comandato, 40 et al ritorno del S. r Antonio Pongo et dol S. r Giovanni Cornaro, ambedue che molto si dilettano di giardini, saprò scriver a V. S. Ecc. ,ua ciò che si possa pro¬ metter in queste parti 05 . Se il cameriero ha le condittioni altre volte scritte, mi sarà carissimo. Et le baccio la mano. In V.», a 12 Ag.° 1617. Di V. S. Ecc." ia Fuori, tValtra mano: Al molto 111.™ S. r Hon. m ° L 1 Ecc. mo S. r Gai. 0 Galilei. 50 Firenze. Tutto suo Gio. Fran. Sag. 1271 *. MlOHELANGFil .0 GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 16 agosto 1617. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 17. — Autografa. Car.'"° et Honor.‘ l0 S. 1 ' Fratello, Io risposi a una vostra scrittami in materia do l’occhialo ridotto a altra per¬ fezione: ne senti’ gusto particolare, et pensando me nc potessi mandar uno per m Cfr. n.<* 1266, li». 63-68. 340 1G — 22 AGOSTO 1017. [1271-1272] S. A., lo stavo aspetando con desiderio; ma non essendo conparso altro, m’in- magino sia cosa non comune, e però mi quieto, erodendo che quando sia cosa da partici panie altri, ne sia per toccare uno ancor a me. La mia Clara si trova gravida, et doveri partorire circa mezzo Novembre. Desidereremmo ci volessi inpetrar gratia costì dal Ser." 10 G. 1). o vero Ser. ma Arciduchessa, secondo a quello manderà il Signore, di faro dessino ordine fussi la creatura tenuta a battesimo in nomo delle loro Altezze; et spero, se vorrete io solamente spenderci una minima parola, seguirà sicuramente, scudo cosa quasi inlecita il ricusarla. Però vi prego a far questo piacere alla Clara e a me; et non potendo seguire, almeno avvisatemelo, acciò si provegga da ultra banda. 11 S. r Giovanni Sini vi sborserà 4 scudi : vi prego vogliate comprarmi 4 grosse di cotesto corde di Fi renio, per mio bisogno et do’ mia scolari. Io do il fastidio a voi, perchè conprcrcle do le migliori, o un altro forse non ci averia nò cura nò inteligenza. Il S. r Sini di Norinbcrgn me no fece vinire una grossa, e non mi son riuscite cattive, o però ò animo di prevalermene spesso, e a voi darò la briga di comprarmele; et vi prego per qualche sicuro mezzo inviarmi (pianto prima sia possibile queste 4 grosse. 20 Starò aspettando con desiderio avviso del negotio, et d'intendere del vostro buon essere con tutti di casa. Altro non so che dirvi: noi qui, por la Dio gra¬ tia, stiamo tutti bone, et di cuore vi ci raccomandiamo, pregandovi a salutar le monache 10 da parto mia, madre o sorella e tutti; oleosi il Signoro vi conceda ogni bene. l)i Monaco, li 16 (l’Agosto 1017. Di V. S. Aff. ,n0 Fratello Michela#. 10 Galilei. Fuori: Al molt’Ill. 1 * et Ecc. ,no Sig. r Galileo Galilei, Matematico del Sur. mo G. Duca di Toscana. 80 Fiorenza. 1272 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Acquasparta, 22 agosto 1017. Bibl. Naz. Fir. Mot. (lai., P. 1, T. Vili. cnr. 13. — Autografa. Molt*lll. r ® Sig. r mio 088. m ° Sono da quattro mesi clic non ho lettere di V. S., e solo dubito d’intercet- t,ioni, e tanto più che io lo ho scritto più volto, et anco il S. r Stelluti 40 , in qne- 0’ Intendi, lo figlio di Giulio. <*> Cfr. u.® 126». [1272-1273] 22 - 26 AGOSTO 1617. 341 sto tempo, nè intendiamo cosa alcuna; onde ne sto con travaglio desiderosis¬ simo. V. S. mi levi di esso quanto prima. Di me non posso darli altra nuova, se non clic, asserite da Roma, non son nò anco libero da molestissimi affari che di là mi corrono a ritrovare: pur mi riesce ricrearmi talvolta con le naturali contentiplationi. Mi creda che il non haver di lei nova mi tiene in fastidio grande, essendo privo della consolatali che ri¬ io cevo intendendo di lei, alla quale devo tanto. L’aspetto ogn*ordinario; e pre¬ gandole da N. S. Dio ogni bene e quest’ anno (,) felicissimo a' suoi studii e pieno d’ogni contentezza, a V. S. di tutto core bacio le mani. Di Acquasparta, li 22 Agosto 1617, Di V. S. molt’Ill. ro Aff. mo por ser. ,a sempre F. Cesi Lin.° P. 1273 **. GIOVANNI FABER a GALILEO in Firenze. Roma, 2(5 agosto IG17. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 35.— Autografa. Molt’ 111. Sig. ro et Padron mio Oss. mo Vengo con questa a compire con V. S. il debito mio di congratulationo del¬ l’anniversario dell’ institutione academica nostra, con augurare a V. S. sanità, prosperità et progresso nelli suoi studii heroichi et incremento felicissimo al- l’Academia nostra, per la quale il Prencipe nostro non ò manco solecito che pel¬ li proprii negotii domestichi, nelli quali però bora si trova molto immerso. Il Sig. r Stelliola nostro ha principiato a stampare il suo Telescopio (a) , del quale ho già visto il primo foglio: lo stampa a Napoli, et presto sarà finito. Altro non mi occorre a dire a V. S., se non che mi gli offero prontissimo servidore et io bramo molto d’esser favorito de i suoi commandamenti. Di Roma, alli 26 d’Agosto 1617. Di V. S. molt’ 111. Divotiss. Se. Giova. Fabro Lyliceo. Fuori : Al molt’111. Sig. r et Padron mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei Lyuceo. Fiorenza. in Intendo, il nuovo anno Linceo: cfr. n.° 12G7. (*' Cfr. dii.' 752, 12G7. 312 20 AGOSTO 1017, 1 . 1274 ] 1274 *. GIOVÀNFRANCKSCO SAUREDO a QAI.ir.EO in Firenze. Venezia, liti agosto 1617. 33 ibi. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, B.» I,XXXVIII, n.»7l, Autografa la sottoscrizione. Molto III.™ S. r Koc. rao L* occupationi mio non mi permettono ogni settimana riBpondore alle lettere di V. S. Eco. ma , la qualu por ciò prego oscusarmi. Procurerò intender dove siano lo cappe, spugne et altro, por metter nello grotto 0 ’ cho olla mi scrive; ma, por «lir il vero, poca speranza tengo di poterla servire, perchè in Genova ot a S. Pietro d’Arona ho vedute coso così degne, dello quali m’immagino cho costi olii lo desidera no hahhia copia grande, cho qui in Venetia non erodo che si trovi cosa comparabile. Pur vederò. Parimente de’frutti, oltro quanto lo no scrissi, ho inteso un gentil’ huomo, amico mio, bavero pomelli con mandole buono come lo ambrosino. Egli ò fuori; io corno ritorni, intenderò so la relatione datami sia vera, et no avisarò V. S. Kcc. ma De semenze do cauli fiori procurerò haverne dal fratello del constile di Cipro, et lo manderò la ventura settimana. Quanto a quello di poponi di Damasco, stimo cho non so no trovi certo, perché mai l’udii nominare non Bolo qui, ma nè anco in Soria, dove non sono meloni so non sgratiatissimi, et li migliori son portati di Emit tanto maturi, cho si aprono et mangiano con cuochiari ; et sono di quella sorto cho qui in Vonotia chiamiamo meloni da inverno, lunghetti et lissi come lo zuche, alquanto giali, della quale specie intendo ritrovarsene a Bologna, o por consequenza credo anco costì. L’eminenza della persona 0 ’ per la quale V. 8. Ecc. ma desidera questo cose è 20 tale, cho gran fortuna stimerei potoria servire, conoscendo in quanta stima s’Imb¬ iba a tenero et come lo sia debilita ogni servitù. Nondimeno io, por li mici ri¬ spetti, convengo in queste cose affatticarmi più acciò resti quella servita et V. S. sodisfatta, cho por acquistarmi per conto mio alcun merito; onde non intendo che debba inai esser nominata la mia persona, cosi ricchiedendo l’osservanza tifili neccessarii et ottimi ordini della ltepublica, che molto importano et devono sopra tutto le cose esser radicati nell’animo et nel cuore de’suoi buoni cittadini. Comandi però V. S. Ecc. roa in tutto quello che mi conosca buono, oliò il desiderio che ho di servir lei, ot sapendo che il mio servitù) possi riuscire di gusto a chi prima d’ogn’altro olla desidera servire, farò sempre quel più che sarà in poter so mio, acciò dagli effetti conosca la sincerità et grandezza dell’amor mio verso lei. Ot Cfr. n.» 1280, lio. 7. I*' Cfr. o.° 1266, lui. 07. [1274-1275] 2G agosto — 9 settembre 1617. 343 Quanto alli quadri (,) , m’ è stato caro 1’ aviso bavuto da lei. Io vorrò che il S. 1 ' Bortolo Balla Nave mi attendi la parola delli 400 scudi promessomi senza nessuna eccettione, et lasciare poi eli’ egli faccia lite con chi gl* ha venduti essi quadri. Ben convengo maravigliarmi dell’ignoranza e temerità di cotesti pittori, clic ardiscano negare ad un Principe, quelli non essere di propria mano del Bus¬ sali vecchio, riputando por spergiuri li proprii figliuoli dell’ autore, ambi pittori di conto, et per ignoranti tutti li proffessori di pittura di questa città, col con¬ siglio do’ quali, ambasciatori de Principi, diversi personaggi et altri mercanti ■io intendentissimi, Fiamenghi, Francesi et Venetiani, hanno più volte tentato di comprarli, trattando sempre dalli 300 scudi in su: cosa che non potrebbe se¬ guirò quando s’ havesse havuto minimo scropulo che fossero copie, ben sapendosi che, come tali, non possono valere più di cento scudi. Io non dimeno di ciò non tengo per mio interesse alcun pensiero, poiché li quadri non sono miei, nè mai furono miei : ben mi sono stati assegnati por sicurtà di un cambio, del quale ne fui et ne sono sin hoggi malevadore; e tenendo assoluta parola di ricever alla fine del presente dal S. r Bortolo Dalla Nave scudi 400, senza corniittione ima- ginabilo o mentione alcuna di mercato de’quadri, ma solo per ottenere licenza da me di levarli, mi persuado che, nascendo in questo negocio quante conti-o¬ so versie et liti si possano immaginare, meco egli non possi ritrattar la sua pa¬ rola: il che mi basta quanto all’interesse mio, lasciando elicgli altri si scapric¬ cino a lor modo. Hebbi le chiavi (i) : et per line a V. S. Ecc. ma affettuosamente mi raccomando. Di Venetia, a 26 Agosto 1617. Di V. S. Ecc. mu Tutto suo G. F. Sag. Fuori : Al molto 111."» et Ecc. mo S. or Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1275 * GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, ‘J settembre 1017. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cninpori. Autografi, lì.- 1 LXXXV1II, il. 0 Ì2. Autografa. Molto III.» S. r Ecc."' 0 Mando un poco di semenze di cauli fiori, elio ho havuto dal fratello del con¬ sole di Cipro, le quali non sono di quest’ anno, perché non no son venute. Mi Accanto all'indirizzo al leggono questi ap¬ punti, di ninno di Gaui.ro: • Pesci d'Arno, granchi, anguille e lucci. Funghi, raviggiuolo, zatto. Seleni, pescho, vuova, acciughe. Fichi, azeruolo, vino 3 fiaschi. Pane, limoni, uva. lento. Erbe da trapiantare. Trovare il fattore ». fi in altro luogo della stessa carta, insiemi) con cal¬ coli e abbozzi di costituzioni ilei Pianeti Medicei, prive di data, si legge, pur di mano di Gai.ii.zo: « Crusca. Pane. Vino. Studiuolo ». 29 — 30 SETTEMBRE 1617. 347 [ 1279 - 1280 ] de li 28 di Agosto ; che 1* una et 1’ altra mi ò stata gratissima, accennandomi in esse la ricevuta dclli epitalamii ll) et P osservatione dell* apparenza di Saturno, che mi pare stravagantissima. Mi piace poi sommamente elio la villa presa (2) sia di sua sodisfatione et che gli conferisca assai per la sanità, conoscendo fin bora il benefizio di quell’aria, della quale sappia homai servirsene, fuggendo quelle lun¬ ghe vigilie notturne, chè a me sarà sempre caro sentire buone nove della sua io salute e che mi comandi, chè sarò sempre prontissimo. 11 Sig. r Principe sta bora parimente bene, et se è vero (come mi s’accenna) che la Sig. rtt Principessa sia gravida, forse non ritornar^ altrimente a Roma al Novembre, come disegnava di fare ; et a me piace, sapendo con quanto gusto dimora in quel luogo per lo comodità et per la quiete, tanto da lui desiderata. Con che, non altro occorrendomi, bacio a V. S. affettuosamente le mani. Di Fabriano, li 29 di Settembre 1617. Di V. S. molto 111.“ et Ecc. ,,,a Ser. A (F. 11,0 Frane. Stclluti. Fuori : Al molto 111. 10 et Ecc. mo S. r P.ron mio Oss." 10 20 11 Sig. 1- Galileo Galilei. Perugia per Fiorenza. 1280. GIROLAMO MAGAGNATI a [GALILEO iu Firenze]. Venezia, 30 settembre 1617. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I. T. Vili, car. 17. — Autografa. Molt’Ill.™ et Ecc. too S. ro , S. r mio Oss. ino La lettera di V. S. Ecc. ma delli 12 del passato soglie lo stile de’ favori eli’ ella mi fa scrivendomi, i quali lenti se ne vengono com’ ella tardi ò arrivata, essendomi stata portata a casa, nò si sa da olii, solamente l’altr’ieri, che fu a’ 28 del corrente. Il sentirmi vivo nella benigna memoria del Ser. mo Gran Duca m’ha tutto con¬ solato, e il giudicarmi S. A. Ser. ma abile a farle alcuna servitù nel pensiero della grotta che dissegna fabricaro, mi rende ansioso di saper qualche particularità del suo gusto per incontrarlo. Mi sarà caro anco intender se la inachina ha da esser molto grande, se in luogo chiuso o allo scoperto, et appresso se saran di io buon proposito vaghezze e stravaganze di poca spesa o pur materie di prezzo, ch’io poi con questa instruzzione m’adoprerò con ogni studio per ben servire il mio Signore. U* Cfr. II.» 1260. (5) A Bellosguardo: cfr.Vol. XIX, Poc. XIII, c, 8. 348 30 SETTEMBRE — 20 OTTOBRE 1017 [1280-1281] Le delizie del poggetto 10 di V. S. m’limi musso una disonesta invidia et un gran prurito di venirmene a lussureggiarle, tutto eli’io abiti nello stesso casino sopra il Canal Grande, dove con gli amici no sto godendo la vista, e, con la carità da lei imparata, bevendo por quo’ barcaroli che vanno in su e in giù, sacrificando spesso tazze ben piene di buon liquore freddo e spumanto alla salute di V. S., che però, Dio grazia, si va avanzando nella sanità con mia somma allegrezza. I miei studii, come esercitii del mio ozio, son pochi, e la mia Musa, accor¬ tasi oho è una cialtrona dopo la modestissima oorrezzione fattale dal benigno 20 silenzio del Principe Cardinale, se no sta tutta vergognosa con la piva nel sacco, sbadigliando, a poltrire sonnacchiosa in un cantone, o non che co’ re di ltoma (,) , ma nè anco co’ facchini di dogana osa più domesticarsi. Esaltò solo, alcuni mesi sono, con la modestia usatale, anco la virtù cortesissima dell’Ecc. mo S. r Don Gio¬ vanni (,) con un sonetto, che non lo invio a V. S. per esser egli una bestia, e con la coda ben lunga. Stamperò fra pochi giorni un volume di lettere: e perchè la vera via d’immortalarsi è il trattar con uomini celebri, scrivo l’occlusa al S. r Gio. Latta Strozzi, ambizioso di farmeli servitor di qualche effetto, come gli son di molta divozione; il che sporo elio ottonò col grazioso lenocinlo di V. S., come puttanissimamente ne la prego. Baci caramente lo inani al S. r Ottavio Ilinuccini, 30 se ò in Firenze, e mi conservi Pamor suo. Di Ven. R , a’30 di 7mbre 1017. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Aff. m0 Ser. di tutto euoro Gir. m0 Magagnati. 1 281 *" G10VANFRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 20 ottobre IC17. Blbl. Ha*. Fir. Din. (lai., V. I. T. Vili, oar. 19 20. - A litografa. Molto 111.” S. r Ecc.*° Mi furono reso le granosissime lettere di V. S. Ecc. m * in villa, dove, mi sono trattenuto a piacere le due prime settimane di questo mese, accompagnato dalla guardiana del mio casino; et intesa l’offerta cortese fattami da lei del brachetto, ancorché io non volessi dar a V. S. Ecc. mm altro disturbo, mi sforzò nondimeno Lett. 1280. 17. liqure — 22. •Uidiyliana — < l * Cfr. n.° 1279, Hn. 0. de’ Modici. In Vonetia, MUOXI, appresso Piotro Farri. **' Alludo a La r ila di Tulio Oidi io, torno rt di Cfr. anello n.® 872. Roma, scritta facetamente in terza rima da Ciao- Giovarmi i>k‘ Manici. umu Macaunati. AI Princijio Don Carlo Cardinal 20 OTTOBRE 1017. 349 [ 1281 ] colei a prometterle di scrivere per liaverlo. Ma tra tanto è accaduto che, infa¬ stidito io dalla sua ingordigia in tutte le cose insoportabilo, mi sia liberato da lei, havendola immediate fatta sgombrare con tutte le robbo dal casino, rinon- ciato subito al nostro S. r Dottor Cavalli per levar a costei la speranza di ritor- io nare. Ilor in questa transmigratione ho perduto, con questa grande et voracis¬ sima, tutte l'altro bestie, et in particolare Barbino, 1(,) belissimo et gentilissimo, che mi ha doluto più d’ogn’altra cosa: onde, per passar martello, mi sono rissoluto accettare, sieomo faccio, la cortese oblatione fattami da lei della brachetta o bra¬ chetto, quando però si possa ottenerlo con gusto compito di lei et del padrone ancora, oliò altri mente non mi sarebbe grato. Haverò caro che abbia acconcio il muso, conforme l’abuso comune, et ne resterò molto obligato a V. S. Ecc. ,na La licenza che ho dato alla sudetta bestiaccia è stata con ferma intentione di non addossarmi più così gran caricai] come quella che ho sostenuta fin bora, non tanto per la spesa, che certo trappassava 500 scudi all’anno, quanto 20 per l’intrico et servitù di custodirla et guardarla, perchè, essendo giovanotta et di esquisita bellezza, ho convenuto invigilar con mille insolite et sottilissime cau- telle perchè non fosso da altri goduta a spese mie; il che essendomi, per quanto ho potuto sapere, assai bene riuscito per quattro anni continui, et essendomi di già passati li furori et lo stimolo, voglio godermi della quiete et con picciolo in¬ teresse sodisfar al bisogno della natura, che certo è pochissimo: di che tanto più me n’assicuro, quanto che in questa transmigratione non ho sentito patir punto il mio animo, et conosciuto chiaramente esser maggiore l’amore che io porto a me stesso di quello che portavo a lei, ancorché stimata da me esquisitamente bella. Per questo accidente mi è cessata parte considerabile delle mie occupa- so tioni, perchè seben veramente io non havovo molto gusto della sua conversatone se non «al tempo del mio bisogno, tuttavia non passava giorno che io non con¬ venissi lasciarmi vedere, per mantenerla in fede et secondare il suo gusto, per quanto estrinsecamente dimostrava. Teneva ella occupati sempre li miei servi¬ tori, et mi era di t.al impedimento, che certo panni haver fatto sì grande ac¬ quisto col liberarmi da lei, che con ragione panni doverne discorrer tutti questi particolari con V. S. Ecc. ,nn per darli parte di una grande mia felicità, che so doverle riuscir molto cara per amor mio. Ben le confesso bavere in ciò sentita una sola inortificatione, simile a quella che hebbi il giorno che feci testamento, nel quale mi commossi p.arl.ando di quello che doveva essequirsi doppo la mia 40 morte; perchè, considerando esser venuto in questa deliberatione per mancamento di stimolo, con fermo pensiero che questa sia l’ultima prattica di simil natura, mi sono in un medesimo tempo «aveduto già esser fatto vecchio et, per dir così, I,ett. 1281. 8. lei, havendola havnmlola immediate — <*> Cfr. ii.° 1210, liti. 73-70. 350 20 OTTOBRE — I NOVEMBRE 1617. 11281 - 1282 ] morto itili piaceri giovanili. So a questo male si potosso con l’ingegno prevedere, io ricorrerei a V. S. Eoc. ma , come a quella clic vaio in tutto quullo clic si può valere, ut non, conio ella mi scrivo, solo in trovar servitori et cani; ma cono¬ scendo il malo incurabile, convengo acco in mudarmi alla necessità, et non potendo godere do’piaceri giovanili, goder i coni modi proprii de’ vecchi, i quali aneli* essi hanno certi particolar gusti. Mi rallegro in estremo della nuova servitù contratta con 1* Kcc. ,no Prencipe D. Lorenzo 05 , elio, conio intendo d’altra parto, essendo di indole grande, potrà 60 far grand’bonore a V. S. Eco.™» et giovarli molto, conoscendo la grandezza della sua virtù. Mi rallegro ancora del possesso havuto di cotesta villa di Bellosguardo, nella quale spero elio ella attenderà, corno dico il Savio, a vivere et tartari: hoc est ctiim itomi vi l)ci . 11 Germini mi è raccommandatiBsimo et per suo proprio merito ot per quello che V. S. mi commanda, et in tutte le cose elio convenientuiuentG si potrà, re¬ sterà sempre sodisfa(tto.] Ho havuto alcune mandole elio maturano al tempo do’perseglii: come man¬ dole 8on buone, ma come persiglii non vogliono se non per curiosità, liavendo un non so elio di garbetto et di color rosso di doutro. So costì non fossero cose or- 60 dinario, le ne manderei fin una docina da piantare, et al tempo deirinestaro manderei qualclio calmella clic intendo riuscire, inastata sopra mandolari et per¬ segui. Et per fine a V. S. Ecc. ma baccio la mano. In Ven. a , a 20 Ottobre 1617. Di V. S. Ecc. ,na Tutto suo G. F. Sag. 1 282 *. GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO in Firenze. Venezia, 1 uovoinbre 1517. Bibl. Niu. Fir. Mss. Osi., P. I, T. Vili, c»r. 03. - Molt’ IU. r * et Ecc. mo S.™, S. r mio Ors . 1 " 0 Scrissi molte settimane sono a V.S. Ecc. n,m(,, J e le inviai una lettera diretta al S. r Gio. Batta Strozzi, pregandola elio si degnasse ricapitarla, nè ho sentito nova alcuna che m’Labbia latto questa grazia; nè meno ho sentito alcun parti¬ colare del gusto di S. A. Ser. ma circa la grotta, della qual, come huvrà inteso, 59. non ragionano — Gl. le ne manderà fin — L>ett. 1282. 3. ai deg ricapitarla — <*' IjORKXzo l>k' Medici. <*' Clr. u." leso. 4 — 6 NOVEMBRE 1617. 351 [1282-1283] liebbi tardissimo la lettera che mi significava il servizio, o per dir meglio la ser¬ vitù, clic volontieri o di buon cuore le havrei prestato, quando del bisogno io n’havcssi havuto più chiara notizia, come ne la pregai. Ora vivo con gran desi¬ derio di saper se ha data la lettera al S. r Strozzi, del che di cuore la supplico io avisarmi, come d’ogni altra cosa in ch’io potessi valere per servir il Sev. mo Pa¬ drone et insieme V. S. Ecc. ,na , la grazia di cui temo bavere smarrita per l’ostina¬ tissimo c lunghissimo suo silenzio. Prego Dio nostro Signore che le conceda ogni prosperiti!, e elio mi mantenga l’amor suo e me ne dia segno con qualche suo comandamento, et affettuosa¬ mente lo bacio lo mani, come anco fa l’Ecc. ,no S. r comparo Ferrari. (,) Di Vin. a , a’4 di Ombre 1017. Di V. S. molto Ill. ro et Kcc. ,na All." 10 Scr. r di vivo cuore Gir. ,no Magagnati. Fuori: Al molt’Ill.™ et Fcc. mo S. r , S. 1 ' mio Oss. mo 20 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 1283 *. FRANCESCO DI SANDOVAL, Duca di berma, al Presidente del Consiglio dello Indie [in Siviglia]. Pardo, G novembre 1G17. Arclx. «-onerale delle Indie in Siviglia, listante HO, cajon 3, legajo 9, intitolato; « Imliforento gonoral. Hcnlcs Uecrotos. Aiìos do 1511 A 1G17 ». Su Magestad a visto ol papel ynduso del .Embaxodor do Floreneia rromcticndo que bara benir de quol Estado a un Mathonmtico famoso quo ha benido a alcau^ar conio poder graduar la longitud para el beneficio do la navigaciou de las Yndias y asigurar la del Mar Oceano, y me a raandado embiarle a V. S., para que se vea en la Junta de Guerra de Yndias y que se le consulte lo que pareciereW. Dios guarde a V. S. En el Pardo, a G de Noviembre 1617. Sòr Presidente de Yndias. El Duque. 9. al SS SS Strozzi — di Cristoforo Fkrrari. I*) Cfr. n.° 1277. < !l > Clic la risoluzione del problema fosse tenuta conio cosa di gran momento dal governo spngnuolo, lo dimostra anche una * Minuta ile consulta ilei Con- sejo do Estado hecha A 7 do Junio do 1018, sobro lo quo oscribió el Duquo do Monte)eoa acerca do un istrumento ìnatomatico », la quale è noli’Archivio ge¬ nerale di Simancas, Segreteria de Estado, Legajo 2G-1, f.° 182. Cfr. Favaro, A luoni Studi Galileiani, Venezia tip. Autouolli, 1891, pug. 134. 10 NOVEMBRE 1617. 852 [ 1284 ] 1284 **. TOBIA ADAMI n GALILEO in Firenze. TrobHon10 novembre 1017. Bibl. Naz. Fir. Msa. Gal., 1». VI, ’i'. X, cnr. 80.— Autografa. S. P. I). Annua fero est, Clarissime Galilaeo, cum litoras ad te Norimberga dabam (a , quas et per mcrcatoroa nostrates Pisanos rodditaa tibi esse nullus dubito. Desi¬ deravi summopere ut no filimi amici due nostrae, qimd tanta cum voluptate mea Fiorentino tecuin et cum P. Benedicto de Castellis nere incapi ego et Dominus Rudolphus de Bina, qui tunc mecum aderiit, per locorum et temporis inter- capedinem disrumperetur. Non ignoro gravioribus longe negociis te distineri, quam ut ad talia et ultramontana ad vertero tibi quidem Bcmper liceat: scio ta- men et boc, te borulam (quam saepo tibi, dum praesens aderam, su ffu rutila Bum) amicis aliquando dare posse, si velia. Quapropter denuo rogo, Excellentissimo Vir, io per sanctum amicitiae nomen, ut hanc coinmunicationem, nobis tam desidera- bilem, tua ex parte intermittere ne dedigneris, et de observationibua vestris coe- lestibus ac disquisitionibua philosophicis, si quao intercurrunt, interdum nos red- dere certiores; quod si feceris, fortassis fastidii huius litorarii te non paenitebit, et de nostratibus rebus vicissim tibi, si quao occurrent, abunde satisfacieraus, in aliis etiam- rebus, quibus gratificari queamus, non intermissuri. Me quod attinet, Campanellae philosophia ut typis tota evulgetur, iam la- boro. Praomisi nuper Prodromutn M ; inox Epilogismus philosophiae naturalis et moralis U) insequetur: quao si grata tibi foro scivero, postime ad te mittani. Uferum antem ille bonus vir Campanella in vi vis adhuc sit an mortuus, in carcere an uo liber, resciscere dudum nihil potui: si quid «lo eo tibi constabit, cum aliis ite- rum obsecro ne me celes. B. V. Dedi Trebae ex Misnia, a. d. x Noveiub. anno epochae uostrae CcIOCXVII. T. Tobias Adami. Jleissen? <*i cfr. n® 1241. 1,1 Prodromut philoiojiUia* inilaurandat, id ent lùssoitationis do natura rerum compemiiuni secundum vera principia, ox scriptis Thomas Campaxcllak praemissuin Cuoi praefationu ad philosophoa Uer- maniae. Francofurti, excudebat loannas Itringerus sumptibus Godefridi Tampacbii, M. DC. XVII.— I.n prefazione è di Tobia Adami. '* F.Thomak Campaxbli.ak Calabri.O. i'., Itealù philotophiat tpilogitlicae parie* i/ualuor, hoc e*l de rerum natura, hominum morihu* ecc., eum nduotatio- nibus ph.Tsiologicis a Tliobia Adami mine prinuim editae ecc Francofurti, iinpousis Godofridi Tampacbii, anno MDCXXUL MB 10 — 30 NOVEMBRE 1617. 353 [1284-1285] [S]clieurlini et Pfauthii, mercatores Pisani, curani liabebunt de tuis ad me mittendis. Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 S. ra mio Oss." 10 11 S. r Galileo Galilei, Nobil Fiorentino, 30 Filosofo e Matematico primario del Sereniss. 0 Gran Duca di Toscana. Fiorenza. 1285 *. ORSO D’ELOI a CURZIO PICCHENA in Firenze. Madrid, 30 novembre 1G17. Avoli, di Stato in Firenze. Filza Modicoa 4945 (non cartolata). — Autografa la sottoscriziono. _Ilo visto quel che V. S. mi scrivo per conto del Galilei, o l’ho voluto audio leggere al Segretario Arostigui, poiché nel medesimo tempo che hebbi la sudetta lettera di V. S., mi mandò il Sig. r Duca di Derma un ordine del Ile {l) , che l’offerta e proposizione del Ga¬ lilei si vedesse in Consiglio di Stato e si consultasse a S. M. 4 quel che no paresse al Con¬ siglio. 11 Segretario hebbe per bene ch’io gli facesse un breve traslado in Castiglin.no di quel die V. S. mi scrive, che servirebbe a eccitare il Consiglio e dar eredito alla propo¬ sizione. lo fo tutto quel elio posso perchè l’offertasi accetti ; ma havrei ben caro che l’inven¬ zione riuscisse poi praticabile e da potersi usare a tutte lo bore e da tutto le persone, 10 come ha bisogno la navigazione. Per il discorso di V. S. tocco con la mano che dalla di¬ versità dell’ bore nelle quali si vedrà un medesimo aspetto di quelle stelle intorno a Giove, si conoscerà subito la vera longitudine che Imbibano quelle città o luoghi tra loro; ma per saper questo, è cosa forzosa e necessaria veder prima le sndette stelle et i loro aspetti, la qual cosa non so come si potrà fare in mare, o almeno tanto spesso et tanto pronta¬ mente quanto la necessità di chi naviga ha bisogno: perchè, lasciando a parte che l’uso del telescopio non potrà lvaver luogo nelle navi per il movimento loro, ma quando anche ve lo potesse bavere, non potrebbe egli servire uè di giorno nè in un tempo serrato di notte, che non appariscono le stelle; e chi naviga ha bisogno di sapere bora per bora il grado della longitudine in che si trova. Questo è quanto dubbio mi a 1 offerisce nella ma- 20 feria; e perchè la difficoltà può nascere più dalla mia imperizia che dalla cosa, seguiterò d’aiutarla caldamente, fidato nel buon giudizio di V. S. e nel valore del S. r Galilei, elio haverà pensato a tutto. Per quel elio m’ha detto hoggi il predetto Segretario Arostigui, già si ò visto in Consiglio il negozio e se u’ò fatta consulta al Re, sichè presto dovrà sapersi la risoluzione di S. M.\ della quale darò subito conto a V. S.; et allora risponderò al S. r Galilei- O) Cfr. n.® 1283. m 45 354 4 DICEMBRE 1617. [ 1280 ] 1286. GALILEO a CURZIO PICOIIENÀ [in Pisa]. Firenze, 4 dicembre 1617. Bibl. Naz. Plr. Mrs. Gai., P. I, T. V, oar. f>-7. — Copia ili mano del sac XVIII in rapo alla quale si leggo, dolla stossa ninno : « Copia di lettera di Galileo Gallivi al Segret. Curalo Picclioiia, in data do’ •! Xmbro 1017, di Firouzo ». Tocca a ine a scusarmi con V. S. lll. ma , so non fui a farlo reve¬ renza quando ultimamente passò di (pia; ma tal mancamento am¬ metterà olla facilmente, mentre intenderà essere accaduto per ritro¬ varmi io in lotto con felibro, siccome mi ci ritrovo ancora qui in Firenze: ma sono con speranza di uscirne presto. Quanto al negozio del Padre Don Benedetto, egli non si è niente slargato più meco di quello che si facesse con V. S. IH.®» alla Petraia, anzi forse manco, non mi avendo Sua Paternità dotto altro se non elio la suprema autorità in terra di comandare agli uomini delle ga¬ lero è del Sig. r Commissario, siccome in maro è del Sig. r Ammira- iu glio ; in oltre, che si credeva che esso Sig. p Ammiraglio fosse per 1 ’ avvenire per riposarsi dallo sue tante fatiche e sì gloriose; o som¬ mamente si lodò delle cortesie straordinarie ricevute dal medesimo Signore: tal che io non posso congetturare che Sua Paternità .. . per il Sig. r Commissario per altro, che per avere un protettore e fautore di più, e elio por avventura con molta vivezza sia per adoprarsi in fare che si superino quelle difficoltà che incontrano gli esercizi nuovi. Sicché quando, senza dare ombra o scrupolo ad alcuno, si possa in¬ garbare che anco il Sig. r Commissario s’interessi in questo negozio, credo che sarà gratissimo al Padrone; siccome all’incontro nò io nè, 20 credo, anche Sua Paternità lauderebbamo o domanderebbamo che si mostrassero difficoltà di nessuno, e molto mono di quegli da chi non si è ricevuto altro che cortesie. Però il tutto si rimette alla prudenza di V. S. Ill. ma , la quale per amore del Padre 0 mio si (legnerà pren¬ dere quello speciiente che più le parrà opportuno, assicurandola che di tutto resterà sodisfatto. F con tal fine riverentemente gli bacio lo mani, e la supplico a baciare la veste in mio nome al Seren . 0 G. I). ed all’ Eco . 0 Sig. r Principe Don Lorenzo, facendo mie scuso con Sua Ec¬ cellenza so non fui a pagare tal debito quando passò di qua. Lett. 1280. 14. Paternità j>er — [12871 9 DICEMBRE 1017. 355 1287 *. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 9 dicembre 1017. Bibl. Est. in. Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXV11I, u.° 73. — Autografa la sottoscrizione. Molt’lll.™ S. r Ecc. m ° Dal procaccio mi è stato consegnato il braccliefcto, tutto sano et allegro, elio mi è riuscito sì bello, che quando anco non havessi inteso altro, dovevo com¬ prendere questo venire da altissima mano. Ne rendo perciò a V. S. Ecc.." ,a affet¬ tuosissime gratie, promettendole che non vi sarà in Venetia puttana che me ne levi di possesso, come ò succeduto degl’ altri. Mi duole in estremo cho ella non si trovi in ottimo stato di salute, et prego il Signor Dio che all’arrivo di queste la febbre habbia consumati li cattivi Ru¬ mori et lo habbia stabilita la buona salute, dovuta certamente a quelli che sono io galani’ Imomini di tutto peso, come ella ò. Ilo fatta sollicitare la lana per V. 8. Ecc. n,a ; ma chi ne ha la cura, o che dice non haverno trovata di buona, o si nascondo in casa: sì che, per diligenza usata, non s’ è potuto ridurre a fine sì poco negotio; ma si condurrà al certo quanto prima. 11 Germini, scrittore di questa, venuto qui per certi suoi negot.ii, le Rascia la mano, et mi sarà in ogni tempo raccomandatissimo per rispetto .suo proprio et per le affettuose raccornandationi di V. S. Ecc. ma ; et spero che, incontrando la sua con la nostra buona volontà, resterén tutti contenti. Scritto sin qua, ricevo lettere dal S. r Zaccaria mio fratello, che mi dà conto baverle scritto in raccomandationc del fratello del maestro de’ suoi figliuoli, miei 20 nepoti (l) , et mi commanda clic replichi l’istesso uifitio anco per mio nome; onde, premendo infinitamente questo negotio ad esso mio fratello per li rispetti accennati nelle sue lettere, la supplico mettervi ogni spirito acciò resti favorito. Scrivo questa sera al S. 1 ' Ocmonino per li cechini che restano, et sarà avi- sata V. 8. Ecc. ,na della risposta che darà ; et per line le Laccio la mano. In V. 11 , a 9 Xbre 1617. Di V. S. Ecc." ,a Tutto suo Gio. Eran. Sag. Fuori : Al molto Tll. ro S. r Eco. 1 " 0 11 S. r Galileo Galilei. 30 Firenze. u* Cfr. tifi 1292. 356 22 — 23 DICEMBRE 1617. 11288-1283] 1288 *. FEDERICO CESI a GALILEO fin Firenze]. Roma, 22 dicembre 1617. Bibl. Nftz. Fir. Mss. («al., P. I, T. Vili, car. 21. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molfc’ 111." Sig." mio OsH. mo Scrissi a V. S. li giorni passati, et a quest’ bora dovevo haverno ricevuta la risposta; ma non vedendo suo lettere, vado dubitando clic le mie non lo capi¬ tino. Ho volato soggiungerlo con questa il desiderio elio io tengo di sentir qual- c.ho nuova della sua salute; et con pregarle da N. S. Dio felicissime le Gante Feste et l’anno nuovo con altri infiniti appresso, le bacio affettuosamente lo mani. Di Roma, li 22 di Xrabrc 1617. Di V. S. molto 111." Non posso star senza travaglio mentre non ho nova di V. S., o tanto più quando ciò segno per molto tempo. 11 1*. Castelli è stato in Roma, e credo partito avanti il mio arrivo, poi che io non ho potuto vederlo, che m’è doluto grandemente, poiché desideravo conoscerlo di presenza o intender da lui a pieno di V. S. Starò con desiderio inten¬ sissimo aspettando lettere di V. S. e elio mi com¬ mandi. S. r Galileo Galilei. 1280 *. GALILEO a [FEDERIGO BORROMEO in Milano]. Bellosguardo, 28 dicembre 1617. Bibl. Ambrosiana In Milano. Cori. G 226 Pur. Inf., car. 98». — Autografa. Ill. mo e Rev. rao Sig. r * e P. ron Col. mo Il benigno affetto di V. S. lll. mn e Rov.™ verso la persona mia, del quale per molti segni vengo assicurato, mi obbliga ad accrescer molto io \ff. mo per ser> sempre [1280] 23 DICEMBRE 1 Gl 7. 357 a quel desiderio di servirla al quale son tenuti tutti gl’lui omini, et in particolare gli studiosi di qualsiasi scienza ; onde tanto maggiore si fa il mio dispiacere, quanto più per varie cagioni vengo distur¬ bato dall’ effettuare tal mio desiderio e debito : tra le quali poten¬ tissima è la poca sanità nella quale continuamente mi ritrovo, come forse bara V. S. Ill. ma e Rev. ma inteso dal S. Giggi l1) , il quale, cod¬ io tesemente visitandomi d’ ordino di V. S. Ul. ma e Rev. ma , mi trovò in letto con febre ; et in poco migliore stato mi ha trovato anco pochi giorni sono il S. Marchese d’Oriolo (2> , che pure mi ha honorato e favorito di visita due volte et attestatomi la cortese inclinazione di V. S. Ill. ma e Rev. ma verso di me, col quale discorsi a lungo sopra il telescopio e suoi effetti : e sì da sua Signoria come dal S. Giggi ho intesi alcuni dubbi che restano a V. S. Hl. ma e Rev. n,ft , tanto circa V istesso strumento, quanto circa le cose osservate col mezo di quello nel cielo ; le quali difficoltà io non diffiderei di poter rimuovere, quando a lungo potessi discorrer seco e vicendevolmente udire o ri¬ so spondei*©, cosa che per lettera a lei sarebbe troppo laboriosa c di tedio, et a me, nello stato in che mi trovo, quasi impossibile. Tut¬ tavia non riguarderei a nessuna fatica per servirla anco in questa maniera, se non fusse una assai ferma speranza di poterla, e forse in breve, servir di presenza, o per passaggio di costà per più lungo viaggio, o a posta per visitar S. Carlo e Y. S. Ill. ma stessa. Intanto la supplico a prestarmi tanto di credenza, che non metta dubbio alcuno circa le cose osservate da me ne’ corpi celesti, lo quali, piacendo al Signore Dio, vederemo una volta insieme ; et intanto, pregandole da Sua Divina Maestà le buone feste del Suo Natale 30 e felice Capo d’anno con molti altri appresso, et il compimento d’ogni suo desiderio, humilmente me li inchino, e reverentemente gli bacio la veste. Dalla Villa di Bellosguardo, li 2'3 di Dicembre 1617. Di Y. S. Ill. ma e Rev. ma Dev. mo et Obblig.™ 0 Servitore Galileo Galilei. Lett. 1289. 10. quanto cica le — 111 Antonio Giggi. < 2 < Lelio d* Okiolo. 358 25 DICEMBRE 1017. [ 1290 ] 1200. GALILEO ad ORSO I)’KLCI in Madrid. Firenze, 80 dicembre 1617. I)ul Tomo III, |)RK. 130-111, doli'edizione citata noli’infornnulono promessa al n.® 1201. Firenze, 25 Dicembre 1017. Avrà forse V. Ecc. ricevuta sin ora un poco di scritturetta che repentinamente mandai all’ Illustriss. Sig. Picchena dopo elio mi ebbe fatta parto di quanto V. Eco. gli scriveva nell’ ultima sua de’ 30 di Novembre l4l J dove per la strettezza del tempo, poiché un’ora dopo doveva partire un corriere per costà iti diligenza, non potetti so non brovissimamento accennare alcuno particolare intorno le difficoltà che promuove V. Ecc. circa la mia proposta ; intorno allo quali ora più posatamente lo dirò quanto mi occorro, sebbene simili discorsi dove- riano veramente esser fatti presenzialmente, per la comodità del ri- io spondere all’ altre instanzo che successiva]»onte vanno nascondo. So bene comprendo, le difficoltà elio perturbano V. E. si riducono a due capi : 1’ uno è, elio la mia operazione non si possa praticare in ogni tempo o a tutte le ore e da ogni sorta di persona, come, secondo elio ella accenna, ricerca la necessità della navigazione; l’al¬ tra ò, che V uso dell’ instrumonto in nave, per la continua agitazione dell’ acque, resti impedito e nullo. Quanto al primo, fondandomi sopra quello elio, parte per mia coniettura, parte per* esperienza, e parte per informazione di persone elio hanno lungamente viaggiato por l’Oceano allo une ed all’altro 20 Indie e diligentemente osservate le pratiche e maneggi marinareschi, dico primieramente che il prender la longitudine non può aver bi¬ sogno di maggior frequenza di quel che s’ abbia 1’ osservazione della latitudine, la quale, facendosi per via di strumenti mattomatici, come 1’ astrolabio e la balostriglia, non si può faro nò in tempi nuvolosi nò nelle gran commozioni del mare ; nò perciocché ella non possa ad ogn’ ora esercitarsi, vien disturbata e messa in disuso. Ma più (1 > Quosta uou purrouiio inaino a noi. <*1 Cfr. n.° 1288 . [ 1290 ] 25 DICEMBRE 1617. 359 parmi che non solo non sia assolutamente necessario d’ora in ora, ma nò anco di giorno in giorno, osservare nò la longitudine nè la so latitudine ; perchè se, v. g., fatta in questa ora 1’ osservazione, ci tro¬ veremo, per esempio, lontano venti gradi dalla linea, sapendo poi che ogni sessanta miglia ci danno un grado di latitudine, e più cono¬ scendo i marinari esperti assai aggiustatamente quanto cammino per ora con questo e con quel vento si faccia, e vedendo dalia bussola verso che parte si muovono, poco potranno deviare dal vero in un giorno o due nel prescrivere la latitudine ; anzi di presente, non po¬ tendo loro prender giammai la longitudine, si regolano in questo solo colla coniettura, che pigliano da una diligente osservazione del viaggio che d’ ora in ora fanno colla qualità de’ venti che gli soppraggiun- 40 gono ; la qual coniettura siccome in due o tre giorni non devierebbe esorbitantemente dalla vera precisione, così nel corso di settimane o mesi 1’ errore si fa notabile e grandissimo : e però nel Mediterraneo, dove i vascelli non restano mai molti giorni senza scoprire terreno cognito, si naviga anco senza 1’ uso della latitudine, coll’ uso della bussola solamente e col coniettural viaggio che si fa colle diversità de i venti che vanno spirando. Concludo per tanto, che quando anco non si potesse prendere la longitudine se non ogni due o tre giorni, tanto basterebbe e sarebbe d’ estrema utilità, perchè ne i tempi tra¬ mezzi la consueta osservazione del cammino ci manterrebbe in co¬ no gnizione propinqua e bastante del vero sito in che ci troviamo. Ora, corno altra volta ho scritto a Y. Ecc., nel mio trovato noi abbiamo in ciascuna notte due, tre, quattro, ed anco talvolta più, aspetti ac¬ comodati per prendere la longitudine, e questo per dicci mesi del¬ l’anno. Ma che più? se il mondo ò stato sin ora senza potere avere cognizione alcuna delle longitudini, fuor che nelle ore degli eclissi lunari, che, ragguagliato, non danno appena una volta 1’ anno tal notizia, nò però si ò restato di navigare per i mari vastissimi, ne i quali per tal mancamento spesso si smarriscono i vascelli, come non ci sarà d’infinita utilità 1’ averla mille volte in ciascheduno anno, e co molto più precisa che dagli eclissi lunari? Perchè possa accadere una volta in cento che nò anco dal mio trovato si ottenga il desiderato comodo, non dee indurci nel disprezzo di tutte le volte che trar ne lo potremo, poiché tante e tant’ altre arti pur si esercitano, benché molto più frequentemente ci defraudino; nò disprezziamo la medicina, 360 25 DICEMBRE 1017. [ 1290 ] benché non guarisca tutti gl’infermi, ne depongono le navi l’arti¬ glierie, ancorché de’ cento tiri novanta sieno fallaci, nè si lascia l’isteBsa navigazione, perchè alcuni vascelli periscono; anzi, se noi considereremo bene, troveremo in ciascheduno esercizio farsi gran ca¬ pitale d’ ogni minima aggiunta di perfezione, perchè in simili civanzi lilialmente si fanno gli acquisti grandi. E bo i marinari non si po- ;o tranno prevalere di tal uso nelle fortune di mare, non perciò 1’ hanno a rifiutare, perchè in tali accidenti non solamente perdono anco la latitudine, ma bene sposso le mercanzie, lo navi o lor medesimi, e pure non si dismette il navigare, lo non solamente diffiderei di poter trovar cosa die totalmente soddisfacesse a i desideri umani, sicché non la¬ sciasse luogo alla curiosità di desiderare più oltre, ma mi pare elio nè anco la natura stessa l’abbia saputo o almeno voluto fare; perchè, sebbene ella por 1’ essere o il mantenimento nostro ci ha ordinato il solo, le piogge, le vicissitudini de’ tempi e delle stagioni, senza le quali nè noi nè altra cosa necessaria al nostro mantenimento si proibir- so rebbo, contuttoché non passa mai anno nè mese elio alcuno non si lamenti o della troppa pioggia o della aridità o del caldo o del freddo, ed in somma non desideri miglioramento nel corso della natura. Ed in qual cosa in questo mondo troviamo compita soddisfazione? Vengo all’ altro capo : nel quale primieramente ammetto a V. Ecc. che l’uso del telescopio in nave ne’tempi procellosi sia impossibile; ma considero elio allora mancano parimente tutti gli altri usi neces¬ sari : ma all’ incontro, so in una burrasca di quattro o sei giorni si confondono in modo tutte le cose che resta il legno del tutto per¬ duto, quanto si dovrà stimar più il poter nella prima seguente se- #o renità ritrovarsi con molta giustezza ? Concedo anco che nelle tran¬ quillità il medesimo uso sarebbe difficile, quando io non avessi pensato al modo di spogliarsi di quella universal commozione che violi par¬ tecipata da tutte le cose che sono in nave : ma a questo ho io trovato rimedio, come V. Ecc. a suo tempo intenderà. Che poi questa opera¬ zione debba esser tale che ogni sorta di persone la possa eseguire, io veramente non vedo tal necessità; e panni che quando uno o due per nave la possano fare, tanto basti, perchè non credo che anco negli altri usi principali della bussola, del carteggiare e della balestrigli, s’impieghi maggior numero di persone, anzi per avventura può es- 100 Lett. 1290. di pertonn la — 25 DICEMBRE 1617. 361 [1200] sere che un solo basti per tutti ; e se si trova sufficiente numero di uomini per queste nominate operazioni, si troverà anco per questa, non più difficile di quelle, come mi pare altra volta aver significato a V. E. ; anzi i medesimi potranno fare e quelle e queste : oltre che io non credo elio al genere vile, rustico o plebeo manchi altro che l’occasione dell’applicarsi agli esercizi di giudizio e d’ingegno, il mancamento della quale applicazione faccia loro apparir poi di cer¬ vello meno svegliato che i nobili. L’operazione dunque sarà senza fallo praticabile ancora in nave e da’ marinari, oltre a gli altri due no notabilissimi usi che ne trarremo in terra ferma : l’uno de’ quali è 1 ’ emendazione ed aggiustamento puntualissimo di tutte le carte nau¬ tiche e geografiche, sicché assolutamente le massime lontananze non svarieranno dal vero pure una lega ; e per gli scoprimenti nuovi di terre incognite, il vero sito delle quali in una sola notte si averà. Quello in che principalmente bisogna che noi insistiamo è in per¬ suadere a i principali, come questa è una arte intera e pur ora na¬ scente, fondata su principi e mezzi nuovi, ma degni e nobilissimi, ed ha bisogno di essere abbracciata, coltivata e favorita, acciocché con 1 ’ esercizio e col tempo so ne traggano quei frutti de i quali ella ha 120 in sé i semi e le radici. E credami pure V. E. che se questa fusse impresa che io per me solo potessi condurre a fine, non sarei mai andato mendicando i favori esterni : ma in camera mia non sono nò mari, nò Indio, nò isole, nè porti, nè scogli, nò navi, onde mi con¬ viene partici parla con personaggi grandi, e durar fatica per fare ac¬ cettare quello che con instanza mi doverebbe essere domandato. Ma mi consolo col vedere di non esser solo, e che sempre ò accaduto che, da un poco di gloria in poi, anco bene spesso offuscata e denigrata dall’invidia, la minima parte dell’utile ò stata quella de’ primi ritro¬ vatori delle coso, le quali hanno poi apportato ad altri onori, ric¬ ino chezze e comodità immense. Contuttociò io non resterò dal canto mio di fare ogn’ opera possibile, e lasciar qua tutti i miei comodi e la patria e gli amici ed i parenti, transferendomi in Spagna per fermarmi quanto bisognerà in Siviglia o in Lisbona o dove sarà opportuno per piantare questa disciplina, purché dalla parte di chi la dee ricevere e di chi la dee fomentare e sollecitare non si manchi delle debite di¬ ligenze e d’ aiuti. XII. 46 27 — 30 DICEMBRI-: 1617. [ 1291 - 1292 ] 362 1291 *. ANTONIO GIGGI n GALILEO in Firenze. Pisa, 27 dicembre 1 BKNKn*TTo Càbtrlli. «*) Cfr. n.® 1287. 10 30 DICEMBRE 1617. 363 [1292] io suo fratello, eh’ è precettore de’ mici nepoti, voleva egli transferirsi costì per agiutarlo ; il che non potendo seguire senza danno di essi miei nepoti, che sono assai bene ammaestrati da lui, lo ha mio fratello trattenuto, promettendogli di impetrare favori più profittevoli per la liberatone di quello che la stessa sua presenza: et le promissioni si sono fondate sopra l'autorità et amorevolezza di V. S. Ecc. ,na , alla quale perciò raccomando et rimetto tutto questo nogotio. S’indugiar^ a comprar la lana a miglior stagione, essendosi anco indugiato ad espedirla, perchè per la mala piega del nogotio di Cipro non se ne trova di perfetta et vale un quinto più dell’ordinario. Quanto al Germini, seben io non debbo ritrattare quanto le scrissi circa la ?.o bontà sua, convengo ben dirle che della sufficienza di lui nel servizio nostro, in quelle poche bore che ho parlato seco, son rimasto malissimo contento, perchè, interrogato da me del governo delle cose nostre, non solo ha confessato di non saperle, ma quello che m’ha dato occasione di riprenderlo acerbamente è stato che egli non intende manco li semplici nomi della ferramenta raccomandata alla sua custodia. In conclusione l’ho veduto così lontano dal poter manegiar li ne- gotii nostri, che vorrei più tosto arrestarli tutti che continuarli sotto il suo go¬ verno. \j ho ammonito acciò per 1’ avvenire vi applichi il pensiero, che, con in¬ dicibile et inaspettata meraviglia mia, è stato fin qui lontanissimo dall’intendere quale sia 1’ufficio de gli agenti nostri et in qual cosa consisti l’avantaggio et so il beneficio de’negotii maneggiati da loro; et starò attendendo il profitto che farà in questo proposito. Potrà V. S. Ecc. ,na , per maggiormente simularlo, scri¬ vergli ch’io mi sia seco escusato di non poter per lungo tempo applicarlo al carico desiderato da lui, affermando che in due anni di servizio prestato non liabbia appreso altro che la prattica di mettere di giornale in libro, copiar let¬ tere, pesar, misurare et simili altri uflitii manuali più tosto che speculativi, eshor- tandolo ad applicar l’animo suo dadovero alli nostri negotii et imparare a gui¬ darli come se fussero suoi proprii, poiché, altrimenti facendo, non potrà da noi riccevere le sodisfationi che desidera. Dal Cremonino, per la negligenza del Morsi (l) che ha havuto lo scritto, non •io ho potuto riscuotere alcuna cosa : replico questa sera le mie instanze, et procu¬ rerò in ogni modo por fine a questo negotio. Et lo bacio affettuosamente la mano. In Venetia, a 30 Dicembre 1617. Di V. S. Ecc. ,na Devot." 10 S. rn Sig. r Galileo. G. ¥. Sagredo. Fuori : Al molto 111.™ S. r Ecc. m ° Il S. r Galileo Galilei. Firenze. O) Cfr. n. 1261. 3(34 2 — 3 GENNAIO 1018. [ 1293 - 1294 ] 1293 *. LELIO I)’ORIOLO a GALILEO in Firenze Roma, 2 gennaio 1618. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 12U. — Autografa. 111.» Sig. or Non prima di pochi giorni sono ho Imvuto occasione di discorrere del negotio (,) di V. S. col Sig. or Cardinale Borgia ***; et havendolo inteso con gusto, mi disso che gli rincresceva non poterne scrivere, perchè il negotio non era incaminato dal principio por mezzo suo, e che, corno a ministro, gli era necessario andar molto eirconspctto in scriverò de’ negotii elio non erano incaminati al principio per sua mano. Ilo voluto scriverlo a V.S., acciò gli sia per aviso. Mi è stato molto caro elio il vetro sia atto a dar satisfattone a V. S., del quale, senza nessun protesto di restitutione, mi faril favore servirsene come cosa sua, stimando haverlo molto bene impiegato nello sue mani. Desidero sì bene io che mi faccia favoro avisarmi per lettera 1’ oaservationo celeste che per la sua mi significa, non potendo fra breve tempo intenderla a bocca, essendo costretto, per lo stesso negotio che venni qui a Roma, giongero anco sino a Napoli, dove potrà V. S., piacendoli, scrivermi a dirittura, assicurandola che gli restarò con obligo grandissimo di servirla in ogni occasione. E bacio a V. S. lo mani, pre¬ gando il Signore la conservi felice come disia. Da Roma, adì 2 di Gennaio 1618, Di V.S. 111.» S.'» Il Marchese d’Oriolo. Fuori : Al DI.® Sig. or 20 II >Sig. or Galileo Galilei, a Fiorenza. 1294 *. FEDERIGO BORROMEO a GALILEO fin Firenze]. Milano, H gennaio 1618. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XIV, car. 181. - Autografa la «ottoacrizione. Molto 111. 1 * Sig. r ® Non deve V. S. prendersi un minimo pensiero, non che incomodo alcuno, di rispondere allo difficoltà, accennatele dal Dottor Giggi 01 , poiché, oltre che si pro¬ le Cfr. n.o 1260. lin. 208 e seg. ( *’ Gasimro B orgia. »»> Ofr. n.° 1287. 3 — 7 GENNAIO 1618. 365 [1294-1295] posero per modo di discorso, senza disegno d’aggravarla, io preferisco la salute e buon stato suo a qualunque cosa. E come sento dispiacere della presente sua indispositione, così le desidero e prego dal Signor Iddio intera sanità et ogni contentezza, con ringratiarla dell’ottima sua volontà verso di me et offerirmele di tutto cuore. Di Milano, a’ 3 di Gen.° 1618. 10 Di V. S. Come fratello Aff. rao S. r Galileo Galilei. F. Car. Borromeo. Fuori : Al molto 111.™ Sig.™ 11 S. or Galileo Galilei. 1295*. CESARE OREMONINJ a GIOVANFRANCESCO SAGREDO [in Venezia]. Padova, 7 gennaio 1G18. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, U. 14 LXXXV1II n.° 62. — Copia di mano di Giovan- pranoesco Sagkbdo : cfr. n. 1299. 111."’ 0 S. r mio S. r Oss. mo V.S.lll. ma lia tocco il buon punto, ch’io faccia i conti col S. r Galileo; ma egli ha mancato, c’havendomi scritto: gati qua. » Intanto mi farà graffa, alla ricevuta (li questa, far pagar costì a M. a Marina Berto- » lucci < !) ducati venti, che sono per gli alimenti d’un mio ligliuolo W che tiene costì, li » quali li menerò buoni nel nostro conto. » 10 doveva anco, dando a lei lo scritto, commetterli appresso questo conto, che di questi venti ducati so n’ è pagato tre volte: ha avuto il Mazzolenii 3) scudi diece; M. Gio. Antonio Tara ha dati per me ducati vintiquatt.ro ; io medosimo, altri ventiquattro. Ilora questo conto non si vede; et questo, tanto più ò mancamento del S. r Galileo, quanto che, vedendomi dare lo scritto co i cento, gli scrissi il tutto, dicendoli che mi di¬ cesse tutto quello che voleva di più, ch’io era prontissimo, secondo la parola fra di noi, et non ho havuto risposta. Non doveva anche dar lo scritto senza avisarmi di tutto: senza parole era accomodato. Benché cento ducati non erano di tanto conto, che nè anche V. S. Ill. m * havesse a pi¬ gliar disturbo di scriverne, come ha fatto ; tanto più essendo io qui servitore della Ro- Iiett. 1295. 7. pnynr così a — U) Marina Gamba ne' Bartoluzzi. **> Vincenzio. » 3 > Maro' Antonio Mazzolimi. 866 7-12 GENNAIO 1(118. ("1295-1297] pubi ira, elio non ri ò pericolo perderli : oltre oh’ io mi terrei di non essere, quando pensassi 20 di far disconvonevolezze. Del cambio, olla sa di non havonni mai avisato, elio pure mi sarebbe stato caro per saper lo cose mio. I.a prego «dar ordine a’ SS/' Morsi, acciocché io possa trattare por dar sodisfatione. Nel resto poi aarò un giorno a Vcnetia, o tratterò con V. S. 111.*"*: alla quale per lino mi raccomando in grati a. Di Padova, il dì 7 denaro 1618. Di V. S. III."» ProntÌB8. m0 Sor.™ Cesare Crenionino. Lo scritto è trovato, e sarà in mano ile' SS. rl Merxi ad ogni sua volontà. 1 296 *. ORSO D’ELCI a CURZIO I’ICOHENA in Firenze. Madrid, Il gennaio 1618. Aroh. di Stato in Fircnzo. Filza Modico» 1915 (non cartolata). — Autografa la sottoscrizione. .... Ilo visto lo repliche clic fa il Sig. r Galilei (l) a quel poco che m’era sovvenuto di motivare intorno all 1 uso della sua invenzione; e mi pare elio egli dica lutto quel elio si può dire in risposta dolio obiezzioui. Però so qui scuoprino elio cotesta arto di graduar la longi¬ tudine non può servire se non di notte, quando ò sereno e non tira vento, non parrà loro di quel profitto elio haverebbono bisogno, perchè so bene la suddetta notitia è necessaria allo navi elio vanno e tornano dall’ Indie in tutta la loro navigazione, por saper di mano in mano in che parage si trovano, tuttavia è loro molto più necessaria in tempi di bu- rasca, rotti o fortunosi, conio ognun può crcdoro; e so allora l’uso dell’occhiale gli ab¬ bandona, parrà loro di poco utile, ancorché possa servire fuor di questo a molto, conio ben dice il Sig. r Galilei. 11 He non m’ha fatto anche rispondere nulla, perchè il Consiglio 10 di Stato devo prima volersi informare da liuomini periti quel che convenga di fare, che così mi accenna il Segretario Arostigui; e subito elio io babbi» qualche risposta, la signi¬ ficherò a V. S.... 1297 * ALESSANDRO ORSINI a GALILEO in Firenze. . Roma, 12 gennaio 1618. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, crt. 183. — Autografa la firma. Ill. ro Sig. r * Si persuado molto bene V. S., che l’affeziono che io le porto sia così vera e costante, che non habbia bisogno d’ essere fomentata con alcuna cortese dimo¬ strazione ; che però si sarehbe potuto rispiarmare V. S. la briga che s’ è presa 12—13 GENNAIO 1018. 3G7 [1297-12981 su i santi giorni di Natale d* augurarmeli lieti e felici. Ma gratissima ad ogni modo m* è giunta questa testimonianza del suo buono alletto verso di me, per bavere visto con quanta sincerità mi corrisponda. Al P. D. Benedetto Castelli, come a creatura di V. S., farò sempre ogni pia¬ cere, non solo per questo rispetto, ma per quello clic se le dove ancora in ri¬ io sguardo del suo proprio merito. V. S. si conservi, viva felice, c vagliasi di me. Di Roma, li 12 di Gennaro 1618. Al piacere di V. S. [...] Galileo. A. Card. 10 Orsino. Fuori: All’111. 1 ' 0 Sig. re 11 Sig. ro Galileo Galilei. Firenze. 1298 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Bellosguardo]. Roma, IH gennaio 1018. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 23. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molt’Ill. 10 Sig. r mio Oss. ,no Ilo ricevute le due di V. S. con 1* alligata del S. r Lagnila, quale ho subito fatta ricapitare. L’una e 1* altra mi sono stato gratissime, e m’ haverebbono ap¬ portata gran consolatione, già che era un pezzo che non bavevo alcuna nuova di lei, se insieme bavessi inteso buon stato della sua sanità, come gli lo desidero con tutto il cuore. Però la prego che, deposto ogn’ altro pensiero, attenda a rilmversi et conservarsi, chè questo, coni’è il fondamento di tutte le sue imprese, cosi deve principalmente procurarsi, c tralasciar intanto ogni cosa nociva per miglior tempo. Io può credere che niente più bramo sempre clic intendere della io sua buona salute ; et quando non possa ella stessa, per non incomodarsi tanto, darmene spesso avviso, me lo facci dare da qualche suo, per mia consolatione. Quanto a quello gli scrissi sapere del foglio che desideravo, quando non possa semplicemente trovarsi, non occorrerà domandarlo a chi mi scrive. Questo è quanto per bora in’ occorre dire a V. S., alla quale bacio affettuosamente le mani e prego da N. S. Dio ogni compita contentezza. Di Roma, li 13 Gen. io 1G18. Di V. S. molto 111.” Farà gratta ordinar che si ricapiti l’acclusa del S. r Fabri. 20 Aff. m0 per ser. ,a sempre F. Cesi Lino. 0 P. 368 13 GENNAIO 1618. [ 1299 - 1300 ] 1299 * GIO V ANFRANCESCO SAGREDO a CESARE CREMON1NI [in Padova]. Venali», 13 gennaio 161K. Bibl. Est. in itfodena. Raccolta Cainpori. Autografi. B.» LXXXV1U, u. u Gl. — t opi» di ninno «li (Jiotìh< vranozzoo Saurrdo: cfr. n.« 1300. Molto 111.” Sig. Kcc. wo Mi pinco che si sin trovato lo scritto; et assicuro V. S. Ecc.“* che ’1 piCi proprio ri¬ medio che hi possi usare in questo nogotio à il restituire quanto prima eaao scritto al Mersi. facendosi far sotto la ricevuta delti (ìli cecchini elio ellu ha dati al suo giovane. Il che ò quanto m' occorro dirle. In Veneti», a 18 denaro 1617 <•*. Di V. S. Ecc.' n “ Prontiu.** per aer. u Oio. Fran. Sagredo. 1300 *. GIOVAN FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Bellosguardo. Venezia, 13 gennaio IBIS. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» I.XXXV1II. u.» 61. Autografa la «ottoacrUione. Molto 111.” Sig. r Ecc. mo Il Cremonino, risvegliato da me, ha ritrovato lo scritto che diceva bavere stracciato, et se ben nega esser debitore, tuttavia pare die si vadi Immillando. Vedrà V. S. Ecc. m * quanto egli mi scrive (,) et quello che gl' ho replicato tS) . Tra tanto ho fatto scrivere in questo banco una partita di 100 d. u ch’appaiono tolti a cambio da esso Cremonino, et converrà egli al suo dispetto pagarli al principio di Marzo ; al qual tempo spero che s’ accorgerà, non havergli bene la sua tilosolia servito in questo negotio. Che sarà line ili queste, pregandole dal Signor Iddio felicità e contento. In Venezia, a 13 Geim.ro 1617 “h Di V.S. molto 111.” et Ecc. ,ua Tutto suo G. F. Sag. do Fuori : Al molto lll. r Sig. Ece. ,no 11 S. r Galileo Galilei. Firenze per Bellosguardo. e d'altra mano: franca per Firenze. <•> l»i stile vonoto. l*i Cfr. n.o 1295. i»> Cfr. n 0 1290. <*} Di stilo veneto. [ 1301 ] 19 GENNAIO 1618. 369 1301*. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a CESARE CREMONINI [in Padova]. Venezia, 19 gennaio 1618. Bibi. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVI11, u.« 76. — Copia dell'amanuense di (j IO V ANKI{ ANOKSOO SaUHKDO I cff. ll. u 1304. Molto IH/* S. re Ecc. m0 Già ho più volte scritto a V. S. Ecc. ,1,a che io non tratto con lei altro se non del saldo dello scritto delli 400 ducati, che ella hebke dal Galilei ; et per la forma di esso scritto, come presentadore, io devo certamente riceverli, quando non per altro per la promessa fattami di 200 ducati, che ella voleva che io trovassi a cambio. Sarà bone per ogni ri¬ spetto che lo scritto ritorni, com’ ella si essibisce, in mano del Mersi : et che sia stra¬ dato, poco importa, già che con sue lettere confessa non liaver esborssato a conto del de¬ bito et della promessa che cento soli; de’ quijli se ella non vuole il ricevere, poco a me importa, sicuro che quest’ acortezza non sarà a lei di alcun giovamento. Quanto poi alli 10 calcoli che ella mi fa di usi, dovrei tacere, poi die io non ho seco imnginnbile negotio di questo : ma già che ella tanto prontamente mi fa parte del convenuto in parola col S. r Galilei, asserendo havergli promesso l’uso di sei per cento et havergli ancora contato circa cento ducati a quest.’ effetto, convengo dirle che, se così fosse et io haveasi ordene di riscuotere anche gli usi, sarebbe V. S. Ecc." ,a (concesso anche l’esbresso scritto da lei, che con ragione si potria metter in dubio) debitrice di buona suina, la quale non può ri¬ tenere senza grande intacco della sua coscienza et de PIunior suo; perché l’attaccarsi a quella regola, che danaro non può far danaro, et alle leggi contro gli usuratici, è cosa elle nel caso nostro non le riuscirebbe, perchè il lucro cessante et il danno emergente acco¬ moda tutti questi negotii, et il ricorrere alla giustitia per mancar di parola, per danne- 20 giar un amico e per rubargli il suo, è cosa propia d’infami, che per 1’ utile del denaro abbandonano l’honore et la riputatione. Però, come amico suo, io la consiglio et la esorto restituire lo scritto, apparecchiar li sessantadue cechini per saldarlo, et se lm promesso uso doli denari per alimento delle figliuole del S. r Galilei, f'arno il conto e saldarglielo in¬ tieramente, acciò da questo atto generoso, ma però giusto e debito, si possa credere che anco il resto delle parole dette non sia di detto di volontà, ma di memoria, perchè ras¬ sicuro clic non restando alcun intaccato, facilmente si crederà ogni bene di lei, et riguar¬ derà ai fatti et non alle parole. Et a Y. S. Ecc. ,na affettuosamente mi odoro e raccomando, et le mando le incluse, riceute hor bora da Firenze <*>. In Ven.“, a 19 Genaro 1617 (3) . (») Cfr. n.o 1295. ‘ Sl D> stilo vcuoto. i*' Cfr. n.« 1302, lin. 2. XII 47 370 20 25 GENNAIO 1018. [ 1302 - 1303 ] 1302 *. CESARE CREMONINI a GIOVAR FRANCESCO SAGREDO [in Venezia]. Padova, 20 gennaio 1618. Blbl. Rat. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, II.» LXXXYI1I, n.® 75. Copia di mano di Giovar- fraxorbco Sàokroo (cfr. o.° 1804), Il quale ri aeriate in rapo: « Rlap.» », o in line aggiunse: * Non se gli ò replicato altro ». Non accade che io replichi altro a V. S. 111.““ l>ia ordino a* Sig. rl Morsi, chò sarà preso partito. Io scrivo in risposta al S. r Galileo, che non bì raccorda bene, come, fornito il no- gotio, gli raccorderò poi io. Kingratio V. S. 111.“* che mi raccordi doll’lionore et della re- pniafcione: ma io crodea intendermene molto bene. Goal le genti s’ingannano. È venato il giovane de’SS/ 1 Morsi: gli ho dato lo scritto, che mi ha fatto ricevuta, dove apparirò elio me l’ha dato di ordino de* SS. rt Morsi; et che sia stracciato o no, non importa; basta che si sappia che io non babbitt li a vota prestanza, ma pagati usi suficionti, i (piali non hnverei pagati se fosso stato mandato lo scritto un pezzo fa, come si ricercò. Quanto a’ danari a cambio da esser tolti da lei, ho le sue lettere. Et con questo le bncoio le inani, e mi raccomando in gratia. 10 Di Pad.*, il dì 20 Gen.° 1618. 1303 . CURZIO PICOHENÀ a GALILEO in Firenze. Pisa, 26 gennaio 1G18. Bibl. Voi. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 6. — Autografa la sottoscrizione. lll. ro Sig. r mio Osa ." 10 Ilo havuto molto contento d* intenderò che quel prigione di Siena (,) lussa stato liberato : et veramente se noi ce ne stavamo alla diligenza che si fece nel principio, noi saremmo ancora alle medesime, perchè anello qui in Pisa quel- 1 ’ amico mi disse che non n’ haveva ancora havuto risposta. Per conto delle cose di V. S. (,, l ho havuto lungo ragionamento col Sig. r Gio¬ vanni Medici, il quale mostra di non esserne stato informato et haverne sola¬ mente sentito parlare un poco dal C’-onte Or80 ,,) : et havendolo io ragguagliato di molte particolarità, mostra di restare lussai capace, et che havrà gusto di ragionar con V.S., quando pgli sarà tornato in Firenze. io “> Cfr. n.® 1292. Intendi, dolio trattativo por la longitudini) con la Corto di Spagna. 1,1 Orbo d’ Klci. 25 GENNAIO — 3 FEBBRAIO 1618. 371 \\ 303-1304] Ilo sentito dal Padre Don Benedetto clic V. S. stava assai bene di sanità, di che ho grandissimo contento. Et di cuore le bacio le mani. Di Pisa, 25 Genn. 0 1617 ll) . Di V. S. 111.™ Aff. mo Serv.™ S. r Galileo. Curzio Picchena. Fuori: All’111.™ Sig. r mio Oss. mo il 8ig. r Galileo Galilei. Firenze. 1304 *. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Bellosguardo. Venezia, 3 febbraio 1018. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.“ LXXXVIII, u.° 63. — Autografa. Molto 111.™ S. r Ecc. mo Spero clic P ardire et P astutia del Cremonino certamente non sia per pre¬ valere alle ragioni di V. S. Si procurerà il pagamento della lettera de’ cento du¬ cati, che ho prosi per lui, alla line del presente mese o al principio del venturo, et converrà certo pagarla. Se egli poi pretenderà alcuna cosa da me, mi farà cittarc, chè gli risponderò in giuditio come ho fatto in lettere. Mandai quelle di V. S. ad esso Cremonino, e con queste ella havrà la rispo¬ sta (S) , la quale ho aperta per mia informationo, caso che costui volesse meco la picca, et perciò ne ho tenuto anco la copia, io Qui acclusa sarà anco la copia di altre lettere passate tra lui et me (s> , nelle quali mi persuado che ella sia per vedere che tratto questo negotio con piò ar¬ dore che se fosse mio proprio. Risponderò anco all* ultima di esso Cremonino, ma mi risserbo farlo vicino al tempo delli pagamenti di Besenzone (4) . Ho mandato le lettere di V. Ecc. za al S. r Zaccaria, sicome ancora mandai tutte 1’ altre che ella mi mandò con 1* aviso della liberazione del carcerato C5) . Et per lino lo prego dal S. r Dio felicità. In VA, a 3 Feb.o 1617 <*>. Tutto suo G. F. Sag. 20 Fuori, d’altra mano : Al molto 111.™ S. r Ecc. mo Il SA Galileo Galilei. A Bellosguardo. Firenze. <*> Dì siilo fiorentino. O) Non è giunta fino a noi. Cfr. il.» 1302, Un. 2. < s > Cfr. uu.‘ 1301, 1302. <*' Intonili, al tempo della fiera di Cosandone. <»> Cfr. nil.* 1292, 1308. <*> Di stile veneto. 372 7 FEBBRAIO 1(318. [ 1305 ] 1B05. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze, l’iaa, 7 febbraio 1618. Bibl Naa. Fir. Mia. Gai., P. VI, T. X, cnr. 40. — Autografa. Molto 111.™ et. Eec. mo Sig. r mio, Per T ordinario passato scrissi a V. S., ma non Lavendo haute altra rispo¬ sta, penso elio la mia sia capitata male. Prima li diedi conto d’ esser stato più volte col Sitr. r Giovanni de’ Medici ll ', o d’ havergli, d’ordine del Sig. r Picchena, mostrato il celatone, visto e provato da S. S. con grandissimo piacere, e giudi¬ cata questa invenzione più importante che il ritrovamento del medesimo occhiale. La pregai ancora che mi mandasse gli occhialini lunghi un palmo o poco meno, acciò possa con la prima occasione andare a Livorno a essercitare alcuni di quei giovani, de’quali di giù se n’ è fatta sciolta. Di novo bora non ho altro, solo che hoggi dopo desinare son Rtato fatto ohia- io mare a Palazzo dal Sig. r Giovanni Boni, e dopo esser stato interrogato della scola mia, de’ scolari e delle bore nelle quali io leggevo, mi dimandò a che bora haverei potuto continuare a leggere al Big/ Principe la lezzione d’ Euclide cominciata da V.S. Ere. 1 ™ 1 *’; et havondo io risposto che non occorreva pensar ad altro che alla comodità di S. E., finalmente si terminò che io andassi la mattina alle sederi bore: e così io cominciarò di mattina, havondo promesso al Sig. r Giovanni di scrivere a V. S. o pregarla a darmi di quelli avvisi che lei giudiearà opportuni per servizio di S. Ecc.™ Mi son ben protestato che non saprò nò potrò servire con quella esqui- sitezza che ha fatto V. S., della quale il Sig. r Giovanni mostra di restar sodisfattis- simo. De’ particolari che m’ occorreranno, alla giornata ne darò conto a V. S. 20 Ieri mattino si dottorò in tipologia il Sig. r Gio. Batta Fabroni alla nobilista, havendo fatta la spesa S. A. S. Si portò valorosissimamente, tanto nel recitar i punti quanto nell’ orazione. Fu favorito straordinariamente dal Studio ; ma il condimento d’ ogni cosa, o per dir meglio la maggior pompa, fu che intervenne al dottorato l’111." 10 Sig. r Cardinale * e 1’ Ecc. mo Sig. r Principe. Io lo visitai il giorno medesimo cho gionse, e 1’ accompagnai a casa daH’Arcivescovato. Altro non ho di uovo: solo me li ricordo servitore al solito. Di Pisa, il 7 di Feb.° 1(»18. Di V. S. molto III.™ Oblig. mo Rer.™ e Pia.' 0 D. Benedetto Castelli. 80 Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e P.ron Col. 1 " 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. <" Cfr. n.® 1803. ‘*1 Lorenzo de’ Medici. Cfr. n ® 12«1. lin. 49-61. Caelo de' Medici. [ 1806 ] 14 FEBBRAIO 1618. 373 1306. [BENEDETTO CASTELLI] a GALILEO in Firenze. Pisa, 14 febbraio 1618. Blbl. Naa. Fir. lisa, «lai., P. T. T. Vili, cnr. 25. — Autojonfa. Molto Ill. re et Ecc. ,no >Sig. r c P.ron Col." 10 Lessi quella parte della lettera di V. S. molto 111.™ che s 1 apparteneva al Sig. r Giovanni Medici, la lessi, dico, all’ istesso Sig. r Giovanni, quale mi disse che haveva non minor desiderio di lei di vederla, e che li voleva esser servi¬ tore. Il Scr. mo Gran Duca (quale sta bora assai meglio) e Madama Ser." ,ft e tutta la Corte ticn gran conto di questo Cavaliere, e meritamente, perchè è dotato, oltre al sapere, d’ una gentilezza singolare. Io per me gli son restato schiavo. Il Sig. r Picchena m’ha detto che ha inviato a V. S. una lettera di Spagna. Se v’ ò di novo, mi farà grazia darmene parte, se bene, per dirla, più non mi io curo d’andare ad Garamantas et Indos°\ poiché la servitù che io ho cominciata col Sig. r Principe (,) mi riesce con particolar sodisfazione di S. Ecc. a , con gusto del Sig. r Giovanni Boni, e Mess/ Hercole va in sugo di regolizia: ma quel che importa assaissimo in questo fatto, è che Madama Ser. ma è sodisfattissima, e tanto che non si può dir più, et io ne ho hauti diversi segni ; uno de’ quali ò che l’altieri mi fece chiamar in camera, e dopo havermi fatto discorrere alla presenza del Principe, con quella sua somma benignità e con singoiar affetto materno mi pregò che io volessi leggero a’ paggi in quell’ bora che più mi fosse stata commoda, rinonziando lei la servitù stessa de’ paggi la mattina alle torcie, acciò havessero comodità di attendere. Ma essendosi terminato che più comoda 20 bora fosse dopo pranso, il mastro de’ paggi, con la confermazione di S. A., vo¬ leva che io restassi a desinare da’ paggi. Io ricusai per all’ bora, e mi scusai con Madama Ser.* nn con dire che mi conveniva per quel giorno far certi negozii et in particolar assegnar altr’ hore a certi Sig. ri scolari ; sì che per all’ bora mi salvai. Ieri poi fui aspettato et invitato pur a pranso, ma volsi contentarmi del mio pentolino ; e mi lasciai intendere chiaro col Sig. r mastro, che per obbedir S. A. voleva esser servitore a quei signori e non compagno, maestro e non fra¬ tello, e lo resi capace che così mi conveniva a fare, e mostrò restar sodisfatto. Ieri cominciai, c segui tarò. Piaccia a Dio di mantenermi in quei termini che so benissimo clic son necessairi. Cfr. 11 .» 1260, liu. 161. «*) Cfr. u.» 1805, li». 10-20. M FEBBRAIO 1° MARZO 1018. 374 11306 - 1307 ] M’oro scordato di dirgli un altro particolare, segno chiarissimo elio S. A. è so benissimo affetta alle coso nostre. Questo è che il Sig. r (liulio Parigi, che altro volte a pena si degnava farmi motto, quando mi vidde ieri, mi foce certo rive¬ renze profondo et accoglienze lieto, con risi o proferte straordinarie. Non posso esser più longo, perchè mi conviene andar a Palazzo. Li bacio lo mani; ma prima li ho da dire elio lessi la lettera di V. S. al Sig. r Principe, che fu sentita con gusto e con grazia particolare. Di giù per ordine di Madama o consiglio del Sig. r Giovanni si era dato principio di novo, conformo a quanto V. S. mi ordina. Pisa, il 14 di Kob. 0 1618. Fuori: Al molto IU. r * et Ecc.®° Sig. r o P.ron Col. 100 40 il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A.S. Firenze. 1307 *. BENEDETTO CASTELLI » GALILEO in Firenze. Pisa, 1° marzo ISIS. Bibl. Nftz. Fir. Un. Gal, I*. I, T. Vili, car. 27. - Autografa. Molto DI.™ et Ecc. ,no Ora sì che voglio dar nove a V. S. da farli andar la febre lontana mille millia. Ieri sera la Ser. ma mi fece chiamare alla sua camera, o dopo huver fatta collazione col Scr. m0 Arciduca Leopoldo, mi fece introdurre nella sua intima ca¬ mera, dove erano loro AA. sole ; e quivi fui trattenuto in longhissimo e fami¬ liarissimo discorso, gran parte del quale fu speso intorno ai meriti di V. S. Fu sentita con dolore la indisposizione di V. S., o mi disse il Ser. rao Arciduca che voleva in ogni modo veder V. S. (perdonatemi se replico tanto V. S.), o mi re¬ plicò più di duo volte che voleva visitarla a letto. Si discorse assai della pietra conservatrice della luce, o S. A. desidera havor il segreto di prepararla. Io signi- io ficai alla Sor. ma che il S. Don Antonio 0 l’haveva, e cho no lmvrobbo latto parte a S. A. Perchè non ho tempo, non sarò più longo : solo gli dirò che la Ser." 1 * mostrò restar tanto sodislatta, che mi disse che voleva che io legessi, quando fosse tempo, al Gran Principe. E con pregarla a dar nova di me ai nostri carissimi •*' ASTONIU DK’ MkIMCU 1« — 15 MARZO 1618. 375 [1307-1309] padroni Giraldi, Soldani, Arighetti, Guiducci, Bonaroti etc., li bacio le mani, sperando in breve rivederla sana. 20 Di camera del Sig. r Principe, il 2 di Quaresima 1018. Di V. S. molto 111. 1 ’ 0 et Ecc. ,na Oblig. 1110 Sor.™ D. Benedetto Castelli. Il S. D. Ricardo u) con ogni affetto li bacia le mani. Fuori: Al molto III. 10 et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 10 11 S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1308 *. ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO [in Firenze]. Modena, 2 marzo 1018. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 135. — Autografa la firma. 111.™ Sig. ro Con la confidenza che mi promette Pamorevolezza di V. S. le mando l’in¬ clusa nota' 2 ’, pregandola di lare la natività, conforme a quello che vedrà in essa. Di qui argomenti V. S. la stima che fo della sua virtù ; e creda che altret¬ tanta sarà P obligatione che le ne liavrò, per contracambiarle questo piacere in ogni cosa sempre di suo gusto. E le auguro somma prosperità. Di Mod. a , li 2 di Marzo 1618. Al piacer suo S. or Gallileo Gaililei. Il Card. 1 d’Este. 1309 **. FRANCESCO TINELLI a PAOLO GUALDO in Padova. Napoli, 15 marzo 1618. Bibl. Marciana in Venezia. Coti. LXV della Cl. X, Ita!., car. 41». — Autografa la sottoscrizione. .... In tanto, perchè mi giova tenere essereitata la cortesia di V. S., la priego che mi procuri dal S. r Gallileo Gaililei uno di quelli occhiali mattematici ch’egli compone, in¬ sieme col libro dell’ osservatione che con detto instromcnto (come mi dicono) ha fatto .... fl ’ Riccardo ‘Whito '*> Non è presentemente allogata alla lettera. 376 ltt MARZO 1618. 11810] 1310 * GIOVANFRANCESCO SAGREDO r GALILEO fin Firenze]. Venezia, 18 marzo 1618. Blbl. Est. In Modena. Rtocolta Oamporl. Autografi, H.» LXXXYI1I, n.»04. — Autografa la sottoacrlrlono. Molto 111."» S. r Ecc. mo L’absenza del S. r Zaccaria l,) mi tiene in modo angustiato, che posso dire con verità di non haver tempo da respirare ; onde convengo escusarmi con lei, se differisco qualche settimana la risposta alle lettere di V. S. Kcc."'“ lo le rendo molto gratie della cura prosa per farmi bavere la cagnolina, che certo mi sarà carissima per ogni rispetto. De’vetri, procurerò sodisfarla; ma questo negotio panni ridotto a tale, che oltre i vetri docinali non no posso bavere alcuno, et occorre a me quello a punto che ella mi scrive avvenire alla sua persona, perchè sebene a tutti liberamente dico non solo di non haver partecipatione nell* opera di questi vetri, ma ancora io nego haverne molta cognitione, nondimeno ricevo una fastidiosa et continua mo¬ lestia da molti, che credono che quando un vetro sia tocco da me, divenga raro et eccellentissimo ; seben altri più intendenti vengono alla libera a dimandar¬ mene uno, sapendo ha verno io molti, per ispariniare la spesa, e non valendomi rispondere di non haver cosa buona, sou ridotto a tale, che bisognandomi un canone, convengo andar per mano di qualche amico che ne ha di migliori de'miei: onde essendo stata V. S. Ecc. wa troppo rispettosa, temo che 1* aviso del suo desi¬ derio mi sia pervenuto tardo. In un anno che io sono in questa casa, non ho ancora accom ino date le cose mie : so ili haver alcuni vetri abbandonati, c quanto prima io possa, vederò di trovarli et mandarglieli; e con M.° Antonio mio com- 20 padre farò efficacissimo offitio, perchè dia qualche soddisfattone a V. S. Ecc. ,nR Egli ha ordine da me di darmi li vetri migliori che gli riescono; è pagato da me prontissimamente et mi ù debitore, riceve ogni giorno qualche favore e do¬ nativo ancora da me, gli procuro guadagno mandando tutti alla sua bottega, la sua buona forma da sei quarte et da quatordici gli è stata donata da me, et tuttavia si escusa non haver cosa buona: pur vederò con la mia sollecitudine, assegnando carico ad un servitore eli molestarlo ogni giorno, molestarlo tanto che se ne cavi qualche cosa da lui. Lacci è amico mio, et sempre che lo ricerco mi dà quanti vetri io voglio, e me li dà sempre per esquisiti ; ma lo trovo sempre in buggia, et il prezzo suo è sempre di £ 3 1* uno, onde non mi vaglio più di lui. so <’> Zaccaria Saokbdo : cfr. n.* 1266. 18 MARZO 1018. 377 [13101 Aspetto con le prime navi di Sona ducento diramo di rubini minuti, avute a cambio di una cassettóni di canoni mandati già quattro anni in India. Se giongcran salvi, spero del tutto rinborsarmi della spesa di quelli, e di due altre cassette che mi son andate a male. Mi scrive il mio corrispondente che colà se ne facevano a vilissimo prezzo, et essere stata gran sorte la mia haverli man¬ dati per tempo. Quanto al fattore, se quello che serve il Cl.'"° Dolfino fosse stato a propo¬ sito (l) , non mi sarei schift'ato di altro, se non che non liavrei acconsentito a disviarglielo, sì per non essere tale attione lodabile, come ancora perchè una 40 persona levata in tal maniera perde i tre quarti della sua bontà. Mori mi spia¬ cerebbe il fratello del Germini, perché spererei che 1’ età del maggiore dusse qualche sodezza ai nostri negotii col calore della intelligenza c della pratica la quale tiene M. Camillo ; et in questa maniera sperarei evitare il disgusto che egli accenna dover ricevere preferendosi a lui nuova persona: onde in caso che V. S. Ecc.'"“ si potesse promettere la stessa buona volontà et attitudine in questo suo fratei maggióre, v’ inclinerei, con tutto che io sia persuaso da altri a non lidare le cose nostre in una fraterna; ma liavendole altre volte fidate a due da Pistoia, vi caderei anco la seconda volta, purché vi concorressero le qualità biso¬ gnose al nostro negotio. Il ministerio di M. Camillo è veramente il maneggio di 50 diverse robbe et vitluaric consigliate a lui per dispensarle a’ nostri lavoranti, e questa è la maggior bassezza a'che egli è sottoposto, che però non riesce con fatica et opera da servitore, perché quelli che ricevono o consegnano le robbe l'anno quello che egli commanda; nel resto maneggia egli la pena solamente e commanda, sì come il fattore principale scrive et commanda solamente, et se mette la mano in qualche cosa, lo fa per proprio gusto, c. perché il mantener sussiego, in alcune persone, è cosa ridicola ot vitiosa: in quel paese ove sono ambi due, ogni persona li riverisce, sono stimati et honorati, sì per rispetto nostro come per l’auttorità che tengono nei nostri negotii, ondo quella gente che vive con noi li riconosce come padroni e mercanti principali. Vorrebbe M. Camillo co subintrare in luogo di quello che parte, et mi ha scritto assai chiaramente do¬ vergli riuscire molestissimo che alcuno gli sia superiore. Confidiamo assai nella bontà che dimostra, e ci pare ancora in qualche parte incaminato nell’ intelli¬ genza dei nostri negotii ; ma la gioventù sua sì come spaventa noi a commet¬ tergli la somma dello cose nostre, che son moltiplici e di grand’ importanza, così panni che potesse persuaderlo ad bavere patienza di' lasciar passare qualche tempo a pervenire al segno che egli pretende : et in questo mi sarà caro che V. S. Eoe." 111 dolcemente lo ammonisca. Lett. 1310. 6f>. lasciar passere — (i) Assai probabilmente quel Giovanni Bar- Gamba, madre dei figli di Galileo. Cfr. u.° 1416. toluzzi, che aveva condotta in moglie Marina XII. 43 378 18 MARZO - 8 APRILE 1618. [1310-1311] Scritto fin qui, ricovo in un medesimo punto le lettore di V. 8. Eco."'* di 11 del presente et le alligate del S. r Cromoninoni quale mandarò la copia dello scritto et offerirò la piezzaria, seben dissogno di valermene in apparenza per 70 cambiare il suo debito nel nome di qualche nobile, spronandolo col danno del- l’interesse, desiderando io far che V. S. Ecc. ma resti servita quanto prima. bolli soggetti proposti in queste ultime, il vecchio per 1’ età sua mi sgo¬ menta assai, et il giovano mi dò sospetto por V inclinai ione accennatami, poiché questa assolutamente basta a metter noi in gelosia e le cose nostre in confu¬ sione et forse ancora a corrompere la buona riuscita del Germini, al fratello del quale inclino molto, parendomi che 1’ età, il nascimento suo, con la buona rela- tione datami da lei, mi dia giusta speranza di buona riuscita, si come ancora die questo possi levare tutti li disgusti a M. Camillo. A’ nostri fattori, ancorché principali, habbiàn usato dar, oltre le spese, ducati (>() all’anno: a due soli, cioò so al Sanini da Pistoia, huoino singolare, et al presento, habbiàn dato cento scudi, che non intenderessimo dare a persona inesperta et. nuova. Le spese solevano esser limitate da noi, et il S. r Zaccaria levò quest’ usanza sei mesi fa, per so¬ spetto che il fattoi* principale, elio n’ havea V appalto, facesse ingiusto guadagno a pregiuditio del Germini; ondo ha commandato che le spese a’fattori siano fatte a conto nostro, et sia tenuta anco lina massara por sorvire a’ fattori. 11 che è quanto mi occorre dirle in questo proposito; e per line le baccio la mano. In Ven. ft , a 18 Marzo 1018. Di V. S. Ecc. 1 "» Tutto suo G. F. Sag. 00 1311. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 3 aprili* 1618 . Bibl. Nnz. FJr. Mas. Hai., P. I, T. Vili, car. 29. — Autografa. 111.™ et Ecc. ,no S. r mio Osa." 10 Io non so da qual parte sia il torto in questo nostro così lungo silontio; ma venga da qual parte si voglia, io non posso più contenirnii, ma voglio romperlo io, sperando clic V. S. si compiacerà di fare il medesmo meco. Ilor la prima cosa eh’ io desidero saper da lei ò intorno alla sua sanità, desiderando grande¬ mente di saper che sia V. S. compitamente sana e gagliarda, per bene anco della republica letteraria, alla quale essa ha apportato et apporta tanto ornamento con le sue dotte e curiose opere; (lolle quali io pur son bramoso d’intendere, e che cosa al presente per le mani essa habbia, e quando si daranno in luce, * l > Non sono presentemente nulla raccolta CauroRi. 3 APRILE 1018. 379 [ 1311 ] io e se con ’l suo mai-avi gli oso occhiale ha fatto alcuna nuova osservanza. A pro¬ posito del qual occhiale debbo diro a V. S., come havendo inteso ohe a Napoli era morta quella nostra S.™ Duchessa Piacili, la S.™ Nicoletta Grilla, essendo che mai havevo scritto al S. r Duca suo figliuolo (,) , che adesso è fatto un huomo, mi parse con tal occasione di scriverle una lettera di condoglienza, rinovando l’antica amicitia e servitù c’havevo con ’l S. r G. Vincenzo 0) c con ’l Duca suo padre (3) ; in proposito del qual S. r Gio. Vincenzo, le ho racordato il debito che ha, di farle un monumento nobile nella chiesa del Santo 0) . Egli m’ha risposto con una cortesissima lettera, havendo minuta memoria di tutto quello che all’bora foci, e m’ ha scritto che in ogni maniera vuolo clic si faccia una sepultura con- 20 degna all’honorate qualità del detto S. r G. Vincenzo; et perchè egli crede ohe V. S. sia tuttavia in Padova, mi commette ch’io complisca a suo nome con lei, e che la prega a volerle provedere d’ uno di detti occhiali che sia buono, insieme con ’l libro dell’ osservationi che con detto stromento V. S. ha fatto (R> . Io non so in questo quello che voglia dire; V. S. intenderà meglio di me. Mi sarà caris¬ simo ch’ella mi scriva clic cosa doverò risponderle. Mi scrive ch’io lo ragliagli che spesa vi potrà andare sì nell’ occhiale come nel libro, che subito manderà quanto farà di mestieri. Starò adonque aspettando la risposta di V. S. intorno a questo particolare, come anco del resto che di sopra io gli ho scritto. Di nuovo, di questo Studio, credo clic V.S. liuverà intesala morto del Dot- «o tor Gallo {fl) , successa questi giorni con estremo dispiacere di tutto lo Studio, poiché certo era soggetto per tutti i rispetti dignissimo. Li scolari sono tutti in gran moto, essendo questi SS. ri Rettori molto alterati per liaver essi ammazzato un sbirro su la porta del palazzo del Podestà. An- dorno beri al numero di dugento a Venetia per procurar la liberafcione d’ un scolare gentilhuomo Bresciano, qual fu posto pregione per certe insolenze scola¬ resche, per la pregionia del quale alcuni suoi compagni uccisero quel sbirro: non so quello clic faranno a Venetia. Hoggi il Podestà n’ ha fatto chiamar otto a presentarsi alle pregioni, credo per la morte del detto sbirro et per altri disordini. Mons. r Ill. moC7) sta bene, et adesso ha in casa i primi musici d’Italia, sì di voci •io come di stromenti. Gabbiamo fatto un Carnevai spirituale solennissimo, e tutta questa Quaresima ogni sera si sono fatti concerti e musiche rare. Altro non ho che dirle di nuovo. Non so se V.S. liabbia entratura alcuna con cotesto Mons. r Noncio (#) : se non P ha, procuri d’haverla, perchè gusterà un Signore ripieno d’ogni nobil qualità; e le farà riverenza a mio nome. Lctt. 1311. 20. nW honarle qualità — li». 2 e n.° 446, li». 39-46. < 5 > Cfr. n.° 1309. <*> Leoi*o Gam.i. (7 > 11 vescovo Marco Antonio Cornaro. (8) Pietro Valikr. Francesco Pinki.m. ‘ 5 > Giovanni Vincenzo Pinki.i.i. <8> Cosimo Pikbm.i. <*> Intendi, nella basilica di S. Antonio in Pa¬ dova, dovo il Pinbu.i venuo sepolto. Cfr. n.° 86, 380 3 - 19 APRILE 1618. 11311-13121 Ilebbi, pochi giorni sono, lettore da Roma dal S. r (’iampoli, con una bellissima sua canzone, fatta al fratello del Duca Ceserini. Horsù, V. S. si conservi e mi comandi, e se havesso composto qualche opera nuova che non mi fosso pervenuta, in gratia mi metta su la stradda di haverla. Dio la feliciti, e le bacio le inani, augurandole le prossime feste felicissime et ogn’altro vero bene. bo Di Pad.*, alli 3 Apr. 1618. Di V. R. lll. r * et Ere»* Intorno all’ occhiale per il detto Duca, potrebbe scrivere all’ 111.'"° Sagredo o ad altro suo amico, che me no prevedesse d* un buono, dicendomi il costo di osso: ma vorrei cosa degna di quel Signore. Ber.™ Afl>° Paolo Gualdo. Fuori : All’ 111.™ et Eco. 1 "" Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. so Fiorenza. 1312 * GALILEO a CURZIO PICCHENA in Firenze. Bellosguardo, 19 aprile ISIS. Aroh. di Stato in Firenze. Negozi e relazioni dell'Andito™ Lorenzo L'aimbardi dal 1616 al 1616. Filza B», car. '25‘2. — Autografa. Ili, mo Sig.™ e Pad." Col.® 0 Quando io sperava elio le mio tanto o si moleste imlispositioni mi havessero a conceder tanto di tregua che io potessi almeno venire a baciar la veste allo Sor.®* A A.® e dar loro la buona Pasqua, conio anco a V. 8. Ill. ma et ad altri Padroni, io sono stato più ferma¬ mente legato in casa da un poco di febbre, sopraggiuntami di più la sera di Pasqua, la quale ancora mi fa star rinchiuso in camera. Speravo anco poter, senza darne briga a V. S., ottener da S. A. S. ma un privilegio del quale vengo instantemente ricercato dall* Ecc. mo S. Principe Cesi, per un libro che fa stampare dello pianto dell’ Indie io Lett. 1318. 9. priviliyìo — «') Yibgixio Cesarisi. 19 APRILE 1618. 381 [1312-1318] nuove (l) , opera bella, curiosa et utile; ma già che non posso venire alla città, son forzato ricorrere al favor di Y. S. lll. ma e supplicarla a favorir detto S. Principe e tutta la sua compagnia per ottener da S. À.S. ma detto privilegio, del quale gli mando l’occlusa formula (2) , del tenor di quello che già si è ottenuto da S. Santità e dall’Imperatore. E perchè spero che col favor suo non ci habbia da esser difficoltà, la prego solamente a procurarne 1’ espeditiono per sabato o vero per lu¬ nedì prossimo, al qual tempo vorrei poterlo mandare a S. E. a Roma. E la supplico con questa occasione a baciar la veste humilissimamente 20 in mio nome a loro AA. S. n,<1 , et a lei con ogni vero affetto mi ri¬ cordo servitore devotissimo. Da Bellosguardo, li 19 di Ap. le 1018. Di Y. S. Ill. m Dev. mo et Obb. mo Ser. re Galileo Galilei. Di mano di Cosimo II, (Granduca di Toscana: Ita est. G. o di mano di Curzio Picchiwa : SO L’Auditore delle Riforraagioni faccia fare il privilegio nella solita forma. Curzio Picchena. l‘J Aprile 1618. Fuori: All’111.” Sig. rft e Pad." Col. mo Il S. Curzio Picchena P.° Segr. 0 etc. In sua mano. 1313*. CURZIO PICCHENA a [GALILEO in Bellosguardo]. Firenze, 19 aprile 1618. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P. I, T. Vili, car. 36. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ Sig. r mio Osa." 10 Sebene si concedono qui difficilmente privilegii di libri che s’hanno da stam¬ pare altrove, nondimeno il Gran Duca, in grazia del Principe Ccsis, lo conce¬ derà; ma bisogna che V. S. sappia che questa cosa ricerca molti giorni di tempo, (,t Cfr. n.® 684. Occupa circa nna pagina o mozza, n comincia: « Fran- (S ' E, di mnno di Fbancksoo Stelliiti, a car. 254 ciscus Stellatila Lyncous, Fabriuneusis, Procurato! - della .-.tessa Filza che contiene la lettera di Galileo. Lynceorum ecc. » 382 10 — 20 APRILE 1018. ri 318 - 18 U] perchè s’ ha da distendere un privilegio in cartapecora col sigillo in piombo, por esser sottoscritto poi dal Gran Duca et da altri ministri. Oltre di questo, havendo io fatto chiamare il Cancolliero dello Riforraagioni, egli non finisce d’intendere so quel Franciscus SielhUus sia lo stampatore, et elio cosa voglia diro Procurator Lynceorum, et elio cosa sieno questi Lincei , chi lusso quel Francesco 1 limando ; oltre che quivi paro clic manchi una parola, cioè o libris o opere o hystoria o io cosa simile, se gii\ non vuole elio la vi s’intenda. Insomma vorrebbe elio questo negozio fusso dichiarato meglio, por poter distendere il privilegio senza fare orrori. Bisognerà ancora elio qualcuno liabbia poi ordine di sollecitare i ministri dolio Itiformagioni elio lo spediscano, et paghi quelle rigaglio che vi vanno, che do¬ vranno essere qualche scudo ; et io non mancherò di far la parte mia in pregarli che lo spediscano presto, et non sarà poco so si potrà bavero por il sabato della settimana prossima. V. S. potrà rimandarmi la scrittura con la risposta: et le bacio le mani. Di casa, li 19 di Aprile 1018. Di V. 8. 111.™ Afif. mo Serv.™ 20 Curzio Picchena. 1314 *. GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firensel. Bellosguardo, SO aprile 1618. Aroh. di Stato in Fironze. Negozi o relazioni dell'Auilitoro Lorenzo l ^imbarili dal 101 (5 al 1618. Filza 5», car. 253. -- Autografa. IH.™ Sig. re o Pad.™ Col.™ Per intera informaziono del S. Cancolliero delle Riformagioni n , gli dico clic i Lincei sono una compagnia di Accademici così chia¬ mati, instituita dall* Ecc.™ S. Principe Cesia, il quale ò anco al pre¬ sento capo di essa; et essi compagni hanno per lino gli stridii dello buone lettere, et in particolare di filosofia et altro scienze a quella conferenti, et in oltre attendono i più intendenti a scrivere e pub¬ blicare loro fatiche, a utilità della republica litteraria. Di questa compagnia il S. Frane . 00 Steliuti ne è Procuratore, o come tale sopra intende alla pubblicazione di questa presento opera, o per quella io ne procura i privilegio Francesco Remando portò dall’ Indie Occiden- Cfr. nn.i 1812, 1313. 20 APRILE 1018. 383 [ 1314 - 1315 ] tali un libro di piante, raccolte, dipinte e descritte da sè medesimo in quei paesi, e questo libro consegnò poi al S. Principe Cesis, in¬ torno al qual libro si è poi affaticato Nardo Antonio Pecco, in rior¬ dinarlo, farlo latino et illustrarlo ctc. Et a quella particola ex Fran- cisci Hernandi eie. si potrà aggiugnere hystoria, o vero collcdionibus, o vero dcscridionibus, o cosa tale. E questo è quanto a i dubbii. Se il S. Filippo Pandolfini sarà in Firenze, procurerò che, come Accademico Linceo, solleciti i ministri etc.; se no, lo farà il Padre D. Be- 20 nedetto : e quanto alla spesa, satisfarò io. Et intanto restando a Y. S. lll. ma obbligatissimo del favoro, la ringrazio, e reverentemente gli bacio le mani. l)a Bellosguardo, li 20 d’Ap. le 1618. Di V. 8. IU. ma Dev. mo et Obblig. mo Se. ro Galileo Galilei, 1815. FEDERICO CESI a [GALILEO in Bellosguardo]. Roma, 20 aprile IG18. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, ear. 31. — Autografa. Molt’ III.» c molto Eco. 10 Sig. 1 ' mio Oss." 10 Sento dalla gratissima di V. S., con mio gran dolore, l’indisposition di fobi e che l’ha tenuta tanto tempo in letto, et solo mi vado consolando con la spe¬ ranza nella stagione e miglioramento cominciato. Godo però grandemente della mortilìcatione data da N. S. Dio, per mezzo del Scr. ,no Leopoldo (,) , a quelli ma¬ ligni che con sì rahiosa invidia contrariano a \ . S., o, por dir meglio, all’emi¬ nenza della sua virtù, quali bisognarli pur che, lor mal grado, solì'riscano vederla sempre maggiormente conosciuta e colma di gloria. Mando per il procaccio cinque copie delle Lettere Solari che liavevo alle io mani, e reiterare) l’ordine al libraro di mandarne costì quantità. Non so se V. 8. lutverà veduto il S. r Demisiani, che veniva desiderosissimo di vederla. Io sto con il solito desiderio che V. 8. mi commandi, e le bacio le mani, pregandole ogni contento. Di Roma, li 20 Aprile 1018. Di V.S. molPlll.» Aff. mo per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. Lott. 1316. 11. ìY.»i se ae V.S .— O) Cfr. u.° 1307. 2‘ò — 25 APRILE 1618. [ 1316 - 181 ?] 884 131G*. ORSO P’ELCI a CURZIO P1CCHENA in Firenze. Madrid, 28 aprile 1018. Aroh. di Stato iu Firenze. Film Medicea 4045 (uou cartolata) Autografa la (Irma. .... Nella, medesima lettera*** domandai a S. E. **> risposta sopra la proposizione del Sig. r Galileo Galilei; et il Duca mi rispondo così, attaccando a questo capitolo anche il dispaccio del S. r Marchese di Ragno, clic raccomandai a S. E. da parte di S. A. « D’esto se va tratando ; y de la rosolar ioti que S. M d . fuere servalo tornar, se avisard a V. S. por la via de Antonio de Arasi equi, y lo inismo serri en lo que toca al Marques de Bario y en lodo olgarc stempro de servir a V. B. ► Quanto a quel che tocca al S. r * Galileo, m 1 haveva detto il medesimo poco prima il Segretario Arostegui, cioè che la proposizione si ora messa in tnuno di alcuni huomini pe¬ riti e elio se u’unputtava il lor parere, del quale mi darebbe subito conto .... 1317 *. GIROLAMO DA SOMMA1A a GALILEO [in Bellosguardo!. Pisa, 25 aprilo Iti 18 Blbl. Est. in Modena. Itaccoltn Cftmporl. Autografi, b.» I,XXXIX, n.° 54. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. m0 S. ur Oss.'" 0 Con questa invio a V. S. il mandato del suo semestre, che credo sarà dato al camarlengo pagare quanto prima, perchè salda i suoi conti al lino di questo mese. Ilo sentito con molta pena che V. S. babbi così lungamente travagliato con le sue indispositioni, et che bora anco non sia di esse del tutto libero. Mi giova di sperare che in breve, se già non è seguito, come vorrei, acquisterà ottima salute, la quale gli sarà anco più grata per esserne stato privo così lungo tempo : il che gli conceda la Bontà divina, come con tutto l’all'etto io gli desidero. Duoimi anche assai che il Padre D. Benedetto, mio caro patrone, babbi hauto così inala visita, come mi scrive V. S., di quella febbre. Mi rallegro bene che io séguiti la servitù del S. or Principe ll! con tanta satisfattone, cosa che non mi è giunto nuova, si per sapere il suo molto talento, come anco perchè cominciò qui. E gli bacio lo mani, e prego il Signore che la prosperi. Di Pisa, a’25 d’Aprile 1618. Di V. S. molto l.° et Ecc. nia S. or Galileo. '*' Pei 18 di marzo. **> 11 Duca di Ltuirv, ‘®i Cfr. a.» 18U5. S.r° Aft>° Girol. 0 da S. ia [ 1318 ] 26 APRILE 1618 386 1318. PAOLO GUALDO e LORENZO P1GNORIA a GALILEO in Firenze. Padova, 26 aprile 1618. Bibl. Naz. Fir. M88. Gal., P. I, T. Vili, car. 33. — Autografi, cosi la lotterà del Gualdo corno il poscritto del Pionoru. 111. 1 * et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo Tralasciando le ceremonie, alle quali noi altri preti non si sapiamo accom- modare se non in chiesa, vengo a dar risposta alla cortesissima lettera di V. S., c’ho letto con infinito mio contento, poiché era molto tempo che bramavo in¬ tender di lei. M’ è rincresciuto intendere che tutta via sia travagliata da certa sua indi- spositione. Venga a star qualche giorno a Padova, cliè torsi quest’ aria le sarà più proficua che la natia, e sarà veduta con eguale e forai con maggior affetto che nella propria patria. io Non so se V. S. invierà il cannocchiale al S. r Duca (l) a Napoli overo a me qui a Padova: faccia quello che essa giudica meglio; et inviandolo a me, mi farà gratia dirmi il prezzo di esso, poi che basta haver il favore che venga dalle sue mani, sapendo che ancor ella li compra o non son fatti dalle sue mani. E se in compagnia del detto occhiale manderà qualche insti-uttione intorno all’ uso di esso, et anco alcuno de’ suoi libri ne’ quali si tratta dell’ osservationi fatte da V. S. con detti occhiali, sarà al detto Signore di duplicato gusto, poi che anco di questo me ne fa instanza. Invio a V. S. i semi delle zatte. Mi dispiace che la lettera di V. S. mi capitò la settimana passata un giorno doppo la partita del corriere, chè haveressimo 20 avvanzati otto giorni ; se bene credo che verrano a tempo, poi che per le pioggie continue, che sono state tutti questi giorni, n’ anco qui ancora 1’ hanno seminate. Di nuovo non saprei che dirle. Ancora non s’è latta elettione alcuna alla lettura del D. r Gallo w . Qui tutti gli amici di V. S. stan bene, e la salutano cara¬ mente. Non so s’ella intendesse come il Dottor Corradino <# * hebbe la lettura delle Pandette, nella quale si porta molto bene. 11 S. r Acquapendente è tutta via in tuono, et attende a stampar libri. Mons. r Ill. mo (4) sta bene, et è tutto di V. S. Tutti nominati nella sua lettera le baciano con ogni affetto le mani, come face’ io con tutto lo spirito. <*V Luigi Coriiadint. Cfr. u.° 1311, liu. 39. XII 49 O) Cfr. nu.‘ 1309, 1311. i*' Cfr. n.« 1811. 386 20 - 28 APRILE 1018. 11318-1319] Non mi scordar» ilo gli ossi di nospcrsici, sapendo benissimo di quali intende. V. S. va cercando semi di frutti, et io semi di fiori : desidero adunque elio fac- so ciamo questo bazarro insieme, buscando ella da cotosti giardinieri semi di qual¬ che fior galante. Di gratin, non si scordi di scrivermi di qualche sua composi ti one novella. Sarà notato il nomo de i semi sopra le carte dove saranno involti, il Signor la feliciti. Di Pad.*, al li 20 Apr. 1(518. Sor.™ Afi>° Paolo Gualdo. lo ribacio le mani a bene per servirla. V. S., a nomo ancora del S. r Sandelli, o stiamo tutti duo Lorenzo Pignoria. 40 Fuori, di mano di Paolo Gualdo: All’111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Il S/ Galileo Galilei, con una scatola. Fiorenza. 1319*. FEDERICO CESI a [GALILEO in bellosguardo]. . Roma, 28 aprile 1818. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I. T. Vili, car. 34. - Autorrzfo. Molt’ 111.™ e molto Ecc. 1 ® Sig. r mio Osa.® 0 Tengo la gratissima di V. 8., e vedendola di sua mano, ho preso allegrezza, congetturandone miglior stato di sanità, quale io le desidero con tutto l’animo. I S. rl compagni tutti meco conosceranno il favor fattole da V.S. nel’impe¬ trar il privilegio (,) , e la diligenza del S. r Pandolfini l? \ Le inviai per il procaccio precedente le copie delle sue Lettere Solari (3) . Al presente devo darli nuova che la S. ra Principessa, mia consorte, domenica mi partorì una figlia, con buona salute d’ambidoi. Et con questo prego eia N. 8. Dio a V. 8. ogni contentezza, e le bacio affettuosamente le mani. Di II.*, li 28 Aprile 1618. io Di V.S. molt’ 111.™ AlY. mo per ser. 1 " sempre Fed. c0 Cesi Line. 0 1*. Oi Ofr. nn.t 1812, 1313. <*> Filippo Pandolfini. Cfr. u.° 1811. Cfr. u.® 1310. [1320-1321] 28 APRILE — 5 MAGGIO 1618. 387 1320 *. GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO [in Bellosguardo]. Venezia, 28 aprile 1618. Riproduciamo questa lettoni dallo pag. 130-181 del Carteggio Galileano Inedito (Memorie della R. Accademia di «trienne, lettere ed arti in Modena, Tomo XX, Par. II, in Modena, 1881), pubblicato da Giuseppe Cam- pori, non ossondosi pii» trovato l'originalo nella raccolta di autografi legata dal Campori stesso alla Biblioteca Kstonse di Modona. Nota il Campori: « In questa lottora, scritta da mano aliena, la sot¬ toscrizione dol Magagnati è malamente tracciata. Nell’occhietto si legge : Girolamo Magagnati cieco. » L’affettuosa lettera di V. S. m’adoppia l* obligo di ringraziarla dell’amore che m’ ha sempre portato (com’ io faccio vivamente), ed insieme debito di di¬ chiararmi molto tenuto alla virtù e cortesia del Sig. r Antonelli per 1’ esatta infor¬ mazione e metodico discorso del mio male, il quale si conclude esser impedimento di cattarata: che se fra le cose recondite ed isquisite della fonderia del Scr. mo G. D. mio Signore se ne trovasse alcuna per mio sollevamento, la prego con tutti gli afflitti del cuore a supplicar umilmente in nome mio di propria voce S. A. Ser. ma -, che per la ingente eroica sua qualità si degni sufraggarmene. Scrissi, per debito d’antica riverenza, l’acclusa lettera al Ser.' no Principe io Donato 10 , c ne mando due copie a V. S. Ecc. ma , che V una si degnerà farla capitare al S. r Gio. Battista Strozzi, al quale molti giorni sono ho scritto, re¬ stando sin ora senza sua risposta. Mi conservi 1’ osservatissima grazia sua, e caramente le bacio le mani. JDi Venezia, a’28 d’Aprile 1618. 1321 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Bellosguardo]. Roma, 5 maggio 1618. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. Vili, car. 38. — Autografa. Molt’ 111.™ c molto Ecc. tó Sig. r mio Oss. ,n0 Tengo la gratissima di V. S. dclli 30 passato con il privilegio, et in nome di tutti i S. ri compagni et in mio proprio le ne rendo con ogni maggior affetto le gratie che devo, ringratiando similmente il S. r Pandolfini della sua cortesia e diligenza. <*> Lettera di riverente cont/ratulazionc di Giro- di Venetia. Vouetia, Bulichino, 1618. i.amo Magagnati al iSerenin. Hicolò Donalo, Doje 388 5 — 16 MAGGIO 1618. [1821-1323] Sento mal volentieri elio V. S. continui nel travaglio del male, et tanto più mi dispiace 1* asprezza della staggione quanto lo ritarda il debito miglioramento, quale con tutto il core lo prego e spero presto da N. S. Dio. E con questo bacio a V. S. affettuosamente le mani, ricordandomeli prontissimo a’suoi commandamenti. Di Roma, li 5 Maggio 1618. Di V. S. raolt' Ill. ro Aff. mo per ser. 1 * sempre Fed. c0 Cesi Line." 1\ 1822 *. •' FEDERICO CESI a [GALILEO in bellosguardo]. Roma, 11 maggio Pitti. Blbl. Nrz. Pir. Mss. dal., P. I, T. Vili, car. 10. — Autografa. Molto 111.™ e molto Ecc. 1 ® Sig. r mio sempre Osa. 1 " 0 Ho ricevuto il foglio con lo notazioni che desideravo, o rendo gratin a V. S. della diligenza. Della ricevuta del privilegio scrissi la settimana passata. Godo grandemente del' aviso che V. S. sia in stato di poter viaggiare, il che senza dubio credo le sarà di giovamento, quando dia qualche giorno più di tempo alla stagione, che ancora è rigida ; il che desidero anco per mio particolare in¬ teresse, poiché sento particolar contento favorisca i miei luoghi d’Acquasparta, e tardando alcuni giorni credo che potrò, sbrigato dalle cose di Roma, trasfe¬ rirmi là con la famiglia, ovo riceverci quella allegrezza che si pò dir maggiore, poterla vedere e servire. Ma quando ciò non mi sia concesso, sarà servita da’ miei io amici o ministri, et a veder li precipitai del Velino particolarmente, che mi ri¬ cordo V.S. pensava già osservare. Però m’avisi subito la risolutiono ot il tempo della sua partita. Con che ricordandomeli servitore di core, bacio a V. S. le mani. Di Roma, li 11 Maggio 1618. Di V. S. molto lll. ro Aff. mo per ser. 1 * sempre F. Cesi Line." P. 1 323 *. GALILEO a [FEDERICO BORROMEO in Milano]. Bellosguardo, 16 maggio 1618. Blbl. Ambrosiana in Milano. Cod. 0. l’ar. Inf. 227, car. 95». — Autografa. 111. 1 ” 0 e Rev. mo Sig. re o Paci." Col. mo Ancor che il più valido testimonio della devotissima servitù mia verso V. S. Ill. ,na et Rev. ma che io le possa di presente arrecare, sia 16 — 23 MAGGIO 1618. 389 [1323-1324] l’istessa attestazione del S. Dott. Giggi (n , col quale, ho liauto grazia, di esser qualche ora nel suo passaggio per Firenze, tuttavia non ho voluto mancare di confermargli l’istesso con la presente, la quale ri¬ ceverà per sua inano; con supplicarla appresso, che di quello che sin qui non gli è stato da altro significato fuori che dall’ altrui voce o dalla mia penna, voglia restar servita di porgermi occasione che io qualche effetto gli possa esser più sensato argomento : il che troverà certo Y. S. Ill. ma et Rev. ma , tuttavolta che si degnerà di honorarmi di qualche suo comandamento, di che instantissimamente la supplico, mentre reverentemente l’inchino e dal Signore Dio gli prego il colmo di ogni vera felicità. Dalla villa di Bellosguardo, li 16 di Maggio 1618. Di V. S. Ill. ma et Rev. ma Dev. mo et Obblig. mo Ser. re Galileo Galilei. 1324. \ GALILEO a LEOPOLDO D’AUSTRIA [in Innsbruck]. Firenze, 23 maggio 1018. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. V, car. 57-58. — In capo a car. 57r. si logge, di mano (li GAt.ii.ito, Copia o pur di sua mano sono alcuno correzioni o la firma, e a car. 58t., l’annotazione : Copia. Mia al’Arcid. ca Leop. d0 Ser. mo Sig. r e P.ron Col. mo Io mi ritrovo ancora involto nelle medesime indisposizzioni nelle quali l’A.V. S. ma mi trovò quando dalla sua infinita benignità fui, tanto sopra il mio merito, favorito et honorato : et al travaglio di queste mie corporali afflizioni se n’ è aggiunto un altro più molesto di mente, che è il non haver potuto nò potere per ancora, al meno in parte, satisfare a i cenni dell’ A. V. co ’l mettere insieme, secondo che haverei li avuto in pensiero, alcuni discorsi intorno a’ problemi che io posso giudicare che non sarebbono alieni dal suo gusto. Per io lo che sono necessitato a supplicarla humilissimamente che voglia con¬ donare alla mia impossibilità la dilazione che mi conviene prendere Antonio Uioqi. 390 23 MAGGIO 1018. [13241 in ubidire più pienamente a i suoi collimanti amenti, et a gradire tra tanto questo podio mie cose, le quali con la presente lo invio: elio sono duo telescopi^ uno più lungo e 1' altro meno ; et il mag¬ giore potrà servire all’À. V. et ad altri sui familiari per le osser- vazzioni dello cose colesti ; o veramente è P istosso cristallo co 1 quale da tre anni in qua sono andato io osservando, o, s’io non m'inganno, gli doverà riuscire occolonte : P altro minore sarà più commodo a ma¬ neggiarsi, o per le scoperto in terra sarà molto buono ; se bene in questo ancora il più lungo gli mostrerà gli oggetti e maggiori e più 20 distinti, ma con un poco più di fatica si incontrano. Mandogli ancora un altro più piccolo cannoncino, formato in una testiera di ottono : ma questo è fatto senza alcuno adornamento, per¬ ché non può servire alPA. V. so non per modello et esemplare da farne fabricaro un altro, che meglio quadri alla forma e grandezza della testa di lei o di chi P havosse a adoperare ; il quale strumento et ordigno non è possibile accomodarlo, senza la presenziale assistenza della tosta e de gli occhi di quel particolare che usare lo deve, per¬ chè P aggiustamento consisto in differenze di posizioni di più alto o più basso, più o meno inclinato alla destra o alla sinistra, quasi 30 che indivisibili: et all’A. V. non mancheranno artefici, che sopra questo modello la serviranno esquisitamente. La supplico bene a tenerlo quanto ella può occulto, per alcuni miei interessi. Mandogli approsso una copia delle mio Lettere Solari 111 stampate; e più, insieme con la presente, riceverà un mio breve discorso circa la cagione del flusso e reflusso del mare, il quale mi occorso fare poco più di due anni sono in Roma, comandato dall’111. rao 0 Rev. mo Sig. r Card. 10 Orsino (2) , mentre che tra quei signori teologi si andava pensando intorno alla prohibizzione del libro di Nicolò Copernico e della opinione della mobilità della terra, posta in detto libro e da 40 me tenuta per vera in quel tempo, sin che piacque a quei Signori di sospendere il libro e dichiarare per falsa 0 ripugnante alle Scrit¬ ture Sacre detta opinione. Ilora, perchè io so quanto convenga ubi¬ dire e credere allo determinazioni do i superiori, come quelli che sono scorti da più alto cognizzioni allo quali la bassezza del mio ingegno Lett. 1324. 43. /pianto è aggiunta intorlinoaro, di mano di Galileo. — <*» Gir. Voi. V, pag. 71 o t>eg. <* Gfr. Voi. V, pag. 377-3W&. [1324] 23 MAGGIO 1018. 391 per sè stesso non arriva, reputo questa presente scrittura che gli mando, come quella che è fondata sopra la mobilità della terra overo che è uno degli argumonti fisici che io producevo in confermazione di essa mobilità, la reputo, dico, come una poesia overo un sogno, 6o e pei’ tale la riceva l’À. V. Tuttavia, perchè anco i poeti apprezzano tal volta alcuna delle loro fantasie, io parimente fo qualche stima di questa mia vanità : e già che mi ritrovavo haverla scritta e lasciata vedere da esso Sig. r Cardinale sopranominato e da alcuni altri pochi, no ho poi lasciate andare alcune copie in mano di altri Signori grandi ll) ; e questo, acciò che in ogni evento che altri forse, separato dalla nostra Chiesa, volesse attribuirsi questo mio capriccio, come di molte altre mie invenzioni mi è accaduto, possi restare la testimo¬ nianza di persone maggiori di ogni eccezzione, come io ero stato il primo a sogniare questa chimera. Della quale questa che gli mando c.o è veramente una tal poca abozzatura, perchè fu da me frettolosa¬ mente scritta e mentre speravo che il Copernico non havesse, ot¬ tani anni doppo la publicazzione della sua opera, a essere giudicato per erroneo ; sì che havevo in pensiero di ampliarmi, con maggior comodità o tempo, molto e molto più sopra questo medesimo argo¬ mento, apportandone altri riscontri e riordinandolo e distinguendolo in altra migliore forma e disposizzione : ma una sola voce celeste mi risvegliò, e risolvette in nebbia tutti li miei confusi et avviluppati fantasmi. Terò lo accetti l’À. V. S. benignamente, così incomposto come sta ; e se mai mi sarà conceduto dalla divina pietà eli ridurmi 70 in stato di potere qualche poco affaticarmi, aspetti da me qualche altra cosa più reale e ferma : o tra tanto resti sicura che io mi co¬ nosco tanto altamente obligato all’ infinita sua cortesia, clic sì come ho per impossibile il poter mai sciorini da tanto obligo, così sono sempre per adoperarmi ad ogni suo minimo cenno, per dimostrar- megli servitore grato. 51. fantasie ù scritto di mano di Qami.ko, in sostituzione (li chimere che cnncol!nt». — f,3 04. r.o pncolo co» maggior comodità e tempo sono aggiunto in margino, di ninno di Gai.ii.ko. —07. confusi et ò ag¬ giunta iutorlincfti'o, di mane di Gat.ii.ko. — (1 > Cfr. Voi. V, pag. 374. Tra i parecchi esein- e refi usuo del mare » nuovamente ritrovato nella IH- plari manoscritti del Discorso sul flusso e reflusso litoteca Vaticana. Nota ili Antonio Favaro ( Il e it¬ ili mare, i (piali dimostrano la diffusione che ebbe diconti della li. Accademia dei Lincei. Classe di questo trattato, è 1’autografo, clic si conserva scienze fìsiche, matematiche e naturali. Voi. Vili, nel Cod. Vaticano Latino 8193, p. 2“ B. Cfr. In- pag. 358-3GO). Roma, tip. della It. Accademia dei torno all’autografo galileiano del « Discorso sxd flusso Lincei, 1899. 392 23 - 26 MAGGIO 1618 (1824-1826] E qui huniili salinamente incliinandoinegli, con ogni reverenza gli bacio la veste, e la supplico alle occasioni a raccomandare alla Ser. ma sua sorella e mia Signora m la devotione con la quale io amendue le AA. loro reverisco. Et il Signor Iddio gli conceda il colmo di felicità. Di Firenze, li 23 di Maggio 1618. Dell'A. V. S. llumiliss. 0 et Ol>lig. mo Ser. p# Galileo Galilei. 1325 * COSIMO IT, Orno tinca ili Toscana, a FRANCESCO MARIA DELLA ROVERE in Urbino. Firenze, 23 maggio 1618. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4l)Glì (non cartolata). — Autografa la sottoscrizione. Ser. m0 8ig. r * Il Galilei Matematico, mentre pene va n visitare In Santa (’nsa di Loreto' 1 ’, desidera di venire u far riverenza n V. A. Et se beue io credo die ella babbia cognizione delle suo qualità, ot che essendo naturalmente inclinata a favorire tutti i virtuosi, vedrebbe vo¬ lentieri lui di sua propria spontanea cortesia, nondimeno ho voluto accompagnarlo con questa mia lettera; la quale almeno mi servirà per occasiono di baciare all’A. V. le mani, come faccio di cuore, pregando il Signor Iddio che la conservi lungbissunamente felice. Di Fiorenza, 25 Maggio 1018. Di V. Alt.** Ser.” S. T Duca di Urbino. 11 Granduca di Toscana. Fuori : Al Ser. m0 Sig. r * Il Sig. r Duca di Urbino. 1320 *. CESARE CR EMONI NI a GIOVA NFRANCE8CO SAGRKDO [in Venezia). [Padova, 26 maggio Itiirt.) Bibl. Est. in Modena. Raccolta ('empori Autografi, B.» I.XXXVUI n.° 76. — Copia «li mano di Uiovax- Francesco tuonano : cfr. n.» 1328. Ilo letto nella sua quello che occorre per lo cambio. Io sono prontissimo, ma per li sei del 1 otturo mese non le posso dar parola, perchè si legge sino ali 13, nè io posso 79. loro è aggiunta intorlinoare, di mano di Galileo. — 81. Hutnilin .* è sostituito, di mano di Galileo, a Utoot."», elio sì logge cancellato. — Maria Maddalena d’Austria, Granduchessa «*• Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVI. di Toscana. [1326-1328] 26 MAGGIO - 2 GIUGNO 1618. 393 pensar ail altro che alla lettura. Sia sicurissimo che sarà di tutto quello ohe comanderà sodisfatta. Desidero solo questo favore, di non esser molestato sino finito lo Studio, conio sarebbe a dire per tutto Giugno; che sebene non si snidano le bolett.e sino a Santa Mal- gherita, elio ò a tanti di Luglio, io nondimeno procurerò la sodisfat.tione di V. S. 111."**, e sarà compita. Se questo non si può, mi convien prolungare; un’altra fiora, se così a lei piace, io pagarò tutto. Resti sicura d’ogni sodisfatione, et mi favorisca avi aarmi della ri- solutione, che secondo il suo volere sarà sodisfatta. Con qual fine le faccio riverenza, etc. 1327 . NICCOLÒ RICCARDI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 28 maggio 1618. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 42. — Autografa. Sul tergo della seconda carta (car. 43), elio ù bianca, si leggo, di minio di GAr.ii.Ko: P.re Mostro. Molto 111. 0 Sig. ro e P.ron mio Col." 10 Ricevei Rieri la cortesissima di V. S. per mozzo del S. r Mario (l) ; e certifi¬ candola prima di non haver ricevuto prima alcuna sua, chò dol certo non liavrei indugiato a darli risposta, la ringrazio del gusto che mostra nelle cose mie, in¬ fine come fanno i buoni padroni in quelle dei servitori. L’ occupazione datami nello cose dol S. Uff. 0 viene stimata da me per sommo lionore, e sebene supe¬ riore a’ meriti, non posso però negar di haverla ambita come occasione di servir N. S.''° e S. Chiesa. Pertanto stimo doppiamente il contento che lei ne mostra ; et assicurandola che gli vivo divotissimo servidore e vero discepolo, finisco facen- 10 dole profondissima riverenza e pregando N. S. per ogni sua felicità. * Roma, 28 di Maggio 1618. Di V. S. molto IH. 0 Ser. r e Discepolo Divotiss. 0 F. Nicolò Riccardi. Farò quanto lei mi comanda col S. r Sdoppio, in vedendolo. 1328 . GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 2 giugno 1618. Bibl. E8t. in Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, B.» LXXXV1II, u.« 76. — Autografa. Molto Ill. ro S. r Ecc." 10 Le lettere di V. S. Ecc." ,a mi rallegrano sempre, et quest’ultime m’haveriano rallegrato più dell’ altre per la speranza ebo mi dà di rivedere questa città, se Gl Mabio Guiduooi. XII. 60 304 2 — 23 GIUGNO 1618. 11328-1329] non havcssi dalle medesime intoso il fastidioso impedimento nuovamente sopra- venutole. Prego Iddio che mi faccia gratin di poterla veder presto. Il S. r Cremonino mi promette certamente pagarla alla fine di questo. (ìli sarò al pelo ; doveri pagar P interesse dell’ ultime due fiere, che saran almeno cinque ducati. Ella verterà la copia c,) di quanto mi scrive, in tutto diversamente da quello ha fatto già sei mesi l ”. Mi paro esser un huomo, havendo convinto un filosofo peripatetico, capo della setta di Malpaga. Ma forse le Stelle Medicee da io lei scoperte m’haveran cagionato sì buon influsso. Io, per gratin del Signor Pio, sto benissimo, e Unto meglio quanto che fra un mese aspetto mio fratello da Verona, dal quale resterò solevate delti ;i /< delli negotii. Ilaverà, ella inteso lo machinationi scoperte in questa città ( *\ che pur dovc- riano levar dal sonno tutto il mondo, perchè /unite mi/ti, eros tibi. Temo, la ro¬ vina comune esser fattile, poiché la prudenza humana, che potria porgervi oppor¬ tunissimo rimedio, resta del tutto inutile et morta. Che sarà line di questo, pregandole dal Cielo sanità et contento. In V.*, a 2 Giugno 1618. 20 Di V. S. Ecc. ma Tutto suo G. F. bug. Fuori, ri’ altra mano : Al molto Ill. r * S. r Oss." 10 L’ Eec." ,u S. r Galileo Galilei. Firenze. 1329 *. GIOVANFRAN CESCO 8 AG REDO a GALILEO in Firenze. Veuezia, 23 giugno 1618. Bibl. Eat. In Modena. Racco]U Campori Autiurrafl, U.» LXXXV1II. n 77. — Autografa in «ottoscrlrloue. Molto 111.™ S. r Ecc. mo Vivo con martello, non vedendo risposta alle mio ultime lettere scritte a V. S. Ecc. nia , dubitando della sanità sua ; onde quanto più spesso ella m’avisorà del buon suo stato, tanto maggiore sarà la mia consolatimi®. Accennai già a V. S. Ecc. ma come il Germini, essendo venuto in questa città già alcuni mesi 10 , mi mancò, come si suol dire, nelle mani. Ilora delibo dirle più chiaramente che mi riuscì una gioia falsa, perchè mentre consideravo solo 1’ estrin¬ seca apparenza delle sue lettere, che me lo rappresentavano di giuditio, formai «*» Cfr. u.» 1326. <*> Cfr. un.> 1295, 1802. 1,1 Intendi, In • unglura dui Duca di li kiuuk. <*> Cfr. n.° 1292. [1320-1330] 23 GIUGNO - 9 LUGLIO 1618. 395 concetto eli* egli liavesse appreso li nostri negotii, e potesse, fermata un poco io più la età sua, subintrare nella sopraintendenza di tutte lo cose nostre in quelle parti ove egli attende; et havendo per una moltitudine di sue lettere scoperto in lui un ardentissimo desiderio di succedere al Paderno con mille promesse, credeva ch’egli si trovasse, dirò cosi, forte in gambe: ma ragionando seco, vidi che poco, anzi nulla, ne intendeva, et ultimamente anco mi son chiarito che il desiderio di questa successione non era guidato da altro che da una estrema awidità di accrescere il suo salario et forse ancora altri pretesi utili, introdotti contra i patti dal vecchio fattore. Pure non ho ardito mai di credere eh’ egli non fosse diligente et zelante nei nostri interessi ; ma ultimamente per un aviso havuto da lui comprendo, non voglio dire eh’ egli sia sprezzatoli del nostro 20 servitio, ma ben incapace di saperlo procurare, poiché, contro 1’ espressa mia commissione et li protesti fattili dalli zattari, ha voluto stracaricare un zattuol di ferro, et è stato cagione che si sia perduto nella Piave, accidente che in quat- tordeci anni non ci è più occorso, et in questi ultimi tre volte ci è accaduto, con perdita notabile di molti centinara di ducati: onde con mie lettere non solo ho avvertito il pericolo, ma ancora strepitato et minacciato senza frutto. Scrivo a V. S. Kcc. nm questo, per* sfogare il mio giusto sdegno. La prego però tenerlo in sé, et valersene solo caso clic esso Germini la molestasse con le solite instanze, invero improprie al suo merito, seben propizissime alla sua leggerezza, per non dire pazzia,. 3o Aspetto il S. r Zaccaria fra pochi giorni, con infinito mio giubilo (l >. Et per fine a V.S. Ecc. nm Laccio la mano. In Venetia, a 23 Giugno 1018. Di V. S. Ecc."' a Tutto suo G. F. Sag. Fuori : Al molto 111.™ S. r ITon. m ° L’ Ecc.'"° S. r Galileo Galilei. Firenze. 1830. GIULIO GERINI a [GALILEO in Firenze]. Poscia, 0 luglio 1018. Bibl. Nar. Flr. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 10. ~ Autografa. Molto 111.' 0 et Eco.'" 0 s. r e P.ron mio Col."’ 0 Con molto mio gusto ho inteso il felice ritorno di V. S. Ecc. ma dalla Santa Casa di Loreto et il benefizio che ha ricevuto dalla vista di varii e nuovi p aesi O) Cfr. u.*> 1328. (*> Cfr. n.° 1325. 9—10 LUGLIO 1618. 390 11330-1831] per dove é passata, scrivendomi ritrovarsi in miglioro stato di sanità che quan¬ d’olia si partì. E perché già conosco per isperienza che P andare un poco vagando per nuove arie conferisco assaissimo alla sua indisposizione di stomaco, l'assorto a seguire il suo pensiero di trattenersi tutta state per questi contorni, il elio non li puole ossere se non d’utile grandissimo; ma soprattutto la prego e supplico con ogni mio potere a non mancar in alcuna maniera di passar di qua, conforme a che ha già disegnato di faro e che mi promette per la sua, cosa da me estro- io inamente desideratissima e gratissima, si per conoscere un così grand’homo di presenza, quale fin qui ni'è stato noto Buiamente per fama, sì anche per godere de’suoi amorevolissimi o dottissimi ragionamenti, dove li prometto da questi poggi diletto et agumento di sanilà. Ben é vero eh’ io desidererei sommamente elio venisse in sua compagnia il molto tt. d# P. Don Bo[iudetto] ”, citò così spe¬ rerei elio maggior gusto fosse por bavere in andar vodonfdo] questi luoghi ver¬ deggianti, sebene mio nipote sarà sempre prontissimo a servirla. Però supplico V. S. Ecc. mA ad essorturlo a venire, (so] la servitù dell’ Kec. ,no S. or Principe w non 10 ritiene talmente, che non possi per otto <> dieci giorni allontanarsi da quella. Li salsicciotti, benché loi per cosa grossolana li reputi, sono a mio gusto 20 assai gentili ; de’ quali non la voglio ringraziare adesso, aspettandolo a far di pre¬ senza, il che desidero sia quanto prima. E mentre sto con questo desiderio, me 11 offerisco di tutto core, facendoli appresso humilissiinamonte riverenza per mio nipote, il quale prega V. S. rin Ecc. ma si voglia degnaro descriverlo noi numero do’suoi humilissimi servitori, chò così desidera d'esser e di vivere. I)i Poscia, li 9 di Luglio 1618. Di V. i$. molto Ill. re et Ecc. m * Devotiss. 010 Ser." Giulio Gerì ni. 1331 . FEDERICO CESI a (GALILEO in Firenze). Acquattarla, 10 luglio 1018. Bibl. Naz. Fir. Mss. C«al., 1’. VI, T. X, car. 48. — Autografa. Molt’ 111." 1 e molto Ecc.* Sig. r mio sompre Oss. mo Sono molti mesi eli’ io non ho nuova alcuna di V. S.; e ’1 non haverla io pro¬ curata con lettere, è proceduto dalla moltitudine di negotii che ni’ hanno tenuto questo tempo in Roma olirà modo oppresso, raddoppiati nel volermene io sbri¬ gare per venirmene in questi miei luoghi a rubbar quel più di quiete et olio che potrò ; ma può ben esser certa di'ansiosissimo son stato sempre e sono d’ ili¬ ci Bkxki>ktto Ca&tklli. <*> Cfr. u.o 1806. 10 — 11 LUGLIO 1018. 307 [1331-13321 tender della sua buona salute. Mi doglio elio per questa stagione sia svanitala speranza ch’ella sia per favorir me e questi luoghi, che in’ era di grandissima con- solatione: almeno sia a rifrescata. io Gli scrissi nell’ultima della ricevuta del privilegio 10 , rendendole le debite gratie insieme con i S. ri Compagni. Gl’ accennai anco della ricevuta delle memorie di quei parentadi, e resto con desiderio di quelle di casa Salviati, e massime le più antiche che il S. r Filippo nostro già volea far stampare, facendo io registrar da pittori in questo mio luogo tutte le memorie de’ maggiori e parenti, in ricordo della posterità. Qui sono da alcuni giorni, e, Dio gratin, con bona salute con tutta la fami¬ glia ; nè però si tralascia alcuna delle faccende di Roma, premendosi nella stampa tl) al solito. Devo però avisar a V. S. che avanti la mia partita, dclli soggetti pro¬ posti et ammessi, fu ascritto il S. r Don Virginio Cesarini, et con lui il S. r Ciani¬ co poli ; di che son sicurissimo V. S. sentirà molto gusto, e tanto maggiore inten¬ dendo con quanto affetto, anzi ardore, habbiano abbracciata e lodata 1* impresa, e quanto si siano mostri contenti della compagnia: in corrispondenza di che, V. S. mi farà gratin mostrarli quel’ affetto di più con lettere, che giudicherà do¬ verseli, chò son sicurissimo che saranno buoni compagni, e massime per la buona dottrina conferitale da V. S. Mi farà anco gratin premere che il S. r Ridolfì c S. r Panrìolfini corrispondano anco affettuosamente, a’ quali baciarà le mani in mio nome. Nel resto non mi stenderò più in longo : sa quanto io son desideroso che mi commandi. Conceda N. S. Dio a V.S. ogni contento, et io con ogni maggior 30 affetto le bacio le mani o me lo ricordo servitore al solito. Di Acquasparta, li 10 Luglio 1618. Di V. S. molt’Ill. ro Aff. ,no por ser. ,a sempre F. Cesi Line. 0 1 J . 1332. LEOPOLDO D’AUSTRIA a GALILEO [in Firenze]. Saverna, 11 luglio 1618. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal.. P. I, T. XIV, car. 137. - Autografa la firma. Charo Galilei, Doppo haver potuto godere la grata presenza vostra nel passato mio viag¬ gio, venne qua la sua delli 23 di maggio (,) per la quale s’ haveva a condolermi I» Cfr. n.° 1321. < 5 ' Intendi, dell’ opera sulle pianto Indiane. Cfr. nn.i 584, 1312. <»> Cfr. u.° 1824. 11 — 21 LUGLIO 1018. 808 fi 332-1338] la continuationo di cotali indispositioni, aifino di’ è stata et sarà, sempre a ìiic cosa più desiderosa, acciò per sua convalescenza si possa giuvaro et far progresso il publico bene secondo lo qualità et eminenza sua, la quale mai più superò la presenza clic la fama giù sentita da me. Intanto ho visto gl’ambedue toloscopii et il canoncino con la testiera, del quale stromento ino ne alquanto informò nel passaggio a Pisa il Prato Don Benedetto, il ricordar di cui me molto rallegra. Tutto questo coso arrivarono salvo, et si sono trovato giuste. io Intorno lo Lettore de’ Soiarii, et il Discorso del flusso et reflusso del maro con lo censuro della opinione del Copernico sopra la mobilità della terra, me adoprerò a poter col tempo gradire qualche giudicio di quelle coso, et a comiminicarvi di¬ poi ’l parer mio et lo sentenze scoprite da’ soggiotti più eruditi in questo pro¬ posito; mentre, ringratiandovi grandemente d’averne fatto partecipe delle me¬ desimo cose, starete puro sicuro ch’io ne resti a farvi ogni favore et a compiacervi in quelle occorenze che saranno da voi bramate, havendo fatto in una mia la par- ticolar instanza appresso la Ser. m * Gran Ducchessa acciò degnissi di conservarvi in viva sua gratia. Et qui facendo fine, Iddio Signore vi conceda la intiera sa¬ nità et prosperità continua. 20 Di Saverna, li 11 di Luglio 618. Leopoldo. 1333. VIRGINIO CESARINI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 luglio 1018. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. Vili, car. 50. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. r P.ron mio Oss. ,no Piacque, alcuni giorni sono, al S. r Principe Oosis d’inserirmi con infinito mio gusto nel numero de’ Lincei, radunanza da me sempro riverita per molti titoli, ma particolarmente per risplendere in fronte di essa il nome di V.S., il cui la¬ voro nel farmi cosi segnalata grazia so che ò stato di molta autorità ed efficacia. Però io che mi vedo debitore a lei d’infiniti oblighi per la stima che ha mo¬ strata tener di me, vengo a significarle por mezzo di questa la gratitudine sin¬ golare d’ animo olio sempre in me viverà verso lei, et ad assicurarla insieme, che al conio tanto non mi inganna 1’ amor proprio eh’ io non scorga clic per lionorarmi ella ha voluto testificare in me quei meriti che non vi sono, così anco io lui riputarò sempre tenuto di cercare, con P assiduità del studio et con 1’ animi- rationo del suo ingegno, di non abusarmi sempre de gli eccessi do la sua be¬ nignità ; la quale godo elio quosta volta, per singular uiio privilegio, liabbia 21 LUGLIO 1618. 399 [1338-138+] offuscata in V.S. quella luce di giudizio eli’ n tutte 1’ altre attioni così gloriosa- mente l’accompagna. E per fine le bacio con ogni affetto le mani. Di Roma, il dì 21 di Luglio 1618. Di V. S. molto 111.° AfT. mo Ser. ro S. r Galileo Gallilei. D. Virg. 0 Cesarino Linceo. Fuori: Al molflll.” S. 1 ' P.ron mio Oss. n '° 120 11 8.*' Galileo Galilei. Firenze, 1334. GIOVANNI CIAMPOL1 a GALILEO in Firenze. Roma, 21 luglio 1018. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. Vili, car. 48. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo S. ru e P.ron mio Oss. mo Il S. r Principe Cesi, partendo ultimamente di Roma, mi favorì di aggregarmi nel numero de’ SS. ri Accademici Lincei. Io stimo questo honore come titolo di molta gloria al nome mio, e so clic la cortese testimonianza di V. S. ò stato il maggior inerito e la più efficace intercessione che me lo Labbia impetrato. Vengo però a rendertene le debite gratie con la presente, sì come spero, fra poco più di un mese, di potere io venire a servirla in cotesto parti per due mesi, e go¬ dere nelìi suoi ragionamenti quelli frutti singolari di sapienza ammiranda clic io, per molto clic pratichi, non so trovare altrove che nel giardino suo. io II S/D. Virginio le scriverà, e le vive tanto partiate che al certo non si può più. Poi che la senti parlare, è restato sitibondo de i discorsi suoi et lia perduto 1’ appetenza degl’ altri. Qua vive più che mai glorioso il nome di V. S., et io ne sento in luoghi alti far frequento commemoratione. Alli giorni passati fui a Frascati col S. r Card. 1 Aldobrandino 05 : si ragionò più volte di lei, non con sola lode, ma con ammi- ratione. S. S. ria Ill. ma mi commise clic io salutassi lei in suo nome; poi, con oc¬ casione di quelle belle prospettive, dove ci dava molto trattenimento il suo oc¬ chiale, mi domandò se era possibile l’haverne alcuno, per mezzo di V. S., clic fosse di singolare esquisitezza, e mi dissocilo io le ne scrivessi. Veramente s’olla 20 potesse far compiacere questo Signore per mezzo di qualche raro artefice, il fa¬ vore giungerebbe desiderato e sarebbe gradito oltre modo. Pietro Ai.oobrandini. 400 21—28 LUGLIO lfìl8. [ 1834 - 1336 ] lo poi supplico V. S. a ricordarsi che una volta olla mi amava; voglio infe¬ rire che, se non per forza di mio merito, almeno per costanza del giuditio suo, ella non (leve in questa lontananza permettere che, con tanto pregiuditio di mia riputarono, mi si diminuisca 1* alletto suo. Mi ricordo servitore affettuosissimo al Padre I). Benedetto, al quale et a V. S. prego da Dio lunghezza di vita et accrescimento d’ogni più desiderato Itene. Di Roma, il di 21 di Luglio 1G18. Di V. S. molto 111.™ et Kcc. ,im Devot." 10 et Obblig.® Sor.™ S. r CJalil.® Fir. 8 Giovanni Giani poli Line. 0 so Fuori : Al molto 111.™ et Kcc. n, ° S.™ e P.ron mio Col.” Il S. r Galileo Galilei, Linceo. 1 335 *. GIOVANFRANCESCO 8 AG REDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 28 luglio Itila. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Oitnporl. Autografi, II.» 1.XXXVI1I. n.« ?S. — Autografa. Molto IH.™ S. r Ecc. mo Finalmente ho cavati dalle mani cinquanta scudi d’argento dal S. r Cremo- nino lu , che mi dii speranza in breve saldar la partita. Se così egli farà, io rimet¬ terò l’intiera soma a V. S. Ecc. m * ; altrimenti, le farò capitar questi cinquanta a buon conto: o se volesse che io facessi qualche spesa, mi comandi, chè sarà servita. Il Germini, veduto fermato il fattoi* vecchio et scoperta la sua inertia, ha perduto le sue speranze della successione ‘ :) , et, non so so per questo o per altro, ci ha causato altri nuovi danni, contro il protesto fattogli da’ paesani et contro il mio espresso coinmandamento. io Circa poi lo trattazioni elio le accennai, in lettere non à bene discorrere: basti eh’ ella sappia che in quelle non vi poteva essere altro consultore che l’inimico della liumana generatone. Il negotio ancora di quell’ amico l,) di V. S. Ecc. ,uit non è da trattarsi in lettere: bisogna ringratiar Dio che in line protegge la giustitia. Li quadri tl) che furono rimandati di costà come copie, sono stati ultimamente riconosciuti et pagati come autentichi et originali di mano del Bassan vecchio; et qui s’ è fatta gran meraviglia che cotesti Academici della pittura gl’ Imbibano sì mal conosciuti. <" Cfr. n.» 1828. «*' Cfr. n.* 1329. '*i Cfr. n.» 1180. Cfr. n.-> 1270. 28 — 29 LUGLIO 1618. 401 [ 1835 - 1386 ] Ilora in questa città si fanno alcuni cannoncini corti, di due terzi di quarta, so assai buoni. Io li uso per vedere pitture da vicino. Le ben fatte rapresentano il naturale, et 1’ altre maggiormente si scoprono imperfette. Faccio fare il can¬ none lungo una quarta et meza, et pongo nel mezo il vetro, sicché resti il vetro colmo in ombra, perchè in alcuni siti senza questo aiuto non si può vedere. Alcune volte ancora bisogna ombreggiar con la inano il vetro cavo, perchè, riflet¬ tendo come specchio, confonde la vista. Qui faccio punto per non voltar carta, et le baccio la mano. In V. ft , a 28 Luglio 1618. Di V. S. Ecc." ,a Tutto suo G. F. Sagr. so Fuori , cV altra mano : Al molto Ill. re S. r Ilon. 1110 L’ Kcc."'° S. r Galileo Galilei. Firenze. ' 1336 * ROBERTO UBALDINI a GALILEO in Firenze. Montepulciano, 29 luglio 1018. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 188. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto 111. 1 ' 0 Sig. 0r La perfettione dell’occhiale, resomi in nome di V. S. dal Sig. or Minerbetti (,) , ricompensa abondantemente quella poca dimora che è seguita nel mandarlo ; et seben ciò non deve cadere in consideratione, massime trattandosi della difficultà dell’opera con tanti altri impedimenti occorsili, nondimeno con questo modo ella scuopre maggiormente la sua cortesia, della quale io la ringratio con tutto 1’ af¬ fetto, e l’assicuro che il desiderio che tengo di farle sempre ogni servitio, cor- responde al concetto che ho del sapere e valor suo et alla stima che lo della persona e virtù di V. S. Alla quale offerendomi, mi raccomando con tutto l’animo. io Di Montepulciano, li 29 Luglio 1618. Di V. S., la qual ringratio con tutto 1’ animo, et già le posso dire che 1’ occhiale riesce perfettissimo. Come fratello Afi>° Al S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Il Card. Ubai dini. Fuori : Al molto 111. 1 ' 0 Sig. ra Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. l'i Cosimo Minekuuttj. 402 LUGLIO 1018. 1 . 1887 ] 1337 FILIPPO IV ASSI A a GALILEO in Firenze, llutzbach, luglio [16J18. Arcli. Granducale d’Ansia. — Minuta. Philippua, Dei grafia liassiuo Landgravius, Comes in Cnttenelnbogon, Dietz, Ziegenhain et Nitida, etc. Ab eo tempore quo nos Italica» oras reliquimns, non omnia iistlem in locis utili ter liausta reposuimus, seti et a te edocta sedulo coluiinus. Prue aliis vero circuii tui proportionalis (ut appellati solet) operationes nobis magia magisquo placent; et quum non ignoremus, plures flibi plura de codoni polliceri, ideo ininua dubitamus et tibi ad plurium bactenus incognitorum secrctorura lustrationem, exquisitissima ingeniositatia tuae opera, aditimi patuisse, praeterquam publicata alia adhuc compendiose istius inatrumenti beneficio agenda nova inventa fuis 90 . Quapropter clementer a te petimus et rogamus, ut et ista, ai quao hahes noviter io inventa, nobis fideliter connnunicare et certis tabellariia voi Francofortum, inule facile ad nos pervenire possunt, nobis transniittere, et prò communicatione illa largam a nobis munerationem indubitato expectare, velia. Yale. Dab. Butisbacliii... (,) Iulii anno 18. Ad Gallilaeum Gallilaei, Mathematice8 professorem in Academia Padaviensi. All’Eccellentissimo et Dottissimo Signore, Signore Gallileo Galilei, Nobil Fiorentino,'Lettore delle Mathematiche nello Studio di Padova. Lett. 1337. -t. Prue alti» ò sostituito n Inprimi», elio leggosi cancollato.— fi. Primi» ora stato scritto et quamvie plure» libi plura de eotlem pollice,tnlur ; poi fu corretto et iptum .... pollieeri. — III luogo ili ideo prima era stato scritto eo. — 7. ineofnitorum è sostituito ad «bicondìta, che ò cancellato. — !). agenda ò corretto in luogo di perfieienila, cancellato. — li. In luogo di tabellarii » prima ora stato scritto nuneiit. 12. Dopo (ranni iUer» si legge, cancellato, veli». — 12-18. prò _ expeetare 6 stato sostituito a comm mura fiorimi il lata no» largo munere rem {tentare non infrrMiffrmut, indubitato italuere, elio leggasi cancellato. — 13. muncrafionmt è stato corretto in luogo di muto-rem, cancellato. — 'D I pnutoliui sono noli'originalo. [1338-1339] 3 — 4 AGOSTO 1618. 403 1 388 *. NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC a GIOVANNI VITTORIO DE’ROSSI. Parigi, 3 agosto 1618. Bibl. d’Inguimbert in Carpentras. Registro 411, cnr. 436. — Minuta autografa. -Deputa votre pausage, mon frére de Vallavez est revenu avec un extrème regret do n’avoir en lo bien de vous voir .... principallement poni* ce qui regarde lo Sig. r Ga¬ lileo Galilei, dont j’avois oublié de vous parler, attenda qu’il m’a dict que le dii Sig. r Ga¬ lilei avoit rhonneur de vous appartcnir. J’ay cu lo bica de le voir autresfois & Padoue, et je l’ay toujours temi en siugulière vénération, et serois bion aiso qu’il vous pleust l’as- surer que jc suis soli serviteur très-hunable et très-afl'octioné, si j’on avois Ics rnoyous, ayant portò avec un extrème regret Ics nouvolles do l’indisposition qui l’a travaillé depuis quelque temps et reseti un contenteincnt non pareil d’apprendre sa guérison, priant l)icu qu’il lui conservo et confirmo sa sante de bion en mieax, ot qu’il lui donne les moyens 10 d’ftcbever les merveilloux ouvrages qu’il a entreprtaà la suite de tant de rares deseouvertes qu’il a faictes dans le eiel.... 1339 . GIO V A N FR AN CESCO SAGRE DO a [GALILEO in Firenzo]. Marocco, 4 agosto 1618. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 44-47.— Autografa. Molto 111. 0 S. r Ecc."'° Hayerà V. S. Ecc. nia ricevuto le mie della passata settimana ( '\ et da quelle inteso il buono mio stato et lo esborso fatto dai S. r Cremonino di scudi cinquanta. Le ho scritto ancora alcuna cosa del Germini et alcun’altra di quell’amico suo. Lungo sarebbe del Germini scrivere tutti li particolari de’ suoi mancamenti, si- come dell’ altro amico : tanta è la varietà del li discorsi fatti et così importante la materia, che meglio è tacere che dirne poco et senza fondamento sicuro. Ogn’ uno degli interessati forma il suo particolar concetto, et 1’ universale un misto di tutti questi. Io non nego di non haver formato il inio in alcuni punti io molto fermo et immutabile. Le cose probabili sono discorse da ciascuno a modo suo, et io in quelle non mi fermo; ben, come avezzo alla forma discorsiva mathe¬ matica, quando alcuno mi dice per vere alcune sue propositioni, vere o false che U) C£r. u.o 1383. 404 4 AGOSTO 1618. [ 1889 ] si siano in edotto, formo le necessarie consequenze ila quelle, et certo di non ingannarmi nella forma silogistica, non ailmetto all’ avversario il negare le con¬ clusioni ; et se le nega, non disputo più con lui. Per la venuta del S. r Zaccaria ,n sono rimasto solevato quasi in tutto dalli negotii, et per ristorarmi dalle fatiche passate mi sono dato questi ultimi giorni all’ otio ; il che m’ha fatto con lei parere negligente. 11 gusto che io ricevo dalle sue lettere et dallo scriverle è pari apunto a quello che ella ricevo dalle mio; et in questo mi assicuro elio non siam punto 1 ’uno dall’altro differenti. Duoimi 20 infinitamente la sua lontananza, alla quale potrebbosi provedere col venir a cu¬ rarsi in queste parti. Non si raccorda quello che (lisova Ruzante di l’ava et del Pavan? che i mnorti vini a l'ava con Ir casse al culo, e in ptwchi dì i ars usci fa et vini sani come pesce . Faccia in gratia questa esperienza, nò offendi la dovuta autorità ad un tanto auttoro, che no parlava fondatamente con la sporienza ; lo prometto che darà la vita a sè stessa et a’suoi amici ancora. Attendi alla sua sanità, bovi poco per bovcr lungamente ; si raccordi di esser galantuomo, et che i galanthuomeni bau bisogno (li viver al raen cent' anni por far lunga penitenza et aquistarsi il paradiso. Ondo perchè aneli’ io professo, seben indegnamente, esser galantuomo, la prego non mandar nò marzolini nò saladi, perchè vera- 80 mento sono priva scandali et mi fan mangiar quel di più doppo pasto con pro- giuditio della sanità. Mi contento privarmi volontariamente eli alcuni gusti, per goder più lungamente degl’ altri. Quanto agli occhiali, io ne ricevo il solito piacere, sebene l’occupationi por venti mesi mi han fatto lasciarli da parto. In questo tempo nondimeno ho avver¬ tito quello che per altro scrissi a V. S. Ecc. ma , cioò elio aggionto alcun canone all’ ultimo vetro, che lo copri dal lume, si vede molto più chiaro et distinto. Nel veder con li corti lo pitture, ho scoperto mirabil effetto, trovando elio quelli elio imitano il naturalo, inganano 1 ’ occhio in modo che rappresentano il vivo mara¬ vigliosamente; et essendovi alcun lume od ombra affettata et superflua, so nel *o resto la pittura ò buona, pare questo un neo o simili, postovi per accidente. In conclusione panni che con questo occhiale s’ accrcsehino parimente li diffetti et le perfettioni delle pitture. Ilo osservato ancora elio i riflessi del vetro concavo impediscono alcune volte la vista, et particolarmente in casa rimirandosi alcun quadro di pittura, quando il detto vetro è vicino a qualche finestra o altro lume, il quale eclissato o con mano o con capello od altro, si radoppia la vista. Di più, sicome le pitture accrescono la loro qualità vedute con questi occhiali corti, così ancora succede alli corpi veri : le donne, riguardate con essi in buon sito poco lontane, appaiono molto più vaghe et belle. Et mi sarà caro che sopra questi particolari mi scrivi 1 ’ esperienze che le reusciranno. Per temperare i lumi che 60 <*) Zaccaria Sagrf.uo. 4 AGOSTO 1618. 405 [1339] vanno riflettendo dentro i cannoni, che getteranno vista nevolosa, ho trovato buon rimedio, nell’ultimo canone in conveniente distanza et grandezza porre un riparo di un circoletto forato. Della materia de’ vetri è vero quello che V. S. Ecc. ma scrive, poiché li maestri di questa città havendo aggiustate molte lor forme, et apparato il modo di lustrare assai bene, altra difficoltà non incontrano che nel trovar buoni vetri. L’esperienza ha dimostrato che il colore più o manco bianco non fa effetto di molta consideratone ; le vessiche, chiamate puleghe da questi Muranesi, non fan molto danno, ma solo i torticci, che sono alcune verghe tortuose che si veggono 60 sposso nei vetri, le quali nascono da mescolanza di vetri diversi. Devesi adonque por studio in far il vetro homogeneo, similissimo in tutte le sue parti, perchè nella varietà de’ vetri ò credibile che ve sia diversità di durrezza, la quale per consequenza cagiona che i raggi, che nel vetro doveriano caminar rettamente, si rifrangano, et refratti facciano poi diverso viaggio del bisogno et diverso tra di loro, onde si veggano le imagini doppio et nevulose. Per questo fin già un mese in circa feci prova di cuocere in una fornace a Murano un padelino di vetro, preparato alla mia presenza nella mia sala. Feci dunque portare molta cenere della miglioro ben pesta, et con sedaccio sottilissimo ne cavai di lih. 200 sole lib. 100, et poi di queste in un’ altra sedacciata la metà, et questa fatta pas- 70 sare la terza volta, ridussi in lib. 10 alla sottile. L’istesso feci di giara macinata del Tesino, cavandone lib. 15 ; et mescolate queste due materie sottilissime et quasi impalpabili, le feci passare per sedaccio quattro volte, sichè la mistione fosse fatta eaquisita. Poi la mandai a Murano a fare la frita ; questa fatta, fu macinata nella macina dalli colori, et poi sedacciata due volte, et poi posta nel padelino. Ma perchè hanno queste operationi similitudine con le al chi mistiche, però il diavolo feco andar fuori il padelino, nè so ne c potuto veder la espe¬ rienza desiderata, e tanto maggiormente che hoggi si cava il fuoco dalle for¬ naci, che staran ociose tutte fin Ottobre. Vi entra nel vetro il manganese, nel che mi riportai al vetraro che n’ ebbe la cura, avvertito da me per ottenere la 80 necessaria omogeneità. La settimana ventura mi abboccherò con questi princi¬ pali da Murano, et li scriverò alcun altro particolare in questo proposito, acciò faccia costì la sperienza, promettendole che riuscendo buona la materia, qui farò lavorarla esquisitamente da M.° Antonio et altri ancora, nè mancheran forme d’ogni sorte e squisitissime. lo sono in villa: questa sera sarò a Venetia; farò tutte le sue salutationi. Il P. r0 Maestro (l) sta benissimo; così ancora il S. 1 ' Veniero et Mula e il S. r Ca¬ valli. Il Veniero è perpetuamente in Collegio, quando savio del Consiglio et quando savio di Terraferma, con infinita sua occupatione et movtificatione. Il <‘> Paolo Sarpi. 406 4—10 AGOSTO 1618. 11339-1340] Mulla aneli’ caso, doppo essere stato le buo mudo senza interutione savio di Ter- rafenna, ò stato creato savio del Consiglio; et il S. r Cavalli, fatto avocato di oo Collegio, s’ò maritato, et già un mese hobbo un figliuolo maschio, che fu batteg- giato in S. Giminiano con molti compadri, et in particolare quattro di Collegio, il S. r Conto di Levostein con quattro colonelli suoi clienti, et io, credo, per ultimo; pure, come compadre dall’anello, n* hebbi la paga doppia di zuccheri. Mi sono scordato dirle che il vetro per purificarsi vorrebbe stare al meno un mese in fornace a fuoco gagliardo, conforme 1’uso delle fornaci di vetri; nel che però non metto grande difficoltà, tutto importando l’omogeneità, fin bora malamente incontrata. Ma perché vedo il secondo foglio fornito, faccio line, et a V. S. Ecc. ra » buccio la mano. In villa di Marocco, a 4 Ag.° 1018. 100 Di V. S. Ecc.'oa Tutto suo G. F. Sag. 1840*. FRANCESCO STELLUTI a GALILEO in Firenze. Fabriano, IO agosto 1618. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autogrill, B.» XC. n.“ 141 — Autografe. Molto Ill. r ® ot Eco. m ° Sig. w et P.ron mio Osa.* 0 È un pezzo eh’ io non tengo nuova particolare di V. S., poi clic non son più tornato dal nostro Sig. r Principe, è hornai V anno, et bora giù sarei seco in Acqua- sprtrta, dove mi sta aspettando, so non fussi stato ritardato dalle futuro nozze di mio fratello et di mia sorella, che si devono fare all' ultimo di questo, havemlo maritata un’altra mia sorella, elio m’era riinasta, e dato moglie a mio fratello (,) , quale, per esser minore di me, voleva giù cedermi il luogo, onde ho havuto fatiga a farcelo condcscendere ; et a ino bora paro essermi sgravato d’un grandissimo peso, per 1’ uno e 1’ altro maritaggio fatto. Sbrigato che mi sarò di questo nozze, me n’andrò, piacendo al Signore, a trovare il S. r Principe, dove, e in qualunque io parte sarò, havrò soinpre l’istessa volontà di servire V. S. e mi trovarà sempro con una medesima prontezza. Intanto, conformo al nostro instituto, vengo con questa a salutarla con ogni più vivo affetto et a baciarle le mani, con pregarla a darmi nuova della sua buona salute ot a farmi parte de’suoi studii, e se ha scoperto altra novità in cielo e se trova più Saturno ovato Mi resta a dirle c’ ho occasiono di lamentarmi di V. S., non m’ havendo fa¬ vorito di passar di qui nel viaggio di Loreto havendo inteso dal fratello del l‘> Oio. Battista Stklllti. Cfr. n.o 1222. I*» Cfr. t>.* 18SÒ « Voi. XIX, Due. XXM. 10 — 18 AGOSTO 1618. 407 [1340-1341] S. r Cavalicr Sabbatini, nostro paesano, che 1* incontrò li mesi passati ad Arezzo, che già, era in viaggio per la S. te Casa : elio s’io 1* havessi saputo a tempo, sarei 20 venuto ad incontrarla; ma lo seppi molti giorni dopo, e mi dispiacque assai. A me sarebbe stato favore particolare che fusse passata per Fabriano, per dove la strada è più dritta e più breve ; e sarebbe stato in casa sua, quale gli 1* offe¬ risco per un’ altra volta, acciò non habbia scusa alcuna in avvenire non passando di qui, come potrebbe far bora so dicesse di non haver saputo il viaggio. Sa V. S. quanto io sia desideroso di servirla ; però non me ne tolga 1’ occasione. Che ò quanto devo dirle ; e per fine di nuovo le bacio le mani. Di Fabriano, li 10 di Agosto 1618. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Ser. ro Aff. m0 et Vero Frane. Stellati L.° 30 Fuori: Al molto IU. ra et Ecc. ,no Sig. ro et P.ron mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei L.°, in Perugia per Fiorenza 10 . 1341 ** GIOVANFItANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 18 agosto 1018. BiUl. Naz. Plr. Mss. Gai., P. I, T. Vili, Cftr. 54. — Autografa. Molto 111.® S. r Ecc“° La settimana passata, mentre ero in villa l,) , ò giolito il bariletto con le mar¬ zoline et salcizzotti, ben conditionato. Ringratio affettuosissimaraente V. S. Ecc. ma di questa dimostratione d’amore; ma siccome è superflua, così in questo genere la supplico compiacersi che sia l’ultima, promettendole che occorrendomi et queste et altre simili gentilezze di coteste parti, io glile ricercarò liberissimamente senza nessun rispetto. Ho trattato con M.° Antonio del venire a servirla per due o tre mesi, ma per nessun partito ho potuto persuaderlo. All’ incontro il Baci, ancor che col ca¬ lo rico di bottega assai grande con famiglia considerabile, non s’ò mostrato in tutto alieno, et dimandato del prezzo m’ha detto che si rimetterebbe a V. S. Ecc.'" : ‘, con la quale non intendeva trattar di mercato. Aspetto con sommo desiderio risposta da V. S. Ecc. ma circa quello che le scrissi del modo per purificar il vetro, nella compositione del quale entra anco il Lett. 1341. G. queste olire — <*' Accanto all’ indirizzo sono, di ninno di Ga- lieti Medicei. i.ilbu, alarne configurazioni, privo di data, doi Pia- **» Cfr. u.° 1339. 408 18 — 22 AGOSTO 1018. [1341-1342] manganese (, \ che si mette doppo fatta la fritta; et. non così facilmente mescolan¬ dosi, può disturbar assai l’intento nostro. Io nondimeno spero potpr ritrovar opportuno rimedio anco a questo; ma non mettendosi qui fuoco se non l’Ottobre venturo, convengo aspettare a quel tempo a far l’esperienza. Mando a V. S. Eec. ,,,a quattro vetri per canoni corti, l’uno di meno d’ una quarta et gl’altri del doppio. Li scontri non vogliono esser di maggior acutezza 20 della mostra che le invio. L’hora ò tarda: fo tino, et a V. S. Ecc. m * prego dal Signor Dio felicitò et contento. In V.“, a 18 Ag.° 1618. Di V. S. Kcc. m * Tutto suo G. F. Sag. Fuori: Al molto III/" S. r Oss mo L’ Kcc. n, ° S. r Galileo Galilei, con un invoglietto. Firenze. 1342 *. GIUSEPPE NERI a GALILEO in Firenze. Perugia, 22 agosto 101 ». Blbl. Naz. I*ir. Mss. (lai., I'. I, T. Vili, car. I>2. — Autografa. Molto III. et Kcc. m0 Sig. r P.ron mio OsB. roo Vorrei ringraziar V. S. della grazia che mi fece in darmi occasione eli’io la potessi conoscere di presenza, cosa da me stimata assai ; et ancorché questo officio sia molto necessario, tuttavia credo certo che sia per essere più opportuno s’io mi scuserò seco, e la pregherò elio si degni a perdonarmi s’io non honorai la sua persona conformo al merito, certo, secondo me, grandissimo. Voglio ad ogni modo eh’ ella mi honori a credere che la sua sola presenza mi sostenne in piò nella mia indisposizione; e che sia vero, la sua partita il manifestò, dopo la quale io giacqui, e travagliai non poco. Quanto alla città poi, sappia che sono e saranno qua molti da’ quali il suo nome ò riverito e stimato come merita, e che 10 già mi dicono che s' ella mai per ventura ricapitasse, havranno di grazia di sa¬ lutarla. Mona/ Gomitoli (,) Vescovo et altri, ne’ragionamenti di lei tenuti, mo¬ strano un simile desiderio, lo so che ella merita che le città escano a popolo a riceverla, et io vorrei quanto V. S. merita ; ma imputi ogni mancamento al mio accidente et alla sua modestia, che furono li due impedimenti per li quali ella ad un tratto non potò esser conosciuta et honorata. Ho desiderio che il tutto 19 . per coitemi curii — “> C£r. n.o 1389, lin. 78. (*• Napoleone Gomitoli. 22 — 27 AGOSTO 1618. 409 [1342-1344] condoni a me et alla, patria, poiché questa peccò quasi universalmente per igno¬ ranza, io errai per accidente e per fortuna. La volontà innocente sta pronta e desiderosa della sua grazia e de’ suoi comandamenti, de’quali la prego; e per 20 line con alletto le bacio le mani. Di Per. a , a’ 22 di Ag.° 1618. Di V. S. molto 111. et Ecc."' a Certiss." 10 e Parzialiss. mo Serv. re S. r Galileo. Fior. a Gios. 0 Neri. Fuori : Al molto 111. et Ecc. mo Sig. 1 ' P.ron mio Oss."'° Il Sig. v Galileo Galilei. Fiorenza. 1343 **. GIOVANNI CI AM POLI a FEDERICO CESI [in Acquasparta]. Ho ma, 24 agosto 1618. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cod. 12 (già cod. Boncompagai 580), car. 888f.-339r. — Autografa. ....Non posso negare non sentir gran martello di allontanarmi, benché per poco tempo, dal Sig. D. Virginio < l) ; ma la speranza di riportare in qua qualche nuova specu¬ lazione del nostro Sig. Galileo mi è di grandissimo conforto.... 1344*. FEDERIGO BORROMEO a GALILEO in Firenze. Milano, 27 agosto 1G18. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 140. — Autografa la sottoscrizione. Molto IH." Sig.'® Nel ritorno del D. op Giggi ricevei la cortesissima lettera di V. S. (S) , con un pieno ragguaglio della salute sua e testimonio dell’ottima volontà ch’ella mi va continuando: il che come viene da me grandemente stimato c gradito per il conto ch’io fo della persona e virtù di V. S., cosi mi obliga a ringratiarnela, bora che intendo esser olla giunta a coteste parti. Lo laccio però con tutto l’animo, e con »*) Virginio Cksarini. «*» Cfr. u.» 1823. 410 27 AGOSTO — 7 SETTEMBRE 1618. [1344-1340] un particolar desiderio di poter in aleuna cosa palesare quanto io honori et ami V. S.; con pregarlo per fine ogni vera contentezza. Di Milano, a’ 27 d’Ag. 10 1618. Di V. S. Come fratello Aff. n >° io S. r Galilei. I'\ Car. Borromeo. Fuori : Al molto Ill. pa Sig. ra Il S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 1345*. («IOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenzo. Venezia, 6 settembre 1018. Bibl. Eat. in Modonu. Raccolta Camporl. Antotrrafl, B.» LXXXVI1I, n.» 71). ~ Autografa. Molto 111.*® S. r Ecc. n ‘° Mando a V. S. Ecc. mfc il suo vetro lavorato, il quale, ancorché non sia riuscito molto buono, tuttavia ò migliore assai di (inolio che il Baci credeva. Fu ancora consigliato il grograno, pezza doppia, a quel gentil’liuomo ch'ella mi scrisse, et costa £ 82, sono scudi (l’argento 10 l /i. Mi è partito assai bello, et ò stato com¬ prato con l’assistenza di persona perita. Io non rispondo all’ ultime sue, perché convengo hoggi partire per villa, et il fattore al quale diedi il carico di consegnare il grograno mi ha Binante le suo lettere: dice però, bavelle riposte et che le troverà. iSi conservi sano et allegro, et mi comandi: et le baccio la mano. io In V®, a G Settembre 1618. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo G. F. Sagr. Fuori, tValtra mano: Al molt’Ill. ra Sig. r Oss. mo L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei, con una piastrella di vetro. Fiorenza. 1346*. GIOVANNI FA BER a [GALILEO in Firenze]. Roma, 7 settembre 1618. Bibl. Naz. Flr. .Mas. Oal., P. I, T. Vili, car. 68. — Autografa. Molto 111. Sig. re et Padron mio Oss. mo È gran tempo che io non ho nova da V. S., alla quale però con questa mia vengo ad augurare quella maggior contentezza d’animo et sanità di cuorpo che 411 [1846-1347] 7 SETTEMBRE 1618. lei può desiderare, et insieme felicissimo progresso de i nostri studii Lyncei, li quali V. S. con le suo rare et profondissime opere va illustrando. Aviso anco V. S. che il Sig. r Marchese Muti (,) et il Sig. r Don Virginio Cesarmi, già aggregati in¬ sieme col Sig. r Ciampoli, vivono divoti servidori di V. S.; alla quale ancora io, et in questo anniversario della nostra Institutione academica et sempre per l’avenire, mi dedico svisciratissimo servidore, et mi gli raccommando in gratia. io Di Doma, alli 7 di 7bre 1818. Di V. S. molt’ lll. ro Divotiss. Ser. Giovanni Fabro Lynceo. 1347 **. CARLO MUTI a GALILEO in Firenze. Canemorto, 7 settembre 161S. Bibl. Naz. T'ir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 66. — Autogrnfi la sottoscrizione e il poscritto. Molto 111.™ Sig.™ OfiS." 10 Prego V. S. che mi perdoni se ho tardato tanto a scriverle e darle conto, come fo con questa, dell’ onore, che ho ricevuto dal Sig. r Prencipe e loro Si¬ gnori in unirmi a sì onorato numero di Lincei, che di gran lunga trascende ogni mio merito. Credo che questa tardanza havrà trovata appresso di lei qualche scusa o perdono: però non mi stenderò in significargliene la cagione. La voglio hen pregare a passar questo medesimo ofìitio con cotesti altri SS. ri compagni, senza ch’io dia loro altro inconnnodo di complimenti, desiderando però somma¬ mente che ciò non mi sia ascritto a mala creanza. Sono altrettanto alieno di si¬ to mili dimostrationi, quanto volonterosissimo di servirli di vivo core. E con ogni affetto le bacio le mani. Di Canemorto, a’ sette di Sett. ro 1018. Di V. S. molto Ill. r6 Aff. S. ro [....] Galileo Galilei. Firenze. Carlo Muti Lynceo. Più volte ho Lauto memoria cara del discorso liauto al Giardino de’ Medici, del’impossibilità del moto perpetuo e dela magior velocità del moto naturale nel fine; ma non mi son potuto ricordar bene delle ragioni: piglio ardire di pregarla ad accennarmelo solamente, et liavermi per suo discepolo e fratello. Il <‘> Carmi Moti. 412 7 — 14 SETTEMBRE 1618. [ 1347-13481 S. r Alessandro C-apoano, dopo una malatia mortale, ho avviso elio sta bene. Gli ne do conto, perchè le vive servitore, come son io. 20 Fuori: ÀI molto 111.™ Sig.™ Oss. mo Il S. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 1348 . PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 14 settembre 1618. Bibl. Naa. Fir. Msfi. da!.. 1*. 1, T. Vili, car. 60. - Autografa. 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Sino alli 27 del meso d’Aprile l,) , così ricercato da V. S., io gli inviai una scatoletta con semi di zatte e di meloni, nè mai doppo I 10 havuto da lei avviso alcuno della ricevuta. Andavo pensando che V. S. diferisse a scrivermi al tempo della stagione di ossi meloni, por darmi conto della riuscita di quelli ; ma ormai siamo fuori della detta stagiono, e non compaiono sue lettere. Nell’ istesso giorno inviai un’altra scatola al S. r Duca d’Acerenzaa Napoli: nè pure dal detto Si¬ gnore ho mai havuto raguaglio alcuno ; sì che bisogna elio quello fusso un giorno fatale, o di far perdere le lettere o gli tramessi, 0 di levar la memoria, a quelli che gli hanno ricevuti, di rispondere: e perciò ho pensato hoggi, eli’è il giorno 10 dell’ Essaltatione della Croce, rescrivere all’uno e 1’ altro, perchè se ciò fusse ca¬ gionato da qualche prestigio, restassero liberi in virtù di detta Santa Croce, e rompessero il scilinguaggio, poi che troppo martello sin bora m’ han dato con così lungo silentio. Desidero adunque sapere del buon stato di V. S., come se la passi con le ve¬ nerande Muse, se ha posto 0 è per porre cosa alcuna nuova alle stampe; e di gratia, non ci defraudi, sapendo pure quanto ci sono care, e quanto volentieri son lette in questi paesi. Di nuovo qui non habbiamo cosa di ammonto : ancora non s’ è fatta elettione d’alcun dottore nel luogo del Gallo 0 ’: il S. r Vie. 0 Contarmi, che legge 1’buina- 20 nità in concorrenza del Beni, ha dimandato licenza, professando non voler più leggere, ma attendere a comporre certe sue historie. Qui le zatte quest’ anno non son state molto linone. Nel resto, tutti gli amici “> Cfr. n.» 1818. <*> Franok&oo I’ihki.li. <•» Cfr. u.° 1811. [ 1348 - 1349 ] 14 SETTEMBRE — 1° OTTOBRE 1018. 413 di V. S. son sani, et io le vivo al solito affctionatissimo servitore e le prego com¬ pita felicità. Di Pad.*, alli 14 Sett. 1618. Di V.S. Ili” et Ecc. ,na Ser/* Aff. ,no Paolo Gualdo. Non ho mai saputo se V.S. habbia mandato il canocchiale al S. r Duca d’Ace- 30 renza. Fuori: All’ Ill. re et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1349 . VIRGINIO CESAUINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 1» ottobre 1G18. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. Vili, car. 62-65. - Autografa. Molto 111/* Sig/ mio Oss." 10 Tornandosene costà il S. r Giovanni Ciampoli, commune nostro amico, ho vo-_ lontieri accettata l’occasione oportuna che mi si rappresentava di bacciar a V. S. le mani e ricordarle l’osservanza che professo al suo nome. Compiacciasi dunque ch’io per mezzo di queste righe la riverisca, e l’esponga il desiderio intenso che vive in me d’ esser stimato da lei non indegno della sua grazia ; il che mi pro¬ mette la singolare sua cortesia, da me esperimcntata, a cui se non attribuissi la stima ch’ella ha mostrato di fare di me e del mio poco ingegno, havrei già dato luogo nel’ animo mio a qualche pensiero (li vana gloria, essendo più volte stato io favorito dalle onorate testimonianze di lei : le quali se bene da me non erano me¬ ritate, voglio credere che in me non meno state inutili, perchè dalla conoscenza di lei meravigliosamente mi sentii infiammare al desiderio di sapere qualche cosa, e con la guida de’suoi discorsi elessi strada migliore alla filosofia e conobbi una certa logica più sicura, i cui sillogismi, fondati o su le naturali esperienze o su le dimostrationi mathematiche, non meno aprono l’intelletto alla cognitione della verità, di quello che chiuggano le bocche ad alcuni vanissimi e pertinaci filosofi, la cui scienza è opinione, e, quel eli’ è peggio, d’altrui e non propria, e forsi di tal huomo, che se per sorte fusse ora presente a poter godere dele contemplationi di nuovo trovate, sarrebbe egli il primo a partire dalla opinione già da lui scritta. 20 Io non posso negare che i discorsi che da lei udii, mentre si trattenne in Roma, non l’ussero in me semi fecondi di molte considerationi, da me poi fatto : 1° OTTOBRE 1618. 414 [13401 o mi avvenne noi* ascoltar lei quel elio succedo a gli uomini elio sono morsi da piccioli animali, i quali ancorché nel’atto del pungere non sentano il dolore, dopo F impressione della ferita s’accorgono del danno ricevuto ; perché io, non mi accorgendo d’ essere ammaestrato, in’ avvidi, dopo i suoi discorsi, havor fatto 1’ animo alquanto filosoJico. Et in vero nella pratica do’ grandi liuomini avvieno (si come diceva Seneca) elio spesso gl’ingegni, ben che rozzi, di chi con essi con¬ versa, non so ne avvedendo, restano mutati e coltivati, come anco (pici che oscono dalle bottegho do’profumieri, ove habbian dimorato per qualche spazio di tempo, bonchò non habbiano comprati odori et unguenti, contuttociò odorano e seco di so là portano una qualità, soave, che ad altri porgo diletto. Io non dirrò che spon- taneainento non applicassi l’animo a’ ragionamenti di V. S. c che da quelli non cercassi trarne qualche utilità, per l’intelletto, perché mentirei o mi dechiararei seco per huomo di troppo mal gusto o d’infinita trascuragine ; ma applico a me la similitudine narrata, in quanto elio, sonza havor frequentato molto i fonti della scienza di lei, ho contuttociò participato della salubrità, che le acquo di quegli sogliono arrecare a gli intelletti, i quali molte volte, non altri mente che i corpi infermi hanno talora bisogno di acque de’ bagni minorali, cosi anco havrebbero necessità d’ ossero mondati c sanati di stolidità e frenosia aspergendosi in fiumi limpidissimi, quale è l’eloquenza o scienza di V. S., por mezzo del’una delle quali si come ella conosco le più tenebrose dimostrationi clic sicno nella natura, così per l’altra rende le medesime ballili all’altrui capacità: perché non meno io ho sempro ammirato in V. S. quello eli’ ella intendo, del modo con che ella lo esplica, rischiarando col lume dell’ ingegno suo non solo le contomplationi oscurissime, ma illuminando anco le menti caliginose, al che fa di mestieri una eminenza di luce intellottualo che a pochi si legge concessa. Ma io non pretendo lodar V. S. così di passaggio, in componimento così vile come sono le lettore. Credami dunque clic l’haver ragionato di lei con qualche ammiratione de’ suoi pregi, è stato effetto dello stupore che in me vive dello qua¬ lità sue, più tosto che di volontà ora determinata di celebrarla. Voglio clic l’haver no narrato gli utili che ricevei dalla cognitione di lei, li persuada ch’io da quel tempo in qua non son vivuto affatto ozioso dalle fatiche littcrarie, come le po¬ trà raccontare il S. r Ciampoli, e che sebono la debbolezza della mia distompra- tissima complessione impedisce quel fervore negli studii, eh’ io per natura liavrei c per necces8Ìtà nudrirci in me, contuttociò non mi lascio marcire nella negligenza. Narro a V. S. qual sia stata la conditione mia, sì perché so ch’ella gode che gli amici suoi le siano rivali nell’ amore della scienza, come anco por esser instituto del nostro consesso Linceo il rammagliarci per lettere delle fatiche studiose. Non vengo però a riferire specialmente in che mi sia affaticato, perché, s’ ella havrà curiosità di saperlo, dal S. r Giovanni nostro collega lo saprà : le accenno solo fio che, se negli studii di lettere fiumane e particolarmente di poesia (no’ quali il 1° — 13 OTTOBRE 1618. 415 [ 1349 * 1360 ] S. r Ciampoli et io havemo qualche pensiero di novità non affatto disprezzabile) mi accorgerò d’li aver fatto qualche profitto, il far commemoratione in essi di lei sarrà mia principalissima impresa, e le prometto che nel frontespicio delle mie fabricho poetiche risplenderà per ornamento mio il suo nome. Tratanto ella favoriscami, in virtù dell’ amicitia comune di ascoltare alcuni de’ componimenti del S. r Ciampoli, ornati delle novità e vaghezze greche eh’ io ho accennate : e si come ella ne’ studii di mathematica e filosofia ha con tanta felicità tentato et arrivato a coso nuove, finché apieno sarà raguagliato de’ nostri 70 pensieri dal S. 1 ’ Ciampoli, sospenda il suo giuditio dalla inclinatione verso i poeti antichi lirici toscani, e non attribuisca tanto alla veneratone dell’ antichità, che l’arbitrio resti corotto dalla falsa grazia delle opinioni vulgari. Attribuisca, di grazia, Y. S. alla chiarezza del suo ingegno questo pregio non affatto vulgare, di non haver disprezzato la musa argiva del S. r Giovanni adottata nell’Italia, e de¬ gnisi di sospettare che forai, non altrimente eh’ ella in Aristotele et in Tolomeo ha scoperti molti mancamenti, così anco qualche altro ingegno liabbia potuto riconoscere l’imporfettioni de’ poeti toscani che fin ora havevano scritto. Di ciò il S. r Gioanni è per raggiornare con esso lei più assai di quello che io sapessi o potessi dire. Bastimi solo d’haverle in parte dimostrato il segno a cui s’indriz- 80 zano i miei pensieri circa la professione di lettere Immane. Favoriscami ella di raguagliarmi del suo parere intorno a ciò, assicurandosi che dal giuditio suo il S. r Ciampoli et io siamo per ricevere particolare norma e regola a gli intelletti nostri. Et per fine le bacio affettuosamente le mani. Di Roma, il dì p.° di 8bre 1618. Di Y. S. molto 111.' 0 Aff>° Ser. r S. r Galileo. Yirg. 0 Cesar ino. Fuori: Al molto lll. p Kig. r mio Oss. m * 11 S. r Galileo Galilei, Linceo. 1350 * GIOVAN FRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 13 ottobre 1 G 1 «. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, B.» LXXXVII1, n.® 80.—Autografa. Molto 111.» S. r Ecc."'° Fon doverà V. S. Ecc." 1 " meravigliarsi del mio silentio, perchè sono stato fuori queste passate settimane a piacere col Cavaliere Lassano, una sua sgualdrinotta, liOtt. 1349. Sl-S'J. il ò'. r Oiumjjuti aiuino — 416 13 OTTOBRE 1618. [ 1360 ] un suo bufone magro et una mia putella, con niezo il suo parentado. Ilo portato meco tutti i canoni por farne una scielta et accommodamento generale, et al Cavalliere ho fatto portare i suoi pendi, spatole, colori, lo non ho havuto tempo di attendere alli canoni nemico per un’bora, perchè dicendo il Cavaliere di voler star allegramente, ha bisognato secondare tutti li suoi humori fernetichi. Voleva ritrare la casa, le teze, la cantina, la stala, i cavalli, tutti i frutti et animali che vedeva; uva inlino a fatica ho fatto abbozzare la putta et fare la mia testa, un io piato di tartufi, un altro di persichi. Una volta si siamo rivolti in carezza, et precipitati in un fosso asciuto. 11 bufone s’è tutto ammanato, gl’altri tutti sal¬ vati senza offesa, et habbiam preso gusto da questo accidente, perchè habbiamo fatto rinegare et maledire mille volte da lui la nostra incredulità, mostrando ogn’ uno di noi di credere clic li suoi gridi et lamenti fossero da burla per farci ridere: onde credo che se fossimo stati alli contini di Turchia, si fosso fatto mu¬ sulmano da disperatione. A ine poi questa mattina è toccato in una grande scossa cadere solo dalla carozza, scmlosi levata la portolla, ma però, Iddio lodato, senza minima diesa ; et quello elio ò stato stimato miracolo, liavendo io in mano il piato di tartufi dipinto questa mattina solamente, et freschissimo per consequenza, 20 l’ho proservato dal fango che ivi ora grandissimo, come fece Cesare i suoi Co- mentarii : il elio mi ha fatto confirmare in grafia del Cavaliere, parendogli che in questa attione io liabbia dimostrato maggior cura di preservare un’ opera sua, che la mia stessa vita. Mi lui promesso ritrare Arno, elio così chiamo il bracco mandatomi da V. S. Ecc. ma , con altri quattro cani che havevimo con noi. Mi duole che li suoi vetri non siano riusciti, e disegno fermarmi nella città et metter un poco di spirito in questo negotio, nel quale, caso che incontrassi alcuna buona sorte, saran consecrato a lei le primitie. Del Germini restiamo pessimamente sodisfatti, non tanto per la dannosa servitù ricevuta da lui, quanto per l’insolenza con la quale si licentia dal nostro so sevvitio, pieno di rapacità et di vanissime pretensioni. Egli, con le suo cianciette et con una malitiosa humiltà, nell’ absenza nostra s’liaveva guadagnato con noi un mirabile concetto, nel tempo che adoperandosi in picciolo ministerio, si do¬ leva con noi die il principale nostro agente non gli communicasse i negotii et ricusasse adoperarlo; ma dopo che 1’hahbiamo fatto partecipe di tutti gl’ordini nostri, di tutte le scritture, et si siamo arrischiati, malgrado nostro, di raccom- mandare alla sua persona alcuni particolari negotii, 1’ habbiamo scoperto igno¬ rante, pravao dispostiionis , disubedientissimo c tanto pretendente et rapace, che non habbiamo, di tanti che ci servono, a chi compararlo. Ilora sgarbatissinia- mente ci getta in occhio le fatiche fatte nel nostro servitù), dimanda doppio sa- 10 lario, oltre il convenuto, dice volersi partir subito, et in conclusione si scopre il più pazzo et impertinente liuonvo che io conoscessi giamai, stimando forse, nella congiontura della partenza del principal fattore, ridurci a qualche suo disegno, 13 — 27 OTTOBRE 1018. [1350-1352] 417 per non restar senza chi in quelle parti facciano li nostri negotii. Noi siamo rissoluti cortamente di licentiarlo, et potrà V. S. Ecc. ma dargli questa mala nuova, aggiongendo che delle pretensioni sue non riceverà imaginabile sodisfattione, per¬ chè troppo mercede sarà dargli il convenuto tra noi. Bisogna che rendi conto del maneggio, che porterà qualche tempo, et forse ancora provedi di saldare, per¬ chè ha mandati alla sua casa di molti scudi a centinara, di nostro consenso et 60 senza ancora. E tanto basti per bora in questo proposito; et a V. S. Ecc. ,na af¬ fettuosamente mi raccomando. In Ven. a , a 13 Ottobre 1618. Di V. S. Ecc." ,a Tutto suo G. F. Sugi*. 1351 *. GIOVANNI REMO a GIOVANNI KEPLER in Linz. Vienna, 20 ottobre 1G18. Bibl. dell’Osservatorio in Pulkowa. Mas. Kepleriani. L.XI. — Autografa. _Ailsuut aliquiio dubitationes in novis illis tirociniis astronomici», scilicet quomodo sol posset pertingere luce sua usque ad stellas fixas, et an detur orbis stellata». Certe Galilaeus multa habet iam edita, quae opponet. Edidit I). Sirturus telescopii <*> absolutio- nem, et iam Yiennae moratur. Procul dubio iam T. E. vidit illud opusculum: non mihi displicet.... 1352 *. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Bellosguardo. Venezia, 27 ottobre 1G18. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVIII, il.» 81. — Autografa. Molto 111» S. r Ecc. mo Ricevo Roggi le lettere di V. S. Ecc. ,nu de’ 20 del corrente, et ho mandato subito a chiamare M.° Alvise- Dalla Luna, il quale ha promesso dimattina venir a trovarmi. Parlerò seco di quanto ella mi scrive, et se procurerà far molte esperienze per chiarirsi se con diligenza si può perfettionare la materia per far gl’occhiali desiderati. Io ho posto all’ordine un padelino di ritagli di cristallo, esperienza non più fatta, che potrà forse riuscire. Quanto al cristallo di mon- 27 OTTOBRE — 3 NOVEMBRE 1018. 418 (1352-1353] tagmi pesto, in luogo di cuogolo, quosto è pensiero clic già havevo fatto, anzi di buona parto mi trovo preparata la materia, la quale disegnavo mescolare con salo di tartaro; ma perchè ogni giorno trovo alcuna cosa da fare, il tempo è io passato inunzi : ma anco questo si farà presto. La settimana passata ho latto inutilmente prova di lavorare al torno i vetri et polirli, onde ho perduta la poca speranza che io havevo in questo particolare; pure sono ressoluto lare un altro tentativo. M. Lodovico Dalla Luna, zio di M.° Alviso, ha gran pensiero questo Luglio venturo transferirsi costi a far qualche lavoro. Egli è persona suflìcicnte et di buona fama in Murano, vecchio dell’arte et molto praticabile. Lo mantengo in questa buona dispositione, perchè egli è huomo elio credo darà molto gusto a V. S. Ecc. 1 " 11 et a S. A. Quanto prima il Lassano habbia fornito il mio ritrato, lo manderò a V. S. Kec. mn 20 con una copia pe,r lei, elio però sarà fatta di mano del fratello del Cavalier et ri- tocata da lui; et ella mi farà gratin (perdonandomi so la proposta è usuratica) mandarmi il suo ritrato, fatto por mano di alcuno de’ suoi più famosi pittori, sicliè al gusto che riceverò vedendo la sua imagine «'aggiungi anco quello che sentirò per la belezza della pittura. Et per tino a V. 8. Ecc.“"‘ baccio la mano. In V.‘, a 27 Ottobre 1G18. Di V. S. Ecc. mn Tutto suo G. E. Sagr. Fuori , (Valtra mono: Al molto 111.® S. r ()ss. mo L’Ecc. mo S. r Galileo Galilei. 80 A Bellosguardo. Firenze. 1353. GIOVÀNFRANCESCO SAGKEDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 3 novembre 1G18. Bibl. Naz. Fir. Mss. Oal., P. VI, T. X, rar. 48. — Autografa. Molto 111." Sig. r Ecc. ,n0 Mi sono abboccato con M. ro Alvise Dalla Luna, dal quale bo cavato poca sostanza nel proposito del vetro purissimo da lei desiderato, onde quanto al suo mezo vi fo pochissimo fondamento. Mi trovo qui in casa certa fritta di cristal di monte, et disengno farne una buona quantità, che servirà, quando non per altro, per far specchi, et principal¬ mente di questi tondi, lavorati sopra le formo di canoni da 14 quarte, con li quali io bo grandissimo gusto nel mirarvi dentro figurine di cera che, accre- [ 1353 ] 3 NOVEMBRE 1618. 419 scinte dallo specchio, rapresentano il naturale; al qual effetto conviene il cri- io stallo essere netissimo di pulega, altrimente appariscono l’imagini velate. Esso M. ro Alvise mi ha celebrato assai un lavorante di costà, che fa vetri alla lucerna. Mi sarebbe carissimo bavere alcuna sua operetta, che fosse stimata da V. S. Ecc. ma delle migliori et più artificiose che egli sappia fare, poiché qui in questa bellissima arte non liabbiam huomini di alcun valore, et quando m’oc¬ corre far far alcuna cosa, convengo io soprastare et insegnar loro molte cose. Non s’è mai lasciato vedere il Bortolucci (,) ; ad ogni sua ricchiesta saran pronti li denari scossi dal S. r Cremonino, al quale ho scritto perchè provedi del resto. Attenderò la risposta, et ne darò aviso a V. S. Ecc. ,na Sollecito il mio ritratto dal Bussano (,) ; ma egli lavora sì poco, et è da tanti 20 altri importunato, che convengo haver la patienza di Giob. Io non so se ella pe¬ nerà tanto ad liaver il suo da cotesti pittori, tra’ quali intendo esservene uno, chiamato il Bronzino, molto famoso, del quale non ho veduto alcun’ opera. Se il suo valore consiste nella diligenza, io ne sono poco curioso; ma so nella natu¬ ralità et similitudine, ne vederei alcuna molto volontieri, per chiarirmi se arrivi a questi del Cavaliere et degl’altri Bassani. Qui habbiamo una mala influenza contro la sanità, onde vi sono infiniti ama¬ lati et il doppio più morti degl’anni passati, il che mi dà un poco da pensare; ma, lodato Iddio, mi trovo in molto buono stato. Da M. ro Alvise Dalla Luna ho inteso con soino contento l’ottimo stato di so V. S. Ecc." m della quale vivevo molto ingelosito, parendomi che in tutte lo sue mi accenni sempre qualche indispositione. Prego il Signor Dio che la prosperi lungamente et la inspiri venir a dar una volta di qua, a star due para di mesi a Murano, dove faressimo di belle esperienze; et veramente questo sarebbe il vero modo di trovar il perfetto vetro che ella desidera, altrimente io temo affa¬ ticarmi in vano. In questo punto un amico mio mi ha fatto condur qui in casa ducento libre di rotture di cristallo di monte, et mi dà speranza farmene bavere altre ducento a prezzo conveniente. Et per fine a V. S. Ecc. mn affettuosamente mi raccomando. In V.“, a 3 9.° 1618. 40 Di V. S. Ecc. ,na Tutto suo G. F. S. Ileri furono impicati quattro di casa di D. Gio¬ vanni (3) per haver assalito alcuni buletti Venetiani con li terzaruoli : due ne furono morti nel fatto, et gl’altri due presi vivi, e tutti quattro impicati ad IiOtt. 1353. 34. modo di di trovar — (M Giovanni Bartomjzzi: cfr. ». u 1310. <*) Cfr. il.» 1352. G) Giovanni de’ Medici. 420 3 — 30 NOVEMBRE 1618. [ 1858 - 1865 ] ossempio d’altri. D. Giovanni è a Padova, nè ha saputo l’accidente so non questa mattina. Il po¬ polo ò mal animato contra la sua famiglia, dicen¬ dosi che tutti portino sempre gl’arcobugi. Fuori, d'altra mano: Al molt’ Ill. rn Sig. r Hon. mo 50 IV Eoe." 10 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza ,) . 1 354 **. .a. Roma, ‘il novembre IB18. Blbl. Na*. Fir. Mss. Rai., F. Ili, T. XI, car. 43.— In capo alla c«r. 18, dulia stana mano. «I legge: « Copia » od alla Ano: « I,a lottorn, di Roma, è de'28 di Nor.® IBIS». I)a Macerata sino dalli 12 stante fu avvisato ohe si vedeva gran prodigio per aria etc. 11 prodigio a fatto corno un ponce capono, di color subflavo, non mirante, di larghezza circa due gradi: comincia dallo stollo del fondo del cratere o vaso dell’Idra e finisce so¬ pra il Corvo, e va alla volta di Sagittario. Si leva adesso a limo nove o mezzo : si muove da levante a ponente, e in sé sta fermo. Si tiene che sia un vapore asceso alla suprema regione dell’aria, cagionato da gran caldi e gran freddi extra tempus; e le grandi esala¬ zioni seguite nella terra aiuta questa opinione. Molti vogliono che Bia cometa, ancorché non sia; e però V. S. non reati di vederla, perchè è cosa curiosissima. Dio sia quello che aver tal omne maluin. 1355 *. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 30 novembre 1618. Blbl. Naz. Fir. Mss. Osi.. F. I, T. Vili, car. fifi. — Autografi!. 111. 1 * et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Io resto grandemente maravigliato intendere che a V. S. non capitasse la scatola con li semi di meloni, quali io le inviai sino alli 27 d'Aprile 1 ", c ini pare (se ben mi racordo) che, acciocliè lo capitasse più sicura, io Y inviassi a Venetia in mano del S. r llesidente di cotesto Ser. mo Nell’istesso giorno inviai un’altra scatola, con semi di fiori et con occhiali da vista corta, al S. r Duca d’Acerenza 4 * 1 , et dubito die quella ancora sia andata a male, non havendo mai havuto aviso alcuno dal dotto Signore. "I Accanto all’Indirizzo sono parecchi calcoli, in uinbraui ». concernenti i Pianoti Medicei, di mano di Galileo. «*» Oh. n.® 1318. Fra questi calcoli si leggo: « ho. 12.54' 1 incidet •*> Fkancbbco I'ikklli. [1355-1356] 30 novembre 1(318. 421 Mi rincresce infinitamente dell’ inclispositioni di V. S., poiché oltre il pati- io mento suo patisce tutta la republica letteraria, non potendosi per tal rispetto godere do’ suoi dottissimi e felicissimi parti. Qui s’ò scoperta giti duoi o tre giorni una cometa, che si vede la mattina innanzi giorno. Credo che anco V. S. P barerà osservata. Nello Studio non vi è altro di nuovo. Morse già il Dottor Corradino (,) , che haveva la lettura delle Pandette, la qual s’è data al Dottor Boato l8) Padovano. Vaca, per la morte di osso Corradino, una bellissima serie di medaglie et gran quantità di pitture molto insigni. La lettura del Dottor Gallo w non s’è ancora data, non comparendo soggetti per tal cathedra, desiderando questi Signori di metterle persona che sia insigne assai. 20 Mons. r 111." 10 0> sta bene, et è tutto di V. S., si come io me le racordo affetio- natissimo servitore. Il S. r Cremonino è stato questa settimana a Venetia a congratularsi, a nome dell’Università de gli Artisti, per la creatione del Prencipe Prioli ; e si dice c’habbia fatto una granosissima orationo. Ch’è quanto per bora m’occorre dirle. 11 Signor Dio la feliciti e le doni compita sanità; e lo bacio le mani. Di Pad.% l’ult.® di Nov. 1C» 18. Di V. S. 111.™ et Ecc. ma Ser. r * Aft>° Paolo Gualdi. Fuori: AH’Ill. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. mo so II S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1356 **. .a. Roma, SO novembre 1618. Btbl. Naz. Fir. Mss Gal , P. Ili, T. XI, car. 34. — lu capo alla car. 34 si legge, della stessa ninno: « Copia », e la ninno ò la medesima elio trascrisse il capitolo di lettera elio pubblichiamo sotto il u.» 1354. dui teryo della car. 35, elio forma un foglio con la cnr. 34, si leggo, di inano di Gai.ii.eo: In materia della Cometa. Di nuovo h abbi amo una cometa, la quale se costà non è stata osservata, potrà V. S. farla osservare, e la vedrà appunto. Supra Lancctn borcalcm. Eius long lindo est circa undecimum cum dimidio Scorpioni gradimi : latitudo autem septentrionalis circiter gradus dcccm, cum declinatione meridio¬ nali quasi sex graduimi. Cauda comclac, obliqua radiatione diffusa, lendit in de.rfermn <»> Cfr. n.° 1311. <*> Marco Antonio Cohnaro. l*i Luigi Cohiudini. Giovanni Boato. Roma e , die 30 Siria, bora 12. 13. 4. •J22 30 NOVEMBRE - 1° DICEMBRE 1618. [1856-1357] pcdcm Virginia versus gemui et Spiami. Quantitàs caudite per 33 gradus pralenditur. Meditullium emulile distinguit linea radiosa et muioris claritatis a centro per non lon- gissimum inter valium. Kt e regione quasi parallelo apparo il Tral>o, elio starnaItiua a lucida cordis Ydrae usque ad humcrum sinistrimi Centauri protendebalur. ]0 Romu, 30 Nov. f 1618. 1357 . VIRGINIO CESAIUNl a [GALILEO in Firenze]. Roma, 1° dicembre 101». Blbl. Naz. Fir. M*«. «ni., I\ VI. T- X. e. Z>2. — Autografa. Molto III.” Sig. r mio Oss. mo Ricevei la gratissima sua in risposta della mia lotterà, e con multo o singolare mio piacere intesi l’approbationc ch’ella fa dello compositioni ilei S. r Cianipoli, da cui so che la testimonianza favorevole dell’ingegno «li V. S. ò anteposta a qua¬ lunque publica lode eli’ egli ottenesse. Spianinomi bene altrctanto l’intendere per la medema, eh’ olla sella passi cosi malamente di sanità per la continua fiac¬ chezza che così tediosamento la molesta: contro il qual travaglio non posso som¬ ministrarle altra consolatione fuori elio quella elio nella mia continua indisposi- tiono, per quanto posso, a me ho procurato: «luesta ò una generosità filosofica, di cui qualunque si arma puoi contrastare con la fortuna, et anco arrivare a tal io fortezza che, come dice Seneca, ardisce di sfidarla a battaglia e ne riporta glo¬ riosissima vittoria. So elio a lei non manca questo presidio, per quanto le forze liumane possono haverlo; perciò l’cssorto a servirsi di così felice istrumento in tali occorrenze. Lo novità vedutesi ne’ giorni passati per il cielo svegliano gli huomini anco non curiosi, c sforzano a levarsi di letto i più sonnachiosi e pigri della città di Roma, in cui non potrebbe V. S. imaginarsi che movimento habbia fatto l’appa- ritiono di due cometo, e elio raggionanicnti sciocchi o popolari abbia suscitato. Io, ancorché mi trovi ora occupato e trattenuto in una rigorosa et noiosa purga, come credo clic il S. r Ciampoli le habbia detto, non ho perdonato però alla fa- 20 tica di stare una notte ad avvertire queste apparitioni; 0 ciò fu liiori a notte, che fu venerdì, trovandosi per buona sorte il cielo purissimo, e mondato da una potente tramontana. Notai quello che mando a V. S. scritto nella inclusa carta (l) et ho hoggi (non fidandomi della mia poca esperienza) conferito con li ma- « l| questa nou e iiresoutemonto allogata. 1° — 12 DICEMBRE 1618. 423 [1357-1359] thematici do’ PP. Gesuiti, che sono stati qui da me a favorirmi, dal parere de’quali confi rinata le mando la già detta scrittura. Potrà V. S., se havrà costì avvertito, conferirne lo sue osservatami, e degnisi di nominare l’audacia ch’ho liavuto dell’ incomodarla, rispetto di curiosa osservanza verso persona a cui con ogni humiltà s’inchina il mio intelletto; e s’ella havrà qualche particolarità in- ao torno alle dette apparenze elio non le paia bene porla in carta, degnisi a bocca di conferirla al S. r Ciani poli, il quale al suo ritorno me ne farrà partecipe. Mi era scordato dirle che quella cometa vicina all’Idra, che altri hanno chiamata Tripula o Trabe, a noi è parso chiamarla Xiphia, con l’autorità di Plinio nel lib. 2, c. 25, il quale attribuisce alcune circostanze che si sono avvertite in questa nostra, dicendo egli: easdem breviorcs et in mucroncm fastigiatas XipJiias vocavere, quae sunt omnium pallidissimue et quodam gladii nitore ac sine ullis radiis ; ancor¬ ché a me quella circostanza di brevità pare che alla presente nostra non convenga. Degnisi V. S. di avvertirmi del suo parere e porgerci occasione d’imparare con mio stupore; et per fine le bacio affettuosamente le mani. w l)i Roma, il p.° di Xbre 1G18. Di V. S. molto 111. Aff. mo Se. di core Virg. Cesa. 0 1 358 *. GIOVANNI KEPLER a GIOVANNI REMO in Vienna. Linz, l u dicembre 1618. Bibl. dell’ Osservatorio in Pulkowa. Mss. Koploriani. Voi. b. XI. — Autografa. _Quae dicasi nova illa iirocinia aslronomiae, non capio: num editam a me doctrinam sphaericam, an paginam illana primam doetrinao theoricae quam comm vidiati. Uhi convenerinms, audiam Galilaci obiectiones, cuius Epistola» ad Vclsereum italica» habeo: poto vero, nullam intor nos esse dissensionem, nisi forte in coniecturis, ultra sensilia sose altius, qua redarguì non amplius possunt, efferentibus.... Opuaculum 1). Sirturi (si recte lego) videro pervolim .... 1359 **. GIUSEPPE NERI a GALILEO in Firenze. Perugia, 12 dicembre 1018. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gai.. I’. I, T. Vili, ear. G8. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss. rao Ho dato principio a stampare alcune mie cosette appartenenti alla dottrina legale, ma trattata con mistura di buone lettere e di lingue, come accennai a Lett. 1357. 39. le /ac io uff cUuotunicute — o Mi escusi V. S. molto 111.™ del tedio : mi conservi il suo amore et mi com¬ mandi. Con che fine le auguro dal Signor Dio felicità, et li bacio la mano. In Cadore, a 12 Decembre 1618. Di V. S. molto ili.' 6 S. ro Aff." 10 Zacc. 1 * Sagredo. 1361 ** GIOVANFRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 15 dicembre 1618. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, 2, car. 5-1. - Autografa. Molto 111. 6 S. r Ecc, ino Pensava hoggi poter inviare a V. S. Ecc. ma alcun vetro della mia 1* espe¬ rienza; ma invero, trovo che anco questa professione di virtù si può mettere con 1’ ordinaria di alchimia, clic sempre incontra in qualche disgrafia. La compositione era di cristallo di monte in luogo di cuogolo ; il vaso si è rotto; pure, haven- dosi ricuperata parte della materia ò stata tramutata in altro vaso, il quale essendosi aneli’ esso rotto, a fatica si sono fatte circa 30 cilele, et per non esservi stata data la debbita proportione di zafaro, son riuscite verdi assai, et mentre due so no sono volute lavorar, han fatte diverse crepature, per non essere ben io ricotte. Per certa esperienza fatta frettolosamente, parmi questa materia essere assai più legiera del vetro ordinario, che mi fa credere potervi esser dentro infi¬ niti invisibili vacui, i quali forse renderanno la refrattione irregolare et però dannosa al nostro bisogno. La settimana ventura le ne manderò alcuno, buono o cattivo che reuscirà, llora si trova un patelato di cristallo ordinario al fuoco : spero in un mese possi riuscir buono. Il S. r Zaccaria si trova in Cadore c spedisce li conti col Germini, rapacis¬ simo et impertinentissimo. Egli mi scrive di lui ogni male, et in particolare che Labbia intaccato più di 200 scudi. La posta ventura le saprò dire alcun maggior particolare ; et per fine a V. S. Ecc. ma buccio la mano. Il frodo mi ha impedito 20 il vedere la cornetta, poiché la poltroneria soloca la curiosità et la filosofia. In Venetia, li 15 Dee.® 1618. Di V. S. Ecc. raa Tutto suo G. F. Sag. 428 18 DICEMBRE 1G18. lim] 1362*. DOMENICO ROM SI a GALILEO in Firenze. Parigi, lfi dicembre 1618. Bibl. Naa. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 142. — Autografa la Bottoacriiinno. Molto Ill. rrt Sig. r " mio Os9. mo Sentlonii trovato questi giorni passati in compagnia di alcuni mathematici, dove si discorreva della cometa elio si ò vista et si vede di continuo, di comune consenso fu detto che altri elio V. S. non poteva farne l’osservatione, tanto per bavero perfetta nolitia di simili materie et per bontà del suo occhiale, che per bavere il G. Duca inst rum enti eccellenti per far questa osservatione; et il S. r Àlehaume 01 , Mathematico regio, disse ristesse al Re, che gli comandava di farne l’osservatione, et si scusò col dire elio non liavea instruinenti a proposito, et che solo il G. Duca poteva farla faro a V. S. Non ho voluto ma»c[are] di darne avviso a V. S., tanto per rallegrarmi seco della stima elio viene fatta per tutto io della sua persona, elio per incitarla a sodisfare alla publica espettattione et cu¬ riosità, offerendoli ancora 1* opora di parecchi mathematici di qua, quando si risol¬ vesse di scriver in questa o altra materia et che volessi far stampare qua, dove mi pare che riesca meglio elio costà, massime quando ci sono persone che ne hanno la cura. Di mo si può assicurare elio il huo merito, conosciuto et stimato infinitamente da me, ot la sua dolc[e] conversatione di Roma mi hanno legato a esserli servitore et a offerirmi [gli] prontissimo in ogni occasione, conio fo con la presente. Et per fine le bacio la mano. Di Parigi, a’ 18 Dicembre 1618. Di V. S. molto IU. r ® 20 Quando V. S. haverà qualche cosa di bello, la supplico di favorirne queste parti settentrionali, chò ancor qua ò stimata et [hon]orata la virtù, et forse più sinceramente et liberamente che altr[ove]. Serv. r ® Aff. mo Il Vescovo di [Cesarea]. Fuori : Al molto 111.” Sig. r " mio Oss.™ 0 Il Sig. ro Galileo Galilei. Firenze. <*’ GlAOOMO ÀLRA.0MR. [1363-1864] 22 — 24 DICEMBRE 1618. 429 1363 *. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 22 dicembre 1618. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVllI, n.° 82. — Autografa. Molto 111/ 8 S/ Ecc. ,n0 A quello che accenna, a V. S. Ecc. ma il S. r Zaccaria mio fratello nelle aligate sue lettere (0 , haverei da aggiunger molte cose, poiché, siccome certa simulatione del Germini, mescolata con mille promesse et essibitioni, ad altro non mirava che ad impatronirsi, per suoi disegni, de’ nostri negotii, così noi, ingannati da una falsa opinione c’ havevimo della sua bontà, più volte l’habbiam lodato a V. S. Ecc. ,na , non prevedendo che tutta l’amorevolezza et humiltà ostentata era effetto della sua ingordigia. Parte egli debbitoro per intacco fraudolentemente fatto, mentre egli haveva deliberato partire sotto pretesto di esser necessitato io andar alla patria, ma in effetto perchè era disperato liaver da noi il supremo governo de’ nostri negotii, essendo stato scoperto inetto a quel servitio. È partito con poca grafia del Sig. Zaccaria mio fratello, et è venuto in questa città senza pur una sua riga. È venuto a trovarmi, fìngendo volersi partir subito per costà, seben s’è poi fermato per trovar padrone. Potrebbe essere che partisse hoggi: et ad ogni buon fine ho voluto far cenno del seguito a V. S. Ecc. ,na del seguito ( sic ) ; et se venisse a trovarla, sappia come passa il negotio. Sta a Murano in fuoco un nuovo patelato: non credo sia all’ordine per un mese. Mando a V. S. Ecc. nm un vetro de’ miei non riusciti. Il colore è verde, per mancamento di zafaro ; ha torticci, per esser fatto in cilela; ma nel resto appa- 20 risco fatto apunto di cristallo di monte senza pulega et chiaro. Et per fine a V. S. Ecc. ,na baccio affettuosamente la mano. In V. a , a 22 Dicembre 1618. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo G. F. Sag. 1364 *. FEDERICO CESI a [GIOVANNI FABER in Roma]. Acquasparta, 24 dicembre 1618. Aroh. dell’Ospizio di 8. Maria in Aqulro in Roma. Carteggio di Giovanni Faber. Filza 423, car. 213.— Autografa. Molt’ 111/* e molto Ecc.* 6 Sig. r corno fratello, Rispondo al S. r Cesarini l’inclusa, qual V. S. potrà vedere e poi chiudere e presen¬ tare. L’ho scritta frettolosamente, et in essa vedrà che por ancora non posso dir d’ha ver Cfr. u.° 1360. 430 24 — 25 DICEMBRE 1018. [1.304-1305] osservalo niente a mio modo il cometa, stando preparato di farlo, o molto a proposito por la mia fatica coleste (1) . M’ò stato caro intender quanto m’ avisa temi de rebus externis quam urbanis o do’ ra¬ gionamenti fatti. Mi piace elio V. S. habbia liavute quelle accoglienze cho se li devono, et insieme cho habbia ben conosciuto il genio della persona, come poi, piacendo a Dio, discor¬ reremo a bocca. Credo a quest’ hora havri’i presentato la Sambuca <,) : desidero intender la risposta ad io verbum, et in Roma cho so no dico dalli musici. Quanto al S. r Galileo, è certissimo che non havrà riceuta la lotterà del S. r Mar. M Muti <*\ chò haverebbe risposto senz’altro; o dubito più d’interoettione, che della Banità. Li altri S. rl compagni Fiorentini, il S. r randulfìui è in continuo moto, et il S. r Ridolfi som prò fuori.... 1365*. FRANCESCO STELLUTI a GALILEO in Firenze. Acquasparta, 26 diccmtiro 1B1H. Bibl. Eat. in Modona. Raccolta Campori. Autografi, H.» XC, n.® 142. - Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. m0 Sig. r P.ron mio Oss." 10 Scrissi un’altra mia a V. S. il mese d’Agosto prossimo passato (t) ; dopo non gli ho più scritto, per non darlo occasione di sottrarla a’ suoi studii ; ma perché vivevo desiderosissimo d’haver nuova di lei o della sua buona saluto, ho solle¬ citato con ogni diligenza di spedirmi dalli negotii di casa per venirmene qui in Acquasparta, dove bora mi trovo, sono liomai da 10 giorni, per essere almono dall’ Ecc. mo Sig. r Principe nostro ragguagliato dello stato di V. S., persuadendomi cho spesso tenesse V. S. di sé stessa detto Sig. r Principe avvisato, fior il gran vin¬ colo degl’ animi che ò tra di loro. Ma havondo inteso da S. E. che ò un pezzo che non tiene Ietterò di V. S., et parimenti che il S. r Marcheso Muti ;5 ’ non te- io nova da lei risposta d’ una sua lettera scrittale, son restato perciò in qualcho sospetto della sua sanità, insieme con gl’altri, non essendo alcuno tra noi che voglia dubitar punto di diminutionc della gratia di V. S., essendole tanto con- gionti e desiderosi tutti di servirla con ogni potere. Mentre dunque lei possa, non manchi allo volte farci avvisati dello stato suo, cho ci sarà di particolare consola- tione ; e non potendo lei, co lo faccia scrivere da altri. Le nuove apparenze celesti del Trave e del cometa danno da dire e da spe¬ culare a molti, e particolarmente a chi più minutamente lo va osservando, non <*» Cfr. n.® 772. CIO. IOC. XVIII. **' La Sambuca Lincea, ovvero dell'iitrumrnto Carlo Muti: cfr. II.® 1347. nitrico perfetto. Lib. Ili di Fabio Colonna Linceo, eco. ,4 ' Cfr. n.® 1340. lu Napoli, appresso Costantino Vitale, nell’ anno Carlo Muti. 25 DICEMBRE 1018 — 5 GENNAIO 1619. 431 [1365-1366] vedendosi col telescopio crescer punto, o pochissimo più di quello cho si vede con so la semplice vista ; onde mi fa credere che il detto cometa sia sopra tutti li pia¬ neti, giù cho questo non si vede crescere in quella guisa che fanno Giove e Sa¬ turno. Sarà dunque da noi assai più di detti pianeti lontano. Ma n’ aspettiamo con maggior raggiono sentirne qualche cosa da V. S., che ci sarà a tutti gratis¬ sima. Con che por fine baciandole a nome del S. r Principe le mani, io fo l’istesso con ogni affetto maggiore. Di Acquasparta, li 25 di Dccembre 1618. Di V.S. molto 111. 10 et Ecc. nm Ser. r0 Aff. mo et Vero Frane. Stelluti. Fuori : Al molto Ill. ro et Ecc. mo S. P.ron mio Oss. mo so 11 Sig. r Galileo Galilei L.° Fiorenza. 1366*. IPPOLITO ALDOBRANDINI a GALILEO in Firenze. Parma, 5 gennaio 10 ‘29 o>. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., 1’. 1, T. XIV, car. 141.— Autografa la firma. Ill. ro Sig. r0 Io faccio quella stima che devo del merito del Padre F. Bonaventura Cavalieri, et però, conforme anche al desiderio di V. S., non ho lasciato di darne testimo¬ nianze ripieno di molta lodo; et come il'soggetto riconosce da V. S. il suo avan¬ zamento nella virtù, così spero io cho raccorrà buon frutto dall’ uffitii miei, cho sono stati ornati dall’autorità del nome di V. S., alla qualo prego cho Dio be¬ nedetto conceda ogni maggior bene. Di Parma, li 5 di Gonn. 0 1629. Al piacere di V. S. io S. r Galileo Galilei. Il Car. Aldobrandini. Fuori : All’ 111.' 0 Sig.™ 11 S. r Galileo Galiloi. Firenze. Oi questa lotterà porta la Unta 5 gennaio 1029, per non altoraro i numeri dolio successivo o l’in¬ ula viene mantenuta con quosto numero I d’ordine dico del carteggio. Cfr. un. 1 1910, 1917, 1918, 19211. 432 5 GENNAIO 1619. [1867] 1367 **. ALBERTO GOND1 a GALILEO in Firenze. Lione, & gennaio Itili). Blbl. Nat. Flr. Mas. (lai., P. VI, T. X, far. 5G —Autografa diarissimo aeque ac Doctissimo Viro (ìalilaeo do Galilaeis Albertus Gondius S. P. 1). Nominis ac doctrinae tuao fama, quae, totum iam orbom pcrvagata, iampri- dem uuros nostra» implevit, animum quoque impulit vehomentius, ut dum tui amore aestuaret, occasionos etiain tecum, saltom per literas, colloqueiuli et quaereret diligentius et invontas non minus studiose captaret et amplexaretur. Mino factum est ut, dum alfine tuo I). Roberto Galilaeo utor perquam familia¬ rissime, in eam spe.m venerim, fore ut ex eius consuetudine in tuain amicitiam feliciter insinuarem ; ideoquo hominem rogavi etiam atque etiam ut Ima ad te io mitteret literas, et prò ea benevolentia quae milii cum ilio intercedit, aditum ad tuain amicitiam, qua nihil sane gratius uccidere mihi potest, aperirot. Impe¬ travi, ni fallor, ab ilio, dummodo tu nobis faciles aurea accommodes, et com- mercium hoc nostraruin literarum pergratum tibi evenire patiaris. Scientiarum illarum studia, quibus inter peritissimo» quosque gloriosissime fiores, ut me sibi iampridem penitus rapuerunt, ita quoque me tibi stridissimo devinctum ad- dixerunt. Gratulor patriae meae, quae tantum orbi lumen protulit; sed gratulor vereque gratulor iis qui tua corain frui possunt consuetudine. Nos, tanto a te divisi intervallo, hanc iacturam literarum frequentia, si tibi grave non crit, resar- ciemus; ideoque primis bis peto ut, prò tua humanitate, si quid super cometa 20 qui nuper apparuit annotaveris, ad nos mittere velis. Nos quoque nostra» obser- vationes, bì cordi tibi futuras intelligamus, deinceps mittemus: in presentiarum enim iter, quod Parisios adornamus, astronomicis ealculis diutius immorali non patitur. Sed ubi primum illue pervenero, et quietiorem sedem et tranquillius otium nactus ero, in opus incurabam sedulo, et quidquid elucubravero, si tibi gratum fore mihi persuasero, quamprimum ad te defere[ndjum curabo; et si quid in nobilissima urbe, et doctorum virorum frequentia celeberrima, tua ilignuni cognitione didicero, non patiar eo vacuas raeas literas ad te permeare. Interea hominem ignotum quidem, tui tamen amantem, redama, et actcrnum bene vale. Lugduni, Nonis Ianuar. an. 1G19. so Servus tibi Addictissimus Albertus Gondius. Fuori: Al molto lll. re Sig. r mio Osser. 100 11 Sig. r Galileo Galilei, in Firenze. [ 1368 ] 12 GENNAIO 1619. 433 1368 ** GIOVANNI REMO a GALILEO in Firenze, luusbrnck, 12 gennaio 1G19. Bibl. Naz. Pii*. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 2, car. 83-84. — Autografa. Admodum Illustris ac Eccell. me Vii*, Tua laus per totura volat orbein. Te ante decennium Patavii cognovi, tu autern ino non item : statini etiam discessisti. Magnani do te spem et opinionem concepì, quod te vidi transscemlisse communes astrologorum, vel potius astrono- morum, hypotheses, et ad sumnium usque volitasse. Certe non cuivis patct adiro Corinthum. Ego misereor quandoque communis Peripateticorum scliolae; scd quia vult esse omnium paedagogus et, vel invitus, doctor ? III. 1 ""* noster Dux Caesius aliquoties me exhortatus est et serio ut tibi scri- berem : certe temporia iniuria me semper detinuit. Iam celerrimo advolo ca¬ lo lamo, et compendium quoddam exhibeo ex meo discursu Ser. mo Archiduci Leo¬ poldo tradito, non ut te doceam, scd ut offeram ad examen et iudicium liaec qualiacunque, saltelli ad minus aliquid inerit boni. Observationes per azimutha et altitudines in scrupulis etiam transscribere non licuit, propter temporis angu- stiam ; quotiescunque autem petierit vel opus li’abuerit, ego libenter omnia com- municabo. Extruxi schema Copernicanum, sed correctuin in motibus et eccen- tricitatibus, 111.*" 0 Card. H S. Susannae (l » in Pergameno; credo quod audiverit: similiter, lll. mo D. Caesio, motus 9 ct $ correctiores : novam prue manibus lialieo restitutionem motuum caelestium. Libenter audirem opinionem V. D. de distantia solis a terra in semidiametris terrae. Observationes etiam eclipsium 20 transmisi ante aliquot tempora; sed responsum ncque iudicium baimi ullum. Hic cometa visus est, in Germania saltem, mense Novembri et Decembri. Aseendit a plaga meridionali per primam decuriam TI] et Booteni usqne ad Ursam maiorem ad latera. Non observavit piene ductum circuii maximi, sed incurvatus l'uit cursus eius versus meridiem circa finem per 2° circiter, con- currente hic causa aliqua optiea, ut lit in reliquia planetis et maxime Saturno in consimilibus commutationibus anomaliae gradibus 20° ultimis circiter. Nul- lam habuit parallaxin sive diversitatem aspectus: procul dubio ipse notasti 13 Xmbris, bora 4.15' post mediani noctem : l'uit semper, ante et post, eadem distantia proportionaliter, ratiope motus diurni, tunc quidem 20' vel 25' per 8o tubimi a stella parva 4 ae magnitudinis, tam in Rumili quam elatiori situ. 16 Xmbris Ol Scipione Coisel-mizzi. 434 12 GENNAIO 1619. [1368] mediatio caoli cum 6°. 55' TI] ; declin. 10°. 16' Vai latit. 49°. 33’ 1 /a; long. 12°. 25' vel 30' i£y mano bora 5. 34' post medium noctem : elevatio poli 46°. 45’ per alti¬ tudine» et aziniutlm diligenter per auriohalcicum quadrontom. Fuit positus co¬ meta, meo iudicio, circa semitam Saturni, simili» stcllae 3*" magnitudinis ; per tubum similiB factus stollae 1*° magnitudini» (idquo circa medium Xmbris), oc- cupavit 30" circiter in diametro capiti» : distantia eius a (f) 30000 semid. tcrrae, hoc est 20 miglioni e meno leghe todesche. Caput cubico fuit decies maius terra. Caudae longitudo maxima erat 35°, et latitudo 4° circiter: ergo caudae longi- tudo 9000 diam. tcrrae, latitudo 1050 diam. terrae. Materia eius fuit ex maculis solaribus, sonsim aggregatis, dissipati, et do 40 novo coagulati.» in certo et proportionato cadi ambitu sive profundo convenienti. Generatio et forma ac lux eius, prout videmus in speculi» ustoriia. Circa lineili caudae fuit materia illa opaca instar lenti» (talis adirne reatat de 1572). Caput sivo punctum lucidum (licet etiam laceratimi propter inacquaiitatem lentia) fuit punctum concursus sive focus (a); caudam effecerunt nubi incidentes et reflexi cum tangenti ad paro» seni per ungulos, ut omnium repercussionum regula est in speculi». In mcditullio linea valde lucida fuit, quia radii incidentes et reflexi erant iidem et concurrebant. Ipse focus agitavit lentem, et semper ac. necessario in oppositum solis ob liane speculationera. co Adiuvit etiam potentia solis in medio mundi et versus orientein commovit eum : alias motus eius longc velocior contra signorum ordinem effectus fuisset. Cursus enim eius fuit rotrogradus respcctu zodiaci per TfL ^ ìff effectus. Potius est signum praeteritorum malorum et instantium sive praesentium, quam futurorum, ut crux posita in signum demortui. Est pestis maioris mundi. Etiam caelum exeremonta et alterationes sua patefacit: nibil enim creatum sub sole perpetuum, fixum, incorruptibile, excepto ilio quod regeneratur per «=• et spiritum, et est materia sulphurea, tenax, ex magno Aetbnaeo solari Archaeo congesta. Totus mundus a circuraferentia usque ad centrimi ultra suum gradimi fio commotus est. Non necessario sequuntur postes, mors principimi, <*tsi ex aliis causis aliqua magna capita anno praesenti periclitabuntur. Nova hacresis exci- tabitur cum liaereticis antiquis, et florebunt per tempus; sed arescent et eva- nescent, ut bic cometa. Ab oriente et meridie oimic malum ad nos; sed et flagellum super eosdem veniet. Mundus titubabit per 4 '/a annos usque ad ma¬ gnani cf h 3|. ; ibi omnia reformabuntur, et forte seculum redibit ad antiqumn silentium : florebunt artes (qualium tu non minimus es prodromus ot praecursor in mathematicis et pbysicis), veritas, pax, iusticia piane ignea, et otium abscin- detur : ac qui iam in spiritu animali ac calliditate politica floront, confundentur in astutiis et adinventionibus suis; qui autem Deum timebunt et sapientiam 70 12 — 13 GENNAIO 1G19. 435 [1368-1369] suam inde haurient, non confundentur in aefcernum, nec est quod timeant ab angelo isto percutiente, sino ncgocio perambulante in tenebria, hoc est a co¬ meta tali. Bene valcat admodum HI/* et Eccoli. T. D., et me sibi commendatam habeat, et si per valetudinem licet, respondeat quamprimum ; rem faciet non mihi, sed Ser. m# Arcliiduci ac nunquam satis laudato Principi Leopoldo, gratissimam, qui te vai do amat. Datum Ceni ponti raptim, 12 Ian. 1618 Di V. S. molto III.” et Eccoli. raft 80 Aff. m0 Ser.™ D. Gioan. Remo Quietano, Med. et Math. 0 di S. Caes. Mai. et prò tempore Ser. mi Archid. Leopoldi, m. p. Fuori: Admodum Illustri ac Eccell. mo D. Galilaeo de Galilaeis, Magni Ducis Hotruriae Mathematico, Domino meo Observando. Fiorenza. 1369 *. LEOPOLDO D’AUSTRIA a [GALILEO in Firenze]. Innsbruck, 13 gennaio 1619. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 116. — Autografi la firma o il poscritto. Cliaro Galileo, Che non vi ho scritto alcuno tempo in qua, è stato questo silentio da mia parte causato del mancamento di materia. Ilora, essendomi consigliato un di¬ scorso sopra la cometa 1 *’, vi la mando con la presente, et vi prego avisarmi quanto prima il suo parere saggio, che aspettarò con desiderio. Et con questo vi assi¬ curo della solita mia gratia. Di Isprug, alli 13 di Gennaro 1619. Leopoldo. Ilo sentito con grandissimo dispiacere la vostra indispositione. Dio vi con¬ io cedo con questo anno nuovo meglior sanità et tutto quello che possiate desiderar [in] questo mundo. Saperia ancor volontiero il parer del P. Benedetto sopra questo cornetta. i'i Che questa lettera appartenga all’anno 1619, alla fino dell’anno 1618. lo dimostra il trattatisi di una dolio comete apparso <*' Cfr. n.« 1417, lin. 11. 436 14 — 19 GENNAIO 1619. [ 1370 - 1371 ] 1370**. FEDERICO CESI a GIOVANNI PARER in Roma. Acquasparta, 14 gennaio 1619. Aroh. dell’Ospizio di S. Maria In Aqulro In Roma. Carteggio di Giovanni Kaber FiUa 428, car. 78.— Autografa. . ...Piacemi oltre modo elio il S. r I). Virginio' 1 * nostro vada al’Aere più dolco' 1 ’, non essendo miglior rimedio nelli mali di flussioni et essendo necessarissimo fuggir l’hunndità e crudezze dol’aria romana; e mi sarebbe carissimo arrivasse [trinia della sua partita il S. r Fabio f*, c col S. r Marchese Muti 1 * 1 ot altri S. ri compagni facessero un colloquio o godessero di quello ch’io per l'assenza son privo. I,o disputo filosofiche olio vanno intorserondo, o quanto sono belle o conformi al senso mio! Quella dello proportioni musicali et della rispondenza dolio cordo nelli iBtrumenti, che V. S. m’accenna, passammo giù copiosamonto col S. r Galilei nostro ili Tivoli; ot ve¬ ramente sarebbe bene, fusso pienamente distesa in carta.... 1371**. OTTAVIO BANDINI a GALILEO in Firenze. Roma, 19 gennaio 1619. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 148. — Autografa la aottoicrizione. 111.” Sig. ro Per il bisogno che ha di monache serventi il monastero di S. Matteo in Ar- cetri, sicome V. S. mi scrive, s’ aspetta da Mona.* Arcivescovo l’inforraatione, doppo la quale io non mancherò d’ aiutar il negotio in Congregarono, non solo per aiuto e sodisfattione dell’ istesso monastero, ma per corrisponder anco al gusto di V. S., «alla quale intanto di cuore mi offero. Di Roma, li xix di Gennaro MDCXIX. Al piacer di V. S. S. r Galileo Galilei. Il Card. Band ino. Fuori : All’ 111." Sig." 11 Sig. r G«alileo Galilei. Firenze. O» Viroinio Cesabi.vj. (*> Cfr. u.° 1372, liu 22-23. •*> Fabio Colokka. (k * Cablo Muti. [1372] 19 GENNAIO 1619. 437 1372. GIO. BATTISTA R1NUGCINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 19 gennaio 1619. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, LXXXVII, n.® 39. — Autografa. Molto 111.' 0 S. r mio Oss. mo Il S. r Card. 1 Bandirli propose nell’ ultima Congregatione il desiderio delle monache di S. Matteo 1 ”, e i SS. ri Cardinali hanno fatto rescrivere a Mons. r Arci¬ vescovo di costi per informazione di quello clic le sudette monache espongono nel memoriale, essendo così P uso di tutti questi negozi. Ilo procurato però di poter mandar con la lettera qui inclusa, acciò V. S. col farla presentare a Mons. ro possa far opera seco che aiuti il negozio con buona relaziono ; c hauta la rispo¬ sta, non dubiti V. S. che subito si spedirà il negozio, per il quale il S. r Card. 1 mìo Signore farà tutto quello clic potrà, vedendo die risulta, in gusto c servizio io delle sue figlie, oltre all’inclinazione particolare che ha al merito et alla per¬ sona sua propria. Se io poi sarò parso negligente in servirla, la supplico a scu¬ sarmi, perchè sotto le feste di Natale non si è potuto ragunar la Congregatione, e doppo se ne sono fatte solamente due, alla prima delle quali il S. r Card.' 0 non andò per causa dell’ esame de’ vescovi, che s’ affrontò la medesima mattina ; cre¬ dendo nel resto di non haver bisogno di persuader V. S. della mia servitù c desiderio di viverle in grazia, perchè a bastanza può certificarsene dalla cono¬ scenza eh’ io le ho mostrato d’ bavere delle sue qualità. E qui in Roma posso dire ch’io mi son trovato spesso con lei, perchè nell’esser con il S. r Principe Cesi e con il S. D. Virginio Cesarmi non ini può riuscire di non parlar di lei, 20 e con quella lode che non è inferiore al suo merito. Tutti però aspettiamo di sentire eli’ ella si risani affatto dalla sua indisposizione, sicome io credo eh’ il medesimo S. D. Virginio deva in breve migliorare della sua, che per questo effetto due dì fa partì per Gaeta ; e se io havrò queste due consolazioni nel medesimo tempo, non mi parrà poco aqquisto. Però restarò, continuamente pregando Iddio, et a V. S. per fine bacio le mani. Roma, 19 Genn.° 1619. Di V. S. molto IU. ra AfF. mo e Vero Ser.™ S. r Galileo Galilei. Gio. Batta. Rinuc“ l Cfr. n.« 1871/ 438 12 — 15 FEBBRAIO 1619. [1373-1374] 1378 *. LEOPOLDO D’AUSTRIA a GALILEO in Firenze. Savernn, 12 febbraio 1619. Bibl. Nttz. Flr. Mas. dal., F. I, T. XIV, car. 150. — Autografa la firma. Charo Galilei, Mentre clic m* ho trovato passare qualche condolenza por la sua indisposi- tionc, fa un tempo, me ne aggravò d’ oltre la prossima con intendere quella con- tinuationo, la qualo Nostro Signore per il publico bene degnissi rimediare, sì come desidero, acciò glielo dia di viver lungamente nella medesima stima elio vi sia uguale al famoso et condegno inerito vostro. S’ ò stata a me più grata 1’ offerta d’informarme li discorsi della cometa passata, nel quale non lascierò di communicarvi tutto quello clic si scoprirà in questi contorni (V esso soggietto, desiderando acciò si possa per vostro mezzo disporre il Fra Dcnedotto Castelli di publicar alla mia informationo il suo giu- io dicio sopra questa cometa. Fra tanto vi assicuro della mia continua benivolonza et gratia che vi porto, priegaiulo Iddio elio lo benignamente conceda la intiera convalescenza et conservationo della sanità, quanta per vostra contentezza si desidera. Di Saverna, li 12 di Feb.° 619. Sig. r Galileo Galilei. Fuori: Al Mag. ro Mesa. Galileo ( nostro Dilettiss. ,uo Fiorenza. 1374 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze!. Aequasparta, 15 febbraio 1619. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 58-59. — Autografa. Moit’ Ill. r ® o molt’ Ecc. 1 ® Sig. r mio Os8. ,no Ero stato privo delle gratissimo di V. S. sin da Luglio, quando questi giorni a dietro, o quasi insieme, me no capitorno due, o poco prima una al S. r Stelluti, 15 FEBBRAIO 1619. 439 [1374] che è qui meco. Sentivo travaglio grande nel silenzio per molte cagioni, ma particolarmente tenendo non venisse da altro che da pertinace continuazione della sua indisposizione, del che tanto più mi dolo la confirmazione havuta nelle sue, e solo mi ristora la speranza che ho nella miglior stagione che só- guita. Pregavo, insieme con i S. ri compagni N. S. Dio, ci consoli con la sanità di V. S., che tanto bramiamo, e n’ aspettare da lei buone nove. Intanto attenda io pur lei a questo con ogni pensiero e cura, et lasci all'atto ogni cosa clic potesse nocerli, chè tutti non solo compatiscono al suo male, ma se ne cruciano gran- demomente. Il Sig. r Cesarmi s’ ò trasferito ad aria più dolce, vicino Gaeta, per liberarsi dalle moleste distillationi e rihaversi alquanto. Il Sig. r Marchese Muti, et altri Sig/ 1 compagni di qua se la passano bene. Sento, con quel dolore che V. S. poi imaginarsi, la perdita del Sig. r Cosimo Ridolli, e mi si raddoppia con l’aviso della morte similmente del S. r Teolilo Molitor {,) , anatomista e botanico insigne, clic nel’istesso tempo mi giugno di Germania. Gabbiamo persi doi compagni : resta che preghiamo Dio per 20 loro, come qui farò nelle esequie, e che pensiamo a risarcire le perdite con le ascrizioni. Mi sarà molto caro veder li discorsi in materia delle comete, chè veramente il spettacolo di questi mesi passati è stato bellissimo, et haverei goduto gran¬ demente esser appresso V. S. e conferirle i miei pensieri, e massime trovandomi ingolfato più che mai nello celesti contemplazioni. Le mando una particola della lettera del Remo, medico c matematico di dili¬ genza non ordinaria nelle osscrvationi celesti, scritta al S. r Fabri nostro. V. S. quando le sarà commodo, potrà riscrivermi secondo le parerà. Il S. r Fabio Colonna nostro, nel’ esser venuto per quattro soli giorni in Roma, so ha voluto favorirmi di venir sino qua a vedermi, elio invero m’è stato di gran¬ dissima consolatione, e massime vedendolo sempre più infervorato e nelle sue assidue compositioni c nella commune impresa. Bacia a V. S. le mani, e l’invia tre copie della sua Sambuca l?) , che potrà darne una al S. r Pandolfini. Non mi stenderò io più in longo. V. S. sa che con l’animo son sempre ap¬ presso di lei, e che desidero sempre servirle. Mi commandi, mentre di tutto core le bacio le mani. D’Acquasparta, li 15 Febr. 0 1619. Di V. S. molt’ lll. M Aff. ,no per ser. 1 ' 1 sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. O) Teofilo Mukli.eh. <*> Cfr. II.» ìaci. *140 Hi FEBBRAIO 1619. [.1875] 1375 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Firenze. Lione, 10 febbraio 1019 . BiM. Naz. Flr. Mss. (lai., P. VI, T. X, car. 60 . — Autografa. Molto III. Sig. ra mio Oss ." 10 Ha sempre in me regnato un desiderio che si porgessi qualche occasione per mostrare l’animo mio verso di lei; il quale so lussi secondato da qualche suo comandamento, por potergli faro vedere con effetti questa mia buona voluntà, 10 reputerei a mio grande favore. Et acciò che V. S. habbia maggioro animo di farlo, piglio ardire di scriverli questi quattro versi, spinto parto da una mia curiosità, e parto di quella di amico caro, cupido e amator di virtù, per pre¬ garla di farsi sapere brevemente la sua openiono e le sua observatione sopra 11 gran cometa apparso a* giorni passati verso l’oriento e finito dalla banda del settantrione, stato visto dalla maggior parte del mondo; delle quale se ne io farà tanto maggior conto, quanto V. S. di grand lunga va superando la doctrina e l’industria di quelli che hoggi consumano il tempo loro in questi studi cosi belli et nelle occupatione clic solo sono stimate degne del’ huomo. Et perchè credo che V. S. haverà caro di sapero quello che a’ è obsorvato di qua, li mando con questa le observatione astronomique di questo come[taJ, stato fatte di grosso in grosso da un mio amico, e una lettera del medesimo suggetto del S. ra Alberto Gondi <0 , nostro Fiorentino, il quale, havendo havuto da molto tempo in qua gran¬ dissimo desiderio di conoscere V, S. per lettere, non lo potendo per ancora fare altrimenti, à pigliato Liuto volentieri questa occasione per scriverli quanto ar¬ dentemente egli brama di farli intendere la divotione sua verso di lei, come di 2o persona la più virtuosa e più dotta del’Europa. Però lui m’à pregato di sup¬ plicar V. S. d’accettare la sua buona voluntà e farli parte ancora a lui delle observatione e openione circa il sudetto cometa; e io lo scriverò nel numero delle obligatione che già li tengo, se li farà conoscere che questa mia habbia servito di qualcosa. Intanto, se altra cosa ci viene fra le mane di queste bande che io stimi degna d’esserli mandata, non mancherò di farlo; e spero dalla cortesia sua che la scuserà volentieri questa mia giusta curiosità, se io piglio tanto ardire di darli la briglia di volermi scrivere le sopradette observatione. Il S. ru Ottavio, mio zio, mi ha comcsso alcuni aghi per V. S. e me li raco- manda caldamente, che è stato superfluo, chè mi era pure assai in raccoman- so O» Cfr. u.» 1367. 16 FEBBRAIO 1619. 441 [1375-1376] datione ogni volta che sapevo che dovevano servire per suo servitio o per per¬ sone da lei dependente: e glie n* ò mandati qualche pochi, che barerò caro sentire che sieno riusciti a suo gusto; pregandola di nuovo di volermi fare parte di qualche suo comando che mi giudicherà atto a servirla, et di conservarmi il titolo che ho preso di V. S. molto 111. Di Lione, alli 16 Febraio 1619. Ser. Hum. ,no e Cord." 10 Ruberto Galilei. Fuori : Al molto 111. Sig. 1 ' 6 mio Oss. 40 11 b.'° Galileo Galilei. Firenze. 1376*. GALILEO a COSIMO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. [Firenze], febbraio 1619. Ardi, di Stato in Firenze. Filza 6» di Negozi occ. dell'Auditore Loreuzo Usiinkardi, car. 32. — Autografa. Ser. mo Gran Duca, Galileo del q. Vincenzio Galilei, humilissimo vassallo o servo di V. A. S., ritrovandosi un figliuolo, nominato Vincenzio, di età di anni 11 in circa, aqquistato di donna solata, oggi morta, nò mai maritata, essendo egli parimente soluto, nè mai ammogliato, e desiderando che detto figliuolo resti sollevato e libero da i difetti de’ suoi natali, ri¬ corre alla benignità di V. A. S., humilmente supplicandola che voglia restar servita di legittimarlo con la sua regia mano, e renderlo ca¬ pace di qualunque successione così del padre naturalo come di qual- 10 sivoglia altro parente o strano, per testamento et ab intestalo, tanto per disposizione di ragion comune e leggi imperiali, quanto delli statuti e leggi delli stati di V. A., come fosse nato legittimo e natu¬ rale in tutto e per tutto ; et in oltre di potere usar V arme e cognome della famiglia del padre, e godere i magistrati e onori che può go¬ dere il supplicante. E tal grazia non torna in pregiudizio conside¬ rabile di persona alcuna, non havendo il supplicante nò padronati, nè beni fideicomessi o livellari o di altra sorte, che necessariamente andassi no in altre persone, caso che non seguisse tal legittimazione ; ma tutto quello che egli ha, V ha aqquistato da sò medesimo con la 442 22 FEBBRAIO 1619. [1876-1877] aaa propria industria : et un fratello unico, che egli ai trova, bora 20 assente, elio succederebbe ab intestato, non ci farebbe difficoltà, e con¬ sentirebbe. Per la qual grazia esso supplicante e suo figliuolo gli resteranno in perpetuo obbligati, e pregheranno il S. Dio per ogni sua felicità. Ili inano di Curzio Pioomna : li’Auditore dello Kifor 111 unioni informi. Curzio l’icchena. 18 Feb.° 1618 (l ». 1377 *. FRANCESCO STELLRTI a GALILEO in Firenze. Acquasparta, 22 febbraio 1019. Blbl. Kst. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11.“ XC, n.® 113. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. n,t> S. P.ron mio Os3.“° Già ricevei la gratissima sua dolli 15 del passato; ma non le ho dato prima risposta, per essere, in questi giorni carnevaleschi, poco entrato in studio, haveudo il Sig. Principe, per dar gusto alti suoi vassalli, tenuto quasi una corte bandita, haveudo quasi per un mese continuo fatte feste in casa, bora con far recitar comedie, bora con diversi halli, bora con cene et collazioni, ot bora con altri varii trattenimenti, con diversi suoni e canti. In somma l’babbiamo passata al¬ legrissimamente et con applauso universale di tutta questa terra. Ci babbiamo havuti per alcuni giorni il Sig. r Fabio Colonna, quale era venuto in Roma per alcuni negotii e si trasferì sin qui, et babbiamo fatto ballare ancora a lui. Già 10 fece stampare la Sambuca Lincea et con queste si dovrà mandare di Roma a V. S. Mi ò poi dispiaciuto grandemente sentire nella sua quanto sia stata mal trat¬ tata dal male, et che ancora ne stava travagliata : però attenda pure ad haversi buona cura per conservare l’individuo, oliò potrà poi, essendo sana, con più fer¬ mezza seguitare i suoi studii. E se il suo amico lS) havrà compito 1’ osservatone intorno alla cometa, mi sarà caro d’ haverne una. Il Sig. r Principe rescrive a V. S., havendo ricevuto ultimamente una sua dove gli dà conto della repentina morte del Sig. Ridollì l * ) , che il Signore l’habbiain gloria. Veniamo a poco a poco mancando di numero; però è bene d’aggregarne 20 m ni stilo fiorentino. <*> Cfr. n.® 1364. ( 8 > Mario Ooiducci. <*> Cosimo Kidolki. [1377-13781 22 FEBBRAIO — 2 MARZO 1619. 443 degl’altri. Et V. S. intanto cerchi pure con ogni studio di recuperare la sanità, eli’ io non mancherò pregarne il Signore, offerendomele anco prontissimo in ogni altra sua occorrenza. Et per line le bacio le mani. Di Acquasparta, li 22 di Febraro 1619. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ,na Ser. ro Àff. rao Frane. 0 Stelluti L.° Fuori : Al molto Tll. pe et Ecc. ,no Sig. r P.ron mio Oss. mo 11 B. r Galileo Galilei L.° Fiorenza. 1878 ** GIO. BATTISTA RINUCCINI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 2 marzo 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, cur. 70. — Autografa. Molto lll. re e molto Ecc. to S. r mio Oss. mo Scrissi la settimana passata che mio fratello avvisassi V. S. della favorevole spedizione che s’ era hauta nel negozio dello monache di S. Matteo 05 , ma non potei mandarne la lettera, perchè Mons. r Vulpio, segretario della Congregatione, è stato indisposto parecchi giorni. La riceverà però V. S. inclusa con questa, e doppo che mi havrà perdonato la lunghezza della spedizione, la supplico in ogni modo a valersi di me in tutte Toccorrcnze c ricordarsi quanto di cuore io le viva servitore. Voglio dire a V. S. come qui s’aspetta con gran desiderio il discorso che dicono liaver ella promesso sopra la cometa ; et io lo desidero sopra gl’ altri per io mia particolar curiosità, oltre all’ esser parziale di tutte le cose sue. 1 Gesuiti n’ hanno pubicamente fatto un Problema, che si stampa CS5 , c ten¬ gono fermamente che sia nel cielo ; et alcuni fuora de’Gesuiti spargono voce che questa cosa butta in terra il sistema del Copernico e clic egli non ha il mag¬ gior contrario argomento di questo: però s’io dicessi a V. S. che mi par mill’ anni di saper l’opinion sua, credo che me lo perdonerà. Ilo nuove di Gaeta, ch’il S. r D. Virginio Cesarini stava meglio della sua in¬ disposizione. L’istesso e maggior miglioramento vorrei sentir in V. S., alla quale desidero vita e sanità proporzionata al suo merito ; e le bacio le mani. Di Roma, 2 Marzo 1619. 20 Di V. S. molto 111.™ e molto Ecc. 10 Ser. Aff. m0 Gio. Batta Itinuc.® 1 in Cfr. un. 1 1371, 1372. <’> Cfr. Voi. VI, pag. 23-85. iU (> — 8 MARZO 1619. [1379-1380] 1379. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Pia», 6 marzo 1619. Bibl. Naz. Flr. Un. Gal., P. VI, T. X, car. 62. — Autografa. Molto 111.™ et Kcc. mo Sig. r et P.ron Col." 10 Non lio più scritto a V. S., perché ho sempre giudicato di far meglio non attediandola con lettere, quando non no lmvovo occasione, non mi parendo do¬ vere, per semplicemente salutarla, di porgerli questo inconunodo. Mora elio mi s’ é iirosentata occasiono di esser favorito da lei in un negoziogli scrivo con sa¬ lutarla con ogni affetto di cuore, et avisarla come, per l’Iddio grazia, sono assai Lene rihavuto dal mio male; et mi ha dato tal agio l’indisposizione, eh’liavovo, che di presente ho studiato Àppollonio con i libri di Sereno, et proseguirò, ben¬ ché realmente nello studio di Tolomeo io ci senta molto gran fatica, del quale ho visto tre libri soli, et mi bisognerebbe il comercio di V. S. por intenderlo: io puro non perdonerò a fatiga per poter restar capace di sì alta dottrina. 11 negozio non scrivo a V. S., perché ne sarò, informata dal I\ I). Benedetto. Pregola .a favorirmi so può, come mi persuado, et perdonarmi se gli do quest’ in- commodo, perché no sono pregato instantemente da’miei parenti. Mi comandi, so in cosa alcuna la posso servire, chù sarò sempre prontissimo ad ogni suo cenno ; e li bacio le mani. I)i Pisa, il dì 6 di Marzo 1619. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ser. 17 ' di cuore F. Buon. ni da Mil.° Gesuato. Fuori: Al molto IH.™ et Ecc. mo 20 Sig. v Gal. 00 Gal.*', Fil. fo et Mat. co di S. A. S. o P.ron mio Col.™ 0 Firenze. 1380 **. Gl O V A N FR A N CESCO 8 AG REDI) a GALILEO in Firenze. Venezia, 8 marzo 1619. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gai., P. VI, T. X, car. 64-65. — Autografa. Molto 111. S. r Ecc. mo Quel tale che a nome di V. S. Ecc. mn , doveva venire a pigliar i denari havuti dal S. r Cremonino, mai s’è lasciato vedere : solo, giò otto giorni, egli mi si diede 111 Aspirava alla lottura ili matematica nello tip. Fava o (ìaraguani, 1888. pag. :)5. Studio di Uologiia. Cfr. Antonio Favaho, /fonnren- <*' Giovanni Bartoluzzi: cfr. n.* 1858. f** ra Cavalieri nello Studio di JJoloynn. Ili Bologna, 8 MARZO 1619. 445 [ 1380 ] a conoscere. Subito che egli venga, sarà pienamente sodisfatto. Al S. r Cremonino ho fatta instanza del resto: mi ha supplicato indugiare alquanto, promettendomi che con la prima commodità senza altro sprone uscirà di debbito. Credeva certamente hoggi poterle mandar qualche esperimento de’ mei ve¬ tri ; ma in vero l’arte del vetrificare non è molto dissimile da quella dell’al¬ chimia. Un padelato c’ havevo di ritagli di cristallo mai s’ è voluto pulire, et a io pena sarà fornito la settimana ventura. Della riuscita ne spero pochissimo, per¬ chè mi pare di brutto aspetto. Un’altra gran padella di christallo di monte in otto giorni ha mostrato miracolo di bellezza et pulitezza; ma andando fuori il vaso, ha bisognato traghettarlo in un altro. Spero non dimeno gran cose di questo, non dico per occhiali, ma per specchi di maravigliosa belezza. Sto di buon animo, che un solo quaro elio ini riesca, mi paghi cinquanta ducati di spesa c’ho fatto. 11 povero Cavalier Bussano ha queste settimane passate corsa gran borasca di impazzire per martello datogli da una sua ribaldella serva da letto et da cucina; et per sospetto che la sciagurata ha havuto che io inanimassi il pover’huomo a scac¬ ciarla, mi ha posto ella finalmente in gran diffidenza con l’istesso Cassano, il quale 20 però mi va prolungando il finire il mio ritratto e diverse opere principiate per conto mio. Tuttavia ha condotta assai bene la mia testa, la quale desidero mandar quanto prima a V. S. Ecc. nm per haver poi maggior ardire a farle instanza per la sua. Ilo veduto un S. Francesco di mano del Bronzino 10 , et m’è riuscito opera di¬ ligente, vaga et ben intesa oltre quanto io credeva. Intenderci volontieri se fosse possibile bavere per honesto prezzo alcun’opera del suo, non dico da farsi, per non entrare in un labirinto, ma delle già fatte, sia ritt.rato od altro, ma cosa naturale et bella, et se fosse anco possibile haver ne alcuna da copiare, poiché il S. r Girolamo Cassano sarebbe suficientissimo a questo effetto et vi lavorarehbe dì c notte per farmi servitio. so II Padre Maestro 10 la saluta cordialmente: spesso mi dimanda di V. S. Ecc. ma , et m’ha pregato ad eccitarla a scrivere alcuna cosa sopra il moto. Et per fine le baccio la mano. In Ven. il , a 8 Marzo 1619. Di V. S. Ecc. ma Fuori : AH’ 111.»® S. r Hon ®° L’ Ecc. mo S. r Giovanni Sega. Este. Tutto suo G. F. Sag. c più a basso: Al molto 111. S. r Oss. mo 40 L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 1380. 16. Prima aveva scritto quetti giorni pattati; poi corresse giorni in teuimane, ma non queati iti questa, nè pattali in pattale, — <0 Cristoforo Allori. <*' Paolo Sarpi. -14(3 13 — 30 MARZO 1610. [1381-1382] 1381 * GIOVANNI REMO a GIOVANNI KEPLER [in Linz]. liuiHbruck, 13 marzo 10l'J. BLbl. dell’Osservatorio in Pulkowa. Mas. Kepleriani, Voi. L. XI. Autografa. .... Gnlilaous mecum concertabit de cometa, prout soripsil: sed mulo habet bonus vii*, fere ad mortem.... 1382 *. GIOVANFRANCESCO SAGUEDO a GALILEO in Bellosguardo. Venezia, 30 marzo 1019. Bibl. Est. in Modona. Raccolta Campori. Autografi, li.» LXXXVI1I, u. u 83. — Autografa. Molto Ill. ro S. r Ecc. ,no Ilo volontiori diferito a scrivere a V. S. Eoe."™ questa santa settimana, poiché nelle due precedenti, maladette et infelici, non ho saputo accoinmodarnii a pi¬ gliar la penna in mano, sendomi accaduti in quelle tutti accidenti cattivi et dispiacevoli. Prima sono stato iniprovisamento assalito et oppresso da uno sfer- doro così fastidioso ed insolente, elio in’ ha levato ogni gusto et fatto riuscire tutte lo cose molesto o noiose, fuorché il buon vino, col quale ho scacciata la lebro causata da quello. Poi il mio Arno, cioè quel belissirno bracco clic V. S. Ecc. ma mi mandò giù. quindici mesi, il quale era il mio perpetuo buffone, il più festoso, il più piacevole di quanti cani io vedessi giamai, in un punto s’è sco- io perto rabbioso : ha morduto prima un gentil’ huomo forassero, poi immediata¬ mente due servitori, poi la cagnola di casa, una mannota, una fuina, et lilial¬ mente un mio lupo cerviero, col quale soleva fare una perpetua caccia nelle mio camere, dove stava slegato, et veniva a farmi compagnia al fuoco più domesti¬ camente di qualonquo gatto Labbia veduto. Gli huomeni morduti parte son gua¬ riti, parte ancora ne portano il segno. La fuina, la cagna, stan beno ; la mar¬ motta è morta, anco per altro ridicoloso accidente, et il lupo s’è convenuto incatenare per buon rispetto. Il cane, incatenato, ancorché piccolo, ha rotte tre catene; finalmente, chiuso sciolto in una camera, doppo liavcr malamente cor¬ rosa la porta, è morto aneli’ esso. Ma per colmo do’ miei guai, mentre sperava 20 consolarmi con la riuscita de’ miei cristalli che s’andavano preparando a Murano, lian quegli sciagurati Muranesi mandato ogni cosa in rovina. limi rotto il pade- lotto delli ritagli di cristallo, et han cavato solo dodici lastre, così torte e sottili che non si possono lustrare. Ma quello che mi premo oltre misura, è che han 30 MARZO 1610. 447 [ 1882 ] disipato un gran vaso di cristallo di monte avanti fosse cotto, cavandone, senza mia licenza o saputa, quattro soli specchi grandi, havendo tutto il resto fatto andar in rotture; et pur mi costava più di cinquanta scudi, et era materia bastante per fare dieci specchi di braccio, che se havessero corrisposo alle mostre che si son cavate da principio, si faceva giuditio che potessero valere cento cechini 30 1’ uno, perchè di colore et di politezza mostravano dover quasi pareggiare il vero cristale di rocca. Fu cavato un quaretto picciolo, avanti fosso porgato et posto a colore, et n’ ho fatto lavorare 7 vetri da Bacci, che son tutti riusciti cattivi ; sette da Armano occhialcr, che son riusciti di sei quarte mediocri, ma di sei riusciran buoni; et altri sette da M. Antonio, de’quali dui son riusciti buoni da sei quarte, et il resto pur buoni da 3 quarte : sichò si vede che questa materia, seben non riuscisse di quella estraordinaria et perfetta bontà che andiam cer¬ cando, almeno è molto meglio della ordinaria, nel lavorar della quale si perdono ì due terzi della fattura, perchè per l’ordinario J /a di vetri non riesco di mediocre bontà. La cagione che quelli di Baci non sian riusciti, credo certamente pro- 40 ceda dal suo lavorare ; che poi di sei quarto non sian tutti riusciti, credo certa¬ mente procedi perchè, havendo uno specchiaro lustrato malamente il quaro da una parte, non Labbia fatto il debbito. Questo cattivo accidente certamente mi persuade essere stato malitiosamente procurato da quei ladri Muranesi, timorosi forse che, riuscendomi, come si credeva, il far specchi di meravigliosa bellezza, dovesse far concorrenza a’ lor negotii. Mi ha invero questa inaspettata disgratia sgomentato in modo, che ero allatto rissoluto non tentar altro ; pur voglio andar alla caccia a cristallo di monte et farne un’ altra prova grande et diligente, pro¬ testando su la vita a quei ribaldi, che forse, vedendomi alterato molto per que¬ sta prima burla che mi han fatto, non ardiran forse farne la seconda. 30 Dal Cremonino ho liavuto l’altro ieri venticinque scudi d’argento, et mi scrive creder haver saldato. Gli risponderò quanto bisogna per cavargli anco il resto. Il Bertolucci non si vede (l) ; et se io sapessi dove sta, gli manderei tutto questo denaro. Del Germini, ancorché non possi dubitare della sua incapacità et dapoca- gino, tuttavia non mi è stato nuovo intendere quanto ella mi scrive, perchè aneli’ io da principio restai ingannato dalla sua chiachiera et dall’ apparenza molto estraordinaria della sua bontà ; ma infine la esperienza ha fatto conoscere, tutto essere un artifitio per suo particolare interesse. Egli bavera, con la multi- plicità do’ nomi et con la ramemorazione di tante cose vedute alli nostri cdificii, confuso 1’ animo del suo padrone, il quale per avventura 1’ haverà creduto un co Vulcano dotorato ; ma quando sul sodo vederà costui perduto in mezo a poche facendo, non conoscere il buono dal tristo lavoro de’ labri, non sapere che cosa Letti. 1382. 20. mi licenza — 0» Cfr. n.® 1380. 448 30 MARZO 1619. [ 1382 ] sia colare, cotizzare et far i inasculli del ferro, in elio consisto P avantaggio do’pa¬ troni, come vaili accomwodato il bocanie de’ mantici per far buon lavoro, come si governi il fuoco, in che consisti la bontà de’ carboni, quali vagliano per colare, quali per boliro, quali per ferro tenero et quali per il duro et per 1 ’azzale, la qualità de’ legnami per far carboni, quali legno siano ben stagionate et di che luna tagliate, come si faccia una Carbonara, con (piai maniera se gli dia il fuoco, i fumi, la coperta, il vento, et ciò elio importino tutti questi particolari, non so so seguiranno di lui lo medesimo lodi. Non metto a conto la disubedienza into- lcrabile, la transcuragino in provedere et prevedere a bisogno, la poca cautella to nel trattare con lavoranti. Nò mi rimuove da questo giuditio quello che V.S.Eec. ma mi scrive, che costì gli artefici non arrivino alla sottigliezza de’nostri; perchò lo dico solamente, in parola di verità, clic il Germini tanto s’intendo del go¬ verno di una fucina et d’ un negotio di forrarozza, quanto sono perfetti mate¬ matici li scolari Alemani che sono sotto la disciplina del Pigliano 01 , che pur beri da certo scolaro Veronese, elio fu da me, è stato lodato per un gran mate¬ matico et per un gran testone elio di tutto s’intende, non per altro che per baverlo udito a parlare arditamente di sfere, cilindri, coni, parabole, paralele- pipedi, eccentrici, epicicli, colitiche et mill’altri nomi novissimi non intesi dagli ascoltanti, si pensava forse eli’ egli l'osso il più bell’ ingegno del mondo, a sa- so perne così facilmente discorrere. Ilo ben io havuto un altro fattore da Pistogia, che tanto avanzava di intelligenza et sottigliezza i nostri lavoranti, quanto su¬ pera P oro di perfettione il rame. Ma questo poco m’importa ; basta che a debilito tempo il galanthomo paghi P intacco furtivamente fattoci. Tutte questo cose io scrivo palesemente ; et perchè son verissime, haverò anco a caro che sian dette a mio nome al medesimo Germini, aggiongciulogli che dopo la sua partita il nuovo dispenserò, venuto in luogo di lui, ha l'atto pescare il ferro, sparso già più di un anno per l’inobedienza del Germini, et n’ha ricuperati undici fasci et una cassa d’ azzai, dandoci speranza che si ricupererà anco il resto, se la molta grava, sopravenutagli in tanto tempo, non impedirà. 00 IL Cavaliero Bussano ha finalmente, tra la mal’ fiora et mal punto, fornita la testa del mio ritratto. Temo grandemente che ne’ vestimenti debba stentarmi, perchè non sono punto in gratia della sua dama, la quale sa che ho latti cativi uffitii contro di lei. Andavo pensando, per baverlo presto, farne far una copia al S. r (Ieroiimo suo fratello, et mandarglielo subito in abito consiliare, simile ad uno che esso M. Uerolimo fece giù sett’ anni, che non mi spiace. Prego Iddio che con la mutatione della stagione V. S. Ecc. mH ricuperi la pristina sanità, onde io ricevi il gusto della sua ila me desiderata salute, et godi ancora il suo ritratto con miglior ciera. O) Gabi-ìhu Fiqnam. 30 MARZO — 3 APRILE 1619. 449 [1382-13831 100 Avanti parti il pittore eli* ella mi scrive, procurerò conoscerlo et abboccarmi con lui, acciò possi riferirle il mio desiderio circa le pitture, dalle quali già un anno in qua prendo inestimabile dilettatione. Qui fo fine, augurandole la buona Pasqua, miglior Assensione, ottimo Natale et principio d’ anno per molti anni ; et lo baccio la mano. in V.“, a 30 Marzo 1619. Di V. S. Ecc.‘ u “ Tutto suo Gio. Fran. Sagredo. Fuori , d'altra mano: Al molto Ill. ro S. r Oss."'° L’ Ecc.”° S. r Galileo Galilei, no A Bellosguardo. Firenze. 1383 *. GIOVANNI FABER a GALILEO in Firenze. Roma, 3 aprile 1019. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. Vili, car. 72. — Autografa. Molto 111.” Sig. 1- mio Oss."' 0 Il nome di V. S. molt’ 111.™ ò così celebre non solamente in Italia, ma ap¬ presso li popoli settentrionali, che anche molti prencipi di Germania desiderono bavere P amicitia sua: et ultimamente, che fu a Roma il Prencipe Landgravio d’IIassia, al quale io allhora servi’ et lo introdussi dal Papa, fu spessa volta ragionato del valore di V. S. ; et esso Prencipe Landgravio mi disse, che venendo a Fiorenza, (dove credo sia già stato) Laverebbe voluto conoscere V. S. Il por¬ tatore anche di questa mia, Giovanni Itavio, medico et mathematico eccellen¬ tissimo, desidera molto di far riverenza a V. S., et spera per mezzo mio d* ottener io tal gratia da lei ; et io raccomando detto Sig. r Giovanni Ravio a V. S. in meglior forma, pregandola che per amor mio gli voglia dar adito, acciochè, tornando in Germania alli suoi Prencipi, tanto maggiormente possa (sic) le rare vertù, scienza et benevolenza di V. S. Alla quale per fine con ogni divoto affetto di cuore baccio le mani. Di Roma, alli 3 d Aprile 1619. Di V. S. molt’ 111.» Divotiss. Se. Giovanni Fabro Lynceo. Fuori : Al molt’ 111.” Sig. r et Padron mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Galilei Lynceo. 20 Fiorenza. XII. 57 450 14 — 16 APRILE 1G19. [ 1384 - 1386 ] 1384 * TOBIA MATTHEW a FRANCESCO BACONE in Londra. Bruxelles, 14 aprile 1619. Riproduciamo questa lettera, (lolla quale non conosciamo alcuna fonte manoscritta, dal Tomo VI, pag. 217, dilli' udizione di Londra, 1824, di The «orto of Francie Uacon. Most hononrable Lord, It nmy pleaso your Lordship, thoro was with mo tliis day ono Mr. Richard White, -vvho hath spcnt some little timo at Florence, and is now gonc into England. Ilo tells ino tliafc Galileo hail answored your discourso concorning thè llux and roilux of ilio, sen, and was sonding it unto me; but Lhat Mr. White hindered him, hocauso his answer was grounded upon a falso suppostimi, namely tliat there was in thè ocean a full sea bnt once in twonty-fonr hours. But now I will cali upon Galileo again. Tliis Mr. White is a discreot and understanding gentleman, thongh he seoms a little soft, if not slow; and he hath in his banda all thè Works, as I tako it, of Galileo, some printed, and some unprin- ted. Ilo has his diacourse of thè llux and rellux of tlio sea, wliich was novor printed; 10 as also a diacourse of thè mixtnre of metals **>. Thoso wliich are printed in his band aro tliese: thè Nuncius sidcreus; Ilio Macchie solari, and a tliird Pelle cose che stanno su l'acqua, hy occasion of a disputation, that was amongst learned men in Florence about tliat, wliich Archimedea wrote ile insidentibus humido. 1 havo concoived, that your Lordship would not ho sorry to see tliese discoursos of that man; and therefore I bave thought it helonging to my Service to your Lordship to give him a letter of Ibis date, thongh it will not he there so soon as tliis. The gentle¬ man hath no pretencc or business boforo your Lordship, but is willing to do your Lord¬ ship all hmnble sorvico; and therefore both for tliis resami, as also upon my blindilo request, I beseech your Lordship aliali vonchsafo to ask him of ine, 1 Rlrnll receive hononr 20 by it. And I most humbly do your Lordship reverenco. Your Lovdship’s most ohliged servant, Tohie Matthew. Bruasels, froui my lieti, thè 14th. of Aprii 1619. 1385 ** COSIMO GIUNTI a GALILEO in Bellosguardo. Firenze, 1G aprile 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. XI, car. 22. — Autografa. Molto lll. re S. r mio et P.ron Oss. Perchè io son forzato di metter insieme tutti li mia effetti, per valermene in accomodamento di mia creditori, pregilo V. S. molto Ill. re che mi faccia gratia <‘l Intendi, la tìilanoata. Cfr. Voi. I, pag. 215-220. 16 — 18 APRILE 1619. 451 [1385-1386] di farmi valere del poco credito tien la mia bottega con essoloi ; farà gratta particolare, et gliene resterò con obliglio. Et li bacio N. S. Dio la feliciti. che me ne le mani, et Di Fir., alli 16 Aprile 1619. Di V. S. molto 111. 0 io Fuori: Al molto IU. re et molto Ecc. t0 Sig. r Galileo Galilei, Sig. r Oss. n, ° In villa. Alf. mo Ser. 10 Cosimo Giunti. 1386 *. LORENZO US1MBARDI a COSIMO II, Granduca di Toscana, in Firenze. Firenze, 18 aprile 1619. Arch. di Stato in Firenze. Filza G» di Negozi oec. doll’Auditoro Lorenzo Usimbardi, car. Gir. — Autografa la firma. Per informatione. l’er r ordinario non si suole concedere le legitt.i malioni in così ampia forma come domanda il supplicante<‘>, ma solo habilitare i legittimati al cognome, a l'anno, a l’agna- tiono et alla successione no'beni del padre liberi, non livellarti nè fideeoinmissi, e talvolta con la clausola sine preiudicio vcnicntium ab intestato; et è solito anco citare et sentire quel che occorra diro alli più prossimi agnati, elio succederebbono ab intestalo. Tuttavia, trattandosi di persona così virtuosa ot di tal qualità come ò il supplicante, et di lcgitti- mationo di semplice naturale, nato di soluti dal matrimonio, e trovandosi anco qualche esempio di simili privilegii nella forma che si domanda, spediti al tempo de'Serenissimi 10 predecessori di V. Alt.**, Ella comanderà se lo vuole esaudire. Solo si potrà limitare la domanda quanto alli offizii et magistrati di Firenze, che si sogliono sempre eccettuare per concederne poi l’habilità a parte, in tempo elio si possa conoscere il merito c vedere la riuscita del legittimato. Et si potrà anco aggiugnere la clausola sine preiudicio fUiorum Icgitimorum et naluralncm, se mai il supplicante n’ havessi, il quale dice che ha un solo fratello clic gli succederebbe ab intestato, che si trova in Alemagna, e che, se fusai pre¬ sente, consentirebbe. Al tempo del’Alt. 70 Paterna si sono concesse logittimationi anco quando i fratelli o lor figliuoli hanno contradetto, quando si è trattato di legittimare semplici naturali, come si tratta al presente. Comanderà dunque quel elio sia di sua vo- luntà, ot ossequiassi. Et humilraento le bacio la mano. 90 Di casa, alli 18 d’Aprile 1619. Di V. Alt. 1 * Scr. uia <‘t Cfr. Ufi 1376. Humil.® 0 Servo Lorenzo Usi ni . 1,1 452 18 APRILE — il MAGGIO Itili». [1386-13871 Di inano di Cosimo II, Granduca di Toscana: Ita est. C. ri di mano di Curzio Picciirna: Goncedosi conio si propone, ot. in conformità bo no distenda il privilegio 11 ', quale bì mandi a 8. A. secondo il solilo. Curzio l'iuohona. 22 Aprilo Itili). 1387 *. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 11 maggio 1611». Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, 1?.* LXXXVUI, ti.® 85. -Autografa. Molto 111.»* S. r Ecc. mo Ilo fatta pausa alquante settimane di scrivere a V. 8. Eoe." 1 ' 1 , perchè pur volevo alle mie lettere aggionger il ritratto promesso. In conclusione Pammar- tellato Cavalliere :s) non vi ha voluto attendere, Iliadi hi/aria mi ha dipinte due Note 13 ’, in parangone, assai hello: una è già del tutto fornita, et è stata veduta e comcndata dal Varotari; l’altra ò a buon termine. Però, vedendolo impie¬ gato in opera molto desiderata da me, ho dato a copiare la testa già fornita al Sig. Gerolimo suo fratello, il quale ha fatto assai bene 1’ habito elio io portava in Soria, che ha alquanto del nuovo et del maestoso ; nè credo sia in tutto per spiacerle, et P Laverà questa prossima posta. Col Varotari ho fatta una buona amicitia, et già ho fatto che la sua so¬ rella (S> fornisca un ritratto di certa mia amica, die ha una faccia assai gentile. 11 S. r Gerolimo Bussano ne ha formata di quella una Diana, che può scorrerò. Ancorché non si possi sperare alcuna cosa del Bronzino, tuttavia sto curioso d’intendere che egli stia meglio et si conservi in vita, perchè panni liuoino de¬ gno di vita per sò stesso, anco quando non possi impiegarsi in servitio et so- disfattione altrui. 11 Bortolucci i " ) non comparo da alcuna parte per ricevere i denari di V. S. Ecc. m * Se io sapessi dove sta. glieli farei capitare : però m’ avisi se vuole che 111 Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVII. (*' A lkhsindko Varotari, detto il Padoaanim. <*' L* ANDRO DA PONTR. l»l CHIARA VaROTARI. i*> Cfr. u.° 1861, liti. 89. <*> Cfr. n.« 1882. 10 11—24 MAGGIO 1G19. 453 [1387-18881 so glieli rimetta costi, cliù inteso il suo conno, si faran capitar a lei o alla stanza del Bortoluzzi, quando si sapia dove stia. Intenderei volontieri se il Sig. Roberto Obizzo si trovi costì, et qual mezo si potesse tenere per rimborsarmi di 250 scudi che ho prestati cortesemente al Sig. Obizzo 0 ’ suo figliuolo per mantenir la sua compagnia di corrazze al campo, lo gli ho scritto : non ne dà risposta, fingendo, cred’ io, di non liaver ricevuto lo mio lettere. Ho fatto lavorare, per fare uno specchio, una mezza lente di diametro di una spana, del mio vetro fatto del cristallo. Non è riuscita a gran gionta della bontà, et bellezza di un’ altra, che io tengo, di buon vetro ordinario, et la spesa 30 in lavorarla è stata per il doppio, per esser riuscita questa materia dura gran¬ demente ; onde confesso esser molto sgomentato. Et per fine le baccio affettuosamente la mano. In V. a , a 11 Maggio 1619. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo Ecc. n, ° Galilei. g. s a g. Fuori: Al molt’Ill. ra Sig. r mio Oss. mo L’Ecc. ,no Sig. 1 ' Galileo Galilei. Firenze (,) . 1 388 *. GIOVANFRANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 24 maggio 1619. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVIII, n.° 86. — Autografa. Molto lll. re S. r Ecc.™ Già che il mastro che lavora alla lucerna si mostra così ritroso a lavorar alcuna cosa per conto mio, si potrà procurar di haver solo uno o due lavori delli più gentili che sappia fare, che si serberan per reliquia, et saran tenuti tanto più cari quanto maggioro è la dificoltà ad haverli. Mi duole in estremo che V. S. Eco. raa sia necessitata star di continuo con me¬ dici, pigliar medicine et rinovar purghe, le quali sicome sono abborite da, me t*» Obizzo Obizzi. Bullettine. <*> Accanto all' indirizzo si legge, di mano di Tessitore. Gai.ii.ro: Santo. Pillole ». < Maniscalco. 454 24 MAGGIO 1G19. [1388] nella mia persona, così io sento dispiacere quando per lo suo intendo, lei sem¬ pre consumarsi ne’ medicamenti. Desidero perciò che quanto prima se ne liberi, sperando clic senza quelli possi ricuperare la sanità et la sua buona ciera, la io quale, veduta da me nel suo ritrato, mi consoli, et non m’attristi. M. Girolamo, fratello del Cavalliero c,) , ha fornito di copiare il mio ritratto; ma perchè egli s’ ha voluto più tosto accostarsi ad un altro, già fatto da lui, che a quello del fratello, non ho voluto mandarlo hoggi a V. S. Ecc. m * : ma senza nessun falò lo invierò, accommodato, hoggi otto. Trattante le invio una copia delle mie lettere scritte al BerlinzonoIl copista era oltramontano, onde vi sarà alcun errore, seben spero di poco momento. Il Varotari 1 ” era qui presente quando ho ricevuto 1* ultimo di V.S. Ecc. ma Mi ha detto, esser involto in gran impedimenti, che non permettono per adesso la sua partenza per costà, et non tener a memoria quali siano li due ritratti che 20 ella desidera siano copiati dal Cl. mo Contarmi t0 , raccordandosi di un solo: però aspetta avviso da lei, por poterla quanto prima servire. Egli qui ò in assai buon credito, si fa pagar molto più del Cavai. r Bussano, et professa esser gran studioso di Titiano. Ila una sorella elio non dipinge male, et mi sono valuto di lei in fornire et vestirò certo ritratto di una assai gentil ligliuola. Discorro egli assai fondatamente della professimi sua, et mi dà sodisfattione. Il Sig. Zaccaria mio fratello, a gran fatica persuaso da me, s’ò finalmente contentato di lasciarsi ritrar in quadro cimi tota familìa. Il Cavai. Bussano, come apunto mi scrive, è ottimo per far ritratti, ma però nelle inventioni et ne’ gesti alquanto rustico. Vorrei perciò (desiderando io far far un bellissimo quadro) 30 bavere alcun huomo di spirito et ingegnoso, che l’aiutasse nella inventiono. lo penserei elio si facesse una Madonna, alla quale paresse che S. Gerardo Sagredo raccommandasse la sua famiglia, mostrando mio fratello, la moglie, sei tigli ma¬ schi, che vivono, et una femina, oltre cinque altri maschi et un’altra femina morti, che si potriano forse raprosentare come angioletti che soprastassero alli tigli vivi. I ritratti tutti vorrei fossero alla grandezza naturale, et che il quadro in altezza non eccedesse tre braccia 0 mezzo, al più quattro a cotcsta misura, clic credo cali poco dalla nostra ; et ho voluto communicar con V. S. Ecc. ma questo mio desiderio, acciò, se potesse, col suo raccordo et col mezo di alcuno di cotesti suoi pittori, mi favorisse di qualche schizzetto, non dico di testamento, come fece io il lìerlinzone, ma di un quadro. Tonirò i denari di V. S. Ecc."'* fin ad altro suo ordine, come con le sue mi scrive; e se nell’absenza del Bortolucci mi coiti mandasse alcuna (sic), procurerei servirla con ogni maggior vantaggio. Et quanto alla perdita che teme fare nella rimessa, mi occorre dirle che dal Cremonino ho ricevuti 75 scudi d’ argento, i 01 Cfr. n.o 1SS7. lin. 4-10. U' Cfr. u.° 185. t») Cfr. n.o 1387, lin. 11. O' Giovanni Contahim. 24 MAGGIO 1619. 455 [1388] quali scben se spendono in ragion di £ 8. s. 4 1’ uno, tuttavia io non sono per bo¬ nificarglieli più clic £ 7, in ragion di buona valuta, nella quale è tenuto rim¬ borsarmi per li cento ducati che in banco appariscono essere stati pigliati da me a cambio con sua commissione ; anzi pretenderò clic mi rimborsi di 62 cechini 50 di giusto peso, clic bora vogliono £ 12.8 l’uno, et in questo caso si potriano valutare li suoi scudi £ 8.4. Ma perché bora io non tratto più con lui in nome di V. S. Ecc. ma , ma in mia spedalità, havendogli scritto elio presi il cambio so¬ pra di me 1 ' 1 per sodisfarla di tutta la scritta che hebbi da lei, però non havrò ardire di andarla seco sottigliando, anzi mi sono offerto che l’interesse del cam¬ bio corri sopra di me. Ultimamente mi fece egli scrivere dal Gloriosi Mathematico che era pronto sodisfare del resto, ma che, trovandosi in strettezza, mi pregava scorrere qualche mese ; di che gli ho data buona intentionc, per non perdere la sua amicitia et acciò non mi calunniasse per troppo avido. Non scrivo all’ Obizzo (s) , perché il ressidente mi scrive da Siena che egli co era venuto al Cattaio. Scriverò a Padova, et intesa la verità gli farò capitar mie lettere. Sarà il mese venturo, tempo della maturatone del debbito del Germini. V. S. mi farà gratin fargliene motto ; et quando il denaro sia pronto, occoren- doli farò capitar 1’obligatione fattaci da lui in scrittura, onde ossa potrà rim¬ borsarsi delli denari che io tengo qui di suo conto. 11 Padre Maestro lS) sta, per gratin del Signor Dio, molto bene : la rissaluta, et aspetta con desiderio la lettone stampata che mi promette V. S. nell’ ul¬ time sue 1 * 5 . Vedo che ella indrizza le sue lettere a San Francesco: però ho giudicato bene 70 avvisarla che bora Inibito in Cà Foscari sopra il Canal grande, nella casa che fu assegnata al Re di Francia ; et sebeno liabbian fatto accordo con li SS. ,-i Fo¬ scari, cognati di mio fratello, per diecci anni, tuttavia credo che si fermaremo breve tempo, riuscendosi 1’ habitatione alquanto incommoda. Li tre anni ultimi siamo stati a S. Stino nella casa del Doge Donato, et prima in Procurata, sen- dosi partiti da S. Francesco l’anno 1611: han nondimeno sempre le sue lettere havuto ricapito, et però mai più le ho scritto in questo proposito. Doppo il lupo cerviero (5) morì anco una mia cagnola, che non ha mai voluto saltare per amor di M. Rocco Berlinzone nò do’ suoi compagni, siché sono all'atto senza bestie; onde non ho voluto rifiutare la oblatione fattami da lei di rimmet- 80 tere il cane, se ben convengo restringerla con due condittioni : la prima, che in questo negotio V. S. Ecc." ,a non si incommodi punto, né, come si suol dire, stan¬ chi gl’amici; l’altra, che io sia gratùito di cagna, et non di cane maschio, per¬ ii) Intonili, il Ducono delle Comete: cfr. Voi. VI, 39-105. l») Cfr. n.° 1382. i'i Cfr. uu.« 1295, 1301. Cfr. n.» 1387. « 3 ) Paolo Sa un. 456 24 — 2G MAGGIO 1619. [1888-1389] clìò la troppo danno sopra tapeti, tapezzarie et altri mobili. Vedo riuscir troppo lungo : però facendo line le buccio la mano. In V. ft , a 24 Maggio 1619. Di V. S. Ecc.' nn Tutto suo G. F. Sag- Fuori, d'ultra inano: Al molto Ill. ru S. r Oss. mo L’Ecc. ,no S. r Galileo Galilei. Con un rotolo di scritture, segnate (ì. G. Firenze. so 1B89. GALILEO a CURZIO P1CCIIENA in Pifln. Bellosguardo, 26 maggio ltil'J. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. V, car. 8. —Copia di uiano del aoc. XVIII, In capo alla quale si legffe, della stessa niauo : «Al Sig. r Curzio Piocbona, Seg.' 1 ® di S A. S. Pisa. 20 Mag.® 1019 >. Abbiamo qualche sospetto sull'autenticità di questa lettera. Ili. u *° Sig. r o P.rone Coll." 10 Io desideravo di scrivere a V. S. lll. n,a a lungo, avvisandogli tutti i particolari accaduti doppo la sua partita intorno alli studi, tratte¬ nimenti et altri progressi della sua dilettissima figliuola ; ma la mol¬ titudine delle cose, che tutte sarebbon di suo grandissimo gusto, è cresciuta tanto, eh’ io veramente mi sbigottisco, anzi dispero di po¬ terle più descrivere. Però ritirandomi a’ generali, ella primieramente sta con ottima sanità, dispostissima della persona, gustosa in estremo di tutti epioi modesti e lodevoli esercizii che alla vivezza del suo spi¬ rito, freschezza degli anni, ottima costituzione del corpo e nobile odu- io cazione sono proporzionati : i trastulli non impediscono gli studi nè le devozioni, nè questi gli offendono la sanità. Io la visito spesso, e più spesso lo farei s’io non temesse d’infastidirla : ho procurato di dargli qualche trattenimento di suo diletto, e credo mi sia riuscito, non per la qualità delli spassi, ma per la sua puerile età, che sa anco da minime bagattelle cavar gusto. L’invigilare acciò, traportata dalla fanciullezza, non cadesse in qualche disordinetto, m’ è stato di lunga mano preoccupato dalla providenza di M. a Maddalena : però ella in questa parte ne può vivere riposatamente. 11 ritrovarsi con gentil¬ donne non gli manca, essendone per queste ville circonvicine ; o mia 20 [1389-1300] 26 MAGGIO - 1° GIUGNO 1619. 457 sorella ò stata da me alcuni giorni por servirla, e tornerà ancora. Dell’ altra sua dimestica conversazione, non accade che io dica a V. S. chi sia la Caterina e la Cocchina, nò quanto la Sig. ra sposa ne stia sodisfatta e contenta; e al suo ritorno sentirà qualche gusto de’loro studi rusticali. In somma tutta la casa sua è un organo, tanto ben temperato di grave e d’acuto, che non vi si sente mai altro cho una soavissima armonia, la quale il Signor Dio gli perpetui. Ho fatto ’l saggio de’ piselli de’ quali V. S. IH.™ mi favorì, e sono quali ella disse per appunto, cioè eh’ egualmente si mangiano, es¬ so sendo cotti, i grani e ’l guscio. Io gli fo custodire con diligenza, acciò 1’ anno venturo no possiamo fare in maggior quantità. E questo ò quanto a gli avvisi delle ville. Le nuove della città non devon mancare in Corte; però io non gli dirò altro, se non che si va stampando il Discorso sopra le Co¬ mete e quanto prima sia finito lo manderò a V. S. Ill. ma , e per lei a loro AA. Ser. raa : alle quali con occasione la prego ad inchinarsi umilmente e a nome mio, ed a lei con ogni reverenza bacio le mani, e me gli ricordo devotissimo servitore. Di V. S. HI.™ io Da Bellosguardo, li 26 Mag.° 1619. Dev. m0 Serv. re Oblig. rao Galileo Galilei. 1390 *. CAMILLO GERMINI a GALILEO in Bellosguardo. Firenze, 1° giugno 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 74. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc."'° S. ra mio P.no Col. 1110 Non ò possibile che io mi trasferisca in villa (li V. S. Ecc. mn , poi che il tempo che io consumerei nel viaggio, troncherebbe forse il filo del mio ben incomin¬ ciato negozio. Questa sera credo assolutamente di ultimar il contratto della mia casa: et quando per lo sborso dei danari io dovessi aspettar ancor due giorni, mi risolvo di non partir domattina per la volta di Campiglia, ove son conti¬ nuamente chiamato da’ SS. ri affittii arii miei maggiori : ma quando toccherò con mano che tal mio servitio comporli nuova dilatione, mi partirò domattina, per sa XII. 458 1° — 7 GIUGNO 1019. [ 1390 - 1391 ] ragguagliar la scrittura di quegl’ edifitii e tirar a line altre cose per ben formare un bilancio : et al mio ritorno ripiglierò 1* impresa di man del mio R. ro zio, a cui io io la lascerò ; et ultimata, sodisfarò gl’ Ill. mi SS. rl Sagrali, ai quali si compiacerà V. S. Ecc.. ma scrivere che costituischino qui persona per loro SS. Hft Ill. mc interve¬ niente, alla quale mandino quella cautiono scritta ch’io lo feci in Cadore. Et col line a V. S. Ecc. ma bacio affettuosamente et reverentementc la mano. In casa di V. S. Ecc. mft . adì p. mo Giugno 1G19. Di V. S. molto 111.» et Ecc. m: ‘ Lev." 10 Sor." Camillo Germini. Fuori: Al molt* Ul. ra R. ro mio P.ne Col." 10 L’Ecc. mo S. po Galileo Galilei. Bellosguardo. SO 1391. GIOVANFRANCESCO S AG REDO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 7 giugno 1619. Blbl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. I, T. Vili, car. 70-77.— Autografa. Molto 111. 0 S. r Ecc. m0 Mi spiaco sommamente che V. S. Ecc. mft non resti compitamente servita della copia delle lettere del Berlinzono (,) che lo mandai. Mi pervenne essa copia nelle mani con occasione che, hayendo prestato un mio originale, ottimamente scritto in esquisita lettera, ad un francese amico mio, egli lo prestò all’ ambasciatore d’Inghilterra, che me lo fece richiedere poi in dono, rissoluto di non restituirlo ; onde havendomi dimostrato ritroso, fingendo non haverne altra copia, mi feci poi dare quella cho ho mandata, la quale, sondo scritta da un oltramontano, è però scorettissima. Ilo appresso di me la originale delle stesse lettere, di pugno del ribaldo Gesuita, tra le quali ho fraposta la copia delle mie ; et l’offerisco io impresto a V. S., non volendo assolutamente privarmene, tenendolo grandemente caro, per poter con quello assicurare gl’increduli delia verità dell’historia, acciò non la riputassero per favola. Principiai già un comento, nel quale volevo parti¬ colarmente raccogliere et comprobare diversi grandi et inescusabili errori di Mess. ltoco, parimente 1’ artificio dell’ auttore per condure nell’ imboscata l’in¬ gordo et rapace hipocrito; ma nelle mutationi di casa si è smarito, e temo di non rifarlo se non in capo dell’ anno grande, acciò di nuovo si perdi. Lott. 1301. 8. ««m do scrino — “> Cfr. n.« 1888, liti. 15-16. 7 GIUGNO 1610. 459 [13911 Al Varotari (,) ho latto l’ambasciata eli V. S. ” et prima clic io ricevessi lo sue lettere, feci moto del desiderio suo al S. r Contarini lv , il duale mi disse che so sapeva benissimo quali fossero li due quadri, offerendoli, sempre che il Varo tari voglia attendervi. Hor esso Vaiolali s’ cseusa di non poter andar a casa del S. 1 ' Contarini se non con grande incommodo, ondo procurerò che gli siano dati i quadri a casa. Questo pittore è in qualche credito; egli però si stima un secondo Titiano, ot si fa pagar le opere sue di gran lunga più del Cav. r Bussano, il quale in al¬ cune costellationi è molto trattabile ; ma bora si trova in grande imbarazzo per cagione della sua donna, per la quale è occorso in casa un fatto d’arme col S. r Gerolimo suo fratello. Si sono adoperati legni, sassi, pugnali, spade et arme d’aste, et sono intervenuti al conflitto servitori, mussare, puttane, li giovani pit- 30 tori, et anco certi della vicinanza : non ci son però state ferite. Si sono fatti tra loro commandamenti penali dell’Avogaria ; volevano dar querelle et far cose grande; onde la passata settimana ho liavuto fatica concluder tregua tra loro, nò vi è stato tempo da dipingere, et a fatica hoggi ho liavuto la copia del mio rittrato molto fresca, clic con qualche pericolo si potrà mandar con questo. La questione, per mio senso, c stata cagione che il fratello non ha voluto imitare per¬ fettamente l’originale del Cavalier, il quale però mi ha promesso far la testa in ramo, acciò V. S. l’liabbia di sua mano, et, come egli dico, sommigliante a me. Del Cavalier ho havuti due quadri in paragone, per mio giuditio molto belli et artificiosi. Sono ambedue rapresentanti notte (3) , con chiari et oscuri elio rcn- 40 dono molta vaghezza: li scuri non son dipinti, ma la pietra scoperta supplisce, onde non credo ohe no sia dipinta o coperta da’ colori una terza parte. L’arti- litio è grande, nò può esser fatta quest’opera se non da maestro molto sicuro, perchè il paragone, lievemente tocco da’ colori, non si lascia più nettare ; et il Varottari, tutto che si stimi grandemente, mi ha confessato esser la fattura così difficile, che non ha manco voluto mottersi alla prova. Voglio procurare fargli far alcuna cosa anco per V. S., perchè non so se costì s’usi simile fattura. Li dissegni del quadro (4) , che mi scrive havor ordinati, sono da me aspettati con desiderio, Bicorne ancora il quadretto di pietra, non potendo io rifiutar cosa che venga da lei, et per consequenza degnissima, et compenserà le docinali baga- 50 telle che sono in questo mio studio senza studente. Dalle sue lettere compi endo essere detto quadretto di certa pietra, della quale un tale, già pochi mesi, ne portò qui gran quantità, et ne vendò per vilissimi prezzi, senza che io il sapessi a tempo. Poppo, capitata in mano di gentil’ huomoni et altre persone intendenti, non ho potuto haverne della bella, ma solo di mediocre, et a prezzi essorbitan- tissimi et eccedenti la mia curiosità. Oi Cfr. n.« 1387, lin. fi. «*i Cfr. n.« 1388, lin. 21. i 3 ' Cfr. n.» 1387, lin. 4-5. <»> Cfr. n.« 1388, lin. 27 41. 460 7 — 22 GIUGNO 1019. [1391-1393] Scrivo al S. r Residente, perchè mi invii il dotto quadro, conforme l’ordine di V.S. Farò ogni inquisitione per ritrovar il Bortoluzzi (,) , et procurerò che siano com¬ prati con ogni maggior avantaggio i rasetti, et darò il denaro che bisognerà. Del Gelmini (,) , sarà bene solecitarlo : et se ha fatta, come sapevo, V investita nella casa, può ben V. S. Ecc. ,na comprendere se liabbia saputo ben far il fatto suo co mentre è stato al nostro servitio. Un’hora avanti che ricevessi le lettere di V.S. fu qui Maestro Paulo col Padre Maestro Fulgentio, et ragionassimo lungamente di lei. Sta egli curioso di vedere le lettioni che si stampano (,) , ma più ancora il suo trattato de’moti, et in niun modo vorrebbe clic ella abbandonasse V impresa. L’hora è tarda: bisogna accommodar il ritratto per consigliarlo al procac¬ cio, et però facendo fine le buccio la mano. In V. R , a 7 Giugno 1619. Di V. S. Eec." ,a Tutto suo G. F. Sag. ”0 1392. MARIO GU1DUCOI a LEOPOLDO D’AUSTRIA [in Innsbruok (?)]. Firenze, 8 giugno 1G19. Cfr. Voi. VI, pag.-ll. 1893 * GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Bellosguardo, Venezia, 22 giugno 1619. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cftinpori. Autografi, B.» I,XXXVIII, n.° 87. — Autografa. Molto 111.™ S. r Eoe." 10 Ilo ricevuto il Discorso (41 ben condittionato, et mentre principiavo a leggerlo, essendo andato a visitattione di M. Paulo et di M. Fulgentio, convenni lasciar¬ glielo. L’111. m0 Mula ha voluto ch’io prometti lasciarlo prima a lui vedere, sichè io sarò P ultimo a leggerlo. Se V. S. Ecc. ma me ne mandasse un altro, mi farà favore; ma però sarà contenta dar ordine che non sia fatto in piego, perché il porto costa s. 50, dove, fatto in rotolo, si pagherà il decimo solamente. Mi è stato detto che a Milano si sia stampato sopra la stessa cometa in modo di canata, dandosi la burla ad Aristotile c Tolomeo, fingendosi un’ assemblea (6) Gfr. n.° 1388, liti. 48. (*) AittmhU.a, ovvero Comizi aitronomiei intorno **> Camillo Germini. al/e comete. Anonimo o senza indicazione il' anno e ,8 ’ Cfr. n.° 1388, liti. 66-68. • di luogo, ma tlol P. Giovanni lino d. C. d. G., e in G> Cfr. Voi. VI, pag. 89-105. Milano, 1619. 22 — 29 GIUGNO 1619. [1393-1394] 461 io fatta in Parnaso avanti Apollo; et per questo, mi riferisce un gentil’huomo, viene difesa la opinione di Ticone. V. S. Ecc. ma forse P havrà veduta. Qui fa gran caldo, et credo il S. r Contarini essere in villa : quanto prima io lo vedi, gli farò instanza che dia li quadri a casa a copiare al Varotari (,) ; al¬ trimenti anderà la cosa in lunga, nè per bora si vederi! la fino. Ilo veduta una testa fatta di mano di cotesto Bronzino 1 * 5 , la quale panni che frappassi rii gran lunga li moderni et antiqui pittori ; onde sono venuto in un estremo desiderio di bavere alcuna cosa del suo, et pili volontieri un ritinto od altra cosa alla grandezza naturale che in forma picciola, poiché io apprezzo nella pittura la naturalità, la quale ini dà anco sodisfattione maggiore quando sia so uguale più tosto che di misura proportionata alla cosa dipinta : et quanto al prezzo, tanta ò la mia curiosità che voglio non haver cura al risparmio. Caso che non si possi haver un pezzo autentico, mi contenterò di alcuna buona copia. Ho ricevuto anco lo schizzetto, et la ringrazio, stando ad aspettare gl’ altri (3) . Credo elio V. S. Ecc. ma haverà fin hora liavuto il ritratto che le mandai l0 , et sto con desiderio attendendo il suo. Che sarà line di queste, bacciandole affettuosa¬ mente la mano. In V. R , a 22 Giugno 1619. Di V. S. Ecc. ma 30 Fuori , d'altra mano: Al molto Ill. ro S. r Oss. n, ° L’ Ecc. m0 S. r Galileo Galilei. A Bellosguardo. Firenze. Tutto suo G. F. Sag. 1394 *. GALILEO a [MAFFEO BARBERINI in Roma]. Firenze, 29 giugno 1619. Blbl. Barberlniaim in Roma. Cod. LXXIV, 25, cnr. 8. — Autografa la firma. Ill. mo e ll. mo Sig. re e P.ron Col. mo La cometa ultimamente veduta ha data occasione a molti di farci intorno discorsi, il quale effetto cagionò ella ancora in me, ancorché in tutto il tempo eh’ ella si vidde, io restassi in letto ammalato : et in particolare T Sig. r Mario Guiducci, gentiluomo di questa città e »'» Cfr. n.° 1391, lin. 18-23. <*> Cfr. n.® 1380, lin. 23. i*» Cfr. nn.< 1888, 1391. <»> Cfr. n.® 1391. 462 29 GIUGNO 1610. [1394-1805] molto litfcerato, pensò di lionorarini co ’l formarne un Discorso, o di poi in publica Accademia recitarlo et ultimamente darlo allo stampe. E perchè la benignità di V. S. Ill. ma e li. ma mi ha molto volto dato segno di gradire le cose mie, ancorché di piccolissimo merito, non ho voluto mancare di mandargliene una copia, pigliando intanto io occasiono di ricordarmegli liumilissiino servitore, siccome fo bacian¬ dogli reverentemento la veste e pregandogli dal Signore Dio il colmo di felicità. Di Firenze, li 29 di Giugno 1619. Di V. S. Ill. ma o ll. ma Dovot. mf> e Oblig. mo Ser. rn Galileo Galilei. 1395 *. GALILEO a [FEDERIGO BORROMEO in Milano]. Firenze, 29 giugno 1619. Blbl. Ambrosiana in Milano. Cod. G Par. lnf. 229, cnr. 427». — Aulogrnfn In firma. lll. mo e R. mo Sig. re e P. ron Col.™ La cometa ultimamente veduta ha data occasione a molti di farci a torno discorsi, il quale effetto cagionò ella ancora in me, ancorché tutto il tempo ch’ella si vidde, io restassi in letto ammalato: et in particolare col (sic) Sig. r Mario Guiducci, gentilhuomo di questa città e molto litterato, ponsò honorarmi co ’l formarne un Discorso, e di poi in publica Accademia recitarlo et ultimamente darlo alle stampe. E perchè la benignità di V. S. Ill. ma o R. mft mi lui molte volte dato se¬ gno di gradire le coso mie, ancorché di piccolissimo merito, non ho voluto mancare di mandargliene una copia, pigliando intanto occa- io sione di ricordarmegli liumilissiino servitore, siccome fo baciandogli reverentemente la veste e pregandogli dal Signore Dio il colmo di felicità. Di Firenze, li 29 di Giugno 1619. Di V. S. Ill. ma e R. ma Devot. mo e Oblig. mo Ser. rtì Galileo Galilei [1390-1397] 5 — 6 LUGLIO 1619. 463 io 1396. MAFFEO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Roma, {> luglio 1619. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, cur. 152. — Autografi il poscritto o la sottoscriziouo. Molto 111. S. ro Con la lettera (li V. S. delli 29 del passato (,ì non è altrimente capitato a me il Discorso nuovamente dato in luce intorno all’ apparitione dell’ ultima cometa ; e per ogni diligenza usata, si alla posta come al procaccio, non s’ ò trovato. Io lo vedrò molto volentieri, se le piacerà di supplire al mancamento per sinistro rica¬ pito, o altro accidente, con la sua cortesia; la quale si duplicherà in me con tanto più stretto vincolo, quanto maggiore stima l'accio delle cose di lei, la quale rin- gratio et me lo oftoro cordialmente, pregandole qualunque bene. Di Roma, li 5 di Luglio 1619. Di V.S., la quale io ringratio, et le resto con particolare obligatione della viva memoria che tien di me, et le corrispondo col desiderio di servirla, S. r Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111. S. ro Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1397*. ALESSANDRO IVESTE a GALILEO in Firenze. Modena, 0 luglio 1019. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 154. — Autografa la firma. 111.™ Sig.™ Stimo tanto i parti di virtuosi pari a V. S., che sono nell’ animo mio in luogo di gran tesoro; e per ciò con quanto gusto harrei letta 1’ opera sua delle cornette, Cfr. u.° 1394. 464 6 LUGLIO 1619. [1397-1398] con altrettanto dispiacere mi duolo d’haverla perduta, se pur è perduta tra via, non mi essendo con la sua lettera giunta alle mani. E perchè non vorrei provar gl* effetti delle comete in perdite di questa sorte, prego V. S. a vincer la mali¬ gnità dell’influsso col radoppiarmi i segni dell’amorevolezza sua, rimandandomi il libro, che glie ne terrò obligatione particolare. Et offerendomi prontissimo ad ogni coni modo suo, me le raccomando di cuore. Di Mod. tt , li 6 di Luglio 1619. io Al piacer suo S. r Gallileo Gallilei. Il Card.® d’Kste. Fuori : All* IH.™ Sig. ro Il S. ur Galileo Galilei. Firenze. 1398 *. GIOVANPRANOESCO SÀGUEDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 6 luglio ioni. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cntnpori. Autografi, 11.» LXXXVlli, u.® s8.— Autografe In iutestazione, la data e la sottoscrizione. Molto 111.™ S. r Ecc. rao Questa settimana ricevo tre mani di lettere di V. S. Ecc. n,a , cioè di 15, 22 e 29 del passato, et queste ancora accompagnate non so se io debba dire da un barilotto o pure da una botte di marzolini et salziotti. Non è per ancora giunta la cassetta co ’l quadretto della pittura naturale, consigliata da lei al Sig.'Hes- sidente, che però mi scrive dovermi capitare la ventura settimana. Per rispondere, non so veramente da qual capo incomminciare. Mi conosco obligato a ringrati aria del contento ricevuto da lei per la mia bona ciera, che ha veduto nel ritratto 0) che li mandai, et ancora del nobile regallo che mi ha mandato, persuasa dall’apparenza di esso ritratto; ma sicome in questo conosco io la grandezza dell’amor suo verso di me, cosi non potendo con le parole arrivar al debito segno, mi risolvo con altrettanta confidenza seco tralasciare questo uf- fitio, e tanto più, clic potendo parere, co'l diffondermi in parole, che questi novi testimonii del suo all'etto mi havessero arecata alcuna maggior certezza della af- fettione che mi porta, dubitarci di cader in concetto d’ingrato, elio non havessi da tante antiche demonstrationi una certissima scienza della qualità della nostra antica, sincera, reciproca et incorporabile amicitia : in virtù della quale convengo ammonirla di un giuditio temerario fatto da lei, che io habbia detto bugia af- “i Cfr. n.o 1393. 6—12 LUGLIO 1619. 465 [ 1398 - 1399 ] fermando che co ’l mandarmi marzoline e salciciotti mi potesse proiudicare 20 alla sanità, perchè io ho acquistata la buona ciera dal buon governo, dal quale havendo ricevuto sì grande benefitio, non debbo per niun modo scostarmi. J1 Bortoluzzi (,) fu a trovarmi, et mi ha detto in conformità di quanto V. S. Ecc. ma mi scrive : però egli et io aspettarono novi ordini da lei, e tra tanto sole- cittarò il Cremonino per quel poco resto. Ho ricevuto il secondo schizzetto, et 1’ ho posto insieme con altri per far ellettione del migliore o per comporne un misto Del Bronzino ho veduto due sole opere, le quali nella naturalezza del collo- rito avantano certamente tutte le antiche e moderne vedute sin bora da me, si come nel rimanente non ho saputo avertire nissun errore, come laccio in quelle so di ogni altro. Se sarà possibile liavcr alcuna copia di qualche sua opera, mi con¬ tento spendere ogni dinaro, et ne restarò a V. S. Ecc. ma obligatissimo. L’opinione di cotesto suo Accademico (,) sopra la cornetta mi riesce alquanto dura, et se l’autthontà di V. S. Ecc.'"“ non facesse forza al mio discorso, ardirei quasi negarla, se co ’l rileggere piò attentamente quel Discorso non mi liberassi da molti dubii. Et per non essere più longo, a V. S. Eoe."'* buccio la mano. In V. a , a 6 Luglio 1619. Di V. S. Ecc. ma Tutto suo g. f. s. Fuori : Al molto 111.™ S. r ()ss. mo 40 L’Ecc.' no S. p Galileo Galilei. Firenze. 1399. GIOVANNI CIAMPOL1 a [GALILEO in Firenze]. Roma, 12 luglio 1G19. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vili, car. 78-70. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. re e P.ron mio Col.® La settimana passata trovandomi a Frascati col S. r Card. Aldobrandino (t) , non ricevei la sua lettera; et in questa essendo stato costretto da un poco di catarro in una gamba a non passare i confini della mia camera, non la ho potuta ser¬ virò per conto del prete che vuol quella assolutone : non mancherò già quanto prima, premendo io oltre modo di servirla. Cfr. n.° 1891. <*» Cfr. nn.i 1388, 1301, 1393. XII. <*i Mario Gemutici. <*> Pietro Aldobrandini. 53 4G6 12 LUGLIO 1619. [ 1899 ] 11 S. r Mario Guiducci havova più giorni sono mandato il Discorso (n al S. r D. Virginio, lo lo lessi tutto subito con avidità; poi tornai a studiarlo con diligenza, o P ho riletto più volte, sì che bora mai poco ne manca che non lo so tutto alla mente. Di qui V. S. potrà immaginarsi quanto mi sia piaciuto. 11 medesimo ò io intervenuto al S. r D. Virginio: et a dirne il vero, quella semplice linea retta del moto cometario serve a tanto operationi, elio noi ne siamo innamorati ; o ben elio lo osservatami che si fanno intorno allo comete habbiano tanto varietà di moti, credo al certo elio dillicilmonte sia por trovarsi chi ne salvi più, e con ma¬ niera più facile, e con quella simplieità di operaro elio mi par propria della na¬ tura. Ma io, che poco intendo, posso più ammirare clic discorrerne. Quel trattato della luce c del capillitio dolio stollo mi paro che convinca, so bene qua bare¬ rebbero desiderato qualche parola di più nel provare elio P aria non si illumina nò può illustrarsi, asserendosi solamente ; perchè se bone a lei dove esser tanto noto che ci ò superflua la prova, con tutto ciò quelli che havevano bisogno di eo quel discorso, et a’ quali era ignoto questo splendore adventitio esser refrattiono nell’ occhio, seguono ancora a dubitare di questa propostone. Assolutamente il discorso ò parso mirabile, et a me miracoloso : roba nova, prò posi tioni paradosso al vulgo filosofico, probato con tanta evidenza, in chi non desterà maraviglia? Poi che ella mi domanda liberamente, le dirò bene una cosa che qua non è finita di piacere, et è quel volerla pigliare col Collegio Romano, nel quale si è fatto publicamento professione di honorar tanto V.S. 1 Giesuiti se ne tengono molto offesi, o si preparano allo risposte; e ben che in questa parto io sappia c co¬ nosca la saldezza dello sue conclusioni, con tutto ciò mi dispiace che tanto si sia diminuita in loro quella benevolenza et applauso che facevano al suo nome. so * Il S. r D. Virginio è stato costretto dalli suoi catarri a deporre gli studi poi- questo inverno; e se bene a lui ò impossibile il privamelo totalmente, con tutto ciò si è poi lasciato persuadere a non impiegarsi in fatiche particolari. Io, trovandomi a Mola questa invernata nello rovine dell’antica villa Cice¬ roniana, ho risvegliato un poco lo spirito latino, et ho fatto lunga compositiono in prosa, intorno alla quale voglio lavorare al presento per poter poi ritornare alle muse Italiane. Urania mi piacerebbe oltre modo: ma io non ho cervello da imparar molto da me, e 1’ haver sentito discorrer lei mi lui totalmente levato il gusto di parlar con altri di queste materie. Io non penso per bora venirmene a Firenze, ma V.S. facciami grntia che le lettere et i comandamenti suoi vengano -io a trovarmi a Roma, donde le fo huniilissiina reverenza questo dì 12 di Luglio 1619. Di V. S. molto lll. re et Ecc. ,nu Devot. mo et Obhlig." 10 Sor.™ G. Ciampoli. Cfr. Voi. VI, pag. 80-105. [1400-1401] 12 — 16 LUGLIO 1619. 467 1400*. GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 12 luglio 1619 Cibi. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B. a LXXXV1U, u.° 89. — Autografa. Molto 111.» S. r Eoe.'" 0 Ho ricevuto il bellissimo quadro inviatomi da V. S. Ecc. ma col mezo del S. r Res- sidento, et sicome per la relatione havuta dalle sue lettere io stavo con grande aspcttatione attendendolo, così, vedutolo, ha pienamente corrisposto iti concetto formato di lui, et tutti questi antiquarii P hanno assaltato pel più bello di quanti n’ habbino veduti. Onde quanta sia la mia obligatione verso V. S. Ecc. nm , lascio che ella stessa lo comprendi, senza clic mi estendi in parole. V. S. Ece. ma mi scrisse che mi liaverebhe provisto di alcuni pezzetti della stessa pietra, per aiutarli con colori. Non osai accettar P offerta, dubbitando es- io serie troppo molesto et abusar la sua gentilezza, c tanto più che non sapevo chi mi potesse servire nella pittura; ma essendomi capitato certo Fiamengo assai sufficiente, ho voluto mandar una sua operetta per mostra a V. S. Ecc. mu , acciò mi consigli se porta la spesa affaticarla in trovar pietre per farle dipinger a costui : protestandole però che intendo rimborsarla della spesa che farà ; altri¬ menti non occorro clic ino le mandi, perchè certamente gliele rimanderei, restando abastanza favorito di questo grande pezzo che mi ha mandato. Ilo qui intorno tutti miei nepotini, che non mi lasciano scriver ; però con¬ vengo finire, et le baccio la mano. In V. a , a 12 Luglio 1619. 20 Di V. S. Ecc. ma Tutto suo. G. F, Sag. Fuori, d’altra mano: Al molto Ill. ra S. r Hon.° L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Con un disegno tra due tavolette. Firenze. 1401*. FEDERIGO BORROMEO a GALILEO in Firenze. Milano, 10 luglio 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 15G. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. 10 Sig. ro Se bene il Discorso fatto sopra la cometa, che V. S. con la sua de’ 29 Giu¬ gno tn mi scrive d’inviare, non mi è capitato, nò tampoco ritrovatosi alla posta, U) Cfr. u.o 1395. 468 16 — 19 LUGLIO 1619. [ 1401 - 1402 ] ove si è fatto particolar diligenza, conservo ad ogni modo a lei la dovuta obli- gatione della nuova diinoatrationo che si è compiacciala in ciò darmi della molta sua cortesia verso di me, e ne la ringratio assai. Il Dottor Giggio lm mandato a V. S. il trattato eli’ella desiderava 10 . Equi resto, pregandole ogni felicità. Di Milano, a’ 16 Lug.° 1619. Di V. S. io Fuori • Al molto III.™ Sig. r0 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1402*. ALESSANDRO ORSINI a GALILEO in Firenze. Bracciano, 19 luglio 1019. Bibl. Naz. Fir. Mes. Gal., P. I, T. XIV, car. 158. — Autografa la firma. Ill. ra Sig. ra Ricevei il Discorso del SigMario Guidacci intorno alla cometa, inviatomi da V. S., e tardi ne la ringrazio, mercè delle passate gravi occupazioni, sebene tardo non fui a gradire la prontezza della sua cortesia, nè tardo sarò mai ad im¬ piegarmi per ogni soddisfazione e servizio di V. S., poiché così mi rende ella te¬ nuto con la sua gentilezza. Et intanto me lo olfero con tutto 1’ animo. Di Gracchino, li 19 di Lug.° 1619. Al pi ac. 1-6 di V. S. [S. r ] Galileo Galilei. A. Card. 1 ® Orsino. Fuori : All’ 111.™ Sig. r8 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. '*> Cfr. n.o 1404. [ 1403 ] 23 LUGLIO 1G19. 409 1403 *. GIOVANNI REMO a GIOVANNI KEPLER in Linz. Vienna, 23 luglio 1619. Blbl. dell’Osservatorio In Pulkowa. RIss. Kepleriani, Voi. F<. XI. — Autografa: il manoscritto è assai deteriorato, massime nell’orlo, o perciò di lettura mal corta. .... Galilaeus, sul) nomine Guiduccii, edidit dissertationem italicam de comefcis, dedi- catam Serenissimo nostro Leopoldo (i >, ubi varia paradoxa; sed mecum quasi convenit. Si certe seirein quod T. D. adirne Lincii maneret, ego summani ipsi transraitterem. Desiderat Galilaeus liabere librimi tuum Copernicanum < s >, quia est prohibitus etiam Florentiae, et non haberi potest, nude petiit a Serenissimo nostro cundem librum: se «nini facile habiturmn licentiam asserit. llle exagitat Apollem, improba! Aristotolicos, et impugnat eos longe aliis arguincntis usitatis: asserit motum non producere nec frigus nec calorem, sed attritionom : professoroni Mathematum Collogii Romani confutat. cura Tychone, et ipsum Tychonem accusa! quod inutiliter epheineridas et tabula» coineticas construxerit. 10 Dicit esse fallacissimum velie radicare altil.udiuem comotae ex parallaxi : dicit enini, in roalibus unicis voris et immobilibus subiectis vaierò parallaxin, sed in apparentiis, rello- x io ni bus luminosi», imaginibus et simulacris vagantibus, nullam posse parallaxin esse va- lidam vel certam ; et cometam (est onim in opinione Pytlmgorica et mecum, uti video, sed parura diversa, quod scilicet refloxio luminis @ medio roateriae cuiusdam in aethere extensae, uti vidiati in meo tractatu comotico lS) ) in elementari regione ubique sub eodem loco caeli conspici posse affirmat, ut halones, parelia, irides, rndii solis ox nubibus per mare instar gladii discurrentes, ubique iidera videntur. Dicit etiam, falsimi ot dubiura esse argutnenbum a multi pi icatione tubi in stellis sumptum; nec veruni esse absolute, vicina multimi, remota parimi, multiplicare. Vexat Roraanum Mathematicum, quod illuni posucrit 20 circa aolem Q et $, cum tamen ultra 90° devenorit : sed an non cf 9|. et R etiam in Tychone agnoscunt Q pio centro ? Tandem dicit, cometam ascendisse in linea recta et aequalia confecisse spacia linearla; refulat Tychonem in cometa 1577 propter caudam ad 9 directam. Curvitatem caudae ex refractionibus deducit. Praeterea nihil novi habet. Eclipsin huius anni non vidi: fui a Rrugk in Styria: coelum per totani noctcm nubi- losum. Secundum meum calculum, duratio l h . 1'. Commisi in Alsatia cuidam ut observaret eaudeiu, sed adhuc non babai literas. Legi tuam Ephemerida 1617 Molzhemii, et valde placuit. Certo in Q crede inibì quod haereamus adbuc forte per 2°, ex obscrvationibus meteorologicis. Quaeso aperias milii tuum iudicium de novitate illa parallactica Cablaci: ego capere non possimi .... • *) Cfr. Voi. VI, pag. 41. ephacrieam nova et aoncinniori methodo, auctiorem <*' Epitome nel fononi iac Copertiicanae, unitala additi n excmpli* ninni» generi» computationuin aetrono- fornut quiwetionumct rceponnionum corneripla, inque VII tnicurum et geographicarutn, quae integrarum praeceplio- libro » dìgeata, quorum tre» hi priore « anni de doclrina nutn vini aunt compierà. Auctoro Ioannr Kkim.kro, eco. ephaeriea. llnben, amico lector, hao prima parte, pruder Lontiis ad Danubium, excudobat Iolianuos Planciis, phyaicam accuratam explicationem motue terrae diurni anno MDCXV11I. ortuaque ex eo oireulorutu aphaerae, totani doctrinam Cfr. U.° 13C8. 470 24 — 27 LUGLIO 1619. [1404-1405] 1404 *. ANTONIO GIGGI a [GALILEO in Firenze]. Milano, 21 luglio 1619. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, II.» LXXVI, u.® 117. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Ringratio V. S. con vivo alletto della memoria elio si compiace conservare di me, suo poco utile servitore. Lo mando L’assemblea della cometa l,) . Desideriamo tutti vedere le sue grandi c mirabili coso, le quali sino hoggi non sono capitato airill. mo Padroneelio voluntieri co ne farà, parte. E di cuore le bacio lo mani. Mil., il 24 Luglio 1619. Di V. J5. molto lll. ro et Ecc.'"' 1 Oblig. mo Se.™ Ant. Giggi. 1405 * ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO in Firenze. Modena, 27 luglio 1619. Blbl. Naz. Eir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 160.— Autografa la Urina. 111.™ Sig. ro È finalmente comparsa nel nostro clima la cometa di V. S., ed ò anche bel¬ lissima nell’ horrore, perchè non ispande se non raggi di dottrina e d* ingegno, per l’acquisto, non per la perdita, del ricco tesoro della scienza. No la ringratio di cuore, et aspettando elio mi si presenti occasione di ricompensare i suoi vir¬ tuosissimi doni con effetti di prontissima volontà verso gl’interessi di V.S.,con tutto l’animo me le raccomando e le prego da Dio benedetto ogni vero bene. Di Mod. ft li 27 di Luglio 1619. v Al piacer di V. S. S. or Galileo Galilei. Il Card. 0 d’Estc. Fuori : All’ 111.™ Sig.™ Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. io Cfr. u.° 1393. <*' Fkukkiuo tiuRKouEo : cfr. u.° 1401. LUOfi] 28 LUGLIO lfi!9. 471 1406 *. FEDERICO CESI a GALILEO in Firenze. Acquasanta, 28 luglio 101‘J. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, cnr. GG.— Autografa. Molt’Ill. ro e molto Ecc. la Sig. r mio Oss." 10 Questa mia assenza ila Roma mi concedo in vero non poco di quieto c di libertà nelle conternplationi ; ma perché non sol haversi gusto compito, mi toglie gran parte della dolcezza delle tanto utili et a me care conversationi, et anco dal’haver spesso o presto nova di chi desidero o particolarmente di V. S. Hebbi finalmente la sua gratissima, e poi le copio del Discorso formato dal S. r Gui- ducci dalli pensieri e ragionamenti di V. S., quale leggerò e goderò più volte, come cosa che vien dalla dottrina sua, da me sempre ammirata. L’istesso farà qui meco il S. r Stellati, et in Roma e Napoli li altri S. ri compagni, conforme lei io m’avisa si distribuisca. Quanto alli miei stiulii, vado sollecitando il compimento d’ alcune mie fati- ghe, che poi dovranno subito correre a V.S.; e, Dio gratin, me la passo con buona sanità, insieme con tutta la famiglia, alla quale ò accresciuta un’ altra figlia femina, natami alli 20 del presente. Mi è di molta sollcvationc la compagnia del S. r Stellati nostro e mi sarà di ristoro o consolatione grande l’intender spesso nuove di V. S. c che mi commandi. Del Remo non ho inteso altro : so che ha scritto delle comete (,) , e si trova in Germania, molto favorito fra l’imperiali. Mi dispiace, la Sambuca (!> del S. r Co¬ lonna nostro non lo capitasse: procurare haverne altre et fargliele inviare. In- 20 tanto con ogni maggior alletto invio a V. S. 1’ annuo saluto, pregandoli sempre da N. S. Dio ogni contentezza e desiderando intender nuova che sia sana c fe¬ lice; o voglio credere clic liormai le indispositioni cedano alla buona cura e ri¬ medii, al che V. S. prema con ogni studio, perché restiamo consolati tutti. Bacio a V.S. di core le mani. D’Acquasparta, li 28 Luglio 1G19. Di V.S. molt’111.''° o molto Ecc. t0 Aff. m0 per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. Fuori: Al molt’ Ul. ra e molto Ecc. ,a Sig. r inio Oss."' 0 [Il] Sig. r Galileo Galilei, so Fiorenza. l'i Cfr. un.‘ 1368, 1403. <*> Cfr. u.° 1364. 472 31 LUGLIO — 3 AGOSTO 1619. [1407-1408] 1407 *. FEDERIGO BORROMEO a GALILEO in Firenze. Milano, 31 luglio 1619. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 1G‘2. — Autografa la sottoscrlzlouo. Molto 111.™ Sig.™ Ricevendo bora con la lettera di V. S. do’ 1G il Discorso sopra le Comete, elio T altra volta restò a dietro, vengo a ringratiarneln come conviene ot ad offrirmi a lei per quello eli’ io posso a suo servitio. V. S. continui ad amarmi, eh’ io ho- noro lei conforme a’suoi meriti: e le auguro per line ogni contentezza. Di Milano, 1’ ult.° di Lug." 1019. I)i V. S. Come fratello Afì'. mo S. r Galileo Galilei. F. Car. Borromeo. Fuori: Al molto 111.™ S. ro Il S. r Galileo Galilei. io Fiorenza. 1408 *. VIRGINIO CESARINI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 agosto 1619. Blbl. Naz. Fir. Mas. Osi., P. T, T. Vili, car. 80. — Autografa. Molto IH.™ Sig. r mio Oss. mo Io non voleva ringraziare V. S. del libretto mandatomi, fino che, havondolo studiato e bene inteso, non havessi potuto, insieme con il ringraziamento, pa¬ garli quel giusto tributo d’ammirationi che meritala nobiltà e novità delle pro- positioni in esso contenute; cd apunto era in procinto per risponderle, quando mi sopravenne il fiero accidente della infermità della S. r: ‘ Duchessa mia madre, che terminossi con la sua morte, per il quale io son restato sì gravemente per¬ cosso tutti questi giorni passati, che, adatto dimenticatomi d’ogni mia obliga- tione, quasi con il troppo allligcrmi m’era ancora scordato di me stesso. Quanto prima ho potuto sollevarmi ed applicar 1’ animo infermo altrove, subito ho preso io la penna per ringraziarla, come faccio, della stima che si degna far di me invian¬ domi le sue fatiche ; le quali s’ ella vuol mandare ove siano con infinito stupore lette, so di certo che in altro luogo non puole indirizzarle ove più a pieno con- 3 — 6 AGOSTO 1619. 4-73 [1408-1409] seguisca il suo intento, perchè dal S. r Ciani poli e da ine ad alcuno non si cede nella riverenza del suo nome. Sono d’ambedue noi ben bene studiate; e dal medemo S. r Gioanni V. S. havrà inteso quel clic occorre circa essa lettione 0 ’ : però io non le soggiungo altro; solo rassicuro che in cotesta città, appresso le persone di maggiore autorità, ella e la sua dottrina che ha publicata mi ha et haverà per difensore, quanto si deve da un scolare affettionato. So che questa 20 protettione più aggiunge a me d’ornamento che a V. S. di sicurezza; coutilttociò, perchè è segnale del mio ossequio, la voglio professare in questa lettera, persua¬ dendomi che la cortesia di V. S. non giudicherà il titillo, che mi arrogo, superbo, ina parto (?) di bona volontà. Et per line a V. S. bacio affettuosamente le mani. Di Roma, il dì 3 d’Agosto 1019. Di V. S. molto 111.® Ser. ro Afl>° Virginio Cesari ni. Fuori: Al molto Ill. re S. r mio Oss. mo Il S. 0, ‘ Galileo Galilei, a Firenze. 1409 * FRANCESCO STELLO TI a GALILEO in Firenze. Acquasparta, G agosto 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 6S. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r P.ron mio Oss. mo Ho con molto mio gusto letto il Discorso del S. r Guiducci intorno alle co¬ mete, mandatomi da V. S., poiché non solo ho gustato quanto in esso vi è sopra detta materia, ma anco quelle buone cose che vi sono di filosofia e di prospet¬ tiva, conoscendosi chiaramente che tutti son pensieri di V. S. Hieri fu mandato al S. r Fabri et al Sig. r Colonna, come lei ha ordinato; il qual Colonna ancor lui l’aspettava con desiderio, havendo scritto più volte se sopra questa materia di comete vi era fuori alcun trattato di V. S. Nc vanno molti in volta stampati, et uno in particolare del Keplero (,) , ma in Roma non è capitato, che si sappia; io et quel del Remo <:,) forse V. S. T haverà visto. Il S. r Fabri non ci dà troppo buone nuove del S. r D. Virginio Cesarmi et del S. r Ciampoli, standosene bora l’uno e l’altro con poca sanità. Aspettiamo "i Cfr. li.» 1399. Apergeri, sumptibus Sebastiani Mylii, bibliopolae !*> De Cornuti*, libelli tres, ecc. Autore Joan.ve Augastani, MDCX1X. ìCrpi.ero, ecc. Augusta© Vindolicorum, typis Andreae ,s > Cfr. n.» 1417, lin. 11. XIL GO 474 6 — 8 AGOSTO 1G19. [1409-1410] sentirò il contrario di V. S. Altro non mi resta a dirle, so non elio al S. r Prin¬ cipe alli 20 del passato nacque la seconda figlia femina. Et perchè homai siamo vicini al tempo annuo del nostro instituto Linceo, vengo perciò a pregarle dal Cielo tutti gl’ anni seguenti di sua vita felicissimi et pieni d’ ogni sanità, desi¬ derata, acciò possa con più quieto et con maggior forze li suoi Bludii proseguire. Et % per fine ricordandomele servitore, lo bacio le mani. Di Acquasp. u , li 6 di Agosto 1619. Di V. S. molto Il!. r * ot Ecc. mn Ser. r AfT. mo 20 Frane.® Ste 11 uti. Fuori: Al molto Ill. r# et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,no [II] Sig.*' Galileo Galilei. Fiorenza. 1410. GIO. BATTISTA BALIANI a GALILEO in Firenze. Genova, 8 agosto 1019. Blbl. Naz. Flr. Mas. (lai., P. VI, T. X, car. 70-73. — Autografa la sottoscrizione. Sui margini doli'originalo (Jalimco scrisse di sua mano duo postille elio riproduciamo appiè di pagina, richiamandolo ai luoghi ai quali si riferiscono. Molto lll. ro et Eccell. mo mio Big. r0 Osser." 10 Mi ò capitato allo mani un Discorso dello Comete del Big.»- Mario Guiducci (l) , o veduto clie contiene dottrina di V.S., l’ho letto con grande avidità; il quale mi ha dato occasione d* alcuni dubii, elio se non glie li proponessi per haverne la solutione, mi parrebbe di privar me stesso di quelle gratie clic tal bora ò stata solita, per sua gentilezza, di concedermi. Parlerò senz’altro ordine, fuori che quello che mi porgerà l’istcssa lettura del libro. Et incominciando, dico che mi pare bellissima l’esperienza accennata a fog. 10 l,) del vaso concavo rotondo, che velocemente giri intorno al suo centro, in cui l’aria contenuta rimane quieta, come per la fiammella della candela accesa, che non 10 si piega, si conosce chiaramente; da che si conosce Perror di coloro che vo¬ gliono che non solo il fuoco, che pongono nel concavo della luna, ma l’aria etiam- dio, si muova col moto del cielo. Mi pare sottilissimo il discorso, pure cominciato a fog. 10 (,) del caldo gene¬ rato dal moto; intorno a che dico, stimare fondatissima la suoa sentenza, dove crede che qualunche cosa mossa velocemente per l’aria non si riscaldi : anzi mi **> Cfr. Voi. VI, pag. 85 e sog. Cfr. Voi. VI, pag. 53. I 8 ' Cfr. Voi. VI, pag. 54. 8 AGOSTO 1619. 475 [ 1410 ] sono meravigliato di qualche istorici, ma più di Giusto Lipsio che lo confermi nel suo trattato della Militia Romana (l) , dove dicono elio le palle di piombo tirato da’ fiondatoli romani, por la gran velocità riscaldate si struggeano. Tengo donque •‘io per cosa certissima, che non dalla velocità del moto, ma dallo stroppicciamonto di duo corpi insieme se ne produca il calore. È ben il vero ch’io non ho ben potuto capire la suoa opinione, posta a fog. 13 (,) , come si senta il caldo; nè posso intendere in che modo quelle sottilissime parti del corpo sminuzzato, pe¬ netrando nella nostra carne, si facciano sentire soavemente se sono tarde, con dolore se violenti ; perchè vediamo pure, oltre il dolore che produce in noi sì latta dissolution de parti, produco anche nel corpo che si dissolve quella cosa che dimandiamo fuoco, sia ella sostanza o accidente: del che bisognarebbe pure addurne la cagione, e dimostrare in che modo la detta dissolutione vien prodotta. Et ò da notare che se i legni, la cera e l’oli scaldando si consumano, si dis¬ so solvono in vapori, cioè a dire in parti molto diverse da quelle ne’quali ò da cre¬ dere che V. S. presupponga clic si dissolvano i ferramenti et altri corpi duri con il fregarsi insieme [*]. Io non mancherò di dire d’bavere sempre stimato che la sensatione del caldo e del freddo si faccia, perchè per esso gli spirti animali, immediato stromento di qualonchc sensatione, a guisa di tutti gli altri corpi lluidisi rarcfacciano o condensino; e che dal fregamento di due corpi si generi caldo, perchè due corpi insieme arrotati assotiglino in modo l’aria che è fra loro, che la facciano più esposta all’ ingiurie del calor celeste, il quale è in qua- lunche parte dell’universo et a cui tutti gli altri corpi, e l’aria stessa, per haver qualche densità, fa resistenza tale che non nè può ricevere notabile nocumento, do Quindi ne nasce che due vetri o due diamanti, per istropicciarsi fra loro, non si riscaldano, perchè comprendono troppo poca aria. So che V. S. già bavera [*] Noi Laviamo 1000 sorti di fluidi conio acqua, 1000 di solidi come terra, 1000 come 1’ aria, sicome ci mostrano, non che altro, le evaporazioni di 1000 odori; e perchè non 1000 come il fuoco? sì che il calore che noi sentiamo provenga non dalla sostanza, ma dalla figura, grandeza e moto del corpo dissoluto in parti minime? Per ferire e bucar la carne, non è necessario che ’l coltello sia più di ac¬ ciaio che di rame, di pietra, d’ osso o di rovere ; basta che sia acuto e tagliente : e così, che i minimi ne i quali si dissolve la cera sieno 50 di sostanza diversi da quelli ne’ quali si dissolve ’l ferro, poco importa per generare in noi il caldo, pur che amendui si dissolvino in parti sottilissime, acute o mobili, cioè atte a penetrar per i nostri pori. O» Iusti Tiii'Sii De militia romana libri quinque, M. 1). XCVI. coinmontarius ad I’olybium. Antvorpiao, ex officina 4,1 Gfr. Voi. Vi, png. 56. riaiiliiiiaiia, apud vidimi» et Ioamioui Moroluui, 476 8 AGOSTO 1619. [ 1410 ] considerato che duo corpi duri non si toccano per lo più fuorichò por ponti : perché so si vuol dire elio duo superficie di due corpi duri si toccano continuatamente, io dico o elio una di loro ò piana, o no ; se il primo, non si possono toccare che l’altra non sia anche perfettamente piana; se il secondo, o elio una è convessa, o no : se ninna di loro è convessa, è cosa chiara che due superficie concave non si possono toccare insieme ; ma se una è convessa e V altra è parimente convessa, non si possono toccare fuorichò in un punto : in modo tale che ò forza ohe di queste due superficie una sia concava, l’altra convessa. Ma ciò non basta, per- co chò bisogna che la convessità dell’ una sia totalmente simile alla concavità, del- 1’altra, perchè altamente si toccherano in un ponto. Donque ne segue quel che ho proposto da principio, elio le superficie do’ corpi duri per lo più si toccano per ponti, perchè questo segue ogni volta che le dette due superficie non sono overo ambidue perfettamente piane, overo una concava c l’altra convessa, o che la concavità dell’una non sia totalmente simile alla convessità dell’altra, o che queste tali superficie sieno opposte per a ponto l'una all’ incontro dell’ altra ; lo quali cose quanto di rado possano succedere, lo lascio giudicare a chi è atto a penetrare il vero, come è V. 8. Nò mi si dica elio queste ragioni militano in duo superficie grandi, le quali tutte non si toccheranno insieme, ma ben si tocche- "0 ranno le particelle dell’ una superficie con quello dell’ altra ; perchè non sennino due particelle di superficie tanto piccole, che havendosi a toccaro non militino in loro P istesse difficoltà. Quindi ò eh’ io ho detto che i vetri et diamanti com¬ prendono poca aria nello stroppicciamento che fanno fra loro, come quei che si toccano in soli ponti. Per quello che apertiene alle sottili sue conódarationi intorno alla materia, luogo e movimento della cometa, dico, che presupposta per verissima la suoa bella consideratione a fog. 18 u) , che la paralasse non opera no gli oggetti ap¬ parenti e non reali, il ponto consiste in vedere se la cometa sia una di quelle indagini vaganti nelle quali non ha luogo la paralasse. Non sarei già così facile M a concedere ciò che si propone a fog. 20cioè che quei raggi di sole che escono da qualche rottura di nugole, et indi si vanno dilongando sempre più larghi e men luminosi, siano di sì fatta sorte; perché io credo che questi non più siano immobili di quelli clic tal bora entrano per una finestra d’ una stanza per altro oscura, clic illuminano solo quella parte dell’aria che a loro si oppone; da loro solo differenti, in quanto che questi della finestra provengono immediatamente dal sole, dove che quei delle rotture delle nugolo non dal sole immediatamente, ma da lume del sole, che si rifletta da altre nuvole, vongon prodotti, e per venir dall’oggetto mediato vicino si vanno in quella guisa dilatando; in quel modo a Iiett. 1410. 87. nugole noi dal — <*> Cfr. Voi. VI, pag. 65. <*' Cfr. Voi. VI, pag. 07. 8 AGOSTO 1610. 4 77 [ 1410 ] M punto che farebbe il lume d’una candela non molto lontana da una finestra che per aventura fusse due o tre palmi in quadro, che, da essa uscendo, si elide¬ rebbe slargando tuttavia. Non ho già dubbio eh’ all* incontro non sia oggetto mobile la striscia luminosa che si fa nel mare, di cui si fa mentione all’istesso log. 20 (1) , e che Pistesso non avenisse se una superficie simile a quella del mare fusse elevata in alto, et il sole sotto l’orizonte, come si dice a fog. 21 (5) . Però è ben il vero che non so vedere come di qui si possa trare che cosa sia la cometa, posciachè sì fatta striscia è sempre neccessariamente per linea diritta fra il sole o gl’ occhi nostri, perché P onde del mare sono in quel caso a guisa di tanti specchi ohe ci rappresentano il sole; e sì come se sopra un gran piano si ponesse ìoo una grandissima quantità di specchi, però irregolari di quella sorte d* irrego¬ larità che hanno P onde sudette, rappreseliterebbono P imagine del sole solamente quei specchi che fossero nel mezzo tra il solo et il riguardante, facendo una striscia nel modo che fa il mare nel caso proposto, così similmente, per non esser Pondo del mare, come s’è detto, altro nel detto caso che una gran quan¬ tità di detti specchi, è forza che parimente la facciano per linea che sia fra il sole e’ riguardanti. La cometa non solo non ha la coda per dirito fra noi et il sole, ma nò anche essa, se non è per accidente, è fra noi et il sole; non può adonquo esser formata in cotal modo, come è la sudetta striscia nel mare. Mi piacerebbe fuor di misura la sottile consideratine, cominciata a fog. 36 l3) , no del moto della cometa ali’in su per linea retta, so non mi desse noia la dubi¬ tatine fattale contra a fog. 44 (l, t che doverebbe sempre cambiare verso il nostro zenit, la quale poi non si scioglie ; oltre clic non so vedere come si possa sal¬ vare il tanto gran moto da lei fatto ; posciachè P arco AE della figura a fog. 41 l8) ovcro è piccolo, o molto grande ; se piccolo, la cometa nel ponto S doveva esser molto presso alla terra, o perciò molto vicino a noi, e perciò la cometa si doveva molto diminuire inalzandosi, più di quel che pareva che facesse ; se P arco AE all’incontro è molto grande, ò gran cosa che la cometa liabbia potuto inalzarsi tanto, che P angolo FAS sia mai potuto esser tanto grande quanto ò quello del- l’arco che apparentemente ha fatto la cometa. Io non so vedere che difficoltà 120 sia in dire che la cometa è un corpo generato di quell’ istessa materia che i pia¬ neti, ma non così ben conglutinata insieme, e perciò facile a dissolversi ; nò so vedere che difficoltà possa essere che Chi produsse quelli nel principio del mondo, perchè così Li piacque, non possa andar producendo dell’altri, ora di maggior durata, come la stella che è nel petto del Cigno, hora di minore, quali sono le comete, le quali si vadano dissolvendo perchè, per esser la materia loro men soda, sia loro fatta maggior resistenza dall’ ambiente. Similmente non so vedere m Cfr. Voi. VI, pftg. fi!). <*' Cfr. Voi. VI, pag. 69. <*> CIV. Voi. VI, pag. 815. <*> Cfr. Voi. VI, pag. 98. (*) Cfr. Voi. VI, pag. 95. 478 8 AGOSTO 1619. [ 1410 ] clic difficoltà, sia il diro clic Chi diede il moto regolare a’ pianeti lo habbia dato alla cometa [**], e elio 1* andare ritardando di essa noi suo moto possa proce¬ dere ovcro perchè il circolo del suo viaggio sia a noi eccentrico, ovoro perchè, per la ragion sudetta, quanto più essa si va dissolvendo e rarofacendo, tanto mag- iso gior resistenza lo venga fatta dall* ambiento. In quanto alla coda, 1’ essor sempre opposta al sole, mi par pure che troppo chiaro ci dia a divedere eli’ossa non sia altro che i raggi del sole che per lo corpo della cometa siano trappassati, il elio a’ pianeti non adviene per la opa¬ cità loro. Il dubbio mi pare, in questo fatto, elio sia ondo avenga che si vedano i raggi che hanno trapassato per la cometa, e gl’altri no. lo crederei ciò ave- nire, prima perchè i raggi si tingono facilmente del colore do i corpi per li quali passano, il che si conosce da quei elio passano per diversi vetri di varii colori ; 2°, perchè tanto più si fanno sensibili, quanto che son tinti di color più chiaro, cioè più bianco. Presupposto questo, non ha dubbio che la notte si riflettono no raggi del sole dalle vario parti dell’ ampia materia elio occupa la immensità del ciclo; ma poco ci si fanno sensibili, perchè, oltre la rarità d'essa materia, non vengono essi tinti di color alcuno; dovo quei di’bau passato per la cometa, e del colore bianco di essa si son colorati o divenutine bianchi, ci si rendono sensibili. La detta coda si va sempre slargando, perchè i dotti raggi non tutti passano pol¬ lo detto corpo della cometa diretti, ma molti di essi ritratti; e perchè tal bora più so ne rifrangono da una parto della cometa che dall’altra, per la varia diafaneità di essa in dotto suo parti, perciò tal hora paro elio detta suoa coda sia torta. E questo è quello che, per modo di dubitare, ho voluto accennare a V. S. in sì fatta materia, per sottoporlo al suo retto giuditio, certissimo clic, con quella ì&u sincerità elio le ò propria, me ne dirà liberamente il suo parere ; pregandola ad iscusarmi so il sapere di parlare con persona di tanto intendimento mi ha fatto tal hora esser troppo brieve. Desidererei sommamente sapere l’opinione di V.S. del flusso del mare: alla quale per fine bacio lo mani o priego dal Signore ogni contento. Di Genova, alli 8 di Agosto 1619. Di V. S. molto IH.”* et Ecc. l,m Ser. tor AfT. mo Gio. B.» Baliani. Fuori : Al molto Ill. r0 et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 160 [**] I* 1 tutte queste proposizioni non cado difficultà veruna; anzi quando quello elio ho detto io, repugnasse a questo, bisognerebbe re¬ putarlo non solamente por falso, ma per eretico. Dico pertanto elio non solamente tutte questo cose si posson dire, ma che questo è il più facile, semplice e spedito modo di risolver questi e qual si sieno altri più difficili problemi. [ 1411 - 1412 ] 8—10 AGOSTO 1G19. 479 1411 * FABIO COLONNA a GALILEO in Firenze Napoli, 8 agoflto 1G19. Blbl. Naz. T'ir. Mks. fini., P. I, T. Vili, cnr. 82. — Autografa. Molt’ 111. 0 et Ecc. mo Sig. r P.nc Oss. mo Ilo sempre dimandato a’ compagni nuova della sua salute: bora è tempo che con questa la pregili che lei si compiaccia farmene parte, poiché, essendo lei cosi degna di honorarsi et di esserli desiderata salute et lunga vita per le sue virtù eccelse, da ine in particolare ò venerata et amata, non solo come compagno del consesso Linceo, ma come particolar mio padrone. La prego dunque a favorirme di tal gratia, tanto più che in questi tempi siamo obligati far congratulatione nel’anniversario della nostra Institutione ; et io con questa similmente auguro a V. S. questo et mille anni altri felicissimi et con salute, acciò della sua per- io sona se lionori il nostro consesso et possi anco mandar fuori dell’altro recondi¬ tissime sue osservationi, da’ quali il mondo viene istrutto. Piaccia al sommo Iddio così concedere a V. S. come le desio ; et finendo, le basio le mani. Di Napoli, li 8 de Agosto 1619. Di V. S. molt’ 111. 0 et Kcc. ,1,a Aff. m0 Ser.™ S. Galileo. Fabio Colonna Linceo. Fuori: Al molt* 111.” et Ecc. ,no Sig. r mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Galilei Linceo. Fiorenza. 1412 *. GIOVANFRANCESOO SAGREDO n GALILEO in Firenze. Venezia, 10 agosto 1619. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B. u LXXXVI11, n.° 90. — Autografa. Molto 111” S. r Ecc. mo Doppo la ricevuta dell'«squisitissimo quadro mandatomi da V. S.Ecc. ma , io le scrissi la ricevuta (,) , accennandole in parte la mia grandissima obligatione, et insieme le inviai una piccola pietra, macinata dalla natura et aiutata dall arte con alcuni colori et figurine. Iior, non vedendo comparire alcun altro avviso di in Cfr. u.° 1400. 480 10 AGOSTO 1619. [1412] Irti, resto grandemente ammartellato della sua buona salute ; et seben il martello è temperato da grande speranza che alcun altro accidente m’habbia impedito l’intender di lei, tuttavia la prego consolarmi con le suo lettere, giachè per lungo tempo mi ha mal usato ad haverne (piasi ogni settimana. Il Cremonino, come panni haverla raguagliato con altre, mi fece capitare io altri dieci scudi d’argento di peso, et mi scrive in breve dover contar il resto, elio sono altri otto scudi, si elio sarun in tutto novantatre. Quando egli habbia effettuata questa sua promessa, lo avviserò subito a V. S. F.cc. B,n , la quale mi farà, gratia a quel tempo scrivergli una lettera di quitanza, in modo però che egli possi credere elio ella sia stata sodisfatta molto prima da me col mio proprio denaro, et questo perchè io P ho astretto a pagarmi tingendo haver pigliato a cambio a questo effetto cento ducati per conto di lui ; perchè altrimenti, quando havessc egli creduto che P interesse fosse stato di V. S. Kcc. m * t certamente egli non havrebbo dato un quattrino, doppo che con inganno usurpò la scritta al¬ l’agente del Mersi 10 , al fondamento della quale egli si credeva essere appoggiate 20 tutte le ragioni di V. S. Ecc. ma ; ma sendomi valuto di una sua procura vecchia, et con quella havendo fatta passai* per banco publico una partita di cambio, vide non poter fuggir il pagamento, nè restarvi altro scampo, per ristorarsi, che l’astrin¬ ger me in giuditio a render conto di quel danaro: impresa che. giudicata da lui altrettanto ingiusta quanto difficile, lo fece risolvere a ricorrere, alle preghiere per bavere qualche commodità. Al Bortoluzzi diedi dieci scudi d’ argento per conto di lei, et credo che le ne liaverà dato avviso. È passato il tempo dell’ obligo del Gelmini: perciò mi farebbe gratia farsi esborsar il denaro costi, et rimborsandosi di ottantatre scudi d’argento per li so denari riscossi dal sndetto Cremonino, far poi rimetter il resto di (pia. I Luna di Murano lr) dovevano, avanti la loro partenza per costò, venir a trovarmi, perchè volevo mostrargli diverse bagatelle et dargliele per portar costi: ma ciò si farò alla venuta del Varotari qui presente, il quale dice certamente voler essere presto con lei. Questa giornata mi è stata rubbata da diversi che son venuti a trovarmi; però faccio lino, et le baccio la mano. In V. 1 *, a 10 Agosto 1019. Di V. S. Ecc. ,ua G. Frane. Sag. 40 Fuori, d'altra mano: Al molt’ III.™ Sig. r mio L’Kcc." 10 Sig. Galileo Galilei. Firenze. Cfr. nn.» 1-295, 1299, 1300. <*> Cfr. o.® 1853- [1413-1414] 13 — 1G AGOSTO 1619. 481 10 1413*. GIOVANNI REMO a GIOVANNI KEPLER in Linz. Vienna, 13 agosto 1019. Bibl. dell’Osservatorio In Pulkowa. Mss. Kepleriani, Voi. !.. XI. — Autografa. -Epitome rocta cnm literis Ser. mI t s ) ad Galileo in quainprimnm porferetur; neo alio modo, ut credo, prohibitus erit iste liber, quaiu qnod contea diploma S. Officii, auto biennium affixum (3) , loquatur. In causa erat quidam religiosità Neapolitanus^J, qui italico .spargobat in vulgns liane opinionein publico scripto, undo puriculosae consequentiao ot opiniones nascebantur: tum Galilons etiain nìmis rigoroso causam snani pertractabat eodem tempore Roniae. Eodem modo et Coperuicus correctus ost {ll) , saltom in p.° primi libri per aliquot lineas. Possimi tainen iidem, ot. hic quoque liber (liti puto), Epitome scilicet, legi cum licentia a doctis et peritis in Ime arte Renino et per totani Italiani..,. 1414*. GARI-O MUTI a GALILEO in Firenze. Roma, 1G agosto 1G19. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cnuipori. Autografi, B.» LXXX1, ».« 17G. — Autografe la sottoscriziono o lo liii. I3-1G. Molto Ul. pa Sig. ro Ilo fin qui con particolar desiderio aspettato, ma indarno, il Discorso, che scriveva V. S. di havermi mandato intorno alle comete. Alla voglia ha supplito la curiosità, con la quale io ine no sono procacciato uno d’altra parte. Non 1’ ho ancor letto ; ma son certo clic nella sottigliezza delle cose e nella varietà anche liabbia a corrispondere allo ’ngegno non meno che al giuditio dell’ autore. Rendo intanto gratie a V. S. della memoria che tien di me, assicurandola eli’ io merito questo alletto per la stima che sempre io ho fatto e lo tuttavia della sua per¬ sona. E con ciò le bacio le mani. Di Roma, a’ 16 di Agosto 1G19. Di V. S. molto 111.™ Aff. m0 di core Carlo Muti. Io son stato fori di Roma un poco, et ho aspettato il trattato della cometa per rispondere poi alla cortesissima sua. Me n’è capitato uno nelle mani, quale ambirò studiando e godendo. Mi piace si dia occasione a’ Padri Gesuiti di scri¬ vere, per liaver copia di dottrina. Fuori : Al molto lll. re Sig. r0 11 Sig. v Galileo Galilei. » Firenze. (I) Cfr. 11.® 1403, lin. 4. (t ' Paolo Antonio Foscarini. (*i Leopoldo d’Austria. Cfr. Voi. XIX, png. 400, Doc. XXIV, c, 1). <*) Cfr. Voi. XfX, pag. 323, Doc. XXIV, b, 18). X1T. CI 482 1G - 17 AGOSTO 1019. [1415-1416] 1415. RICCARDO WIIITE a (GALILEO in Firenze]. Londra, 1G agosto (1019|. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 7. — Autografa. Molto Illustre Sig. ro Se bene la lingua non mi basta di far la vera espressione della mia aflet- tione verso di lei, non mi manca però il cuore di salutarlo et ricognoBcere i molti favori che io, essendo in Firen/.e, ho riccuto da V. S. ; et però non poteva passar questa occasione senza pagar quel mio debito, pregandolo di scusar lo imperfet- tione del mio scrivere o del fastidio che io l’ho dato con essa. Mi rallegro molto di sentir la nuova della sanità di V. S. et del stampar del suo libro' 1 ’, il qualo io ho grandissimo desiderio di vedere, sperando di vedorlo fra pochi giorni, essendomi avvisato che sta qui in Londra in mani di un Sig/Deoduti'-, il quale non mancherò di far ogni diligenza di trovarlo. Prego V. S. di bacciar le io mani al Padre Don Benedetto in nome mio, quando V. S. lo vedrà o haverà occa¬ sione di scriver a lui: et cosi, preghandolo ogni felicità, gli buccio le mani, et resto Di V. S*» Londra, il 6 l ° Augusti stilo vctcri. Servitore affettionatissimo Ricardo Bianchi. 1416. GIOVANNI BARTOLUZZI a GALILEO in Firenze. Venezia, 17 agosto 1019. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vili, car. 81-85. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. r mio Oss. mo Ilo inteso con mio dispiacere che quei ultimi vedri che le mandai non siano riusiti buoni, et di ciò me ne ho doluto con il Razzi 13 ’, dicendogli che, oltre il disturbo et spesa che si fa nel mandarli costà, resto ancor io burlato, poiché, prestando io fede alle sue parole, ho preso ardire di scriver a V. S. molto 111.™ che quei fusero stupendi, et pur con verità resto bugiardo. Questo homazzo però sostenta la sua openione, dicendomi che quelli erano bonissimi, et riusendo a lei all’incontrario, va perciò dubitando che per viaggio o vero costà qualcheduno gl’li abbia combiniti, cosa ch’io non lo voglio credere; et pertanto mi saria di gusto che V. S. mandasse quelli quanto prima, nciò possi disganare questo urne- io atro, et massime perchè lui me disse che conosserà quelli senza falò. rn Gfr. n.° 1884 •*' Elia Diodati, o> Giacomo Dacci. 17 AGOSTO 1619. 483 [U161 Già quatro settimane, e perchè così lei mi comandò, et perchè all’ hora ine ritrovavo in qualche bisogno de quatrini rispeto alle buone venture che de quando in quando mi corrono dietro, me ne andai, dico, dall’ Ill. mo S. r Gio. Francesco Sagredo, perchè si compiacese darmi alquanti pochi dinari che già, come lei die saper benissimo, che ho speso del mio, come la vedrà dal qui occluso conto. Quel Signore però, contra ogni mio volere, me ha voluto dare sino dieci ducatoni, cioè £ 82 delle nostre, dicendomi che tanti appunto ne i conti di lei ne liaveva de rotti, et che per tanto me comanda a dover tuoi* questi. 11 resto però de quelli so sarà da me conservati per impiegarli in quello che lei si compiacerà comandarmi, o in marcanzia o vero in robbe per la nostra cara Madre Suor Maria Celeste l,) , la qual tanto bramo di vederla : et se in questo suo bisogno de ubidienza lei mi conose buono di poterla favorire do qui in qualche cosa, sapi V. S. che io desi¬ dero d’impiegarmi in suo servitio ; et in sto tanto continuerò a pregar Dio be¬ nedetto che doni forze et aiuto tale a quella povera figliuola (la qual veramente in questa sua convalesenza non haveva bisogno di questo aiuto), acciò possi far buon prenci pio et meglior fine in questo suo caricho. Della mia venuta costà non posso scoprire sinhora il quando potrò partirmi ; lo saprò però alla più lunga a mezzo il foturo mese, so verissimo quello che V. S. mi scrive, che la nipote che fu del q. S. r Acqua Pendente sia acasata in tun germano de sangue del Cl.'"° mio padrone (>> , con una dotte che passa di gran lunga a ^ ducenti. Nè mi restando che aggiongerli, lenisco col baciarli le mani et con il far le solite mi raccomandationi. Di Ven*, adì 17 Agosto 1619. Di V. S. molto 111.“ Se. ro Affetuosa.” 10 et Cordialiss." 10 Al S. r Galileo. Giovanni Bortolucci. 1618, adì 8 Ott.° Per tanti contadi de suo or- 40 dine a M. ro Giacomo Bazzi, d.4. £ 24.16 23 fibre, per contadi de suo ordine a M. ro Antonio dal S. r Lo¬ renzo .£ 12. 8 21 Feb.°, contadi a M. ro An¬ tonio sudetto.£ 10. — 13 Ap. 1 ”, contadi al Bazzi per pera tre de occhiali. £ 3. — £ 50.4 1618, adì 28 Luglio. All’ incontro deve bavere per resto de conto vecchio.£ 6. 14 1619, adì 20 Luglio, per tanti mi contò l’111." 1 " S. r Gio. France¬ sco Sagredo.£ 82. — £ 88.14 batto £ 50. 4 resto £ 38. 10 Fuori: Al molto 111.” Sig. r mio Oss."" 1 50 11 S. r Galileo Galilei. Firenza. I,ett. 1416. 39. Per tanti condati de — <*) Vi KOI.NI A GaUUSI. Della famiglia Dor.m. 484 24 AGOSTO 1619. [1417] 1417 *. GIOVANNI REMO n [GALILEO in Firenze]. Vienna, 24 agosto 1619. Bibl. Naa. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, cm. 74-76. — Autografa In sottoscrizione. Molt* Ill.« et Ecc. m0 Sig.™ Già due lettore ha ricevute la S. A. S. <0 da V. S. in materia della cometa: nella prima, scusandosi elio non Labbia risposto allo mio per causa della sua indisposi ti one, ot che il mio compendio overo parafraso (,) era troppo succinta et abbreviata, et anco oscura per difietto del carattere ; nell’ altra, che pur gli pia¬ ceva il mio pensiero, so però non mi turbassero alcuno ragioni le quali son toc¬ che nel Discorso suo dedicato a S. A., la quale l’ha accettato con gran gusto et sodisfattione ; et come veramente stima V. S. per persona clic lo merita, sempre fa honoritìca mentionc di lei. Io pur credo che V.S., overo per mezo dell’ Ecc. mo Sig. ro Principe Cesio, o vero per mezo del S. r Fabro, Lincei, Labbia Lavato il mio io trattato intiero della cometa (,) , benché fu stampato in Todcsco in Inszprugg, et anco in fretta et scorretto. Come io offersi l’originale a S. A. al principio di Gennaro, et fui absonte in Alsatia quando si stampava, pur fu alquanto corretto da me, et mandato all’111. mo Card. 1 S. ta Susanna 10 , et tradotto in italiano dal S. r Willio, mio discepulo; ma per dir la verità, lo coso sono ancora generali, et molte da provare, perché l’importunità del tempo et do 1 viaggi continui non m’hanno lasciato luogo ni commodità di rivederli. Nientedimeno se nasceranno alcune difficultà, esso saranno sciolte ad ogni inquisito, secondo le forze mie. 11 S. r Kepplero ha visto cosi il suo (ma solamente per estratto) come il mio trattato, et mi ha risposto, come V. S. potrà vedere dalla copia' 81 , lo veramente 20 resto troppo favorito et obligato da V. S., clic più mi stima ch’io non ineriti et apena resto discipulo suo anco indegno, la quale continuamente proferisco tanto bello inventioni et ornamenti della matematica, clic tutta la professione gli cedo la palma. So adesso l’Apelle (0) depingerà meglio, vedremo nel suo discorso elio presto verrà Inora sopra la medesima cometa ; ma, per dire il vero, io ho gran voglia sempre imparare dall’ uno et dall’ altro, anzi da ognun valente matboma- (*• Lkoi’oi.do d’Austria. <*' Cfr. n.» 1363. ,3 ’ A car. 32-39 (lol coti. Volpicelliano A, pro- son♦.«molilo nulla llibliotoca della R. Accademia doi Lincei in Roma (od ivi sognato col 11 .» I), si ha co¬ pia di una traduzione latina di questo trattato, data in luco noi medesimo anno 1619, col titolo: < Obser- vationea tl deacriptiovea duorum 0 omelarum, qui anno Domini JCtQ, mente Novembri, ut que ud Jìnem anni currentis in a et he)-fu regione visi tu ut, et de materia, /arma, causa et effr.ctn utriutquc. l’or D. IoaNNK.m Kkmum Qiiiotnnum Tliuringium, Sacrno Caos.*» M. u * Modicuin ot Watheniaticuni. Ooniponti, apml Dnniolom Paur, anno 1619 ». •*' Scimmie CoiiKi.i.uy.7.1. La lotterà a cui qui si accenna è nei Mss. Galileiani, P. VI, T. XIV, car. 38-89. <®l CiUSTOrOKO tìOHKlNKH. 24 AGOSTO 1619. 485 [ 1417 ] tieo, et tanto più che li doni boiio diversi, et uno è eccellente nell’una, l’altro nell’altra materia. Vengo con buona licentia per trascorrere brevemente il suo Discorso, fondato da lei, et messo in ordine et con buon giuditio raccolto et so publicato dal S. r Guiduccio ; ma più presto voglio favellare et far moti et dubbii, che rifiutare o concludere cosa alcuna. La Via Lattea veramente paro una congerie di minutissime stelle (come anco per molti anni adietro ha accennato il Collegio Conimbricense) ; ma quindi non seguita die lì necessariamente siano stelle o corpi reali, perchè potest esse densior caeli vd aetheris pars, instar canalis vcl aquosae, concretile aat gla¬ ciali s materiae et onerac stellarmi fixaram reflcxionis, ut in speculo : difficile mimi mihi videtur, Deum tot stellas reales in unum congessisse ; Jias enim si in quadra¬ timi reducas et compares cani reliquie, ordine decenti dispersis, longe maiorevn nu¬ merimi guani dispersarum invenies: onde parlava ben Aristotele, benché sò stesso 40 non intendeva overo dalli Pitagorici malamente tirava questa opinione a sua partita. Io mi rallegro che l’Ilipocrate Ohio et Eschilo (amatore dclli quali io sono particolare) stiano a parto mia, cosa ch’io non ho letto mai per ancora, benché li vapori (senza bisogno) hanno ingombrato ancora l’opinione loro. Io mi maraviglio che V. S. concede la paralasse et l’adopera per sé nello comete per argomento, et poi è tutto contrario et dubbio; pur io vedo ultima¬ mente che V. S. vole essercitar l’ingegni speculativi : et veramente ratìones dubi- tandi non mancano. V. S. fa distintiono fra li obietti visibili, veri, reali, et appa¬ renze, imagini overo reflessioni di lumi etc. : cosa veramente molto sottile et acuta, et, per dire il vero, io non lo capisco bone. Pur tanto io conosco dclli 50 essempi, che lei non dà termini nò circonscriptioni sensibili a quelle refiessioni, come per essempio sono i raggi del sole (et anco l’ombra terrena), li quali estremi non si conoscono sensualmente so non per ragioni, speculationi et inter¬ vento di qualche corpo reale. Così V. 8. crede che la nuvola nella quale si riflet¬ tono li raggi del sole, come anco delli parelii, iridi, longhissimi tratti et raggi del sole visti nella superficie del mare etc., non faccia altra paralasse elio il sole istesso (la quale non trapassa 1' J /s (sic) cosa insensibile), cosa veramente molto inviluppata, principalmente al primo aspetto. Sii corpus solis ABC ; nubes rorida vd vaporosa, que lumen solis cxcipit et repercutit in formando baione, DEF; no duo loca terrae G, li diametraliter ap¬ posita, ex quibus quilibct sibi fingat sium hàloncm: alter in II videbit halo- nem sub angulo EHF, alter in G sub DGE, et sic intermedii silos quoque videlmnt haloncs. Scd quis non videi, ex eonicis, l’ag. 5 Pag. 17 <*». U» Cfr. Voi. VI, pag. Ó0. i*' Cfr. Voi. VI, pag. 03. 24 AGOSTO 1019. 480 [U171 longe. nudormi deberc essesuperfkiein velplanimi nulris ipsn superficie rei Itemispherio terrestri, et per consequens semper dimidium hemispherium debere esse obdticlum nubibus ? Atqui saepius visi halones, ut ipso notavi 1610 in fine lanuarii, unica saltein nube lumie opposita, cacio alioquin satis sereno. Vel oporteret, tale plamtn esse vicinissimum soli: lune enim anguille evanescerct ; eeset enim proportio laterum ut 1 ad 3U00. Uti maculae solarcs, forte ctiam vaporcs circa solcm et lumini, ut circa 70 tcrram, gcnerari possimi, et tane facilis Indonnili essct demonstratio : nani quod aliquando in ecclypsibus solis stellae in cacio visae fucrint, et obscuriUUes de die noctibus similes, luna quoque apud solevi de die visibilis. Hoc Krplcrus in libro I)c stella nova ex actheriis alter alionibus pidchre deducit ; et io erodo che come in molte altre cose naturali liabbiamo gran difletto et pure et probabili coniotture, così principalmente nelle coso meteorologico io trovo un maro pieno di dubitationi: et V. S. in questo et altri particolari, essendo gran speculativo et elio seguita il lume della natura et essempi prattici, potria faro cosa grata alla posterità. 1/ altra difficoltà che mi turba è questa: che V. 8. propone essempi di refles- sioni, nelli quali tutti l’occhio, il piano repercusso et il sole sono in una linea 80 rotta ; ma questo non avviene nelle comete : fuit enim ultimo ungulus ad solcm ultra centum gradus, anzi all’ bora non si vedo coda bisce tribus in unum lineavi concurrentibus , ncc caput in , ut latius Tycho in Droyimnasmatis. Di più, 3°, P essempio delli raggi del sole anco ha suo diftìcoltadi : perché dal sole vieno illuminato tutto P hemisphoro della terra et anco vicino al sole una parte dell’ aria, il diametro del quale, secondo me, occupa più di Iti diametri della terra, ovoro cinque e mezo secondo Tolomeo, et poco meno secondo Ticonc, unde ben poi giocare P occhio in questo profondo per tutta la mezza terra ; ma tanto largo non ò il plano cometico, principalmente quando V. S. lo ponga sotto la luna. oo 4. ° La cometa ò terminata da’suoi estremi, come ogn’ uno vede, cani termino a quo, per quem, et ad (pieni; si poi misurar la longhezza della coda, la lar¬ ghezza, il capo etc., il quale non procedo, nò si poi fare nelli raggi del sole, cum eius termini sint invisibiles et inobscrvabìIcs : adunque la cometa ò un obietto reale, visibile, terminato, et, per consequens, observabilo et parallactico. 5. ° Si ha da provar per certe observationi che li haloni, parchi, et massi¬ mamente P iridi (li quali non possono esser osservati altramente, quoad paral- laxes, se non per instromenti acimutali), si vedono in un medesimo tempo, voglio dire solamente per tutta l’Europa. Et acciò che WS. liahbia un paro dello mie osservationi, e ciò 1619 alli 29 di Gennaro : in altitudine lunac orientis 20 proxime ioo grad. vidi in itinere, in confinibus Sticviae et Tìrolis, magnimi haloncm quatnor ■in diametro circiter graduimi, et unicum nubem ipsi oppositam , instar nebulac. Durami ditnidiam Jwram. Praecesscrat Serenissimus per postavi per unicum saltem Aiem, et ego residuavi conducebam familiutn ; atqui nomo eorum qui praecesserant 24 AGOSTO 1619. 487 [ 1417 ] quicquam viderat. TTor. ipso tempore, quo hacc scribo, 19 Augusti, nocte seguente, ab bora 7 usque ad 10 appartiti baio Viennae circa lunam, latior versus cortina guani versus parteni rotundam, ut in figura : signum evidens, oculum Viennae non fuisse piane in eadem linea rec.ta cum luna et nube refrangente, adeo quod septentrionaliores forte nibil penitus vidcrint, nidius australiores. Notavi ctiam no yrides ; sed librimi mearum ohscrvatioiium ioni non habeo ad manus. T. JE., quaeso, diligenter observet : idem et ego, idem Scheinerus prestanti, ut possit fieri collatio et kitius rei decisio. 6.° Credo che V. S. habbia visto parecchi volte nelle fontano salienti, quali fanno quasi un ebao ovoro rorida nube, come c’ è una in Piazza di S. Pietro a Roma; lì si poi vodor sempre l’irido, massime quando il sole voi tramontare : ma è bisogno stare ad una positura sola, et non mutar loco. Se fosse vero che quel plano o superfìcie rorida per tutto a ciascheduno facesse vedor l’arco, al- V bora si potria far argomento al piano comotico. 7.° Io trovo ordinariamente, in liistoriis , che li parelii sono stati visti in un 120 loco solo determinato: come 1613, 11 lamiarii, Cassellis; a Roma io non ho visto niente in quel tempo: così 1618 tre soli in Bronsviga, referente Kepplero in tradotti quodam germanico ; niun altro 1’ ha visto in altri luoghi, come credo che manco V. S. ne liavrà visto cosa alcuna: così 1541, scrive il Cronico Augustano che nel principio di Novembre, appresso Ulma et Geislinga siano stati visti tre soli, con testimonio di certe persone; ma niente in Augusta. La scrittura del Mathematico del Collegio Romano' 0 , quale V. S. cita, io l’ho ben vista, ma non l’ho per adesso appresso di me, nè manco mi ricordo de’ suoi argomenti ; pure io credo cho lui forse ponerà. il circulo eometico come il Marte, il quale, come anco 9J. et li ha il sole per centro et principio motivo, 130 et che circondi ancora il circulo annuo, et non che trapassi il centro della terra per amore della elongatione più di 100 gradi a sole, et non che sia epiciclico, come fa Tichone in 9 efc I°> come ho inteso, credo che l’abbia composto il Padre Grasso (4) , Genocse. Che le comete ascendino per linee retto ut per brevissìniam viam , è stato sempre opinione di Kepplero et anco mia ; anzi io do la ragione, come V. S. ancora vedrà da la sudetta lettera di Kepplero : alias, si eirculariter moverentur , cur non a sole, comuni omnium pi andar uni molar e, cui ductuni zodiaci invitar entur ? Della refrattione mi nasce un dubbio, perchè io non so se V. S. anco ammetta rifrattione olirà li 40 gradi d’ altezza : la cometa anco in altezza di 50 o 55 gradi uo è stata un poco arcuata. l)e bis alias. <*> Cfr. Voi. VI, jmg. 23 e sog. < 2 ' Orazio Grassi. 488 24 AGOSTO 1619. [1417-1418] Resta ria da provare come la luce si faccia visibile ( cum lux non luceat neo colorctur, nisi densa recipiatur materia ), la quale, retlettendo, formi la cometa, et molti altri dubbi: come dire, olio la lente recipiente i raggi solari circa finem caude fosso magior o poco meno del sole stesso, benchò ogni poco di pianura stesa basta ; ondo tal materia sia generata ot corno (poi esser 1’ etliere stesso congelato sopra ti por dcfecto delli raggi ot forza del sole, come si prova della fiacca illuminatione di li, et anco 1’ oscurità et densità di tal luogo poi bastare per render visibili li raggi ripercussi: certe materia lucis cognita est diffìcili ima) : ma il tempo per adesso non lo permette, nò il gonio mio lo concede, il quale tutto turbato di questi tumulti et ribelli, et che quasi non habbiamo luogo per- igo manente : duhit Deus his quoque finem aut funetn galli cum. Se V. S. Rabbia os¬ servato l’ecclisso lunare di questo anno, la prego mi communichi T osservatione : secondo il mio calculo novo doveva esser tutta la duratione un’ bora et un mi¬ nuto ; secondo Kepplero, mezz’ bora. In Stiria all’ bora fumo nuvole et piogge continue. Anco io ho mandato un pezzo fa la commensuratione de’ diametri delli pia¬ neti al S. r Fabro et principe Cesio. Credo che V. S. n’ habbia havuta copia: di gratin, mi faccia tanto favore di comunicarmi il suo parere. Mando qui a V. S. l'Epitome di Kepplero (,) ; li altri libri non sono stampati ancora, ot filarmonica (,) verrà fuora questo autunno. Con questo faccio fine, baciando lo mani a V. S., 160 pregandolo sanità et il colmo della vera felicità, espettando risposta quanto prima. Di Vienna, li 24 d’Agosto 1619. Di V. S. moli’ 111.™ et Eec. ma Prontiss. 0 per servirla Ciò. Remo Quietano m. p. 1418 *. GIOVANNI REMO a GALILEO in Firenze. Vienna, 24 agosto 1611). Blbl. Naz. Fiv. Mas. dal., P. VI, T. X, ear. 77. — Autografa. Molto 111.™ et Eccoli." 10 Sig. rd Questa sera la S. A. Ser.'" a (,) m’ha commandato che io saluti V. S. da parto sua et la scusi che non habbia scritto stesso appresso, perchè tante e infiniti occupationi di negocii e governi, li quali adesso tutti stanno sopra di S. A., elio anco apena può mangiar un boccoli senza continui disturbi et commandamenti, 01 Cfr. n.® 1403. *** Ioannis KrPPf.ERl Ihirmonicca mundi li bri V, ecc. Lindi Austriao, sumtilms Godofredi Tarn bachii Ubi. Francof. oxcudcbnt ioaunes Pl&ncua. Anno MDCXIX. * J l Lcorouio d’Acstria. 24 AGOSTO — 10 SETTEMBRE 1019. 489 [1418-1419] l’hanno impedito eh’anco non l’ha potuto leger il Discorso suo, ma solamente per compendio inteso da me il contenuto. Certe inter arma studia silenti ma con la prima occasione scriverà stesso. L’ha piaciuto assai l’opera et l’è stata gra¬ tissima, e subito l’ha mandato al P. Sclieiner il quale rispose che pagani V. S. io con la medesima moneta. Basta : haveremo qualche cosa per essercitar i ingegni e svegliar l'Aristotelici e Tolomaici, tutti pieni di sonno. 11 tempo non permette più : baccio le mani a V. S., e me rinominando. 1G19. Di Vienna, alli 24 d’Agosto, unica hora ante discessum postae. Di V.S. molto lll. ro et Eccoli. mu Prontiss. 0 per servirla G. Remo Quiet. Medicus et Math. u * a cubie. Ser. mi Leopoldi, m. p. Fuori : Al molto Tll. r0 et Eccell.'" 0 Sig. 1 '® li Sig. ro Galilaeo Galilaei, Math.°° del Ser. mo Granduca di Toscana. 20 Fiorenze. 1419 *. FEDERICO CESI [a GALILEO in Firenze]. Acquasparta, 10 settembre 1610. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal-, P. VI, T. X, car. 70. — Autografa. Molt’IU. ro e molto Ecc. lu Sig.'' mio Oss. ,no Dalla gratissima di V.S. conosco ch’ella non ha ricevute le mie, nelle quali le accusavo la ricevuta delle sue copie del Discorso delle Comete, che hebbi con molta mia soddisfattone, e cori ogni maggior affetto le porgevo l’annuo saluto, come hora con tutto il core le confermo. Godo nella sua d’intender nuova di lei, e se ben non è compita di sanità per¬ fetta, tuttavia essendo alquanto migliore di prima, ci dà occasione di sperarla. Piaccia a N. S. Dio concedergliela, come io con tutto 1’ animo glie la prego e de¬ sidero sempre. io Sa V. S. benissimo come il mio gusto sia avido de’ frutti della sua dottrina, e quanto sia solito a goderne; e perciò poi da sè stessa imaginarsi quanto mi siano piaciuti li suoi pensieri esposti nel trattato delle comete. Nelli particolari di questa materia io procuro sodisfarmi nella mia opra delle celesti contempla¬ zioni 0) , nella quale, come in ogn’ altra mia cosa, si vedrà la stima ch’io faccio de’ suoi pensieri et opre. <*> Cfr. n.° 772. 490 10—21 SETTEMBRE 1019. [1419-1420] Habbiamo perduto, come già lmverà inteso, il Sig. r Demisiani t0 , mancato di questa vita in Parigi per infirmiti dissenterica: resta clic preghiamo N. S.Dio per lui, com’ io già qui ho fatto farne esequie, e procuriamo risarcire le perdite fatte con nuovi soggetti. Dal Sig. r Colonna nostro presto haveremo novi parti. Intanto sto con parlino- 20 lar desiderio d’intender se V. S. ancora ha liavuta alcuna copia delle suo Sam¬ buche (i) , clic di Poma ho procurato di nuovo se li mandino. Il S. r Cesari ni sta debole di sanità, con mio grave doloro; e la morte della S. r * Duchessa sua madre 1’ ha alllitto assai (3> , e con raggione, por esser signora di gran merito et ancor d’ età fresca. Pure spero sempre più, quel che desidero con tutto il core, che debbia rinfrancarsi e rihavcrsi. Di me lo diedi nuove che, Dio gratin, me la passavo bene, con un’altra figlia femina. Mi ritrovo similmente con il S. r Stellati nostro, con più gusti di casa che di campagna, per le stravaganze di così stemperati tempi. Non aggiugnorò altro per bora. Replico il continuo desiderio che ho d’in- so tender buone nuove di lei e di servirla, 0 con tutto il core le bacio le mani. N. S. Dio conceda a V.S. ogni contentezza. D’Acquasparta, li 10 7bre 1019. Di V.S. molt*Ill. r ® e molto Kcc. 1 ® Saluto il S. r Pandollini di tutto core. Afl’. mt> per sor. 1 ’' sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. 1420 *. GIOVARFRANCESCO 8AGREDO n GALILEO in Firenze. Venezia, 21 settembre 1619. Blbl. Est. in Modena. HnccolUi Cam pori. Autocrati, 11.» 1, XXXVIII, n.° 91. — Autografa. Molto 111.” s. r Eco." 10 Io sono mezo disperato con questo Varottari. Egli mi dà intenzione di par¬ tire per costà di settimana; ma portando il tempo inaliti nelle copie, non credo parti manco all’ultimo di questo mese. È vero che il S. r Contarmi ò stato fuori; ma se havesse voluto, haverebbe già molto fatto il servitio. Ila però dato prin¬ cipio; ma convenendo andar a dipinger a Cà Contarina, l’opera va in lungo w . Volevo mandar a V. S. Ecc. ,,,a quelle bagatelle che le scrissi, che sono alcuni pezzi di pitture sopra cartoni, fatti dal Passano sì naturali che ingannano ; ma <»’ Giovanni Dkmisiant. <*> Cfr. n.» 1604. < s > Cfr. n.» 1408. Cfr. n.« 1391, liu. 20-22. 21 — 24 SETTEMBRE 1619. 491 [1420-1421] il Varotari m’ha fatta sì grande instanza di portarli egli stesso, clic non ho to voluto scontentarlo. Circa il P. V., (li che ella mi scrive, ho già parlato con diversi ; ma l’esser forastiero, et non potersi per l’assensa sua dimostrare a chi n’ ha bisogno, impe¬ disce il negotio. Qui n’ abbiali in casa uno di non molta nostra sodisfattione. lo non so a che si risolverà mio fratello. In ogni caso mi sarà caro liaver parti- colar informatione delle pretensioni et della sulìcienza sua. Le raccordo il nostro credito col Gelmini, al quale quando V. S. Ecc. ma co¬ mandi, si condonnerà qualche settimana et mese ; ma ben la prego fare che non porti il tempo molto alla lunga. Non rispondo circa il ritratto, la copia del Bronzino et le pietre, perchè vedo 20 che ha bisogno più di freno che di sprone, et vanno accrescendo in modo i miei debbiti con lei, clic temo cader l'alito. Clio sarà fine di queste, bacciandole affet¬ tuosamente la mano. In V.% a 21 Sette. 1619. Di V. S. Ecc.. ,na Tutto suo G. F. Sag. Fuor ?» d* altra mano : Al molt’ Ill. ro Sig. r Oss. ,no L’ Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1421 *. CARLO MUTI a GALILEO in Firenze. Canemorto, 24 settembre 1610. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., I’. I, T. Vili, car. 86-88. — Autografa. Molto 111.** Sig. r mio Oss. mo Per la prossima sua viddi la memoria che tiene di me, e con questa vengo a ringratiarnela sommamente, e le dico come molti giorni sono ricevei il volu- motto del Discorso della Cometa, del quale V. S. ha voluto favorirmi particolar¬ mente, e subito mi posi di novo a leggerlo con gusto mirabile, sebene è molto che non leggo niente per dubbio della sanità, per altro bona, ma mi priva di molta satisfattane, facendomi restar in questa vita così come sono. Questo trat¬ tato mi 6 granosissima medicina, per la chiarezza e varietà di coso stimatissime e nove. Mi sovenne a dovernela ringratiar subito per la parte mia, ma perchè io crono precorse altre mie lettere di ringratiamento di quello che ero io certo d’ bavere, e per non so qual negligenza trascurai di replicare al’ orecchie sue •192 24 SETTEMBRE 1G19. [ 1421 ] occupatissime altro ofììtio, se bene doveo farlo, e non trascurarlo, per accusarli almeno la receuta eli questa gratia, e non 1’ haverei dato cagione ili scrivere sua scusa, quale io non potevo aspettar nè v’ha loco, perchè sono stunpre a tempo l’eccessi delle gratie che mi fa, che son tante, che rimprovano a mo le colpe mie. Dubito ancora di haver trascurato simile ofììtio (piando hebbi, per gratia che lei me ne fece, i Discorsi del moto perpetuo e naturale 0) , resimi per mano del S. r Ciampoli, quali m’ hanno dato rimorso per l’incomodo che si prese, non douto a me che non son bono a servirla, se bene pur douto al’ infinito amor et osservanza che le porto. La ringratio infinitamente con questa d’ ogni sua cor- 20 tesia con ogni mio maggior affetto, o la prego ad assecondare la mia volontà, che è elio lei non faccia stima de’ mei defetti esteriori, o non aspettare, so non scarse ignoranti demostrationi del mio desiderio grandissimo di servirla. Il S. r Card. Muti w è a Roma; mio padre *’ 6 qui, o venne per complire col fratello di N. S., qual ha voluto honnrar questo loco di sua presenza. Mi disse il Duca mio padre quello eli’ io replico spesso, che bisognarebhc haver dalla mano di V. S. tutta la filosofia, chò ben potrebbe darla, almeno una virtù effi¬ cace di produrla, e che ci fosse designato quello elio con Seneca V. S. in questa opera ci dico 1 ’’ bisognare al mondo per intelligenza dello cose del celo. Staremo poi aspettando la scrittura de’ Padri Gesuiti : intendo che è andato a Perugia per 80 stamparla là l4) . Sto con aspettativa grande, perchè sono valonthomini. Non ho potuto sapere nissun particolare, nò mi son curato, perchè presto uscirà al mondo. Mi dissero alcuni clic non faceva tanto sterile il moto, e diceva qualche cosa in favor della parallasse, e che con un esempio veniva a render sospetto l’esempio della candela accesa dentro la conca etc., del qualo si ricerca verità, o che si lamentava con dire che lei non ha liauto causa di così acerbamente lacerarlo: ogn’ altra cosa pare a me ohe V. S. faccia : non so eh’ ancora del’ obliquo e curvo di Ticone o del’effetto del’occhiale: ingomma mi veniva detto elio s’andava rag¬ girando intorno ogni cosa che V. S. ci ha donata, se bene chi m’ha parlato non so come possa sapere questi inaccessibili secreti, o credo elio siano immagina- 40 tioni sue. Ilo cercato di sapere, perchè non si potrebbe imaginaro quanto con questa aspettativa la curiosità ini trasporti. Ilo scritto queste cianco troppo longhe, desiderando più presto mortificarmi con lei in questo modo, che passar pericolo d’ingrato o scordevole o negligente affatto. Io poi dal S. r Marcello Sacchetti ho relatione del perfettissimo giuditio et ingegno del S. r Mario Guiducci ; e facendone argomento e fede il nome che tiene in questa opera delle comete, e dicendomi V. S. che riconosca da lui la mi** glioi parte, veramente sarà sogetlo meritevolissimo di questa perpetua gloria e <‘> Cfr. Voi. Il, pag. 261-266. (1 ' Tihkrio Muti. **• Giacomo Muti. <*> Cfr. Yol. VI, pag. 50-61. '*• Cfr. Voi. VI, pag. Ili 24 SETTEMBRE — 10 OTTOBRE 1619. 493 [1421-1422] cV ogni altra. Non sarò più lungo e mi perdoni : c N. S. la feliciti a pieno e con- 50 ceda, fra 1* altre grafie, perfettissima sanità, ancora per molti interessi nostri. Di Canemorto, li 24 di 7bre 1619. Di V. S. molto III. Aff. rao per ser. lR di core sempre Carlo March . 86 Muti Lyn. Fuori , d' altra mano : Al molt’ Ill. re Sig. 1 ' Oss. ,no Il S. r Galileo Galilei. Fiorenze. 1422. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 10 ottobre 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 90. — Autografa. Car. in0 et Honor. ,l ° S. r Fratello, La vostra carissima, scrittami del 7 di Settembre, mi è capitata 6 giorni dopo l’ultima vostra del 16 del detto : et ne la prima mi discorrete più a lungo che ne 1* altra, circa il publicare il mio libro ; e se bene il vostro parere m’ ab¬ bia confortato poco, con tutto questo confesso che mi dite la verità: ma da poi che la spesa ò fatta, bisogna procedere più innanzi, e procurare di rifarsi ; et se non avanzassi altro che far conoscere al mondo die so qual cosetta, non m* à da parer poco. Io credo risolvermi a dedicar il libro qua, poi che il venir costà bora ci trovo molto diflicultà; et la prima saria lasciar Vincentio senza io istrutione nel liuto, nel quale mostra grandissima inclinationc, et à sona[to] avanti 1* Inperatore, dove erano 8 altri [principi, che per vedere sonare un fan- ciullino così [pic]colo et sì arditamente c bene per la sua età, hanno mostro ri¬ ceverne gran gusto, et in particolar il mio padrone, che sorridendo non li levò mai l’occhio da dosso: sì che mi ha dato animo d’insegnarli con più diligenzia. Non poco mi fece maravigliare li mesi passati, che ordinariamente, quando an¬ davo fuori di casa, gl’accordavo senpre il liuto, acciò potessi studiare; sì che mi disse una volta che non occoreva, perchè lo sapeva accordar da sè : io ne volsi vedere l’esperienzia, et sì 1* accordò mirabilmente, cognoscendo ogni mi¬ nimo mancamento, sì che rimasi stupito. Oltra fa per suo trastullo carrozze, ca- 20 valli et altre cose di cera, che io a mille miglia non saprei far tal cosa, sondo che non lascia addietro nissuno ordigno, sì che mostra aver bellissimo ingegno ; come con gusto ò inteso del vostro Vincentio ancora, et me ne rallegro con esso voi. 494 10 — 18 OTTOBRE 1619. [1432-1423] Io mi consumo (li voglia ili rivedervi, ma ci trovo tanto difficultà elio non so che fare, flora dico tra me: La spesa o il viaggio [è g]ramle; lascio un poco di avviamento di scolari, clic fan[no] andar la barca innanzi ; oltra il perdimento di tempo clic faria Vincontio, et altri incomodi non piccoli. Da l’altra parto vorrei pur consolarmi con esso voi: et insoinma sono in un gran laberinto, et vivo inre- soluto, sì clic ci vuole il vostro consiglio, del quale farò sicuro capitale. Veggo clic desiderato liavor nota della mia famiglia, sì clic ve la mando qui so inclusa 1 ". Di nostra madre intendo, non con poca maraviglia, che sia ancora così terribile ; ma poi che ò cosi discaduta, co no sarà per poco, sì che fini¬ ranno le lite. Di gratia, considerato un poco sopra il mio stato, o datemi qualche consi¬ glio; et per 1’ amor do Dio e de’miei figliolini non mancate a l’occasione del vostro aiuto, o credetemi clic Dio m* à mandato una famigliola gratiosa c degna d* esser amata. Non sarò più lungo, avendovi scritto dui giorni fa per via di M. r Pietro, corriere di cotest’Altezza. Vivete allegramente, con darmi avviso spesso di voi et di tutti, alli quali con tutti i mia di cuore mi raccomando, et prego da Nostro Signore sommo bene. 40 Di Monaco, li 10 d’Ottobre 1619. Di V. S. Aff. mo Fratello Michelag. 10 Galilei. Fuori : Al molt’ IH.” ot Ecc. mo big. 1- Galileo Galilei, Matematico del Sor." 10 G. Duca di Toscana. Fiorenza. 1423 *. GIOVANNI CIAMPOLI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 18 ottobre 1619. Bibl. Nar. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. Vili, car. 91. — Autografa. Molto Ill. ro S. r e P.ron mio Oss. mo Il P. Grassi Giesuita, tornato ultimamente da Perugia, ci ha questa sera portato il suo Discorso intorno alla cometa 1 ”. Non ho ancora potuto leggerlo, nò voglio differire di mandarlo a V. S., dalla quale so elio era aspettato. Diccmi il Padre, haver proposto lo sue ragioni il meglio che haveva saputo, ma però che ha sempre trattato di lei honorandola. Ella potrà vedere il tutto in fatto. ,l> Non è presentemente nò allegata alla lot- dova, tip. G. 11. Umidi, 1890; o cfr. pure l'albero torà nò in altro tomo ilei Mss. Galileiani. Cfr. Serie genealogico della famiglia Gai.ii.ki nel volume intito- quùita di Scampoli Galileiani raccolti da Antonio lato: Galileo Galilei « Suor Maria Pelote por Antonio Favaro [Alti e Memorie della H. Accademia di ecienze, Favaro, Firenze, G. Barbèra, oditoro, 1891. Uuere ed arti in Padova, Voi. VII, pag. 70-TJ), l'a- *■» Cfr. Voi. VI, puff. 111-180. 18 OTTOBRE — 2 NOVEMBRE 1619. 495 [1423-1425] Desidero intendere particolare avviso della sanità di V. S., la quale mi pare che deva essere un publico voto di tutti quelli che sono desiderosi di sapere; acciò ella possa far gratia al mondo di quei mirabili concetti che nascono nel¬ lo V eminenza del suo ingegno. Il S. r D. Virginio (,) si ricorda a lei per affettuosissimo servitore, stimando infinitamente la gratia di V. S., alla quale io vivo devoto più che mai ; e sup¬ plicandola ad honorarmi della sua benevolenza, lo prego da Dio ogni più desi¬ derata contentezza. % Di Roma, il dì 18 di Ottobre 1619. Di V. S. molto 111.™ Devot ,no et Obblig. Ser. pe Gio. Giani poli. 1424 * GIOVANNI KEPLER a GIOVANNI REMO in Vienna. (Linz, ottobre] 1619. .... Quicquid tu de tubo, de observatornm consensi!, iam ante vos Galilneun in Epi¬ stola, quae pubi ice habentur, ostendit, quaiu ineptus Bit tubus ud deteruiinauda discri¬ mina lucis et umbrac in lunae corpore- 1425 **. FRANCESCO STELLUTI a GIOVANNI FATÌER in Roma. AcquaBpnrta, 2 novembre 1619. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Kabor. Filza 123, car. 59. — Autografa. ....Scrivo al S. r Ciampoli l’inclusa, poiché habbiamo vista in stampa una scrittura contro il Sig. r Galileo, intitolata Libra Astronomica <**. Si vende costì da un librare in¬ contro la chiesa della Annuntiata del Collegio del Giesù: è opra, credo, del Padre let¬ tore di Matematica di detto Collegio, cioè del Padre Horatio Grassi, sebene va sott’ altro nome (*>, che vuol dire l’istesso mutate le lettere, come si suol fare, lnsomma mostra non poca rabbia contro detto S. r Galileo per quel trattato delle comete fatto dal Sig. r Mario Gniducci, facendo professione di contrariare tutta la sua dottrina. Già credo che detto S. r Ciampoli Pliabbia veduta, nominandoci in quella il S. r Cesa ri ni ,k| et il nome Linceo, quasi clic il S. r Galileo, come Linceo, non habbia saputo ben vedere. lnsomma mi pare Lett. 1423. 16. Prima aveva cominciato n scrivoro Aff, elio poi corresso nel D di I)evot. mo — <*' Lotario Saubi. Cfr. Voi. VI, pag. 6. <*> Cfr. Voi. Vi, pag. 157. i" Virginio Crsarini. <*> Cfr. Voi. VI, pag. 111-180. 496 2 — IH NOVEMBRE 1619. [ 1485 - 1427 ] che lo strapazzi oltre ogni dovere; et per questo il S. r Principe desidera Hapere come io P habbia intesa il 8ig. r Galileo, et se farà rispondere dal S. r Guiducci: lu qual risposta non credo che gli darà uessun fastidio; ma ò male che si occupi in queste cose, potendo Hcri- vore cose migliori, sebene qui ancora si può far valere e nelle matematiche et nella filo, solili. Vedrà di recapitare detta lettera e sapere quanto si desidera.... 1420 *. FEDERICO CESI a GIOVANNI FAIIER fin Roma!. Acquaspnrta, 18 novembre 1619. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Ayuiro in Roma, ('arieggio di liiovanni Kaber Film 42.1 enr r>7f.— Autografa. _Lo nove che mi dà, mi sono molto care. Aspetto d’intendere della Libra Astro¬ nomica contro il S. r Galilei che ne dicono costì, e particolarmente il S. r Ciampoli, c che s’intenda del S.* Galilei sopra questo.... 1427 *. GLOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 15 novembre lóiy. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cauqiori. Autografi, R.» LXXXV1II, u.« yy. Autografa. Molto III.™ S. r Ecc. rao Io non credo che ai siano smunte mie lettere scritte a V. S. Ecc. m », perchè veramente son passate molte settimane che non le ho scritto, non già por sover¬ chie occupationi, ma perchè, havemlo sempre diferito a supplire a questo debilito ufHtio al giorno del sabhato, venendo poi a 20 bore la mattina a casa, ogni poco di aliare o altro negotio che mi habbia sviato, è sopravenula 1’ bora d’andar alla comedia, sì che sono andato sempre diferendo alla seguente posta. Ilora mi pervengono le sue de’8 del corrente, a me gratissime et carissime al solito, alle quali darò breve risposta. Quanto al suo 1*. V. ( ", non essendo egli .atto ad insegnare almeno l’huma- io nità, riesce il suo negotio difficilissimo, perchè per semplicemente accompagnar i figliuoli, pochi sanano che volessero entrar in spesa ; e se havesse ritrovato recapito, io, per 1’ ardentissimo desiderio che io tengo di servire V. S. Ecc. raB , haverei tralasciato ogni gusto per darlene avviso. Non mancherò di star su la pratica, ma senza fallo riuscirà difficilissimo il ritrovar occasione. CI Cfr. il.» 1420. 15 NOVEMBRE 1619. 497 [ 1427 ] Delle pietre io la ringratio sommamente, et parendole, potrà consegnarle al Sig. Ressidente, già che il Varottari ha (liferito la sua venuta, veramente con mio disgusto, perchè 1* ho eccitato sempre a venire, et sempre ancora gli ho fatte le ambasciate di V.S. Ecc."" 1 Ho veduto la Scapigliata in copia, et l’originale 20 ancora, nè in vero mi è piacciuta nè l’una nè 1’ altra. Ho fatto che egli mi copii certo ritratto di un fraticello fatto dal Bronzino ; et veramente s’ è egli Rinta¬ nato in modo dall’ esseraplare, che ho convenuto accrescere di molto il concetto c’ havevo del Bronzino. Però, volendo anco esperimentar il Cavai.' 0 Bassano, gli ho portato l’uno co l’altro, et in un’bora egli l’ha in modo ridotto, che dico e dirò sempre eh’ egli sia vero maestro del dipingere, sicome altrettanto tedioso nel finire l’opere principiate ; il che è stato cagione che non Rabbia mandato mai a V. S. Ecc.' n:l quei pezzi che disegnavo, perchè volendone far far una copia, egli mi va di palo in frasca. Da Roma mi vengono promesse copie meravigliose di pitture rarissime. Sto so aspettandole con desiderio. Se costì vi fossero copiatori buoni, et si potessero ha ver buoni originali, spenderei volentieri una cinquantina di scudi, cavando io un singolarissimo gusto dalle belle pitture : et belle intendo quelle che son fre¬ sche, moderne, vaglie et naturali, sì che ingannino 1’ occhio, lasciando le affumi¬ cate, antiche, artificiose, malinconiche et originali a gli altri più belli inge¬ gni di me. Nel dispiacer eli* io sento per P aviso datomi da V. S. Ecc. lna dello stato cativo del Germini, godo almeno imaginandomi che ella si possi esser assicurata che le ho sempre scritto il vero di questo soggetto, e che sia bora conosciuto da lei di quelle condittioni che tante volte li ho avvisata. Ho stimato bene spronarlo 40 con mie lettere indirizzate al S. r Ressidente, acciò le accompagni con quattro parole, poiché con lei havrà forse qualche baldanza maggiore che coi S. r Res¬ sidente. Non mi meraviglio che i Gesuiti habbiano risposto fredamentc al Discorso delle Comete, perchè i travagli della Germania, cagionati da i loro cattivi consi¬ gli, gl’ hanno mossa la malinconia. F.t per fine a V.S. Ecc. 1 " 8 baccio la mano. In V>, a 15 Novembre 1619. Di V. S. Ecc. raa Tutto suo G. F. Sag. Fuori, (V altra mano : Al molto Ill. re S. r Oss." 10 bo L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 1427. 20. nS V una ndi' altra — m 63 498 29 NOVEMBRE - fi DICEMBRE 1019. LU28-1420] 1428 *. ALESSANDRO TADINO a [GALILEO in Firenze]. Milano, 29 novembre 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Oal., P. VI, T. X. car. 81. — Autografa. Molto III.” et Ecc. mo Sig. r mio Os8. mo L’osservanza che ho portato a V.S. sino noi mio tempo di studio in Padova, quando V. S. legeva matematica, fa che al prosente di novo vivifichi seco la ser¬ vitù mia, so ben por la longhezza do molti anni h&verà presso di sè scalpellato la memoria della persona mia ; e perciò havendo nella professione sua imparato io qualche cosa, mentre V.S. legeva in detto Studio, così, por obligo et di na¬ tura et di servitù, nelle ocasioni son tenuto honorarlo et riverirlo, nè lasciar oltregiare la professione da persone mal diconti. Hor donque occorre che quel Baldesarre Capra, quale furtivamente fece stampare le sue fatiche in materia della nova inventiono del Compasso Geometrico, s’ù messo in posto ancora trat- io tarne alle volto nelle congregatami de’studiosi; siche, parendomi il dovere elio cruat veritas verìtatem, vengo pregar V.S. restar servita voler far grati» di man¬ darino uno para di quelli soi libri, sopra quali appare il dolo et la sentenza ohe detero li Reformatori del Studio di Padova, acciò me ne possa servire nelle oca¬ sioni di mostrar al mondo il valor suo, e per lo contrario la temerità di questi tali che ardiscono violare la virtù et fatiche d’altri. Prego donque V.S. farmene grati», chè gline rostarò con perpetuo obligo. Alla quale, facendo line, gli prego da N. S. ogni bene. Da Milano, alli 29 Ombre 1619. Di V. S. molto 111. 1 * et Ecc. ,,n AlT. ,n0 Ser. d i.‘0 Alessandro Tadino, lisico collegiate. 1429 . GIOVANNI CIAMBOLI a [GALILEO in Firenze]. Itoli)», 0 dicembre 1619. Blbl. Nftz. Fir. Mss. Oal., P. I, T. Vili, car. 97. - Autografi. Moli 1 Ill. ,e et Ecc. mo S. ro e P.ron mio Col. 0 Dalla ultima lettera che V. S. mi scrive, veggo ch’ella non può indursi a cre¬ dere che il P. Grassi sia l’autore della Libia. Astronomica ; ma io torno a con- 6 — 21 DICEMBRE 1619. 499 [1429-1430] fermarlo di nuovo clic S. 11. e li Padri Giesuiti vogliono che si sappia esser opera loro, o sono tanto lontani dal giuditio che ella ne fa, che se ne gloriano conio di trionfo. Il P. Grassi tratta di V. S. con molto più riserbo che non fanno molti altri Padri, a* quali è fatto molto familiare il vocabolo di annihilare : ma la ve¬ rità è, che dal P. Grassi non ho mai sentito uscir simil voce; anzi egli tratta tanto modestamente nel parlare, che tanto più mi fa stupire nell’ haver fatto la io sua scrittura tanto gloriosa e con tanti scherzi mordaci. La risposta di V.S. si aspetta con gran desiderio, sapendosi bora mai universalmente che dalla mano sua non escono se non gioie pretiose, che sono incognite a gl’ altri ; e son certo che (pianto più sarà copiosa di nuove conclusioni, tanto maggior maraviglia re¬ cherà, la quale sarà sempre accompagnata da quello armi invincibili che sogliono essere nelli suoi discorsi. Il S. r D. Virginio 10 si ricorda servitore a V. S. et è partialissimo suo più che mai, o tra persone grandi no fa quella testimonianza che le pare di dovere. Il S. r March. 0 Muti (J) la ringratia della memoria che ne conserva. Io non veggo l’hora di veder la risposta ch’ella dà intentione di faro, perchè sono certo elio l*an- 20 miniare certe opinioni per universale inconsiderati amente] talora ricevute con applauso, suole essere opera consueta delti suoi ragionamenti. V. S. mi conservi la gratia sua, c si persuada che io le vivo servitore svisceratissimo, con quella singoiar reverenza che si deve all' eminenza delli meriti suoi. Di Roma, il di 6 di Dicembre 1619. Di V. S. molto 111/ 8 Dev. 1110 et Obblig. Ser. ro Gio. Ciampoli. 1480 *. GIULIO CESARE LAGALLA a [GALILEO in Firenze]. Roma, 21 dicembre 1G19. 3)Ibi. Naz. Fir. Mss. Gel., P. VI, T. X, car. 83-84. — Autografa la Orma. Molto 111. 10 et Eccel. mo Sig. r mio P.ron Oss." 10 Il degno rispetto che ho sempre hauto di non impedire li suoi profittevoli et honoratissimi studii mi ha trattenuto lungo tempo di fargli riverenza : non ho possuto però in questa occorrenza, della quale li do raguaglio, far di meno di non affaticarla et ricorrere al savissimo et prudentissimo suo giuditio, deside¬ rando da V. S. sapere se ella ne ha qualche cosa vista et osservata. <0 VlKGlMO CBBilUMI. (*i Carlo Muti. 500 21 DICEMBRE 1619. [14301 La sera delli vinti sotti del passato, alle due hore di notte, fu vista in occi¬ dente, tra r equinotiale et il tropico di Capricorno, ma più vicina al tropico, una cometa barbata, con il principio poco sopra V orizzonte, cioè da quattro gradi in circa, ma con la sua longitudine verso levante, longhissima, et a mio giuditio io più di 30 gradi. Il giorno seguente appari all’ istessa bora, della istessa lun¬ ghezza, ma di latitudine grandissima della base o ver tino della barba; et in queste due notte elio apparve conspicua, fu sempro il cielo nuvoloso, oscuro, ot con pioggia minuta et con molto vento, principalmente in quella parte dove la cometa appariva. Lo duo sere seguenti non si vidde, per esser stato tempo sereno. Il primo et il secondo di Decembro si viddo insignimente, et così apparì sino alla ìuatina. Però sempre andò accostandosi verso il sole, dal quale non era molto discosta nel suo primo apparire, cssondo la cometa comparsa circa li otto gradi ili Capricorno, mentre il sole si ritrovava nolli quattro et cinquanta minuti di Sagittario; ma però questo suo moto verso il solo è stato molto tardo, et per questo si ò vista, si bene più e meno, sino olii dieci del presento : ma da mozzo giorno a tramontana si ò mossa assai velocemente. Questo coso sono state da ine prima osservato in Roma, habitando io in una casa molto alta nel più sublime loco di Monte Cavallo. Di Grazz ancora si scrivo, per una venuta ad un mio amico, esser stata vista alli 25, la Motte allo undeci bore, con il principio sopra la Carintia et la coda verso l’Austria Superiore. Qui li Patri Giosuiti ini hanno levata una calunnia, con una persequtione al loro solito, elio io sia stato l’au¬ tore di questo, ma che sia una cosa vana et fìnta da me, ot che non sia stato altro elio il foco di una fornace che brugiava fuor della Porta de’ Cavalliggieri ; et non ostanto elio infiniti liuoniini et quasi tutta Roma la vedessero nolli primi 80 giorni con la sua stella sopra P orizzonte, et continuamente P habbiano vista sopra le nuvole, lo quali li passavano di sotto et così alle volte la ricoprivano, tutta volta sono stati ostinatissimi, et con il gran séguito elio hanno lmn ritrovata tanta fede, clic non pochi pertinacemente seguitano il lor parere. Per tanto ho voluto affatigar V. S., acciò mi favorisca avisarme del suo giuditio. Io son restato tanto sodisfatto del Discorso dello Comete fatto dal Sig. r Fi¬ gliucci (n , clic non posso satiarmi di lodarlo et predicarlo : et veramente ò degno sugetto di cotesta IH."' 11 Accademia, la quale è stata sempre ripiena di mirabili e supremi ingegni ; et mi son continuato nella opinione che ho sempre tenuta, et clic anche scrissi del sei cento et tredici (,) , et inviai, si ben mi ricordo, a 40 V.S. Kcc.l. n,a , quale bora si dà alla stampa con tre altri miei libri immorta- Lett. 1430 . 36. Comete fotte dal — Intendi, Guioucci. montem Pincium die nono 2fovtmbn» 1618. Romae, IOI.ll Cakbaris I.aoai.I.a, Tractatue de conte- apud Mascanlnm. 1618. tif, oceani otte auinedam phaeuomtni Romae vili eupra 21 DICEMBRE 1619. 501 [1430-14311 litote animorum ex sentenzia Aristoteli s ll) et altri opusculi di filosofia, eli e le co¬ mete non siano esalationi acceso, ma refrattioni de lumi del sole fatte da vapori o da parto alcuna più densa del cielo : e benché li Reverendi Padri Censori et Aristarchi di tutto 1’ universo habbino sentito aspramente la forza delle vivacis¬ sime ragioni, et habino procurato qui con argumenti di parole tirare a sè molta turba, tutta volta non hanno possuto a tutti persuadere, perchè la forza della verità ò troppo grande. Et perchè intendo che V. S.Eccl. ma ha scritto ultimamente un trattato delle comete (,) , il quale non troppo si vede in Roma, con tutto che &o babbi usata molta diligenza di li averlo ; per tanto ho voluto supplicarla, come fo con questa, si degni farmene gratin di uno, et inviarmelo per via deU’Eccl.'" 0 Sig. r Ambasciatore o altra connnodità sicura, come meglio parerà alla cortesia di V. S. Eccl. n,a , et potrà indirizzarla colla mia soprascritta al bidello del nostro Studio della Sapienza. Mi scusi del lungo tedio, et mi conservi nel numero de’ più devoti et affettionati servitori ; con elio fine, pregandoli dal Signore queste et in¬ finite altre bone feste, li bagio lo mani. Da Roma, li 21 di Decembre 1019. Di V. S. molto lll. ra et Eccl. ,na Servitore Devotis. m ° Giulio Cesare Lagalla. 1431 *- GIOVANFItANCESCO SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, 21 dicembre 1619. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B. a LXXXVI1I, n.° 93. — Autografa. Molto 111.» S. r Ecc. mo Scrissi già alcune settimane al S. r Ressidcnte, et gli mandai una mia per il Germini, pregandolo veder di riscuotere il nostro credito c’ habbiamo con lui ; ma, per la risposta che io tengo, non s’è mai potuto ritrovarlo, et di lui et del fratello s’hanno pessime relationi. Prego V. S., a nome anco del S. r Zaccaria c3> , adoperar l’auttorità sua, acciò questo ribaldalo non ci faccia stare. Al Yarottari io voleva dar sodisfattione della Scapigliata (t) : ma Bicorne egli usa modestia nel dire con V. S. Ecc. ma , et come non tiene conto, negando di far dimanda alcuna, così all’incontro io so che pretende molto più del Bussano del¬ io 1’ opere sue. Ho essaminato un suo giovane, mostrando voler il suo consiglio, e m’ha voluto persuadere a dargli venti ducati o almeno quindici ; il che non ho <>t Furono dati alla luco duo anni più tardi, col torto, eho questo Discorso fosso diverso dal trattalo titolo : lui.» Caesams I.a^àixa, ecc. Do immurtalilaU elio univorsalmente si attribuiva a Galii.ko por la animorum ex Arietotelis sentenzia libri UT acc. Renine, parte eho questi vi aveva avuto, ex typograpliia Cninerao Apostolicae, MDCXXI. ,S| Zaccaria Saqkkdo. ■ *> Il I,AnAi.i.A. vedendo in fronte al Distorto **' Cfr. n.® 1427. delle Comete il nome di Mario Gutouooi, erodeva, a 502 21 — 27 DICEMBRE 1619. T1431-14 32] voluto fare, so prima non ho aviso da V. S. Ecc. roa , parendomi che se il Bussano fa un ritratto por dicci scudi, possi questo contentarsi di «licci ducati. Io sono alquanto impedito: non posso ossor più lungo; le buccio la mano. In Va 21 Xhre 1619. Di V. S. Ecc. M,a Tutto suo S. r Galilei. G. F. Sag. Fuori : Al molto 111" S. r Oss. mo L’Eco. mo S. r Galileo Galilei. Firenze. no 1432*. LORENZO PIGNORIA a GALILEO GALILEI in Fironzo. • Padova, 27 dicembri? ltìli). Bibl. Nnz. Fir. Mss. (tal., P. I, T. Vili, cnr. 09. — Autografa. Molt’ 111." et Ecc. mo S. r mio Oss. rno 10 non so trovare l’età del figliolo 01 di V. S. ne’nostri libri, «^t sarà neces¬ sario ch’io liabbia il nome del figliolo et dolla madre 1 * 1 . 11 S. r Sandelli lo vivo servidore, et Mona/ Gualdo sta bene, allegro al solito et di buona voglia. Il P. D. Girolamo Spinelli, alias Cecco d’i Ronchitti"’, à Priore qui in S. u Giustina. Io mi prendo licenza di baciar lu mani a V. S. a nomo di esso et de i sopradetti fin che lo ratificaranno, come so che faranno ben volen¬ tieri, et io fo ’l simile, desiderandolo ogni contentezza. Di Pad.*, il dì 27 Dee." 1619. Di V. S. molt’ 111." et Ecc. m * Sor." Afl>° io Lorenzo Pignoria. Fuori : Al molt’111." et Ecc. mo S. r mio Oss. 0 Il S. r Galileo Galilei, a Fiorenza. VlNCKHZlO. DoC. XVI, ej. '*1 Marina Gamba. Cfr. Voi. XIX, pug. 220, <»> Cfr. Voi. li, pag. m FINE DEL VOLUME DUODECIMO. INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XII (1614-1619). Gio. Antonio Magmi a Galileo. 1° gennaio 1014 Federico Cosi » 3 » » Filippo Salviati » 13 » » Silvestro Landini » 17 » » Federico Cesi » 18 & » Galileo a Gio. Battista Baliani. 25 » Giulio Cesare Lagnila a Galileo. • • • 27 » Federico Cesi » 30 » Giulio Cesare Lagnila » » » Gio. Battista Baliani » 31 » Benedetto Castelli » . 5 febbraio Marco Welser a Giovanni Kepler. 11 » Benedetto Castelli a Galileo. 12 » Federico Cesi » 13 » Benedetto Castelli » 26 » Antonio Santini » 28 » Federico Cesi » . 1° marzo Benedetto Castelli » 3 p Tommaso Campanella » 8 » Galileo a Gio. Battista Baliani. 12 » Benedetto Castelli a Galileo. » » Marino Ghetnldi » . Tommaso Giannini » . Benedetto Castelli » . Federico Cesi » . Benedetto Castelli *> . Paolo Pozzobonelli » . Benedetto Castelli » . Gio. Battista Baliani » . Giovanfrancesco Sagredo a Marco Welser. 2 aprilo 4 » 504 INDICE CRONOLOGICO. 994 11 aprile 995 12 » 996 Benedetto Castelli a Galileo. . 16 J» 997 Giovanfrancenoo Sagredo a Galileo. 19 » 99K Benedetto Castelli * .. • • • • • 21 » 999 Federico Cesi p .. * 26 » 1000 Bernardino Gaio * . » 1001 Giovanfrancesco Sagredo » . » 1» 1002 Benedetto Castelli * . 4 maggio 1003 » » .. 7 ► 1004 Marco Wolsor a Giovanni Faber. 9 » 1006 Francesco Stelluti a Galileo. 10 p 1006 Benedetto Castelli » . 14 » 1007 Galileo a Michelangelo Buonarroti. 15 r 1008 16 p 1009 Michele Maestlln a Giovanni Kepler. 17 0 1010 Lorenzo Pignoria a Galileo. 23 p 1011 Marco Wolser a Giovanni Faber. » p 1012 Giovaufrancesco Sagredo a Galileo. 24 » 1018 Francesco Stelluti » . » » 1014 > » . 31 » 1015 Benedetto Castelli » . 4 giugno 1016 Federico Cesi * . 1 14 > 1017 Francesco Stelluti » . p » 1018 Galileo a Cosimo li, Granduca di Toscana. » 1019 Arturo Pannocchieschi d*Elei a Galileo.. 17 » 1 <>'>() Ì9 » 1021 Giovanni Bardi » . 20 » 1022 Matteo Welser » . * » 1023 Francesco Stelluti > . 28 > 1024 Giovanni Bardi » . 2 luglio 1025 Lodovica Vinta » . » p 1026 Paolo Gualdo * . 5 » 1027 Vincenzo Mirabella » . . 7 » 1028 Antonio Santini » . 11 » 1029 Federico Cesi * . 12 » 1080 Ottavio Pisani *> . 18 p 1031 Giulio Cesare Lagnila a Galileo. 25 p 1082 Fabio Colonna » . 29 p 1088 Lorenzo Pignoria > . 1° agosto 1084 Francesco Stelluti * . 2 » 1035 Fabio Colonna » . 8 * 1036 Federico Cesi » . 9 »> 1087 Conte Conti » . 15 » 1088 Galileo a Paolo Gualdo. 16 > 1089 | Federico Cesi a Galileo. » » 1614 l J «g. 47 48 49 51 52 53 54 5l) 57 » t» v X » 58 59 60 61 62 64 65 > » » > » » > » » » » v » p t> » * > » * » > » p 66 67 «8 69 70 72 73 > 74 76 77 78 79 80 81 82 83 85 86 87 88 89 90 91 92 93 p 94 t» 95 INDICE CRONOLOGICO. 1040 Vincenzo Mirabella a Galileo. 19 ngosto 1614 1041 Federico Cesi » .. 23 » p 1042 j» » . 13 settembre » 1048 Antioco Bentivegli » . 21 p » 1044 Gio. Battista Della Porta a Galileo. 26 » » 1045 Fabio Colonna a Galileo. 3 ottobre p 1040 Luca Valerio j> . » » » 1047 Federico Cesi » . 4 i> p 1048 Niccolò Fabri di Pei rese a Paolo Gualdo. 5 » » 104» Galileo a Michelangelo Buonarroti. 13 » » 1050 Antioco Gentivogli a Galileo. 19 » » 1051 Michelangelo Galilei » . 22 p » 1052 Girolamo da Som inaia » . 5 novembre » 1068 Luca Valerio a Federico Cesi.. 7 p » 1054 Giovanni Ciampoli a Galileo. 8 » » 1055 Benedetto Castelli » . 12 p » 1060 Paolo Gualdo » . 20 » » 1057 Benedetto Castelli » . 26 » » 1058 Galileo a Paolo Gualdo. 1° dicembre » 105» Benedetto Castelli a Galileo. 3 p p 1000 Giovanni Tarde » . 6 » » 1001 Paolo Gualdo » . 13 » p 1062 Benedetto Castelli » . 1» » » 1008 Galileo a Michelangelo Buonarroti. 20 » » 1004 Federico Cesi a Galileo. 24 » ?> 1005 Benedetto Castelli a Galileo. 31 p » 1000 Ottavio Pisani a Giovanni llepler. 1614 1007 Federico Cesi a Galileo. dicem. 1644 — geni. 4615 1068 Niccolò Fabri di Peiresc a Paolo Gualdo. 2 gennaio 1615 100» Benedetto Castelli a Galileo. 6 » » 1070 Luigi Mavalli » . 10 » » 1071 Federico Cesi » . 12 » » 1072 Benedetto Castelli » . 13-14 » p 1078 Niccolò Tassi » . 17 » p 1074 Benedetto Castelli » . 21 » p 1075 » » . 28 » » 1070 Federico Cesi » . 2 febbraio » 1077 Cristoforo Scheiner » . 6 » » 1078 Gio vanir ancesco Sagredo a Galileo. 7 » » 1079 Niccolò Lorini a Paolo Sfondrati. » » » 1080 Santorre Santorio a Galileo. 9 p » 1081 Galileo a Piero I)ini. 16 p » 1082 Paolo Gualdo a Galileo. 18 p » 1088 Benedetto Castelli a Galileo. 20 p » 1084 Piero Dini » . 21 » » jar. 505 Pag. 96 98 » 99 101 102 104 » 105 » 106 108 109 » 110 » 111 113 114 115 117 118 119 121 122 » 124 » 125 126 127 128 131 133 » 135 136 137 138 140 » 142 » 143 144 64 606 1085 INDICE CRONOLOGICO. Giovanni Ciampoli ti Galileo. 28 febbraio 1615 1086 Giovanni Faber > . » » » 1087 Ottavio Pisani » . 2 marzo » 1088 Ottavio Pisani a Cosimo II, Granduca di Toscana.... » » 1089 Federico Cosi a Galileo.. 7 » » 1090 Piero Dini » . » » » 1091 Lelio Mar*/ari a Gio. Gonna Millini. » » > 1092 Francesco Bonciani a Gio. Garaia Millini. 8 » > 1098 Galileo ad Andrea Cioli. 10 » » 1094 Benedetto Costelli a Galileo. 12 » 1095 Piero Dini » . 1 1 » 0 1090 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 15 » » 1097 Benedetto Castelli » . 18 x> i* 1098 Alessandro d’Este » . > a> » 1099 Giovanni Ciampoli * . 21 a > 1100 Galileo a Piero Dini. 23 » » noi Benedetto Castelli a Galileo. 25 * > 1102 Piero Dini » . 27 » » 1103 Giovanni Ciampoli » . 28 > » 1104 Francesco Bonciani a Gio. Garsia Millini. » » » 1105 Piero Dini a Galileo. 3 aprile > 1100 Benedetto Castelli a Galileo. 9 » * 1107 Federico Cesi » . 11 » » 1108 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. » » » 1109 Cristoforo Scheiner » . » u * ino Roberto Bellarmino a Paolo Antonio Foscarini. 12 » > 1111 Cornelio..., Inquisitore di Firenze, a Gio. Garsia Millini. 13 » » 1112 Piero Diui a Galileo. 18 I> P 1113 p * . 20 » 9 1114 » » ... 25 » i» 1115 » j> . 2 maggio V 1110 Ottavio Pisani a Galileo. » » p 1117 Benedetto Castelli a Enea Piccolomini d’Aragona. * » V 1118 Benedetto Castelli a Galileo .. 6 » ì> 1119 Cornelio..., Inquisitore di Firenze, a Gio. Garsia Millini. 11 » 9 1120 Benedetto Castelli a Galileo . 13 » » 1121 Federico Cesi » . 15 » 1> 1122 Piero Dini » . 16 * P 1128 Benedetto Castelli > . 20 » * 1124 Galileo a Piero Dilli . » » 1125 Alessandro d’Este a Galileo . 9 giugno > 1120 Giovanni Battista Baliuni a Galileo . 17 » > 1127 Federico Cesi » . 20 » * 1128 Giovanfrancesco Sagredo » . » » » 1129 Desiderio Scaglia a Gio. Garsia Millini . 24 » 9 1130 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo . | 4 luglio • » Pag. 145 147 148 149 » 151 152 , » » 153 155 15G 158 155) 1G0 161 » 1G2 1G3 1G4 » 165 1GG 167 170 171 172 173 » 174 175 17G 177 » 178 179 180 181 182 183 185 18G 189 190 192 INDICE CRONOLOGICO. llitl 1182 1188 1184 1185 1180 1137 1138 1181 ) 1140 1141 1142 1143 1144 1145 1140 1147 1148 1141 ) 1150 1151 1152 1158 1154 1155 use 1157 1158 1159 1100 1161 1162 1168 1164 1105 1100 1167 1108 1109 1170 1171 1172 1173 1174 INDICE CRONOLOGICO. i GiovanFrancesco Sagredo a Galileo. 18 luglio 1615 507 Pag. 194 Gio. Battista Chiodino a Gio. Garitta Milli ni. 24 » » 195 Niccolò Fabri di Peiresc a Paolo Gualdo. 30 » p » Fabio Colonna a Galileo. 14 agosto » » Federico Cesi » . 25 » » 196 Luca Valerio » . 10 settembre » 197 Giovanfranceaco Sagredo a Galileo. 10 ottobre » 198 » 5 » . 17 » » 199 Desiderio Scaglia a Gio. Garsia Millini. 21 » j> 201 Giovanfranceaco Sagredo a Galileo. 24 » » » Lelio Mar zar i a Fabrizio Vernili. 15 novembre » 203 Cosimo II, Granduca di Toscana, a Piero Guicciardini. 28 » t> » » a Francesco Maria del Monte.. r> » p » » a Paolo Giordano II Orsini.... t> » » 204 » ad Alessandro Orsini. » » p p Curzio Picchena ad Annibale Primi. » > » 205 Cosnno 11, Granduca di Toscana, a Scipione Borghese. 2 dicembre » » Giovanfranceaco Sagredo a Galileo. 5 » p 206 Piero Guicciardini a Curzio Picchena.. » p > » » a Cosimo II, Granduca di Toscana.. 11 » » 207 Francesco Maria del Monte a Cosimo li, Granduca di Toscana. » » » 208 Galileo a Curzio Picchena. 12 » p » Luigi Maraffi a Galileo. » » » 209 Curzio Picchena » . 19 » » 211 Galileo a Curzio Picchena. 26 o » » Antonio Querengo ad Alessandro d’Este. 30 » » 212 Onofrio Castelli a Galileo. 31 » > 213 Galileo a Cristina di Lorena. 1615 214 Paolo Antonio Foscarini a Galileo. 1615-1616 215 Galileo a Curzio Picchena. 1° gennaio 1616 220 Antonio Quorengo ad Alessandro d’Este. p » » » Curzio Picchena a Galileo. 2 » » 221 » » . 7 » » p Galileo a Curzio Picchena. 8 » » 222 Onofrio Castelli ad Aadrubale Barbolani di Montauto. 10 » p 224 Curzio Picchena a Galileo. 12 p j » Antonio Querengo ad Alessandro d’Este. 13 » p 225 Galileo a Curzio ricchena . . 16 » » p Curzio Picchena a Galileo . 19 » » 226 Antonio Querengo ad Alessandro d’Este. 20 » » » Galileo a Curzio Picchena . 23 » p 227 Antonio Querengo ad Alessandro d’ Este . 27 » » 229 Galileo a Curzio Picchena . 30 » p p » > . 6 febbraio » 230 508 INDICE CRONOLOGICO. 1175 Curzio Picohena a Galileo.. 6 febbraio 1616 P»R. 232 1170 Cosimo II, Gramluca di Toscana, ad Alessandro Orsini. 12 » ¥ 233 1177 Galileo a Curzio I’icchena. 13 » p i> 1178 Curzio Piochona a Galileo. » » i> 235 1170 Scipione Borghese a Cosimo II. Granduca di Toscana. x> • p 236 1180 Curzio Piccliena a Galileo. 17 B r » 1181 » > . 19 » » 237 1182 Galileo a Curzio Piccliena. 20 » h 238 1183 Alessandro Orsini a Cosimo II, Granduca di Toscana. » » P 239 1184 Galileo a Giacomo Muti. 28 » P 240 1185 Piero Guicciardini a Cosimo II, Granduca di Toscana. 4 narzo 9 241 1180 Antonio Querelilo ad Alessandro d’Este. r> > i 243 1187 Galileo a Curzio Piccliena.. fi * » p 1188 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. li » » 245 1180 Galileo a Curzio Piccliena. 12 % » 247 1100 Curzio Piccliena a Galileo. » » » 249 1191 » » . 20 » » 250 1102 Galileo a Curzio Piccliena. 2fi ► » » 1108 Faolo Sfondrati all’ Inquisito™ di Modena. 2 aprile P 252 1104 Raffaello Gualterotti a Galileo. 3 > P > 1195 Benedetto Castelli a Galileo. 20 * » 254 1190 Tobia Matthew a Francesco Bacone. 21 » » 255 1197 Galileo a Curzio Piccliena. 23 » P » 1198 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. » *► » 257 1109 Piero Guicciardini a Curzio Piccliena. 13 maggio » 259 1200 » » . 14 * P > 1201 Galileo a Bartolomeo Leonardi d’Argonsola. 16 » P 260 1202 Curzio Piccliena a Galileo. 23 » > 261 1208 Bartolomeo Leonardi d’Argensola a Galileo. 31 » » 262 1204 Riccolò Antonio Stelliola a Galileo. 1° giugno » 263 1205 Alessandro Orsini a Cosiino li, Granduca di Toscana. » » ► » 1200 Pierluigi Caraffa a Gio. Garsia Millini . 2 ► > 264 1207 Francesco Maria del Monto a Cosimo II, Granduca di Toscana . 4 » P » 1208 Matteo Cacciai ad Alessandro Caccini . 11 ► » 265 1200 Federico Cesi a Galileo . 25 » » > 1210 Alessandro Orsini a Galiloo . 26 » » 266 1211 Curzio Picchena a Orso d’ Elei . 30 » P 267 1212 » a Bartolomeo Leonardi d'Argensola. . > » P 269 1213 Cosimo II, Granduca di Toscana, ad Orso d’Elei . » » P p 1214 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo . 1 16 luglio > 270 1215 Federico Cesi a Galileo . . 23 » » 271 1210 » j» . 28 p > 272 1217 Gio. Angelo Altemps a Galileo . 30 » * p 1218 Galileo a Federico Cesi . 27 agosto P 273 1219 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo . 1 » p P » INDICE CRONOLOGICO. 509 1220 Federico Cesi a Galileo. 3 settembre 1616 Pag. 274 1221 Giovanni Fabei* » . » » » 275 1222 » a Federigo Borromeo. » j> 5> 276 1223 Pietro Iacopo Failla a Galileo. 6 » » 277 1224 Giovant'ranceBco Sagrodo » . 10 » » 278 1225 Malateuta Porta » . 13 ** 279 1226 Federigo Borromeo a Giovanni Faber. 21 » » 283 1227 Alessandro Capoano a Galileo. 29 » 284 1228 Federico Cesi a Galileo. 8 ottobre » 285 1220 Orso d’Elei a Curzio Picchena. 13 » » 286 1230 Giovan Iran «esco Sagrodo a Galileo. 15 » » » 1281 Tommaso Campanella » . 3 novembre t 287 1282 Giovanfranccsco Sagredo » . 12 » » 288 1238 Galileo a Pietro di Castro, Conte di Lernos. 13 s> » 289 1284 r> a Francesco di Sandoval, Buca di Berma. ... » » » 290 1285 » ad Orso d’ Elei. > » » 291 1236 1 Benedetto Castelli a Galileo. 16 » » 296 1287 Gio. Battista Boubì » . 28 » » 297 1238 Malatesta Porta » . 24 dicembre » » 1230 Virginio Cesarmi » . 31 * 299 1240 Giovanni Ciampoli » . » » » 300 1241 Benedetto Castelli a Galileo. 7 gennaio 1617 301 1242 Gio. Antonio Roffeni » . » » » 302 1248 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo.1 20 » » » 1244 Tobia Adami » . 26 » 303 1245 Fabio Colonna » . 3 febbraio »> 305 1246 Giovanfrancesco Sagredo » . 7 » X» 306 1247 Gio. Antonio Roffeni » . 14 » » 308 1248 Benedetto Castelli ** . 22 » r- 309 1240 Federico Cesi » . 11 marzo » 310 1250 Pietro di Castro, Conte di Lemos, a Galileo. 18 » » » 1251 Galileo a Curzio Picchena. 22 » » 311 1252 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 7 aprile » 312 1258 Pietro Francesco Malaspina » . 18 » » 313 1254 Benedetto Castolli J> . 16 maggio » 315 1255 Giovanfrancesco Sagrodo » . 20 i> » 316 125G Benedetto Castelli s> . 21 » 5» 318 1257 » » . 24 » 319 1258 Federigo Borromeo » . 14 giugno » 320 1250 Galileo ad Andrea Gioii. 16 » » 321 1260 t> ad Orso d* Elei. » » » 1261 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 8 luglio » 328 1262 Àscauio Turtorini a Gallanzone Gallauzoni. 12 » » 329 1268 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 21 » J> 331 1264 Antonio Giggi * . 1 26 » I> 382 510 INDICE CRONOLOGICO. 1266 Gallanzone Galianzoili a Galileo . 28 luglio 1617 rag. 333 1266 Giovanfrancesco Sagrodo » .| 5 agosto » 384 1267 Fabio Colonna * . 10 * » 336 1268 Orso d’Elei a Curzio Picchetta .. » » > 337 1269 Francesco Stelluti a Galileo. 11 ► > » 1270 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo.. 12 » ► 338 1271 Miuhelungolo Galilei » . 16 » » 339 1272 Federico Cesi » . 22 o » 340 1273 Giovanni Faber » . 26 * T > 341 1274 GiovanfranceBco Sagrodo » . » » * 342 1275 » J> . 9 settembre » 343 1276 Annibaie Guidueci * . 11 » » 344 1277 Orso d’Elei a Francesco «li Saudoval, Duca di Lcnua » * 345 1278 Benedetto Castelli a Galileo . 18 x* » 346 1279 Francesco Stelluti » . 29 » » 1280 Girolamo Magagnati » . 30 * » 347 1281 Giovanfrancesco Sagrodo a Galileo . 20 ottobre » 318 1282 Girolamo Magagnati ► . 4 novembre o 350 1283 Francesco di Sandoval, Duca di Lerma, al Presidente del Consiglio delle Indie . 6 * » 351 1284 Tobia Adami a Galileo . 10 » T> 352 1285 OrBO d’ Elei a Curzio Picchena. 30 * * 858 1286 Galileo * . 4 dicembre * 354 1287 Giovalifraucesco Sagredo a Galileo . 9 » » 355 i2as Federico Cesi » . 22 * * 356 1280 Galileo a Federigo Borromeo. 23 * » » 1290 » ad Orso d’Elei . 25 » > 358 1291 Antonio Giggi a Galileo . 27 * > 362 1292 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 30 * » » 1293 Lelio d’Oriolo a Galileo. 2 gennaio 1618 364 1294 Federigo Borromeo » . 3 » » » 1295 Cesare Cremonini a GiovanfranceBco Sagredo. 7 » » 365 1296 Orso d’Elei a Curzio Picchena. 11 » > 366 1297 Alessandro Orsini a Galileo. 12 » » » 1298 Federico Cesi » . 13 * > 367 1299 Giovanfrancesco Sagredo a Cesare Cremonini. » » » 368 1300 » a Galileo. » » » » 1801 » a Cesare Cremonini. 19 » 369 1802 Cosare Cremonini a Giovanfrancesco Sagredo. 20 »> » 370 1308 Curzio Picchena a Galileo. 25 » » » 1804 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 3 febbraio 7 > 371 1805 Benedetto Castelli & . 7 * » 372 1806 » » . 14 i> > 373 1807 » » . 1° marzo » 374 1808 Alessandro d’Esto » . 2 » » 375 IH INDICE CRONOLOGICO. Francesco Tinelli a Paolo Gualdo. Giovanfrancesco Sagredo n Galileo. Paolo Gualdo » . Galileo a Curzio Picchonn. Curzio Picchena a Galileo. Galileo a Curzio Picchena. Federico Cesi a Galileo. Orso d’Elci a Curzio Picchena. Girolamo da Sonnnaia a Galileo. Paolo Gualdo e Lorenzo Pignoria a Galiloo Federico Cesi a Galileo. Girolamo Magagnati a Galileo. Federico Cesi » . 15 marzo 1618 18 » » 3 aprile » Galileo a Federigo Poi-romeo. » a Leopoldo d’Austria. Cosimo II, Granduca di Toscana, a Francesco Maria della Rovere. Cesare Crcmonini a Giovanfrancesco Sagredo. Niccolò Riccardi a Galileo.. • Giovanfrancesco Sagredo a Galiloo. Giulio Gerini » . Federico Cesi » . Leopoldo d’Austria » . Virginio Cesarmi » . Giovanni Ciani poli » . Giovanfrancesco Sagredo » . Roberto Ubaldini » . Filippo d’Assia » . Niccolò Fabri di Petrose a Giovanni Vittorio de’ Rossi. Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. Francesco Stelluti * . Giovanfrancesco Sagredo » . Giuseppe Neri » . Giovanni Ciampoli a Federico Cosi. Federigo Rorromeo a Galileo. Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. Giovanni Faber » . Carlo Muti » . Paolo Guaklo . Virginio Cesarmi » . Giovanfrancesco Sagredo » . Giovanni Remo a Giovanni Kepler. Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 5 maggio 11 » 16 » 23 » 26 » 28 » 2 giugno 23 » i) luglio 10 » 3 agosto » 4 » » IO » » 18 » » 22 » » 24 » » 27 » » 6 set tembre » 7 » » x> » » 14 » b 1° ottobre » 13 » » 20 » » 27 » » 3 novembre » 512 INDICE CRONOLOGICO. Jftf»4 23 novembre 1618 Pag. 420 1865 Paolo Gualdo a Galileo. 80 » p » 1 jt'id * » » 421 1857 1° dicembre » 422 1868 Giovanni Kepler a Giovanni Homo. * » » 423 186» Giuseppe Neri a Galileo. 12 V * » 18(10 Zaccaria S&gredo » . .... » t> » 425 1801 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 15 » > 427 1802 Domenico Bonsi * . 18 » t> 428 1868 Giovanfrancesco Sagredo » . 22 » > 429 1804 Federico Cesi a Giovanni Falior. 24 » » » 1805 Francesco Stellati a Galileo. 25 » » 430 1300 Ippolito Aldobrandiui a Galileo. . 5 gennaio 1629 431 1807 Alberto Gondi » . » » 1619 432 1308 Giovanni Renio » . 12 » » 433 1869 Leopoldo d'Austria » . 13 » » 435 1370 Federico Cesi a Giovanni Faber. 14 » > 436 1371 Ottavio Bandini a Galileo. 19 » > » 1372 Gio. Battista Ri miccini a Galileo. » > » 437 1378 Leopoldo d’Austria •> . 12 febbraio » 438 1374 Federico Cesi * . 15 » » > 1876 Roberto Galilei > . 16 » » 440 1370 Galileo a Cosimo li, Granduca di Toscana. » > 441 1877 22 442 1878 2 > 443 187» Bonaventura Cavalieri » . 6 » * 444 1880 Giovanfrancesco Sagredo » . 8 » > » 1881 Giovanni Remo a Giovanni Kepler.. 13 » » 446 1882 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 30 » » » 1888 Giovanni Faber » . 3 aprile » 449 1884 Tobia Matthew a Francesco Bacone. 14 » » 450 1386 Cosimo Giunti a Galileo. 1U > » » 1886 Lorenzo Usimliardi a Cosimo li, Granduca di Toscana. 1 18 » 451 1887 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 11 maggio » 452 1888 t> » . 24 » » 453 138» Galileo a Curzio Picchena. 20 > » 456 1890 Camillo Germini a Galileo. V giugno » 457 18» 1 Giovaufraucesco Sagredo a Galileo. 7 » » 458 1892 Mario Guiducci a Leopoldo d’Austria. 8 » » 460 1898 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. 22 » » » 1894 Galileo a Mafleo Barberini.. 29 > » 461 1895 » a Federigo Borromeo. » » * 462 1390 Mafleo Barberini a Galileo. 5 luglio » 463 1397 Alessandro d’Este » . 6 » p » 1898 Giovanfrancesco Sagredo a Galileo. » » » 464 INDICE CRONOLOGICO. 513 1399 Giovanni Ciampoli fi Galileo. 12 luglio 1619 rag. 465 1400 Giovanlraneoseo Sagre do a Galileo. » » > 467 140! Federigo Borromeo » . 16 K » » 1402 Alessandro Orsini » . 19 » > 468 1403 Giovanni Remo a Giovanni Kepler. 23 » » 469 1404 Antonio Giggi a Galileo. 24 » » 470 1406 Alessandro d’Este » . 27 » » » 1400 Federico Cesi » . 28 » » 471 1407 Federigo Borromeo » . 31 » » 472 1408 Virginio Cesarini » . 3 agosto » » 1409 Francesco S tei luti » . 6 V » 473 1410 Gio. Battista Bulinili a Galileo. 8 & » 474 1411 Fabio Colonna » . » » » 479 1412 Giovanlraneoseo Sagredo » . 10 » i> » 1413 Giovanni Remo a Giovanni Kepler. 13 » » 481 1414 Carlo Muti a Galileo. 16 » » » 1415 Riccardo White » . » » » 482 1410 Giovanni Bnrtoluzzi a Galileo. 17 » » » 1417 Giovanni Remo *> . 24 » » 484 1418 » » . » » » 488 141» Federico Cesi . 10 settembre » 489 1420 Giovanfraucesco Sagredo » . 21 t> *> 490 1421 Carlo Muti » . 24 » » 491 1422 Michelangelo Galilei » . 10 ottobre » 493 1423 Giovanni Ciampoli » . 18 * » 494 1424 Giovanni Kepler a Giovanni Remo. » 495 1425 Francesco Stellati a Giovanni Faber. 2 novembre » » 1420 Federico Cesi a Giovanni Faber. 12 » » 496 1427 Giovanfraucesco Sagredo a Galileo. 15 » » » 1428 Alessandro Tadino » . 29 > » 498 1429 Giovanni Ciampoli » . 6 dicembre x> > 1430 Giulio Cesare Lagnila » . 21 » » 499 1431 Giovanfrancesco Sagredo » . » » y> 501 1432 Lorenzo Pi gnor ia » . 27 » a> 502 TtV INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VoL. XII ( 1614 - 1619 ). Adami Tobia a Galileo. » » . Aldobrnndini Ippolito a Galileo Altofnps Gio. Angolo » Assia (d-) Filippo » Austria (d’) Leopoldo » » » » » N.* | Pag. 26 gennaio 1617 1244 303 10 novembre t> 1284 352 5 gennaio 1629 1366 431 30 luglio 1616 1217 272 » 1618 1337 402 11 d » 1332 397 13 gennaio 1619 136» 435 12 febbraio » 1373 438 31 gennaio 1614 073 19 4 aprile » 092 44 17 giugno 1615 1126 186 8 agosto 1619 1410 474 19 gennaio » 1371 436 5 luglio » 1396 463 20 giugno 1614 1021 76 2 luglio » 1024 79 17 agosto 1619 1416 482 12 aprile 1615 1110 171 21 settembre 1614 1043 99 19 ottobre » 1050 106 8 marzo 1615 1092 152 28 » » 1104 164 18 dicembre 1618 1862 428 28 novembre 1616 1287 297 13 febbraio » 1179 236 21 settembre » 1226 283 14 giugno 1617 1258 320 3 gennaio 1618 1294 364 27 agosto *• 1844 409 16 luglio 1619 1401 467 31 » » 1407 472 516 INDICE ALFABETICO. (Inceliti Matteo ad Alessandro Cacciti!. Campanella Tommaso a Galileo. » » . Capoano Alessandro » . Caraffa Pierluigi a Gio. (larsia Mlllini. Castelli Benedetto a Galileo. » » . » » . i> » . t> » . » » . » » . » x> . » » . r> » . » » . e t> . e 7 > . J> 7» . 1 > » . » > . S> > . 2> » . » > . 5> > . » » . t> » . » » . » » . » » . » * . » » . » » . t> » . » » . » > ......... » » . t> » . » » . T> t . ► » . * * . » * . » » . » * . » » . 11 giugno 1616 N.* 1208 rag; 265 8 marzo 1614 982 81 3 novembre 1616 1281 287 111 ) settembre * 1227 284 2 giugno % 1206 264 5 febbraio 1614 074 23 12 » » 976 24 26 * 078 26 5 marzo * 081 30 12 *> 984 36 19 » » 087 39 23 * » 089 41 2 aprile * 001 43 16 » * 006 49 21 > 998 52 4 maggio » 1002 57 7 » » 1003 58 14 » » 1006 61 4 giugno » 101» 69 12 novembre % 1065 110 26 » » 1057 113 3 dicembre * 1059 115 19 » T> 1002 119 31 » » 1066 122 6 gennaio 1615 1069 126 13-14 * 1072 131 21 » * 1074 133 28 > » 1075 135 20 febbraio » 1088 143 12 marzo * 1094 153 ia » » 1097 158 25 * » 1101 161 9 aprile » HOC 165 6 maggio » 1118 177 13 * » 1120 179 20 > » 1128 182 20 aprilo 1616 1195 254 16 novembre » 1286 296 7 gennaio 1617 1241 301 22 febbraio » 1248 309 16 maggio > 1254 315 21 > * 1250 318 24 » » 1267 319 18 settembre 1278 346 7 febbraio 1618 1805 372 14 » > 1806 373 INDICE ALFABETICO. 517 Cavalieri Buonaventura a Galileo. Cesarmi Virginio » l n mar7.0 16 IR 2 maggio 1615 0 gennaio 1616 il dicembre 1615 8 marzo 1617 6 » 1619 31 dicembre 1616 21 luglio 1618 1° ottobre » 1° dicembre » 3 agosto 1619 24 dicembre 1618 14 gennaio 1619 12 novembre » 3 gennaio 1614 18 » » 2-1 » » 30 » » 15 febbraio » 1° marzo » 21 » » 12 aprilo » 26 » ■» 14 giugno » 12 luglio » 9 agosto » 16 » s> 23 » 13 settembre » 4 ottobre » 24 dicembre s> dieem. 1613 — 5*1111. 4 fiiS 12 gennaio 1615 2 febbraio » 7 marzo » 11 aprilo » 15 maggio ■» 20 giugno » 25 agosto » 25 giugno 1616 23 luglio » 28 » » 3 settembre » 8 ottobre » 11 marzo 1617 22 agosto » N.° 1307 1117 1105 1157 1250 1370 1280 1833 1841) 1357 1408 1364 1870 1420 964 067 068 071 077 080 088 005 000 1016 1020 toso 1030 1041 1042 1047 1064 1067 1071 1076 1080 1107 1121 1127 1135 1200 1215 1216 1220 1228 1240 I 1272 518 INDICE ALFABETICO. C'osi Federico a Gallio© ..... . » » ... » » . » » . » » . » » . » * .. » » . ... . f p . p » . Chiodine (rio. Battista a Gio. (tarsia Milllni. Ciamboli Giovanni a Federico C'osi. » a Uni ileo. » » . » » ... » j> . » » . » » . » » . » » ... » » . Colonna Fabio a Galileo .... » » . » » . » » . » » .. . » » ...... » b . P » ... P P . Conti Conte a Galileo. * » . Cornolio— Inquisitore di Firenze a Gio. Garsia Milliui. » * Creinoli ini Cesare a Giovaulraneoseo Sagrodo. p » . * » . Bini Tioro a Galileo. » » . » » . p p . » » . » p . * » . » p . 22 dicembre 1017 N.* | 1288 1 Pnjf. 356 13 gennaio 1018 1298 ; 367 20 aprile » 1315 383 28 » » 1319 386 5 maggio » 1321 387 11 * » 1322 388 10 luglio » 1331 396 15 febbraio 1G19 1374 438 28 luglio » 1406 471 IO settembre 0 1419 489 21 luglio 1615 1132 195 24 agosto 1618 1343 409 8 uovembro 1614 1054 110 28 febbraio 1615 1085 145 21 marzo p 109» 160 28 * » 1103 163 31 dicombre ItilC 1240 300 21 luglio 1618 1334 399 12 » 1619 1399 465 18 ottobre > 1123 494 6 dicembre » 1429 498 1G maggio 1614 1008 62 19 giugno » 1020 74 29 luglio » 1032 88 8 agosto » 1085 DI 3 ottobre » 1045 102 14 agosto 1615 1184 195 3 febbraio 1617 1245 305 10 agosto » 1207 886 8 » 1619 1411 479 11 aprile 1614 994 47 15 agosto > 1037 93 13 aprile 1615 1111 172 11 maggio » 1119 178 7 gennaio 1618 1295 365 20 * » 1802 370 2G maggio » 1826 392 21 febbraio 1615 1084 144 7 marzo p 1090 151 14 » p 1095 155 27 » p 1102 162 3 aprilo p 1105 164 18 * p 1112 173 20 > x> 1118 * 25 > » 1114 | 174 INDICE ALFABETICO. 2 maggio 1615 16 » » 17 giugno 1614 11 settembre 1617 13 ottobre 1616 10 agosto 1617 30 novombro i> 11 gennaio 1618 23 aprile » 18 marzo 1615 9 giugno » 2 marzo 1618 6 luglio 1619 Faber Giovanni a Federigo Borromeo. 3 sottenibre 1616 j> a Galileo. 28 febbraio 1615 » » 3 settembre 1616 » » 26 agosto 1617 » » 7 settembre 1618 » t> 3 aprile 1619 Fallili Pietro Iacopo a Galileo. 6 settembre 1616 Fognari»! Paolo Antonio a Galileo. 1615-1616 Galilei Roberto 26 aprilo 1614 22 ottobre » 16 agosto 1617 10 ottobro 1619 16 febbraio » 23 maggio 1618 25 gennaio 1614 12 marzo » 29 giugno 1619 23 dicombro 1617 16 maggio 1618 29 giugno 1619 15 maggio 1614 13 ottobre p 20 dicembre » 13 novembre 1616 27 agosto » 10 marzo 1615 16 giugno 1617 16 febbraio 1615 23 marzo » 520 INDICE ALFABETICO. Galileo a Piero IMnl. » ad Orso d* Elei. s» ^ . > » .. . » a Paolo Gualdo. » » . » a Bartolomeo Leonardi d'Argentolu. v a Francesco di Sandoval, duca di Ferma » a Cristina di Lorena. » a Cosimo li de’ Medici. » » » » a Giacomo Muti. » a Curzio Ficclienn. » » . i > » . ► » . > » . » » . ► » .. * * . * » . * » . » » . » » . » » . » » . » b . » » .... » » . » » . » » . GaLl&nzonl Gallandone a Galileo. Cerini Giulio » . Germini Camillo » . Cheloidi Marino » . Giannini Tommaso » . Giggi Antonio » . » » . » 9 . Giunti Cosimo v . Gondi Alberto » . Gualdo Paolo » . » » . s> » x> s> » » N> P«g. maggio 1615 1124 183 13 novembre 1610 1285 291 giugno 1617 1260 321 25 dicembre » 1290 358 Iti agosto 1014 1038 94 1" dicembre » 1058 114 Iti maggio 1616 1201 2G0 13 novembre > 1284 290 1(515 1158 214 giugno 1614 1018 73 febbraio 1619 1870 441 28 febbraio 1616 1184 240 12 dicembre 1615 1152 208 26 * » 1155 211 1° gennaio 1616 1160 220 8 » » 1104 222 16 * » 1108 225 23 * « 1171 227 30 » » 1173 229 G febbraio » 1174 230 13 » » 1177 233 20 » » 1182 238 G marzo * 1187 243 12 » 9 1189 247 26 » » 1192 250 23 aprile 9 1197 255 22 marzo 1617 1251 311 4 dicembre » 1280 354 19 aprilo 1618 1312 380 20 » » 1314 382 26 maggio 1619 1389 456 28 luglio 1617 1205 333 9 » 1618 1880 896 1° giugno 1619 1890 457 15 marzo 1614 986 38 » » > 080 p 20 luglio 1617 1204 832 27 dicembre » 1291 362 24 luglio 1619 1404 470 1G aprile p 1885 450 5 gennaio » 1807 432 5 luglio 1614 1020 81 20 novembre » 1050 111 13 dicembre » 1001 118 18 febbraio 1615 1082 142 3 aprile 1618 1811 378 INDICE ALFABETICO. 521 (Annido Paolo a Galileo. » » . » » . (/imiteròtti Raffaello n Galileo. Guicciardini Piero a Cosiino li de* Medici » » » a Curzio Picclieua.... » :> .... t> » .... Guidacci Annibaie a Galileo. Guiducci Mario u Leopoldo d’Austria- Kepler Giovanni a Giovanni Remo. j> i> Lagalla Giulio Cesar© a Galileo » » » x* » i> Landini Silvestro » Leonardi d’ArgensoIa Bartolomeo a Galileo.! Lorini Niccolò a Paolo Sfomlruti. Maestlln Michele a Giovanni Kepler. Magagnati Girolamo a Galileo. » » . » » . Muglili Gio. Antonio » . Maliisplnn Pietro Francesco a Galileo. Marafìl Luigi a Galileo. » » .. Mar/ari Lelio a Fabrizio Vernili. » £ Matthew Tobia a Francesco Bacone. » » . Medici (do*) Cosimo 11 a Scipione Borghese. » ad Orso d’ Elei. » a Piero Guicciardini. a Francesco Maria del Monte. » ad Alessandro Orsini. 2» » . i/ a Paolo Giordano II Orsini. » a Francesco Maria della Rovere. Mirabella Vincenzo a Galileo. » » . Monto (del) Francesco Maria a Cosiino il de’Medici.. N." Pag. 2G aprilo 1618 1818 385 14 settembre » 1848 412 HO novembre » 1856 420 3 aprile 1616 1194 252 11 dicembre 1615 1150 207 4 marzo 1616 1185 241 5 dicembre 1615 1149 206 13 maggio 1016 1199 259 14 » » 1200 j> 11 settembre Kil7 1276 344 8 giugno 1619 1892 460 1" dicembre 1618 1358 423 ottobro 1619 1424 495 27 gennaio 1614 970 16 30 » » 972 19 25 luglio » 1081 87 21 dicembre 1619 1480 499 17 gennaio 1614 966 13 31 maggio 1616 1203 262 7 febbraio 1015 1079 140 17 maggio 1614 1009 64 30 settembre 1617 1280 347 4 novembre » 1282 350 28 aprile 1018 1820 387 1° gennaio 1014 968 11 18 aprile 1017 1253 313 10 gennaio 1615 1070 127 12 dicembre » 1153 209 7 marzo » 1091 152 15 novembre j> 1 1141 203 21 aprile 1016 1196 255 14 » 1619 1884 450 2 dicembre 1015 1147 205 30 giuguo 1016 1213 269 28 novembre 1G15 1142 203 !> » » 1143 » » t> » 1145 201 12 febbraio 1016 1176 233 28 novembre 1015 1144 204 23 maggio 1618 1825 392 7 luglio 1014 1027 82 10 agosto y> 1040 96 I 11 dicembre 1015 1151 | 208 022 INDICE ALFABETICO. Monte (del) Francesco Maria a Cosimo II de’ Medici... Mali Carlo a Galileo. » » . » » . Neri Giuseppe » » » Oriolo (d’> Lelio a Galileo. Orsini Alessandro » . e ? . » » . i> n Cosimo II de* Medici t> j ? Telreso (di) Niccolò Fabri a Paolo Gualdo. » > . » v . * a Gio. Vittorio de’ Rossi... Flccliena Curzio a Orso d’Klcl. » s> » » y> » j> » » » » j> a Galileo ? » » > » » * » » » » » a Bartolomeo Leonardi d’Argeusola.. ì » ad Annibaie Frinii.i Pignori» Lorenzo a Galileo. > » . '> » . » » . Pinoli! Francesco a Paolo Gualdo Pisani Ottavio a Galileo. » » . » a Giovanni Kepler. a Cosimo II de’ Medici . N.» Pag. 4 giugno 1616 1207 264 7 settembre 1618 1847 411 16 agosto 1619 1414 481 24 settembre > 1421 491 22 agosto 1618 1842 408 12 dicembre » 1860 423 2 gennaio 1618 1298 364 26 giugno 1616 1210 266 12 gennaio 1618 1297 366 19 luglio 1619 1402 468 20 febbraio 1616 1188 239 1° giugno > 1206 263 6 ottobre 1614 1048 105 2 gennaio 1615 1068 125 30 luglio » 1183 195 3 agosto 1618 1838 403 30 giugno 1616 1211 267 19 dicembre 1615 1164 211 2 gennaio 1616 1162 221 7 * » 1168 » 12 * 9 1166 224 19 9 1169 220 6 febbraio 9 1175 232 13 » » 1178 235 17 * > 1180 236 19 > > 1181 237 12 marzo » 1190 249 20 » J> 1191 250 23 maggio » 1202 261 2fi gennaio 1618 1808 370 19 aprilo » 1313 381 30 giugno 1616 1212 269 28 novembre 1616 1146 205 23 maggio 1614 1010 65 1“ agosto 9 1088 89 26 aprile 1618 1318 385 27 dicembre 1619 1482 502 IT» inarato 1618 1800 875 18 luglio 1614 1080 86 2 marzo 1615 1087 148 2 maggio » 1116 176 1614 1066 124 marzo 1615 1088 149 INDICE ALFABETICO. 523 Porta (della) Gio. Battista a Gallino. Porta Malalesta a (Galileo. * » . l'ozzohoiielll Paolo » . (Juercngo Antonio ad Alessandro (1*Esto. » » . » . » » . » J> . . . . *> » . Homo Giovanni a Galileo. » » . t> » . f- a Giovanni Koplor. > » . » r> . y> » . Ttiecnrdi Niccolò a Galileo. Kinuccini Gio. Battista a Galileo. » » . RolFeni Gio. Antonio » . » » . Sagredo Giovanfranoesco a Cesare Cromoninl. » ** » a Galileo. » » . » » . » * . b » . b » . » » . » » . t> » . » » . » »> . » » . b » . J> » . » » . » » . » » . » » . » » . N.° Pag* 26 settembre 1614 1044 101 13 » 1616 1225 279 24 dicembre » 1238 297 23 marzo 1614 090 42 30 dicembre 1615 1156 212 1° gennaio 1616 1161 220 13 » » 1167 225 20 » » 1170 226 27 » i> 1172 229 5 marzo i> 1186 243 12 gennaio 1619 1368 433 24 agosto » 1417 484 » » «> 1418 488 20 ottobre 1618 1351 417 13 marzo 1619 1381 446 23 luglio » 1408 469 13 agosto » 1413 481 28 maggio 1618 1327 393 19 gennaio 1619 1372 437 2 marzo » 1378 443 7 gennaio 1617 1242 302 14 febbraio » 1247 308 13 gennaio 1018 1295) 368 19 » » 1301 369 19 aprilo 1614 997 51 26 » » 1001 56 24 maggio » 1012 66 7 febbraio 1615 1078 138 15 marzo » 105)6 156 11 nprilo » 1108 167 20 giugno » 1128 190 4 luglio » 1130 192 18 » » 1181 194 10 ottobre » 1137 198 17 » » 1138 199 24 » » 1140 201 5 dicembre 1615 1148 206 11 marzo 1616 1188 245 23 aprilo » 1198 257 16 luglio » 1214 270 27 agosto » 1219 273 10 settembre » 1224 278 15 ottobre » 1280 286 524 INDICE ALFABETICO. Sng;re(Io Giovanfrancesco a Galileo.... . 1 12novembre 1616 » > 20 gennaio 1617 * * . i 7 febbraio » » * 7 aprile » * » 20 maggio * » » 6 luglio * » . 21 * » * > .j 5 agosto > > » . I 12 » » > » . ( 26 » » * » . | 9 ho! temi>re » * > 20 ottobre * » > 0 dicembre ► * » 30 » > » » 13 gennaio 1618 » » 3 febbraio * » » 18 marzo » * » 2 giugno • » * 23 * > * * 28 luglio * > 4 agosto * » > . 18 » * > 6 settembre » * . 13 ottobre > » > 27 * » * * 3 novembre * * * 15 dicembre * » » . 22 » » * > 8 marzo 1619 » » 30 * > 11 maggio # » » 24 . * * 7 giugno > * * .; 22 * * 6 luglio > * » . 12 > > * 10 agosto * * 21 settembre » * 15 novembre » * 21 dicembre > ' a Marco Welser. 4 aprile 1614 Sagrodo Zaccaria a Galileo. 12 dicembre 1618 SaMati Filippo > . 13 gennaio 1614 S&udoval (di) Francesco, duca di Lerma, al Presidente del Consiglio delle Indie. 6 novfìmbre 1617 Santini Antonio a Galileo. 28 febbraio 1614 Png. 288 302 3'n; 312 316 328 381 334 338 342 343 :J48 355 362 368 871 376 393 394 400 408 407 410 415 417 418 427 429 444 446 452 453 458 460 464 467 479 490 496 501 45 425 12 361 27 INDICE ALFABETICO. 525 Nani ini Antonio a Galline. Snntorio Santorra » . Scaglia Desiderio a Gio. Carina Mlllini... * » ... Sclieinor Cristoforo a Galileo. » * . Sfondrati Paolo all'Inquisitore di Modena Sommala (da) Girolamo a Galileo. * » . Stellioln Niccolò Antonio » . Stellati Francesco a Giovanni Faber. * a Galileo. » » * » . » * » > » » ■o » 7 > Ifr 2 > > * s» » Tadino Alessandro a Galileo. Tarde Giovanni » . Tassi Niccolò » . Tnrtorlni Ascnnio a Gallandone Gallan/oni Ilbaldini Roberto a Galileo. Usimbardì Lorenzo a Cosiino II de* Medici Valerio Luca a Federico Cesi. a Galileo. » > . Tinta Lodovica » . Welser Marco a Giovanni Faber. » * . * a Giovanni Kepler. Welser Matteo a Galileo. Whlte Riccardo » . a a N. # ; Pag. 11 luglio 1614 j 1028 83 9 febbraio 1615 l 1080 1 140 24 giugno » 4129 192 21 ottobre «• 1139 201 (5 febbraio » 1077 137 11 aprilo * | 1109 170 2 » 1616 1193 252 5 novembre 1614 1052 109 25 aprile 1618 1317 384 1° giugno 1616 1204 263 2 novembre 161.9 1425 495 10 maggio 1614 1005 60 24 » » 1013 67 31 x. » 1014 68 14 giugno » 1017 72 28 » » 1023 78 2 agosto ■» 1084 90 11 «* 1617 1209 337 2!) settembre > 1279 346 10 agosto 1618 1340 406 25 dicembre » 1805 430 22 febbraio 1619 1377 442 6 agosto » 140» 473 29 novembre 1619 1428 498 6 dicembre 1614 1000 117 17 gennaio 1615 1073 133 12 luglio 1617 1202 329 29 luglio 1618 1336 401 18 aprile 1619 1380 451 7 novembre 1614 1058 109 3 ottobre » 1040 104 IO settembre 1615 1130 197 2 luglio 1614 1025 80 9 maggio 1614 1004 59 23 >•> » 1011 65 11 febbraio » 975 24 20 giugno » 1022 77 16 agosto 1619 1415 482 23 novembre 1618 1854 420 30 > » 1850 421 INDICE DEL VOLUME DUODECIMO. Carteggio. — 1014-1010...P&g- 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel Voi. XII (1614-1019).503 Indice alfabetico delle lettere contenute nel Voi. Xll (1614-1019).515 LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XIII FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 19 35 - XIII LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XIII. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO S. M. IL RE D’ITALIA E DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XIII. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 160 FIRENZE, 68-1935-36. — Tipografìa Barbara - Ai.ra.vi a V girmi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale IL II. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore : ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario: ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. CEIUIUTI — G. COVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO OLI AUSPICII DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore : GIORGIO A BETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1620-1628. FEDERICO CESI a (GALILEO in Firenze]. Acquusparta, 4 gennaio 1020. Blbl. Nai. Fir. Mai. (in!., P. I, T. Vili, c. 101. — Autografa. Molt’Ill/* e molto Ecc. u Sig. r mio O88. ,no Veramente non posso negare elio non mi sia duro lo star non solo molte settimane, ma anco molti mesi, senza havor lettere di V. S.; e se ben mi quieta il rispetto della sua sanità, la quale più d’ ogn’ altra cosa mi preme, tuttavia mi resta lo scrupolo d’ una curiosa intcrcettione di qualche bello, o, per dir meglio, maligno, spirto, elio avvenga allo Ietterò d’ ambidoi. Scrissi, et a lungo, tempo fa; nò dopo ho ricevuta risposta o altro. V. S., capitandole questa, potrà o darmi nova di sò o accennarmi quanto le occorrerà in questo particolare, acciò possa esser più sicuro o quieto nel’ inviamento dello lettere. Intanto io me la passo qui assai bene o quietamente, Dio gratia, con la mia famiglia, e nelle contomplationi e scritti mi vado esercitando al meglio che posso. Circa la risposta nella materia della cometa, conformo al debito mio e quello mi par che ricerchi l’occasiono, ho posto giù il mio senso. Il S. r Colonna e S. r fcJtolluti l,) concordano meco ; credo l’istesso do’ S. ri compagni assenti : però starà a V. S. il giudicare molto moglio, o aspettare sentirne presto. Le conceda N. S. Dio felicissimo l’anno nuovo con altri moltissimi appresso, come io glieli desidero e prego, o baciando a V. S. lo mani di tutto core. D’Acquasparta, li 4 di Gemi. 0 1620. Di V. S. molt’ Hl. r ® e molto Ecc. 10 Aff. mo per ser> sempre F. Cesi Line. 0 P. Fabio Coi.onna e Francesco Stklluti: cfr. n.® 1441. 12 10 GENNAIO 1620. [ 1431 ] 1434 *. ANTONIO SANTINI » GAI.II.En in Fir«ni«. Roma, 10 gennaio 1620. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campo ri. Autografi. B.» LXXXVUI. n’Io AsVfit'» Molto 111." ot Eco.™ 0 S. r Hormai sarà tanta la mia contumacia, che non si potrà §cu ar»\ Ih-n io *o qu«- sto, che il silentio non mi ha fatto punto diminuire la reverenza <* latT.-tto t into an¬ tico verso di V. S. Ecc. mR ; et io dovrei, per informarla di qualcosa a mia discolpa, esser prolisso in scriverle: ma perché non sarà con frutto ma con noia nua, nto la passo con augurarle il bon Capo d’anno o un felice aucceaso di molti ««‘guniti. Per alcuni affari questo anno io V ho consumato quasi tutto fuori di Roma, et al ritorno ho sentito tra’ letterati andar a torno una controversa di studio tra il S. r Mario Guiducci, et sotto suo nomo di V. S., et il P. Horatio Orasti, let¬ tore nel Collegio Romano. A dir la verità, io ho dato una corsa al libro, ma io non con quell’agio elio ricerca l’opera, e questo per mie orrupationi più che ordinarie. Credo che non cesserà la curiosità quivi, ma che vi sia il campo li¬ bero in molte cose di mostrar allo studioso il frutto di molte fatiche. e e* ben# harerei gran voglia di alcuno altre suo inventioni, in materia del moto e di altre dottrine, vederle in luce, aspetto mi faccia gratia dirmi in che bui torà vedere l’utilità del suo esquisito valore, e se in qualche modo del Sistema 1 ne goderà la futura età. Lo raccordo che il tempo non solo passa, ma no j>ortu seco ; et il rimedio di questa fragilità è il lasciarsi da insigni ingegni insigni opere. È venuto qua il S. r Paolo Santini, mio parente; e per haver tenuto servitù con V. S. Ecc. ma , mi ha anco fatto conoscere maggiormente il mio debito c< Intondi, quello che poi fu il Dialogo dei cfr. u . 979 , Massimi Sistemi. [1435-1436] 11 — 18 (JENNAIO 1G20. 13 * 1435 *. GALILEO a FORTUNIÓ L1CETI fin Padova]. Firenze, 11 gennaio 1620. Riproduciamo 11 *eguent« capitolo di lettoni dall'opera: De «ori» miri» et camelie lihh. VT, i» quibut elemmtUtrium earUetnimque eltllarum rcctntium, ium «in» conni lutti erinitaruui, in allo mieantiun a/feclionee primo* adilueuntur, tee.: autor Fortpkhj* I.ic kti'8, eco. Vomitila, apud Io. r;neri 1 iu 111 , MDCXXII1, pajr 191- — Si può tener por certo che la lettera sia «tata scritta da Gamlko in italiano, o fatta potei* latin* dal [.icari. Perillustri ac Kxcellentiss. Fortunio Liceto, Patavinae Scholae Philo80])lio, Galileus Galileus S. I). Stcllae laterale» Saturni, eoruin quae praedicere ausus fui, id effe- cerunt quod ego assertive affirmavi ; sed non tamen alia peculiari», quae ego dubitative coniecturaliterque scripsi : nenipe redierunt tempore a me praedicto ; sed postea non amplius delituerunt, et sumper visae sunt et videntur etiani, et, meo iudicio, non occulta- buntur prius quani circa annulli millesimum sexcentesinium vigesimum sextiim. Veruni est quod figura ipsarum cimi stella praecipua box ab io Itine annis videtur hac forma noe umquam adhuc alterata est t,) . Et hoc illud est, quod circa propositum dicero possum. Vale. Florentiae, die undecima lanuarii MDCXX. 1436 *. GIOVANNI FABER a [GALILEO in Firenze]. Roma, 18 gennaio 1620. Bibl. Nat. Flr. M«s. Gal., P. VI, T. X, car. 85. — Autografa. Molt’ 111. Sig. mio et Padron Oss. mo Il Sig. r Prencipe nostro mi ha mandato da Aquasparta il presente plichetto per V. S., per vedere so io fossi più fortunato a capitare le sue lettere, poiché dubita che di tante che ha scritto a V. S., lei non habbia havuto nissuna. Cfr. n.* 1222. 14 18 — 24 GENNAIO 1620. [ 1436 - 143 ?) 11 Sig. r Marchese Muti 01 , che baccia le mani a V.S., et l’altri S»f. ri com¬ pagni stanno con desiderio a vedere che \. S. otturi la bocca a qualche tiboo cato et inimico della vora et roal philosophia et sano discipline mathematiche, et fa mistiero che si abbassi l’orgoglio isti* minora in geniium maib malica, qui magnorum ingeniornm obtrectativnibus sperarti se tliam magno* firn. Supplico ancora a V. S. voglia far consegnare in mano propria questa rinchiusa, poiché il io Sig. r Philippou pittore di S. Altezza Ser. 1 ”*, ha i>er le mani una curala operetta delle mie Anatomie di diversi animali v , che io vorrei esso manda*' <• in lue¬ presto, corno mi ha promesso, et V. S. per gratin sua potrebbe a ciò « orlarlo. Il Sig. r Don Virginio nostro 05 , come V. S. di certo saperà, si trova h Net¬ tuno, et por gratin di Dio con assai miglior sanità. Per lino a V. S. con ogni divoto affetto di cuore baccio le mani, et le prego felici* muo prim tpio d anno. Da Roma, alli 18 di Gennaio 1620. Di V. S. raolt’ III/* Divotiaa. Se. Giova, Fabro Lynceo. 1437. LORENZO PIONORIA a [GALILEO in Kirenxa]. Padova, 21 gennaio 1620. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gol.. P. I, T. Vili, car. 105. — Autografo. Molt’ Ill. r ® et Ecc. mo S. r mio Os8. mo Sarà con questa il battesimo del figliolo ( ‘ di V. S., il quale freme roderà) fu battezato in parochia di S. u Catarina w : io ne mando la nota autentica, et mentirò gusto particolare d’haverla ben servita si in questa come in ogn‘ altra occorrenza. Le inscrittioni l7) , a mio giudicio, sono bellissimo, et parlano non a caso. Io, se mi venirà fatto, m’ingegnarò di trattarlo con qualche malignità ; ma certo non credo che si possa addentarle. Ma non potrò’ io saliere chi t»iu colato Si¬ gnore lH) , che fa capitale di chi capitale non ha? Signor mio, e’bisogna che sia cortese in eccesso, et io, come tale, desidero di conoscerlo. Lo stato mio in Padova al presente abbraccia fortuna assai tenue, nè ho io altro impedimento per cercarne una migliore che gl’ anni et il carico d’ un poco Xiett. 1430. 14. di c« $aperà — <*> Cablo Moti. «»i Vitoono Cmahimi. <*> Forse Filippo Anorli dotto Lumi. (»> Cfr. u.« 1482. <*• Fu data iu luca con la data del 1626 e corno »•> Cfr. Voi. XIX, Doe. XVI, e), supplemento all’opora dell’H mnakdb» già citata: Oi cfr. a.* 1444. cir. u.» 5S4 Hi Qr. 1454 , 24 — 20 GENNAIO 1020. 15 [1487-14381 di famigliola, elio tutta s’ appoggia a me. Stanti questi impedimenti, io mi vivo assai contento di quanto elio ho, tuttoché sia poco, et di questo poco no so molto grado alla maligna oostellatione che mira a perpendicolo le sfortunate lettere, che una volta furono credute essere proprie dell’ homo. Rendo molte gratie a V.S. dell’amorevole dimostratone che mi fa dell’amor suo, elle bacio le mani con ogni più vivo affetto, desiderandolo compita prosperità. Di Padova, il dì 24 Genn. 0 1020. Di V. S. moli* 111.” et Ecc. ,u * Ser. M Devotiss. 0 co Lorenzo Pignoria. 1438. FORTUNIO LICEII a GALILEO in Firenze. Venezia, CO gennaio 16*20. Blbl. Nftz. Fir. Mm. dal., P. I, T. Vili, car. 107. — Autografa. Molto IH.** et Kcc. n, ° S. or mio, Io resto con obbligo infinito a V. S. del favor fattomi nel darmi contezza delle apparenze di Saturno 0) . Quanto al minuto ragguaglio che mi ricerca dello Studio sin dalla sua partenza, le dirò quello che dalla memoria ino ne verrà somministrato. La frequenza degli scuolari si ò mantenuta sempre la medesima che V. S. la lasciò, se bone in questi due ultim’ anni pare alquanto scemata. Lo Studio ò assai quieto, essendovi tutti questi anni seguite pochissime quistioni e senza morte. Passò due anni sono a miglior vita il S. or Gallo (,) , in cui luogo fu trattato io di condor di Francia il S. or Giulio Paci Vicentino; ma, se bene si dice ch’egli fusse condotto, non ò però ancora giunto,, e vi ò chi tiene eli’ e’ non sia per ve¬ nire in Italia. Morì parimente il Galvano (,) , suo concorrente, la cui cathedra fu data al S. or Marta (M , il quale ha poi gagliardamente pretesa quella del Gallo; ma sin bora non gli è venuto fatto di ottenerla. Si stampano dal Giunti li suoi Digesti Novissimi {t \ opera di molti volumi. Successo al Soazza (, \ morto, nelle Pandette il Pola^ Veronese, a cui, poco doppo passato ad altra vita, successe il Coradino w ; et a questo, assai prèsto morto d’infermità, ò succeduto il Boato (,) , avocato Padovano. “» Cfr. n.» 1435. <*' Iacopo Gallo. < 3 > Ai.khkandro Galvani. **' Iacopo Antonio Marta. ,8 < Nessuna pubblicatimi» del Marta con titolo ci è noto. <*> Taodjco Pisonr Scazza. < 7 > Fiuncrhoo Poi,a. < # i Linai Corra ioni. tal <*> Giovanni Boato. 16 26 GENNAIO 1620. 11438] Il Cesana (,) , che le feste leggeva de reyulis iurte, rinunxiò la lottane ni dire per non liaver potuto haver le Pandette, et in suo luogo fu po«to il Galvano" Pa »o dovano, il quale litigò molto per entrare in Collegio, dove finalmente lu .immesso Spirò il vecchio Suniino (9) , primo loico, e la sua cathedra fu data al P. Fio¬ rini (4> Agostiniano, che leggeva in terzo luogo, havendo il Pace , che tenera il secondo, ottenuta in titolo la parità del primo. 11 S. or Vincenzo Contarmi rinunciò, non si sa per che, la lettura d I manitA, et un anno doppo, sondo ritornato di Capodistria infermo, »e ne mori in Vinezia in casa di Mons. or Bonfadio suo amico, a cui ha per testamento Usuato ogni suo bavere, in compagnia del P. Alberti 1 ' Agostiniano Scritturista, coerede lai Mia lettura è stata nuovamente conferita nella persona di Monn.*' Balda «ar Boni¬ facio da Rovigo, il quale non ha per ancora dato principio a legger»* #o Il metafisico] Domenicano • 1) de’suoi tempi usci di vita due anni sono, e gli ò stato dato successore il P. Bovio 1 *’ della stessa religione, che ni compiacque l’unno passato di fare tutte le lettioni tra Natale e Carnovale, in numero d otto o dieci, de cornette. Lesse sopra tal materia nella sua scuola ordinaria, « • »n fre¬ quenza grandissima de’scuolari. Al principio di Quaresima poi, >i- r .wrt! f»*< ? quatro o cinque lezzioni il S. or Gloriosi l9 ’, successor a WS., nella «cuoia grande degli Artisti, con intervento di tutto lo Studio, essendo stato sentito c« n univer¬ sale sodisfattione di tutti gl’ intendenti; se bene con qualche ribrezzo di quo' dot¬ tori e scuolari che non ammettono per vere V osservazioni degli astronomi mo¬ derni. Fu d’opinione che lo comete si generassero nel cielo di ea«alazioni uscite 40 da’globi de’pianeti, et in particolare dal sole; non discostandosi dall’altra parte il P. Bovio dalla Volgata sentenza, ad Aristotele attribuita. Morì anche il S. or zVlpinia cui successero nella ostensione al (Bardino il S. or Prevozio (ll) , e nella lettura il S. or Iacopo Zabarolla. Alla cathedra del Sig. or Minadoi l,,) , morto costi, fu condotto da Pisa il S. or Fonseca t ” > ; a cui, doppo la morte del S. or Vigonza occorsa due mesi sono, è stato dato concorrente in secondo luogo il S. or Silvatico Furono questi due chiamati a Gratz alla cura del Ser. ,n0 Arciduca Carlo; e ’l S. or Vigenza era stato condotto a Bologna sopraordinario, con bombatissima provisione. Il S.‘ Fon «oca ultimamente ha stampato un libro de’suoi consulti e dedicatolo al re di Po- tw Ionia ; ne è stato honorato di donativo di cento scudi d’ oro. O) Iacopo Cubana. <*) Giovanni Galvani. < s > Faustino Sommi. i*i Innocenzo Fiorini. < 8 ' Luigi Paci l8 > Luigi Alberti. ,v > Livio Leoni. < S) Benedetto Bovio. < 8 > Gio. Camillo Gloriosi. “•l pROBPRRH ALPIRI. •**| Giovanni Prrt6t. Ufi Tommaso Minaooi. Rodrigo Formo». •*** Alrsrandro Y moiri. ,U> BrNRORTTO Selvatico. ,,#l Contultalirmum m*Ur,mtlium tomai primo*, ecc. Ancton Hodrrico a Fauste», scc. ViaitUs, AI 1)CXVili, spad Iosnoom Giwiliam. [1438-1439] 20 GENNAIO 1620. 17 Focili anni sono un tedesco Austriaco 10 fu fatto vicorettore degli Artisti, o morto in cotal carico, fu dall’Università con solenni ossequio sepellito. La state passata fu fatto un rettore de’ Leggisti (,) , che durò in oflicio due mesi soli. Mons. or Gasparo Lonigo meteorista è stato fatto auditore di Mons. or Patriarca, e però tralascierà la lettura. Mori il S. or Acquapendente l, \ doppo di haver maritata sua nipote in un no¬ bile Viniziano, nipote del Vescovo di Vicenza, di casa Dolfini, la quale pochi giorni sono è passata all’altra vita senza figliuoli. La notomia si diede al eo S. #r Adriano Spigellio, a cui fu dato concorrente in secondo luogo il S. or Fran¬ cesco Piazzoiii Padovano. E ciò quanto allo Studio. Dell’ all'etto poi che la dimostra verso di me, tengo degna corrispondenza, vivendo nell’ animo mio grata memoria degli obblighi che io devo alla sua molta cortesia, e desiderio grande di essere impiegato in cosa di suo servizio. In Vi- nezia, dove bora dimoro a S. Stai in casa delli SS. rl Ferrari, mi trattenirò fino a Quaresima, per occasione di trattare con questi librari se a sorte mi venisse fatto disporli ad istampare un mio libro De reconditi# antiquorum lucemis l ‘ : ; dove, occorrendo a V. S. di favorirmi do’suoi commandamenti, potrà in questo tempo inviar sue lettere. K per fine le bacio cordialissimamente le mani. 70 I)i Vinezia, li 26 di Gennaio 1620. Di V. S. molto IU. r ® et Ecc. ma Ser. M Afl>° Fortuilio Liceti. l'aori : Al molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. or mio Oss.™ Il Sig. or Galileo Galilei. Al canto alla Cuculia. Firenze. 1439 *. GALILEO a [GIULIANO DE’ MEDICI in Madrid (?) ]. Il OSO) Dal Tomo III. pay. 142-143. dell'edizione citata nell'informazione premessa al n.® 1201. Sono molti anni che io feci offerta alla M. Cattolica di una mia invenzione per potere in ogni tempo e luogo ritrovare la longitudine, negozio di grandissima importanza per P esatta descrizione di tutte lo provincio del mondo, delle carte nautiche e per la navigazione CU Samuklk Ubykcss. tardi, col titolo: De feceriii» antiquorum reconditi^ i*> Dami 1 . 1.0 Noai.r. Libi. »ex, ecc. earum cautele, proyrietatei, dijftrentiae- «*i (li koi.amo Fabrizio d'AcQUAPENDENT*. que tìngulat, ecc. Autore Fobtonio Lickto, ecc. Utini, (*< Non fu pubblicato se non molti anui più oi typogratìa Nicolai Scliiratti, MDCLII. 3 xm. 18 [ 1620 ]. [ 1439 ] stessa, onde in ogni secolo è stato ricercato, ut* in ora <1 » a’ uno ritrovato. A tale mia offerta si sono attraversato inolt» difficoltà, le quali hanno lungo tempo ritardato Tesserle dato orecchio e 1 (‘«torti abbracciata conforme al merito della sua grandezza: di che (per quanto ho inteso) ne è stato principal cagiono l i er no i tempi passati state proposte molte invenzioni, le quali poi, accettate o v. io nutosi alla esperienza ed all’uso, sono riuscite vane • di ninna uti¬ lità; ondo Sua M., già molte o molte volte defraudata, ni è trovata in fine aver fatti inutilmente dispendi di grosse somme «li denari: pm - lochò si era presa deliberazione d’andar per T avvenire molti» più riservati e circospetti. Questa determinazione, e la sicure /.za «die io ho del mio trovato, mi lux fatto prendere re soluzione ili manifestare liberamente a Sua M. il principal fondamento di quello, sicuro elio essa sia per gradire la mia liberalità. 11 negozio dunque procede ind¬ i’ infrascritta maniera. Ritrovare la longitudine non è altro che, stando noi in qualsivoglia sm parte del mare e della terra, sapore (pianto noi siamo lont ini. verso ponente o levante, da un meridiano ad arbitrio nostro profilo per termine o principio dal quale tal longitudine si misura. Di ciò non venuti in cognizione sino a questa età tutti gli antichi e moderni geografi solamente per mozzo degli eclissi lunari, secondo che da diverse parti della terra sono stati osservati ad altre ed altre oro della notte: imperocché so, v. g., il medesimo eclissi elio in Siviglia si vide dieci ore dopo mezzo giorno, nelle Terzere si vide otto oro dopo il loro mezzo dì, chiara cosa è che nelle Terzere il sole arrivò al loro meridiano duo ore più tardi che al meridiano di Siviglia, e (dio in «•> conseguenza dette isole sono più occidentali trenta gradi. Ora, He in ciascheduna notte accadessero eclissi, e di e^si si avessero calcolati o ridotti in tavole i loro tempi dell’ apparire in un determinato luogo, non è dubbio alcuno elio in ciascheduna notte potrebbero i marinari sapere in quanta longitudine si ritrovassero ; ma perchè rarissimi sono gli eclissi, piccolissimo e quasi nullo resta T uso loro por lo navigazioni. Ma quello che sino alla nostra età è stato occulto, è toccato n me in sorte di scoprire e ritrovare, cioè come in cielo in cianche- duna notte accaggiono accidenti osservabili per tutto il mondo, op tu Lett. 1439. 17. /ondemmta — 23. nella Tenere — 19 [14391 [1620], portimi per la investigazione della longitudine quanto si siono gli eclissi lunari, e molto più ancora: e questo si ha da i quattro Pia¬ neti Medicei, li quali in cerchi diversi si raggirano continuamente intorno alla stella di Giove, li quali, o col congiugnersi due di loro insieme, o coll’ unirsi coll* istesso Giovo, o col separarsi da esso, o coll’eclissarsi, cadendo nella sua ombra, o coll’uscire di detta ombra, ci danno in diverse ore di ciascheduna notte uno, due, tre ed anco talvolta quattro o cinque punti mirabili per la cognizione che ricer¬ chiamo, <3 tanto più esquisiti degli eclissi lunari, quanto questi sono M> in corto modo momentanei; sicché poi le longitudini vengono saputo senza errore anco di una Ioga. Queste stelle sono state a tutti sin ora inosservabili ed invisibili : io, coll’ eccellente telescopio da me ritro¬ vato o fabbricato, lo ho scoperte, e per dodici anni continui osser¬ vate ; ne ho con lunghe o laborioso vigilie ritrovati i movimenti ed i periodi, e fabbricatone le tavole, colle quali posso in ogni tempo futuro calcolare lo loro congiunzioni, eclissi e gli altri accidenti so¬ prannominati, mediante i quali ogni notte ed in ogni parto della terra e del mare posso puntualmente sapere la mia longitudine : ogni notte, dico, che si veda la stella di Giove, il elio accade per tutto P anno, co eccetto quei giorni che ella sta sotto i raggi del solo. L’impresa è grandissima, o che forse podio ne sono state che avanzino questa in nobiltà, perchè ella si appoggia e fonda sopra tre grandissime maraviglie, le quali mi ò bisognato investigare. La prima ò stata il ritrovare uno strumento col quale si moltiplichi la vista quaranta o cinquanta volto sopra la facilità naturale ; la seconda, ritrovare in cielo un nuovo mondo, con quattro nuovi pianeti che intorno ad esso si vanno rigirando ; terzo, ritrovare i tempi delle conversioni di tutti quattro, sicché per essi io possa esattamente cal¬ colare i loro accidenti. 70 Ecco brevemente accennato il mio progresso, ben degno della M. Cattolica, per la cui grandezza si ritrovano nuovo parti di questo basso mondo, e nuovi mondi interi si scuoprono in cielo. 45. nparati — 4tì. nelle *uu — 20 26 - 27 GENNAIO 1620. [ 1440 - 1441 ] 1440*. GIULIANO DB 1 MEDICI a CURZIO PICCHI»A m Fir*tu® Madrid, 26 grunaio 1620. A.roh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 494» (non eartolatat- - Aut fi fa 1» » i< : • n* .... Ilo in buona congiuntura dato al Segretario Aro*tigni il memori*!e per il wrtuio del S. r Galileo, con raccomandarlo al S. r Don Halda*s»r d® '/uniga, com® qurlUi eh® piu degli altri ò intendente di queste materie.... 1441. FRANCESCO STELLUTi a GALILEO in Fir®ns®. Fabriano, 27 gennaio 1620. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I\ VI, T. X, car. 87-88. —Àutc*r»f*. Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. r P.ron mio Om.“* Prima ch’io partissi di Acquasparta por Fabriano, che fu due giorni avanti le feste di Natale prossime passate, già ni’ era capitata m inano la Lt> ra Astro¬ nomica del Padre Grassi quale, havcndola letta, mi è parso c he .i u assiti più lasciato trascorrere noi dire contro V. S. e contro il S. r Guidarci e contro i Lincei, di quello che prometteva nel principio del discorso, et che veramente non si sia retto da Giesuita, dando la burla sino all’ istesaa Academia Fiorentina, o per dir meglio al Console di essa, con quei suoi schermi, come barerà vinto. K perchè ho inteso che V. S. s’era accinta già alla risposta, perciò ini è parso scrivergli la presente, con avvertirla di alcuni particolari, aebene son sicuriaiuio io che già gl’ barerà considerati, come prudentissima. Contuttociò ad catdrlnm ho voluto accennargli : et sono, che non mi pare espediente in modo alcuno che ri¬ sponda V. S., ancorché lei sia stimulata, ma faccia rispondere all* intero 8.' Gui- ducci, quale ò trattato da semplice copista, perchè non è conveniente che un maestro la pigli con un discepolo, come si finge il detto Grassi ; sichè sia vinto quello da un discepolo di V. S., poiché potrà più liberamente parlare, ma però con quella gravità e maniera che sa fare V. S., e potrà dire che ne il maestro di quello ha cosa alcuna contro V. S., che parli lui, al quale poi V. 8. rispon- derà volentieri. E sopratutto non vorrei mai nominare nè detto l’adre Grassi nè «*» Cfr. Voi. VI, pitg. 111-180. 27 — 2b GENNAIO 1620. 21 [1441-1448] 20 meno il Collegio del Giesù, fingendo di pigliarla solo con quel discepolo, perchè altrimenti uria un non mai Unire, pigliandola con quei Padri, quali, essendo tanti, dariano da faro a un mondo intiero, e poi, sebene hanno il torto, vor¬ ranno non haverlo; et a noi ciò non potrebbe giovare, anzi nuocere assai, essendo in particolare poco amici dello nuove opinioni, come sono tutti li Peri- patetici. So che V. S. haverà V istesso pensiero, e però non mi estenderò più in lungo a persuadergli^) ; e di questa «tessa opinione è anco il S. r Principe no¬ stro et il S. r Colonna ,) , quale anco me ne scrive. E di questo basti. Dal S. r Mattheo Sabatini, nepote del S. r Cavalier Cesare Sabatini, che hora è qui, ho havuto nuova di V. S., dicendomi che per lo più se la passa fuori in fto villa per la sua poca sanità. Mi dispiace che sia per questa cagione, sebene lo deve fare anco per più quieto dell’ animo e per poter meglio attendere alle spe- culationi ; ma iopratutto procuri per la sanità, elio da questa poi ha dipendenza il resto. Et con sua comodità poi ni’ accennarà qualche cosa sopra il partico¬ lare scrittoli. Intanto, non occorrendomi altro, me li ricordo servitore c lo bacio le mani. Di Fabriano, li 27 di Gennaro 1620. Di V. S. molto III.” et Ecc. ma Ser. r Aff. m# Francesco Stelluti. Fuori : Al molto 111/* et Ecc. mo Sig/* et P.ron mio Oss. mo 40 11 8/ Galileo Galilei L. Perugia per Fiorenza. 1442 *. FILIPPO III, Ite di Spagna, a PEDRO TELLEZ Y GIRON, Duca di Ossuti a, [in Napoli] Madrid, 28 gennaio 1620. Arch. Generale di Slmanoae. Secretarin de EaUdo. Legajo 1888. « Miouta do despacho de S. M. al I>uqae de (fauna, feeba en Madrid A 28 de Knero de 1B20. » E1 Conde Omo Dolsi, embaxador del Gran Dtique de Toscana, estando aqui me repreaentó que Galileo Galilcy, Mathematico de S. A. y lector en la Unibersidad de Fissa, oUremia de dar el modo para poder graduar la longitud y facilitar y asegurar la navegasion del oceano, y que offre$ia tambien otra imbenfion para las galeras del Mediterraneo, con que so descubriràn loe baxeles del enemigo diez vezes lejos que con la vista ordinaria, y por no ostar aqui el dicho Galiley no se hizo la esperen^ia dello. Agora se me ha dado de su parte el memorisi de que aqui va copiahaziendo instaura en que se tome resolufion •" Cfr. n* U38. chivio Generale di Siniancas: erodiamo però ai tratti <*> qutifcto memoriale non fu rinvenuto noll'Ar- della scrittura che pubblichiamo sotto il u.» 1277. 28 — 31 GENNAIO 1620. 22 [ 1112 - 1444 ] on bu propuesta; y para sabcr la substancia qua t.rnc, he quei .do eia ‘rgzro. (*> tuo lo fogo) lo oygays stentamente; y sviandolo connina. ulo con \ t »*- P»‘>* fession, Ilio nvisareys con muoha particularidad de lo qua oa par«v«rr CO allo; qua yo lo botò servido de que oasi lo hagays y el IMI diri a terso con tu* luogo qua recibay» a»U. 1443 *. GIULIANO I)E’MEDICI a CUKZtO PICCIIENA .o F.rr, Madrid, 28 gennaio 1*0». Aroh. di Stato in Firenze. Fili* Medicea 4PI9 (u-n un .U| A 1 , a/a * * « iu .... Havendo rincontrato nel Segretario Arcigni, non solo u I.. «I. • t.». I.•* « r\ slato servito il Sig. r Galilei nella sua domanda, ma che già n’era «tata fatta ’.t »|>. i . i.- r. n una lettera al Vico Re di Napoli sì che poteva in .m .nat ; a «pu II,t v«>ita * • .a ;• «la per far la prova; et demandandogliene io il dnpplicat», p. neh* detto Sg ' ti» 1 -!» r» » presentarsi con esso a quel Vice Re, mi ha detto di darmelo, »-t che ai r .m ! * la . ta .» dirittura con questo conierò, che sarà di più efficacia che • i fu .Uu .» ni » m E fi t tanto cho io mandi questo dupplicato, il quale d*-tto Aro ? «fui h.*vet.» j • r •«ip«-rtbm. jx.ti * il S. r Galilei, se gli parrà, far tartaro il Vice He, elio doterà esit-rc il Card. L ig a, . . nauzi elio mettersi in viaggio.... 1444 . LORENZO PIGNORIÀ a [GALILEO in FiranMj. Padova, 31 gennaio 1630. Bibl. Naz. Fir. Usi. fisi., P. I, T. Vili, cur. 109. — Autografo. Molt’ 111.'® et Ecc. rao S. p mio Oss.® 0 Per servire a V. S. ho atteso (per quanto m’A stato prelibile) la promessa d’essere maligno 10 : et credo che l’haverò fatto infelicemente; tuttavia spero che 8* attenderà la intentione principale, eh’è Y obedire. Prego V. S. a icuaarmi con 1*autore delle inscrittioni, et dirli ch’io vorrei essere adoperato in materia più benigna et in opera più conveniente alla mia natura, chè for-** io barerei ven¬ tura più a proposito del desiderio di S. S> All’uno et all’altro bacio l* mani, et desidero loro compita contentezza. Di Padova, il di 31 Genn.® 1620. Di V. S. molt’ BL" et Eoe.® 4 Ser. ,# Devoti»».* io Lorenzo Pignoria. < l > Cfr. u. # 1442. *• Cfr. n • 1487. [1445-1440] 4 — 15 FEBBRAIO 1020. 23 1445 *. GIULIANO DE’ MEDICI a CURZIO PICCHENÀ fin Firenze]. Madrid, 4 febbraio Hì20. Arch. di Stato in Pironso. Film Mpdi*'i»n 4919 (non curtolnU). — Autografi Ir sottoscrizione o il poscritto, che * formato dal capitolo che qui pubblichinnio. Per conto «lei Sig. or Galilei, non Ito ancora havnto quel dnpplirato non ai facendo le cose qui cosi pronto, come V. S. «a ; et lo solleciterò, per poterlo mandare con la prima occavione. 1446 *. GIOVANNI FA BER a GALILEO in Firenze. Roma, 15 febbraio 1620. Blbl. Nat. Pir. Mw. Gal., P. I, T. Vili, car. 189. — Autografo. Molt' 111. 1 * Sig." et Padron mio Ors." 10 Ilo ricevuto questa mattina la gratissima risposta di V. S. delti 27 del pas¬ sato. con una rinchiusa al Kig. r Prenoipe Cesi, alla quale questa sera darò l'elice ricapito per Aquasparta. Ilo havuto ancora l’altro Rieri una dal Sig. r Don Vir¬ ginio nostro da Nettunoil quale per li cattivi tempi in Nettuno non ha nò peg¬ giorato nò migliorato ; tuttavia sta assai commodamente bene ; al quale ho dato conto di quanto V.S. mi avisa, et so che gli sarò nova gratissima: et ò molto necessario abbassare 1* orgoglio di quelli che si credono che tutti quelli che de¬ siderano arrivare a qualche perfettiono habbiano d’uscire dalle scolo loro, coinè io dal cavallo Troiano. Al Sig. r Marchese Muti'*’ ancora, che spesso si ricorda di lei, farò un bacciamano da parte di V. S. Ringrazio a V. S. del ricapito che lift dato della mia lettera al Sig. r Philippo, pittore di S. Al.*» Ser. roa( *\ et la priego bora por P istesso favore. Alla quale per fine riverentemente le bacio le mani. Di Roma, alli 15 di Febr.° U>20. Di V.S. molt’ 111.™ Divotiss. Se. Giov. Fabro Lynceo. Fuori: Al molt’111.” Sig. r mio et Padron Oss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. rn Cfr. n.o 1449. <*> Cfr. n.o I486. <3 l Caki.u Muti. m Cfr. n.o 1430. 24 20 — 23 FEBBRAIO 1620 . [1447-1449] 1447 *. GIULIANO DE’MEDICI a CURZIO PICCHKNA m Firvnx*. Madrid, 5» febbraio USO. Arch. di Stato In Firenze. Fllsa Medicea 494» (non cartolata). Aat frafa la .vtu^rii. L, _Richiesi il Segretario Aroitigui della copia della lettera al Si* ' Vice He di Na¬ poli per il Sig/Galilei, ohe faceva piu tosto difficolti a darmela » domandami..*1, * vi si comprendeva la promessa della mercede destinata a rotealo effetto, mi riapre eli- tava nel memoriale che era incluso nella lettera, e che dipenderebbe dalla rrlaa. oe del VVe Re; o non me no mostrando interamente sodisfatto, me n’ha poi data una copia, » • im¬ pugnata da una sua lettera per il Vice Re, nolla quale abbona la paroma del S Galilei, come vedrà da essai 1 ». K potrà detto Hig. r Galilei trattare inuansi r«»l s.g Vi e li», e procurare i suoi vantaggi, che ormai doverà estere il ( «rd. Dor^.a, cui quale inni mente havrà miglior fare.... - 1448 **. FEDERICO CESI a GIOVANNI FABER in Roma. Acquasparta, 23 febbraio IMO. Arch. dell’Oaplzio di 8. Maria in Acuirò in Roma. Cartario dHi.uvar.t.i Fa» «r Fi!/» 4M /• 1?»8 — Autografa. .... Il S. T Galilei trova qualche ditlicultà nel porre iti effetto il n io ti>n«u/lio m ma¬ teria della risposta; ma io persisto che la risposta ad ogni modo venga tour» per malto d’ un suo discepolo. Al Sig. r Marchese Muti scribi a lungo e di quarto portai i*r* . 1449 *. CURZIO PICCHENA a GIULIANO DE’MEDICI [in Madrid]. (Firenze), 23 febbraio HJ2U. Arch. di Stato In Firenze. Filli Medicea 4860 (non cartolata). - Minuta. .... Ho fatto sapere al Sig. r Galilei quel che V. S. HI. 1 - ha scritto per conto d«l suo negozio, et egli starà aspettando di sapere se havrà da negoziare col Duca d’tLmua o (1> Nè il memoriale nò la lettera sono presen* non furono mal mandati temente nell’Archivio di Stato in Firenze, e forse 23 FEBBRAIO — 4 MARZO 1020. 25 [1449-14501 col Card.'* Gorgia. Et fonie col duplicato elio V. S. 111."** ha scritto esserle stato pro¬ messo 1,1 ella ne manderà anche una copia, acciò il Galilei vegga quel che vien commesso al Viceré, et se gli sarà «lata oonamodità alcuna d'andare a stare a Napoli ; et egli sarà poi pronto d’ andarvi et far quelle diligenze che ai ricercano .... 1450. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Acquasparta, 4 marzo 1020. Bibl. Nm. Flr. Mm. Od.. P. VI, T. X, c*r. 89 — Autojcrzfk. Molt’ 111.” o molto Ecc. ta Sig. r mio Oss. mo Già che per la gratissima di V. S. intendo che il S. r Gui ducei non ha pen¬ siero di pigliar la risposta al suo avversario per il verso che converrebbe, con¬ corro pienamente con lei nel riprovar affatto ogni modo satirico e acerbo, come cose che sogliono dimostrare et accompagnare più 1* eccesso delli affetti e pas¬ sioni che la sodezza della dottrina, e perciò elio nella risposta si deva tener al¬ tra via. Ma non vorrei che V. S. stessa uscisse in campo a darli la sodisfattionc che tanto desidera e procura. Se per via d’ alcun discepolo al presente non rie¬ sce, forse non sarebbe male far il debito in una semplice lettera di V. S. al io Sig. r Guiducci stesso o ad altro amico di là, quale habbia sopra questo fatto trattato con V. S. e datogliene opportuna occasione. L’accoglier molti in uno scritto moderno, lo lodo assolutamente, e similmente il sollecitare nel dar fuori quello che deve darsi. Molto meglio V. S. potrà considerar e risolvere il tutto ; ma io non posso contener 1* affetto mio verso di lei, elio non esponga libera¬ mente il suo senso. Aspetterò d’intender la sua risolutione, et insieme buona nuova di lei e che mi commandi. Di me posso dirle che, Dio gratia, me la passo con buona sanità e qualche poco più di quiete delli anni a dietro. Séguito il corso dello naturali contem- plationi al meglio che ni* ò permesso dalla propria debolezza o dallo solite di- 20 strattioni. Il Sig. r Cesarmi sta meglio, Dio gratia, e li altri S. ri compagni tutti bene. Con che a V. S. di tutto core bacio le mani e prego da N. S. Dio ogni contento. D’Àcquasparta, li 4 Marzo 1620. Di V. 8. molt’ III.” e molto Ecc. ta Aft>° per ser> sempre F. Cesi Line. 0 P. ««» Cfr. nu.‘ 1442, 1445. xm. 4 26 C MARZO 1620. U4&11 1451**. GIULIO CESARE LAG Al.LA a [GALILEO iu Firenrt). Roma, 0 marzo 1620. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car U2 — Aut'ifrafa la «mia. Molto 111.™ et Eccel. roo Sig. p l’.ron mio (L». 1 " 0 Con un altra mia 10 , doi mesi fa, fei riverenza a WS., confo» ne era mio de¬ bito, la quale dubito non li sia capitata: per tanto ho voluto con la pn ^*nto rinovar questo ofììtio ot ricordare a WS. la mia solita devotiono. Diodi rAgua- glio con l’altra mia a V. S., con quanto gusto havevo letto il dottissimo Di - orso fatto dal Sig. r Guiducci sopra le comete: con 1 a presento li do amo, luiter sen¬ tito maggior piacere in liaver letta l’Apologià fatta dalli Rct. 1 * Ladri Archiman¬ driti 10 , et in segno delle notabil cose ne ho fatto Tapostille alla margini', I.* quali, so V.S. se degnerà per diporto leggere a veglia, le inviarò. Savinnimo ò stato il pensiero di V.S. di non rispondere, perchè troppo frivole tono le ciancio !«• che dicono, nò meritano la dotta censura sua ; et li giuro che non mutato atto¬ nito, si habbiano fatta uscire tal cosa dalle mani. 10 sono intorno a far stampare una mia opera De immortalitaU animano» ex Aristotelis scrUmtia c0 , con molti altri opusculi di filosofia, tra’quali vi A uno nel qual mostro che il cielo Ria animato di anima informante, non C tx. B.« 1066. SO [1462-1453] li 26 MARZO 1620. 27 10 1452. ZACCARIA SAGREDO a GALILEO in Firenze. Vimu'zììi, Il marzo 1620. Blbl. N«t Flr. Mm. <1*1.. P. I. T. Vili. car. 111. - Autografa la «otto«crl*ione. Acranto all* indirizzo wuroo ai logge, di mano di (Uuuo : S. Zacc. Sagredo avvisa la morte del S.Ct. F. Molto 111” S. r Ecc. rao Intenderà V. 8. molto IH.”, so certo con infinito disgusto, la perdita elio liabbianio fatta li giorni passati '* del S. r (àio. Francesco mio fratello, che sia in Cielo, soffocato da un violente cataro, da lui anco fomentato con infiniti disor¬ dini nell’ indispositione sua di cinque giorni. Ilo stimato debbilo mio dar parie a V. S. molto 111.” di questo accidente, et per il particolar alletto che esso S. r Ciò. Francesco lo portava, et per quello ancora ebo so ella porta a me. Così faccia Dio che m’incontri occasione di far per lei che bramava esso S. r mio fra¬ tello poter valere in servitù) suo. Con che line a V. 8. molto 111.” boccio la mano. In Venetia, a 14 Marzo 1620. Di V. S. molto 111.” S. r Aff. mo S. r Galileo. Zacc. a Sagredo. Fuori : Al molto DI.” S. r mio Oss." 10 L’Eco.* 00 S. r Galileo Galilei Mat.° Fircnzo. 1453. PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, 26 marzo 1620. Blbl. Nax. Fir. Mss. Gai.. P. VI. T. X, car. M. — Autografa. 111.” et Ecc. mo S. r mio Oss. mo È possibile che V. S. m’ habbia posto talmente in oblivione, che non mi vo- gìi far degno, doppo tanto tempo, di due suo righe? Io gli ho scritto più di 4 Ietterò (,) , nò ò stato possibile c’habbia potuto haver risposta d’alcuna di esse. Mi ricercò d*alcuni semi di meloni di questi paesi : io glieli mandai; nè pur di questi ho saputo mai niente. Ho deliberato (li far come solevano fare certi uc¬ cellatori al tempo che s’ adopravano le ballestre con li bolzoni, in luogo dello <** Ne souo giunte tre inumo a noi. Cfr. un.* 1318, 1348, 1365. <*> 11 5 marzo. 28 26 MARZO 1620. [IMS] quali sono successi adesso gli arcobugi : hor questi, quando tiravano ad un uc¬ cello, guardavano dove cadeva il bolzone, per andarlo a nn lo trovavano, sparavano un’altra volta all’ iste-so luogo la detta I di» tri c n un le altro bolzone, per vedere se, con avertire la caduta di questo sm-■•. mio, jote vasi ritrovare il primo; et alle volte occorreva che lo trovavano, e qualche Tolta le¬ devano e l’uno e l’altro. Vengo all’application®: io le mandai gii alcuni mi di meloni, de’quali mai ho havuto risposta; hor essendomem mandati alcuni di Spagna da un mio nepote che si ritrova a Madrid, ho voluto mandarne un po¬ chi a V. S. : chi sa elio questi non mi facci venir lu risposta anco de gli altri Mi scrive elio sono eccellentissimi c durano buoni tutto l’inverno: mi ari caro elio le riusciseono. Ilo inteso elio V. S. ha fatto un trattato sopra la cometa ", et io non ho havuto gratin di vederlo. Non sento n’anco più niente de gli effetti mirabili del tu»» so cannocchiale. Caro Signor, se ha qualche coki di nuovo, non mi difraudi ki p ire quanta stima ho fatto sempre e faccio di tutto lu cose sue. Desidero amo d* inten¬ dere qualche cosa del stato suo, sì intorno alla «unità come intorno a‘ suoi tudii. Di nuovo non saprei che dirle di questi paesi. Questi Signori l.an condotto alla lettura del giù Dottor Gallo c,> un S. r (ìndio Pace, di origine Vicentino, ma allevato e nodrito in Germania et in Francia, dove ha letto nelli principali Studi! di quelle provinole con grandissimo nome, et ha bellissimi libri alle stampe si in legge come in tilosofia. Questi signori, subito giunto, V han fatto Cavalier di Senato con una cathena d’oro di 200 , e li danno di prima condotta mille o trecento A di , che ridotti a moneta ordinaria saranno più di 1500. \m Studio quo- st’ anno ò stato assai quieto : s’ ò detto che il Cremonino togli dimandar lu e n/a, per ritirarsi a casa sua per vivere in quiete. Morse il S. r Vie* Contarmi, che leggeva l’Immanità in concorrenza del S. r Beni : havev&no eletto in suo lungo un Rhodigino !,) , ma poi non è venuto, mondo stato tratenuto a Veneti* per ser¬ vire ad un collegio di giovani nobili poveri, nuovamente «istituito in detta città, sì che questa lettura vaca. Mons. r lll. rao (V> sta bene, come face’ io, e siamo tutti di V. 8.; e con pregarle dal Signore ogni vero bone, le bacio le mani. Di Pad. & , alli 26 Marzo 1620. Di V. S. Ili » et Ecc. ra * Sor/* 40 Paolo Gualdo. Fuori: All’ 111.” et Eoc. mo Sig. r mio Ose.® 0 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. “I Intonilo il Ditcorto drIU GomtU, dato in luco sotto il nomo di Mario Guiduccj alla due dol gin¬ gilo 1619. O» Uooro Gallo. 1,1 Bai.damarr Hoxir aoi. *** Maaco Amtorio Uiuaio. [1454-1465] 27 MARZO — 3 APRILE 1620. 29 10 1454. LORENZO PIGNORI A a [GALILEO in Firenze]. Padova, 27 marzo 1620. Bibl. Nas. Plr. Uh. Gal., P. I, T. Vili, car. 113. — Autografa. Molt* 111.** et Kcc. m0 S. r mio Obs.® 0 Dio perdoni a V. S. che m’ha fatto usare sì inala creanza, di metter mano nelle cose del S. r Picchcna (, \ Di gratin, eh’ io sia scusato et che mi sia perdo¬ nato, eh’altramente io non ne starei mai con la conscienza sicura. Non ho risposto alla lettera di V. S., impedito da febre et catarro, che m’hanno afllitto sopra modo. Mora, por gratin d’Iddio, sto meglio, et risponderò con più commodo. Mons. r Gualdo scrive ancor esso, et la sua lettera viene con questa mia, che non so come non arrossirà comparendo costi et pensando al manca¬ mento fatto. Bacio lo mani a V. S., et lo desidero compita prosperità. Di Pad.*, il di 27 M.«® 1620. Di V. S. molt’ 111.*» et Ecc. m * Ser.™ Aff. m0 Lor. Pignoria. 1455*. ANTONIO SANTINI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 aprile 1620. Bibl. Bat. in Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, B.» LXXXVIII, n.« 156.— Autografa. Molt’ 111.” et Eco.™ S. or Col.™ Alla sua cortesissima lettera di molte settimane sono ho tardato a far respo¬ sta, massime per non occuparla con pregiuditio di faccende più utili ; ma per¬ chè ora con certo negotio uno de’ Padri nostri, per servitio della religione, viene mandato costà, saria culpabile il mio silentio o dimorar più a farli reverenza. Aspetto che sia compito quel trattato che componeva in resposta a Lottario Sarzio, il che vedrò volentieri; ma più desiderarei veder spiegato le sue inven- tioni nelle cose filosofiche, c che il tempo non impedisse il manifestarle al mondo. Io sono applicato tanto a studii alieni, che poco tempo mi avanza ; et ancorché <*> Cfr. il.® 1487. 30 3 — 4 APRILE 1620. |U56-14b(»j sonta suscitar l’antico stimolo, conviene reprimere il diletto che dalla uavità io di tali discipline si trae. Intesi elio ora uscito del S. r Chepplero uno Uarmonicum mtindi non so quello si tratti questo argomento, qua non ne sono c apitati . caso che lo hav. sh« veduto, me no dia qualeho ragguaglio, perché 8© Io-m eoa grave me lo pro¬ curarci. Il Padre che viene costì si chiama il Padre Don Ferdinando Petngnani: ò fratello del’ Sig. Cav. r Petrignani. Se in qualcosa le occorresse il favor.- di V. S. E. 1 ®», stimi fatto alla mia persona. Egli le fari reverenza piti p.utiodare a mio nome; e del venire coati può divisarne con esso, p. rehA il trmjHj può a|>- portare piò occasiono. Tra tanto io resto il mede imo obbligati inno ■ rvo a » V. S. e partialissimo come sa, come altretanto de ideroso de’suoi romandi, cer¬ tificandola che niuno la riguarda con più affetto di quello mi far. Cfr. n.» 1417, lin. 15D. Cfr. D.* 1411. 4 — 14 APRILI' 1020. [1450-1457] 01 V. S., potrebbe indrizzare la risposta a qualche suo amico, e non a quel Lotario, nò meno al Padre Grassi, per non pigliarla con uno scolare, nò meno con quel Padre, chò sarebbe un non finirla mai ; e scrivere con quel bel modo clic saprà fare V. S. : e potrà, scrivendo ad un suo amico, scriver liberamente lo sue opi¬ nioni e ragioni, con confutare quelle della detta Libra Astronomica ; et con que¬ sta occasione potrà anco metter fuori li suoi pensieri di filosofia, come fa in quella risposta del Padro Castelli contro Ludovico dello Colombe, che a me 20 piacque grandemente; o qui haverà maggiore occasione di allargarsi. Insomma vada pensando come le paro che sia meglio circa a detta risposta, se è risoluta a farla ; e quando non voglia scrivere nò al Grassi nò al suo scolare, scriva ad una terza persona, fingendo esserne richiesta per bavere le suo opinioni proprie, chò così a me parrebbe meglio. So che a V. S. non mancheranno ripieghi : con- tuttociò ho voluto con questa occasione accennargli il mio pensiero, non gli rila¬ vando detto con l’altra mia. Che ò quanto devo dirle; et per fine qui resto con aspettare qualche suo comandamento, e le bacio con ogni affetto maggioro le mani. Di Fahr. no , li 4 di Aprile 1020. so Di V. S. molto 111.» et Kcc. m » Sor." Afi>° Francesco Stelluti. 1457 * ZACCARIA SAGREDO a GALILEO in Firenze. Venezia, 14 aprile 1G20. BILI. Est. In Modena. Raccolta Ciunpori. Autografi, B.« I,XXXVIII, n.® 95. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ III."» et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Mi dariano grande occasione lo lottere di V. S. molto 111.™, colme non meno della sua gentilezza et amorevolezza clic della sua pietà verso la mia aftlittione, di discorrere più a dentro della perdita fatta dame por la morte del suo et del mio amorevolissimo fratello, il Sig. r Gio. Francesco; ma il rinovare il commuti dolore ò cosa troppo molesta. Dirò pur che V. S. molto 111.™ mi ha toccato nel vivo ram¬ memorandomi 1* affettione, V unione et la conformità, che teneva con esso Sig. r mio fratello ; sì come mi ha in estremo consolato coll’ attestatione dell’ haver trasferito in me quell’ amore ardentissimo clic ella gli portava. Consolatione gran- io dissima appresso ho ricevuta nel veder il desiderio che tiene di mirar ancora presentialmente questa casa, per consolarsi nella posterità mia delle passate per- Lett. 1456. 15. Jiniiia mia, « — 32 14 — 18 APRI LE 1630. (1457-1458] dito, la quale in vero, quando che piaccia a I>io di non levarla la propria ru- stodia, potrà in qualche parte per aventura sollevare il nostro trav tgho. Seti • sono li figlinoli che Dio mi ha dati, ondo ho potalo rifiatare 1» nomi *1» m vocili abbondantemente, cioè «li Niccolò, Paolo, Gio. Frano» > <», iWicardi», Mnn >», Alvise et Stefano. Se farà Dio benedetto che si accmtino a*coturni di mi i*»r- tano in fronte la memoria, ne loderemo la Sua Divina Ma*-*là. Io so che il S. r Gio. Francesco teneva qualche n«*golio di \ S molto 111 '• per le mani; so alcuna cosa ci è, o manca, onde io posta tupplire. io U prego ctfioacemonto concedermi il contento di poterla servire: et ** nelle co».- di lui » alcuna co ne lusso di gusto suo, in gralia me ne faccia cenno, « !.• maggior l i¬ vore non potrò ricevere che sia goduta da lei. Mi mostrò egli, poco innanzi la sua morte, alcune lettere di \ S. inulto 111 r * in proposito del credito mio con M. r Camillo Germini, lo ne scrivo una perda anco al S. r Residente: se esser può, io lo prego a farmi re« operar il danaro do¬ vutomi da lui, che tutto riconoscerò si come grande bere-litio ottenuto dalla c.i amorevolezza et gentilezza di lei. Con che line a WS. 111. “ bici., affolla • i- mente la mano. In Venetia, a 14 Aprile 1620. Di V. S. molto 111." S. Aff “• to S. r Galileo. Zacc.* Sagredo. Fuori : Al molto 111.™ S. r mio 03S. 1 0 L’ Ecc. mo S. r Galileo Galilei. « Fiorenza. 1458**. CARLO MUTI a GAI.II.HO in Firenze Roma, IH aprile 16Z0. Autografoteoa Morrlson in Londra. — Autografa la «ott..- ru. : « Molto 111.” Sig. r Oss. ,no Se dalla scarsezza dello scrivere dovesse altri fare argomento dell’ affetto, potrebbe per avventura V.S. dubitar della mia volontà: ina ella sa che amora appoggiato all’altrui merito non ha mestiero, per sostenersi, di somiglianti lu¬ singhe; e dove anche ò già conosciuto l’animo, indarno è il testimonio delle pa¬ role. Vaglia ciò dunque per iscusa del silentio. Intendo che parla, non so dir se V.S. o’l S/ Guiduoci, nel replicare alle oppositiom fatte qua al Discorso delle Comete. Grande è il desiderio col quale [U5S-U69] 18 - 20 APRILE 1020. 33 nitri aspetta ili veder questo repliche, havendo por costante, chi conosce ’l valor i° di V. S., eh’ elle habbiano a corrispondere alla peregrinità dello ’ngegno, e, quel elio soprano condimento è di tutte le cose, alla modestia. Non può, coiti* ella sa, loggier’ ombra macchiare nè oscurar gran luce. E con ciò le bacio lo mani, pre¬ gandole colma d'ogni bene la Santissima Pasqua. Di Roma, a* 18 di Aprile 1020. Di V. S. molto 111.” Afl>° S. ro di core S. Galileo Galilei. Carlo Muti Lync. Fuori: Al molto IH.” Sig.” Uss."* 0 Il Sig” Galileo Galilei. Firenze. 1459 * PAOLO GUALDO a GALILEO in Firenze. Padova, '20 aprile 1620. BILI. Khi. Fir. Km. 0*1* P. I. T. Vili, car. 114. — Autografa. 111.” et Ecc. u *° Sig. r Io non ho mai havuto lettere da V. S., alle quali io non Labbia subito pron¬ tamente risposto. Il S. r Duca d’Acerenzaha usato 1’ istesso termine ili creanza meco che ha usato con V. S. ; poi che all* istesso tempo eli* ella le mandò il suo occhiale, io gliene mandai alquanti para di questi ordinarli, conformo al suo de¬ siderio, tra’ quali un paro venutimi da Parigi eccellentissimi, e di più le mandai una scatola piena di varii semi di fiori, che pur mi ricercò, nò mai ho havuto nuova alcuna della ricevuta : e pur son stato certificato c’ ha havuto il tutto. Vo¬ leva anco far una sepultura o memoria al S. r G. Vinc.® (,) , ma mai più s’ò la- io sciato intendere. Pure io voglio stuccicarlo di nuovo. Non mandai a V. S. li semi di Poiana, nò li mando ir anco al presente, poi che sono alquanti anni che il Conte Nicolò mori, si che non ho saputo a chi scrivere. Volevo scrivere a certo prete allevo di quella casa, ma ho trovato eli’ è andato a Loreto ; sì che per quest’ anno si contenterà delli meloni lirentini. Starò attendendo con desiderio le sue compositioni, lette sempre da me con grandissimo gusto. 1,1 Khanccsco Pikilli: cfr. n.® 1811. n.® 445, Un. 89-46; n.° 1311, Un. 17. •*' Uio. Vincarno Pikilli: cfr. n.® 96, lin. 2; 1,1 Niccolò Tacerò. XI1L 5 34 20 — 25 APRILE 1620. [145M461] La morte del S. r Sagredo 0 ha passata l’anima a UlUi i fftUat’tamiai, perchè era Signore di gran valore. Dio benedetto 1 babbi» in gloria, • doni a Y. S. il compimento d’ogni vero bene; e le bacio lt mani, salutandola caratn a nome di Mons. r 111.® 01,) Di Pad.*, alli 20 Apr. 1620. Di V. S. 111.” et Ree.®* 8*r " Paolo Gualdo. Fuori: All*111.” et Ecc. mo Sig. r mio 0s». BO Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1460 *. GIULIANO DE’ MEDICI a CURZIO PIOCIIEKA in Fir-iu- M ad riti, 'fi aprii»* leso. Ai oli, di Stato in Firenze. Filza Medicea 4949 (n»n cartolata) Autocrata la . t«. rm t . • _Ilo parlato al Sig. r Segretario Art<-tigui di far rinnovar l> ioti ore j .*r ! n.go /0 del Sig. r Galilei al S. r Card, Borgia, il qual in'ha detto che sehenr ai poteva far di ni«*u.i, in ogni modo le rinnoverebbe per ogni miglior rispetto. Lt al Srgrrtar ■> reterà I* cura di mandarlo a V.S., poiché, inibito che havrò l'audienxa da S MA, finir., di spedimi! quanto prima, per far prova so possa esserr a tempo con le galere di Don IKUvio • della Piatta; se no, seguiterò da Baizellonu il viaggio per Urta.... 1461 *. CAMILLO GERMINI a [ZACCARIA SAGREDO in V maria]. (Firenze], 26 aprile 1620 . Bibl. Satin Modena. Raccolta Campori. Antofrai. R.» LXXXVIII. n.* |.>1_«In , <„s. *1:* qnslu sono premesso queste parole: «Copia d'nn capitolo J«iu lettor» d«l tortini il _\\ Apri • fr n.o 1465, lin. 10. Sotto di easa. sulla «tossa carta, * un conto di dir» a amo U. OaiAM • morsi- Francesco Saorkuo : cfr. n. 1465. lin. 10. Resto oliatissimo a V.S.I11del tanto aspettatomi a ricever la «forata sodi, fa tiene delli danari li restai debitore quando feci partenza di Cadore; la supplico a creder quel clic veramente è, cioè che io babbi osata diligenza grandissima per centrature la mia casa, ma che sin bora non mi sia mai riuscito, il che non poco ha diminuito il mio capitale . E se ai cont enta di voltar il credito al 8/Galileo, potrà mandargli .1 scritto cbs <*' Cfr. n.<* 1452. IO 1,1 Masco Àsrosio Uosa* so. 33 [1461-1403] 25 - 30 APRILE 1620. tiene di mi.i mimo, col quale io mi iutenderò et aura sodisfatto quando Dio vorrà darmi gratin di concludere un partito della mia casa; oliò quanto al voler mio, sarebbe seguito molto tempo fa. Terrò sempre «diligo a V. S. 111.""* del benefitio elio mi farà, etc. Lana Deo. Primo Gon. ro lGltì. io Kcc. m0 Sig. Galilei deve dare per grogauo L’Ecc." 10 Galilei deve bavere per riscossi dal uiaudat’ a lui per avanti.£82. Crimonino per conto suo scudi 50 £ 410. Por scossi dui Cpemonino scudi 25 . . £ 203. 1462 *. GIROLAMO DA SOMMAI A a GALILEO [in Firenze]. Pitta, 2U aprile 1620. Blbl. Est. in Modena. KaccolU Catnpori. Autografi, II.» I.XXX1X, n.<* 55. — Autografa. Molto 111.” et Kcc. mo S. or mio OsB. ,no Mando con questa il solito mandato (,) , c rendo insieme molte et affettuose gratto a V. S. dell’honoro elio si compiace farmi nella sua; c riconosco tutto, come devo, da una infinita sua cortesia, non havendo con lei merito alcuno, so bene invero la voluntà di sorvirla ò stata et ù ardentissima, conforme alla obli- gattono che al suo valore devo ciascuno: et io in particularo per molti favori fattimi V. S. (sic) sono tenuto più elio infiniti altri ; ma la debolezza delle forze mi ha tolto il potor con gli edotti dimostrarli V interno dell’ animo, del quale la prego per bora a restare appagata. E con affetto gli bacio le mani, o prego io da Dio intera felicità. Di Pisa, a’29 di Aprile 1020. Di V. S. molto 111.” et Eccell. ma S. r ® Àfl>° S. or Galileo. Girol.® da S> 1463 * GIULIO INGUIRAM1 a CURZIO PICOHENA [in Firenze]. Madrid, 80 aprile 1020. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4919 (non cartolata). — Autografa la sottoscrizione. _E quanto al dupplicato <*> per il Sig. r Galilei, mi ha detto il Segretario Arostigui che sarà bone aspettare un poco, per sapere V arrivo del S. r Card. Borgia al suo governo; sì cho anche qui si dubita, benchù siano andati più e più volte reiterati ordini, e benché vadino qui prevenendo e disponendo la casa dove ha da vivere il S. r Duca d’Ossunn.... UiCfr.Vol. XlX.pug. 257, Doc. XXI, d),liu. 130-144. <*> Cfr. nn.‘ 1442, 1445, 1449. 36 3 — 5 MAUOIO lbiu. (1164 1465] 1464*. FRANCESCO MARIA DEL MONTE * (iAl .11 KO in Kir-:u« Roma, 3 maggio 16*0. Bibl. Naa. Fir. Msb. Gnl., P. 1, T. XIV, c»r. 164. - AulofrU il Finito • . **tU «rii • III." Sig.” Il pittore, essibitor dela presento, mostrerà a V. 8. un obliale da veder d’appresso, fatto ad imitatione del suo. Et jxTchè la bontà di questo occhiale mi ha fatto nascer desiderio di liaverne un altro Minile, prego Y.S a pigli» mi d pensiero di favorirmene, et di avvilirmi dola spesa che anderà menno, persua¬ dendosi di farmene accettissimo piacere. Et mi oflfe.ro a lei nei* ruc ikcamoiu. Di Roma, li 3 di Maggio 1620. Di V. S. Qui cito dal , bis dal. Como fratello io [S. r l Galileo Galilei. Il Cord. 1 * dal Monte. Fuori : All’ 111.™ Sig. r Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1465*. ZACCARIA 8AGRED0 a GALILEO [in Fimnr*]. Conegliano, 5 maggio IMO. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Campori. Antograi, B.» IJCXXVIU. i • *6. - Alt gra'a U ni», i-: • o* Molt’ 111.” Sig. r mio ()8s. mo Significai a V. S. molto 111.” quel tanto che ella inti o \*>r Ir precodenti lettere mie, perchè io sapevo haver tenuto negotio con lei sempre il già S. r mio fratello, onde sono andato tanto pensando poter e»s«»r avanzata alcuna reliquia di quello. Sarò prontissimo all’esborso di quanto ella mi accenna, o le rimet¬ terò il danaro, come più le piacerà. Essendomi ritirato in queste parti per godere un poco di buon’ aria a sol¬ levo di qualche mia indispostone, et portati meco alcuni libri et scritture, io ritrovo in un memoriale del predetto mio fratello il conto che ad ogni buon tino 5 — 18 MAGGIO 1620. 37 [1466-14661 io ho voluto includere in copia 10 , che appunto risponde a quello V.SS. molto 111. r * mi accenna rimaner creditore in circa. A questo proposito io voglio ben pre¬ garla, corno fo efficacemente, che, se ben non tanto atto conio era il povero S. r Gio. Francesco, in ogni modo al pari di lui et di ogni altro inclinato et pronto al suo servitù), voglia in ogni tempo et occasione servirsi dell’opera et persona mia, con quella confidenza maggioro che può usare con chi si sia antico et sincero amico suo. Nel particolare del mio credito col Germini, io riposo sopra 1* amorevolezza et gentilezza di V. SS. molto 111.™ Ne scrivo alcuna cosa al S. r Residente, et ristesse Germini ne scrive a me ancora quanto si compiacerà ella vedere dal- 20 l'alligata copia 10 . Se haverà egli ad aspettare od incontrare qualche avvia¬ mento, o che volontariamente venda la casa acquistata, dubito non haverem vita a sutìicenza per vedere la mia sodisfattione. (ili caricherà la mano addosso il S. r Residente, et attenderò poi quello V. S. molto 111.™ si compiacerà dirmene con sue lettere. Aggiungerò solamente che, per lo peso che io tengo sopra le mio spalle di numerosa famiglia, la recuperatione di questo credito mi riuscirà di non poco sollievo, onde l’obligatione clic ne tenero a V. S. molto 111.™, dalla quale sono per riconoscere il tutto, sarà grandissima. Et per fine le bacio cor¬ dialmente la mano. In Conogliano, a 5 Maggio 1620. so Di V. S. molto 111.™ S. r AfT. mo S. r .Galilei. Zacc. Sagredo. 1460 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Acquasparta, 18 maggio 1620. Bibl. Nas. Flr. Mas. (lai., P. I, T. Vili, car. 118. — Autografa. Molt’ 111.™ Sig. r mio sempre ()ss. mo Il Sig. r Don Virginio Cesarmi, mal trattato dalla sua indispositione nel’ in¬ cominciato viaggio questi giorni a dietro, a mia esortatione si compiacque arre¬ starsi e riposarsi qui alquanto, dove, Dio gratia, si va tuttavia rihavendo; et è seco il Sig. r Ciampoli, e ce la passiamo con grandissima consolatione. Non poche volte ci siamo ricordati di V. S. e delli suoi nobilissimi compo¬ nimenti, quali tanto desideriamo veder compiti; et in particolare habbiamo uni¬ tamente fatta ogni necessaria consideratione sopra la risposta alla Libra, et c’ è parso tanto necessario che venghi fuori e presto, quanto anco che per ogni ri¬ io spetto V. S. non vengha fuori a duello direttamente, ma o per inezzodePistcsso <‘l Cfr n.° HGI, lin 9 12. '*• Cfr. n.° H61. 18 MAGGIO 1620. 38 114 4>l* 14 »»71 Sig.r Guiducci, quando però egli ri -u ptfUUM d’ast, ni da di Iti nord* i < t aspri, o pure scrivendo lotterà con OOQMMOB >1» richiesta d’ami. 1. *Cr cennai, ancorohò longhissima. Cosi credo le aocennarà l’ mUmo Big/ i lampoli; et il vero affetto nostro et obligo verso V.8. BOB d ptrndlo »«i»Ure altrim. ni V. S. m’assicuro che considerar^, il tutto molto meglio. Quanto al suo passare a Napoli •'», veramente ri pare opi*»rt«inÌMimo il Mnpo quando vi sarà fermo il Viceré, chò anco il Sig. r I). Virginio ip riamo a tru varà là e potrà oprar molto in servigio del negotio. Io poi •*< ^tu con ansietà di riveder V. S., poi bene imaginarselo, e che lo dividero inliniUmcntt : i*r nò non lasci in alcun modo di far questa strada, elio le riuscirà anco breve e commoda, *> et io ce l’aspetto sicuramente. Et con questo di tutto core a V. S. bacio le mani, o le prego da N. S. Dio ogni contento. Di Acquasparta, li 18 Maggio 1620. Di V. S. molt’ 111." e molto Kcc. u Il Sig. r D. Virginio meco affettuosamente le baci.» le mani. Aff.** per •rr." sempre Fod. c * Cesi Line.' i\ 14f>7. GIOVANNI CIÀMP0L1 a (GALILW) in Finn-4 Acquasparta, IH maggio 1SJ0. Bibl. No.*. Fir. M«s. Uni., 1’. I, T. Vili. car. 118-117. - Autogrù Molto Ill. ro et Ecc. ,no S.” o P.ron mio Col.® Mi trovo da quindici giorni in qua, col S. r 1). Virginio, in A< qu.-upart* dal S. r Princ. Cesi ; conversatione degna di esser invidiata da V. S. altrettanto, con quanto cordiale affetto è qui continuamente desiderata la su ». Siamo tre uoi nemici, unitamente congiurati contro la persona sua ; ella s’immagini elio - ttìro si facciano ne i ragionamenti nostri contro i meriti ili lei, si jkxo conosciuti e roveriti da noi, come credo eh’ ella si persuada. Il S. r Principe ri ha dato nuove di lei, congiunto con qualche speranza di dover presto vederla a Ito ina \wr pas¬ sare a Napoli. Io penso elio forse vederi» lei prima in Firenze; ma jK-rchè que¬ sta mia venuta non è anco tanto certa che sia irrevocabile, le dirò in lettere io quanto a questo quel che allhora le potrò dire in voce. Stimiamo circa al negotio di V. S. ottima congiuntura quella d«*l S. r Card. Borgia; perchè il S. r D. Virginio, che è trattato da lui come parente, gli è anco “> Cfr. nu.i 1417, 1440. 18 — 20 MAGGIO 1020. 39 [1467-14081 in grande stima por il proprio merito; et appresso al S. r Cardinale 6 uno Audi¬ tore favoritissimo, gentilhuomo d’ingegno eminente, amico intrinseco del S. r D. Virginio c mio, elio mille volto ci ha sentito ragionar di lei, et anco prima l’am¬ mirava come singolare splendore di lettere nell’Europa. Avviso il tutto a V. S., acciò ella sia informata di quel che passa e se ne vaglia con ogni sicurtà, assi¬ curandola che nel S. r D. Virginio ella può confidare quanto in me proprio, elio co non troverà in esso minor prontezza di servirla. Si sono poi lioggi in terzo fatti lunghi ragionamenti circa la risposta desi¬ derata della Libra Astronomica. A tutti tre, che viviamo affettuosamente gelosi della riputatone di V. S., pare necessario il rispondere, e quanto prima; ma però questi Signori sarebbero stati d’opinione elio, per degnità maggiore della sua persona, o non comparisse il nomo suo, tanto glorioso, in contesa di persona mascherata, o che almeno ella mostrasse di farlo richiesto da qualche amico della sua opinione più tosto in forma di lettera elio di libbro : se bene molti libbri, dedicati ne i principii loro a varii personaggi da gl’antichi scrittori, hanno i proemi! loro in forma di lettere, et i trattati poi con ordine di perfetto vo- ao lume. Io so elio 1’ accortezza di V. S. non ha bisogno di consigli ; però a questi Signori premo eli’ ella non s’humilii anco tanto per modestia, elio ne risulti troppa gloria a gl’avversarli benché perdenti. 11 S. r Principe mi dice di scrivere a lei nel medesimo tenore, et il S. r I). Vir¬ ginio, rimettendosi alla mia lettera, lo si ricorda servitore partialissimo. Fac¬ ciamo più d’un brindesi alla sanità di V. S., alla quale io fo humilissima reve¬ renza, supplicandola a continuarmi P affetto e protettion sua. Sarò fra pochi giorni in Roma, e mi vi tratterrò almeno fino all’ estremo di Giugno: però non mi vi lasci vivere senza alcun suo comandamento. Di Acquasparta, il dì 18 di Maggio 1G20. 40 Di V. SS. molto Ill. ro Dev." 10 et Obi. Ser. r * Uio. Ciampoli. 1468. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze], Pisa, 20 maggio 1C20. Bibl. Naz. Fir. Ita. Gal.. P. I, T. Vili, car. 120. - Autografa. Molto 111.™ S. r et P.ron Col. mo So che non accade ch’io adduca scuse a V. S. di non 1’bavere iscritto, per¬ ché tutte riuscirebbono scarse, quando questo solo non li capisse nell’ animo, che Lott. 1407. 30. la affetto. In luogo di affetto prima aveva cominciato a scrivere un’ altra parola, elio, a quanto paro, cominciava da b; poi corresse questa parola, ma uou la procedente. 40 20 MAGGIO - f» GIUGNO 1620. [1468-1469] il non haver cosa degna di scrivere ad un par suo, et non volerla infastidire con cose frivole, ò stato causa di cotesto; chè quanto al ricordarmeli «ontimiu- raente servitore, non ho mancato di farlo (come ben era conveniente e conforme al vero), scrivendo al P. D. Benedetto (, \ reputando quasi d» scrivere n V. S. stessa, come eli’ io sappi lor due esser, per dir cosi, d un animo stesso. 1 ure, m* questo non gli paresse causa sufficiente, converrà sottopormi alla censura «li V tv, confessando che V haver io fatto un certo habito di scriver pecco, per confor- lo marmi al desiderio de’superiori, che per il pagare le lettere che vengono in n- sposta non mancano mai di lamentarsi, mi facci notare di qualche specie di pol¬ troneria, ma insieme scusi, sì come credo che V. M. con la sua prudenza mi scuserà. flora, che sono per andare a stare a Milano, d'ordine de'miei superiori, e che non sono per abboccarmi con V. S., dovendo andare per la via di (imo*, mi parrebbe di mancar troppo del debito mio, a’ io non facessi con lei la partenza (come si suol dire) con offerirli lo mie, benché deboli, forzo a »**rvirl:i in ogni occasione ch’ella mi conoscili buono. D’una cosa poi la pregherà mi vogli favo¬ rire (se li par cosa lecita però), cioè di una lettera sua ni nuvomandatione ap- w presso il S. r Cord. 1 * Borromeo, che mi sari gratissima, quanto qualsivoglia com* mandamento suo mi sarà sempre. Con che fine gli pregherò «la N. S il colmo d’ ogni bene, offerendomeli servitore prontissimo e ha sciandoli le mani. Di Pisa, alli 20 di Maggio 1620. Di V. 13. molto 111.™ Ser.™ di cuore F. Ilon.™ Cavalieri da Mil.* Getuato. 1409 *. FRANCESCO MARIA DEL MONTE a GALILEO m Firenze, Roma, 6 giugno l&N). Bibl. Naz. Fir. Mas. Oal., P. I, T. XIV, car. IGtf. — Autografo la a-U..»cn«. na. 111.™ Sig.™ È riuscito di mia compita satisfattone l’occhiale che V. S. mi ha man¬ dato^, come non poteva riuscir altamente partendo®» da le sue mani. Gliene rendo però affettuosissime gratie, come di cosa che mi è stata sopra modo gra¬ tissima et nela quale io considero egualmente il suo valore et la sua cortesia. Posso ben assicurarla che a V. S. non mancarà raoU obliarmi anco mag- <*' Benedetto Cabtilu. Cfr n.» HM. [1460-14711 fi — 20 GIUGNO 1020. 41 giormente, se le piacerà di darlo a me d’impiegarmi in occasioni di suo ser- vitio. Et la saluto di core. Di Roma, li fi di Giugno 1620. io Di V. S. Come fratello Amov. mo S. r Galileo Galilei. 11 Card. 1 * dal Monte. Fuori : All’ 111» Sig. r 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 1470. MARIO (ilJIDUCCI a FEDERICO CESI [in Àcquasparta}. Firenze, l‘J giugno 1620. BILI. Naa. Flr. Mxs. dal., P. VI, T. XIV, rnr. -10. — Copia di ninno del soc. XVIII. In capo alla copia si legge, della ste^n ninno: « Mario Ouiducci al modoHimo Principe Cesi, di faccenda letteraria >. Mando a V. E. un poco di risposta W che io ho fatto alla Libra Astronomica di Lot¬ tario Sarai, col quale ho, più tosto elio col Si#/* Grassi, voluto trattavo per più cagioni. Ilo preso per ino il consiglio che V. E. dava al Sig. r * Galileo, di risponder con una lettera ad altra persona, e non al Sarai ; tanto più che havondonii egli sdegnato per avversario quando io era Consolo, molto maggiormente haverehbe riputato vile il cimentarsi meco ora che io non ho quella dignità. Ilo bene fatto servitio notabile al Sig. re Grassi n pigliarla col Sarsi, avendo per ciò tralasciato ili dichiarar quell’ ingegnoso anagramma, dal quale (essendo Botto la persona di Lotlmrio Sarsio Sigensano mascherata la persona di llorntio Grassio Salonensi) chiaramente si poteva far giuditio della dottrina di quella scrittura, 10 e dire che il Sig. r * Grassi, come di sangue Salonese, era però di dottrina o di scienza Saloneuse: del qual luogo faccendo nella sua Geografia memoria Strabono, dice nel Libro2: Salon, regio Byt binine bobus fcrendis idonea; nò da ciò aborriva il cognome do’Grassi. V. E., la quale mi favorì ed onorò di legger la prima scrittura, mi faccia gratia di dare una vista anche a questa, o per sua gentilezza mi scusi se sono stato troppo risentito, perché in vero io non ho potuto non dimostrare di aver conosciuto e sentito il torto che in’ ò stato fatto senza ragione da quel buon Sig. r * Grasso. Mi ricordo a V. E. servidore devotissimo ; con che, facendole umilmente riverenza, le prego dal Signore Iddio ogni maggior grandezza e prosperità. Di Firenze, 19 Giugno 1G20. 1471. MARIO GUIDUCCI a TARQUINIO GALLUZZI [in Roma]. Firenze, 20 giugno 1620. Cfr. Voi. VI. pag. 183-196. 1.0tt. 1470. 4. ttlegnùilo — 17. Signiore — 0) Cfr. n,« 1471. \ XIII. 6 42 1' LUGLIO 1620. 11472 ] 1472 *. ZACCARIA SAGRERÒ a GALILEO in Fi™»®. Veneiia, 1° luglio ltSKX Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cunpori. Autogrill, lì.* LXXXV 111, i • ai. Aot* rr»f* l« » il u» Molt’ 111.” Sig. r mio Oss. mo • Mi par di scorporo difficile pur troppo il negotio col Germini ". Io non hebbi mai intenzione che V. S. molto 111.” dovesse soggiacer'’ a nis-*un danno, et in¬ tanto le mandai in copia il capitolo contenuto in lettre di • o Germini, in quanto, poca fede stimando dover prestare alle parole di lui, volli « nferire con V. S. molto 111.” il tutto, acciò meglio si avvedesse della costui indiscrete//a < t pre3untiono. Scriverò al S. r Residente che si contenti uv»r«- il rigore della >:iu- stitia, et poi non me no prenderò altro pensiero. In quanto al conto (,) , io le ho mandato quello che ritrovo et m può vedere sopra alcuni memoriali del fu Sig. r Gio. Francesco. Ma in tutto mi rimetto a lei, io non volendo che la sua compita intiera sodisfattinne. Al Varottari pittore, che mi ha rese le buo di 2, ho detto ri la-eia vedere; ma egli, sicome ogn’bora, vivente mio fratello, era in questa cn-a. rosi di pre¬ sente, non ci vedendo, credo, cosa di suo gusto, non vi ni «romita mai. Seri* i a V. S. molto 111.™ che volentieri le haverci fattA parte delle rohbe lab iate da mio fratello, sicome ho eseguito con altri amici di lui, et ella mi rnpo*e star bene quelle appresso me; onde, havendo io deliberato riuscirne in ogni modo, non volendo a poter mio che’ miei figliuoli s’ingombrino il corvello in co», di nissun profitto, di tutto fatto un fascio ho disposto in M. Gasparo Ri mani, acciò medesimamente ne riesca come saprò e potrò. Spiacemi però che non j»otrò ino- -*■ strare a detto Varottari se non poche coso rimase et ritenute da me, •>ironie quelle che possono servire a qualche uso. Desidererei dunque che ella m'nreon- nasse il suo desiderio, perché di quello che si ritrova in essere appreso il I’i- gnani et me, sarò servita senz’altro mezzo et con mio particolar contento, ('ho tanto mi occorre dire in risposta dello lettere di V. S. molto 111.»-, alla quale per fine cordialmento bacio la mano. In Venetia, al p.° Luglio 1G20. Di V. S. molto 111.™ S. Afl>® S. p Galileo. Zncc. Sagre do. Fuori: Al molto 111” S. r mio Oss. mo oo L’ Ecc. n, ° S. p Galileo Galilei. Fiorenza. M > Cfr. nn.‘ 1457, 14G5. Cfr. n.» 1461. Cfr. no.* UM. UA5. [1473-1474] 10 - 17 LUGLIO 1620. 43 1478 *. FEDERICO LAN 1)1 a GALILEO in Firenze. Bardi, 10 luglio 1620 . Bibl. Nas. Flr. Mm. Bai, P. I, T. XIV, car. 168. — Autografa la firma. Giorni sono riccevei la di V. S. con il canone occhiale che mi mandò, quale mi ò piaciuto sommamente et ò a mia sodisfattione. 1/ ho mandato a far finire, e lo sto con desiderio aspettando. Lo ringracio della carrezza. Il non liaver ri¬ sposto prima di hora, no ò stata causa un’ indispositiono che mi sopragionse di febre continua do molti giorni, che mi ha poi lasciato ; come parimente non ri¬ sposi al S. r Marchese, che mi significò le diligenze usate da V. S. intorno al detto canone, di elio lo no resto con ohligo, o desiderio insieme d’ impiegarmi in cosa di suo servitio. N. S. r lo guardi. Bardi, li 10 Lug.° 1020. io II P.® do Valditaro. Fuori : Al Sig. r Galileo de Calcici, che Dio guardi. Firenze. 1474 . GIOVANNI CIAMP0LI a GALILEO in Firenze. Roma, 17 luglio 1620. Bibl. Nuz. Flr. Mas. (lai.. P. I, T. Vili, car. 122-123. — Autografa. Molto IU. ro et Ecc. n, ° S. re o P.ron mio Col." 10 L’infermità del S. r D. Virginio ha impedito la mia venuta a Firenze per que¬ sta state. Ci partimmo d’Acquasparta (l) e tornammo a Roma, dove le sue flus¬ sioni della gola lo hanno mal trattato, e ben clic adesso siano assai mitigate, non però esco ancora di letto. Haviamo però buona speranza, perche lo stomaco si trova assai vigoroso, c si è indebolito assai meno del solito. In questo tempo ci ò arrivata la lettera scritta da V. S. al S. r Principe Cesi A) o mandataci da S. Ecc.* a Ella chiedo il nostro parere quanto alla dedi¬ carono della sua risposta. A me sovvenne alla prima ch’ella potesse inviarla al io S. r I). Virginio, porgendogliene occasiono l’istesso Lotario, che si vale nelli suoi scritti della testimonianza et autorità di S. S. ria Ill. raft , alla quale ne parlai, per Ut Cfr. u.° 1167. i 1 ' Questa lettura non ò giunta insino n noi. 44 17 - 25 LUGLIO 1620. 11474-1475] vedere se rispetto alcuno lo riteneva dal taidfcraro un tale bon trovai non solamente non repugnante, ina ambitioeo di tanta gratta, soggiungendo però non conoscersene degno, con quelle altre parole che la naturale eoa moderóa gli dettava. Ne scriverò domani al 8.' Principe, • be gli piacerà; Utk rando poi lei dall’altro canto che, non oeUntu che il S.» I». Virginio «ia gran¬ demente amato dalli Padri, 600 tatto dò saprà e vorrà parlare ardentemente in difesa di quello dottrine che a lui paiono ammirande, * non gli par. che d.» altri si dispensino che dall’eminente intelletto di \ . S. E questo « quanto ini occorre in tal proposito. Penso sicuramente poi arrivar costà alla rinfrescata, e • al Novembre ella barerà pensiero di passare a Napoli, facilmente anco potrò rvirl.i tin là, dote il S. r 1). Virginio tien risolutione di passar V invernata ; •• credo rl.r luterà qual¬ che habilità di servirla udii suoi negotii appresso il S. f Vicer. t -uoi pruni mi nistri, conio di Acquasparta le accennai lo le vivo d« voti-tinnì **mturc, c fra i miei primi voti ò la sanità di V. 8., essendo icuro che con r e n ila partorirà frutti di gloria habili a vincer le for/c del teni]»>, con l'immortalità del suo nomo e con honore universale di Firenze o di Toscana. Prego Dio che ci con¬ ceda si desiata gratia, et a lei fo humilmente reverenza. Di Roma, il di 17 di Luglio 162<>. Di V.S. molto lll. r * Der.** e Vero Ser. f * S. r Galileo Galilei. Fir.* Gio. Ciampoli. 11 S. r Princ." Cesi mi ha mandato aperta P incluM ' : vi era una )m>Iua, nella quale adduceva alcuno ragioni per le quali giudicava Im*uc il dedicar l'opciaal P. Bamberger l,) , o rimette a noi il mandarla; i quali, esondo qua in paese, iuuo- lutamente non giudichiamo bene il farlo, i>er non mpttere in fastidi quel povero Padre, come cortamente sappiamo ab esempio che seguirebbe. 1475 . ZACCARIA SAGRERÒ a GALILEO in Firtue. Venezia, 26 luglio 1620. Blbl. Nftz. Pir. Mss. dal., P. I, T. Vili, car. 124. — Autografa U Alla Mura f*<-o»»o •• guiro la « lista », che lo scrivente ri accluderà (Ilo. 6 61 , • che tuttora A aliatala • forme la ear 186 del medesimo codice. Molto 111.™ S. r mio Oss.™ 0 Anzi sopramodo caro mi riuscirà far parte a V.S. molto IH/* di quelle cose elio ho serbate per uso mio et che ho stimate più utili, scelto da me Ira quelle che "i Cfr. n.® 1467. <*> Non ò presentemente allegata alla lettera. '*» Cmiaroroao UaitsiaNuaa. [14751 25 LUGLIO 1620. 45 mi sono state lasciate dal fu S. r dio. Francesco mio fratello. Mi accennò ilVa- rotari, tra lo desiderate da lei essere qualche pittura; perciò io le mando la lista di alcune cosette eh’ ho trattenute, affermandolo che, sieomo carissimo mi sarà il participarne con lei, cosi non sono per disporne in nissuna parte se non intenderò prima il voler suo, cioò, et mi dichiaro, se ella non mi accennerà quali le possono gustare. Ilo trattenuto ancora una bilancia fatta da quel tale io Spuntino, parrai con somma isquisitezza lavorata. So questa anco facesse per lei, gliele offerisco prontissiinainente, et saria cosa molto degna. Calamite, vetri et altri istromenti sono stati levati da gl’amici di casa; et alcune ferramenta, com¬ passi, astrolabii et simili, ho dati al Tignano (l) , al qual, ad ogni minimo cenno di lei, si commetterà che essequisca il suo ordino. A Mera. Giovanni llortolucci la settimana ventura, ch’io ritornare di fuori, dove sono per trattenermi alcuni pochi giorni, darò sodisfatione conformo al de¬ siderio di V. S. mollo 111/*'; alla quale rendo gratio affettuosissime dell’operato col mio debitore ila cui se riceverò la mia sodisfatione, io riconoscerò tutto dalla cortesia et amorevolezza di lei. Con che lino a V. S. molto Ill. ro bacio la 20 mano affettuosamente. In Venotia, a ‘25 Luglio 1620. Di V. S. molto III» S. r Afì>° Ecc. Galileo. Zacc. a Sagredo. Fuori : Al molt’ 111." Sig. r mio Osar 0 L’Ecc.® 0 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Colombo . . . n.° 1 Ceca. n.° l Cedri . . n.° 2 Gallo di montagna . n.° 1 Zucchetta d’acqua cosa {sic). . n.° 1 Sparerà mazzo . n.° 1 •io Formagi. . n.° 3 Anera. n.° 1 Libro. . n.° 1 l'aesotti diversi. n.° 5 Piato d’ostreghe. . n.° 1 Venero d’un Romano. n.° 1 Detto d* horbolani . . n.° 1 Quadretto di pietra naturai, elio Detto di tartufale . . n.° 1 mostra una città . n.° 1 Zuccaro . . n.° 1 SA’ Andrea, venuto da Roma. . . n.° 1 Artichiochi . . n.° 1 Quadri d’uccelli . n.° 5 Lavezo rotto . . n.° 1 Tutte le cose sopradetto sono di pie- Pignatta rotta . . n.° 1 ciol volume, et si possono mandare in Pan . . . u.° 1 ogni luogo. io In calce, di mano di Galileo, si Icr/fje : rihaver il prestato con troppa usura. l*> Gahfabk Pignasi. CaHIU-O GttUUXl. 2 AGOSTO 1630. LUTO] 46 1476. GIOVANNI CIAMBOLI a GALILEO in Km tue Kuma, i adonto IfiUO. Bibl. Naz. Fir. M»8. Cai.. P. 1. T. Vili. rar. 187-123. - Autografa Molto 111/® S. ro e P.ron mio Col. 0 Ho lotto al S. r I). Virginio la lettera «li V. S., e le mulo infinite grati.- in nomo suo doU’honore elio ella dispone di farli. Quanto al consiglio eli'ella ci chiede, noi per ogni rispetto ci asterremmo dall' obbedirla. d< ferendo con la de¬ bita osservanza a tutto quel che sovverrà a lei proprio, i pensieri della qual. iono leggi al nostro intelletto: però, porcliò ella ci fa Unta inatnn/i, come a i*-n>one che ci troviamo in fatto et informate do gl’Immori pre «nti, none» ritiriamo dal servirla, rimettendo alla sua prudenza il farne quel rapitale clic 1» porrà, Convenghiaino che apparirebbe troppo simulato 1’ affetto eh’ « Ila vuol pro¬ fessare verso li Pl\, se volesse pretendere di non sapere e non voler « ri dere io semplicemente che 1’autore della Libra sia stato uno de i loro; p* irli- • -o non solo non 1’ hanno occultato, ma so ne sono publicaraente gloriati «• cantatone lo vittorie, e non può rendersi verisimile che a lei sola, alla quale appartiene tanto questa opera, sia celato quel che a tutti gl’altri ò palese. Però a me sovvenne alla prima, et il S. r D. Virginio 1’approvò, ch’ella pot. si fare un proemio, nel quale, disteso poi a modo suo, si contenesse un simil concetto; ciò che ha- vendo ella inteso a’ mesi passati che da’ P. Diesai ti si scriveva un libro contro di lei, con occasione del trattato del S. r Guiducci, si trovava abolita da due grandissime o tra sé contrarie difficoltà, ciò ò dall’obbligo della difesa della pro¬ pria riputatane, che non si poteva tralasciare, e dal desiderio della sua conti- so iiuata osservanza verso li PP., che ella haveva eletto di professare in tutta la vita sua ; perché, dovendosi nelle risposte fare ogni sforzo di abbattere le ra¬ gioni dell’ avversario e di trionfarne nel publico teatro de ì litterati v della fama, non vedeva conio bene potesse eseguirsi ciò senza diminuire in parte la riputa¬ rono di quel Collegio, al quale ella professa tanto affetto : però alzò le mani al Cielo e ringratiò Dio quando vide comparir la Libra sotto nome di Lotario, pa¬ rendoli potere allora difendere sò senza offender i Padri, a i quali, come a {x-r- sone non solo intelligenti ma giuste, non doverà in modo alcuno di piacere che ella combatta per la sua difesa e per la verità, mentre, reverendo il nome loro, all’insegna del quale ella havrebbe piegato la fronte quando le funse comparso so in faccia del libro, farà ogni sforzo di scoprirò la ragione et il vero; per quo- 2 — 11 AGOSTO 1020. Al [1476-14771 sto, essendoli dall* inventione dell* avversario levato 1* odiosa necessitò di scher¬ mirsi contro di loro, voleva però fare al contrario di lui : elio dovo esso, disprei¬ zando il vero nome di gentilhuomo litteratissimo, Phavova presa contro di lei, solamente citato nell’opera, ella, reverendo il nomo del matheraatico Giesuita, voleva solo trattare con P incognito o mascherato Lotario, non volendo ricercare di lui altra notitia che quella clic può haversi dalla sua Libra , nella quale ella col suo trattato farò apparir quanto ei pesi etc., con quello piò o meno clic le sovverrò. Mi paro elio i Padri possimi con questa maniera offendersi mono che 40 sia possibile. Già essi confessano esser bene ch’ella risponda: così otterrò di mostrar loro reverenza, e di non mancare alla propria difesa. Manderò la Bua lettera al S. r Principe Cesi, accennandoli il nostro parere. 11 S. r Cav. r Vostriò in Roma; sarò quest’autunno a Napoli e potrò molto aiutarla, perché ò favoritissimo del Viceré. Io penso venire a Firenze a7mbre: potremo poi al Umbro fare insieme il viaggio di Roma, o seguir quello di Na¬ poli insieme col S. r I). Virginio, che a V. S. bacia affettuosamente la mano; et io me lo ricordo servitor devotissimo, pregandolo da Dio sanitò et ogni con¬ tentezza. Di Roma, il di 2 d’Agosto 1020. su Di V. S. molto IU. ro et Kcc. ,na Dcv. mo Ser. ro S. r Galileo Galilei. Firenze. G-. Ciampoli. 1477 **. FEDERICO CESI a GIOVANNI FABER in Roma. Acquasparta, Il agosto 1G20. Ardi. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro In Roma. Carteggio di Giovanni Fabor. Filza 123, car. 177.— Autografa, .... Vorrei, poiché non posso io, che V. S. fusse spesso dal Sig. r D. Virginio e mi dasso nuova della sua sanitò, o facessoro subito clic si pò il colloquio elio fu preparato qui; o particolarmente barerei caro, V. S. sentissi in materia della risposta del S. r Galilei, elio hormai dovrò venir presto in luce. E V. S. sentirò dal S. r Ciampoli quel elio si sia sopra ciò discorso.... Lott. 1470. 49. A quanto paro, prima aveva scritto il dì p.* o poi corrosso p.° iti 8. — Gì Ottaviano YESTRI Barbuni, ( l ) Virginio Cksariki, 48 27 — 28 AGOSTO 1620. 11478 - 1479 ] 1478* ELIA DlODATl a GALILEO fin Firenze]. Parigi, 27 agosto 18*1, Blbl. Nu< Tir, Man. Gal., P. V, T. 71, i»r. 78r. — Copia di man . ti Vi«. mi . V »n»; %, » « vll l« si leggo, di mano dello stesso Yiyiaxi: • K. I». Parigi. 27 Ag> ICJU. l'ima Mi»»» • Il Sig. 1 ’ Iacopo Baciovere (mentre* viveva, de votammo suo c inio aulicissimo) mi favoriva di farmi parto dello lettere che V. S. gli scriveva, dalle qual», oltre alla relazion fattane da lui, veddi iin dal principio l'origine della ricerca e della scoperta do'suoi nuovi Pianeti Medicei, doppoi da lei pubblicata, con le altre singolarissime sue speculazioni circa la costituzione dell'universo seeond» T opi¬ nione do’ Pitagorici e circa lo meccaniche, non anco viste in queste bui,,li Onde, essendomene informato ultimamente dall’111.Sig ' (’»?.* (iuidi in questa sua ultima ambasciata, mi disse elio sin qui rum aveva sentito nò riat • dn le» op.n» alcuna della meccanica, o che per conto dell’ altr’ opera non credevi . V. S. fusse per pubblicarla. Però mi perdoni «e piglio ardire di pregarla a farmi gra¬ zia di voler a suo comodo chiarirmi con duo versi che comi si ha da sperare dell’ima e dell’altra di queste sue opere; o se per altro ci sono alcuni rispetti locali per i quali differisca ili stamparle in cote^te bande, 'i potrebbero vincere in questa regione, etc. 1479. MAFFEO BARBERINI a GALILEO in Firtn*«. Roma, 28 agosto UNO. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. 1. T. XIV, csr. 170. - Autografa la i tt..*crt*kne. Molto 111. 8." La stima che ho fatta sempre della persona di V. S. et delle virtù che con¬ corrono in lei, ha dato materia al componimento che viene incluso ’ ; il quale se mancherà di quelle parti che se gli convengono, barri ella da notarvi bla¬ mente il mio affetto, mentre io intendo d’illustrarlo col puro suo nome, t >nde, senza prolungarmi più in altre scuse, che rimetto alla confidenti» che io ho in M > Camillo Gemi. <*' Non ò prosentomento allogato alla lettori Si tratta della ben nota Adulatiopemicitua : efr Ma* misi 8. R F. Cani. lOansatai, none l'nni PP.VIM Pomata. AntvorpiM. ei n|rnu PUntinUoa tUlUi** »»tU Moreti, M. PCXXXIV, pag. «7b-gs2 IO 28 — 20 AGOSTO 1020. 40 [ 1470 - 1480 ] V. S., la prego che gradisca la picciola dimostratone della volontà grande che le porto; et con salutarla di tutto cuore, le desidero dal Signor Iddio qualunque contento. io Di Roma, li 28 di Agosto 1020. Di V. S. Come fratello S. r Galileo Galilei. M. Card. 1 Barberino. Fuori: Al molto 111. S. M Il S.r Galileo Galilei. Firenze. 1480*. ZACCARIA SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Venezia, iì9 agosto 1020. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Camporl. Autograti, U.» LXXXV1II, n ° 98.— Autografa la sottoscriziono Molt’Ill. r ® Sig. r mio Oss. mo Doppo la perdita del Sig. r mio fratello mi incontra un’altra sciagura, elio improvÌ8amonte et inaspettatamente ancora mi vieti commesso dall’ Ecc. 1 " 0 Se¬ nato che per il suo servitio io mi transferisca a Crema; et a ciò fare mi asse¬ gnano piutosto bore che giorni. Iti ogni modo, ricevendo il favore de’ comandi di V. S. molto lll. re , ponerò insieme quel che io potrò per la settimana ventura delle coso descritte da lei et a me rimase 05 , porchè se le godi in gratin mia. De’ ferri et instrumonti da legnaiuolo non potrò servirla, perchè, come cose a me noiosissime et improprie alla professione mia, le ho dissipate et disperse io senza riguardo alcuno. Al mercante la settimana presente darò sodisfattione, havendomi egli pro¬ messo venirla a ricevere. Per fine a V.S. molto Ill. ro bacio con tutto l’affetto la mano. In Venetia, a 29 Agosto 1620. S. Aff. mo S. r Galileo. Zacc. Sagre do. Fuori: Al molt’Ill. r ° Sig. r mio Oss. mo L’ Eec. ,n0 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. MI Cfr. u.‘ 1472, 1475. xm. 7 60 7 SETTEMBRE 1620. mn 1481*. GALILEO a [MAFFEO HA MERINI in Roma) Firenze, 7 settembre 1MU. Bibl. Barberiniana in Roma. Coti. LXXIV, J.'i, e»r. IO. — Aut- di V.S. 111.®® e Ilov.®* è parsa ammirabile a tutti gl’in¬ tendenti, con i giudizii de i quali non porto in schiera il mio, come per sò stesso imperfetto et hora troppo affascinato dalla grandezza del favore usatomi da lei nel nominarmi ben duo volte nella sua dottissima composizione. Io non dirò clic per mostrar l’eminenza del suo ingegno ella habbia voluto illustrar le tenebro, ina dirò bene che 20 un trabocco di gentilezza habbia voluto scoprire al mondo l’affeziono che ella mi porta; e questo reputo io per il maggior bollore che già mai avvenir mi potesse: del (pialo, non poteudo altro, le rondo grazie infinite, e con liuniiltà inchinandomegli le bacio la vesto, e dal S. Dio gli prego il colmo delle felicità. Di Firenze, li 7 di 7bre 1020. Di V. S. 111.®» 0 Rev.®* Dev. roo et Obblig ®° Sor." Galileo Galilei. [1482-1483] 25 SETTEMBRE — 6 OTTOBRE 1G20. 51 1482 . CARLO MUTI a GALILEO in Firenze. Roma, *25 settembre 16*20. Bibl. Nn*. Flr. 1*. I. T. Vili, c&r. l'J'J. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111” Sig.” 08S. ,no Ilo sentito con mio gran disgusto i travagli di V. S., si per la perdita elio mi dice liaver fatto della sua Sig.” madre che sia in gloria, sì per lo proprio indispositioni suo: c sicome dell’uno o dell’altro mi condoglio di core con V. !S., così credo elio olla, corno prudentissima, haverà tolerato con gran moderationo di affetto il primo accidente irremediabile, o per la medesima cagione cercherà, ancora di ccssaro il secondo con usare ogni cura circa la sua saluto, aciò elio li suoi amici et osservanti possino più lungamente goderla, et io particolarmente o li Sig. r > Cardinale 1 * 1 c Duca mio padre lJ) , quali assicuro V. S. esserlo amore- io voi issi mi o desiderosissimi di farlo cosa grata, benché harei maggior gusto che ella se no assicurasse da por sù stessa con impiegare tal volta la opera loro nelle suo occorrenze. Il desiderio elio tengo della risposta di V. S. alla Libra, ù ito sempre di pari passo con la comodità sua; però ella può essere corta elio la tardanza ancora mi sarà grata, quando segua con sua salute, quale piaccia al Signore Iddio di darle con ogni altra consolatione. Et io lo bacio la mano. Da Roma, alli 25 di 7.” 1G20. Di V. S. molto 111.” e molto Ecc. 10 Aff. mo Se. r di core Carlo Muti Ly. 20 Fuori: Al molto 111.” Sig. r6 Oss. ,no [Il S. r GJalileo Galilei. Firenze. 1483 * GIULIO 1NGUIRAMI a CURZIO PIOCHENA [in Firenzo]. Madrid, 0 ottobre 1020. Arch. di Stato In Flronzo. Filza Medicea 4949. — Autografa la sottoscriziono. _Io non ho cavato mai quel dupplicato t*> per il Card. Borgia in favor del Sig. r Ga¬ lilei, non per essermene scordato, ma por liaver veduto andar lo cose così titubanti ; et è stalo bone, perchè era buttata la fatica. Quando Zappata sarà là, lo procurerò ; e ’1 Segretario Arostigui, a chi no ho parlato, mi dice che io aspetti por vedere un poco assen¬ tate lo coso, rinfrescando la voce di presta mutazione, benché a giudizio di molti paia fuor di squadra.... m Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVIII. t*> Tihkkio Muti. Cfr. u. u 514. <*> Oiaoovo Muti. Cfr. n.° 1184. 1») Cfr. uu.i 1442, 1446, 1449, 1408. 52 30 OTTOBRE - Iti DICEMBRE 1620. [1484-1486] 1484*. TOMMASO SUGI il ANI « GALILEO in Firmi**. Roma, JO ottobre 16'JO. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. I, T. Vili, cu. 181.— Aot»crafa. Molto 111.™ ed Eoe/" 0 mio Sig.™ e I’.ron ('<>1/ ’ Non havendo potuto di persona venire a riverir Y.S. nella villa per la im- provisa partenza, la vengo a riverir con questa cd a supplii .irla .i t-uermi | 1 maggior servitore di’ella Labbia in questo mondo, eh*' tale veramente le nono, o quanto ella è grande osservator delle stelle, tanto grande «wM-rvator .un io del suo valore inestimabile e singolare. Anzi vorrei, che si come i <• tuo.ito uno occhiale da veder sì lontano lo coso visibili, così se ne trovasse un altro da ve¬ der gli animi Immani, chò, a quella guisa ella vergendo con gli occhi quel eh’ io non so esprimerò con parole, mi premierebbe col riamarmi. Ma quel che non ispero dalla sperienza impossibile, spero dalla grande amorevoleua »ua. E c»»n io tal fine, ma senza fine, le fo riverenza. Di Roma, 30 fibre 1020. Di V. S. molto II. 1 » ed Ecc.*» Se.™ Remi.»» Sig. r Galilei. Tom." Stiglia ni. Fuori: Al molto II.™ ed Ecc.*® mio Sig. c Col.*" Il Sig. r Dottor Galileo Galilei. Fiorenza. 1485 *. GIULIANO DE’MEDICI a CURZIO NCCHKNA in Firen**. Madrid, 1° dicembre IMO. Aroh. di Stato in Firenze. Film Modica» 4948. — Autof r»fc U t ». -Del nogozio del fi/ Galilei non si può tratture euichè non ai ug^a 1' esito di questi Vice Re di Napoli.... 148G*. LODOVICO SETI ALA a [GALILEO in F. rena*]. Milano, 16 dicembre I»ì20. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vili. cu. 183. — Autografa. Molto 111.™ et Eccollentis. 0 S. r mio Os8. mo Audacia torsi parerà il ricercar favori da chi non è cognrmriuto, e senza che preceda alcun inerito : ma la gentilezza sua m'invita, il suo multo vuluro mi 1(» -- 30 DICEMBRE 1620. 53 [1486-1487] sprona, ot il desiderio elio ho di durinolo por servitore e mostrarmi grato alla sua dottrina mi sforza a scriverlo. Più si mostra et avalora V amioitia quando di primo volo si dimanda, che quando si offerisse : quello mostra confidenza, e questo ccremonia. L'assicuro però dall’altro canto elio non sarò così libero ad offerirmele in pardo per vero amico o servitore, come sarò prontissimo a mo¬ strarlo gli effetti in ogni occorrenza. io Quello elio da lei dosidero ò elio ini mandi la sua Diffcsa contro le calunnio di Bnldasar Capra 0 ’, elio ini fa bisogno per un ncgocio di qualche riliovo, che pur in parto concerno la riputazione di V. S. molto 111. et Kcc. mfc , essendo io uno do gl’ admiratori dello sue coso. Favorendomene, potrà inviarla per la posta in un pachetto in Milano, nella contrada dei Pestelli, a io scolo Ganobiane, dove io son professore della filosofìa morale o della politica; e quanto prima lo farà, tanto pii! 1’ aggradirò. Fregole dal Signore tra tanto il compimento de’ suoi desiderii o le bone Fe¬ ste, o le bacio la mano. I)i Milano, il 10 Docembre 1620. 20 Di V. S. molto lll. re et Ecc. ma Affecionatis. 0 Sar. ro Lodovico Sctt’ ale. 1487*. GALILEO a ELIA D10DATT fin Parigi]. Firenze, 30 dicembre 1620. Bibl. Naa. Flr. Mm. «lai., P. V, T. VI, r.nr. 83r. — Copia di mano di Vincknzio Viviaxi. In capo a quosto frammento si loggo, di mano dolio stesso Vivuni : « 0.° U.° Kir.* 80 Xbro 1620. Kìsposta alla do’ 27 Ago¬ sto 1620». Cfir. n.° 1478. o così in simili contese m’è stato forza restar involto da molti anni in qua, il che è stato cagione di ritardar V opere mie, nelle quali averei avuto più gusto, e forse più riputazione : sì che non si ma¬ ravigli V. S. se non ha visto le mie Meccaniche o il mio Sistema, fermato e frenato anco da più alta mano (2> . Ma perchè l’offesa dello scrivere mi è grande, son forzato a recider molte cose che de¬ sidererei conferir seco, etc. <*' Cfr. Voi. XIX, png. 821-822, Doc. XXIV, b, 17, a o P). U> Cfr. Voi. II, pag. 515-529. 4 — 13 UENHAIO 1621. lUb^Ubs] 54 1488 *. FEDERICO CESI « [UAULEO in Firens*]. Acquaapartit, 1 crollalo 1631. Blbl. Naz. Flr. Mm. flal.. I’. I, T. Vili, ear. 18.*. — Aot r- tarmi, sappi che n’ ò benissimo controcambiata dalla pronti* >ima voluntA che ho sempre hauta et ho di servirla in cosa eh’ io possa, sì come almeno non manco con la lingua di celebrare il suo valore otc. Farò poi co T Sig. r Cardinale o Giggi (,) quanto mi comanda etc. <‘i Fkukbiqo Bobbumko. Ajrrouv uitxu. 13 — 21 GENNAIO 1621. 55 [1489-1490] Fui da esso fi. r Cardinale doi giorni fa, inan/.i la riceuta però della sua, co’1 quale mi tratteni più d’un’ bora o moza, quale mi mostrò diversi occhiali, uno io in particolare longo 8 braccia, quale esso stima che sia il meglio che si trovi. Non bobbi per all’bora commodità di comprenderò quanto aggrandisca gl’og¬ getti, per esser cattivo tempo; ma lui dico che con quello vedo il corpo delle stelle, co ’l quale modo di dire panni elio voglia inferire che lo vega grandi come forsi viene da quel di V. S. aggrandito Giove o più; il che s’ò vero, ò cosa, par a me, d’importanza. Ila per opinione che gl’occhiali non aggrandi- schino ugualmente gl’oggetti lontani come i vicini, fondato sopra l’apparire lo stelle fìsse di minor grandezza viste con l’occhialo, che senza; ma mi conviene andare con riguardo a farli intenderò la verità, perchò non posso per altra via mostrarliela che di sensata esperienza, perchò non credo che babbi cognitionc 20 do’ fondamenti matematici etc. Desidero di sapere per cortesia da V. S., elio modo ella tiene per assicurarsi più che a discrettione dello distanze doi Pianeti Modicei fra loro c Giove, c de’ pe¬ riodi do’ loro moti più scrupolosi clic metto nel trattato dello coso elio stano su l’aqua etc., che mi sarà cosa molto grata. Quanto alla informationo che ricerca da me del Sig. r Ludovico Sott’alo, di¬ coli eli’ egli ò do’ primi medici di questa città, molto stimato, lettore di filosofia morale nelle scuole Canobiano, molto nobile, perchè di sua casata vi sono stati Arcivescovi di Milano Santi. Egli ò di età forsi di 70 anni etc. Altro di lui non gli so diro: se altro mi commanderà spettante a lui, esseguirò prontissimamente 80 il tutto. E per non attediarla finirò con augurarli da N. S. ogni bene, offeren¬ domeli di nuovo servitore etc. Di Mil.° ahi 13 Gen.™ 1621. Di V. S. molto 111. 1 * 0 et Ecc. mn Dov. mo Ser. ro F. Buona ve n. r “ Cav. ri da Mil.° Fuori: Al molto 111.** et Ecc." 10 Sig. r e P.ron mio Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Fil.° e Mat. c0 di S. A. S. Firenze. 1490. IACOPO GIRALDI a GALILEO in Bellosguardo. FIronzo, 21 gennaio 1621. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal.. V, T, T. Vili, rar. 103. — Autografa. Molt’lll. r ° o Eccell. mo Sig. r mio Osse. ,no Parrà forse a V. S. Eccell." 1 * che gl’Accademici Fiorentini si siano promessi troppo del suo volere, avendola nella prossima passata adunanza creata per lor 56 21 — 22 GENNAIO 1621. [ 1490 - 1491 ] nuovo Consolo (0 ; ma conio il merito elio ha V. S. Eoe»- con le fiorentino let¬ tere la rendono nel cospetto degl’ amatori «li esse ammirabili», rosi gli «forza «li rendergliene quell’onoranza che per loro si può maggiore; n.' potendo con piò chiara dimostrazione farlo palese, quanto conferendotene la suprema dignità, ànno con questa voluto manifestare 1* affetto loro verso di lei e la stima che fanno del suo valore. Piaccia a V. S. Eoe. -4 col ricevere volontari questo carico onorevole, accompagnare l’universale allegrezza che talora si ravvivi la giuria io della Fiorentina Accademia col nome di si fatti Consoli; •* a mi* ira particolare faccia tanto favore, che io possa pregiarmi che noi mio Consolato babbi avuto effetto una così degna deliberazione: nò gli metta pensiero la briga dell*urtirio, che non ò tale che non possa supplirvi assente come presente. K pregandole dal Signor Dio intera salute, gli bacio lo mani. Di Firenze, dì 21 Gen.° 1(>20 1 *’. Di V.S. molto 111" e Eccell."** Aff.“* Ser." luco. Giraldi. Fuori : Al molt’ IH." od Eccell." 0 Sig. r mio Oese. ra * 11 Sig. r Galileo Galilei. In villa. 1491. TIBERIO SPINOLA a GALILEO in Fino» Anversa, 22 gennaio 16*1 Bibl. Nai. Fir. Mas. Gel., P. I. T. Vili, car. 137 - 18 ». — Am gr*U. Molto 111." Sig. r mio Osser.' 00 Dieci anni sono et più, che V. S. diede in luce il «no Nuuiius Sidemts, il quale con tanto stupor del mondo fu ricevuto, et da esso tanta quantità di per¬ sone invitate a scoprir quello che V. S. proponeva. Tutti li virtuosi et curiosi hanno havuto molto obligho a V. S. per haverli certificato di qmdto che era il corpo della luna, le stelle de’ pianeti, et particolarmente Giove, accompagnato da quello bello suo satellitio, la Venero cornuta, chiarificata la Via I.acU»a, et le stelle nebulose: dico che tutti hanno havuto questo obligho a V. 8., et io più di tutti gli altri, havendomi molte volte ricreato et pigliato molto gusto alla contemplatane di tali cose; ma non ho mai potuto bavere intiera aatiafattione, io mancando sempre di un bon occhiale, se bene in Parigi, in mano della felice memoria del S. r Cardinale di Gioiosa, ne ho visto un buono; et diceva lui esser “> cir. Voi. XIX. Doc. XXIX. <*> Di >U1« locMtiBo. 22 GENNAIO 1621. 57 (141)11 venuto di sua mano 10 , il quale multiplicava molto et era chiarissimo; et da all’bora in qua non ho mai più trovato cosa buona, nò vista, se bene ne ho havuto da diverse parti, et vistone anchora ad amici, non sono mai arrivato a vista ili va¬ lore. Et l’altro giorno essendo andato in Olanda, et parlando con colui il quale volo esser stato l’inventore di tanta curiosità, li dissi che lui non era inventore, ma elio già anni sono che il Fracastino l * ) no liavea noticia et che sua era l’inven- tione, et Gio. Batta dalla Porta a Napoli me ne haveva mostrato qualche prin- 20 cipio, ma elio in quel tempo io ero giovano et non curai quello che valeva assai, et che il mondo non haveva obligho a lui di alcuna cosa, ma sì a V. S., il quale lmvea illuminato ed dechiarato le cose oscure a tutti i filosofi, et lei liavea ma¬ nifestato al mondo i secreti della curiosità, et che gli occhiali di V. S. multipli- cavano l’oggetto tanto in cielo conio in terra, et ogni cosa si vedeva tanto chiara et aporta come se vi si fosso stato presento, et che la vista di detti occhiali suoi arrivava in terra a quaranta miglia italiane et più. Mi no mostrò uno il quale era longho da sci piedi geometrici, ma la chiarezza et moltiplicatione non era gran cosa; et lui mi disse che tenova per impossibile veder cosa meglio. Io li risposi che haveva cattivo parere, et che n’ liavevo visto un di V. S. in Francia so «squisitissimo. Mi sostenne che non poteva essere, et che giocarebbe ogni esser suo. lo li risposi che se ingannava assai, ma che mi risolvevo di scriver a V. S., alla quale non ho sorte et ventura di conoscerla di presenza, ma per fama delle opere suo, et da homini che la conoscono, molto bone informato. Et vedendo la tanta sua ostinatione, mi sono risoluto, dico, scriver a V. S. questa per dedicar¬ meli per servitore et amico, conio lo faccio con ogni sorte di vero affetto, ral[le |- grando[mi] molto liaver tale ventura di conoscerla por scritto: mi favorirà, la priegho, mettermi nel numero de’ suo’ servitoli et amici, et servirsi di me di quel talento che io posso valere in queste parti, che mi troverà sempre pron¬ tissimo. Et da questa occasione et curiosità mia invitato insieme, la voglio pre- 40 gare che si contenti di favorirmi di ricever questa mia et dannine risposta, inviandola per via di un ricamatore di questa città, che si chiama Mess. Melchior Vermelle, il quale mi ha certificato che V. S. benissimo lo conosce, et anche un suo zio, il quale vive costì al servicio di S. A., siando dell’ istessa professione, et si chiama il S. r Gioanni Bromant. Io desidero estremamente, se li posso arrivare et se V. S. lo ha a caro, uno de i suoi occhiali, sì per mia curiosità e diletto et ricreatione, come anche per sopire et ammattire la bocca di coloro che non sanno quello che vagliono l’opre di V. S. Sempre elio la si risolverà di volermi favorire, io darò ordine costì a Fi¬ renze a persona conosciuta, il quale compirà a quello che si deve estimare cosa oo che venghi dalle sue mani; sì che la mi favorirà assai di rispondermi a questo «il cfr. n.® 581. **• Intendi, Girolamo Jj'raoastobo. XIII. « 58 22 GENNAIO - 20 MARZO 1621 ( 1491 - 1494 ] mio desiderio, assicurandola che io gli resterò sempre ol.ligsti.simo di tal favore, e supplicandola che mi voglia comandare qualche ««a di «uo «emUo in quell paesi, acciò li possa mostrare quanto ò il desiderio mio di semrla et >1 stato che faccio delle rare virtù sue. Con baseiarli le mani, augurandoli dal Cielo ogni prosperità et contentezza. I)’Anversa, li 22 di Gennaro 1021. Di V. S. molto 111 Affettionnt.— Scrrit." Tiberio Spinola Fuori: Al molto 111" Sig. r mio ()8Her. mo IL Sig. r Galileo Galilei, Matematiche Digni«H di S. A. Gran Ducha «o di Toscana, a Firenie. 1492 *. GIOVANNI CIA M PO LI a GALILEO in Kinure Roma, 20 manto liBl. Blbl. Naz. Plr. Msa. Hai., P. T, T. Vili. oar. HI. • Autografa. Molto 111.” et Kcc. roo S." o P.ron mio Gol. ' I favori di V.S. han prevenuto la mia peritili. Ilavevo determinato darle avviso di me; ma sono su questi principii sopraffatto da tante oc. uditemi, che sono stato necessitato a differire il pagamento di quanto debito. Gmii novità sono succedute in poco tempo, dopo che son partito di colente parti: Ir meste sono state così terribili, ohe a pena trovo modo a diminuirne 1* affanno con le più liete. In meno di un mese ho perduto il nostro padrone Ser. mo , i cui favori acqui¬ stavano sì nobile riputationo allo stato mio, il S. r Card. Aldobrandino ”, la cui benevolenza e beneficenza era divenuta sicuro refugio di ogni mio Infogno; et io ho tremato di non perdere pochi giorni fa il nostro >’. r I). Virginio, arnia il quale non mi so immaginare alcuna felicità che non mi si faccia avanti con apparenza di miseria. Le flussioni della gola l’Iiavevanu stretto in maniera, clic il respirare era uno stento di anelito laborioso: pensi poi V. 8. che rosa fu .ho il mangiare e ’l parlare. 1 medici a’erano perduti d'animo, e noi altri suoi amici e servitori lagrimavamo l’imminente pericolo. Pare sia ri agra t iato Dio, ch’egli i' quasi re- sucitato, et al presente si trova fuor di pericolo. Ila ricevuto molta consolatione dall afletto eli ella gli continua e dall’honore che gli preparano le sue -.fritture PlKTKO ÀLDOBRAKDISI. •*' Cfr. no.' 147*, 1474. 20 — 27 MARZO 1621. 59 [ 1492-14931 In tanto avversila non ini ù sialo poco conforto riionore conferitomi dal •JO S. r Card. Nepote 01 di N. S. Cerco di servire con diligenza; ma quanto a i di¬ scorsi ot alla convcrsatione, (ino a qui S. S. pia 111."» sta si fattamente assediato da tanti o si gravi negotii, che a pena ha tempo di cibarsi. Pure fra qualche giorno questi continui e sì numerosi assedii doverebboro far pausa. Premerò oltre modo di penetrare il gusto in materia di scienze, e no avviserò V.S., della quale col S. r Pr. Cesi, col S. r Fabri e col S. ro Stelluti, in camera del S. l> D. Virginio, si narrano continuamente lo glorie e si roverisce la virtù: nella quale armonia io pretondo in ogni luogo che il mio devotissimo adotto dova farmi toccar sempre la parto principale. E baciandolo affettuosamente la mano, le prego da Dio sa¬ nità e lunghezza di vita. 80 Di Roma, il di 20 di Marzo 1621. Di V. S. molto IU. rt * et Ecc. ,nn Dcv. ,no et Obblig.” 10 Ser. 10 S. r Galileo Galilei. Fir. Gio. Ciampoli. 1493 *. GIO. BATTISTA RINIJCCIN1 a GALILEO in Firenze. Roma, 27 marzo 1621. JBibl. Kst. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXV11, n.® 40. — Autografa. Molto 111.” S. r e P.ron Oss." 10 To stimo maggiormente la grazia che mi ha fatta N. S. (,) per haverne liauto da V. S. così cortese rallegramento, poiché in effetto alla gran riverenza ch’io porto al suo valore non corrispondeva (in qui la scarsezza delle nostro lettere. Io mi trovo con questo augumento d’honoro nel principio felicissimo di questo pontificato, nel qualo, so non altro, s’ò fatto publica professione di voler tirar avanti persone solamente meritevoli; et io assicuro V. S. che quanto alle lettere non popolari siamo migliorati in estremo, conietturando io quello che sia per essere nella geometria o scienze più sode da quello che apparisce fin qui nello io lettere d’Immanità, che ancor loro nel pontificato passato erano ridotte a ter¬ mino che appena potevano passare per una buffoneria. Anzi veggo le cose inca- minato di maniera, che moralmente si può giudicare che siano per andar riaven¬ dosi sempre più, perchè i Cardinali che si faranno, e quei che correranno risico di succedere nel papato, son huomini d’altra stampa che di quella de’ lustri passati. Mi sa male che a questo poco di sollevamento, che può bavere il valore di V. S., sia preceduto colpo tanto grande della perdita del Gran Duca l,) , il quale (») TjOdottco I.udoviri. di cui il Cu m poli era Urkoorio XV. stato nominato segretario per le lottcre latino. <3 ' Cosimo li. 60 11493-14941 27 MARZO - 16 A.PRILK 1Ò2L rispetto mi si fa più considerabile mentre ne v<*K£° V.S. afflitto, • con tanni ragione quanto possiamo conoscere tutti; ma spero in Dio benedetto cln p< r altri mezzi, elio a Lui non mancano, sia per consolarla affatto «li questo travaglio. Mons. r Dini si va ordinando per poter impenni** arsi della sua chieda, e pochi x giorni doppo Pasqua dovrà andar alla residenza , harendo provato, roti l’er«crsi trovato a Roma in questa congiuntura, che la sua «' stata propriamente voca¬ zione; o però si deve credere per tal ri.njM*tto ancora chi* aia i**r corrispondere nel carico con quella bontà che sogliono adoperare gl'ecclcmasùci che non pro¬ curano le dignità. Io por qualsivoglia mutazione tanto soli lontano n ncenur punto di quel vero affetto che porto alla sua perdona, che viglio più pr ato farli conoscere elio tali cose mi saranno stimolo sempre più a servirla daterò K. mentre io resto pregando Dio per la sua sanità, desidero d'esser fatti» degno ili hater presto il suo aspettato Discorso; e qui le bacio le mani, in nome amoiadi mio fratello N. S. la feliciti. Roma, 27 Marzo 1621. Di V. S. molto IH/* Ser D#*tnt •• Gio. B. Kinucc. 1 * Fuori: Al molto 111.” S. r e P.ron Oss. r '' 11 Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. 1494**. GALILEO a [LEOPOLDO D’AUSTRIA in Innabruck]. Firenze, 16 aprile 1681 I. R. Arch. del Governo In Innobruck. Seiinne « Ambr»*«r ActM. *. - Ànt Ser. mo Sig. r * e P. ron Col. mo L*occasione del ritorno dell’Sig. r Ambaeciador diV.A.S.®* mi ha dato ardire di prendermi questa libertà, di comparir con la pre¬ sente nel cospetto dell’A. V. S. con quella reverente hnmiltà che alla devotissima servitù mia si richiede ; la quale io intendo di ricor¬ dargliela o confermargliela, e nell’ istcsso tempo supplicarla a restar servita di gradirla con quella sua naturale e «ingoiar benignità che sempre ho conosciuta in lei. ,h Intendi, aU'arcivAscovuto di Forino. Francbsco Risuocnu. '*• Ui iC omo CzioTnrooM Kmrrr. Iti - 2ò APRILE 1621. 61 [1494-14951 Io ho patito lungo tempo Botto silenzio, bi per la poca mia Banità, io sì per sapere lo gravi occupazioni di V. A. nello passate turbolenze, per le quali ben potevo credere che 1'occhio della sua clemenza non havrebbe potuto, cosi benignamente come suole, fissarsi nella bas¬ sezza mia. Hora che, per la divina grazia e per la prudenza e valore dei principi cattolici, le cose di S. M. tt caminano a gran passo verso la quiete e tranquillità, e che posso credere che anco i pensieri men gravi possinn haver luogo nella mente di V. À.S., ho voluto sodisfare a questo mio debito ; significandole appresso, come di somma grazia e favore mi sarà che la Ser. ma Arciduchessa sua sorella"' senta con qualche occasione da V. À. S. come ella mi continua la sua af- lezione, il quale affetto può fruttarmi nella grazia di questa Sere¬ nissima quello che non potrebbe mai la bassezza del mio merito. E qui, pregandogli dal S. Dio il colmo dì felicità, humilmonto gli bacio la veste. Di Firenze, li 16 d’Àprile 1621. Dell’ A. V. S. ma Ilumiliss.™ 0 e Devot. ,n ° Servo Galileo Galilei. 1495. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Milano, 28 aprilo 1621. Blbl. Nrr. Fir. Ma». Hai., P. VI, T. X, car. - Autografa. Molto 111. 1 * et Eco. 100 S. p Scrissi'" a V. 8. già un pezzo fa, pregandola che al passar dell’111. mo Card. 1 " Borromeo por Firenze mi favorisse di racco mandarmeli. Stavo aspettando qual¬ che nuova di questo e di non so che richiestoli, ma sin hora non ho visto nionte. l’osso ben giudicare che V.S. m’babbi favorito com’io desideravo, poiché havendo io visitato detto Ill. ,n0 , l’ho trovato piti dell’altre volte benigno e cortese verso di me: perciò in contracambio non ho mancato di esaltare la rara dottrina et eccellente ingegno di V. S., non solo appresso del dotto Ill. mo , ina d’altri ancora che attendono alla proflessione, fra’ quali vi ò un tale Sig. r Curtio Casato, che Maria Maddalkna d'Austria. **> Questa non è perrcnuU insino a noi. 28 APRILI. 1 MÀGGIO 1621. 62 [ 149614 %] dico haver visto V. S. quando legova in l’adoa, tutto .UìoUioiuLj alla sua dot- io trina e forai il più intelligente che sia in Milano, il fratello del Sig.' Provcditore dell’Arsenale in Pisa, quale bora attendo a ridurre in più «utU forma la tavola dei logaritmi do’seni publioata dal Nepero 1 ' (della quale desidero molto d in¬ tendere il giuditio di V.S.), et altri ancora che v’attendono ex profitto Credo poi che V. S. hartl esporiinentato con quanta de^tr* ri bin.^ni che io proceda co ’l dotto Ill. mo dai discorsi fatti insieme ; circa del quale non dirò altro, se non elio essendo impiegato in qualche cosa (sì come sjmto) » irò sempre difen¬ sore della sua dottrina, per affetto si, ma anco per zelo della verità. Fra Unto prego V. S. a volermi favorire di qualche sua lettera, ricordandosi ch’io li vivo affetionatissimo o desideroso d’impiegarmi in cosa che gli sii grata: con che fine *■ me gli offero di tutto cuore. Di Mil.°, alli 28 Apr. 1621. Di V. S. molto 111. 1 * et Ecc."" Ser." di cuore F. Ronav." Cavallten da Mil.* Fuori: Al molto 111." et Ecc. rao 8ig.‘ - Galileo Galilei, primo FU.® e Mat.'° di 8. A. S. Firenze. 1496. GIOVANNI FÀBER a [GALILEO in Firenzi Roma, l a saggio tesi. Blbl. Naz. Flr. Mss. fini., 1*. VI, T. X, c*r. I01-1W. Aotograh. Molto 111. Sig." Padron mio Oss.* 110 Già deve sapere V. S. che il Sig. r Prencipe nostro da 3 me si in qua si ritrova a Roma, al quale parve, conio anche al Sig. r Don Virginio ('coirmi, Marchese Muti èt altri Sig. ri Lyncei, qui presenti, d’aggregare quale butto alla nostra Acca¬ demia. Furono dunque, in un Colloquio fatto avanti il Sig. r Don Virginio ’ , no¬ minati diversi soggetti, a me fu dato 1’ ordine di scrivere a V. S., accio, li/- lei ancora col suo calculo approvasse almanco una parte ili quelli che gli paro- ranno più idonei, rescrivendo o al Sig. r Prenci pe o a me. Kt fiiorono questi: Il Sig. r Achillino (l) , lettore publico di Ferrara nella legge ut fiora presento alla Corte di Roma, et, come ni’ imagino, noto a V. S. ; 10 <‘) Luigi fratello di Marco Barbavara. doni BaUvorqm. «pud Barth. YtncanUuin 16W. ,t: J.ogarìthmorum Canoni • Dctriptio et (W •*' Cfr Voi. XIX. iHx XXII «. 8) il meliti. Aiitlioro ut inveii toni 1oak.sk Kki-xro. Log- **i CtAinio Achiluni 1° MAO 010 1G21. 63 [14961 11 Sig. r Verclay (l) , gentilhuoino Scozese, pur a Roma, et tenuto per un di primi della lingua latina; Mosur Dupare8 r ’, gentilhuomo Franzese, in Francia, pur di belle lettere, il quale per lettere corrisponde con molti huomini dotti ; 11 Sig. r Cavailier Del Pozzo qui in Roma, che credo V. S. conosca be¬ nissimo ; Un tal Sig. r Villani l * ) , qui a Roma, buon poeta latino et volgare, et perito della lingua greca ancora; Il Sig. r Mario Quiducci, del cui valore non dirò altro, chò grifi ò noto a V. S. ; 20 II Sig. r Gethaldi t4) , so bene di questo non habbiaino nova dove si ritrovi; Un medico di Fabriano, chiamato il Favorino (,) , celebro per le molte opere, stampate et che ha da stampare, che già fu lettore publico in Ferrara; Un medico in Germania, chiamato Raymondo Minderero, che già ha stam¬ pato molti et belli libri, et fu medico dell’Imperadore Mattina, et bora medico et consigliere del Duca di Bavera; Et un medico Romano, Prospero Martiano, il quale ha per le mani una opera bellissima et grande di stampare, nella quale ha restituito et dichiarato 1400 luoghi oscuri in Hippocrate; 11 Sig. r Dottore Nerio <7) Perugino, insigne mathematico, pliilosopho, leggista, so humanista et antiquario, et giovane molto spiritoso ; Giovanni Remo, medico et mathematico del Ser. mo Arciduca Leopoldo, che credo sarà noto a V. S. per lettere ; Et tinalmento lusto Rykio, Belga, che quasi è un altro Lipsio: scrisse ulti¬ mamente una bellissima opera Dr. Capifoìio l>1 , et ha stampato molti versi et epistole. V. S. consideri questi soggetti, et ci dia il suo parere quanto prima. L’Ambasciadorc l *’ del Ser. ,no Leopoldo, col quale giornalmente mi ritrovo, vive amico et servidore di V. S. et gli buccia le mani ; et io per line mi racco¬ mando alla bona gratia di V. S. ■io Di Roma, al 1 di Maggio 1621. Di V. S. molt’ Ul. r0 Divotiss. Se. Giova. Fabro Lynceo. IO GIOVANNI BARCLAY. <*’ li’OoMOALOHI (Memorie ittoriro-critirhr del- V Accademia de' Lincei, 6CC. Roma, MDCCCVI, nella stamperia di Luigi Porogo Salvioni, pag. 142) non scrivo di questo, intorno ni quale molto probabil¬ mente il Fabrr cadde in errore, uia uomina al luogo di lui Niccolo Kabui di Peikkso. *»i Cassiamo Dai. Pozzo. l*l Niccolò Villani. i®' Marino Ghktaldi. <*• Giuseppi: Favorivi. 0) Giusrppk Neri. I"' Iusti Hyoqui De Capitoliti romano eommen- tarùu, ere. Carolavi, npud Coruelium Mariuui, anno Christiano CO. 100. XVII. i®> Giacomo Cristoforo Kkuffp. 64 12-28 MAGGIO 1621. 11497-14981 1497 . GALILEO n [GIOVANNI KABKR in Rama) Firenze, I3i maggio IMI. Blbl.dellaR. Accademia del Lincei InRomn. Mu.n .• l2(fU**4.Bo»eu«>af»lMO| far 111 -iitarafa Molto 111." Sig." Osser. 100 La lettera di V. S. del primo stante non mi è stata resa se non ieri l’altro ; e questo non tanto per negligenza
  • Ufr. n.o 1490. 1,1 Francisco RlXOOClV!, 23 GIUGNO 3 LUGLIO lf>21. 69 [ 1501 - 1502 ] ho neh è cieco ed ignorante, dopo eli’ella ò internamente sodisfatto; [...] sebene il teatro dell’ingegno suo la puoi compitamente appagare, per compiacimento almeno do gli amici mostri al inondo i suoi trofei. Noi tutti confidiamo che quando ella internamente si sari\ persuasa d’havcr rifiutati i paralogismi di Lotario, elio realmente così sarà. Ella ne prometto farci vedere molti errori, c noi gli aspettiamo. So che alla gloria di V. S. non ò necessario il debellare no¬ mici sì debboli; ma i suoi seguaci et amorevoli stimano propria vittoria il raf¬ frenare le lingue del vulgo. Sforzisi dunque e superi ogn’indugio, chè l’assicuro che a la nostra Accademia non potrà dare gusto maggioro. Io glielo scrivo in 20 nome publico; ma all’istanza comuno aggiungo le preghiere particolari, mosso da zelosissimo e scrupolosissimo affetto della sua riputazione, di cui ella mi tro¬ verà sempre giustissimo diffensore, come inerita il luminosissimo o discreto suo giuditio. E per fine, rimettendomi a quanto sopra ciò l’esporrà il S. r Rinucini. le bacio affettuosamente le mani. Di Roma, il di 23 di Giugno 1621. Di V. S. Aff. mo Sor/® Virg. Cesarino. 1502. GIOVANNI CIÀMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 luglio 1621. Blbl. Nnz. Flr. Ms*. Gal., P. I, T. Vili, car. 147. — Autografa. Molto 111/* et Ecc. mo S. r ® e P.ron mio Col. 0 Vorrei poter scriverle alla lunga, ma lo moltissimo occupationi di questa giornata non permettono che io faccia altro che darle semplice avviso dell’ho- nore fattomi da S. S. 1 * con l’eleggermi por suo Segretario de’ Brevi. So che V. S. godorà d’ogni mio progresso; et io le conserverò sempre quella affettuosissima servitù che devo all’eminenza de’ suoi meriti et alla grandezza della sua cortesia. Di Roma, il dì 3 di Luglio 1621. Di V. S. molto III/ 0 et Ecc. ma Dev. mo et Obblig. Ser/° 8/ Galileo Galilei. Fir. Gio. Ciampoli. Fuori , d’altra mano: Al molt’Ill/* et Ecc. mo Sig/ 6 P.ron mio Col." 10 Il S/ Galileo Galilei. Firenze. 70 17 — 26 LUGLIO 1621. [1503-1504’ 1503. LEOPOLDO D’AUSTRIA » GALILEO in Firme» limatimele, 17 loglio Itili. Bibl. Nasi. Fir. Ma». Gai., F. I. T. XIV. car. 172 - Autografa la finn a. Molto Diletto, Mi ha ritorto il mio Consigliere, già ambasciatore coati, Incoino Chriatophoro Kempff, proposito di Possali, la singoiar devoUone nella quale tuttavia continuate verso la Ser. ma Casa et persona mia; la quale ricevendo a molto grado, et essendo informato dello vostre degne qualità et meriti, ho voluto insieme darvi segno della buona mia volontà verso voi con la qui gionUt nucom menda Lo nc dalle pretensioni ot. interessi vostri alla Sor. m * Archiduchr .a Granduchessa mia so rolla, conforme il desiderio vostro *\ Et vi assicurante della prontezza mia in altro occasioni di vostro contento. D’Insprugh, li 17 di Luglio 1G21. io A Galileo de Galilei. Leopoldo. Fuori: Al molto diletto Galileo de Galilei. Fiorenza. 1504. BONAVENTURA CAVALIERI u [GALILEO in Firenze]. Milano, 28 luglio 1821. Bibl. Naz. Fir. Ma». Gal., P. VI, T. X, car. 110-111. - Autofrafa. Molto III.” et Kcc. m0 Sig. r ” Il non haver occasione maggiore di scriverli che di usar semplici cerimonie, et Phaver io ©sperimentato che a simili lettere V. S., occupata (credo) ne' suoi molti affari, non dà risposta, mi ha trattenuto dallo scriverli spesse volte, si come puro voluntieri liarei fatto; o benché adesso ancora io non haliti altr’occasione, pure non voglio mancare di salutarla con questa mia, per in-dmie ringratiarla del buon affetto e ricordanza che sono accertata che tiene di me dal P. F. Gi¬ to Non si ò ritrovato nel dartoggio della Gran- tino di Stato, duchessa Mabia Mahi>ai.kna, null'Archiriu kiurou- '*» C(r. u. lOi 28 LUGLIO 1021. 71 [15041 rolamo da Ferrara, che già un pezzo fa stava in Firenze e più o più volte ha raggionato con V. S., con insieme acertarla come non manco a tutto mio potere io di proseguire inanzi ne’ atudii matematici. Ma mi creda certo ch’ò miracolo ch’io possi far studio di momento, così per non haver compagnia, come perchè, ritro¬ vandomi alla patria, dove sono questi vocili clic da me aspettavano un grande progresso così nella teologia come nel predicare, può pensare come mi soppor¬ tino mal voluntiori cosi affetionato allo matematiche. Pure non sarà mai vero ' ch’io m’affettioni ad altro studio, perchè conosco questo esser la vera strada d’imparare. Ilo qualche comercio con persone che ne hano più che mediocre co- gnitione, ma in somma non posso mai trovare quella sodisfattione ch’io desidero et eh’ io havevo in cotesti paesi. Iddio mi conceda una volta di poterla rivedere o rigodere, chè bora credo sarei al proposito per esser suo discepolo: pure pa- 2 «» tienza, s’io non potrò così presto, come vorrei, ottenerlo. Almeno la voglio pre¬ gare che nascendoli occasiono di favorirmi in qualche impiego, si vogli degnaro di farlo, perchè, oltre elio mi farà cosa gratissima, mi darà anco insieme occa¬ sione di accendermi maggiormente et anco di manifestare la sua dottrina, che merita d’esser anteposta a tutte l’altre, come che sii un naturalissimo ritratto della natura, dove lo altre sono apunto come rimugini che, riflesse nell’aqua molto agitata, apparendo in varie maniere et in diversi pezzi, a gl’occhi de’ ri¬ guardanti riescono un confusissimo dissegno. E pure il secolo è tanto guasto, che, già dalla consuetudine di aprender in tal guis’ ingannato, pur apresentatoli sì nobil tavola, o non cura di riguardarla, o, da maligno affetto sospiuto, la ri¬ so guarda solo per mascherarla co’ suoi figmenti. Ben lo dipinse il Boccalino ne’ suoi [{uguagli pieno di croste e di marcia; ma moglio, quando i reformatori del se¬ colo, fattolo spogliare, volsero far prova di levarli simil piaghe, che trovorno ch’orano penetrato tanto adentro, che bisognava con il rasoio arrivare sino in su l’osso c total monte distruggerlo; dove conclude per il meglio il lasciarlo staro come da noi è ritrovato. Pure, per quello che s’aspett’alla cognitione delle cose, panni però non esser fuori di proposito, anzi molto ben fatto, cavarsi d’adosso cotale seabie, benché non si possa da tutti gl’altri levare; e così penso di far io, havendo l’occasione da me sopr’accenatali di farlo: perchè io poss’insienie dar sodisfattione a quelli che non stimano una scienza se non quanto che ella 40 sii di guadagno, posciachè ciò è uno de’ principali argomenti che adducono questi miei Padri per distormi da cotale studio delle matematiche, cioè perchè veggono eh’ io non ci babbi sin bora fatto guadagno alcuno di momento. Spererò adun¬ que di poterli, con l’aiuto d’iddio e di V. S., una volta chiarire anco di questo. Desidero per fine sapere per gratia da V. S. che opinione babbi circa quel lume, benché debole, che quasi di color sanguigno apparisce nella luna ne’ suoi ecclissi, perchè m’è occorso di raggionarne, e mi sarà, molto grato; dipoi, di sa¬ pere se siano apparse le due stelle minori Saturnie, quali dice nelle sue lettere 72 28 — 30 LUGLIO 1621. {1604-15061 Delle machie solari, che s’ascosero deiranno 1612“’, perdo' non ho istrumento a proposito per poter avortire so vi si voghino o no. Del resto V. S. mi scuserà della temerità mia di usar troppo parole con persona co la quale pirt conviene fio haver pronto l’orrechio che la lingua, perchè per rimuginarmi di parlare con V. SS., quasi che fosse presente, per il gusto grande nono trascorso in tanta lon- ghezza di parole. Aspettando adunque d’esser favorito da V. S. di qualche sua, che mi sarà gratissima, farò fine, pregandola che vogli ricordarmi servitori* al molto R. P. D. Benedetto come faccio parimente io con V. S., augurandoli dal Datore d’ogni bene longhezza di vita in questo mondo, perchè ne possi egli ri¬ cevere quell’utilità della quale già rirnnosce ottimi principi!, simili uni, e ne spera da V. S. non dissimil line. Di Milano, alti 28 Luglio 1621. Di V. S. molto 111.** et Ecc.“* Ser." Ob.®° fio F. Bonaventura Cavallieri. 1505 *. GIULIO CESARE LAG ALLA a [GALILEO in Kirtnxtj Roma, 30 luglio 1621. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, 't. X, car. 112. — AuUf rata la *oUo*«rtti »• Molto 111.™ et Eccel. mo Sig. r mio P.ron Osa.® 0 Longo silentio ò passato tra me et V. S. Eccel.’ *, per rispetto rhe io ho hauto di non fastidirla et per non dargli occasione di rispondere. Dora son conatretto di romperlo et ricorrere al favore di V.8., nella occasione di questo mie opere che io scrivo, delle quali è già finita l’opera Ik immoti al itati animorum rs Ari- stotelis senlcntia { *\ nella quale io non solo la tengo immortale con Aristotele, ma anche forma informante et moltiplicata, salvando l'eternità del mondo et l’eter¬ nità della specie, senza uscire dalli principi! di Aristotele nè dal lume naturale. Spero che sarà fuori per tutto Settembre, et ne in viari'» una a V. S. per via del Sig. ro Ambasciatore** 5 , acciò sia favorito del suo giuditio, et un'altra acciò mi facci io gratin presentarla alla Altezza del Sig. r Cardinal de’ Medici' 11 , in segno della mia devotione verso Sua Altezza et la Sereniss* Casa. Et perchè scrivo alcuni opusculi di filosofia, tra’ quali Jk simpatia rt unii- patina, et mi occorre ragionare della remora che trattieoe la nave nel suo corso, "l Cfr. Voi. V. pag. 237-238. '*> Benedetto Cabtklm. i»' Cfr. nn.‘ 1430, 1451. •*)■ Pitto UotcoutDiin. Catto de' Medici. 30 LUCILIO 7 AGOSTO 1021. 73 11505 - 1506 ] et io cerco ridurre Ih causa di questo effetto non a causa occulta, ma a l’impe¬ dimento die può portare al corso della nave, essendo la nave in equilibrio in uno elemento liquido, dove ogni piccolo impedimento può fare gran momento, come vedemo nella staterà ogni poca differenza di peso nella linea alzare molta quan¬ tità et variar molto il moto nel centro; et questo può accadere nella remora fa- 20 cilmente, parto per la lentezza del suo Immore, con il quale gagliardamente si attacca alla carina over timone delle navi, essendo una specie di conca over lumaca marina, come dice Plinio, di grandezza di mezzo piede, et havendo lo pinne della conca prominente et spase talmente che pare haver li piedi, come dice Aristotele ; perilchò si può coniecturare elio possi portare impedimento al corso della nave nel’acqua, tanto più che Plinio attribuisco Pistesso effetto ad ogni sorte di conca; per tanto, innanzi cho stendessi questo mio pensiero, ho voluto pregarla del suo parere, acciò mi facci gratin considerarlo et vedere se con ragioni matematiche possa stabilirsi, chò venendo approvato da V. S. io lo scriverò con l’authoritA sua: et mi perdoni dello incommodo die io li do, 30 pregandola principalmente che non si affatigli!, ma a suo commodo li piaccia favorirmi, perohò la sua sanità mi è più cara che qualsivoglia altra cosa. Alla quale b agi andò le mani, resto servitore. Da Roma, li 30 di Luglio 1621. Di V. S. molto 111." et Eccel. ma Servitore Aff. mo Giulio Cesare La Galla. 150G*. GIOVANNI FABEtt a GALILEO in Firenze. Roma, 7 agosto 1021. Blbl. Nki. Flr. Mas. Gal.. Y. 1, T. Vili, car. 149. - Autografa. Molt’IU.” Sig. mio et Padron Os3. mo L’anniversario della felice institutione del nostro consesso Lynceo ricerca che io faccia ufficio con tutti delPAcademia nostra, si come fo con V. S., con la quale mi rallegro infinitissimamente che si trova viva et, come voglio sperare, sana, doppo continoa sua indispositione. Iddio la prosperi molt altri anni appresso, che possiamo godere li frutti del suo felicissimo et fecondissimo ingegno, come ci mostra tuttavia il Sig. r Ciampoli nostro, suo degnissimo discopulo. 11 Sig. r Don Virginio ancora sta meglio, et hieri fossimo il Sig. r Ciampoli et io seco in carrozza a spasso. Mi favorisca V. S. per gratin per un suo servidore XIII. 10 71 7 — 15 AGOSTO 1621 . 11506-15071 a fare domandare al Sig. r Philippo ( '\ pittore già di sua Altezza Sor."*, »e ha lo liavuto un mese fa le mie lettere. Iddio a \. S. conceda colmo di felicità. Di Roma, alli 7 di Agosto 1(521. Di V. S. molto HI.» Divotiwi. So. Clio. Fabro Lyn. Fuori: Al molt’Ill.» Sig. mio et Pndron Oìh. 1 " 0 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Fiorenza. 1507 *. CARLO MUTI a GALILEO fin Firme]. Oanemorto, 15 agosto 16X1. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX1, n • 177. — Atterrati» lo Un 1S-?S Molto HI» Sig.» Oss. n, ° La lettera del Sig. r Mario Guiduoci in risposta del Sanno ’ è stata letta da me con grandissimo piacere, essendomi paruto clic egli Imbibii ragionevolmente, e con discreta maniera confutato le imposture appartenenti a lui. Ora, che io stia aspettando con avidissimo desiderio la risposta di V. S. al medesimo Sar.sio, non solo glielo devo persuadere la debita propensione dello animo mio verso di lei, ma la certa speranza che tengo che ella sia per attutare tutte le proposte dillicultà o superare la alta espettatione che di lei si jmrta. Vagliane ciò a pre¬ gare V. S. che, se non per gloria sua, almeno per compiacimento dei suoi par- tiali o del mondo, non voglia più differire il publicare la sua scrittura, alla quale, io benché io sia uno degli ultimi spettatori in questo theatro ! itera rio, giù colla mente acclamo ed applaudo. A V. S. intanto prego dal Signore Iddio continua salute o gratin, e di core ino le offero. Da Canemorto, alli 15 di Agosto 1621. Senza dubbio mi scuserà se non li scrivo di proprio pugno. Io me li ricordo olii patissimo, e la prego a valersi in qualche cosa, dove io vaglia, dell’opera mia, come persona delle più affettionate di core che lei habhia. fc stato risjMisto a bastanza, come vogliono, dal S. r Mario. Ma adesso s’aspetta che V. S., non ri¬ sponda, ma con questa occasiono ci doni qualche cosa della sua philosofia, più di tutto e d’ogni altra cosa desiderabile, e per invitar altrui a dir in contrario -h> e trovare più facilmente la verità. N. S. la feliciti. Di V. S. molto 111.» Afl>° S. r di core S. r Galilei. Carlo Muti. ni Cfr. u.o 1436. crr. Voi. VI, p*f. 18S-ISS. [ 1508 ] 25 AGOSTO 1621, 75 15 OH*. TIBERIO SPINOLA a [GALILEO in Firenze], Anversa, 25 agosto 1021, Autonrrafoteca Morriaon in I Non è |>roseulemonte allogata alla lettera. 76 25 — 28 AGOSTO 1621. 11508*1509] mente, subito procurai di farne venor dell! altri di tale grandezza: ne ho avuto, ma i vetri non arrivano a quello di gran longa. Mi ha «letto in Bruxelles >1 S.r Vinoislao l,) , il quale ha instituito il Monte di Pioti in quel loco, che un gontilhuomo molto amico di V. S., che si chiamava il 8/ Daniele \ il quale morse sotto Gradisca, gli ne lmvea dato uno, fatto di mano di V. S., et lui lo donò a S. A. di felice memoria, che ora molto buono. Ilo procurato vederlo; ma lo tiene la S. raB Infanta, et perciò non l’ho visto. V. S. mi favorirà di avvisarmi, se quando fabriea il vetro convesso, procura che sia tanto la parte convessa come la piana, essendo ooaì quello che riceve» 40 d’Inghilterra, come la vedrà segnato nella carta, se hen grossamente, havendolo lineato con la mano, senza mettervi compasso; chò quello che \. 8. mi ha man* dato, non l’ho voluto mover da i suoi cartoni, sperando che la mi farà favore di avisarmolo. Et perchè la scrive che la travaglia de i cristalli, la mi favorirà di dirmi, se quando parla di cristalli, intende il vetro cristallo bollito di Veneti», o pur cristallo di rocca pallido, perchè qui vicino a’ Svizzeri, et anche in qualche altro loco, ne potrei bavere. V. S. mi favorirà di dirmi quanto è il semidiametro del suo ordinario, perchè io voglio far fare una prova per veder se im>s>o arrivare ad uno cho sia longo et multiplichi assai, ma che il convesso sia molto grandi', non curandomi nò del peso nò insieme do la longhezza, purché vi sia la multiplica- tione et chiarezza, favorendomi di dirmi se l’ha mai provato. Io nella mia antecedente lettera scrissi un particolare a V. S. circa all'im¬ pressione dei libri: gliela confermo, favorendomi di farmi intendere se qui vi è qualcho cosa di suo servicio, acciò la possa mandargliela, come desidero. Mi sarà sempre caro mi favorisca di comandarmi, acciò m’impieghi conforme il desiderio mio cho ho di servirla. Con baciarle le mani, pregandole da Iddio ogni sorte di felicità et contento. D’Anversa, li 25 di Agosto 1621. Di V. S. molto 111" Ser." Afl>° Tiberio Spinola. *o 1509 ** FEDERICO CESI a [GIOVANNI FABER in Roma). Acquaspart», 28 «nonio 1821. Aroh. dell’Ospizio di 8. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di liiotmini Fab«r. Fili» 123, «ar lf*3 Autografa. -Lodo e giudico necessario che si scrivA al S. r Galilei in nome ili tulli per »ol- licitar la risposta, chè par che li suoi cometici aversarii trionfino contro di lui. Poro è bene replicare, acciò non vada più in longo.... <» VBNCSBI.AO CoKOKKOHIR. 91 D aKI1LU) AjrtOSIKl. I [1510-16111 7 — 11 SETTEMBRE 1021. 77 1510 *. FRANCESCO STELLUTl a [GIOVANNI FÀBEIl in Rotimi, Acquasparte, 7 settembre 1021. Palio Lettera memorabili, storiche, politiche ed erudite, scritto o raccolto da Antonio Buliiow, eco. Raccolta quarta. In Napoli, presso Antonio Btilifon, 1697, pag. 56-57. Si mandano a V. S. tre 8 ni invidi da intagliarsi con li nomi de’Lincei che risolveranno hora «Vammetter coBtl<*), come già l’accennò il Signor Principe, o potranno scegliersi secondo i soggetti et applicarli. Ve n’ è uno che già vi è intagliata la lince: secondo quella potrà far intagliare l’altro, et trovare il meglio artefice elio vi sia, o vi farà metterò li nomi, corno negli altri anelli si ò fatto. Inoltro si mandano anco duo di (incile scritture che fece l'anno passato il Signor Principe a proposito dell*Instnittioni do’Lincei, giudi¬ cando il dotto Sig. Frincipo espediente che si veggano da noi, c massime da quelli che sono più lontani et ohe non sono così heno informati di queste. Dunque no mandarà una al Sig. Galileo, con quel mezzo elio parerà a V. S. miglioro, o troverà occasiono da man¬ to darla sicura; o l’altra potrà inviarla a Napoli al Sig. Fabio Colonna, acciò la mandi in Siracusa al Signor Mirabella, che il Signor Colonna già l’hebbe l’anno passato. E scrivendo al Sig. Galileo potrà darli un cenno che si sta aspettando con desiderio la sua Lotterà contro il Sarei sopra la Libra Astronomica, clic così sapremo a che termino si ritrova, e gli servirà anco per un poco di stimolo, essendo honiai tempo che esca fuori. Altro non mi occorro di dirle, se non elio già ricevei la gratissima sua, scrittami in occasione del nostro annuo saluto, a cui non feci altra risposta, havendole scritto a lungo i'isteBsa settimana. Con che qui resto, e le bacio afTettuoaamento le numi. I)i Acquasparta, li 7 di Settembre 1621. 1511 . GIOVANNI Gl AM POLI a GALILEO in Firenze. Roma, 11 settembre 1621. Blbl. Naa. Flr. Msa. Gal., P. I, T. Vili, car. 151. — Autografa. Molto Ill. ra S. r e P.ron mio Oss.™ 0 Con occasiono di accompagnar Pinciusa, vengo a ricordarmi servitore a V. S., dandole uno avviso che, come a persona mia amorevolissima, non doverà essere Lett. 1610. 18. ooii eapemo a — <*' grano Claudio Achilliki, Gabbiano dai. Pozzo o Uiusbppk Neri. 78 11 SETTEMBRE — 23 OTTOBRE 102!. 11511 - 1512 ] so non grato. Poi che entrai in questa carica 1 \ dovi- mi ò bisognato ostare in fatiche eccessivo, N. 8. re la prima settimana mi honorò di 150 scudi di pensione, o nella presento me no ha dati intorno a 450 in un benefitiato di 8. Pietro; o pure sul principio del pontificato ne hebbi intorno a 140 in benetitii, ma questi mi scemano fra le mani : sì che in tutto questo poco tempo credo che almeno riusciranno intorno a 600 scudi d’entrata, sì che la ricolta di quest’anno passa molto felicemente. Lo parole poi o lo sodisfa tieni che mi vengono dalla benignità lo di N. S. r0 o (lol S. r Card. Nepote 1 ”, sono eccessive. So che V. S. goderà d’ogni mio progresso, o per ciò ho voluto avvisamela, con baciarle affettuosamente la mano o pregarla a finire, quando potrà, il Discorso Unto mirabile delle cometa 11 ’. Di IL», il dì 11 di 7mbre 1621. Di V. S. molto 111." Der~ Ser." S. 1 Galileo Gai. 1 Fir. Gio. Ciaupoli. 1512 *. GIOVANNI CIAMPOLI a 0AM1.F.0 in ttrense. Roma, 23 ottobre HV.’l. Blbl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T. Vili, car. 153. — Autografi il pMerilto « la • •Ito» ri m no Molto 111." et Ecc. mo Sig. r mio Oss.® 0 La lettera di V. S. del cinque di Giugno mi ò arrivata tardi, onde non do- vorà maravigliarsi di tarda risposta. Ella può rendersi più che sicura, che flore vedrò di poter giovare al Sig. r Domenico Visconti o sua moglie, io userò ogn’opera et ogni mezzo por servire a loro, che meritano, et a V. S., alla quale non debbo negare cosa alcuna. Ho esequito il comandamento de’ saluti impostimi da V. 8. alli 8ig. rt Cardi¬ nale Barberino 10 , D. Verginio 4 *’ e Monsig. r Agucchia‘ 4) ; ma certo che non occorro rinfrescare nella mente loro il nome di V. S., perché spesso siamo di lei e delle sue virtù a ragionamento, e se ne parla con quell’affetto che ricercano lo suo io lieroicho qualità. Hannomi imposto che la ringratii a nome loro e che raddop¬ piati le renda i saluti, sì come fo con ogni esquisitezza d’affetto: et in tanto a V. 8. bacio lo mani, o prego Iddio cho la prosperi ogni dì maggiormente. Di Roma, li 23 Ottobre 16*21. Di V. S. molto 111." et Ecc.®* Lett. 1512. 8. Verdino — C‘i Ofr. n.o 1602. <*> i.onovico Limonai. <*' Cioè il Saggiatore. * 4 » MirrNo Barbkriki. V ma in io Omarini. <•> Uio. Battista Aoccchi. 2.‘5 OTTOBRE — 20 NOVEMBRE 1621. 79 [1612-1613] Per non differir più la risposta, ho preso sicurtà valermi di mano d’altri, oliò le occupationi di Questa sera non comportano altrimenti. Mone.™ Agucchia et io facemmo l’altra sera lunghi discorsi delli cini¬ co nenti8simi pregi di V. S. Aspettiamo con eccessivo desiderio il Discorso dello comete (,) : però faccia gratin di mandarlo quanto prima. Ho veduto hor horn il S. r Pr.® Cosi, arrivato in Roma questa sera, che saluta affettuosamente V. S. Aff. mo et Obblig. Ser. re 3. r Galileo Galilei. Firenze. Gio. Ciampoli. 1513 . GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 20 novembre 1021. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. 1, T. Vili, car. 155. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. ro e P.ron mio Oss.° Il S. r I). Virginio et io stiamo con infinito desiderio aspettando il Discorso delle comete: però ella ci faccia gratin di sollecitare il copista, acciò non vi¬ viamo più lungamente tormentati dall’ardor di questa sete. Ho poi con mio dispiacere inteso la penosa heredità lasciatale da suo co¬ gnato (,) : frutti di amaritudine, che raccolgono sempre tutti i galantuomini da i lor parenti. Io volentieri m’affaticherò in sgravamela, ma le occasioni non rie¬ scono pronte conforme al desiderio. Sarà qui presto il S. r Pr.® Cesi, al quale mandai la lettera di V. S., e con esso anco ne parlerò, sapendo quanto eccessivo io desiderio sia in quel Signore di servire a lei. Non mi sono per ancora abboccato col S. r Conte Ciro di Portia: l’essere egli amico di V. S. gli potrà sempre valere per titolo di dominio sopra di me, che facendole affettuosa reverenza, la supplico della continuatione della sua gratin. Di Roma, il dì 2G di Ombre 1621. Di V.S. molto III» et Ecc.'"* Dev. mo Sor.™ S. r Galileo Galilei. Fir.® G. Ciampoli. <«> Cfr il.» 1511, liu. 18. (*» Taddeo Galletti. 2 DICEMBRE 1021. UW4J ttO 1514. FEDERICO CESI a IGAI.II.EO in Fir*n*«*|. Acqu:tM|>nrt:i, 2 dicembre 1021. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., V. VI, T. X, > xr. 114-115. - Autografa. Molt’ 111.™ e molto Ecc.* Sig. r mio sempre O*s. wo Di quanta consolatione mi sia stata la gratissima di V. S., non posso a ba¬ stanza esprimerlo, ma ben potrà da si' stessa imagi Darselo, sapendo l'affetto et obbligo mio, il desiderio ch’ho sempre d’intender nuova di IH, e quanto possa sollevarmi da qualsivoglia travaglio. Lo rendo dunque infinite grati»* del’ Imma¬ nissima o pietosissima sua; ricevo il buon annuntio che cortesemente mi fa; e mi protesto che s’io non procuro spesso di questi conforti e sodisfattioni, « iò ò per non darle briga di scrivere, desiderando io la sanità di V. S. sopra ogn'al- tra cosa. Godo grandemente che habliia compita la risjiosta al Sar*i, sicurissimo elio io le. luiverà ben mostrato die altro è il filosofare per la verità che l'empire le carte di galanterie e scherzi. Starò con intensissimo desiderio non solo di quanto prima vederla, ma anco che sia da ciascuno vista; et il S. r D. Virginio nostro in Roma bramava similmente. Fui seco molti giorni; anzi in un mure di negotii e complimenti, che m’arrecò Roma subito giontovi, non ritrovili altra consola¬ tane che appresso di lui e di Mons. r (Jiatnpoli nostro. Mi ridussi di nuovo qui dalla famiglia, ove bora séguito, però con la solita stracchezza, l'esercitii delle mie contemplationi, alle quali il S. r I). Virginio s' è compiaciuto non poco apro- narmi et animarmi. Aspetto che d’bora in bora v’arrivi il S. r Stelluti nostro, havendomi circa doi mesi sono lasciato; compagni questa e: tute di lunga e no- io iosissima intimità, bora, Dio gratia, di sanità. Non ò chi non compatisca V. S. di tutto cuore, chi non le brami di continuo non solo buona sanità, ma ogni compita felicità insieme; onde non nolo non v'è di bisogno d’alcuna scusa, chè anco piò tosto ci dolere ramo non poco di lei se per noi gravasse la sua sanità di nocive occupationi. S’attende hora al compimento (Luna buona ascrizione, come havrà inteso da’ SS. ri compagni, per ristorarne delle perdite fatte quanto si può. E vera¬ mente il passaggio del buon S. r Mar.*' Muti 11 è doluto grandemente a ciascuno. V. S. sa benissimo quanto io le sia servitore di cuore; però deve esser certa eli io con la mento son sempre seco, e desiderosissimo sempre mi commaudi. so '*1 Cablo AIuti. [1514-1515] 2 — 15 DICEMBRE 1021. 81 Bacio a V. S. le mani con ogni maggior alletto, e le prego da N. S. Dio ogni contentezza. D’Acquasparta, li 2 Xmbre 1021. Di V. S. molt’Ul. re e molto Eco. 10 Afl>° per scr. ,n sempre Fed. 00 Cesi L.° P. 1515 . BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Firenze. Milano, 15 dicembre 1G21. Bibl. Naz. Flr. Mss. dal., I’. VI, T. X. car. 116. — Autografa. Molto Ul. ru Sig. r e P.ron mio Col." 10 Più spesso gli scriverei, s’io non dubitassi d’arrecharli più tosto incomodo clic piacere, sapendo ch’ella con le sue occupationi non ha di bisogno d’aggiunta di cerimonie; tuttavia il non farlo alcuna volta mi parrebbe troppo grav’errore: perciò con questa mia vengo a salutarla con tutto l’affetto del cuore, et insieme a darli nuova del mio ben stare, come anco, per l’Iddio gratin, mi persuado di lei. Attendo poi continoamente a’ studii di matematica, e vado dimostrando alcune propositioni d’Archimede diversamente da lui, et in particolare la qua¬ dratura della parabola, divers’ancora da quello di V. S.; e perchè m’occorre un io certo dubbio, quale li esporrò, desidero esserne chiarito da V. S. Il dubbio è questo, al quale mando inanzi questa esplicatone : Se in una figura piana s’intcndcrù tirata una linea retta come si voglia, et in quella poi tirateli parallele tutte le linee possibili a tirarsi, chiamo queste linee così tirate tutte le linee di quella figura; e se in una figura solida s’intenderano tirati tutt’i piani possibili a tirarsi paralleli ad un certo piano, questi piani gli chiamo tutt’i piani di quel solido. Dora vorrei sapere se tutte le linee d’un piano a tutte le linee d’un altro piano habbino proportene, perchè potendosene tirare più e più sempre, pare che tutte le linee d’una data figura sieno infinite, e però fuor della diffinitione delle grandezze che liano proportene ; ma perchè poi, se si aggran- 20 disse la figura, anco le linee si fano maggiori, essendovi quelle della prima et anco quelle di più che sono nell’eccesso della figura fatta maggiore sopra la data, però pare che non sieno fuora di quella dillinitione . però desidero esser da V. S. sciolto di questo dubbio. Se altro mi occorrerà di man in mano, confiderò che V. S. mi sii per favorire di lucidarmelo, contentandosi ella di posporre un Lett. 1516. 15. questi piano gli — XIII. 11 82 15 — 18 DICEMBRI? 1621. [1515-1516] pochette di tempo por dimostrarmi ch’ella gradisca questo mio impiego, benché ai poco momento; et aspettando da V. S. gratissima risposta, finirò con augurarli da N. S. felice Natalo et il colmo d’ogni bene, facendoli riverenza. Di Mil.°, itili 15 lOmbre 1621. Di V. S. molto 111."* Sor.'* di cuore F. Don” Cav. r ‘ da M 1 l.° Uesuato. 8o Fuori: Al molto 111/* Sig. r e P.ron mio Gol."» Il Sig. r Gal.*® Gal.* 1 , p.° Fil. e Mat°° di S. A. S. Fiorenza. 151 Ti*- GIOVANNI CIAMPOL1 a GALILEO in Firtn** Koma, 18 dicembre 1021. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1*. J, T. Vili, car. 157. — Autografa. Molto 111.*® et Ecc. m0 S. r e P.ron Osa. 0 Prendo volentieri l’occasioni di visitili' V. S. con mie lettere. 11 R. r Pr.* Cesi m’invia l’inclusa, et io nel mandarla a lei l’accompagno con mille affettuosi sa¬ luti, e rinuovo lo preghiere per la spedinone del suo Discorso cometario 0 ', aspettato in Roma con grandissimo desiderio. L’altro giorno, trovandomi in casa del S. r Card. Ubaldino (,) , dove erano insieme li SS. ri Card. 11 Huoncouipagni ’ e Aldobrandino (l ’, se ne fece montione, et io diedi loro speranza di assai presto ha- verlo nelle mio mani. Io poi sto immerso tino a gola rifili continui negotii «li N. S. ra e del S. r Card. Lodovisio (,) , da i quali per ancora non mi si lascia olio di pensare ad altri studi che a quelli che mi perfettionino in questo aervitio. Del i<> resto, quanto alla tranquilliti\ dell’ animo, vivo in villa o lontano dalle macclii- nationi delle corti. A V. S. come a singolare splendore ile gl’ingegni italiani, mi ricordo servitor devotissimo, e le prego felicissime lo prossime feste di Natale. Roma, 18 di Xmbre 1621. Di V. S. molto Ill, r * ‘ l)ev.° Sor.” S. r Galileo Galilei. Fir. (ì. Ciani poli. • 0 Cfr. ufi 1511. I*> Roberto Ubaumvi. <*' Francesco Bonoom paoni. < 1 ’ Irrot.iTo At.po»EAxowr. •*> Lodovico Lii>uu.i [1517J 12 GENNAIO 1G22. 83 1517. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pian, 12 gennaio 1622. Blbl. Naz. Fir. Mas. (iaJ., P. I, T. Vili, cur. 169. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r mio Col." 10 Domenica «ora gionse il Sig. r Vincenzo 0) sano o salvo, se lien stracco dalla carrozza. Mi diede la lettera di V. S., la quale mi mise il corvello a partito cón l’avviso che mi dà, già elio era cosa nova et al concetto che io havevo del gio¬ vane ot anco ai ragionamenti hauti più volto con V. S. Per tanto li ho fatta una lezziono a sodo, e non mancarò ai debiti avvisi e consigli; e spero in Dio bene¬ detto elio lo cose caminaranno bene. Mostra desiderio di studiare; prattiche non ne haverà, so potrò far tanto, elio li possine essere di male essemplo; maestri buoni non li mancheranno: o in somma farò dal canto mio tutto il possibile acciò V. S. io resti servito ; e Dio me no dia gratin. Del tutto l’andarò avvisando alla giornata. Ho preso un letto a nolo pulito, e il padrone m’ha detto che vole cinque lire al moso a mantenerlo do lenzuola o fodorotta: so V. S. ne voi mandare un mat- tarasso e duo para di lenzuola, qua troverò il saccone o panchette, o non si farà quosta spesa se non per questo mese; però mi avvisi se lo devo fermare o no. Giudicarei anco bone che V. S. scrivessi due versi a questo Priore, in ringra¬ ziarlo della sua cortesia in tenere qui il Sig. r Vincenzo, overo lo faccia nella lettera che scriverà a me con la prima occasione ; perchè, se bone a principio di studio io restai col detto Padre di dar due piastre al mese per questo nostro albergo, e di più dirli la messa qua in sua chiesa, tuttavia il Padre ò cortese, e merita 20 d’essere conosciuto ancora di simil compimento. Del resto ieri sera comprai due some di vino eccellente da Buggiano, e so lo goderemo pian piano, e procura- remo di viver sani. Cosi sia di V. S., alla quale bacio le mani. Pisa, il 12 di Gen.° 1622. Di V. S. molto Ill. ro ot Ecc. ma txgftyy. /; .'Uto. Monsig. r Sommaia ò costì in Firenze. Mi farà gratia farli riverenza in nome mio et al Sig. r Giovanni, suo nipoto. Fuori, d'altra mano : Al molto lll. ro et Ecc. mo Sig.™ mio Colen. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filo. fo di S. A. S. Firenze. Lett. 1617. 8. enrrottia — ’*> Vincenzio di Galileo Galilei. 84 15 GENNAIO — Hi FEBBRAIO 1622. ( 1518-151!)) 1518. GIOVANNI CIAPPOLI h GALILEO in Firenze Roma, 15 gennaio UW2. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 161. Autografa Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio 0«s. n fi gran tempo clic non ho avvisi di V. S. Non ai penai ella rhe por r sacre io continuamente impiegato no i più importanti negotii della CbrwtianitA, Labbia per questo diminuito il desiderio di rivederla, o almeno, in lontananza, di veder lettere sottoscritto da lei. Le sono servitore più che inai: non ho bisogno eh* mi sia ricordato che ad ogni (dà non mancano mai de i re de i gran ^ten¬ tati, ma che de’ pari di V. S. non ne tocca non solo ad ogni provincia, ma nA meno ad ogni secolo. Però vivo più elio mai ambitioso e geloso della benevolenza del S. r Galileo. Aspetto con desiderio la copia della Sarseide"', et il S. r I). Virginio, che dalla io perversità de i tempi e dalla ostinatione dello sue infermità vive per il più con¬ finato in casa, non vede l’hora d’arricchirsi l'ingegno dello mirabili notitie che suole scoprire al inondo la famosa penna di V. S. Alla quale io fo reverenza, augurandole da Dio lunghezza e sanità di vita. In Roma, il dì 15 di Gen.° 1622. Di V. S. molto II." et Ec. ra * Dev ■" et Obbl. S." S. r Galileo Galilei. Fir. G. Cium poli. 1519*. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firense]. Milano, IR febbraio i#fcì. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI. T. X. cai. US. Autografa. Molto 111." Sig. r e P.ron Col.'" 0 Ho scritto altro volte a V. S., dalla quale però non ho haute «in bora ri¬ sposta: tuttavia penso che ciò da altro non provenga che «Lillo molte occupationi che la devono tenore ingombrata; che però son anch* io andato rallentando lo scrivere, per non accrescerli tedio e fastidio. Occorrendomi però di manifestarli alcune cosette geometriche elio mi sono passate per la fantasia, ho fatto risolu- m Intontii la risposta al Sanst, cioè alla Libra A «trono»! «a del Uba»»i. 1G • 2G FEBBRAIO 1622. [1519-15201 8 b tione di scriverli e mandargliene copia 10 , non perché io penai clic aleno degno di esser posto inanzi al purgato giuditio et intelletto di V. 8., ma perchè da questa piccol fatica riconosca in me l’ardente desiderio di mostrarmi logitimo suo di¬ io scepolo, e di manifestare in parto (s’io potessi) ciò elio per mancamento di com¬ pagnia mi conviene tenere come in confessione. Forai questo mio pensiero li riuscirà una vanità, essendo olii lontano da tutto quello eh’ i’ ho potuto trovare esser scritto da altri, e per riuscire molto stravagante a chi non lo consideri con qualche attentione, e con qualche affettione non vadi scusando la mia brevità di dimostrare le coso proposto da me, come sporo che sii per faro V. S., poscia- oliò per mandargliele per la prosento occasiono m’è bisognato farne un compendio presto presto, non havondoli potuto aggiungere alcuno cose dolio spirali, le quali con eommodità manderò anco a V. S., quando sappi corno li rieschi questo puoco. Pure se li parrà cosa d’alcun momento, mi farà favore d’inanimirmi con farin’in¬ sto tendere il suo parere. So anco altro li parerà, accett’ il buon animo mio, e scusi la mia temerità co ’1 troppo desiderio di coltivare questo fertilissimo campo delle matematiche: et in somma mi favorisca (la prego) di dirmene un puoco il suo parerò e lo suo difficoltà. So li paresse poi (come ho dotto) cosa di momento, barò per favore particolare che ne facci parte al P. D. Ih (?) Con che line gli auguro da Dio ogni bene, offorendomili prontissimo a’ suoi commandi. Di Mil.°, alli 16 Feb. ro 1622. Di V. S. molto IU. r ® Ob. mo Ser. r * F. Bon. ra Cav. ri da Mil.° 1520. GIOVANNI CIAMPOL1 a GALILEO in Firenze. Roma, 26 febbraio 1622. Bibl. Naz. Fir. Mss. fiat, I’. I, T. Vili. cur. 162. — Autografi il poscritto e la sottoscriziono. Molto Ill. re et Ecc. n, ° Sig. r mio Oss. n, ° Non ho voluto prima rispondere a V. S., che ió non habbia ricevuta lettera del nostro Sig. r Principe Cosi. Egli più che mai si conserva amorevole di essa, e desideroso della sua presenza. Con molta cortesia mostra gradire l’offerta di suo nipote (S) , mostrando gran passione di non bavere in sua Corte luogo pro- portionato come vorrebbe; non no ha per ciò escluso, anzi ha riserbato di par- J.ett. 1519. 19-20. con fram' 1 1ntendere — <•> Cfr. n.» 1521. Il 1'. Don Benedetto Castf.i.i.i. < 8 > Cfr. u.o 1513. 86 26 FEBBRAIO — 22 MARZO 1622. 11620-1621] lame meco a bocca, quando viene a Roma, che sarà m breve. In somma egli si mostra tutto ansioso del bene di V. S. S. E. ra il Sig. r D. Verginio et io stiamo con desiderio grande di veder una volta la sua Sarseide l,) : di gratin, non ci privi di questa consolatione. Et a V. S. io di vivo cuore raccomandandomi, bacio per mille volte lo mani. Di Roma, li 20 Febbraro 1622. Di V. 8. molto 111." et Ecc."* Alla venuta del S. r Principe Cesi lederò se sarà possibile operar qualche cosa in servitio di suo ni¬ pote. Io mi sto immerso nelle solite occupationi, le quali anco mi tolgono spesso la possibilità di scrivere di mano propria. V. S. continui ad amarmi, o ricordisi clic il suo Discorso ci fa tutti morir e languir di desiderio. et Ohi. Ser." [S. r ] Galileo Galilei. Fir.® G. Ci a m poli. 1521 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in F.rtnw. Milano, 88 marxo 1082. Bibl. Naz. Fir. Msa.Oal., P. VI, T. X, car. 120. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r riavendo io mess’insieme alcune coaotte di geometria, et desiderando rho V. 8. l’assagi, por sentire il suo parere intorno a quelle ", gliele mando per il compagno del nostro P. Visitatore di Lombardia ; e perchò l’havevo non troppo ben ordi¬ nate, e forai trascurrate in qualche parto, pure, per servirmi della comodità di mandargliele, in’è convenuto in fretta darli quel miglior ordine ch’ho potuto: porò V. S. mi scuserà se non le troverà come dovrebbe» essere, chò per la fretta non n’ho nò anco potuto far altra copia che questa che mando a V. S.; perciò vi potrebbe anco trovare de gl’ errori, e forsi anco non vi potrebbe esser cosa di momento, potendo patire il fondamento da me preso qualche istanza da me non i" avertita. Alcune cose, come chiare, per brevità le ho tralasciate, in particolare nel bel principio, che tutte lo lineo di due figure piano e tutte le superficie di due figure solide h&bino proportene, il che panni facile da dimostrare; perchè, «»• Ofr. 11 .» 1518. <•' Or n.* 1619. 22 MARZO — 0 MAGGIO 1022. 87 [1521-1522] multi pii emulo l’una dello dette ligure, si multiplicuno anco tutte le lineo nello piane e tutto lo superficie nelle solide, sì cho tutte lo linee d’uno, figura, overo superficie, possono, cresciuto, avanzare tutte lo lineo, o superficie, dell’altre, e così sarano ancor esso fra lo grandezze ch’hanno proportene. Come io pigli poi questo termine (tutte lo linee d’una figura piana, o tutte le superficie d’un solido), lo dichiaro in esso trattato. Di gratin, mi favorisca di dirmene il suo parere, chè 20 ben può pensare cho lo sto aspettando con gran desiderio, cho poi li manderò anco alcuno altre cose dello spirali, cjie per brevità di tempo non ho potuto ac¬ compagnar con queste altre ch’io li mando; e se vi fosse qualche cosa d*alcun rilevo, di gratia mi favorisca di farla vedere anco al P. D. Benedetto. E con questo finisco, desiderandoli et augurandoli felicissima Pasqua et il colmo d’ogni bene; o li faccio riverenza. Di Mil.°, alli 22 Marzo 1622. Di V. S. molto 111.» et Ecc. ms Devot.™ 0 Sor.™ F. Bon» Cavali ieri. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. ,no Sig. r o P.ron mio Col. 1 " 0 so 11 Sig. r Galileo Gal.® 1 Fiorenza. 1522 *. LORENZO PIGNOIUA a [GALILEO in Firenze]. Padova, 6 maggio 162*2. Bibl. Naz. Fir. Mas. dal., P. I, T. Vili, car. 104. — Autografa. Molt’Ill.» et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 ilo ricevuto lo scatolino della terra sigillata per parte del S. r Itesidente, et a V. S. et al S. r Picchena ne resto con infinito obligo. Le inscrittami (l> le vederò, et se qualche cosa mi sovvenirti, dirò sinceramente il mio parere. Mons. r Gualdo 1 ” mori il di 1G Ottobre l’anno passato, con molto dolore de’suoi amici. Il S. r Sandelli 0) sta bene. Lo Studio può passare. È morto il S. r Fonseca 0) et il S. r Raguseo w , la cathedra del quale è stata data al S. r Li- ceti. Dell’ Ill. ,no S. r Sebastian Veniero non ho mai inteso la morte, io 1 semi delle zatte siamo tardi a domandarli. Lett. 1521. 19. tralatto — <«» Cfr. n.® 1529, lio. 20-23. <*' Paolo Gualdo. i 3 1 Martino Sandelli. <*i Rodio a o Fonskoa. (“> Giuro io Raguseo. 8 3 6 — 7 MAGGIO 1622. [1522-16281 Fo riverenza a V. S. et al S.' Ourtio c, \ al valore ilei quale vivo servidore di cuore gran pezzo fa. Il Sandelli pure le bacia le mani. Di Pad/, il di 6 Maggio 1622. Di V.S. molt'Ill." et Eoe" Ser." Aff" Lor. Pignoria. 1523. VIRGINIO ORSA HI NI n [GALILEO in Firenze). Koma, 7 maggio !*>'*-• Bibl. Naz. FIr. Mss. Gai., P. I, T. Vili, ca r. 107-168. - Ànto«r»fa I» lotlwriiinn*. Oa »*f«ndo originale, o minuta, di questa medesima lettera, (Innnto con le sole inisial» • !><*•.» Wtfibtli, *r» cnUnato nel cod. Uoncoinpagni 483; e nell» descrizione del tal fatta da Kaaico N»int.:i lOaial y • «*• ■*«»<►' tcrìlli ora poneduti tla I). JJaldattarr e Boneompagni ece. Seconda Milione. Roma, U|». daiU •«•ionio M- tematiclie e /laiche, 1892, pag. 283) 1» lettera fu dichiarata di Ini erto autore Molto ili. Sig.™ P.ron mio Oss.’ ,,u La mia debole sanità (se si deve chiamar tale un’eterna eonvalpHcenza), si- come m’impedisce e toglie le speculazioni de gli studii gravi, cosi riceve gran sollevamento, e si sottrae da pensieri più. mesti, diportandosi nell’ozio delle Muse: vado però trattenendomi alle volte con loro, e cerco che i componimenti non siano affatto scarsi di qualche dottrina filosofica, e quanto io posso procuro in essi lasciar viva testimonianza dell’ossequio o riverenza ch’io j>orlo alle virtù eminenti. Trovomi haver all’ordine un libretto d'elegie, fra le altre mie opere latine. Queste per lo più ragionano dell’infermità grave ch’io ho patita; non però tanto dimorano nell’argomento flebile, che non ricevano ornamenti di varii »»pi- i° sodi d’altre materie. Una di queste ò la qui congiunta 1 ’, che mando a V. S., uscitami ultimamente dalla penna; in cui, dopo haver ringraziato il S. r Cintio Clementi, medico molto stimato in questa città, per la cui opera, dopo Tesser stato io muto nove mesi intieri, ho finalmente ricominciato a parlare, digredisco rimproverando gli ostinati amatori et adoratori delle antichità, che si beffano de gl’ingegni eli’ardiscono trattar novità, dandomene occasione un medicamento di solfo sublimato, da lui preparatomi contro il volere de gli altri medici, du cui ho sentito manifesto et grandissimo aiuto. K perciò' non mi pareva che si potesse raggionare de’ trovatori d’artificio sublime e di scienze senza menzione di V. S., c’ha onorato l’Italia appresso le straniere nazioni co* suoi scritti et so O) Curzio Picoiim». urta Moreti, N.DC.LXII, p*g. 3*8 345, col titolo: Non è presentemente allegata alla lettera « Cjnthio Clementio, Archiatro Komino, cum >och Si legge nella raccolta Sejiltm illmtrium virorum usuui recupera»»*! . poemata, Antverpiae, ex ottici»» Plantiniana Unltha- 7 MAGGIO 1022. [ 1523 - 1521 ] 89 osservazioni, ho in qualche parte accennato il pregio et la gloria che le Muso le devono; e sehcne nello mio composizioni toscane 1 " ella riceverà, lodi più diffuse, et di giù in alcune ha cominciato a ricevere, con tutto ciò non ho voluto man¬ care d’inviarle questo picciol pegno dell’ossequio mio, consigliandomelo parti¬ colarmente il Sig. r Filippo Magalotti {i \ molto mio signore, che si è adoperato ’n tarmi sicurtà piena ch’ella sia per gradirlo; oltreché il Sig. r Prencipe Cesis no¬ stro mi ha mosso a ciò colla sua autorità. Degnisi dunque di riconoscere in questi pochi versi qual sia il desiderio mio nel riverirla più di quello che da loro lo sarà significato. so Prendo con tale occasiono ardimento di sollecitarla alla publicazione della risposta al Sarsio, che per tanti rispetti ella deve al mondo, ma particolarmente per ricomprare da gl’ignoranti un falso nomo di vittoria che danno a quei scritti. 11 S. r I’roncipe sopradetto et tutti i Lincei glie ne fanno caldissima istanza ; fra’ quali gli ultimamente aggiunti, Sig. r Giuseppe Neri et il Sig. r Cav. r del Pozzo (8) , sono dello stesso parere et ne la pregano, essendosi di ciò ragionato nell’ultima congregazione fatta da noi. Io ho promesso all’Academia che in breve V. S. la sadisfarà, havendomi il Sig. r Filippo alcuni mesi fa detto c’haveva veduto gran parte dell’opera trascritta. Procuri V. S. eh’ io habbia ad osservare la parola da me data; o sehcne ella per sazietà di gloria può disprezzare queste disegnali •io contese, tuttavia è obligata al nome publico de’ Lincei, offeso dal Sarsio e da altri malevoli, et al mondo non deve occultavo i tesori delle sue nobili specu¬ lazioni: mentre per fine io, insieme con gli altri SS. 1 ' Lincei, le bacio affettuo¬ samente le mani. Di Poma, li 7 di Maggio 1622. Di V. S. molto ili. Aff. mo Se. r di core Yirg. Cesari no. 1524 * FILIPPO MAGAI.OTTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 7 maggio 1622. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. Vili, car. 165. — Autografa. Molto 111.” Sig. r e P.ron mio Oss. mo Io mi sono astenuto volentieri dallo scriver a Y. S., per non aver avuto in- sin al presente occasione che meritassi di sturbar le sue gravi occupazioni; e <‘i Videro la luco col titolo Poetie liriche e to - |S > Cfr. n.° 1524. «cane di D. Vkroixio Cesarino, In Roma, per Angelo ‘ 8| Cassiamo dai. Pozzo. BernaliA dui Verme, MDCLXIV. XIII. 12 00 7 - ‘20 MAGGIO 1022. [ 1524-1526] corno clic altro non fosse stato il tenor delle mio lettore che accennarle* in parte* la reverenza che io porto al suo molto merito, alibi giudicato di sodisfar pia a me medesimo di riverirla e d* ammirarla in un profondo silenzio. fCmmisi nondi¬ meno per mia buona fortuna porto occasione di passar con lei questo urti ciò, poiché avendo avuto parte in persuader 1* lll. mtt Sig. r D. Vorginio Ceu[rini] che mandassi a V. S. una sua composizione latina 01 , che conteneva alcune delle sue lodi, e mostrandosene egli assai renitente, parendole cosa assai diseguale alla io sua virtù, ha voluto elio con propria lettera glie ne facci testimonianza. K benché per ogni rispetto io sia sicuro elio del tutto é superfluo questo ufficio o che di ni un valore ò per mezzo mio, ho voluto più tosto non di meno obbedire a si cortese comandamento, elio far altrimenti, per non perder l’occasione di tener fresca nella memoria di V. S. questa mia devota et affettuosi osservanza, stimando che ella sia per gradirla, mentre averà riguardo che io mi sia adoperato in m*.» che ridondi in sua lode, se non proporzionata al suo merito, al meno con desi¬ derio intensissimo che ella sia tale. Io non ardirei di aggiunger preghiere più di quelle che abbi fatto il Sig. r I). Yer- ginio intorno alla pubblicazione della risposta al Sarai», si perché io stimo le sue a> efficacissime, e agevolmente credo clic elTaverà condotto a intera perfe/ziono quell’opera, che al mio partir di costò, sei mesi sono, veddi in buona parte in- caminata. Resta solo che io la supplichi a scusarmi dell’ardire che ho preso d’assicurarmi che non le sia per esser discara la testimonianza che fa questo Signore nella sua elegia con riverenza sincera delle sue lodi, avendomene dato in parte comodità la gentilezza di V. S. e la stima ch’io so al sicuro che ella fa di lui. E per fine con ogni affetto umilmente le bacio le mani. Nostro Signore le conceda quanto desidera. Di Roma, il di 7 di Maggio 1G22. Di V. S. molto Ill. r * Aflett mo Ser." so Filippo Magalotti. 1525. GALILEO nd [ALESSANDRO SERTI NI in FiirnxeJ. liellosgnardo, 20 maggio 16M. Bibl. Nhz. Fir. Mss. Gal., I*. I, T. V, cnr. 12. - Copia di mino di Nnrrxno Vivum. Molt’ Ill. re e molt’Ecc . 10 Sig. r mio Osse.™" I oi che la moltiplicità dello mie indisposizioni mi necessita a trai- tenerm i il più del tempo alla villa, onde con troppo incomodo di <*' Cfr. n.° 1528. 20 - 27 MAGGIO 1622. 91 [1525-1626] quelli che meco avessero a conferir loro affari potrei soddisfare al carico che mi si aspetta mercè del Consolato'", ho pensato di far capitale della cortesia di V. S. molto 111. 0 e molto Ecc. t0 , e suppli¬ carla che in luogo mio voglia supplire per me in tali negozii, eserci¬ tando quella autorità che ho io, la quale interamente deferisco nella persona di V. S., sicuro che ella molto meglio potrà esequire tutto io ciò elio a tal ufizio appartiene : o gli resterò con obbligo particolare dell’aiuto o sollevamento che da lei desidero e spero. Con che af¬ fettuosamente gli bacio lo mani, o dal Signore Dio gli prego intera felicità. Da Bellosguardo, li 20 di Maggio 1622. Di V.S. molto 111.” e molto Ecc.*° Sor. Àffez. m0 Galileo Galilei. 1526 * PAOLO GIORDANO ORSINI a GALILEO in Firenze. Bracciano, 27 maggio 1622. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1’. I, T. XIV, car. 174. — Autografa la firma. IU. M o molto Ecc. t0 Sig. re riavendo di bisogno qui per mio diletto d’un occhiale da veder da lontano, per havorlo do’ migliori, desidero elio mi venga dalle mani di V. S. ; la quale io prego però con questa a farmi piacere di farmelo inviare quanto prima, mentre con altrettanta prontezza mi offero a V. S. in tutte le occorrenze di suo gusto o servizio. E Dio la conservi o prosperi. Da Bracciano, il dì 27 di Maggio 1622. Aff>° di V. S. S. r Gallilei. Paolo Gior. Orsino. io Fuori: [....Ec]c. , ° Sig. ro 11 S. r Galileo Gallilei. Firenze. t»> Qfr. u.° 141)0, e Voi. XIX, Doc. XXIX. 92 90 GIUGNO — 30 LUGLIO 1622. [ 1527 - 1529 ] 1527*. PAOLO GIORDANO ORSINI a GALILEO in Firenze. Bracciano, 30 giugno 1622. Bibl. Naz. Fir. Mu. Gal.. P. I, T. XIV, car. 176. - Autografa I» lima. Ul. ro e molto Eoe.*" Sig." Ho ricevuto il cannono con i suoi vetri, che V. S. ini ha mandato, il quale mi è stato tanto più grato, quanto mi è reuscito più perfetto e più accommodato alla mia vista. No rengrazio V. S. affettuosamente; o come per questa sua nuova amorevolezza resto io tanto più tenuto ad adoperarmi sempre per ogni suo ser¬ vizio e gusto, così doverù olla valersi di me con tanto più di prontezza in tutte le sue occorrenze, per le quali per fine me le offero di cuore. Da Bracciano, il dì ultimo di 6iug.° 1622. Afi>° di V. S. S. r Galileo Galilei. Duolo Gior. Orsino. Fuori: [....] Ecc. 10 Sig. rft 10 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. 1528*. PAOLO EMILIO BOIARDI a CESARE D’ESTK, Duca di Modena, in Modena. Firenze, 19 luglio 1622. At-ch. di Stato In Modena. Dispacci 'Ambasciatori o»t*ri. Ftrenjc Hu.ta n * in \ut< -rata. .... 11 Gallilei, cittadino Fiorentino, bell’ingegno et inventore dell’occhiale lungo, propose, dicono, al Conte di Monterei il modo di abbreviare la navigazione da Spagna alle Indio et. poterla fare in un mese, dovo per l’ordinario **i spendono più di tt» 1 mesi; il che quando riesca, S. E. ha promesso eli fargli bavere “ scudi d entrata dal Ite di Spagna et un marchesato.... 1529. GALILEO a FORTUNIO LICETI in Padova. Firenze, HO luglio 1622. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 111. T. VII, l.car. 162. — Copia di mano di Foartxio Liciti. da Ini intenta nella sua lettera a Gai.ii.ìo del 6 luglio 1610. Molt’Hl.® etc. Teri l’altro mi fu reso il libro J)c coirvi ix 1 etc., inviatomi da V. S. Ecc. raR ; e ben che lo stato mio di sanità non ini permetta di <>> Cfr. u.° 1435. [1529-1530] 30 luglio — 8 AGOSTO 1622. 93 poter leggere allungo nò affaticare la vista e la mente, tuttavia, tratto dalla curiosità, gli lio dato in questi 2 giorni una superficiale et interrotta scorsa, e veduto come ella veramente ha condotta a fine una fatica atlantica. Mi duole di non l’bavere liavuto prima per poter far menzione di lei et honorarla, conforme al debito, in una risposta che fo alla Libra Astronomica e Filosofica di Lottario Sarsi io Sigenzano, la quale 6 giorni fa inviai a Roma, dove forse sarà stam¬ pata, nella quale saranno per avventura molte delle cose nelle quali V. S. mi è contrario, o, per dir meglio, al S. or Mario Guiducci, autor primario di quel trattato, che dal Sarsi e da V. S. viene attribuito a me. Mando in questo punto il libro di V. S. al S. or Guiducci, per mettermi in necessità di non haver gravemente a disordinare con mio notabil danno, poiché la lunghezza de i giorni, la solitudine della villa, e più il gusto che prendo della lettura, non mi lasciano tem¬ peratamente occuparmi. Io rendo a V. S. Ecc. ma grazie infinite del- P li onore e favore fattomi, et insieme mi rallegro seco della sua pro¬ so mozione, la quale già havevo intesa (l) . La prego a salutare in mio nome il molto R. S. Lorenzo Pignoria, e ricordargli che in gratia voglia favorire il S. Pichena in quel suo desiderio, che amendue gliene resteremo obbligati (ì) . Et riserbandomi a scrivergli più a lungo con miglior commodità, per bora gli bacio le mani e me gli ricordo vero et affettionatissimo servitore. I)i Firenze, li 30 di Luglio 1622. Di V. S. molto 111. et Ecc. ma Ser« Aff. mo Galileo Galilei. Al molto III. et Ecc. m0 S. ore e Pad " Oss. rao so II S. or Fortunio Liceti. Venezia per Padova. 1530*. FABIO COLONNA a GALILEO [in Firenze]. Napoli, 8 agosto 1(122. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P.VI, T. X. car. 122. — Autografa. Molt’Ill.® et Ecc."' 0 Sig. r P.ne mio Oss.' n( * L* «istituzione della Lincea Aoademia, nella tinaie me ritrovo ascritto per gratia del nostro Sig. Prencipe, che Nostro Signor feliciti come clesea., in questi <•> Cfr. n.° 1522, lin. 8 9. l*l Cfr. li.® 1522, lin. 4-5. 94 8 AGOSTO 1622. 115801 tempi me obliga debbia a V. S. far riverenza, et augurarle et pregarle dal Signor non solo salute et allegrezza in quel giorno dell*anniversario, ma per sempre successivamente, corno volentieri et con tutto Tuffetto di cuore fo detto ufficio, et ne prego Nostro Signor cosi degni concederle. Kt con questa occasione an¬ cora voglio supplicar V. S. so degni farmi gratin avwarmi, anzi insegnarmi, che metodo possa tener per far una parabola per specchi da sole di bruciare di lon¬ tano vinti palmi, che bruci sotto il perpendicolo del sole nel piano de un trian- io golo, metà di quadrato, in questo modo: nolo poiché tutti li specchi concavi non han forza se non nell’opposito dclli raggi molari per dritto; et obliquandoli, non essendo equali le rifrn/zioni, perdono la fona : et desidero trovar il modo do far che quelli raggi obliquanti havc-scro la stessa potenza, et se unissero nel punto desiderato, «qualmente fanno nell’opposizione dritta verso il sole. Che perciò credo sia vana la fama delPhavor bruciato la nave nel mare, stando il solo in alto, et anco il sito della casa de Archimede, et che li raggi potessero andar in già con tanta forza et con Unta lontananza; et se ben se dice fusse specchio circolare senza fondo, et sesta parto de globo, io Tho fatto, et tiene Tistessa imperfezzione, che non stanno (sic) a dritto del sole, 20 perde la forza. È ben vero, quel modo va più lontano la metà del concavo sfe¬ rico. Intanto, perchè sapienti pauca, spero che V. S. se degnarà insegnarmi questa regola; chè se ben con la prattica io posso trovarla, non ne saprò dare la ra¬ gione demostrativa et farne regolata dimostrazione, che non dubiti errare. Intanto prego Nostro Signor doni a V. S. salute et lunga vita, per benefìcio commune de’studiosi et honore della Lincea Academia; et per line le bario le inani. Di Napoli, li 8 de Agosto 1622. Di V. S. molto 111." et Ece.‘°» Afi>° Ser.™ Fabio Colonna Linceo. Fuori: Al molt’Ill.* et Ecc. mo Sig. r mio Oss.™ so Il Sig. r Galileo Galilei Linceo, Matem.'» del Ser.»” Sig.' Gran Duca di Toscana. 10 AGOSTO 1(»22. 95 [ 1531 ] 1531 *. FRANCESCO STELLUTI a GALILEO iu Firenze. Acquasparta, 10 agosto 1622. Blbl. Naz. Flr. Mas. Uni., 1'. VI, T. X. car. 124. — Autografa. Molto 111.™ et F.cc." 10 Sig. r P.ron inio Oss. mo Non posso negare che mio fratello non si sia messo ad un grandissimo ri¬ sico, sì per bavere scritto (,) materie fuori della sua professione, sì anco per Laveria presa con uno che non si osti mar A solo ncll’oiresa, e se pur solo, ei di¬ verrà un Argo et un Briareo, c’Laverà cent’occhi per vedere e cento mani per riscrivere e rispondere in sua difesa, se perù prima non l’acqueta V. S., come con molto desiderio s’aspetta et indubitatamente si tiene che sia per fare. Ila scritto il detto mcntr’io mi trovava qui in Acquasparta l’estate passata, mosso sì dalle buone ragioni di V. S. addotte dal Sig. 1 ' Guiducci, sì anco stimolato da m amici per molti ragionamenti fatti fra loro intorno alla Libra Astronomica del Sarsi, et particolarmente spinto da alcuni Padri del Giesù paesani, che tenevano che a detta Libra Astronomica non si fusse potuto rispondere et che spesso do¬ mandavano se rispondeva V. S. Lo stampatore poi di Terni ha voluto stampare i scritti di detto mio fratello in tempo ch’io mi trovava in Fabriano per una infirmità che hebbe esso mio fratello quasi ad mortem, et al ritorno qui trovai l’opra già stampata e piena di molti errori, che estremamente mi dispiacque. Ne ha inviato questa settimana lo stampatore al Sig. r Mario Guiducci, a cui ha dedicato il libro, alcune copie, con ordine ne dia quattro a V. S.: però se le farà consegnare, c gli darà una vista quando Laverà otio, acciò io possa far 20 avertito mio fratello in che havrà fatto errore, o in che Labbia debilmente di¬ feso il Sig. r Guiducci. Intanto s’assicuri V. S. clic sì detto mio fratello, sì anco i nostri compagni tutti et amici c studiosi dispassionati, aspettano con grandissimo desiderio la ri¬ sposta di V. S. intorno a detta materia; et io priego il Signore che le conceda tanto di sanità, clic possa non solo compire detta risposta, ma giovare al mondo con altri suoi scritti, stendendo quei suoi pensieri pellegrini di cui ò già gravido 1*intelletto di V. S. E perchè siamo in tempo del nostro annuo saluto, l’invio a V. S. pieno (Fogni maggior bene et contento. Nè altro occorrendomi, bacio Scandaglio topra la Libra Astronomica e Fi- l'anno 16/8, del Sig. Grò. Battista Striduti da Fa- hiaofica di Lotario Sarsi, nella controversia delle co- liriano, Dottor di leggo, iu Terni, app. Tommaso mete e particolarmente delle tre ultimamente vedute Guerrieri, 1C>2'2. 10 - 17 AGOSTO 1622 «0 11581-15821 a V. S. le mani a nome del S. r Principe, che con desiderio aspetta sentir nuova di lei, et io fo Pistesso affettuosissimamente. ao Di Acquasparta, li 10 di Agosto 1622. Di V. S. molto 111." et Eoe."- Fuori: Al molto 111." et Ecc.“° Sig. r P.ron imo Oh».‘ ,,u Il Sig. r Galileo Galilei L. u Fiorenza 1532 *. BONAVENTURA CAVALIERI a (GALILEO in Firenze], .Milano, 17 «gotto 1821. Bibl. Nhz. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. X, car. la») Aut. fnfi Molto IH." et Ecc." 10 Sig.™ Sono stato e sono anchora desiderosissimo d’intendere un puoco il suo pa¬ rere intorno quel mio trattato che già intesi che ricevè dui P. Vicario nostro di costì, ma sin bora (forai per le suo molte occupatimi!) m’è convenuto sopportare quest’ardentissima sete con pazienza, come ho fatto, pur che finalmente sii di questo da lei gratiato. La mia debolezza e la legerezza del Discorso mandatoli, per uscir elli della via ordinaria, ma forsi più per non esser con accuratezza e diligenza da me fatto e ordinato, m’hano ben fatto spesso venir in sospetto che ’1 auo non rispondermi fosse una risposta tacita etc. ; ma pure mi son conso¬ lato pensando che, se non altro, almeno harà riconosciuto in me ch’io persevero io nella divotione, o per dir meglio nell’ affettarne, verso le matematiche, che i suoi motivi già in me procreorno e che la lor eccedenza richiede. Intesi anco che lo volea mostrare al P. 1). Benedetto: non ho però inteso pur ili lui sin bora cos’al¬ cuna; là onde io desidero esser da lei favorito non solo di ciò che ho detto di sopra, ma anco di darmi nuova del detto Padre, chè mi farà cosa gratissima. Intesi anchora che lei mi volea far venire a Fiorenza per prevalersi di me. lo li dico, bora per sempre, ch’io sarò sempre prontissimo a’suoi commandi; e se io havessi inteso un puoco più chiaro la cosa, harei cercato senza sua briga di compire il suo desiderio, sì come lo farò, accennandomi «dia solo il suo pen- 1,1 Accanto all'indirizzo si hanno alcuni disogni bilmonte tono di mano di Uamlio. Non hanno alcuna informi, forse di soggetto astronomico, cho proba- relaziono con l'argomento delia lotterà. 17 AGOSTO — 20 SETTEMBRE 1G22. [1632-15341 07 20 siero; elio perciò me no sto sospeso, senz’applicarmi determinatamente a cos’al¬ cuna ferma qui in Milano. Desidero poi sapere la solutione di questo puoco dubio elio m’occorre in Euclide, et è che mi par che superfluamente olii dimostri dei numeri quello istesso che prima ha demostrato de magnitudini-bus: v. g., la maniera di trovare, dati duoi numeri, la lor massima commune misura panni esser l’istessa clic del trovarla di due grandezze, il che già ha insegnato nel principio dell 10° libro. L’istesso dico de le altre, dove Euclide demostra qualche cosa de magnìtudinibus , parermi che sii illico demostrato ctiam de numero , perchè ancho il numero è ma¬ gnitudine, e non so per qual raggione si devano quello dimostrationi ricever so solo per la quantità continua, e non per la discreta. Si può forai dire, i numeri hnver diversi principii dalla quantità continua; perciò etc. Ma pure i principii della grandezza, come grandezza, panni che sieno communi et alla quantità con¬ tinua e alla discreta. Pure può esser ch’io m’inganni, e che per magnitudine non intenda altro che un genere a tutte le sorti di quantità continua, e che sii l’istesso magnitudine clic quantità continua. Basta: desidero esser favorito da lei, e che mi sganni dell’errore che potrei prendere. E con questo facendoli rive¬ renza, me li olierò e raccomando. Di Al il. 0 , alli 17 Agosto 1622. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. u,a Devot. mo Ser. re 40 F. Bon. ra Cavalli eri Gesuato. 1533 **. MUZIO ODDI a PIERMATTEO GIORDANI in Pesaro. Milano, 2 settembre 1022. Bibl. Ollveriana in Pesaro. Msa. 418, car. 1. — Autografa. _Io poi sono poco manco che necessitato stampar due opuscolini, uno dell’ instru- rneuto squadro, et l’altro del compasso polimetro, del quale se n’è fatto autore Galileo, Coignet, il Capra et altri, et io dimostro come è stato la felice memoria del Sig. Gui- dobaldo... 1534 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Venezia, 29 settembre 1622. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, B.» LXX1V, n.® 71. — Autografa. 111.™ et Ecc. mo mio Sig. Oss. mo Molti giorni sono che io inviai una mia a V. S. Ecc. ma , richiedendoli risposta di alcuni dubbi occorsimi circa il suo Discorso; del che mai ho potuto bavere <‘i Guidobaldo del Monte. X11L 13 9g 29 SETTEMBRE — 19 OTTOBRE 1622. 11534-15351 risposta alcuna. Onde vengo bora con la presente a supplicarla «li favorire un suo servitore con dargli risposta, se ha ricevute le sue; il che «• farà, l’havrò per favor singolarissimo. Non manchi donque, di gratin, che ne staro atten¬ dendo risposta. Et per fino a V. S. 111." di cuore buccio le mani. Di Venetia, li 29 Settembre 1622. Di V. S. molto 111." et Eco.'** Se." Afl>° Francesco Duodo. io Fuori: Al molto 111." et mio Sig. r L* Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei Dot. Fiorenza. 1535. GALILEO a FEDERICO CESI fin Acqunsparta|. Firenze, 19 ottobre 16tW Bibl. della R. Accademia del Lincei in Roma. Mu. a.» 12 (fi* tuJ i; uU cgiu{.a«iti .r>j , \r. Ili». — Autografa. 111.® 0 et Ecc. mo Sig. ro e Pad." Col.® 0 Ilo finalmente inviata all’111.® 0 S. I). Virginio la risposta al Sarsi, e per esso a V. E. : scusi la mia tardanza, perchè non ho potuto faro altramente. Rimetto in tutto e per tutto l’esito di questa tuia co- serella nell’arbitrio di loro SS.® La risposta del S. Stelluti m non è arrivata qua ho non pochi giorni sono, sì elio appena gl’ho potuto dare una scorsa; che se havessi hauto tempo di leggerla più consideratamente, non dubito che ne liavrei cavati avvertimenti da poter migliorar la mia : ma la rivedrò e mi servirò dell’ avviso. Intanto non mi è parso di dover io differir più lungamente il mandar la mia, che pur troppo sono stato lento. E perchè pur bora mi è sopraggiunto un mandato del S. Pier- francosco Rinuccini, elio mi favorisce di esserne P apportatore, e mi fa fretta, essendo egli, conio si dice, col piede nella staffa, finirò con farle le debite reverenze e con ricordarmegli per vero o svisceratis¬ simo servitore; e dal S. Dio gli prego intera felicitò. Di Fir.*°, li 19 di 8bre 1622. Di V. S. Ili. raa et Ecc.®» Dev."° et Obblig.® 0 Ser.™ Galileo G. L. La supplico a scusarmi appresso il S. Francesco Stellati se non 20 gli scrivo, non havendo io un momento di tempo. «'i Cfr. a." 1531. [1536-1537] 28 — 29 OTTOBRE 1622. 99 1536. VIRGINIO CESARINI a [GALILEO in Firenze]. Roma, ‘28 ottobre 1622. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. lf>9. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. SSig. r mio P.rone Oss. ,no Oggi appunto mi ò capitato, per opera di Mons. r Rinucini (,) , l’invoglio con le lettere di V. S. A Mons. r Giampoli ho ricapitata la sua, ed invierò l’altra ad Acqua- sparta al S. r Prencipe Cesis. lo fratanto mi son posto a leggere con grande ansietà l’eruditissima scrittura di V. S. (,) , la quale non cessa di riempirmi di maravi¬ glia, benchò mi sia noto il valore di chi l’ha fatta. Ma quando potrò io pagar mai tanto debito che le devo per havermi olla adornato di favore eterno, intito¬ landomi cosa di sì gran pregio? Assicuro V. S. ch’io bramo da lei occasione di potere, servendola, darle segnali della mia gratitudine. La participarò poi con io gli altri amici, et no darò parte a V. S. se vi troveremo cosa alcuna da notarsi ; ina lino ad ora son risoluto che si stampi, e quanto prima, per non differire utile al mondo, onoro a me medesimo, et privar lei della gloria che meritamente sarà per conseguirne. Et con baciarli con ogni affetto lo mani, le auguro dal Cielo ogni bramato aiuto. Di Roma, li 28 d’8bre 1622. Di V. S. molto 111.® NICCOLÒ DOLFIN a GALILEO in Firenze. Venezia, 29 ottobre 1022. Bibl. Naz. Fir. Mss.. Gal. P. I. T. Vili, car. 171. - Autografa. Molt* 111." et Ecc. m0 Sig. r mio Osser." 10 V. S. abonda talmente in cortesia, ch’io conosco naver guadagnato con usura, ricevendo da essa tanto favore de ringratiamenti et di littere in ricompensa di (»io. Rattista Rikugoini. ll > Cioè il Saggiatore: cfr. Voi.VI, pag. 199-372. 10 0 29 OTTOBRE - 22 NOVEMBRE 1622. [1637-1639] quel poco eh’ io stimai mio debito verso il S. r Vincenzo, suo figliuolo. Vengo a rendergliene le maggiori gratie elio posso, et ad accertai la della disposinone et volontà che tengo di servirla conforme al merito delle sue virtù; le quali osservo come conviene, et bastano a farmegli viver servitore, quando anche altre cause non me ne tenessero obligato. La prego dunque ©esercitarmi come tale con suoi comandamenti, mentre io bacio a V. S. le mani et le prego da Lio benedetto ogni prosperità; il elio fa parimente il S. r Cardinale mio zio che ha gradito sopra io modo la memoria che V. S. si compiace tenir di lui. Di Ven », adì 29 Ott. r, ° 1622. Di V. S. molto 111.™ et Eco,®* Se.™ Aff. m# All’Ecc. mo Galileo. Nicolò Lo lini. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m * Sig. r mio Gasar.® 0 Il S. r Galileo Galilei. Fi ronza. 1 538 **. FEDERICO CESI a GIOVANNI FÀBER in Roma. Acquaaparta, 19 norembre 1622. Arch. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro In Roma. Carteggio di Giovanni Fsber Kit»* 493, far 198 — Autografa. .... Aspetto con desiderio veder il contrapeao della IAbrn; e tfià il S. r L. Virginio mi ha accennato mandarmelo. E poi premeremo si stampi presto.... 1539 *. LODOVICO I.OLOVICl a GALILEO in Firenze. Macerati, 22 novembre 1622. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXVIII, o.« 168. Autografa. Molto III.™ et Eccell." 10 Sig. ro Sapendo quanto in lei sia eminente la scientia delle cose astronomiche, e confidandomi anco nella molta sua cortesia, ho preso ardire questa volta, se bene poco da V. S. conosciuto, di domandarli per grati» mi vogli avvisare so ancora m Giovanni Down», 22 NOVEMBRE 1622. [1539-1540] 101 si sono osservati i moti et li periodi di quelle dui stello collaterali a Saturno, et insieme se ci ò argomento alcuno per provare che la distanza dell’occhio al centro del mondo non sia del tutto insensibile, ma di qualche consideratone, rispetto anche al cielo stellato, cioè alle stelle fisse ; perchè mi paro m’accen¬ nasse non so che sopra di questo, quando io hebbi l’honore di ragionar c con¬ to ferir con seco da tre o quattro volte, l’ultima vece che lei fu in Roma: assi¬ curandola che mi farà favor segnalatissimo, e ce ne resterò con obbligo perpetuo, facendoli bora un’humilissima reverenza, con pregarle lunga e felice vita. I)i Macerata, in Corte del Cardinal d'Ascoli ° et Devotiss." 10 Sor/ 0 Lodovico Lodovici. Fuori: Al molto 111/® et Eccell. mo Sig/ mio Oss." 10 Il Sig/ Galileo Galilei. Firenze. 1540 **. GALILEO a FERDINANDO li Granduca di Toscana [in Firenze]. [Firenze, novembre 1622]. Aroh. di Stato in Firenze. Monte di Piota, Filza 1041 (Campione n.° 76), non cartolata. — Autografa. Ser. m0 Gran Duca, Galileo Galilei, devotissimo servo e vassallo di V. A. S. raa , liumil- mente la supplica che voglia restar servita di concedergli grazia eh’ e’ possa metter sul Monte Pio l2> ducati duemila, con ritrarne i so¬ liti emolumenti : del che gli resterà con perpetuo obbligo di pregar per ogni sua maggior grandezza e felicità. Di mano dr.Ua Granduohetta Cristixa di Lorksa: Ita est. Crist. F. di mani> di Cun/.io Pwcnr.xAi Concedesi: et il Proveditore del Monte li faccia rispondere de’frutti, con¬ io forme al solito. Curzio Picc." a 2 Die/ 0 1622. Lett. 1540. 4. portar welter — Frmck Ckktixi. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX. 102 21 — 22 DICEMBRE 1622. L1541-1642] 1541 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firtnaa. Milano, '21 dicembre 1621 Bibl. fiat, in Modena. Raccolta Campori. Autografi, l».* LXX, n.® 1. Autografa. Molto 111.™ ot Eco." 1 " Sig.™ Non minor forza m’è convenuto porre in mitigare il desiderio eh'harem di sa- pere por qualche sua lotterà il suo parere circa il mio trattato, dio speculatione per investigare come por tanto mio desiderio, da lei benissimo conosciuto, non me n*babbi in tanto tempo volauto favorire, e quale ne possi esser stato la cagione, non mi reputando dover ella così ritrovarsi occupata che almeno quattro righe non mi potesse scrivere. Puro ne sono stato resoluto dal P. Vicario nostro di Fio¬ renza, elio per ordine del P. D. Benedetto mi ha fatto sapere le sue grandissime occupationi, et dipoi elio mi deve scrivere al longo per le difficoltà che mi dice bavere circa quel trattato, oliò il scrivermi pocco sarebbe non scrivermi : del io clic, come conviene, sono restato sodisfatto, sperando che finalmente mi sii per favorirne, flora gli ho volsuto scrivere, sì per ricordarmeli servitore, come anco per augurarli felicissimo Natalo et il compimento de* suoi deaiderii. Se sapessi dove fosse il P. D. Benedetto, gli scriverei ; ma non lo sapendo, non lo faccio: prego però V. S. che, essendo in Fiorenza, lo vogli salutare in nome mio, dandoli il buon Natale. E con questo offerendomeli prontissimo a* suoi comandi, gli bascio lo mani. Di Mil.°, alli 21 lOmbre 1622. Di V. S. molto III. 1 * et Fcc. ma Ho non so che circa le spirali, demostrato di¬ versamente dal metodo d’Archimede, che con co¬ modità farò vedere a V. S. Devot." 0 Sei /* F. Bon.™ Cava 11 ieri Gesuato. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1542 . VIRGINIO CESARINI a FEDERICO CESI in Acquasanta. Roma, 22 dicembre 1622. Bibl. della R. Aocademia dei Lincei in Roma. Mss. u.® 12 (già cod. Boncompugni 580), c*r. 367.— Autografa. 111."* 0 et Eco." 10 Sig. r et P.rone Col. 108 Mando a V. Ecc.“, por il Sig. Angelo do Filiis, l’originalo medesimo del Saggiatore del Sig. Galileo, col ritener meco la copia piena d'errori. Et per questa cagiono prego ‘22 — 27 DICEMBRE 1022. 103 [1542-1543] V. E., elio notate c’havrù le cose elio gli pareranno lbr.se troppo pungenti, o altri parti¬ colari (li dottrina elio ella non approvasse, ad inviamelo qua subito, acciò possiamo furio stampare quanto prima, senza esser impediti da'Gesuiti, olio di giù 1' hanno penetrato. Mona/ (Manipoli od io habbiamo notato alcune coso, elio si accomoderanno o corregge¬ ranno, insieme con quanto V. Eco. accennerà, non essere ben latto; monti*'io, desidero¬ sissimo de’ suoi comandamenti, le fo riverenza. 10 Di Roma, li 22 di Xbro 1(>22. l)i V. Eco. Hum. mo e D. m0 Ser. Virg.'* Ces.' Linceo. 1543 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Acquasparta, 27 dicembre 1022. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, cur. 128. — Autografa. Molt’ Ill. ro et molto Ecc.*° Sig. r mio sempre Oss. mo Era gran tempo eli’ io stavo con il solito desiderio di sentir nuova di V. S., et insieme ch’uscisse (pianto prima fuori la sua risposta alla Libra: pensi bora quanto gusto ho sentito, mentre il Sig. r D. Virginio nostro m’ha inviato qui la sua gratissima, et insieme avisato che era compita l’opra; e tanto piil elio il S. r Angelo de Filiis nostro me l’ha poi portata, et adesso la vedo con mia gran¬ dissima consolatione. La trattengo, per haver questo gusto di vederla quanto prima, o non per altro, chò basta l’esser cosa di V. S. Subito letta, la riman¬ dai per l’istesso in mano del S. r Don Virginio, e sollecitai al possibile la stampa, io chò giudico la prestezza non solo opportuna, ma anco necessaria. Sig. r Galilei mio, io le son quel servitore di core di sempre, o di me non posso al presente darli altro nove se non che mi trovo in questa quieta mia solitu¬ dine e residenza, ma in mezzo a molestissimi travagli urbani domestici, che mi soprarrivano continuamente, et alle contemplationi e compositioni filosofiche, che dal’altra parto mi vanno ricreando e ristorando; di modo clic in un’inquietissima quiete e negotiosissimo otio me la passo in combattuto ritiramento. Duro però e guadagno al meglio che posso. La famiglia, Dio gratia, sta sana, et ho la S. ra Principessa mia gravida, e la prole sin bora è stata di quattro figliolo. Senta 10 buone nove di V. S., chò m’aggiugnerà non poco di ristoro. Li negotii aca- 20 demici ferveranno hormai molto più, premendo tutti i soggetti, e particolarmente 11 S. r D. Virginio. 104 27 dicembre 1622 — 7 GENNAIO 1623. 11543-1544] Non mi stenderò bora più in longo : di tutto core a V. S. bacio le mani, in¬ sieme col S. r Stelluti, che ò qui a tenermi compagnia, e le prego da N. S. Dio felicissime le Feste et il Capo d’anno con altri moltissimi appresso. D’Acq. u , li 27 Xbre 1622. Di V. S. molt’Ill.” e molto Ecc. l “ 11 S. r Conte Honofrio Castelli, che è qui meco, le bacia le mani. Aff. roo per ser.“ sempre Ked. co Cesi Line.® P. so 1544 *. GIOVANNI CI ARI POLI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 gennaio 1623. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. 1, T. Vili. oar. 173. — Autografa. Molto Ill. M et Ecc. m0 S. r mio Oss." 10 Dovevo molto prima rispondere alla cortese lettera di V. S. ; ma se le con¬ tinue occupationi mi tolgono a me stesso, non che a i padroni assenti, troverò bene scusa e perdono appresso la sua benignità. Farò il possibile che resti servito nel suo desiderio il S. r Giovanni Pellegrini, et ho speranza che mi possa riuscire : però di quanto occorre ne farò dar parte a lui proprio, senza continuamente tediar lei con simili materie. Per passare a cose più eminenti, mi rallegro delle nuovo et ammirande in-* venzioni circa il flusso e reflusso. Aspetto con ansietà di veder quel discorso perfettionato (l) . Quel primo sbozzo mi parve sempre un miracolo d’ingegno; bora io s’immagini V. S. quanta eccessiva consolatone sia per darmi quando li piacerà d’inviarmene il discorso finito? Non sarò sempre tanto occupato quanto sono stato da due mesi in qua, che veramente non ho potuto respirare con otio. Spero con la assidua diligenza haver digerito gran mole di negotii che mi doreranno per quest’ altro mese lasciare il campo un poco più libero. Appunto 1’ altro giorno mi lamentavo col S. r Ascanio Piccolomini di non haver ancora potuto rubar tanto tempo, che mi sia riuscito lo studiare quietamente la Sarseide ; e quanta im¬ mensa voglia io ne lmbbia, facilmente lo crederà chi vede che in materia di filo¬ sofia i discorsi del S. r Galileo mi hanno fatto perder totalmente 1’ appetito d’ ogni altra vivanda. 11 ' Cfr. Voi. V, pag. 877-396. **' Intontii il Hai/yiatoré: cfr. n.» 1636. 7 12 GENNAIO 1623. 105 [1544-15451 Intendo poi elio la sanità sua passa assai felicemente. Me ne congratulo seco, e no auguro a tutti i litterati acquisto di nuovi c pretiosi tesori, quali ogni giorno si scopriranno nella celeste miniera del suo soprhumano intelletto. A V. S. fo humilissima reverenza, e la prego a conservarmi P amor suo, perchè io me ne glorio singolarmente : e con questo le prego da Dio ogni più dosiderabil con- uolatione. Di Roma, il di 7 di Gemi. 0 1623. Di V.S. molto 111.™ et Ecc. n,a Dev.° Ser.™ S. 1 ' Galileo Galilei. Fir.° G. Ciampoli L.° 1545. VIRGINIO CESARINI a [GALILEO in Firenze]. Ito ma, 12 gennaio 1023. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. X, car. ISO-182. - Autografa. Molto 111.™ Sig. r P.ron mio Oss."'° Dopo l’accusare a V. S. la ricevutadella sua dottissima epistola in risposta al Sarsi, non gli ho più scritto circa esso componimento, benché in quella mia mi fussi obbligato ad avvisarle il mio sentimento, da lei chiestomi con molta istanza. Ciò ò avvenuto perchè io disegnavo di aspettare che 1’ opera fusse letta da tutti i Lincei che si trovano in Roma, ed anco dal S. r Principe Cesi, e che di commun consenso si fusse avvisato a V.'S. quel che si desiderava o moderato o mutato o taciuto in detta apologia; e però io havendone subito fatto fare alcune copie, la communicai al S. r Cav. re del Pozzo (t) ed anco al S. r Principe ; diedila anco a io leggere ad altri, ed io stesso con maggior diligenza la rilessi. Non ho però fin ora potuto cavare il parere de’ compagni : sento ben da tutti con vero eccesso di lodi celebrarla, ma niuno ardisce notarvi o nel costume o nelle scienze par¬ ticella alcuna. Spero però che ’l S. r Principe nostro sia in breve per mandarmi in iscritto alcuni piccioli avvertimenti da lui considerati, i quali io unirò con alcune minute circuspezzioni fatte da me e dal S. r Giovanni Ciampoli, et in¬ vierò poi a V. S. ad effetto d’essaminarle : e se pure le parranno frivole e leg¬ giere, ne scriverà, con quella libertà ed autorità che ella ha che n* acliettiamo ; se per lo contrario vi sarà in esse qualche avvertenza buona, la riconoscerà V. S. per effetto del commandamento fattoci, et ordinerà che nel libro s’ accetti o ri- 20 fiuti, come più le gusterà. Fatta questa ultima diligenza (eh’in breve le si in¬ ni Cfr. n.° 1536. sin. Cassiamo dal Pozzo. 14 106 12 GENNAIO 1623. 11545] vierà), io son risoluto, per non essere publico reo appresso la filosofia et col genere lmmano o colla posterità, di dare alle stampe questo ingegnosissimo trattato, pieno di si leggiadre speculazioni e non pii! udite; e poiché WS. rimette al no¬ stro arbitrio questa defcerminazzione, le dico clic sicuramente vogliamo publicar 1’ opera, e che vogliamo ciò fare in Roma, non ostante la potenza degli aver- sarii, contro quali ci armaremo dello scudo della verità, ed anco de’ favori de' pa¬ droni. Non vi ha dubbio eh’ avremo contradizzioni ; ma ho speranza sicura che lo supereremo. Di già la nuova di questa apologia è arrivata al Sarsi et al Collegio Romano, essendo stati avvisati da Padri di costi eh’ ella era venuta a Roma ; et oltre ciò no havendola io ad alcuni qui letta, hanno penetrato il tutto. Non però gl’ ò arri¬ vata alle mani, nò la vedranno se non impressa. Stanno essi sitibondi ed ansiosi, ed hanno anco ardito chiedermila ; ma t’ho io negata loro, perché con maggiore efficacia havrebbero impedita la publicazzione. Ha però questa differì (benché occulta finora) operato molto appresso a’mezzani letterati ed appresso alcuni detrattori della gloria di WS., che si credevano trionfare del suo silenzio; per¬ ché quelli legendola, o sentendo da me e d’ altri dir le raggioni di V. S., hanno conosciuto il vero, c questi sapendo ch’olla ha parlato, a’ avvedono che la loro vittoria era vana: ondo m’auguro che, imprimendosi, chiuderà affatto la bocca ad ogni sorte di persona, et forsi anco allo b tesso Sarsio. Oltre la puldicazione 40 ch’io farò della detta opera, penso di farla traddure in lingua latina da persona molto idonea, per participarla di là do’monti a quegli ingegni avidissimi della verità e della libertà filosofica, e presto coni incerò ad attenderci. È comparsa per queste librarie, stampata in Germania, una Apologia del Padre F. Tomasso Campanella sopra il moto della terra 10 , da lei in quei tempi proposto; e sebene detta scrittura ò fatta avanti il decreto della Congregazione dell Indice che sospese il Copernico [t \ tuttavia i superiori non hanno voluto che si venda e spacci puhlicarnente. Alcuni emoli si sono serviti di questa occasione per linovare contro di lei le calunnio un tempo fa rifiutate e debellate, ma non mancano protettori ed amici a difendere il nome e riputazione di WS. ; e P in- r»o nocenza do’suoi costumi, e l’obbedienza modestissime con che ella ha mostrato sempre di riverire il decreto della S. Congregazione, palesano al mondo quale sia la sua mente : perlochè non posso credere che non a’ labbia a superare d’ot¬ tenere licenza di stampare 1' epistola mandatami contro il Sarai ; ed io mi ci opererò tanto che lo farò riuscire, parendomi di molta riputazione di WS. elio qui sulla faccia della Chiesa, avanti gli occhi delle Congregazioni, .siu approvata F. Thomae Campakem.ar Calabri. Ordini» PiaedicatoruD), Apologia prò Oolilaro, Mathematica Fiorentino, ubi ditquiritvr utrum ratio philotophandi, ° et Oblig." 10 S." Virg. 0 Cesarino Linceo. 1546. GALILEO a [FEDERICO CESI in Acquasparta]. Firouze, 23 gennaio 1623. Bibl. della R. Accademia dei Linoni in Roma. Mss. n.° 12 (già cod. Boncompagni 580), car. 148.— Autografa. 111.™ et Ecc. m0 Sig. re e Pad. ne Col." 10 Lo stato ancipite di V. E. variamente muove me ancora, afflig¬ gendomi bora con le sue perturbazioni et hora consolandomi con la sua filosòfica tranquillità, sicuro clic questa P aiuti ancora a scorrer le suo tempeste più placidamente. Io scrivo allungo all’ Ill. mo S. D. Vir¬ ginio. e Pistessa sua lettera credo verrà anco a V. E. in compagnia di questa; e mi piglio questa libertà di trattar negozii comuni co- U> Ufr. il.» 1543. Cfr. ii.» 1514, Un. 9-10. 108 23 — 26 GENNAIO 1023. (1546-1547] illunemente, senza offesa della filosofia. Saluto iiffettuosiBuimamente il S. Stolluti: al S. C. Honofrio' 1 mi ricordo 1' ìhLbhho antico e devo¬ tissimo servitore; o non sono 15 giorni che rilessi una sua scrittura io sopra la caduta delle Marmore i) , la quale, se piacesse a Dio, vorrei pure una volta vedere. Et a V. E. huinilmente bacio la vesto, e gli auguro da Dio un figlio maschio o quanto bene ella desidera. Di Fir. 2 *, li 23 di Gemi. 0 1622 Di V. S. 111.®» et Ecc. mA l)ev. mn et Obblig.“° Ser.** Galileo (ialilei Li. 0 1547**. VIRGINIO CESA RI NI a [FEDERICO CE8I in AcquuparUl. Roma, 38 gennaio 1638. Blbl. della R. Aooademia del Lincei in Roma. W* * n.» 13 (ri* e 1. Boncoaparot &80), car. 869 Autografa. Ill. m0 et Ecc.“° Sig. r Fratello e P.ron Col.'** Questa sora il S. r Augelot 4 ' m’ha portato il libro do! 8/Galilei; non ba però bevuto tempo di espormi l’annotazioni fatte da V. E., nè anco i negoxu ch’olla gli commise a bocca. Ha promesso tornare domani; et io Io starò attendendo con molto desiderio. Mandai la lettera di V. E. al S. r Gallileo, et io le scrissi a lutilo. Il S/ Giuseppe Neri la grande istanza d bavero la detta opera, e credo sarebbe l*en fatto di' egli In vedeste avanti lo stamparla. Se V. E. volesse mandarlo la copia eh* ella ha fatto trarne costi, mi sarrebbedi molto gusto: egli si trattiene in Camerino col 8/ Card. 14 Gherardi' 1 . lungo tanto vicino ad Acquasparla, che per huomo fidato ella glielo potrebbe inviare. Avvisimi quel eh è per fare intorno a ciò, che quando V. E. non se ne volesse por questo breve tempo 10 privare, finalmente lo manderei da Roma, sobene con qualche incomodo, dovendo anco leggerlo il S. r Cav. del Pozzo (S) e ’l S. r Gio. Fabri : tutta via sou pronto ad obedire i co¬ mandamenti e cenni di V. E_ •‘i Conto Ottonilo Castxm.i; cfr. n « 1548. *** manoscritta nella Biblioteca Barborinlana in Roma, Cod. XI,Vili, 145. car. 1-13. Cfr. Serie duodecima di Scampoli Galileiani, raccolti da Anto¬ nio Favaro (negli A«» e Memorie della li. Accade, mia di sciente, Intere td arti in Padova. Nuova Serio, Voi. XIII, pag. 17-2*2). Padova, tipografia Dio. Ball. Bandi, 1897. 1,1 DI stile fiorentino. ,M Akorui dr Fimi*. Cmarr Ohrrardi. •" Cfr. n.» lòto, liu. 9. [1548-1550] 3 — 25 FEBBRAIO 1623. 109 1548 . VIRGINIO CESARINl n GALILEO [in Firenze]. Roma, 8 febbraio 1623. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 175. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. S. r mio P.rone Oss. mo Il Padre Mostro Domenicano 10 , persona di non ordinario sapere, come credo che V. S. havrà udito, è stato revisore dol suo Saggiatore (,) . Brama conoscere di presenza e trattar con lei, nell’occasione che gli si presenta adesso di passar per costà. Io, che desidero di servir lui e porger modo a V. S. di prender gusto per mezo di questo buon soggetto, benché la sua virtù lo renda da sé medesima raccomandato a tutti, nondimeno la prego a sentirlo benignamente,* come mio amico et come meritevole d’esser conosciuto da lei. Ne resterò obligatissimo alla sua cortesia, mentre per line le bacio con ogni alletto le mani. Di Roma, li 3 di Febb. 0 1623. Di V. S. molto 111.'' Aff." 10 et Oblig. mo Ser. rfl S. r Galileo. Virginio Cesarino. 1549 **. FEDERICO CESI ad [ANGELO DE FILIIS in Roma]. Acquaspartu, 7 febbraio 1623. Arch. dell'Ospizio di 8. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanili Kabor. Filza 123, car. 222. — Autografa. ....Quando aBBftggmra ciascuno il Saggiatore, e quando i saggi n’ bareranno quel tanto aspettato e desiato saggio ? .... 1550 *. VIRGINIO CESARINl a GALILEO [in Firenze]. Roma, 25 febbraio 1623. Bibl. Naz. Fir. Mbk. Gal., P. I, T. Vili, c. 177. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. Sig. r mio P.rone Gas."' 0 È sì grande la fama del valore di V. S., che tira persone da paesi lontanis¬ simi ad ammirarla e riverirla. Il Sig. r Maurizio Pretniz, nobile Polacco e persona Oi Niccolò Riccardi. Hi Cfr. Voi. VI, j>ag. 200. 110 25 FEBBRAIO - 3 MARZO 1623 . [ 1550 - 1661 ] eruditissima, brama di vedere, di parlare, di conoscere V. S., sperimelo (nè s’in¬ ganna), dopo liavcr girata gran parto doirAffrica e tutu l’Kuropa, di non haver poi veduto il maggior miracolo di lei. I/o raccomando a V. S., corno degno del suo favore, cho stimcrassi maggiore se col suo inezo potrà vedere lo co • più notabili di cotesta città; ed io imparticolare ne resterò oldigatindino all'infinita cortesia di lei, alla quale, desiderosissimo de'suoi comandamenti, bacio twr fine lo mani. Di Roma, li 25 di Febb.® 1623. io Di V. S. molto 111. AfT."’* Ser.'* di core S. r Galileo. Virg.® t'eaarino. 1551 " GIOVANNI FA BEH a [GALILEO in F.r*n/<*1 Roma, S marzo 1<3& Bibl. Naz. Flr. Mss. Uni., P. VI. T. X. c»r. 183. Aat-grafn, Molflll.” Sig. r mio et Padron Oss. mo Il presente gentilliuomo Sig. r Maurizio Pretniz, figlio del Secretano del Ser. mo Ito di Polonia, merita per le sue rare virtù, non da me solo, che sono uno de i minimi servidori di V. S., ma dal S. r Don Virginio no*tro, a cui A grand’amico, et por le suo rarissime qualità, essero raccomandato a WS.; quale, per la fama di V. S. che in ogni parte del mondo risuona, desidera vederla et farle riverenza, at¬ teso che questo Signore ha visto tutta quasi P Europa et bona parto delPAsia. Dico poi a V. S. clic il suo bellissimo et dottissimo libro, visto da ine tutto, sta a termine tale che fra 8 giorni si metterà mano alla stampa, lo vi ho voluto met¬ tere, con bona gratia di V. S., una mia Elegia , che ha in mano il S. r Don Yir- io ginio, in lode del telescopio di A . S. Spero che questo libro devo faro passare Phumore a molti che erano stati persuasi che non si potesse rispondere. riabbiamo qui con noi et in casa mia un Tedesco, niathematico non mediocre chiamato Gasparo Keuflero, Copcrniceo, ammiratore grande del valore di WS., setolare d Adriano Romano l * ) , che fu anche mio maestro in Herbipoli, et amico del gran Keplero et Pitisco'W 6 molto essatto nel calcolo astronomico et ;.s R ai buon algebrista. Et per fine a V. S. affettuosamente bacio le mani, augurandolo sanità et compita felicità. Di Roma, alti 3 di Marzo, a.® 1623. Di V. S. molto 111.™ DìtoIìm. Se.* so __ Gio. Fabro Lynceo. "> Cfr. Voi. VI. pag. ì!05-206. ÀDKUNO VAlS KOUJIKN. lS ' UauTOLuHKO I'ituco. [ 1552 ] 20 marzo 1623. Ili 1552. VIRGINIO CESARINl a GALILEO [in Firenze]. Roma, 20 marzo 1688. BILI. Na*. Fir. M«*. Gal., P. VI, T. X, car. 1:15. — Àutourulì il poscritto o la sottoscriiiouo. Molto 111.® S. r mio P.rone Os8. mo Il Sig. r Benedetto Hertz, Alemanno, fu da me una sol volta, e d’allora in qua non l’ho potuto più rivedere, tutto elio gli faccesso istanza che tornasse. Può ben essere che la mutazione dell’abitazione, con l’occasione della carica conferitami da Nostro Signore di suo Cameriere secreto, sia stata la caggione di ciò. Fo tuttavia far diligenza di ritrovarlo, per poter, in aiutandolo in tutto quello elio per me sarò, possibile, mostrare a V. S. la stima grande che debita¬ mente fo io delle sue raccomandazioni e farò sempre d’ogni minimo cenno elio mi si porga da lei; la quale pregando a favorirmi de’ suoi tanto desiderati co¬ lf mandamenti, le bacio per fino le mani. Di Roma, li 20 di Marzo 1623. Di V. S. molto 111.® Dopo l’havere liavuta la censura (benché bre¬ vissima) dal S. r Principe Cesis intorno al Saggiatore, ed anco i pareri d’alcuni Accademici Lincei, era io restato d’appuntamento col S. r Filippo Magalotti, molto partitile amico di V. S., d’essere insieme a dare una trascorsa all’opera e cambiare et emmen- dare quelle poche parole, elio àn consigliato i detti 20 clic si mutino. Ciò non s’è potuto faro per l’impe¬ dimento che detto gentilhuomo ha avuto dell’essame pel vescovado ottenuto; ma per non tardar più, da me col S. r Ciani poli habbiamo fatto il tutto. La mu¬ tazione non è di cosa sustanziale, e solo P accomo¬ damento d’alcuni vocaboli. Giovedì si porrà l’opera sotto il torchio, et con velocità si tirerà avanti. Aff. ra0 Se. r ° di core Virg.° Cesarino. S. r Galileo Galilei. 112 1* APRILE 1623. [ 1563 ) 1553 *. GIOVANNI OIAMPOLI a GALILEO in Eirrnse Roma, 1“ aprilo 1623. albi. Naz. Flr. M*« Gai.. P. I, T. Vili, «ar. 179. - AotofraA II prefitto • U toUoMrisJoa* Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss.* 00 Quanto potrò, in ogni occorrenza tutto impiegherò in «ervitio delti v ig. rl Lo¬ dovico Landucci e Benedetto Hertz Alemanno, comparai qui con le gratissime di V. S. Come prontissimamento ho detto a loro medi timi, vorrei che mi si por¬ gesse occasione di poter dimostrare la gran premura che ho di »odi*fare ad ogni desiderio di V. S. e di ogn’altro che dependa da lei, valendo appresso di me assaissimo la sua intercessione, oltre alla sicurezza clic ho che da l»i non mi si possono presentare se non suggetti meritevoli et occasioni ila Ignorarmi maggior¬ mente tutta via. Piaccia a lei di comandarmi liberamente ove mi conoscerà buono per l’avvenire, mentre sto preparato per servirla in questo ad ogni cenno che in me ne sarà dato, baciandole fra tanto le mani, e pregandole da Dio compita felicità. Di Roma, il p.° Aprile 1623. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.®* Vorrei scriverle a lungo in materia delli avvisi, dati al S. r D. Virginio et a me, delle nuove et am¬ mirabili sue contemplationi. Mi riserbo a farlo con più opportunità, poi che per bora la mole delli ne- gotii non mi permette se non il salutarla ntì'et- tuosissimamente e ricordarle la mia devotissima ao servitù. 115541 8 APK1LK 1623. 113 1554 *. FRANCESCO STELLUTl a (GALILEO in Firenze]. Acquusparta, 8 aprile 1(523. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, U.» XC, n.« 145. — Autografa. Molto 111.™ et molto Kcc. 1 " Sig. p P.ron mio Oss. mo Viene costì il Sig. r Bernardino Lucani, ministro del Sig. r Principe nostro, da S. IO. mandatovi per alcuni negozii ; et con questa occasione vengo io a baciar le mani a V. S., et a ricordarmeli servitore devotissimo e desiderosissimo d’in¬ tender buono nuove della salute sua. Appresso le dirò, come con grandissimo mio gusto e utile lessi il Saggiatore di V. S., che mandò qua il Sig. r D. Virginio Cesarini; et la seguente settimana si dovea cominciare a stampare, se però non ritarda la stampa l’essere in questi giorni santi: ma subito dopo le feste della Pasqua, quali l’auguro felicissime a V. S. e colmo d’ogni desiderato bene e con¬ io tento, si farà senz’altra tardanza. Io ne scrissi già a mio fratello 05 , quale lo sta aspettando con desiderio grandissimo: e con questa le mando due carte di altri errori di considerazione, trovali nel suo libro dello Scandaglio 05 , liavendogli fatti ristampare dopo, che una ne potrà dare al Sig. r Guiducci, baciandole le mani a mio nome. Del resto non mi occorre altro dirle, se non che il Sig. r Principe non resta, ancorché travagliato più che la sua parte 135 , di attendere alli suoi studii tutte quel- l’horo che può robbare; et vuol finire una fatiga utilissima et bellissima, che va aggiunta al libro Messicano 05 elio si stampa bora, e sarà materia che farà un terzo di detto libro, volendo che per l’anno santo sia finito di stampare. Che è 20 quanto per bora m’occorre dirle. Con che per fine di nuovo le bacio le mani af¬ fettuosamente, e le prego dal Cielo ogni contento. Di Acquasparta, li 8 di Aprile 1623. Di V. S. molto Ill. re et molto Ecc. ttì Ser. Ttì Aff. rao et Vero Frane. 0 Steliuti. "i (ito. Battista Stklmtti. '*> Cfr. n.° 1581. Cfr. n.» 1518. <*> Cfr. n.« 584. XTIL 15 114 9 Al* Rii.K 1638. 11555] 1555 *. BONAVENTURA CAVALIERI » GALILEO in Firomo Milano, 9 aprilo 10» Bibl. Na>. nr, Mas. Gal.. P. VI, T. X. far. 137. - Aotofrafa- Molto 111." et Kcc. ,no Sig." Mando a V. S. alcune puocho cose delle spirali ', quali prima non ho man¬ dato l,) per non liaver liavuto commodità, acciò che redi se patiscono alcuna diffi¬ coltà. In questo trattatello pure séguito lo stile dell’altro, come meglio, ledendolo, intenderà; però potrebbe forsi patire ristesse difficoltà ch’ella ritrova nell'altro ch’io li mandai molto tempo fa, quali s’io ha vessi saputo, Laverei cercato di scioglierle, Riavessero patito solutione, o ch’havrei tralasciato la fatica fatta in questo. Spero dunque dalla benignità sua che del tempo, che li togliono i huoì alti pensieri ed altre sue più necessarie occupatomi, scioglierà alcuna parte per «lare un’occhiata a questo mio trattatello, il quale suppone la cognitione in parte del- io l’altro sudetto, massime supponendo io in questo di servirmi dell'intrisi nomi dirtiniti in quello, e dipoi che l’haverà visto, farne anco parte al molto K. P. I). Be¬ nedetto: che poi, ritornando da Roma per Milano un Padre mio amicissimo (che si chiama P. Angiol Maria ('alvi Gesuato), verrà in nome mio a far riverenza a V. S., quale prego con tale occasiono mi vogli favorire di dirmi il suo parere dell’uno e l’altro, mandandomi il primo, per non haverne io copia se non confusa, e ritenendo questo, se cosi li pare. Il sudetto Padre credo che passerà per Fio¬ renza circa il mezo del mese di Maggio; il clic gli dico, acciò che, dovendomi scriver al longo, prendi il commodo di farlo. Starò dunque attendendo sua ri¬ sposta; e per line la prego saluti in nome mio il molto 11. P. I). Benedetto, facendo io insieme a V. S. riverenza e desiderandoli il colmo d'ogni bene. Di Mil.°, alli 9 Aprile 10*23. Di V. S. molto 111." et Kcc. B » I)ev. ,no Ser." F. Bonav." Cavallieri Gesuato. Fuori: Al molto 111." et Ecc.“° Sig. r e P.ron L , ol."* u Il Sig. r Galileo Gal. dl Fiorenza. 1,1 Cfr. Msa. Galileiani, Discepoli, Voi. il, car. «*• tir. u.» 1621. 14-26. [ 1556 - 1567 ] APRILE — 6 MAGGIO 1623. 115 155G. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Acquattarla, [avanti la Pasqua, 16 aprile, del 1623], Bibl. Naz. Fir. Mas. (Sai., P. I, T. XV, car. 14. — Autografa. Molt’IU.” o molto Ecc.*® Sig. r mio sempre Oss. rao Poi elio raro per lotterò, o mai da tanto tempo in qua m*è stato concesso con la voco propria, haveremo almeno adesso occasione d’intender nuove ambidoi l’uno dol’altro pienamente con la voco viva del lator della presento, mio confi¬ dentissimo ministro, che è il Lucani (,) . V. S. sentirà i miei travagli, elio m’in¬ torbidano i studii, quali continuo al meglio che posso, e le noio che, senza al¬ cuna mia colpa, mi rompono ogni quieto (,) . Vorrei sentir io di V. S. nuove di felice stato, sanità, o sempre novi parti a benefitio publico. Sollecito al possibile clic esca l’opra; o m’avisano li Sig. ri compagni che già io cominciarà la stampa, essendo spedito il resto: dico del saggio c dottissimo Sag¬ giatore. Non posso stendermi più a longo: mi rimetto al latore. V. S. mi favorisca della sua gratia al solito, et anco in quello che le parerà opportuno, secondo dal hiioro sarà informata. E mi commandi, che lo son quel obbligatissimo servitore di coro di compre. E con questo a V. S. bacio per m[...]o volte le mani, e le prego da N. S. Dio felicissima la Santa Pasqua, con altre moltissime appresso, piene d’ogni contento. Di V. S. raolt’Ill.™ e molto Eco. 1 ® Aff. mo per sor. 1 * sempre Fed. co Cesi Line . 0 P. 1557 *. GIOVANNI CI AM POLI a GALILEO in Firenzo Roma, 6 maggio 1623. Bibl. Naz. Fir. Ms«. Gal., P. I, T. Vili, car. 181. — Autografa. Molto Ill. rn et Ecc. ,no S. r ® c P.ron mio Col . 0 Ho voluto più volte scrivere a V. S., ùia io sono tanto poco padrone del tempo, che, centra mia voglia, sono stato costretto ad astenermene, llora posso darle av- (') Cfr. n.° 1551. I») Cfr. IMI.' 1548, 1554. Ufi 6 — 10 MAGGIO lfi'i.i. [1557-1568] viso come il suo Saggiatore è cominciato a stamparsi; nè si maravigli di questa tardanza, perchè le occupationi atrasordinarie sopravvenute al S/ l>. Virginio, e le ordinarie mie, la rendono degna di scusa. Molti amici, che hanno visto questa compositionc nello camere private, Phanno ammirata, e credono certamente ch’ella sia per trionfare nell’applauso publico. Io per me ero certo molto tempo prima, che quanti parti si producevano dal suo ingegno, tante maraviglie si accrescevano all’Italia, e tante corone si ponevano io sopra la sua fronte. Fra quelli che con devoto affetto le reveriacono, io pretendo iuridicamente uno de i primi luoghi, sì per esser hora mai nel numero do i ser¬ vitori suoi più antiani, come anco per liaver io fino in quoi tempi del G. Duca Ferdinando primo, nella Villa d’Artemino“\ nel primo sapore che sentii dalli suoi discorsi ammirandi, gustatone la soavità e la sostanza, e conosciuto la diffe¬ renza che è tra l’ambrosia de gli Dei o le minestre del vulgo. Sto per tanto aspettando con infinita ansietà il nuovo Discorso sopra il flusso e retili so del mare ( * , , perchè m’assicuro d’bavere a trovarvi scoperti gran segreti di natura, pio¬ tino a qui sono stati occultati a tutte le natioru et a tutti i secoli; però quando olla haverà in essere l’opera in maniera clic da me si possa intenderò, In sup- plico a farmene parte quanto prima. Io prego Dio con tutto l’affetto che conceda molti anni di sanità a V. S , per gloria de gl’ingegni italiani o per Ringoiar felicità de’ nostri tempi. Equi facen¬ dole reverenza, la supplico a continuarmi l’amor suo, stimato da me per Ringoiar titolo di gloria. Il S. r I). Virginio le si ricorda alfettuo.su servitore. Di Roma, il dì fi di Maggio 1B23. Di V. S. molto II." et Ec.™* Dev.'" 1 ' et Obblig. Se. r# S. r Galileo Galilei. Fir. G. Ciani poli. 1558. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO iu Firenze. Arcflfri, 10 maggio 162 . 1 , Bibl. Naz. Fir. Mss. (tal., I, T. XIII, oar. 24. — Autografa. Molto 111."’ Sig. r Padre, Sentiamo grandissimo disgusto per la morte della sua amatissima sorella e nostra cara zia 1 ; ne habbiamo, dico, grave dolore per la perdita di lei et an- L.ett. 1557. 16. Prima aveva scritto d* i fmii, poi cancello, « corre»*» tiri ru • ' Cfr. n.° 197. «< Viaoi*u Oalilu ne'Lavaceci: cfr. Voi.XIX, (’> Cfr. .... IÒ64. Doc. XXJa 10 — 27 MAGGIO 1623. 117 [1568-15591 coni sapendo quanto travaglio ne havrà havuto V. S., non havendo lei, si può dir, altri in questo mondo, nè potendo quasi perder cosa più cara, si che possiamo pensare quanto gli sia stata grave questa percossa tanto inaspettata: e, corno gli dico, partecipiamo ancor noi buona parte del suo dolore, se bene doverebbo esser bastato a farci pigliar conforto la consideratione della miseria humana et che tutti siamo qua come forestieri e viandanti, che presto siamo per andar alla io nostra vera patria nel Cielo, dove è perfetta felicità e dove sperar dovi[a]mo che sia andata quell’anima benedetta. Sì che, per l’amor di Dio, preghiamo V. S. a consolarsi e rimettersi nella volontà del Signore, al quale sa benissimo che di¬ spiacerebbe facendo altrimenti, et anco farebbe danno a sè et a noi, perchè non possiamo non dolerci infinitamente quando sentiamo che ò travagliata o indi¬ sposta, non havendo noi altro bene in questo mondo che le[i]. Non gli dirò altro, se non che di tutto cuore preghiamo il Signore che la consoli e sia sempre seco. E con vivo afTet[to] la salutiamo. Di S. M.°, li IO di Mag.° 1623. Di V. S. molto 111.™ Fig> 20 Suor M. a Celeste. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1559 . GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 27 maggio 1623. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili. car. 183. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss.° Mando a V. S. i due primi fogli del Saggiatore, acciò ella possa chiarir quelli che. per ostinatione di malignità o por timor di gelosia, non voglion credere che se ne impetri la licentia. Altra volta risponderò a gl’altri particolari della sua lettera. Questa sora, in una lunghissima udienza di N. S.™, ho speso forse più di mez¬ z’bora in rappresentare a S. B. n,J le eminenti qualità di V. S. Il tutto è stato sentito volontierissimo. Se in quei tempi ella havesse hauto qua gli amici che ci sono adesso, non occorrerebbe forse di cercar l’inventioni per campare dall’ob- 10 blivione, almeno come filosofiche poesie, quelli ammirandi pensieri con i quali ella porgeva tanti lumi a questa età. 118 27 MAGGIO - 24 GIUGNO 1023. 11559 - 1561 ] V. S. ai ricordi di non haver servitore più partiate ili me e elio più repe¬ risca lo maraviglie del suo ingegno. Prego Dio che la prosperi con ogni più de¬ sidorata consolatione. Di Roma, il dì 27 di Maggio 1623. Di V. S. molto IH." Dev « et Ubi. Se." S. r Galileo Galilei. Fir. Ciani poli. 1560 *. FEDERICO CESI a GALILEO fin Firenze 1. Acquasparta, 29 maggio 1023. Bibl. Nnz Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vili, cnr. 185. — Autografa la sottoucriilone. Molt’Ill.™ et molto Kcc.*’ S. r mio Oss.° Sicome io mi rallegro o mi rallegrarò sempre d'agni felicità di V. S., così son corto che ella farà all'avviso di questa, per la nova elio gli significa della gratin che ho ricevuta da Dio d’un figlio maschio. M’ù parso darlino parte per corrispondere alPohligo elio te devo, al quale cercarò anco sodisfare con li ef¬ fetti nel servirla, se me no darà l’opportunità, come no la prego: o per fine di tutto core le bacio te mani. D’Acq. ta , li 29 Mag.° 1623. Di V. S. molto III." e molto Ecc. u Aff. roo por ser. u sempre S. r Galileo. • Fed.°° Cesi Lin.° P. io 1561 . MAFFEO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 giugno 1823. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. I. T. XIV, cnr. 195.— Autografi il poscritto « la «ottoicrmon*. Molto 111. S. r La testimonianza che V. S. mi fa della riuscita di mio nipote ir nel dotto¬ rarsi, è tanto più meco acredi tata, quanto che proviene dalla stima del valor di lei; alla quale rendendo particolari gratie dell’affetto che conosco continua verso di me et la mia Casa, P assicuro di non ussero per tralasciar veruna occasione di corrisponderle, come ancora faranno mio fratello et i miei nipoti, con servirla sempre. Lo scuse poi elio V. S. s’ò compiaciuta di aggiungere a gli altri effetti '*> Francesco di Carlo Barberini, 24 GIUGNO — 22 LUGLIO 1623. [1561-1562] M9 della cortesia sua, non erano meco necessarie ; ma mi dispiace bene della neces¬ sità del suo ritiramento in villa per ricuperare la sanità, che le desidero piena- io mente, acciò olla possa giovare al publico et alla sua gloria in lungo corso d’anni. Et la saluto cordialmente. Di Roma, li 24 di Giugno 1G23. Di V. S. Io resto tenuto molto a V. S. della sua conti¬ nuata affetione verso di me et li miei, et desidero occasione di corrisponderle, assicurandola che tro- verrà in ine prontissima disposinone d’animo in servirla, rispetto al suo molto inerito et alla gra¬ titudine che le devo. 20 Come fratello Aff. mo S. r Galileo Galilei. M. Card. 1 Barberino. Fuori: Al molto 111. S. r ® Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1562 *. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze, ltoma, 22 luglio 1623. Bibl. Naz. Fir. Mss. Uni., P. I, T. Vili, cnr. 187. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione. Molto 111.™ et Ecc." 10 Sig. r e P.ron mio Col. 1 " 0 Non ho altro con che meglio io possa ricordar di presente a V. S. la mia de- votione, che l’inclusa copia dell’Oratione recitata da me alli giorni passati alli Sig. ri Cardinali avanti il loro ingresso nel conclave (,) . Gradisca in essa il vero af¬ fetto con il quale la riverisco tutta via, e si degni tener viva memoria di me, come fo io di lei, alla quale di vivo cuore bacio le mani e prego da Dio ogni contento. Roma, 22 Luglio 1C23. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Ben che ci troviamo involti nello massime oc- io cupationi, non perciò si tralascia la stampa del suo libro, del quale presto si manderà copia finita. Dev. mo et Obblig. Se. r S. r Galileo Galilei. Fir.® G. Ciani poli. C* Orario de Pontifici maximo eligendo. Ad li- annota Principia Apostolorum llnsilica, a Ioaxjje lustrissimo» et Reverendissimo» S.R. E. Cardinale», Ciappolo, Socretnrio Apostolico domestico et eiusdem post obi tu in (Iregorii XV Vaticnnum Conclave in- Hasilicae Canonico. Anno 1623. Kouiue, ex typogra- gresBuros. Habita Roinae, die XIX tulli, in Sacro- phia lacobi Mascardi. 120 lo AGOSTO 1623. [1563] 1563. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo lAreetri], 10 «guato 11038). Bibl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 20. — Autografa. Molt’ Ill.‘« Sig\ r Padre, Il contento clic m’apportato il regalo delle lettere che mi ha mandate V. S., scrittegli da quell’111.™ 0 Cardinale, hoggi Sommo Pontefice k ", è stato inesplica¬ bile, conoscendo benissimo in quelle qual sia P allettane che le porta c quanta stima faccia delle sue virtù. Le ho lette e rilette con gusti» particolare, et gliene rimando come m’impone, non rilavando mostrate ad altri che a Suor Archan- gela {,) , la quale insieme meco ha sentito estrema allegrezza, per vedere quanto lei sia favorita da persona tale. Piaccia pure al Signore di concedergli tanta sa¬ nità quanta gl’è di bisogno per adempire il suo desiderio di visitar S. S. u , acciò che maggiormente possa V. S. esser favorita da quella; et anco vedendo nelle io sue lettere quante promesse gli faccia, possiamo sperare che facilmente Imvrebbe qualche aiuto per nostro fratello. In tanto noi non mancheremo di pregar l’isteaso Signore, dal quale ogni gratia deriva, che gli dia gratia d’ottener quanto desi¬ dera, pur che sia per il meglio. Mi vo inmaginando che V. S. in questa occasione havrà scritto a S. S. u una bellissima lettera per rallegrarsi con lei della degniti! ottenuta, et perchè sono un poco curiosa, havrei caro, se gli piacessi, di vederne la copia; et la ringratio infinitamente di queste che ci i\ mandate, et ancora dei poponi, a noi gratis¬ simi. Le ho scritto con molta fretta, imperò la prego a scusarmi se ho scritto così male. La saluto di cuore, insieme con 1* altre solite. 20 Li 10 d’Agos.® Di V. S. Fuori: Al molt 1 IH.™ Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. In villa. Barberini clie, eletto Papa, prese il nome di Urbano Vili, Atf. ,n ‘ Fig> Suor M." C. [1564 J 12 AGOSTO 1623. 121 1564. FRANCESCO STELLUTI a GALILEO in Firenze. Kouia, 12 agosto 1623. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. X, car. 139. — Autografa. Molto 111. 16 et Ecc. mo Sig. p P.ron mio Oss. n, ° La novità della sede vacante ha tratto anco il Sig. p Principe nostro e me qui in Roma per venire a vederla, dove per gratia del Signore, fin bora siamo sani, essendo venuti in vero in pessima stagione et affannosissima per il gran caldo, che qui particolarmente si fa sentire: il che è stato principal cagione che il Conclave sia stato men lungo di quello si credeva, poiché ogni giorno n’uscivano e Cardinali e Conclavisti ammalati, de’quali molti ne son morti; e noi ci Imb¬ uiamo perso un compagno, che <> il S. r Giuseppe Neri, quale entrò in Conclave con il S. r Card. 1 Gherardo (,) , e n’uscirono ambedue ammalati: il S. r Cardinale io ancora se no sta con febre, ma il Neri passò a miglior vita, con nostro comun dispiacere, essendo bollissimo giovane e di molte lettere: Nostro Signore l’habbia in gloria. La creatione poi del nuovo Pontefice ci ha tutti rallegrati, essendo di quel valore e bontà che V. S. sa benissimo, et fautore particolare de’ letterati, onde siamo per bavere un mecenate supremo. Ama assai il nostro Sig. r Principe, e, come V. S. haverà inteso, ha subbito dichiarato suo Mastro di Camera il no¬ stro Sig. r L>. Virginio Cesarmi; e Mons. r Cianipoli non solo resta nel suo luogo di Secretano de’ brevi do’ Principi, ma è fatto anco Camcriero secreto ; et il Sig. r Cavalier del Pozzo, pur nostro Linceo, servirà il nepote m del Papa, quello che sarà Cardinale : di modo che habbiamo tre Accademici palatini, oltre molti 20 altri amici. Preghiamo intanto il Signor Dio che conservi lungo tempo questo Pontefice, perché se ne spera un ottimo governo. Lo Scandaglio (,,) di V. S. fra otto giorni sarà finito di stampare; ci restarà a stamparvi i rami; che se le ligure si facevano in legno, si faceva in una sol volta la stampa. Habbiamo pensato di farvi una figura nel frontespicio del libro, dico nella prima carta, che habbia conformità con quel titolo di Saggiatore; però V. S. vi pensi un poco che cosa estima più a proposito e me l’avvisi subbito, che si farà intagliare, essondo gl’altri rami la maggior parte intagliati. Intanto annunzio a V. S. felicissimo il presente nostro anniversario, con la pieneza d’ogni Lott. 1564. 10-11. con noatro coiion diifiiucerc — <0 Cesare Giierardi. <3 ’ IntenUc, il Saggiatore. <*> Francesco Barberini. 13 XIII. 12 - 18 AGOSTO 1628. 122 [ 18 ( 14-15651 contento; o per fine, ricordandomele servitore, le bacio le mani a nome del S. r Principe, et io fo ristesso con ogni maggior affetto. Di Roma, li 12 di Agosto 1623. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.™ Ser. r Afi>° Frane." Stelluti L.° Fuori: Al molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r P.ron mio Osa." 10 Il Sig. r Galileo Galilei Din. 0 Fiorenza. 1565. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo (Areetri], IH agosto 1623. Bibl. Naz. Flr. Mas. Uni., P. I, T. XIII, car. 28. — Autografa. Molto 111™ Sig. r Padre, La sua amorevolissima lettera è stata cagione che io a pieno ho conosciuto la mia poca accortezza, stimando io che così subito dovessi V. 8. scrivere a una tal persona, o per dir meglio al più sublime Signore di tutto il mondo, Ringra- tiola adunque dell’avvertimento, et mi rendo certa che (mediante Paffetione che mi porta) compatisca alla mia grandissima ignoranza et a tanti altri difetti che in me si ritrovano. Cosi mi foss’egli concesso il poter di tutti esser da lei ripresa et avvertita, come io lo desidero et ini sarebbe grato, sapendo che huvrei qual¬ che poco di sapere e qualche virtù che non ho. Ma poi che, mediante la sua continua indispositione, ci è vietato infìno il poterla qualche volta rivedere, ò io necessario che patientemente ci rimettiamo nella volontà di Dio, il quale permette ogni cosa per nostro bene. Io metto da parte e serbo tutte le lettere che giornalmente mi scrive V. S., e quando non mi ritrovo occupata, con mio grandissimo gusto lo rileggo più volte; si che lascio pensare a lei se anco volentieri leggerò quelle che gli sono scritte da persone tanto virtuose et a lei affetionate. Per non la infastidir troppo, farò fine, salutandola affettuosamente insieme con Suor Archaugela o l’altre di camera, e Suor Diamante ancora. Li 13 d’Agosto 1623. Di V. S. Fuori: Al molt’lU™ et Amai*» 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. Aff. ra * Fig. u so Suor M.» Celeste. In villa. [1566-1567] 16 - 17 AGOSTO 1623. 123 1566*. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Lodi, Hi agosto 16*23. Bibl. Nuz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili. oar. 189. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo Sip;. ro Scrissi già un pozzo fa a V. S. in risposta eli quello che ai fondamenti di quel mio trattato opponea, ch’io li mandai intorno le misure dei solidi; ma per non esser sicuro della ricevuta, o per sapere ciò che li parca di quelle risposte, gli scrivo bora, salutandola con ogni affetto di cuore, et insieme rallegrandomi olio la patria sua babbi ricevuto, per speciale gratin d* Iddio, in un sogetto di meriti eminente, come qui vien predicato, la dignità suprema del pontificato: c più oltre mi rallegro, perchè reputo che V. S. vi babbi qualche particulare cogni- tione, come sapendolo più sicuro da V.S., ne sentirò gusto grandissimo. La prego io dunque favorirmi di qualche sua lettera, ot anco di salutare il molto R. P. D. Be¬ nedetto, avisandomi s’cgli è in Fiorenza, e mantenermi nella sua memoria e gratin, com’io li vivo con la memoria et affetto prontissimo servitore. Di Lodi, alli 16 Agosto 1623. Di V. S. molto III.™ et Ecc. mR Sor.™ di cuore F. Bon. ra Cavallieri Gcsuato. Fuori: Al molto III.™ et Ecc. mo Sig. r e P.ron [Col.]" 10 Il Sig. r Galileo Gal. ei Fiorenza 10 . 1567. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenzo. Aroetri, 17 agosto 1623. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 30. - Autografa. Molto 111.™ Sig. r Padre, Stamattina ho inteso dal nostro fattore che V. S. si ritrova in Firenze indi¬ sposta: et perchè mi par cosa fuora del suo ordinario il partirsi di casa sua quando è travagliata dalle suo doglie, sto con timore, et mi vo immaginando che habbia più male del solito. Per tanto la prego a darne ragguaglio al fattore, acciò che, se fossi manco male di quello che temiamo, possiam quietar l’animo. (t) Accanto all* indirizzo vi souo figure o abbozzi di computi geometrici o numerici, di ninno di Galileo. 124 17 — 16 AGOSTO 1623. 11567 - 1668 ] Et in vero, che io non m’avveggo mai d'esser monaca, se non quando sento che V. S. è anialata, poi elio allora vorrei poterla venire a visitare e governaci con tutta quella diligenza elio mi fossi possibile. Ilorsù, ringratiato sia il Signore Iddio d’ogni cosa, poi che senza il suo volere non si volta una foglia. io Io penso che in ogni modo non gli manchi niente; pure veda se in qua[l]che cosa à bisogno di noi, e ce l’avvisi, oliò non mancher[eluio di servirla al meglio che possiamo. In tanto seguiteremo (conforme al nostro solito) di pregare nostro Signore per la sua desiderala] sanità, et anco che gli conceda la sua santa gratin. Et por fì[ne] di tutto core la salutiamo, insieme con tutte di camera. Di S. M.°, li 17 d’Agosto 1623. Di V. S. Aff.-» Fig> Suor M.* Celeste. Fuori: Al molt’Ill. r ® Sig. r Padre mio 0.ss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. 20 Firenze. 15G8*. VIRGINIO CESARI NI a GALILEO fin Firen*®] Roma, 18 agosto 16'iS. Bibl. Naz. Pir. Mss. «Sai., 1\ I, T. Vili, car. IU3. — Autografi la ioti "«emioni • il p • rri11 . Molto 111. Sig. r mio P.rone Oss. mo La lettera di V. S. m’ha fatto divontaro un Arpocrate; sì le suo allegrezze hanno accresciute le mie consolazioni. Non posso esagerarle se non col silenzio. Si leggono nell’ effigie di Nostro Signore tutte le virtù. Vi sta dipinto il secol d’oro. Vi trionfa la religione, vi campeggiano vivo speranze di Santa Chiosa. Mi rallegro ch’ella si rallegra, e le professo obligazioni che meco le partecipi, benché di già nel mio pensiero io l’havessi veduta giubilare. Mi duole ch’ella non sia presente colla presenza, com’ò coll’animo, acciò potesse prenderne maggior parte. Anch’io mi congratulo con V. S., et la prego in segno di gratitudine di qualche suo commandamonto, mentre per fine le bacio con ogni affetto le mani. 10 Di Roma, li 18 d’Agosto 1623. Di V. S. molto 111. Afi>° S."* S/ Galileo Galilei. Virg.® Cesar ino. N. S. sente con grand’ affetto ragionare delle lodi di V. S., et io con Mons. r Ciani- poli ne facciamo spesso commemorazione. Gli ho letto la cortese lettera di V. S., udita da lui con molta consolazione. Dal S.' P.® Cesia e dal S. r Stelluti V. S. inten¬ derà quanto sia avanti l’opera del Saggiatore. Lett. 1507. U. cA« mi /unibile. Honù — [1569-1570] 16—19 AGOSTO 1623. 125 GIOVANNI 01 AM POLI a GALILEO in Firenze. Itomi», 18 agosto 1623. Bibl. Naz. Flr. Mss. Uni, 1*. I, T. Vili, car. 191. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col."*® So alcuno di cuore si è rallegrato con me, V. S. al certo è uno di quelli, perché troppo no promette l’amor che mi porta, esperimentato da me in tutto le occor¬ renze, e goduto ancora con segni manifesti della gentilezza o bontà dell’animo suo. Rendole affettuose gratie dell’uffitio di congratulatione passato meco, e la prego a persuadersi che ò stato da me gradito in estremo, si come estremo può dirsi l'affetto con il quale le ho sempre corrisposto. Questa eletione, di satisfa¬ tene e contento universale, doversi essere cagiono tanto più a noi di giubilare d’allegrezza, come servitori partiali a S. et arricchiti dell’ amor c benevolenza io sua. Piaccia a Dio conservarlo con prosperità por lungo tempo, et a V. S. accre¬ scere in infinito quei contenti clic può desiderar maggiori, mentre le bacio cor¬ dialmente le mani, e la saluto a nome del nostro Sig. r D. Verginio, più che mai lieto e ricordevole, in tanti honori, della persona di V. S. Di Roma, li 18 di Agosto 1623. Di V. S. mollo 111.™ et Ecc."" 1 la quale è con all'etto paterno amata da N. S. rn lo gli ho baciato i piedi in nome di V. S., et egli ha gradito singolarmente questo offitio e l’allegrezza che ella sente della sua esaltationo. Con più otio ao scriverò più lungamente. S. r Galileo Galilei. Fir. 6 Dev. mo et Obi. S. ro G. Ci a in poli. 1570 *. GIOVANNI FABER a [GALILEO in Firenze). Roma, 19 agosto 1623. Bibl. Naz. Flr. Mss. Uni.. P. 1, T. Vili, car. 195.— Autografa. Molt’Ill.™ Sig. r et Padron Colen."’ 0 Sono debitore ad una amorevolissima di V. S. già da molte settimane in qua, et la ringrazio della gratissima audienza che V. S. ha dato al Sig. r Mauritio 11 ’, che «*' Cfr. un.* 1560, 1551. 12G 19 — 21 AGOSTO 1623. [1570-15711 fu da noi altri qui raccomandato a V. S. Ilora vengo ad augurare a V. S. mol¬ tissimi altri anni in quest’anniversario della nostra institutione Academica. Et già credo elio lei haverà saputo in quanta stima il S. r Don Virginio et Mons. r Ciam- poli nostro si trovino appresso Sua S. 1 * Questi et il S. r Prencipe nostro deside¬ rano aggregare alla nostra Academia il Sig. r Don Francesco Barberino, nipote maggiore di Sua S>, il cui merito credo sia notissimo a V. S., alla quale ho vo¬ luto dare conto, et anche avisarlo che il suo libro è horamai quasi tutto stara- io pato, et haverà mirabile applauso, come inerita. Et a V. S. per fine con ogni divoto affetto baccio le mani. Di Roma, alli 19 di Agosto, a.® 1623. Di V. S. molto 111. 1 * Divotis. S. Gio. Fabro Lyn. 1571 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Ftreaie. A r estri, 21 agosto 1623. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T, XIII, cnr. 32. — Autografa. Molto lll. ro et Amat. ,no Sig. r Padre, Desiderosa oltre modo d’baver nuovo di V. S., mando costi il nostro fattore, e per un poco di scusa gli mando parecchi pescetti di marzapane, quali, se non saranno buoni corno son quelli d’Arno, non penso che siano per esser cattivi a fatto per lei, e massimamente venendo da S. Matteo. Non intendo già d’apportargli incomodo o fastidio con questa mia per causa dello scrivere, ina solo mi basta, d’intender a bocca come si sente, et perchè, se niente possiamo in suo servitio, ce l’avvisi. Suor Clara 1 " si raccomanda a suo padre e a suo fratello et a V. S. di tutto cuore; et il simile facciamo ambe dua noi, et dal Signor Iddio gli preghiamo et desideriamo la perfetta sanità. io Di S. M.°, li 21 d’Agosto 1623. Di V. S. molto 111.™ Ricevemmo i poponi e’ cocomeri bonissiini, e no la ringratiamo. Fuori: Al molt’111.™ Sig. r Padre mio Os8. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Aff.m» Fig> Suor M.» Celeste. <*> Al secolo Virginia di Ukskdktto Lamduoci. [ 1572 - 1573 ] 28 — 31 AGOSTO 1623. 127 1572 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. Arcetrl, 28 agosto 1628. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal.. P. I. T. XIII, car. 33. — Autografa. Molt’Ill. ro Sig. r Padre, Ci dispiace grandemente il sentire che per ancora V. S. non pigli troppo mi¬ glioramento, anzi che se ne stia in letto travagliata e senza gusto di mangiare, che tanto intendemmo hieri da Mess. r Benedetto 0 *. Niente di manco habbiamo ferma speranza che il Signore, per sua misericordia, sia per concedergli in breve qualche parte di sanità, non dico in tutto, parendomi quasi impossibile, mediante le sue tante indisposizioni, quali continuamente la molestano, et le quali, indu¬ bitatamente, gli saranno causa di maggior merito c gloria nell’ altra vita, essendo da lei tollerate con tanta paticntia. io Ilo cercato di provveder quattro susine per mandargli, et gliene mando, se bene non sono di quella perfetione che havrei voluto: pure accetti V.S. il mio buon animo. Crii ricordo che, quando riceve risposta da quei Signori di Roma, m’à promesso di concedermi che ancor io le possa vedere. Dell’altre lettere che m’aveva promesso mandarmi, non starò a dirgli niente, immaginandomi che le tenga in villa. Per non V infastidir troppo, non gli dico altro, se non che di tutto cuore la saluto insieme con S. r Ardi angela e l’altre solite. Nostro Signore la consoli e sia sempre seco. Di S. M.°, li 28 d’Agosto 1623. Di V. S. Aff. m * Fig> Suor M. n Celeste. 20 Fuori: Al molto 111. 1 ’ 0 et Amat." 10 Sig. r Padre 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 1573 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. Arcetri, 31 agosto 1623. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 3-1. — Autografa. Molto IU. ro et Amatiss." 10 Sig. r Padre, Ilo letto con gusto grandissimo le belle lettere da lei mandatemi. La rin- gratio e gliene rimando, con speranza però d’baverne per T avvenire a veder Lett. 1573. 2. letto con con yualo — <‘i Brskuetto Landccoi. 228 31 AGOSTO -2 SETTEMBRE 1G23. [ 1573-16741 dell’altre. Mnndogli appresso una lettera di Vincentioacciò che con suo co¬ modo gliela mandi. Ringratio il Signore, et mi rallegro con lei, del suo miglioramento, et la prego a riguardarsi più che gl* è possibile, fino a tanto che non raquiata la desiderata sanità. La ringratio delle suo troppe amorevolezze, che in vero, mentre che à male, non vorrei elio di noi si pigliassi tanto pensiero. La saluto con ogni alletto, insieme con S. r Arohangela, et da Nostro Signore gli prego abbondanza della iu sua grafia. I)i S. Matteo, il dì ultimo d’Ag.‘° 1623. Di V. S. molto 111. 1 ’*' AtT. m * Fig> Suoi M." Celeste G. Fuori: Al molto 111.»» et Amat. w " Sig.' Padre 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1574 . CARLO BARBERINI a GALILEO in Bellosguardo. Roma, 2 settembre 1C22J Bibl. Naz. Fir. Mas. dal.. P. I, T. XIV, car. 178 — Ambrata la Urina. Molto lll. ru Sig. r * Ha V. S. prevenuta l’assuntone di S. S.“ al Pontificato, perchè, essendo ella tanto partialo di questa Casa, s’andava imaginando i prosperi successi di essa, per apportar gusto e diletto a sè medesima; et bora che S. 1). Maestà si è com¬ piaciuta d’effettuare questo suo desiderio, accompagna ella con sentimenti tanto cortesi 1 esaltatione di Sua B. D ®, che si lascia adietro di gran lunga gran parte di coloro che hanno passato meco quest’ uftìtio di eongratulntione. Rendole perù quelle gratie che posso maggiori, assicurandola che con gl’accrescimenti della medesima Casa s’avanza anco in me il desiderio di farle fede con Popere della corrispondenza della mia ottima voluntà. E le bacio le mani. Di Roma, li 2 Sett. rp 1623. Hi \ . S. Ati>° per ser. 1- S. r Galileo Galilei. Bellosguardo. Carlo Barberini. Fuori: Al molto 111.™ Sig or* 11 S. or Galileo Galilei. ,l > Vincenzio Galilei. Firenze per Bellosguardo. [1575] 8 SETTEMBRE 1628. 129 1575 *. FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 settembre 1628. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. VI, T. X, car. 141. — Autografa. Molto III/* et Ecc. mo Sig/ mio Oss. mo Già ricevei la lettera di V. S. insieme con quel disegno per il frontespicio del suo libro 1 ' 1 , quale subbito lo mostrai a questi Signori tutti, e feci la sua scusa, essendoci grandemente dispiaciuto la sua indispositione: però attenda pure a conservare l’individuo, che tutti estremamente lo desideriamo. Di quella figura mandata da V. S. non ce ne serviremo altrimenti, perchè luibbiaino risoluto di fare il frontespicio tutto di rame e dedicare a nome del- rAccademia il libro al Papa, dove ci andari la sua arme e l’arme dell’Acca¬ demia, con due statue, rappresentanti una la filosofia naturale et l’altra la inate- ìo matica (,) . 11 disegno è già fatto, et hieri fu fatto il rame o dato al Villamena (1> , che fa l’intaglio, quale fra cinque o sei giorni lo finirà; et il libro è già finito di stampare, eccetto però l’ultimo foglio, quale è già composto, ma non tirato in pulito, perchè ci va la nota degl’errori, poiché quello che n’ha havuto cura ce n’ha lasciato scorrere qualch’uno, come io già ho notato; e le figure di rame, che saranno sino a 20, essendovi anco tutte quelle del Sarsi, ne saranno fin bora stampate più della metà, eli’ io le sollecito quanto più posso : ma queste fra due o tre giorni si finiranno di stampare, sebene sono in tutto dodici mila, compu¬ tandovi il frontespicio et il ritratto di V. S. 1 *’, che quello ancora vi si metterà, se vi sarà luoco. L’o N. Signore non dà per anco audienza a nessuno, attendendo a ristorarsi del- l’indispositione havuta: anzi dicesi che voglia andare a Frascati a starvi qual¬ che settimana, e poi tornare in Roma ad incoronarsi. Intanto vanno crescendo i luoghi de’ Cardinali per una bella pvomotione, essendovene bora sino a nove, perchè, dopo Gozzadino (S) , morì anco Sacrato <6> , et ne stanno male degl’altri con pericolo. 11 nostro Sig/ D. Virginio Cesarini si tiene per sicurissimo Cardi¬ nale, et vuol dare l’anello linceo al nepote di S. S. li t7) , Cardinale futuro, che bora s’intaglia, quale l’anno passato credo io che ne facesse istanza. Nè altro occorrendomi, le bacio le mani a nome del S/ Principe, quale ha havuto disgusto <*> Marco Antonio Gozzadini. < 6 > Francesco Sacrati. Gl Francesco Barberini. 17 <«l Cfr. il.» 1564 , lin. 22-27. '*1 Cfr. Voi. VI, pag. 199. <*> Francesco Yili.amena. 1*1 Cfr. Voi. VI, pag. 203. XIII. 130 8 — 19 8ETTKMBRK 1923. [1575-15701 della sua infirmiti! et elio nel suo libro non vi sia stata usata tutta quella dili¬ genza che conveniva<•>; che se eravamo noi a Roma, passava altrimenti. Kt so per fine anch’io le bacio lo mani affettuosamente, o lo priego da N. S. Dio sa¬ nità con ogn’altro bene desiderato. Di Roma, li 8 di Settembre 1023. Di V. S. molto 111." et Ecc. m * Ser. r * Afi>° e Vero Frane. 0 Steliuti U° 1576*. GALILEO a [FRANCESCO BARBERINI in Ho.ua]. Firenzi*, l'J settembre 168S. Bibl. Bnrberiniana In Roma. Cod. LXXIV, 2.'», cur. 12 Autografa Ul. mo e Rev. mo Sig. TO e Pad. 0 ® Col.® 0 Io non vorrei elio dal mio tardo comparire innanzi n V. S. 111.™* et Uev. niH a congratularmi dell’esaltazione del Beat. 11 * suo zio al pon¬ tificato ella arguisse in ino allegrezza minore che in qualunque altro suo servitore, essendo veramente il mio giubilo in quello altissimo grado di che mente e cuore luminilo può esser capace: ma della mia tardanza sono stati a parte il caso e la elezzioiu* ; quello, col rad¬ doppiarmi nell’ istesso tempo la mia già cominciata infirmiti, forse per temperar l’eccesso della mia allegrezza; o questa, perchè ini pa¬ reva di poter ragionevolmente temere che la mia voce, per sò stessa io languida e debile, fosse per rimaner muta e poco sensibile alle orec¬ chie di V. S. Ill. ma tra ’l numeroso et altissimo concento di quelle di tanti suoi congiunti, parenti, amici e servidori di gran merito. Ora che in me cessano in parte amenduo gl’impedimenti, vengo a pagare un tanto debito; o per renderla certa dell’inesplicabil con¬ tento che mi arreca la salita di S. B. al più subbiime trono, dovrà esser concludente argomento il dirgli come soavissimo mi è per esser quello die ini resta di vita, e men grave assai del consueto la morte, qualunque volta ella mi sopraggiunga: vi vero felicissimo, ravvivan¬ dosi la speranza, già del tutto sepolta, di esser per veder richiamate 20 dal lor lungo esilio le più peregrine lettere; e morirò contento, es¬ sendomi trovato vivo al più glorioso successo del più amato e reverito i‘> Cfr.Vol.VI, pag. 13-17. 19 - 23 SETTEMBRE 1623. 131 [1576-1577] padrone clic; io avessi al mondo, sì cho altra pari allegrezza nò spe¬ rare nò desiderar potrei. Tanto basti per bora (nò più mi permettono lo forze) a dare un poco di sfogo all’infinito giubilo che mi risiedo nel petto; c sia questo poco gradito dalla benignità di V. S. Ill. raa , alla quale reverentemento bacio la veste, et la supplico ad humilissimainente adorare in mio nome il Beat. mo nostro comune Padre, ricordandomi insieme servitore 30 devotissimo all’ 111. 1,10 et Kcc. rao Sig. r suo padre (l) : et il Signore Dio le mantenga lungamente in felicità. Di Firenze, li 19 di Settembre 1623. Di V. S. lll. raa et Rev. ma Devot. mo et Obblig. mo Ser. ra Galileo Galiloi. 1577. FRANCESCO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 Retlembre 1623. Bibl. Naz. Fir. Ms*. Gai-, P. I, T. XIV, car. 180. — Autografa la firma. Molto lll. r0 o molto Ecc. 1 ® Sig. r ® M’è iucrosciuto d’inteiulore 1* indispositione di V. S. in tempo che la conso¬ latimi» la qual so elio ha sentito por l’essaltationo di N. S. la dovova render più bota o contenta che mai. Ma l’affetto di V. S. vedo elio ha havuto della virtù della palma, che quanto ò stato tenuto depresso dal male, con altrettanto c mag¬ gioro sforzo c vigore ò uscito a rappresontarmisi nelle sue Ietterò, come se io non l’havessi prima conosciuto e sperimentato. Itingnitio con tutto l’animo V. S. di quest’affettuosa dimostratane; e come la posso certificare che la volontà di S. II. sarà sempre la medesimi verso di lei, così di me la prego a credere che io non mi potrà far cosa più grata die darmi molte occasioni di mostrarle la stima e l’ainor che lo porto. Con che a V. S. mi raccomando con tutto l’animo. Di Roma, li 23 di Sett.™ 1623. Di V. S. Aff. mo per serv> S. r Galileo Galiloi. Fir." Frane. 0 Barberini. Fuori: Al molto 111.” e molto Ecc.*® Sig.™ Il S. r ® Galileo Galilei. Firenze. l‘i C.uu.o IUkbkrihj. 132 30 ISTTfiMBJtfc 1623. l1178-1679] 1578*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO (in fWloeguardo) Aree tri, » aettembre (IftOi- Bibl. Nas. Flr. Mi*. Oal . P. ?. T. XIII cw * - A«t*«f*ra. Amat*® Sig. r Padre, Le mando la copiata lettera, cou desiderio che «in in «tu infatuine, acciò che altre volte ijosba V. S. servirai dell’opera mia, adorni di gran gotto e contento l’occuparmi in suo servitù). Madonna • n non ni trova in corami iti «li comprar vino fino che n«>n sarA finito quel poco che habhiamo ricolto, al che fa tua arava appreso di lei, non i>otendo dargli satisfattone, et la ringratia dell'arriso datagli intorno al vino, Quello che ha mandato a S. r Archangela ò ansai buono p**r hi. et ne la ringratia, et io in¬ sieme con lei la ringratio del refe et altre Mie amorevolezze. Per non tenere a bada il servitore, non dirò litro -e non che la aaiuto ca- io ramante in nome di tutte et dal Signore gli prego ogni desideralo contento. Di S. M.°, il di ultimo di 7mbre. Sna Aff.“ Fig> Suor M.® Caletta Fuori: Al mio Amat.® 0 8ig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. 1579. FRANCESCO STELLITI • FEDERICO CERI a (GALILEO in Firan*.} Roma, ao tattambr* \«T\ Bibl. Naz. Pir. Ms*.Gai P. VI, T X, «k Iti A«tn«rai all* lattar*. Cfr. o.- 1574. 30 SETTEMBRI-: — 9 OTTOBRE 1623. 133 [ 1579 - 1580 ] Questa sora poi si ò dato lilialmente l’anello a Mons. r lll. mo Barbarino, quale ò stato assai da S. 8. 111.'"' 1 gradito, et ha mostrato haver caro d’essere connu- merato fra questi altri Signori, e tutti insieme l’habbiamo ringratiato di tanto favore che ci ha fatto: vi ò mancato solo Mons. r Ciampoli, che stava un poco io indisposto. Ilieri fu fatta la coronatione di N. S. ro , et lunedì si farà Concistoro, et sarà promosso al Cardinalato detto Mons. r Barbarmi, onde haveremo un protettore porporato e principale, che possiamo credere debbia anco essere nostro benefat¬ tore. Credo che V. S. ne sentirà gusto particolare, et sarà bene che gli scriva; o quando senta che sia stato fatto Cardinale, potria in un istesso tempo ralle¬ grarsi di questa sua promotionc et ringratiarlo di questo favore che ci ha fatto. (Ili abbiamo presentati dieci libri de’ nostri Accademici, fra’ quali ve ne sono due di V. S. et vi sarà poi questo del Saggiatore; li due sono le Macchie Solari, e lo Cose che galleggiano. Intanto desideriamo tutti sentire la buona salute di 20 V. S., a che attenderà con ogni studio; et per fino baciandole le mani a nomo del S. r Principe, io fo l’istesso con ogni affetto maggiore. Di Roma, li 30 di 7mbre 1023. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Ser. rB Aff. n, ° Frane. Stelluti L.° Sig. r Galilei mio, Mons. r nipote di S. S. tk ci ha favorito con tanto amore, che più non si poi dire. V. S. mi faccia gratia scriverle subito con vero affetto d’obligo e di servitù per questo vincolo di divotione. E già N. S. ha provisto tre de’ nostri soggetti e pos¬ siamo sperar ogni bene. Io sto bora tutto in premer nelle stampe et altri negotii so lincei, et a V. 8. mi ricordo servitore di core. . Afl>° per 8er> sempre F. Cesi Line. 0 P. 1 580*. GALILEO a [FRANCESCO BARBERINI in Roma]. Firenze, 9 ottobre 1623. Bibl. Barberlniana in Roma. ('od. LXXIV, 2S, cur. 14. — Autografo. Ill. mo e ltev. mo Sig. rfl e Pad." Col. mo Il giubilo che sentii nella nuova dell’esaltazione di Nostro Signore asceso repentinamente a quel segno oltre il quale è impossibile il trascendere, essendo incapace di accrescimento, perchè immediata¬ mente scorsi nella Beatitudine di S. S.'* lo splendore e la felicità di 134 0 OTTOBRI*. 1623. [1680-1681] tutta la sua Casa, et in particolare vidi con infinito diletto V. S. 111.®* e Rever. ma risplendere nella porpora: ondo non passo darle segno di nuova allegrezza, prosa nella sua promozziono al Cardinalato, ma solo significarlo la continuazzione della già cominciata. Sentono bene una seconda noli’intenderò dall’111.® 0 et Kcc. mo S. Prin. Ceni il cor-io tesissimo affetto col quale V. S. 111.®* e Itev. m * si è degnata di onorare et illustrare il nostro consesso Linceo, col restar servita d’essere ascritta nel numero do gl’Acadeinici ; ondo possiamo sperare olio, mossi dall’esempio di personaggio così eminente, altri soggetti di nome illustro sieno per ambire P «tessa ascrizione. So elio tutti i Sig. ri compagni restano sommamente obbligati a V. S. 111.®* e Uev. ,H * per lo splcndoro che dal suo lume ricevono, ma io sopra tutti gl’altri, come quello il cui nomo restava più di tutti gl’altri oscuro. Confesso dunque l’obligo mio infinito, e por omso infinite grazie rendo a Y. S. DI.®* 1 e Rev.®*, mentre devotamente 1 inchino e reverente- so monto gli bacio la veste, augurandole perpetua felicità. Di Firenze, li 0 di Ottobre 1628. Di V. S. 111.®* et Iiev.®* Devot.® 0 et Obblig.®* Sor.® Galileo Galilei L. 1581. GALILEO a [FEDERICO CESI il! Roma]. Bellosguardo, 9 ottobri* 1623. Bibl. della B. Accadomia dei Lincei in Roma. lisi. n.® 18 (gì* c l. Hi.n* inpagni .'>801, c*r 161. - Autografa. Ili 0,0 et Ecc. mo Sig. ro e Pad." Col.® 0 Ho veduto il frontispizio del Saggiatore, mandatomi dal S.Stelluti il quale mi piace assai ; o se tra lo 2 parole Astronomica Filosofica si aggiugnesse una piccola c su alta, sarebbe levato questo poco error di stampa. Qua si aspetta da molti con grande ansietà P opera intera. Scrivo 12 al S. Card. Barberino rallegrandomi della sua ascri¬ zione, sì come sommamente me ne rallegro con V. E. e con tutti i SS.‘ compagni. Lott. 1681. G. Card, fìerherìno — Cfr. II.® Iò79. “• Cfr. U." 1680. 9 OTTOBRE 1023. 135 [1581-1582] Io ho gran bisogno del consiglio di V. E. (nella quale più che io in ogn’ altro mio Signore confido) circa l’effettuare il mio desiderio, et anco per avventura obbligo, di venire a baciare il piede a S. S. ta ; ma lo vorrei fare con oportunità, la quale starò aspettando che da lei mi venga accennata. Io raggiro nella mente cose di qualche mo¬ mento per la republica litteraria, le quali se non si effettuano in questa mirabil congiuntura, non occorre, almeno per quello che si aspetta per la parte mia, sperar d’incontrarne mai più una simile. I particolari che in simil materia harei bisogno di communicar con V. E. son tanti, che sarebbe impossibile a mettergli in carta. Favoriscami in grazia di avvisarmi quanto ella pensa di tratte- 20 nersi ancora costì in Roma, perchè son risoluto, quando la sanità me lo conceda, venire a farlo reverenza, o costì o altrove, e discorrer seco allungo. Non sento cosa che mi necessiti di rispondere alla cortese lettera del S. Stelluti, ma ben la supplico a favorirmi di ricordarmeli servitore ; et. a V. E. facendo humilissima reverenza, con ogni affetto bacio la veste, e dal Signore le prego il colmo di felicità. I)a Bellosguardo, li 9 di 8bre 1023. Di V. Sig. 111. 11111 et Ecc. ma I)ev. mo et Obblig\ mo Ser. re Galileo Galilei Linceo. 1582 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. (Arcetri, autunno del 10*23 ?J albi. Naz. Pii*. Mss. Qui., P. I. T. XIII, car. 297. — Autografa. Amatiss. mo Sig. r Padre, Le frutte che V. S. ha mandate, mi sono state gratissime, per esser adesso per noi quaresimasì come anco a Suor Àrcliangela il caviale: e la ringratiamo. Vincenzio si ritrova molto a carestia di collari, se bene egli non ci pensa, bastandogli haverne uno imbiancato ogni volta che gli bisogna; ma noi duriamo 27. Prima pare avesse scritto Di V. Re».' a , poi corresse Re». in Sig., rimanendo il sa in alto.— (J> Intende, com’è probabile, doli’autunno, o allude alla regola doli’Ordine Francescano. 136 13 OTTOBRE 1623. (1682-1688] molta fatica in accomodargli, per esser assai vecchi, e per ciò vorrei fargliene 4 con la trina, insieme con i manichini: ma perchè non ho nè tempo nè danari per farli, vorrei che V.S. supplissi a questo mancamento con mandarmi un braccio di tela batista e 18 o 20 lire almanco per comprar le trine, le quali mi fa la mia Suor Ortensia molto belle ; et perchè i collari usano adepto assai grandi, io vi entra assai guarnitione. Doppo elio Vincentio è stato cosi obediente a V. S. che porta sempre i manichini, per ciò, dico, egli merita d’havergli belli; «1 che ella non 9 Ì maravigli se domando tanti danari. Per adesso non dirò altro, se non die di cuore saluto ambe duoi, insieme con Suor Archangela. Il Signor la conservi. Sua Fig> Afl>“ Suor M.* Celeste. Fuori: Al molto 111.™ et Amatisi.® 0 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 20 1583*. GIO. BATTISTA KINUCC1N1 a GAIJI.KO m F.reuze. Itomi», ta ottobre l««t. Bibl. Est. in Modena. Haccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVIl n.* 4] • Aut g rifa Molt’Ill. ra S. r mio Os8. mo Non so se in questo mio augmnento «P honore mi poteva venir lettera di maggior gusto clic quella ili V. S., alla quale mi par d* esser stato ed esser Cinto servitore, clic qualche volta P liaver una sua lettera sola por pontificato ni’è parso, in paragone di quelli die n* havevan molte, troppo gran raortificatione. Ringratio Dio di sentire da mio fratello 1 lo stato e la saluto di Y. S.; e nel felice progresso che si spera da sì virtuoso Pontefice tutti siamo entrati in speranza di riveder V. S. qua, con quell’ honore che ciascheduno di noi le desidera. Quanto a me, se bene mi troverà ingollato ne’ paragrafi, posso assicurarla che non re¬ sto mai di ammirare e sentire le speculatami di V. S.; e ne do in testimonio il 1° modo col quale parlo di lei, sempre che ne venga 1’ occasione e quante volte io ne babbi discorso con N. S. In somma faccia conto di haver pochi che f amino "> Intendi, l'elezione a Luogotenente civile del 0) Tommaso Ri ut comi. Cardinal Vicario. 11583-15841 13 - 18 OTTOBRE 1023. 137 o la riverischino più sinceramente «li ino; e con questo facendo line, a V. S. con inio fratello bacio lo mani di tutto cuore. Roma, 13 Ottobre 1U23. Di V. S. molto 111.™ Aff. mo Ser.° Sig. Galileo Galilei. Gio. b. Rinuccini. Fuori: Al molto 111.™ Sig. mio 088.'“° 20 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1584. FRANCESCO BARBERINI a GALILEO iu Firenze. Roma, Iti ottobre 1023. Bibl. Nu. Fir. Ms». Gai., P. I, T. XIV, c»r. 182. — Autografa la firma. 111.™ e molto Ecc. to Sig.™ L’amor, elio suol far altri cieco, mi pare clic facesse V. S. più clic linceo, haveiulole, come scrivo, fin dall’assuntione di N. S. fatto prevedere la mia pro- motione al cardinalato. M’inoresce, elio liavendole all’bora dato tutta la conso- latione elio poteva capere, non le Rabbia lasciato luogo alla successione di nuovo piacere, desiderando io poter esser causa a V. S. di nuove occasioni di ralle¬ grarsi sempre, come vedo che l’ò avvenuto dall’essermi ascritto nella sua Aca- demia, dalla quale io ho liavuto pensiero di riportar lionore più tosto che d’ap¬ portartene ; o mi sento molto tenuto a cotesti SS. n Academici, et a V. S. in io particolare, del piacer clic no dimostrano, offerendole in tanto la mia solita vo¬ lontà o pregandole da Dio ogni contento. Di Roma, alli 18 di Ottobre 1G23. Affett. mo di V. S. S. r Galileo Galilei. F - Card. 1 Barberino. Fuori All’ III.™ e molto Ecc. ta Sig.™ Il Sig. r Galileo Galilei, a Fiorenza. XIII. is 138 20 OTTOBRE 1G23. [1585] 1585 *. MARIA CELESTE GALILEI « GALILEO in BelloatfuarJo Arcotri, 20 ottobre 1023. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 87. - Autografa. Molto Ill. re et Amat“° Sig. r Padre, Gli rimando il resto delle Bue camice, che abbiamo cucite, et anco il grem¬ biule 05 , qunloò accomodato meglio elio è stato possibile. Rimandogli anco lesuo lettere, che, per esser tanto belle, m’hanno accresciuto il desiderio di vederne dell’altre. Adesso attendo a lavorare ne i tovagliolini, si che V. S. potrà man¬ darmi i ceni per metter alle teste; et gli ricordo elio bisogna che siano alti, per esser i tovagliolini un poco corti. * Adesso ho rimesso di nuovo S. r Arcangela nello mani del medico, jmr vedere, con P aiuto del Signore, di liberarla della sua noiosa infermità, che a me ap¬ porta infinito travaglio. io Da Salvadoro ;,> ho inteso clic Y. S. ci vuol venirci presto a vedere, il che molto desideriamo; ma gli ricordo che è obligat[o] a mantener la promessa fat¬ taci, di venire por star una sera da noi, e potrà star a cena in parlatorio, per¬ ché la scomunica è mandata alla tovaglia o non alle vivande. Mandogii qui inclusa una carta 4 ”, la quale, oltre al manifestargli qual sia il nostro bisogno, gli porgorà anco materia di ridersi della mia sciocca composi- tione; ma il vedere con quanta benignità V. S. esalta sempre il mio poco sa¬ pore, mi ha dato animo a far questo. Scusimi adunque V. S., e con la sua solita amorevolezza supplisca al nostro bisogno. La ringratio del pesce, et la saluto affettuosamente insieme con S. r Archangela. Nostro Signore gli conceda intiera so felicità. Di S. M.°, li 20 d’8bre 1623. Di V. S. Fuori: Al moli’111.™ Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. Villa. Lett. 1586. 12-13. fattaci, di di min - 13. • proir* «ter - 20-31. Uui, , /.limi* — “* J1 tfrombiule del quale ai serma Oaiilio, "■> Un sarto di Uaulb.». quando attendeva a lavori manuali. .. No0 * pmw ta«*ota allagata alla UtUra. AfT. m * Fig> Suor M * C. fi 586] 20 OTTOBRE 1623. 139 1586. TOMMASO R1NUC0INI a GALILEO in Firenso. Roma, 20 oltobro 16*23. Blbl. Nttz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. Vili, cnr. 107-198. - Autografa. Molto 111. Sig. ro c P.rone Oss. mo Non prima hebbi audicnza dal Sig. r Card. 1 ® Barberino, che subito mi do¬ mandò di V. S., o con particolare disgusto sentì elio lei non stessi interamente bene di sanità. Parlammo a lungo di V. S., dove la servii meglio clic seppi, per sodisfare in parto a quanto le devo, citò benissimo conosco che nulla d’aqquisto si fa alla sua gloria dallo mia parole; et il Sig. r Cardinale in ultimo mi disse eh’ io le scrivessi che N. S. 1’ Laverebbe sempre vista volintierissimo, o che di questo io ne P assicurassi da sua parte. Tre giorni sono baciai i piedi a N. S., e giuro a V. S. che di niente lo veddi io tanto rallegrare che quando li nominai lei ; e doppo haver parlato un poco di lei, e dettoli io che V. S. liavcva gran desiderio, come la sanità glie lo permet¬ teva, d’ essere a’ suoi santissimi piedi, mi rispose che n’ havorebbe Lauto gran contento, pur che lussi senza suo incommodo e senza pregiudizio della sua sa¬ nità, perché i grand’ homini come lei si doveva operare in tutte le maniere che vivessero più che si poteva. Iio parlato più volte di lei con il Sig. r D. Virginio, il quale non occorre eli’ io le dica quanto sia suo : mi stimolò, avanti eli’ io li dicessi niente, di par¬ lare di V. S. al Papa, e l’aspetta qua con suo commodo, prontissimo por ser¬ virla per quanto potrà in ogni cosa. Il Sig. r Pr. Cesis le bacia le mani, e si trat- 20 tiene in Roma solamente per la spedizione del Saggiatore, il quale non ha altro indugio che una dedicatoria, che la deve fare il Sig. r D. Virginio (I) , che per le molte occupazioni in questo suo carico non ha ancora potuto attenderci bene, e ne fa scusa con promessa di presta spedizione. Tutti i servitori di V. S. la desiderano qua, e pregono Dio che possa esser presto con ottima sua salute; et io non la posso so non consigliare, perchè so che c’haverà gran contenti, c che toccherà con mano che questo ha da essere il papato de’virtuosi, e goderà di molti pensieri gloriosi che ha questo bon Si¬ gnore, il quale piaccia a Dio di conservare lungamente. u» Cfr. Voi. VI, pag. 201. 140 20 — 21 OTTOBRE 1623. [1686-1588] Io per ultimo me lo ricordo servitore obligatwaimo, e desideroso d' havere occasione di servirla per sodisfare in qualche parte a quanto lo devo; o con ogni 80 maggiore affetto che posso lo bacio le mani o prego ogni contento. Di Roma, li 20 8bre 1G23. Di V. S. molto IH.» Obi.— Sor.- Tomm.® Rinucc. m di Camm.® S. r Gai . 0 Galilei. Fuori: Al molto 111.- Sig. 1 ’- e P.rone Oss. mt> [... .]liieo Galilei. Firenze. 1587 . GLI ACCADEMICI LINCEI ad URLANO Vili in Roran. Roma, 20 ottobre 1628. Cfr. Voi. VI, pag. 203. 1588. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenxe]. Roma, 21 ottobre 16». Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 190 200. — Autografa Molt’ 111.™ e molto Eoe.*® Sig. r mio sempre Oss. rn ® Mi son rallegrato grandemente con la gratissima di V. S. n , sentendo da lei la sicurezza della sua venuta et il pensiero di giovare alle buone lettere e studii con la congiuntura sì buona di questo ottimo, dottissimo e benignissimo l’apa. Io son, al solito o conforme al mio debito, per servirla di tutto core; e nella coni- municazionc che voi far meco, della quale le rendo infinite gratin, sentirò quanto si compiacerà espormi e commandarmi, e le rappresentarò vivamente lo stato delle cose al presente e quanto occorrerà e potrò considerare a proposito. La venuta è necessaria, o sarà molto gradita da S. S. 1 *, quale mi dimandò se V. S. veniva et quando; et io le risposi che credevo che a lei paresso un* bora io mill anni, et aggiunsi quello mi parve a proposito della divotione di V. S. verso di lui, e che presto le liaverei portato un suo libro: insomma mostrò d’ amarla e stimarla più elio mai. Il tempo di venire mi pare sarà avanti l'inverno, cioè Clr. n.» 1581. 21 — 28 OTTOBRE 1G23. 141 [1588-15891 ìi mozzo del seguente mese, olio sogliono esser tempi placidi ; dico questo per la sanità di V. S., et anco perchè questa tardanza sarà cagione che trovarà il trat¬ tare qui più facile et sedato, che, per la confluenza grande de’ negotii dopo il ritegno di quasi quattro mesi impediti da diverso cagioni, è stato molto calcato e stretto, et bora comincia a poco a poco ad allargarsi. Io sarò in Acquasparta, per dove son al presento di partenza; e V. S. ve- 20 nernlo di là non allungarci so non molto poco la strada, e tanto maggiore sarà la gratin elio mi farà a me, et anco opportunità per il negotio, poiché potremo consultar c trattar lì con ogni quiete, oliò qui confesso a V. S. che bora non se no trova momento di quiete, et a scriver questa già mi son messo tre volte; et V. S. verrà qui non novo, ma informatissimo di quanto poi occorrere. Potrà dunque allliora venirsene a Perugia e di là ad Acquasparta, che sono solamente vent’otto miglia, o si passa per Todi; o bastarà che pigli i cavalli per sino ad Acquasparta, oliò di là a Roma verrà con la mia lcttica. Aspettare dunque con desiderio circa quel tempo, prontissimo a servirla con tutto il core. Presentarò fra tre o quattro giorni il libro a N. S., che già è compito, come so ne vedrà V. S. accluso il principio, o reitcrarò l’offitii opportuni di divotione et affetto. Intanto a V. S. bacio le mani, pregandole da N. S. Dio ogni contento. Di Roma, li 21 8bro 1623. Di V. S. molt’ lll. ro e molto Ecc. 16 Non ho potuto haver copie finite per inviar¬ gliele questo : le inviarò il seguente procaccio. Aff. m0 per ser. ,a sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. 1589 . VIRGINIO CESAItlNI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 ottobre 1623. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 201. - Autografa la sottoscrizione. Molto 111. Sig. r mio Oss. mo Si è condotta a line la ’mpressione del suo libro con la maggior accuratezza che la fretta delle stampe ha sostenuto. Se ne manda uno a V. S. per la pre¬ sente posta, che sarà poi seguito da una balla di sessanta volumi. ITora egli è salito in tal pregio appo N. S., che se ’1 fa legger a mensa. In tanto me ne pregio anch’io, per vedermi a parte de’suoi honori, e mi rallegro con V. S. in veder il suo nomo in possesso dell’ immortalità, c P età nostra, mercé la sua 142 28 OTTOBRE 1623. 11589 - 1690 ] penna, alzarsi a tal segno di gloria, che non fu da i primi nostri conosciuta, nò sarà da i posteri pareggiata. Conceda Dio lunga vita a \. S., perchè possa ar¬ ricchire il mondo di nuovi parti o la sua lama di nuovi tregi. Roma, 28 Ottobre 1623. Di V. S. molto 111. Affetta Se « Virg. 0 Cosar. 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1590 *. FRANCESCO STERI,UTI a [GAI.IDEO in Fircnseo]. Roma, 98 ottobre 1898. Blbl. Est. in Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.* XC. n.- HI. Ani .-rifa. Molto 111.™ et Kcc.""* Sig. r P.ron mio Uss." 10 Con il presente procaccio ho inviato a V. S. questa mattina una balla, scrit¬ tovi sopra il suo nome; et è bene ammagliata e coperta, e vi non dentro cin¬ quanta copie del Saggiatore di V. S. : però al suo arrivo se la farò consegnare ben condizionata; e fra detti libri ve ne sono otto di carta più lina, clic servi¬ ranno per dare a cotesti SS. ri suoi amici. Et perché vi è una figura male stam¬ pata a car. 121 0> , essendo posta al contrario, perciò ne ho fatto ristampare al¬ cuno poche, elio se lo potrò bavere a tempo, le manderò con questa, acciò le possa far incollare sopra quella. Hier sera il Sig. r Principe no presentò uno a N. S., e dui tutti ligati al io Sig. 1 ' Card. 1 Barberino, et hoggi a diversi Sig. ri Cardinali et altri amici; e son dimandati da altri con molta istanza. V. S. mi avvisar^ la ricevuta, ma a bocca in Acquasparta, per dove fra due giorni partiremo, o in detto luogo staremo aspettando V. 8. con desiderio; e si spedisca presto, prima che li tempi e le strade si guastino. Se ne verrò a Pe¬ rugia, e da Perugia a Todi, e da Todi ad Acquasparta ; che se parte di Perugia a buon’ bora, potrò arrivare la sera in Acquasparta. Vedrà nel suo libro una mia canzono J : priego V. S. a scusarmi dcll’imper- fettioni che trovarò in essa, poiché, oltreché havea la mento astrattissima e ri¬ volta a mille negozii, mi ha bisognato farla per le anticamere di questi 8ig. ri Car- 20 dinali, in carrozza 0 per le strade quando andavo solo, perché mai ci siamo fermati in casa, e perciò non ho potuto farla a mio gusto ; onde mi scusi, e si <’> È a png. 120, noi testo delift Libra Ailionumica. <*i Cfr. Voi. VI, r »g. 207-211. 28 — 21) OTTOBRE 1G23. 143 [ 1500 - 151 ) 1 ] appaghi della mia buona volontà. E per fine baciandole le mani a nome del S. r Principe, io fo V istes90 con ogni affetto, ricordandole che la stiamo aspet¬ tando quanto prima. Di Roma, il 28 di Ottobre 1023. Di V. S. molto ili.** et Ecc. ma Ser. ro AfT. mo et Vero Frane. JStelluti L.° 1591 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 20 ottobre (1623]. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XIII, cnr. 89-10. — AutORrafn. Molto Tll. ro et Amat. mo Sig. r Padre, S’io volessi con parole ringratiar V. S. del presente fattoci, oltre che non saprei a pieno sadisfare al nostro debito, credo che a lei non sarebbe molto grato, come quella che, per sua benignità, ricerca più presto da noi gratitudine d’animo clic dimostrationi di parole e cerimonie. Sarà adunque meglio che nel miglior modo che possiamo, che è con 1* oratione, cerchiamo di riconoscere e ricompensare questo et altri infiniti, e di gran lunga maggiori, benefitii che da lei ricevuti babbi amo. Gl’ havovo domandato dieci braccia di roba, con intenzione che pigliassi ro¬ to vescio stretto, c non questo panno di tanta spesa e così largo e bello, quale sarà più che a bastanza per farne le camiciuole. Lascio pensare a lei qual sia il contento che' sento in legger le suo lettere, che continuamente mi manda; che solo il vedere con quale affetto V. S. si com¬ piace di farmi partecipe e consapevole di tutti i favori che riceve da questi Si¬ gnori, è bastante a riempiermi d’allegrezza; se bene il sentire che così presto deve partirsi, mi pare un poco aspro, per haver a restar priva di lei : et mi vado immaginando che sarà per lungo tempo, nò credo ingannarmi ; o V. S. può credermi, poi che gli dico il vero, che, doppo lei, io non ò altri che possa darmi consolatione alcuna. Non per questo mi voglio dolere della sua partita, paren¬ do domi che più presto mi dorrei de i suoi contenti; anzi me ne rallegro, et prego e pregherò sempre Nostro Signore che gli conceda perfetta sanità e gratia di poter far questo viaggio prosperamente, acciò che con maggior contento possa poi tornarsene in qua e viver felice molti anni : che così spero che sia per se¬ guire, con 1’ aiuto di Dio. Lett. 1591. 6. oratine — 144 29 — 30 OTTOBRE 1G23. [1591-15021 Gli raccomando bone il nostro povero fratello, «e ben bo elio non occorro, o la prego hormai a perdonargli il suo errorescusando la sua poca età, che è quella clic 1* à indotto a commetter questo fallo, che, por esser stato il primo, merita perdono : si ebo torno a pregarla elio di grafia lo meni in sua compa¬ gnia a Roma, e là, dove non gli mancheranno 1’ occasioni, gli dia quegl’ aiuti che 1’ obligo paterno et la sua naturai benignità et amorevolezza ricercano. so Ma perchè temo di non venirgli a fastidio, finisco (li scrivere, senza finir mai di raccomandarmeli in gratin. K gli ricordo che ci è debitore di una visita, elio ci ha promesso è molto tempo. Suor Arcangela o l’altre di camera la salu¬ tano infinite volto. Di S. M.° li 29 d’ 8hre. Di V. S. molt* 111 « Fig> Suor M.* Celeste G. Fuori: Al molto 111.» et Amati*».'" 0 S. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. In villa. 4o 1592. GALILEO a [FEDERICO CESI in Remai. Firenze, 30 ottobre 1028. Bibl. della R. Accademia dot Lincei in Roma. Mu. u» U Ufi* cod. H'-ncornja/ni 580), et r. 145. — Autografa. 111. 11 * 0 ot Ecc.""' Sig.r® e Pad. n Col. ,na Ho inteso il cortesissimo e prudentissimo consiglio di V. E. circa ’1 tempo e ’1 modo della mia andata a Roma, conformo al (piale mi governerò, e sarò ad Acqnasparta da lei per esser compitamente instrutto dello stato dello cose di Roma. Il Saggiatore finito ò aspettato qui da molti ansiosamente ; ma dubito che la gran dilazione di tempo, causata prima da me e poi dalla stampa, non liabbia a detrarre assai dal concetto clic forse molti si liavevano formato. Io non posso entrare a discorrer con V. E. sopra varii partico- io lari, perchè tutti ricercherebbono lunga scrittura; onde io stimo assai Cfr. n.o 1604. 30 OTTOBRE — 3 NOVEMBRE 1623. 145 [1592-15931 i meglio riserbargli a bocca. In tanto, rendendo grazie a V. E. delle fatiche fatte per V espedizione doli’ opera (la qual credo che senza la sua sollecitudine sarebbe ancora andata assai in lunga), me gli ricordo più che mai obbligato e devotissimo servitore, con baciargli reverentemente la mano e con pregargli da Dio il colmo di felicità. Di Eir. 2e , li 30 d’ Ottobre 1623. Di V. S. 111““ et Ecc “ a Devot. mo et Obblig. mo Ser. re 20 Galileo Galilei L. 1593. TOMMASO RINUC01NI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 3 novembre 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 14Ó-14G. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 Sig. ra e P.rone Oss." 10 Finalmente, doppo un lungo aspettare, si publicò il Saggiatore, riceuto da i servitori veri di V. S. con estremo contento; e molti andiamo spiando di ritrovare con qual toleranza d’animo sia visto e letto da quelli per i quali è particolarmente scritto, o, per dir meglio, eli’hanno dato materia di scrivere: e di tutto quello die si ritroverà, V. S. sarà ragguagliato. Intanto le posso dire che il primo dì il Padre Grassi fu [col] libraio che gli vende, e se ne fece dare uno, dicendo die V. S. l’haveva fatto stentare tre anni, ma che lui in tre mesi la voleva cavar di fastidio: non so poi come li basterà Paninio di mantener la parola. Un gen¬ io tilomo mio parente, Romano, ostinatissimo Peripatetico, mi disse ier l’altro clic lui non liaveva mai fatto stima nessuna delle risposte del Sarsi, poiché se ne po¬ teva dir delle migliori assai; di maniera elio m’accorgo che qualch’uno piglia il sale. Mons. r Ciampoli m’ha detto d’haverne letti più pezzi al Papa, e partico¬ larmente la favola del sono (l) , e che li gusta sommamente ogni cosa: con tutto ciò non mancano di quelli che sotto diverse scuse non vogliono, per invidia credo io, vedere il Libro; ma questi tali non meritano che di loro si parli. Però basti di questo. La bona nova che V. S. mi dà della presta sua venuta m’è talmente cara, che vorrei pigliarla in parola, acciò V. S., per fuggir il rischio d’un duello, si 20 trovassi in necessità di mantener la parola. Assicuro V. S. di novo che sarà da «*> Cfr. Voi. VI, png. 270-281. 19 XIII. 3—4 NOVEMBRE 1023. 140 [1593-1594] tatti volintierissimo vista, o spero no ricoveri gran consolazione : però venga al¬ legramente, oliò a molti par mill’anni; e [se] mi fari avvisato il suo arrivo, sarò a servirla come desidero. Ricapitai io medesimo in propria mano la lettera al Sig. r Marini ”, et un’altra, non so di V. S. o di 1). Benedetto'* 5 , la feci dal mio servitore portare al Padre Grillo (S) . Credo potor assicurare V. S. che Mon. r Magalotti l4> babbi haute la sua lettera, ma perchè in quel tempo era malato, o risanato che fu, considerato il numero grande di lettere allo quali doveva rispondere, prese espediente di non rispondere a nessuno, et al mio arrivo ne feco meco scusa di non haver risposto nè al Sig. r padre 181 nò a me, o so che ha passato il medesimo officio con altri, sichè so mi pare di poter benissimo argumentare che P istesso babbi fatto seco ; tutta via prometto di servirla destramente all’occasione. Mon. r mio fratello 1 ' se le ricorda servitore, e l’aspetta, desiderando d’haver occasiono di servirla, et insieme an¬ diamo vedendo il suo Saggiatore con grand’ammirazione. Io i>oi le vivo obbliga¬ tissimo, e per tale mi conoscerà in eterno ; e desiderandolo per line ogni felicità, me le ricordo con ogni alletto schiavo. Di Roma, li 3 di Ombre 1623. Di V. S. molto 111.'' Obb. mo Ser." di core S. r Gal. 0 Galilei. Tommaso Uinucc. 1 *' di Canini. 0 1594 *. GIOVANNI CI AM POLI n GALILEO in Firenze. Roma, 4 novembri» 1638. Bibl. Naz, J?ir. Ma*. Gal., 1’. I, T. Vili, car. 203. — Autografi il |n>*rritto a la «ottotcrUiona. Molto lll. ra et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col. ,no Essendosi linito di stampare lo opero di V. 8., ho preso occasione di partici- parlc con Nostro Signore, et havendone letto a 8. 8.** alcune carte, gli sono pia¬ ciute grandemente > . Questi Signori che le hanno vedute l’ammirano e lo lodano assaissimo, et io, che sento inlinito piacere in veder dare il suo debito al valor di V. S. et alle cose sue, non ho potuto fare di non significarle questo mio contento. Qua si desidera sommamente qualche altra nuovità dell’ ingogno suo ; ondo se ella si risolvesse a tare stampare quei concetti cho le restano lin bora nella Oio. Battista Marini. «*> Benedetto Cartelli. ,a > Angelo Orillo. |l 5 Lorenzo Magalotti. •*' Camillo Kixccctxi. «•> Gio. Battista Rtxvooixt. Oi Cfr. n.* 1SS9. 4 NOVEMBRE 1623. 147 [1594-1595] io monte, mi renilo sicuro clic arriverebbero gratissimi anco a N. Signore, il quale non resta di ammirare 1* eminenza sua in tutte lo coso e ili conservarlo intera l’affettione portatale por i tempi passati. V. S. non privi il mondo de’suoi parti, mentre ha tempo a poterli render palesi, e si ricordi che io le sono quel di sempre. Con che, pregandola ile’ suoi comandi, le bacio con tutto l’all'etto le mani e le auguro ogni contento. Di Roma, il dì 4 Novembre 1623. Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. ma Il S. r Tommaso Rinuccini ci portò molta spe¬ ranza della venuta di V. S., la quale sarebbe d’in- 20 finita consolatone a molti suoi servitori et a me in particolare, il quale con ansietà sto aspettando di veder una volta assicurati dall’ oblivione con ele¬ gante scrittura quelli ammirandi concetti nati nel¬ l’ingegno di V. S. por lume delle lettere e per gloria della nostra Toscana. I)ev. m0 Se. ro S. 1 Galileo Galilei. Fir.° Gio. Ciani poli. 1595 . FRANCESCO STELMJTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 4 uovembro 1623. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 147. — Autografa. Molto 111."* ot Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss." 10 Con il procaccio passato mandai a V. S. una balletta di libri, dove erano cinquanta copio del suo Saggiatore, quali voglio erodere già l’Labbia ricevute. Non gli dissi clic ne desse al nostro Sig. r Pandolfini et anco al Sig. r Guiducci, perchè son sicuro che rilaverà fatto senza mio avviso. Devo poi dire a V. S. che il primo libro clic si sia veduto in publico, fu uno di quelli che hebbe il Maestro del Sacro Palazzo, che lo diede al libravo ilei Sole, e subbilo vi corse il Sarsi, il vero però, chò il liuto ò un nudo nome: dimandò di detto libro, o nel leggere il frontespicio si cambiò di colore, o ilisso che V. S. tre anni gli liavea fatto ston- io tare questa risposta, ma forse nel leggerla gli serabrarà troppo frettolosa c '\ Si mise subbito il libro sotto il braccio o se n’ andò, nè poi ho inteso altro, se non elio un Padre del Collegio, che lo lesse tutto, ha detto che il libro ò bellissimo, <‘> Cfr. a.» 1503. 148 4 — 18 NOVEMBRE 1G23. 11595-1596] e che V. S. si è portato troppo modestamente, e che il Sarai haverà che furo assai a voler rispondere. Ingomma li Padri si stimano ben trattati da V. S. Il Sig. r Principe n’ha fatti ligare da 60 in circa, o donati a questi SS. ri Cardinali curiosi o Prelati et altri amici, et anco a molti nella corte del Sig. r Card, de’ Me¬ dici cn , e due a S. S. 111.™» Lunedì prossimo si darà il resto al libraro, acciò ne possa mandare fuori di Roma in città più principali. Ne diedi uno al S. r ('avalier Ma¬ rino, che Pliebbe caro, o mi disse che già haveva ricevuta una letteradi V. S. (r , alla quale non havca risposto, perchè inteso che V. S. dovea partir per Roma et 20 essere in breve qua: mi ha detto che baci lo mani a V. S. a suo nome, 0 che la starà qui aspettando. Rieri appunto vidi nel buo Adone le lodi che dà a V. 8., distendendole in cinque ottave (I> . Il Sig. r Principe Cesi questa mattina ò partito per Acquasparta, et io mi son trattenuto qui per alcuni miei nogozii; ina fra otto o dieci giorni sarò colà an¬ ch’io per aspettarvi V. S. Con che fino baciandolo le mani a nome del Sig. r Prin¬ cipe e di mio fratello 01 , che già ino n’ha scritto, io fo rintano a V. 8. con ogni affetto maggiore. Di Roma, li 4 di Novembre 1623. Di V. 8. molto IH.™ et Ece. m * Rer. r Aff. mo et Vero 80 Francesco Stelluti. 1596 *. GALILEO a [FEDERIGO BORROMEO in Milano|. Firenze, 18 novembre 1623. Bibl. Ambrosiana In Milano. Nella vetrina degli «ut «grafi. Autografa. Ill. mo et Rev. rart Sig.™ e P. ron Col. m ° Mi vennero 8 giorni sono di Roma alcune copio ilei mio Saggia¬ tore, ma così scorrette per negligenza del correttore, elio mi ò bi¬ sognato fare un indice degl’ errori, 0 stamparlo qui in Firenze 0 aggiugnorlo nel fino dell’ opera. Ne invio una copia a V. S. Ill. m * et Rev. ,n >, non perch’ io la reputi degna della sua lettura, ma per mia onorevolezza e per procurare reputazione e vita all’ opera, per sò stessa bassa 0 frale, nell’ eroica et immortai libreria di V. S. Ill. rna et Rev. ma , in uno de i più riposti angoli della quale mi sarà somma Ol Carlo i>r' Medici. <*> Cfr. n.° 1693, liu. 21. '*> Canto X, «t 48 47. **> Gio. Battista Stri. loti. 18—21 NOVEMBRE 1623. 149 [1696-15971 io grazia elio «ia collocata ; sì come por altrettanto favore riceverò clic ella riponga me c conservi tra i minimi suoi servitori, mentre, re¬ vere n tei ncnt.e inclinandomegli, le bacio la veste e gli prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 18 di Novembre 1623. Di V. S. Ul. ma et Rcv. ma Humil. ,no et Devot. mo Servitore Galileo Galilei. 1597. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, ‘21 novembre 1623. Blbl. Nass. Fir. Mss. (ini.. P. I, T. XIII, car. 41. — Autografa. Molto Ill. p * Sig. r Padre, L’infinito amore elio io porto a V. S., et anco il timore che ho che questo così subito freddo, ordinariamente a lei tanto contrario, gli causi il risentimento de i suoi soliti dolori e d’altre sue indispositioni, non comportano ch’io possa stai- più senza haver nuove di lei: mando adunque costi per intender qualcosa, si del- l’esser suo, come anco quando pensa V.S. doversi partire. Ilo sollecitato assai i| n| lavorare i tovagliolini, et sono quasi al fine; ma nell’appiccare le frange trovo che di questa sorte, che gli mando la mostra, ne manca per dua tovagliolini, che saranno 4 braccia. Havrò car[o] che le mandi quanto prima, acciò che possa inali¬ lo darglieli avanti che si parta; chè per questo ho preso sollecitudine in finirgli. Per non haver io camera dove star a dormir la notte, Suor Diamante], per sua cortesia, mi tiene nella sua, privandone la propria sorella per tenervi ine; ma a questi freddi vi è tanto la cattiva st[an]za, che io, che ho la testa tanto infetta, non credo potervi stare, so V. S. non mi soccorre, prestandomi uno de i suoi pa¬ diglioni, di quelli bianchi, che adesso non deve adoprare. Ilavrò caro d’intender se può farmi questo servitio; et di più la prego a farmi gratia di mandarmi il suo libro, che si ò stampato adesso (,) , tanto ch’io lo legga, liavendo io gran de¬ siderio di vederlo. Queste poche paste, che gli mando, Pbavero fatte pochi giorni sonò, po¬ so dargliene quando veniva a dirci a Dio. Veggo che non sarà presto, come te- Lott. 1597. 12. mi line — Ut II Saggiatore. 150 21—22 NOVEMBRE 1625. 11607-1508] mevo, tanto elio glielo mando acciò non indurischino. Suor Arrangola seguita ancora a purgarsi; so no sta non troppo bone, con dua cautorii che se gli sono fatti nello cosco. Io ancora non sto molto bone; nui per esser ormai tanto assuefatta alla poca sanità, no faccio poca stima: vedendo di più dio al Signoro piaco di visitarmi sempre con qualche poco di travaglio, lo ringratio, o lo prego die a V. S. concoda il colmo d’ogni maggior felicità. Et i>er tino di tutto cuore la saluto, in nome mio o di S. r Arehangela. Di S. M.°, li 21 di Ombre 1623. Di V. S. molto 111." So V. S. à collari da imbiancare, potrà mandarceli. Fuori: Al molto 111" et Amat. rao Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 1598. VIRGINIO CE8AIUNI a GALILEO pn Firen*4 Roma, 22 novembre 1823. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vili, car. 205. — Autografi il potcrtUo e la loUoacrixion». Molto Ill. ro Sig. r mio Oss. mo Ilo recevuta la nota de gli errori ” elio V. S. m’invia, e Lambirò distribuendo, sì corno ella mi scrive; querelandomi in questo fortemente di colui 1 ” ohe da me hebbe carico della stampa. Io intanto passare con N. S. quegli urtici elio da lei Lett. 1508. 4. uffici chi da — 80 **) Cfr. il.» 1596. «*> Cfr. Voi. VI, pag. 13. [1598-1599] 22 — 23 novembre 1023. 151 si desiderano, o sarò, con baciargli il S. mo piede, precursor della sua venuta; nella quale prego Dio le conceda felice il viaggio, pieno di consolatione e di sa¬ lute, et a V. S. mi ricordo per fine partialissimo et affettuoso come il suo merito richiedo. Roma, 22 Novembre 1023. io Di V. S. molto lll. r0 Con infinito mio rossore ho veduta espressa la mia negligenza negli errori del Saggiatore. Una sola verissima c potentissima scusa le dirò per mia discolpa, lo stare in Corte in officio si occupato, che non mi lascia un’ora d’ozio per le lettere. Ho ordinato che si ristampi in Roma il foglio per ag¬ giungere a ciaschedun volume ll) . 11 Sig. r Galileo. 1599 **. LORENZO MAGALOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 novembre 1623 Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., I’. I. T. XIV, cur. 184. — Autografa la sottoscrizione. Molt’lll. ra Sig. ro Ogni allegrezza che si prenda dell’assunzione di N. S. al pontificato resta in¬ feriore al debito che ha ciascuno di rallegrarsene, in riguardo di ciò che la christianità può sperar di bene da Prencipe così magnanimo e giusto. Ma se pur sodisfà a quel che devo chi se ne rallegra quanto può, m’assicuro che V. S. ha bene adempito la sua parte, per rispotto anche della stima elio S. 13. ha fatto sempre delle virtuose sue qualità, lo le rondo affettuosissime gratin che m’habbia favorito di parteciparmi questo suo sentimento, di che le professo obbligazione. E le bacio le mani. io Roma, 23 Ombro 1623. Di V. S. molt’lll. ro All'. 0 per serv. ,a sempre S. r Galileo Galiloi. Fir.® Lor.° Magalotti. Fuori: Al molt’Ill.*' 6 Sig.™ 11 SA Galileo Galilei. Firenze. Atì>° Se. 10 Yirg. 0 Cesar. 0 i') Gir. Voi. VI, png. 14. 152 29 NOVEMBRE 1623. Littooj 1600 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO iu Bellosguardo. l'uiu, 'J'J novembre ItiZS. Bibl. Naz. Pir. Msb. Gal., P. I, T. Vili, car. 207. — Autografa. Molto HI." Sig. r e P.ron mio Col." 10 Ho riceuta la lettera di V. 8. molto 111."; e perchè mi fu rena solo ieri, pen¬ sando che lei di già fosse partita, stante il bisogno di Vincenzo, havevo di già dato ordine di vestirlo di saia roversa di Firenze, con fodere di fustagno per l’inverno, con le maniche di filaticcio e una semplice spinettinadi guarnizione. Bisognarti comprarli ancora un paro di calze, e mi dice di haver bisogno di un mantello di panno, stante che quello che ha è corto assai; però V. 8. comandi quel che debbo fare, che tanto farò. Monsig. r Sommaia mi dice haver riceuta una lettera di V. 8. assai tardi dopo la data, ma il libro non l’haveva ancora haute. Io però, subito giunto elio fui in io Pisa, li dissi che V. S. glie lo voleva mandare, sì che resta soddisfatto di lei. Quanto a Cesari, non l’ho più veduto, ma credo so la passi meglio, perchè so che lia parlato a Vincenzo, e se stesse male, me rilaverebbe detto. Io poi ho avviata la scola numerosissima, e sto bene; quando m’avvanza tempo, leggo il Saggiatore, o, per dir meglio, lo rileggo con infinito mio gusto, e tengo per fermo che il povero Sarsi non possa rispondere parola. In somma è concio male male male. Mi servo ancora nelle private mie lezzioni della lettura di qualche pezzetto del medesimo Saggiatore, facendola cascure a proposito, e trovo che piace a ogn’uno fuor di misura, perchè, se bene la maggior parte delle cose, per non dir tutte, giongono nove alle brigate, tuttavia non dette tanto no chiare e spiccano in modo, che venendo da tutti intese, sono ancora da tutti gustate o con meraviglia. E non occorrendomi altro, mi dolgo delle sue doglie, e li bacio le mani. Di Pisa, il 29 di Ombre 1623. Di V. S. molto HI." Oblig. mo Ser." e Die. 10 S. r Hai. 0 Don Bened.° Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. n, ° Sig. r mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo del Ser. mo Gr. Duca di Toscana. Firenze, a Bellosguardo"’. O) Accanto all'indirizzo sono ligure geometrici!.* e computi aritmetici e geometrici, di m»no di UaI.ii.ku. [1001*1602] 2D NOVEMBRE — 2 DICEMBRE 1623. 153 1601* GIROLAMO DA SOMMAIA a GALILEO [in Firenze]. Pisa, 29 novembre 1623. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXXIX, u.° 56. — Autografa. Molto III.® et Eco.® 0 S. or mio Oss. rao Io rendo a V. S. molto et affettuose grazie dell’honore che si è compiaciuta farmi con il suo bel libro, il quale sarà da me letto con molto gusto, se bene non potrò godere del tutto per la mia ignoranza le bellezze di questo suo parto, che, come di mirabile ingegno et di purgatissimo giuditio, sarà cosa perfetta. Gli rendo ancora infinito gratie del favore mi fa in participare la sua partenza per Roma. Piaccia al Cielo concederli quivi et in ogni luogo felicità, come di cuore gli prego da Dio benedetto. Di Pisa, a* 29 di Nov.° 1G23. io Di V. S. molto I. a et Ecc. raa S. r# Aff.™ 0 S. or Galileo. Girol. da S> 1602. TOMMASO RINUCCINI n GALILEO [in Firenze]. Roma, 2 dicembre 1623. Bibl. Nuz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 209-210. — Autografa. Molto Ill. r ® Sig. ra e P.rone Oss. mo Otto giorni sono risposi a V. S. a Aqquasparta, conforme a che m’ordinava, e lo davo conto di tutto quello havevo ritratto de’ pensieri del Sarsi; e quando stavo aspettando o sue lettere di là o la venuta sua qui, m’è comparsa la let¬ tera che mi significa non s’essere ancor mossa: e sebene con qualche mortifi¬ cazione ho sentito questa dilazione di tempo di servirla, con tutto ciò non posso se non lodare che lei non si sia trovata in viaggio in questi tempi pessimi che sono stati, chè in questi paesi l’aqque hanno fatto grandissimi danni, e s’inten¬ dono molte disgrazie [_]e a diversi, et il Tevere s’è lasciato un poco vedere io per Roma all’Orso. Ma oggi l’aria fredda e serena dà indizio di stabilità, e credo che V. S. non doverrà aspettare miglior occasione. XIII. 20 154 2 DICEMBRE 1G23. 11002 ] Gl’indici (,) del Saggiatore non si sono per ancora visti, et io no ho fatta con¬ tinua diligenza con lo stampatore o libraio, ma stamattina ni é stato significato che gli possa bavero hauti il Sig. r I). Virginio; che se sarà vero, domattina me ne chiarirò, o fra tutti in qualche maniera s’opererà elio il Sarsi n’habbiauno. 11 quale Sarsi (per replicare a V. S. qualche cosa di quello le scrissi a Aqqua- sparta) in un primo discorso fatto con un mio amico lodò ansai V. S., dicendo che nella scrittura v’era del bono, ma clic con tutto ciò voleva replicare, ma fino alle vacanze dell’autunno [non] poteva attenderci, e che poi V. S. haveva un vantaggio sopra di lui, elio haveva chi li pagava le stampe. Disse ben di voler 20 replicare senza mordacità (cliò di questo si lamentava di lei), e che se V. S. ve¬ niva a Roma, voleva far seco amicizia. I)i 11 a pochi giorni l'istesso amico lo trovò tutto alterato, che dico elio haveva visto una lettera scritta di Firenze a un suo amico, clic diceva elio costì era comparso il Saggiatore, il quale doverebbe haver chiuso la bocca a tutti i Gesuiti, elio non saprebbono clic si rispondere; e seguitò il Sarsi con questa sciocchezza, che se i Gesuiti sapevano in rapo a l’anno rispondere a cento eretici, saprebbono anello farlo a un cattolico. Di lui non so poi altro, ma stamattina ho sentito dire da un Gesuito elio fra loroc’ò severo comandamento di non discorrere di queste scritture; ma perché non hebbi tempo di domandare di particolari, non I 10 per adesso clic dirle altro in questo so proposito. Intorno a gli studi, non saprei che nova dame a V. S., perché fino adesso i negozi tengono tanto occupati tutti, c particolarmente il Sig. r Card. 1 " Padrone che non danno campo di lasciar conoscere l’inclinazione: so ben dir a V. S. f e la posso assicurare, clic lei sarà, benissimo vista da tutti, et é desideratissima; e mi vicn detto clic il Papa (con tutte Poccupazioni) ha letto tutto il Saggiatore con gran gusto. V. S. fa benissimo a comandarmi liberamente, perché, oltre che ò la verità quello che lei dice, le sono anche tanto più obligato di nessun altro, che sarò sempre prontissimo ad ogni suo cenno. Non ho ancor possuto dar nove di loi a 40 nessuno, perché la lettera la ricevo adesso, chè, per rispetto a’ tempi, le poste son tutte tardate assaissimo; ma domani la servirò. E con questo augurandole felice viaggio et ogni bene, me le ricordo obligatisaimo servitore, e Mun. r mio fratello fa l’istesso con ogni alletto. Di Roma, li 2 di Xrabre 1623. Di V. S. molto 111. 8 Obi»® Ser.™ S. r Galileo Galilei. Tommaso Rinucc. 0 * di Cnmm. Ol Intendi, l’ffrrnln eorrigt: cfr. Vol.Yl, pug. 14. **> Francesco Barberini. **» Uio. Battista Hmcooixi. [ 1603 - 1601 ] 6 DICEMBRE 1623. 155 1603. FEDERIGO BORROMEO a GALILEO in Firenze. Milano, 6 dicembre 1623. Bibl. Nftz. Flr. Mai. Gal., P. I, T. XIV, cnr. 186. — Autografa la sottoscriziono. Molto Ul. ro Sig.™ Viene da me ricevuto il Saggiatore di V. S., che colla sua de’ 18 Novembre' 0 si ò compiacciuta d*inviarmi, con quel gusto ch’io provo in veder l’opere sue; le quali stimando io come conviene, ho di giù commosso che la presente si riponga in luogo principale della nostra Biblioteca Ambrosiana, in riguardo non solo del suo valore, ma della cortesia grande che in ciò ancora ha voluto mostrare verso la persona mia. E ringratiando V. S. con particolar affetto di questa dimostra- tiono, me lo offero di cuore, con augurarlo vera contentezza. Di Milano, a 6 Dec. ro 1623. io Di V. S. Come fratello Affett." 10 S. r Galileo Galilei. F. Car. Borromeo. Fuori: Al molto 111.™ S. rn 11 8. 1 ' Galileo Galilei. Fiorenza- 1604. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Bellosguardo. Pisa, G dicembre 1623. Bibl. Nnz. Flr. Mss. dal., P. I, T. Vili, cnr. 211. — Autografa. Molto III. 1 * 0 Sig. r e P.ron Col. 100 Io ho fallo vestirò il Sig. r Vincenzo con il maggior rispiarmo elio ho potuto, e compratoli scarpe c calze di filaticcio : del mantello per quest’anno non farò altro. Quanto ai suoi studii, attende all’Instituta sotto la disciplina del Sig. r Dottor Accarigi lI) , huomo eminentissimo c di gran seguito, e, quel che io pur stimo assai, affezionato alle coso di V. S. e desideroso servirla; che però mi pare che meriti un de’ suoi libri, c di giù si ò dichiarato con il Sig. r Vincenzo che ne vorrebbe uno. Nel resto l’ostinazione ù più salda che mai, et io darei del capo nel muro, tanto resto stordito. Non manco, ogni volta che mi viene avanti, rimproverarli io la sua perfidia, o rappresentargli l’infamia grande clic li ha da risultare, e il 01 Cfr. il.® 1590. O) Camillo Accarisi. 150 0 — 0 DICEMBRE 1023. [ 1604-1605] danno, se non si risolve a confessare come è passato il tutto ”, assicurandolo assolu¬ tamente che dal confessarlo non e' per patire cosa alcuna. In ogni modo sta duro senza rispondere, come so fosse incantato, et io, quanto a ino, ho il caso per despe- ratissimo. Me ne dispiace, ma non li posso dare altra nova, e il vero lo devo diro. Mi dispiace poi clic il P. Caccini (,) pregiudichi tanto a’ Principi e al S. 1 " Ollicio stesso, se però è vero che vadia dicendo che, se non fusse lo scudo di diversi Principi, V. S. sarebbe stata messa all’Inquisizione, quasi elici Principi impedi- schino il S. t0 Officio e protegghino persone di mal affare, e insieme il S.«° Officio porti rispetti a’Principi nel procedere contro Pimpietà; r mi pare che il Padre Caccini meriti d’osscr messo all’Inquisizione, perchè non fa il debito suo per ri- 20 spetti do’ Principi. Io poi sto bono al solito, e penso di essere in Firenze per Na¬ tale; con elio li bacio lo mani. Di Pisa, il 6 di Xmbre 1623. Di V. S. molto 111.” Il Camarlingo di Dogana desidera clic quando V. S. si fa fare il mandato del suo semestre faccia faro diviso il credito che lui havorà con V. S. dal restante (S) , perché torna meglio ai suoi conti 0 libri. Però, quando sarà il tompo, se lei si contenta, farò cho resti sodisfatto, già che non importa. so (>hlig. mrt Sor.” 0 Dis. ,ft Don Dened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.” et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Col.*" 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze, a Bellosguardo. 1605*. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acquasparta. Roma, 9 dicembre 1623 (?). Bibl. della R. Accademia dol Linoei In Roma. Mw. n.* 12 (già coti. Bonronipugni ÒSO), car. 223/.- 225r. — Autografa. -Ilo trovato anche questa mattina nell’anticamera del Sig. Card.’" Barberino il Sig. Marchese Mattimi, il quale hebbe gran gusto quando gli dissi elio il Sig. Galilei era pre¬ sto per venire a Roma; ma, per quanto ho inteso dal Sig. Magalotti, per li cattivi tempi non ai ò partito ancora di Firenze. Quando sarà a Roma, io non mancherò di servirlo .... “> Cfr. n.« ir, 91. lin. 26. Tommaso Caccini. Cfr. Voi. XIX. Hoc. XXI, d), llu. 206. [ 1606 ] 10 DICEMBRE 1623. 157 1606*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo], Arcetri, IO dicembre 1628. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 43-11. — Autografa. Alla lotterà facciamo seguire la * carta », che Suor Mxm a Celeste mandava inclusa al padro (cfr. lin. 21), o cho è a car. 45-46 dol medesimo Tomo dei Mss. Galiloiani. A tergo di questa «carta» si leggo, di mano di Galileo: SllOP Mai’. Celeste scrivo a Roma. Molto 111." et Amat."’ 0 Sig. r Padre, Pensavo di poter presentati mento dar risposta a quanto mi disse V. S. nel- l’amorevolissima sua lettera, scrittami giti son parecchi giorni. Veggo che il tempo ne impedisce, si che mi risolvo con questa mia notificargli il mio pen¬ siero. Dicogli adunque cho il sentire con quanta amorevolezza lei si offerisce ad aiutare il nostro monastero, mi apportò gran contento. Lo conferii con Madonna et con altre Madri più attempate, quali ne mostrorno quella gratitudine che ricercava la qualità dell’ offerta ; ma perché stavano sospese, non sapendo in fra di loro a clic risolversi, Madonna scrisse per questo al nostro Governatore ; et io egli rispose, cho, per esser il monastero tanto bisognoso, gli pareva che ci fossi più necessità di adimandar qualche elemosina che altro. Fra tanto io ho discorso più volte sopra questo con una monaca clic e di giuditio c di bontà mi paro che sopravanzi tutto 1’ altro ; et ella, mossa non da passione o interesse alcuno, ma da buon zelo, ni’ ha consigliato, anzi pregato, a domandargli cosa che a noi indubitatamente sarebbe molto utile, et a V. S. molto facile ad ottenere; ciò è che da S. S. l “ ci impetrassi gratia che potessimo tener per nostro confessore un regolare, o frate che dir lo vogliamo, con conditione di scambiarlo ogni 3 anni, corno si costuma per 1’ altre, et per questo di non levarci dall’ obedienza dell’or¬ dinario, ma solo per ricever da questo i Santi Sacramenti : et è questo a noi 20 tanto necessario die più non si può dire, o per moltissime cause, alcune dello quali lio qui notate nell’inclusa carta che gli mando. Ma perchè so che non può V.S. mediante una semplice mia parola muoversi a dimandar questo, oltre al- l’i nformarseno con qualche persona esperiinentata, potrà, quando vien qui, cer¬ car, cosi dalla lunga, d’intender qual sia, circa a questo, l’animo di Madonna, e di qualcun’altra di questo più attempate, senza però mai scoprirla causa per la quale gliene domanda. Et, di gratia, non ne parli niente con Mess. r Bene¬ detto 10 , perchè senz’altro lo manifesterebbe a Suor Chiarac lei poi a tutte le monache, et eccoci rovinati, perchè in fra tanti cervelli è impossibile che non (’) Benedetto Landugci. <*> Cfr. n.o 1571, lin. 8. 158 10 DICEMBRI-: 1623. [ 1606 ] ci siano variati huinori, et por conseguenza qualcuna a chi potessi dispiacer questo et metter qualche impedimento acciò non si ottenessi: e pure anco non 30 conveniente, per rispetto di dua o tre, privar tutte in comune di tanto utile, che di quosto, sì per lo spirituale come por il temporale, no potrebbe riuscire. Resta adesso elio V. S. con il suo retto giuditio (al quale ci apportiamo) vada esaminando so gli par lecito il domandar quosto, et in che modo si dova doman¬ dare per ottenerlo più facilmente; perchè, quanto a me, mi paro che sia do¬ manda lecita, tanto più per haverne noi estrema necessità. Ilo voluto scrivergli oggi, perchè, essendo il tempo tanto quieto, penso che V. S. s ia per venir da noi avanti elio torni a rompersi, et acciò che già sia in¬ formata doli’ uflìtio elio ò necessario elio faccia con queste vecchie, conio già gl’ò detto. *o Perchè tomo d’infastidirla pur troppo, lascio di scrivere, riserbando molto coso elio mi restano per dirgliene alla presenza. Oggi aspettiamo Mona/ Vicario, elio viono por P eletione della nuova Abbadessa. Piaccia a Dio clic sia eletta quolla elio è più conformo al Suo volere ; et a V. S. conceda abbondanza della sua santa gratia. Di S. Matteo, li 10 di Xmbro 1023. Di V. S. molto III.™ Aff. ma Fig> Suor M.* Celeste G. La prima o principili causa elio ne muove a domandar questo, i il veder u conoscerò che la poca oognitione et esperienza che ànno questi proti degl’ordini et ublighi che 60 Gabbiamo noi altro religioso, ci dìi grand’occasione, et, per dir meglio, buona licenza, che viviamo sempre più dilandito (sic) o con poca osservanza della regola nostra. E chi dubita che, mentre vivremo con poco timor di Dio, non siamo ancò per viver in continua misoria quanto allo cose temporali ? Dunque bisogna levar la prima causa, elio ò questa elio già gl’ bo dotto. La seconda è, elio por ritrovarsi il nostro monastero nella povertà olio su V. S., non può sodisfare a i confessori elio ogni 3 anni si partono, dando loro il dovuto salario avanti che si parlino : ondo elio io so, tre di quelli che ci sono stati, ìinno a bavere buona somma di danari, e con questa occasiono vengano spesse volto qui a dosinu[re], o pigliano umi- eitia con qualcho monaca, e, quel che è poggio, ci portano in bocca o si dolgon di noi 60 dovunque vanno, sì ohe siam[o] la scorta di tutto il Cnsontino, di dove vengon questi nostri eoules[s]ori, usi più a cacciar lepre che a guidar anime. Et credam[i] V. S. che so io vo¬ lessi raccontargli lo goflbzzo di questo elio habbi[a]mo al presente, non verrei mai alla line, perchè sono incredibili et infinite. La 3* sarà, elio un regolare non sarà mai tanto ignorante che non sappia molto più che uno di questi tali ; o se non saprà, non andrà almanco, per ogni minimo caso elio Lett. 1606. GG. tuli ; oh a — 10 — 12 DICEMBRE 1G23. 159 [1606-1607] fra di noi occorra, a dimandar consiglio in vescovado o altrove, conio si dova portare o governare, come tutt’il giorno fanno questi proti, ma ne addinmnderà a qualche Padre letterato della sua religione ; e così le nostre cause si sapranno in un convento solo, e 70 non por tutto Firenze, come si sanno al presente. Doppo elio, se non altro per esperienza, saprà Lenissimo un frate i termini che dova tener con monache, acciò che vivino più quieto elio sia possibile; dove elio un prete, che vien qui senza haver, si può dir, cognition di monache, ha compito il tempo determinato di 3 anni, che ci deve stare, avanti che abbia imparato quali siano gl’obligli! et. ordini nostri. Non domandiamo già più i Padri di una religione che d’un’altra, rimettendoci nel giuditio di chi no impetrerà o concederà tal gratin. Ben è vero elio quelli di S. u Maria Maggiore, che molto volto sono venuti qui per confessori straordinarii, ci hanno dato gran satisfattane, o credo clic sarehbano più il caso nostro: prima, per esser Padri molto osservanti et in buona voucrationo; o doppo questo, perchè non ambiscono a gran pre¬ so senti, nè si curano (essendo usi a viver poveramente) di far una vita esquisita, come altri d’altra religione anno voluto, quando ci son venuti, o corno fanno i preti elio ci soli dati per confessori, clic, venendo qui per 3 anni soli, in quel tempo non cercano altro che 1’ utile et interesse proprio, o quanta più roba posson cavar da noi, più valenti si riputano. Ma, senza ch’io stia ad estendermi più oltre con altre ragioni che gli potrei addurre, può V. S. informarsi in qualo stat[o] si trovavano prima il monastcrio di S. Iacopo, quello di S. ta Monaca, ot altri, et in quale si trovano al presente, poi elio son venuto al governo di frati che anno saputo ridurle per la buona strada. Non per questo domandiamo di levarci dall’obedienzn dell’ordinario, ma solo d’esser yo sacramentato e governate da persone esperimentate e che sappiano qualcosa. 1607 * PIETRO FRANCESCO MALASPINA a GALILEO in Firenze. Parma, 12 dicembre 1623. Bibl. Nnz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 213. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111™ S. r mio Oss. mo Ricccvei dal Prencipe di San Gregorio la lettera di V. S., insieme col libro die s’ è compiacciuta di mandarmi, di clic sentii particolar consolatione, vedendo clic tiene memoria di me, sì come la tengo io di V. S. con una particolarissima aifettione. Ilo lotto c riletto il libro, poiché la prima volta posso dire d’ haverlo più tosto (lavorato che letto, e le affermo clic il concetto che m’liavevo prosu- posto (V esso ò stato di gran longa inferiore a quello eli’ io P ho trovato, tutto che io conoscessi V. S. di singolarissima dottrina e di maravigliosa accutezza ICO 12-18 DICEMBRE 1023. [ 1607 - 1609 ] d’ingegno; nè in questo parrai de detrahere alla stima che ho fatto sempre della persona sua, poiché Pingegno mio non ha saputo capir tanto. Dico dunque di nuovo io che i concetti, le esperienze e le sode risposte alle obbiettioni fatte dal Sarsi, se così debbo chiamarlo, si mostrano maravigliose, che, accompagnate con una grandissima modestia e riguardo, m* hanno fatto arosire, raentr’ io mi sono ra- mentato che m’ingegnai di persuaderla, mentre io era in Fiorenza, a non rispon¬ dere a quanto le era stato scritto contra, parendomi impossibile elio tutte queste cose si potessero congiongere insieme. Ilo mostrato l’istosso libro ad alcuni Pa¬ dri Giesuiti miei amici, i quali hanno commendato sommamente et il libro o la persona di V. S. Desta eh’ io, col baciarle lo mani, le faccia di nuovo fede del vivo desiderio elio ho di servirla, ove mi favorisca di valersi della persona mia. Parma, li 12 Decembrc 1023. 20 l)i V. S. molto 111/" Cordialiss.® Ser. r# Pietro Fran/° Al alaspina. Fuori: Al molto ili.” S. r mio Osa."' 0 il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1608 *. GIOVANNI FABER a FEDERICO ('ESI in Acquasparta. Roma, 1C dicembre 10*3. Blbl. della R. Accademia dei Lincei In Roma. M*s n." IH (già cod. Boncompagni W0), cir. 207*. — Autografa. .... Ilo trovato Rieri mattina nell’anticamera del Si^. Cardinale Barberino il Sig. Ma¬ rio Guidacci, col quale ho latto amicitia. -Mi disse olio non sapeva quando d Sig. Galilei sarebbe per venire.... 1609. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 dicembre 1C23. Blbl. Naz. Rir. Mss. Ila]., I’. VI, T. X. ear. 151-162. — Autografa. Molto 111/* 5 et Ecc/"° S. r e P.ron mio ()ss. lu0 Doppo il mio arrivo in Roma ho sentito quasi ogni giorno da questi S. ri Lincei che \. S. era del sicuro per viaggio, e forse a Acquasparta dal S. r Principe; ma non trovando sino a ora tali avvisi verificati, vo pensando che ella sia ancora a 18 DICEMBRE 1623. 161 [ 1609 ] Firenze, tanto più che i tempi sono stati così cattivi, clic il partirsi a chi non ha necessità, et è in casa sua, pareva cosa troppo da giovani. Onde già che io ho mancato sin’a ora a non le dare avviso delle cose di qua, non voglio rimanere in questo fallo più lungamente. Primieramente le confermo quello che le è stato scritto da altri, che e da io N. S. e dall*111." 10 S. r Card. 1 ® Barberini e da quest’altri Signori suoi amici, che sono in gran numero, ella ci ò aspettata con desiderio; e di ciò V. S. non ha bisogno del mio testimonio. Ma che ella ci sia desiderata dal P. Grassi ancora, per faro con esso lei un’intrinseca amicizia, non so se ella lo sappia; di che 8. R. ?!l si promette tanto, elio gli paro di meritarla grandemente. Ha tentato, o forse ò stato motivo solamente del P. Tarquinio (,) , di abboccarsi meco, ma Ito risposto liberamente clic non ne voglio far altro; e già che non lo conoscevo prima, non ho tanta cagione di cercare la sua amicizia che l’abbia a andare a trovare al Collegio, come mi voleva persuadere il P. Tarquinio. Quanto al ri¬ spondere, egli non diffida di poterlo fare, e però va tuttavia notando le risposte 20 al Saggiatore di V. S.: ma io credo clic egli donerà volentieri alla nuova ami¬ cizia da contrarsi con esso lei la vittoria; ondo, anche per questo capo, mi pai- giusto il titolo di negargli questa mendicata familiarità. Il Cavaliere Stigliani (,) poi ha fatto un’apologià in difesa degli errori, cioò d’una parte de’ notati e fatti stampare da Y. S., difendendo che non sieno er¬ rori; ma d’una parte consente. Quali siano gli uni, quali gli altri, io nonioso; ma domani andrò a visitare il S. r Don Verginio, e proccurerò di saperli, acciò non segua una cosa dettami oggi dal detto Stigliani, che fa stampare un foglio di forse trenta o trentacinque errori da correggersi, c gli altri gli lascia passare, pretendendo che siano male avvertiti. Io dirò quel clic m’occorre, c poi mi ri¬ so metterò, come ò monte di V. S., a S. S. III." 1 *, la quale da quattro giorni in qua sta in letto con un poco d’asma e di doloro e catarro nel viso. I fogliman¬ dati da V. S. furon pochi, ma il detto S. r D. Verginio gli ha quasi tutti in ca¬ mera, e se non ne davo lume io, poicliò sono arrivato a Roma, si stavan quivi ; chè quel Cavaliere non gli avrebbe mai lasciati uscir di quivi, tenendosi grave¬ mente offeso. N’ànno avuti molti amici, e uno n’ho fatto anche venire in mano del Sarsi, che l’ha avuto caro in apparenza ; chè di già andava dicendo, essergli stato alterato il testo della sua Libra. Qua, oltre agli amici suoi di costà, V. S. troverrà pochi che sieno abili a gustare, come conviene, delle sue cose; non dimeno l’agevolezza che ella ha ma- 40 ravigliosa in ispiegare i suoi concetti, spero che abbia a piacere straordinaria¬ mente a chi più non l’ha sentita, e che sino a ora è uso a leggere i libri degli altri filosofi senza stomacare; che io restai alcune sere sono grandemente am- Oi Tahquimio Galmjzzi. (3 * Intendi, l'Errata corrige. l*) Cfr. Voi. VI, pag. 18-14. xnr. 21 18 — *20 DICEMBRE 1623. 10*2 [1609-1610] mirato, elio un signore avesse tanta gran pazienza che potesse legger tutto un libretto di Giulio Cesare Lagalla De cado animato"', sì come fece alla mia pre¬ senza, donandomi poi il libro, con dirmi che io guardassi di non diventare af¬ fatto peripatetico. Io gli dissi elio volevo, in contraccambio di quella lezione fattami in quella sera, leggero un’ altra volta a lui una satira, so però il S. r Ia¬ copo Soldani me la manderà, in proposito della dottrina del barbone di Stagira l, \ la quale forse piacerebbe più elio non piacque a me quella scrittura della Galla. I)o in tanto a V. S. lo buone feste in questo Santo Natale, e con ogni maggior no alletto lo fo riverenza. Di Roma, 18 di Dicembre 1623. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma S. r Galileo. Fuori: Al molto Ill. r ® et Ecc. ,no Sig. r# e P.ron mio O»s. ,uo 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1610 *. LEOPOLDO 1)’ AUSTRIA a GALILEO in Firenze. Inusbruck, 20 dicembre 1023. Bibl. Naas. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 188. — Autografa la firma. Leopoldus, Dei gratin Arcliidux Austriao, Dux Burgundiae, Episcopus Argen- tinensis et Passaviensis, Administrator Abbatiarum Murbacensis et Luderensis, perpetuus Comes Tyrolis et Goritiae, Landgravius Alsatiae. Syncero nol)is dilecte, Accepimus una cum literis tuis foetum ingenii tui ad nos transmissum, et ex eo quani nostrae erga te propensionis ìaemoriam habes intelleximus. Ut auteni vel ipsa nominis tui, nobis iain pluribus antebac testimoniis commendati, inspec- O» lumi Caksaris Laoam.ak De cotto ani- trixio Fiorentino, con annotazioni, date ora in luco noto diiputatio, I.ooiiis Allatii, amici ex animo cari, la prima volta. In Fir e tuo, MDCCJ.I, nulla stamperia opera publicae utilitati procurata. Typis Voegelianis, di Gaotauo AlLlziiui, pag. 42-57. E la Satira IV, il. DO. XXII. Cfr. n.° 1451. Contro » Peripatetici, Cfr. Satire del senntoro Iacopo Soldaki, Pa- 20 DICEMBRE 1623 — I l GENNAIO 1024. 103 [1610-16111 tione librimi enucleili singulari ac rerum praeclararum rccondiliore doctrina rc- fertuin conccpimus, sic eundem gratum quoque acccptumquo habemus, et utrum- ìo quo, occasione data, solitis gratiae nostrae demonstrationibus, quas tibi in omnes eventus benigne pollicomur, recognoscere parati erimus. Oeniponti, 20 Decembris, a. 0 1023. Leopoldus. Admoduni Ser. mi ac Rev. mi Arcb. Arg. et Pass. Eps. 1 proprium co Fuori: Syncere nobis dilecto Galilaeo Galilaei. Florentia. c, di mano diversa, in altra sopraccarta: Al Galilei Matematico mio Ainat." 10 20 Fiorenza. 1611. MARIA CRISTINA DI LORENA a CARLO DE’MEDICI in Roma. Firenze, 14 gennaio 1624. Blbl. Naz. Fir. Mss. Oal., P. I, T. XV, car. CO. — Autografa la sottoscrizione. 111.™ 0 et Itev. m0 Sig. re , mio Fig.*° Amat." 10 Il Mattematico Guliloi, havendo risoluto di venirsone un poco a Roma, ha desiderato elio io l’accompagni con una mia lettera in testimonio elio egli ci li abbia fatto sapere questo suo pensiero et elio noi ci no siamo contentati, poiché per altro egli non ha punto di bisogno d’introduttiono a V. S. 111. 1 "®, clic lo conosco come noi et l’honora della sua benevolenza. Io dunque, por compiacerlo, gl’ho dato la presente, con la guaio io saluto Y. S. IU. ma cordialissinmniento, et prego il Signoro Iddio che lo conceda sempro quello prosperità et gratie clic possono consolar lei et me. Di Fir. 18 , li 14 Genn.° 1623 < s >. 10 Di V. S. Ill. ma et Rev. ma Amor.™ Madre S. r Card. 10 de’Medici. Chrost. na G. D.‘ a Fuori: All’111." 10 et Rov. m ° Sig. or mio Fig.'° Amat. m0 Il Sig. r Cardinale de’Medici. Roma. **> A quanto paro, sotto « Arg. ot Pass. F,ps.< carta, elio è guasta, non permette di leggero, proprium » era scritto doli’altro; se non cho la <*> Di stilo florontiuo. 164 27 GENNAIO — 20 FEBBRAIO 1624. 11612-1618] 1612*. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in A equa* puri a. Roma, 27 gennaio 1624. Bibl. doli» R. Accademia dei Lincei In Roma. 51»*. n.* 12 (già cod Iloncompigni 680), car 210, — Autografa. .... Fo un presente qui appresso a V.Ecc. 1 * di un instromento malhcmatico, dona¬ tomi dall 1 authore l’altra Bora, del quale io poco mi intendo; si corno dicova quello, sum iotus ignoranti huius rei. Esso pretendo però clic sia cosa rara, havt-ndo liavuto il privi¬ legio papale; ot desidura a suo tempo far riverenza al Sig. r Galilei, et vuole mandar fuori anello in stampa la dichiaratione. È quel maestro che lavora in ottono, oomo Daniele, amico grande del Remo {l> . 11 Sig. T Magalotti et Sig. r Guiducci ambedue fanno liumiliusima riverenza a V. Ecc.'*, et mi dicono elio il Sig. r Galilei ha liavuto da faro, di accommodnre corti suoi nipoti doppo la morto della sua sorella (S) , havondo fatto uno monacho Benedettino; ma sperono elio ni primo buon tempo devo venire a Roma. Ilo invitato il Sig. r Guiducci elio vada, nel 10 ritorno, a trovare V. Eco.**, et mi paro che ha animo di farlo.... 1613. GALILEO a [ FEDERICO CESI in Acquasparta]. Firenze, 20 febbraio 1624. Bibl. della R. Accademia dol Lincei in Roma. Ms*. n.» 12 (già cod. Hoiicoaipagai 680). car. 146.— Autografa. 111. 100 et Ecc. mo Sig.™ o Pad." Col.®® Dal S. Stclluti ho inteso, con mio gravo dispiacere, la leggiera indisposizione di V. E., la quale spero di esser per trovare del tutto risanata. La perfidia do i tempi ha di giorno in giorno impedita la mia venuta, la (pialo finalmente non sono per differir più lun¬ gamente; ma quanto prima cessino queste nevi, elio pur ora fioc¬ cano gagliardamente, mi porrò in viaggio o ine no verrò da V. E., famelico di rivederla, goderla e servirla. E perchè spero pure che la fortuna sia per placarsi tra 2 o 3 giorni, riserberò a supplire a bocca a quanto occorre. Intanto ho volsuto darne conto a V. FI., io <‘l tìlOVANXI Rk.MO. Virginia 0 aulii iie’LAXDucoi: cfr. n.« 1558. 20 FEBBRAIO 1624. 165 [1613-1614] alla quale fo liumilissima reverenza, salutando di coro il S. Stelluti, al quale risponderò a bocca. Et il S. Dio gli conceda il colmo di ogni felicità. Di Fir. ze , li 20 di Fob.° 1623 (n . Di Y. S. 111.®» et Ecc. ma Dev. mo et Obblig. mo Ser. 17 ’ Galileo Galilei L. 1614. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Acqua»parta, 20 febbraio 1624. Bibl. Ntiz. Fir. Msb. (ini., I’. I, T. Vili, cnr. 215. — AutoRrala. Molt’Ill. ro e molto Eco. 10 Sig. r mio sempre Oss.'"° Debbi una lettera di V. S. nel principio eli Novembre, elio arrivai qui in Acquasparta, per la quale fui molti giorni in speranza della sua venuta, sino clic le stravaganze e rigori della staggionc mi cagionorno in essa lunga dila¬ zione. Ilora mi pare di dover ripigliarla, promettendone lo sfogamento del’ aria, già seguito più clic a pieno, prossima opportunità ; c perciò ho voluto con que¬ sta mia ricordar a V. S. eli’ io alti primi’ tempi buoni 1’ aspetto e desidero som¬ mamente, desiderando intanto intender buone nove della sua sanità, e quando crede precisamente poter venire. io Non so se le copie de’Saggiatori, elio le feci inviare dal S. r Stelluti nostro, le capitorno. Intendo bene eli’ ella fece fare una nota d’ errori (,) , clic mi farà gratia inviarmela; c mi dole che, per la mia assenza, non potei premere in detta stampa come haverei voluto. Bacio a V. S. le mani di tutto coro, ricordandomele vero servitore et aspettandola con grandissimo desiderio; e perciò mi riserbo a bocca, e non mi stendo più in longo. N. S. Dio le conceda ogni contentezza. D’Acquasparta, li 20 Feb. ro 1624. Di V. S. moit’ Ill. ro e molto Ecc. 19 Fu qui la settimana passata a favorirmi Mons. r Dini l3) , Arcivescovo di Fermo, e discor- 20 remmo un pezzo Ili V. S. Ali. m0 per ser. lfl sempre Fed. co Cesi Line. 0 P. tk) Lett. 1613. 11. talutandi di corc — m Di stilo fiorentino. <*> Cfr. Voi. VI, png. 14. Piero Bini. Sul lenjo ilol secondo foglio (car.216) della let¬ tera. che del resto è binneo, ò segnato, d’ altra mano, l’itinorario Firenze, Perugia, Todi, Acquasparta, Roma. 1G6 21 — 23 FEBBRAIO 1624. [1615-16161 1615 *. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acqnasparta. Roma, 21 febbraio 1624. Bibl. (lolla R. Accademia dei Lincei in Roma. M»». n.» 12 (già cod. Bvncompagm 580), car. 278i. - Autografa. .... Detto Sig. r I). Virginio ha lotto la lettera del I*. Terrontio »‘t giudica elio sia bene cho procuriamo che il Sig. Galilei favorisca ni P. Terrontio su quel calcolo de ccclipsibus, noi quale negozio V. Eco.** potrà ansai.... 1616 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze!. Acqnasparta, 23 febbraio 1624. Bibl. Nna. Flr. Mas. rial., P. I, T. Vili, car. 217. — Autografa la sottoicruione. Molt’ 111.” c molto Ecc.^ S. r mio sempre Oss." 10 Haverà. V. S. visto quanto lo scrissi con altra mia duo setti mano sono. Dora, con l’occasiono della venuta del lator di questa, che sarà Mesa. Calisto Morelli mio vassallo, devo replicarlo, elio essendo boriimi passato il rigor dell’ inverno et cominciando a raddolcirei il tempo, voglio sperare di ricever la gratin che sono stato tanto pezzo fa aspettando, con la venuta sua da questo bande. Torno dunque di novo a pregamela per darmi questa consolatone, clic maggiore non posso per bora desiderarla. Et con ricordar a V. S. il mio desiderio di servirla, la prego a comandarmi, et intanto le bacio affettuosamente le mani. D’Acquasp., li 23 Febraro 1G24. 10 Di V. S. molto 111.™ o molto Ecc. 1 ® Aff. mo per ser> sempre Fod.°° Cesi L.° P. Virginio Cesariki. <*' Cfr. u.° 572, liu. 3. [ 1617 - 1619 ] 24 FEBBRAIO — 2 MARZO 1624. 167 1617 *. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI [in Acquasparta]. Roma, 24 febbraio 1024. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Mss. u.® 12 (già cod. Boncoinpagni 580), cur. 288. — Autografa. _Questa mattina il Sig. p Scioppio Sig. rl Mario Guiducci et Magalotti, io, siamo stati boa pezzo di tempo col Sig. Don Virginio W. Il Sig. Galileo haveva dato intentione di essere qui avanti la Quaresima, ma il mal tempo non gli ha permesso. Intornio diro che il P. Grassi rispondo, ma non lo vuole stampare.... 1618 * FERDINANDO II, Granduca di Toscana, a FRANCESCO NICCOLINI in Roma. Firenze, 27 febbraio 1G24. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Medicea 3518 (non cartolata). — Minuta, in capo alla quale si legge: * l’or il (Iran Duca. AirAmb.'® Niccolini, 27 Kob." 1(523 iti Ine.*' » Venendo a Roma il Galilei, nostro Matematico, per suoi affari privati, hahbiamo vo¬ luto accompagnarlo con questa nostra lettera, acciò nello occorrenze suo gli prestiate aiuto et favore, secondo che alla prudenza vostra parrà di poterlo fare, perchè, come a servitore accettissimo di questa Casa, gli desideriamo ogni accrescimento di lionore. Et già egli deve esser molto ben conosciuto dal Papa et da’suoi principali ministri, onde hftvrà poco bisogno dell’ opera vostra. Con tutto ciò fato che egli conosca che noi ve 1’ habbiamo raccomandato, sì come facciamo in nomo delle Ser. mc tutrici et nostro. Et Dio vi conservi. 1619 * GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acquasparta. Roma, 2 marzo 1024. Bibl. della R. Accademia del Lincei in Roma. Mss. n.® 12 (già cod. Boncompagni 580), cnr. 20S(. — Autografa. _Mando qui a V. E/* notate quello parole della lettera Terrentiann <’> che non potea leggere. Sarà bene oprare col Sig. Galilei che favorisca in questa parto al Padre, acciocché possiamo noi ancora poi domandare qualche curiosità naturale più liberamente che spero a suo tempo non mancherà.... Cfr. nn.1 1615. 1619. 16 MARZO — 4 APRILE 1624. 169 [1621-1(1221 nutrirlo et accrescerlo, dove posso, con opportune comraemorationi che ne i nostri discorsi inserisco intorno alle eminenti qualità di lei: alla quale 20 si ricorda Dev. mo Se.** S. r Galileo Galilei. Fir.® Gio. Ci a inpoli. 1622. GALILEO a FEDERICO CESI in Acquasparta. Perugia, 4 aprile 1G24. li ibi. della R. Aooademia del Iiincoi in. Roma. Mss. n.° 12 (giù cod. Boneomptigni 5S0), car. 147. Autografa. Ili" 10 et Ecc. mo S. ra Scrivo a V. E. di Perugia, dove arrivai iersera : e perche il letti- ghiere che ini liaveva condotto qui da Firenze, havendo trovato da fare un nolo per Roma, mi ha piantato, benché fusse in obbligo di condurmi sino a Acquasparta, son necessitato a pregar V. E. che voglia restar servita di favorirmi della sua lettiga, la quale ho ben trovata qui, ma impiegata nel servizio dell*111. 1 " 0 Mona. Mattei ll> ; et altre qui non se trovano, nè io posso venire a cavallo. Mi dispiace non potere essere a far la Pasqua seco, poi che il suo io lettighiere, senza l’ordino espresso di Y. E., non ha voluto ritornar da Todi in «pia a levarmi. E perchè parte in questo punto, non le posso dir altro ; o scrivo male, per non haverne altra comodità. E re- verentemente gli bacio le mani. Di Perugia, il giovedì Santo del 1624. Di Y. E. Ser. re Dev. rao Galileo Galilei. Fuori: All’111. m0 et Ecc. m0 Sig. r R. ra0 (sic) 11 S. r Princ. e Cesi. Acquasparta. «*' Gaspare Matte!. xm. 22 170 5 — 13 APRILE 1624 . [1G23-1G24] 1623. FEDERICO CESI a [GALILEO In remgiaj. Acquasparta, 5 aprilo 1024. Blbl. Nnr. Fir. Mas. Odi.. P. I, T. Vili, car. 220. — Autografa. Molt’ 111.™ e molto Ecc.* Sig. r mio Osh.'" 0 Hora apunto, col ritorno della mia lettiga da Todi, ho ricevuto la gratissima di V. S., et con mia infinita allegrezza ho sentito il suo arrivo o venire, da me desideratissimo; ma mi son poi doluto grandemente che la simplicitÀ e poca pratica del mio lettighiero m’ Labbia trattenuta tanta consolationo e impedito il far la Pasqua seco, poichò doveva tornar subito a servirla volando, come hayerei voluto poter far io stesso. Subito giunto, dunque, non le ho dato tempo un momento, che l’ho rimandato indietro a servirla; e sto aspettando WS. con quel desiderio elio ella poi invaginarsi maggiore. K lo bacio con ogni maggior affetto le mani, nè mi stendo più in longo per non trattenere. io D’Acq.**, li 5 Aprile, a boro 21, 1024. Di V. S. molt’ Ill. r ® c molto Ecc. u » Perchè 1* aversarii di W S. stamporno in Peru¬ gia 0 ’, nè li Saggiatori credo vi siano arrivati, ho pensato mandar a V. S. questi che mi trovo allo mani, acciò possa donarli costi a chi le parerà ; con patto però che non sia occasione di tratte¬ nerla, perchè io non intendo procurarmi questo pregiuditio. Aff. ,n0 per aer. 1 * sempre 20 Fed. 00 Cesi Line. 0 P. 1624. GIO. CAMILLO GLORIOSI n GALILEO in Firenze. Venezia, i:i aprile 1624. Bibl. Nftz. Fir. Mss. (Ini., P. VI, T. X, car. 155 — Autografa. Molto 111.™ Sig. r Quando apparse questo ultimo cometa, feci alcune leltioni inibii eh e nello Studio 1 *’, nelle quali tenni e disputai alcune conclusioni contro la filosofia il’Ari- “> Cfr. Voi. VI, pag. 111. <*i Cfr. n.« 1438. 13 APRILE 1624. 171 [1624-1625] stotele; per lo clic li SS. 1 '* Poripatetici di detto Studio l’hebbero non poco a sde¬ gno, ma nessuno montò in catedra ad oppugnarle. 11 S. r Incetti poi, mosso da non so clic, o forse per la difesa d’Àristotelo, si pose a studiar queste materie, o ne fece un grosso libro 10 , nel quale refutò quelle conclusioni ch’io sostenni. A preghiere d’ amici sono stato costretto a stampar dette lettioni, con alcune risposte et ampliationi. Ne mando uno de’ detti miei libri (s) a V. S., acciò qual- che volta, ritrovandosi sfacendata, se degni leggerlo ; e perchè ci sono occorsi alcuni errori di stampa, conio ò solito, l’ho corretti in margine, acciò V. S. non habbia nessuno impaccio nella lettura. Saperà V. S. come per alcuni disgusti passati tra me e li SS. ri Riformatori ho lasciato la lettura ; e si bene detti Signori procurino darmi ogni sodisfattionc, anzi maggior provisione, acciò io la rcpigli de nuovo, non ne tengo troppo pen¬ siero. Presto sono per andare in Napoli, per accomodar alcuni affari de mio ne- pote. Non so quel che sarà. Le bacio le mani. Ri Venetia, 13 Aprile 1624. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Aff. mo Ser.™ 20 Gio. Camillo Gloriosi. Fuori : Al molto 111. 10 Sig. r mio Oss. lno Il S. 1 ' Galileo Galilei. Fiorenza. 1625 **. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acquasparta. Roma, 13 aprile 1024. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Mss. a.° 12 (già cod. Boncompagni 580), cnr. 234.— Autografa. 111."' 0 ot Eoe." 10 Princeps Sig. r Colendiss. m,> Vcnit stimma tlics et incluclabilc lentpus. riabbiamo perso qui in terra il nostro 3ig. Don Virginio W, che speriamo elio in Cielo sarà nostro intercessore, atteso olio è morto benissimo, come mi hanno riferto certi frati di S. Domenico, essendosi confessato et commonicato pochi giorni avanti. Io ho parlato hier sera con il suo Sig. fratello Mons. r Co¬ sarmi nell’anticamera del Sig. Card. Barberino ,5 \ et gli ho insinuato che ricuperi Vonotiis, ox typographia Varisciana, MDCXjJUY. < 3 > Virginio Cksarini. <*> Fkrdinando Cksarini. < s > Francesco Barbkrini. (') Cfr. n.° 1529. l*» De Cometù. Dissortalio nstronomico-pliy- sica. ptibliee liabita in Gyniuasio Patavino, unno Do¬ mini MDCX1X, a Iuannb Camillo Glorioso, ccc. 172 13 — 20 APRILE 1624. [1625-1626] 1*anello Lynceo. Vostra E. M potrà far risiesso a oommandnra al Si«-. r Angelo nostro che lo solociti. Et perchè mi pare ohe Vostra K.“ altre volto m’ havesso detto che esso Sig. r Don Virginio lasciava bona parto de i suoi libri alla biblioteca Lyncea, vorrei saper so havesso bora mutato questo testamento, perchè, por quanto mi accorgo, Mona. Cesa- io rini dice elio haverà lui questi libri. Non ho visto ancora il cerusico che l’ha aperto, ma intendo elio li polmoni erano attaccati alle coste, et il fegato quasi scyrrhoso- 1626 **. GIO. BATTISTA GUAZZARONI a [GALILEO in Àcquaaparta]. Todi, 90 aprile ìti-l. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 157-1&8. — Autografa. Molt’ 111.** ot molto Eco. Sig. r Oss. mo Intendendo in questo punto dal figliuolo del Kig. r Capitan Matalucci che V. S. per ancora si trattiene costì in Acquusparta, et elio lunedi prossimo è per par¬ tire alla volta di Roma, mi ò paruto bene di venirlo a far riverenza con questo quattro righe et ricordarmelo servitore, come faccio di tutto cuore et farò mentre sarà, in Roma et mentre me no darà licenza, per impararne qualcosa. Hora mi ricordo, mentre mi fu concesso di goderla in quel poco tempo che fu a Todi, che io restai appagato d'alcuni dubbi clic io le mossi in materia del suo occhiale, tanto famoso, utile et di gusto alla nostra vista ot al inondo. Pas¬ sando poi alli specchi, et dimandandole io del luogo o punto dove s’acoende io il fuoco nello specchio concavo, et apportandolo il parere del Sig. r Porta, che disse essere nel semidiametro o centro di quella sfera di cui è portiono esso specchio, et il parere del Sig. r Magino, che disse esser nella quarta parto del medesimo diametro; ella mi rispose che variamente si costituisce il detto luogo del fuoco, secondo la varietà dello sfere di cui li specchi sono segmenti ; conse¬ guentemente, che non ò il luogo dell’ incensione vero nel centro o quarta parte del diametro, ma vario ; et elio il luogo del fuoco non ò punto, ma buono spatio. Così panni che V. S. mi dicesse, so io mal non intesi. Mi nasco bora dubbio circa questo, clic, essaminando io in un mio specchio concavo d’acciaro detti luoghi, trovo elio il luogo del fuoco si termina ot fa più vehemente in una por- 20 tione del diametro diversa dalle due opinioni riferite ; meno vehemente poco so¬ pra 0 sotto questo punto, et in maggiore spatio, et conseguentemente conformo al parer di V. S. ; et si fa anco, se bene non cosi gagliardo, in altri luoghi an- *‘i Akqkuo db Filub. 20 APRILE 1624. 173 |16261 coni fuori del diametro, o perpendicolare, dal mezzo dello specchio ; ma il detto termine della perpendicolare dal piano o centro dello specchio si costituisce in un punto solo : in maniera elio dallo specchio si forma come un cono, di cui esso specchio ò base, et il luogo del fuoco è la punta del cono ; nè il detto luogo del fuoco maggioro è buono spatio, ma quasi un punto ; et fuori del detto punto, et fuori anco del diametro, si fa puro il cono, ma il fuoco è più debole, nè si fa 30 però mai gagliardo più vicino allo specchio del punto detto più efficace, nel dia¬ metro, ma sì bene più lontano. Compatisca alla mia ignoranza, se gli 1’ esplico intricatamente. Per meno con¬ fusione di quanto io dico, le pongo qui sotto la concavità perfetta sferica dei mio specchio, in cui, pigliando li tre punti A, B,C, trovo, per lo regole ordinarie, le due lineo I)E et FG, et per esse il diametro BH, quali linee non pongo in¬ tiere per non uscir della facciata d’ un mezzo foglio, llora, lasciando per brevità li numeri, dico clic la quarta parte dei diametro, dove, secondo il Magino, sta il punto del fuoco, cade nel punto I ; ma secondo il Porta, esce assai il loglio, locandosi nel semidiametro istesso, oltra la li. Ma io vedo che il vero punto del- 40 l’incensione maggiore è in K nel diametro ; et si torma dalla base AC, il cono ACK. Il foco poi fuori del detto diametro, a destra et a sinistra, si fa sopra detto punto K in II et altrove, ma più debolmente; et si forma parimente il cono, o conoide, di cui ò base la AC: nè detto mio specchio è parabolico o simile. Leti. 1626. 27-28. luogo del fuoco del fuoco nuiyyiore — 174 20 — 20 APRILE 162-1. [1626-1627] Aspetterò elio V. S. si degni di dirmi qualcosa di più circa ciò, so non d’Acqua- aparta, di Roma, et a suo commodo ; condolendomi intanto seco per la perdita delTIll. mo S/Cesarmi ll) , et desiderando a V.S. buon viaggio et perfetta sanità et salute, facondo qui affettuosissima riverenza a V. S. et a cotcbto IH.»'» et Ecc. n, ° S. r Prencipo Cesi, miracolo dell’ età nostra. Todi, 20 Aprilo 1624. Di V.S. molto lll. ro et molto Ecc. Sor/ 6 Deditiss. 6 60 Gio. Ratta Guazzaronio. 1627. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Arcctrl, 26 aprilo 162-1. Blbl. Naz. Fir. Ma». Gal., P.I., T. XIII, car. 47. — Autografa, Molto 111.™ et Amat. mo Sig/ Padre, Grandissimo contento c’ ha apportato il sentire ("per la lettera mandata d’or¬ dine di V.S. a Mess. r Benedetto ;,) ) il suo prospero viaggio lino in Acquasparta, o sommamente ne ringratiamo Dio benedetto. Godiamo anco de i favori elio ha ricevuti dal Sig. r Prencipo Cesis, o stiamo con speranza d’haver occasiono di molto più rallegrarci quando intenderemo il suo arrivo in Roma, essendo V. S. stata da gran personaggi tanto desiderata ; ancorché io mi persuada che questi suoi contenti sieno contrappesati con molto disturbo mediante l’improvvisa morte del Sig. r D. Virginio Cesarmida lei tanto riverito et amato. No ho proso io molto disgusto, solamente pensando al travaglio elio Laverà havuto V. S. por la io perdita di così caro amico, o tanto più elio era cosi vicina a doverlo presto ri¬ vedere. È certo che questo caso no dà materia da considerare quanto sieno fal¬ laci e vano tutto le speranze di questo mondaccio. Ma, perché non vorrei clic \. S. credessi eli’ io voglia sermoneggiar por let¬ tera, non dirò altro, salvo che, per avvisarla dell’ esser nostro, gli dico clic stiamo benissimo, et affettuosamente la salutiamo, in nonio di tutte le monache. Et io gli prego da Nostro Signore il compimento d’ogni suo giusto desiderio. Di S. Matteo, li 26 d’Aprile 1624. Di V. S. molto ill. w Afl>* Fig> Suor M. a Celeste. so inori: Al molto 111/ 6 Sig. r Padre mio Oss. mo 11 Sig/ Galileo Galilei. “l Cfr. n.« 1625. <*> Uknkdktiu Lanolcci. Roma. «*> Cfr. u.<* 1625. [1028] 27 APRILE 1G24. 175 1628*. GALILEO a [CURZIO PICCIIENA in Firenze]. Roma, 27 aprile 1624. Arcli. di Stato In Firenze. Filza Medicea 3883, car. 527. — Autografa. fll™ 0 Sig. re c Pad." 0 Col." 10 La certezza clic ho della affezione di V. S. Ul. rna verso di me, mi assicura che gli sarà grato l’intendere conio, dopo P essermi tratte¬ nuto i giorni santi in Perugia e 15 giorni poi in Àcquasparta, giunsi li 23 stante in Roma, allo 3 bore di notte. La mattina seguente fui a i piedi di N. S., introdotto dall’ Ecc. mo S. D. Carlo (1> , e por un’ora di tempo fui in diversi ragionamenti trattenuto da S. S. t4 , con mio singolarissimo gusto. Il giorno seguente per simile spazio di tempo fui con l’Ul. mo S. Car. Barberino (i> , o con altrettanta sodisfazione. io Presentai la lettera di Madama Ser. nia all’ IU. mo et Rev. mo S. Card. Medici (3> , ricevuto pure con lieta fronte e con Immanissime offerte. L’altro tempo lo vo spendendo in varie visite, le quali in ultima con¬ clusione mi fanno toccar con mano che io son vecchio, e che il cor¬ teggiare è mestiero da giovani, li quali, per la robustezza del corpo e por l’allettamento delle speranze, son potenti a tollerar simili fati¬ che; onde io, per tali mancamenti, desidero ritornare alla mia quiete, o lo farò quanto prima. Intanto favoriscami V. S. Ill. ma di baciare umilmente le vesti a loro AA. Sor. me in mio nome, e in se stessa mantenga viva la memoria della mia vera o devotissima servitù: et so il Signore la colmi di felicità. Di Roma, li 27 di Aprile 1G24. Di V. S. 111.™ Dev. rao et Oblig. mo Ser. rQ Galileo Galilei. <*> Cari.o Rarrkrini. < a > Francrsco Bakbkri.vi. <») Cfr. 11.» 1611. 176 29 APRILE 1624. [ 1629 ] 1029. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 29 aprile 1024. Bibl. Naz. Flr. Mas. dal., P. I, T. Vili, car. 222-223. - Autografa. Molto 111. et Eco.»" 0 Sig. r et P.ron mio Col." 0 Il Sig. r Benedetto Landucci, suo cognato, m’ ha, per sua gratta, participato tutto quel che del viaggio di V. S. in duo ben lunghe Ietterò 1* haveva raggua¬ gliato il Sig. r Francesco Ambrogetta Ogni cosa mi ò stato d’indicibil contento, eccettuatone però quelle doglie, la cui importunità, insolenzà et ostinationo V. S. mi creda pure che io ho piò cl’itna volta maledetta et abiurata. Ma piò d’ogni mio scongiuro harà giovato a V. S. il sommo diletto nel veder la caduta delle Marmora (,) , la quale senz’altro o gli barò levato, o gli harà almeno ingannato, ogni sentimento di dolore. Non potrò’mai dirgli, Sig. r Galileo, quanto io sia ac¬ ceso di voglia di vedere uno spettacolo si ammirando, e molto più di sentirlo io raccontare o descrivere da V. E. con lo osservazzioni et dottrino appresso che ella ci harà notate; ma quando io penso che io la rivedrò Dio sa quando, mi sento il petto sparar di duolo. L’infinita sua cortesia, con la quale ella tanto hu- manamente mi aperso l’adito a sì domestica conversatone, quanto, mentr’ell’era presente, mi confortava o colmava d’allegrezza, tanto nella sua lontananza mi contrista e mi flagella. 1’ vo leggendo e rileggendo l’opere di V. S. per temprare in me l’ardente desiderio do’ suoi gustosissimi e fruttuosissimi discorsi ; ma no sento effetto contrario all’intentione, c s’io fusai in mia libertà, Dio sa se a quest’bora V. S. non si fusse sentito appresso il calpestio del mio ronzino. In cambio di questo l’ho ben seguita sempre col pensiero, et bora la vengo a visitare o salutar con let- 20 tere, ringratiandola quanto so e posso del saluto che nominatamente e di sua pro¬ pria mano mi ha mandato nella seconda lettera al suo Sig. r cognato: ma io devo anco rammaricarmi seco (0 piò meco medesimo), che al partir ch’ella fece di qua non mi lasciasse da far cosa alcuna per lei, segno espresso clic io non delibo esser buono a nulla. Patienza! so ben certo che ad una cosa i’son buono, cioè ad amarla, riverirla et ammirarla; il che ho fatto sempre, e farò sin eh’io vivo. E qui facendole riverenza, le bacio col piò intrinseco affetto la mano. Di Firenze, a dì 29 Aprile 1624. Di V. E. molto 111. et Ecc."“ Obblig. ,no et Devot. mo Ser. ro Niccolò Aggiunti. so Quando le sarà commodo, se ella mi dirà qualche cosa del Sarsi, mi sarà carissimo. 11 Sig. r Iacopo Peri saluta V.S. affettuosissimamente. Hieri discorremmo insieme di lei piò di du’ boro. O) Cfr. n.o 1516. [1630-1681] 30 APRILE — 11 MAGGIO 1624. 177 1630 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Roma]. Acquasparta, 30 aprile 1G24. Bibl. Naz. Flr. Msa. Gal., P. I, T. Vili, car. 224. — Autografa. Molt’Ill.™ e molto Ecc. t0 Sig/ mio sempre Oss/ no Ilo sentito consolatiorie del felice arrivo di V. S. e della sua gratissima; ma però il temere delle indispositioni, et Tessersi pigliata soverchia fatiga in un su¬ bito, come lei m’accenna, me Tha minuita non poco: nè è cosa nella quale più si deva premere e da lei e da tutti noi, che la sua sanità. La Corte, Sig/ mio, dà infinite occupationi c fatighe, e quando non lusserò altre, le officiose e di complimenti sono senza numero. Ma poi pigliarsi in fretta, et anco adagio. Vorrei dunque che V. S. pian piano si venisse in essa sodisfacendo, come benissimo poi fare, havendosi sopratutto bonissima cura. Aspettare altre nove migliori, io come devo sperarle, ratificandomele intanto prontissimo et obbligatissimo a ser¬ virla per tutto, mentre di tutto core bacio a V. S. le mani et le rendo infinite gratie di quanto s’è compiaciuta ragguagliarmi. La mia Sig.™ Principessa insieme con me affettuosamente la saluta. D’Acq. ta , li 30 Aprile 1624. I)i V. S. molto 111.™ e molto Ecc. t0 Aff. m0 per ser. ,n sempre Fed. co Cesi L.° P. Il S. r Stelluti nostro bacia a V. S. per mille volte le mani. 1631 * GIOVANNI FABElt a FEDERICO CESI in Acquasparta. Roma, 11 maggio 1G24. Bibl. della R. Aooademia dei Lincei in Roma. Mss. n.® 12(gii\ cod. Boncompagnl 580), cnr. 242. — Autografa. .... Sono stato liier sera col Sig/ Galilei nostro, clic habita vicino alla Madalena. Ila dato un bellissimo ochialino al Sig. Card, di Zollerà per il Duca di Baviera. Io ho visto una mosca che il Sig/ Galileo stesso mi ha fatto vedere: sono restato attonito, et ho detto al Sig/ Galileo che esso è un altro Creatore, atteso che fa apparire cose che (*) Federico Evtel di Zolleen. siri. 23 178 11—15 MAGGIO 1021. [1681-1688] (inhora non si sapeva che fossero state crealo. Mi gli sono proferto in tutto quello elio potrò por lui; ma esso non mi ha comunicato cosa alcuna dalli suoi negozii : però sto al comando suo, et lo vedovò sposso. Ha voluto da me una copia dalli suoi libri 2V maculis solaribus, elio non trovava più a Roma. Gli ho anche ragionato por conto dello osfterva- tioni dell'eccitasi solari per il Terrentio<•>, ma mi dice elio non lui nulla.... 1632*. FABIO COLONNA a FEDERICO CESI in Acquasparla. Napoli, 13 maggio 1024. Bibl. della R. Aooadomln del Llncol In Roma. Mss. n.» 12 (gii cod. Iloncompagnl 580). ear. 42.- Autografa. _Mi son rallegrato del godimento che V. Eoe.* havo ricevuto dal S. r Galilei, elio certo le tengo invidia, et credo elio liahhia inteso bellissime cose. Quel giovine di caBa Oddi fu allievo del S. r Stei li ola <*\ et è vero che tiene molti scritti, per che lui aiutava a copiare detti scritti. Non so so saranno di opere compite, poiché li ultimi originali sono in poter del figlio, il quale è poco huomo di senno, haven- dolo pregato più volto me havesse dato o fatto copiarii re dante del Telescopio ( *\ acciò si finisse di stampare, giù che la spesa della stampa si faceva da ^ . Ere.', per honorar suo padre et anco per utile suo, elio non doveria farsi pregare, ma offerirlo da pò stesso n V. Ecc.* a Lui stava con quell* humor di croco di cavalerato, et me par una vanità di cervello. Come starò un poco men travagliato, cercherò di trovarlo et veder elio ne possa 10 cavare, già elio l'esortai elio non facesse perder la fama di suo padre nò la spesa tutta da V. Eco.** in qucllu parte stampata.... 1633. GALILEO a [FEDERICO CESI in Acquasparta]. Roma, ló maggio 1624. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Mss. n.° 12 (già cod. Boncompagni 580). cur. 165-166.— Autografa la Arma. 111. 1110 et Ecc. mo »Sig. r e P.ron Colorici. mo Il consiglio che m’arreca V. Ecc/ a nella cortesissima sua delli 11 stante 1 ' 1 intorno al contentarsi di un lunghissimo negoziare in questa Corte, mi pare perfettissimo, tutta volta elio la natura si contentasse I'» Crr. tin.i 1615, 1C19, 1C20. Ui Niccolò Antonio Stkluola. ■ 3 > Cfr. il.» 752. Ufr. n.« 1680. 15 MAGGIO 1G21. 170 [ 1633 ] di convertire parimente in anni o in mesi quelli pochi giorni elio mi rimangono: e veramente trovo ogni giorno per esperienza ve¬ rissimo, elio potrei condurre a fine alcuna di quelle intenzioni delle quali discorremmo insieme, tuttavolta che io potessi prevalermi del benefìzio del tempo, della flemma e della pazienza; ma il dubbio elio io ho nella mancanza del tempo, et il desiderio elio tengo di terminare qualcuna delle mie speculazioni, mi consiglia a ridurmi quanto prima alla mia quiete et oziosa libertà. Ricordevole del desiderio di V. Ecc. za o del bisogno della Com¬ pagnia, mi sono incontrato qua nel Sig. r Ceseri Marsilii, gentilliomo Bolognese e, per quanto lio potuto comprendere, di ingegno molto elevato, e tale che dentro di me me 1’ ho figurato per degno suc¬ cessore et herede del luogo del Sig. r Filippo Salviati. Si mostra de¬ sideroso di essere ascritto nella Compagnia, e con grand’ istanza mi ha domandato la nota dei compagni e le constituzioni accademiche, 20 lo quali procurerò di bavere dal Sig. r Fabbri o dal Sig. r Angelo de Filiis, poiché le mie non sono appresso di me. Questo gentilliomo pro¬ fessa di essere molto servitore et intrinseco di Monsig. r lll. rao Cesi (l ', fratello di V. Ecc. za , di dove ella potrà bavere più autentica infor¬ mazione della mia: intanto la supplico a favorirmi di accennarmi il suo pensiero circa il tirar avanti questo negozio, che non mi al¬ largherò un capello dall’ ordine suo. Fui, tre giorni sono, a pranzo col Sig. r Card. le S. ta Susanna (l) et in varii discorsi poi per molte bore, con l’assistenza di varii Etterati; ma non si venne a ristretto di alcuna proposiziono delle nostre più so principali : ina, come ho detto di sopra, ho bene scoperto paese, che ci sarebbe da sperare profitto quando non si havesse strettezza di tornilo. Sono stato due volte a lungo discorso con ii Sig. r Card. 10 Zo- ler, il quale, benché non molto profondo in questi nostri studii, tuttavia mostra di comprender bene il punto et il quid agendum in queste materie, e mi ha detto volerne trattar con S. S. ta avanti la sua partita, la quale doverà essere fra 8 o 10 giorni: sentirò quello che ne haverà ritratto. Ma in conclusione la moltiplicità de i ne- gozii, reputati infinitamente più importanti di questi, assorbono et annichilano l’applicazione a simili materio. < l > Angelo Cesi. (*) SoirioxK Cobepluzzi. 180 15 — 18 MAGGIO 1624. [1683-1634] Qua ci ò di nuovo la morte del Sig. r Card. ,e d’Eate 1 , col quale trattato col Sig. Galilei per conto del libro dello Stigliola (V> , et gli pare ben fatto die si tiri innanzi. Siamo stati insieme dal Sig. Gerolamo Mathei, un vero compitissimo Cavalliere, il quale ha havuto gran gusto a conoscere il Sig. r Galilei, et- di questo dico haver obligo a V. a Ecc. ia ; et viceversa il Sig. r Galilei restò molto sodisfatto di esso ancora. Si potrebbe col tempo pensare ancora di admetterlo all’ Accademia. Quel gentiluomo Bolognese Marsilio ancora sta fuori, ma avanti il Sig. Galileo parta gli parleremo; et il Sig. r Galilei inclina assai che sia admesso. 1636 *. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acquasparta. Roma, 1° giugno 1024 Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Mss. u.° 12 (già cod. Boncouipagni 5S0), car. 253. — Autografa. .... Il Sig. r Galileo ha latto bona amicitia col Sig. Card.’ 0 di Zoller, nella casa del quale una mattina esso Sig. Galileo, col P. Mostro Sig. r Scioppio <*> et io, habbiamo fatto un colloquio. Trovammo il P. Mostro molto per noi, ma non consiglia elio bora si tenti di rivangare questa lite supita; ondo credo elio il Sig. r Galileo stamperà qualche cosetta clic indirettamente dica il fatto, acciochò l’inimici non babbiuo attacco... , <•' Cesahk Marsim. •*» Cfr. n.° 1633. < 3 > quanto seguo si legge in un poscritto. Cfr. n.° 1632. (®> Niccolò Riccardi. l6 ' GAsrABB Sciorino. 182 8 GIUGNO 1021. [ 1637 ] 1637. GALILEO a FEDERICO CESI [in Acquaapartn]. Roma, 8 giugno 1624. Riproduciamo questa lotterà dallo Ledere memorabili, iiiorichr, jmlitirS* ni erudite, irride e rnreolle da An¬ tonio Bulipon, ccc. Raccolta quarta. In Napoli, prosio Antonio Htilifon, lf.'J7. pag. 8(M2, dove rido por la prima Tolta la luco. Una copia di inano dui hoc. XIX, trascritta quando fu mossa inaiomo la raccolta Palatina dol Mss. Galileiani, ò nella Bibl. Niias. PIr., Mn. Gal., P. VI, T. VI. car. 38 39, o confrontata con Podiziuno dol Bctirox prosouta poche o iusignificanti variotA di forma. Sono ancora in Roma, benché contro mia voglia, elio vorrei es¬ sermi partito 15 giorni fa por poter essere a Firenze in tempo di poter faro un poco di purga, della quale mi sento bisognoso; ma or¬ mai mi converrà far passata, essendo scorso tanto avanti col tempo. Partirò domenica prossima in compagnia di Monsignor Vescovo Nori (l) e del Signor Michelangelo Buonarruoti, a richiesta do i quali mi sono trattenuto tanto. Quanto allo coso di qua, ho principalmente ricevuti grandissimi honori c favori da N. S., essendo stato fin a 6 volto da S. Santità in lunghi ragionamenti; et liieri, che fui a licentiarmi, hobbi fermalo promessa di una pensione per mio figliuolo, per la quale resta mio sollecitatore, di ordine di Sua Santità, Mone. Ciampoli; e 3 giorni avanti fui regalato di un bel quadro o 2 medaglie, una (Poro o l’al¬ tra di argento, e buona quantità & Agnus Dei. Nel Sig. Cardinal Barberino { ~ ) ho trovato sempre la sua solita benignità, come anco nell’Eccellentiss. Sig. suo padre <3) o fratelli (4) . ira gli altri Signori Cardinali, sono stato più volto con molto gusto in particolare con Santa SusannaBuoncompagno (B) c Zol- ler, il quale partì liieri per Àiemagna, o mi disse haver parlato con N. S. in materia del Copernico, o come gli heretici sono tutti 20 della sua opinione e P hanno per certissima, 0 elio poro ò da andar molto circospetto nel venire a doterminationo alcuna: al elio fu da S. Santità risposto, corno Santa Chiosa non l’havea dannata nè era per dannarla per heretica, ma solo per temeraria, ma elio non era da temere elio alcuno fosse mai per dimostrarla necessariamente vera. Ol Fiukcksco Noni. Francesco Barbebixi. Gì Cari.0 Babbi una. ,l i Antoxio 0 Tadhko Bakiikriki. •'t SOINOXE CoBBLLUZll. G) IbAXCESOO BoxcoxrAii.Ni. 8 GIUGNO 1G24. 183 [ 1637 - 1638 ] J1 P. Mostro e ’1 Sig. Sdoppio (1) , benché sieno assai lontani dal po¬ tersi internar quanto bisognerebbe in tali astronomiche speculazioni, tuttavia tengono ben ferma opinione che questa non sia materia di fedo, nò elio convenga in modo alcuno impegnarci le Scritture. 30 E quanto al vero o non vero, il Padre Mostro non aderisce nò a To¬ lomeo nò al Copernico, ma si quieta in un suo modo assai spedito, di metterò angeli che, senza difficoltà o intrico veruno, muovano i corpi celesti così come vanno, e tanto ci deve bastare Ilo trovato il Sig. Girolamo Mattei (2) molto gentile, e desideroso •di bavero uno elio potesse bene instruirlo in quelle parti delle ma¬ tematiche le quali principalmente attengono all’ arte militare. Sopra tutte lo coso fin qui accennate avrei da dire a V. E. mol¬ tissimi altri particolari, li quali per la loro moltiplicità mi sbigot¬ tiscono: basta in universale, che gli amici miei et io concludiamo 40 che restando qui potrei continuamente alla giornata andar più presto avanzando che scapitando, ma che, essendo il negotiar di Roma lun¬ ghissimo, et il tempo clic mi avanza forse brevissimo, meglio sia che io mi ritiri alla mia quiete e vegga di condurre a fine alcuno de i miei pensieri, per farne poi quel elio l’occasione alla giornata ed il consiglio degli amici ed in particolare il comandamento di V. E. mi ordinerà. TI Sig. Cosare Marsilii ha vedute le Costituzioni (:|) , o continua nel desiderio di essere ascritto, e continuerà il negotio col Sig. Fabri (4) , et in tanto affettuosissimamente fa riverenza a Ah E. Et io, conforme a gli obblighi infiniti elio le tengo, riverentemente le bacio le mani, ed in- 6o sieme alla Eccellentiss. Signora Principessa, augurandole intera felicità. Di Roma, li 8 di Giugno 1624. 1638. URBANO Vili a FERDINANDO II DE’MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Roma, 8 giugno 1C24. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I’. I, T. I, car. 190. — Originalo. La firma (li Giovanni Cjaiipoìi è autografa. UnBANOS PP. Vili.* Dilecte fili, Nobilis vir, salutoni et Aposfcolicnni benedictionom. Tributorum vi et legionum robore formidolosam esse Iletrusci principatua potenti ani, Italia quidem oninis fatetur: at cui ni remotissiinae etiam nationes foeliceni vocant Nobi- "i Cfr. il.» 1G3G. < ! 1 Cfr. n.o 1G35. O) Cfr. il.» C85, n.° 10-14. <*> Giovanni ’Fabkb. 184 8 GIUGNO 1024. [1638-16301 li tate m tuani ob subditoram gloriai» et Floront inorimi ingeniti, llli ©nini, novos mundos animo complexi, et oceani arcana patofacicntes, potuerunt quartana torrarani paltoni re- linquere, nominis sui monumontom. Nuper autom diloetus lilius Galilaeus, aetheroaB plagas ingressus, ignota aydora illuminavit, et planatami» ponetralin reclusit, Chiaro, dura be- neficum Iovìb aBtrura raicabit in coolo quatuor novis assedia comitatuin, Gomitoni nevi sui laudem Galilaoi traliet. Nos tantum virum, cuins fama in coolo lucet et terra* poragrat, io iamdiu paterna charitate complectimur. Novimns enim in eo non modo literarum gloriam, sed etiam pietatis studium ; iinque artilm» pellet, quibns rontificia voluntas facile deme- retnr. None miteni, cura illuni in Urbem Pontificatila nostri gratulatio reduxerit, pera- nianter ipBum complexi sumus, atquo iucundi idointidem midiviraus Florontinae eloquentiao decora doctis disputationibus augentem. Nunc autoin non patimur oum aino ampio Pon- tificiao cliaritatis commeatu in patriam rediro, quo illuni Nobilitata turni benoficentia rovocnt. Esploratimi est, quibus praemiis Magni Dncos remunerentur adniiraiula eiuB in- genii reperta, qui Medicei nominis gloriam inter sydera collocavit. Quin immo non pauci ob id diotitant, so minime mirari tara nberem in ista civitatevirtutum osso proventum, ubi eas dominantium magnanimità» tana eximii» benefieiis alit. Tanmu ut bcìuh quam eliarus 20 Pontificia© nienti ilio Bit, lionorificum hoc ei dare volliimna virt uti» et piotati» testimoniuin. Porro miteni significamus, solatia nostra l'oro omnia beneficia, quilnis rum ornane Nobi¬ lita» tua palernam munificentiam non modo iiuitabitur, sed etiam augebit. Datimi Romae, apud Sanctam Mariani Maiorem, sub Annuio Piscatoria, die Vili lu- nii MDOXXII11, Pontilicatu8 nostri anno primo. loannea Ciampolus. Fuori: Dilecto filio, Nobili viro Ferdinando Medici, Etruriae sibi subiectae iMagno Duci. 1639. FRANCESCO BARBERINI a MARIA MADDALENA D’AUSTRIA, Granduchessa di Toscana, [in Firenze]. Roma, 8 giugno 1624. BIbl. Naz. Fir. Mas. Gai, P. I, T. XV, car 02 — Autografa la sottoscrivono. Ser. m * Sig. ra mia Col." 1 * 1 ornando a hiorenza il S. r Galileo Galilei, che por la molta alTettione ch'io gli porto ha tanta parte della volontà mia, non ho voluto ch’egli venga senza portar a V. A. questo segno della mio osservanza o divotiono. Supplico l’Alt.'* Vostra a voler esser apieno informata da lui del desiderio che tengo di servir alla Sor."'* sua Casa; e bacian¬ dole con tutto P animo lo mani, lo prego da Dio ogni maggior felicità. Di Roma, li 8 di Giugno 1G1Ì4. Di V. A. Ser. m * Ser. m * Arciduchessa. AfT." 10 Serv. r * F. Card. 1 Barberino. [1640-1641] 8 — 10 GIUGNO 1024. 185 1640 . FRANCESCO BARBERINI a FERDINANDO II DE’MEDICI, Granduca di Toscana [in Firenze]. Roma, 8 giugno 1624. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. Gl. — Autografa la sottoscriziono. Ser. mo Sig. r mio Col. mo Con occasione che so no ritorna il S. r Galileo Galilei, non ho potuto fare elio, come persona tanto accetta a V. A. c elio ha tanta parto della mia affettione, egli non le porti qualche sogno dell’osservanza c divotiono mia, et insieme di quanto io desideri veder lui di ben in meglio honorato di tutto lo gratio e dimostratami che col concorso doli’ inter- cession mia si devo promettere della benignità di V. A. Alla quale perch’egli può render sicuro testimonio dell’infinito mio desiderio di servirla, la supplico a prestargli in questa parte ogn’intera fede, et a V. A. bacio con tutto l’animo lo mani. Di Roma, alli 8 di Giugno 1624. Di V. A. Ser. n,a Aff. m0 Serv. r0 Ser. mo G. D. a F. Card. 1 Barberino. 1641 . FEDERICO CESI a [GALILEO in Roma]. Acquasparta, 10 giugno 1024. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gftl., P. I, T. Vili, car. 143. — Autografa. Molt’IU." o molto Eco.*® Sig. 1 ' mio Oss. n ’° M’ha grandemente rallegrato la gratissima di V. S. (,) per le molte buone nove che in essa ho ricevuto, con il compimento della sua spedinone da Roma con buona sanità e buoni principii. Le rendo infinite gratie di tutto il ragguaglio datomene, ma lo ricordo di nuovo clic molto maggior consolatone riceverò se pensarà favorirmi qui nel passaggio, con quelli Signori anco che sono seco, come con ogni affetto torno a ripregarla. Io poi me le ricordo quel servitore di core che le devo esser sempre; e sperando il favore della presenza, non mi stendo in altro con la presente. Bacio a V. 8. affettuosamente le mani, insieme con la ioS. ru Principessa mia, pregandole da N. S. Dio ogni contento. Di Acq. t!l , li X Giugno 1024. Di V. S. molto III.™ e molto Ecc. t0 Aff. mo per ser> sempre Fed.°° Cesi L.° P. O) Cfr. n.® 1637. m 21 U1UUK0 1024. ll«4«] 1642. MARIO GUI DUCC1 a [GALILEO iu Firenze]. Roma, 81 ghigno 1624. Bibl. Nasi. Plr. Mas. Gal., P. VI, T. X. car. 1C3. — Autojcraf*. Molto 111.» et Kcc. mo Sig. r P.ron mio Osa." 10 Io ho ricevuto contento grandissimo dall’avviso datomi da V. S. del suo salvo arrivo in Firenze, e mi s’ò accresciuto il gusto nel participarlo a diversi amici e servitori di V. S., che ne dimostrava!! tanto piacerò. Questa mattina, essendo stato occupato appunto su l’ora della anticamera, non ho potuto comunicarlo, corno disegnavo e mi consigliava il nostro S. r Ascanio, con 1*111.“° S. r Cardinale 10 , ma domattina in tutti i modi voglio baciarli la veste in nome di V. S. Non ho nò anche veduto il S. r Cesare Morsili, ma farò al più lungo Tu tizio domattina; e in caso che da S. S. non avessi la scrittura dell’Ingeriin’ha una copia Battolino (3) , che sta con Mons. r Corsini (0 , e me la farò dare o la manderò a io V. S.; c penso di mandarla per il S. r Alessandro Vettori, il quale fra pochi giorni parte di qua. Mi piace il pensiero di V. S. di levarsi d'intorno simil gente, elio la cortesia o pietà ascrivono a lor trofei. Ma bisogna rivedergli il conto senza misericordia nessuna. E so non lusso presunzione la mia entrare a consigliarla, mi parrebbe da rispondere solamente agli argomenti che egli chiama matema¬ tici e filosofici, lasciando i teologici da parto, almeno per ora, perché a quelli sarebbe più agevole a lui il replicare, quando V. S. scrivesse in contrario; essendo manco necessairi degli altri, che in tal materia si possano addurre. Sento da ogni parte crescere il romore della battaglia che ci minaccia il Sarsi con le sue risposte, tanto che mi induco quasi a crederò che Rabbia fatte; 20 ma dall’altro canto non so vedere dove abbia da attaccare, avendomi il S. r ('onte Verginio Malvezzi quasi certificato che in su quell'opinioni del caldo o de’sa¬ pori, odori et c. non abbia a fare fondamento nessuno, poiché, dice egli, si vede manifestamente che V. S. ve V ha poste per ingaggiare nuova lite, alla quale debbe essere apparecchiato e armato molto bene: et il detto S. r Conto e un S. r Mar¬ chese Pallavicino (i) dissuadono il Sarsi dall’intromettersi in questa controversia. Mi rallegro clic V. S. si sia messa a lavorare: piaccia al Signore Dio darlo sanità, da tirare a fine e questa e 1* altre opere che ha imbastite. La risaluto in Giovanni Ba&tolini. Ottavio Corsosi. U» Sforza Palla vicini. 21—22 GIUGNO 1624. 187 [1642-1643] nome di molti amici, e in particolare molto affettuosamente per parte del S. r Asca¬ so nio Piccolomini ; e Giulio mio fratello et io revcrontemcntc le baciamo le mani. Il Signore Dio le doni ogni bene. Di Roma, 21 di Giugno 1624. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.' na Aff. mo Ser.™ Mario Guiducci. 1643 *. GIOVANNI CIAMPOL1 a GALILEO in Firenze, lioma, 22 giugno 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 227. — Autografi il poscritto o la sottoscriziono. Molto III. 10 et Ecc.'"° Sig. 1 ' o P.ron mio Oss. mo Rendo a V. S. infinite graf ie, la quale con la nuova del suo felicissimo viaggio si è compiaciuta di apportarmi questa nuova consolatione. Maggior cosa non de¬ sideravo io di presente da lei, depcndondo ogni mio contento dalla sua buona sa¬ lute, nella quale la veggo così prosperamente conservare. Ilo inteso con mio singoiar piacere de i ragionamenti havuti da V. S. con le AA. Sor." 10 ; e de i favori clic si compiace di farmi con la solita gentilezza sua le resto debitore di nuovi obliglii a i quali m’ingegnerò in ogni tempo di sodi¬ sfare in qualche parte, almeno con quelli atti di servitù che mi si concederà da i io suoi comandi, in particolare tanto da me, come ella sa, desiderati. Bacio a V. S. affettuosissimamente le mani; e pregandola a dar alcun segno, con la frequenza delle sue, di tener viva memoria di me, le auguro dal Cielo ogni più desiderata prosperità. Di Roma, il dì 22 Giugno 1624. Di V. 8. molto 111. 1 ' 8 et Ecc." 11 Rendo gratie a V. S. dell’ avviso datomi. La supplico a continuarmi le sue lettere. Ho ricordato a N. S. 1 ' 8 et al S. r Card. Barberino la pensione per suo figlio, (,) e mi dicono che quanto prima vederanno 20 di consolarla. Il memoriale l,) per il confessoro Ge¬ suita delle sue monache sarà spedito quest’altra settimana. Gran gusto mi ha dato V. S., avvisan¬ te Cfr. u.° 1637. «*> Cfr. il.® 1600. 188 22 GIUGNO 1624. [1643-1645] domi di haver subito cominciato a metter in opera co- testa sua penna gloriosa, la quale produce frutti per 1*immortalità, e maraviglio per gl’ingegni Immani. Dev. mo et Obblig. Se.™ S. r Galileo Galilei. Fir. 6 G. Ci am poli. 1644 *. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acquaspnrtn. Noma, giugno 1024. Bibl. della R. Accademia del Lincei in Roma. Ms*. n.« 12 (già cod. Boncotnj>*gni 580), car. 255.— Autografa. _Aggiùngo bora questo di più: elio Ineri fu da me quel gentilhuomo Bolognese^, raccomandato per l’Academia nostra Lyncoa dal Sig. Galilei, quale mi riportò lo Consti- tutioni Lynoeo, et mostra di bavere gran Bete di entrare in questo consesso. Dico esser grandissimo amico di Mons. r fratello W di V. Eccoli.™; et in quanto posso comprendere, è amatore della bona philosophia et beno introdotto nella mathematica, bavendo già pel¬ le mani da stampare non so elio tavolo de molli Martin : et accenna di un matheraa- tico di Bologna, grande et ricco ot vecchio et carico di scritti, ma cynico come M. Amb. di Faliano, quale so potessimo bavero, sarebbe molto a proposito per noi. Ma di queste coso l'orso il Sig. Galileo haverà dato conto più minuto a V. Eco.™- 1645 *. GIROLAMO MATTEl a GALILEO in Firenze. (Roma, giugno 1824). Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.° 22. — Autografi il poscritto e la sot¬ toscrizione. Molto 111.™ Sig. 10 Giù che non volse la mia fortuna concedermi tanto che io potessi, avanti la sua partita da Roma, come harei desiderato, baciarle di presenza le mani ed esi¬ birle eli nuovo la mia prontezza in servirla, ho voluto con questa pagar questo debito, assicurandomi la virtù sua, che sa i rispetti che m’impedirono, che V. S. lo riceverà anche in grado in questa forma. Io ne la prego, come fo parimente a favorirmi di ritruovar quella persona che dicemmo, ed a mandarmi quei scritti <'> Oxsakk Marsili: cfr. a.® 1687. l»i Cfr. n.« 1687. <*> Anoklo Cksi. GIUGNO — 2 LUGLIO 1624. 189 [1645-16461 cho si compiacque di promettermi; et se le paresse che in raccordarglielo fosse troppo sollecito, mi scusi, e l’ascriva alla stima clic ne fo, mentre per line a V. S. io bacio le mani. Di V. S. molto 111.” La mortificatione elio ricevei nella sua partita fu grandissima, et la speranza che tengo di dover esser da V. S. compiutamente favvorito non è mi¬ nore ; et creda che con qualche ansietà ne attendo avviso. Aff. mo per servirla S. r Galilei. Girolamo Mattei. Fuori: Al molto 111." Sig." 20 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1646. [MARIA MADDALENA D’AUSTRIA, Granduchessa di Toscana,] a FRANCESCO BARBERINI [in Roma]. Firenze, 2 luglio 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1’. I, T. XV, car. (13. — Minuta. Ul. mn o Ilev. m0 Mona.'* mio Col." 10 L’essersi compiaciuta V. S. 111."" 1 di rinnovarmi In memoria della sua amorevolezza per mezzo di persona a lei tanto accetta come mi significa esserle il Galileo, mi fa mag¬ giormente riconoscere non meno la grandezza dell’affetto suo che della mia obligationo. Però no ringratio infinitamente V. S. Ill. ma : la prego a rendersi certa, che sicom’ella n’è da me abbondantemente ricambiata, così riceverò sempre sommo contento di goder ben spesso occasioni di dargliene più chiara evidenza col’impiegarmi in suo servitù); et in¬ tanto le auguro dal Signore ogni più bramata contentezza. Di Firenze, li 2 Luglio 1624. Di V. S. 111.”» e Rev. ma Aff. wa per ser. u S. r Card. 1 Barberino. Lett. 1646. 15. che qualtha — 190 4 LUGLIO 1624. [ 1647 ] 1647 **. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Roma. Genova, 4 luglio 1G24. Bibl. Nat. Fir. Mas. (lai., I». VI, T. X, car. ICó. — Autografa. Molt’ 111.» et Eec. mo S. r Sono tanto pigro con la penna, ch’io merito di non scusarmi per mancamento di questa sorto. Io soglio diro cho dalla regione della religione sono tardi gli spacci. V. S. o mi condanni o mi rimetta: mi assicuro cho sentenza del tribu¬ nal della sua gratin non uscirà in pregiuditio della mia antica servitù. Questo è ben certo, cho il S. r Cav. r Giovan Santini tiene ordino da me, tuttavolta che venga alla Corto, non mancar di questo tributo di farlo reverenza a mio nome. Io venni al principio dell’inverno passato in Roma, ove per alcuni negotii solo mi trattenni quindici giorni, et al ritorno dissegnava tener la via di Firenze; ma li tempi così corrotti cho regnarono, mi constrinsero a non divertire, ot ancor io il dubio clic V. S. non ci fosse aiutò il distogliermi. Mi fu in Roma (lotto, credo dal P. Grassi, era uscito alle stampe il Saggiatore della Libra Astronomica, opera di V. S., essortandomi a vederlo, il cho per quell’angustia di tempo e negotii non mi fu permesso. Qua poi non ho mancato di leggerlo, e con mia grandissima sodisfattione, come sempre feci dell’opero di V. S. ; e perché alla perfetta intel¬ ligenza vi bisogna di fresco memoria del Discorso del S. r Mario Guiducci, ho dato ordine ne sia procurato due essemplari, perchè non mancano amici di V. S., ancor a lei non cogniti, che, invitati e convinti dalla sua dottrina, s’inoltrano in siinil materie con grandissimo gusto. Fra questi il S. r Rartolomeo Imperiali, gen- tilhuomo (li rarissime qualità, discorrendo talvolta con me, ha desiderato di sco- 20 prirsele amico; e dicendosi cho V. S. ha tutta via avanzato nel perfettionare il cannocchiale, havria grandissima volontà di tenerne uno di quei piccioli, cho raultiplicano e fanno tali apparenze nelle cose minime, che maggiormente si mostra meraviglioso. Io me le sono offerto, come servitore antico del S. r Galileo, essere mediatore, cho per sua cortesia voglia procurarne uno do’ più eccellenti e con quelle galanterie cho lei sa benissimo ritrovare. La persona che presenterà a V. S. queste lettere, haverà ancor pensiero di sodisfare ad ogni spesa, alla quale non si guardi. Scrive 10 ancora questo gentilhuomo a V. S., e per essere di quelle con- ditioni che molti sanno, spero cho gradirà questa nuova rispondenza, della quale • ') Cfr. n « 1618. 4 — 5 LUGLIO 1G24. 191 [1647-1048] ao li Signori di gran titolo trattano alla pari. Non le dico altro, sicuro della sua infinita cortesia; c le bacio le mani. Genova, 4 Luglio 1024. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Servo Obligat. ,no D. Antonio Santini, G. li. di Somasca. Fuori: Al molt’Ill. ro et Ecc. rno S. r Col." 10 il S. r Galileo Galilei. Roma (,) . 1648 **. BARTOLOMEO IMPERIALI a GALILEO in Roma. Genova, 5 luglio 1021. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VII, car. 1G3. — Autografa. Molto 111. 0 et Eccoli." 10 S. r Con Poccasiono ch’io Paltrieri conferiva alcune cose di matematica col molto R. do P.° D. Antonio Santini, venimo in proposito dell’ultima opera stampata da V. S., dico della Libra Astronomica 1 *’, già da me gustata; e discorrendo col detto Padre, maggiormente m’accesi in desiderio di scoprirmi a V. S. amico di vero affetto, essendo gran tempo che, per la fama e per lo studio dell’altro opere sue, già me le professo tale. Lo stesso D. Antonio mi s’essibì mediatore, acciò elio io dovessi con questa mia dar principio a questa sodisfatione e all’acquisto della sua rispondenza; sopra della quale offerta affidato mi ha (sic) molto più io nella cortese natura di V. S., ho preso signrtù di offerirmele servitore et amico daddovero, essendo io per altro inimico di cerimonie: o se V. S. si degnerà di commandarmi, proverà in effetto che riuscirò tale. Desidero che mi favorisca dirmi so va fabricando altre opere, poiché il con¬ cetto della sua profonda intelligenza mi persuade che debba lasciare tutta via maggiori tcstimonii del suo valore. E le bacio le mani, pregandole da N. S. vera felicità. G.«, li 5 Lug.° 1624. Di V. S. molto Ul. rd et Ecccll. n,a Aff. mo Se. 1 ' 0 Bartolomeo Imper. 1 ® 20 Fuori: Al molto lll. ro et Eccell." 10 S. r mio Il S/ Galileo Galilei. Roma (S) . "MI Santini oredova, inanifcstnuionto, elio < 3 > L’ Imperiali credeva erroneamente, insieme Galileo non fosso ancora tornato a Firuuzo. col Santini (cfr. n.° 10-17, liu. :18), che Galileo fosse »*> Cfr. n.o 1047, lin. 12. • tuttavia a Roma. 6 LUGLIO 1021. L1B49-1650] m 1649 *. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acquasparta. Roma, 6 luglio 1024. Bibl. della R. Accademia del Lincei In Roma. M«. n.<* 12 (già cod. Boncompagnl 880), c«r. 194.- Autografa. _Quel gentillraomo di Bologna dei Marsili, amico del Sig. r Galilei, è stato un'al¬ tra volta da me; et hora, tornato a casa sua, mostra di haver gran desiderio di essere de’ nostri. Nel passar per Fiorenza sarà di novo col Sig. Galilei ancora.... 1650 . MARIO GUIDUCGI a [GALILEO in Firenze]. Roma, o luglio 1624. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. X, CAr. 167. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. ,no S. r e P.ron mio Oss. rao Io ho consegnato al S. r Alessandro Vettori (,) , il quale si partirà per costà la prossima settimana, le scritture dell*Indoli, cioè la prima scritta a V. 8. (,) e la risposta al Cheplero Cfr. Xuoci itudi galileiani por Axtoxio Fa- png. 158-159. G — 13 LUGLIO 1624. [1650-1051] m firmamento maggior proporzione a quella della luna che l’angolo di quello al¬ l’angolo di questa; e però, mediante questa maggior distanza, le lineo della di¬ versità intraprendono maggiore spazio di cielo, e maggiori o maggior numero 20 d’asterischi. Da quel poco che ho veduto in detta scrittura, mi pare che tal pensiero vi sia assai adombrato, ma non ispiegato quanto basta. Ma avendomi il S. r Cesare detto che non v’ è, e che io lo scriva a V. S., ho voluto scri¬ vergliele. M’ò stato detto che il P. Mostro è entrato consultore del Santo Ofizio; ma non lo sapendo da lui, non lo dico assolutamente. Il S. r Marcello Sacchetti bacia lo mani a V. S., e insieme col S. r Matteo, suo fratello, mi fanno instanza clic io proccuri d’avere il suo ritratto, che lo vorrebbero mettere in compagnia d’altri personaggi, in certe stanze che hanno messo a ordine a terreno per la state. V. S. sa che anche il Cavalier Marino lo voleva. Se V. S. ne mandasse uno a 30 questi Signori, il Marino l’avrebbe poi da loro. Penso che il P. Don Benedetto sarà tornato a Firenze. V. S. mi faccia grazia di ricordarmeli servidore. Il S. r Ce¬ sare Marsili passerà di costà al suo ritorno per Bologna, e si ripiglierà le scrit¬ ture. Intanto bacia le mani a V. S., come ancora il S. r Ascanio Piccolomini, il S. r Tommaso Rinuccini e ’l S.*' Filippo Magalotti; e io per line, facendole rive¬ renza, le prego dal Signore Dio sanità o ogni bene. Di Roma, G di Luglio 1624. Di V. S. molto 111. 1 '*» et Ecc."' u Ser. re Àff. m0 Mario Guiducci. 1651 *. GIROLAMO MATTEI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 luglio 1624. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.° 21. — Autografi il poscritto e la sot¬ toscrizione. Molto 111» Sig.» Con dispiacere non ordinario ho nella sua letto il caso di quel giovane che V. S. m’ havea destinato, sì per rispetto di lui et sì per rispetto di me, che non poco lo desiderava. Mi son consolato però con la speranza che non sieno per mancarne a lei, acciò io rimanga favorito in questo, come anche spero ne gli scritti che di promettermi si compiacque: che già che m’impone che io le ricordi in che materia si disse, dicole che si parlò di qualche cosa di fortificatione e di pratica; et bora le soggiongo che di quello che le parerà favorirmi, io mi chia- XIII. 104 ' 13 — 20 LUGLIO 1624. [ 1651 - 1052 ] merò grandemente lionorato, et apunto conio io bora della sua cortese lettera, della quale molto gratio le rendo. E le bacio lo mani. io Di Roma, alli XIII di Luglio 1624. Di V. S. molto 111.” In quanto a scritti, qualunque parte che me no giunga, infinitamente m’obligherà, come m’obliga il senso elio dimostra haver nello mie cose. Sant V. S. corrisposta con un desiderio continuo di servirla. Aff. mo per servirla S.r Galilei. Girolamo Mattai. Fuori: Al molto III.™ Sig.™ Il S. r Galileo Galilei. so Firenze. 1652 *. TOMMASO RINUCCINI a GALILEO in Firenze. Roma, 20 luglio 1024. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 229. — Autografa. Molto Ul. re Sig. r c P.rono Oss. mo Per poter dir risolutamente a V. S. che non sia vero clic il Padre Grassi non babbi risposto, non credo che mi manchi altro elio il procurare che il Sig. r Lo¬ dovico Serristori no domandi come da sò a detto Padre, poiché per altro verso fino adesso non ne ho riscontro nessuno, nò quest’ultri Signori servitori e amici di V. S. ne sanno niente, nò meno lo erodono, sichò credo che cotesta sia voce vana; ma tutta via in questa settimana elio viene, troverò il Sig. r Lodovico, e farò qualche altra diligenza, che per la brevità non ho potuto ancora, o no darò per la prima posta più sicuro ragguaglio a V. S. ; la quale ringrazio intanto del fa¬ vore clic mi fa in comandarmi, ma si ricordi che vorrei servirla in maggior cose, io e che sono obligatissimo di farlo. La scrittura dell’Ingoli 10 l’ha hauta il Sig. r Alessandro Vettori, e sono alcuni dì elio partì di qui; ma intendo che babbi fatto la strada d* Urbino, e però V. S. tarderà un poco a Laveria. 11 Sig. r Mario (,) si trova da mercoledì in qua nel letto con la febbre, o sebene il male non dà segni cattivi, in ogni modo s’ò corcato d’anticipare i rimedi più <" Cfr. n.o 1663. »*i Mario Uuidccci. 20 — 27 LUGLIO 1624. 105 [1652-1653] die e* è potuto, e i erra attilla se li dette una medicina e stamattina s’è cavato sangue, cliò con questo rimedio in particolare ne speriamo ogni bene; e piaccia a Dio elio quest* altra settimana possa dare a V. S. nova dell’ intera salute, 20 come credo. Continuiamo senza nove di considerazione, onde non havendo die dirle, finisco con farle reverenza da parte di tutti i Signori suoi cari, e Monsignore 01 parti¬ colarmente se le ricorda servitore, sicome le vivo io, e le prego ogni felicità. Di Roma, li 20 Luglio 1624. Di V. S. molto Ill. ro Mi ricordi servitore al Padre I). Benedetto se è in Firenze. Obb. mo Sor. 0 S. r Gal. 0 Galilei. Tommaso Rinuccini. Fuori: Al molto 111. 10 Sig. ro e P.rone Oss. mo so II Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 165B. ASCANIO PIGCOLOMINI ARAGONA a [GALILEO in Firenze], lloma, 27 luglio 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 231. — Autografa. Molt’Ill.® Sig. r mio P.ron Oss. mo Dal Sig. r Tommaso Rinuccini ho inteso che il Padre D. Benedetto (!) è giunto a Roma con ottima salute, onde sto con estremo desiderio di vederlo per con¬ certarmi seco della maniera con che io possa in quest’occasione ricordar al Sig. r Cardinale (s) l’interesse del Sig. r Vincenzo suo figliolo, già che per il debito ch’ho di servirla ambisco di veder effettuata la benignità di N. S. nella maniera eli’a lei promise 01 . Ver è ch’il non poter soggerir l’occasioni di punto in punto è cosa d’infinito progiudizio, mentre tanto soprabbondano i pretensori: e lami creda clic lo cose van più strette di quei ch’altri creda; eli’a lei sia scusa delle io lunghezze, lo non mancherò mai con quel poco eli’ io posso, ma mi dispiace che ell’habbi scelto procurator di troppa poca Labilità, e potere. Se la buona voluntà puoi bastare, la sia sicura che la non ne rimarrà mai defraudata, onde a ragione puoi stimar propri i mia avanzamenti; conforme a che la ringrazio del cortese O) fiio. Battista RmuCOlKl. <*> Cfr. li.» 1654. < 3 » Francksoo Bakbkrini. <*1 Cfr. n.° 1637, lin. 11. 196 27 LUGLIO 1624. [1653-1654] offizio elio passa meco per i benefizi che rill. mo Padrone mi conferì, no’quali ammiro la benignità con che ò prevenuta ogni domanda. E sperando eh’egual¬ mente ella ancora n’habbia a rimaner consolata, li fo riverenza. Di Roma, li 27 di Luglio 1624. Di V. tì. molto 111. Aff.° e Vero Ser. r Ascanio Piccol. 1 Arag. 1G54*. TOMMASO RINUCCINI a GALILEO in Firenze. Roma, 27 luglio 1R24. Bibl. Bat. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXXVII, n." 47. — Autogr«fa. Molto Ul. ro Sig.™ o P.rone Os8. mn Iersera arrivò il P." Don Benedetto con una cera squisita, et io non ho mancato di darli per ricordo lo starsi in riposo e l’haversi cura, chè veramente Tesser venuto in questa stagione lo ricerca, et io per questo rispetto non godo interamente di vederlo. Il Sig. r Mario 01 va migliorando del suo male, ma tanto adagio che per ancora ha ogni dì la febbre: con tutto ciò non c’ò altro peri¬ colo che un po’ di lunghezza. Il Sig. Ludovico Serristori non ha per ancora potuto ritrovar niente del Sarsi sichè io credo poter assicurare V. S. elio cotcsta voce fussi vana; ma non man¬ cherò all’occasione d’avvisarla di tutto quello penetrerò, Bicorne non mancherò io di servirla in pagare i denari che m’ordina a quell’homo di Mon. r Ciampoli w : o di tutto sarà avvisata. Qui abbiamo oggi per molto sicura, con lotterà di Napoli, la morto del Card. 1 * RidolfP”; o dolo a tutta la nazione, quanto V. S. si può immaginare. E con questo le fo reverenza, o prego dal Signor Dio ogni felicità. Di Roma, li 27 Luglio 1624. Di V. S. molto 111.” Obb. mn Ser.™ Tommaso Rinucc."' Fuori: Al molto 111.™ Sig.™ e P.rone Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. 20 <•> Cfr. n.« 1652, lin. 15-20. Cfr. a.» 1652, liu. 2-8. Firenze. I») Cfr. n » 1657. < 4 ' Ottavio UiDoi.ri. [1655-16561 3-9 AGOSTO 1621 197 1655*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Bellosguardo. Roma, 3 agosto 1(524. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Vili, cnr. 238. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. mo Mi ritrovo qua in Roma sano tuttavia, per grafia di Dio, e sin bora ho hauto grandissimo gusto in rivedere tanti Signori, miei padroni, tutti posti in gran¬ dezze, e in ogni modo mi si dimostrano della medesima cortesia e gentilezza con la quale solevano già trattare meco in Firenze; e per finire di colmare le mie consolazioni, si fa spesso, o da loro e da me, la cara ricordanza c memoria dei molti meriti di V. S. Kcc." ,a , in particolare da Mons. r Ciampoli, da Mons. r Rinuc- cini, Sig. r Tommaso Rinuccini e dal Sig. r Filippo Magalotti. Sono poi stato a baciar la veste all’111." 10 e R."'° Sig. r Card. 1 Barberini, dal quale son stato trai¬ lo tato e visto con tanta benignità che più non si può dire, e ho comandamento da S. Sig. ria Ill. n,a di ritornarci. Quanto al Sig. v Card.' 0 Bandini {,) , non mi sono voluto cimentare a medi¬ carlo, ma si bene ho trattato con i suoi medici, di ordine di S. Sig. ria Ill." ,a , e consegnatoli un vasettino d’onguento, acciò ne faccino esperienza e poi delibe¬ rino. Nel resto penso di partire per Monte Cassino fra dieci giorni o dodeci: però, se mi farà grafia di scrivere, potrà inviare le lettere a Roma in S. Calisto. Con che li fo riverenza. Di Roma, il 3 d’Agosto 1624. Di V. S. molto Ill. rn et Ecc. ,nn Oblig." 10 Ser. ra e Dis.' 0 20 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Eco." 10 Sig. r e P.ron Col. m ° Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze, a Bellosguardo. 1656*. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Genova, 9 agosto 1624. Bibl Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXV11I, n." 157. — Autografa. Molt’ ili.” et Ecc. m ® S. or mio Col." 10 Ho ricevuto la cortesissima di V. S. de’ 24, et fu tardo il passato spaccio per baver tempo di farle resposta. Le dirò bora, non essermi nuovo quanto sempre <*) Ottavio Bakdinu 108 0 — 10 AGOSTO 1624. [1666-1657] mi habbia favorito della sua gratin; et la diligenza di farmi compire queir oc¬ chialino, desiderato dal Sig. Bartolomeo Imperialo 05 , nuovamente mi obliga, Quello clic liavrà cura di recapitare alle mani di V. S. le presenti lettere, similmente riceverà l’instrumento per mandarlo; dal quale V. S. faccia sborsare quanta spesa ci bisogna, chò tieno ordino di farlo senza limite. L’instrutione che si compia¬ cerà accompagnare per l’uso, verrà molto al proposito, acciò ne’ più giovani si vadi inserendo maggiormente il nome di A'. S., assai cognito fra tutti i letterati, io Quel suo Saggiatore qua ò stato ricevuto con applauso, ancor che, per esser il Sarsi, cioò il P. Orassi, di Savona ot liaver qualche adhcrenza, non può essere die la passione non appanni alcuni. Questo tengo che da ciascuno sia senza controversia conosciuto: che l’espcrienzo di V. S. sono tali, che appagano il senso, togliono l’ambiguo, o sodisfanno alla ragione. 1 fondamenti del discorso, so al¬ cuno non l’intende, questo si attribuisca alla propria ignoranza. V. S. non ha bisogno elio ninno s’arroghi tutela delle sue ragioni, per esser tanto vero; ma talvolta, fra quei che vanno dietro al (lire di altri, può molto il detto di cui ò stimato professore o studioso di airail materie: cosi so corto elio al S. r Imperiali sarà occorso il mostrarsi a V. S. parziale per ragione, vedendo l’errare in altri 20 senza ragione. Questo gcntilhuomo lo sarà verissimo amico, 0 lei se no potrà sempre promettere, et ò di conditiono ingenuissima 0 libera. 11 favore dell’oc¬ chiale ò fatto a mia intercessione; l’obbligo però sarà a parte di olii Phavràad uso, elio ò V istesso, et io fra tanto 110 le rendo lo maggiori grazio elio posso : nò dubiti punto della mia antica dovotiono e servitù, ancor che l’uffitii della con- tinuationc dello lettere siano stati interrotti, nò io li lio mai giudicati per ciò necessarii. A V. S. Ecc. ma bacio lo mani. Genova, 9 Agosto 1624. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Servo ()hlig. mn c Partialo so D. Antonio Santini, (J. K. di Soui. a Fuori: Al molt’Ill.™ ot Ecc. ,no S. r mio Col." 10 11 S. r Galileo Galilei, in Firenze. 1657 *. é TOMMASO RINLCCINI a GALILEO in Firenze. Koma, 10 agosto 1624. Bibl. Naz. Fir. Mas. dal.. P. I, T. Vili, cnr. 235. — Autografa. Molto 111.™ Sig.™ c P.rone Oss. mo Ilo pagato al Sig. r Contini 01 i denari che m’ha chiesto per ordine di V. S., cioò scudi sette d’oro delle stampe e sette gitili, che in tutto fanno giuli 101 % "> Cfr. nn.‘ 1658, 1660. <*> Cfr. n.® 1654. 10 — 17 AGOSTO 1G24. 199 [1657-1658] de’ quali ne ho hauto riconta, e ne terrò conto nel saldo con V. S. ; e questa altra settimana credo clic pagherò quel mercanto clic tino a pochi giorni sono non me li ha chiesti, et io ho goduto il benefizio del tempo, sperando che sia con bona grazia di V. S. 11 Sig. r Mario {,) icrsera l’altra non liebbc felibro, ma dubito elio bavera, lunga convalescenza. E stato, nel male, visitato dal Padre Grassi w, niellò la pace ò Jo fatta, e l’amicizia servirà forse per scusa di non rispondere; e il Sig. r Ludovico Serristori non ritrovò mai elio quell’avviso, che Y. S. hebbe, potessi esser vero, anzi tutto il contrario. E con questo a V. S. lo reverenza e prego ogni conso¬ lazione. Di Roma, li 10 Agosto 1024. Di V. S. molto Ill. ro Don Benedetto ò due di elio non l’ho visto, ma credo stia benissimo. S.» Gal. 0 Galilei. Dev.™ 0 Ser.® Tommaso ltiuuccini. 20 Fuori, : Al molto Ill. re Sig. ro e P.rone Oss. mo 11 Sig. r [Gjalileo Galilei. Firenze. 1658 ** BARTOLOMEO IMPERIALI a [GALILEO in Firenze]. San Pier (l’Arena, 17 agosto 1624. Bibl. NTaz. Fir. Mss. Gel., P. VI, T. IX, car. 192-193. — Autografa. Molto Ill. r0 et Eccell.” 0 S. r mio, Mi sento tanto obligato con V. S., clic desidero ogn’ora s’appresenti occa¬ sione ove io possa dimostrarle quanto le son servitore; e non lio parole di rin- gratiarla abbastanza di tanti favori che ella mi fa e nell’inviatami et in quell’altra del nostro Padre Antonio Santini, che è stato il mezano(?) dell’acquisto eli’io ho fatto: e perchè gl’oblighi verso V. S. crescano nel colmo, mi ha mostrato la lettera dell’incomodo che lo dà dell’occhialino di veder nelle cose minime le cose pic¬ colissime, et insieme del Discorso che pensa mandare per l’instrutione di detto. Lett. 1658. 4. allaitunla — / Cfr. mi.» 1052, 1054. (2) Cfr. u.° 1061. 200 17 — 23 AGOSTO 1021. 11658-1659] In effetto io sono curiosissimo di cose di sì rara qualità, ma non aveva già in- tentione (come ho detto al Padre) di incomodarla tanto, massime adesso in oc- io canone di far discorsi in questi tempi così caldi, massime che ella per suo di¬ porto scrive che è ritirata nella villa. Penserò bone, quando la stagiono sia più manzi, di scriver a V. S. una mia curiosità, che non penso che altri possa ca¬ varne il succo eli’ il suo valore : ma, come dico, il tempo adesso noi premetto, occupato ancora in occupationo ottima del ilusso e rillusso del mare, importan¬ tissimo soggetto e che merita una volta esser cifrato come egli è; o non dubbito ponto che è a buonissime mani; et ogni un loda il pensiero, e stimano tutti di sentir cose nove e vero. Alcuni solamente fratacci sgridano, ma so che il frate ò frate, c tanto basti. Lo dissi ad alcuni religiosi P altrieri, della religione del Sarai, e sono in questo ancora loro fratacci, che per altri non lo sarebbero. Ci- so cali chi si sia, chò l’opra di V. S. con la gloria supereràPinvidia, come l’altro: et io dico la verità, quando sento contraditioni nell’opre de’ grand’ huomini, prendo argomento della loro eminenza, perchè lo cose di poco rilievo non bau lodo nè biasmo, perchè non son lette o non ànno forza di concitar invidia. Sèguiti pur V. S. ad innnortarsi (sic), arrichendo il mondo di sì pregiati tesori, eh’ il resto poco importa. Io sono tutto di V. S., o senza cerimonie, desidero gran cose in servirlo, se ben posso poco. Con che a V. S. bacio le mani, c dal Cielo l’auguro ogni felice essito nelle sue ationi. Di San Pier d’Arena, o da Genua, 1624, 17 agosto 1G24. so Di V. S. molto IH.”* et Eccell."'* Partiaì et Aff. mo Se. M lìar.° Impeiv* 1659*. FRANCESCO STELLITI'! a [GALILEO in Firenze]. Aequasparta, 23 agosto 1024. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 109. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ni ° Sig. r P.ron mio Oss. mo Mi persuado che V. S. se ne stia nella sua villa, lontana dalli strepiti della città, a godersi un dolcissimo et studiosissimo otio, quale, con occasione del nostro anniversario, vengo a pregarlo a V. S., accompagnato da una perfettissima sanità, con ogni altro bene che desidera. il big. 1 ' Principe le bacia le mani, c sta con desiderio aspettando d’intender buone nuove di lei. Intanto anch’egli so la passa pur bene in questi caldi così aiìarmosi, e non cessa però da' suoi studii et bellissime osservationi che fa intorno [1659-1600] 23 AGOSTO — 5 SETTEMBRE 1624. 201 a quel legno minerale, liavendone scoperti pezzi grossissimi
  • ° et Vero Frano. 0 Stelluti L.° 1660. BARTOLOMEO IMPERIALI a GALILEO in Firenze. Genova, 5 settembre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 19G. — Autografa. Molto Ill. ro et Eccell. mo S. r mio Oss."'° Non ho parole abbastanza per ringratiar V. S. dell’occhialino clic si è com¬ piacendo mandarmi, il quale è in tutta perfettione et ha dell’ammirabile, sì come sono tutti i suoi ritrovamenti : e di questi è verissimo quel che accenna, perchè io scorgo cose in alcuni animalucci, che fanno inarcar le ciglia c danno largo campo di filosofare novamente. Di cosa sì rara ho ambitione d’essere stato favo¬ rito io il primo in Genova, e me lo tengo carissimo. Sono molti che ne deside¬ rano e che lo lodano irisino alle stelle, et io non ho poco che fare in dar sodisfatione a tanti: e dico la verità, ò tanto picciolo che non so come guardarlo, e stimo io per tanto eh’avrebbe di bisogno del favore e protettone di un occhiai grande; e se bene me ne trovo alcuno che potrebbe impiegarsi in tal ufficio, non è di bontà come lo desidero, nè rattiene perfettione proportionata al picciolo. S. r Ga¬ lilei, di gratia scusi l’importunità della dimanda e il novo fastidio che le porgo: la sua cortesia mi dà occasion di farlo; e s’accerti che con quella stessa libertà con la qual la prego, con la stessa desidero sommamente che ella mi comandi. <*> Cfr. Memorie {storico-critiche dell'Accademia raccolto e scritte da 1). Baipassare Odksoai.oiii, occ. dei Lincei e del Principe Federico Cesi, secondo Duca Rotila, MDCCCYI, nella stamperia di Luigi Porego d’Acquaeparta, fondatore e principe della medesima, Salvioni, pag. 167 e seg. XIII. 20 202 5 — 0 SETTEMBRE 1624. [1660-1661] Con elio baciando a V. S. lo mani, me le raccordo por servitor più affottionato che ella tenga. Mi riserbo a scriverle di curiosità significatale da olii ad alcuni giorni, dicendomi clic non ha grandissimi impedimenti. Gernia, li 5 Settb. 1624. Di V. S. molt’Ill." et Eli. 18 Se. p AIT. m0 20 Bar. 0 ini per. 18 Fuori . éP altra mano: Al molto 111." et Ecc. mo Sig. r Oss.‘"° Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1661. MARIO GUIDUCOI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 0 settembre 1024. Bibl. Nftz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 171-172. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r 0 P.ron mio Osa.'" 0 Finalmente, dopilo un mese e mezzo di male, per grazia del Signore Dio sono ridotto in termine di potere scrivere agli amici e padroni, 0 cosi offerirmi loro pronto a servirli, cosa che io non potevo faro quando stavo in letto. Dal S. r Tommaso Rinuccini in’è stato detto che V. S. aveva desiderio d’in¬ tendere in che modo s’era concluso l’abboccamento col P. Grassi (l1 , e da che motivi io farai condesceso a quello clic tante volto avevo ricusato. V. S. sa Fin- stanze che mi sono state fatte più volte di ciò dal I*. Tarquinio (,) . Ci si è aggiunto poi l’autorità d’un prelato principalissimo e mio singoiar padrone, clic più volte e con molta energia mi ha richiesto del medesimo; al quale io non volli prò- 10 mettere, benché non gli disdicessi, e andavo prolungando il negozio. Ma final¬ mente, fermato dalla febbre nel letto, essendomi venuti a visitare più Padri Giesuiti, a’ quali io ero obbligatissimo, mi parve da non disdir più; e così, senza metter tempo di mezzo, il giorno doppo il dato consenso fui visitato dal prefato P. Grassi con molta cortesia e affabilità, come se ci fussimo conosciuti prima un gran pezzo. Non s’entrò punto nelle cose passate, ma fu ben gran parte del nostro ragionamento in lodare le scritture di V. S.; e l’introduzione a tal discorso fu questa: che parlandosi di molte opere di filosofia e d’altre materie, elicsi stam¬ pano, e dell’approvazioni che ad esso fanno talvolta i revisori di detto opere, il P. Grassi, o fosse che la coscienza lo rimordesse, 0 gli paresse che io parlassi ai» O) Cfr. n .0 1657. **» Tarquikio Galmjzzi. 6 SETTEMBRE 1624. 203 [ 1661 ] per lui, venne a dire elio a 1 giorni adietro aveva rivista e approvata quella bel¬ l’opera dell’Arcivescovo di Spalatro del flusso e reflussoe che, se bene non v’ora cosa nessuna provata con ragione che valesse, non aveva potuto fare di non la approvare, conio fece; o biasimando egli et io concordemente la detta scrittura, soggiunse: Noi abbiamo la scrittura del S. r Galileo sopra la medesima materia, che è molto ingegnosa. A che io replicai che il pensiero di V. S. di mo¬ strare col moto della terra le reciprocazioni de’ flussi e reflussi e la varietà do’ tempi ne’ quali si fanno detti moti, era veramente da commendare ; ma cho se la storia non era interamente vera di quel che avviene in uno e in un altro 30 paese, ciò non era colpa sua; e aggiunsi che tal discorso era anche imperfetto, ma speravo bene cho dovesse, per quanto s’aspettava a lei, render perfetto, con assegnare le cause d’altri effetti, che nel primo si tacevano. E qui cademmo a ragionare del moto della terra, del quale V. S. si serviva ex hypothesi, e non per principio stabilito come vero: dove il Padre disse, clic quando si trovasse una dimostrazione per detto moto, che converrebbe interpretare la Scrittura Sacra altrimenti cho non s’ò fatto ne’luoghi dove si favella della stabilità della terra o moto dei cielo, e questo ex scntentia Card. 1 '* Bellarminii; alla quale opinione io prestai totalmente l’assenso. E cosi, e con cirimonie, si partì il primo congresso. Mi tornò doppo alcuni giorni a visitare, e doppo varii discorsi io gli diedi a ■»o leggero una scrittura che quel Conte Castelli (a) da Terni, amico di V. S., mi portò mentre avevo la febbre, e me la lasciò perchè io la vedessi; nella quale trattava d’accordare un luogo d’Archimede con uno di Tlinio, e uno d’Aristotele e di Vitruvio, che non l’avevo letta prima, c lascio considerare a V. S. che cosa è. Doppo ragionammo delle cose cho V. S. ha da dar fuora, cioè del trattato del moto c le tavole de’ Pianeti Medicei, e simili ; e perchè ero con la febbre, non fu molto lungo il ragionamento. Insomma mai è entrato ne’ fatti passati, nò ho potuto penetrare se voglia o non voglia rispondere. Gli renderò la visita, e oc¬ correndomi cosa di nuovo da darne avviso a V. S., lo farò. Intanto mi rallegro avere inteso il suo bene stare, e che lavori intorno a’ suoi 50 studi. Credo cho abbia ricevuto l’opere dell’Ingoli (3 \ già che mi viene detto che V. S. ha finito la risposta. V. S., quando se n’è servita, la rimandi a Bologna al S. r Cesare Marsili, che n’è padrone, che così mi commesse, se non passava egli medesimo nel suo ritorno per Firenze. Fo riverenza a V. S. e agli amici, e per fine le prego dal Signore Dio sanità e vita e ogni bene. Di Roma, a’ C di Sett. ro 1624. Di V. S. molto IH* Aff. ,n0 Ser ™ Mario Guiducci. <•' Kuripui, leu de Jìuxn et re/luxu mari i $eii- •*’ ONOFRIO Castri.M. lentia Marci Axtonii i>k Oojiinis, occ. Roinae, apud , che ha alle mani, hi sia ridutta a perfettione. Il Sig. Gio. Batta Baliani è, dal principio di Luglio in qua, entrato senatore, o per due anni elio dura questo onorato carico si può goder poco; et l’anno adrieto era stato governatore di Sarzana, ove lo viddi nel viaggio che di No¬ vembre feci a Roma, facendo quella strada. Qua l’ho visitato di raro, per la su- detta caosa. So V. S. comanda qualcosa, la servirò con tutto l’animo. Attendi a conser¬ varsi, e lo b. le mani. Genova, a’ 6 Settembre lf»24. 20 Di V. S. molto 111.™ et Ecc. n,,i Servo Oblig. mo nel S.™ D. Antonio Santini, 1). li. di Somasca. Fuori: Al molto 111.™ et. Ecc. mo S. r mio Uss. n '° Il S. r Galileo Galilei. Firenze. I»ett. 1062, 15. adretio — ,s > Intonili, umilili che fu poi il JLfiuloyo dei Mintimi Ùntimi, Oi Cfr. n.° 1658. «*> Cfr. il.» 1660. [1663] 13 SETTEMBRE 1G24. 205 1663. MARIO GUIDUGG1 a [GALILEO in Firenze]. Roma, 13 settembre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 173-174. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Scrissi a V. S. la settimana passata 01 , o le diedi conto delle visite fattemi dal P. Grassi; doppo mi trovo la gratissima di V. S. de’2 del presente, nella quale mi domanda avviso di detti congressi. Do’ quali rimettendomi all’altra mia, le soggiungo che ieri, essendo io stato invitato da un Padre mio amico, maestro di Rettorie»., a sentire una sua orazione, et essendovi andato, subito il Sarsi venne alla volta mia, nè mi lasciò sino a che mi partii del Collegio. I nostri ragionamenti furon tutti sopra una proposizione di V. S., la quale egli diceva essergli stata detta da un Padre Andrea 1 * 1 , Greco, persona principalissima nella io sua religione, il quale diceva di averla giù sentita da V. S. in Padova: cioè che un corpo lasciato cadere perpendicolarmente da una gaggia di nave, cadeva ra¬ sente e a piè dell’albero, tanto se si movesse come se stesse ferma la nave; la qual cosa affermando io esser verissima e confermata con molte esperienze, egli stette molto renitente a crederla, con dire che, anche dato e non concesso che l’esperienza riuscisse, ciò poteva derivar dall’aria, che è mossa dal vascello: e allegandogli io altre esperienze, come dire clic si mettesse a correre veloce¬ mente per qualche luogo acclive, tenendo in una mano, lontana dalla persona, una palla di piombo (acciò l’aria vi avesse manco occasione e pretensione sopra), e nella velocità, del moto lasciasse cadere quella palla, che vedrebbe seguitarsi 20 per qualche spazio, non ostante l’erta, da quella palla, segno manifestissimo che ella non casca perpendicolarmente, ma con impulso di progressione, mi disse che pure si poteva attribuire all’aria, mossa dal suo corpo. Gli replicai che corresse contro al vento ; a che non rispose in contrario, ma disse bene che ci aveva gran difficoltà. Io volsi più che potevo farlo rimaner capace, e gli dissi che conside¬ rasse qualunque proiezione di un corpo, e in spezie le proiezioni che si fanno orizon tal niente, come d’una balestra e simili strumenti, che non sono altro che un moto della corda velocissimo e un lasciar cadere, nel finire il moto, la palla liberamente; e che, se la proposizione di V. S. non fusse vera, la palla d’una balestra dovrebbe cadere subito in terra; nè si poteva attribuire all’aria quel <‘> Cfr. u.o 1661. <*' Andrea Eudaemon-Ioaknks. 206 13 SETTEMBRE 1624. [ 1663 ] moto, perchè la corda no moveva pochissima. Qui rimase dubbioso, o andammo so all’orazione, la quale essendo durata circa a un’ora, doppo mi disso elio allora aveva compreso quel elio io dicevo esser vero. Io ho voluto che egli resti capace di questo, perchè mi pare elio egli non aborrisca molto il moto della terra, quando ci sian ragioni buone por tal moto o si lievino lo opposizioni clic in contrario si arrecano; tra lo quali a lui pareva questa una importantissima difficoltà. Quanto al suo rispondere, io non posso penetrare cosa nessuna, non essendo mai entrato nello coso passato. Ilo voluto dar conto minutamente a V. S. di ciò, a lino elio non si maravigli so una volta diventasse tutto suo, perchè mostra gran desiderio di intendere lo suo opinioni o la loda assaissimo, se belio questo potrebbe essere artifizio. Da me 40 non caverà nulla senza saputa di V. S., la quale prego a scrivermi so gli debbo mostrare la risposta all’Ingoii' 1 ’ quando me la avrà mandata. Io inclino al si, perché è belio clic sia veduta da persone elio l’intendano. Fui l’altro giorno con Mons. r Ciampoli, al quale dissi di detta scrittura, e elio bisognava che aiutasse a farla vedere dove più gli lusso paruto opportuno, e dove l’Ingoli aveva più cre¬ dito; e mi rispose che l’avrebbe fatto. Mi disse di più elio voleva scrivere a V. S., e in caso che per lo sue molto occupazioni non avesso potuto, pregò me a farlo: che olla gli scrivesse una lettera da poterla legger tutta a S. S. tk , nella quale gli desse conto do’ suoi studi e sanità; e poi in tino ricordasse a detto Mons. r Ciampoli la pensione chiesta da lei per il S. r Vincenzo suo figliuolo 111 , della quale Monsignore 50 si prese assunto d’esser suo proccuratorc appresso N. Signore. Mi dice d’averla ricordata, ma non volere parere tutto dì importuno; ma quando avrà occasione, conio questa, non mancherà di servirla. Per conto del P. Mostro, io per questa settimana non ho clic dire a V. S., non l’avendo veduto. Como io lo veggo, oliò l’ho da vedero e parlargli per un altro negozio, lo saluterò in suo nome, e vedrò che cosa dice del non aver risposto. Egli è stato occupatissimo, avendo in questo suo ingresso nel S. t0 Ufizio fatto grandissime fatiche, per quanto intendo, o in oltre, essendosi ammalato un Padro che predicava agli Ebrei, lia supplito non so clic sabati in cambio suo; o da queste fatiche nc cavò un poco di indisposizione, elio gli fece gran paura, avendo 60 sputato sangue. Ora sta benissimo, e seguita le sue prediche a San Luigi con il solito concorso. Sono stato troppo lungo, e il foglio finito mi avvertisce elio aneli’ io finisca. Però facendo a V. S. riverenza, le prego dal Signore Dio ogni maggior felicità. Di Roma, 13 di Sett. re 1624. Di V. S. molto 111.” et Ecc.' na <’» Cfr. Voi. VI, i»ag. 509-561, <*> Cfr. u.* 1637. 13 — 14 SETTEMBRE 1G24. 207 [ 1668 - 1664 ] Sto aspettando il ritratto di V. S., per darlo al S. r Marcello Sacchetti :,) , al quale ho ricordato, e di nuovo ricorderò, il servizio del suo nipote, in occa- 70 sione di promozione, della quale si ragiona qualche poco per mercoledì prossimo. Afl>° Ser.™ Mario (Juiducci. 1664 . GIOVANNI FAHER a GALILEO in Firenze. Roma, 14 settembre 1G24. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, cnr. 198. — Autografa. Molto Ill. ra Sig. 1 ' et Padron mio Oss. mo Io ho havuto la gratissima di V. S. delti 2 di questo, che era la congratulatione Lyncea: credo che lei habbia gi;\ prima havuto la mia ancora per quest’effetto. Io sono stato questa mattina col Padre Riccardo (S> , chiamato il Mostro, et ho voluto sapere se habbia havuto una di V. S.: mi disse che non liavea visto niente, et che non sarebbe stato così scortese a risponderle. Sani bene che V. S. replichi un’altra volta. Mi domandò ancora che fosse di quel trattato di V. S. de fluxu et refluxu maris (3) , clic desiderava a vedere, come tutti noi altri: V. S. dun¬ que non ci privi più. io L’Arcivescovo di Spalatro (i) , che trattò questa materia, ivit ad plures alli 8 di questo, a quatro bore di notte nel Castello di S. Angelo. Morì nel nono d’una febre maligna, et alle 7 bore venne a casa mia Giulio Mancino, d’ordine Sanctissimi, et mi menò seco al Castello, volendo che anche io assistessi quando fu aperto il cadavero di quest’Arcivescovo in presenza d’un notare del S. Uffizio. Credo fosse fatto acciochò il mondo non potesse dire clic fosse stato avclcnato. Trovassimo tutti Pinteriori netti, senza sospetto alcuno di veleno; li pulmoni soli furono alquanto accesi. Il suo cadavero fu portato a SS. Apostoli, dove sta in deposito, come mi disse il Sig. r Cardinale di S. Susanna w , quando desinai seco; et disso anche che si Iacea il suo processo et si formava la sentenza, perchè realmente 20 dall’essamine clic il Cardinale Scaglia (r ° gli fece adosso per spatio di 10 bore, si trovò che erat relapsus: ma avanti morisse Irebbe pentimento de i suoi errori, si confessò, et hebbe tutti li sacramenti della S. Chiesa. (t) Cfr. n.o 1650. (i) Marco Antonio de Dominisi cfr. n.° 1CCI, < 2 ' Niccolò Riccardi. li»- 22. <3) Che fu poi il Dialogo dei Massimi Sistemi: SCIPIONE CoBP.LLUZZl. cfr. Voi. VII, png. 4. ( ®> Desiderato Scaglia. 208 14 — 23 SETTEMBRE 1024. [1664-1666] Il Sig. r Cardinale di S. Susanna tiene gran conto di quel Chiaramente (,) , et dice clic l’orso egli potrebbe docifcrare questo negozio del moto della terra in favore di Tolomeo, come ha ributtato molte opinioni novo del Tychone, et che sia erronea l’opinione della paralasse. Et con questo fo lino, et auguro a V. S. sa¬ nità. et lunga vita. Già intenderà per altra strada la morte anche del Cardinale Sforza (1 \ che fu sepelito hieri in S. Bernardo in Monte Cavallo: morì d’una febre continoa et Husso. l)i Roma, alli 14 di 7bre, a.° 1024. so Di V. S. mollo Ill. r ® Divotiss. Se. Gio. Fai). Ly. Fuori: Al molt’IU. ro Sig. mio et Padron Osa. 1 " 0 Il S. r Galileo Galileo Lynceo. Firenze. 1665. GALILEO a [FEDERICO CESI in Roma]. Bellosguardo, 28 settembre 1021. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. AIus. u ** 12 (già « od. lioncoui|iagni 580), car. 157. — Autografa. Ill. u, ° et Ecc. mo Sig. re e Pad . 0 Col ." 10 Invio a V. K. un occhialino per veder da vicino le cose minime, del quale spero che ella sia per prendersi gusto e trattenimento non piccolo, chè così accade a me. Ilo tardato a mandarlo, perchè non P ho prima ridotto a perfezzione, liavendo Inulto difficoltà in trovare il modo di lavorare i cristalli perfettamente. L’oggetto si attacca sul cerchio mobile, che è nella base, e si va movendo per vederlo tutto, atteso che quello che si vede in un’ occhiata è piccola parte. E perchè la distanza tra la lente e V oggetto vuol esser puntualis¬ sima, nel guardar gl’ oggetti che hanno rilievo bisogna potere avvi- io ciliare e discostare il vetro, secondo che si guarda questa o quella parte; e però il cannoncino si è fatto mobile nel suo piede, o guida che dir la vogliamo. Devesi ancora usarlo all’ aria molto serena e lucida, e meglio è al sole medesimo, ricercandosi che P oggetto sia illuminato assai. Io ho contemplati moltissimi animalucci con infinita ammirazione: tra i quali la pulce è orribilissima, la zanzara e la ta¬ gliuola son bellissimi; e con gran contento ho veduto come faccino SC1PIOSK CHUKiJJONri. l*< FlUStCKSCO Sfohza, 23 SETTEMBRE 1624. [ 1065 ] 206 le mosche et altri animalucci a camminare attaccati a’ specchi, et anco di sotto in su. Ma Y. E. haverà campo larghissimo di osservar 20 mille e mille particolari, de i quali la prego a darmi avviso delle cose più curiose. In somma ci è da contemplare infinitamente la gran¬ dezza della natura, e quanto sottilmente ella lavora, e con quanta indicibil diligenza. Ho risposto alla scrittura dell’ Ingoli, e fra 8 giorni l’invierò a Roma. Ora son tornato al flusso e reflusso, e son ridotto a questa proposizione: Stando la terra immobile, è impossibile che seguano i flussi e reflussi; e movendosi de i movimenti già assegnatili, è ne¬ cessario che seguano, con tutti gl’ accidenti in essi osservati. 11 P. Grassi è doventato amicissimo del S. Mario Guidacci, il so quale ini scrive che detto Padre non àborrei a motu terme , havendo- gli detto S. Mario levati i suoi maggiori scrupoli, e che mostra d’in¬ clinare assai alle mie opinioni, sì che non sarebbe meraviglia che un giorno doventasso tutto mio: tanto mi scrive l’istesso S. Guidacci (,) . Sono in contumacia con 1’ Ill. mu et Ecc. ma S. ra Principessa per l’occhiale non ancora mandato; V. E. mi aiuti, entrandomi sicurtà che sono per pagar il debito e l’indugio con larga usura: e la causa della dilazione ò il non haver trovato sin bora cosa che mi paia degna di S. E., come desidero e come spero, anzi son sicuro, elio seguirà. Haverei molti particolari da conferir con V. E., ma la inol¬ io titudine m’ingombra, e sarà una volta necessario eh’ io venga a passar seco un mese intero con animo riposato e senza altri stimoli. Intanto favoriscami di continuarmi la sua grazia e reverentemente b. la veste alla S. ra Pr. sa in mio nome, come fo a lei medesima con ogni spirito e devozione. Da Bellosguardo, li 23 di 7mbre 1624. Al Sig. Stelluti sono al solito servitore. Il cannoncino è di 2 pezzi, e può allungarlo e scorciarlo a be¬ neplacito. Di V. S. Ill. ma et Ecc. ma Dev. mo et Obblig.* 110 Ser. re do Galileo Galilei L. Lett. 1665. 35. Prima aveva scritto entrandogli, poi corresse il li linaio in mi, sonza però cancellare il ij, cosicché si legge entrandoijmi. — (>i Cfr. un. 1 1661, 1663. XIII. 27 210 28 SETTEMBRE 1024. [ 1600 ] 1GGG. MARIO GUIDUOCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 28 settembre 1G24. Bibl. Naz. Fir. Msa. (tal.. P. VI, T. X. car. 175-170. — Autografa. Molto Ill. ra Sig .* 5 o P.ron mio Oas. mo Ebbi ieri assai tardi la gratissima di V. S. insieme con la lettera per il P. Mo¬ stro, la quale mandai subito a S. P. tt Non 1 * ho poi veduto, essendo stamani stato occupato, si che non ho avuto tempo di andarlo a trovare. L’altra lettera scritta al medesimo Padre più settimane sono da V. S., so che egli l’ebbe, avendomi egli mandato a rispondere sopra altro cose che gli feci dire per la medesima persona che portò la lettera; ma allora io stavo in letto, e non potei, se non molti giorni doppo, vederlo. Di questa farò elio non si dimentichi d’averla ricevuta. Io non ho, doppo che scrissi a V. S., veduto il P. Grassi, non essendo andato al Collegio, benché, non ha molti giorni, vi fussi invitato a una lezione alla Itet- io lorica. Il detto Padre mi fa tante cirimonie, quando vo là, che mi son venute a fastidio, perché so é con qualcli’altra persona, lascia la compagnia per venire a trovarmi, e sino che non mi parto non mi lascia, accompagnandomi sino fuor della porta. Lunedì mattina ho da andare a sentire un’orazione 10 : vedrò se se¬ guiterà di farmi i medesimi ossequii, e con questa occasione gli dirò, come in confidenza, d’aspettare la risposta di V. S. all’Ingoli, e gli prometterò di mo¬ strargliela quando l’avrò. E sarebbe bella cosa se venisse fatto che quest’uomo applicasse punto l’animo all’opinione del moto della terra, e ci restasse poi al¬ lacciato e preso. Io non ne sono fuor di speranza, vedendo che egli mostra d’aver gran desiderio di vederne bene il fondamento; o credo che egli abbia imparato 20 assai dal Saggiatore. Doppo aver ricevuto la lettera di V. S. non ho veduto Mons. r Ciampoli, ma proecurerò di vederlo domattina a cappella della Corona¬ zione di N. S. Io penso, come sia ben rinfrescato, di tornare in costà, per stare qualche settimana in villa a pigliare un poco d’aria: però V. S. solleciti di mandarmi la scrittura dell’Ingoli, cioè contro, della quale poi lascerò proccuratore Mons. r Ciam¬ poli, acciò la mostri a chi non l’avrò mostrata io innanzi. Aspetto anche il ri¬ tratto' 0 , e se non ci sarò, il S. r Filippo- Magalotti mi farà piacere di riceverlo e di darlo poi al S. r Marcello Sacchetti. De’ discorsi di V. S. in proposito de’ gravi OI Cfr. u.o 1671, Un. lò-iy. <*■ Cfr. n.* 1663, lin. 67-68. 28 SETTEMBRE 1624. 211 [1666-1667] so cadenti sempre a un modo, tanto movendosi quanto stando fermala nave (,) , mo no varrò se occorrerà entrarvi col P. Grassi; il quale son di parere clic sia per donare alla nuova amicizia la risposta che aveva destinata al Saggiatore, e non la lasciar vedere, se bene di questo io non ho altro che conictture. V. S. attenda a star sano, e mi conservi in sua grazia. Con che le fo riverenza e prego dal Signore Dio ogni maggior felicità. Di Roma, 28 di Sett.™ 1624. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ser.™ AfO° e Obb. mo Mario Guiducei. 1667 **. BARTOLOMEO IMPERIALI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 28 settembre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 202. — Autografa. Molto 111.™ et Eccoli. ,no S. r mio Oss. mo Con l’ordinario venturo scriverò al longo a V. S. e per conto della curio¬ sità i5) e di quanto lio osservato con V occhialino, perchè in questo punto parte l’ordinario. L’occhiale che io desidero, vorrei elio fusse di questi ordinar», in quanto alla lunghezza, per iscoprir gli effetti nella terra, e non ho mai accertato ad averne un buonissimo. Un Polacco ne haveva uno P altrieri, et un gentil’liuoino mi riferì che con quello aveva conosciuto da San Pier d’Arena ad un nostro luoglio una donna notissima a lui; e la distanza era di 15 miglia (8> . Questi s’al¬ io lungava assaissimo, e serviva per lo cielo ancora. Andai subbito per ritrovar il Polacco, ma è partito: si che, già elio V. S. mi favorisce d’accettar la briglia di farne commandar un costi, io la priego, pregandola che ciò segua senza molto suo incomodo, perchè non ho fretta; et in tanto m’aveggo che è vero che epistola non erubescit. Di gratia, compatisca a persona elio impasisce per simili cose. Con che bacio a V. S. le mani. G.% li 28 7bre 1624. Di V. S. molto Ill. re et Ell. a Aff. mo S. r Bar. 0 Imper. 10 Lelt. 1607. 8. San Fard,'Arena. <«' Cfr. n.o 1663, lin. 11-15. i*i Cfr. uu.i 1600, 1669. <31 Cfr. n.• 1676, lin. 3-5. 212 SETTEMBRE — 4 OTTOBRE 1624. 11(>G8-I(»(i9] 1668. GALILEO a FRANCESCO INGOLI in Roma. Firenze, settembre 1624. Cfr. Voi. VI, pag. 609-561. 1669**. BARTOLOMEO IMPERIALI a |GALILEO in Firenze]. Genova, 4 ottobre 1624. Bibl. Nft*. Fir. Mas. Osi., P. VI, T. IX, cnr. 206-907. — Alitatala. Molto IU. rB et Eccell." 10 S. r mio Oss." 10 Già che V. S. nell’ultimo della gratissima sua mi rinova l’instanza perchè 10 le discopra la mia curiosità, ardirò di darle questo poco scomodo, benché forze al suo pellegrino ingegno il sugetto potrà, riuscir di gusto; nè però quello elio son per dirlo può esser novo a V. S., essendogliene stato scritto già in istampa dal Clepero c0 : et in somma è il desiderio cho V. S. applichi il pensiero al capi¬ tolo 11° del libro 17° della Magia di Gio. Batta della Porta, passo di cui con¬ fessa a V. S. il Coploro che non l’intende, nò ho io saputo già mai che matematico alcuno l’abbia saputo dichiarare; come so che l’istesso Magino ha confessato, nò 11 Porta, per quanta instanza li sia stata fatta daprencipi o letterati, si ò potuto io già mai inchinar a dichiarar l’animo suo; solo die disse che Mastro Paolo da Venetia, Servita, l’aveva capito. E quanto a me, paro assai difficile il crederò che questo sia un titolo di vanto buggiardo, poiché si vede che nel capitolo pre¬ cedente aveva così bene insegnato il modo d’accoppiar le due lenti; il che però parve tanto strano per tanto tempo. Aggiungo che egli stesso protesta di voler asconder questo artificio al volgo, ma che a’perspettivi era cosa manifesta; sì cho vuò divisando cho in quello parole sia qualche scambio o svario, sì come egli confessa nella prefationo del libro, e rii più che tal cosa non sia tanto dif¬ ficoltosa ad un dotto. Por tanto prego V. S. a considerare, se preso quel testo o trasponendo le 20 parole, sì cho cominci (,) Constìtuitur , o pur Construitur, hoc modo speculum etc., e poi tornar da capo alle parole Visus constituatur etc., si potesse per la prima aver la lettera ordinata; tanto più che in questa parte che è scritta inanzi, dico **' Cfr. Voi. Ili, far. I, pag. 109, lin. 3-9. peraucti, in quibus sciontiarum naturaliuin dmtiao 1,1 1°; ,lAPT - Porta* Neapolitani, Magia» Na- et delitiao domonstrnntur, ecc. Nespoli, apud Hora- turaUi libri XX, ab ipso authoro expurgati et su- tium Saivianum, D.D. LXXXVII11, pag. 070. 4- OTTOBRE 1624. 213 [16001 pracdidi spanili, non avendolo ancora nominato. In oltre quelle parole sedionibus ■illis accomodelur svegliano la memoria alle seotioni coniche tanto celebri, si che par che egli voglia intender d’una di quelle, perchè dall’opre suo par elio si possa cavare che questa sia la sectione parabolica: e questa 6 la ragione che egli nel capitolo 19°, trattando della refratione, insegna che con la lente para¬ bolica gagliardissimamente s’accendo il fuoco, perchè tutti i raggi che passano 30 s’uniscono in un ponto; e nel cannocchiale, secondo la dotrina del Ceplero c l’esperienza, non si richiede altro che quell’unione, tanto più bella nella para¬ bola quanto che toglie tutte l’altre coincidenze più lunghe e più corte che cag- giono da diverse parti della linea sferica, onde potrebbe il convesso parabolico esser più grande di quantità dello sferico, abbracciando più parti in un tempo dell’oggetto, c riuscirebbe chiarissimo. E per quanto spetta all’incavato, di cui par che intenda il Porta in quelle parole ubi valentissime univcrsales solarcs radii disperguntur et coèunt minime , vorrebbe la ragione che fusse anche egli incavato parabolico, il quale per forza disgregherebbe i raggi, poiché fossero passati, poi- la contraria ragione del concavo o del convesso, secondo hi regola del Porta nel 40 fine della 2 a prop.® del 2° libro De refradionc 0) , e dalla formatione che egli in¬ segna della sectione parabolica nel cap.° 15° della Magia 17 a per via del trian¬ golo retangulo. Similmente si ha qualche luce da intender quelle parole nelle quali fa mentiono del triangolo c delle linee transversali. Or sarà fatica di V. S. giudicar questo congetture: e quando pure stimasse che fusse molto lontano il pensiero del Porta, tornerei a pregarla che applicasse l’animo a questo nogotio, speculando se potesse riuscir migliore un cannocchiale fatto di cristalli parabolici, per le ragioni che si son riccordate nel Porta; perchè sobene il Copierò ha più fede nell’iperbole che nella parabola, non dimeno i con¬ corsi e l’unioni paiono più manifeste nella sectione parabolica, poi che se i raggi 50 così passano come si riflettono, riflettendone ad un punto negli specchi da ab- brucchiare, andranno anche ad unirsi passando in un punto, vicino al quale posto un incavato parabolico, par che debba con maggior forza distinguer quella con¬ fusione maggiore. Il tutto però è rimesso al giuditio di V. S., il quale io intenderò con grandissimo gusto, non restringendolo ad angustia di tempo. Ilo poi fatto alcune osservationi con l’occhialino, e fra l’altre ho osservato che le mosche femine ànno minor quantità di peli, e più corti assai, di quel che non abbiano i maschi. Mi sono stupito della sansarra, e di quante n’ho osser¬ vato, in alcuna non ho veduto 4 peli in capo; sì che la sua ritmata è in questo fuor dell’ordinario. II medico qui in Genoa, chiamato il Riccardo, dottissimo in ogni scienza, fratello del Dominichino (?), dice che con questo occhialino si saprà certo il sito di <») Cfr. u.° '4BO. 214 4 OTTOBRE 1624. [1669-1670] una corta minima particella del cuore, clic con la semplice vista non si ò potuto mai scorgere, o elio riuscirà cosa di molta conseguenza per la medicina; o ciò sarà contro a coloro clic dicono clic questo occhialino non servo ad alcuna cosa di rilievo, o non considerano quanto sia importante, in ragion di sapere, la consi- doratione dello coso della natura, la quale è ancora più amirabilo nelle cose più minimo e di minor conto. Con l’altro ordinario (,) in fretta pregai V. S. dell’occhialo da veder quanto si può lontano in terra, avisaiulo elio possa riuscir per lo cielo, oliò la maggior lunghezza poi fa l’otTetto. L)i gratin, la riprego a perdonarmi del fastidio e della 70 libertà della richiesta, cliò io son tutto di V. S. o le bacio lo inani. Di G. a , li 4 Ottobre 1024. Di V. S. molto Ill. ro et Eli.™* Mi favorirà risponder a me direttamente, per¬ chè assicuro V. S. che il P. Santini non vi ha parte, anzi non ne trova traccia, nò io ho comniumcato a lui quanto le scrivo. A(T. mn Ser. r * Bar." Ini per. 11 1670 * ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Genova, 4 ottobre 1621. Bibl. Ent. in Modona. Raccolta Cainporl. Autografi, B.» LXXXYIII, li.® 169.— Autografa. Molt’Ill. ra et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Per osseguire quanto V. S. mi ordina, viene con questa il piego con l’anello, elio tenevo qua a disposinone di lei l,> : et il S. r Imperiali havria volsuto obedissi al primo cenno di V. S.; ma io lo tenevo mal sicuro, por esser poche settimane prima andato male un scaldino con cose pregiate di un paesano et amico mio. Spero così vorrà sicuro, et si compiacerà con comodo avvisare la ricevuta. 11 S. r Imperiali sono più di otto giorni che non ho veduto, per starsene a San Piero d’Arena. Mi o fiero a V. S. per quell’antico servo, o li b. le mani. Di Genova, a’4 ()tt. rft 1624. Di V. S. molto 111.** et Ecc. ,na 10 Servo Dovot." 10 D. Antonio Santini, G. IL di Somasca. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 0> (jfr. u.» 1U67. «*> Cfr. u.« 1662. [ 1671 ] 15 OTTOBRE 1G24. 215 1671. MARIO GUIDUCOI a GALILEO in Firenze. Roma, 15 ottobre 1G24. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T.X, car. 177-178. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. mo Con mio grandissimo gusto ho letto e riletto la gratissima di V. S., dalla quale veggo che nella confutazione di quel 3° argomento del Sarsi, apportata dal Chiaramonti 1 ' 5 , ero assai conforme al suo parere, cioò che quella sfera di attività non togliesse punto di forza all* argomento, quando 1* osservazione del Sarsi lusso stata vera. Non avevo già avvertito tante debolezze clic si ritrovano nell’Antiti- cone (S) , quanto V. S.; ma nò anch’ella credo le abbia potuto avvertir tutte, di maniera che si potesse dire sicuramente, non ve ne esser dell’altre. Io farò ca¬ pitale di tutto, e ne darò avviso a V. S. io Io ho appresso di me un testo dell’Antiticone correttissimo, essendo tutto po¬ stillato e rassettato dal medesimo autore, per donarlo, come fece, al S.' - Card.* 0 Bar¬ berino 1 * 5 ; e ho veduto quel luogo detto dove V. S. sospetta che l’autore non sia inteso per qualche scorrezione di stampa: ma la verità ò che il non si intendere procede da ogni altra cosa che da mancamento o errore della stampa, non essendo in tutto quel libro forse la più corretta carta di quella, in materia di stampa. Stamani mi son fatto rendere a Mons. r Ciampoli la scrittura dcU’Ingoli, e la terrò appresso di me sino a che non si vegga quello che faccia il Chiaramonti. Il dotto Monsignore mi voleva dare una certa correzione, come scrissi la setti- 20 mana passata 05 , ma non l’ha poi fatta. Correggerò, conformo a che V. S. mi scrive, que’ due luoghi del vaglio 05 ; ma prima voglio dire un mio dubbio che mi nasce intorno alla seconda correzione, o più tosto aggiunta, dove dice: Augi, se voi più acutamente considererete Veffetto de i sassctti etc., scorgerete che il riti¬ rarsi nel centro del vaglio non è altro che il ridursi verso la circonferenza del moto che si fa, poiché il centro del vaglio cammina per la circonferenza di esso movi¬ mento circolare 05 : la qual considerazione a me non apparisce di molta forza, pa¬ ni Cfr. n.o 1(580, lin. 29-35. <*> Antitycho Scipionib Clarauohtis Caesenatis, in quo contra Tychunem Bruite et nonnulla» iti Un, ratio- militi eorun i ex optici» et geometrici» principita saluti», demonatratur cometaa esse aubltimrea, non codeste», etc. Venetiis, M.DC.XXI, «pud Evungelistam Deuchinuin. Oi 1/esemplare al quale accenna qui è preseu> tomento nella Biblioteca Unrberiniana, con la segna¬ tura: ’ N. VII. 68 (Òlim Se. L1I. c. 4) <*) I.a lotterà a cui qui si accenna non ò perve¬ nuta sino a noi. ( 5 i Cfr. Voi. VI, pag. 505, nota C. <°i Cfr. Voi. VI, pag. 542, lin. 2-7, nc*l testo o nelle varianti. 21G 15 OTTOBRE 1G24. [1671] rendomi clic, nel medesimo modo, in qualunque luogo del vaglio ai ragunassoro i sassetti, fusse un ragunarsi verso la circonferenza, descrivendo qualunque buco del vaglio, mentre però il suo centro ò mosso per un cerchio e non in sò stesso, un suo particolare cerchio; sì che in qualunque luogo si fermassero lo dette pie- so trozze o altro grave, si potrebbe dire che si fusse ridotto alla circonferenza, e non sarebbe più vero affermare del centro che di quest’altro luogo. Ilo voluto scriver questo mio pensiero a V. S.; se ò cosa di momento o no, a lei me ne rimetto, per eseguire quanto ella mi ordinerà. Non voglio anche lasciar di dire un concetto che ora mi ò sovvenuto in questo proposito : et ò, elio dato che l’ar¬ gomento preso dal crivello valesse, si potrebbe dire che nel sistema Copernicano un vaglio fosse quell’epiciclo nel quale attorno alla terra si va rivolgendo la luna, il quale, essendo portato intorno dall’orbe magno, cagioni quell’effetto che si dice seguir nel vaglio, di ridurre la terra nel centro. Ma questo son tutte vera¬ mente baie, benché si trovi uomini i quali prestino assenso a queste scioccherie 40 più che alle dimostrationi. Quanto al Chiaramonti, intendo sicuramente che stampa la sua opera 10 , e dovrà subito farla vedere a questi suoi tanto parziali; e io ne darò avviso subito a lei, se non potrò insieme mandarle l’opera «tessa. M’è stata promessa copia dell'orazione, avvisata da me a V. S. la settimana passata, fatta al Collegio contro a’ seguaci di nuove opinioni, o più tosto contro a quelli che non seguitano Aristotile. Credo che ci sarà largo campo di confu¬ tare ogni argomento che in essa venga apportato, e, come ho scritto, doppo averla postillata qua, verrà per il suo resto a lei e agli altri nostri amici. Sabato passato mandai la lettera per il servizio di M." Santa; e m’ha detto &o il S. r Carlo Magalotti che ella sarà consolata, avendo fatto scrivere di buono in¬ chiostro al P. Provinciale di costò. L’altro giorno, trovandomi nelle stanze del S. r Card. 1 ® Barberino, si venne a ragionamento d’ima carrozza che S. S. 111. 1 »* vuol far fare adesso; e perchè vor¬ rebbe uscir dell’ordinario qualche poco, un gentiluomo che v’era mi domandò se io avessi saputo cosa nessuna da uscir qualche poco della comune. Io replicai che si sarebbe potuto mettere sugli archi i luoghi da sedere, e clic facessero l’istesso effetto clic metter tutta la carrozza sopra un arco solo: la qual cosa mi fu detta da V. S. qui in Roma. Ora parve che il pensiero non dispiacesse, e che il S. r Cardinale ci inclinasse assai. L’avviso a V. S., acciò ella mi dica più fio particolarmente in clic modo si potrebbe mettere in opera questo disegno. La carrozza non ha da essere con sedie, ma da sei persone, conio ella sa che qua s’usa. E se ha anche qualche disegno o nuova foggia ghiribizzosa, e la voglia comunicare, io so che sarà accetta; e m’assicuro ancora che a dir solamente che Cioè ì'Apoloyia. 15 - 18 OTTOBRE 1624. 217 [1671-16721 sia pensiero suo, si metterà ad effetto. Di quelli archi non ho detto ancora che sia cosa di V. S., nò lo dirò sino a che me ne dia licenza, acciò in tanto ella ci possa pensar meglio. Aveva pensiero il S. r Cardinale nel mezzo del cielo della carrozza farci il sole, circondato da un serpe, che significa l’anno, con un motto preso da Orazio, Aliusquc et idem, e che gli staggi fossero come tanti raggi so- 70 lari, c nella cornice attorno farvi i dodici segni del zodiaco: ma io ci ho un poco di dubbio secondo il sistema di Tolommeo, perchè allora il sole sarebbe nel centro deU’ecclittica; ma in sentenza di Copernico non importerebbe nulla. 11 dubbio # è una baia, e non n’ho detto nulla; ma se la fa, voglio poi con qualche occa¬ sione dire a S. S. Ill. m » che la Congregazione dell’Indice gli proibirà quella car¬ rozza, e clic l’Ingoli l’accuserà. Non voglio esser pià lungo, per non tediarla con queste frascherie. Le fo ri¬ verenza, e le prego dal Signore Dio ogni contento e felicità. Di Roma, 15 di Ott.» 1024. Di V. S. molto 111.» et Ecc. ,mi Se. ra Ohi).™ 0 80 Mario Guiducci. Fuori: [Al molto] 111» et Ecc. mo Sig.» e P.ron mio Oss."‘° [...Gali]leo Galilei. Firenze. 1672. MARIO GUIDUCCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 18 ottobre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. X, ear. 179. — Autografa. Molto 111.» et Ecc.“° S.» e P.ron mio Oss. mo In primis io mi rallegro con V. S. dell’onore che ella ha ricevuto dal Ser.“° Ar¬ ciduca 10 , mentre è stato in Firenze, e del donativo fattole da S. A., che l’avevo inteso anche per altra via. Sento che questa sera s’aspetta il S. r Card. 1 ® Leni (1) : però subito proccurerò di avere il ritratto; e della scrittura dell’Ingoli, cioè contro, ne farò quanto mi dice, in participarla al P. Grassi e referirne a V. S. il suo parere. 11 S. r Cardinal Magalotti ieri si partì per Frascati, e credo anche il S. r Mar¬ cello Sacchetti ; onde se non tornano così presto, manderò là le lettere di V. S. Il io P. Don Benedetto è stato qua, et ora credo sia per la via di tornarsene in 0> LKoroi.no d’Austria, clic fu in Firenze in Claudia de’Medici, sorella del Granduca Cosimo li. occasiono del suo matrimonio con la Principessa <*> Gio. Battista Lesi. XIII. 28 218 18 — 25 OTTOBRE 1C24. 11072-1073] costà, so è partito, come disse di faro, stamani. \. S. sentirà da lui una briga che di qua se gli dà, di andare con Mons. r Corsini 05 a rimediare all’acque di Ferrara e di Bologna. Quanto al ritratto o, per dire meglio, a’ ritratti clic V. S. vorrebbe che fos¬ sero fatti di personaggi da’ pari del S. r Tiberio Titi in questi paesi, non so che mi dire, so non che quo’ Casini 05 pittori, elio vennero di costà, furono stimati e onorati sopramodo e sopra il merito loro, dove il S. r Tiberio, al quale essi non sono abili a macinare i colori, non ci ha avuto a gran pezzo l’onore clic me¬ rita il valor suo. Da elio si conosco che qua, più che altrove, si bea i paesi. Il ritratto suo farò clic sia veduto, e lo presenterò a questi Sig. rì Sacchetti, i quali l’avranno carissimo 05 . Questa promozione 05 avendomi fatto trattenere di più alcuni giorni, credo mi farà anche risolvere a starci ili più qualche mese, poichù essendo così vicino l'Anno Santo, non paro conveniente di partirsi prima che s’aprano lo Forte Sante, tanto più che Giulio mio fratello, che faceva instanza di venirsene, so ne vien costà con Mona.»* Corsini fra pochi giorni; sì che avrò tempo qua di pubblicare fra gli intendenti dell’arte il Discorso di V. S. in risposta all’Ingoli. Intanto le fo reverenza, o le prego dal Signore Dio sanità e ogni bene. Di Roma, a’ 18 di Ott. ro 1024. Di V. S. molto Ill. ra et Ecc. ma Mi vien detto che quel Cavaliere Chiaramouti ha stampato non so clic opera 05 contro il moto della terra e contro il discorso di V. S. del flusso c reflusso. Se costà non ò capitata, ino lo avvisi, chè proccurerò d’averla; e non sarebbe se non bene dare una buona ripassata a quel Peripateticuccio freddo e scipito. Ser.™ Àff>o e Obb.®° Mario Guiducci. 1673 * BARTOLOMEO BALBI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 25 ottobre 1624. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Ual., P. I, T. Vili, eiir. 237. — Autografa. f Molt’Ill. r ° Sig. or mio Oss. mo Acquistai molto costì in essermi dedicato servitore a V. S. ; poco potei goder dell’acquisto; grandissimo mi restò il desiderio di servirlo; non seppi diraostrar- <*> Ottavio Corsini. li 7 ottobre 1624 e rhe fu la seconda del Pontificato I») Valokk 0 Domenico Casini. di Urbano Vili. 01 Cfr. nn.* 1650, 1668. t»i crr. n.» 1671, Un. 42. <*i Iulendi, quella ile’ Cardinali, ch'ebbe luogo 25 — 26 OTTOBRI-: 1624. 219 [1673-16741 glielo in parole, mentre, rapito dalla sua dolcissima conversatione, (li quella mi pascevo; poco spero di saperglielo discriver con lettere; m’assicuro però eliclo conoscerò, dalli effetti, se, come lo prego a voler fare, ni’impiegherò con suoi comandi. Gli do per ciò nuova come son gionto qua con salute, acciò, facendo¬ mene degno, sappi dove ritrovarmi. Al Sig. or Bartolomeo Imperiale diedi la lettera di V. S., o, per meglio dire, io mandai, poiché la lontananza delle nostre ville non mi ha premesso dargliela. Boverò assai pre[sto] vederlo, e le offerirò quanto ini favorì d’imp[ormi]. Sto con desiderio attendendo il piccolo ochiale della nuova inventione, come promesse di favorirmi ; e tutti aspettali di (?) veder in luce le opere in le quali ho dato nuova che sta travagliando, le quali, seben non potrò acrescer fama alla sua vertù, appagheran però ogn’uno delle dubietò et aport[eran] cibo a bei spi¬ riti: nel numero de’ quali mi desidero io, per poter celebrar le sue lodi, e farmi conoscer [con] mostrar di conoscere un tanto bene. Le bacio lo ma[ni], e le au¬ guro felice e longa viltà per beneficio del mondo. Di Gen. a , a 25 Otto. 1624. 20 Di V. S. molt’Ill. ro Ser.° Aff>° Barto. 00 Balbi. 1674. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. AcquaBparta, 20 ottobre 1G24. Bibl. Nuz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. X, car. 181-182. — Autografa. Molt’Ill. re et molto Ecc. t0 Sig. r mio sempre Oss. mo Ilo ricevuto l’instrumento clic V. S. nuovamente ha compito per le cose mi¬ nime, et ho tardato sin bora a rispondere perchè non prima i mici me 1* hanno potuto ricapitare sicuro, et io volevo pure poterlene accennare qualche godimento ; ma il nuvolo o caliginoso, la moltitudine delli negotii clic da Roma mi sono so- pravenuti, et il stato della Principessa mia, che dopo fastidiosissima gravidanza hoggi ha partorito, con bona saluto poi, Dio gratia, una figliola, hanno fatto che apena posso diro d’havcr cominciato a gustarlo: onde, riserbandomi a darle conto a suo tempo del’ osservazioni di sì mirabil artificio, le ne renderò bora solo io gratie infinite, conoscendo molto bene quanto m’habbia voluto favorire, e re¬ stando sempre più obbligatissimo. Aspettare con infinito desiderio la risposta fatta ch’ella m’accenna (,) , desi¬ derando anco intendere la cagione di essa, e come sia venuta al proposito in O) Intonili, la lettera all’lKoou: cfr. Voi. VI, pag. 509-561. 220 20 OTTOBRE 1624. [ 1674 - 1676 ] questo tempo. Similmente aspetterò e braiuarò l’opra del flusso e riflusso 10 , cosa veramente ammiranda, o lodo sommamente che la solleciti al possibile. Ilo sentito poi con gusto l’aviso del Sig. r Guiducci 10 , et ho riferto alla Sig.™ Prin¬ cipessa mia quanto V. S. la favorisce, quale le raddoppia i saluti con ogni mag¬ gior affetto; e poi imaginarsi se da ino sarà bramato il favore ch’ella venga a trattenersi qui con animo quieto almeno per un paro di mesi, chè potrò pre¬ sentarli molte naturali osservatami, che spero li saranno di gusto notabile. 20 Premo nella stampa al possibile per l’opra Messicanache non dovrà tardar molto, o poi l’altro che susseguono di mano in mano. Delli altri negotii della Compagnia potrò darle ragguaglio subito che sarò in Roma, che sarà presto, poiché là voglio procurar, se è possibile, liberarmi da tante molestie di negotii domestici, che sì poco mi lasciano quietare et attendere alli studiosi. V. S. mi favorisca commandarmi, e ristorarmi col darmi nuove, da me desideratissimo, delli suoi studii e compositioni. Intanto di tutto core bacio per mille volto a V. S. lo mani, insieme col Sig. r Stellati, che è qui meco, 0 lo prego da N. S. Dio ogni contentezza. D’Acquasparta, li 26 8br© 1624. so Di V. S. molt’ lll. t# e molto Ecc.‘“ Aff. mo per ser> sempre Fe° Cesi Linc.°d.° P. 1 675 . MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 ottobre 1624. Bibl. Naz. Fir. M*a. Gal., P. I, T. Vili, car. 230. — Autografa. Molto Ill. r " et Ecc. mo S. rrt e P.ron mio Osa. 1 "* Non prima che oggi ho potuto avere il rinvolto del ritratto e la risposta al- l’Ingoli di V. S., avendo il S. r Cardinal Leni 50 tardato a arrivare sino a martedì sera, e il S. r Lorenzo Petronio quest’altri dua giorni a trovarlo. Il ritratto' 0 , corno V. S. scrive, è veramente benissimo fatto e similissimo, nò saprei altro «*» Gfr. un. 1 1001, Ha. 8; 1665, liu. 26-28. O) Gfr. n.® 1665, lin. 29-118. <»> Cfr. n.» 631. Gio. Battista Lkxi. Porse quello dipinto da Aucssandro Varo- tari, detto il Padovanino, nel tempo in cui, per me¬ diazione di Gai.ilko e di Gioyankkancicsco Saorkdu, fu a Firenze. Ignoriamo dove presentemente si trovi il ritratto del pittore Padovauo: è però stato in¬ ciso otl inserito nella raccolta intitolata: Golerie kùluriijue dei hommei In piu* cfllbrt* de tulli le* liìele» r( de lottiti It* nalion*. contentini leuri portraìlt, gravi* «ni Irai i d'aprìt In meilleur* originaux, uvea Vahrigt d* leur aie et de* obeerralion * tur leur* ca- raclìre* ou tur leur* ouvrage* ; par uno socidtó do gens de lettre-.. Fubliée par O. P. Landò*. Tomo V. A Paris, choz C. T. Landon, do Pimprimcrio des An- ualcs du Musèo, An XUI — 1805. 26 OTTOBRE 1624, 221 [1676-1676] che apporgli, se non che mi pare che ella sia stata dipinta troppo bianca; ma debb’essere invecchiata da che si partì di qua. Non ho avuto tempo di entrare ne’ meriti della scrittura deU’Ingoli, ma, per quel poco d’apparato che fa avanti, si può argomentare clic abbia il conto suo, io se non a quanto merita, almeno quanto conviene a un galantuomo di dargliene. Io lo leggerò e vi farò lo figure, non ve ne essendo nessuna, e poi lo leggerò a Mons. r Ciampoli e altri amici; e. al ritorno del P. Grassi da Frascati lo farò sen¬ tire anche a lui. E in tanto aspetterò che Y. S. mi ordini se l’ho da far perve¬ nire in mano al medesimo Ingoli, oliò in tal caso prima ne farei fare una copia. Mandai la lettera di V. S. al S. r Marcello (,) a Frascati, dove ancora si sta. Al S. r Cardinal Magalotti, non l’ho mandata, ma aspetto il suo ritorno per darla in man propria, sì come farò ancora d’altre che mi sono state mandate per S. S. Ill. nm II P. Don Benedetto sarà, poi arrivato costà. V. S. mi faccia grazia di fargli in mio nome riverenza; et a lei baciando le mani, prego dal Signore 20 Dio ogni felicità. Di Roma, 26 di Ott. ro 162-4. Di V. S. molto 111.™ Ser.™ Aff. mo o Obb. mo Mario Guiducci. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1676 **. BARTOLOMEO IMPERIALI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 26 ottobre 1624. Bibl. Naa. Flr. Mss. fini., T*. VI, T. IX, car. 210. — Autografa. Molto 111.™ et Eccell."' 0 S. r mio Oss.' no Se bene è peggio sdrucciolar con la penna clic con la lingua, tutta volta io merito un poca di scusa, perchè la grandissima fretta mi fece aggiunger l’unità al 5 (!) , e non so come, poi che la verità è che l’occhiale del Polacco scorgeva cinque miglia lontano una persona nota; et io stesso ho veduto quella donna, che sto per dire che se la vedessi ancor adesso, la riconoscerei, non avendola mai veduta. Viddi ancora una bandera, nella quale scorsi benissimo il legno a cui era appogiata; e l’amico che era meco affermava che travedeva la corda della bandera : io per quanto diligenze usassi, non mi venne veduta : è vero che fi) Marcku,o SaCCHKTTI. fi) Cfr. 11 .» 1G67, li». 0. 222 20 OTTOBRI’ 1624. [1676-1677] egli si gloria (li aver più perfetta vista della mia. Non so più ben ridir Ialini- io ghozza di quel telescopio, perché non la misurai: era però lunghissimo, perchè vi ora grandissimo fastidio ad accomodarlo in modo che rimanesse fermo o sodo; o da più a meno poteva esser la sua lunghezza di 7 palmi, et io lo chiamava il padre di tutti i cannochiali, non avendo mai veduto altro di tanta lunghezza nò miglioro, perché rappresentava l’oggetto chiaro o grande. A quel che mi scrive, quello di V. S., che per sua cortesia vuol mandarmi, credo sarà di pari bontà, et io l’aspetto con grandissimo desiderio: e di gratin, mi favorisca di ri¬ porre i vetri in un cannocchialo dozinale e di poca considoratione, prometten¬ dole di non accetarlo se viene in altro modo, poi che nò io merito tante cose, nò la bontà dell’occhiale consiste in quell’esterne apparenze, opur troppo l’ho dato 20 incomodo e dell’occhialetto di tutta perfottiono e (li questo ultimo, senza ag¬ giunger a tanti fastidii altri novi; sì elio lo starò aspettando senza cerimonie alcune. Con che baccio a V. S. le mani, e lo tengo obligatione che l’occhiale del¬ l’affetto clic mi porta l’abbia fatto traveder in me quel che non ò, onde tegno uscite tanto lodi con quei Signori della mia persona; il tutto ripongo alla sua gentilezza 0 non al merito mio, che so benissimo quanto vaglia poco. Mi ha fatto aroscire nell’impiegar tanto parole in quella bagattella mandatagli 10 , nò son così povero di spirito elio non conosca la basezza del dono; ma in quello gradisca una buona volontà eli’ I 10 di servirla. E di novo a V. S. mi accomando. Ge., 26 Ottobre 1624. 30 Di V. S. molto II.* et Eli.*"* Aff. m0 et Obg. ,m> S. ro Bar. 0 Ini per. 8 1077 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Genova, 96 ottobre 1694. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi. B.» I.XXXVIII, tj.° 100. — Autografa. Molt’Ill. r8 et Ecc. mo S. r mio Col. mo Fu easoguito puntualmente l’ordino di V. S. de’ 30 di Settembre nel mandare quell’anello 13 ', e segui ponendolo in molti fogli di carta in forma di lettere, come allhora io lo scrissi, et fatto il plico, sopra fu fatto una coperta, dirotta al- T 111.»» 0 S. r Curtio Ficchena, primo Secretano di S. A. S. ,,,a : c perché non ho ri¬ cevuto lettere di V. S., nò meno sino la settimana passata ne haveva liavuto il S. r Bartolomeo Imperiali, non manco di starne in qualche timore. Ilieri il mede¬ simo S. r Imperiali mi mostrò un’ altra sua, ove avvisa V. S. baverine scritto IB CCr. nu.‘ 1062, 1670. i*> Cfr. n.® 1670. [1677-1678] 2G OTTOBRE — 2 novembre 1624. 223 l’ordinario passato. La lettera in me non è pervenuta; può stare per il defetto io che patiscono le lettere de’ religiosi ; et se la lettera che per li Signori Balbi liaveva scritto al S. r Imperiali conterrà la ricevuta del piego, come non lascio di persuadermi, sarò fuori di questo pensiero. Nel resto le vivo servo al solito, di molta obligatione, e desidero talvolta sapere della sua salute. Quando scriva al S. r Principe Ccsis, le faccia un mio b. mano, come io faccio a V. S. Gcn. a , 2G Ottobre 1624. V. S. mi dica se a sua notitia è clic Keplero liabbia stampato un suo Ilip- parco (,) , che promette in qualche opere già divulgate. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Servo Obligat. mo so 1). Antonio Santini, C. R. di Somasca. Fuor?: Al molt’Ill.™ et Ecc. mo S. r Col.™ 0 il S. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 1G78. MARIO GUIDUOCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 2 novembre 1624. Bibl. Naz. l'ir. Mss. Gai.. P. VI, T. X, car. 183-184. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. mo Il Sig. p Filippo Magalotti mi diede notizia che c’era un libro del Chiaramonti contro il moto della terra e contro l’opinione del flusso o reflusso del mare, che pigliava per fondamento questo moto 4 *’; onde, avendolo io pregato che me lo fa¬ cesse vedere, andammo insieme da uno che l’aveva dotto a lui, il quale subito si messe su la negativa, che non sapeva che ci fusse tal opera, e finalmente disse di non volere esser causa clic al Chiaramonti intervenisse quello che al P. Grassi: e finalmente da lui e da un altro ne cavammo che il libro si stampava. Ora, per non impaurire affatto l’amico, il quale è un S. r Alessandro Pollini, gentil uomo io del Cardinal Santa Susanna, io gli ho detto che desideravo di vedere il libro, non per mandarlo a V. S., ma per vedere se si valeva do’ medesimi argomenti del- l’Ingoli, confutati da lei. Io so, senza domandarne al S. r Gio. Fabbri, che il Chiaramonti ò stimato qua da personaggi principalissimi; anzi penso d’avermi Ci Ilìpparejtua, »tu de. mugnitiulinibua et inter • Volameli III, Frnncofurti n M. et TCrlrmgne, Hnyder vnllia trinili corpnrum, aolis. lumie et tellurii : cfr. et Zinimer, MDOCCLX, fiag. 520-544. IoanmiS Kkplkri Ojìctu omnia odidit Dr. Ch.Fkisou. Cfr. u.° 1672. 224 2 NOVEMBRE 1624. |1678] a trovare presto con uno di questi a discorrere deirAntiticone 10 , che dovn\ se¬ guire come la Corte torni a San Pietro, perchè io non posso fare ancoia a fidanza a vegliar fuora, e massimamente a Montecavallo, dove è grandissimo freddo. Ora, so V. S. avesse qualche notabile considerazione intorno a qualche palpabile errore preso dall’autore, io potrei avere occasione di dirla, dandone però la do¬ vuta lode a chi l’avesse avvertita. Ilo letta e riletta più volte la scrittura in risposta all’Ingoli e m’è parsa 20 sempre più bella,come ancora alS. r Filippo Magalotti. Ora l’ha inmanoMons. r Ciam- poli. Como la riarò, la mostrerr» al P. Grassi, al quale ho giù detto che l’ho avuta, 0 promesso di leggergliela. Il ritratto & di V. S. non V ho ancora consegnato al S. r Marcello, volendolo prima far vedere a più amici. La settimana passata scrissi a V. S. che aspettavo che ella mi mandasse le figure che mancano alla scrittura; ma se V. S. non l’ha mandate, può lasciare di farlo, essendo molto chiara, e però senza pericolo di fare errori. lo non ho compreso bene, in quell’argomento del crivello (l \ che moto sia quello che si fa in un cerchio il cui centro rimane tra le braccia e 1 petto, nò mi son saputo figurare tal maniera di vagliare, parendomi che il vagliare ordinario sia so tener distese le braccia e muovere il vaglio a destra e a sinistra; ma tal cerchio ha per semidiametro tutto il braccio: se giù non si dicesse che movendosi verso la destra parte, il destro braccio non si distenda interamente, e così il sinistro a sinistra, et in tal guisa non abbia per semidiametro tutta la lunghezza del braccio, onde il centro rimane in quel mezzo. Se V. S. intende altrimenti, di grazia me l’avvisi, acciò io possa soddisfare a chi dubita. Ebbi la lettera di V. S. giovedì sera di notte, alla quale seguiva la mattina d’Ognissanti, che era cappella, come ancora il giorno, doppo desinare, e anche stamani; e oggi il S. r Cardinal Magalotti s’era serrato a lare gli spacci della sua segreteria, sì che non ho potuto per questa settimana ottenere per mezzo 40 di S. S. IH. 1 " 3 la lettera del 1*. Vicario Generale per vestir quel fratino, nipote della sua M. :i Santa l,ì . Non sono andato per via dell'Kcc. ,n * S. r “ Donna Gostanza 14 ’, essendo S. E. indisposta e in letto. Venerdì prossimo cercherò di mandare in tutti i modi detta lettera, sì che l’avrù poco doppo la presente. Se il P. Don Benedetto non è andato a Pisa, V. S. mi faccia grazia di farle miei baciamani; e per fine a lei facendo riverenza, le prego dal Signore Dio sanitù e ogni bene. Di Roma, 2 di Novembre 1624. Di V. S. molto 111. 1 '* et Ecc. mtt Se.™ Aff. mo e Obb. mo Mario Guiducci. T.ett. 1078. 26. molto chiare — "l Cfr. n.® 1671. <*' Cfr. 11 .® 1668. <*' Cfr. u.® 1675. 01 Cfr. Voi. VI, paif. 505 e n.® 1671. <»> Cfr. u.® 1671, liti 50. •®» Costanza Barbi: uni. [ 1679 - 1680 ] 2 — 8 NOVEMBRE 1624. 225 1679 * rt> . GIOVANNI YANNUCOINI a [GALILEO in Firenze]. Mario, 2 novembre 1634. Dobbiamo riprodurrò audio questa lottorn (vedi P informazione promossa al n.° 2) dall’odiziono del Campori, elio por primo la pubblicò a pag. 215-216 del suo Carteggio Galileiano inedito, non avendo noi potuto ritrovarne l’originale. Quando ricevei l’onore della prima lettera di V. S. Ecc. ma con le brugne si- miano, mi ritrovavo in lotto, travagliato da febbre catarrale ; o le brugne, come erano da me molto desiderate, così mi furono gratissime. Sentii ed appresi il desiderio di V. S. Ecc. ma intorno al vino bianco clic desiderava, o stimai a suo tempo di servirla, conio avevo già latto delli sei barili di vino bianco, del mi¬ glioro che si ricolga in questo paese. Del rosso non ho trovato cosa che mi pa¬ resse a proposito. Mentre stava aspettando raddrizzamento del tempo o la com- modità do' veturali, mi è comparsa la 2 a lettera di Y. S. Ecc. ,ntt , con una di Mons. r 111. -0 Padrone* 2 ’, nella quale mi scrive eh’ io li dia avviso so Lo provisto io il vino per V. S. Ecc. ma ; o rispondendoli di sì, gliene mandai anco il saggio, quale credo li sia piaciuto, poiché ha dato ordine qui al suo fattore elio mandi por li suoi mezzaioli li sei barili di vino, a donare a V. S. Ecc.""‘ a suo nome, ed a mo sia restituito altrettanto vino a denari, di che già me no sono aggiustato. So il vino serà buono e riesca di suo gusto, sarà ogni anno al suo comando, mentre Dio mi darà vita. E ringraziando intanto V. S. Ecc. mo dell’onore de’ suoi comandamenti e dello brugne, la prego a favorirmi di una presa delle suo pil¬ lole (3! , mentre resto pregandolo dal Signore Dio ogni maggiore felicità. Di Murlo, li 2 Novembre 1C34. 1680 . MARIO GUIDUCCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 novembre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. X, car. 185-186. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. ,u0 S. r mio Oss. ,no Como scrissi a V. S. la settimana passata 14 ’, ho letta e riletta più volto la scrittura mandatami, e sempre mi è piaciuta più : la diedi a Mons. r Ciampoli, il “i A questa lettera il Campori erroneamente cronologico, cioè in data 2 Novembri) 1684. attribuì la data del l’anno 1624. Per lo ragioni altre ,2 > Caki.o or’ Medici. volte esposte, anche nella Rùtampa la manteniamo (3 > Cfr. Voi. XIX, Doc. XI11, «), pag. 202. nell'ordine errato, avvertendo che la lettera si trova < 4 * Cfr. n.° 1678. nncorn riprodotta nel posto assegnato dall'ordine XIII. 29 226 8 NOVEMBRE 1G21. [ 1680 ] quale l’ha ancora, e piace anche a lui assaissimo. Stamani, che andai per ria¬ verla, mi disse che voleva pigliar sicurtà con lei di accomodare dua periodi, clic, so bene stanno bene e in ciTctto non contengono cosa cattiva, non di meno gli pare che potrebbero esser censurati, e a prima faccia potrebbero cagionare qual¬ che concetto diverso dalla sua intenzione; e sono quelli, elio a un buon cattolico non ha da importare che un eretico si rida et c. (l) , no’quali egli non intende di mutare il senso, ma portarlo con parole un poco più specioso e die non possano io apportare ombra nessuna allo persone male affette. Però, già che V. S. non ha ancora inviata da per sò all’lngoli la dotta scrittura, indugi un’altra settimana di più a mandargliela. In tanto si va preoccupando gli animi dello persone più intendenti, e anche più potenti, sì che quando Y Ingoli no volesse far qualche rumore trovorrà impaniato. Dell’opera del Cavalier Chiaramonti scrissi a V. S. che non era ancora stam¬ pata, ma subito si avrà, c da quel medesimo 1 ” che no diodo prima notizia, cioè quel gentiluomo del Cardinale Santa Susanna, il quale, come scrissi, si messe su la negativa per non parere di pubblicare le coso che sono conlidontoraente scritte al suo padrone. Il qual padrone ò poi (inolio che stima tanto il Chiara- 20 monti {S) , che spera d’aver per suo mezzo a vedere Aristotile rimesso nel suo primo ius di definire a suo modo le questioni naturali, senza che alcuno abbia da ar¬ dire d’opporsi alle sue sentenze; e da questo parere non mi pare anche affatto alieno qualche altro personaggio, oggidì in Roma più principale : di maniera che se V. S. havrà alle mani suggetto assai debole in effetto, non dimeno sarà di non mediocre stima. Doppo aver avuta la settimana passuta la sua, mi son messo a leggere an¬ eli’io l’Antiticone ”, c v’ho trovato di gran povertà, conio particolarmente a 0 . 152 e 153 etc., d’alcune soluzioni degli argomenti di Ticono; come nella risposta al 3° argomento del Sarsi dice che la luna con un occhiale assai buono che ha, so non apparisce molto maggiore 0 ', 0 clic Cucchiaie ha la sua sfera d’attività, dentro alla quale può fare apparir maggiori gli oggetti, ma fuor di quella nojel’esem- plilica in certe inscrizioni, che non si vedendo con l’occhio semplice, si veggono poi con l’occhiale, che poi finalmente non si veggono nò anche con l’occhiale, se si allontana più il riguardante: nelle quali risposte son molte contraddizioni ; c se V. S. me ne avvertirà di alcun’altra più palpabile, io ho occasiono di dirla a persona di molta autorità. Martedì passato, secondo il solito degli altr’anni, fu fatto una prefazione (#) , anzi un’invettiva, molto veemente e violenta contro a’ seguaci di nuove opinioni {i) Wr- VoL VI. pii*. 511, lin. 28-29. Cfr. n.o 1671. < S > Autili/rhn SOIIMONI» CLARAÌIONTII, ®CC. Vtì- netiis, M. PC. XXI, upml Kvniigulistam Deuchinuui, pag. 259-200. Cfr. nn.‘ 1683, 1693. 8 NOVEMBRE 1621. 227 [ 1680 - 1681 ] io c contrarie alle peripatetiche. Son dietro per averla, e forse ne manderò copia costà, acciò si veda che paralogismi piglino ne’ loro discorsi: la postilleremo qua tra noi, e perché eli’abbia il suo resto, la manderò a pigliarlo costà da V. S. o dagli amici nostri, clic non dovranno mancare di giustizia. 11 S. r Carlo Magalotti mi promesse stamani che stasera avrei avuto la let¬ tera per il P. Provinciale di S. ,a Croce (l) , ma non l’ho avuta. Domattina ne tor¬ nerò a fare instanza, per mandarla, se ò possibile, domandasora per il procaccio. Della prossima settimana partirà per costà Mons. r Corsini (,) , e con S. S. 111.""* sarà anche Giulio mio fratello, ma per rimanere in Firenze. Il P. Don Benedetto dovrà, in cambio suo, seguitare il viaggio all’acque di Ferrara e di Bologna 01 , so Per la strada avrà occasione di disputare, perchè Monsignore tiene da i Peri- patetici terribilmente, se bene poi non ò persona ostinata, e credo che abbia a tornare in qua tutto rimutato d’opinione. Sono stato un poco troppo lungo, ma il gusto di discorrere con lei mi ha traportato. Le bacio le inani, e le prego dal Signore Dio ogni bene. Di Roma, 8 di Novembre 1624. Di V. S. molto lll. ro e Ecc. ma Se. rn Afl>° e Obb. mo Mario Guiducci. 1681 **. BARTOLOMEO IMPERIALI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 8 novembre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 212. — Autografa. Molto 111. 0 et Eccell." 10 S. r mio Oss. ,no Non intendo che in niun modo V. S. s’incomodi intorno alla risposta del dubbio 10 , perchè vi sarà tempo, non essendo necessario che si faccia al presento. Io al sicuro, se vi fussero persone qui che sapessero lavorar do’ vetri, vorrei sca¬ pricciarmi, e veder ciò che ne può uscire dall’intento del Porta; c un giorno voglio transferirmi a Venetia, ove mi dicono che vi sono a ciò persone atte. Basta : come ella con suo agio sarà sbrigata, credo che debba colpir il segno, et io mi farò intender più chiaramente. Intorno poi al favore che mi fa del cannocchiale 0 ’, basterà che V. S. mi io mandi i vetri, con la misura della distanza dall’uno all’altro, secondo i palmi ordinarii della canna, chè qui si troverà modo di far il cannone in uno o più Hi Cfr. n».« 1071, liu. 50-52: 1678, lin. 10-42. (*> Ottavio Cousini. <»> Cfr. n.« 1672, IH Cfr. i)« 1669. 1») Cfr. no 1667. 228 8-13 NOVEMBRE 1624. [ 1681 - 1682 ] pezzi, in guisa che non vacilli. Potrà inviar i vetri in uno acatolino ben guardati, o consigliarli al corriero, dandomene separatamente aviso. Con clic a V. S. bacio le mani, e dal Cielo l’auguro ogni felicità. G. a , 8 Novembre 1624. Di V. S. molto Il. re et Eccll." 4 Aff.“° Se.™ Bar.® Imper. 1 ® 1682 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, 13 novembre 1624. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai.. P. I, T. Vili, car. 241. — Autograf*. A Molto Ill. r * et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. 1 " 0 10 non ho altri conti da dar a V. S. por il S. r Vincenzo w oltre quelli che li diedi l’anno passato, salvo che quel che sposi avanti il S. Giovanni in fargli certo maniche, comprargli un par di calze, fargli assettare i vestiti, un cappello, un mantello sottilo per l’està, c varie spese minute, però tutte coso necessario, conio scarpe, foghi e simili; c perchè mi ritrovavo senza danari, presi dal Camarlingo di Dogana 25 ducati, con i quali ancora diedi sodisfazione a certe poche speso fatte per lui da Mess. r Lorio 1 *’, mentre io ero in Firenze al Natale o Carnevale passato, la nota delle quali tutte non arrivava interamente a 25 ducati, come mi pare che io dicessi a V. S. questa està passata. So bene che di tutto ne fa* io cova particolar passata c instruzzione ancora al medesimo Sig. r Vincenzo, acciò cambiasse bene in spendere parcamente, corno in effetto mi pareva che facesse. Il libretto dove, erano notate queste speso a una a una, non lo ritrovo qua, ma devo essere costì in Firenze tra certe altro mie robhe, c presto gli ne darò conto. Quanto al Sig. r Camarlingo, non dove dar altro conto a V. S. che delli otto scudi che paga ogni mese a Mess. r Lorio o dei sodetti 25 ducati dati a ino. 11 Sig. r Vincenzo m’ha detto che mandarà la lista particolare a V. S., c che se lei non volo che attenda al Imito, clic lasciarà stare. Io con questa occasione gli ho data una stropicciata soda, con dirgli che. sarebbe padrone d’altro che di sonare, ogni volta che si risolvesse di accommodarsi con V. S. : ma in somma, o 20 non ha fatto errore, 0 sta ostinatissimo. Voglio ben significare a V. S. questo particolare, che ho fatta qualche diligenza por saper della sua vita, come la passa, e non I 10 ritrovato che faccia nò indignità nò mancamenti nè scapiglia¬ ture di sorte alcuna; si che resto fuor di me a pensare come possa essere clic (*.• Vincknzio, figliuolo di Galileo. <*) Loitio Lorii, 13 — 22 NOVEMBRE 162-1. 229 [1682-1683] liablmi fatto un errore sì grave come quello cbe pretende V. S., e che poi stia tanto ili cervello 10 . Tuttavia non voglio affermare nè negare cosa alcuna di certo, potendo io benissimo essere ingannato. V. S. con la sua prudenza e giudicio con¬ sideri il tutto, e se si risolve a venire, mi scriva due versi, clic mi sarti favore singolare. Con che li bacio le mani, e me li ricordo obligatissimo al solito. 30 Pisa, il 13 di Ombre 1624. Di V. S. molto 111.™ Oblig." 10 Ser.™ e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r e Padrone Col. 1110 Il [S. r Galileo] Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1683. MARIO GUIDUCCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 22 novembre 1624. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 187. — Autografa. Molto 111. 10 et Ece. mo S. r e P.ron mio Oss. mo Mi duole sommamente che la mutazione de’ tempi abbia travagliato e tra¬ vagli ancora V. S., dandole impedimento al proseguire le fatiche incominciate. Piaccia al Signore Dio di renderle quanto prima la sanità, acciò, continuando i suoi studi, tolga a questo secolo il nomo di ignorante, clic ha sino a ora. Io non ebbi poi da Mons. r Ciampoli la correzione (l) , nè anche gliene ho fatto molta instanza, avendomi V. S. commesso che riponessi il Discorso sino alla pub¬ blicazione di quello del Cliiaramonti: procurerò che la faccia e me la dia, e la manderò a lei. Già Mons. r Ciampoli l’aveva conferito con qualche amico, c in io particolare con un gentiluomo Scozzese che servo il S. r Card.' 0 Barberino, detto il S. r Giorgio Conneo, che V. S..debbe conoscere. Questo gentiluomo l’altra mat¬ tina nell’anticamera ne discorreva, lodandolo estremamente; ma biasimava bene all’incontro l’Ingoli, il quale non solo si fusse messo a scrivere d’una materia la quale non intendeva, ma in oltre avesse forzato V. S. a rispondergli, la quale per otto anni n’aveva tenuto silenzio per non avere a mostrare la sua ignoranza; e concludeva che tutte quelle staffilate gli stavano molto bene. Di qui cavo che è stato un buon punto quello che ha preso V. S., di scusarsi delle punture che gli dà, dandogliene forzatamente, come s’argomenta dal silcntio d’ott’anni. m Gir. u,° 1604. <*) Cfr. u.° issi). 230 22 29 NOVEMBRE 1024. [1083-1684] Il detto Ingoli lia saputo elio io ho questa scrittura, o m’ha fatto fare in¬ stanza che gliela mostri; a elio io ho risposto elio V. S. scrivo a lui proprio, e 20 elio però egli l’avrà da lei quando sarà tempo, ma per ora ho ordino di non la mostrare a nessuno. So elio e’ ò stato chi ha detto elio V. S. non si soddisfaccia delle risposte, e elio però trattenga il lasciarla vedere; onde mi do ad intendere clic egli tanto più abbia a faro instanza d’averla, e cosi b’ andrà tanto più cor- * cando d’essere scopato. Mons. r Ciampoli n’aveva prima parlato con N. S., e reso capace S. S. tó che era bene di reprimere l'audacia di simil gente, elio intrapronde a scriverò quel elio non intende, con iscapito di qualche poco di riputazione di questo Congregazioni qua, L’ufmo ò stato buono, chò così avendo preoccupato il luogo, se quest’altro si risentisse, troverrebbe informata come bisogna S. S. ,à Starò in orecchi per intendere quando esca fuora l’opera del Cliiaramonti 10 . 80 La prefazione del Collegiol’ho havuta poco fa, benché con fatica c strata¬ gemma, 0 la mandorò a V. S. come l’abbia un poco considerata 0 letta qua. Il S. r Àscanio Piccolomini e ’l S. r Filippo Magalotti le baciano lo mani; c io per fine, facendole reverenza, lo prego dal Signore Dio ogni felicità. Di Roma, 22 di Nov.™ 1624. Di V. S. molto Ill. r, ‘ et Ecc. m * Ser. r " Obb. mo Mario Guiducci. 1684 **. BARTOLOMEO IMPERIALI a (GALILEO in Firenze]. Genova, 29 novembre 1624. liibl. Naz. Fir. Mse. (5ni., P. VI, T. IX, enr. 213. - Autografa. Molto II." et Eccll." 10 S. p mio ()ss. ,no Avrà V. S. ragiono di querelarsi meco, per non aver subbito con l’ordinario passato scritto a V. S. della ricevuta do i vetri dell’occhiale, tanto a me caro, e nell’aver mancato tanto all’obligo nel ringratiamento dovutogli di un tanto favore, per essersi ella privato di sì rara cosa e fatto tanta gratia a chi tanto poco merita; e le sarà parso strano ancora che non l’abbia avisato della consegna seguita del’occhialino al S. r Bartolomeo Balbi. Di tanti mici falli non volontarii ne dia la cagione a questi rumori o vero apparcchi che si fanno di guerra nella nostra cità, essendomi stato necessario (per ollìcio ch’ànno in me malamente impiegato) di assoldar eie’ soldati, acciò si facciano lo compagnie elio il nostro 10 8er."'° Signore ha comandato; 0 questa ancora sarà la causa che con questo t «*> Cfr. u.o 1671, liu. -12, Oi Cfr. nu.‘ 1680, 1600. 29 NOVEMBRE 1024. 231 [1684-1685] ordinario non le manderò la copia di quella scrittura del Porta, o non potrò di novo far qualche instanza alla sua dottissima lettera: e sono restato assaissimo, perchè, avendo qualche opinione che potesse farsi quanto accenna il Porta, l’avermi ella accennato che stima non potersi arrivare, per esser impossibil il farsi, mi ha posto in disperatione clic tal cosa possa riuscire; e l’argomento ha gran forza: Se il S. r Galileo non l’arri[va], daddovcro che non è arrivabile. Pure manderò, come ho detto, il testo del Porta, e del tutto mi sbrigherò di questo pensiero. Non ho poi ancora potuto far prova dell’ultimo cannocchiale, perchè l’aria 20 è stata tutti questi giorni tanto fosca, che niente più; e non ho mai più avida¬ mente desiderato tempo chiaro più d’adesso: ma già mi presupungo gran cose, perchè così allo scuro ho vedute, si ben in poca distanza, oggetti chiarissimi c multiplicati assaissimo. S. r mio, son tutto suo, o rassicuro che non ha maggior servitor di me: con che le bacio le mani. G. il , 1624, 29 Novembre. Di V. S. molto II.™ et Eccll. ma Afi>° Se.™ Bar. 0 Imper. ,a Il nostro S.™ Santini bacia a V. S. le mani, e lo prega ad iscusarlo se non so risponde subbito, o che tosto lo farà, e clic in tanto sta aspettando una certa scrittura di un Ingoli (non se (sin) dica bene) : V. S. saprà qual sia. Le do nova che costi viene il figlio l,) del Re di Polonia con alcuni suoi prcn- cipi. Mio cognato, che l’ha corteggiato, m’ha detto che ò intelligente di cose di matematica. Qui è voluto essere sconosciuto: mi favorisca scrivermi se costì là lo stesso. 1685 * LORENZO MAGALOTTI a GALILEO iti Firenze. Roma, 2‘J novembre 1U2+. Bibl. Ntiz. Fir. Mss. Gal , P. I, T. XIV, car. 101. — Autografa la firma. 111.™ Sig.™ Io so che Y. S. non mi ha espresso pienamente la sua allegrezza per la mia promozione al Cardinalato, benché liabbia procurato di rappresentarmela gran¬ dissima; imperochè mi ha sempre amato senza misura. Io la ringrazio cordial- (*) Vlauislao, figliuolo di Sigismondo. 20 — 30 NOVKMBRK 1624. 232 11685 - 1686 ] mente; e desideroso di corrisponder co’fatti all’amor suo, attendo da lei occa¬ sioni di farlo servizio, e prego Dio elio la prosperi. Roma, 2!) Nov. re 1624. Al piacer di V. 8. sempre l,) S. r Galileo Galilei. Dir/» D. Card. 1 Magalotti. Fuori: Almi.» Sig.» il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. io 1686 *. MARIO GUIDUCC1 a [GALILEO in Firenze]. Roma, .'W novembre 1624. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Olii., P. Ili, T. XI, o se non quanto portava l’occasione del ragionamento (e tutto con ogni riguardo), non di meno contro di lei o di me si era rivolto ogni suo sforzo, lasciando di rispondere agli altri, i quali di proposito e più vivamente l’avevano cercato atterrare ; e che poi tutti questi sforzi e queste scritture non avevano altra mira che difendere un Problema del cui valore si poteva far coniettura dagli scritti del Chiaramonti e dalla confessione del medesimo P. Grassi intorno a quel terzo argomento ; e così inserirvi il discorso del Chiaramonti, sino a dove egli comincia a trattare contro al terzo argomento; e concludere clic pigliasse quella lettera per caparra di quanto poi parrà a V. S. di dargli per resto. Io ho voluto scrivere a V. S. questo mio pensiero venutomi iermattina avanti co che mi levassi, acciò ella veda un poco diligentemente l’impugnazioni dette del Chiaramonti, se veramente sono necessarie, chè poi io subito mi metterò a tra¬ so XIII. 234 30 novembri: — 3 dicembre 1624. [1680-1687] (lurio e formare la risposta, prima che io veda la proposta, a fine elio V. S. la riveda, e così quattro o cinque giorni iloppo rendergli stampata la risposta, clic gli giugnerò, se non mi inganno, molto nuova e inaspettata, ma sì bone molto meritata. Non gli ho poi voluto mostrare la scrittura dell’Ingoli, perchè non ini voglio più addomesticar seco. Se V. S. approva il mio pensiero, tengalo in sè, acciò non voniase all’orecchio di qualch’uno di questi Padri, e si guastasse il giuoco. Stamani ù partito per costò Mons. r Corsini' 0 , onde il P. Don Benedetto dovrà tornar presto da Pisa. V. S. mi faccia grazia, come lo vede, di farli mici bacia- 70 mani: o qui avendo finito il foglio, ancor io pongo fine, facendole reverenza e pregandolo dal Signore Dio ogni felicitò. Di Roma, 30 di Nov. 1 "" 1624. Di V. S. molto ni." Afi>° o Obb. mo Se. ro Mario Guiducci. 1087. CESARE MARS1LI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 3 dlcombrc ltì’24. Bibl. Nnz. Fir. Msa. Gai., P. I, T. Vili, car. 243. — Autografa la «ottoocrillone. Molt* I[ll.] p * et Ecc. mo S. ro et P.rone mio Oss.*" 0 Ritornato che son stato alla patria, posso dire d’liaver cambiato la vita in una mezza morte, di’ è stato non solo una perpetua sonnolenza, ma più una flus¬ sione di catarro, che mi ha talmente debellato elio non mi ha lasciato campo ad alcuna operatione; nè prima cPhora, che Paria natia ha fatto tregua con me, ho potuto liaver agio di faro riverenza a V. S. Ecc. m *, come sempre ho havuto in pensiero, et chiederle del suo ben stare. E perchè non vorrei elio la tardanza havesse faccia di obliviono de’ favori ricevuti da lei, ho supplicato il S. r * Claudio (addotti che sia da lei a farne per me la scusa; se bone il non haverla io ri¬ chiesto sino bora, anzi importunata, della risposta dello scritture dell’Ingoli che io le lasciai e di qualche altra sua scrittura, tanto avidamente da me desiderate, ne può a bastanza far piena fede. E perchè la dolcezza dei frutti ch’io sentii nella sua villa, mi hanno fatto ambitioso del parangone, perciò ho preso ardire d’in¬ viarle quattro para (li galli d’india vivi, una forma piacentina, et insieme alcune scatole di balle, acciò D. Pedro non vonghi defraudato della sua, supplicandola a goderle et conoscere il devoto mio affetto da questo poco segno che hora lo porgo. Ottavio Corsisi: cfr. n.° 1672. 3 — 7 DICEMBRE 1624. 235 [1687-1688] Subbito ch’io haverò agio di mandarle le Tavole di Marte del già S. ro Gio. An¬ tonio Magici (,) t alle quali ho fatto un poco d’introduttione per publicarle, lo farò volontieri, acciò mi avisi così della qualità dell’opera, come se mediante quelle, 20 bavero campo d’essere favorito dell’aggregatione nell’Accademia dei S. ri Lincei. Et a V. S. Ecc. mn con tal fine faccio riverenza. Di Bolog. a , li 3 di Decembre 1624. Di V. S. moli’111. 10 et Ecc. ma Le robbe sono state consegnate in Bologna a Pietro M. a e Cesare Laudi, o veranno a Fiorenza in mano al Mag. co Pasquino Artimini, e si partino domani. Div.mo Scrv.rn V er0 Cesare Marsili. 1688 *. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 7 dicembre 1624. Aroh. Marnigli in Bologna. Busta OQ, Tomo 2°, Lottore divorso al Sig. r Cesare di Filippo IMarsilii. — Autografa. Molto 111.» Sig. re G rad. 1,0 Col." 10 In questo punto, che sono bore 22, ho ricevuto qui in villa la gra¬ tissima di V. S., alla quale per strettezza di tempo non posso dar se non breve risposta. Dolgomi sommamente de i patimenti suoi dopo il ritorno alla patria, e mi assicuro che, come prudente o giovino di età, si ridurrà col buon governo alla pristina sanità, la quale io gli au¬ guro e desidero. Havevo reaoluto mandare a V. S. la mia risposta all’ Ingoli in¬ sieme con le scritture che tengo di V. S. ; ma V bavere inteso come il io Oav. Chiaramente stampava contro al moto della terra e contro a quel mio breve Discorso sopra ’l flusso e reflusso, ancorché non pu- blicato, mi ha ritenuto di lasciar vedere, ancorché privatamente, detta mia risposta, perchè potendo essere elio il Cliiaramonte arrechi de i medesimi argomenti dell’ Ingoli, volevo che la sua opera fosse pubblicata, prima che potesse accadere eh’ ei vedesse alcuna dello mie risposte. Con tutto ciò la manderò a V. S. per il prossimo ordi- <*> Cfr. Carteggio inedito di Ticone Brahc, Oio- tratto dall’Arcliivio Malvoz/.i do’Medicj in Bologna, vanìii Keplero e di altri celebri astronomi r , matematici pubblicato ed illustrato da Antonio Favaro. Bologna, dei secoli XVI e XVII con Giovanni Antonio Maijini, Nicola Zanichelli, ISSO, pag. 110, nota 4. 230 7 DICEMBRE 1024. [1688-10891 nario, con pregarla a tenerla appresso di se sino alla detta pubblica¬ zione. Manderogli anco insieme le scritture elio tengo di suo, et i promessi vetri per il telescopio, li quali credo e spero elio con la perfezzione compenseranno la tardanza. 20 I)i Roma intondo che il P. Grassi ò per stampare la risposta al Saggiatore, dicendo essere stato forzato a dover rispondere 01 : la sto aspettando con desiderio. Intanto vo tirando avanti il mio Dialogo del flusso e reflusso, elio si tira in conseguenza il sistema Coperni¬ cano ( “’, 0, per la Dio grazia, mi sento in maniera di sanità, che posso impiegar qualche bora del giorno in questo servizio. Procurerò di veder quanto prima il Sig. Claudio Guidetti per fargli la prima dcdicazion della servitù mia, corno ad amico di V. S. : procu¬ rerò anco la ricevuta doli’ esuberantissimo regalo di V. S. (3) , il quale con la sua vastità mi desta qualche dubbio nel desiderio, elio pur so voglio credere che ella habbia, della mia sanità. No farò parte a tutti gl’ amici 0 parenti miei ; et intanto, disperato del poterla contraccam¬ biare, la ringrazio quanto conviene. Starò aspettando lo Tavole che mi accenna, e le vedrò con quanta diligenza potrò. L’Ecc. mo S. Pr. Cesi era per andaro in breve a Roma, e quivi far P ascrizione di alcuni accademici Lincei, con speranza di essere favorito da V. S.; et io le darò ragguaglio del successo. Più oltre non mi concede P bora tarda, che io possa distendermi scrivendo. Gli bacio cordialmente lo mani, e gli prego da N. S. intera felicità. Da Bellosguardo, li 7 di Xmbre 1624. 40 Di V. S. molto I. I)ev. n, ° Ser. r '’ Galileo Galilei. 1 GB 9*. BARTOLOMEO IMPERIALI n [GALILEO in FirenzeJ. Genova, 7 dicembro 1624. Bibl. Niu. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. IX, car. 222 e 224. — Autografa. Molto 111.™ et Eccell. mo S. r mio Oss. mo L ordinario passato k) ringrati ai V. S. della ricevuta del cannocchiale, e per la stretezza del tempo non potei risponderle altro, sperando insieme che in questi <*) Cfr. n.o 16B0. <*> Cfr. n.o 1674. < Sl Cfr. n.« 1687. “» Cfr- n • 1CS4. 7 DICEMBRE 1624. 237 [1689] altri giorni seguenti dovesse raserenarsi il cielo, onde io potessi dar raguaglio a V. S. della bontà che avessi esperimentata de i vetri; ma la stagione, che si mi¬ schia ormai con l’inverno, n’ha tenuto il ciclo occupato di nuvole, sì che non ho potuto aver questo gusto, essendo fatto il cannone clic non vacilla, benché sia in alquanti pezzi: et in line ho risoluto di non volerne dar altro che un aviso a V. S., ma certo, essendo che l’aria fosca può ieri avermi ingannato, 'frattanto io mando a V. S. il trascritto delle parole del Porta in alquanti luoghi elio fanno al proposito 0) , onde V. S. vegga che egli nel capitolo 11° mirava a più alto line che del cannone composto con lenti sferiche, avendo ciò insegnato nel pre¬ cedente; e dallo parole del capitolo 19° si vede chiaramente che egli era d’opi¬ nione che la figura parabolica unisse tutti i raggi in un ponto, intendendo della convessa; e per via di refratione, e per ragione, secondo i principi! dell’istesso autor nel 2° libro della refratione, la parabolica concava disgregherebbe gagliar- dissimamente: sì che, confermando ciò che scrissi già a V. S., panni che tal forma migliorerebbe grandemente il cannochiale, tanto più che veggo che V. S. con quella piastra di piombo ha ristretto il pertuggio, lasciando gran parte del cristallo illu¬ so tile (2) , non per altro, sol che per ischivare tanti concorsi, che verrebbero dallo parti coperte a cagionar i colori dell’iride, là dove se quel vetro fosse parabo¬ lico potrebbe lasciarsi tutto scoperto. E questo io miro principalmente in tal artificio, perchè poi la difficoltà che V. S. introduce, che gl’ocelli variamente si servano de i raggi solari, per ora non fa caso noi cannocchiale, essendo certo che consiste l’arte tutta nella qualità de i vetri, che in un modo o in un altro rompano i raggi: e non ha dubbio che quella virtù stessa dell’occhio meglio va¬ ierà nel passaggio più utile de i raggi; e più utile sarà quando o s’uniranno tutti in un ponto, o fuggiranno tutti, chè quella mistura di sferici, che àn tanti concorsi, non può esser se non dannosa. Vero è, come scrissi, che il Ceplero fa so più stima della figura iperbolica, e con quella s’ingegna adunar i raggi, come insegna ne i Paralipomini al capitolo 5°, nella prop. 24 a e 25 ntS) ; maio ora vuò cercando solo il pensiero del Porta, il quale declina alla parabola, se ben con¬ fesso insieme che egli abbia potuto accennare l’iperbole in quella parola del cap.° 11 triangoli vero obtiisianguU , secondo l’opinione degl’antichi, come rife- IiGtt. 1689. 31. capitolo 3°, nella — <•' Quosto « trascritto » è anello oggi allegato alla lettora o forma la car. 223 del medesimo Tomo dei Mss. Galileiani : comprendo, conio uella lettera ò accennato, un tratto del cap.° 10 del lib. 17 della Magìa Naturali» di Gio. Battista della Porta (cfr. n.° 1669), dalle parole Concaeae lente», qune longe «runt fino a clava videbis, • qui bus vorbis », soggiunge 1’Imperiali, « telcscopium dare describit», l’intero eap.° 11, o un breve tratto del cap. 19», verso la metà, da Parabolani arittalUnam omnium vehementiuime a speculo accendi!. ‘ 3 > Cfr. il.» 446. Un. 83-90. Ad Vitelliouem /miaiipomena, qvibu» nitro- nomiae par» opticn tradì tur, occ. Autlioro Toansp. Keplero, ecc. Francofurti, apud Claudium Mnrniuin et hneredes Ioanuis Aubrii, anno M. DCIV, pag. 198-199. 238 7 DICEMBRE 1624. [1689] riscc Barotio (n , elio V iperbole nascesse dal taglio del cono ottuso: non dimeno non bc n’ha altra traccia noi Porta, tanto più che egli adoprò quelle parole in plu¬ rale sedionibus illis, quasi elio dello tre duo potessero servir. Il ponto ora è che V. S. mi favorisca di vedere so il testo del Porta porti questo sentimento, avendo tutti gl’altri stimato che egli parli in aria; di poi, che lo piaccia applicar l’animo fuori di quest’autore a veder se potesse riuscire in forma parabolica, o fosso anco to iperbolica; perchè, so bene, corno V. S. nota dottamente, in picciol spatio òdif- iìcil distinguer l’una dall’altra, per lo rottondozzo molto simili, con tutto ciò spero clic l’arto possa arrivare a distinguerlo, Bicorne veggiamo elio breve linea toccante un chierchio, benché per alquanta parte paia unirsi, però si discerne nel lavoro ; et ù certo che da quel punto, elio il Copierò chiamò ingegnosamente foco, al fondo della parabola non si possono tirar più lineo eguali dall’una parte della saetta, o puro nella storica ò necessario. Perdonimi V. S. so l’importuno con questa mia diceria: soppongo il tutto al suo esquisito giuditio, o pretendo elio Unito no sia vero e buono, quanto parerà al S. r Galileo. Scusi insieme la molta curiosità, perchè io vorrei puro che al no- 50 stro secolo si desso l’ultimo compimento a questo maraviglioso instrumento, o elio V. S., elio l’ha promosso tanto, gli desso l’ultima mano; ricordandolo clic a Leon Decimo huomini valenti fabricarono occhiali, per mezo do’ quali (essendo egli mezo cicco) vedea, nell’ uccellare, distintamente i colori delle penne, con ma¬ raviglia d’ogniuno 11 ’. E perchè, S. r Galileo, non si potrebbe risousitar {sic) questa arte? Ruggero Baccone nella sua Perspetiva, inanzi al fine, scrivo clic si ponilo figurar i cristalli in modo che un huorao paia una montagna (i) , o questo con am¬ pliar l’angolo; Copierò nella Dioptrica propone un problema, nella prop. n ® 116, Visibilia prò lubilu magna reprche$cntare w : Dio buono! quest’è quello che il mondo aspetta, o che il deploro, elio è l’autore, il ponga in prattica, o elio il S. r Ga- Admirandum itimi geomctricum problema, tre- dediti «iodi * illuttratum, quod docci dua » linea» in endem plttno detignare, ecc. FiungiscoBauocio, lacchi filio, l'atritio Veneto, autoro, ecc. Vonotiis, apod Gra- tiosum I’erchacinuni, MDLXXXVI, pag. 20, lin. 111. <*> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 238, lin. 37-38, o pag. 239, lin. 1-2. <3) Roghimi Bacconib Angli, Viri Eminentissimi, l'eri/Mctiva, ole. mine prìuium edita, opora ot studio Iohannis Cmnbnchii. Francofurti, typis Wolffgnngi Richtori, N. 1)0. XIV, png. 1C7, lin. 20. •*) IoHAKNlS KrpLKRI, OCC. Diottrica, »eu demot I- » Irai io cor«m quae ri»ui et vitihilibu» propier conipi• citta, non ila pridem inventa, uccidimi, occ. Angustio Vindelicoruui, typis Davidis Erotici, MUCXl, pag. 02. <•> Ommio Eisk. 7 — 17 DICEMBRE 1G24. 239 [1689-1691] mamella d’una statuetta di cera una poppa ben formata di donna, et i maestri devono ancor viver in Venetia, c la relatione si ha avuta per via di persone o intendenti o di molta stima. Con comodità di V. S. andrò aspettando risposta; et a V. S. bacio le mani, e le priego da N.° Signore ogni felicità. G. u , li 7 Decemli. 1624. ili V. S. molto Ill. ra et Eccll." ,a Aff. mo Se.™ Bar.° Imperi® 1690* GIOVANNI CI AM POLI a GALILEO in Firenze. Ho ma, 14 dicembre 1624. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. Vili, car. 245. — Autografa lo sottoscrizione. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col. mo Il Sig. r Ercole, Priore di S. Niccolò, mi ha ultimamente resa una di V. S. del 14 d* Ottobre passato, e con le buone nuove che mi dà di lei, mi ha accre¬ sciuto straordinariamente il contento sentito dal vedermi honorato dei suoi co- mandamenti. Come ho detto a lui medesimo, ove io potrò m’ingegnerò di fargli conoscere quanto io stimi la sua raccomandatione, e quanto sia il desiderio di servirlo in ogni sua occorrenza, e per amor di V. S. e per le honorevoli qualità della persona sua, che non richiedono che io faccia altrimenti. La prego intanto a conservarmi la gratia sua et a consolarmi, quando ella può, con il favore delle io sue lettere, e con più spessi comandamenti, mentre le bacio con reverente affetto la mano e lo prego da Dio ogni più desiderata felicità. Di Roma, il di 14 di Dicembre 1024. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,ntt Dev. ,no Ser. ro et Obblig. mo S. r Galileo Galilei. Fir.° Gio. Ciampoli. 1691*. . GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 17 dicembre 1024. Ai-eli. Riarsigli in Bologna, Busta citata al n.° 10SS. — Autografa. Molto 111.™ Sig. re e Pad. 110 Col. 1110 Ho aspettata 1’ occassione oporfcuna del molto Ilev. P. Don Bene¬ detto Castelli, Matematico dello Studio di Pisa, il quale se ne vien costà 240 17 DICEMBRE 1624. 11601-1692] con Mona. Rev. m0 Corsini : il qual Padre consegnerà a V. S. molto I. un legaccietto, entrovi lo sue scritture attenenti all’ Ingoii 141 , con una copia della mia risposta a quello ; la «piale però desidero, per alcuni miei rispetti, che resti a presso di V. S., senza mostrarla per adesso ad altri. Troverà nel medesimo logaccetto 2 vetri per un telescopio, che sono i migliori che io lmbbia ; o lo spago che vi ò avvolto intorno è la lunghezza del cannone, o vogliali dire la distanza che deve esser io tra vetro e vetro. Gli harei mandato un occhialino por veder lo cose minime da vicino, ma P orefice elio fa il cannone non l’ha ancora finito: subito fatto, lo manderò a V. S. Arrivò il rogalo di V. S. : i galli però non furon vivi, come mi scriveva, anzi morti e stivati in una piccola cassetta, ondo per l’an¬ gustia del luogo, o anco por i tempi piovosi, patirono assai. Io però riconosco la cortesia di Y. S., olio «li troppo intervallo eccede il merito mio, che è nullo ; onde tanto maggiore ò l’obbligo. Resto con desi¬ derio aspettando P opera che pensa di pubblicare, e non meno i suoi comandamenti ; e perchè dal P. 1). Penedotto potrà intendere dello 20 stato et occupazioni mie, non ini distenderò in altro, salvo che in ricordarmeli servitore devotissimo : con che gli bacio le inani, e gli prego intera felicità. I)i Fir. Itì , li 17 di Xmbre 1624. Di V. S. molto ili.” Ser. r ® Dev. mo Galileo Galilei. 1692*. GIOVANNI FABER a FEDERICO CESI in Acqnaaparta. Roma, 17 dicembre 10*24. Blbl. della R. Accademia del Llnoel in Roma. Msa. u.« 12 (già cod. lioncoinpagui 680). car. 265. — Autografa. .... Ilo havuto una lettera dal Sig. r Galileo, quale mi scrive che bora sta intorno alla risposta al Sig. r Ingoli, et che ha scritto al 1*. Mostro, nè sa se ha havuto la sua lettera, quale,io voglio solecitare che risponda.... i 1 ' Cfr. u.o 1672. «*• Cfr. u.« 1060 . [ 1003 ] 21 DICEMBRE 1624. 241 1693. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 dicembre 1G24. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. X, car. 189. — Autografa. Molto Ill. pa et Ecc. ,no S. r o P.ron mio Oss. mo La gratissima di V. S. de’ 9 del presente non m’è pervenuta prima che della presente settimana, però non le ho potuto dar risposta prima che ora. Ho sen¬ tito per essa con molto mio gusto che le sia stata grata la nuova della risposta al Saggiatore'*>, della quale io non mi turbavo se non per suo rispetto, dubitando che a lei non i'usse da piacer molto, vedendo d’avere a seguitare in queste con¬ tese, con tvalasciamento di altri suoi studi più desiderati dal mondo, o vero a cedere col silenzio. Ma già che, mediante il buono stato di sanità nel quale V. S., per grazia del Signore Dio, si ritrova, e piaccia a S. I). M. l “ di conservarla lungo io tempo, ella si rincuora di render buon conto al Sarsi, sotto qualunque nome si comparisca, me ne rallegro, e più che mai proccurerò di conservare la comin¬ ciata amicizia col detto Sarsi. E quanto a quel pensiero che le scrissi, di ri¬ spondere con l’opposizioni del Chiaramonti, aneli’a me è poi riuscito un pensiero da non mettere in esecuzione, per il medesimo motivo che è parso a V. S., di non mostrare d’aver bisogno, per risquoterci, dell’aiuto d’altri. Dell’opera del Chiaramonti non ho poi saputo nò potuto sapere in che grado sia della stampa, nò come sia per uscire in breve. M’è stato detto che costà ò stato condotto il detto Chiaramonti per leggere in Pisa la prima cattedra di filosofia, con secento scudi di provvisione, con carico però di leggere al Ser. mo Gran 20 Duca, di che ne saranno meglio informati costà che qua, e io ho gran curiosità di saperne il vero. Non mandai la prelezione del Padre Spinola (,) , perchè prima volevo finire un poco di censura che avevo cominciata; ma la manderò con la prima occa¬ sione che venga di qualche amico. La lettera di V. S. al S. r Card. 1 * 3 Magalotti, la diedi in propria mano del S.‘- Carlo suo fratello, insieme con altre sì d’amici come di casa mia, scritte nella medesima occasione di congratularsi (,/ ; e so clic non sarà andata male. Nc potrei intender qualcosa dal segretario di S. S. Ill. ma , ma non vorrei dar ombra che V. S. si fusso doluta di non avere avuto risposta. <»Cfr. 1G8G. l8) Cfr. ».« 1G85. < S| Fabio Ambhogio Spinola. Cfr.nn.‘1680,1083. XIII. Si 242 21 — 23 DICEMBRE 1624. [ 1603 - 1694 ] 11 1\ Don Benedetto dovrà esser poi venuto di Pisa, per andare con Mons. r Cor- so siili 10 ; se non è partito, V. S. mi faccia grazia di tarli miei baciamani e darli lo buone feste in mio nome. Mons. r Ciampoli non m’ha poi dato la correzione di quel luogo 10 ; ma credo che si possa far senza, e che V. S. farà bene a acco¬ modarlo da sò, con mutare qualcho parola, in quel luogo scrittolo, che potesse nelle persone non bono affetto destare occasione d’interpretarle sinistramente. Prego a V. S. o questo prossime e molto altro appresso felicissime feste del Santo Natale di N. S., e le fo reverenza. Di Roma, 21 di Xmbre 1024. Di V. S. molto 111.™ et Kcc. m * li S. r Principe Cesi ò in Roma ; sono stato più 40 volte per visitare S. E., ma o non 1* ho trovato in casa, o voro è stato nel lotto, talché ancora non le ho parlato. Ser.™ Atl>° e Obb. mo Mario Guiducci. Fuori: [Al molto] 111.™ et Ecc. ra# Sig.™ e P.ron mio Oss. mo [...GJalileo Galilei. Firenze. 1694*. GALILEO a [FRANCESCO BARBERINI in Roma]. Fircuze, 23 dicembre 1G24. Bibl. Burberlniana In Roma. Cod. I.XXtV. 25, c*r. IO. - Auto*r*f*. Ill. ,no e Rev. mo Sig.™ e Pad. n Col. ,no Ricercherebbono gl’obblighi che tengo alla benignità di V.S. 111.™ e Rev. ma , che io le dessi maggior segni della devozion mia che l’au¬ gurarle felice capo dell’Anno Santo; ma non sendo io atto a passar oltre a questa cerimonia, sotto questo titolo me le presento, e vengo a ricordarle la devozion mia; io non dirò la servitù, perche, non sendo io buono nè anco a minimi servizii, nè lei bisognosa nò anco de i massimi, vana sarebbe ogni mia obblazione. Ricevami dunque come suggetto in cui ella possa esercitare la sua potestà e gran* “> Cfr. u.» 1072. <*i Cfr. u.« 1071. 23 — 27 DICEMBRE 1624. 243 [1694-1695] io dezza, e quando se le presenti occasione, favoriscami di presentar me e mio figliuolo a i beatissimi piedi et alla memoria di S. S. tò , cliè mi assicuro elio tanto solamente manchi per ottener dalla sua suprema potestà l’effetto della speranza che già mi diede 1 ", e del quale ella restò, per sua cortesia, mio proccuratore. Humilissimamente me l’in¬ chino e li bacio la veste, e gli prego il colmo di felicità. Di Fir. zc , li 23 Xbré 1624. Di V. S. 111.“* et Bev. ma Huinilis. mo et Obblig. mo Ser.™ Galileo Galilei. 1695. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 27 dicembre 1624. Bibl. Naz. Fir. Mss.Gal., P. VI, T. X, car. 191. — Autografa. Molto lll. re e molto Ecc . 10 Sig. r mio sempre Oss ." 10 Quanto m’iiabbia rallegrato la gratissima di V. S., colma di si buone e desi¬ derate nuove c del’affetto col quale ella mi favorisce, potrà molto meglio da lei stessa considerarsi, elio da me con parole esprimersi. Ricevo il felicissimo annuntio delle Sante Feste e del’anno e d’altri molti, e scambievolmente glie lo rendo mol¬ teplice con tutto il core. Godo grandemente della sanità e del corso dello scriverò materie sì rare e mirabili, sperandone il desiato compimento e presto. Il Sig. r Guiducci già ha detto portarmi la scrittura {,) , elio V. S. m’accenna, che vedrò con gusto particolarissimo. Per il seguente procaccio inviarò del’altre io copie delle Praescrittioni (S) , acciò possa inviarne anco una al S. r Marsilii e ser¬ barne V. S. appresso di sò per lo occasioni. Intanto le invio un elogio w fatto al S. r D. Virginio. Confesso elio sin hora non ho potuto haver insieme li Sig. ri compagni di qua; ma nel primo collegio pigliarò i voti por Pascrizziono del detto Sig. r Marsilii. Intanto V. S. potrà haver quello del Sig. r Pandolfini, e riscaldar un poco questo ancora nelle nostro cose. Qui io premo al possibile nelle stampe, c si finirà il <>> Cfr. 11 .» 1637. <*' Cfr. 11.0 1696. < 3 ' Cfr. u.° 883. <*) Forse quollo stampato col titolo In funere Vtrginii Caetarini Oralio At.exaxdri Gottikredi o Soc. losu ad S. P. Q. II., durn ci in aedo Virginis Ca- pitolinao publico sumptu parcutaret. Apud Alesali. Zau nettuni, 1624. 244 27 dicembri: 1624. [1695-1006] Messicano e altro opre ancora, avanti passi questo Anno Santo. E procura- remo anco far una bona ascrizione, per la quale V. S. poi andar pensando a qualch’ altro soggetto ancora. I più prossimi saranno li S. rl Guiducci, Marsilii o Rickio l *\ conio lo scrivorò più a pieno. Intanto bacio a V. S. afTottuosissimamcnte 20 lo mani, e lo prego da N. S. Dio ogni contentezza; 0 meco la mia S. ra Principessa le rende infiniti saluti. Di Roma, li 27 Xmbre, festa del nostro Santo protettore w , 1624. l)i V. S. molto IU. ro e molto Eco.* Con la lettera di V. S. so che allegrarò gran¬ demente tutti li Sig. ri compagni. A8>° per ser. 1 * sempre Fed.®° Cesi Line. 0 P. 1696. MARIO GUIDUCCI r [GALILEO in Firenze]. Roma, 27 dicembre 1024. Blbl. Nasi. Pir. Me*. Gal., P. VI, T. X, car. 226. - Autografa. Molto Ill. re et Ecc. ,no S. r mio Oss. mo Mando a V. S. con questa la copia della Prefazione fatta al Collegio °\ e con altra occasione lo manderò un poco di censura che le ho fatto, perchè da lei sia corretta e accresciuta. Coinè ella vedrà, non era fatica a censurarla, perchè è piena di contraddizioni e di paralogismi e altri errori. K non so da che pro¬ cedesse un applauso che ebbo dall’universale quando fu recitata, essendomi stata lodata in maniera che io m’aspettavo di vedere ogni altra cosa elio quello che m’è poi riuscita. Il P. Grassi sento elio va adagio a stampare. Del Chiaramonti non ho sen¬ tito altro, doppo avere scritto a V. S. Il S. r Principe Ccsis mi ha mostrato di io desideravo assaissimo la scrittura di V. S. all*Ingoli, talché l'ho promessa a S. E., e domani gliela porterò (l) . Bacio le mani a V. S., e le prego dal Signoro Dio fe¬ lice capo d’anno con molti altri doppo questo o ogni felicità. Di Roma, 27 di Dicembre 1625 Di V. S. molto III.™ et Ecc. ma Ser. r " Aff. mo e Obb."' 0 Mario Guiducci. <•> Cfr. n.o 684. I» Cfr. n.o H06. Cfr. A Kx varo. JVólim »ti» cataloghi originali degli Accademici Lincei tratta dalla storia inedita di Francesco Cancellieri (Atti del li. Utituto Veneto di ectenie, lettere ni arti. Tomo V, Serio VÌI, pftg. 1824). Venezia, tip. Forrarl, 1891. <*> Cfr. nn.t 1680, 1683, 1693. Cfr. n.» 1695. lutoudi, a Satin itale [1697-1698] 31 DICEMBRE 1624 — 3 GENNAIO 1625. 245 1697 * ll> . CESARE MARSILT a GALILEO [in Firenze]. Bologna, 31 dicembre 1624. Bibl. Est. in Modena. "Raccolta Cauipori. Autografi, B.‘ LXXIX, n.® 166. — Autografa la sottoscrizione. Molt’Ill. r " et Ecc. m0 S. re , P.rone mio Oss.®° Ho ricevuto dal P. D. Benedetto la lettera di V. S. Ecc. ma<21 , con l’involgilo ove erano inclusi i vetri e le scritture. Di tanti favori lo ne rondo quelle gratie maggiori che posso ; e rassicuro elio la sua risposta sarà, da me custodita corno un thesoro, e non sarà, mostrata senza sua licentia. Gl’avvisi elio vengano delle feste die si sono per faro costi (8) , mi hanno messo in cuore di venirmene in persona a godere qualche giorno la dottissima e gra¬ nosissima conversationo di lei ; o perciò mi riservo a discorrere con V. S. Ecc. m * a bocca di molte cose, et a portare meco quelle quattro tavole del Magino, alle io quali ho fatto io una hrevo introduttione' 41 . Fra tanto, restando ansioso di qual¬ che suo commando come di qualche altra sua scrittura, le faccio per fino humi- lis9ima riverenza, e le progo da Dio il buon Capo d’anno. Di Bologna, l’ult. 0 di Decornino 1624. Di V. S. molto 111.'® et Ecc. ma Aff. mo Sorv. r * Voro S. r * Gallileo Galliloi. Cesare Riarsili. 1698 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 3 gennaio 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 193. — Autografa. Molt’ 111.” e molto Ecc. 4 * Sig. r mio sempre Oss. mo Invio a V. S. con questa por il procaccio di Fiorenza un involto con lo copie scritto la passata (5) . Potrà distribuir l’Elogii a suo piacer, o le sei copie dei’altre serbarle appresso di sè, dandone una solo al S. r Pandolfini (6 ' o l’altra al S. r Mar- silii per loro maggior informatione, con suo commodo. di Prima di questa lettera viene in ordino ero- Principe Vt.adisi.ao di Polonia. Cfr. n.® 1684. nologico quella del n.° 1749 in data < Roma, 28 di- < 4 > Cfr. n.® 1687. cembro 1624 ». <8) Gir. n.® 1695. <*> Cfr. n.® 1692. <®i Fii.ippo Pandolfiht. i»i in occasioue della venuta a Firenze del 21G 3-4 GENNAIO 1G25. [1698-1699] Ho qui meco il Uicquio (,) eruditissimo, c per fur qualche honoro al Sig. r Fi¬ lippo Salviati ho. ino. desidero far scriver la sua vita; e sebone ncrOrationo del Sig. r Arriglietti (,) o nelli capi elio lei già mi mandò baveri molto della materia, tuttavia sarà necessario elio V. S. mi mandi sopra ciò più notitia per ordine di tempi, sua educatione, esercitii, viaggi o progressi, o tutto quello che lo parerà io a proposito: c mi pare clic potrebbe far far tutta questa diligenza di relationi e ragguagli dal S. r Pandolfini, c quanto prima sia possibile. Iloggi ò stato meco il Sig. r Guiducci, e comincio a veder la scrittura di V. S. (S> con molto gusto. Non ho tempo scriver più a lungo questa sera. I laverà V. S. ri¬ cevuta l’altra mia procedente. Racio intanto a V. S. affottuosissimamente le inani. N. S. Dio le concoda ogni contentezza. Di Roma, li 3 Genn. 0 1625. Di V. S. molto 111. 1 * Aff. mo per sor. 1 ' 1 sempre Fed. co Cesi Line. 0 F. 1699 **. GIOVANNI CI AM POLI a GALILEO in Firenze. Iioma, 4 gennaio 1025. Bibl. Naa. Plr. Mss. dal., P. I, T. IX, car. 5. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione. Molto 111. 1 * et Eec. mo 8ig. r o P.ron mio Col." 10 Mi è arrivato con questa ultima di V. 8. il suo Discorso filosoficoma tanto tardi, che stando immerso nello spaccio di questo giorno, non l’ho potuto gustare a voglia mia, benché non mi sia potuto contenere di leggorno parte. Domano riceverò la consolationo compita, sperando poterlo vedere con maggior coinniodità c quiete di mente. Quanto a gl’interessi di V. S. c#> , resti pur certa che non mancherò di servirla, n che corcherò anco d'incontrare l’occasione, finché mi venga fatto d’adempire il suo e mio desiderio, il quale non si estende ad altro elio a veder collocato in lei ogni bene, come da Dio pregamiolene, le bacio affettuosamente la mano. io Di Roma, il di 4 Gennaro 1625. Di V. S. molto 111. 1-8 et Ecc. mn I>ett. 1690. 4. conteuencre — 1,1 Giusto Ricquks. •*» Cfr. n.« 1036. < 3 > Cfr. n.° 1696. <*' Intendi, il discorso del timone, cfr. n.® 1707. <*• Cfr. ii.« 1618. 4 GENNAIO 1625. 247 [1699-1700] Le occupationi e la fretta mi sforzano a dif¬ ferir la risposta a quest’altra settimana, nella quale scriverò più a lungo. Fra tanto la ringratio della prontezza mostrata in consolare il mio debole in¬ gegno. Dev. mo et Obblig. Ser. ro S. r Galileo Galilei. Fir.° G. Ci am poli. 1700. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Roma, 4 gennaio 1G25. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 195. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. n '° Mi trovo due lettere di Y. S., una ricevuta martedì, che la dovevo avere della settimana avanti, e l’altra ricevuta iersera, de’ 30 del passato. Con la prima n’era una per L’Ill. mo S. r Cardinale Barberino l,) , la quale presentai la sera medesima in man propria di S. S. 111."' 11 Quella che ebbi per il S. r Marcello Sacchetti a’ mesi passati, gliela mandai a Frascati, dove si trovava allora con S. S. tà ; e il ritratto^ lo consegnai qui al S. r Matteo suo fratello: ma l’occupazioni immense che ha, forse gli avranno fatto dimenticar di rispondere. Ma se V. S. vuole, glielo ricorderò. Diedi al S. r Principe Cesis la scrittura in risposta all’Ingoli, e come rive¬ lo tirò S. E., sentirò quel che le ne pare. Mi rallegro che i Dialoghi C:1) vadan cre¬ scendo, o che V. S. si trovi in istato e direzione di scrivere. Mi pare di intendere che il Sarsi abbia qualche difficoltà da’ suoi medesimi in stampare la risposta al Saggiatore; e per quanto ho potuto ritrarre pervia di un altro Padre, gran parte delle sue repliche saranno intorno a minuzie di nomi, e di non essere stato inteso bene il suo senso in qualche bagattella, come in sul sàltem aliqnis (v) , volendo provare che non sia ben dedotto che quel saltem aliquìs significhi persona bassa e inferiore al P. Grassi. Io non so specificatamente che in dette repliche siano queste opposizioni; ma domandando il S.r Filippo Ma¬ galotti a un grande amico del Sarsi che cosa egli avrebbe potuto opporre e ri- 20 spondere, quel Padre andava notando e censurando simili bagattelle, nelle quali però il S. r Filippo gli faceva conoscere che e’ non aveva ragion nessuna. 1G. mostrata il consolare — <•) Cfr. n.° 1094. <*> Cfr. n.« 1072. < 3 > Intendi, quelli che furono poi il Dialogo dei Massimi Sistemi. <*i Cfr. Voi. VI, pap. 228. 248 4 — 11 GENNAIO 1025. [ 1700 - 1701 ] Mandai a V. S. la prefazione del P. Spinola ”, ma non vorrei che, per rispon¬ dere a questa, i Dialoghi perdesser tempo. Io ho fatto alcune note sopra tutta la detta orazione, e come abbia un poco di tempo, le metterò al netto o le man¬ derò a V. S., acciò ella ne lievi o vi aggiunga quello che le piace. In tanto non vorrei che ella vi perdesse tempo intorno. Della stampa del Chiaramonti non ho inteso altro; ma seppi dalla persona che scrissi a V. S. (t ’, che il detto Chia¬ ramonti dava conto al S. r Cardinale Santa Susanna che aveva scritto e stam¬ pava la detta opera. Il S. r Ascanio Piecolomini e ’l S. r Filippo Magalotti e ’l S. r Tommaso Ri- so miccini (il quale da alcuni giorni in qua si trova con un poco di febbre) bacian le mani a V. S.; e io, facendole reverenza, le prego dal Signore Dio sanità e ogni bene. Di Roma, 4 di Genn.° 1025. Di V. S. molto UD* et Ecc. m * Ser.™ Dev. mo Mario Guiducci. Fuori: [Al molto III.™ et) Ecc. mo Sig. r# e P.ron mio Oss.‘ uo [...Galjileo Galilei. Firenze. 1701 **. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 11 gennaio 1G25. Arch. Marsali In Bolojrna. Susta citata al n.® 1688. — Autografa. Molto U1. M Sig. M e Pad. 11 Col. mo Non mi poteva giugner nuova migliore clic ’1 sentir che V. S. era per venir a passar il carnovale in cpieste bande, per goder dell’occa¬ sione delle feste che si preparano per la venuta del Principe di Poi- Ionia et acciò il favore sia compito, è necessario che V. S. venga a favorir la mia villetta per tutto ’l tempo che si tratterrà qua, di che io la supplico con ogni maggiore instanza, c la starò d’ ora in ora aspettando. Potrà portar seco le Tavole che mi accenna ", che di “> Cfr. ».® 1693. »*> Cfr. n.o 1678. <»> Cfr. n.» 1084. <*> Cfr. nn.‘ 1087, 1697. 11 GENNAIO 1021). 240 [1701-1702] quello die può depender da me ella ne ò assoluto padrone. E perchè io spero d’ liaverla a riveder in breve, riserbo a discorrer seco a bocca ; et intanto, riconfermandomegli servitore paratissimo, gli bacio le mani e gli prego intera felicità. Da Bellosguardo, li 11 di Genn.° 1624 (l) . Di V. S. molto Ill. ro Ser. re Dev. mo Galileo Galilei. 1702 *. MARIO GTJIDUCCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, Il gennaio 1G25. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXV1I, n.° 130.— Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc."'° S. 1 ' e P.ron mio Oas. mo 10 ricevo straordinario contento, e lo partecipo a’ padroni e amici, dal sentire per le lettere di V. S. il buono influsso clic regna adesso in lei, mediante il suo buono stato di sanità, di scrivere a distesa e continuare i suoi Dialoghi. Lessi ieri la sua lettera al S. p Princ. 0 Oesis, che n’ebbe singolarissimo gusto; e così S. E. come tutti gli altri suoi amici si contentano volontierissimo di non aver lettere di V. S., acciò ella non si scioperi dal lavoro incominciato. L’opera del Sarsi mi pare che sia raffreddata, e comincio a dubitare di qualche intoppo e ostacolo del Generale. Si trova in Roma VApelles ptost tabu- 10 e fu l’altra mattina nell’anticamera (3) , ma io non lo veddi. Mi dico il S. r Ca- valier del Pozzo, il quale ragionò seco a lungo, che egli vuole stampare adesso un libro, dove vuol mostrare la fabbrica dell’occhiale con nuove invenzioni e usi di esso. Del Chiaramonti non n’ho più sentito parlare. 11 S. r Ascanio Piccolomini. il S. r Filippo Magalotti e ’l S. r Tommaso Rinuc- c.ini baciano le mani a V. S. ; e io, facendole reverenza, le prego dal Signore Dio continuazione di sanità e ogni bene. Di Roma, 11 di Genn. 0 1625. Di V. S. molto 111.» et Ecc. ma Ser.» Obb. mo M.° Guiducci. O) Di stiìo fiorentino. ‘ 3) Intonili,del Card. Ekanoksco Barbkbini: cfr. <*> Intendi, P. Cristoforo Scheiner. nn. 1 1671, lin. 53; 1715, lin. 13-14. XIII. £3 250 18 — 25 GENNAIO 1625. 11708-1704*1 1703 **. FRANCESCO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 gennaio J(J25. « Blbl. Naz. FIr. Mss. Gai., P. I, T. XIV, c&r. 193. - Aotofrafa U firma. HI." Sig" È effetto solito doli’amorevolezza «li V. S. verso di me l’annuntio delle buone Feste ch’ella m’invia con le sue lettere, del quale la ringratio «li cuore, e le serbo la gratitudine o corrispondenza elio devo. Non ho veduto il figliuolo di V. S. ; ma quando egli mi si ricordarli, non mancarò di fargli ogni dimostratione della stima et affetto cho porto al merito di V. S., che N. S. Dio conservi o prosperi. Di Roma, alli 18 di Gennaro 1025. Affett. 180 di V. S. S. r Galileo Galilei, a Fiorenza. F• Cani.' Barberino. Fuori: All* IH." Sig.« lo Il S. r Galileo Galilei, a Fiorenza. 1704 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Roma, *25 gennaio ltì‘25. Blbl. Est. in Modena. Ruacolta Cam pori. Autografi, B.» I.XXVII, n.° 151. — Autografa. Molto 111.™ et Kcc. n '° S. r e P.ron mio Osa."* La settimana passata non risposi alla gratissima di V. 8., per esser la sera tornato a casa assai tardi e non avere anche cosa alcuna da dirle. Ho ricevuto poi oggi l’altra sua, nella quale mi conferma di andare sempre scoprendo nuove scioccherie nella prefazione mandatale "; e credo che così si possa continuare un pezzo, essendone ella tanto abbondante, che le sue ricchezze non si possono vedere a un tratto. Del Sarsi non ho saputo altro intorno alla stampa; e potrehb’essere, come V. S. dice, che dalla prudenza di chi governa fusse giudicato bene il non fare «') Cfr. n.® 1700, liu. 22. 25 GENNÀIO — 1° FEBBRAIO 1625. [1704-1705] 251 io altro motivo, c potrebbe aneli’ essere che uscisse una mattina fuora inaspettata¬ mente stampata. Ho sentito dispiacere della cagione della vacanza dallo scrivere, e mi rallegro che abbia ricominciato. Il S. r Carlo Magalotti partì lunedì mattina col Principe di Polonia 40 , per servirlo sino a* conlini, nò so che ancora sia tornato. Come lo vedrò, farò l’ufizio clic V. S. mi scrivo per la lettera del P. Generale Apostolico di S. ta Croce, e quanto prima l’invierò a V. S.; alla quale facendo reverenza, prego dal Signore Dio ogni maggior felicità. Di Roma, 25 di Genn. 0 1625. Di V. S. mollo Ill. re et Ecc. ma Aff>° e Obb. mo Ser. ra 20 Mario Guiducci. Fuori: Al molto Ill. r0 et Ecc.’ n0 Sig. ro e P.ron mio Oss. mt * [_.Gal]ileo Galilei. Firenze. 1705 *. MÀGIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Boma, 1° febbraio 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, cav. 197-198. — Autografa. Molto Ill. r0 et Eco." 10 S. 1 ' mio Oss. ,no Tra l’occupazioni del S. r Carlo Magalotti, e la mia poca diligenza, non ho potuto questa settimana mandare a V. S. la lettera che ella desidera (s) ; ma la manderò infallibilmente la prossima. Il S. r Cavalicr del Pozzo più volte m’ha mostrato desiderio d’avere un can¬ none da occhiale, di quelli che fa Goro, della lunghezza che V. S. gli disse, per vedere quel gran multiplico dell’oggetto, di cento c dugentomila volte; e stamani nell’anticamera me l’ha replicato, e pregatomi a scriverlo a V. S., che glielo faccia fabbricare ; c se anche avesse da favorirlo do’ vetri a proposito, le ne resterebbe io maggiormente obbligato. Ilo scritto a Giulio t3) clic vada pensando al modo di mandarlo, e che se viene occasione d’amici che vadano in lettiga (che per di qui a Pasqua non ne dovrà mancare), veda di fare il servizio. Intendo con molto mio gusto clic V. S. sta bene e seguita di scrivere. E vorrei che con qualche occasione V. S. inserisse ne’Dialoghil’opposizione che fece Lett. 1704. 15. Tra P. e Generalo loggosi, cancellato, Vicario. — (» Cfr. n.o 1084. <*> Cfr. n.° 1704, liti. 15. < 3 ' Grumo GmnocCi. Ol Cfr. u.» 1700. 252 1“ FEBBRAIO 1025. [ 1705 ] Don Riccardo 05 alla sua scrittura dello coso elio stanno su l’acqua, con una chiara risoluzione, por serrar la bocca a ognuno. Dico questo, perchè alle setti¬ mane passato il P. Grassi disse al S. r Lodovico Serri dori che Don Riccardo aveva fatto alcune opposizioni al dotto Discorso di V. S., le quali il I\ Granberger 05 da principio aveva stimato poco, ma poi consideratele più maturamente, aveva giu¬ dicato che fussero valide; ma non disse che opposizioni fussoro. Io predai il 20 S. r Lodovico a dire al detto Padre, clic se egli 0 ’1 Granberger si fussero voluti soscrivere a dette opposizioni, benché io non sapessi quali fussero, ra’offerivoa far loro rispondere, e che se non lo facevano, riputavo una malignità e. una fal¬ sità questo che essi dicevano; ma il S. r Lodovico non ha fatto altro. Io mi ri¬ cordo che una volta Don Riccardo mi disso elio V. S. pigliava un granchio facendo la base o superficie dell’acqua piana, meni re costa che essa ò sferica; ma non so so il P. Grassi volesse dire di questa contraddizione. Io non me no posso chia¬ rire, perchè a me non direbbe cosa nessuna, per fare una cacciata, come al S. r Lodovico, il quale nò pure gli domandò che opposizione fosse, ma supponendo che tutto fosso vero, venne a domandare a me che cosa aveva scritto contro 30 di V. S. il Don Riccardo. Della stampa non sento cosa nessuna, nm nò nuche ho comodità di certifi¬ carmi di nulla, mentre essi dicono di stampar fuora, e non si sa dove. Ho do¬ mandato in casa del S. r Card. 1 * Santa Susanna, se c’era avviso del libro del Chiaramonti, ma non sanno nulla; si che bisognerà starsene a aspettar l’esito. Al S. r Marcello Sacchetti non ho detto nulla del nipote 1 ” di V. S., perchè ora si sta negoziando del continuo di soldatesca, o gli altri negozi si stanno. Il S. r Bernardino Capponi ha pigliato qua molti appalti, no' quali avrà da impiegare molta gente; se a V. S. parrà, potrà tentare per qualche mezzo, se non è prov¬ visto, che facilmente gli potrà riuscire. Io non mi esibisco a servirla, perchè, io avendo noi durato molti anni a lit igar sneo, non passa tra noi tanta confidenza da chiederci servizi l’un l'altro. V. S. attenda a conservarsi sana e a crescere i Dialoghi, do’ quali si sta in universale e grandissima espottazione. E baciandolo lo mani, le prego dal Signore Dio ogni felicità. Di Roma, al p.° di Febb. 0 Ifi25. Di V. S. molto IH." et Ecc. m » Sor." Aft>° c Obli." 10 Mario Guiducci. Fuori: [Al moljto IH." et Kcc. rao Sig." e P.ron mio Oss. nift [...] Galileo Galilei. 50 (l > Riccardo Whitk. ,S| Cristoforo Okicnberueu. Firenze. «*» Cfr. n.» 1620. [ 1706 ] 8 FEBBRAIO 1625 . 253 1706*o MARIO GUIDUCOI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 8 febbraio 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 199. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. ,n0 S. r e P.ron mio Oss. mo Quando io ricevei la gratissima di V. S., che fu iersera di notte, le lettere che avevo domandato por mezzo del S. r Carlo Magalotti dal P. R. mo Generale de’Frati Conventuali 05 , erano di già fatte, talché non m’ò parso bene riman¬ darle in dietro; ma per maggior sicurezza che ’l negozio riesca, le mando a V. S., la quale le presenterà se ne vedrà bisogno. Ilo sentito con molto gusto la condotta del S. r Piero Strozzi alla prima cat¬ tedra di Filosofia in Pisa, se però la nuova sarà vera, che ne ho gran dubbio, mentre non s’é veduto altro saggio del suo valore che cotesta scuola che ha io fatto in Firenze di putti. Oltre di ciò non so come in quest’età egli sia per ac¬ comodar lo stomaco all’insolenze degli scolari, o gli orecchi alle fistiate. Sento con gusto parimente che i Dialoghi procedano avanti, e se bene non con quella velocità che presero da principio, pure la continuazione, ancorché di poco per volta, gli fa crescere assai. Mi rallegro di intendere che V. S. sia così spesso e così ben visto dal Ser. mo Prin¬ cipe di Polonia 05 . Intendo da un Padre Giesuito che ’l Sarsi non ha ancora cominciato a stampare la sua risposta, ma che presto l’avrebbe mandata dove voleva che si stampasse. Io mostrai di averne dispiacere, cioè dell’indugio, e che sapevo che anche a V. 8. sa- 20 rebbe dispiaciuto questa tardanza, desiderando ella sommamente questa replica, o per cedere ingenuissimamente, quando avesse veduto la ragione per la parte del Sarsi, o per rispondere, se non era miglior della Libra. E il Padre mi disse: Ci sarà da dire per l’una e per l’altra parte, perché a molte cose il Sarsi non può contraddire, e in alcune ha mille ragioni. E domandando io in oltre della grandezza dell’opera, mi disse che sarà poco maggiore della Libra. Giovedì passato, nell’accademia che ogni settimana si tiono in casa del S. r Card. 10 di Savoia 05 , il S. r Giuliano Fabbrizi, cioè il Poeta del Caso, fece una lezione molto bella, e cocco tutti i Peripatetici, e particolarmente quelli che fanno gran fondamento nell’autorità degli scrittori; e vi fu presente, oltre al S. r Gard>di 30 Savoia, il S. r Card. 10 Barberino 05 , Magalotti 05 , e altri della Corte, i quali con l" Cfr. n.° 1704. »*» Cfr. n.° 1684. < s > Maurizio di Savoia. Francesco Barrkrini. < 5 > Lorenzo Magalotti. 364 8 - 16 FEBBRAIO 1625. [1706-1707] grand’applauso sto Itero a sentire. Fo reverenza a V. S., o lo prego dal Signore Dio ogni felicità. Di Roma, 8 di Febb.® 1625. Di V. S. molto 111. 1 ® et Ecc. m * Aff.' 00 o Obb. mo So « Mario Guidacci. 1707*. GIOVANNI CIÀMPOI il n GALILEO in Firenze. Roma, 15 febbraio 1625. Bibl. Naz. Fir. Bis». «al., P. I, T. IX, ear. 7. — Autografi il poscritto d la tottMcrisiono. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio ()ss. ,,, ° Nell’inviare due settimane sono al Sig. r Gio. Ratta Strozzi certa mia poesia, rappresentata in musica alla presenza di N. Signore e del Principe di Pollonia un giorno che gli diede il pranzo, ordinai elio ne ftisse data una copia ancora a V. S., acciò, essendo stata favorita da molti amici, non restasse priva del par- ticolar honoro che le può venire da lei, mentre le sia in grado, come tutte le altre cose mie. Desidero che, havendola ricevuta, si compiaccia darmene qualche nuova, o così raddoppiarmi il suo favore. Vedili la lettera ili V. S. in materia del timone, c gustai mirabilmente il no¬ bilissimo suo discorso Resto tuttavia anzioso delle coso sue, come anco do i io suoi comandamenti ; do’ quali mentre la prego, lo bacio affettuosamente la mano e lo auguro ogni maggior felicità. Di Roma, il di 15 Febbraro 1625. Di V. S. molto 111.™ et Eec. m * Non manco d’interporre appresso N. S. quegli offìtii che giudico a proposito, acciò una volta si effettui la benigna intendono datale in favore ilei S. r suo figliuolo. Intendo con infinito mio gusto ch’ella scrive alla gagliarda, e non vedo l’bora di leggero i suoi Dialoghi elio porteranno in luce le 20 maraviglie ili natura incognito all’antichità. Del re¬ stante viviamo qua lietamente, facendo in conver¬ sazioni virtuose, nel solito appartamento, molti brin- desi al nostro S. r Galileo, al quale viverà sempre Dev. mo Sor/ 6 S. r Galileo Galilei. Fir." Gio. Ciampoli. Cfr. Voi. vili, p&g, 600, Ilo. 3-4. [1708] 22 FEBBRAIO 1G25. 255 1708 *. MARIO GUIDUOCI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 22 febbraio 1025. Bibl. Nasi. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 201. — Autografa. Molto Ill. po et Ecc. m0 S. r e P.ron mio ()ss. mo Ilo sentito con piacere che le due ultime lettere non sian bisognate per far vestire il fratino 10 , al quale il Signore Dio doni vero spirito e desiderio di ser¬ vire a S. D. M. Il S. r Cavalier del Tozzo mi dice, che volendo V. S. favorirlo di quel cannono (S) , Io può far mandare a Livorno al S. r Silvestro Buoncristiani, il quale sta là nel negozio de’ SS. ri Orlandini, dal quale il S. r Cavaliere lo piglierà con l’occasione di passaggio col S. r Card. 1 " Padrone 10 , il quale va Legato alle Corone di Spagna e di Francia per i presenti motivi di guerra, e disegna di far il viaggio sino a io Marsilia per mare. L’Apollo (4) arrivò a Livorno col Ser. m ® Arciduca di le. mem. (,) , ma non passò in Ispagna con S. A. Disse qua che a S. A. era stato rubato un telescopio eccel¬ lentissimo, statole donato in Firenze, che forse l'u quello di V. S. Il discorso del S. r Giuliano Fabbrizi 00 non fu direttamente contro alla pre¬ fazione elio io mandai a V. S., la quale non credo che sia stata veduta nò da Mona.*' Ciampoli nè dal detto Fabbrizi ; ma sento bene clic fu direttamente contraria alla intenzione de’ Padri, avendo egli provato che era una vanità il fondarsi sopra l’autorità c moltitudine degli autori. Io la chiesi all’autore, ma l’aveva data al S.'' Agostino Mascardi, il quale la voleva, insieme con altre, laro 20 stampare. Il S. r Ascanio Piccolomini parti iersera por le poste per la Corte di Spagna, a dar conto al Re della legazione destinata del S. r Card. 10 Padrone; e per Francia ò partito oggi il S. r Tommaso Salviati. Trovomi ancora d’avere a rispondere a molte lettere, però non sarò più lungo. Le fo reverenza, e lo prego dal Signore Dio sanità e ogni bene. Di Roma, 22 di Febb. 0 1625. Di V. S. molto III."» et Ecc. ,,,a Se. ro Aff. ,n0 e Obb. mo M.° Guid.' > Cfr. n.° 1705. lin. 5-6. i 3 > Fbancksco Bakukuiki. (*> Cfr. II.» 1702. i*i Caulo d’Atjstria. *6| Cfr. 11 .» 1706. 256 28 FEBBRAIO 1625. 11709] 1709. GALILEO fi [CESARE MARSILI in rtolognaj. Firenze, :W fi-bbriiio 1025. ArcU. Muralffll in Bologna. Busta sitata al n.» 1688. Autografa. Molto 111.' 6 Sig.™ o Pad." Col. m ° Con l’ordinario di questa settimana tengo lettore del Sig. Gio¬ vanni Fabbri, insieme con la nota di \\ «aggetti da ascriverei nella no¬ stra Accademia Lincea, li quali sono il S. Mario Guiducci, il S. Giusto Iticquio, e V. S. molto I. ; sopra V ascrizzion de i ([itali, conforme alle Costituzioni, PEcc. mo Sig. Principe ricerca l’assenso do i compagni, e già 1’ Laverà Lauto da tutti. Tengo ordino da S. E. di mandare a V. S. una copia delle Costituzioni stampate, insieme con un elogio per il S. I). Virginio Cesarino di 1*. m. 1 ', cito tutto sarà con questa; e dando conto al S. Principe della ricevuta e del contento dell’ ascrizione, io potrà V. S. inviarmi la lettera, dio la manderò a buon ricapito. Sono stato questo carnovale appettando V. S. con grandissimo desiderio ‘ ; ma quanto questo è stato grande, altrettanto è stato il disgusto nel non la veder comparire o nel non sentirne nuove. Havevo fatto disegno che ’1 diletto di quei giorni lusso stato per me il goder della conversazion di V. S., non comportando P età o lo stato inio eli’ io compri il piacer della vista di quelli spettacoli col disagio elio sempre gl’è congiunto. Iloru Dio sa «piando si presenterà altra oc¬ casione di rivederla; e però in questa mia bramosità la supplico a non mancare di consolarmi con qualche sua lettera, e più con qualche 20 comandamento, de’ quali vivo con desiderio et ambizione : e per fine con ogni maggiore affetto gli bacio le mani, e prego da Dio il colmo di felicità. Di Firenze, li 28 di Feb.° 1624 Di V. S. molto I. Ser. re Parat. m0 Galileo Galilei. Lett. 1700. 9. che (ulta utrìt — "> Cfr. n.° 1695. <*> Cfr. n.o 1701. ‘*i I)i stile floreutino. [1710-1711] 7 — 8 MARZO 1G25. 257 1710*. GIOVANNI FA BER a FEDERICO CESI in Roma. Roma, 7 marzo l(ì‘2f>. Bibl. della R. Accademia del Lincei in Roma. Mss. n.° 12 (già coti. Boncompftgni ISSO), car. 295. — Autografa. .... Ecco le lettere del Sig. r Galilei c Sig. r Fabio W nostro ; et mando anello appresso la lista di 3 futuri Lyncei, so torso V. Ecc.** prima di ino parlasse coll’ IH.'" 0 Sig. Card. 1 ® Bar¬ berino Si potrebbono anche dare questi nomi al Sig. r Cavalliere W, che parlasse col Sig. 1 ' Cardinale.... 1711. GIOVANNI CI AM PO LI a GALILEO in Firenze. Roma, 8 marzo 1025. Bibl. Naz. Pir. Mss. (lai., P. I, T. IX, car. 9. — Autografa la sottoscrizioni). Molto IH.*» et Ecc. mo Sig.* c P.ron mio Col." 10 Ho sentilo consolation particolarissima sentir clic sia pervenuta a V. S. quella mia poesia 0 ’. Il Sig. 1 ’ Pieralli (5> è stato pronto in favorirmi di fa mele parte, come lei troppo cortese in attribuirle quelle lodi, delle quali io non so in essa cono¬ scere il inerito. Rendole infinite gratie di tanta dimostratione dell’alletto suo, chè non ad altro posso attribuire gl’eccessi della sua cortesia. Circa alla pensione di suo figlio, non ho mai mancato di servirla m tutte quelle maniero che mi ò stato permesso, et ultimamente l’ho di nuovo ricordata a Nostro Signore; ma non si maravigli V. S. di questa cosi lunga dilatione, perchè io si trova scarsità incredibile di vacanze, nè alcuno ancora de i partecipanti delle distributioni del Natal passato ha spedito la cedola di quel che gli viene asse¬ gnato da S. S. tò Sia ella pur certa che io le sarò il sollicitatore, c che non ne liaverò men pensiero che se havessi a procurar per me. La prego intanto ad liaver memoria di me et ad honorarmi de i suoi comandamenti, mentre le bacio affettuosamente la mano e le desidero ogni felicità. Di Roma, il dì 8 Marzo 1625. Di V. S. molto 111.*® et Ecc. raa <*» Fabio Colonna. Cfr. n.° 1707. <*> Francesco Barberini. **» Marc’Antonio Pieralli. < 3 > Cassiamo dal Pozzo. XIII. 33 258 8 MARZO 1C25. 11711-1713] 10 desidero tanto di rivederla, che non posso non consigliar V. S. a venire a pigliar l’Anno Santo, sperando che la sua presenza aia per facilitare et ac- 20 colorare l’efTettuatione della benefica voluntàdi N.S. Gli offerisco le stanze habitat© dal S. r Gio. Batta" 1 , e me le ricordo I)ev. mo pt Obblig. Ser. t# S. r Galileo Galilei. Fir.® Gio. CiampolL 1712 . CESARE MARSILI a GALILEO in Firenze. Bologna, H marzo 1625. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. IX, car. 11. — Autografa la «ottoacrixlono. Molt’Ill.” et Ecc. mo S. ra et P.rone mio Oas. mo Giunto eh* io fui da Ferrara, ove son stato alcuni giorni por intervenire alla visita generalo dell’acque, a’preghi dei Signori del Reggimento, insieme con il Padre I). Benedetto, il quale si trova con buona salute, ritrovai una (7) di V. S. Kcc.' na , a me sopramodo cara, si per avvedermi da quella il suo ben stare, eh’è uno dei principalissimi gusti ch’io possi ricevere, si anello per l’aviso ch’ella mi dii di essere favorito dai S. ri Lincei della sua communanza. Vidi l’elogio, e perché con i matematici bisogna essere sincero, le dirò in confidenza elio non mi parve cosa fuori dell’ordinario. Lessi ancora le leggi, quali sono mutate in parte da quelle eh’ io vidi in Roma, alle quali sarò pronto ubidire, parendomi ch’impediscano solo io l’ingresso d’altre accademie, e non tolgano che non si possi essere d’accademie ove prima si sia ascritto, perché io mi trovo, corno lo dissi a Roma, essere nel- l’Accademia «le’ Gelati, accademia di lettere in Bologna, et nell’Accademia do’ Tor¬ bidi, accademia d’arme, Luna e l’altra delle quali non hanno constitutioni ch’im- pedischino il poter essere Linceo. 11 Cav. r Chiaramente mi ha fatto fare, per un Padre della Caritè, il quale tieno sue lettere, una raccomandatioue, come a persona clic professa le mate¬ matiche; nello quali «lice che l’ipotliesi del Copernico é falsa, perciò non è capace d’assegnare il medio luogo e il medio moto a i pianeti. Io per me, parlando cosi strettamente, non so quello si voglia dire, anzi lo tengo per un argomento molto 20 peggioro di quello die si faccia Alessandro Tassoni nel suo libro della Varietà Giovassi Rattista Risuccixt. •*> Cfr. n.» 1709. S -- 1G MARZO 1625. 259 [1712-1713] dei pensieri 10 . In tal proposito so potrò liaver nolitia maggiore di questo (elio procurerò), lo no darò subito parte; e s’assicuri V. S. Ecc. ma clic se bavero campo di poter andare alla villa e vivere a mo stesso, o non sempre a gl’ amici o alla patria, come faccio stando in Bologna, la tempesterò di continuo lettere. Fra tanto continui, la prego, ad amarmi, come io l’osservo e la riverisco; e con baciare a V. S. Ecc. ma le mani, le invio anche la qui allegata per V Ecc. mo S. ra Prencipe. Di Bolog. a , li 8 di Marzo 1625. Di V. S. molt’Ill. re et Ecc. ma Div. ,n0 Serv. pa so Ecc.'"° S.™ Galileo Galilei. Cesare Marsili. Fuori: Al molt’Ill. ra et Ecc." 10 S. r0 et r.rone mio Oss. ,no Il S. rc Galileo Galilei. Fiorenza. 1713 **. TOMMASO RINUCCINI a GALILEO in Firenze. Roma, 16 marzo 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, cnr. 13. — Autografa. Molto Ill. pe Sig. re e P.rone mio Oss. mo Alcuni giorni sono pagai al Sig. r Giovanni Silvi scudi cinquanta per parte dell’ordine clic V. S. mi fece, e procurerò che quanto prima sia sodisfatto del resto, per non vivere più con tanti mancamenti verso di lei, alla quale devo tanto per tanti rispetti : e sebene, come V. S. sentirà, sono per far viaggio lungo, in ogni modo creda clic troverò modo di pagar quanto prima questo debito, e forse da lontano bavero più commodità elio da presso. Se V. S. mi vorrà far grazia di risposta, potrà mandarla in Avignone, poiché domattina partirò a quella volta, andando a servire il Sig. r Card. 10 Barberinonella sua legazione; e se conosce io che in Francia io possa servire V. S. in cosa alcuna, comandi liberamente, chò non posso liaver maggior fortuna che servirla. E per scarsezza di tempo non dico altro, e fo a V. S. reverenza, pregandole ogni felicità. Di Roma, li 16 di Marzo 1625. Di V. S. molto 111. 0 Obl. mo Ser.® S. r Gai. 0 Galilei. Tommaso Rinuccini. Fuori: Al molto 111.™ Sig.™ c P.rone Oss.*"° 11 Sig r Galileo Galilei. Firenze. l‘) Varietà di pcwiieri d’ Alessandro Tassoni, richo od’altro facoltà, elio soglian veniro in discorso divisa in IX parti, nelle quali per via di qnisiti, con fra cavalieri o professori di Ietterò. In Modona, ap- nuovi fondamenti o ragioni, ai trattano lo più cu- presso gl' erodi di fìio. Maria Verdi, M.DC.XIII. liose materie naturali, morali, civili, pooticho, isto- **• Cfr. u.° 1708. 260 17 MARZO 1625. [ 1714 ] 1714 . GALILEO a [FEDERICO CESI in AcquaaparU]. Firenze, 17 marzo 1025. Blbl. della R. Aacatlemla dol Lincei in Roma. n." 1J igi.« eod. Honcomj»agni 5S0J, car. 153 — Autografa. Ili® 0 et Eoc. mn Sig. 1 * e Pad." Col.® 0 Il S. Cesare Marsili ha sentito estremo gmto del favore che riceve da V. E. e dalla Compagnia nell'essere stimato degno del consesso, conio credo che ella intenderà per la sua qui alligata 11 ; et io lo reputo suggetto ila apportarne splendore, essendo dotato di tutte le ottime condizioni desiderabili. Mi ò stato forza intermettere per qualche tempo lo scrivere ri¬ spetto a i dolori di schiene et altro indisposizioni risvegliatesi in me dall’ essermi affaticato soverchiamente : tuttavia vo giornalmente acquistando miglioramento, o spero in breve rimettermi all’opera. In- io tanto, ha vendo veduta la prelezione fatta quest’ anno dal professor di filosofìa nel Collegio ,4> costì, mi era venuto in pensiero di intro¬ durla oportunamente in un dialogo, con rivedergli il conto assai mi¬ nutamente ; ma considerata poi P estrema sua insipidezza o gli enormi spropositi do i quali ò ripiena, non so quello elio farò; perchè mi pare impossibile che l’ignoranza nell’universale habbia ad esser tanto smi¬ surata, che si possa trovaro chi gli applauda. Però quando di questa ancora accaggia corno di quella dell' Ingoli, io non gliela perdonerò, e seguirò il comandamento di Y. E., elio può sentire in elio concetto ella sia costì o favorirmi di toccarmene un motto. Finisco con restar- 20 gli sempre P istesso servitore devotissimo, e con pregare a lei e al- l’Ecc. nu * S. n P. R intera felicità. I)i Fir. M , li 17 di Marzo 1624* 8 ’. Di V. S. III."» et Ecc. ma Ser " Dev. mo et Obblig. mo Galileo Galilfei]. Cfr. n.« 1712, lin. 27. * ,) Cfr. iin.‘ 1700, lin. 22; 1704, lin 5. t* 1 I)i stile fiorentino. » [17151 22 MARZO 1625. 261 1715 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO jn Firenze. Roma, 22 marzo 1625. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. VI, T. X, car. 202. — Autografa. Molto Ill. ra et Eoe." 10 S. r e P.ron mio Oss. mo Mi sa male dell’indisposiziono di V. S., perché l’indugio a rispondere alla mia lettera, quando lasse stato per altra cagione, non ni’importava niente, benché le suo lettere mi siano sopramodo gratissime; ma con tutto ciò antepongo, come conviene, ogni suo comodo a’ miei gusti. Se r occhialo per il S. P Cavatici- del Pozzo non sarà, a tempo a Livorno 10 , credo che V. S. lo potrà serbare al ritorno. M’ò stato carissimo l’avviso del P. Don Le¬ nedetto, che faccia matematico Mona/ Corsini (,ì , il quale mi rendo sicuro clic abbia a gustar sommamente di questa scienza, essendo ingegno molto vivo: o io mi sa male che al suo ritorno in Roma io non ci sarò, clic proecurerei di con¬ formarlo quanto sapessi e potessi, lo ho deliberato di tornarmene in costà con la Compagnia di San Benedetto 10 , la quale, fatto Pasqua, vien qua a pigliare il Giubbileo. Dalla partenza del S. r Card.' 0 Padrone 10 in qua io non so che mi fare in Roma, perché gli amici con i quali conversavo se ne sono andati, talché ora mi par indi’anni di tornare in costà. Del Sarsi non so niente. La risposta clic dovevo dare all’Ingoli 10 , la volse Mons. r Ciampoli per farne fare lina copia per sé, e per correggere, anzi agevo¬ lare, un poco più alcuno parole di V. S. nel luogo scrittole già un pezzo fa (6) . Non l’ho ancora riavuta, perché ò stato tanto occupato in far brevi, con l’occa- 20 sione di questa partenza del S. r Cardinale, elio non ha potuto attendere. Io darò all’Ingoli poi un’altra copia, acciò non si veda scancellamenti nè rassettamenti, e darò del seguito avviso a V. S.; alla quale facendo riverenza, prego dal Signore Dio, con ogni felicità, la Santissima Pasqua. Di Roma, 22 di Marzo 1625. Di V. S. molto Ill. ro Aff. mo e Obb. rao Se. ro Mario Guitlucci. Fuori: [Al molto IU.] r# et Ecc. rao Sig. rfi e P.ron mio Oss.' no [...]* Galileo Galilei. Firenze. 01 Cfr. li.® 1708. ' R > Intendi, la copia della risposta (li Gaui.ro '*) Ottavio Corsini; cfr. n.° 16S0. a Francesco Inoolt. <*! In Santa Maria Novella. (8 I Cfr. n.° 1680. 0) Francesco Barberini. 2G2 5 APRILE 1625. [ 1716 ] 1716. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Noma, 5 aprile 1625. Blbl. Naz. Fir. Ms«. Ciak, I’. VI, T. X, car. 204. — Autografa. Molt,’Ill. rn e molto Ecc.‘" Sig. r mio sempre n*s. n >* M’ò giunta gratissima la lettera di V. S. 40 con quella del Sig. r Marsilii, al quale rispondo l’alligata cl> , o presto spero sarà compita l’ascrizzione o mandarò il smeraldo. Intanto V. S. poi esporli l’affetto di tutti, o la stima elio facciamo della sua persona c del favor che ci fa. La cagione del’ intermissione dello suo desideratissimo compositioni mi dole grandemente, o sporarò mcglior nuove in questa miglior stagiono; nella quale però doYO pregarla a pigliar corso più temperato, acciò possa felicomento con¬ tinuarlo senz’alcun danno della sanità, quale sommamente mi premo. Circa poi l’insipidezza di quella scrittura ,1) , io veramente concorro col pensiero di V. S., io cioò che non sia di bisogno ch’ella ci si trattenga a rivedergli il conto, o tanto più elio de’ tre soggetti che V. S. hebbo la relationo questi giorni adietro, il primo 40 lo ha dato con la penna una buona ripassata, come mostrarti, erodo, a V. S. subito che sarà costì. Inviai a V. S. l’elogii funerali dol S. r I). Virginio (,) ho. me., et alcune più copio dello nostro Prescrittioni : non so so l’habbia ricevute. Perchè il Itickio, che è qui presso me, scriverà la vita del S. r Filippo Sal- viati bo. me., accennai a V. S. mi facesse gratin procurar qualche nota a propo¬ sito, con la serie do’ tempi, o mandarmi una di quelle orationi che lo furon fatte. Altro bora non aggiungo, bacio a V. S. le mani e hi prego a commandarmi. 20 I)i Roma, li 5 Aprile 1625. Di V. S. molto III.™ 0 molto Ecc. to V. S. potrà veder l’acclusa, 0 poi, parendoli a proposito, serrarla e mandarla, 0 avisarmi. Aff. mo per ser. 1 ' sempro Fcd. C0 Cesi Line. 0 P. «*» Cfr. 11.0 1714. <*> Cfr. n.o 1717. (3> Cfr. nu.i 17U0, 1704, 1711. < l > Mario Goiditcci. **» Vmomio Cksarim. Cfr. n.° 1G95. [1717-1718] 5 — 12 APIÌILB 1G25. 263 1717 ** [FEDERICO CESI a CESARE MARSILI in Bologna]. [Roma,] 5 aprile [16251, Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cod. Volpicolliano lì, car. 56r. — Minuta, di mano (li amanuouso <*>. Cfr. n.° 1716, liu. 8. Molto lll. r0 Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galilei, elio già mi significò l’affetto cou che V. S. si compiaceva favorirmi, bavera potuto accertare anco lei della mia corrispondenza di tutto cuore, et insieme della stima ch’io facovo de’suoi molti ineriti et particolarmente d’un sì vivo ardore de’studii d’ogni virtù. Inviandomi bora l’istesso l’Immanissima di V. S. toccarà similmente a lui l’esprimergli quanto dalla banda mia e de’ Signori compagni sia conosciuto il favore ch’ella si compiace farci, e sia lodata la prontezza con la quale ella abbraccia questa filosofica impresa. Della modestia poi o gentilezza sua taceremo ot io o lui, quanto più queste, con l’altre eminenti doti dell’animo suo, por sò stesse parlano e si fanno conoscere. Gli obli¬ lo gbi saranno nostri, o Mons. r mio fratello non lascia ancor lui di ricordarsi quanto le sia tenuto; ma io dovere esser più di tutti, e più di tutti desidero sempre servirla, come af- fettuosissimamonte me le essibisco, pregandola a comandarmi. Il Sig. 1 ' Galileo le darà avviso per il compimento; io intanto bacio a V. S. cordialmente le mani. 5 Aprile. Ser." Aff. m0 1718 . GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 12 aprile 1625. Avoli. Morsigli in Bologna. Busta citata al il. 0 1688. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. re e Pad. 11 Gol. mo Invio a V. S. molto I. la risposta <4) dell’ Eccellentiss. Sig. Pr. e Cesi alla lettera di V. S., et insieme le do conto del gusto particolare rice- Lett. 1717. 1-2. Tra Multo III.” Sig. r mio 0 m.™° o II Sig/ Galilei si legge, in una riga a sé, que¬ st’altro principio: Il Sig.' Galilei, che haverà potuto ilignificare u V. S. Tuffetto tino verso di lei; o le paiolo haverà .... lei sono cassato. — 10. Tra non e lascia si si leggo, cancellato, et. — fi Un’altra bozza, a quanto paro, della medesima lettera è a car. Tir. del citato codice Volpicolliano lì. K scritta dalla stossa mano di copista, ma cassata cou un frego trasversale; ed è del seguente tenore: « flavoni, credo io, il Sig. r Caldeo significato a V. S. l’affetto elio io porto alla persona sua, c la stima ch’io facevo del suo valore; o perciò può lei crederò che io, insieme con questi miei compagni, a cui soli noto le suo virtù et i molti meriti suoi, li abbia sentito gusto del favoro fattoci in abbrac¬ ciare con tanta prontezza o fervore questi nostri instituti, de’ quali coti miglioro occasiono ne sarà più upjeuo ragguagliata. Dal moderno Sig. 1 ' Galileo leggo, cancellato, ai salia. — 13. Tra compimento o io in’è stata inviata la cortesissima sua, dove ini dà conto della ricevuta dello nostre Constituzioni o del contento sentito nolPcssoro ascritto nella nostra Ac¬ cademia; ondo il detto suo contento vione a rad¬ doppiavo anco il gusto mio, qualo anco si farà mag¬ gioro mentre con tale occasiono lrnvorò comodità di poterlo mostrare con vivi effetti il detto affetto mio verso di loi. » Avanti alla prima linea di questa bozza si leggo, in una riga a sé o cancellato: Sarà, <*> Cfr. nil. 1 1712, 1714. < s * Akuki.o Cubi. f) Cfr. n.» 1717. 264 12 — 13 APRILE 1025. [1718-1719] vuto (la tutti gP Accademici del favore et onore che si riceve per Pa- scrizzione di V. S.; la quale in breve sarti spedita, et intanto s’intaglia lo smeraldo per mandarglielo subito. Son molti giorni elio non ho nuovo del molto R. Jo Padre Don Bene- detto, onde la prego a darmi qualche avviso dell’ essere e progressi suoi, stimando che, por la vicinanza, ella no sia informata a pieno ; et quando Y. S. bevesse qualche occasione di fargli vedere la risposta mia all’In- io goli (1) , mentre si trattiene appresso Mona. Ill. ,,,u Corsini P liaverei caro per qualche mio interasse. Nel resto io me la passo assai comodamente di sanità, e vo lavo¬ rando passo passo intorno a i miei Dialogi, dove toccherei, porgere dosi P occasione, qualche cosa dell’ instanza contro al moto terrestre promossa dal G. Ch. lJ> , se io P intendessi ; ma da quel poco clic ò stato accennato a V. S. o elio ella mi lia participato tv ’, non so ri¬ trarne cosa che faccia in tal proposito; nò meno scorgo dalla qua¬ lità di altri discorsi del medesimo, che si possa aspettar cosa di gran momento : tutta via la prego a favorirmi di farmi parto, se altro ha 20 inteso di più. E sopra tutte le cose la supplico a continuarmi la sua buona grazia et a favorirmi di suoi comandamenti ; et di vivo cuore gli bacio lo mani e prego felicità. Da Bellosguardo, li 12 di Aprile 1625. Di V. S. molto 111.» Dev. rao Ser.™ Galileo Galilei. 1719**. GIOVANNI FABKR a FEDERICO CESI in Aequnsparta. Roma. 13 aprili* 1625. Bibl. della R. Accademia del Lincei In Roma. Mas. n ■■ 12 (fin cod. Honcouipngni 680), car. 240. — Autografa. .... Ilo voluto avertir quest'ancora a V. E.*\ che lei din una vista solamente a quello che io Irò scritto dello nove invcnlioni del Sig. r Galileo: io ho messo ogni cosa; o se si ha «la levare, che taccia a modo suo. Et perchè io fo anche inentione di questo uovo ochiale di veder le cose minuto, et lo chiamo microscopio, veda V. E.‘* se gli piace, con aggiun- gore che li Lyncei, si come hanno dato il nome al primo, telescopio, cosi hanno voluto dare il nomo conveniente a questo ancora, et meritamente, perchè sono stati li primi qui a Roma che l’hanno havuto.... ’ 01 CO. Voi. VI. pag. 501-561. (■*> Ottavio Corsimi. < 5 ' Intendi, il l'av. Samoa* Chiabamonti. «»• Cfr. n.o 1712. 11720] 1S APRILE 1625. 265 1720. MARIO GUIDUCOI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 aprile 1G25. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gai., I\ VI, T. X, car. 20G-207. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ,no S. r mio Oss. mo Sono più settimane che non le ho scritto, nè ricevute lettere da V. S., so Lene ho sempre avuto avviso di lei e del suo bene stare e del seguitare tuttavia a scrivere i suoi Dialoghi. Mi son trovato più volte col S. r Principe di Sant’Angelo 10 a ragionamento di lei e delle sue opere fatte e che si fanno. Per consiglio di S. E. ho differito di dare all’Ingoli la lettera scrittagli, e andrò differendo sino a che da V. S., non ostante le considerazioni del S. r Principe, non ordina (sic) in contrario. Le considerazioni son queste. Prima, che, alcuni mesi sono, alla Congregazione del io Sant’Ufizio fu da una persona pia proposto di far proibire o correggere il Saggia¬ tore, imputandolo che vi si lodi la dottrina del Copernico in proposito del moto della terra: intorno alla qual cosa un Cardinale si prese assunto di informarsi del caso e referire; e per buona fortuna s’abbattè a commetterne la cura al P. Guevara** 5 , Generale d’uria sorte di Teatini, che credo si chiamino i Minimi, il qual Padre è andato poi in Francia col S.‘‘ Cardinal Legato 135 . Questo lesse di¬ ligentemente l’opera, et essendoli piaciuta assai, la lodò e celebrò assai a quel Cardinale, et in oltre messe in carta alcune difese, per le quali quella dottrina del moto, quando fusse stata anche tenuta, non gli pareva da dannare: c così la cosa si quietò per allora. Ora, non avendo questo appoggio che appresso a 20 quel Cardinale potrebbe fiancheggiarci, non pare da mettersi a rischio di qualche sbarbazzata, perché nella lettera all’Ingoli l’opinione del Copernico è difesa exprofesso, e se bene vi si dice apertamente che mediante un lume superiore ù scoperta falsa, nondimeno i poco sinceri non la crederranno così, c tumultueranno di nuovo ; e mancandoci la protezione del S. r Card. ltì Barberino assente, e di più avendo contrario in questa parte un altro signore principale, che una volta si fece capo a difenderla, e di più essendo in questi garbugli di guerra assai in¬ fastidito N. S., onde non se gliene potrebbe parlare, rimarrebbe sicuramente alia discrizione e all’ intelligenza do’ frati. Per tutte queste cagioni ò parso bene, come ho detto, soprassedere e lasciare un poco addormentata questa questione, più (i) Federico Cesi. Or¬ sino l5) , il quale mi domandò che uomo fusso Cosiino Lotti in materia di far fontane, perchè era stato proposto a S. S. 111.™* per uomo singolare in questo mestiero. Io risposi clic sapevo che era pittore, ma altro non sapevo. Mi domandò poi so io sapevo co nessuna persona insigne a questo servizio; e dissi che io non ne conoscevo nessuno, ma che già avevo sentito dire a V. S. elio in Roma c’era uno il quale era ingegnosissimo c d’invenzione, ma che non sa¬ pevo se era più yìvo. Se V. S. ha da propor qual- cliuno per ciò, me lo avvisi, e mi dia anche infor¬ mazione di Cosimo Lotti, il quale m’ò poi stato detto che ha lavorato a Castello. 11 S. r Cardinale si conserva tuttavia affezionatissimo a V. S., ma però ha gran parte in S. S. IU. ,u * l’Apelle (1> . 60 A fi’® 0 e Obb. mo Ser. ro Mario Guidueci. j Fuori : Al molto Ill. re et Ecc. ,n0 Sig. r mio Uss. 1 " 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. «o Cfr. n.o 1715. Alessandro Orsini. • 5j Intontii, Il P. Cristoforo Scheinkk. [ 1721 ] 19 APRILE 1625. 267 1721 , GIOVANNI CTAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 19 aprile 1<>25. Jlibl. Naz. Fir. Mss. Gal., V. I. T. IX, car. 15. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. V Molto 111™ et Eec. ,no Sig. r e P.ron mio Oss. 1 - 110 Sono in notabil augumento di consolatione con la lettera di V. 8., la quale mi dii speranza di doverla vedere c goder di presenza in queste parti. Non posso dirle altro se non che sto aspettandola con grandissimo desiderio, c sopratutto la prego a farmi honore di venire a smontare alle mie stanze, che sono egual¬ mente sue. Quanto all’audienza, non ha ella da haver dubio clic le sia per man¬ care; ma essendo in questi tempi così tumultuosi, quali partoriscono molti negotii o continue occupationi, non so come le potrà succedere cosi prestamente P haver occasione di discorrere a lungo in materia di lettere, per quei riguardi che ella io può imaginarsi. Io sarò qua per servirla sempre con tutto il cuore, e ne sto tut¬ tavia attendendo l’occasione da V. S., alla quale bacio con reverente affetto la mano e prego da Dio ogni più desiderata consolatione. Di Roma, il dì 19 Aprile 1625. Di V. S. molto III. 10 et Ecc.' n!l Aspetto V. S. con eccessivo desiderio. Spero ch’ella sarà consolata di poter parlare lungamente con S. B. no , se bene i negotii correnti, che ogni giorno miserabilmente si accrescono con occasiono delle guerre, hanno da un pezzo in qua costretto 20 a por tregua alli ragionamenti di lettere. Con tutto ciò non posso immaginarmi che doviamo essere tanto scarsi di otio, che non s’habhia a trovar tempo per una lunga udienza, particolarmente che N. S. conserva affetto più che mai verso la persona di V. S. Venga dunque, oliò staremo parecchi giorni allegramente. Dev. mo et Obblig.® Ser. T * G. Ciampoli. S. r Galileo Galilei. Fir. 0 268 22 APRILE 1625. 11722] 1722 . CESARE M ARSI LI a GALILEO in Firtmo, Hologna, 22 aprila 1616 . Bibl. Nai. Fir. Mai. (Jal., I’. VI, T. X, car. 208. — Automi aI i la aotlaacminna. Moli'IH.'* et Kec.“° Sig.” et P.rone mio Oss. mo Io vorrei poter bavere la veridica eloquenza di Mimnermio poeta (dirò, Co¬ pernicano'», il quale, come referisco ( elio Calcagnino nel Discorso del moto della terra 1 ”, tìnse ne* suoi poemi, il sole giacerò in lotto, e t osi essere rapito da luogo a luogo, alludendo allo stabile moto di quello nel mezzo del cielo, perchè sperarci bavere ragionevole maniera da potere ringratiare il mio Sig. r " Galileo; ma vaglia il Rilento affetto in vece d’ un furore poetico, e erodasi piè a una sincerità ma¬ tematica, quale è il ringratiamento cordialissimo che nudamente io porgo con la presente a V. S. Ecc.™* dell’honore ricevuto dal S. r# l'rencipe Cesia nell’ havermi ascritto al rotolo de' S. ri Lincei col mezzo di lei: del (piale honore come ne rendo io grafie a 8. Kcc.*, cosi sarò pronto a far a’ compagni, quando mi sarà inviato la nota de' nomi o de’ luoghi ove io Labbia da indrizzare lo mie lettere. Fra tanto aspettar»’» da la di lei cortesia l’aviso delle cerimonie, e di quello ch’io doveri), e da chi ricevere Pannello, non essendo questa parte toccata nelle leggi elio V. S. Kcc. m * m’inviò per commissione di S. Kcc.' Del Padre D. Benedetto gliene do aviso felice, poiché pochi giorni sono io ini partii da godere la terza volta la sua conversatione per occasione della visita generale dell’acque fra’ S. n Bolognesi e Ferraresi. Spero che fra poco possa essere a Bologna con Mon8. M suo padrone 1 ", al quale sarò pronto mostrare il Discorso elio \.S. Ecc.' n * m’honorò d’inviarmi"'. Intorno al quale, se potrò liaver agio, 20 ardirò mandarle alcuna mia consideratione. (?irca il S.'" Chiaramente, non dispero di liavor maggiore cognitione di quanto egli pretende contro il moto della terra 1 ”. No farò parte a V. S. Ecc. ,n * come è mio debito. Fra finito, non tediandola più, faccio humilissiina riverenza, pregan¬ dola anche d’inviare la qui inclusa. Di Bolog.*, li 22 (l’Aprilo 1625. I)i V. S. moit* 111.” et Eoe.™* 0“*’^ caelvm riti, terra mnrmtur, rei ile pe- '»• Otta rio Corrimi. venni mota terme, Carmi Cai.caumimi commentatio: <»' Intenda, la risposta all' Inoom. è a pag. 888-895 in Carmi Calcai.nini, «cc. Opera (*) Cfr. n • 1718, aìiquot, ecc. Basilea*», MDXLUII. 22 — 20 APRILE 1025. 269 [1722-1723] Prego V. S. Ecc. mH a mandarmi l’inseriti ione del S. r Prencipe, acciò non li sia ogni volta di tedio. 30 Dev. ,no Serv. re di cuore Cesare Marsili. Fuori: Al raolt’Jll. r ® et Ecc. mo S. re et P.rono uiio Oss. mo 11 S. ro Galileo Galilei. Firenze. 1723. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 26 aprile 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 210-211. — Autografa. Molt* Ill. r * e molto Ecc. tfl Sig. r mio sempre Oss. mo Visto nella gratissima di V. S. quanto m’accenna del dar una scorsa sin qua, con l’allegrezza di ciò ch’ella si poi imaginare, me n’andai, conforme al suo cenno, da Monsig.'' Ciampoli subito, per intenderne più apieno la certezza et il resto, come mi communicò con scambievole et infinita sodisfattione, e mi disse anco Laveria invitata nelle sue stanze in Palazzo (l) . Entrando poi ne’suoi fini e desiderii con questa venuta, e considerando il tutto con quel’affetto che le siamo avvinti et obligati, ci fu forza porre da parte la sollecitùdine del nostro proprio gusto e godimento, e pensar, per più sicuro compimento del tutto et adempi- ìo mento del’ intentione di V. S., di differirlo, acciò ella potesse restar servita, e noi e por l’uno e per l’altro rispetto più sodisfatti. Fu pensato dunque, quanto poco opportune fussero le congionture presenti, e quanto poco o niente di luogo lasciassero alli negotii, e massime studiosi, vedendosi veramente tutta la Corte assorbita nel Li gravissimi romori che corrono, senza momento di tempo libero ; et insieme che il benefitio del tempo sino a rifrescata, al Settembre o Ottobre, poteva per molte cagioni apportar dalla parte de’ padroni maggior serenità e quiete, massime per i frutti ragionevolmente sperati dalla legatione elei Sig. r Card. 1 Bar¬ berino, c dalla parte di V. S. maggior] sodisfattione, col poter intanto compir, senz’interrompimento o distrattone alcuna dal presente corso, li discorsi tutti so che ella scrive; il che di che momento possa esser al tutto, ella stessa conside¬ rarci meglio di noi. Aggiongo che il ritorno del Sig. r Mario tS) costì le comprobarà meglio e più apieno con la voce viva il tutto. So quanto maggior sodisfattione <‘> Cfr. u.« 1721. <*> Mario Guiducoi. 270 26 APRILE - 3 MAGGIO 1625 . [ 1723 - 1724 ] lei haverà dal portar seco la (aliga compita: però dico solo che racquietarsi noi a questa dilazione di tante consolationi insieme, prima di veder V. S. e goder della sua presenza o dottrina, seconda di gustar i discorsi posti sin bora da lei in carta, poi crederò elio nasca veramente dalla viva forza della contrarietà di tempi veramente tempestosi, quali esperimentiamo noi stessi; e perciò ho ripu¬ tato mio debito significarli subito questo necessarie considerationi, acciò poi possa risolversi a quello elio ristessa sua prudenza molto meglio potrà dettarli che al¬ cuno di noi. so Le notationi in proposito delle attioni del S. r Filippo Salviati ho. me. ver¬ ranno molto a proposito per sodisfar alli nostri debiti verso quel personaggio, o le aspcttarò con desiderio 10 . L’ascrizione do’ tro soggetti fu già conclusa con tutti i voti favorevolissimi: bora s’attendo alla scoltura dello pietre, qual compita V. S. sarà subito avisata, che intanto potrà con occasiono accertarne il gentilissimo Sig. r Marsiii, che con tanto affetto ci favorisce. Altro non aggiugnerò con la presente per non esser più longo: affettuosissi- mamente bacio a V. S. lo mani, o lo prego da N. S. Dio ogni contentezza, come fa anco la mia S. rn Principessa. E di noi posso nvisarle, che, Dio gratin, ce la 40 passiamo bene, e pensiamo trattenersi in Koma quest’ anno tutto e parte del seguente. Di Roma, li 26 Aprile 1625. Di V.S. molt’UL™ Il S. r Stelluti ò qui meco o le bacia lo inani, et insieme attendiamo a tirar avanti lo stampe ga¬ gliardamente, e massimo del Messicano 1 . Aff. mn per ser> sempre Fed.'° Cesi L.° P. 1 724 **. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 maggio 16^5. Autografoteca Morriaon In .Londra. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,no S. r mio Oss. ,no Ier sera ricevei la gratissima di V. 8. de’ 28 del passato, insieme con un piego per 1* Eco. 1 " 0 S. r Princ.® di S. Angelo 10 , al quale lo mandai subito, m Cfr. n.® 1710. <*' Cfr. n.« 584. < J > Fkdkkico Cibi. ma non era 3 — 7 MAGGIO 1625. 271 [1724-1725] in Roma, e per questo si differirà il trovarci con S. E., Monsignor Ciani poli, etc.; il che seguirà subito clic sia tornato, c io porterò a V. S. avviso di quello che avranno discorso, facendo pensamento d’esser costi tra pochi giorni, dove desi¬ dero di trovarla con buona sanità, elio il Signore Dio gliela conceda con ogni altro bene. E le bacio le mani. l)i Roma, 3 di Maggio 1625. io I)i V. S. molto 111. 10 et Ecc. ma Io non so d’essere ancora dichiarato dell’Ac- cademia de’ Lincei, benché io sappia d’esser desti¬ nato a quest’onore: però non ho ancora avuto la nota de’ SS. ri Accademici, per complire con essi c ringraziarli dell’onore fattomi. Se l’avrò avanti la mia partenza, l’arrecherò meco, e lo ne darò copia. Ser. ro Aff. mo e Obb. ,no Mario Guiducei. Fuori: Al molto 111.” et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Oss. n, ° 20 II Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1725 . CESARE M ARSILI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 7 maggio 1G25. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX. car. 17. — Autografa la sottoscriziono. Molt’IU. 10 et. Ecc. mo S. ro P.rone mio Oss. mo Domenica gionso Mons. ro Cursini 10 con il Padre D. Benedetto con buonissima salute. Fui dal Padre subbito, clic la disicupatione publica mi concesse agio di poter uscire privatamente di Palazzo, ove di presente stanzo per essere stato eletto de’ Signori nel presente bi mostro; e le significai il gusto di V. S. Ecc. nia circa il fare vedere a Monsignore, col suo mezzo, la di lei risposta all’Ingoli, che si compiacque favorirmi: al elio mi rispose che fosse io quello che per ogni ma¬ niera gliela presentasse; o conoscendo le ragioni che addusse per buone, pressi risolutione di seguire quello clic poi tanto più mi successe meglio fatto, quanto io fu incidentemente: essendo per altri interessi da Monsignore, e richiedendo da X° Ser. r Vero Cesare Marsili A<-->- 1720 . GALILEO a [CESARE MA USILI in Bologna]. Bellosguardo, 27 maggio Ui25. Arch. Maroig-li in Bologna. Busta citata «I u.° lGSb Autografa. Molto 111.*** 5 Sig. ro o Pad.” Col.® 0 Passa in questo punto ili qua il »S. Benedetto Hetz Todosco, scultore in avorio e mio amicissimo, e per le sue qualità degno tP esser ser¬ vitore di V. S. ; e perché ieri appunto ricevei dall’ Ecc. Sig. Pr. Cesi P anello con lo smeraldo per inviarlo a Y. S., con questa occasione glielo mando. Dal S. Mario (iuitlucci aspetto la nota de i compagni Lincei, e subito gliel’ invierò. Penso che P apportator di questa, che se ne torna in Alemagna, si tratterrà 2 giorni in Bologna per veder la città : se gli bisognasse in alcuna cosa il favor di V. S., la prego a fargliene grazia, che sarà bene impiegato, et io glie no terrò ob- io bligo particolare. K perchè è col piò nella staffa, non sarò più lungo: gli bacio affettuosamente le mani, ricordandomegli vero servitore. Da Bellos. do , li 27 di Maggio 1025. Di V. S. molto 1. Ser. re Dev. 1110 Galileo Galilei. 23 . inviatoti: — [1727] 28 MAGGIO 1625. 273 1727. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Lodi, 28 maggio 1625. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P.VI, T. X, car. 212. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. 1 " 0 Credo che V. S. saprà il motivo fatto dal molto R. P. D. Benedetto in Bologna per la persona mia circa la lettura di matematica; per il qual effetto già, con¬ formo all’ordine datomi dal sudetto Padre D. Benedetto, ho mandato ad un (l) di quei Signori Bolognesi due propositioni : la prima è, dividere un parallelogrammo in 4 pezzi, come gli può mostrare il parallelo- ab ccl grammo af i quali sicno spatii uguali, restando pur le ab, cd, uguali ; la seconda ò, che lo spatio compreso dalla prima spirale e linea io retta, principio della rivolutione, sia ~ del primo circolo; il che dimostro diversamente da Archimede (,) . Mi ha risposto quel Signore, che le ha trascorse, ma che non le ha potuto leggere attentamente, e che deside¬ rarla da me qualche discorso o pensiero astronomico. Io, perchè in’è convenuto un pezzo fa attendere ad altri studii, come dir di predica, per compiacere a’ miei superiori maggiori et anco per non haver in questa città con chi conferir della professione, non mi trovo cosi bora (mancandomi anco i libri, massime moderni) da poter dar sodisfattione in questo a quei Signori, massimo che forai desiderano sentir qualche cosa della constitutione mondiale, intorno alla quale io non saprei 20 che mi dire, perchè lei sa come sia difficile trattarne. A me bisognarebbe una commodità di veder le cose moderne, la quale mi succederebbe co ’1 negotio promosso, quando riuscisse. Già trascorsi tutto TAlmagesto; ma che mi giova, se da molto tempo in qua non ho havuto con chi conferirlo? sì che mi son ben restati i principii geometrici, ma del resto non m’assicuro se non con un puoco di studio; e dovendo pur dare adesso qualche sodisfattione a quei Signori, gliene do parte, chiedendoli suo consiglio et agiuto, proponendomi lei ciò che li par¬ rebbe a proposito eh’ io gli mandassi. Desidero un puoco che veda se questo mio pensiero s’accosta al vero: già (se ben mi ricordo) credo facessi computo della mole corporea de’ pianeti e terra, e di’ io trovassi la somma della corporeità di Lett. 1727. 8. prer/wiui — ~ •" ' • (*> Cesami Riarsili. Bologna por Antonio Favaro. In Bologna, coi tipi 1*1 Cfr. Bonaventura Cavalieri nello Studio di Fava 0 Gfiragnftlii, 1888, pag. 9. XIII- 35 274 28 MAGGIO - i GIUGNO 1025. [1727-1728] tutt’ i pianeti, compresavi la terra, adeguarsi al corpo solare, puoco più o meno, so quanto si patria attribuire alla loro ignorata precisa quantità; pur potrebb’esser ohe quel computo fosse o errato o mal fumlato. Però prego V. S. dia un puoco un’occhiata a questo 10 . Mi favorisca poi por gratia salutar il molto II. 1\ I). Be¬ nedetto, pregando per tanto V. S. a darmi risposta, o il audetto Padre per lei; e di gratia non manchi, e mi perdoni se li do fastidio. Finisco Imsciunduli le mani. Di Lodi, alli 28 Maggio 1025. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma Ob. roo Sor/* F. Ilon." 1 Cav/ 1 Gesuato. Fuori: Al molto 111/ 0 et Kcc. mo Sij. T o P.ron Col. mo 40 Il Sig/ Galileo Gal/' Fiorenza. 1728 . CESARE MARS1LI u GALILEO [in Firenze], llologna, 4 giugno 1025. Bibl. Naz. Fir. Ms«. Or].. P. I, T. IX, car. 21. — Autografi la aottoacri/lono. Molt’Ill/ 8 et Ecc. ,n0 S.™ P.rone mio ()ss. n, ° Mentre l’amico di V. S. Ecc. m * l,) gionse con Pannello, io non mi trovavo a Bologna, ondo non ho havuto campo di servirlo in alcuna parto, come sarebbe stato mio desiderio et debito. I aì lasciò però ad alcuni mercanti Tedeschi, elio all’arrivo della sua, sotto l'ultimo di Maggio, mi fu ricapitato, liingratio però, V. S. Eoe. 1 "*, e ne ringratiarò similmente il S/° Prencipe. Mi piace poi sommamente intendere il sano arrivo del Padre 1>. Benedetto, al quale ella si compiacerà, se però ò costi, salutarlo a nome mio, e ricordarmeli per tutto suo. Finito questo mese-*’, forsi piacerà a N. S. ch’io possi satisfare il mio genio io e servire a me medesimo col ritirarmi in villa. Procurerò bavere 1* obiettami che V. S. Ecc.""* desidera contro il Copernico, e tanto più spero d’Laverie, quanto che i fratelli di Mona/* Ghisogiieri, governatore di Cesenna, mi favoriranno di 88. Vi /avoritea — Lett. 1728. 11 . oixttioni —. 0) Il computo non ò pieientemente allogato alla i*> Cfr. n.« 1726. lettori». i>: Cfr. n.» 1726, 4 GIUGNO — 20 LUGLIO 1625. 275 [1728-1729] mezzo per farmele ottenere. Saranno di breve a Bologna, essendosi partiti di Roma. Et con pregare a V. S. Eec. ma ogni meritato bene dal (belo, lo bacio anche le mani o me li ricordo partialissimo servitore. Di Bolog. a , li 4 di Giugno 1625. Di V. S. molt* III.™ et Ecc. ,na Serv. r Dev. m0 S. re Galileo Galilei. Cesare M ars ili. 1729. PIETRO GASSENDI a GALILEO [in Firenze]. Grenoble, 20 luglio 1625. Da Petri Garsrwm occ. Epialolat, occ. Lugiluni, suuiiitilms Laurontii Anisson et Ioannis Baptistno Dovo- not, M.DC.LV111, png. 4-6. Viro Incomparabili Galileo Galilei, Magni Hetruriae Ducis Esimio Matbematico, Tctrus Gassendus S. Quod ego te bac epistola iam tandem conveniam, Immanissime Galilee, causa tum rccens, tum antiqua, est. Mibi certe niliil est antiquius, quam colere summam sapientiam ac eruditionem tuam. Ex quo enim tempore tuus ilio Caelestium In- terpres tam incognita generi liumano patefecit mysteria, dici non potest quo tacito eultu meraet tibi devoverim. At vero, cum mihi nuper carissimus tibi mihiquc Deodatus l,) candorem illuni exposuisset, quo cum amicis agere soles, dispeream ' ilisi ad ineundam tecuni non levein amicitiam illieo inflammatus sani. Etsi enim io libi abs me, tum aetate, tum doctrina, tum aliis multis nominibus intcriore, nihil alimi quam observantiam singularem polliceri liceat; abs te vero nihil alimi quam iugenitam erga bonos studiososque propensionem exigere; facile tainen mihi per¬ suasi, fore ut mihi non postremum ainicitiae tuao conccderes graduili, cum me observantissimum tuac virtutis esso agnosceres. Stupebis quidem, et merito, cum hominem incognitum tanta liducia te adoricntem considerare coeperis: at hic appello nativam illani animi tui sinceritatem; appello Uraniae amorem, qui te deduxit, et fama notimi super aethera reddidit; appello Deodati nostri, qui fuit ingenuac meae simplicitatis spectator testimonium ; appello tandem superos om- ncis, si ita fari liceat, ad fidem tibi ingerendam, qua admirari desinas. Voluit 20 quidem amicus is noster provinciam liane sibi demandatala, ut et tibi signifìcaret undenam ego aut quis essem, et cum bac epistola transmitteret tibi editi a me . libelli exemplum, quod esset mei erga te alfectus quasi pignus et symbolum : at Lett. 1720. 17. fama nalum super — U) Elia Diouati. 276 20 LUGLIO 1025. [ 1729 ] cum necesso habuerim tuli amico morena gerere, sensi taraen singularem tuam humanitatem fuisse aliunde consilium meum aequi bonique consulturam ; et do- nariolum quod attinet, ita volai acciperes, ut, cum indignum ego iùdicarim quoti in tuas incideret manus, ilio tamen ini penso studio curaverit incidere. Nunc, cura ista primura scribenti viderentur sufBcere, attaraen, quod mihi videor non iam cura recente amico seti cura antiquo agere, agam ecce liberata, eroque paulo diffusior, quara si diffidens amicitiae tuao tiraidiuscule scriberem. Imprimis ergo, mi Galileo, velini sic tibi persuasimi habeas, me tanta cura animi so voluptato amplexari Copernicaeam illara tuam in astronomia sententi a ni, ut exinde videar mei probo iuris factus, cura solata et libera mens vagatur per immensa spatia, efTractis nempe vulgaris mundi sistematisque repagulis. Utinara vero hac- tenusfrui tuo ilio recens instituto Mundi Systeraate licuissetV Quara adiutus enim promotusque fuissein in conceptis illis a me de muralo opinionibus? Sommasse quippe me aliquid circa hoc arguraentum pervidebis facile, si digneris forte lo¬ gore quod tribus dumtaxat verbis in praefatione libelli ad te raissi polliceor me quarto libro tractaturum. Quamobrem etiara intelliges, quara ardenti desiderem studio, quid tu Ime in parto sentias, quamprimum accipere, cura tu caelestium arcanorura sis sagacissimus scrutator particepstiuo consultissiraus. Cur porro foe- 40 tura, queni iam parturiobas cum Nuntiuin praoraittercs, bue usque non emÌ8erÌ8 l,) , etsi assequor forte coniectura, nondum tamen piene didici. Hoc saltera fortassis profiteri liceat, magnani factum iri rei literariae cordatisque divinissimarum scien- tiarura studiosis iniuriam, si tantum opus supprcsseris. Certe nisi obstiterit le- gi ti mura irapedimentum, oratum tc atque utinara exoratum esse noveris, ut rem adeo desideratami bonis amplius non invideas. Quod si, voi certo consilio tuo, vel fatis ita forentibus, sic te continero debeas, ut no quideni etiara cura aniicis institutum tuuin per literas conuminices, absit a me ut speroni postulemve conscius illius fieri. Sic ine tamen habeo, ac in gradu adeo eminenti benevolentiam tuam colloco, ut, si vel vacot vel liceat, quidpiam sis mihi signilicaturus, ubi me inar- so descere hoc desiderio rescicris. Perlegi, praeter Nuntiuin tuuin, treis illas I)e maculi8 solis ad Welserum cpistolas, quas profecto, quani sint dignae acumino et iudicio tuo, non est quod multis explicem. Sufficiat subscribero me ratiocinationi tuae circa macularum ma- teriam, genesim, figurarci, locum, motum, dissipationem, et si quae alia eiusceraodi accidcntia macularum sunt. Dolco vero e nostra Gallia, et specialis etiara meae professioni, deinceps prodiisse, qui adeo infoeliciter de iisdem sit ratiocinatus (,) . 52. Wclseum — 0> Cfr. n.« 1487. '*• Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 73, lin. 30 ; pag. OC, lin. 1-2. < 3 > Por Ionia Sydera, idc»t Pianeta e ipii tùli* li • mina circumvolitant mola proprio ao rrr/ulari, /alno kactenui ab htliotcopit macula» ioli* nuncupati, ex no¬ vi» obiervationibui Io anni b T a Rine. l’arisiis, apuli Ioannem Goasoliu, 1C20. 20 LUGLIO 1625. 277 [ 1789 ] Non haereo, quin ipsius liber ad te usque pervenerit: ego digrumi ubcriore re- futatione nunquam indicavi, quam quae praemissa in tuis illis continentur Epi¬ co stolis. Profecto, cum illa tua de maculis philosophia testem tot accidentium (quibus probe satisfacere alia ratione non licet) experientiam habeat; quid potius illi pla- netaruin perpetuitati obiici possit, quam quod ne ipse quidem author observare potuerit vel unius reditum (qui menstrua tamen circiter revolution© fieri debebat) ex tanta multitudine? Caeterum librimi qui a te de cometis scriptus perliibetur, nondum est datura, conspicere; at quo ardore videre peroptcm, dictu mihi facile non est. Cum susceperim enim defendendum, cometas esse corpora perpetua, eius- modique opinioni phaenoraena omnia cometarum speciali quadam ac propria ratione accommodem, conioctor solertiara tuam posse mihi ad hoc plurima suggerere ar- gumenta: neque enim dubito, quin prò ea qua coepisti philosophari liberiate, 70 quamplurima protuleris, vel in quae ego genio quodam foelici inciderim, vel certo ex quibus non parum coniccturae raeae possint pronioveri. Observationum a me factarum circa cometam qui sub fìnem anni 1618 afiulgere telluri cocpit nihil feci publici iuris, contentus si ex iis possira circa dcfectum parallaxeos, itemque circa directionem caudae in solis oppositum cum quadam eaque variabili defle- xione, philosophari. Eadem ratione et de obscrvatis solaribus maculis emittero nihil in animo est, nisi quod iuxta principia tua conducere videbitur ad impu- gnandum Aristotelismum adhortandumque homines ad aliquam verisimiliorera sanioremque pliilosophiam. Quandoquidera vero in memoriam observationum in¬ cidi, coramunicabo ecce imam, quam, ut equidem coniicio, non iniucunde accipies. 80 Ea est eclipseos Solaris quae postrema nobis Europaeis contigit, anno nempe 1621 aera et stylo qui vobis nobisque est usui. Illam enim Aquis Sextiis observavi admodum exacte, nihilquc anibigo quin tu, prò tuo caelestium amore (dum caeluin vobis fuerit serenum), exactissime observaveris. Ego eadem methodo, qua et maculas, observavi; nisi quod circa maculas meridianum tempus expecto, ut, aliunde noto meridiani cura eccliptica angulo, veruni in disco 0 situm macularum accipiam. Radios solis itaque, per telescopium traiectos, in occlusam cameram excipiebam inferius, chartaceo albo bene complanato, descriptoquc in eo circulo in quem radii cogcrentur ; cum adesset interim prope telescopium qui motaret ac centra vitrorum soli seni per opponeret. 90 Diameter circuii, quae erat unius pedis Parisiensis, sic divisa fuerat in duodenas parteis, ut sexagenas etiam singularura per divisiones minutiores licerct adirne colligerc. Scd et circumferentiara in 860, hoc est beine inde in 180, diviserara parteis, initio facto qua parte digiti primi erat initium; tum ut in magna occul¬ tatimi© liceret sempcr, usurpata beine inde acquali limborum obscurationis di¬ stantia, cogere radios in circulum, et tumorem urabrae maximum in diametrum reiicere; tum ut exinde haberi posset diametrorura luminaris utriusque inter se 68 - 69 . plurima suyyere aryumenta — 89 . centra vitiorum — 278 20 LUGLIO 1625. [1729] proportio. Cum Tychonicae porro tubulue oxliibcrent nobis initiuin eclipseos circa horam matut. 7, observaturus praesto adfui ali bora circiter sexta. Adcrat porro extra cameram excellons mathomaticus Iosephus Galterius 01 (is scilicet ad quem primi libri Exercitationum mcarum praefationein dirigo), qui statini atquo ap- 100 parerei ac desinerei obscurationis vestigium, solis altitudinom, quam sedalo secta- balur, ictu parieti impacto ceu ligno dato, acciperet. Contigit igitur eclipseos initium solo elevato 25 grad., 30 min.; finis voro, elevato 51 grad., 17 min.; hoc est, eclipsis 0 coepit bora 7, min. 5, soc. 28; desiit bora 9, 31 min., 12 sec., nu¬ merando a media nocto quao praoccssit meridiem praedictae dici 21. Digiti vero ecliptici maximae obscurationis oxstiterunt 9 grad., 23 min., tuncquo deficiebant utrinquo ex circumfcrentia grad. 77, min. 30, unde elicere est acqualeis apparuisse luminarium diametros. Iam si istboic observata eclipsis liaoc fuerit, babebimus saltem parallaxeos 0 prò varietate latitudinis locoruni differontiam. Et cum latitudo Aquensis ob- no sorvata sit 43 grad., 33 min., ex discrimino istius cum vostra, ac differentia paral¬ laxeos, colligemus quae fuerit tunc lumie a terris distantia, llora etiara nos proxinic (subductis nempe rationibus) certioros elìiciofc diflcrontiao longitudinis Florentiam intcr et Aquas Sextias. Certiores sano oificeromur, si istboic forlassis forot oli- servata lunaris illa eclipsis quao contigit mense Iunio un. 1620, aut alia quao mense Novembri ari. 1621 ; sciremus et differentiam Florentiam inter et Diniam, si alia rursus mensis Aprilis an. 1623, Florentiam vero inter et Farisios, si impera illa huius anni quao contigit mense Martio: siquideni lias omneis ego observavi, consignatasquo habeo. Tu si oasdein aut alias forte obsorvatas cominimicare non gravabero, reponam ego, tibiquo gratias liabebo sane quumplurimus. 120 Rogo te quam raaximo possimi animi conutu. ut saltom velis communicaro cum Willobrordo Snellio, cuius ignota tibi non est in restituendo, geographia sa- gacitas et sollicitudo. Perscripturus sum ad illuni (quoti voluit) proximis bis diebus ■ non panca quae habeo huius generis, una cum oxacta Aquensis, Gonovensis, Lug- duncnsis, aliorumquo pedum, longitudine. Certus vero propemodum sum, ut, cum ctiam pedis Fiorentini desiderarit magnitudinom, imploravcrit industriam et bu- manitatera tuam: seu feoerit seu non fecerit, non poenitebit me egisso apudte illius patronum; ita novi, utrumque vestrum bonaruin artium promovendarum perquam studiosum existere. Certe si in regula lignea aut alia rationo transmit- tero Leyciani ad ipsum digneris delincatimi pedum, qualem apud vos asservari 130 publice et interest et dubium non est, cautionom me do, te in homine non in¬ grato benoficium collaturum. Ego quid bic adii ci ani praetor verecuiuliam nibil habeo, quamquam etiam crubesco ruborem mouin prolitcri apud hominem can¬ did issirau 111 : tu, quidquid id est, boni consule; agam imposterimi uti voles. In- Giuskhpb Gaultikk. 20 LUGLIO — 30 AGOSTO 1G25. (1729-1730] 279 terea me, (ino non est tni observantior, Vii* optime, ama, et de ingcnuis artibus mereri mmquam desine. Dabam Gratianopoli, Dimani meam brevi concessurus, XIII grad. Kal. August. anno M.DC.XXV. Vale. 1730. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, SO agosto 1G25. Bini. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, cnr. 23. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto 111/* et Ecc. 11 ' 0 Sig. r c P.ron mio Col." 10 So che V. S. non si scorda di me, c lo provo di più con il testimonio delle suo cortesissime lettere. Le rendo affettuosissime gratio dell’ uilitio che ha voluto passar con me, conforme al nostro instituto, e può rendersi certa che so mi ha prevenuto con lettere, non mi ha però prevenuto con l’animo, con il quale io son sempre seco. Il trattato che giunse a V. S. le settimane passate, fu di ordine di N. Si¬ gnore medesimo, il quale, ragionando di mandarlo a i più letterati, nominò lei il primo di tutti gl’altri. Sento poi particolar piacere che ella vada tirando avanti io i suoi Dialoghi, sperando di gustare anco in questo il mirabil ingegno di V. S., alla quale bacio con reverente affetto la mano, c le desidero ogni prosperità. I)i Roma, il di 30 Agosto 1G25. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ma alla quale io vivo partialissimo servitore, come anco tutti li virtuosi clic frequentano li miei apparta¬ menti, nel li quali bene spesso come miracolo di natura e splendore d’Italia si celebra l’ingegno del S. r Galileo. Ella mi (là felicissimo avviso men¬ tre mi accerta del progresso delli suoi Dialogi. Noi 20 qua siamo molti che desideriamo rivederla e ser¬ virla, et allora sì pretenderei clic delle mie convcr- sationi si potesse parlare con stupore. N. Signore mi parla della persona sua con singolare affetto, c si ricorda della intentione data (t) , et a’ giorni pas¬ te CIY. il.» 1037. 280 30 AGOSTO — 2G SETTEMBRE 1G25. [1730-1781] aati mi disse, scusandosi del passato, elio quanto prima rilaverebbe effettuata. Del resto io me no vivo con sanità, e con letitia, nelli medesimi termini no’ quali ella mi lasciò o con le medesimo opinioni intorno al governo del genere humano. Dev. rao et Obi. Ser. M S. r Galileo Galilei. Fir.* Gio. Ciampoli. 1731. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 20 settembre 1025. Bltol. Naz. Flr. Mss. dal., F. VI, T. X. car 314. — Autografa. Molt* Ill. r " o molto Eoe. 1 * Sig. r mio sempre Oss." 10 Trattenevo questa risposta alla gratissima di V. S. per poterle inviar qualche cosa di nuovo de’ nostri continui lavori, et anco insieme darle nuova d’allevia¬ mento delle mie noiosissime molestie. Mi riesce, col mandarle l’accluso fogliola prima parte; ma la seconda posso solo accennacene la speranza, della quale la detta espressione ne sia buon auspicio e hieroglifico. Questo è fatto per significar tanto più la nostra divotione a’ Padroni, et esercitar il nostro particolar studio delle naturali osservatami. Non è ancora potuto presentare, e perciò V. S. mi farà doi gratie: la prima, di non mostrarlo ad altri sino al’aviso di qua della pre- sentatione, che lo no mandarò poi molte; seconda, di avisarne so vi osserva qual- io che minutia di più, o corregge qualche cosa, e ciò subito, acciò sia in tempo. Sig. r mio, por quanto posso sottranni alle continue noio che da venticinque anni in qua mi danneggiano c tengono quasi sommerso, non lascio d’attendere alle mie particolari fatiglie et alle communi del’ impresa c stampe, e si fa quanto si pò; c da che sono in Roma, nel Messicano (t> sono stampati più di cinquanta togli, con aggiunta di molte novità. Questo è quanto posso dirle di me al pre¬ sente, e che, Dio gratin, con la famiglia sto con bona sanità. Goderei di sentir che V. S. stasse bene, e le sue scritture a buon porto: voglio sperare, come sommamente desidero, l’uno e l’altro. Intanto le rendo infinite "> , Afnarium ex frontispìeiù naturali» tksalri Principi» FkdkrictCaksii Lyncoi occ . dcpromptum,° Ser.™ S. r Galileo Galilei. Firenze. Ciò. b., eletto di Fermo. Fuori, iValtra mano: Al molto Ill. re Sig.‘° mio Oss. mo 20 11 Sig. ro Galileo Galilei. Firenze. i» Iacopo Sai.viati. Cfr. n.» 1825. <*> Piero Disi. 30 XIII. 282 20 OTTOBRE — 1° NOVEMBRE 1025. [1733-1735] 1733*. GALILEO ad [ELIA DIODATI in Parigi]. (FirenseJ 20 ottobre 10*26 Blbl. Nat:. Eir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 83r. — Copi* di m*no di Viso sarto Vi rum. In capo * qnesto frammento si leggo di mano dolio «tosso Yimxt : « 90 Ottobre 1626. Rlspotta od un* do'..,, (rfe), che uou ci è >. Io poi, per quanto mi concede l’età, ch’è molta, e la sanità, cli’ò poca, mi vo trattenendo in iscriver alcuni Dialogi intorno al flusso e reflusso del mare, dove però diffusamente saranno trattati i duo sistemi Tolemaico o Copernicano, atteso che la causa di tale accidente vien da me referita a* moti attribuiti alla terra, etc. 1734*. GALILEO u FERDINANDO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. (Firenze, ottobre 1026]. Aroh. eli Stato In Pian. Università, Film a.° 21. (Negozi dallo Studio, Fili* n.* 0), c»r. 440r. — Autografa. Ser. mo Gran Duca, Galileo Galilei, devotissimo servo o vassallo di V. A. S. n ' a , humil- mente la supplica che voglia restar servita di concedergli un luogo nella Sapienza di Pisa por Vincenzio suo figliuolo Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVII, b). 1° — 8 NOVEMBRE 1625. 283 [1785-1786] verà qui, pensando assolutamente eli non poter essere sbrigato dalla Corte a Natale. Me ne rallegro però con me stesso, et aspetto con desiderio particola¬ rissimo V. S., la quale mi troverà al giardino del S. r Card. Bandini dove mi son ritirato doppo che lio lasciato quegli strepiti delle liti, che hebbono forse da assordarla. Ilo fatto quella diligenza che V. S. può credere con i Padri Lateranensi por io l’olio ch’ella desidera; e perchè non se ne trovano niente al presente, mi mandano hoggi a dire che fra otto giorni sarà qui un Padre che ne ha: e V. S. s’assicuri che subito gli sarò attorno, o vedrò con ogni diligenza di haverlo ed inviarglielo. Così fossi io buono, col calore dell’affetto parlatissimo ch’io porto al suo merito, per riscaldare e risolvere quell’ humoro che la travaglia, che crederei di spender bene ogni cosa. Saprà il tutto con le prossimo lettere, et intanto di tutto cuore lo bacio le mani. Roma, p.° Nov." 1625. Di V. S. molto 111.»*® Afl>° Sor.™ S. r Galileo Galilei. Firenze. Gio. b., eletto di Fermo. 1786 . GIOVANNI CI AM POLI a GALILEO in Firenze. Roma,,8 novembre 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. (fai., P. I, T. IX, car. 27. — Autografa la sotfcoscriziono. Molto 111.*® et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Oss. mo Il Padre Maestro Fra Leonardo della Vaccina bavera potuto per sé stesso referire a V. S. quanto io stimi i cenni suoi, o quanto ardente si conservi in me l’affetto et il desiderio di servirla, potendosi veramente render certa che mentre non potrò impiegarmi per lei, non mancherò di farlo con ogni premura per gl’amici suoi. Fu introdotto a baciare il piede a N. Signore, il quale con tal occasione fece benigna mcntione di V. S. Io poi, vivendo con ardente brama di godere i suoi discorsi ripieni de meraviglie, senza mai finir di reverirla, le bacio affettuosamente le mani e le prego la pienezza d’ogni contento. io Di Roma, il dì 8 Novembre 1625. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. roa Dev. nin et Obblig.™ 0 Ser.™ S. r Galileo Galilei. Fir. ft Gio. Ciampoli. 0) Ottavio Banwini. 8 — 12 NOVEMBRE 1625. [1787-1738] 2b4 1737 **. GIO. BATTISTA RINUCC1NI a GALILEO in Firenze; Roma, 8 novembro 1H25. A.utoirrafoteoa Morrinon in Londra. — Autografa. Molto III.” S. r * mio, Ho in casa l’olio rhe desidera V. S. (, \ e vedrò di mandarlo per qualche fidata occasiono, so lei medesimo non me no suggerisce qualcuna a suo modo. L’averlo trovato o servito a V. S. con diligenza non ò niente, bc non no seguisse l’effetto che si spera; però di questo ne pregherò Dio quanto posso: e sto con particolar desiderio attendendo di sapere s’ella sarà qui prima che finisca l’Anno Santo. Baccio a V. S. lo mani, e prego felicità. Roma, 8 Nov.* 1625. Di V. S. molto 111." Aff. ra0 Ser." S. r Galileo Galilei. Firenze. Gio. b., eletto di Fermo. Fuori, d'altra mano: Al molto 111.” Sig. r mio Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 1738 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pi»*, 12 novembre 1625. Blbl. Nnz. Plr. Msn. Gal., P. VI, T. X, car. 21<5. — Autografa. Molto 111." et Ecc. reo Sig. r e P.ron Col.® 0 Con la lettera di V. S. molto Ill. rB non ho riceuta l’altra per il loco di Sa¬ pienza per il Sig. r Vincenzo 1 ’’, come lei mi accenna. Nel resto non mancarò somministrare al medesimo Sig. r Vincenzo dinari no’ suoi bisogni sino ad altro avviso. Ieri sera tornai di Livorno, dove andai venerdì e vi sono dimorato il sabato, la domenica e lunodì, giorni tutti di vacanza; o perché hoggi si è letto, non ho voluto mancare, massime che in Livorno non si haveva nova nessuna del S. r Card. 1 Legato Cfr. n." 1735. <•> Cfr. ri.» 1734. **' FrAXC»RCO BaIMXRIKI. 12—14 NOVEMBRE 1625. 285 [1738-1739] io In questi giorni ho dimostrato geometricamente la seguente propositione, con assai facilità: Clic la quantità di acqua clic scorre per un fiume, mentre è in una altezza d’acqua, alla quantità dell’acqua che scorre nel medesimo liume mentre si ritrova in un’altra altezza d’acqua, ha la proportiono composta della velocità alla velocità c della altezza all’altezza. Mei resto sto bene, e tutto al servizio di V. S. ; e li bacio le mani. Pisa, il 12 di Ombre 1625. Di V. S. molto 111.™ Oblig. mo Scr.™ e Dis.' 0 Don Bened. 0 Cast. 11 Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e P.ron Col. mo "20 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1739. CESARE MARSIL1 a GALILEO in Firenze. Bologna, 14 novembre 1625. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 218. — Autografa la sottoscrizione. Molt’M.™ et Ecc. mo S.™ P.rone mio Oss. mo Hor bora mi è capitata l’inclusa, la quale ho havuto carissima per molti rispetti, e particolarmente per liaver occasione di salutarla, chiederle del suo ben stare, et dirle ch’io resto ansiosissimo di qualche sua scrittura. Subito che haverò il discorso del S. re Chiaramonti, l’inviarò a V. S. Ecc. ma ; ma di gratia, questo stia tra noi. Il nostro S. r '" Achilini (,) fa stupire il mondo con le sue erudite lettioni, an¬ corché di legge. Mi favorirà, la prego, di tenermi in gratia del S. r8 Prencipe nostro, et far a mio nome una raccomandatione al S. re Mario et al Padre D. Be¬ lo nedefcto. Non posso con questa occasione non significarle un mio pensiero contro l’inal- terrabilità del cielo, venduta d’Aristotile: qual è, che se il cielo non fosse alterabile, non saprei che ufficio se havesso il lume della luna quando ò nuova, essendo che in quel tempo tutto sta rivolto verso il cielo; anzi che sempre, ancorché piena, non si può negare che più lume non diffondi verso il cielo clic ver la terra : et perchè non m’indurò mai a credere che solo por rendere le scambievolezze delle mutationi delle faccic il sopravanzo sia gettato, non essendo la natura, nello Lctt. 1730. 16. tcambìovoUzte — Claudio Aohii.lini 286 11—15 NOVEMBRE 1625. [ 1789 - 1740 ] suo attioni, nò suporfiua nò manchevole, so dunque barerà ulììcio, por ciò occor¬ rerò, cho in quella parto sia materia nella qualo ella possi operare altro effetto elio la semplice illuminationo, della quale, a mio credere, non no ha bisogno il so cielo; poicliò, clic cosa può progiudicarle l’ombra, dirò, di Venere, s’egli ò inal¬ terabile? là onde, s’operarà altro clic illuminare, lo altoranV, eh’ ò quanto pre¬ tendo. So elio il simile si potria diro dei raggi solari o degl’altri pianoti, nel passare per lo ciclo prima cho giongano al concavo della luna; ma paro in un certo modo che meglio stringa l’argomento nella luna nuova, che non manda lume in quel tempo verso la terra, che non fa negl’altri pianeti o nel sole, che sempre parte del suo lume mandano verso lei, quando sono veduti. La prego scusare questo tiro di penna, scritto curanti calamo. Scuserà l’ini- perfettiono della ditaturn, no pigliarà il senso del ditatore, chò tanto porge ardire la sua cortesia di ohiedernelo il suo senso. Et a V. S. Ecc. m * per fino bacio le mani, so Di Bolog.*, li 14 di Nov. bro 1625. Di V. S. molt’Ill. ro et Ecc. ro * Fuori: Al molt’Ill.” et Ecc. mo Sig.™ et P.rone mio Oas. mo 11 Sig. r " Galileo Galilei. Fiorenza. 1740 **. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Genova, 15 novembre 1625. Bìbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 220. - Autografa. Molt’Ill.™ et Ecc.' no S. or mio Col."' 0 Il mio silenzio appresso di V. S. spero non sarà per chiamarmi contumace; o cessando urgenti occasioni, non so corno non si rubbi il tempo ad occupare gli amici o padroni in complimenti di Ietterò. Confido ancora che dalla sua cortesia ini sarà liberalmento condonato quando alcun defetto mi si dovesse imputare. Viene a cotesta città il 1\ D. Bartolomeo Tiberii nostro, o suo compatriotto. L’ho pregato a far reverenza a V. S. a mio nome. Egli saria curioso di uno oc- Lett. 1740. 7. pregato a a far — 15 NOVEMBRE 1G25. 287 [ 1740 ] cliiale piccoletto: supplico V. S. volerle assistere, acciò lo consegua, che sodisfarà il mastro; solo vuol esser assicurato che sia stato nello mani di V. S., come vero io authore di questo strumento. Mi farà gratia di degnarsi favorirlo non più che del suo aiuto e sapere. Questi rumori fastidiosi di guerra hanno fatto depuonere la curiosità del studio a molti: e veramente il motivo ò stato efficace. 11 S. r Imperiali le fa re¬ verenza. V. S. nell’ultime sue lettere mi accennò che haveva non so che opera per mano; et io sono molto avido delle cose sue. Mi è occorso riveder quell’ope- retta sua delle cose clic stanno su l’acqua, et mi è stato nuovo che già tre anni la ristampasse (,) con aggrandirla nobilissimamente. Se poi del suo Saggiatore ò uscito altro, desidero esserne avvisato. Supplico V. S. volermi far participe delle tavolo che spero habbia adornato delli Pianeti Medicei, tenendo che non si sarà 20 contentato di accennar solo li periodi, ma vorrà far pubblico così nuovo et de¬ licato studio. Delli accidenti di Saturno similmente ella haverà digesto i suoi ritrovamenti, c parimente la supplico dirmene quel più che dalle cose sue stam¬ pate haverà aggiustato. Desidero haver nuova della sua salute, la quale lo bramo molto longa: eie faccio reverenza, b. le mani. Di Genova, a’ 15 Novembre 1625. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. I>1a Fuori: Al molt’Ill. re et Ecc. n '° S. r Col. m ° Il S. r Galileo Galilei. so .. Firenze (i) . 0) Non se no lift alcuna ristampa dopo la « So- Gai.ilko: conda editione » dol 1012. Cfr. Voi. IV, pag. 58-00. «far motto al S. Pior Tosi noi fondaco di Lo* Accanto all’indirizzo si leggo, di mano di dovico Cassi». 288 1C NOVEMBRE 1625. [MI] 1741*. SCIPIONE CHTARAMONT1 a GALILEO in Firatun. Cesena, Iti novembre 1086. Bibl. Naz. Plr. Mas. lial., 1’. VI, T. X, car. S22. — Autografa. Molt’lll. ra et Ecc. mo S. r r.ron mio Os8. mo M’è linai mente venuto in mano il libro scrittomi contra dal Keplero 1 ' 5 , eh’è più tosto una filippica eh’una scrittura matematica: e perché ha aggiunta al libro da lui intitolato Iperasjìiste di Ticone una appendice sopra il libro di V. S. Eec."» a contra la Uhm Astronomica l0 , dove alcune cose nota, so bene l’occasione Prin¬ cipal è stata rattestatione da lei latta al mio Antiticone™, n’ho voluto dargliene questo conto, se per aventura altronde non le fosse venuto; se bene non credo ch’alia gloria di lei possa venir ostacolo ila leggiero oppositore, benché sopra il suo merito celebrato. Riceva in tanto l’aviso mio per segno della mia servitù, e le baccio di vivo cuore le mani. io Di Cesena, il dì lfi Novembre 1625, Di V. S. molto 111.** et Ecc. m * In questo tempo, meno di due settimane c’ho havuto il libro, ho fatto progresso nel rescrivere. La maggior fattica è scoprire li suoi nascondagli: del resto sa V. S. la poca sodezza della persona. Vi attizza il P. Crasso 05 a rispondermi, et i parenti di Ticone a chiamarmi in duello cavalleresco; che le servirà per ridere. Oblig. mo Ser. r< 20 Scipione Chiaramonti. Fuori: Al molto lll. re et Ece. mu S.‘° l’.ron mio Oss“° Il S. or Galileo Galilei. Fiorenza. •n Tyehanit Uralici Dani Ifypcraipittr», ad Ber tu» Scipioni» Vlaramontii Caetennati» Itali, dottori» ,t Equi- ti», Antì-Tychonem, in aaiem produciti» a lOANMK Kb- flebo, Imp. Caos. Ferdinand! Il Matliematico. Quo libro doctrina prestantissima do parallaiibua, deqne novorum siderum in sublimi etbere discursionibus, re- petitur, confirmatur, illustratur. Cura indice roruin inemorabilium. Krancofurli, apud Godefriduui Taui- pac Ititi in, M.DC.XXV. A pag. 185-202: « Appendix ITifpirnipiitii, •tu Spicilrgium ex Trutinator* (lulilati ». >*' Op. cit., pag. 185-186. Orazio Orassi. 21 NOVEMBRE 1625. 289 [ 1742 ] 1742. GALILEO a BENEDETTO CASTELLI in Pisa. Firenze, 21 novembre 1625. Biblioteca Palatina in Parma. Bacheca. — Autografa. Molto II. Padre e mio Sig. r Col." 10 Mi rallegro assai del progresso idraulico, et aspetterò con desi¬ derio le 3 ultime proposizioni con le lor dimostrazioni : dico di que¬ ste 3, perchè la prima è assai chiara, atteso che, stante la medesima altezza l’acqua che passa è come la velocità, e stante la medesima velocità l’acquo che passano son come l’altezze; e però, mutate al¬ tezza e velocità, l’acque che passano hanno la proporzione composta delle 2 dette etc. (l> Quanto al mandato, non lo mando, perchè voglio procurar, se io sarà possibile, di venire sul mio di qua, senza la perdita di 4 o 5 per 100. Ricevei i piatti, ma inferiori assai a quelli della P. V., e con pagar di condotta il doppio di quello che si paga per l’ordinario, che così fu pattuito in Perugia dal P. I). Angelo ( ,) : ma questo poco importa. Mi avviserà della prima spesa, et io sodisfarò il tutto. Scrivo in fretta, in casa del S. Niccolò Aggiunti, essendo l’ora tarda, per essermi trattenuto ben 2 horo col nostro Ser. mo Padrone in dar principio alle mecaniche. Qua mi ò comparso 4 fiaschi di greco e 50 cantucci, mandati non so da chi: favoriscami d’intender se dal S. Lorio <:f) o da altri, e ille¬ so l’avvisi, acciò possa renderne grazie. Mandai la palandrana a Vin¬ cenzo (4) , e non mi scrive la ricevuta: desidero intender quello che fa. È notte, et io ho a tornare in villa: gli bacio le mani insieme col S. Niccolò. Di Fir. ze , li 21 di 9mbre 1625. Della P. V. molto R. Ser. re Aff, m0 G. G. Fuori [... ,]. m0 Don [,...]i Studio, in Pisa. <' 8 ' Lorio Loru. <*> Suo figliuolo. U) Cfr. n.° 1738. < 2 i Angelo Bota. XIII. 37 290 22 NOVEMBRE 1025. [1743] 1743. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, SS novembre 1(525. Aroh. Morsigli In Bologna. Busta citata al n.« 1088. — Autografa. Molto 111. 1 * Sig. ro e Pad. n Col.® 0 Ilo letta con gusto la lettera del S. C. Cli. (n , e la rimando a V. S. qui alligata, et insieme una mia in risposta di una sua ricevuta da me questo giorno dal medesimo Sig. Cav., il quale mi dìi conto d’haver Lauto la risposta del Keplero contro all’ Antiticone, intitolata Ipera- spiste (2) , della quale liavovo giti Lauto avviso di Roma, e la sto con desiderio aspettando, perdio intendo elio in ultimo vi è anco un’ ap¬ pendice per il mio Saggiatore. Con non minor curiosità vedrò la scrit¬ tura elio V. S. sta attendendo, et il tutto resterà coperto, come ordina. Il discorso di V. S. contro all’ impassibilità del cielo mi piace assai, io et io Lo di già, ne’ Dialogi t:,) elio vo scrivendo, inserito altre conside¬ razioni circa la medesima conclusione. E veramente quando i cidi lusserò quali so gli figurano i Peripatetici senza sapere perchè, credo cLe non sarebbon buoni nè per loro nò per noi, nè potrebbono operar cosa veruna; et in somma sarebber giusto qual sarebbe il nostro globo terreno, quando in esso non si facesse nulla, ma fusso un corpus iners et inutile pondus, tanto più ignobile di quello clic è al presente, quanto un cadavere di un animai morto ò inferiore al medesimo vivente. V. S. a suo tempo vedrà quanto scrivo in questo proposito. Saluterò in voce il S. Mario, e con lettere il P. Don Benedetto, 20 per parte di V. S. ; alla quale per fine bacio cordialmente le mani, e gli prego intera felicità. Da Bellosguardo, li 22 di Novembre 1G25. Di V. S. molto I. Ser.™ Obblig. mo Galileo Galilei. <*> Cfr. D.O 1718. <*> Cfr. n.o 1741. <»> Cfr. n.» 1700. [1741] 10 DICEMBRE 1G25. 291 1744*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Pisa, IO dicembre 1625. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. X, car. 224. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. mo Rendo molte grazie a V. S. che si sia degnata di mandarmi le sue considera¬ zioni intorno al moto de’ fiumi 01 , c maggiore sarà il mio obligo se lei applicar^ la mente a quelle chiavi per aprire ingressi ad accidenti maggiori, come mi accenna nella sua; c non solo io resterò obligato, ma tutti i galantuomini, e si vorificarà un mio detto in Ferrara, in Bologna e ultimamente in Roma, che questa era ma¬ teria per Tingegno di V. S., e non per il mio, come ogni dì più vo conoscendo. Mi occorre significargli un garbuglio che mi passa per il capo, il quale ò stato in gran parte, o torsi totalo, causa che io non dimostrassi i due ultimi prornrn- io ziati, c che nel dimostrare la terza proposizione tenessi il metodo che ho tenuto. Il garbuglio è questo: elio non ho mai potuto saldare la partita, nò trovo modo di saldarla, Se l’acqua corra con la medesima velocità nelle parti superiori come nell’inferiori. E per tanto, per sfuggire questo punto, o, por dir meglio, per non kaverne bisogno, ho tralasciato il concetto di quei prismi d’acqua che passano per le sezioni etc., perchò se queste correnti non sono le medesime nelle parti superiori che nelle inferiori, non ritrovo quei prismi: e so che nasce dalla mia debolezza; però V. S. mi scusi, e apra la mente, perchè doven[to] matto intorno a questa materia. Ilo fatta l’ambasciata al S. r Vincenzo. Ieri sera tardi, a 23 bore, Livorno 20 sparò tutta l’artiglieria, sì che il Sig. r Card. 1 Legato {5) deve esser gionto; et io hora voglio partire per Livor[no], già elio non fui a tempo ieri sera, e farò ri¬ verenza a S. S. Ill."' a da parte di V. S. Con che li bacio le mani. ' Pisa, il 10 di Xmbre 1625. Di V. S. molto [Ill. re et] Ecc. nia Oblig. mo Ser.™ e Dis.'° Don Bened. 0 Castelli]. Ho mandata al P. Abate di Badia una copia di queste mie cosette, nella quale ci è un poco di gionta, con ordine che la dia al Sig. r Mario. Se la vole vedere, lo dica al Sig. r Mario. so Fuori: Al molto Ill. r0 [et] Ecc.' n,, Sig. r e P.ron Col. ,no [....] Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. <»> Cfr. n.« 1742. l s > Fkanorsco Barbichisi. 292 10—19 DICEMBRE 1625. [1745-1746] 1745*. CESARE MARSILI fi GALILEO in Firenze. Bologna, 10 dicembre 1626. Uibl. Rat. In Modena. Raccolto Cwnporl. Autografi, B.» I.XXIX. n.• 167. - Autografa la sottoscrizione. Molt’IU. M et Ecc. m0 S. w et P.rone mio Oss.” 0 Il S. 1 "*' Dott.H" Claudio Achillini ò divenuto talmente partiale, dopo havfìr viste, le opere et scritturo di V. S. Kcc. m *, elio ardisco diro non cedi a me medesimo: però io sto con gran desiderio ch’ella si compiaccia che per una sera (se cosi ò di suo gusto) le facci vedere la risposta eli’ella foco all’Ingoli, che si com¬ piacque favorirmene. Inviai la lettera clic ricevei da V. S. Kcc. m * al Cav. r * Chiaramonti, al quale anche adimandai il libro del Koplero {l) scrittolo contro, sapendo che ne liavcva due copie; il quale mi ha significato che me lo inviarli quanto prima, con le scritture promesse. So V. S. Ecc." 1 * comandarli, farò far copia dell’appendice io contro il suo Saggiatore, o gliola recapiterò. Tenendo in obligationc di risposta di una del Padre D.Ilcnedetto, porciò non incaricarò V. S. Ecc.™ 8 di salutarlo. con tal line lo faccio humilissima riverenza e le bacio le mani. Di Bolog.% li 10 di Dee.’ 1 " 1625. Di V. S. molto 111.»* et Ecc. ma Oblig." 10 Sor/ 8 S/ 8 Galileo Galilei. Cesare Marsili. Fuori: Al molt’III/ 8 et Kcc. mo Sig/ 8 et P.rono mio Oss. mo Il S/ 8 Galileo Galilei. Fiorenza. 20 1746. DIARIA CELESTE GALILEI a (GALILEO in Bellosguardo]. Arcetrl, 19 dicembre 1625. Bibl. Nftz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII. csr. 51. - Autografa. Molto 111/ 8 et AmatÌ8s. mo Sig. r Padre, Del cedro che V. S. m’ordinò eh’ io dovessi confettare, non nc ò accomodato se non questo poco che al presente gli mando, perchè dubitavo che, per esser <*> Cfr. n.® 1741. 19—27 DICEMBRE 1625. 293 [1746-1747] così appassito, non dovessi riuscir di quella perfezione ch’io havrei voluto, come veramente non è riuscito. Insieme con esso gli mando dua pere cotte per questi giorni di vigilia. Ma, per maggiormente regalarla, gli mando una rosa, la quale, come cosa straordinaria in questa stagione, dovrà da lei esser molto gradita, e tanto più, che insieme con la rosa potrà accettar le spine, che in essa rappre¬ sentano l’acerba passione di Nostro Signore; et anco le sue verdi fronde gli si- io gnificheranno la speranza che (mediante questa santa passione) possiamo bavere, di dover, doppo la brevità et oscurità dell’inverno della vita presente, pervenire alla chiarezza c felicità delPeterna primavera del Cielo: il che ne conceda Dio benedetto per sua misericordia. Et qui facendo punto, la saluto insieme con S. r Ar- changcla affettuosamente; et stiamo ambe dua con desiderio di saper come stia V. S. al presento di sanità. Di S. Matteo, li 19 di Xmbre 1625. Di V. S. molto Ill. re (ili rimando la tovaglia nella quale mandò in¬ volto l’agnello ; et V. S. ha di nostro una federa, 20 che mandammo con le camice, una paniera et una coperta. Affma Suor M. r Celeste. 1747. GALILEO a BENEDETTO CASTELLI in Pisa. Bellosguardo, 27 dicembre 1025. Biblioteca Palatina in Parma. Bacheca. — Autografa. Molto Rev. f, ° Padre e mio Sig. r Col. mo Con V augurargli felice Capo d’anno e rallegrarmi che si sia libe¬ rata dal suo male, assai da me hauto in orrore, vengo a rispondere alla gratissima sua, significandole che mi piace che Vincenzo si porti bene, come anche mi significa il S. Pieralli (,) , e che spenda quello, che ella gli somministra, onoratamente ; avvertendo però che si po¬ trebbe spendere onoratamente molto più di quello a che le mie forze si estendono : però, essendo uscito di quelle spese straordinarie che sono state necessarie farsi su questo principio, io mi contento, io e di tanto devo contentarsi esso ancora, che per V avvenire, comin¬ ci Maro’Antonio Pierai,m. 294 27 — 28 DICEMBRE 1625. [1747-1748] ciancio con l’anno nuovo, habbia 3 scurii il mese, da impiegargli nelle suo spese minute; e di tanto faccia capitale, e no compri figuro rii gesso, cordo, carta, penne et altre coso di suo gusto: o dovrà con¬ tentarsi di havere tanti scudi, quanti io della sua età havevo giuli. Di grazia si governi, e tema il suo nimico, perchè è formidabile. Non Lio ancor vedute l’ultime suo scritture; ma intendo elio sono in mano clol S. Mario' 11 , e lo vedrò presto. Io ancora vo ghiribizando ; o tra gli altri problemi sono attorno all’investigare come camini il negozio dell’accelerarsi l’acqua nel dover passar per un canale più stretto, ancor che il letto habbia l’istessa declività nel largo e noll’an- so gusto. È tardi, e non posso esser più lungo: gli bacio lo mani o gli prego felicità. Da Bell. do , li 27 di Xrnbre 1625. Della P. V. molto R. Ser. r '' Àff. mo G. G. Fuori : Al molto R. Padre e mio Sig. r Col. mft D. Ben.' 0 Castelli, Lettore di Studio, in Pisa. 1748. GIOVANNI CIÀMPOLI a GALILEO in Firenze Roma, 28 dicembre 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 29. — Autografl il poscritto e la *ottoscrizion*. Molto 111." Sig. r o P.ron mio Oss. mo Ilaverei passata la fino di questo Anno Santo con notabilissimo auguro onto di consolatione, se havessi havuta fortuna di veder e goder V. S. in queste parti nel serrarsi lo Porto Santo, conio olla accenna haverno già fatto proponimento (2 ’. Con¬ fido però tanto noi mio desiderio o nella futura stagiono, che ben spero di veder di nuovo honorata la nostra convorsationo do gl’ ammirabili discorsi di V. S. Mentre anderò nutrendo questa speranza con i buoni auspicii della benevolenza conservatale tuttavia da Nostro Signoro, non resto di render a V. S. affettuose gratie del contrassegno inviatomi del continuato amor suo ; o baciandole con tutto Fanimo le mani, prego Pio che le augumonti ogni bone. 10 Di Roma, il dì 28 Dicembro 1625. Di V. S. molto 111." “> Cfr. u.* 1744. •*’ Cfr n* 1721. [1748-1749] 28 DICEMBRE 1625. 295 lo non mi sono scordato mai dell’ intentione datalo da N. S. ro per conto del S. r suo figliuolo 11 ’, o l’Iio ricordata. Trovo in S. S. u la medesima vo¬ lontà, ma la scarsità dell’occasioni rendo scusabile la dilatione nell’ eseguirla, lo premo oltre modo acciò olla resti consolata, e fra tanto le ricordo la mia obligatissima servitù. 20 Dev. mo et Oblig. mo Se/ 0 [S.] r Galileo Galilei. Fir.® G. Ciampoli. 1749. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 28 dicembre 1624 **>. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal,, P. I, T. IX, car. 31. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo S/° e P.ron mio Col. 0 La sua lettera mi è stata gratissima, così per darmi avviso della sua sanità, come anco per promettermi il discorso intorno a i problemi del limono (3 . Ella non mi può faro regalo più pretioso, perchè i parti del suo intelletto soprlinmano sono stimati da me come tesori di sapientia celeste. Mi rallegro poi elio il Dialogo 1,1 sia quasi porfottionato e elio la materia so¬ prabbondi, perchè quanto maggiori viaggi farà la penna di V. S., tanto più luco porterà agl’ ingegni. Io lessi la risposta fatta all’Ingoli, e ne referii anco gran parto a N. S/° elio io gustò molto doll’osorapio del vaglio e di quei corpi gravi giudicati poco atti al moto, con quello gratioso esperienze ch’olla no adduce (6) . Non mi scordai, con questa occasione, di rammemorar la promessa fattale per il S/suo figliuolo, la quale mi fu rinovata : ma l’incontro malo fin qui è stato, che da qualche mese in qua, in una eccessiva penuria di vacanze, la Dataria ha fatto un poco di rac¬ colta per poter dare la solita mancia alla famiglia pontificia. Subito che questo sarà effettuato, io tornerò a ricordar gl’ interessi del S/ Vincenzo, e procurerò che si riduca all’atto la benigna intenzione di N. S re . Prego Dio elio conceda a V. S. ogni prosperità, con felice principio di questo e molti anni appresso. Di Roma, il dì 28 di Xmbre 1G24. 20 Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma Dev. mo et Ohi/" 0 Se/ 0 S/ Galileo Galilei. Fir. G. Ciampoli. O! Cfr. n.® 1037. <*' L'anno devo essere 1921 ; cfr. nota al n.° 1697. < 3 > Cfr. n.® 1707. l*l Cfr. n.° 1700. <»' Cfr. Voi. VI, pag;. Ó05 29G 1° GENNAIO 1626. [1750] 1750 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. l’ina, 1° gennaio 1C_*0. Bibl. Naz. Flr. Mn dal.. P. VI, T. XI, <*»r. 7. — Autografa. Molto 111.'° ot ICcsc.*® Sig. r o P.ron Col. 0,0 Non scrissi a V. S. per l'ordinario passato, perchè non bavero riceuta la sua dei 27 l,) , e non havemìo cosa ili nuovo so non duo appendice al mio Tr&ttatello ilei moto de* fiumi le mandai al nostro Sig. r Mario, pregandolo elio le comunicasse a V. S. In una toccavo un particolare scritto da Giulio Frontino, antico scrittoi* illustre, De aqurductilms 1 ionia nel quale mi pare che Frontino [...] haver errato nella misura dell’acque per non haver considerata la velocità ; e tocco volentieri questo punto, perchè insieme vengo a significare che il mio pensiero non ò stato messo in campo da nessuno sin bora: nell’altra appendice noto il mancamento specificatamente de gli ingegneri del nostro tempo, e più di quei di Ferrara, i io quali, nel concludere 1*alzamento che può fare il Reno in Po, non tengono conto della variazione della velocità. Nel resto, quanto al problema che V. S. mi ac¬ cenna, potrei dirli quello che ho considerato qui in Pisa nelle pieno d’Arno, mentre l’acqua passa sotto gli archi dei ponti (minore sezione di quelle che sono avanti il ponte e dopo passato il ponte) : ma perchè ci vorrohbe più presto comodità di voce che di penna, mi riserbo a dirli questo, con alcune altre cosette a bocca. In tanto se V. S. ritrova cosa alcuna, ine ne favorisco, e mi conservi la sua grazia; con elio li bacio le mani. Di Pisa, il p.° del 1G26. Di V. S. molto 111.*» Oblig.® 0 Ser." e Dia. 1 ® 20 Don Bened. 0 Castelli. Ilo fatta (...Jmbasciata al Sig. r Vincenzo, il quale si contento, di quel che piace a V. S. Fuori: Al molto 111/* 5 et Ecc. m ® Sig. r e P.ron Col ®o Il [...Galileo (ìajlilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. <» Cfr. n.o 17-17. Cfr. n.» 1922. [1761-1752] 10 GENNAIO 1626. 207 1751 . GALILEO n [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 10 gennaio 1020. Arch. Marslg-ll in Bologna. Busta citata al n.® 1688. — Autografa. Molto ni." Sig. Te e Pad." Col. ,no Ho ricevuto 2 bore fa il plico mandatomi da V. S. (,) , e gli lio dato una scorsa, nella quale mi si sono Io cose contenutevi rappresentate di non molta efficacia : e di che altra condizione possono esser le instanze ad una fermissima verità? Le rivedrò più posatamente, o se non faranno più di quello elio mi soglino far simili centradizzioni, so che mi andranno sempre calando tra le mani. La ringrazio intanto del favore, e sto aspettando la mia parte di Keplero E perché P bora è tarda, finisco con baciargli reverente le mani, con ricordarmi ser¬ io vitor di cuore e cou pregargli da Dio intera felicità. Di Fir." liX di Gemi. 0 1625 (3 '. Di V. S. molto I. Ser. re Dev. mo Galileo Galilei. 1752 *. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 10 gennaio 1G2G. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 9. — Autografe le liu. 19-24. Ciò che precede è di mano di Fkincesoo Stelluti. Molto Ill. rB et molto Ecc. te Sig. r Oss. mo ltingratio V. S. dell’ augurio di felicità inviatomi in questo sante Feste di Natale, e prego il Signor Dio che di altrettanti beni consoli V. S., e la conservi sana, chè, come vedo nella gratissima sua, questi tempi così Immidi non la trattali troppo bene: però deve astenersi dalle fatiche, e non far se non quanto comporta il suo presente stato. Circa all 'Hiperaspistes del Keplero 05 , dal nostro Stelluti intenderà che presto V. S. rilaverà, non potendo io dirgliene cosa alcuna, non m’havendo permesso li miei travagli di poterlo vedere. (*» Cfr. n.° 1753. liu. 3. (9) Di stilo fiorentino. 298 10 GENNAIO 1626. [1752-1753] La sua venuta qui io non la desideravo se non quanto fosse stata di suo io gusto e commodo e senza pregiudizio della sua sanità, la quale stimo tanto quanto la propria, ondo ci studi! pure per conservarla. Io apena posso respirare dalli tanti negotii e travagli o di corpo e di mente; con tutto ciò non lascio qui dor¬ mire le stampe, lavorandosi continuamente, come Y. S. poi vedrà. Son sicuro che lei mi desidera ogni bene, et io con tutto l’animo le corrispondo, desiderosissimo mi comandi sempre: o con questo con ogni affetto di cuore le bacio le mani, e prego da N. S. Dio ogni contentezza. Di Roma, li 10 di Gennaro 162G. Di V. S. molto IU." e molto Ecc. u Li travagli presenti non mi permettono lo sten- 20 dormi quanto io vorrei, Bacio a V. B. le mani, e la prego a commandarmi sempre. AlT. mo per ser. 1 * sempre Fed. co Cesi Line." P. 1753. CESARE MARSILI a GALILEO fin Firenze]. Bologna, 10 gennuio ISSO. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* J.XXIX, n.« 108. — Autografa la sottoscrizione. Molt’111." et Ecc. mi> S" et P.rone mio ()ss. mo 1-Iieri per un Padre Giesuato n inviai a V.S. Ecc."* VIperasjristc del Eupleri et alcuni spatii sono, le scritturo di quel Cavaliere 11 ’ contro la positiono del Co¬ pernico. Spero che l’uno e Paltre saranno gionto sano; ma perchò il libro mi ò stato mandato in presto, perciò non ho campo, mentre non ne capitasso qual¬ cheduno nelle nostre librario, del che subito l’avisarò, di lasciarglielo per molto tempo. Havorò caro d’intenderne la ricevuta, et anche, so non fosse troppo ar¬ dire il mio, il suo giuditio, sì intorno a questo come anco intorno allo scritture, da poter, come me, scrivere al S. ro Cavaliere, acciò paia che questo cose da lui mandato siano da me state vedute. Et non liavendo filtro per bora che scrivere io a V. S. Ecc. m *, per fine le faccio riverenza, et me le ricordo servitore partiate. Di Bologna, li 10 di Denaro 1020. Di V. S. molt’ III." et Ecc. m » DeY. mo Ser. r0 S. ra Galileo Galilei. Cesare Mar si li. o* BnsAYBTrriu Cavalikri. Cfr. u.« 1757. <*> Cfr. n.* 1741. scino:.» Cmiakamoxti. [1754] 10 GENNAIO 1620. 299 1754 * FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 10 gcunaio 1626. 3311)1. Nftz. 3Tir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 11. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss. ,no Per le molte mie occupationi io non ho altrimente letto il libro del Keplero contro il Chiaramonti (,) se non in alcuni luoghi ; e realmente il detto Chiaramonti vien mal trattato dal Keplero. Nel fin del qual libro fa un’aggiunta di otto carte, e la chiama Spicilegium ex Tndìnatore Galilei: dice, essergli capitato alle mani il Saggiatore di V. S. dopo finito questo contro il Chiaramonti, e che, vedendoci il proprio nome e quello di Ticone spesso replicato, lo volse leggere e rispondere ad alcune cose in quello accennate di Ticone. Non però tratta V. S. in maniera che n’habbia a faro un libro et apologia formata, anzi in alcuni luoghi la loda; io e tratta anco del Sarsi, ma si dichiara che non vuol esser giudice in questa causa. Si maraviglia che V. S. lodi il Chiaramonti, c elio danni il sistema Co¬ pernicano, sopra clic va scherzando c motteggiando. E qui sotto noterò li capi principali dove tratta di V. S., cavati dal suo indice (5) : Galileus geometra. Gniduccii sui personam substinet , dum ab óbscrvaiionibus excipit. Aestiinator idoneus observationum. Bigklus Tychoniani Pscudographcmatis cetisor. Gtdilaei obscrvata de codi novitatibus et maculiti Solis praestantissima. Car laudet Anti-Tychonem Glaramontii. 20 Cur contra hypothesin Copernici loquatur, JEius oscitatio. Sarsio sus2)cnsa verba obiicit. , .• Negat solidos orbes. Ej/us existimatio de Tyclione mitigata. Questi capi son notati nell’indice, ma non starò a dirgliene altro, perchè presto V. S. potrà vedere il tutto nell’ istesso libro ; perchè, essendo andato questa mattina dal ìibraro del Sole, che appunto sballava i libri forastieri venuti ulti¬ mamente, et havendogli dimandato se vi era VHypcraspistcs del Keplero, e det¬ tomi di no, me ne lamentai fortemente, perchè sempre m’havea detto che veniva 30 con questi libri: vi era per buona sorte presente il Padre D. Oratio l8) , monaco di Lett. 1764. lo. dum ail obnervutionibua — 1741. « liuìox rorum in hoc libro niomorabiliun» ». i*> Incomincia a pag. 202 col soguonto titolo: l ®' Orazio Morandi. 300 10 — 14 GENNAIO 1626. [1754-1755] S. Prasscde di Roma o (li Valiombrosa, quale, sentendomi nominare V. S. o la¬ mentare, volse sapore la cagione, la quale intera, mi disse che lui già comprò uno di detti libri e elio l’haveria mandato a V. S., giachè tanto lo desiderava, o cosi mi promise di fare senz’altro; et io ne sarò il sollecitatore, se tarda a venire. Si trova qui tuttavia il Padre Scbeiner 10 (Gesuita, che credo stampi le suo osservationi delle macchie solari 1 *'; e disse alcuni giorni sono al nostro Sig.* Fabri, che coBa stampava di nuovo V. S.; a che rispose di non saperlo; e lui roplicò o’haveva inteso che stampava del flusso o reflusso del mare, e che desiderava di vederlo, e concorro con Popinione di V. S. circa al sistema mondano. 11 Sig. r Principe fa stampare alcune cose intorno alla materia d’api l>) , quali io manderò insieme con altre copie di quelle figure. 11 detto Signore Rta travagliato, poiché mercordì passato la Sig. r * Principessa partorì un figlio maschio, e questa mattina é andato al Paradiso, non essendo arrivato al terzo giorno, e non è morto d’infantiglielo come gli altri; di modo che di 3 parti c’ha fatti ultimamente la Signora, tutti son morti il terzo over quarto giorno: ond’io molto lo compatisco. Sia lodato il Signore, quale priego che conceda a V. S. e buona salute e lun¬ ghezza di vita con ogni altro desiderato bene: e le bacio le mani. Di Roma, li 10 di Genn. 1626. Di V. S. molto UL m et molto Ecc.'* Se. r Aff. ,nn et Vero Frane. Stei 1 uti. bo 1755*. FRANCESCO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Noma, 14 gennaio 16*26. Bibl. Nai. Fir. Mm. CUI., P. I, T. XIV, car. 197. — Autografa la firma. III." Sig. re Richiedo l’afFettione che V. S. mi porta, e che ha voluto di nuovo farmi palese nell’oportunità dello Santo Feste, eh’ io le continovi quella dispositione della mia volontà che si devo alle qualità di lei, la quale potrà conoscere in ogni sua occa¬ sione. E per lino le prego felicità. Roma, 14 Gennaro 1626. Al piacer di V. S. S. r Galileo Galilei. Firenze. F. Card. 1 Barberino. Fuori: All*111/* Sig. r * Il S. r Galileo Galilei. io Firenze. (1 > Ceibtoporo Schkihee. Nelle note di stampa doli'opera, che fa poi la Rota Unina (cfr. n.° 876), alla quale qui ai accenna. ai lexife infatti: Imprutio coopta anno 1936, finita viro 1630 Jd. /unii. »*> Cfr. n.« 1731. [1756-1757] 1G — 17 GENNAIO 1G26. 301 1756**. GIO. BATTISTA RINUCCINI a GALILEO in Firenze. Homa, 16 gennaio 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuotì Acquisti, n.° 20. — Autografa. Molto Ill. ro S. ro Mando a V. S. la licenza per tener in educatione la fanciulla eh’ ella desidera nel monastero d’Arcetri; con tutto che io dubiti di non esser a tempo, havendo riceuto tardissimo la lettera ch’ella mi scrive. Non hebbi mai avviso se capitassi a V. S. l’olio d’Artcna 01 che le inviai: però mi farà gratia di scrivermene una parola. E con tutto l’affetto per lino le bacio le mani. Di Roma, 16 Genn. 0 1626. Di V. S. molto IH.” Aff. mo Ser. r io S. r Galileo Galilei. Firenze. Gio. b., Arciv. 0 di Fermo. 1757. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 17 gcnuaio 1626. Arch. Marsigli In Bologna. Rusta citata al n.° 16S8. — Autografa. Molto 111.” Sig. rfl e Pad." Col. mo Per mano del P. Fra Buonaventura GeBuato ho ricevuto ieri sera il libro del Keplero (2) , o dato una scorsa all 5 appendice che appartiene a me ; e pochi giorni avanti (:,) mi fu resa la scrittura del C. C. (4) con¬ tro all’ ipotesi Copernicana : c se io devo a V. S. dir liberamente il parer mio, l’una e 1’ altra mi par cosa debolissima. Vero ò cho dell’ ap¬ pendice ne intendo pochissima parte, mercè non so se della mia poca capacità o pur della stravaganza dello stile dell’ autore, del quale dubito che non potendo egli difendere il suo Ticone dalle mie im- io putazioni, si sia messo a scrivere quello che altri, nò forse egli stesso, tu Cfr. 11.» 1737. <*) Cfr. un.' 1741 o 1753. l») Cfr. n. u 1751. Intonili, il Cav. Ciuaramonti. 302 17 — 18 GENNAIO 1620. [ 1757 - 1758 ] possa intendere. Quanto poi all’ altro scrittore, bavero largo campo ne’ miei Dialogi (,) di confutare quel poco più che oi produco oltre a i discorsi comuni de gl’ altri, che veramente ò pochissimo. In somma, Sig. Oeseri inio, i discorsi di questi primati rinfrancano in parte quella tenue, o dirò pusillanima, opinione elio lio sempre hauta del mio ingegno ; o più tosto che spavento, mi sento accrescere animosità a seguitar la cominciata impresa e procurar di condurre a fine detti Dialogi, puro che il Cielo mi conceda forze più valido che quello che mi trovo al presente, che pur son troppo debili per la mia mala sa¬ nità, alla quale appunto lo scrivere è capitalissimo nimico : il che 20 serva anco por mia scusa con lei, so non mi distendo più allungo. Rimanderò a V. S. con la prima occasione l’una et l’altra scrit¬ tura ; 0 trattanto, facendogli affettuosissima reverenza, insieme col P. Fra Buonavontura che ò da me, gli prego intera felicità. Di Fir ”, li 17 di Genn. 0 1625 l2 ’. Dì Y. S. molto 111.” Ser. M Dev. mo Galileo Galilei. 1758*. SCIPIONE CI1IARAM0NTI a [GALILEO in Firenze]. Cesena, 18 gennaio 1620.. Blbl. Nftjs. Fir. ZUss. Gai., P. VI, T. XI, car. 13. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. p mio Oss. mo •Diedi a V. S. Ecc. ,na conto d’haver principiata l’Apologià 0 ’ per l’Antiticone contra il Keplero: le do fiora sviso d’Laveria compita. Resta solo s’oltre la diflesa dottrinale io voglia nel fino reprimere la sua impertinenza con qualche giusta amarezza. Tuttavia non credo che sarà la modestia soprafatta dalla molta occasiono elio me ne dà. Non credo, in disputa matematica esser occorsa più più scrittura simile alla sua, nella quale però credo havrà espressa la colomba d’Esopo, che volò all’acqua dipinta o roppe l’ali: tanti errori puerili in mate¬ matica ha commessi; se bene non m’era nova la poca sua accuratezza nel di- 01 Cfr. Voi. VII, pag 245, 293, 309, 652. <*' Di stilo fiorentino. < s > Apologia ScipioyiB Cl.ARAMONTlS, Canenatù Dio Auliigchone tuo adoenut Jlyperittpitlcn Ivanni» Kepltri. Confirmatur in hoc oporo, rntionihus ox parallaxi praosortim duetto, contrariisquo omnibus reiectto, comotas suhlunaros esso, non caelostos. Vouotiis, npud Evnngeliatttui Douchinum, M.DC.XXVL 18 — 24 GENNAIO 1G2G. 803 [1758-1759] io mostrare geometricamente, c nel 3° mio libro delle stelle fìsse, e nel supplemento dell’Antiticone, non ancora stampati, liavcvo cotal suo genio scoperto. Riceva V. S. questo aviso per segno della mia molta osservanza alla sua per¬ sona. Io porrò l’opera all’ordine della stampa con farne far buona copia, e poi subito la trasmetterò allo stampatore elio l’aspetta, ristampando insieme, credo, per l’infinità dogli errori occorsi, l’Antiticone. Subito stampato, ne manderò un corpo a V. S. Ecc. ma , alla quale baccio di vivo cuore le mani. Di Cesena, il dì 18 Denaro 1G2G. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ma Riportò il S. or Card. 10 Orsino 05 che molti tre- 20 conelli havevano conspirato di scrivermi contra; ma potranno accorgersi, che s’in due mesi ho ri¬ sposto al capo, in altretanto risponderò loro. Divot. mo Ser. r0 Scipione Oh. GIOVANNI CTAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 gennaio 1C2C. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. IX,' car. 33. — Autografi il poscritto o la sottoscmiono. Molto 111. 1 * et. Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Oss." 10 Se io non sperassi in breve poter render pago il mio desiderio con la con- • ■ versatione del nostro Padre Era Buonaventura, invidierei V. S., che nella somma quiete di cotesta sua villa gode i suoi discorsi e la communicatione de i suoi no¬ bilissimi pensieri. Mentro starò attendendo il giorno del suo arrivo, prego V. S. a conservar viva memoria di me et a pensar di honorarmi, con occasiono della sua venuta, di alcun comandamento; che io con tal fino le bacio con reverente af¬ fetto le mani. Di Roma, il di 24 Genn. 0 1G26. io Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. ,nn Io non posso se non render gratie a V. S. del trattenere il P. F. Buonaventura. Egli arriverà qua ricco non solo de’ proprii meriti, ma de’ pensieri Lett. 1758. 10. mio libro libro tirile — »‘i Ai.kssanj»uo Orsini. 304 24 GENNAIO 1020. [1750-1700] ammirandi del S. r Galileo. SI che in questo parti¬ colare io non posso se non approvare quanto fa¬ ranno intorno alla dimora, sì come invidio la loro conversatione, che da me si anteporrebbe a tutti i titoli do la fortuna. I) 0 Y. mo Ser.™ S. r Galileo Galilei. Fir • Gio. Ciampoli. 20 1760**. TOMMASO IUNUCCIN1 a GALILEO in Firenze. lComa, 24 gennaio 10'JO. Autografoteca Morrlson in Londra. — Autografa. Molto III.™ Sig. r P.rone Col."* 0 Se tardi rendo gratie a V. S. della cortesissima sua lettera de’ 22 del pas¬ sato, la prego ad incolparne la congiuntura nella quale la ricevei, che l'u sei giorni doppo il mio arrivo, mentre havevo gli stivali in piedi per andare a ser¬ vire la Sig. ra Duchessa a Cortona, dove git\ si trovava il Sig. r Principe, con il quale m’ò riuscito trattenermi pili di quello credevo, sicché non prima di pochi giorni sono ritornato; e perciò mi rendo appresso di V. S. capace di qualche poca scusa, con tutto che io non conosca di meritar condonazione alcuna, essen¬ dole per molti rispetti infinitamente obligato. Le ne rendo dunque adesso quelle maggior grazie che posso, con assicurarla della stima che lo in ogni tempo de’suoi 10 favori. La lettera per l’Ill. mo Sig. r Cardinale Padrone 10 la mandai subito ad un suo servitore mio amico, acciò la ricapitasse, già che, per la congiuntura che ho detto, io non potevo servirla doppo il mio ritorno, per aver trovato S. S. ri “ lll. , " a in negoz[...] per Spagna non ho hnuto coinmodità di lunghi discor[.] assicu¬ rarla che il Sig. r Cardinale riverisce lo sue virtù, e stima e commenda la sua persona, quanto lei merita, in ogni occasione. Io torno a servirlo ancora in que¬ st’altro viaggio, nel quale vorrei aver fortuna migliore che nel passato circa a servire V. S. ; e questo solo ha da dipendere dal favorirmi lei di qualche coman¬ damento, sicome con ogni umiltà la suplico. La partenza sarà intorno a mercoledì; 20 e questo tempo breve e la spesa replicata del viaggio m’impedisce ancora adesso di sodisfarla di quello le devo : ma confido tanto nella sua bontà, che son certo Oi Francesco Barberini. 24 — 31 GENNAIO 1G26. [1760-1761] 3» 5 che mi compatirà e mi scuserà, con sicurezza dell’eterna mia obbligatione. E con questo, augurandole ogni intera prosperità con piena salute, le io con ogni affetto reverenza. Di Roma, li 24 Gemi. 0 1(526. Di V. S. molto 111.™ Obbl. mo Ser.™ S. r Galileo Galilei. Tommaso Itinuccini. Fuori: Al molto 111.™ Sig. re e P.rone Oss." 10 so 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1761. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 31 gennaio 1020. Avoli. Marnigli In Bologna. Busta citata ni n.® 1CS8. — Autografa. Molto 111.” Sig. re e Pad. n Col. 1110 Accennai con altra mia (l) il concetto che mi formai del libro e della scrittura mandatami da V. S. molto I. nella prima scorsa : hora gli soggiungo che, nel rileggerli più posatamente, mi sono ancora più ca¬ duti di mano. 1 laverò ne’ miei Dialogi campo di difendermi dalle leg¬ gerissime opposizioni del Keplero, e di mostrare la nulla concludenza de gl’ argomenti assai comuni dell’ altra scrittura : però di presente me la passerò di così. 11 S. Francesco Stellati mi scrive di Roma haver in traccia di inali¬ lo darmi il libro del Keplero quanto prima, e subito ricevutolo riman¬ derò l’altro a V. S. ( ‘ 2> , insieme con l’altra scrittura. Però mi perdoni questo poco d’indugio, cagionato anco dal poter io poco applicarmi a letture, e massime di libri scritti in stile tanto duro e oscuro. Gli rac¬ comando 1’ alligata per il S. C. Cliiaramonte, la risposta del quale al Keplero sto attendendo con desiderio ; e per fine a V. S. molto I. con reverente affetto bacio le mani, e gli prego intera felicità. Di Fir. ze , l’ult® di Genn.° 1625 (3> . Di Y. S. molto I. Ser. re Obblig.™ 0 Galileo Galilei. <»i Di stilo fiorentino. * 30 (') Cfr. u.° 1757. i*> Cfr. n.® 1753, Jin. 4-7. XI IL 306 2G FEBBRAIO 1026. 11762] 1702 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Firenze). Arcutri, HO febbraio ItiZG. Bibl. Nrz. Pir. Mas. Osi., P. I, T. XIII. csr. 49, — Autorrafa. Molto 111." et Amatisi"* 0 Sig. r Padre, L’haver V. S. lasciato, li giorni passati, tli venir a visitarne (essendo stato il tempo assai quieto, lei, per quanto ho inteso, con sanità, et sonza Poccupazione «Iella Corte) sarebbe bastante a causar in me qualche timore che fossi in parte diminuito l’amore elio grandissimo ne ha sempre dimostrato; se non che gl’effetti dell’ amorevolezza sua in verso di noi tanto frequenti mi liberano da questo so¬ spetto: sì che più presto m’inclino a credere ch’ella vada differendo la visita mediante la poca satisfazione che riceve dal venirci, tanto da noi che, mediante la nostra non so s’io mi dica dappocaggine, non sappiamo dargliene più, quanto dall’altre che per altro cagioni poca gliene danno. Et per questo lascio di la- io montarmi con lei, come farei se non havessi questo pensiero; et solo la prego a conformarsi, con il lasciarsi da noi rivedere, se non in tutto al suo gusto, almeno al nostro desiderio, il qual sarebbe di star continuamente da lei, se ne fossi lecito, per farle quelli ossequii elio i suoi meriti et il nostro debito ricercherebbono. Et poi che questo non ci 6 concesso, non mancheremo giù di satisfare a questo de¬ bito con tenerla raccomandata al Signore, che gli conceda la sua grazia in questa vita et il Paradiso nell’altra. Dubito che Vincontio non si lamenti di noi, perchè indugiamo tanto a man¬ darli i collari elio ci mandò a domandare, dicendo olio ne lmvova carestia. Di gratin, V. S. ci mandi un poca di teda batista, acciò gliene possiamo cucire, et 20 anco ci dia qualche nuova di lui, chè lo desideriamo. Et so a lei occorro qualche cosa per suo servitio, nella quale possiamo impiegarci, si ricordi che ci è di gusto grandissimo il servirla. E qui facendo line, a V. S. mi raccomando, insieme con Suor Archangela. Di S. Matteo, il primo giorno di Quaresima del 1625 (,) . Di V. S. molto 111.™ Aff."" 1 Fig. la Suor M.* Celeste. O» Di stilo fiorentino. [1763] 27 FEBBRAIO 1626. 307 1763 *. BARTOLOMEO IMPERIALI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 27 febbraio 1626. Bibl. Naz. Fir. Ita. Gal., P. VI, T. XI, car. 15. — Autografa. Molto 111.™ et Eccell."’ 0 S. r mio Oss. ,no Il mio Padre Santini 01 , che mi ama daddovero, quando è certo di favorirmi straordinariamente, non tralascia l’occasione, che al presente è stata delle più disperabili che mi potesse offrire, nel dimostrarmi la gentilissima lettera di V. S., nella quale si compiace di far sì cortese memoria di me, che lo vivo tanto obli- gato. L’avrei preocupata, S. r mio Galileo, come soleva prima, so le guerre e qualche cura publica me l’avessero conceduto: il danno ò stato il mio, perchè nel corso di questo tempo, con l’occasione delle sue risposte sempre dotte, avrei imparato quel che non so, e da chi sa assaissimo. Se ella così si compiacerà in io l’avonire, mi rifarò del disavantaggio, perchè del resto io faccio profesione di esserle vero servitore c partiale. Io in tanto incomincio a far triegua co’ libri, ma non con molti c varii. Mi è saltato il capriccio d’intender le mirabili proprietà degli specchi. La dirò come l’intondo: non trovo autori che abbiano ex professo trattata questa bellissima scienza: Vitclliono, come V. S. sa, ha trascurato molte cose: vorrei veder alcun moderno: olla saprà il nome di qualcheduni: di grafia, mi faccia grafia a scri¬ vermene, perchè io li commetterò dove saranno. E so V. S. avesse alcuno scritto o trattato, massime se fusse suo, mi sarebbe di grandissimo gusto per imparare, con avergliele a rimandare quanto presto comandasse. Scusi l’incomodo, la cu- 20 riosità e la sigurtà. Al Padro Grassi ho fatto la medema richiesta; ma si è scusato elio non s’intende molto di questa scienza. E stato tre giorni a Genova, e si è partito Paltrieri per Siena; non mi venne veduto altra volta. Si parlò di V. S., et egli ne fece onoratissima commemorazione, c mi disse che l’anno passato cercò di riconciliarsi con esso lei, ma che ella non so ne compiacque; si duole del Mostro Ricardi (S) , elio, indovinando una risposta che altri diceva farsi dal Grassi contro l’opposizioni di V. S., disse: Vicisti, Galìlaec. Vuol fare stampare in Lione la risposta il detto Padre, avendo ritrovate difficoltà in Roma: l’ho pregato a desister insino a tanto che Lavisi. Ho voluto dargliene parte, perchè se io fussi buono per questa riconciliazione, mi terrei quasi felice. Le penne, Lett. 1703. 26. Galileat — («) Antonio Santini. < ! > Niccolo Riocarm. 308 27 — 28 FEBBRAIO 1626. [1763-1764] do’ religiosi particolarmente, non si donno aguzzare così acerbamente: io no sento so disgusto, e so bene so ohe V. S. sa risponder per lo rime, tutta volta dispiaciono l’occasioni. Io mi dichiaro in tutto per tutto del mio S. r Galileo, al qual bacio le mani e son Borvitor fin che vivrò. Genova, 27 Feb.° 1626. Di V. S. molto 111.* et Eccoli. m * Aff>° Ser. Bartolomeo Imperiale. 17G4*. FRANCESCO STELI,UTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 28 febbraio 1S20. Blbl. Eat. in Modona. Raccolta C/unpori. Autografi, R.» XC, n.« 184. — Autografa. Molto Ill. r * et Ecc. mo Sig. l’.ron mio Os8. ,nft La gratissima di V. S. delli 2 del presento non mi ò capitata prima di questa settimana; però non si maravigli se ho tardato fin bora a darli risporta. Ho visto che il Padre D. IIorazio (,) non havea poranco mandato a V. S. il libro dol Ke¬ plero (,) , come disso di fare; e però hoggi apunto sono andato aS. u Prasede, et ho liavuto sorto d’incontrarcelo : et havcndogli detto che V. S. stava aspettando dotto libro con desiderio, mi risposo che voleva mandarlo per un gontilhuomo Fiorentino, ma elio non essendo fin bora partito, non l’havea perciò mandato. Gli dissi c’havevo io a mandare a V. S. alcuni altri libri, e clic so me l’havesse dato rilaverei mandato, onde subito me lo consegnò; c perchò son tornato tardi io a casa, non ho potuto consegnarlo al procaccio, ma lo manderò la seguente set¬ timana insiomo con alcuni fogli di quegli api da me osservati, con altri fogli del S. r Principe stampati puro in materia apina ts> , per usar questa parola, o simil¬ mente alcuni versi del nostro Sig. r Riquio 10 : et lmvcrà ogni cosa insieme. Ho fatto fede al Sig. r Principe c Sig. r » Principessa del cordoglio sentito da V. S. della morte del loro 3° figlio, che l’uno o l’altra baciano lo mani a V. S. Mi dispiace sentire che questi tempi la travaglino tanto, e clic perciò non può attendere allo sue scritture, quali stiamo aspettando con molto desiderio; ma però procuri prima alla sanità, e mi comandi, chè son desiderosissimo di servirla. E lo bacio lo mani, insieme col Sig. Fabri (,) e Sig. Ricquio. 20 I)i Roma, li 28 di Febraro 1626. Di V. S. molto 111. 1 * et molto Ecc. 1 * Ser. r * Aff. m0 et Vero Frane. Stelluti L.° "> Orazio Moranim, <’> Cfr. n.« 1741. <*' Cfr. n.° 1781. 111 UlMTO RlCQI'KS. <*' Giovanni Fabfr. [ 1765 ] 29 FEBBRAIO 1626. 309 1765. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 29 febbraio 162G. Bibl. Nftz. Fir. Mss. CUI., P. VI, T. XI, car. 17. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc.' no S. ro Hebbi viaggio molto cattivo per pioggia, vento, fango, acque alte da passare, hostarie pessime, e molt’altre cose: puro arrivai finalmente qua sano e salvo per grafia d’iddio, come pur sin bora mi vado mantenendo. Ilo visitato molte volte e sono stato a pranso con Mons. r Ciampoli, prelato invero di molto nobili qua¬ lità, facendo spesso di lei com memora tiono; il qual mi disse che il 1*. D. Bene¬ detto doveva venir qua per stantiarvi (così essendo la mente di N. S.), e che havrobbe lasciata la lettura di Pisa. Ilora, se questo ò, sono per supplicarla (so non li paressi in tutto indegno sogetto), che trattandosi di metter altri a quella io lettura, voglia appresso l’A. S. n,a degnarsi di favorirmi, acciò possa ottenere cotal gratia, che sarobbe forsi più fortunata occasione per me che lo star qui a stillarmi il cervello per indovinare di trovar cosa che gusti a questi svogliati Signori, ec¬ cettuandone però il S. r Ciampoli, sogetto in ogni conto riguardevole; poiché se questa occasione passasse in altri, non occorrebbe forsi ch’io ci pensassi per un pezzo, o per dir meglio più, e mi convcrebbe poi pensare in altro. Ter tanto la prego che tenga memoria di questo, e eh’ io li vivo servitore di cuore e deside¬ roso di far cosa che ciò li dimostri chiaramente, e perciò me ne dia qualche occasione con i suoi commandi: e si ricordi dell’opera sua de gli indivisibili, che giù determinò di compore, quale sarà gratissima al S. r Ciampoli e ad altri, 20 che ammirano le cose sue per cose rare e sopra quelle di tutti gli altri. Ilo cominciato a pensare al moto, per far qualche cosa, e sopra le refraz- zioni. a gusto del S. r Ciampoli, e mi vado trattenendo sino che venga il P. I). Be¬ nedetto per agiustarsi circa Pinsegnare o trattenersi, comunque porgerà l’occa¬ sione. Fra tanto attenda a conservarsi, e mi tenga nella sua memoria e gratia insieme; con che riverentemente la saluto e li bascio le mani, salutando insieme il suo nipote, il S. r Nicolò Agiunti et il medico, del nome del quale non mi ri¬ cordo, cioè di cui è ’1 libro de’ logaritmi. Di Roma, alli 29 Feb1626. Di V. S. molto III. 1 ® et Ecc. ma Devot.™ Ser. r9 F. Bon. rft Cav. rì di Mil.° 30 310 [ 1706-176? J 7 — 14 MARZO 162C. 1766 * FRANCESCO STELLUTI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 marzo 1086. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Campo ri. Autografi, R.» XC, n.» la:.. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss. mo Scrissi la settimana passata 40 a V. S. che il P. D. Ilorazio m’havea dato il libro elio lei desiderava, o che rilaverei mandato la presente settimana. Già l’ho consegnato al procaccio, elio lo porti a V. S., ma non ho potuto liavor all’ordine l’altro cose che lo scrissi. Ilo perciò voluto mandar questo, già elio lei tanto lo desiderava. Se lo farà consegnare, con avvisarmi poi la ricevuta di osso. Ilo sol¬ lecitato ancora di mandarlo, perché questi Signori vogliono andare in un lor castello vicino al maro per 15 o 20 giorni; clic so havessi aspettato fino al ri¬ torno, haverei tardato troppo. Il Sig. r Principe bacia lo mani a V. S., qual già liebbe la lettera di quel io Padre Gesuato { *\ ma però non parlò soco, perché lasciò la lettera in casa nè aspettò il ritorno del S. r Principe che tornò tardi, sichò non gli ha peranco par¬ lato. Nò altro m’occorre dirle, se non elio di cuore lo bacio le mani, o le prego da N. S. Dio ogni bramato bene. Di Itoma, li 7 di Marzo 1626. Di V. S. molto III."» et Ecc. ,n * Se. r Aff. mo Frane. Stelluti. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. P.ron mio Oss. ,no 11 Sig. r Galileo Galilei L. Fiorenza. '20 1767 *. FRANCESCO STELMJT1 a GALILEO [in Firenze]. Roma, 14 marzo 1626. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, 15.» XC, n.« 136. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss. mo Con il procaccio passato inviai a V. S. il libro del Koploro havuto dal Padre D. Horatio, che già voglio credere P habbia ricevuto ; et con questo procaccio ho Cfr. n.0 1764. Bonaventura Cavalieri. 14 — 21 MARZO 162G. 311 [1767-1768] indrizzato al Sig. r Guiducci un involto, dove sono alcuni fogli elio il Sig. r Prin¬ cipe manda a V. S.: cioè un suo foglio grande, che è l’Apiario (,) , fatto da S. E. per far cosa grata a N. S. r0 , trattando diffusamente degli api, ma però in ristretto, non comportando il foglio maggior lunghezza; tre operette del Sig. Ricquio no¬ stro, dove in versi spiega il significato di alcune medaglie antiche ritrovate con la figura dell’ape, e sei fogli di quelle api intagliati in rame: che dal detto io Sig. r Guiducci si farà, consegnare il tutto. Il Sig. r Principe non ha voluto publi- care detto suo foglio se non a N. S. ro , ad alcuni di Palazzo et ad amici, essendo questo una parte della sua opera grande. Ha però voluto mandarlo anche a V. S. et al Sig. Guiducci. Lo bacia le mani, e non le scrive per essere in punto di partire di Roma, per andare appresso al mare per dieci o dodici giorni, ma però in luogo vicino, non essendo andati prima per le piogge che sono qui state. Heri fu qui quel Padre Giesuato matematico (! \ e non prima, et il Sig. r Prin¬ cipe lo sentì con molto gusto, et io parimente, se bene non ci fu troppo tempo, perché venne il Sig. r Principe Savclli in casa a visitare il Sig. 1 * Principe, et esso si licentiò: ma ci sarà tempo altre volte a trattar seco. Nò potendo per fretta 20 dir altro a V. S., le bacio per fine le mani. Di Roma, li 14 di Marzo 1626. Di V. S. molto 111.'° et Ecc." ,u Ser. ro Afl>° S. r Galileo. Frane. Steliuti L.° 1708. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 21 marzo 1626. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 19-20. — Autografa. Molto Ill. rc et Eec. mo S. re Molto mi spiace che V. S. Ecc. ma non babbi ricevuto una mia lettera che già molti giorni gli scrissi, si per non mancare del debito mio di salutarla e darli nuova di me, come anco per dirli altri particolari. Replico dunque come arrivai qua e mi mantengo pure, per l’Iddio gratin, sano, orni vado trattenendo spesso co ’l S.' - Ciampoli, prelato invero di gran valore e spirito, essendo spesso con lui a pranso e facendo moltissima commemoratione di V. S. Siamo stati sin bora aspettando il P. D. Benedetto, il quale finalmente è arrivato; e nel primo ingresso Lett. 1768. 5. grado — 0) Ofr. u.° 1731. i*i Cfr. n.° 1766, lin. 10-12. 312 21 MARZO 1626. [1768] a N. S. ha ottenuto scudi 150 di pensione, et il piatto da D. Antonio 10 , al quale dovrà forai insegnar. io Sin bora non ci è per me impiego veruno, e malagevolmente credo ci debba essere, quantunque il Sig. r Ciampoli mi dia speranza d’agiuto: tuttavia non mi diffido della fortuna. Sono entrato a comporre qualche cosetta sopra il moto, a gusto del S. r Ciampoli: arrivato poi al provar che il mobile, che ha da passar dalla quiete a qualche grado di velocità, debba passar per gli intermedi^ non ritrovo ragione che m* aquieti, quantunque in universale mi para che sia così. Se V. S. ce ne havesse qualche dimostratione, mi sarebbe di molto gusto sentirla; e rhavor ciò che V. S. ha già trovato in quelle materie non compite, alle quali non fosse V. S. per applicar l’animo, mi saria occasiono di molto essorcitio e di avanzar il tempo, che spender mi conviene in ritrovar le medesime di nuovo, che 20 più fruttuosamente per aggiungerli qualche altra cosa sarebbe forai impiegato. Quanto all’opera delli indivisibili 10 , harei molto grato che ci si applicasse V. S. quanto prima, acciò potessi darò ispedittiono alla mia, quale fra tanto anderò limando, acciò sia di quella ©esattezza che conviene che sia, e per poter più presto che sia possibile compir in parto la cortesissima attestutione che con sue lettere si degnò fare di me a questi Signori, della quale gliene terrò obligo perpetuo. Gli scrivevo nell’altra per la lettura di Pisa, già lasciata dal P. D. Benedetto, ma dall’istosso ho inteso come è superfluo ch’io più ne scriva: perciò starò at¬ tendendo altra fortuna. Mi favorisca di gratia V. S. di risposta, inviandola o al convento o al P. D. Benedetto, come più li piace; e saluti il S. r Nicolò Agiunti, 30 il S. r Mario' 0 et il suo nipote in nome mio, si come saluto io V. S., facendoli riverenza et offerendomeli prontissimo servitore. Di Roma, alli 21 Marzo 1626. Di V. S. molto U1. M et Ecc. m * Ob. mn Ser.™ F. Bon. r * l’av." di Mil,° Doppo scritto, ho ricevuta la sua gratissima: et in somma solo mi resta di rin- gratiarla della prontezza dell’animo suo, e dirli come son sicuro che all’occorrenza farà quel tanto che sempre mi son supposto della sua molta affettione verso di me. Tuttavia, non succedendo cosa alcuna a mio profitto, mi dovrò più tosto rallegrare che tal luogo sia occupato da persona meritevole, come stimo il S/ Nicolò, che «o dolermi che la fortuna non babbi corrisposto al desiderio suo et al mio pensiero. Ilo anco inteso che vien procurato per il S. r Scipion Claramontio. V. S. saprà meglio di me queste cose, alle quali più non penserò, ma a sortir qui qualche buona fortuna, poiché io ci sono. V. SS. mi conservi nella sua gratia e memoria. <*> Antonio Barberini. Cfr. però nn. 1 1769, lin. 11 o 1778, lin. 7. «*• Cfr. n.o 176f>, lin. 18-19. <*' Mario Gcidccci. [1769-1770] 21 marzo 1626. 313 17G9. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO iu Firenze. Roma, 21 marzo 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 37. — Autografa. Molto III. 10 Sig. r e P.ron Col." 10 Mercoledì mattina a liore 14 gionsi in Roma sano e salvo, con viaggio feli¬ cissimo, havenclo presa la lettiga in Arezzo. L’isteso giorno feci riverenza a Mons. p Ciampoli, al quale non ho detto ancora altro del. negozio che V. S. mi disse, perchè non mi ricordo se lei precisamente mi comandasse o no elio no parlassi, massime che l’istesso Monsignore ò stato travagliato giovedì e venerdì da dolori di corpo con vertigini: lioggi, per grazia di Dio, sta meglio. Se mi scriverà, non mancarò far il debito mio. Fui giovedì a’ piedi di Nostro Signore, quale mostrò gusto della mia venuta, io e mi diede cento cinquanta scudi di pensione nello Stato Veneto, la parte, e (quello che stimo sopra tutto) mi deputò servitore del Sig. r Don Taddeo (,> . Nel ragionare con S. Beatitudine nominai V. S., e subito S. S. tà mi dimandò di lei e del suo stato con mollo affetto. Altro non ho di novo, solo che Fra Bonaventura lavora alla gagliarda, e credo che voglia far honore alla bottega. Non occorrendomi altro, la prego a dar nova di me a Madama Serenissima e ricordargli la mia devozione, mentre a V. S. bacio le mani. Roma, il 21 di Marzo 1626. Di V. S. molto 111.' 0 Oblig. mo Ser. ro e Dis> 20 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto Hl. re Sig. r e P.ron Col. m0 il Sig. 1- Galileo [Galilei, p.°] Filosofo di S. A. S. Firenze. 1770*. BARTOLOMEO IMPERIALI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 21 marzo 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 21-22. — Autografa. Molto 111.™ et Eccell." 10 S. r mio Oss. mo Il motivo di V. S. di non aver voluto accettar la riconciliazione del Padre Oratio Grassi (S> , prima che non abbia dato alle stampe quel suo libro, ha del i'ì Taddeo Barberini. «*> Cfr. a.» 1763. 314 21 MARZO 1026. [1770] nobile e del generoso, come ànno tutto lo azioni suo; nò punto mi duolo della poca ventura del Padre, meritando di pagare il fio, per essere «tato il primo a provocare con opporsi così rabbiosamente alla verità. Suo sarà il danno, se con altra risposta per lo rime sarà sferzato, onde una volta abbia a confessare: Vicisti, Qalilaee, come il Mostro 10 in Roma ha di già profetato. 11 S. r Clio. Batta Baliano, servitor di V. S. et intendente della professione, mi diceva l’altro giorno, con¬ forme il parer universale, «die il tirassi aveva preso un granchio, o che aveva io disgusto di non essersi abboccato con esso nel tempo che si fermò per alcuni pochi giorni in Genova, per trarlo o convincerlo d’errore. Con questa occasione trattai col Italiano della scienza do gli specchi, dmi¬ ri orando io alcun moderno che con piti ordine o chiarezza l'avesse ridotta a per¬ feziono; ma come non abbia di fresco simili soggetti allo mani, avolto massime in cure publiche, non ho avuto l'intento. Kt in vero, come ella accenna, l’ordine di quei tre autori nominati è assai confuso et intricato: ma quel che più dà fa¬ stidio, i prineipii di questa scienza zoppicano in modo, che non ò maraviglia se il rimanente della fabrica vada crollando. K por tacer d'nlcuno della I'rospetiva, a cui cotosta ò subordinata, l’apparenza prima della specularla ò stata posta in fio dubbio. 11 Magino, in quel suo libretto dello specchio concavo ", la condanna; Vitellone pure in tanto si persuade che non sia vera, che no’ teoremi 10,17, 18 l,) si serve d’altra prova, tanto intricata quanto lo stesso Magino afferma; e, quel che mi ha fatto meravigliare, il Keplero dice che Euclide» assunti! falsimi 11 nostro P« Santini**' difende Euclide, ma non so se colpisca: in’assicuro che una parola di V. S. farà chiaro il tutto. Con questa occasiono viridi nel Keplero alcune rose del cannoehiale: ma non so so il difetto venga dal mio poco intendere; non ho imparato gran cosa, di cosa che disiderava sommamente. Avrà olla, che ne è stato l’inventore, instituito un qualche trattato, elio mi sarebbe di gran giovamento, quando si compiacesse di so favorirmene, per dover far la ristituzione con fedeltà et ad ogni suo cenno. Mi dicono che il vescovo di Spalntro n’ha composto un libro intiero 7 ; ma perchò intendo esser proibito, non mi prendo briga di cercarlo. Quando ancora si potesse aver il modo «li lavorargli, voglio metter bottega qui in Genova, o per cagion di V. S. diverrò ricco. A tanti i n comodi aggiungerei un altro, se non dovessi abusare della sua molta cortesia: et è, che avendo io letto nel fine della Sfera del P.° Blancano Leti. 1770. u iWiW - o X ICC il l.o Kjccakoi •*. Cfr. n • 641. YinLUoxia, Mnthemnli'-i dori mimi, HKI'I 0T1TIKR2, k UuMiXld, Ol Cfr. n.« iOl. 21 — 28 MARZO 1626. 815 [1770-1771] Gesuita (,) il modo di fare un’ecco con lo specchio concavo, vorrei che V. S. mi facesse gratta, di farmi più chiaro il modo, acciò potessi porre in esecuzione la 40 prova, avendo a questo effetto compro uno specchio assai grande e bello. Ilo gran difficoltà che la parola si rifletta nel punto del fuoco, come fanno i raggi del sole; ma pure non mi do a credere che l’autore mentisca, col testimone ad¬ dotto del Caravagio (5) , che dicono esser vivo: c sappia che se ciò riuscisse, ho un chiribizzo in testa di gran curiosità. ■ Scusi V. S. eli grafia tanto mie importunità, o mi comandi alla libera; con die a V. S. bacio lo mani. G. a , 21 Marzo 1626. Di V. S. molto 111.™ et Eccell. n,a Aff>° Se. ro Bart. 0 Imper.® 1771. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 28 marzo 1626. Arch. Morsigli in Bologna. Busta citala al ».° 1688. — Autografa. Molto 111.™ Sig. rc e Pad." Col. mo Riceverà Y. S. molto I. con questa, il libro del Keplero (3) e la scrit¬ tura del S. C. Chiaramente, o mi scusi dell’indugio, poiché, desiderando io di bavere a mia richiesta il detto libro, non prima che oggi ne ho ricevuto uno di Roma <4) . Mi pareva d’ essere in obbligo di rispondere all’ Appendice del Keplero, sì per sua come per mia reputazione, benché le risposte sieno tanto facili, clic ogni mediocremente pratico in questi studi può vedere che egli ha tutti i torti ; ma non sapeva come poi pubblicar la risposta, che non può esser se non cosa breve. Mi era io venuto in pensiero di scriverla in una lettera all’ istesso S. Chiara- monti, e che egli, come una appendice, la mettesse nel fine della sua replica; ma ho poi considerato che sondo totalmente discorde nelle opinioni da esso S. C. Chiaramonti, e che perciò mi converrà in altra mia opera confutarlo, non sia bene dar tal sogno di esser, in questo caso, suo aderente : o forse sarebbe meglio (quando V, S. volesse pre- . <*' Sphaera mundi, «cu Cotmographia demunstra- (2 ' Cesare Caravaggio, tira ac facili methodo tradila occ. Anthoro IosRPHO Cfr. n." 1740. Bi, argano occ. Bononiao, typis Sebastiani Bono- < l > Cfr. ».« 17G7. olii, 1020. 31C 28 MARZO — 3 APRILE 1826. [1771-1772] starmi il buo favore) che io ne scrivesse a lei, o elio da lei, come inci¬ dentemente, passasse la mia lettera in mano del S. Chiaramonti o che egli la soggiugnesse alla sua risposta. Prego dunquo Y. S. a fare un poco di retlessione sopra questo punto, e condonando qualche cosa al mio ardire, dirmene il suo senso ; con che, ricordandomele servitore 20 devotissimo, gli bacio lo mani. Di Fir. 80 , li 28 di Marzo 1G26. Di V. S. molto I. Ser. rc Dev. rao Galileo Galilei. Tengo lettere del P. 1). Benedetto di Roma, dove, subito giunto, hebbe da N. 8. una pensione di d. 1 ' 150, parte, e titolo di maestro di suoi nipoti n) . 1772 *. CESARE MA USILI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 3 aprile 162f>. Blbl. Naz. Fir. Msb. Gal., P. VI., T. XI. car. 23. — Autografi il poscritto 0 la sottoscriziono. Molt’Ill.”* et Ecc. mo S.™ et P.rone mio Osa ." 10 Ancorché mi sia stato caro l’havor ricevuto il libro con l’altre cose elio Y. S. Ecc . ,n ' 1 mi ha inviato, acciò lo possi restituire al S. r * Cav. rn Chiaramonti, col qual Signore mi ero preso confidenza, senza sua licenza, d’inviarglielo, corno feci, molto più mi saria caro ricevere il suo senso intorno ad esso, acciò lo possi conferire confidentemente a molti littcrati, clic per mio mezzo avidamente l’aspet¬ tano. So V. S. Ecc.™ mi farà questo honore, sarà collocato tra i molti obliglii elio tengo alla sua cortesia, al suo merito et ni suo valore. Quanto poi a quello che mi tocca nel fino della lettera, non son tale eh’ io non possi so non approvare ogni suo senso per isquisito et per porgerle la presente per fedo eli’ ella si possi io valere di me, cPogiii mio detto 0 scritto, come ella giudicherà conveniente, man¬ dandomene però aviso; 0 meglio ò che V. S. Ecc. ma sia pregata, a mio giuditio, elio eli’ ella procuri quello clic sarà procurato da lei avidamente. Non le tralasciarò di dire clic a Bologna è capitato un corto ingegnicro, qual protende con certa acqua salsa o marina mostrare in certo ampolle i moti dei flussi et reflussi de’ mari, cagionati por cclesto et intrinseca virtù. Procurerò Iiett. 1772. 11. delio, ho •ertilo — <0 Gfr. n.° 1769. 3 — 4 APRILE 1626. [ 1772 - 1773 ] 317 vederlo in ogni modo, e n’avisarò, potendo, V. S. Eco." 5 * alla quale di nuovo sot¬ topongo ogni mia volontà. Di Bolog. a , li 3 d’Ap. 10 1626. 20 Di V. S. molt’Ill.” et Ecc. ma Sento gusto d’ogni bene del Padre Don Bene¬ detto, e l’aviso clic tutte P opere del ICepleri sono Issiate vedere dificilinente dal K. ,uo Padre nostro Inquisitore. Afl>° et P. mo Se . 10 Cesare Marsili. 1773 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Soma, 4 aprile 1626. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cnuipori. Autografi, B.» LXX, n.® 7. -- Autografa. Molto DI.” et Ecc. mo Sig. r e, P.ron Col. m ° Hoggi 15 10 diedi conto a V. S. molto 111. 0 del mio arrivo in Poma e dell’in¬ finita benignità cbe ho incontrata in Nostro Signore, etc. ; ma perchè non ho hauto risposta di altre lettere scritte pur nel medesimo tempo in Firenze, dubito del ricapito. Però replico cbe sto benissimo, e Nostro Signore m’ha fatto grazia di 150 d. li di pensione, la parte per me e per il servitore, le stanze in Palazzo, e, quello elio più stimo, m’ha deputato servitore dell’ Ecc. n '° Sig. r Doii Taddeo w ; e tutto il giorno sento che S. S. tk fa tanta stima di me, cbe resto spaventato, e dubito di non poter corrispondere al concetto che ha fatto dell’ opera mia. Dio io benedetto mi aiuti. Mons. r Ciampoli sta benissimo, e mi favorisce senza modo : nel resto, quanto all’acque, lo ho d’havero sino alla gola; ma voglio che siiuo exclusive, l e il vino inclusive. Mi commandi, chè li sono obligatissimo, c dopo Dio benedetto conosco c riconosco ogni mia fortuna da V. S., alla quale bacio le mani. Di Roma, il 4 di Aprile 1626. Di V. S. molto 111.™ Oblig. mo Ser.™ e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto DI.” ed Ecc. mo Sig. r mio Col. m ° Il S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. 20 Firenze. 21-22. Jìeiusdetti — Ul Cfr. il.*» 1769. **> Taddeo Barberini, 318 4 APRILE 1626. [1774] 1774 *. BONAVENTURA CAVALIERI ft fGALILEO in Firenze], limila. 4 aprilo 1626. Blbl. N«z. Flr. Mas. «Sai., P. VI, T. XI, car. 85. — Autografa. Molto III." et Kcc. ,n0 S.™ Credo cho V. S. Ecc. ma liavri\ ricevuto una mia lotterà, nella quale gli davo qualclio raguaglio di ino, con insieme avisarla della ricevuta di una sua, a me gratissima per liavor inteso il ben staro di V. S. et il seguito circa la lettura di Fisa 05 . Ilora di nuovo vengo con questa mia a salutarla cordialissimamcntc, c a dirli come le coso mio stano pure sin bora nei medesimi termini di prima, nò sono punto migliorate per la venuta del I*. 1). Benedetto. Spero però nelle molte promesse fattemi dal S. r Ciampoli, cho, quanto al suo pote.ro, la mia venuta non debba essere stata indarno: ma le coso vano lunghe, c certo qua bisogna esser spagnuolo c non franzeso. Le strade sono lunglio; le occupationi del S. r Ciampoli io mi privano di tutto quel refrigerio cho potria bavero per i miei stuelli ; altri non vi sorio pari a lui. Del P. I). Benedetto non parlo, chò credo, corno mio maestro, sia per aiutarmi all’occasioni, so altro non lo trattiene. Ilora lascio faro alla for¬ tuna e a Dio, poiché ciò cho ha da esser non mancherò, e attendo a mettere in registro il mio trattato do’ solidi. Mi disse il 1\ I). Benedetto clic sarchilo stato gradito molto a scriverlo in lingua volgare, ondo in questa io lo scrivo, e no aviso V. S., acciò, se li paro bene, anchora lei così facci del suo de gli indivisi¬ bili 01 . Sii anco non li paresse bene, mi favorisca di avisarmi, chò mi accorderò con V. S. : ma di gratin la prego ad applicatisi presto, acciò quanto prima possi mostrar qualche cosa del mio, o per poter poi applicarmi, sbrigato di questa, ad 20 altre materie. E di gratin V. S. mi scusi se gli paressi troppo importuno, sì come anco di ciò clic nell’altra mia gli dimandai. Finisco confermandomeli devotissimo servitore, c augurandoli felicissima Pasqua, pregandola a salutar il S. r Nicolò Àgiunti, il medico et il suo nipote. Di Roma, alli 4 Aprile 1626. Di V. S. molto III." et Ecc. m:l Quanto al dedicar l’opera, desidero saper il suo gusto, 0 s’ella concorresse meco noi S. r Ciampoli, non havendo io più amorevole patrono di lui. I)ev. m0 Sor.™ 30 F. Bon.™ Cav. ri “> Cfr. n.” 1768. <*> Cfr. uu.> 1705, 1768. [1775-1770] 17 — 25 APRILE 1626. 319 1775*. ORAZIO MORANDI a GALILEO [in Firenze]. Ruma, 17 aprilo 1020. Blbl. Est. in Motlena. Raccolta Cnmporì. Autografi, U.» LXXXT, n.“ 118. — Autografa. Molto lll. ro et Eco." 10 mio S.'° e P.ron Oss. mo Parmi aver dato a grand’usura il libretto 10 che ho mandato a V. S., aven¬ done ricevuto l’interesse della sua gentilissima lettera di ringraziamento, da me stimatissima, venendo da padron mio tanto singolare come ò V. S.: e so a lei ò piaciuto ricevere il libretto per contrasegno della continuazione della mia devota servitù verso la persona sua, et io ho ricevuto immortai consolazione, avendo dalla sua lettera conosciuto la continuazione del suo amore verso di me. La sup¬ plico a non me ne lasciar mai privo et a coltivare la servitù mia con qualche suo commandamento, mentre con ogni affetto le bacio le mani c lo prego dal io Signore il compimento d’ogni suo desiderio. Di Roma, il di 17 Aprile 1626. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. mtt Dev. mo et Obblig. mo Serv. re S. r Galileo Galilei. Don Orazio Morandi. 177G. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 25 aprile 1620. Aroh. MarBiffli in Bologna, busta citata ni n.<* 1088. — Autografa. Molto 111.” Sig. re e Pad. n Col. mo Aggiunto al mio primo pensiero quello che mi accenna V. S. molto I. esser suo desiderio e di altri gentil’Inumimi litterati amici suoi, ho risoluto di scrivere il parer mio circa le cose trattate in contro¬ versia dal S. C. Chiaramonti e ’l Keplero, trattandone però per quella parte che può annettersi alla risposta che devo fare all’Ap¬ pendice di esso Keplero ; et onorandomi della concessione di V. S. (2) , ne scriverò a lei medesima, in potestà della quale sarà il disporre a suo (*> Cfr. n.° 1767. l 2 > Cfr. u.° 1772. 320 25 APRILE — 2 MAGOIO 1626. [1776-1777] beneplacito della mia scrittura. Olio n’ ho voluto dar conto avanti, acciò non prendessi meraviglia della tardanza in rispondere all’ultima io sua lettera, o se ancora tarderò qualche giorno a mandar tal risposta. Quanto al 11 osso e reflusso di elio mi accenna, no sentirò volentieri 1’ effetto ; il quale, per mio parere, non credo che possa depondere da altra cagione coleste clic dallo scaldarsi 1’ aria il giorno e rinfrescarsi la notte; e l’elezziono dell’acqua salsa credo che sia una coperta all’ artifizio, e che 1’ istesso farebbe la dolce : et un tale scherzo feci io 20 anni sono in Padova; ma non lui che far col flusso o reflusso del mare, salvo che nel nome impostogli arbitrariamente dall’ artefice. Vivo, al solito, suo devotissimo servitore, et altrettanto desideroso quanto obbligato di servirla ; e con vivo e reverente alletto gli ha- 20 ciò le mani. I)i Fir.*®, li 25 di Aprile 1626. Di Y. S. molto 1 Ser. w Dev.^ Galileo G. 1777**. ORAZIO MORANDI a GALILEO (in Firenze]. Koma, 2 maggio 1626. s Blbl. Nnz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IX, car. 39. — Autografa la »otto»criziunu. Molto Ill. re mio Sig. r P.ron ()ss. ,no Noli’ultima compitissima e gentilissima di V. S. ho visto, conio essendo ella stata pregata caldamente dalla Sig. 1 * Francesca Caccini per conto della dispensa di Fra Damiano, nostro novizio e suo cugino, desidererebbe che io, in grazia sua, gli facessi ottenere simil dispensa. Non era necessario, n<> anco a bene esse , met¬ termi tali padroni alle costole, poiché ci sono sempre mai andato di buonissimo gambe, 0 c’ho durato più fatica che s’havessi avuto quattro cause in Rota. Nientedimeno non m* ò stata discara la raccomandazione di V. S., non deside¬ rando io altro in questo mondo che Tesser comandato da lei; oso prima il ne¬ gozio in’era a core ut odo, mi saril da (pii avanti assai più. Ma ha da sapere 10 che non si puoi fare senza la Congregazione del Concilio, quale da Gennaro in qua non s’è fatta se non una volta sola sola; e. apunto oggi s’havova da fare, e senz’ altro si sarebbe ottenuta la grazia, ma T Ecc. ,uo Sig. r Don Carlo e Donna Costanza Barberini T hanno fatta differire a quest’altro sabbato, perchè hanno 2 — 8 MAGGIO 1626. L1777-1778] 821 volsuto che si facci quella de’ Ititi per una canonizazione eli non so che Santo. Se si fusse potuto andare per via di supplica a N. S., a quest’ bora si sarebbe ottenuto quanto si brama. Non si ci puoi far altro: bisogna necessariamente passar per la Congregazione del Concilio, e non si puoi mettere i piedi avanti la fortuna. Assicurisi pur V. S. che c’invigelerò sopra ogn*altra mia cosa, e tengo ì !0 fermamente che questo altro sabbato si spedirà senz’altro. Per line, pregandola a continuarmi perpetuamente nella grazia sua, me gli ricordo servitor sinceris¬ simo e me gli raccomando con tutto l’affetto. Dio benedetto le conceda ogni vero bene. Di Poma, il dì 2 Magg. 0 1G2C». Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ma Devot. 1110 et Obblig." 10 Serv. re [...] Galileo Galilei. Don Orazio Morandi. 1778 ** ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Genova, 8 maggio ìGiiO. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 27. — Autografa. Molt’Ill. 16 et Ecc.“° S. r mio Col. 1 " 0 Par a me, S. or Galilei mio, che tra galantuomini e veri amici bisogni anco sino a* pensieri manifestare. Voglio dire, una lettera de’ 7 di Deceinbre passato a me comparve li 7 di Febraro: e crede V. S. ch’io pensi questo viaggio di tanta tardanza? Io dissi subito: Per certo che’ pianeti son retrogradi a questa fiata ; mi rifarò con aspettar tanto e qualche giorni di piò. Vero o falso il pensar mio, hactenus. V. S. vidde che subito participai al S. r Imperiali quanto mi comandava. Egli so che ha rescritto: non le approvai il voler mettersi di mezzo, quando il P. Grassi io fu qua, quale io non viddi. V. S. è prudentissima in tutto, et è maestro. Io aspetto avidamente questi discorsi suoi: se vi fosse qualche trattenimento, superi ogni ditìicultà, perchè quelli chi hanno gusto di ben filosofare desiderano apparare da lei. Non ho mai possuto veder quel 'Hyperaspistes del Keplero (l) : l’ho fatto comprare in Germania: ancor non mi è capitato. La ringratio de’ ragguagli di Saturno et di ogni altro favore che sempre mi fa. Ora di novo mi occorre che il S. r Francesco Seta, huomo di sessanta anni, che ha sempre essercitato le rote civili c criminali in più parti, ha finito quivi, Lett. 1778. 15. altra favore — Gl Cfr. n.“ 1740. XIII. 41 322 3—9 MAGGIO 1020. 11778-17791 o si sta spedendo: desidera havor luogo costì appresso lo SS. n, ° Altezzo. È di gran valore, o vorrei elio V. S. mi facesse gratin, por quel miglior mezzo elio potrà, e potrà so vorrà, farlo portare, assicurando V. S. elio conoscerà un filo- 20 sofo poi nel conversar doni osticamente, che non le sarà discaro. È li uomo di buonissima penna, e meritevole che V. S. lo protegga: ò del Stato d’Urbino, 0 di quella città propria, eli’ io bene non mi raccordo. V. S. faccia del buono, e non tardi a scrivermi, acciò possa far veder all’amico che l’ho servito. Il S. r Impe¬ riali non ò molto clic l’ho visto: ò servitore di V. S. Ecc.' u \ conio lo sono io partialissimo. E lo bacio lo mani. Uen.*, 8 Maggio 1020. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. m » Non so se il nostro compar Manucci 10 ò piò al mondo, 0 se sta in Venetia. so Servo Oblig. mo 1). Antonio Santini (J. li. S, Fuori: Al molt’lll™ et Ecc. mo S. r mio Uol.“« Il [S. or Galijleo Galilei, in Firenze. 1779. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firomsel. Roma, 9 maggio 1020. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 29-30. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. M Dal molto R. P. D. Benedetto questa mattina ho inteso quanto ò passato fra V. S. et il S. r Card. 1 ® Aldobrandino m circa la persona mia; e la ringratio somma¬ mente di quanto si degnò con detto Prelato spiegare in mia lode (il elio ricevo come effetto della sua molta amorevolezza verso di me), non ostante i puoclii miei meriti, e massime in materia di scienze et in particolare della filosofia la mia debolezza e puoco fondamento, senza la quale ò una vanità voler persua¬ dersi di saper cosa alcuna. Ma resti chi ha tal pensiero con la sua filosofia senz’alcuna invidia, ch’io non mi curo punto di farci alcun fondamento. 1 laverà fra tanto V. S. potuto vedere quanto a proposito per mio profitto sarà stato il io suo discorso, e quanto sia vero ciò che li dicevo inanzi ch’io venissi qua. In *') Filippo Manxccci. <*> Ippolito Aldobrandjm. 9 MAGGIO 1626. 323 [17791 somma gli resto obi patissimo della passata che lia fatto, havendo fatto più che 10 non gli havrei saputo cliiodoro. Vado poi, quanto a’ mici studii, continuando di mettere in sesto il mio trat¬ tato: et ho di nuovo ritrovato, circa la parabola, che so prenderemo quel trilineo, o cornetto, della parabola che ò l’avanzo dbl parallelogrammo circonscritto alla semiparabola, e stando fermo di quello il lato parallelo all’asse della parabola, si rivolgerà intorno esso trilineo, il solido descritto nella intiera revolutione sarà la sesta parte del cilindro che fosse nell’istessa baso del solido descritto e in¬ so torno all’istosso asse; e nei circolo, so Laveremo un quadrante di esso e il qua¬ drato circonscrittoli che ha con esso commune i semidiametri di esso quadrante, se stando fermo uno de’ lati di detto quadrato clic tocca la circonferenza del quadrante, si rivolgerà intorno a quello come asse il detto quadrato e quadrante, 11 cilindro descritto dal quadrato al solido descritto dal trilineo o cornetto di esso quadrante sarà prossimamente come 21 a 2: dico prossimamente, perché ciò demostro supposto che il quadrato al circolo al quale è circonscritto sia corno il 14 all’11; il che però non mi paro nò anco da gettar via, quantunque non sia preciso, sì come non spreziamo la sudetta proportione del D 10 al circolo por non essere precisa. Quella però del cornetto della parabola ò precisamente come li so dico: quella poi del cornetto dell’iperbola non la so, poi che non so che pro¬ portione babbi il parallelogrammo posto sopra l’istessa base e intorno l’istcsso diametro della iperbola ad essa iperbola. Credo che questo cose li devano piacere, massimo che non credo che sin bora sieno state dimostrate da altri, ch’io sappi. Non vego poi l’hora di finire di attendere a queste pure matematiche por poter pur far qualche trascorsa nella filosofia vera, per poter havero alle mani cose che siano di gusto a più di un paro d’huomini, c non siano così ristrette che restino quasi incommunicabili. Mi scusi V. S. della lunghezza mia, o mi conservi nella sua memoria; e se vedesse il P. F. Lutio di Pistoia, che fu meco a desinare da V. S., il quale sarà -co pure di stanza in Firenze, et intendo che ò stato fatto Generale, mi farà V. S. favor particolare a raccomandarmi alla sua protettione; al quale non iscrivo ancliora, perché non so anco troppo bene come passino le coso della nostra religione. Sé¬ guito, quanto alla pratica esteriore, al solito, sperando di bavere per scolaro il S. r D. Ferrante Cesarmi, e sto per cominciarli a dar lettione di giorno in giorno. Basta, sia ciò che Dio vole; solo mi favorisca V. S. di conservarmi nella sua me¬ moria e gratia, c di commandarmi, offerendomeli io devotissimo servitore, e di darmi qualche nuova di sò e delli indivisibili (,) , cliò mi farà favore particolare. Di Roma, ahi 9 Maggio 1626. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. n ' a <‘) Gir. un.' 1765, 1768, 1774. 324 9 — 30 MAGGIO 1626. [1779-17801 Di gratia, mi favorisca salutare il S. r Mario, 60 il S. r Nicolò Aggiunti et S. Dio. Batta Farli otti, di¬ cendoli eh* io risposi già ad una sua, benché tardi da me ricevuta, ohe però etc. Devot.™ 0 Ser. ro F. Bon. ra Cav. ri 1780 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Koma, 80 maggio 1626 . Blbl. Nnr. Fir. Mm. Gal.. P. 1, T. IX, car. 41. — Autografa. Molto 111.™ cd Kec. mo Sig.™ e P.ron Col." 8 Con grandissima ragione V. S. molto 111.™ si può doloro di me, che ho man¬ cato tanto a scrivere: mi perdoni però, perchò non stato fuori di Koma, mandato da Nostro Signoro, e non ho hauta la sua so non tardi. Prima saprà come ho ricuperati i cinque scudi d’oro dal S. r Giulio' 1 ’: cioè sponde per me nella mia spedizione la dotta somma, et io ne resto debitore a V.S.; però mi comandi corno li devo rimborsare. Quanto alla pensione (,) , non li posso diro altro, solo che Mons. r Ciani poli porta V. S. scolpita noi cuore. Nel resto io sto bene e contento, e credo che non mi nuincarà da travagliare. Nostro Signore e tutti questi padroni mostrano fare più stima assai del dovere della io mia servitù. I giorni passati feci riverenza al Sig. r Card. 1 Boncompagno'* 1 , col quale liebbi infinito gusto, sì come ancora un altro giorno col Sig. r Duca 0 suo fratello: in oltro ho preso amicizia, in casa del medesimo Sig. r Duca, di un gen- tilhuomo molto intendente delle professioni e tutto tutto «li V. S., cioè della sua dottrina et opere. Gli ho fatto conoscere il nostro I\ Fra Bonaventura, quale gli è parso cosa celeste. Nel resto me la vado passando alla meglio. Mi farà grazia, con qualche occasione, significare a Madama Ser. ma che in breve sarà sodisfatta intorno al negozio delle Chiane, e clic Nostro Signore preme che sii fatto il giusto et osservate lo capitolazioni, e l’istessa mente ha il Sig. r Don Carlo l,) . E con questo faccia hiimilissima riverenza a S. A. in nomo so mio et al Ser. mo Gran Duca. Di Roma, il 30 di Maggio 1626. Di V. S. molto III.™ et Ecc. ma Oblig. n, ° Ser. r * e Dis. 10 Don Bened.® C. Fuori : Al molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 13 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. «*> (tlULlO Guiducci. <*' Cfr. n.« 1S87. (S ’ Fjuncksco Boncompagxi. o» Orbo omo Hokcompagni. Carlo Barbsriiu. [ 1781 ] 1° GIUGNO 1G26. 325 1781. RAFFAELE A VERSA a GALILEO [in Firenze |. Castel Durante, 1° giugno 1626. Btbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 81. — Autografa. I. M. Gioito 111.® et Eco." 10 Signor mio Oss. mo Ben che ignoto a V. S. Eoc. ma , prendo licenza dalla filosofia, e confidenza dalla sua cortesia, di conferirle cosa, tanto più che credo non le sarà ingrata. Ilo osservate por qualche tempo le macchie del solo, con quella pratica, tra le altre proposte da V. S. nelle sue Lettere, di ricevere per il cannocchiale la mostra del sole in una carta 1 ”. Ho ritrovato verificarsi esattamente le osservationi tutte publicatc da V. S. Ilo cercato in particolare di certificarmi se lo macchie col sole facevano alcuna parallasse, c per tal effetto le ho voluto osservare in diverse bore del giorno, la mattina, nel mezo dì, e la sera. Mi pare, in vece di io parallasse, haver trovata un’altra notabile mutatione, degna da esser conside¬ rata. Pare che ogni giorno ciascheduna delle macchie vada girando intorno alla faccia visibile del sole, o pure che esso sole giri con le macchie: di maniera tale che questo moto par che si faccia considerando una linea dal centro del mondo, che passi pe ’l centro del sole; et intorno alli due punti estremi del sole, toccati da questa linea nel suo entrare et uscire, come circa poli, et intorno ad essa linea, passante pe ’l sole, come circa asse, si faccia questo moto. Tare che com¬ pisca un’intiera rivolutone nello spatio di un giorno naturale. Ma ho notato che questa mutatione non corrisponde uguale per tutte V hore, ma in alcune maggioro et in altre minore, et in particolare che nel tempo diurno non faccia tanta por- 20 tione del giro quanta nel tempo notturno, secondo la proportione delle hore; poi che nei giorni più piccoli non faceva in spatio di otto hore la terza parte del giro, nè poi nei giorni più grandi ha fatto la metà in spatio di dodeci hore. Questo è quel che mi pare di haver osservato. Stimarei per molta mia ven¬ tura, sentire da V. S. alcuna cosa degna di lei in questo proposito, acciò, sì come ho costumato di leggere le sue opre publiche con somma mia sodisfattione et ammiratione, così possa anco apprendere da qualche sua lettera privata. E quando vedrò che questa mia non le sia stata molesta, le darò qualche conoscenza di me, acciò possa lei vedere di haver impiegato i suoi favori verso persona molto de¬ vota del suo sapere; et in parte lo può essere di ciò segno questa mia. l«) Cfr. Voi. V, pHg. 166, lin. 18-34, pag. 137, lin. 1-21. 326 20 GIUGNO 1626. 1 ° — [1781-1782] Io dimoro in Casteldurante, in un loco fondato da questo Scr. n, ° Duca (l) , so dotto il Crocofisso, dove ha egli eletta la sua sepoltura. Mi avvaglio della Cora¬ ni od ità della libraria di S. A., dove ho fatto anco venire alcuna dello opre di V. S., che vi mancava; et io insieme con gli altri Padri del mio ordine attcndorao qui a sorvire questo Principe, dal quale ricevendo sommo lionorc. Compiacendosi V. S. di risposta, corno no la supplico, la potrà inviare direttamente sotto il mio nome. E mi sarebbe assai caro intender subito quando havrà ricevuta questa mia, o poi potrebbe pigliare il suo commodo per favorirmi più pienamente. E pregan¬ dola in fino a Bcusaro questa mia o semplicità o audacia, et accettare la confi¬ denza, bj bacio affettuosamente le mani. Da Castoldurante, il primo di Giugno 1G26. 40 I)i V. S. molto 111. 0 et Ecc. ,na Servo Affett." 10 nel Rig. r ° AlPEcc. mo Sig. or Galileo. Il P. Raffaele Aversa, do’ Ch. cl Minori. 1782 *. CESARE MARSILI a GALILEO in Firenze. Bologna, 20 giugno 1620. Blbl. Naz. Flr. Msr. Cai., 1*. VI, T. XI, cnr. 88.— Autografa la soltoscriziono. Molto 111." et Eccel.® 0 Sig. ro et P.ron Coll." 10 Mi paro elio scrivessi a V. S. Eccell. tna elio quanto le havevo serito di quel’ am- polo, clic mostravano il flusso o riflusso del mare 10 , era riuscito una vanità, ma havevano uso differente, il quale però sin ad bora non ho potuto vedere, ancorché fra poco lo speri. E perché ho inteso elio il Sig. rrt Cavalier Cbiaramonti si ritrova a Venetia por far stampare la risposta all ’Iptraspiatc del Keplcri (8) , ho voluto dargliene parte, o tanto più havendo occasione di rimandarlo il medesimo libro, bora da lui richiestomi, clic già feci cappitare a V. S. Eccoli. mft Il Sig. ro Cardinal do’ Modici 10 si trova incognito in questa città. Altro non m’occoro per bora, che ratificarlo la mia divota servitù, et a V. S. Eccoli." ,a l’acio io riverenza. Di Bologna, li 20 di Giugno 1026. Di V. S. molto Ill. ro et Eccoli. ma Suo Parcialis.™ 0 Serv.™ Sig.™ Galileo Galilei. Fiorenza. Cesare Marsili L. Fbaxorsoo Maria della Roveri,, «*» Cfr. nn.f 1772, 1776. <■» Cfr. n.° 1741. <*> Cablo dk' Medici. [1788-1784] 20 — 27 GIUGNO 1026. 327 1783 *. ORAZIO MORAND1 a GALILEO [in Firenze]. Ilonui, tiO giugno 1G2G. Blbl. Est. in Modonn. TJaccoltn Gmnpori. Autografi, B.» IiXXXI, n." 147, — Autografa la sottoscrizione. Molt'Ill.™ mio Big. 1- P.ron Oss. mo Tengo per cosa più che certissima die ’l modello della mia fortuna si fa- briolii nella mia persona dalli commandamenti di V. S.: consideri poi se gli stimo e se mi son grati. Mi creda che no vivo parzialissimo, e che la non potrà mai favorirmene tanto, elio non mi paia far poco, essendo clic fra quelli e la stima che ne tengo vi sia quella differenza quale suol essere fra la circonferenza e ’l punto. E quel podi’atto di servitù in quella dispensa di Don Damiano Cacciai (l) gli sia per qualche caparra della mia devozione che le devo: se la si degnerà adoprarmi, vedrà effettivamente che la n’è in pacifico possesso con despotichis- io simo dominio. Per fine, pregandole da Dio benedetto ogni sua maggior fortuna, me lo raccomunando in perpetua grazia, o le bacio le mani. Di Roma, il di 20 Giugno 1G2G. Di V. S. molto IU. ro et Eec. ma Dcvotiss. 0 Serv. re di cuore 11 S. r Galileo Galilei. Don Orazio Morandi. 1784 . GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 27 giugno 1G2G. Ardi. Mftvsigli in Boloe-na. Busta- citate ni n.° 1088. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. re e Pad. ne Col mo Dalla gratissima di V. S. molto I. delli 20 stante (2) mi par compren¬ dere che un’ altra sua, scrittami ultimamente, si sia smarrita, poiché non prima che da questa ho inteso, 1’ uso delle ampolle etc. per mo¬ to Cfr. n.o 1777. (*1 Cfr. n.° 1782. 328 27 GIUGNO 1G2G. [1784] strare il flusso e reflusso essere riuscito una vanità : non dovrà per¬ tanto meravigliarsi se non ne ha vista mia risposta. llSig. Cav. Cliiar amori ti, come più interessato di me, ha sollecitata la risposta al Keplero; ma io, impedito da varii disturbi, sarò più tardo nella mia, la (piale però son per spedire in breve nella forma che altra volta scrissi a V. S., ancor che mi dispiaccia 1’ h aver mi a io occupar sempre su queste con tradizioni. Io sono, da 3 mesi in qua, sopra un maneggio ammirabile, che è di moltiplicar con artifizio estremamente la virtù della calamita in sostenere il ferro: et già sono arrivato a faro che un pezzetto di G oncia che per sua forza naturalo non sostiene più di un’ oncia di ferro, ne sostiene con arte once 150, e spero di bavere a pussare ancora a maggior quantità; e ne darò conto a V. S. come a persona specolativa e che gu¬ sta di simili accidenti, de i quali io non posso abastanza stupirmi, men¬ tre veggo farsi tanto arrabbiatamente lina congiunzione con una sem¬ plice virtù immateriale : e tanto più mi pregio in questo affare, quanto 20 che io veggo il Gilberti ,a ‘, che tanto si profondò in questa specolazione e tanto sperimentò e con tanta diligenza scrisse, non passò a far che un simil pezzo di calamita che per sé stesso reggesse non più di 1 on¬ cia, con 1’ artifizio poi potesse regger più di o. 3, come si legge nel 2” libro suo De magnete , al cap. 17. Questo acquisto, che di giorno in giorno sono andato a poco a poco facendo, mi ha talmente adescato col gusto e con lo stupore, che son quasi doventato un magnano, et occupandomi in questo ho quasi del tutto messo da banda ogn’ altra cura ; e doventando continuamente più avaro et ingordo, non posso saziarmi, e quando (la principio mi pareva un guadagno grandissimo ao il fargli sostener 40 volte più del suo innato vigore, bora 1’ usura di 150 non mi contenta, e per ogni nuovo agumento, ancor che piccolo, mi vo travagliando, et intanto imparando qual sia l’affetto e l’in¬ saziabilità de gli avari. Cacio a V. S. le mani e finisco, senza finir di reverirla e supplicarla ad amarmi e comandarmi. Da Bellosguardo, li 27 di Giugno 1626. Di V. S. molto 111. 1 *® Devot. m ° et Obblig. rao Ser. M Galileo Galilei. “> Cfr. nu.‘ 1771, 1776. <*) Guglielmo Gilbert. Cfr. n.° 83. [1785-1786] 5—6 LUGLIO 1626. 329 1785 *. CESARE MARSILI a GALILEO in Firenze. Bologna, 5 luglio 162(1. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, oar. 85. — Autografa la sottoscriziouo. Molto 111.™ et Eccellcntiss.'" 0 Sig.™ P.ron Collen. 11,0 Non ha mai preteso la mia penna se non riverire il mio Sig.™ Galilei, e non mai constituirlo in alcuna obligationo di risposta, ancorché ogni sua lettera sia da me stimata un tesoro. Ring-ratio per tanto Vostra Eccellenza del’lionorc fattomi nel’liavermi dato parte dello sue glorie in proposito del straordinario augumento della virtù della calamita; e tanto più quanto sentivo predicare per amirabile l’inventione di Bartolomeo Sovaro (,) Svizero, il quale si vantava con un capelletto d’acciaio finissimo sopra una sfereta di calamita farle moltiplicar la virtù sesanta volte più del’imita. Ma che ha che fare sesanta con cento cinquanta? E Diosa io se fosse vero, chè io non ne ho veduto la prova, come non ho neanco potuto ve¬ dere Gilberto 1 *’, che pure l’ho fra’ miei libri. E qui a V. S. Eccellentissima resto il solito suo parcialissimo servitore. Di Bologna, li 5 di Lidio 1626. Di V. S. molto 111.™ et Ecccll."' a Parciali. mo suo Serv. 10 Sig.™ Galileo Galilei. Fiorenza. Cesare Marsili. Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 et Eccell. mo Sig.™ P.ron mio Oss."’° 11 Sig.™ Galileo Galilei. Fiorenza. 1786 **. RAFFAELE A VERSA a GALILEO [in Firenze]. Castel Durante, 6 luglio 1620. Bibl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 37. — Autografa. I. M. Molto 111. 0 et Ecc. mo Sig. 01 ' mio Oss."' 0 Desideroso di conferire a V. S. Ecc. ,na certa osservatione che ho considerata nelle macchie del sole, le scrissi un’altra mia (!,) ; ma dal non vederne ottetto, co- O) Baktolomeo Souvey. Cfr. ri.® 1784, lin. 21. XIII. 42 V 330 6 — 7 LUGLIO 1026. [1786-1787] nosco non le sia capitata. Per tanto ho voluto replicar quest’altra, se torsi incon¬ trerà miglior fortuna per mia consolatione. Ma non essendo certo se le lettere di qua per questo mezo del procaccio siano per capitar sicure a V. 8. Ecc. ma , per tanto mi contento in questa di far solo questo tentativo, per intendere se potrò sicuramente scriverlo per questa strada, et anco Re a V. 8. Ecc. m “ sia grata questa mia confidenza e questa risolutione di conferirle la mia osservatone, come spero io li debba essere. Et in tanto lo darò questa sola notitia di me, che, ammiro e leggo frequentemente le opre di V. 8. Ecc. ro, ‘, stimo sommamente il suo sapere, desidero apprendere da lei, le desidero lunghissima vita e di veder sempre opre delle sue lettere. E con ciò per fine le bacio affettuosamente le mani. l)a Casteldurante, nel convento del S. n '° Crocifisso, li 0 di Luglio 1026. l)i V. S. molto 111.® et Ecc. m * Servo All>® nel Sig.™ S. or Galileo. 11 P. Raffaele Aversa, dell’Ordine de’Chierici Minori. 1787 . • CESARE MARSILI a GALILEO in Firenze. Bologna, 7 luglio 1G2G. Bibl. Naz. Fir. Mss. fìat, P. VI. T. XI, car. 33-3'J. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ill. re et Eccell.™ 0 8ig. ro P.ron mio Coll." 10 Un certo Mess. Giovanni, il quale pretende, doppo la morte d’un Mess. Cesare Caravaggi (0 Bolognese (il quale negl’esperimenti e secreti della natura, come nol’ingegno, più che nello studio, era eccellentissimo), di essere unico suo herede nel modo di fabricar spechi, tanto di christallo, che operano per refralionc, quanto d’altre materie, che. operano per refllesionc, mi portò alcuni giorni sono l’incluso disegno ,) , acciò l’inviassi a V. 8. Eecell. mtt ; ov’ella vedo ch’egli pretende poter far un spechio concavo, clic non solo nella quarta, come dicono i moderni, ma nel centro, come dicevano gl’ antichi, et oltre ancora, conio anco dentro della quarta in due loghi, possi accendere il foco, et in tutti i loghi in un medesimo tempo e in un solo, come a lui più piace. Questi due erano quelli che si vanta¬ vano, come egli anco professa di presente, se bene con gran tempo e con gran dispendio, di poter far un spechio il quale per reftìesione possi fare, anzi facia, l’effetto del perspiciolo. Io mai però, ancorché il morto fosse mio stretissimo amico, ho potuto vedere lo spechio, che poi da loro fu presentato al Re di Francia, non che l’effetto, an- m Cfr. n.° 1711. <*> Non b presentemente allegato alla lettera. 7 — 17 LUGLIO 1626. 331 [1787-17881 corchè sia stato veduto e quello e questi da cavalieri et altri di giuclitio, che possono attestare verdadieramente la verità del fatto, ma però son lontanissimi da ogni principio di matematica o philosofica cognitione. Vidi però alcuni mesi 20 sono, come per furto, un spechio do’ suoi di christallo, del quale ne era rimasto lierede, con altre sue supeletili, una sua sorella vedova: guardai la luna falcata; il mio ocliio distava dallo spechio, il quale era di diametro poco piò d’un palmo, circa vinti piedi, c in verità che mi parca pareggiasse la grandezza che si vedo coi picioli canochiali di tre palmi. Vien però da Mess. Giovanni sopradetto bef- fatto come cativo, se bene ò melior di quello die tiene il Gran Duca in dono da loro, per esser stato quello di Sua Altezza il primo, il quale, se non fosse troppo ardire il mio, liavrei particular gusto che da V. S. Eccell. mjl , et anche dal Spi¬ nola, latore della presente, fosse veduto (ancorché ogn’ eccellenza d’effetto sia da lui collocato in quelli che operano per refflesione) ; il quale, incidentemente questa so malina havendomi detto voler esser da lei, mi ha dato occasione di farle rive¬ renza con la presente più presto di quello che io desegnavo per non incommo- dare i suoi gloriosi studii. Spero fra non molto d’haver di folio in folio occultamente la risposta del Chiaramente al Kepleo, c bela inviarò, mentre non sia per disturbarla o di- straherla dal suo genio. Ho liauto gusto di conoscer questo nostro Bolognese per suo servidore, poiché non sento maggior contento che parlar con chi amira Vostra Eccellenza. E qui, conoscendo esser stato tedioso, le chiedo perdono, e le facio riverenza. Di Bologna, li 7 di Lidio 1626. 40 Di V. S. molto 111.™ et Eccell. ma Parci. mo Serv. re Cesare Marsili. Fuori: Al molto 111.™ et Eccell. mo Sig. ro P.ron mio Coll.™ 0 11 Sig. ro Galileo Galilei. Fiorenza 1788. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Fironze, 17 luglio 1626. Ara li- Morsigli In Bologna. Busta citala al n.» 1688. — Autografa. Molto 111 » Sig. re e Pad. ne Col.® 0 Ho veduto il disegno dello specchio ustorio, mandatomi da V. S. molto I. a richiesta di Mess. Giovanni suo autore : il quale primiera- l'> Cfr. ii.° 1787. 332 17 LUGLIO 1G26. [1788] mente ringrazio della confidenza con la quale mi conferisce il suo pensiero, che sarà veramente cosa da stimarsi, tutta volta che riesca conforme all’ intenzione. Mi vo poi immaginando che lo diversità del- P accendere in diversi luoghi possino nascere dal tenere scoperte del medesimo specchio diverse parti, collocato però tutto intorno al suo centro e comprese tra circonferenze concentriche ; ma so questo fusse, pare elio dovesse accendere por tutto il diametro, e non in quei soli io cinque luoghi segnati o nominati dall’ autore : tuttavia me no ri¬ metto all’ esperienza et a quanto no affermasse Y. S. de visu. Quanto all’ altro specchio, elio per roflessiono faccia 1’ effetto del telescopio, lo stimerei per cosa meraviglioso, e molto volentieri la ve¬ drei : ma che il G. Duca habbia un tale specchio, non 1’ ho potuto penetrare, o solo mi foco veder già S. A. una lento di un palmo di diametro, la quale, collocata tra 1’ occhio e 1’ oggetto, accresceva la spezie quanto un telescopio di mezo braccio in circa, ma, per non esser stata lavorata perfettamente, rappresentava gl’oggetti ondeg¬ gianti ; e P uso suo ò assai incomodo, essendo bisogno di collocarla so distante dall’ occhio 25 o 30 piedi, per quanto mi ricordo : et in somma P effetto suo ò conimune con tutto lo lenti sferiche convesse, che si adoprano per i cannocchiali. Ma che S. A. habbia specchio che per retlessiono faccia un tale effetto, non P ho potuto ritrarre, e però non P ho potuto far vedere al Spinola, apportato!’ della lettera di Y. S. ; nò pure gl’ ho potuto dir cosa alcuna sopra di ciò, essen¬ dosi partito con lo specchiaro Veneziano senza che io gli habbia po¬ tuti rivedere : del quale specchiaro mi fu resa una sua poliza, ma per esser (credo) scritta assai in fretta, non ho potuto da essa com¬ prender molto distintamente P intenzion sua, o non vi essendo anco 30 sottoscrizione, elio pur mi indicasse il suo nome, sì che io potesse scri¬ vergli. Quando V. S. incontri comodità, mi favorisca fargli intendere che mi replichi quello clic vuole elio io faccia qua per suo servizio, che non mancherò di aiutarlo di quel poco che potrò. Vedrò a suo tempo la risposta del Sig. Chiaramonti ; o mi rincresco elio lo molte occupazioni c le piccole forzo mi prolunghino la mia risposta a quella parte elio tocca a me, ancor che ella sia facilissima nò ricerchi molta specolaziono. Resto molto obbligato a V. S., elio con tanto affetto vadia occupandosi in affari che possa stimare esser di mio gusto, e mi duole di non essero in stato di poter con pari effetti [1788-17891 17 — 24 LUGLIO 1626. 333 contraccambiare la sua cortesissima vigilanza : si appaghi della pron¬ tezza deli’ animo e scusi la povertà de’ concetti, e mi continui la sua grazia, nella quale mi raccomando, mentre con vero e vivo affetto gli bacio le mani e gli prego felicità. Di Fir. ze , li 17 di Luglio 1626. Di V. S. molto 1. Ser. ro Dev. mo Galileo Galilei. 1789 **. GIOVANNI P1ERON1 a [GALILEO in Firenze}. Praga, 24 luglio 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 48-44. — Autografa. Molto Ill. re et Eco." 10 Sig.'' 0 P.rone Oss." 10 Molto prima che bora liavrei preso occasione di salutar V. S. con qualche lettera, per l’affetto et osservanza particolare ch’io conservo sempre al sommo merito suo, so quel rispetto che assai costà, qua ancora non mi havessi ritenuto, di non impedirle il tempo, tanto nelle mani sue pretioso. Dora con tutto ciò, porgendomi l’occasione della venuta costà del Sig. r Giuliano Panclolfini, mio amicissimo, ho preso confidenza, con scusarmi con lei dell’ardire presente, poi che è fondato nella molta gentilezza sua. Il trovarmi in città ove non conosco molti che si dilettino dello speculationi più gentili di filosofia c matematiche, come io ho conosciuti in Italia, mi fa star privo di quei gusti e di quell’utilo che se ne trae, e, quel che ò più, di molti di quei libri che ne trattono, non cssondo qui se non un libraio, più provveduto di libri di controversie dogmatiche che di cu¬ riosi e nuovi: e però, per le diligenze che io habbia fatto, non mi è stato possibile l’bavere il libro di V. S. della cometa del 1018, che ella voleva intitolare 11 Sag- fjiatorc, desiderando pur molto di leggerlo, come se no mostrò curioso il Sig. r Kep- plero quando io gliene diedi notitia, clic però doppo l’havrà forse liavuto, non sapendo egli nulla all’bora nè anche della Libra Astronomica. Oltre alla materia propria di esso libro desidero di leggere et intendere, se V. S. in palesando come li fussero state tolte le tavole delle Stelle Medicee da Simon Mario, ella scopra 20 ancora in lui errore nella longitudine di essi, oltr’a quello che ha commesso delle latitudini, perchè, o per difetto di lui o per mia ignoranza, avviene che le osser- vationi non mi corrispondono se non forse nel 2. Ho vicino a 0\. Però prego V. S. a farmi favore d’inviar questo mio amico ove possa provvedermi di uno de i detti Lett. 1789. 10. mi far star — 334 24 — 26 LUGLIO 1626. [1789-1790] libri suoi, por portarmelo al suo ritorno, elio mi sarà gratia singolarissima e gliene resterò con obligo grandissimo; o maggiore poi sarebbe se ella degnasse darmi lei stessa qualche cenno donde proceda il mio errare, o nel calcolo o nello osser- vationi, poi che, so bene io non so la vera misura dello massime digressioni do’ pianetini da 3|, non di mono, osservandolo a occhio, non mi corrispondono a molto, ancorché io adopri strumento assai buono, credo uscito dalle mani di V. S., poi che non mi pare inferiore a quello che il Sig. r Conte, il nipote* 0 del Sig. r Ge- se ncralo Tilli l, \ mi dice haver ricevuto da lei. Se V. S. habbia messo mano a scriverò quell’opera della sua mirabile inven- tione clic mi disse voler intitolare Fltucus alquc refhixns maris otc. (3) , la supplico a voler darmene avviso; corno ancora so la fertilità del suo ingegno no habbia pro¬ dotta qualche altra, favorirmi di darmene al meno un solo cenno, che non mi potrà far gratia più desiderata. Di qua non saprei bora che dirli, se non elio uno di quei restati valenthuomini, trattenuti qua dall’Imperatore Itidolfo, chiamato lusto t%> , h ori voi aio o valentissimo matematico, dimostra la divisione d’ogn’arco nello parti uguali proposte, ma per algebra. Non so se da altri per simil via sia stato dimostrato questo: potrebbe 40 accertarmene V. S., la quale io non voglio tediare d’avantaggio, ma assicurarla elio, so bene io non posso aggiunger luce al solo, con tutto ciò in dimostrationo del mio affetto c del mio debito non manco in ogni occasiono di celebrare il colmo della sua virtù o del suo merito, quanto a me ò possibile, conio non mancherò mai di servirla con tutto lo forze, mentre mi honorerà de* suoi comandamenti, do’ quali supplicandola, con ogni affetto gli bacio lo mani o gli prego dal Cielo ogni felicità. Di Praga, li 24 di Luglio 1626. Di V. iS. molto 111." et Ecc.' n * Dcv. mo ot Aff. mo Sor. r '' Giovanni Pieroni. fio 1790*. CESARE RIARSILI a GALILEO in Firenze. Bologna, 26 luglio 1626. Bibl. Naz. Pii-. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 40. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.” et Eccoli. 1110 Sig. ro P.ron mio ()ss. mo Ancorché l'innata cortesia del Sig. ro Galilei sia tale clic rendi superfluo ogni utìitio (non ostante la solita ritiratezza) per renderlo affetionato a chi si sia, Oi Wrrnkr Thkhoi.aks. <*) Giovanni Tskrolarb, Conto di Tn.tr. <*> Cfr.Vol. VII, png. 7. **) lonsT IMllto. 2G LUGLIO - 1° AGOSTO 1G2G. 335 [1790-1791] liavendo però parso al Sig. r ® Andrea Taurelii di volersi valere della presente per introdursi nella sua buona gratin, ho csseguito volontieri questo suo desiderio, e ne son restato ambitioso, sapendo di indrizarle persona di molte lettere e di molto inerito. Ho poi inteso in confidenza da Mesa. Gioanni {,) il modo come il spcchio con¬ cavo accende in tanti luoghi. Non ho veduto 1*effetto, ma lo vedrò; e senza ve¬ lo derlo, lo credo. Non riferisco il modo, per havermelo detto in confidenza. Intorno allo spechio nel quale si vedi per relilesione, che io non ho mai potuto vedere, per più che mai sicuri indicii non è il spechio d’aciaio solo che faci l’effetto, ma al sicuro vi si aggiungono o lenti o traquadri di christallo o ambedue. Di gratia, mi scusi se tanto l’importuno di questo spechio, perchè da persone ch’hanno giuditio m’ò stato lodato sommamente. E qui a V. S. Eccell. ma facio humilissinia riverenza. Di Bologna, li 2G di Lidio 162G. Di V. S. molto 111. 10 et Eccel. ma Pare™ 0 Serv. ro S. rtì Galileo Galilei. Fiorenza. Cesare Riarsili. 1791*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. ■ Roma, 1" agosto 1U2G. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, cnr. 45. — Autografa. Molto Ill. re Sig. r e P.ron Col. n, ° Subito riconta la lettera di Y. S. molto IU. r) Cfr. tin.‘ 1787, 1738. < 2 > Vincenzio di Michelangelo Galilei. 330 l<> — 7 AGOSTO 1026. [ 1791 - 1792 ] le mani al Sig. r Vincenzo 10 e al Sig. r Aggiuntidal quale desidero sapere i par¬ ticolari della sua.condotta. Mons. r Ciampoli bacia le mani a V. S. et al medesimo Sig. r Aggiunti, et io me li ricordo obligatissimo servitore. Di Roma, il p.° d*Agosto 1626. Di V. S. molto 111.” Oblig." 10 Ser. r6 e Dis. 10 S. r Gal.® Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e P.ron mio Col."® 20 Il Sig. r [Galileo Gajlilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1792. UGNA VENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze J. l’arma, 7 agosto 162(1. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 47. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r e P.ron Col. 1 " 0 Le occupationi elio mi apporta la dignità del Priorato son state causa die sin bora noti li babbi dato nuova di me; ma non voglio già che più m 1 impedì* sellino ch’io non la saluti con ogni affetto con questa mia, dicendoli insieme come in quanto alla lettura di matematica, so qui non fossero i Padri Gesuiti, no La¬ verei molta speranza per la molta inclinatione del Sig. r Card.' 8 Aldobrandini t3) a favorirmi, come ha dimostrato nell’ honorarmi con molte lodi appresso quest’A. S., alla (piale mi fece due volte far riverenze e me li fece conoscer; ma poiché è sotto la disciplina do’ Padri Gesuiti, non posso sperar più in là che d’esser co¬ nosciuto da quella. Non ho tempo adesso di mandarli quelle dimostrationi da me nuovamente ritrovate; quando babbi maggior commodità, non mancherò ili darli gusto, sì come la prego me ne voglia (lare anco a me con favorirmi una volta qua a Parma della sua presenza, cliè mi sarebbe gratissimo poterla qui servire, conforme al molto desiderio che ne tengo. Mi favorisca di gratia salutar il S. r Gio. Batta Fa- chetti, e dirli che mi ricorderò bene di scriverli quando babbi malico occupatane di adesso. Finisco confermandomeli devotissimo servitore. Di Parma, al li 7 Agosto 1020. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m * Ob. mo Ser.™ F. Bonav.™ Cavalieri. *'» Vnrciwno di Galileo Galilei. l*i Niccolò Aggiunti. (*> Ippolito Aldobrandini. 20 [1793-1794] 8 — 21 AGOSTO 1626. 337 1793 *. SCIPIONE CH1ARAMONTI a GALILEO in Firenze. Cesena, 8 agosto 1626. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 41. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss. rao Quindici giorni sono ritornai da Venetia con l’Apologià (,) , stampata senza errori gravissimi, ma non senza errori: non è possibile ottenerlo da’ compositori, che l’emenda s’eseguisca senza menda. Non prima 1*ho mandata a V. S. Ecc. n,a , alla quale l’liaveva prima destinata, per non haver prima commodità di porta¬ tore. Si degnerà lionorar il libro della sua lettura, per esser ella tanto principale Ira’ giudici di questa controversia, la qual senza dubbio de’ esser giudicata da letterati scielti et isquisiti, e non volgari. Quanto al mottivo ch’ella già fece di non esser ella aderente ad Aristotele, io già sa ch’io non fondo su principii suoi la mia dottrina, ma su principii mate¬ matici, i quali mi conducono a questa commune conclusione, che sian le comete sotto la luna. Quanto al resto, dichiarerò altre volte il mio parere, formato questo del luogo loro. Oltre le cose scritte uscirà una opera in due parti divisa: l’una, delle tre nove stelle del 1672, 1000, 1604 (,) ; l’altra, delle comete dal 77 in qua, contenente le cose e le opinioni non tocche nell’Antiticone (fl) . Clic serva per ter¬ mine della mia osservanza, in darne a lei questo raguaglio; e con questo fino le baccio riverentemente le mani. Di Cesena, il dì 8 Ag. 1626. Di V. S. molto III.™ et Ecc. ms Divot. ,no Ser.™ 20 Scipione Chiara^.]* 5 . Fuori: Al molto 111.™ et Ecc." 10 S. or P.ron mio Oss. ,no Il S. or Galileo Galilei. Con un invoglio. Fiorenza. 1794 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Konia, 21 agosto 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I’. I, T. IX, car. 49. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col.'"° Io non volevo così presto dar conto a V. S. molto 111.™ delle cose mie, perchè pensava di dargliene parte con più gusto; ma hora, con occasione di rispondere (»l Cfr. n.° 1753. Caosoiifttis, ecc. Caosonae, apud losephuui Neriun), 1*1 De tribù» novi» Htelìit, quae anni» 1572, 1000, MDCXXVIII. 1604 compantere, libri tres Scipioxis Clahamostis, <*> Cfr. u.° 1671, lin. 7. XIII. •13 338 21 — 29 AGOSTO 1G26. [1794-1795] alla sua, li fo sapere come io servo l’Ecc.** 0 Sig. p Don Taddeo 10 con incredibile mio susto, perche servo un principe dotato di ogni sorte di virtù e di grazio; e, quel che importa per la bottega, intendo mirabilmente, c di giù habbiarao finito il libro primo, e S. E. lo replica con ogni osquisitezza; e in tanto io leggo il secondo, del quale boriimi habbiamo fatte nove proposizioni e replicato in eccellenza. Adesso verrò col fatto mio nel vostro. Oggi, subito riceuta la lettera di V. S., son stato al solito per servirò S. E., o fatto un poco di proemio delli infiniti io oblighi elio tengo con V. S., ho raccontato a S. E. quanto passò giù del motu proprio di S. S. intorno alla promessa della pensiono (,) , e non essendosi essequita la sua volontà, implorai il suo favore; o così mi ha promesso di faro con ogni efficacia clic lei resti servita c si adempia la voluntù di Nostro Signore. Ho poi dato conto subito a Mons. r Ill. n '° Ciampoli di tutto, perché possa, come farà con tutto il spirito, ricordare a tempo il negozio. E por pagamento supplico V. S. elio mi faccia grazia di quello scritturo fatte sopra il moto perpetuo o sopra i pistoni perché sono in obligo di leggerlo a S. E., havendoli letta con molto gusto tutta la lettera di V. S. Nel resto la ringrazio infinitamente dell’onoro elio mi fa a ricordare al Ser. m0 Gran Duca la mia devotissima servitù, e la supplico a repli- 20 care questo favore sposso. Sto aspettando risposta del negozio del figliuolo del Sig. r Michel AngoloBacio lo mani al Sig. r Aggiunti e al Sig. r Vincenzio lM , et a V. S. mi ricordo obligatissimo servitore, facendoli riverenza. Di Roma, il 21 di Ag.°, illesi d’estate, 1626. Di V. S. molto 111.** et Ecc. ma Oblig. rao Sor.™ e DisJ° Don Bened. 0 Castelli. Fuori : Al molto lll. ro et Ecc. mo Sig.™ e P.ron mio Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1795. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, ‘29 agosto 1090. Avch. Mftrale-ll in Bologna. Susta citata ni n.® 1088.. — Autografa. Molto ni." Sig." o Pad. 00 Col. mo La gratissima lettera di V. S. molto 1. delli 20 di Luglio, che doveva essermi resa dal S. Andrea Taurelii, non mi è pervenuta se non 3 giorni Cfr. 11 .® lft‘37. Cfr. Voi. Vili, png. 585-587. * 4 ' Vnioziizio Qaui.H. Cfr. n.® 1791. Cfr. u.° 1791, lin. 14. 29 AGOSTO 1626. 339 [1795] sono per mano di un frate Cinturone, al quale esso S. Andrea la lasciò nel partirsi per Roma, ordinando al medesimo Padre che mi dicesse come per fretta del partirsi non mi haveva potuto trovare, ma che al suo ritorno sarebbe stato da me : però V. S. non si meravigli della tarda risposta che ne riceve ; e quando mi succeda il veder il S. Tau- relii, reputerò a mio guadagno e ventura il dedicargli la mia servitù, io come a persona di molta stima e degna delle lodi del S. Marsilii: et intanto resto a V. S. con particolare obbligo de gl 3 acquisti clic ini va procacciando. Quanto alle varie invenzioni dello specchio ustorio, non so imma¬ ginarmi altro che quello che altra volta gli scrissi, nè graverei Y. S. a manifestarmi quello che tiene in confidenza, ancor che la conclu¬ sione e P effetto meriti di esser desiderato. Dell’ altro effetto concorro con lei, che il semplice specchio concavo non basti, ma vi bisogni l 3 ag¬ giunta di lente o traguardo ; ma perchè non ho specchio concavo, non posso tentare esperienza alcuna. I 20 In osservanza delle costituzioni Lincee, porgo a V. S. P anniversaria congratulazione, con augurio di continuargliela per molti anni. Credo che V. S. habbia cognizione di quelle pietre, che, calcinate, concepiscono e ritengono per un poco di tempo la luce, le quali na¬ scono non molto lontane da Bologna : se ella non no ha intera no¬ tizia, io gli manderò la mostra delle pietre et il nome della contrada dove si trovano, perchè desidero haverne, essendo P effetto loro, ap¬ presso di me, tra le massime meraviglie di natura. Ilo ricevuto lettere dal S. C. Chiaramente, insieme con la sua Apo¬ logia (l> , e gli rispondo con l’alligata, pigliandomi sicurtà della cortesia ao di V. S., già elio non saprei altra via per il sicuro ricapito. La gravo anco dell’altra per lo specchiaro (2) ; e supplicandola scusarmi, reve- rentemonte le bacio le mani, e gli prego da Dio intera felicità. Di Fir. 7 * 0 , li 29 d’ Agosto 1G26. Di V. S. molto I. Ser. pe Dev. mo Galileo Galilei. Lett. 1795. 8. r. quandi mi — <‘> Cfr. il.» 1793. <») Cfr. u.° 1788, Un. 27-84. 340 2—12 SETTEMBRE 1626. [1196-179?] 179f>*. CESARE MARSILI a GALILEO in Firenze. Bologna, 2 settembre 1826. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal.. P. VI. T. XI, car. 46. — Autografa la sottoscriziona. Molto Illustre et Eccell.™ 0 Sig. r * P.ron Oss. mo Alla riceuta della gratissima di V.S. Eccel. mal,) ricapitai l’inclusa al spechiaro, come farò Roggi l’altra del Sig.™ Chiaromonti. Intorno alle pietre ch’olla mi ri¬ chiede, ho fatto diligenza acciò ino ne siano portato, il elio non succederà prima di lunedì, havendomi promosso un pitoro elio lo conosco d’andarvi domenica ma- tina su l’alba, poicliò solo in quel tempo si conoscono lo miglioro, o tutte quello che sarano scoperte mi sarano portato. Vero ò eh’ a Bologna non so no fa caso ; ma per esser in quel luogo altre pietre stimato a Vonetia et altrove, non può scoprirsi pietra elio non sia levata. Il nomo della pietra non lo so; il monte è Pa- dcrno, c mi ricordo quindici o vinti anni fa haver veduto l’effetto che V. S. Kccel.' nv io mi scrivo, et haver anco veduto un’aqua o ligia fatta di quolla pietra, la quale fa cascare i pelli. Se olla però ne mandarà la mostra, sarà forsi più sicuro la scielta delle buone, ancorché chi mi ha promesso scielierle sia persona che le sa calcinare e ponerlo ne’ scatolini. Altro non mi occore per bora che salutar V. S. Eccell." 111 cordialmente o pregarla commandarmi. Di Bologna, il dì 2 di Settembre 1626. I)i V. S. molto 111."* et Eccell. m * Div. mo e Pa. m0 Se. r8 Sig. r ® Galileo Galilei. Fiorenza. Cesare Mar si li. Fuori: Al molto 111.** et Eccell." 10 Sig. re P.ron Coll."* 0 11 Sig. ro Galileo Galilei. so Fiorenza. 1797 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 12 settembre 1626. Bibl. Naz. Flr. Mbb. Gai., P. I, T. IX, car. 51. - Autografa. Molto 111.™ ed Ecc. m0 Sig. r mio c P.ron Col. mo Tengo por fermo che V. S. molto Ill. rw haverà la grazia da Nostro Signore della pensioneperchè il Sig. r Don Taddeo l,) mi ha promosso di far l’officio. »*» Cfr. n.» 1795. «*> Cfr. n.o 1794. l*i Taddko Bahbkrixi. 341 ■ 1797 - 1798 ] 12 SETTEMBRE — 21 NOVEMBRE 1026. E ben vero elio Mons. p Ciampoli non giudica bene che il Sig. r Vincenzio (n venga a Roma in questa prima rifrescata, come credo che ne faccia scrivere ancora al Sig. r Pieralli** 1 , non solo per le molte intimità e morti che corrono di presente, ma perchè Nostro Signore è per trasferirsi a Castel Gandolfo al principio di 8bre, dove si tratterà 15 o venti giorni, e andarsi ancora con S. S. Mons. p Ciampoli. lo poi feci presentare a S. S. tà il memoriale del Sig. r Federico, nel quale si diman¬ to dava la grazia di potere far celebrare nella sua capellina, e che V. S. ancora potesse sentire la Messa nella medesima le feste etc. Il Sig. r Cardinale Bentivo- glio <3) mi fece il favore di presentarlo lunedì passato in Concistoro, e lo fece volentieri, ricordandosi di essere stato scolaro di V. S. in Padoa. Nostro Signore rispose che voleva in ogni modo fare la grazia, soggiongcndo molte lodi della persona di V. S. con particolar affetto. Resta bora di far spedire il breve, il che farò quanto prima. Il Sig. r Don Taddeo rende molte grazie a V. S. della riverenza che io li ho fatta per parte sua. Séguita alla gagliarda e studia, dilettandosi di replicare le dimostrazioni puntualissimamente. Io poi sto benissimo, per grazia di Dio, e il 20 simile penso e desidero di V. S., alla quale fo Fumile riverenza. Di Roma, il 12 di 7mbre 1626. Di V. S. molto Ill. ra Oblig. mo e Devotis.® Ser. ro e Dis. 10 S. r Gai. 0 Don Bened . 0 Castelli. Fuori: Al molto 111" Sig. r e P.ron Col. mo 11 Sig. p [Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Fiorenza. 1798 *. GIOVANNI RI GUEVARA a [GALILEO in Firenze]. Roma, 21 novembre 1626. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 45. — Autografa. Molto 111.” Sig. r mio Oss. mo Allettato dalle Muse co ’l saggio che n’ hebbi, per mezzo di V. S., nel Bello Sguardo che mi sta sempre in cuore, dopo baciato i piedi a Sua S. tà in Castel Candolfo, dove all’arrivo nostro co’l S. r Cardinal Barbarino 1 * 5 dimorava, me ne fU VINGRAZIO (li MlOFIBLANQgLO GALILEI. < S > MaBOAKTONIO l’iKKALt.I. < 9 ) Guido Brntivoouo. m Francesco Barde nini. 342 21 NOVEMBRE - 13 DICEMBRE 1626. [1798-17091 ritirai 11 appresso a Marino, fra lo cui selve cominciava a ripigliar Tarme filo- Bolicho antiquo; quando, chiamato dalli negotii della Corte, ecco che mi ritrovo in Roma da pochi giorni in qua al servito di V. S., alla quale mando un volumo della mia opra l)c intcriori sensu l '\ et un altro deli'J/orologio spirituale™, quali ricoverà con la comodità d’un altro che invio al Ser“° S. r Gran Duca. Resta elio V. S. m*accenni i mancamenti notati da S. A. e da lei medesima, per non far- io meli commetterò di nuovo noli’altro libro che sto scrivendo Di appditu sensitivo. Trattiamo alla libera: mi perdoni della tardanza, e non lasci di coman¬ darmi, perchè so V. S. sapesse quanto di continuo sto con lei, direbbe che non ho mala memoria, nò sono ingrato: dicolo per il desiderio c’ho di servirla. Viddi il Sig. r Pronoipe Cesis in Teruggia; mi diede un suo Apiario (,) : par¬ lammo un pezzo di V. S., come poi qui co ’l Sig. r Ciainpoli. Tutti derideremo goderla o servirla, ma io più d’ogn* altro, come più obligato et atlettionato. Con elio gli bacio per mille volto lo mani. Di Roma, 21 di Ombre 1626. Di V. S. molto 111. 1 * 20 Affett."® o Devot.™ Sor.* 1 Giovanni di Guovara, Generalo de'Cliier. Min. rl 1799 *. GIROLAMO 1)A SOM MAIA a GALILEO [in Firenze]. Pisa, 18 diccinbro 1826. Blbl. No x. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, cnr. Ó3. — Autografa. Molto 111." et Ecc. m0 S. or mio ()ss. m0 Il S. or Giovanni Andrea Dano in’ ha detto, che quando venne qua, fere re- voronza a V. S. et di nuovo al suo ritorno pensa fare ristesso, conio quollo che gli ò molto servitoro et ammira il raro merito «li V. S. Dora con questa occa¬ sione gli voglio baciar le mani, et dare anco nuova come il detto Dano, in duo lettioni d’anatomia elio ha fatto et in diverse occasioni et discorsi, ha dato gran saggio di sò et concitato grandissima aspettatone; ondo perciò piglio animo di pregavo V. S. ad havorlo in protettone, perché favorirà huorao elio credo corto «0 Ioaxxib DK Gvkvaka Cloricortun Rogularinm Mlnorum De interiori mn libri tra*. Rotnae, OX typograpliia lacobi Mascardi, MPCXXII. «** Uorologio ipirituaU di Prencij/i, comporlo dal P.GioTAmn di GntTARA da’ Chierici Rofolari Minori. In Rema, appresto Giacomo Mascardi, MDCXX1I. <*' Cfr. d.* 1731. [1799-1800] 13 - 16 DICEMBRE 1626. 343 lo meriti, et se restassi in Pisa spero che saria d’ornamento e servitio grande io allo Studio, come ho scritto anco al S. or auditore Cavallo. 01 Il S. or Aggiunti cominciò, come V. S. sa, et seguita, come forse havà inteso, felicissimamente, con gran frequenza di scolari et con grandissimo applauso uni¬ versale. Et li bacio lo mani. I)i Pisa, a’ 13 di Die.™ 1626. Di V. S. molto I.® et Ecc. nm S. ro A(F. m0 S. ur Galileo. Girol. 0 da S> 1800 *. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze]. Milano, 1G dicembre 1G2G. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XI, cnr. 47. — Autografa. Molto IH.™ et Ecc."‘° Sig. r e P.ron Col." 10 Sono stato aggravato di lunga infirmiti, che mi ha finalmente, con V essermi trasferito a Milano, lasciato libero, per gratin di Iddio. Ritornarò a Parma pas¬ sate lo feste di Natale subito, piacendo a Dio. Quanto alli studii miei, ho ritro¬ vato molte altre cose di più che non havevo trovato, come: Se stari! ferma la base della portion maggiore del circolo overo ellissi, poi si rivolgerà, intorno a quella, come asse, detta portione sin clic ritorni onde si partì, il solido prodotto al pezzo di sfera o sferoide generato dalla istessa portione havrà, una proportione tale da me notificata, ma che bora non mi sovviene ; così anco, elio proportione io babbi il solido generato dalla minor portione, die pur si rivolga intorno alla base come sopra, al pezzo di sfera o sferoide generato dalla medesima; e molte altre cose belle. Non posso per bora mandargliene copia, come voluntieri farei, perchò non posso far la fatica di trascriverle, clic son cose lunghe, nò meno ho persona a proposito da chi farla fare. Desidero di intendere qualche nuova dell’ esser suo, o che Iddio gli conceda prospera e longa vita, et in particolare gli siano felicissime le presenti feste di Natale e Capo d’anno; con che fine me li confermo devotissimo servitore. Di MB. 0 , alli 16 Dec>° 1626. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Dev. m0 Ser.™ 20 F. Bon. ra Cavalieri. O) Uiulio Cavalli. 344 19 — 23 DICEMBRE 162G. [1801-1802] 1801 **. DOMENICO ORINI « [GALILEO in Flranse]. .Mirandoli», 10 dicembre 10M. Bibl. Nn*. Flr. M»«. Gal, P. I, T. IX, car. 68. — Autu«r*fa. Molto 111. S. r S. r e P.ron Col Ilo scritto al S. r Guiducd t>> , et pregata In sua gratin a volere rappresentare per ine appresso V. S. quegli offici ch’io lo devo. I»a sua lingua et la sua cor¬ tesia potranno farlo a pieno, eh’ io, quanto a me, se ben conosco che dovrei im¬ mediatamente sodisfare, nondimeno resto mezzo confuso, mentre penso al comin- ciamento stesso; poi che il merito di V.S., che mi pongo davanti, trovo in verità tanto eminente, che ramino mio col suo riverente affetto, a ben che si estenda senza line, non mi pare però che ben v’arrivi, et quelle parole le quali verso d’altri, usate per espressione del mio interno, mi parerebbono hiperbolicke, se voglio usarle verso di lei, mi paiono nanne: orni’il pensiero si trasforma tutto io in vera ammiratione et devotissima osservanza et ossequio, con un sommo giu¬ bilo degli eccessi Buoi sopra tutto il raro degli altri. I/O quali cose se sono degne di comparire nel conspetto della gratin sua et del suo valore, accompagnate sotto il mantello dei cortesi et possenti offici del S. r Guiducci, queste ancora presento a V. S. a parte dell’obligationi mie infinite, col supplicarla ch’ella, esercitando il solito della sua amorevolissima istimatione verso i leali servi suoi, et servi di più della sovrana memoria dell’ 111 S. r Gio. Francesco Sagredo o del merito indi¬ cibile dell' Ecc. roo S. r Procuratore tf) , si compiaccia di gradirmi tra i suoi ben amati et cari: che sarà quello ch’io da lei bramo, per bavere loco nella gran¬ dezza singolare della sua mente. Et io, pregando a V. S. da Nostro Signore Dio 20 felicissime le santissime Feste et tutti gli anni, i (piali pure sieno molti e molti a prò del mondo con la sua gloriosa vita, le fo humilinente riverenza. Mirandola, 19 di Xrobre 10*26. Di \. S. molto Ili. Humil. Ino e Div." 10 Ser. Domenico Orini. 1802. NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Piaa, SS dicembre 1026. Bibl. Naa. Flr. Un. Gai, P. VI, T. XI, car. 49 50 — Aut.^rafa. Molto 111. et Ecc. ,no Sig. r et P.ron mio Col. m ° Non mi scuserò del non bavere scritto a V. S. Kcc. ra », perchè credo che il mio silentio gli sia stato più eli connnodo che di noia: prima, perehò non gl'havendo O» Mario Gcidccci. •*' Zaccaria Sagrkdo. 23' DICEMBRE 1G26. 345 [ 1802 ] scritto non vengo a luivor gravato la sua cortesia a rispondermi; dipoi, perchè ella così viene ad bavere schivata la mia importunità con la quale gli harei per tutte le lettere rimproverato la troppo supina infingardaggine che la ritiene dal ripigliare l’intermessa, per non dir pretermessa, opera del suo Sistema. La buona filosofia, da molti secoli in qua, non ha conosciuto altro padre che lei, ma in questa azzione V. S. se le dimostra più tosto patrigno che padre. Ilorsù, é bene ut che io entri in altro, perchè in questa materia affliggo me stesso e disgusto lei. Gl’altri vengono a Studio per imparare, et io se vorrò imparare bisognerà die parta da Studio e torni da lei. Da che io son qua, non ho imparato nulla nulla penitns; dal che no cavo due conseguenze: una é che io so assaissimo, poiché qua non ci è chi mi possa insegnare; et l’altra è che io sono ignorante e dap- pochissimo, poiché di tanti milioni di cose trovabili, io non ne trovo pur una: e questa seconda è quella vera, et quella che mi fa vivere in continuo tormento. Intendo dal Sig. r Dottor Accarigi (,) , clic mi pare, al discorrere, molto Gesui- tista, che il P. Grassi ha stampato la risposta (J) in parti oltramontane, o chea Poma ne son venute alcune copio. Desidero sapere se le sia capitata in mano an¬ so coni, e che cosa sia, se bene io me P immagino. lo sin qui ho liauto la scuola frequente, perché non ho mai letto senza qua¬ rantacinque o cinquanta scolari. In casa vengono molti alle lezzioni private, ma tutti sono principianti: cerco (benché con molto dispendio di tempo e poco mio frutto) di sodisfare a tutti ; e se io resto inferiore alla mia carica, non sarà colpa mia, che non posso più, ina della sua troppa benevolenza, che s’ingannò nel pro¬ curarmela. Non mi trovo altro da dirgli, se non che io desidero che V. S. mi occupi con qualche suo comando, perché l’occupazioni preso per amor suo mi saranno di sollevamento e consolazzione dell’altre. E con questo, augurandole felicissime le so prossime Feste, come fanno meco tutti questi signori di camerata, le bacio con ossequiosa reverenza la mano. Di Pisa, 23 di Xmbre 1626. Di V. S. molto 111. et Ecc. ,na Obblig." 10 et Devot. m ° S. ra Niccolò Aggiunti. Se ci fussero problemi, quesiti e gentilezze solite di V. S. di nuovo, non oc¬ corre che io dica con quanta dolcezza le riceverei. Fuori: Al molto 111. et Ecc. n, ° Sig. r et P.ron Oss."‘° [...Galileo Galilei, Fil.° et Mat.° p.° di S. A. S. Firenze. Iiett. 1802. 32. A quauto pare, prima aveva scritto 22 di Xmbre, e poi corrosso 22 in 23. ~ m Camillo Acoaiusi. ( 2 ) Cfr. Voi. VI, pug. 375-500. XIII. 41 346 30 DICEMBRE 1G2G — 0 GENNAIO 1027- 11803 - 1805 ] 1803 **. BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Firenze. Milano, 30 dicembre 1 C 2 G. H ibi. Rat. In Modena. Raccolta Cam pori Aut-*irrafl, B.» LXX, n • 2. — Autografa. Molto IH.™ et Kcc. mo S.™ Con T occasiono che io son venuto n Milano, ho visitato o fatto riverenza al- rill. ,n0 S. r Car(l> Borromeo 10 , dal qual fui amorevolmente ricevuto; o doppo alcuni discorsi, fatti in parte intorno la persona di V. S., nel prender licenza egli m’im¬ pose che, scrivendo a V. S., la salutassi in nomo suo, com’ io faccio, con insieme avisarla che volendo scrivermi invii la lettera a l’arma, in S. Benedetto, dove sarò, credo, fra otto o dieci giorni. La frotta con clic scrivo non mi permette l’esten¬ dermi più in longo, che perciò finisco, augurandoli da N. S. il compimento de’ suoi desiderii, confermandomeli devotissimo servo. Di Mil.°, alli 30 I)ec.»« 1G2G. I)i V. S. molto 111.™ et Ecc. ,n * I)evot. mo Ser.™ F. Ilonav/* Cavalieri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. p c P.ron Col. 0 * 0 11 S. p Galileo Gali.* Fiorenza. 1804 . [ORAZIO GRASSI) a FRANCESCO B0NC0MPAGN1 [in Roma]. IICS61. Cfr. Voi. VI, 377. 1805 . MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 6 gennaio 16*27. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. 1. T. IX, car. 67. — Autografa. Car. n, ° et Onor. do S. r Fiat.' 0 Ilo ricevuto l’amorevolissima vostra, per la quale sono restato consolatasimo, non solo perchè scorgo continuarsi l’amor vostro verso di me e mia, ma ancora X>ott. 1803. C. inii — Federigo Borromeo. 6 GENNAIO 1G27, 347 [ 1805 ] perchè mi pare vederlo agumentato, poi che mostrate più clic mai desiderio di volermi aiutare, et anco, se possibil liti, avermi appresso di voi. Se ciò seguirà, come non dispero, vederete con effetti che più fedele creatura di me non bave te in questo mondo; per lo che ronderebbe tollerabili li altri miei difetti, conoscendo liaverne la mia parte. Di mia moglie non dico altro, solo che ò l’istessa bontà, la quale di soverchio supplisce agl’altri (in line) vani mancamenti. Dalle mie crea¬ lo turine spero ne riceveresti gusto, poi che sono, per la grazia di Dio, dotate di tali qualità da contentarsene: e vi dico che l’Anna Maria, banbina di 18 mesi non si può desiderar più graziosa creaturina; di Albertino mi dispiace non po¬ terlo inpiegare totalmente al liuto, perchè se io lo volessi bora levar «la le scuole, saria un provocarmi un immenso odio di quei Padri, cosa clic qua mi potria progiudicar non poco: ma perchè spero in breve doverà aprirsi la strada a mutar paese e condiziono, non starò a tentar altro, attendendo più oltra vostri ordini. Pensavo mandarvi il figliuolo quanto prima, solo perchè non ardivo contra¬ dirvi, ma da l’altra parto mi dava assai da pensare che averia perso costà il tempo; però, corno bene dite, lo riterrò in fino a tanto che altro si appresenti, 20 volendomi sempre conformare a quanto da voi mi sarà ordinato. E se per sorta ci toccassi a venircene costà, vederci condurci anco la Massimiliana (1) , quale, per amar sommamente sua sorella e figliuoli, so che si disporria a ciò facilmente; et tra il suo o quel poco di mia moglie, metteremmo qualche cosollina insieme, per poi inpiegar costà in quello paressi più approposito. Qua si stenta d’ogni cosa, c passa il tutto sì strettamente che ò cosa indicibile, causandolo queste guerre; c però quest’A. 2 * è piena di travagli e gravi affari, c circuii vostro ne- gotio della calamita si è soccintamente toccato qualche tasto, c non si scorge inclinazione, sì che penso vi sarà caro si lasci così, per parer non occorra but¬ tarsi troppo oltra. so Di Parigi ho auto lettera dal nostro S. r Renatto, quale cortesemente si offerisce voler mostrar al figliuolo con ogni fedeltà quel tanto potrà c saprà, dicen¬ domi clic ora suona di differente maniera di quando era costà in Italia, e non sono stimate più che le sue composizioni, come invero so da altri: et hora che à moglie, penso piglierà il ragazzo in casa, sì .come in questo proposito li ò scritto; e sarà cosa ottima per più rispetti, giudicando sarà anco benissimo sia raccomandato a quel vostro amico (a) . Sentirò con molto gusto che il vostro mal di rene sia passato, non mancando noi tutti di pregar Iddio per voi giornalmente. La mia Clara è vicina al suo parto: piaccia al Signore segua felicemente ; c se partorirà un mastio, il S.*‘Antonio mi Lett. 1005. 30. se portirà ini — Aionio — Ul Massimimana Bandinelli. l*) Kua Diohati. 348 8 GENNAIO — 20 FEBBRAIO 1627. [1805-18061 favorisce di nuovo comparo, e qua in suo luogo supplirà il S. r Abundio, quale con 40 vivo affetto vi si raccomanda. Sento con sommo gusto recedenti qualità «li Suor Maria Celeste; o lamia Mechilde si agura poterla vedere o servire, come tutti noi, e di cuore la salu¬ tiamo con tutte l’altro monache nostro parenti. Delle vostre amorevoli offerte infinitamente vi ringrazio; et invero farò capitale do’ vostri aiuti, perché vivo con molta strettezza, mediante la carestia di questo paese e il grave carico che ò di famiglia. Da me o mia non potete sperarne altro che una fedel servitù, se a Dio piaccia sortiscila quello accennato voler tentare: pregheremo per la vostra sanità, o che segua quello sia per il meglio. La scatola con grAgnusde[i] non è ancor comparsa, o pure d’Ispruch scrivo il l\ Vicario, fratello del S. r Benevieni, che me so l’à inviata, et ò paura non capiti male; cosa che non poco perturba le donne, quali di nuovo vi ringraziano et infinitamente vi si raccomandano, sì come fo io con il restante della mia brigata. Dio nostro Signore vi feliciti o conservi lun¬ gamente con buona sanità. Di Monaco, li fi di Gennaio 1627. Di V. S. Aff. mo p Oblig. ,na Frat.'° e Ser. r * Al S. r Vincenzo vostro Michelag. 10 Galilei, un affetuoso saluto. Fuori: Al molto IH.™ e Ere."»'» S. r Galileo Galilei, Matematico del Rer. roo G. Duca di Toscana. fio Fiorenza. 1 806 . GIO. BATTISTA BALIA NI a BENEDETTO CASTELLI [in Roma]. Savona, 20 febbraio 1627. Dalla ■A'uonx RnrraUn ri'Autori rht trattino drl mota deliaryvf. In Parma. MDCCLXVI, per Filippo Carmi- jfnnni, Voi. IV, pag S8-ft4, doro quatta lettera vida per la prima volta la luce. ....Io altre volte feci un trattato de’nviti dei solidi, e della loro maggioro o minore ve¬ locità ne’piani più o meno declinanti: volli poi far quello de’liquidi, o lasciai l’opera im¬ perfetta, perchè mi ni accrebbero le difficoltà. I.a causa principale è la seguente. Facendo il trattato do solidi che ho detto, avvenne che. Bonza cercarla, mi riuscì, a parer mio, ben dimostrata una proposizione per una via molto stravagante, la quale già il Sig. Galileo m avea detta per vera senza però addurmene la dimostrazione; cd è, che i corpi di moto naturalo vanno aumentando le velocità loro con la proporzione di 1, 3, 5, 7, cc., e così in infinito: ino no addasse però una ragiono probabile, elio solo in questa proporzione piu o meno spazi servano sempre l'istessa proporzione. Non ini dichiaro maggiormente, perché so che parlo con chi intende. Però io V lio dimostrata con principi molto diversi ; 10 ma comunque sia, non mi paro che i corpi liquidi vadan nell’ istesso modo come i solidi, 20 FEBBRAIO — 6 MARZO 1027. 340 [1800-1807] por la natura diversa ohe hanno, non in quanto gravi, ma in quanto aventi lo parti dis¬ giunte : e, sebbene io so elio nel canale dei molino l’acqua quanto ò più bassa si va più assottigliando e Tacendo minor sezione, mentre all’incontro sia un canaio lungo o un fiume che declini circa sci o otto per cento, non mi pare che l’acqua si vada aumentando di velocità con quella proporzione elio correrebbe una palla sferica in un piano porfettamente declinante. So che il fiume, terminando al mare, non casca, ma ritrova intoppo dell’acqua clic lo va trattenendo, ondo l’acqua del fiume, da questo trattenimento, fa anche roaistouza a quella di diotro : però non mi pare elio questa sia bastante cagiono per un tal effetto.... 20 Mi farà ancora molto favore a darmi notizia so il Sig. Galilei fa qualche cosa di bello, e se ha data fuori cos’aldina dopo l’opere delle cose che stali sull’acque o dolla cometa, come anche so costi sia comparsa qualche bell’opera..., I807**o GIOVANNI DI GUEVARA a GALILEO [in Firenze]. Roma, 6 marzo 1627. Auto^rafoteca Morrison in ^Londra. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto 111.™ Sig.** mio Oss. ,no Aggiungendosi al valore et al merito di V. S. la mia particolare affettione, ho stimato convenevole la parte, che bora le do, della promotione mia, benigna¬ mente fatta dalla S. tà di N. S. re , al vescovado di Theano, per il contento elio si prenderà V. S. dal vedermi posto in avanzamento tale, elio senza fallo dovrà ac¬ crescermi maggior modo di servirla. Si compiaccia ella intanto di gradire la dimostratone, e di serbare a me stesso l’usato suo amore, che le bàcio Ira questo mentre le mani. Di Roma, li VI di Marzo 1627. io Di V. S. molto 111.™ alla quale vorrei aggiungere molte cose, ma non ho tempo. Spero di poter supplire appresso, e de¬ sidero qualche comandamento suo prima che parti da Roma, che sarà dopo Pascila. Solo prego V. S. intanto ad avisarmi che potrei fare per havere un paio di cristalli buoni per un cannocchiale, perché farei usare in Venetia ogni diligenza; e ne vengo richiesto da persona grande, a chi non posso man¬ care. V. S. mi scusi; e gli sono 20 A ffetfc. mo Ser. re S.'' Galileo Galilei. Giovanni di Guevara, Generale de’ Chier. Minori. 350 MARZO — 24 APRILE 1027. 11808-1609] 1808 **. GALILEO a FERDINANDO 11 Granduca di Toscana fin Firenze]. [Firenze, marre 1627.) Aroh. di Stato in Firenze. Monte di Pietà, Fili* 1040 pi'untici munvriuione 84), u.» intorno 401. — Autografa. Sor ." 10 Gran Duca, Galileo Galilei, humiliamno servo o vassallo dell* A. V. S. ma , la sup¬ plica che voglia restar servita di fargli grazia di poter comprar venti luoghi di Monto di Pietà 1 , in una o più volto, con ritrarne i soliti emo¬ lumenti ; di che resterà perpetuamente obbligato all’ A. V., u no pre¬ gherà il S. Dio per ogni sua maggior felicità. Di ranno di Fkhuinaxdo II: Fer. E di waan di A span i finiti Concedasi corno domanda: et il Provcditoro gli faccia rispondere do* frutti a beneplacito. Andrea Gioii. 23 Marzo 1626io 1800. ANDREA GER1NI a TOLOMEO N0ZZ0UN1 [in S. Agata in Mugello]. Firenze, 21 aprile 1627. iialln prima odi/ione Fiorentina dolio Opera di Galileo Galilei, Tomo III, pag. 45. l>i Firenze, il dì 24 Aprile 1(527. 10 mi aon trovato alti giorni passati »n una conversazione, dove si disputava un punto di mattematica ' ; e perché hi gente si pngneva, sono ricorsi por la sentenza al Sig. r Galilei e perchè una parte non bÌ quieta, mi ò venuto in pensiero di scrivere a V. 8. per sentire la sua opinione, della quale se ne vuol favorire, so che sarà gradita, quando però sia con suo conutiodo e senza interrompimento di altri suoi studi. 11 punto è questo: Un cavallo vale veramente cento scudi: da uno ò stimato mille scudi, o da un altro dieci scudi; si domanda, chi abbia di loro stimato meglio o chi abbia fatto manco stravaganza nello stimare. Se a V. S. pare farci sopra un poco di discorso con sua opinione, a lei mo no rimetto; o ho preso questa sicurtà, sapendo elio si diletta 10 di curiosità. Nuove non ho da darne ; che però farò fino, con ricordarmeli servitore o da Dio pregarli lunga vita in sua grazia. <*> Cfr. Voi. XIX. Poe. XXX, a). •*> Cfr. Voi. VI, pag. 568 «12. '*i Di utile fiorentino. (*> Cfr. Voi. VI, pag. 572-574. [1810-1812] 20 — 30 APRILE 1G27. 351 1810 . TOLOMEO NOZZOLINI ad ANDREA GERINI [in Firenzo]. Sì. Agaia in Mugolio, 20 aprile 1027. Cfr- Voi. VI, pag. 5C9-572 1811 . BENEDETTO CASTELLI ad ANDREA ARRIGHETTI [in Firenze]. [Roma, aprile 1G27.J Cfr. Voi. Vi, pag. 577-078. 1812 #l: . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Koraa, 30 aprilo 1027. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Cftmpori. Autografi, lì.® LXX, n.° 19. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. r e P.ron mio Col. 1 ' 10 È stata riservata sopra la Theologale di Brescia G0 scudi Romani di pen¬ sione a favore del Sig. r Vincenzo, figliuolo di V. S. molto 111. 0 ; sopra di che l’111."' 0 Sig. Card. Padrone 10 ne scriverà, ancora a V. S. Non si è potuto per bora far più, per rispetto delle distribuzioni che si sono fatto a quelli che hanno ser¬ vito il Sig. Cardinale nelle legazioni; e credami che il Sig. r Cardinale conserva particolar memoria e allctto verso la persona di V. S., lodando in molte occa¬ sioni il singolare inerito suo. In tanto non mancarti ancora di procurare per il resto, e forsi con qualche vantaggio. Per bora lei si compiacerà, di dare ordine io che si possi no spedire lo bolle, et io non mancarci farla servire. Ilo poi scritto una lettera (,) , in risposta al Sig. Andrea Arrighetti, soprala Decisione (i) fatta da V. S. nella controversia tra il Sig. r Arrighetti e il Sig. r In¬ contri; dove scrivo alcune cose che mi sono venute in mente, insieme con la dimostrazione di una proposizione geometrica' 0 , mandatami pure dal medesimo Sig. 1 ' Arrighetti. Se mi favorirà di dare una lettura alla detta mia risposta, aspet¬ tarci il suo parere, liavendo io scritto non per confirmare la Decisione di V. S., ma per mostrare quanto la verità habbia da ogni banda le riprove; massime clic il l'i Fuanoksco Uakbkriki. (51 CfK. II.» 1811. < 3 > Cfr. Voi. VI, pag. 572-57'!. O) T.fi lettera del Castkm.i hH'Aurigiietti non ci è pervenuta por intero, noU’unica fonte che ne co¬ nosciamo : cfr. Voi. VI, pug. 578, liti. 7, e pag. 5U5-5GC. 352 30 APRILE 1027. [1812-1813] Sìg. r Andrea mi scrive olio il Sig. r Incontri sta risoluto di voler scrivere e far scrivere contro di V. S. K non occorrendomi altro, li fo humile riverenza. Di Roma, l’ultimo d’Aprile 1627. 20 Di V. S. molto 111." Oblig.® 0 Ser." e Dia. 10 Don Hened.° Castelli. Fuori : Al molto 111." et Ecc. n,u Sig. r e P.ron Col.»® 11 I3ig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1813 . BONAVENTURA CAVALIERI a (GALILEO iu FireiueJ. Parma, 30 aprile Blbl. Naz. Flr. Un. (Sai.. P. VI, T XI. czr. 51 52. — Àut«fr*r». Molto III." et Kcc. mo Sig. r o P.ron Col." 0 Scrissi a V. S. E. alcuni giorni roiio, avisnndola come per il prossimo passato Natalo essendo stato a Milano, et havendo fatto riverenza all’ 111."° S. r Card. 1 * Bor- romeo, gli bavero pure scritto, salutandola in nome di S. S. ri * 111.®* per ordine di quella 1 ”. Mora, perchè non son sicuro se babbi ricevuto lo mie lettere, perciò con questa occasione di salutarla ne lo aviso di nuovo. Ho ricevuto i suoi benigni saluti dal P. Vicario di costi, ebe ini sono stati gratissimi, e di sentir cb’ ella sia con sanità, del ebo mi rallegro, come di persona che vorrei vivesse immortal¬ mente, come so che la fama senz’altro supplirà al mio desiderio. Non creda che l’intermettere per qualche tempo di scriverli nasca da puoco ricordanza che tenga io di lei, de’ suoi meriti e delle ricevute cortesie e dell’ affetto dimostratomi, ma piò tosto dal non volerla infastidire, non mi occorrendo piò necessità ebe di salutarla; cbè quanto al mandarli qu&lcb’una delle mie composi ti oni, so io lo potessi fare, lo farei più che voluntieri; ma l'occupatioim del convento, e l’attendere a finire il resto dell’opera mia di geometria, fa che non possi impiegar tempo per trascri¬ vere qualche cosa e mandargliela. Ho già fatto un libro del circolo et ellissi, un altro della parabola, e quasi finitone un altro dell’hyperbole e dei solidi che da queste no vengono: resta ch’io registri i libri delle propositioni lemmatiche, che già stano in confuso, che poi sarà l’opera finita, piacendo a Dio. Ilora non li posso dir altro, se non che ho 20 ritrovato molte altre cose dei solidi ch’io non mostrai a V.S., e dei piani, mas¬ sime della parabola segata in varii modi, del cono comprehendente il conoide hyperbolico, cioè che proportene babbi quello a questo; similmente, fatto un **> cfr. n.® iaya. 30 APRILE — 5 MAGGIO 1027. 353 [1813-1815] parallelogrammo sopra la base di una delle hyperbole o settioni opposte e intorno al medesimo asse con le opposte settioni, che proportene babbi il lato opposto alla base, che sia pur base della contraposta liyperbola, c fatto rivolgere detto parallelogrammo intorno al detto asse, clic proportene habbia il cilindro generato dal parallelogrammo al resto di lui, levati da quello i duoi contraposti conoidi hyperbolici; parimente, ritenuta la detta figura, cioè il parallelogrammo et op- so poste settioni, e descritte le altre due, che si chiamano con questo congiugate, che proportene babbi il cilindro già detto al resto, levati da lui i due già detti opposti conoidi hyperboli, et anco il solido generato dalle altre duo, clic si chiamali con queste congiugate; e molte altre cose simili. Et ho anco trovato la demostra- zione ostensiva clic il cilindro sia triplo del cono, che non havevo trovata se non ad impossibile , cioè nella mia strada provando che tutti i quadrati del paralle¬ logrammo siano tripli di tutti i quadrati di qualsivoglia dei due triangoli con- stituiti dal diametro tirato nel parallelogrammo, essendo regola commune un de’lati; al clic mi ha servito la 9 del 2 , quale non fu possibile, conio vi dissi, disporla ad ac¬ cettar il partito, con il compiacerò in un moderno tempo a voi et a me; o perchè pur desideravo restassi servito, vi offersi in loco suo la mia Chiara, quale senza io dubbio alcuno so non vi saria stata meri grata e utile ; o so bene da voi non fu rifiutata, puro alcune considerazioni fatte annullò i nostri disegni, o fu il prin¬ cipale elio io sarei rimasto con li figliuoli privo di governo. Hora elio sono scorsi alcuni anni, o elio il vostro presente bisogno sarà forse pii! grande che allora, e tanto più lo credo quanto clic no l’ultima vostra ben chiaramente vi siate la¬ sciato intenderò clic al vostro governo conoscete non bavere altri da chi lo pos¬ siate sperar migliore che da me e mia famiglia, nel qual particolare penso non v’inganniate punto; o però mi dicevi, a tutte lo maniere voler tentare col mezzo del favoro del S. G. I). di rimpatriarmi con qualche honorato trattenimento, acciò voi fussi ne’ vostri bisogni ben servito, et io ricevessi gusto et utile d’esservi ap- 20 presso 0 godervi quel tempo che piacessi al Signore lasciarci ancora in questa vita. Vi risposi subbito elio ero prontissimo ad essequire ogni vostro comando con sommo piacerò, quale tutta via attendo. Ma perchè i disegni tal volta so- glion fallare e riuscir vani, son andato pensando che quando ciò non potessi succedere (ciò è di rimpatriarmi con tutta la famiglia, come disegnate), voler ad ogni modo (se però da voi sarà approvato) condurvi costà la Chiara, a ciò vi governi e Berva; la qual cosa penso possa riuscire felicemente, poi clic è crea¬ tura dotata di sì buone qualità, che mi prometti» di certo elio si saperia guadagnar la vostra grazia: et hora l’antiponere il vostro governo al mio è debito e cordiale mia volontà, quale se sarà da voi accettata, come spero, ne seguiranno beni co- 80 numi, elio sarà in un moderno tempo soccorrere a’ vostri 0 mia bisogni; intendo, clic voi fussi governato con fedeltà e amore, conte indubitatamente conseguiresti, et io fussi imparte alleggerito della intollerabile spesa; che ciò seguiria quando anco con la Chiara ne venissi qualcli’uno de’ figliuoli, che penso sariano per voi di passatempo, et alla madre consolazione et alleviamento, poi che se restassi priva di tutti in una volta, li parria cosa (come potete ben credere) molto dura. Però questo si lascerà determinare a voi, ron dimandare quelli che vi potessine essere i più grati, pensando non vi abbia a dar molto fastidio una 0 dui bocche di più, poi che penso altri, elio pur dovete aver attorno, non mono vi costino, e forse saranno mono bisognosi di me e meno congiunti con voi. Io poi me ne 40 resterei qua con il resto della famiglia, sperando nello mio occorenze che la Mas- similiana mi sovvenirla. Hora, piacendovi, potrete pensare un poco sopra questa mia proposta (senza però annullare il vostro primo pensiero, ciascuna volta voi tl > Cfr. n.o 1809. 5 MAGGIO 1027. 355 [1815] 10 stimassi riuscibile), e dirmene il vostro parere, non ci trovando io cos* alcuna elio mi paia repugnante per non essequirla, ina bene per runa e l’altra parte di molto utile: pure potrei inganarmi, et per ciò n’attenderò il vostro giudizio, come (la quello clic sa e intende meglio di me. Qua si ò fatto un vivere dispietato, o bisogna consumarsi stentando, massi¬ mamente io che mi trovo carico di sette figliuoli. Il primo è Vincenzo, del quale 50 per ancora non ò risoluzione alcuna dove sia per voltarsi, ma penso pure sarà a Roma, volendo quest’Altezza più presto suggetti atti per servizio della sua cap¬ pella clic di camera, cosa elio in Francia non potria conseguirsi, per non sonarsi là di musica. Ci ò poi Mccliilde, clic va alla scuola di certe monache Iesuitiche che poco tempo fa fumo fatte venire da Roma da quest’Altezze : impara latino et altre cose, mostrando liavcr mirabile ingegno, et ò sommamente amata da esse Madri. Ci ò poi Albertino, che tutta via seguita le scuole con molta laude do’Padri Iosuiti; poi Michclagnolo, Cosimo, Anna Maria, e Maria Fulvia, tutti in vero figliuolini degni di contentarsene; et fra tutti l’Anna Maria si mostra la più graziosa, et ha una faccia d’angelino. 60 Io non mi starò ad affaticare più in lungo a descrivervi il mio pensiero, quale credo averete benissimo compreso, sperando sia per esser (la voi approvato, perchè mi pare sia vera imspirazione divina clic m’abbia mosso ascrivervi così; c forse questo sarà principio di condurmi poi costà con tutto il resto della famiglia, pen¬ sando die quando la Chiara sarà stata da voi qualche mese o preso prattica nel governarvi, vi sia per riuscir gratissima; e per compiacere a lei o a me penso ohe con maggior ardore proccurereto di ottenermi quello che già liavetc in animo: la qual cosa sia pur rimessa totalmente nella volontà santissima del Signore, in¬ vocando con ogni vero affetto il Suo divino aiuto, indirizandoci a effettuare quello sarà più in lionore e gloria Sua c comun bene. Finirò attendendo con molto de¬ vo siderio sentire quello vi conpiacerete dirmi sopra questo negozio, per poi sapere 11 modo di governarmi c provvedere a’ bisogni. In tanto state sano, non mancan¬ dosi di qua pregar per voi. Vi prego a salutar caramente tutte le monache da parte di tutti noi, et in particolar Suor Maria Celeste, quale la Mechilde desidera sommamente vedero c servire, essendosi innamorata nel sentire delle sue sì rare qualità e virtù; c finendo, con la Chiara di tutto cuore mi vi raccomando, come facciamo a tutti li parenti: e così Nostro Signore vi conceda ogni desiderato bene. Di Monaco, li 5 (li Maggio 1G27. Di V. S. Aff. mo e Oblig. mo Frat. 10 e Ser. ro Parendovi, potrete conferire questo Michelag.' 0 Galilei. 80 negozio col S. r Benevieni. Fuori: Al molt’Ill. rn et Ecc. m0 S. r Galileo Galilei, Matematico del Sor."' 0 G. Duca di Toscana. Fiorenza. 350 12 MAGGIO 1027. 11816] 1816. FRANCESCO BARBERINI a GALILEO in Firenze. Roma, 12 maggio 1H27. Bibl. Nat. Plr. Ms*. Gal., P. I, T. XIV. rar. 199. — Autografa la Arma. Ili/* e molto Eco.** Sig/* Ancorché io non hahbia finbora risposto con lettere al buon augurio che V. S. m’inviò per le feste (lei santissimo Natale, ella potrò però conoscere ch’io no bo havuta continua memoria, dalla gratin ch’io le ho impetrata dalla S. tà di N. S. (l’ima pensione di 60 scudi per il S. r suo figliolo' 0 . In che coni’io ho cercato di sodisfar al suo desiderio, così corrispondo abbondantemente all’affetto eh’ella mi dimostra con ripregarle dal Signor Dio ogni bene. Di Roma, li 12 di Maggio 1627. Affdi V. S. Fuori: All’111/* e molto Ecc. 1 * S. ra Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. io “» Cfr. li.» 1812. [ 1817 ] 16 MAGGIO 1627. 357 1817. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Firenze]. Pisa, 16 maggio 1627. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 53-54. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r et P.ron mio Col." 10 Ogni minimo cenno di V. S. Ecc.' na è bastante a farmi far qualsivoglia gran cosa, pur che a me possibile, non clic una bagattella come è questa di star quindici di più a Pisa. Io facevo pensiero di venirmene a Firenzo a principio di Gingilo, perchè questa mia camera, dove dormo, è volta (come sa benissimo V. S.) verso certi horti i quali mi mandano nuvoli di zanzare, dalle quali malamente mi schermisco alternando a me stesso tutta notte mostaccioni ; e anco tornavo a Firenzo volenticrissimo per rivedere V. S., della quale finalmente veggo ch’io ne sono innamoratissimo, e sopporto duramente questa lontananza. Ma bora che io V. S. mi consiglia a star qua, e che la vicina partenza do’ miei concamoranti mi darà commodità di mutare stanza, senza pensarci punto son risolutissimo di star sino allo sgocciolo delle lezzioni, alle quali in quest’ultima terzeria ho hauto et ho, per mia buona fortuna, maggior frequenza di scolari che mai. Dopo la solita lezzione di geometria ho cominciato a proporre c risolvere qualche problema fisico, la qual cosa a chi dà gusto, a chi disgusto, et a chi nè l’uno nè.l’altro, secondo che altri è intelligente, altri maligno, altri balordo. Ma io de’ balordi non ne tengo conto; i maligni, V. S. non dubiti, quando mi viene il taglio, che io non gli staffili ; vedrà V. S. le mie post-lezzioni al ritorno che farò ; gli in¬ telligenti son quelli che io stimo, a’ quali per sodisfare non cesso di affatigarmi, 20 et sin qui le mie fatighe non sono state vane; molti, a mia persuasione e fedele et ingenua scorta alla via del buono e vero modo di studiare, si sono apostatati chi dal Peripatecismo et chi dal Iustinianismo. Tra quelli che hanno fatto profitto nelle matematiche, uno è il figlio del Sig. r Ia¬ copo Cicognini, il quale ha inteso mirabilmente i primi sei libri et l’XI et XII di Euclide, et adesso vediamo i Conici di Pergeo. Questo mi ha pregato che io voglia supplicar V. S. di questo : che essendo suo padre adesso su ’l deliberare se sia bene o no di fargli bavere quest’altro anno una lettura di Instituta qui in Pisa, V. S. sia quella che dia il tratto alla bilancia, e dica che sarebbe be¬ nissimo fatto e lo consigli al sì. Il giovane non ci ha altro fine se non di poter so anco quest’altri anni esser meco, e dopo quelle lezzionacce (adopro le sue parole), che con poca fatiga se ne disbratterà, potere ex toto corde attendere alle matema¬ tiche, le quali non finisce mai mai di lodare e predicare per tutto ; ot quando 16 — 21 MAGGIO 1627. 358 [1817-1818] gli dico qualche discorso di V. S., impazza per allegrezza, et è devotissimo ado¬ ratore del nome di V. S. Ci godiamo allogramente tutti tre, il Sig. r Vincentio suo tiglio, il S. r Dino (n et io, il vino, ottimo di sapore odore o vigore, che ella ha mandato; et il Sig. r Dino ed io lo ne rendiamo gratio infinito. Un doloraccio di capo che ho, l’importu¬ nità delli scolari cho mi stuzzicano intorno, et l’hora tarda, fa che io finisco ; et con tutto le viscere me gli raccomando, e me gli ricordo servitore devotissimo et amico internatissimo. 40 Di Pisa, 16 di Maggio 1627. Di V. molto 111. et Ecc.' n * ()hhlig. ,no et Cordini .'no Niccolò Aggiunti. 1818. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Borni, 21 maggio 1027. Blbl. Nn*. Flr. Mas. Gal.. P. I. T. IX, c«r. 03. - Autografe. Molto IH.» Sig. r e P.ron mio Col." 0 Son restato stordito nel leggere la lettera di V. S. e appresso quella del Sig. r Vincenzo ”, nella quale bì vede un odio avvelenato, non una semplice aver- siono d’animo, al elencato; e io per me con mal animo proseguirò a servirlo, non mi parendo giusto procurare Leni di Chiesa per chi si mostra tanto mal affetto alla Chiesa: e questa non ò la prima volta che io ho sentito, con mio dispiacere, questo odore. Sono però informato che non sarà obligato a portar Phahito, ogni volta che la pensione non passa 60 V' 1 ', come ò nel caso nostro. Quanto al cavalerato, io ne ho uno per le mani che vaierà intorno a mille scudi, e renderà intorno a otto per cento; ma il capitalo si perde con la morte. Per io l’ordinario cho viene scriverò più di sicuro, perchò bora non ho tempo d’infor¬ marmi a pieno. Ieri sera il Sig. r Card. 1 Barberino'*’ ini comandò che io accettassi la lettura dello Studio di Roma; e perchò non si può, conforme allo statuto, bavere di con¬ dotta più di 100 V ,h , anzi, per dir meglio, non si può arrivare alli 100 V di , però il Sig. r Cardinale ha segnata la provisione di 95 V ,li , con promettermi agumenti in tutte 1 occasioni. Io non ho potuto far di meno di non obbedire, massime clic leggerò pochissimo, et ho pensiero di caricarla al Padre Fra Bonaventura nostro. (l ' Diho Pkri. W VlNCl.VZIO di tULlLKO QlUUL »*> Kkamuhcu Harbkhim. 21 — 22 MAGGIO 1027. 359 [1818-1819] Non ho lettere del Sig. r Àrrighetti (i> , e lo sto aspettando a gloria. Supplico so poi V. S. a farmi grazia di significare al Sor. 1 " 0 Gran Duca, clic li vivo servitore di cuore, obligatissimo e devotissimo, c che desidero più che mai di lasciar lo mie ossa in Badia servendo S. A., ma che bora ho troppo catene a’ piedi; o cre¬ dami, che so bene ricevo continovi honori da questi Padroni, i quali mi com¬ mandano assai frequentemente, e di ordinario questa Corte suole imbriaoare gli huomini di mille speranze, tuttavia io non mi ci so accomraodare, e quanto al mio gusto particolare mangerei più volentieri i pesciolini d’Arno che i storioni del Tevere. E li bacio lo mani. Di Roma, il 21 di Maggio 1G27. Di V. S. molto Ill. ro Oblig.'" 0 Ser. ro e Dis. 10 so Don Bened.° Castelli. Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 Sig. r e P.ron Col." 10 il Big. 1 ' Galileo] Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1819 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 22 maggio 1C27. Blbl. Est. in Moderni. Raccolta Cnuipori. Autografi, B.* LXX, n.° 8. — Autografa. Molto 111.” Sig. r e P.ron Col. Hieri scrissi (!) a V. S. clic credeva clic bastasse haver la prima tonsura, senza portar habito clericale, per godere la pensione, purché non passasse G0 scudi: il medesimo li confermo bora, havendone liauta più sicura informazione. Per tanto V. S. potrà intendere se il Sig. r Vincenzo si contenta di questo, e così finiremo il negozio; c mi avvisi. Credo che il Sig. Cardinale farà la grazia delle bolle, come mi ha data intenzione; che sarà qualche vantaggio, se bene vi vanno di¬ verse altre sposo, quali farò io, poi glie ne darò conto. E li bacio le mani. Di Roma, il 22 di Maggio 1627. io I)i V. S. molto 111. 16 Oblig. mo Ser. ro e Dis. !o Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e P.ron Col." 10 Il S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. «*> Andrea Àrrighetti. i*> Cfr. u « 1818. 3G0 2b MAGGIO 1G27. ( 1820 ] 1820. GIO. BATTISTA BALI ANI a BENEDETTO CASTELLI in Roma. Havoiia, 28 maggio lfli7. Dalla Memori* t Lettere inulti* finora o diserte di Galileo Galilei. ordinaU ad illuttrate con annotadonl dal l'av. (Jiamhatikta Yrktcmi, eco. Parta Htcondi, ree. Modena, par »! Vinrsnii r rouip. M. DOCC. XXI, pai?. 98, Il Vkxti'ri traileri ^t* 'inetta lettera dalla Biblioteca Beala di l’aiuia, nella tinaie l'abliianiu inutilmente cercata. Savona, 28 Maggio 1G27. La lettera di V. P. do’28 del passato mi è stata carissima al solito, reputandomi io a gran lavoro die voglia consumare il tempo o la fatica in scrivermi. I. 1 ho avuta tardi, perchè sono stato qualche giorno a Genova, ed il Signor Paolo Pozxobonelln me Pini data al mio ritorno qui. Mi dispiace che si sia smarrita la longa lotterà che dice U* avermi scritta in risposta dei miei dubbi, nei quali però mi dà soddisfazione compita anche in questa. 1.’ offerta che mi fa dell’amicizia di Monsignor Ciani poli ini è tanto più cara, quanto- che sono molt’anni ch’io faccio grandissima stima di quid prelato per le sue rare virtù, per non dire ohe in quel genere di scriver brevi io lo stimo unico al inondo: desidero oltremodo di servirlo, e V. I‘. mi farà favore d*offerirmegli. Mi duolo bene oltremodo di io non poterlo mandare il mio trattato del moto de’gravi, attesoché per una certa mia na- • tura non più inclinato a cercare le invenzioni delle cose o lame una certa sbozzatura malfatta, elio a ripulirle: e questo trattato è tale che non l’ho mai ridotto in netto, e non solo lm bisogno di tempo por dargli ripulimento, ma a ricopiarlo cosi come sta sarebbe cosa difficile senza la mia assistenza, nè io per ora posso attendervi. Mi dispiace bene che V. P. sia così lontana da me e elio non possiamo vederci, perchè lo porrei volontieri Botto la sua censura, come nuco di quella di detto Monsignore. Doli’offerta che mi fa delle coso del Siguor Galileo, ne la ringrazio grandemente, o P accetto ; e mi pani molto caro il discorso che riduce passi di Sacra Scrittura in quistioni naturali, al elio anch’io ho applicato l’animo alle volto, massimamente se fosse del primo 20 capitolo della Genesi. La ringrazio nnclie dell'offerta elio mi fa della risoluzione del que¬ sito, bo P acqua aggiunta all’argento vivo faccia che il ferro o si attufiì o galleggi mag- giormonto' 1 . Stimo però, elio ritroverà esser vero il secondo. Se il ferro non fosse più grave dell acqna, non è dubbio elio in tal caso sarebbe tutto fuori dell’argento vivo ; ma perchè è più grave, uscirà fuori dell'argento vivo alla rata, cioè per l’ottava parto della sua propria quantità, attesoché il ferro pesa più dell'acqua otto volto tanto, conio sa meglio di me. Perù averò molto a caro di vederne la dimostrazione più distinta, come anche mi saran sempre carissime tutte le sue cose. Non perderò tempo in attendere all’ espedizione del negozio del suddetto Signor Paolo per più conti, fra’quali vi sarà anche il desiderio di servire V. P., alla quale bacio le mani. 80 111 Cfr. A. Favaro, Amici e comejxndenti di li. Ittituto Veneta di teionae, lettere ed arti. Tomo I.XII, Galileo Galilei, VII. Giovanni Ciamboli (Atti del Parte li, pa*. 141-145). Venezia, tip. Formi, 1903. 4 [1821-1825] MAGGIO — 12 GIUGNO 1G27. 3G1 1821. TOLOMEO NOZZOLINI ad ANDREA GERINI [in Firenze]. LS. Agata in Mugello, maggio 1027]. Cfr. Voi. VI, pug. 578-582. 1822. GALILEO ad ANDREA ARRIGHETTI [in Firenze]. UolloHgiiardo, 10 giugno 1627. Cfr. Voi. VI, png. 582-593. 1823. \ TOLOMEO NOZZOLINI ad ANDREA GERTNI [in Firenze]. [S. Agata in Mugello, giugno 1027). Cfr. Voi. VI, pag. 598-609. 1824. TOLOMEO NOZZOLINI ad ANDREA GERINI [in Firenze]. [?S. Agata in Mugello, giugno 1027J. Cfr. Voi. VI, pag. 609-611. 1825. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Itoma, 12 giugno 1(127. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 55. — Autografa. Molto III.™ Sig. r e P.ron Col. mo Presentai la lettera di V. S. al Sig. 1 ' Card. 1 Padrone 05 , quale mostrò gradire assai che lei lo tenga per padrone e protettore. Li parlai ancora di assegnare la pensione in testa del Sig. r Vincenzo nepote di V. S., e n’hebbi l’assenso; e simil¬ mente feci opera che S. Sig. ri:l 111.'"’ 1 desse ordine che la spedizione delle bolle si facesse gratis, sì come benignamente fece, e questa grazia importa un’ annata Francesco Barberini. XIII. •10 SO2 12 - 23 UIUONO 1027. [1826-18261 della pensione: il resto della spesa die ci va, che potrebbe ascendere a venti sondi o poco più, la farò io; poi ne darò conto a V. S. Mi son messo attorno ai Pianeti Medicei, e dal suo libro Delle cose che stanno a galla 1 ” ho distoso le tavole dei loro moti medii e fattone la teorica, quale mi io riesco assai bene, ancorché io non habbia sicure radici, né meno la quantità dei circoli loro, e similmente mi manchino le tavole per correggere le irregolarità e per il moto della terra e per la inegualità de’giorni. So che questi sono i tesori di V. S. principali ; però non ardisco chiederli, massime le tavole ultime. A me ieri sera, per iiuella strada grossa che io posso caro inare, ini parvero, h. 0, in, 30 post oc.y il primo, in gr. 198. 24’ del suo circolo; il 2°, in gr. 319. 24'; il 3°, in gr. 210. 3G ; e il 4", in gr. I. DO’. So clic ardisco troppo, ma scrivo per mostrare a V. S. che continovo a lavorare nelle cose sue, facendo spesso con di questi Si¬ gnori ricordanza ^moratissima di lei e del suo gran valore. K non occorrendomi altro, li bacio le mani. 20 Roma, il 12 di Giugno 1327. Di V. S. molto HI." Aff. m0 e Oblig. wo Ser." p Dis. l ° Don Re ned. 0 Castelli. Fuori: Al molto lll. r ® Sig. r e P.ron Col. mo il S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1826 *. FRANCESCO PECCI a [GALILEO in Firenze]. Milano, Si gingilo lt>27. BIbl. Naz. Flr. Uflt. dal., I*. VI, T. XI, car. 67. — Autografa. Molto III. Sig. r mio Os8. n, ° Benché per altri tempi non mi sia dato a conoscere a V. S. per uno di quelli che honorano e stimano grandemente le suo eminenti qualità, non è però elio io habbia inai mancato intrinsecamente di esserle di affetto servitore e amatore delle sue virtù. Per questo ho desiderato occasiono per la quale potesse e signi¬ ficarle la disposizione dell’animo mio e participare della sua amicizia o. del suo valore; et essendomisi quasi che adesso presentata, non manco di afferrarla e valermene. Per questo vengo con questa mia a farmele vero et affettuosissimo servitore, et insieme a pregarla che si compiaccia riconoscere et esaminare questi “1 Cfr. Voi. IV, pag. 63-61. 23 - 26 GIUGNO 1027. 3G3 [1820-1827] io principii meccanici e dimostrazioni che le mando incluse 0 ', con favorirmi ap¬ presso del suo parere intorno essi; inalo desidero libero e intero, perchè lo stimo sopra ogni altro. E per grazia habbia l’occhio a quella dimostrazione contras- segnata e sappia che se quella stesse bene, sarebbe trovata una dimostra- tione mai più sentita; ina se, come io dubbito, è falza, corno appresso vien dimo¬ strato 0 ’, va per terra quanta fatica ho fatto nella mia tenera età. Compiacciasi lionorarmi di pigliar questa briga per farmi favore, et io le ne resterò con tanta obbligatone quanta ricapir possa. Per fine a V. S. prego N. S. che la conservi. Di Milano, il 23 Giugno 1627, Di V. S. molto IH. 1 ™ Aff. mo Servitore 20 Francesco Pecci. 1827 *. MALATESTA BAGLIONI a GALILEO in Firenze. Pesaro, 26 giugno 1627. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., T\ VI, T. XI, ear. 65. — Autografa la ftrm-v. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. re Oss. mo Havend’io inteso che presso l’Eco." 10 S. or Don Carlo Barberini si trova un bic¬ chiere inventato dall’alto giuditio di V. S., che mostra i gradi del caldo e del freddo che si bevono, son entrato in desiderio d’haverne un disegno. Però, con¬ fidato nella sua ben da me conosciuta cortesia, vengo a pregarla di questo favore, che potrà farlo consigliare all’essibitor della presente; assicurandola che crescerà non meno perciò l’obligo mio verso di lei, di quel che via più s’augomenti sempre il desiderio che tengo di servirla. E le bacio le mani. Di Pesaro, a’ 26 di Giugno 1627. io Di V. S. molto 111. 1-0 et Eec. ,na Serv. 1 ' 0 Àff." 10 S. or Gallilei. M. Baglioni. Fuori: Al molto 111/'' et Ecc. mo Sig.™ Oss. mo Il Sig. or Galileo Galilei. Fiorenza. O) Sono allogato anche presentemente alla Ict- dimostrato nell’antecedente, potiamo dimostrar osser ter», nello car. 68-62 del medesimo manoscritto. falzo in questo modo, cio&: », o segue la dimostra- k a car. 60<. ziono della falsili (lolla proposiziouo elio prima è (») A car. Gir. bì legge: * Ma quel che haviaino stata provata vera. 3G4 lU LUGLIO 1627. [1828] 1828 *. GIOVANNI CI AM POLI a GALILEO in Hrenze. Roma, 10 luglio ir.27. Bibl. Naa. Fir. Uu. 0*1., P 1, T. IX, cnr. ft&. — Autocrati il po*critto e la aottoacriiione. Molto ni." et Ecc. mo Sig. r e I’.ron mio ()ss. m ® Ilo procurato e procurerò sempre di servir V. S. appresso N. S., por satisfare al debito rlol['antica e devota servitù mia, non perchè ella Labbia bisogno ap¬ presso S. S. tk elio lo sia ricordato il merito suo, essendo quello notissimo non solo appresso questi Padroni, ma anco appresso «li tutti che hanno notitia del nome suo. però superfluo ogni ringratiamento che mi venga da lei di quel pocho che ho operato in suo servigio; ma ella, che soprabonda sempre con me in cortesia, non ha potuto contenersi di aggiungermi quest' honore. La prego ad essermi per l’avvenire cosi sollecita nel comandarmi come mi ò stata sempre liberale della sua gratin, alla quale mi raccomando, o co ’1 lino lo bacio rcvcrcutcmcntc lo mani, io J)i Roma, il dì 10 Luglio 10*27. Di V. S. molto IH." et Eco.*» V. S. mi ringrati a, mentre io mi vergogno. Dopo tanta dilatione mi arrossisco in vedere l’effetto si scarso. Io certo per servirla non solo Rono stato diligente, ma anco importuno. La penuria delle oc¬ casioni o la moltitudine dolio richiesto dureranno lungo tempo (per quanto io vado conietturando) a non permettere che la mano del benefattore corri¬ sponda alla generosità, dell’animo' 0 . Ma per passare 20 ad altro, arrivò qua il S. r Pierai li'*>, il quale potò ben testificarmi per esperienza la liberalità dello offerte fattegli. Io entro con lui a parto dell’obbligo eternamente dovuto per legge di gratitudine al S. r Galileo. Passò poi a darmi nuova della sua sa¬ nità. Sia por mille volte benedetta l’aria di cotesta villa, clic ha esaudito i pubblici desidera con re¬ stituirle quel vigore di complessione clic, accoinpa- Iiett. 1828. 11. Prima ora stato scritto, a quanto paro, te, o poi fu corrotto 10. Fra puro «tato scrìtto Giugno, 0 fu corrotto in Luglio. — Cfr. mi. 1 1748, 1749, 1812. (S| AIakoaxionio l’iuuau. 10 — 14 LUGLIO 1627. 365 [1828-1829] gnato con quel dell’ingegno, produrrà frutti aspet- 30 tati dalla fama e gloriosi per l’Italia. Sig. r mio, con questa opportunità io voglio ardire di scoprirle il zelo che ho della sua gloria. Arrivano qua avvisi che il corso de’ suoi Dialogi si muova con len¬ tezza, e noi, sentendo ciò, sospiriamo la perdita di sì rari tesori. Non vediamo l’hora di leggerne al¬ meno qualche particella, sì che nel medesimo tempo molti suoi amici, e fra questi come capo il P. D. Be¬ nedetto, uniamo lo nostre preghiere e le chiediamo instantemente due gratio: una, che ci lasci gustare 40 qualche cosa del fatto fin qui ; l’altra, che ella vo¬ glia vincere i consigli della quiete con gli stimoli della gloria e con l’esortationi de’ suoi amici. Ri¬ solvasi una volta V.S. a condurre al fine desiderato l’opera felicemente incominciata, e non defraudi l’espettatione dol mondo col tenere avaramente racchiuse dentro al suo intelletto quelle ricchezze di subbiimi specolationi elio dal Cielo le sono state comunicate perchè olla ne arricchisca la republica litteraria. Io per me no sono sì smisuratamente de- 60 sideroso, che mi stimerò fortunato quando potrò veder perfettionata sì nobil fatica. E qui facendole reverenza, le ricordo la mia obbligata servitù. 8. r Galileo Galilei. Fir.® Dev."‘° Se. r ® G. Ciani poli. 1829 . MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 14 luglio 1627. Eibl. Nnz. Pir. Mss. fini., P. 1, T. IX, cnr. 69-70. — Autografa. Car. ,n0 et Ilonor/ 10 S. r Fratello, Dalla lettera di V. S. del li del passato veggo havevi ricevuta la mia, nella quale vi dicevo i mia pensieri clic avevo circa il tempo e modo del trasferirmi costà da voi: c poi clic li veggo approvati e di così vi contentate, mi governerò conforme al dettovi, et, a Dio piacendo, pochi giorni dopo S. Bartolomeo disegno lare la levata, e ce ne veniremo lino a Bolzano in carrozza ; nel qual luogo, con 366 14 LUGLIO 1627. [1829] l’aiuto dui Signore, arriveremo in tempo di li era, e di 11 lmverornn buona como¬ dità. di vtmircone per aqqua lino a Verona, poi che i mercanti in tal tempo in¬ viano lo lor robo in tal modo: et in vero sarà cosa molto appassito, scansandosi in un moderno tempo quella cattivissima strada che si fa per terra, et anco il io pericolo do’ malandrini, che per ordinario fra Trento e Verona spesso si fanno sentire. Di detto loco ce no veniremo fin a Bologna in carrozza, e ili là fino costì, come già dissi, ci serviremo delle cesto; o so la fortuna ci funse tanto favorevole che c’incontrassimo in qualche lettiga di ritorno, mi vaierei de l’occasione, la¬ sciando star lo ceste. Questo è il miglior modo che io possa tenere in questo viaggio, o di cosi vengo consigliato da persone pratiche; e so come spero nella grazia e misericordia del Signore concederne a tutti buona sanità con felice viaggio, spero che saremo da voi alla più lunga a mezzo Settembre. Circo la serva, no haviamo una elio servirà per la cura do’ figliuoli e far altro faccende di casa: e toccante il cucinare, la Chiara la stimo sufficiente quanto la so Mnssimiliana; e vi farà le coso di sua inano pulitamente, espcro che vi abbiate a chiamar contento, poi che sarete servito con sommo affetto, amore e sincerità, perchè laverete sempre appresso di voi: la bontà et anco suffizienzia della quale arriva a tal segno, elio poche forso la passano; o però stimo vi abbia a essere di notabil sollevamento ne' vostri bisogni, e tanto più quando abbia fatto un poco di pratica e preso una certa domestichezza nel governarvi. E perchè questo ch’io dico speriamo s’abbia da rnettore in opera, non starò a dirci sopra altro. Della Mechilde veggo havete voi, come S. M. Celeste, fatto un conccetto d’essa, che v’abbia a riuscir cosa troppo eccellente; il che forse Pà causato avendomi io lasciato trasportar da P affeziono paterna ncl’avervola laudata troppo : ma, come 80 ben sapete, facil cosa è a inggnnar sò stesso; però bisogna elio diate quella tara si convenga allo mie relazioni. Spero bone che abbia a far profitto, massimamente quando sarà favorita e graziata da S. M. C. do’ suoi prudentissimi documenti, n sia per iar honore a si rara o dotta maestra, con util della figliuola e consola- zion nostra. Pochi giorni sono recitò in commedia conposta dalle sue monache dove va a scuola, et inparò tanti versi a mento in poco tempo, c recitò sì sicura¬ mente, presente anco questo AA. Ser. m ®, che dette non poco gusto alla sua maestra, quale con 1 altre superiori monache abbono a dire elio so lei sapessi sonar di liuto tanto quanto Albertino, l’averebbono volsuta monaca senz*altra doto; et saria ancora cosa tacile a riuscire: ma da poi elio tutti vonghiamo costà, vuol esser -to con noi, nò rimanere qua sola a conto nessuno; et io non intendo farli violenza, c tanto più non avendo prima vostro consenso, sperando d’essa, come do gl’altri figliuoli, che quando mutino paese, sieno per aqquistar assai di vigore, essendo in \eio, per li cibi grossi e continuo di boro aqqua, alquanto meschinelli di vita e poco colore in viso; e però ci ò bisogno di ristoro, quale spero si conseguirà costà da voi. 14 - 17 LUGLIO 1G27. 307 [1829-1830] La Massimiliana smania di passione per la nostra di qua partenza, e troppo malamente s’accomoda a perder la sorella; et almeno liavessi appresso di sè Mechilde, che pure si consoleria alquanto; e tutta via persiste a restarsene: et 60 io lo giudico bene per più rispetti. Vernicino dunque, invocando il divino aiuto; et avanti partiamo di qua, at¬ tendo altro vostro avviso, o se alcuna cosa vi occorressi; et non mancherò dirvi del giorno della nostra partenza di qua, e di mano in mano arrivando in luogo principale vi scriverò. In tanto sono in proccurare appresso questo Serenissimo la licenzia, et appresso la grazia [per] Vincenzo clic sapete, c spero che il tutto succederà felicemente, che di tanto piaccia a Nostro Signore concederci il Suo divino aiuto c favore, come in tutto il resto delle nostre cose; e Quello vi man¬ tenga con buona sanità, sì come giornalmente non si manca por ciò far orazione per voi, pregandovi con tutto il cuore a raccomandarci con vivo affetto a tutte co le monache et in particolare a S. M. C., alla quale viviamo tutti svisceratasi ina¬ mente affezionati, e la preghiamo a volerci bene, oliò può star sicura sarà con- tracanbiata. Et con tant’altro affetto inpetriamo anco tal grazia da V. S., alla quale por line di nuovo e di tutto cuore ci raccomandiamo, pregando il supremo Nostro Signore a concedervi ogni desiderato bene. Di Monaco, li 14 di Luglio 1027. Fuori: Al molto 111. 1 ' 6 et Ecc. mo big.' Galileo Galilei, Matematico del Ser.“° GL Duca di Toscana. Fiorenza. 1830**. MALA TESTA BAGLIORI a GALILEO in Firenze. Pesaro, 17 luglio 1027. Uibl. Nae. Fir. Mss. Gai., P. I, T. IX, cnr. 71. — Autografa la firma. Molto 111.*' 0 et Ecc. mo S. 01 ' mio Osa." 10 A me, clic è nota la cortesia di V. S., non reca maraviglia il veder ch’ella mi l'accia lavor maggiore di quel ch’io ho saputo domandarle; e già eh’ella ine ne 368 17 LUCILIO 1627. [1830-1831] ilj\ campo, volontari accolto la cortesissima offerta che mi fa di far lavorar costà il bicchiero (l) , non essendoci in questi paesi huomini che faccino simili lavori. E per esser io tanto pii! sicuro d’liaver salvo il favore, perchè la distanza del paese può cagionar sinistrezza, la prego a farmi gratin di farmene lavorar due, e lasciar poi il pensiero nel rimanente all’essibitor di questa, al quale ho dato ogn ordino necessario. Confesso a V. »S. che ini sento molto obligato all* amorevolezza sua di questa nuova dimostratane, e certo che mi farà cosa gratissima se mi porgerà io occasione di servirla spesso, di che la prego quanto più posso; e le bacio le mani. Di Pesavo, a’ 17 di Luglio 1627. I)i V. S. molto 111." et Eco.** Serv." Afl>® S. n «- Galileo Galilei. M. Buglioni. Fuori: Al molto IH." et Eec.*" 0 S. or mio Osa.' 1 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 1831 *. GIOVANNI DI GUEVARA a GALILEO [in Firenze]. Teano, 17 luglio 1027. Bibl. Na*. Flr. Mi». Gal., P. VI. T. XI. car. 67 68. — Autografi la «wtto»criilon« • il poacritto. Molto 111." S. or mio Oss. ,no La moltitudine de’ negotii proprii et alieni, con la presidenza che mi diede ultimamente N. S. ro del Capitolo generale di S. Lorenzo in Lucina, mi assorbirono talmente il tempo e l’intelletto, che non mi restò luogo da consolarmi, come so¬ levo, per lettere con V. S. Dopo partito un mese e mezo fa per la residenza, appena (piasi giunto in Theano, mi sopragiunse un’infirmità lunga e mortale, della quale non sono ancora affatto rihavuto, benché sia netto di febro e mi cominci a levare. Però, e ne gl’affari e nell’ infirmità, ho havuto sempre V. S. nel cuore, e ricor¬ datamene tanto spesso, quante volto ho desiderato di rivederla c di servirla in qualche occasione. Qui ho ritrovato una bell’aria, comoda habitatione e bellissime viste, che ho da tutte le mie fenestre occasione di contemplar spesse volte il cielo, le campagnie e le colline e di ricordarmi di Bellosguardo di V. S., ma sopra tutto di deside- «*» Cfr. u.° 1827. 17 LUGLIO 1627. 309 [ 1831 ] rare la sua dolcissima conversationo, come desidero di tutto cuore. Col Sig. p Prin¬ cipe Uesis prima della mia partenza facessimo molte passate della persona di V. S.; ma la stima grande et il desiderio di goderla più tormenta quando non se gli aggiunge qualche speranza, la qual però in me non manca, ancorché ci vediamo tanto lontano. Quel Signore che gl’accennai 10 é figliuolo del S. r Ambasciador di Spagna; et so così come stima sommamente tutte le cose di V. S., havendo visto alcune delle sue opere, così riceverebbe a sommo favore un par di vetri por un cannocchiale da mirar la campagna o certe distantie mediocri, non essendo ancora molto osser¬ vatore delle cose del cielo, benché sia di bellissimo ingegno et intelletto elevato: che però quando a V. S. venisse alla maiio un par di detti vetri che fussero a proposito, gli farebbe un singoiar favore a mandarglieli, dentro un scatolino, con la nota della distantia che doveranno haver fra di loro, perché egli si farebbe poi accomodare il cannocchiale a modo suo; e per via dei Sig. 1 'Ambasciador di Toscana o del Sig. r Card. 1 Bandino (S) gli potrebbe andar sicuro, bastando ponere al soprescritto : Al Suj. r * I). Bell remo di Onerar a, figliolo elei Sig.*' Ambasciador di so Spagna in Roma, essendo egli di Inibito lungo e facondo profession di lettere. Tutto questo ho detto, quando venghi a V. S. un tal vetro alla mano, perché altrirnente non se ne lui da pigliare un fastidio al mondo, non essendo cosa ne¬ cessaria nè che inporti. Ad ogni modo scuserà me della briga e dell* ardir che mi dà la sua gentilezza, supplicandola a comandarmi con altretanta libertà, se da queste parti io valesse in qualche cosa a servirla: con che line, senza fine gli bacio affettuosamente le mani. Da Theano, li 17 Luglio 1627. Di V. S. molto Ili.' 0 Affett. mo e Cordialiss. 0 Ser. r0 40 S. r Galileo Galilei. Gio. di Guevara, Vesc.° di Theano. Con buona occasione supplico V. S. a ricordare la mia devota et affettuosa servitù a S. A. Ser. ma Già in Roma si cominciorno a stampare le mie Medianiche ta> , ma certe figure che mancano tengono impedita bora la stampa, e gl’intagliatori mai finiscono. Lett. 1831. 81. alle mano ; cfr. lin. 2-1. — 40. Galileo Galei — <»> Cfr. li.» 1806. <*> Ottavio Bandi*!. < 5 ' Ioan.nis ue Guevara Cler. Reg. Min. In Ari- itoteli» Afechanicas commentarti, ltouiae, tt|)ud Incubino Mascartìuui, MDCXXVIl. 370 2 AUOSTO 1627. [ 1832 ] 1832. GALILEO a BENEDETTO CASTELLI in Roma, lu i lodilai do, 2 agosto 1027. L' autografo di quatta lettera fu un tempo nella Biblioteca Palatina In Parma, alla quale ai riporta Oiamra- TI8TA YkntuKI, cho per primo la pubblirò nelle Memorie » lettere inediti finora a i/m/tm di Ualilto (falliti, oco. Parto «ecomla. Modena, per il. Vincami! e Cooip., M.DOCC.XXI, pag. 99. In un eaemplaro dell'opera del Venturi posseduto dalla citata Biblioteca Palatina e distinto col n.• 12993, a pag. 99, di fronte all'odixiona della lettera, ai legge questa nota: « Cambiata contro una lettera del Mac li la¬ velli, data dal S.f Carlo Hi va di Milano». L’autografo fu poscia venduto all’asta a Parigi noi 1862 e nel 1663 (cfr. A. Fa varo, Strie quarta di eoampoli galileiani, negli Atti t Memori* della K. Accademia di scienze, lettere td arri in Padopa, Nuova sari®, Voi. V, Padova, tip. 0. B. Bandi, 1889, pag. 28-29), o ignoriamo dove ora si trovi. Sai margini del dotto esemplare delle Memorie furono, non tappiamo por cura di chi, sognate puro le differenze tra l'autografo e l'edizione del VtXToai; e noi riprodu¬ ciamo la lettera conformandoci a questa collazione. Una copia di mano del aec. XVII, in capo alla qualo, della stessa mano, si legge: < Copia dell'originale », ee ne ha nei Mte. i.alilolanl della Bibl. Nazionale di Firenze, P. VI, T. VI, car. 68; « le diversità che presenta a confronto dui testo, quale resulta dalla collaziono suaccennata, uon hanno alcuna importanza. Molto Rev. do P.re e mio S. r Col. mo Io vo conietturando elio la spedizione ordinaria delle bolle 0 ' deve esser cosi lunga, che il più delle volte i benefiziati devono prima mo¬ rire che cominciare a godere del benefizio, giù che tpieste, cho sono straordinariamente procurate da un sì accurato procuratore quale è la P. V. molto R., non si spediscono mai. Io, che son fuori di spe¬ ranza di vederla in vita mia, attenderò a far orazione, nel tempo che mi avanza, per mio nipote, cho ò giovinetto, acciò il Signor Dio gli conceda tanti anni di vita, cho possa, almeno nella sua vecchiaia, ri¬ cever questo sollevamento. Quanto ai cerchi delle Medicee, il minore ha ’l suo semidiametro grande semidiametri di Giovo 5 n / 1# ; il semidiametro del seguente è di tali semidiametri di Giovo 8 5 /s ; P altro ne contiene 14, et il mas¬ simo quasi ‘25, per quanto io ho potuto sin qui comprendere : e sento con piacere che ella si sia applicata a queste osservazioni, giù da me tralasciato. Le staffilate non son penetrate cosi al vivo, che il medesimo non abbia recalcitrato, e con una assai lunga risposta procurato di soste¬ nersi ; e credo che il Signor Andrea Arrighetti la manderù alla P. V., io “ Cfr. n.® 1825. 1,1 Cfr. Voi. VI, pag. 375-500. 2 — 4 AGOSTO 1627. 371 [1832-1833] 20 avendo resoluto esso et gli altri nostri amici che io non ci stia a far altro, giudicando tal risposta esser troppo frivola e non metter conto a perderci tempo, conoscendosi apertamente che V autore ha resoluto di voler esser l’ultimo a parlare in tutto le maniere. E questo è quanto mi occorre dirgli. Favoriscami di far reverenza a Monsignor Ciam- poli, e mi continui la sua grazia ; et il Signor la prosperi. Da Bell. do , li 2 d’ Agosto 1627. Della P. V. molto R. Ser. re Obblig\ mn Galileo G. Fuori: Al molto Rev. do P.re e mio Sig. rft Col. mo so D. Benedetto Castelli. S. Calisto. Roma. 1833 s-Jt ?|s MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 4 agosto 1627. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., V. I, T. IX, car. 73. - Autografa. Car. mo et Onor.' 10 S. r Fratello, Già circa 3 settimane fa risposi (0 alla gratissima di V. S., dicendoli come disegnavo, con l’aiuto del Signore, inviarmi a cotesta volta verso la line del pre¬ sente mese ; come tutta via confermo, e son in procurar la licenzia, che doverò in breve ottenere. Et intanto mi conviene dirli cho le monacho di qua, poi che hanno scorto che da dovero no meno meco la Mechilde, e che le loro esortazioni di lasciarla qua non habbino fruttato cos’alcuna, bora mi hanno assaltato con offerta di volerla pigliar in dozzina o serbo senz’alcun pagamento; e se a suo tenqio la figliuola si volessi far monaca, si accetterà senza pretender cos’aldina, io grazia clic ad altre non si suol fare; e non volendo entrare nella religione, sia sempre in sua libertà; basta che séguiti li studi, e poi, come sarà da qual cosa, faccia quel tanto che Iddio l’insilili, dispiacendo solo a queste Reverende che il buon principio clic ha si abbia a perder e buttar via interamente. Io ne ò volsuto dar conto a V. S., senza la volontà del quale non ardirci risolvere cos’aldina, intendendo ubbidire a quanto comanderete; o se subbito alla ricevuta di questa me ne dirà il suo volere, penso clic ancora la risposta potrà trovarmi qua: e così m Cfr. u.» 1820. 372 4-7 AGOSTO 1627. f 1838-1834] con inforo gusto m’invierò, quando sappia la vostra infera satisfazione. La figliuola in vero non inclina a restare, ma si mostra desiderosissima di venir con noi; et io anco non intendo farli violenza, sì che mi trovo non poco confuso, et aspetto che ossa mi cavi di questo intrigo, perché non so che risolvere, parendomi anco 20 non 6i doveria buttarsi (come si suol dire) dietro alle spalle un tal partito. Non ci dirò sopra da vantaggio, ricorendo a l’ottimo rimedio, che è V invocazione di¬ vina, n pregar quella ad inspirarci a risolver quello sarà per il meglio. 11 S. r Cosimo 01 mi scrive d’Agusta che un certo barone, venuto da Vienna, li abbia detto che in mano de l’Inbasciatore di Spagna à veduto un nuovo uso d’occhiale, quale rappresenta lo cose lontane as^ai vicine come l’ordinario, ina con quello si vede ogni oggetto subito sema alcuna fatica, e questo viene da voi; si che m’inmagino, sia quello che già 10 anni fa ritrovasti e si riguarda con tutta dui gl'occhi, c serviva benissimo su le galere, si come mi dicesti averne fatto a Livorno l’esperienza. E so è divolgato, ve asorterei mandarne a presentar uno a 80 questo Ser. mo , avanti li pervenisse per mano d’altri. Questo è quanto per hora mi occorre dirle, sperando a bocca a Buplire a quello occorra: e intanto tutti di vivo cuore ci raccomandiamo a V. S. e alle mo¬ nache, vivendo con estremo desiderio di arrivare a quel’ora di rivedervi e ral¬ legrarci con tutti. Iddio vi conservi sano, e ci conceda per Sua grazia la Sua santissima benedizione. Di Monaco, li 4 d’Agosto 1627. Al b. r Antonio mille atlettuose raccomandazioni. Di A. b. Atf. r " ’ o Oblig. m< * Frat. 1 * e Rar.™ Michelag. 1 ® Galilei. 40 Fuori: Al molto Ill. rfl pt Kcc. Tr '’ Sig. r Galileo Galilei, Matematico del Ser.™ G. Duca di Toscana: Fiorenza. 1834 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 agosto 1627. Bibl. Naz. Pir. Mrs. Gal., P. VI, T. XI, ear. 60. - Autografa. Molto 111.” Sig. r c P.ron Col“° Non si meraviglii V. S. della tardanza delle spedizioni delle bolle per la pen¬ sioneperchè Mons. r Ciampoli nostro non ha ancora hauta la cedola del Natale 1,1 Cosmo IUrtoi-ini. 1,1 Cfr. n.» 1632. 7—14 AGOSTO 1627. [1834-1835] 373 passato per una sua pensione. Penso però che n’uscirò avanti mezo il mese: in tanto sarà, maturato, cred’io, un semestre. La ringrazio infinitamente del tesoro che mi ha mandato dei Pianeti Me¬ dicei (, \ che sarà tenuto da me per tale. Ho osservata la stella settentrionale delle tre della fronte del Scorpione, quale ha una stellina vicinissima, più settentrionale di essa, nella continovazione del¬ io l’arco delle tre della fronte, in questa maniera: V. S. mi faccia grazia di scrivermi che gioco doverà fare, movendosi la terra, caso che lei sia assai più lon¬ tana dalla terra della altra compagna, visibile con la vista naturale. ^ Quanto a quel galant’huomo N. (!) , mi pare che hab- bia tanto poca vergogna quanto cervello : però giudico ancor io ben fatto che V. S. non stia a replicare altro. Nel resto io sto bene, e mangio citrioli alla distesa, non havendo borsa da comprare melloni, bevo freddo a mo- 20 lino, e passo i caldi come posso, e questi Padroni mi continovano la lor grazia. Con che li bacio le mani. Di Roma, il 7 d’Ag. 0 1627. Di V. S. molto 111.™ Oblig. mo Ser.™ e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e P.ron Col.™ 0 li Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. .1 835 *. FRANCESCO STEI-PUTÌ a [GALILEO in Firenze]. Roma, 14 agosto 1627. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XI, r.nr. 71. Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. 1 ' P.ron mio Oss. mo Dal Padre I). Benedetto Castelli hieri appunto hebbi buone nuove di V. S., che mi fu di molto gusto, havendolo trovato tutto immerso ne’ calcoli de* Pianeti Me¬ dicei, quali sta osservando ogni sera, trovandoli giustissimi, conforme alle regolo I.ett. 1834. fi-7. Mediceli — Oi Cfr. u.° lS2i>, li». 18-11, u u. u 1832, lin. 11-14. ! 5 i Okazio U tassi. Cfr. a.® 1S32, lin. 17-23. 374: 14 — 28 AGOSTO 1027. [1835-1836] di V. S. Vengo dunque con la presento a rallegrarmi con lei del suo buono stato; e già elio siamo vicini al tempo della nostra s ti tu zio ne Lincea, l’auguro a V. S. tutto propizio o felice, sì come ogni altro tempo et ogni suo successo, poiché godo o goderò sempre d’ogni suo bene. Devo poi dire a V.S., che con occasiono del ritiramento c’han fatto il Sig. r Prin¬ cipe e Sig. ra Principessa con parte della famiglia qui in Monto Cavallo nel giar- io dino del Sig. r Card. Bandino' 0 , per farvi un poco di purga, dove poi han risoluto di passarvi tutta questa ostate, si ò fatto perciò qualche sforzo no’studii, e tirata assai avanti la stampa del libro Messicano w , quale fra pochi mesi speriamo sia finito di stampare, havondolo assai arricchito il Sig. r Fabio Colonna (quale bacia le mani a V. S., clic così mi scrive quest’ordinario) o similmente il Sig. r Fabri (3) con le loro annotazioni; e vi sarà anco qualche cosa del Sig. r Principe nell’istessa materia, che darà gusto o sarà un principio di quel che (love seguire nella se¬ conda parto di detto libro. Et io ho già finito la traduzziono di Persio in verso sciolto, con la dichiarazione do’ luoghi più oscuri, onde presto si dovcrà stampare' 0 . V. S. si conservi o mi mantenga la sua gratia; o lo bacio, insieme col Sig. r Prin- ao cipe, le mani. Di Roma, li 14 d’Agosto 1627. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ,na Scr. T Afi>° et Vero Frane. 0 Stellati L.° 1886. GALILEO a [GIOVANNI KEPLER in Graz]. lUelloRguardo], ‘28 agosto 1627. Cibi. Palatina di Vienna. Coti. 10702, car. 80. — Autografa la firma. Vii* eruditissime, Plerunque homines longinqua itinera suscipiunt, ut suarum mer- ciuni dinunclinatione augeant patrimonium, et domum rodeant pecu- niosiores : sed Ioannes Stephanus Bossius Mediolanensis, qui lias tibi reddet, in remotissimas istas regiones profìciscitur, non divitias per- quirens sed doctrinas, lice studot patrimonium sed virtutes, quae nulla nobis liaereditate contingunt, augere ; immo libens patrimonium im- Ottavio Bandini. **» Cfr. n.o 584. ,I *’ Giovanni Faiikr. Pere io tradotto in verso sciolto e dichiarato da Franoksco Stkm.uti AccimI. Lineo» da Fabriano. AH’lll.™ 0 ot n.™° Sig. ,e il Sig. Cardinalo Barborino. Appresso Giacomo Mascardi. In Roma, M.DCXXX. 28 AGOSTO — 4 SETTEMBRE 1027. 375 [1836-1837] pendat (sic) ut scientiam comparet, et parvi pendit si domum recleat pauperior factus, dummodo virtutibus auctior reyertatur. Praecipue io vero matheseos scientia pervellet erudiri : ideo, ad te properans, me summopere obsecravit, ut so tibi de meliore nota commendarem. Quod ego longioribus verbis non sum facturus : sat enim fuerit, qua de causa so tibi conunendari voluerit indicasse. Si urgerem acrius, iniu- riam tibi facerem : pcrinde quasi vererer, ne tam rarae mentis, tam praeclari spiritus, tuique reverentissimum, virum non tuopte ingenio fores perhumaniter amplexurus. Hoc tamen non tam illius, quam mca, causa adiiciam : Bossium ita officiose et prolixiore benefìcentia velim prosequaris, ut ad ea quae tua sponte facturus fueraB, non parum mea commendatione videatur accessisse. Yale. 20 Y Kal. Septembris 1627. Tibi Addictissimus Galileus Galilaeus. Mitto, cum bis complicatam literis, Orationem Nicolai Adiunctii (1 ', adolescentis in omni liumaniore et sovcriore literatura excultissimi : eam sat scio te magna cum voluptate lecturuni, et inirilice futurmn ad tuuni palatimi et gustum. Yale iterum. 1837. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Soma, 4 settembre 1027. Blbl. Naz. Pir. Mas. Gai., P. Yl, i. XI, car. 78. — Autografa. Molt’lll. ro e molto Ecc. t0 Sig. r mio sempre Oss. mo La gratissima di V. S. m’ha recata grandissima sodisfattione col sentir in essa buona nova di lei e delle sue opre, tanto da me e da tutti gl’ innamorati da dovero delle scienze desiderate. Bramo più di lei stessa la sua quiete per tutte le cagione, c particolarissimamento per publico beneficio; e confesso clic contuttociò io glie rilaverei turbata spesso con le mie lettere, se non fussi stato sempre più, da die lei fu a favorirmi, sommerso nelle mie domestiche turbulenze, tanto più noiose quanto invecchiate di più di vinticinque anni, eli’è pur la misura d’un "> Nicoi.ai Adiunctii Burgensis Ovatto de ma • Mascardi, MDCXXYI1, thematicae laudibu». lionmo, exytypographia Iacobi 376 4 SETTEMBRE — 25 OTTOBRE 1627. [1837-1838] picciol secolo. Mi trovo al presente noi colmo di esse et insieme nel colmo della speranza di superarle affatto; e ne piglio per bollissimo auspicio il felice annunzio io che V. S. in’invia in questo tempo di circolar regresso da’ principii della nostra impresa. Glie lo rendo millecuplo con le dovute gratie sopranumero, e gli ricordo gl’obblighi miei et il continuo desiderio che ho di servirla. La fatiga dello stampe, e particolarmente del Messicano, bolle più che mai (,) ; et io non ho tralasciato di premerci e adoprar le mie forze in questo et altri nostri correnti negotii, per quanto non m’hanno soprafatto le sopradette mole¬ stie. Presto sarti fuori il primo tomo del detto Messicano, la ricchezza del quale si chiama dietro il secondo e forse il terzo, per le diligenze fatte dopo da’ nostri. 11 primo viaggio di esso sarà venir a trovar V. S.; quale anco devo pregare o più tosto farle ricordo del desiderio che ho di participar subito de’suoi parti: 20 subito, dico, che, o compiti o in parte, ella si compiaccia siano godibili e com- municabili. 11 riflusso del mare m’ha lasciato con la sete di Xanto, ch’io n’assor¬ birei non solo il cresciiuento, ma il tutto sin al fondo, con la mente però. Altro non aggiungo: son a V. S. quel vero servitore di sempre, e le bacio per mille volte le mani, come fa il S. r Stelluti meco, pregandole da Dio N. S. ogni contento. L)i Roma, li 4 7mbre 1627. Di V. S. molt*IU. ro e molto Eco. 1 ** La mia S. ra Principessa la ringratia del saluto e glie lo rende con ogni affetto. Aff.'" u et Obblig. 1110 per ser.’* sempre so Fed. co Cesi Line. 0 P, 1838. ALFONSO ANTONINI a GALILEO in Firenze. L'Aiti, 25 ottobre 1027. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., 1>. VI, T. XI, c«r. 75. - Autografa. Molto lll. ro et Ecc.'" u Sig. r mio Oss. , ‘•' , Quando io giunsi a casa mia in Friuli di ritorno da Firenze, scrissi n V. S. per cominciare la corispondenzn ch’ella mi liaveva mostrato desiderare, e che io incontro volentieri per la suprema stima che lacio de’suoi ineriti. Ma io ini tra¬ tenni poco a casa, chè la curiosità mi condusse a fare un viaggio in Francia, e di*là son passato in questi paesi: tra per il moto continuo del viaggiare, e tra per non haver incontrato cosa che mi desse materia, non ho più scritto a V. S. Qui io sperava di trovar ocasione di scriverle nella curiosità delle osservatami O) (Jfj\ u.® 1835, lin. 18-18. [1838-1839] 25 ottobre — 15 novembre 1G27. 377 che costoro fanno nello loro nuove et ardite navigationi, e l’ho trovata, ma in io soggetto molto diverso da quello che io cercava. Trovo die le Compagnie de’ Mercanti e gli Stati hanno messo insieme una grossa somma di oro e depositata (dicono che sia intorno a ~ scudi), per darli a chi potrà insegnare il modo di trovare la longitudine per uso della n&vigatione. Sentendo questo, mi ò sovenuto che un Padre I). Costanzo Bresciano, dell’ordine di S. Benedetto, col quale ho hauto conversatione, che credo sia stato auditore di V. S. et ò certo ainiratore delle cose sue, mi disse ch’ella liaveva trovato la inventione per conoscere lo longitudini, o mi aggiunse certo pensiero ch’ella haveva di presentarla a qualche gran prencipe, pure per l’uso della navigatio[. e che ne haveva già tenuto proposito con un[...]mbasciatore (?) ch’era passato per 20 costì. Raraenfcandomi [...]uesti particolari, ho risoluto di scrivergliene et avisarla. Ella potrà prender sopra l’afare quella risolutione che le parerà: se vorà ab¬ bracciar la ocasione, che a me pare bella e grande, io goderò non solo di haverle fatto la propositione, ma d’impiegarmi per far riuscire il negotio con tutta la prontezza maggiore. Et se desiderai^ per aventura eh’ esso negotio passi con se- cretezza, si asicuri della mia fede, che non ha mai mancato a persona del mondo e non mancarà mai. E le bacio le mani. Dall’Haya in Olanda, li 25 Ott. Lni 1627. Di V. S. molto lll. ro et Ecc." ,u Ser. r Aff. 1 " 0 Alfonso Antonini. so L’istesso che presenterà questa, havrà cura di farmi capitare la risposta per via di Venetia, senza però ch’egli sapia che la lettera passi Venetia. Se non vo¬ lesse valersi di quello, può racoinandarla a cotesto residente Veneto, che la làcia capitare al S. r Ambasciatore Soranzo (l) qui. Fuori: [Al] molto Ill. ro et Ecc. tt0 Sig. r mio Oss." 10 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei. Firenze. 1839*. GIOVANNI DI GUEVARA a GALILEO in Firenze. Teano, 10 novembre 1627. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 7G-77. — Autografi il poscritto e la sottoscrizioni). Molto 111. 1 ’ 0 Sig. or mio Oss."‘° Sono molti mesi che io non ricevo lettere di V. S., ancor che due volte l’habbia scritto, pregandola a darmi qualche avviso della sua salute, tanto da me desi- U) Giovassi Sorakzo. XIII. US 378 15 NOVEMBRE 1027. [ 1839 ] derata con ogni altra sua prosperità per beneficio publico e por consolatione mia particolare, che sommamente godo della luce della sua dottrina, cortesemente in più occasioni communicatami. Dubito assai di qualche naufragio delle sue o delle mie lettere, stante la residenza dove io mi ritruovo, alla quale non vi ca¬ pitano lettere se non col corriere di Benevento, il che non a tutti ò noto; et basta far ricapitare le Ietterò in Roma nella posta del Papa per fare che mi venghino sicure: et questo sia a V. S. per avviso, acciuchì' sappia per qual via io comandarmi, quando voglia recare a me alcuna cagiono di servirla. Bora la prego vivamente a favorirmi di qualche cenno sopra la materia cho parlassimo insieme l’anno passato in Firenze, del vigesimo quarto problema me- canico di Aristotile, significandomi se vi ò autore alcuno che ripruovi la solu- tione di Aristotile et coti che raggione si muova, già che quelli pochi che io ho veduto non P impugnano, e poi ciò cho V. S. mi disse in voce di haver pensato per sciogliere la medesima difficoltà del detto problema con maggior chiarezza per al¬ tro termine, già che all’bora, per lo molte distrattioni ch’io tenevo e per la alic- natione da tali studi, non feci tutto il concetto cho bisognava di quel che V. S. mi disse in voce alla sfuggita, et per conseguenza non posso havnrnc in tutto memo- so ria. Non manchi, di gratia, V. S. di aggiungere questo nuovo favore a tanti altri che mi ha fatto, et sia senza apparato di parole nò di cerimonie, con la medesima confidenza che io glie lo ricerco, oliò le ne resterò con grandissimo obligo. Et facendo al Sei*.™ 0 G. Duca mio Signore humilissima riverenza, a V. S. per fine di questa bacio affettuosamente le mani da un sito simile assai a quello del suo Hello Sguardo, dove mi pare spesso di essere, et godo almeno della memoria de’ discorsi havutici con V. S., alla quale prego insieme dal N. S.» Dio perfetta felicità. Di Theano, li XV di Nov. re 1027. Di V. S. molto Ill. ro la cui opinione nel particulare c’ho dotto sti- marò quanto devo; c se ricordi clic ino n’ha già dato in parte il possesso. co Firenze. [1840J NOVEMBRE 1627. 379 1840. ALFONSO ANTONINI r GALILEO in Firenze. [L’Aia, novembre 1627J. Bibl. Naz. Fir. M«b. Gal., 1’. VI, T. XIV, car. 7. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. ,no Sig. r mio Oss. mo Intorno a quello che V. S. desidera sapere nel negotio del quale io l’ho aver- tita 0> , saprà che quelli coi quali si ha da trattare sono i SS. ri Stati Generali; cosi chiamano il magistrato supremo che governa queste Provincie Unite. Essi hanno l’auttorità sovra tutte lo cose, et medesimamente sopra la navigatione et i ma¬ rinari, che sono quelli che dovrebbono mettere in prattica la invenzione. Dell’intcligenza loro non saprei che giudicare; ma io gli ho più tosto per huomini intendenti di coso di stato che di questo materie, delle quali quando altre volte gli ò occorso trattare, si rimettono alla relatione del loro lettore delle io matematiche nella università di Leiden (che ò Lugdunum Balavorum) e di un altro che hanno qui. Questo è quello ch’io le so diro intorno a quello desidera esser informata. Del resto ella sa la grande aplicatione che questi paesi hanno alla naviga¬ tione, poi che le poche città che vi attendono possodono più. di ^ navi a tre ar¬ bori, che corrono Toccano, e i trafichi che no fanno e la utilità che ne tirano è immensa. Hora questi, pensando di poter migliorare assai le cose loro e facilitare la navigatione col modo di misurare le longitudini, hanno fatto un editto c pu- blicato in stampa, con promesse di molto oro a chi potrà trovar questa inven¬ zione. È stato un Francese che ha scritto un libro grosso della Mecometria (S) per •jo il mezo delle variationi e declinationi dell’indice calamitato; ma in fine si trova che tutto quel che mostra non vai niente. Un altro huomo ancora dopo l’editto ù comparso, professando di have[r] la inventione; ma rimesso ai matematici, si ò trovato clic s’ingannava. Se troveranno chi li dia la invenzione reale e sicura per le ragioni matematiche, se ben vi fusse qualche dificoltà nell’uso, pur che <«> Cfr. li." 18US. < J l Mecometrie de l'eymant. Ceti à dire la ma¬ niere de mcnurer leu longitude» par le moyen de l'eymant. Par laquollo est onscignó un tres certain uioyon, aupar&vant incornai, do trouver Ics longitudos geo- grnphiques do tous lioux, aussi faeilement collimo la latitudo. Davantage, y est monstreo la declina- tion do la Guideyinont pour tous lioux, eoe. De l’in¬ voli tion do Guii.i.aumk I)E Nautokier, Siour do Gu¬ fi tolfranc cu Laugucdoc. Dedió nu Roy. Imprimé à Voiigs, che/. l’Authour. M. 1)0. IH, avec privilogo du Roy pour dix nns. Par Raiinond Colomios, imprimour eu l’Universitó do Toloso, et par Antoino do Cour- teneufve, aux fruir, do l’Authour. La Mecarjraphie de l'eymant. C'eit à dire la des- aription de» longitude» traurica par lea ul/acrvation» dea declinaisona de l’eymant. Eli laqucllo, par till moyeu tros ccrtain ot cy dovant incognu, est mon¬ stri! coinhion la Guidoynmnt so dostouruo do la liguo meridionno, eu quel licu que co soit do la torre ou do la mcr, ot quello en est la Iongitudo goographi- que, doscrito de dogró on dogró par tablo conti- nuolles, occ. l)o 1' invontion do Guillaume de Naw- tonikk, Siour do Castolfranc cu Laugucdoc. Dedió au Roy. Imprimé à Vonos, chez l’Authour. M. 1)C. III. A voc privilogo dii Roy pour dix ans. Par Raimond Co- lomios, imprimour on l'Uuivorsitó do Toloso, ot par Autoiuo do Courtououfve, aux finis do l’Autheur. 380 NOVEMBRE - 12 DICEMBRE 1627. [1840-1841] non sia afatto sopra la capacità elei marinari et impossibile a servirsene in marfe] (come gli acade quando vogliono servirsi di una linea meridiana, che non la san tirare senza andar in terra), non dubitfo] che impiegheranno ogni diligenza et industria per valersene, potendoli tornare a sì gran comodo o profitto, come essi pensano et ò ragionevole. Se V. S. vorà altre informationi elio io possa bavere, glielo darò volontieri; so e se vorà aplicare a questo negotio, potrà fare un passo allfa] volta, conio lo pa¬ rerà, per evitare gl’inconvenienti di ch’ella temo non sonza ragione. Mi havrà sempre pronto, mentre starò in questo parti, a servirla in questo particolare et in ogni altra cosa ch’io possa qui et in ogni altro luogo, elio à molto poco, ri¬ spetto a quello che si deve al suo gran merito. Ho trovato questi giorni passati a Leiden un libretto di F. Tomaso Campa¬ nella, Apologià prò Galileo, stampato a Francfort del 22 (,) . Lo tolsi perii nomo di V. S., e ne ho hauto gusto, perchè la dottrina mi pare buona, e lo suo ra¬ gioni eccellentfi 1 et a parer mio inespugnabili. Bacio a V. 8. le mani. Di V. S. molto 111/'' et Ecc. ,n * Se. r AfT. mo io Alfonso Antonini. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ino Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1841 **. MALATESTA PAGLIONI a GALILEO in Firenze. Pesaro, 12 dicembre 1B27. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IX. cnr. 77. — Autografa la lirma. Molto lll. ro et Ecc. ra0 Sig.™ Oss. ,no Con mio partieoiar gusto ho ricevuto il favore che V. 8. m’ha fatto 0 ', non senza accrescimento deU’obligo mio e non senza augomento anche di desiderio di cor¬ rispondere a V. 8. con l’opere, come faccio molto compitamente con l’animo. Bendo grafie alla sua cortesia di questo favoro; o mentre le bacio le mani, la prego a comandarmi spesso con quella libertà che sa di poter faro. Di Pesaro, a’ 12 di Dee.™ 1627. Di V. S. molto 111.™ et E. ma Serv.™ Afi*. lno S. or Galileo Galilei. M. Bagl ioni. Fuori: Al molto 111.™ et Kcc.“° S.™ Oss. mo 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. io Cfr. n.o 1515, lin. 15. '*> Cfr. nnJ 1S27, 1S30. 11842 ] 17 DICEMBRE 11527. 381 1842. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO iu Firenze]. Parma, 17 dicembre 1627. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 78. — Autografa. Molto Ill. r * et Ecc>° S. r ® e P.ron Col .’ 110 Non posso far di meno di non esser nemico capitale delle sue infinite oecu- pationi, che sono causa ch’io non possa godere pur una minima sillaba di risposta allo mie lettere; la quale mentre pur andavo aspettando, nel venir perciò diffe- ■ rendo lo scrivere, sono arrivato a quel tempo che non mi è lecito trapassare senza ch'io li facci riverenza, coni’io faccio, dandoli nuova come già. un mese fa inviai l’opera che già componeva, qual V. E. sa, a Mons. r Ciampoli, liavendola ter¬ minata nel miglior modo che ho saputo e potuto, non havendo mutato quel mio fondamento di quelle che chiamo tutte le linee di una figura piana o tutti i piani io d’una solida, poiché a me pare che sia con evidenti e salde ragioni stabilito a ba¬ stanza. Tuttavia mi ha scritto detto Monsignore che la vede il P. D. Benedetto; e se giudicarli che non possi stare a martello, la riputerò per non fatta. Doppo mandata la detta opera, pensando sopra la parabola, ho ritrovato e dimostrato in lei una passiono simile a quella dell* dissi : cioè, che sì come in questa le composte delle linee tirate dalli duoi punti, che Apollonio chiama ex comparalione factis , a qualsivoglia punto dello dissi sono uguali all’asse, così le composte delle linee tirate, una dal punto nell’asse dell’unione de’ raggi incidenti nella parabola paralleli all’asse, l’altra tirata come si voglia parallela all’asse da un punto preso in una retta linea che sega l’asse, tirat[e], dico, a qualsivoglia 20 punto della parabola, sono eguali alla composta delle due parti dell’asso che giacciono fra il vertice della parabola e li duoi punti ne’ quali l’asse vien segato (,) ; come nella presente figura, che le due evi, mo sono eguali alle due ca, ao, ctc. ; quale sin bora non ho visto demostrata in al¬ cun auttore. Di gratin, mi favorisca di scrivermi almen due righe, acciò senta qualche nuova di lei, quale tanto amo, riverisco et ammiro; e si godale 30 presenti feste di Natale con felicità, quale io li desidero, con il principio del i>) Cfr. u u . 1847. 17 — 24 DICEMBRE 1627. 382 [1842-18441 seguente anno, anzi di moltissimi, ch’iddio la conceda a’suoi amici e servitori, come io li vivo. PI li bascio lo mani. Di Parma, alli 17 Xnibrc 1027. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.' na Ob.' no Servo I'\ Bon. r& Cavalieri. 1848*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in BelloBguardoJ. Arcetri, 21 dicembre 1627. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 61. — Autografa. Molto Ill. ra et AmatÌ9s. mo Sig. r Padre, Desiderando io che in queste santissimo festo di Natalo et in molto altre {in¬ cora V. S. arrivi al colmo cP ogni bramata consolationo, vengo con questi pochi versi a fargliene felicissimo augurio; et prego il Signor Iddio elio in questi be¬ nedetti giorni il suo animo goda tranquilla pace, et il simile a tutti di casa. Mando alcuno cosercllo per i fanciullini del zio 10 : il collare maggioro con i manichini sarti di Albertino, gl’al tri due de gl’altri più piccoli, et il canino della bambina, le pasto di tutti, eccetto i mostacciuoli elio sono per V. S. Accetti la buona volontà, elio sarebbe pronta per far molto più. Ricevei il vino, et anco il rabarbaro : la ringratio, et prego il Signore elio le ri- io meriti tante suo amorevolozzo con l’aumento della Sua santa gratia. Con clic per line mi raccomando a tutti molto affettuosamente. Di S. Matt.°, la vigilia di Natalo del 1G27. Di V. S. molto 111.™ Aff> a Fig> Suor M.** Coleste. Fuori: Al molto 111.® et Amatiss." 10 Sig. r Padre 11 Sig.‘‘ Galileo Galilei. 1844*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo (?)]. [Arcetri, 1627 (?)] Bibl. Naz. Fir. Mss. Cai., P. I, T. XIII, car. 292. — Autografa. Amatiss.’" 0 Sig. r Padre, Con mio grandissimo contento intesi l’altro giorno clic V. S. stava bene; il che non segue già di me, poi che da domenica in qua mi ritrovo in letto con !Lett. 1843. 8. vengo che quttli — < l > Michelangelo Galilei. 1G27 — 8 GENNAIO 1628. 383 [1844-1845] un poca di febbre, la quale (secondo che dice il medico) saria stata di conside¬ razione, se un poco di flusso di corpo sopraggiuntomi non gl* havessi tagliata la strada e ridotta di presente in poca quantità. Io, già che Dio benedetto mi fa grafia di mantenermi V. S., prevalendomi di questa habilità, a lei ricorro in tutte le mie necessità, con quella confidenza clic più un giorno dell’altro mi somministra la sua cordiale amorevolezza; e particolarmente adesso, che mi trovo bisognosa io di governarmi mediocremente bene per rimediare alla mia estrema debolezza, liavrei coro che V. S. mi somministrassi qualche quattrino per provvedere a i miei bisogni, che sono tanti che a me saria troppo faticoso l’annoverargli et a lei quasi impossibile in altra maniera il sovvenirgli. Solo gli dirò che la provvi¬ sione elio ci dà il monastero ò di pane assai cattivo, di carne di bue, e di vino che va in fortezza. Io mi godo il suo, del quale ne ho ancora un fiasco e mezzo ; e non me ne fa di bisogno per ancora, perché bevo pochissimo. Basta, lo parte¬ cipo anco con le altre, come è il dovere, e particolarmente con Suor Luisa, alla quale gustò fuor di modo l’ultimo fiasco che V. S. mandò, che fu assai chiaro, ciò ò di poco colore e assai valore. 20 Se nel suo pollaio si trovass[i] una gallina che non fossi buona per uova, sarebbe buona per farmi del brodo, che devo pigliar alterato. In tanto, non havendo altro, gli mando 12 lette di pasta reale, acciò se la goda per mio amore; e la saluto, insieme con tutte le amiche e particolarmente la Madre badessa, mia molto cortese o favorevole amicha. Nostro Signore la conser[vi]. Sua Fig. ,il Aff. nia Suor M. Celeste. 1845 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Itoma, 8 gennaio 1G2S. Bibl. Naz. FLr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 81. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col." 10 Giovedì a sera gionse il Sig. r Vincenzo, nipote di V. S., sano e salvo, e mi conobbe dalla lontana, cosa clic mi diede gran gusto, perchè fu segno manifesto clic io sono poco invecchiato da che fu fatto il mio ritratto costì in Firenze, alla similitudine del quale fui conosciuto. Lo condussi subito da Mons. r 111." 10 Ciampoli nostro, col quale si trattenerà alloggiato per sino che sarà accomodato in casa di un amico del medesimo Monsignore, dove starà bene o sarà servito d’ogni suo bisogno, di bucato e imbiancatura di collari e di vitto, con spesa solo di sei V di il mese; e credami V. S. che da altri non sarebbero bastati otto scudi. 384 8 GENNAIO 1G28. [1845-1846] Quanto allo studio, il Sig. p Orazio dell’Arpe (col quale non ho ancora potuto io parlare) insieme con Monsignore lo raccomaudaranno a persona che lo potrà far guadagnare assai nella musica. Questa settimana che viene, presenteremo le let¬ tere al Sig. r Card. 1 Padrone* 0 e alli altri, o lo farò vestire di tango, e procurata che la spesa non sia spropositata, col consilio del drappieri amico di V. S. Per questo primo arrivo Monsignore ò restato sodisfattissimo del costume e tratto del giovane, e li pare elio quanto alla musica habbia da dare gusto e fare profitto. Per bora non ho che dirli altro: quest’altro ordinario li darò più minuto ragua- glio di tutto. Ilo dato al procaccia sette piastre fiorentine, chò tanto m’ha detto che doveva bavere ; e nel resto non mancata all’infinito obligo che devo a V. S. o al Sig. v Michel Angelo* 0 , a’ quali bacio le mani. 20 Di Poma, r 8 di Gen.° 1628. Di V. S. molto 111.™ Le corde saranno perse ; ma ne mandata dcl- l’altre, e mi servirò per sensale del Sig. r Vincenzo. Ohlig.*" 0 e Devotiss. 0 Sor.™ e Dis.6°l Don liened. 0 Castelli. Fuori: ÀI molto 111.™ Sig. r e P.ron Col. ra0 Il Sig. r [Galileo G]alilei, p.° Filosofo di 8. A. S. Firenze. 1846 * GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze.' Roma, 8 gennaio 10*28. Bibl. Na7. PIr. Mss. Gal., P. 1, T. IX, cur. 79.— Autografa la sottoscrizione. Molto 111.™ et Ecc. 1 " 0 Sig. 1 ' e P.ron mio Col. 1 " 0 È arrivato con la desideratissima lettera di V. S. il Sig. r Vincentio suo nopote, al quale non ho fin bora mancato di fare tutte quelle affettuose dimostrationi che ho potuto, benché non quante vorrei e quante egli merita. Veggo risplendere in esso nobilissime qualità ; et essendo del lignaggio di V. S., non può non ma¬ nifestarsi singolare in virtù et amabile in costumi. Io m* ingegnerò di mostrare, Cfr. il.» 1799. <*> Gio. Battista Wintbr. < 3 > Girolamo Fabricio d’Auquapkndbnte. Oi Adriano Spiokmits. |5) Giovanni Faiier. (G > Quinto Sereno Samuonico. 388 20 — 22 GENNAIO 1628. [1849-1850] rihavendomi, e sto non il solito desiderio di servir V. S. sempre, conforme a’ miei 30 obblighi. Il libro Messicano 05 ò quasi al fino, e si tirano avanti anco li altri com¬ ponimenti, non essendosi perso tempo con fatigaro al possibile. Non ho tempo stendermi con la presente in altro. Bacio a V. 8. di Lutto cure per mille volto le mani, e la prego a comandarmi. Di S. Angelo, li 20 Gemi. 0 1628. Di V. S. molt’Ul. r ® e molto Ecc. ,ft Ali'. 1 " 0 et Obblig. mo per ser. ,R sempre Fed. co Cesi Line. 0 brine. 6 1850. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 22 Komiaio ifi28. Bibl. Nrz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IX, car. 85-Bfi. — Originale, ili mano di Gr’uaso Landccoi (cfr. lin. 40). Molt’Ill. ra et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col.™ 0 Io ho già presentato il S. r Yincentio (,) al S. r Crivelli 05 , il (piale l’ha ricevuto con molto gusto per servire all’Altezze di Baviera, a V. S. Ecc.™", al S. r Vincentio et al S. r Michelangnolo ; et siamo anco restati in appuntamento di quanto occorre, havendomi detto il medesimo S. r Crivelli d’havor ordine di provvedere il S. r Vin¬ cenzo di quanto bisogni per il vitto o per i maestri: et bora ch’egli ò tornato in casa del S. r Francesco Benedettonio, giudicherei bene che olla ringratiasse Monsig. r Ciani poli del favore che S. a S. ria Ill. mR ha fatto al S. r Vincentio, di rice¬ verlo in casa con tanta amorevolezza. Fui a questi giorni dal S. r Ambasciato!’ di Venetia 05 , con il quale liebbi di- io versi ragionamenti di V. S. Ecc."' tt ; et egli mi disso ch'io le scrivessi da sua parte ch’egli se lo ricorda scolare e clic se le offerisce a favorirla in ogni occasiono: la quale offerta ò stata accettata da me, acciò elio so il pensionano facesse mai difficultà ne i pagamenti, possiamo meglio stringerli i patini addosso; et ho di più detto a S. Ecc“, clic quando ella sente parlar di Venetia c di loro SS. 1- ' 0 , giu¬ bila e riverentemente osserva quella Sor.»»* Republica, alla quale professa obli- gationi infinite: la qual cosa fu sentita con grandissimo gusto (la S. Eco. 7 * Si ò finalmente superata ogni difficultà della pensione 01 , con avvanzo d’un’an¬ nata, e già ho dato danari per l’ospedition delle bolle, quali credevo poter haver hoggi; ma essendo hiori stata festa di Palazzo, non ò stato possibile: ma della 20 01 Cfr. II.» 584. '*> Cfr. n.® 1845. °» Fkanuksco Crivkm.i, Anoki.0 Contamini. <*) Cfr. nn.i 1810, 1811), 1832. 22 — 24 gennaio 1628. 389 [ 1850 - 1851 ] prossima settimana le haverò infallibilmente, e scriverò a Brescia per il paga¬ mento, e farò ancora che scriva il S. r Vincentio, al quale ho di già provveduto di dui para di scarpe, acciò si possa mutare, et anco d’un paio di pianelle; e così anderò facendo di mano in mano in tutti i suoi bisogni, et in line spero che le cose passeranno bene. Ilo ricevuto la lettera di V. S. Ecc. ma : e torno a replicare che sarà mia par- ticular cura il servir lei et il S. r Michelangelo in persona del Sig. 1 'Vincentio, al quale s’andarà provvedendo di maestri con intervento di Monsig. r Ciampoli e del S. r Crivelli, il quale ha esquisito gusto nella musica et ha altre volte servito so quell’Altezze di Baviera in simili occasioni ; e finalmente susseguirà di mano in mano gl’ordini che sopra ciò darà il Ser. n, ° Sig. r Duca, dal quale dice il Sig. r Cri¬ velli non haver ordin’ alcuno dello scrivere. Io ho letto qualche volta, con occasione d’haver veduto in casa di Monsig. r Ciani- poli, il libro del Sarsima mi stomacano talmente le sue sciocche ignoranze e di molti altri che le prestano oreohie, che non mi son curato di leggerlo piò, con tutto che i più sensati conoschino molto bene le sue impertinenze: ma già ch’ella* me lo comanda, tornerò a leggerlo, e sarò col P. Mostro 0 ’, il quale altre volte m’ha detto che quelle cose non li davano fastidio alcuno, e che a lui bastava l’animo di difender sempre la parte di V. S.; quali cose ha dette ancora al S. r Piero de’ Bardi, io Scrivo per mano di Giuliano Landucci (il quale si ricorda servitor devotis¬ simo a V. S. Ecc. mtl et al S. r Michelangiolo, sì come s’è. anco fatto qua servitore del S. r Vincentio), per non haver io possuto, per esser stato hoggi travagliato da diversi colpi di vertigini. La prego a scusarmi e le fo riverenza. I)i Roma, 22 Gen.'° 1028. Di V. S. molt’lll. ^ ' , et Ecc.*" a Ser. 1-0 e Discepolo Oblig. mo S. r Galileo. D. Benedetto Castelli, Fuori: Al molt’111/" et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Colen. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° RI» di S. A. S. Firenze. 1851 * GIOVANNI DI GUEVARA a GALILEO in Firenze. 'L’enno, 24 gemiaio 1628. Bibl. Naz. Fir. Ms*. fisi., Nuovi Acquisti, n. n 22. — Autografi il poscritto e la sottoscriziono. Molto Ill. ra Sig. or mio Oss. mo La lettera di V. S. mi è stata d’infinito favore, ma non d’intero contento, mentre da essa ho intesa la sua indispositione, dalla quale voglio credere che a «> Cfr. Voi. VI, pag. 375-500. <*> N10001.Ò Riooakiu. 390 24 GENNAIO — 5 FEBBRAIO 1G2S. [1851-1^521 quest’bora ne sarà libera affatto. Ilo goduto quel che mi ha significato del suo pensiero intorno a quel luogo di Aristotile; et perchè mi prometteva di van¬ taggio, sto bora attendendo di esser favorito compitamente da V. 8., et di sapore buone nuove della sua saluto, essendomi questa cara al pari delia mia propria. La prego vivamente a mantenermi nella sua gratin, et di comandarmi con Tasso- Iuta autorità elio sa di poter usare meco, mentre a V. 8. bacio insieme le mani, et col suo mezzo faccio humilissima riverenza al G. Duca 8er. m0 io Di Tlieano, li 24 di Genn. ro 1628. I)i V. S. molto III « la quale prego quanto posso a favorirmi, subito che sarà possibile, di qualche cenno sopra quel particulare, come una linea minore si possi prò portionare ad una maggiore, ancorché tutto dua costino d’infiniti punti, stanto elio la commensura- 0 tione 8’attendi secondo lo parti divisibili. . Affctt. wo Ser. r ® di cuore S. r Galileo Galilei. G. di Guevara, Vose. 0 di Theano. 20 Fuori: Ai molto Ill. ra Sig.« r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 1852 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 5 febbraio 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1’. I, T. IX, cnr. 89. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig.r e P.ron Col."»® Il Sig. r \ inccnzo ha cominciato a attendere al contrapunto sotto la disci- piina del maestro di cappella di S. Pietro, e va alla scuola del liuto dal principale sonatore ohe sia in Roma, il qual servo il Sig. r Card. 1 Lodovisio 1,1 ; e il Sig.' Cri- velli 1 ’ 1 , clic conosce benissimo tutti questi musici, ha giudicato bene il seguitare queste scole. Gli avvisi che V. S. mi dà per servizio del Sig/ Vinconzo sono utili e santi e necessari!, e io non ho mancato sin ora conforme al bisogno fare il Lodovico Ludovisi. **' Francesco Crivelli. [1852-1853] 5 — 8 febbraio 1028. 391 debito mio, e spero bene. Parlarò ancora col Sig. r Silvii {,) , e farò quanto potrò acciò lei sia servita. io Non ho ancora visto il Padre Mostro (,) , ma credo che rilaveremo dalla nostra. Io poi sto bene, e da oggi a 15 in qua non ho sentito cosa di momento, ancor¬ ché la testa non mi paia ancora ridotta allo stato solito mio. Questa mattina ho riceuta la lettera di V. S., e consegnata al S. Vincenzo la lettera di V. S. di¬ retta al S. r Crivelli, insieme con l’altra, bacio le mani a V. S. e al S. r Michel Angelo. Roma, il 5 di Feb.° 1628. Di V. S. molto 111.™ Aff. mo e Oblig. mo Ser.™ e Dia. 10 Don bened, 0 Castelli. Fuori: Al mollo 111.™ Sig. r mio Col."' 0 20 il big. 1 ' Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1853 *. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO iu Firenze]. Parma, 8 febbraio 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XI, car. 82. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc."‘" S. r e P.ron mio Col." 40 Doppo haverli mandato la mia demostratione della passione della parabola di già accennatali (,) , haveiulone discorso con un altro amico delle matematiche e di molto ingegno, volse anch’egli affaticarsi in ritrovarne varia demostratione; la quale havend’egli conseguito, me l’ha mandata, acciò con tale occasione non solo palesi a V. S. l’ardor che ha verso le sudette scienze, ma l’affettuosa osser¬ vanza con la quale meco l’ama et honora. Gradisca V. S. questo effetto, che viene da persona che fra gli altri, massime in genere di geometria, è singolare, et è partialissimo di V. S. o dello cose sue; e mi favorisca di darli qualche saggio io d’ haver gradito questo ullittio, che a me parimente sarà gratissimo. Questo è sog¬ getto che fu favorito et amato per le suo qualità singolarmente dal S. r Marchese degli Editìtii ( ‘ ) di fel. m., et ò arciprete di un luogo sii ’1 Piacentino, detto Car- paneto: Volendo scriverli,- potrà inviar la lettera a me, che gliela farò bavero: <•> Giovanni Silvi. i*i Cfr. ii.» 1850, lin. 37. < 3 > Crr. nu.i 18-12, 1847. <*) Pi eh Francesco Malaspina. 392 8 - 9 FEBBRAIO 1028. [ 1858 - 1854 ] et essendo di fretta, finisco di scriver, ma non di riverirla et amarla, alla cui buona gratin mi raccomando. Di Parma, alli 8 Feb. r0 1028. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ra * Ser. r I)ev. mo F. Uon. r * Cavalieri. 1854 *. MARCANTONIO PIERALLI a [GALILEO in Firenze]. Pina, il febbraio 10‘2H. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, B.* I.XXXV, n.« -t I. — Autogiafa. Molt’Ill.” et Ecc.'"° S. r mio Col." 10 Il S. r Nicolò Aggiunti por ordine di V. S. Ece. ra * ha discorso meco ilei dot¬ torato del S. r Vincentio 10 , e per esser assai occupato mi ha commosso che io le risponda in nomo suo. Per questo le dirò brevemente e ingenuamente, elio io non ci conosco difficoltà di sorte alcuna, sì per la facilità grande che si lui nell’ad- dottorarsi, come per l’attitudine che ha il S. r Vincenzio a far tutto quel che vuole, e, quel che importa assai, per la resolutione che gl’ha fatto di studiare le leggi diligentemente tutto questo tempo che ci resta innanzi alle vacanze. Egli, prima che ne scrivesse a V. S., n’haveva discorso più volte meco, e pregatomi ch’io lo voglia aiutare e servire in questa occasione, cosa che a me sarà di gusto e di io consolatione particolare; e come ella sarà resoluta che si dottori, comincerò a distendergli di quei testi civili e canonici che probabilmente gli possono essere assegnati, e che si ristringono a due titoli soli, e lo farò esercitare con impa¬ rargli a mente e recitargli, si che non gli ghignerà punto nuovo questo cimento. V. S. in questa parte si riposi sopra di me, che col desiderio e obbligo che ho di servirlo, supplirò alla mia insufficienza, e lo terrò del continuo stimolato a studiare. Mi ha detto, che havemìo scritto assai a lungo a V. S., aspettava con molto desiderio risposta, e non havendola ricevuta mi par che sia rimasto mortificato. V. S. lo consoli questa settimana, perchè lo merita, portandosi be¬ nissimo e non havendo, per quel eli’ io veggo, altro fine che di obbedire e dar 20 gusto a lei: alla quale io mi ricordo servitore obbligatissimo e prego dal Signor Iddio felicità. Pisa, 9 Febbraio 1G27 {,) . Di V. S. Ecc. n, “ Devot.™ 0 e Obb. rao Serv. Marcai!t.° P. u O» Vihoknuo ili Galileo Galilei. *** Oi stilo ttorentino. [1855-1856] 19 — 26 FEBBRÀIO 1628. 393 1855 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 19 febbraio 1628. Bibl. Est. In Modena. Raccolta C&mporl. Autografi, B.“ LXX, u.° 9. — Autografu. Molto lll. ro Sig. r e P.ron Col. MO Ilo date linalmente le bolle della pensione al Sig. Vincenzo 05 , nella qual spe¬ dizione lio Lauto mille stenti e disgusti; ma il tutto si ò superato con spesa solo di 25 scudi di questa moneta, havendone noi avanzati novanta con grandissimo stento, non ostante la ottima disposizione de’ Padroni. Credo che noi Laveremo in breve da Brescia la risposta del pensionano, quale doveri pagare tre semestri decorsi, clic saranno 90 scudi. lo non Lo potuto ancora parlare al P. Mostro 05 , perchè tre volte che sono andato a ritrovarlo, non Lo mai Lauto fortuna di ritrovarlo : non mancare fare io die lei sia servita. Ho bisognato valermi di venti scudi dal Sig. Silvii (,) per le bolle. E non occorrendomi altro di novo, li bacio le mani, dandoli nova che il Sig. Vincenzo si porta bene e si affatica. Di Roma, il 19 di Feb.° 1628. Di V. S. molto 111.” Oblig. mo e Devotiss. 0 Ser. re e Dis. 10 S. 1 ' Gal . 0 Gai . 0 Don Bened.® Castelli. 1856 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 26 febbraio 1628. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 35. — Autografa. Molto III.” Sig. r e P.ron Col.™ 0 In presenza del Sig.‘‘ Ascanio Piccolomini parlai al P. Mostro 05 , ricercandolo elio dicesse il suo parere intorno alle opposizioni del Sarsi : il qual disse che le opinioni di V. S. non erano altrimenti contro la Fede, essendo semplicemente filosofiche, e che lui Laverebbe servito V. S. in tutto quello che lei li havesse commandato, ma che non voleva comparire, per poterla servire in ogni occor- 0> Vincenzio di Michelangelo Galilei. < 3 t Giovanni Silvi. I») Cfr. nn.i 1850, 1852. i^ Cfr. un.* 1850, 1852, 1856. XIII. 50 394 2G FEBBRAIO 1G28. [185G-1857] ronza che li fosse (lato fastidio nel Tribunale del 8. t0 Olìicio, dove lui è quali¬ ficatore, perché se si fosso prima dichiarato, non haverebbe poi potuto parlare; e raccontò ancora che liaveva patito un poco di borrasca per V. S. dai suoi frati: e in somma concluse clic era tutto di V. S., o clic so lei li havosse mandati parti- io colarmente i dubbii nei quali liaveva bisogno di risposta, che lui li liaverebbe risoluti. In tanto starò aspettando il suo commandamonto. Il Sig. r Vincenzo 10 attendo belio e fatica, ed lioggi ho parlato col mastro di contrapunto, qualo ne resta soddisfatto assai. E non occorrendomi altro, li bacio le mani. Di Roma, il 2G di Fcb.° 1G28. Di V. S. molto 111. 1 * Oblig. mo .Sor.” e Dia. 10 Don Rened.° Castelli. Fuori: Al molto 111” et Ecc. ,n0 Sig. r o P.ron Col."' 0 [...Gglijleo Galilei, Filosofo di S. A. S. 20 Firenze. 1857 *. MICHELANGELO GALILEI o GALILEO in Firenze. IVenezia], 26 febbraio 1628. Bibl E»t. in Modena. Raccolta Cfttnpori. Autografi, II.* LXXV1, n.® 9. — Autografa. Car. mo et Onor. do S. r Fratello, Giunsi qui in Venezia giovedì sera, per grazia del Signore sano e salvo, et lunedi al più lungo m invierò alla volta di Monaco, havendomi qui incontrato di buona compagnia che va pure fino là: ma invero manco non ci vuole che 22 an¬ gari, spesa invero grossa; ma bisogna accomodarcisi, poi elio andar solo mi saria di fastidio troppo grande, come bene potete considerare. Scrissi a V. S. di Bo¬ logna, e non mancherò scriver sposso quanto sia possibile, acciò viviate con animo quieto di me; e pure che io senta che tutti stiate beile, e che la mia cara Chiara stia allegra, ini starò ancor io contento. Caperete come il S. r Giovanni Bertolucci passò di questa a miglior vita fino io l’Ottobre passato, sì che a’ miei bisogni mi è convenuto servirmi d’altri mezzi. Il S/ MannuccL 0 saluta V. S. di cuore, et iermattina desinai da lui. Di grazia, tenete consolata la Chiara, perchè mi conturberei grandemente se io sentissi che si pigliassi troppo alfanno di me; che lacci pur orazione per me, con ferma spe¬ ranza che le cose abbino a passar bene; che la scriva ogni settimana, chè tanto "l Vincenzio di Michelangelo Galilei. <*• Filippo Mannucci. [1857-1858] 26 febbraio — 2 marzo 162S. 395 farò io di là. E qui per fine vi prego a salutarla da parte mia di vivo cuore, come faccio voi et i figliuoli, et di grazia le sia raccomandata la mia binbina carissima; e cosi Nostro Signore feliciti V. S. e conservi lungamente. Di Monaco (sic), li 26 di Febbraio 1628. 20 Di V. S. Àff. mo e Oblig. mo Frat> e Ser.™ Michelag. 10 Galilei. Saluto tutti di casa. Credo elio le chiavi di casa, che poco fuor di porta mi trovai in tascha, vi saranno state riportate da un contadino al quale detti, che ai chiama Matteo Matucci, abitante là verso Pratolino. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. 1 ' Galileo Galilei, Matematico del Ser. mo G. Duca di Toscana. Fiorenza. 1858. PIETRO GASSENPI a GALILEO in Firenze. Aix, 2 marzo (1628J. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 83-84. — Autografa. Viro incomparabili Galilaeo Galilaei, qui est Magni Hetruriac Ducis eximius Mathematicus, P. Gassendus F. En longissimi sane temporis, suavissime Galilaee, foenus perexiguum. At maini tamen paucis bisce lineis, externporaneani nactus occasionem, finem lacere diuturno silentio, quam continua procrastinatione ad nanciscendum otiosam quandam scri- bendi opportunitatem nihil tandem perscribere. Commodum certe adfui in hac civitate, cum Senator piane nobilis Nicolaus Fabricius, dominus Peiresci, onini- genae vii* literaturae ac artibus bonis promovendis impensissime deditus, aliquot io Romani litcras daret. Rogatus quippe, mini et Roniac nosset qui curam suscipere vellet transmittendi ad to schedulam, cxultavit, ut qui eminentem virtutem tuam merito miretur, et recepit ultro in se hanc provinciam; ac pergerem tantum, si quid vellem scribcre, author extitit. Hoc ipsuin ergo est quod facio ; ac caetera quidem, quae conccpta habeo, in aliud tcinpus dilferens, duo tantum sunt quae te scire velini. Unum est, longum esse tempus, ex quo, ubinam sit gentium aut quid agat noster Dcodatus (1) , rescire non potili. Quamprimum quidem ex Italia rediit, transmisit ad me libros illos quibus tu me beare voluisti (ita me Deus <0 El.IA OlODATI. 396 2 MARZO 1628. [1868] adiuvefc, ut munus eiusmodi tuum smn cxosculatus, meque gratiis libi exsolvendis sensi esse imparem); at quas ox te literas erat mihi consignaturus, nescio quo miserando lato oxpectare adhuc oontingat. llaec sano fuit praocipua caussa, cur 20 tandiu et rescribere, et grates prò tuis illis libris rependere, distulerim. Prae- stolabar videlicet, iium forsan ex me, bona mea sorte, ofiirii quidpiam exigeres, ut simul tibi et meam sententiam circa libros tuos aperirem, et circa omnia (quae mea est in te observantia) obsequendo satisfacerem. Alterimi, cum et heio nuper, tempore defectus lunaria, ob negotia quaedam diversarer, defectum illum a me simul et a Iosepho ilio Gaulterio, cuius tibi mentionem feci prioribus literis fuisse sedalo observatum. Scilicet existimo, cimi coelum tibi fuerit nostro saoculo ex voto Hipparcbico in haereditatem datimi, lactaturum tc cum accoperis, praesto esso qui tuis auspiciis volint ipsum excolcrc. Accipo ergo paucis, quae fuerit nostra eclipseos observatio; cuius tanto alacrius tibi copiam facio, quanto et ad inanimi so est, pergrata quoque tibi futura, quao ab amicis aliquot nostri eRt facta Parisiis. Ad nostram quod attinet, dicenda multa iam Imbercili circa variotatom co¬ lorimi qui in luna obscrvati sunt; itemque circa unibellam illuni quae et limbi lunae temerationem inifcio praecessit et eiusdem roalitulionem ad linoni subso- cuta est, caeteraque liuiusmodi, quibus probo oxplicandia sola tua illa pbilosophia potest esso par. Veruni sulìiciet mine temporis designare momcnta illa quae do- duximus ex fixis in quatuor praccipuis eclipseos cardinibus. Kxindo nempe efli- cietur, ut si forte aliquod illorum observatum fuerit Venetiis, Romao et, quod non dubito, Fiorentine, aut alio loco celebri, cuius tibi facile fuerit liabcre no- titiam, licoat nobis tandem praecipuarum saltem quarundam Europae nostrae-io urbium differentiae longitudinalis liabcre certitudinem. Quid tamon moror? Initium eclipseos nobis contigit hoc Saluti anno 1628 secundum aeram Dionysianam ac stylo quidem Gregoriano, dio Ianuarii 20, bora a meridie 7, min. 49 : scilicet fuit tunc Cani Maior, seu stella Syrius dieta, alta ad ortum in tangente quadrati circiter quadrupedalis partibus 3870, hoc est 21°. 9'; Bupponitur autom baco stella Imbuisse ascensioni rectae 97°. 15', declinationis vero australis 16°. 12 , et sol luisse in 0°. 25' sw cum ascensione recta 302°. 38', oxi- stente nobis aliunde poli altitudine 43°. 33'. Totalis obscuratio, seu oius principium, bora 8, min. 48: quia scilicet fuit tum Cor llydrae altum ad ortum partibus tan¬ genti 2525, hoc est 14°. lo', existente ascensione recta huius stellae 137°. 25', et &o declinatione australi 7°. 5, cum promotione ascensioni rectac 0 duoruni circiter minutoriun. Recuperatio prima luminis, bora 10, min. 25 : existente nenipo eadem stella, Cor llydrae, alta ad ortum partibus 5440, seu 28°. 33', ac 0 interim pro¬ moto secundum ascensionem rectam min. 3 aut 4. Finis denique, bora 11, min. 24: quia nempo fuit tunc ad occasum altus siniter Orionis Pcs partibus 5010, seu Cfr. n.® 1729. 2 MARZO 1628. 397 [ 1858 ] 26°. 37', cuius ascensio recta est 74°. 12', et declinatio australis 8v40’, acfuitQ amplius promotus 2' circiter. Iam vero poi-scriptum nude Parisiis est, eclipsin ce- pisse cum csset alta Canicula 28°. 3'. 20", et totalem obscurationem cum eadem stella esset alta 36°. 20': de initio recuperationis nihil habitum est: circa finem co scriptum est, illuni contigisse circiter cum Àrcturus esset elevatus 9°. 30'. Attamen, supponendo altitudinem polarem Parisiensem 48°. 45', et ascensionem rectam Ca- niculac 109°. 58', cum declinatione boreali 6°. 8', Arcturi vero ascensionem rectam 209°. 42', cum declinatione boreali 21°. 10', ratiocinati exinde sumus, contigisse Pari¬ siis eclipseos initium bora 7, min. 35, principium totalis obscurationis bora 8, min.34, finem bora 11, min. 7 refractionum porro caussa, minuta sex detracta sunt alti¬ tudini Arcturi. Atque ex collatione quidem observationum istarum cum nostris, et cimi duae priores ex istis potiores certioresque sint (postremam enim illud circiter suspectam et incertam facit, quanquam in ipsa quoque non est parasangis multis aberratimi), boc saltem babemus, iam Parisiensis et Aquensis (qui idem prope est 70 cum Massificasi, nonnibil occidentaliori) meridianorum differentiam essegrad. 3-p cum differentia temporaria sit min. 14 (mirum certe videri potcst, quod priores illae duae obscrvationcs in minuto consentiant). Et nostrarum quidem earundem observationum collatio cum Origani epliemeride inducit quandam circa duratio- nem eclipseos differentiain : nobis quippe tota eclipsis 5 min. extitit contractior, totalis vero osonratio 5' min. prodnetior, quam praescribat supputata ex Tychone epbemeris. Addc et alternis differentiain temporariam esse 33' et 38'. Veruni et hoc ipsum nosse foret operae pretium, an eadem eclipseos momenta quae praescripta sunt in ephemeri, Francofurti fuerint observata; et hoc posito, explorandum an penumbra illa et quasi nubecula praecedens ot subsequens in so eclipsin veniat computanda, quantumvis illam telescopium a perfecta disci lunaris illustratione submoveat. At ecce iam propo excedo magnitudinem epistolae iustam (ita praeter ex- pectationcm institutumque exspatiatus sum), et vercor ne illustris Senator causari possit liane prolixitatem, cum iam praesertim semel miserit cui haec pcrscripta crederentur. Alias igitur et plura de bis, et de studiis meis interruptis (utinam vero leviore otio mihi frui tandem conccdatur) sermonem largiorcm instituam. Vale interea, vir optime, proque candore ingenito devotum piane tibi virum ama. Si inibi quidpiam rescribere fortassis volueris, literas illis committas licet, quibus nobilis Senator curaturus est ut ad te istae perveniant. Iterum vale. 90 Dabam Àquis - Sexliis, VI Non. Mari Fuori: Al molto Ill. tra Sig. r Il Signor Galileo Galilei, Matematico del Sereniss.™ 0 Gran Duca di Toscana, en Fiorenza. Lett. 1858. 74. extililil — 398 4 MARZO 1628. [ 1859 ] 1859 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 4 marzo 1628. Bibl. Naz. Fir. Mm. (lai., I\ I. T. XIII, car. 52. — Autografa. Amatiss."' 0 Sig. r Padre, Credo veramente elio l’amor paterno in verso de i figliuoli possa in parto diminuirsi mediante i mali costumi e portamenti loro; o questa mia credenza vien confermata da qualche indizio elio me ne dà V. S., parendomi elio più presto vadia in qualche parto scemando quel cordiale allotto che per P addietro ha in verso di noi dimostrato, poi che sta tre mesi por volta senza voniro a visitarne, che a noi paion tre anni, et anco da un pezzo in qua, mentre però si ritrova con sanità, non mi scrivo mai mai un verso. Ilo fatta buona esamina per cono¬ scere se dalla banda mia ci fossi caduto qualche errore elio meritassi questo castigo, et uno ne ritrovo (ancorché involontario); o questo è una trascuraggine io o spensieritaggine ch’io dimostro verso di lei, mentre non ho quella sollecitudine che richiederebbe Pobligo mio, di visitarla et salutarla più spesso con qualche mia lettera: onde questo mio mancamento, accompagnato da molti demeriti elio per altro ci sono, è bastante a somministrarmi il timore sopra accennatoli, se bene appresso di me non a difetto può attribuirsi, ma più tosto a debolezza di forze, mentre che la mia continua indispositiono m’impedisce il poter esercitarmi in cosa alcuna, e già più d’un mese ho travagliato con dolori di testa tanto ec¬ cessivi, che nò giorno nè notte trovavo riposo. Adesso che, per grafia del Signore, sono mitigati, ho subito presa la penna per scriverle questa lunga lamentatione, che, por esser di carnovale, può più tosto dirsi una burla. Basta in somma che 20 V. S. si ricordi elio desideriamo di rivederla, quando il tempo lo permetterà ; in tanto gli mando alcuno podio confetioni che mi sono stato donato: saranno al¬ quanto indurite, havendolc io serbate parecchi giorni con speranza di dargliene alla presenza. I berlingozzi sono per l’Anna Maria o suoi fratellini. Gli mando una let¬ tera per Vincentio, acciò questa gli riduca a memoria clic siamo al mondo, perché dubito ch’egli non so lo sia scordato, poi che non ci scrivo mai un verso. Salutiamo per line Y. S. e la zia'" di tutto cuore, et da Nostro Signore gli prego vero contento. Di S. Matteo, li 4 di Marzo IG27 1 * 1 . Di V. S. molto 111.™ Fig> Aff. ,nn S. r M. r Celeste. 80 Fuori: Al molto 111.™ et Arnatiss. mo Sig. r Padre mio Oss. ,no . 11 Sig. r . Galileo Galilei, a Bello Sguardo. Anna Chiara Bandinklli no’ Galilei. i 1 ' l)i stilo fiorentino. [18(50-1861] 18 — 21 MARZO 1028. 399 1 860 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. Arcctri, 18 marzo 1628. Eibl. Naa. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 51. — Autografa. Amatiss."* 0 Sig. r Padre, Perchè non saprei indovinare che cosa potessi mandargli che gli gustassi, ho pensato che forse gli sarà più grato qualche cosa per presentare alla Sig. r!l Bar¬ bera et altre che la governano, allo quali ancora io (per amor di V. S.) mi con¬ fesso molto obligata. Per questo adunque gli mando queste poche paste, acciò le godino per amor nostro in questi giorni di digiuno; et se V. S. ne mandassi a chieder qualche cosa elio gli fossi di gusto, non potrebbe farne maggior gratta di questa, che pur desideriamo d’esser buone in qualche minima cosa per lei. Ilieri mi cavai un altro dente, clic mi dava grandissimo travaglio, sì che adesso, io per gratta del Signore, resto libera da i dolori che per due mesi m’hanno tor¬ mentata, ancorché resto ancora con la testa non troppo sana. Spero però, con progresso di qualche poco di tempo, di dover restarne libera, se piacerà, a Dio, il quale io prego che a Y. S. conceda perfetta sanità; et per fine a lei, a Vin¬ centi, alla zia et a tutti di casa mi raccomando, insieme con S. r Arcliangela. Di S. Matteo, li 18 di Marzo 1027“’. Di V. S. Fig> Aff. raa S. 1 ' M. u Celeste. Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss."* 0 Sig. r Padre Big. 1, Galileo Galilei. 20 Firenze. 1801 . NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Pian, 21 marzo 1028. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T„ IX, car. 91. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Big. 1 ’ e P.ron mio Col." 10 Queste frutte, per sè stesse di poco prezzo e facilmente corruttibili, son rese di miglior condizione e di maggior durata dalla confettura del zucchero. Con queste voglio accennar a V. S. Kcc." m , che la viltà del mio merito e le mie poco m dì stile fiorentino. 400 21 — 22- MARZO 1028. [1801-1862] pregiabili qualità possono dalla conserva della sua buona grazia e della sua be¬ nevolenza acquistar perfezzione et immortalità. lo gli vivo al solito devotissimo servitore, ma ogni giorno divengo maggior ammiratore delle sue rare dottrine, perchè ogni giorno più con esse discaccio la mia ignoranza e mi rendo più perspicace in esse. Desidero sapere la sua buona salute, e se ella ha rimesso mano alla sua opra veramente atlantica 111 , ma da lei, io con timor delPuniversal delli scienziati e con vacillamento della mole astrono¬ mica, ingiustamente abbandonata. Qui per tino reverenteinente me gli offero pron¬ tissimo ed osservantissimo servitore. Di Pisa, 21 Marzo 1628. Di V. S. molto 111. et Kcc. nw 0blig. ,DO e Dovot. 1 " 0 S. ru Niccolò Aggiunti. Fuori: Al molt’IU. et Ecc. n, ° Sig. r e P.ron mio Col.*" 0 11 Sig. r Galileo Galilei, Fil. fo e Mat.° p.° di 8. A. S. Firenze. 1862 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. A ree tri, 2*2 marzo 1628. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 60. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Gli mando l’acqua di cannella, che, per esser fatta di fresco, non so se gli piacerà. Se non ha più stillato, potrà far render la guastada al nostro fattore, chò gliene manderò dell’altro; et se la pera cotta gl’è gustata, lo dica, eliòne accomoderò un’altra; ma dubito che, mediante la stagione, non siano adesso poco buone. Saluto la zia et tutti di casa; non dico Vincenzio, perchè non so se sia par¬ tito; havrò ben caro d’intenderlo. V. S. stia allegramente, acciò possi guarir presto affatto et venir da noi, sì come lo desideriamo et ella c’ha promesso; et se gl’occorre qual cosa, avvisi. Il Signore gli doni la Sua santa gratia. io Di S. Matteo, li 22 di Marzo 1627 ( *\ Di V. S. Fig. la Aff. n,a S. 1 ' M. a Celeste Fuori: Al molto lll. r ® et Amatiss. 100 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. Da S. t0 Spirito. XiQtt. 1861. 6. buon grazia — Cfr. ufi 605, lin. 80. (S| lii stilo florontiuo, [1803] 22 marzo 1628. 401 1863. MICHELANGELO GALILEI a [GALILEO in Firenze]. Monaco, 22 marzo 1628 . Bilil. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 93. — Autografa. Car. mo et Onor. do S. r Fratello, L’ordinario passato detti a V. S. avviso del mio qui salv’arrivo; liora lo con¬ fermo, con soggiugnerli che sto bene (per la grazia del Signore) di sanità, ma vivo con passione, poi che dopo la mia partita di costì non ò inteso nuov’ alcuna di voi. Desidero sommamente che la Chiara mia carissima mi scriva alla più lunga ogni lf> giorni, e se mancherà mi darà travaglio. Noi stiamo tutti bene, et Mechilde tengo con la Massimiliana appresso di me, avendo confermato la casa vecchia; e me ne starò così fino a tanto che Dio disponga altro. Di andare in dozzina ò considerato non saria stato appreposito, nè Laveria durata, e godo io bora con questa piccola parte della mia brigatina, con speranza di conseguire compita allegrezza. Mechilde ò levata dalle monache per degni rispetti, come a suo tempo intenderete; bora attende al latino, sonare d’istrumento e liuto; sta bene di sanità et è assai bella, sì che son sicuro che il suo aspetto lussi per piacervi. La binba è graziosina, ma in fatti non arriva all’Anna Maria, benché abbia più belle carni d’essa. La Massimiliana si è disposta (dopo considerato il bisogno) pigliarsi il carico di casa, che altrimenti, avendo Mechilde appresso di me, non à potuto negare: so che la Chiara resterà consolata, (juale vorrei stessi allegramente, poi che di qua non à causa di pigliarsi all'anno, mediante che stiamo tutti bene e con speranza ci siamo per rivedere con allegrezza. A suo 20 tempo desidererei facessi, con parere de’ medici, una buona purga, acciò, so pos- sibil fussi, si liberassi da quel suo dolor di testa; attendendo sentire con infinito desiderio che restiate sodisfatto d’essa come de’ figliuoli. 11 S. r Cavallerizzo Maggiore mi dice tener lettere di Roma dal S. 1 ' Crivelli, come bisogna far la provvisione per la paga de’ maestri di Vincenzo; ma perchè scorgo che li 220 fiorini non potriano supplire al tutto, procurerò che da S. A. 8 * 4 venghino detti maestri sodisfatti. Intanto bisogna pure mandar qual cosa per il tempo decorso. Io mi trovo molto consumato e ò bisogno di respirare, e tanto più che ò pur notabil spesa per la carestia di questi paesi, maggior che mai nel vino, e pur son necessitato a berne. Starò con desiderio attendendo sentire che so Vincenzo faccia profitto o che corra la pensione, sì come che Albertino non di¬ mentichi; il quale se doverà fermarsi in lungo costà, li bisognerà il precettore, quale spero non metterà diflìcultà in venire. xin. 51 402 22 — 24 marzo 1628. [1863-1864] Qua, come vi dissi, ebbi benignissima audienza da’ Serenissimi, elio mi ò stato di somma consolazione. La Massimiliana e Mechildc vi rendono infinito grazie delle vostre amorevolezze; e con pregar Iddio per voi, di tutto cuore vi si racco¬ mandano. Tutti di cuore salutiamo le monache e la S. r:i Barbera 01 con la S." 1 Ca¬ terina, quale penso sarà già fatta sposa; et so ciò ò seguito, li diamo il buon prò. Al Sig. r compar Antonio mi ricordo servitore, et la sua catenina tengo ap¬ presso di me; e subito io presenta il ritorno del S. r Lini in questo parti, subito, conformo a l’ordine di S. S., rinvierò. Credo che averete fatto venir corde da -io Roma, come vi pregai, o l’attemlo con desiderio; e per lino vi prego a salutar la Chiara caramente in mio nomo e tutti li figliuoli, e la binba li sia raccoman¬ data. Saluto anco Filippo e Mona Piera o tutti, conio anco vi prego, scrivendo a Pisa, a far mio raccomandazioni al S. Vincenzo, o tutti i parenti di Firenze. Di grazia, yì prego, se per sorte la Lisabotta fossi insolente, a tenerla bassa, nò comportar che strapazzi la Chiara, perchè non lo merita. Finirò con raccoman- darmivi di tutto cuore con tutti di casa, attendendo con infinito desiderio in¬ tender del vostro buon essere: o cosi Nostro Signore vi conservi con buona sanità. Di Monaco, li 22 di Marzo 1628. Di V. S. 50 Afl>° e Ohlig. mo Fratello e Ser. r Miclielag.' 0 Galilei. 18G4*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze lArcetri], ‘24 marzo 1628. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gai., P. I, T. XIII, car. 58. — Autografa. Amatiss. n, ° Sig. r Padre, Non potendo io assisterle con la persona, sì come sarebbe il mio desiderio (che non per altro mi paro alquanto difficile la clausura;, non tralascio già d’ac¬ compagnarla continuamente con il pensiero et desiderio di sentirne nuove ogni giorno; et perchè liier l’altro il fattore non potette vederla, lo rimando oggi, con scusa di mandargli due morselletti di cedro. In tanto V. S. potrà dirgli se vuol qual cosa da noi, et se la pera cotogna gl’è niente piaciuta, acciò possa acco¬ modarne un’altra. Finisco, per non noiarla di soverchio, senza finir mai di rac- X.ett. 18G3. 38. leniynigaimn auilidtnza — '*1 Cfr. u.o 1860, Ilu. 8-4. 24 — 25 MARZO 1628. 403 [1864-1865] comandarmeli e di pregar Nostro Signore per La sua intiera sanità ; et il simile io fa Suor Archangela et l’altro amiche. Li 24 di Marzo 1627 Sua Fig> S. r M. a Celeste. Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss.™ 0 Sig. v Padre 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1865. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 25 marzo lfi‘28. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. ], T. IX, car. 95. — Autografa. Molto Ill. re ed Ecc.'"° Sig. r e P.ron Col. m ° L’allegrezza grande che io ho liauta da una lettera del Sig. r Dottore Facclietti, e da un’altra del Sig. r Andrea Arrighetti, della sicura salute di V. S. molto Ill. re ò stata, come lei si può imaginare, grandissima: ringraziato Dio benedetto, dal quale viene ogni nostro bene. Qua si era sparsa la voce clic il male fosse stato molto maggiore, e quasi caso disperato: consideri lei come io ero restato. Itcnun atque itcrum bcnediclus Deus. Attenda bora V. S. prima alla quiete dell’animo per tutti i versi, chò questo è punto principale, poi alla regola del vitto, come lei saprà fare; o quanto allo medicine, non posso so non lodarli il santo tabacco: io però mi rimetto alla sua prudenza. Questo li dico bene risoluto, che io ne lìrovo utile grandissimo: e in particolare ero solito ogni quindeci giorni di bavere la notte, dormendo, un trabocco di cattarro, con tanto profluvio che quasi non po¬ tevo rihavere il fiato; ed bora ne resto libero. Fugga quanto può il soggettarsi a’beveroni cavallini dei medici vulgari. Lodo certi preservativi; e la prego a scusarmi se fo il medico, perchè l’affetto che li porto mi farebbe fare arto peggiore. Quanto al Sig. r Vincenzo, seguita ardentemente a studiare, e fa profitto no¬ tabile con soddisfazione de’ maestri. E non occorrendomi altro, li fo riverenza, e darò nova di lei affi amici, sì come lio di già fatto a molti con gusto loro 20 singolare. Di Roma, il 25 di Marzo 1628. Di V. S. molto HI.™ io Di stile fiorentino. 404 25 MARZO 1628. [ 1865 - 1866 ] Il Sig. r Gio. Batta Boni mi ha data 1*inclusa lettera di V. S., venutali di Francia, o li b. le mani, sì corno la il nostro Sig. r Ascanio Piccolomini. Aflf. ra0 Ser. r, ‘ o Oblig.™ I)is. l ° S. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111/* Sig. r o P.ron Col.™ 0 il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser. m * Firenze. so 1866 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. Arcetri, 35 marzo 1628. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., F. I, T. XIII, ear. 87. — Autografa. Amatiss.™ 0 Sig. r Padre, L’allegrezza che sentiamo del suo progresso in sanità «' inestimabile, ot con tutto il cuore ne ringratiamo il Signore Iddio, dator d’ogni bene. Per non trasgredir al suo comandamento tanto amorevole, gli dico ch’io, per comandamento del medico, non fo quaresima, et che, per esser sdentata avanti tempo, liavrò caro s’ella mi manderà un poca di carne di castrato, che sia grassa, chò pur di questa no mangio qualche poca. Suor Archangcla si contenta di qualche cosetta per far colationo la sera; et particolarmente un poco di vino bianco ci sarà molto grato. Tanto gli dico per obedirla; o certo che resto con¬ fusa eh ella, mentre si ritrova indisposta, pigli di noi tanfo pensiero: ma non si io può dir altro se non eli’ella ò padre, c padre amorevolissimo, nel quale, dopo Dio benedetto, ò riposta ogni nostra speranza. Piaccia pur all’istesso Signore di conservarcelo ancora, se così è per sua salute. Et qui per fino me lo raccomando di cuore. Di S. Matteo, li 25 di Marzo 1628. Sua Fig> Aff. mft Suor M.‘ Coleste. FuoH: Al molto 111." et Amatiss. mo Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 20 [1867] 29 MARZO 1628. 405 1867 **. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 29 marzo 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., F. I, T. IX, car. 94. — Autografa. Car. ra0 et Onor. do S. r Fratello, Di qui di Monaco questa è la terza (l) , dopo il mio qui salvo arrivo, che vi scrivo. Ieri comparse una lettera della Chiara, dalla quale con dispiacer gran¬ dissimo i]ntendo essere voi stato molto travagliato dalle vostro doglie; ma da nostro cognato (,) peggio ò anco inteso, ciò ò che siate, il lunedi di carnovale passato, stato assalito da altro strasordinario e pericoloso male, quale v’abbia tenuto privo de l’udito fino al primo giovedì di quaresima, e che poi, alquanto riavuto[...], vi siate fatto portar a Firenze in casa la S. ra Barbara (3) , poi che casa vostra (mi soggiugne) è già occupata da l’Anna. Sento doloro del vostro male; io et in somma sono afflittissimo, poi che da tanto bande mi veggo travagliato, et è particolar grazia di Dio che io viva. Mi è pure stato di consolazione che la riconciliazione con nostro cognato sia a buon termine, poi che mi dice che, a vostra richiesta, vi è stato a visitare, et che avete tenuto lungo discorso seco delle differenze passate. Spero fin ora il tutto sia tra [voi| aggiustato o pacifi¬ cato, che sto attendendo sia seguito con scanbievolo [../jsfazione. Intesi anco, come dubitando voi di maggior male, che por huomo apposta facesti venir da Pisa il S. Vincenzo. Sto attendendo con desiderio che siate libero, che di tanto piaccia al Signore concedervene la grazia. Io ò scri[tto] al S. r Antonio, e conferitoli i miei pensieri. Doveri! in grazia 20 abboccarsi con esso voi, acciò si vegga liberarmi da tante angustie che sento sì per voi come per la mia famiglia et i figliuoli, clic perdono il tempo: non posso pi[ù] soffrire; et in particolare desidero Albertino, et anco, con vostra buona grazia, tutti ritornino qua, poi che penso che la Chiara a lungo andare non potria stare senza di me, et io costà non ò che fare c n[c] anco ò voglia di tornarci, poi che scorgo vi sarei più tosto di travaglio che di sollevamento. Della Chiara ancora mi pare abbiate poco bisogno, non vi mancando altri suggetti (forse più a pro¬ posito) no’vostri bisogni: e in somma concludo che la mia venuta costà è stata un sommo disordine, per non dire più oltra. Di Roma il S. r Crivelli à scritto qua più volte, c si lamenta non si facci provvi- 30 sione di denari per Vincenzo. Sapete che vi ò lasciato per quest’effetto 105 scudi, che ò un’annata della paga che tiro per lui: vi prego a farli rimettere a esso <•> Non è pervenuta a noi la prima delle tro '*) Bknbdktto Landucct. Ietterò a cui accenna: cfr. n.° 1863, lin. 2. < 3 > Cfr. uu.' 1860, 1868. 406 29 MARZO — APRILE 1628. [1867-1868] S. r Crivelli, acciò io di qua non sia travagliato. Della pensione potria pagarsi il me[r]cante; o delli debiti che ò io lasciato costì col mereiaio w e lina|...]lo, potresti cavar il denaro delle, robe della casa di Firenze, nella quale, oltra a tanta fa¬ tica fattaci por metterla in ordine, ci ò speso più di 50 scudi; et il dovere mi pare che voglia che chi god[e] la roba, la paghi. In fatti mi trovo consumato e distrutto, c di peggio ò paura, o non vorrei lasciar pericolar la Chiara, poi che voi stesso m’avete detto elio essa Bonza di me, mancando voi, potria esser mal trattata, et io no son più che sicuro elio questo seguirla: per[ò] desidero libe¬ rarla da tal pericolo, perchè so moriria di passione. Spero accetercto le mie ra- io gioni, e scuserete so scrivo con troppo affanno. Come con altre v’ò scritto (t) , ò raffermato la casa. Mi trovo Mechilde ap¬ presso e la Massimiliana : mi bisogna spender assai, perchè in dozzina non averci potuto durare: il vino è balsamo, o bisogna berne pochissimo: mo la passo il meglio clic posso, con speranza di sentir [....]. Il titolo del S. r Crivelli è Ill. mo ì o serva por avviso. Li spenditori di Vincenzo prego non siano tanto liberali, perchè pur troppo ò da fare a vivere, e por aver pagato alcuni debiti c per trovarmi la casa molto sfornita mi bisogna faro nuove speso o provvisioni, e tanto più con la tornata della mia famiglia, quale desi¬ dero, se bone darò occasione di farmi uccellare: ma pazienzia, abbracciar il so minor danno. Finirò con raccomandarmi con tutti li mia, c saluto di cuore le monache e tutti: o così Nostro Signore vi conceda ogni bene. Di Mofnaco], li 29 di Marzo 1628. Di V. S. Aff. mo e 0blig. m6 Frati® c Ser. r0 Michclag. 10 Galilei. Fuori: All’ molt’ 111.™ et Ecc. m0 S. r Galileo Galilei, Matematico del Ser. ,no G. Duca di Toscana. Fiorenza. 1868 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. fArcetri, marzo-aprile 1628.J Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, ear. 290. — Autografa. Amatiss. n, ° Sig. r Padre, I cedrati mandatimi da V. S. accomoderò conforme al suo gusto molto vo¬ lentieri: et per farne l’agro et i morselletti penso elio vi bisogneranno dua libro Cfr. Voi. XIX, Duo. XXX1Y, «). <*> Cfr. u.° 1803, Un. 7-8. MARZO-APRILE 1628. 407 [1868-1869] di zucchero e, caso che gli sia di gusto, un poco di musco buono. Il tutto mi sarà caro, perchè mi ritrovo assai scarsa di danari: et se vuole che gl’accomodi dei fiori di ramerino, che tanto soglion gustarli, potrà mandar più quantità di zucchero. La sottocoppa non rilaviamo havuta; ma costì vi hanno bene di nostro una guastada et una piattellina bianca. io Non vorrei già ch’ella si prendessi tanto pensiero di noi, ma più tosto at¬ tenda a proccurar di conservarsi in sanità; et di gratia, quando ritorna in villa, lasci di star nell’orto, lino che non siano miglior tempi, perchè credo che questo gl’habbia nociuto assai. Perchè ho molta fretta, finisco, e la saluto con tutto il cuoro. Il Signore gli conceda la Sua gratia. Sua Fig. ,a AlT. ma Suor M. a Celeste. Aspetto il zucchero quanto prima, perchè i cedri patirehbono ; et se per sorte gliene venissi qualcun altro alle mani, mi sarà gratissimo per un altro mio bisogno, che gli dirò a bocca, che non vedo l’ora. 20 Fuori: Al molto lll. ro et Amatiss.'" 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1869 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo]. [Arcetri, marzo-aprile 1028.] Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 295. — Autografa. Amatiss."' 0 Sig. r Padre, Il tempo d’oggi, tanto quieto, mi dava mezza speranza di riveder V. S. Poi che non è venuta, ci è stata molto cara la venuta del gratioso Albertino, havendoci egli dato nuova che V. S. sta bene et che presto verrà a vederci insieme con la zia; ma (questo ma guasta ogni cosa) quel sentire ch’ella sia ritornata così presto al solito esercitio dell’orto mi dispiace non poco, perchè, essendo ancora l’aria assai cruda c V. S. debole dal male, dubito che non gli faccia danno. Di gratia, V. S. non si scordi così presto in che termine ella sia stata, et habbia un poco d’amore più a sè stessa che all’orto; ancor ch’io creda che, non per io amore che habbia all’orto, ma per il gusto che ne piglia, si metta a questo ri- Lett. 1809. 2. mezzu «pranza- 408 marzo — 5 APRILE 1G28. [1869-1870] sico. Ma in questo tempo di quaresima par che si convenga far qualche mor- tifìcatione: V. S. facci questa, privisi per qualche poco di questo gusto. ■> Scrissi l’altro giorno a V. S., che se per sorte havova qualche altro cedro, mi sarebbe stato grato; et bora di nuovo la prego, che so havessi comodità di provvedermene uno o due, mi farebbe grandissimo piacere; quando non tossine nostrali, non importerebbe; perchè, dovendo il Cavalier Marzi, che ò tornato no¬ stro governatore, venir a darne l’acqua santa questa settimana santa, siamo in obligo, Suor Luisa et io, di regalarlo di qualche galanteria nella nostra bottega, et vorremmo farli 4 di quei morselletti che tanto gli piacciono. Quelli di V. S. non sono ancora asciutti, perchè il tempo non ini ha servito so non oggi. 20 Gli mando parecchie uve accomodate, o 6 pino che saranno per i ragazzi. La ringratio della carne, e perchè sto adesso tanto bene, penso di ripigliar la qua¬ resima venerdì prossimo; perciò V. S. non piglierà pensiero di mandarmene più. Per line la saluto, insieme con la zia. Dio benedetto la feliciti. Sua Fig> All'®» Suor M.“ Celeste. Fuori : Al mio Amatiss.® 0 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei. 1870. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 0 aprile 1628. Bibl. Naz. Fir. Ms». Gal., P. I, T. IX, car. 97.— Autografa. Car.“° et Honor. d ° S. r Frat. 1 ® Questa gita tengo avviso dalla Chiara, con molta mia consolazione, che del male liavete liauto eri libero e fuori d’ogni pericolo, del che Iddio sia sempre laudato. Veggo che, oltra Porazioni fatte costì per voi, v’eri votato alla Santis¬ sima Madonna de l’Oreto, quale disegnato visitare e con voi menarne la Chiara, cosa che sento con infinito gusto. Qua non si è mancato fare (come tutta via si fa) orazione per voi, et insiememente satisfare a Dio al votato costà dalla Chiara. L’ordinario passato 10 vi scrissi quello havevo sentito da nostro cognato, e che vivevo con sommo affanno; chè so voi (che Dio guardi) lussi mancato, in quanto cordoglio o travaglio saria restata la misera Chiara e tutti noi di qua! io E però non parendo a preposito [per] me tornar più in coteste parti, disegnavo, <‘i Cfr. u.° 1867. 5 APRILE 1628 . 400 [ 1870 ] con vostra buona gratin, si facessi tornar qua la famiglia, per non lasciarla costà, in pericolo d’esser un giorno malamente trattata; parlo, quando Dio disponessi altro di voi, perchè tengo per fermo averci molti pochissimo bene affetti, e per ciò le mie tanto care creature no[n] vorrei restassino in pericolo. Però non in¬ tendo disgustarvi, e se[mp]ro sarò pronto ad accomodarmi a quanto piacerà, a voi, pe[....| che in quanto alla mia costà tornata poco v’inporterà [....] segua, perchè conosco vi sarei più tosto di qualche molestia [....] alcun sollevamento. Se la Chiara vi sarà grata, resti pure, chè il rimanerne io privo (l’essa per gradir 20 a voi non mi parrà grave. Solo Albertino non potrei più soffrire che perdessi il suo tempo, et a questo bisogneria provvedere, acciò seguitassi li studi e sopra tutto il liuto, e se costi non c’è occasione, veder di mandarlo in qualche luogo; et in ultimo mancando ogni comodità, bisogneria rimandarlo qua con prima buona occasione. Di Roma il S. r Crivelli tempesta di continuo con lettere, lamentandosi che Vincenzo non havendosi ancora fatta per esso alcuna provvisione di denari, re¬ stano mal sodisfatti chi à d’avere per conto suo; però vi prego a far fare la rimessa al P. D. Benedetto o ad altri a chi vi parrà più a proposito; e di grazia non indugiate più, acciò io di qua non ne abbi a patire appresso i Padroni e so riceverne più travaglio. Io sono in bisogno non piccolo, et ò spesa pur gagliarda alle spalle, rovi¬ nandomi col vino, e pur non posso far senza. I lo fermato la casa vecchia ; tengo la Mecliilde appresso di me, avendola cavata di monistero per degne cause; la Massirniliana à tutto il governo di casa, et in vero ne ò bisogno, non si potendo l’huomo troppo fidar di serve; sì che voglio inferire che 5 bocche coston qual cosa; e però ò bisogno d’esser lasciato rispirar qualche poco, liavendo speso nella mia costà venuta 800 fiorini, sì che sono in gran bisogno. Circa la Chiara non starò a affaticarmi molto a raccomandarla, perchè penso ne tenghiate conto e che gli vogliate bene, e per ciò non conporterete sia da nessuno strapazzata, 40 perchè in vero non lo merita, et io eternamente non potrei (risapendolo) soffrire ; e però vi prego (in particolare) a farla rispettare dalle serve, e che gli sieno ubbidienti: e perchè è rispettosissima, più tosto che dirvi niente a voi, per non vi travagliare, patiria ogn’oltraggio, ma drento si consumeria di passione. Fi¬ nirò, attendendo di sentire con infinito desiderio del vostro bene stare come di tutti. La Massirniliana e Mechilde di cuore vi si raccomandano, come fo io, et vi preghiamo a salutar caramente le monache in nome di tutti noi: e così No¬ stro Signore vi conceda ogni bene. Di Monaco, li 5 d’Aprile 1628. Di V. S. Aff. mo e Obiig. 1,10 Fratello e Ser. ra so Michelag. 10 Galilei. Lett. 1870. 28. Bendelto — 52 XIII. 410 5-8 APRILE 1628. [1870-1871] Il bisogno del purgarsi la Chiara 05 , credo che continui, c desidero sia aiutata; e oltra vi raccomando lo corde, perché delle sottili non ne ò quasi più; e so potessi aver costì di quei cantini turchini qualche dozzina, non sariano fuori di proposito. L’inclusa é per la Chiara. Si aspetta qua il nostro G. Duca, e si va preparando per riceverlo. Al S. r Abundio mille saluti, dandoli nuove che i suoi stanno tutti bene. Fuori: Al molto lll. ro o Ecc. ra0 S. 1 ' Galileo Galilei, Matematico del Sor." 10 G. Duca di Toscana. l-iorenza. 1871 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo]. [Arcetri,] 8 aprile 16*28, Cibi. Naz. Fir. Mas. Cai., P. I, T. XIII, car. Gl).— Autografa. Amatiss. 1 " 0 Sig. r Padre, La ringratiamo infinitamente, Suor Luisa et io, do i cedri, a noi gratissimi, sì perché vengono da lei, sì anco perché non havevamo miglior mezzo per Lavorìi. I cibi da quaresima ci sono stati gratissimi, e particolarmente a Suor Ar- changela. Io vivo tanto regolatamente, per desiderio che ho di star sana, che V. S. non deve dubitare ch’io disordini; e dell’vuova no mungerò per obcdirla. Le immagini mi sono state molto care, et liavrò caro che quando V. S. rispondo alla Mechilde (,) , la ringratii per nostra parte et gli ronda dupplicate salute. Rimando i collari do i ragazzi, et nel fondo della paniera vi sono 8 morselletti, et due ne haviamo presi per noi, giù ch’ella, per sua amorevolezza, ce li concede, io Ilo fatto anco (del zucchero che mandò) un poca di conserva di agro di cedro o di quella di fiori di ramerino, ma non sono ancora in ordine per poterli mandare. Mi rallegro del suo progresso in sanità, et prego Nostro Signore che glieli» renda perfettamento, se ò per il meglio. Et per lino me le raccomando, insieme con Suor Areangela e Suor Luisa. (La zia, ci si intendo.) Li 8 d’Aprile 1628. Sua Eig. la Aff. ma Suor M. a Celeste. Fuori: Al mio Amatiss." 10 Sig. r Patirò 11 Sig. r Galileo Galilei. 20 Lett. 1871. 4. particormuente — 6. ditnrordìni — 14. per /ime — 15. 1.0 parole La zia, ci ti intende sono stato aggiunto dalla scrivente in calco con segno di richiamo. — tu Cfr. u.® 1803, Ita. 20. t*l MeCHII.uk di MICHELANGELO «4 ai.ii.ei. [1872] 10 APRILE 1628. 411 1872*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 10 aprile 1628. Blbl. Naz. Flr. Mss. Onl., P. I, T. XIII, car. 71. — Aiitofjrnfa. Amatiss. mo Sig. r Padre, La liberalità et amorevolezza di V. S. in alcuna maniera non compatisce (V esser paragonata con l’avaritia del Papazzoni (l> , ma più tosto (quando ci fos- sin forzo corrispondenti all’animo) a quella di Alessandro Magno; o, per dir meglio, io, quanto a me, assomiglierei V. S. al pellicano, che sì come egli per sostentar i suoi figliuoli sviscera sò stesso, così lei per sovvenire alle necessità di noi sue caro figliuole non havrebbe riguardo di privar sò stessa di cosa a lei necessaria. Ilor quanto meno dovrò io dubitare che gli dia molestia il pensiero di dovermi mandare 3 o 4 libre di zucchero, acciò ch’io possa condir per lei i io cedri mandatimi? Certo ch’io non temo punto che questo pensiero et affanno Labbia havuto forza di causargli una minima palpitation di cuore, et con questa sicurtà ho tardato a dargli risposta; oltre che, sopragiungendo il medico (ap¬ punto quando mi ero messa a scrivere), chiamato da me per causa della nostra maestra che si ritrova ammalata già sono parecchi giorni, e convenendomi assi¬ ster a lei e doppo a tre altre ammalate, mi fu impossibile il poter all’hora sa¬ tisfare all’obligo mio, già che in quell’ ationc non mi era lecito mandar altri in mio scambio. Scusimi per ciò V. S. della tardanza: et la prego che per carità mi mandi (por detta mia maestra) questo fiaschette pieno di vino di casa sua; elio basta che non sia agro, già che il medico glielo vieta, et il nostro del con- 20 vento è assai crudo. Ancora desidero di sapcro so V. S. potessi farmi havcrc da Pisa, quando vi sarà fiera, parecchie braccia di calisse per duo monache poverette che mi si rac¬ comandano. Caso ch’ella, possi farmi il servitio, manderò la mostra e otto scudi, che hanno voluto già consegnarmi per questo effetto. Perché ho molta fretta, non dico altro, se non che prego Nostro Signore che gli doni la Sua santa gratia; et a lei, alla zia e a tutti i rabacchini mi raccomando. Di S. Matteo, li 10 d’Aprile 1628. Sua Fig. ,n Aff. ma Suor M. a Celeste. so Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss." 10 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. »‘l fuAMIMO I'Ai'A/.ZUNl. 412 19 APRILE 1628. [ 1873 ] 1873 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. (Arcotri,) 19 aprile [1888]. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 73. — Autografa. Amata." 10 Sig. r Padre, I cedrati sono bellissimi, e della vista loro mi compiaccio assai, sì come anco della diligenza e manifattura che si ricerca in accomodarli, sì perchè questo oser¬ ei tio mi gusta, o molto più perchè ho occasione d* impiegarmi in servitio di V. S., cosa a me più grata che altra del mondo. Gli mando l’altro barattolo di conserva di fiori di ramerino, elio appunto havevo fatto del zucchero avanzatomi de i morselletti, li quali non sono ancora in stagione ch’io glieli possa mandare, sì come anco l’agro, il quale non è però riuscito male affatto. Quanto alla quantità del zucchero che ricercano i vasetti simili a questo che io gli mando, non vuol esser manco di sei once per ciascuno, anzi che l’altro che gli mandai ne prese sette; e credami che non dico la bugia, so bene ho detto in caffo, come si suol dire in proverbio: ma V. S. vuol la burla meco, perchè sa bene che non gli direi bugie, in questo genere in particolare. In tanto, se V. S. ha votati 3 vasi di vetro che ha di mio, potrà mandarmeli quando manderà i fiori, acciò li possa riempiere. Et vorrei anco che facessi una buona ri frusta per casa, adesso che si dà l’acqua santa, e se vi fossi qualche vasetto o ampolle vote, che siano per la spetieria, si levassi questo impaccio, che a noi servirebbono di gratin, o qualche scatola: basta, V. S. m’intende. Quanto a i cantucci, faremo il conto che ne avvisa V. S., già che la quare- 20 sima è finita. Gli mando un poca di pasta malo per sè, e quattro pastorelle per i ragazzi. La ringratio del vino, il quale participerò con la nonna e amiche, chè veramente non è per me. La saluto con tutto TafTe[tto|, insieme con la zia, e prego il Signore che la conservi. In 19 d’Àprile. Fuori: Al mio Amata." 10 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Sua Fig> Aff. m " Suor M.» Celeste. so Leti. 1873. 12. uradami — Bello Sguardo. [18741 20 APRILE 1628. 413 1874*. FILIPPO D’ASSI A a GALILEO in Firenze. Butzbach, 20 aprile 1628. Bibl. Naz, Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 201.— Autografa la firma. Nobilissime et Excellentissime, Recepimus tuas literas, nobis sane gratissiraas, et ox iis quatnor distinctas telescopiorum apecies probe intelleximus : unam longiorum, ad observationes rerum coelestium, solis, scilicet, lunae, Saturni et reliquarum prope adsistentium stellarum; alteram breviorum, ad evidentiorem repraesentationem rerum terrc- etrium, seu sublunarium, longius remotarum; tertiam brevissimorum, ad discre- tionem e propinquo rerum minutissimarum ac subtilium; quartam denique ad dignotionem obiectorum mediocriter distantium, videlicet picturarum, scriptu- rarum, ad intervalla cubitorum 20, 30 vel 50. io Quas cum singulas suos insignes usus et egregias commoditates in vita com¬ muni haberc haud difliculter agnoscamus, tu vero benigne in communicandis eiusmodi instrumentis officia tua nobis ofìeras, nolumus unam prae altera eligere, sed potius de qualibet modo enuraeratarum spocierum unicum elaboratissimum telescopium a te petimus. Nupera vero nostra commissione talem lentem intelleximus, quae extrerai- tati ab oculo remotiori tubi quinquaginta pedum longitudinis radios solis exceptos ita immitat, ut ad oculum imagines maculami in solarium evidentissime pateant; quam ipsam etiamnum, si commode obtineri possit, haud parimi desideramus. Demum gratum nobis esset aliquid solidi recognoRcere de artificio optico, 20 quo per certum vitrum, seu lentem (quemadmodum nonnulli putant) convexam, rerum in luce positarum species, in obscuram camerara immissae, erectae (non eversae, ut communiter) appareant, siquidem tuac porspicacitati et in rebus op- ticis longae experientiae de tali machinatione constare nihil dubitamus. Hisce valeat. Dal). Buzbaci, 20 Aprilis a. 0 1628. Philippo Landgravio d’Hassia. Fuori : Nobilissimo et Excellentissimo, nostro singulariter dilecto, Galilaeo Galilaei, Mathematico celeberrimo, Florentiae Hetrutscorum degenti, flito. Vjito. 60 Florentz. 414 ... — 27 APRILE 1628. [1875-1876] 1875 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO In Bellosguardo. | Arcotri, prima della Pasqua (23 aprilo,) del 1U2&J Bibl. Naz. Plr. Mss. (lai., P. I, T. XIII, cnr. 299. — Autografa. Amatiss."' 0 Sig. r Padre, Ringratiamo V. S. dolio sue molte amorevolezze, le quali ri goderemo per suo amore. 1 fiori che ha mandati, al mio conto faranno 4 barattoli; et perchè sono assai umidi, aspetteremo gl’altri, gii\ elio gl’adopriamo alquanto appassiti e V. S. dice volergli mandare. Vo appunto adesso lavorando intorno a i duoi cedri mandatimi ultimamente, che credo riusciranno meglio do gl’altri. Gl’annuntio felicissima la santissima Pasqua, questo o molti anni appresso, o me lo raccomando di tutto cuore insieme con Suor Archangcla. Sua Fig> Àff>* Suor M.® Celeste. Fuori: Al mio Amatiss. mo Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bollo Sguardo. 1876 **. MICHELANGELO GALILEI a [GALILEO in Firenze]. Monaco, 27 aprile 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 98-99. - Autografa. Car. mo et IIonor. d ° S. r Fratello, Ho sentito minutamente il séguito del vostro malo, quale in vero bisogna che sia stato molto pericoloso: laudato c ringraziato sia sempre il Signore Iddio, poi che pure siate ridotto in buono stato ; e vi prego in grazia a volor una volta co¬ minciare da dovero a viver regolatamente et astenersi da quello cose clic vi pos¬ sono generare tante flemme, quali penso vi causino quella molestia tanto frequente delle vostre doglie. Per l’amor di Dio, riguartatevi quanto potete. io Lett. 1870. 1. JJnor.d» — 27 APRILE 1G28. 415 [1876] Scorgo da la lettera della Chiara, come da l’ultima mia, capitatavi dopo lo dui accennatemi, vi siate non poco alterato verso di me, sì che per quest’al¬ io tr’ordinario m’aspetto sentire da voi una gran bravata; ma spero, poi che voi non m’avete potuto risponder subbito per brevità, di tempo, sarete alquanto mi¬ tigato, e tanto più elio vi saranno comparse altre mie lettere, nelle quali scrivo non tanto straportato dalla passione: o se nostro cognato non m’havessi detto del séguito della cosa (et io, quasi per necessità, fatto drento di me alcune con¬ sequenze), ma che la Chiara o voi me n’ avessi detto qual cosa, non vi arei scritto in quella maniera. Puro mettasi ciascuno in mio piò, considerando al caso mio: e prima, si pensi la spesa che ò fatto da poi che mi parti’ di qua, che mi son pure spogliato d’ogni mia sustanzia, patito tanti disagi e scorso innumerabili pericoli nel viaggio con le mie creaturine, e poi, giunto e stato costà un pezzo, 20 in ultimo, dato e anco ricevuto poco gusto. Ma intendetemi che non parlo dalla vostra persona, perchò sempre mi sono chiamato di voi satisfattissimo, tanto in vostra come fuori della vostra presenza; e se io non ò accettato li vostri amo¬ revoli partiti e offerte, penso haver legittime cause e che ciò non mi possa con ragione essere attribuito a mancamento, sì anco se non inclino a ritornar più costà. Ma quello che sopra tutto mi à mosso a scrivervi in quella maniera, fu l’aver considerato, se voi (che Dio guardi) fussi mancato senza aver determinato le cose vostre, lioimè che rovina sarebbe stata la mia, e in che miseria indi¬ cibile mi sarei trovato! Prima, haver perso voi; di poi, speso ogni mia sostanzia: la mia povera brigatina, lontana e priva d’ogni aiuto e conforto, come sarebbe so stata stranata e scacciata! dove sarebbero andati li 105 A che vi lasciai contanti ! dove li 50 e passa, spesi nella casa di Firenze! E pur che le miserie lussili finite qui, e che non fussi poi convenuto pagar la dozzina di tanti mesi spesati le mie creature, e poi pensar con che aver a far ricondur qu[..] la famiglia! E questo potria essere stato il mio guadagno e aqquisto della mia costà venuta; e se qua o costà Laverei dato occasione di far dir di me e farmi beffare, lo lascio consi¬ derar a voi 0> : e scusatemi se mi vo figurando queste cose, perchò mi pare non inpossibili a poter essermi incontrate. Ringratio il Signore d’ogni cosa, quale spesso suol mandar qualch’avversità o male per cavarne poi del bene, come ap¬ punto è seguito bora con voi, quale forse non pensavi a stabilire cos’alcuna di 40 testamento per un pezzo. Ù dunque sentito con gusto sia seguito o vostro parere, sperando non mi darete tutti i torti. Di Albertino sento con dolore che il suo sonare vadia in dietro, e bisogneria, se possibil lussi, rimediarci; e con l’occasione della venuta qua del Ser. mo tr. Duca, che arriverà qua sabato, vederi) di parlar al S. r Cont’Orso 0 ’, e significarli come per legittime cause non disegno così tosto passarmene a Firenze, e che saria neces¬ sario che S. A. z: ‘ so continua a voler il figliuolo per suo servitore, di trovar modo di somministrarli maestri, acciò si tirassi ne l’inparare inanzi, poi che così si scorderia in breve quel poco che egli sa; e li toccherò di Vincenzo, quale a Roma fa progresso notabile, e, secondo l’occasione mi darà il ragionamento, parlerò il meglio clic io sappia: et con altra vi darò intero ragguaglio del seguito, acciò co voi costà possiate tanto meglio poi trattare con cotesto AA. questo negotio. Io sentirei con gusto che il iigliuolo andassi a Roma; et in tanto bisogneria, se non vuole studiare, che lo facessi staffilare da sua madre alla vostra presenza, acciò non andassi il tutto in rovina. La vostra considerazione circa il mandar costà il precettore si confronta totalmente con la mia, come con altre mie lettere bave- rete già visto, e per questo non ci farò sopra altro discorso. Circa quel particolare scrittovi di Bologna, dove dicevo pensare bavervi al¬ leggerito il fastidio per la mia di costà partenza, il senso mio s’indirizava, poi che alcune volte ne’ nostri discorsi posso bavervi dato poca soilisfazione ; et in particolare sapete che, per non haver io accettato quella parte della vostra prov- "0 visione che mi offerivi volere assegnare quando io mi lussi risolto fermarmi del tutto costà, mi dicesti che ciò vi recavi a ingiuria, come anco l’abborimento del poter stanziare a Firenze senza di voi: cose a l’ultimo che mi pare, quando lus¬ sino prese per quel verso che l'intendo io nel mio cuore, forse non ne meriterei tanto biasimo; e se sono così nelle mie cose dubbio e anbiguo, bisogna scusarmi, perchè in vero son pieno di confusione, et in somma il mio intendimento è de¬ bolissimo, come ben sapete, nè si estendo più oltre, o bisogna (come dice il pro¬ verbio) pigliar l’amico col suo difetto: basta bene restar sicuro che in me non troverrete mai inganni nè fraudi, e clic son tutto pieno di buona e sincera mente. Ho sentito che avete haute piacere che io abbia levata la Mechilde da quelle so monache. La causa principale è stata perchè le maestre in latino sono poco suf- tizienti, e più à dimenticato die inparato: l’altra causa è stata, che havendo iM Orso o’ Ei.ci. 27 APRILE 1G28. 417 [18761 (penso) preso esse orgoglio sopra la figliuola, per essere esente del pagare la doz¬ zina, volevano che mettessi le mani in cose attenenti solo alle più vile e inferiori serve. Ciò inteso, Pò cavata subito fuora, sì che ò volsuto che quelle Reverende veggliino elio tengo più conto delle mie creature di quello forse pensavano. L’ò volentieri appresso di me, et essa altrettanto gode essere da suo padre e zia: seguita il latino, inpara a sonare di strumento e di liuto, si che questa com¬ pagnia mi alleggerisco assai il travaglio, e ce la passiamo con buona pace e ca- 90 rità. 11 denaro che mi desti per conprar li smanigli alla Mechilde, quando sono arrivato a Venezia et inteso la grossa spesa mi conveniva fare nel viaggio, fui necessitato valermi di quel denaro: qua poi ò supplito, e ò compro dalla Mas- similiana quelli elio già gli donò la Ser. m * Alberta. Costano qual cosa di più, ma poco inporta, perchè si è avanzato la fattura. Ve ne rende essa Mechilde con tutti noi nuove e infinite grazie, e non manca pregar Iddio per voi. Ho caro sentire che la Chiara si sia per purgare, e veder si raqquisti la sa¬ nità: Nostro Signore gliene conceda la grazia. Di Vincenzo intendo con gusto faccia profitto; e il P. D. Benedetto aspettassi in breve la rimessa di 3 semestri, per rinborsarsi di quello à speso per esso. Ma qua ogn’ordinario si sentono la- ìoo menti del S. r Crivelli, e scrive che il figliuolo patisce; e sapendosi in Roma che questo Ser.* 110 lo spesa, viene a intaccarsi la sua reputazione, e mal per me se ciò venissi a l’orecchie di S. A.: quanto ne patirei io! Però vi prego a provve¬ dere il denaro senza più indugio, poi che a quest’effetto vi consegnai li 105 A in contanti, e ò bisogno di esser lasciato per qualche tempo un poco respirare; o benissimo potevo rispiarmar tutte quelle spese che ò fatte, senza denudarmi sì prontamente d’ogni bavere: e comodamente vi potevo rispondere, quando mi scrivesti, avanti la mia costà venuta, che non mi facevi provvisione di denari per il viaggio, perchè credevi che io dovessi cavar tanto de’ miei arnesi di casa che suplissi per detto viaggio, dico vi potevo (come sicuramente stimo avessi fatto no ogn’altro) rispondere che il disfar la casa non mi pareva cosa approposito, poi che non potevo esser certo di haver a incontrarmi in partito tale di potermi fermamente accasar costà; si che in tal caso saresti stato necessitato a mandarmi il denaro per il viaggio (ogni volta però che a voi fussi piaciuto la mia costà venuta). Sono stati i primi denari, spesi nel viaggio e poi costà in quelli primi mesi, passa 400 fiorini, nè vi dico bugie ; dopo ne son venuti altri 400 ; e tutti ò lasciati costà: voglio inferire, che quando io avessi detto di non haver denari, bisognava pure che voi vi quietassi. Ma io non so nè posso dissimulare, se bene credo non haverei fatto peccato quando vi havessi tenuto, quel poco che liavevo, celato; ma io me ne vo alla reale e buona, senza pensar più oltra, e perciò non 120 vogliate che io resti più aggravato e sconcertato di quello che sono. Nè forse mi vogliate dire che ancor voi havete speso e spendete giornalmente per i miei, chè lo so benissimo; ma bisogna in gratia considerare il vostro e mio stato, e che £3 XIII. 418 27 APRILE 1628. [1876-1877] so volessimo mettere in disputa i nostri interessi, so che la perderei; e sapete che io ò bisogno d’esser aiutato da voi, e non voi da me, e credo che la vogliate per questo verso. Ma in somma delle sommo fin ora non ò ricevuto altro che spesa, disagi grandissimi e travagli di mente inmensi: però vi prego a far un poco di rofiessiono e considerar se parlo con ragione (l) |.| Perdonatemi se troppo liberamente io dicessi il mio concetto; e se non vi pia¬ cessi così, ditemelo, che volentieri mi lascerò correggere et accetterò in buona parte i vostri avvertimenti. Altro per bora non ò elio dirvi; solo replico che 180 circa la Chiara, piacendovi per vostro governo, ve la lascio liberamente, et sen¬ tirò con gusto che vi serva bene, come spero pur che non venga da altri stra¬ pazzata, perchè ciò, risapendolo, mi saria inpossibile il tollerarlo. Di voi resta sodisfattissima, e desira sommamente che voi altretanto restassi di lei. Io con la Massimiliana e Mechilde di vivo cuore ci raccomandiamo a V. S., come alle mo¬ nache, Sig. vtì Barbera o Caterina (,) , dolendomi di questa della perdita del S. r dot¬ tore, suo carissimo amante, sì clic Filippo dev’esser tornato più in gratia elio mai, e mi par di vederlo tutto raffazonato et aspettar quel felice giorno ili S. Mar¬ tino, per far le nozze, con grand*affanno. Al S.*" Antonio e S. 1 ' Abundio mille sa¬ luti; e Nostro Signore vi conceda ogni bene. ho Di Monaco, li 27 d’Aprile 1628. Di V. S. Afì>° e Ohlig. mo Frat. 10 e Ser. l ' a Michelag.' 0 Galilei. 1877. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Firenze]. Pisa, 27 aprile 1028 . » Bibl. Nai. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 85-3G. — Autografa. Molto 111. et Ecc.. mo Sig. r et P.ron mio Singul. mo Per Iacopo di Francesco da Brozzi navicellaio gli mando 60 cantucci, quali si goderà per amor mio. Già verso la fine di carnevalo gli mandai per Baldo na¬ vicellaio otto fiaschi, parte moscatello e parte razxese amabile; ma perché io non ho mai potuto rivedere quel navicellaio, nè di costì ho mai saputo niente, sto in dubbio del ledei recapito: però vorrei haverne qualche avviso da V. S., acciò, se questo Baldo fusse stato ribaldo al par di quell’altro in legge, io possa valermi deH’azzione che mi compete contro di lui. m Dopo qnosta parola ò taciuta la metA in- parte tagliata conteneva probabilmente l'indirizzo, foriore della seconda carta della lettura. 11 tergo della <*> Cfr. u.» 1860, lio. 3-4, o n.° 1803, lin. 30-37. 27 — 28 APRILE 1628. 419 [1877-1878] Se la resoluzziono, fatta da lei nell’ultima malattia, di tirar a fine i Dialoghi io havesse effetto, da vero che Plutarco haverebbe ragione a dire che tal hora da gli inimici si cavi utilità grandissima. Deh, Sig. r Galileo, se non la move il desiderio di eterna lode, almeno per l’affczzione che porta a me et ad altri suoi più degni amici, per P honestissimo amore clic, porta alla verità, per il giusto sdegno che ha contro l’ignoranza o la malignità, e finalmente per l'obbligo che tiene al sommo Dio di tanto e si eccelse prerogative che ha posto in lei, cessi horamai di assassinare con tanta perfidia et ostinazzione sè stessa e tutti i ga¬ lani’ huomini del presente e de’ futuri secoli. Quel ch’ell’ha fatto sin qui è stato un arrotare et aguzzare i denti all’invidia; ma con quest’ultim’opera tengo per fermo che ella gli romperà c fracasserà sino a gl’ultimi mascellari. Faccia dunque 20 che per la prima sua lettera io sappia di certo che eli’ha rimesso la penna in carta, e tronchi ogni impedimento, perche in questi affari l’indugio è sempre causa di maggior indugio. Presi occasione di parlar delle macchie solari col Chiaramente, il qual mi disse che non ne haveva fatto menzione nelle sue opere perchè non no havea per ancora osservazioni sufficienti; onde io subito compresi l’animo suo, che è (s’io non mi inganno) di andar cercando tanto, fin clic egli si abbatta in osser- vazzioni così storpiate che si possino acconimodare alle sue sconce opinioni, un pezzo fa concepite. Se V. S. verrà, sì come io la invito et aspetto con sommo desiderio, a questa so fiera in Pisa, potremo e di questo e d'altre simili cose, che son tediose ascri¬ versi, con gusto discorrerne. Con questo finisco, e gli bacio le mani reverentis- simamento. Di Pisa, 27 Aprile 1628. Di V. S. molto liba t Ecc. n,!l Obblig. mo et Dovotiss/* S. r ® Niccolò Aggiunti. 1878 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 28 aprile 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 75. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, L’haver visto, qualche giorno adietro, il tempo assai quieto, e che V. S. non sia venuta da noi, mi fa sospettare, o ch’olla non si senta troppo bene, o vero che sia andata a Pisa. Per certificarmene mando questa donna costì, et con questa occasione gli mando tutti i morselletti che ho fatti: quelli cinque separati da 420 28 — 20 APRILE 1628. [1878-1870] gl’al tri sono do i due cedrati che mandò ultimamente, e credo che saranno di maggior bontà de gl’altri, si per esser stati migliori i cedri e più freschi, come anco perchè è il zucchero più raffinato, che perciò sono anco più bianchi; et me l’ha donato Suor Luisa, già che del suo non no havevo più. Dubito che V. S. non si sia scordata di mandarmi gl’altri fiori di minorino, i quali aspetto ogni giorno, io sì come mi disse V. S. nell’ultima sua: glieli ricordo, perchè penso che siano per durar poco. Se V. S. va a Pisa avanti elio venga a vederci, si ricordi del mio servitio, ciò ò del calisse del quale già gl’ ho trattato (,) . Vorrei anco elio V. S. vedessi se per sorte havessi in casa da mandarmi un pochetto di lucchesino, tanto che mi facessi un panno da stomaco, perchè adesso, che si cavano gl'altri panni da verno, patisco assai, per liaver lo stomaco frodo o debole. Perchè mi ritrovo molto occupata, non dico altro, se non che me lo raccomando di tutto cuore, et prego il Signore che gli conceda vera felicità. Di S. Matteo, li 28 d’Aprile 1628. 20 Sua Fig. u Aff. m * Suor M. a Celeste. Fuori: All’molto III. 1 * et Amatiss.™ 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Con 25 m or Belletti. Bello Sguardo. 1870. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 29 aprilo 1628. Bibl. Naz. Fir. lisa. Gal., P. I. T. IX, car. 100-101. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col." 10 Perchè la lettera del penultimo ordinario, scrittami dà V.S. molto 111.™, non mi fu data prima di lunedì prossimo passato, però sono in obligo di rispon¬ dere a due. L prima, all ultima dove mi scrive delle corde, già credo lo haverà haute, essendole state inviate dal Sig. r Landucci l,) . Ilo inteso dal S. r Vincenzo che sono meglio le corde di Perugia; tuttavia non ho voluto mancare a servirla, sì come farò sempre. Lett. 1878. 19. felioioitò. — Oi Cfr. n.° 1872. Giuliano Landucci. 29 APRILE 1628. 421 [ 1879 ] Quanto alla prima lettera, devo scrivere il consulto intorno al medicamento- io del tabacco (,) : intorno alla quale materia mi occorre a dir poco, ancorché si possa fare il trattato longo, con discorrere prima della diftìnizione, nella quale entrando per genere ( herba ), si potrebbe fare un trattatino delle erbe; o perchè le herbe sono viventi vegetabili, si potrebbe trattare dell’anima e delle diver¬ sità delle anime, e in particolare della razionale, e disputare se il cielo sia ani¬ mato di anima sensitiva o intellettiva solamente, e se sia informante o assistente, dove sarebbe opportuna occasione di scrivere delle intelligenze, e di quelle erranti e di quelle non erranti; e ricominciando da principio, sopra la parola < genere > vi entrerebbe un bel trattato di tutta la logica; e così di mano in mano potrei dire assai. Ma per non tediarla, verrò alla breve ; e lasciando queste burle, li dico che 20 il tabacco sarebbe una nova herba a chi non l’havesse più veduta, e che io la piglio a tutte l’hore indifferentemente, avanti pasto, dopo pasto, la sera, la mat¬ tina, di notte, il giorno, e in somma a tutte l’hore, e sempre ne sento benefìcio. Alle volte purga poca, alle volte assai materia; dopo la prima tirata alle volte replico la seconda, e tal volta la terza, nella medesima funzione, massime se il tabacco sarà di poca forza. E quanto alle mie vertigini, il Sig. r Landucci si trovò presente quel giorno che io bebbi il trabocco, o mi vidde a tabaccare più che mai, e replicai le sorbite solite più volte, e non hebbi altro, o bora sto bene; sì che non posso dar la colpa di queiraccidente al tabacco, anzi con ragione posso pretendere che mi habbia sollevato. Io non voglio affirmare so i giorni avanti so mi fossi astenuto dal medicamento, perchè non me ne ricordo bene; ma questo so di sicuro, che nel male adoperai il tabacco senza timore. Però credo sicura¬ mente che V. S. lo possa adoperare francamente, sì come fo io tuttavia. Nel resto starò aspettando se questa settimana verrà l’ordine da Brescia della pensione, senza incommodare V. S. ; e il S. r Silvii {,) si contenta aspettare. Io però non voglio nelle spese minuto servirmi del Sig. r Silvii, perchè, so bene è amico di V. S., è però mercante; e il Sig. r Vincenzo sarà servito senz’altro. Qua non h&bbiamo nove se non le ordinarie, e che il Sig. r Card. 1 Magalotto è stato designato vescovo di Ferrara, con quattro milla scudi di pensione al Sig. r Card. 1 An¬ tonio Barberino. E li bacio le mani. 40 Di Roma, il 29 di Aprile 1628. Di V. S. molto 111.™ Aff. mo e Oblig. mo Sor.™ e Risc. 1 " S. r Gal. 0 Gal.' Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Firenze. O) cfr. u.° ltttiò, liu. U. <*• Uio vanni Silvi. 422 13 MAGGIO 1628. 11880] 1880. FRANCESCO CRIVELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 maggio 1628. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., I\ I, T. IX, car. 102-108. — Autografa. Molto Ill.f* Sig." o P.ron mio Oss. mo Non so se sarrò degno di scusa apresso di V. S. per havor tardato a rispon¬ dere alla sua dclli 17 del passato, dovendo pagar questo debbito la settimana antecedente; ma non mi bastò l’animo per rispetto dello spaccio di Baviera, per amor del quale ini bisognò star a scrivere sino alle 4 bore di notte. La prego dunque che voglia acettar questa per risposta anco d’un’ altra scrittami da V. S. un pezzo fa; c volendogli rispondere, mi fu detto che cascò anudato, e in questa maniera differii questo debbito, che dovevo pagare un pezzo fa. llora che, lodato il Signore, si ò riauto del suo male, rallegrandomene seco vengo a fargli rive¬ renza et offerirmegli per servitore, havendo fatto ristesso di persona al Sig. r Vin- io cenzo suo nipote, il quale mi fu raccomandato dal Sig. r Baron Fuggaro 10 da parto del Sor. mo Elettore di Baviera mio Signore, havendo procurato di consegnarlo a’ megliori maestri, tanto di leuto quanto di contrapunto, clic siino in Roma; so bene do’ maestri di lento n’ h&bbiamo carestia, ot bora non vi ò cosa sforgiata. 11 giovane si cognosco elio ha spirito; ma già che V. S. vole che gli dica la mera verità, parlando de’ suoi portamenti, o parendomi d’esser ohligato por ogni rispetto e per la gelosia e cura clic ho del giovane, gli dico che il Sig. r Vincenzo non gusta troppo le correttioni e boni ricordi ; studia tanto poco, clic non farrà profitto in pochi anni; va volentieri a spasso c in conversatione; c 2 giorni sono, tanto il maestro di Imito quanto quello di contrapunto mi dissero clic il giovane 20 non atende alle lettioni. Lui se fonda in 4 sonate elio sa alla mente; ma s’in¬ ganna, perché, se non si sa e possiede il fondamento, non potrà riportarne honore. Però gli fo intendere quanto passa, da vero amico e servitore; e in conclusione mi pare sarrehhe necessario di tenerlo un poco più sotto, e non lasciarli tanta libertà, lo non posso più che tanto, perchè da principio fu dato in cura al P. Don Benedetto, il quale l’accommodò con un certo Sig. r Benedettone 4,5 ; però non mi par elio mi convenga di passar avanti. Anzi, perchè la settimana passata dissi non so clic al detto Padre de i portamenti dei giovane, e perchè il Padre gli lo Lett. 1880. 15. c O'jnnmce — (1 > Giorgio Fuqukh. '*) Ofr. u.“ loòu. 13 MAGGIO 1G28. 423 [ 1880 ] riferì, il Sig. r Vincenzo venne a trovarmi, e quasi si lamentò che havevo detto mal so di lui con il P. D. Benedetto; per il che ritornai dal Padre e gli dissi quello che mi liaveva riportato il Sig. r Vincenzo. Ilor veda V. S. se ha gusto d’esser ripreso. Caro padrone, la prego che, sì come vengo con lei procedendo con ogni fedeltà, così voglia contracanbiarmi con ogni secretezza, non facendo motivo di quanto scrivo a V. S. con questa, per toglier via ogni sorte di occasione de disgusti tra di noi. Questo è quanto posso dir a V. S. intorno al Sig. r Vincenzo, il quale se da dovero si mettesse a studiare, farrebbe ogni profitto; ma seia persona si co¬ mincia a disviarsi, si poi dire bona notte, e massime in Roma, clic le occasioni sono infinite. Rei resto son pronto più che mai di servire a V. S. in tutto quello che mi cognoscerù atto, e l’istesso farro alla persona del suo nipote, e mi repu- •io tarò favorito e regalato mentre da persona colma de meriti sanò inpegato (sic) a’ suoi servitii. Il Sig. r Barone Fuggaro mi scrive che il Sig. r suo fratello liaveva havuto asse¬ gnamento per il Sig. r Vincenzo, e che l’liaveva lasciato a V. S. acciò lo provedesse qui in Roma; ma in quanto a questo mi rimetto: gii dico ben certo elio ogni settimana ho sollecitato in Baviera acciò venisse, qualche provisione, ma sin bora non ho veduto niente. Finisco con ricordarmegli servitore di core, con pregar il Signore gli conceda il compimento di salute c d’ogni bene. Di Roma, li 13 di Maggio 1028, Di V. S. molto 111. 10 50 Doppo scritto. Incontrandomi a caso in Banchi con il Sig. r Bencdcttonio, che tiene in sua casa il Sig. r Vincenzo, mi ha detto in confidenza che non poi resistere in casa con i fatti suoi, e che havendo donne in casa, non gli porta alcun rispetto di pa¬ role, non risparagnandosi niente per la presenza loro. Però gli serva d’aviso; e il tutto gli confido con ogni secretezza, perchè desidero di servir V. S. e ho gelosia del suo nipote. Affé." 10 Servitore co Francesco Crivelli. Fuori: Al molto IH.™ Sig. re e P.ron Oss. mo [....J r Galileo Galilei. Firenze. 40 . fovorito — 424 14 — 17 MAGGIO 1628. [1881-1882J 1881 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 14 maggio 10*28. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* I.XX, u.® 10.— Autografa. Molto 111/“ Sig. r e P.ron mio Col." 10 Sto di ordinario in ordinario aspettando la rimessa della pensione da Brescia, quale sarà pagata profumata; ma ò stato necessario mandare lo bolle e ultimamente le attestazioni del elencato del Sig/ Vincenzo. Intanto io Ito pagati i maestri di contrapunto e di lento per tutto il presente mese, a due scudi il mese per uno, cosi accordati dal Sig. Crivelli, e di più ho dato quindeci scudi a quello che tiene in casa il Sig. r Vincenzo a conto della dozzina, e di più ho provisto di scarpe e di altre cose necessarie il medesimo Sig/ Vincenzo: o credo sarà lume che le spese del vestire e di altro siano fatte per man mia, perchè credo di poterlo fare con ogni vantaggio. Del resto io non manco di ossortarlo a studiare e fuggire le coni- io pagnie, le quali sono sempre pericolose, ma più qui in Roma: tratto con lui sempre severamente, percliò mi pare che li sia di buon servizio, e mostra di bavere paura di me, e va seguitando il suo studio. 11 Sig. Ascanio Piccolomini e Pili."* Ciampoli li b. 1. m., od io me li ricordo servitore obligatissimo. Roma, il 14 Maggio 1628. Di V. S. molto 111/ 6 Oblig. mo Ser.™ e Dis. 10 Don Bened.® Cast. Non credo che sia necessario che rimetta dinari per bora, perchè fra tre set¬ timane penso sicuro che haverò la pensione da Brescia, poiché hoggi ho mandata 20 l’attestazione del elencato. Fuori: Al molto Ill. re Sig/ e P.ron mio Col." 10 Il Sig/ Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1882 . MARCANTONIO P1ERALLI a [GALILEO in Firenze], l’iaa, 17 maggio 1628. Bibl. Naz. Flr. Mbs. Gal., P. I, T. IX, car. 104 e 106. — Autografa. Alla lotterà facciamo seguirò la Nota dell» *pe»e per il dotu,rato, che lo scrivente mandarli inclusa (cfr. liu. 14) e che e nuche piuseute- uieute allegata (car. 105). Molt’lll/ 0 et Ecc." 10 S/ mio Col. 0 Ber lettera del S/ Iacopo Peri intendo che V. S. Ecc."' 11 desidera una nota delle spese necessarie al dottorato del S/ Vincenzio, Hora, per servirla complita- 17 MAGGIO 1628. 425 [ 1882 ] mente, le dirò prima che, conforme a una famosa distintion peripatetica, bonis- sima in tutti i discorsi, due sorte di spese necessarie si trovano, cioè lo necessarie svmplicitcr e le necessarie secmdum quid. Necessarie simpliciter, chiamo io quelle spese senza le quali non si può conseguire il dottorato in modo alcuno; neces¬ sarie secunduni quid, quelle che fanno di bisogno per conseguirlo honorevolmente e conforme all 1 uso degl’altri della medesima conditione. Io son sicurissimo che io la generosità di V. S. non vorrà che il S. r Vincentio si dottori nella prima ma¬ niera, cioè che dia i guanti solamente a i dottori, e de i peggio che si trovino, che dia scarsissima mancia a i bidelli, nulla a i servitori di casa etc., come hanno fatto alcuni del mio Collegio, ma però gente o di conditione o d’animo assai basso. Mando dunque a V. S. qui inclusa la nota di quanto bisogna per dotto¬ rarsi nella seconda maniera, cioè senza superfluità e con la solita e debita ho- norevolezza. Può essere che queste spese le apparischino troppo grandi rispetto a quelle di 40 anni fa; ma in riguardo di quel che si fa per gl’altri, non veggo che possino esser minori per un figliuolo del S. r Galileo. Ne ho discorso più volte col S. r Vincentio e col S. r Dino (,) , e io medesimo gl’ ho consigliati a non 20 la guardar in dieci scudi, e particolarmente comprar i guanti assai belli per i dottori, molti de i quali si son più volte lamentati meco c pubblicamente con altri d’ essere stati mal trattati. Domenica ne comprimo in fiera tre dozzine pol¬ ii S. r Vincentio, clic doreranno sodisfare. Fu mio consiglio il valersi della com- modità della fiera, e credo che sia stata buona spesa. Se piacerà a V. S. eli’ io serva il S. r Vincentio ne gl’altri suoi bisogni di accomodargli denari, o che queste spese passino per mia mano, io lo farò diligentemente e renderò a V. S. minu¬ tissimo conto ; e di lui son sicuro elio si rimetterà a quanto ella comanda in tutto e per tutto. In una cosa sola non convengo col Sig. r Vincenzio, ed è questa. Sento che, so mosso da sua naturai cortesia, vuol aggiugner alla mia nota non so che spesa per la laurea del dottorato. A conto di questa V. S. non gli dia pur un soldo, perchè non è tra le necessarie anco secmdum quid , ma tra le superfluissime, mentre elio il suo laureante sarà un amico domestico e servitor obbligatissimo al Sig. v Galileo, che sì come riceve honore di poter servir il suo figliuolo, così ri¬ ceverebbe troppo ingiuria d’esser trattato del pari con gl’altri dottori. Però in questa parte V. S. non dia fede al Sig. r Vincenzio, che senz’altro la vuol gabbare, e io lo so di certo. Bacio a V. S. reverentemonte la mano, e dal Signor Iddio le prego intera sa¬ nità e lunghissima vita. -io Pisa, 17 di Maggio 1628. Di V. S. molto 111.™ et Fcc. ,na in Di so Peri. 54 XIII 426 17 — 24 MAGGIO 1628. 11882 - 1883 ] A i dottori V. S. sa che convien portar l’anello; però quel eh’ ella vuol provvedere al S. r Vincentio par che sia bene il mandarlo, acciò se ne serva nella cerimonia del dottorato senza haverlo a pi¬ gliar in presto. Aff. ,u0 e Obblig.™ Se. r ® Marcant. 0 Pieralli, Nota dello spese per il dottorato. Deposito per l’Arcivescovo, Vicario e altri ministri. £, 65 Guanti per il Rettore, Vicario, dottori, cancellieri ... :. » 56 Guanti per gli scolari. * 28 Mancia a i bidelli. > 14 Mancia a i trombetti. » 4 Mazzolini per dottori o scolari. »• 10 Pillerà e altra verdura per in cuna e inora. » 4 Privilegio del dottorato (,) . » 30 Desinare che si fa in Collegio il dì del dottorato . » 35 Mancia a tutti i servitori di Sapienza. » 21 £ ^ 67 . Ci bisogua un anello per la cerimonia del dottorato. DO CO 1883*. SCIPIONE CHIARAMONT1 a [GALILEO in Firenze]. Pisa, 24 maggi» 1023. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. XI, car. 87. — Autografa. Molto 111.™ et Eec. mo S. r P.ron Col. ,no Io ho mandato a V. S. Kcc. ma il libro 1 * 1 per segno dell’osservanza mia verso la sua persona e ’1 suo eminente merito, non perchè la noiasse, chè di questo ne sento dispiacere grandissimo, stante massimamente la presente sua indispositione. Ben poi mi rincresce, che convenendo io seco nel credere che le matematiche siano scala certa a molte cognitioni naturali e che una altra scala sia l’espe¬ rienza, sia poi trasportato dalla picciolezza d’ingegno a cose difformi dalla opi¬ nione delle persone sapienti, fra’ quali ella ha tanto celobre grido. Tuttavia io devo in questo dire a V. S. Kcc. ma , che buona pezza ho cercato nel giro della scienza naturale quella necessitò, che forse volle adombrar Platone con quella io Cfr. Voi. XIX, Doc XXY11, c). Cfr. n.° 1793. 24 — 27 MAGGIO 1628. 427 [1883-18841 sua colonna adamantina; ma non essendovi arrivato, mi son lasciato portar al corso coniinune, overo fra ’1 commune al meno rilasciato. È proprio di lei e della sua altezza d’ingegno inalzarsi tanto clic si faccia via propria; io, dove per mia debolezza non trovo neccessità contraria, et ho perciò da seguir la pro¬ babilità, ricevo per molto probabil l’opinione stabilita fra’principali dottori c scienziati. A’pari suoi può piacere quel detto: Libera per vacuum posui vestigio princcps; ma non ò da tutti. Io confido intanto che nelle distanze do’ fenomeni da noi, supposto le osscrvationi di Ticbone e de gli altri, non sarà fra noi dif¬ ferenza; eli’è quello clic principalmente pretendo nell’opera. Questo mi consola 20 nel disgusto che sento; e le bacio riverentemente le mani. Di Pisa, il di 24 Maggio 1628. Di V. S. molto Ul. r « et Ecc. m;i Dcvot. mo Ser.™ Scipione Chiaramonti. 1884. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 27 maggio 1628. Bibl. Nat. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. IX, car. 107-108. — Autografa. Molto 111/'' Sig. rfl e P.ron Col." 10 Tengo il comandamento di V. S. molto HI/" di scrivergli fedelmente e libe¬ ramente quanto passa del Sig. r Vincenzo, come gli prometto di faro: e se prima non T ho fatto, sappia clic mi sono trattenuto perchè credevo di potere, e con le essortazioni continovc c con le gagliarde riprensioni e severe minaccio, rimediare a quei mancamenti e disordini che di mano in mano andavo scoprendo; ma perchè bora mai ritrovo ogni cosa riuscirmi vana, li darò parte del tutto. E prima deve sapere, clic nel bel principio che venne qua il Sig. r Vincenzo, mi cominciò a dar qualche sospetto di essere ostinato e di poca devozione, perchè io bisognai con gran fatica adoperarmi a farli fare la chierica, e con qualche dif¬ ficoltà si ridusse a recitare l’ofìicio della Madonna, al che è obligato, oltre il peccato mortale, alla restituzione de’ frutti della pensione. Secondariamente, co¬ minciò a trattare, senza dirmi cosa alcuna, di volere comprare un anello con un (Lamantino. Io lo seppi, c gli ne feci una bona passata con ogni termine. Terzo, per mezo del suo ospite e del Sig. r Giuliano Landucci non è stato mai possibile a poterlo indurrò a devozione di sorte alcuna, e si ridusse al sabbato santo a sera a confessarsi. Le prediche e sermoni sono aborrite da lui conio cose eli niente. Sopra di queste cose più volte l’ho fatto chiamare, e gli ho parlato con quel maggiore affetto che ho saputo e potuto ; ma se ha mostrato per due o tre giorni 20 farne qualche conto, non ho visto meglioramento nessuno: anzi essendoli stato 428 27 MAGGIO 1G28. [ 1884 ] avvertito e «la me e dal Sig. r Crivelli, cavaglieli assai compito, elio debba con maggioro diligenza attendere ai stridii, gli ò bastato l’animo di dire che la qua¬ resima ò passata e elio non voi prediche, o elio le parole che gli entrano per un’orecchia escono per l’altra, e che non è un frate nè una monaca; e in somma¬ lo ritrovo tanto indisciplinabile e ostinato e ribelle, quanto possa essere un gio¬ vane della sua età. Ma quello elio mi ha finito da chiarire è, che havendo da me ordino espresso di non stare fuora di casa la notte, questi giorni passati stetto una notte senza ritornare a casa; et havendolo io fatto chiamare per farli la correzziono, come andava fatta, mi cominciò a volere stampare scuse di certi compagni tedeschi musici ; dello quali scuso non no volsi sapere altro, ma li ri- 80 cordai quello che nel principio li haveva detto, che queste pratticho sarebbero la rovina sua nel corpo, noli’anima e nella riputazione, c clic io rilaverei ab¬ bandonato, o elio sarebbe abbandonato da tutti i boni c da V. S. in particolare. Le risposte piotorvo e insolenti furono tali, elio mi parvero più da matto clic da vizioso. Mi replicò in faccia olio non voleva prediche, che quello clic li dicevo in un orecchio usciva per l’altro, o, quel elio fu peggio di tutto, mi disse questo preciso parole: Terchò credete voi elio mio padre e mio zio mi habbino mandato qua? forsi elio mio padre non mi poteva insegnar meglio d’ogn’altro? l’hanno fatto perchè non vogliono haver cura di me. Io restai stordito; con tutto ciò lo minacciai per sino di castigarlo di mia mano come un matto, c elio so non pcn- 40 sava di mutar stilo, elio havcrci fatta risoluzione di dar conto d’ogni cosa al Ser. mo di Baviera c a V. S., o elio io mi era trattenuto per non amareggiarla; o in somma feci il debito mio, e li dissi elio questa sarebbo stata l’ultima volta di adoperar parole. Di quanta amarezza mi sia stato questo negozio, pensilo V. S. ; e sappia che il spavento che io hebbi della nova della sua infermità, mi ha prin¬ cipalmente trattenuto che io non li habbia scritto sin bora alla libera; ma perchò vedo che il male ò grande, e si deve temere del peggio, e massime che V. S. me 10 comanda, glie lo scrivo fedelmente e sinceramente: mi perdoni so li sono di disturbo. Per compimento (Fogni cosa, quando penso di riceverò il ricapito per la pensione, ritrovo che le lettere di mio fratello mi danno la nova della morte &o improvisa di Mons. r Vicario di Brescia, che la doveva pagare, seguita a’ 15 del presente; tal elio non bavera manco letta la mia ultima, nella quale li mandavo la fedo del chiericato del Sig. r Vincenzo. Per tanto V. S. potrà dar ordine che 11 Sig. r Silvii sia sodisfatto di quello che lui speso sin bora. Quanto al conto mio, aspettare il pagamento della pensione, essendo sin bora sodisfatti i maestri o la dozzina dell’ hospite, con diverse altre spesette necessarie di scarpe e calzette o altre cosette necessario. Ilo però detto questa mattina al Sig. r Silvii che non li dia denari, nò paghi cosa alcuna senza mia saputa, per tenerlo più in freno; e così farà. L.ett. 1884. 58. co«« alcuna — [1884-1885] 27 MAGGIO — 1° GIUGNO 1628. 429 60 Mi scrive mio fratello clic tutte le robbe e effetti del defonto Vicario sono sequestrate, e che ci è da pagare profumatamente, ma clic ò necessario far scri¬ vere a Mons. r Vescovo di Brescia 10 che ordini che la pensione sia pagata. Però crederei che Madama Ser. ma sarebbe il caso di fare questo officio, poi che Mons. r Ve¬ scovo professa servitù con S. A. S. sino dai tempo che fu Nuncio in Firenze. Fa¬ cendo scrivere, potrà inviare la lettera in Brescia a Carlo Castelli mio fratello, il quale pigliarà la briga di fare il servizio. Quanto poi alla dispensa, saprà che la spesa è di venti cinque scudi di questa moneta, come a andare al fornaio; e questi sono negozii che non si trattano poi- favori. Se fosse seguita la copula, essendo poveri, la spesa sarobe di sei scudi 70 e 60 baiocchi; ma ò necessario far fare la fede da Mons. r Vicario di Firenze: c tanto ho informazione non solo da questi spedizioneri, ma dal Padre Procura¬ tore nostro, che ne fa spedir di simili dispense contino vani ente per la diocesi di Monto Cassino. Però starò aspettando altro suo comandamento. Il Sig. r Piccolomini (S) e Mons. r Ciampoli li b. le mani; ed io, supplicandola a perdonarmi se i’ho amareggiata, l’assicuro che quello clic io ho fatto per il Sig. r Vincenzo non l’ho voluto fare per un mio nepotc carnale, che mio fratello mi voleva raccomandare. Mi ero scordato di dirli che P hospite non manca, con le bone c con le cattive, al debito suo, ma ritrova ristesse difficoltà, in modo che ha trattato di non volerlo più in casa. Però staremo a vedere se vi sarà speranza 80 d’emenda, come ne prego Dio, il quale conceda ancora a V. S. compita sanità, lo ho hautauna stretta crudele dell’orina, ma adesso sto benissimo senza essermi me¬ dicato. Con clic li bacio le mani e me li ricordo obligatissimo servitore di cuore. Di Roma, il 27 Maggio 1628. Di V. S. molto HI» Oblig. mn Ser. ro e Dis. 1 ® Don Benedetto Castelli. 1885 . FEDERICO CESI a GIOVANNI PARER [in Roma]. Sant'Angelo, 1° giugno 1628. Dalle pag. 781-732 della Rosa Ursina, sivc Sol ex admirando facularum et maculamin suarum phoenomcno varimi, necnon circa centrimi mium et axem Jìxum ab accasa in ortum annua, circaque alium arem mo¬ biletti ah oriti in occatum conversione, quasi menntrua, super polot proprios, libri» quatuor mobilia oatensus a Chiustophoro Sohbinbr eco. Bracciani, apud Andream Phneum ecc. Impresalo coopta anno 1626, finita vero 1630 Id. lunii. Dottissimo Sig. Fabri mio, Quello ch’io posso testificar per la verità è questo: che essendo la felice memoria elei Sig. Cardinal Bellarmino molto mio Signore e che mi portava p&rticol&r affetto, voleva •*» Marino Zobzi. **> ASOANIO PtOOOLOUlKI. 430 1® — 3 GIUGNO 1028. [1885-1886] spesso sentir da me delli miei studii o compoaitioni ; c dandoli ragguaglio della mia opra del cielo* 1 *, o particolarmente ch’io tcnovo elio fosse fluido, qual opinione mi pareva molto ben confermata dalla Sacra Scrittura o daU’auttorità do’ Sant i Padri, ma però non volevo assecurarmi nell’ interpretation do’luoghi Bacri senza l’approvatione di theologo di tal eminenza come era S. Sig. Illustrissime, no mostrò grandissima allegrezza, o mi disse elio questo haveva tenuto lui sompre corno conforme alle Sacro Carte et interpretationi de’Santi Padri, e che in ciò non havevn dubio; ma elio non bave va premuto in promovorla, per io l’oppositione che communemonte facevano le scuole coll’allogar dimostrationi matematiche in contrario, o particolarmente che senza gli orbi Bolidi et il loro moto fusso totalmente impossibile il salvar le apparenze. Al che replicando io, non solo haver sodisfatto a pieno quanto alla parte fisica o matematica et a tutti li fenomeni, macho, per il contrario, era totalmente impossibile il sodisfar ot il salvar, come dicono, le apparenze col porre li orbi, tanto maggior gusto no riceveva, e me sollecitava al compimento doll’opora. Nò mi vidde mai dopo tal ragionamento, che non me no domandasse e non mi ricordasse il darlo com¬ pimento, con mostrarne desiderio grande e dispiacerò che lo mio infinito doinontiche oc- oupationi me lo ritardassero: in conformità di che anco passorno fra lui c mo lotterò, mentre io ero in Àcqunsparta. Così V. S. potrà francamente asserire a chi glie ne ha 20 dimandato, facendogliene piena fedo, mentre di tutto cuore a V. S. bacio lo mani. Dalla mia rocca di S. Angelo, questo dì primo di Giugno 1628. Di V. S. Afl'ottionatiss. sempre Federico Cesio Linceo, Preucipe di S. Angelo. 1886 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 giugno 1628. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, rar. 110. - Autografa. Molto Ill. re Sig. r o P.rcm Col." 10 Credo che il nostro Sig. r Giuliano Landucci Labbia dato parte a V. S. molto 111.™ di una stravaganza del Sig. r Vincenzo, la quale mi fa cascare le braccia total¬ mente, e resto confuso c disperato totalmente di potere da me solo aiutarlo; c però mi sono risoluto raccomandarlo alla bontà di Dio con tutto il cuore, e darne ancora io conto a V. S. Sappia dunque clic quel vizio che nell’altra mia (,) chiamai poca devozione trapassa all’ultimo segno d’impiotò, perchè, mentre era ammonito con carità dal suo ospite, proruppe a dire che non era mica un pazzo come noi altri a adorare un pozzo di muro dipinto. Prudentemente li fu risposto dal’ospite, che credeva che dicesse quelle parole fuori del serio, chè quando le havesse dette io da dovero, lui era obligato a denunciarlo al S. t0 Officio, e che sarebbe abbrusato Lett. 1885. 4—5. opra dal eielo — <»> Cfr. n.» 772, liu. 18. < 5 > Cfr. a.« 1884. 3 GIUGNO 1628. 431 [ 1886 ] vivo in Campo di Fiore. Mostrò di spaventarsi un poco : con tutto ciò seguita i suoi costumi alla peggio senza rispetto, ed ha liauto a diro di più queste parole formate: Hora che il P. 1). Benedetto sa le cose mie, non vii curo più nè di liti nè di Monss Cìampoli nè di nessuno , e voglio fare a mio modo; e mio do (inten¬ dendo di V. S.) mi ha mandato qua, perche più non mi poteva governare. Qui noto l’animo perverso c la pazzia espressa; c perchè il negozio è gravissimo e per sò stesso e per le consequenze, giudico necessario venire a’ ferri e forzo, e prego V. S. a fare che ritorni a Firenze, e, bisognando, lei medesima lo denunzii a chi 20 s’aspetta, non solo per liberarlo dalle mani del diavolo, se sarà possibile, ma per fare lei il debito suo e sgravarsi da quelle note che li sarebbero date ogni volta che per altra strada si scoprisse questa piaga, clic puzza avanti a Dio e nel cospetto del mondo di fetore intolerabile. E non dubito punto che la pazzia di costui non sia per dar occasione ben presto che si scopra, perchè oltre alla malizia, come ho detto, ci è congiùnta una imprudenza troppo spropositata: o credami pure che il male è-vecchio, o lui medesimo lo dice. Per tanto faccia ri¬ soluzione di richiamarlo: credo bene però che sia necessario farlo con qualche pretesto sovave, sino che si sarà condotto a Firenze, acciò non precipiti in qual¬ che stravaganza, come si può aspettare dalla sua pazzia congionta con la malizia, so Mi perdoni se scrivo schietto, perchè cosi sono obligato e così lei mi comanda; tanto più che avanti all’ultime riprensioni (come scrissi nell’altra mia) una sola volta liaveva dormito fuor di casa, ma dopo, in questi pochi giorni, è stato fuori di casa la notte quattro o cinque volte: sì che si vede che il male incancherisce coi medicamenti leggieri, come sono le parole, e ci sono necessarie le bastonate. Torno a pregarla che mi scusi; e baciandoli le mani da parte di Mons. r Ciampoli e del Sig. r Piccolornini, li fo riverenza, ricordandomeli obligatissimo servitore. Di Roma, il 3 di Giugno 1628. Di V. S. molto 111.” Li do poi nova come mi ritrovo libero dal mio 40 male dell’orina affatto; e perchè non ci ho fatto rimedio nessuno liumano, e la sanità è venuta in tempo che stavo in estremo bisogno, con i maggiori dolori che habbia mai hauti, la riconosco tutta dalla mano onnipotente di Dio, e per l’intercessione di S. Filippo Neri, al quale fui raccomandato con gran caldezza da un amico mio. E questo confesso e te¬ stifico a gloria di Dio e del Santo. 01>lig. mo Ser. re e Dia. 10 Don Rened. 0 Castelli. GO Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 Sig. p e P.ron Col. mo 11 Sjg. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. • 432 6 GIUGNO 1628. [ 1887 ] 1887. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 0 jfiu((no 1G28. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IX, mr. 112. — Autografa Car. ,no o Oiior . d0 S. Frat. ,c Bolli mali portamenti di Vincenzo a Roma non mi ft rosa nuova il sentirlo, poi elio qua ancora (come por altra mia Laverete inteso) ne scrisse qua il ìS. r Cri¬ velli al S. r Cavalerizzo Maggiore, quale à risoluto proccurar di levar il ragazzo di là e mandar altrove, e tanto più per non trovarsi di presente a Roma sug- getto che vaglia nel liuto. E se questo, conio ben dite, è negozio che inporta e che potessi esser dannoso (quando non ci si rimediassi) al figliuolo o a me, tanto maggiore mi pare scorgere esser il danno di perdimento di tempo ili più figliuoli, che giù se ne stanno tanti mesi costì alla villa in continuo ozio. E perchè questa è cosa che in estremo mi afìligge e tormenta, non quieto inai di pensare al modo ìu di riparar a un tanto male; e se il viaggio lungo o difficilissimo non mi sgomen¬ tassi, mediante la mia poca sanità c grossa spesa che non posso fare, certo che contr’ogni mio disegno me ne verrei costa per ricondur i figliuoli a Monaco, acciò si mettessino a inparar qual cosa: e quando da voi (come mi par sentire) sarà detto che a questo disordine altro rimedio non c’è, solo ricondurli qua, risolverò, ben che dovessi venire a piè a levarli. Non posso dissimular il mio dolore, nè più in lungo a questa maniera menar mia vita, nè mi posso dar ad intender di star bene; e mi spavento quando penso al mio infelice stato, o per quante an¬ gustie ancora mi converrà passare. A buon dire a chi non tocca, e nessuno prova il mio male che io solo: e se voi mi dite che avete molti fastidi, ve lo credo, 20 tra i quali questo potrebbe esserne uno de’ principali, ciò è veder andar di male queste infelici creature. Adunque spero che aiuterete e presterete il vostro con¬ siglio per cavar voi c me di questo travaglio, approvando il mio giusto desiderio. Vi prego a scrivermi liberamente l’animo vostro e quello giudicate che sia a proposito per riparare senza più indugio a tanto sconcertamento, chò ini sfor¬ zerò a far quanto mai mi sarà possibile; et in un moderno tempo verrei a far l’obligo mio appresso Iddio e il mondo, e in parte alleggerire l 1 inmensa mia aflizione. Fo tare l’orivolo per le monache, e sarà un quadrato di più di 4 " braccio per ogni banda; come sia linito, e elio riescili buono, vederò di mandarlo con so prima sicura occasione : et intanto saluto esse Reverende, con la Massimiliana e Mechilde, caramente. Vi prego a non dir niente alla Chiara della mia indispo- 0 — 11 GIUGNO 1628. 433 [1887-1888] sizione, per non turbarla. Non manco di medicarmi per veder di alleggerire il mio solito aggravato stomaco e tremor di cuore, quale a questi giorni mi ha dui volte terribilmente travagliato per lo spazio di molt’ore; e questo è frutto delle mie allegrezze che giornalmente vanno moltiplicando. Dio sia sempre ringraziato. Finirò con raccomandarmivi di cuore, sì come fa la Massimiliana e Mechilde; e il Signore vi feliciti. Di Monaco, li 6 di Giugno 1628. Di V. S. Aff. mo e Oblig.“° Frat. 10 e Ser. 10 Michelag. 10 Galilei. So che vi parrà di strano il sentire miei nuovi lamenti; ma vi dico libera¬ mente che inpossibile saria che io potessi dissimular questo mio troppo e vio¬ lente male: però scusatemi. Mi pare che non saria male far la medesima istanzia al P." D. Benedetto, acciò sinceramente vi dicessi anc’esso de’ portamenti di Vincenzo: e mi par pure cosa strana haver sentito da tante bande e tante volte che faceva studio e pro¬ gresso, et ora in un subbilo scrivono tutto l’opposito. Sarebbe bene che non vi valessi per mandar qua le lettere (se non di rado) del S. r Ammirati, per non co infastidir troppo chi qua le riceve e poi a me consegna. Fuori: Al molt*IU. r# et Ecc. mo S. r Galileo Galilei, Matematico del Ser. m0 G. Duca di Toscana. Fiorenza. 1888 . GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma]. Bellosguardo, 11 giugno 1028. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 71. — Autografa <'>. Molto R. do P.re e mio Sig. r Col. mo Prima per la lettera (2) della P. Y. molto R. da e poi, 4 giorni dopo, per una del nostro amorevole S. Landucci (dl , lio inteso con mio gran¬ dissimo dolore quanto passa circa i fatti di V. (4) , al quale scrivo l’al¬ ligata ; e la mando alla P. V. aperta, acciò la legga e da quella <•» Sul tergo della lettera è una configurazione *** Cfr. n.° 1886. dei Pianeti Medicei, priva di data, con alcuni calcoli, **' Giuliano Landucci. tutto di mano di Benedetto Castelli. •*> Il nipote Vincenzio. 55 XIII. 434 11 — 17 GIUGNO 1628. [ 1888 - 1880 ] comprenda quello che io desidero che si faccia, già che, per sentirmi da G giorni in qua assai indisposto, non posso scrivere senza grande offesa. La supplico a faro eseguir subito quanto scrivo : e quanto alla pensione, già che si vede che con questo corvello non ci è da sperar so non malo, sarebbe forse bene renunziarla a qualcun altro, con io veder di cavarne più che fusse possibile per aiutarmi a sodisfare a una grossa somma di debiti elio mi trovo addosso per mio fratello e per la sua famiglia, la quale tutta via si trova qui allo mio spalle, con sposa veramente intollerabile. Però, di grazia, havondo fatto tanto, procuri anco questo restante, con sicurezza di non esser per ricever da me mai più simili aggravii, elio a mie speso ho imparato quello che sia l’addossarsi impacci di questa sorto. Gli bacio lo mani, e per non poter più scriver, finisco, o gli prego felicità. Di grazia, mi scusi col S. Landucci se* non gli scrivo in particolare, e serva la presente per amendue. Scrivo all’111." 10 S. Crivelli, elio Vincenzo sarà 20 a fargli reverenza, nè partirà sonza sua buona grazia 0 licenzia. Da llell. do , li 11 di Giugno 1G2S. Della P. V. molto Rev. da 1889. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Iioma, 17 giugno 1628. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 113. — Autografa. Molto lll. ra Sig. r o P.ron Col.”' 0 Ho presentata la lettera di V. S. molto lll. ra al Sig. r Vincenzo (,) , quale mi ha pregato che lo lasci stare qua per la festa del Corpus Domini; e perchè io penso di rimandarlo col procaccia, mi sono contentato che resti sino a dimani a otto, massime che ha bisogno di un paro di calzoni, quali farò con ogni rispiarmo. Alla nova che li diedi, restò mezo confuso: io trattai con lui senza asprezza, Cfr. u.° 1888, Un. 6. 17 GIUGNO 1628. 435 [1889-1890] porchò lo conosco tanto inatto elio sarebbe buono da far qualche risoluzione stra¬ vagante; o V. S. farà bene a sbrigarsene quanto prima, acciò non gli dia qualche gran disgusto, perchè non teme nò Dio nè gli liuomini, nò stima altro che lo io proprie bizarrio. Ha detto al suo ospite elio in questi otto giorni non volo fare altro che scrivere e copiare coso di musica, per mostrare a V. S. di bavero stu¬ diato c fatto qualche cosa: buono por lui so 1* havesse fatto sempre ! Sarà neces¬ sario, avanti che parta di Firenze, fargli fare una carta di procura 05 per riscuotere la pensione e per estinguerla, elio quanto al rinonziarla 05 non tornarebbe il conto; e in tanto poi io trattare a Brescia con il successore del defonto Vicario, se si contenta estinguerla per sei annate, che sarebbero trecento sessanta scudi, e V. S. potrà rimborsare il dinaro speso. Però non manchi farsi fare la procura in buona forma, con facoltà di sostituire etc. L’Ill. n, ° Sig. r Ascanio Piccolomini è stato designato arcivescovo di Siena, e 20 rn’ha ordinato che ne dia particolar avviso a V. S., offcrendosegli di tutto cuore. Mi dispiace che le sue indisposizioni la travaglino ; io sto assai moglio, e prego Dio che conceda compita sanità anco a V. S., e li bacio lo mani. Di Roma, il 17 di Giugno 1628. Di V. S. molto 111.™ Devotis. 0 e Oblig. mo Sor.™ o Dis. ,G S. r Gai. 0 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r mio Col."*® Il Sig. r Galil. 0 Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1890 *. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenze, ltoma, 17 giugno 1628. Bibl. Nax. Tir. Mss. Gal., I». I, T. IX, car. 116. - Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. mo Da’ SS. ri Tovagli ebbi aviso la passata delli scudi 30 di giuli X che V. S. li ha- veva pagato per me in conto di quello V. S. rai devo per le robbe date al S. r Vin¬ cenzo suo nipote, et ne ho dato credito al suo conto; e questa sera mi ha parlato il P. I). Benedetto et mi ha detto che io dia al S. r Vincenzo robba di poca spesa per far un paro di calzoni, quale il primo giorno, e come venghi, ce la darò; et con altra li darò nota del costo, lo li ho eletto che non potevo dar nulla senza 0) Cfr.vol. XIX, Doc. XXXIII, <«, 2). l*> Cfr. n.° 1888, lin. 8-10. 436 17 — 24 GIUGNO 1628. [ 1890 - 1891 ] l’ordine di V. S.; ma mi à aoggionto che ne ha di necessità, et. elio della pros¬ sima lo rimanderà costà per il procaccio: et mostra haver poco ghusto dal gio¬ vane, che fa haver patienza, poi che la gioventù vuol fare il corso suo. Mi dispiace io del disgusto che sentirà V. S., et la sua prudenza supererà ogni cosa. Il Signor Dio lo riduca nella sua strada, et a V. S. dia patienza: et mi comandi sempre in ogni occasione. Li bacio lo mani et li pregho dal Signor Dio ogni vero bene. Roma, 17 Giug.® 1628. Di V. S. molto 111/** Ser/* Afl><> Gio. Silvj. Fuori: Al molto 111/" Sig/ mio P.ron Oss." 10 Il S/ Galileo Galilei. Firenze. 1891*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 ghigno 1028. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal, T\ I, T. IX, car. 119. — Antografa. Molto 111.” Sig/ mio Col. mo ITo accordato il procaccio che riconduca il Sig/ Vincenzo a sue spese per otto scudi, le sue robbe e un leut.o : però tanto V. S. potrà pagare, chè io non ho hauto commodo qui in Roma. Il Sig/ Giuliano Landucci ha fatto il patto, c per esserci carestia di cavalcature non si è potuto far meno. Se il medesimo Sig/ Giuliano non mi fosse buon testimonio di quanto ho fatto in servizio del Sig/ Vincenzo, come quello che ad instanza mia e per sua cortesia si ò adoperato sempre in be¬ neficio del detto S/ Vincenzo, starei in qualche dubbio cho V. S. potesso pensare che io fossi stato più tosto negligente che sollecito in servirla; marni creda cho non era possibile più. È stato necessario farli faro un paro di calzoni, come ha io fatto fare il Sig/ Silvii. Di scarpe l’ho sempre provisto, nè mai mi ha dimandalo cosa che io non li habbia dato sodisfazione : e mi creda clic per un mio nepote carnaio non haverei fatto tanto. Mi scusi dunque se più non ho potuto. Quanto alla pensiono, V. S. faccia fare la procura, e, se li pare, in persona di Carlo Castelli mio fratello, che possa cssigero in Brescia; ma forsi sarebbe me¬ glio che se la facesse fare a lei medesima, ampia, con facoltà di estinguer la pensione e di sostituirò procuratore, come gli accennai 10 . In tanto io aspetterò queste paghe per aggiustare il conto delle spese fatte da me ; o così V. S. non “1 Cfr. n.o 1889, Un. 12-18. 24 GIUGNO 1628. [1891-1892] 437 b’ incommodarà se non per quello che doverà bavere il Sig. 1 ' Silvii. Scriverò per 20 l’ordinario un’altra mia: per bora li bacio le mani. Di Roma, il 24 di Giugno 1628. Di V. S. molto Ill. ra Oblig.' no Ser. ra e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: ÀI molto lll. re Sig. r e P.ron Col. ra ° Il Sig. 1 ' [Galileo Ga jlilei, p.° Filosofo di S. A.S. Firenze. 1892. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 giugno 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. 1, T. IX, car. 117-118. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Col. m ° Io non posso far di meno di non significare a V. S. la natura del Sig. r Vin¬ cenzo indisciplinabile, acciò stia ben avvertita e non si lasci ingannare. Qua si lasciava a piena bocca intendere che voleva fare a suo modo, e che quello che gli era detto per un orecchio usciva per l’altro, e si rideva di qualsivoglia se¬ verissima riprensione. Le prattiche cattive, contro la volontà del suo ospite, con¬ tro i miei ordini e del Sig. r Crivelli, sono state inseparabili; ma quel che mi spaventa e fa tremare, è la temerità grandissima e inconsiderata con che tratta delle cose della religione : che se fosse nato e allevato in Ginevra, sarebbe almono io più cauto, se non savio. Sig. r Galileo, stia avvertita a questo punto, perchè è atto, e per malizia e per pazzia, a dare in grandissimi scoglii. Dopo che ha hautalanova di dovere ritornare a Firenze, è andato a dimandare denari in prestito, e in grossa somma, sino a cento scudi, per quanto mi vien ritorto, a nno in casa di Mons. r Ciam- poli, e si ridusse a un scudo: io non so che disegno fosse il suo. Ha ricercato altri, e non so nessuno gli ne liabbia dati, se non uno clic intendo che gli ha dato cinque scudi ; e credo clic pochi più no possa bavere ritrovati. J.o diedi ordine al Sig. r Silvii che andasse lento a dargliene, nè credo habbia con lui fatto colpo: e se fossi in V. S., non vorrei pagare nessuno di questi, perchè sono di quei me¬ desimi che, se io li havessi pregati, non mi liaverebbero hauto credito di un giulio. 20 Haverei che dire assai : bastili questo, che l’ho tolerato con grandissima pacienza, e cercato di ridurlo, e per me e per mezo di altri, al ben fare; e sempre ha mo¬ strato tale avversione alle cose di Dio e della religione, che non ho hauto ardire di pratticar seco troppo spesso, dubitando che sempre mi mettesse in necessità, 438 24 GIUGNO 1G28. [1892-1803] in presenza di altri, (li uscirò a qualche stravaganza. In somma ò ostinatissimo noi malo, o non ho altro rimedio elio raccomandarlo a Dio: ed egli da sé stesso dico elio nò V. S. nò suo padre lo ponilo governare; la qual cosa se fosso vera, eroderei clic lo Stinche o altra prigione fosso il suo vero castigo. Mi dispiace di amareggiarla, ma sappia elio non dico a bastanza; c Dio voglia elio io appari¬ sca bugiardo, cliò me no contento o no haverò gusto. In tanto lei non cessi di co¬ mandarmi dove mi oonosce atto a servirla, o li bacio lo mani. so Roma, il 24 di Giugno 1G28. Di V. S. molto III.** Io ho scritta questa separata, percliò ho du¬ bitato elio non fosse aperta da questo spirito, conio minacciò di faro un’altra elio io mandai al S. r Cri¬ velli. E bora ho inteso elio ha detto elio si vole faro lo belle scapricciato con suo cugino del fatto mio. Veda ino’ V. S. che peccato ho fatto io, che questi duo sgraziati m’iiabbino da far purgaro. Aff. ,no Sor. r * o IOblig. ,no 40 S.«- Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto Ill.r* Sig. r o P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1893*. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO [in Firenze], [Monaco, giugno 1628J. Raccolta Lozzi in Roma. — Autografa. Carissimo et Onorando Sig. Fratello, Rispondendo brevemente ad alcuni particolari della vostra del 30 del [lassato, dico primieramente dispiacermi in estremo del continuo fracasso do’ miei figliuoli, cho vi priva d’ogni vostro studio o riposo ; in oltra mi tormenta elio anco deviato spesare 6 o 7 persone di più dol solito ; o sopra modo mi duolo l’esser voi ne¬ cessitato da mo a scrivermi lottoro sì lunghe o sposso, con tanto vostro incomodo o danno della sanità.. A questo non si sarebbo venuto, so yoì non m’avessi dis¬ suaso di ricondur qua subbito la famiglia, si come inclinavo ; o puro vogliam dire che molto meglio sarobbo stato elio mai ce l’avessi condotta. Bora ditemi il modo di liberarvi da un tanto disagio, chè di quanto por la mia parte sarà possibile, io nulla recusorò di lare, dicendovi che io assai più di voi desidero che i figliuoli [ 1803 - 1894 ] GIUGNO — 1° LUGLIO 1628. 439 si levili di costà, sì per liberar voi da questa molestia, come anco acciò essi non perdili più tempo e vadin di malo, sì come con altra mia barerete inteso. Io mi trovo con pochissima sanità e nessun denaro ; con tutto ciò la persona mia non rispiarmerò mai por levarvi da torno un tanto fastidio. Vi progo a non v’affaticar voi stosso di scriver di quanto risolverete elio si faccia per rimediar a questo disordino, ma commetotelo alla Chiara ; et io atten¬ derò risposta a questa e a l’altra, por far quello elio vi parrà et a me possibil sia, desiderando in estremo veder un fine a tanto miserie. E qui finendo, di 20 cuoro con la Massi indiana o Mechilde mi vi raccomando: o Nostro Signore vi contenti. Di V. S. Affezionatissimo ot Oblig. mo Fratello e Servitore Michelagnolo Galilei. Poscritta. È arrivato qua il Sig. Giorgini o il servitor del nostro Sig. An¬ tonio, quale mi à consegnato le cordo ; o ve no ringrazio molto. Dotto Sig. Gior¬ gini sarà costà di ritorno circa mozzo Agosto, sì elio, potendo o facondo bisogno, me ne vorrò con esso por levar la famiglia: intanto so qual cosa v’occorressi di qua, fatemi avvisare. L’orivolo delle monache (1) , so potrò, condurrò meco ; et in tanto le saluto, con la Massimiliana o Mechilde, di cuore. Con l’occasione 30 di rimaner qua la famiglia, spero anco seguirà di Vincenzo per mandarlo poi di qua in Fiandra. Fuori: Al molt’Ill.™ ot Ecc. mo S. r Galileo Galilei, Matematico del Ser. mo G. Duca di Toscana Fiorenza. 1894 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Noma, 1° luglio 1628. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.“ LXX, n.° II. — Autografa. Molto Ill. ,e Sig. 1 ' o P.ron Col. mo Aspettare avvisi di Brescia se il successore della Teologale sarà entrato in possesso, e poi farò trattare l’estinzione della pensione con tutto il vantaggio possibile; ma in tanto V. S. non l’accia partire Vincenzo, se prima non bavera fatta carta di procura sufficiente per questo servizio (3) . Quanto al conto mio, non lo posso ancora mandare, perchè aspetto il conto di quanto devo all’ospite per la dozzina e di quanto si deve pagare a’ maestri ; e poi mandarò ogni cosa insieme. l») Cfr. il.» 1887, liti. 29-31. ,a > Cfr. n.» 1889, liti. 12-18. 440 10 — 5 LUGLIO 1628. [1894-1895] Desidero sapere nova del ritorno del Ser. mo Gran Duca; e se V. S. mi hono- rassc, con qualche occasione, di ricordarmi devotissimo servitore al Scr. mo S. r Prin¬ cipe Don Lorenzo (n , mi sarebbe carissimo. Con che li bacio le mani. io Di Roma, il p.° di Luglio 1628. Di V. S. molto IH.™ AlV. m0 e Oblig. mo Ser. M e Dia.' 0 Don liened. 0 Castelli. Bacio le mani al S. r Aggiunti e Pacchetti l,) . Fuori: Al molto 111. 10 Sig. r e P.ron mio Col. m ° Il [_J Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1895. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO Lin Firenze]. Monaco, fi luglio 1»»28. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T. IX, car. 121.— Autogrntn. Car. ,no et Onor. d ° S. r Frat. !o La resoluzione fatta di levar quel sciagurato di Roma mi piace, e già do¬ veri! trovarsi costì, dove vorrei si trattenessi fino al mio arrivo, chè, come ò detto con altre tS) , disegno venirmene al principio di quest*altro mese, per levarvi anco da torno il fastidio di tutta l’altra famiglia; ma, come ò detto, non ò da spen¬ der più, nè crediate elio io abbondi cosi di denari, che a richiesta di Benedetto sborsassi così subito 20 A. Vi dico che non ò da vivere, e lo doverosti credere. Già sapete che la mia provvisione è solo 300 fiorini, o con questi soli bisogna ch’io mi mantenga con tutta la mia famiglia; li pochi denari che ò su la lega si riducono nella metà, chè così si fa ad ognuno, e perchè è tirato gl’interessi al- io quanti anni interi, ora mi bisognerà scontarli, non pagandosi quelli clic la metà, conforme al capitale: e queste son cose vere. So bene che vi pare che tirando io la paga di Vincenzo da 9 mesi in qua, deva trovarmi comodissimo, senza pen¬ sar che ò speso 7 volte tantoe rovinatomi del tutto. Ma perchè spero di con¬ durmi costà, mi riserbo a bocca a dirvi dello stato mio interamente, e farvi toccar con mano nella miseria che mi trovo. La provvisione di Vincenzo mi par vederla già annullata, et a me abbia a toccare a rifar le spese decorse a S. A. za , che di ciò mi accenna il S. r Cavallerizzo Maggiore, quale anc’esso à intera relazione dal La linea elio comprende da comodissimo a tanfo è segnata in margino, e le parole comodissimo, senza pensar sono inoltre sottolineato. {1 ' Lohenzo dk’ Medici. ,, ‘ l Niccolò Aggiunti e Oio. Battista Pac¬ chetti. i») Cfr. n.o 1S93. 5 LUGLIO 1G2S. 441 [ 1895 ] b. Crivelli dolli portamenti del ragazzo; sì clic ò da consolarmi non poco. Io ò 20 parlato a lungo col S. r Cavallerizzo Maggiore, quale malissimo volentieri vederla conparir qua Vincenzo senza prima averne auto licenzia dal Padrone, quale in tal caso vorrebbe sapere minutamente la causa di questa resoluzione, e risapen¬ dola saria finita la cosa: però di grazia ritenetelo fino alla mia costò, venuta, che in tanto vedovò col favore del S. r Cavallerizzo di maneggiare questo negozio con meno pregiudizio sia possibile. lo mi trovo d’animo e di corpo affittissimo, e doverei pigliar una cert’aqqua simile a quella del Tettucio ; ma perchè si porta da lontano e costa assai, mi bisogna tralasciarla e tirar così la mia vita inanzi miseramente: e se Iddio per Sua misericordia mi concederà grazia di poter venir, e tornarmene qua con la brigata a 30 salvamento, non sarà poco. Credo che vegghiate benissimo il bisogno estremo che c’è di riparar a un tanto vostro e mio disordine e danno, o però spero che vi conpiacerete di porgiermi quel’aiuto che ci va, sì come instantemente ve ne prego. Circa Alberto, come con altre ò detto, mi pare che bisogna che io l’abbia appresso di me, nò mi piaceria che abbandonassi il liuto ; e se bene il G. Duca lo pigliassi in casa con inpiegarlo in altri servizi, è cosa incerta che potessi gua¬ dagnarsi la grazia del Padrone (,) ; et il ragazzo mi pare abbia più tosto, per la sua tenera età, bisogno d’esser esso servito, che lui servir altri, e il saper qualche virtù è, al mio parere, cosa più sicura; e meglio mi piaceria che S. A. za mi con¬ cedessi qualche poca di provvisione per esso, e, tenendolo io appresso di me, farei ■io ogni maggiore sforzo acciò si tirassi inanzi: e di ciò v’ò scritto con altre. Attendo con desiderio sentire il vostro volere, et in tanto mi anelerò met¬ tendo a l’ordine per mettermi in camino. Di quel’altro animalaccio vederò poi liberarmene il meglio che potrò; e se è cosi empio e pazzo, so tal cose non à inparato da me nè da nessun de’suoi, ma penso che abbia preso vizio dal latte della sua balia, quale fu una gran poltronaccia puttana. Finirò con replicarvi che in estremo desidero veder un fine a tante angustie e tabulazioni ; e se an¬ cora dureranno, spero durar poco io, già afiittissimo dal male. Saluto tutti di cuore et in particolar V.S., alla quale prego da Nostro Signore ogni bene. Di Monaco, li 5 di Luglio 1G28. oo Di V. S. Aff. ,no e Oblig. mo Frat. 10 Michelag. 10 Galilei. Ho sospetto che quel bricconaccio, sentendosi richiamare di Roma, non entri in paura d’esser qua gastigato per i suoi portamenti, e che non vogli venire a modo alcuno. In tal caso bisognerà lasciarlo andar dove vuole e privarlo d’ogni cosa, perchè so che mai si emenderà; et è necessario lasciarlo ridurre in miseria et abbandonato da ognuno, chè forse potria ravvedersi. A me so che à da toe- Ol I. 0 lince che comprendono da Circa Allerto a Padrone sono segnato in margino. XIII. 6G 442 5 — 9 LUGLIO 1028. [1895-1890] caro a rifar quest’A.* 1 delle spose, e però non bisogna farne per esso più; o vi prego a scriver, bisognando, a Roma in questo proposito. Alberto a tutti modi lo vorrei qua, e desidero non concludiate niente col G. Duca fino al mio costi ar¬ rivo, per scoprirvi prima un mio pensiero in questo proposito co 1890 *. BENEDETTO CASTELLI n GALILEO in Firenze. Roma, 0 luglio 1028. Cibi. Nasi. Flr. Mss.dal., 1\ I, T. IX, car. 122. — Autografa. Molto 111." Sig/ o P.ron mio Col."' 0 Piaccia a Dio benedetto consolar WS. nel Sig. r Vincenzo ano figliuolo; e giti clic ha ottenuta la corona dei studii (!) , conseguisca ancora quell’honorato pre¬ mio che si conviene a chi camina avanti per le buono strade. Quanto alle bolle, non le posso mandare bora, perchè fui necessitato man¬ darle a Brescia, perché Mons. r Vicario bon. meni, lo voleva vedere avanti pagasse la pensione, come ora di dovere; poi ò seguita la sua morte, ed io ho ordinato a mio fratello che le recuperi, e le conservi per poterlo mostrare al successore. In tanto V. S. potrò, far fare la procura (,) ad cxtinf/nerulam pensionali in persona di V. S., con facoltà di sostituire altri, lasciando in bianco da inserire il contenuto io nelle bolle 10 , perchè [le] mandare quanto prima. Io ho finito da pagare i maestri] del contrapunto c del leuto, del mio : mi resta solo da pagare intorno a diecinove scudi per la dozzina, quali pagarci se mi trovassi il commodo, e poi aspettarci questa benedetta pensione. Per tanto lei restarà servita rimettermi questi pochi, eh è poi l’altro conto sarà da me mandato a V. S. con la prima occasione, non havendo ancora hauto certo conticino di alcune poche spese fatte dall’ospite del Sig. r Vincenzo. Io poi sto bene, per grazia di Dio, e il simile desidero di lei. Mons. r Piccolomini (>> e Mons. r Ciampoli li b. le mani, e io li fo riverenza. Di Roma, il 9 di Luglio 1028. 20 Di V. S. molto 111." AfF. mo e Oblig.™ 0 Ser. ro e Dis. 1 ® S. r Gai. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto Ill. ra Sig. r e P.ron Col."’ 0 11 Sig. r Galileo Galilei], p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 0> Tutto il poscritto ò segnato in margine con una serie di virgoletto; e lo lineo elio comprendono da Alberto alla fino del poscritto sono inoltro so¬ gnato con una seconda serio (li virgoletto. Cfir. Voi. XIX, Doc. XXVII, c). <*> Cfr. il.» 1881), li». 12-18. '*) Le lineo elio comprendono da (Juanto olle lolle a il contenuto nelle lolle sono segnato in margino. |8 > Asciamo Piccor-oniKt. [1897] 22 LUGLIO 1628. 448 1897*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 22 luglio 1028. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 124. - Autografa. Molto III.™ Sig. r mio Col."’ 0 Ilo riedita la lettera di V. S. molto 111/", nella quale mi (là nova dell*arrivo felice del nostro Sor." 10 Gran Duca, che Dio ce lo conservi sino all’ultima sua vecchiaia; e li giuro clic qui in Roma lia lasciato a questi preti tal saggio del suo sapere, che ognuno tiene per fermo elio Rabbia da essere un ottimo principe. Li rendo infinite grazio dcll’honore cito mi ha fatto in ricordargli la mia devo¬ tissima servitù. Quanto all’ Ill. mo Piccolomini t0 , lei sarà sempre a tempo col scri¬ vere. Della disfida del SeiV no di Parma (!) non ho che dire altro, solo che una volta, già non so quanti anni, Rebbi grazia di fare riverenza a quell’Al., e mi parve io all’hora un giovinetto di ottima indole; c tengo per fermo elio se V.S. li par¬ lasse al lungo, lo guadagnarebbe totalmente. Mando poi i conti ta) delle speso fatte per il Sig. r Vincenzo suo nepote, di¬ stinte. ben vero che V. S. può vedere raccolto tutto il bilancio nel rovescio del foglio dello mie spese, le quali potrà con ogni suo comodo, per la parte mia, so¬ disfare: solo la prego a rimettere quelle del Sig. r Bencdittonio hospite, il quale certo si ò portato bene, perchè si trattava di otto scudi al mese per la dozzina sola, o vi sarebbero voluti bucati, assettamenti di panni, di collari e simili mi¬ ti utie, dello quali non si è speso cosa alcuna; tal che mi pare clic meriti che V. S. mi dia particolar commissione elio lo ringrazii, massime clic sempre ha fatti buoni 20 oflicii col S. r Vincenzo, e mi ha tenuto avvisato d’ogni cosa. Nel resto io son sicuris¬ simo che il dotto Vincenzo farà qualche strana uscita ancora con V. S., liavendola fatta con la madre, perchè simile gradazione ha fatta qui in Roma, havondomi lasciato nell’ ultimo loco. Però sarei di parere elio alla prima V. S. non trattasse Ahcanio Piccot,omini. <*' Sembra alludere a La disfida d'Ignieno, ab¬ battimento n divallo con pistola c storco. Festa l'atta in Fironzo nello Reali nozze «lol Serenissimo Odonrdo Farnese e della Serenissima Margherita di Toscana, Duchi di Parma o di Piaconza, otc. Invenzione d’As- iirea Salvadori. In Fiorenza, nella stamperia di '/anobi Pignoni, 1G28. — Fu ristampata nello stosso anno: La Flora, o vero 11 notai de'fiori, favola del Sig. Andrka Salvadoiu, rappresentata in musica re¬ citativa noi teatro del Seroniss. Gran Duca per le Reali nozze dol Seroniss. Odonrdo Famose o della Serenissima Margherita di Toscana, Ducili di Parma o (li Piacenza, otc. Aggiuntovi La Disfida d'Ismeno, festa a cavallo dol medesimo autore. Tu Fi ronzo, appresso '/anobi Pignoni, 1628. All’insogna dell’anno di Palio. In questa ristampa la Disfida dVsnir.no ha frontespizio (elio riproduce, con lievissimo differenze, quello della prima edizione) o numerazione delle pa- giue a parto. ,31 Questi conti non sono prosentemonte allo¬ gati alla lottora. 22 LUGLIO — 5 AGOSTO lb2fc. 444 [1897-1898] con altro clic con farlo mettere prigione, senza dir altro, nelle Stinche, e dopo pochi giorni concederli per passatempo il liuto, perchè al sicuro la pazzia e ma¬ lizia di costui è per dare nelle scartale bene bene, non havendo cosa che lo ri¬ tenga. Qua ogni giorno ne sento qualche d'una, tal che credo che li sarà di ser¬ vizio la severità. E non occorrendomi altro, li fo riverenza. Di Roma, il 22 di Luglio 1628. Di V. S. molto Ill. ro Aff. m0 e Oblig. rao 8er. r * e Dis. 10 so S.r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r o P.ron Col. m ° 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze, 1808 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 5 agosto 1888. Blbl. Nna. Vir. Mas. Gal., T\ VI, T. XI, mr. 89. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Col. 1 " 0 Non occorre che V. S. si prenda altra briga del conto mio M \ perchè son ri¬ soluto di volere di quelli di Brescia in tutti i modi. Per bora non si può bavere il pagamento, perchè, essendo morto il canonico, il beneficio è stato conferito dal Vescovo a un Conte Capriolo (J) , c qua in Roma la Dataria l’ha dato a un altro: sino che non si chiarisce di chi deve essere, non ai può trattar cosa alcuna. Io diedi la lotterà al Sig. r Bcnodittonio, quale rispondo l’inclusa (B1 ; e m’ha detto a bocca che V. S. potrà dare il dinaro a qual' si voglia di cotesti banchi, c mandarli la poliza di cambio. Nel resto, quanto al Chiaramente intesi dal Sig. r Stelluti che bavera visto io solo il titolo del libro e che prometteva dimostrazione, in virtù della paral¬ lasse, concluderne che le stelle apparse in Cassiopea e nel Serpentario sono stato sublunari, in diffusa dell'opere d’Aristotile, cosa che a me pare ridicolosa o im¬ possibile; o però credo olio V. S. lo possa haver rifiutato facilissinmmente. Mail punto sta che quest’ Intorno da bene, non intendendo nè sò stesso nòV.S., pen¬ serà in ogni modo di bavero mille ragioni o che lei babbia tutti i torti, e si metterà a schiamazzare, senza concluder mai cosa che vaglia; però sarei di pa- “< Cfr. D. ù 1897. <*> Carlo Capriolo. < n ' Questa Don è noi Msi». Calileiani. «*» Cfr. n.o 1793. 5 -»• 23 AGOSTO 1628. 445 [1898-1899] rere che V. S. non ci perdesse tempo, massime con faticar la mente in pregiudicio della sanità. 20 Io non ho altro di novo, solo che il caldo si fa sentire alla gagliarda. Mons. r Ciani- poli li bacia le mani insieme con Mons. r Piccolomini, et io me li ricordo servi¬ tore devotissimo., Di Roma, il 5 d’Agosto 1628. Di V. S. molto 111.™ Devo Lisa. 0 e Oblig. mo Ser. rs e Dis. 1 ® Don Bened.® Castelli. Fuori: Al molto UL ro Sig. r e P.ron Col." 1 ® J1 Sig. r Galileo Galilei, p.® Filosofo di S. A. S. Firenze. 1899. MICHELANGELO GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 23 agosto 1628. Bibl. Naz. Pir. Mbb. Gal., P. I, T. IX, car. 126. — Autografa. Car. ,no et Onor. d ® S. r Frat. 1 ® Ho tralasciato di scriver a V. S., mediante elle speravo già essere in camino a cotesta volta, per suplire a bocca a quanto bisognassi; ma per mancamento di compagnia mi è convenuto restarmene. A Dio piacendo, me ne verrò col S. Gior- gini nostro paesano, quale mi scrive di Norinbergo che al principio di quest’altro mese se ne verrà qua, per passarsene poi a Firenze; sì che l’aspetterò por tener a S. S. compagnia, a me (nello stato che mi trovo) carissima e necessaria. Dal 8. r Antonio et anco dalla Chiara mi viene .accennato che questa mia re¬ soluzione non vi gradiscila. Ciò, mi pare, non deve proceder da altro, solo per- 10 cliè non date fede a quanto a voi et ad altri ò più volte scritto, ciò è nel misero stato che mi trovo sì d’animo come di corpo; sì che se più oltra [...] convenissi trasferire il porgere aiuto a chi devo et a me, mi pa[.. .]veramonte che non ar¬ riverei all’anno nuovo, che sarei nella f[... V]errò dunque con l’aiuto del Si¬ gnore; e quando a Quello piaccia, corno [...] che io arrivi costà e che più at¬ tentamente porgiate l’orecchie [... ajveto fatto fin hora alle urgentissime cause che mi sforzano [...] questo, spero vi quieterete o resterete sadisfatto, con ap¬ provare [..] laudare la mia resoluzione. Io intendo e desidero ad ogni maniera di voler con voi trattare le cose nostre con ogni maggior amore e quiete che sia possibile, sì perchè così conviene, come anco perchè non 6 bisogno di maggior 440 23 — 26 AGOSTO 1028. [1899-1600] disturbo di quello nel quale già mi trovo. Il perdimento di più tempo mi progiu- so dichorebbe troppo, chò «aria (olirà molti altri grandissimi mali) la perdita della vita, cosa clic non sarebbe appreposito per i miei figliuoli, e per me peggio sa- rebbe pericolassi l’anima. E tanto basti per bora, pregandovi a scusarmi, sperando nel Signoro ebo col Suo divino aiuto s’abbi a por fino a’nostri disgusti e ramma¬ richi, con restar tutti con buona sadisfazione et interamente consolati : o tanto piaccia a Nostro Signore che segua. La Massimiliana e Mechildo si raccoman¬ dano a V. S. e a lo monache di tutto cuore, et altrctanto fo io con tutti di casa: et il Signore vi conceda ogni bene. Di Monaco, li 23 d’Agosto 1628. Di V. S. Aff. mo e Oblig. mo Erat. ,rt n Ser.™ co Mioholag. 10 Galiloi. Fuori: All’ molto 111.» et Eco. 1 ™* Sig.*' Galileo Galilei, Matematico del Sor. mo G. Duca di Toscana. inerenza. 1900 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Botila, 20 agosto 1628. Blbl. Kat. in Modona. Raccolta Camporl. Autografi, B.* LXX, n.° 12. — Autografa. Molto 111.™ Sig.™ e P.ron Col."* 0 Il Sig. Benedettonio, non liavcndo riconti i danari, ò stato a ritrovarmi, e fattomi instanza che io no scriva a V. S., conio fo, pregandola a rimettere quanto prima quel poco di conto (l) ; e credami che non scriverei, ma pagarci di mia borsa, se mi trovassi commodo. Qua non Ito cosa di nuovo, solo elio si va navicando in questo Maro Pacifico, dove non spira vento contrario, nè meno in favore; e la bontà, de’ Padroni ò tale, che non si può pretendere di andare avanti so non con remi di meriti o di virtù: e però io ho occasione di contentarmi di poco c sperar meno. Quanto alla sanità, ho hauto una stretta, al solito, di orina, ma la passo bene, io Ora ho beuto tre fiaschi di Aqua Acetosa, elio mi ò stato detto esser buona per me: Dio lo faccia. M. r Lorenzo, che già stava con V. S., sta bene: ha moglie, figliuoli, e vive comodo, e di più si aiuta assai in copiare scritture c memoriali, Cfr. u.° 1897, liu. 16; u.» 1898, Un. 7-9. [1900-1001] 2G AGOSTO — 1° SETTEMBRE 1G28. 447 c mi ha pregato cìie io baci le mani a V. S. in nome riio al Sig. Vincenzo suo figliuolo. E non occorrendomi altro, me li ricordo servitore come sempre. Di Roma, il 2G d’Ag. 0 1G28. Di V. S. molto 111.*® Oblig. mo Ser.'° e Dis. 10 S. 1 ' Gai. 0 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto III. 1,0 Sig. r e P.ron Col. mo £0 Big. 1 ' Galileo Galilei, p.° filosolo di S. A. S. Firenze. 1901 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 1° settembre 1G28. Eibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.« LXX, n.° 13. — Autografa. Molto lll. re Sig. r e P.ron Col."' 0 Ieri sera liebbi la lettera di V. S. molto 111. 6 , nella quale mi comandava che 10 procurassi la licenza per la consacrazione di quelle due monache della Nun- ciatina, acciò potessero bavere la dispensa per tre mesi avanti il tempo. In ri¬ sposta, per oggi, non li posso dir altro, solo che il Sig. r Bernardino Capponi, familiarissimo, come lei sa, di N.° Signore, non T ha potuta ottenere, per quanto mi è stato detto, in simile caso: però dubito che il negozio sarà, difficile. Scrivo oggi per l’ordinario di Genova; dimani, se potrò bavere più essatta informazione, gli ne darò parte per il procaccio. io Non occorre clic V. S. si pigli briga nò incommodo di quelli dinari spesi per 11 Sig. r Vincenzo, perchè non li voglio so prima non ho riscossi quei di Brescia. Nel resto mi ò stato gratissimo sent ire che sia fatta la rimessa per il Sig. Silvii e per il Sig. Benedettonio. Ma sopra tutto la ringrazio dell’avviso del palio corso da quei R. R. ; e bacio le mani al Sig.™ Aggionti, e a V. S. mi ricordo servitore al solito. Di Roma, il p.° di 7inbre 1G28. Oblig. mo Ser. re e Dis. 10 Don Beiied. 0 Castelli. Fuori: Al molto Ill. re Sig. r e P.ron Col.' 110 20 II S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. Lctt. 1801. 6. pofufu oUent — 448 9 SETTEMBRE 1G28. limi 1902. FEDERICO CESI a [GALILEO in Firenze]. Ruma, ‘J settembre 1(328. Btbl. Naz. Fir. M»8. Gal., P. 1, T. IX, car. 127-128. — Autografa. Molt’IU. ro e molto Ecc. u Sig. r mio sempre Oss." 10 Non potrei facilmente esprimere l’allegrezza che ni’ ha arrecato la gratissima di V. S. deìli 28 del passato, giuntami hoggi, liavendo in essa buone nove della sua sanità o rivedendo il solito affetto col qual mi favorisce nel’inviarmi sì ca¬ ramente l’annuo saluto, con sì felici annunzii per il nostro filosofico consesso e me particolarmente. Di che mentre le rendo quelle maggiori gratie che devo e posso e le riprego a lei da Dio benedetto ogni maggior contentezza e felice compimento di quelli studii et opre che tanto possono esser di beneficio e giovamento non solo a noi, ma anco al publico de’ letterati, e viventi e posteri, non devo lasciare di aggiugnere quello che conosco a proposito per conseguir felicemente questo io intento e desiderio. E per la sua sanità principalmente devo pregarla di due cose: prima, di lasciar da parte ogni operatione e pensiero che in qualsivoglia modo le apporti briga o noia, e seguir, con diletto però e senza fatiga, le sue compositioni, in modo che possa, senza travaglio di soverchio lavoro, ridurle a compimento: seconda, d’eleggersi aria per quest’inverno ove non senta alcuna offesa d’humidità o di rigore; e crederei che migliore non potesse essere che sul mare istesso, in luogo pià tosto basso che ventoso ; e di gratin, prema in que¬ sto, perchè l’aria è tutta l’importanza. Circa li studii poi, io credo che ciascuno conosca molto bene che V. S. è fuor di giostra, e che non è obbligato a discender in arena o entrar in steccato, come 20 si dice, con alcuno. Non biasmo le repliche che lei mi dice li aver fatte, ma vorrei non li levassero punto il tempo per l’altre scritture maggiori, il compimento delle quali è d’altro momento et aspettativa nella cognition delle cose e problemi ma- ravigliosi, e massime della natura di tutti i moti. A questi io devo in nome di tutti sollecitarlo, e quanto alle risposte sopradette sinceramente dirle, che sì come già son latte et è bene vengano da maestro, così mi parebbe benissimo l'ussero portate da discepolo che faticasse a’cenni di V. 8., e lei non havesse a metterci più nè tempo nè fatiga. L’istesso parere è di Mons. r Ciampoli e altri palatini e letterati che amano e stimano le cose di V. S. come conviene, oltre tutti gl’altri letterati disappassionati. Ancorché sia in tutti certezza che qualsivoglia cosa che 80 Lott. 1902. 7. felici — [1902-1903] 9 — 16 SETTEMBRE 1628. 449 venga da V. S. non poi esser se non dignissima per sè stessa, tutta via par che l’aversario habbia pur troppa sodisfattione, mentre la fa uscir in eanipo. Mi resta un’altra parte, et è l’allegar le cagioni del mio silenzio. V. S. s’ima- gini pure, oltre V intronamento della sanità per male di reni da tre anni in qua, del quale sto meglio, Dio gratia, un cumulo di brigosissimi e molestissimi negotii, che mi tengono continuamente avviluppato et inquieto. Con tutto ciò non lasciamo di premer di continuo con i Sig. ri compagni nelle stampe, che si tirano avanti, e presto verranno fuori le longlie fatighe nella natura Messicana (,) et altre. K sem¬ pre ricordevole degl’obblighi che tengo a V. S., e desiderosissimo sempre mi corn¬ eo mandi, resto con brama et ansietà delle sue opre mirabili sopradette, e d’inten¬ derne nova del compimento, et imprimis della conservatione della sua persona con sanità, per la quale ricordo quanto ho scritto di sopra, dettatomi da vero e sincerissimo alletto. E bacio a V. S. per mille volte le mani, pregandoli da N. 8. Dio ogni maggior contentezza. Di Roma, li 9 7mbre 1028. Di V. 8. molt’HI. 1 ' 0 e molto Ecc. le Ali. 1,10 et Obblig." 10 per ser. la sempre Fed. co Cesi Line. 0 Princ. 1903 * BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, ltì settembre 1828. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XX, u.° 1 1. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col." 10 Sono horamai tre bore sonate, che ho aspettato un spedicioniere mio amico per il negozio delle Madri della Nunziatina (S) , quale mi deve portare risposta di quanto si potrà fare in questo servizio; e perchè non è ancora venuto, mi son messo a scrivere a V. 8. molto III. 0 per accusare almeno che io ho riceuto il suo comandamento: e si assicuri che se è possibile impetrare questa grazia, non man- carò; e darò avviso del tutto per il Sig. Giuliano Landucci nostro, quale partirà di qua lunedì prossimo. Le bolle (3) sono ricuperate e sono in mano di mio fratello, e me le mandarà io ogni volta che io gli ne scrivo, come farò per il primo ordinario, perchè questa <») Cfr. u.° 634. l3 > Cfr. n.° 18%. m Cfr. n.° 1901. XIII. 57 450 1G SETTEMBRE 1028. [1903-1904] sera non posso più, chè l’hora è tarda: e però li bacio le mani, e me li ricordo devotissimo. lloggi ho hauto ordine da'Ladroni di far stampare la mia scrittura dell’acque m , e fa la spesa la Camera. Stampata che sarà, gli ne mandarò copia, e vedrò una moltitudine di stravaganti particolari, tutti dependenti da medesimo principio. Son però stato necessitato ridurla a chiarezza tale, che possa essere intesa an¬ cora da quelli che non hanno inai inteso niente di bello: non so se mi sarà riuscito. Roma, il 16 di 7mbre 1628. Di V. S. molto ili.™ Oblig. mo e Devotiss.® Ser.™ o Dis. 1 ® 20 Don Rened. 0 Castelli. Fuori: ÀI molto IH.™ Sig. r e l\ron Col.'" 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Sor. 1 "* Firenze. 1904*. ASCANIO PICCOLOMIN1 a GALILEO (in Firenze]. Roma, 10 settembre 1628: Bibl. Naz, Pir. Mss. Gal., P. 1, T. IX, car. 1 ‘29. - Autografa la sottoscrUionr Molto Ill. r ® S. r mio Oss. ,n0 I favori che mi vengono dalla cortesissima mano di V. S. non sòn mai tardi, nò ha però bisogno di scusarse dell’indugio, percliò io, conoscendoli pieni di vero alletto, in ogni tempo li ricevo per molto particolari e sinceri. Dnnquo dell’of¬ ficio di congratulatione che V. 8. Ini volsuto passar meco per la Chiesti di Siena conferitami da Sua Santità, glie ne resto con accrescimento di tanta obligatione, che doverei rendergliene gratie affettuosissime col servirla, e non con le parole. Tuttavia in quest’altra forma riserbo a farlo a suo tempo e quando V. S. mi favorirà, come la prego, de’ suoi comandamenti. E le bacio le mani. Di Roma, li 1G di Settembre 1628. io Di V. S. molto 111.™ Aff.° e vero Ser. [...] Galileo Galilei. A., Arci, eletto di Siena. 111 Della mitura dell'acqua correnti. In Roma, * f). Uknkdrtto Cartki.li, Monaco Cassinense» è in nella Stamparia Camerale, 1628. 11 nomo dell’autoro tosta alla pa^. 1. [1905-1900] 3 — 10 NOVEMBRE 1628. 451 1905*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 novembre 1028. Eibl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 181. — Autografa. Molto 111. 1 ' 6 Sig. r o P.ron Col. mo Mando a V. S. molto IH.™ la copia delle bollo della pensione (,) , acciò possa mandare la procura a Brescia per riscotere quella decorsa dalli eredi del defonto Canonico. La procura deve essere fatta in persona del Sig. r Carlo Castelli, figliuolo del quondam Sig. r Aniballe Castelli (,) . Mi scrive il detto mio fratello, che pensa di riscuotere detta pensione senza fallo, c tentava ancora, di riscuotere quella rata decorsa dal novo Canonico, il quale si chiama il Sig. 1 ' Conte Carlo Capriolo. Però V. S. potrà senza altro scrivere a Brescia al detto mio fratello. Nostro Signore ò tornato da Castel Gandolfo, ma dimani parte di nuovo per io Monte Rotondo, dove si trattenerà tre giorni al più; poi spero daremo spedi¬ zione al negozio dello Madri (3> . In tanto veda se io la posso servire in cosa al¬ cuna, e mi comandi. Per l’ordinario che. viene mandarò la mia scrittura stampata Della misura dell’acque correnti w ; c li bacio le mani. Di Roma, il 3 di Ombre 1628. Di V. S. molto 111.™ Oblig.'"" Ser. r " e Dis> Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.' 0 Sig. r c P.ron Ool. mn Il fc>ig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser.">* Firenze. 1906**. FABIO COLONNA a FEDERICO CESI [in Roma]. Napoli, 10 novembre 1628. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Mss. n.» 12 (già cod. Boncompagni 380), car. OR. — Autografa. _Al Signor Galilei, come scrissi un’altra volta a V. S., è bene avi savio elio nello cose scritturali non se allarghi, et particolarmente nel miracolo della fornace nolla quale «t Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIII, «, 1). <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIII, «. 3). Cfr. iiu.' 1901, 1903. Cfr. u.» 1903. 452 10 — 11 NOVEMBRE 1028. [1906-1907] si vedovano li tre figlioli caulinare et lodar Dio; chè questi tali cercano trovar luogo do prò* hibir le sue oporo, per farai loro avanti inventori di tutte le invenzioni Bue, già che non poterono sopra il moto dello terra, et luna non lucente di propria natura. ... Son rallegrato assai della saluto del Signor Galilei, et le prego dal Signore lunga vita con salute, che spero N. S. la concederà per beneficio de 1 studiosi. Se usciranno le stampe del P. Castello Barati ben vedute da noi, curiosi di cose nove. ... 1907. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetrl, 11 novembre 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 79. — Autografa. Amatiss ." 10 Sig. r Padre, Essendo io stata tanto senza scriverle, V. S. potrebbe facilmente giudicare ch’io havessi dimenticato, sì come potrei io sospettare ch’ella havessi smarrita la strada per venir a visitarci, poi che è tanto tempo che non Ita per essa ca¬ lumato; ma si come son certa che non tralascio di scriverle per la causa sudetta, ma sì bene per penuria o carestia di tempo, del quale non ho mai un’bora clic sia veramente mia, così mi giova di credor ch’ella non per dimenticanza, masi bene per altri impedimenti, lasci di venir da noi; o tanto più adesso die Vin¬ cenzo nostro viene in suo scambio, e con questo c’acquetiamo, havendo eia esso nuove sicure di V. S., lo quali tutte mi sono di gusto, eccetto quella per la quale io intendo ch’ella va la mattina nell’orto: questa veramente mi dispiace fuor di modo, parendomi che V. S. si procacci qualche male stravagante e fastidioso, sì come l’altra invernata gl’intervenne. Di gratia, privisi di questo gusto che torna in tanto suo danno; et se non vuol farlo por amor suo, Taccilo almeno per amor di noi suoi figliuoli, che desideriamo di vederla giugner alla decrepità; il che non succederà, s'ella cosi si disordina. Dico questo per pratica, perchè ogni poco ch’io stia ferma all’aria scoperta mi nuoce alla testa grandemente: hor quanto più farà danno a lei ? Quando "V incentio fu ultimamente da noi, Suor Chiara'” gli domandò Solo me¬ larance; adesso ella torna a dimandarle a V.S., se sono mediocremente mature, 20 havendo a servirsene lunedì mattina. Gli rimando il suo piatto, drontovi una pera cotta, che credo non le spia¬ cerà, e questa poca pasta reale. ■*> Cfr. n.o 1903. <*> Cfr. n « 1571, lin. S. 11 — 17 NOVEMBRE 1628 453 [1907-1908] Se hanno collari da imbiancare, potranno mandarli insieme con un’altra pa¬ niera e coperta che hanno di nostro. Saluto V. S. e Vincentio molto affettuosa¬ mente, et il simile fanno Suor Archangela e le altre di camera. Il Signore gli conceda la Sua santa gratia. Di S. Matteo, il giorno di S. Martino del 1628. Di V.S. Fig> Aff.™ 30 Suor M. a Celeste. Fuori : Al molto 111.™ et Amatiss. rao Sig. p Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, S. Oss. mo , a Bello Sguardo. 1908 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 17 novembre 1628. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. T, T. IX, cnr. 183-134. — Autografa. Molt’Ill. rB Sig. r e P.ron Col."' 0 Se V. S. perde la pacienza, glie la perdono, perchè io che sono necessitato per voto a portarla, mi viene alle volte voglia di attaccarla a un albero, e non pensarci più. Dopo haver usato tutte le diligenze per servire quelle Madri 10 , il negozio mi è svanito, ed ho Lauta una negativa con un affronto stravagante. Mi dispiace sin all’anima, clic non si possa bavere questa grazia, lo non ho presen¬ tata la lettera al Sig. r Silvii, perchè non ho hauto bisogno del dinaro, già. che non si poteva ottenere quel che si desiderava. V. S. mi perdoni, e pensi che il Sig. r Bernardino Capponi non potè mai ottenere una grazia della medesima nu¬ lo tura di questa che noi chiedevamo. Quanto al leuto del Sig. r Vincenzo, non ho voluto fare l’ambasciata al Sig. r Cri¬ velli, perchè so che rilaverei disgustato. Vederò di fare essito del leuto al meglio che potrò, e soddisfarò io al debito, perchè io non ho mai trattato col Sig. r Cri¬ velli a nome del Sig. r Michelangelo ; il quale farà saviamente se provederà che suo figliuolo stia poco in Italia, perchè ogni giorno mi vengono dette diverse stra¬ vaganze, e tali che se non muta stile, darà che pensare a suo padre, a sua madre o a tutti quelli che trattaranno per lui e con lui. Io compatisco V. S. più di quello che lei può imaginarsi, perchè conosco benissimo quanto lei Laverà patito. Quanto al tremendo Paganino 10 , io fui pregato scrivere a V. S. in raccomman- 20 dazione sua; ma non lo volsi fare, perchè era sicuro che questo ingegno have- O) Cfr. un.' 1901, 1903, 1905. < J > Gaudenzio Paganini. 454 17 — 20 NOVEMBRE 1028. [1908-1909] robbe ai primi incontri dimostrato che era vana ogni raccommanda/ione, e che da sò medesimo si lmvercbbo fatta la sua fortuna col proprio valore ed ardire. Qui in Itoma si ritrovano persone elio intendono assai e lo stimano molto, a’ quali mi sottoscriverei più volentieri che a quelli elio lo trattano per ingegno rotto; e questo dico, perchè voglio più presto ingannarmi con quelli, che rompermi il capo con questi. L’huomo sa assaissimo, ogni volta che il sapere consista, come io credo c so elio V. S. crede, in bavere prattica di molti libri, massime delti an¬ tichi e di quelli che non sono troppo maneggiati c intesi. Desidero però ha- vere nova de’suoi progressi, perchè di giù. qui in Roma si è sparso fama che il Sor."' 0 Gran Duca si compiacque assai di questo sugotto, cosa che io crederò fa- 30 cilmente, sapendo in quanti modi si può dar gusto a un ingegno sublimo come è quello di S. A., alla quale V. S. mi farà grazia di inchinare il mio nome, come di suo humilissimo servitore. Por l’ordinario che viene, non ha vendo potuto prima per diversi rispetti, mandarò il mio trattato Della misura dell’acquo correnti 1 ”, e ne mandarò alcune copie a V. S. da distribuire a cotesti Signori miei Padroni. In tanto bacio a V. S. le mani, e la prego di novo a scusarmi se non l’ho servita, perchè è stato assolu¬ tamente impossibile. Di Roma, il 17 di Ombre 1628. Di V. S. molto 111.™ Àff. ,no Sor.™ e Die. 8 Oblig. m0 40 Don Bened.® Castelli. Fuori: Al molto RI/ 8 Sig. r o P.ron Col. 1 "® Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1909*. C.IO. CAMILLO GLORIOSI a GALILEO in Firenze. Napoli, 20 novembre 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XI, car. 91. — Autografa. Molto IU.™ S/ A tempo che partii di Padova, mandai fuora un trattato delle comete, anzi ordinai et ampliai alcune lettioni fatte in quello Studio quando apparso il co¬ meta del 1618 (1) . No indirizzai uno 13) a V. S. por inezo di Modesto Giunti. Non so so quello capitasse nello sue mani, atteso da lei non ne hehhi risposta; o forse ella mi scrisse, e la sua lettra non fu ben recapitata. Saprà clic in alcuni luoghi m Cfr. n.® 1903. <#) Cfr. n.» 1024, liu. 9. Cfr. n.« 1438, liu. 35-42. 20 — 24 NOVEMBRE 1628. 455 [1909-1910] toccai Fortunio Liceti, senza però nominarlo, tassandolo ohe non haveva inteso bene alcuni testi d’Aristotele (l) . Egli ha stampato una scrittura (S) contro di me tanto indecente e brutta, c’ha stomacato tutti i letterati che l’hanno letta. Non io so se V. S. l’ha vista. A questa scrittura feci risposta duo anni sono, e se stampò in Venetia' 0 , ordinando a'librari che la mandassero per le città principali d’Ita¬ lia; e perchè dubito che in Fiorenza non ci no siano comparse, mi sono compia¬ ciuto mandargline una adesso, benché tardi, accompagnandola con un’altra ope¬ retta stampata qui in Napoli di quesiti matematici 0) , appartenente pure in un certo modo alla sopradetta controversia. lo, S. r Galilei, mi ritrovo qui in Napoli, e mi godo la libertà, cioè non at¬ tendo nè a letturo publiche nè a private. Si bene un poco mal sano, sto con de¬ siderio grande di recevere qualche commandamento da V. S. e da altri huomini illustri suoi pari. La saluto con ogni affetto. ao Di Napoli, 20 Ombre 1628. Di V. S. molto 111.™ Afl>° Ser. ,a Dio. Camillo Gloriosi. Fuori: Al molto 111.™ S. 1 ' mio Oss.'"° Il S. v Galileo Galilei. Fiorenza. 1910. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Parma, 24 novembre 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 135. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 Sig. r e P.ron Col." 10 L’affetto singolare con il quale ho conosciuto ch’ella mi ha sempre amato, tà che bora, che l’auttorità sua può unicamente giovarmi in un negotio, venghi a pregarla del presente favore. Essendo adunque venuto qua il S. r Card. 10 Aldobrandino' 0 , et essendovi per venire anchora il S. r Card. le Ludovisio (0) , che tanto può in Bologna, et havendo <*> Cfr. II. 0 1624, lin. 5-9. (’) Controveriiae de coinetarum quiete, loco tòrcali itine occasu, parallaxi Aristotelea, sede coeletti et e.vucta littoria Peripatetica, in quitti» prima Nemesis medi ad Ariitolelem interpretationes ah oppositionibiis eniusdum viathematici liberal, alienattque ab eodem intrusas ra- dicilut cuciiit, eco. Autor Fortunius Licktus Gfi- uueusia, pliilosoplius medici», ecc.Venetiis, MDOXX V, apud Georgiuin Valentinnm. l'J) Responso Io. Caìui.u Gloriosi ad controver¬ sia* da cometis Pcriputelicas, seti poliva ad calamuia« et mendacia cuiusdam Peripatetici. Ventitiis, apuil Ya- riscos, 1G*26. I*> Joaknis Camilli Gloriosi Exercitationum malliematicarum deca» prima, in qua coutinentvr varia et theoremata et probi aitata, tum et ad salvcnduin pro¬ posito, tum ab co inter legendum anima dversa. Npaioli, ex tipogrnphia Laznri Scorigli, M.DC. XXVII. ' s ' Ippolito Aldobrandini. <®> Lodovico I.vdovisi 450 24 - 25 NOVEMBRE 1028. [1910-1911] dall’altra parte considerato di quanto giovamento e coni modo a* miei studii et a stampar le mie opere sarebbe s’io potessi ottenere la lettura delle matematiche in tale Università; sapendo insieme quanto «dia fosse inclinata u favorirmi per quella di Pisa, se ben più conveniva elio fosse impiegata nel S. r Nicolò Aggiunti, io come fu; et in somma perchè so ch’haverà caro che io, come suo scolaro, babbi quell’occasione elio può singolarmente svegliarmi a far cose degne di siinil mae¬ stro; perciò vengo a pregarla (se li pare di poter con sicurtà dir qualche bugia appresso il sudetto Sig. p Card.*- Aldobrandino) che voglia con la sua auttorità far con sue lettere appresso il detto S. r Cardinale quella lode di me che li parerà, acciò possi ottenere tal lettura, et tinello appresso qualcheduno di quei SS/ 1 bo¬ lognesi suoi amici, corno appresso il S. r Cesare Marnilii o nitri. \ orrei dire, che venendo a Parma la S. n ‘ Duchessa nuova sposa 10 , sarebbe unica per raccoman¬ darmi al detto S. r Cardinale; ma perchè so che saprà meglio di me so sia espe¬ diente il farlo o no, lascierò che, so giudica bene, vogli con una parola racco- ?.o mandarli tal negobio: che del tutto gli resterò obligatissimo, e farò con le mie fatiche in maniera che non impieghi malamente le sue racconiandationi, e viva sempre, per mia bocca anchora, la fama delle sue virtù et il lume della sua rara dottrina. Alla quale fra tanto faccio divotamente riverenza, raccomandandomeli di tutto cuore. Di Parma, alli 24 9mbre 1028. Di V. S. molto Ill. r ® et Ece.“ a Oh.® 0 Ser. T * F. Ponaventura Cavalieri. Fuori: Al molto 111." et Ecc.®° Sig. r e P.ron CoL® w Il S. p Galileo Galilei. so Fiorenza. 1911*. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Fircute]. Roma, 25 novembre 1628. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* I,XX, n.» 15.— Autografa la firma Molt’ IH. p * et Ecc. mo Sig. r et P.ron Col.® 0 Non scrivo di propria mano, perchè questa notte passata ho havuto un cru¬ dele assalto della mia indispositione dell’orina: spero passarla bene questa notte seguente. Tengo lettere da mio fratello di Brescia, che ha agiustato il negotio Lett. 1010. 12 . cose degno — • l ’ 1 Margherita de' Medici, sposa di Odoardu Farnese. 25 NOVEMBRE 1628. 457 [1911-1912] della pensione con gli heredi del defunto, et sarà pagato senza altro ogni volta che V. S. gli mandi carta di procura. 11 nome suo ò Carlo Castelli del q. Annibai Castelli, Bresciano 10 . Mi scrive eh* è necessario entrar prima in posessione exi- gendi con questi heredi, avanti di presentar le bolle al Canonico vivente: però V. S. non manchi mandare detta procura l,) . io Invio a V. S. una copia sola del mio libro™: con qualche commoditA. ne man¬ darti una donzina di copie, senza aggravarla di spesa. Non occorendomi altro, gli fo riverenza, ricordandomegli obligatissimo servitore. Di Roma, li 25 Novembre 1628. Di V. S. molto Ill. ro et J£cc. ma Obligatiss. 0 Se. re et Dis. Don Bened. 0 C. 1912 *. GALILEO a FERDINANDO li, Granduca di Toscana, [in Firenze]. [Firenze, novembre 1628J. Arcli. di Stato in Firenze. Archivio delle Tratte. Filza 179 (Filza 8» d’informazioni <ìol Clar.*»° ot Fcc.«““ Sig.' Pier Francesco de’Ricci da 27 di Vebbr.» 1027 a 28 d’Utt. I029j, cur. 440. — Autografa. Ser. m0 Gran Duca, Galileo del q. Vincenzio de’Galilei, antica e nobil famiglia di Fi¬ renze, desiderando tornare sul corso del poter godere la civiltà et lionori della Città, intermesso per varii accidenti, supplica, come lm- milissimo servo e vassallo dell’A. V. S., clic ella voglia restar servita di fargli grazia d’esser descritto a gravezze secondo la regola e stile de’cittadini Fiorentini, e tutto per partito delli Clar. ,m SS. 1 Luogote¬ nente e Consiglieri, con il porsi fiorini dna sopra la testa sin die aqquisti tanti beni che paghino la detta somma; e nel medesimo tempo, d’es- ìo ser visto di Collegio : della qual grazia gli resterà con obbligo per¬ petuo, e pregherà N. S. per ogni sua maggior felicità e grandezza. Di mano di Fh&DUUUdO 11: Fer. E di mano di Lossszo UsmSARDT! Mesa. Pier Frati . 00 de’Ricci informi quanto prima Lor.° Usiiti. lU 21 9mbro 1628. (‘l Cfr. n.° 1905. (S> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIII, a, 3). <»» Cfr. nn.l 1908, 1903. 1*1 Cfr. u.° 1913. 458 1° DICEMBRE 1628. L1913] 1913 * PIERFRANCESCO DE 1 RICCI ft FERDINANDO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Firenze, 1° dicembre 1028. Arch. di Stato in Flrenzo. Filza citata al u.«* pracedonto. car. 448. — Autografa. Ser. ni ° Sig. r * Galileo di Vincentio Galilei domanda grazia d’esser descritto a gravezze alla regola do’cittadini Fiorentini, con imporsi f. 2 di decima sopra la testa, da ritenergli sin ch’acqui¬ sti tanti beni che paghino la detta decima, o nel medesimo tempo esser visto di Collegio, e tutto per partito de’ Consiglieri. Secondo gl’ordini, chi vuolo acquistare la civiltà deve lmver hahitata la città di Fi¬ renze per conveniente spazio di tempo, e bavere tanti beni che almeno pughino 1. 2 di decima, e di poi ricorrere nll’A. V. S. per ottener grazia d’esser descritto a detto gra¬ vezze; et ella è solita rimetterò i supplicanti al Consiglio do' 200; se bene per special grazia ella ha conceduto ad alcuni accetti servitori et a persone di qualche inerito, in 10 luogo del detto Consiglio, d’andare a partito ne’ Consiglieri, dove se vincono, sono di poi obligati far descriverò a queste gravezze tutti i loro beni, in qualunque luogo posti, an¬ corché da esse esento; et alcune volte ancora a quelli che non hanno havuto beni è stata solita conceder grazia di porsi dua fiorini di decima sopra la testa, da ritenersi fin tanto che acquistino tanti beni che sopportino la medesima decima, i quali quando hanno con¬ seguita tal grazia, perchè non hanno f. 10 di decima, devou indugiare dico’anni a poter supplicavo d’esser veduti di Collegio; et qualche volta avanti detti dice’anni è stata con¬ cessa l’informazione con la clausola r.or, ostante, e di poi, per special grazia di V. A. S., hanno ottenuto d’ esser veduti di Collegio, Bicorne domanda il supplicante. Il quale ha hahitata la città di Firenze da sua natività, sicome anco li sua antenati; 20 asserisco esser della nobil famiglia e casata da'Galilei, la quale ne’tempi antichi ha havuto 18 Priori o un Gonfaloniere; ot egli è di qualità note. Et li lo humilissima re¬ verenza. Di casa, il p.° I)ic. r * 1G28. Di Y. A. S. Ilnmilis.® 0 e Dovotis. 100 Sorv. r ® Pierfrancesco de'Ricci. Di binilo di Fkkmsanuq II: Fer. 14 di ninno di Avvili:A Ciotti Descrivasi a gravezze per partito de’Clar.™ 1 Luogotenente et Consiglieri, con imporli fiorini due sopra la testa And. Ci oli. 3 Xmbre 1628. 80 “> Cfr. Yol. XIX, I)oc. XXXV. [ 1914 ] 2 DICEMBRE 1628. 459 1914 * FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 2 dicembre 1628. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gnl., P. VI, T. XI, car. 93. — Autografa. Molto III.™ et Ecc . ,n0 Sig. 1 ' P.ron Oss. ,no L’acclusa ò del Sig. r Camillo Gloriosi 05 , quale me l’ha inviala di Napoli il Sig. r Fabio Colonna, acciò, la mandi a V. S. insieme con un involto di cartone con due libri dentro di detto Sig. r Gloriosi ; quale l’ho già consegnato a questo procaccio che se ne viene costì, e però lo farà recuperare. •, Stiamo tutti con molto desiderio aspettando di sentir buone nove di V. S. e come se la passi di sanità; o il Sig. r Principe m’ha ricordato che in ogni modo lo persuada a passar l’inverno in qualche luogo di aere più dolce di cotesta di Fiorenza, che sarebbe molto a proposito per lei, e elio le baci affettuosamente io le mani, come faccio. Di qui devo dirle, che benché 1 *occupationi siano grandissime, contuttociò non si perde tempo. Si stampano hora le tavolo del S. r Principe in materia delle piante, che vanno aggiunte al libro Messicano 05 , c senza perdimento di tempo si segui- taranno a stampare, a finché si possa quanto prima dar fuori la prima parte di questo libro, che tuttavia vien molto desiderato. Iloggi, essendo stata la festa di San Francesco Saverio, si è fatta nella Chiesa del Giesù solennissima; e mentre v’ero a vespro insieme col S. r Principe, v’era anco presente il Sig. r Pietro della Valle, quel gentil huomo Romano eh’è stato in Persia et in India; c raccontando varie cose dei suo viaggio e navigatami, disse che un 20 Padre Giesuita Portughcse haveva hora trovato un instrumento, come un hori- volo con polvere, da poter con esso osservare le longitudini delle città et altre parti del mondo, c che perciò era stato chiamato in Spagna. Ma a quest’ instru¬ mento non ci credo, non sapendo che possa esser tale come forse si persuade, e che giustamente possa dare le dette longhezze. M*è parso nondimeno avvisarlo a V. S., acciò non tardi più a dar fuori il suo modo da osservare dette longitu¬ dini, perchè, come più facile e vero degli altri trovati sin qui, sarà da tutti ab¬ bracciato o di grandissimo utile alla navigatone et alle carte di geografia, che Dio sa se nessuna è vera in quel modo che si vedono stampate : c poi potrebbe qualcli’un altro bavere il medesimo pensiero di V. S.; onde non estimo bene so tener più occulta questa sua inventarne : e mi perdoni se forse entro troppo <») Clr. n.° 1909. <*i Cfr. n.o 584. o 10 DICEMBRE 1628. 460 [ 1914-19151 aranti. Intanto attenda a conservarsi. Mi comandi; e lo bacio con smgolar affetto le mani. Di Roma, li 2 di Recembre 1628. Di V. S. molto Ill. r ® et molto Ecc. 1 * Ser” Aff. mo Frane. 0 Steliuti. 1915 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcntri, 10 dicembre 1628. Bibl. Nas. Fir. Mas Gal., P. I, T. XIII, car. 77. — Autografa. Amatiss. mo Sig. r Padre, Dovrei continuamente ringratiar Iddio benedetto, il quale, compiacendosi di visitarmi con qualche travaglio, insieme insieme mi dà molte consolationi ; una dello quali, anzi la maggior in questo mondo, è il mantener in vita V. S., e man¬ tenerla, dico, con pronta volontà di sovvenirmi in ogni mio bisogno: chè vera¬ mente s’io non conoscessi in lei questa prontezza, malvolentieri mi arrisicherei ad infastidirla così spesso. Ma per finirla boriimi, gli dico che Suor Archangela da otto giorni in qua si ritrova ammalata; o se bene nel principio ne feci poca stima, parendomi che fossi il suo malo d’infreddatura, finalmente vedo adesso ch’ella ha necessità di purgarsi, poi elio, oltre al cader nella solita maninconia, io è anco soprapresa da un catarro in tutta la vita, ma in particolare nelle gambe, che gli causa certi enfiati piccoli e rossi, si che non può muoversi senza estrema fatica. Conosco che il suo bisogno è di cavarsi sangue (già che non ha mai il be- nefitio necessario), o per questa causa aspetto questa mattina il medico; ma perchè non Iio assegnamento nessuno di danari per questo bisogno, la prego, per amor di Dio, che mi cavi di questo pensiero con mandarmene qualcuno, essendo io in molta necessità per molte cause, le quali sarei troppo tediosa se volessi raccon¬ tarle. Se il tempo lo concedessi, havrei caro che ci venissi Vincentio, con il quale potrei dir liberamente i miei affanni, che non sono però superflui, venendo da Dio. Gli mando una pera cotta, di quelle cosi belle che mi mandò ultimamente. 20 Ho imparato questa nuova foggia di cuocerle, che forse più le piacerà; ethavrò cavo che mi rimandi la coperta, che non è mia. La saluto per fine affettuosa¬ mente, o prego il Signore che la conservi. Di S. Matteo, li 10 di Xmbre 1628. Sua Fig. la Aff. raa Suor M. a Celeste. Fuori: Ai molto Ill. ra et Amatiss.™ 0 Sig. p Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, S. Oss. 1 " 0 , a Bello Sguardo. [ 1916 ] 16 DICEMBRE 1628. 461 1916. LORENZO CECIARELLI a | GALILEO in Firenze]. Roma, 16 dicembre 1628. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 137-138. — Autografa. Molt’Ill. 1 ' 0 et Ecc. ,no S. r mio P.ron Col.™ 0 Sicome quo semel est imbuiti recens, servala odo rem testa diu , così io non posso scordarmi della prima impressione scolpita in me del suo partiate affetto fin da quando mi trovavo nel suo attuai servitio, ratificatomi poi da V. S. ultimamente che fu a Roma con tanti benefitii e favori. Vengo poro con questa a dichiararli la continua rimembranza mia di un tanto Padrone, mediante l’annuntio delle buone feste del Santo Natale con felice Capo d’anno alla romana, assieme con altri infiniti appresso; con pregarla a volere, ad imitatione di quel Signore che in questi giorni ci apporta la vera pace, il quale non dedegnò esser visitato et adorato da rozzi pastori, gradir parimente questo mio devoto ossequio mediante il favore de’suoi coni mandamenti : quali stando intanto attendendo, a V. S. per fino bacio di vivo cuore le mani, e dal Signore Dio li prego continua tranquil¬ lità d’animo e salute di corpo. Di Roma, li 16 Xmbre 1628. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Io mi ritrovo da più di due anni in qua tenere aperta la copistaria alli Borghesi, nel servitio an¬ cora di quel Cardinale 10 , con ottimo progresso, Dio laudato; una cum coniuge et jUiàbus ambabus. Saluto cordialmente il mio S.‘‘ Vincenzo; al quale fo un presente di questa poca poesia curiosa, scritta qui versa pagina™, non potendomi mai astenere da quest’ humor peccante di poetare o poco o assai. Devot.™ 0 et Oblig™ 0 Ser. r ® Lorenzo Ceccarelli. Saluto caramente: Il S. r Benedetto Landucci, mio singoiar Patrone; Il Sig. r Vincenzo Landucci, con la S. ra Anna l3) sua consorte; Ut Soipionk Borghesi!. Ut La lettera o il primo poscritto occupano il recto del primo foglio (car. 137), il secondu poscritto e i versi italiani sono scritti sul tergo dello stesso foglio, o i versi latini sul recto del socondo foglio (car. 138). **' Anna di Cosimo Dioouiuti. 4G2 16 — 18 DICEMBRE 1628. [1910-1917] Il S. r Cosimo Dieciaiuti n Signora Cassandra sua consorte, con tutti li altri; Il Sig. r Lodovico Tedaldi et la S. rI Bartbolomea 10 sua madre, 80 etc. Prima li uccelli porteranno i zoccoli, E su per l’aria voleranno i bufoli, Le rose o i tfigli produrranno broccoli, E lo ranocchio soneranno i zufoli, Il dì do’ morti nar& senza moccoli, La novo n&^ra, o bianchi i tnratufoli, Vedranno i cicchi, o sentiranno i Bordi, Prima ch’il mio pensier di voi si scordi. PUBRPBSAB PkCCATORUM P A TROVAR. 4C Pulchra Palaestinac Prolcs, Preciosa Piorum Progcnies, Pcnnis Poli iellata Patrum; Principibus Prognata Piis, Patrisque Pcrcnnis Progeniti Pucri Pura Pudica Parr.ns ; Percipc Proclivi Pracconia Prodita PI cetra, Porrcctas Prono Pectore Praendc Preces; Per Plagas, Per Punduras Placata Patrona, Plangcntcs Propero Protcge Presto Pede. Porta Poli Patcfacta Patcns, Peccata Prccanlis Propitians Populi Par ce, P netta, Pii. B 0 Paris Prima Purens, Paradisi Proemia Pande, Pravaque Plutonis Pradia Pelle Potcns. 1917 *. GALILEO a [IPPOLITO ALDOBRANPINI in Parma]. Firenze, 18 dicembre 1628. Aroh. Vaticano. Fondo BorKhoso, I, 975. — Autografa. Ill. mo e Rov. mn Sig. ro o Pad." 0 Col. ,n ° Il valore del molto Reverendo Padre Fra Buonaventura Cava¬ lieri nelle scienze matematiche è tale, elio appresso (pielli che di esso hanno cognizione non è punto bisognoso dell’ altrui attestazione ; o molto meno la mia è necessaria appresso V. S. Ill. ma e Rev. n,R , corno quella che ben conosce il detto Padre, e più volte ha da ino inteso “> Cfr. nn.i 5, 0. 1S — 19 DICEMBRE 1G28. 463 [ 1917 - 1918 ] in voce la stima die io fo grandissima della sua dottrina. Tuttavia, ancor che sia superfluo, ho volsuto anco in scrittura replicargli e con¬ fermare l’istesso, acciò che, se la mia testimonianza potesse in al¬ io cuna occasione aggiugner qualche momento alla assoluta autorità di Y.S. Ill. mu e Rev. ,na , ella possa spenderla nel favorire il detto Padre in quella parte di predicarlo per ingegno subbiime nelle scienze matema¬ tiche ; et io, che mi glorio che esso dica di riconoscer qualche prima introduzzioncella in tale studio dalla mia conversazione, resterò in per¬ petuo obbligatissimo a V. S. Ill. raa e Rev. ma di ogni favore che gli pre¬ sterà. Alla quale intanto inchinandomi et augurandogli felicissime le Sante Feste prossime, reverentemente bacio la veste. I)i Firenze, li 18 di Xmbre 1028. Di V. S. Ill. ma e Uev. ma Dev. mo et Obblig. mo Servitore 20 Galileo Galilei. 191 8 **. BONA VENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Parma, il) dicembre 1028. Blbl. Naz. PIr. Mss. fini., P. I, T. IX, car. 139. — Autografa. Molto 111. 11 ' 0 et Ecc. mrt S. r e P.ron mio Col." 10 Alli giorni passati scrissi 10 a V. S., acciò mi volesse favorire o di raccomandarmi alla S. ,!l Duchessa novella sposa, o con sue lettere far di me quella testimonianza che altre volte s’è compiacciuta per sua grati a di lare; e ciò con l’occasione ch’io volevo procurare, per mezo del S. r Card. 10 Aldobrandino, appresso il S. r Card. 1 ® Lu- dovisio la lettura di Bologna, con l’occasion parimenti di ritrovarsi ambedue qua a queste nozze. Se non havesse liavuto la lettera, di nuovo vengo a pregarla che voglia favorirmene, essendo richiesta, sì come spero che farà, et anco di scri¬ vermi il suo pensiero circa di questa; facendoli fra tanto devotissima riverenza, io con desiderarli da N. Stogili bene. Ma, di grada, mi scrivi almen duo iotarelli in risposta. Fi con questo gli auguro felicissime Feste. Di Parma, alli 19 I)ec. b,tì 1628. Di V. S. molto 111.™ et Eec. nia Dev. mo Ser.™ F. Bon. ra Cavalieri. Fuori: Al molto Ul. ro et Eoe." 10 S. r e P.ron mio Col." ,u - 11 S. r Gal. 00 Gal. 0 ' Fiorenza. Lett. 1917. 14. introdizzloncelln — IO Cfr. u.» 1910. 464 20 DICEMBRE 1628. 11919-moj 1919*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. lArcetri, prima del Natalo del 1628]. Btbl. Naz. Fir. Mas. dal.. P. I, T. XUI. car 801 —Autografa. Amatiss.'*' 0 Sig. v Padre, Non saprei come meglio ringratiar V. S. di tanto cortesie, so non con dirle che prego Nostro Signore che la rimeriti con l’aumento della Sua santa gralia, e le conceda felicissime le presenti Feste, questo o molti anni appresso, e simil¬ mente a Vincendo nostro, al quale mando, por adesso, duoi collari e 2 para di manichini nuovi: la carestia del tempo non mi ha concesso che possa far il merlo da per me, e por ciò mi scuserà se non saranno a sua intiera satisfatene; non mancherò anco di fargliene con la trina, sì come ho promesso. Suor Archangela se la passa alquanto meglio, ma però se ne sta in letto; et bora appunto viene il confessore da lei, e per ciò non sarò più lunga. Si godino io stasera questi pochi calieioni per colatione: et qui di tutto cuore mi raccomando ad ambeduoi. Sua Fig> Suor M.“ Celeste. Fuori: Al molt’Ill. ra et Amatiss.® 0 Sig. r Padre Il Sig. p Caldeo Galilei, a Bello Sguardo. 1020 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, *29 dicembre 1H2S. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 95. — Autografa. Molto Ill. re Sig. r e P.ron Col." 10 Mando a V. S. molto lll. re cinquanta copie della mia scrittura 0 ', acciò le di¬ spensi a quei Signori miei Padroni che lei sa che sono la mia corona, a’ quali mi ricordarà servitore obligatissimo. Quanto al scropolo che V. S. mi scrive, che Lett. 1920. 4. obit/atinimo — <*> Cfr. n.o 1903. 29 DICEMBRE 1628. 465 [1920-1921] nel 4 Appendice (,) pare che io ammetta che altri liabbino liauto considerazione della velocità, mentre noto che alcuni hanno hauto pensiero che mettendosi il Reno in Po non sarebbe cresciuto il Po; sappia che non nego che non siastata avvertita la velocità nell’acqua, ma dico bene che non ò stata mai bene intesa: e nel particolare di queir Appendice tocco un Bolognese, il quale semplicemente io dice che il Reno non farebbe crescere il Po, mettendo certe ragioni ridicole, senza considerare la forza della velocità. Nel resto la ringrazio delle lodi che dà a questa scrittura, nella quale ho cercato di seguitare (se bene l’ho fatto dalla lontana) i vestigli di V. S., alla quale, se ci è cosa di buono, tutto riferisco. E li bacio le mani. Di Roma, il 29 di Xmbre 1G28. Di V. S. molto 111. 1 '" Oblig. mo Ser. re e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. Dimattina parto per Civita Vecchia con li Mons. ri Auditore, Tesorieri, Com¬ missario della Camera, Cesis e Serra. 20 Fuori: Al molto 111. 1 ' 6 Sig. r e P.ron Col." 10 il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1921 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. |Arcetri, llu di dicembre 1U28J. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 293. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, L’improvvisa nuova datami da Vincentio nostro della conclusione del suo pa¬ rentado, e parentado cosi honorato, ha causata in me tale allegrezza, che non saprei come meglio esprimerla, salvo che con dirle, clic tanto quanto è grande l’amore che porto a V. S., tanto è il gusto che sento d’ogni suo contento, il quale suppongo che in questa occasione sia grandissimo; e per ciò vengo di presente a rallegrarmi seco, e prego Nostro Signore che la conservi per lungo tempo, acciò possa godere quelle satisfationi che mi pare clic gli promettine) le buone qualità di suo figliuolo e mio fratello, al quale io accresco ogni giorno l’affetione, paven¬ to domi giovane molto quieto e prudente. (0 Vedi a pag. 30-81, « Appendice quarta», dell’opera del Castelli. XIII. 59 466 DICEMBRE 1G28. [1921] llavrei fatto con V. S. più volentieri questo ofTitio in voce; ma poi ch’ella così si compiace, la prego che almanco mi dica per lettera il suo gusto circa il mandar a visitar la sposa 10 : ciò è se sia meglio il mandar a Prato quando vi andrà Vincentio, o pure aspettar ch’ella sia in Firenze, già che questa ò cere- monia solita di noi altro, e tanto più che per esser lei stata in monastero saprà queste usanze. Aspetto adunque la sua resolutione, e fra tanto la saluto di cuore. Sua Fig. ,[l AfE ma Suor M.* Celeste. Fuori: Al molto Ill. r * et Amatiss." 30 Sig. r Padre li Sig. r Galileo Galilei, S. Oss. ,uo , a Bello Sguardo. O) Smtima Uooohiherj: cfr. Voi. XIX, I>oc. XXVII, d). PINE DEL VOLUME DECIMOTERZO. INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XIII ( 1620 - 1628 ). 1488 1484 1435 1486 1487 1438 1439 1440 1441 1442 1443 1444 1445 1446 1447 1448 1449 1460 1451 1452 1453 1454 1455 1456 1457 1458 1459 1460 1461 1462 Federico Cesi a Galileo. 4 gennaio 1G20 Antonio Santini » 10 s> » Galileo a Fortunio Liceti. 11 » Giovanni Faber a Galileo. 18 » » Lorenzo Pignoria » . 24 » » Fortunio Liceti » . 26 » » Galileo a Giuliano do’Medici. 1620 Giuliano de’Modici a Curzio Picchetta. 26 gennaio 1020 Francesco Stolluti a Galileo. 27 » » Filippo III, re di Spagna, a Pedro Tollcz y Giron, duca di Osanna. 28 » j> Giuliano do’Medici a Curzio l’icohena. » » i> Lorenzo Pignoria a Galileo. 31 » » Giuliano de’ Modici a Curzio Picchcna. 4 febbraio » Giovanni Faber a Galileo. 15 » » Giuliano de’ Medici a Curzio Picchena.j 20 » » Federico Cosi a Giovanni Faber.'23 » » Curzio Picchena a Giuliano de’Medici .. » » » Federico Cesi a Galileo. 4 marzo » Giulio Cosare Lagalla a Galileo. 6 » » Zaccaria Sagredo a Galileo. 14 *> » Paolo Gualdo » . 26 » » Lorenzo Pignoria » .. 27 » » Antonio Santini » . 3 aprile » Francesco Stellati » . 4 » » Zaccaria Sagredo » . 14 » » Carlo Muti » . 18 *» » Paolo Gualdo » . 20 » » Giuliano de’ Medici a Curzio Picchena. 22 » » Camillo Germini a Zaccaria Sagredo. 25 » r- Girolamo da Soromaia a Galileo. 29 » » Png. 11 12 13 i> 14 15 17 20 » 21 22 » 23 » 24 x> » 25 26 27 » 29 » 30 31 32 33 34 » 35 468 INDICE CRONOLOGICO. 1468 1464 1465 1466 1467 1468 1460 1470 1471 1472 1473 1474 1475 147(5 1477 1478 1470 1480 1481 1482 1483 1484 1485 1486 1487 1488 1480 1400 1401 1402 1493 1404 1405 1406 1407 1408 1490 1500 1501 1502 1503 1504 1505 1606 1507 ! Pag. Giulio Inghirami a Curzio Pieohenn . .. 30 aprilo 1620 35 Francesco Maria del Monte a Galileo. 3 maggio » 36 Zaccaria Sagredo * . 5 » »> » Federico CeBi * . 18 » 37 Giovanni Ciatnpoli * . % » » 38 Bonaventura Cavalieri «• . 20 » » 39 Francesco Maria del Monte ► . 6 giugno » 40 Mario Guidacci a Federico Cesi.. 19 > IV 41 Mario Guidacci a Tarquinio Galluzzi. 20 » » Zaccaria Sagredo a Galileo. l 9 luglio 1* 42 Federico Landi * 10 » 43 Giovanni Cianipoli «» . 17 * > » Zaccaria Sagredo » .. 25 * » 44 Giovanni Ciampoli * . . . 2 agosto I* 46 Federico Cesi a Giovanni Faber .. . 11 T» 47 Elia Diodati a Galileo.. 27 > 48 Maffeo Barberini > . 28 » * * Zaccaria Sagredo * . 29 • » 49 Galileo a Maffeo Barberini. . 7 settembre » 50 Carlo Muti a Galileo. .. 25 * » 51 Giulio Ingliirami a Curzio Piocliena. 6 ottobre » p Tommaso Stiglinni n Galileo. 30 » » 52 Giuliano de’ Medici a Curzio Piccbena . 1° dicembre » » Lodovico Settala a Galileo. 16 * » Galileo a Elia Diodati. 30 » 53 Federico Cesi a Caldeo. 4 gennaio 1621 54 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 18 > » » Iacopo Giraldi » . 21 x» > 55 Tiberio Spinola » . 22 » * 56 Giovanni Ciampoli » . 20 marzo » 58 Gio. Battista Rinuccini «• . 27 * p 59 Galileo a Leopoldo d’Austria. 16 aprile IV 60 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 28 » p 61 Giovanni Faber > . r maggio *> 62 61 Giovanni Brozek a Galileo. 28 » » » Angelo Rota » . 13 giugno p 65 Tiberio Spinola » . 15 » 66 Virginio Cesarmi » . 23 * n 63 Giovanni Ciampoli » . 3 luglio i> 69 Leopoldo d’Austria i> . 17 * i* 70 Bonaventura Cavalieri *> . 28 > y * Giulio Cesare Lagalla » . 30 » p 72 Giovanni Faber » 7 agosto p 73 Carlo Muti » 15 » » 74 INDICE CRONOLOGICO. 469 Tiberio Spinola a Galileo. 25 agosto Federico Cesi a Giovanni Faber. 28 » Francesco Stellati a Giovanni Faber. 7 settembre Giovanni Ciampoli a Galileo. 11 » » •» » . 23 ottobre » t> » . 26 novembre Federico Cesi » 2 dicembre Bonaventura Cavalieri *> 15 » Giovanni Ciampoli » 18 » Benedetto Castelli a Galileo. Giovanni Ciampoli » . Bonaventura Cavalieri » . Giovanni Ciampoli s> . Bonaventura Cavalieri » . Lorenzo Pignoria » . Virginio Cesarmi » . Filippo Magalotti » . Galileo ad Alessandro Sertini. Paolo Giordano Orsini a Galileo. Paolo Emilio Boiardi a Cesare d’Este, Duca di Modona. Galileo a Fortunio Liceti. Fabio Colonna a Galileo. Francesco Stelluti » . Bonaventura Cavalieri a Galileo. Muzio Oddi a Picrmatteo Giordani. Francesco Duodo a Galileo. Galileo a Federico Cesi. Virginio Cesarmi a Galileo. Niccolò Dolfin » . Federico Cesi a Giovanni Faber. Lodovico Lodovici a Galileo. Galileo a Ferdinando II de’Medici, Granduca di Toscana Bonaventura Cavalieri a Galileo. Virginio Cesarmi a Federico Cesi. Federico Cesi a Galileo. 12 gennaio 1622 15 » » 16 febbraio » 26 t> » 22 marzo » 6 maggio » 7 » » » » » 20 » » 27 » » 30 giugno » 19 luglio j> 30 » » 8 agosto » 16 » » 17 » » 2 settembre » 29 * » 19 ottobre » 28 » » 29 » » 19 novembre » 22 » » » » 21 dicembre » 22 «• * 27 » » Giovanni Ciampoli a Galileo. 7 gennaio Virginio Cesarmi » ^ * Galileo a Federico Cesi. 23 » Virginio Cesarini a Federico Cesi. 28 *> » » a Galileo. 3 febbraio Federico Cesi ad Angelo de Filiis. 7 Virginio Cesarini a Galileo. 25 » Giovanni Faber «> . 3 marzo Pag. 75 76 77 i> 78 79 80 81 82 83 84 » 85 86 87 88 89 90 91 92 s> » 93 95 96 97 » 98 99 » 100 t» 101 102 » 103 104 105 107 108 109 » » 110 470 INDICE CRONOLOGICO. 1662 1668 1664 1655 1566 1667 1658 1659 1500 1501 1502 1608 1504 1566 1560 1507 1568 1509 1570 1571 1572 1578 1574 1575 1570 1577 1578 1579 1580 1681 1582 1588 1584 1585 1580 1587 1588 1589 1590 1591 1692 1598 1594 1595 1696 1597 Virginio Cesarmi a Galileo Giovanni Ciampoli » Francesco Stelluti ► Bonaventura Cavalieri •> Foderi co Cesi » Giovanni Ciampoli > Maria Coleste Galilei * Giovanni Ciampoli » Federico Cesi » Maffeo Barberini » Giovanni Ciampoli » Maria Celesto Galilei » Francesco Stelluti » Maria Coleato Galilei * Bonaventura Cavalieri > Maria Celesto Galilei * Virginio Cesarini p Giovanni Ciampoli » Giovanni Faber *> Maria Coleste Galilei » » » p . Carlo Barberini » . Francesco Stelluti p . Galileo a Francesco Barberini. Francesco Barberini a Galileo. Maria Celeste Galilei » . Francesco Stelluti e Federico Cesi a Galileo Galileo a Francesco Barberini. » a Federico Cesi. Maria Celesto Galilei a Galileo. Gio. Battista Ri micci ni » . Francesco Barberini » . Maria Celoste Galilei t> . Tommaso Rinuccini » . Gli Accademici I,incoi ad Urbano Vili. Federico Cesi a Galileo. Virginio Cesarini » . Francesco Stelluti » . Maria Coleste Galilei a Galileo. Galileo a Federico Cesi. Tommaso Rinuccini a Galileo. Giovanni Ciampoli » . Francesco Stelluti t> . Galileo a Federigo Borromeo. Maria Celeste Galilei a Galileo. 20 marzo 1628 rag. Ili 1° aprile » 112 8 » 118 9 •* * 114 > * » 115 6 maggio t» » 10 * » 116 27 » 117 29 » > 118 24 giugno > » 22 luglio » 119 10 agosto > 120 12 * » 121 13 » » 122 Iti » 123 17 » 18 » T» 124 * » tt 125 19 * » > 21 » » 126 28 * » 127 31 » > » 2 settembre • 128 8 » » 129 19 * » 130 23 » » 131 80 » 132 » *> P » 9 ottobre » 133 * » P 134 ibIuri» del » 135 13 ottobre » 136 18 a 7> 137 20 » r» 138 p » * 139 6 » P 140 21 » p * 28 » » 141 » » p 142 29 * p 143 30 » p 144 3 novembre p 145 4 » » 146 > » p 147 18 p p 148 21 » » 149 INDICE CRONOLOGICO. 471 P"g. 1508 Virginio Cosarmi a Galileo. 22 novembre 1G23 150 1509 Lorenzo Magalotti » . 23 » » 151 1COO Benedetto Castelli » . 29 » » 152 1(J01 Girolamo da Sommaia » . » » » 153 Iti 02 Tommaso Rinuccini » . 2 dicembre » » 1603 Federigo Borromeo :> . G » » 155 1004 Benedetto Castelli » . » » » » 1005 Giovanni Faber a Federico Cosi . 9 » » 156 1000 Maria Celeste Galilei a Galileo. 10 » 157 1007 Pietro Francesco Malaspina a Galileo. 12 i> » 159 1008 Giovanni Faber a Federico Cesi. 1G » » 160 1000 Mario Guiducci a Galileo. 18 » » b 1010 Leopoldo d’Austria » . 2G » 162 1011 Maria Cristina di Lorena a Carlo de 1 Medici. 14 gennaio 1624 163 1012 Giovanni Faber a Federico Cesi. 27 » » 164 101» Galileo a Federico Cesi. 20 febbraio » i> 1014 Federico Cesi a Galileo. » » » 165 101G Giovanni Faber a Fedexùco Cesi. 21 » » 1G6 1010 Federico Cesi a Galileo. 23 » » » 1017 Giovanni Faber a Federico Cesi. 24 » » 167 1018 Ferdinando li, Granduca di Toscana, a Francesco Nic- colini.. 27 » » b 1010 Giovanni Faber a Federico Cesi. 2 marzo » b 1020 » & » » .i 8 » » 168 1021 Giovanni Ciampoli a Galileo. 16 » » » 1022 Galileo a Federico Cesi. j 4 aprile » 169 102» Federico Cesi a Galileo. 5 » » 170 1024 Gio. Camillo Gloriosi a Galileo. 13 » » » 1025 Giovanni Faber a Federico Cesi. » s > » 171 1026 Gio. Battista Guazzaroni a Galileo. 20 » » 172 1027 Maria Celeste Galilei » . 26 » » 174 1028 Galileo a Curzio Picchena. 27 » » 175 1020 Niccolò Aggiunti a Galileo. 29 » » 176 1030 Federico Cesi a Galileo. 30 » » 177 1031 Giovanni Faber a Federico Cesi. 11 maggio » b 1032 Fabio Colonna a Fodorico Cesi. 13 » » 178 1033 Galileo a Federico Cesi. 15 » » b 1684 Federico Cesi a Galileo. 18 » » 180 1085 Giovanni Faber a Federico Cesi. 24 » b 181 1080 i» » » » . l c giugno » » 1087 Galileo a Federico Cesi. 8 » » 182 1038 Urbano VII! a Ferdinando li de’Medici, Granduca di » » » 183 1039 Francesco Barberini a Maria Maddalena d 1 Austria, Granduchessa di Toscana. » j> » 184 INDICE CRONOLOGICO. 472 I 1040 i Francesco Ballerini a Ferdinando II de’ Medici, Gran¬ duca di Toscana 8 giugno 1624 Pag. 185 1041 Federico Cesi a Galileo. . 10 •» a a 1042 Mario Guiducci ► . 21 » » 186 1040 Giovanni Ciarupoli * . 22 X> a 187 1044 Giovanni Faber a Federico Cesi. 9 » 188 1045 Girolamo Mattei a Galileo . . . . » » » 1040 Maria Maddalena d'Austria, Granduchessa di Toscana, a Francesco Barberini.. 2 luglio » 189 1047 Antonio Santini a (ialite. . 4 P a 190 1048 Bartolomeo Imperiali a Galileo . . fi » <- 191 1G40 Giovanni Faber a Federico Cesi. .. G 0 * 192 1660 Mario Guiducci a Galileo. . » * » 1651 Girolamo Mattei » .\.. 13 » » 193 1668 Tommaso llinuccini » . . 20 i» » 194 1050 Ascanio l’iccolomini Aragona a Galileo . 27 T* » 195 1054 Tommaso llinuccini a Galileo . » » » 196 1055 Benedetto Castelli a . 3 agosto a 197 1050 Antonio Santini » . . 9 * » > 1057 Tommaso llinuccini ;> . IO a » 198 1058 Bartolomeo Imperiali ** . . 17 » » 199 105» Francesco Stelluti » ... 23 » V 200 1000 Bartolomeo Imperiali » . 5 settembre » 201 1001 Mario Guiducci » . . G » a 202 1002 Antonio Santini » .. * » tt 204 1000 Mario Guiducci » . 13 1004 Giovanni Faber » ... 14 > 207 1005 Galileo a Federico Cesi . 23 » » 208 1000 Mario Guiducci a Galileo . 28 b lf 210 1007 Bartolomeo Imperiali a Galileo . V t b 211 1008 Galileo a Francesco Ingoli . . p a 212 100» Bartolomeo Imperiali a Galileo.. . 4 ottobre » » 1070 Antonio Santini » . > V » 214 1071 Mario Guiducci » . ir» a »* 21 r» 1072 » >• . 18 a 217 1070 Bartolomeo Balbi » . 25 » » 218 1074 Federico Cesi v .... 20 » » 219 1075 Mario Guiducci i . » 0 » 220 1070 Bartolomeo Imperiali » . ■» •) <• 221 1077 Antonio Santini v .... » » » 222 1078 Mario Guiducci » . 2 novembre a 223 107» Giovanni Vannuccini » . » » 1634 225 1080 Mario Guiducci » 8 » 1G24 1081 Bartolomeo Imperiali » » » 227 1082 Benedetto Castelli » .... 13 228 1080 Mario Guiducci » 22 » » 229 (li Cfr. nota 1 a pn^. 225. INDICE CRONOLOGICO. 473 ìm Bartolomeo Imperiali a Galileo. 29 novembre 1624 Pag. 230 1685 Lorenzo Magalotti » . & » » 231 lGStt Mario Guiducci » . 30 » » 232 1G87 Cesare Marsili j> . 3 dicembre » 234 1688 Galileo a Cesare Marsili. 7 » » 235 1G89 Bartolomeo Imperiali a Galileo. » » 23G 1690 Giovanni Ciampoli » . 14 » » 239 1091 Galileo a Cosare Marsili.. 17 » » 1692 Giovanni Faher a Federico Cesi. » » » 240 1098 Mario Guiducci a Galileo. 21 » » 241 1694 Galileo a Francesco Barberini. 23 » lì* 242 1095 Federico Cesi a Galileo. 27 » & 243 1G9G Mario Guiducci » . » » » 244 1749 Giovanni Ciampoli » . 28 » » 295 1097 Cesare Marsili » . 31 p » 245 1098 Federico Cosi a Galileo. 3 gennaio 1625 245 1099 Giovanni Ciampoli » . 4 » » 246 1700 Mario Guiducci » .. » » >■» 247 1701 Galileo a Cesare Marsili. 11 » » 248 1702 Mario Guiducci a Galileo. » » » 249 1708 Francesco Barberini » . 18 » » 250 1704 Mario Guiducci » . 25 » » » 1705 t> » » .. 1° febbraio » 251 1700 » » » . 8 » » 253 1707 Giovanni Ciampoli » . 15 S> » 254 1708 Mario Guiducci » . 22 » 255 1709 Galileo a Cesare Marsili. 28 Ù » 256 1710 Giovanni Faber a Federico Cesi. 7 marzo V 257 1711 Giovanni Ciampoli a Galileo. 8 » » » 1712 Cesare Marsili » . K » » 258 1718 Tommaso Rinuccini » . 1G i> » 259 1714 Galileo a Federico Cesi. 17 t> » 260 1715 Mario Guiducci a Galileo. 22 » » 261 1710 Federico Cesi » . 5 aprilo » 262 1717 Federico Cesi a Cesare Marsili. » & t > 263 4718 Galileo a Cesare Marsili. 12 » t i> 1719 Giovanni Faber a Federico Cesi. 13 » » 264 1720 Mario Guiducci n Galileo. 18 » ;> 265 1721 Giovanni Ciampoli » . 19 » » 267 1722 Cesare Marsili » . 22 » 268 1723 Federico Cesi » . 26 » » 269 1724 Mario Guiducci » . 3 maggio » 270 1725 Cesare Marsili » .* 7 » » 271 1726 Galileo a Cesare Marsili. . 27 » ' » 272 1727 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 28 » » 273 co XIII. 474 INDICE CRONOLOGICO. 1 Pag. 1728 Cesare Marsili a Galileo . 4 giugno 1625 274 1720 Pietro Gasaeudi * . 20 luglio p 275 1780 Giovanni Ciatnpoli » .| 80 agosto p 279 1781 Federico Cesi » .! 2 1 » settembre p 280 1782 Gio. Battista Rinuccini a Galileo. 10 ottobre » 281 1733 Galileo ad Elia Diodati. 20 • » 282 1784 » a Ferdinando II do’ Medici, Granduca di Toscana » * » 1735 Gio. Battista Rinuccini a Galileo. 1° novembre p » 1780 Giovanni Ciampoli > ... 8 » 283 1737 Gio. Battista Rinuccini » . » » » 284 1788 Benedetto Castelli ► . 12 p 9 p 1781) Cesare Marsili * . 14 p » 285 1740 Antonio Santini » . 15 p > 286 1741 Scipione Chiaramonti » . 16 p V 288 1742 Galileo a Benedetto Castelli. 21 p P 289 1748 p a Cesare Marsili. oo p » 290 1744 Benedetto Castelli a Galileo . IO dicembre 291 1745 Cesare Marsili * . . p p 292 1748 Maria Celeste Galilei > . 19 p » » 1747 Galileo a Benedetto Castelli. 27 p » 293 1748 Giovanni Ciampoli a Galileo. 28 p » 294 1750 Benedetto Castelli a Galileo. 1° gennaio 1626 296 1751 Galileo a Cesare Marsili . 10 » » 297 1752 Federico Cesi a Galileo. » » » » 1753 Cesare Marsili » . » p » 298 1754 Francesco Stellati » . > » > 299 1755 Francesco Barberini a Galileo. 14 » » 800 175G Gio. Battista Rinuccini » . 1G V 801 1757 Galileo a Cesare Marsili. 17 p p p 1758 Scipione Chiaramonti a Galileo.. 18 » » 302 1751) Giovanni Ciampoli > . 24 » > 803 1700 Tommaso Rinuccini » . » » » 804 1701 Galileo a Cesare Morsili. 31 p » 305 1702 Maria Celeste Galilei a Galileo.... . 26 febbraio » 306 1703 Bartolomeo Imperiali » . 27 » 9 307 1704 Francesco Stelluti » . 28 * 9 308 1705 Bonaventura Cavalieri v . 29 » 9 309 1700 Francesco Stelluti . 7 marzo 9 310 1707 » » j> . 1708 Bonaventura Cavalieri » . ài » » 311 1700 Benedetto Castelli » . » J> 313 1770 Bartolomeo Imperiali > . » » ► 1771 Galileo a Cosare Marsili. 28 * > 315 1772 Cesare Marsili a Galileo. 3 aprilo » 316 1773 Benedetto Castelli 9 . 4 » » 317 INDICE CRONOLOGICO. 1774 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 4 aprile 1626 1775 Orazio Morandi » . 17 »■ » 1776 Galileo a Cesare Marsili. 25 » » 1777 Orazio Morandi a Galileo. 2 maggio » 1778 Antonio Santini » . 8 » » 1779 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 9 » 1780 Benedetto Castelli » . 30 » » 1781 Raffaele Aversa j> . 1° giugno » 1782 Cesare Marsili • » . 20 » » 1783 Orazio Morandi » . » j> - » 1784 Galileo a Cesare Marsili. 27 » 1785 Cesare Marsili a Galileo. 5 luglio » 1786 Raffaele A versa » . 6 » 7 > 1787 Cesare Marsili » . 7 » » 1788 Galileo a Cesare Marsili. 17 » » 1789 Giovanni Fioroni a Galileo. 24 » » 1790 Cesare Marsili » . 26 » » 1791 Benedetto Castelli » . 1° agosto » 1792 Bonaventura Cavalieri » . 7 » J > 1793 Scipione Chiararaonti » . 8 » » 1794 Benedetto Castelli » . 21 » 1 > 1795 Galileo a Cesare Marsili. 29 i > » 1796 Cesare Marsili a Galileo. 2 settembre » 1797 Benedetto Castelli » . 12 s> » 1798 Giovanni di Guevara a Galileo. 21 novembre » 1799 Girolamo da Sonnnaia » . 13 dicembre » 1800 Bonaventura Cavalieri ** . 16 S> J> 1801 Domenico Crini » . 19 » » 1802 Niccolò Aggiunti » . 23 » » 1806 1804 Bonaventura Cavalieri » . Orazio Grassi a Francesco Boncompagni. 30 » 1626 » 1805 Michelangelo Galilei a Galileo. 6 gennaio 1627 1801» Gio. Battista Baliani a Benodotto Castelli. 20 febbraio » 1807 Giovanni di Guevara a Galileo. 6 marzo » 1808 Galileo a Ferdinando II de’Medici, Granduca di Toscana » » 1809 Andrea Gerini a Tolomeo Nozzolini. 24 aprile » 1810 Tolomeo Nozzolini ad Andrea Gerini. 26 » » 1811 Benedetto Castelli ad Andrea Arrighetti. » » 1812 » y > a Galileo. 30 » » 1818 Bonaventura Cavalieri » . » » » 1814 Tolomeo Nozzolini ad Andrea Gerini. 1° maggio » 1815 Michelangelo Galilei a Galileo. 5 » > 1816 Francesco Barberini » . 12 » > 1817 Niccolò Aggiunti » . 16 » » 1818 Benedetto Castelli » . 21 » » 475 Png. 318 319 » 320 321 322 324 325 326 327 » 329 » 330 331 333 334 335 336 337 » 338 340 » 341 342 343 344 •• » 346 346 348 349 350 » 351 » *> 352 353 » 356 357 358 470 INDICE CRONOLOGICO. 1810 j Benedetto Castelli a Galileo . 22 moggio 1627. P«g. 359 1820 Gio. Battista Bali&ni a Benedotto Castelli. .. 28 * 360 1821 Tolomeo Nozzolini ad Andrea Gerini - » * 361 1822 Galtlko ad Andrea Arrighetti .. 10 giugno » » 1823 Tolomeo Nozzolini ad Andrea Germi .i » » » 1824 » » * - . » » p 1825 Benedetto Castelli a Galileo. 12 > » » 1820 Francesco Pecci " . . 23 * » 362 1827 Malatesta Baglioni * . . 2f» * p 363 1828 Giovanni Ciampoli » . 10 luglio » 364 1821) Michelangelo Galilei * . 14 » 0 365 1830 Malatesta Baglioni j* . .. 17 » » 367 1831 Giovanni di Guovara * . ► » p 368 1882 Galileo n Benedetto Castelli . 2 agosto > 370 1838 Michelangelo Galilei a Galileo . 4 » »» 371 1834 Benedetto Castelli » . 7 • tk 372 1835 Francesco Stelluti » . . 14 5> 873 1830 Galileo a Giovanni Kepler. 28 * » 374 1887 Federico Cesi a Galileo.. 4 settembre » 875 1838 Alfonso Antonini * 25 ottobre % 376 1830 Giovanni di Guovara a Galileo. 15 novembre • 377 1840 Alfonso Antonini » . » * 379 1841 Malatesta Baglioni o . 12 dicembre » 380 1842 Bonaventura Cavalieri * . 17 » » 381 1843 Maria Celeste Galilei » . 2-4 > p 382 1844 t> > » . 1627 p 1845 Benedetto Castelli a Galileo. H gennaio 1628 383 1840 Giovanni Ciampoli » .. » » » 384 1847 Bonaventura Cavalieri *• . 14 » p 385 1848 Niccolò Aggiunti »> . 10 «* » 386 1849 Federico Cesi p . 20 » p 387 1850 Benedetto Castelli r* .. 22 t. » 388 1851 Giovanni di Guovara » . 24 » 389 1852 Benedetto Castelli » . 5 febbraio P 390 1853 Bonaventura Cavalieri x> . 8 » » 391 1854 Marcantonio Pierai li » . 9 » » 392 1855 Benedetto Castelli •> . 19 v> » 393 1850 I* » . 26 o P » 1857 Michelangelo Galilei » . » » P 894 1858 Pietro Gassendi r> . 2 marzo P 895 1850 Maria Celeste Galilei > . 4 i> » 398 1800 * i> p . 18 i> X> 399 1801 Niccolò Aggiunti p . 21 e 5» » 1802 Alaria Celeste Galilei p . 22 » » 400 1803 Michelangelo Galilei » . 22 » » 4.01 INDICE CRONOLOGICO. 477 18G4 1805 1800 1807 1808 1809 1870 1871 1872 187» 1874 1875 1870 1877 1878 187» 1880 1881 1882 18851 1884 1885 1880 1887 1888 188» 1890 1891 1892 189» 1894 1895 1890 1897 1898 1899 1900 1901 1002 1903 1904 1905 1900 1907 1908 1909 Maria Celeste Galilei a Galileo. Benedetto Castelli » Maria Celeste Galilei p Michelangelo Galilei » Maria Celeste Galilei s> » » ». Michelangelo Galilei i> Maria Celeste Galilei » » » ». » » ». Filippo d’Assia » Maria Celeste Galilei » Michelangelo Galilei » Niccolò Aggiunti » Maria Celeste Galilei » Benedetto Castelli » Francesco Crivelli » Benedetto Castelli » Marcantonio Pieralli » Scipione Chiaramonti » Benedetto Castelli » Federico Cesi a Giovanni Faber Benedetto Castelli a Galileo.... Michelangelo Galilei » .... Gami, no a Benedetto Castelli .. Benedetto Castelli a Galileo.... Giovanni Silvi » .... Benedetto Castelli » » » p .... Michelangelo Galilei » .... Benedetto Castelli » .... Michelangelo Galilei » .... Benedetto Castelli » .... » » » » » r> .... Michelangelo Galilei » Benedetto Castelli » t> » p .... Federico Cesi » ... . Benedetto Castelli » ... . Ascanio Piccolomini » Benedetto Castelli » • ■ • - Fabio Colonna a Federico Cesi. Maria Celeste Galilei a Galileo. Benedotto Castelli * Gio. Camillo Gloriosi » 24 marzo 1828 25 » » » » » 29 » » marzo-aprile » » » » 5 aprile » 8 » » 10 * 19 » 20 » 23 » 27 » » » 5 > 28 » » 29 » » 13 maggio » 14 » » 17 » » 24 » » 27 » » 1° giugno » 3 » * 8 * » 11 » » 17 » . » » » » 24 » » » » » giugno » 1° luglio » 5 » » 9 » » 22 » » 5 agosto » 23 » » 28 » » 1° settembre » 9 » » 16 » » » » p 3 novembre » 10 » p 11 * » 17 » » 20 » » Pag. 402 403 404 405 408 407 408 410 411 412 413 414 » 418 419 420 422 424 » 426 427 429 430 432 433 434 435 436 437 438 439 440 442 443 444 445 446 447 448 449 450 451 p 452 453 454 478 IN DICK CRONOLOGICO. 1910 Bonaventura Cavalieri a Galileo . 24 novembre 1628 1911 Benedetto Castelli » 25 > 1912 G aulico a Ferdinando II de* Medici, Granduca di Toscana novembre » 1913 Pierfrancesco do' Iticci a Ferdinando 11 do'Medici, Gran- duca di Toscana. 1° dicembre » 1914 Francesco Stolluti a Galileo. 2 • » 1915 Maria Celoste Galilei » . 10 * > 1916 Lorenzo (Jecoarelli » . 16 * » 1917 Galii.ro a Ippolito Aldolirandini. 18 » » 1918 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 11) » > 1919 Maria Celoste Galilei » ... prie» 4»l lUUlt » 1920 Benedetto Castolli » . 29 dicembre a 1921 Maria Celosto Galilei » . In 4i 4i(*akr» > Pag. 455 456 457 468 469 4M 461 462 463 464 » 465 INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XIII ( 1620 - 1628 ). N.» Accademici Lincei ad Urbano Vili. 20 ottobre 1623 1587 Aggiunti Niccolò a Galileo. 29 aprile 1624 1(129 » 23 dicembre 162G 1802 » » 16 maggio 1627 1817 » » 19 gennaio 1628 1848 » » 21 marzo » 1861 » » 27 aprile » 1877 Antouini Alfonso » 25 ottobre 1627 1868 » • » . novembre » 1840 Assia (d’) Filippo » 20 aprile 1628 1874 Austria (d’) Leopoldo » 17 luglio 1621 1503 » *> . 26 dicembre 1623 1610 » Maria Maddalena a Francesco Barberini.. 2 luglio 1624 1646 Aversa Raffaele a Galileo. 1° giugno 1626 1781 » » 6 luglio » 1786 Buglioni Malatesta a Galileo. 26 giugno 1627 1827 » » 17 luglio » 1880 j> » 12 dicembre » 1841 Bulbi Bartolomeo » 25 ottobre 1624 1678 italiani Gio. Battista a Benedetto Castelli. 20 febbraio 1627 1806 » » 28 maggio » 1820 Barberini Carlo a Galileo. 2 settembre 1623 1574 » Francesco a Maria Maddalena d’ Austria, Granduchessa di Toscana. 8 giugno 1624 1689 » Francesco a Galileo. 23 settembre 1623 1577 » i* 18 ottobre » 1584 s> » 18 gennaio 1625 1703 » » 14 » 1626 1755 s> » 12 maggio 1627 1816 » a Ferdinando II de’ Medici, Gran¬ duca di Toscana.* 8 giugno 1624 1640 Pag. 140 176 344 357 386 399 418 376 379 413 70 162 189 325 329 363 367 380 218 348 3(50 128 184 131 137 250 300 356 185 480 INDICE ALFABETICO. Barberini Maffeo a Galileo. » * .. . » a Ferdinando 11 de’Modici, Granduca dì Toscana. Boiardi Paolo Emilio a Cesare d' Ente, Duca di Modena Borromeo Federigo a Galileo. Bro/.ek Giovanni * . Castelli Benedetto ad Andrea Arrlghettl. » a Galileo. » j* . » i> . » i» . » . N.* P«g. 28 agosto 1620 1470 48 24 giugno 1623 1561 118 8 * 1624 1088 183 19 luglio 1622 1628 ' 92 G dicembre 1G23 1008 155 28 maggio 1G21 1408 64 aprile 1G27 1811 351 12 gennaio 1622 1617 83 29 novembre 1623 1600 152 G dicembre » 1604 155 3 agosto 1624 1655 197 13 novembre » 1682 228 12 » 1626 1788 284 10 dicembre » 1744 291 1® gennaio 1626 1750 296 21 marzo » 1760 313 4 aprile » 1778 317 30 maggio > 1780 324 1“ agosto » 1701 335 21 » > 1704 337 12 settembre > 1707 340 30 aprile 1627 1812 351 21 maggio » 1818 358 22 » » 1810 359 12 giugno » 1825 361 7 agosto » 1884 372 8 gennaio 1628 1846 383 22 * » 1850 388 6 febbraio » 1852 390 19 » » 1855 393 26 » » 1856 » 25 marzo » 1865 403 29 aprile » 1870 420 14 maggio » 1881 424 27 > ì> 1884 427 3 giugno » 1886 430 17 i» X 1880 434 24 » » 1801 436 t> » V 1802 437 1° luglio X 1804 439 9 » 1806 442 22 » » 1807 443 0 agosto s 1898 444 26 » » 1000 446 t INDICE ALFABETICO. Castelli Benedetto a Galileo. » > . » » . x* » . » > . * » . Cavalieri Bonaventura a Galileo . » » » » » » » » » » » » 6 » » » » » » » » » » » » » P » » t> » » » » » P » » » » » » » » » Ceccarelll Lorenzo > Cesa rini Virginio a Federico Cesi » » » » » » s> » » » » Cesi Federico » a Galileo ... » .... p .... » .... » .... » .... » .... p .... » .... » .... Giovanni Fabei p 481 1 N.° Pag. 1° settembre 1628 1901 447 1G » » 1903 449 3 novembre 1905 451 17 » » 1908 453 25 » » 1911 456 21) dicembre » 1920 464 20 maggio 1620 1468 39 13 gennaio 1621 1489 54 28 aprile » 1495 61 28 luglio » 1504 70 15 dicembre » 1515 81 1G febbraio 1622 1519 84 22 marzo » 1521 86 17 agosto » 1582 96 21 dicembre » 1541 102 9 aprile 1623 1555 114 16 agosto » 1566 123 28 maggio 1625 1727 273 29 febbraio 1626 1765 309 21 marzo » 1768 311 4 aprile » 1774 318 9 maggio » 1779 322 7 agosto » 1792 336 16 dicembre » 1800 343 30 » » 1803 346 30 aprile 1627 1813 352 17 dicembre » 1842 381 14 gennaio 1628 1847 385 8 febbraio » 1853 391 24 novembre » 1910 455 19 dicembre » 1918 463 16 » » 1916 461 22 » 1622 1542 102 28 gennaio 1623 1547 108 23 giugno 1621 1501 68 7 maggio 1622 1623 88 28 ottobre » 1536 99 12 gennaio 1G23 1545 105 3 febbraio j> 1548 109 25 » » 1550 » 20 marzo » 1552 111 18 agosto » 1568 124 28 ottobre » 1589 141 22 novembre » 1598 150 23 febbraio 1620 1448 24 11 agosto » 1477 61 47 V XIII. 462 IN DICK ALFABETICO. Cesi Federico a Giovanni Faber .. » » » » .. > ad Angelo de’ Filila > a Galileo. » » » » » * » » » » a Cosare Marnili. Chlarainontl Scipione a Galileo. » » Clninpoli Giovanni a Galileo »• » » » > » » » » > » N.* Pag. 28 agosto 1621 1509 76 19 novembre 1(522 1588 100 1° giugno 1628 1886 429 7 febbraio 1623 1549 109 4 gennaio 1620 1488 11 4 marzo » 1450 25 IH maggio » 1460 37 4 gennaio 1621 1488 54 2 dicembre » 1514 80 27 * 1622 164* 103 aprile 1623 1556 115 29 maggio » 1560 118 21 ottobre » 1588 140 20 febbraio 1624 1614 165 23 » 1616 166 C> aprile » 1628 170 30 » * 1080 177 18 maggio » 1084 180 10 giugno » 1641 185 26 ottobre » 1674 219 27 dicembre » 1695 243 3 gennaio 1625 1698 245 0 aprile » 1716 262 26 » » 1723 269 26 settembre > 1781 280 10 gennaio 1626 1752 297 4 settembre 1627 1887 375 20 geunaio 1628 1849 387 9 settembre » 1902 448 5 aprile 1625 1717 263 16 novembre » 1741 288 18 gennaio 1626 1758 302 8 agosto » 1793 337 24 maggio 1628 1883 426 18 * 1620 1467 38 17 luglio » 1474 43 2 agosto » 1476 46 20 marzo 1621 1492 58 3 luglio » 1502 69 11 settembre » 1511 77 23 ottobre » 1512 78 26 novembre > 1513 79 18 dicembre » 1516 82 15 gennaio 1622 1518 84 26 febbraio > 1520 85 7 gennaio 1623 1544 104 INDICE ALFABETICO. 483 1° aprilo 1623 N.° 1658 6 maggio » 1657 27 » » 1659 22 luglio » 1562 18 agosto » 1569 4 novembre 1594 16 marzo 1624 1621 22 giugno 5» 1643 14 dicembre S> 1690 28 » » 1749 4 gennaio 1625 1699 15 febbraio » 1707 8 marzo » 1711 19 aprile » 1721 30 agosto » 1780 ì 8 novembre » 1736 28 dicembre » 1748 24 gennaio 1626 1759 10 luglio 1627 1828 8 gennaio 1628 1846 13 maggio 1624 1632 10 novembre 1628 1906 8 agosto 1622 1580 13 maggio 1628 1880 27 agosto 1620 1478 29 ottobre 1622 1587 29 settembre » 1634 9 dicembre 1623 1605 16 » » 1608 27 gennaio 1624 1612 21 febbraio » 1615 24 » » 1617 2 marzo » 1619 8 » •2> 1620 13 aprile » 1625 11 maggio » 1631 24 » » 1635 1° giugno 1636 » » 1644 6 luglio » 1649 17 dicembre » 1692 7 marzo 1625 1710 , 13 aprile » 1719 1 18 gennaio 1620 1436 Pag. 112 115 117 119 125 146 168 187 239 295 246 254 257 267 279 283 294 303 364 384 178 451 93 422 48 99 97 156 160 164 166 167 » 168 171 177 181 » 188 192 240 257 264 13 61 * XUI. 484 INDICK ALFABETICO. Faber Giovanni a Galileo Galilei Maria Celeste a Galileo !> » 9 X> 9 » » 9 9 » » » » » » » » 9 » » » » » 9 » » !> » » . Galilei Michelangelo a Galileo. 15 febbraio 1620 1 N.* 1440 P«R. 23 1° inaggio 1621 1490 62 7 agosto » 1600 73 8 marzo 1623 1551 110 19 agosto » 1570 125 14 settembre 1021 1061 207 10 maggio 1623 1558 116 10 agosto » 1503 120 13 * 9 1505 122 17 9 9 1507 123 21 > 9 1571 12G 28 » 9 1572 127 31 x. 9 1578 9 80 settembre » 1578 182 autunno a 1582 135 20 ottobre 9 1585 138 20 v a 1591 143 21 novembre » 1597 149 10 dicembre 9 1000 157 2(ì aprile 1624 1027 174 19 dicembre 1625 1740 292 20 febbraio 162G 1702 306 24 dicembre 1627 1843 382 1627 1844 9 4 marzo 1628 1859 398 18 * » 1800 399 22 * » 1862 •400 24 » • 1804 402 25 9 » 1800 404 marzo-aprile » 1808 406 » 9 » 1809 407 8 aprile » 1871 410 10 9 9 1872 411 19 » 9 1878 412 23 » » 1875 414 28 9 » 1878 419 11 novembre » 1907 452 10 dicembre 9 1915 460 prima del Natalo 9 1919 464 (ib di dicembre 9 1921 465 0 gennaio 1627 1805 346 5 maggio » 1815 353 14 luglio 9 1829 365 4 agosto 9 1888 371 2G febbraio 1628 1857 394 INDICE ALFABETICO. 485 N.° Png. 22 marzo 1628 1863 401 29 » » 18(57 405 5 aprile » 1870 408 27 *> » 1876 414 6 giugno » 1887 432 » 181)8 438 5 luglio » 181)5 440 23 agosto a 181)1) 445 18 dicembre » 11)17 462 10 giugno 1627 1822 361 16 aprile 1621 141)4 60 19 settembre 1623 1576 130 9 ottobre » 1580 133 23 dicembre 1624 161)4 242 7 settembre 1620 1481 50 18 novembre 1623 151)6 148 21 » 1625 1742 289 27 dicembre » 1747 293 2 agosto 1627 1832 370 11 giugno 1628 1888 433 19 ottobre 1622 1586 98 23 gennaio 1623 1546 107 9 ottobre *> 1581 134 30 » » 151)2 144 20 febbraio 1624 1613 164 4 aprile » 1622 169 15 maggio » 1688 178 8 giugno » 1687 182 23 settembre » 16(55 208 17 marzo 1625 1714 260 30 dicembre 1620 1487 53 20 ottobre 1625 1738 282 12 maggio 1621 1497 64 28 agosto 1627 1886 374 settembre 1624 1668 212 11 gennaio 1620 1435 13 30 luglio 1622 1529 92 7 dicembre 1624 1688 235 17 » » 1691 239 11 gennaio 1625 1701 248 28 febbraio » 1709 256 12 aprile » 1718 263 27 maggio » 1726 272 22 novembre » 1748 290 10 gennaio 1626 1.751 297 17 » » 1757 301 486 INDICE ALFABETICO. Galileo a Cesare Marslli . » si Ferdinando IL de’Modici,Granduca di Toscana. > * * ► > » » T> t « a Giuliano de’Medici. * a Curzio Picchena. * ad Alessandro Serti ni. Gaasendi Pietro a Gallico. . » * . Gerini Andrea a Tolomeo Nozzoltni. Germini Camillo a Zaccaria Sftfredo . Giraldi Iacopo a Galileo. Gloriosi Gio. Camillo a Galileo. » » . («lassi Orazio a Francesco Uoncompagni. Grini Domenico a Galileo. Gualdo Paolo » . > * . Guazzarmi! Gio. Hattista a Galileo. Gucvara (di) Giovanni * . » » . * » . * » ..... ■o » . Guidacci Mario a Federico Cesi . ► a Tarquinio Galluzzi. ■» a Galileo. n ?* ... « b . » » . » *> *> % > >' .> » » > * » » » ì> p ;> 7 > N.* l P»g. 31 gennaio 1626 1701 1 305 28 marzo > 1771 315 25 aprile % 1770 819 27 giugno > 1784 827 17 luglio * 1788 331 20 agosto • 1705 338 novembre 1(522 1540 101 ottobre 1625 1784 282 marzo 1627 1808 350 novembre 1628 1912 457 1620 1139 17 27 aprile 1621 1028 175 20 maggio 1622 1525 90 20 luglio 1625 1729 275 2 marzo 1628 1858 395 24 aprile 1627 1809 350 25 » 1620 1401 34 21 gennaio 1621 1490 55 18 aprilo 1624 1024 170 •20 novembre 162H 1909 454 1626 1804 346 19 dicembre 1626 1801 344 26 marzo 1620 1458 27 20 aprile » 1459 33 » 1621 1020 172 21 novembre 1626 1798 341 6 marzo 1627 1807 349 17 luglio » 1881 368 15 novembro » 1889 377 21 gennaio 1628 1851 389 19 giugno 1620 147» 41 20 > » 1471 * 18 dicembre 162;! 1009 160 21 giugno 1621 1042 186 6 luglio * 1050 192 6 settembre » , 1001 202 13 » » 1608 205 28 * 1000 210 15 ottobre ■» 1071 215 18 * * 1072 217 26 » » 1075 220 2 novembre » 1078 223 8 > * 1680 225 22 * > 1083 229 30 » » 1080 232 21 dicembre » 1693 241 INDICE ALFABETICO. 487 N . 7 8 9 10 Pag. 27 dicembre 1624 1096 244 4 gennaio 1625 1700 247 11 » » 1702 249 25 » » 1704 250 1° febbraio » 1705 251 8 » » 1700 253 22 » » 1708 255 22 marzo » 1715 261 18 aprile » 1720 265 3 maggio > 1724 270 5 luglio 1624 1048 191 17 agosto » 1058 199 5 settembre » 1000 201 28 » » 1007 211 4 ottobre » 1009 212 26 » * 1070 221 8 novembre » 1081 227 29 » » 1084 230 7 dicembre » 1089 236 27 febbraio 1626 1703 307 21 marzo » 1770 313 30 aprile 1620 1403 35 6 ottobre »> 1483 51 6 marzo 1620 1451 26 30 luglio 1621 1505 72 10 » 1620 1473 43 26 gennaio » 1438 15 22 novembre 1622 1589 100 14 gennaio 1624 1611 163 7 maggio 1622 1524 89 23 novembre 1623 1599 151 29 » 1624 1085 231 12 dicembre 1623 1007 159 3 » 1624 1087 234 31 » » 1697 245 8 marzo 1625 1712 258 22 aprile * 1722 268 7 maggio » 1725 271 4 giugno » 1728 274 14 novembre » 1789 285 10 dicembre » 1746 292 10 gennaio 1626 1758 298 3 aprile » 1772 316 INDICE ALFABETICO. Marcili Cesare a Galileo Mattel Girolamo *> Medici (do’) Ferdinando II, Granduca di Toscana, a Fran¬ cesco Niccollnl. » Giuliano a Curzio Ploohenn . . ■ Monte (del) Francesco Maria a Galileo Morandl Orazio Muti Carlo » » » » » Nozsollni Tolomeo ad Andrea Cerini. » » » » Oddi Muzio a Piermatteo Giordani Fioroni Giovanni Figlioria Lorenzo » » » 1 N.» Pag. 20 giugno 1626 1782 326 5 luglio » 1785 329 7 » 17H7 330 26 » » 1790 334 2 settembre P 1706 340 giugno 1624 : 1645 188 13 luglio » 1G51 | 193 27 febbraio % 1618 167 2*i gennaio 1620 1440 20 28 » 9 1448 22 4 febbraio » 1445 23 20 ► » 1447 24 22 aprile *• 1460 34 1° dicembre • 1485 52 3 maggio 1464 36 t» giugno 1460 40 17 aprile 1626 1775 ' 319 2 maggio 1777 i ; 320 20 giugno * 1788 327 18 aprilo 1620 , 1458 32 25 settembro ► 1482 51 15 agosto 1621 1507 74 26 aprile 1627 1810 351 1* maggio > 1814 353 » » 1821 361 giugno » 1823 » > » 1824 » 2 settembre 1622 1533 07 27 maggio » 1526 01 30 giugno » 1527 92 23 giugno 1627 1826 362 23 febbraio 1620 1449 24 27 luglio 1624 1053 105 16 settembre 1628 1004 450 9 febbraio » 1854 302 17 maggio » 1882 424 24 luglio 1626 1780 333 24 gennaio 1621) 1487 14 31 » » 1444 22 27 marzo * 1454 29 6 maggio 1622 1522 87 \ INDICE ALFABETICO. 489 Ricci fdc’) Pierirancesco a Ferdinando II de’ Medici, Granduca di Toscana.. Rinucciui Gio. Battista a Galileo. » » ;> » i> » » f> » s> lliuuccinì Tonnnaso » » » r> v x> i> » s> J> » i» » x» s- Rota Angelo » Sagredo Zaccaria a Galileo. t> j> » j> » » i/ i> » Santini Antonio » » » v * » » » * » » v * » » » » Settnla Lodovico » Silvi Giovanni » Somniaia (da) Girolamo *> » » » s> Spagna (di) Filippo 111 a Podio Tellez y Girini, duca di Ossuna. Spinola Tiberio a Galileo. » » . 7> » . Stellali Francesco a Federico Cesi. j> a Giovanni Faber. a Galileo. N.° Pag. 1° dicembre 1628 1913 458 27 marzo 1621 1493 59 13 ottobre 1623 1583 136 10 » 1625 1782 281 1° novembre » 1735 282 8 » 1737 284 1G gennaio 1626 175C 301 20 ottobre 1623 158C 139 3 novembre » 1593 145 2 dicembre 6 1602 153 20 luglio 1624 1652 194 27 » » 1654 196 10 agosto » 1657 198 16 marzo 1625 1713 259 24 gennaio 1626 1700 304 13 giugno 16^1 1499 65 14 marzo 1620 1452 27 14 aprilo » 1457 31 5 maggio » 1465 36 1° luglio 1472 42 25 » » 1175 44 29 agosto » 1480 49 10 gennaio I» 1434 12 3 aprile 1455 29 4 luglio 1624 1647 190 9 agosto » 1656 197 G settembre » 1662 204 4 ottobre » 1670 214 26 » » 1677 222 15 novembre 1625 1740 28G 8 maggio 1626 1778 321 16 dicembre 1620 1486 52 17 giugno 1628 1890 435 29 aprilo 1G20 1462 35 29 novembre 1623 1601 153 13 dicembre 1626 1799 342 28 gennaio 1620 1442 21 22 * 1621 1491 56 15 giugno » 1500 66 25 agosto » 1508 75 30 settembre 1623 1579 132 7 » 1621 1510 77 27 gennaio 1620 1 1441 20 490 INDICE ALFABETICO. Sto]luti Francesco u Galileo.... » > .... » » . » » J> » . * » > ► » » 9 » ... . » * V >>.... » » ... . » » . . . . » » Stigliali! Tommaso » Vini miccini Giovanni a Gallico 1 N* Fsg. 4 aprilo 1020 1466 30 10 agosto 1622 1531 95 8 aprile 1623 1564 113 12 agosto » 1564 121 8 eettembre * 1575 129 28 ottobre * 1Ó90 142 4 novembre ► 1605 147 23 agosto 1624 1650 200 IO gennaio 1G2C ' 1764 299 28 febbraio * 1764 308 7 marzo > 1766 310 14 » 1767 » I l agosto 1627 1S35 373 2 dicembre 1628 1014 459 30 ottobre 1620 14S4 52 2 novembre 1634 , 1070 225 U» Cfr. nota 1 a p»g. 225. K 1 ' INDICE DEL VOLUME DECIMOTEEZO. Carteggio. — 1620-1G28...Pag. 9 Indice cronologico dello lettere contenute nel Voi. XIII (1620-1628). 4G7 Indice alfabetico delle lettere contenute nel Voi. XIII (1620-1028). 479 LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XIV FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1935 - XIII LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XIV. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE BOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XIV. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 19 35- XIII. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 469. FIRENZE, 101-1035-36. — Tipografia Barbata - Altari k Vkntcih proprietari Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario: ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CEROTTI — G. COVI — G. V. SCHIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale K POSTA SOTTO GLI AUSPICHI DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI R DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore : GIORGIO ABETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo : PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1629 - 1632 . 1922. GALILEO ad ANDREA CIGLI [in Firenze]. Rclloflguiirdo, l® gennaio 1620 . Blbl. Naz. FI r. M»s. Gal., P. T, T. IV, cur. 69. — Autografa. Ill. mo Sig.^ e Pad. ne Col. ,no Dal molto IL Patire Don benedetto Castelli tengo un suo libretto del movimento dell’ acque n) per presentarlo al Ser. rao G. D. nostro Signore per suo nome. La malignità do i tempi, contrariissimi allo stato mio, non mi ha permesso poter venire alla città per esequir tal ordino; et havendo mandato ben 3 volte Vincenzo mio figliuolo per far questo, non gli è succeduto per mancamento di chi V intro¬ ducesse. Ho pertanto resoluto (per non indugiar più) di prendermi libertà della cortesia di V. S. Uh* 1 **, sapendo massime quanto ella io ama l’autore, e supplicarla che voglia per me presentare il libro, il quale insieme con questa ella riceverà per mano di mio figliuolo ; o quando anco paresse a V. S. 111.™* che questa fusse non incon¬ grua occasione che, scorto da lei, mio figliuolo presentasse il libro, con darò il buon Capo d’anno a S. A. et intanto esser da quella conosciuto di vista, V obbligo sarebbe grandissimo dalla parto no¬ stra, et io lo riceverei per favore singolare. Rimetto il tutto alla sua prudenza, e con restargli servitore obbligatissimo, gl’ auguro *»» Cfr. u.« 1903, liti. 13. 12 1° — 2 Gennaio 1629. 11922 * 1928 ] felice il prossimo anno e molti anni appresso, e rtverent.menfo «li bacio le mani. Da Bell.* 0 , il p.° ài Gen.° 1628 . i Di V. S. IH.™ I)ev et Obblig •" ^r.** Galileo Galilei. Fuori: All*111.» 0 Sig» e Pad. 00 Col.™ 11 Sig. r Ball Gioii etc. In sua mano. 1923*. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO m Firmxt. Parma, 2 gennaio 1620. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. HI. - 4ut., perchè gliela inviassi, dicendo che saria stato bene che havessi haruto in Bologna qualche gentil huomo amico che havesse agiutato il negotio, et anco che V > scritto al S. T Card. 1 Ludovisio di suo pugno, eh'haveria giovalo n hai. Ilora io non ho volsuto mandare al Ludovisio direttamente In lettera del U D., \ re HA non paresse che Thavessi mendicata io: ho pensato (se r..>t h j uei ’ IPfOIITO Alduvrìudik. Lotootico Lroorwi. 2 GENNAIO 1629. 13 [1923-192+1 Al P. D. Benedetto non scrivo nè scriverò alcuna di queste cose, poiché mi si mostra scarsissimo di parole e di affetti, non havendo mai potuto haver da lui una minima risposta a più di 12 lettere che gli ho scritto da otto mesi in qua, se ben bora non li scrivo più. ('redo che i commodi di Roma non lo la¬ scino pensare più in là dell’ istessi commodi. Communque si sia, so quanto sarò oblignto eternamente a V. S., e quanto farò all’occasione, menti-’io possa, por mostrarli l'affetto dell’animo mio e la stima elio di lei faccio. E con tal fine li bascio le mani, confermandomeli devotissimo et obligatissimo servitore. Pi Parma, alli 2 Gen.” 1629. go Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Ob. mo Ser.” F. Bon. ra Cavalieri. Fuori: AH’molto 111” et Ecc. mo S. r e T.ron mio Col. m ° 11 S. r Galileo Gal.*‘ Fiorenza. 1924 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [CESARE MARSILI in Bologna). Tanna, 2 gennaio 1629. Arch. MaraigU in Bologna. Busta citata al n.* 1683. — Autografa. Ili»* S. T e P.ron Col." 0 I/affetto singolare eh’in me nacque verso di V. S. dalle relationi fattemi più e più volte dal molto II. P. D. Benedetto Castelli e dal S. r Galileo delle sue qualità, c massime deH'inclinatione e progressi fatti ne* studii di matematica, essendomisi poi accresciuto poi¬ ché anco di presenza la conobbi all’hora quando ella mi diede l’Iperispastes (sic) del Keplero da portare al S. r Galileo (1 \ quello, dico, mi spinge bora e mi proraove a sup¬ plicarla del presente favore, dandomi animo la sua cortese natura et inclinatione a favo¬ rire li Budetti studii. Saprà dunque come il S. r Galileo più e più volte mi ha significato il desiderio olio io haveva, che a’miei studii, da lui più e più volte conosciuti, circa le matematiche, nascesse opportuna occasione perchè potessero più fecondamente germogliare e fiorire; ond’io, con l'opportunità delle nozze di questi Serenissimi di Parma « e della venuta delPIll.® 1 SS. ri Card. 1 ' Ludovisio ed Aldobrandino, nostro protettore, con occasiono di far riverenza airlll. M * Aldobrandino, venni in raggionamento di questo, e facendo riflessione sopra lo Studio di Bologna, eho non havea lettore in tal professione, gli mostrai quanto saria stato («) Cfr. un.' 1754 « 1757. i*) Cfr. n.« 1910, liu. 18. 14 2-4 GENNAIO 1629. 11M4-1W61 di profitto ft’ mici studii so havesai potuto decorarli con Ul ncc» ' » i i : !■ .i-'i.» havova un’opera da stampare in geometria, diviaa in libri, ut altre c.r, parte in carta e parto in mento, che «ariano ftato fortunate in tal maniera «li goder della luce che desiderano le opero fatto con sudori e fatiche, come dal S r GaMeo à «tata g «idi .\i questa, se havessi barato il rincontro di potere mnerriUrc qne«ti Bimbi c»»i. in H -’^gna 30 ond* egli mi offerse V opera sua appresso 1*111."* Ludovinio, e mi cv.rtò a ehm-* patti* al S. r Galileo, al quale subito scritto, egli, seni» che cercaci queeto, ottenne l'allegata tot- torà dol G. Duca in mio favore per queeto negotio apprcaao P HI ."* l^doviaro, quale mi dico ohe è scritta di honissimo inchiostro. Perù non l’ho rt»l«uta mandar io al S ' I m- dovisio, per non parer d’haverla mendicata io, come in eflrito non è. mi la n u>| • a T1 indugerò quando piacerà a V. 8., bastandomi rii saperlo qua!, li* giorno avanti, e farò anco capitale dell’amorevole offerta ch’ella mi fa d* mutarmi. p*»i che, come discreta, può giudicare che, nel termine nel quale mi riliurn, 1* non corrispondino nè all’animo nè al debito mio; onde gli mando in n M le co-»* di più spesa che per far un bacino di paste ri bisognano, lasciando p* r ine gl’ingredienti di minor costo. Oltre a ciò V. S. potrà vedere • vuole che togli io faccia altre paste, come biscottini col zoccolo e simili, perchè rrclo mi/altro elio spenderebbe manco che pigliandolo dallo spezialo; et noi lo fan-mmo con tutta la diligenza possibile. Desidero di più ch'ella mi dica il suo guato quanto al pr« cntar qualche cosa alla medesima sposa, perchè if.. .]sidero se non di compiacer a V. 11 mio pensierf...] farlo Un bel grembiule, sì perchè sarebbe cosa uf...] anni a noi di manco spesa, potendo lavorarlo da per [...]; e questi collari o gr.indigli*' elio usano adesso, non sappiamo farli. <*» Cfr. u,° 1923. <*> burau Uoccmi>bbi, 4 — 5 GENNAIO 1029. 15 [1925-1920] Dubiterei di non far sproposito, domandando a V. S. di questo bagattelle, so 80 non sapessi elio ella, cosi nelle coso piccolo corno nelle grandi, ha di gran lunga più retto giuditio che non havi&mo noi altre, et per ciò a lei mi rimetto. Et per line mi raccomando, insieme con Suor Arcliangiola. et a Yincentio ancora, il Signor la feliciti. Di S. Matteo li 4 di Gen.® 1028 Potrò consegnare al fattore la |...]iera de i collari con 3 coperte, [...] un grembiule sudicio, uno sciugatoio, [...] una pezzuola. Sua Fig. 1 * Suor Al. 8 Celeste. so Fuori: Al molto lll. r ® et Amatiss. mo Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. Zucchero.lb. 3. Mandorle .... lb. 3. Zucchero line . . on. 8. 192 G*. CARLO CASTELLI a GALILEO [in Firenze]. lin'Hcia, 5 gennaio 1(320. Bltol. Kax Pir. Ms». fiat, P. I, T. IX, car. 143. — Autografa. Molto 111.® mio Sig. r et £at. Oss. ,no Non poteva il P. r ® D. Benedetto, mio fratello, compartirmi cosa di magior mio gusto, (pianto Tessermi stato mezzo per aquistarmi la gratia di V. S. molto 111. 0 , per ogni rispetto non mcn riguardevole clic desiderabile. Ilo per ciò con ambition particolare riceuto li 3 del cordite le lotere di V. S. con l’onore de’suoi comandamenti. ìnmediatamente andai dal molto Rev.' 10 Mon. r Brognetti, deposi¬ tario di beni del q. Mo. r Vicario, che era debitore del S. r suo nipote (:) ; ma, per esser absente l’agente dell’heredi di detto Sig. r Vicario, conl’ocasion della lite ebe à con altri elio pretendono d’esser heredi ab intestato, qual si tratta, per io quanto intendo, in Venetia, non ho per ora potuto haver certa risposta del mio (M Di s*ile fiorentino. (*) Vikcknzio di Michkmnoki.o G aulii. 16 5—8 GENNAIO 1629. [1926-19S7J intento, solo che a’atende in breve che vanghi da Veneti», et eli* vi e irà il da¬ naro in pronto da dar compita satisfattone ; et se tardar.» pai del dovere, col parer de avocati piliarò puoi qualche partito, ai to che et V. S r. u . e Pr. I). Lorenzo da Vincenzo mio figliuolo {i) , essendo elio li tempi contrariissiini alla mia sanità ini hanno tenuto sia bora per 3 settimane con doglie acerbissime, et il molto R. dtì Padre Abate mi fece intendere che, scudo occupatissimo, non poteva servir la P, V., come harebhe desiderato. La scrittura ù piaciuta assai a tutti che l’hanno letta, e qua si trattava di rintani- io parla; ma intendo clic ella non so ne contenta. Io la rileggerò più volte, e se mi parrà alcuna cosa da notarsi, l avviterò in occasione che bisognasse ristamparla: e per bora mi suvviene di quella acqua Lett. 1026. 21. mtdemumentn — Cfr. n.« 1920. i*i Cfr. D • 1928. 8—12 GENNAIO 1029. 17 [1927-1928] premuta che olla interpreta come condensata, dalla quale opposi¬ zione potrebbe Tautor n difendersi, elio non è necessario che l’acqua premuta si condensi, per scappar con maggiore impeto; sì come il nocciolo di ciriegia, premuto dalle dita, scappa con velocità senza condensarsi, e P acqua stessa premuta nello schizzatoio salta anco in su, e compressa dal proprio peso escie della botte piena velocemente. 20 Mandai la procura <2) al S. suo fratello t:,) , ma non ho per ancora nuova della ricevuta. Mi favorisca far lo mie scuse, appresso Mona. Ciampoli o dove bisogna, delle tralasciate buono feste, come impe¬ dito dal male; le riceva per sè o lo poi’ga in mio nome, e ini ami o comandi. Da Bell.*», li 8 di Gen.° lG28 (i) . Della P. V. molto R. Ser.™ Obblig.® 0 Galileo Galilei. Fuori: Al molto Rev. do P.re, mio Sig. r Col.® 0 Don lieued. to Castelli. so S. Calisto Roma. 1928. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Parma, 12 gennaio 1629. Bibl. Nae. Flr. ili». Gal., P. I. T. IX. car. 145. — Autografa. Molto III." et Ecc.“° Sig. r e P.ron Col.™ 0 11 Sig. r Cesare Marsilii dice, die per agiutare il mio negotio sarebbono ne¬ cessarie due lettere del Ser. ra0 G. Duca, una per il Legato t,) e l’altra perii Re- gimento; queste possono incaminar benissimo il negotio, e l’aggiunta della sua testimonianza darli compito fine: perciò la supplico di queste e del suo testimo¬ nio, almeno appresso il Regimento. Mi ha scritto il S. r Cesare che in Bologna si suol leggere Euclide, la Sfera, le Teoriche de’ pianeti e l’Almagesto, e che però io lo avisi se in questi mi sono profondato. Quanto all’Almagesto, io ne viddi i l‘l Giovanni Fontana. Cfr. n. # 1930. ( * 5 Di stilo fiorentino. <*1 Cfr. Voi. XIX. Doc. XXX11I, a, 8j. **> Bkunaroixo Spada. *•» Ca«lo Castrili. XIV. 3 18 12 GENNAIO 1629. [199&1M9] primi 4 libri con diligenza: gli altri li trascorsi anchora tutti, so l.«i» non con tanta diligenza come i primi; però all’occasione spero die del resto anchora iu potrò darli sodisfattione con un puoco di nuovo studio eh’io li fama Udii altri non parlo, parendomi che basti il dir d’haver visto l’Almage to. Non man. herò però fra tanto di farvi riflessione, e con più animo quanto meglio putirò in< a- minarsi il negotio; che se non sortisse, temo che mirano cau^a eh’in mi raffreddi tanto nello studio, ch’io non possi applicar 1‘animo per l’avvenire a far <<.-* buona, non ostante ch’io tenga in mente i semi di bellissime come, Iddio gli darà vita, come Lo prego, e a me anchora, con conmdiU li farò «apere Fra tanto prego N. S. che li dia sanità, dolendomi molto per hater mt. dal P IU* nostro ch’ella sia travagliata da indispositioni; o di gratin, veda, m può. di scriver almen due righe di suo pugno alti -adotti SS/* ». di farmi 1 aver le a . » tt. -j lettere, quali però potrà lei inviare al S. r Osare Marsilii, che le pn unterà e darà il moto al negotio, e, come spero, lo ridurrà con tal mero al de "forato fine. Con che me li confermo devotissimo et obligati -imo servo, indoli le mani. Di Parma, alli 12 Gen. ro 1629. Di V. S. molto Ill. r * et Ecc. m * Oh.** Scr** F. Bon. r * l av alteri. Fuori: Al molto 111.” et Ecc. mo Sig. r e I’.ron Col.** Il S. r Gal.* 0 Galilei. Fiorenza. co 1929 **. BONAVENTURA CAVALIERI a CESARE UARSIM in Bologna Panna. Pi gennaio 1CJV. Aroh. Marnigli in Bologna. Busta citata al n.« 1CSS. - loUf sf* 111.®* Sig. r e P.ron Col.®* Dal P. Priore di S. Eustachio ho inteso il bisogno, e ne ho a-ritto »! ’ Caldeo quale (come per un’altra ho scritto a V. S.) intendo ch’è amala! : tuttavia »p«-ro »he, se può, in qualche maniera nifi ne favorirà; qual poi manderà • V > !•■ l-tt.-ra che bi¬ sognano, acciò poi ella mi favorisca, come la prego, di presentarle, fiutando il m-got.o come più gli parerà spedi ente.... l»i Cfr. n.° 102$. [1930] 21 GENNAIO 1629. 19 1930 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 gennaio 1029. Blbl. No*. Fir. Msi. Gal., F. VI, T. XI, cnr. 97. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r o P.ron Col." 10 Lo lodi elio V. S. molto 111.™ dà. alla mia scrittura m mi fanno insuperbire di modo, elio mi sono gloriato con tutti questi Signori e con Nostro Signore stesso del voto di V. S. ; o li no rendo grazie, perchè tengo per formo che l’ope¬ retta li paia di qualche merito per P amore che porta all’ autore : e so le cose che son scritte son vere, come io credo, lei sa che è opera sua. E questo che io dico è tanto vero, che PEcc. mo S. r Ambasciator Veneto Angelo...più volte m’ha detto che la scrittura pare opera di V. S. Quanto a quella difficoltà elio fa dell’acqua premuta, non credo che il Ech¬ io tana 1 *’ possa pretendere quella fuga che V.S. pensa: prima, perchè non l’ha detto; o di più, so lo voleva dire, e se intendeva questo punto della velocità, fu in tutto vanissima l’opera sua di quelle misure. Ma rispondendo più vivamente dico, che in tal senso non è vero che l’acqua occupi minor loco per essere premuta, come dico il Fontana, ma per essere veloce, come dico io; nel modo elio non è vero che il giaccio galleggi per essere a predominio aereo, ma perchè è più leggiero dell’acqua. So elio V. S. m’intende senza che io dica più: la voglio solo pre- garc che osservi la cautela con la quale io camino nella mia scrittura, di dire sempre che non è stata bene intesa, pienamente spiegata, al vivo penetrata, e simili cose, la velocità dell’ acqua e la sua forza in fare scemare la misura. 20 I Padri del Collegio han vista questa opera; io però non glie l’ho data; o la lodano in colmo. Presto haveremo un libro novo o grande delle macchio solari del finto Appelle (4) . Staremo a vedere. In tanto li bacio lo mani, che mi soggiacciano dal freddo. Il padre Falconcini porta lui i miei libri. Roma, il 21 Gen.° 1629. Di V. S. molto III. 1 ' 0 Oblig. mo Ser. r0 o Dis. 10 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto Ill. re Sig. r e T.ron Col." 10 Il Sig. r Gal. 0 Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. X>ett. 1930. 18. tempre rAe rhe non — Cfr. n." 1927. <3 » Giovaxxi Fontaxa. Cfr. n. 8 1927. •*> A no k i.o Coktarix!. Nel mss. segue ad Angelo Intendi, quella che poi fu la Rota Uriina: nn cognome (Fotoarinif) cancellato. cfr. u.® 870 20 27 GENNAIO - 20 FEBBRÀIO 1639. [ 1931 - 1993 ] 1931. CARLO BOCCHINERI a [GALILEO in Rrtn t ’. Prato, 27 gennaio 1620. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., ?. I, T. IX, car. 87. - Àutofuf*. Molto 111.” et Ecc. mo Big/® Li sposi g tutti noi stiamo con molto desiderio attendendo V S !• domenica mattina, augurandole un lieto e quieto viaggio. La *|x*a, |mi r. .ner¬ vazione di V. S., la prega a venir in lettiga, acciò il gran freddo della mattina non le faccia nocumento alla testa; però venga bene armata di i«tmi e chiavi, che noi le prepareremo un buon fuoco. Non venga anco digiuna Ci virò una messa riservata a lei nella mia chiesa, che starà a post* sua, e ri -rvar.d i nel resto a bocca, tutti unitamente le baciamo le mani. Di Prato, li 27 di tìenn." 1628 \ Di Y. S. molto IH.”* et Ecc. m * Pigli ancora in lettiga un caldanino per non patir freddo. Ser.” Àfl>® e Parenti* Carlo Hocchinen. 1932. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Y.rt-.xr Parma, 20 febbraio 182X Bibl. Naz. Flr. Mss Gai., P. T, T. IX. car. 147. — A#t fn'y Molto 111.” et Ecc. mo S. r o P.ron Col.»® Stavo pure aspettando le due lettere del G. Luca per il Legato di Bologna o per il Regimento, conforme che li scrissi " haver inteso dal S.'Cesare Marititi r-rr di bisogno, ma sin hora non le ho ricevuto; e perciò ho scritto al S. r (Y . tre rho non trattenesse più quella del G. 1)., che lei mi mandò, ma la fan . . bavere all 111." 10 Ludovisio, e trattasse il negotio, pensando che queste due non pò* ino tardare a venire, sì come la prego quanto so et posso. Vixckkzio 0 ai.m.ki o Rkstilu Boccaixuu H Di Itila *or*nt»n ■ Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVII, d). Oi gfr. ns 1928, Uà. 2 4. IP 20 — 24 FEBBRAIO 1020. 21 [1982-1938] Ho havuto da Mons. r Ciampoli 5 lettere di raccomandazione appresso grill.™ Aldobrandini, Ludovisio e Spada 01 legato, o 1’ IU. ,H0 Marchese Facliinetti w et il io S. r Cospi l, \ SS. ri del Regi mento. Mi son risolato mandare al S. r Cesare il mio libro di geometria 01 acciò, se ben non ho in stampa, voghino il preparamento; ma perchè so che forsi non si troverà in Bologna chi si prenda cura di ossaminar tal libro, o finalmente la concluderano eh’ io li mandi qualche cosa in astronomia, qualche tavolo o effe¬ meridi, e poiché io non ho applicato lo studio in questa parte, distratto da quel- l’altro genere di materia, desiderarci che V. S. Ecc." 1 ® facesse un puoco di sicurtà per me appresso quei SS. ri con una sua lettera scritta al Regimento, o al capo, o ad un de’ principali, che in questo anchora fossero per ricevere quella sodi- sfattione elio loro desiderano, potendosi metter loro in eonsideratione che se il so Magini è tanto stimato in astronomia, egli perciò non s’applicò ad altra parte, come ho fatt’io, non havendo, per dir così, messo il piede nell’immensi campi delle altre parti di matematica. Fra tanto ho revisto Tolomeo e mi vado impos¬ sessando anchor di questa parte, e farò in tal maniera che mai V. S. sia mole¬ stata per la sicurtà eh’ havrà di me fatto appresso quei SS. ri , sì come la prego vogli far quanto prima con favorirmi delle due lettere già scritte, che gli proffes- serò eterna gratitudine, e me li terrò perpetuamente obligato. Pi Parma, alli 20 Febraro 1629. Di V. S. molto Hl. r ® et Ecc. ma Ob. mo e Dev. m0 Ser.™ F. Bon. r ® Cavalieri. so Fuori : Al molto lll. re et Ecc. ro0 S. r e P.ron mio (Jol. mo Il 8.» Galileo Gal.* Fiorenza. 1938 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 2-1 febbraio 1629. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gal, P. VI. T. XI, car. 108. — Autografa. Molto IU." Sig. r e P.ron Col. mo Io credo di havere incontrato alcune cose belle in risposta di quell’ acqua premuta 01 , le quali non ho ancora ben distese in netto, ed haverei estremo bi- Lett. 1032. 25. gih «enfio — <•> Hkknakoino Spada. **» Lodovico Faccrikstti. <*> Kkakcmoo Cospi. i») Cfr. n.“ 1934. <»> Cfr. un.' 1927, 1980. 22 21 — 27 FEBBRAIO 1620. [ 1933 - 1934 ] sogno di esserli per quattro o Bei giorni appresso; ma in ogni modo spero, per l’ordinario che viene, mandarli 1* ossatura del mio pernierò, che credo che li sarà di gusto. Qua si dico che il Padre Scheinero, alias Aprile, habbia finito di stampare il suo libro De maculis solis in Bracciano (‘orni* viene alla luce, procurarò mandargliene uno. In tanto deve sapere che al principio di questo mese apparve una macchia nel sole assai grande o o < tira, rotonda, con io pochissima accompagnatura, la quale finì il suo corso e passaggio a' 9 del pre¬ sente, e questa mattina ha cominciato a comparire di nuovo, in modo, che credo sia la medesima; e il tempo del ritorno rincontra benissimo. Oggi ho incontrato il S. r Principe Cesili, tutto tutto di V. 8., c li bacia lo mani; ed io me li ricordo servitore obligatitwimo, come mi. Di Roma, il 24 di Feb.° 1629. Mi è stata mandata da una Sig. r “ R. 11 * monaca della None ialina * una scatola, dentro alcuno paste e fiori, e la lettera è stata persa da qudlo che ha mo>s>a la scatola dalla dogana; però non so il nome ili cot**ta Signora solo mi rn ir lo che è di casa Baldesi. V. S. faccia mia scusa, se non rispondo bora, e U nn- ' > grazii di tanta cortesia. Di V. S. molto Ill. r0 Obliif.*** Ser.** e Di*. u Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto IH.™ Sig. r e P.ron Col.* 0 Il [_] Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser. m * Firenze. 1934 **« BONAVENTURA CAVALIERI a [CESARE M ARSI LI in Bologna Tarma, 27 febbraio 1C.29. Arch. Maraiffli in Bologna. Busta citatA a) n.» 1A8*. — Autografa. Ill. m0 Sig. r e r.ron Col." 0 Gli mando il mio libro di geometria'', acciò, essendo ricercata, possi mostrare qual¬ che cosa del mio. Questo fu già visto dal S. r Galileo, e da lui mi fu collaudato il farlo stampare.... IO Crr. n.« 1930. <*> Cfr. nn.' 1901, 1903, *'» Cfr. no.' 19*4, IMU. [1985] 2 MARZO 1629. 23 1935 * GIOVANNI DI GUEVÀRA a [GALILEO in Firenze]. Roma, *2 marzo 1629. Bibl. Naz. Flr. Un. Gal.. P. VI, T. XI. car. 105. — Autografa. Molto Ill. ro SÌR. r mio OsS. mo Vedendo di non bavere risposta da V. S. per spatio di più tV un anno sopra quelle diilicultà che mi occorrevano nella questione 24 delle Medianiche d’Ari¬ stotele, torsi per naufragio di lettere e star la mia rosidentia lontana dal com¬ mercio, feci finalmente proseguire la stampa che tenevo sospesa in Roma; dove già terminata e sopragiuntovi aneli’ io, ne mando a V. S. con questa un volume, et un altro al Ser.'"° Gran Duca (,) . Conosco d’essere troppo ardito con esporre i miei mancamenti al sole prima di riceverno la correttione; ma la ne¬ cessità d’esser troppo impegnato, co’l principio dato alla stampa due anni io sono per gusto de’ Padroni, e l'osservanza che professo a S. A. Scr.'" 14 et alla molta gentilezza di V. S., mi farà essere compatito, convenendomi esporgli quel che non potevo coprire, dopo haver scoperto quel che intendevo già anni sono, senza tempo di ruminare o conferir le materie con altri, come si suole, per tro¬ varmi in un’aspra solitudine d’huomini di lettere et impiegato in materie diffe- rentissime, come sono quello del governo della mia chiesa ed’una diocesi gran¬ dissima, quando più pensavo di attendere a me solo et allo studio privato. Accetti dunque V. S. questo picciolo segno del molto che la riverisco e stimo, e sia un tributo di riconoscenza alla sua singular dottrina, della quale si compiacque danni un saggio a bocca quando eravamo in Firenze co ’l Sig. r Cardinale Bar¬ io herino 11 ; e favoriscami con suoi comandamenti avisarmi liberamente ciò che senta dell’ opra, poiché quello che non ò più a tempo per 1’ emendatione del fatto, sarà cautela per qualche altra opra da farai. Con che, desiderando sopra modo di rivedere Y. S. e goderne un poco servendola di presenza, finisco con baciarli affettuosamente le mani o supplicarla mi mantenghi la gratia di S. A. Ser. ma , con ricordargli quanto li vivo affettuoso o vero servitore. Da Roma, 2 di Marzo 1629. Di Y. S. molto III.™ Affett." 10 Ser. ro di cuore Cr. di Guevara, Yesc. 0 di Theano. Lett. 1035. 11. mollo gtnlìUxxa — 23. ricedtre a V. $ — Ol Cfr. n.« ISSI, lin. 12. l*i Maffeo Barberini. 24 4—10 MARZO 1629. [1930-1937) 1936 **. SIGISMONDO PELLEGRI a [CESARE 11 ARSII.1 m 0- «t> •]• Bologna, 4 marxo 162i«- Arch. Maraiffll in Bologna. Busta citala al n.» li 3. - Ant #i»U 111“° S. r e P.ron Colen. B0 Per informatione più piena di V. S. 111.**, dico eh# il Pad* •• hiama Fra Buon*- ventura Cavalieri da Milano, il qunla è «tato discepolo d**l Si* ' Galileo, at g>4 «li*. » ai.m sono che ha letto nel Studio di Pisa m Buplimonto dol Padre Don Ben letto C« «triti, rao- naco Casinense; et al presente bì trova in Parma, Priore dol nostro monaatero di 9. Bene¬ detto, et è di età incirca d'anni 35.... 1937 **. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna) Firenze, 10 turno ltìaft». Axoh. Marsig'li in Bologna. Buita clUU «1 n.» lfl»3. — AoWi*f*. 111“° Sig.^ e Pad." Col. m ° Il non haver saputo (ancor che lungamente vi hnbbia pennato) trovar parole e scuse atte a purgare appresto V. S. Ill. n * la contu¬ macia in che mi veggo caduto*per il silenzio di tanto tempo, ha fatto divenir Pistessa contumacia continuamente maggiore, e t de che, diffidando quasi di poterne già mai impetrar perdono dalla sua cor¬ tesia, ancor che infinita, ho più volte presa la penna in mano, «• poi, come disperato, depostala; e benché appresso la mia coscienza io mi sia per mesi et anni sentito scarico e disobbligato da rotai debito, poi che un miserabile infortunio, che con mio infinito dolore interi io essere accaduto a \ . S., mi rendeva impossibile il farli* pervenire al¬ tro che le mie lagrime, tutta via l’essere stato ultimamente da ino saputo il tristo avviso essere stato falso, non ha bastato a rinfran¬ carmi gli spiriti et a prestarmi ardire di liberamente comparirò avanti a lei, che della causa della mia lunga taciturnità non era consapevole. Hor tandem, S. Cesare, io, e non lei, sono ritornato da morte a vita nel sentire che ella, al suo solito, vive por favorire gl amici e servitori suoi, e sono P istesso Galileo, suo antica o devo- 10—15 MARZO 1629. 25 [1937-1938] tissiiiio servo: luimilniente gli chieggo perdono, e la supplico a re- stituirmi quel luogo elio già mi concesso nella sua buona grazia, prontissimo a emendare il fallo commesso con quella penitenza elio alla sua indulgente benignità piacerà d’impormi. 11 molto Uov. a ° Fra Buonaventura Cavalieri, Gesuato, il quale por onorarmi dice haver ricevuto da me qualche aiuto nel principio de’suoi studii matematici, sento elio ricerca la lettura di tal facoltà in cotcsta Università, e questo per potere con maggior libertà pro¬ seguir tale studio, nel quale egli si sente haver talento o genio mi¬ rabile. lo, se ’l giudizio mio può comprendere il vero e l’attestazion mia trovar credito alcuno, ingenuamente stimo, pochi da Archimede :;o in (pia, e lorse ninno, essersi tanto internato e profondato nell’ in¬ telligenza della geometria, si come da alcune opere sin», comprendo; e per esser questa parto la più difficile, e quella sopra la quale tutte le altre matematiche si appoggiano, non ho dubbio alcuno che egli nello altre, assai più facili di questa, non sia per far passate mira¬ bili. Ne ho volsnto dar conto a V. S. (supponendo elio ella sia per favorirlo) per entrar a parte nell’ onore che io son sicuro che egli arrecherà a coteata cattedra, qual volta succeda che sia fatta elez¬ ione della persona sua. Ne mi occorrendo altro per hora, torno al mio particolare interesse, supplicandola a consolarmi con due sue 40 righe et a restituirmi la sua desideratissima e stimatissima grazia; e reverenteinente gli bacio le inani. Di Fir. ze , li 10 di Marzo 1629. Di V. S. IH.™ Dev. ,nn et Oblig. mo Ser. M Galileo Galil ei. 1938 **. CARLO CASTELLI n BENEDETTO CASTELLI in Roma. Breucia, 15 marzo 1020.. Blbl. Nftz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. Có. — Autografa. Fuori, accanto all' indirizzo, di mano di Ga- muco si leggo: S. Carlo Castelli. Multo 111.® mio Sig.® Ho veceuto la sua, che mi è stata molto cara, intendendo per essa il suo bon stato et del Padre Rev. 1110 : alla qual rispondo, quanto al’interesso del Sig. r Galileo, che dal’agente Lett. 1937. 89. a coniolaruti contoìarmi con — 42. A quanto paro, prima aveva scritto 1G2S o poi cor¬ resse 1029 .— XIV. 4 26 15 - 22 MARZO 1620. [1M8-1989] del’eredità non ò opOBÌtion alcun»; resta solo che li siau eoniignati li molali del defunto, senza quali non può pagar, al che era fatta certa opocitione da \1 r 111 , ■ he ni ! Bresia unirti proximo pnaato, per interesse delTIIl.** Vescovo di '■ u. .m» 1 ; del qual questo agente à mostrato ana Mora dirottimi a M * nootro \ cosa per il suo interesse, cosi elio eri sera fu dato il pn*c* ■<** a M T d »"• disBe che l’aveva anco subito visto, et elio voleva dichiarar che oramai fu*-* roiMi*i,*U> questa eredità al’agente sopradetto. È ben vero che li dinari, per quanto inUndo u> spesi: restavi però, tra crediti et mobili, molto più di quello noi avantiamo. AuUro fa cendo quel tanto crederò sia più profiterol© alla causi 1989. MARIA CELESTE GALILEI .i GAl.ll.EG in «•llo.g.;aru | Arci-tri 1, 'i'i manco ICW. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. XIII, cu. 65-60. — Autofr«fa Ainatias.™ 0 Sig. r Padre, Restammo veramente tutte satisfatte della sposa ", per r*«cr molto affabile e gratiosa; ma sopra ogn’altra cosa ne dà contento il cnnoirer ch’rlla i -rti amore a V. S., poi che supponghiamo che sia per farle quegl’ i. •♦•quii che imi !»• fa¬ remmo se ci fossi permesso. Non l&sceremo giù di far ancor noi la parte* n «»tra in verso di lei, cioè di tenerla continuamente raccomandata al Sigimi Iddio ; eh.' troppo siamo obligate, non solo come figliuole, ma come orfane abb indoliate che saremmo, se V. S. ci mancassi. Oh se almeno io tossi abile ad esprimerle il mio concetto, sarei sicura eli cila non dubiterebbe ch’io non Ramassi tanto teneramente quanto mai ultra figliuola io babbitt amato il padre; ma non so [significarglielo con altre parole, s.- non con dire eh io 1 amo più di ine stessa, poi che, doppo Dio, l e cere lo ri. >>n< ' -ci da lei, accompagnato da tanti altri henefitii che sono ituiutnerahili, *1 che mi co¬ nosco anco obligata e prontissima, quando bisognassi, ad * pur la mia \ita a qual si voglia travaglio per lei, eccetuatone l’offesa di S 1» \|. Di giatia, \. S. mi perdoni se la tengo a tedio troppo lungamente, j»«»i che talvolta 1 alletto mi trasporta. Non mi ero già messa a criv.-r con qu*■do peii- siero, [ma slj bene per dirle che se potessi rimandar Tumulo sabato -era, Li sagrestana, che ci chiama a matutino, T havrebbe caro; ma se non -i può, me¬ diante la brevità del tempo che WS. T ha tenuto, sia per non detto: eli* meglio 20 sarà T indugiare qualche poco, e riaverlo aggiustato, caso che ne babbi» bisogno. o Marino Zokzi. 1,1 Gl °- Battista Salvago. Cfr. Voi. XIX, Do- cainouto XXXIII, 1 , h Un. 83. '*> Cfr. nn.< 1985, 1931 . [1030-10401 22 MARZO 1629. 27 Vorrei anco sapere b’ ella si contentassi di far un baratto con noi, ciò è. ri¬ pigliarsi un chitarrone eh’ ella ci donò parecchi anni sono, e donarci un breviario a tutte due ; già che quelli che havemmo quando ci facemmo monache, sono tutti stracciati, essendo questi gl’ instrumenti che adopi iamo ogni giorno, ove che quello se ne. sta sempre alla polvere e va a risico d’ andar male, essendo co¬ stretta, per non far scortesia, a mandarlo in presto fuor di casa qualche volta. Se V. S. si contenta, me ne darà avviso, acciò possa mandarlo : e quanto a i breviarii, non ci curiamo che siano clorati, ma basterebbe che vi fossino tutti i 80 Santi di nuovo aggiunti, et havessino buona stampa, perchè ci serviranno nella vecchiaia, se ci arriveremo. Volevo fargli della conserva di fiori di camerino, ma asf... che] V. S. mi rimandi qualcuno de’miei vasi di vetro, perchè non ho dove metterla; o cosi, se havessi per casa qualche barattolo o ampolla vota che gli dia impaccio, a me sarebbe grata per la bottega. Et qui per fine la saluto di cuore, insieme con Suor Archangiola e tutte di camera. NoBtro Signore la conservi in Sua gratin. Li 22 di Marzo 1628 (,) . I)i V. S. molto 111.™ Fig> Aff. ma •io Suor M. Celeste. Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss.™ Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 1940 **. SIGISMONDO PELLEGRI a CESARE MARSIU in Bologna. Bologna, 22 marzo 1029. Aroh. Mai-Bisrll in Bologna. Basta citata al ».° 1GS8. — Autografa. 111“* Sig. r et P.ron Ose. mr ' Ter risposta dell'informationc che V. S. 111.*"* mi richiede in materia del P. Bona¬ ventura Cavallieri Milanese, professore delle scienze mathematiche, le dico esser d’età d' anni 33 in 36 in circa, quale per qualcho poco di tempo è stato sotto la disciplina del Sig. r Galileo 12 anni sono, se bene ha havuto altri maestri; ha letto nello Studio di Pisa in luogo del molto R.' 10 Padre D. Benedetto Castelli Casincnsc, che bora si truova chia¬ mato al servizio dogi’Ecc. ml Sig. ri Barberini; ha ancora letto per più d’un anno priva¬ tamente in Fircnza alli Sig. rl Ascanio Piccolomini, hor Arcivescovo di Siena, a due nopoti del Sig. r Card, dal Monte, et al Sig. r Gio. Batta Itinoncini, et altri. Ne potria haver in- 10 formationo da Mona. Ciarapoli, di quel grado che si sa in queste professioni- <‘i Ili stilo fiorentino. 28 27 MARZO 1620. [mi] 1941*. BÒNA VENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firea**». • Parma, 27 manto ISSO. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal, T. VI, T. XI, car. 107. Àut<*r»l*. Molto 111." ot Ecc. mo Sip. r 0 l’.ron Col. 0 Dal Padre General nostro ricevei un’inclusa di V.?., iiuhizzata al S. r Ce¬ sare Marsilii, qual veramente mi è stata di gran consolatiom p- r • • « i un |u //.> ch’egli aspettava tal lettera, sì come anco «incile del G. Duca, dir -li di::. »nd.u un pezzo fa; elei clic la ringratio sommamente. Mi stupi»-o però drl f'adr» Gr nevaio, elio niente mi disse di questo lettere del G. D., m- V. 8. or.» per ca¬ varle, o se non era per cavarlo per non esser espediente per qualche r.iggium voi causa; nò meno mi ha scritto cosa alcuna dnppo, corno mi di- eva di v .l.*r i.irr. Però gli mando la inclusa 0 ’, scrittami «la Bologna da chi opera p* r m*. amò veda a che termine sta il negotio, non perchè intenda «li voleri’o - op.ire piò di i" quel che conviene, ha vendo ella sin hora fatto tropi » p* r me. ma \ .. !*• appi o di suo parer facci quel che li par meglio circa le lettere di i G. D. overo circa lo scriver lei a questi che il Padre nomina. Non manco per la mia parti» di far quel che si conviene. Mandai alli giorni passati il mio volume «li „ i m. di vis » in 6 libri al S. r Cesare ma egli mi rispose ch’era troppo diti: ile, e eh» per questi principii desiderava qualche operetta chiara; bornie ho questa s< diman i composto un breve discorso dello settioni coniche e loro utili!A ir materia ni particolar delli specchi, qual credo non li dispiacerà, i Parma, nIli 27 Marzo 1G29. I >i V. G. molto 111. et Ecc. ma Dev. mo et Ob. mo Kor. r '' F. Don.™ Cavalieri. Mi rallegro poi delle nozze felici del suo figliolo. Fuori: Al molto 111. 1 " et Kcc. mo Sig. r e P.ron Col." 10 J1 »Sig. r Galileo Gal. 0 ' Fiorenza. 1942 . CESARE M ARSI LI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 28 marzo 1020. Blbl. Na*. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. IX, car. 119. — Autografa la sottoscrizione. Eco.'" 0 Sig. r P.ron mio Col."’ 0 Son vivuto sin bora, vivo e vivrò anche doppo morte, parlatissimo servitore del mio caro Sig. r Galileo, nè accidente di alcuna sorte torrà che non sia un in¬ terno desiderio in me di poterla servire, come per questo rispetto m’assicuro altretanta corrispondenza dalla parte di V. S. Ecc. n,a ; che non dirò superflue, ma almeno troppo abondanti, sono state le longlio scuse che ella ha fatto nella sua cortese, poco fa a me gionta, per non havermi scritto 11 . Fu vero che passa di poco l’anno che, nell’esercitarmi per un torneo clic si preparava al Gran Duca, in un incontro mi scavezzai il braccio destro in mezzo tra ’l gombito e la spalla; to ma ò anche vero (Dio laudato) che sono talmente ritornato, che ho potuto far Pistesso giuoco quest’anno di carnovale nel medesimo luogo. Mi saria bene stato più caro V intender da V. S. Ecc. m , se il Chiaramonti l’ha pur fatta perdere a gl’astronomi intorno allo stelle nuove e commete nel¬ l’ottavo ciclo o sopra la luna; del che ne sto ansiosissimo, e se me ne darà risposta, non mi potrà fare il maggior favore. Quanto all’interesse del Padre 1 ' 1 , spero incaminarlo in modo e con tal riputa- tione, valendomi anco assaissimo sopra modo la lettera di V. S. Ecc. ma , che 6pero sarà consolato. E qui a V. S. Ecc. ,na auguro il compimento della Banitù, poiché fi Cfr. u.» 1937. fi Bonaventura Cavalieri. 30 28 MARZO - 7 aprile 1629. ; 1942-1*43] lo posso dire per pruova, al presento, esser pessima cosa la mainisi, j" r ritro¬ varmi indisposto di un poco di febre. Di Bologna, li 28 Marzo 1629. Di V. S. Eoe.'"* Si ritmemi al presente a Bologna un caval¬ laro grandissimo Francese, che si chiama l’AbbatP S. Luca (, \ qual si spora sarà Cardinale: egl' ò dalla nostra opinione, o se ben mai li ho parlato, ci sa¬ lutiamo cortesissimamente. So che ho da ritrovarmi con lui; però se V. S. Ecc. m " mi desse facoltà clic le potessi mostrare la scrittura ch’ella fece contio 1* Ingoli, mi sarà caro. 1 943 **. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologni] Firenze, 7 aprile ISSO. Arch. Morsigli in Bologna. Busta ciUU \\ n * ifi?'. — Aut«c:»fi. 111. 1110 Sig. rA o Pad." Col. m ° Non potrei con parole rappresentare a WS. di quinta ron- solaziono mi sia stata la cortesissima sua lettera ‘ , ricevuta ila me in questo punto, per la (pialo mi si è tolto tutto il dubbio e timore, che havevo, di haver grandemente scapitato nella grazia di W S., da me tanto stimata, mediante il lungo silenzio tenuto -m non per mia colpa, ma per mia disgrazia ; per che la verità è che sono circa 3 anni che da un gentil huomo Bolognese! sentii, con mio estremo cordoglio, V. S. essere in una quistione restato privo della vita. Hor quando sentirò io mai verità alcuna elio mi possa gustar tanto r io recarmi tanta consolazione, quanta mi lm arrecato il ritrovar questa essere stata una bugia? Viviamo dunque, e ritorniamo sopra le no¬ stre filosofiche dolcezze. io Aff "• Se." Ceure Marcili. <‘l D’Espjnay dk SaintLuo, 1,1 Cfr. 0 .» 1V4J. 7 APRILE 1G29. 31 [ 1943 ] E per rispondere al particolare elio mi domanda circa ’l Sig. r C. Chiaramente in , gli dico elio con un solo dotto si snerva tutto quello che egli scrivo in materia delle comete e delle stelle nuove etc. Egli fonda o fabbrica lo sue ragioni et i suoi calcoli sopra osservazioni fatte da molti astronomi ; et io, ammettendogli i suoi computi esser esattamente calcolati, gli domando quello elio egli stima dello osser¬ vo vazioni fondamentali, cioè se egli le stima giusto, o fallate et erronee: se erronee, già egli medesimo accusa le sue demostrazioni per inva¬ lide e nulla concludenti; se giusto, bisogna che egli confessi, non solamente alcune comete o stelle nuove essere elementari et altre sopracelesti, ma ristesse essere nel medesimo tempo state prossime alla terra et insieme per infinito spazio superiori anco alle stelle fisso, poi che, tra le osservazioni fatto da varii osservatori, se ne ca¬ vano di quello elio concludono questo, e di quelle che concludono quell’altro. Ma il S. Chiaramente (nò so imaginarmi con qual ra¬ gione) ha giudicate e chiamato erronee le osservazioni dalle quali si ao raccoglieva, la lontananza di tali fenomeni esser più che infinita; e non errato, anzi ben giuste, quelle che facevano per il suo intento, provando la distanza esser piccola. Sì elio, al mio parere, se egli vo¬ leva piu rettamente filosofare, doveva dire che dalle contrariane conseguenze che si raccolgono dalle varie osservazioni fatte da di¬ versi osservatori altro non si può veramente dedurre, se non che po¬ chissime, e forse nissuna, di esse osservazioni è stata fatta esatta¬ mente, ma molto molto esorbitantemente; che cosi necessariamente si concludo dal dedursi che si fa da altre et altre di esse, quell’og¬ getto, che non poteva nell’ istesso tempo essere se non in un sol 4o luogo, most-rarcisi costituito in molti luoghi, o per immensi spazii 1’ uno dall’ altro differenti. Se le osservazioni son tutte giuste, tutte si accorderanno in collocar il medesimo oggetto nella medesima di¬ stanza ; ma non si accordano; adunque alcune non son giuste: e se fra esse ve ne sono delle non giuste, et il Chiaramente chiama giuste solamente quelle che provano il fenomeno vicino, et io chiamerò que¬ ste fallate, e giuste quelle che lo mostrano lontanissimo; e così sa¬ remo del pari, e la fatica intrapresa inutile. Di quella mia risposta all’Ingoli V. S. ne è padrona, et io son sicuro che ella non ne disporrà inai in lido progiudizio: però se la Cnv. Scipioxb Chiaramo.vti. 32 7 —10 APRILE 1G29. [1943-19441 stima degna d* esser veduta da un «ignoro di tanto pregio , la ino- so stri, et insieme gli faccia offerta della mia servitù. Il Padre F. Bonaventura ini domanda lettore del li D. per il S. Cai*. Legato (2) costì et per il Reggimento; ma p : hò nto oh queste AA. malvolentieri in simili occasioni raccomandano fuori cln- i loro vassalli, non ho voluto sin hora tentar questa cu,.i: oltre cho non so quanto in simili occasioni possino < r profitti v* li, dovi* la sola certezza della sufficienza del suggetto è quella eli- ha u lai- gioco: tuttavia, quando anco V. S. giudica- i cho potc^cru i -r di gran momento, io le procurerò, per quanto mai potrò; opra quedo aspetterò suo ordine. Stimava anco il medesimo Padre utili* al suo o negozio che io stesso scrivessi al Reggimento; ma u n v che la mia attestazione potesse operar più di quello che po--a fu* quello che del medesimo Padre ho di già con verità scritto a V. S : p rò anco di questo ini rimetto al consiglio di WS. Alla qua!.-, j *r non più tediarla, reverentemente bacio le mani, e m ila ma buona 'raziu mi raccomando. Di Fir. M , li 7 di Aprile 16*29. Di V. S. 111.“ Dev.*° et Ohlilig® Ser." lì a h 1 *• o ( ì a 1 1 1 v i. 11)44. CESARE MARSILt a CAI.ILEO In Pireiu. Bologna, IO a|>ril<* lGlft». Blbl. Naz. Plr. Mss. Gài., P. 1 V. IX, ciir. 151. Aut ...iU U j. Molto Ill. re et Ecc. 100 S. r P.ron Col/' 0 Resto obligatissimo alla gentilezza di V. S 1 h » * della , ratio a i I-j ta 5 ch’ella si è compiacciuta darmi di materia tanto da ine d nt*\ e i me |i*-i indi¬ cano che ne sarò per altretanto spatio doppo « arò purgati'. (n i pn- ut • i •• .i un gentilhuomo rnio parente non solo il memoriale della richieda della c ilin dra al S. r Confai oniere, ma anello il capo della lettera da WS. K. 23 Si. 10 APRILE 1029. 33 [1944] a lei da me richiesta per assicurarmi se potevo proporre per buono questo sog- io getto ; la qual mi pare bastante e sufficientissima in questo particolare. Havevo già. io commissione da’ SS. W Assoliti passati dello Studio di ricercare persona atta per questa cathedra. Tenevo da un mio amico di Napoli (,) una lettera per il Gloriosi, ina perchè non riddi replica alcuna, non so per qual accidente, alla mia risposta, il negotio svanì. Il vedere il SS. r Chiaramonti tanto nemico degli astronomi ha fatto che io non mi son curato di proporlo, sebene ho inteso sotto mano che so gli havessi offerto il mio aiuto, 1’ havrehbe havuto molto caro. L’haver io bora inteso il desiderio grande che haveva questo Padre di questa cathedra, sapendo che è amico dogli amici, come di V. S. Ecc. m:i et del Padre D. Benedetto, mi sono andato persuadendo eli’egli non possa bavere opinioni *o contrarie alle loro; e perciò ricorsi dagli Assonti dello Studio che bora esercitano quel carico, e li chiessi so haveano per questa cathedra alcun soggetto, e li dissi l’ordine elio tenevo da'passati, e cho al presente liavea procurato di sviare un Padre, di molto valore. Eglino ini ringratiorono del zelo et m’animorono a dare il memoriale, come ho fatto fare, che, per quanto disse hie[ri| il S. r Confaloniere, questa mattina sarò letto in Reggimento. La lettera del Gran Duca diretta al ^. r Card. 1 Ludovisi 1 *’, appresso di me, fu frustatori, come anco poco giovevoli saranno le due lettere del S. r Cianpoli, una al S. r Card. Ludovisi e l’altra al y. r Card. Legato; poicliò in questo particolare questi SS. ri Cardinali, quando non volessero, come face’io, portar questo negotio, che non lo farebbono o forsi non -o li giovarebbe se lo facessero, non v’ hanno alcuua auttorità, e meglio, al concetto ch'[io] sappi qualche cosa di queste professioni, crederanno a me questi Signori, che non farebbero] a loro. Mi spiace solo che eli a non dichi apertamente che almeno per qualche poco di te\inpo'\ sia stato suo allievo ; e se con un' altra sua , diretta a me che li dileggio come sta questo fatto, si dichiarasse, havrei che fosse molto giovevole al Padre Quanto alle lettere del Gran Duca, quando havessc a scrivere, basteria ohe scrivesse al Reggimento; non perché io diffidi che egli non sia per ottener la cathedra, chè tengo sicuro eli’ egli liavrà la prima del Magini, che so si saria contentato di quella del Cattaldiche pure ò vacante; ma perchè a’frati sogliono •io dare poco stipendio, una lettera del Gran Duca, diretta al Reggimento, faria che crescerebbero il stipendio : sebene io non so come il Granduca babbi campo di raccommandar soggetti ad altri, mentre egli ne ha bisogno per lui, se è però **' Uio. Battista Montalbani. Questa lettera, sotto il di 2 settembre 1628, è nell’Arcliivio Mar¬ sali in Bologna, e precisamente nella Busta da noi citata noirinformaziono premessa al n.° 1088. Cfr. Antonio Favaro, Annoi « corrispondenti di Galileo Galilei. IX. Giovanni Camillo Gloriosi (Atti del lì. Isti¬ tuto Fentfo di ecieme, lettere ed arti. Tomo LX1II Parto II, 19031904, pag. 46). Venezia, oaìcino grafi¬ che C. Ferrari, 1904. <*) Cfr. nn.i 1923, 1924. Nell'originale, da Mi spiacc a Fadrt è sotto¬ lineato, e di fronte è, sul margine, un sogno iu forma d’uua yjp. ili Pietro Antonio Cataldi. 34 10 - 20 APRILE 1629 . [1944*1946] vero che ne babbi bisogno in Pisa o in Siena; sì che quando la triterà n; : et in questo caso la supplicarci della lettera, ma però diretta a nu a sigillo i dante acciò potessi parlare con questi Signori in conformità dello scritto. r,.i Mando con questa occasione a V. S. Ecc. ma la risposta che dà il S. r Card. Ludovisi alla lettera del Gran Duca eh’ io li presentai, il tenor d» Ila quale naprci volentieri, e vedrò di saperlo dal suo secretano. In materia de’nostri studii, intendo che un Gicsuita 1 ’ in Ferrara scrive, o finge di scrivere, un grosso volume De magaci con tra il Gilh. rti * : dico, fing«* di scrivere, perché internamente, quanto mi vien referto, egli crede la mobilità della terra. Mi scusi se lungamente 1*ho infastidita, chè il desiderio di servir gl 'uim i mi fa talvolta straparlare ; et li bacio le mani. Bologna, li 10 Aprile 1029. eo Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma Parcia.* 4 * Ser Cetare Maraili. Fuori: Al molto Ill. r * et Ecc. mo mio S. r et P.ron Col 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 1945*. GIOVANNI DI GITEVARA u GALILEO [in FiruaaJ. Roma, 20 aprilo ISSO. Bibl. Est. In Modei.a. Raccolta Campo ri. Autografi B.»I.XXVI1 n.» VI - Autfnfi Molto lll. r * Sig. p mio ()3S. lr -° I/ambitione grande c’ho d’imparare e d’esser favorito da V. S con un’oc¬ chiata che dia a quel commento che feci sopru le Medianiche d’Aristotele, m’ha tatto sentire assai che V. S. non babbi ricevuto il libro dopo t mio tempo che irli lo mandai ' 5) , giunto con un altro volume p.-r S. A. S. r.' : s., r . >n lJa »» c *« quando a yiuvttati è «ottolineato nuli' originale. 1,1 Anche da cht ie li eathtdn a volanti nell*ori- g-inalo è sottolineato. **• Cfr. 6.» Ito 20-2S 14 Groutiao Oiuìrt. Cfr n- SI. Cfr. n.» iitfi. 20 — 21 APHILE 1629. 35 [ 1945-19461 questa a supplicarla mi dia un cenno, sepur 1’ havesse ricevuto clopoi 1’ ultima che mi scrisse, sì come 1’ haveva già ricevuto S. A., o pure per che strada si¬ cura ne gli potrò mandar un altro. Et aspettare che V. S. mi honori della parto che mi promette di quella sua speculatone sopra la questione 24 l ‘\ io Col Sig. Prencipo Cesis facciamo spesso e lunga commemoratone di V. S., con infinito desiderio di goderla presente, e S. E. gli ricorda i Dialogi et i moti, per beneficio universale o lume degli ingegni curiosi. Lascio i congressi che balliamo con Monsig. r Ciampoli, dove V. S. è sempre presente nella stima e ve¬ neratone, come in bocca, di quanti siamo; e m’habbia V. S. per uno de’suoi partialissimi servitori, elio tanto pii! merito da lei esser favorito, quanto nella solitudine della mia residenza non havorò altro ricovro o recreatione delle sue opere e lettere, so mi favorirà alle volte di qualche cenno per man d’altro, per non straccar la sua, degna di maggior impiego. Con che di cuore gli bacio per mille volte lo mani. ?o Di Roma, 20 d’Aprile 1629. Di V. S. molto 111." Affett™ Ser. ra S. r Galileo Galilei. G. di Guevara, Vesc. 0 di Theano. 1946. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna], Bellonguarrto, 21 aprile 1629. Aroli. Maritali in Bologna. Busta citata al n.® 1688. — Autografa. 111.™ Sig.™ o Pad.™ Col. mo Id risposta di quello che V. S. IU. ma mi domanda circa i progressi nello studio dello matematiche del molto R. Padre Fra Buonaventura Cavalieri (2) , deve sapere come, sendo chiamato circa 15 anni fa alla lettura di tal facoltà nello Studio di Pisa il molto Rev. Padre Don Benedetto Castelli, monaco Cassinense, già mio uditore e discepolo in Padova, alloggiò questi per lo spazio di 2 anni nel monastero do i Padri Gesuati in Pisa, dove con tale occasione alcuni studenti de i detti Padri volsero sentire dal P. 1). Benedetto i principi! delle io matematiche, tra i quali fu il Padre Fra Bonaventura ; e come quello <‘> Cfr. n.° 1935, liu. G. < ! > Cfr. u.® 1044. 36 21 APRILE 1629. [194^1 eh© era di mirabile ingegno e dispostissimo a tale studio, in capo a pochi giorni apprese in maniera le prime introduzzioni, che poco hebbe di poi bisogno dell’aiuto di altri : et so in alcuna facoltà ac¬ cade, in questa massimamente avviene, che quelli che son bisognosi di maestro non passano mai la mediocrità, et la naturai disposizione fa più che mille precettori. È vero che, incontrando egli qualche grande difficoltà, conferendola meco, gli ho più volto abbreviato il tempo dell’intelligenza. Egli poi, lontano dal Padre I). Benedetto e da me, ha per sè stesso veduti i più gravi e difficili autori, come, oltre a Euclide, Apollonio, Archimede, Tolomeo et altri; e tirato dalla ao vivacità del suo ingegno, ha ritrovato un nuovo metodo di dimo¬ strare, col quale egli dimostra per via più spedita le co o di Archi- mede e le principali di altri gravi autori. E benché questi noi studii per la loro difficoltà non sieno materie da catedre, tutta via, quando egli habbia occasione di legger pubicamente, con a lui facilissima applicazione alle lezioni più popolari e facilissime in comparazione delle altre sue notizie, indubitatamente egli è per fare quanto qual¬ sivoglia altro. E tanto sia detto per significare a V. S. IH.™ il con¬ cetto che io tengo di questo suggetto. Quanto a gl’altri particolari contenuti nella sua lettera, io con *> corro seco in giudicare poco necessarii o utili gli altri im/i. li quali non tenterò; nè meno anco potrei ricercargli di predente, ritrova» dosi il G. D. a Pisa. Aspetto d’hora in hora il Padre I). Benedetto da Roma, che, passando di qua, va al capitolo a Parma, e dover i passar per Bologna et abboccarsi con V. S.; * da exo potrà inten dere più minutamente circa questo fatto. Se il Gesuita scrive contro al Gilberti 1 , credo che non vedremo maggior sottigliezze delle solite dì quei Reverendi, le quali, al mio parere, in materie filosofiche sono assai triviali. Sento all’incontro che il finto Apelle stampa in Bracciano un lungo trattato >lr maculi* 1629 ». però la prego con ogni maggior affetto clic si degni consolarmi con due righe di sua mano, avvisandomi a che termine ha ridotto il Dialogo del flusso e reflusso 10 per lo stabilimento del nuovo sistema, credendo che liaverà finito un pezzo fa. 1948 **. GIOVANNI BATTISTA SAMP1ERI agli ASSUNTI DELLO STUDIO DI BOLOGNA in Bologna. Roma, Fi maggio 1629. Arcb. di Stato In Bologna. Lettere a Studio, 1618 al 1639. — Autografa .... Del P. r * Bonaventura poi non mi dà l’animo di dire quanto trovo di buono della dia persona, poiché Mona. Ciampoli mi dice che il S. r Galileo lo tiene, se si può dire, per maggior lumino che non fu Archimede, et che il IV" D. Benedetto lo esalta e stima molto più di aè medesimo; et Monsignore ci esorta a non lasciarlo in modo alcuno.... 1949 **. GIOVANNI CIAMPOLI a CESARE MARSILI in Bologna.' Roma, 26 maggio 1629. Aroh. Marsigli In Bologna. Pusta citata ni n.*> 168S. — Autografa. Molto lll. r * et Eco.. 1 * Sig. r mio Oss. mo Dalla relatione fatta dal Sig. r Ambasciatore potrà V. S. liaver veduto le mie testi¬ monianze intorno all’eminenti virtù del Padre Fra Buonaventura Cavalieri. Sono state <‘> Cfr. n.° 1700, i’i Cfr. n.° 1948. 38 26 MAGGIO — 19 GIUGNO 1629. f1*4&-lt60] fatte da me non solo per la cognitione et esperienza bevuta del .un Uffefft*». me ancora per le confermationi havute dal Sig. r Galileo, il quale Mima .ornmamrnt* que.tn aogr Io in somma, per tutti questi rispetti, non poterò celare le sue ledi; e . »! mio teeti- monio sarà di qualche valore appresso codoati SS/', spero che ti compiaceranno di con¬ solalo dotto Padre.... 1950. GALILEO a f GIOVANFBAN C ESCO BUON A MICI in Madrid] Firenze, 19 giugno 1029. Btbl. Nfts. Flr. M»s. Gal., P. I. T. IV, rar. 7S Autografa Molto IH.” Sig." e Pad. 0 * Col. roo Prevenuto dalla cortesia di V. S. molto T. vengo, non senza finni¬ che rossore, a renderlo grazio del cortese olii/.io che *i ò degnat i di passar meco in una sua lettora al S. Carlo ' , col quale havendo per mezzo di mio figliuolo contratto parentado *, ai come ini pregio delle onorate condizioni di tutta la casa sua, cosi ascrivo a mia gran ventura l’havere liauto con tal mezo adito all’amicizia (tonnine mon cortigianesco, ma più amabile, elio servitù) rii V. S., et ne pia¬ cerà a Dio, alla sua conversazione tra non molto tempo; ancorché ciò non sia per seguire senza mio scapito nel concetto che ella firn io di me, mentre ella da vicino conoscerà quanto malo mi si annestino ciucili attributi de’ quali ella da lontano mi onora. Ma sia (inolio ch« si voglia: quella parte che con altri mezi non potrei montare nella buona grazia di \, S., procurerò di nqquietarmela c on un vi¬ vissimo et evidente affetto, e desiderio di porre ad effetto ogni suo cenno. Intanto gradisca la sincerità dell’animo mio, mentre con re¬ verente affetto, insieme con Vincenzo mio figliuolo e con la sposa, gli bacio le mani e prego intera felicità. Di Fir“, li 19 di Giugno 1629. Di V. S. molto I. Dev." 1 * Ser.** so Galileo Galilei. *' CiRLO UOGCHIKCBI. * s ‘ tir. a.* IMI. [ 1951 ] 6 LUGLIO 1G29. 39 1951. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 8 luglio 1021». BILL Nae. Fir. Ms». fini, l\ I. T. XIII, car. 88. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, L’incomodità elio ho patita da poi elio sono in questa casa, mediante la ca¬ restia di cella, so elio V. S. in parte lo sa; et bora io più chiaramente glielo esplicherò, dicendole elio una piccola colletta, la quale pagammo (conforme al- T uso elio Laviamo noi altre) alla nostra maestra trentasei scudi, sono due o tre anni, mi é convenuto, per necessità, cederla totalmente a Suor Archangiola, ac¬ ciò (per quanto è possibile) ella stia separata dalla sudetta nostra maestra, che, travagliata fuor di modo da i soliti Rumori, dubito clic con la continua con- versatione gl’apporterebbe non poco detrimento; oltre che, per esser S. r Archan- io gioia di qualità molto diversa dalla mia, e più tosto stravagante, mi torna me¬ glio il cedergli in molte cose, per poter vivere con quella pace et unione che ricerca l’intenso amore che scambievolmente ci portiamo: onde io mi ritrovo la notte con la travagliosa compagnia della maestra (se bene me la passo assai al¬ legramente con l’aiuto del Signore, dal quale mi sono permessi questi travagli indubitatamente per mio bene), et il giorno sono quasi peregrina, non havendo luogo ove ritirarmi un’bora a mia requisitone. Non desidero camera grande o molto bella, ma 90 I 0 un poca di stan/.uola, come appunto adesso mi se ne porge occasione d’una piccolina, che una monaca vuol vendere per necessità di danari, et, mediante il buon utlitio fatto per me da Suor Luisa, mi preferisce a molte 2 u altre die cercano di comprarla; ma perché la valuta è di scudi 35, et io non ne ho altro che dieci, accomodatimi pur da S. r Luisa, e cinque ne aspetto della mia entrata, non posso impossessarmene, anzi dubito di perderla, se V. S. non mi sovviene con la quantità che me ne mancano, che sono scudi 20. Esplico a V. S. il mio bisogno con sicurtà filiale e senza ceremonie, per non offender quell’ amorevolezza da me tante volte esperimentata. Solo replicherò che questa t\ delle maggiori necessità che mi possino avvenire in questo stato che mi ritrovo, et che, amandomi ella come so che mi ama e desiderando il mio contento, supponga elio da questo me ne deriverà contento o gusto grandissimo, e pur anco lecito et honesto, non desiderando altro che un poca di quiete e so- Lett. LOBI. 2 0. l’riuia aveva scritti La penuria che ho patita.... mediante l" incomodità e carestia di cella; poi eorresso La penuria in incomodità, a mediante l'incomodità in mediante fa, cancellando incomo¬ dità; ina tralasciò di caucellaro e tra incomodità o carestia: cosi che ora si legife mediante la e carestia .— li. d un 2 'iccolina — 40 MIGLIO 1020. (1961-1962) litudine. Potrebbe dirmi V. S. elio, per esser assai la somma che domando, io so in*accomodi de i 80 scudi che tiene ancora il convento di suo ; al ciò* io rispondo (oltre che non è possibile l’Lavorìi in questo estremo, essendo in molta m e.- iti la monaca venditrice) che V. S. promesse alla Madre badessa «li non irli doman¬ dare se non veniva qualche occasione, mediante la quale il convento fos i al¬ levato, e non astretto a sborsarli contanti: si che non per questo pernio che V. S. lascerà di farmi questa gran carità, la quale gl’adimando per l’aroor di Dio, essendo ancor io nel numero de i poveri bisognosi, posti in carcere, *• non solo dico bisognosi, ma anco vergognosi, poi che alla sua presenza non ardirei di dir così apertamente il mio bisogno, nè meno a Vincentio; ma solo con quest* mia a V. S. ricorro con ogni lìducia, sapendo che vorrà «* potrà aiutarmi. E qui io per fine me le raccomando con tutto l’affetto, sì come amo u Vincentio t su., sposa. Il Signor Iddio la conservi lungamente febeo. Di S. Matteo, li 8 di Lug.° 1629. Di V. S. molto 111." Fig u Art - Suor M • C eleste. Fuori: Al molt’111." et Amatisi 1 ** 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, mio Osser."®, a Bello Sguardo. 1932*. GALILEO a FERDINANDO II, Granduca di Toscana, fin Firtnie]. Firenze, luglio 1629. Aron, di Slato in Firenze. Filza 9» di negozi o relazioni d«l >■{•• Asili. Unu t » c.t .. -U. J*1 IG.C al 1631, car. 285. — Originale, non autografa. Ser. mo Gran Duca, Espone all’A. V. S. Galileo del q. Vinc. 0 Galilei, come sotto li 25 di Giugno 1619 ottenne dal Ser. mo Gran Duca Cosimo di gloriola me¬ moria ampia legittimatione ft per Vincenzio suo figliuolo, per la quale si rendeva capace degli honori, dignità, oflizii et benetizii de i quali fusse capace suo padre, eccettuatone però gli honori publiri et ma gistrati della Città di Fiorenza, da i quali voleva che per abboni fusse escluso, sino tanto che sopra di questo fusse con speciale in dulto proveduto, cioè (conio in voce fu da S. A. dichiarato) quando '• Cfr. Voi. XIX, bvic. XXXII « Cfr. Tel. XIX. IKK. XXVII. LUGLIO — 4 AGOSTO 1G29. 41 [1952-19B3] io si fusse veduta la riuscita del figliuolo circa i costumi et li studii, la quale, essendo buona, P harebbe reso capace ancora di quelli lio- nori publici et magistrati. Hora, havendo per li X anni decorsi at¬ teso esso figliuolo a varii studii nobili et ultimamente dottoratosi in legge, et ne i costumi portatosi sempre modestamente, supplica suo padre PA.V. S. che, con la hereditaria benignità del Ser. mo suo Pa¬ dre, resti servita di ammetterlo et renderlo capace ancora di essi honori publici et dignità et magistrati della Città di Fiorenza: della qual grazia lo resterà con perpetuo obligo, pregando Dio per ogni maggior prosperità delPA. V. S., etc. Di ma no di Axdbsa Violi: ii'O L’Auditore delle Reformagioni informi. And. Gioii. 12 Lug.° 1G29. 1958 *. GIOVANFRAMCESCO BUON AMICI a GALILEO [in Firenze]. Madrid, 4 agosto 1G29. Bibl. Naz, Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, cnr. 153. — Autografa. Molto lll. ro Sig. or mio Ossei*." 10 La cortesia ha voluto dimostrarsi compagna, come suole, della virtù, et a me dar cagione di far tanto più stima (se fosse stato possibile) di questa, mentre scorgo l’eccesso di quella nella lettera 01 con la quale V. S., volendo prevenirmi, mi ha, posso dire, confuso ; ma io mi glorierò di tal mortificatione, che mi apre P adito alla conoscenza et amicitia che V. S. mi esibisce, la quale io avidissima¬ mente accetto, per corrisponderle con termine dovuto di servitù et reverenza in ogni parte dove io sia per trovarmi : nò sarà la speranza di questa consolatione il minore incentivo per maturare il mio ritorno, nel quale prego Dio che mi io conceda gratia di trovar V. S. col S. or Carlo 01 in perfetta salute, per poterli godere et honorare come desidero et devo così per la parentela come per le degne qualità loro. La commcmoratione che havevo fatto al S. or Carlo della persona di V. S., che non fu con intentione eh’ ella dovesse vederla, mi cagiona rossore per la sua cortezza ; et non mi potrò mai sodisfare in dir tutto quello che son sicuro (secondo Ut Cfr. n.° 1950. %. i K.rcu ; li’irenzoj, 17 ugnato lflffV. Arcli. di Stato in Firenze. Fili» citata al d.« Ittis:. car. Autografa la I - - Ser.® 0 Gran Duca, Per informazione sopra l’incluso supplicato * del Galileo matematico p «*#o dire a V. Alt. ,a come ho rivisto la relazione che io feci l'auno 10Iti ' et il piiilrg.o di leg.tti inazione di Vinc.° suo figliuolo, la quale gli fu spedita in ampi.(.-ni » per 1. qua lità et ineriti dello stesso supplicante, et anco perchè il figliuolo era »« inpl... naturale, nato di soluto et soluta; et quanto talli honori, fu habditato ad ogni dignità, oti ti . n benefìtio de’quali il padre era capace, eccettuati perù i publi.-i l.n ri, uthiii rt n .g,.fiati della Città di Firenze, da’quali, secondo le leggi et il aulito, volle per allora l'Alt '* Pa¬ terna che fussi excluso, sintanto che specialmente per grati» gli fimi r.iu.*« ■> j ci . ho nel’informazione si disse che li offitii et magistrati di Firenze m aoloorio *.-nipie ««.-et- io tuare, per concederne poi P Labilità a parte, in tempo che m p.. .i couo .-re il un rito e vedere la riuscita del legittimato. Ma bora, « pernio puntati X anni et .mutando dello buone qualità di Vinc. 0 , figliuolo del supplicante, già dottorato in legge V Alt '* fu. iri¬ derà se vuole habilitarlo a’detti ofhtii et honori della Città, eh*- i tuoi t ir.- nel modo or¬ dinario col farlo vedere di Collegio per mezzo del Segretario delle l ratte. , ..me pochi mesi sono tu Imbiutato lo stesso Galileo supplicante, veduto similmente di Collegio per gratin di \ . A. 1 ; et sarebbe passato questo benefizio anco nel ligliuob' et uè’ d. u radenti. f Cablo d'Acstru, «ti n • Iti - , * Wolfaxoo Gcgliei.vo Dnca di Xtramo. '* i f r b • ,3 ’ Sestilia Bocciiinrri no' Galilei. i« Cfr. Voi. XIX, Do*. XXXVJ. 43 [ 1954 - 1955 ] 17 - 29 AGOSTO 1629. se non lussi stata fatta l’oxcettuazione predetta noi privilegio della legittimazione. Et humilniente lo lo reverenza. 20 Di cnaa, olii 17 d'Agosto 1629. Di V. A. S. Di mano di FKnr>iS'ANr>o II: F e r. Humil. m0 Servo Lorenzo Usi ni.'" E di mano di Andrea Oiou: Mesa. Fierfrancesco Ricci lo metta in nota per esser visto di Collegio non¬ ostante I* 1 . And.' Ci oli. 19 Ag.' c 1629. 1955. CESARE MA USILI a GALILEO in Firenze. Bologna, 29 agosto 1629. Bibl. Nnz. Flr. Mas. Gal., T\ TI. T. XI. car. 118. — Autografa la sottoscririono. MolC Ill. re et Ecc. mo Sig. r P.ron Osservali ." 10 Sopra l’informatione di V. S. Ecc.”* (3) , si sono mossi concordemente questi Signori del Regimento a promovere alla prima cathedra di Mathematica il Pa¬ dre Fra Bonaventura Cavagliere, col medesimo stipendio che havea l’Ecc. mo Ma- gini quando fu condotto alla medesima lettura. Io non dubito che non sia per riuscire nelle cose di mathematieha, e spero anello, sopra la di lei informatione, che sia per riuscire nell’ astronomia, se bene mi ha dato gran sospetto il non havermi mai mandato alcun calcolo fatto sopra le Tavole Rodolfine ( *\ che le inviai alcuni mesi sono: e pure qua vi sono scholari, che nella praticha di quelle io Tavolo non hanno altra diticoltA che nel moto della luna. Della matematicha pura, anclior che sia il tutto, in questa città ne è fatta pocha stima, e più sti¬ mano di gran longha dotto studio d’astronomia. La condotta è per tre anni: haverà, occasione di poter mostrare in questo tempo quanto egli vaglia; o V asicuro che se non fosse stato per rispetto di lei, <» Cfr. Voi. XIX, I>oc. XXVII, 1). <11 cfr. n.° 1918. liu. 17-19. <*> Cfr. n.o 1946. <*> Tabula« lludolphinae.quibutailronomicae teien- (iar, tempori! m lomjinquitale collo piar, rettauratio conti- tielur, u l’hocnice ilio atlronomoruin Tythuneùcc.primuni animo concepiti tl destinata anno Chritti MDLX1V CCC. Tabula « iptas CCC. primum OCC. continuavi!, tlcin- de eco. per/ecit, absohìt acique cauta rum et calculi perenni» formulimi traduxit, IoANNKS KKrr.KHUS CCC. Anno MDCXXVll. 44 20 AGOSTO — 2 SETTEMBRE 1629. [1955 per questa tlifìdenza serei stato alquanto più lento in procurargli questo hon<»re. Mi conservi nella sua buona grati a. 11 solito suo partiali omo servitore. Di Bologna, questo dì 29 Ag.'° 1629. I)i V. S. molt’ ili.™ et Kcc."» Aff.— e PaSe.»- Cesare Maisili. Fuòri: Al molt’Ill. w et Ecc. rao Sig. r mio Osa."'' Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. io 1 95G*. GIOVANNI DI GUEVÀRA a [GAMLEO in Frase! Teano, 2 settembre 16S9. Blbl. Est, In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXVU. c M. — Aotcjra' Molto Ill. r ® Sig. r mio Oss. rao Il non vedere risposta dell’ ultima tM , eh’ io scrissi a V. S. da Roma, in quattro mesi, o non sapere che habbia ancora ricevuto quel libro che gli mandavo aopra le Medianiche d’Aristotele l,) , m’ ha fatto risolvere di mandargliene un altro vo¬ lume, qual spero che V. S. riceverà con questa ; e di nuovo la prc 40 ad hono- rarmi con un’occhiata che dia all’opra et una risposta all’autore, finendo tanto suo servitore di vero affetto, accennandomi i mancamenti per riparargli un'altra volta, già che non ho potuto in questa. E cosi desidero sapere come piacente a S. A. Ser. m *, dalla quale liebbi favoritissima risposta, vivendo auibitiuti^imo della sua gratia e che gli fussero grate le mie fatiche, non dovendo ••-sere queste io 1 ultime. Favoriscami dunque ^ . S. come suole, e trovandosi occupata rui facci scrivere da altri due parole senza coremonie, sapendo quanto l’amo e quanto la stimo, conforme al suo merito gingillare. Con che lino a V. S. bacio affettuo¬ samente le mani, et avverto che la risposta 1* invii a Roma alla post* del Papa, dalla quale mi vengono sempre le Ietterò sicurissime. Theano, ‘2 di Tmbro 1629. Di V. S. molto 111.»- S. r Galileo Galilei. Affett.»® Ser.” G. di Guevara, Vene.® di Theano. Cfr. n.» 11MÒ. '** Cfr. n.« ISitó. 11957-1958] 6 — 7 SETTEMBRE 1629. 45 1957 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. Arcetri, 6 settembri) 1629. Bibl. Naa. Flr. M*s. Gal., T. T, T. XIII, car. 00. — Autografa. Amatiss. 1110 Sig. r Padre. Haviarao rihavuta l’ampolla d’olio con li scorpioni, e la ringratiamo Suor Luisa et io infinitamente. Volevamo, parecchi giorni sono, mandargli un poca di acqua di cannella fatta da noi non è molto, che, avvicinandosi la stagione più fresca, pensiamo che gli deva esser grata; ma restiamo-per l’incomodità che haviamo di chi la porti: elio so V. S. havessi la casa più appresso (coni’io desidererei), non ci sarebbano questo difficoltà. Basta, aspetteremo la prima occasione, et fra tanto havrò caro di sapere corno stia la Lisabetta (0 , et se vuol qualche cosa da noi. Quando V. S. manda la tela per i collari per lei e pezzuola per la cognata, io havrò caro che mandi la mostra di un collare che gli stia bene, e similmente il refe bresciano che m’ha promesso, che ne lavorerò con esso la pezzuola. Per¬ chè ho gran sonno, non dirò altro, se non che ne vo al letto per cavarmelo, essendo assai notte. La saluto di cuore, insieme con Suor Luisa e Suor Archan- giola, et similmente Vincentio e la sposa. Nostro Signore la conservi. Di S. Matteo, li 6 di 7mbre 1629. Di V. S. molto 111.™ Fig. la AfT. mn Suor M. a Celeste. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r Padre mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei, so Firenze. 1958 . GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 7 settembre 1029. Arch. Marnigli In Bologna. Busta citata al n.« 16SS. — Autografa. Ill. mo Sig. r * e Pad.» Col. mo Ho sentito con gusto quanto V. S. Ill. ma mi scrive nella sua cor¬ tesissima lettera' 2 ’; e poi che io sono a sì gran parte nel favore ot- Lett. 1057. 9. Qando — Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXII, lin. 11. <*> Cfr. n.° 1956. 46 7 SETTEMBRE 1629. fH)5*-19ft9] tenuto da cotosto IH.™ Reggimento, non mancherò di ricord ire e sollecitare il Padre Fra Buonaventura nello studio dell astronomia, con ferma speranza che ©gli in questo lift p®t nndftm non non «i- milo a Tolommeo, che si sia reso in geometria emulo di Archimede. E so non ha risposto prontamente al calcolo domandatogli, credo che ciò proceda perchè voglia, come conviene ad un ma.- fio, an¬ tepor la teorica alla pratica, cioè intender molto bene 1 Umng.doio di Tolomeo e lo Revoluzioni del Copernico, e poi praticar tal dot¬ trina no i computi, ne i quali molti sono pratichissimi senza punto intender quello elio si faccino; e son sicuro che Fiat* >-o Ticchio, con¬ forme alle osservazioni del quale son calcolate le Tavolo Rodulfco, non poteva intender niente de i nominati autori, coinè quello che non sapeva nò anco i primi elementi di geometria. Conceda dunque Y. S. Ill. ma per bora a uno che si è occupato più nella geometria che no i calcoli, il valer molto in quella e meno in qu* ti; ma renda certi cotesti SS. ri e sè stessa, elio e'sia con la felicitò del -no ingegno per dar piena sodisfazione nel maneggiar le tavole, opera a - ii più . . facile che gli studii già superati dal Padre. Io torno a render grazie a V. «S. Ill. ,n * ilei favore predato a questo soggetto, e con chiamarmegli obbligatissimo la supplico a coman¬ dare a me con assoluta autorità, che mi bavera sempre pronti-sirno ad ogni suo cenno; o con vero affetto gli bacio lo mani, e rial Si¬ gnore Dio gli prego intera felicitò. Da Bellosguardo, li 7 di 7nibre 1629. Di V. S. Ill. ma Dev.™ et Obblig.** Ser/* Galileo Galilei. 1959. GIO. BATTISTA BAU ANI a piAULKO in Vxrrnrr). GenovA, 7 ictteinbre 1629. Bibl. NTuz. Pir. Mas Gal., P. I. T. IX, C ar. Ihò - Aut^nif*. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,n,, Ancorché sia gran tempo che io non hahhia havufn lettere di V. S„ né trrit- tole, non è però che io non sia quello istcsso suo partiate che io era in tempo 7 SETTEMBRE — 15 OTTOBRE 1620. 47 [1959-1900] ilei Sig. r Filippo Salviati, che sia in Cielo, e dopo, per quel tempo clic di pre¬ senza e con lettere io riceveva de’suoi favori. Clic per ciò ho volentieri preso l'occasione di raccomandarle con questa mia il P. Francesco di S. Giuseppe (,> de’ PP. delle Scuole Pie, il quale è avvido delPamicitia di V. S., come io di con¬ servarla. Esso è giovane virtuoso e studioso, e in qualche parte delle matema¬ tiche ha, a mio parere, ecceduto la mediocrità. Priego V. S. favorir detto Padre io nelle occasioni che so le rappresenteranno, ot io gliene resterò obbligatissimo. Sto in continuo desiderio di veder uscir fuori qualche nuovo parto di V. S., alla quale bacio con affetto le mani e priego ogni contento. Di Gen.*, alli 7 di Sett.® 1629. Di V. S. molto lll. ro et Eco. ,uh S. or Aft>° Gio. B, a Pali a no. 19G0*. GIORGIO FORTESOUE a GALILEO [in Firenze]. Lui)(ira, 15 ottobre 1C29. Libi. Nua. 3?ir. Mss. Uni., P. I, T. IX, car. 157. — Copia di mano di Vixcbnzio G aulii. Ornatissimo Viro et do literis optime merito Galilaeo de Galilacis Georgius de Forti Scuto Auglus S. D. Suasu dicam an amicorum impulsu, Vir ornatissime, iam in lucem libellum do, qui inscribitur I’eriao Academicae w in quo ex opticis, catoptricis, inathe- maticis, astronomicis, nonnulla adfero experientia coiuprobata mea. In bis usus Bum artificio Marci Tallii aliorumque, qui, ut sibi in dicendo auctoritatem concilient, inducunt colloquentes Catones, Crassos, Antonios, simi- lesque palmares homines. Igitur ignosce, Vir sapientissime, si disputantem in scriptis meis temet re¬ io pereris, illos inter qui exquisitis suis artibus occiduum hunc sustentant orbem. Verurn ad hoc pensioniate incubili (cuin fama tua augeri a ine non possit), ut nibil ad asylum nominis tui confugeret, quod splendorem immimiat tuum. At, dices, praepropere hic tecum agi, rum vita debuisses fungi prius, quam celebral i in scena glorine. Ita est, mi Galilaee, si comrnime tuum cura caeteris fatum; at tu, adirne in bumanis, inventor, ne dicam genitor, syderum, a lamine ad lumen, a gloria ad gloriarli transvolans, nunc in coelis, velut alter Cepbeus, Cassiopeiae tuae vicinus splendes, mine in tenia, Dexiphanis filio mirabilior, Hetruriae tuae (olim Fabiano Micbslixi. Scoto. Nobili A ligio. Duaci, ox oflìeiua Marci Wyon, t-’ l'criae Acadtmicae, mietere Giorgio de Forti sub signo Phoeuicis, 31. DC. XXX. •48 15 — 20 OTTOBRE 1629. [1980-1961] sacrorum, mine etiam iugeniorum, regno! tanquam in mundi pharo praefulges. Terra enim quod coelum videat et cognoscat, coelumque quod t rraa lUiuniuet, Galilaeo debent. so Ergo da veniani, serius petenti licei, V ir spedati** ini e, quoti, inconsulto te, cum tuo egerim nomine: ambitiosae id sane arti - erat meae, ut vi laudum tuurum protegar, Sento meipso longe Fortiori. Vale. Londino, Idib. Octob. M.D.C.XXVUI1. 1901. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO io F.r«ru< Bologna, -u ottubic lOiv Blbl. Nas. Pir. M«t. Gal.. P. VI, T.XI, car. 115. - Autografa Molto 111.™ et Ecc. In0 Sig. r e P.ron Col. ,, j Giunsi in Bologna alli 18 del presente, dove ritrovai la gratissima di V. 8. et intesi il gusto che ha sentito della mia elettione per Matematico di questo Stu dio, del che sommamente la ringratio, come anco di quanto ella ha oprato in mio favore, sapendo quanta parte vi babbi havuto E attentatone di V. S.; che perciò mi sforzarò ad ogni mio potere di farla parer verdadieru nella tostimo- nianza fatta di me, dandomi per liora tutto allo studio dell’ astronomia, come V. S. mi esorta e come pur troppo è necessario eh’ io facci. 11 non haver havuto libri in queste materie astronomiche, e massime de* moderni, è stato causa che non vi babbi fatto quell’ applicazione che saria stato di bisogno. Del non haver io io mandato al S. T Cesare il calcolo"', ò stato causa il non haver visto E Epitome dell’Astronomia Copernicananella quale spiega le teoriche delle suo tavolo, non mi essendo volsuto assicurare non vedendo prima i fondamenti, aggiunto 1 oscu¬ rità istessa dell'opera sua: perciò scrivo a Roma a Mons/ Ciampoli acciò mi favorisca di procurarmi la licenza di legerlo, che poi, lmvutala, cercarò di so disfare in questa parte a questi Signori, che veramente altro non desiderano. Mi vado preparando per far l’oratione proemiale, e poi per pi. e a leggìi Euclide per il presente anno. •Sento molta consolatone ch'ella, se bene in età assai grave, anclior ni al¬ iatela per utilità de’studiosi. Ella poi, per la padronanza che ha di ine, è sciolta -0 dall'obligo di rispondere ad ogni mia lettera; havrò ben gusto sentire alcuna volta, quando li piacerà, nova di lei, che fra tanto non mancherò alla giornata ‘*l Cfr. u.° 1D55. 1 Ur. u.» 14>J. [1061-1963] 20 OTTOBRE — 2 novembre 1G29. 49 di dargli raguaglio di quanto succederà. Il Sig. r Cesare parimente se li ricorda servitore, et io, di nuovo ringratiandola do’ suoi favori, gli faccio con ogni af¬ fetto riverenza. Di Bologna, alli 20 Ottobre 1629. Di V. S. molto lll. ra et Ecc. ma Dc. mo Sor. 10 F. Bon. ra Cavalieri. 1962 *. GALILEO ad ELIA DIODATI [in Parigi]. IFirenze], 29 ottobre 1029, Blbl. Nftz. Fir. Mas. Gal., P. V, T. VI, car. 83r.-f. — Copia di mano di Vinckkzio Viyiani. Tn capo a (juosto franimanto si logge, di mano dello stesso Viviani: « U.» lì. 0 29 Ottobre 1029. Risposta a una de' 80 Agosto, elio non ci ò ». E per dar a V. S. qualche avviso circa a’ miei stùdi Ci) , sappia che da un mese in qua ho ripreso i miei Dialogi intorno al flusso o reflusso (2) , intermessi per tre anni continui, e, per la Dio grazia, m’ è venuta questa buona direzzione, la quale, se continuerà tutta la seguente invernata, spero che condurrà tal opera al fine, e subito la pubblicherò; dove, oltre a quello che s’aspetta alla materia del Il asso, saranno inserti molti altri problemi et una amplissima con¬ fermazione del sistema Copernicano, con mostrar la nullità di tutto quello che da Ticone e da altri vien portato in contrario. L’opera iu sarà assai grande e copiosa di molte novità, le quali dalla larghezza del Dialogo mi vien dato campo d’intromettere senza stento o af- fettazzione; e questo stimolo, che è grande etc. 1963 **. MATTEO C A ROSI a GALILEO in Bellosguardo. Firenze, 2 novembre 1029. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 116. — Autografa. Molto lll. ra et Ecc. mo Sig. re mio Oss. ,no Io sono ricerco da amico, al quale io non posso mancare, della soluzione dell’ incluso problema (S) . Ricorro a V. S. Ecc.'" a per questa grazia, sicuro doverla (‘i Cfr. n.® 1917. (*’ Nello car. 117r-118r. dol medesimo codice <*> Cfr. n.® 1700. ' della Biblioteca Nazionale Fiorentina che contione XIV. 7 50 2 — 10 NOVEMBRE 1G29. [194S-1M4J ricevere da lei meglio che da qual si voglia altro; di che glie ne resterò con particulare obrigazione: e le bacio affettuosamente le inani. Di Firenze, li 2 Umbre 10*29. Di V. S. molto ili.* et Ecc.“ a 8. 1 * Devotiss.® Matteo Carosi. Fuori : Al molto IH.™ et Ecc ®° Sig.™ et P.rn mio Da.* J Il Sig.™ Galileo Galilei, in vaia. 1964 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Fina*!. Roma, IO novembre Ittty Bibl. Est. In Modena. Raccolta Caurpori. Àutografl, B.» LXX, n.» IC - A ut. .• sfa Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. r o P.ron Col."* 0 Io non volevo scrivere a V. S. molto 111.™ sino che non era terni imito qui in Dataria di Roma chi ha d’avere la Teologale di Brescia, vacata ultimamente per morte del Conte Capriolo, che non ha mai voluto pagare un quattrino, e n* li ha portati tutti, con altri interessi, nell’altro inondo; ina V. S. mi fa rompere il disegno con la sua delli 22 d’ Sbre, capitatami solamente ieri l’altro, che fu l’8 di Ombre. Saprà dunque, come li ho detto, che essendo morto il l ont*', la Da¬ taria deve provedere, ed io ho raccomandato un Dottore mio i nt ano, quale, se ottenerà il Canonicato, come spero, pagarà prontissimamente. Nel r. -.tu mio fra¬ tello mi scrive 0 ’ che non mancherà fare il possibile con gli eredi del molto, e io aspetto sue lettere per Pordinario prossimo. L’ allegrezza poi che ha hauto Mons. r Ciampoli «Iella nova delle ripre*^ «pe- dilazioni da V. S., non si può esprimere. Non ho parlato al Sig. Principe, pere lift si trova a S. Angelo; come viene, so che mi darà la mancia. Credo che Moiui. r Ciampoli li voglia scrivere una congratulatoria; e veramente >i trovano j hi j ari suoi, e a me non tocca trovarne nessuno. Altro non ho «li novo, - ilo che li vivo Ih presente lettera si legge, ili uiauu iguuta. il pro¬ blema cou le soluzioni per diversi casi. Il problema ò: . Se con una data quantità di picche e moschetti dovessimo formare un squadrone quadrato di genti con lasciar da parte tanti moschettieri che bastino por guarnirlo intorno da tre parli a tre a tre e elio volessimo il restnnte della moschettala depo¬ sitarla in mozzo de) detto squadrone, acciò da tri¬ partì venissi assicurata da egu&l numero di filo di picche, si domanda quanti moschetti bisognerà che mettiamo da parte per la detta guaco.is.one, quanti ne verrà nella fronte e quanti nel Ranco quante picchieri saranno per Ria nello «quadrone, at iu somma di quanti moicbettial sarà la fronte e di quanti il Ranco dello equ «drenano dep «Italo eup ponendo che te date quantità sempre «.ano tali che aia possibile il fare tale operatone, e eba solo «1 itera, cercar® del modo d«l farla, tanto in questo quanto ne* seguenti casi ». «*• Cfr. n.s 1933. 10 NOVEMBRE 1029. 51 [10A4-10A5] qui i di semino; e so bene hn tacciuto in carta, ho parlato rii lei in catedra, so non come lei merita, almeno come meglio ho potuto. E con ciò li bacio le mani. Di Roma, il IO Ambre 1629. W Di V. S. molto lll. ra et Ecc. m * Oblig. m ® Ser. r ® a Dis. 1 ® S. r Gal.® Gal. 1 Don Bened.® Castelli. Fuori: r-...| IH" Sig. r o P.ron Col. m ® Il Sig. r [... •], p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1965 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. (Arretri], 10 novembre 1S29. Blbl. Naa. Flr. Mm. <1*1., V. I, T. XIII, car. 92. — Autografa. Amatiss. m " Sig. r Padre, Mi dispiace in estremo il sentire P indispositione di V.S., e tanto più perchè ordinariamente è più travagliata quando viene da noi ; et ardirei di dire, se credessi indubitatamente che questa gita tanto le nocessi, che più presto mi contenterei di privarmi di vista tanto cara e desiderata; ma veramente ne incolpo molto più la contraria stagione. La prego ad haversi cura più che sia possibile. Non poteva Suor Luisa mia haver maggior gusto quanto che vedendo che V. S. faccia capitale (se bene in piccola cosa) della nostra bottega; solo ha timore che non sia Boximele di quella esquisitezza ch’ella vorrebbe, dovendo servire io per V. S. Gl’ene mandiamo on. V, come domanda, o se più gl’ene bisognerà, siamo prontissime; ma perchè ordinariamente si suol temperare con syroppo di scorza di cedro, anco di questo gli mandiamo, acciò veda se gli gusta: et se altro gl’occorre, dica liberamente. La ringratio de i ritagli, o caso che ne habbia più, mi saranno gratissimi; et ancora io non lascerò di mandarle qualche amorevolezza per la Porzia. Gli mando un poco di marzapane, clic se lo goda per mio amore, e la saluto, insieme con Vincentio e la cognata, della quale molto mi duole che si ritrovi in letto, e se gli bisogna qualche cosa ch’io la possi servire, lo farò molto volentieri. Nostro Signore doni a tutti la Sua santa gratia. 20 là 10 di Ombro 1629. Fuori : Al molto Ill. r ® et Amati ss. 1 " 0 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Sua Fig. 1 ® Atì’. mA S. Maria Celeste. Bello Sguardo. 52 16 - 19 NOVEMBRK 1629, [ 1966 - 196 ?] 1906 *. TAOLO STECCHINI a GALILEO [in Virtw] Piu», 16 novembre 1621». Bibl.Eet. in Modena. Raccolta Camper!. Aotofrafl. B.* XC n.• I*. — 111.*™» S. r mio, S. r Oss.""’ La riverenza ch’io dovo alle singolari prerogative di V S HI»* m’obligii a rednrli nella memoria la mia servitù, pregandola ad li «vernii nel numero do’suoi servitori. Lo Studio quest'anno A belissimo in qualità et quantitA, . t hoggi a punto l’hanno adornato con l’ellettione del Rettore. A me non resta nitro nonché venga il Sig. Dino (l) , per godere delle contcmplationi mattematiche. V. S. IH.'"* fra tanto mi conservi in sua gratin, mentre le faccio riverenza. Pisa, 16 Ombre 1629. Di V. S. IlL ma Ser. Dir.»» io Ill. mo S. r Galileo Galilei etc. Paolo Stecchini. _ ' 1967 . GALILEO a [GIOVANFRANCESCO DI OHAMICI m Madrid[ Firenze, 19 noTembre 1629. Blbl. Nob. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. V, car. 69-60. - Aot *rafe. Molto Ill. re Sig.™ e Pad. 0 Col.™ 0 Dal S. Carlo Bocchineri mi vien significato, come a V. S. molto I. da uno amico suo gli vien domandato uno do’ miei tolescopii più esquisiti, essendogli di propria bocca stato da S. M. à ordinato che egli gliene faccia procaccio; e più sento che il detto amico di V. S. ha dato comessione qua no i Aledici e Segni, di ricevere e mandargli il detto telescopio, con pagarne a me quel prezzo che io no doman¬ derò, non intendendo egli di volerlo in altra maniera. Circa questo mi occorre dire a Y. S., che mi faccia grazia di fare intendere al- 1 amico suo come io veramente non ho mai venduto alcuno de’ miei io *') Pino Peri. 10 NOVEMBRE 1G29. 53 [10071 strumenti, nò meno intendo di far ciò di presente nè per l’avvenire; tal clic, già che egli si è protestato non lo volere in altro modo, potrà ricever a grado la mia scusa, se in questo particolare non lo servo: che so in altra occasiono vorrà servirsi dell’opera mia, mi troverà pronto al servirlo. Et avvenga elio in questa domanda si comprende il servizio di Sua M. a e la grazia e favor mio supremo, in questo sarò io prontissimo a esequire il suo cenno, come se di¬ rottamento mi fesse comandato, o porrò ogni industria o diligenza di condurre a perfezzion cosa degna della mano di chi deve rice¬ co verla; o son sicuro che non sarà inferiore a quello che detti al Ker. mo Arciduca Carlo 11 ' di f. m., mentre era qua, o forse V. S. lo potette vedere. Ho letta con mio gusto o meraviglia insieme la bellissima scrit¬ tura di V. S. in materia della navigazione (2) ; la qual lettura mi ha commosso assai con la rimembranza del gran negozio che havevo attaccato costà mentre vi era il S. Conte Orso <3) , die era di dare a S. M. à il mio trovato per graduar la longitudine, punto massimo et che solo resta per l’ultima perfezzione dell’arte nautica ; invenzione cercata in tutti i secoli decorsi, ma non trovata da alcuno, ancor no che promessa da molti, tratti dal premio insigne che vien promesso all’inventore. Io l’ho trovata con mezi ammirabili; e gli esalto, per¬ chè non son miei, ma della natura: et il negozio era ridotto a segno, che veniva dato commissione al S. Duca d’Ussona (4) in Napoli di sen¬ tirmi ; et io ho ancora le lettere che di costà mi vennero per presen¬ tarle al detto S. Duca. Ma occorse, che avanti la mia andata a Na¬ poli, S. Eoe. fu richiamato costà. Successe poi in Napoli il S. Card . 1 Gorgia ,S) ; ma avanti che di costà venissero nuove lettere, si partì S. S. Ill. ma Di poi ritornò qua il S. Cont’ Orso, e venendo in suo luogo Mona. Giuliano Modici, si cominciò a ritrattarne. Sua S. Rev. nìa ci 40 stetto poco: sì che in somma il filo si interroppe del tutto, nè io ho poi più cercato di rattaccarlo, essendomi mancati costà li 2 sopra¬ nominati ambasciadori, mia affezionati padroni. Lott. 1967. 27. per gradar la — (*» CAnt.o d’Abrtrta. Tomo XVI, n.® 40, pag. 2-24). Firenze, G. P. Vieus- Scrittura in motoria di navigazione fatta dal soux, 1885. Cav. Giova* Francesco Buona mici o da esso man- ,a l Orso d’Ei.ci. data nel 1620 a Galileo Galilei. Pubblicata da Ce- <*> Cfr. n.® 1442. nari! Guasti (Arehioio Storico Italiano, Serie IV, (8) Gasparo Borgia, 54 19 NOVEMBRE 1629. [inerì Già che siamo in cose di mare, devo V. S. sapere corno sono «ul finire alcuni Dialoga m ne i quali tratto la costi tu /.io no deir universo, e tra i problemi principali scrivo del flusso o reflusso del maro, dan¬ domi a credere d’haverne trovata la vera cagione, lontanissima da tutte quelle cose alle quali è stato sin qui attribuito cotale effetto. Io la stimo vera, o tale la stimano tutti quelli con i quali io 1' ho conferita. E già che io non posso andare attorno, o la copia «lofio particolari osservazioni conferisce assai alla confermazione di quello vi che tratto, voglio pregar V. S. a procurar di abboccarsi con qual¬ cuno che habbia navigato assai e che nel navigare sia stato curioso del far qualche osservazione delle coso naturali; et in particolare desidererei d’essere assicurato della verità di un effetto cho molto accomodatamente risponderebbe a i miei pensieri: o questo «•, se è vero che navigando all’ Indie Occidentali, «piando m è dentro a i tropici, cioè verso l’equinoziale, si habbia un vento perpetuo «la 1**- vante, che conduca facilmente o felicemente le navi; onde j»oi perii ritorno sia di mesfciero far altro viaggio et andar con piu lunghezza di tempo ricercando venti da torra, si che in somma il ritorno sia assai più difficile. Sentirei anco volentieri quello che accaggia nel passare lo stretto di Magaglianes circa le correnti, conio ancora quello che si osservi nello stretto di Gibilterra, pur nell’ingr» >o e regro^o dell’Oceano. Nel Faro di Messina lo correnti sono «li 6 bore in 0 or,* veementissime. Sentirei volentieri qualche osservazione che fu - o stat a latta nello stretto tra l’isola di San boronzo e la costa d'A finca op¬ posta; et in somma quanti piu particolari io potessi sapere, più mi sarebbono grati, perchè l’istorie, cioè le coso sensato, sono i prin- cipii sopra i quali si stabiliscono le scienze. L haver conosciuto V. S. per ingegno singolare o molto seque- to strato da gl’intendimenti popolari, mi dà ardire di ricercarla «li tali curiosità, sperando che ella sia per faro ogn’ opera acciò io eon.se- guisca, almeno in parte, il mio intento. l)a questa mia libertà ri- tragga in tanto una corta sicurezza di potersi prevaler «li me con assoluta autorità; o però, deposte tutto le sorti di cerimonie, alie¬ nissime dalle scuole filosofiche, vegga in quello che io funsi buono a 65 . Km tiriti vientie qualche — « l > Cfr. n.» 1700. 19 — 22 NOVEMBRE 1G29. [1067-1968J 55 servirla, e liberamente mi comandi, mentre io affettuosamente, insieme con la sposa e mio figliuolo, gli bacio le mani e gli prego felicità. Di Fir.“, li 19 di Ombre 1629. Di V. S. molto 111. 1 * Ser. re Parat. mo Galileo Galilei. 1968 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo]. Arcetri, 22 novembre 1629. Bibl. Naz. PIr. Mss. Oal., P. I, T. XIII, car. 91-95. — Autografa. Amatiss." 10 8ig. r Padre, Ilora che alquanto è mitigata la tempesta de i nostri molti travagli, non voglio tralasciar di farne consapevole V. S., si perchè ne spero alleggerimento d’animo, come anco perchè desidero d’esser scusata da lei se già due volte gl’ho scritto così a caso e non in quella maniera che dovevo, perchè veramente ero mezza fuori di ine, mediante il terrore causato a me et a tutte l’altre dalla nostra maestra, hi quale, sopraffatta da quei suoi humori o furori, due volte ne i giorni passati ha cercato d’uccidersi: la prima volta con percuotersi il capo e il viso in terra tanto forte, che era divenuta deforme e mostruosa; la seconda, io con darsi in una notte tredici ferite, due nella gola, due nello stomaco o P altre tutte nel ventre. Lascio pensare a V. S. qual fossi P orrore che ci sopraprese, quando la trovammo tutta sangue e così mal concia. Ma più ci dà stupore elio, nell’istesso tempo che si era ferita, ella fa romore perchè si vadia là in cella, domanda il confessore, e in confessione gli consegna il ferro che adoprò, acciò non sia visto da alcuno (se bene, per quanto possiamo conghietturare, fu un temperino): basta che apparisce ch’ella sia pazza e savia nel medesimo tempo, e non si può concluder altro se non che questi sono occulti giuditii del Signore, il quale ancora la lascia in vita, quando per ragioni naturali doveva morire, essendo le ferite tutte pericolose, per quanto diceva il cerusico; che per ciò 20 siamo state a guardarla continuamente, giorno e notte. Adesso siamo qui tutte sane, per gratia di Dio benedetto, et lei si tiene in letto legata, ma con le mede¬ sime frenesie, che per ciò stiamo in continuo timore di qualche altra stravaganza. Doppo questo mio travaglio voglio accennarle un’altra inquietudine d’animo sofferta da me da poi in qua elio V. S., per sua amorevolezza, mi donò i 20 scudi che gli domandai 10 '(poi che alla presenza non ardii di dirle liberamente l’animo Lett. 1908. 24. in qua che che V. S. — Cfr. u.« 1951. 56 22 NOVEMBRE 1629. [19681 mio, quando ultimamente mi domandò se ancora bavero havuta la cel a): e ciò è, che essendo io andata con i danari in mano a trovar la raonai .i che la vendeva, ella, che era in molta necessità, volentieri havrebbe accettati detti denari, ma di privarsi per ancora della cella non si risolveva; si che, non eso ndo accordo in fra di noi, non ne segui altro, non pretendendo io altro che la presente comodità ») di quella stanzuolft. La quale, per haver accertata WS. clic bavrei havuta, e non essendo sortito, ne presi grandissimo affanno, non tanto per restarne priva, quanto perchè ho dubitato elio V. S. non si tenga aggirata, parendomi d’ hnverlc detto una cosa per un’altra, ancorché tale non fossi il mio pensiero; nè mai Imvrei voluto haver questi danari, perchè mi davano molta inquietudine: chi* p* r ci.'*, essendo sopravvenuto alla Madre badessa certa necessità, io liberamente gliene prestai, et ella adesso, per gratitudine e sua a more volerla, m' ha promesso la camera di quella monaca ammalata 10 ch’io raccontai a WS., la quale grand* 1 e bella e valeva 120 scudi, et ella si contenta di darmela ] <•:* v, \ih* in questo mi fa gratia particolare, si conio in altre occasioni tu'ha sempre f noi ita K perde io essa sa benissimo che io non posso arrivare anco alla np< a di n< idi, s’offrrnt •*• di pigliar a questo conto i trenta scudi che già tanto tempo il o*nvento ha t< liuti di V. S., pur clic ci sia il suo consenso; «lei che non mi par quasi di poter dubitare, parendomi che non sia da sfuggir questa occasione, estendo ina—imo con molto mio comodo e satisfatione, la quale già so quanto a WS. sia di gusto. Pregola adunque elio mi dia qualche risposta, acciò io p<* -,i dar satisfatione alla Madre badessa, cito, dovendo fra pochi giorni lasciar 1* ofìilio, \a dt presente accomodando i suoi conti. Desidero anco di sapere come V. S. si sente adesso che l’aria è alquanto rasserenata, e non hnvendo altro, gli mando un poco di cotognate, condito di » povertà, ciò è fatto con mele, il quale se non sarà il caso per lei, for • non «.piacerà a gl’altri. Alla cognata non saprei che mandarli, già che niente gli piace; pur.-, se hayessi gusto a cosa alcuna fatta da monache, V. S. ce lo avvini, chò de ade¬ riamo di dargli gusto. Non mi sono scordata dell’obligo che tengo con la Porti» ', ma per ancora non mi è possibile il far cosa alcuna. In tanto -e W S. havrà havuti gl’altri ritagli promessimi, barrò caro che me li mandi, appettandoli io per metterli in opera con quelli che ho havuti. Aggiungo di più che, mentre scrivo, la monaca udetta ammalata ha havuto un accidente tale, elio pensiamo che sia per morir in breve; a tal che mi biso¬ gnerà dar il restante de i danari a Madonna, acciò possi far le spese necessarie w» per il mortorio. Mi ritrovo nelle mani la corona di agate donatami da V. S., la quale a me è superflua et inutile, e parmi che starebbe bene alla cognata. La mando adunque 10 Suor Maria Virginia Castrccct. Cfr. n.« 1DC5, Ilo. 15. 22 — 24 NOVEMBRE 1629. 57 [1968-1969] a V. S., acciò veda so si contenta di pigliarla et in cambio mandarmi qualche scudo por questo mio bisogno, clic, so piacerà a Dio, credo pure che sarà l’ultimo di tanto gran somma, et por conseguenza non sarò più astretta ad infastidir V. S., eh’ ò quello clic più mi premo. Ma in fatti non ho, nò voglio liaver, altri a chi voltarmi, salvo che a lei et a Suor Luisa mia fedelissima, la quale per me s’affatica quanto può; ma finalmente siamo riserrate, e non haviamo quell’Inibi¬ vo lità elio molte volto ci bisognerebbono. Benedetto sia il Signore, elio non lascia mai di sovvenirci; per amor del quale prego V. S. che mi perdoni se troppo l’infastidisco, sperando che l’istesso Signore non lascerà irremunerati tanti beni elio c’ha fatti e fa continuamente, che di tanto lo prego con tutto l’affetto: et lei prego che mi scusi se qui saranno de gl’errori, chè non ho tempo per rilegger questa lunga diceria. Di S. Matteo, li 22 di Ombre 1629. Sua Fig. Itt Aff. ma Suor Maria Celeste. 19G0*. BENEDETTO CASTELLI a GALII.EO in Firenze. Roma, 21 novembre 1029. Eibl. Eat. in Moderna. Raccolta Campori. Autografi, B.« T.XX, u.° 17. — Aatosrafa. Molto Ill. ro ed Ecc. n '° Sig. r e P.ron Col. mo Sia lodato Dio, ebe ò stata segnata la supplica a favore di un gentilhuomo che io ho favorito per la Teologale di Brescia (1> , il quale, e per la sua bontà e perchè riconosce in grazia da Dio e poi dall’opera mia, pagarà V. S. pronta¬ mente al suo termine, quando haverà spedite le bolle, come spero in breve. iS'e do parte a V. S., perchè è necessario che mandi una fede autentica della sopravi¬ venza del Sig. Vinc. 0 Galilei, fatta costì in Firenze, con V attestazione di V. S. e di un altro o due altri testimoni; e la mandi con coperta al molto 111.™ Sig. Lorenzo Itichiadei, Roma, perchè io sono necessitato andare fuori di Roma per io servizio de’ Padroni, e mi trattenerò sino passate le Feste. In tanto lei mi ami al solito. Mons. r Ciampoli li bacia le mani, cd io li fo riverenza. Di Roma, il 24 di Ombre 1629. m Cfr. n.° 1904. XIV. 8 58 24 NOVEMBRE — 15 DICEMBRE 1629. La fedo deve essere autenticata nel Vescovato; la spe a la far»V bona io a V. S. a conto del provisto. Però avvisi il tutto come sopra. Obli*. - * Ser.** e Dig> S/ Gal. 1 Don He ned.* Castelli, Fuori: [....] Sig. r e P.ron Col.® 0 11 Sig. [....Jlei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1970 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 15 dicembre 1020, Bibl. Naz. Flr. Mss. Oal., P. VI, T. XI, car. 120. — Autografa. Molto 111.» et Eco.® 0 Sig. r et P.ron Col. -0 Già. per un’altra mia 10 aviari V. S. Eco.*-* di quanto era pal ilo quanto al mio ingresso e progresso sin all’bora, quale perno che for>i non Plinbbi havuta; e perciò di nuovo gli dico come feci il mio principio con molla mia odi-dat- tione, con il concorso di tutti questi Ecc. rel Dottori o Senatori in buon numero, che mostrorno di restare assai sodisfatti. Ilo poi seguito «li le* > re. havendo in publico più di 50 scolari et in privato almeno 15 continui, *1 che rin In-ra non mi mancano scolari, se ben lego Euclide. Quanto allo stampare, ho diverso cose in mente, e parte in scritto: cioè, in mente, et anco principiate, le tavole de’logaritmi 1 ”, di versamenti* dal Nepero ", io alle quali applicarò la dottrina de’triangoli, e ciò non solo in gratin dell’iistro- nomia, ma di questi Signori anchora, che vogliono vedere qualche cosa in ta¬ vola; sperando che non siano superflui, si perchè levo le addittinni e ottrat- tioni del più e del meno, che arrecano molto fastidio, si anco perchè, so bene con i logaritmi del Brigio' -5 si fa il medesimo che con questi, tuttavia quelli sono accomodati al seno toto troppo grande, o volen[do] sminuirlo non vien poi lo¬ garitmo del seno toto il numero eguale al seno toto, come agiusto io in queste tavolo (il ohe poi facilita moltissimo il calcolo), conformnndovi i calcoli sopra i triangoli, come h&no fatto gli altri sopra quelli: cosa veramente, appresso iMr, «ce Anthore Fr. H..* trratrm C*T«LMto Wo- dioUnemi tee. BononlM. tjpi« Nicolai Tebaiditn, MDC.XXXII. , * 1 Gioraxvi Kirni. Errico Btioas. 0* La lettola alla quale qui accenna non i per¬ venuta inaino a noi. <*) Directorìum (/entrale Uranomtlricum tn quo trigonomelriae logarithmicae fundamenta ao rtgulat demonetranlur, aitronomicacque eupputatìonee reduci-.- 15 DICEMBRE 1629. 59 [ 1970 ] 20 lei et a me, di poco momento, ma che sarà a questi Signori di qualche sodi- sfattione, c sarà anco il libro di spaccio, poiché [le] tavolo dol Brigio non si trovano; o così comincierò a far un puoco di bottega. Tengo poi già fatta un’ope¬ retta sopra li specchi sferici, ellittici, parabolici et iperbolici, c loro proprietà quanto all’unire o disunire diversamente le linee radiose o sonoro 05 che credo non dispiacerà; e finalmente ho quel libro sì fatto di geometria 05 , quale, per stamparlo, credo mi bisognerà aggiongervi, per il puoco spaccio che haverà: e credo mi bisognerà far come in quel paese, dove s’ usali maritar le belle fan¬ ciulle ricevendone la dote, con la qual maritali poi lo brutte anchora, dando¬ gliela die[...]; so ben questa sarà poi nell’intrinseco, per mio giuditio, più bella so delle altro opero già [...]. Acciò che poi conosca che la Musa mia geometrica non è in tutto addor¬ mentata, gli mando la risohtione del suo problema l,) , qual pensai su ’l principio che non fosse mon dilficilo del[la] duplicatane del cubo; ma applicatovi l’animo con diligenza, subito ne intracciai la de[...]. Non si meravigli della tardanza mia nel risponderli, poiché la lettera sua l’ho ricevuta 20 giorni e più doppo eli’ era scritta. Desidero sommamente di veder perfettionati i suoi Dialogi, e meco lo bra¬ mano tutti questi Signori, in particolare il Sig. r Cesare Marsilii, che gli rende duplicati saluti : però la prego ad accelerare quanto può di perfettionarli, poiché 40 gli so dire che son aspettati c qua c fuor di qua come manna celeste, et io più di tutti desidero veder e l’opera e lei anchora, come spero, con qualche com- modità. E fra tanto mi conservi fra’suoi cari servitori, poiché tale ambisco d’es- serli, e mi dia un puoco nuova se la demostratione gli haverà dato sodisfattione. E con questo li buccio lo mani, augurandoli felicità, massime nelle future feste di Natale, con il buon Capo d’anno, pregandola a salutare in nome mio il ll. mo P. Priore. Di Bologna, al li 15 Dee. 51 ™ 1629. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ob. mo Ser.™ F. Bon. ra Cavalieri. 60 Fuori: Al molto III™ et Ecc. rao Sig. r o P.ron Col. mo 11 Sig. r Gal. eo Gai. 0 * Fiorenza. (1 ' I,o Specchio ustorio, overo Trattolo delle ut- tioni coniche et alcuni loro mirabili effetti intorno ni lume, caldo, freddo , tuono e moto ancora, dedicato a gl’Illustrissimi Signori Senatori di Bologna da F. Bo¬ naventura Cavalieri, occ. In Bologna, presso Cle¬ mente Ferroui, 1G32. <*! Geometria indivisibili um continuarmi!, fiora quaderni ratione promola. Authoro Fr. Bonaventura Cavalkrio, eco. Bononiae, typis Clemontis Ferro- ni, MDCXXXV. < s > Cfr. Mss. Gal., Dùcutoli, Tomo II, car. 6. 60 24 DICEMBRE 1629. 11971] 1071. GALILEO a [FEDERICO CESI in Rom»l. Firenze, 24 dicembre 1629 . Blbl. della R. Accademia dei Lineai. Mu. u.* 12 (fià ecd Boneeapifnf i60), »r. 1M Aut. jrii» Ill. mo et Ecc. mo Sig. ro e Pad.® Col. m ° Augurando a V. E. le buono Feste per il presente e per molti anni appresso, vengo, con quella, reverenza che all’antica e mia devotissima servitù si richiede, a baciargli la veste, come anco all’lll. B,% «4 Kcc. mt Sig. ra sua consorte; e per non lasciar indietro co a ch’io jiossa creder dover esserle di gusto, gli dico come, per la Dio grazia, sto a—ai bene di sanità, in guisa tale elio, avendo da 2 mesi in (pia ripresa la penna, ho condotto vicino al porto i miei Dialogi, e distese at^ai chiaramente quelle oscurità ch’io aveva tenute sempre quasi che inesplicabili. Pochissimo mi resta delle cose attenenti alla dottrina, e quel poco io è di cose già digeste o di facile spiegatura: mancami la cerimoniale introduzzione eie attaccature do i principi! de’dialogi con le materie seguenti, che son cose più tosto oratorie o poetiche elio scientifiche; tutta via vorrei che avesser qualche spirito o vaghezza. Chioderò aiuto a gli amici, dove la mia musa non avesse genio a bastanza. Sto perplesso circa lo stampargli, se sia bene eh’ io mi trasferisca a suo tempo costà, per non gravar altri nella correzzione ; e più mi allctta il desiderio di rivedere i padroni e gli amici tanto cari, prima elio perderla vista, la quale per l’età grave h' invia verso le tenebre. Questo ò quanto posso por ora diro a V. E. ; alla (pialo di nuovo re- ao verentemente inchinandomi, prego dal S. Dio il complimento d’ogni suo desiderio. Di Firenze, li 24 di Xmbre 1G29. Di V. E. Pev. rao et Obblig.™ Sor." Galileo Galilei Linceo. [ 1972 ] 29 DICEMBRE 1629. 61 1972 *. GIOVANNI P1ERONI n [GALILEO in Firenze]. Vienna, 29 dicembre 1629. Dobbiamo riprodurre anche questa lettor» (redi l'informazione promessa al n.« 2) dall’edizione del Camport, che por primo la pubblicò a pag. 288-289 dal suo Carteggio Qalileano inedito, non avendo noi potuto ritrovarne l'originalo. La mia distrazione per i quasi continovi viaggi, già più anni, mi ha fatto tacere asBai tempo con V. S., chè veramente per il gusto e favore che io ho di scriverli, ricordandomeli servitore e più clic molto affezionato, e di ricever da lei qualche sua lettera, da me desideratissime e sommamente stimate, avrei più spesso ardito di molestarla con mie lettere; ma sì bene fra tanto ho fomentato sempre l’affezione verso di lei e datone segno ovunque io mi son trovato, alle occasioni, le quali son state spesse e lontane ben spesso di luogo tra loro. L’anno ò già passato clic io inviai a V. S. lo Tavolo Rodolfine (,) , che penso le abbia ricevute. Ora gli includo questa carta a cautela, se ella non la avesse io ancora veduta, perché io, mediante la mutazione continova di luogo, la ho rice¬ vuta solo ora, so bene il Sig. Keplero me la mandò subito stampata; ed ancora li manderò la sportula aggiunta alle Tavole Rodolfine, ove sono corretti molti errori di quelle, so lei mi farà sapere di non T aver avuta, chè in dubbio ho stimato bene per ora di non far più grosso il piego. Con particolar desiderio aspetto di sentire quando V. S. avrà finito e stam¬ pato i suoi Dialoghi del flusso o reflusso, del che, per mia relazione, ho molti compagni, avendo avuta occasione di conoscer molti valentuomini matematici, come di altri studi peritissimi ancora. Già clic V. S. mi favorì avvisarmi d’aver speculato circa la calamita o pe- 20 notrato tanto oltre, sentirei volentieri il parer suo circa la nuova Filosofia Ma¬ gnetica, stampata modernamente costà in Italia (credo in Parma) da un Padre Gesuita l,) . Qua è il P. Galdin (S> , matematico molto affezionato di V. S. 5 dal quale ho veduto tal libro, e la saluta. Io non pretendo di dare incommodo nò causare distrazione alcuna a V. S., ma quando, senza contravenire a ciò, li piacesse farmi degno di avvisarmi qualche cosa delle sue rare speculazioni e studi, ne riceverei estremo gusto e favore sin- O» Cfr. n.o 1955, Un. 8. colao Cabro Ferrarionsl, Soo. Iosu, eco., Ferrame, 01 Philoiophia Magnetica, in qua magnetit na- ttjiud Franciseuni Succiuni, 1629. tura penitut txplicatur et omnium quat hoc lapide cer- **) Padre PAOLO tìULDIN. nvtUur cautae propriae afferuntur, ecc. Auctore Ni- 62 29 DICEMBRE 1629. [1972-1973] golarissimo; e di qua, se ella conosca ch’io possa esser buono a servirla in coki alcuna, mi troverà sempre prontissimo, so degnerà d’accennarmi lo. K por fine gli bacio le mani, e gli auguro felicissimo il prossimo anno, con molti seguenti. Di Vienna, li 29 Dicembre 1629. 9o Occorrendole scrivermi, potrà sempre inviar le lettere a me a Praga, franche costì per Mantova, quando quel passo è aperto. 1073. BENEDETTO CASTELLI e MICHELANGELO BUONARROTI a GALILEO in Firenze. IHoma, 1089]. Bibl.NM.Pir. Mas. Gal., P. F. T. XV, car. 10. - Di roano dal Cimai Iona 1* Ito. 1-18, W-*6. a di orni© del Buonarroti le lin. 17-21. Molto Ill. re Sig. r e P.ron Col." 10 Ilora bora ho inteso il spropositato screpolo di quelli che cercano, sotto ti tolo di pietà, far levare a V. S. la provisione che gode dalla grandezza del S«r.' ' Gran Duca 05 . Sottile inventiono! Mi favorisca V.S. significare da parte mia a S. A., che solo col nomee fama del merito di V. S. io ho sostenuta la lettura di Pisa e sostengo bora quella di Roma, ed habbiamo fatti duo altri lettori, uno .di Pisa c,) ed uno di Bologna (S) , c questi due, tali che ogn’ un di loro è bastanti» da illustrare ogni grande Università; e in conseguenza lei merita che li sia riz¬ zata la statua nello Studio di Pisa. Cosa ridicolosa mi pire il mettere in acro- polo che sia assegnata questa provisione a V. S. dello Decimo, mentre un seni io plice computista può levare adatto il scrupolo: poi che il Sor."® Gran Duca può impiegare mille e duo miila scudi dello Decime nelle galero; e quando il merito del Galileo non sia reputato da questi scropolosi per servizio dello Studio (ah maligni ignoranti!), potrà essere riconosciuto con girare una partita di due millm scudi, di quelli che S. A. Ser. mjl impiega nelle galere, a favore di V. S. Non ho tempo, perchè il Sig. r Michel Angelo voi finir la lettera. A Michelagnol Buonarroti questa lettera par finita, nò può altro che con¬ fermare il detto del P. D. Benedetto. Il qual Michelagnolo ò rimasto a svernare a Roma, e benché dironato in Corte, k’ inchina quanto e* può a far reverenza al MI Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXVII. Mi Niccolo Aggiunti. iiONA\ K.v II BA CàTAUIKI. 63 [1073-1074] [1629] - 4 GENNAIO 1630. 20 suo Signore, Signor Galileo, o gli prega ogni augiuncnto di nuovo bene, e aborre il concetto della diminuizion del vecchio. Di V. S. molto III.” Oblig. mo Ser. ra e Dia. 10 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto lll. re Sig. r mio Col. 010 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1974 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bollgpguardo. [Arcetri], 4 gennaio 1030, BILI. Naa. FIr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 81. — Autografa. Amatisi 1110 Sig. r Padre, Il timore che ho che la venuta qui di V. S. l’altro giorno non gT habbia cagionato l’accidente solito di maggior indispositione, m’induce a mandarla a visitare di presento, con speranza però che non sia seguito quello che temo, ma si bene quel che desidero, ciò ò ch’ella stia bene: il che non segue già qua fra di noi, poi che la maestra di S. r Luisa, ciò è quella che V. S. non poteva creder l’altro giorno che havessi 80 anni, per esser così fiera, l’istessa sera fu sopra¬ presa da malo cosi repento di febbre, catarro e dolori, di tal maniera che si dà per spedita; et S. p Luisa per ciò si ritrova in molto travaglio, perché Ramava io grandemente. Oltre a ciò S. p Violante (l) per ordino del medico se ne sta in letto, con un poca di febbre, et per quanto ne dico l’istesso medico si può sperarne poco bene: liiermattina prese medicina, et si va trattenendo. So V. S. facessi carità di mandarmi per lei un fiasco di vino rosso ben maturo, l’havrei molto caro, perché il nostro ò assai crudo; et io voglio cercare, di quel poco che potrò, di aiutarla fino all’ultimo. Tengo memoria del debito clie ho con la Portia (,) , et per ciò gli mando queste pezzuole, che da per noi Laviamo lavorate, e questa cordellina, acciò veda, se gli piace, di donargliene da nostra parte, et in tanto procurar di haver qualche altro ritaglio di drappo bello: basta, facci V. S. in quella maniera che più gli 20 piace. Si goderà stasera quest’uova fresche per amor nostro; et per fino a lei di Ol Violante Rondiseli,!: cfr. Voi. XIX, Doc. Cfr. n.» 1%5, Jin. 15; u.« 1968, lln. 64. XXXII, lin. 4. 64 4 — 5 GENNAIO 1630. [ 1974 - 1076 ] tutto cuore mi raccomando, insieme con tutte di camera. Il Signore la conservi in sua gratin. Li 4 di Gcn.° 1C29 l,) . Sua Fig. u Aff. 1 "* Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto lll. r * et Amatiss.® 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 1975. GIOVANNI CIAMBOLI a GALILEO iu F.renzo. ltoina, 6 gennaio 1030. Bibl. Naz. Plr. Msa. Qnl., P. I, T. IX, c»r. 158. — Autografo. Molto lll. ro et Ecc." 10 S. r mio Oss.'*' 0 Oh die grata oli che pretiosa mancia mi ha dato V. S. in questo Natale, col darmi avviso delli suoi Dialogi (,> felicemente terminati! Ni- rendo affrttuo-ùs- sime gratie a V. S., e l’assicuro che non potevo desiderare corniolatione più cara. Non vedo l’hora di leggerli e satiaro la mia lunga et impatientUaima sete con quella ambrosia de gl’ intelletti, con la quale sa V. S. solamente inebriare l’uni me¬ de’ galanthuomini. Però quanto prima wlla ini farà vedere queste aspettate ma¬ raviglie del suo subbiime ingegno, tanto maggioro allegrezza mi darà. Quanto all’ introduttione ( *\ a lei non mancheranno inventioni ‘•pirito-.e, * qua nel legger l’opera doveranno sovvenircene più d’una. Quanto poi al restante, io io la ringratio con tutto il cuore della continuationo dell'amor suo, stimato da mo supei' aurim et lapidem pretiosum. Farò poi voti cordiali per la sua venuta a Roma, dove, mancandole gl’altri maggiori, non le mancherà mai hospitio nello mie camere. E qui di nuovo la reverisco, salutandola affettuosissimamonte in nome dei Padre Maestro di Sacro Palazzo l) . Il P. Campanella (!) non ò stato da qualche giorno in qua veduto da me, ma è tutto di V. S., alla quale io viverò sempre affettuosissimo servo Di Roma, il dì 5 di Genn. 0 1630. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. rca Dov. mo Spr.™ S. r Galileo Galilei. Fir. G. Ci a m poli. £0 Fuori, d’altra mano: Al molto 111.™ et Ecc.® 0 Sig. r mio Uss. nj Il Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. i" Di stile fiorentino. “i Cfr. n.® 1700. < 3 > Cfr. n.® 1971, lin. 12. I* KlCCOUÒ KlCC ARDI. >•> Toxmaìo Ca wr a>kll ì. [1070-1977] 10 — 12 GENNAIO 1630. 65 1976 *. NICCOLÒ CINI a GALILEO [in Bellosguardo]. Dalle Rose, 10 gennaio 1GU0. Bibl. Naz. Pir. Mas Gal., P. V, T. II, car. 78. — Autografa. S. r Galileo, Il S. p Cav. r Guidoni (,) è qui, e domattina andremo alla Certosa a desinare. Si cita però V. S. a comparire in detto luogo alle 17 bore in circa, sotto pena di star senza desinare e di non havor l’olio clic ella desidera. E le bacio le mani. Dalle Rose ll) , a’X di Gemi. 0 1030. Di V. S. Dev. mo Sev. r Niccolò Cini. Fuori: Al S. p Galileo Galilei, mio S. ra In sua mano. 1977. GALILEO a [CESARE M ARSI LI in Bologna]. Firenze, 12 gennaio 1030. Arci». Maral irli In Bologna. Busta citata al n.» 1GS9. — Autografa. 111.® 0 Sig. ra e Pad." Col.® 0 Perchè credo che il P. Buonaventtira bavera sin hora dato saggio della riuscita che altri si possa promettere che sia per fare nella sua carica, vengo a pregar V. S. Ill. ma che si contenti di farmi grazia di significarmi sinceramente il seguito sin qui, sì perchè vivo ansioso di potermi conservare ’l credito nel concetto di V. S. e di cotesti altri 111.™ 1 Signori, sì ancora per poter scrivere al medesimo Padre con quella libertà, e dirò anco autorità, che tengo sopra di esso, e spronarlo ad applicarsi a quella sorta di studii che più vengono io costì desiderati. Io l’ho tentato li giorni passati nella resoluzion d’un problema geometrico difficilissimo, il quale mi ha mandato mirabil- (*) Serafino Guidoni. t a > Presso la Certosa di Firenze XIV. 0 t)(> 12 - 13 GENNAIO 1G30. [1977-1978] mente resoluto (1) . E benché questa non sia quella parte che vien comunemente più ricercata, tutta via il saper io (pianto «-Ila sin più difficile che i calcoli astronomici mi fa sperare che in breve tempo e’ sia per ridursi in stato di non bavere a denigrar la reputazione di cotesta cattedra, già tanto illustrata dal S. Magino. Io sono sul rivedere i miei Dialogi del flusso o reflusso, conte¬ nenti ancora tutto quello elio mi par che si possa dire circo i '2 si¬ stemi, e tra breve tempo gl* bavero in pronto per dargli in luce. Ne do conto a V. S. 111.™, perché so che ha a quore le coso mie. so Mi duole elio son necessitato contraddire al S. C'av. Chiar/ 1 in quella parte dove o’ confuta il Copernico, o tanto più mi dispiace quanto che le confutazioni son frivole, o (die esso si manifesta non liavor letto, non che studiato o inteso, quell’autore. Farò, necessitato, quello che potrò, con quella sua maggior reputazione elio sarà possibile, haven- dolo io per altro in grandissima venerazziono. Nel resto poi vivo al solito suo devotissimo servitore et ambizio¬ sissimo della sua grazia e de’ suoi comandamenti, de’ quali la sup¬ plico ad onorarmi, mentre con ogni reverente affetto gli bacio le mani e prego il colmo di felicità. so l)i Fir. 2 ®, li 12 di Gen.° 1629 3 . Di V. S. 111.™ Dev. wo et Oblili £. mo Ser. r * [(ìalileo Galilei.] 1978. GALILEO a [FEDERICO CESI in Ronwl. Flrenzo, 13 gennaio 1630. Bibl. della R. Accatlomia dei Iiiacoi in Roma. Mtt. n.« 12 (già col b viicomj .■.jqi »j|, cat. 13». — Autografa. 111. 100 et Ecc. rao Sig. 1 * e Pad.® Col. m ° Io scrissi più mesi sono a V. F.., acciò olla restasse servita (li raccomandare all’Eco S. Duca Altemps suo nipote, questi Ninci di S. Casciano, che hanno tenuto e tuttavia tengono la fìttau/a della <*» Cfr. n.o 1970. <*> Scir ione ChiaravqxtJi 111 DI itile fiorentino. '* Pietro Altrui**. 13 GENNÀIO 1630. [ 1978 ] <67 villa di Paterno, acciò esso Signore, nel rifar nuova fittanza, or¬ dinasse che gli eredi di Lione fussero a parte con gli eredi di Matteo nel medesimo modo che sono stati sin ora, atteso elio la parte di Lione aveva qualche dubbio che gli altri sottomano proccurassero di escludergli. Ora questo dubbio (che pur non era senza fondamento) io è stato rimosso, e si sono amendue le parti accordate di continuare insieme. Ma nasce di presento un altro dubbio, comune a questi et a quelli : e questo è, che ancorché per replicate lettere il Sig. Lo¬ renzo Brogiotti, agente del Sig. Buca, abbi ultimamente scritto che la fittanza sarà indubitatamente continuata a’ medesimi Ninci, e nel modo stesso della passata, e che nella scritta si contenga che non si disdicendo 6 mesi avanti s’intenda pur continuata, la qual di¬ sdetta non è seguita et il fine non ò lontano più che mesi 3, tutta via hanno qualche sentore che il Sig. Duca possa esser da più alta mano sollecitato a concederla ad altri; nel qual caso desiderano di 20 nuovo il favor di V. E. appresso il Sig. Buca, acciò la fittanza sia loro continuata: et io la supplico a fare in ciò quelli offizii che ella farebbe quando la causa fusse mia propria, che come tale la porgo a V. E., avendo io con questi Ninci interessi particolari di aiutarli in tutte le occasioni, oltre elio sono persone molto da bene et ho- norate; e di quanto V. E. ritrarrà, la supplico darmene avviso. Nel dargli le buone Feste, l’avvisavo corno avevo ridotti i Dia- logi a buon porto; li quali ora vo rivedendo per accomodargli alla pubblicazione, la quale vorrei elio seguisse costà, dove verrei in per¬ sona pei- non affaticar altri nello correzzioni. L’ho volsuto replicare so a V. E., in caso che l’altra mia non gli fusse pervenuta, perché so elio ne prenderà gusto, per l’affezzione che porta alle cose mie. Al¬ tro per ora non ho che dirgli, salvo che con ogni debita reverenza l’inchino, o dal S. gli prego intera felicità. Bi Firenze, li 13 di Gen.° 1629 er che il di fetto fossi mio per non saperlo guidare, che perciò ho lasciato i contrappesi at¬ taccati, dubitando che forse non siano al luogo loro. Ma ben la prego a riman¬ darlo più presto che potrà, perchè queste monache non mi lascerebbon vivere. 20 S. r Brigida le ricorda il servitù) che gl’ha impromesao, ciò è la dote di quella povera fanciulla; et io harei caro di sapere se ha lunato per me dalla Porti* il servitio che li domandai (,) . Non lo nomino, acciò V. S. n<»n mi dica fastidiosa, ma solo glielo ricordo. Havrò caro anco di sapere se la lettera ch’io scrissi per S. r M» Grazia t4) fu conforme al desiderio di V. S., chò quando ciò non fossi, pro¬ curerei di emendar Terrore con scriverne un’altra. Innondo scritta quella con molta penuria di tempo, il quale mi manca sempre per compire le mie faccende, IiOtt. 1970. 22. ha havuoto per — m Giovassi Roscoxi, <*) Cfr. n.» 1974, )in. 10. «*> Cfr. n.» 1974, Un. 18-19. Mah* Grazu dbi. Pacr. 21—24 GENNAIO 1630. 69 [ 1970 - 1980 ] e per disgrafia non posso lor alcun’bora al sonno, perché conosco che mi ap¬ porterebbe grandissimo nocumento alla sanità. 80 La ringratio del servitio fattomi della muletta, la quale feci instanza che m’accomodassi, acciò elio S. r Chiara, che la ricercava, non dubitassi che io non volossi clic fossi servita. Gli rimando il fiasco voto, essendo a S. r Violante molto gustato il buon vino che vi era dentro, e la ringratia. Suor Archangiola, quando l’altro giorno vedde l’involto di caviale che V. S. mandò, restò ingannata, credendosi che fossi certo cacio di Olanda che è solita di mandarne; si che, se V. S. vuol ch’ella resti satisfatta, di gratin ne mandi un poco, avanti che passi carnevale. Adesso che ho buona vena di cicalare, non finirei così per fretta, se non du¬ bitassi di venirle a fastidio, o più presto causarle stracchezza; che per ciò fini- 40 Beo, con raccomandarmeli per mille volte, insieme con S. r Luisa e tutte di ca¬ mera. Il Signore la feliciti sempre. Li 21 di Gen.° 1629 u) . Sua Fig. ,a Aff. ma Suor Maria Celeste. Fuori ; Al molto Ill. re et Arnatiss. mo Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 1980 *. NICCOLÒ AGGIUNTI e DINO PERI a GALILEO [in Bellosguardo]. Pisa, 24 o 30 gennaio 1630. Bibl. Naz. Tir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 99-100. — Di mano di Niccolò Aggiusti sono lo lin. 1-49, 59-75, o di mano di Dino Pkhi io lin. 50-58. Moli’ 111. et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. mo Mando a V. S. Ecc. ma alligato con questa mia un disegno 1 *’ del ponte d’Arhia, datomi dal Cavalier Apelle Lanci, il quale desidera che V. S. dica il suo parere intorno a questo fatto ch’ella sentirà. Il fiume d’Arhia, già molt’anni sono, veniva con lunghe ritorte a condursi sotto il ponte, sì che, avanti che egli arrivasse al detto ponte (da una girata 83. non fineri coti — Giorgio Fobtescce: cfr. n.° 1960. •*» U1110 Obli. 2'l — 30 GENNAIO 1G30. 71 [ 1980 ] Io mi rallegro sommamente clic gli abbondino nuovi pensieri degni di essere scritti, non perchè così il suo libro cresca, ina perchè così maggiormente si scema la nostra ignoranza. Non la tedierò più, ma farò line col riverirla e salutarla ossequiosissima in ente. Di Pisa, 24 Gennaio 1629 (0 . I)i V. S. molto 111. et Ecc. mi Sin qui è vero, tutto il resto è bu¬ gia. N. A. (,) 50 Dino veramente non può negare Postrema in- iingardnggino, che a nativifate gli sta radicata nei¬ rossa, ma non ammette giù questa per cagione del non bavere scritto o del non iscrivere a V.S. Ecc." ,: * I)i ciò no ha tutta la colpa chi di sopra in’ ha tanto caritativamente ricoperto. Son qui pronto per discoprir la verità, ma il Sig. r Niccolò qui presento mi urta nel braccio e non vuol ch’io passi più oltre. Devot. mo et Obblig.™ 0 Ser. ro co Niccolò Aggiunti. Sono stato in continua speranza di poter mandar questa lettera per mio pa¬ dre, elio pur doveva tornarsene a cotesta volta; ma l’indisposizione di Madama Ser. ,a> ha impedito a lui la venuta et a me ha defraudato la mia speranza: la quale acciochè più a lungo vanamente non mi tratenga, ho risoluto mandargli questo piego finalmente per l’ordinario. Credo clic V.S. Ecc. ma volentieri mi perdonerà così lunga dilazione, vedendo che io gli pago il debito e in oltre qual¬ che usura: io parlo della risposta m al Sig. r Giorgio, la quale mando a V. S., fatta con quella maggior accuratezza clic ho potuto. Iiarò caro intender quanto gli sodisfaccia. Nella soprascritta basterà fare: Erudìiiss. 0 Viro Georgio de For- to tiseuto. Londinum. Desidero che V. S. mi tenga in grazia del S. r Canonico Cini, e mi scusi appresso di lui se, per la sopradetta causa, tardi ho mandato la risposta a una gentilissima di esso: ma sopra tutto desidero che V.S. mi ami al suo solito, sicome io amo e riverisco lei al mio solito, cioè fuor d’ogni consueto. 30 Gennaio 1G29 (1) . «») Di stile fiorentino. che le parole « Sin qui ò vero » devono essere rifu- (*> Queste parole «Sin qui....N. A. », di mano rite a quello del poscritto: « Dino.,., nell' ossa »• di Niccolò Aggiunti, sono scritto sul margino, di (8) Cfr. u.° 1990. fronto al poscritto di Dino Pubi; o un segno indica <*> Di stile fiorentino. 72 26 GENNAIO 1630. [ 1981 ] 1981. FEDERICO CESI a [GALILEO In Firenze], Roma, 26 gennaio 1620. BILI. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. ICO. — Autografo. Molt’ 111.”» e molto Ecc. ta Sig. r mio sempre Osa.' 3 La gratissima di V. S. di queste Feste 10 ini giunse in S. Angelo, ma in tal termine di sanità o di moto, elio sin bora non ho potuto pigliar la penna per risponder con quella sodisfattione che dovevo. Ilora, ridottomi in Roma per pas¬ sarmene al litto marino d’Anzo, per procurar al possibile in quel’aere più soave di rihavermi, mi giugno lioggi proprio l’altra carissima ili WS. *, onde pago insieme l’un e l’altro debito, cliè la sanità, dopo molto sbattimento di questi giorni alquanto migliorata, me lo permette. Confesso che liavevo grandemente bisogno dell’allegrezza che m’apportò la prima di V. S. con avisi tanto ila ne desiderati e saluti tanto cari e da me pr« - io giati, dico del buon stato della sua sanità, del compimento delle sue opre, e ib i bene che si compiace desiderarmi et annunziarmi. Sia pur certa rhe è gran pezzo che non ho goduto di maggior consolatione nè »ontito cosa di maggior mio gu¬ sto, e massimo con la speranza che aggiugne di venir in qua. Rendo dunque infinite gratie a V. S. e de’saluti e delle nuove, e le prego da Rio benedetto l’incominciato anno con altri più e più appresso, pieni d’ogni felicità e conten¬ tezza e gusto suo e universale del compimento delle sue immortali e mirabili opre; e meco la S. ra Principessa mia la ringratia o le rende moltiplicati e duli. Il suo venir in qua con bona sanità o tempo non può da me se non molto desiderarsi e lodarsi: però mi sarà carissimo sentirne la certezza et il quando, 20 perchè vorrei che ad ogni modo in quel tempo mi fussn concesso osipr qui per¬ sonalmente, per sodisfar a’ mioi debiti e desiderii de servirle come devo, e godi r al solito de’suoi favori con i Sig. ri compagni. Intanto resto ansiosissimo di in¬ tenderlo quanto prima; nè, quanto alle correzzioni, ella haverà il’affaticarsi in altro che commandare liberamente. Quanto alli Ninci, che V. S. sì caldamente s* è compiaciuta raccomandamii per il fìtto del Sig. r Duca Altemps mio nepote, mi dolo grandemente che detto big. r Duca non sia mai stato in Roma da che ella me ne scrisse, nè vi sia al presente, che io habbia potuto replicar l’ofbtio in voce che baverei voluto con ogni premura possibile. Lo faccio però con lettera con ogni efficacia maggiore, 80 io Cfr. n.o IOTI. “i Cfr. n.» 1079. 73 [1981-19821 2G gennaio — 1° febbraio 1G30. o le darò conto di quanto no riporterò, desiderando con ogni maggior affetto servir a V. S. come devo, o che mi commandi sempre. Travagliosissimo anno è stato il passato per li nostri negotii, per li danni, perdite, longhczze e impedimenti. Spero in Dio benedetto elio questo, con i buoni principii clic V. S. n’ arreca, e molto più con la sua venuta, sia per esser felice. E con ogni più vivo affetto di coro bacio a V. S. le mani, come fa il S. r Stel¬ lati nostro, che finisce bora di stampare il suo Persio (1) , allegrissimo delle buone nuove di sopra che le ho participate, come anco il P. Antonio Santini, che Meri fu un pezzo meco. Dio N. S. conceda a V. S. ogni maggior contentezza. 40 Di Roma, li 20 Genn. 0 1630. Di V. S. molt* 111, 10 e molto Ecc. to Aff. mo et Obblig.® 0 per ser> sempre Fed. co Cesi Line. 0 Prine. 0 1982. GIOVANFRANCESCO BUONAMICI a [GALILEO in Firenze]. Madrid, 1° febbraio 1680. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, cnr. 122-123. — Autografa. Molto Ill. re Sig. or mio Oss."'° Alla cortesissima di V. S. de’ 19 di Novembre (,) darò breve risposta, riser- bandomi a sodisfare al suo desiderio circa li quesiti fattimi con più agio et più fondate relationi di quelle che la mia corta notitia di queste materie potrebbe bora darli. In proposito dell’occhiale o telescopio di V. S., essendone stati visti dal Re alcuni che qui si andavano vendendo, il S. or Esali del Borgo, che stima somma¬ mente la sua virtù et scienza, desiderò farne vedere uno a S. M. tà di più perfet- tione che non erano quelli; et questa fu la cagione perchè io scrissi al S. r Carlo (5) io mio suocero in quella forma apunto elio volse il S. r Esaù : il quale poi ò venuto costì et si vedrà* con V. S., et sarà bene che ella li mostri il modo di maneggiar P instrumento, perchè io già ho fatto sapere a S. M. tt , con una memoria in scritto, clic detti instrumenti si stanno lavorando, et li aspetta con desiderio; et ho preso occasiono di dire a S. MT a che V. S. tiene l’inventione di graduar la longitudine dell’universo, et che la propose in tempo del Re suo padre: et questo l’ho fatto perché tale inventione si cerca et procura bora gagliardamente, et sono prefissi (•> Cfr. n.° 1835, lin. 19. ‘ 3 > Carlo Bocchi miri. <*> Cfr. n.® 1967. XIV. 10 74 1° FEBBRAIO 1030. f 198*21 premi* grandissimi al trovatore. Perciò è venuto qua a posta dall Indi** Orientali un tal Padre Borro Milanese, della Compagnia di Diesò, et altri I m fogliosi ; et il Re ha deputato una giunta o consulta di huomini intelligenti «»pra questa materia. A chi trovasso nella longitudine alcun punto Ibso, pare a me, ni offe ri- CO scono diecimila ducati di rendita, et cinquemila a chi trovi altra maniera di graduare detta longitudine. Pure me ne informerò meglio; et sarà bene elio V. S. informi di questo negotio il futuro ambasciatore et glielo faccia raccomandare da’ Scr. ml Padroni, et ne parli ancora col S.f Panò et al medesimo dia li originali delle lettere regie che tieno per il Duca di Ossuna, acciò al ritorno di detto S. 01 ' Esaù si possa giustificar la verità di quanto ho fatto sapere al Ih* et insieme dar principio o, per meglio dire, ravvivare questo negotio, clic, se non accr. cer la fama di V. S., può almeno augumentarla di ricchezze et guadagnarli la !»«•- nevoglienza di questa Corona. In proposito di navigationi io so poco o niente, et quel mio scritto 11 ' fu fatto ::o a instanza di amici, ot è come uno schizzo di quelle cose che l’«.s-.rvanza delli scritti et discorsi altrui mi ha fatto acquistare, et elio io pem ai jw.i . r muover» loro AA. et la nostra natione ad abbracciare quel negotio; ma in • stanza i > non fui mai filosofo nò marinaro, chò diversamente dalla mia inciinatione fui fatto studiare, et di poi le continue mie peregrinationi non mi liannn dato luogo ad applicarmi a quello barerei voluto et desidererei bora sapere, )■< i odisfan? a quanto V. S. mi comanda per la perfettione della sua con-Ltutione «Irli’uni¬ verso. àia io nuderò trattando con huomini et scritti della profes-ion nautica, die costà forse non sono, per dare a V. S. quella piò compiila ri-p ista che sia possibile, ancorcliò io considero che la frequenza delli Olande-i et In. h i «li 40 Livorno potrà facilmente meglio sodisfarle. Circa il ilusso et rotlusso, io non mi ricordo haver visto nessuno che ne di¬ scorra meglio di Lodovico Guicciardini nella Descritione de’Pae-i Bassi, nel capitolo del maro**’; et caso V. S. non havesse alla nmno questa lii-hu ia, ho voluto aggiugner qui una copia 1 *’ di detto capitolo, che feci una volta che lesi quel libro, et come cosa curiosa la tenevo appresso di me. Universalmente affermano tutti li huomini celebri marinareschi, che infra li tropici et 1 cquinotiale regnino continui venti di levante, che gli .Spagnuoli chia¬ mano brisas (et perciò noi habbiamo forse «li qui derivato il chiamar lrn;:r li venti sottili). Antonio de Ilerrera, chronieliista dell’Indie Occidentali* , dice che co Ul CinsTOFORO IlOtlKO. <*> Cfr. n.° 19C7, lin. 24. <*> Dncrittione di M. Lodovico OoiCCURDist, Patritio Fiorentino, di tutti i Patti Baui. ecc. In Anversa. M.D.LXVII, Rpresso Guglielmo Silvio, stam¬ patore Regio, png. 17-28. <*i Non b presentemente allogata alla lettera. Ihtt»t ki parrai d* !••• Krrio* dt lo* <'■«»/•//«• no* ttl hi* ititi* i torta firn» d i t/«ir Or- in», «rrtU por Axtosio di Il rem. a «cc Kn Muiiid. «n la «m- pianta Reai, 16ul ]»'.!& Dttenpeion d» la• India* Ondtntalrt d* Asrollo pa IIeriimu e> c. fcn Madrid, en la empieo U Kcal. 1601. 1° FEBBRAIO 1630. 75 [19821 questo d cagionato dal moto del primo mobile, che sforza col suo vapto così l’elo- niolito dell aria corno tutto le sfere. 1 uttavia si hanno diverse consideratioui, cho spero dir con più agio, intorno a questa materia; et specialmonto mi ricordo che il Cespedes, nel Governo della navigatone (,) , dice clic in alcuni giorni dell’anno questi levanti sono interrotti dalli uracancs, che sono venti rotti et prodotti dal contrasto di diversi venti tra di loro, cho propriamente potremo chiamar pro¬ celle, et hanno anco nome speciale nel nostro volgare, cho non mi ricordo. Li Spaglinoli con altro nome li dicono forbdincs. Oltre a questo il medesimo Cespedes, et me lo confermano huomini di esperienza, dico elio sotto la Linea si patiscono co alcune volte tali calme, che i vascelli restano immobili : et questo accadde l'anno 25 a D.Federigo di Toledo, quando andava con l’armata regia a recuperar l’Abaliia do Todos Santos nel Brasi!, occupata dalli Olandesi; cho volendo tirarsi nel polo australe per pigliar l’altezza del Cabo di Sant’Angustino del Brusii, restò alcuni giorni come impantanato sotto la Linea: et intendo che por tale accidente si perse una volta un’armata di Portogallo, havendo durato tanto lo calme, che maneorno li viveri et la gente si morì di fame. Perciò vanno bora qui cercando un’inventione per liberarsi da questo pericolo, con fare li vasselli, benché di alto bordo, movibili senza il favor de’venti. Stante questa ossorvationc, la ragion dell’Ilerrera, seguita da molti altri, non pare che sodisfaccia, perché il moto 70 del primo mobile é constante et sempre uno, et quello olio operò lucri (se non vi sia impedimento d’isolo o terra ferma, che co’loro vapori cagionino altera- tione) l’ha da operare ancora hoggi et domani et sempre. Il Cespedes dico di più, in proposito del flusso et reflusso, bavere inteso da alcuni Portoghesi che nell’Indie Orientali in alcuni luoghi non sono le crescenti che di 24 in 24 bore; ma perché non specifica i luoghi né li autori, non so se si possa aggiustar fede a tale stravaganza : di che procurerò toccare il fondo, che il verificarlo sarà cosa peregrina. È anco vero clic il ritorno dall’ Indie Occidentali, per sfuggire li lev[anti] che darebbono per prua, ò diverso dall’andata; perché, radunandosi tutte lo navi so al porto dell’ Havana, all’ occidente dell’isola Cuba, pigliano il canaio di Baliama, c tenendosi sempre al settentrione, havendo a mano sinistra la Terra Florida, ven¬ gono alla bocca di detto canale in 2S gradi, et col favore della corrente di esso canaio montano sino a 3G e 37 et sino alle volte a 39 gradi, et pigliando li venti settentrionali o maestrali navigano quel gran golfo sino all’ isole Terzere. Ma di questo farò una relation particolare a V. S. con più tempo, in clic si tratterà del detto canale di Uabaina, et spero discorrerli anco qualche cosa dello stretto di Magaglianes, con dirli lo ragioni elio muovono molti a credere clic la terra australe incognita, che si dice Magaglianica, sia più tosto un arcipelago d’isole m Regìmento de. navìgacion gite mando htirr srBDKS. Madrid, Juan do la Cuosta, 1606, pny. 178 el Bey Nuettro Stiior a Andreas Gakoias db Ce- o scy. 7 fi 1° FEBBRAIO 1630. [19RHM8] che terra ferma, et aggiugnerò le osservationi così dello stretto tra terra d'Africa et l’isola di S. Lorenzo, so puro questo è stretto, elio io i>otiò ritrarre. Ma oo stimo che li effetti siano più che in questo visibili tra l'isola di Oilan et il cabo Gomoriuo in India, et più olt.ro nello stretto ili Sincapura tra la punta di Malaca et l’isola Sumatra, o tra questa et la Giava maggiore; che se no troverò o-ser- vatione alcuna, la partici però a V. S., come anco alcune che penso tenere della situationo et forma del Mar Itosso et paesi adiacenti, et quei più particolari che io potrò bavere, come V. S. desidera; che scuserò la mia ignoranza, ma anco dagl’ignoranti accado allo volte a’ savii il perfettionare la loro scienza. Nò havendo per bora tempo di allargarmi più oltre, bacio a V. S. per tine di tutto cuore lo mani, corno anco alla S. rR Sestilia (l) et suo S. r figliuolo. Di Madrid, il p. mo di Febb.° 1030. luo Di V. S. molto 111." S." r Galileo. 1983. CESARE MARSIU a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 1" febbraio 1630. Blbl. Nae. Flr. Mss. Gal., P. VI., T. XI, car. 121. — Autografe lo parole « 1 Febraro 1080» della daU o la sottoscrizione. Molt’Ill. re et Eccell. mo Sig" mio Oss. r '° Io non saprei uguagliare altro mio gusto a quello che io sento dalle dot¬ tissime et amorevolissime sue lettere, sopra il quale è forza ch’io mi traten- ghi non solo fra me medesmo, ma in compagnia di molti suoi partiali et miei amici; e tanto più sopra questa (,) elio sopra l’altre mi son tratenuto, quanto più caro è stato univorsalmentc l’aviso che finalmente li suoi Dialogi siano por uscire in luce. Lett. 1083. 2. wjuaìyliare — fi Sestilia Bocchinbei, mogli* di Yixcmzio <*i Cfr. n.* 1978. Galilei. . [1983-1984] 1° — 0 FEBBRAIO 1630. 77 Pensavo inviarle certo mio pensiero circa la theorica* del moto lunare, ma ho stimato meglio il differire et aspettare eh’ il Padre Bonaventura, il quale con io assai numero di scholari e gran sodisfazione si trova ora occupato sopra Euclide et sopra ad una facile trigonometria logaritmica da publicarsi quanto prima {ì> , babbi coimnodità di applicarsi a gli studii d’astronomia; e ciò per non esser cagione a V. S. Eccell. nm di perdimento di tempo, mentre da lei vien tanto bene impiegato in opera così bramata. So V. S. Eccell. ma conoscesse che alcun mio ufficio potesse esser amichevol messagicro tra lei et il Sig. re Cavallier Chiaramente, compiacendosi inviarme lo risposte a quel libro per l'arigliele sotto mano vedero con ogni buon termine, come di già io feci le suo proposte a V. S. Eceell. ma , glie l’offerisco; anzi no, sa¬ pendo lei di essere assoluto padrone di quanto io vaglio. Se potessi però senza 20 molto suo scommodo esserne favorito, le terrei con quella fede che si conviene c da me e da gli oblighi che professo al mio Sig.™ Galilei. Vidi alcuni giorni sono il Padre Càbei, De magnetica philosophia cl) , e vidi 1’ ultimo capo, della moltiplicazione della virtù della calamita, che, per. esser tanto ripugnante a i di lui principii e per altre ragioni, mi venne in mente che fusse quello che già V. S. Eccell. ma mi scrisse (,1) . Mi farà grazia rendermi certo se son buon indovino. E qui a V. S. Eccell. ma baccio con ogni affetto lo mani. Bologna, a dì 1 Febraro 1630. Di V. S. molt’Ill. ro et Eccell. ma Aff." 10 et Farci. mo Se.™ Cesare Marsili. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze; Roma, 0 febbraio lf>30. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 162. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col. mo Avanti che V. S. molto IH.™ mi scrivesse la lettera sua delli 28 Gennaio, ca¬ pitatami ieri sera solamente, ho più volte di lei, del suo gran merito e valore, fatta rimembranza col Padre Mostro (J) , e per sino dettoli che V. S. si era riso- 12. astromia — 0) Cfr. n.° 1970. <*> Cfr. n.° 1944, lin. 54; n.« 1972, lin. 22. <*> Cfr. n.<> 1946, lin. 37. <*> Niccolò Ricoardi. 78 0 FEBBRAIO 1630. luta di scrivere dopo‘che sua L*. K. m * era stata deputata nell* officio di Mae tro di S. Palazzo, perché era sicura elio non sarebbero le cose u« pa tite « piudi- cate da ignoranti; o sua P. U. m » mi rispose che era tutto suo, e die sempre l.a- verebbo fatta la dovuta stima della virtù di V. 8. e che non ne dovessi dubitare: si che io tengo per fermo elio, quanto alla parte sua, le c<-<* nuiiiiMrainioh.no. Io però ne farò di novo passata più specifica: e p^rchò ah une sor*.no si venne i > a ragionamento, avanti il Sig. r Card. 1 Padrone ", del llu ho e reflussi del mare, 10 dissi a S. Sig. ria Ul. ma che V. S. haveva fatto un discorso meraviglioso intorno a questa materia, e elio io gli ne haverei fatto i«irte; ma p«r»hA fu d« tto da uno, elio si ritrovava presento, elio V. S. presupponeva il moto della terra, fui necessitato di allargarmi, per sodisfazion di tutti, mostrando che V. S non a* - riva ciò por vero, ma solo che dimostrava clic quando fo stato vero il moto .della terra, necessariamente no sarebbe seguito il flusso e reflua»»: o se bene 11 8ig. r Cardinale si mostrò assai averso sul principio, tuttavia mi trattenne poi solo in camera alla longa, o in sostanza ini di» «• che li p irr\ i che, dato il moto alla terra, sarebbe necessario die fosse una stella, la qual cos i j-.i parer i so troppo contraria allo verità, tlieologiche. A questo io ri j «.d che A’. S. liawrpbbe haute dimostrazioni in contrario, o clic haverebbo provato che la t* rra non era una stella; cosa elio credo li sarà facilissima, quanto ò facile provaro die la luna ò luna, e non terra, Marte ò Marte, e non luna rie Venere, otr.: e cosi mi disse che V. S. dovesso provar questo, chè noi resto lo rose potre mo pacare. Io scrivo questo, acciò lei conosca come passano Io cose, e se li paro bene faro un poco di gionta intorno a questo particolare. Quanto al nostro Mecenate in , gli ho mostrata la lettera di V. S., e m’ha detto che non desidera cosa al mondo più che di vederla e di sentire il suo li¬ bro. In ristretto, del negozio lui spera bone, ma non si può promettere niente di > certo: tiene però per formo che col venir qui lei, col suo trattare, col suo di¬ scorso, con le suo maniere e con l’opera stessa in mano, superar*, qoan|do] s’incontrasse, ogni difficoltà. I'j stato da mo questa mattina il Sig. r Stclluti, col quale ho comunicata la lettera di V. S., e farà l’officio col S. r Principe Cesi: e lui m’ha detto che il libro de maculisi ò stampato, o che non ci manca altro che il frontcspicio, quale è in mano dell’intagliatore; e di più m’ha detto che il libro ò gran volume, ma che da una parte dell’indice, clic lui ha vista dall’intagliatore, pensa clic hi manco cosa sia de maedis solis: o così credo elio si faccia a faro i libri di buono o giusto volume, come incastrando nel trattato della calamita la ni,,ione perciò m H Icone si spaventi alla voce del gallo , » la favola fosse vera, titolo di un capi- 11 ' Francesco Bauorrihi. Giovanni Ciampou. (S| lulvutiu, U Ita m l’r«H< 1 . cfr. n.» b76. 0 — 10 FEBBRAIO 1030. 70 [1984-1985] tolo del libro De magnete del 1*. Cabeo °. E perchè non voglio più tediarla, fini¬ sco e li bacio le mani. Di Doma, il 0 di F(*.b.° 1030. Di V. S. molto ili . 1 ' 0 Oblig ." 10 e Devotis ." 10 Ser. 17 ' e Dia . 10 S. r Gal . 0 Don Beued . 0 Castelli, jh'uori: Al molto Ill. r0 Sig. p c P.ron Col." 10 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 1985. GALILEO n [CESALE MARSILI in Bologna]. JtdluHgunrdo, 10 rdibrnlo 1G30. Avoli. Marslgli in Bologna. Ilusta citata ni ».« 1098. — Autografa. 111." 10 Sig. re e Pad." Col. mo Non potevo sentir cosa di più mio gusto, die quello di che Y. S. Ill. ,ua mi dà conto nella sua cortesissima lotterà 12 ', attenente a gli studii c progressi del P. F. Buonaventura ; e godo in estremo chele mie predizioni comincino a dar segno di veridiche nella riuscita dell’ingegno mirabile di questo soggetto. È forza che V. S. mi dispensi dal servirla prontamente nel man¬ dargli lo risposto alle opposizioni del S. Cav. Chiaramonti contro alla mobilità della terra, perchè, oltre all’esser cosa assai lunga, è sparsa io in diversi luoghi de i Dialogi, li quali se io non rileggessi totalmente, non saprei raccapezzare; et io mi trovo occupatissimo nel riveder¬ gli, per le iunumerabili postille che mi convien fargli mediante la roba continua elio mi sovviene et che io non posso tacere. Gli vo facendo copiare, con intenzione di trasferirmi alla fine del presento mese a Roma e pubblicargli, se potrò, subito. Torno dunque a pre¬ garla elio voglia scusarmi, conio so che farebbe quando fusse pre¬ sente a veder le mie brighe: basta che, con l’occasione del rilegger più volte e considerar tali opposizioni, tuttavia più mi calano per le mani e le scuopro nulla concludenti. <>) Cfr. n.° 1972. « Galius onr cantn leonem tur- reium dell'opera del Cabro: cfr. ivi, png. 103. reat, si fabula ossot vora » ù una rubrica AoìV Index Cfr. n.° 1984. 80 16 FEBBRAIO 1680. 119R.V1986] io non metterò più mano a raccomandare a V.S. 111.“* il Padre so Matematico, già che le sue qualità per flò stesse si vanno insinuando nella sua grazia: la supplico bene a fargli mie raccomandazioni, per¬ chè io non gli scrivo per non disturbare, senza necessità, i suoi ntudii et i miei. A lei stessa fo umilissima riverenza, confermandogli la mia devotissima servitù, e dal Signore Dio gli prego il compimento d’ogni suo desiderio. Da Bell. 0 , li 16 di Feb.° 1629 Di V. S. 111.""* Dov. rao et Oblilig. w# Ser.™ Galileo Galilei L. 1986*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO In Firenze. Roma, 1G febbraio 1 »ì;ì0. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Caiupurl. Autografl, b.* l.XX, n. # 18. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. r , e Sig. r o P.ron mio Col."" 1 Ilo parlato con il nostro Padre Mostro, quale è più galanthuorno che mai e più nostro che mai, e m’ha promesso tutto bene; perù, quando noi non hab biamo più duro e più alto intoppo, come Mons. r Giampoli ha haute qualche du- bio, lei si potrebbe assicurare assolutamente di venire. E ben vero che il Padre Mostro m’ha dotto che lui agiust&rà ogni cosa; perù, se io potessi, vorrei sup¬ plicare il Ser." 10 Gran Duca che mandasse V. S. in tutti modi, perchè qua è desideratissima da tutti quelli che la conoscono e da molti che desiderano di conoscerla di presenza, come li sono parzialissimi nelle opere. Non occorrendomi altro, li bacio le mani. io Di Roma, il 1G di Feb.° 1630. Di V. S. molto Ill. r * Oblig. mo e Devotisa.® Ser. r# e Dis. Ia S.‘ Galileo. Don Benedetto Castelli. ■Fuori: [-] Sig. r e P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo [....] Filosofo di S. A. Ser.®* Firenze. (, > Di stile fiorentino. [ 1987 ] 19 FEBBRAIO 1G30. 81 1987 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in BflJIysguorclo. Arce tri, 19 febbraio 1630. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, cnr. 84. — Autografa. A ni alias.™ 0 Big/ Padre, So che V. S. è stata consapevole di tutti i miei disgusti, chò così mi fu dalla nostra Nora riferto; et io non ho voluto dargliene parte per non esser sempre annuntiatrice di cattive nuove : ina ben adesso gli dico che S. r Luisa, per la Dio gratin, sta assai bene, e S. r Archangiola et io stiamo benissimo, S. r Chiara 1 ' 1 ragionevolmente, e le due vecchie all’ordinario. Piaccia al Signore che anco V. S. stia con quella sanità ch’io desidero, ma non spero, mediante la crudezza del tempo; havrò caro d’haverne la certezza, et in tanto gli mando queste poche paste per far colatione la sera di queste vigilie, io Vincendo c’inviò hiersera un buon alberello di caviale, del quale S. r Ar¬ changiola ringratia V. S., per esser questa sua e non mia porlione, perchè non fa per me: io, in quel cambio, havrei più caro da far zuppa, e parecchi fichi secchi, che fanno per il mio stomaco. La consuetudine de gl’ altri anni mi fa forse troppo ardita; ma il sapere che a V. S. non è discara siinil domanda, mi dà sicurtà. L’orivolo, die tante volte mandai in su e in giti, va adesso benissimo, es¬ sendo stato mio il difetto, che l’accomodavo un poco torto. Lo mandai a V. S. in una zanetta, coperta con uno sciugatoio, e non ho riavuto nò l’uno nò l’altra; so V. S. li ritrova per sorte in casa, havrò caro che li rimandi. Non dirò altro 20 di presente, se non che la saluto per parte di tutte le sopra nominate, e prego Dio benedetto che la conservi lungamente felice. Di S. Matteo, li 19 di Fel)b.° 1629 « Di V. S. Fig> Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto IU. ro et Amatiss.™ 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei Oss. mo , a Bello Sguardo. <’> Cfr. li.» 1571, li». 8. ‘ s > Di stilo fiorentino. 82 23 FEBBRAIO 1630. [ 1988 - 1989 ] 1988*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO iu Firoute. Roma, 23 [febbraio 1C30J. Bibl. Nttz, Flr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 91. — Autografe. Molto 111. 1 '® Sig. r e P.ron Col.® 0 Subito che io hobbi la lettera di V.S. molto IH.»*, andai a ritrovare il nostro Mons. r Ciani poli, al quale lessi tutto il contenuto, facendoli riverenza come lei mi comandava. Hebbe grandissimo gusto, e in ristretto mi ili-e, o rio* mai i»o- teva essere tempo oportuno, o che era il presente, per superare tutte le difficoltà, e che V. S. dovessi venire allegramente, perchè con In sua presenza e tratto e prudenza haverebbe superate tutte le difficoltà; ma che giudicava bone che solo dicesse di venire u Roma per suo gusto e per vedere gli amici e padroni. Quanto al Padre Mostro ( '\ io lo tengo in questa verità, che V. S. m è risoluta a scrìvere, confidata di essere nelle mani di huoino che sa e che intende; e lui mi ha riamato io che li vive servitore di cuore. Però la prego che, avanti facci» riwdutione, aspetti questo altro ordinario, chè forse li potrei più risolutamente rispondere. K non occorrendomi altro, li bacio le mani. Di Roma, il 23. Di V. S. molto DI.» Oblig ed ÀffSer." e Di«> S. r Gai. 0 Don Bened." Castelli. Fuori: Al molto 111.» Sig. r e P.ron mio Col.™ Il [_]lileo Galilei, p.° Filosofo di 8. A. S. Firenze. 1989*. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in [-'«ronzo. Bologua, 23 febbraio l«UO. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI. T. XI. car. 120. — Aut ografe. Molto 111.** et Eccl. mo Sig. r e P.ron Col. m# Non si dovrà meravigliare V. 8. Ecc. n,a se sin bora non ho dato risposta alla gratissima sua, poiché io non la ricevei se non T ultima settimana di carnovale. Causa di questo ò stato che ella era inviata al nostro Padre Generale, quale si ritrovava su lo stato Venetiano, e tra l'andare e ritornare in qua ha perciò <‘> Cfr. n.» 1984, lin. 4. 23 FEBBRAIO 1G30. 83 [1089-1990] tardata laido a capitarmi alle mani; e mi dispiace veramente clic siano poi so- praggionti i giorni delle lettioni publiclie, poiché non haverei mancato di sodi¬ sfare al suo desiderio, per quanto mi fosse stato possibile. Ho però tuttavia visto qualche cosa delPAntitichone {,) , cioè mezo il suo primo libro, nel quale non mi io par che vi sia da dirci in contrario eoa’alcuna, so non elio forsi si potesse dire con maggior brevità e facilità ciò ch’egli pretende ivi d’insegnare intorno alle paralassi; ma perché forsi qua lei non preme, liaverei caro mi toccasse parti¬ colarmente quello eh’haveria caro ch’io vedessi. Quanto poi alle macchie solari, mi stupisco veramente elio pretenda di mantenere che siano nell’ aria ; tuttavia puoco guadagno credo sia per fare sì in queste come nell’altro cose ch’egli, contro tanti inditi manifesti e tante esperienze, cerca pur di mantenere, o cre¬ derò che quelli che haverano da contradirli haverano puoca briga, mentre egli voi sostener conclusioni così assurde. Ilo inteso ch’ella ò per andare a Roma alla fin di questo mese, del che in- 20 finitamente mi rallegro seco, sperando che boriimi s’babbi da veder quell’opera clic dal mondo è tanto desiata. E veramente fa benissimo, poiché gli anni crescono, o mentre ha tempo et ò nella buona congiuntura di questo Pontefice, supcrarà ogni difficoltà che da quelli che son invidiosi della sua gloria gli potesse esser fatta. Aspetto con desiderio di sentir l’ultima sua resolution della partenza et insieme che mi favorisca de’suoi commandi, con che fine li baccio le mani, ri¬ cordandomeli devotissimo et obligatissimo servitore. Di Bologna, alli 23 Feh. r0 1630. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dev. ra0 et Ob. mo Ser.™ F. Bon. rft Cavalieri. so Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. n, ° Sig. r e P.ron Col." 10 Il Big. 1, Galileo Gal. ei Fiorenza. 1990 * GALILEO a GIORGIO FORTESCUE [in Londra]. [Fironze, febbraio 1630.] Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 116. —Copia di mano di Gaut.ro: cfr. n.» 1080, lin. 67. Erudit .™ 0 Viro Georgio do Forti Scuto Galilaeus de Galilaeis S. D. Novum profecto et humanissimum beneficentiao genus est meti- culoso ac verecundanter magna offerre beneficia, et turn cuin maxime m Cfr. n. 1671. 84 FEBBRAIO 1630. [ 1990 ] benefacias, ipsam dissimulare beneficenti»!!!. Tu culpani in eo vere- ria in quo insignein meritila es gratiam, et, amori» ac gratitudini» loco, remm poWàs* At ego indigni» hac tua tam prolixa beni- gnitate viderer, et timo ab ea forcni, cui me n • ri**, iminortahtato abborrens, nisi hoc praeclarmn ben»'fidi» agnoecerem, obliquo insuper tuae vorecundiae numero gommatura. Ni minim int-'lligebas, i 0 quantum onus imponeree infinnis hisce uicis viribus, si pularn atquo aperte in raeum sinum profusam istam munilicentiam cognovUses: visura est igitur eara modestiae velo obnubcro atquo ad umbra re, ut meo pudori consuleres cura acciperem, et mcmn tenuitatem sublo- vares si de referenda gratia cogitarem. S.d neutrum oportuit: nani ego noviter impudens forem, nisi mine quoque rubore suffumhrer; et plus nimio ineptus, si hanc tibi reponere grati.un moditirer. Cnm meum noinen tuia inseris ecripti^, et me inter eximin» viro* collo- quentem inducis, illustras me ingenii fui monumentiut au ruror, sempiterni; nunc ego, ai velini tecum paria tacere et t- vicis-im meo 20 testimonio cohonestare, ridiculus essem, quippe qui Phw ho facem praeferrem, et tibi, ingente.» thesauros bradi tanti, exiguam *tipem erogarem. Adde quod nihil iam nisi de tuo tibi elargirer: nani quan- tulus quantulus sum, totiis in aero tuo atque adeo «*x ore tuo inni sum. Tu me collocupletas, et ineas non nimis amplia ingenii facul- tates tua largitate lionorificis oxanges incrementi»: ego nomine temi», tu nomine et re mihi consulis; ego tuae scriptioni, tu rneae laudi servis; ego tibi inane nonien accomodo, tu mihi illud solida© gloriae plenum reddis: ego deniquo imaginaria adoptione in tuum librum, velut in tuum liberura, me adscisci sino; tu in** in tuae gloriae veram so et opulentam hereditatom vocas. Sed ne illud quidem diffitebor, me apposite Cepheum a te nuncupari, modo tu quoque non ahnuaa, te mihi Perseum esse: vide enim quam congrue habes Palladi» clypeum, quod tibi non solimi cognomen de Forti Scuto, sed doctrinae solidità» multo magis praestat: habes quoque Mercurii penna», idost volli cri» ingenii desteritatem : bis tu instructu», meam mihi Andromedom, hoc est famam, a livoris monstre edacisque tempori» iniurii» tutam ser- las, et tam illa quam ego (ut olim in tabuli» Andromede et (Jepheus Lett. 1990. S. tunc nbtta-9. Unicum - 2S. rotf.plw*. - ». immotar* - SSL Amdrty (l > Cfr. n.° 1 UGO. [191)0-1991] FEBBRAIO — 6 MARZO 1630. 85 a Perseo), tuis penili» elati tuaque opera subvecti, in caelo locamur 40 et inter astra conspicimur immortales. Me vero non magnopere ea cura sollicitat, quomodo tibi vicein rependam : tibi enira satis hac ratione fieri arbitror, si palam (ut facio) tester, to mihi sydereum hoc lucis coronamentura imposuisse, tuoque solerti ingenio efFectum esse, ut vivens posthuma gloria fruerer, et antequam terris decede¬ rono , adscriberer caelo. Cum typographi suam operam absolverint, tuique libri c,) editio- nem perfecerint, unum vel alterum exemplar ad nos primo quoque tempore perferendum cures: nostrani enim mirifice incendisti cupi- ditatem. Ego (si quacris) arduum opus molior: magnum mundi sy- 6 o sterna quod trigesimum iam annulli parturiebam, nunc tandem pario. Modo cogita, quibus inter enitendum doloribus conficiar; sed confido tamen (si non dicam Lucina, sed si lucis et veritat.is Auctor opem ferat), partimi feliciter processurum. In hoc opero abditissimas maris aestuum causas, quibus ad haec usque tempora philosophorum ingenia saevius ipso mari aestuarunt, inquiro, et, nisi mei me falliti amor, mirabiliter pando. Proinde siquid liabes circa liasce alternas aequoris agitationes diligenti nec divulgata observatione notatum, ad ine perscribere ne graveris. Ego pariter, siquid in marni mea et e re tua esse videris (levi nutu significes), statini exequi non grava¬ no bor. Yale. 1991. NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO [in Bellosguardo]. Firenze, 0 marzo 1G30. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. IX, car. 161. — Autografa. Molt’ 111. et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col. mr > I dolori della sua gamba mi passano l’anima; e se bene mi dispiace che per essi gli venga intermesso il moto, più non dimeno mi tormenta che gli venga intercetta la quiete. Mi consolo con la speranza che la buona cura del vivere e la dieta gli sieno per render la desiderata quiete, e per la quiete il moto, non meno desiderabilo. Verrei, anzi sarei a quest' bora venuto, a visitar V. S. Ecc. ma ; 46. adaolverint — 67. obtervtione — I» Cfr. n.o 1960. liu. 4. <*> Cfr. li.» 1700. 86 6 - 14 MARZO 1630. (.1091-ltMtt] ma perchè penso di andar tra non molto a I isa, bisogna cì • io in in 1 ncn/o, per andarmi preparando o far quel ehe occorre. Circa la quaresima, posso dirgli che la lunghezza sarà al .olito degl 1 al¬ te’anni; la profondità, i’non la intendo; la larghezza, p« r quelli chi hanno il io sussidio è grandissima, per gl’altri poi eli’è secondo » busti o gusti, t ome più piare a V. S. Io non mi sento da farla; ma mentre pcn avo che ogni parroc- hiano potesse dispensarmi, mi vien detto che bisogna eli io vada a S. Maria del fiore o a S. Lorenzo, doro sono persone che hanno tal facilità. Delle prediche, non ho per ancora potuto penetrarne cosa alcuna ; ma farò ogni diligenza possibile per servire con esattezza e U deità V. S. tire.» « Circa la villa, spedirò V. S. in quattro parole. Il Guidetti non pm a più di affittarla, ma ò risoluto tenerla por sò: cosi mi ha riferito Mescer Vincenzio Bruni, che, secondo la promessa fatta a V. S., gue ne parlò, t^ui per line rive¬ risco c saluto V. S. con all'etto inesplicabile. 20 Firenze, 6 Marzo 1630. Di V. S. molto 111. et Ecc. m * Devot"* 0 et Obblig.** S/* et Amico Niccolò Aggiunti. Fuori: Al molto 111. et Ecc. rao Sig. T e I’.ron mio Col. m( * Il Sig. r Galileo Galilei. In sua mano. 1992 ”'. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetrl, 14 marzo 1630, Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 66. — Autofrafa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, S’io fui sollecita a domandare a V. S., non vorrei anco es«er troppo tarda a ringrati aria dell amorevolezze mandateci, le quali lunedi passato ci fumo dalla cognata inviate, ciò ò un cartoccio di zibaldone e tredici cantucci molto belli o buoni. Ce li andiamo godendo, con riconoscimento delPamorevolez/a e prontezza di V. S. in satisfar sempre ad ogni nostro gusto. Debbi anco alcuni pochi ritagli di drappi, che m’immagino che venghino dalla I’ortia • l) . Lett. 1991. 19-20. m«nco~ Cfr. un.' 1074, 1079. 14 — 16 MARZO 1630. 87 [1992-1093] Perchè ho che V. S. gusta di sentire ch’io non stia in otio, gli dico clic dalla Madre badessa (oltre allo mie solite faccende) sono assai esercitata, atteso che io tutte le volte che gl’ occorro scriver a persone di qualità, come Governatore, Operai e simili personaggi, impone a ino tal carico, che veramente non è pic¬ colo, mediante l’altre mie occupationi che non mi concedono quella quiete elio per ciò mi bisognerebbe; onde, per mia minor fatica e miglior indirizzo, liavrei caro che V. S. mi provvedessi qualche libro di lettere familiari, sì come una volta mi promosse, o so che in’ havrebbe osservato so la dimenticanza non 1’ havessi impedito. Vincentio fu hiermattina da noi (forse per spatio di un’bora), insieme con la cognata e sua madre, e da lui intesi che V. S. voleva andar a Roma, il clic mi dette alquanto disturbo; pure m’acqueto, supponendo ch’ella non si mottc- ao rebbe in viaggio so non si sentissi in stato di poterlo faro. Credo clic avanti che ciò segua ci rivedremo, o per ciò non replico altro, se non che la saluto con tutto l’affetto insieme con tutte di camera, c prego il Signore che li con¬ ceda la Sua santa grafia. l)i S. Matteo, li 14 di Marzo 1629 (l) . Di V. S. molto 111.*'° Fig> Aff. ma Suor Maria Celeste. So ha collari da imbiancare, potrà mandarli; e si goda queste liuova fresche per nostro amore. Fuori: Al molto 111. 10 Sig. r Padre mio Oss. mo so 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei, a Bellosguardo. 1993. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 16 marzo 1080. Bil)l. Naz. Fir. Mss. Gai., F. 1, T. IX, car. 107. — Autografa. Molto 111. 10 Sig. r o P.ron Col. 1110 11 Padre Campanella, parlando a’ giorni passati cón Nostro Signore, li hobbt- a dire che haveva hauti certi gentilhuomini Tedeschi alle mani per convertirli alla fede Catolica, e che erano assai ben disposti ; ma elio havendo intesa la Lett. 1902. 22. insieme tutte — tU Di stilo fiorentino. 88 1G MARZO - 2 APRILE 1630. 11993-1994] prohibizione del Copernico etc., che erano restati in modo scandalìzati, che non haveva potuto far altro: e Nostro Signore li rispose le parole precise seguenti : Non fu mai nostra intensione; e se fosse toccato a noi , non si sarete fatto quel decreto. Tutto questo ho inteso .lai Sfc. p «» le h,,ra “ ntrma ;i Nettuno e sta assai meglio, sentendo notabile beneficio da quell* aria, come mi avvisa il Sig. r Stelluti. Di più, come ho scritto in un’altra mia ”, il P. Maestro io Mostro è benissimo disposto a servirla, e Mons. r liampoli tiene p« r f‘*rmo, che venendo V. S. a Roma, superarli qual si voglia difficoltà: però »i faccia buon animo e venga allegramente, chè restart consolati->sima. Mona.”* Ciainpoli dice che V. S. li fa encomii tropi» grandi con una parola sola, chiamandolo Mecenate l,) , e che la desidera più che non * desidera si voglia cosa prcciosa. Finiti dunque che saranno di copiare i lhalogi, venga senza metter tempo, acciò non sopravenghino i caldi ; e dia questa consolazione a tanti che la desiderano ardentÌBsimaraente, e a me in particolare, tanto *uo obbgato servitore. Con che li bacio le mani. Di Roma, il 16 di Marzo 1630. -0 Di V. S. molto Jll. ro Oblig. roo e Afl> • Str. p * e Di». ! * S. r Gal. 0 Don De ned.* Castelli. Fuori: Al molto 111." Sig. r e P.ron mio Col. mo 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser.“ ■* Firenze. 1994 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [GAI.ILEO iu Firenze]. Bologna, 2 aprile 1630. Bibl. Naz. Fir. Msa. Gai, P. VI. T. XI, car. 18<>. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Col.** Per dar subito risposta a V. S. Eoe.®», non so se li darò a bastanza sodi- sfattione intorno a quello ch’ella mi dimanda. Gli dico adunque che bora il 2° luogo della Matematica è vacante, c che il Cataldo ”, che leggeva al tempo del Magini, havea di stipendio s. 500 in circa di questa moneta, nel progresso però di 40 anni in circa che havea letto, e sul principio si suol bavere s. 200 1 Lett. 1005. 9. notabile binejìci da — “i Cfr. n.® 1984, lin. 2-9. <*> Cfr. n.® 1984, lin. 28. Putto Attualo Catjldi. 2 — G APRILE 1G30. 89 [1994-1995] pur di questa moneta; se bene questa lettura sogliono darla ad un Bolognese, poiché la primaria vien destinata a’ forastieri. Quanto a* miei studii poi, mi ri¬ cordo bene di quello ch’ella mi disse circa il Chiaramente: ma l’impedimento io della lettura publica, e poi l’attendere alla compositione di una trigonometria, fondata sopra i logaritmi differenti da quelli del Nepero U) , mi distoglie da ogni altro studio ; et a questa fatica mi è coadiutore il molto R. P. Antonio lloncho, molto amatore di questi studii, quale se li ricorda devotissimo servitore, nella cui ca¬ mera scrivo la presente. Il S. r Cesare ( *> non l’ho anchora visto; però mi ricordarò di fare il debito. Desidero di veder la sua opera quanto prima, come anco tutti questi Signori ; e perciò bramo la sua andata piò adesso che all’autunno. Se io non li do con questa intiera sodisfattione, mi scusi, oliò scrivo di frezza ; un’ altra volta forai potrò meglio sodisfarla, e fra tanto me li ricordo obligatissinio e devotissimo 20 servitore, pregandoli dal Signore felicità e longa vita. Di Bologna, ahi 2 Aprilo 1G30. Di V. S. molto 111. 1 ’® et Ecc.'" il Dev. mo et Ob. mo Ser. ro F. Bon. ra Cavalieri. 1995 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 0 aprile 1G:I0. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 1C9. — Autografa. Molto 111." Sig. r e P.ron Col."' 0 Ilo letta la lettera di V. S. molto Ill. ro al nostro Mona. 1 ' Ciampoli, quale ha sentito, come sempre sente, infinita consolazione intendendo il suo buon stato e la continovazione delli studii, indirizzati non solo al splendore del nostro secolo, ma dei futuri ancora, che Dio glie ne conceda longa grazia. Quanto al venire qua a Roma, dirò le precise parole di Monsignore: che lei ò desiderata più che qual si voglia amatissima donzella, e sempre che verrà, sarà padrona della casa di Monsignore, e potrà dispone di lui e delle cose sue come proprie. Quanto alla stanza della Trinità de’Monti, è tenuta da tutti la meglio di Roma senza io difficoltà: sì che, quanto a questi rispetti, lei potrebbe venire di presente; tut¬ tavia se li torna più commodo il differire sino all’autonno futuro, il medesimo Monsignore si compiace d’ ogni suo gusto, e sempre la servirà di cuore, non solo con le fatiche per sollevarla, ma ancora con il favore appresso tutti e in parti¬ to Cfr. n. 1970. (S ‘ Cuiìaue Mabsill XIV. 12 G APRILE 1630. 00 [1995-1996] colare con Nostro Signore, con il quale Monsignore continova con la medesima grazia di sempre, con infinita sodisfazione di S. S., con la quale si ritrova sempre due o tre volte il giorno, nò mai s’è interrotta nò pure con pensiero, come al¬ cuni (che credo siano pochi), indegni di participare della gloria di Monsignore, hanno sparso costì quello che loro desideravano, lontanissimo non sedo dal vero, ma da ogni verisimile. Dio glio lo perdoni. Il Sig. r Michel Angelo Buonarroti li bacia le mani con ogni affetto. Il Sig.r so Principe ò fuori di Roma a Nettuno, dall* aria del qual loco sente notabile mi¬ glioramento. Io sto beno, e bevo o orino allegramente, che è il primo punto; il secondo poi, mi vado continovando la grazia dei Padroni con mia sodisi azione. La supplico a inchinar il mio nome a tutto coteste Ser.** Altezze, delle quali viverò eternamente devotissimo servitore; e a lei bacio lo mani. Di Roma, il 6 d'Aprile 1630. Di V. S. molto 111."» S/ Gal. 0 Oblig. mo Ser.” e Dis.* 0 Don Re ned. 0 Castelli. Fuori: Al molto Tll. ro Sig. r e P.ron Col."» 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. so Firenze. 1996 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetrl, G aprile lG.‘k). Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 107. - Aut^ral». Amatiss.™ 0 Sig. r Padre, Speravo di poter in voce satisfarò al debito che tengo con Y. S. di darle le buone Peste, et per ciò ho differito lino a questo giorno, nel quale, vedendo riuscir vane le mie speranze, vengo con questa a salutarla caramente e ralle¬ grarmi che siano passato felicemente le Sante Feste di Pasqua, giovandomi «li creder eh ella stia bene non solo corporalmente, ma anco spiritualmente: e ne ringratio Dio benedetto. Solo mi dà qualche disturbo il sentire che V. S. stia ton tanta assiduità intorno a i suoi studii, perchè temo che ciò non sia con pre- giuditio della sua sanità; e non vorrei che, cercando di immortalar la Bua fama, accorciassi la sua vita, vita tanto riverita e tenuta tanto cara «la noi suoi figliuoli, io e da me in particolare, perchè, sì come ne gl*anni precedo gl’altri, così anco ardisco di dire elio li precedo o supero nell’amore inverso «li V. S. Pregola per canto che non si affatichi di soverchio, acciò non causi danno a sé et afflittone G — 8 APRILE 1630. 91 [ 1096 - 1997 ] c tormento a noi. Non dirò altro per non tediarla, se non elio di cuore la saluto insieme con S. r Archangiola e tutto le amiche, e prego il Signore che la con¬ servi in Sua gratin. Di S. Matteo, li G d’Aprile 1630. Di V. S. Fig> AH>» Suor Maria Celeste. *20 Fuori: Al molto IU. rn et Amaties." 10 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 1997. GALILEO a [GIOVANFRANCESCO BUONAMICI in Madrid]. Bellosguardo, 8 aprile 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 61-62. — Autografa. Molto 111.” Sig. re e Pati. 110 Colenti. 010 Io resto talmente confuso dall’eccesso di cortesia di Y. S. molto I., che non so da qual capo cominciare per rendergli lo debite grazie do i tanti offizii fatti per me o dell’ ardente affetto che mostra haver verso lo coso mie; e credami che questa confusione ini ha ritenuto molti giorni dal prender la penna per dar risposta all’ultima sua, piena di tanti segni di benignità: e finalmente pur mi convien ri¬ correre all’istessa cortesia che con tanti obblighi mi lega, acciò da i medesimi mi assolva, appagandosi d’un puro affetto e d’una larga io confessione del mio debito. Fu qua il S. Esaù (,) , o già credo che dal medesimo bavera in¬ teso Y. S. corno fui due volte seco a ragionamento, e come eramo restati in appuntamento che S. S. !1 mi favorisse di venire un giorno alla mia villa, situata in luogo eminente, per di lì poter esperimen- tar l’eccellenza del telescopio che havevo preparato per S. M. à<2) , et anco veder il modo del maneggiarlo et insieme anco l’uso del pic¬ colino, assai più difficile a poterlo circoscrivere con parole senza ve¬ derne la pratica. Ma i tempi sempre torbidi credo che fusser cagione (M Esaù del Borgo. Cflr. u.° 1967. 92 8 APRILE 1630. f 10971 che (letto Signore non fu da me: e forno qualche inaspettato ordine cagionò la sua partita di (pia, sì che non la soppi so non alcuni ao giorni dopo. Gli toccai, nel ragionare, alcun motto sopra la mia invenzione del graduar la longitudine, o me ne ricercò di qualche informazziono in scritto per potersene servir co-tì; ma la partita improvisa tagliò tutti gl’appuntamenti. 11 telescopio, per la parte elio dependeva da me, era all’ ordine sino allora, e se ne poteva veder l'uso; ma l’artefice ‘ , che doveva coprire il cannone (che è lungo circa 3 braccia) et adornarlo alla similitudine di quello che donai al Sor. n, ° Arciduca Carlo ' 1 di gl. m. a , e che penso elio V. S. vedesse, mi ha trattenuto e trattiene ancora con suo ciancio: puro penso che fra 3 o 1 giorni sarà finito, o su-so bito, fattolo vedere al S. G. D.*, elio pur no ha un simile «*t ha sen¬ tito di questo, procurerò elio sia inviato a V. S., acciò ne disponga secondo quella più oportuna occasiono elio se gli presenterò, et in¬ sieme con esso manderò anco il piccoli no. Quando ricevei la lotterà di V. S., già era pari ito l’Ambasci adoro, sì che non ci fu tempo di trattar con esso della longitudine, conio mi avvertiva Y. S. 1 ' Ilora, in questo proposito io mi ritrovo ancora la bózza di altro scritture et informazziono elio altra volta mandai costa. So che lio <1’ bavere ancora la lettera che dovevo presentare al Viceré di Napoli, dove era l’ordine di sentirmi e referire poi co- Cfr. ri.» 2006, lin. 10 e seg. <3ì Carlo t>'Austria. <*» Cfr. n.» 1982, Un 23. 8 — 14 APRILE 1630. 93 [1907-19981 Ho vedute le informazzioni che mi scrive circa gl’ accidenti par¬ ticolari de’flussi e reflussi (l> , e gliene rendo grazie, aspettandone an¬ cora altre particolarità che mi accenna: ma di grazia non si lasci trasportar tanto dal desiderio di favorirmi, che si metta sino a man¬ darmi copia di lunghi capitoli di libri stampati ; et un’ altra volta basterà avvisarmi l’autore, perchè qui si troverà. Questa amorevo- f.o lissinui diligenza di V. S. mi fa arrossire e disperar interamente delle mie deboli forzo, impotenti a corrisponder mai con verun segno a tanta cortesia. Una cosa sola mi conforta, e questa è il veder a quanto buon mercato ella dà sì nobil mercanzia ; che mi è argomento che il fondaco del suo petto ne sia abbondantissimamente ripieno, e che però ella sia per restare appagata di quel tenue prezzo che da ine gli può venir contribuito: però di questo degnisi di satisfarsi per ora, sin che miglior fortuna mi porga occasione e potestà di poterla più proporzionatamente pagare. Intanto con vero affetto gli bacio le mani, come fo anco al S. Esaù, e dal S. Dio gli prego intera felicità. 70 Ieri fu da me qua su in villa la S. R Sestilia (?> , per rivedere in¬ sieme il piccolo Galileino suo figliuolo, che è qui a balia in vicinanza. Ella sta bene, e sentendo che volevo scrivere a V. S., mi ordinò che in suo nome caramente la salutasse, sì come fo. Da Bellosguardo, li 8 di Aprile 1630. Di Y. S. molto Ill. re Aff. mo et Obblig. mn Ser. rfl Galileo Galilei. 1998 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. [Arcctri], 14 aprile 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., F. I, T. XIII, «ar. 109. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Non ho dubbio alcuno elio V. S. non sia pronta a mandarmi molto volentieri quanto hier l’altro gli domandai ; ma se per disgrada la memoria non gli ser¬ vissi, ho stimato necessario il tenergli ricordato il fiasco di vino, due ricotte e quell’altra cosa per doppo l’arrosto; non limone o ramerino, come V. S. disse, 0) Cfr. ii.« 1932, Un. 42-97. <*> Skstilia Bocohinkbi ne’ Galilkt. 94 14 — 17 APRILE 1630. [ 1998-19991 ma cosa di fondamento, secondo il suo gusto, per domattina all’ bora del desinare delle monache. La staremo aspettando, insieme con la cognata c Vmmitio, si come no promesse. Et fra tanto, pregandole da Nostro Signore ogni desiderato contento, la salutiamo di cuore. Li 14 d’Aprile 1030. io Sua Fig> Aff."* Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto lll. M et Amatiss."* 8 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 1999. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in FirenzeJ. Pisa, 17 aprilo 1630. Bibl. No*. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 171-17:1. — Autouraf». Molto 111. et Ecc. n, ° Sig. r o P.ron mio Col.® 8 Il doloro elio V. S. Ecc. ma affettuosamente mi attesta di haver sentito per la nuova della mia non intera sanità, mi ò stato più grato che non mi era mo¬ lesto il non ritrovarmi interamente sano, essendomi chiaro testimonio della be¬ nevolenza elio da lei mi vien continuata; il qual dono io rirovo con maggior gusto dalla sua benignità, elio quel della sanità dalla natura. Veramente io sono stato non solo un poco travagliato nel modo clic le disse il S. r Peri, ma di più giovedì mattina mi si aggiunse, con dolori atroci nel li intestini, una dissenteria manifesta, la qualo mi messe in timore di gravezza di inalo; ina, per divina de¬ menza, il venerdì sera inopinatamente mi cessò in tutto, sì elio potei sino hier io l’altro uscir del lotto, et bora mi trovo in ragionevole stato di unità. Mi manca 6olo il recuperar le forze, quali sento ancora assai prostrate. Bicorne anco la testa indebolita; e questo mi renderà scusato, se replicherò brevemente alla sua cortesissima. Lo dico dunque, corno io, sebeno c per il ragionevole stipendio che ho da questo Studio, o per la benevolenza del Principe, c per la vicinanza do’ mici e per altri commodi et interessi, ho gran cagiono di contentarmi del mio stato presente, tuttavia so mi sortisse il poter harer la cattedra di Padova, 1 accet- tciei volentieri, e per veder quelle città, il cui nome solo mi produce interna allegrezza o curiosità, e per maggiormente stimolarmi a far progressi nella prò- 20 fessiono, c per riconoscere i nobili vestigi in quelle parti altamente impressi dalla singolar dottrina di V. S. Bisogna ben ch’io consideri, che seben la mediocrità 17 — 23 APRILE 1030. 95 [1999-2000] del mio merito si devo contentar d’ogni cosa, tuttavia la tenuità delle mie so¬ stanze non comporta che io mi lasci deteriorar le condizioni che ho (li presente. Già V. S. sa la mia provvisione: a questa si aggiugne raugmnento, che a punto, havondo finito il quadriennio, ini tocca quest’anno, e sarà, secondo il mio pen¬ siero, intorno a 50 scudi:, in oltro non son fuori di speranza di ottenere il Col¬ legio, clic importerebbe circa a 00 altri scudi. Di modo che non mi par di dover pigliar altra lettura se ic non ho almeno 450 scudi di provvisione. 30 Questo ò quanto mi occorre dirle. Qui facendo tino le bacio con affetto ine¬ splicabile le mani, mi rallegro seco di onoro per l’ottimo nuovo datemi dal Sig. r Dino (l) , e gl’auguro felicissimo il viaggio di Roma, nel qualo e doppo il quale piaccia a Dio di concederle tanto prosperità quant’ella merita et io le desidero. Risa, 17 di Aprile 1030. l)i V. S. molto 111. et Ecc. n,a Ohblig." 10 S. ro e Discepolo. 2000 *. ZACCARIA SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Villeggio, 23 aprile 1630. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cainpoii. Autografi, B.» LXXXVIII, n.° 99. — Autografi la sotloscriziono e l'indirizzo interno. Molto 111.™ Sig. ra Le gentilissimo lettere, che mi pervengono di V. S. di X, mi comprobano la continuatione del suo cortese affetto, et ne la ringratio assai. Gradirò sempre il testimonio della sua molta amorevolezza verso la mia casa. In quanto alla ri¬ chiesta elio mi fa circa il nomo del già S. r mio fratello, che desidera pur no¬ minare nelle sue compositioni, non so che riportarmi alla gentilezza, dalla quale, anco senza tali dimostratami, riconosco la sua ottima volontà verso la mia casa. Ale le eshihisco altretanto pronto a tutte lo occorrenze, augurandole per fine compita felicità e prosperità e lunghi anni. io Dal campo in Valezo, li 23 Aprilo 1630. Di Y. S. molto 111.™ Aff. mo per ser> S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Zacc. Sagredo. <>' Dino Turi. 96 24 - 28 APRILE 1630 . [20014008] 2001 . NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Pisa, 24 aprile 1680. Bibl. Nfiz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, cer. 173. - Àutogrefe. Molt’ HI. et Ecc. ,no Sig. r e P.ron mio Col.® 0 Se io sono a tempo, (li nuovo gli do il buon viaggio con queste due righe, e la ringrazio con vivissimo affetto della diligente orditura del no tro negozio*", alla quale spero nella sua benevolenza che corrisponderà il ripieno e la tritura, la qual, essendo sua, non può se non far tela di tutta sodisfazzionc. Io terrò il telaio copertissimo, acciò non venga chi ci faccia, nel menar delle calcole, versar la bozzima. Se altro occorre, il Sig. r Peri, per il quale principalmente ho me-u su questa tela, supplirà lui, e con lui basterà trattare, perchè è informatissimo della mia volontà, anzi ha in sò stesso la mia stessa volontà. Qui per fino ossequiosissiinamente la saluto o riverisco, aspettando di ri\e- io derla a mezo Giugno con mille buono nuove et allegrezze. Pisa, 24 Aprile 1G30. Di V. S. molto 111. et Kcc. mt » Obblig. rao Discepolo e Ser. Devo!.® 0 Niccolò Agg. u Fuori: Al moU’111. et Ecc. rao Sig. r e P.ron Col.® 0 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, Fil.° e Mut. co pr.*° di S. A. S. Firenze. 2002. GERÌ BOCCIIINERI a [GALILEO in IìelloBguaidoJ. (Firenze, 28 aprile 1630). Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, cer. 176.— Autografa. Sono bora le nove, mentre torno a casa dalla Segreteria, et avanti di andare a letto scrivo questa a V. S. Le mando la lettera per il S. p Ambasciatore 1 ”, col sigillo volante. Della let¬ tiga il S. r Ball C3) non si è ricordato di cavarne l’ordine, cioè credeva che Y.S. cfr. n.° lpys, lin. 18. si accenti*, fu da noi inutilmente ricercete. <*> Fiuscksco Nigcolini. La lettore n cui qui »*i ÀXDeaa Ctou. 28 ArilTLE — 4 MAGGIO 1030. 97 [2002-2004] lo liavesse già havuto. Egli andrà domattina, anzi stamattina (dormito elio Laverà), al Poggio, et ne piglierà l’ordine, et soscriverà la poliza perii S. r Mar¬ chese Coloreto, che già ho fatta et gli ho data. Ma se la lettiga non potrà essere alle 1S al Monastero di S. Matteo, vi verrà alle 19 o alle 20, et io ne sarò sollecitatore. Et di nuovo prego il buon viaggio a V. S., et le do il buon giorno, io La mattina di Domenica, mentre suona l’Ave Maria di mattutino. Oblig. mo Ser. Geri Bocchineri, stracco et sonnacchioso. 2003 *. ZACCARIA SAGRERÒ a GALILEO in Firenze. Taleggio, 28 aprile 1G30. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, II.» LXXXVJII, n.° 100. — Autografa. Molto 111.'® S. ro L’altro giorno resi gratie a V. S. della dimostrationo del suoTifìetto versola memoria del già S. r Gio. Francesco mio fratello, et in conseguenza della mia casa; ma perchè dubito che quella lettera, non bene indrizzata, possa mal ca¬ pitare, ho stimato debito della mia gratitudine la replica delle presenti, con le quali, attestandolo il mio pieno gradimento verso quanto si compiace ella com- municarmi, co ’l rimettermi a ciò che le viene suggerito dalla sua stessa cortesia, me le offerisco sempre con ogni cordiale amorevolezza, corrispondente alla stima elio fo della virtù sua, e le prego dal S. r Dio ogni maggior prosperità. io In campo a Vali. 0 , 28 Aprile 1630. Di V. S. molto lll. ro Aff. mo per ser. ,a S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Zacc. Sagredo. 2004 *. FRANCESCO NICCOLI! ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 4 maggio 1(130. Ardi, di Stato in Flronzo. Filza Medicea 3317 (non cartolata). — Autografa la sottoscrizione. .... Il S. r * Galileo Galilei arrivò qui hierscra nH’improviso con una lettera di lei in esecutioiift della qualo le ho dato alloggio in questo palazzo.... l'i Cfr. n ° 2005, lin. 6-7. XIV. 13 98 11-14 MAGGIO 1630. [2006-2006] 2005 *. ANDREA CIOLl a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [FIreme,] il maggio 1630. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 9. — Minuta, non aotorrafa. Il Ball Cioli. Al Sig. r * Ambia.** Niceolini. XI Mai?. 0 1030. Prima che mi arrivino altre lettere di V. R, voglio accusarle la ricevuta delle suo de’ 4 W : alle quali veggo di haver poco da replicare- Non si maravigli V. E. che il S." Galileo Galilei le arrivune addosso aU’iroproviso, perchè io non lo seppi se non quando hobbi ordino di accompagnarlo con quella mia lettera per V. E. (,) .... 2006. GERÌ BOCCIIINERI a [GALILEO In Roma]. Firenze, 14 maggio 1630. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 177. — Autografa. Molto Hl. r * et Ecc. mo S. r mio O89. mo V. S. non ci ha lasciato desiderare nuovo di 8<\ perchè quando appunto noi facevamo conto eh’ ella fusse giunta in Roma, ci comparsero nuove et lettere di lei; et ci siamo tutti rallegrati di sentirò ch’ella fusse arrivala a salvamento, ricevuta anche con molta amorevolezza dal S. r Ambasciatore Niceolini. Adesso die S. S. tà sarà tornata da Castel Gandolfo, V. S. haverA havuta commoditA di baciarle i piedi et di dar principio a’suoi negozii, por la buona et presta spedi' tione de’quali noi preghiamo Iddio, acciò V. S. se ne possa tornare prima che vanghino i caldi, perchè per ancora noi hnbbiarno fresco, et spesso piovo. Parlai un po’ alla larga col Cecconcelli ; et egli, senza saper la parentela che passa fra noi, mi disse che la differenza quanto al cannone dell’occhiale nasceva solo dal prezzo, perchè egli pretende del suo lavoro 18 o 20 V d ' al meno: et questo me lo disse incidentemente, per mostrarmi che il cannone era fatto a posta et che per questa somma, se io lo voglia, me lo darà; et siamo restati che io vadia a vederlo a casa sua, non lo tenendo egli in bottega: nè si sgommila io “> Cfr. n.° 2004. <*> Cfr. n.» 2002, lin. 3. «»> Cfr. n.* 1997, lin. 96-30. [2006-2007] 14 - 18 MAGGIO 1630. 99 ili cavar questo denaro da qualsivoglia altri, et dice che all’ ultimo lo mostrerà a* Ser. ml Padroni, i quali, per esser il lavoro curioso, spererà che glielo paghe¬ ranno anche da vantaggio della sudetta somma. Ma io aspetterò, prima di andare a vederlo, elio V. S. mi risponda quel che devo faro. 20 Per sua notizia intanto le avviso, die questo giorno ho havute lettere del S. r Cav. re Buonamici (l) do’ 24 di Aprile, che mi dice che fra pochi giorni sperava di potersi sbrigare da Madrid per tornarsene in Italia, et il S. r Esaù dal Borgo, arrivato in Barcellona et risanato di un po’ di male sopra giuntoli in quella città, si metteva in ordine per seguitare il suo viaggio verso la Corte. Tutti qui stiamo bene, et il S. r Vincenzio et la Scstilia seguitano di godere la villa, ma il S. r Vincenzio, per quanto intendo, deve esser travagliato dal suo solito catarro. Bacio lo mani a V. S., a nome ancora di mio padre et di tutti i nostri. Di Fiorenza, 14 Maggio 1630. 80 Di V. S. molto lll. ro Il S. r Ball Gioii bacia le mani a V. S. ; et già liaveva luivuto nuove di lei dal Sig.*‘ Ambasciatore (1) . Oblig. mo Parente et Ser. ra Gerì Bocchineri. 2007 **. GERÌ BOCClIINEltl a [GALILEO in Roma]. Firenze, 18 maggio 1030. Bibl. Naz. Fir. Mrs. Gai., F. I, T. IX, car. 179. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo V. S. dovcrà haver baciato a quest’ bora li piedi a S. S. li , et essere stata dalla S. t!l S. accolta con molta benignità; et mi rallegro intanto degli honori elio le liaveva fatti il S. r Card. 1 ® Barberino. Il S. r Vincenzio fu poi necessitato a farsi condurre a Fiorenza in seggetta, travagliato sempre più dal catarro t3) , con 1’ accompagnatura poi anco della febre; et volse il S. r Vincenzio, per commodità do’ medici et de’ medicamenti, esser tro¬ vato più tosto in Fiorenza che in villa, caso che il male fusse aggravato : et se bene per ancora egli non ha chiamato il medico, non è per questo eli’ egli non <*> Giovanfkanckbco Buonamici. 1*1 Cfr. n.° 2004. l 3 ' Cfr. n.o 2006, lin. 20-27. 18 MAGGIO 1630. 100 £007-8008] lo dovesse fare; ma egli dico che a questo vuole indugiare più che può. La Se- io stilia intanto manda a V. S. la mostra di tre drappetti, acciò ella possa pigliar quella che più lo piaccia per la sua zimarra; et se a V. S. non gusti alcuna di queste, la Sestilia si rimette alla sodisfatione di lei, purché il drappo sia di questa qualità ricciuta. Tornò tre giorni sono all’improviso di Germania l'Alessandra, mia sorella 1 '’, con buona saluto, havendo saputo sfuggire in 18 Boli giorni di viaggio li mali incontri della guerra et della peste, con maraviglia di chimiche 1* ha qui sa¬ puto. È andata bora a Prato a rivedere le coso sue, ma prima fu a visitare il S. r Vincenzio. Tutti nel resto stiamo bene et baciamo lo mani a V. S. co Di Fiorenza, 18 Maggio 1630. Di V. S. molto 111.™ Ol)lig. mo Parente et Sor.™ Geri Bocchineri. 2008. DINO PERI a [GALILEO in Romal. Firenze, 18 maggio 1630. Bibl. Naz. Pir. Msfl. Gnl., P. VI, T. XI, car. 182-183. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col.” 0 Sig. r Galileo, vengo a darle una buona nuova. Mio padre era morto, e bora è risuscitato: guardi V. S. s’i’bo cagione di rallegrarmi. Tre o quattro giorni doppo ch’ella si fu partita di qua, cominciò a sentirsi animalaticcio: venne via la febbre, lo messe nel letto senza lasciarli requie. Martedì notte poi della setti¬ mana passata gli parve d’esserne net to e d* buyer preso un po’di riposo, e la mattina, perch’egli haveva nel cuore un negotio di denari per la Depositeria, che gli premeva, si leva cheto cheto, dice a una serva ch’egli sta bene, e se no va fuora intorno a quella sua faccenda. Doppo che P hebbe spedita, e affaticata la testa per un buon pezzo in quel contar di denari, gli venne desio d* una messa, io e, per cavarsi questa voglia, si messe in ginocchioni; ma non gli fu fatta la gratia di gustarla tutta, perchè intorno al levar del Signore si senti venir travaglio allo stomaco, e si risolvette a rizzarsi per andar su qualche panca a sedere. In questo muoversi viene uno svenimento repentino, elio lo precipita in terra con una per¬ cossa della testa tanto grande, clic il rumor solo foce stimarlo per morto a chiun¬ que era in chiesa. Venne subito soccorso e conforto, e alcuni gontilhuoinini lo messero in seggiola e P accompagnorno a casa, dove a punto io intendevo da Muglio di GiovA.vpRAKCiaco Buoxamici. 1 S MAGGIO 1630. 101 [ 2008 ] colei la nuova dell’esser uscito del letto e di casa, G parto mi rallegravo, parte mi scandalizavo e andavo in collera ; quanti’ i’ me lo veggo portar avanti sudato, 20 agghiacciato, privo d’ogni forza c, si può dir, affatto d’intendimento, e in somma in grado tale eli’ io dubitavo elio ni’ havessi a spirar tra lo braccia innanzi eli’ io finissi di spogliarlo. La camicia era molle fradicia, seguitava pur nel letto me¬ desimo a sudare, non poteva quasi formar parola, non si trovava cosa die gli ravvivassi gli spiriti. Giudichi V. S. clic travaglio c che tormento era il mio, nel vedermi tolta ogni speranza di non l’liaver a perdere. Quivi sicuramente non appariva vita per du’ bore. Ma in fatti e’ si trova adesso vivo, e in tale stato di saluto elio si può chiamar franco. Nello testa non ci hobbe rottura, oliò la sua minor disgratia volso clic nel cadere dessi prima delle natiche in terra, c poi della memoria; che se il colpo veniva a tutto piombo, il poveretto restava quivi so per sempre. Il doloro clic ci liaveva ò. passato: la febbre ancora non malignò, ma in capo a non molti giorni si messe in declinatione, c di presente non ce n’ò piti residuo. Non ci ò rimasto cattivo segno nessuno, e non mi tiene con un po’di timore se non il saper da’ medici che le percosso della testa fanno delle strava¬ ganze grandissime, si che si sien trovate persone star bone venti, 30 e 40 giorni doppo il colpo, e poi morirsene presto presto; ma veramente questo non crederei mai che fussc per essere un caso simile. Mo ne sto con l’animo assai quieto, o mi par proprio d’esser risuscitato aneli’ io, perchè mi toccava a riparar per tutto, esser sempre in mille sorto di briglie, alienissime dal mio genio. M’ è bisognato faro in sin da legista, e affaticarmi per cento versi intorno al testamento eli’ egli 40 ha volsuto finire; e poi la compassione e il sollevamento dell’animo continuo, e quel conoscermi astretto, nel suo partirsi da noi, a mettermi a far da babbo d’ima gran famiglia, quand’ i’ ho bisogno di star ancor ne’ pupilli, mi teneva in perpetuo tormento e batticuore. Ilora eh’ i’ me ne trovo libero, non mi basta il rallegrar¬ mene meco medesimo: vo dicendo questo miracolo d’un anno pestilente a chiunque i’conosco, o con tutti mi rallegro del buono e inaspettato fine de’miei travagli. Per questo medesimo effetto V ho conferito ancor a V. S., confidando nell’ affetion particolare, di che ella mi tiene honorato et obligato tanto, che simil nuova non possa recarle so non qualche gusto. Rimarrò appresso, nel medesimo tempo, giusta¬ mente scusato, se il mio silcntio di tanti giorni non le fusse piaciuto, e mi chiamasse 50 tardo in pagare il debito dovutole di venire a farle ossequio e riverenza. Credo ben più tosto che ciò non mi sarebbe ascritto da lei a mancamento, ma più presto a buon fine di non costrigner la sua infinita gentilezza a incommodarsi per ri¬ spondermi, sì che ella si chiamasse appagata e più contenta del mio tacere che delle mie lettere: e per questa cagione potrei adesso venir dissuaso dallo scriver la presente; ma c’ ò in me un desiderio così eccessivo d’ haver nuova da lei, prima della sua sanità e poi del negotio di quell’opera divina, che mi ò forza l’essere importuno o il non guardare a interrompere i suoi nobili pensieri, ma a pregarla 18 MAGGIO 1630. 102 120081 di quattro versi eli risposta o contentar ino ed alcuni amici, che pur Italiano a chiedermi avviso di quol elio si tratti in cotesto parti. Noi stiamo con martello d’una bellezza tanto venerabile o peregrina, e non vorremo elio la maligna schiera co degli invidiosi, o quella miserabile degli stolti, havesso a tenerla nascosta sotto la loro ruvidissima scorza e sotterrar nello tenebre una fabbrica cosi stupenda. Supplico di nuovo V. S. a favorirmi di qualche ragguaglio dello suo speranze. Doppo la sua partenza mi messi a leggere quella digrt siune circa le stelle nuovo del Chiaramente, porcliò questa non era nell’opera ch’io fui favorito di godoro quei quattro giorni, ma si trovava ancora nella mento e sotto la penna di V. S.; o però non essendo stata da me gustata con quella libera application di mento con la quale i’havovo assaporato il resto, volsi assaggiarla con qualche attentiono. M’occorse nel progresso alcuna dilìicultA, o l’andavo notando su qualche fogliuccio; ma porcliò lo mi moltiplicorno tra le mani, mi venne in i»en- “o siero di ordinarle e mandarlo a V. S., o per diminuir forso qualche neo, e per servirmene di occasiono per farmi scriver da lei un verso o intender quanto prima i trattamenti di cotesti sopracapi verso l’interesso di V. S. o, per dir bene, verso l’interesso di tutta la republica suientiatao di tutti gli huouiini che babbi» discorso non indegno (lei titolo Inumino. Il male di mio padre m'interruppe l’assegnamento, ma potrò adesso ripigliar l’istessa mira o rimaner consolato dalla sua amorevolezza. Gne no manderò dunquo posdomani per lo straordinario. Al P. Iìov. nu) Don Benedotto mi ricordo servitor alìotionatissimo, gli offerisco la servitù mia con tutto l’adotto, gli mando mille saluti dal più intimo del cuore, e con ogni debita reverenza me gli inchino e gli bacio la mano. Mi rivolgo a so presentarli per mezo di V. S. il mio benevolentissimo animo, per renderlo infini¬ tamente più accetto appresso sua Sig. ria Kev. ,,,a Di V. S. poi sono schiavo inna¬ moratissimo o incatenatissimo; non posso esser più suo di qued ch’io mi sia. Me lo ricordo per tale, e por tale son desiderosissimo d'essere adoperato da lei. Io l’adoro o l’adorerò in eterno. E qui lo bacio rovcrentissimameiitc e all'ettuo- sissimamente ambe le mani. Fir.“, 18 Maggio 630. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Son pregato dal S. Domenico Pierai ti scultore a salutarla debitamente in nomo suo, e ricordarlo co il favorirlo per conto di quel suo modello ctc. [2009-2011] 18 — 20 MAGGIO 1630. 103 2009 **. ANTONIO BADELI.I a. Roma, 18 ninfei» 1 680. Arcli. di Stato in Modena. Avvisi di Roma, 1G30. — T)i inano sincrona. ....Qua si trova il Galiino, eh 1 è famoso mathemntico et astrologo, elio tenia di stam¬ pare un libro noi qual impugna molto opinioni che sono sostenute dalli (Gesuiti. Egli si ò lasciato intendere che 1). Anna<'> partorirà un figliuolo maschio, olio alla fino di Giugno harcnio la paco in Italia, e che poco doppo morirà 1). Thadeo et il Papa. 1/ ultimo punto viene comprovato dal Caracioli Napolitano, dal Padre Campanella, o da molti discorsi in scritto, clic trattano dcirolettiono del nuovo Pontefice come se l'osso sodo vacante .... 2010 *. FRANCESCO NICC0LINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 19 maggio 1630. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, cnr. 11. — Autografa la sottoscriziono. Ill. mo Sig. r mio Oss. mo Por rispondere a diverso lettore di Y. S. Ul. n,a , posso dire che a noi non dispiacque per altro l’arrivo improviso del S. r0 Gallileo, elio per farlo restar meglio servito, porcliò nel resto siamo tutti di questa casa contontissimi della sua virtuosa e gentilissima con- versatione, e ci parrà molto strano quando ci lasserà por tornarsene a Firenze. Intanto io non resto d’aiutarlo col Padre Maestro del Sacro Palazzo, perchè venga favorito di stampar la sua opera; ma io credo che v’incontrerà per ancora qualche difficultà: non¬ dimeno si va studiando e vedendo tuttavia.... 2011. FILIPPO NICCOLINI a GALILEO [in Roma]. Firenze, 20 maggio 1030. Bibl. Naz. Flr. AIss. Gal., P. I, T. IX, cnr. 181. — Autografa. Molt’ 111.*' 6 et Ecc. t0 Sig. r mio, Conforme V. S. m’imponeva, ho scritto al Padre Visconti ( '\ acciò si com¬ piaccia della facile e presta speditione nella publicatione del libro clic V. S. ha Ci Anna Colonna, moglie (li Tadoko IIahiik- Antonio Favaiio, Firenze, G. Barbèra, oditoro, 1891, kini, subito dopo rammentato. pag. 164. E cfr. pure u.° 2022, lin. 1G—*ìJ ; u.° 203<>, < J > Gio. Battista Caraociou. 21-27. (S) Clr. Gnlileo Galilei e Suor Maria Celate por Raffaello \ isconti. 20 MAGGIO 1G30. 104 [2011-2012] portato a Roma per metterlo alla stampa. E per maggiormente serri re V. S., ho preso ordine dal Sei-.'" 0 Principe Gio. Carlo 01 di accennare a detto Padre che farà anco cosa grata a S. A.; e però spero che, per quanto atterrà al Padre Visconti, V. S. ne possa sperare ogni facilità. E se in altro posso impiegarmi in suo servitio, mi accenni, chò resterà servita. E per fine le bacio le mani. Firenze, li 20 Maggio 1030. Di V. S. molto 111. et Eoe. 18 S. r Galileo Galilei. AfF. mo di V. S. lo Filippo Niccolini. 2012 **. DINO PERI a GALILEO in Roma. Firenze, 20 maggio 1630. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., I’. I, T. IX, cur. 188. Autografa. Molto Ill. r ® et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col. roo Questi sono gli scrupolucci che accennai a V. S. hier l’altro \ Penso che a questa bora eli’ havrà ricevuto la lettera, se già il corrieri) non ghigne- ì prima del procaccio, coni’i’so che alle volte accade. Forse non dovrei mandarle un sirail cicaleccio, ma i’mi contento d’esser tenuto da lei più tosto sciocco e mat¬ terello, pur ch’ella mi conosca per gelosissimo e innamoratissimo di lei e delle cose sue, e mi faccia maggiormente partecipe dell’amor suo, se non per altro per compassione e corrispondenza del mio tanto alletto; il quale ancora potrebbe non apparire in tutto disutile, mentre V. S. incontrassi con una scorsa qualche coserella da poter esser avvertita. io Se io riceverò gratia da lei di un verso di risposta, rinnovo le preghiere della lettera passata, supplicandola a farmi consapevole di quanto succeda per la spe¬ dinone del suo negotio e eommune consolatane et allegrezza di tutti i galan- thuomini. Ci par troppo strano clic chi s*offerisce di mostrar maraviglie d'un nuovo mondo, in cambio d’essere stimolato et adorato perchè ci faccia una tanta gratia quanto prima, s’ abbatta in gente così stupida »*t inhuinana, elio si getti a traverso, non voglia aprir gli occhi proprii, e non voglia che vi s’accosti chi se ne muore di desiderio. Di gratia, se V. S. può darci nuova gratulatoria, non 01 Grò. Cablo dk’ Medici. il Peri qui accenna non è preseli tomento all.gata alla <*> Cfr. n.® 2008, liu. 6i-77. La scrittura a cui lettera. 20 — 21 MAGGIO 1030. 105 [2012-2014] ci neghi questo conforto. Le fo liumilissima reverenza, o le bacio corclialissima- 20 mente la mano. Fir. zo , 20 Maggio 630. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. ma Obblig. 1 * 0 e Deditiss. 0 Servo Dino Peri, Fuori: Al molto ll). ro et Eec. ,uo Sig. r e P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 201 3 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Firenze,] 20 maggio 1030. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 13.— Minuta, non autografa. Il Bali Cioli. Al S. r * Arnbfts. 1-0 Niccolini. 20 Mag.° 1630. Con un corriero di costà per Genova io ho ricevuto lettere di V. E. do’ 18 et 19 (l >. Alla prima rispondo di mia mano, et alla seconda replicherò con questa quel poco che mi occorra. S. A. ha sentito volentieri il gusto che V. E. riceve della conversazione del S. r0 Ga¬ lilei, et molto più le piacerebbe eh’ egli se ne potesse quanto prima tornavo consolato, con bavere superato le difhcultà dello stampare la sua opera. ... 2014 . GERÌ BOCCHINERI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 21 maggio 1030. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 135. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r mio Oss." 1 ? Ilo fatto sentire al S. 1 ' Bali Cioli quanto V. S. mi ha scritto con la sua de’ 18; et egli ha havuto molto gusto di intendere la benignità che le ha dimostrata S. B."° nella sua prima et lunga audienza, et che eli’ habbia cominciato a trat- <») Cfr. n.® 2010. XIV. 14 106 21—22 MAGGIO inno. [* 014 - 2015 ] taro i suoi negozii in modo elio ne speri buona lerminationo: et queste nuove hanno rallegrato tutti delle nostre caso, et io, elio sento me più dogli nitri, ne lio preso contento straordinarissimo, perché vorrei ch’ella i pcdixse bene et presto di Roma, per esser qua al più lungo a S. Giovanni, et non bave ro a essere necessitata a fare la state a Roma. Il S. r Ambasciatore scrive qua gran cose del gusto che riceve' della conversatane di V. B. ' 1 ; et il Gran Duca, clic ha sentito io questo lettere, ne ha havuto molto piacere. Et per tornare al S. p Bali, egli dire che quando habbia da servire a V. S M ella non guardi allo sue occupationi, ma gli scriva pure, sema carico di coscienza et senza scrupolo di commetter sacrilegio. Saluterò per lettere mio padre et mia madre ’' a nomo di V. S.. coiti’ ella comanda, essendo essi andati a Prato in compagnia doirAles-mmlra mia sort ila. Qua non grandina, ma piove sposso, con vento et con freddo. Al S. r Cali.® Cini 10 mandai subito la sua lettera. Et con tutto l’aniino bario le ninni a WS., a nome unche di Alessandro et di Lodovico c '’, che bì purga. I)i Firenze, 21 Maggio 1630. 20 Di V. S. molto 111.™ La prego di fare in mio nomo affettuosa re¬ verenza al S. r Ambasciatore et, se non sia troppo ardire il mio, anche alla S.™ Ambasciatrice , con¬ servando io la memoria che devo delle grazie fat¬ temi da loro EEcc.“ Oblili.** Parente et Rer. r * Geri Rocchineri. 2015 *. ESAÙ DEL PORGO nd ANDREA CIGLI [in Firenze]- Madrid, 22 inaiai 0 IMO. Avch. di Stalo in Firenze. Filza àledirca 4958 (non cartolat*). — Auloirrafa. .... finita la tuia audionlia, non essendo io aurora uscito della camera «li chiamò il Re I). Antonio di Mendoza, suo Societario di Camera, al quale tocca PasHegn ue Pau- ilientin, e li disse che mi domandassi se li liavevo portato un orinalo di quelli del S. r Gu- «" Cfr. a.® 2010. m Cario Bocchi neri e Polissena Gatteschi. ,3 > Cfr. n.® 2007, Un. 15. Niccolò Cini. •*' Alessandro o Iamuco di Carlo Boa- CBINEHI. >•> Caterina Riccardi Niccolini. 22 — 24 MAGGIO 1630. 107 [2015-2016] 1 i 1 co, conforme a una memoria elio mi loco mandare u Rarzelona, mentre ero in procinto d’imbarcarmi per coteata volta; il (pialo, ancorché prevenuto dal detto S. r Galileo per mozzo del S. r Cav. r# Bouamici, non ho portato con ino, non havendomi permesso la bre¬ vità dol tempo il trasferirmi a Bello Sguardo, dove dotto S. r Galileo voleva farmi la di- most ratione acciò io la potessi riferirò a S. M.&, perché ricevessi più satisfationo di questo suo instrumcnto. V. S. 111. 1 "® no darà conto a S. A. nostro S. r , acciò mi faccia 10 gralia di lar chiederò al S. r Galileo il dotto ochialo con altro strumento elio haveva pio- parato; o V. S. Ill. ,na si compiacerà mandarlo con il primo corriere, acciò io possa uscire di questo impegno, havendo risposto elio restò in Fiorenza con altro cose olio mi si do¬ vevano inviare: o ricorro al favore di V. S. 111."'*, perché non ardiscilo adiri tura doman¬ darlo al dotto S. r Galileo, temendo che si possa forso esser disgustato. E venga con una minuta distinta delle misuro et ogn’altra avertontin, acciò possa darglielo qua ad inten¬ derò, per osHoro della medesima quulità d’un altro che dette al Scr. mo Arciduca Carlo W, che sia in gloria, secondo elio à dato intentarne egli medesimo.... 2016 *. ORAZIO MORA N DI a GALILEO [in Roma]. [Roma], 24 maggio IG30. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Caiupori. Autografi, li.» LXXXI, n.® 49. — Autografa. Molto Ill. r * S. r mio Oss." 10 Domenica prossima della Santissima Trinità sto attendendo esser favorito da V. S. a far penitenza quassù a S. to Prassedia, dove sarà il P. Consultore, Maestro Lodovico Corlmsio, già Inquisitore di Firenze, et il P. Visconti, compagno del p. ltev. mo Maestro di Sacro Palazzo. Non occorrerà che s’incomodi di rispondere, ma prepararsi a venire, aspettandola infallantemente ; e lo bacio affettuosamente lo mani. Di SA 1 Prassedia, il dì 24 Mag. 1630. Di V. J3. molto Ill. ro Obbligatiss. Serv. ro io Don Orazio Morandi. Fuori: Al molto 111.™ mio Sig.'° e P.ron Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. <*> Cfr. n.® 1097, lin. 13-15. Afl>* Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto 111/® Sig. r Padre mio Oss. ffi0 Il Sig. r Galileo Galilei. 30 Roma. Violante Rohdihelli. [2018-2019] 25 — 27 MAGGIO 1630. 109 2018 *. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 25 maggio 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, cnr. 15. — Autografa la sottoscrizione. _11 S. re Gftllilco ò stato un poco risentito da qualche giorno in qua da cattarro con un poco d’alteratione accidentale, ina hoggi sta benissimo. ... 2019 . GERÌ BOCCIIINERI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 27 maggio 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 187. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo In questo punto, che si sta spacciando l’ordinario per costà et che è giunto il S. r Ambasciatore Bethunes di Francia 05 , ricevo la lettera di V. S. de’ 25, la quale mi ha mezzo stordito por l’avviso del suo male, sebene poi mi ha arre¬ cato qualche consolai ione per sentire il suo miglioramento et la speranza che haveva della annichilatione del raale l,) ; et piaccia a Dio che le nuove lettere ci portino la nuova della sua recuperata sanità, che però in tanto le aspetteremo con estremo desiderio : et domattina porterò la lettera et le mostre di drappetti alla Sestilia l,) , perchè adesso è notte. Et manco male che questa indispositione io è sopragiunta a V. S. in casa dove la cortesia ha la sua stanza, et dove non manca a lei cosa desiderabile; che è un gran conforto anche per quelli che sono lontani. Aspetteremo anche di sentirò il buon progresso del negotio di V. S., per poterla presto riveder qua. Tutti di casa mia, da Alessandro et Lodovico (4) in poi, che si purga, sono a Prato, ma saranno bene gratissimi loro anche colà i saluti di V. 8. Et io le bacio in fretta con tutto l’animo le mani. Di Fiorenza, 27 Mag.° 1630. Di V. S. molto Ill. r0 Oblig. mo Parente et Ser.™ Gerì Bocchineri. <*) Filippo dk Béthukes. “> Cfr. n.o 2018. Ci Cfr. li.® 2007, Un. 10-14. <‘> Cfr. il.* 2014, lin. 19. no 28 MAGGIO — 3 GIUGNO 1630. [2020-2021] 2020 * ANDREA CIO LI a FRANCESCO N1CCOLIN1 [in Roma]. | Firenze,) 88 maggio IMO. Bibl. Nftz. Fir. Msa. (Ini., 1’. I, T. II, cnr. 17. - Minuta, non aul-irrafa. .... Loro Alt.' hanno sentito volentieri elio il malo del S." Galilei babbi* havuto corto gambe, et che 8tia bora benissimo.... Et a V. E. bacio di cuoro le mani, non bevendo clic replicar altro alle sue do’ 25 2021. GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI [in Roma). [Uomo], 3 giugno 1G30. Galleria o Archivio Buonarroti in Firenze. Fih» 18, Lott. G, c»r. 931. - Aut "/r»'i. Molto 111.™ Sig. ro o Pad. n Col. 100 Ragionando iennattina con V. S. molto I., c lodandogli rAnimmaria figliuola di Hess. Alessandro Vaiani, fanciulla di grandissimo merito, o compatendo alla sua fortuna, scorsi in Y. S. benigno affetto di giovargli in tutte le occasioni, ot in particolare di restituirgli appresso S. S. u quel credito che l’opera sua meritava, o che altri con poca carità haveva cercato levargli ; il quale uffizio sì come ò pio o degno della bontà di V. S., così la prego a effettuarlo con oportunità. Desidero bone che ella taccia la persona che si dubitava che potesse liavor fatto l’uffizio sinistro, perchè, sì come non ci ò certezza che sia stato il io nominato da me, così può facilmente essere che ne sia incoi pi? volo. Quando torni comodo a V. S. di passare una volta di qua, vedrà alcune pitture fatto dalla figliuola in mia presenza, onde ella potrà far l’attestazione di vista; oltre che anco la S.* Ambasciatrice harà caro di veder V. S., innanzi elio ella tratti altro a benefizio della detta fanciulla. Bacio affettuosamente le mani a V. S. c gli prego felicità. Di casa, li 8 di Giugno 1630. Di V. S. molto I. Sor.™ Obblig."* 0 Galileo Galilei. Fuori: ÀI molto RI.” Sig. r Michelagd® Buonarruoti, mio Sig. re so In Bua mano. <•> Cfr. n.° 2018. [ 2022 ] 3 GIUGNO 1630. Ili 2022 . MICHELANGELO BUONARROTI a GALILEO [in Roma]. Roma, 3 giugno 1630. Bibl. Naz. Flr. Msa. Gal., P. I, T. IX, car. 189. — Autografa. Molto IH. 0 Sig. r mio e Pat. n# Oss.° Ilo preso occasione di ragionar con rill. mo Sig. r Card. 1 Padrone 05 opportuna- mcnto della Annamaria 05 , favorita e protetta dall’Ecc.‘"“ Sig. ra Ambasciatrice, e senza entrare che ella possa bavero havute opposizioni al suo valore, per modo di dar notizia a S. S. Ill. nm di un tal soggetto, ne ho espressi i particolari e l’opere fatte e da saper farsi da lei, e ’1 conto che no faccia Sua Eccellenza. Il ragiona¬ mento non ò stato breve, pcrcliò più interrogazioni e risposte ci son cadute, pel¬ le quali ho potuto e del suo sapere c do’suoi costumi dir qualche cosa e sodi¬ sfarmi a bastanza, esibendomi di farli veder alcuna delle sue opere. Questo ò io successo attavola, col proposito di un quadro suo stato portatoli appunto sta¬ mattina. Se parrà alla Sig.™ Ambasciatrice mandarmi qualche cosa di man della fanciulla per mostrarla al S. r Cardinale, la via è fatta. E se la Sig. ,-a Ambascia¬ trice comanderà altro, V. S. me ne farà consapevole. Trovandomi poi testa testa col Sig. r Cardinale in camera, e ragionandosi dell’infante nipote 05 e di qualche dilìicultà nella sua nascita, non senza qualche po’ di timor di pericolo, ebbi campo lì di trattar della calunnia inventata contro a V. S. Mi tagl[iò] la parola c s’espresso prima di me, o dissonò essere stato un tale (guardi V. S. se gli sciagurati s’ avventano) che gli era entrato a parlar di V. S. nella istessa maniera che V. S. per altra via ha saputo; a cui tagliando so pur il parlare, disse il S. Cardinale] che il S. r Galileo non aveva il maggior amico elio sò e che ’1 Papa stesso, e che sapeva chi egli era, e che sapeva che egli non haveva queste cose in testa; e se li mostrò controverso del tutto, e colui ri¬ mase brutto. E mentre che io ostentavo la ribalderia di persone sì sciagurate e che fan tali ufizi, mi si dichiarò penetrare clic e’ non eran fatti per offender di punta V. S., ma lui stesso, e che chi malignò dovette far conto, clic essendo venuto a Roma un gran matematico, argonientasse : Adunque un grande astro¬ logo; e sopra di lui fondasse la macchina della sua favola. E poi soggiunse che per mostrare a i maligni che egli non dava fede a queste cose, però haveva vo¬ luto particolarmente V. S. a desinar seco pur una mattina, il che per vari ac¬ ci Franoksco Bahbbkini. (*> Cfr. n.° 2021. < 3 > Cfr. il.» 2009, liu. 3. 112 3 GIUGNO 1G30. [2022-2023] cidenti sino a ora non ò successo. Vaglia a V. b. tutto ciò per avviso. A cui l>a- 80 ciando affettuosamente le mani, prego felicità. Di Monto Cavallo, il dì 3 di Giugno 1630. Di V. S. molto 111. 8 Ho detto, per esprimermi e consolar V. S., più copiosamente che forse, se altri havesse a veder questa lettera, non sarebbe bene, e ni assi in amento il dirsi da me l’esser fatto questo lavoro per of¬ fender lui. Fuori: Al molto 111.*» Sig. r mio e l’ad.** 8 Uss.° Il Sig. r Galileo Galilei. 40 In sua mano. 2023 . GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI [in Roma]. [Roma], 3 giugno 1630. Museo Britannico in Londra. Add.» Mss. 28139, car. 41. — Autv'jrsfa. Molto Ill. re Sig. ra o Pad . 11 Col. mo Ho inteso per la gratissima m di V. S. molto I. l’uffizio fatto da lei per me da vero padrone affezionato, e gliene rendo molte gra¬ zie; assicurandomi che la mia fortuna non sia per degenerar dal suo consueto, che è stato sempre di partorirmi utile et onore dalle calunnie promossemi da i maligni. L’Ecc. raa S. ra Ambasciatrice ringrazia parimente V. S. do i buoni uffizii fatti per la sua meritamente diletta Annamaria; e manderà a V. S. quanto prima alcune delle opere di quella, e Pharebbe fatto adesso se havesse in casa certo vaso di diversi fiori ; ma lo farà pi- io Cfr. u.o 2022. 3 GIUGNO 1630. 113 [2023-2024] gliare, e quello manderà insieme con altre cose. Io mi riserbo a di¬ scorrer più allungo in voce con Y. S., alla quale intanto rendo nuove grazie, e con augurargli felicità reverentemente bacio le mani. Di casa, li 3 di Giugno 1630. Di V. S. molto I11. P0 Ser. re vero et Obblig. mo Galileo Galilei. Fuori: Al molto lll. ro Sig. ro e Pad. ne Col. mo Il Sig. r Michelag.* 0 Buonarruoti. In sua mano. 2024 . ORSO D’ELCI a GALILEO [in Roma]. Villa Imperiale, 3 giugno 1030. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T. IX, car. 200. — Autografa. Molto HI» S. r mio, Ricevo la lettera di V. S. del primo questo medesimo giorno che si scrive costì!, e però non ho anche potuto l'aria sentire al Ser. m,> Padrone tutta diste¬ samente, come farò ben presto. Ma intanto S. A. ha hauto caro d’intendere che V. S. stia bene et che speri d’esser qua presto, elio lo desidera assai ; et le in¬ carica di muoversi prima che può, per fuggire i caldi che qui hanno cominciato molto fieri da tre di in qua, se bene per fino a San Piero non pare die entri il pericolo dele mutazioni dell'aria; ma bene ò anticipare più che si può. Mi rallegro che V. S. trovi il compagno 05 del Maestro del Sacro Palazzo io capace dela verità dela sua dottrina, et eh’ egli speri di persuadervi anche il Papa per rimuoverlo dala noia che dà a S. B. ne la dimostrazione che V. S. vuol fare, che il flusso e reflusso proceda dal moto dela terra. Piaccia a Dio che le riesca di tornar contentissimo, come desidero ; et aspettandola con desiderio, bacio a V. S. le mani. Mi ricorderò del magistrato che V. S. pretende (,) , et stia di buon animo. Di Villa Imp! 0 , a 3 di Giug. 0 630. Ser. r Aff. m ® S. r Galileo. Orso d’ Elei. o> Raffaello Visconti. <*■ Cfr. n.° 2030, liu. 11; n.°2031, lin. 2-3. 4 114 3 — 5 GIUGNO 1630. [2026-2086 J 2025*. IACOPO GIRÀLDI a GALILEO iu Roma. Firenze, 3 giugno 1G30. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cainjiori. Autografi, B.« I.XXVII, u.2. Autografa. Molt’Ill.™ eovero Signore travaglia molto, o si tratta di venire a’ferri: piaccia a Rio darli felice successo, sì come tutti gl’amici desiderano. Favoriscami V. S. ricordarmi servi¬ tore al Sig. r Michelagnolo e al P. R. Benedetto lt> , e tale conservimi appresso di sò; o per fino gli prego dal Sig. Dio intera felicità. Di Firenze, dì 3 Giugno 1630. Di V. S. molto 111.” 1 ed Eccell®* Afi>° S. Iacopo UiraldL £0 Fuori: Al molt’Rl.™ ed Eccell.™ 0 Sig. r IL Sig. r Galileo Galilei, Sig. r mio Osserv. 0 Roma. 202G*. GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI [in Roma]. (Roma), 5 giugno 1030. Museo Britannico in Londra. Adii. 1 Mss. 23139, rar. 13. — Aut igrafa. Molto 111.™ Sig.™ e Pad. ne C-ol. mo Ho procurato di liaver questi disegni fatti dall’Ann amari a Volani, insieme con questo quadro di fiori, per potergli mandare n V. S. molto 1., Lett. 2025. 16. P. D. BtntUo — 1*1 Niccolò Cini. «*> B»k«d*tto Caitblu. 5 — G GIUGNO 1630. 115 [2026-2027] acciò gli vegga; ma devo restituirgli per a tutto venerdì prossimo, essendomi stati conceduti in certo modo occultamente e di contrab¬ bando, senza saputa do i superiori, per V. S. Potrà vedergli e mo¬ strargli dove gli parrà oportuno; et io poi venerdì sera manderò a ripigliarli, e gli farò condurre dove bisognerà. Intanto, restando a V. S. servitore devotissimo, gli bacio le mani c prego felicità. io Di casa, li 5 di Giugno 1630. Di V. S. molto lll. ro SerDev. mo Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111.™ Sig.™ o Pad.™ Col. mo Il Sig. r Michclagnolo Buonarruoti, a Monte Cavallo. 2027**. MICHELANGELO BUONARROTI a [GALILEO in Roma]. ltoina, tì giugno ÌG.'JO. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. IX, cnr. 191. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio e P. n Col."' 0 L’III."' 0 Sig. r Card. 1 Padrone 1 ”, o non mono di lui l’Ecc." 10 Sig. r D. Taddeo (!1 , eh’ ha magnato qui, hanno ammirato l’opere dell’Anna Maria 1 ”; e’1 Sig. r I). Tad¬ deo, dopo la comune vista messosi, me presente e discorrente seco, a riguardarle, se no è compiaciuto grandissimamente. Ilo tempo di tenerle da V. S. sino a ve¬ nerdì; goderò il benefizio del tempo, perchè sian vedute da qualche altra per¬ sona di buon gusto. E intanto fo avvisato V. S. (ben che forse altri l’havrà fatto prima), conio sondo qua V. E. intorno alle ventun’ora, ella sarà a S. S. 111. 1 "* di suo gusto particolare a vedere la sua fabbrica o ’l suo giardino. E bacio a V. S. io molto 111. 0 le mani, pregandole felicità. Di casa, li G di Giugno 1630. Di V. S. molto 111.® Devotiss. 0 Ser. r0 Mieli.' 0 Buonarroti. <*) Francesco Barrf.rini. ,3) Cfr. nn. 1 2022, 2023, 2026. <*» Taddeo Barbkiu.ni. * 116 8 GIUGNO 1630. [2028] 2028 *. DINO PERI n [GALILEO in Roma], Firenze, 8 giugno 1630. Bibl. Naz. Fir. Ibi. Oli, P. T, T. IX, car. 192-103. — Autografa, Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col.® 0 Ho hauto fortuna a poter servir subito V. S. Eco.™*. M'abbattei a tornar hiersera d’una nostra villa del Pian di Ripoli, e trovai la sua amorevolissima lettera, giunta in casa poche bore innanzi. Dubitai di non haver a trovar l'in¬ tavolatura domandatami, perchè non si trovali più a torno simili arie antiche, o appresso di mio padre non si trova residuo nessuno d’intavolature, nò di suo nò de’suoi maestri, perchè in questo genero egli è stato un hunmo trascuratis¬ simo, e quel poco che si trovava haver raccolto in un libro gli fu rubato giù 20 anni sono. Si ò poi trovata in un libruecio d’un fraticello, nostro parente. L’ ho fatta copiare o rivedere, o non vien tenuta delle peggiori che facesse io Mess. Cristofano (, \ Accetti V. S. per bora la prontezza e il buon desiderio: con più tempo riuscirebbe forse haver cosa migliore, c si tenterà, quando a lei piaccia e ne dia cenno. Quand’io le scrissi a’giorni a dietro le mie lettere 1 ”, mi credevo che il Sig. r suo figliuolo se ne stessi a Bello Sguardo, dove mi era tolto V arrivare da briglie e fastidi senza fine. Oltre a questo, mi davo ad intendere che V. S. non fusse per mettersi a dar ragguaglio particolare di quel che succedeva intorno al suo negotio; però mi mossi a scriverle con quell’ instanza : non vorrei già che la mia poca considerationc havesse preso titolo d’una gran prosuntionc. Arrivai la prima volta eh’ i’ potetti a Bellosguardo, e quivi seppi cho il Sig.r Vincentio se n’ era 20 partito d’un pezzo ammalato 1 ”. Lo trovai poi a casa, e sentii le nuove della gran¬ dine capricciosa e del buono indirizzo in che erano i suoi divini Dialogi. Rimasi però pentito della mia inconsiderata dimanda, potendo con essa affaticar senza proposito la gentilezza di V. S.; e per rimediarvi dissi al Sig. r Vincentio chele desse conto dell’ haver io già ricevuto le nuove, e che però ella non si pigliasse altra briga di scrivermi, ch’io dovevo più tosto desiderare scusa che risposta: c certo cho se la mia disavveduta richiesta mi mandava sue lettere, cho per altro sarebber gratissimo o desideratissime, m’ havrebber più tosto fatto arrossir di vergogna che rallegrare. Questa, che ha per fine di favorirmi d’ un suo co- Cristoforo Malvezzi. <*> Cfr. ii.® 2012. '*» Cfr. n.* 2007. 8 GIUGNO 1030. 117 [2028-20201 so mandamento, mi ha recato un contento singolarissimo, e non ci è chi me lo turbi, so non il dubbio di non liaver in questa fretta servitola compitamente e con quella sodiefatione di’ i’ haverei forse potuto accrescerle con larghezza di tempo. Le rendo gratie infinite di tanto honore, ch’io mi reputo fatto da V. S. mentre si degna di valersi della mia servitù. Sento poi piacer grande che fra quelle mie scioccheriuole (,) vi sia qualcosa di buono; e quando nel giudicarla potesse essersi hallucinata la vista, e non ci havesse parte se non una troppo affettuosa incli- natione verso di ine, all'bora il contento si raddoppierebbe a mille doppi, chè Tesser amato, o di soverchio, non da un lumino, ma da un Dio, qual io reputo V. S., mi pare una prerogativa superiore a quante io ne sapessi desiderare. 40 Mi rallegrai del suo subito risanamento, sentito dal Sig. r Vincentio, quant’ io mi rallegrassi del buono evento di quello stranissimo accidente ch’io lo scrissi di mio padre :,) , il qual ò fuor di casa, non che del letto, son giù parecchi giorni, e va di continuo prendendo ristoro o vigore. Penso di poterlo creder franco, benché insino a 40 giorni doppo la percossa ci ò chi vive, in casi simili, con qualche sospetto. Bacio a V. S. le mani con affetto reverentissimo e sviscera¬ tissimo, e le prego dal Cielo quella prosperità elio al suo coleste ed infinito me¬ rito corrisponde. Fir. w ', 8 Giugno 630. Di V. S. molto Ill. ra et Ecc. ma 50 Obblig." 10 et Devotiss. 0 S. r0 Dino Peri. Di nuovo raccomando a V. S. il nostro Domenico scultore (,) . Le fa humilis- sima reverenza, o la supplica a tenerlo aiutato col suo tavole appresso il S. Car- dinale etc. 2029 **. ESAÙ DEL BORGO ad ANDKEA CIGLI [in Firenze]. Madrid, 8 giugno 1030. Arch. di Stato In Firenze. Filza Medicea 4958 (non cartolata). — Autografa. .... Questa mattina mi ha mandato a casa S. M. u a D. Tommaso Lavagna, suo aiuto di camera, per sapere se era arrivato Tochiale del Galileo. Li risposi che non havevo hauto nuova dello robe con le quali veniva, et che speravo in ogni modo ci potessi es¬ sere tra 20 in 25 giorni; supplicando per ciò a V. S. 111“ di favorirmi in questo parti- in Cfr. n.® 201* i*i Cfr. n.® 2003. «») Cfr. n.® 2008, lin. 89. 118 8 — 10 GIUGNO 1630. [2029-2030] calare ili quanto li ho scritto con altra: e venga subito con il primo corriere, che ci sta messo il Re strasordinariamento ; et bora mi dice che V ordine che mi havevn fatto dare, era di dua; o perché non è fatto salvo che uno, V. S. me lo invìi in tanto, e l’altro si potrà dare a lare, acciò no sia Sua M. u servita.... La Regina questa mattina ha hauto accidenti di romiti, o oi spora possa essere gra¬ vida. ... 10 2030*. GEItl BOCCI!IN ERI a [GALILEO in Roma]. Flrenie, 10 giugno 1630. Blbl. Nna. Fir. Mss. Cini., P. I. T. IX, car. 191. - Autografi». Molto 111.™ et Kcc.' n0 S. r inio Oss. rao Questa settimana non ho ricevuto lettere di V. S., nè meno sotto min coperta, nè è comparsa alcuna di lei nò per il S. r Vincenzio nò per altri; ina foro questo ò indizio dol suo vicino ritorno, per riaerbare alla voce quel che eli’haverebbe potuto dire per lettera: et se ciò è, ino no rallegro infinitamente. Avvisai a V. S. la settimana passata 10 il malo dell'Alessandra mia sorella, che andò proseguendo fino al sosto giorno con febbre continua, con dolori di renella et con segni tutti mortali, l’oi cominciò a migliorare, et nel settimo giorno restò netta di febbre; et bora séguita nel miglioramento, non lo restando altro cho una gran debolezza. io Hieri, credendo che si negoziassero i Collegi, ricordai con una mia pollai il desiderio di V. S. al S. r Conte Orso 10 , et li oggi ho fatto l’istcsao per mezzo della cortesia del S. r Ball Cioli, essendomi convenuto restare in Fiorenza a tirare in¬ nanzi lo speditioni degli ordinarli; et seguiterò, senza però mostrare di essere importuno, di servirò a V. 8. come dovo. Et lo bacio le mani. Di Fiorenza, x Giugno 1630. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Oblig. fBO Parente et Sor.™ Geri Bocchi neri. Sul serrare delle lettere et a mezza notte è comparsa una staffetta di costà, et io adesso, che sono lo 5 bore sonate, ricevo la lunga lettera di V. S. degli 8. 20 Mi dispiace di quella cicalataper il disgusto ch’ella no sentiva, perchè nel resto si vede che Dio protego la innocenza, mentre ella è sempre più favorita 10 La lettera a cui qui accenna non ò noi Mss. Galileiani. <*» Cfr. n.* 2021. lin. 15; n.« 2031. lin. 2 3. <*' Cfr. un.' 2009. 2022, 2023. 10 — 14 GIUGNO 1630. 119 [2030-2031] costil dal S. r Card. 10 Barberini et (lai Papa stesso, oltre a tutto il resto de’ Si¬ gnori et della Corte: et domattina mostrerò la lettera al S. r Bali, et si farsi vedere anche al Gran Duca, se sani stimato bene. Et in somma le persecutioni non abbasseranno, ma sempre più ingrandiranno, le sue virtù ; et la invidia porta sempre seco la sua pena. Mi dispiace la morte del P. Buonaccorsi, Cappuccino, mio zio, et mia madre ne sentirà disgusto: et anebo in mio nome prego V. S. di baciare poi le mani 3o ni Cav/° Buonaccorsi, fratello di lui ; et mia madre riceverà per favore elio ella li baci le mani a nome di lei. Et io di nuovo lo bacio a V. S., tutto son¬ nacchioso. 2031 . GERÌ BOCOIIINKRI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 14 giugno 1030. Bibl. Naz. Fir. Msh. Gal., ?. I, T. IX, cnr. 10(5. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 S. r mio Oss."'° 11 Ser. mo Padrone ha latto grazia a V. S. del luogo nel Magistrato del Col¬ legio U) , et io me ne rallegro con lei. Deve adesso V. S. provar l’età, cioè produrre la fede del battesimo, et io credo pure che il S. r Vincenzio potrà in ciò supplire per lei. Lessi al S. r Ball Gioii, alla presenza del S. r Francesco Bonsi et di altri, quel capitolo della calunnia 1 *’, et hebbero tutti gusto della scopatura del calunniatore. Il S. r Bali dice di non ne liaver sentito parlare, et si varrà di tal notizia con S. A. et con tutti; ma non crede che l’A. S. ne Labbia saputo niente. Et mostrerò io questo capitolo anche ad altri amici di V. S. Ilieri mi cavai 14 once di sangue, per liberarmi da certa rogna clic mi tra¬ vaglia, ondo col braccio molto debole non posso scriver più a lungo nè meglio. Mia sorella seguita nel miglioramento (,, } e tutti delie nostre case stanno bene; et a V. S. baciamo tutti le mani. Di Fiorenza, 14 Giug. 0 1630. Di V. S. molto lll. ro Oblig. mo Tacente et Ser.™ Geri Becchinoci. ai Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXVI. 1*1 Cfr. n.o 2080, lin. 21. < s > Cfr. u.° 2030, lin. 15-10. 120 16 — 18 GIUGNO 1630. j.2032-2033] 2032 . RAFFAELLO VISCONTI a GALILEO [in Roma]. Roma, 16 giugno 1630. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal.. P. T, T. IX. car. 108. — Autografa. So) di fuori, accanto all' indir ino, a! loggo di mano di Galileo: JET. P. ro VÌSC01ltÌ: di cha cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, o, 2). Molto III.” Sig. r mio Col." 10 11 Padre Maestro 01 gli bacia le mani, et dice che V opera gli piace, et che domattina parlerà oon il Papa per il frontispizio dell’opera, et che «lei reato, acco¬ modando alcune poche cosette, simili a quelle che accommodammo insieme, gli darà il libro. Et io gli resto servitore. Di casa, li 16 Giugno 1630. Di V. S. AflVt. 1 " 0 Ser. M e Discepolo F. Ilaffael Visconti. Fuori: Al Sig. r Galileo Galilei, mio Sig. r Col."* 0 • io 2033 *. ANDREA CIO LI ad ESAÙ DEL BORGO [in Madrid], [Firenze], 18 giugno 1030. ■Ardii. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4962 (non cartolata). — Minuta, non auti-jrafa. 11 Bali Cioli. Al Sig. r * Esaù dal Borgo. 18 Giugno 1G30. Ha vendo io ricevute due mane di lettere del S. r March.* Ambasciatore <*',_restavo maravigliato elio non ve ne fosse di V. S.; ma l’ordinario di Genova, che comparse liiersera, mi quietò col portarne de’6, de’15 et de'22 W di Maggio.... ....Il Sig. Galileo si ritrova presentemente a Roma, et prima di partire barerebbe facilmente mandato quell’ occhiale per S. M.*\ so chi ne lavora la cassa l'ha vesso finita: però si andrà bora sollecitando per potersi mandare quanto prima, essendo massimamente per tornare il S. r * Galileo fra 7 o 8 giorni. Ma quando anche non tornasse, S. A. si pi¬ glierebbe pensiero che S. M. u ne fosse in ogni modo servita, et così ancora dell’altro in- 10 strumento; et si proonrerà che venga con la minuta distinta delle misure, nello maniera che S. M. a desidera.... 1,1 Niccolò Riccardi. <*> Michelangelo Bagliori. Cfr. n.• 2015. [2034-2035] 29 GIUGNO — 6 LUGLIO 1G30. 121 2034 *. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 29 giugno 1030. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicoa 3347 (non cartolata). — Autografa la sottoscrizioiio. _11 S. r Gallileo parti di qui Bino mercoledì passato 0) } con intora sua sntisfalione o con la speditiouo intera, inerita dal suo valore e dalle suo gentilissime maniere, di quel suo aromatico negotio. 11 Papa P ha visto volentieri, gli ha fatto moltissime carezze, come il S. r Card.® Barberino, che l’ha anco tenuto seco a desinare; e da tutta la Corto è stalo stimato et honorato come l’ora dovuto- 2035 **. FRANCESCO STELLITI'l a [GALILEO in Firenze]. Roma, G luglio 1030. BILI. Naz. Fir. Mss. Gal., Contemporanei, T. Ili, car. 17. — Autografa. Ill. m0 Sig. r mio e P.rone Qss. mo Inviai al Sig. r Falconcini alcuni libri del Persio da me tradotto 10 , non solo per esser egli dell’istessa patria del poeta, ma per l’opinione che si tiene esser ancora della medesima famiglia; c perchè tenevo memoria degli obblighi c’ho con V. S. Ill. ma , presi perciò ardire di fargliene presentar uno, ma con non poco mio rossore, venendo in questa guisa a palesarle l’imperfezzioni mie. Hora mi trovo la cortesissima di V. S. Ill." ,a , la quale ha addoppiato i miei obblighi, vedendo da lei gradita questa picciola dimostratone dell’animo mio. Le ne rendo perciò infinite grazie; e ricordandomele servitore obbligatissimo e desiderosissimo de’ suoi io comandamenti, resto e bacio a V. S. Ill. ma le mani. Di Roma, li 6 di Luglio 1G30. Di V. S. Ill. ma Ser. ro Devotiss. mo et Obblig. 1110 Frane. 0 Stelluti. <*) 20 giugno. ‘*1 Cfr. n.o 1835. 122 7—13 LUGLIO 1G30. (2036-2037] 2036* FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO in Firenxo. Bomn, 7 luglio 1630. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, II.» LXXXII, n.® 107.—Autografi. Molt’ 111. 1 '® S. r mio Oss. ,no La lettera (li V. S. ha rallegrato tutta questa casa, por ravviso che porta con sò del suo salvo arrivo in patria, o perchè, mediante al gran caldo, stavamo sospesi della sua saluto. Io me ne rallegro con V. S. con tutto l’animo, corno fa anco mia moglie, o le rendiamo infinite grazie del pensiero che s’ è presa di fa¬ vorirci. Resta solo elio la lontananza non lo faccia scordare di darmi talvolta comodità di servirla, come io desidero e conio la prego di fare liberissimamcnte. E mentre le prego dal S. r Dio ogni bone, le bacio con tutto l’animo le mani. Di Roma, 7 di Luglio 1G30. Di V. S. molto 111.™ A IT."' 0 Ser. ro io S. r Galileo Galilei. Firenze. Frane.® Niccolini, 2037. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 luglio 1G30. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. IX, car. 202. — Autografi il poscritto • la «ottmoriilono. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Oss. mo V. S., cho non ha altro maggior pensiero elio di honorarmi e di consolarmi, va sempre incontrando l’occasione di farmelo ogni di più noto con il mezzo dello sue affettuose lettere, come le è piaciuto di fare al presente con la certezza che mi dà del suo felice arrivo e della continuata sua buona salute. Non poteva veramente in questo punto con altro miglior avviso comparirmi più grato, e sì come da Dio io riconosco la sua preservationc in stagione così perniciosa, cosi rendo aflettuosissime gralie a V. S. dell’ havermi fatto parte di così desiderato avviso. 11 Sig/ Marchese il Sig. r Giorgio (,) e gl’altri della conversationo se ne sono ancor essi rallegrati sopramodo, e le rendono duplicati saluti; et io, pregandole io aumento d’ogni prosperità, le bacio con tutto l’animo le inani. Di Roma, il dì 13 Luglio 1030. Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. ma G) Alessandri» Pallavicini. **> Gioroio Pali, anicini. 13 — 21 LUGLIO 1630. 123 [ 2037 - 2039 ] Mi rallegro che il viaggio non lo sia stato no¬ civo, ben die fatto in tempi tanto scommodi; acci¬ dente die dovrà inanimirla a rifarlo in più moderata stagione. Ricordisi della promessa, assicurandola che dalla nostra conversatione ella è sommamente desiderata. N. S. rB parla di lei con parole di grande 50 stima et alletto. V. S. mi conservi la grafia del S. r Aggiunti, e faccia offerta della mia amicitia aL S. r Dino Peri, tanto lodato da lei. Dev . mo Ser. ra S. r Galilei. Fir.° Gio. Ci am poli. Fuori: Al molto Ill. r ® et Eco."* 0 Sig. r e P.ron mio Oss. n, ° Il Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. 2038 *. ESAÙ DEI, BORGO ad ANDREA PIOLI [in Firenze]. Madrid, 13 luglio 1630. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4958 (non cartolata). — Autografa. _Sto attendendo con particolare desiderio l’ochiale per S. por uscire di questo impegno, che non havrei mai pensato che ci ì'usbì stato così attento.... 2039 . MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 21 luglio 1630. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 112. — Autografa. Amatiss. n, ° Sig. r Padre, Quando appunto andavo pensando di scriver a V. S. una carta di lamenta- tioni per la sua lunga dimora o tardanza in visitarne, mi è comparsa la sua amorevolissima, la quale mi serra la bocca di maniera elio non ho replica. So¬ lamente me gl’ accuso per troppo timorosa o sospettosa, poi dubitavo che l’amore che V. S. porta a quelli che gli sono presenti, fossi causa clic si intepidissi e diminuissi quello che porta a noi, elio gli siamo assenti. Conosco veramente clic <») Cfr. nn.l 2015, 2029, 2033. 124 21 — 27 LUGLIO 1630. [2089-2040] in questo mi dimostro di animo vile e codardo, imi che con generosità dovrei persuadermi elio, sì come io non loderei ad alcuno in questo particolare, ciò ò neU’amar lei, così, all’incontro, che lei ami più di ciascun altro noi sue figliuole; ina io credo che questo timore proceda da scarsezza ili meriti. K questo basti por hora. Ci dispiace il sentire la sua indispositione, e veramente, per haver V. 8. fatto viaggio nella stagiono che siamo, non poteva esser altrimenti ; anzi che mi stu¬ pivo, sentendo che V. S. andava ogni giorno in Firenze. La prego per tanto a starsene qualche giorno in riposo, nò pigli fretta di venir da noi, perchè ci è più cara la sua sanità, elio la sua vista. In tanto veda se per sorto gl' è restata una corona per portarmi, la quale vorrei mandar alla mia S. r Ortensia, essendo un gran pezzo che non gl’ ho scritto, sì come anco ho mancato non scrivendo prima a V. S., mediante Tesser ancor io stata sopraffatta da una estrema lassezza, e tale elio non mi dava il cuoro di muover la penna, per così dire. Ma da poi in 20 qua che ò alquanto cessato il caldo, sto benissimo, per gratin del Signor Iddio, il quale non lascio di continuamento pregar per la salute e sanità di V. S., pre¬ mendomi non meno la sua clic la mia propria. La ringratiamo del vino e frutte, cosi a noi oltremodo gratissime: e perchè serbavamo questi pochi marzapanetti, numero 12, per quando veniva da noi, adesso glieli mandiamo, acciò non indurischino; i biscottini saranno per la Virginia '. Per line la salutiamo, insieme con la Madre badessa c tutte, affettuosamente. Di S. Matteo, li 21 di Luglio 1630. Sua Fig> Aff. m * Suor M.» Celeste. "o Fuori: Al molto 111.™ et Àmatisa.® 0 Sig. r Ladro Il Sig. r Galileo Galilei, a Belilo 2040. GIO. BATTISTA BALI ANI n GALILEO [in Faenze], Genova, 27 luglio 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss Gal.. P. VI, T. XI, car. 134. — Autoffrafa. Molt’ lll. r ® et Ecc. ro0 Sig. r mio Oss. n, ° Io vengo di rado a ricever favori da V. S., por non tediarla. Mi occorre un dubbio, che, non sapendol sciorre, mi è forza ricorrere da lei, pregandola che me ne dica ciò che le occorre. Lett. 2030, 12. Ci dùpac* — (, l Virginia di Bknroktto Landucci. 27 LUGLIO 1630. 125 [ 2040 ] Ci conviene far che un’ acqua di due onde di diametro in circa traversi un monte, e, per farlo, conviene clic l’acqua salisca a piombo 84 palmi di Genova, che son circa 70 piedi geometrici; e per farlo habhiam fatto un sifone di rame, conforme il disegno inchiuso (,) , ove CA ò il livello, A ove si piglia l’acqua, B ove li ha da uscire, D l’imbottatoio per dove si empie il sifone, DE l’altezza a piombo io che l’acqua ha da salire. Però questo sifone non fa l’effetto desiderato; anzi aperto, ancorché chiuso dal di sopra, l’acqua esce da tuLte due le parti, e se si tien chiuso da una parte, aprendo dall’altra, ad ogni modo da questa esce l’acqua. Io non mi posso dar a credere clic l’acqua h&bbia in questa occasione voluto appartarsi dalle sue proprietà naturali, onde è forza che, uscendo l’acqua, vi sottentri aria nella parte di sopra: però non si vede di dove. Avviene un’altra cosa che mi fa stupire; et è, clic aprendosi la bocca A, esce l’acqua sin clic dalla parto D sia scesa per la metà in circa, ciò è sin a F, c poi si ferma. Io sono andato considerando se possa essere clic il canale o sifone liabbia qualche pori, ma che l’acqua non possa passarvi, e nò anche 1* aria senza 20 gran violenza; e per ciò, se il canale è pieno, l’acqua A sia tanto premuta, che faccia forza tale che 1’ aria sottentri por li pori che sono verso la parte di sopra, in modo che l’acqua possa scendere per quelli sino a F, senza che vi rimanga vacuo; scesa poi in F, non restando nel canale altra acqua che la FA, questa non liabbia forza di far violenza tale all’aria, che possa sforzarla ad entrare pel¬ li pori sudetti. Il canale è di rame; è, come ho detto, due oncie di vano; pesa circa 14 or ero 15 oncie per palmo; nè, per diligenza usatavi, si può veder che liabbia meati sensibili. Ilo voluto narrarle ogni cosa, afine che V. S. possa piò facilmente ritrovar in che consista il mio errore, c favorirmi di avvertirmene. Sto con desiderio asper¬ so tando elio sia uscito qualche suo nuovo parto ; et a V. S. bacio per fino con ogni affetto le mani, con offerirmi prontissimo a ricever i suoi comandamenti. Di Gen. a , a 27 di Luglio 1630. Di V. S. molto 111“ et Ecc. ma Ser. ora Afl>° Sig. r Gai. 0 Gal.' Gio. B. a Bali a no. t'i Riproduciamo iu forma schematica il diso- nova, diviso in 12 oncie*. Vi si logge puro la so¬ gno, elio occupa il recto d’uu doppio foglio (car. 135). guente annotazione : «Il canaio ò longo p. 670; Noi disogno è sognato in grandezza naturalo il porta ondo tro di acqua, sono palmi qu&dr. 14 in palmo di Genova, o sotto si leggo: « l’almo di Go- circa». 126 28 LUGLIO — 2 AGOSTO 1630. 1*2041-2042] 2041. ALESSANDRA BOCCHINERI BUONAMICI a [GALILEO in Iìellouguardo]. Prato, 28 luglio 1630. 33 ibi. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 114. - Autografa. Molto 111.*» Sig. ro mio Pad. 08 Os8. mo So’ rimasta così appagata della gentilissima conversazione di V. S. et tanto affezionata alle suo qualità et ineriti, elio non salirei tralasciare di quando in quando salutare V. S. et pregarla che si conpiaccia farmi sapere nuovo della sua salute et conservare insieme memoria del desiderio che io tengo di essere onorata di alcuno suo comandamento. Scnnon fusai elio V. S. tiene qua pengni che credo, per l’afetto elio V. S. porta loro, la costringnerano a venire a favorire queste nostre parte, averci preso ardirò di suppricare V. S. che volessi consolarci cho la sua presenza ne’prossimi giorni del principio di Agosto; ma porche mi prometto di goderla in ongni modo, mi riserbo ad altra ochasione a riscevere io questa grazia, cho sarà anello comune al Sig.™ Cavalier mio marito 10 , che aspetto ongni punto torni da’sua poderi di Val di Bisenso. Kt in nome suo sa¬ luto V. S., et por line di tutto core gli bacio lo mani et resto stiava alle sue virtù. Di Prato, il dì 28 di Luglio 1630. Di V. S. molto 111.™ /(, .'cene /ajct’ 2042. FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Firenze]'. Àcquasparta, 2 agosto 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 137. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Oss. m ° Sig. r Galileo mio, con man tremante e con occhi pieni di lacrimo vengo a dare quest’ infelice nuova a V. S., della perdita fatta del nostro »Sig. r Principe, Giovanfrancesco Duonamici. 2 - G AGOSTO 1630. 127 [ 2042 - 2043 ] Duca d’Acquasparta (0 , per una febre acuta sopragiuntagli, che liieri ce lo tolse con danno inestimabile della republiea litteraria per tanto belle compositioni, che tutte imperfette ha lasciate, di che n’ ho un dolore inestimabile, e più mi duole che non lia disposto delle cose deirAccademia, alla quale voleva lasciare tutta la sua libraria, museo, manuscritti et altre bello cose, le quali non so in che mani capiteranno. Era il povero Signore tanto afflitto dal male c’ baveva, del io quale non sperava liberarsene, che non sentiva più gusto di cosa alcuna, nè è stato possibile di persuaderlo a far testamento. Se l’Erainentiss. 0 Sig. r Card. 10 Bar¬ berino (a) non abbraccia questa impresa, vedo la nostra Accademia andare in ro¬ vina: e bisogna pensare a nuovo principe et ad altri ordini; e quanto al libro Messicano 1 *’, non vi resta altri informato che me; ma essendo privo di questo ricovero, bisogna ch’io me ne ritorni alla patria, per non dar maggior spesa alla mia casa di quello di’ ho fatto per lo spatio di 27 anni, che presi servitù con dotto Signore, che N. S. ro Dio l’iiabbia in gloria, llavcndolo aperto, gli han tro¬ vato una cancrena nella vessica, essendovi molti crescimenti di carne, li quali gl’ impedivano r orina. Già hebbo la lettera di V. S., e sentì gusto del suo arrivo 20 costì a salvamento, et ordinò a mo che gli rispondessi ; ina non prima di hoggi ho potuto scriverle. 11 Signor Dio conservi V. S. lungo tempo; c non potendo per bora dirlo altro, le bacio affettuosamente le mani. Di Acquasparta, li 2 d’Agosto 1630. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc."' u , Ser. Àff>° o Vero Frane. S tei luti. 2043 *. GALILEO a |GIO. BATTISTA BAU ANI in Genova]. Firenze, G agosto 1630. Eibl. Br&idenso in Milano. Cassetta AF. XIII. 13. 1. — Autografa. Ul. mo Sig. ro e Pad." Col. mo La cortesissima lettera di Y. S. Ill. raa <4) mi è stata soprammodo grata, scorgendo in essa la continuazione dell’affetto verso di me, che è un capitale sommamente desiderato e apprezzato. Mi dispiace bene che ella non mi Labbia domandato il mio parere circa.l’esito (*) Fkdkrico Cksi. < a > Fhancbsoo JBarbkrini. Cfr. n.° 584. t‘> Cfr. n.o 2040. 128 6 AGOSTO 1630. [2043] del sifone prima elio la spesa lusso latta, perche glio 1 haverei potuta rispiarmare col mostrare (s’ io non m* inganno) l'impossibilità del quesito; la quale depende da un mio problema, più tempo fa esaminato e che veramente ha del meraviglioso assai. L’acqua si può far salire per un cannono o sifone por io attrazziono e per impulso. Per attrazziono, intendo quando l’ordigno (qualunque si sia) che lavora, sarà posto noli» parto superiore A del cannone All ; per impulso, si fa montar l’acqua, tuttavolta che l’ordigno impellente sia accomodato da basso in 15. Quando l’acqua si lmhbia a cacciar per im¬ pulso, si potrà sollevare e spignoro a qualsivoglia altezza, anco di 1000 braccia, purché il cannone sia saldo e forte, sicliò non crepi: ma nell’alzarla por attrazziono oi ò una determinata altezza e lunghezza di canna, oltre alla quale ò impossibile far montare l’acqua un sol dito, anzi un sol 20 capello; e tale altezza panni che sia circa 40 piedi, c credo anco meno. La cagiono di tale effetto mi travagliò assai, prima che io l’investigassi ; ma finalmente m’accorsi che non doveva essere così recondita, anzi assai manifesta: che così avviene delle causo vere, dopo che sono ritrovate. So che V. S. non dubita elio quando AH fosse una gomona di nave, e fermata in A, si può attaccargli in B un peso sì grave, elio finalmente la strapperà; e non solamente ciò accaderà di un canapo, ina quando la medesima AB fusse una corda di ramo o d’acciaio, grossa anco quanto il braccio d*un huomo, pur si strapperà con l’ut- 80 taccarvi poso immenso. Ma se si rompono corde di canapa 0 d’ac¬ ciaio, mentre debbano reggier soverchio peso, che dubbio doviamo noi bavere che non si sia per strappare anco una corda d’acqua? anzi si strapperà questa tanto più facilmente, quanto le parti del- 1 acqua, nel separarsi l’uria dall’altra, non hanno da superare altra resistenza elio quella del vacuo succedente alla divisione; che nel ferro o altra materia solida, oltre alla resistenza del vacuo, vi è quella grandissima del tenacissimo attaccamento delle parti, del quale man¬ cano le parti dell’acqua. Si strappa dunque il ferro AB, fermato in A, mentre in B se gl* attacchi, vgr., un peso (li 100™ libbre ; 40 adunque quando esso ferro AB fusse tanto lungo che pesasse 100™ li¬ bre, non potrebbe regger sé stesso, ma si strapperebbe. So dunque WKm 6 AGOSTO 1630. 129 [ 2043 ] (e sia un problema annesso a questo, ma però degno d’esser saputo) noi volessimo sapere sino a quanta lunghezza si potesse estendere un fil di ferro, sì che, attaccato in alto, reggesse sè stesso, ma non in lunghezza maggiore ; preso 2 o 3 palmi di esso filo, qual sia, per esempio, AB, attaccheremo in B un peso, e questo andremo conti¬ nuatamente accrescendo, sì che esso filo AB si strappi; e trovato elio si ò rotto per il peso, vgr. a , di cento libre o non prima, si dirà tal co filo poter sostenere Binò a 100 libre di sè stesso: e perchè la parte BA è, per esempio, lunga un braccio, e pesandola troviamo che pesa un’oncia, e le 100 libre contengono 1200 once, adunque il fìl del ferro AB sosterrà 1200 braccia, meno un momento della sua propria lunghezza. E qui noti V. S. Bl. ma che l’esperienza fatta una volta con un filo di qualsivoglia grossezza ci mostra la gagliardia di tutte le corde fatte del medesimo metallo: sì che se, vgr., una corda da cetera d’ottone reggo 10 libre di peso per appunto, o se 10 libre di tal corda sono un filo lungo 3000 braccia, tutte le corde del me¬ desimo ottone, di qualunque grossezza, sosterranno sè stesse sino alla co lunghezza di 3000 braccia e non più ; avvenga che la corda 4 volte più grossa di un’ altra non è altro che 4 di tali corde più sottili, onde conviene che possa reggere il quadruplo dell’altra per appunto. Bora tornando al sifone di V. S., nel quale l’acqua deve salire por attrazzione a perpendicolo sino all’altezza di 84 palmi, per perpendi¬ colo dico ciò essere impossibile, perchè la sua corda non è sì gagliarda, ma si strappa anco in assai minor lunghezza. Nò ci è di sollevamento l’essere il sifone non eretto a perpendicolo, ma inclinato, essendo che la lunghezza dell’inclinato, et in conseguenza la quantità dell’acqua in esso contenuta, è tanto maggiore, che ricompensa appunto la resi- 70 stenza maggiore nell’ esser alzato a perpendicolo. E qui parimenti noti Y. S. che l’essere i sifoni più longlii o più stretti non diversifica nulla circa ’l potersi attrarre a minore o maggiore altezza; e se, vgr., in un sifone largo come una paglia, attraendo, non si può far salir l’acqua se non all’altezza di 20 braccia, in nessun altro sifone, di qualsivoglia larghezza, si farà montare ad altra altezza: ma di tutti i sifoni è determinata la lunghezza medesima, possibile per l’attrazzione; perchè delle corde (per così dire) d’acqua tanto croscio la robustezza, cioè la loro grossezza, quanto il peso da reggersi, cioè la quantità dell’ acqua. Ma di questo e d’altri problemi intenderà V. S. in altro tempo. 130 G — 8 AGOSTO 1G30. [2013-2044] Sono stato li mesi passati a Roma, per licenziare i Dialogi clic so scrivo esaminando allungo i 2 sistemi massimi Tolemaico o Copcr- niceo in grazia del flusso o reflusso; et li avendo finalmente superato alcuno difficoltà, li ho hauti licenziali e sottoscritti dal Rev. mo Padre Mostro, Maestro del Sacro Palazzo; et se ora altra stagione, mi sarei fermato lì e fatti stampare, o vero gPhaveroi lasciati in mano del- PEcc. rao S. Pri.° Cesi, il quale si sarebbe presa tal cura, come ha fatto di altre mie opere; ma S. Kcc. za si sentiva indisposta, o, quello che è poggio, liora s’intendo che sia in estremo. Por questo andava cor¬ cando di stampargli qui, ma non vi sono caratteri nò compositori da niente; et i tempi tanto fortunosi non mi lasciano applicar l’animo do a Venezia. Favoriscami in grazia V. S. 111.®* dirmi come stanno costì in questa materia, acciò possa pigliar qualche risoluzione, che di tanto gli terrò obbligo particolare. Quanto poi a quello elio ella dice del lungo silenzio, non veggo che la nostra corrispondenza ricerchi il pigliarsi altra briga, salvo che quando ci nasca scambievole bisogno in coso di lettere, dalle quali sono molto diverso e separato lo cerimonie; et a me solamente tocca a domandarne dispensa da V. S. lll. rmt e me la prometto dalla sua benignità, pronto a compensarla con altrettanta prontezza in ese¬ guire i suoi comandi, qualunque volta ella si degnerà di onorarmene, 100 sì come istantemente ne la supplico. Et revereutemeute gli bacio le mani, e la prego con occasione a ricordarmi servitore devotissimo alli 111. 10 ' SS. ri Bartolomeo Imperiali e Andrea Spinola il filosofo. Pi Firenze, li G di Agosto 1G30. Pi V. S. lil. ma Pev. u ‘° et Obblig. mo Ser. rt) Galileo Ila.* 2044. GALILEO ad [ALESSANDRA ROCCIIINERT BU0NAMIC1 in IVatoJ. ■Bellosguardo, 8 agosto 1690. Bibl. Nnz, Flr. Mas. Gal, P. I. T. IV. car. 77. — Autografa. Molto Ill. re Sig. ra Col. ma Non saprei attribuire ad altro elio alla mia mala ventura, elio sempre mi traversa le cose più desiderate, un tanto dispendio di Lett. 2043. 99. benignità, pronta a — 8 AGOSTO 1630. 131 [2044] tempo quanto si ò interposto tra la data della sua cortesissima let¬ tera 1 " e’l ricapito, in distanza non maggiore di 10 miglia; quella fu li 28 di Luglio, e questo li 7 d’Agosto, intervallo di 11 giorni o 11 notti: e quello elio pivi mi travaglia ò la contumacia nella quale sarò, per tutto questo tempo, incorso nell’animo di V. S., la quale, sapendo di havermi scritto, dal non veder risposta mi haverà sen¬ io tenziato per un solenne villano; dove che io, non sapendo, nò anco sperando o pretendendo, un tanto favore, non ho sentito in quei giorni altra alllizzione cho quella della sua assenza: ma giuro beno a V. S. che ’l gusto repentino et inaspettato lia più che ricom¬ pensata la proroga degl’11 giorni. Voglia Dio cho ’l ritorno della mia risposta non sia altrettanto lento, onde il sinistro concetto della mia scortesia faccia tal presa nell’animo di V. S., che malagevol¬ mente possa eradicarsi. Quando intesi in Roma l’eroica resoluzione intrapresa et effet¬ tuata da lei (2) , formai tal concetto del suo valore, che nulla più de- 20 sidcravo che di vederla; e credami che questa fu una delle causo primarie che affrettò il mio ritorno, il quale forse liarei prolungato qualche mese di più: ma perchè oltre a una semplice vista havevo aggiunta la speranza di poter gustar della sua conversazione, sti¬ mando che ella fusse per stanziare in Firenze, giudichi bora V. S. quale io mi ritrovi, defraudato di un tale assegnamento, mentre veggo di presente la sua assenza e temo la continuazione, per quanto ri¬ traggo dallo parole che vo raccogliendo da i suoi intrinseci. 'Ecco ’l giudizio human come spesso erra. Assai men grave era la sua lonta¬ nanza di 500 miglia, mentre io non l’havevadi presenza conosciuta, so che questa di 10, dopo V haverla veduta e sentita. Questo che dico di V. S., ha ’l medesimo riguardo al S. suo con¬ sorte, esso ancora tornato in queste parti più desiderato che aspet¬ tato, al quale un eccesso di cortesia e di affezzione, evidentemente mostratami, mi liaveva saldamente obbligato, sì come perpetuamente mi terrà; dalla conversazione del quale mi promettevo utile e di¬ letto particolare. Dora non mi resta altra consolazione cho quella cho sentirò in servire amendue, mentre io venga honorato de i loro comandamenti, de i quali gli supplico con efficacia pari alla pron- Lett. 2044. 18. che 'I diigiuto repentino. Cfr. Voi. VII, pag. 10, nota 5.— (‘l Cfr. u.° ‘2013. «’> Cfr. li.® 2007, liti. 15-18. 132 8—10 AGOSTO 1630. [2044-2045] tozza che troveranno in me in esequirgli; la quale conosceranno in¬ finita, se bene in forze molto debili. 40 Favoriscami di baciar io mani in mio nome ni molto I. S. Ca. r suo consorte, al molto R. S. Can. 00 suo fratello alla S. ra sua madre, et a tutti di casa sua ; et il S. gli conceda il colmo di felicità. Da Bell. do , li 8 di Agosto 1630. Di V. S. molto I. 2045 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Fireni*. Roma, 10 nKonto 1630. Bibl. Naz. Fir. Msr. Gal., P. I, T. IX, car. 206. — Autografa. Molto 111.** S. r e Rron Col. mo Nostro Signore ha riservata una pensione di cento scudi romani sopra una Mansionari del Domo di Brescia, conferita a un cappellano del Sig. r Card. 1 1,o- dovisio, quale starà qui in Roma duranti i romori di peste e guerra, e promet¬ terà pagare detta pensiono a V. £$.; nè credo che si porosa senza dispensa con¬ ferire detta pensione a un bambino 10 , e la dispensa sarà difficilissima. Però io giudicarci ben fatto farla spedirò in persona del Sig. r Vincenzio con dispensa, elio sarà pivi facile, overo in persona di V. S. Starò attendendo i suoi coman¬ damenti, c la servirò di cuore. ITaverà poi intesa la perdita del Sig. r Princ. Cesia, clic sia in gloria. Mons. r io Ciani poli, il P. Maestro 10 e il F. Visconti li baciano le mani, et io li fo humilia- sima riverenza. Di Roma, il 10 d’Ag.° 1630. Di V. S. molto Ill- re Devotissimo e Oblig."® Ser. r * e Dis. 10 [S]. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto IU. r * Sig. r e P.ron mio Col.™ Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. .. _ „ Firenze. 42. Can.*° mi fratello — “> Bbnbdktto Boochikkri. <*> Forse Gaulbo di Vikcbkzio Galilki e di Sbbtima Bocohikbbi, nato il 6 dicembre 1629. <*> Niccolò Riccardi. [ 2046 ] 10 AGOSTO 1630. 133 2046 . GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 10 agosto 1030. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IX, car. 204. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Troppo avara mi riesce V. S. di poche parole, che pure ci frutterebbero tanta consolatione. Desideravo qualche avviso del suo arrivo, dell’udienze datoli da’Prin- cipi, dell’applauso fattoli dalla patria. Qua da N. S. si è parlato di lei spesso c con honorcvolezza. Egli ha sollecitato me porciìò io ricordassi al datario la spo- ditiono della sua pensione; et bora, senza haver bisogno di memoriali, sponta¬ neamente S. S. tò l’ha assegnata, et ha fatto crescere li 60 scudi fino in cento l,) . V. S. mi scriva una lettera, che io possa mostrarla con gusto a S. S. tlX Di questa buona nuova io chiedo la mancia. Vorrei cose di V. S., ma, per io levarli la fatica, haverci caro che si servisse del S. r Peri, et in tanto mi facesse veder la diligenza di cotjcsto] nobile ingegno. Chiedo la dimostrationc di questa propositione : Se un mobile dopo haver disceso qualche spatio mantenessi velo¬ cita uniformo, in tempo eguale passerebbe spatio duplo al passato. Scrivo con fretta: forse non mi dichiaro con pulitezza; però ella m’intende. Per vita sua, non mi neghi questo desideratissimo favore, et il S. r Dino le potrà levar la fa¬ tica dello scriverlo. Il S. r Marchese e ’1 S. r Giorgio lt) lo fanno mille saluti. Aspettiamo tutti il suo ritorno; et il nostro S. r Antonio le prepara con la tiorba e col canto ricrea- tioni angeliche. Si conservi sana, come facciamo noi a dispetto delle pesti e dello 20 guerre. Prego Dio che la consoli con lo meritate contentezze. Di Roma, il dì 10 d’Agosto 1630. Di V. S. Ecc. ma Dev. mo Ser.™ S. r Gai. 0 Fir. Gio. Ciampoli. j Fuori, d'altra matto: Al molto 111.» et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col.™ Il Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. (»> Cfr. n.° 2046. (*) Cfr. n.° 2037, liu. 9. 134 11—17 AGOSTO 1630. [2047-20481 2047 *. ELIA DIODÀTI a NICCOLÒ FA BUI DI PKIRESC. Ginevra. 11 agosto 1630. Biblioteca N’azionale in Parigi. Food frangali, n. «Mi. Corrc«ponilanc# do r*ire«e. Dlror*. T. 10, car. 220. — Autografa. .... Au moia d’Octobro dernior io recous dea letlrei do Florence do Mona/ Galilei par loaquelles il me nmndoit qu’il acheveroit cet hyvcr son livre dea causra du llux et reflux do la mer, lcsqucllos assignant au niouvoment circulaire do la terre, il prend ocoasion d’catnblir lo syatomo de Copernic par dea raiaons non cncorea diete*, et qu’asaotiróinont rirapres8Ìon en seroit faide à Pasque! dernier. Depuia ie luy ay oscript, sana avoir eu de luy nulle responso uy nouvallea du livre. La pesto et la guerre ont ostò toute la communication d’italio par torre; si voua l’avez par la mer, io vou» aupplio Lès-huin- blement prondro la peine d’on escrire A quelc’un do voa amia, tant tonchanl lo livro, h’ìI est imprimé, quo touchaut l’nuteur, h’ìI est cn vie ot en santi*, et me Taire part de co quo vou8 on apprendi - ©/., ot au cas quo lo livro fdat imprimé, douuer unire pour on avoir 10 quelquoa oxemplairos, dont io vous supplio, que par vostro moyen i’on pui se recouvror un, qu’il vous plaira onvoyer b Lyon à Mons. r Cardon 1 ’’, qui me lo feroit lenir, auquol i’en rembourseray le prix, aelon que vous ino l’ordonnoréi.... 2048 **. VINCENZIO LANCIERI a [GALILEO in Firenae], Roma, 17 agosto 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 208. — Autografa. Molto Ill. r ® Sig. r et P.ron mio Oss. mo Conformo al comandamento di V. S. molto I. ho pagato il sarto, conio potrà vedere dall’aggiunta ricevuta {,) . Questi Ecc. m ' mici SS. ri {t) rendono a V. S. infinite grazie della memoria elio conserva di loro EE., e mi comandano elio io li restituisca i saluti ceni tu plica ti: o la Sig.™ Ambasciatrice mi fa dirlo clic, in mandarlo il favore promesso, attenda alla sua comodità, perchè lo sue grazie li giungeranno sempre in tempo; o la prega di continuare a protegero l’Anna Maria w , il padre della quale le fa huini- lissima reverenza. Qui ancora si dicono gran coso e si sentono molte ciarle intorno alla causa io criminale della quale V. S. desidera esser ragguagliata; ma in sostanza passa <** Cfr. n.® 1962. c»i Kranckhco Niccoli*! e Catrrika Rigo ardi 1,1 Giacomo Cardo». Niccolixi. ,s> Non ò prosoutemouto allogata alla lettora. '*i Anna Maria Vaiami. 17 — 24 AGOSTO 1030. 135 [2048-2049] con tanta sccrotczza, clic niente si può affermar di sicuro: tuttavia dell’amico 05 clic lei accenna, se ben si ò qualche poco imbrogliato nell’ esamina, pare si possa sperar bene, riguardando alla retta intentionc e natura del Principe, elio senza gran causa non verrà a risolutioni straordinarie contro persona cosi qualificata. Per la moltitudine do’ carcerati si dice clic P intitolano la Causa Magna, clic insieme con altri rispetti fa credere alla Corte che si voglia procedere con esat¬ tezza e rigore. Nò d’avantaggio so dirne a V. S., alla quale, insieme con tutti i servitori di questa Casa, fo devotissima reverenza. 20 Roma, li 17 Agosto 1030. Di V. S. molto lll. r0 Devotiss.'" 0 Ser.** "Vincenzio Langieri. 2049. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Ilo ma, 24 agosto 1630. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 212. — Autografa. Sul di fuori, accanto all’indirizzo, si leggo di mano di Gai.ii.ro: X). BGIlGCl.* 0 I 1 '. : d* elio cfr. Voi. XIX, Doo. XXIV, c, 2). Molto 111/ 0 Sig. r o P.ron mio Col. 1110 Per molti degni rispetti, che io non voglio mettere in carta bora, oltra al¬ l’essere mancato di questa vita il S. r Principe Cesia, che sia in gloria, crederei che fosse ben fatto che V. S. molto lll. ro facesse stampare il suo libro costi in Firenze, e lo facesse quanto prima. Ilo trattato col Padre Visconti so questo può bavere difficoltà : mi ha risposto clic non ci è difficoltà di sorto alcuna, e che desidera sopra modo che venga alla luce questa opera. Quanto alli interessi del Padre Don Orazio (,) , sappia elio lo cose vanno se¬ gretissime, o assolutamente non credo che si possa affermare nò bene nò male, io Dal volgo si ragiona diversamente : altri fanno il pericolo grande, altri tengono clic le cose passaranno bene. Io per me non so che mi credere: questo si bene è verissimo cd indubitato, che i Padroni sono benignissimi. Ilo poi publicata la nova che ini dà della sanità grande elio si gode in co¬ leste felicissimo bande, e la vado publicando tanto più volentieri, quanto che con mio grave dolore haveva a’ giorni passati inteso, che lo cose passavano male. Del tutto lodato Dio, ohe ci conservi c doni la sua grazia. Quel dirmi poi che l’ap¬ parecchio della vindemia ò così sontuoso e per la quantità e per la qualità del vino, mi ha fatta venire una ardentissima voglia di un di quei fiaschi antichi sudici, che non hanno altro di bello in apparenza che quello artificioso turacciolo io di paglia, c dentro sono ripieni di preciosissimo vino. (*) Grazio Morakdi. l*i Cfr. u.° 2048, liti. 10-18. 136 24 AG08T0 1630. [2049-2060] Io poi sto Lenissimo, per grazia di Dio, e mi ritrovò affatto libero della mia indisposizione, e procurarò mantenermi. Se li pare opportuno, inchini il mio nome al Ser. mo Gran Duca e a tutto le A A. Ser. m6 , e mi ricordi servitore di singoiar devozione all’ Ecc. ,n0 Sig. r Duca di Bracciano (l) . Questa sera mando la sua lettera al Sig. r Stelluti, e a lei bacio lo mani. Di Roma, il 24 di Ag.° 1630. Di V. S. molto Ill. ro In questi giorni apparisce una macchia nel sole, aggregata di molte, la quale tiene in lon- ghezza più di un terzo del diametro del sole, ed io no ho numerato sino a 58 macchie che la com¬ pongono, cosa veramente mostruosa. Mi vado poi pigliando gusto nella osservazione dei Pianeti Me¬ dicei, predicendo di sera in sera le constitu/.ioni, etc. S.* Gal. 0 Fuori: Al molto 111» Sig. r e I’.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser.' 0 » Firenze. co Oblig. mo Ser.» e Dia. 10 Don Benedetto C. 2050 *. GIOVANNI OIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 24 agosto 1630. Bibl. Nttz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. IX, car. 210 — Autografi il poscritto e la lottoacrixtono. Molto 111.» et Ecc. ,no Sig. r e P.ron mio Col." 10 Non mi ò succeduto, come volevo, il prevenir V. S. con Poflitio di condoglienza per la dura perdita fatta del nostro Sig. r Principe Cesi, che sia in Cielo, perché lui la settimana passata sopraffatto non meno dal dolore che dalle straordinarie occupationi di questa mia carica. So che ella si degnerà di gradirlo adesso con non minor pietà, e che, dato qualche luogo alla consolatione, soffrirà dall’altra banda così duro colpo come opera di Dio, che dispone il tutto per il nostro me¬ glio. Piaccia alla divina bontà consolar me con la lunga e felice vita di V. S., alla quale con tutto l’animo bacio le mani. Di Roma, il dì 24 Ag. t0 1630. Di V. S. molto 111.» et Ecc. m » <'l Paolo Giordano Orsini. 24 — 30 AGOSTO 1G30. 137 [2050-2051] La morte del nostro S. r Principe, giungendomi inaspet¬ tata, mi è arrivata acerbissima. Con la necessità non è pos- sibil contrastare, et è prudenza e pietà il conformarsi al voler divino. Scrissi a V. S. quindici giorni sono (,) , e le diedi avviso della gratia della pensione del li 100 V t!i fattali da N. S. Fu buona P inspiratione clic ini venne di spinger la modestia di V. S. a parlarne. Eccomi qua tutto suo por ri¬ cever sempre i suoi comandamenti per consolationi. Ilo 20 ricevuto dal S. r Dino (t) una gentilissima lettera, et a lui le relationi di V.S. luivevano già acquistato l’affetto mio. Dev. mo Ser. r ® di core S. r Galileo. Fir.° Gio. Ci am poli. Fuori : Al molto Ill. ra et Ecc. mt> Sig. r e P.ron mio Col. n, ° 11 Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. 2051 **. PAOLO COMBINI a [GALILEO in Firenze]. Genova, 30 agosto 1030. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 139. — Autografa. Alla lettera ò allogato anche oggi nel ms. (car. 140) il < foglio » che il mittente vi includeva (cfr. liu. 15), o che noi riproduciamo in facsimile. Molto Ill. ra S. r mio Oss. ,no Lungo tempo fa che io sono, come ella sa, di voto e partiate del valore e della persona di V. S.; nò punto hanno o sminuito o allentato questo affetto nò i varii accidenti della mia vita nò la spessa mutazione che da qualche anno in qua ho fatta di paesi: anzi questa, per ultimo, mi ha aperta la strada di doverla riverir con queste poche righe, come affettuosamente faccio. L’occasione è, che il S. r Cav. r Francesco Buonamici, havendo risaputo come un padre Gesuita 131 , del qual si diceva havesse trovata la via di poter sapere la lunghezza del mondo, in qual si voglia parte che ci trovassimo di là del primo meridiano di Tolomeo, io era mio amico, mi comandò mi facesse da detto Padre spiegar questa sua in¬ venzione, mentre stavamo tutti c tre in Madrid, e mi aggionse essere ciò servizio o gusto di V. S. Io, che per altro volentieri servivo il S. r Cav. ro , quando seppi dover nell’istesso tempo far ancora servizio a lei, non solo volentieri, ma con giubilo, lo foci, ed in una sessione che fecimo un doppo pranzo in casa mia, ri¬ cavai dalla viva voce del Padre quanto va nell’incluso foglio. <*> Cfr. n.o 2046. I 3 ' Cristoforo Borro: cfr. n.° 1982. <*> Di.no Peri. XIV. 18 30 AGOSTO 1630. 139 [2051-2062] Può essere che a quest’ hora V. S. per altra parte e più copiosa li abbia ricevuta contezza del contenuto; ina io, che ambisco solo il cominciare a divenirle tribu¬ tario, almen delle cose altrui, già che non Ho delle mie, ho voluto ad ogni modo inviarcelo, supplicandola si serva di tener di me tanta memoria, quanta io con- 20 servo osservanza verso di lei. Mi condoglio con questa occasione con V. S. della perdita che tutti i virtuosi han fatto nella morte dell’ultimo S. r Duca di Acquasparta. Dio gli liabbia dato il Cielo, del qual solo veramente era degna habitatrice quell’anima celeste, e di là c’ impetri che godiamo lungamente la persona di V. S., in cui ricompensiamo tutte l’altro perdite simigliatiti. Qui si vivo in continui timori di questo internai contagio, che per tutto ci circonda o poco meno. Si ò dubitato non ci finisse di attorniare, per alcune male nuovo volate da costà, ma mi pare non si verifichino; sicomc non si ò verificata una nuova clic corse in questa piazza duo dì sono, della caduta di Casale, la 30 quale, convertita in nuova della morte dello Spinola' 0 , finalmente bugiarda in tutto, svanì. Piacia a Dio che i nostri peccati non chiedano dalla sua giustizia maggior gastigo, mentre io da S. D. M. prego a V. S. ogni colmo di felicità e contento. Di Genova, 30 di Ag.° 1630. Di V. S. molto 111.” Ser. vo in Ch. ft Afl>° Paolo Bombini. 2052 . PIETRO GASSENDI a GALILEO in Firenze. Parigi, 30 agosto 1030. Dallo pag. 86-37 doli’edizione citata al n.» 1729. Viro virtutis aeternuin spectandae Galileo Galilei, Magni Hetruriae Ducis Mathematico, Petrus Gassendus S. Non scripsi ad tc, Vir Illustris, ex quo (i) misi observationem eclipseos lunaris anni 1628, et grates simul, quas potui, persolvi prò missis ad me tuia illis prae- claris voluminibus. Scribo iam rursus, occasione et eclipseos illius Solaris quae j jG tt. 2052. 5. pentitivi promiaaia. Cfr. n.° 1858, lin. 16-21. — (>) Ambrogio Spinola. Ut Cfr. n.» 1858. 140 30 — 81 AGOSTO 1630. [2052-2053] 10 Iunii nuper accldit, et libelli huius qualiscumque, qui, quod prodierit meo nomine, haud debuit libi esso ignotus. Circa eclipsim itaque eodem usua sum apparatu, quo circa illam quae con- tigit anno 1621, et de qua etiam ad te scripseram (i \ nisi me mea memoria fallii io Veruni circulum usurpavi duplo propemodum maiorem, qui, cimi certiorem me fecerit quantitatis cclipseos, caetera tanicn incerta reliquit, praeter momentum quo eclipsis coepit. Hinc duo illa quae pronunciare de hoc defectu possimi, haec sunt: unum, eclipsim nobis coepisse in hac civitate, sole adhuc elevato 14 gr., 40 min., hoc est bora 6, min. 1G i/g; alterum, obBcurationem solis maximam fuisso digit. 11, min. 32. Caetera vero, ut vestigium primum eclipseos apparuisso in circulo citra telescopium superiore destra parte 35 grad. n supremo circuii puncto; medium eclipseos contigisse sole alto (5 grad., 20 min., seu bora 7, min. 11 1 j ; limbum exteriorem falcis illustratae fuisso tum minorem semi-cimilo 10 grad.; aolem oc- cumbenteni bora 8 fuisso adirne obscuratum digit. l a ;<; et si quae sunt huius- 20 modi, asserero non perinde ausim. Utcumque sint, indico omnia, quod hoc modo nosse nihil noceat. Ad libellum quod attinet, is non est qui mereatur (ibi bonas aliquot subdu- corc lioras. Ilabo illuni solimi, ut pignus continuae mene in te observantiae ac testimonium memoriao iugis qua tc absentem veneror et aflectissimo complector. Spero ino Constantinopoli circa Natalitia futurum. Tu si mea obscrvationo illic, Alexandriao aliisvo in locis Orientis indigeas, aut ante discessum significa, scilicct ante initium Novembris, aut, cum illuc appulcro, destina ad mo literas apud lllustrissimuni, quicum co concessiirii3 sum, Christianissimi Regia oratorem: videlicet ubivis gentium habebis me semper et obscrvantissimum et amantissi- so mum tui. Tu mo modo ama, ot maximo artium literarumque ingcnuarum bono aoternum vivo ot vale. Parisiis, III Kal. Septemb. M.DC.XXX. 2053 * ESAÙ DEL BORGO ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Madrid, 31 agosto 1630. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4958 (non cartolata). - Autografa. ....L’occhiale del Galileo W presenterò in mano al Re nella prima audientia, chè mi sono trattenuto questi giorni por dar tempo a che si foni ischi un ingegnio che lo so¬ stenta, con gran comodità di chi so ne serve, che è 6tato disegno di Cosimo Lotti, ot mi assicuro che ronderà tanto più grato il regalo.... (') Cfr. n.° 1729, lin. 80 e se*. «»» Cfr. n. 2038. [2054-2055] 2 — 4 SETTEMBRE 1G30. 141 2054*. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenze. Roma, 2 settembre 1680. Blbl. Naz. Fir. Appendice al Mss. Gal., Filza Favaro A, cor. 9. — Autografa. Molto 111.™ mio Sig. r Oss. mo Doppo la sua partita di qua non ò Lauto nuove di lei; pur voglio credere arri¬ vassi costà con buona salute. Cosi piaccia al Signor, e conservarla lungho tempo. Quando fusai con suo comodo, in una o pili partite, pagare al S. r Francesco Bontalenti di banco di costì li s. 54, b. 15, che mi deve V. S. per le robbe che prese, me ne faria somma gratia; et scusimi se ò preso ardire di domandarceli, e non aspettare vanghi da lei a rimettermeli, ohè queste turbolenze che corrono per il mondo causano una strettezza di moneta per tutte le piazze d’Italia, che non si può più negotiare, e va molto male per chi à di bisognio. Il Signor Dio io ci metta la Sua santa mano e pongha fino a tanti flagelli, et a V. S. dia sanità e la Sua santa gratia. Li bacio le mani et me li offerisco suo servitore. Roma, 2 7mbre 1630. Di V. S. molto 111.™ Ser. rn ÀfiT." 10 Gio. Silvi. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r mio Oss. rao IL S. r Galileo Galilei. Firenze. 2055*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. [Àrcetri], 4 settembre 1630. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. J, T. XIII, car. 116. — Autografa, Amatiss. mo Sig. r Padre, Per mia buona sorte mi è accaduto il poter in qualche parte supplire alla minore delle molte disgrazie che V. S. mi disse esserle accadute, ciò è d’esser¬ seli guasto 2 barili di aceto, in vece de i quali io ne ho provvisti questi due fiaschi che gli mando; il quale, in questi tempi, ho havuto per gratia, e mi pai- ragionevole. Accetti V. S. la mia buona volontà, desiderosa di poter, se fossi pos¬ sibile, supplire e concorrere con gl* effetti ad ogni suo bisogno. 142 4—7 SETTEMBRE 1630. [2066-2066] S. r Violante, o noi insieme, la ringratia assai de i ranocchi o zatta, gustando non solamente del dono in sé, ma molto più della diligenza c sollecitudine di V. S. Madonna hiermattina m’impose eli’ io dovessi domandar a V. S M se credeva io che della elemosina havuta dal Sor. mo 0. Duca si dovessi far ringratiamento, poi che, per havercela portata qui un lavoratore elio sta al llarbadoro, non se no fece ricevuta. Io ino lo scordai, et bora prego V. S. a darmene indizio con suo comodo, et in tanto spero di sentir anco buon esito della supplica che si feco hiermattina. La saluto in nomo di tutte, e prego L'ostro Signor che la conservi. Li 4 7mbro 1630. Sua Fig> Aff."» Suor M. Celeste. Nel fiasco più vecchio dell’aceto vi sono state alcune poche roselline. Fuori: Al molto Ill. ro et Amatiss. mo Sig. r l’adro Il Sig. r Galileo Galilei, a Lello Sguardo. oo 2050 *. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 Bettembro 1630. Bibl. Naz. Fir. Appendice ni Mss. Gai., Filza Futuro A. car. 10. — Autografa. Molto Ill. ro mio Sig. r Oss. 1 " 0 La passata li scrissi altra mia, et la preghavo mi avessi favorito con suo comodo pagare al S. r Francesco Bontalenti di banco li 8.54, 1). 15, moneta che lei mi deve, con scusarmi anco se avevo preso sccurtù di domandarceli, chò la mala stagione elio corre lo causava. Ilo di poi questa mattina ricevuto una cara sua delli 8 del passato, che deve haver fatto la in qualche loco, et per essa visto voleva li avisassi a chi doveva pagare il denaro, elio ne ò hauto gliusto. Però sopra ciò li confermo il medesimo, che al S. r Rontalenti sarano ben pagati. Comandimi se in altro la posso servire, chò resto pronto o con desiderio im- piegharmi in suoi comandamenti. Li bacio le mani, et li pregilo dal S. r Dio quel io ■ vero ben cho desidera. Roma, 7 di 7mbrc 1630. Di V. S. molto III.™ Ser.™ Aff. m0 Gio. Silvi. Fuori: Al molto 111." Sig. r mio Osa. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. [2057] 10 SETTEMBRE 1630. H3 2057 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Firenze. Arcetri, 10 settembre 1080. Bibl. Naz. Fir. Msb. Gal., P. I, T. XIII, car. 118. —Autografa. Amatiss. ,no Sig. r Padre, Non detti risposta all’ultima sua per non trattener troppo il suo servitore; adesso, con più comodità, ringraziandola delle sue tante amorevolezze, gli dico che in presentando le bellissime susine a S. r Violante, hebbi gusto grandissimo per veder l’allegrezza e gratitudine clic ella ne dimostrò, sì come anco S. r Luisa delle due pesche, quali gli donai, perchè queste più di tutte P altre frutte gli gustano. Ricevo per mortificazione il non esser sortito il negozio di Madonna, perchè forse liavevo troppo desiderio che, col mezzo c favore di V. S., ella ricevessi io qualche benefizio: pazienza; staremo aspettando Tesilo dell’altro di Roma. Hiersera la Ser. ma ci mandò a presentare una bella cervia, e qua si fece tanta allegrezza e tanto romore quando fu portata, che non credo che tanto ne facessero i cacciatori quando la presero. Adesso clic comincia a rinfrescare, S. r Archangiola et io, insieme con le nostre più care, facciamo disegno di star a lavorare nella mia cella, che è molto ca¬ pace; ma perchè la finestra è assai alta, ha bisogno d’esser impannata, acciò si possi veder un poco piò lume. Io vorrei mandarla (cioè li sportelli) a V. S., acciò me la accomodassi con panno incerato, che, quando sia vecchio, non credo die darà fastidio; ma prima havrò caro di sapere s’ella si contenti di farmi 20 questo servizio. Non dubito della sua amorevolezza; ma perchè l’opera è più tosto da legnaiuoli che da filosofi, ho qualche temenza. Dicami adunque libera¬ mente l’animo suo, ch’io in tanto, insieme con la Madre badessa e tutto le ami¬ che, la saluto di cuore, e prego Dio benedetto clic la conservi nella Sua gratia. Di S. Matteo, li 10 di 7mbre 1630. Sua Fig. ,n Aff. ma Suor M. Celeste. Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss." 10 S. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 2067. 17. cioì li sportelli è aggiunto iu inargiuo, con sogno di richiamo dopo mandarla. — 144 13 SETTEMBRE 1630. [2058] 2058. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 settembre 1630. Bibl. Naz. Flr. Msa. Gal., P. I, T. IX, car. 210. - Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col. n, ° llorn solamente ricevo la lettera di V. S. molto III.”, e però non ò possibile questa sera trattare col Padre Maestro. Dimani farò il servizio, con quella mag¬ gioro destrezza che sani possibile e ci bisogna per un rispetto che non posso mettere in carta: di tutto quel elio seguirli li darò conto. Scrivo nell’anticamere del Sig. r Card. 1 Padrone, al quale ho letta solamente quella parte della lettera di V. S. elio concerne alla nova che mi dò, cara quanto se fosse della mia patria stessa, della sanità di Firenze e dello Stato del Ser. ,M0 Gran Duca mio Signore, che Dio conservi; e l’ho letta insieme con un simile avviso che mi dà il molto Itev. do Padre Abbate Don Serafino di Siena: e la io nova è stata gradita da S. Emin.“ È ben vero che havendomi scritto V. S. che cotesti affannoni fanno apparire il male, che ò lontano, lo fanno, dico, ap¬ parire vicino, li ho soggionto che V. S. n* ò cagione con la sua invenzione del¬ l’occhiale, e elio però bisogna prohibirne l’uso a questi tali; e S. Em. M si mise a ridere. Nel resto, quanto alla pensione, l'ordine è in Dataria che V. S. sia provista di 100 \7 Jl di moneta; ma il provisto di quella Mansionari», sopra della quale si mette la pensione, non vole acconsentire più elio a 50 V d * : e però bisognarli lare assegnamento sopra qualche altro beneficio, come mi hanno detto questi ministri che faranno; o io non mancarò al suo tempo servirla di cuore. E li bacio 20 le mani, facendo humilissima riverenza a tutto le AA. Sor."* 8 Di Roma, il 13 di Tmbre 1630. Di V. S. molto 111.” Humil. 100 e Devotiss. 0 Ser. r8 e Dis. ,a Oblig. mo S. r Galilei. Don Benedetto Castelli. Fuori: [....Il]l/* Sig/ e P.ron mio Col.'" 8 il Sig/ [...] Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser. ma Firenze. [2059-2061] 13 — 14 SETTEMBRE 1630. 145 2059 *. ANTONIO HURTADO DI MENDOZA ad ESAÙ DEL BOftGO [in Madrid]. Madrid, 13 settembre 11630]. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4958 (non cartolata). — Autografa. E dicho a Su Mag. d lo quo V. M. me advierte zerca del antojo ; y olgara rauebo quo Y. M. inbie eoa oste correo por otro bidro (1) , y que bengan mas, por si suzediro otra vez el perderse o quclmirse; y estimara quo se traiga el que V. M. dizo quo està acavando Galileo. Las cartas estan en poder del S. r Protonotario. V. M. acuda a el quo ya las atra remitido al Consojo. Guardo Dios a V. M. muchos aiìos. En Palazio, oy savado 13 de 7bro. Don Ant.° IIurt. d0 de Mendoza. S. r Esau del Borgo. 2060 *. TOMMASO DI LAVAGNA ad (ESAÙ DEL BORGO in Madrid]. Madrid, 14 settembre 1630. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4958 (non cartolata). — Autografa. Aqui ambio a Y. M. la raedida del vidrio y el cordel de la medida elei catìon. Todo el cordel os el tannino del canon estendido asta el termino con que se vee bien. y asta ol nudo es la medida del canon serrado corno vino. V. M. lo embie luego que S. Mag. d queda ya asperando la respuesta. Guardo Dios a V. M. conio deseo. De Palacio, 14 de Set/® 1630. M. Thomas de AlavaGa. 2061 *. ESAÙ DEL BORGO a GALILEO [in Firenze]. Madrid, 14 settembre 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 142-143. — Autografa. Molto 111. S. r mio P.rne Oss. ,no Ilo ritardato alcuni giorni la risposta della cortesissima lettera di V. S. de’ 16 di Luglio passato, per poterli scrivere con più particularità ogni successo Cfr. un.' 2061, 2062. XIV. 19 146 14 SETTEMBRE 1030. [ 2061 ] del’occhiale inviatomi per servitio di S. M. u Cattolica. Lo ricevetti con un cor- riere del Ser. mo G. I). nostro S. r , benissimo trattato, e, por esser assai scomodo a sostentarlo a mano per la sua lungezza, feci faro, con disegno di Cosimo Lotti (,) , un sostegno con tanta curiosità, che nò anco costì penso che si sia inventato ancora cosa migliore, con il (piale si volgo e ferma l’occhiale ad ogni parte con incredibile facilità; se beno per darlo ad intenderò a questi artefici ò bisognato tempo e fatica del Lotti, che 1’ ha assistito gitasi sempre, che si può dare per ben im- io piegato, essendo riuscito assai perfetto: e subito che fu fornito di fare, andai, la mattina do’X, alPaiulientia di S. M. u , a darli conto come m’ era pervenuto il detto occhialo et insieme a presentarglielo, che se ne rallegrò molto per haverlo desiderato con grand’ instantia, o mi comandò che allo quatro di quello stesso giorno, elio secondo il modo di costà sarebbono 21 ora, glielo portasi a Palazzo. Non erano le 20 che mandò tre o quatro imbasciate che andassi subito; clic con P ultima venne I). Tommaso Lavagna, uno delti sua aiuti di camera, genti¬ luomo molto curioso di queste coso, con il quale fumo persone di mia casa a portarlo a S. M. ,k : la quale, subito che li arrivò, mi fece lionore di domandar di me dal Conte do Hiebla, figlio del Duca di Mcdinacidonia, gentiluomo di so camera elio serviva quel giorno, che voleva lo fussi ad instruire del modo che si teneva per servirsene; ma havendone avvisato al detto I). Tommaso, non li feci mancamento nessuno. Subito fumo S. M. u e li Ser. M,i infanti suoi fratelli a metterlo in opera, clic li parvo una cosa di maraviglia, affermando S. M. u clic haveva visto una croce di pietra in un luogo più lontano una lega dello Scuriale, elio in tutto sono otto lego, e miglia di cotesto 2-1; e fece avvisare alla persona di mia casa, che mi dicessi che era pretioso e di suo intero gusto. E stata tanta la frequenza nel’usare di questa curiosità, et li tanti ordini del tenerne conto, che li ò riuscito quello elio a un fanciullo che tiene un uccelletto in mano, che por farli troppe carezzo li stiaccia il capo. S. M. u havanti ieri chiose so bocciale, chò voleva vedere le stelle che V. S. chiama Medicee, vicine al pianeto di Giove, che gliele bavero inviate dipinte di mano del Lotti; e puntando l’oc- ciale, non vede cosa alcuna: chiama D. Tommaso, che fussi a riconoscere li cri¬ stalli et li nettassi, e trova il maggiore clic sta dalla parte di sopra, o, per meglio dire, non vi trovò il detto cristallo. Subito si cominciò ad esaminare ogni cor¬ tigiano clic quivi era capitato (pici giorno, c sino all’ infanti stessi, e non si trovò mai chi no sapessi dar ragiono nessuna; o por disgratia, a piò della finestra dove era solito veder con osso, trovorno il detto cristallo in trenta pozzi, con tanto disgusto di S. M. u , che guai a quello a chi fussi successo tal disgratia, se S. M. lk l’havessi possuto sapere. M’inviò subito quelli pozzetti per il medesimo D. Tom 40 maso, e domandarmi se in Madrid si troverrebbe chi ne potessi fare un altro. Li <‘1 Cfr. li.® 2053. 14 SETTEMBRE 1630. 147 [2061-20621 risposi che era impossibile, perchè solo si lavoravano nella galleria
  • ° o Vero Sorv. 0 di core S. r Galileo Galilei. Esaù Del Borgo. 2062 *. ESAÙ DEL BORGO ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Madrid, 14 settembre 1630. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Modicea 4958 (non cartolata). — Autografa. Alli X del prosoute fui da S. AI. 11 .... e.... li presentai l’occhialo, la cuy tragedia ne vedrà ogni particularità dalla qui congiunta lettera elio scrivo al S. r Galileo; et è tanto il gusto elio S. M. u no haveva riccuto, elio mi ha inviato venti volto a casa, e credo elio in quindici giorni possa farli venire il cristallo. V. S. lll. ma lo dica a S. A. elio me ne aiuti, perchè non ini lascieranno ben bavero; o quello per la Regina, la S. n,a glie lo mandi quanto prima, chè V. S. 111."'* potrà vedere dalli biglietti di D. Antonio de Mendoza e di D. Tommaso Lavagna, che vanno in questa trescha <*>, quello che mi ha fatto scrivere Sua M.*.... Cfr. n.® 2060. < s > Cfr. no.' 2059, 2060. 148 14 SETTEMBRE 1830. [2062-2068] Torno a supplica™ a V. S. 111."* cho m’aiuti con il Galileo: et essendo Ingoine re¬ galarlo, V. S. lll. m * lo faccia faro dal S. r Francesco Medici mio cognato, perdio ne vorrei io uscire bene con S. M.‘* o presto; chè so fusai voglia cho b’ attaccasi, e la regina lo chio- desiW, non no potrebbono far maggior instantia- Se il Galileo avessi di tieni tà nello misure, li potrà far vedere il biglietto di I). Tom¬ maso Lavagna.... 2063 **. CATERINA RICCARDI NIGCOLINI a GALILEO [in Firenze], lioma, 14 settembre 1030. Btbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 119. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.® Sig. r Oss. ,no Perch’io conosco in tante occasioni la cortesia di V. S., non mi maraviglio bora della memoria che eli’ha di favorir le persone che mi son care, come Anna Maria m t la quale, ben che meriti per sè stessa et per lo sue virtuoso qualità la sua protettone, intendo sempre nondimeno elio resti in me medesima il peso dell’obbligo, et per bora le ne rendo particolarissimo gratie. Ilo dato parte in¬ tanto al Vaiani, suo padre, di quanto passa; et perchè egli è un huomo del cer¬ vello che V. S. sa, et ha preso tempo a pensarci, mi converrà aspettar la sua risoluttione prima di poter risponder a V. S. precisamente, che di giusta ragione non doverebbe tardar molti giorni. io Il favoro che V. S. pensa poi di far al S. r Ambasciatore et a me di quel- V occhiale, ci sarà caro straordinariamente, et aspettato et stimato come gioia con particolar nostra obbligatione. È ben vero clic rispetto al pericolo che po¬ trebbe correre per viaggio, per la sospensione del commendo et per le diilicultà che incontrano le lettere, non clic le robe, riceveremmo per maggior favore clic si compiacesse di farlo consegnare in casa nostra alla Sig. ra Caterina mia suo¬ cera, alla quale il S. r Ambasciatore scriverà, per più sicurezza, il modo et quando sia meglio d’inviarlo a questa volta. Et pregando V. S. di qualche occasione di poterla servire, lo bacio le mani. Di Roma, 14 di Sett> 1630. 20 Di V. S. molto 111.® Aff. ma Serva S. r Galilei. Caterina Ricc. dl Nicc. nl Lett. 2063. 17. il mnivìo el — “) Cfr. u.° 2029, lin. 9 10. <*> Axka Maria Vaiahi. [2064] 15 SETTEMBRE 1630. 149 2064 **. SEBASTIANO VENIER a GALILEO in Firenze. Venezia, 15 Kcttenilire IMO. Bibl. Noz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 218. — Autografa In sottoscrizione. Molto 111.™ et Ecc. n, ° S. r Oss. mo De’ 24 del passato tengo le lettere che V. S. Ecc. ma ha voluto scrivermi a dimostration maggior del suo continuato buon animo verso di me; di che es¬ sendone già ben certo, in corrispondenza della mia particolar allettione verso di lei e della molta stima che tengo della persona e sue dignissiine conditioni, vengo con le presenti a renderlene affettuosissime gratie, et ad aggiungerle che, se- bene non ho passato se non bora uflitio con lei di nova attestatone della con¬ tinuata mia ottima disposinone, per occasione delle mie infinite occupationi nel Collegio, dove son entrato al mio arrivo subito da Costantinopoli, non ho però io ommesso di supplir con T animo et di ricercar ancora alle volte aviso di V. S. Ecc. ma Aggradisca per tanto lei questo novo testimonio del dispostissimo animo mio, elio sta sempre congionto con desiderio di poterla in tutte le occasioni servire. È piacciuto a questi SS. rl Ecc. mi eleggermi ainbasciator estraordinario alla M. tK Cesarea; lionore che, seben certo è grandissimo, essendo però di carica, per suoi requisiti, molto pesante, mi convien riuscir consequentemente di particolar incominodo. Questo ancora mentre T aviso a V. S. Ecc."' a , perchè, se in quelle, parti conoscesse ella io la potessi in alcuna cosa servire, me ne possa parimenti porger l’occasione, le aggiungo 1*informatione l,) datami dal P. Fra Fulgenti© (S) intorno li affari di lei, che prego il S. r Dio passino sempre con ogni prosperità. 20 Et le bacio le mani. Di Venetia, 15 Sett.° 1630. Di V. S. Ecc. ma S. r di vero core Fra (sic) Galileo Galilei, Fiorenza. Sebast. 0 Veniero. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. mo S. r Oss. mo Il S. r [Dott]or Galileo Galilei, in Fiorenza. <0 Non è prSSontemente allegata alla lettera. < s > Fulqknzio Micanzio. 150 17 — 21 SETTEMBRE 1630. [2065-2060] 2065 **. ESAÙ DEL PORGO ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Madrid, 17 Bcttombrc 1630. Arch. di Stato in Firenze. Filza Modico» 4958 (non cartolata). — Autografa. 111.” 0 S. r mio P.rne Col. 1 "® Por assicurar il buon recapito dolla lettora per il S. r Galileo ne invio a V. R. Ili,*» qui congiunto un dupplicato, acciò ogli possa compiacere a 8. M. u del cristallo che meli fa chiedere da sua parto per l’occhialo che bì è rotto; o V. 8. III."* sia buon mezzo perchè conseguisoha con ogni prontezza questo suo desiderio, perchè, passato il tempo che no possa © 8801 ’ venuto la risposta, non mi lascieranno vivere, perchè S. M. u ci ò grandemente affettionata. Et alla Sei'."'* Arciduchessa nostra S. r * V. 8. 111."'* li dica che l'occhialo che à scritto alla Madre Priora di haver dato a faro per la Regina, alai è desiderato som¬ mamente; e Y.S. 111."'* lo havrà visto por li biglietti originali ; che fumo con altra.... 2066 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 settembre 1630. Blbl. lfaa: Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 220. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r o P.ron Col."' 0 Io ho presentata la lettera al Rev. mo Padre Maestro di S. Palazzo, c passato l’officio elio V. S. molto 111.™ mi comanda; o ho ritrovato S. P. R. m * assai ben disposta o affezionata a V. S., conforme al solito. Ma quanto al ristretto del stampare il libro, m’ ha detto che era restato in appuntamento con V. S. clic lei sarebbe ritornata in Roma, e che si sarebbero aggiustate alcuno cosolle nel proemio e dentro l’opera stessa, e elio, non potendo olla venire per la malignità de’cor¬ renti sospetti, si contenti di mandare una copia del libro qui in Roma, per agiu- stare insieme con Mons. r Ciampoli quanto bisogna, che poi, fatto questo, lei baverà facoltà di farlo stampare, come li piacerà, in Firenze o altrove. E io, che ho io inteso il tutto, giudico assolutamente necessario che V. S. mandi questa copia, (‘l Cfr. n.- 2061. < s > Cfr. un.l 2059, 2060. 21 SETTEMBRE 1G30. 151 [ 2060 - 2067 ] e qui non si mancarà servirla da me e da Monsignore e dal Padre Visconti, tutto suo. Con che li fo liumile riverenza. Di Roma, il 21 di 7mbre 1630. Di V. S. molto ILl. PB Oblig. mo e Devotiss. 0 Ser. M e Dia. 10 S. r Gal.® Don Bened. 0 Castelli. Fuori: [.. .]ll. r# Sig. r c P.ron Col." 10 11 Sig. r [... GJalilei, p.° Filosofo di S. A. Ser. ,na Firenze. 2067 *. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 settembre 1630. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 222. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto Ill. rft et Ecc. n '° Sig. r e P.ron mio Col." 10 Lessi la lettera di V. 8. a Nostro Signore, il quale la sentì con segni parti¬ colari della sua benevolenza verso di lei, per la quale m’ingegnai di soggiun¬ gere quelli ofìitii che le può persuadere P antica mia devotione o P eminenza de’suoi meriti. Ben ò vero che, essendo poi interrotto il mio ragionamento, mi fu tolta l’occasione di parlare della sua monaca (,) , nò ho fin bora havuto altra opportunità di poterla servire. Può non dimeno rendersi certa eli’ io sia per farlo con quella sollecitudine che devo, stimando mia particolar consolatone l’operare in cose che le possino apportar piacere. Mentre però la prego ad honorarmi con io la frequenza de’suoi comandamenti, le bacio reverentemente le mani e le auguro ogni prosperità più desiderabile. Di Roma, il dì 21 Sett>° 1G30. Di V. S. molto 111. 1 * 0 et Ecc. n,a Fui interrotto nel mezzo della lettera, sì elio non potei legger la parte che toccava alle mona¬ che; procurerò trovare occasione di parlarne. Dei resto ella mi ha sommamente consolato, con la speranza del suo ritorno. Spero che ella non sarà bandita da gl’ editti della sanità scrupolosa, come 20 si trova adesso. Mi rallegro beilo che questi nostri oflitiali si siano ingannati, e che voi altri SS. r ‘ go¬ diate perfetta salute. Aspetto il discorso del nostro S. r Peri (S) . Il S. r Marchese e ’l S. r Giorgio (3) le sono t«l Cfr. n.° 2067, Hn. 10. <*i Cfr. n.® 2046. < s > Cfr. u.° 2037, liu. 0. [2067-2068] 152 21 SETTEMBRE 1630. servitori, e ’1 S. r Antonio {l> compone nuove arie e sonate per il ritorno di V.S. Dev.®° Ser. ro S. r Galileo. Fir« Gio- Ci am poli. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. n, ° Sig. r c P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, a Firenze. so 2068 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 21 settembre 1630. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 144. — Autografa. Molt’ Ill. re et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.® 80 Rispondo tardi alle gratissime lettere di V. S. molto III.™ et Eec. m * l ma la tardanza sarà compensata dalla congionta dell’Ecc. m# Venier ,n , che l’ama cor¬ dialissimamente; o spesso teniamo di lei proposito, et spot in! mento quando vo¬ gliamo radolcir le tanto odioso novelle elio da tutte lo parti vengono, massime dell’influenze correnti. La digressione a parlar di lei ò diversione dello noie et interpositione di gusto. Aspettiamo le cose sue con quella brama che non si pud esplicare. S. E., a quale mostrai la mia lettera, si rallegrò tutto, et disse: Al mio ritorno di Ger¬ mania (per dove è in procinto di partire) forsi sarà in ordine la stampa. io 11 Cesarino, di cui le scrissi bavere ritrovata la clepsidra, ò dato in un’altra bella cosa, ch’egli stima la via certa al moto perpetuo; et questa ò un vaso, in lbrma di una colonella, che dalli capi ha due altri vasi, che paiono li capitelli. In questo, posto una debita quantità di acqua, sbalza fuori da sè, per un spillo pur del medesimo vaso, un mezo brucio, e continua così tanto che tutta l’acqua sia finita, e ritorna neU’istesso vase, et rivoltandosi da su in giù salta fuori dall’altra parte al medesimo modo, et così successivamente tante volte che si vuole. Dice che la farà alzare un brucio o due. Chi l’ha veduta, la stima bella ritrovata. Siamo sani, Dio lodato: Lo prego di tutto cuore a conservar V.S. molto Ill. re et Eec. ,na , e lo bacio le mani. 20 Ven. B , 21 Settembre 1630. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m » Dev. mo Ser. r Ecc. n *° Galileo. F. Fulgentio. I-ett. 2068. 13. — 0) Cfr. n.» 2016, lin. 18. '•*' Cfr. u» 2064. 12069] 21 SETTEMBRE 1G30. 153 2069 *. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 settembre 1G30. Bibl. Naz. Pir. Appendice ai Mss. fini., Filza Favaro A, car. 11. — Autografa. Molto Ill. re mio Sig. r Oss.'"° Con altra mia 15 giorni sono (,) li accusai la ricevuta della cara sua, quale, come li dissi, era stata per viaggio pici del solito. Mi trovo adesso altra sua dclli 9 presente, ricevuta con 1* ordinario di Genova, et per essa visto mi liaveva favorito pagare al S. r llontalenti (t> s. 20 moneta in conto delli s. 54.15, che liene ò dato credito ; e sempre clic con suo comodo segua del resto, me lo avisorà, acciò io possa notarli alla sua partita. Et per non entrare in altre cirimonie, già so quanto lei ò puntuale o desiderosa di favorii] ce]li, et io sempre ne terrò me¬ moria per dove possa mostrarli segni di conrispondenza, io Io mi trovo da 10 giorni in qua in mano del medico per causa di dolor di stomaco, causati da indigestione e flemme biliose, e con tanti rimedi fatti non è possibile liberarmi. Io piglio l’acqua del Tettuc[cio... fjino adesso ne ò 5 fiaschi grandi in corpo, senza miglioramento alcuno. Era meglio fusai stato trebbiano, che forse saria guari[to.] Se le robbe di costà potessino caulinare e non fussero trattenute per il sospetto del mal contagioso, io vorrei affaticar V. S. che mi buscassi un poco di olio da stomaco del Gran Duca, per vedere se mi liberassi o vero almeno placassi il dolore, acciò la notte potessi riposarmi, che sono pa- rechi notte che dalla H /2 notte lino al giorno, et alcune tutta la notte, non ri¬ poso maii; oltre che dalle 23 ore fino alle 2 di notte, ora di cena, mi dà il me- 20 desimo travaglio su l’ora della digestione del pranzo e della cena. Dio ne liberi ognuno, e conservi V. S. sana et in sua gratia. Li torno duplicate raccomanda- tioni da parte di mia madre e consorte, et io di core li bacio le mani. Nostro Signor li conceda ugni felicità. Roma, il giorno di S. Matt. 0 del 1030. Di V. S. molto 111 “ Aff.M Serv. re Gio. Silvi. Fuori: All molto Ill. re Sig. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. Lett. 2069. 19. dalli 83 ore — (i) Cfr. n,o 2054. (i) Fjukobboo Ruuntauìnti. XIV. 20 154 12 OTTOBRE 1G30. [2070-2071] 2070 *. CATERINA RICCARDI N1CCOLINI n [GALILEO in Firenze]. Roma, 12 ottobre 1630. Bibl. Naz. Flr. Mss. Giti., P. I, T. XIII, tur. 121. — Autografa U •ott©«criziouo. Molto Ill. r ** S. r mio Osa." 10 Una poca d’indispostone elio ini travaglia ha causato di' io non ho potuto trattar col P. R. m0 Maestro del Sacro Palazzo del negotio significatomi da lei; ma ben lo farò quanto prima, e li darò ragguaglio di quello bavero ritratto. Intanto non ho lassato di far ricapitar lo lettere per il Padre Benedetto, conio coman¬ dava. E della cassetta per la quale V. S. si ò prosa travaglio, devo dirle che si ò trovata finalmente, et io non lascio di ringratiarla infinitamente per la briga che ne ha havuta, sì corno faccio anco dell’occhiale ricapitato alla S. ra(,) Et a V. S. bacio le mani. Di Roma, li 12 81>re lf»30. Di V. S. molto III." Devotiss." 11 Serva Caterina Riccardi Nicc. nl 2071 *. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenzo. Roma, 12 ottobre 1630. Bibl. Naz. Flr. Appomlieo ai Mia. Gal., Filza Favaro A, car. 12. — Autografa. Molto 111." mio Sig. r Per la cara sua delii 5 corrente ho visto con quanta prontezza mi bavera favorito provedermi dell’ olio da stomaco di S. A. S., et me lo averia mandato quando non avessi inteso l’impedimento che ci era per strada, stante questi sospetti che ci sono del inai contagioso. La ringratio sommamente della bona voluntà, et mi favorisca conservarlo fino a tanto che possi pervenirmi sicura¬ mente, chè credo, ma vorria dir la bugia, mi doverrA. servire ad ugni modo, poi che con tanti medicamenti fattomi, se bene sto meglio Dio gratin, ad ugni modo Lett. 2070. G. della cattila per — 10 “> Cfr. il.» 2068. 12 — 18 OTTOBRE 1630. 155 [2071-2072] non son libero, facendosi sentire ugni sera. Sia. laudalo Dio. Li bacio con ugni io effetto le inani, et li pregilo dal S. r Dio quanto desidera. Roma, 12 8bre 1G30. Di V. S, molto 111/® Ser/° Aff. m0 Gio. Silvi. Fuori: Al molto 111/ 0 Sig/ mio Oss. mo Il S/ Galileo Galilei. Firenze. 2072 . MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 18 ottobre. 1(530. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Xlll, car. 123. — Autografa. Amatiss.*" 0 Sig/ Padre, Sto con l’animo assai travagliato e sospeso, immaginandomi che V. S. si ri¬ trovi molto disturbata, mediante la repentina morte dei suo povero lavoratore. Suppongo ch’ella procurerà con ogni diligenza possibile di guardarsi dal peri¬ colo, del elio la prego caldamente; et anco credo che non gli manchino i rimedii e difensivi proportionati alle presenti necessità, onde non replicherò altro intorno a questo. Ma ben, con ogni debita reverenza e confidenza filiale, l’esorterò a procurar l’ottimo rimedio, quale ò la grazia di Dio benedetto, col mezzo d’una vera contrizione c penitenza. Questa, senza dubbio, ò la più efficace medicina io non solo per l’anima, ma per il corpo ancora; poi che se è tanto necessario, per ovviare al male contagioso, lo star allegramente, qual maggior allegrezza può provarsi in questa vita di quella clic c’apporta una buona e serena conscienza? Certo che quando possederemo questo tesoro, non temeremo nò pericoli nò morte ; o poi che il Signore giustamente ne gastiga con questi flagelli, cerchiamo noi, con l’aiuto Suo, di star preparati per ricever il colpo da quella potente mano, la quale, havendoci cortesemente donato la presente vita, è padrona di privar¬ cene come e quando gli piace. Accetti V. S. queste poche parole profferite con uno svisceratissimo affetto, et anco resti consapevole della disposizione nella quale, per grazia del Signore, 20 io mi ritrovo, ciò ò desiderosa di passarmene all’altra vita, poi elio ogni giorno veggo più chiaro la vanità c miseria della presente: oltre che finirei d’offender Iddio benedetto, spererei di poter con più efficacia pregar per V. S. Non so se questo mio desiderio sia troppo interessato: il Signore, che vede il tutto, sup¬ plisca per Sua misericordia ove io manco per mia ignoranza, et a V. S. doni vera consolazione. 156 18—1!) OTTOBRE 1630. [2072-2073] Noi qua siamo tutte sane del corpo, eccetto S. r Violante, la quale va a poco a poco consumandosi; ma ben siamo travagliate dalla penuria e povertà, ma non in maniera che no patiamo detrimento nel corpo, non l’aiuto d<-l Signore. llavrei caro d’intender se V. S. ha mai liavuta risposta alcuna di Roma, circa la elemosina per noi domandata 40 . 80 Il Sig. r Corso mandò il peso di seta di lil>. 15, del quale Suor Archangiola et io haviamo liavuta la nostra parte. Scrivo a bore 7 : imperò V. S. mi scuserà se farò degl’errori, perché il giorno non ho un’bora di tempo che sia mia, poi che all’altre mie occupazioni sog¬ ghigno l’insegnare di canto ferino a -1 giovanotte, e per ordine di Madonna or¬ dinare l’offizio del coro giorno por giorno; il che non mi è di poca fatica, per non liaver cognizione alcuna della lingua latina. È ben vero clic questi esercizii mi sono di molto gusto, a’io non havessi anco necessità di lavorare. Ma di tutto questo ne cavo un bene non piccolo, ciò è il non stare in ozio un quarto d’hora mai mai, eccetto che mi è necessario il dormire assai per causa della testa. Se 40 V. S. m’insegnassi il secreto che usa per sé, che dorme così poco, l’havrei molto caro, perchè finalmente 7 bore di sonno ch’io mando male, mi par pur troppo. Non dico altro per non tediarla, se non elio la saluto affettuosamente in¬ sieme con le solite amiche. Di S. Matteo, li 18 8bro 1630. Sua Fig. 1 * Aff. raà Suor M. Celeste. Il panierino ch’io gli mandai ultimamente con alcune paste, non è mio, o per ciò desidero che me lo rimandi. Fuori: Al molto III. 1 * et Amatiss.™ 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 2073 . CATERINA RICCARDI N1COOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 19 ottobre 1030. Blb. Nai, Fir. Ma». Cini., P. I, T. XIII. rar. 125. — Autografo la «otloscrixien*. Sul di fuori si leggo, dt nwuio di Ualu.ko: A. S. ra Alllb. <:e : di elio cfr. Voi. XIX, Uoc. XXIV, c, 2). Molto III.® Sig. r Os8. ,no Io ho cercato di servir a V. S., secondo ohe ella desidera et comanda, col Padre Maestro del Sacro Palazzo. Et per venir alle corte, posso dirle che egli “) Cfr. n.° 2017. « 19 — 24 OTTOBRE 1630. 157 [2073-2075] è veramente al solito tutto suo; et per servirla in quel che può, (lice che si con¬ tenterà che V. S. non mandi il libro intero da rivedersi, ma solo il principio et il fine; con questa condizione però, che il medesimo libro sia rivisto da un Padre teologo della sua religione costi in Firenze, il quale sia solito di riveder libri et adoperato a quest’ effetto da’ superiori di cotosta città. Propone per ciò a V. S. il Padre Nente (,) ; et se questo non le piace, potrà nominar un altro che io sia giudicato a proposito, al quale S. P. R. ma darà la l'acuità medesima. Che è quanto le pare di poter far per suo servizio, pur che aia della sua religione. In proposito del negozio d’Anna Maria, perchè suo padre non m’ ha piò risposto cos’ alcuna (2) , si può credere che non habbia pensiero di farci altro. Lo rendo ben grazie del pensiero particolare che ha V. S. di favorir questa virtuosa figliuola et me insieme, et le bacio le mani. Di Roma, 19 d’8bre 1630. Di V. S. molto 111. 0 Devotiss. ma Serva S. r Galileo Galilei. Caterina Riccardi Nicc. n> 2074 *. ELIA DIQDAT1 a GALILEO in Firenze Lione, 23 ottobre 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 78l. — Copia di mano di Viwobnzio Viviani. Tn capo a questo frammento si legge, di mano dello stesso Viviani: « E. D. 28 Ott.* 1630. Risposta alla de' 25 0tt.° 4620. Di Liono ». Con somma consolazione et allegrezza ho sentito qui dal S. r de’ Rossi (S) che V. S. si mantenga in prospero stato di sanità, sperando che avrà finito e publicato il suo trattato (lei flusso e reflusso, e che, insieme col ritorno della pace (già conclusa, come si crede) ristorandosi il commercio, averò la sorte di recuperarlo e felicitarne diversi litterati, amici miei, i quali l’aspettano con impazienza. Le mando etc. 2075 . GI0. BATTISTA BALI ANI a GALILEO in Firenze. Genova, 24 ottobre 1630. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 146-147. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. n '° Sig. r mio Oss. mo Io mi sono riputato oltre modo favorito in veder la lettera di V. S. de’ 6 Ago¬ sto ^ la quale, non so so per lo disordino clic è di presente in materia di let- <’> Ignazio Dki, il ente. <*1 Cfr. n.« 20G3. < 8 > Giovanni Vittorio or’ Bobbi. <*> Cfr. n.o 2043. 158 24 OTTOBRE 1630 . [ 2075 ] toro per conto (lolla peste, o per qual altra causa, ora restata alla posta, nè è capitata in me prima eli hier sera. Io ho riconosciuto lo stilo e veduto esser cosa sua, ancorché non fosse stata sottoscritta, per lo sottigliezze della dottrina con la quale scioglie il quesito proppostole da ino con la procedente mia (,) ; o mi pento di non haverlo fatto prima, perchè si sarebbe avanzata molta sposa. Io non havea fatto la distintion© che sia diverso il far salire 1 ’ acqua in un cannone per attrazzione o per impulso; o come che e da Vitruvio e da Frontino io si vede che por impulso i Romani facevan salire l’acqua in grande aitozza, mentre che col sifone traversavan lo vitlli, che mi persuado che non fussero cosi poco profonde, io mi dava ad intenderò che lo stesso dovesse avvenire per ut- trazzione, e che perciò poco importasse che ’l sifono fusso rivolto all’ ingiù ovcro all’ insù, ma che il sifone dovesse sempre far la sua operatione, pur che fusso fatto in modo elio, non facendola, havesso a rimanervi neccessariamente luogo vacuo. Conosco elio io ho fatto errore, e che ò verissima la considerationo di V. S., che un canape, ancor elio sia d’acciaio e di qualsisia grossezza determi¬ nata, non può reger un peso immenso, e neanche sò stesso, quando che sia tanto longo che ’l suo peso sia immenso, e che perciò si regerà solo mentre che sia 20 di una tale longhozza, la quale non si può passare, e elio V. S. dichiara benis¬ simo quanta sia questa longhezza; 0 mi ò avviso che lo stesso debba avvenire al canale pieno d’acqua. Però so che V. S. mi permetterà che io lo dica che mi resta tuttavia un dubbio, che pur V. S. accenna mentre che dice che la corda dell’acqua si strapparà più facilmente del canapo, quanto lo parti dell’acqua, noi separarsi 1 ’una dall’altra, non hanno da superar altra resistenza eli©quella del vacuo, la quale non si ò sin bora determinato quanta ella sia; 0 so ben tanto 0 quanto il vacuo impedisce lo strapparsi il canape, e tanto più la corda d’ac¬ ciaio, ad ogni modo mi par pure che vi sia gran diferenza, anzi cho sia dubbio se possa esser che, strappandosi la corda, vi resti vacuo 0 no. Ma comunquo ciò 80 sia, ò certo cho ò molto maggioro il vacuo che resta nel canaio. Io non sono già della oppinione volgare, che non si dia vacuo ; però non ini polee dar a credere cho si desse il vacuo in tanta quantità e così facilmente. E per non mancar di dirlo la mia oppinione intorno a ciò, io ho creduto cho naturalmente il vacuo si dia, da quel tempo che io ritrovai che l’aria ha peso sensibile, e cho V. S. mi insegnò in una sua letterail modo di ritrovarne il peso esatto, ancorché non mi sia riuscito fin bora farne esperienza. Io donquo all’ bora formai questo concetto, che non sia vero che ripugni alla natura dolio cose che si dia vacuo, ma ben che sia ditìcile che esso si dia, 0 che non si possa dar senza gran violenza, 0 che si possa ritrovar quanta debba essere questa tal <0 violenza che si richiede per darsi vacuo. E per dichiararmi meglio, corno che, <•> Cfr. u.o 2010. <*» Cfr. u.o 033. 24 OTTOBRE 1G30. 150 L2075] so l’aria pesa, non sia diferenza fra l’aria c l’acqua solo nel più o nel meno, è meglio parlar dell’ acqua, il cui peso ò più. sensibile, perché poi lo stesso dovrà avvenir dell’aria. Io mi figuro di esser nel fondo del mare, ove sia l’acqua profonda dieci mila piedi, e se non lusso il bisogno di rifiatare, io credo che vi starei, ancorché io mi sentirei più compresso e premuto da ogni parte di quel che io mi sia di presente ; e per ciò io credo clic per avventura io non potrei star nel fondo di qualsivoglia profondità d’acqua, la quale crescendo in infinito, crescerebbe, per 50 mio avviso, proportionatamcnte tal compressione, in modo che le mie membra non vi potrcbbon resistere. Ma per ritornare, dalla detta compressione in fuori io non sentirei altro travaglio, nò sentirei maggiormente il peso dell’ acqua di quel che io mi faccia quando, entrando sotto acqua la state bagnandomi nel mare, io ho dieci piedi d’ acqua sopra ’l capo, senza che io no senti il peso. Ma se io non fussi entro 1’ acqua, clic mi preme da ogni parte, e che fussi non dico in vacuo, ma nell’aria, e che dalla mia testa in su vi fusse l’acqua, all’bora io sentirei il peso, il quale io non potrei sostenere, solo se havessi forza a lui propportionata ; in modo che, ancorché, ovonque, separando io violentemente le parti superiori dell’ acqua dalle inferiori, non vi rimanesse vacuo, ma vi subin- co trasse aria, ad ogni modo vi vorrebbe forza a separarle, però non infinita, ma determinata, e via via maggioro secondo che la profondità dell’acqua, sotto la quale io fussi, fusse maggiore : la quale non ha dubbio che chi fusse nel fondo detto di sopra di 10 mila piedi d’acqua, stimerebbe impossibile far detta separa- tione con qualonque forza, corno che egli mai non ne farebbe la pruova; e pur si vede che non sarebbe vero che fusse impossibile, ma che l’impedimento gli verrebbe da non haver lui tanta forza di poter far all’ acqua una tal violenza che fusse bastante a separarla. Lo stesso mi ò avviso che ci avvenga a noi nell’ aria, che siamo nel fondo della sua immensità, nò sentiamo nè il suo peso che la compressione che ci fa 70 da ogni parte; perchè il nostro corpo è stato fatto da Dio di tal qualità, che possa resistere benissimo a questa compressione senza sentirne offesa, anzi che ci è per avventura neccessaria, nè senza di lei si potrebbe stare : onde io credo che, ancorché non havessimo a respirare, non potremmo stare nel vacuo, ma se fossimo nel vacuo, al’ bora si sentirebbe il peso dell’ aria elio havessimo sopra ’l capo, il quale io credo grandissimo ; perchè, ancorché io stimi che quanto l’aria è più alta, sia sempre più leggiera, io credo che sia tanta la sua immensità, che, per poco che sia il suo peso, conviene che chi sentisse quel di tutta quell’aria che gli sta sopra, lo sentisse molto grande, ma non infinito, o per ciò determi¬ nato, e che con forza a lui propportionata si possa superare, e perciò causar so il vacuo. Ohi volesse ritrovar questa proportione, converrebbe che si sapesse l’altezza dell’aria e ’l suo peso in qualonque altezza. Ma comunque sia, io veramente 160 24 — 28 OTTOBRE 1630. [2076-2076] lo giudicava tale, che per causar vacuo io credeva che vi 6Ì richiedesse maggior violenza di quella che può far l'acqua nel canale non più longo di 80 piedi. Havrò noiato V. S. con sì longa diceria, perchè se questa dottrina è vera, so che P havrà speculata prima ; bg contiene paralogismi, bastava ad ogni modo alenargliela in due parole, chè subito havrebbe ritrovato l'errore: però la penna mi ha trasportato più oltre di quel che havrei voluto in questa materia. Rispetto ai Dialogi che V. S. vorrebbe stampare, non habbianio qui altro stampatore che Giuseppe Pavoni. 1/ ho fatto subito domandare, e gli ho detto se gli dà l’animo di stampar un’opera: dice di sì, se havesse qualche ministri oo che gli mancano, cioè un che maneggi il torchio et un che componga i carat¬ teri, oltre che non ha correttore. Non manca perciò di andare stampando qualche operetta alla meglio. Mi ho fatto dar un poco mostra dei suoi caratteri, che mando a V. S. qui inchiusi. Converrebbe per un’opera valersi o dei due col segno A o degli altri duo col segno JJ. V. S. mi avviserà di quel che vorrò, e se di costì si potesse h&ver i detti ministri o da altra parte ; nel che liavrà con- sideratione anche all’ impedimento che può darci la peste. Ilo fatto le raccomandationi di V. S. al Sig. r Bartolomeo Imperiale, elio le vive molto servitore; al Sig. r Andrea Spinola farò lo stesso, quanto prima lo vedrò ; et a V. S. bacio per lino le mani e priego dal Signor ogni contento. ioo Di tìen. a , a 24 di Ottobre 1630. Di V. S. molto 111/* et Ecc.®* 2070. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Rellosguardo]. Firenze, *28 ottobre 1630. Bibl. Naz. Flr. Wss. Gai., P. VI, T. XI. ear. 148. — Autografa. Molt’lll. et Eec. roo Sig. r e P.ron mio Col.® 0 Sento allegrezza grande della sua buona salute; e ’l timore che eli'ha di at¬ terrir gl’amici con la sua presenza, mi par che più presto dovesse esser timore 28 OTTOBRE 1630. 161 [2076-2077] di esser atterrito, perchè qua già si fa un gran barellare. Io veramente mi aiu¬ terei col far buona vita; ma mio padre, che vuol eli 1 io muoia sano, mi governa con le bilancine, e acciò che io non muoia di peste, mi vuol far morir di fame. L’auguraento et ogn*altra mia pretcnden/.a per la lettura di Pisa son certo che si risolverà, in niente, non sentendo formarne pur un minimo accento; ma liaveremo tempo a discorrerne insieme altre volte, perchè so bene si è stabilito io che i lettori radino a Pisa col far un poco di contumacia avanti che entrino nella città, tuttavia io non son per movermi di qui a caso, atteso che intendo per diverse strade che in Pisa son cominciati a scoprirsi carbonchi e enfiati pestiferi. V. S. Ecc. m! * non poteva dirmi cosa la qual con maggior gusto mi penetrasse al cuore di quel che ha fatto con accertarmi dell’acquisto conseguito nella dot¬ trina del moto; perchè io mi imagino che dopo l’haver liquidissimamente e con intera evidenza comprese cotesto massimo principali, da lei adesso ridotte alla somma lucidità, l’intelletto nostro sia poi con tranquillità e dolcezza per passar successivamente al rimanente di quella specolazzione. Communicherò la nuova 20 al nostro Sig. r Dino (,) , il quale so che ne giubilerà. Godo sommamente che l’impression de’Dialoghi non trovi quelli intoppi che i maligni vorrebbono. Po capitale dell’avviso che ella mi dà di Bologna f,) , e la ringrazio con affetto cordialissimo della premura che dimostra no’miei interessi, contra o almen sopra ogni mio inerito. Le bacio con ogni reverenza la mano, e faccio fine salutandola ossequentemente anco per parte del Sig. r Dino, il qual, sebene non ha ancora letto la sua, son certo che senza altri stimoli ha sempre in animo il reverirla e salutarla. no Fir., 28 8bre 1630. Di V. S. molto 111. et Ecc. ma Ohhlig.™ 0 S. ra Niccolò Aggiunti. 2077 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. [ArcetriJ, 28 ottobre 1G30. Bibl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 127. - Autografa. Amatiss.™ 0 Sig. r Padre, Non havevo alcun dubbio che V. 8. non dovessi farmi la grazia domandatale circa la copia della lettera per il nuovo Arcivescovo (S) ; e con tutto che elladica <0 Dino Peri. , < 3 < Cosimo Bardi. 162 28 OTTOBRE — 2 NOVEMBRE 1630. [2077-2078] di non haver fatto cosa buona, sarà non dimeno molto meglio di quello ch’io havessi mai potuto fare da por me. La ringrazio infinitamente, e con questa oc¬ casione gli mando 6 pere cotogne, quali ho provviste per haver inteso da lei che gli gustano e che non no trovava, chò veramente di simili frutti ne ò gran carestia, per quanto intendo; con tutto ciò, se mi sarà osservata la promessa che mi ò stata fatta, credo che glione manderò qualcun’altra. Havrò caro di intender so Vincentio sia poi andato a Prato. Io havevo pen- io siero di scrivergli l’animo mio intorno a questo, esortandolo a non partirsi o al¬ meno a non lasciar la casa impedita, chò questa ini par veramente cosa strana, per gl’accidenti che potrebbono occorrere; ma dubitando «li far poco frutto o molto scompiglio, ho lasciato di farlo, o tanto più che tengo speranza indubita¬ bile che Dio benedetto sia per supplire con la Sua provvidenza ove mancano grhuomini, non voglio dire per poca affezione, ma per poca intelligenza e con¬ siderazione. Saluto V. S. con tutto l’alletto insieme con le amiche, e l’accom¬ pagno sempre con le mio povere orazioni. Li 28 di 8bro 1G30. Sua Fig. ln Aff.®» 20 Suor Al. Coleste. Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss.® 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 2078 . MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetrl, 2 novembre 1030. Bit)!. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 129-180. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, So che V. S. sa meglio di me che le tribolazioni sono la pietra del para¬ gone, ove si fa prova della finezza dell’amor di Dio; sì che tanto quanto le pi¬ glieremo pazientemente dalla sua mano, tanto potremo prometterci di posseder questo tesoro, ove consiste ogni nostro bene. La prego a non pigliar il coltello di questi disturbi e contrarietà per il taglio, acciò da quello non resti offesa, ma più tosto, prendendolo a dritto, se ne serva per tagliar con quello tutte le im¬ perfezioni che per avventura conoscerà in sè stessa, acciò, levati gl’impedimenti, sì come con vista di Linceo ha penetrato i cieli, così, penetrando anco le cose più basse, arrivi a conoscere la vanità e fallacia di tutte queste cose terremo; io vedendo e toccando con mano che nè amor di figliuoli, nè piaceri, onori o rie- 2 NOVEMBRE 1630. 163 [ 2078 ] chezze, ci posson dar vera contentezza, essendo coso per sè stesse troppo insta¬ bili, ma che solo in Dio benedetto, come in ultimo nostro line, possiamo trovar vera quieto. 0 che gaudio sarà il nostro, quando, squarciato questo fragil velo che ne impedisce, a faccia a faccia goderemo questo gran Dio ! Affatichiamoci pure questi pochi giorni di vita che ci restano, per guadagnare un bene così grande e perpetuo. Ove parrai, carissimo S. r Padre, elio V. S. s’incamini per di¬ ritta strada, mentre si vaio dell’occasioni che se gli porgono, e particolarmente noi far di continuo benefizii a persone che la ricompensano d’ingratitudine; azione 20 veramente che quanto ha più del difficile, tanto è più perfetta o virtuosa: anzi che questa più che altra virtù mi pare che ci renda simili aH’istesso Dio, poi che in noi stessi esperimentiamo che, mentre tutto il giorno offendiamo S. D. M., egli all’incontro va pur facendone infiniti benefizii; e se pur tal volta ci gastiga, fa questo per maggior nostro bene, a guisa di buon padre che per corregger il figlio prende la sferza: sì come par che segua di presente nella nostra povera città, acciò che almeno, medianto il timore del soprastante pericolo, ci emendiamo. Non so se V. S. haverà intesa la morte di Matteo Ninci, fratello della no¬ stra S. r M. a Teodora, il quale, per quanto ne scrivo M. r Alessandro suo fratello, non ha havuto malo più che 3 o 4 giorni, et ha fatto questo passaggio molto in 80 grazia di Dio, per quanto si è potuto comprendere. Gl’altri credo che siano sani, ma ben assai travagliati per haver fatta la lor casa una gran perdita. Credo che V. S. ne sentirà disgusto, come lo sentiamo noi, perchè era veramente gio¬ vane di grandissimo garbo e molto amorevole. Ma non voglio però darle solamente lo nuovo cattive, ma dirle anco che la lettera ch’io scrissi per parto di Madonna a Ms. r Arcivescovo c,, } fu da lui molto gradita, c se n’hebbe cortese risposta, con offerta d’ogni suo favore et aiuto. Similmente due suppliche che feci la settimana passata per la Serenissima (,) c por Madama (S) hanno havuto buon esito, poi che da Madama havemmo la mat¬ tina d’Ogni Santi elemosina di 300 pani e ordine di mandar a pigliar un mog- 40 gio di grano, con il quale s’ è alleggerito 1’ affanno di Madonna, perche non liaveva da seminare. V. S. mi perdoni se troppo l’infastidisco con tanto cicalare, perchè (oltre ch’ella mi innanimisce col darmi indizio che gli siano grate le mie lettere) io fo conto ch’olla sia il mio devoto (per parlare alla nostra usanza), con il quale 10 comunico tutti i miei pensieri e partecipo de i miei gusti o disgusti, e, tro¬ vandolo sempre prontissimo a sovvenirmi, gli domando, non tutti i miei bisogni, perchè sariano troppi, ma sì bene il più necessario di presente; perchè, venendo 11 freddo, mi converrà intirizzarmi, s’egli non mi soccorre mandandomi un col¬ trone per tener addosso: poi che quello ch’io tengo non è mio, e la padrona se (» Cfr. n.° 2077. <*) Maria Maddai.kna d’Austria. C 3 > Cristina di Lorbna. 164 2 — 8 NOVEMBRE 1630. [2078-2070] no vuol servire, corno ò dovere; quello elio liavemmo da V.S. insieme con il &o panno, lo lascio a S. r Archangiola, la quale vuol star sola a dormire et io l’ho caro; ma resto con una sargia sola, e se aspetto di guadagnare da comprarlo, non rilaverò nò manco quest’altro inverno: sì elio io lo domando in carità a questo mio devoto tanto affezionato, il quale so ben io che non potrà comportar ch’io patisca. Piaccia al Signore (se ò per il meglio) di conservarmelo ancora lungo tempo, perchè doppo di lui non mi resta bene alcuno nel mondo. Ma ò pur gran cosa ch’io non sia buona por rendergli il contraccambio in cosa alcuna. Procurerò almeno, anzi al più, d’importunar tanto Dio benedetto e la Madonna Santissima che egli si conduca al Paradiso; o questa sarà la maggior ricompensa ch’io possa darle per tutti i beni elio mi ha fatti o fa continuamente. fio Gli mando duo vasetti di lattovaro preservativo dalla peste. Quello che non vi è scritto sopra, è composto con fichi secchi, noci, ruta e salo, unito il lutto con tanto melo che basti. So no piglia la mattina a digiuno quanto una noce, con bervi dietro un poco di greco o vino buono; e dicono che è esperimentato per difensivo mirabile. È ben vero che ci è riuscito troppo cotto, perchè non av¬ vertimmo alla condizione dei fichi secchi, che è di assodare. Anco di qucll’altro se ne piglia un boccone nell’istossa maniera, ma ò un poco più ostico. Se vorrà usare o dell’uno o dell’altro, procureremo di farli con più perfezione. V. S. mi dice nella sua lettera di mandarmi l’occhiale; m’immagino elio dipoi so lo scor¬ dassi, e per ciò gliene ricordo insieme con il canestro noi quale mandai lo co- "0 togno, acciò possi mandargliene dell’altre, facendo pur diligenza di trovarne. Con che per fine me le raccomando con tutto il cuore, insieme con lo solite. Di S. Matteo, il giorno dei Morti del 1630. Sua Fig. u Aff." 1 » Suor M. Celeste. Fuori: Al molto 111.” ot Amatiss." 10 Sig. r Padro 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 2070*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. (Arcetri), 8 novembre 1G30. Bib. Naa. Plr. Usa. dal., P. I, T. XIII, car. 181. — Autografa, Amatiss.™ 0 Sig. r Padre, Desidero di sapere se V.S. sta bene, o per ciò mando costì, con occasiono anco di mandarle un poca di acqua della Madre S. r Orsola di Pistoia 10 , lo l’ho <*> Suor Omola Fostkuuoki, del convento di San Mercuriale in Piatola. 8 NOVEMBRE 1630. 165 [2079-2080] ottenuta per grazia, già clic, per liaver proibizione lo monache di darne, chi no ha la tiene come reliquia. Prego V. S. che la pigli con gran fede o devozione, come preservativo efficacissimo mandatoci da Nostro Signore, il quale si servo di soggetti debolissimi per dimostrar maggiormente la sua grandezza e potenza; si come apparisce di presente in questa benedetta Madre, che, di una povera servigiale che era e senza saper pur anco leggere, si ò ridotta a governar il suo io monastero tanti anni e ridurlo così ordinato quanto è adesso. Io tengo 4 o 5 let¬ tere di suo et altri scritti [....] molto profitto, et ho altre relazioni di lei da per¬ sone degne di fede, che danno manifesto indizio della sua gran perfezione e bontà. Prego V. S. per tanto ad liaver fede in questo rimedio, perché se tanta ne dimo¬ stra nell’orazioni mie, che sono così miserabile, molto maggiormente può haverla ad un’anima tanto santa, assicurandola elio per i suoi meriti scamperà ogni peri¬ colo. Con che a lei affettuosamente mi raccomando, e sto con ansietà di saper nuove di lei. Li 8 di Ombro 1630. Sua Fig> Aff. ma 20 Suor M. Celeste. Fuori: Al molto Ill. ro et Amatiss.'" 0 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 2080 *. ANDREA CI0LI ad ESAÙ DEL BORGO [in Madrid]. [FirenzoJ, 8 novembre 1630. Arch. di Stato In FIronze. Filza Medicea 4962 (non cartolata). — Minuta non autografa. Il Bali Gioii. Al Sig. r# Esftù dal Borgo. 8 Nov. ra 1630. Mi sono comparse da pochi giorni in qua in più volto lo lettere di V. S. do’ 14 W, 15 et 17 <*) di Settembre et de’ 12 di Ottobre.... .... Grandissimo dispiacere ha sentito S. A. del caso avvenuto d’uno de’vetri del¬ l’occhiale del S. rn Galileo W, per il disgusto che ha havuto cagiono di prenderne S. M.‘ 4 ; et subito l’A. S. ha ordinato al S. r * Galileo che ne metta in ordine un altro, et che anche faccia un altro occhiale per la Regina. Ma a potersi far cosa che vaglia, ci ò bisogno di tempo, et non ò opera questa che possa essere ben fatta da altri che dal proprio autore, 10 elio è l’istesso S. r ® Galileo. Del quale io non so se V. S. habbia dato intera notizia a <»> Cfr. n.» 2062. (*) Cfr. n.° 2066. <*) Cfr. un.' 2061, 2062. 160 8 — 0 NOVEMBRE 1630. [2080-2081] S. M. u , essendo egli uno de’maggiori filosofi ot raattematioi che liahbia lioggi l’Europa; et sì conio il Gran Duca Cosimo lo richiamò da Padova, dovo egli havcva la prima cat¬ tedra di quello Studio, per tenere appresso di sò così grand’ Intorno, cobi ò bora all retante stimato dal Sor.™ 0 Gran Duca presente, il quale si contenta che tiri una grossa provi¬ sione elio gli dà, Bonza elio sia obligato a leggero, perchè Insci dell’opero sue in luce a benefizio publico, conio va con sua gran gloria facendo. Et sarà però bone elio V. S. no dia conto a 8. M. u , acciò sappia da che mani vieno detto occhialo, et egli non s’lmbhia più a maravigliare che costà ci fosse chi erodesse elio quel vetro potesse esser fatto da altra persona ohe non babbi» Pinvenzione ot l’urto elio ha egli. Et i biglietti che V. S. ha mandati dolli SS. 1). Antonio do Mondozza et I). Tommaso Lavagna*" sono stati veduti et 20 da S. A. et da dotto S. ra Galileo, il quale solleciterà quanto più sia possibile il nuovo vo- tro ot il nuovo occhialo.... 2081 *. IACOPO GIRALDI a GALILEO in Bellosguardo. Firenze, 9 novembre 1630. Bibl. Est. In Moderni. Raccolta Campori, Autografi, B.» LXXVII, n.° 8. — Autografa. Molto 111.® Sig. r e P.no Oss. mo Non ò ragionevole clic io abusi tanto la cortesia di V. S., elio avendo seco sempre acquistato molto, mi serva di questa, mia buona sorte in cattivo uso, come sarebbe l’averli prestato a usura con sì grande interesse, o ricovero da lei un arnese nuovo di pezza in cambio d’uno usato ch’io le prestai; e però, non volendomi incaricare di così brutto nomo, glielo rimando, pregandola a riman¬ darmi quello che da prima mi fu riportato, non essendovi tanto scapito clic im¬ porti niente: e desidero che Dio li presti sì lunga vita o così buona salute, che possa consumare il lucco fatto di nuovo, risedendo no’magistrati, si corno olla merita questi o ogn’altro onore. io I modelli por la facciata 1,1 multiplicano, e credo che domani il G. I).* vorrà vederli insieme. Io li sono al solito servitore, e facendoli reverenza gli prego dal Sig. Dio ogni felicità. Firenze, dì 9 Nov. r * 1630. Di V. S. molto 111.™ Aff. m0 Ser. Iacopo Giraldi. Fuori: Al molto IU. r ® Sig. r e Pad. Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. In villa. <•> Ufr. nn.i 2050, 2060. (*> Infeudi, di S. Maria del Fioro. [2082-2083] 1G — 17 NOVEMBRE 1G30, 167 2082*. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenze. Roma, ltt novembre 1030. Bibl. Naz. Flr. Appondloe ai Mss. Gal., Filza Favnro A, c. 13. — Autografa. Molto lil. r0 mio Sig. r Oss. mo Il temporale che eli presente corre tanto contrario a chi negotia, causa clic ugni uno procura di potersi servire delli sua elletti. Qua siamo senza faccende, senza quattrini e senza fede, però di quella elio corre tra mercanti in materia di dare a cambio. Se fussi con comodo di V. S., riceverei per favore clic com- plissi il poco resto delli s. 54. 15 al Sig. r Francesco Bontalenti (l> , dovendo io pre¬ vedere buona somma; et per gratia mi scusi, chè non ò possuto far di meno di darli fastidio. Comandimi sempre, chò sarò pronto ad ugni suo cenno. Li bacio le mani et li pregilo dal Sig. r Dio ugni vero bene, io Itoma, 1G Ombre 1630. Di V. S. molto m. r ® Ser. ro Aff. mo Gio. Silvi. Fuori: Al molto Ill. re Sig. r mio P.ron Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 2083*. CATERINA RICCARDI NICCOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 17 novembre 1030. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 132. — Autografa la sottoscrizione. Sul di fuori si leggo, di mano di Galileo : B. S. ra Alllb. ce : di ebo cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, c, 2). Molto Ill« Sig. r Oss.'"“ Il Padre Maestro del Sacro Palazzo si contenterò clic il Padre Taciuto Ste¬ fani rivegga il suo libro; et quando S. P. tó K. ,l,il havrà visto il proemio et il line del libro inviato da V. S., lo ne manderò l’ordine insieme con un poco d’instrut- tione in questo proposito: che tutto le potrà servir per avviso. Io bavrei voluto poterla servir meglio, ma non m’è riuscito di poter cavar altro da S. P. ,à R. n,n , et spero che V. S. s’appagherà della mia buona volontà. Non m’ò parso che occorra far altre diligenze per haver il proemio lasciato al Padre D. Benedetto, (M Cfr. n.o 2069. 1G8 17 — 2G NOVEMBRE 1G30. [2083-2084] già che V. S. mo no ha inviata la copia. Clio ò quanto devo dirlo in questo ne¬ gozio, rallegrandomi nel resto del suo bone staro, massime in tempi tanto peri- io colosi, sperando ancora elio con la buona cura si conserverà con tutti di casa, tanto pià che il malo non havrà ardirò o non potrà penetrare dove ò così buon’aria et dove con ìe buone diligenze se gli faccia resistenza. Et lo bacio le mani. Di Roma, 17 di Nov. br ® 1030. Di V. S. molto 111.® Aff. n,a Serva S. r Galileo Galilei. Caterina Riccardi Niccolini. 2084 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, ‘26 novembre 1030. Blbl. Naz. Fir. Mss. fial., P. T, T. XIII, cnr. 134. — Autografa. Amatiss.® 0 Sig. r Padre, Domenica mattina a bore 14 passò a miglior vita la nostra Suor Violante 10 , la quale, per haver sofferta così lunga e fastidiosa infermità con molta pazienza e conformità con il volere di S. D. M., possiamo piamente sperare che sia an¬ data in luogo di salute. E veramente da un mese in qua ella era ridotta a tanta miseria, non potendosi nò anco voltar in letto da per sò, e pigliando con estrema pena pochissimo cibo, elio pareva esserle quasi desiderabile la morte, come ul¬ timo termine di tutti i nostri travagli. Volevo prima farne consapevole V. S., ma non mi è stato possibile il trovar tanto tempo, ch i quale ho scarsezza anco adesso, per scrivere; onde non dirò altro, se non che siamo qua tutte sane, per io grazia di Dio, e desidero di sapere se il simile segue di lei e della sua poca compagnia, o particolarmente del nostro Galileino. Devo anco ringraziarla del coltrone mandatomi, il quale ò stato pur troppo buono per me. Prego il Signore che gli renda il inerito di tutto il bene che mi ha fatto e fa continuamente, con aumentarle la Sua santa grazia in questa vita e concederle la gloria del Paradiso nell'altra. E qui a lei di tutto cuore mi rac¬ comando insieme con Suor Archangiola c Suor Luisa. Di S. Matteo, li 26 di 9mbrc 1G30. Sua Fig. ,a Aff. ma Suor M.* Celeste. 20 Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss.™ 0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. Cfr. n.o 1070, Un. 10. (*) Cfr. u.° 1070, liu. 25. < 3 > Foiso Virginia di Vinoienzio Landoooi. 172 4 DICEMBRE 1630. L2088J 2088 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. [ÀrcetriJ, 4 dicembre 1630. Bibl. S&z. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 130-137. — Autografa. Amatiss.™ 0 Sig. r Padre, La venuta di Madonna Piera mi fu di grandissima consolazione, poi che da lei hebbi certezza della sanità di V. S. ; et in conoscer eh’ ella sia donna assai prudente e discreta, trovo quella quieto d'animo che per altro non troverei, mentre considero V. S., in tempo tanto pericoloso, priva d' ogn’ altra più cara compagnia et assistenza : onde, per ciò io giorno e notte sto con il pensiero fisso in lei, e molte volte mi dolgo della sua lontananza, che impedisce il poter gior¬ nalmente sentirne nuove, sì corno io grandemente desidererei. Spero non dimeno che Dio benedetto, per Sua misericordia, la deva liberare da ogni sinistro acci¬ dente, c di tanto con tutto il cuore Lo prego. E chi sa so forse più copiosa io compagnia gli fossi occasione di maggior pericolo? So ben questo, che quanto a noi succede, tutto è con particolar provvidenza del Signore o per maggior nostro bene : e con questo ni' acquieto. Questa sera haviamo havtito comandamento da Monsig. r Arcivescovo di met¬ ter in nota tutti i più stretti nostri parenti e domani mandargliela, volendo S. S. Ill. ,nR procurare che tutti concorrine a sovvenire il nostro monastero, tanto che campiamo quest’ invernata così penuriosa. Io ho domandata et ottenuta licenza dalla Madre badessa di poterne far consapevole V. S., acciò non lo sia improvvisa tal cosa. Non posso qui dir altro, so non raccomandar il negozio al Signor Iddio, c nel resto rimettermi nella prudenza di V. S. Mi dorrobbo assai 20 s’ella restassi aggravata; ma da l’altra banda so che io non posso con buona conscienza cercar d’impedire 1’ aiuto e sollevamento di questa povera casa, vera¬ mente desolata. Questa sola replica (per esser assai universale e nota) gli dico che potrà far a Mons. Arcivescovo, ciò ò che sarebbe cosa molto utile 0 conve¬ niente il cavar di mano a molti parenti di nostre monache i dugento scudi che tengono delle loro soprndotc, 0 non solamente i 200 de i capitali di ciascuna, ma molti ancora de gl’interessi cho gli devono di più anni: fra i quali ci s’in¬ tende anco Mess. r Benedetto Landucci, debitore a Suor Chiara sua figliuola; 0 dubito elio V. S., per esserli mallevadore, 0 per lo manco Vincentio nostro, non deva esserne pagatore, se non si piglia qualche termino. Con questo assegna- so 4 DICEMBRE 1630. 173 [ 2088 ] mento credo elio si andrebbe aiutando comodamente il convento, e molto più di quello che potranno far i parenti, poi che sono pochi quelli habbino facilità da poterlo fare. L’intenzione de i superiori è bonissima, e c’ aiutano quanto è pos¬ sibile, ma è troppo grande il nostro bisogno. Io per me non invidio altri in questo mondo clic i Padri Cappuccini, che vivono lontani da tante sollecitudini et ansietà quanto a noi monache ci conviene bavere necessariamente, conve¬ nendoci non solo supplire a gl’ offizzii per il convento e dar ogn’ anno e grano e danari, ma anco pensare a molte nostre necessità particolari con il nostro guadagno, il quale è così scarso che si fanno pochi rilievi. E se io havessi a 40 dir il vero, credo elio sia più la perdita, mentre, vegliando fino a sette bore di notte per lavorare, progiudichiamo alla sanità, e consumiamo P olio che è tanto caro. Sentendo oggi da Madonna Piera che V. S. diceva clic domandassimo so havevamo bisogno di qualcosa, mi lasciai calare a domandarli qualche quattrino per pagare alcuni miei debitelli che mi danno pensiero : eh è nel resto, se Laviamo tanto elio ci possiamo sostentare, è pur assai; che questo, per grazia di Dio, non ci manca. Del venirci a vedere sento che V. S. non ne tratta, et io non la importuno, perchè ad ogni modo ci sarebbe poca satisfazione, non potendosi parlare libera- 60 mente per bora. Ilo liavuto gran gusto di sentire che i morselletti di cedrato gli siano piaciuti : quelli fatti a forma di cotognato erono di un cedro die con molta instanza havevo provvisto, o d’intenzione di S. r Luisa confettai P agro insieme con la parte più dura di esso cedrato, chiamandola confezione di tutto cedro; gl’altri gli feci del suo, al modo solito; ma perchè non so quali più gli sieno gustati, non metterò in opera quest’altro cedrato s’ ella non me lo dice, de¬ siderando di accomodarlo con ogni esquisitezza, acciò più gli piaccia. La rasse¬ gna che. desidero che V. S. faccia per la nostra bottega, di scatole, ampolle o simil cose, l’accennai alla sua serva; onde non replicherò altro, se non che vi si aggiugne anco duo piatti bianchi che ha di nostro. Con che gli do la buona 60 notte, essendo 9 bore della 4 a notte di Xmbre 1630. Quando V. S. sarà stata da Ms. r Arcivescovo, mi sarà grato sentir ragguaglio del seguito. Sua Fig. ,a AfF. ma Suor M. a Celeste, Fuori : Al molto Ill. r0 et Amatiss." 10 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 174 7 DICEMBRE 1G30. [2089] 2089 **. VINCENZIO GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo]. Montoimirlo, 7 dicembre IKK). Bibl. Naz. Flr. Mrs. Gal., 1*. T, T. IX, car. 828*290. — Autografa. Noli® car. 226- 227 del in- ilr .imo codice si luv In minuta di questa stessa lotterà, pur autografa, la quale non presenta vai muti di importanza. Molt’Ill." Sig. ro e CarÌ 8 s. mo Sig. r Padre, Roggi mi son porvonute due Ietterò di V. S., Pumi mandatami stamani da Prato dai miei parenti, et altra arrecatami stasera da Sa mirino: da lutt’a duo ho riceuto disgusto c doloro eccessivo, parendomi di vedere in esso (et in parti¬ colare nell’ultima) distesa la sentenza della mia rovina, quale in apparecchio a sostenere, sapendo elio immutabile c giusto ò’I giudizio di Dio e facendo capitale, per mia consolazione, di quella sentenza: Una sàlus vidi -s nullam sperare sàlutrm. Ma per venire a dare qualche risposta allo sue lettere, dico prima, elio quando mi risolvetti a venir qua su, fui mosso dal desiderio di salvar la vita, o non per venir a spasso o pigliar aria, parendomi che in Firenze, et in partico- io lare nella strada dove, stavo, ci fosse occasiono di temere più che mediocremente d’essere assalito et atterrato dalla peste; nò pensai por questo di accrescer spesa a V. S., perchè tanto mi pare di consumare stando qua su, quanto «’io stessi in Firenze. E so V. S. faceva pensiero che, stando io qua su, i miei parenti ci havossero a mantenere, por ohligo loro, di pano o altro, (sia detto con la debita reverenza) la s’ingannava d'assai; perchè, mentre che essi si son cavata di casa la Sestilia e datala a me per moglie, non son in ohligo di darmi un pistacchio, fuor che quella parto di dote elio mi si deve, al tempo tra noi pattuito o non prima, e questa anco vogliono che si metta in sul Monte, secondo lo nostre con¬ venzioni o non si consumi altrimenti in pano e vino. Sì che V. S. troverò più 20 d uno al mondo, anzi infiniti, elio diranno elio non a i miei parenti, ma a lei, s aspetta il mantenere me e la mia moglie, quale ho tolta con buona grazia 0 con sua intera sodisfazione ; e massime se questi tali sapranno, che, havendo V. S. vicino a cento scudi il mese, giudichi per meglio fatto e più espediente ch’io consumi e perda quel poco capitale che di sicuro ho al mondo, elio l’aste¬ nersi lei di consumare buona parte di sì grossa provisione in far lo spese a i contadini, allevare le lor figliuole, calzarle e vestirle, tenerle in monastero, do¬ tarle 0 maritarle 0 sovvenir loro in ogni occorrenza; e se sapranno di più che V. S. liahbia \oluto, quasi per havor occasione di spendere, dopo l’haver tenuta tanto Cfr. Voi. XIX. Doc. XXYII, d) t liu. 20-22. 7 DICEMBRE 1G30. 175 [2089] so tempo in monastero l’Anna di Cosimo Diociaiuti, maritarla al dispetto di tutto ’l mondo con Vincenzio Lanciucci, vestirla honoratamente, tenerli casa aperta e fornita, far scritta col suo marito obliandosi a darli cento scudi Tanno, e cosi poi comprare a tanto prezzo, oltre a mille disgusti, Pinimicizia di Benedetto o Vincenzio Landucci, e, quel che importa più, un non so che di poco buona fama: et io so quel che mi dico. Sig. r Padre, anch’io son sicuro che mentre V. S. vo¬ glia far di queste spese et altre assai, clic da i più saranno giudicato soverchie o non necessarie, che la sua provisionc non gli può esser bastante: ma di questo non ne vorrei portar la pena io. Gli ò vero cho V. S. può spendere il suo, che con tanto sudore o honore si ò accquistato, come gli pare e piace, che a me non -io tocca rivederli i conti, clic tutto quello che ho da lei l’ho per mera e pura sua cortesia e carità, e che insino ad bora non mi ò mancato mai nulla; ma dall’altro canto, vedendomi allacciato con moglie e figliuoli, et, havendo riguardo al misero stato clic mi si prepara, astretto dalla passione, non posso far di manco di non mi risentire più del dovere. V. S. si duolo che la nostra casa habbia a sentir poco frutto do i miei studi e fatiche, ma di questo io non no ho colpa alcuna; e ben sa V. S. quanto io mi sia doluto per il passato, e si può immaginare quanto al presente mi dolga, il vedermi senza impiego et avviamento alcuno, o sa quanto volte e con quanta instanza io Thabbia pregata a procacciarmelo. Piacesse pur a Dio ch’io havessi tanta fortuna che mi si porgesse occasione di affaticarmi 50 per guadagnarmi il pane, chè mi parrebbe d’esser fuor d’un gran labirinto e di toccar il ciel col dito. Et bora ch’io so quanto gli si habbia a crescer la spesa, voglio pregarla e supplicarla, con non minoro affetto et umiliazione di quel che si faccia la famiglia del suo fratello, che voglia quanto prima cercar d’impie- garmi in qualche carica, ond’io possa guadagnar qualcosa, e che, se vuole (come conviene) tener conto de i suoi nipoti, non voglia scordarsi del suo povero figliuolo, della sua nuora e del nostro caro figliuolino, che pur anch’esso ò del suo sangue o suo nipote; che di tanta carità Dio benedetto glie ne renderà perpetuo merito. E con tal fino prego Tistesso che la liberi da ogni travaglio, et in contento et allegrezza lungamente la conservi. co Da Monte Murlo, li 7 di Dicembre 1030. Di V. S. molto 111.™ Ilo riceuto i 0 scudi: la ringrazio; procurerò che mi servino; se no, farò quanto la vorrà delle gioie della Sestilia. A.ffezz. mn Fig> Vincenzio Galilei. Lott. 2009. 50. Prima aveva scritto c del suo euro, poi volle correggere e cancollò euro, continuando poi con nostro caro, mn dimenticò ili euiicollaro mio; cosi cho ora si leggo e del uno nostro caro. La mi¬ nuta ha: del nostro caro fitjliuolino .— 176 9 DICEMBRE 1630. [2090J 2090 **. NICCOLÒ ARRIGHETTI nel ANDREA ARRIGHETTI in Macìa. Moutedomini, U dicembre 1030. Blbl. Naz.Pir. Mas. Gal., P. YI, T. XIV, car. 43-44 - Autografa. Molt’Ill/* S. p Cugino, P.rone Osa.® 0 I mobili cadenti acquistano momento o velociti alla proporzione dell’altezze dello lor caduto. Sia l’orizzonto ab, o a lui paralleli i sini <ìg, eh, fi o qualunque altro tirato da qual si sia punto della linea ca: dico che un mobile elio partendosi dal punto e scorra perle linee ca e egeia, quando passi po’l medesimo sino, avrà la medesima velocità, poi elio in tal sito l’altezze della caduta son le medesime. Questo è chiaro per il dimostrato dal S. r Galileo nello suo dimo¬ stra/,ioni del moto<*). E io applicando questo universale all’acqua corrente, dico elio il medesimo elio farà ogn’altro mobile, il mede- 10 aiino devo far l’acqua, come corpo mobilissimo ; e scorrendo perca, sarà conio so scorresse per un canale diritto, e per egeia por un canal torto: donde ne seguo, elio sondo sempre lo velocità le medesimo, giusto la detta proporziono, il tompo del passaggio della medesima acqua per detti due canali sarà come lo lor lunghezze. Adunque, dico io, l’altezza dell’acqua tanto nel canal torto che nel diritto sarà la me¬ desima, sì elio so nel diritto ella non trabocca non traboccherà anche nel torto. Questo mi par verità dimostrata. Ma perché Y. S. mi disse iersera esser certo del contrario, Bendo controversia elio oggi veglia con gran caldezza, desidererei ch’ella mi scoprisse dov’è la fallacia, già elio io da me non mi so darò il torto; o ini son mosso a scriverle, non mi sendo paruto tempo iersera da tirar più in lungo il discorso: o quel 20 ch’ella mi disso in contrario, non mi quietò, perché, mentre i canali sieno per tutto eguali o uniformi, che l’acqua nello svolte gonfi, io non lo credo, se bone allor lo concessi, ma equivocai nella sua proposta; o so bene ella può aver visto in qualche particolare cotalo effetto, può esser nato da altri accidenti che non abbia» che far nulla co ’l torto o diritto, i quali rimossi l’acqua si spianerebbe. Circa poi a quello due esperienze, della cannella torta elio sbocca quanto la diritta, e del canal cadente, pur torto, che a’ medesimi termini acquista momento quanto il di¬ ritto (segno manifesto che la velocità non ò impedita dalla tortezza), a che V. S. mi disse non esser la medesima cosa, non mi pare che in altro diversifichino so non nell'esser questi, canali coperti, e quelli scoperti, la qual copertura non intendo in che modo possa 80 esser cagione di variar la cosa. Oltre a elio ho osservato spessissime volto in molte stor¬ ture di questo nostre fosse elio conducono acqua, e nella Marina stessa, che qui a noi ò per tutto torta, e V. S. anch’ella lo può osservare nell’andare a spasso per il suo piano, <’> Cfr. Voi. Vili, pag. lOOoseg. [2090-2091] 9 — 11 DICEMBRE 1630. 177 ho osservato, dico, in dette storture l’acqua non mostrar pur minimo cenno di gònfiamente; e quel che non segue nel piccolo non deve seguire anche nel grande, già che la natura nelle coso simili opera sempre con la medesima proporzione. Quel elio poi ella disse, i danni che ella ha ricevuto da’suoi fiumi, avorii ricevuti sem¬ pre mai nelle svolto, io gliene credo, perchè percotendo quivi il corso doli’acqua ad angoli più acuti, egual fortezza d’argini reggerà nel diritto, dove o non si la nessuna percossa 40 o ad angoli ottusissimi, che nel torto resterà demolito; il qual dcmolimento può anche essere stato una dello cagioni del gonfiar quivi l’acqua, quasi che trattenendosi nel de¬ bole di quelle rotture, corno in materie cedenti, le si sia perciò ritardato il suo corso. Ma so la fortezza dell’argine sarà proportionato all’impulso, questo non seguirà, come nella similitudine clic le addussi delle palle del trucco, di che ella non fece conto, elio battendo nelle sponde imprimono il colpo maggiore o minore secondo che più o meno ò acuto l’angolo dell’incidenza, le quali sponde stando forti senza punto cedere, la relles- siono si fa sempre con la medesima velocità. E al dir, coni’ella disse, che quelle son palle o questa è acqua, mi pare poterle diro ch’io getterò in alto una palla da balestra e al¬ trettanta acqua con uno schizzatolo alla medesima elevazione e co ’l medesimo impulso, G0 e faranno per aria a capello la Riessa figura. Scusimi so le ho dato questo fastidio, perchè, domandato di questa proposizione, ho risposto com’ella sente; e se in effetto ci fosse inganno, bramerei tanto mi fosse fatto conoscere, quanto, oltre al ben intendere una verità, io desidero che chi ha forse cre¬ duto al mio detto non ci resti defraudato. E ricordandomele servitore, le prego da Dio sanità e ogni vero bene, e insieme al S. r zio e a tutta la sua famiglia. Di Monted.® 1 f‘), il dì 9 di Xmbre 1630. Di V. S. molto 111.™ AfT. m0 Cugino e Ser. r0 Nicc. 0 Arrighetti. Fuori: Al molto 111.™ S. r mio e P.rone Oss. ,n0 CO il tì. r And* Arrighetti, a Macìa 2091 . LORENZO PETRANGELI a GALILEO in Firenze. Monaco, il dicembre 1630. Bibl. Naz. l’ir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 230-231. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. mo Sig. r mio sempre Oss. n, ° Scrivo a V. S. Ecc. ma , e facciol più che volentieri, in conformità clell’honore c dell’ affettuosa servitù che gli porto. Ma niuna cosa all’ incontro poteva acca¬ ni Montodomini, podere e villa noi popolo di < 2 ' Macìa, podere e villa nel popolo di S. Nic- S.° Maria a Carraia, in Val di Marina. colò a Caleiizaao. XIV. 23 11 DICEMBRE 1630. 178 [2091] dermi tanto molesta, quanto esser constretto di farla avvisata, in sodisfattiono dell’ amore e dell’ amicitia cosi stretta fra di me e del Sig. r Michelagnolo Ga¬ lilei suo fratello, conio egli, doppo una perpetua malinconia di tre anni, caduto finalmente malato, s’ò condotto a tal termine, che doppo gl’nitri sacramenti ha anco ricevuta l’estrema untione ; nè v’ è altra speranza di salute corporale, come pur giudica il medico, che qualche miracoloso aiuto del Cielo. IO perchè avanti che egli perdesse la parola, mi pregò e ripregò, come anco il suo Padre io confessore, perchè volessi scrivere a V. S. Kcc.™*, dicogli come egli, nel vedersi di partenza da questo mondo, la supplica umilmente che per l’amor di Dio, dinanzi al cui tribunale è presto per comparire, voglia disporsi cortesemente a perdonargli ogni dispiacere che gl’ havesse mai duto in vita sua o particolar¬ mente quando tre anni fa, partendosi di Firenze, ricondusse qua con la moglio i suoi poveri figliuolini 10 ; e elio segno evidentissimo [tle|l perdono Barchho, nel conspetto di tutto’l mondo, se la sua buona carità, vestita di compassiono e do le viscere di misericordia, condescendesso, come il più prossimo, a prendere amo- revol cura e protettione di questa povera famiglia, elio perdendo lui rimane in tanta miseria. E dicogli certo, Sig. r Galileo, clic oltre a queste parole, quando 20 poi la sua povera moglie con tutti i suoi iigliuoliui attorno ini pregarono a man giunte c con le ginocchia a terra, perchè volessi anco da parte loro supplicar V. S. Ecc. ma e di mercé e di misericordia, mi s’intenerì 1’ animo in maniera, che non dubito che al sentir tal cosa non sia anco per addolcirsi nel suo ogni amarezza che mai si riserbasse (cosa che non voglio credere) verso di loro. Tanto più che se a questa sì nobil virtù, non solamente di perdonar l’offese, ma anco di be¬ neficar gl’ olYensori, sono arrivati molti nati et allevati nelle tenebre della gen¬ tilità, che non dovrà o che non vorrà fare uno nato et allevato nella luce della legge Cristiana, e fornito per sè di tanto sapere e di tanta prudenza? Che per¬ ciò non conviene che io entri qua con lei a iilosofare, nè a dargli ad intendere so che il vincer sè stesso in perdonar altrui sia la maggior vittoria o la m|agg]ior gloria clic altri possa acquistarsi presso di Dio [e] degl'huomini. Ma dirò bene che ella, con la sua prudenza, sa e vede sopr’ogni altro quanto s’aspetti aU’honore o grandezza dell’ animo suo, et alla riputatione della sua cosi nobil casata, il non permettere che queste povero creature vadan battendo le porte altrui per non morirsi di fame. (ìli parlo, come ella vede, con quella buona confidenza che panni di poter usare con persona così cortese. Ma se pure, per min insolficicnza et ina¬ bilità, che riconosco in me stesso, non fossi atto a muoverla con queste parole, la muova almeno la riverenza clic olla deve al Sig. r Vincentio suo padre et alla Sig. r, ‘ sua madre, che fin dal cielo la pregano e caldamente gli raccomandano 40 Lett. 2091. C. tnn/i'cormi — 20. qucido — Oi Cfr. n." 1899. 11 — 14 DICEMBRE 1G30. 179 [2091-2092] il suo caro, il suo legitimo, sangue. Anzi ninna cosa la muova m aggiorni ente o con generosa prontezza, clic la nobiltà e generosità dell’ animo suo. E così il Signore rimuneri lei di quelle gralie, che io, rimanendogli servitore, gli desidero con tutto l’animo. In Monaco, a gl’XI di Xmbre 1630. Di V. S. molto I. et Ecc. n,a Serv.' n Lorenzo Petrangeli. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. mo Sig. r0 mio sempre Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei DO Fiorenza. 2092 **. ANDREA ARRIGHETTI a NICCOLÒ ARR1GHETTI [in Montedomini]. Macia, 14 dicembre 1030. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., F. VI, T. XIV, ear. 49-50. — Autografa. Molto 111.» Sig. r * Cug. n ® Sono più che mai ingrossato, o per dir meglio incaponito, nella mia opinione ; o dopo aver lotta e riletta la sua scrittura, con essermi ridotta in memoria la dimostrazione del S. re Galileo, tanto raaggiormento mi ci confermo : e se non fosso che mi fa instanza di risposta, non replicherei da vantaggio, attribuendo tutto alla mia incapacità. Ripigliando dunque, per maggiore chiarezza, la dimostrazione e figura di V. S., con la quale pretendo di dimostrare elio nelli due canali della medesima larghezza o elio ricevon l’aqqua doristesso fiume ora l’uno ora l’altro, e elio vadino a sgorgarla nel*istesso luogo (elicè l’istesso clic diro che in tutta la sua lunghezza abbino l’istessa caduta), uno de’quali sia 10 diritto e con una sola pendenza, e l’altro tortuoso et a svolle, pretende, dico, di dimostralo che la detta aqqua camminerà con l’istessa velocità tanto per il torto quanto por il di¬ ritto, o elio dette torture non abbino facilità di ritardare e trattenere la sua corrente; lo dicho che non metto alcun dubbio nel dimostrato dal S. r0 Galileo, ma che son ben sicuro elio non si può adattare al’esperienza che vuol far lei delli dua canali CA, CGEIA, se però non supponessimo che il mobile partendosi da ciascuna delle rivolte G, E, I si muo¬ vessi con la velocità, o por dir meglio si cominciassi a muovere con la velocità, clic avrà aqquistato lino alle dotte svolte per ciascuna dirittura CG, GE, IA, o che detto rivolto non apportino un minimo ritardamelo al detto mobile: la qual cosa non solo reputo che sia falsa, ma è quello elio è in quislione; o tengho per fermo die se si lasceranno cadere dua 20 mobili eguali, uno per l’uno e l’altro per l’altro canale, che assolutamente la velocità per il torto, dopo elio avrà intoppato nella prima tortura, non agguaglierà mai più la velo¬ cità per il diritto : poiché, partendosi il mobile dal punto G e camminando por la dirii- 180 14 DICEMBRE 1630 . [ 2092 ] tura CG, con acquistare momento o velocità, nel percuòterò et urtare elio farà nella sponda GE, mentre non vi sia impedimento, corcherà di faro gl’angoli del’incidenza c reilesso fra di loro eguali, et si potrà dar caso elio dopo che il mobile avrà percosso la prima volta nella detta sponda, batta ancora altre percosso or nel’una et or nel’altra, avanti pigli la 2* dirittura, e che si parta di nuovo poco meno che dalla quiete, e che tanto quante vi saranno di si fatte svolte o più ad angoli acuti, altr’e tanto volte facci il medesimo effetto e da vantaggio. Molto meno veggo potersi adattare questa esperienza (quando anche riu¬ nisse interamente a suo favore, il che assolutamente si negha) trattando di fiumi, perchè, 80 mentre ci immagineremmo dua alvei del’Mensa larghezza e che abbino l’isteasa casclmta, uno de’quali bìu diritto e l’altro torto, e che piglino l’aqqua de- l’Mosso fiume ora l’uno et ora l’altro, come li dua AC, AIEGC, chi non vedo che necessariamente la velocità per il torlo sarà sempro minore elio quella per il diritto? poi che con il perquotoro elio faranno quello prime particelle di aqqua nel’argino (ìE faranno forza di ritornare in dietro, dopo (al percossa, per In medesima linea,se però In percossa sarà a squadra con l'argino, o vero, se non sarà a squadra, cercheranno di far sempro gl’angoli del'incidenza o reflesso fra di loro eguali (conio mi concesse audio V. 8.) e di 40 tornare in dietro per la linea del relloBBo, dovunque vndi a ferire, con una tal velocità; o nel tornare che faranno, so intopperanno o riscontreranno in altro parti della medesima aqqua, che ancor loro vadino per urlare nel medesimo argine, saranno forzate a ri¬ tornare un’altra volta, o forse più, verso l’istesa’argine con diffe¬ renti velocità et angoli ineguali; c cosi quelle seconde, nel’intoppo olio faranno con le prime, verranno ancor loro a ritardarsi o con il loro rilardamcnto a trattenere la velocità delle terze; e così suc¬ cessivamente a proporzione, secondo che saranno più lontane, riceveranno meno impedi¬ mento: c però sarà necessario che nella svolta, o sopra di ossa per qualdio spazio, l’aqqua 60 ricrescila di misura con la proporzione del ritardameli!o della Bua velocità. E so ci imma¬ gineremo solo di lasciare cascaro più palle per il canal torto, distante l’una dal’altra per qualcho poco di spazio, non credo ci rimarrà dubbio di sorte alcuna ; poi che credo si possa dar caso elio la prima si trattenghi tanto nello percosse o ripercosso che farà me¬ diante la prima tortura, che sarà sopraggiunta dalla 2\ e cosi la 2* dalla 3* e la 3* dalla 4\ Sì che, se è vero questo, lascierò giudicare a lei qual sia per esser maggior velocità, o quella por il torto, o vero quella per il diritto. Lo dua esperienze che accenna V. S., della cannella torta o diritta o del canale ca¬ dente, se non ini dicie di averle fatte, appresso di me anno gran differenza, o non so vedere perchè ancor loro non sieno per riuscire a mio favore; sì come non saprei accorgermi 60 del’inganno perchè in tutto lo Hvolte de’fiumi e fossati, et in particolare d'una mano, elio sono per il nostro piano, sogna sempre notabile alzamento in occasiono di piene, con rot- turo e trabocchi in dette svolte, e sopra di esse, notabilissimi, senza elio sia in dotta svolta riatrignimento alcuno o altra cagione che possi, per quanto paro a mo, causare detto gon¬ fiamento, come no posso far vedere in fatto a V. S. in più luoghi. Et il dire che non si 14 DICEMBRE 1630. 1S1 [ 2092 - 2093 ] vedo elio nello fosse di questi piani, nello svolle elio fanno o sopra di esse, si facci alza¬ mento di sorto alcuna, non mi quieta: perchè so benissimo elio un alzamento di mezzo dito o l’orso meno, elio potrà seguire mentre ci sia poca quantità di aqqua, non si potrà giudicaro così a vista; ma so si considererà con diligenza in occasiono di piene, tengho 70 per fermo che l 1 alzamento sarà tale, che anche a occhio si potrà giudicare. La pregilo a scusarmi del fastidio, assicurandola che ricoverò per favore singolarissimo l’esser meglio fatto capaci© di questo negozio ; o se con l’occasione elio si trova costi, no parlassi con il S/° Galileo, mostrandoli questa mia lotterà acciò replicassi qualche cosa alle ragioni clic mi muovano a ciò crederò, o vero, non lo vedendo, gli scrivessi il suo pensiero, con mandarli insieme questa lettera, mi sarebbe sommo favore, per venire in chiaro di questa verità, e non mi parrebbe si frissi perso il tempo a muover questa di¬ sputa, la decisione della quale si tira dietro molto conseguenze utili e uecossario. Del resto, io ricordo a V. S. la mia devozione, pregandolo da N. S. vera felicità. Di villa, 14 Xbro 1(530. 8Q. Pi V. fcJ. molto Ul. r0 Cug. 0 e Serv. ro AfT. m,> And. a Arrighotti. 2093 **. NICCOLÒ ARRIGHETTI ad ANDREA ARRIGHETTI in Macìa. Montcdomini, 14 dicombro 1630. Bibl. Naz. Fir.Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 45-47. — Autografa. Molt’ II/ 8 S/ Cugino, P.rone Oss. mo Ringrazio V. S. della risposta alla mia lettera, poi elio con essa ella mi dà occasiono di trattenermi iu cosa nella qualo ho il maggior gusto di che si sia altro che tra mano mi sia passato; o già elio nel fin della sua ella mi dà animo ch’io torni a infastidirla, lo fo volentieri, trattandosi di materia elio, oltre al gusto dell’investigare la verità, può por¬ tare molt’utile in vario occorrenze. Le torno dunque a diro, clic mentre V. S. concede por vera la proposizione che gli stessi mobili caduti dalla medesima altezza, o per diritto o per torto, abbino la mede¬ sima velocità, non intendo in che modo ella possa negare elio l’acqua, quancl’ell’ò ca¬ lo duta, non faccia il medesimo, conio nel caso nostro: porche, concedendo tal proposizione, a voler poi ch’ella non abbia la medesima velocità, bisogna «lire ch’ella non vi sia caduta; ma coni’ella v’ò, siavisi in elio modo si vuole, ò forza ch’ella conservi la sua natura: o così mi par necessaria la dimostrazione. Ma poi che non paro a lei, lasciamla del tutto andare, o prima esaminiamo lo ragioni ch’ella ni’adduco in contrario al mio dotto, o sco¬ pertole appresso di me fallaci c invalide, addurrò altre mio dimostrazioni, che per altra via concludon lo stesso, per le quali o ella cederà o almanco mi seopnrrà la fallacia, in modo ch’io non rimanga contumace, coni’io son ora. V.S. dice che l’acqua, nel percuotere in una svolta, fa forza di tornare indietro, o io gliene vo’concedere ; ma mentre elio quello parti che percuotano l'anno per indietro 14 DICEMBRE 1630. 182 [ 2093 ] tal forza, credo mi concederà ohe le susseguenti a quelle faccian la medesima forza per 20 ire innanzi, e così bilanciandosi tali impulsi, queste parti staranno formo, e stando formo verranno a fare la medesima resistenza allo susseguenti elio fa loro lo (desso argine: di modo elio se si potesse porre detto argino corno pendulo in bò stesso, o di qualche ma¬ teria in tutto cedente sì com’ò l’acqua, non erodo elio V.S. mi negasse elio l’acqua nel percuotervi non se lo mettessi innanzi con la sua propria velocità ; nel medesimo modo che posando attraverso a qualche corrente un legno o altra materia mon gravo dell’acqua, tal corrente la porterebbe via con la sua htesaa velocità, e così sarà fatto, dico io, dello stesse parti dell’acqua percuzionti da quello che le seguitan diotro. Ma V. S. potrebbo replicarmi, il loglio andare a diritto della corrente e questo acquo dovere ir torto, elio è quello cho si disputa. A che io lo replico, non importar nulla; 80 perchè, sondo l’acqua materia assolutamelo cedente, con quella medesima forza o ve¬ locità con cho lo susseguenti la premono co ’l loro impulso, con la medesima appunto schizzano, por dir così, o si muovono d’onde l’uscita è più facile, o così il torto non fa niente. E nello palle del trucco, di cho abhiam ragionato, quella cho percotcndo ad an¬ goli rotti (che nell’altri angoli non par ch’eli’abbia che dire), riflettendosi per la me¬ desima linea, Y. S. dico cho ritarderebbe il moto d’altro cho continuatamente lo venisser dietro, dico esser vero che non solamente lo ritarderebbe, ma, sondo così d’avorio com’olio sono, cho quella prima lo farebbe al tutto fermare : anzi tutto il contrario mi sovvieno ora di dir meglio, che mentre continuatamente elle si toccassero, cho quella prima non for¬ merebbe lo sussequenti, nò meno lo ritarderebbe, ma tutto egualmente ritornerebbero IO indietro con la medesima velocità, so però elio non procedessero in infinito, il che non mo lo so immaginare; e seguirebbe quello stesso come so un cilindro pcrcotesso por testa ad uugoli retti, che tutto ritornerebbe per la medesima linea con la medesima velocità con cho sarebbe proceduto avanti, se non avesse trovato lo '«toppo. Ma so s’imaginerà, quella prima palla percuziente esser di vetro o altra materia assolutamente frangibile, conoscerà cho nel punto della percossa si frangerebbe, nò quello franturo scemcrebbon niente della lor prima velocità, mentre ella si movesse alla medosima elevazione, come appunto fa l’acqua. Per il che mi paro che il suo discorso non manchi di fallacia, benché a prima faccia paia concluderò, ma visto con esame più «squisito, appresso di me, è del tutto vano; e io confesso cho una volta per lo medesimo ragioni di V.S. mi persuadevo CO ancor io il medesimo, ma scoperte lo suo fallacie, con la scorta delle dimostrazioni del moto del S. r Galileo e poi del P. D. benedetto, mi son del tutto mutato, o credo clic in fine eli’abbia a fare il medesimo. Però, so il dotto sin ora non la quieta, lasciando del tutto e passiamo ad altre mie proprie considerazioni, o co’ suoi stessi assunti cercherò di farlo vedere l’impossibilità della sua opinione. V.S. dice che nello svolte l’acqua scema di velocità, o in conseguenza cresco la sua misura. Piciam ch’ella dica il vero: io le domando, so tal crcscimento procedo in infinito: credo mi dirà che no, perchè a ogni acqua seguirebbe il trabocco, o bisognerebbe sopra le svolte alzare infinitamente gli argini, il che non bisogna; bisognerà dunque diro cho l’acqua alzi sino a una tal proporzione, c poi si fermi. Sia alzata a tal proporzione, di CO maniera cho alla svolta, per esempio, delle Partoliue, nello suo maggiori piono la Marina Xiett. 2003. 56. l'acqua tana di — 14 DICEMBRE 1630. 183 [2093] alzi sopra il livello del suo corso, so fosse diritto, un mezzo braccio o quanto ella vuole; nel qual caso la velocità scemerà quanto cresce la sua misura, o vogliati! dire la seziono dell’acqua. Costituiscasi ora un fiume che diritto corra con questa stessa misura o velo¬ cità, il che non credo sia per negarmi potersi darò; conduciamolo a una svolta simile alle Bartoìine: chiara cosa è che, per il supposto di V. S. che il torcere scemi la velocità, quivi si ritarderà e crescerà di misura, cioè alzerà. Ma la medesima proporziono che ha la velocità dell’acqua delle Battolino, cosi alzata, alla svolta del suo argine l’ha l’acqua di questo dato fiume alla sua data svolta; adunque so questo cresco anche quella dovorrà 70 crescere egualmente, o così procedere in infinito, il elio non può essere: o questa mi par dimostrazion geometrica. Ma s’ella non basta, riponiamla per altro verso, dicendo così: sia alzata la Marina allo Bartoìine sopra il suo corso per diritto un mezzo braccio, e così ritardisi la sua velocità: chiara cosa ò, che dando a questa stessa misura o sezione, nel medesimo fiume e nel medesimo luogo, un’altra eguale o in diritto, che l’acqua correrebbe con la medesima velocità, hi cambio dunque di torcersi alle Bartoìine, allarghisi fin clic l’acqua faccia misura eguale a detto alzamento: è manifesto che nell’ima e nell’altra di queste sezioni eguali sarà la velocità eguale, così nel diritto e largo conto nel torto o stretto. Ma se noi torcessimo il canale dov’egli ò largo come appunto dov’ egli ò stretto, per l’assunto di V.S. la velocità scemerebbe, o così arennno due cagioni di scemar la velocità, cioè 80 la maggior misura e la tortuosità, ciascuna delle quali mantien sempre la sua natura; il che per lo equabilità delle proporzioni dee seguire anche nello strotto, con procederò in infinito, il elio non può essere: converrà dunque dire cito questo altezze sien sempre eguali, e cito il torto, per quanto solamente importa la sua tortuosità, non alteri niente lo velocità una volta impresso. Nel che, oltro a’ detti argomenti, che appresso di me sono intere dimo¬ strazioni, ho molto altro considorazioui, clic tutte mi conducono al medesimo segno, dove in quello di V. S. non ci trovo altro eli’ una prima probabile apparenza, che ben esa¬ minata mi conduco a impossibili stravaganti. Le dico dunque por ultimo elio, s’olla non ha dimostrazione in contrario, che non la può avere, tengo per vero quel ch’io lo dico, che mentre un canal d’un fiume di pen¬ ilo denza uniformo sarà per tutto nella sua larghezza simile e eguale, le velocità o l’altezze saranno eguali. E quando il P. D. Benedetto dico nel suo Discorso (1) , ingannarsi quegli architetti che nel formar la larghezza d’un ponto di più archi basta lor considerar la lar¬ ghezza ordinaria del fiume, e quella comprendono dentro a quegli archi, dice benissimo, perchè, se bene la Larghezza dello spazio è eguale, non però è simile, poi che dove il fiume ordinario ha solamente per impedimento il fregnmento di duo sole sponde, nel ponte si raddoppiano tali impedimenti tante volte quante sono appunto le impostature degli archi. E così ben dice di quel ciarpame e cannucce elio impedisco» le velocità do’ fossati, poi elio da esservi a non v’essero si varia la similitudine della larghezza di que’ canali, il che può esser di grandissima conseguenza, ma non il torto o diritto. 100 L’occasione di ben esaminar questa verità mi fu porta sin la state passata dal S. r Co¬ siino Medici, c ultimamente per i nuovi disegni di mutar letto aBisenzio; al qual S. r Cosimo dal medesimo BartolottiW fu proposto d’addirizzare un suo fiume per rimediare all’inon- 79. di tcniar la — (‘i Cfr. n.° 1903, lin. 13. l*> Cfr. u.“ 2096. 184 14 — 15 DICEMBRE 1630. [2093-2094] dazioni, ed ei me lo conferì, e in quest’altra occasione molti gentiluomini interessati me n’ turno trattato: il che mi ha dato materia non solamente d'investigar questa sola eh’a ino par verità, ma alcune altro in questo genere d’acque, che, dicendolo, parrehbon molto maggiori stravaganze (li quosta, dolio quali tutte ho fatto memoria e mi son carissimo; e ho cavato il tutto, come già ho (letto, dallo dimostrazioni del moto del 8/ Galileo e dal Discorso del I*. J). Benedetto, conoscendo sempre più un di che l’altro esser mirabili questi ingegni, avendo ambulilo scoperte verità tanto incognito c inopinabili all’ intender comune, o datino i semi per scoprirne sempre mai da vantaggio. K so V.S., trattenendosi quassù, 1 io avessi gusto di passar più oltre in questa tali speculazioni, mi surà sempre grato il servirla, sì por servir lei, come per mio senso o guBto particolare, non mi trovando alcuna como¬ dità di conferire simil diporti ch’io tal ora mi piglio in questa mia lunga villeggiatura. Scusimi se lo riuscissi o lungo e oscuro nell’esplicarmi, o supplisca con la perspicacia del suo intendimento.... 2094 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. A ree tri, 15 dicembre 1630. Bibl. Naz. Fir. M$s. Gal., P. I, T. XIII, cnr. 138. — Autografa. Amatiss.“' tì Sig. r Padre, Veggo die questa tramontana così gagliarda non permette che V. S. possi esser da noi così presto corno ne liaveva promesso, anzi dubito che non progiu¬ dichi alla sua sanità; che por ciò mando a vederla, o marni egli i cedri acco¬ modati, ciò è i morselletti fatti con la scorza, senza P agro, di quel cedro più bello. L’ altre fantasie sono con 1’ agro ancora, de gl’ altri più piccoli ; ma il me¬ glio di tutti credo che sia quel tondo più grande, perchè vi ho messo il zucchero più a misura e dovizia. Fo disegno di far un poco di ceppo alla Virginia* 0 e a Madonna riera 1 *’. Havrò caro che V. S. ce le mandi avanti le Feste, acciò posai dargliene; et per- io oliò vorrei anco far un poca di burla a Suor Luisa, vorrei che V. S. concorressi ancor lei, vedendo se per sorte havessi in casa tanta roba che facessi una por¬ tiera all’ uscio della sua cella : o sia cuoio o panno di colore, non mi darebbe fastidio; la lunghezza sarebbe 3 braccia e la larghezza poco meno di 2, et io vi aggiugnerò alcune bagattelle per farla ridere, come sarebbe arcolai da incannare, una filza di zolfanelli per accender il lume la notte, stoppino, aghetti e simili coserelle, più per darle una volta segno di gratitudine per tanti diligili che gli tengo, che per altro. Se V. S. ha in casa da farmi il servizio, Phavrò caro; se no, non cerchi già haverlo di fuora, acciò non si mettessi a qualche pericolo, de- O) Vihoima di Yinokkziu Lakducoi. i*' Cfr. n.» 2088, lin. 2. [2094-2095] 15 — 16 dicembre 1630. 1&5 20 siderando io troppo che ella si conservi, e per ciò la prego a riguardarsi quanto sia possibile. Del negozio di Monsig. r Arcivescovo 05 non ho inteso altro per ancora; havrò caro di sapere se V. S. ò stata chiamata. Con che me le raccomando di cuore, insieme con S. r Arcliangiola e le solite amiche. 11 Signore la conservi. Di S. Matteo, li 15 di Xinbre 1630. Di V. S. Fig> Afi>* Suor M. a Celeste. Fuori : Al molto Hl. re et Amatiss." 10 Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a 60 Bellosguardo. 2095 **. ANDREA ARRIGHETTI a NICCOLÒ ARRIGHETTI in [Montedomini]. [Macia], 1G dicembre 1G30. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 61-54. — Autografa. Sui margini dell’originale Nicooi. 5 An- kighkttj scrisse eli sua ninno alcune postillo, sottolineamlo i passi della lotterà a cui si riferiscono; lo quali postille furono, di mano di Andkba, numerato progressivamente da 1 a 14 (cfr. n.° 2096). Riproduciamo appiè di pagina lo postille, richiamandolo a’respettivi passi, o stampiamo in corsivo lo parole che nel manoscritto sono sottolineato. Molto Ill. r * Sig. r0 Cug. no Torno a diro a V. S. che non metto dubbio noi dimostrato dal S. r Cfr. il. 0 2088. XIV. 24 186 16 DICEMBRE 1630. [2095] mi sento strignier in maniera che sia per mutarmi il’ opinione. Anzi mi sovviene adosso che bisognerebbe necessariamente confessare die i fiumi o canali nel disco»tarsi dal loro principio andassino accrescendo la lor velocità con la proporzione do gl' eccessi do’ numeri quadrati, la qual cosa non penso poi che lei creda in alcuna maniera. Però torno a dire a V. S. che mi paro elio equivochi fortemente nel supporre che nello scorrere detti filoni e. mobili per detti cimali sieno rimossi tutti gi impedimenti [*], 20 perchè in praticha è impossibile il fare tal cosa, e elio supponghi quello che è in quiatione, poiché si disputa se lo svolto do’ fiumi cagionino ritardamento o no alle correnti di fiumi, e V. S. vuole star l’orto su la ilimostraziono del moto del 8/ (ìalileo e concluderne l’istesso; sì che è necessario supporre , come ò detto, che sieno rimossi tutti pi' impedimenti (**J, che pure ve no sono infiniti, e che lo correnti ile’ fiumi non sieno impedite e trattenuto dallo svolte e torture di essi, che ò quello elio si disputa. Et so mi fusai concesso, come mi à cotte esso anche V.S., che quelle svolte cagionino un minimo impedimento [***], ò impossibile che dalla prima svolta in giù la velocità del fiume o mobile possi per il torto agguagliare mai più la velocità per il diritto [****], cioò con la detta propensione dello caduto, quando anche dopo tale svolta il canale fusai in una sola dirittura; poiché, come 80 per altra mia le scrissi, si può dar caso che mediante le battuto o ribattuto che farà mediante tale svolta, nel cominciare la 2* dirittura si parta poco meno che dalla quiete; e molto meno l’agguaglierà so dopo quella ci saranno altre rivolto, come seguo nel caso di Bisenzio, dove ne sono di quello ail angoli tanto ucuti e stravaganti, con tornare for¬ matamente da mezzo giorno verso tramontana, che son sicuro che se V. S. si mettessi in¬ nanzi la pianta di esso [*****J | e pensassi solo al’effetto die farebbono dua mobili elio scorressero per dua modelli ili stagno, uno del letto di Bisenzio dalla Galera in giù, e l’altro del nuovo proposto da Alessandro Bartolotti, son sicuro, dico, elio muterebbe pensiero. E se, per detto anche di V. S., l’aqqua deve furo il medesimo effetto che fareb¬ bono due palle o cilindri o altro sia cho si vuole, non so vedere perchè gl'infiniti impc - 40 dimenti cagionati da vari accidenti, et in particolare dalle stravaganti torture [***♦♦*| che yì sono, non abbino da cagionare ritardamento, e per conseguenza ricrescimento di misura. Ohe poi tali svolte cagionino impedimento e ritardamento, mediante le percosse fatte in esse da’ dotti mobili non solo a squadra ma sotto qualaivogli angolo, non solo mi par chiaro per le ragioni dette a V T . S. per altra min, alle quali mi rimetto, ma ancora per l’esperienza dol trucco addotta da V. S., dove si vede cho le palle nel ribattere nelle mattonelle subito cominciano a perdere di forza, e tanto più se la ribattuta sarà fatta in maniera che la palla sia forzata a ribattere una o più altre volte nei altre matto- [*J 2. Suppongo che gli impedimenti sien sempre i medesimi, e dico che le svolte non sieuo impedimenti. 60 |**J 3. Non lo suppongo. [***] 4. Se queBto no'è venuto detto, ho equivocato. [****] 5. Come l’acqua è caduta, la velocità è acquistata. [#****] g. Ho q U08 t a pjauta disegnata puntualissimamente, e dico che tante svolte non fanno nulla, se però in qualche luogo non son troppo strette. |-*****«^ 7. Non ragioniamo d’altri impedimenti o accidenti fuor che dello Bvolto. 16 DICEMBRE 1630. 187 [2096] nelle: c se avessi praticità di detto gioco, arebbe visto clic con un colpo assai ordinario la palla camminerebbe, se non perquotessi nelle sponde [*] quattro o cinque volto, tanto quanto è la lunghezza della tavola, dove con farla ribattere con tutta la forza nella mattonella fio opposta è molto difficile il farla stornare fino al luogo dondo si era partita; e questo por cagione degl’ impedimenti, senza i quali è impossibile faro simili esperienze, et in partico¬ lare trattandosi di fiumi, dove ce no possono essere infiniti, del tutto inimmaginabili [**]. Quanto poi a quello dicie, di argini di materia cedente o penduli in sè stessi, non mi altera niente il mio pensiero, perchè non ò dubbio che un argine pendulo in se stesso non ritardi molto più il corso d’un fiumo di quello farebbono lo frasche e l’erbo e can- nuecie di materia molto più leggiera; sì come non son sicuro che l’aqqua, percotendo nella svolta, facessi l’effetto che farebbono i pozzi d’una palla di vetro, elio percotendo si spezzano, perchè non saprei immaginarmi gl’effetti elio fussero per faro, e direi più presto che non so no potessi dare una certa e ferma regola per cagione dogi’impedimenti, 70 senza i quali è impossibile far simili esperienze, come altra volta si è detto. Passiamo adesso al suo primo nrgumento, o vogliam dire dimostrazione geometrica, nolla quale pretendo di dimostrare che se lussi vero che lo svolte apportassero impedi¬ mento o ritardamento al corso de’ fiumi, no seguirebbe l’inconveniente del ricrescimento infinito, elio ò impossibile; e per provare tale inconveniente dicie così: Concedasi che i fiumi alle svolto crosciano di misura o sezione; e poi subito mi domanda se penso elio lai ricrescimento proceda in infinito, c risponde per me che no, perchè a ogni piena se¬ guirebbe trabocco e converrebbe sopra le svolte alzare infinitamente gl’argini. Ma se toclia a risponder a me, le dico lutto il contrario [***], cioè che sempre clic le piene sa¬ ranno maggiori, sempre le sezioni saranno ancor loro maggiori di quello che sarebbono 80 in dotto luogo se non ci fusBi alcuna sorti di torture ; o non so vedere perchè deva ad ogni piena seguire trabocchi e necessità d’alzamento d’argini in infinito. Ma questo non à che fare con la nostra quistionc. Seguita la sua dimostrazione, o dicie così : Sia alzata la Marina alla svolta delle Bartoline, oltre a quello seguirebbe so non fussi la detta svolta, ~ braccio o quanto piace, o perciò in detto luogo scemi la sua velocità con la propor¬ zione del’accrescimonto della seziono; constituiscaai poi un fiumo diritto, con l’istesaa volocità e sozione di quolla della dotta svolta dello Cartolino, quale ci immagineremo che si conduca a una svolta in tutto simile a quolla della Marina: nella detta svolta dice loi che, por quello dico io, l’aqqua doverrà rialzare, o crescere la sua sezione; o io dico che è verissimo. Adunque [****], dico V. S., ne seguirà ricrescimento infinito, perchè la pro- 90 [*] 8. Se le mattonelle staranno immobili, non seguirà alcuno ritardamento nè per¬ dimento di forza, e faccin quante ribattute si voglino: e so la pratica mostra il contra¬ rio, si moveranno le mattonelle ; non eh’ elle si scommettine, ma si vibreranno in sò stesse, come fa la campana allo percosse del battaglio. [**] 0. Non trattiamo se non della svolta, che non è inimaginabilo. [***] X. n,a So l’alzamento sempre crescesse in infinito, sarebbe pur vero che bisogne¬ rebbero argini d’altozza infinita. Ma non mi debbo esser lasciato intendere. [****] XI. Dove si dice svolta, diciamo ritardamento di velocità, e sarà levato ogn’error di parlare. 188 16 DICEMBRE 1630. [2095] porzione della velocità della Marina nella Bua evolta alla delta svolta è la medesima che la velocità del dumo diritto alla sua svolta; adunque crescendo questa, bisognerà ere- ioo scero anche quella, la qual cosa procederebbe in infinito, che è inconveniente. Lasciando Blare il disputare ho sia proporzione o no fra le cose (dio non nono del medesimo genere, o che, multiplicate, non bì possono avanzare, come è la velocità d’un fiume con un argine o svolta di esso, gli replico elio bo belio nel fiume diritto, clic propone da costituirsi, vi passa la medesima quantità di aqqua, per esser la sezione e velocità eguale a quella della Marina nella sua svolta, non è por questo che sieno gl’ intonsi fiumi, perchè in un dato tempo passerà molta più aqqua per la Marina che. per il dato fiume [*], e per conse¬ guenza la sezione della sua aqqua lontano dallo svolto sarà molto minore di quella del fiume, se però non mi vuole ritorre quello che mi à concesso nel principio della sua di¬ mostrazione ; o però non mi sento gtrignicre elio non ni possi crescerò o scemar l’una 110 senza l’altra senza un miniino inconveniente, e le confesso elio non co lo so vedere. Sono stato un pezzo avanti possi intendere la sua 2* dimostrazione, et in effetto veggo che commetto pur il medesimo errore, di supporre quello che ò in quistione; et in sustanza dice così. Sia alzata la Marina alla svolta delle Cartoline ‘ braccio più di quollo sarobbo andando in diritto, o suppongasi che dovo ò la svolta si addirizzi dotto fiume, o ai allarghi tanto elio l’aqqua facci la seziono eguale a quella della detta svolta: ò manifesto, dicio V. S., elio nel’una o nel’ultra di detto sezioni eguali sarà la velocità eguale, così nel diritto c largo conio nel torto e stretto; ma so noi di nuovo torceremo il canale, dove si ò allargato, con tortura similo a quella dello stretto, areremo, dice lei, duo cagioni di scemare la velocità, cioè la maggioro larghezza o la tortuosità; il che, per 120 l’equabilità dolio proporzioni, dovo seguire anche nello stretto, con procedere in infinito, elio è inconveniente. Questa dimostrazione va tutta a terra con il negarli solo che sia possibile Vaddirizzare un fiume e conservare in detto luogo la medesima sezione c velo¬ cità [**], perchè, come sa, è in quistiono; et io tengho clic mentre si levi lo svolto o si ad¬ dirizzi, cho scemerà la sezione e crescerà la velocità ; et allargandosi, oltre addirizzarlo, penso che la sezione si manterrà la medesima, c che allungherà tonto quanto è V allar¬ gamento folto, ma scemerà lauto per l'altezza che la sezione sarà eguale, a quello clic era avanti l allargamento [***], nientro però non vi fussero altri impedimenti potenti a cre¬ scere o scemare la dotta seziono. [*] 12. Velocità e sezzioni eguali portano acqua eguale, sieno come si vogliono. 130 Un medesimo fiume sbocca per tutto in tompi eguali eguale acqua, e sian le sezioni come si vogliouo. [*M 13. Il medesimo effetto segue con l’allargare un fiume cho con l’alzar le Bue acque, intendendo non l’allargamento por tutto, ma in qualche luogo particolare, mantenendo il resto nella sua strettezza. | ***| 14. Qui s’inganna forte V. S.; e vegga bene le dimostrazioni dol V. I). benedetto, che l’acquo noi medesimo declive stanno sempre alla medesima altezza, mentre non ecceda la strettezza de’ fiumi. 122. a terra con con U — I 16 — 17 DICEMBRE 1630. 189 [2095-2096] Questo è quanto conoscilo poter diro a V. S. in risposta dolio suo dimostrazioni, alla 140 quale penso sia per aqquietarsi o tornare alla sua antica opinione; poi che se non sento cosa che mi stringila maggiormente, penso che questa sia la vera e reale, c tanto più che nelle cose di geometria le dispute non dovrebbono andare in lungho. La pregho a scu¬ sarmi se li paressi troppa ostinazione, attribuendo tutto alla mia incapacità et alla sua gentilezza, che mi dà animo di ritornare con replicate sodome a interrompere le sue vir¬ tuose speculazioni, oltre al desiderio che tengho ancor io di venire in cognizione d’una verità tanto utile e necessaria. La prego dunque a mostrarmi più chiaramente la fallacia di questa mia opinione, la quale mi par tanto chiara che non li potrei dir più; e so an¬ cor lei lussi del medesimo pensiero (già ehe ne ragionammo anche in voce), credo che si raddoppierebbe il gusto a ciascuno di noi nello scommettere qualche galanteria, come 150 sarebbe una cena avanti carnovale alla conversazione del paese, elio servirà per ralle¬ grarsi un poco in questi tempi così calamitosi e per avere occasione di vedere qualche galanteria del nostro S. r0 Galileo, nel quale senz’altro repliche o scritture mi contento di rimettere tutta la decisione di questa disputa. Però, se paressi ancora a lei, potrà ri¬ mandarmi l’una e l’altra mia lettera, acciò con lo sua dua, che sono appresso di me, possi mandarlo al detto S. r Galileo, acciò da esse possi restare informato dello ragioni che muo¬ vono ciascuno a crederla differentemente, e decidere questa controversia..., 2096 **. ANDREA ARRIGIIETT1 a [GALILEO in Bellosguardo]. [Macia], 17 dicembre 1G30. Bibl. Naz. PIr. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 151-155. — Autografa. Molto Ill. re Sig. ro e P.ron Oss. mo Trattandosi a questi giorni in villa dei S. ro Niccolò Arrighetti, dove crono alcuni Signori interessati, del nuovo disegnio di addirizzare Bisanzio da Campi in giù, proposto da Alessandro Bartolotti, mi venne detto cho mediante le continue giravolte che fa dotto fiume, con tornare molte volte formatamente in dietro per molte centinaia di braccia e simili stravaganze, giudicavo che il vero modo di v riparare alle spesse rotturo et a’continui trabocchi che seguirono [nel]le svolte e sopra di esse, fussi stato quello proposto dal detto Bartolotti, cioè di diramarlo o, per dir meglio, farli un nuovo letto che dal luogho detto la Galera fino al Colle io a Signia, a dove sbocca di presente, andassi in una sola dirittura; et a questo mi persuadeva il vedere per esperienza che i fiumi per lo più fanno i maggiori danni nelle svolto c sopra di esse, dove conviene per tal conto alzare gl’argini molto più che ne’luoghi lontani da esse. Mi fu dal S.'° Niccolò replicato in contrario per molte ragioni et esperienze da lui addotto, le quali, insieme con quelle addotte da me in voce et poi in scritti, vedrà V. S. dalle incluse lettere e da alcuno postille 17 DICEMBRE 1630. 190 17 DICEMBRE 1630. [ 2096 ] fatte da lui ad una mia lettera, allo quali in piò di questa replicherò brevemente. In somma mandiamo a V. S. il processo di tutta questa nostra lite, supplicandola a pigliarsi fastidio di vedere queste nostro debolezze per darci animo a conti¬ nuare in simili trattenimenti o per farci restar capaci d’una verità tanto curiosa o necessaria; assicurandola elio io in particolare no resterò a V.S. obbligatissimo 20 in qualsivoglia maniera, non aspirando ad altra vittoria che il venire in cogni¬ zione della verità di questo negozio. La pregilo a scusare del troppo ardire, in¬ colpando di tutto la sua infinita cortesia, et facendo grazia di risposta (quale stiamo aspettando con grandissimo desiderio), di mandarla in casa mia ", chè su¬ bito mi sarà mandata. Dal S.™ Mario *’ sentii più giorni sono con molto mio gusto che il suo negozio per conto dello stampare i suoi Discorsi era in buon grado, sì come sentirò vo- lentierissimo elio resti del tutto sopita ogni difficoltà, e elio il I\ Stefani abbi fatta quella riuscita che ci cromo di lui promessi. Del resto io ricordo a V. S. la mia devozione, mentro gli sto pregando da N.S. vera felicità. 80 Di villa, 17 Xbro 1630. Di V. S. molto 111.™ Serv. r " Afl>° et Oidi.™ And.* Arrighetti. Quanto alla 1', 2* 0 3* postilla, replico elio gli concedo clic i mobili nel discendere por diversi piani vadino velocitandosi con la proporzione delle cadute, e ohe so si partiranno dall’istoaso punto, (piando arriveranno al*orizzonte, le lor velocitadi saranno eguali, sempre però elio sicno rimossi tutti gli impedimenti; ma non per questo veggo cho Tesperienza possi tornare, per cagiono degl’impedimenti, senza i quali è imposBiliilo il farla. Et il diro cho sempre cho gl’impedimenti sieno per tutto uniformi, in ogni modo i mobili si muove- ranno con la medesima proporzione, ma sì bene con tanto meno velocità «pianta gli sarà 40 levata da detti impedimenti, reputo che Bia falso, corno mi sforzerò di dimostrare. Por- ciò domando so una palla, v. g., doscondente per la perpendicolare, trovorrà meno impedimenti che quella che dosceuderà per una tavola o altra superficie inclinata. S 011 sicuro che mi sarà risposto di sì, perché quella che descendo per la perpendicolare non trova altro impedimento che Paria ambiente, dove l’altra trovorrà non solanicnto l’istesso, ma di più quelli cho li può arrecare P imperfoziono del piano per il quale à da scorrere, o della palla tangente forso in più punti, 0 simili cose. Adunque, dirò io, quando arri¬ veranno al orizzonte, la velocità di quella per la perpendicolaro sarà maggioro di quella **' A.vhrka Arrigiirttt possedeva «un podoro non casa da signore 0 da lavoratore nel popolo di S. Miniato al .Monto, in luogo detto in Aratri », od « un altro podere con casa da signore e da lavoratore nel popolo di S. Lionardo iu Arcolri, Inogo dotto in Ar¬ atri*. Cfr. Arch.distato In Virente, Archivio della Po- cima, S. Maria Novolla. Arroti deH’auuo 1632, u.* 182. i*» Mario Uutoccci. 17 DICEMBRE 1630. [2096] 191 per la superficie inclinata. Nel 2° luogo domando so (supposto anche che gl’ impedimenti 60 sieno per tutto i medesimi) l’essere il viaggio maggiore o minore importi niente, e se quella che farà il viaggio maggioro troverrà maggiore numero d’impedimenti di quello farà quella per il minore. Penso che anche a questo mi sarà risposto di sì. Adunque se ci immagineremo diversi piani, che da un medesimo punto vadino al medesimo orizzonte, le velocità de’ mobili descendenti por essi nel punto del orizzonte saranno minori di quella per la pcrpendicolaro, e quello per i piani pili inclinati saranno sempre maggiori elio quelle per i meno inclinati, per essere in quelli il viaggio più corto che in questi. E so questo è vero, non veggo perchè non si deva concludere l’istesso de’ mobili descendenti per il canale tolto e diritto, c del nostro caso di Bisenzio in particolare; dovo sono di più gl’impedimenti delle svolte e quelli clic da esse depondono, quali non starò a replicare. 00 Quanto alla 4 n e . r > n , non voglio dir altro, rimettendomi a quanto ò detto. Quanto alla 6“, credo elio l’essere i fiumi stretti nello svolto sia uno de’ maggior danni elio cagionino lo medesime svolte, e difficilissimo, so non impossibile, a poterci rime¬ diare; e penso che non solo in Bisenzio, ma in tutti gl’altri fiumi, et in particolare vicino allo montagne, sia impossibile il mantenerli larghi nelle svolte o rimediare clic rincontro al luogo dovo percuote l’aqqua non sia sempre il greto molto più alto che altrove. Et ò imparato a mia spese che l’allargare e votare i fiumi nelle svolte serve a poco, perché la prima piena che sopraggiugni vi alzerà la medesima materia e da vantaggio ; la qual cosa penso che sia molto volto cagiono elio quelli che posseggono i beni contigui a dette svolte vadino posticciando et ristrignendo il fiume, nella maniera che forse sarà seguito 70 in qualche svolta di Bisenzio. Sì che anche questo rialzamento è uno de’danni cagionato dalle svolte, con impedimento, per quanto penso io, alla velocità dcl’aqqua. Quanto alla 7 a non replicherò da vantaggio. Quanto al’8% dicho elio l’esperienza del trucco fu proposta dal S. re Niccolò per con¬ cludere l’istesso del nostro caso; et il vibrare che fanno le mattonelle è uno di quegli impedimenti senza i quali ò sempre detto che è impossibile faro simili esperienze; e le¬ vando questo, ce ne resterehbono degl’altri, che in ogni modo impedirehhono alla palla lo stornare con eguale velocità. Però se nel’esperienza proposta da lui sono queste dif¬ ficoltà, perchè non devon esser l’ist.esse e molto maggiori nel caso che si disputa ? Quunto alla 9 a , non ò elio soggiugnere, non vi essendo cosa che mi alteri niente. 80 Quanto al X, non ci so vedere l’iuconvenicnte elio pretende il S. r * Niccolò, o vero non intendo la sua dimostrazione. Quanto alla Xl“, non credo sia proporzione fra la velocità d’un fiume in un luogo et il suo ritardanoento in un altro; oltre che non mi pare che la dimostrazione cammini in ogni modo, o almeno io non no resto capncio. Quanto alla 12 a , ò il torto io, o confesso che scrissi una balordaggine, avendo equi¬ vocato dal dire che in un dato tempo camminerebbe più 1’ aqqua della Marina che del dato fiume, cioè che un sughero o altra cosa leggieri camminerebbe nel medesimo tempo più paese in questa che in quello; la qual cosa è supposta anche dal S. rfl Niccolò nel prin¬ cipio della sua dimostrazione, poi che suppone che la Marina alla svolta delle Burtoline 90 sia alzata di livello l l 2 braccio più di quello sarebbe seguito bc fusse a diritto; sì che lon¬ tano dalle svolte la sezione sarà minor di quella del dato fiume, qual suppone che, dove 192 17 DICEMBRE 1630. [2006-2097] ò diritto, abbi eguale sezione e velocità a quella della Bvolta della Murimi: adunque la Marina sarà più veloce dove è diritta. Quanto alla 13% non dico niente, rimettendomi a quanto ò detto. Quanto alla 1-1% non credo d’ingannarmi, perchè l’allargare semplicemente un fiume non penserei che avessi a ritardare la sua velocità, mentre non vi sia altri impedimenti che posaino causare detto ritardamento; e però se in qualche luogho largho si vede an¬ dare adagio, credo bisogni ricorrere ad altre cause che alla larghezza. 2097 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO iu Firenze. Bologna, 17 dicembre 1C30. BibL Naz. FIr. Mss. Gal., P. IV, T. IV, car. 111. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col." 10 Credo ch’liaverà ricevuto una mia in risposta della sua inviatami dal R. in ° P. F. Lutio, al quale pur indiri/.ai la risposta. Di nuovo vengo con questa mia a farli riverenza, desideroso di saper come se la passi e ciò che succeda de*suoi Dialogi, elio sono qua tanto bramati da questi Signori e principalmente dal Eig. r Cesare Marnili, elio so li ricorda alTetionatiasimo servitore; da me poi sopra ogni altro, conio si può inmginare. Desiderarci sapere se ha mai pensato in questa maniera alla generation de’venti: elio in qualche modo nell’ipotesi Copernicana vi potessero liaver che faro i moti ch'olii tribuisco alla terra, cioè clic nel rivolgersi con quella velocità io che li vien ascritta, mentre qualche materia più densa dell’etere, clic riempie quest’immensi spatii, si ritrovasse attraversar l’orbo annuo con altro moto, o pur in quello stesso quiescente, cioò, dico, clic sopruggiuiigeudoli la terra con il suo orbe vaporoso, circonfuso sino a quell’altezza che si stima, constituita in una somma velocità, elio in caso di urtare in quella materia, per dir così, come¬ taria, si facesse un gagliardissimo contrasto, per non obedir ella così presto al moto della terra, e questo fosse causa di sentirsi vento; quale poi dalla terra domata, non più contumace, cambiasse del pari con l’orbe vaporoso, et questo tosse poi il cessar del vento: sì elio si potesse formar questo paradosso, che il vento è una materia tal volta quiescente, e che quando si move, non ò più vento. 20 So clie si possono far di molte istanze, e fra l’altro questa principalissima, del- l’esser loro così tumultuarli e sregolati, elio nell’istesso tempo spirano da parti contrarie; ma credo che dall’implicamento de’moti di essa terra 0 de’moli par¬ ticolari che possono liaver tali materie, corno vaganti per l’etere, si potria forai scusar il tutto, tuttavia sia ciò detto come per un mio chiribizzo, 0 mi condoni 17 — 18 DICEMBRI-'- 1030. 193 [•2097-2008] V. S. s’io dico dolio Magateli e (sapond’io elio tali li parcrano, mentre ella saprà la quinta essenza della generation de’venti, elio itili altri riesce cosi astrusa e difficile): me ne scusi dunque, poiché gliele confesso per tali. E mentre io li de¬ sidero sanità e felicità in questo SS. nu# feste di Natale, con il buon Capo d’anno, so non manchi ella anchora di favorirmi di darmi nuova di sè. Che per fine li laccio , riverenza. Di Bologna, alli 17 Dec. bre 1630. Di V.S. molto 111. 10 et Ecc.™ 1 * Dev. n>0 et Ob. lno Amico e Ser. r0 F. Bon. m Cavalieri. Il pronostico poi della cometa tolto dallo spirar de’venti, pareria forsi molto a proposito, posta la sudetta opinione. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col.™ 0 40 II Sig. Gal. 00 Gal. 0 * Fiorenza. 2098 **. NICCOLÒ A MUGHETTI a GALILEO [in Bellosguardo]. Moutedomiui, 18 dicembre 1G30. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 156-157. - Autografa. Molt’lll. r ° S. r e P.ron mio Oss. ,no Con l’occasione di riparare all’inondazioni di Bisenzio, il quale ha il suo canale tortuosissimo, fu proposto dall’ingegner Bartolotti d’ad dirizzarlo pigliando tal di¬ rittura vicino a Campi, e condurla al medesimo sbocco dov’egli sbocca al presente, tirando come la corda a un arco. Mi fu fatto parte, da alcuni gentiluomini inte¬ ressati, di tal disegno; e domandato del mio parere, dissi che sempre che due canali abbino i medesimi estremi e sien pe ’l medesimo piano, con fondo e lar¬ ghezza per tutto simile e eguale, ricevendo le medesime acque, si conserveranno proporzionatamente per tutto alla medesima altezza, sì clic* se nel diritto non io traboccheranno, nè anche nel torto traboccheranno, et e converso ; soggiugnendo che il tempo del passaggio dell’acqua per detti due canali abbia la medesima proporzione che ànno le lunghezze di essi canali. Questa proposizione mi è stata Lett. 20 97. 30. anchori — XIV. 25 194 18 DICEMBRE 1 G 30 . [2098] controversa da alcuni, e particolarmente dal S. r Andrea Arriglietti, mio cugino; co ’1 quale trovatomi non lio potuto, nò in voce nò con lettere passato tra noi quassù in villa, persuaderli questa che mi par verità. È ben vero che nò anch’egli m’ha tirato nella sua opinione contraria, che è la tortuosità essere assolutamente cagione di ritardare il corso dell’acque, e così farle crescer d’altezza sopra quello farebbero nel diritto. Però al presente noi siamo in questa quistione, della quale sapendo che V. S. ne può essere il vero giudice, credo che il S. r Andrea gliene scriverrà, se a questa ora non glien’ha scritto 10 , o insieme lo potrebbe mandare alcune mie 20 lettere 10 in questo tenore, nelle quali lettere, come scritto in fretta, credo mi sia scappato qualche particolare, che, riconsiderato meglio, ora lo porgerei per un altro verso: come particolarmente in un luogo, dove paragono l’acqua, nel- l’arrivare a una svolta, a un legno, 0 dico che, messo fermo in una corrente, si moverebbe subito al corso dell’acqua; il elio conosciuto, nel ripensarci, patire eccezione, nò ben aggiustandosi la similitudine, mi farà grazia passar cotesto punto come non ben pesato 0 esaminato, ricordandomi avere imparato da V. S. ninna velocità potersi conferire a un mobile che si parta dalla quiete senza prima passare per tutti i gradi di tardità. La sostanza ò, che io tengo fermo clic l’acqua sempre conservi la medesima 80 velocità acquistata naturalmente pe ’1 suo declivo, mentre non intoppi altro im¬ pedimento clic la tortuosità del canale. Mi son servito, coni’ella vedrà, d’alcuno sue dimostrazioni del moto, 0 particolarmente che i mobili cadenti dallo stesso principio acquistino la velocità secondo la proporzion dell’altczze delle lor cadute, tenendo supposto per vero 0 indubitato, conio ho puro imparato da lei, elio il moto per l’orizzonto non cresca nè scemi velocità al mobile: il che applicandolo al corso dell’acqua, panni elio l’andar torto 0 diritto non sia altro che muo¬ versi o non muoversi orizzontalmente; il clic, per lo dimostrazioni di V. S., non può mai alterare la velocità impressa a un mobile. Il S. r Andrea dice che l’ap¬ plicazione non torna; ma a me pare cli’c’non la’ntenda. -io Oltre a questo c altre riprovo d’esperienze e argomenti, m’è panilo esser vero che se le solo svolte ritardassero, pure in minima parte, la velocità del- 1 *acque, tal ritardamelo dovesse arrivare lino al formar del tutto il corso de’fiurai, e che ogn’acqua, per mediocre eli’ella si fosse, dovesse a detto svolte cagionare il trabocco; e cavo tale assunto da una proposizione ch’io ho per verissima, la quale è che mentre che un mobile, coustituito in qual si voglia velocità, abbia congiunta una resistenza che l’accompagni sempre, sia minima quanto si vuol quella resistenza, in progresso di tempo ridurrà tal mollile alla quieto o a tar¬ dità infinita, bxempli grazia: spignendosi un mobile al centro per un piano elevato Lott. 2098. 21. nella quali letltre- <*) Cfr. n.° 2096. <*» Cfr. nn.i 2090, 2093. 18 DICEMBRE 1630. 195 [2098] r>o dall’orizzonte, per aver seco congiunto la naturale inclinazione del moto al con¬ trario verso ’l centro, la quale verrebbe a detrarli continuamente dell’impressa velocità, tal mobile alzatosi a un determinato termine, giusto la proporzione del suo impulso, non s’alzerà più oltre. Così qui. Avendo l’acqua lo ’mpodimento della tortuosità, come vuole il S. r Andrea, e questa conservandosi sempre fino al trabocco sopra l’argine, verrà, dico io, tempo per tempo a detrarre di quella velocità, fin clic o l’acqua, per la continua detrazione della velocità, alzandosi, tra¬ boccherà, o bisognerebbero gli argini d’altezza infinita, nel qual caso l’acqua, quando non si riducesse all’intera quiete, procederebbe a tardità infinita, il che non segue. oo Molte altre considerazioni mi sono occorse, e particolarmente mi son ricor¬ dato aver sentita già dire a V. S. in simil proposito, per conto del Tevere, di due cannelle di bocca eguale, ma una torta e una diritta, che, messe alla medesima botte a elevazione e altezza eguale, sboccherebbe no nel tempo medesimo acqua eguale; la quale esperienza, so ben non l’ho provata, tengo verissima, benché non sia creduta dal S. r Andrea, concorrendo anch’ella al medesimo segno, al quale insieme concorrono mill’altre riprovo, clic troppo tedio sarebbe il dille, senza trovare in nessuna pur minimo intoppo : dove nel contrario parere, com’ ho anche detto a esso S. r Andrea, non veggo se non una prima probabile apparenza, che, ben esaminata, conduce poi a impossibili stravaganti. 70 Scusimi di tanta noia; e questa sia un’occasione di rinovar la memoria di quegli infiniti obblighi ch’io le tengo, per i quali mi è dato amplissimo campo di elevarmi tal ora, dietro alle sue pedate, a tali speculazioni, per le quali panni con verità poter dire, Uscir per lei della vidgare schiera, lo poi con tutta la mia brigata sono stato un gran pezzo in villa, e, stante i mali di Firenze, seguiterò ancora. Ter grazia d’iddio, siamo stati tutti sanissimi c stiamo al presente; e per non la tediar da vantaggio, ricordandolo la mia servitù, lo prego da Dio sanità e vero bene. Di Monted." 1 , il di 18 di Xbre 1630. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 80 S. r Galileo Galilei. fai 76 . tei vitti, lo prego — 196 22 — 23 DICEMBRE 1630. [2099-2100] 2099 *. GALILEO [a RAFFAELLO STACCOLI in Firenze]. Bellosguardo, 22 dicembre 1630. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. Ili, car. 14f. — Autografa Molto HI.” Sig. rfl e Pad." Col. ra0 Ho veduto quanto mi scrive V. S. molto T. : in risposta di elio non posso per bora risponderò altro, se non che son pronto ad obe- dire ad ogni cenno del S. mo G. D. nostro Signore 11 ; nel resto, rispetto ad altri particolari, mi ò necessario poter più minutamente trattar con Y. S., il che seguirà domattina, quando non lo sia incomodo, e verrò a trovarla a Pitti. Et intanto con affetto gli bacio le mani e prego intera felicità. Da Bell. do , li 22 Xmbre 1630. Di Y. S. molto 111” Dov. mrt Sor.” io Galileo Galilei. 2100 **. ANDREA ARRIGHETTI a GALILEO [in Bellosguardo]. [Macia], 23 dicembre 1630. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 188-159. - Autografa. Molto 111.™ Sig. r ® e P.ron Oss. mo Il desiderio che abbiamo di sentire l’opinione di V. S. per conto della nostra disputa, è cagione che torni di nuovo a infastidirla, et accennarli parte dello ragioni et esperienze che, oltre alle scritte, tutta via mi vanno confermando nella mia opinione; si coinè segue del S. r " Niccolò, quale, fondato principalmente su le dimostrazioni del moto di V. S., sta più che mai ostinato. Oltre a quello ò detto sin qui, ò preso dua svolte del nostro fiume della Ma¬ rina o dua altre d’un altro fiumicello, distanti l’una dal’altra poche centinaia di braccia; et avendo con diligenza osservato il luogo dove è arrivata in esse svolte 1 ultima piena, e traguardato da una svolta al’ altra, trovo in effetto che io nelle parti di mezzo, sotto la prima svolta, l’aqqua non è arrivata a gran pezzo Cfr. n.o 2101, 0 Voi. XIX, Doc. XXXIX. 23 DICEMBRE 1630. 197 [ 2100 ] al piano che passa per i luoghi osservati : la qual cosa mi assicura maggiormente che l’aqqua vadi accrescendo la sua velocità e scemando la sezione dove non à intoppi che possino ritardare la sua corrente, sì come, per il contrario, mediante le svolte o simili impedimenti la vadi ritardando, lo li confesso che non so ve¬ dere, quando anche non ci fossero questi impedimenti delle svolte et il ritarda- mento che in esse riceve la velocità d’un fiume, non so vedere, dico, che dovessi in ogni modo esser dubbio in questo negozio, nè per qual cagione la minor pen¬ denza che toccha, v. g., a ciascun braccio del fiume più torto e lungho, che sia 20 nel medesimo piano del diritto e che abbino l’istessa caduta in tutta la lor lun¬ ghezza, non abbi da causare diminuzione di velocità et aumento di sezione, o tanto più in un fiume di più diritture, dove necessariamente (mentre sia tutto nel medesimo piano) a ciascuna dirittura si va crescendo o scemando il declive: e gl’effetti che si veggono tutto il giorno, in un istesso fiume, di ricrescimento e diminuzione di velocità e sezione mediante le doccio do’mulini, pescaie o si- mil cose, penserei che avessi a levare ogni sorto di differenza. Che poi in un fiume di più diritture (pur che sia tutto in un piano) sia da una dirittura al’altra differenza di pendio, è tanto chiaro, clic, come sa V. S., non à bisognio di altra dimostrazione che del’essere capacie che dua linee, che si congiungono so ad un punto, ancor che sieuo in un istesso piano, possano avere differente incli¬ nazione sopra il soggetto piano. Oltre alle dette esperienze, che, come ò detto, mi vanno tuttavia confermando nella mia opinione, senza che mi acchorga in quello consista la fallacia di questi miei discorsi, mi pare che tutto questo si dimostri molto chiaramente. Sia dun¬ que il piano del cerchio ABC inclinato sopra il piano del’orizzonte FG d’una tale inclinazione, nel quale dal punto C si tiri il diametro AC, quale intenderemo per il canale diritto, e le corde AB, BC, quali intenderemo per il canale di più diritture, i quali sup¬ porremo che dalla sezione A piglino l’aqqua, or l’uuo or 40 l’altro, del’istesso fiume, quale vadi in diritto con l’AC. Si deve dimostrare che la medesima aqqua, scorrendo per il canale ABC, occuperà maggiore misura che scorrendo per il canale AC. Tirisi dal punto B alla AC la perpendicolare BD, e piglinsi di ciascuno delli detti canali dua porzioni eguali AB, AE, che sieno, v. g., di piedi 70 l’una. Dico dunque che V aqqua contenuta nello spazio del canale AB, o vero è eguale alla quantità del’aqqua contenuta nello spazio AE, o vero è maggiore, o vero minore, di essa. Sia, prima, eguale, se è possibile: adunque perchè, per detto del’avversario, i tempi de’ passaggi ànno fra di loro la propor¬ zione delle lunghezze de’viaggi, il medesimo tempo che avrà speso la quantità del- 50 l’aqqua dello spazio AB a venire dalla sezione A al punto B, il medesimo ancora avrà speso la quantità del’aqqua dello spazio AE a venire dal’istessa sezione A A 198 23 DICEMBRE 1030. [2100-21011 al punto E; adunque, so nel secondo tempo la medesima seziono A manderà cgual quantità di aqqua, a quella del primo tempo, bisognierà che lo dua sezioni 15, E scarichino nel’istesso tempo egual quantità di aqqua: la qual cosa non può essere, perchè, por detto del’avversario, la velocità in 15 è eguale alla velocità in D, o però minoro di quella in E, c no seguirebbe elio dua sezioni eguali, ma di velocità diseguali, scaricassero ogualo quantità di aqqua, elio ù inconveniente. Sia dunque minoro, se ò possibile, la quantità del’aqqua per lo spazio A15 di quella per lo spazio AE: adunque no seguirà, elio dovendo le dua sezioni 15, E scaricare nel medesimo tempo ogualo quantità di aqqua, nella sezione 15 sia mag- co gioro velocità che nella E, la qual cosa non ò vera; adunque non può nè meno esser minore. Adunquo sarà maggioro; che ò quello che si doveva dimostrare. Del restante, io ricordo a V.S. la mia devozione, mentre le sto pregando da N. S. questo sante Feste colmo d’ogni felicità e contentezza. Di villa, 23 Xbre 1630. Di V. S. molto 111 « 2101 *. FILIPPO TREMA ZZI a GIULIO PARIGI [in Firenze]. [Fireuzc], 23 dicembre 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. Ili, car. 43. — Autografa. Ili/* Sig. r mio Oss. mo Dall'alligato decreto do’S. ri Officiali do* fiumi vedrà V.S. corno b stato accennato da S. A. che siano eletti il S. r Galileo e lei per visitaro il fiume di Bisenzio e conside¬ rare quello che sia più utile et espediente di fare per servitio di quella pianura e di que populi, stante la diversità de’ pareri del' ingegnere liartrlotti et ingegnerò Fantoni. E se bone è deputato il dì 26 a cominciare la detta visita, nondimeno v' ò la conditiono se il tempo lo permetterà. Et ha vendo le SS. VV. a essero lovato e posto, doveranno (1) Cfr. Yol. XIX, Doc. XXXIX. 23 — 27 DICEMBRE 1630. [2101-2102] 199 le parti farne loro instantia o condurlo con ogni cotumodità. Sarà contenta V. S. di lai- sapere il fatto al Sig. r Galilei, o a tutti dua bacio caramente le inani. 10 Dalla l’arte, li 23 di Xmbre 630. Di V. S. 111.™ S. rft tutto Aff. mo Filippo Tremazzi. Fuori: All’111.™ Sig. r mio Oss. m ® Il S. r Giulio Parigi, Architetto di S. A. S. In sua mano. 2102**. ANDREA AURIGI IETTI a GALILEO [in Bellosguardo]. [MaclaJ, 27 dicembre 1030. Bibl. Naz. Flr. Msa. Gal., P. VI, T. XI, cnr. 1G0-161. - Autografa. Molto 111.™ Sig. ro c P.ron Col."' 0 Questi Signori litiganti non poterono far meglio elezione clic del giudizio di V. S. ; e la nostra disputa, cominciata in villa del S. ro Niccolò Arrighetti, dove era qualcuno degl’interessati più principali, penso che sia stata buona cagione debordine elio à auto V. S. d’impiegarsi in questa materia 05 , nella quale ò molto maggiore il gusto elio sento nel trattarne su per i fogli con i triangoli, che non ò stato il disgusto quando ò auto a praticarla a mio dispetto, mediante la mala vicinanza di alcuni fiumi. Mandai a V. S. più giorni sono una dimostrazione sopra questo particolare, io ma perché la scrissi in fretta con altre lettere, dubitando l’orso non li avere scritto qualche balordaggine, mi è parso con questa rimandarla a V. S. meglio ordinata e più universale, acciò considerandola insieme con un’altra, clic pur concludo l’istesso, ma in differente maniera, mi facci onoro di accennarmi almeno l’equi¬ voco e la fallacia di esse, poi che per ancora il Sig. ro Niccolò mi nega ogni cosa, ma non per questo mi dicie in quello consiste la falsità della dimostrazione. Siamo in controversia, se in dua fiumi o canali di eguale larghezza, in un me¬ desimo piano, uno de’quali venglia al’orizzonte in una sola dirittura, e l’altro cominci e finiscila nel medesimo luogho del’altro, ma sia di più diritture, so la medesima quantità di aqqua, nello scorrere ora per l’uno et ora per l’altro ca¬ so naie, occuperà la medesima misura nel’uno che nel’altro, cioè se la quantità del’aqqua del’uno alla quantità del’aqqua del’altro avà la medesima propor¬ li Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIX. 200 27 DICEMBRE 1630. [2102] zione che la lunghezza dol’uno alla lunghezza del’altro. Lasciando da banda so lo svolte del più lungho, con il trattenere e ritardare il corso del’aqqua del fiume, sieno cagiono o no, in alcuni luoghi, di rigonfiamento e ricrescimento di misura, come penso io e come mi persuadono tutte 1 esperienze et osservazioni, dicho che mediante il minor declive del più lungho la medesima quantità di aqqua occuperà maggior misura in esso elio nel più corto, e che la proporzione della quantità del’aqqua del più lungho alla quantità del’aqqua del più corto sarà maggiore clic la proporzione del canale più lungho al canale più corto; come mi v sforzerò di dimostrare. Sieno noi medesimo piano inclinato al’orizzonte KF li dua canali della me¬ desima larghezza AB, ACDB : si à da dimostrare, che pigliando or l’uno or l’altro dalla sezione A l’aqqua del medesimo lumie e scaricandola per la connine sezione B, che l’aqqua occuperà maggior misura nel canale ACDB che nel canale AB, e die la medesima aqqua del più lungho al’aqqua del più corto avrà maggiore proporzione che il canaio ACDB al canale AB. Suppongasi prima, per detto del’avver-40 sario, che li tempi de’ passaggi per l’uno e per l'altro canale sieno fra loro come le lunghezze de’ canali; nel secondo luogo, che le velocità del’aqqua per l’uno e per l’altro canale si vadino accrescendo con la proporzione delle cadute; e prolunghisi il canale AB fino in G, tanto che sia eguale al canale ACDB. Dico dunque, che se la proporzione della quantità del’aqqua contenuta nello spazio ACDB alla quantità contenuta nello spazio AB non è maggiore della proporzione della lunghezza ACDB alla lunghezza AB, sarà &o eguale o minore. Sia prima eguale, se è possibile. Perché dunque la proporzione del tempo che consuma l’aqqua per il canale ACDB, nel condursi dal punto A al puntoli, al tempo che consuma l’aqqua nel condursi per il canale ABG dal punto A al punto G, è ristessa, per la prima supposizione, che la proporzione della lunghezza ACDB alla lunghezza AG, et il canale A(ì si ò fatto eguale al canale ACDB, ne seguirà che il tempo del passaggio nel’uno sarà eguale al tempo del passaggio nel’altro. Adunque se dalla sezione A nel secondo tempo verrà egual quantità di aqqua per l’uno e per l’altro canale, bisognierà che le sezioni B, G, che sono fra di loro eguali, nel medesimo tempo scarichino egual quantità di aqqua, e che per con¬ seguenza la velocità in B sia eguale alla velocità in G; che è impossibile, per la co seconda supposizione. Adunque non può essere eguale. Ma non può nò anche esser 27 DICEMBRE 1630. 201 [ 2102 ] minore, perciochè con il medesimo metodo si dimostra che ne seguirebbono mag¬ giori inconvenienti. Non essendo dunque nè minore nè eguale, bisognierà che sia maggiore, e che per conseguenza l’aqqua del canale più lunghe occupi maggiore misura, e cerchi di traboccare sopra gl* argini, più di quella del canale diritto e corto. In altro modo. Sia ABC il fondo d’un canale, quale, dopo che è venuto un pozzo con una tal pendenza, si pieghi nel punto B, in maniera che la sua parte B(J sia a piano 70 orizzontalmente et il proffilo della sua aqqua sia ABCDEF : dicho che la quantità del’aqqua ABCDEF sarà maggiore di quella che sarebbe nel ^. medesimo se fu ssi tutto con il me¬ desimo declive AB. Supponghasi, per detto del’av¬ versario, clic l’aqqua nel discen¬ dere per il piano AB si vadi sempre velocitando, e che quando arriva al punto B, nel passare per il piano oriz- 80 zontale BC, vadi conservando la velocità aqquistata fino al punto B; e prolun¬ ghisi il canale ABEF da B fino in C tanto clic sia eguale al piegato ABC e che sia tutto nel medesimo declive. Perchè dunque nel discendere per il declive AB Paqqua si va velocitando, e perchè le sezioni d’un istesso fiume Anno reciproca proporzione delle loro velocità, la superficie del’aqqua FEO non sarà parallela al piano del fondo ABC; e perchè per il piano orizzontale BC va conservando la sua velocità, però la superficie del’aqqua ED sarà parallela al suo fondo BC; adunque nel canale d’una sola pendenza sarà tanto meno aqqua che nel canale di dua pendenze, quanto il trapezio BECD è minore del parallelogrammo BECD: oltre che penserei che la superficie del’aqqua del canale di dua pendenze FED so cercassi anche di mettersi più in un piano clic fussi possibile, alzandosi verso la linea FD, so però l’altezza de gl’argini si andrà ancor lei alzando verso la detta linea FD. Ora, se questo è vero, come credo, per qual cagione non à l’aqqua del nostro canale di più diritture a fare il medesimo effetto mediante l’inequalità del declive da una dirittura al’altra, potendosi dar caso che non solo una dirittura abbi maggior declive del’altra, ancor che sieno nel medesimo piano, ma che una di esse sia parallela al’orizzonte, o vero che per qualche spazio l’aqqua abbi da ire sa¬ lendo formatamente, sì che con altezza di mura et argini straordinaria sia ne¬ cessario rimediare acciò non trabochi, e fare che vadi innanzi? Però riceverò per favore singolarissimo sentire il suo parere circha queste dimostrazioni, le ìoo quali, sebene vorrei che l’ussero più universali, conoscendo che sono ad ominem, con tutto ciò mi pare che con il S. ro Niccolò concludine) benissimo. Con il quale 27 DICEMBRE 1630. 202 [2102-2103] ò fatto quanto mi comanda, et amendui le facciamo reverenza, pregando a V.S. vera felicità e buon Capo d’anno con molti appresso. Di villa, 27 Xbro 1630. Di V. S. molto Ul. r ® Serv. ra Obb. mo And.* Arrighetti. 2103 . GALILEO a [ESAÙ DEL BORGO in Madrid?]. [ 1680 J. Dal Tomo III, pa&. 147-148, doli’edizione citate al n.® 1201. Vede da quanto ò scritto di sopra m , come sono circa quattor¬ dici anni elio io facova offerta di trasferirmi, bisognando, in Siviglia o Lisbona per incamminare il negozio alla pratica, mostrandone l’uso a quelli che doveranno esercitarlo: ora l’età gravo e il mio presento stato non mi permettono di pormi a tale impresa, ma effettuare por terze persone quello elio avessi fatto io stesso. E ciò mi si rappre¬ senta potersi fare nella presento maniera. Due sono l’utilità massimo che si contengono nella mia proposta invenzione, del potere ad ogni ora puntualissimamonte trovare la lon¬ gitudine. La prima ò la descrizione esatta di tutte lo carte nautiche io e geografiche, riducondole ad una puntualissima giustezza; la se¬ conda ò il poter, navigando sopra il mare stesso, trovar parimente la medesima longitudine, elio è l’uso principale ed il fino somma¬ mente desiderato. La prima operazione non soggiace a dubbio o dif- ficultà alcuna, dovendo esser fatta sopra terra, cioè su luogo stallile. All’altra viene opposta la incertezza della riuscita e del potersi pra¬ ticare sopra il mare ed in nave, medianto l’instabilità e continua agitazione del vascello, per la quale si temo che l’uso del telescopio, in ritrovare le stelle opportune e necessarie, resti impedito. Ora, acciò che per tale incertezza non si resti di tentare un tanto 20 benefizio, che è la massima ed ultima perfezione della navigazione, mi pare che si possa proporre a Sua Maestà che resti servita di ac¬ cettare un mio figliuolo, intelligente di tale professione, la carica '*> Cfr. rinformazione premossa al n.® 1260; 0 0 lin. 87-39. cfr. puro n.® 1982, Un. 22-24, 0 n.® 1997, lin. 22-23- 1630. 203 [ 2103 ] del quale sia di presente l’attendere alle nuove descrizioni e corre¬ zioni di tutto le carte nautiche e geografiche già scoperte e da sco¬ prirsi (sic), ed in particolare di tutte le possedute da Sua Maestà, con assegnarli quello stipendio ohe sarà conveniente o necessario per con¬ dursi là e quivi mantenersi. Quivi poi, essendo già instrutto perfetta¬ mente di tutto quello che appartiene all’ altra parte della mia inven- so zione, si potrà continuare e praticarla sopra navi; pel che ho pensato di mandare insieme con esso un’ altra persona, pratichissima nel ma¬ neggiare il telescopio, e, oltre a ciò, che ne possa fabbricare di sua mano quella quantità che sarà necessario: uomo di gran comples¬ sione, di vista acuta, ingegnoso, paziente, ed in somma attissimo a superare tutte quelle difficoltà che portano seco tutte le arti nel lor primo nascimento; lo quali difficoltà coll’esercizio non solamente si superano, ma si rendono praticabili con grande agevolezza, come non in un solo ma in tutti gli esercizi umani continuamente si scorgo, de’ quali nessuno, per vilissimo che sia, riesce nella prima applica¬ lo zione, che altri, quanto si voglia ingegnoso, vi faccia. A questi due ho pensato, che occorrendo qualche difficoltà inopinata nella mac¬ china e strumento che ho disegnato di adoprare in nave per libe¬ rare dall’agitazione del mare quello che dee maneggiare il telesco¬ pio, di aggiugnoro Cosimo Lotti, di grando ingegno, anzi ingegnere ed inventore di macchine, singolare amico mio e che già si trova al servizio di Sua Maestà, cd attissimo quanto altro che sia al mondo a trovar provvisione a tutti quegli intoppi che nella pratica s’in¬ contrassero, sebben non credo che veruno di gran momento se ne potesse incontrare; anzi non dubito punto che ponendosi all’impresa 50 con pazienza e con voglia della riuscita del negozio (la quale si ec¬ citerà dalla promessa d’alcun premio rilevante), tal maneggio si sia per ridurre a tal facilità per gli esercitanti, che Fuso suo sia per esser quale appunto è in terra ferma. Quando piacerà a Sua Maestà che tal impresa si metta ad ese¬ cuzione, stabilito che sia lo stipendio per la prima parte, sopra la quale non casca dubbio, si dovrà permettersi «all’altra ratificare la recognizione già stabilita, da esser consegnata al ritrovatore, e sopra tutto provvedere di liberare quegli che debbono intromettersi in tal negozio da due incontri molesti: l’uno è la inala soddisfazione che co il più dello volte sogliono ricever quegli che a grand’imprese si appli- 204 1630 — 17 GENNAIO 1631. [2103-2105] cano, nata dall’invidia e malignità degli ignoranti; l’altro ò quando si debba patire delle coso necessario per suo sostentamento, quando altri si affatica in arrecare comodi immensi a quelli elio dovrebbono largamente premiare. 2104. GALILEO a RAFFAELLO STACCO!.! [in Firenze], Bellosguardo, 16 gennaio 1631. Cfr.Yol. VI, pag. G27-G47. 2105**. ANDREA ARRIOHETTI a. [Macia], 17 gennaio 1631. BILI. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, ciu. 41-42. — Autografa. Molto Ill. r * Sig.'* mio Ohs.“° Avendo fatto un po’ di rotlossiono sopra quanto mi accennò iersera V. S. per conto della scrittura del S. re Galileo sopra Taddirizzamento di Bisanzio, mi confermo, come dissi a V. S. in voce, elio lasci gran campo al Bartolotti e a tutti quelli elio sono in questo particolare della una opinione (noi qual numero mi dichiaro ancor io, già elio, mediante Tessero andato a monte detto riparo et il trattarsi solo del trovare la verità di questo problema, non si corre risico di dar disgusto a persona) di star forti e mantenere la loro opinione, et in somma di non si quietare, corno parrebbe clic dovessi seguire, alla deci¬ sione d’un tant’uomo. Il Bartolotti concederà al S. r * Galileo che le palle nel discenderò per differenti do- 10 clivi, e l’aqqua ancora, rimossi gl'impedimenti, sieno per faro gT effetti che dimostra il S. r * Galileo, ma dirà sempre elio nel metterò tal cose in pratica è impossibile elio tor¬ nino, per essere impossibile il rimuoverne gl’impedimenti in tutto c por tutto; o del’aqqua in particolare dirà, che se in una medesima botte si metteranno dua cannelle, una lungha o una corta con differenza notabilissima, elio getterà con più velocità la corta clic la lungha; e dubito che l’esperienza riuscirà a suo lavoro, fatta però con quel'esq disi tozza elio si ricerche, perché so in quella medesima botto metteremo quaranta braccia di fune, grossa per l'appunto quanto le cannelle, credo elio con più facilità tireremo fuora lo 20 braccia elio si caveranno per la corta clic lo 20 che si caveranno per la lungha, o questo mediante il maggiore numero d* impedimenti che troverà quella elio uscirà por la lungha. 20 Ma concesso anco che gettino ©guai quantità, o che tutte l'esperienze tornino benissimo, trattandosi del caso di Bisenzio, dove si tratta di dua canali che abbino i medesimi estremi Lett. 2103. 61. malignità dagli ignoranti — 62. patirà dalli coti — Lett. 2105. 15. con jiiù veloci la — 17 GENNAIO 1631. 205 [ 2105 ] e die sieno in un medesimo piano, potrà sempre mantenere che in casi simili seguirà quanto da lui ò stato detto, e che mediante la gran differenza di pendenza da una di¬ rittura al’altra et le ritornate che fa in dietro, necessariamente ara l’aqqua del canale torto minor volocità che non à quella del diritto ; e facendone l’esperienza, dubito che al sicuro riuscirà a suo favore, conio segue nelle cannello torta e diritta. E se bene gli sarà replicato che questo segue mediante lo percosso che batte l’aqqua nelle svolte et il ritar- damento che in esse riceve, dirà che questo poco importa, poi che a lui basta che segua 00 quanto à detto lui, siano qualsivogli la cagione, non si potendo darò dua canali nel me¬ desimo piano che abbino i medesimi estremi, uno diritto o uno torto, senza differenza di declive dal’uno al’altro, e por conseguenza senza qualche svolta. Quanto poi a quello mi disse V. S., che se l’aqqua mediante lo Bvolte perderà di vo¬ locità, o per conseguenza crescerà di seziono, o elio però so converrà alzare gl’argini nelle svolte, acciò non trabochi, mediante l’aqquistare maggior caduta sotto di esse an¬ drà con maggiore volocità, tengho che assolutamente tale alzamento facci contrario effetto a quello dice. Perché io dimando V. S., so in un fiume che sia lungho, v. g., un miglio, e che abbi dua braccia di caduta in tutta la sua lunghezza, facendo alla sua fino una pescaia che sia alta un braccio e levandoli un braccio di caduta, domando se nella detta lunghezza 40 d’un miglio l’aqqua perderà di velocità o no. Son sicuro che mi risponderà di sì, e che, per conseguenza, crescerà la sua sezione per tutto il detto miglio proporzionatamente. Adunque, dico io, so alla fine di detto fiume io farò, in quello scambio, una svolta tale che cagioni un ritardamento tanto grande che l’aqqua sia neces¬ sitata a rialzare un braccio, perchè non deve detta avolta in tutto quel miglio fare il medesimo effetto della pescaia? Et il dire che da detta svolta in giù andrà con tanto maggior volocità che ristorerà al danno che à fatto di sopra mediante la sua tardità (quando fusai anche vero, che ci ò qualche 50 dubbio), non torna per quelli che vi anno i lor beni. Perchè, sia la pianta delli dua canali, torto o diritto, A, B ; et il profRlo del’aqqua per il torto, mentre non si rialzassi nelle svolte et elio sboccassi con eguale sezione al diritto, sia HKLI, e di quella del di¬ ritto sia D: so supporremo adesso che nel punto E sia una svolta, la quale abbi forza di rialzare l’aqqua fino al punto F, mi pare elio tirando dal detto punto la parabola al’orizonte FC, che mediante la CO detta svolta l’aqqua perda tanto di ve¬ locità, che partendosi dal punto F si parta con la medesima velocità che si partirebbe o per meglio dire avrebbe nel punto C, mentre non vi fusai la detta svolta. Però crederrei che nel’arrivare nel punto I dovessi avere la medesima velocità o sezione, tanto non vi essendo la svolta che essendovi ✓ 206 17 — 24 GENNAIO 1631. [2106-2106] la dotta Bvolta, por essere la caduta ogualo, o che il proffìlo dol’aqqua, mentre vi sia la svolta, dovessi essere UKLIF, molto maggioro, corno vedo V. S., del proffìlo KIUL. Telò consideri V. S. so ci vorranno maggioro altezze di spondo o no. Questo ò quanto mi è sovvenuto in questo particolare, quale mando a Y. S. cosi ab¬ bozzato, acciò con il suo discorso facci grazia di vedere se ci trova fallacia, et farne quel 70 capitalo che conviene di cosa fatta in fretta, attribuendo tutto al desiderio che tengho di venire in chiaro di verità cosi curiosa. Del resto io lo bacio la mano; o Be pensassi che il S. r# Galileo avessi gusto di vedero queste esperienze, potrà farli intendere che ci sono cannelle o canali di più sorte, o che in casa mia, domattina o quando comanderà, ci sarà commodità di farle o servire l’uno o l’altro, conlormo a quanto devo. Di casa, 17 Gon.° 1630 (l> . Di V. S. molto 111." Scubì so mi fusai scappato qualcho passerotto, et intenda qualcho cosa per discrizione, chò ò lo mani ag- grauchiale e mi par fatica a ricopiarla. Serv." Aflf. mo And.* Arrighetti. 80 2106. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Aroetri, '24 gounaio 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 96. — Àutofrafn. AinatÌ88. mo Sig. r Padre, Speravo di riveder V. S. avanti cho si dessi principio alla quarantena; visto che non mi ò sortito, desidero almeno di sapere come stia di sanità di corpo e di quieto di animo, chò quanto all’altre coso necessarie per il suo vivoro mi per¬ suado ch’ella stia comodamente, per haverne fatta provvisione o almeno con liaver largità di poter romper clausura tanto che vadia alla busca, sì come ha fatto per il passato, il che mi sarà grato d’intendoro; chò per altro non credo ch’ella si curi di allontanarsi dal suo caro tugurio, particolarmente in questa stagione. Piaccia a Dio benedetto che vaglino queste tante diligenze per conservazione uni¬ versale di tutti, ma particolare per V. S., si corno spero che seguirà con l’aiuto io divino, il quale non manca a quelli cho fermamente in osso oonfidano; sì corno ò riuscito a noi, poi che Nostro Signore c’ ha provvisto in questo tempo con una buona elemosina, ciò è di dugento quattro scudi, cinque lire o quattro crazie, Oi Di stilo fioieutiuo. [ 2106 - 2107 ] 24 — 29 GENNAIO 1631. 207 dispensatici, credo io, da i Signori della sanità per comandamento dell’AA. SSer. " ,u , le quali si dimostrano molto benevole al nostro monastero : tanto che viveremo qualche mese senza tanta afìlizione della nostra povera Madre badessa, la qualo credo che habbia ottenuto questo bene con le sue molte orazioni e con suppli¬ care e raccomandarci a diverso persone. Del cedrato che V. S. mi mandò ultimamente, ne ho fatto questo girello elio so gli mando; l’altro in forma di mandorla è di scorza di arancio, acciò senta se gli gustano. La pera cotogna sarebbe stata più bella alcuni giorni in dietro, ma non hebbi comodità, di mandarla. Mi manca la carta, onde non dirò altro, se non che la saluto di cuore insieme con le solito. Li 24 di Gen.° 1630 “>. Sua Fig> AfF. m * Suor M. a Celeste. FuoH: Al molto Ill. r0 et Amatiss. ni ° Sig. r Padre 11 Sig.‘‘ Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 2107 **. CESARE GALLETTI a [GALILEO in Bellosguardo], [Firenze], 29 gennaio 1C31. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. Y, T. II, car. 93. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. t0 Sig. r Zio, llavendo Lauto occasione di scriverli questi dua versi, non ho voluto man¬ care di avvisarli il nostro bene stare; et stiamo allegramente: il simile piaccia a Dio segua di lei. Però essendo che la Lena di su la Costa si muore di fame, perchè la Sanità non li dà cosa alcuna, però sarebbe bene cercare di rimediarci. Le cose della peste passono assai bene, che piaccia al Signor Dio liberarci afatto. Non sarò più lungo; solo me li ricordo obbedentissimo et obligatissimo nipote e servitore, et pregandoli dal’Altissimo il colino di ogni sua maggiore fe- 10 licità, li baccio lo mani. Di casa, il di 29 Genn. 0 1630 (S) . Di V. S. molto (sic) et Ecc. t0 Afl>° Nipote e Servitore Ceseri Galletti. 0» Di stilo fiorentino. !*> Di stilo fiorentino. 208 1° — 3 FEBBRAIO 1631. [2108-2109] 21 08 **. ESÀÙ DEL BORGO «d ANDREA CI0L1 [in Firenze]. Madrid, !• febbraio 1631. Aroh. di Stato In Fironze. Filza Medico» 4958 (non cartolata). — Autografa la «ottoacrUtono. .... i^uel cristallo^ non ò mai venuto, et ogni giorno «li l'alazzo ino lo ricordano.... 2109 **. FRANCESCO PECC1 a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 3 febbraio 1631. Bibl. Naa. Flr. Ma». Gal., P. VI, T. XI, car. 162. — Autografa. Sig. r mio, Il nome e le opere di V. S. sono così celebri e chiari, die fino In Stergard, città della Bassa Pomerania, da un valentissimo astrologo ho sentito celebrarli, et io stesso ne ho seco discorso più volte. Io la ho sempre non solamente sti¬ mata, ma ammirata; et in Siena, mia patria, nel tempo che viveva il S. r Conte Arturo l *\ conforme al parer di V. S. intorno le coso che galleggiano feci veder a tutta l’Accademia delti SS. ri Fliomati (sic) un cono di materia alquanto più grave dell’acqua, il qual immerso con la punta all’ingiù poteva non andare al fondo, ma contrariamente disposto era impossibile che galleggiasse. La virtù induce affetti; onde non farà meraviglia se io, ambizioso e di servirla e di contraer con lei ami- io cizia o di participar del lume che splende dal suo vivacissimo e saldo intelletto, mi lassi traportare e trascorrere a esibirle con questa la mia pronta servitù, a pregarla della participatione della sua gratia, et a molestarla con la missione delle qui incluse materie (,) , con speranza, non che desiderio, di sentir sopra esso il suo saggio e profondo e reai giudizio; assicurandola che non sono state vedute mai più da altra persona, perchè sono pen/ieri cadutimi nell’età mia più giovano et in tempi di mia quiete, doppo i quali applicatomi alle armi e per molti anni, non ho havuto nè potuto haver voglia nò comodità di ritornarvi, eccetto che adesso per la inondatione dell’otio tra chi qua s’attiene al mestier dcibarmi. So che V. S. è occupata intorno acutissime e gravissime speoulationi ; ma so 20 insieme che ella è di genio così gentile e cortese, che mi assicura di doversi com- ( ” Cfr - nn -‘ 206 5- 2080. (Si k, CRrte a li e quali accenna non houo lira- (S| Artubo u’Eloi. eontomento allegato alla lotterà. 3 — 6 FEBBRAIO 1631. 209 [2109-2110] piacere a honorarmi di dar una veduta a queste bagattelle e significarmi il suo sincero parere intorno esse, assicurandola insieme che da me sarà, stimato un tal favor eccessivamente. E se le qui incluse supposizioni e nona proposizione sa¬ ranno da V. S. giudicate per vere e salde in ogni lor parte (sopra di che dubbilo gagliardissimamente), voglio ardir di assicurarla di volerle e poterle mandar poi una fabbrica di macchina di conclusioni o dimostrationi, divise in tre libri, che non le dispiacerà il fine loro; il qual, ch’io sappia, da nissun altro è stato con¬ seguito, ancor che da molti ricercato. Ilo giudicato bene il mandar a V. S. soia- co mente queste poche cose qui incluse, si perché sono il fondamento della detta fabbrica, e sì per meno molestarla o divertirla, e sì perché mentre in esse sia qualche falsità, tutto il rimanente merita le tenebre, non la luce. Si è compiaciuto il S. r Marchese di farmi l’honore di far havcr sicuro reca¬ pito a questa mia per sua mera gentilezza, et insieme inviarmi la da me sperata risposta di V.S., onde ben potrà lei per Fistesso mezzo, compiacendosene, farmi l’invio di sua lettera e parere; neH’aspettar li quali imposto il pensiero, io fine allo scrivere e le prego da N. S. il colmo di ogni felicità. Di Venetia, li 3 Ferraio 1631. Aff. n, ° et Parzialiss® Ser. r di V. S. 40 Francesco Pecci. 2110. LORENZO PETRANGELT a GALILEO [iu Firenze]. Monaco, 6 febbraio 1631. Blbl. Naz.Fir. Mss. Gai.. P. T, T. IX, cftr. 232. — Autografa. Sul di fuori ai leggo, di uinuo di Gaj.iuso: S. Lor .* 0 Petrangeli. Molto Ill. r0 et Ecc. mo Sig. r Oss." 10 Finalmente (l) il nostro caro Sig. r Miehelagnolo Galilei, doppo d’haver riposte le sue ultime speranze nell’infinita misericordia del suo Redentore e poi nel- P amor di V. S. Ecc. ,na , suo buon fratello, con gran quiete so ne passò, avanti a le feste dell’Epifania, a goder, come ben possiam credere, gl’eterni riposi. Ma come sia rimasta questa povera famiglia, non occorre il dirlo a persona di tanta prudenza et a chi è noto quello che faccia di bisogno a chi vuol vivere a Mo¬ naco, benché sottilmente, nè bere altro che 1’ acqua. Mi duole di sentire, co’ di¬ sturbi publici, i suoi privati; nò perù posso indurmi a credere che i pensieri (*> Cfr. n.° 2091. XIV. 27 210 6 - 15 FEBBRAIO 1031. [2110-2111] verso questo poverissimo creature liabbiaiio ad esser gl’ultimi, nò che babbiano io a rimaner abbandonato da chi per tanti rispetti ò tornito a prenderne sollecita cura. Quel elio più mi trafiggo ò che gli sia mancato il padre quando potevano con gl’ insegnamenti esser condotti a qualche perfottione, per sollevamento della casa loro, cosa che certo non posson farlo adesso per l’età così tenera. Ilo fatto quanto V. S. Ecc. n "‘ mi comanda col salutar la S.™ Anna Clara 01 , la quale non ha saputo far altro elio accompagnare i suoi affettuosi ringratiamenti con molto lagrime o singulti. Tutti i figliuoli 05 si trovano presso di lei (eccetto Vincenzio, ebo hobbe ricapito in Polonia, dove pur hor si ritrova), o prendon con la lor madre ottimo augurio della gratiosa protettione di V. S. Ecc. n,m , mentre sentono, por la lettera scrittami, che pur desidera quanto prima intender nuove so di loro ; o così di nuovo a man giunte si raccomandano a chi in tanta calamità gli puoi consolare. E si persuada puro elio quanto io gl’ho scritto i giorni pas¬ sati o riscrivogli bora, P ho fatto c lo fo per sodisfare a quanto ini stringe la carità e l’amicitia, come anco in riguardo dell’honore e riputatone di V. S.Ecc. ma , il cui nome ò così celebre in tutta Europa o particolarmente in questa Ser." ,a Corto. Per fine non dirò altro, se non cho ò talo lo stato di queste povere creature, che ben posson dire con ogni debita umiltà o modestia a V. S. Ecc. m * quel che già Alessandro Magno, oppresso da gravissima infirmità e poco meno elio a fronte dell’esercito inimico, disse a’ suoi medici et agl’amici Lenta remerita non cxpectant tempora nostra. Il Signore si degni di consolarne, età V. S. Ecc.®“ conceda P ab- so bondanza de lo sue gratin. In Monaco, a G di Eerr.° 1631. Sig. r Gal.® 2111 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 15 febbraio 1631. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. IX, car. 284. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. ra P.ron mio Col." 10 Qua da Nostro Signore, come li scrissi 1 * 1 , lei fu provista di una pensione sopra una Mansionaria del Domo di Brescia 1 * 1 di 60 V di di moneta romana, quale f, i Anna Chiara Bandinelm, vedova di Mi- CUKI.ANORLO GaJ.II.KI. I*) Cfr. u.o 1815, lin. 48-59. '»> Cfr. n.® 2045. Gl Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX111 cj. 15 — 1G FEBBRAIO 1631. 211 [2111-2112] li sarà pagata profumatamente dal Sig. r Gio. Batta Arino mansionario, che si ritrova presente qui in Roma al servizio del Sig. r Card. 1 Lodovisio; e alla Ma¬ donna di Marzo sarà il primo termine maturato. La medesima Santità S. 1* lia provista di quaranta altri scudi sopra un Canonicato di Pisa l,) , del quale è stato provisto il Sig. r Marcantonio Picralli da S. Miniato, tutto suo; e pure la prima rata sarà alla Madonna di Marzo. Io aspettavo di riscuotere certi danari, e vo¬ lo levo spedire le bollo e mandargliele, ma sono senza un quattrino] ; però è neces¬ sario che V. S. mi mandi una procura di riscuotere questa prima rata dall’Ansio, spedite che saranno le bolle, quali farò fare da un mio spedizionero, e poi lo rimborsarò: c di grazia non manc[hi], acciò la grazia fattali da Nostro Signore non vadia in fumo. Li devo anco significare che il medesimo Sig. r Arisio si con¬ tentarti di estinguere la sua pensione, quando V. S. se ne compiaccia. Però se nella medesima procura mi darà facoltà di trattare questo negozio, con quella instruzzione che mi mandarà mi governarò puntualmente. Mons. re Ciampoli nostro li là riverenza o mille baciamani, desiderandola fuori di cotesti pericoli], elio lo tengono, insieme con tutti i parziali di V. S. e me 20 sopra tutti, in continova gelosia della sua salute. Il Sig. r Mar. Pallavicino tl) pari¬ mente li bacia lo mani, et io li fo humilissima riverenza. Di Roma, il 15 di Feb.° 1631. Di V. S. molto 111.' -0 Oblig." 10 o Devotiss. 0 Ser. rn e Dis. 10 Don Bened.® Castelli. Fuori: Al molto 111.” Sig. r c P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Fil.° di S. A. Scr. ma Firenze. 2112. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 10 febbraio 1631. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 104. — Autografa la sottoscrizione. Alla lotterà fnccinmo se¬ guirò il « Problonm », elio con ossa il Gavalikri mandava a Galileo (cfr. liti. 16), o elio ò, dulia stossa mano di copista cho scrisso la lotterà, noi Mss. Gal., Discepoli, T. Il, car. 7. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. ,no La lettera di V. S. Ecc. ma fu riceuta da me alli 12 del presente, quale giunse in tempo molto oportuno per solevarmi da dolori atrocissimi di podagra, cho in Cfr. Voi. XIX Doc. XXX111 i»). <*> Alessandro Pallavioini 212 1G FEBBRAIO 1631. [ 2112 ] tempo troppo acerbo mi ò venuta a travagliare, accompagnata con un puoco ili febre, dolor di capo ot simili galanterie ; elio perciò non si doverà maravigliare se non scrivo di proprio pugno, o creilo elio compatirà allo stato mio, come ben 10 compassiono il suo. Ma non si devo lagnare per questo, poiché le suo passato fatiche l’hanno resa tanto gloriosa al mondo, elio adesso ò ili soverchio che più si affatichi, ma sì ben tempo di godere deH’acquistato. Quanto al problema, mi giunse in tempo non molto al proposito per appli- io carinoli, onde havevo pensato di diferriro la speculatane sinché io fossi risanato ; ma il desiderio di servirla, o quel prorito elio mettano lo cose sottili, astruse e recondito, mi ha fatto accelerare rinvostigatione di osso problema: ondo hier- scra essendomivi mosso atorno con lo sedette galanterie et con le malo parole, insomma liobbo paura et bisognò che cedesse; voglio dire che al line liebbi for¬ tuna di ritrovarne la risolutionc, quale li mando. Quanto alli venti, son restato sodisfattissimo ; et io puro pensai, doppo elio 11 dimandai il quesito 10 , elio arrivando il moto della terra sin alla luna, chiara¬ mente si potea comprhcndoro elio il negotio di venti terrestre non poteva staro in tal modo. 20 Circa li suoi Dialogi, infinitamente si doliamo, 1’ Ill. mo Sig. r Cesare Marsilii et io, con questi Signori suoi partiali, ch’egli trovi sì duri incontri elio non per¬ mettine d’uscirne in luco: ma non ò maraviglia, poiché le coso grandi sogiaciano a grandi contrasti. Il sudotto Sig. r Cesalo moro di voglia di vederli; unde io, così pregato da lui, vengo a supplicarla, che quando egla pensi di non poterli publicare, voglia far tanto favore, et a me ancora, ili farne bavero una copia, elio di già ho scritto al P. Lucio che ritrovi un scrittore, che lo paghi a nomo mio: et sii sicura che non uscirà dallo nostro mani, mentre egla non lo permetta. Questo istesso potria scrivere ancora il suo Discorso intorno all’ innondatione del fiume (,) clic dice; e se pure bora non si risolve a questo, almeno il P. F. Lutio 80 mi favorirà di fare transcrivere il Discorso. Starò con desiderio attendendo qualche nova di lei, e come lì bavera sodisfatto la mia solutionc del problema, et novi commandi: e per tanto li baccio le mani; et il Sig. r Cesare Marsilii,elio liierihebbe gratin d’haver un putto maschio e sta tutto in allegrezza, so li ricorda devotis¬ simo servitore, come questi altri Signori, et io più di lutti. Di Bolog. n , il 1G Febrar 1631. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Dev. m0 et ()b. mo Rer. r0 F. Bon. r& Cav. r ‘ Lott. 2112. 15. hebbi — 37. Ecc™ — <*> Cfr. n.o 2097. ‘*i Cfr. n.o 2104. [ 2112 ] 16 FEBBRAIO 1631. 213 Problema. 40 Data rocta linea terminala so, quae cuni interminata oh contineat datura angulum obtuaum bos, producere so versus o, ut, e. g., iu h, ita ut co (quam abscindit perpendi- cularis eadeus a paneto h super ho) cura media inter sii, ho sit aequalis ipsi ho cura media inter ho, os. Ut. hoc ergo fiat., producta so bine inde indefinite, suraatur in ipaa producta ad partes o auilibet punotus, e. g. d, n quo cadat perpendicularis de super Lo; deinde a punto o exci¬ tata perpendiculari ipsi os, et inde¬ finita, quae sit ou, ponatur cidera ou iu directum ad punctum o recta xo, aequalis excessui do super co, et iun- 60 gatur dx, et a puncto d ducatur versus xu recta dii, contincns cum dx angu- lum udx, acqualem augulo dxu : con- curret autem du cum xu, quia praedicti anguli sunt duobus rectis minores; sit concursus in u, et ab u excitctur per¬ pendicularis ut ipsi du, quae concurret cura ds, quia angulus uds est acutus. Yel ergo concursus fit in puncto s, et sic babetur intentum, ut patebit; 00 vel concursus est ad aliud punctum, ut ad t. Tunc autera a puncto s du¬ catur sr, parallela ipsi tu, secans ou in r; rursus a puncto r recta rh, parallela ipsi ud, secans do in li; et tandem a puncto li recta he, parallela ipsi de, quae ideo erit perpendicularis ipsi ho: dico igitur, punctum li esse punctum quaesitum. Quia enim prima du excedit secundam uo aoquali excessu ei quo tertia do excedit quartara oc, sequitur (cura iste sint aritmetice proportionales) quod prima et quarta, nempe du, media inter td, do et ipsam co, acquari secundae et tertiac, nempe ipsi uo, mediae inter io, od, siinul cum od. Si ergo punctum t fuisset punctum s, iam haberetur inten- 70 tura ; sed tamen etiam hoc non existente, idem obtinetur. Quoniam enim est co ad co ut do ad oh, et reliqua ad reliqnam, idest excessus do super oc ad excessum ho super oc, erit ut do ad oh, idest ut uo ad or, idest ut du ad lir, idest ut excessus du super uo ad excessum lir super ro; ergo, permutando, excessus do super oc ad excessum du super uo erit ut excessus ho super oc ad excessum hr super ro: sed excessus do super oc est, aequaliB exeossui du super uo, ex constructione : ergo etiam excessus ho super oc est aequalis excessui hr super ro: ergo, ut supra, concludeinus hr cum co esse aequalem ro cum oli. Est autem hr media intcr sh, ho, et ro media inter so datam et oh, quoniam angulus ad r rectus est, cum sit aequalis augulo ad u: ergo data recta linea so ita pro¬ ducta est in h veluti opus erat. Quod facere oportebat. u 214 18 FEBBRAIO 1631. [2113] 2113. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arootri, 18 febbraio 1631. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 97. — Autografa. Molto Ill. r ® ot ÀmatÌ88. m0 Sig. p Padre, Il disgusto che ha sentito V. S. della mia indisposizione dovrà restar annul¬ lato, mentre di presento gli dico elio io sto ragionevolmente bone circa il male sopraggiuntomi in questi giorni passati ; chò quanto alla mia antica oppilazione, credo elio farà bisogno di una efficace cura a miglior stagiono. In tanto ini andrò trattenendo con buon governo, si come ella mi esorta, ft ben vero ch’io deside¬ rerei elio del consiglio elio porge a me si valessi anco por sù stessa, non immer¬ gendosi tanto no i suoi studii elio progiudicassi troppo notabilmente alla sua sa¬ nità: chò so il povero corpo servo come instrumonto proporzionato allo spirito nell’ intondor et investigar novità con sua gran fatica, ò ben dovero clic se lo con- io ceda la necessaria quieto; altrimenti egli si sconcerterà di maniera, elio renderà anco l’intelletto inhabile por gustar quel cibo che prose con troppa avidità. Non ringrazierò V. S. de i due scudi ot altro amorcvolezzo mandatemi, ma sì bene della prontezza e liberalità con la quale ella si dimostra tanto, e più, desiderosa di sovvenirmi, quanto io bisognosa di esser sovvenuta. Godo di sontiro il buon essoro dol nostro Galileino, et in questa quaresima, quando sarà miglior tempo, havrò caro di rivederlo. Ilo anco caro d* intender la credenza che ha elio Vincentio stia bene, ma non mi gusta già il mezzo con il quale viene in questa cognizione, ciò è con il non saperne nulla; ma quostc boiio frutte dell’ingrato mondo. 20 Resto confusa sentendo ch’ella conservi lo mie lettere, o dubito che il grande allotto che mi porta gliele dimostri più compite di quello che sono. Ma sia pur come si voglia; a me basta ch’ella so no sodisfaccia. Con che gli dico a Dio, il quale sia sempre con loi, e gli fo le solite raccomandazioni. Di S. Matteo in Arcetri, li 18 di Feb.° 1630 l0 . Di V. S. molto 111.™ Fig. u Aff. ma Suor M* Celeste. Fuori: Al molto Ill. ro et Amatiss.™ 0 Sig. r Padro D Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 80 0) Di stilo fioreutiuo. [2X14-2115] 22 FEBBRAIO — 7 MARZO 1G31. 215 2114 **. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 22 febbraio 1631. Aroh. Marsali in Bologna. Busta citata al n.° 1088. — Autografa. Ili mo Sig. re o Pad.' 10 Col.™ 0 Il nostro Padre molto R. do Matematico mi dà nuova di un con¬ tento singolare elio sente Y. S. Ill. ma per la nascita di un figliuolo maschio (1) , il che a me porge doppia cagione di dargli il buon prò o di rallegrarmene seco, sì come fo. Concedagli il Cielo di simigliare al padre, sì come conviene sperare; et io, che per l’età grave non posso sperare di liaver tempo di poterlo servire, pregherò e farò pregare per la sua salute. Scrivo con estrema fretta, come V. S. Ill. nia intenderà da una che scrivo al P. Matematico, concernente anco ad io interessi di Y. S. lll. ma : alla quale con reverente affetto bacio le mani, e prego intera felicità. Da Bell*», li 22 di Feb.° 1630 (2) . Di V. S. Ill. ,lia Dev.mo Obblig.™ 0 Ser. ro Galileo Galilei. 2115 . GALILEO ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Bellosguardo, 7 marzo 1G31. Bibl. Naz. Flr. Mas. Cai., P. I, T. IV, car. 73-75. — Autografa. Ill. mo Sig. re e Pad. ne Col.™ 0 Come sa V. S. 111.™% io fui a Roma per licenziare i miei Dialogi e publicargli con lo stampe, e perciò gli consegnai in mano del Rev. mo P. Maestro del Sacro Palazzo, il (piale commesse al Padre Fra Raffaello Visconti, suo compagno, clic con somma attenzione gli ve¬ desse, e notasse so vi era scrupolo nissuno o concetto da correggersi; il che fece esso con ogni severità, così pregato da me ancora. E men¬ to Cfr. n.° 2112, Un. 33-81. U) Di stilo fiorentino. 21G 7 MARZO 1G31. [2115] tre io facevo instanza della licenza o della soscrizzione di propria mano dell’ istesso Padre Maestro, volse Sua P. Rev. ma leggerlo esso stesso di nuovo; et così fu, e mi rese il libro sottoscritto e licenziato io di suo pugno, onde io, dopo 2 mesi di dimora in Roma, me ne tornai a Firenze, con iiensiero però di rimandare il libro là, dopo elio io liavessi fatto la tavola, la dedicatoria et altre circostanze, in mano dell’Ill™ 0 et Eec. mo S. Principe Cosi, capo dell’Academia de’Lincei, acciò si prendesse cura della stampa, conio era solito fare di altre opere mie e di altri Accademici. Sopraggiunse la morto di esso Prin¬ cipe, o di più Pintercision del commerzio, talché lo stampar P opera in Roma fu impedito ; ondo io presi partito di stamparla qui, o trovai o convenni con libraio e stampatore idoneo: per lo che procurai la licenza qui ancora dalli llover. mi SS.‘ Vicario, Inquisitore, o dal- 20 l’lll. mo S. Niccolò Antolla (,) : e parendomi conveniente dar conto a Roma al Padre Maestro di quanto passava, [e] dogi’impedimenti che si opponevano allo stamparla in Roma, conforme a che gl’ liavovo dato intenzione, scrissi a S. P. R. ma come liavovo pensiero di stam¬ parla qui. Sopra di ciò mi fece intendere, por via dell’Ecc. 1 ™ 1 S. ra Am¬ basciatrice, che voleva dare un’ altra vista all’ opera, e che però io gliene mandassi una copia: onde io, conio ella sa, fui (la V. S. Ill. ma per intendere so in quei tempi si sarebbe potuto mandare a Roma un volume così grande sicuramente ; et ella liberamente mi disse che no, e elio a pena le semplici lettere passavano sicure. Io di nuovo 30 scrissi, dando conto di tale impedimento et offerendo di mandare il proemio e fine del libro, dove ad arbitrio loro potessero i superiori aggiuguere e levare e metter protosti a lor piacimento, non remigando 10 stesso di nominare questi miei pensieri con titolo di chimere, so¬ gni, paralogismi e vane fantasie, rimettendo <5 sottoponendo sempre 11 tutto all’ assoluta sapienza e certa dottrina delle scienze supe¬ riori etc. ; o quanto al riveder l’opera di nuovo, ciò si poteva far qui da persona di sodisfazione di Sua P. Rev. ma A questo si quietò, et, io mandai il proemio e 1 fine doli’opera; e per nuovo rivisore approvò il molto Ii. do Padre Fra Iacinto Stefani, Consultore dell’In -<0 quisizione, il quale rivedile con estrema accuratezza e severità (così anco pregato (la me) tutta l’opera, notando sino ad alcune minuzie Cfr. Voi. VII, pag. 26. 7 MARZO 1631. 217 [ 2115 ] che non a se stesso, ma al più maligno mio avversario nè anco (lovrebbono arrecare ombra di scrupolo: anzi Sua V} ha hauto a dire, bavere gettato lagrime in più di un luogo del mio libro, nel considerare con quanta humiltà e reverente sommissione io mi sot¬ topongo alP autorità de’ superiori, e confessa, come anco fanno tutti quelli che hanno letto il libro, che io doverei esser pregato a dar fuor tal opera, e non intraversato per molti rispetti che bora non Eo occorre addurre. Mi scrisse più settimane e mesi sono il Padre Don Benedetto Castelli (,) , haver più volte incontrato il Padre Rev. rao Mae¬ stro, e inteso dal medesimo come era per rimandare il proemio so¬ pradetto, et il fine accomodato a sua intera sodisfaziono ; tutta via ciò non è mai seguito, nè io più ne sento muover parola: l’opera si sta in un cantone, la mia vita si consuma, et io la passo con tra¬ vaglio continuo. Per ciò venni ieri a Firenze, prima così comandato dal Ser. mo Pa¬ drone per vedere i disegni della facciata del Duomo <2) , e poi per ricorrere alla sua benignità, acciò, sentendo lo stato di questo mio co negozio, restasse servita, col consiglio di V. S. Ill. ma , di operar sì che al manco si venisse in chiaro dell’animo del Padre Rev. rao Maestro; e che quando così paresse a loro, V. S. Rl. ma , di ordine di S. A., scri¬ vesse all’Ecc. mo S. Ambasciatore elio si abboccasse col Padre Mae¬ stro, significandogli il desiderio di S. A. S. essere che questo negozio si terminasse, anco per sapere che qualità di huomo S. A. trattenga al suo servizio. Ma non solo non potetti abboccarmi con S. A., ma nè anco trattenermi alla vista de i disegni, trovandomi assai trava¬ gliato. E puro in questo punto è comparso qui un mandato di Corte per intender dello stato mio, il quale è tale che veramente non sarei 70 uscito di letto se non era l’occasione e ’l desiderio di significare a V. S. Ill. ma questo mio negozio, con supplicarla che quello che non havevo potuto fare io ieri, mi facesse grazia di operare ella stessa, prendendo il sopradetto ordine e procurando, con quei mezi che ella conoscerà meglio di me essere oportuni, di cavar resoluzione sopra questo affare, acciò eli’ io ancora possa in vita mia saper quello che habbia a seguire delle mie gravi e lunghe fatiche. Leti. 2115. 72-78. ella stanila, prendendo -r— 75. acciò eh io io ancora — (*» Cfr. n.° 2085. < 2 ) Cfr. n.<* 2081. XIV. £8 218 7 — 8 MARZO 1031. 12115-2116] Iiicovorà V. S. Ul. ma la presente per mano del sopradetto man¬ dato, et io starò con desiderio attendendo di sentire dal S. Gerì (1) quanto sopra di ciò haverà concluso V. S. ill. r " H , alla quale revoron- temente bacio le mani e jirego felicità. E perché S. A. S. si mostra, so per sua benignità, ansiosa dello stato mio, V. S. 111."* 11 gli potrà si¬ gnificare che io me la passerei ragionevolmente bene, so i travagli dell’ animo non mi affliggessero. Da Bell. do , li 7 di Marzo 1G30 Di V. S. 111.“® I)ev. mo et Obbliff.™ Ser.™ Galileo Galilei, Fuori: All’111. rao Sig. r0 e Pad. 11 Col. mo Il Sig. r Bali Gioii etc. In sua mano. 2110 . GERÌ BOCCIIINERI a [GALILEO in Bellosguardo], Firenze, 8 marzo 1031. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Onl., P. I, T. IX, car. 166. — Autografa. Molto Ill. r ® et Ecc. mo S. rB mio O88. mo Il S. r Ball Cidi ha fatto sentirò al Ser. mo Padrone la lunga lettera w di V. S., et S. A., doppo havcrla ascoltato con attontione et audio con commiseratione per quel die riguarda il travaglio d’animo di V.S., ha ordinato al medesimo S. r Bali di scrivere efficacemente al S. r Ambasciatore Ni codini, acciò faccia con ogni vivezza et quanto prima l’offizio col P. Maestro del Sacro Palazzo desiderato da lei, con avvertirlo che questa instanza la faccia a nomo dell’A. S., come quella die vorrebbe vedere presto stampata questo grave opera; et per maggiore infor- inatione del S. r Ambasciatore ha comandato il (Iran Duca al S. r Bali di man¬ darli copia della sudetta lettera di V. S., corno si fa questa sera. io Io poi sento dispiacere dall'bavere veduto dalla medesima sua lettera die V. S. non stesso interamente bene di sanità. Prego Dio por la sua salute et le bacio le mani, dandolo buone nuovo de’ nostri di Prato et di Montomurlo t4> « Di Fiorenza, 8 Marzo 1630 c, \ Di V. 8. Oblig. 1 " 0 Parente et Ser. r0 (Ieri Bocchineri. Orbi Bocohibbrt. CM Intendi I Bnccnnnctu e la famiglia (li Vxn- l)i fiorentino. cnrun (Ui.ii.ki. « 8 > Ofr. n.° 2115. I», ns .MI., flnrnnHnn [ 2117 - 2118 ] 8 — 9 MARZO 1G31. 219 2117 *. [ANDREA ClOIiT] a FRANCESCO NICCOLINI in Roma. Firenze, 8 marzo 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gnl., P. 1, T. II, car. 19. — Minuta di umno di Culti Bocchinkm (, h Al S. r Ami)/ 0 Niccolini. 8 Marzo 1631 a Nat* TI 8/ Galileo Galilei mi Imi scritto di villa sua una poliza ben lunga**), et il Sei-."' 0 Pa¬ drone, doppo liavorla sentita, ha voluto che io ne faccia far copia ot la mandi a V. E., acciò ella vegga quanto desidera il medesimo S. r Galileo, et possa in tale conformità fare Poflìzio quanto prima et efficacemente in nome dell’A. S. col P. Maestro del Sacro Pa¬ lazzo, mostrando che S. A. medesima sia quella elio fa tale instanza, perchè veramente vorrebbe elio questa gravo opera si stampasse, et compatisco molto il S/ Galileo del tra¬ vaglio d’animo in clic egli si trova per talo dilatione. Et io lo baoio eto. 2118 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 0 marzo 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 99. — Autografa. Amatiss .™ 0 Sig. r Padre, Perchè credo infallibilmente che V. S. Laverà ricevuta l’ultima mia lettera, clic scrissi molti giorni sono (3) , non replicherò altro del contenuto di essa, se non che gli significherò di nuovo il mio bene stare, e similmente di tutte le amiche, per grazia di Dio. È ben vero che questi tanti ritiramenti e quarantene mi danno, o più presto hanno dato, por la fantasia, mentre mi hanno vietato il poter haver spesso nuove di V. S. Credo pure che adesso dovranno terminare, e per conse¬ guenza che potremo presto rivederla. In tanto desidero di sapere s’clla sta bene, che è quello che più d’ogn’ altra cosa mi preme, et anco se ha nuove di Vin- io ccntio e della cognata. Rimando due fiaschi voti, c mandogli questi pochi mostacci noli, elio credo che non gli spiaceranno, pur che non siano, come dubito, cotti un poco più di quello elio richieggono i suoi denti. Questo tempo, così piovoso non mi ha concesso il fargli un poca di conserva di fiori di ramorino, come liavevo dissegnato ; ma subito che potrò haver i fiori <0 Ofr. n.o 2116. <*> Ofr. n.» 2116. (») Cfr. n.o 2113. 220 9 — 11 marzo 1631. [2118-2119] asciutti, la farò o gliela manderò. In tanto a lei di cuore mi raccomando, insieme con Suor Archangiola e lo solite. Prego N. S. che la conservi in Sua santa grazia, o desidero che dia un bacio di più a Galileino per mio amore. Di S. Matteo, li 9 di Marzo 1630 1 ’ ) . Di V. S. molto 111.™ Fig> Aff. ,n » 20 Suor M. tt Celeste, Fuori : Al molto Tll. ro et Amatiss. mo Sig. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 2119. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo; Àroetri, 11 marzo 1631. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 101. - Autografa. 1 Molto Ill. rrt et Amatiss." 10 Sig. r Padre, La lettera di V. S. mi ha apportato molto disgusto per più ragioni: o prima, perchè sento la nuova della morte del zio Miehelagnolo, del qualo mi duole assai non solo per la perdita di lui, ma anco per l’aggravio cho per ciò ne viene a lei, chè veramente questa non credo cho sarà la più leggieri fra l’altro suo poche sodisfazioni, o, per dir meglio, tribolazioni. Ma, poi che Dio benedetto si dimo¬ stra prodigo con V. S. di lunghezza di vita o di facoltà più cho con suo fratello o sorelle, ò conveniente ch’ella sponda 1’ una o Pulire conforme al beneplacito di Sua D. M., che ne è padrone. Così havessi ella qualche ripiego per Vincentio, acciò, con guadagnar egli io qualcosa, a V. S. si alleggcrissino i fastidii c le spese, et a lui si tagliassino l’oc¬ casioni del potersi lamentare. Di grazia, Sig. r padre, poi che V. b. ò nata e con¬ servata nel mondo per henotizio di tanti, procuri cho fra questi il primo sia suo figliuolo: parlo nel trovarli avviamento, chò quanto al resto so cho non ci biso¬ gnano raccomandazioni ; e di questo particolare discorro solo por interesse di V. S., per il desiderio cho ho di sentirò ch’ella stia in paco o unione con il me¬ desimo Vincentio e sua moglie, o viversene nella sua quiete : il cho non dubito che sortirà, s’ella gli farà ancora questo benefizio, molto desidorato da lui, per quanto ho potuto comprendere tutto le volte elio gl’ho parlato. Sento anco grandissimo disgusto di non poterlo dar quolla sodisfaziono che 20 \ orrei circa il tener qua in serbo la Virginia (l) , alla quale sono affezionata per ni Di stilo fiorentino. <*» Virginia di Vincenzio Lancuooi. 11 — 12 MARZO 1631. 221 [2119-2120] esser ella stata di sollevamento e passatempo a V. S.; già che i nostri superiori si sono dichiarati non voler in modo alcuno che pigliamo fanciulle nè per mo¬ nache nè per in serbo, perchè, essendo tale la povertà del convento quale V. S. sa, si rendono diffìcili a provveder da vivere per noi che già siamo qua, non che voglino aggiugnercene dell’altre. Essendo adunque questa ragione molto proba- babile, et il comandamento universale per parenti et altro, io non ardirei di ri¬ cercare da Madonna o da altre una tal cosa. Assicurisi bene che provo una pena intensa, mentre mi trovo priva di poter in questo poco sodisfarla; ma finalmente so non ci veggo verso. Dispiacemi anco grandemente il sentire ch’ella si trovi con poca sanità; e se mi fossi lecito, di molto buona voglia piglierei sopra di me i suoi dolori. Ma poi che non è possibile, non manco almeno dell’orazione, nella quale la prefe¬ risco a me stessa. Così piaccia al Signore di esaudirle. Io sto tanto bene di sanità, che vo facendo quaresima, con speranza di con¬ durla fino al fine; sì clic V. S. non si pigli pensiero di mandarmi cose da carne¬ vale. La ringrazio di quelle già mandatemi, e per fine di tutto cuore me lo raccomando insieme con S. r Archangiola e le amiche. Di S. Matteo, li 11 di Marzo 1630 ll) , do Di V.S. molto lll. ro Fig. ,a Aff. raa Suor M. a Celeste. Se V. S. non ha a chi dispensar la carne che gli avanza, io haverò bene a chi distribuirla, essendo stata molto gradita quella elio mi ha mandata. Si che se havessi occasione, potrebbe talvolta mandarmene. Fuori: Al molto Ill. re et Amatiss." 10 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. 2120 *. MARTA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcctri, 12 marzo 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. flal., P. T, T. XIII, car. 103. — Autografa. Amatiss.” 10 Sig. r Padre, Ringrazio V.S. dell’amorevolezze a noi gratissime, poi che quest’anno così penurioso è causa che passiamo la presente quaresima assai magramente ; bo bene, quando si ha la sanità, l’altre cose si tolerano facilmente. Ili stile fiorentino. 12 MARZO 1631. 222 [2120-2121] La Tenuta di V. S. e di Galileo piccino è da noi grandemente desiderata, quanto prima sia possibile. In tanto mi rallegro di sentire ch’olla stia assai bene, sì come di nuovo mi dolgo dell* impedimento elio ho nel poter giovare alla Virginia o sodisfare a V. S. c,) Spero non dimeno elio Dio benedetto la provvo- derà in qualche altra maniera. So Vincenzo ha ancora V. S. in sospetto], a lei sarà di utilità, già elio non io si pigliano danari da persone elio siano appestate; e cosi egli, che no ha tanto timore, non no domanderà a V. S. Alla quale di cuore mi raccomando: N. S. r « la conservi. Di S. Matteo, li 12 di Marzo 1630 (!) . Sua Fig> Aff. ma Suor M.“ Celeste. Fuori: Al molto 111.” et Amatias.™ 0 Sig. p Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, a Bollosguardo. 2121 *. GISMONDO COCCAPANI a FERPINANDO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. (Firenze, marzo 1631.] Bibl. Naz. Pir. Ms». Gai., P. 1, T. IX, c*r. 237. - Autografa. Sul di fuori della lotterà ebo pubblichiamo sotto I) n.« 8129, e alla quale questa ò anche o*fl allegata, il lene, di mano di Oamuo: S. StaC- COli 0 Goccapani. In una copia della prosento, di mano dello «tosso Cuccatasi, elio ò puro tra i Usa.Gal. (Contemporanei, \ ol TX, car. 2), «I logfro. aggiunto da lui medeaimo: « Data In man propria al (Iran Duca eotto li 12 di Marzo 1630'*», e faTorita da (rie) Ili.»» S.* Couto Orco d’Jilci». Sor. mo Gran Duca, Gistnondo Goccapani pictore, humilissimo servitore e vasanllo «li V. A. S., revcreuto- mcnt.e lo espone come à trovato un modo facile e di podi» spesa di ridurre il fiume di Arno in canale; o ogni volta che V. A. S. si compiacerà farle gratia e privilegio clic questa sua iuventione non le possa esser mossa in opera ne'sua felicissimi Stati da altri clic dal detto suplicante o da chi egli sostituirà in suo luogho; e perchè egli possa in ciò aflati- earsi, piaccia a V. A. ordinare a ministro intendente con il quale egli possa trattare per i bisogni di tal negotio, et egli prontamente sarà in ordine a ogni comando di V.A.S.: alla quale le fa umilissima reverenza, con pregarle dalla superna gratia che lo sii ogni suo buono desiderio adirei pi to, o al suplicante dato lavoro per poterla Leno e virtuosa- 10 mente servire. <*> Cfr. n.° aita, i*» Di stlilu liuruutino. ‘•i Di stilo floroiitiuo. [ 2122 ] 13 MARZO 1631. 223 2122 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 13 marzo 1631. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 104. — Autografa. Araatis8. mo Sig. r Padro. Non resto maravigliata del cordialissimo affetto ch’ella mi porta, già elio troppi sono gl’indizii o contrassegni elio ne tengo; ma ben stupisco die l’amore arrivi tant’oltre che la faccia indovinare, con mandarmi V. S. una vivanda più conforme al gusto e sanità mia di qual si voglia altra quadragesimale. La rin¬ grazio pertanto infinitamente, o mi preparo a goderla con gusto raddoppiato, per esser accomodata da quello mani tanto da me amate e reverite. E giù elio mi ordina ch’io domandi altro di mio gusto, io domanderò qualcosa per far co¬ lazione la sera; e nel re[s]to, di grazia, V. S. non si pigli altro pensiero, chò io quando mi bisognerà qualcosa mi lascerò intendere, sapendo che posso farlo con ogni sicurtà. Non vedo l’bora di rivederla insieme con il bambino, pur elio non sia in giorno di festa, chè non ci saria sodisfazione. Lascio giudicar a lei se mi sarà di consolazione la grazia elio V. S. pretende di ottener da Monsig. r Arcivescovo; ma non posso in questo punto risolverla. Sarò con la Madre badessa, e quanto prima gli significherò quel clic ne havrò potuto ritrarre. In tanto finisco, senza finir mai di raccomandarmele, e prego Nostro Signore che la conservi. Di S. Matteo, li 13 di Marzo 1630 (,) . 20 Sua Fig. ,a Aff. ,na Suor M. a Celeste. Fuori : Al molto Ill. r6 et Àmaliss."' 0 Sig. r Padro Il Sig. r Galileo Galilei, a Bello Sguardo. Lett. 2122. 8. mi ordiana — <*) Di stilo ftoroiitiuo. 224 16 - 17 MARZO 1631. [2128-2124] 2123*. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Ruma, 16 marzo 1631. Blbl. Naz. Plr. Ms9. Gal., P. I, T. II, car. 21. — Autografa la «ottozcrlzlone. 111.“° SigV mio Obb." 10 TV interesse< l > del S. r Gallileo Gallile! è stato qui sempre cobI a cuore, che non aon molti giorni che l’Ambasciatrice ne parlò col Padre Maestro del Sacro Palazzo; ma la difficoltò tutta si dove ridurre che il P. Maestro vorrebbe farla rivedere non al P. Ste¬ fani, ma al P. Nente (,) non approvato dal S. r (ìallileo. Ci adopreremo nondimeno arabidue e dicaci almamente, conformo al comandamento di S. A. e per servir al merito dell’istesso 8/Gallile! ; o con altra occasione V. S. 111.®* saprà quel elio so no sia ritratto. E li ba¬ cio le mani. I)i Roma, li 16 Marzo 1631. Di V. 8. Ili ,•» Obl.“° SerV S. r Dall Cidi. Frane. 0 Niccolini. 2124*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Boliosguardo. Arcetrl, 17 marzo 1631. Blbl. Naz. Plr. Mia. Gal., P. I, T. XIII, car. 106. — Autografa. AmatÌ88. n, ° Sig. p Padre, La risposta che riporto dalla Madre badessa, circa il servizio del quale mi scrisse V. 8. l’altro giorno ’ 1 , è che senza dubbio sarà di molto gusto a tutte uni¬ versalmente il procurar la grazia da Mons. r Arcivescovo non solo per i padri, ma per i fratelli ancora, ma che giudica esser conveniente l’indugiar a doman¬ darla doppo Pasqua. In tanto V. S. sarà da noi e potrà in voce trattarne con lei, che veramente è persona molto prudente e discreta, ma assai timida. Rimando i collari imbiancati, che, per esser tanto logori, non saranno acco¬ modati con quella esquisitezza che havrei desiderato : se altro gli fa bisogno, si ricordi che non ho il maggior gusto nel mondo quanto che d’impiegarmi in cosa io Cfr. n.o 2117. »*> Cfr. n.o 2073. «*> Cfr. n.» 2122. 17 MARZO 1631. 225 [2124-2125] di suo servizio, sì come all’incontro mi pare clic lei non l’Labbia in altro se non nel compiacermi e sodisfare a tutto le mie domande, giil che con tanta solleci¬ tudine provvede ad ogni mio bisogno. La ringrazio di tutte in generale, et in par¬ ticolare dell’ultime c[he] per mano del nostro fattore ho ricevute, che fumo due cartocci, uno di mandorle, l’altro di zibaldone, e 6 cantucci. 11 tutto ci goderemo in grazia sua. Et io gli fo un regalo da poveretta, ciò è questo barattolo di con¬ serva, (dio sarà buona per confortar la testa; se bene miglior conforto credo che sarebbe l’affaticarla meno con lo studio e scrivere. Le bagattelle del panierino saranno per la Virginia. 20 Per carestia di tempo non dirò altro, se non che in nome delle solite la sa¬ luto affettuosamente, e prego N. S. che le conceda la Sua santa grazia. Di S. Matteo, li 17 di Marzo 1630 Di V.S. molto 111. 1 ' 0 Fig> Aff. ma Suor Maria Oel. ta Fuori: Al molto 111. 10 et Amatiss." 10 Sig. r Padre 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei, a Bellosguardo. 2125. CESARE M ARSI LI a GALILEO in Firenze. liologna, 17 marzo 1031. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, cav. 1GG. — Autografa la firma. Molto 111.* 8 et Eccellen. mo mio Sig. 1-0 e P.rone Ringrazio V. S. Eccellen. ma dell’affetto mostrato verso la perpetuazione della mia Casa 1 ** nella sua cortese, del quale ne ò giustamente contracambiata dalla parziale mia inclinazione di servirla. Le mando la metà di una mia diceria (3) , fattami faro centra vena da Mon¬ signore Archidiacono Paliotto (i) mio Signore, per stenderne poi una lettione nel¬ l’Accademia de’Gelati sotto il suo augurato principato, in proposito di che l’equino¬ zio verno passato io ritrovai nella meridiana scolpita nel pavimento di San Petronio, la quale declina da quella che di nuovo vi si ritrova. Desiderarci grandemente che io V. S. Ecccllcn. n,a ne facesse il rincontro col mezzo del quadrante marmoreo e della 0) Di stila fiorentino. 1*1 Cfr. il.» 21 li, lin. 8-4. < s > Non è pervenuta inaino a noi. < V > F«ANCE3CO Pal.botti. 226 17 — 18 marzo 1631. [2126-2126] armilla di bronzo, clie il Finirò Maestro Ignazio Danti scrive bavere collocato sotto il meridiano nella facciata di Santa Maria Novella. Molte ragioni me lo persua¬ dono, oltre le accennate nell’incluso invoglio: la positura dell'Italia nelle mo¬ derne geografie, più a schianzo della posta da Tolomeo; lo storcimento delle longitudini osservato dalli naviganti, come dico l’Hondio (,) ; il portare il calculo, clic lo mandarò, iiuesto accidente, che il meridiano d’Azores passi per il luogo del polo mobilo della diurna reyoluzione et per il stabile pur terrestre, dirò, del zodiaco, supposto elio Tasse della diurna risoluzione anticipi quanto si diceva che posponesse Tottava sfera, o supposta la differenza delle altezze moderno del polo in rispetto dello osservate da Tolomoo, in modo elio la calamita pare vanghi a 20 riguardare questi doi poli, sì elio la terra venghi ad bavere due assi direttorii magnetici, come non saria inconveniente porre ne’pianeti. Altro per bora non mi occorro, se non farli riverenza o dirli elio il libro accennato per la prima occasione le verni sicuro. Lo bacio lo mani con il solito ossequio. Di Dologna, li 17 Marzo 1631. Di V. S. molto ili." et Eccellen.®* Sor/’’ Afì>" di cuore Cesare Marnili Linceo. Molto lll. re et Eccellen.® 0 Sig. r Galileo Galilei. Firenze, 212G. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 18 marzo 1681. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gai., P. VI, T. XI, car. 198. — Autografa. All» lottora facciamo seguirò l’« altro fo¬ glio », che con essa il Cavalieri mandava a Giulio (cfr. lin. 18 19), e che à puro autografo, nei Mss. Gal., Dìtccpcli, T. II, car. 8-9. Molto III.™ et Ecc. m0 Sig. r e F.ron Col.® 0 Devo rispondere a duo sue, allo quali prima d’adesso non ho dato risposta, perchè per l’ordinario passato pensavo di poter inviarli insieme un non so che del S. r Cesare Marsili, ma perchè non era in ordine, perciò son venuto diffe¬ rendo; e finalmente non essendo pur nè anco adesso in pronto, non ho volsuto più tardare a risponderli. Questa è una lettera ben lunga, fatta ila esso signore, nella quale spiega un suo pensiero intorno alla meridiana: ch’ella si muova, cioè che si muova il polo del mondo, e perciò si varii la longitudine e latitudine dello città, del che no habbiamo sensibilissima esperienza qua in Bologna nel tempio Intendi, la Lettor» a Uafiaeluo Stauoou: cfr. n.» 2104. ,3 * Intendi, ab IncunutHone. 228 18 MARZO 1681. C 2126 ] Molto mi dispiace di non haver servito a V. S. Ecc. m * conforme ch'era il mio desiderio, che mi sforzò ad applicarmi al problema in tempo ch'io ero sì mal trattato dalli dolori di podagra, accompagnati con la febrc, elio ben mi può condo¬ nare so non li fosso riuscita la solutione quale havoa di bisogno. Io poi più non ci applicai, poiché mi scrisse che non no haveva più bisogno, non ostanti che mi dicesse che li paresse la solutione andar di balzo e non di posta. Finalmente so Pultima sua, cho ho ricevuto, mi ci lia fatto far riflessione, o considerare come la solutione non risponda al suo quesito, se bene anchora me no sto in letto, non libero da questi dolori. Hora, non posso veramente negare cho so io, data la so, fossi direttamente an¬ dato a trovar quel punto che protende nella oh, cho ciò non fosso stato il miglior scioglimento clic potessi trovare di tal problema; ma perché non bobbi fortuna di entrare per questa via V- ^ \ che «aria stata di posta, presi que- / * \ • Bt’altra di sbalzo, cioè supposi di 60 ’ / \ \ terminare la do a mio beneplacito, ò- -j-—\ \ \ la qual poi mi determinava li duoi * X \ \ punti c, u, sì che tirando poi la ut X. • \ perpendicolare a veniva a deter- \ \ minarmi per qual verso dovea cami- naro la rotta linea che dovea tirarsi dal punto per andar con le linee susseguenti a ritrovare il desiderato punto nella oh, in quella maniera X^ clic il punto t, conversamente ritro- 70 vato, e le linee ludo mi mostrano il punto c. Quanto alla ut, cho non sappi dove ella seghi la ot . credo clic non sia neces¬ sario, ma solo clic sappi la positione di essa, che in conseguenza mi determina la positione della tirata da s, parallela a tu, di onde procedo all’inventione del preteso punto. Nè mi pare che la mia falsa positione mi conduca a tastono a ritrovare il preteso punto (nel qual caso suol esser (li biasrao al geometra, pur eh[e] la somma difficoltà del problema non li chiuda ogni ogni altra strada), ma in una volta sola; la qual perciò non par cho si debba rifiutare, al pari di quella che ci mostra le due medie, overo la rinchiusa fra la corda o ’1 diametro 80 eguale ad una data, overo il punto nel diametro che divide la sfera in una data proportione, e simili. Una tal determinatione par cho dii Euclide a quel pro¬ blema del 11" 10 , dove dal punto elevato sopra il piano c’insegna a tirarvi una Lott. 2120. 66. la reità lina — 18 MARZO 1631. 229 [ 2126 ] perpendicolare; poiché, preso qualsivoglia punto nel piano et eretta la perpen¬ dicolare al piano da quel punto, tirando poscia dal punto dato parallela a quella una retta linea, essa viene a determinarsi quanto al sito et esser perpendicolare al medesimo piano. Cosi chi non sapesse tirare una tangente alla data spirale, mentre intorno al centro, che è principio di essa spirale, fosse un altro circolo e sua spirale, alla cui circonferenza havessimo una retta eguale, tirata perpen- 90 dicolarmente sopra il semidiametro clic va al termine della spirale, e congiun¬ gessimo l’estremo di lei e della spirale insieme, cflii] poi daU’estremo della mi¬ nor spirale tirasse una parallela alla predetta, qufesta] pure toccharebbe la minor spirale nel suo termine: ma perchè non sappiamo nè trovar la rotta eguale alla circonferenza del circolo, clic ci daria il contatto, nò trovar il contatto, elio ci daria quello, perciò non si è sin bora potuto sciogliere in alcun modo. Ma nel sudetto problema panni che li abbiamo chi ci determini, mentre ci violi insegnato per qual verso deve caulinare la tirata dal punto s, d’onde il resto dipende. Potrei dire anchora clic questo fosse un haver descritto la figura eduto, della quale è dato il lato co e li altri in conseguenza per la notitia dell! angoli, alla ìoo quale poi descri[...] sopra os, data et homologa alla ot, simile la figura interiore, d’onde si viene a determinare il preteso punto. Tuttavia credo che queste cose eh’ io dico sian leggerezz[e], e por tali le confesso, e gliele dico perchè io possi maggiormente restar sgannato dalli er[ro]ri. Ma perchè conosca quanto mi doglia di non servirla come vorrei, vedrà se in questo altro modo la solutione li paresse di posta, e se sia atta a risolver il suo principale o no ; il che non succedendo, scuserà almeno dirli qualche lemma da non sprezzare, ritrovato con l’occasione del scioglimento di questo. p.° Che nel triangolo ale, rettangolo al b, la ab è media tra la somma acb e l’eccesso di ac sopra cb: il che facilmente si prova, descritto sopra c, con no l’intervallo cb, un circolo, la cui circonferenza segarà ac, etc. 2. ° Clie tirata da a la ad, segante come si voglia la bc indefinitamente prodotta, come in d, l’eccesso di ac sopra cb all’eccesso di ad sopra db è come adb ad acb: e ciò perchè l’ec¬ cesso di ac sopra cb (che sia ao) all’ eccesso di ad sopra db (che sia at ) ha la proportion composta di ao ad ab et ab ad at,; ma come ao ad ab, così ab ad acb, per l’antecedente, e come ab ad at, così adb ad ab, per 120 l’istessa; dunque come ao ad at, così adb ad acb , dunque etc. 3. ° Dato il 3*° ilm rettangolo, et inteso alongato hi verso i quanto si voglia, come in a, se dal punto a sarà tirata la ad verso bd, che la seghi in d, talmente 81 . tpirarale — 230 18 MARZO 1631. [2126] che come il 0° ib al Q to ba, così sia la somma iub ad adb, dico elio l’eccesso di tei sopra uh sarà eguale all’eccesso di ad sopra db. Per il elio provare si tiri ac parallela ad in: perchè dunque iub ad adb è come il ib al Q t0 ba, cioè ha la proportene composta di ib a ba due volto, et vi lui anco la proportion composta di quella di iub ad acb et acb ad adb, o di questo componenti quella di ib a ba ò come di iub ad acb ; adunque quella di acb ad adb sarà conio quolla di ib a ba, cioè corno quolla di iub ad acb: ma come iub ad acb , così ò l’eccesso di tu sopra uh all’eccesso di oc sopra cb; e corno acb ad adb , così è l’cceosso (li ìao ad sopra db all’istesso eccesso di ac sopra cb; adunque li duoi eccessi di tu so¬ pra uh e di ad sopra db sono eguali. Corollario. Di qui ò manifesto che so volessimo sopra l’ipotcnusa fu consti-* iuire il triangolo rettangolo ixu, con l’angolo rotto iux, talmente che l’eccesso di ite sopra uh fosse eguale all’occesso di ix sopra xu (intendendo elio ab sia eguale ad iu), facendo come il G 10 ib al O 10 tu, così iub ad ixu, haverorao fa¬ cilmente l’intento; so ben ciò si fa anohor facilmente, ponendo l’eccesso di iti sopra uh per dritto ad ux o trovando il punto x, come feci nel problema man¬ datoli: il qual di nuovo ripiglio in questa maniera. Ma prima li devo dire che mi è sovvenuto doppo, che li sudetti lenii si pos- 140 son demostraro facilissimamente in questo modo. Cioè, perchè nel 2° li rettan¬ goli sotto bea , (io e sotto bda, al sono eguali al ab, perciò sono eguali fra loro, o perciò conio ao ad ai, così adb ad acb. Nel 3*°, perché il rettangolo sotto bui e l’eccesso di iti sopra tib (che sia in) è uguale al D 10 ib, et il rettangolo sotto bda, at eguale al G 10 ba, por ciò questi rettangoli sono come quei G li , cioè come iub, adb fra loro, e per ciò le altezze, cioò dotti eccessi in, ut, sono eguali fra loro. Ilor così cerco la solution del problema. Data dunque la so, che con la intersecata oh contenga l’angolo ottuso sob, prolongaremo ho, so verso o indefinitamente, e similmente per o tiraremo la xu perpendicolare alla sd, indefinitamente pur di qua o 150 di là prodotta; dipoi dal punto s tiraremo la per¬ pendicolare sr alla br, e come è il Q*° sr al G t0 so, così faremo la somma sor ad un'altra, che sia A; e di A et os prenderemo la terza proporzionale, le¬ vandola da A, et alla metà della rimanente consti- tuiremo eguale la ox, giungendo xs, sì cho sarà 0X8 eguale ad A; e per ciò sarà come il O to sr al G 10 so, così sor ad sxo, e per ciò xs eccederà egualmente xo, per il corollario, come so la or. lirisi poi da s la su, con l’angolo uso eguale all’angolo x, cho seghi xo prodotta in u, e da u con il medesimo angolo tirisi tui, ch’incontri so prodotta igo in d, e dal d si tiri la perpendicolare alla br, cioò de, che l’incontri in c: sarà, dico, c il punto che si cerca. Poichò il 3 l ° dco è simile al 3 l0 ors, parimente 18 MARZO 1631. 231 [ 2126 ] doti ad xos; e per ciò l’eccesso di do sopra oc sarà eguale all’eccesso di du sopra uo f c per ciò le du, co saran eguali alle uod ; o sono du, ou lo medie accennato, perchè dus è angolo retto, essendo il 3 l0 dus simile a duo per l’angolo udo com- mune c li duoi duo, dsn eguali per costruttiono : adunque si è trovato il preteso punto c, il che etc. Il metodo veramente di questa non è molto differente da quello di queiral¬ tra, elio per ciò temo non li darà sodisfattione, nè forsi potrà con questa scio- 170 gliere il principale. E per dire ingenuamente il mio pensiero, credo che l’errore venga tutto da questo, cioè dal supporre clic dato, per essempio, il triangolo osr , che ha noto il lato os e l’angolo sor, siano anchora noti gli altri lati sr, ro, il che, per non saper noi precisamente la proportene delli archi alle sue corde, veniamo ad haver cognito solo per approssimatione, mediante le tavole; ma so si possi dire, quanto alla precisione geometrica, che liabbiamo notitia delli duoi lati or, rs, credo veramente di no : o perciò credo che questa mia solutione, con quell’altra, non li dia il sito del punto c precisamente, se non quanto alla ne¬ cessità della lineatimi geometrica. Basta che almeno per i seni lo potrà ritrovare. Io pensai se potevo in altro modo arrivare alla solutione, una il dato mi par iso tanto tenue e meschino (o pur è la meschinità e debolezza del mio ingegno), che non ne posso cavare alcuna conseguenza di frutto: c pare che il meglio si ri¬ duca alla data della linea os; poiché quanto alla data dell’angolo, dovendone fare il trapasso alle linee rette, puoco par che ci possa servire, per la mancanza della cognitione della vera proportione delli archi alle chordc. Queste cose dico non per scusa della mia debolezza, ma por dir il mio parerò e sentir il suo. Anzi dirò di più, so è vero ciò che ho dotto di sopra del 3 l0 sor, nel qual, data la os e l’angolo sor, dico che non liabbiamo note se non por approssimatione le or, rs, che nel problema mandatoli nè anco mi par di risolver direttamente esso problema, nella forma ch’ella dice eh’ io l’ho maneggiato, supponendo il ìao ponto c e da quello ritrovandone il punto t, come pur lei anchora accenna, di¬ cendo di non saper dove vada a ferir la ut nella ot, se ben par che di sopra dica che io lo risolva, dicendo che quando il problema fosse stato di tal ma¬ niera, io l’havevo direttamente risoluto; sì che posso sperare che l’istesso dica di questa che procede direttamente dalla data os a ritrovare il punto c, o ch’ella pur intende por approssimatione, poiché allrimente non mi par eh’ havesse po¬ tuto dire di non saper dove vada la ut a concorrer con la ot, poiché ciò everte la solutione del problema proposto pur in tal maniera ohe è conversa al suo quesito. Ma troppo forsi l’bavero attediata con la soverchia lunghezza intorno ad un problema ch’ella stimò facilissimo: tuttavia credo che per ciò haverà oc- 200 casionc di compassionare la mia debolezza non solo ordinaria, ma accresciuta dalla presente intimità, che pur tuttavia mi atilige e mi trattiene continuamente nel letto (dove per haver io scritto questo foglio, non si maravigliarà so sta in 18 — 21 MARZO 1031. 232 [2126-2128] questa forma); overo potrà consolarsi V. S. Ecc.®*, elio in età sonile non babbi perso anchoru quei spiriti vigorosi del suo ingegno che Diano fatta stimar con raggione la meraviglia del nostro secolo, coni’io parimente l’ammiro e preggio fra tutti gli liuomini del mondo come unica fenice. 2127 *. ALESSANDRO NI NOI a [GALILEO in Rello.sguardo]. S. Maria a Caiupoli, l'J marzo 1031. Bibl. Vai. Flr. Appendice al Mia. Gal., Fili» Fayaro A, car. 8. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Sig. p mio P.ron Col."' 0 Poi che son già trascorsi circa quattro mesi dall’ ultima morte seguita qui in casa mia, nel qual tempo mia madre, Santi mio fratello e io, che siamo ri¬ masti, per grazia di Dio sempre siamo stati con buona sanità, sì conio stiamo di presente, ini sono assicurato a scrivere a V. S. Eoe."'*, sapendo che Matteo (,) mio fratello, che sia in Ciclo, fu da lei favorito di buona somma di danari in presto, e non ho notizia alcuna di che parto lei sia stata rimborsata. Ben ò vero che l’ultima volta ohe egli venne qui, s’era partito da S. ('asciano con inten¬ zione di venire a saldare il conto con V. S. Ecc. m *, che perù haveva apresso di sò il foglio die io gli mando aduso r \ suplirandola a significarmi, quando però io sia con suo comodo, quello che manchi per l’intero agitamento, n a favorire le reliquie di questa casa con la sua protezione, assicurandola che uno de’mag¬ giori conlorti elio io possa riceverò de’ travagli passati depende dalla buona grazia di V. S. Lee. 1 "'* Alla quale pregando da l)io vera felicità, bacio le mani con ogni debita reverenza. Da S. u Maria a Campoli, 1!) Marzo lG30 cn . Di V. S. molto ili. et Eco."** Devotiss." 10 e Oblig.™ 0 Se.™ Alessandro Ninci. 2128 *. ANDREA C10LI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. (Firenze,] 21 marzo HBl. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai.. I». I, T. Il, car 24 - Minuta, non autografa. .... Ha sentito FA. S. quel che V. E. haveva disegnato di faro nell’interesse del S. (ialiloi () , et desidera che resti in tutti i modi consolato, perchè lo merita, et confida grandemente l’A. S. nel Padre Maestro del Sacro Palazzo.... Cfr. n.o 2078. lin. 27. <*' Non ò prese» UuiouU allegato alla lettera. **' IH stile fiorentino. •*» Cfr. n.« 2128. [2129-2130] 26 MARZO 1631. 233 io 2129 *. RAFFAELLO STACCOU a GALILEO [in Bellosguardo]. Firenze, 2G marzo 1031. Bibl. Nftz. Fir. JIss. Gal., P. I, T. IX, car. 23G. —- Autografa. Molto Ill. ro S. r mio Oss.'" 0 S. A. dico che V. S. si pigli briga di sentire questo suplicante (n nel negotio che propone, per potere poi discorrervi sopra. Et io ricordandomeli servitore, le bacio le mani. Di Pitti, 2G Marzo 1631. Di V. S. molto Ill. r0 Aff. ino Serv. r0 Raffaello tìtaccoli. Fuori: Al molto 111. S. r mio Oss. 11 JS. r Galileo Galilei. In sua mano. 2130 **. GISMONDO COCOAPANI a FERDINANDO IT, Granduca di Toscana, [in Firenze]. [Firenze, marzo 1G31]. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Contemporanei, Voi. IX, car. 3. —Copia di ninno dolio stosso Gismondo CoflOATAiu, in calco «Ila quale egli scrisse: * l)ata al pulito all’Auditoro Ostaccoli, et ogli l'à lotta al Gran Duca o di suo ordine fatta sotto scrivere al S. r Andrea Gioii, segretario maggioro, cosi: Fer. L’Auditore delle lìifortnagioni informi. in.® doli. E' V (li Aprile 1681 ». Ser .™ 0 Gran Duca, Gismondo Coccapani, havendo di già (S > proposto a V. A. S. il ncgolio di metter Arno in canale con facilità e pocha spesa, et eseudogli stato comandato che di ciò no facci memoriale per informatione, per obbedire a quanto gl*è stato imposto, avanti che publieln tale inventioue suplica V. A. S. concedergli privilegio che solamente dal sudetto suplicante, e non d’alcuno altro, possi per l’avenire essere messa in opera tale inventioue; et acciochò non sia d’alcuno altro impedita o alterata, però tutti i nuovi lavori e ripari da farsi nel Ol Cfr. n.o 2121 o l’informazione ad esso prò* Gfr. u.° 2121. mossa. XIV. 30 234 27 MARZO 1681. [2130-2131] detto fiume d’Arno non si possino, in esso nò in altri fiumi do’ sua felicissimi Stati, faro senza saputa di S. A.S. et di consenso del muletto suplicante, il quale di detto fiume sia principale architteto, il quale in suo luogho possi sostituire o nominare olii gli parrà 10 hahilo a talo impresa. Per cominciamonto della quale, per potere, insieme con la nuova sua invontione, mostrare l'utile che ci sarà, di poi la sp* sa elio occorrerà farci per talo nogotio, su plica V. A.S. fargli gratta di pòrgerò al indetto coimnodità et aiuto di levavo la pianta di detto liumo, per il quale in prima si spenderà solamente quello che ordina¬ riamente si spendo no 1 ripari da'fiumi; di poi, visto l’iiivcntione miscibile et utile, V. A.S. sia contenta assegninro al sudetto suplicante per sò et suoi pivi prossimi parenti, discen¬ denti in perpetuo di sua famiglia, da lui nominati, quella continova prò vestano et rico- gniosoimento elio a V. A. S. parrà che meriti tale puhlico benetitio, del quale giornalmento no risulterà nuovi aquisti, co l'utile da'quali si potrà t irare manzi i ripari da farsi per detto fiume o cavarne quelli eniulumenti che parrà a V. A. S. elio meriti il detto supli- 20 conte, come sopra no suplica; e in questo mentre darli quella riconoscenza elio meriterà la sua persona por assistere del continovi) a tale opcrattane, acciò vanghi fatta secondo il suo di.segnio o inventione. 2131 *. GISMONDO COCCA PANI a KÀFFAEI.LO STACCOLI [in Firenzi]. Firenze, 27 marzo 11*31. Aroh. di Stato In Firenze. Sfigrotorin dello liiformagioni. Fili* 9» di KegOti ecc. dull'Auditoro Lorcnr .0 Usiuilmnli, car. 180. — Autografa. Xll. mo et Ecc. ro0 Sig. r Auditore, Oismondo Coccapani, pictore Fiorentino, havendo altra volta' 1 ’ suplicatoal Ser. m0 Gran lìuca Ferdinando Medici secondo, nostro clementissimo Padrone, ili aver trovato una sua inventione di ridurre Ar[no| in cnuale con facilità e poclia spesa, per la (piale egli à chi[e|sto a S. A. 8. privilegio elio questa sua inventione noli li pos[sa] esser messa in opera no’sua felicissimi Stati da altri elio dui detto Gismoudo o da ehi egli sostituirà in suo luogho, viv[e]nte sè o doppo di sò in perpetuo nella sua famiglia de’ Coccapani, disciosi da Carpi, terra e città inperiale in Lombardia; Et acciò possa mostrar la detta sua inventione, chiede di nuovo che lo sia fatto tal privilegio; et appresso chiede, quella provisione che da S. A. S. li sarà assegniata in quo- 10 sto principio, acciò possa affaticarsi in far metter in opera tal rimedio per il detto fiume, séguiti doppo di lui in quel discendente detto di sua famiglia, acciò in porpetuo ci sii chi vigili e con diligenza e studio mantenghi il detto fiume in canale, con il modo lasciato dal detto. E por far tal rimedio chiede solo quel tanto che (li prosonte spende ogni anno il Ma¬ gistrato della Parte in far fare i ripari per il detto fiume, Hino a che sarà messo in ca- "I Cfr. ii.» 2121. i*i Cfr. n.° 2120. 27 - 20 MARZO 1631. 235 [2131-2132] naie quella parto elio piacerà a Sua A. S., che da quel tempo in là, con li aquisti elio si Baran fatti, potrà, senza dar spesa a S. A., metter il resto in canale con il frutto delle ren¬ dite delli nquisti. 20 E inanzi a ogni eosa, li bisognia al detto suplieante aver quelle comodità che li bi¬ sogneranno per fare giustamente la pianta di tutta quella parte del detto fiume, acciò elio il detto possa mostrare a S. A. S. le speso che si son di mano in mano por fare per lo maestranze per il detto canale, por quei tempi e stagioni che per osso si potrà lavorare con sicurezza e speditione, acciò che, con il medicamento di questo fiume o torrente reale, nel’istesso tempo venghi ad aver medicato tutti li altri fiumi o tutto lo Stato dove passa il detto fiume di Arno, con quelli utili e comodi e ornamenti che ciascheduno si può ima- giuare, essendo 1’utile principalmente di S. A. S., o poi di tutti i suditi dello Stato, e anco dei passegieri. Questo ò quanto mi occorro por adesso dire a V. S. E. mn intorno a questo negotio, CO facendole por fine burnii issi ma reverenza, con pregarle dal N.° S. r Dio ogni sua mag¬ gior felicità. Di Fiorenza, li 27 di Marzo 1031. Di V. S. Ecc. n,i * Ser. re Pro." 10 Gismondo Coocapani. 2132 * BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Koma, 29 marzo 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, cnr. 239. — Autografa. Molto Ul. ra Sig. re e P.ron Col." 10 La pensione della Teologale di Brescia (l) non si può riscuotere, perchè il proviso non può bavere il possesso per bora; e sappia V. S. che un altro pen¬ sionano, Canonico di Padova o Cavalicr principale Bresciano, non ne può ca¬ vare meno lui un quattrino. In questa pensione V. S. non spese altro che nella procura (!) , il resto l’ho speso io, come lei sa (5) , o mi ha voluto rimborsare più volte. Mora siamo in altri termini: Nostro Signore li ha fatta grazia di V 60 di moneta sopra una Mansionari del Domo di Brescia; e il mansionario è huomo da bene e volo pagare, o si ritrova qui in Roma al servizio del Sig. r Card. 1 Lo¬ to dovisio ( ‘\ per nome il Sig. r Gio. Batta Arisio, o non occorre altro che scriverli elio paghi in mano mia il danaro, oliò sarà ben pagato, quale servirà per il primo semestre, maturato alla festa dell’Annuntiata : et io di già fo spedire lo bolle a mie spese, e si sono rispiarmati i dinari di un’annata intera, perchè Nostro Si¬ gnore li dà la spedizione por via segreta. Però V. S. lasci andare il travaglio (>' Gfr. Voi. XIX, noe. XXX11I, a, I). I») Gir. Voi. XIX, noe. XXXIII, «, 2). Ci Cfr. il.® 2111. 0) Lodovico Ludovici. 236 20 MARZO 1631. [2132-2133] della serrata della porta e quello dell’acqua vita, e non manchi a scrivere su¬ bito al muletto Sig. ru Arisio quanto ho detto, nel che non spenderà per bora altro che un foglio «li carta. Quanto all’altra pensione ili V 40'", glie la pagarà il Sig. r Marcantonio Pie- ralli, Canonico di Pisa e tanto suo caro, persona honoratissima e di bontà sin¬ golare, o son sicuro che desiderarli, di pagarla por molti anni; sì die non dubiti 20 elio sempre si serrino porto e si faccino bandi contro di lei. Farò puro spedirò queste bolle, nelle quali ancora lmhbiutno limita la grazia dell’annata; e quello che ci ambirà di spesa di resto, lei me lo farà buono con i primi pagamenti c non alitcr ncc alio modo: e vorrei che le mio pensioni fossero così essigibili corno queste di V. S., oliò li prometto che spedirei le bolle suo a mie speso. Nel resto ho poi lotta la lettera di V. S. al nostro Mons. N Ill. mol, \ quale si è tutto consolato dall’intendere i progressi felici delle sue spccolazioni, o li paro mill’anni clic passi questo bel tempo della peste, per poterla goderò qui in Roma; o di sicuro non credo clic noi babbiamo ingegno che sia più innamorato delle coso buone, e elio faccia più stima e sia più avido dei parti di V. 8., di 80 questo Signore. Mons. r Pallavicino già Sig. r Marchese, vorrà dimani a S. Pietro, e li farò riverenza da parte di V. S. Quanto al Padre Visconti"’ e aU'Abb." Gherardi, sono stati mandali fuori di Roma, c il Padro Visconti si ritrova in Viterbo o forsi ancora PAbate, più presto in odio dell’astrologia giudiziaria che per cosa che si habbia contro di loro. E non occorrendomi altro, la supplico della sua gra¬ zia c li fo riverenza. I)i Roma, il 20 di Marzo 1631. Di V. S. molto 111. 1 '* Oblig. ,no e Povotis." Ser. r<> e Ris. 10 Don Ronod. 0 Castelli. io Fuori: Al molto 111." Sig. rrt o P.ron Col. 1 " 0 Il Sig. r Galileo [...] Filosofo di S. A. Scr. n,a Firenze, 2138 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NIOCOLINI [in Roma]. [Firenze,] ‘29 marzo 1631. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. II, car. 25. — Minuta non autografa. .... Aspotta 8. A. con desiderio la rcsoluzione del poterai stamparo l’opera del S. r Ga¬ lileo; o sarà però bene che V. E. ne solleciti il 1‘. Maestro del Sacro Palazzo.. “i Cfr. Voi. XIX, I)oc. XXX11I, b). Giovanni Uukjpom. <*' SroazA Paixavioino. Gl IUrirAiu.0 Viboonti. 29 MARZO — 3 APRILE 1631. 237 [2133-2185] 10 prego V. E. a dire alla S. ra Ambasciatrice, elio il segretario Bocchinerimerite¬ rebbe una bravata, se egli haveBse saputo che un involto, lasciatogli dal S. p Galileo prima che egli andasse in villa per non far la quarantena nella città, havosse a servire per S. E. Ma egli non ha già potuto sfuggire elio il S. r Galileo non si sia doluto che non bì sia man¬ dato, essendovi uno occhialedesiderato da detta S. ra Ambasciatrice. Però, entrato io di mezzo tra loro, ho detto che nenianco bora si può mandare, per la paura che tuttavia hanno costì del nostro mal nome in materia della sanità. Però se altrimenti fosse, V. E. co lo 10 avvisi, et così si sarà rimediato il tutto.... 2134 *. RAFFAELLO STACCOLI a [GALILEO in Bellosguardo]. Firenze, 31 marzo 1031. Arch. di Stato in Firenze. Sogroteria delle JRiforniagioui. Filza 9“ di Nogozi occ. dell’Auditore Lorenzo Usiuibnrdi, cnr. 487r. — Autografa. Molto 111. 0 S. r mio ()ss. ,no 11 Coccapani lia dato questa scrittura (3) , e V. S. ha ancora il memoriale 01 , se male non mi riccordo. Lo potrebbe sentire di nuovo, e favorire poi di scriverò qui sotto quel tanto gli parresse si potesse fare, acciò, rappresentato il tutto a S. A., l’A. S. connnandassi la sua volontà. E le bacio le mani, essendo necessa¬ rio ancora che si dichiari, per potere fermare puntualmonte tutti li capi. Di Pitti, 31 Marzo 1631. Di V. S. molto Ill. re Aff. mo Serv. r8 Itaff. Staccoli. 2135 *. GALILEO a [RAFFAELLO STACCOLI in Firenze]. Bellosguardo, 3 aprilo 1631. Axoh. di Stato In Firenze. Sogroteria dolio Rifornìagioni. Filza 9* di Nogozi occ. delPAuditore Lorenzo Usimbardi, car. 487*. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig.™ Col. mo Questa mattina, e non prima, bo ricevuta la precedente lettera u,) di Y. S. molto I. et Ecc. ma per mano del medesimo Coocapani ; però < 5 > La presente di Gai.ii.ko ò scritta a torgo della lotterà dolio .Staccoli, alla qualo risponde: cfr. u." 9134, liu. 3-4. t‘> Cebi Bocgiiinkiu. <*> Cfr. n.® 2070. (») Cfr. n.® 2131. <*) Cfr. u.® 2130, lin. 4. 238 3 APRILI*: 1031. [2135] non si dovrà maravigliare so ricovo tarda risposta. Ilo veduto questa Boconda domanda l,) del medesimo supplicante, la quale mi par elio contenga le seguenti domando. Prima, persiste in domandar privilegio per la sua invenzione, acciò da altri non gli sia usurpata, ma resti in perpetuo in se, ne’suoi descondeuti, o altri dii esso nominati. Chiedo secondariamente che la provisiono, olio frisse assegnata da io S. A. S., séguiti dopo di lui no ì descendenti di sua famiglia etc. Terzo, domanda per la spesa solo quel tanto che umiliamento si sponde dalla Parto in riparare a i danni del fiume ete. E nel quarto luogo domanda sopratutto chi' gli siano sunnnini- Btrato quello comodità necessario per far la pianta del presente stato del fiume, per poter mostrare a S. A. S. le speso che ci saranno ne¬ cessario per effettuar l’opera etc. Ilora, come V. S. Ecc. ma vede, tali domando sono diverse assai dalla invenzione pensata dal supplicante per migliorare il presente stato del fiume, circa la quale invenzione potrò io a suo tempo diro il mio 20 parerò, cioè dopo che io l'Labbia sentita. E quanto alle presenti do¬ mande, io veramente mi conosco inferiore ad egli’ altro consultore por coiisigliar S. A. ; tuttavia, poi elio così vengo comandato, mi par elio se gli potesse ammettere ogni cosa, tutta volta elio l’invonzion sua riuscisse: ma perchè egli sopratutto fa inatanza sopra ’l privi¬ legio, non so vedere come tal privilegio si possa concederò senza elio in osso si specifichi l’invenzione, salvo che in un modo assai largo, cioè posto che la sua invenzione non sia stata mai proposta nò ten¬ tata da altri. Ma perchè questa mattina ho discorso assai a lungo seco, et esso so mi ha detto che tratterà con lei minutamente sopra lo sue preten¬ sioni, non sogghignerò altro, se non che quanto prima sarò da lei, per supplire a bocca dove di presente havessi mancato. E con ogni debita reverenza gli bacio le mani e prego felicità. Da Bell. do , li 3 di Aprilo 1631. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Oblig. mo Se. re Galileo Galilei. Ol Cfr li.» 2181 [2130-2X37] 4-5 APRILE 1631. 239 2136*. GISMONDO COCCA? ANI n [LORENZO US1MBARDI in Firenze]. Firenze, 4 aprile 1031. Areh. di Stato In Firenze. Segreteria «lolle Riforningioni. Filza 9“ di Negozi occ. dcll’Auditoro Lorenzo Usila bardi, car. 485. — Autografa. * Molt 1 Ill. ro e Eoc. mo Sig. r mio, D’ordine dell’Eco." 10 Sig. r Auditore Staccoli, ini ò stato imposto che io metta in carta et presenti a V. S. Ecc. ma quello elio fa di mestiero al cominciare l’opera di già proposta al Ser. mo Gran Duca sopra il negotio d’Arno. Per il che io Gismondo Coecapani suplicante propongo cho, por conseguirò tale no- gotio, è di mostioro, prima, lovare la pianta del fiume, o comiuciaro sopra a ltovezzano; o a far ciò, oltre a quella provesiono e riconoscimento olio parrà a Sua A. S. asseguiaro al «inietto suplicante, gli sia dato possibilità o comodo, a tutto spese di S. A. S., d'una ca¬ valcatura, un navicello e dua kuouimi, i quali lo possino condurre e aiutare per terra o 10 per aqua, in quanto occorrerà per tale servi ti o ; di poi, visto il viaggio o letto del fiume o notato ogni particolarità di osso, al quale, abbassato Tacque, subito si potrà aplienre il rimedio proposto, con quella spoditiono cho parrà a S. A. S., alla benignità della quale mi rimetto, rovcrontemento bacio la veste. Di Fiorenza, li 4 di Aprile 1631. Di V. S. Ecc. ma Ser. r ® Pro.™ Gismondo Coecapani. 2137. GALILEO a [CESARE MARSTLI in Bologna]. Bellosguardo, 5 aprilo 1031. Arch. Marsifirli in Bologna. Busta citata al n.» 1G88. — Autografa. IU. mo Sig. re 0 Pad. nfì Col. mo Ilo letta e riletta quella parte del suo meraviglioso discorso elio Y. S. Ill. ma mi ha onorato di mandarmi (2) , e sto con desiderio aspet¬ tando il rimanente per sentire i rincontri particolari che Y hanno (») Cfr. ni.. 1 2121, 21110. «*> Cfr. n.° 2125. 240 5 APRILE 1631. [2137] mossa a cobi mirabile asserzione; la quale ben mi giugno nuova in particolare, ma in universale da non breve tempo in qua sono in opinione, molto essere le alterazioni no i corpi mondani non osser¬ vate sin bora, o elio siano anco di non difficile nè lunga osservazione per venirne in certezza. E quanto all’introdotta nuovamente daV.S., fuora (come credo) dell* espettazione di ogn’ uno, so mi bisso da Dio io conceduta vita per 4 o G anni ancora et serenità di cielo no i sol¬ stizi^ non dubito elio si potrebbe dentro a tal tempo, benché così breve, veder qualche sensibile mutazione, mercè della grandezza dello strumento che adopro in fare altra osservazione por nitro uso, ma che concorre con questa di V. S.; essendo che io cercavo di osservare l’alterazione dello massime declinazioni dell’eclittica, le quali in non molti anni dovriano farsi sensibili mercè della grandezza dello stru¬ mento che io adopro, il semidiametro del quale è ben GO miglia, elio tanto soli lontano dal luogo dove io io l’osservazioni alcune rupi altissime e scoscese, dette I’ietrapana, poste all’occidente estivo del 20 luogo dovo io sto facendo l’osservazioni con un telescopio esatto, col quale con somma esquisitozza si vedo il sole occidente dopo le dette rupi, e di sera in sera si possono disegnare le sue mutazioni senza errore di un secondo. Mora quando, conforme all’osservazione di Y. S. Ill. n,a , si vadia mutando la meridiana, dovranno tali occasi et orti solstiziali mutarsi contrariamente, et in non lungo tempo farsi sensibili col mezo d* una tanto esquisita osservazione ; india quale V. S. potrà vedere quali minuzie si possono osservare no i corpi inter¬ posti tra ’l sole e l’occhio, mercè del telescopio. Quanto al riscontrar la meridiana con li 2 strumenti posti nella so facciata di S. la Maria Novella, I lio per cosa difficile 0 mal sicura, sì perchè essi strumenti scm piccoli, sì ancora perchè il pavimento sot¬ toposto, per essere inegualissimo, non è punto accomodato al potervi disegnare una nuova meridiana; oltre che non so quanto funse da fidarsi de i 2 strumenti, che in molti anni possono aver patito dello alterazioni, ma non simile a quella deir oppositore a V. S., che stima la mutazione dei foro sublime nella lor cattedrale potere essere stato progiudiziale al riscontrar le meridiane de' nostri tempi con le antiche già segnate, sì che la mutazione detta possa alterar sensibilmente la loro equidistanza, che rimarrebbe impercettibilmente alterata quando <0 anco esso foro fusse trasportato ad occidente o ad oriente per cento 5 APRILE 1631. 241 [ 2137 ] o più miglia o quando anco esse meridiane fusser lunghe molte mi¬ gliaia di braccia. Ma e di questo e di simili oppositori Y. S. non. devo fare stima alcuna, ma ridersene, essendo loro non men ridicoli di quelli che in sì gran numero opponevano a i primi mici scoprimenti celesti, persuadendosi (come avvezzi in alterazioni strepitose di pa¬ role vane) di poter con testi, autorità, silogismi e loro stoltizie, tirare il corso della natura a conformarsi con i loro sogni. La malignità, l’invidia e l’ignoranza sono animali indomiti ; et io lo veggo in coti- so diana esperienza, vedendo elio i miei con tradi ttori, ben elio convinti da cento incontri et esperienze passato, et accertati che le nuovo opi¬ nioni, introdotte da me e da loro prima negate, sono state vere, non cessano d’opporsi ad altre elio di giorno in giorno vengano da me proposte, con speranza pure di havermi una volta a convincere e con un solo mio minimo errore cancellar tutte l’altro mie vero dottrino introdotte. ITora Y. S. lasci strepitare il vulgo, e séguiti pure la con¬ versazione dello Muse, nemiche della tumultuosa plebe. Io tra tanto starò attendendo il rimanente della sua dottissima scrittura, et anco il disegno del globo che ella mi accenna, che mi sarà gratissimo il co vederlo. Non ho per ancora Lauta occasiono di essere col S. GL 1)., rispetto a i tempi pessimi (le i giorni passati, che mi hanno tenuto, oltre a molte doglie per la vita, accatarrato sì fattamente, che il parlare a me era molestissimo, e poco grato a chi ascoltava; oltre che mi trovo assai oppresso da molti fastidii e dispiaceri clic da diverse bande mi circondano, clic mi son cagione ancora che io non posso allungo conferir con V. S. Ill. ma , come sarebbe mio debito o desiderio. Anzi havendo io sino la settimana passata scritto la metà della presente, o di già inviata un’ altra mia al P. F. Buonaventura, gli scrivevo che 7o haverei mandata risposta a Y. S. ; che poi non potette seguire per cagioni urgenti e moleste, che mi forzarono a calare alla città: sì che l’uno e l’altro mi scusino. Con debita reverenza bacio a V. S. lll. n,a le mani, e la supplico a scusare i mici difetti et a continuarmi la sua da me pregiatissima buona grazia. Da J3ell. do , li 5 di Aprile 1631. Di V. S. ni Dev. mo et Obblig. mo Ser. ra Galileo Galilei L. 242 5—8 APRILE 1631, I213S-8189] 2138 *. FRANCESCO NICCOI.INI «1 ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 6 aprile 1631. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gai., P. I. T. II, car. 2 $. — Autografa la «ottoscrlxiono. .... Per conto del S. r (ialliloo, contentisi egli di darci tempo tutta la proRBima Bet- ticnana, perchè qui bì va procurando di disporre il 1'. Maestro del Sacro Palazzo e di servirlo con quell’ardouza et etlicacia cho inerito il suo valore et l’amore elio lui lasciato in questa casa.... 2139 * BONAVENTURA CAVALIERI o GALILEO in Firenze. Bologna, tì aprilo 1631. Bibl. Naz. Flr. Mes. Gal., I*. VI, T. XI, cur. IGF. — Autografa. Molto IH.™ ot Kcc . m0 Sig. r e F.ron Col . 010 Invio al Iv. n, ° Padre Lutio un libro ' 0 del Sig. r Cesare Marsili, da lui racco¬ mandatomi perchè li capiti nello mani, o erodo che per questo ordinario lo ri¬ ceverà. Gli scrissi poi in fretta l’ordinario passato, accennandoli il gusto grande cho liavovo ricevuto nel leggere il suo discorso, che veramente mi parvo molto hello, so ben non potei so non darli un i scorsa, poiché subito Phebbc il Sig. r Ce¬ sare, nò l’ho anchor potuto rivedere. La sua dimostratione poi del problema mi ò parsa molto sottile o mi ò piacciuta molto, e mi inette molto in dubbio quello ch’ella dice di sò stessa, d 1 haver perso gran parto della memoria e della spc- culatione, poiché ha ritrovato cosa elio non è cosi facile anco da intendersi, e io Dio sa so a me fosso bastato l’animo di ritrovarla; et invero me no rallegro molto seco. Quanto alli miei logaritmi' 0 , non potrei se non con qualche lunghezza darli ad intendere il fondamento; tuttavia, per sodisfarla in parte, mi è parso oppor¬ tuno dargliene almeno un essenipio, acciò da quelli argomenti la qualità di que¬ ste operai ioni. Siano dunque li tre seni A, II, C, do’(piali si cerchi il quarto proportionale. Io dunque, andando alla tavola, nella quale alli seni stano scritti dirimpetto i logaritmi, prendo li suoi logaritmi, e secondo l’ordinario delli altri io doverei ‘‘i Ufr. u.° 2140, liu. &. '*> Cfr. un.‘ 1070, 2087. [ 2139 - 2140 ] 8 APRILE 1631. 243 20 sommare li logaritmi (li B, C (il che equivale alla moltiplicatione di B in C), o dalla detta somma sottraro il logaritmo di A (elio equivale al partire per A). Ma per non voler io far questa sottrattiono (almeno in questo modo), ina solo aggiongere, per¬ ciò non prendo il logaritmo di A, ma il rimanente per andare al seno toto, che è 100000, qual chiamo compimento aritmetico del logaritmo di A, e questo bo compimento aritmetico aggrego insieme con li duoi logaritmi di B, C, quali mi daran la somma, dalla quale si leva con facilità il seno toto levando un’unità alla sinistra nell’ultimo luogo, coni’ella vede (che poi non ò altro che levare il logaritmo di A et il suo compimento aritmetico in un sol colpo con moltissima facilità). Mi restarà dunque il logaritmo 99035, quale nella tavola sta dirimpetto al seno 80071, quarto proportionale che si cerca, lillà vede dunque la brevità e facilità insieme di questo operare; e questo modo, cioò di solamente sommare in tutte le operationi, sempre si mantiene. Intenda questo per bora, che poi con maggior commodo, potendo, cercharò di spiegarmi meglio; e mi conservi nella sua buona gratia. 40 Di Bol. a , alli 8 Aprile 1631. Di V. S. molto 111.* 0 et Ecc. raa Dcv. mo et Ob. mo Ser. ro [F.] Bon. ra CaY. ri Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m ® Sig. r o P.ron Col.™ 0 Il Sig. r Gal. 00 Gai. 0 *, p.° Fil.° e Mat. co di S. A. S. Fiorenza. Soni Logaritmi A 18052 7435 compimento aritmetico «lol logaritmo di A lì 34202 95341 logaritmo di B O 42262 96259 logaritmo di C 1) 80071 99035 logaritmo di I) 2140 *. CESARE M ARSI LI a GALILEO in Firenze» Bologna, 8 aprilo 1631. L’originalo con sottoscrizione autografa, «lolla presento, elio appartenne già al fonilo menzionato nell’in¬ formazione promossa al n.» 87, corso lo sorti medesimo della lottora die pubblicammo sotto il n.® 1023: cfr. pag. 419 dol Catalogo di manoscritti occ. ivi citato. Prima però della dispersione dolln Biblioteca Bonoompaoni (nella qualo portava la segnatura Busta tìOO, 7) noi avevamo potuto oollazionaro anche questo documento. Molto 111.® et Ecc. ,no mio Sig. ro Ilo veduto con istruordinario mio gusto il Discorso intorno il fiume di Bi- senzo ll) , quale potendo applicarsi a’ bisogni del nostro Reno, me ne farò honore, <»> Cfr. niu‘ 2104 , 2139, liu. 0-7. 244 8 — 0 APRILE 1631. [2110-2141] nominandola però per autore. Ilo consegnato al Padre Mattematico il Torneo del liberalo Amore 10 , in loglio, con alcune Azioni rappresentate per occasiono della lesta della Porchetta, di mio capriccio, «inali feci stendere al Sig. Lodi; dalla qual scrittura voriUcarà il mio detto, di non liaver prima dello seguenti ottave, che ho determinato inviarle, mai più ipotizzato ; ot ancora il rotalo dell’Acca* demia do’Torbidi, da me promossa: il qual Padre si é preso assunto di farlo capitare al Padre Priore suo in Firenze, clic glielo consegnerà. io Rileggendo la copia, sorella della mandata mia scrittura tn # trovo li sotto¬ scritti errori; se sono così nella mandatali, correggerà corno è notato mdl’in¬ clusa poliza w ; come mi favorirà notare e mutare in ogni altra parte ove vedesse elio il senso non corresse a proposito, e mandarmene in somiglianti polize l’av¬ viso, poiché io non rincontrai, supponendo stesse come l’originale, invero non molto intelligibile. So tal mia scrittura poi le parerà «li considerazione, conio panni conoscere dalla troppo cortese tardanza nel rispondermi, mi farà grazia pigliare occasione di nominare .Monsignore An Indiarono Paleotti M , edic ne è stato il stimolatore o promotore. Nel resto della lettera per bora non dirò altro, poi¬ ché cascando la prima parte, culleranno anche lo consequenze. Resto al solito 2 C desideroso «Iella sua grazia, della quale conoscerò che mi sia cortese, ogni volta che mi comanderà. Uranio la sua salute et avviso d’ogni maggior prosperità di V. S. Ecc. nw ; o le bacio lo mani. JDi Bologna, li 8 Aprilo 1631. Di V. S. multo 111." et Ecc. 1 "* Serv. r ” Afl>° Cesare Maritili, Fuori: Al molto IH." 1 et Ecccllen. ,, " > Sig. r P.ron mio Oss. ,no Il 8ig. r Galileo Galilei, primo Filosofo di 8. A. S.* Firenze. 2111 *. MARCANTONIO P1ERALLI a [GALILEO in Firenze], Pisa, 'J aprilo 1631. Bibl. Naz. Flr. Use. Gai., V. I. T. IX, ear. 841-242. — Autografa. Molt’ Ill. ro et Ecc. mo S. r e P.ron mio Col."" 1 La pensiono sopra il Canonicato che mi ha impetrato Mons. r Ciampoli dalla benignità di N.S. mi parve, non posso negarlo, da principio un poco grave: ma •') Amore prigioniero in Velo. Torneo fatto ila' .Si- pilori Acadeinici Torbidi in Bologna li XX di Mar¬ zo M.DC.X XVIII. Dedicato all'Altezza Scrotiisu, w » di Furdiimudo li, Gran Duca (li Toscana. In Bologna, por gli ilarudi di V. Beuacci. La lettura dedicatoria è firmata: Cìiacihto Lodi. Cfr. u.° 2131), lin. 1. <*i Cfr. ».• 2124. «*» Qnesta polizza non ora allogata alla lettera nella Biuta della Biblioteca BoxcouraG.vi. * 4> Fkaxccboo I'alkutti. 9 APRILE 1631, 245 [2141-2142] quand’ io seppi, poco doppo, che era stala assegnata alla persona di V. S. Ecc. ,n * mi posson far testimonianza questi amici di Pisa eh’io ne sentii allegrezza come se ne lussi stato in tutto e per tutto sgravato : e però eli’ ha molta cagione a credere che iiissun pensionano poteva esser più desiderato da me, nò ricevuto con mia maggior sodisfatione, che il S. r Galileo, tanto mio reverito padrone. E sì come io ringratio Iddio clic m’habbia dato questa piccola occasione di ser¬ io virla, così Lo prego con tutto l’affetto elio me la continui mentre ch’io vivo, fa¬ cendo viver non minor tempo di me V. S., che tanto più di me è utile al mondo con la divinità del suo ingegno o con lo suo virtuosissime e maravigliose fatiche. Del resto, quanto al primo termine ch’ella mi accenna esser maturato, non so elio dirmi, non essendo ancora spedite le mie bolle. Credevo bene che non mi passasse alcun termine prima ch’io cominciassi a esser Canonico, e die la pensione dovesse cavarsi dall’entrate del Canonicato, che indugieranno qualche tempo a venirmi in mano. Mi dispiace però che il P. Don Benedetto, col tirar in¬ nanzi tanto lentamente la speditionc delle bolle di V. S., che per necessità s’hanno a spedir insieme con lo mie, mi habbia cagionato una lunga dilationo, 20 con doppio mio pregiuditio : prima, perchè, non tirando alcuna entrata, mal posso dar sodisfatione a V. S., e a quest’ hora mi sarebbe venuto in mano qualche nu¬ mero di scudi delle distributioni del coro, se vi fussi potuto intervenire ; secon¬ dariamente, perchè tre Canonici eletti doppo di me mi son passati avanti col pigliar il possesso prima, cosa elio essendo stimata comunemente da gl’altri, non deve esser disprezzata da me. Basta, noi siamo qui: subito elio mi verranno le bolle in mano e ch’io saprò quel che devo fare, procurerò con ogni diligenza di corrisponder al mio debito; e so per necessità io differissi il primo pagamento qualche settimana, son sicuro che la cortesissima discrettione di V. S. mi com¬ patirà, per le molte spese che di speditioni, d’balliti o d’altro mi convien fare, 80 che passeranno la somma di conto cinquanta scudi, e per il pregiuditio che mi viene dalla lunghezza della speditione. Intanto mi ricordo a V.S. servitor devo¬ tissimo, e con tutto l’affetto e reverenza le bacio la mano, Pisa, 9 Aprile 1631. Di V. S. Ecc. ma J)evot. me e Ohblig. mo Ser. ro M&rcant. 0 Pieralli. 2142 **. GIROLAMO DA SOMMAIA a GALILEO [iu Firenze]. Pisa, 9 aprile 1631. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi B.* LXXXIX, n.® 37. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no Quando io posso servire a V. S. Ecc. ma , godo in estremo, et sodisfo in minima parte a quello devo al suo grandissimo merito et alla sua infinita bontà e gen- (M Cfr. n. 2111. 246 9 - 11 APRILE 1631. [2142-2143] tilezza verso (li me. Duoimi bone clic sono in tutto inutile, e che bisogna elio V. S. Ecc. n,a o ciascuno si appaghi del buon volere, nel quale non sarà mai man¬ camento, ina grandissima prontezza in servirla. Gli invio con questa il mandato o li bacio lo mani con affetto et prego ogni maggioro bene. Di Pisa, 9 (l’Aprile 1631. Di V. S. molto !.• et Eco.™* S” Osservi 10 S. 0T Galileo. Girol, 0 da S. u 2143 *, MARIA CELESTE GALILEI » GALILEO in Bellosguardo. Àroctri, 11 aprilo ISSI. Bibl. Naz. Flr. Mw. Gai., ?. I, T. XHI, car. 139. — Autografa. Amatiss.™ 0 Sig. r Padro, Lo faccende della bottega mi hanno tenuta, et ancora mi tengono, cosi oc¬ cupata, che non mi permettano il poterlo dir altro per bora, su non clic mi ac¬ cuso della involontaria dilazione o tardanza in mandarla a visitare. Adesso, che mi ò permesso, mando, por intender b’ ella sta bene c se ha nuove di Vincentio o della cognata, ciò ò so crede che questa santissima Pasqua devino esser da lei, il che erodo che a V. S. sarebbe di molto gusto, et a me ancora per amor suo. Le pasto che gli mando, son poche; con tutto ciò credo che gli basteranno, già che non ha con chi parteciparle, so non forse con Galileino, il quale si po- io trà trattenere con lo pino che gli mandiamo, che sono tutta la porzione che oi ha distribuita la nostra ortolana, a Suor Arohangiola et a ino. Non rimando la pignattina dclli spinaci, perchè non ò ancora vota del tutto, chò, per esser stati così buoni, no ho fatto a miccino. La saluto per parto di tutte lo solite, o prego Dio benedetto che la feliciti sempre. Di S. Matteo, li 11 di Aprile 1631. Sua Fig> Aff. n,R Suor M.* Coiesto. Fuori: Al molto 111.™ et ÀmatÌ8s. D, ° Sig. r Padro Il Sig. r Galileo Galilei, a 20 Bello Sguardo. (‘1 Cfr. Voi. XIX. Doo. XXI, d). lin. 801-312. 10 f 8144 - 2146 ] 11 - 12 aprile 1031. 247 2144 *. GIOVANNI DE’ MEDICI a [GALILEO in Bellosguardo]. Firenze, 11 aprile 1©31. Blbl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T. IX, car. 243. — Autografa. Molto 111.® S. r mio Oss. mo Mando a V. S., in conformità del comandamento di S. Alt. a , li punti prin¬ cipali della nova proposizione fatta sopra il rimediare alle inondazioni dell’Or- mannoro (l) , causate dal poco scolo ch’hanno, et sopra quello del fiume Bisenzo, procedute da haver soprafatto over roso li argini; acciò, esaminati dalla pru¬ denza di V. S. et sentitovi il suo parere, l’Altezza Sua possa pigliar sopra di questo affare la resoluzion che più convenga. Et a V. S. bacio le mani, et dal S. r Iddio le prego ogni bene. Di casa, li 11 di Aprile 1631. Di V. S. molto 111.® Aff.° Sor/ Don Grio. de’Medici. 2145 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. Firenze, 11 aprile 1631. Ardi, di Stato In Firenze. Filza Medicea 3522 (non cartolata). — Minuta non autografa. .... In proposito dell’opera del S . r0 Galilei, io ho mandato a V.E. quanto lo liavevo scritto per comandamento espresso del Sor ." 10 Padrone.... 2146 **. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Venezia, 12 aprilo 1631. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 2G. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. t0 mio S. r Haveo per avanti scritto alcune mie a V. S. Ecc. n ' a et indrizate al S. r Bcn- civeni Albcrtinelli, nè havendo veduta risposta mi ero smarito; ma poi dal D. Al- (‘i Cfr. Voi. VI, pag. G49-C60. 248 12 — 13 APRILE 1631. [2146-2147] berto Campana fui consolato con la nova del felice stato di lei, del die me no sono ralegrato et tuttavia me no ralegro, augurandola felicissima, desideroso di servirla, corno lo offero alla sua venuta la mia rasa, Bua anticha già, stanza. Piacerai proseguirà in far aparir al mondo le suo fatiche, olio a suo tempo spe¬ rare di esserne honorato di qualche particella, chà invero in diverso parti, ovo ho esercitati carichi in questi anni, ho per tutto udito laudare lo sue qualità. Speravo bene, nel passaggio di quella Altezza per questo Stato, goderla, come io ho servito S. Al.*", ma mi sono intanato. Intanto sappia che le vivo queU’obli- gato servitore che sempre lo fui, et a V. 8. molto 111.** 1 et Kco. to offerendomi Laccio le mani. Di Vonetia, li 12 Aprile 1631. Di V. 8. molto 111.*® et Eco.*® FW. Afi> Francesco Duodo. Fuori: Al molto 111/* mio S. r ()ss. mo L’Ecc. mo S. r Galileo Galilei Dot. r Fiorenza. 2147. FRANCESCO NICCOLIN1 ad ANDREA CI0L1 [in Firenze]. Roma, 13 aprile 1631. Bibl. Naz. Flr. M«. 0»1., P. T, T. IT, oar. SO. — Antaml*. \ rar. 31 dolio mi. «1 ha copio ili mimo di IjEri Iìouciiimcki. «lui pru.iciitu capitolo, in capo alla ij iiI • il |«|rge, xempre ili inumi dui Hocchi- HIRr: Aprilo inai. Copia di capitolo di lotterà dui S.r Atnl>.»« Niccolini al S. r Ball Cloli»; e a Infili (car. 32t.), di mano di Gauuuj: « Di Honia, il 8. Alili).™ .... TI S. r fraliloo non si maraviglierà so non sonfo hi residuitiono del suo negozio, perché si va tuttavia procurando di disporre il 1*. ài. del Sacro Palazzo con qualche mezzo termine, quando non si possa ottener quel elio si desidera; ma non siamo nò meno fuor di speranza anche di questo, et presto sentirà quulche cosa. Latt. 2146. 9. udito lamia le — Lett. 2147. 1. i/i«muterà — [2148-2140] 1G — 17 aprile 1631. 249 2148*. GIOVANNI BATTISTA ARICI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 10 aprile 1031. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. TX, car. 215. — Autografa. Molto IH.** Sigi mio P.ron Col." 10 Essoquirò prontamente li co Dimandameli ti di V. S. con pagare al molto R. P. Castelli la rata della pensiono di Marzo passato, riservatali da N. S. ro sopra la mia Mansionaria di Brescia, ancorchò non Labbia V. S. mandata procura a questo effetto, la quale stimo necessaria per maggior sodisfationo d’ambidoi. Per risposta poi alli eccessi di cortesia et offerte che V. S. mi fa, io non mi stenderò ad altro, solo che assicurarla che con li effetti spero di dar a V. S. segni della dovuta mia corrispondenza, sì con essere puntualissimo nel pagarle detta pensione, come nel servirla sempre che mi farà degno de’suoi commandi : io clic di ciò vivamente pregandola, con pregarle felicissime lo prossime Feste, la riverisco di tutto cuore, et bacio a V. S. le mani. Di Roma, li 16 Aprile 1631. Di V. S. molto 111. 10 Servi 0 Devoti 10 Clio. Batta Arisio. 2149*. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NIOCOLINI [in Roma]. [Firenze,] 17 aprile 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 85. — Minuta, non autografa. .... Del S. r0 Galileo io non starò a replicarle altro, havemlo già V. E. potuto vedere quanto prema n S. A. la buona et presta speditiono del suo negotio. .... Et a V. E. bacio con tutto l’animo le mani et faccio reverenza alla S. ra Amba¬ sciatrice, la quale saprà che in questo punto la S. ra madre di V. E. mi lui rimandato quel¬ l’occhiale (1) , con dire che non vuole questa briga et che la renunzia a me: et però io aspet¬ terò che la Si* Ambasciatrice mi comandi sopra di ciò quel che io habbia da faro. <» Cfr. li." 2070, Un. 8; u.» 2133, liu. 9. XIV. 22 250 li# APRILE 1631. 12150] 2150. BENEDETTO CASTELLI a GAMICO in Firenze. Romi, 19 nj»ril«* 1881. Bibl. Nasi. Fir. Usa. 0*1., P. I, T. IX. e«r. 247. — Autografa. Sol ili fuori, «franto all* Indirizzo, si lo&go di umno di Uamlko: ( j . I). Bon, l ° \ ili elio cfr. Voi XIX, lioc. XXIV, «•, 2), Molto IH." Sig. r e P.ron Col ." 0 Ho parlato con il Kev. ,no Padre Maestro per l’interesso di V. S., dal (pialo ho luiuto bollissimo parole, o elio desidera servirla. In ristretto, vorrebbe il libro nello mani, o prometto elio assolutamente lo licenziarli. Quanto al P. Morandi, è morto quando si disse, tre o quattro mesi sono, e sepolto in S. la Prassede; o quell’ Irlandese (,) elio fa mirabilia con le artigliane, deve bavero fatto ancora il mirabile di furo yìvo il morto. Quanto all’interesse della pensione deirArisio 1 **, ho lo bolle nelle mani, e il Sig. r Arisio mi darà prontamente la rata di 30 scudi romani ogni volta clic io voglio, quali serviranno per pagare la spedizione delle bolle, nelle quali V. S. ha io Lauta la grazia da N. S. dell’annata solita a pagarsi, e solo si pagano gli ofhcii di cancelleria o segreteria e il spedizionero; e così questa settimana che viene Laverò quelle di Pisa 3 . Ma ò necessario che V. S. prenda la prima tonsura, perchè così è espresso nelle bolle e non si può fare altrimenti. Io non ho voluto riscuotere il dinaro, perché è bene, in questa prima riscossione, faro riceuta in publica autentica forma, cbè così V. S. si mette in possesso; però mi mandi la procura da inserirsi nella riceuta, e non pensi ad altro, oliò al 7mbre Laverà l’altra rata sicuro. E quando sarà linita la lite della Teologalo si potranno riscuotere gli 00 V Ji da Brescia per il Sig. r Vincenzo t che pure è qualcho cosa in tempi di carestia. 20 Nel resto Monsignore nostro '-* 1 li fa riverenza, sicome ancora fa Mons. r Pal¬ lavicino 7| , quale ò Prelato di Consulta o veste di paonazzo. Nel resto sa quanto li sono servitore e li fo li umilissima riverenza ancor io, baciando lo mani a tutti cotesti Signori. <■> Roukrto Puill.KY. < s > Cfr. il.» 2118. « 3 ‘ Cfr. n.o 2141. 1*' Cfr. li." 2182. >»' Cfr. Voi. XIX. I)oc. XXX 111, u, 1). 1,1 *ÌIOVANNI ClAUI-OI.I. I 7 » Cfr. n.o SI38, Un. 32. [2150-2152] l'J - 22 aprile 1631. 251 Tengo una lettera longa dal Sig. r Andrea Arrighetti, sottilissima e bella af¬ fatto in proposito de’ fiumi, nella quale ho liauto che imparare assai. Roma, il 10 di Ap. e 1631. Di V. S. molto lll. ro Oblig." 10 e Aff. mo Dis.'” e Rer. va Don Bcned. 0 Castelli. no Fuori: Al molto III.™ Sig. r e P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Rii. 0 di S. A. S. Firenze. 2151 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 19 aprile 1631. Bibl. Nnz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. II, car. 37. — Autografa la sottoscrizione. A car. 33 del modesimo ms. si ha copia, di mano sincrona, del presente capitolo; a torgo di essa (car. 34*.) si legge, di urnuo di Gamt.ro: F. S. Amb. re : di che cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, c, 2). .... Fu combattuto lunedì prossimo in questa casa assai a lungo il P. Maestro del Sacro Palazzo dall’Ambasciatrice e da me per l’interesse del S. r Gali ileo M ; e finalmente fu accordato die ordinar ebbe elio ella si stampasse, però con certo ordine o dichiaratione per suo discarico, del quale restò in appuntamento di scrivermene una poliza, perch’io potessi riferirlo puntualmente e senza alcuna alteratone di parole a V. S. Ill. ,na come ancor io desideravo per non m’imbarazzare nella conscionza c nella riputatone con ri¬ ferire più o meno, o meglio o peggio. Ma facilmente le continue funtioni et occupationi de’giorni santi rilaveranno impedito, perdio per ancora non m’ha mandato il viglietto o memoria che si sia: et inviandomelo prima di serrare il dispaccio, lo farò alligare a 10 queste; et il S. r Gallileo di poi potrà diro se vi habbia difficultà. Ma la verità è che que¬ sto opinioni qua non piacciono, in particolare a’ superiori.... 2152 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Bellosguardo]. Arcetri, 22 aprile 1631. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gftl., P. I, T. XIII, car. 141. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Se la sua lettera non mi havessi assicurata che il suo male non è di gran considerazione, certo havrei liavuto assai maggior disgusto di quello che provo Cfr. II.® 2147. 252 22 - 23 APRILE 1631. [ 2152 - 2163 ] al presento; c sentondo ch’olla va più presto migliorando, prendo speranza di doverla in breve rivedere del tutto sana, si conio mi prometto. Da Vincendo ricevemmo due serque di uova o mezzo agnello, o la ringra¬ ziamo, sì come, o molto più, dello 4 piastre, le quali giungono in tempo di gran necessità. La Piera fa instanza di partire, per ciò mi riserbo a scriver altra volta più a lungo. In tanto a loi di tutto cuore mi raccomando insieme con lo solito. No- io atro Signore sia sempre con lei. Di S. Matteo, li 22 di Aprilo 1631. Sua Fig> Afi> a Suor M.* Uolesto, Fuori: Al mio AraatÌ8s. mo Sig. r Ladro Il Sig. r Galileo Galilei. 2158 *. MARCANTONIO ITERARLI a [GALILEO in Firenze]. Pia», 23 aprilo 1631. Bibl. Naa. Fir. Mss. (lai., P. I, T. IX, car. 2-49. — Autografa. Molt’ 111.™ Sig. r e P.ron mio Col. 1 " 0 Io ho, giù molt’anni, tanti contrassegni della generosità dell’animo di V. S. Ecc. raa e particolarmente della sua benignità verso di me, elio mi son sem¬ pre promesso di poter ricever da lei in tutte l’occasioni ogni honesto favore, nò ho preso un minimo sospetto che il cenno 1 ' 1 datomi circa la pensiono fusso per affrettarmi. La ringratio però di questa nuova dimostratone ch’olla mi dà del cortesissimo affetto suo, stimato e rovento da me infinitamente. Rebbi, con l’aiuto di Dio, le mie bollo, quali ho mandato a Firenze per Lavar la licenza di pigliar il possesso del Canonicato l, \ o l’aspetto col primo procaccio. I primi denari che mi verranno in mano, serviranno per sodisfare al io debito che ho con V. S., alla cui gentilezza procurerò sempre di corrispondere con ogni possibil prontezza e gratitudine. Ilaeiolo in tanto reverentemonte la mano, o le prego da Dio intera sanità e felicità. Pisa, 23 Aprile 1631. Di V. S. Ecc.™ Dovot. m ® o Obblig.™ Se.™ Aiaroant. 0 Pieralli. ritto, noll'Arcli. di Stato in Firenze. Cfr. Nuovi Studi Galileiani par A»TOMO Pataro (Memorie del II. feti- luto Veneto di i rietine, lettere ed arti, Voi. XXIV). Vq h«ìr, Tipografia Antonolli, 1891, png. 392, “> Cfr. n.° 2141. Questa licenza, concessa dal Governo Gran¬ ducale», è, in data 19 aprilo 1681, a car. 48». del Li¬ bro 23 di licenze di possosai dell'Auditore del K. Di¬ [2154-2155] 23 — 25 APRILE 1631. 253 2154 * ANDREA CIO LI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. Firenze, 23 aprile 1631. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3522 (non cartolata). — Minuta non autografa. .... Hieri mandai a V. E. l’occhiale del S. r0 Galileo t 1 ), con l’occasiono dogli lui omini elio il S. r Alessandro del Nero ha inviato a i confini incontro a’SS. pl suoi figliuoli, et sarà da loro consegnato quivi a quelli clic di costà haveranno accompagnato sino ad Acqua¬ pendente i sedetti figliuoli, et spero che ghignerà salvo aH’Ecc. 2 * V., alla quale bacio con tutto l'animo le mani. 2155 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcctri, 25 aprile 1631. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 142. — Autografa. Molto lll. ro et Amatiss. mo Sig. r Padre, Perché dalla Piera intesi l’altro giorno elio V. S. si ritrovava grandemente svogliata c senza appetito di mangiare, sono andata investigando quello eli’ io havessi potuto mandarlo che fossi buono per farle recuperar il gusto; et perchè per questo effetto ho sentito commendar dai medici la oxizacchara, ho fatta questa poca clic gli mando, acciò ne faccia l’esperienza, essendo cosa che non dovrà nuocerli. Gl’ ingredienti non sono altro, zucchero, vino di melagrane forti et un poco di aceto. È ben vero che la cottura mi è riuscita un poco pili stretta del dovere, ma V. S. potrà pigliarne due o tre cucchiaiate per mattina, e, per io mitigare la frigidità sua, aggiugnervi un poca di acqua di cannella, della quale, se non ne ha più, gliene manderò, pur che mi rimandi il liaschetto ove altra volta glien’ ho mandata. I morselletti sono di tutto il cedro che mi mandò, o credo che siano buoni ; et se altro sapessi indovinare che gli potessi gustare, non lascerci di far ogni diligenza per provvederlo, non solamente per dar gusto a lei, ma anco a me stessa, già che impiegandomi in suo servizio godo estremamente. La prego, se gl’occorre qualcosa, a non privarmi di questo contento, et anco a significarmi Qfr. n.o 2119, 254 25 APRILE 1631. [ 2166 - 9156 ] corno stia di presente: con cho, pregandole da Nostro Signore ogni bene, me lo raccomando con tutto l’alletto insieme con lo amiche. I)i S. Matteo, li 25 di Aprile 1631. 20 Di V. S. molto lll. ro r'ig> Afl>* Suor M.* Celeste, Fuori: Al molto Ill. r * et Amatiss." 10 Sig. r Fadro 11 S. r Galileo Galilei, a Dello Sguardo. 2156. NICCOLÒ RICCARDI n [FRANCESCO NICCOUNI in Roma]. Roma, 25 nitri le 1G31. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Cai., P. I, T. XV, car. 07. — Autografa. Sul di fuori, «i leggo, 'li mano ili Giulio: F. Del P. ro M.* 0 (lei S. I’a.* 0 : di che cfr. Yol. XIX, Uoc. XXIV, e, 2j. 111."’ 0 et Ecc. ,D0 S. r# P.rono Col.®® Il S. r Galilei hebbo da me l’approvazione con una sottoscrizziono semplice dell’Jm- prìmatur, acci»'» potesse valersene con S. A. S., avendo però promossomi di far la corre/.- /.ione et emenda dalli particolari (?) del libro conformo al pattovito, e di fnr ritorno a stam¬ parla in Roma, ove col giudizio di Mons. r Cinmpoli si sarebbe terminata ogni differenza. Havrà il P.Stefani l l) giudiziosamente veduto il libro; ma non sapendo i sensi di N. S. ro , non può dare approvazione che basti a me per darla, acciochò il libro si stampi senza pericolo di qualche disgusto suo e mio, so gl’emoli ci troveranno cobo che. disdica agl*ordini prescritti, lo non ho maggior premura cho servir la Ser.*"* Altezza del G. Duca mio Si¬ gnore, ma vorrei farlo in modo elio persona protetta da si gran Signoro fusso esento 10 d’ogni pericolo di patir nella riputazione; e questo io non posso farlo con sola la per¬ missione della stampa, che costì non nii tocca, ma solamente con assicuravo cho sia con¬ forme alla regola che gli s’ò data per ordino di N. S. M , vedendo so l’ha essequita. So verrà la prefazione, posta al principio, et il fine del libro, facilmente vedrò quel cho mi basta, o darò testimonio insieme di aver approvata l’opera; o non potendo venirne nò anche copia, scriverò una lettera all’ Inquisitore, significandoli quello che ha da osservar nel libro, distendendo quello che mi ò stato commandato, acciochò, vedendo cho si Bia osservato, lo lasci conero e stampar liberamente; o trovisi altro partito, con cho la mia sottoscrizzione sola e non giovi al S. r Galilei e faccia danno alla mia cortesia; ch’io farò tutto il fattibbile, ad ogni minimo cenno di tali Padroni. 20 Ma in ogni caso assicuri V. E. la parte, cho nessun vivente m’ha parlato di questa piattina, nò de’ superiori, nè degl’inferiori, nè eguali, salvo gl’amici communi del S. Gu- Lott. 2156. 10. l-rmoitr — "> Giacinto Stefani. 25 — 26 APRILE 1631. 255 [2156-2158] lilei o miei, nè pensi che ci sia manifattura (Temoli, che nel vero non ci è. V. E. perdoni la tardanza della risposta, o mentre con ogni riverenza le bacio le mani, mi permetta lo scrivere per esser impedito di poterlo far di presenza. Di casa, 25 di Aprile 1G31. Di V. E, Servo Divotissimo et 01>bl. n '° Nicolò Riccardi. 2157. TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO in Firenze. Roma, 26 aprile 1631. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 170. — Autografa. Mille bone Pascile a V. S. e salute. Credo sappia ch’il P. Scheiner, detto Apelle, stampò la Rosa Ursitm, idcst © , et havuto il publicetur. Desidero vedere così fuori il suo libro; e mi ha fatto torto V. S. farlo vedere a tanti et a me no, il quale son più suo divoto degli altri, nò so usurparmi quel che non è mio, e i miei libri che vanno già fuori lo mostre¬ ranno. Resto al suo comando. io Roma, 26 Apr. 1631. Vostro Se. rfi et Amico Fra Thom. 0 Campanella. Fuori: Al molto 1. et Ecc. mo Sig. 1 ' Galileo di Galilei, Filosofo e Mat. co dell’Altezza di Tosc. a Firenze. 2158*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 26 aprile 1631. Bibl. Noz. Fir. Mss. Gal., I*. I, T. IX, car. 251. — Autografa. Molto 111.”* Sig. 10 e P.ron Col. ,no Al dispetto mio il Sig. r Arisio mi ha portato 22 V o b. ! 00 di moneta ro¬ mana, havendo speso il resto di scudi 30, ciò scudi 7 c b.‘ 40, di ordine mio in alcune cose per la spedizione delle bolle di V. S.; e m’ha detto che per la vi¬ gilia della Madonna di Settembre ventura V. S. havertl il termine delli altri m Cfr. n.° 876. PAHKU.AR Stylensis, Ordinis Pracdicatorum. Conira ( 5 > Ad Divina Pel rum Apottolorinn Principem Antichrittianixmum Ackitophellisticum ecc. Rotnao, npud tviumphantem. Atkeiamu» trinmphaltu, hcu lieduc.tin ad liacrodeill Bnrtlioloinaci Zini notti. M.DC.XXXl. reliyiunem per icienliarum vcritatcì. F. ThOMAK Casi- 256 20 APRILE 1631. 12158-3159] trenta, senza dimandarli. Io havcrò da pagare il resto dello spedizioni al gpedi- zionero, quale mi ha fatto il servizio co’ suoi danari. Questo è quello che occorro quanto alla Mansionaria di Brescia. Del Sig. p Pieralli non ho che diro, so non elio al sicuro a quest’bora ha riceute le bolle del Canonicato, e dove pagare a V. S. la pensione di 40 V dl di moneta, 20 a io S. Giovanni prossimo futuro, e venti al Natalo di Nostro Signore Giesù Christo. Io ho lo bolle in mano dell'uno o dell’altro, o lo mandarò per quella strada che V. S. mi comandarà. Quanto a Don Modesto, non so conio consolarlo, prima perché non si fa il capitolo por i sospetti di peste; 2°, perchè è impossibile ottenere la licenza di passare da Firenze a Monto Cassino dalla Congregazione della Saniti! di Itoma, elio ha fatti ordini rigorosissimi, a’ quali non vogliono dispensare, massimo elio qua si tiene lo stato del Sor.™ 0 G. D. sospetto; 3°, [sari!] impossibile a me, o forsi a qual si voglia, potere mutare un giovano da Firenze senza la grazia di quel Padre Abbate, nò Don Modesto stesso lo devo tentare: o V. S. mi faccia 20 grazia di leggerli questa mia per risposta alla sua, 0 lo preghi in nome mio a quietarsi l’animo per bora, sino elio passino questi miseri tempi. Desidero poi sopra modo intendere 0 vedere quello che V. S. baveri! scritto sopra il negozio di Bisenzo, perchè credo sia bel campo e ho sempre detto che questa era materia per lei. Qua vado leggendo a diversi amici intendenti la let¬ tera del Sig. r Andrea Arrighetti ", quale mi riesco sempre più bella, e li basti che ha mossa la meraviglia a Mons. r Ciampoli nostro, quale, insieme con Mon8. p Pallavicino, li bacia le mani; et io li fo riverenza. Di Itoma, il 26 d’Aprilo 1631. Di V. S. molto 111.™ Oblig. mo c Devotiss. 0 Sor.™ e Dis. l ° 30 S. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.»" Sig. r e P.ron Col."' 0 li iSig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 2159 *. ANDREA BIODI a FRANCESCO NICCODINI [in Roma]. Firenze, 2G aprile 1031. Arch. di Stato in Fironzo. Filza Medicea 8522 (non cartolata). — Minuta non autografa. .... L’ordine di ritener 1*occhiale della S. ra Ambasciatrice**) non m’ò arrivato in tempo, et mi dispererei se corresse mala fortuna. Ma finalmente il S. r Galileo, por grazia di Dio, è vivo, et non ha punto voglia di morire.... "1 Cfr. 11.* 2150. <*« Cfr. u.° 2151. [2100-2161] 27 APRILE — 1° MAGGIO 1631. 257 2160*. FRANCESCO NICCOI.INI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 27 aprile 1G31. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. Il, cnr. 30. —Autografa. Sul di fuori si leggo, di mano di Gat.ilko: Il S. Amb. manda da Roma il biglietto del Padre Maestro. Ill. mo S. p mio Oss. mo Vedrà V. S. Ill. n,a quel che risolvo il P. Maestro del Sacro Palazzo nel negotio del S. r Galilei. Io gliel’ho fatto metter in carta 11 ) per mia maggior giustificatione. Potrà adesso il S. r Galileo considerar il biglietto o pigliar quel’espediente che più li parrà oportuno; et occorrendoli comandar a me altro davantaggio, sa di poterlo fare con sicurezza d’esser servito prontamente. Mentre intanto a V. S. 111.'" 1 fo reverenza. Di Roma, 27 di Aprile 1631. Di V. S. 111.** Obi»* Ser r# S. r Bali Gioii. Frane. 0 Niccolini. 2161*. AURELIO GIGLI ad ANDREA CTOLI in Firenzo. Monaco, 1° maggio 1G31. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 69. — Autografa. _11 S. r Michelangelo Gallilei, che sia in gloria, ha lasciato sette figliuoli < 2) , quattro maschi e tre femine. Vincenzo, eh’è il maggiore d’età, di 18 anni, si trova in Polonia; tutti gli altri, presso la madre. Il secondogenito Alberto ha 14 anni ; degli altri bì può fare la conseguenza. Questo Alberto, di 14 anni, tira qualche cosa dalla Corte; ma perchè sta in procinto d’essere mandato fuori ad imparare a spese di S. A. S., la povera vedova, che da ciò cavava qualche emolumento, non ne potrà liaver altro per tutto ’l tempo ch’egli restarà fuori. Ad essa povera vedova ha S. A. S., doppo la morte del marito, assignato cento fiorini di provisione all’anno, ma quid linee intcrtantos? e massime in questi paesi, et mentre li detti figliuoli in sì gran numero et in tale età, elio non pure non possono 10 dar alcun aiuto alla casa, ma n’hanno bisogno essi, et vogliono vivere et esser calciati e vestiti? Alcuni pochi denari che il S. r Michelangelo haveva posti a frutto, tutti fu sfor¬ zato di ritirare a se et spenderli nel condurre in Italia, e poi ricondur qua, la sua povera famiglia, che, per quanto intendo, il S. r suo fratello, che li haveva chiamati a Fiorenza, non gli sovenne in ciò d’nn minimo che, nè alla lor venuta costì nò al ritorno di qua. <*» Cfr. n.° 2156. (S) Cfr. il.® 2110. XIV. 83 258 — 3 MAGGIO 1031. [ 2101 - 2162 ] Mi dico la vedova, elio in Fiorenza, governando il S r Gallilei suo cognato, che stava forte ammalato, da lui gli fu promesso che gli havrebbe lasciato per testamento sei milla fiorini. Piaccia a Dio che si ricordi della sua promessa et che lattando. I dissegni, il bi¬ sogno, et i BOHpiri di questa povera vedova, snrebhom» di essere aiutata dal cognato, a chi mi paro che habbia fatto rapprcsonture il mio miserabile stato; ina so non no viene es- saudita, credo che si sia gettAta nella misericordia di Dio, risoluta d’andar cosi portandosi 20 avanti in povertà et patimenti alla meglio che può. So V. S. Ill.‘ n * gli può far beneficio, non ò opera di carità elio possi impiegar meglio di questa, concorrendovi anco l'tumore della natione, nel vedersi stentar qua questa famiglia, tenutaci in parte per forestiera, alla quale per conseguenza ogni cosa si rende più difficile I.n raccomando caldamente alla pietà o protettione di V. S. 111."" secondo Tocca-dono, et senza più la riverisco bendi cuore, con baciar le mani al nostro S. r Bocchineri e bramar loro felicità. Da Monaco, il p.° di Maggio 1631. Di V. 8. 111."-* Affett* 0 et Oblig.» 0 Ser. M S. r Ball. Aurelio Gigli. Fuori: AH’111." 0 Sig. r# 11 S. r Bali Cioli etc., uiio Sig. r# 30 Fiorenza. 21(52. GALILEO ad [ANDREA CtOl.l in Firenze], liullongttnrdo, 3 maggio 1G31, Blbl. Nai. Fir. Mss. lini., I’. I, T. IV, car. 78-79. — Auti**r*fa, Ul. mo Sig. ra 0 rati.» Col.™ Ilo veduto quello che scrive il Ilev. mo P. Maestro del Sacro Pa¬ lazzo ll5 in proposito dello stampare i miei Pialogi: dal elio, con mio notabile disgusto, vengo in cognizione come S. P., dopo liavor trat¬ tenuto me presso a un anno senza mai venire a conclusione alcuna, si apparecchia adesso a far P istesso col Ser. mo G. I). nostro S™, cioè di allungare e tirare innanzi con parole privo di effetto, cosa che non mi par da tollerarsi di leggiero. Scrive P Ecc. mo S. Ambasciatore li 19 d’Aprile ll \ d’esser restato in appuntamento col P. Maestro che S. I\ u harebbe ordinato qua che ic il libro si stampasse, però con corto ordino e dichiarazione la quale ei gl' harebbe mandata in un viglietto ; il che non seguì poi se non 111 Cfr. il.» ‘2150. Cfr. u.« 2151. 3 MAGGIO 1631. 259 [2162] 8 giorni dopo, forse per l’occupazioni nelle funzioni de i giorni Santi. Mandò li 28 d’Aprile 11 ’ il viglietto scritto di sua inano, et è quello che il S. Ambasciatore manda a V. S. lll. ma e che ella ha mandato a me: nel quale, conforme all’appuntamento preso con l’Ecc. mo S. Am¬ basciatore, doveva esser l’ordine qua di stampar l’opera, e le dichia¬ razioni che S. P. ci voleva. Ma la verità è, che nel viglietto non vi ò nè ordine di stampare nè dichiarazioni nè altro, salvo elio nuove 20 proroghe, fondate sopra alcune sue pretensioni e domande, alle quali sono molti e molti mesi che io ho dato tutte lo sodisfazioni, nella maniera che io desidero di far costare al G. D. et a Y. S. Ill. ma , et a chiunque volesse accertarsene. Ora, vedendo che qui si navica in un oceano che non ha nè rive nè porti, et a me preme infinitamente la pubblicazione del mio libro per assicurazione dello mie tante fa¬ tiche, sono andato pensando a più modi da potersi tenere, ma in tutti ci è bisogno dell’ autorità del S. G. D. Et acciò si possa venire a qual¬ che conclusione, mi si rappresenta che sarebbe molto oportuno che S. A. S. si contentasse che un giorno, e quanto prima, alla presenza :*o S ua, di V. S. Ill. ma , dell’111.™ 0 S. C. Orso 1 "’, e se altro consultore piacesse a S. A. S., si convocasse il R. mo Padre Inquisitore e ’l molto R. do Padre Stefani (3) , il quale ha di già riveduto il mio libro e severamente esa¬ minato ; dove io intervenendo, porterei 1’ opera con tutte le censure et emende fattevi dal medesimo Padre Maestro del Sacro Palazzo, dal P. Visconti (4) suo compagno, e dal P. Stefani, dalla veduta delle quali il medesimo P. Inquisitore potrebbe subito comprendere quanto leggieri cose siano quelle che venivano notato, e che si sono emen¬ date : in oltre, dal vedere con quanta sommissione e reverenza io mi accomodo a dar titolo di sogni, di chimere, di equivoci, di paralo- 40 gismi e di vanità, a tutte quelle ragioni et argomenti che a i supe¬ riori paressero applaudere all’opinioni da essi tenute non sincere, comprenderebbe esso e gl’ astanti quanto sia vero quello che io pro¬ fesso, che è di non haver -mai hauto in questa materia altra opinione o intenzione, che quella che hanno i più santi e venerabili Padri e dottori di S. ta Chiesa. E questo par che torni tanto più a proposito fatto, quanto il medesimo P. Maestro scrive che, occorrendo, scriverà <*i Cfr. ii.® 2156. La lettera ili NioooiA Rio- tal forma, die ben potè prestarsi ad esser lotto por 8. c Audi, spedita il 27 aprilo da Fraxgksoo Nicoo- <*' Conto Orso d’Ei.ct. uhi ad Amdrka Ciom (cfr. n.® 2160), ò veramente < 3 > Giacinto Stick a ni. del 25 aprile; ma il 5 della (lata è nell’autografo di **) Eappakm.o Visconti. 260 3-13 MAGGIO 1631. [2102-2163] qua al P. Inquisitore, significandogli quello olio si devo osservar nel libro, o trovandolo osservato, lasci poi correre l’opera alla stampa. Prego dunque V. S. Ill. raa a farmi grazia di ritrarre dal Ser. mo Pa¬ drone so resta servito di questo che propongo ; e seguendo, io mi bo sforzerò di venire al tempo prefìsso a Corte, con speranza di far co¬ stare a S. A. et a tutti quanto male siano informati dello mie opi¬ nioni quelli che dicono che elle non piacciono, perché assolutamente le opinioni che non piacciono non son lo mie, o lo mie sono quello elio tengono S. U) Agostino, S. Tomaso o tutti gl’ altri autor sacri. Il S. Niccolò Aggiunti, che in questo punto ò venuto a visitarmi, renderà la presente a V. S. Ill. ma , et anco, per minor sua briga, tor¬ nerà por sentire quello che sarà stato determinato da S. A. S. e ine ne darà avviso. Et io intanto rovorentemonto gli bacio lo mani o prego intera felicità. co Da Boll. (l °, li 3 di Maggio 1631. Di V. 8. Ill. ma Dev. mn et Obblig. mo Ser. ro Galileo Galilei. 2163 **. ESAÙ DEL BORGO a. Madrid, 13 maggio ISSI. Blbl. Naz, Plr. Mss. Gal., P. T. T. XV, car. 71, — Autografa la firma. ....Io presentai al Re quel’occhiale, che no foce una festa la maggiore del mondo, corno lo scrissi al S. r Gioiiet al medesimo S. r Galileo 1 , a chi detti conto della disgratia elio ne seguì, elio fu rompersi il cristallo maggioro della boccila; et il medesimo Re mi mandò D. Tommaso Lavagna con la misura, perchè li facessi venire un altro cristallo, o con tanto raccoraandationi che V. S. si maraviglierebbe. Di poi è venuto il medesimo, da parte pure di S. M.'\ più di 8 volto a ricordarmelo o con grandissima instantia. Io mi sono scusato, che la tardanza proceda dal’esservi stato il contagio; et havendone scritto al S. r Gioii più volto, mi lo aveva promesso di mandarmelo e di chiederlo al S. r Galileo. Non lMia fatto, nè penso infastidirlo da vantaggio; ma resto in grande discredito in Palazzo, perchè, scitene sono cose di poca importanza, come S. M. u ci haveva tanto diletto, gli dura 10 sempre il desiderio. Se per mezzo di V. S. si potessi risarcire questo male, no riceverei il maggior gusto del mondo; e fussi la spesa qual fusai, ch'io la darei per bene impiegata, V. S. mi faccia questo piacerò e lo sforzi, con avvisarmi. E Dio la feliciti. IH Madrid, 13 di Maggio 1631. Esaù. <*> Cfr. n.«* 2062. Cfr. n.- 2061 . [2164-2165] 17 MAGGIO 1631. 261 10 2164 *. GIOVANNI SILVI a GALILEO in Firenze. Roma, 17 maggio 1631. Bibl. Naz. Fir. Appondico ai Mss. Gal., Filza Favaro A, cnr. 22. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. rao Io non ho Lauto maii aviso, nò da V. S. nè da’ SS. ri Galli, se lei pagassi il complimento delli S. 54, b. 15 (1) moneta, conforme mi accennò con l’ultima sua. Desidero saperlo però con suo comodo, acciò io ne possi accomodare la scrittura in credito a V. 53. et in debito a detti SS. ri ; et in che sia buono a servirla, me li offero sempre prontissimo. Li bacio le mani et li pregilo dal Sig. 1 ' Dio ugni vero bene. Roma, 17 Magg.° 1631. Di V. S. molto Ill. ro Ser. ro Aff. mo Gio. Silvi. Fuori: All molto 111.™ Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 2165 ". FRANCESCO NICC0L1NI ad ANDREA CIGLI [in Firenze]. Roma, 17 maggio 1031. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 41. — Autografa la sottoscriziono. .... Servirò di nuovo il S. r Galileo col P. Maestro del Sacro Palazzo, e lo consegnerò il proemio et il fino dol libro inviatomi, cercando più efficacemente ch’io sappia di ri¬ trarne la licenza desiderata, conio efficacemente mi fa comandare il Ser. m ® Padrone. Non so già s’io potrò questa sera risponderò allo duo lettere ricevute dal medesimo S. r Gali¬ leo, perchè, oltre all’occupationi del dispaccio, io travaglio con un poco di fastidio di stomaco; o sarà forsi meglio ch’io le dica poi d’Lavorio servito con più comodo, come ricerca il suo merito e la mia osservanza verso il suo valore.... (M Cfr. ii.° 20S3. 262 18 MAGGIO 1631. L 2166 ] 2100 *. MARIA CELESTE GALILEI n GALILEO in Bellosguardo. Arcelrl, 18 maggio 1631. Bibl. Nna. Flr. Mia. Gal., P. I. T XIII, car. 143. - Autocrata. Amatiss. mo Sig. r Padre, Per quanto ho potuto intendere, il prete di Monte Ripaldi non ha piuridi- zione sopra la villa della S. r ‘ Dianora Laudi, se non in un rampo solo. Intendo Pone elio su la casa vi è sodata la dote di una cappella della chiesa di S.«* Maria del Fioro, e che per questa causa la sudetta S.« Dianora si ritrova in piato. V. S. potril da l’apportatrice di questa, che è donna assai accorta et ha cono¬ scenza quasi in tutto Firenze, intender chi sia quello che agiti la causa ”, giù elio essa lo conosce, o da esso haver poi informazione del negozio. Ilo anco inteso che il luogo del Mannelli non è ancora allogato, ma che si tratta bene di affittarlo. Questo ò un luogo molto hello, e dicono che possiede io la miglior aria di questo paese. Non credo che a V. S. mancherà entratura per tentar se potessi riuscir quanto lei et io molto desideriamo; e da questa mede¬ sima donna potrà forse haver qualche indirizzo. Havevo accettato l’aceto per l’oximelo, perchè il nostro non mi pareva di quella bontà che lmvrei desiderato; già che V. S. si à compiaciuta di mandarmi il vino in cambio, io ne la ringrazio, o Bto aspettando d’intender s’ Ella sarà sodisfatta della nostra manifattura, che sarà quando si servirà altro volte di noi, chè tanto mi vien detto da Suor Luisa et altro mie compagno in bottega, le quali, insieme con S. r Archangiola, la salutano affettuosamente. Et io da No¬ stro Signore gli prego ogni vera felicità. 20 Di S. Matteo, li 18 Mag.° 1631. Sua Fig. ,m AfT. m * Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto Ill. r * et Amatiss. 1 " 0 Sig. r Ladro Il S. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. T.ett. 2100. 18. fi nitr mu — Di pugna di Qaui.ro qui di coatro, nel m*rfia«, * •cotta. « qu»»ta 4 Mas». Curxio .Sportelli > [ 2167 ] 21 MAGGIO 1631. 263 2167 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 21 maggio 1031. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XI, car. 172. — Autografa. Molto 111. ro et Ecc."'° Sig. r c P.ron Col." 0 Era ben il dovere che la tardanza di un anno in arrivarli la mia lettera gli apportasse meraviglia, come ha fatt* a me anchora, e malamente si poteva rime¬ diare a quel negotio che li raccomandava, doppo tanto tempo; tuttavia non fu poi di bisogno, poiché credo che chi riferrì quella novella del P. Generale, pren¬ desse un equivoco. Io poi gli scrissi una mia doppo Pasqua 10 , nella quale li mandai un essempio de’ miei logaritmi ; ma dubito che non 1’ babbi ricevuta, poiché, desiderando risposta non solo intorno a questo, ma anco di quel che li scrivevo in proposito della lettera del S. r Cesare Marsili, non ha detto niente io nella sua. Io dunque non manco di procurare che babbi il rimanente della sua lettera, ma V importanza è che il detto Signore non l’ha anchor distesa, ma V ha in capo, et bora ò oppresso da molti negotii famigliavi c liti, che 1* impe¬ discono dall* applicatisi ; ma oltre di questo desidera egli prima d’bavere il rincontro dell’osservatione fatta in S. ta Maria Novella intorno alla giustificatione della meridiana, che poi s’accenderà a distendere il resto in carta. Perciò la prego a vedere se havessc qualcheduno, come il S. 1 ' Mario Guiducci o altri, a proposito per far tale osservatone ; chè andandovi spesa, ho datto commissione al P. Lutio che spenda quello che occorrerà, che del tutto sarà rimborsato. E sappi che non potrà detto Signore bavere il maggior gusto di questo: perciò 20 vega se può farlo fare, chè anchor io non mancherò di sollicitare detto Signore, perchè la sodisfaccia e li dia gusto. Io poi vado proseguendo nella stampa de’miei logaritmi w ; et essendo finite le lettoni publiche, ho però anchora do’ scolari, che mi tengono non puoco occupato. Fra tanto la prego a conser¬ varmi nella sua buona grafia, che per fine gli desidero da N. S. ogni felicità c li baccio le mani. È morto un de’ nostri frati di mal contaggioso, e son quasi andato a peri¬ colo d’invischiarmi anchor io, che mi ero trasferito al Convento di Inori (del O Cfr. li.® 213'J. <*) Cfr. u.° 1070. 264 21 MAGGIO 1631. [2167-2168] quale era il frate) per fare una purga. Tuttavia son sano, per 1' Iddio gratia. Il S. r Cesare poi so li ricorda devotissimo servitore, come io parimente. Di Bologna, nlli 21 di Maggio 1631. 80 Di V. S. molto 111.™ et Ecc."* Dev. mo Ser.™ F. Bon. r * Cavalieri. Fuori: Al molto 111."* et Ecc."*" Sig. r e P.ron Col."® 11 8ig. r Gal.®° Gal. 0 *, p.® Fil.° e Mat. ro del Ser. (ì. I>. di T. Firenze. 2108. VINCENZIO GALILEI a [GALILEO in Bellosguardo], lFirenze), 21 maggio litfl. Dlbl. Xnz. PIr. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 258. - Autografa. MolC 111." Sig. r Padre mio Cariss.® Ilo inteso con mio disgusto il travaglio di V. S., cagionatoli dal flusso emn- roidale; e non lmvondo trovato il medico Ronconi ”, del quale ci serviamo, in casa, sono stato dal Sig. r Mario Maccanti, quale si trova nel letto un poco in¬ disposto, et a lui ho raccontato la sua indisposizione, alla quale egli ha ordinato gli infrascritti remedi. Prima, dice che V. 8. si astenga dallo pillole che la dice, perchè l’aloè ha questa proprietà, che applicato esteriormente stagna il sangue, dove preso per bocca ha virtù apritiva o lo provoca. Loda, secondariamente, che V. S. usi l’accqua ferrata, et mi ha insegnato il vero modo di farla, cioè che si pigli l’acciaio o ferro, e si infuochi, e spenga parecchie volto noll’aecqua, e questa io si butti via, che, in cambio di strignere, apre gagliardamente, e tornisi a infuo¬ car di nuovo l'acciaio o si spenga di nuovo in altra accqua, e questa usi per fermare il flusso. Loda parimente clic V. S. pigli avanti pasto un poco di zuc¬ chero rosato con rose rosse, et annaccqui il vino con accqua borra; et io li mando l’ima e l’altra. Li mando ancora un fiaschetto d’accqua del Tettuccio, quale V. S. ha usare per lavar esteriormente le parti offese; c finalmente se ’1 sangue non restassi, la si devo fare un servizialino, o schizzo, come lo chiama il medico, con una libra della medesima accqua del Tettuccio, semplice o pura senza altri in¬ gredienti. lloggi verrò a visitarla, accioehò se 1’ havesse bisogno di qualcosa altro, non si habbia a affaticare a scrivere. 20 Lett. 2108. 4-5. mi poco indìtpoto, ri — 6. la ma imd'uporionr — Giovassi Roxcoxi. [2168-2170] 21 — 24 maggio 1631. 265 La Soatilia fa reverenda a V. S., et io li bacio con ogni all'etto le mani, pre¬ gando Nostro Signore clic la liberi dal male, e lungamente sana la conservi. I)i casa, li 21 di Maggio 1661. Di V. S. molto lll. ro Àffez. 0 Fig> C [/UvCZsdb'o 2169*, ANDREA CIO LI a FRANCESCO NICCOLTN1 [in Roma]. IFirenzcl, 22 maggio 1631. Bibl. Nnz. Fir. Mss. G&l., V. T. T. II, car. 46. — Minuta, non autografa. .... Si aspetterà qualcho buona resolutiono sopra l’opera del S. r Galileo.... 2170 **. ' GALILEO a BONAVENTURA CAVALIERI in Bologna, llellosguanlo, 24 maggio 1631. Ardi. Marnigli in Bologna. Busta citata al n.° 1CS8. — Autografa. Molto Kev. do P.re c mio Sig. p Col. mo Ilo travagliato, dalla domenica dell’ Ulivo in qua, con diverse in¬ disposizioni ; ora, Dio grazia, sono in assai buono stato, e con spe¬ ranza di ridurmi in migliore. Ieri il Rev. mo P. Fra Luzio mi travagliò col dirmi d’haver avviso, nel vostro monasterio esser morto un Padre di peste, onde io vivo ansioso di sentire dello stato suo, e se il male va continuando, sì come fa qua, ma nel contado solamente, essendo poco e quasi niente nella città: però non manchi di scrivermi. Sto anco con avidità attendendo io il rimanente della dottissima scrittura dell* 111.® 0 S. Marsilii, liavendo più volte letta con grandissimo gusto quella parte di che S. S. ia mi favorì m : però siami la P. Y. in questo ancora procuratore e solle¬ citatore. Lett. 2170. 6. moria in Padre — <‘> Cfr. n.° 2125. XIV. ai 266 24 — 25 MAGGIO 1631. [2170-2172] 11 negozio (lolla pili Menziono del mio Dialogo non ò ancora spe¬ dito, ma le lettere ultime di Roma promettono con questo pros¬ simo ordinario la spedizione assoluta, havendo il S. (1. I). ca messo lo mani in questo maneggio con gran caldezza ; sì elio presto doverii cominciare a stamparsi. Altro di nuovo non ho elio dirgli, onde finirò con pregarla a far reverenza in mio nomo nU'Ill."* 0 S. Marnili et a tutti li altri SS. ri no-so stri affezionati; et a lei bacio le mani o prego felicità. Da liell. d °, li 24 di Maggio 1631. Della P. Vostra molto U. ,! Aff. mo Sor.™ Galileo Galilei. Fuori: Al molto Rov. do P.ro o mio Sig. r Col. n ‘° Fra Buon.™ Cavalieri Gesù. 10 Bologna. 2171 . NICCOLÒ KlCCAItPI a CLKMKNTK KC.ID1I in Firenze. Koma, 24 ungtfiu Itti!. Cfr. Voi. XIX. Uoc. XXIV. k. £0). lin. 114-139. 2172 *. FRANCESCO NICCOl.INI a (GALILFO in Firenze]. ltoma, 25 m.njjgio 1631 Bibl. Naz. Fir. Ma. Gal., P. I, T. IX. ear. l'J. — Aut>(r*fa la »jttu»ciiiione. Molto 111.” S. r mio Osa.* 0 Andai a trovare sino martedì passato il P. Maestro del Sacro Palazzo, c con efficacissime instanze lo pregai, per parte di S. A., della speditione del negotio di \. S., facendo apparire l’Alt.* S. come principale interessato e parte nella publicatione di quest’opera, dedicata al suo Sor." ,u nome; e dopo alcuni discorsi, si concluse che darebbe l’ordine a cotesto P. Inquisitore 0 e la forma ili quel che dovesse esequire, come Laverà visto V. che ha di già esequito con la let- 25 — 28 MAGGIO 1031. 267 [2172-2173] tera oh’ inviai liiersora al Sig. r Bali Gioii con un semplice soprafoglio por la strettezza del tempo e per un’infinità d’occupationi che m’ hanno assalito stra- ìo vagantemente da tre settimane in qua. Che sia rappresentato a V. S. per pre¬ garla di scusa se non ho prima risposto alle due lettere sue cortesissime 10 , le quali sempre che compariscono in questa casa, rallegrano in infinito ciascun di noi, per la sicurezza in che ci pongono della sua intera salute e della speranza che ci apportano di doverla servire. E li bacio le mani, come fa ancora l’Am- basoiatrice. JDi Iloma, li 25 Maggio 1625 (sic). Di V. S. inolt’ Ili. 1 '® Rer.™ Aff. m ® Frane. 0 Niccolini. 2173 *. ASCANIO PICCOLOMIN1 a [GALILEO in Firenze]. Mario, 28 maggio 1031. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IX, car. 254. — Autografa. Molt* 111.” Sig. r mio ()ss. mo La memoria delle virtù sue è talmente assicurata in fin nell’animo de’sno’omuli, eh’ io, che le professo venerazione o servitù, malamente me ne posso appagare se non quanto ella la riconoscesse in me accompagnata da un vivissimo desiderio de’suoi comandi. Il S. r Tommaso Rinuccini non ha a V. S. dato se non occasion di briga, nò mai P havrei pretesa per le sue mani, non meritandola la mia ri¬ chiesta, che non tendeva a fin se non d’ima superficial notizia, qual, come V. S. benissimo dice, si richiede in discorso accademico. Ma già che per sua gentilezza me n’ ha volsuto honorare si puntualmente, gnene rendo duplicate grazie, e in io riguardo della cosa istessa, et in riguardo del favore ch’io n’ho conseguito della sua lettera. Con la curiosità che merita» Popero sue attenderò alla luce il suo Dialogo, che mi si supponeva finito, quando, vedendo la remissione con ch’ella discorre delle sue fatiche, so» caduto in suspetto ch’ella di novo Pbabbi abbandonato: e benché sommamente commendi la prudenza con che ne parla, mi ricordo in ogni modo ch’ella hebbe altre volte concetto di far conoscere al mondo che non per mancanza d’osservazione e d’ingegno, ma per burnii elezzion d’ubbidienza, abbandonava quell’osservazioni eh’ hormai ne’ paesi oltramontani son general¬ mente tenute per dimostrate, il che non poteva seguire senza relevante beiieiì- m Cfr. n.o 2105. liu. 4. 208 28 - 29 MAGGIO 1631. [2178-2174] zio publico. Io so quel che m'auguro a gloria di cotosta patria e del secolo; ma 20 quand’olia porsiBtoBso in Yolor cederò a i tempi, al meno assicuri neU'habilità do’sua amici quel eh* una volta venne desiderato a voto publica, massime ha- vend’olla sempre desiderato più l'applauso dell’intelligenti che della moltitudine. Mi rallegro per ultimo della saluto con cui si mantiene tra le publiche ca¬ lamità; e se a Dio piace di terminarle, m’aspetti una volta alla sua villa, per rinfrescarmi il gusto di quei discorsi con che ella si gode la conversazione di cotesti Signori suoi amici. E tra tanto mi conservi nel grado del più vero ser¬ vitore eh’ di’ hahbia. Murlo, li 28 ili Maggio 1631. Di V. S. molto 111.™ AfT. mo Scr.™ 80 A. Ar. Vo di Siena. 2174 *. MAIUA CELESTI*’ GALILEI u GALILEO in Ik'lloxguardo. Arci-trt, ‘iO maggio ISSI. Dibl. Naz. Fir. M»«. 0*1.. P. I, T. XIII, cir. 144. — Autografa. Amatiss. mo Sig. r Padre, Desidero in estremo, col mezzo di V. S., di dar segno di gratitudine e rico¬ noscimento a’ tanti oblighi che tengo con Suor Luisa, adesso che mi si porge buona occasione; poi che, ritrovandosi ella in necessità di cercar in presto la somma di ventiquattro scudi fino all’ultimo di Luglio, io vorrei ottener grazia che V. S. gli facessi lei questo servizio, se gli sia possibile, come credo. E se ò vero, come so che ò verissimo, che V. 8. desideri di darmi ogni sodisfaziono o gusto, si assicuri che questo sarà de i grandi che possa darmi ; et la persona ò tale elio non dubito dio corrisponderà pienamente, più presto avanti che doppo il prescritto termine di due mesi, havendo l'assegnamento sicuro di sua io entrata; chò veramente, se fossi altrimenti, io non cercherei di metter V. S. in qualche intrigo, come per l’adietro è seguito con mio grandissimo disgusto. Non replicherò altro, supponendo che sia superfluo lo estendermi in più lunghe pre¬ ghiere con persona la quale più desidera di farmi benefizio elio non desidero io di riceverlo; solo starò aspettando di esser pienamente sodisfatta. In tanto gli dico che ho sentito gusto particolare che sia caduta la eleziono dell Arcivescovo nella persona di Mona. Rinuccini ", per l’interesse di V. S. o nostro ancora, come a suo tempo discorreremo. Giovanni Battista Rinvccini, ÀreÌTeacovo «li Fermo, fu nominato «lai Gran-luca Frkdikando II aH'AreivMCOYfttn di Firenze dopo la morto di Corano Bardi, Mfuila il 18 aprile ISSI, ma non accettò. 2!) — 31 MAC! G IO 1031. 269 [2174-2175] Sto in dubbio so il primo et il secondo oxiinelo, elio gli mandai, sia stato 20 di sua sodisi azione, giù. che non ne ha dotto niente: et perché V. S. non ha per ancora mandato lo aloè e rabarbaro per far le pillole papaline, gli mando duo prese delle nostre, delle quali giù, altro volto no ha prese, con riserbo di far¬ gliene ogni volta che vorrà. I cedrati sono bellissimi, et io, insieme con Suor Luisa, procurerò di far anco buoni i morselletti, acciò che a chi ha donato questi venga volontà di donarne de gl’altri. Ringrazio in tanto V. S. sì di questi corno anco do i vasi di cristallo, clic mi sono stati gratissimi; e pregandolo da Nostro Signore ogni vero bene, me li raccomando insieme con le solite, o particolarmente Suor Archangiola, la quale so ne sta debolmente. so Ri S. Matteo, li 29 di Mag.° 1631. Ri V. S. molto IH.™ Figi.» Afi> a Suor M. a Celeste. Fuori : Al molto III.™ et Amatiss.™ Sig. r Padre 11 S. r Galileo Galilei, a Hello Sguardo. 217 5 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Firenze], lloma, 31 maggio 1G81. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. IX, cnr. 250. — Autografa. Molto 111.™ Sig.r o P.ron Col.™ Son stato fuori di Roma a Castel Gandolfo; al ritorno mio in Roma lio ri¬ trovata la lettera di V. S. molto 111.™, insieme con il discorso di Bisenzo 1 ' 5 , quale mi ò stato carissimo. Ilo bisogno di studiarlo bene, come farò subito clic Mons. r Ciani poli, che me P ha levato di mano a forza, me lo restituirà. In tanto la ringrazio del* honore {,) clic mi fa in quella scrittura, clic veramente eccedo ogni mio merito. Quanto alla procura 05 , è necessario che V. S. la mandi, perchè così ho pro¬ messo al Sig. r Arisio; et ò bene fare lo riceute di questa prima paga autentica, io perchè lei si mette in possessione eligendi, che non li potrà essere fatta difficoltà da altri successori prò tempore. Però me la mandi, di grazia. in Cfr. Voi. VI, pns. G27-617. 1*' Cfr. Voi. VI, pag. G27, lin, 23 — pa?. 62$, lin. 2. Gl Ufr. n.o 2150. 270 31 MAGGIO — 2 UiUUM.) 1631. [2176-2177J Mi dispiace sopra modo intendere la sua indisposizione ; o credami che Mons. r Ciani poli no sta con particolare abluzione d'animo, o vorrebbe che lei fosse qua per potoria servire, lo sto hone, et bora sono sul maneggio di ritro¬ vare la construzziono dello strado lastricate antiche/ 1 ' cosa veramente bella e piena di una mano di galantario. Quando bavero ridotta la c*>su al netto, come spero in breve, gliene darò parto : in tanto li bacio le mani. Di Roma, il 31 di Maggio 1631. Di V. i>. molto 111." Devoti*#, o Oblig.*® Sor.** e Di». 1 ® £0 S. r Gal. 0 D. Dened.* Castelli. 2176 . CLEMENTE EGIDE a NICCOLÒ RICCARDI in Roma. Fin-lire, SI maggio 16J1. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, b, 20), lin. ÌO-IW 21 77 . GERÌ BOCCHI NERI a [GALILEO in Bollcwguardol. Firenze, 2 giugno lodi. Blbl. Nu*. FIr. Mks. Gal., 1*. 1, T. IX car. 268. — Autografa. Sig. r mio, Vaca la Cancelleria di Fucecchio, che è una delle meglio dello Stato. La negoziamone di «issa, come di tutte le altre dello Stato, tocca al S. r Hall Gioii, al quale ho proposto per essa et raccomandato il S. r Vincenzo*** nostro; et egli vi inclina, et per la parte sua lo preferirà ad ogni altro. Ma la Ser. u,A Arcidu¬ chessa, alla quale tocca a faro la grazia, ha detto al S. r Dall che egli non si impegni con alcuno, perchè FA. S. vuol dare la Cancelleria a suo modo; onde paro al S. r Dall necessarissimo che V. S., senza perdimento di tempo, venga domattina a chiederla a S. A., et che sia con lei il S. r Vincenzo: et quando V. S. si Incesso raccomandare all’A. SS. dal Gran Duca, sarebbe molto meglio. Li prò* io Lett. 2177. 6. le gratin — ,t * IMI. Vat Cod. Bari», lat SIGI, car. I«M-105. Sl A car 150 a 162 dulia Filsa 2206 dal Ma- pini rato dei Noto, nell'Ardi di Stato io Firenze, tono du* documantl I quali concernono la racauza della Cancell«rla di Kucoccbio; ma in noaanuo di essi À fatta menzione di Vihckxzw (Uumci. 2 GIUGNO 1631. 271 [2177-2178] tensori sono molti, et il negozio si ha da spedire per tutta questa settimana al più lungo: il luogo ò eli molto utile, por quanto si sento. Et le bacio le mani. Di Fiorenza, 2 Giug . 0 1631. Di V. S. Aff. mo Scr. ro et Parente Gerì Bocchineri. 217 8 *. LORENZO USI M BARDI a FERDINANDO II, Granduca di Toscana, [in FironzcJ. Firenze, 2 giugno 1G31. Avoli. di Stato in Firenze. Secretoria dell.' Riforuiagioni. Filza 9» ili Negozi ecc. doli’Auditore Lorenzo Usimlmrdi, cnr. 488-489. — Autografa la firma. Scr. mo Gran Duca, Gismondo Coccapani por l’inclusa supplica 1 ’) narra di haver trovato un’invenzione e modo di metter Arno in canale et haverno di già trattato con IVA. V., e domanda privi¬ legio, che trapassi ne’ suoi descendenti in infinito, con quello pene e pregiudizi! soliti ap¬ porsi in simili concessioni, che egli solo e chi harà causa da lui, e non altri, possa per 1’avvenire mettere in opera tal sua invenzione, o con l’infrascritte condizioni, cioè: Che tutti i nuovi lavori e ripari da farsi, tanto nel detto fiume d’Arno quanto ne gl’altri fiumi dclli Stati, non si posaino fare con detto suo nuovo modo senza saputa prima di V.A. e di consenso dell’ esponente ; dclli quali fiumi tutti, per quanto gli farà 10 bisogno per servizio del canale, liabbia a essere principale architetto, con facultà di poter sostituirò chi egli giudicherà atto a tal opera. Che gli sia data commodità et aiuto per levar la pianta et il livello d’Arno, da co¬ minciare da Firenze sino a Signa, avanti metta in opera la sua invenzione, che per ciò gli converrà tenero quattro o 5 buoni ini, una cavalcatura e dua navicelli, con quelle speso che occorrerranno ; e di più li sia assegnato un tanto .il giorno, secondo parrà a V. A., per dover assistere con la propria persona a tal operatone, acciò venga fatta secondo il suo disegno; e che poi per mettere in opera detta sua invenzione la spesa sarà la me¬ desima che si suol fare ogn'anno per i necessarii ripari, e che fra due anni si commincicrà vederne l’effetto. £0 Che quando il suo nuovo modo sarà stato conosciuto da poter riuscire o di utile, all’ bora gli sia assegnato, per sè e suoi eredi e doscendeuti della sua famiglia in per¬ petuo, una previsione e ricognizione, conforme che a V. A. parrà che meriti il benefizio che si riceverà da detta sua invenzione; mediante la quale dice si faranno acquisti tali, che di essi si caveranno non solo le spese dell’accomodamento del canale da Firenze a Signa, e poi da Signa a Risa, nrn ancora della ricognizione che all’A. V. parrà di assegnarli. Che si contenta re velare il modo della sua invenzione solo al Sig. r Galileo Galilei, che di già, come dice, gl* è stato assegnato da V.A. per revisore di tale impresa; il quale mi < l i Cfr. n.» 2130. Wr. pure n.» 2130. 2 Gl ITO NO 1631. 272 [ 2178 ] riferisce, non poter risolutamente asserir cu.hu alcuna par non haver ancora visto 1* inven¬ zione, ma erodo forse possa riuscire, por conoscere »1 (Vcapuni da molto tempo in qua per Intorno di qualche ingegno e sentimento e da poterseli prestar orecchie. 30 Si trova allo Uijbi magioni elio ranno 1 l' H fu pensiero anche dell'excelta Repub] ica Fiorentina di mettere Arno in canale, e che. fatto diligente esamina sopra tal opera con prudentissimi e peritissimi architettori e maestri d’acque, trovò che gl'era possibile ordi¬ nare tal canale, elio le scafa et altre barche grosse, e foni galere, si siriano potute con¬ durre sino nella citta di Firenze; o perciò, per dar principio e perfezione a tanta gloriosa et utile impresa, del mese d’Agosto del detto anno H.%8 creorno nn magi-trato di sei cit¬ tadini abili a tutti gl’vffixii, periti et intendenti, chiamati gl'l'ffiziali del canale, et ogni due anni se ne dovessi far nuova elezione, con autorità amplissima di fare intorno a ciò quanto bisognava; che poi, del mese di 7mbre seguente, considerato clic I» spesa che occorreva fare in simile opera era più utile al popolo Fiorentino impiegarla in fortificar 40 Livorno o suo porto, far torre, risarcir fortezze, rocche «* muraglie di alcune città e terre dello Stato, rassettar la foce d’Arno e far un fosso da Fisa a lavorilo, ordinarmi che i detti (iniziali, tralasciando detta impresa del canale, attendessero i simili restauratami o fortificatami, si come fecero. Si crede che in Guardaroba di V. A. sia un disegno dell’ingegnere Antonio da S. Gallo, rappresentante il modo «li mettevo Arno in canale da 1 ivorno alle Chiane e dalle Chiane al Tevere, non exequito; hi* non che dalla felice memoria del Gran Luca Ferdinando so no fece far la prova, per veder forse se riusciva. Quando all’esponente riuscissi tal impreca di metter Arno in rana!e, fiume dificilis- pimo, tortuoso, pieno d'isole e con le rive adc-ntate, con la spi***» et utile che asserisce, CO sarebbe degno non solo di quanto domai.da. ma di maggior grazia ancora. Tutta via, se così all*A. V. paresse, si potrebbe per bora non concederli cova alcuna, per non entrare in speso di opere dubbiose, so prima ni»n revela detto suo nuovo modo al Galilei, quale poi attesti a V. A. che sia impresa utile e da riuscire, mediante la quale ne potrà poi co¬ mandare la sua voluntà. K li fo hmndisdmn nv, Mia. Iti rana, li 2 Giugno 1031. Di Y. A. 8. Di omino di AsDKMJ Ciou: llumiliasimo Servo I.uronzo Ustm.“ Ter 1’invenzione e modo di mettere Arno in canale, projo.tu dal supplicante, S. A. li concede privilegio per »ò c sua desccndrnti in infinito, che egli solo « detti descendenti 00 o elii bara causa da loro, o non altri, po.v-uno mare e ni c turo in opera la detta sua in¬ venzione, cosi in Arno come in altri numi, mentre sia cosa nuova, sotto pena, adii con¬ travenisse, di cento scudi c dell arbitrio del Magistrato per ogni tram-gir aiono, da appli¬ carsi second il solito di simil pene; volendo N. A. che per l’e'ecuzionM di levar la pianta o livello il Arno gli sia dato ogni aiuto e «onuninistratu quello sarà noceti- irio dal Frove¬ ditore della I arte, quale ne tenga particular conto, che S. A. ordinerà il riuitnirso e sopra «li chi si deva posar la spesa, mentre il Galileo, palesata l'invenzione, l’approvi o non babbi che dire in contrario: e nusainlo l'invenzione comesi proione, il supplicante può 2 — 4 giugno 1631. 273 [2178-2179] ossei* certo clic sarà riconosciuto con i sua dcscendenti d’onorato stipendio, corno séni prò 0 sono stati soliti d’osscr riconosciuti i virtuosi et operatori a servizio pnblico universale o di S. A. da’suo’Sor."' 1 predecessori; o se fra du’ anni non sarà messo in esecuzione e non sparirà praticabile e miscibile, s’babbi il privilegio por non concesso. And. 11 Gioii. 1G Lug.° 1631. E di matto di Frbpinando II: Fe r. 2179 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 4 giugno 1631. Bibl. Ntiz. 3?ir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 116. — Autografa. Molto lll. ro et Àmatiss ." 10 Sig. r Padre, I)a Suor Luisa mi vien imposto ch’io deva per sua parte render a V. S. quelle grazie ch’io posso maggiori per il comodo o servizio 10 che ha da lei ri¬ cevuto con tanta prontezza e cortesia. Ma io, che per far questo mi conosco al tutto inhabile, me la passerò con silenzio, persuadendomi clic a V. S. sarà di maggior gusto il sapere che io mi conosco e me le confesso obligata per una quasi infinita moltitudine di benefizii ottenuti da lei, c che tutto il mio desi¬ derio ò rivolto c tende solo a non essergliene ingrata, se bene veramente altro indizio di gratitudine non posso darle ebe di buona volontà. È ben vero clic io questa ultima grazia fattami, secondo il mio parere, supera le preterite, già che V. S. con questa mi dà segno di esser così pronta a beneficiarmi, che non solo per me stessa, ma anco per quelle persone alle quali io sono affezzionata et obligata, si dimostra liberale et amorevole; onde io la ricevo per grazia duppli- cata, et alla mia Suor Luisa usurpo queU’obligaziono clic per ciò con V. S. potessi pretendere. I morselletti, sì come sono riusciti de i più belli ch’io Labbia mai fatti, così credo che saranno anco do i migliori; c non vorrei che V. S. gli distribuissi tutti, ma che ancor lei no gustassi: sono n.° 8 . Sì come ella sa, Suol- Archangiola si va purgando; et il medico giudica nc- 20 cessario il darle l’acqua del Tettuccio, ma in poca quantità, per esser ella assai debole e fiacca: et percliò questo medicamento ricerca bollissimo reggimento di vita, et io mi ritrovo molto scarsa di danari, havrei caro che V. S. mi mandassi un paio di polli, per poterli far buoni brodi anco il venerdì et sabato. Suor Chiara ancora se ne sta in letto malata; sì che con questo e con le faccende m Cfr. 11 .® 2174. XIV. 35 274 4 — 10 OirONo 1631. [3179-2181] della bottega io ho dato bando all’ozio, anzi mi troverei soverchiameli to aggra¬ vata, so Suor Luisa non volessi, per sua grazia, esser partecipe di tutte le mio fatiche. Saluto V. S. per sua parte e ili Suor Archangiola, e prego Dio benedetto che la conservi lungamente per sia» e nostro beni-tizio. Di S. Matteo, li 4 di Giug.° 1G31. Di V. S. molto 111/" Atl>* Fig> 80 Suor M.“ Celeste. Fuori: Al molto 111/* et Amatis8. ma S. r Ladro il Sig/ Galileo (ìalilei, a Pellosguurdo. 2180 \ FRANCESCO NICC0L1NI ad ANDREA CIOI.I [in Firenze]. Ruma, 8 giugno l&M- Blbl. Na*. Fir. Mm. Gal.. P. I. T. 11. car. li. — Autocrata la aolloacriiiono. .... Desideravo rii sentire se il S.Mìaliieo è restato in qualche pai te ronient» di quel che il Padre .Maestro liavevu ordinato a cotesto Padre Intimitele j ir ohe io vorrei elio egli hanjsse gusto o rmmu<-*se sali.-.lutto.... 2 Irti'. DON A VENTURA CAVALIERI a GALILEO in liroiizo. llolcKiio, ut giugno tesi. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1'. Vi, T. XI. <-*r 174. — A ut. grafi. Molto 111/" et Ecc. n, ° Sig/ e P.ron Col.™ Ricevei l’altra settimana una sua gratissima v , nella quale ini significava il dubbio elio liavea della persona mia per la morte di quel frate nostro. Ilora gli dico eli io soli sanissimo, per l’Iddio gratia, come anco la città; in contra¬ segno ili che ci liano restituito il convento, che ci buveuno occupato per li otìit- tiali dei lazaretto. Piaccia al Signore che si aprano li passi, acciò la possi venire a vedere. 1-ra tanto godo estremamente che il negotio de’suoi Dialogi sia ridotto a buon termine, c vivo con questi Pignori desiderosissimo di vederli. u> Clr. ini.* CITI, lM7sd. ••• Cfr. n * 2170. 10 GIUGNO 1631. 275 [2181-2182] Quanto al S. p Cosare Marsili, già per un’altra mia 01 gli scrissi qualmente io esso Signore stava occupatissimo in negotii domestici e liti ; e non havcndo anchor disteso l’altra parte della lettera ( *\ ma Lavandola solo in mente, non po¬ teva metterla giù, anco che volesse. Ma quello che anco lo trattiene è che vorria vedere il rincontro deH’osservationo fatta a S. Maria Novella, che poi s’accen¬ derà a pcrfcttionarla, c io subito gliela farò bavere. Perciò veda se havesse qualcheduno a proposito por far tale osservai ione ; chè la spesa elio vi anderà, do ordine al P. Lutio che voglia favorirmi di farla, che del tutto sarà rimbor¬ sato. Perciò veda, se può, di dar questo gusto al detto Signore et a me anchora, oliò anchor io m’adopererò per lei, perchè resti gustata. Il libro che’1 S. r Cesare li promesse (5) , non s’ò mandato, perchè quelli della 20 posta non voglion prendere ad assicurarlo: perciò sta serbato per lei sino che si aprano i passi. Io poi attendo alla stampa de’ miei logaritmi 1 *’, se ben questo mio stampatore va assai lento, chò a finire, credo, ci anderà tutto quest’anno. E con questo faccio fine e li buccio le mani, ricordandomeli devotissimo servi¬ tore, come anco il S. r Cesare Marsili. Di Bologna, alli 10 Giugno 1631. Di V. S. molto lll. ru et Ecc. ma Ob. mo e Dev. mo Ser. 1 ' 0 F. Bon. ra Cavalieri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc." 10 Sig. r o P.ron Col.'" 0 Il 8ig. r Gal. eo Gal. 0 ' 30 Firenze. 21 . 82 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bcdlosguardo. Arcctri, 10 giugno 1631. Bibl. Naz. Flr. Mss. (ini., P. I, T. XIII, cnr. 148. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Fu qui domenica mattina Vincentio, il quale mi disse esser venuto per ve¬ der il luogo de i Perini, se ben mi ricordo, il quale è in vendita, e, per quanto intendo, il comparatore c’Laverà ogni vantaggio, sì come dal medesimo Vincentio potrà V. S. esser informata, lo, perchè sento clic è qui vicino a noi e perchè desidero la sodisfazione di V. S. (che so quanto desidera di esserne a presso) insieme con quella di Vincentio e nostra ancora, vengo a pregarla che non si (" Cfr. n.o 2167. <*> Cfr. n.« 2125. «»' Cfr. li.» 2124. 7. — UmuU, non aut- »*i*f*. .... 11 S. ro Galileo ò restato «odiifattiasiiuu 1 della buona tcriuinaaione del suo negozio.... 2184*. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO fin Firenze). Koina, 11 giugno IMI. Blbl. E*t. In Modena. Ra«volU C*m|.ori. Ant II.» LXI, n.» 20. — Autografa. Molto 111.” Sig.” e P.ron Col. mo Ho riceuta ieri la lettera di V. S. molto III.” insieme con quella di Don Mo¬ desto^, al quale V. S. mi farà grazia dire che vedorò con ogni modo possibile “I Cfr. II.» 2160. **» Cfr. u* 21ÓS. 14 — 20 GIUGNO 1031. 277 [2184-2185] eli consolarlo, o che non li rispondo per non offendere il T\ r0 Abbate, con prc- giudicio di I). Modesto. Nel resto io non mi ricordo i particolari delle altre mie: so bene che in generale ci doveva essere la mia devozione verso V. S. c il de¬ siderio che tiene Mons. r Ciampoli nostro di servirla e di vedere le cose sue, c credo che ci fusso non so che intorno le cose di Bisenzo; ina poco importavano. Saprà poi V. S. come, di ordine di N. S., io vado a servire 1’ Em.">° Sig. r Card. 10 io Legato Antonio Barberino (l) , e partirò venerdì prossimo ; e se scriverà a TJrbino, mi sarà favore, il Sig. r Cardinale mi conduce con intenzione di studiare qualche cosa, c se lo farà, ci ho gran fede, perchè è ingegno più che ordinario; e me lo creda, perchè lo dico senza adulazione. I)i quello seguirà, glie ne darò parte ; o li bacio lo mani. Se li pare bene, inchinando il mio nome alli Ser. mi Padroni, darli conto della mia andata e della mia continova devozione in ogni loco, mi farà grazia singolarissima; e di novo li fo riverenza. Di Roma, il 14 di Giugno 1631. Di V. S. molto lll. ro Oblig." 10 c Devotiss. 0 Ser.™ e Disc. 10 20 S. r Galileo. Don Benedetto Castelli 2185 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 20 giugno 1631. 23ibi. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, R.» LXX, n.«21. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r0 e P.ron Col.™ 0 Iloggi ricevo la lettera di V. S. molto Ill. ro , c questa notte a sette bore parto per Urbino, come li scrissi per l’altra mia 1 * 1 . Quanto al debito che V. S. ha meco, mi vergogno a rispondere, perchè io sono il debitore, c non la potrò mai pagare. E necessario che lei mandi la pro¬ cura 05 ; c tutto il semestre che sarà maturato alla Madonna di Settembre pros¬ simo venturo, sarà interamente suo, essendomi valso delti 30 scudi della Madonna di Marzo passato per la spedizione delle bolle di Pisa e di Brescia, cioè di questa ultima di Brescia, con alcuni pochi altri di mio, de’ quali non glie ne do debito, io Quanto poi a’quell’altra di Brescia sopra la Teologale, il Sig. Lorenzo 01 , vero canonico, non ha hauto ancora un minimo servizio dal P. Teologo della Ser. ma Re¬ pubblica, anzi si è mostrato contrario: però io non intendo che lei mi rimborsi O) Antonio di Caui.o JJaukbkini. <*> Cfr. li.» 21 84. Cfr. n.° 2150. O) Lorenzo Rkciiikubi. 278 20 - 28 01UGNO 1631. (2185-2186) il speso per quello sin che non sarà terminata quella lite e riscossi i pagamenti, o all’ora, so io havcrò bisogno, potrà sodisfare ancora a quel conticino dello speso latte per il Sig. r Vincenzo, suo nepote 1 ’'; anzi intendo di havoro questo credito con es*o lui, e non con V. S. Mi rallegro poi che si stampino i Dialoghi, e che non a* hahbia a perdere questo tesoro. Ilo millo facendole per la mia partenza, o però finisco, facendoli riverenza. Di Roma, il 20 di Giugno 1031. 20 Di V. S. molto Ill. po Oblig." - o Devoti»». Rer. r ® e Dia. 1 » Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111." Sig. r " o l’.ron mio Col.*® li Sig. r Galileo Galilei, p. # Filosofo di S. A. S. Firenze. 21 * 0 * GIOVANFRANCESCO BEOXAMICI a (GAI.ILEO in Uello»Kuardo]. Firenze, 88 giugno 1631. Blbl. Nasi. Fir. M»s. Ual., P. VI, T. XI. c»r. 17«. - Antofraf». Molto Ill. r ® Sig. r mio Osa.®® Tra lo particolarità che andai già notando per servire a V. S. circa il flusso et reflusso del mure, una di molta sostanza ne contiene un capitolo dell’1 Ustoria di Gonzalo d’Oviedo ’, testimone oculato di essa. 11 capitolo tutto è qui aggiunto 1 ’’; nò prima l’ho potuto dare a V. S., per non haver se non 4 ili sono ricevuta una cassa, che mi rimase in I’isa l’anno passato, nella quale veniva. I/esquisitozza dell’ingegno et profondo intendimento di V. S. saprà, creilo io, meglio esplicarsi della difficoltà, elio non ha forse fatto l’autore. Se V. S. non havesse osservato questa differenza da oceano a oceano, o, per dir meglio, da costa a costa, si compiaccia vedere et considerar il mappamondo, et dilucidarne agli studiosi la io cagione di una tanta varietà, che accrescerà vaghezza alti suoi Dialoghi. Et a questo soggiungo un altro punto: che il canale che chiamano di Uabaina, nel- 1’ Indio Occidentali, situato dalla parte di tramontana dell’ isola Cuba, non di¬ stante nella sua bocca ponentalo dal tropico, et che si va sempre piegando verso Cfr- "«•* >300. >8»7, 18%. laoi. Salauanc», Ju*n di JuaU, 1M7. **’ Ln hytona mi tarai y g,mral d» la» India», **' L* copi» di qiiuat» capitolo non Ò presoti* ytla» y tirrm jirmt d*l mar orbano, ««cripta por e! Ca- te in .ut» allegata all» lettor*, pita» Gon<;*lu H musami** uk Ovikou t Vali>kb, occ. [2186-2187] 28 giugno — 1° luglio 1031. 27!) tramontana ot ò cammino al ritorno delle navi elio dall’ Indio vengono in Spa¬ gna, ha del continuo così gran corrente da ponente verso grecolevante, che etiam con vento contrario, cioò con levante, le navi n* escono fuori venendo di ponente et entrandovi con vento di levante per camminar verso ponente, non possono nò anco imboccarlo; onde ò che 1’«andare et il tornare si fa per diverso cammino, 20 corno V. S. potrà vedero sopra le carte. Prego V. S. di gradire in questo poco il molto desiderio elio ho tenuto di servirla; et se tra’ miei scritti et libri ritroverò altro a proposito, no farò parto a V. S., alla quale bacio di tutto cuore le mani. Pi Fir. zo , li 28 di Giugno 1631. Pi V. S. molto 111."» Afi>° Serv.~ Gio. Fran. 0 Buonamici, 2187. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenzo. Bologna, 1° luglio 1031. Cibi. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 178. - Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r c P.ron Col. mo Se bene ho scritto a V. S. Ecc." ,;l sollicitandola per l’osservationo in S. Maria Novella 10 , al che ella ha risposto esser cosa difficilissima, non ò però che ’l S. r Ce¬ sare et io non habbiamo dato fedo «allo sue parole, che in somma v’ entri gran difficoltà; c tanto più ci confermiamo, quanto da alcune osservationi, che li ab¬ biamo fatto intorno al solstitio estivo, habbiamo visto come non ò sì facile il mettere in essecutiono quello che s’intende. Vedessimo di trovar la nuova me¬ ridiana, o veramente era differente dalla vecchia; ma perchò variava troppo in spatio di 70 over 80 anni, cioò circa g. 5, perciò credo che di ciò ne sia stata io causa P imperfettiono dell’ istrumenti adoperati, che veramente non erano molto giusti: e adoperando una staggia lunghissima per descriver un pezzo di circon¬ ferenza, per trovar la meridiana con P umbre eguali antemeridiane o pomeridiane, non si poteva haversi quella essattam» nte. Perciò nò ’l S. r Cesare nò io facciamo molto conto di queste osservationi, fatte da noi più tosto per invitare et animare alcuni giovani studiosi di queste professioni all’osservationi, e per disponerci a farle altre volte con essattezza. Per ciò dice il S. r Cesare elio non determina anchora cosa alcuna. Habbiamo poi con tale occasione aver ti to, esser fatto il solstitio tra ’l ino* -/odi del 21 e 22, circa la meza notte alquanto inanzi, come mostra il calcolo di Lott 2187. 18. tale occasio — I" Cfr. n.® 2181. 280 l* — 5 LUGLIO 1(531. [2187-21881 Ticone « tifilo Tintinnino, olio svaria dal Prutenico circa 10 bore dopjm. Similmente 20 habbiamo visto, essersi sminuita la obliquità dell’ecc 1 ittica «lai tempo del P. Mae¬ stro Ignatio Danti sino adesso; 0 eli più ci ha fatti meravigliare, che aspettando noi che il circolo solare s’accom modano e s'adeguasse al circolo marmoreo, nel transitare per la linea marmorea (della quale credo eh’ babbi liavuto il dissegno), come facea nel tempo sudetto, P habbiamo visto passare molto ingrandito, cioè quasi un minuto e mezo, cosa che ci ha veramente fatti stupire, crescendo tanto quanto in circa suol crescere dall’apogeo al perigeo, e ritrovandosi in altezza di g. 09, 30' in circa, libera dalle refrattioni, segno veramente di un gran diminui- mento della distanza fra ’l solo 0 noi. Tuttavia V. S. Ecc. m * j>otrà sapere meglio di me d’onde possa esser ciò accaduto. So bene che, essendosi diminuita l’obli- 30 quitA, il sole devo esser più basso nel verticale, o in conseguenza far nel pavi¬ mento (dissi più grande di all’ bora; ma clic l’ingrandimento do vesso esser tanto, dall’incremento delli olissi do’seguenti giorni, alla medesima bora osservato, che era piccolissimo in rispetto «li (pici primo svario, par che si argomenti di no. Tuttavia penso che questa altezza verticale del nolo sminuita ci babbi liavuto che fare assai. Ma ciò basti intorno allo nostre deboli osservntioni. Quanto poi alla sanità, noi stiamo benissimo, e hieri si disfece affatto il la- zaretto. Cosi Iddio ci conceda elio si oprino i passi, acciò j>ossi vederla 0 goderla; alla quale per fine mi ricordo devotissimo servitore con il S. r Cesare, quali de¬ sideriamo d’intendere come la passi circa li suoi Dialogi, tanto da noi bramati, io Di Boi.*, il p.° Luglio lf>31. Di V. S. molto Ill. r * et Kcc. m * Dev." , ° et ()b. mo Ser/* F. Bon. r * Cav. rl Fuori: Al molto III.*^ et Ecc."* Sig. r c l'.ron Col." 0 Il Sig. r Gal. 00 Gal.* 1 Fiorenza. 2188 **. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Bellosguardo, 5 luglio Idi. Arch. Marni (rii In Bologna. Pinta citata «I n.» J>$$. — Aut^rafa. Ill. mo Sitf.^ 0 Pad." Col. mo Per il servizio desiderato di V. S. IH."»* ’ ini era venuto in pen¬ siero che fusse necessario far segnare accuratamente una linea meri- Lett. 2188. 2 3. in pmii->nn tXr — «*i Cfr. un < 2167, 21S1, 2187. ■H [2188-2189] 5 — 7 luglio 1631. 281 diana in terra apiò del quadrato o dell’armilla che sono nella facciata di S. ta Maria Novella : ma perche quivi il pavimento ò inegualissimo, mi ò venuto in mente di segnarla in casa il S. Mario Guiducci, no¬ stro Àcademico Linceo, che sta su la medesima piazza, e prossimo a i dotti strumenti; sì che, stando uno in casa o l’altro appresso il quadrato o l’armilla, si possino significare il momento dell’arrivo del io sole al meridiano: o penso elio non sarebbe se non bene, che olla ne toccasse un motto al detto S. Guiducci. Ma in ogni maniera io non resterò di servirla in questo modo, o so in altro migliore sovvenisse a Y. S. IH.™ Si va proseguendo la stampa de’ miei Dialogi, ma un poco lenta¬ mente, rispetto clic il libraio no fa tirare gran numero, cioè mille, che portano seco gran tempo. Ma l’opera, quanto alla carta et al carat¬ tere, riesce assai bene. Sin ora ne sono stampati 6 fogli, e saranno in tutto in torno a 50 o poco più. Mi farà grazia di salutare il ih Fra Buonaventura, al quale non scrivo perchè ho scarsità di tempo 20 et anco di particolari da dirgli : solo è ben che sappia, che occorren¬ dogli scrivere al P. D. Benedetto Castelli, invii le lettere a Urbino, dove il detto Padre sta servendo P Emin. mo S. Card. Legato , della quale rendo grazie a Y. S. lll. ma , poiché insieme con (M Cfr. un.* 2181, 2185. « Finta V. -V. Regi Catholieo in Coite.: Statuì et Ai- <*) Kryci Putrahi De longitudinum diortliosi, amo a secreti», Epistola. Senza noto di stampa; la a Midi itele Fiorendo Langreno, Mathematica Regio, lettera potrò porta la data: « Lovntiii, ili Arce, IV. unno OO.I00.XXVIIT liruxcllac inventa, ad Saxonem Kal. Mftii oo. I0C.XXXI ». XIV. 3-V 282 7 - tì LUGLIO ioni. [2189-2190] quella mi viene una testimonianza (lolla memoria elio tiene della per¬ sona mia, elio tanto vivo avida della sua grazia, lo vorrei spesso liaver di queste confirmazioni con l’essere onorato di qualche suo comando, di elio istantemente la supplico. Da questa Epistola non si raccoglie qual sia il mezzo del quale il matematico Langrcn (l si servì per graduar la longitudine, il che volentieri intenderei, almeno in generale, por vedere se forse avesse io incontrato quel medesimo che tengo io, e che già 10 anni sono comin¬ ciai a trattare con la Spagna e elio adesso è per riassumersi, essendo restato in silenzio por 10 anni o più: però se V. S. 111."“ ne ha sentore alcuno, la supplico a farmene parte. La supplico insieme, con occa¬ siono, a far umilissima reverenza in mio nome all* Kinin. 1 " 0 Card. 1 * Bar¬ berino' 4 ’, nostro Signore; et a V. S. 111." 1 * coli reverente alletto bacio io mani e prego intera felicità. Da Firenze, li 7 Luglio Hill. I)i V. S. 111.'"* Dov. mo et Olil»licr. OTO Ser.™ Galileo Galilei. 20 2190 *. CESARE RIARSILI a (ÌALILEO in Firenze. Ilologna, K luglio 1631. Dlbl. Naz. Fir. Mai. Osi , P. VI, T. XI, etr. ISO — Aat rr*R il (murino » U ue. Molto 111.** et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss“° Ilo comunicato con quanti mi sono fitti contro, i quali gustono delle ma¬ terie c non sono abili metter alcun intepo, la delil>er&tione di Roma di conce¬ derli pur ni fine licenza, dopj>o es>or stata tanto dibattuta in Roma, ili publicare li suoi Dialogi della cagione del flusso et riflusso del mare, per pensiero di lei cagionato da i motti della terra, e anche al S. r Cottunio medesimo, qual, senza clic il publico gli lmlihia dato questo titolo, si professa eminente di filo¬ sofia in cotesto studio, il quale bora stampa l)r trrre stabilitati-, col quale alcuni mesi sono conferii le dillicultà che ella haveva in publicarli. Si è molto adolo¬ rato, per quanto mi ha parso, in vedere che, contro il decreto, corno egli dicie, io della Congregationc dell'Indice, V. S. babbi spuntato il poterne, ancorché come Leti. 2190. 6. al Ss OoUumio — o MI CHELE KlOREXSO vxs I.4XORKV. ** Kka«ce*co Uahkkrim. •*' Un* t arri Cotti) zio. 8 LUGLIO 1631. 283 [ 2190 ] per favola o senza detcrminatione veruna, filosoficamente porgere occasione di credere quello che è contro alla verità cattolica, alla quale nò la filosofia o astro¬ nomia può veridicamente contradire, essendo imposibile che la verità di una cosa non sia una sola, non pensando che la mobilità, del sole scansi il decreto, come io gli ho detto et ò stato conlirmato da camionisti e teologici. 1/ho con questa occasione pregato che si compiacia farmi vedere quella parte del suo libro stampato clic tratta questo particolare, con promessa di volerlo a mio otio questa estate con la penna in mano considerarlo; il qual ino l’ha promesso 20 cortesemente, ancor che il libro non sia per esser finito di stampare prima che a novo Studio. Se V. S. Ecc. ma ha gusto vederlo, le ne mandarò coppia. Quanto al modo di rincontrare la meridiana (,) , per liora non trovo il mon dispendioso o facile; il quale ancorché fosse usato dal Cavalicro Butrigari lt) per ricolocare il foro del gnomone di S. Petronio, vi trovò, so mal non m’aviso, al¬ cuna difficultà, la quale intenderò, da chi vi fu presente, al ritorno che farò da Nonanfola, ove bora m’accingo d*andarvi per alcuni miei interessi, quali mi tolgono quasi affatto il campo di potere attendere ad alcuna sorte di specular tione. Alcune nove operatione fatto intorno al gnomone di S. Petronio per haver l’altezza del foro, la sua inclinatone, il livello del piano, per potere con più 30 saldezza cssaminare le due osservatone fatte da me, con non esquisita esatozza forse, et dal S. 1 ' Mangini (8) , mi hano reso chiaro delle difficultà che ella mi fa¬ ceva nella prima sua intorno al detto rincontro col mezzo de’ duoi instromenti, ambila et quadrante. Scriverò anche al S. p Guiduzzi (4) , con il qual ancora, se così li piacerà, occorendo vederlo, potrà conferirli quanto li ho scritto. Con occasiono della venuta del cavalerizzo della mia Accademia de’Torbidi, che si parte dimane a cotesta volta, havrà il libro clic li scrissi, coi» alcune ot¬ tave (5) , alle quale vano fatti alcuni mcglioramenti, poiché non sono state fuor clic nel secondo carretto: nella quarta ottava, che comincia 0 sia, inclino dire 0 pur; et in vezze del secondo 0 sìa, scrivere O ver. La fretta c ’1 non tediarla •lo mi fa farli cordialissima riverenza, et le buccio le mani. Di Bologna, il dì 8 Luglio 1631. Di V. S. molto 111.» et Eco.»» Facio rifare un altro globo meliorato, e le man¬ derò poi fato il disegno. Ma il Padre Bonaventura tratiene il maestro per altri. S. r Galileo Galilei. Firenza. 13. alla quale nella filosofia — Aff>° Se. r Ob.° Cesare Marsi li. <>' Cfr. n.« 2188. <*> ErcoIìK Bottrioari < 3 > Carlo Antonio Manzini. <*> Mario Guiuucoi. <»> Cfr. un. 1 2140; 2181, lin. 10-20. 12 - 19 LUGLIO 1631. 12101-2192] 284 2101 . FRANCESCO NICC01.INI » (GALILEO in Firenze]. Roma, 12 taglio 16*1. Blbl. Na*. Flr. Mm. «al., P. I, T. IX. car. 200. - Autografa la •otto.erliioae. Molto 111.™ Sig. r mio OsS. mo So bone io ho differito il risponder alla lotterà di WS., non lio per questo lasciato di servirla col Padre Maestro del Sacro Palazzo; ma le sue grandi oc- cupattioni, et l’andar anco forse un poco di male gambe nel ncgotio di V. S., è causa che non mi sia riuscito sin bora come desideravo et procuravo. Tuttavia, havendomi detto asscverantemcnte che della prossima settimana mi darà il proe¬ mio et il fine del libro aggiustato, io non mancherò d’inviarlo subito a V. S.; alla quale intanto bacio le mani. Di Roma, 12 Lag. 0 1631. Di V. S. molto 111.” Aff. m ® Ser. r lo Fran. ro Niccoli ni. 2102 . FRANCESCO N1CCOLIN1 a GALILEO in Fironxo. Ruma 19 luglio 1631. Bibl. Na*. Flr. Mm. Gal.. 1*. I, T. IX. ca r. 2S2. — Autografa. Molto 111.”’ S. r mio Osb.™'’ Doppo una infinità di diligenze, finalmente s’ ò ottenuta la corroltiono del proemio delPopera insigne di V. S., come vedrà dal pieghetto qui alligato, in¬ drizzato al P. Inquisitore, che le invio col sigillo volante, come m’ ò stato con¬ segnato. Neramente che il P. Maestro del S. Palazzo merita d’esser compatito, perché appunto in questi giorni, ne’ quali veniva sollecitato et inquietato da me, lui patito do* disgusti assai grandi c dello mortificatomi a proposito d’alcun’altre opere pubblicatesi poco fa, come deve haver hauti do’ travagli anche in altri tempi ; et in questa v’ ò venuto tirato, come si suol dire, per i capelli, hoIo per la reverenza che porta al nomo Ser.» 0 di S. A. nostro S. r * et alla sua Ser.™ Casa, io «1 Cfr. Voi. XIX. l)oc XXIV, b, 20 ). )j n . 157-221. 10 — 30 LUGLIO 1631. 285 [2192-2195] Io mi rallegro con V. S. della terminatione di questo ncgotio, come della quiete che ne verrà in consequenza a lei medesima ancora. E mentre lo testifico la mia particolare osservanza et il mio ardentissimo desiderio di servirla, la prego della continuationo do’ suoi comandamenti, e lo bacio le mani. Di Roma, 19 di Luglio 1631. Di V. S. molto 111/ 3 Afl>° Ser/° S. r Galileo Galilei. Firenze, Franz® Niccolini. 2193. NICCOLO ÌIICCAUDI a CLEMENTE EG1DII in Firenze, ltonui, 19 luglio 1031. Cfr. Voi. XIX. Hoc. XXI V,b, 20), li». 229-237. Noi Mss. (ini. della Bibl. Nu/.ioimlo di Fi reme, P. T, T. 11. cnr. '19, si lin copia (li quosta lotterà, ili ninno di (5ai.ii.ko, in capo alla qualo si logge, sompro di pugno di uami.ko: Copia, o fuori: Copia dell’ordine dato dalKev. mo P. Mae¬ stro del 8. Fai. crr. ».- 2102, iin. 1. 2194 . GALILEO 5i FERDINANDO II, Granduca di Toscana, [in Firenze]. [Bellosguardo, 22 luglio 1681]. Cfr. Voi. VI, png. 651-658. 2195 . CASSI ANO DAL POZZO a [GALILEO in Firenze], ltonia, 30 luglio 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. IX, cnr. 261. — Autografa. Molt’ 111/ 0 Sig/ mio Col. m ° Ancor eh’ io non scriva, non ò per questo eh’ io non babbi continuamente a cuore gl’amici e padroni, i quali molto più vorrei servire che importunare scri¬ vendo senz’occasione. Questa ò la vera e reai causa del mio silentio. Pigliai a inviar al Sig/Agnolo Galli la lettera stampatasi dal Puteano (, \ sapendo che non poteva esserli discara, per incontrarsi il discorso d’essa con quello che tant’anni prima V. S. mi disse in questa città. Procurerò, col mezo cieli’Em." 10 S/ Card. 1 di Bagno (,) e d’un partiale dello stesso Puteano, che sta 0> Cfr. u.° 2189. (** Giovan Francrsco dei Couti Guidi di Bagno. 286 30 LUGLIO 1681. [ 2196 * 2196 ] nella sua Corte, di penetrare qualche particolarità di questa inventione del Lan- greno, e a suo tempo gli manderò quello che n’ barò ricavato. WS. ini conservi io intanto la sua gratia, e conio sa che gli vivo servitore di cuore e ammiratore del valor o inerito suo segnalato, cosi mi favorisca, la prego, di suoi comandi. Al S. r Card. 1 mio Signore ho rapresentato l’affettuoso ossequio da lei impostomi, e per sua parte la saluto c gli rinuovo le fattegli ila S. Lm.“ offerto di impiego dell’opera sua, dov’ il servitio e gusto suo no porti l’occasione. Il S. r ’ la contenti c prosperi. Di Roma, a’30 Lug.® 1631. Di V. S. molto 111.” Ser. p Dev.“® Tassiano dal Pozzo. 2100 . MARIA CE PESTE GALILEI a GALILEO iu lkll^guardo. A ree tri, luglio 1631. Blbl. Nux. Flr. M».«. Cai . 1’ I. T. \ 111. c*r. 1W. - AuI^iaIì.. Amatis8. B “’ Sig. r Padre, Suor Luisa ha, per sua buona sorte, riscossa la sua entrata prima che non pensava, o subito viene a dar sodiafazione a V.S. delti scudi 24 che gli devo 10 . Confessa bene di non volere nò poter sodisfarla quanto all’obligu che per ciò baveri! perpetuo con lei, non lo bastando l’animo di arrivar a contraccambiar la sua prontezza et amorevolezza altro che con la moneta «li un buono e cor¬ diale affetto in verso di V.S. e di noi ancora; e questo lo va manifestanti») gior¬ nalmente con gl’ effetti in tutte lo mie occorrenze, con maniera tale che più non potria fare se mi fosse madre. Ella ha aggiunto nel panierino queste paste, acciò V. S. le goda per suo amore. io Suor Archangiola se ne sta in letto, con poca febbre veramente, ma con gran debolezza e molti dolori ; e so non m’inganno, credo che ci sarà da fare assai avanti ch'ella ritorni in sanità, se pur vi tornerà. Il medico, quando ulti¬ mamente la visitò, ordinò fra l’altro cose alcune untioni allo stomaco con olio da stomaco del (ì. D. e olio di noci moscade. Dell’uno e dell'altro no siamo a carestia, e per ciò havrei caro che V. S. me ne provvedessi un poco. Rimando due baschi voti ; et veramente che se, in questa scesa che ho havuta, non fossi stato il vino bianco di V. S., 1’ havrei fatta male, perché sono vivuta di pappe c zuppe, quali non mi hanno nociuto j>er esser fatte in vino così buono. *'» Cfr. nn.' 8174. 2179. [2196-21971 LUGLIO — 10 AGOSTO 1631. 287 20 Havrò caro d’intender se sortirà la compra del luogo che V. S. venne a ve¬ dere, perchè io grandemente lo desidero, o mi parrebbe cosa molto ben fatta e utile per la lor casa. Non occorrendomi altro di presente, saluto caramente V. S. insieme con le solite, e prego Dio benedetto clic la feliciti sempre. Di S. Matteo, li di (sic) Lug.° 1631. Di V. S. Fig. la Aff>* Suor M. Celeste. Fuori: ÀI molto IH. 10 et Amatiss.® 0 Sig. r Padre il Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. FRANCESCO MICCOL1NI a GALILEO in Firenze. Roma, 10 agosto 1631. Eibl. Naz. Pir. Msa. Gai., P. I, T. IX, car. 2CG. — Autografa. Molt’ 111. 1 ' 0 S. r mio Oss.° Ricevei la settimana passata una lettera di V. S., pièna di ammiratione e di travaglio della poca inclinatione che (pii si mostrava verso la sua dottissima opera, e non le risposi, perchè presupposi che lusso inviata prima di ricever il proemio accomodato e l’ultimatione del negotio con la lettera per il P. Inquisitore u) . Ma perchè questa settimana, che mi pareva di doverne sentir la ricevuta, non m’è comparso avviso alcuno di suo, dubitando che il pieghetto possa esser ca¬ pitato male, ho voluto di nuovo diviene queste poche parole, perchè possa, non P havendo ricevuto, farne far diligenza alla posta et avvisare perchè si possa io procurarne duplicato. Favorisca d’un motto per mia quiete, mentre non resto di ricordarle la mia affettuosissima osservanza verso il suo merito grande, et le bacio le mani. Di Roma, X Ag.° 1631. Di V. S. molto 111 « Il pieghetto, dov’era la speditione del P. Mae¬ stro del Sacro Palazzo, dicono questi miei elio P inclusero nel dispaccio del S. 1 ' Dall Gioii, coni 1 io liavevo ordinato. S. r Galileo Galilei. Fir.° Aff. mo Ser. T Frane. 0 Niccolini. 20 01 Ofr. 11 .® 2102. 28 Ò 12 ALHMiTU 1631. 1.2198] 2198. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo Arcetrl, 1^ agoitu 1631. Bibl. Naz. Flr. M*s. «Sai., P. I, T XIII c«r. 152. Autografa. Molto 111. 1,8 et Amatisa.® 0 Sig. r Padre, Perchè pur vorrei haver grazia elio V. S. ai avvicinassi a noi, vo continua- monte procurando d’intendere quando qui all’intorno ci aia qualche luogo elio si dova a Hit tu re ; et bora di fresco sento e- sorci la villa del Sig. r Esaù Martellini, la (pialo è al Piano di Giullari, e con lina con noi. Ho voluto avvisarglielo, acciò V. S. possa informarsi se per sorto fossi a suo gusto, il che havrei molto caro, sperando che con questa comodità non starei tanto senza saper qualcosa di lei, conio di presente mi avviene, cosa elio veramente io tollero malvolentieri; ma connumerando e ricevendo questo, insieme con qualche altro j>oco di disgusto, in vece di quelle mortificazioni ch’io per [...] negligenza tralascio, mi vo acco- io modando il meg[...] posso a quanto piace a Dio: oltre che mi pcrauuf...] a V. S. non manchino intrighi e fastidii d'altro rilief...] sono i miei, e con questo m'acquieto. Suor Archangiola, che taf...] mi ha dato da pensare, per grazia di Dio sta alquanto meglio, e se bene assai debole o fiacca si ritrova, comincia a solle¬ varsi; o perchè havrebbo gusto ili mangiare qualche pescaiolo marinato, prega V. S. che gliene faccia provisione di qualcuno per questi prossimi giorni magri. In tanto V. S. procuri di mantenersi sana a questi gran calili, e di grazia mi scriva un verso. La saluto affettuosamente per parte delle aulite, o prego Nostro Signore che le conceda la Sua santa grazia. 20 Di S. Matteo, li 12 di Agosto 163L Di V. S. molto lll. ro Eig> Aff. ,na Suor Al,* Celeste. Fuori: Al molto 111." et Àmatiss® 0 Sig. r Padre 11 8ig. p Galileo Galilei, a Bellosguardo. ( 2199 - 2200 ] 16 — 23 AGOSTO 1631. 289 2199 *. GALILEO ad [ELIA DIODATI in Parigi]. [Bellosguardo], 10 agosto 1631. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 88t. Copia di mano di Vivemmo Viviani. In capo a questo frammento si loggo, di mano dello stosso Viviani: mi fa restar privo delle novelle di V. S., che è una delle mie più principali consolatami. Mosso però da questo particolar desiderio, vengo di presente a farle reverenza, !“ Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, 6,20), liu. 121-130. ‘ s > Cfr. n.» 2184. r» XIV. 87 290 23 — 27 AGOSTO 1631. [ 2 * 200 - 2201 ] sperando con questo mezzo di incitarla ad honorumi con le sue pregiatissime lettere. La devotione che si deve allo sue virtù eminentissime doveri trovare scusa appresso di lei, mentre ardisce d’incomodarla con lo scrivere. So quanto io mi possa promettere della sua Immanità, e però sperando questo favore, non rotto intanto di salutarla a nome di tutta la conversatione; et io le bacio reve- rentemente lo mani. io Di Roma, il di 23 Ag.“> 1631. l)i V. S. molto IH.** et Kcc. - * Desidero qualche avviso della saniti e dello studio di V. S. Ecc. m », di cui non so cho alcuno viva più rcverentemonte innamorato di me. Che fa il S. r Peri 10 , Liuto celebratomi da lei, che mi destò nel cuore un vivissimo desiderio di conoscerlo e servirlo? Sopra tutto ini rallegro che nelle pub¬ bliche disavventure V. S. Ecc. - * liabbia saputo cosi bene trionfar della peste, come trionferà dell’ invi- £0 dia e viverà col nome sempre gloriosissimo. Mona/** il March.** Pallavicino, il S. r Ab. 1 ' Conti, il S. r Gior¬ gio, mia continua invidiahil conversatione, mlu- tnno V. S. Ecc. - *, come anco il nostro S. r Antonio Grimani (?). l),. Y »o Ser.r« S. r Galilei. Fir.® Qio. Giara poli. Fuori: Al molto III." et Ecc.*® SIg. r e P.ron mio Oss. B *® 11 rfig. r Galileo Galilei. Firenze, CO 2201 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in IWloaguardo, Arretri, *7 Sfoato 1631. Blbl. Nai. Fir. M««. Gai.. P. I. T.X11I. far. I&4. — Autografa. AmatÌ8a." M * Sig. r Padre, Ci lamentiamo del tempo, invidioso del gusto che noi, insieme con V. S., in questo giorno havremmo potuto prendere con ritrovarci in compagnia. Ma, se piacerà a Dio, spero che potrà seguir pre-to un’altra volta; et in tanto godo 1,1 inno Piai. 27 - 30 AGOSTO 1631. 201 [ 2201 - 2202 ] con la speranza di dover Laveria continuamente qua vicina, sì come per l’imba¬ sciata fattami dalla Piera comprendo: o la prego a prosseguire l’impresa, acciò riesca il nostro disegno 10 , chò, conio V. S. vorrò, credo elio si supererà, ogni difficultà. Stasera compartirò la buona provvisione mandata da lei con le amiche, ma io della ricotta non ne prometto a troppe. La ringrazio per parte di tutte, o di cuore me le raccomando. Di S. Matteo, li 27 di Agosto 1631. Sua Fig> Afl> a Suor M. u Celeste. jFuori: Al molto 111.™ Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei, a Bellosguardo. 2202 . MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Bellosguardo. Arcetri, 30 agosto 1153J. Cibi. Naz. Fir. Mss. fi.nl., P. I, T. XIII, car. 165. — Autografa. Amatiss. ,no Sig. r Padre, Se la misura o indizio dclPamore che si porta ad una persona ò la confi¬ denza elio in lei si dimostra, V. S. non dovrà star in dubbio se io l’amo (li tutto cuore, come ò in verità; poi che tanta confidenza e sicurtà piglio con lei, che qualche volta temo clic non ecceda il termine della modestia c reverenza filiale, o tanto più sapendo ch’ella da molti fastidii o spese si trova aggravata. Nondi¬ meno la certezza elio ho, che V. S. sovviene tanto volentieri alle mio necessità quanto a quello di qualsivogl’altra persona, anzi alle sue proprie, mi sommini¬ stra ardire eli pregarla che si compiaccia di alleggerirmi di un pensiero che molto io m’inquieta, mediante un debito che tengo di cinque scudi per la malattia di Suor Archangiola, essendomi convenuto in questi 4 mesi spender alla larga, in comparazione di quello che comportava la povertà del nostro stato; et bora, clic mi trovo all’estremo et in necessità di sodisfare a chi devo, mi raccomando a chi so che può e vuole aiutarmi. Et anco desidero un fiasco del suo vino bianco, per farl| o] acciaiato per Suor Archangiola, alla quale credo che più gioverà la fede che ha in questo rimedio, che il rimedio istesso. Lctt. 2201. 10. troppe: ri i lingruzio per — 0» Cfr. ii.» 21 US. 30 AGOSTO 1631. 292 [2202-2203] Scrivo con tanta scarsezza «li tempo che non jjosbo dirle altro, se non che vorrei che questi 6 calicjoni fonino «li suo gusto. E ino lo raccomando. Di S. Matteo, li 30 Agosto 1631. Sun Fig> Afl>» co Suor M. Celeste. Fuori: Al molto I!l. r * et Amati »s. m ® S. r Padre 11 Sig. r Galileo Galilei, u Dello Sguardo. 2203. FRANCESCO STELLUTI a [GAU1.EO in Firenze]. Koma, 80 aso«to IC31. BIbl. Nns. Flr. M»«. Cai., P. I, T. IX, rar. 270. — Aat^rrafa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r e P.ron inio Oss."*» Dopo che scrissi a V. S. d’Acquasparta l’anno passito di questi tempi 10 , dandole l’infelice nuova della perdita del nostro Sig. r Principe, non le ho più scritto, perche* non potevo darlo nuova alcuna delle cose «Iella nostra Accade¬ mia, che dormono tuttavia; et io sin bora son stato sempre occupatissimo ne’nc- gotii della Sig. ra Duchessa *, la quale non si ò mai aggiustata circa gl’ interessi dell’eredità col Sig. r Duca suo cognato^’, e del continuo siamo su gl’ inventarli o stima de’mobili et altre robbe e stabili eh’erano del Sig. r l’rincipo b. m.: c della stampa del libro Messicano 10 non si è fatto altro, nè si farà finché non pervengono in mano della Sig. r * Duchessa denari dell’eredità, elio borra ai doverà io presto seguire qualche aggiustamento. Circa poi le cose delTAccadetma, non prima della settimana passata ho po¬ tuto parlarne con 1’ Emin.®° Sig. r Card. 1 * Barberino , il quale ò di senso che si faccia il novello principe, ma però vorrebbe uno nato Principe ; e perché in Roma non ci ò soggetto a proposito, mi ordinò cho ne scrivessi costì et a Na¬ poli, acciò vedano lo SS. 1 ** loro se v’ò tal soggetto o lo riferiscano. Qui v’era il Sig. r Marchese Palavicino ' ! , ma s’ è già messo in prelatura, o il principe vor- rcbb’esserc secolare; onde potrà pensarci ancora V. S. o diro il suo senso. No scrissi la passata ancora al Sig. r Guidacci, il quale mi diede buone nuove di V. S-, o che già stampava il suo libro, che n’ hehbi gusto particolare; ot intesi 20 <•> Cfr. n.» 20li. •” I8ABKI.LA SAi.run redola di FbdbbhX) Ceti. « 3 - «ìiovANXi Cesi. Cfr. n.« BS4. «*' FBAXrBBCO bABBrmO. *•' SroBXA Palla* ictxo. uO [2203-22051 30 AGOSTO — 9 SETTEMBRE 1631. 293 parimente clic il Sig. 1 ' Adimari stampava il suo Pindaro 10 a Pisa, elio essendo già accettato fra’ nostri, sarà bene che esca il suo libro col titolo di Linceo, che lo farò sapere al Sig. 1 ' Card. 10 Barberino, e si farà quanto S. Em. za comanderà. Intanto V. S. si liabbia buona cura e si conservi, difendendosi da cotesti mali contagiosi, che intendo vadano cessando, o mi comandi se son buono a servirla in cosa alcuna; o resto con augurarle il nostro anniversario felicissimo, e le bacio di cuore lo mani. Di Roma, li 30 di Agosto 1631. Di V. S. molto Ili.™ Sor.* 0 Aff>° e Vero Frane. 0 Stclluti. 2204 * NICCOLÒ LABRI DT PEIRESC a CIO. GIACOMO BOUCIIARD in Roma. Boisgcncy, 5 settembre 1(531. Bibl. della Scuola di Medicina in Montpellier. Voi. IT, 271, cur. 210. — Autografa. .... J’.iy apprins do ccrtuius gcntilliommes Florentins, qui passòrent icy la semaine passini, quo lo livre (lu Galileo du flux et reflex est soubs la presso, qu’il y en avoit un tiers d’imprimé lors de leur despart, et quo le libraire se promettoit de l’avoir achevó à la Toussains. Ils m’en dirent tout plein de jolies particularitez, qu’ils en avoient veues aux fenilica ja imprimées. Cola sera bon à voir en son temps. Il est par dialogues et di- spnt.es pour et conila, sana rien resouldre do la mobilitò de la terre et autrea problòmes, et n’est qu’cn italieu.... 2205 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenzo. Bologna, 1) settembre 1031. Bibl. Haz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 182. — Autografa. Molto 111. 1 '*’ et Ecc. mo Sig. 1 ’ e P.ron Col. 1 ' 10 L’occupatione intorno alla mia stampa' 1 ’, l’essere stato un puoco a diporto fuori, et il non haver urgente necessità di scriverli di qualche particolare, mi ha fatto usare tanto srlentio, clic forsi li ha potuto generare qualche dubbio della persona mia. Ilora li dico ch’io mi ritrovo con sanità, per l’Iddio gratin; Lett. 2205. 6. persona mio — (" Ode di Pindaro, antichissimo poeta e principe de'greci lirici, cioì Olimpie, Pithie et Nemec, Jslmie. Tradotto in parafrasi ot in rima toscana da A lus¬ sa Nono A imm a ni e dichiarato dal modosimo ccc. Al¬ l'Emiuontiss. oltovcrondiss. Sig. il Sig. Card. France¬ sco Barborini, nipote di N. S. l’apa Urbano Vili. In Pisa, nella stamperia di Francesco Tanagli. M.DC.XXXI. <*> Cfr. n.° 1970. 1294 9 SETTEMBRE 1631. [2206-2206] il Sig. r Cesare parimente sta bene e si ricorda della promessa della sua sfera Copernicana u> , ma, per esser fuori e per la negligenza dell’artefice, non può con quella prestezza che vorrebbe sodisfare al suo dubito con esso lui. Oservaremo poi in S. Petronio questo prossimo equinottio, e del tutto darò parte a V. S. Eoe.™» Non mancherò poi di dirli come, con l’occasiono di pescare intorno alli triangoli io sferici, ho ritrovato la misura della superficie, non rista anebora da me appresso alcuno auttore; tuttavia potrebbe essere cho ella, come più versata di ino, l’havesso vista, e mi farà gratia dirmene il suo parere. Trovo dunque che la superficie di qualsivoglia triangolo sferico alla superficie della sua sfera ha ristessi proportiono cho ha la metà dell’eccesso della somma dalli tre angoli sopra duoi retti alli mede¬ simi duoi rotti; del clic li manderò la demostraLione, quando la vorrà vedere. Sto con desiderio aspettando il fine della stampa de'suoi Dialogi, non meno, anzi più, cho del mio libro; et insieme vengono aspettati, conio opera di singoiar dottrina, da tutti questi suoi partiali. Feci alli giorni pascati al S. r Dottor Achi!- lini l * ) quell’argomento dello scagliar «Ielle pietre etc., o li parvo di non haver 20 sentito il più forte contro il m«»to della terra e ne sta aspettando la solutione, quale io li dissi clic la vederebbe ne’ suoi Dialogi. Quanto al Dottor C«»ttunio (,) , che ha toccato qualche cosa contro il moto «Iella terra, non li dirò altro, se non ch’egli è semplice filosofo Peripatetico; ma presto Yederà parimente l’opera sua, cho la stampa il medesimo che stampa la mia. I* prego a darmi qualche nuova di sò o de’ suoi Dialogi, e con questo me li ricordo ul solito devotissimo servi¬ tore, come fa parimente il Sig. r (’osuro Marnili. Di Bologna, alli 9 Settembre 1631. Di V. S. molto 111.” et Eco.® 1 Dev. mo et Oh." 0 Rer." F. Bori." Cav. rl 30 Fuori : Al molto IH." et Eoe.® 0 Sig. r c P.ron Col. w ° Il Sig. r Gal.** Gal. - Firenze. 2206 *. PAOIiO GIORDANO ORSINI a GALILEO in Firenze. I’oulltpo, 9 settembre 16:11. Blbl. Nat. Flr. «Ul., P. I. T. XIV. c*r. S03 — Aetofnf* U firme. 111. Big." Ricordandomi haver V. S. mostrato desiderio di haver un libro del Padre Scheiner per quando si poteva bavere, ho commesso al Vecchi, mio Auditore Cfr. n.« 2190. Un. 43 14. Ciaeuiu Achiluxi. Cfr. o • 2190. " Cfr. n.» 876. 295 [2206-2207] 9 — 13 SETTEMBRE 1G31. a Roma, che le no mandi uno per mia parto por il procaccio ; in ohe gradirà il mio continuato desiderio d’impiegarmi in cose di suo gusto. E Dio la conservi e prosperi. Da Posilipo, a’ 9 di 7mbro 1631. Afì>° di V. S. S. r Galileo Galilei. Paolo Giord.° Orsino. io Fuori: All’111. Sig. ro Il Sig. r Galileo Galilei. con un libro dentro scatola coperta di tela incerata. Firenze. 2207 ". NICCOLÒ FARRI T)I PE1RESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Uoisgency, 13 settembre 1631. Blbl, Nazionale in Parigi. Mss. Poiresc, Voi. 717, car. 119. — Autografa. Monsieur, Je suis interrompn onoores cotte foys, lorsquo je pensois vous escriro, par l’nrrivóe ceans de trois gentilshommes Fiorentina, venus sur un navire da Grand Due ù Tollon, où ils ont. faict un peu de quarantaine. Ils partirent do Ligourne doux jours apre/, que M. r de Guise y estoit arrivò, et desja il estoit allò voir Son Allesse à Florence, qui le vini rencontrcr ù my chemin et. luy avoit preparò ime reception fort lionornhle. L’un d’eux a noni Galilei W, et le Sieur Galileo Galilei n'a pus (le maison dout il tace plus d’estat que de la sienno. 11 ni’en a desja dict des nouvelles, que vous no sore/, pas inarry d’ap- prendre nomplus quo M. p Deodati. C’est qu’enfin on luy a donné perniission à Rome 10 d’imprimer son livre du flux et refiux de la nier, soubs certaines deolarations et pro- testations mises en testo du libvre par l’authour, qui l’a coni posò en forme de dialogue, où il introduit des personnes qui parlent prò et con tra du mouvement de la torre, sans en rien determiner. Cnr c’est sur cela qu’il fonde tout son llux et refiux. Il y en avoit desja un tiers d’imprimé à Fiorance il y a plus d’un moys, et le librairo asseure qu’il aura aclievò dans la Toussains. On m’en promet des premiers exemplaires, dont je ne mnn- qneray pas de vous fairo pari.... lU ItoUKUTO lì ALI LEI. 29 li 24 — 2G SETTEMBRE 1G31. 12208-2209] 2208 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Belloiguardo]. 8. Maria a Cnuipoll, 24 settembre ISSI. Bibl. Nar. Plr. Appendice ai Mm. Gal., Fili» Kararo A. car. 23. - Autocrata. Molto 111. et Ecc. m0 Sig. r mio P.ron Col."*® Giulio mio cugino, apportatore della presente, viene a V. S. non tanto per agiuatare il conto de' danari elio da lei ricevette in presto Matteo mio fratello 05 , elio sia in Cielo, quanto per dedicarseli per «ervitor© humilisMiuo e pregarla che l'honori con qualche buo comandamento; si come anchora io suplicho con tutto Tuffetto V. S. a riceverlo nella sua protezione, come ha fatto tutta questa casa, assicurandola elio in lui o in me non à minore il desiderio di servirla di quello elio sia Tobligho, se Lene le poche forze son causa che sempre s’acresce al de¬ bito. Con elio facendoli huinilissiiua reverenza, gli pregilo da Dio cumulata felicità. Da Santa M.* a Campoli, 24 7mbre 1631. io I)i V. S. molto 111. et Ecc. ,u * Dovotisa.™ 0 o Oblig.»® Se.” Alessandro Ninci. 2209. BENEDETTO CASTELLI n [GALILEO in Firenze]. Pesaro, 26 icttembre 1631. Bibl. Nft*. Fir. Mss. Gal.. P. 1, T. IX, <*r. 272-273. — Autografa. Molto Ill. r ® Sig. r e P.ron mio Col. 0,0 Io lio in Roma le duo bollo dello pensioni di V. S. molto Ill. r ®, cioè quella della pensione sopra il Canonicato di Pisa ” e quella sopra la Mansionaria di Brescia; e son sicuro che il Sig. r Gio. Battista Arisio haverà in pronto la rata di Settembre, e la pagarà ad ogni richiesta di V. S. senza difficoltà a chi lei ordinarà per procura. Però dia gli ordini oportuni in Roma. Quanto al stato mio elio desidera sapere insieme con cotesti Signori miei Padronili dico che mi ritrovo qui nel palazzo incantato, sotto quel lago dove si dava già cosi bel tempo il Borni con la sua compagnia; e qui parimente sono una gran mano di Franchi Paladini, che tutti si danno bel tempo, chi in un io “» L'fr. n.• 2127. <*• Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXXIII, L). *■» Cfr. a.» 2104 . 2G SETTEMBRE 1631. 297 [22091 modo e olii in un altro: dii balla, chi salta, chi sona, chi gioca, chi si dà spasso con dame, chi con cavalli, chi con coniedie, c ogn’nno si trattiene senza pen¬ siero in quel che più li piace. Ma perchè a me piacque sempre quel tratteni¬ mento di quell’ huomo da beno che faceva la sua vita in letto, fuggendo la fa¬ tica con star fermo, longo e disteso, senza far mai niente, e sopra gli altri spassi si prendeva quello di numoraro i correnti c considerare chi era dritto, chi storto, chi con buchi e chi con chiodi; però questo medesimo spasso ancor io ho tro¬ vato estremamente singolare: e così essendomi applicato ai numeri algebratici, ho di gi;\ risoluti più d’un centinaio di quesiti con mio grandissimo gusto; e so questo ho fatto senza numeri cossici e senza posizione di radici, come si fa nel¬ l’algebra, e li prometto elio ancora non ho ritrovato maggior gusto nei studii : o sappia clic la strada che io tengo ò facilissima, c tale che resta intelligibile da ogn’uno clic liabbia ogni poco di principio di aritmetica comune. E vero che i quesiti che io lio risoluti sin bora, sono tutti di quelli che nell’algebra si ri¬ solvono per simplice cquationo; tuttavia quello che io ho di giù, fatto mi pare che mi possa dar gran lume a cose maggiori c più difficili, ma al sicuro è una gran preparatone per il resto. Se V. S. verrà a Roma, come ò desiderata da tutti e in particolare dal nostro Mons. r Ciampoli, vedrà clic non ho speso malamente il tempo, e ne liaverù gusto. so Nel resto, mentre la Corte si ò trattenuta in Urbino, fui pregato da una mano di gentilliuoraini di garbo e litterati di spiegarli i principii della geometria, come feci con mia particolare consolazione, perché m’incontrai in ingegni non dozzinali, ma in particolare in quattro di quelli buoni, con i quali sposso si fece honoratissima ricordanza del gran merito di V. S.: e mi creda clic sono restati stupefatti, c tanto più quanto elio prima erano aversissimi al nome di lei et alle cose sue, delle quali o non sapevano niente affatto, o lo liavcvano apprese ster¬ iliate bene; ma bora sono acconci in altro modo, c intendo che studiano alla gagliarda. Nel resto sto benissimo e di gambe e di orina, e nc darà la nova di questa continovata sanità al Sig. r Aggionti. Prendo tabacco a tutta passata, c <:o non mi piglio fastidio di cosa alcuna. Quanto alla Rosa Orsina™, ne viddi già in Roma qualche cosetta, ma mi parve, come veramente è, tanto puzzolente, che non ne voglio veder più; e pur troppo restai stomaccato della bestialità e della rabbia avvelenata dell’autore, degno di essere corretto con altro che con inchiostro. Crederei clic fosso bene che qualche amico di V. S. mandasse al Padre Generale de’ Gesuiti una lettera in stampa, come quella del Sig. r M. Guiducci ll) , nella quale si essortasse il detto Padre a non permettere che eschino fuori simili sciaguratagini, una delle quali sola ò atta a infamare il nome di tutti quei lUt. di Credami però, che havendo »*) Cfr. II.» 870. rn Cfr. n.o 1171. XIV. 03 I 298 26 - 27 SETTEMBRE 1631. [2209-2210] io parlato in Roma con diversi che hanno fiutata questa Uosa, tutti ne restano stomacatissimi ; o in particolare un giorno si foce un lungo e giusto discorso 50 sopra quello che è posto noi principio dell'opera, dove si vedo una profondissima superbia dell’autore nel spazzare spropositati: .imamente la familiarità e fra¬ tellanza che teneva con Principi etc.: stanto la (juale gonfiatissima nmbitione non è da far meraviglia se così arrabbiatamene*, fuori di ogni ragione, si è ri¬ voltato contro V. S., dalla quale forsi protendeva erc/zioni di tempii e di altari o incensi. Ma lasciamolo puro nella sua lordidez/a e puzza, e lei non se no dia jiensiero. lo starò con desiderio attendendo i Dialoghi di V. 8., o fo conto di non ve¬ dere mai più altro libro che il breviario e questi Dialoghi, e cercare di vivere più che si può senza offesa di Dio nò del prossimo, e venendo il tempo della co morte riceverla allegramente, come fine d’ogni miseria. Scrivo a Roma per questo ordinario al Sig. r IiOrenzo Richiadeo, che faccia delle bolle di V. 8. quello che lei li comandarà: però se lo volo in Firenze, potrà scrivere al detto, elio le man- darà. E con questo li fo burnite riverenza insieme con lutti cotesti Signori a uno per uno, e a tutti prego dal Ciclo ogni bene e salute. Di I’eearo, il 26 di Tmbro 1031. Di V. S. molto 111.** Devoti^.* o ()blig. rao Sor." e Dis> Don Benedetto Castelli. 2210. FULGENZIO MICANZU) a GALILEO in Firenze. Venezia, 27 Bctleiubre 1631. Blbl. Nat. Pir. Mh. Gal.. P. VI. T.XI, eu. 1M. - Aut**tAfa. Molt’ 111.» et Kcc.™° Sig. r , Sig. r Col.*** Tarda mi capita la lettera di V. S. molto III.» et Eec. m * di 13, come fanno sempre le felicità, non haveudo in questo genere cosa più desiderata. In fatti siamo stati in un terribile conflitto; et se le moschettate non ci hanno colto, non ò che non fossero frequentissime o mortali. Gloria a Dio. L’ hcc. ,no Proc. r Venier è ritornato dalla sua legatioue 0> colino d’ honoro, et ha letto nella lettera di V. S. con diinoetratione di estraordinario piacere le sue salntationi; o m’accorgo accrescere di grafia appresso 8. K., perchè vedo IiOtt. 2209. 49. hrtnn» jinlixlau» - «'» Cfr. n.« 2183, lin 8 <*' Sebastiaho Vbvur •* CXr. u.» 27 SETTEMBRE — 11 OTTOBRE 1631. 293 [2210-2211] quanto io sia devoto o costante servitore di V. S. Scrivendoli, come mostra de¬ io siderio, lo testili cationi delle qualità del S. r Mathematico di risa 1 ' 5 , di cui io mi trovo già inamorato per fama, faranno grand’effetto. Aspetto con estrema impacientia il line della stampa de’ Dialoghi per poterli bavere. Mi pare elio quel Gicsuita tedesco (!!) sia un buon giudicio c inoriti somma coinendationc, perchè scudo proprietà loro farsi nome col dir male, egli non po¬ teva nella professione attacarsi a sogetto più cospicuo nè più alto, et che potesse lar haver vita al suo nome, chò anco Tesser nominato maledico ò haver fama. Ma al saldo. Io ho momoria destintissima che quando V. S. hobbo fabrioato qui il primo occhialo, una delle coso che osservò fu le macchie del sole, et saprei diro il luoco di punto ove ella coll’occhiale, su una carta biava, le mostrò al eo Padre di gloriosa memoria 13 ’; o mi raccordo dclli discorsi che si facevano, prima so tosse inganno dell’occhiale, se vapori del mezo, e poi, replicate l’esperienze, si conchiudova il fatto apparir tale, o doversi filosofarvi sopra: clic puoi ella partì. La memoria di ciò uf ò fresca come so fosse lucri. Ma che bestie si tro¬ vano! La verità vinco. Dio la conservi, come di cuore Lo prego, et a V. S. molto 111.™ bacio con ogni affetto le mani. Nostris restando liitens et amoribus. Vale. Yen.'*, 27 7mbro 1631. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ser. ro Cordialiss. 0 S. r Galileo Galilei. F. Fulgentio. Fuori, d'altra mano: Al molto 111. 1 ™ et Eccoli." 10 Sig. r P.rono Col." 10 so II Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 2211 . CESARE MARSILI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 11 ottobre 1631. BJbl. Naz. Fir. Mas. fini., P. VI, T. XI, car. 188. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.™ et Ecc." 10 Sig. ro mio, Vedi quanto V. S. Ecc. ma scrive del libro intitolato Rosa ! '\ Io dubito che non intervenghi a quel Padre come a quel’ imperatore, che volendo afogare altri in una gran salla, piena di folie del medesimo bore, egli vi lasciò o la vita o la moglie. Viviamo e vedremo. o> Niccolò Aggiunti. **> Cristoforo Soiikinkk. < 3 > Paoi.o Sai:pi. 0) Ufr. u.° 8715. 300 11 OTTOBRE 1631. [ 2211 ] Desideravo aspetaro occasione di potere lmverc licenzia dal S. Cutunio di comunichar lo stampato del di lui libro , che subito chiesto mi inandò; ma non ò stato posibile prima che ussischi in publicho, che serà prestissimo. Sono in sostanza quatro foglii, in provando che lu terra è semplice, non gran magnete, chò non no potressimo sostener parte alcuna in mano che dalla gran molle to- io resto non fosse attrata, e chò la magnete che abiamo non potrebbe, a parangono della terra, bavere pur una minima forza di tirare il ferro. (’oncoro col Cabeo lt) al libro 4, cap. 21, e elio in somma se la terra si dovesso movere, bisognaria havosse un perpetuo motore, qual lm la sfera del fuocho. Ixxla però talmente l’argumento a favore del Copcrnicho de immenso sj a!io <{ucd itrhnum mobile suo motu pertransit , che egli non vi sa dare altra rispe tta che dire che habbet vircs, sed in hoc cllucct stimma prepotenti* Dei excelentia ; onde la inmobilità «lolla terra serrò, un miracolo della nostra Fede, nel che sinmo d’acordo. È vero però che quclo argumento non so quanto vaglia. Circa Toservationo di S.° Petronio, non po*-o dirli d’bavtrno profitato, altro 20 che 1’ bavermi aperto campo di specnlar modi per superare le malagevolezze elio portano le coso materiali in grande per la e^atezxa dcll’osservationi. Se si potesse credere nlli testimonii di vista di 20 anni sonno, direi a V. S. Kcc. ,na elio la masima deelinatione ò diminuita, e che la distanza dalla terra al sole si sia uccurtatn, so le refrationi non ingnunsero o la eiinma et pavimento del gno¬ mone non si fossero mossi, il che non ci pare credibile. La quale distanza noli absedi però con avidità aspeto da' sui Dialogi sapere se, mediante Poservatione delti eclissi ot ocul tati One de' Pialletti Medicei, si vanghi in notiti» che abia la medesima comensuratione con le distanze, pur nelli absidi, del sole a Giove, le quali, in forma di Tolomeo, si direbero le distanze dalla terra al centro del’epi- so ciclo col semidiametro del medesimo; chò in tal casso concluderiasi contro il Pur- bacìiio *' la egualità delti epicicli de' 3 superiori con la sfera del sole, hovero la mobilità terestre Copemichnno, che induria per neccsità la fluidità de’ cielli. Ma tornando dove mi parti’, che direbbe mentre non pratichase che non potessi ancor esser accertato del livello del pavimento? Il coribato, il livello ordinario, et altri instrumenti di questi idrograti pratichi, non acordano, con¬ venendo, per certificare Poperooioni, valermi del’aqua stagliante, quando avrò comodità di poterlo lare. L’alteza similmente, ancorché io babbi adoprato righe di legno, annodate con cardini e lamine di ferro, spaghi et corde bolitte in colle tortisi me, apesse dalla cinuna del fuoro o pertugio a perpendicolo di tutta la to altezza per tanto tempo che in quel sitto forme si sochascro, non ho ancor po¬ tuto avere pontualmente, per tirare poi circoli dal centro del perpondicolo al Lett. 2211. 2S. IH noi in rkt -80-31. rpieienl* — " <'fr nn 1 2190, 220Ò. i* (Tr. n.» I»“i. «*• uioiuto l’Kritii »cn. 11 — 1G OTTOBRE 1631. 301 [2211-2212] ragio ante et post meridiano verso il solstit.io estivo, poiché verso li eqmnotii l’ombre crescano o calano ogni hora un minuto di dcclinatione (e mi stupiscilo del Padre Clavio, elio nella sua Gnomonica 10 , per trovare la meridiana, non averti questo punto; onde si vede clic la groseza di quel volume non uscise in questo dal a schiera comune dclli inumerabili sentori di tal dotrina); per tirar, diche, detti circholi, mi converà adoprare un pinno di tanta lungheza che possi servire di rafetto o conpasso per tal bisogno. Il tremolare del raggio et la indi¬ co stincione del’ombra non 6 picolo punto; c pure stimo meglio simili instrumenti grandi che picioli: c converami ancor faro rifare il pavimento in alconi luoghi. Le mio oecupationi nelle curo domestiche mi vietano al presento lo aplicarve l’animo; quindi ancor ò che io non posso seguitare la prencipiata diceria, che li mandili 10 , come per altro ragioni non ho ancor liautto fortuna eli poterli man¬ dare il disegno del globo, corno vorei, materialmente megliorato. Lo facio, per non tediarla più, rivercntia. Di Bologna, adì 11 di Otobre 1631. Aff. mo Se. r Vero Cesare Marsili L. 2212 **. G1SM0ND0 COCCA PANI a GALILEO [in Bellosguardo]. Firenze, 1G ottobre 1631. Hibl. Naz. Fir. Mas. Cai. Contamporunai, Voi. IX, car. 13. — Copia (li mano dolio stosso Gisuoxno Coc- capani, il quale in capo ad ossa scrisse: « Copia di una lettura scritta al S.* Galioo Uulioi adì 1G di Sbro 1631 ». Ecc. mo Sig. r mio, Fo sapere a V. S. Ecc. ma come il S. r Proveditorc della Parte no si risolvo per ancora di darmi quelli aiuti che mi bisogniano per levare la pianta e livello di Arno, per potere fare il modello per mostrar sensibilmente la verità, della mia prima inventione, sino a clic non è dichiarato e’ dubbi che à, insieme con i SSig. ri di Consulta, sopra la scrittura di V. S. data' al S. l ‘ Auditore Raffaello Ostaccoli ;,) . Perciò pregilo V. S. Ecc.'" a a compiacersi di favorire questo negotio di dichiararli, acciò sia conosciuto la verità del suo parere, nel quale consiste l’approvatione e fine di questo negotio. E il principale dubbio adunque che ci io ànno, por quanto ò potuto sapere dal detto S.*‘ Pro veditore, è nel 4° punto prin¬ cipalissimo, in particolare sopra quelle parole della potenza dei romani inpera- 43. ante et patio meridiano — <«) G noni onice* libri octo. in qitibut non tolti in Iianiboigonsi, Societatis lesu. Ronifto, apud Franci- horologiorum solarium, ted aliatimi quoque rerum, quae scum Ziuiottnni, MDLXXX1. e.e tjnomonie umbra coqnotci potsunl, descriptiones geo- Cfr. ri.® 2125. metrico dmomtmntur. Auctoro Ciiristopuoro Clavio. < 3 ' Cfr. n.® 2104. 302 16 - 18 OTTOBRE 1631. [2212-2218] tori, quale cominciando cosi: Risia il 4° punto, per mio parere princi\ìndissimo etc. 1 *’ Del che non ànno tali dubbi li altri che Anno letto la scrittura di V. S., poi clic è giudicato da tutti che V. S. abbia volsuto dire, drento alla brevità del tempo di 2 anni, conceduti all’autore, sia inpossibilc, «ironie è, mostrar l'oi>or&tion« di tutta P inventione doPacoomodamento, dicendo per ciò che dentro al tatuine di 2 anni aver dato saggio della riuscita dilla sua inventione, altrimenti il privilegio 8 * ititi mia umiliato, è i < rumente si ■ i fio troppo breve, o seguitando: perchè a pena ctc. (,) ; perchè avendo in 2 anni a fare con ogni diligenza la pianta tutta e tutto il li¬ vello di Arno, e insieme in detto tempo faro il giuditio di tutto lo speso e dei so danni e dclli acuisti e poi sperimentare la riuscita del’ inventione sopra una parto del fiume, elio sarà cominciando sopra la pescaia di Hoveuano sin sotto quella della Porta al Prato, la non crede che tutta questa fattura si possa spe¬ dire in manco di 5 o G anni, quanti anni adunquo ci vorranno nel viaggio di CO miglia: tanto più che li anni di questo negotio sono di 3 mesi l’uno, come lei lo dimostra in quello parole quando dice: Le quali 2 operai ioni vengano rese di fimi tose e prolisse dal non potere esser esercitate fuor che in ulani mesi deVanno, e quelli anco incoiti ili rispetto ai caldi ; che perciò, a voler fare bene tutto queste operationi drento a sì breve tempo, ci vorrebbe la potenza, come lei dice, dolH antichi signori di regni anplissimi, chè poi lei non ci penserebbe punto di 30 mettersi all* inpresa e ne spererebbe febeo esito; altrimenti, non avendola, Popo- ratione resterebbe in perfetta, chè perciò avendosi a esporre a moltissimi assalti del fiume iracondo ripari inperfetti, li areca qualche spavento. K aciò che i ri¬ vali non abino, con il ritardamento di questo negotio, a scemar all’autore il tempo concedutoli per il privilegio, se bene, come si dice, che chi non può agerc non li corre il tempo, con tutto ciò in questo ritardamento possono nuocere sempre, perchè, conio si dice per proverbio, chi non fa la festa il di elio l’è non la fa poi. Che per fine racomandandonii a V. S. Kcc.”*, le fo In dovuta reverenza. Di casa, li 16 di 8bre 1631. 2213 ". BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenae]. Roma, 18 ottobre 1631. Blbl. No*. Fir. M«. Gal.. P. VI, T. XI. car 190 Autografa. Molto 111.” Sig. r ® o P.ron Col. n *° Sono ritornato in Itoma sano e salvo, per grazia di Ilio, dove ho ritrovato she \. b. non ha scritto al Sig. r ]/ir»*nzo Itichnulei per le bolle delle suo pon- **• Cfr. Voi. vi. pa*. 6M», Un. 33 1,1 C f r- Voi- VI. pag. CÒ3, lin. 9-11. 14 Cfr. Voi. VI, p»*. r„.4, lui. H-16. 18-28 OTTOBRE 1G31. 303 [2218-2214] Sioni: però lo mando io con questo ordinario per via del banco de’Sig. rl Mar¬ telli, acciò siano più sicuro. Mi farà favore avisarmi della riceuta. Non ho ancora visto il Sig. r Ansio :,) , quale so che pagani prontissimamente V. S., so non ha pagato; ma bisogna clic lei mandi procura a qualcheduno clic riceva il paga¬ mento o no faccia scrittura autentica, acciò lei si motta in possesso essigendi, che servirà per ogni difficoltà che li potesso essere fatta per l’avvenire, io Io poi lavoro alla gagliarda con i numeri senza quattrini, e di già ho riso¬ luti con meravigliosa facilità 150 quesiti senza numeri cossici c senza posiziono di radici, nel qual negozio ritrovo grandissima consolazione; o perchè vengo sti¬ molato da molti amici di stampare questa fatica, desidero sopra modo che V. S. la veda, c procurarò mandargliela con la prima occasione. In tanto mi conservi la sua grazia, o faccia profondissima riverenza alle Ser. mo Altezze di cotesti Prin¬ cipi miei padroni, e baci lo mani a tutta la nobilissima sua conversazione. Roma, il 18 di Sbre 1631. Di V. S. molto 111.™ Ilo poi risoluto mandarle per via della Segro- 20 teria del 8ig.'' Ambasciatore Toscano. Devotiss.® e Oblig.® 0 Se. 10 e Dis. ] ° Don Benod. 0 Castelli. 2214 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 28 ottobre 1031. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. XI, ctir. 192. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r c P.ron Col." 10 Io scrissi alcuni giorni sono a V. S. Ecc. ma succintamente, per ritrovarmi all’ bora un puoco indisposto, mandandogli la demostratione della misura del triangolo sferico, della quale aspettavo il suo giuditio; ma perchè sin bora non ho visto sue lettere, ho dubitato o elio non 1* babbi ricevuta o d’altro impedi¬ mento : perciò, sì per questo come per haver nuova della sua buona salute, di nuovo replico con questa. La stampa de’ miei Logaritmi (i) si va tirando inanzi, non con quella pre¬ stezza eh’ io vorrei : ne sono però stampati da 50 fogli. Credo che i suoi Dialogi Lett. 2213. 15. ni Ser .«• — **» Gii». Battista Arici. <*l Cfr. li.» 1970. 304 28 — 31 OTTOBRE 1631. [ 2214-22161 dovrano essere a buon termine, e l’aspetto, con li altri suoi affettionati, con io molto desiderio. Il libro del S. r Cottunio sarà boranoli quasi spedito, nel quale Yedrà gli suoi argomenti contro il moto della terra. Il Sig. r Cosare Marnili l’altro giorno mi foco un argomento, che mi parvo molto bollo, contro il moto pur della terra, e non più da me sentito. Io gli dindi risposta, e glielo scriverei; ma per non esser cosa mia, non ardirei senza sua licenza far questo : ma quando esso glielo scrivesse, barerei caro vedere se m’in¬ contrassi con lei nella eolutione. Desidero poi sommamente di sapere dovo sia stampata la 7 iosa Orsina v \ per poterla bavere. Quest’anno dovo leggere nelle scuole publiche TAlmagesto di Tolomeo, elio 20 poi haverò compito il corso di quello che si huo! leggere u Bologna. Quest’anno Unisse la mia condotta, e bisognerà eh’ io chieda lu conferma, o la dimanderò presentando i Logarithmi, quali dedico all’III." 0 Reggimento. Occorrendo cosa nuova, gliene farò parte; c per non mi occorrere altro per bora, finirò facendoli riverenza, in nome anchora doli’111."° S. r Cesare Marsili, che se li ricorda servitore. Di Bologna, alli 28 8bre 1031. Di V. S. molto III." et Ree."» Dev. mo et Ob. mo Ser. M F. Bon. r * Cavalieri. Fuori: Al molto 111." et Ecc.* 0 Sig. r e P.ron Col.*° 30 Il Sig. r Galileo Gal.** Firenze. 2215 * BARTOLOMMEO SKRNl n GALILEO in Firenze. Roma, 31 ottobre 1631. BIU. Naa. 3?ir. Mv«. Cai. P. I, T. IX. w. 27». - Autafnfc. Molt* 111." Sig. r 088."° Non prima che con quest’ultimo ordinario di Genova in 1 è pervenuto il piego di V. S. et insieme la lettera per il S. r < » io. Batta Arrisio, al quule in man pro¬ pria 1 ho presentata, lucendoli instonza, in virtù del mandato di proccura l * J , del termine maturato a Settembre della pensiono riservata a favore di V. S. Ila risposto elio in breve farà lo sborso, e fratanto le scriverà alcuni particolari di “i Cfr. n.* iJlbì. '*> Cfr. n.• STO. «*• Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIII, e, 1, a). 31 ottobri: — ^novembre 1631. 365 ( 2215-22161 questo medosimo ncgotio. Subito che haverà. effetto il pagamento, ne farò rimessa a V. S. per mezzo del S. r Agnolo Galli, che con lei m’ha honorato in farmi participare de’ suoi comandamenti. Assicurisi (dio resterà contracambiato con io vero desiderio di servire l’un e l’altro, mentre per line le bacio le mani e da Dio prego ogni bene. Di Roma, li 31 d’Ott.™ 1631. Di V. S. molt’ III. 0 Afl>° per ser. sempre S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Bartol. 0 Semi, Fuori: Al molt’111. M Sig. r Oss. n ' u Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza 1 ”. 2216**. CATERINA RICCARDI NICCOUNI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 1° novembre 1C31. Bibl. Naz. Plr. Mxs. fini., P. I, T. XIII, car. 157. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. S. r Oss. mo Non potrò mai dubitare della cortesia di V. S. per la sicurezza che me n’han data tanti favori ricevuti da lei, de’ quali terrò sempre memoria particolare et obbligationc eterna, sì come ò per fare il S. r Ambasciatore ancora. L’occhiale di V. S. dovette arrivare a’ confini (1) , ma per le difficultà che s’incontrano no’ passaggi, per causa della sanità, dovette ancora tornar in Fi¬ renze, et sarà facilmente appresso al S. r Bali Gioii o pure appresso al S. r Boc¬ chineri 1 * 5 , già che, havendolo voluto far consegnare alla S. ra mia suocera in Fi¬ renze, in tempo che il contagio faceva gran male, ella non liebbe per bene di io poterlo ricever con sicurezza. Nè saprei dir altro a V. S. in questo proposito, e tanto meno de’disegni d’Anna Maria 05 , la quale son molti e molti mesi ch’io non ho veduta, essendo anco ultimamente morto suo padre. Et ricordando a V. S. il mio desiderio et obbligo di servirla, le bacio le mani, sì come fa il S. 1 ' Ambasciatore con tutto l’animo. Roma, p. mo Ombre 1631. Di V. S. molto 111. Aff. ma Serva S. r Galileo Galilei. Caterina Riccardi Nicc. nl "t Accanto all'indirizzo si logge quest’appuuto <*> Cfr. n». 1 2151, 2159. di uiano di tULiuto: Booohihkki. « Mercato. Ansa Maria Vaiasi. > Spettale della Madonna >. XIV. 39 2 15 NOVEMUUK 1631, [- 217 - 2218 ] JO li 2217 " ALESSANDRO NI SCI a [GALILEO in R*llo*guanlo]. 8. Maria a Campali, 2 novrmbro 1081. Blbl. Na*. FIr. Appendice al Ma Oal n l r>T * ro r » r - 21. - Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col." 0 Ilo fatto diligenza per trovare alcuno cotogne, sapendo che sogliono essere grate a V. S., ma poiché non ho potuto bavere quelle che volevo, gli mando quelle poche che io posso, con alcuno altre frutte e un paio di capponi, sapendo che V. S. s’appagha della buona volontà. Accetti dunque il pocho che io posso in vero del molto che io devo, mentre co ’l lino gli pregilo da Lio cumulata felicità. La Maria a Campoli, 2 di Novembre 1631. Di V. 8. molto 111. et Kcc.*° Devoti**." 0 e Oblig." 0 Se.™ Alessandro Niitci. 10 2218 *. GIO. BATTISTA ARICI n GALILEO iu Firenze. Itoiua, 15 novembre IMI. Blbl. Na*. Flr. Ma». Gal., P. 1, T. IX. car. 27f.. Auto*raf*. Molto III.™ Sig. r mio Col.* 0 Alla lettera di V. S. di 13 Ottobre, presentatami dal di lei procuratore (, \ non ho fatto prima risposta, perché mi volevo pure abboccare col I*. Castelli avanti di farlo; ma, per molte volto che sono stato a casa sua, non ho havuto fortuna di ritrovarlo: onde non ho voluto differire più a lungo di dire a WS. in risposta ciò che dissi anco al suo procuratore, ciò é che la rata di 7mbre, che (levo a V. S., sarò prontissimo por questa volta a sborsartela, tuttavolta però che, commiserando ella alle calamità presenti, per le quali la mia Mansionaria è dicaduta in modo dal stato in cui si trovava quando l’haveva il mio anteces¬ sore, elio non ò possibile potere sostenere la pensione annua di scudi sessanta io di Roma, come pur speravo quando m* indussi a consentirlo, non dirò per qual¬ che anno, ma temo per qualche secolo; perché quelle terre della prebenda (nervo Cfr. n.® ZZ15. 15 — 18 NOVEMBRE 1631. 307 [2218-2210] della entrata della Mansionaria) sono stato abbandonato dalli lavoratori, i quali sì per la mortalità loro conio delle bestie, non hanno il modo di potere conti- novarc, nè a quest’ bora si trova chi voglia subintrare se non con avantaggi tali et conditioni disorbitanti, in modo che a me non torna conto a gettare il pro¬ prio per l’apellativo, massime valendo li raccolti così puoco che tutto il grano che si è fatto quest’anno (che ò la maggior rendita che si faccia in quelle parti) non bastarebbo per li CO scudi di pensione; quando, dico, però V. S., havuta co questa consideratione, voglia divenire a quel diffalco che sarà honcsto, mi con¬ tentare) di sborsare per adesso anco tutta la rata di 7mbre, havendo goduto que¬ sto anno senza andarmene alla ressidenza, clic perciò posso lasciarmi dolere di qualche cosa, che non potrò fare quando risiederò, come penso di fare a que¬ sta primavera. Per tanto vegga V. S. a che cosa si piglia, perché io assoluta¬ mente li dico che non è possibile pagare li scudi CO, quali ne fanno di moneta di Crescia 84; et havendo procurato di far affittare quelle terre, non si trova chi vogli pagare più di 150 di quei scudi: lascio dunque pensar a lei se a me torna di rissiodero con sessantasci scudi di quella moneta, doppo 14 anni di ser¬ vitù alla Corte. so A me dispiace sopramodo di essore dalla necessità astretto a comparire avanti di V. S. con questi avvisi, ma non credo già clic lei vorrà l’impossibile; nè io penso clic nò la giustitia nò la conscienza mi astringerà a più di quello che potrò. Attenderò per tanto qualche ragguaglio della sua rissoluttione, mentre per fine alla sua buona gratia mi raccomando, et bacio le mani a V. S. dicuore. Coma, 15 Nov. 1631. Di V. S. molto 111.™ Aff.' no Serv. 10 G. Batta Arisio. Fuori: Al molto 111. Sig. r mio Col." 10 11 S. r Galileo Galilei. 40 Firenze. 2219 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 18 novembro 1G31. Bibl. Naz. T'ir. Mas. Gal., P. IV, T. IV, cnr. 113. — Autografa Molto Ul. ro et Ecc. mo Sig. 1- e P.ron Col." 10 Ilo sentito molto gusto che il mio theorema (l) gli habbi dato sodisfattione. Non mancherò, subito finiti di stampare, di farli bavere i Logaritmi (1) . Quanto alla «*> Cfr. UH.l 2205, 2214. <*) Cfr. il.» 1070. 308 18 NOVEMBRI-: 1631. [ 2210 ] Uosa Orsina 1 ", io veramente resto stupito «Iella spesa, o poi «lei modo di trattare dell’auttore; e veramente non credo che poti le bavere maggior mortifioatione o lui o li aderenti suoi, come se con l’occasiono della stampa do’suoi l balogi vi sog¬ giungesse un’apologietta di quattro carte, eh'evacuassero quanto lui dice contro di lei in si grosso volume: e credo che di già forai l’haverà fatto, poiché senz’al¬ tro suriano più stimate quello quattro carte che tutto il suo volume; e saria bella con un musciolino ahhatcro un elefante, o, per dir meglio, una gran chimera, io L’Ill. mo Sig. r Cesare poi so li ricorda servitore, e credo che per quest’or¬ dinario li mandi copia dell’ argomento accennatoli da lui longamcnte dige¬ rito; il quale, per quanto ho potuto comprendere, riceverebbe a singoiar favore, quando o in questo o in altro si fosse incontrato ne’ medesimi pensieri con V. S. Ecc. m “, di esser honorato no’suoi Dialogi con un puoco di cenno che fa¬ cesse della sua persona, o in questo argomento se li paresse da interserirvelo, o in altro elio li havesso mandato. La somma della ditlicoltà del suo argomento a me pare che in questo consista, ridotto all’univer- sale, cioè: so dentro il grandissimo cavo delle stello fis*e si premierà il ponto S come centro, che. sia por 20 esserapio il sole, intorno ul quale immobile giri un altro punto, come T, che ci rappresenti la terra, o di poi intorno a T giri un altro punto ì, come la luna, quali si suppongano anco regolari no’ loro moti, che mentre intendiamo T8 prolungata andare in una fissa, essendo in tal sito congiunti li tre punti T, l, S con la fissa, so poi si moverà T, per essempio, per l’arco Ta, etiti quel tempo sarà la luna mossa intorno a T verso Z, arrivata alla medesima fissa non haverà essa luna fatto una reale intiera revolutione, ma solo quando arriverà al puntofi/e ciò gli paro per essere, dice, il punto l nel primo 30 sito il medesimo che ’1 punto h nel secondo sito, stando realmente diriinpeto al punto quiescente, cioè al sole: di onde poi raccoglie, nel sistema Copernicano non parer che si possa diro clic ’l mese periodico sia eguale, ponto che nel sistema Tolemaico si assuma per eguale, e ciò se non si dà quel terzo moto alla sfera lunare, della direttione dell’ asse verso la medesima fissa, che ai suol dare al- l’ asso terreno; nel che li pare che più si aggravi la natura nel Copernico cho in Tolomeo, obliandola quello a due moti, e questo ad un solo, per salvare l’egualità del mese periodico. Ilora, perchè mi manca il tempo, non dirò altro, rimettendomi alla sua scrit¬ tura; ina solo ch’io li risposi, haver la luna compito un’intiera revolutione io Lett. 2819. 7. «rtxieurt.»ro — / \ \ \ ì vVr ) > (/•/ A 0 - "• Cfr. u.« 876. •*’ Ur. a.» Sii4 18 — 2G NOVEMBRE 1631. 309 [2219-2220] quando ritorni alla medesima fissa, poiché quanto al determinare un’intiera cir- culatione non mi par che ci babbi che fare il sole, ma si deve haver riguardo solo allo stelle fisse, dovendosi riputare, in rispetto di quelle, come se non si movesse la luna del moto intorno al solo, ma ohe fosse in quiete : anzi ho dotto, che quando il limito T andasse por questo gran cavo vagando per qualunque strada, e srcgolatissimaraonte, o clic la luna andasse sempre seguitandolo, gi¬ rando regolarmente intorno a lui come suo contro, posto che fosso tal moto fatto por spatio che fosso insensibile rispetto allo stelle fisse, che nulladimcno saria finita l’intiera rcvolutionc mentre la luna ritornasse alla medesima fissa; nò mi 60 pare clic ci sia di bisogno d’introdure altro moto di direttionc dell’asse della sfera lunare verso l’istcssa fissa per mantenere l’identità del punto, principio o fine della circohitione, facendo quest’ oflittio la stella fissa. Che poi i piane¬ tini di Giove, per essempio, partendosi dalla congiuntione co ’l sole rispetto a Giove, mentre ritornano alla congiuntione co ’l medesimo solo, overo mentre che Saturno dal perigeo del suo epiciclo, movendosi intorno a quello, ritorna al me¬ desimo perigeo, babbi passato un’intiera revolutione reale, quanto importa il moto di Saturno intorno al sole, credo per me che sia vero, havendo in tal modo Saturno scorso intorno al centro dell’ epiciclo più che tutte le fisse. Non posso dir di più, perché devo pensare alla lettione publica, e non ho fio tempo più che un’ bora. Mi scusi perciò s’io non spiego bene il mio concetto, ma credo ch’ella per discrettiono m’intenderà, e vedrà s’io m* incontro con lei, dalla quale pende la decisione di questa lite tra ’l Sig. r Cesare c me. Finisco bocciandoli le mani o ricordandomeli devotissimo servitore. Di Bologna, alli 18 No. bro 1G31. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ma Dev. ,no et Ob. mo Ser. r0 F. Bon.™ Cavalieri. Fuori: Al molto Ill. ro et Eoe." 10 Sig. r c B.ron Col.'" 0 11 S. r Gal.® 0 Gal. 0 ' Firenze. 2220 *. FRANCESCO BE’MEDICI a GALILEO [in Firenze]. Madrid, 2fi novembre 1681. Bibl. Nuz. Fir. Mss. fini., 1’. 1, T. XIV, car. 205. — Autografa la sottoscriziono. Molto Ul. rc Sig. r mio Oss."‘° Cosimo Lotti ha detto al Re, come io portava due vetri e un occhiale pic¬ colo di V. S. per S. M., che, come ha saputo ch’io sia arrivato, ha mandato su- 310 26 - 27 NOVEMBRE 1631. [2220-2221] bito a pigliarlo per il S. r Lavagna suo aiuto di Camera. Sento elio è riuscito assai buono, et io no ho gusto particolare, come barrò contento straordinario so all’occasione, discorrendo con chi mi parrà a proposito del suo valore o delle suo offerto, potessi concluder qualche cosa che lo satisfacesse. Kt le bacio lo mani. Madrid, 20 Novembre 1631. Di V. S. moli* lli. r ® Afl>° Serv« Il Commend.™ di Sorano. S. r Galileo Galilei, / 2221. LORENZO PETRA NG EU a [GALILEO in Firenie]. Monaco, *7 novembre Httl. Bibl. Nkb. Flr. Uu. CUI., P. I, T. IX, c*r. :T8. Aatofrab. Molto Ill. r " et Kcc. wo Sig. r mio sempre Osa."-* Tengo la sua amorevolissima de’ 3 ilei corrente, e nel vero tanto più grata, cpianto elio ha portato con seco si opportuno soccorso ", e, quel che più vale, la promessa cortese di voler essere et in vita et in morte ricordevole di questa sua povera casa. Quando io lessi queste parole alla sua Sig.” cognata pro- roppo in si gran copia di lagrime et in lauti affettuosi ringratiamenti, che io non basto a rappresentarglieli. Ilora intorno a quello che V. S. molto I. et Kcc.”" desidera di sapere, gli dico che il primogenito de'figliuoli si ritruova in Polonia, corno pur panni havergli significato per l'altra mi* 1 "; il jieso degl’altri è tutto sopra le spalle io della povera vedova, a la quale da questa Sor."* A. non sono stati assignati cho cento di questi fiorini, cho rispondono quasi in tutto a’50 scudi mandatigli di cotesta moneta: o cosi puoi considerare che al numero d’otto bocche non sono altro, in questo paese massimamente, che un’ insalata. E perchè in tale stato bisogna cho vivino come possono, a questi giorni Al borio (di cui ho havuta sem¬ pre ed ho speranza grandissima) cadde malato per una febbre che Passali; ma bora, Dio grafia, se n’ è liberato, e va attorno. Io poi dell 1 ottima inclinationo e risolutione che V. S. molto I. et Ecc.*“ mostra verso questi poverini et inno¬ centi figliuoli, non dirò altro se non che, oltre la gran lode cho n’ acquisterò qua in terra, ai fabricarà anco una pretiosa corona per portarsela in (lielo; nò *<> io son mai per mancare d’impiegar quel medesimo amore a prò di questa fa- LAM0NLO UaLII.II. »*' Cfr. n* SUO. •*» Tommaso di Lavaoxa. '*> Cfr. Voi. XIX, I)oc. XXXIV. M. 1,1 Anna Chiana I5asu.im.lu, v«Uw«a di Mimi- 27 — 21) NOVEMBRE 1631. 311 [2221-2222] miglia tanto meritevole, che io portai sempre «a la buona momoria del Sig. r Mi- cholagnolo, mio caro e lìdelissimo amico, e no sia certa. Dell’ inclusa, per venirmi molto raccomandata, prendo ardire di raccoman¬ darne il buon ricapito a la sua cortesia; e per line rimanendogli servitore di tutto affetto, prego il Signore che la faccia sempre l'elice. .In Monaco, a’27 di Ombre 1031. Di V. S. molto I. et EccServali tutto affetto Lorenzo Reti-angeli. 2222 **. GALILEO a [CESARE MA USILI in Bologna]. Arcetri, 20 novembre 1031. Avoli. Marsigli in Bologna, liusta citata al u." 1GS8. — Autografa, mutila della parte supcriore della prima carta [.] o poi riordinare caso [.]brogliato, o tiene ancora che poco [.]termi occupare in studii nuovi e difficili da esser da me capiti, quali per la prima e seconda lettura mi si rappresentano lo conietture prese da V. S. Ill. ma dalla costituzione de i moti della 3 contro all’ipotesi Copernicana (,) ; e quello che molto mi dispiace è Tes¬ sermi venute in tempo che non mi dà occasione di poterle inserire nel mio libro (2) , che già è ridotto presso al fino, dove tratto solo il flusso e reflusso, nè vi è luogo dove innestar con proposito la sua instanza: tutta via non resterò di cercar d’intarsiare in qualche modo, io per mia onorevolezza et accrescimento di reputazione, alcun segno al mondo, por il quale venga pubblicata la reverenza mia verso la virtù sua o la stima elio ella fa de i miei studi, quali e’si sieno 110 . Intanto gli domando dispensa di poter con animo mcn turbolento ristudiare il suo argomento, per potermene meglio impadronirò e più intimamente considerarlo. Rispondendo ora a gl’altri particolari della sua lettera, gli dico non liaver veduto opera alcuna di Seleuco, antico matematico, e vo¬ lentieri vedrei quello che ella m’accenna bavere inteso da D. Costanzo^’. Lett. 2222. 10. oncrev olezza — <‘> Cfr. n.® 2219, liti. 17-38. < 2 ' Cfr. il.® 2219, 1 ili. 13 17. < 3 > Cfr. Voi. VII, pag. 487, Iin. 20-20. <*> Cfr. il.» 2228, Un. 3-5. 29 NOVEMBRE IG31. 312 11 primo libro del moto fo pensiero di publicarlo subito dopo i Dia¬ logò intanto rondo grazio a V. S. 111. 1 " 1 delPaftotto benigno che* 1 [. . . 20 .1 Aspetterò con desiderio lettere et ingresso all'amicizia dello stu¬ dente Franzese t4 ', nominato da V. S. Son sicuro elio gl 1 altri SS.* Lincei vedranno con gusto et ammi¬ razione quello che V. S. IU. ma scrisse a me in proposito della meri¬ diana; ma di questi il S. Fabri passò a miglior vita, ed il S. r Stel¬ lati credo clic sia ancora in Roma appresso V Kc<\ ,,u S. ra Principessa V) . Quanto al successore, si era fatto assegnamento sopra P Eminentissimo S. Card. 1 Barberino; ma egli si ò lasciato intendere, parergli conve¬ niente elio il successore debba esser descendente da principe' 55 , come so principe era il passato, cosa che renderà difficile il trovar successore. Non posso, astretto da molte urgenzi©, esser più con V. S. Ill. n,n , anzi la prego a far mio scuse col P. F. Buonaventura so non rispondo alla sua; e con tal fine, con la debita reverenza, gli bacio lo mani e prego felicità. D’Arcetri, li 29 di 9inbre 1G31. Di V. S. Ill. ma Dcv.® 6 et Ohblig." 0 Ser. M Galileo Galilei, 2223 *. LODOVICO LODOVICI a [GALILEO in Firente]. Macerata, 29 novembre 1631. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Camport. Autografi, U.» L.WVI1I, n.* 167. Autografo. Molto 111.** Sig. r mio Uss.‘ 00 Essendosi mossa una disputa tra certi Accademici di questa nostra città di Macerata, bo ciucili nuovi pianeti da lei ritrovati siano ancor in essere o no, et in particulare ciucilo vicino a Saturno, però io, conio deputato, ricorro da V. S. per supplicarla che ci vogli far tanta gratia di darcene grata risposta; o insieme anco la prego, se volendo alcuno per modo di discorso difendere l’opinione di Nicolao Copernico, sia necessario concedere quello che dice il Tycone della gran- Mi q u j tonnina H rteto; con la lio. 22 coiom- *»• Isa»ilua SìLTUTI, vedova di Fkukbioo eia, mutilato, il ttrgo. Caat. «*' iìucomo JAcrmiD. »•» Cfr n.» 2203. Giovanni Fa sua. 29 — 30 NOVEMBRE 1631. 313 [ 2223 - 2224 ] dezza deile stelle fisse e dell’ iminenza lontananza del ciel stellato, e quali ra¬ gioni si ponilo addurre per non affermare un sì grande assurdo. Che il tutto io riceveremo per grafia e lavor singolare, con restarcene anco in perpetuo obbli¬ gatissimi. Pi Macerata, al li 29 Nove. 1631. Di V. .S. molto Ill. ro Aff. mo et Obl>l.“° Ser. M Lodovico Lodovici. 2224 *. GIACOMO JAUFFRED a GALILEO [in Firenze'!, Bologna, 30 novembre 1031. Da un foglio volante, a stampa, lìononiac, iypia Clementi» bWrouii, 1001 (cfr. n.®222fi. lin. 2), di cui sono duo oboi» pi ari nuU'Arch. Morsigli in Bologna, Busta citata al n.° 16S8. Ili questo foglio fu fatta poco dopo una ristampa (cfr. n.° 222S, lin. lfi-17), con lo medesime note tipografiche, «Iella quale si contiene un esemplari) noi Mss. lìaliloiani della Biblioteca Nazionale di Firenze, P. 1, T. X, olir. 27. Registriamo appiè di pagina la variante elio fu introdotta in questa ristampa. Galilaeo Galilaeo, Lynceorum Duci, Philosophorum primo, Iacobus Gaufrtdus salutoni. Vix coegissem animum ad hoc officium, ni tui nominis fama gloriarli pro- misisset obscquio: non enim sine laude iactabo, quod te, toties, meritissimis exceptum encomiis, por has littcras compellavero, et parumper, ab acrioris phi- losophiae curis laxatum, averterò in mei erga te cultus imaginem : scilicet hoc erit pretium audaciae meae, ut famam inveniam sub tuis auspiciis; et baec gloria tot obsequiis, ut debenntur virtuti tuae. I)iu enim est, ex quo, nominis io tui dotibus plenus, mea tibi studia vovi, et stupore prorsus incredibili prodigia colui ingenii tui : nani et in Gallia te potui olim auspicete, dum ingens tui fama, quasi nescia Italico coelo capi, pares suac moli fines quacrebat in exteris plagia, et hic, puleberrima tuorum dogmatum lectione imbutus, tuam mirari philoso- pliiam, quae indagine tam solerti occultas rerum oflotag profert in lucem verita- tis. Tu primus crassam illam et scientiarum incrementis noxiosissimam caliginem discussisti, quam vana quaedam erga veterum autoritatem religio offuderat oculis posterorum, ut in tuam iam laudem cedant tot ingeniorum gloriosi nisus, quae sub tui nominis favore laborant aeternitati. Tu primus in naturae Lyceo sic triumpbasti, ut, quasi cornicum oculos confixurus, axiomatum novitate plenus, 20 sapientes erexeris ad novum studium, et stupore tuarum dotum repleveris cu- rioso8. Nostra iam tibi philosophia debet, quam de coclcstium orbium certitu- XIV. 40 314 30 KOVKMDRK 1631. [ 2224 ] dine gloriam iactat, et qnaesitura viro» elcmontorum solerliam rogat Cablaci; per te iam splendet illius nitor, quem multorum vraana subtilitas inanibus levi- busquo commentis, seti halitu pestilenti, corrupcrat, priscorumque tot monumenta, quae nobis absumpserat iniuria temporum, per te iam restaurata fulgeacunt. Plura cumularem in tuam gloriam, ni coelum ipsum immortali siderum luce, quao tu mortalibus aperii iti, loq nere tur ingenium tuum : quot enim fulgont in Ga- laxia gemrnae, tot servat stellatus orbi® encomia tibi; atque tui nominis argu- menta tot micant, quot Iovem stipant illustres satolli tes: scilicet, inaius terrarum hoc orbe, tuum nomen se provexit ad aetbera, aiderumque radiis alte depictum £0 et temporis et invidiae evasit audaciam. Magna liaec quidem, G&lilaee doctissime, verrinino laudis argumenta: adbuc tamen intactum est milii, quod amplissima gratulatione saepiua amicis ingemi¬ navi, magnetici vigoria incrementum, quod te audio ad miraculum usquo auto aex annos produxisse, ut per te iam po*sit lapidis pondo, quinquaginta supra centum ferri lihras, allicere. Obstupni sane ad litternrum tuarum fidem, quam Causar Marsilius, et generis et doctrìnae grada insigni», nuperrime milii fecit. Stupeant iam lioc prodigium Gilberti 0 manes, tuamque pinne mirentur indù- striam, quae sine ullo armorum praesidio robur novit firmare sideritis; sed obstupescat ad tanti' experimenti energiam Peripateticorum turba, silique dog- 40 niatis autoritate daninata, per te mine sciat, rei vini posse in incertos incrementi limitoe exurgere, nec octavum esse ullum gradum qui qualitatum coerceat per- fectiones, sed amplissima™ latitudinem esse, per quam illarum cxcurrat et di- vagetur intensio. Sua ergo commenta iam rideat, quae definito beterogenearum partium numero rerum complebat vigorem, per te profecto compraehensura quod per obscuras rationum ambages ausa fuerat inser ciò mi facci per parte di V. S. Eco.®» una ricomandationo, come anco al Sig. r Cotturào (a> , il quale la stima in estremo, ancor che stipendiato per legero Aristotile, e che cortese¬ mente diede licenza eh’ io le inviassi quelle tre lettioni. Et qui a V. S. Eoe.®* laccio riverenza, senza finir mai di salutarla, Bologna, adì 2 Dece rubre 1631. Di V. f>. molt' 111. 1 * et Kcc.*» « Potrà darle nel soprascrito del moli' Itustrc. Aff>® Ser. r# Cesare Marsilio. I ” «ntoude icfr. n.• 8226. Un A), almno copte dol foflio voi .ni U> cb*> Metteva U tetterà tetta», da noi riprodotte rotto il n.» 222-1; le 411*11 copi* poro non tono orri «Iteralo alte prosante. 1,1 Ouoowi -lirrmicn. tiiuVAnm CoTTvmo. [2226] 13 DICEMBRE 1631. 317 2226 . GALILEO a [CESARE MARS1LI in Bologna]. Firenze, 13 dicembre 1631. Arcli. Morsigli in Bologna. Busta citata al n.° 1G88. — Autografa. lll. mo Sig. TO o Pad."® Col." 10 In conformità dell’ordino di Y. S. lll. ma , o per pagamento di pic¬ cola parte del molto che devo al Sig. laeomo Gaufredi, scrivo a S. S." l’alligata lettera. Ho letta la stampata, inviatami da V. S. (l> ; e come ella accrescie in me lodi non meritate, dubito clic possa sciemare in lei il concetto disquisito giudice dell’altrui dottrina, per havermi, come credo, figurato a questo gentiluomo per assai più scienziato di quel ch’io sono. Ma siano tutte l’altre mie opinioni quello che esser si voglino, a me basta la sola scienza e certezza che ho dell’amore io di V. S. Ill. ma , i frutti del quale, o acerbi o maturi, sempre mi gu¬ stano. Egli farà in nome mio reverenza a V. S. o al S. Cottunio, che così lo prego; sì come prego lei a duplicarla al medesimo Sig. Cot- timio, rappresentatomi da lei per così bene affetto verso di me: la qual disposizione toccherà a V. S. a continuargli a favor mio anco dopo che bavera veduti i miei Dialogi, ne i quali, se io fussi stato a tempo, non liarei mancato di procurarmi la sua grazia nella con¬ trarietà delle opinioni. Io sono involto in moltissime occupazioni, che non mi per mettono di poter dare tutte le sodisfazioni che dovrei a i miei padroni; però 20 ini scusi in grazia, o gradisca quel poco che posso. Riceva l’annun¬ zio delle buono Feste, e lo partecipi col nostro P. rc Buonaventura c con tutti gl’amici di V. S. lll. ma o bene affetti verso di me; et a tutti con reverente affetto bacio le mani. Hi Firenze, li 13 di Xmbre 1631. Hi V. S. Hl. ma Bev. mo ed Obblig." 10 Ser.™ Galileo Galilei. IiCtt. 2226. 10. In tfidìt/atìo che — U) Ofr. nu.i 2221, 2225. 318 13 — 18 DICEMBRE 1831. 12227-2228] 2227 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 dicembre 1631. Blbl. Eot. In Modena. Roccolta Carnieri. Autografi B.» I.XX , n.* *2. - Autografo. Molto HI." Sig. p e P.ron Col." 10 Il fratello del Sig. p Canonico taronzo Richiude!, che sta qui di mia camo- rata in Doma, ò per andare a Veneti» a trattare la lite del canonicato del Sig. p Lorenzo, o mi ha pregato che di novo impetri una lettera efficace di V. S. molto 111.'* al P." Fulgenzio 01 in raccomandazione di questa causa; e non po¬ tendo io mancare in conto alcuno di servire quisti Signori, la prego con tutto il cuore a farmi questa grazia, e scrivere al sinhtto Padre che faccia ogn’opra possibile per questi Signori in grazia di WS. K per non perdere tempo, potrà inviare detta lettera al molto III." Sig. Antonio Uichiadei, Brescia, che subito riceuta detta lettera partirà per Veneti». 10 Io sto bene più che mai sia stato. Ho le stantie vicine a Mons. p Giara poli nostro, col quale mi ritrovo ogni giorno, et ogni giorno si fa gioconda ricor¬ danza di V. S. o del suo merito; o si sta con ansietà aspettando i Dialoghi, o Monsignore se li ricorda devotissimo. Gon che li fo humilissima riverenza. Di Roma, il 13 di Xmbre 1631. Di V. S. molto 111." AfT. m# Oblig.® 0 o Devotiss. 0 Sor.” e Dia. 10 Don Benedetto C. Fuori, (Valtra mano: Al molto 111." Sig. p et P.ron mio Gol.' > 11 Sig. p Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Sor.®* Fiorenza. 20 2228 *. CESARE MARSILI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 18 dicembre 16JI. Blbl. Na*. Fir. M*a. flal.. P. VI. T. XI. cor. 1JM — Autografo la »otu>*cruioo*. Molto III." et Ecc. roo Sig. r mio Oss.'” • Per adempire in parte a quanto m’ ini>one il desiderio di V. S. Ecc.™, le porterò le parole medesime scritte da Don Gonstanzo de Notari, Nolano, abbate iella Congregatione Gassinense, nel terzo de’ cinque libri dol suo Mondo Grande, !’> Futuzxzio Micaxxio. 18 — 20 DICEMBRE 1631. 319 [2228-2229] impresso in.Venelia per Evangelista d’ Euchino, 1017, intorno all’opinione elio hobbe Seleuco mattematico del flusso e reflusso del mare, e sono queste: < Seleuco mattematico, persuadendosi clic la terra ad un perpetuo moto sottogiacesse, insegna per consequenza che mentre al moto di lei s’oppone il moto lunare, ne nascila il flusso c reflusso dentro l’oceano, quasi effetti di chi con io forze eguali persevera ostinato alle frontiere doll’aversario. » Questo ò quanto sopra ciò egli scrive al capitolo quinto 05 . Questi litterati, alla lettera del Francese 05 che gli inviai non le oppongono altro che negare la conclusione che la terra sia una gran magnete, perchè i gravi gravitnriano diversamente, verbigratia in Italia più di quelo che si facciano in Francia o in Hispagna. Il Sig. r Cottunio fece meco instanza che levassi il suo nome da quella lettera stampata; e per mantenermelo in gratta ò stata fatta ristampare da me, come vedrà nella inclusa 1 * 5 . Altro per bora non mi occorc che farli liumilmente riverenza. Bologna, li 18 Dee.™ 1631. 20 Di V. S. molt’ 111.' 0 et Ecc.™® Se io potessi bavere una copia de’ suoi Dialogi, overo che fossero consigliate a me le copie che dovranno ven¬ dersi a Bologna, vorei tenerle in reputatane col farne vedere una, prima dell’altro otto o dieci giorni, al S. r Car. 1 ® Legato 05 , Mons. r Vicelegato 05 , miei padroni et amorevoli del S. r Incorno Francese ,C) e ben affetti verso V. S. Ecc. ,na Pigliare perciò in questo la sodisfattone del stampatore o libraio, Aff. mo Se. y ® Cesare Marsili. 2229 * BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 20 dicembre 1031. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, D.» LXX, n.® 23. — Autografa. Molto 111.' 0 Sig. ro e P.ron CoL mo La lettera di V. S. molto 111.® del primo del corrente mi ò stata portata questa sera solamente: però non ho che dirli altro in risposta, solo che trovarò 0> Del mutalo tjrande, libri cinque cec. Opera occ. composta dal Reverendo Padre D. Costantino de Notar!, Nolano, Abbate della Cougregationo Cassi¬ nense occ. In Yenetia, por Evangelista Deucliino, M.DCXYII. Lib. Ili, cap. V, pag. 175. i*> Cfr. nn.l 2224, 2225. ,8 > Cfr. n «2221, lin. 03-75, nel tosto o nello varianti. L’esemplare della ristampa, inviato dal M arsili a Gai.ii.ko con la proseuto, venne indebita¬ mente allegato, nell’ordinamento dei Mss. Galileiani, ad altra del Jaukprkd a Galileo del 20 marzo 1032, ed ò oggi a car. 27 del T.X.dolla P. I. Cfr. ]'infor¬ mazione promessa allo stesso n.° 2224, od il n « 2253. Antonio Santacroce. < 8 ' Lanfranco Furiktti. t®i Giacomo Jaupkrro. 320 20 - 25 DICKMBRK 1031 . [ 2229 - 2230 ] l’ArUio, o li parlari» in modo elio erodo elio la sodisfarà; so non mi adossarò io a farlo pagare a forza, perché qui a Roma si farà ragione. Il nostro Mona.™ Ciampoli si ritrova indUpoelo di dolori colici, e li lio fatto riverenza in nome di V. S M e così a Mona.' Pallavicino 10 che era presente; e tutti dua li baciano carissinmmentc le mani. Io sto bone al solito, e son tutto suo conio sempre. Mi perdoni se son breve, perchè servo Monsignore o li bacio le mani. Di Roma, il 20 Xnibre 1031. 10 Di V. S. molto 111."» Afl>° e Oblig."" Sor.** e Dia.* 0 S. r Dal. 0 Don Renedotto Castelli, Fuori, d'altra ninno: Al molto 111." Sig. r e P.ron mio Col.™ J1 Sig. r Galileo Galilei, p.° Fil.° o Matt/* di 8. A. S. Firenze. 2230 . GERÌ BOCCHI NERI a [GALILEO in Firenze]. Pi»a, 2Ò dicembre 1G3*. Blbl. Naa. FIr. XI»*. 0*1. T. !. 1. IX. car. 2.*0 - A«it.’«rr»f». Molto 111." et Kcc.*** 0 S. r mio Osa.™ Debbi la lettera di V. S., et la partecipai al S. r F. Arnolfo ”, al quale poi dotti il memoriale, formato da me in quella maniera ch’egli mi prescrisse; et il S. r F. Ai- nolfo mi ha promesso che quanto più presto potrà vedrà di Bpediro il negozio: nò io lascerò di far la parte di sollecitatore. È ben vero che, da hicri ot hoggi in poi, che sono state giornate di devotione, S. A. del continuo è stata a caccia, di dove la sera torna molto tardi et Bpcsso bagnata, rispetto a questi paduli, onde conviene che bì muti habiti et che poi spedisca lettere et negozii : il che ho voluto accennare a V. S. por giustitìcatione del 8/ F. Àinolfo, Be forse indu¬ gierà a fare spedire questa grazia ch’ella desidera del frugnuolo. 11 S. r Vincenzo 10 nostro ini ha accennato che V. S. desidera di bavere, in caso di malattie o d’altro, una camera nella sua casa della Costa, per ritirarvisi se bisogni ; et io ho risposto a lui, et bora avviso a V. S., che tutti noi usciremmo anche del proprio letto per servirla, non cho le facessimo luogo nella sua propria casa. Anzi carissima ci è questa occasiono di tornare nella sudetta casa della Costa, perchè vi sarà maggiore cominodo, cho non è in quella che tenghiamo da S. u Felicita, di ricevervi V. S. ne’ sudetti casi e quando mai le piaccia; per¬ chè in assenza del S. r Vincenzo et della Sestilia ella non può esser servita nò “» Sforza Pallaviciko. <*» Cfr. li.» 2227, lin 11. Coimn Vr a A inauro di’Uakui. 1*1 Ytkcmiu Gauir;. 25 — 27 DICEMBRE 1G31. 321 [ 2280 - 2231 ] trattata con più amore da alcuno clic da noi, clic la riveriamo in luogo di padre : et 20 certo che questo è stato uno de’ primi pensieri clic habbiaino havuto nelfaccettare l’offerta fattaci dal S. r Vincenzo della casa. Et lo baciamo le mani, ripregandole la buona Pasqua con ogni altro bene. Dico noi, perché qui siamo 3 fratelli. TI S. r Bali Gioii la ringrazia del buono annunzio delle Sante Feste, et prega a lei il buon Capo d’anno. Di Pisa, 25 Xbre 1631. Di V. S. molto IH.™ et Ecc. ma 2231 *. FRANCESCO DU0I)0 a GALILEO in Firenze. Venezia, 27 dicembre 1631. Bibl. Nftz. Fir. Afa. Gai, P. I, T. IX, car. 232. - Autografa. Molto III.™ et Ecc. n, ° S. r Scrissi già giorni altra mia a V. S. Ecc. ma Mora vengo di novo ad augurarle un felice Capo di anno, et dirle come ritrovandomi l’altro beri con i’Ecc. n, ° Proc. r Moresini (,) , bora Riformator del Studio, et mi accenò come haverebbono a gusto della persona di V. S. Ecc. ma , con quelle condicioni honorevole che si con¬ vengono. Ho promeso darne a V. S. Ecc. raa parte come da me, come faccio bora, recordandomele suo servitore. Mi soggionse il S. r Procuratore che liavea inteso la difficultà. clic venia messa in alcune sue opere; che se lei havessi desiderato farle stanpare qui in Venetia, lui come Riformatore le havrebbe senza altro io sotoscritte. In tanto mi honori de’suoi commandi, che offerendomele et atten¬ dendone suo aviso, a V. S. molto 111.™ et Ecc." u baccio le mani. Di Venetia, li 27 Decembrio 1631. Di V. S. molto 111. 10 et Ece." ,:l Aff. t0 Ser. p Francesco Dii odo. Fuori: [....Ill. ro m’jio S. r Col. m ° L’ Ecc. mo Sig. 1 ' [Gali]leo Galilei Do. p Fiorenza. c d'altra mano: Mandi la risposta al Sindaco di S. Marco. Ot Andrea Mokosini. XIV. 41 322 30 — 31 OICKMHltK 1631. [2232-2238] 2232 . PAOLO GIORDANO ORSINI a GALILEO in Firenze. Napoli, 80 dicembre 1831. JBibl. Naa. Flr. Mu Gal., P. I, T. XIY, ear. 207. — Autocrata la •ottoacriilono. 111. Sig. re Mi è giunto affatto nuovo quel che V. S. mi scrive intorno al contenuto del libro della li osa Orsina (ì \ di suo pregiuditio fuora d’ogni mia notitia, perchè non havorei pormosso che i miei ministri di tracciano 1’ havessero passato. E può esser avvenuto clic in assenza del nostro Auditore Generale lo possa haver riveduto il suo cancelliere, che non deve intendere altra latinità che quella delti instrurnenti. DelPindiscrittiono dell'autore non mi meraviglio molto, perché Pho trovato ancor io assai indiscreto, nell' haver, nell’ ultimo, rotto con me ancora, che ho in inolia stima le molte virtù et il merito di V. S. Alla quale prego da Dio ogni maggior bene. Di Napoli, a’30 di Xmbre 1031. Aff. m< * di V. S. Paolo Giord.” Orsino. Fuori: All'111. Sig ” 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 2233 *. GIOVANNI PIRRONI a GALILEO in Firenze. Vienna, 81 dicembre 1881. Blbl. Naz Flr. Mm. Gal., P. VI, T. XI. tur. 106-197. AulocraU Molto 111” et Ecc. n, ° Sig.” P.ronc ()ss. n, ° I)a quei Signori che son venuti a Vienna con i Ser. mi Principi padroni 1 ”, e particolarmente dal Sig. r modico Ronconi o «lui Sig. r Mario Guidi, ho avida¬ mente ricercato nuove di V. S. Eoe.®* e ricevutole desideratissime della sua buona »*» Cfr. ti.o «76. <*' Mattia» e Kkaxcksco dk' .Mudici. ,J I li lo VAMMI IloMCUXI. 31 DICEMBRE 1631. 323 [2283] sanità, c sentito dal Sig. r Guidi più informato i continovi parti del suo ingegno di coso rare ot ammirabili, et in particolare clic il trattato suo del reflusso sia finito e sotto le stampo, di che ho sentito special contento, sperando di poter ancor io haver gratia di haverlo a vedere et ammirar con mio sommo gusto i prctiosi concetti di esso. Però, trasportato dal desiderio, divengo ardito, c sup- ìo plico V. S. con questa, che quando e’ sia stampato tutto, voglia favorirmi di inviarmene almeno un esemplare a Vienna, che spero sarà comodità costì, poi- via di Corto, di indirizzarlo all’ IU. mo Sig. r Ambasciatore ; et io l’assicuro che mi farà uno do i più pregiati favori clic io sappia desiderare, c mi obliglieli sin- golarissimainente; e li prometto che almeno havrà qua me in voce, che intrepi¬ damente risponderò a chi sinistramente lo trattassi. Ilavrei già mandato a V. S. il libro postumo del S. r Keplero (quale un anno è finito itili 15 di Novembre, che morì in Ratisbona), che è il Somnium ustro- nomicum , hoc est Astronomia lunaris {l) ; ma por i romori di quelle parti ov’è stampato non ho ancora possuto riceverlo dal S. r Bartschio w , suo genero: ma 20 lo ho veduto avanti che fusse finito di stampare, c mi par curioso e bizarro. Però se non sia pervenuto ancora alle mani di V. S., glielo manderò, perché pur spero die lo bavero. Non potetti hir io, nò ho saputo di fatte da altri, le osservationi del pas¬ saggio che crono per far Mercurio e poi Venere sotto il disco del sole siili 7 di Novembre et alli 6 di Dicembre passati, o volentierissimo le havrei. Se V. S. ha osservato in ciò alcuna cosa, molto grato mi sarebbe il saperlo, perchè desidero assai e son curioso di sapere i diametri de’ pianeti apparenti, veduti con l’oc- chiale, c massime con il suo perfetto, perchè non son dell’opinione del Keplero in ciò. Però se ella si compiacesse con ogni suo comodo di farmi sapere qualche 30 cosa di essi o dalla sua osservationo di detti diametri, mi farebbe altro nuovo e singoiar favore. Ma per non ecceder più i termini con la mia troppo ardita curiosità, resto con baciar a V. S. con ogni affetto le mani e pregarli dal Ciclo ogni prosperità e contentezza. Di Vienna, l’ult. 0 di Dicembre 1631. Di V. S. Ecc. ,na Devot. mo et Aff. m0 Ser.™ Giovanni Pieroni. Fuori: Al molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio P.rone Oss."'° 11 Sig. r Galileo Galilei, Matem. co primario del Ser. mo di ToscA Firenze. 0) Ion, Kkpplkhi, Matheuiatici oliin Imperato- smn pnrtim Sagani Silosioruni,absolutum Francofurti, th, Somnium, teu Opui poslkumum de astronomìa lunari, suuiptibus hftorodnin nuthoris, anno MDCXXX1V divulgatimi a M.Ludovico Kkiti.kro filio, ecc. Impres- O) Giacomo Bautboii. 324 2—3 GENNAIO 1632. [2234-2235] 2234 *. LODOVICO LODOVICI a [GALILEO in Firenze], Macerata, 2 gennaio 1633. Blbl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.« I.XXVUI, n.» 168. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron mio Col. rao Rondo infinito grazio a V. S. della cortese risposta ”, in vece anco di questi SS. rl Accademici di Macerata, e staremo aspettando con sommo desiderio li suoi Dialogi, por chiarirci come si possa defendere il Copernico dallo opposizioni del Ticono intorno alla grandezza delle stelle fisso e lontananza di esso; sohene non voglio mancar di dirli in tanto, che ad alcuni di questi nostri è parso cho ciò si possa sufficientemente provare con dire solo che le stelle vicino all’ horizonte si vedono per tutte le parti della terra per refrnzzione, e per conseguenza, per¬ chè in questa maniera si vede più del ciel stellato che non si vederi a senza detta refrazzione, vien a restar come insensibile la distanza della terra al sole, in coni- io paratione di quella che è dalla terra alle stello fisse. Ma del tutto ci rimettemo al suo ottimo giudizio. Alli giorni passati si sono sentiti in questi nostri paesi della Marca, et anco a Spoleto e Perugia, alcuni rimbombi, corno tiri di cannone, per lo spazio di dui giorni, alli XVI e XVII del passato: si credo questo possa haver havuto origine in qualche modo dal terremoto successe a Napoli alli XV, o dallo fiamme che uscirono nell’istesso tempo dal Visuvio; e no staremo aspettando il suo pa¬ rere, con baciarli in questo mentre h um dissi m amen te et affettuosamente lo inani, con pregarli anco felicissimo il nuovo anno et innumerabili appresso. Di Macerata, alli 2 di Gen.® 1632. • 20 Di V. S. molto DI.™ AfF. mo et Obbl." 0 Ser. ra Lodovico Lodovici. 2235 . GALILEO a [CESARE MÀRSIM in Bologna]. Firenze, 3 gennaio 1632. Arch. Varateli in Bologna. Bu»ta citata al n.» 1688. — Autografa, Ul . ra0 Sig. re e Pad .' 1 Col. mo Scrivo di bottega del libraro cho fa stampare i miei Dialogi, al quale ho parlato conforme all’intenzione di V. S. lll. ma ‘* 1 ; il quale 3 — 9 GENNAIO 1632. 325 [2235-2236] riceverà per favore la cortese offerta di V. S., e gl’invierà quella quantità di copie elio ella comanderà. L’opera sarà fenita tra 10 o 12 giorni, et io non mancherò di fare che ella sia il primo ad liaverla. Ricevei la lettera ristampata' n , e ne ringrazio lei e l’autore, al quale bacio le mani, come anco al Sig. Cottunio; et a V. S. Ill. ,ua con io reverente affetto mi raccomando in grazia e prego felicità. Di Firenze, li 8 di Gemi. 0 1631 (2) . Di V. S. 111.™ Mi favorisca salutar il P. Buonaventura. In occasione che V. S. Ill. ma volesse scri¬ vere in proprio al libraro, il suo nome è JVIesser Giovanili/ 1 Laudi ni. I)ev. mo et Obblig. mo Sor.™ Galileo Galilei. 2230**. BENEDETTO SCALANDRONI a GALILEO in Arcetri. S. Piero in Sillano, 0 gennaio 1632. Bibl. Nav:. Pir. Appomlico ni Mss. Qui., Filza Favaro A, cnr. 20. — Autografa. Molto 111.” Sig.™ e Pad." 0 mio Oss. mo Ilo riccuto una sua, per la quale sento 1* amicizia che per sua grazia V. S. molto 111. 10 tiene con mio padre, della qual cosa ne ho molto gusto, stante quello che del padre no viene partecipe il figliolo : però per consequenza potrò dire es¬ sere ancora io suo amico, ma, per dir meglio, suo buono servidore, offerendoli quelle deboli forzze che in me si ritrovassimo ot insieme ringraziarla di tante offerte fattomi, sebbene senza alcuno merito, delle quali farei capitale occorren¬ domi, sicome desidero che ancora lei faccia il simile. Quanto poi a mandargli] addire quello che mi deve delle some mandatoli di fuoco, non lo fo, stante che io questo lo potrò fare dopo che P barò servita del tutto quello che li piacerà. Per Lett. 2230. 4. ne rine — 0> Cfr. n.® 2228, lin. 17. (*) Di stilo fiorentino. 326 1) - 15 GENNÀIO 1632. [2286-2837] adesso gli mando dua some di carboni, per non bavere pronto altro, e quando non ha bisogno di più, basta lo dica al vetturale. Li Laverei mandato dua sonio di braco, ma per ancora non ho della fatta. Di più sento come Laverebbe caro che li mandassi pareclii fascine, dello quali por adesso non la potrò ser¬ vire, mediante che taglio i bosechi adesso, e il farle faro bora sarchiamo verde, elio non so no potrebbo servire. So poi li piacessi che io li mandassi quattro some di legno minute, dello medesime che si fa le fascine, gliene posso mandare, quali, per osser secche, dicono non le potere tagliare e farne fascine. Però se si risolverti così, lo potrò dire al mio mandato, che resterò servita; o quanto al prezzo, non ci sarò ditìcultà alcuna. Del resto gli fu reverenza, pregando da N. S. intera felicitò. Di S. Piero in Sillano, 0 di (lenii. 0 1G31 M) . Di V. S. molto 111.** Afi>° Ser/* P. Benodetto Scalami." 1 Fuori: Al molto 111 . ro Sig. r '’ et Pad."* mio Oss.""’ 11 Sig.™ Galileo Galilei. In villa a Narcetri. 2237*. CATERINA RICCARDI NICCOI.INI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 15 gennaio 16 . 1 : 1 . Blbl. Na*. Fir. Mti. Gal., I*. I, T.XI1I, cxr. 159. — Autografa la »otto«criiiono. Molto Ill. r ® Sig. r inio Oss.° Sì corno P annunziarmi felicissime lo festo del Santissimo Natalo m’è stato gratissimo, così ni’ ha posta in obbligo et di rendergliene gratie più «iugulari, et di certificarla più particolarmente del desiderio grando olio ho di corrisponderle col servirla in tutte P occasioni che ini porgerò con il mezzo de’ suoi comanda¬ menti. Et lo bacio lo mani. Di V. S. molto III.™ Roma, 15 Genn. 0 1632. Aff.™ Serva S. r Galileo Galilei. Caterina Riccardi Nicc. nl ,1 * JJi stile fiorentino. [2238-2239] 1U — 27 GENNAIO 1632. 327 2238 * ANDREA CIOLT a GALILEO in Fironzo. Livorno, li) gennaio 1632. Bibl. Nnz. Fiv. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 11. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.™ et molto Eoe. 10 S. r mio ()ss. mo fi’opera di V. S. sopra il (lusso et reflusso del mare ha un gran nome Cuora, come lo richiede il dovere. Il S. r Christofano Cenci, Maestro di Camera del S. r Cardinale Santa Croco' 0 , legato di Bologna, gcntillmomo studiosissimo, me ne chiede una stampa; et io per servimelo prego V.S. di favorirmene, quando sarà, finita, per bavere questa cagione da vantaggio di riservir lei. Et le bacio le mani. Di Livorno, 19 Gennaio 1632. Di V. S. molto 111.™ o molto Ecc. t0 S. r Galileo Galilei. io Fuori: Al molto 111.™ e molto Ecc. t0 S. r mio Oss."‘° Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 2239 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 27 gennaio 1632. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11.* l.XX, n » 3. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. 1110 Sig. r e P.ron Col.' 110 Il travaglio ch’ella sente da’suoi dolori non afflige V. S. Ecc. ma solamente, ma insieme la persona mia e quelli che per il suo valore gli vivono afìettiona- tissimi, vedendo insieme perciò prolungarsi quel gusto tanto da lor bramato, cioè di veder una volta i suoi Dialogi finiti, havendono formato quel concetto 0) Antonio SantaCkuob. 328 27-31 GENNAIO 1632. [2239-2240] elio all’eminenza dell’opta al sicuro si conformerà, so pur non sarà a quella inferiore. Credo, conformo ch’ella mi disse nella sua, che boriimi sarano finiti di stampare, ot io pure, so in altro non mi conformassi, almeno mi riscontrerò a finire l’opera mia nell’istesso tempo, poiché del sicuro in questa settimana sarà stampata tutta 10 ; (pialo non mancherò eli mandargliela subito, acciò dal suo io purgato giudicio riceva quella censura che i suoi mancamenti richiederano: come anco no inviarò qualche altra al P. Lutio, acciò quando V. S. Fcc. ma l’havrà vista, o giudicato quanto appresso a puoco se ne possili spacciare costì, egli no facci far l’esito, come anco no manderò qualch’una por Pisa o Lucca. Il Sig. Cesare Marnili già Borisse al suo libraro*” per lo copie, e lui et io insieme procurarerao parimente lo spaccio. Fra tanto me li ricordo cordialissimo servitore, conio fa il S. r Cesare o ’l Sig. Gincopo Franzese et il Sig. Cottunio (,) pa¬ rimente, con il qual parlai longaniente di V. S. Kcc. m> l’altro giorno, e mostra di grandemente stimarla et animir[...] se li professa devotissimo servitore. Di Bologna, nlli 27 Gen. ro 1632. 20 l)i V. S. molto DI.** et Ecc."** Dev."° et Oh ■° Ser. ro F. Bon. r * Cav. ri Fuori: Al molto III."* et Ecc. n, ° Sig. r e P.ron Col.™ 0 Il Sig/ Galileo Gal * Firenze. 2240*. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Firenze, limila, 31 gennaio 1 Blbl. Naz. Flr. M*s. Gai., P. I, T. X, cnr. 17.— Autografi il poicritto a 1» iottoicmlonc. Molto 111.”’ et Kcc. mo Sig. r e P.ron mio Oss.*" 0 Il vivo desiderio, che ho ogni dì piò, di far progresso con la scorta delle coso di V. S. o di ammirare in esse la singolarità del suo valore, mi fece alle setti¬ mane passate prorompere in questo particolare col Sig. r Dino Peri, mentre mi si porse occasione di rispondere a certa sua lettera. Sento infinita consolationo che ciò sia stata materia di farmi gustare la testimonianza del continuato affetto di V. S., come scorgo dalla lettera ricevuta in questo giorno. Cfr. n.« 1870. i» Cfr. n»s2235. «*» Cfr. o.* 31 GENNAIO — 12 FEBBRAIO 1632. 329 [2240-2242] Già che l’opera che ò sotto la stampa si ritrova tanto avanti, spero di dover in breve conseguir il favore desiderato così lungamente ; e fra tanto baciandole io con tutto l’animo le mani, prego Dio che felicissima la conservi. Di Roma, 31 Genn.° 1632. Di V. S. molto 111. 1 * 0 et Ecc. n,:i Ben che io sia geloso della sua sanità, sono però desiderosissimo della sua gloria: però vorrei con le mio preghiere aggiungerle sproni all’ intel- lcto, acciò ella compisca i pretiosissimi libbri del moto. Qua poi nella nostra conversationc, dove sempre si ragiona di lettere, si fanno frequenti commcmorationi del nostro gloriosissimo S. r Gali- 20 leo. Mons. r lll. mo Pallavicini l,) , il S. r Giorgio (,) , e que¬ sti altri Signori la ringratiano del saluto e deside¬ rano servirla. Il P. D. Benedetto è tutto suo. Aff. mo Ser.'° [...] Galilei. Fir.° Gio. Ciampoli. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. ,no Sig. r e P.ron mio Oss. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 2241 . GALILEO a FERDINANDO 11, Granduca di Toscana, in Firenze. [Firenze, febbraio 1632]. Cfr. Voi. VII, pag. 27-28. 2242 * ROBERTO GALILEI a [GALILEO in Firenze]. Lione, 12 febbraio 1632. Bibl. Naz. Fir. Appcndico ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 30. — Autografa. Molto 111. Sig. r mio Col." 10 Solo 3 giorni fa, per via di Marsiglia, mi capitò la gratissima di V. S. de’ 19 Xbro passato, e vengho con questa a ringratiarla burnii mente della me¬ li) Sforza Palla vicino. Niccoli Fabki di Pkiicmo. ■'» (ho. Battirta Arici: cfr. n.® 2229. CRUTuroRO SCtIKINKK. 20 — 21 FEBBRAIO 1632. 331 [2243-2244] viene ho norata assai (,) : non l’ho visto ancora, ma spero haverlo nelle mani in breve. Se lei l’ha visto, desidero saperne il suo voto; e li bacio lo mani. Di Roma, il 20 di Feb.° 1632. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Li do parte che sono stato fatto Abbate della mia Religione, e (inolio che so che li sarà caris¬ simo ò clic non ho adoperati mezi nò buoni nò cattivi per conseguire questo grado. Mons. r Ciani¬ co poli li bacia le mani et è tutto suo, e aspettiamo i Dialoghi a gloria. Devotiss. 0 c Oblig. mo Ser. ro e Dis. 10 S. r Gal. 0 Don Benedetto Castelli. Fuori, d'altra mano: Al molt’Ill. ro S. 1 ' e P.ron mio Colend." 10 11 S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Fiorenza. 2244 *. G10. BATTISTA LANDINI a CESARE MARSILI iu Bologna. Firenze, 21 febbraio 1632. Ardi. Marnigli in Bologna. Busta citata al n.° 1688. — Autografa. 111." 0 Signore, Oggi, per la gratin del Signore, ò finito l’opera del Sig. r ® Gali ileo, o domattina si pre¬ senterà al Serenissimo Granduca e a’Serenissimi Principi; e lunedì mattina consegnierò la balletta qui per la condotta de Moriani, o la invierò a V. S. Ill. ma , acciò con più facilita, per amor de’ passi, la possa avere più presto. Altro per questa non mi occorre, solo che me gli offero por servili». Di Firenze, gli 21 di Febraio 1G31 (2) . Di V. S. 111.®* AfT. m0 Servitore . Gio. Batista Landini. 10 Fuori: Al’Ill. m0 Sig. r0 Cesare Marsili, P.ne 0sserv. m0 , in Bolognia. <*' Fbimppi I.ANSBRROII OommtiUationct in mo¬ limi terrac diurnu m et annuum et in veruni adtpccta- bili* eaeli typum, occ. Middolburgi, apud Zacbariain Itoni un uni, M.DC.XXX. I)i stilo fiorontiuo. 332 23 - 26 FEBBRAIO 1632. [2246-2246] 2245 . GALILEO a [CESARE MAUSILI in Bologna]. Firenze, 88 febbraio 1S88. Aroli. Morsigli In Bologna. Busta citata al n.° 16«8. — Autografa. Ill. rao Sig.™ o rad.® Col.® 0 Scrivo in bottega ilei libraio, il quale in questo punto invia a V. S. Ill. ma 30 copio del mio Dialogo, et io ve no ho fatte aggiugnore altre 2, una per lei et una per il P. Fra Buonaventura; o mi scusino so non le mando legate, poi che non ci sarebbe tempo so non di mandarle fi giorni dopo, et io stimo che gli sarà più grato Laverie sciolto questi fi giorni prima. Presentai ieri l’opero al S. G. I). et a gli altri Principi, et al S. Duca di Guisa 1 ”, il quale mandò subito la sua in Francia ad uno amico suo. Sono occupatissimo, oltre elio il conduttore, elio è di quelli della io Moriana, parto adesso; ondo mi scusi, o con più comodità gli scriverò più allungo. Gli bacio revorentemente lo mani, e gli prego felicità Di Firenze, li 23 di Fob.° 1681 ,f \ Di V. S. Ul. ma l)ev. mo et Obblig.® 0 . Sor.” Galiloo Galilei. 2246 *. NICCOLÒ FABRI di PEI RESO a PIETRO GASSENDI [in Lione). Parigi, 26 febbraio 1632. Biblioteca Nazionale in Parigi. Fonda frangia. Konvelles acquititions 0173, car. 18.—Autografa. -Mona/ Moreaua pris la peino de m'apportor uno lettre de M. r NaudóI 4 *, et Moqb. p Diodati dea rocommandations du S. r Galilei «lana uno lettre esento a luy. Le pre¬ mier continue à me parler de Pembrasement du Vestivo, dont voub estes plus proche, et d’une lofctro que le P. Scheiner lny n donnée pour moy, mais quo je n’ay encore point veuo. Le second escrit à M. r Diodati que le corps de son ouvrago est achovó d’imprimer, et qu‘il n’y a plus à faire que Popistro et la table: mais qunnd nous pourrona le voir, jo ne 8^‘ay; si rares sont les commoditez qu’il y a, d’avoir quelque chose de ce paia 1A .... Cari. 0 or Lokkxa. Bi stilo fiorentino. •** (ilOVANXl Mobicau, Ci UaBBXKLK Nauué. [2247-2248] 27 FEBBRAIO — 1° MARZO 1632. 333 2247 **. G10. BATTISTA LAND INI a CESARE M ARSILI in Bologna. Firenze, 27 febbraio 1632. Ai'cli. Muraioli in Bologna. busta citata al n.° 168S. — Autografa. Ill. mo Sig. r0 Ballltc. Vengo con questa mia a avisarla corno consogniai alla condotta del Moriani, quale invia costì a Mag. 00 Domenico Vannucci, un fagotto, cntrovi n.° 32 opro del Gallilco; clic dua vi sono, una per lei o altra per un altro clic non mi ramento il nomod), ma in su detti libri vi è scritto il nomo di V. S. Ill. ma , e così a quello altro; c n. ro 30 si potranno consegniaro al Mag. c0 Vincenzio Cozzi, secondo elio lei mi dice, al quale scrivo il prezzo o costo di osso' 2 ’: e potranno vedere di averlo quanto prima, perchè l’ò raccomandate a questi condottieri. Altro per questa non mi occorre, essendo sempre a’ sua comandi. Di bottega, in Firenze, gli 27 di Febraio 1631 < 3 b Di V. S. lll. ma Aff." 10 Servitore Gio. Batista Landini. Fuori: Al’ IH." 0 Sig. re Cesare Marnili, P.ne Coll." 0 , in Bolognia. 2248 . PIETRO GASSENDI a GALILEO [in Firenze]. Parigi, 1° marzo 1632. Dallo pag. 45-46 doli’edizione citata al n.° 1729. Viro acternum suspiciendo Galileo Galilei, Magni Hetruriae Ducis Mathematica, Petrus Gassendus S. Pergrate accepi, perillustris vir, quam mihi salutem voluteti ex epistola ad Diodatuni dici. Dolco, postremas litoras meas ad te datas intepidisse; sed foe- licem me, quod non propterea te minus in me propensum experiar! Mitto no¬ vellimi munusculuni {4) : tu ut debitum excipc, cura referendum ad tc sit quidquid <» Cfr. n.« 2245, lin. 4. (*) Nell’Archivio Marsigli sono duo altre lot- toro dol Laudisi « Alla 111."*“ Sig.“ Klona Raladino no’Marsili» vedova di Cksark, doi 24 scttonibro 1693 o 10 febbraio 1633 (di stilo fiorentino), con lo quali reclama il pagamento di questo copie doi Dialoyhi, di cui non era stato peranco sodisfatto. < 3 > Di stilo fiorentino. <*> Mcrcuriua in sole visus et Vcnua invisa Pa- n'siis armo 1631, ]>ro voto et admonitionc Kepi uri. Authoro Pbtro Gasbkndo eco. Parisiis, sumptibus Sebastiani Crnmoisy, eco. M.DC.XXXI1. 334: 1° - io MARZO 1632. [2248-2249] debotur tuis inventis. Nisi id videor cani inpronti exaggoratione hac vico tostatus, id foci ut calcalo meo (temesti ilio non indigeros) generosi uà et citra ornnern assentationem commendarcris. io Quod exspectatum illud tuum tam insigne opus prò foribus sit, terque qua- terque iucundum babeo. Quid enira ex to sperandum non sit, qui nihil non di- gnum cedro loquaris? mihi praesertim, qui, foelicitatis ingenii tui laudator per- potuuR, quocumque ducas, aim sequuturus. ('uni meorum amicorum libros adversus tolluris motuin pcrspectos liabueris, non erit, opinor, quod raultum movearis: Morinus (1> praesertim subtilis; at ipso illi sutis indicar am, quam et rationcs clau- dicarcnt ot solutiones abludereni Quid facerem Umqn, quando Maneis quisquo suos patimur, ncque ab araicis exigondum amplius (iuam ipsi volentes largiantur? Magno nirnis animo opus, ut supra liaec vulgaria quis sapiat, noque urbem quam dicunt ltomam tuguriolo similein putet: 20 Nani nisi vivida vis animi porvicit, et extra l’rncessit longo flammantia inoenia mundi, Àtque omne immcnsuni pera^ravit mente animoque, qui valcat digna cogitare do hac tanta rerum univorsitalo ac furio? Terge tu, admirande vir, sublimois cu ras agitare, dignas maiestato naturae, dignas to ipso, dignas iis qui avebunt to iinitari. Vaio autom, ot magno omnium vero literato- rum bono vive annos nestoreos. Dabam Tarisiis, Kaleiulas Mart. anno M.DC.XXXll. 2249 **. CESARE MARSILI » [GALILEO in Firenze]. Bologna, IR marzo 1632. AntoR-rofoteca Morrlaon in Ixmdro. — Autografa la aottoacriiii/ue. Molto IH.™ et Eccel. mo Sig.™ Non potria la presente, senza effetto ropugnanto alle carte, non aroscirc, se pretendesse por mia parte lodarla e ringratiarla del’ honore et del dono affet¬ tuoso eli* ella m*ha fatto no* •” e de’ suoi Dialoghi: però se ne viene supplichevolo a V. S. Pjcc. ma , per impetrare da lei medesima il modo col quale si dovria rin¬ gratiarla, servendo intanto per furierà della mia persona, cho pur verrà, insiemo col Padre Buonaventura et il S. r Giaccomo Gaufredi in mia compagnia, a rive¬ rirla fra non molto. Nel bianco dunque della presente riconoscerà V. S. Ecc. ma Cfr - VoL VI1 » P**- 549 “1 Cfr. Voi. Vii, p»g. 487, Un. SO 20. [2240-2250] 1G - 20 marzo 1G32. 335 la candidezza della mia fede, e nel nero la constanza che bavrò sempre di segui¬ lo tarla e di servirla. Non so se li capitassero due Discorsi 05 del S. Ito (leni inviati al Padre Lucio dal Padre Mathematico, clic lodavano anticipatamente i suoi Dialogi : desidero poterlo riffe rire al detto S. r Roffeni, clic mostrò tanto di riverirla. E qui a V. S. Ecc. mtt le faccio riverenza, augurandoli lunga sanità. Bologna, 16 Marzo 1G32. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Olili." 10 Se.™ Cesare Mar si li. 2250 **. GALILEO a [CESARE MARSILI in Bologna]. Firenze, 20 marzo 1632. Arcli. Murateli in Bologna. Busta citata al n.° 1G88. — Autografa. lll. mo Sig. re e Pad. ne Col. mo Mi ò giunta in questo punto la cortesissima di V. S. Ul. ma delli 16 stante (su , nella quale ella, conforme sempre al suo naturai costume gentilissimo, non lascia luogo a i suoi servitori di dimostrarsi, nè anco in minimi segni, pronti di sodisfare in piccola parte a gl’ob¬ blighi che se gli devono. V. S. Ill. ma si chiama lionorata di quello da che io riconosco il titolo massimo della mia reputazione, che è di esser conosciuto dal mondo per servitore grato di V. S. : però se nulla si deve alle mie parole, è lo scusare la troppa confidenza con io la quale mi son dichiarato ammiratore delle virtù sua. I Discorsi del S. Roffeni mi pervennero più giorni sono, et mi par che io dessi conto della ricevuta al P. F. Buonaventura. Veddi il luogo dovo il S. Roffeni mi honora col mettermi a parte della gloria con l’antico Selcuco matematico nell’ investigazione della ragione del flusso o reflusso: il elio io stimo assai, jier essermi incontrato con l’opinione di sì gran filosofo, che potrà arrecar credito a tal dottrina; se ben veramente io credeva d’essere stato il primo di tal concetto, non dirò di referir la causa di tale effetto al moto della terra, ma di at- <•> Abbiamo fatto inutilmente lunghe e molto- morie della R. Accademia dì scienze, lettere ed arti plici indagini per venire a cognizione dello scritturo in Padova. Voi. XII), Padova, tip. (ì. B. Bandi, 1896, a cui qui si accenna. Cfr. Serie undecima di Scampoli pag. 49. Galileiani raccolti da Antonio Favaro Cfr. u.® 2219. 830 20 - 22 MARZO 1632. [ 2260-22511 tribuirgliela in modo che l’effetto no possa seguire, o non in modo tale che da quello non habbia dependenza alcuna, come fa P Origano, 20 il Cesalpino, e forse anco V istesso Seleuco, se si ])otesso vedere il modo col quale esso lo deduceva, perchè il dare alla terra un moto solo et equabile non può causare simile alterazione nel mare. La speranza che V. S. Ill. ma mi porgo che io sia per rivodorla in breve, insieme con la nominata da lei gratissima compagnia, mi ha portato estremo diletto, 0 con impazienza grande la starò aspettando, et allora potremo discorrere allungo: cosa che bora mi viene inter¬ detta da una sciesa no gl’occhi, che mi toglie il leggere 0 lo scri¬ vere senza gran nocumento. À i 30 volumi do i miei Dialogi che il libraio inviò a V. S. Cfr. nn.i 2247, 2249. <* l*i stilo fioroutiuo. 22 — 24 MARZO 1632. 337 [2251-2252] così appunto ini è accaduto ne’suoi Dialogi. Non posso già dire d’iiaverli tra¬ scorsi tutti, ma d’essere andato con somma avidità, in qua in là raccogliendo i fiori di sì vago giardino, per quanto le mie molto occupationi mi hano permesso. Ilo finito anclior io i miei Logaritmi 05 , o no fio inviato al P. F. Lutio una cas¬ setta, ordinandoli che ne dia un paro a Y. S. Ecc." ,a ; sì come infinitamente la ringratio del suo eli’ ella mi ha donato, quale tengo come una gioia. Scuserà lo imperfettioni del mio, e n’ aspetterò la sua censura. Deve poi sapere che da un tal Sig. r Mutio Oddi, Ingegnerò della Repuhlica 20 di Lucca, mi fu proposto un problema tale : Data una sfera et una linea minore del semidiametro di essa sfera, constituire un orbe della grossezza della data linea, eguale alla data sfera 05 . Ilora, perchè mi accorsi che il lemma, che da V. S. Ecc."' a mi fu richiesto circa un anno fa (3) , scioglieva questo problema, perciò, per darli compita risolutione, sono stato sforzato mandarli il medesimo lemma, cioè : Data la ac, divisa comunque in b, produrla ab c d verso c, come in d, sì che il cubo di od s’adegui alli 1 ■ ' 1 cubi ac, Od. L’ ho volsuto scrivere a lei, acciò se li venisse all’ orecchio che altri bavesse havuto il detto lemma, sappi con che occasione 1’ ho manifestato. Ilavrei da scriver altro, ma la brevità del tempo mi fa troncare il molto che ao vorrei dire. La. prego a conservarmi nella sua buona gratin, e li buccio le mani. Di Bologna, alli 22 Marzo 1632. Di V. S. molto Iil. P0 et Ecc. ma Ob. mo Ber. 10 F. I3on. ra [...]. Fuori: Al molto Tll. ro et Ecc. Ino Sig. r e P.ron Col." 10 11 SSig. r Galileo Gal.° l Firenze. 2252 **. GIULIO N1NCI a GALILEO in Arcetrì. San Casciauo, 24 marzo 1032. Bibl. Naz. Pii-. Appomlico ni Mss. Gal.. Filza Favaro A, car. 21. — Autografa. Molto Lustre Sig. re Galileo Galilei, Mando a V. S. staia sei di farina di grano mistiato, come V. S. avisa; c se gli ocore nietc altro, V. S. avisi, per che io ò grande desiderio di servila. Mi <‘i Cfr. n.° 1970. latino, di questo stosso problema. l*> Alla lotterà ù allegato (car. 203«) un poliz- > 3 ' Cfr. un. 1 2112, 212G. zino, nel quale si La, d’altra mano, l’enunciato, in XIV. 43 24 - 26 MARZO 1632. 338 [2252-2258] ricordo della proraesa che io feci a V. S. e la mia cugina: non ò potuto venire per amore dello faconde che io ò auto da faro ; ma poi che io veglio la cortesia e gentileza di V. S., lascerò staro ogni cosa, o fatto le Fétte «arò qua da V. S. con mia madre. Per fine pregarlo Dio che vi conservi la sanità, vera felicità. 11 dì 24 di Marzo 1631 t0 , in Sancascano. Vostro Affé.* 0 Giulio Ninci. io Fuori: Al molto Ilustre Sig."* Galileo Galilei, in vila sua a Samateo in INaceti. 2253 **. GIACOMO JAUKFRED n [GALILEO in Firenze], Bologna, 28 marzo 1«U2. Blbl. Nae. Plr. Ms». Gal., P. I, T. X, car. 2C. — Autografa. Molt’ IH." et Ecc. mo Sig. r mio P.ron (h*. m0 Ardisco di mandar a V. S. Ecc. m ' le mie compositioni :r dopo lmver letto lo sue, perchè so che non è inferiore in lei la maniera di hen iseusare a quella di hen comporre. Da mia mala fortuna me le rubbò ultimamente per donarle alla luce, et io le rubbo bora alla fortuna per donarle a V. S. Kcc. ma , acciò ella co¬ nosca con che svisceratezza cl*affetto io riverisco e’1 suo inerito c la sublimità del suo ingegno, del quale vivo altretanto par ti ale, quanto mi professo amator[e] della verità, elio V. S. Ecc. m * à già resa inseparabile dalle ruc speculationi. Gra¬ discili ella il dono, benché inferiore al suo merito, et ami insieme l’ossequio col quale io lo faccio riverenza. Di Bologna, adì 26 Marzo 1632. Di V. S. molt’111.” et Fcc. m * Aff.' nn Servitor di core Giacomo Gaufrido. Lett. 2352. 6. fatto U ft*t wn) — <•* Di stile dorentiuo. I.vcobi Gai'Puidi Kpùtola ad Illustrisi, et Iteverendiss. Abbatem Claudium Fliaeum jiia Clementi» Fcrronii, MPCXXXII. 12254 - 2256 ] 28 MARZO — 9 APRILE 1632. 339 2254 *. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze], Roma, 28 marzo 1632. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 51. — Autografa la sottoscriziono. 111. 1 " 0 Sig. r mio Oss.° Io consiglierei il Sig. r Galileo Galilei a differire la missione do’ suoi libri stampati X>cr il Sig. r Card. 1 Barberini et per gl’altri sino al mese di Maggio, al qual tempo, so non succedon coso nuove, si può sperare la rcstituttione del connnerzio, o poco più là, già che il Sig. r Card. 1 Barberini hiermattina me no dette assai buona intentione; perchè bora i suddetti libri non sarobbon lasciati uscir do’lazzeretti senza prima esser profumati, sciolti et abbruciato le coperte, li spaghi o tutto quello che potesse dar sospetto di con¬ tagio, dftll’opora in poi, come successe d’un libro del Pindaro che il Sig. r Adimari* 1 ’ mandò due mesi sono al Sig. r Card. 1 Barberini. Però posso» pigliar quella resoluttiono che più 10 le piace, et a me far saper se eleva cercare di recuperarli.... 2255 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Livorno,] 2 aprile 1632. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 53. — Minuta non autografa. Il Ball Gioii. Al Sig. r Ambas. r Niccolini. 2 Aprile 1632. Io non posso scriverò a lungo su le 9 bore di notte, se bene una gran mano di let¬ tore di V. E. forse lo richiederebbono. Sono do’27, 28< s > e 31.... lo credo che il S. r0 Galilei habbia poi mandati i suoi libri con la venuta costà di Mons. re Arcivescovo di Fiorenza W.... 2256 *. GALILEO ad [ELIA DIODATI in Parigi]. Firenze, 9 aprile 1632. Bibl. Nazionale in Parigi. Fonila Dupuy, n.°668, car. 204. — Copia di pugno (li Pijctbo Dcpcv, in tosta alla quale, della medesima mano, si leggo: « Lotterà ilei S. r Galileo Galilei alti 3S. ri Diodati et Gassendi, 1632 ». Molto Ili.” Sig. ra e Pad . 116 Colend. mo Consegnai circa un mese fa qui a i SS. ri Galilei due copie del mio Dialogo per V. S., il quale fu inviato a Lione al Sig. re Ruberto 141 per <»» Cfr. n.o 2203, li». 21. ‘ a > Gfr. n.° 2254. < 3 ) PlRTRO N10C01.ini. <*> RoilKIlTO GAI.U.KI. 340 0 APRILE 1632. 12256] poi mandarlo a lei; sì elio opino elio alla ricevuta di questa già gli sarà pervenuto nelle mani. Io non gli scrivevo, perchè mi trovavo (Bicorne ancora mi trovo) mal trattato d'una sciesa negl’occhi che mi toglieva il poter, senza gravissima offesa, leggere pur un verso o scrivere una sillaba. Il cattivo influsso dura ancora, se bene al¬ quanto mitigato. Essendomi sopragiunta la lettera di V. S. con l’al¬ tra del Sig. r Gassendo, insieme co ’l suo Mercurio 1 , non mi ò parsolo di dovere più differire la risposta ad amemlue. Ben è vero che, du¬ rando la mia passiono degl’occhi, desidero che questa serva per amendue, sin tanto elio io possa più consideratamente rileggere la scrittura del S. p Gassendo, la quale sin ora ho ben letta, ma spez¬ zatamente; che, aggiunto questo impedimento a quello della mia me¬ moria, ridotta per la molta età a gran debolezza, non ne ho potuto formar quella idea elio desidero e elio conviene all’opera. La prego pertanto a scusare il mio silentio appresso la cortesia di questo mio Signore, e dirgli per ora elio nel mio Dialogo troverà notato l’in¬ ganno (li tutti i nostri antecessori nel determinar lo grandezze de’pia- 20 lieti e dello altro stelle, e corno la mancanza del telescopio non è bastante scusa alla loro fallacità, della quale con mezzi agevolissimi potevano accorgersi. Sarò con lo stampatore per veder elio, conforme al consiglio di V. S., invii buon numero di essi Dialogi a Lione, por indi man¬ dargli costà e distribuirgli in varie parti, che cosi desidero. I libri qho scrive Y. S. mandarmi, non boiio ancora arrivati; ma intendo da que¬ sti SS. ri Galilei che la balla 0 cassa, dove sono, ò giunta a Livorno, e che hanno dato commissione che quanto prima sia inviata qua. Ma di già mi pervenne alle mani un mese fa il libro del Lansbergio so De motu terrete e l’altro del Fromondi 13 ’ in contradittione; ma l’in- fìrmità de’miei occhi non mi ha permesso di poterli continuamente leggere: ma per quel poco che ho potuto cosi alla spezzata com¬ prendere, dubito elio i pensieri del Lansborgio e alcuni del Keplero siano più tosto a diminutione della dottrina del Copernico elio a sta¬ bilimento, parendomi che questi (come si suol dire) ne liabbiano vo- <•’ Cfr. n.® 2218. Un 7. «** Cfr. il.» 2218. <*> Liberti Fro*..*»!, in Acadernh Lortnleml S.Th. Roct.ut l’rof. »rd ,.Ini-Ari*f.irrAua,*«t'« Ortùh-lrr- rae immolili*. Libor unicus. In quo docretum 3. Con- Ereffutioni* S. R. K. CRnlinalitim, nn. CIOIOC.XVI »d renili* FjrtluKorico-Copernicftnon editimi, dofondi- tur. Antrerpise, ox officina l'iautiniaua Baltliasniia Morati, M. DC.XXXL 9 — 17 APRILE 1032. 341 [2256-22571 luto troppo; ondo molti nel ponderare certe lor fantasie, e forse cre¬ dendo che siano concetti dell’ istesso Copernico, mi pare die non senza raggione (come fa il Fromondi) si burleranno di tal dottrina, •io Fra gl’oppositori del Copernico il Fromondi mi par il più sensato e capace di alcun altro che sin qui io habbia veduto. E veramente se io havessi veduto questi libri a tempo, non Farei mancato di av¬ vertire il lettore che, anco in dottrine salde o profonde, possono da alcuni, o per troppa confidenza di se stessi o per poca intelligenza, essere inserite cose leggiero e stravaganti, cosa che non fece mai il Copernico. Resto con obligo particolare a V. S. dell’ingresso procacciatomi appresso i soggetti nominatimi da lei, e a suo tempo sentirò volen¬ tieri non meno le lor censure che lo laudi sopra i miei scritti. Pac¬ co eia loro all’occasione offerta del mio affetto, pronto a servirgli. Io darei molte cose, andate attorno qua dopo la pubblicatioue del mio libro, da dire a Y.S.; ma i miei miseri ocelli non mi permettono l’affa¬ ticargli più. Basta che sappia sol in generale che si va continuamente più guadagnando che scapitando, e che tali che prima altamente garrivano se ne stanno in silentio. Sono tutto tutto del mio Sig. re Elia e riverentemente gli baccio lo mani, come anco al S. ro Gassendo, e prego felicità. Di Firenze, gli 9 Aprile 1632. 2257 . GALILEO a [CESARE MARS1LI in Bologna]. Firenze, 17 aprile 1032. Aicll. Morsiffli in Bologna. Busta citata al li.® 1088. — Autografa. Ill. mo Sig. ro e Pad. n0 Col. mo Una molestissima discesa no gl’occhi, che da 40 e più giorni in qua mi travaglia, c mi leva particolarmente il potere senza grave offesa leggero e scrivere, mi necessita finalmente a posporre ogni no¬ cumento a’molti debiti che tengo con V. S. Ill. ma principalmente, e poi con altri miei Signori costì, da me stimati e reveriti : nò voglio che questa per ora serva ad altro effetto che a porger mie scuse, 342 17 — 23 APRILE 1632. [2267-2258] prima a lei stessa, e poi per lei a gl’altri miei padroni, già che la mia mala costituzione non mi permette di poter partitamente scri¬ vere a tutti, come vorrei. io AirEcc. mo Sig. Dottor Itoffeni n , al quale volevo pur immediata¬ mente render grazie dell’onor fattomi nel portar con si nobile enco¬ mio il nome mio, mercé della sua dottissima scrittura, in parti dove già mai per sò stesso non sarebbo arrivato, la supplico a render per parte mia quelle grazio che ella saprà e potrà porger proporzio¬ nate al suo gran merito o mio obbligo, lo quali, reso dalla voce di V. S. lll. ma , aqquisteranno quell’energia, la quale io con la penna non già, ma ben con la mento posso solamente riferirgli. All’Kcc. mo Sig. Cottunio mi confermi servitor devotissimo; al Sig. Gau frodo scrivo l’alligata, in risposta di una sua gratissima; al Padre Matematico c,) 20 non rispondo altro, se non cho il libro che mi manda non ò mai comparso. Nel resto lo prego con sicurtà a scusare i miei povori oc¬ chi afflittissimi, Poffesa de i quali mi necessita a comprender sotto un sol nomo tutti gl’altri Signori a i quali la mia devota servitù ò grata. Reverentemente gli bacio lo mani, e prego intera felicità. Fir.*®, li 17 di Aprile 1632. Di V. S. HI."* Ser." Obi.®» . Galileo G. L. 2258. GIO. BATTISTA BALIANI n GALILEO [iu Firouw] Genova, 23 aprile 1632. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, cw. 204. — Antofnfft. Molto 111.™ et Ecc.™ Sig. r mio Osa.”* 0 Io mi reputo oltre modo favorito del presente cho V. S. mi ha fatto del suo libro De’sistemi del mondo per mozzo del P. Francesco delle Scuoio Pio ***; di che le resto obbligatissimo, 0 mi congratulo seco che dia tuttavia di continuo maggior saggio del suo gran sapere con apiauso universale. Il libro tutto pieno di cose o bellissime e nuove, spiegate poi si chiaramente cho da tutti si fan in¬ tender benissimo, se non se l’ultimo discorso de la disugualità degli addita- "• (’fr. 11.» 22 19 . <*• hoNAVRXTUKA CaVAURRI. «*• Fauunu Mioiiku*i: cfr. n.» 1U60. 23 APRILE 1632. 343 [2258] menti e suttrattioni clic la vertigine diurna fa sopra ’1 moto annuo ; il die forse procede in parte dalla figura a f. 452 (,) , resa più oscura non sol per lo manca¬ lo mento delle linee GS, FV, ma per esser per aventura apparentemente troppo acuto F angulo BAP, o sia BIL, clic ò de gr. 66^: onde io confesso che mi è bisognato rilegerlo. Tutto questo quarto dialogo, ove si tratta del flusso del mare, ò per mio avviso meraviglioso, onde tanto più mi do meraviglia, che dove V. S. nelle altro cose leva tutti i dubbi, in questo ne lascia uno di non poco momento senza ri¬ spondervi: et è che il flusso dovrebbe esser ogni dì alla stessa bora, e pur l’op¬ pimene comune è contraria, cioè che si anticipi ogni giorno circa quattro quinti d’ bora, per andar esso seguendo il moto della luna. Nel cercar le cause P auto¬ rità non ha luogo, ma nei fatto sì, massime di persone vcrisimilmente informate, 20 quale è il Medina (J) , accettato comunemente, o due de’Paesi Bassi, ove i flussi son molto sensibili, cioè il Cognetto nell’Arte di navigar, in lingua francese 0 ’, o Luca Aurigario nel suo Speculimi Nauticum 0) , oltre molti altri di minor nome. So clic V. S. dee haver osservato il contrario, e particularmente a Venetia; però nel Dialogo non ne parla. Io riceverei a gran Livore che V. S. mi desse conto dol modo con che ha ritrovato che il grave scende per cento braccia in cinque secondi. Altre volte io tentai l’impresa per mezzo di una palla attaccata ad una funicolla tanto longa, che le sue vibrationi durassero un secondo per aponto, nè mi è sin bora riuscito ritrovar qual sia la longhezza precisa della fune. Mi manca poi la torre sì alta. <‘> Cfr. Voi. VII, pag. 483. (*' Arte de navegar, en que «e contienen lodila Ina regina, deeltiradonta, accretoa y aviaoa que a la buena nuvegneion son ncccssarìoa y se deue aaber, liocha por ol maestro Pkdro de Miciuna, occ. Alla fino della carta 1 18», elio è l'ultima, si leggo : « A gloria do Dios Nucstro Sefior, provocho y utilidnd do la unvegacion, fonosco ol prosento libro llamado Arte de vavegnr, heclio y ordenado por ol maestro Pkdro de Medina, vozino do Sevilla. Fuo visto y nprovado on la insigne casa della Contractacion do las Indias, por ol Piloto msyor y cosiuographo do su Magostnd. Y assimesuio Ino uiandado vor y esaminar por ol Consejo Roal do sii Magostnd, on la noblo villa do Vallmlolid, ostando on ella ol Principo nueslro sofior, y su Roal Corto, luiprimiose en la dicha villa, on casa do Francisco Fernandoz do Cordova impresso! - , junto a las oscuelas majoros. Acabose primero dia dol mes do Octubro. Ano dol nasclmionto do Nuostro Sofior losu Cliristo do uiil y quiniontos y qunronta y ciuco auos. » Inalruction nouvelle dea j>oinda plua eccellente at neceaanirea touohant l'art de naviguer. Contenant piu- eteurs rcigles, prutìques, ciiieigncinens et instrumena tre- sitloiiiea à tona ]nlotea, mahtrea de navire et antica qui ioumellement haitiani la tncr. Ensemble un moyen fatti, ccrtain et treaecur pour naviguer Ext et Oè'at, lequel iuaqncs à preacnt a cetk inrognu à Urna pilotea, Nou- vulloinont praotiquó ot compose en 1 angue tbioiso par Mtoiuwi. Coionet, natif d’Anvcrs, ccc. A Anvers, choz Henry Homlrix, à Ponsoigno do la llour do Lis, avoo privilogo Royal, 1581. m Temete Deci Fondo Spieghcl der Zcexucrdt. Speculimi nauticum super navigai ione maria occidui'.- talia confceliim, coni incita omnea orna maritimna 0 alitai!, lliapaniae et praecipiiaruni pariium Angliae, in divorata mappia maritili! ia coinjirehenaum, una cimi un a et intcr- pretaiione earundem, accurata diligontia concinnatum ot elaboratimi per Lucau Ioannis Auricarium, occ. Lugduni Batavorum, excudobat typis Plnntinianis Franciscus Rapbolongius prò Luca Inusouio Auriga¬ rio, MULXXXVI. Para altera Speculi marini, integram cum burcalis, timi orientali # Oceani navigationem, nini ir imi a Freto Anglicano in Vtburgum et Murvam, tabulia diveraia compicciala, et carimi usti decorala, auctore Luca Acni- ciario, occ. Lugduni Batavorum, excudobat typis Plnntinianis Frauciscus Hnpbelcngius prò Luca Inu- senio Aurigario, MDLXXXVI. 23 - 29 APRILE 1632. 344 [ 2258-22591 1 (abbiamo quella del porto dolili lanterna: però ha un ribalto nel mezzo, che so rende 1* operatione dilicile. So che noi primo secondo ha da scender quattro braccia; ma non erodo 1*esperienza esser sicura, so non vien l’atta in maggior altezza. Di questo orologio che misurasse i secondi, io mi do ad intendere che me ne servirei a più usi : e in misurar le grandi distanze por mezzo della diferonza del tempo che ò fra la vista e 1’ udito, so pur ò vero, come io credo, che tal dife- renza sia proportionata alle distanze, onde facondo sparar un’artiglieria lontano circa 30 miglia, pur che io possa vederne il fuoco e sentirne il tuono, dalla lor deferenza vorrei in cognitione della distanza precisamente; o in ritrovar i gradi della longitudine mediante il moto della luna, ancorché non vi sia ecclisse, at- 40 teso che con un oriolo cosi esatto si ritroverebbe precisamente la diferonza della distanza dalla luna a qualche stella e dall’un meridiano all’altro, calciandovi porò 1’ anomalia di essa luna; o molte coso simili. Che perciò io la priego a dirmi il modo di misurar i secondi o come ha fatto l’esperienza delle cento braccia, e scusarmi se io la tedio troppo, rengraziandola do* favori che per ri¬ spetto mio ha fatto al detto P. Francesco, o che mi favorisca do’suoi comanda- monti. Et a V. S. per line bacio lo mani e priego ogni vero bone. I)i Genova, a 23 di Aprile 1632. Di V'. S. molto 111.” et Ecc. m * Sig. r Gal.® Galilei. AfT. mo et Ohhl. mo Sor.™ Gio. ll. a Bali uno. 60 2259 *. FORT UN IO L1CETI a [GALILEO in Firenze J. Padova, 39 aprile 1633. Btbl. Set. in Modena. Raccolti Cnmporl. Autografi, B.» LXXVIII, «.• HO. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. m0 Sig” Ricevo, con la gentilissima sua do’ 10 del cadente, l’esemplare del suo Dia¬ logo, nuovamente publicato, nel quale io spero di vedere molte acutezze del suo peregrino intelletto et d’imparare molte sottigliezze di filosofia; et perciò lo rendo molte gratie del favore, et me lo professo grandemente obligato per il frutto ch’io spero di raccorre dalla lettura de’suoi concetti, elio con avidità farò in queste prossime vacanze. De’contradittori ch’ella fusse per bavero, ella ha ragione di non temere, perchè, se saranno autori celebri, doveranno, con easolei modestamente disputando, faticarsi per trovare la luco del vero, da tanto e così dense tenebre di false opinioni coperta; se saranno di woco nome, si no- io [2259-2260] 29 - 30 aprile 1632. 345 trà lei gloriare ili haver loro data occasione di l’arsi chiari col concorrer seco nel filosofare. Il giudic.io che V. S. Ecc. ma fa delle mie compositioni, con tutto che possa es¬ sere, dall’affetto ch’ella mi porta, non totalmente sincero presso gli altri, mi è però di molto gradimento, venendo da cosi purgato ingegno. La ringratio infi¬ nitamente dell’ avvertimento datomi dell 5 errore che tante volto ho commesso nelle mie Ferie (0 , nel replicare così spesso barbaramente castro (,) quello che la¬ tinamente doverci haver detto vcrvcx. Se appo lei non mi scusa questo barba¬ rismo la conditone de’ nomi propri et de’ cognomi, che pare debbano essere 20 inalterabili, con altra occasione, se mi sarà data, parlerò in tale proposito più latinamente. Et con tal fine le auguro dal Ciclo ogni contentezza, pregandola di lionorarmi de’ suoi commandamenti. Di Padova, 29 Ap. 10 1632. I)i V. S. molto III. 0 et Ecc. mu Divot. mo Ser. ro Fortunio Liceti. 2260 **. GIULIO NINCl a GALILEO in Arcetri. San Caschino, SO aprile 1032. Blbl. Nftz. Flr. Appoudico ai Mss. Gal., Filza l'avaro A, car. 32. — Autografa. Molto Ilu. ro Sig. ro Galileo Galilei, Mando a V. S. dua some di legnie grose, che sono mancate a una catasta, e gli mando una cosca e una gota, che in tuto sono libbe trentauna, e gii mando dua forme di caco e dua marzolini, elio sono in tato libbe tredici e once nove; e le mando per Gabicllo Rosi. E se gli ocore nicto altro, V. S. avisi, chè io ò grande desiderio di servila. Nò altro, pregado Dio che yì conceda la sanità. Di Sancasano, il dì 30 di Apile 1632. Vo. ro Affé. 40 Giulio Ninci. io Fuori: Al molto Ilu. ro Sig. ro Galileo Galilei, in vila sua in Naceti. («) De ferii» altrici» anima e nomosoticao dispu- Fobtunio Licbto Gonucnse ccc. Patavii, typis Yari- tationos, in qnibus eucyclopcdiao, medicinao, philo- scianis, M.DC.XXXI. sopliiao, celsiorisquo sapiontine praosidio propulsali- <*' Allude a Stefano RoniuauEZ uk Castro: tur ab olim culto mirabili niortalium ieiunio vulgatao cfr. De ferii» ecc., pag. 8 e sog. reeons oppugnationos Asitiastis do Castro. Autore XIV. 44 1° MAGGIO 1032. 12261 - 2262 ] 346 2261 . TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO iu Firenze. Roma, 1* maggio 1632. Blbl. Na*. Plr. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 807. Autografa. Sig/Galileo veramente illustre, ch’illustri il secolo non volgarmente, mi (loglio ch’io solo scarsamente ricevo i vostri favori. Quanto aspettai, (manto desiai, quanto insinuai a V. S. tìn da principio, che trattasse questo suo sistema in dialogo o che mi facesse parte delle sue osservationi, et anchora non sono arrivato dopo eli’in Roma le han tenute in manti persone di minor affetto, non voglio dir, e giudicio. Et bora sono stampate, et io lo sapevo da filosofi francesi elio me l’hanno scritto; o V. S. non si degna avvisarmi nò mandarmi un essemplaro. Parlai con 1’ Ecc. ,n0 Àmb. p Nicolini, e dice che verrà uno a lui, et promette etc. : non vedo etc. Io sono quel elio più stimo le sue coso, e che lo giudico con giudicio più puro d’ogni passione. Contentisi che sia contento, e si ricordi ch’il mio scritto solo è io stampato in sua difesa '' e non quei d’altri etc. Resto al suo comando, con ringratiar Dio che sia vìyo V. S. et io, e che nello turbolenze (lei secolo ci è qualche chiaro por noi. A Dio, anima carissima. Roma, 1 Mug.° 1632. Fra Thomaso Campanella Se/* Divot. mo Mi piaceria c’havcsse stampato l’epistola prima t,} che li uiandui di questa materia. Fuori: AH’Kcc. mo Sig. r Galileo Galilei, Filosofo o Mat. co dell’Altezza, di Toscano. 20 Fiorenza. 2262 ** ANGELO CONTARINI a GALILEO in Fironzo. Brescia, 1° maggio 1632. Bibl. Nfiz. Plr. Mass. 0*1, P. I, T. X. car. 2V. — Autografa la toUoacruioae. Molt’Ill. ro et Kcc. mo Sig.™ Con mio grandissimo gusto ho ricevuto la copia che V. S. Ecc.™ 1 s’è com- piacciuta mandarmi del suo Dialogo, la quale, sicome mi porge nuova espres- “> Cfr. u.« 1545, Un. 45. «•* Cfr. n.» »«©. 1° — 4 MAGGIO 1632. [2262-2264] 347 siono dell’affetto suo particolare verso la persona mia, così mi obliga a ringra- tiarnela, come faccio, con ogni pienezza (l’affetto. La leggerò e la goderò con mio particolar contento, e gli darò quel luogo fra’miei libri che ben si conviene al¬ luperò singolari di V. S. Ecc.™*, alla quale in tanto racordo il mio solito cordia¬ lissimo affetto et il sommo desiderio che ho sempre havuto d’impiegarmi in oc¬ casioni di suo servitio. Et a V. S. Ecc.' nil prego continuata felicità, io Di Brescia, il primo Maggio 1632. Di V. S. molt’Ill.™ et Ecc. ma Ail>° Serv.™ Eco."' 0 S. r Galileo Galilei. Firenze. Angelo Contarmi. 2263 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Venezia, 1° maggio 1032. Bibl. Est. in Moderna. Raccolta Cauipori. Autografi, 11.» I.XX1V, n.° 73. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo mio S. r Rendo a V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. m:l quello gratie, che posso maggiori, del libro che si è degnata inviarmi. Et già che le piace tanto di mostrarmi il suo cortese affetto, io la prego a compiacersi ancora di darmi spesso occasione onde anch’io possa manifestarle la molta corrispondenza doU’animo mio, col servirla in ogni sua occorrenza. Et a V. S. molto IU. ro et Kcc. ma Laccio le mani. Di Venetia, il p.° Maggio 1632. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. mo Aff. m0 Sor.™ Francesco Duodo. io Fuori: Al molto 111.™ mio Sig. r Col. mo L’Ecc. mo Sig.™ Galileo Galilei Dot. Fiorenza. 2264 *. CESARE MARS1LI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 4 maggio 1032. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 209. — Autografa la sottoscriziouo. Molto 111.™ et Eccl. mo Sig. r P.ron mio Oss. ,no Mi ò dispiaciuto sommamente Tbavere inteso dalla cortesissima sua !0 la in- dispositione che mi significa; e quanto a me, fa torto aU’oblighi elio li professo Lett. 2203. 2. quelle grate — «*) Cfr. a.» 2257. 34H 4 MAGGIO 163*2. [2864-8965] a violentare punto sé medesima, per favorirmi, che sono occessi troppo maliardi (lolla sua amorevolezza, il qual sogno ò molto lontano al desiderio che ho della salute di lei. Mostrò il S. r Roffeni di gradire sommamente l’offitio di V. S. Eccl. m *, come intesi che fece il S. r Cottunio, il quale, essendo in fine della sua condotta con perplesità del’esito della riforma, ò in podio stato di discorore di questi parti¬ colari, non sapendo qual venti so l'h&bbino a ridure in porto. io Quanto a quello che dicono gl’altri, io non dubitavo punto che olla fosse di costi! per bavere alcuna sorte di contraditione in scritto; ma in vece di risposta, una disimulatione per mettere in tacere la disputa, come fano quei mariti elio hano gelosia dello attioni delle donne loro: e quanto a me, io credo so V.S. Eccl. ma non si fosse meritata la consideratione in scritto col parlare apertamente col Chiaramente, non sarebbe tantosto amato al sommo della gloria, che giun¬ gerà col dibattere novamente la questione, essendo che oporiet pati Christum et ita intrare in gloriarti suarn. Staremo a vedere quello scriverà il Chiaramente. Il Padre Buona ventura spera che a quest’bora V. S. Kccl. mm havrà limito il suo libro 10 ; il quale al presento si trova fuori col Padre Generale. Havrà forsi 20 ancora inteso elio come ha liauta la riferma per sette anni, con augumento di cento scudi l’anno. Per non stancarle più l’orecliio, se non la vista, tacerò, e mi lo serbarò a dirli a bocca cosa di maggior suo gusto. E qui a V.S. Eccl. m * faccio riverenza. Bologna, 4 Maggio 1632. Di V. S. molto 111. 1 *** et Eccl.™* Aflf. mo c Co. mo Se.™ Cesare Marsili. 2265 *. FltANCESCO PECCl a GALILEO iu Firenze. Venezia, 4 maggio 1632. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, B.» LXXXIV, n.® 144. — Autografa. Molto 111.™ S. r , mio S. r * Os8. mo Con la posta passata inviai a V.S. una mia, e la indirizzai al S. r Marchcso: era dentro di quella, oltre al dovuto rendimento di grazio e la ferina della mia obbligatone, alligata una dimostratone contro ’1 parere dell’amico et a favore della mia nona propositione, altra volta 10 mandatale. Ma con questa, per mag¬ gior sicurezza, repeto le istesse caldissime gratie et obblighi miei verso V.S. et ancora verso l’amico; onde mi rendo certo, che o tutte due queste mie porver- «•> Cfr. u.» 2251 «*» Cfr. n.® 2101). 4—15 MAGGIO 1632. 340 [2265-2267] ranno allo malli eli V. S., o almeno una di loro. Pertanto, in caso elio la prima si perdesse, lio proso partito d’inviar a V. S. per l’amico, veramente gentilis- io simo e acutissimo o sincerissimo, la qui inserta propositione l,) , contraria al parer di esso e lavorabile al mio circa la detta nona propositione; e così mi accerto di ottenere o elio tutt’e due le propositioni o alcuna di esso perverrà loro: e però qualche risposta no sarò por sentire, come veramente per intera mia cjuietc desidero e ne la prego con ogni istantia, come ancora per Phonoro di suo coman¬ damento e dell’amico. Ài quali, mentre con tutto l’affetto bacio le mani, prego da N. S. il colmo d’ogni felicità. Di Venezia, li 4 Maggio 1G32. P. S. Non ostante l’avviso mandato a V. S. per l’altra mia, volendomi bonorar di risposta, corno spero, dovrà inviar la lettera et ogni altra cosa al molto 111.' 0 20 S. ro il S. r Vincenzio Portici, Venetia, perché il S. r Cerncsi ò andato a Verona. Di V. S. molto Ill. ro Aff. mo et Obbl. ,no Ser. ro di core S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Frane. Pccci. 2266 *. ANDREA CIGLI a FRANCESCO DE’ MEDICI [in Madrid]. [Firenze], 12 maggio 1G32. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 49G2 (non cartolata). — Minuta non autografa. _Circa l’offerta del S. r Galileo, ha sentito S. A. il discorso passato tra V. S. Ill. ma et il S. r Duca di Medina de las Torres, et sono state lodato le risposte fatte da lei alle sue obiezzioni; ot forse il S. r Galileo le scriverà sopra di ciò qualche altra cosa.... 2267 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 15 maggio 1G32. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXX, n.« 107. — Autografa. Molt’ Ill. ro et Eco.'» 0 Sig. r , Sig. r Col. 1 " 0 Mi mandò l’Ill.'" 0 Sig. r Cancellier grande il libro del Dialogo, conia lettera di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ma del sabato Santo. In una mole de affari noiosi ho rubbate P bore per divorarmelo, coni’ ho fatto, con deliberatione di andarmelo digerendo e ruminando come la più singoiar potrà che delle cose naturali sia t 1 ) Non è presuntomeli te allegata alla lotterà. 350 ]. r > MAGGIO 1632. [2267-2268] ancora comparsa; o dico naturali, spotialmente per lo specolationi intorno al moto, di cui sino al giorno d’hoggi convien confessare non sapersi assolutamcnto nulla, so non (pianto V. S. con quest’ opera divina cava dalle tenebre. Non adulo, ma di cuore lo dico: Non est factum tate opus in universa terra. Qualche speco- lationo mi si rondo difficile, ma le intese sono le più rare gioie che si sieno ancor io veduto. Ma proludendo ella altro specolationi intorno ai moti naturali o ile’pro¬ ietti, mi ha posto in desiderio di vita più per l’interesse di poterle vedere elio di qualonquo cosa mi desideri, llavovo qualche timore che materie cosi ardue, portate in dialogo, arrecassero lunghezza; ma l’ingegno divino di V. 8. ha su¬ perato ogni aspettatione, et si può con verità affermare che nell’opera sua non sia parola nò manchevole nò superflua. Ma oh Dio, con che decoro ha dato vita a quel degno personaggio il Sig. Sagredo! Se Dio mi salvi, che mi pare sentirlo parlavo. L’Eco. 1 " 0 Venier 10 va in gloria, sentendo parlar di V. S.: tanto l’ama o stima. Non ho ancor havuta occlusione di esporli il desiderio del suo ritratto, ma non 20 motto difficoltà elio non si ottenga. Et a V. S. molto 111."* baciando con cordia¬ lissimo affetto le mani, prego felicità. Ven. a , 15 Maggio 1032. Di Y. S. molto 111." et Ecc.™ 4 Dev. mo et Cord."* 0 Ser. ro Ecc. ,no Galileo. F. Fulgentio. 2 2 fi 8*. DOMENICO MOLIN a GALILEO in Firenze. Venezia, 15 maggio 16.TJ. Bibl. Nftz. Flr. Mss. Gal.. P. I. T. X, car. 31. — Autografa. Molt’Ill." et Ecc. 1 " 0 S.™ Io ardirò di diro che V. S. Ecc.™ 4 fa una ben giusta mercede all’antica et continovata essistimatione c’ho fatta sempre della sua virtù, et per l’afTettiono sinciera et cordiale che lo ho portata, col raccordarsi di me; di che ha voluto darmi segno partecipandomi il suo dottissimo et curiosissimo Dialogo, che per tutti li rispetti grandomento mi piace, ma che mi consola ancora in considera- tione di quello che da lei appunto si accenna nella prefatione in drizzata al let¬ tore, che anco pure in Italia tuttavia restano de’galantuomini elio sanno et va- gliono a bene intendere et al ben maneggiar le scienze anco più ostruse, et che tutto il meglio non ha per anco la fortuna transportato da noi a gli oltramon- io Skbastuko Vesikr. 15 — 17 MAGGIO 1632. 351 [2268-2269] talli (,) . lo la ringratio di questa cara dimostrationo d’amorevole alletto; pregola (li darmi occasione onde possa effettivamente farle conoscere che pur tuttavia in Yenetia restano vivi degli amatori et ammiratori del suo valore, et di quelli che con ogni spirito et con altrettanta sincerità, incontreran sempre tutte le occasioni delle sue sodisfattioni, de’suoi coni modi et de’suoi meritati honori. Così piaccia a Dio N. S. conservarla lungamente sana. Yen.*, li 15 Maggio 1G32. Di V. S. molto 111. 1 ’ 0 et Ecc. 1 " 11 Aff. m0 per ser. ,a Dom. 00 Molino. 20 Fuori: Al molflll." et Ecc. mo S. r Oss. ,no Il S. r Galileo Galilei, a Fiorenza. 2269 . GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma]. Arcetri, 17 maggio 1632. Blbl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. IV, cnr. 80. — Autografa. Molto Rev. P. e mio Sig. r Col. 11,0 Non so per qual cagione la P. V. si prenda gusto di mantener viva la speranza in me, d’esser nel presente secolo per ottener mai un soldo di quelli immensi tesori che sì ampiamente si contribuiscono a tanti altri. Di grazia, escami liberamente col verso del Petrarca: Non sperar di vederne in terra mai. Ari rem: sono 2 mesi che feci legare e dorare buona partita de’miei libri, per inviargli costà a chi si devono; non ò stato pos¬ sibile il mandargli sicuri per la strettezza de i passi; sono ancora ap¬ io presso di (sic), e si manderanno come si possa. Sciolti, intendo che ce ne sono penetrati; ma io, già die ho fatta la spesa, voglio pur mandargli legati; et intanto non l’altrui desiderio, ma la mia vanità babbi pazienza. Nel rileggerlo mi sono incontrato in un error di stampa trala¬ sciato, che è alla faccia 228, versi 12 e 18 (2> , dove li numeri 72 e 100 <»> Cfr. Voi. VII, yag. 30 <*> Cfr Voi. VII, pag. 200, Un. a. 352 17 MAGGIO 1G32. [2269-8270] devono correggersi in 12 e 36. No mando alla P. V. 6 stampino da attaccarsi a luogo congruo nella tavola delle corrozzioni, e la prego a farlo pervenire [in] mano di quelli elio haranno sin ora hauto il libro, ot in particolare a i Padri Gesuiti, acciò che il P. Scheiner, elio in questo luogo vion censurato, non si attaccasse a questa ben elio 20 minima scorrezione. Vivo ansiosissimo d’intendere del nostro Mecenate"’, essendosi qui sparsa non so elio novità" 1 , so ben poi mitigata assai; non manchi in grazia di scrivermi subito subito. Io poi vo continuamente intar¬ siando nuove coietto] nel medesimo libro, secondo che smito esser promossi scrupoli 0 difficoltà; et in particolare intendo, i Peripatetici strepitare, et il Chiaramonti rispondere in sua difesa. Se ella ancora sente che qualche sfaccendato esamini 0 opponga, me no dia conto. Ho travagliato da 2 mesi in qua per gl’occhi; ora comincio a poter leggere un poco et a riavermi di alcune alterazioni di stomaco, 30 sopraggiuntemi da 6 giorni in qua. Faccia in mio [_J i soliti ollizii caldissimamente, mi ami 0 mi comandi. D’Arcotri, li 17 di Maggio 1632. [Prosit nova dignilas] ' ;l1 . Della P. V. molto II. Sor.™ Obblig. mo G. G. 2270**. BENEDETTO SCALANDRONI n GALILEO in Firenze. 8. l'iero In Sillano, 17 maggio I6RS. Bibl. Naz. Flr. Appendice ai ila a. Gal., Filza Fa raro A, car. 33. — Autografa. Molto III.»» Sig. rtì et Pad.** mio, Molti giorni sono, mentre mi ritrovavo in Fiorenza, ricevetti da mio padre proferte e racomandazioni fattemi da V. S., delle quali sommamente la ringrazio (non per questo ricusando, bisognandomi, la sua cortesia et amorevolezza), et Cfr. nn.‘ 2256. 2271. <*» Cfr. n.o 2243. Cfr. n.o 2139. 356 25 - 26 MAGGIO 1632. [2273-22741 com’io ero lontano dalla compositione dello tavole e uso di quelle, e poi essendo materia elio per sè stessa porta molta difficoltà. Ho salutato a nome suo il Sig. r Marsili, quale è di presente per andare a Mantova por un suo negotio, e poi siamo d’accordo di venir da lei, si che io siamo a tempo por l’osservatione dol solstitio, il che, doppo il visitarla o goderla, desidera principalmente il Sig. r Cesare. Mi dispiace ch’ella sii continuamente travagliata da qualche dolore, o molto gliene compatisco; perciò non mancherò di pregare N. S. che no la liberi, e la conservi longamente per interesso delli huomini letterati, che da lei sono stati promossi a si alto specolationi, che al mondo si può dire hoggidì rifioriscano le buono lettere mercò della scorbi febeo ch’ella con l’Gsscmpio di sò stessa va facendo a gl’ingegni peregrini. Il Sig. r Cesare et il Sig. r Giacomo Franzese 10 divotamente la riveriscono, et io con loro, ricordan¬ domi servitore obligatissimo al Sig. r Andrea Arrighetti, quale con V. S. Ecc. n,a ringratio insieme del favor fattomi con il trascritto ch’io desiderava |, \ so Di Bologna, alli 25 Maggio 1632. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m * I)ev. rao et Ob. mo Sor." F. Bon.» Cavalieri. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col.® 0 Il Sig. P Gai.*® Gal. - Fiorenza. 2274 *. ALESSANDRO CACCIA a [GALILEO in Firenze]. Piatoia, 2(1 maggio 1632. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Oal., r. I, T. XIV, c*r. 211. - Autografa. Molto 111.» Sig. r mio Gas." 10 Io stimo tanto l’honor fattomi da V. S. con ha ver mi inviato uno essemplarc delli suoi Dialoghi dati nuovamente in luce, che non potendo con parolo sodisfare a me stesso nel rendimento di quello grazie che l’animo mio ha concepito esserlo per ciò da me dovute, conviene che io mi appaghi di restargliene, come seguirà, perpetuamente obligato, et che l’amorevolezza di lei volentieri, come confido, si contenti tenermene debitore, mentre viverò sempre con particolar desiderio di servirla. Il titolo dell’opera, la dedicatoria et la prefazione al lettore eccitarono “> Giacomo Jauvfrxd. «*» Cfr. n.» 2271. lin. 13-19. [2274-2275] 2G — 29 MAGGIO 1632. 357 talmente la mia curiosità, che avanti mettermi a leggere, et dopo bavere avver¬ so tito la necessaria correzione di alcuno errore della stampa, non mi potetti con¬ tenere di non iscorrere avidamente ad una ad una tutte le postille, con qualche parte del testo; dove appariscono speculate nuove et gentili osservationi, da lei ridotte a tanta facilità che anch’io, benché di professione diversa, non diffido poterne restare, al meno in qualche parto, capace : segno evidente a chi per altro non havesso intera cognitione di V. S., che l’eminenza della sua dottrina et va¬ lore eccederebbe i termini della già sparsa fama, se luogo più vi restasse non penetrato da quella. Me ne rallegro infinitamente non solo con V. S., ma con tutta la nostra natioue, illustrata dal nome di lei; alla quale prego da Dio con lunghezza di vita ogni prosperità. 20 Di Pist.*, li 26 di Maggio 1632. Di V. S. molto III. 10 Ser. r0 Aff. mo Il Vtìsc. 0 di Pist. ft 2275 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 29 maggio 1632. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XI, car. 225. — Autografa. Molto 111.” Sig. ro o P.ron mio Col." 10 Veramente V. S. molto 111.™ ha gran ragione di dolersi £l) del cattivo incontro nelle sue pensioni ; et io, ancorché non habbia colpa nessuna del mancamento che li viene usato, ne resto tanto confuso che non ardisco quasi di scrivergli. Sappia però clic l’Arisio è partito di Roma, et hora si ritrova in Bologna al suo solito servizio di cappellano dell’Eminentiss. 0 Lodovisio; e se V. S. si servirà delle sue ragioni, pagarà senza fallo, perchè devo pagare e può pagare : però non manchi a sò stessa. Quanto al libro di V. S., deve sapere come ne sono arrivati due qui in Roma, io uno de’quali fu dato all’Eminentis. 0 Sig. r Card. 1 Francesco Barberino, et io hebbi grazia da S. Em. z:l di vederlo, e tuttavia lo tengo appresso di me, liavendolo letto tutto da capo a piedi con mio infinito stupore e diletto ; e tuttavia lo vado rileg¬ gendo ad alcuni pochi amici di buon gusto, con loro meraviglia, c sempre più mi diletta, sempre più mi fa stupire, e sempre più ci guadagno. Molte cose ho in Cfr. n.° 2209. 29 MAGGIO 1632. 358 [ 2275 ] sentite da loi a bocca, ma moltissime mi giongono totalmente nove. K vero che vi sono materie che hanno bisogno di studio e applicatone per intenderle; spero però che la sua spiegatura mi habbia da sollevare assai nella mia debolezza, o credo che il trattato promesso del moto mi servirà mirabilmente per Unire di gustare alcuni particolari. In tanto li voglio dire elio hebbi a smascellare dalle risa quando in’ incontrai in Mesa.' Simplicio, che mi seppe cosi puntualmente de- 20 signaro il sistema Copernicano, ammirando nella semplicità sua la balordagine di tutta la sua scola. Ma quando gionsi a quel testimonio falso delle macchio del sole, hebbi a uscire di me stesso d’allegrezza, considerando quanta chia¬ rezza davano in questa materia tali oscurità, che maggiore non ne può duro l’istessa luco del sole. In somma l’opera è bellissima, degno parto dell’eccelso intelletto di V. S.; e tengo per fermo clic habbia da essere di grandissima so- disfazione a quelli elio sinceramente desiderano saper©. Quanto ai contradittori, non voglio dire altro, solo quello che dice il Copernico: Illos nihil moror, (ideo ut etiam iudicium iUorum , tanquam temerari uni, eontemnam ; e V. S. devo con alto animo fare l’istesso: o sono sicuro che chi scriverà contro a questa opera 30 offenderà sò medesimo e non V. S., perchè si dichiarane o maligno o igno¬ rante o ambedua. Io continuarò, questo poco di vita che mi resta, a studiare questo libro solo, e da questo solo spero quel sollevamento e consolazione elio si può cavare dalla considerazione delle meraviglie di I >io nel cielo e nella terra. E li fo humilissima riverenza, supplicandola a ricordarmi schiavo in ca¬ tena del Ser. mo Gran Duca, di Madama Ser. mm mia Signora, e del Ser." 10 Sig. r Principe D. L. 01 Roma, il 29 di Maggio 1632. Di V. S. molto Ill. r ® Mons. r Ciampoli continova a servire nella sua carica, e non ci è novità nessuna più di ciucilo di prima; e Monsignore si porta egregiamente, sti¬ mando i padroni come deve, e ridendosi delle cose di queste mondo come meritano Devotiss." IIinnil. rBO e Oblig. m ® Ser. r * e Di».* 0 Don Renedetto Castelli. Fuori , d'altra mano: Al molt , Ill. r '* Sig. r * e P.ron mio Col. m0 11 Sig. re Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Fiorenza. (l ' I.OKKNZO Dk'MKbICl. «*> Cfr n.« SZtttf. lui. 88. [2276-2277] 18 — 19 GIUGNO 1G32. 359 2276 *. NICCOLO FABRI DI PE1RESC a [GIUSEPPE GAULTIER iu Aix]. Bcaugeutier, 18 giugno 1032. Bibl. Nazionale in Parigi. Forni francate, u.° 9531, Pcircsc Mathematica, car. 190. — Autografa. .... Mons. r NaudóW m’oscript ilo Rome que le livre ile Galilée estoit aelievó d’imprimer, mais qu’il n’y en avoit encorea qu’un exemplaire eutre les rnains de l’Amb. p de Toscane; et un honneste homme de Marseille m’a voulu asseurer qu’il en avoit eat.ó envoyé ung exemplaire à Monsieur Deodati, auquel caa je no doubto point qu’il ne voua l’aye incon¬ ti naut faict voir et a Mona. 1 ' Gassendy. La nouvollo pesto de Ligourne, qui a interrompu le commerce de ceste province de ce coste li, est cause quo nous ne l’avons point eu si tost; mais on nous le faict pourtnnt. esperer de jonr à uutre.... 2277 . BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 19 giugno 1032. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 219-220. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111. 1 ' 0 S. ro c P.ron mio Col." 10 Ilo fatta consegnar in man propria la lettera al S. ro Gio. Mancini, qual risponderà, a V. S. molt’ lll. ru Continuo a leggere i Dialoghi c rileggerli, e sempre più mi piacciono e più mi muovono a meraviglia. Mi pare d’haver osservato che la luna intorno alle congiuntioni si mostri assai maggiore di diametro, considerata la grandezza del suo disco in riguardo alla parte illuminata; maggiore, dico, del diametro preso in relatione della parte non illuminata da’ raggi del sole ; e questo eccesso mi pare tanto grande, che senza scrupolo si può affermare che ancora la luna, io illustrata dal sole, mostra la irradiatione avventitia non meno de gl’ altri pia¬ neti. Nel sole è vero clic non si può fare osservatione evidente al senso di questa appendice radiosa, ma con tutto ciò la ragione mi persuade ohe il sole la faccia al pari delle stelle fisse. lo godo spesso la conversatione d’un Sig. ro Rafael Masotti (5> da Monte Varchi c di un Sig. l ' e Evangelista Torricelli da Imola, amendue eruditissimi di geometria et astronomia, già, messi da me per la buona strada. Questi ben spesso mi vengano a ritrovare, c si leggono i Dialoghi con tant’ applauso della dottrina, < l > Gauuikle NaLDÉ. Gl liiVFARI.I.O MAUIOTTI. 360 19 GIUGNO ir,32, [2277-2278] de i concetti, della lingua o della spiegatura, che scitene meritano molto più, so elio V. S. non la potrebbe desiderar maggiore. 11 Padre Scbeiner, ritrovandosi in una libraria dove un tal Padre Oli votano* 0 , 20 venuto di Siena a’ giorni passati, si ritrovava, 0 sentendo che il Padre Olivetano dava le meritate lodi a i Dialoghi, celebrandoli per il maggioro libro che lusso mai uscito in luce, si commosse tutto con mutatione di colore in viso e con un tremore grandissimo nella vita et nelle mani, in modo che il libraio, quale mi ha raccontata 1* istoria, restò meravigliato ; e mi disse di più che il detto Padre Schieiner haveva detto, elio Laverebbe pagato un di questi libri dieci scudi d’oro por poter rispondere subbito subbito. Molti qua desiderano di veder li Dialoghi, non solo in Roma, ma mi vien scritto di fuori, di Venetia e di Perugia in particolare ; e Mona” Ciampoli no¬ stro prega V. S. a mandargline uno sciolto, con involtarlo serrando lo invoglio 30 con fil di rame, che non ci sarà difficoltà, scrivendo sopra: libro sciolto , senta spano. Di grazia, non manchi. Io starò aspettando la mia parte almeno di un paro di copie, che credo che mi basteranno per il tempo di vita mia, facendo pensiero di frequentarne la lettura in modo che io me ne faccia padrone. Son restato sodiafattissimo del flusso e reflusso. Le appendici mi sono parse mera¬ vigliosissimo, nobilmente spiegato 0 chiarissimamente rappresentate. Io Laverei desiderato che V. S. havesse dato fuori il secreto della longitudine, perchè du¬ bito do’ ladri. Credo però che Pbabbi ritenuto appresso di sè per degni rispetti. Foni si potrebbe nell’uggionte, che lei farò, toccare il testimonio falso de i mo¬ vimenti irregolari in apparenza de i Pianeti Medicei: però mi rimetto totalmente io in lei, facendoli humilissima riverenza. Di Roma, li 19 Giug.° 1G32. Di V. S. molt’ III.™ Devoti». 0 Oblig."* Ser. r “ 0 Dis.' 0 Don Ben ed. 0 Castelli. 2278 *. FRANCESCO STELLUTI ti GALILEO in Firenze. Roma, 19 giugno 1632. JBibl. Naz. Flx. M*«. Gal., P. TI, T. XI. cw. 217. - Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r mio e P.ron Oss. mo È un pezzo eh’ io non ho scritto a V. S., aspettando di giorno in giorno di poter darle qualche avviso della nostra Accademia e di quanto si disegnava di fare per l’elezzione del nuovo principe; ma vedendo questo negotio andare tanto 0) YnìCkJtzio Ukmkki, ✓ 19 GIUGNO 1632. 361 [2278] alla lunga, per le tante occupationi dell’Emin. mo Sig. p Card. Barberino 0 ’, e per non poter io essere cosi spesso come vorrei a Palazzo, per ciò ricordare a S. Em. za , come ha detto che si faccia, che perciò ce ne stiamo ancora cosi senza capo, ho risoluto di scriverle per rallegrarmi con V. S. che finalmente stampò il suo libro e publicò con molto applauso di chi conosce il vero. A me io disse primieramente io il Sig. r Cavai.'' del Pozzo, perché 1’ haveva veduto in mano dell’Em." 10 Sig. r Card. Barberino, c poi P intesi dal Padre D. Benedetto Castelli, il quale non sa trovar line a lodarlo ; e perché mi disse haverlo in casa, v’ andai con molta ansietà per vederlo ; ma lo vidi solamente, chè non potei trattenermi molto, perché, essendo gravemente inferma la Sig. rft Duchessa mia Signora 0 ’ et con pericolo di morte, non potei trattenermi lungo tempo fuori di casa : e poi aspetterò di leggerlo con commodità et attentamente per hen intenderlo o gustarlo, chè non ò libro da trapassarlo con una semplice lezione e così alla sfuggita. Il Sig. r Ab¬ bate Ruberto Strozzi, che venne qui le leste di Pasqua di Resurrezione, mi disse parimente che detto libro era già uscito alle stampe, e che se havessc saputo il 20 mio desiderio me n’ haverebbe portato uno ; ma bisognarà eli’ io m* Labbia pa- cienza finché s’aprano li passi, se prima altra occasione non mi viene. La detta intimità della Sig. rft Duchessa, la quale poi s’ò terminata in bene, essendo hormai due giorni che si trova senza febre, ha cagionato che non habbia messo le mani per finire la stampa del libro Messicano 05 ; ma hormai vedrò di farlo quanto prima. Speravo haver qualche aiuto dal nostro Sig. r Fabio Colonna per quello tavole del nostro Sig. r Principe, b. ni. ; ma esso ancora sta malissimo, travagliandolo alcune ulcere che gli van per la vita, clic gli danno grandissimi dolori : e ne temo di lui, perchè son hormai 3 settimane clic non ho ricevuto sue lettere. 30 Ho inteso che V. S. ha altre cose da stampare, che me ne son rallegrato assai. È bene di publicarlc e di non lasciare le sue fatiche nelle cartucce, come ha fatto il Sig. r Principe nostro, che Dio sa se se ne potrà mai ricapare cosa alcuna o in che mani anderanno, non potendo cessare di dolermi per tanta per¬ dita che si è fatta. Altro non aggiungerò : V. S. si conservi e mi comandi, e le bacio per fine affettuosamente le mani. Di Roma, li 19 di Giugno 1632. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ser. r Aff. mo o Vero Frane. 0 Btelluti L.° Fuori: Al molto 111.™ et Ecc."'° Sig. r mio o P.ron Oss." 10 40 11 Sig. p Galileo Galilei, Line. 0 Fiorenza. O* Francesco Barhrrini. Ofr. u.° ÒSI. i*) Isabella Salviati, vodova ili Federico Cesi. 40 xiv 362 3 LUGLIO 1632. 12279] 2279 . FULGENZIO MICANZiO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 3 in filo Blbl. Naa. Fir. Ms«. Gai., P. VI, T. XI, ctr. 221. — Auto»nfe. Molt’ Ill. ra et Ecc ®° Sig. r , Sig. r Col.® 0 Coppo la ricevuta delle gratissimo lettere di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. ma non mi sono trovato coll’Eco.® 0 Sig. r l*roc. r Venier per trattare del ritratto 10 . Il libro mandatomi da V. S., doppo scorso apena e divorato, mi fu levato di mano, et ò andato sempre qua o là; et hoggi, ohe l’ho ricuperato coll’insolentia, mi conviene mandarlo a Verona all’111.'" 0 Sig. r Comissario Antonino 10 , uno de’pifl habili sogotti di questo Stato o elio honora et ammira V. S. sopra tutti li lette¬ rati di questa età, e elio dice non liaver ancora incontrato altro filosofo che lei. So che sono stati ricercati molti de’ suoi libri, onde non dubbito che lo stampa¬ tore non sia per trasmetterne di qua. Quanto alla materia, nell’ idoa generale io fatta in quella affrettata lettura, io non credo che l’invidia o malignità sia per ritrovarci che dire, salvo nelle parti che non intenderà : ma ella ha data tal luco alle cose più abstruso, che non so che resti da desiderare, et ha cavato fuori cose tanto peregrine, che gl’intelletti non depravati haverano che ammirare. A me pare un’hora miU’anni di vedere gl’altri due dialoghi, persuaso che in quelli Laveremo parte delle cose promesse circa il moto de’ naturali o de’ progetti. Io m’incanto intorno a questi, e vorrei veder fatta quest’ opera da lei, chò certis¬ simamente non può sperarsi da altri; di che ci può chiarir il tempo andato, nel quale io vorrei sapere da questi nostri Peripatetici che cosa sapiamo del moto, fuori che parole gratianiche e pedantesche. 20 Tra tutte lo cose che m’ empiono lo spirito, ò quella che V. S. ha portata del moto per la perpendicolare e per l’inclinata, elio li mobili acquistano col passar per tutti li gradi di celerità uguale, e che in ogni grado acquistato, so continuasse il moto con quello, farebbe, nel tempo che si è mosso, di punto il doppio. Santo Pio, che speculatone divina è questa, e come ingegno altro elio del divino Galilei ha potuto trovar osservationi per conoscerlo e mezo per dimo¬ strarlo, perché sono fuori di dubbio che dove liaver l’uno e 1’ altro ! Che mi si trovi in tutto Aristotile cosa che vaglia tanto ! E quell’ altro, del moto retto de’ pianeti per naturalmente conseguire la velocità c’ bora possedono nel circo¬ li Cfr. u.» S267. <*» At.ro.N3o Antoni»!. 3 — 14 LUGLIO 1632. 363 [2270-2280] so laro, non è olla singolare ! o tante altre. La lucidezza puoi con che vengono spie¬ gati li punti che parevano impercettibili, chi non la dove ammirare ! Io sto con ansietà inesplicabile ad aspettar che V. S. arrichisca li studii Immani di questi reconditi thesori, al che piaccia a Dio conservarla in sanità e prosperità; e le bacio lo mani. Ven. a , 3 Luglio 1682. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma S. r Galileo. Devotiss. 0 e Parti alias.® F. Fulgentio, 2280 * ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Pavia, 14 luglio 1632. Bibl. Est. in Modcnn. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXYIII, u.° 161. — Autografa. Molt* Ill.ro s.r Ecc. mo , S. r mio Col. m0 Tanto longo silenzio so che non mi Laverà fatto cancellare dalla sua me¬ moria: sono quell’antico di sempre, servitore suo. Stando in Genova questi giorni, Yiddi il suo libro dei Dialogi del sistema; e perchè sono venuto in Lombardia da tre mesi in qua, ho procurato di Lavarne uno, e trovandomi in Pavia quieto, P ho scorso tutto con mia grandissima sodisfattione : di che, con più comodo di scrivere. Vi è un libraro qua che ne piglieria una partita; mi è parso bene di avvisarlo a V. S., perchè saranno sino a 50 copie, et io le farei pagar costì il denaro alla consegna. Si degni di avvisarmi il prezzo, io Ilo stimato con quest’occasione incontrar qualche servitio di V. S.: se così è, l’intenderò con gusto, c che voglia comandarmi. Credo fermarmi qua sino a’freschi, poi tirarmi a Roma: ovunque sarò, la servirò. Et le bacio le mani. Pavia, 14 Luglio 1G32. Metta sopra le lettere: a S. Maiolo. Scrivo alla semplice, perchè aprono li pieghi a’iazaretti. La risposta l’invii a Lucca al Sig. Agostino Santini. Di V. S. molto Ill.ro et Ecc. ,na Ser. ro Oblig. mo D. Antonio Santini. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r mio Col. m ° 20 II S. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 364 17 — 24 LUGLIO 1632. [2281-2882] 2281 . FULGENZIO MIC ANZIO n GALILEO [in Firenze]. Y«nella, 17 luglio 1698. Bibl. Noe. Flr. Ma*, dal., F. VI. T. XI. car. 222. — Autografa. Molt’Ill.™ et Ecc.®° Sig. r , Sig. r Col."® L’I1I.“° Sig. r ComÌ88&rio Alfonso Antonino ù di que’ingegni che la natura non produce se non in centurie d’anni: colmo d’eruditione, ma tanto pespicace nelle cose naturali, che è stupore. Mi pare un di que’degni interlocutori di V. S. molto 111.™ et Eco.®* M’è convenuto mandarli il libro di V.S. prima di rilegerlo. Me ne scrive questa lettera che mando, aciò vegga la stima eh’e’fa et ò per fare quando VLabbia divorato e puoi ruminato. Prenda V. S. corrnggio: dia agl’huomini che meritano nome di filosofi questa, felicità. Il mio godimento è tale, che so fossi astretto ad essere privato o del solo libro di V. S. o di tutti gl’altri elio trattano di scienze, testar J)ewn che eleggerei più tosto rimaner con questo solo; io e non ho per huoino di senso nelle cose naturali chi havesse altro senso. Ma che sarà puoi, quando V.S. negl’altri Dialoghi Labbia esplicato l’altro sue maraviglie? Ella Laverà conseguito appresso gl’Luomini da Lene quel punto al quale nissuno è arrivato, et cLe io in tanti anni Lo sicuramente tenuto o che non fosse attin¬ gibile o elio fosse riservato al solo Sig. r Galileo. L’età nostra ha havuta la spe¬ culatone della magnete, che nel Gilberto ho stimata cosa rilevantissima, e veduto con nausea ch’alcuni filosofastri se ne ridessero come d’un ingegno confinato in un sasso. Lo sistema Copernicano, a dir il vero, in Italia che stima haveva? Ma V.S. ha dato l’anima, e, quello che importa, svelato il seno alla natura. Dio la conservi, come instantemente Lo prego ; o le bacio le mani. 20 Ven.*, 17 Luglio 1632. I)i V. S. molto 111.» et Eec. m * Dev. ra ® et Oblig. mo Sor.™ Ecc. mo Galileo. F. Fulgentio. 2282 . ALFONSO ANTONINI a [GALILEO in Firme]. Verona, 24 luglio 1032. Bibl. Naz. Flr. Msb. Gal., V. I, T. X. car. 35. - Autografa. Molto III.™ et Ecc. mo Sig. r mio Ose." 0 Ilo preso cosi gran piacere e goduto tanto dalla lettura dei Dialoghi di V. S. Ecc. m ‘, che per intiera dimostratione di gratitudine, stimando che non possa 24 LUGLIO 1632. 365 [2282-2283] bastare nò l’interna osservanza verso di loi nò il congiungere la mia voce con quello di tutta Europa nelle sue lodi, mi ò parso d’essere obligato a farne ate- statione anco a lei medesima. Lo speculationi sono le più alto e le più degne che siano in natura, o tanto più degne delle Pitagoriche e dello Copernicane, quanto queste sono dimostrate da lei con ragioni più sensate e più ciliare, et portano una aggiunta di cose meravigliose, non vedute da loro nò da altri mai. Ilo sempre io osservato la sua incomparabile virtù con particolare e doppio afelio, perchè ri¬ masi herede anco di quel del Sigi Daniello, mio fratello. Non le ho mai scritto, perchè io non scrivo ad alcuno; anzi pure le ho scritto giù mentre io era nei Paesi Bassi 0) , c le scrivo bora perchè la stimo sovra tutti gli lmomini. Il viaggio ch’io feci a Fiorenza alcuni anni sono per vederla, mi ha lasciato un desiderio ardente di ritornare quanto prima io possa bavero un poco di pausa dal servizio di questi Signori, nel quale io sono impiegato. Il Padre Maestro Fui- geniio dei Servi mi ha fatto il favore di parteciparmi il libro, con mio gran- d’ohligo. Sto con aspcttationo impaciente degli altri, clic, se non gli haverò prima, penso di venir a ricovero dalla sua mano; la quale io le bacio con pieno afetto 20 e con molto desiderio di poterle dimostrare, con altro olio con la penna, la cono¬ scenza che tengo, od in conseguente la stima che faccio, del suo gran merito. I)i Verona, li 24 Luglio 1632. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ,na Ser.™ Aff. n, ° Alfonso Antonini, Cornisi Generale della Cav. ria 2283 **. FILIPPO MAN NUOCI a [GAI.ILEO in Firenze]. Venezia, 24 luglio 1032. Bibl. NTaz. Fir. Msb. Uni.. P. I, T. X, car. 37. — Autografo la firma e lo parolo « o Comp. ro », elio iinmo- di&tiuuouto la procedono. Molto 111.™ et Ecc. m0 S. r Oss. mo Devo risponder alla gratissima di V. S. de’0 stante e ringratiarla dell’honor che mi ha fatto nel favorirmi del libro de’ sua Dialoghi, perchè le sue opere le stimo come gioie pregiatissime, sia perchè così in sè stesse mentono, come anco per l’amor et affettane che porto a tutto quel che da lei depende. Mi dispiace bene, liaver inteso che il Sig. r Michel Agnolo 10 se ne andassi in Paradiso, il che non ho mai saputo se non adesso; c l’ultima volta che lo veddi fu a questa istessa tavola ove fo scrivere, chè nell’andar in Baviera mi favori venir a desi- l» (Jfr. nn.i 1838. 1810. I ? > Miohbi.angklo Galilei 366 24 LUGLIO - 5 AGOSTO 1632. 1.2283-2284] nar meco 10 : o so V. S. comanderà, ch’io cerchi d’intender qualcosa della sua famiglia in questi travagli, barò modo di poterlo faro, tanto più prosperando io adesso li affari imperiali e dell’istesso Duca contro il He di Sveti a. M’allegro infinitamente della sua prosperità e sanità : prosperila il Signor Idio felicemente per molt’anni. Spero che se anch’io potessi villeggiar in Arco- tri, sarei più giovano, nò conterei li anni. Con questa sarà un poco di tamaro, perchè l’impedimento do’ sospetti a’ passi impedisco il mandarne più quantità, La ricetta è questa: Finocchio ; / Coriandoli ; l Savorezza; 1 parti eguali, tutto posto et incorporato. Alcuni vi Erba maggiorana, overo J aggiungono un poco di cornino. 20 persa ; Anisi. ' Le fo li umilissima riverenza, con baciarle lo mani. Di Yen.*, li 24 Luglio 1632. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ,n * Devotiss." 10 Scr.™ e Comp." Filippo Mannuoci. 2284. TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO in Firenze. Roma, 5 agosto 1R32. Blbl. Nftz. Fir. Mai. G*l., P. VI, T. XI. c*r. 124-225. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. mo Sig.™ Ilo ricevuto i Dialoghi di V. S. Ecc. ra * dal Sig. T Magalotti (t) nel mese di Lu¬ glio, secondo V. S. m’havea predetto a’17 di Maggio, ot non li scrissi subito perchè mi parse meglio leggerli prima. Ognun fa la parte sua mirabilmente; c Simplicio par il trastullo di questa comedia filosofica, ch’insieme mostra la scioc¬ chezza della sua setta, il parlare, e l’instabilità, e l’ostinatione, e quanto ci va. Certo che non liavemo a invidiar I’iatono. Salviati è un gran Socrate, che fa parturiro più elio non parturisce, ot Sagredo un libero ingegno, che senza esser adulterato nelle scole giudica di tutto con molta sagacitù. Tutte lo cose mi son piacciute, o vedo quanto è più forzoso il suo argomentare di quel di Copernico, io se ben quello è fondamentale. È riuscito secondo io desiderai quando li scrissi da Napoli, che mettesse questa dottrina in dialogo per assicurarsi da tutti (S, etc. \ ero è cho qui non si trattano cose da me desideratissime, com’ è l’anomalio del- l’obliquità et escentricità, et le nove apparenze et esorbitanze toccate da Pla¬ tone no’ secoli antichi, ma di altra materia che ne’ moderni da Copernico, nè Cfr. n.® 1857. <*i Filippo Magalotti. <*» Cfr. n.® 460, Un. 44-48 « 84-86. 5 AGOSTO 1632. 367 [2284] degli apogoi e perigei et latitudini mutato, et dell’ immutabilità delle distanze tra di loro e mutabilità da’tropici c dal zodiaco, e molto altre cose ch’io stimo inarrivabili, mentre V. S. le tace, e le cose eli’ io li dimandai nella prima epi¬ stola, letto il Nunzio Sidereo 10 . 20 Circa il movimento del mare, non in tutto son per adesso con V. S., seben è assai meglio scritto che non mi fu riferito d’amici che non seppero ri¬ sponder a gli argomenti, e col tempo n* avviserò V. S. Si dolorà grandemente Apelle (1) di questo libro, et indivinò, parlando meco, che V. S. havea di puntarlo : perchè lui a ogni modo vorrebbe esser l’autor delle Macchie, e m’allega molte epistole di quel tempo a suo favore. M’ha dato da principio il suo libro 135 , ma sondo tedioso il suo scrivere, non posso dir d’haverlo ben letto etc. Mi piace assai che quelli che si faceano autori delle propositioni di questo libro di V. S., o dicendo io eli’erano degli antichi Pitagorici e Democratici e di V. S., mi rispondean che non 1’ han visti, nè quel che in Aristotile, Platone, Ga¬ so leno e Plutarco si legge, e eli’ era loro inventione, adesso son chiariti c nell’Aca- demie noti, so ben tra’letterati plebei si fanno spantosi con riferirle, lungo da noi, come proprie. Desidero che V. S. metta presto a luce quell’ opusculo de’ movimenti, perchè odoro da quel che qui dice grandi utilità al filosofare. Io difendo contra tutti come questo libro è in favor del decreto cantra mo- tim Telluris etc., perchè qualche litteratello non perturbasse il corso di questa dottrina: ma i miei discepoli sano il misterio. Io oso a dire, che se stessimo insieme in villa per un anno, s’aggiusteriano gran cose; e benché V. S. sola è bastante, io mi conosco utile, giunto a lei, e farei molte dubitationi, non peripa- ■ìo tetiche nè volgari, circa i primi decreti della filosofia. Dio non vuole : sia lodato. Queste novità di verità antiche, di novi mondi, nove stelle, novi sistemi, nove nationi etc., son principio di secol novo. Faccia presto Chi guida il tutto: noi per la particella nostra assecondarne. Amen. Resto pregando Dio per la vita di V. S., sia lunghissima a prò del vero e del bene universale. Amen. Roma, 5 Ago. 1632. Fra Thom.° Campanella, vero amico e servo delle sue virtù splendentissime. Fuori , d'altra mano: Al molt’lll.™ et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo oo II Sig. r G. Galilei, Filosofo et Matematico primario del Gran Duca di Tose.® Firenze. Lett. 2284. 17. da' (ropieici — Ut Cfr. n.o 4G0. <*> Intendi, CmaTUKOBO Scueisku. t 3 ' Cfr. u.° 87G. 368 7 AGOSTO 1G32. ( 2886 ] 2285. FILIPPO MAGALOTTI a MARIO GUIDUCCI (in Firenze]. Ruma, 7 ugonto 11)3*. Blbl. Nas. Plr. Mm. Hai.. P. I, T. XV, par. 7*-77. — Aut/.»rafa. Sul di fuori.ai di mano di Qaumw: S. Fil.° Magalotti al S. Mario (ìuiducci. 111.®" Sig. r mio Om. m Quantunque io potessi con molte ragioni persuadere a V. S. elio di poco mi eon la¬ sciato prevenire dalla sua cortesia, perchè di già aveva deliberato di reverirla e insieme ciarle avviso di quanto ora a mia notizia in proposito del libro del S. r Galileo e della novità occorsa per conto di esso, voglio in ogni modo astenermene, conoscendolo su per¬ itilo con la sua gentilezza, o confidando che, non avendo io soorto prima la necessità di scrivere sopra questo negozio, avendolo sin ad ora differito, non abbia fatto mancamento. Ringraziando per tanto in prima lei del favore fattomi nell'eccesso di questi caldi, vengo a dirli, per rispondere in parto a quanto olla desidera, che ella favorisca di ritrovarsi col S. r Miglior Guadagni, e si faccia mostrare, se egli la conserva, una mia lettera che 10 gli scrissi quindici giorni sono, nella quale, oltre ad alcuni nitri particolari, gli narrai diffusamente tutto quello che orami occorso per conto di questo benedetto libro col Pa¬ dre Uev. mo del Sacro Palazzo sino a quel giorno, che io non lo replico per la lunghezza; e credo clic quello sodisfarà in grandissima parte al desiderio di V. S. e forse del S. r Ga¬ lileo e degli altri amici suoi, purché io sia Pautoro dell’avviso con quella circospczione e cautela che parrà alla prudenza di V. 8. La settimana passata io non Bcrissi di vantaggio, perchè non sentendo cosa di su- stanza, ma solo le voci che aveva sentito da principio, cioè che si faceva qualche relles- sione sopra il detto libro per correggerlo o so»penderlo, o forse proibirlo, per ciò non «o vedendo succeder niente, non me nc pigliava altro pensiero, sapendo che dette voci usci- 20 vano per lo più da gente o poco ben affette all'autore o del tutto ignoranti e semplici. L’effetto si è stato poi, clic lunedi mattina, ritrovandomi io in S. Giovanni de’Fiorentini, dove era la festa de i Cavalieri di S. Stefano, venne a posta a cercarmi in dotto luogo, dove gli era stato detto che io era, il Padre Maestro sopradetto; il quale mi significò che arebbo voluto che io gli restituissi tutti quei libri dei Dialoghi del S. r Galileo che io aveva portato di Fiorenza, che mi prometteva di ristituirmegli al più lungo doppo dieci giorni in ogni maniera. Io risposi a S. S. m Rev."* che mi dispiaceva infinitamente non poter fare elio egli restassi servito, perchè di 8 elio io ne aveva portati, cioè cinque datimi dall’istesso S. r Galileo, destinati e presentati già, come egli ben sapeva, uno al- rEni. m ° S. r Card. 1 ’ Barberino Padrone, uno a lui medesimo, un altro al S. r Ambasciatore 30 di Toscana, gl’altri duo, a Mona/ Ciampoli e al Padre Campanella, gli altri tre a Mons. r Serristori *>, elio è della Congregazione del S. 10 Ufizio, al Padre Leon Santi Giesuita, l‘i Lodovico SmuitioRi. 7 AGOSTO 1632. 3C9 [2285] di tutti questi, dico, non era in mia potestà ripetergli e riavergli dalle persone alle quali di già erano stati consegnati; e quanto all’ultimo per me proprio, era in mano del S. r Gi¬ rolamo Deti, Maestro di Camera dell’Ecc."' 0 S. r Principe Prefetto' 1 !, che anco non ero si¬ curo elio non fosse servito o non servisse per S. E. Conobbe molto Lene che da me non poteva in questo particolare aver sodisfazioue, o che al più al più non poteva far capi¬ tale clic del suo proprio, di quello di Mons. r Semafori o del mio, quando io Pavesai po¬ tuto riavere; e per questa difficultà mi mostrò senso particolare, proccurando di persua¬ do dermi che tali diligenze si facevano per maggior servizio dell’opera o dell'autore: ondo 10 presi occasiono d’interrogarlo, perchè si facesse ora cosi diligente perquisizione d’aver questi libri, mentre io era sicurissimo che so si fosso scritto all’autore, c significatogli per qualunque cagione il sentimento dei superiori, egli arobbo indovinato por obbedire, o elio avendo ricevuto grazia dalla San.** di N.S. r0 e dalla Sacra Congregazione di potere stampare la sua opera, come si vedeva dalla facilità datagli da lui medesimo c registrata nell’opera istessa, non era da eroderò che, per gratitudine, non avesse corrisposto in darò tutte le sodi- efazioni possibili, giusto c convenienti. Da questo trapassai a diro, e tirai come di pratica, che credeva di già che no avessero scritto qualche cosa costà: a che egli mi rispose di sì, senza specificare nò che nò corno, o questo perchè, come credo che olla ben sappia, non 50 si può, sotto pena delle più gravi censuro, rivelare alcuna, benché minima, delle resolu¬ zioni che si pigliano nel S.*° Ufizio ; ma solo soggiunse che s’era scritto e ordinato per¬ chè fosse trattato piaccvolissiniamento, elio non vi era altro fino elio la gloria d’iddio o la tranquillità della Chiesa, senza vermi desiderio di scapito della reputazione dell’autore, 11 quale egli riteneva per un de’ maggiori amici elio avessi. Da questo passò a farmi un altro motivo, il quale io mi vergognerei, per reputazione sua e di chi n’è stato l’inventore, so io non sapessi clic posso parlare con ogni libertà o confidenza, a discorrerne. Questo fu che, con molta segretezza, mi significò che era stata fatta molta reflessione sopra l’impresa, che io credo che sia nel frontespizio del libro, so male non mi ricordo (dico questo, perchè non ci ho fatto mai molta reflessiono ancor io, f>0 e di presente non ho il libro appresso di me); e sono, s’io non m’inganno, quei tre del¬ fini, elio l’uno tiene in bocca la coda dell’altro, con non so che motto'*!. A questo non potetti tenermi di non ridere o far atti di maraviglia, perchè io credevo di poter assi¬ curare che il S. r Galileo non pensava a queste bassezze e minuzie, con le quali volesso coprirò gran misteri, avendo detto le cose assai chiare; e credevo risolutamente poter affermare che fosse dello stampatore. A questo dimostrò grandissimo contento, o ini ag¬ giunse elio se io l’assicurava di tale cosa (guardi V. S. che cosa in quosto mondo regola le nostro azioni), poteva resultarne benefizio grandissimo all’autore. A me pareva d’aver non so che poco di libretto, elio ò quello della preservazione dalla pesto del medico Por¬ toghese lS) , dove credevo elio fosso il modo da potersi chiarire; egli promessi di raaudar- 70 gliene subito. Non voleva, ma diceva che gli Laudava la mia attestazione, corno parola di gentiluomo. Risposi, che quando non fosse stato il riscontro in detto libro, come vera¬ ci Tadoro IUrbkrini. dì Castro, l’ortughoso, Lottoro in Pisa o Consultore (3 ' Cfr. Voi. VII, pag. 25. doll’lllustrlss. Magistr. (lolla Sanità di Fireuze. Al l 3 ' Compendio d'avvertimenti per preservazione e Serenissimo I’rincipo Don Lorenzo di Toscana. In attrazione della pente del Signor Stf.pano Roniuuunz Fireuze, por Gio. Batista Landini, 1030. XIV. 47 370 7 AG08T0 1632. [*2851 niente non vi ò (t ', se bene è stampato dal Landini, che m'obbligavo a farne venire di Fi¬ renze sufficienti chiarezze; che da lui lu accettato con molto gusto. Ora il negozio è qui, o quanto a me non erodo elio ci aia Htato altro motivo che quello che ho scritto in detta lettera al S. r Migliore, cioè che si dolga qua il Maestro del Sacro Falazzo ohe non sia stato stampato costà il libro come stava giusto l’originale, o che, tra l’altro, manchino nel lino duo o tx-e argumonti inventati propriamente dalla S. u di N. S. ro , con i quali pretonde aver convinto il S. f Galileo e dichiarata falsa la posiziono del Copernico; che perciò, essendo capitata in mimo di S. S. u l’opera o vedutala manche¬ vole, era necessario porvi rimedio. Questa ò la coperta; ma la Bastanza debba essere che 80 i PP. Giesuiti deono sotto ninno lavorar gagliardissimamente perchè l’opera sia proibita, che questo me l’ha detto egli medesimo con queste parole: 1 Giesuiti lo perseguiteranno acerbissimamente. E perchè questo buon Padre si trova assai imbarcato e ingolfato nello speranze, temo di qual si voglia ostacolo, non che di questo, che è grandissimo, o vuole sfug¬ gir la nota nella quale possa essere incorso per aver conce» no che si stampi ; oltre che non si può negare olio la S. u di N. S. r# non sia d'oppinione assolutamente contraria. Questo è il fatto, che sin ora e penetrato a’miei orecchi, di costà si ò mancato, non stampando il libro corno di qua se ne era data la licenza, io non so che dirmi; so non vi ò mancamento, sarà facilissima cosa a giusti bearlo, e giustificatolo, al corto che il negozio non passerà più oltre: obè qua non posso credere che abbiano a sospendere o 90 proibire un libro, del quale essi ne abbino tre anni innanzi dato la licenza. Ora io non bou buono nò saprei dar consiglio; ma so avessi a dir il mio sentimento, stimerei che, quando non bì fosse fatto mancamento nel libro, ma stesse giusto come di qua fu mandato c licen¬ ziato, che fosso commesso, d’ordine di S. A., al .Sig. r Ambasciatore che facesse risentimento col Padre Maestro, e poi con ogni piacevolezza se ne trattasse col S. r Card. 1 * Barberino, che stimo che sia benissimo affetto all’autore o faccia grande stima dell’opera, nè persila natura è per concorrere a reaoluzione alcuna precipitosa, se non quando scorgesse che non vi fosso più rimedio, e ciò per non disgustare. Se per sorte fosse stato inavvertentemente lasciato qualche cosa, e particolarmente dell'accennate, non vi faccino alcuna difficoltà, s’otferischino pronti a aggiugnere, levare e mutare, chè qua basta saivaio l’apparenza. Tra 100 tanto V’. S. non lasci di mandarmi qniinto prima qualche piccolo libretto, so ben fosse un lunario, ove sia l’impresa del Landini, elio io lo farò subito vedere; e avvertimi, se è possi¬ bile, a averne di quelli che sitino stampati avanti a detto libro, per maggior autenticazione: e so questo non potesse essere, facci fare una fede da più gentiluomini, e forse sarà meglio dal Consolo dall’Accademia, che credo sia il S. r Tommaso Rinuccini, conio questa è la verità. Nel resto io non 1 escerti diligenza opportuna por intendere quanto passa e servire il S. r Galiloo, dove possa riuscire il farlo con frutto. È ben vero che lo coso passano segre¬ tissime, per esser negozio della Congregazione del o.‘° UTizio; chè se fosse quella dell’Indice, ureimno un poco più agevolezza, al meno per super quanto passa. A questo proposito dicolo ancora, che ben presto credo saranno proibiti i Discorsi d’Aumdio Niecollucci w , chè 110 *** l’or verità, nel frontespizio dell'opera «tallii quale abbiamo superiormente riprodotto il titolo, ò la impresa del Landini, eguale a quella che si vedo uol froutospizio del Dialogo dri Mattimi .Suina*. **’ Dt diieorti politici t militari libri tre, sciolti fra gravissimi scrittori da Amadio Nucou.i’cci To¬ scano. Consacrati al Clarisaiuio Sig.** il Signor Ago¬ stino Itole*», Segretario dall'Kccelao Coniglio di Pieci, lu V sue Ila, MbCXXX, presso Marco Uiuuuiuii. 7-14 AGOSTO 1032. [2285-2280] 371 sin ora non si sono accorti che quello sia un nome stravolto (, \ quantunque ognun vegga elio son riformati e ricorretti da tutto quello ohe potesse apportare Beandolo. So che non occorro ricordare a V. S. di procedere cautelatamento, con non mi faro autore di quanto da me vion significato, porche io desidero di servire a ogni persona, o al S. r Galileo principalmonte, elio tanto merita, ma V. S. sa molto bene in che obbligo sia la casa mia, o con quanta circospczione si dova parlare dello risoluzioni do’padroni in materie sì importanti. Anzi aveva pregato il S. r Migliore, che se da altra parte non sentiva cos’alenila, mi favorisse di tacere; se avesse sentito narrare diversamente, potessi dire il fatto come stava, e so no astenesse ancora per non disgustare il S. r Galileo. 11 1-0 Padre 1). Benedetto va anch’egli molto cautelato, e si deve fare tanto più, oltre al gusto do’padroni, quanto queste sorte di noto, ancorché imposto addosso ad alcuno senza ra¬ giono, sono di pessima qualità in ogni luogo, ma particolarmente in questo, che per lo più so no va preso allo grida. Scusi Y. S. la mia debolezza, o attribuisca il tutto a so¬ verchio desiderio di ben servire agli amici; o al S. r Galileo potrà dire quanto piacerà a lei c quello clic creda possa esser suo sorvizio, senza disgustarlo e levargli l’animo di proseguir più oltre lo cominciato fai ielle. Io non gli scrivo per minor sua briga. Basterà clic ella, in vedendolo, mi favorisca di rieordarmogli servitore, e gli facci attestazione della mia pronta e devota volontà. Scrivo due vorsi al S. r Migliore, porche faccia vedorc a V. S. quella lettera, e io ora mai finisco per non tediarla di vantaggio, avendo pieno 130 un foglio e mezzo di chiacchiere. M'informerò corno si dova contenere per avor la licenza di quoll’organo, e inteso quanto occorra, no darò parto a V. S. ; alla quale, sì come al S. r Giulio suo fratello, fo reverenza, e prego dal Signor Iddio ogni felicità. Di Roma, il dì 7 d’Agosto 1G32. Di V. S. Ill. n,a Obl. mo Sor.™ S. r Mario Guiducci. Filippo Magalotti. 2286. FULGENZIO MICANZIO a [GAMLEO in Firenze]. Venezia, 14 agosto 1G32. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 22G. — Autografa. Molt’ IIl. re et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Ho letta la lettera di V. 8. molto 111. 10 et Ecc. ma di 7 con sdegno c rabbia, ma non con maraviglia. Già sino da principio che mi capitò il suo libro, discor¬ rendone con Mons. r Contarmi (S) , un sogetto di spirito ellevatissimo e di costumi angelici, venimmo in parere di punto di quello che a V. S. è incontrato, non potendo capire ch’opera così eccellente e divina dovesse mancare degl’effetti O) Niccoi.ò Macuiavklu. < 2 > I’iktko Conta bini. 372 14 — 15 AGOSTO 1632. [2286-2287] dell’ ignoranza e malignità del secolo e de’ tentativi dell’arroganza di coloro che credono poter dare regola non solo alli cervelli, ma ancora agl' ogetti intorno a’quali gl’ingegni si aggirano. Ciò nò turbi nè distolga V. S. dal proseguire. Il colpo è fatto : ella ha fatta un’ opera delle più singolari che sia uscita da io ingegno filosofico: il vietarli il corso non diminuirà la gloria dell’authore: si leggerà a dispetto dell’invidia maligna, e vedrà V. S. che si trasporterà in altro lingue. Confesso non essere cibo per tutti li stomachi; ma per quelli di calore sufficiente ò tale, che gl* huomini non ne vorrano essere privi. Ma buono Dio, che ci trovano questi sciagurati da riprendere? se non riprendono la troppa modestia e 1* haver esposti li sensi filosofici senza la libertà filosofale. Io sto in Bollicitudine che questo non privi le scienze degl’altri dialoghi da V. S. disse¬ gnati. Ma, per amor di Dio, non si perda d’animo; corraggiosamente operi alla gloria et all'Immanità. Dio e la natura l’ha fatta a quest’opera; so lei non la * perfettiona, altri non la speri più. Io lo dico ex conte, coram I)eo, che uno de’ più ai intensi miei desiderii è di vedere il rimanente; e bo le fosse impedite la stampa, che non credo, la scongiurarci di lasciarmela vedere a penna. Ma superate la malignità. Per il S. r Antonini l, \ so lo vuole regalar del libro, P Ill. mo Possidento 1 ' 5 tro¬ vate modo. Viva felice, come io le prego da Dio ogni bene, e con tutto balletto lo bacio le mani. Yen.*, 14 Agosto 1632. Di Y.S. molto 111.” et Ecc. m * Devotiss. 0 et Iluin. 0 Sor/ 0 JF. Fulgentio. 2287 FRANCESCO NICCOUNI ad [ANDREA ClOLl in Firenze]. Roma, 15 agosto 163i. Aroh. di Stato in Flrenae. Filza Modica» 8A52 (non cartolata). — Autografi la sottoscrizinno. .... Non ho possuto per ancora veder il Maestro del Sacro Palazzo per conto del¬ l'interesse del Sig. r Galilei; rua perchè sento che si faccia una Congregazione di persone versate in questa professione avanti il Sig. r Card.* Barberini, tutte poco uffette al Sig. r Galiloo, ho risoluto con la prima occasione di parlarne a 8. Ein.“ medesima. E perchè anche si tratta di far venir da l’isa un matteiuatico, chiamato il Sig. r Claramonte ‘ 1; , parimente poco amico dell’opinioui del Sig. r Galileo, sarà necessario che 8. A. li faccia parlare, perchè tratti qui per la verità, e non secondo le passioni del suo cervello .... Alfonso Antonini, i*' Cfr. u.° 2301. **> SCiriOXB CllUtAMUKTi. [2288-2289] 19 — 21 AGOSTO 1632. 373 2288 * AND11E A CIO LI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Firenze,] 19 agosto 1632. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, cnr. Bfi. — Mi ini la non autografa. -Nel negozio del S. r Galilei, S. A. Laverà per male die si continui di perseguitare lo sue opere dagli invidiosi del suo sapere; et so il S. r Ohiararaonti< l > sarà chiamato costà, io penso elio S. A. si lascerà intender seco .... 2289 . TOMMASO CAMPANELLA a GAI-ILEO in Firenze. Roma, 21 agosto 1032. Bibl. Naz. Fir. Mss. Tini., P. VI, T. XI. cnr. 228. — Autografa. Molt’ 111. 0 et Ecc. mo Sig. ra Con gran disgusto mio ho sentito che si fa Congregationc di theologi irati a proliibire i Dialoghi di V. S.; e non ci entra persona che sappia matematica nè cose recondite. Avverta, che mentre V. S. asserisce elio fu ben prohibita l’opi¬ nione del moto della terra, non è obligata a creder anche che le ragioni con- tradicenti sian buone. Questa è regola Omologica; e si prova, perchè nel Concilio Niceno 2 fu decretato che angél orimi imagines depili gì debent , quoniam vere, cor- porei sunt: il decreto è valido, e non la ragione, già. che tutti scolastici dicono che gli angioli son incorporei, a tempo nostro. Ci son altri fondamenti assai, io Dubito di violenza di gente che non sa. Il V. Mostro fa fracassi contra; et dice, ex ore Pontifìcis: ma N. S. non è informato, nè può pensar a questo. V. S., per mio avviso, faccia scriver dal G. Duca, che sì come mettono Domenicani, Gcsuini et Theatini e preti secolari in questa Congregatione contra i vostri libri, ammettano anche il P. Castelli e me; e si vinceranno, succumbcmus etc. etiam nella propositione, non che nelle ragioni. Ma sia a me secreto, quia etc. O dimandi avvocato e procuratore in questa causa; o se non la vincemo, mi tenga per bestia. Io so eli’ il Papa è di gran senno, et quando sarà informato etc. A Dio. Roma, 21 Ag.° 1632. Di V. S. Ecc. mn Se. ro Aff. mo non volgare 20 Fra Thomaso Campanella. Ho molti autori sacri per noi etc. Fuori: Al molto 111. 0 et Ecc. n '° Sig. r Galileo Galilei, Filosofo e Mat. co dell’Altezza di Toscana. Firenze. Cfr. li. 0 2287, 374 21 — 22 AGOSTO 1632. [2290-2292] 2200 *. FRANCESCO DE’MEDICI ad ANDREA CIOLl in Firenze. Madrid, *21 agosto 1632. Bibl. Nft*. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car.55. — Autografa I» sottoscrizione. .... Prego V. S. 111."* a diro al S. r Galileo, che io ho presentato al S. r Conte TincaM l'offerta elio egli fa del modo di navigare por la longitudine; ot perchè egli possa in¬ tender meglio, ho fatto tradurre dal mio segretario in questa lingua la scrittura che egli mi diede alla mia partenza. S. E. desidererebbe che l’invenzione fusse vera, et ancorché stimi molto il valor dol S. r Galileo, nondimeno, per esserci stati infiniti altri che hanno proposto il medesimo, ci lm qualche difficoltà. Mi ha detto però che farà considerare ogni cosa da periti della professione, ot che mi risponderà. Ammette che lo osservazioni de’ moti delle Btelle Medicee sieno giuste et regolari, ma nou si può persuadere corno l’occhiale, nell’agitazione dol vassallo, si maneggi con sicurezza. Approva nel resto ogni cosa, et non fa caso elio ne’ tempi torbidi resti impedita V operazione, conoscendo elio 10 sarchilo un acquisto grandissimo so servisse solamente quando ò sereno. Andrò ragguagliando V. S. 111."’* di quello che seguirà, et non tralascierò diligenza per haverne risoluzione.... 2291 *. FRANCESCO MICCO LINI ad [ANDREA CIOLl in Firenze] Roma, 22 agosto 1632. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. II, car. 67. — Autografa la sottoscrizione. .... Del negozio del Sig. r Galilei rispondo u parte, perchè V’. S. HI."'* possa far veder a lui medesimo con facilità quei elio sin bora s'è fatto per suo servizio.... 2292 . FRANCESCO NIGGOUNI ad ANDREA CIGLI fin Firenze]. Roma, ‘22 agosto 1632. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I. T. II. car. 5». — Autografa la sottoscrizione. Ill. m# Sig. r mio 088.“° Non ho mancato di passar un efficacissimo offizio n favore del S. r Galilei, secondo l’ordine elio no tenevo, acciò bì lasci pubblicare il suo libro, già che è stampato con le “i Don Gaspar* db Gdijiax, Conte «POutakkx, Duca di Sax Luca a. 22 — 24 AGOSTO 1G32. 375 [2292-2298] debito licenze et è stato rivisto e considerato qua et a Firenze, et aggiustato il principio et la line come »; parso a’ superiori. Oltre a questo ho supplicato che nella Congregazione che si va facendo a quest’effetto vi siano messi ancora suggotti indifferenti, già che quelli elio vi sono di presente son contrarii al medesimo S. r Galilei. Ma a queste cose et. a tutto l’al tre ch’io ho rappresentato al S. r Card. 1 Barberino, non ho riportata altra risposta da S. Em. ,a , se non che rappresenterà tutto al Papa, o elio si tratta d’interesse d’uu Bug¬ io getto amico della S. tà S., dalla quale è amato o stimato; nò è uscita S. Em. m ad altri parti¬ colari, corno che sia negozio di molta seerctezza, mostrando nondimeno buona volontà verso il S. r Galilei. Sento poi da qualche amico che ci sia pensiero non di prohibirlo, ma sì bene che si accomodino alcune parole. Tuttavia converrà aspettarne la resoluttiono. Et a V. S. Ill. ma fo reverenza. Di Roma, 22 Ag.° 1032. Di V. S. 111."”' Obl.* # Scr. r * B.' Bali Cioli. Frane. 0 Niccoli ni. 2293 . ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICCOL1NI [in Roma]. [Firenze,] 24 agosto 1G32. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 81. — Minuta ili mano di Gxur.no. Sul margino, d’altra mano sincrona, si leggo: «Scrisse il S. r Bali Cioli. Al S.'Amb.** Niceolini. 24 Agosto 1682 ». La lettera di V. E. et i bisbigli elio qui vanno attorno sopra i giudizii varii che qui, costà et in altri luoghi si fanno sopra il Dia¬ logo del S. r Galileo ultimamente stampato, e dedicato a S. A., hanno porta occasione alla medesima A. S. di discorrer meco allungo sopra tal materia, e finalmente che io debba, di suo comandamento, si¬ gnificare a V. E. gl’infrascritti particolari. E prima, che S. A. resta grandemente ammirato che un libro, presentato dall’autor medesimo in Roma in mano della suprema au¬ torità, e quivi attentissimamente letto o riletto, e, non dirò di con¬ io senso ma a i pregili dell’istesso autore, emendato, mutato, aggiunto e levato tutto quello die fusse piaciuto a i superiori, e più fatto ristesso esame ancora qui, conforme all’ordine e [co]mandamento di Roma, e finalmente licenziato là e qua, e pubblicato qui con le stampe, debba bora, passati 2 anni, esser sospeso, e proibitone all’autore et allo stampatore di più darne fu ore. Accresce a S. A. la maraviglia il sapere come in detto libro non si determina mai proposizione alcuna delle 2 principali che qui si 370 24 AGOSTO 1632. [ 2298 ] trattano, ma solamente si propongono tutto lo ragioni, osservazioni ot esperienze che per l’una e per l’altra opinione addursi possono; o questo solo, come sicuramente sa S. A., per benefizio di S. Chiesa, 20 acciò, intorno a materie per lor natura difficili a intendersi, possano quelli a chi sta il deliberare, con minor fatica e dispendio di tempo comprendere in qual parte pieghi la verità, 0 con quella concordare i sensi dello Scritture Sacre. E benché qui si potesse dire, non esser di bisogno di aiuto o consiglio là dove abbondano soggetti intelli¬ gentissimi, tutta via debbo esser gradito il zelo e la buona volontà di chiunque, per sodisfaro alla propria coscienza, opera conformo alle suo forzo, almeno pronto so non valido. Ilora, benché S. A. si senta tirare dallo proposto considerazioni a credere che questo moto sia cagionato da affetto non sincero, più »o contro alla persona elio contro al libro dell’autore o all’opinione di quello o di questo antico o moderno ; per bene assicurarsi del me¬ rito o demerito del suo servidore, desidera elio gli sia conceduto quello elio in tutte lo altre cause et da tutti i fori vien conceduto a i rei, cioè le difeso contro a gl’attori, e elio quello accuso e cen¬ suro elio vengono opposte a questo libro, per lo quali vien sospeso, siano messe in carta e mandate qua, per esser vedute 0 considerato dall’autor di esso libro, il quale confida tanto nella sua innocenzia, 0 si tien tanto sicuro cho questo motivo non sia altro elio una mera calunnia mossagli da’ suoi invidi 0 maligni persecutori, prima che «o adesso conosciuti e sperimentati in altre occasioni, che molto animo- ' samento a offerto a S. A. di torsi [ba]ndo del suo stato 0 della sua grazia, quando egli non gli faccia toccar con mano, la mento sua esser 0 sempre essero stata pia, religiosa et in queste materie san¬ tissima. Però S. A., come sempre inclinato a sollevare i buoni et odiaro i maligni, fa instanza che gli siano mandato le censure et opposi¬ zioni che vengon fatte al libro, per le quali si sospendo 0 forse si cerca la sua proibizione. V. E. dunque, conformo a questo ordino, potrà lasciarsi intendere bo dove è oportuno, acciò S. A. resti sodisfatta in questa sua domanda tanto giusta, e quanto prima darà conto etc. Lott. 2203. 30. c ridire che che i/ueela — 47./a infuMsu — [2294-2295] 28 — 31 AGOSTO 1632. 377 2294 * FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA GIOIA fin Firenze]. Roma, 28 agosto 1632. Bibl. Naz. PIr. Mss. fini., P. I, T. TI, car. G7. — Autografa la sottoscrizione. Sul tergo della car. G7 si legge, di inailo ili Gai.ii.ko: S. Àlllb. or NÌCC.‘“ III.™ 0 Sig. p mio Oss. mo Ilo rappresentato al S. r Card. 1 Barberino tutto quel che V. S. Ill. ma mi ha comandato per servizio del S. r Galilei; et Leu che S. Em. ia hahhia sentito attentamente ogni cosa, non ha però risposto cos’aldina precisa, se non che io ne parli col Maestro del Sacro Palazzo, il quale dice che si difende molto bene in proposito di quel clic ai presuppone intorno alle revisioni et licenze di stampar il libro, e che da lui sentirò qualche cosa. E ben vero elio nel rappresentarle che il libro era stato consegnato qua dall’autore in mano della .Suprema autorità, che S. Em/ a stotto un poco sospesa; poi replicò: Bisogna che s’intenda del Maestro del Sacro Palazzo per Suprema autorità. Et nel resto non 10 s’impegnò a cos’aldina, nò in proposito del mandar in costà le opposizioni nè degli altri particolari, so non che io ne trattassi col Maestro del Sacro Palazzo, come farò passato il giorno di domani, già che sin bora non m’è riuscito, con avvisar poi a Y. S. Hl, ma quel che n’havrò ritratto. Et intanto le bacio le mani. Di Roma, 28 Ag.° 1632. I)i V. S. 111."“ Obl.“° Ser. r0 S/ Bali Gioii. Fr.° Niccoli ni. 2295 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Fironzo. Bologna, 31 agosto 1632, Bibl. Nan. Flr. Mss. Gal., 1'. VI, T. XI, car. 230. — Autografa. Molto II1. P0 et Eco." 10 Sig. r e P.ron mio Col." 10 L’essere io stato spesso travagliato dalla gotta, et anco ne’ tempi di sanità occupato nella stampa di un’operetta de’ specchi adesso Unita 05 , è stato cagione eh’ io da un pezzo in qua non gli babbi scritto. Bora dunque, rispondendo alla gratissima sua, li dico clic havendo fatto diligenza di quel Sig. r Gio Batta Ar- risio (S) , ho ritrovato che da duoi mesi in qua egli non è più in Bologna, ma se <•> Cfr. un. 1 1970, 2271. XIV. (*) Cfr. n.° 2275, Un. 5-6. 48 978 81 AGOSTO 1632 . [ 2295 ] n’ ù ito a Pressa, dove dicono che al presente si ritrovi : se ci fosse stato, non havroi mancato di diligenza, perchè fosse restata servita. Mi dispiace che i nuovi oppositori a’ suoi Diologi la radino molestando, dove più tosto dovriano ringratiarla tutt’ i studiosi. Ad ogni modo questo farà più io rispondere la chiarezza della sua dottrina, e farii che la fama, più altamente volando, porti il suo nome alle orrecchie di quelli che per altro non vi farebbono alcuna applicatone. 10 mandai 50 copie de’ miei libri c,) al Landini per 40 delli suoi Dialogi, ma non ho mai visto cosa alcuna. Non mancherò di farli bavere uno de’ miei libretti bora stampati, quale ho intitolato Specchio Ustorio, nel quale vedrà, un mio pen¬ siero intorno lo specchio di Archimede; tratto però universalmente delle settioni coniche, considerando alcuni effetti di natura, ne’ quali hanno che fare. Ilo toc¬ cato qualche cosetta del moto de’proietti, mostrando che dovria essere per una parabola, escluso l’impedimento dell’ambiente, supposto il suo principio del ino- 20 violento de’ gravi, che ai velociti secondo 1* incremento do’ numeri dispari conti¬ nuati dall’unità, attestando però d’haver imparato in gran parte da lei ciò ch’io tocco in questa materia, adducendo insieme aneli’ io una ragione per quel prin¬ cipio. Rimetto però il lettore al libro che da lei si aspetta sopra la materia del moto, quale desiderano tutti veder presto fatto publico, per poter godere di sì pretiosi e maravigliosi trovati e di così rara e necessaria dottrina. E (pianto a me, crederei che questi elementi, soglio dire, del moto fossero per piacere in altra maniera che li elementi geometrici, e che i filosofi fossero per aderirvi più facilmente. Perciò la prego a sollicitare, poiché ogni dì passa un giorno, che pur è troppo pretioso e di troppo danno al mondo che vaili voto, mentre esso aspetta 30 di arrichirsi dello suo peregrine et ingegnose specolationi. 11 Sig. r Cesare Morsili compatisce molto a’ suoi travagli, e se li ricorda affo- tionatissimo servitore, come io puro continuamente li vivo desideroso di mo¬ strarlo con li effetti ; alla quale per fine desiderando sanità, faccio riverenza, pregandola a conservarmi nella sua grata memoria. Di Bologna, alli 31 Agosto 1632. Di V. S. molto 111." et Ecc. mm Mi manda una lettera diretta al Sig. r Agostino Santini, che va a Lucca, senza dirmi altro. Io per¬ ciò V ho inviata a Lucca. ()b. mo Ser. ra 40 F. Bon. rft Cavalieri. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 10 Il Sig. r Gal. 00 Gal.® 1 Firenze. *»> Cfr. n.° 1970, lin. 10. [ 2296 ] 4 SETTEMBRE 1632. 379 229 6 . FILIPPO MAGALOTTI a MARIO CxUIPUCCI [in Firenze], Roma, 4 settembre 1632. Blbl. Nast. Fir. Mss. Gnl., P. I, T. XV, car. 79-81. — Autografa. Sul di fuori si logge, di iiinno di Gai,ii.ko: S. Fi. Ma. al S. Ma. Gui.* Ill. mo S. r mio Oss. mo Tralasciai di dar risposta a V. S. la settimana passata, perché, non avendo avuta comodità di potermi abboccare col Padre Rev. m0 Maestro del S.° Palazzo, non arei avuto che dirlo intorno alla giustificazione elio aveva favorito di mandare por conto di quel¬ l’impresa, stimata così misteriosa Seguì martedì, che io fui a trovar S. P. liev. mtt c gli foci il regalo di tutti tre quegli scudi!*) posti nel Libro da compagnie, nel Iamario, e in quell’altro foglio, che deve pur costà aver servito a qualche altra cosa. 0 fosso che egli si volesse mantenere e mostrarsi credulo sin all’ora, o che realmente si sodisfacessi con quella giustificazione, mi diede segno di grandissima allegrezza, affermando che da ciò 10 poteva resultare benefizio singolarissimo all’amico; che quanto a sò restava molto ben chiaro, o clic non arebbe mancato nell’ istessa maniera di levar tutte l’ombra à qualunque altro elio le avesse avute. Io da questo presi occasione di rinovar la memoria della pron¬ tezza del S. r Galileo in dimostrarsi ossequentissimo e non meno apparecchiato a obbe¬ dire a tutto quello elio gli venisse imposto da’ superiori, leggendogli quella parte della lettera che ciò conteneva, e tacendo l’altra dove si diceva elio non potendo darsi sodi- sfazione nel libro dei Dialoghi, perchè di già n’erano usciti fuori e sparsi troppi per tutt’Europa; perchè questo arebbe dato grandissimo fastidio, apprendendosi, per quanto io veggo o anco non ho lasciato di far credere con buona occasione, che pochi se ne sieno spacciati, mediante Tesser serrati i passi, rispetto al contagio. 20 Da questo facemmo passaggio a discorrer qualche cosa del merito ; intorno a elio non sento altra doglienza che le medesime che io scrissi costà sin dal principio, cioè quel proemio separato, e di carattere diverso dal rimanente dell’opera; e quanto agli argu- menti di N. S. r0 , elio era un solo veramente e si vedeva nel fine del libro, ma che era stato posto in bocca di Simplicio, personaggio in tutto il progresso molto poco stimato, anzi più tosto deriso e burlato. Proccurai di far toccar con mano elio non poteva farsi portar da altri, chi non voleva render quegli altri due diversi da quel che sono, e che la chiusa elio fa il Salviati con quel luogo della Scrittura Sacra convinceva pienamente che il dotto Salviati ne faceva la dovuta stima e s’acquietava. Tra questo o altro, che dirò, rn’ò parato di comprendere che il negozio sia alquanto addolcito, perchè dove prima 80 io aveva avuto qualche dubbio d’alcuna poco matura resoluzione, veggo ora inclinarsi a <‘> Cfr. il.» 2285, liu. 58-61. i*i Cfr. u.° 2285, lin. 101-104. 380 •l SETTEMBRE 1632. [ 2206 ] far passar le cose per i suoi piedi; e se non parla la lingua diversamente dal quore, spero che con poca cosa ohe si levi o che s’aggiunga per maggior cautela, secondo olio da ossi si pretende, abbia il libro a restar libero. Non finirono qnivi i nostri discorsi, perchè cominciando io a vedere alquanto rasse¬ renato, mossi proposito intorno al punto principale, e che io non ero lontano dal credere che se gli anni addietro fosse stato ben ponderato tutto ciò che si poteva consideralo in questa materia, non si sarebbe forse proceduto a far quel Decreto (e questo in altro ragionamento mo l’ha confessato il Padre Rev. m0 , e dettomi di più asseverantemente olio se egli fosse stato all’ora in Congregazione, quanto a sò non Parebbe mai permesso); poi che non avendo mancato il S/ (rabico d’avvertire a’ luoghi della Sacra Scrittura elio 40 apparivano contrarii alla posiziono Copernicana, aveva in una sua scrittura, diretta a Madama Ser. mM,) , diffusamente mostrato, con l'autorità dei SS.* Padri e di S. Agostino in particolare, come tali luoghi, ben intesi, non potevano apportar pregiudizio alla detta posizione. Fu mosso dall’autorità del Santo, e mi domandò se io aveva tale scrittura, chò volentierissimo Parebbe veduta. Io, quantunque fossi sicuro d’averla, non mi volli impe¬ gnare; e risposi elio quando partii di Roma sino dell’anno 1(525, la lasciai tra certi mioi libri, che arei fatto ogni diligenza perchè restassi servito, e ritrovatala glie no arei man¬ data. Non volli restare impegnalo, porche se da quolla lettura, ancorché indirettamente, no fosso mai potuto nascere alcun inconveniente, non voleva averne rimorso; o perciò prima di dargliene volli essere col Padre D. Benedetto, e consigliarmi con lui. Gli diedi rag- 50 guaglio del tutto, e appresso significandogli coma io poteva dare e non darò la dotta scrittura, desideravo il suo consiglio. Approvò assolutamente che io glie no dessi, e quando avesse mostrato desiderio di ritenerla, ne facessi faro una copia e la lasciassi. Credendo che in tal maniera, col consenso del Padre D. Benedetto, il S. r (ìulileo non si potesse mai dolere che io mi fossi preso troppa licenza, quantunque non avessi altra mira che di servirlo, tornai di nuovo dal Padre Rev.“° con la scrittura, o facemmo una lunghissima sessione insieme, egli ed io. Volle pigliarsi la fatica del leggere, e in effotto, benché ri¬ trovasse molte cose contrario alla sua già stabilita oppiatone, non si potè contenere di dire che in quella scrittura era detto ciò che poteva mai dirsi, e che era cosa più sin¬ golare dei Dialoghi, e m’interrogò perchè non l'aveva stampata. Risposi, che essendo CO stata fatta per sua particolar difesa, non l'avendo data alla stampa, credeva elio avesse giudicato non averne bisogno; oltre che, essendo stato proibito il Copernico e fatto il Decreto nella maniera che seguì, farlo doppo non sarebbe Btato conveniente o facilmente non l’arebbero permesso, e innanzi non lo credeva necessario; aggiugnendo in fino che non sapeva anco addurne precisamente la cagione, perchè in quel tempo io mi ritrovava fuori d’Italia. Mostrò desiderio che io glie ne lasciassi, per far maggior roflessione a quelle autorità e luoghi di 8. Agostino in particolare; ed io, per non restarne senza, dissi che n arei fatto fare una copia e datogliene liberamente, acciò no facesse con più tempo quel capitale che fosse paruto alla sua prudenza. Cosi è seguito, e questa mattina glie ne ho mandata copiata in buonissima forma, e rivista e ricorretta con la maggior dili- 70 genza che sia stato possibile. l‘> Cfr. Voi. V, pnp. 309-848. 4 SETTEMBRE 1632. 3S1 [ 2296 ] Doppo d’aver finito di leggere la (scrittura, parendomi di nuovo assai più mite, tornai a far esibizione della prontissima volontà del S. r Galileo, in conformità della lettera di V. S.; e S. P. Rev. ma replicò elio farebbe avuto a quore sommamente, promettendo dal canto suo tutte le agevolezze possibili: e all’ora mi significò che uno dei giorni antece¬ denti il S. r Ambasciatore di Toscana, in nome del Ser." 10 G. 1)., gli aveva parlato di questo negozio, e raccomandatogliene efficacissimamente; clic aveva risposto queste precise pa¬ role: Che egli era semplice ministro, posto in quel carico per esequir la volontà dei pa¬ droni ; che dove si fosso distesa la sua autorità e possibilità, non arebbc mancato di 80 servire; e che stimava che quando il S. r Galileo fosse perseverato nella prontezza dimo¬ strata por obbedire, si sarebbe proceduto con lui piacevolissimamente, e in maniera che se ne sarebbe lodato. Di questo no aranno riscontro costà per le lettere del S. r Amba¬ sciatore. Io lo ringraziai più che seppi e potetti, e mostrai di stimare assolutamente che il S. r Galileo aveva in lui la sua intera confidenza. Questa fu la sostanza de’ nostri discorsi, ancorché tal volta si divertisse a qualche altra cosa, dalla quale mi assicurai allatto che egli inclina gagliardissimamento nll’oppi- nioue di Ticone, e non so anco se faccia faro una sfera secondo quella posiziono. Quanto a questo, poco importa, pur cho non faccino qualche stravagante resoluzione contro i Dialoghi, che nel resto poco fastidio debbo dare cho egli sia più d’una che d’ un’altra 00 oppinione. Ora e’conviene, s’io devo dire liberamente il mio parerò con V. S., armarsi di pazienza, e perchè sono impegnati già in questa Congregazione (la quale ancora non ho potuto sapore procisamcnte di chi sia composta, benché Bpori d’averlo a sapere in ogni modo, ancorché il tutto si faccia con somma segretezza), bisogna lasciar correre, o permettere, senza striglierò o violentare, che il negozio vadia alla lunga, perché, o in¬ contreranno nella deliberazione (so vogliono, come converrebbe, esaminar la materia) difficultà insolubili, che saranno aiutato dalla non intelligenza dei più di questa profes¬ sione, o si straccheranno; e così il negozio morrà su ’l suo letto. Non stimerei già mal latto che tra qualche settimana il S. r Ambasciatore, sotto pretesto d’esibire e riuovar la memoria del desiderio del S. r Galileo d’obbedire a’ comandamenti dei superiori, desse 100 qualche tasto, ma faccendo puro col Padre Rev. n ‘° suddetto, o al più al più col S. r Card. 10 Barberino, e non mai con N. S. r0 , per cagioni che non è necessario d’apportare. Io conosco d’esser temerario a entrar tanto innanzi; però io la prego a scusarmi col S. r Galileo, e ad assicurarlo che io ho preso quest’ardire, prima per servirlo sola¬ mente, c poi ancora perchè ho stimato che la mia imprudenza e poco saperlo fare non possa nuocergli molto, e perchè, parendomi d’aver ritrovato qualche poco d’adito nella grazia del Padre ltcv. m0 , ho potuto far con sicurtà, per quello che si può giudicar mo¬ ralmente, cho sarò tenuto segretissimo ; in maniera che non credo che arò mai rimorso d’avergli apportato nocumento. Duolmi non aver più abilità, che io conosco che non farei o non potrei mai far tanto cho obbligato c non desiderassi far più. Di quello che occor- 1 io rerà di nuovo, io non lascerò di dar parte a V. S., stimando che ella dovrà favorirmi, comunicando al S. r Galileo quello che parrà alla sua prudenza, senza elio io gli dia altri¬ menti fastidio scrivendogli; perciò finisco questo lungo discorso, e la prego a ricordarmegli servitore con la prima occasione .... Di Roma, il dì 4 di Settembre 1632. 882 4 SETTEMBRE 1832. [2296-2297] Di V. S. III.®* alla quale soggiungo come, doppo scritto, mi «'• comparsa una lotterà del S. r Galileo. Io gli rispondo brevemente" 1 , o erogo lei a farcii aver Tinclusa, e di nuovo le bacio lo munì. AfibU. mn Ser. r * 8/Mario Guiducoi. Filippo Magalotti. 120 2297. FILIPPO MAGALOTTI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 4 settembre 1688. Blbl. HTft«. 3?ir. Mss. Qui., P. I, T. IX, cui. 214. — Aatogrnfn. 111.'“° R. r mio Oss." 10 Doppo d’avere scritto assai a lurido al S. r Mario Guiducci sino iersera™ tutto quello elio m’era occorso col Padre ltev. mo Maestro del Sacro Palazzo in proposito dei Dialoghi di V. S., m’è comparsa la gentilissima sua dei 23 passato, dalla quale comprendo il dubbio che lo è mito, che sotto pretesto di far mag¬ giore e più matura considerazione sopra l’opera sua nella Congregazione sopra tal efìetto nuovamente instituita, non rì tenda a far dichiarare da i superiori dannanda e eretica l’oppinione Copernicana, e che ora si ponga studio in esa¬ minarla per convincerla di falsità. Io non replicherò quello che ho scritto al S. r Mario, chè pur troppo credo d’aver tediato lui e non meno lei, se egli le arà io letto si lunghe chiacchiere; ma dirò ben solamente che quando pure in detta Congregazione fosse il parere dei più che la detta oppinione fosso falsa, non credo mai che si procederebbe a farla dichiarar per tale dall’autorità suprema: o questo lo dico, perchè così mi persuadono elio possa essere quelli che interven¬ gono comunemente nella Congregazione del S. 10 Utizio, dove principalmente si trattano le materie intorno a i dogmi, o d'ordine della quale si ò instituita questa per questo particolare. Aggiungono che ci son materio nella chiesa d’iddio controverse, per rnfìermativa o negativa d’alcuna delle quali pare elio siano le Scritture c i Santi Padri chiarissimamente, e sono di cose ancora molto più appartenenti al culto divino, come, per esempio, la concezione della Madonna, so o in ogni modo dicono tutti che senza un’urgentissima necessità o senza la dichia¬ razione per mezzo d’un Concilio Generale non si verrà mai a terminare nè l’una nò l’altra parte. Oltre a quanto dico, por quello ho ritratto dal Padre Ilev." 10 , non credo che si vadia a questo cammino, ma solo a una piacevolissima mode¬ razione dei Dialoghi di V. S., con aggiugnero o levar qualche cosa, dovo parcsso che lo ricercassi l’obbligo di mantenere nel suo vigore il decreto già fatto. Mi è riuscito però carissimo l’avvertimento datomi da lei, di far fare più matura Ofr. n.o 2297. I*» Ufr. u.« 22U0. 4 — 5 SETTEMBRE 1632. 383 [2297-2298] considerazione sopra i due nuovi autori ll> die ànno ultimamente scritto contro l’oppinione del Copernico ; e porgendomisi l’occasione con alcuno de i più intimi, 30 non lasccrò di dire il mio, anzi il suo, sentimento. Nel resto io la debbo pregare instantemente a scusare la mia soverchia ardi¬ tezza in trattare do’ suoi interessi così gelosi, dove io non aveva ricevuto coman¬ damento particolare; ma io l’ho tatto come da me c con tanta segretezza, clic non credo clic le arò apportato alcun danno. Seguiterò, perchè ella me lo co¬ manda, a servirla dove conoscerò di poterlo faro; e so non sarà con frutto, corno io desidererei, ne incolpi la qualità de’ tempi e non la mia volontà. Le rendo molte grazie perchè abbia tanto gradito quel poco che ho fatto, e resto suo devotissimo servitore, facendole reverenza e pregandole dal Signor Iddio ogni maggior consolazione e felicità. io Di Roma, il dì 4 di Settembre 1632. Di V. S. Ill. ma Devotiss. 1110 Ser. r0 S. r Galileo Galilei. Filippo Magalotti. 2298 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA 0I0LI [in Firenze]. Roma, f» settembre 1G32. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. II, car. G8-73. — Autografa la sottoscrizione. 111.'" 0 Sig. r mio Obs .'”° Non Debbi tempo hieri di rappresentar a V. S. ill. mn quel che bavera passato meco n caso il Papa con gran sentimento a proposito dell’opera del S. r Galilei, et io u’hebbi cara l’oport,unità, perchè potetti dir qualche cosa a S. B. no medesima, ben clic senza alcun profitto; e quant’a me comincio a creder anch’io, come ben dice V. S. 111.eh’il mondo habbia a cadere. Mentre si ragionava di quelle fastidiose materie del S. t0 Offìzio, pro- roppe S. S. 1 * in molta collera, et all’ improviso mi disse eli’anche il nostro Galilei haveva ardito d’entrar dovo non doveva, et in materie le più gravi e le più pericolose che a questi tempi si potesser suscitare. Io replicai ch’il S. r Galilei non haveva stampato senza 10 l’ttpprovattione di questi suoi ministri, et ch’io medesimo bavero ottenuto e mandato in costà i proemii a questo fine (2 >. Mi rispose con la medesima escandescenza, elio egli et il Ciampoli rilavavano aggirata, et ch’il Cianipoli in particolare lmveva ardito di dirli ch’il S. r Galilei voleva far tutto quel che S. S. u comandava et che ogni cosa stava bene, et elio questo era quanto si beveva saputo, seuz’haver mai visto o letto l’opera; dolendosi del Ciampoli e del Maestro del Sacro Palazzo, se ben di quest’ultimo disse ch’era stato ag¬ girato anche lui col cavarli di mauo con belle parole la sottoscrittione del libro, e da¬ tegliene poi dell’altre per stamparlo in Firenze, senza punto osservar la forma data al¬ ni Gio. Lìattista Mohi.n e Liberto Froiduont: cfr. nn.i ‘2248, 2*250. t-i Gfr. u." 2105. 38-1 0 SETTEMBRE 1632. [22981 ]’ Inquisitore e col mettervi il nomo del medesimo Maestro «lei Sacro Pai asso, ohe non ha che faro nello stampe di fuori. Qui ontrai a dire a S. B. M , ch’io sapevo che S. 8. u havova destinata una Congregazione a quest'effetto; et perchè poteva esser, come avviene, che 20 vi fossero de'male affetti al S. r Galilei, la supplicavo humilmente a contentarsi di darli campo di giustificarsi. AH’liora S. 8. u mi rispose, che in questo materie del S. u Ufkio non si faceva altro che censurare, e poi chiamare a disdirsi. Replicai: Non par dunquo a V. S. u , che egli habhia a sapere antecedentemente le diflìcultà o le opposittioni o le cen¬ suro che si fanno alla sua opera, e quel che dà fastidio al S. u Ufisio? Uisposemi violen¬ temente: 11 S. 10 Ufizio, dico a V. 8. che non fa queste cose et non ramina per questa via, nè si danno mai a nessuno queste cose antecedentemente, nè s'usa; oltreché egli sa be¬ nissimo dove consistono le difficoltà, se le vuol sapere, perchè n'habbiamo discorso con lui et l'ha sentito tutte da noi medesimi. Replicai ch'io la supplicavo a considerar eli’il libro era dedicato al nomo del Padrone Sor." *, ot che si trattava d'un suo attuai servi- 30 toro, et ch’anche por questo speravo ch’ella fusse per andar con agevolezza e comandar anche a’ministri d’havorlo in conaiderattione. Disse eh'havova prohihite delle opero ch’lmvovan in fronte scritto il suo nome Pontificalo, come dedicate a lei medesima, et oh’in materie simili, dovasi trattava di apportar alla religione pregiudizi grandi o de’più pessimi che siano stati mai inventati, doveva 8. A. concorrer anche lei a punirli, come principe eh ristiano; et che per questo io scrivessi pur liberamente all’A. 8. che avvertissi di non vi s’impegnare, come havova fatto nell’altro negozio dell’Àlidosi ll) , perchè non ne uscirebbe con honoro. Tornai a dirlo di tener per fermo che mi fusBero per soprag- giugnere ordini da doverla di nuovo infastidire, come fnrei, ma di non creder già che S. B. M fusse per comportare che si venissi a termine di prohibire il libro, stato già ap- 40 provato, senza prima udir almeno il S. r (ìalilei. Rispose che questo era il manco male che se lo potesse fare, e che bì guardassi di non osser chiamato al S. 10 UGzio; et d’haver decretata una Congregazione di teologi e d’altre persoue versato in diverse scienze, gravi o di santa mente, eh’ a parola per parola vanno pesando ogni minuzia, perchè si trat¬ tava della più perversa materia che bì potesse mai hn\er alle mani, tornando a dolersi d’esser stata aggirata da lui o dal Ciatnpoli. I’oi ini disse ch’io scrivessi per ultimo al Padrone Sor." 10 , che la dottrina era perversa in estremo grado, che si andrebbe vedendo con maturità ogni cosa, et che S. A. non ci s'impegni e vada adagio; et non solo m’im¬ pose il secreto di quel che m’haveva detto, ma m’incaricò di rappresentar che l’imponeva anche a S. A., aggiungendo d’haver anche usato col medesimo S. r Galilei ogni urbanità, 50 perchè gli ha fatto penetrar quel che egli sa, e non ne ha commessa la cauBa alla Con¬ gregazione della S. u Inquisittione, come doveva, ma a Congregazione particolare, creata di nuovo, che è qualche cosa, havendo usati meglio termini con lui, di quel che egli me¬ desimo ha usato con S. S. u , che l'ha aggirata. Trovai adunque una mala inclinattiono, e quanto al Papa non può esser peggio volto verso il povero nostro S. r Galilei, et V. S. lli. u ‘ a può considerar con che gusto io me ne tornai a casa hiermattina. Ero andato sino lunedì passato a trovare il Maestro del Sacro Palazzo: e doppo d havorli esposti tutti i capi della lettera di V. S. 111. 6 *, e doppo d’havorlo anche quie¬ tato a proposito delle sue doglianze, ne ritrassi più tosto buono speranze che altro, o Ma hi ano Ai.iiin.m. [2298-2299] 5 — 9 SETTEMBRE 1632. 385 6o particolarmente che credeva elio non s’havessi a venire a termine di prohibire il libro, ma di correggere ot emendar solamente in alcune cose, che veramente stanno male; e che se bevesse posauto, senza suo pregiudizio o senza trasgredir gli ordini, dirmi antici¬ patamente qualche cosa, lo farebbe: ma ch’anche a lui conveniva andar destro, porche haveva corso le suo burrasche per questo conto, e s’ora aiutato meglio eh’haveva saputo. Si duole che non sia stata servata la forma data con la propria lettera all’Inquisì toro, che quella dichiarattione da stamparsi da principio sia di diverso carattere e che non vada concatenata col roste dell’opera, e ch’il fine non corrisponda punto col principio. Io quanto a me, s’ho a dire a V. S. 111.®* il mio senso, credo eho sia necessario pigliar questo negozio senza violenza, e trattarlo più tosto con i ministri o col S. r Card. 1 Bar- 70 berino eho col Papa medesimo; perchè come S. S. ,iV impunta, la cosa è spedita, massime quando si vuol contrastare o minacciare o bravare, perchè all’ bora dà nel duro e non porta rispetto a nessuno. La più vera è quella di guadagnarlo col tempo e col tornar destramente più volte o senza strepito, anche por via de’ministri, secondo la qualità do ne¬ gozi; et se in quello del S. p Mariano si fusse solamente procurato di guadagnarsi il Nunzio, porcili scrivesse c supplicasse, senza entrar seco ne’ineriti della causa e particolarmente a dar consulti o scritture, eh’ a lui han dato forse occasione di far qui il buon dottore e mostrar di saperne più do’nostri e di consigliar in contrario, si sarebbe manco esacerbato l’animo del Papa, al qual non bisogna mostrar di voler disputare le cose di giustizia. La lettera efficace di V.S.I11.®* de’30 Mariano Ai.idosi. XIV. 40 386 11 SETTEMBRE 1632. [2300] 2300 . GALILEO a (CESARE M ARSI LI in Bologna]. Firenze, 11 settembre 1682. Aroh. Maraigll In Bologna. Rutta citata al n.« 1888. — Autofraf*. Ill. mo Sig. TO o Tad . 11 Col. mo Tengo lettere dal P. Fra lluonaventura, con avviso come S. P. lia nuovamente stampato un trattato dello specchio ustorio Ml , nel quale con certa occasione dice liavorvi inserito la proposizione e dimostra¬ zione della linea descritta da i proietti, provando come è una linea parabolica. Io non posso nascondere a V. S. lll. ma , tale avviso essermi stato di poco gusto, nel vedere come di un mio studio di più di 40 anni, conferitone buona parte con larga confidenza al detlto Pa¬ dre, mi deva ora esser levato le primizie, e sfiorata quella gloria che tanto avidamente desideravo e mi promettevo da sì lunghe mie fa- io ticlie ; perchè veramente il primo mio intendimento, che mi mosse a specolar sopra ’l moto, fu il ritrovar tal linea, la quale so ben, ritrovata, è poi di non molto difficile dimostrazione, tuttavia io, elio l’ho provata, so quanta fatica vi ho liauto in ritrovar tal conclu¬ sione: o se il P. F. Buonaventura m’havesso, innanzi la pubblica¬ zione, significato il suo pensiero (come forse la civil creanza richie¬ deva), io l’havrei tanto pregato, elio mi harebbe permesso elio io havessi prima stampato il mio libro, dopo il quale poteva egli poi soggiugner quanti trovati gli fusse piaciuto. Starò attendendo di veder ciò che ei produce; ma gran cosa certo ci vorrebbo a tem-20 perare il mio disgusto e di quanti miei amici hanno ciò inteso, da i quali per mia maggior mortificazione mi vien buttato in occhio il mio troppo confidare. Porta la mia stella che io habbia a com¬ battere, et anco con perdita, la roba mia. So che barò apportato disgusto a Y. S. Ill. ma ; ma mi scusi 0 per¬ doni, havendomi a ciò dire sforzato la mia passiono, in consolazione della quale piaccia a Y. S. Ill. ma assicurarmi come ella mi continua !LcU. 2300. 3. un tratto (Itilo — 10. tignijìcato il il tuo — i>> Cfr. un. 1 2271, 2295. 387 [2300-23011 11 SETTEMBRE 1632. la sua buona grazia, felicità da me pregiata sopra ogni tesoro. Con elio reverentemente gli bacio le mani, e prego felicità. so Di Firenze, li 11 di 7mbre 1G32. Di V. S. Ill. ma Dev. mo et Obblig. mo Scr. r0 Galileo G. 1 2301 . EVANGELISTA TORRICELLI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 11 settembre 1032. Bibl. Naz. Fir. Mss. Cai., P. VI, T. XI, cnr. 232. — Autografa. Molto Ill . r0 et Ecc. mo Sig. r mio Col . 1110 Nella absenza del Rev. mo Padre Matematico di N. Sig. ro(l \ sono restato io, humilissimo suo discepolo o servitore, con l’iionor di suo secretano; fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto lll. ro et Ecc. ma , a lei ne accuso, conforme l’ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev . m0 no do parte in compendio. Potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il Padre Abbate in ogni occasione, e con il Maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello o con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li Dia¬ loghi di lei Ecc. nm , e credo clic sia stato causa che non si ò fatta precipitosa io resolutione. 10 sono pienissimamente informato d’ogni cosa. Sono di professione matema¬ tico, ben clic giovane, scolaro del Padre R."'° di 6 anni, e duoi altri bavero prima studiato da me solo sotto la disciplina delli Padri Gesuiti. Son stato il primo elio in casa del Padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente c continuamente sino al presento giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puoi imaginare che habbia havuto uno che, già havendo assai bene pra¬ ticata tutta la geometria, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo stu¬ diato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longo- montano, finalmente adheriva, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, et 20 era di professione e di setta galileista. 11 Padre Grienbergicro, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli ha dato gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma clic l’opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando la testa; dice anco che si stracca nel 0) Rknkdktto Castki.u. 11 SETTEMBRE 1632. 388 [8801-2302] leggerlo por le molte digressioni. Io gi ricordavo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intesscndo. Finalmente dice che V. *S, si ò portato malo con lui, e non ne voi parlare. Del rosto io mi stimo fortunatissimo in questo, d’osser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d’un Ciampoli, mio 30 amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l’ingegno. Haverà quanto prima il Padre Ih™ 0 la carissima di V. S., e le rispon¬ derà. Intanto V. S. Ecc. mft mi farà degno, ben che inetto, d’esser noi numero de’ servi suoi e do’ seguaci del vero; chò già so clic il Padre R. m0 , o a bocca o per lettere (l) , me gli haverà altre volto offerito por tale. E por fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma, 11 Settembre 1632. I)i V. S. molto 1 ll. ro et Kcc. ,n * Sig. r Gali. Gal. IIum. mo o Devotias. 0 Ser. 1 ’" Kvang. u Torricelli. 21102. FRANCESCO NICCOLINI mi ANDREA CIOL1 [in Firenze]. Ho ma, 11 settembre 1632. Bibl. Na*. Fir. Mss. Osi., P. I, T. II, car. 76-78. — Autografa la lottoncrìsiono. IU. ,n0 Sig. p mio Oss. n, ° Ho conferito col Padre Maestro del Sacro Palazzo il contenuto della lettera di V. S. do’30 del passato concernente il negozio del S. r Galilei, essendomi risoluto a questo non tanto per l’amorevolezza e confidenza che passa tra noi, quanto per il discorso fattomi dal Papa nell’iiltima audienza in questo proposito, come pur avvisai con lo passato; 0 mi ha risposto e consigliato, che se si vuol rovinare il S. r Gnliloi e rompersi con S.S. U , ch’io rappresenti con simili doglienze il senso che vi ha S. A. S.. e elio se vogliamo aiutarlo, ch’io lasci in ogni maniera simile sorte di significattioni; porche, bì come non ò dubbio che si gioverà al S. r Cfaliloi coll’andar temporeggiando, così siamo sicuri di non poter bora apportarli altro che pregiudizio con la violenza: perchè in effetto il Papa vi ha senso, 10 perchè tiene che s’incorra in molti pericoli della Fedo, non si trattando qui di materie matematiche, ma della Scrittura Sacra, della religione e della Fede; perchè non è stato osservato il modo e 1 ordine dato nello stampare il libro, e la sua opinione non solo vien accennata in osso, ma in molti luoghi apertamente dichiarata in maniera incomportabile, maravigliandosi tutti che costà sia stato lasciato stampare: et per questo lmrebbo ere- l'i Cfr. 11 .» 2277. <*' Cfr. o.« 2208, li». 79. 11 SETTEMBRE 1032. 380 [2302] (luto, se si lusso stampato qua. che nel rivederlo d’accordo foglio per foglio si fosso pub¬ blicato in qualche forma da poter passare; et io per nio credo elio sia stato un crror grande a stamparlo in Firenze. Dice poi, elio stando lo cose di questa maniera, lo pare, anzi è sicuro, che il maggior aiuto che si possa darai S. r Galilei sia l’andar dolcemente SO o senza atropito; elio S. P. u Iv."‘ ft intanto rivedo l’opera, e corca d’aggiustarla in qualche luogo in maniera da poter esser ricevuta, et che quando l’havrà finita fa pensiero di por¬ tarla al l’apa, e dirlo d’esser sicuro elio si possa lasciar vedere, et che la S. u 8. ha campo adesso d’usar col S. r Galilei della solita sua pietà: doppo il qual offiziò si potrebbe forse all’bora con più proposito dir qualche parola in nome di S. A., con qualche senso di mo¬ desto risentimento, che servissi per far condescender tanto più facilmente il l’apa a con¬ tentarsi di lasciarlo pubblicare. Nel resto il cani inai* per altri versi, dice clic so li creda esser non solo tempo perso, ma danno della causa, et che il domandar por avvocati o procuratori il Padre Campanella e l’Abate 1). Benedetto 1 **, quando pur nel S.*° Uffìzio si volesse cambiar con questi modi, non sarebbono cose da ottenersi ; perchè il primo ha 30 fatta un’opera quasi simile, che fu prohibita, nè potrebbe difendere monti-’ è reo, et l’altro hoggi, per esser diffidente c per altri rispetti, non potrebbe esser udito. Quanto poi a’sog¬ getti che intervengono in questa Congregazione, dico elio egli in particolare, per l’ami¬ cizia che lm col medesimo S. r Galilei c con questa casa, et principalmente per il desiderio et obbligo elio ha di servir il Ser. m0 Padrone, e per li aver anche sottoscritto il libro, ò in obbligo di difenderlo; elio il Teologo del Papa W veramente ha buona volontà, e che quel Gesuita (3) l’ha proposto egli stesso et è suo confidente, et assicura che camma con retta intenzione; nò sa vedere con che ragione ci doviamo doler di loro. Ma sopra tutte le cose dice, con la solita confidenza e secretezza, essersi trovalo no’libri del 8. to Uffizio, clic ciré’a 12 anni sono, essendosi sentito elio il S. r Galilei bavera questa opinione o la sc¬ io minava in Fiorenza, e che per quosto essendo fatto venir a Roma, li fu prohibito, in nomo del Papa e del S. t0 Uffìzio, dal S. r Card. 1 Bellarmino il poter tener questa opinione, e elio questa sola è bastante per rovinarlo affatto; e dice che veramente non si maravi¬ glia che S. A. si muova con tanta premura, mentre non li son state rappresentate tutto le eircustanze di questo negozio. Et in somma prega 8. A. di crederli elio non si possa lai* servizio alcuno al S. r Galilei, se non con l’nudar por adesso molto placidamente, o che di tanto le dà parola c le giura sopra l’honor e sopra l’anima sua, aggiugnendo elio, sortisca altrimenti, promette di constit.uirsi a Fiorenza in mano di S. A., perchè lo gastiglii fino al farli tagliar la testa; supplicando intanto cho la devottionc verso l’A.S., che lo fa parlar con siimi confidenza, non li sia di pregiudizio, col palesarsi questi di- 50 scorsi; aggiugnendo per ultimo clic il Papa può dir poi molte cose in queste materie, che non può dir lui. Et le bacio le mani. Roma, XI Sett. ,iro 1632. Di V. S. Ili" 1 Ubi." 0 Ser. M S. r Ball Gioii. Frane. 0 Nicoolini. <*' Cfr. n.° 2289. * s > Mki.chiorhk I.nciiofbk. Ofr. Voi. XIX, Doc. <*' Agostino Okegio. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, XXIV, b, 86}. b, 85). 390 10 — 18 8ETTEMBRE 1632. 12808 - 2804 ] 2303 *. ANDREA GIOÌ »! a FRANCESCO N1CCOLINI [in Roma!. (Flrcuzo), 16 Bottombro 1632. Blbl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 80. Minuta non autografa. .... Nel negozio del S. r Galilei si piglierà il consiglio del Intono amico elio ne lui parlato ultimamente a V. E.; ot olla potrà ringraziarlo dell*affetto ot della cortesia con che ne ha discorso.... 2304 . FULGENZIO MIOANZIO n GALILEO [in Firenze]. Venezia, 18 settembre 1632. Bibl. Nnz. Flr. Mss tini., P. I, T. X, car. 38. — Autografa. Moli* Ill. r * et Kcc.™ 0 Sig. r , Sig. r Col." ” La morte del Uig. r Rossidente 0 *, di che mi scrive V. S. molto 111.** et Kcc. m nelle lettere di II, si è intesa la settimana passata con mio grave dolore : Dio l’habhia in Ciclo. Li libri non sono stati mandati costi; il che mi dispiace per il Sig. r An¬ tonini t,ì . Lo sforzo de’ suoi nemici, perchè il libro sia prohibito, non farà danno nè alla gloria di V. S. nò agl'intendenti. Quanto alla posterità, questo apunto è uno de’ mezi per fargli passare l'opera. Ma elio sciagurata setta conviene sia quella alla quale ogni cosa buona c fondata nella natura, per necessità ha da riuscir io contraria et odiosa! Il mumlo non ò ristretto in un solo angolo: V. S. lo vedrà stampato in più luoghi c lingue; et a punto per ciò fare ci voleva l'ordinaria persecutiono di tutto V opere buone. Il mio dispiacer ò elio mi veggo privo della più desiderata cosa in questo genere, che sono gl'altri suoi dialoghi; quali so per questa causa non posso haver gratin di vedere, darò a cento mille diavoli questi hipocriti senza natura e senza Dio. l'or il negotio della sua pensione, questo apunto aspetta al mio carico. È necessario die V. S. mandi qui, in mano di qualcheduno di questi mercanti, le sue bolle di essa pensione, per h&verne il beneplacito e possesso dall’ Ecc. n, ° Sc- nato (S) . ('i va qualche spesa, ma di questa non si travagli: fatto questo, non 20 Marco Axtohio Pad a vi*. <*> Cfr. u.» 2286. »»• Cfr. Hoc. XXXIII, o, 1). 18 SETTEMBRE 1632. 391 [2304-2305] dubbiti ohe trovarò modo di farla pagare. Mi consolo cbc le occorra questo puoco di affare nel quale io possa adoperarmi: piciol impiego rispetto all’infi¬ nito desiderio c’ ho di servir V. S. Ecc. ma , a cui bacio le mani. Ven. : ‘, 18 Settembre 1632. Di Y. S. molto lil. ra et Ecc." ,a Ecc. ,l, ° Galileo. Dev. mo Ser. v0 E. Dilige litio. 2305. FRANCESCO NIOCOLINI acl [ANDREA CIGLI in Firenze]. Roma, IH settembre 1632. Eibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Il, c:ar. SI -80. — Autografa. 111." 0 S. r mio Oss. mo Mandò da me, tre giorni sono, S. S. u il S. 1 ' Pietro Ponessi, uno de’suoi segretari; o mi fece significare eh’in segno della stima elio S. J3.° professa verso la persona del Ser. mo nostro Signore, hnveva, fuor del solito, voluto ch’io sapessi elio S. S. a non poteva fardi meno di non consegnare alla Congregazione della Santa Inquisitione, doppo d’haver, in riguardo della premura che vi mostra S. A., anche insolitamente fattolo esattamente e maturamente considerare a parola per parola da una Congregazione particolare di per¬ sone dottissime e versatissime in teologia et in altro scienze, il libro del 8/ Galilei sopra il sistema Copernicano del moto della terra, perchè si considerasse se si lusso possuto far 10 di meno di consegnarlo al S. l ° Ufizio; ma di'in fine, doppo lo suddette diligenze, era stato giudicato non doversi in conto alcuno lasciarlo correre senza un diligente esame della medesima S. ta Inquisitione, la qual poi giudicherebbe quel che se no dovessi fare; ch’io ricevessi tutto questo in sogno del paterno affetto con che S. S. tk ama l’A. S., alla quale S. D. e ne imponeva il secreto, sottoponendola agl'ordini del medesimo S. t0 Offizio in que¬ sta parte, a’ quali anche sottoponeva la persona mia, per non se ne dover parlare nò no¬ tificar ad alcuno senza incorrer nelle solite censure. Io ricevei questa ambasciata con quel travaglio d’animo elio V. S. 111.“* può presupporsi; e replicai eh’a S. A. era por parevo strano che, doppo Papprovatione di questa Santa Sedo, si dovesse sottoporre all’arbitrio del S.° Ufizio un libro, stato già ricevuto e permesso di stamparsi dal Maestro del Sacro 20 Palazzo, e ch’io havrei pur desiderato che S. B. e si lusso disposta a conceder al S. r Ga¬ lileo lo difese in qualche maniera, come n’havovo di già instantemente supplicato. Mi ri¬ spose il S. r Benessi di non esser informato più che tanto di questa materia, e di non sa¬ per molto elio mi replicare; ma, per quel che haveva udito ragionare da S. S. u nel ricever l’ordine, lo pareva di potermi dire che non era la prima volta elio altri libri, stati di già approvati dalli Inquisitori, fossero stati poi qui refatati o proliibiti, perchè s’era fatto molte volte; dipoi, ch’il S.° Ufizio non è solito di udire, coni’io dicovo, a difesa propria. Nondimeno replicai al detto capo, che forse i libri de’quali egli intendeva, erano stati approvati da Inquisitori d’altri stati, di principi e fuori di Roma, ma che qui si tratta 302 18 SETTEMBRE 1632. [2305 | d*approvatione fatta in Roma, con la participationn del proprio Maestro del Sacro Pa¬ lanco o d'altri ancora saputi da S. II.* medesima. Ma egli torno a dirmi eh era pur manco 80 malo, dove si vedeva elio la religione potesse patir detrimento, ovviare una volta, che, trascurando por lo ragioni ch’io dicevo, metter a pericolo il ( hristisnesimo di qualche opinione sinistra, e che la S u S. le haveva detto di creder eh’in trattarsi di dogmi pe¬ ricolosi, S. A. si contenterebbe, deposto ogni rispetto et ogni alletto verso il suo Mate¬ matico, di concorror anch’ella a riparare a ogni pericolo del l'atolichismo; replicandomi che S. 11.* haveva voluto proceder con questi termini di significai ione, perch’olia sapesse la risolutiono stata presa dalla Congregarono, in segno di buona corri «pendenza e d’os¬ servanza verso il suo Ser. m0 nome. Io lo pregai di baciarne humilmento il piede alla S. u S., e m’esibii di rappresentar i comandamenti di' S. Ih* al Sor. 1 ' 0 Padrone, seheu di¬ cevo di sentirvi ripugnanza per il disgusto cho le apporterei. 40 Ilo stimato poi nondimeno necessario di parlarne io medesimo a S. 8. u questa mat¬ tina: o doppo d’httverle repotito quel che per sua parte m’era stato significato, le rimo¬ strai ch’ell’havrohho possuto dar campo al S. r Galilei di farsi sentire e di giustificarsi, perchè mentre quest’interesse si tratta per ancora in una giunta particolare, che non ha cho fare col 8.° Utizio e non è la sua propria Congregazione, non si pregiudicava allo constitutioni et agl’ordini di quel tribunale, il quale solamente censura, proli ibi* ce, e co¬ manda il disdirsi; cho S. S. u poteva impune questa obbligntione al Sor."* 0 Gran Duca mio Signore, (die ne la supplicava reverenteineute, senza potersi dubitare di nuovi esempi o nuovo introduttioni. Ma mi rispose ch’era tutt’uno, o che la giunta s’era fatta fuor del solito solamente per far piacerò al Padron Ser. m ® et al S. r Galilei ancora, e per ve- 50 der se si fusso possuto non introdurre questo negozio al 8.*° L tizio, o ch’io mi conten¬ tasse di quel che in’era stato participato sin bora fuor dell’usato. Replicai ili supplicarla humilmento di nuovo a considerare ch’il S. r Galilei era Matematico di 8. A., suo stipen¬ diato e suo servitore attuale, e por Usiti ricevuto anche universalmente: o S. S. u replicò, che per questo nuche era uscita dell’ordinario con noi, e ch’ancora il S. r (ìalileo era suo amico, ma che queste opinioni fumo dannate circa a Iti anni sono, e ch’egli ò ontrnto in un gran ginepreto, nel quale poteva far di meno, perchè soli materie fastidioso o pe¬ ricolose, e che questa sua opera in fatti è perniciosa, e la materia ò gravo più di quel cho S. A. si persuado; entrando meco anche a discorrer della medesima materia o delle opinioni, ma con ordine espresso, sotto pena di censuro, di non lo palesar nò meno a S. A.: f.0 o bench’io supplicassi di poterle referire almeno all’A. 8. solamente, mi risposo ch’io mi contentassi d’bavelle sapute da lei in confidenza coni’amico, non giù conio ministro. Lo domandai se Ira quelli che intervenivano nella Congregazione dell’Inquiaitione vi fusser poi di quelli che intendesser le materie mathematiche; e mi rispose che v’hrauo li Card. n BentivoglD 11 e ^rospi'-* : et altri ancora, o m’accennò fra'denti che vi potesser ancho ha ver a intervenire di quelli stati chiamati nella giunta: anzi soggiunse che si corcasse di star un poco avvertiti, e questo io lo significassi onninamente a 8. A. 8., ch’il S. r (ìa- lilei, sotto protesto di certa scuola di giovanetti che tiene, non vada imprimendo loro qualche opiniono tastidiosa e pericolosa, perch'haveva inteso non so die, o che di grazia <* 1 Ulano Be.ntivoulio. «*' Fabkixio Ykrosim. Bk 18 — 20 SETTEMBRE 1632. 393 [2305-2300] 70 S. A. vi stesso allenta o vi facesse star vigilante qualch’uno, a fin elio non le seminasse qualche errore per li stati, da doverne ricever de*fastidi. Io replicai di non creder ch’egli potesse dissentire da’veri dogmi cattolici in parte alcuna, ma oh 1 ognuno in questo mondo ha dolli invidiosi o do’malevoli : o bon che S. S.‘ k replicasse: «Basta, basta», io andai nondimeno soggiungendo eh’havevo anche pensato, che mentre il S. r Galilei haveva una volta ricevuta la forma che doveva tener nello stampar il suo libro, presupposta di non esser da lui stata osservata, ch’havrchbo possuto bora S. B.° farlo ridur loi alla medesima forma e lasciarlo correre, gonza che s’babbi a a prohibir tutta l’opera. Ma a questo pro¬ posito mi risposo ch’il Maestro del S. Palazzo haveva mancato anche lui: o benigunmente mi raccontò eh’un virtuoso una volta mandò, par a me, una sua opera al Card. 1 Aleiuto (,) , 80 perche si contentasse di rivederla, e per non imbrattar lo carte, già che era bene scritta, notasse con un poco di cera quel che li paresse degno di corrottiono; e ch’ili rimandar il Cardinale il libro al virtuoso sena’alcun segno, egli andò poi a ringraziarlo et a rallegrarsi che non vi ha vesso notato o considerato niente, poiché non v’haveva trovati i segni conve¬ nuti; dice ch’il Cardinale le rispondesse di uon haver usata la cera, perchè le sarebbe stato necessario di passare da qualche droghiere, e facendosi portar di quei vasi dovo tengono la cera liquefatta, tuffarvelo dentro tutto, per ben censurarlo, o così lo chiarì. Oiul’io, doppo cssercone un poco risi, soggiunsi di nuovo di sperar nondimeno elio la S. u S. fusse per ordinare che all’opera del S. r Galilei fusse fatto manco male elio fusse possibile; suppli¬ cando!’ ancora di poter conferire questi propositi con V. S. Ill. ma , perchè, occorrendo a S. A. 90 di replicar o comandarmi la sua mento, ella non era solita di scriver di proprio pugno, già che anche la corrispondenza io la tenovo con lei. 11 Papa vi pensò un poco, o poi mi rispose elio montr’io dicevo che l’A. S. non scriveva da sé medesima, si contentava che anche loi lo potesse sapere, ma sotto i medesimi vincoli delle censure del S. 10 Ufizio o per non no parlare o conferire con altri che con 8. A., incaricandomi di scrivergliene espressamente. Potrà dunque V. S. Ill. ma significar tutto questo al Pmìron Ser. m0 , et a me comandar s’io deva esequir da vantaggio, mentre mi si accresce una buona fatica d’haver a scrivere e copiar di mio pugno questa diceria fastidiosa o molto lunga, Et a V. S. HI. 1,18 bacio le mani. Di Roma, 18 di Settembre 1(532. Di V. S. IU. ma Obl. n, ° Ser. re 1AA Frano. 0 Nicoolini. 2306 *. GIUSEPPE GAULTIER a [NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC a Beaugentier]. Aix, 20 settembre 1082. Blbl. d’Ing'iiimbert in Carpentras. Reg. LX, T. II, car. 296. — Autografa _Jo vous renierciefortlacommunication de vostre livre de Gallileus, que je n’avois cncore vcu. Je n’ay encores peu prandre mon temps pour le lire, ce que neantmoins je desire forti et remarquez comme il uiet sur le marche une opinion tant mal agréable à la Cour de Rome. Je feray mon possible à no le vous retenir louguenmnt.... I *1 Fkancksoo Alciato. XIV. 21 SETTEMBRE 1632. [2807J 394 2307 . BONAVENTURA CAVALIERI n [GALILEO iu Firenze], Bologna, *21 settembre 1632. Blbl. Nftz. Plr. M«s. Gai., P. VI, T. XI, cnr. 231-235. — Autografa. Molto 111. 1 *® et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Col. n, ° Il cordoglio ch’ella mostra di haver sentito (corno Fili.' 1 ' 0 Sig. r ('osare Mar- sili mi ha significato) per haver io toccato non so elio della linea parabolica, descritta dà* proietti nel mio Specchio Ustorio non è al sicuro stato tale e tanto, quanto il mio per haver io inteso ch'ella babbi ricevuto offesa da quello eh’ io sono trascorso a fare più tosto per eccesso di riverenza che per altro. Quello che ho detto del moto, 1’ ho detto come suo discepolo e del I\ 1). Bene¬ detto, e così mi protesto, conio da’ qui allegati fogli potrà vedere, havemlo da loro imparato, posso dire, quel puoco ch'io ao. È ben vero eli’ella dirà forsi eh’ io dovevo spiegare un puoco più chiaro che il pensiero della detta linea pa- io rabolica fosse di V. S. Kcc. n,R ; ma sappi che il dubbio ch’havevo di non concor¬ darmi forsi onninamente con la sua conclusione, fece che io non ardissi con Xiarole specificate di ascriverli quello clic havesso poi havuto lei a rigettare come cosa non sua; fece, dico, ch’io mi raportassi alle pardo generali dette alla pag. 152, dove io nomino ancora il 1*. I). Benedetto, non giù perchè io lo motta come autore in parte delle coso ch’io soggiungo, ma perchè pur egli mi ha in¬ segnato parte di quello cose, bavendone visto fare esperienze da lui con altri scolari, da’ quali pure ho sentito l’istessa conclusione: parendomi in somma talmente divulgata e la conclusione e ch’ella n’era l’autore, che non potesso cadere dubbio alcuno ch’io me la potessi arrogare corno cosa mia. IO se io ho 20 con altri usato la civiltà, come con il Sig. r Mutio Oddi, di scriverli prima ch’io stampassi di non so che passato tra lui e ino, molto maggiormente l’liavrei fatto con lei (quando havessi pensato ch’ella facesse caso di questa cosa), conio con quello che tanto stimo, honoro et amo per i molti suoi ineriti e per l’infiniti favori clic ho da lei ricevuti. E s’ella, nell’insegnarmi, significato mi liavessc ch’io non palesassi i tali e tali pensieri, non l’havrei fatto in modo alcuno; clic per altro, dichiarandoli ad altri e porgendoli come cose sue, mi sono pensato di far parte di buon discepolo, mostrandomi almeno intendente, se non imita¬ tore, de’ suoi maravigliosi sforzi ch’ella fa in discoprire i secreti di natura. “» Cfr u.-> 2271 21 SETTEMBRE 1632. 395 [2307] 80 Aggiungo di più elio io veramente pensai che in qualche luogo ella ne havesae trattato, non havend’ io potuto haver fortuna di vedere tutte le opere sue ; e questo, molto me l’ha fatto credere il sentirla fatta tanto publica e per tanto tempo, che l’Oddi mi disse, dieci anni sono, ch’ella ne haveva fatto qualche esperienza con il Sig. r Guid’Obaldo dal Monte: e questo pure mi ha reso tra¬ scurato in non scrivergliene prima, stimando in realtà ch’ella punto non si curasse, anzi fosse più tosto per haver grato, che un suo discepolo, con un’occa¬ sione sì opportuna, si mostrasse seguace della sua dottrina, quale tuttavia con¬ fessa haver da lei imparata. In somma, non ostante ciò ch’io dico in mia diffesa, s’ella pur volo che sia 40 errore, non ò di malitia al sicuro. Voga pur quello volo eli’ io facci per darli sodisfattiono, chè io sono prontissimo a farlo. Nc ho dato fuori solo alcune copie qua in Bologna; fra tanto io non ne lascerò uscire altre sino che non sia aggiu¬ stato il negotio, se si può, ch’ella vi babbi sodisfattiono: perchè o io differirò il darne fuori più sino ch’ella non babbi stampato il suo del moto, o ch’ella potrà stamparlo con l’antedata, o ch’io farò ristampare i duo fogli, cassando quello ch’ella stima pregiudicarli, o elio metterò in margine alla pag. 1G4, lin. 22, se pensa eli’ io concordi con lei, queste parole per maggior dicliiaratione, cioò : Conclusione del Sig. r Galileo Gal. ei , o che io lilialmente abbrucierò tutte le copie, perchè si distruga con quelle la ragione, per quanto è possibile, di haver dato 50 disgusto al mio Sig. r Galileo, sì elicmi babbi con Cesare potuto dire: Tu quoque, Brute, fili!; dove ho sempre reputato per mia somma fortuna haverla conosciuta e potere honorarla e servirla, godendo de’ pretiosi frutti della sua eminente dot¬ trina, havend’ io perciò, ad ogni occasione, che mi si è rappresentata, non man¬ cato già mai di essaltare a piena bocca la divinità del suo ingegno per sino alle stelle. Mi dica por tanto liberamente qual dello sudette cose gli sarà di più so- disfattione eh’ io facci, chè prontissimamente subito lo essequirò. Sono per principiare a stampare lamia nova geometria 10 : liavrò occasione in questa ancora, se vorrà, di dichiararmi più pienamente in questo proposito, c di darli anco forsi maggior sodisfattione. Gli mando l’inclusi fogli, perchè co vega il modo con che porgo la sua dottrina ; con che intendarà più distinta- niente ciò elio io non li ho saputo dire in poche parole nella passata mia lettera, cagione del suo e mio grandissimo ramarico. Manderò poi tutto il libretto alla prima commodità. Con che fine li buccio le mani, ricordandomeli di nuovo afl'et- tionatissimo et obligatissimo servitore e devotissimo discepolo. Di Bologna, alli 21 7mbre 1632. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na u> Gir. U.® 1970. Dev.' n0 et Ob. mo Ser. ro F. Bon. ri1 Cav. ri 21 SETTEMBRE 1632. [2308] 396 2308 . CESARE MARSH,I a GALILEO in Firenze. Bologna, *21 settembre 1682. Bibl. Nai. Pir. Mas Gal.. P. VI, T. XI. cnr. 236. — Autografa la sottotcrUlono. Molto Ili.® et Eccl. mo S. M mio Oss. mo Come io desiderarci poter prolungare a V. 8. Eccl. m * molti anni la vita, così desidero potorie abbraviaro tutti i disgusti o travagli dell’animo; o di tale in- tentione m’accorto esser il Padre. V. S. Eccl. ma sa, esser mio antico pensiero elio la fama vogli trionfare del silentio nelle coso pelegrino e singolari; onde a quella più elio ad ogn’altro forse si dovrà dar la colpa della publicatione della linea parabolica de’ proietti. Vorei potere al vivo rapresentare a V. 8. Ecd.** il tra¬ vaglio particolare elio ha sentito il Padre nel’ haverli io significato il senso di lei intorno a ciò; o se vi serà rimedio, m’assicuro clic egli non desidera altro che impiegare la penna e l’ingegno in servirla, non che in offenderla. Riceverà, io credo, il libro con le sue scuse et offerte, nel quale vedrà quanto egli stima sopra questo et ogn’altro particolare il valore e merito di lei, e come si gloria d’essere suo discepolo. Le varie mie indispositioni et perturbationi m’hano quasi affatto levato il pensiero de’atudii d’astronomia; puro non posso con tal occasiono contenermi in significarle il desiderio eh’havrei d’intender meglio come possi essere che Marte s’allontani appogeo otto volte in circa di quello che faccia perigeo, poiché la commensuratione delle Rodolfine et delle Prottenife {sic) parmi non porta più della quinta parte, onde gl’effemeridi sopra tali snppositioni veriano essere errati di molti gradi; o pure l’osservationi fatte delle congiuntami di lui con 20 le fisse non mostrano tal diversità, qual a me pare dovria essere. E qui a V. S. Eccl. m * faccio cordialissima reverenza. Bologna, 21 Settembre 1632. Di V. 8. molto 111.® et Eccl. m * Parc. mo Se. r ® Vero Cesare Marsili. Fuori: Al molto IH.® et Eccl. n, ° S. r mio Osse. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. [2309-2811] 25 SETTEMBRE 1632. 397 2309 . TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO in Firenze. Roma, 25 settembre 1032. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, c&r. 238. — Autografa. Sig. ro Ecc. mo Ilo fatto il possibile per servirla; o s’io scrivessi a lei le ragioni urgentis¬ simo et interessi donde non si devean movere a far contra lei, si stupirebbe. Ex arcanis eorum sacris et politicis. Non fui ammesso; e pur informai un Eminen¬ tissimo, che sostenne l’impeto di contradicenti, e si dilatò da mattutino ad un’al¬ tra di vespro: e pure non so elio si ò fatto. Ma non spero bene, mentre io non fui ammesso, c qualche persona m’ha minacciato. Però non dico altro in questa. Desidero la sua presenza per etc. A Dio. Concordiamci coi voler divino, e cre¬ diamo che so le cose naturali tutte son fatte con arte e sapienza infinita, anche io le morali et politiche, seben a noi paro al roverso, e siamo figli dell’obedienza. Quando s’affreddarà il sangue, dirò a lei più. A Dio. Roma, 25 7bre 1632. Di V. S. Ecc. ma Se.™ et Amico T. Campanella. Fuori: Al Sig. r Galileo Galilei, Filosofo e Mat. co dell’Altezza di Toscana, P. Oss. ,no Firenze. 2310 *. CLEMENTE EGID1I ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 25 settembre 1G32. Cfr. Voi XIX, Doc. XXIV, b, 22). 2311 *. FRANCESCO BARBERINI a GIORGIO BOLOGNETTI in Firenze. Roma, 25 settembre 1682. Bibl. Vaticana. Cod. Barberi ninno lat. 7810 (giit LXXXVIII, 19), car. 81-85. — Minuta di mano di Pirtro Bbnesbi. Roma, 25 7bre 1632. A Mons. r0 Vescovo cPAscoli, Nun.° in Firenze. Essendosi scoperte nell’opera del fìallileo alcune cose sospette, N. S. r0 in riguardo del S.° Gran Duca ha comesso ad una Congregatone particolare che le esaminasse, e vedesse se si poteva far di meno di non le portare nella Sagra Congrcgatione del S.'° Offitio; et Lett. 2309. 9. ohe #e se le cose — 398 25 SETTEMBRE 1632. [9311-28121 essendosi quelli S. rl congregati insieme per cinque volte, e considerato bene il tutto, hanno risolato elio non poteva farsi di mono di non portar il negotio nella Congrega- tione. Questa necessità ò stata fatta rapresontaro da 8. B. nB al S. r Ambasciatore di S. A. (quale baveva supplicato la S. u S. t in nomo della medesima A.**, a non portar il negotio in Congregationo), acciooliò l’A. S. si sodisfacesse della buona volontà di 8. B. a * verso il suo gusto: quale replicò a chi li portò Tambasciatft, che Tesser stato visto c passato il libro dal io Maestro di Sacro Palazzo faceva un poco di senso; ma li fu risposto, che se effettivamente conteneva il libro errori, non dovevano in modo alcuno, per questo rispetto, lasciarsi cor¬ rerò. Tutto questo fu partecipato a S. K. con vincolo del segreto del S.*° Offitio. Li fu bon data licenza di comunicarlo al S. Gran Duca, sotto il medesimo vincolo di segreto. Fu dunque portato il libro nella Congrogatione del S.*° Ofiitio, e dopo esser Btato considerato con ogni maturità il tutto, fu risoluto di ordinare al P. Inquisitore di cotesta città cho chiami il Galileo, o elio d’ordine di 8. S.* 4 li facci un precotto di presentarsi por tutto il prossimo mese di Ottobre avanti il P. Gomissario del S. t0 Ofiitio, e si facci promettere di obodiro a detto precetto in presenza tle’testimoni, acciò, ricusando di obo- dire e di accettarlo, si possino in ogni caao esaminare ;1> . 20 lo do parte a V. S. di tutto questo per sua notiti», solamente acciò che se lo sarà par¬ lato. possa ella risponder con fondamento, non dovendo ella da sò pariamo nò molto nò poco. Intendo cho, non ostante cho il Galileo sappi che in quella opera la Sacra Congre¬ gatione vi riconosce degli errori, pensa con tutto ciò mandar in diverse parti del mondo li detti libri ad effetto di dispensargli; del che V.S. procuri di sapor la verità, o trovando clic si voghilo inviare, avvisi il S. r Card. 1 Legato di Bologna o di Ferrara, acciocché li faccino trattenere, così ancora tutti gTaltri ministri o Vescovi o Inquisitori por dovo potretiberno passavo: o tenga mano di sapero in ogni modo quando dovoranno muoversi questi libri di costà, per reiterar l'avviso alli sudetti Era.™ 1 et altri ministri. Ma V. S. non confidi ciò antecedentemente a’ Vescovi et Inquisitori fuori dello Stato Ecclesiastico, 30 bastando di avvisarlo allbora, quando si moveranno li medesimi libri: parlo però di quelle ballo che non doreranno necessariamente passare per Bologna o Ferrara o altro passo dello Stato Ecclesiastico, perchè per esse bnBta avisare gli Ern. ml Legati o Governatori. 2312 *. FRANCESCO BARBERINI a GIORGIO BOLOGNETTI in Firenzo. Roma, 25 settembre 1632. Bibl. Vattoona. Cod. Harberiniano lai 7810 (già LXXXVIII, 19), car. 86. — Minuta di mano di Piktho Brasasi. Roma, 25 7bre lf>32. A Mon. r Vose.® d’Ascoli. Nu.° Ap.*° in Firenze. Non ostante quello che io scrivo a V. S. del precetto da farsi al Gallileo, le soggiungo die N. S. ro ha ordinato elio si scriva all’Inquisitore che chiami il Gallileo, et in presenza Lctt. 2311. 17-20. d'ordine ... Marninone: quest* tratto fu sostituito in margino nllo seguenti parole, che, della stessa mano, leggonsi cancellate: li dica che *■' contenti di onere in limita per .... «■ eh e a ciò l" e torti, rapreeentandoijli che con la tua prttnita A arerebbe riparato a molte cote, e data e ricevuta toditfalione : *r egli prometterà di farlo, non proceda piò oltre; ma te per aventura, o ricutaete di voler venire, n lo diffiwlUUee, rhe il Padre babbi pronto colà il tiotaro, ohe li facci precetto di pretenlarti in liunta nel indetto tempo. — Oi Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 8), e I»oc. XXIV, b. 21). 25 — 29 SETTEMBRE 1(592. 399 [2312-2313] del notavo e testimoni, non però qualificati alla sua presenza per tali, pii dichi elio la volontà della Congregarono è clic egli per tutto Ottobre si trasferisca a Roma, o elio lo esorti ad ubidire: se egli dirà di volerlo fare, che si facci far lodo di sua mano elio dall’ Inquisitore gli ò stato significato il senso della Congregationo o che lui lmvercbc ubidito; la qual fedo, partito lui, doveva far riconoscer et autenticar dal notavo e te¬ stimoni! che vi furono presenti : o so il Gallileo ricusasse di far la scrittura o di voler 10 venire a Roma, che all’bora il Padre Inquisitore li facci il precetto in forma, 'l utto si fa sapere a V. S. per sua uotitia..., 2313. ASCANIO PICGOLOMINJ a [GALILEO in Firenze]. Siena, 2*.) settembre 1032. Bibl. Naz. Plr. Mas. Gol., P. I, T. X, cnr. 40. — Autografo. Molt’Ul. Sig. r mio Oss." 10 Mess. Santi Hindi con la di V. S. del 20 mi rose tanto buone nuove della sua salute c della parzial memoria ch’ella conserva della mia servitù, ch’io me li dovrei mostrar tutto contento, se l’haver inteso per la sua lo traversie ch’ai solito si preparano contro la sua opera, non mi facesse compatire il disservizio che no ridonda al publico bene degl’ingegni, e compassionare a cotesta età ama¬ ritudini di questa sorte. Per più efficacemente servirla, vorrei poter essere di presenzia a Roma; ma non perciò trasgredirò in questo mentre il suo cenno, ingarbando con l’Em. mo Padrone 05 quello che V. S. mi soggerisce, benché la mia io testimonianza porti più tosto seco alletto die autorità. Strano panni eli’ad una così fresca e puntual approvazione, cautelata da lei con tanti protesti, facci dif¬ ficoltà la passione di qualch’uno, clic caverà l’ombre non dall’opera, ma da con¬ seguenze fatte di capriccio, perchè il libro per sò medesimo non so che possa se non ampiamente edificar qualumque timida e scrupolosa coscienza. Ma, dal¬ l’altro canto, V. S. si merita questo e peggio, mentre a poco a poco va disarmando quelli che siedano all’imperio delle scienze, e pur troppo non gl’è altro rimasto clic ’l fuggirsene in sagrato. Io non posso dir altro, se non che quelle cose che tendano all’immortalità non hanno da temere la burrasca de’tempi. Segniti pur ella in metter al chiaro i suoi concetti e fatiche, ch’io mi prometto eli’ella ille¬ so desiina le vedrà superare l’invidia. E sopra tutto augurandomi continue buone nuove del suo essere, la supplico di qualche comando e me le ricordo in grazia. Siena, li 29 di 7bre 1632. Di V.S. molt’Ill. Affi Vero Sei*. A. A. vo di Siena. O) Francesco lUiuntuiNi. 400 30 SETTEMBRE — 2 OTTOBRE 1C32. [ 2814 - 2816 ] 2314*. GIORGIO BOLOGNETTI u FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 30 settembre 1632. Blbl. Vatioana. Orni. Barboriniano lat. 0076 (già I.XVI1I, 47; non cartolato). — TraUuxiuue sincrona del- l'originalu in cifra. Di Fiorenza, dal Vose. 0 d*Ascoli di Puglia, Nontio, li 30 di Settembre 1032. Deciferato li 0 d'Ottobre. Mi valei'ò della notitia che V. Era.** si è degnata darmi I 1 ’, nel particolare dell’opera del Galileo, mentre me ne sia parlato, come V. Eia.** mi comanda; n so il medesimo Ga¬ lileo havrà pensiero di mandar fuori di qua li libri stampati, eseguirò quanto V. Era.** mi ordina intorno a ciò. 2315* ANDREA GIOIA a FRANCESCO NICCOUNI [in Roma]. Cortona, 1° ottobre 1632. Blbl. Kaz. Fir. Mis. Gal., P. I, T. Il, car. 87. — Minuta non autografa. Al Sig. r ® Ambaciatore Niccoli (sic), per il Sig. r * Ball Cidi, del p.° Ott. r * 1632. Mentre siamo in viaggio, non si può badure a scrivere; et da eh’ io giunsi in Cortona, ho bavuto tanto cho faro, et in aggiustamenti di discordie et in altri imbrogli, eh’appena ho potuto bavere tempo di leggero le lettere di V. E. do’ 12, do’ 18 et de’25: et que¬ sta mattina, che siamo iu punto di partire per Montepulciano, poco più potrò dirle elio della ricevuta di esse.... Del negozio del S. ro Galileo, et di quel che V. E. ha trattato ultimamente col Sig. r0 Card. 1 * Borghese** 1 , io lo risponderò quel ch’occorra da Siena.... 2316. BENEDICI IO CAS’I ELEI a [GALILEO in Firenze], ltomn, 2 ottobre [1632}. « Blbl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 12. — Autografi la sottoscrizione o il poscritto. Molto 111.” Sig. r P.ron mio Col. mo Mercordì passato ritornai in Roma, e ritrovai la lettera di V. S. molto 111.” della quale ero giù stato avisato mentre ero fuori ; o quello che rescrisse a V. S. della ricevuta della lettera 0) , mi ha detto di haverla assicurata, come la veritil “> Cfr. nn.« 2311, 2312. <*> Cfr. il.» 2305. ,#i Scipiokk iloRUiiK#K. Cfr. n.« 2301. 2 OTTOBRE 1632. 401 [ 2316 ] ò, che io non ho mancato di far ogni opera a fin clic non si precipitasse in cleliheratione contro a così nobile, utile e gran fatica di V. S., dichiarandomi alla scoperta elio non calumandosi con i debiti modi di questo eccelso et santo Tri¬ bunale, il tutto sarebbe ridondato in scapito della riputationo e riverenza che se gli deve, et che quanto io dicevo non era per impedire che non si prohibisse io e condannasse il libro, ma solo che si procedesse in modo elio dopo il fatto si potesse da loro diro che cosa era quella che loro havevano prohibito: e di si¬ mili otficii ho passati gagliardemente, con ogni riverenza, col Rcv. mo Padre Mae¬ stro et suoi compagni, noi quali ho ritrovata in aparenza assai buona disposi¬ none. Io ho soggionto che se fossero corsi contro ad uno che liaveva scritto modestissimamente, reverentissimamonte e riservatissimamente, sarebbero cagione che altri scriverebbero con strapazzo et risolutamente ; significando a questi Padri, elio se ben toccava a loro il prohibire o non prohibire i fogli scritti dalle mani degli homini, la loro autorità però non si estendeva a fare che la terra si fermasse o si movesse, nò potevano prohibire a Dio et alla natura 20 di rivellarci di tempo in tempo i suoi reconditi secreti con mille e mille modi. Et bora, ritornato in Roma, ho parlato alla longa col R. ra0 Padro Commis¬ sario (1) , offerendomi a dichiarargli per sua minor fatica il libro do’Dialoghi in quella parte et in quei luoghi principalmente nei quali si tratta questo punto del moto della terra. Anzi, per esser questo Padre persona di molto garbo e mio particolar amorevole, m’assicurai di dirgli lo parole che seguono: Padre R. ,no Co- missario, io ritrovo scritto in S. Agostino espressamente che questa questione, se la terra si mova o no, è ben stata penetrata da’sacri scrittori, ma non de¬ terminata e insegnata, non importando nulla alla salute delle anime: anzi, es¬ sendo doppo S. Agostino passati molti secoli, c venuto al mondo l’alto ingegno no di N. Copernico, il quale con studii et fatiche herculee scrisse il volume delle Re- volutioni degli orbi celesti et della costitutione del mondo, c, stimolato dal gran Card. 1 Ricolò Seombergio et altri vescovi catolici, pii e litteratissimi, mandò in luce il suo libro, dedicandolo a un Sommo Pontefice eruditissimo, che fu Paolo 111; c sopra a queste sopositioni, con l’aiuto delle sue tavole, la S. Madre Chiesa ter¬ minò la riforma dell’anno, in modo che l’opera di N. Copernico è stata, si può dire, aprovata dalla autorità di S. Chiesa; mosso io da tutte queste cose, libe¬ ramente confesso di non liaver scrupolo nessuno a tenere, persuaso dalle ragioni cficacissimo et da tante e tante riprovo d’esperienze et osservationi, che la terra si mova di quei movimenti che gli sono assegnati dal Copernico; e di tutto que- •io sto più volte ho havuto a trattare con theologi pii e intelligentissimi, i quali non mi hanno mosso scrupolo nessuno : e però, stante tutte queste cose, io non ve¬ devo ragione nessuna, per la quale si dovessero prohibire i Dialogi di V. S. Il detto Padre mi rispose, che quanto a lui era del medesimo parere, che questa (*) VlNOKNZO MACUÌ.ANO. 402 2 — G OTTOBRE 1632. [2316-2818] questione non si dovesse terminare con 1*autorità delle Sacre Lettere; c mi disse per sino che ne voleva faro una scrittura, et che me la haverebbe mostrata. Io non desidero nitro in questo negotio, solo che si studii et intenda il libro di V. S., perchè son sicuro che cosi non si precipitarti in sentenza irragionevole. ltesto con infinito obligo al S. G. I). mio signore, che mi lionora tanto di olegermi per procuratore in questa causa, se bene io non credo che sarò chia¬ mato. Resti però sicuro V. S,, e ne assicuri S. A. S. ,nm , che se bene io non potrò r.o entrare nello Congregazioni, in ogni modo di fuori io parlarò tanto, che non man- carò all’obligo mio. In Porugia ho trattato con un tal P. M. ro Pier Dionisio Ve¬ glia, assai intelligente di geometria et astronomia, il quale ora aversissimo a questa opinione, e in ogni modo, con quattro parole che io gli dissi in voce, si convertì subito; o dopo, havendo havuto commodità di leggerli parte de’Pialogi di V. S., restando attonito e stupefatto delle grandi novità, delle chiare ragioni portate ne’Dialogi, si è ridotto a dirmi più volto che voleva abrugiare tutti i suoi scritti di sfera, riuscendoli debolezze et spropositi più che puerili. L’istesso è accaduto ad un giovane genovese di spirito assai elevato, studiosissimo delle matematiche et aliovo del detto Padre. K si consoli pur V. 8. che il tempo sarà co giusto giudice di questa sua tanto honnrata et degna fatica. Inchini il mio nome al 8.° G. I)., a Madama Sor.™* e al Ser.'* 10 8ig. r Principe I). Lorenzo: e a V. S. fo humilissima riverenza. Roma, 2 Ottobre. Di V. S. molto 111." Devotiss. 0 e Oblig. ,no Ser. ro o Dis. 10 Don Rened. 0 Castelli. Mecenate 10 sta benissimo, e studia più che mai, et ò tutto nostro più che mai, c bacia le mani a V. 8. 2317*. CLEMENTE ECIDI! ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 2 ottobre 1032. Cfr. Voi. XIX, I)oo. XXIV, b, 2H, k). 2318. GALILEO ad [ANDREA CIOI.I in Siena]. Firenze, 6 ottobre 1632. Bibl. Naz. Plr. Mss. (HI., P. I, T. IV, car. 82. — Autografa. 111. 11,0 Sig. TO o Pad. 0 ® Col.® 0 Trovomi in gran confusione per una intimazione statami fatta 3 giorni sono dal Padre Inquisitore, di ordine della Sacra Congre* < 1 ' Giovanni Cuxfou. [ 2318 - 2310 ] 6 — 9 OTTOBRE 1632. 403 gazione del S. t0 Offizio di Roma, di dovermi per tutto il presente mese presentare là a quel Tribunale, dove mi sarà significato quanto io debba fare (i) . Ora, conoscendo l’importanza del negozio, e ’1 de¬ bito di farne consapevole il Ser. mo Padrone, et il bisogno di con¬ siglio et indirizzo di quanto io debba in ciò fare, ho resoluto di venir costà quanto prima, per proporre alPA. S. ma quei partiti e pro¬ io visioni, do i quali più di uno mi passano per la fantasia, per i quali io possa nel medesimo tempo mostrarmi, quale io sono, obedientis- simo e zelantissimo di S. ta Chiesa, et anco desideroso di cautelarmi, quanto sia possibile, contro alle persecuzioni di ingiuste suggestioni, che possano immeritamente havermi concitato contro la mente, per altro santissima, de i superiori. Ne do conto a V. S. Ill. um , et anco, per non giugnere costà del tutto inaspettato, per lei al Ser. m0 G. Duca; e non sentendo cosa in contrario, mi partirò domenica prossima, la¬ sciando spazio a V. S. lll. raa di avvisarmi se accidente alcuno ci fusse, che repugnasse a questo mio proposito. E qui reverentemente gli 20 bacio la mano, e nella sua buona grazia e protezione mi raccomando. Di Firenze, li 6 di Ottobre 1C32. Di V. S. IU. raa Dev.™ et Obblig. mo Ser. re Galileo Galilei. 2319 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. » Venezia, 9 ottobre 1G32. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 42. — Autografo. Molt’Ill. 10 e Ecc. mo Sig. r Col.™ 0 Con le lettere di V. S. molto 111.” et Ecc. n,a di 25 passato ho ricevute le bolle della sua pensiono (,) , de la quale farò spedir il possesso © ’1 placet dei- TEcc.'" 0 Senato quanto prima. Adesso, per certi accidenti, questo 'genere di no- gotio sta come in sospeso; ma lasci a me la cura, chè opportunamente operarò. Saria necessario tra tanto che V. S. mandasse qui a’suoi t:,) una procura per questo negotio di levar le Ducali, con authorità di sostituir uno o più in Brescia a ri¬ scuotere la detta pensione con li decorsi ; chè puoi trovarò io persona che ci serva. I» Cfr. Voi. XIX, noe. XXIV, «, 8); o XXIV, b, 21, 22, 23 a o p). 1*' Cfr. n.° 2304. 0) Franckhco o Bknkdktto Galu.ki. 404 9 OTTOBRE 1632. [2819-2820] Intorno alla porseeutiono eh’ incontra la sua opera, succeda quello si voglia, non uo ne travagli, chè tutta la malignità del mondo non più può far che gl’in- lo tendenti non ammirino e comendino e l’opera e l’autore colle più alte maniere che si possano ritrovare. Li miei amici qui mi parlano in questi sensi, che so ci fossero tutte lo prohibitioni, vogliono più tosto incorrer l’indignationi, che pri¬ varsi di questo libro. Il Sig. r Celesti 10 , ingegno singolare, mi disse clic si contenta più tosto restar con quel libro solo, che, perso questo, tener tutti gl’altri: o tanto affermo io ancora. Qui pensava un amico mio ristamparlo; ha saputo da’suoi corrispondenti da Roma la difficoltà elio se le promove, e soprasede: ma V. S. tenga per indubitato elio sarà stampato, e le nationi estere più libere non vorrano esserne prive. Resto con un giubilo inesplicabile per la cortese pro¬ messa di farmi vedere il rimanente, perché in genere di scienze non desidero, 20 posso dire, di veder nella mia vita altro, et alcuni scritti del Campanella, stam¬ pati oltre i monti, non venuti in Italia, ove intendo difende l’istesso. Viva lieta, e lasci scoppiar l’invidia. E le bacio lo mani. Vcn. a , 9 Ottobre 1632. Di V. S. molto Ill. w et Ecc. m * I)ev.'"° Ser. r " Eco. 1150 Galileo. F. Fulgentio. 2320 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 9 ottobre 1683. Bibl. Naz. Plr. M««. Gal., P. I, T. X. car. 43. — Autografa. Molt’Ill. r ® et Ecc. mo Sig. M P.rone Col." 10 Havevo già scritta una lunga lettera in materie piacevoli a V. S. molto III." et Ecc. ma , quando giuntami la sua di 2 m’ ha colmato di dispiacere e di com¬ passione. Io non posso bavere timore eli’in Roma riceva violenza, perchè la sua causa è troppo giusta, e nel suo medesimo libro si porta la sua giustificntione. Ma ad ogni modo ad un huomo settuagenario, che non ha altro gusto eh’ il filo¬ sofare, questo incontro non può esserlo che di disturbo et incoinniodo gravissimo. Se io fossi buono di porgerli aiuto, etiandio fosse con la metà della mia vita, Dio mi vede, sarei più pronto eh’ a darli consiglio, il quale sarebbe altro in pre¬ senza che possi essere in scrittura. io <•) Marcantonio Cki.kstk, 9 OTTOBRE 1632. 405 [2320-2321] Il primo punto dove esser il confirmare l’animo con sicurezza che questo travaglio sarà molto minore in essistenza die non si dimostra nell’aspetto. An¬ dari! sotto la protettfone di quell’ Altezza, cliè questo conviene per ogni modo assicurarsi. Quelli che da lei vogliono quest’ obedienza, s’affettionerano anco alla sua virtù, Laveranno rispetto all’età, et udiranno la sua sincera intentione. 11 Pontefice stesso, così eccellente nelle belle lettere c dottrine pellegrine, tron¬ carli le vie alle malignità. V. S. non si perda, prenda cuore, chè Dio le assisterà. Penso chc’l peggio possa essere il voler da lei non retrattatione, che non va ove non si forma dottrine, ma confutationo delle ragioni Coperniehe : ella lo 20 farà come potrà. Io gl’offerisco ciò che posso. Oh fosse ella qui, ove potessi di¬ mostrarli la stima che facio! Provegga a gl’altri scritti, e s’io vaglio eccomi suo. Dio la fortifichi, come Lo prego: e le bacio le mani. Ven. a , 9 Ottobre 1632. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Dcv.- nn Ser. rn S. r0 Galileo. F. Fulgentio. Fuori , d'altra mano: Al molto Ill. ro et Eccell. 1110 Sig. r Col ." 10 Il iSig. 1 ' Galileo Galilei, in Fiorenza. 2321 *. ANDltEA CIGLI a FRANCESCO NICOOLINI [in Roma]. Siona, 9 ottobre 1632. Bibl. Nftz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. II, car. 89. — Minuta non autografa. Al S. p Amb. P0 Niccolini. Di Siena, 9 8bre 1632. Sono arrivato lioggi le Ietterò di Germania, ma tanto scarse di nuove, che io non posso mandarne a V. E. clic un piccolo mezzo foglio. Ma sarà ben anco molto più pic¬ cola questa lettera, non havendo io che scriverle fin che non me ne sopragiungano altro. Bue; che solamente posso dirle, con estraordinario dispiacere di S. A., che noi aspettiamo qua* 1 ) d’hora in bora il povero S. p Galilei, stato intimato dalla Sacra Congregatimi© del S. t0 Ottitio a comparir costà dentro il termino di questo mese, per conto di quella sua opera: nè gli mancava altro che così gran travaglio e disagio, in tanto gravo età. Ma 10 spero beilo, se Idio gli darà vita, che egli tornarà ben presto consolato, so saranno udite le sue ragioni senza esserne impedito da’ persegutori. Et a V. E. bacio con tutto l’animo lo mani. Ufr. u.° 2318. •100 12—13 OTTOBRE 1632. [2822-2324] 2322 *. MICHELANGELO BUONARROTI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 12 ottobre 1632. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 24). 2323 *. ANDREA CIGLI a FRANCESCO DE’ MEDICI [in Madrid]. Siena, 12 ottobre 1*132. Arch. di Stato In Firenze. Filza Medicea 49*12 (non cartolata). Minuta non autografa. .... Il S. r Galileo si aspetta qua di passalo per Roma r ”, sì elio io barò occasione di fargli vedere quel che V. S. 111.* «lice di haver negoziato per lui, et egli di replicare quel che gli occorrerà.... 2324 . GALILEO a [FRANCESCO BARBERINI in Roma]. Firenze, 13 ottobre 1632. Bibl. Vatioana. Cod. llarboriniano lat. 0480 (già I.XX1V, 26), car. 52 58. — Autografa. Emin. mo o Iìev. mo Sig. re o Pati . 6 Cul. rao Clio il mio Dialogo, Km. ,no o Hov. mo Sig.*', ultimamente pubbli¬ cato fusse per haver do i contradittori, fu previsto dii ino o da tutti gl’ amici miei, perché cosi ne assicuravano gl’ incontri dell’ altro mie opere per avanti mandato allo stampe, e perchè così pare elio comunemente portino seco le dottrine lo quali dalle comuni et in¬ veterate opinioni punto punto si allontanano. Ma che l’odio di al¬ cuni contra di me e le mie scritturo, solo perchè adombrano in parte lo splendor delle loro, dovesse esser potente a imprimer nello menti santissime de i superiori, questo mio libro esser indegno della io luce, mi giunse veramente inaspettato ; perlochè il comandamento ' 2) che due mesi fa si dette qua allo stampatore et a me, di non la- Cfr. n.° 2318. (Alti del R. Titiiulo Veneto di tei mie, lettere td arti. |! ’ Questo ì< uno dei documenti che mancano nel Tomo I.X1, l’arto Soconda, pag. 799-801). Venezia, volume Vaticano doi Precessi. Cfr. n.» 2825, o cfr. officino granché di U. Ferrari, 1902. Antonio Fa va ho, J documenti del J'rocettv di 0 al ileo 13 OTTOBRE 1G32. 407 [ 2824 ] sciare uscir fuori tal mio libro, mi fu avviso assai grave. Tuttavia di gran sollevamento mi era la purità della mia coscienza, la quale mi persuadeva non mi dovere esser difficile il manifestar P innocenza mia: e ben desideravo e speravo che mi dovesse esser dato campo di poter sincerarmi] ; e mi confidavo nel medesimo tempo, che la mia liumiltà, reverenza, summissione, et assolutissima autorità conceduta sopra tutti i miei concetti, fusse stata potente a rappresentare a i 20 prudentissimi superiori, la mia prontezza all’obbedire esser tale che potesse rendergli sicuri che io ad ogni minimo cenno mi sarei mosso per venire non solo a Roma, ma in capo al mondo. Perlochè non posso negare, P intimazione fattami ultimamente d’ordine della Sacra Congregazione del S. Oilizio, di dovermi presentare dentro al termine del presente mese avanti a quello eccelso Tribunale, essermi di gran¬ dissima afflizione; mentre meco medesimo vo considerando, i frutti di tutti i miei studi e fatiche di tanti anni, le quali havevano per P addietro portato per P orecchie de i litterati con fama non in tutto oscura il mio nome, essermi ora convertiti in gravi note della mia so reputazione, con dare attacco a i miei emoli d’insurger contro a gP amici miei, serrando lor la bocca non pure alle mie lodi ma alle scuse ancora, con Popporgli P bavere io finalmente meritato d’esser ci¬ tato al Tribunale del Santo Offizio, atto che non si vede eseguire se non sopra i gravemente delinquenti. Questo in modo mi affligge, che mi fa detestare tutto T tempo già da me consumato in quella sorto di studii, per i quali io ambiva e sperava di potermi alquanto separare dal trito e popolar sentiero de gli studiosi ; e con P indurmi penti¬ mento d’bavero esposto al mondo parte de i miei componimenti, m’in¬ voglia a supprimere e condannare al fuoco quelli che mi restano in 40 mano, saziando interamente la brama de i miei nimici, a i quali i miei pensieri son tanto molesti. Questa, Em.° Sig. re , ò quella afflizzione, la quale, continuando senza alcuna intermissione di rigirarmisi per la mente, con Phavermi ag¬ giunto una continua vigilia al peso di 70 anni et a più altre mie corporali indisposizioni, mi rendo sicuro, entrando in un viaggio per lunghezza e per straordinarii impedimenti et incomodi faticoso, che io non mi condurrei con la vita alla metà; onde, spinto dal comune naturai desiderio della propria salute, ho preso resoluzione di ricor¬ rere all’ intercessione di V. Em., inanimito da quella ineffabile beni- -lofi 18 OTTOBRE 163‘i. [2824J gnifcà che ciascheduno et. io sopra tutti per più esperienze ho cono- 50 scinta in lei, supplicandola elio mi faccia grazia di rappresentare a cotesti prudentissimi] Padri il mio [couipassionevojle stato presente, non per sfuggire il render conto delle azzinili mie, perchè ciò è da me somamente bramato, sicuro di poterci fare non pieeoi gua¬ dagno, ma solo perchè si compiaccino di agevolarmi il potergli obbedire e 5 1 sincerarmi. Non mancherà alla prudenza de i sapien¬ tissimi Padri modo di poter benignamente ottener l’intento loro: et a me per bora si rappresentano duo maniero. L’una ò, che io sarò prontissimo a distendere in carta e rappresentare minutissima- mento e sincerissimamonte tutto ’l progresso delle cose dette, scritte 60 et operate da me, dal primo giorno in qua elio furon suscitati moti sopra ’l libro di Niccolò Copernico e sua innovata opinione ; nella quale scrittura io son più che sicuro di far talmente chiara o paleso la sincerità della mia mente et il purissimo, zelantissimo e santissimo affetto verso S. u Chiesa et il suo Rettore e ministri, elio non sarà alcuno, die sondo ignudo di passione o di affetto alterato, non con¬ fessi essermi io portato tanto piamente e cattolicamente, che pietà maggiore non haverebbe potuto dimostrare qualsivoglia do i Padri che del titolo di santità vengono insigniti, lo ho appresso di me tutte 10 scritture che per tale occasiono feci qui e in Roma, dalle quali ?o (torno a replicarlo) ciascheduno comprenderà, non mi esser io mosso a implicarmi in questa impresa salvo elio per zelo di S. u Chiesa, e per sumministraro a i ministri di quella quelle notizie elio i miei lunghi studii mi havevano arrecate, e di alcuna dello quali forse po¬ teva taluno esser bisognoso, conio di materie oscuro e separate dallo dottrine più frequentate: e ben son sicuro elio agevolissimo mi sarà 11 far paleso o chiaro, come del pormi a tale impresa mi furon ga¬ gliardo invito le determinazioni e santissimi precetti in tanti luoghi sparsi nei libri de i sacri dottori di S. u Chiesa, o come finalmente l’ul¬ tima mia conferma in tal proponimento s’impresse in me nel sentire so un brevissimo ma santissimo et ammirabil pronunziato, elio, quasi ecco dello Spirito Santo, improvisamente usci dalla bocca di persona emi¬ nentissima in dottrina o veneranda por santità di vita; pronunziato tale, che in sè contiene, sotto manco di dieci parole con arguta leg¬ giadria accoppiate, quanto da lunghi discorsi disseminati no i libri Lott. 2324. 83. Tra Mattiti di «ila o jironumiato si loggo, cancellato: Ma io per koru tacciò il dello. — 13 OTTOBRE 1632. 409 [ 2824 ] de i sacri dottori [si racco]glie. Io per hora tacerò il detto ammirabile e l’autor di esso, non mi parendo se non cautamente e con veniente¬ mente fatto il non interessar mastino nel presente affare, dove solo la persona mia viene in considerazione. ‘.*o Se mi succederà d’ottener tal grazia, oh quanto spero io che la mia innocenza debba esser conosciuta et abbracciata da cotesti prudentissimi e giustissimi Padri, e quanto habbiano a restar mara¬ vigliati di qualche stratagemma clic fu usato da qualcuno, accecato e spinto a muover la prima pietra non per zelo di pietà, ma per odio non contro di questa o di quella opinione, ma contro alla per¬ sona mia. Io non mi potrei accomodare a creder che domanda elio mi si rappresenta tanto ragionevole mi dovesse esser negata, e tanto più quanto il concederla non toglie il potermi costrigner nel modo già intrapreso. E chi vorrà negarmi tale udienza per scrittura, e ioo gravarmi di fatica insuperabile dalla mia debolezza, per le cause già dette, mentre io l’assicuro che, sentite le ragioni mie, compas¬ sionerà ’l mio stato, e soverchio gastigo al mio demerito (se pur ve n’ è ombra) gli parrà il travaglio portomi sin hora per l’altrui (per quanto temo) poco sincere informazioni ? E quando tal mia scrittura non sodisfacesse appieno a tutti i capi sopra i quali mi vicn mossa imputazione e querela, potranno essermi proposte le particolari dif¬ ficoltà, che io non mancherò di rispondere quanto Iddio mi detterà. Ma dubito, Emin. ,n0 e Rev. m0 mio Sig. re , che possa essere che i miei oppositori non siano per venire (come si suol dire) di così buone no gambe a mettere in carta quello che in voce et ad aures forse havranno contro di me pronunziato, come io mi offerisco a mettere in scrittura le mie difese. Ma finalmente, quando non si voglino accettare mio giustificazioni in scritture, ma si voglia la viva voce, qui sono Inquisitore, Nunzio, Arcivescovo et altri ministri di S. ta Chiesa, a i quali sono prontissimo di presentarmi ad ogni richiesta : e pur mi sembra verisimile che anco cause di maggiore affare si trattino avanti questi tribunali; nò può parer verisimile che sotto a gl’occhi perspicacissimi e zelantis¬ simi di quelli che veddero il mio libro, con liberissima autorità di 120 levare, aggiugnere e mutare ad arbitrio loro, possa esser passato errore di tanto momento, senza esser veduto, che [ecceda la facoltà] d’esser corretto e gastigato da i superiori di questa città. 52 XIV. 410 13 16 OTTOBRE 1632. [2824-2325] Questi, Em. S., sono i partiti che por salvezza della mia vita e per sodisfazione di cotosto eccelso o venerando Tribunale mi sovvengono. Prego la benignità sua che voglia rappresentargli, con scusare in¬ sieme se per mia ignoranza vi havcssi commesso veruno errore. E per ultima conclusione, quando nè la grave età, nè le molte corporali indisposizioni, nò afflizzion di mente, nò la lunghezza di un viaggio per i presenti sospetti travagliosissimo, siano giudicate da cotesto sacro et eccelso Tribunale scuso bastanti ad impetrar dispensa o prò- iso roga alcuna, io mi porrò in viaggio, anteponendo l’ubbidire al vivere. E qui, Em. rao e Rev. rao Sig.™, con ogni humiltà inchinandomi, gli bacio la veste e prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 13 di Ottobre 1632. Di V. Em. l{l Rev. mR IIum. ro0 et Obb.®° Servo Galileo Galilei. Fuori *»' ieggt, di mano di Uhm ano Vili: Si « trattato di questo affavo noli’ultima Poriff.”' ilei S. Oflitio: non occorro altra risposta; lumia intender dall’Aaseaaore ho ò Btnlo eseguito l'ordinato in detta Collg. ,,, 2325 . • GALILEO a (CESARE MA USILI in Bologna]. Firenxo, 10 ottobre 1G32. Aroh. MarBlsrll In Bologna. Busta citata al n.® 1688 — 'Autografa. Ill. mo Sig.™ e Pad." Col.® 0 Sono poco meno di 2 mesi che il P. Inquisitore di qui commesse, di ordine del R. mo P. Maestro del Sacro Palazzo di Roma, al libraio et a me, che non dovessimo dar fuora più copie del mio Dialogo sino ad altro avviso U1 : e questa fu la prima conferma di una acerbis¬ sima persecuzione, che poco avanti havevo inteso che si andava ma¬ ciullando contro di me e ’1 mio libro ; la quale persecuzione ò andata pigliando tanto vigore, che finalmente, 15 giorni sono, mi venne una intimazione dalla S. Congregazione del S. to Ollizio, che per tutto que- «*> Cfr. ii.° 2324, lin. 11-12. [2325-2326] 16 OTTOBRE 1632. 411 io sto mese io debba presentarmi a quello eccelso Tribunale. Tale av¬ viso mi affligge gravemente, non perchè io non sperassi di potermi appieno giustificare e far palese la mia innocenzia c santissimo zelo verso S. ta Chiesa; ma la grave età, accompagnata con molte corpo¬ rali indisposizioni, con la giunta di questo travaglio di mente, in un viaggio lungo e travagliosissimo per i presenti sospetti, mi ren¬ dono quasi cho sicuro che io non mi vi potrei condur con la vita. Ho fatto ogni opera per ottener di sincerarmi con scritture, o vero che la causa mia sia veduta qui, dove sono ministri di S. ta Chiesa; o sto aspettando qualche resoluzione. Intanto ne ho voluto dar conto 20 a Y. S. Ill. ma , come a mio padrone affezionatissimo e che so cho com¬ passionerà questo mio infortunio. Ricevei una lunga lettera dal molto R. Padre Buonaventura (,) , piena di scuse, le quali veramente non erano necessarie, perchè io non ho mai hauto dubbio della sua bonissima intenzione, ma mi dolevo della mia disgrazia, che mi arrecava disgusto contro alla volontà e opinione di chi me lo cagionava. Io non posso riscrivergli per adesso, trovan¬ domi occupatissimo ; e solo prego Y. S. a dirgli che non intendo che S. Paternità muti nulla nel suo libro già stampato, anzi che io gli rendo grazie dello onorate menzioni che fa di me. E qui revente- 30 mente inchinandola, gli bacio le mani e prego felicità. Fir. ze , li 16 di 8bre 1032. Di V. S. 111."» Ser. ro Obblig.'" 0 Gal. 0 (j. 2326. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 16 ottobre 1632. Bibl. Naz. Fir. MSB. Gal., P. VI, T. XI, car. 212-243. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ili.” Sig. r et P.ron mio Col. 1 " 0 Scrissi oggi quindeoi giorni a V. S. molto Ill. re una mìa longa lJ) intorno a quanto si sentiva trattare del suo libro da questi Superiori: desiderarci sapere “i Cfr. n.» 2307. '*> Cfr. n.» 2310. 412 16 OTTOBRE 1632. L2 m] so r ha ricevuta. Tra tanto non ho sentito altro di novo, solo ohe il Rev. m0 Padre Abbate di Siena con una sua lettera mi ha messo il cervello a partito, havendomi dato conto di un argomento fatto dal Chiaromonte ”, al quale (sia detto con pace di V. S.) non credo che loi mai habbia pensato. Mi scrive che ò stato visto in questa risposta che si stampa in Firenze 1,5 ; eie parole sono queste: Se la terra si mo¬ vesse, la prima intelligenza, alla quale compete il moto diurno doli’ universo, sarebbe divenuta un demonio. Dove io noto, prima, la franchezza della intro- io duttione di questa prima intelligenza, e la sicurezza del mestier suo di movere del moto diurno l’universo; tutte cose controverse. Ma quel che mi è parso ri- dicoloso, ò che questo povero vecchio casca ancor lui nel pensiero, che Pitagora, Copernico, V. S., et altri che tengono che la terra si mova, habbino in mento che una volta la terra sia stata ferma, et poi si sia cominciata a movere; perché so o’non havesse questa fantasia, non haverobbe detto che la prima intelligenza sarebbe divenuta un demonio, ma concluderebbe che la prima intelligenza sa¬ rebbe sempre stata e sarebbe un demonio. Da questa sola cosa, quando io non ne fossi chiaro per altro, conosco pur troppo vivamente che quest’homo è molto debole; o non è possibile che da un cervello dal quale è nata questa scioccarla, i-’O possa mai uscire altro clic vanità o debolezze grandissime. Et se P universale degli homini fosse disposto alti discorsi dell’intelletto come alli suoni musicali, al certo il Chiaromonte et i pari suoi non sarebbero mai tenuti nel numero do i litterati; perchè so uno di questi che suonano il lento ancor elio manco di me¬ diocremente, facesse una sonata tanto discordo et esorbitante dal vero modo di sonare quanto questo discorso del Chiaromonte è lontano da un aggiustato di¬ scorso, colui di sicuro non sarebbe già mai stimato degno d’alcun nome di so¬ natore. Dio lo guardi, che a l’intelletto purgatissimo del S. (r. D. arivi la notitia di questa pazzia, perchè scorrerà gran pericolo di esser raso dal’ honorato ruolo de’ lettori di Pisa. oo Io vo ancora continuando con la mia imìispositione, se beno con migliora¬ mento notabile, et spero in breve di uscir di letto. .Sia però fatta in tutto o per tutto la volontà di Dio, quale conservi V. S. felicemente come la) prego, o li faccio humilissiiua riverenza, Roma, 16 Sttobre 1632. Di V. S. molto Ill. r ® Devotiss. 0 c Oblig.™ 0 Sor.™ e Dis. l ° Don Rened. 0 Castelli. Scipione Chi ab a monti. I*' Difesa di Scipione Chiaramonti da Cesena «/ tuo Anliticonc e Libro delle tre nuoce tulle, dall'op- poeitioni dell'Autore de due Mattimi Sistemi, Tole¬ maico e Copernicano. Nella quale >1 sostiene che la nuova stella del 72 non fu celeste; si difende ArUt. ne’snoi principali dogmi del dolo ; si rifiutano i principii della nuova filosofia o l'addotto in difosa o prova del si-tema Copernicano. All'Eminentissimo o Reverendissimo Signor Cardinale Francesco Barbe¬ rini. In Fironxe, appresso il Landini, M.PC.XXX1II. [2327-2328] 16 OTTOBRE 1632. 413 2327 *. ANDREA CIOL1 a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [SienaJ, 16 ottobre 1632. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. 1, T. II, car. 91. — Minuta non autografa. Al S. r Amb. ro Niccolini. 16 8bre 1632. Passa una staffetta por costà, senza ohe io sappia da chi venga spedita da Fiorenza, perchè non ha portato lettere per me nè per altri in Siena; e mi fa nondimeno uervitio per l’occasione che mi dà di scrivere a V. E. quel che non potetti hiersera. 11 povero S. r Galileo è il più afllitt’ Intorno del mondo, e S. A. ha tanta pietà di lui, che vorrohbe, anche per sua propria quiete, vederlo consolato, o almeno non del tutto sconsolato e quasi messo in disperatione. So egli venisse costà e fosso udito, credo S. A. elio darebbe tanta sodisfattione di sò, e della sua opinione renderebbe ragioni tali, clic 10 forse i suoi emuli o persegutori si pentirebbero d’havcrlo malignato. Ma l’età grave, la sanità non buona e la borsa leggiere lo spaventano, o tanto più in considerai ione della lunga quarantena che gli converrebbe fare. Egli è però entrato in speranza, che senti¬ tasi dal S. r Card. 10 Barberino, e forse da S. B. n0 ancora, la lettera <*> di che V. E. vedrà o serberà la copia elio le mando, o gli habbia a esser permutata la commessione, o proro¬ gato il tempo del viaggio. Riceverà V. E. con questa anello la lettera che egli ha scritto a me<*>; et S. A., che le ha sentito tutte, m’ha comandato di scrivere a V. E. che faccia tutto quello cho sia mai possibile in suo aiuto, osservando quel elio egli scrivo. E lo bacio lo mani. L’originale di dotta lettera non è altramente venuta in mia mano, come il 8/ Galilei 20 scrive; o per questo non ho potuto mandarla a V. E. Ma a lei non mancarà modo di saper so il S. r Cardinale l’habbia ricevuta. 2328 . ANDREA CIOLT a GALILEO [in Fironze]. Siena, 16 ottobre 1632. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal.. P. 1, T. X, car. 45. — Autografa. Molt’Ill. et Ecc. mo S. r mio 0ss. mo S. A. ha sentito questa mattina a posato animo la lettera scritta da V. S. al Sig. r Card. 1 Barberino (3) , quella del P. I). Benedetto Castelli scritta a lei l4) , et prima di esse la replica che ha fatta V. S. a me in proposito del suo venire a Siena. (') Cfr. n.o 2824. (*) Cfr. il.» 2318. < 3 > Cfr. u.° 2624. <‘i Cfr. n.o 2316. 16 — 22 OTTOBRE 1632. 414 [2328-2830] S’cllft ottenesse a Roma uno de’partiti ch’ella propone, S. A. ne haverebbe gran¬ dissimo gusto. Però, nel mandarsi la copia della lettera di V. S. per il S. r Card. 1 Barberino, si ò scritto al S. r Amb. r Niccolini*' 5 in modo, elio so gli oflitii suoi sa¬ ranno così benignamente uditi come da lui puntualmente essoguiti, faranno qual¬ che frutto. Il elio piaccia a Pio elio segua, et che al S. r Cardinale non dia noia o tedio la lunghezza della lettera, come suolo avvenire a chi ha sempre la testa io piena di negotii. Non è giò, venuta in mia mano detta lettera per il S. r Cardi¬ nale, et non ho però potuto inviarla al S. r Ambasciatore, come faccio della copia. Et con tutto l’animo lo bacio le mani. Di Siena, 16 Ott. ro 1632. Di V. S. molto 111. et Ecc. ma Domenica prossima, con l’aiuto di Dio, S. A. sarò, costì. Serv. AfT.'" 0 S, r Galileo And. Gioii. 2329 **. NICCOLÒ SACCHETTI ad ANDREA CIOLI in Firenze. Vienna, lfl ottobre 1682. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea -1886 (non cartolata). — Autografa la sottoscmiono. Di V. S. Clnr. mR ot 111." 1 *, alla quale ninnilo l’incluso foglio 1 * 1 , che mi ha mandato il S. r Conte di Stralcnilerf, Vice Cancelliere dell’Imperio, nel quale egli desidera di havere, cora’ ella vedrii, un libro del S. r# Galileo che ha ultimamente fatto sopra i duo sistomi del mondo, perchè, essendo questo Cavaliero intcndentissimo dello matematiche et molto devoto al nomo del medesimo S. rB Galileo, ha desiderio grandissimo di vedere quest’opera: ot io prego V. S. Ill. ma a operare che questo Signore no venga compiaciuto, ossondo mio grande amico; ot desidero di haverlo quanto prima. Obblig." 10 Ser. r, ‘ S. rB Bali Cidi. Nicoolò Sacchetti. 2330 . TOMMASO CAMPANELLA a GALILEO in Firenze. Frascati, 22 ottobre 1682. Btbl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. XI, car. 214. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. ,no Por dir il vero, quella sera che scrissi a V. S. Kcc. m * ,f> , io stavo con gran paura, perchè si fe’ la causa con molte sbravate contra i novi illusoli etc., e ci <» Cfr. n.o 2827. **' Non ò iirosoutomento allogato. «*> Cfr. n.» 230U. 415 [2830-23311 22 — 23 ottobre 1632. fili nominato io. Et alcuni mi dissero c’ ho fatto mal ad informar un Cardinale per aiuto suo; e non so so quello l’ha dotto, o li fu rinfacciato che io 1’havessi soggerito: e ’l M. disse ad un amico, che m’ha fatto piacere a non mostrar l’Apologià 10 mia, stampata in Germania in difesa di V. S. ; et è la verità che non la mostrò, perchè non la volessero vedere nè chiamarmi in sua difesa, per¬ chè in quella non si determina, ma si disputa ad utranque partem, e la occultò io apposta etc. Et io scrissi concisamente e quasi per cifra, perchè duhhitavo e dubito anchora non la pigliassero contra me. Io non so se l’Ambasciatore ha fatto l’ufficio coni’ella mi scrisse: ma so che non solo non fui chiamato io nè il Castelli 10 , ma che non voleano ch’io lo sapessi. Ma però dico di novo eh’è im¬ possibile che V. S. non Labbia sodisfattione, se si piglia il principio eh’ io dissi per la difesa tS) , anzi impossibilissimo. Ma mentre non si può parlare, et io son figlio d’obedienza, mozzai le parole. So V.S. venisse, o fosse udita, come io spero, da S. B. in concilio Fatrum, mi confidarci etc. V. S. perdoni alla mia pusillanimità, nata da lunghi affanni e calunnie. E sappia che gli huomini non mirano al vero, ma a dar gusto e scusar sò stessi 20 con accusar noi etc. Questo deve bastar a pensar quel che si deve fare, se questi decreti novi non sono irretrattabili ; se non, patienza. Quel che vuol Dio, è forza vogliamo anche noi. Io vedo che quanto più ci sforzamo a manifestarci amici e servi de’ padroni, tanto più si studiano a mostrar il contrario gli altri etc. Dio consoli V. S. Ecc. ma e tutti noi. Frascati, a’ 22 d’Sbre 1632. Di V. S. Ecc. nia Se. 1 ' 0 Aff. m0 e di core F. Thom. 0 Campanella. Fanno tutto il possibile con parole e scritture a provare elio V. S. ha con¬ travenuto a quanto li fu ordinato e corretto, per salvar sè stessi o por etc. co Fuori d'altra mano : Al molt’ Ill. ro et Ecc.^ Sig. r e P.ron mio Oss."‘° 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei, Filosofo e Matematico dell’Altez. a di Tose.' 1 Firenze. 2331 . BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Firenze]. Castel Gandolfo, 23 ottobre 1632. Bibl. Na*. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 50. — Autografa. Molto 111. ro Sig.™ e P.ron mio Col. ,no Qui in Castel Gandolfo ho riceuta la lettera di V. S. molto 111.™ con l’in¬ clusa al Sig. 1 ' Antonio Minutolo, al quale l’ho consegnata; ma per ancora non m Cfr. n.® 1545, Un. 45. <»i Cfr. il. 0 2289. <»> Cfr. u « 2294. 4ir> 23 OTTOBRE 1632. [2881-2332] ho hauto risposta, per essere andato fuori rKmin. roo Sig. r Gard. 1 * Padrone. Fra duo giorni penso essere a Roma, e parlarò con l’Ecc.® 0 Sig. r Ambasciatore e vedrò se S. E. mi aprirà qualche strada di servire V. S., perchè sin ora io la¬ voro all’oscuro, o per dir meglio la gran luce e splendore, con che si trattano questi ncgozii, m’abbaglia la vista. In tanto lei resti consolata nella propria con¬ scienza, e sia sicura, come so che è, che le ultimate risoluzioni di questo san.[ mo | Tribunale non li saranno mai pregiudiziali. io Mi dispiaco che lo turbulenze di Mons. r Cinmpoli l '\ tanto suo c mio, ci siano traversate. S. S. 111.®* è stata deputata governatore di Mont’Alto della Marca, della quale deliberazione resta contento, quietandosi nella volontà di Dio e in quella de’Padroni. Io vado continovando a servire dove sono comandato, e PEm."' 0 Padrone mostra gradire la mia buona volontà; tuttavia io non ho, riguardando al mio basso merito, speranze di sorte alcuna, e i miei desiderii sono tanto mor¬ tificati, che resto co isolatissimo. Solo vorrei potere servire V. S. e lo A A. Ser.'" tì , alle quali humilraento m’inchino; e a V. S. bacio le mani, o li prego da Dio contentezza. Di Castel fìandolfo, il 23 di fibre 1632. 20 Di V. S. molto lll. ro Devoti*». 0 e ()bl. mo Sor.”* e I>is.*° Don benedetto Castelli. 2332**. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 23 ottobre 1C32. Blbl. Nat. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 49. — Autografa la *otto»eriilono. Molto III.® et Eccoli.® 0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Ilavevo scritto questo annesso, quando mi gionse la littera del travaglio di V. S. molto 111." et Eccoli.®*, die mi fece mutar proposito e scriverle con in quella. Mora, per il particolar della sua pensiono l ”, la mando per non scriver il mede- srao. Sarà servita certo, o questa mattina no ho parlato all’Eccoli. mo Venier (,) , che levarà ogni difficoltà. Faccia la procura, e dia l’ordino a i suoi 10 qui d’aboc- carsi meco, e lasci a me la cura. Do i suoi travagli, io tengo per certissimo che debbano svanire e risolversi in niente, perchè così vuole il giusto; et se ella fosse qui con noi, so certo che così sarebbe. Faccia cuore e non si dubiti, chè Dio le assisterà, e finalmente la io verità haverà suo luoco. Mi son trovato a caso hieri, oyc si ragionava del si¬ lo Cfr. u.° 22139. <*> Ufr. u.o 2319. SlCBAhTUNO VltNIKU. Ol Fkaxckscu e BitMcuirro Uaui.ki. 23 OTTOBRE 1G32. 417 [2332-2333] sterna Copernicano; et con la debita lode della chiarezza che gli ha portato T opera di Y. S., sentii però farci questa difficoltà, e colui che la faceva si con¬ tentò canonizarla come insolubile: cioè che se il sole ò nel centro e la terra è sopra Venere, non è possibile che si vegga la metà del zodiaco, come puro è constante esperienza astronomica che sempre se ne veggano G segni. Non so se nel Copernico sia levato questo dubio; c l’ho voluto scriver a Y. S., perchè non ho a mano nè il suo libro nò il Copernico, che è in mano d’ un gentil Intorno. Si conservi, et babbi per certo che ne i mali Immani molto maggior è sempre 20 quello dell’imaginatione di quello dell’essistenza; e vedrà che sul fatto alle ra¬ gioni ciedono per forza le chimere delli ignoranti. Resto tutto a i suoi com- mandi e con ardentissimo desiderio d’intendere che ella sia in tranquillità; e le bacio le mani. Ven.% 23 Ottobre 1G32. Di V. S. molto 111. ot Eccell.™ Devotiss. 0 Ser. ro F. Fulgentio. 23B3. FRANCESCO NICCOLINI a [GALILEO in Firenze]. Roma, 23 ottobre 1032. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 47-48. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ul. re Sig. r mio Oss.° Sento con infinito dispiacere il travaglio che Y. S. ricevè per l’impressione del suo Dialogo, e vorrei poterli essere di qualche aiuto, clic merita la sua bontà c valore. Ma il trattare con la Congregazione del S. t0 Offizio, e di negozio spettante ad essa, è materia così stretta, che non dà occasione di discorso da poter gio¬ vare. Ilo veduto la lettera che scrive al S. r Card. 1 Barberini c0 ; et perchè N. S. et rEm.“ S. si trovano in villa, di dove non torneranno prima d’Ogni Santi, non ho havuto commodità di presentargliene: oltre che il P. D. Benedetto si trova ancora lui con la Corte, con il quale vorrei prima consultare quello che lei scrive, io Et se ho da parlare liberamente, dubito elio la lettera sia più presto per ina¬ sprire che agevolare; perchè mentre lei accenna di poter defendere et sincerare quello che ha scritto, tanto più crescerà il pensiero di dannare in tutto e per tutto l’opera. Et habbia pure V. S. queste massime per risposta delle sue proposte, che non siano per eondescendere mai che lei possa rispondere alle difficoltà che si fanno col star a casa sua, et che nè meno siano per darli un giudice costà. <*> Cfr. il.» 2324. 53 XIV. 418 23 — 24 OTTOBRE 1632. [2888-2834] Ma quanto alla dilatione per venir qua, io non credo che siano per negargliela, ma però molto limitata. Quanto poi al negozio, creda pure elio gli sarà necessario non entrare in di¬ lesa di quelle cose elio la Congregazione non approva, ma deferire a quella et ritrattarsi nel modo che vorranno i Cardinali di essa; altrimente troverà dilli- 20 coltà grandissime iieH’espeditione della causa sua, come è intervenuto a molti altri: nò, parlando christianamente, si può pretendere altro che quello vogliano loro, corno tribunal supremo che non può errare. In questa forma lei potrebbe trovare facilità nell’ espeditione della sua causa; ma che si faccia senza processo, non lo creda, et in consequenza senza qualche poco di restringimento della persona sua. In oltre, nella lettera scritta al Sig. r Car¬ dinale, lei accenna che da un Eminentissimo habbia sentito un pronunziato come ecco dello Spirito Santo. Se questa lettera si presenta, non dubiti punto che sarà mandata in Congregazione, perchò cosi sono tenuti i Cardinali di essa, et vor¬ ranno supero chi fu. Di modo che mi riserbo, prima di presentarla, a conferire 80 il tutto con il P. I). Benedetto, suo tanto amorevole e partiale. Mi duole estremamente della sua alHitlione, particolarmente in coteata età, ot vorrei poterla sollevar col sangue proprio; ma come si tratta del S. Oiìitio, le cose non vanno con l’ordino deH’altre Congregazioni; 0 per lo censure che vi sono, nessuno risponde mai a chi informa 0 raccomanda. Nel resto, da quel che ho scritto in Corte Ser. ma , si posson veder le mie instnn/o e repliche fatte a S. B. in suo favore. K mentre resto qui prontissimo a servirla, le bacio con tutto l'a¬ nimo le mani. Roma, 23 8bro 1632. Di V. molto 111.” Rer." Ali'.'" 0 40 Fruito. 0 Mccolini. 2334 . FRANCESCO N1CCOLINI ud [ANDREA CIUDI in Firenze], Roma, 24 ottobre 1032. Bibl. Nftz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 93. — Autografa la «ottoscrizlono. .... Quanto al negozio del Sig. r Galileo, ho voluto conferir la copia della lettera per il S. r Card. 1 Barberino (1> , statami inviata da lui medesimo, et non pure ohe inetta conto il presentarla in modo alcuno; perchè S. Emi.** la consegnerà subito alla Congregatione, dove sarà scrutinata 0 ponderata, e vorranno particolarmente sapere chi sia quel HUggetto grande accennato iu essa, che egli non vuol nominare, e lo vorranno Bapero in ogni modo I» Cfr. 1111 .* 2321. 2333. 24 — 30 OTTOBRE 1632. 41!) [ 2334 - 2886 ] da lui medesimo, che sarà sicuramente ristretto d’hahitatione, o posto in qualche neces¬ sità o a disdirsi, o di scriver contro a quel che ha pubblicato, senza che possa sperare che le sue ragioni li sieno ammesse, e forse non udite. Non mi par che si possa far altro che domandar la proroga desiderata, perchè l’altra pretensioni non sono ottenibili, e di 10 già son state osciuse più volte ne’miei negoziati da S. 11. medesima, come S. A. può havor udito dalle mio Ietterò. Como il Sig. r Card. 1 Barberino venga a Roma, farò instanza dolla prorogatbione del tempo a venire, e le darò poi conto di quel che S. Eni.** mi farà sapere. Volevo vedere il P. D. Benedetto, ma egli ancora ò a Castel Gandolfo, per le cause che accennai hiersera al medesimo Sig. r Galilei. Ma egli, che è alla Corto, havrà forse negoziato qualche cosa su lo lettore del medesimo Sig. r Galilei, che io le ho mandato a casa ot che le saranno state inviate fuori. Rimettendomi nel resto a quel che ho scritto a lui medesimo.... 2835 ** ANDREA CIGLI a FRANCESCO RICCIOLINI [in Roma]. [Firenze!, 29 ottobre 1032. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. II, cnr. 97. — Minuta non autografa. .... Da quel che V. E. risponde ot discorro sopra il negotio del S. r Galilei, io vedo che non sarà poco se lo riuscirà d’ottenergli la proroga che chiede; et non vi haverebbe da incontrare molta diffidi Uà, mentre che stanno riservati i passi. Et quanto alla copia dolla sua letterail mostrarla V. E. o no poco fastidio può dare, perchè io credo che egli habbia mandato l’originale; et chi sia quel gran personaggio, a me pare che sia fa¬ cile ad indovinarlo; et quanto all’altre pretensioni, io non so che dirmi, se non che S. A. Io compatisce grandemente.... 2386 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 30 ottobre 1632. Blbl. Eat. In Modona. Raccolta Campori, Autografi, B.» LXX, n.° 24. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ill. pe Sig. r et P.ron mio Col ." 10 Son ritornato in Roma, et migliorato assai, per grazia di Dio, di ogni indi¬ spostone. Sono stato a far riverenza al Sig. Ambasiadore di Toscana, quale m’ha letta la lettera di V. S. (1) ; et siamo restati in apuntamento che la presenti, come farà, 0> Cfr. n.® 2324. <*' Cfr il.® 2324. 420 30 OTTOBRE 1632. [2836-28871 se non lo ha fatto hoggi. Io son restato assai consolato, perché ho conosciuto che il Sig. r Arab. r0 si ò adoprato et si adopra con tutto lo spirito nelli interessi di V. S.; e spero in Dio benedetto che le cose riusciranno tutte in bene. Questo ordinario non ho ricevuto lettere sue, cosa la quale mi dà qualche gelosia della sua sanità. Monsig. r Ciampoli è stato destinato governatore di io Mont’Alto nella Marca, e del tutto sta contentissimo, nò ha altro disgusto che dolli travagli di V. S., alla quale bacia la mano, come fo con ogni afetto io ancora. Roma, 30 Ottoh. 1632. Di V. S. molto lll. ro Dovotiss. 0 e Oblig. mo Ser. r * o Dia. 10 Sig. r Galileo. Don Bened. 0 C, Fuori: Al molto 111.™ et Eco.® 0 Sig. r P.ron mio Col. IDO [_Jleo Galilei, Filosofo et Matematico di JS. A. S. Fiorenza. 2337 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 30 ottobru 1032. Blbl. Nae.Flr. Mbb. Gal., P. I, T. X, car. B2. Autografa. Molt'lll. r * et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Scrissi nel passato dispaccioquello che faceva bisogno intorno al nogòtio della pensione. Non replico. Non posso levare la fantasia dal pensare al disturbo che V. S. molto 111.” et Ecc. raa riceve, che mi sta al cuore come fosse mio proxirio. Mi ò sovvenuto questo, che la Corte ha l’uso clic quando li viene accusato un libro e stima do¬ verlo prohibire, etiandio che non contenesse propositioni contrarie alla religione, non lo fa se non formando un giudicio, col quale cita l’autore o chi havesse in¬ teresse in difenderlo. Ilavendo V. S. trattato in modo ch’io in realtà non so quali contrarietà possa bavere, poiché niente difìnisce, anzi tutto lascia in sospeso, nò io lo cose sono da lei promosse, ma trattate nelle scliole, stampato no’ libri, può ossere che la rabbia et invidia voglia ferir qui, di far prohibire il libro. Noi qual caso io direi che V. S. non ne prenda nò difesa nò fastidio, ma assolutamelo si rimetta a ciò che loro piace, perchè così sfugirà il travaglio; o stia certo che ciò non le portarà altro che far bavere più di spazzo e credito all’opera, e farla più tosto tradurrò e stampare in altre regioni o lingue. Consulti so con una dic- «») Cfr. n.o 2332. [2337-2388] 30 OTTOBRE 16.32. 421 chiaratione espressa, eh’essa non intende altro del suo libro se non che ne fa- ciano quello essi stimano, potesse facilitar che almeno il negotio si trattasse costì. Oh con quanto desiderio e quante volte io la bramo qui! certo non le saria fatto 20 torto. Supererà tutto col divino aiuto, come prego; et a V. S. molto Ill. r< * et Ecc. ma bacio le mani. Yenetia, 30 Ottobre 1632. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na Devot. mo Sor.™ S. r Galileo. F. Fulgentio. Fuori, (Valtra mano: Al molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo Sig. 1 ' P.ron Col. mo Il Sig. r (Galileo Galilei. Fiorenza. 2338 *. FRANCESCO NTCCOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 30 ottobre 1632. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 54. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.” Sig. r mio Oss.° Tornò da Castel Gandolfo il P. D. Benedetto, et havendolo io incontrato avanti a casa sua, dopo certo discorso fatto in strada, lo pregai di venir a casa mia, per concertare quel che io dovessi fare della lettera del Sig. r Card. 1 Bar¬ berini, considerata che havessimo insieme la minuta da Y. S. inviatami 0) . Venne il dopo desinare; e dopo d’haverli conferite molte cose dello stato del negotio trattato da me due o tre volte acerrimamente con S. B. medesima, come sa il S. r Ball Cioli, oltre a quel che ho negotiato col Sig. r Card. 1 Barberini e con altri, leggemmo il duplicato; et al Padre parve che io dovessi presentarla, dopo havermi io esplicate alcune difficoltà che mi davan noia. E perchè per l’assenza della Corte non 8’è trattato di cos’alcuna dopo che S. S. tJl andò in campagna, bora che S. B. ò tornata procurerò di servire a V. S. e di far la parte mia affettuosamente et efficacemente con S. Era»; e di quel che s’otterrà le darò parte, subito che io possa. Il P. D. Benedetto facilmente le dirà qualche cosa da vantaggio del di¬ scorso fra noi (,) ; et io, rimettendomi a lui, a V. S. in tanto bacio le mani. Roma, 30 8bre 1632. Di V. S. HI.™ Ser. ra Aff>° S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. «»* Cfr. n.° 2324. <*> Cfr. H.o 2836. 422 1 » NOVKMBRE 1632 . [ 2339 ) 2339. riETRO GASSEND1 a GALILEO in Firenze. Lione, 1* novembre 1(132. Bibl. Nftz. Fir. M*s. 0*1, P. VI. T XI, e«r. 248. Àutufrif*. Viro nunquam satin laudato Galileo Galilei, Magni Hotruriae I>ucis Matbuinatico, P. Gassendus S. Satis temporia iaui elapsum est, Immanissime virorum, ex quo Diodati 10 manu accepi, quod consignari raihi voluisti Dialogorum tuoruni exemplum. Quod sero tamen gratias agam, excusationcm mereor, quando vii tandem licuit, di¬ scedenti Parisiis, desiderata lectione fruì die uno aut altero. Nempe quampriuium egrcgius liber factus est mihi prae manibus, tanta illiua apud studioso» cxs|>oc- tatio in arse rat, ut, quia Diodatua excmplum *uum detulerat in Angliam niounique in urbe unicum supererat, vix ullus fuerit qui pemdcro successive non postu- lo larit. Itaque discessus occasio vix tandem fecit illius co pia m, nogrequo inter varia» occupationes obtinui ut praegustarem quod spero adirne, quamprimuni conquievero, pieno quasi ore serberò. Interra cani foret in hnc ciritate pancia diebus commorandura, significare xolui, quam grate acccporim librum, quam iucunde percurrerim. Equidem tanta tum ufTectus inter legtndum voluptate, ut etìamnum, quoties mente repeto, miritico inorear. Ita scilicet libi consta*, aman¬ tissime veritatia vir, ut quodcunique ratiocinaris, nuturam semper acquari» ducem, ot ex propriarum observationum divite penu principia duca». Assurgi» quo inor- talium nemo subvectus est hactenus, foelicc&que habcndi §unt qui rei eminus consequuntur. Quod mirabile vero sit, cum fiumana sagacitas procedere ulterius 20 non possit, is in to est animi candor, ut bona fide semix'r agnoscas naturae no- strae infirmitatem. Quantumcumque enim coniecturae tuao »int terisimillimae, non sunt tibi tamen plusquam coniecturae, ncque, ut vulgarc» philoeophi solent, fucum vel faci» vel pateris. Quam iustuin rebus imponi» pretium! Oblivisci certe, si velim, non possum, glebulae terrae commendationem sopra adamante» et alia quae male sanum vulgus miratnr ,J . Dicerem plura; sed si |»erHpectus tibi utcumquo meus est genius, divinabis piane, nihil esse in tuis ratiociniis quod summopere mihi non arrideat. Addo nolum, me jieriucunde in id inridisse quod per literas admonueras, de opinioni» tuae con«ensu circa stellnrnm exilitatem cum mea illa de Mercurio in sole viso ’ oltH<>rratione. Deloctat quippe, eam tibi SO <*> Bua Diodati. Cfr. Voi. VII. ptg. 83, lin. 27 e M* **' Cfr. 224S. [2330-2340] 1° — 6 novembre 1632. 423 cogitationem venisse in mentem prò ingenii acumino inexhaustaque sollertia, cui ego, vel non cogitans, tam promptam praestiterini fidem. Sic evenire plaerumque solet, cum nobis satis est animi, ut ab opinionibus praeiudicatis discedamus. Non pauca sunt quorum spem facis, ut circa ponderum cadentium inaequa- Iern velocitatem. Quaeso te, icìquo non meo solimi sed Mcrsenni (0 etiam nostri aliormnque nomine, ut non patiaris nos illorum tabescere exspectatione. Mo- rinus (,) inter caeteros librimi tuum avide legit, tcque suspicit ut par est; non l'atotur tamen se vietimi, existimatque rationcs suas in nianuscriptuin prod ramimi perseverare illibatas. Ipso, cum multa alia in tui gratiam cdisserui, tuni prae- 40 sertim exaggeravi caussam abs te redditam de geminata intra diem naturalcm rcciprocatione, et conimendatione dignissimam esse et inconcussam persistere. Ea commeniorarem, nisi ipse nosses solvi posse obiecta omnia ex iactis abs te fuiulamcntis. Id dico, antiquorum omnium rationes et liypotbeses apparerò nugas et insomnia mera, quando cum invento tuo comparantur. Contigit certe mihi non semel, ut cum apud viros ingenuos tuam cxplicarem sententiam, tanta in animis audientium fieret verisimilitudo, ut assumpta niotuum telluris hypothesis ad de- clarandum maris aestum, probabilitatem ex ipsa declarationo obtineret. Verum plura, Deo volente, cum licobit per otium. Vale interna, et me ama. Lugduni, in itinere, ipsis Kal. Novemb. an. gdIOCXXXII. no Literas liasce cognato tuo l,) , viro optimo, commendavi. Tu si quidpiam of- licii ex me lbrtassis exigas, significare per ipsum potes. Iterimi vale. Fuori: Clariss. 0 Viro Galileo Galilei, Magni Hetruriae Ducis Mathematico. Florentiam. 2340 * BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Firenze]. Roma, G novembre 1632. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Caznpori. B.“ LXX, n.° 25. — Autografa la sottoscriziono. Per ancora non ho potuto intendere cosa alcuna che sia di rilievo circa il negotio di V. S., so non che martedì mattina passato parlai col Rev. mo P. Maestro di Sacro Palazzo brevemente, essendo egli con un prelato, nò altro riportai da lui fuor che non ci sarebbe stato difficoltà nella causa di V. S. circa il tempo del venire a Roma, et clic intanto forsi le cose haverebbero pigliata qualche altra 0> Mahi.no Mek.hp.nnr. < a > Uio. Battista Mokin. < 3 ' Kob urto Gami. m. 424 6 NOVEMBRE 1632. [2340-2342] piega. Mi soggiunse di più che ancor lui pativa qualche travaglio per questa medesima causa. Nel resto sii sicura che in tutte le occasioni che mi si rapre- sentano e rapresentaraimo, io la servirò sempre con tutto il core. Con che gli fo riverenza. Di Roma. 6 Novembre 1632. 30 Di V. S. molto Ili. 1 * llumil. 0 e Obli*.® 0 Scr. w e Di». 10 S. r Galileo. Don llened. 0 Castelli. 2341 *. ANDREA CIO LI a GALILEO fin Fìrense]. Firenze, 6 novembre 1032. Bibl. Naz. Fir. Mu. Gal., P. I, T. IX, car. 75. — Autografa la aottoaerlalono. Molto 111.** S. r mio ()8S. roo Mona.™ Sacchetti (n , Ambasciatore del Ser. mo Gran Duca nostro Signore in Corte Cesarea, con sue lettere ricevute questa settimana mi ha scritto quanto V. S. vedrà dall’aggiunta copia di capitolo ”. Se ella mi accennerà quello che io habbia da rispondere, lo farò della prossima, per servire a Monsignore et al desiderio di quel Signore Tedesco. Et a V. S. bacio lo mani. Di Seg. rU , li 6 Nov. 1 * 1632. Di V. S. molto 111.” Ser. 1 * Afi>° S. r Galileo Galilei. And. Gioii. Fuori: Al molto IH. 1 * Sig. r mio Os8. mo 10 11 Sig. r Galileo Galilei In sua mano. 2342 . FRANCESCO N1CCOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, G novembre ICS?. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 60. — Autografa la «ottoscrixioue. Molto 111. 1 * Sig. r mio Oss.° Tornata la Corte a Roma, ho presentata al S. r Card. 1 Barberini la lettera di V. S. (,) e rappresentatoli in voce quel che ella mi comandava, benohò nel- **> Niccolò Sacchetti. 1,1 Cfr. n.® 2829. I,n copia non è oggi allegata alla presente. »•> Cfr. n.® 232-1. () NOVEMBRI-: 1632. 425 [2342-2344] ristcssa lettera siano molto bene o distesamente espressi i suoi sensi. S. Em.* 1 veramente non ò uscita a cos’alcuna particolare, come quella che nelle materie del S. Oflìzio va circumspettissima, per non incorrere nelle pene comminate a chi ne parla o revela. Tuttavia si ò mostrata benignissima verso V. S. e ben af¬ fetta di maniera, che quando pur le convenga venir a Roma, non parrebbe che so ne dovesse sperar se non agevolezza e favore. Intanto dice S. Em. M che se ne io parlerà, e si vedrà quel che si possa fare; et io mi persuado che le daranno fa¬ cilmente qualche proroga per potersi condor qua con minor suo incommodo. Clic ù quanto per adosso posso diro a V. S. con questa. Et lo bacio le mani. Roma, 6 Ombre 1632. Di V. S. molto 111.™ Aft>° Ser. ro »S. r Galilei. Frane,® Niccolini. 2343 **. ANDREA CIOLT a NICCOLÒ SACCHETTI [in Vienna]. [Firenze], fi novembre 1682. Aroh. di Stato In Firenze. Filza Medicoa 4390 (non cartolata). — Minuta non autografa. ... Tornato che sarà di villa il S. r Galilei, io mi abboccherà seco por bavere uno di quei suoi libri (, >. Ma essendovi sopra non so che sospensione del S. t0 Oflìzio, io non so se lo potrò bavere.... 2344 *. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA C10L1 [in Firenze]. Roma, fi novembre 1632. Libi. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 99. — Autografa la sottoscriziono. 111.” 0 Sig. r mio Os8. n, ° Ilo rappresentato al S. r Card. 1 Barberino l’ordine che tenevo di dar parola, in nonio d^l Ser. rao Padrone, per la venuta a Roma del S. r Mariano Alidosi .... Non ho mancato ancora con questa occasione di rappresentar quel che desiderava il S. r Galilei in proposito del doversi egli rappresentar qua; e se bene S. Em. ia , come quella che va oircumspettissima in parlar delle cose del S. t0 Oflìzio, per le prohibittioni che ce ne sono, non è uscita a cosn particolare, nondimeno par eh’Labbia mostrata ottima disposittione verso la sua persona, et che si possa sperar qualche proroga intorno alla sua venuta, quando non si pigli risoluttione che la causa si vegga costà, essendo sola¬ io mente uscito a diro che ne parlerà, e vedrà quel che si possa fare .... <» Cfr. un. 1 2820, 28-11. XIV. 64 426 13 NOVEMBRE 1632. [2345-2346] 2345 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenxo. Roma, 13 novembre 1632. Bibl. Kat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi. B.* I.XX, n.* 26. — Autografa. Molto 111.** Sig.™ e P.ron mio Col. tu0 Non manco di servirò V. S. molto 111.™ in tutto le occasioni elio mi si rap¬ presentano, o le vo cercando; ma io non posso con le mie corte viste arrivare all’altezza di quelli a chi sta la somma del negozio: intendo però che il nego¬ zio non ò in totale precipizio. Mi arrischiai, come da me, fare una parlata, con quella riverenza che si conveniva, all’Era.® 0 Sig. r Card. 1 Ginetti 1 ', dal quale nel fine riportai assai buone parole in generale. Credo, por quanto intendo, che li sarò, concessa dilaziono del termine di venire a Roma: in tanto forai lo cose pi- gliaranno altra piega. Ma quanto al ano libro stia consolata, chò chi lo vede o intende, non solo resta sodisfatto a pieno, ma con meraviglia e stupore. Il nostro Mons. r Ciampoli, re do’ galanthuomini, li bacia le mani carissima- mente; e io li vivo servitore di tutto cuore, e li fo riverenza. Di Roma, il 13 di 9mbre 1632. Di V. S. molto 111.™ DevotÌB. e Oblig.® 0 Sor.™ e Dìr> S. r Gal.° Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto IH.™ Rig.™ e P.ron mio Col.* 0 [... .Jlileo Galilei, p.° Fil. di S. A. Ser.* m Firenze, 2340*. FRANCESCO GALILEI a [GALILEO in Firenzi. Venezia, 13 novembre 1032. Bibl. Naz. Fir. Appendice al Has. Gal., Fili» Favaro A, car. 34.— Autografa. Molfc’III.™ Sig.™ e P.ne mio Col.® 0 Riceverò sempre a honore particolare che V. S. si compiaccia di comandarmi, perchè, in risguardo delle sue condizioni e della sua somma virtù, devo ralle¬ grarmi di tutto lo occasioni che mi si porgeranno di servirla, come proprie del **» Marzio Uikktti. 13 NOVEMBRE 1632. 427 [2346-23471 mio desiderio per acquistare la sua buona grazia. Domattina dunque (poi che le lettere sono arrivate solo oggi) presenterò la lettera al Rev. mo P. Maestro Ful¬ genzio; e quanto egli mi dirà, sarà esseguito da me con prontezza, come inten¬ derà. Et in mentre la prego a exercitare l’autorità che tiene sopra di me in cose di rilievo, et affettuosamente la reverisco. io Ven.°, 13 Nov.° 1632. Di V. S. molto lll. r0 Ser. l '° Devot." 10 Frali. 0 Galilei. 2347 . FRANCESCO NICCOL1N1 a GALILEO in Firenze. Roma, 13 novembre 1032. Bibl. Nuz. Fir. Mas. (ini., P. I, T. X, ear. 58. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.» Sig. r mio Oas.° Oltre agl’offizi e diligenze fatte per servir a V. S. in conformità del suo desiderio, come pur le accennai la settimana passata (,) , andai a trovar il S. r Card. 1 Ginnetti (,) , et le rappresentai tutto quel clic V. S. adduce per rimostrai’ in certo modo l’impossibilità del venir a Roma, acciò S. Em.“, come suggetto della Congregazione del S. Offizio e creatura amata da S. S. tà , si compiacesse di rappresentarle tutte queste cose e favorirla, come credo senz’altro che havrà fatto. L’istesso ho fatto con Mons. r Assessore (8) alcuni giorni sono; nò ho lasciato questa mattina di passar con ogni maggior efficacia il medesimo offizio con S. S. l “, io rappresentandoli la grave età di V. S., la sua poca sanità, la stagion che corre, i pericoli del viaggio e gl’incommodi delia quarantena, massime a lei avvezza in questi tempi di starsene in una picciola camera, con quel più che mi dettò l’affetto che io le porto et l’obbligatone et il desiderio che ho di servirla. Ma con tutto le diligenze possibili non potetti cavar altro da S. S. tk , se non che era ne¬ cessario che V. S. venissi a Roma per esser esaminata qua, et che per questo V. S. vedesse di pigliarsi tutte le comodità possibili, et che il S. r Card. 1 Barbe¬ rini darebbe anche ordine acciò la quarantena gli fusse agevolata con le com- niodità e col numero de’giorni, perchè in effetto non si poteva dispensarla dal venir qua. Ilo supplicato ancora nell’istessa maniera il S. r Card. 1 Barberini; ma 20 S. Em. za si scusa col non poter haver sensi contrarii a S. B., e clic procurerà solo di facilitarle, per quanto sarà possibile, le quarantene. Et perchè in propo¬ sito di qualche proroga almeno circa al suo venir qua non si è presa resolutiono U> Cfr. n.° 2312. , 2 , Maiìzio Ginktti <*' Al.E8SAN'nuO BoOCAIlKI.r.A. 428 13 NOVEMBRE 1032. 1*847-2848] alcuna, son restato con Mons. p Boccabella Assessore che egli ne faccia nuova istanza nella sua prima audicuza ; et ha promesso di portar il negozio con ogni maggior affetto, non ostante che quosta sera si scriva strettamente, in csecut- tione delli ordini della Sacra Congregazione, che ella se ne venga a questa volta. Che è quanto per bora posso dir a V. S., alla quale con altre aggiugnerò quel di più che si ritrarrà, dispiacendomi d'haver in questo negozio cosi poca for¬ tuna in servirla. Et le bacio le mani. Roma, 13 Ombre 1632. CO Di V. S. molto 111/* ' Aff."® Ser.™ S. r Galileo Galilei. Fir.® Frane.® Niccolini. 2348. FRANCESCO N1COOUNI ad ANDREA CIOU (iu Firenze). Roma. 13 novembre 1632. Blbl. Nr?.. Plr. M*a. Ozi., V I. T. II, car 101.- Autocrata la «ott^crixlone. 111.“° Sig. r mio Osa. -0 Ho fatte diverse diligenze questa settimana a favore del 8/ Gallile; come da me o senza nominar S. A., doppo ch’io resi la sua lettera al 8/ Card. 1 Barberini; perchè ho trattato delle sue instanze col 8/ Card. 1 Uinetti, come intimo del l’apa et uno do’Cardi¬ nali della Congregazione del S. u Ufitio, col Sig/ Boccabella, Asaesaore della medesima Con¬ gregazione, et rimostrata la sua età di 75 anni, la poca sanità et il pericolo della vita a mettersi in viaggio et in quarantene, fuori della sua piocola camera e fuor d’ogni co¬ modità. Ma perchè questi seutono e non rispondono, n'ho trattato questa mattina con S. S.' 4 medesima; e doppo d’haverle rappresentato ch’egli è pronto a ubidire et a sati¬ sfare anche a quello che li sarà ordinato, mi stesi in rappresentarle assai difusamente le 10 medesimo cose, per farle venir iu compassione il povero 8/ Galileo, bor mai tanto vecchio e da ino amato e venerato, presupponendo che la S. u Sua potesse haver vista ancora la lettera 1 *) ch’egli ha scritto al S. r Cardinal suo nipote. Ma 8. S. u mi rispose, che haveva vista la lettera, e che in somma non si poteva far di meno che non venisse a Roma. Io replicai che S. 8. 14 correva pericolo, per la sua età, di non fare nò costà uè qui la causa sua, perchè con questi disagi, congiunti con il dispiacerò, credevo di poterli persuaderò che poteva perdersi per la via. Rispose cho venisse pian piano in lettiga e con ogni suo commodo, perchè in fatti bisognava esaminar lui medesimo, e che Dio le perdonasse Ter¬ rore d’eBsor entrato in un intrigo come questo, doppo che S. S. u medesima, montr’era Cardinale, ne Thaveva liberato. Io dissi che Tapprovatione qui del libro haveva cagionato 20 tutto questo, perchè, mediante la sottoscrittione e l’ordine dato all’Inquiaitor di Firenze, a 1 era carni nato al sicuro o senza sospetto in questo interesse: ma fui interrotto col dirmi l" (Jfr. 11 ." 2324. 13 — 18 NOVEMBRE 1632. 429 [2848-2350] che il Ciaropoli et il Maestro del Sacro Palazzo s’oran portati mule, e che quei servitori che non fanno a modo de’padroni son pessimi familiari; perchè in dimandar al Ciampoli spesse volte quel eh’era del Galilei, non lo haveva nini risposto altro se non bene, senza passar più avanti in dirlo che il libro si stampava, quando pur S. S. ,A ne haveva subodo¬ rato qualche cosa: tornando a diro di trattarsi di pessima dottrina. Diedi poi conto al S. r Card. 1 Barberino di tutto questo, e cercai di muover a compas¬ siono anche S. Em.** con l’espressione do’medesimi concetti, e non ne ritrassi altro, elio SO un domandarmi quel eh’haveva risposto il Papa, e che le farebbono facilitar la quaran¬ tena. E perchè nò S. S. u nò il S. r Cardinale m’han risposto niente a proposito della di- lattiono a rappresentarsi, perchè non vi havevau forse pensato por ancora, ho mandato questo giorno il mio secretorio dal S. r Rocoabelht 1 per saper quel ch’io dovevo scriver a questo proposito; e m’ha fatto dire che nella sua prima audien/.a porterà il negotio con ogni efficacia, non ostante elio questa sera si scriva strettamente costà, in esecutione dcdli ordini della Sacra Congrogationc, elio se ne venga a Roma. Et io di quest’altra setti¬ mana procurerò d’intendere quel che si sarà ottenuto o ne darò avviso a V. S. 111.’"", men¬ tre questa sera scrivo quasi lo medesimo coso al S.‘‘ Galilei. Et a V. S. Ill. ma bacio le mani. Di Roma, li 13 Nov. r# 1632. 40 Di V. S. 111.™ Obbl. mo Ser. ra S. r Bali Gioii. Frane.® JNiccolini. 2349 *. FRANCESCO NICCOLINI ad [ANDREA CIOLI in Firenze]. Roma, 14 novembre 1632. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I. T. II, car. 103. — Autografa la soltosoriziono. 111.'" 0 Sig. r mio Oss.° 11 Sig. r Boccabella, Assessore del S. Offizio, dopo havernii fatto rappresentare dal mio secretano quel che accennai hieraera<*> a V.S.Ill. ma in proposito del Sig. r Galileo, disse. ...‘3' 2350 *. ANDREA CIGLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. LFirenzc], 18 novembre 1632. Aroh. di Stato In Firenze. Filza Modicoa 3523 (nou cartolata). — Minuta non autografa. _Faccia puro V. E. quel più che sia possibile per ottenere proroga sopra la venuta costà del S. r Galilei, perchè egli corre pericolo di morirsi per viaggio, boi* elio egli si trova nel colmo del travaglio.... m Alessandro Roccaiibm,a. Cfr. n.° 2848. lSl 11 resto Golia lotterà concerno altri negozi. 430 20 NOVE11I3KK 1632. [ 2861 ] 2851. RENEDETTO CASTELLI h [GALILEO in Firenze]. Roma, 'iO novembre 1682 Bibl. Nfu. Fir. Mn. Otl., P. I, T. X, car. 62. — Àntofrafa. Molto 111.™ Sig.™ e P.ron inio Col. m0 Non mi resta die dire intorno al suo negozio cosa alcuna, perchè credo cho l’Ecc.™ Sig. r Ambasciatore gli habbia scritto che Nostro Signore stesso volo che V. S. venga a Roma. Io resto confuso, jierehò non intendo che nel suo libro, nò meno nel progresso del farlo stampare, si sia fatto un minimo mancamento; e rho detto chiaramente in diverse occasioni. Mi dispiace solo che V. 8. si ritrovi in età cosi grave, perchè ò assolutamente impossibile che possa fare questo viag¬ gio, nel cuore dell’inverno, Benza scorrere un evidente pericolo «Iella vita: quanto al resto li torno a replicare che lo ultime risoluzioni di questo S.° Tribunale non li saranno mai pregiudiciali; e se lei si potrà condurre a Roma, la sua in- io nocenza sarà òonosciiita al dispetto della malignità e dell’ignoranza. Mons. r Ciappoli nostro partirà martedì per il suo governo di Montalto; o mi creda che ha fatto stupire tutta Roma con la franchezza dell’animo o pru¬ denza con che si è jiortato, che più non si può nò diro nò imagi mire. Tutti gli applaudono, e gli stessi persecutori suoi si vergognano ancora a scoprirsi; nò sin bora si sa di donde venga, nò quali si siuno le querelo contro di lui, non es¬ sendoli stato detto cosa alcuna. Possono bene i Senechi e Plotoni e tutti i mo¬ rali insieme dar precetti e regole di combattere contro la fortuna; ma metterle in prattica come ha fatto questo ottimo prelato, credo che sia impossibile. Tutti i suoi amici stanno afflitti, et io sopra tutti in particolare; c lui solo con animo 20 non solo invitto, ma come non fosse nè anche combattuto, so no sta consolatis- simo, allegro più che mai, applicato a’ suoi studii, e, quello che è la porfezziono d ogni cosa, mostra somma riverenza verso Padroni, standosi quietissimo nella volontà di Dio: e per concluderla, mi è parso un miracolo; e questo lo scrivo perché ò vero, molto più di quello che posso scrivere nò io nò qual si voglia altro. L li voglio dire di più, che se bene in questo tempo ho frequentata la sua stanza più del solito, conoscendolo per il migliore 0 più fedele servidore di que¬ sti Padroni, non l’ho visto perturbato mai, se non quando hebbo la nova del travaglio di V. 8., che lo trafisse sopra modo. L’ama di cuore, e fa quella stima Ij«tt. 2851. 16. n2 quali ti ti riamo — 20 NOVEMBRE 1032. 431 [ 2351-28531 so del suo merito e valore clic loi merita, e li bacia lo mani. Et io la supplico a comandarmi sempre, chè la voglio servire mentre vivo, chò così sono obligato, o li fo riverenza. Di Roma, il 20 di 9mbre 1632. Di V. S. molto lll. ru Oblig.™ 0 e Devotis. 0 Ser. ro e Dia. 10 Don Bonod.° Castelli. 2352 *. FRANCESCO GALILEI a [GALILEO in Firenze], Venezia, 20 novembre 1632. Cibi. Naz. Flr. Appendici) ni Mss. Uni., Filza Favaro A, cnr. 102. — Autografa. Molt’Ill. ro Sig. r e P. ne mio Col." 10 Presentai la lettera di V. S. al Rov.'"° Padre Fulgentio, il quale mi disso cile il negozio di V. S. Laverebbe quella fine che desidera. Si caveranno perù le Du¬ cali e si invieranno a Broscia 10 ; e se occorrerà far qualche spesa, sarò pronto. In tanto le rendo nuove grazie della confidenza liauta nella servitù mia; et io desidererei d’esercitarla in cose di rilievo, e perù la prego a comandarmi in ogni occasiono, che saranno da me incontrate con tutto lo spirito. E per fine a V. S. fo reverenza c prego da Dio ogni maggior bene. Ven. a , 20 Nov. 6 1032. io Di V. S. molto 111. Obl. mo e Dev.™ 0 Sei*. 10 Fran.° Galilei. 2353 *. FRANCESCO NIOCOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 20 novembre 1632. rubi. Naz. Fir. Mss. Gal. P. I, T. X, cnr. CO. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. Sig. r mio Oss.'"° Mons. r Boccabella s’ò preso l’assunto, come Assessore del S. t0 Offizio, di ne¬ goziar con S. S. 1 *' 1 la proroga del suo venir a Roma, mentre la S. tò S. non si disponga a permettere che V. S. si giustifichi costà, come eli’ Laverebbe di bi¬ sogno per molte ragioni eli’ io Lo rappresentate in voce et in un memoriale. Ho Oi Cfr. Voi. XIX, I>oc. XXXI1I, c, 2, 3). 432 20 - 21 NOVEMBRE 1632. 12363 - 2356 ] procurato ili saperne hoggi qualche cosa; ma non essendo stato possibile di trovar Monsignor sudotto, procurerò che segua domani, e con la nostra ordinaria staf¬ fetta lo no darò parte. Intanto, perch’io compatisco V. S. nella maniera che si può imaginare, m’è parso di dirle questo: o lo bacio le mani. Roma, 20 Nov. br * 1632. 10 Di V. 8. molto 111. Afl>® Sor.** S. p Galilei. Frane.® Niccolinl. 2354 *. CLEMENTE EGITW ad ANTONIO BARBERINI iu Roma. Firenze, 80 novembre 1038. Cfr.Vol. XIX, Doc. XXIV, b. 26). 2355 *. FRANCESCO NICCOLI NI a GALILEO fin Firenze], boni», 21 novembre 1838. Blbl. Nili. Fir. Mi*. Gal., P. I, T. X, f*r. 04. — Aut^rnf» U •ottotrrixiono. Molto I11. PB Sig. r mio Osa.® Mons. r Boccabella ha negoziato col Papa la proroga per V. S. ; ma dice in effetto di non haver possuto indur S. S. u a concedergliela, con tutto che ci si sia affaticato, perché preme in veder questo segno d* obbedienza. Per questo essen¬ dosi scritto, par a me, al Padre Inquisitore, come pur l'accennai con le passate, che ella se ne venga, senz’ haverli prefissa la giornata, dice che di costà si po¬ trebbe andar negoziando col medesimo Inquisitore, rappresentandoli il suo bi¬ sogno, la poca sanità, e quel che lo pare per haver comodità di qualche giorno a mettersi in viaggio: perchè tra loro si potranno aggiustare, et PInquisitore, so vorrà favorirla, potrà andar scrivendo che ella si va preparando per venire, io scusandola con i protesti che le paranno più approposito, con rappresentar sempre la sua prontezza in esser risolutissimo d'obbedire, havendo anch’egli trattato con S. S. u delle cose sue questa circurastanza, senza la quale si sarebbe straor¬ dinariamente alterata; et in effetto dice, esser necessarissimo il venire, nè po¬ tersi far la causa costà. Et a me dispiace in estremo la poca fortuna hauta in servirla in questo particolare; et le bacio le mani. Di Roma, 21 Nov."> 1632. Di V. S. molto 111.™ S. r Galilei. Aff. mo Sor.™ Frane.® Niccolini. [2856] 27 NOVEMBRE 1032. <133 235 ( 5 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma ‘27 novembre 1682. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. X, car. G8. — Autografa la sottoscriiione. Molto 111.” Sig. r o P.ron mio Col. ,no Scrissi per l’ordinario passato (l) a V. S. molto III.” che il nostro Mon. ra Ciam- poli, veramente illustrissimo prelato, si dovea partire per il suo governo di Mon- t’Alto, come ò seguito sin da mcrcordì passato. Non era possibile che senza que¬ st’accidente fusse coronato di corona trionfale, come vittorioso di colpi della fortuna: ha ottenuto questa gloria con applauso universale. L’Emin. mo Sig. r Car. 10 Padrono lo trattenne la sera avanti in lunghissimo ragionamento, con ogni di¬ mostrazione d’affetto; fu vissitato il medesimo giorno da diversi titolati, c in particolare dal Sig. r Duca di Bracciano (,) , dal Sig. r Duca Cesarmi (S) e dal Sig. r io 1). Torquato Conti. Io l’ho servito sempre, perchè così son obligato, o l’accom- pagniai con alcuni altri Signori sino a prima porta, nè potei licentiarmi senza lagrime; ma lui intrepido, aiegro e quietissimo nella voluntà di Dio, si partì: e son sicuro che nel modello piccolo di questo governo, mostrerà di esser atto a governare i regni. Mi ha comandato particolarmente che i[o] reverisca V. S. con tutto il cuore da parte sua. In torno al suo negotio, io conosco da vicino la sua lm[ona] e pia intentione, o confido in Dio benedetto che non l’abban[...] mai. Così faccia ancor V. S., e si consoli con la sua inocenza, la quale serà finalmente conosciuta. E non occor¬ rendomi altro, li fo humilissima riverenza. 20 Roma, 27 Ombre 1032. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Devotis. 0 A(f. ,no e Oblig. mo F5er. re Il Sig. r Galileo. Don Bened. 0 Castelli. Fuori : Al molto lll. re Sig. r e P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Fil.° di S. A. Scr. ma Fiorenze. Lett. 2356. 14. rcviriaca <0 Cfr. u.°28ól. < 3 > Uianuiohoio Cbbariki. i*) I’aulo Giordano Orsini. XIV 65 434 1*7 NOVEMBRE 1632. 12357 - 2368 ] 2357 *. FRANCESCO GALILEI a [GALILEO in Firsnst]. Veneti», 27 novembre 1632. Blbl. Nai. Plr. Appendice al Ma». Gal., Fili» Fatato A. ear. 85. — Aotofrafa. Molt’lllA S" e P." mio Col."* 1 » Restano cavate lo Ducali 0 ’ per poter risquotere a Ilrescia la pernione di V. S., onde si invieranno ad amico che cosi proccuri, et io non mancherò di solleci¬ tarlo, acciò V. S. resti quanto prima servita. In mentre le alligo la lettera del ltev. roo Padre Maestro Fulgentio in , e le ricordo il desiderio dio tengo di sua comandamenti; o per fine affettuosamente la riverisco. Yen.*, 27 Nova 1632. I)i V. S. molto 111." Ber" Devot.»° Fran.° Galilei. 2358 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 87 uorembre 1C32. Blbl. Noi. Plr. Vu Gal., P. I, T. X, car «6. — Autofrafa. Molt’IIl." et Ecc. ro0 Sig. r Col. mo Nella lettera di V. S. molto 111." et Ecc. m * di <• •> non ricevo la consolatone che pure aspettavo, che la sua causa fosse rimessa da vedersi costi, senza dar ad un innocente settuagenario l’incomodo di viaggiare. 11 termine dà comodità an¬ cora di sperar cosa cotanto giusta. Far cuore, chò questo negotio non può haver male comparabile col travaglio che V. S. no piglia. Non si tratta di honore, com’è solito in quelli tribunali. Tutti li buoni et intendenti della materia non solo compatiscono V. S., ma detestano con essecrationi la sua persecutione. Il Sig. r Francesco Galilei mi mostrò la procura * 1 . Ilo fatto spedire le Du¬ cali 0 ’: non l’ho veduto più: mi converrà farlo cercare per incaininar il resto del io •*» Cfr. n.® ma. l*' Cfr. n.® 2858. «*> Cfr Voi. XIX, Hoc. XXXIII, r. I. fi). Cfr Voi. XIX, Doc. XXX111, c, 2). [2868-2300] 27 NOVEMBRE — 4 dicembre 1632. 435 negotio in Brescia, ove io trovarò chi serva con fede e diligenza. Et a V. S. ba¬ cio le mani. Yen.*, 27 Ombre 1632. Di V, S. molto Ill. ro et Ecc. ma Dev. m0 Ser. r ® Eco. 1 " 0 Galilei. E. Fulgeutio. 2359 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Devonter, [novembre-dicembre 1632], Ristampiamo questo capitolo di lettera, della qualo l’autografo è andato perduto, dalla prima od mono, elio Tu riprodotta nollo successive: Lettrea do M. r Dksoaktks, où sont oxpliquóes plusiours belles diiliciiltoz touchant sos autros ouvrages. Tomo socond. A Paris, choz Charles Angot, 1659, pag. 5146. .... Tour ce qne voua me mandez dii calcili quo faifc Galiléc do la vitesse quo se meiivent Ics cors qui doscendent, il ne se rapporto nncuneniont à ma philosophie, selon Iaquelle deux globes do plomb, par oxomple, l’un d’uno livre et l'antro do cent livrea, n’auront pas mesme raison entr’eux que deux de boia, l’un aussi d’uno livre et l’autre de cent livrea, ny mosme quo deux aussi de plomb, l’un de deux livrea et l’autre de deux cens livrea, qui sont des choses qu’il ne distingue point; ce qui me fait croire qu’il ne peut avoir atteint la veritó. Mais ie voudrois bien gjavoir ce qu'il écritdu flux et reflux do la mor, car c’est uno des choses qui m’a donnó lo plus de peiue à trouver, et qtioy que ie penso en estro venu 10 a bout, il y a toutesfois des circonstances dont ie ne suie pas éclaircy. ... 2360 * BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 4 dicembre 1632. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXX, n.° 27. — Autografa la sottoscriziono. Molto Ill. r0 Sig. r c P.ron mio Col. 1 ® 0 Ilo receuto l’ultima lettera di V. S. molto 111. 9 , mandatami dal Sig. r Amba¬ sciatore; dimani aerò da S. E. più minutamente il stato di V. S. (sic). Ilo hauta una copia della scrittura sua a Madama Ser. maC,) , la quale vado mostrando e legando a diversi di buon gusto, con loro meraviglia; e in partico¬ lare la devo comunicare con un gentiluomo di Mons.° Itaimondi, quale mostra fare stima singolare dell’opere di V. S. Nel resto intendo da diverse bande che Lett. 2300. 6. devo cominiare con — 7. stilila gagnolare — no Molto 111.” Sig. r mio ()ss.° Com’accennai a V. S. con altre ! ”, non son bastate le mie instanze, reiterate più volte con chi è bisognato, per impetrar la proroga desiderata per il suo venir qua, perchò S. S. u sta fissa che ella venga, o che sia necessario che segua quanto prima. Non ho lasciato ancora di procurar d* intendere qual deva esser 1* habitatione di V. S., ma, come materia del S. Offizio, non riesce il cavarne la verità: solamente l’Assessore, nel farle questa domanda, mostrò cho non si po¬ teva por adesso sapere, accennando che questo potesse dependere dalla sua esa- Cfr. n.o 2343. <* Cfr. n.« 2SM. 5 — 7 DICEMBRE 1632. 437 [2862-2363] mine e dal suo rispondere. E veramente sarebbe una vanità, se io la volessi io assicurare senz’altro fondamento che ella fusse lasciata Inibiture in questa casa. Ho poi di nuovo supplicato duo giorni sono il Sig. r Card. 1 Barberino d’haver por raccomandata la sua persona, o di restar servito d’impetrarle questa bene¬ detta proroga, per tante ragioni addotte della sua età, disagi di viaggio, qua¬ rantene, etc. ; ma non ho possuto ritrar altro da S. Era." se non che sia bene che V. S. si risolva a venire quanto prima, quasi che ella si facesse maggior pregiudizio col mostrar renitenza o allungarla. Io ricevo travaglio grandissimo di non poter apportarle con le mie lettere maggior consolationo, come credo che V. S. no sia certa. Et le bacio le mani. Itoma, 5 Xmbre 1632. 20 Di V. S. molto Ill. ro Aff. mo Scr.™ Frane. 0 Miccolini. 2363 . BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Firenze]. Bologna, 7 dicembro 1632. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 2-17. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. mo Quanto mi dispiacesse la nuova che mi diede il 8ig. r Cesare Marsili di V. S. Eec. ma , non potrei giamai esprimerlo con parole, havendomi arrechato indicibil cor¬ doglio, come anco ha contristato tutti questi suoi amici o partiali; non perchè si stimi ch’ella non sia per fare apparire la sua sincerità, ma per il disturbo grande che in questa età viene necessitata di sentire, che non puoco può pregiudicare alla salute corporale. Sono stato ansioso d’intender di lei; non ho però scritto, por essere dubbioso dove ella fosso: bora però che il P. Lutio mi ha significato loi esser costì, ho voluto con questa mia farli sapere almeno come da tutti viene io molto compassionato questo suo infortunio, e da me sopra tutti, pregando N. S. che abbonacci questa tempesta, e possi questo (che vorrei fosso molto) di vita che li resta, viver con tranquillità e riposo, godendo dei frutti gloriosi delle sue fatiche. Quanto poi di più mi dispiacesse l’bavere accresciuto li suoi disgusti per l’accidente impensato di ciò che ho stampato nel mio libretto per mostrarmi suo buon discepolo (l) , lo può chiaramente argomentare dall’affetto e riverenza che li ho sempre portato. Ilora che ella sia rimasta sodisfatta, poiché ha visto il modo con che porgo tal dottrina, mi è stato caro soprauiodo. m Cfr il.» 2307. 438 7-11 DICEMBRE 1632. (2363-2865] Ho inviato al Ii. mo P. Lutio il libretto dolio Specchio Ustorio'”, acciò glielo ricapiti, come lo prego. Mi sarà favore l’intendere il suo parere, massime circa il mio pensiero sopra lo specchio di Archimede, por il quale principalmente ho 20 stampato detto libretto. E per non occuparla di soverchio, finisco desiderandoli da N. S. sanità o tranquillità e che ella mi conservi nella sua buona gratin, fa¬ cendoli insieme riverenza in nome dell’111.®° Sig. r Mattili ancora. Di Bologna, alli 7 Xmbre 1632. Di V. S. molto 111.™ et Eoo.®* Dot et Ob.®° Ser.™ F. Bon. r * Cav.' 1 2364 **. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICC01.INI [in Roma] Firenze, 11 dicembre 1632. Aroh. di SUto In Firenze. ttb» Medicea 8623 (non cartolai*). — Minata non aotorrafa. .... lo invio una lotterà del povero S. r Galileo, il quale io dubito che sarà quasi im¬ possibile che ai conduca costà vivo, non che sano, per.-bè i auoi mali sono molto perico¬ losi in cosi nspra stagione per far viaggio, essendo anche molto veochio; et il travaglio d’animo, aggiunto alle sue indiapositioni, 1’ ha aggravato noUbilisairaamente. Et ae puro si persista costì in volere che venga, procuri V. E. di ritrarre dove et come debba eaeer la sua —, se però piacerà a Dio ch’egli si possa mettere in camino; ma io lo veggo piu tosto eliminato dal letto.... 2365 . FRANCESCO NICC0LIN1 ad ANDREA C10U [in Firenze]. Roma, 11 dicembre 1632. Blbl. Naz. Flr. Msb. Gal., P I.. T. Il, ear. 106. — Autografa !s ■ottoserljion* .... Per conto del S. r Galilei ho fatto nuove diligenze questa mattina, havendo fatto sentir quel che scrivo V. S. 111."** et dice anche egli medesimo in una sua lettera per ine, a fin di vedere se si potesse ottenere una dilatione; ma finalmente io non solamente l’ho per imposibile, ma mi par di vedere che sia necessario che si risolva di venire come può, o se no vada in qualche luogo dello stato di Siena per starvi almeno venti giorni por principio di quarantena, perchè questa prontezza li gioverà anche assai. Quanto poi a voler saper dove deva habitare, è impossibile di ritraine cosa alcnna, mentre possa ba¬ stare il dire che si tratta con la Congregazione del 8. u Offizio, che cantina con tanta secretezza, e dove, per le censure che vi sono, nessuno apre bocca. Potrà venirsene a drit- tura in questa casa; di quel che sia per sacceder poi, non saprei affermarlo. Ma Mon. r Hoc- 10 cabella consiglia da amico, por suo benetìtio, più tosto a venir quanto prima, che persi¬ ci Cfr. u.o 2271. 11 — 12 DICEMBRI-; 1632. 439 [2366-2866] stero in più dilationi, perché sarà havuto in conaidcratione che li possa servir por pena il muoversi di costà in questo tempo e nell’età sua di 75 anni. Ma queste cose bisogna che V. S. 111."'* glie lo conferisca in voce, per salvar il secreto a Mona/ .Boccabella, o ch’egli anche qua non lo nomini mai.... 2366 . FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 12 dicombro 1G32. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I. T. X, car. 72. — Autografa la sottoscrizione. Molto III.™ Sig. r mio Oss.° Io son tornato a trattar di nuovo della proroga desiderata da V. S. con tanta ragiono, ma trovo che è tempo perso, perché il Papa sta fermo nella sua reso- lut tiono che V. S. venga, e par che si proma più in veder questa sua obbedienza che nel resto ; e faccia pur conto V. S., che mentre ella si tratterrà a Firenze, non sarà mai ammessa scusa alcuna, dubitandosi che tutto sia concerto: e però havendo S. S. t!i udito quel che scrive il P. Inquisitore et la proroga concessali d’un mese, non l’ha punto bon sentita, et gl’ha fatto ordinare adesso strettis¬ simamente che, spirato questo tempo, egli astringa pur V. S. a venire senza di¬ io lattione di sorte alcuna 0 *. È ben vero, per quanto sento, se Y. S. uscirà di Fi¬ renze o se n’andrà a Siena o in altro luogo di quello stato, dove necessariamente ella deve trattenersi almeno 20 giorni come per quarantena, all’bora, mentre fusse scritto qua che veramente ella si trovasse in così male stato di saluto, et elio chi lo scrivesse non fusse sospetto, sento elio non sarebbe gran cosa differir ad altro tempo. Et in ogni caso, da quel che io ritraggo, il maggior punto che ci sia ò che ò parso a S. S. tìl che si sia preteso d’aggirarla; e di questo non credo che sia per mancar modo a V. S. da giustificarsene per la parte sua: nè ò dub¬ bio, se si ha da credere a quel che sento, clic maggior pregiudizio riceverebbe V. S. col non si rappresentare che nel venire. Nè ci so vedere maggior male se 20 non il non potersi assicurare di dover star sempre fuor di carcere, nel qual luogo, quando pur così seguisse, non mancherebbono per questo a V. S. tutte le com- modità possibili, com’io le procurerei. Consideri dunque con la sua prudenza quel che lo compie; e disponendosi a venire, stabilirò la quarantena al confine d’Acquapendente, dove, oltre affi 20 giorni sudetti, lo converrà star altri dodici. Et le bacio le mani. Roma, 12 Xmbre 1G32. Di Y. S. molto 111. 1 ' 0 Aff. mo Ser.™ S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. ni Cfr.Yol.XIX, Doc. XXIV, a, 11) o b, 26). Ili — 18 DICEMBRE 1632. 1.2867-2889] •ho 2367 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICOOLIN1 fin Roma]. (Firenaol, 16 dicembre 1632. Arch. di Stato in Firenze. Filza Modica» 8WW (non cartolata). — Minuta non autografa. ... Il povero S. r Galileo si ò mosso in letto, et corre pericolo di andare più nell’altro mondo che costà; et per me dice Dio: Nolo mot lem peccatori .. 2368 **. GALILEO a COSIMO DEL SERA fin Firenze]. Firense, 17 dicembre 1682. Aroh. di Stato in Firenze. Monte di Pioti, Pilla 1066 (d'antica nunerailono, Campione n.» 101) n • In¬ torno 360. — Autografa. Clar.®° Sig. M o Pad." Col .® 0 Perchè mi trovo indisposto, nè posso uscir di casa, prego V. S. Clar. mi a far pagare all’ apportator di questa, che sarà Mesa. Ipolito Francini, se. 75, elio sono per i ineriti del semestre che bora ma¬ tura <1 \ E ricordando a V. S. Clar.®* la mia deyota servitù, con re¬ verente affetto gli bacio le mani e prego felicità. Di casa, li 17 di Xmbre 163*2. Di V. S. Clar. ra * Dev. rao et Obblig .® 0 Ser.™ Galileo Galilei. Fuori: Al Clar.®° Sig. ro e Pad." Col.®° io Il Sig. r Cosimo del Sera. In sua mano. 2369 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 dicembre 1632. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B» LXX, n.« 28 - Autografa. Molto Ill. r ® Sig.” e P.ron mio Col. m ° Non scrissi la posta passata a V. S. molto 111.* perchè non bavero cosa di novo; o se bene di presente barerei la medesima scusa, tuttavia non voglio far «'» Cfr.Vol. XIX, l)oc XXX, a). Un. 96-»». 18 — 21 DICEMBRE 1632. •441 [2369-28711 passata, e darli aviso come sto bene, ancorché mi prema Tessere 6enza il no¬ stro Mons. r Ciampoli, dal quale ho lettera amorevolissima, che la stanza li rie¬ sce felicissima, e mi comanda che li baci le mani caramente in nome suo. Intorno al suo negozio, non sento altra novità, e spero in Dio che so V. S. potrà venire a Roma, si habbia da ottenere una gloriosa vittoria contro l’igno¬ ranza e contro la malignità. Io non manco nelle occorrenze, se bene non sono di io quelle alte, parlare in diffesa sua. Sento da tutti gli intendenti lodare le opere sue in sommo grado, e ogn’uno la compatisce et io sopra tutti, come quello che li vivo tanto obligato, che se spendessi la vita stessa per lei, mi parerebbe di far poco. Torno a replicare elio spero in Dio che concederà felice fine a questi travagli; e con questo V. S. resti ancor lei consolata. Con che li bacio le mani. Di Roma, il 18 di Xmbre 1G32. Di V. S. molto 111/ 0 Afl>° et Oblig. mo Ser.™ o Dis. 10 S. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori, il’altra ivano: Al molto III.™ Sig. r e P.ron mio Col."* 0 11 Sig/ Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser.“ ,a 20 Fiorenza. 2370 *. CLEMENTE EOIDIT ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 18 dicembre 1082. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, i), 27, a). 2371 **. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 21 dicembre 1632. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal. Nuovi Acquisti, n.® 27. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. p e P.ron Col. mo Per un’altra mia 0 feci riverenza a V. S. Ecc. ma , condolendomi de’ suoi tra¬ vagli, come di nuovo faccio, desideroso d’intendere dell’esser suo, vivendo io con molta ansietà per non saperne di certo. Scrissi al P. Lutio che li presentasse il mio libretto dello Specchio Ustorio (I) : credo a quest’bora l’havrà fatto, che perciò la pregarò a scusare le sue imper- fettioni, e dirmi anco il suo parere, quando babbi commodità, intorno alla opi¬ ni Cfr. n.° 28G3. <*> Cfr. n.» 2271. XIV. 442 21 — 25 DICEMBRE 1632. (2371-28721 mone mia dello specchio di Archimede e se li pare cosa ri usci bile. Nè occorren¬ domi altro per hora, finisco augurandoli felici sai me Feste e il buon Capo d’anno. Di Bologna, alli 21 Xmbre 1632. 10 Di V. S. molto 111." et Eoe.** Oh.*® Ser." F. Don/* Cav. rt Fuori: Al molto 111/* et Ree,*® Sig/ e P.ron Col.*® [....]/ Gal.*® Gal.**, prim.® Fil.® e Mat.°® di S. A. S. di Fiorema. 2372 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO io Firenze. Kouia, SO dicembre 16JW. Blbl. Na«. Flr. Ma «Sai, P. I. T. X. cu 74. - Autografi. Multo 111." Sig." e P.ron mio Col."’ Sono tre ordinari che non tengo nviso nò lettere da V. S. molto 111." So che gli è briga grande lo scrivere, ma a me bastano due \ersi soli per consolazione. Intorno al suo negozio, son cascato in pensiero, che non huvendo mai V. S. commesso, nè in fatti nè in parole nò in scrittura, errore nè mancamento nes¬ suno contro alla S.* Madre Chiesa, i suoi maligni persecutori non desiderino altro nè aspettino cosa più, che lei non venga a Roma, per potere alzare le grida fra la turba ignorante e trattarla da ribelle e contumace, ancorché legitiina scusa la trattenga. Per tanto sarei di pensiero che facesse una gagliarda risoluzione e sforzo contro alla debolezza della età, contro ulta stagione cattiva, o si mettesse io in viaggio; ma nell’istesso tempo vorrei che scrivesse una buona lettera a Nostro Signore stesso, e un’altra airKinin."® Sig/ Card. 1 Padrone con quella riverenza che so che saprà fare: e poi, racco Dimandandosi a Dio, se no venga allegramente, perchè spero che habbia ila superare tutte le difficoltà. Io tengo di esser su¬ perfluo in darli questo consiglio; tuttavia non ho voluto mancar con Poccasione di augurargli felicissimo l'anno 33 venturo e molti appresso, facendoli huniilis- 8ima riverenza, supplicandola a ricordarmi humilissimo e devotissimo servitore alli Ser. 1 ®* Padroni miei eterni. Di Roma, il 20 eli Xmbre 1632. Di \. S. molto III." Devoti». 0 e Oblig.®® Ser." e Dis. 1 ® 20 D altra mano: Sig/ Galileo G. Don Benedetto Castelli. Juori, (l altra inano: Al molto 111." et Ecc.*® Sig/ e P.ron mio Col. 11,0 Il Sig/ Galileo Galilei, primo Fil.® di S. A. Ser. ,na Fiorenza. L«tt. 2372. 7. pii eh* ckt Ui — 8. Ityitama kkm ’ 1.3878-2874] 2Ò — 20 DICEMBRE 1G32. 443 2373. FRANCESCO NIOCOLINI a GALILEO [in Firenze]. Roma, 25 dicembre 1632. Blbl. Naz. Plr. Mas. dal., P. I, T. X, car. 76. — Autografa la sottoscriziouo. Molto lll. ro Sig. r mio Osa. 0 Ilavendo visto quel che V. S. mi significa con lo sue lettere dell’ordinario passato o del presente, mi son risoluto di rappresentare il suo senso a Mons. r Boccabella, il quale, come ha mostrato sempre di compatirla, così mi par di poter star sicuro che sia por aiutarla e servirla in tutto quel che le permetta il debito del suo offizio. Sino a hieri non le era comparsa la fede che fanno i modici delle sue indisposittioni (,) ; tuttavia l’Inquisitore dovrà inviargliela, e con essa havrà occasione di parlare e di provarsi a giovarli in qualche cosa, non vedendo sena* essa come poter entrar in questo negozio con profitto, perchè il io rappresentar semplicemente la resoluttione di V. 8. non lo stima suo servizio, corno cosa elio non pare effettivamente che suoni molto bene: et in effetto havrebbe stimato d’haver campo di servirla meglio, se fusse stato possibile il mostrar d’uscir di Firenze o mettersi in viaggio per venir qua, fermandosi in qualche luogho, dove più lo fusse commodo; perchè allhora parrebbe che V. S. havesse dato qualche segno probabile della sua prontezza nell’obbedire, e parrebbe che ella meritasse più d’esser compatita et aiutata. Io lo accenno quel che ritraggo in queste strettezze, et ella dovrà considerare intanto se le mettesse conto di venir a questa dimostrattione, col trattenersi in qualche villa verso Siena, dicendo poi che da lei non restava di venire, ma che il male l’ha interamente ferma. 20 Tuttavia mi rimetto a quel che ella stimerà meglio. Et le bacio le mani. JDi Roma, 25 Xmbre 1632. Di V. S. molto Ill. ro Aff. mo Ser. re S. r Galilei. Er.° Niccolini. 2374. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 26 dicombrc 1632. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. 11, car. 109. — Autografa la sottoscrizione. 111." 10 Sig. r mio Osa. 0 Questo negozio del Sig. r Galileo vuol terminare anche contro al Maestro dol Sacro Palazzo, et a me ne duole estremamente, perchè veramente egli sottoscrisse il libro, che (>) Cfr Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 27, p). 444 26 — 31 DICEMBRE 1632. [2874-2876] non lo dover» mnì fura, e coni dice il General di 8. Domenico e cùucan altro ancora, e mandò coutil, ben che di mala voglia, quei proemii accomodati e quelli ordini per T In¬ quisitore, in riguardo solamente della reverenza che professa al Ber."* Ladrone et all’a¬ micizia intima che tiene con questa mia casa. Per conto poi del Sig. r Galilei medeaimo, io feci pnr vedere Tubane sue lettere di nuovo a Mona. Assessore del S. Uffizio; e ben che egli conosca che quel che s’allega merita coni- raiseratione, nondimeno si trova imbarazzato a rappresentarlo al Papa, per il senso che io vi ha S. B. e perchè vi sta pessimamente inclinata; e desiderava d'haver almeno in mano quelle fedi de’ modici 1**, per ha ver un pretesto seco da cominciarne a parlare con la 8. u 8.*, perchè nel resto non sa come entrurvi; et barerebbe anche voluto che almeno si fusso mosso di Firenze, per mostrar d’ubbidire, e se poi le fuase sopragiunto qualche male, sperava d’incontrar maggior facilità, lo non so più che un fare in questo interesso, di quel che sin bora si sia procurato a benefizio dolTistesao Sig. r Galileo. F S. A. vada pen¬ sando in tanto quel che le compia di rispondere, quando il Nunxio potcMe ricever qualche ordine stravagante, come qui si dubita; mentre in Unto le fo reverenxa. Poma, 26 Xnibre 1632. Di V. 8. 111.»** Obi. - * Ser." 20 S. r Ball Pioli. Frano.* Niccolini. 2375. GALILEO a [CESARE M ARSI LI in Bologna]. Firenxe, 81 dicembre 1631. Arob. Mar aia li In Bologna. ItmU citata al o.» 1688. — Autografa Ill. rao Sig. w e Pad. no Col. 0,0 Con V. S. e non con l’autore dello Specchio Ustorio a> , vo¬ glio rallegrarmi dol mirabile ritrovamento, perché esso, che V ha in¬ vestigato, son ben sicuro che no sente tanta allegrezza che non pa¬ tisce augumonto. Devo, oltre di ciò, rallegrarmi con lei nel vedere il felice progresso e la riuscita sopraumana di questo ingegno, com¬ mendatogli già da me o favorito da lei; e so il mio giudizio conserva ancora qualche credito appresso cotesti Signori, io gli consiglierei a lasciar far libero corso a questo intelletto per l’ampiezza dello scienze matematiche, per quella strada dove il suo genio lo tira, la io quale anco ò la più eccellente, e senza veruna comparazione sopra¬ vanza il calcolare effemeridi o formar direzzioni: ma può ben essere Lett. 2375. 12. il ealcorvr* — “> Cfr. n» 2878, Un. 0-7. **> Or. oa • 2271, 8800. 31 DICEMBRE 1032. 445 [2376] che un ingegno tale potesse sodisfare al gusto degl’intelligentissimi ot alla curiosità de i più. E queste, Ill. mo Sig. Cesare mio Signore, siano lo buono Feste et il buon Capo d’anno, le quali io gli mando per giunta allo altre annuali e solite ; le quali participerà col nostro Padre veramente Buonaventura, perchè io per ora non gli posso scrivere in proprio. E reverontemcnto gli bacio le mani. Firenze, l’ult. 0 di Xmbre 1632. so Di Y. S. Hl. ,na Dcv. mo et Obblig. mo Ser. re Galileo Galilei Poscr. tn In questo punto mi è sopraggiunto il Sig. Andrea Arri- gbetti, amico del P. F. ?>., o gl’ho dato ragguaglio del libro. Scriverà oggi al Padre in tal proposito. FINE DEL VOLUME DECIMOQUAUTO. INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XIV (1629-1G32). 1922 Galileo od Andrea Gioii. 1° gennaio 1029 1923 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 2 » » 1924 » » a Cesaro Riarsili. » » » 1925 Rinvia Coleste Galiloi a Galileo. 4 » » 1920 Carlo Castolli » . 5 » » 1927 Galileo a Benedetto Castelli. 8 » » 1928 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 12 » » 1929 » » a Cesare Riarsili. » » » 1930 Benedetto Castelli a Galiloo. 21 » » 1931 Carlo Bocchineri » ... 27 » » 1982 Bonaventura Cavalieri » . 20 febbraio » 1983 Benedetto Castelli » . 24 » » 1984 Bonaventura Cavalieri a Cesare Riarsili. 27 » » 1935 Giovanni di Guovarn a Galileo. 2 marzo » 1930 Sigismondo Pellegri a Cesare Riarsili. 4 » » 1937 Galileo » . 10 » » 198.8 Carlo Castelli a Benedetto Castelli. 15 £> » 1989 Riaria Celeste Galilei a Galileo. 22 J> » 1940 Sigismondo Pellegri a Cesare Riarsili. » » » 1941 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 27 » » 1942 Cesare Riarsili » . 28 » » 1943 Galileo a Cesare Riarsili. 7 aprile » 1944 Cesare Riarsili a Galileo. 10 j> 1945 Giovanni di Gucvara a Galileo. 20 » 1940 Galileo a Cesare Riarsili. 21 » » 1947 Elia Diodati a Galileo. 22 » » 1948 Giovanni Battista Sampieri agli Assunti dello Studio di 5 maggio » 1949 Giovanni Ciampoli a Cesare Riarsili. 26 » » I960 Galileo a Giovanfraneesco Buonamici. 19 giugno » 1951 Maria Celeste Galilei a Galileo. 8 luglio s> rag. 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 » 21 22 23 24 » 25 2G 27 28 29 30 32 34 35 37 » » 38 39 448 INDICE CKONOWXJICO. 1952 Gai.ii.bo a Ferdinando li de’Medici, (•» anducadi Foscana. luglio 1629 1958 Giovanfranceaco Buonamici a Oalileo. . 4 agosto > 1954 Lorenzo Usinibardi a Ferdinando 11 de’ Molici, Gran* duca di Toscana. 17 » » 1955 Cesare Mara ili a Uuhleo. 29 a 9 1056 Giovanni di Guovara a Galileo. 2 actt ombre I 1057 Maria Celeste Galilei » . 6 » 9 1958 Galileo a Cesare Maraili. 7 > 1959 Gio. Hat tinta Italiani a Galileo. » » * I960 Giorgio Portesene a . 15 ottobre » 1061 Bonaventura Cavalieri » . 20 » » 1962 Galileo ad Elia Diodati . 29 * > | 1968 Matteo Garosi a Galileo. 2 novembre 1964 Benedetto Castelli » . . 10 » * | 1965 Maria Celeste Galilei a Galileo. » » a 1966 Paolo Stecchini * . 16 » * 1967 Galileo a Giovanfranceaco Baonaraici. 19 » 1968 Maria Celeste Galilei a Galileo. 22 a 1969 Benedetto Castelli * . 24 a » 1970 Bonaventura Cavalieri * .. 15 dicembre 1071 Galileo a Federico Cesi . 24 a * 1972 Giovanni Fioroni a Galileo . 29 a J> 1978 Benedetto Castelli o Michelangelo Buonarroti a Galileo. 1629 1974 Maria Celeste Galilei u Galileo . . .. . 4 gennaio 1630 1976 Giovanni Ciancioli » .... . 5 a » 1976 Niccolò Cini a . 10 a a 1977 Galileo a Cesare Morsili . 12 a 9 1978 » a Federico Cesi . 13 a a 1979 Maria Celeste Galilei a Galileo . 21 a » 1980 Niccolò Aggiunti e Dino Peri a Galileo . 24-30 ► » 1981 Federico Cesi a . 26 » a 1982 Giovanfranceaco Buonamici » .. 1* febbraio a 1983 Cesare Marsili » . » a a 1984 Benedetto Castelli » . * 9 a a 1985 Galileo a Cesare Maraili. 16 a a 1986 Benedetto Castelli a Galilei. » » a 1987 Maria Celeste Galilei » . 19 a > 1988 Benedetto Castelli » . 23 a a 1089 Bonaventura Cavalieri a . a a » 1990 Galileo a Giorgio Fortescue. a * 1991 Niccolò Aggiunti a Galileo. 6 marzo a 1992 Maria Celeste Galilei » . . 14 a » 1998 Benedetto Castelli » . 16 a > 1994 Bonaventura Cavalieri a . 2 aprile » 1905 I Benedetto Castelli a . G > > r.g. 40 41 42 43 44 45 » 46 47 48 49 a 50 r2SSS«S£S 828SSS* S2 INDICE CRONOLOGICO. 449 Pag. 1990 Maria Celeste Galilei a Galileo. 6 aprile 1630 90 1997 Galileo a Giova» francesco Buon amici. 8 » » 91 1998 Maria Celeste Galilei a Galileo. 14 » » 93 1999 Niccolò Aggiunti » 17 » » 94 2000 Zaccaria Sagredo » 23 » » 95 2001 Niccolò Aggiunti » 24 » » 96 2002 Gerì Bocchineri » 28 » » » 2003 Zaccaria Sagredo » .! » » » 97 2004 Francesco Niccolini ad Andrea Gioii. 4 maggio » » 2005 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. 11 » » 98 2006 Geri Bocchineri a Galileo.,14 » » » 2007 » > » . 18 » 5» 99 2008 Dino Pori & .; » » » 100 2009 Antonio Badelli a. » » i* 103 2010 Francesco Niccolini ad Andrea Gioii. 19 *> » » 2011 Filippo Niccolini a Galileo. 20 » » » 2012 Dino Peri » » » » 104 2013 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. » » » 105 2014 Geri Bocchinori a Galileo. 21 » » » 2015 Esaù del Borgo ad Andrea Gioii. 22 » i> 106 2016 Orazio Morandi a Galileo. 24 :> & 107 2017 Maria Geleste Galilei a Galileo. 25 » » 108 2018 Francesco Niccolini ad Andrea Gioii . » » » 109 2019 Geri Bocchineri a Galileo. 27 » » » 2020 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. 28 » » 110 2021 Galileo a Michelangelo Buonarroti. 3 giugno » » 2022 Michelangelo Buonarroti a Galileo. » » » 111 2023 Galileo a Michelangelo Buonarroti. » » » 112 2024 Orso d’Elei a Galileo. » » » 113 2025 Iacopo Girateli » » » » 114 2026 Galileo a Michelangelo Buonarroti. 5 x> » » 2027 Michelangelo Buonarroti a Galileo. 6 » i> 115 2028 Dino Peri » . 8 » » 11G 2029 Esaù del Borgo ad Andrea Cioli. » » » 117 2030 Geri Bocchineri a Galileo. 10 » » 118 2031 » » i> . 14 » 1* 119 2032 Raffaello Visconti » 16 » » 120 2033 Andrea Cioli ad Esaù del Borgo. 18 » » » 2034 Francesco Niccolini ad Andrea Gioii. 29 » » 121 2035 Francesco Stelluti a Galileo. 6 luglio j> » 2036 Francesco Niccolini » . 1 7 » j* 122 2037 Giovanni Ciampoli s> . 13 » » » 2038 Esaù del Borgo ad Andrea Gioii. » » » 123 2039 Maria Celeste Galilei a Galileo. 21 » » » 2040 Gio. Battista Baliani » . 27 » » 124 2041 Alessandra Bocchineri Buonamici a Galileo. 28 » » 126 XIV. 67 450 INDICE CRONOLOGICO. 2042 Francesco Stei luti a Galileo. 2 agosto 1 1030 PSR. 126 2048 Galileo a Gio. Jlattista Haliani. . 6 * 9 127 2044 > ad Alessandra Bocchineri Buonumici. 8 » 9 130 2045 Benedetto Castelli a Galileo. 10 9 9 182 2040 Giovanni Ciampoli » . » » > 133 2047 Elia Diodati a Niccolò Fabri di I’eireec. 11 9 9 134 2048 Vincenzio Lancieri a Galileo. . 17 9 > » 2040 Benedetto Castelli » . 24. » » 136 2050 Giovanni Ciampoli » . » > » 136 2051 Paolo Bombini > . 30 9 > 187 2052 Pietro Gassendi » . » D 9 189 2053 Esaù del Borgo ad Andrea Cioli. . 31 » * 140 2064 Giovanni Silvi a Galileo. . 2 settembre 141 2055 Maria Coleste Galilei a Galileo. 4 9 9 » 2050 Giovanni Silvi » . 7 » 9 142 2057 Maria Celeste Galilei ► . 10 » 9 143 2058 Benedetto Castelli * .. 13 » 9 144 2059 Antonio Hurtado di Mendoza ad Esaù dol Borgo ... » » 9 145 2000 Toiumnso di Lavagna ad Esaù del Borgo.. 14 » » 2001 Esaù del Borgo a Galileo. > » » » 2002 * ad Andrea Cioli. » » 9 147 2003 Caterina Riccardi Niccolini a Galileo .. • » 9 148 2004 Sebastiano Venier ► . . 15 » 9 149 2005 Esaù del Borgo ad Andrea Cioli-.... . . 17 » » 150 2000 Benedetto Castelli a Galileo. 21 • 9 » 2007 Giovanni Ciampoli * ... .. » » 9 151 2008 Fulgenzio Micanzio » . » 9 9 152 20(19 Giovanni Silvi » . » 9 9 163 2070 Caterina Riccardi Niccolini a Galileo. . 12 ottobro 9 154 2071 Giovanni Silvi » . » 9 9 > 2072 Maria Celeste Galilei e ... . . 18 9 9 155 2073 Caterina Riccardi Niccolini » . 19 9 9 156 2074 Elia Diod&ti > . 23 » 9 157 2075 Gio. Battista Haliani » . . 24 9 9 2076 Niccolò Aggiunti » . 28 » 9 160 2077 Maria Celeste Galilei » . * » » 161 2078 » » » . 2 novembre » 162 2079 * > » . 8 » > 164 2080 Andrea Cioli ad Esaù del Borgo. » » 9 166 2081 Iacopo Giraldi a Galileo. 9 0 9 166 2082 Giovanni Silvi » . 10 9 » 167 2088 Caterina Riccardi Niccolini a Galileo. 17 9 » * 2084 Maria Celesto Galilei » . 26 » » 168 2085 Benedetto Castelli » ... 30 9 1» 169 2080 Niccolò Fabri di Peiresc a Gian Giacomo Bouchard.. 9 » 170 2087 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 3 dicembre » 9 INDICE CRONOLOGICO. 2088 Maria Celeste Galilei a Galileo. 4 dicembre 1630 2080 Vincenzio Galilei » . 7 » » 2000 Niccolò Arrighetti ad Andrea Arrighetti.. 9 » » 2001 Lorenzo Petrangeli a Galileo. 11 » » 2002 Andrea Arrighetti a Niccolò Arrighetti. 14 » p 2008 Niccolò Arrighetti ad Andrea Arrighetti. p 5) p 2004 Maria Celeste Galilei a Galileo. 15 * » 2005 Andrea Arrighetti a Niccolò Arrighetti. 16 P p 2090 » a Galileo. 17 7> » 2007 Bonaventura Cavalieri p . » » » 2008 Niccolò Arrighetti » . 18 P » 2099 GAi.it.KO a Raffaello Staccoli. 22 J> » 2100 Andrea Arrighetti a Galileo. 23 P P 2101 Filippo Tremazzi a Giulio Parigi. » » » 2102 Andrea Arrighetti a Galileo. 27 » » 2103 Galileo a Esaù dol Borgo (?). 1630 2104 Galileo a Raffaello Staccoli. 16 gennaio 1631 2105 Andrea Arrighetti a. 17 » » 2106 Maria Celeste Galilei a Galileo. 24 » 2107 Cesare Galletti » . 29 » » 2108 Esaù del Borgo ad Andrea Gioii. 1° febbraio p 2109 Francesco Pecci a Galileo. 3 p p 2110 Lorenzo Petrangeli » . 6 » p 2111 Benedetto Castelli » . 15 » p 2112 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 16 p j> 2113 Maria Coleste Galilei » . 18 p p 2114 Galileo a Cosare Morsili. 22 p » 2115 » ad Andrea Cioli. 7 marzo p 2110 Gerì Bocchineri a Galileo. 8 » » 2117 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. > » 5> 2118 Maria Celeste Galilei a Galileo. 9 » » 2110 » * » . 11 5> X> 2120 » i> » . 12 » I> 2121 Gismondo Coccapani a Ferdinando 11 de’Medici, Gran- duca di Toscana. 2122 Muria Celeste Galilei a Galileo. 13 » » 2128 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 16 P » 2124 Maria Celeste Galilei a Galileo. 17 » P 2125 Cesare Morsili » . » P » 2120 Bonaventura Cavalieri » . 18 p » 2127 Alessandro Ninci » . 19 p P 2128 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 21 p P 2120 Raffaello Staccoli a Galileo. 26 p » 2130 Gismondo Coccapani a Ferdinando II de’Medici, Gran- duca di Toscana. » » 451 Png. 172 174 176 177 179 181 184 185 189 192 193 196 » 198 199 202 204 » 206 207 208 » 209 210 211 214 215 » 218 219 » 220 221 222 223 224 » 226 226 232 » 233 462 IN L>ICK CRONOLOGICO. 2181 GÌBinondo Coccapani a Raffaello Staccoli. 27 marzo 1631 2182 Benedetto Castelli a Galileo. 29 » » 2116 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. . » » > 2184 Raffaello Staccoli a Galileo. 31 » > 2186 Galileo a Raffaello Staccoli. 3 aprilo > 2186 Gismondo Coccapani a Lorenzo t, «imbardi. 4 > > 2187 Galileo a Cesare Marsili. 6 > > 2188 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli.. > » > 2189 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 8 » > 2140 Cesare Marsili » ... » » » 2141 Marcantonio Pieralli » . 9 9 9 2142 Girolamo da Sommaia * ... » » » 2148 Maria Celeste Galilei » . 11 * 2144 Giovanni de’ Medici » . » » > 2146 Andrea Cioli a Francesco Niccolini .......... .. » » » 2146 Francesco Duodo a Galileo. . 12 » »> 2147 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 18 » » 2148 Giovanni Battista Arici a Galileo. 16 » 2149 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 17 » » 2160 Benedetto Castelli a Galileo. 19 » » 2161 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . .. » » » 2162 Maria Celeste Galilei a Galileo. •22 » 2168 Marcantonio Pieralli > .. 23 » 2164 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. » » 2165 Maria Celeste Galilei a Galileo.. 25 » » 2166 Niccolò Riccardi a Francesco Niccolini. > • » 2167 Tommaso Campanella a Galileo. 2»J 9 > 2168 Benedetto Castelli % . » > 9 2150 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. » » » 2100 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 27 » » 2161 Aurelio Gigli » 1° maggio » 2162 Galileo > 3 » » 2168 Esaù del Borgo a. 13 » > 2164 Giovanni Silvi a Galileo. 17 » * 2166 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. » » » 2166 Maria Celeste Galilei a Galileo. 18 » » 2167 Bonavontura Cavalieri » . 21 > 9 2168 Vincenzio Galilei » ► > > 2160 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 99 . » » 2170 Galileo a Bonaventura Cavalieri. 24 » ► 2171 Niccolò Riccardi a Clemente Egidii. . > > 9 2172 Francesco Niccolini a Galileo. 26 » > 2178 Ascanio Piooolomim » ... 28 2174 Maria Celeste Galilei » 29 » > 2176 Benedetto Castelli » 31 2176 Clemente Egidii a Niccolò Riccardi... » > » P«8. 284 236 236 237 » 239 » 242 > 243 244 245 246 247 243 249 » 250 251 » 252 253 » 254 266 » 256 257 » 258 260 261 > 26.2 268 264 265 > 266 * 207 268 269 270 ìndice cronologico. 453 2177 1 (lori Bocchineri a Galileo. 2 giugno 1631 2178 Lorenso Uairabardi a Ferdinando II do’Medici, Gran¬ duca di Toscana. » t p 2179 Maria Celeste Galilei a Galileo. 4 » » 2180 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 8 » » 2181 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 10 » » 2182 Maria Celeste Galilei » . p p p 2183 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 13 j> y> 2184 Benedetto Castelli a Galileo. 14 » » 2185 » » » . 20 » » 2186 Giovanfmncosco Buonamici a Galileo. 28 » r- 2187 Bonaventura Cavalieri » . 1° luglio » 2188 Galileo a Cesaro Marsili. . 5 » » 2189 * a Cassiano dal Tozzo. 7 » » 2190 Cesare Marsili a Galileo. 8 » i> 2191 Francesco Niccolini » . 12 » » 2192 » » » . 19 p » 2193 Niccolò Riccardi a Clemente Egidii. » » 2194 Galileo a Ferdinando II de’Medici, Granduca di Toscana. 22 » » 2195 Cassiano dal Pozzo a Galileo. 30 » » 2196 Maria Celeste Galilei » . » » 2197 Francesco Niccolini » . 10 agosto p 2198 Maria Celeste Galilei » . 12 » p 2199 Galileo ad Elia Diodati. 16 » p 2200 Giovanni Ciainpoli a Galileo. 23 » » 2201 Maria Celeste Galilei » . 27 » » 2202 p p » . 30 » » 2203 Francesco Stelluti » . » j> » 2204 Niccolò Fabri di Peiresc a Gio. Giacomo Bouchard... 5 sottembre » 2205 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 9 » p 2206 Paolo Giordano Orsini » . » » » 2207 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. 13 » » 2208 Alessandro Ninci a Galileo. 24 » » 2209 Benedetto Castelli s> . 26 » » 2210 Fulgenzio Micanzio » . 27 p » 2211 Cesare Marsili » . 11 ottobre » 2212 Gismondo Coccapnni » . 16 » » 2213 Benedetto Castelli » . 18 » » 2214 Bonaventura Cavalieri » . 28 » » 2215 Bartolonnneo Semi » . 31 p » 2216 Caterina Riccardi Niccolini a Galileo. 1° novembre » 2217 Alessandro Ninci » . 2 » » 2218 Gio. Battista Arici » . 15 » » 2219 Bonaventura Cavalieri » . 18 » r> 2220 Francesco de’ Medici » . 26 » » 2221 Lorenzo Petrangeli » . 27 » » 270 271 273 274 » 275 276 » 277 278 279 280 281 282 284 p 285 » p 286 287 288 289 » 290 291 292 293 » 294 295 296 » 298 299 301 302 303 304 305 306 » 307 309 310 454 INDICE CRONOLOGICO. 1 1 2222 Galileo ft Cesare Marnili. 29 novembre 1631 311 2223 Lodovico Lodovici a Galileo. i > > 312 2224 Giacomo JaufTred » . 30 » > 313 2226 Cesare Marsili * . 2 dicembre » 316 2226 13 » p 817 2227 Benedetto Castelli a Galileo.. » » » 318 2228 Cesare Marsili » .. 18 > V » 2220 Benedetto Castelli » . 20 » > 319 2230 Gerì Bocchineri » . 25 » > 320 2231 Francesco Duodo » . 27 » p 321 2282 Paolo Giordano Orsini * . 30 ► > 322 2288 Giovanni Fioroni » . 31 » » » 2234 Lodovico Lodovici a Galileo. 2 gennaio 1632 324 2286 Galileo a Cesare Marsili. 3 > » » 2286 Benedetto Scalandroni a Galileo. D » » 325 2287 Caterina Riccardi Niccolini » . 15 » > 326 2288 Andrea Cioli * . 19 * » 327 2289 2240 Giovanni Ciampoli * . 31 » •> 328 2241 Galileo a Ferdinando II de'Medioi, Granduca di Toscano. febbraio » 329 2242 Roberto Galilei a Galileo. 12 » » 2248 Benedetto Castelli * . 20 » 330 2244 Gio. Battista Landini a Cesare Marnili...,. 21 > » 331 2246 Galileo a Cesare Marsili. 23 » » 332 2246 1 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassondi. 26 » » * 2247 Gio. Battista Landini a Cesare Marsili. . 27 » » 333 2248 Pietro Gassendi a Galileo . . 1° inarco > » 2249 Cesare Marsili * . 16 » » 334 2260 Galileo a Cesare Marsili. 20 » » 335 2251 Bonaventura Cavalieri a Galileo . 22 > > 336 2252 Giulio Ninci » . 24 > » 387 2268 Giacomo JaufTred » . 26 D > 338 2254 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 28 X» » 889 2255 Andrea Cioli a Francesco Niccolini.. . 2 aprilo » » 2266 Galileo ad Elia Diodati. 9 > » » 2257 » a Cosare Marsili. 17 » > 341 2258 Gio. Battista Baliani a Galileo. 23 x> 3» 342 2259 Fortunio Liceti » . 29 3- P 344 2260 Giulio Ninci & . 30 P » 345 2261 Tommaso Campanella * . 1 1# maggio » 346 2262 Angelo Contarmi i> . » » > > 2263 Francesco Duodo ^ . » » » 347 2264 Cesare Marsili » . 4 x> » * 2265 Francesco Pecci ^ . * r» P 348 2266 Andrea Cioli a Francesco do’ Medici. :12 » 349 INDICE CRONOLOGICO. 2267 Fulgenzio Mi canaio a Galileo. 15 maggio 1632 2268 Domenico Molin » . » p » 2269 Galileo a Benedetto Castelli. 17 » 2270 Benedetto Scalandroni a Galileo. » » » 2271 Bonaventura Cavalieri » . 18 ì> » 2272 Zaccaria Sagrodo » . . 20 » » 2278 Bonaventura Cavalieri » . 25 p x> 2274 Alessandro Caccia s> . 26 x> » 2275 Benedetto Castelli r> . 29 » » 2276 Niccolò Fabri di PeireBC a Giuseppe Gaultier. 18 giugno p 2277 Benedetto Castelli a Galileo. 19 i> p 2278 Francesco Stelluti p . » » » 2279 Fulgenzio Micanzio » . 3 luglio » 2280 Antonio Santini » . 14 p » 2281 Fulgenzio Micanzio » . 17 » » 2282 Alfonso Antonini » . 24 » p 2288 Filippo Mannucci » . p » p 2284 Tommaso Campanella » . 5 agosto p 2285 Filippo Magalotti a Mario Gniducci. 7 p » 2286 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 14 » » 2287 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 15 » J» 2288 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 19 » » 2280 Tommaso Campanella a Galileo. 21 » » 2290 Francesco de’ Medici ad Andrea Cioli. » » » 2291 Francesco Niccolini » . 22 » i» 2292 p » » . » » p 2298 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 24 p » 2294 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 28 p » 2295 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 31 » » 2296 Filippo Magalotti a Mario Guiducci. 4 settembre » 2297 » » a Galileo. » » P 2298 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 5 » » 2299 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 9 » P 2300 Galileo a Cosare Marsili. 11 » s> 2301 Evangelista Torricelli a Galileo. » » P 2302 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. » 5 > » 2303 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 16 » p 2304 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 18 P » 2305 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. » » » 2806 Giuseppe Gaultier a Niccolò Fabri di Peirosc. 20 £> » 2807 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 21 » » 2308 Cesare Marsili » . p P » 2309 Tommaso Campanella s> . 25 » » 2310 Clemente Egidii ad Antonio Barberini. » » p 2811 Francesco Barberini a Giorgio Bologuetti. » » » 2312 » » •» . » » p 455 Pag. 349 350 351 352 353 355 » 356 357 359 » 360 362 363 364 » 365 366 368 371 372 373 » 374 i> » 375 377 » 379 382 383 385 386 387 388 390 p 391 393 394 396 397 398 456 INDICE CRONOLOGICO. 1 2813 1 29 settembre 1632 P»g. 399 2814 Giorgio Bolognetti a Francesco Barberini. 30 » > 400 2315 Andrea Cidi a Francesco Niccolini. 1 • ottobre » > 2816 2 » * » 2817 Clemente Egidii ad Antonio Barberini. . » » » 402 2318 Galileo ad Andrea Cioli. 6 » > > 2810 Fulgenzio Mi canaio a Galileo. i» » » 403 2820 » * » . » » > 404 2821 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. » » » 406 2322 Michelangelo Buonarroti a Francesco Barberini. 12 » * 406 2323 Andrea Cioli a Francesco de’ Medici. » » » » 2824 Galileo a Francesco Barberini. 13 » » » 2825 » a Cesare Marsili. 16 • * 410 2820 Benedetto Castelli a Galileo. » * * 411 2327 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. » » » 413 9828 » » a Galileo. » » » » 2820 Niccolò Sacchetti ad Andrea Cioli. » * > 414 28J10 Tommaso Campanella a Galileo. 22 ► » ► 2331 Benedetto Castelli * . . 23 * * 416 2882 Fulgenzio Micanzio * . » » » 416 2888 Francesco Niccolini » . » » » 417 2834 » » ad Andrea Cioli. 24 » > 418 2335 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. ... 29 * 419 2888 Benedetto Castelli a Galileo. 30 » » » 2387 Fulgenzio Micanzio » . » • > 420 2338 Francesco Niccolini * . > » * 421 2880 Pietro Gasaendi > . 1° novembre * 422 2340 Benedetto Castelli > . 0 » » 423 2841 Andrea Cioli • . » » > 424 2342 Francesco Niccolini * . » » » 2318 Andrea Cioli a Niccolò Sacchetti. . .. » » » 425 2844 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . . * * » » 2845 Benedetto Castelli a Galileo . . . 13 » » 420 2840 9847 Francesco Niccolini » . .. » > > 427 2348 » » ad Andrea Cioli. . > » » 428 2840 > » » . 14 » > 429 2850 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. ltì * » » 2851 Benedetto Castelli a Galileo. 20 » > 430 2852 Francesco Galilei * . » » » 431 2858 Francesco Niccolini * . 2354 Clemente Egidii ad Antonio Barberini. > > > 432 2855 Francesco Niccolini a Galileo. 21 ► » » 2850 Benedetto Castelli » 27 > > 433 2357 Francesco Galilei » .... . * » » 434 2858 Fulgenzio Micanzio » . » » » » INDICE CRONOLOGICO. •457 1 2850 lionato Descartes a Marino Mersenno. novem.-dic. | 1G32 Pag. 435 2800 Benedetto Castelli a Galileo. 4 dicembre » » 2801 Niccolò Sacchetti ad Andrea Gioii. i> i > ?» 486 2802 Francesco Niccolini a Galileo. 5 V » » 2808 Bonaventura Cavalieri » . 7 » » 437 2804 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. li » 438 2865 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. » » J> > 2866 » » a Galileo. 12 » 5> 439 2807 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 1 10 » » 440 2808 Galileo a Cosimo del Sera. 17 » » » 2800 Benedetto Castelli a Galileo. 18 » » » 2870 Clemente Egidii ad Antonio Barberini. » » » 441 2871 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 21 » » » 2872 Benedetto Castelli » . 25 » » 412 2378 Francesco Niccolini » . » » » 443 2374 » » ad Andron Cioli. 28 » » » 2875 Galileo a Cesare Marnili. 31 » » 444 XIV. 58 INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XIV (1629-1632). Antonini Alfonso Arici Gio. Battista Radei li Antonio n. Italiani Gio. Battista a Galileo. » * . *> » Bocchi neri Carlo a Galileo. 27 gennaio » Gori » . 28 aprile 2*1-30 gennaio 1630 N.« 1980 6 marzo » 1991 17 aprilo » 1909 24 > » 2001 28 ottobre » 2076 24 luglio 1632 2282 16 aprile 1631 2148 16 novembre » 2218 14 dicembre 1630 2002 16 » » 2005 17 * £> 2000 23 » » 2100 27 » S> 2102 17 gennaio 1631 2105 9 dicembre 1630 2000 14 » » 2003 18 » » 2098 18 maggio 1630 2009 7 settembre 1629 1959 27 luglio 1630 2040 24 ottobre » 2075 23 aprilo 1632 2258 25 settembre » 2811 » » » 2312 27 gennaio 1629 1931 28 aprile 1630 2002 14 maggio » 2006 18 » » 2007 21 » » 2014 27 »• ?> 2019 10 giugno 2030 460 INDICE ALFABETICO. Bocchinerl Gerì a Galileo. » » . . » » . > » . Bolngnntti Giorgio a Francesco Barberini. Bombinl Paolo a Uallleo. Borgo (del) Eeaù ad Andrea Cloll. » * . > > . » » . > > . » » ....... » • > a Galileo. Bnonamici Giovnnfrancesoo a Galileo » » * ► .I Buoiinmiri Bocchinerl Alessandra a Gnllloo.. .. j Buonarroti Michelangelo a Francesco Barberini » a Galileo. * > . * » . 1 Caccia Alessandro a Galileo Campanella Tommaso » » > » » ► » » » » » Carnai Matteo > Castelli Benedetto ► ► » » > » > » » » » » » > > » » * » * » * » » * > » N.* Pag. li giugno IRTO 9061 119 8 marco 1631 2110 218 2 giugno » 2177 270 25 dicembre > 2230 320 30 settembre 1632 2814 400 30 agosto 1630 9061 137 22 maggio » 2015 106 8 giugno » 9039 117 13 luglio » 203S 128 31 agosto * 9061 140 14 settembre • 9002 147 17 * • 20OÓ 160 1® febbraio 1031 2108 208 14 settembre 1680 2001 145 13 maggio 1631 9168 260 4 agnato 1629 1968 41 1® febbraio 1630 1982 73 28 giugno 1631 2166 278 28 luglio 1630 2041 126 12 ottobre 1632 2322 406 16211 1973 62 3 gingno 163< • 9099 111 6 » » 2027 116 26 maggio 1632 2274 866 26 aprile 1631 2167 265 1® maggio 1632 2201 346 5 agnato » 9264 866 21 > » 2999 873 25 settembre » 2309 897 22 ottobre » 2830 414 2 novembre 1629 1908 49 21 gennaio » 1980 19 24 febbraio > 1933 21 10 novembre » 1004 60 21 * » 1009 67 1629 1078 62 9 febbraio 1630 1984 77 16 > » 1080 «0 23 » » 19^ 82 16 marzo » 1093 87 6 aprile > 1005 89 10 agosto * 2045 132 24 > » 2040 136 13 set temi ire » 2068 144 21 > » 2000 ifin INDICE ALFABETICO. 461 N.° Pag. 30 novembre 1630 208» 169 15 febbraio 1631 2111 210 29 marzo » 2182 235 19 aprilo » 2160 250 26 » » 2168 255 31 maggio » 2175 269 14 giugno » 2184 276 20 » p 2185 277 26 settembre p 2200 296 18 ottobre » 2218 302 13 dicembre » 2227 318 20 » 2229 319 20 febbraio 1632 2243 330 29 maggio » 2276 357 19 giugno » 2277 359 2 ottobre » 2316 400 16 p » 282(1 411 23 » » 2881 415 30 » » 288(1 419 6 novembre » 2840 423 13 » » 2846 426 20 » » 2851 430 27 *► » 2856 433 4 dicembre » 2860 435 18 *> » 2800 440 25 » » 2372 442 15 marzo 1629 1988 25 5 gennaio » 192(1 15 2 p » 1923 12 12 » p 1928 17 20 febbraio * 1082 20 27 marzo » 1941 28 20 ottobre » 19(11 48 15 dicembre p 1970 58 23 febbraio 1630 1989 82 2 aprile » 1994 88 3 dicembre » 2087 170 17 » » 2097 192 16 febbraio 1631 2112 211 18 marzo p 2126 226 8 aprilo » 2130 242 21 maggio » 2167 263 10 giugno » 2181 274 1° luglio » 2187 279 9 settembre » 2206 293 28 ottobre » 2214 303 • 1(52 INDICE ALFABETICO. Cavalieri Bonaventura a Galileo a Cesati! Maral li Cesi Federico a Galileo. CiKinpoli Giovanni a Galileo. » a Cesare Marsill. Cini Niccolò a Galileo. Gioii Andrea ad Eeaà del Borgo... a Galileo a Francesco de’ Medici a Francesco Nlcoollnl . N.' i’-g. 18 novembre 1831 2219 307 27 gennaio 1632 9289 327 22 manto » 2251 336 18 maggio » 2271 353 25 * > 2278 355 31 agosto » 2996 377 21 settembre » 2807 394 7 dicembre > 2303 437 21 » » 2371 441 2 gennaio 1629 1924 18 12 > > 1929 18 27 febbraio » 1984 22 26 gennaio 1680 1981 72 6 » » 1975 64 13 loglio > 2037 122 10 agosto * 2046 183 24 » t 2050 136 21 settembre » 2007 151 23 agosto 1631 2200 289 31 gennaio 1632 2240 328 26 maggio 1629 1949 87 10 gennaio 1630 1970 65 18 gingno » 2068 120 8 novembre • 2080 165 19 gennaio 1632 2288 327 16 ottobre 2828 413 6 novembre > 2841 424 12 maggio » 2200 349 12 ottobre » 8828 406 11 maggio 1630 2005 98 20 » » 2011 106 28 » > 2020 110 8 marzo 1631 2117 219 21 * > 2128 232 29 » > 2138 236 11 aprile > 2145 247 17 » » 2149 249 23 r* > 2154 253 26 > > 2159 256 22 maggio » 2100 265 13 giugno » 2188 276 2 aprile 1632 2255 339 19 agosto > 22M8 373 24 » » 2293 376 9 settembre » 2200 885 16 » » 2303 390 INDICE ALFABETICO. 463 Cioll Andrea a Francesco Niccolinl. 1 ® ottobre 1632 2815 » * 9 t> x> 2821 » » 16 » & 2827 & 29 J> i> 2885 » 18 novembre » 23.10 » & . 11 dicembre » 2364 » » 16 » » 2867 » a Niccolò Snodi otti. G novembre » 2343 Coccapani Gismondo a Galileo. 16 ottobre 1631 2212 » a Niccolò Snodi otti. Coccapani Gismoudo a («alileo. » a Ferdinando 11 ilo’ Medici, Gran¬ duca di Toscana. » a Ferdinando li de’ Medici, Gran¬ duca di Toscana. & a Raffaello Staccoli. » a Lorenzo Usimbardi. Contarini Angelo a (Galileo. duca di Toscana. » » 2180 & a Raffaello Staccoli. 27 t> t> 2181 » a Lorenzo Usimbardi. 4 aprilo » 2186 Contarini Angelo a Galileo. 1° maggio 1632 2262 Descartes Renato a Marino Morsemi©. novem.-dio. 1632 2359 Diodati Elia a Galileo . 22 aprilo 1629 1947 » * 23 ottobre 1630 2074 >> a Niccolò Fnbri di Pelresc. 11 agosto » 2047 Duodo Francesco a Galileo. 12 aprilo 1631 2140 » » 27 dicembre » 2231 ir . 1° maggio 1G32 2268 Egidii Clemente ad Antonio Barberini.I 25 settembre 1632 2310 » » 2 ottobre » 2317 » l- 20 novembre » 2354 p » 18 dicembre » 2370 » a Niccolò Riccardi. 31 maggio 1631 2176 Elei (d’) Orso a Galileo. 3 giugno 1630 2021 Fortescne Giorgio a Galileo. 15 ottobre 1629 I960 Galilei Francesco a Galileo. 13 novembre 1632 2346 Galilei Maria Celeste t> . 4 gennaio 1629 » » 22 marzo » » » 8 luglio » i* » 6 settembre » p » 10 novembre * » » . 22 » » » » 4 gennaio 1630 21 » 19 febbraio Pag. 400 405 413 419 429 438 440 425 301 222 233 234 239 346 435 37 157 134 247 321 347 397 402 432 441 270 113 47 426 431 434 14 26 39 45 51 55 63 68 81 464 INDICE ALFABETICO. (valilo! Maria Coleste a Galileo » Galilei Roberto *- . Galilei Vincenzio » . > » . Galileo a Gio. Battista Belimi!. » a Francesco Barberini. * ad Esaù del Borgo (?). » a Giovanfrancesco Buona mici. * » . » » . » ad Alessandra Bocchinorl Buonnmici » a Michelangelo Buonarroti. » » . * » » a Benedetto Castelli. N.' Ps«. 14 mano 1680 1992 86 6 aprile » 1996 90 14 » a 1998 93 25 maggio > 2017 108 21 luglio » 2089 123 4 settembre » 2055 141 10 » » 2057 143 18 ottobre » 2072 155 28 * » 2077 161 2 novembre » 2078 162 8 » * 2079 164 2(1 * 2084 168 4 dicembre 2088 172 15 > > 2004 164 24 gennaio 1631 2100 206 18 febbraio » 2118 214 9 mano » 2118 219 11 > » 2119 220 12 » » 2120 221 13 » » 2122 223 17 * » 2124 224 11 aprile > 2148 246 22 > 2152 251 25 » » 2155 253 18 maggio 9 2.66 262 29 » 9 2174 268 4 giugno 9 2179 273 10 » 9 2182 275 luglio 9 2190 286 12 agosto » 2198 288 27 » » 2201 290 30 » 9 2202 291 12 febbraio 1032 2242 329 7 dicembre 1630 2080 174 21 maggio 1631 2168 264 6 agosto 1630 2048 127 13 ottobre 1632 2324 406 fine del 1630 2108 202 19 giugno 1629 1950 88 19 novembre > 1967 52 8 aprile 1630 1907 91 8 agosto > 2044 130 3 giugno » 2021 110 » * » 2023 112 5 » » 2026 114 8 gennaio 1629 1027 16 INDICE ALFABETICO. Gallico a Benedetto Cantelli.... » a Bonaventura Cavalieri > a Federico Cesi. ad Andrea Cloll » » x> ad Elia Dlodatl. » a Giorgio Fortcscuc. a Cesare Marslll. » . a . s* . » . » ..... » . > . » . > . » . » . a .. a . » . » . » . » . a Ferdinando II de’ Medici, Granduca di Toscana. » » » » a Cassiano dal Pozzo. a Cosimo del Sera. a Raffaello Stacco]!. » . Galletti Cesare a Galileo. Gasseudi Pietro » . » v . )> » . Gaulticr Giuseppe a Niccolò Fabri di Peiresc Gigli Aurelio ad Andrea Gioii. Giraldi Iacopo a Galileo. 17 maggio 1632 24 » 1631 24 dicembre 1629 13 gennaio 1630 1» » 1629 7 marzo 1631 3 maggio » 6 ottobre 1632 29 » 1629 16 agosto 1631 9 aprilo 1632 febbraio 1630 10 marzo 1629 7 aprilo » 21 ► j> 7 settembre > 12 gennaio 1630 16 febbraio » 22 » 1631 5 aprilo p 5 luglio » 29 novembre » 13 dicembre » 3 gennaio 1632 23 febbraio p 20 marzo j> 17 aprile » 11 settembre » 16 ottobre » 31 dicembre » luglio 1629 22 1631 febbraio 1632 7 luglio 1631 17 dicembre 1632 22 » 1630 16 gennaio 1631 3 aprilo » 29 gennaio » 30 agosto 1630 1° marzo 1632 1° novembre » 20 settembre » 1° maggio 1631 3 giugno 1630 9 novembre » 465 Pag. 351 265 60 66 11 215 258 402 49 289 339 83 24 30 35 45 65 79 215 239 280 311 317 324 332 335 341 886 410 441 40 285 329 281 440 196 204 237 207 139 333 422 393 257 114 166 xiv. 60 460 INDICE ALFABETICO. I Guevara (di) Giovanni a Galileo . * » . * * . Jaufl'red Giacomo a Galileo.j * * . Landini Gio. Battista a Cesare Marslli. * » . Lancieri Vincenzio a Galileo. Lavagna (di) Tommaso ad Fsaù del Borgo. . Llceti Fortunio a Galileo. Lodovici Lodovico » . » * . Magalotti Filippo n Galileo. » a Mario Gniducci Man micci Filippo a Ga Murarli Cesare » ileo. » » . » * . Medici (de*) Francesco ad Andrea doli . > a Galileo. Modici (do*) Giovanni » . Mendoza (di) Hurtado Antonio ad Ksaù del Borgo ... Micauzlo Fulgenzio a Galileo. * » . » » . » s . » » . ► > . * » .. » » . » > . ► * . | N.* P-g 2 marzo 1629 1935 23 aprile • 1945 34 2 settembre * 1 1056 44 30 novembre 1681 2224 313 26 marzo 1632 2253 | 338 21 febbraio 1632 2244 331 27 > ► 2247 333 17 agosto 1630 204* 134 11 settembre » 9060 145 29 aprile 1632 2250 344 29 novembre 1631 2223 812 2 gennaio 1632 2234 324 4 settembre 1632 2297 382 7 agosto » 22*5 368 4 settembre > 9996 379 24 luglio > 9988 306 2H marzo 1629 1942 29 IO aprile * ili il 32 29 agosto » 1965 43 1* febbraio 1630 1968 76 17 marzo 1631 9125 225 8 aprilo » 3140 243 8 luglio » 2190 982 il ottobre 9 2211 299 2 dicembre » 2225 316 18 * » 222H 318 16 marzo 1632 2249 33-1 4 maggio » 2264 347 21 settembre » 2808 396 21 agosto > 2290 374 26 novembre 1631 2220 309 11 aprile > 2144 247 13 settembre 1630 9069 146 21 » » 9068 162 27 * 1631 2910 298 15 maggio 1632 2267 849 3 luglio > 2279 362 17 » 2281 364 14 agosto > 2286 371 18 settembre » 2804 390 9 ottobre » 2319 403 » » > 2320 404 23 > s 2882 416 INDICE ALFABETICO. 467 Miranzlo Fulgenzio a ftallleo » * Molla Domenico » Morandi Orazio * Nicoollnl Filippo Nlccolini Francesco ad A ndrea (Moli » Nlccollni Miocardi Caterina a Galileo 1 N." F«g. 30 ottobre 1632 2887 420 27 novembre » 2868 434 15 maggio » 2268 350 24 » 1630 2016 107 20 maggio 1630 2011 103 4 x> » 2004 97 10 » » 2010 103 25 » 2018 109 20 giugno » 2084 121 16 marzo 1631 2128 224 5 aprile > 2188 242 13 x> » 2147 248 19 » » 2161 251 27 j> » 2160 257 17 maggio » 2165 261 8 giugno » 2180 274 28 marzo 1632 2264 339 15 agosto » 2287 372 22 » 2291 374 » » » 2292 » 28 » 2294 377 5 settembre » 2298 383 11 » x> 2802 388 18 > X* 2806 391 24 ottobre » 2884 418 6 novembre » 2844 425 13 5> » 2848 428 14 » 1 > 2849 429 11 dicembre » 2866 438 26 » » 2874 443 7 luglio 1630 2086 122 25 maggio 1631 2172 266 12 luglio » 2191 284 19 ■» » 2192 » 10 agosto » 2197 287 23 ottobre 1632 2338 417 30 » » 2888 421 6 novembre » 2842 424 13 » » 2847 427 20 » x> 2868 431 21 » X» 2866 432 5 dicembre » 2362 436 12 > » 2806 439 25 » i» 2378 443 14 settembre » 2068 148 468 IN DICK ALFABETICO. Kiccolini Riccardi Caterina a Galileo. 12 ottobre 1632 » * 19 * • » > 17 novembre » > » . 1° * 1631 > » 15 gennaio 1682 Nincl Alessandro » ,19 marzo 1631 » » 24 settembre > » a .| 2 novembre * Nluci Giulio » 24 marzo 1632 p * 30 aprile » Orsini Paolo Giordano a Galileo. 9 settembre 1631 » » . 30 dicembre » Pece! Francesco a Galileo. 3 febbraio 1631 » » ... 4 maggio 1632 Peiresc (di) Fabri Niccolò a Gian Giacomo Bonchard. novembre 1630 » * 5 settembre 1631 * a Pietro Dupujr. 13 * » » a Pietro Gassendl. 26 febbraio 1632 » a Giuseppe Oanltlrr. 18 giugno » Pellegrl Sigismondo a Cesare Marnili. 4 marzo 162.» » » . 22 » * Pori Dino a Galileo. 24 gennaio 1630 » > 18 maggio » » * . 20 » » > » 8 giugno > Petrangeli Lorenzo a Galileo. 11 dicembre » > * 6 febbraio 1631 * * 27 novembre » Plccolomini Ascanio » 28 maggio » * » 29 settembre 1682 Pleralli Marcantonio » 9 aprile 1631 » » 23 » » Pleroni Giovanni » 29 dicembre 1629 » » 31 » 1631 Pozzo (dal) Cessiano > 30 luglio * Itlccardi Niccolò a Clemente Egldii. 24 maggio 1631 * » . 19 luglio » > a Francesco Nlccollni. 26 aprile » Sacchetti Niccolò ad Andrea doli. 16 ottobre 1632 * .ì 4 dicembre » Sagredo Zaccaria a Galileo. 23 aprilo 1630 * * .! 28 » * K.* 2070 2078 2088 2210 2287 2127 2208 2217 2252 2260 2206 2282 210 » 226Ó 208<1 2204 2207 2246 227G 1930 1040 1980 2008 2012 2028 2001 2110 2221 2178 2818 2141 2153 1072 2283 2195 2171 2193 2156 2820 2861 2000 2008 P«g. 154 156 167 306 826 232 9M 80 $ 337 346 294 882 208 348 170 293 293 332 359 24 27 69 100 104 116 177 209 810 267 399 244 252 61 322 285 266 285 254 414 436 95 97 INDICE ALFABETICO. Sagrodo Zaccaria a Galileo. Soni plori Gio. Battista agli Assunti dello Studio di Bo¬ logna. Santini Antonio a Galileo. Scalandroni Bonodotto a Galileo. > * .. Sernl Bartolomnieo » . Silvi Giovanni » . » X' . :> » i> » » Sommala (da) Girolamo Stai-coli Raffaello » Stecchini Paolo Stellati Francesco j» » & » » » » * » » » Torricelli Evangelista a Galileo. Tremassi Filippo a Giulio Parigi. Usimbanli Lorenzo a Ferdinando II de’ Medici, Gran¬ duca di Toscana. o a Fordinando li de’ Medici, Gran¬ duca di Toscana. Vonior Sebastiano a Galileo. Visconti Raffaello » . 469 N.* Png. 20 maggio 1632 2272 355 5 » 1629 1048 37 14 luglio 1682 2280 363 9 gennaio » 223(5 325 17 maggio » 2270 352 31 ottobre 1631 2215 304 2 settembre 1630 2054 141 7 » » 205(5 142 21 » » 20(50 153 12 ottobre » 2071 154 16 novembre » 2082 167 17 maggio 1631 21(54 261 9 aprilo » 2142 215 26 marzo » 2120 233 81 » » 2134 237 16 novembre 1629 19(5(5 52 6 luglio 1630 2085 121 2 agosto » 2042 126 30 > 1631 2203 292 19 giugno 1632 2278 360 11 settembre 1632 2801 387 23 dicembre 1630 2101 198 17 agosto 1629 1054 42 2 giugno 1631 2178 271 15 settembre 1630 20(54 140 16 giugno » | 2032 120 INDICE DEL VOLUME DECIMOQUART0. Carteggio. - 1629-1682 .Pag. 9 Indice cronologico delle lettere contenuto nel Voi. XIV (1629-1632). 447 Indice alfabetico delle lettere contenute nel Voi. XIV (1629-1632). 459 LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XV FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1936-XIV LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XV. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XV. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 1936 -XIV. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 169 FIRENZE, 340 1935-30. — Tipografia Barbèra - Alfani > V*.mtuiu prò prie Uri. Promotokk della Edizione Nazionale II- li. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore : ANTONIO F AVARO. Coadiutore letterario: ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTI — G. GOVI — G. Y. SCHIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale fe POSTA SOTTO GLI AUSPICII DEL li. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA li. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ABETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO BAGNINI. CARTEGGIO. 1633. XV. 2 2376 ** FRANCESCO BARBERINI ad ANDREA CIGLI in Firenze: Roma, 1° gennaio 1633. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3523 (non cartolata). — Autografa la firma. Molto 111. Sig. r0 Ila letto attentamente N. Sig. r0 la lettera di V. S. de’13 del corrente; e non rivocando in dubbio d’essersi contentato ch’ella possa all’occorrenze scriver direttamente alla S.' 1 Sua, si duolo elio sia stata impedita di venire a’suoi S. ml piedi por esporli quello che sarebbe occorso, perché confidava S. B. n0 che dalla viva voce di ossa V. S. havrebbe chiaramente compreso che in S. S. a non ò diminuito un minimo punto il paterno affetto che ha portato all’Alt.** del Gran Duca ot alla sua Ser. ,l,a Casa, quale conserva S. B. n0 ancora al presente e conserverà, per sua parte, sino al fino. Ma già che non ha potuto S. S. u haver questa sodisfattione, vuolo ch’ella senta dalla voce di Mons. r0 Nuntio que- 10 sto stesso, et insieme ancora quel che occorre replicar a S. B. n * alli capi contenuti nella detta lettera. Resta ch’io certifichi V. S. della paterna volontà di N. S. re verso di lei, e della con¬ fidenza che tiene ch’ella sia per rappresentar sempre a S. A. le cose in modo elio hahbia a crescer via più la buona intelligenza tra S. B. no e l’A. S. Finisco con inviar a V. S.' la S. u benedittione elio le dà N. S r0 , e le prego ogni prosperità. • Roma, p.° Gemi. 0 1U33. Di v. s. Aff. ,n0 per sor. 1 * S. r Baly Gioii. F - Card, Barberino. Fuori: Al molto 111. Sig r0 Il Sig. 1 ' Baly Gioii. Firenze. 20 12 4 GENNAIO 1033. 12877 ] 2377 **. ANTONIO DE VILLE [a GALILEO in Firenze]. . Venezia, 4 gennaio 1633. Bibl. Nas. Mr. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 7-10. — Autografa. Molto HI.” S. ro , S.™ ot P. no mio Col."’ 0 Molti anni sono elio connosco il suo nonio ot lo suo opero, ammirate dal mondo ot di mo particolarmente, elio ho sempre desiderato riverirla et conferir con lei, por imparar molto cose non sono saputo da nissun altro. Ilo letto avidamente tutti quolli trattati suoi olio ho potuto ritrovare, et questo ultimo m’ à rapito di gusto ot di maraviglia, dove proha il sistema di Copernico, il quale, dopo la prima conniziono elio no ho havufco, l’ò estimato verissimo: et fa qualche anni elio comprai un libroto latto di un certo Della Galla 0 ’, dove pretendo destrugero quella opinione, con titolo Velli phenomcni ntiorhr lunare, dovo nomina la sua persona, por haverla già. proposta in Iloina; notai io al margine la nullità, ili tutti li suoi argomenti, et queste noto mie <» le ho trovate conformi alla mento sua et alli suoi scritti, con sodisfattiono mia gran¬ dissima d’esser convenuto nel’istesso parerò d’un così grande suggerii» come V. S. molto Ill. ro , et con sicura confermarono della verità, la quale se ritrova sempre ili quelli elio la cercano senza passione o affettazione, conio fanno qur.ù tutti elio estimano meglio sostentar una falsità, benché conosciuta, elio lasciar l’opinione del suo maestro, ot basta elio riferiscano molti haver detto risto .sa cosa, senza voiler si 1’ hanno dotta vera, o almanco ricercata, ma tutti alla cicca vanno seguitando le opinioni elio sono inveterate. Non si studia altro che offuscar li effetti naturali per farle convenire con la mento d’Aristotile, o dove non si 20 puole, negano gli senzi (così faciova il Crernonino a Padoa), come si la natura fosso sforsata accomoilarso a Aristotile et clic la sua sola pliilosophia babbi questo privilegio sopra tutto lo altre cose, di accomodarlo et regerle, et elio non sia licito alla natura produr qualche novità, si Aristotile non l’à scritta. Con¬ fesso la verità, elio mi ricordo, dopo haver perso trei anni a studiar la pliilosophia sotto li Giesuiti, mi trovai tanto innoranto et più confuso elio prima; ot crescendo il giudizio con li anni, ho conosciuto clic tutte quello philosophie ili frati ot Giesuiti ot tali altri non sono che un zergo ili parole inventate, atto a non sciogliere mai nissuna questione ni trovar nissuna verità: et in quelle disputo non vedo mai che l’un ni l’altro conchiuda niente, benché la verità sia una; so anzi dallo volte, con tanto distinzioni che si fanno, se stravaga tanto, che si non s ha la thesi scritta, non si saprà di elio si parlava prima: tanta poca convo¬ li Cfr. Voi. Ili, Par. I, j 311. [23771 4 GENNAIO 1633. 13 nenza hanno questo deviazioni dal proposto. Et credo, questo difetto venire por non intenderse di che cosa si parla, per non bavero bone definizioni et perchè non sono nissuni principii di discorso, nelli quali s’aquioti l’animo et donde si possa didurse et risòlverò: ot di quolli tre che Aristotile mete, non ho mai visto nissuna questiono o didursi di qualcheduno o risolversi in qualcheduno. Et come sarohho possibile, si non si sap (sic) elio cosa sianno? Ni anche lui istesso l’à mai saputo, poiché, ossondoso assai dccervelato a corcar la sua definizione, dico 40 elio non è ni questo ni quello, ot poi quasi niente : la forma depende della ma¬ teria, la privarono non ò niente, doncho tutti li principii naturali sono quasi niente. Me stupisco conio ò possibile che si stia tanto in questa ignoranza. Il mondo haverebbo un grandissimo obligo a V. S., si volesse mettere la mano a ristorare questa sionza; et estimo elio nissun altro che viva lo possa fare come lei. Quanto a me, dico sinceramente elio di tutti li scritti antiqui et moderni che lezo, non trovo nissuni elio sianno tanto pieni, anzi sianno tutti cossi soda et profonda dottrina, come li suoi. Godo, sono rapito a vederle ot gustarlo. Me per¬ metta propellere alcuni altri dubii, chè di altro non spero poter sapore la verità. Li altri principii, cioè elementi di compositiono, le mettono quatro soli, 60 perchè non sono altri moti semplici elio il in su ot il in giù et il circolar, et questi sono il grave et il levo et duoi nel meso. Ma fin adesso non so quali sianno li gravi ni leggieri ; perché tanto 1* aria va in fondo d’un profondissimo pozzo, conio in cima d’una alta torre, senza alzar niente l’aqua, benché senta* ricnto; et l’aqua sta in fundo d 5 un pozzo, senza venir su la superficie della terra, senza violenza ; il fuoco viene anche in giù, come lo trahi ardenti et altri moteori. Si so dico cho è per rispetto do l’essalazione terrea, ma perchè è stata elevata, o perchè non casca avanti cho infiammarso ? anzi dovcrebbe andar più in su per il fuoco predominante, o per liaver aquistato quel novo grado di levità. Dipoi falsamente di questo moto in su ot in giù si arguisco la compositione co dolli corpi ; perché, conio yoI Aristotile, ogni altorationo o corruttiono si la di un contrario in un altro contrario, et dclli contrarii sono contrarii moti ; doncho seguirebbe, quando si corrompo la carne d’un liuomo, la quale ha il moto in giù, doverobbono nascerò auzelli di paradiso, cho vadino sempre in su: overo la corruttiono non si farà di contrario in contrario, o di contrarii non saranno contrarii moti. Si fosso vero che li corpi semplici se movessero di moto semplice, cioè retto o circolare, il sole, il quale estimano semplicissimo, sarà composto, perchè si move por una helica attorno la sphera, lo qual anche se varia per la eccentricità; et anche più saranno ' composti li altri pianote, che si movono per linee più 70 irregolari, por il moto del’epicyclo et delli deferenti o eccentrici. Era bone più ragionevole estimar la stella della Cassiopea somplice clic un cometa, poiché s’è mossa semplicemente come lo fisse. 14 4 GENNAIO 1633. [ 2877 ] Quanto a me, estimo, conio V. S. molto Ill. ra , olio il gravo et levo sia una subordinatione naturale di tutto lo parti et un consensso «li unir.se et concentrarne a far il tutto con quella disposinone conveniente; come nel corpo humano lo ungie et capelli sono sempre li estremi ; la polle, esteriore alla carne ; le parti nobili, coperto «Ielle altre : et quella ordinazione dello parti «lei corpo humano, dell! arbori, dolio piante, è molto simile a quella dol tutto, bonchè con diversa maniera. Si so fa un taglio a un arbore, la scorsa si fa sopra la pelle alla ci¬ catrice, senza grave ni levo. Poiché si voi dar tal nome, estimo che tutto lo fco cose possono dirse gravi, ma manco lo une dello altre, perché lussuri può de¬ terminare fin dove sia il gravo et fin dovo sia il leve, et dovo comincia 1* ingiù et dove principia V insù. Questa difficultù ò simile a quella del caldo et del freddo, elio è un progresso dal manco et manco caldo fin alla privatione d’ogni caldo, si puoi esser: et in questa ostenzione sono infiniti gradi, li quali non hanno nissuna determinazione nolli suoi mési, dovo si dova finir un contrario et co¬ minciar un altro ; ot così di tutti li altri elementi. Et di là mi par molto mal fondata la opinione
  • rka Clou. (J| Antonio Quabatesi. ,S » ALESSANDRO BOCCUIKE Iti. 12 — 15 GENNAIO 1633. 23 [2883-23841 bianio di dii serva. Nel resto rimettendomi a quel che le rispondo con l’alligata (1) il S. r Bali, non le sogghignerò altro, et le bacio di cuore le mani, pregandolo felice viaggio. I)i Pisa, XII Gennaio 1633 a Nat. 6 Di V. S. molto 111.'° et Eoe. 1 " 0 Oblig."' 0 Ser. ro et Parente [S.] r Galileo. Geri Bocchino ri. 2384 . GALILEO ad ELIA DIO DATI [ in Parigi]. Firenze, 1» gennaio 1003. Bibl. Nazionale in Parlai. Oolloction Dupuy, voi. CCS, cnv. 200. — Copia di niano di T’iktuo Dltiy, in capo alla qualo si loggo, della stessa mano: « I.ottora del S. r (lalìloo Calilo! alli SS. rl Diodati et C!assonili, do’ Dialogi suoi etc. del moto della terra, 1083 ». Nella Uiblioteca d'Inguimbert in Carpontras, Coll, l’oirosc, ltog. XT,I. IT, cnr. 13-14, si ha un’altra copia sincrona di questa lettora. Esempliamo la nostra odiziono sulla copia Parigina, che ci sembra complessivamente più corrotta, migliorandola tuttavia in qualche particolare col sussidio dell’altra copia. Appiè di pagina indichiamo con P alcuni pochi luoghi dell'csomplaro di Parigi nei quali ci siamo attenuti nel tosto alln copia di Carpontras, o con C alcune lezioni di quest’ultima elio ci parvo, pur non accettandolo, dover registri»ro. Molto Ill. ro Sig.™ e Pad. 00 Colend. mo Sono in obligo di rispondere a due lettere, una di Y. S. e l’altra del S.*® Pietro Gassendo' 21 , scritte il 1° di Novembre passato, ma non pervenute a me se non dieci giorni sono: e perche sono occupatis¬ simo e travagliatissimo, vorrei che questa servisse per risposta ad amendue, come tra di loro amantissimi e che trattano nelle lettere loro l’istessa materia, cioè la ricevuta dei Dialogi miei, mandati ad amendue, e della vista che repentinamente gl’ havevano data con applauso e approbatione ; di che io lo ringrazio e gliene resto con io obligo, ma starò aspettando giuditio più critico o libero, dopo che rilaveranno riletto più posatamente, perchè temo che vi troveranno molte cose da impugnarsi. Mi duole che i due libri del Morino (3> e del Fromondo ( , ! non mi sono pervenuti alle mani se non sei mesi dopo la pubhlicatione del mio Dialogo, perchè havrei havuto occasione di diro molte cose in laude d’amendue, e anco fare qualche consideratione sopra qualche Lett. 2384. 8. scritta, C — 4. pervenuta, 1’ — Di Cfr. n.o 23S2. (*> Cfr. n.o 2339. <*' Cfr. Voi. VII, pag. òli). <♦1 Cfr. u.o 2250. 24 15 GENNAIO 1633. [ 2884 | particolare, e principalmente uno nel Morino <» un altro noi Fro¬ lli ondo. Nel Morino, resto maravigliato della stima veramente molto grande che egli fa della giudiciaria, o che ei pretenda con lo con- ietture sue (che pur mi paiono assai incerte, per non diro incerti»- 20 sime) stabilire la certezza dell’astrologia : 0 mirabil cosa veramente sarà se con la sua acutezza collocherà nel seggio supremo delle scienze humane 1 * astrologia, come egli promette ; e io con gran cu¬ riosità starò attendendo di vedere sì maraviglioea novità. Quanto al Fromondo (che pur si mostra Intorno di grande ingegno), non havrei voluto ch’egli fosse incorso in quello che a me veramente par gravo errore, benché assai comune, cioò ch’egli, per confutare l’opinione del Copernico, prima cominciasse con punture di scherno 0 di deri¬ sione verso quelli che la tengono vera, e poi (che più mi pare in¬ conveniente) volesse stabilirla principalmente con l’autorità dello 30 Scritture, e finalmente condursi a dargli, per tal rispetto, titolo poco meno di heretica. Che il tenere questo stile non sia laudabile, mi pare che assai chia¬ ramente si possa provare. Imperochò so io domanderò al Fromondo di chi siano opera il sole, la luna, la terra, le stelle, lo loro disposi¬ zioni e movimenti, penso che mi risponderà essere fatturo di Dio; 0 domandato di chi sia dettatura la Scrittura Sacra, so che rispon¬ derà essere dello Spirito Santo, cioò parimente di Dio. 11 mondo dunque son le opere, e la Scrittura son le parole, del medesimo Dio. Domandato poi se lo Spirito Santo sia mai usato nel suo parlare di ho pronuntiar parole molto contrarie, in aspetto, al vero, e fatto così per accommodarsi alla capacità del popolo, per lo più assai rozzo e inca¬ pace, son ben certo che mi risponderà, insieme con tutti i sacri scrit¬ tori, tale essere il costume della Scrittura, la quale in cento luoghi proferisce (per dotto rispetto) propositioni, che prese nel puro senso delle parole sarebbero non pure heresio, ma bestemmie gravissime, facendo l’istesso Iddio soggetto all’ ira, al pentimento, alla dimenti¬ canza etc. Ma se io gli dimanderò se Iddio, per accommodarsi alla capacità e opinione del medesimo vulgo, ha mai usato di mutare le fatture sue, o pure se la natura, ministra d’iddio inesorabile e immu- fio tabile alle opinioni e desiderii Immani, ha conservato sempre e con¬ tinua di mantener suo stile circa i movimenti, figura e dispositioni 2S. Cfr. Voi. XIX, Poe. XXIV, a, 12; l. 27, 0). {2) Lodovico Ludovici. 1,1 Cardo di’ Mimici. «*» Cfr. n.o 2300, lin. 7-8. [2389-2390] 19 - 21 GENNAIO 1033. 29 2389 *. GIULIANO DE’MEDICI a GALILEO fin Firenze]. Livorno, 19 gennaio 1633. Bibl. Naz. FIr. Mss. fluì., P. 1, T. XIV, car. 209. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ill. ro et. Ecc. mo Sig. r Osa.* 0 Ringrazio infinitamente V. S. della parto elio m’ha voluto dare della sua andata a Roma, dove spero elio riceverà ogni sodisfazione : et intanto gT&uguro dal Signor Dio buonissimo viaggio o felice ritorno, con pregarla che da ogni luogo mi voglia inviare qualche occasiono di poter servir sempre a V. S. Alla quale bacio le mani, o prego dal Signor Dio ogni felicità. Di Livorno, a’ 19 di Gennaio 1632 (1) . Di Y. S. molto 111.” et Ecc. nrA Aff."' 0 Ser.” S. r Galileo Galilei. . Giul.°, Arciv.° di Pisa. 2390 *. ANDREA CIO LI a FRANCESCO NICCOL1N1 [in Roma]. [Livorno], 21 gennaio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I. T. II, car. 111. —Minuta non autograta. .... Il povero Sig. r Galileo si è finalmente incamminato a cotesta volta; et se V. S. potesse mandargli per la strada qualche lume di consolazione, con dirgli almeno che venga allegramente, che non sarà messo prigione, si diminuirebbe in noi il timore che habbiamo della sua salute, perchè la verità dev’essere ch’egli è partito col male addosso: et però S. A. gli ha fatto dare una buona lettiga della Ser. ma Casa, et ordinato a V. E. di rice¬ verlo et spesarlo. A lui credo che il Sig. r Card. 1 ® padrone ordinerà di eleggere il quadro del lascilo del Sig. r Card. 1 ® Lodovisio ( S) - in l)ì stilo fioroutino. '*i Cfr. ii.« 2388. 30 22 — 23 GENNAIO 1633. L2391-2308J 2391 *. GIORGIO BOLOGNETTI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 22 gennaio 1683. Aroh. Vatioano. Cifro di Fiorenza, l'anno 1688; u.« 21, car. llr. — Induzione «incrona doli'originale in cifra. Di Fironze, da Mons. r Vose. d'Ascoli, Nantio, li 22 di Gennaro 1633. Deciferato li 20 detto. Mona. Badati fu l’altro giorno da me; ot havendolo io di nuovo pcrauii**©, anco con l’esempio del Galileo che era partito per Roma, a sollecitar© di dar la sicurtà appuntata per l’AlidosioW, affino si potesse quanto prima trasmettere costi, è r< tato di farlo in ogni maniera nel ritorno del Granduca, che si aspetta ogni giorno, dicendo ••- «cr con S. A. ohe la deve dare, benché non mi habbia voluto diro il nomo; o dove prima si dichiarava, voler procurar qua, in quel modo che potova, che la causa di «uso si terminalo qui, bora mi afferma esser per cooperare bì eseguiscano gli ordini della Sar. Congregazione nella trasmissione di lui: il che si procurerà si effettui subito tornnto il Granduca. 2392 *. CLEMENTE EGIDII ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 22 gcnualo 1633. Cfr. Voi. XIX, JJoc. XXIV, b, 30), 2393 **. SEBASTIANO VENIER a GALILEO [in Firenze! Venezia, 23 gennaio 1633. Bibl. Naz. Fir Mss. Gal., P. I, T. X, car. 9. — Autografa la sotto.crizion". Molto Ill. r ® et Ecc. mo Sig. r Hebbi già collo cortesissimo lotterò di V. S. Ecc. m ' il favore ilei «no Dialogo, che ultimamente havova dato alla luco. L’ho aggradito quanto si devo ; et Lavandone letto qualche parto, secondo cho mi hanno permesso lo mio occupa¬ lo <•' Mariano Annosi. 23 — 24 GENNAIO 1633. 31 [2393-2394] tioni, benché non mi conosca atto a farne giuditio, l’Iio ritrovato degno parto della sua grand’intelligenza, il che veggo esser confirmato pienamente dal giu¬ ditio di quelli che l’han lotto e por la loro intelligentia meritano fede e credito. La memoria del già S. r Gio. Francesco Sagredo mi sta fissa nell’animo do continuo. Io oro tanto seco congionto quant’ella sa, ondo devo restar a lei con io grand’obligo dell’honore che ha voluto far al nome di lui, del quale n’è certo molto ben doglio. Io la compiacerei del mio retratto u) , quando l’havessi permesso ad altri che me l’han richiesto. Non mi par di essere nel numero di quelli che hallbino a rostar retratti. Sia certa V. S. Ecc. nm ch’io continuo a far di lei quella stima che molto ben si merita, conio continuo anco in desiderio di potermi adoperare in suo ser- vitio. La prego ad iscusarmi della dilationo del presento uffitio, causata da di¬ versi accidenti et mie occupationi, colla confidenza però sempre della sua genti¬ lezza et cortesia. Con clic, pregandola a valersi di me con ogni maggior confidenza ‘jo sempre, l’auguro molt’anni colmi di tutto lo maggiori prosperità. Di Venetia, a’ 23 Gonaro 1G32 (2> . Di V. S. molto III/ 0 et Eec/ nu Sor/ di core Ecc. 1 " 0 S/ Galileo Galilei. Sebast. 0 Voniero. 2394 ** GERÌ BOCCI UN ERI a [GALILEO in Roma]. Pisa, 24 gonuaio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Osi., P. I, T. X, car. 93. — Autografa. Molto III.” et Ecc. m0 S/ mio Oss. mo Intendo elio V. S. è già partita por Roma; aspetto di sentire ch’ella vi sia giunta a salvamento, conio ne prego Dio. Il S. r Cardinale lS) ha soscritta la lettera per il Padre Generale do’ Cappuc¬ cini (4) molto volentieri, et volentierissimo vi ha di suo pugno aggiunto li 2 versi che V. S. desiderava; et Alessandro (5 ' gliela dovrà mandare con questo medesimo ordinario di Milano, inviandogliela io acciò vi metta il sigillo. IH Qf r nn i 2207, 2279. Gio. Antonio da Modena, al secolo Moktk- <*' Di stilo veneto. ccooow. <3) Cablo de’ Medici. ,#1 Alessandro Bocciiinkim. 32 24 — 27 GENNAIO 1633. 1 * 304 - 2896 ] V. S. dia nuovo di sè. Noi siamo questa sera tornati 4» Uranio, <-t attuto prossimo saremo in Fiorenza, per tornar qua di nuovo a quaresima. Kt a Y. S. bacio lo mani. io Di Pisa, XXIIII Genn. 0 1688. Di V. S. molto 111.” ot Eoo." 1 * AiV. m0 et Obli»- 0 Paranti* et Scr. 1 * (reri tiooohinori. 2395. ALESSANDRO B000HINERI a GALILEO fin AcquapendenteJ. Firenze, 27 gennaio 1638. Bibl. Nrz. Plr. Mss. Gnl., P. I, T. X, car. 91. — Autografa. Molto Hl. re et Ecc. mo Sig. r mio Osa.™ 0 Ricevei la lettera di V. S. scritta di Siena, ot la mandai subito alle sue Mo¬ nachino, rallegrandomi con loro del principio di buon viaggio ch’ella bavera goduto. Così voglio credere che V. S. l’habbia proseguito, et che all’arrivo di questa mia a Roma, olla ancora vi sia soprugiuntn, o sin per sopra giu gnor vi di momento. In conformità doll’appuntamento con V. S., distesi la lettera per il S. r Card. 1 padrone U) al Padre Generalo de’ Cappuccini {r ; et S. Km.” non solo si ò com¬ piaciuta di firmarla, ma vi ha anco con molta prontezza aggiunto quei «lue versi di suo pugno, conio ella potrà vedere, h&vendo questa et un'altra per il Padre io compagno del Generalo lasciato col sigillo volante. Et perchè il pieghetto lo ca¬ piti in propria mano, lo invio al S. r Pietro Pagi, servitore del S. r Cantinata et mio amicissimo. Et non havendo che più soggiuguerle bacio a V. S. cordialmente le mani. Da Firenze, 27 Gemi. 0 1632 ah Ine• Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Mi ero scordato cho S. Eni. 1 » mi ha coman¬ dato ch’io la ringrazi per sua parte dell’oftitio eh ella ha passato seco nella sua, partenza ■'. Aff. ,uo Sor.™ e Parente 20 [...J/ Galileo Galilei. Alessandro llocchineri. Cfr. u.* 2885 . Carlo dk’ Medici. <*> Cfr. n.° 2898. [2390] 20 GENNAIO 1633. 33 2396 *. ALESSANDRO BOCCH1NERI a GALILEO in Acquapendente. Firenze, 29 gennaio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mal. Gai., P. I, T. X, car. 15. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc.“° Sig. r mio Oss. mo La seconda lotterà clic ho ricevuta di V. S. ci ha rallegrato noi sentirò il suo folico arrivo a’ confini, ma disgustato poi in sentirò l’infelice luogo noi quale doverrà ella trattenersi, ot conio non vi orano ancora arrivati gl’ordini di Roma por il suo ingrosso nello Stato della Chiesa, il elio vogliamo poi credere che non sieno por tardare. Ilo fatto vedere anco la detta seconda lettera allo suo Mo¬ nachino, ot fattomela restituire por potoria participaro a gl’amici elio mi doinan- dassino di V. S., ot inviarla poi al S. r Vincenzo 111 . Io ho già inviato a Roma 12 , in mano del S. r Pietro Lagi, un pieghetto per io V. S., dentro al quale sono quello lettere por il Generalo de’ Cappuccini 13 ’ e suo compagno; ot ambedue sono col sigillo volante, acciò ella ne possa vodere il contenuto, ot 4 versi di proprio pugno del S. r Card. 1 padrone w . La Corto ò tornata questa sera, con buona salute di tutti, et Gerì mio fra¬ tello lo bacia lo mani, havendogli scritto a Roma; et io invio questa alla volta di Acquapendente, ancorché stia con qualche timore che 1;\ gli sia por perve¬ nire. Ho caro elio Marsilio lo dia sodisfaziono, et V. S. mi faccia favore di sa¬ lutarlo in nome mio, con darli nuova della buona salute di tutti i suoi. Et a V. S. faccio reverenza. Da Firenze, 29 Gcnn. 0 1632 al) Ine. 0 20 Di V. S. molto lll. ro ot Ecc. ,n:l Aff. m0 Sor.™ o Parente S. r Galileo Galilei. Alesa.™ Bocchincri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo il S. r Galileo Galilei. Acquapend* per Ponto a Contimi, a far la quarantena. "I Vinckszio Uai.ilri. <* Cfr. n.° 2305. (3) Cfr. u.° 2894. <») Carlo dk’ Mudici. 34 29 — 30 GENNAIO 1633. [2397-2398] 2397 **. GIO. BATTISTA L ANDINI n CESARE MARSILI in Bobina Firenze, 29 gennaio 1638. Aroh. Murale - !! in Bologna. Busta citata ni n.* 16S<. Àutofraf*. IH.” 10 Sig. r0 saluto. Con questa vengo a pregare V. S. 111.** a volermi far grati* di v«.Vr fare opera die dal Mag. 00 Vincenzio Cozzi sia pagato, chò devo aver di r« »to da lui, p< r conto di libri mandatogli del Sig. r * Gallilco, palili 125, che a persunzione di V S, gliela mandai ’. O cri Ito da soi volto a detto Vincenzio Cozzi e mai mi ha ri spoeto, olia nn paio nua nula creanza il non risponder allo lettore: non so se à male o altri impedimenti P« : prego Y.S. 111.“**. che fu causa gli mandassi i libri, vogli far ofiitio che ini • »no pagati, ti indugiato il più che ù possuto a infastidirla, elio del tutto mi scu nà; e p<> .<> m a eh vagli j . raer- virla, come debole servitore me Tollero di tutto cuore. Il Sig. r * Gallilco credo sia arrivato a Roma, per terminare «pi- (<• dilli ulta rln- gli sono dato. Piaccia al Signore elio il tutto sia in onore »uu. l'imlmcnto gli river.-n- i Di Firenze, gli 29 di Gennaio 1G32 *», Di V. S. Ili » Aff.- per «ervilla (Sio. llaliata (.andini. Fuori: Al* 111.“° Sig. re Cesare Morsili, P.ne Oss. r ', in Bologuio. 2398 *. IRAN CESCO N1CCOL1NI a [GALILEO in Acquapendenti']. Roma, 30 gennaio 1633. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Canfori. Autografi, B.‘ I.XXXII, &• 110. - Autografa U •olto.erimn •. Molto Ill. ro S. r mio Oss. ,no Ricevo in questo punto, che parto di qua l’ordinario per Genova, la lettera di V. S. da Ponte a Contino; et per brevità del tempo non potrò replicarle altro, se non che provederò la lettiga e glieTinvierò in Acquapendente quanto prifna, tanto più che, essendoci buoni avvisi della sanità, credo elio V. S. la farà mi- <•> Cfr. iiu.i 2228, 2247. **’ Di fttilo fiorentini». 30 — 31 GENNAIO 1G33. [2398-2400] 35 nore ancora del rescritto fatto al memoriale inviato la settimana passata da me al S. r Commissario. Et intanto lo bacio lo mani. Di Roma, 30 Gennaio 1633. Di V. S. molto 111.' 0 io S. r Galilei. Aiì>° Ser.™ Frane. Niccolini. 2399 *. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA GIOIA in Firenze. Roma, 30 goiuiuìo 1633. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. II, car. 113. — Autografa. _Del S. r Galilei attendo qualche avviso da Acquapendente, e mi duole del suo disagio, con la sua poca sanità, in olà così decrepita. Le stanze sono in ordine per lui in questa casa, dove sarà servito con all'etto grande, o sposato et assistito come il Padron Sor."' 0 comanda.... 2400 *. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Acquapendente]. Roma, 31 gennaio 1683. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 96. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto 111. S. r mio Oss.' nn Invio a V. S. la lettiga, acciò so ne possa venir in qua, subito liberato dalla quarantena, la quale spero dovrà, cssor anco più brovo di quel che è stato ordi¬ nato al S. r Commissario, poi che sento che nell’ultima congregarono della Sanità, por i buoni avvisi elio si hanno, sia stato risoluto di facilitar il commerzio. E pre¬ gandolo il buon viaggio, starò aspettando Y. S. per poterla servirò : o lo bacio le mani. Di Roma, 31 Genn. 0 1C33. Di V. S. molto 111. io V. S. ne venga quieta d’animo e con buona cura, perchè l’aspottiamo qui con desiderio di ser¬ virla in questa casa ; o nel resto Dio benedetto aiuterà la sua buona mente. ÀiT. mo Ser. ro Frane. 0 Niccoli ni. S. 1 ' Galilei. 36 3 — 4 FEBBRAIO 1033. L«401-«4(WJ 2401 * GERÌ BOCCII1NE1U a [GALILEO in Aoquapendonte], Firenze, 3 febbraio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 100. - Autografa. Molto m. ro et Ecc. ra0 S. p mio Oss.® 0 Mi dispiace di sentire dalla lettera (li V. S. do’ 24 che si allunghi il ter¬ mino della sua quarantena, et elio questo trattenimento segua anche con incom- modo così grande di lei, com’olia mi ha avvisato; et non pò* iamo fare altro elio compatirla et pregare Dio per lei: et questa 'era si scrive al S. r Amb." Nic- colini, che puro cosa molto nuova che si ritiri la concessione che si diceva fatta universalmente, elio con 5 soli giorni di si ammettesse ogni huomo nello Stato Ecclesiastico. Considero il patimento di V. S. anche per rispetto del letto. Lo mando lo aggiunte, comparso sotto mia coperta, et lo bacio affo nuova¬ mente lo mani, questa sera di Berlingaccio. Di Fiorenza, 3 Debraio 1638. Di V. S. molto 111." et Eoe.®* Ohlig.® 0 Parente et Sor." Ceri Bocchinun. 2402 * ANDREA CIO LI a FRANCESCO NICCOLI NI [in Roma]. Firenze, 4 febbraio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 115. — Minuta nou autografa. .... Coverà arrivar poi costà il S. r Galilei, finito che haverà la sua quarantena, la quale gli è stata assegnata molto più lunga di quel che si credeva, coro’io semai hier- sera Cfr. n.» 2400, li». 2-3. Abbiamo corcato inutilmento la letiara a cui qui ai ac ■• ima. [2-403] 5 FEBBRAIO 1G33. 37 2403. GERÌ BOCCIIINERT a [GALILEO in Acquapendente]. Firenze, 5 febbraio lC3ì}. Bibl. Nftz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. X, cnr. 102. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Doppo havere scritto raggiunto soprafoglio, mi è capitata la lettera eli V. S. do’ 2 ; et con mio gran dispiacere veggo elio li giorni della sua contumacia ot sono più numerosi di quello elio lo fu dato intontione avanti di partirsi. Almeno non fusai stata tanto incommoda la stanza del Ponto a Confina, ot non so lo preparassi talo hora quella di Acquapendente, quanto V. S. mi avvisa, anche in riguardo della solitudine et dell’impedimento ch’ella Laverà, a poter fare esser- ci/.io ot goder l’aria! Ma puro ell’havcrà all’incontro il benefizio dell’astinenza, mentre non so lo preparerà, altro cibo elio pano, vino et vuova. Insomraa io la io compatisco, et potess’io trovarmi costà, a trattenerla, perchè in compagnia sua non mi parrebbe solitudine cotesta. Non mi parve di avvisarlo elio la lettiga havesse a essere o no spesata dal Palazzo por il viaggio, perchè non lo sapevo. Mi dice bene il S. r Maiordomo, che P usanza hora è questa, che chi si serve dello lottigho di Palazzo lo spesa anche nel ritorno, come, por essempio degli altri, dico il medesimo S. r Maior- domo elio ha fatto il S. r Mar. 80 Coloreto nell’andarsene hora al paese ; et non¬ dimeno dico il S. r Maiordomo, cho por il ritorno haveva ordinato che la lettiga venisse a spese di S. A. Et V. S. non si maravigli, perché sempre lo coso si restringono. 20 Già si era saputo che il S. r Depositario di Siena <4) haveva alloggiato V. S. Alle sue Monache ot al S. r Vincenzio farò parto delle nuove cho ho di loi. Il S. r Bali Cioli la compatisco anche egli et le bacia lo mani, come faccio io a nomo anello de’ mici fratelli. Et sono hora le 7, onde ho scritto in frotta. Di Fiorenza, 5 di Fébraio 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.' na Oblig. mo Parente et Sor/ 6 Geri Bocchineri. »’> Antonio qu*RATKSi. 38 5 FEBBRAIO 1633. [2404] 2404*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Roma]. Arcetri, 5 febbraio 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. IG9. — Autografa. Molto 111.” et Àmatiss.™ 0 Sig. r Patirò, I SSig. ri Bocchineri mi hanno trasmesse tutto le lettore olio V. S. ha man¬ date, delle quali mi appago, sapendo quanto gli sia di fatica lo scrivere. Io non gl’ho scritto fin hora, perché stavo aspettando l’avviso del suo arrivo a Roma; e quando por l’ultima sua intendo che devo trattenersi tanti giorni in abitazione così cattiva o priva di ogni comodità, no ho preso grandissima tillli/.ione. Non dimeno sentendo elio olla, priva di consolazioni interne et esterne, si conserva sana, mi consolo, o rendo grazie a Dio benedetto, nel quale ho ferma speranza di ottener grazia elio V. S. so no torni qua da noi con quiete d’animo o sanità di corpo. In tanto la prego a star più allegramente elio sia possibile; o si ruc- io comandi a Dio, che non abbandona chi in Lui confida. Suor Àrcangiola et io stiamo bene, ma non già Suor Luisa, elio dal giorno che V. S. si partì in qua, ò stata sempre in lotto con dolori eccessivi, conformo al suo solito ; et a me convenendo star in continuo moto et esercizio per appli¬ cargli rimedii e servirla, si purgo occasiono di sollevar l’animo da quel pensiero che forse troppo l’affliggerebbe por l’assenza di V. S. II Sig. r Rondinotti w non è ancora vomito a goder la comodità che V. S. gl’ha largita della casa, dicendo elio lo suo lito non gliol* hanno permesso. Ma il nostro Padre confessore non lascia di darvi spesso volta: saluta V. S., et il similo fanno la Madre badessa e tutte le amiche. Suor Àrcangiola et io infìui- c » tainento o senza intermissione preghiamo Nostro Signore elio la guardi e conservi. L’inclusa cho gli mando, fu trovata da Gioseppo'*' lunedi, nel luogo duvo hanno recapito ordinariamente lo sno lotterò. Di S. Matteo in Arcetri, li 5 di Febb.° 1633. Di V. S. molto 111." 8 Fig.u Aff.m» Suor M. a Celeste. Fuori, a tergo della lettera (car. 169t.): Al molto 111.™ et Amatiss. ra0 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei; c in altro foglio a parte (car. 1701): Al molto 111. Sig. r Padre mio Oss. m " 11 Sig. r Galileo Galilei. 8u Roma. 0) Franoksco Rondikklu. Garzoncello al servizio di «aulico. [2405-2407] 5—12 FEBBRAIO 1633. 39 2405 . FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Acquapendente], Roma, 5 febbraio 1038. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 104. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. Sig. r mio Oss. mo Ilo rinovato l’instanza perchè sia abbreviata a V. S. la quarantena, ma non ho possuto vantaggiarla so non (li due giorni, presupponendo elio in questo tempo non sia stata concessa la più breve. No invio a V. S. il memoriale, perchè se ne vaglia; et a quest’bora dovrà ossei* comparsa la lettiga ancora, dispiacendomi che lo congiunture de’ tempi non siano punto a proposito per la sua sanità e per diminuire i suoi travagli. Nel resto la sua obbedienza mi vien presupposto che gio¬ verà allo cose sue, et io ne sentirò infinito contento; et intanto lo bacio le mani. Di Roma, 5 di Febb. 0 1633. io Di V. S. molto 111. ÀlT. m0 Ser. ro S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. 2406 *. FRANCESCO BARBERINI a GIORGIO B0L0GNETT1 in Firenze. Roma, 5 febbraio 1638. Ardi. Vaticano. Cifre di Fiorenza, Panno 1033; n.o 21, cnr. 14. — Minuta non autografa. A Mons. Nuntio in Fiorenza. Roma, li 5 di Febraro 1633. Ila latto prudentemente V. S. ad antepor a Mona/ Ballati l’esempio del Galilei<*>, per muoverlo a procurar quanto prima la sicurtà dell’Alidosio, a fino di venir a presen¬ tarsi a questo Sant’Offitio. Ella col medesimo zelo procuri di tenerlo sollecito a por ad effetto l’intentione datale .... 2407 **. NICCOLO CINI a GALILEO in Roma. Firenze, 12 febbraio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. X, cnr. llOn. — Autografa. Molto Ill. ro S. r e lfron mio Oss. mo La lettera di Y. S. scrittami da Contino ha mosso compassione a chiunque l’ha lotta, perchè, oltre all’liaverla fatta vedere a’ SS.” Bocchincri, come olla (') Cfr. n.o 2391 40 12—14 FEBBRAIO 1G33. [ 2407 - 2408 ] m’accennava, l’ho mostrata anche a una mano <ìi suoi parzialissimi, quali havrcb- bono insieme meco voluto poter col sangue sollevarla «la tanto incomodità. Ma che giova a Y. S. questo nostro affetto caldissimo, se ’1 rigore del diaccio e delle nevi la tormenta? Quel che ci consola è che speriamo cho a quest’ora ella sia in Roma dal S. r Ambasciatore, ciò ò nella casa della gentilezza e della cortesia, o che ella si ristori un poco; o si spera anche di sentire che lo sia «lato campo di manifestare la sua innocenza: intordo a che, so vuol consolare i suoi amici io e servitori, faccia di grazia cho se n’habbia un cenno quanto prima, perche ho no vivo con ansietà universale o straordinaria. Io riconosco poi per favor «iu¬ gulare cho si sia degnata di scrivermi, o sarò sempre ambizioso di mostrarmi grato d’un tanto favore con qualche atto di servitù; perù la supplico a coman¬ darmi, o le bacio lo mani. Ri Fir.o, 12 di Febb.o 1032 (i) . Ri Y. S. molto 1U. I)ov. mo Sor." S. r Galileo Galilei. Niccolò Cini. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r o P.ron mio 0ss. n, ° 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. -° Roma ,5 ’. 2408. FRANCESCO NICCOMNI ad [ANDREA CIOU in Firenze]. Roma, 14 febbraio 1G33. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. II, cur. 117. — Autografa la sottoscrizioni-, lll. m0 Sig. r mio Oss. TI Sig. r Galilei comparve hiersera in questa casa con buona salute. Questo giorno si b rappresentato «la Mona. Boccabolla, non come a ministro del S. Ollizio, già che son boriimi 15 giorni che lasciò la carica d’Assessore, ma come od amico, che ha mostrato sempre di compatirlo et amarlo straordinariamente, acciò, col protesto di renderle grazie di cobi buona dispositene, 1’ andasse consigliando circ’ al modo cho dovrà toner nel governarsi, com’ ha già cominciato a fare dandoli qualche ricordo. Si è rappresentato subito ancora, («> Di stilo fiorentino. > parola; ma quel cho dice Poponi, otc. Ditemi lo '** Accanto all’indirizzo si leggo, di mano di » pardo della Scrittura. Kccole otc. Ditemi quel cho ■ K0 ' » mostran l’opere: hoc optu. Mieto. » Ofr. n.» 2384, < Quel elio dice la Scrittura, si mostra in una liti. 33-78. 14 — 10 FEBBRAIO 1G33. 41 [ 2408 - 2409 ] di suo consenso, al nuovo Assessore (1> , et ha procurato di far l’iatesso al P. Commis¬ sario (a) , ma non l’ha trovato. Et porche il Sig. r Girolamo Matti, amico del medesimo Padre, 10 havovn già fatto seco qualche offizio a favor del S. r Galilei, et offertosi di continuare, non tanto per l’alletto elio porta allo sue singulari qualità, quanto per servir S. A. ancora, ho pur giudicato bene che lo vegga et si abbocchi seco per il medesimo rispetto, come è seguito : nò in questo giorno ci ò stato tempo di far da vantaggio. Domattina procurerò di vedere io medesimo il S. r Card.' Barberino < 3 > per raccomandarli la sua persona, et acciò S. Em.“ s’interponga, se così lo piacerà, con S. B., acciò egli sia lasciato stare in questa casa, so sia possibile, senza condurlo al S.‘° Offizio, in riguardo della sua età, dolla sua roputatione o della sua prontezza nell’obbedire; e di quel elio seguirà ne darò parte a Y. S. 111.™ 11 , alla quale bacio le mani. Roma, 14 di Feb.° 1633 20 Di V. S. IR “ a Obl. mo Sor.™ Frane. 0 Niccolini. 2409 . FRANCESCO NICCOLINI ad [ANDREA CIOL1 in Firenze]. Roma, 10 febbraio 1003. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gai., T. I, T. II, car. 119. —Autografa la sottoscriziono. Ill. m0 Sig. r mio Oss. Io vo continuando di servir il Sig. r Galilei con tutti i mozzi possibili; et perché il Sig. r Card. 1 Barberino ha dato per avvertimento elio non pratichi et che non si curi d’ammetter tutti quelli che venghino per visitarlo, le quali cose por diversi rispetti le potrebbono essere di danno e di pregiudizio, se ne sta qui in casa ritirato, aspettando che le sia fatto saper qualche cosa, lmvendo in tanto promesso il Commissario del S. t0 Of- fìzio di rappresentar a S. S.' A et a questi altri Signori la sua prontezza nell’ubbidire, che le pare un capo molto principale: et benché dello cose di questo Tribunale non bo ne possa parlar mai senza (sic) fondamento e con chiarezza, tuttavia, per quel poco di lume 10 che se no ha, par che non ci babbia ad esser gran male. 11 Sig. r Card. 1 Barberino, che non é solito d’andar alla Congregazione del S. t0 Offizio, particolarmente in quella del mercoledì, che si tiene nella Minerva, questa mattina vi ò intervenuto, e forse vi si sarà discorso del modo di procedere in questa causa: tuttavia questo è un indovinare, potendo anch’essere che S. Em. ia vi si sia trasferita più tosto per il negozio della dispensa di Mantova, benché il P. Bombino non sappia che per ancora vi sia stato introdotto.... •*> Pietro Paolo Febei. <*> Francesco Barberini. **> Vincenzo Macola no. XV. 6 42 18 FEBBRAIO 1033. 1.2410-2411] 2410. ALESSANDRO BOCCHINE1U a GALILEO (in Roma]. Livorno, 18 febbraio 1638. Blbl. Noe. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 118. — Autografa. Molto 111/ 0 ot Ecc. mo S. r mio Os.s. mo La lettora di V. S. do’ 14 mi è comparsa in Livorno, dove duo Riunii sono se¬ guitai l’Em. mo padrone (1> ; ot Gori ot io ci siamo rallegrati del suo felice arrivo in Roma, dove so licito olla ha trovato il maro assai procelloso, vogliamo però confidare, elio, et per mezzo do gl’amici, do’ padroni ot della giustizia, si Labbia da placidare, ot V. S. sia per tornaro trionfante dello suo vittorie : noi (dio in particolare sentirò gusto elio le giovi la lettera per il Generalo de’ Cappuccini et l’altra per il suo compagno ' 1 '. Ilo sontito contonto elio ’l S/Piotro Lagi (3 lo Labbia esibito l’opera sua in quello possa servirla; ot mi prometto elio no accompagnerà gl’efletti in quello io possa depender da lui, che però con lo lettore di quest’ordinario ne lo ringrazio. Si mandorà, la lettora di V. S. a Firenze, porchè venga participata alle Monachine et al S. r Vincenzo ot ad altri che no ricercassero: et per line le faccio reverenza. Da Livorno, 18 Fobb.° 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. raa Devot. wo Sor/* e Parente S/ Galileo Galilei. Alesa/ 0 Bocchineri. 2411. GERÌ B0CCI11NERI a [GALILEO in Roma]. Livorno, 18 febbraio 1688 . Bibl. Naz. Flr. Mss, Gal., P. I, T. X, car. 114. — Autografa. Molto lll. re et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Sono poi comparso lo Ietterò di Roma, et io no ho ricevuto una di V. S. de X, scritta in Acquapendente, mi rallegro ch’ella si preservi, et (die lusso per partire por Roma la mattina seguente con la commodità della lettiga inviatalo dal S. r Amb. ro Niccolini. •') Carlo dk’.Mudici. «*< Cfr. n.o ‘2394. <*> Cfr. u.» 2395. 18 — 19 FEBBRAIO 1633. 43 [2411-2413] Marsilio è più affettuoso cho puntuale nel servirò. Ma è ben cosa da ridere quello die V. S. ce ne ha scritto. Questa medesima sera vanno a buon recapito le lettere ch’ella mi ha inviate et por Venezia et per Suor Maria Celeste ; et quella che V. S. ha scritto a me, io la mando per via di 1). Carlo U) al S. r Vincenzo, acciò resti informato di quanto passa; et D. Carlo saluterà a nomo di V. S., et anche di Marsilio, li nostri di casa. Alessandro, cho pariraonte ò venuto qua, unitamente meco bacia le mani a V. S. ; ot habbiamo qui il P. Fabbroni da Marradi, Cappuccino predicatore, che si fa sentire. Di Livorno, 18 di Febraio 1633. Di V. S. molto Dl. ra et Ecc. mn Obli"." 10 Parente ot Scr. ro Ceri Bocchinori. 2412*. ANDREA C10LI a FRANCESCO NICCOL1NI Lin Roma]. Livorno, 18 febbraio 1633. Bibl. Nftz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. II, car. 121. — Minuta non autografa. _S. A.... ha .... havuto gusto del salvo arrivo costà del S. r Galileo, et della spe¬ ranza cho paro che si possa liavore che, havutosi riguardo alla prontezza della sua obbe¬ dienza, sia per essergli perdonata la carceratione, et lasciatolo Btare in casa di V. E_ 2413. GALILEO ad [ANDREA CIGLI in Livorno]. Roma, 19 febbraio 1633. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 87. — Autografa. Ill. mo Sig. re e Pad. ne Col.™ De gl’accidenti occorsimi ne i 25 giorni del mio viaggio, soche V. S. 111.™ no bavera inteso dal S. Geri Bocchineri, al quale in più lettere ne ho dato conto; però non ne replico altro. Giunto qui in Roma, fui ricevuto dall’Ecc. ra0 S. Ambasciatore con quella benignità che non si può descrivere, dove con la medesima vo continuando di <‘> Car i,o di Carlo Boochinkki. 44 19 FEBBRAIO 1633. 12413] trattenermi. Circa lo stato delle cose mie non posso dir nulla; salvo che per coniettura pare a me, et anco al S. Ambasciatore e suoi mi¬ nistri di casa, che la travagliosa procella sia, o almeno si mostri, tran¬ quillata assai, ondo non sia da sbigottirsi del tutto per qualche ine- io vitabil naufragio, e disperar di esser por condursi in porto, e massimo mentre, conforme al mio dottore, tra l’ondo alterato Scorrendo mo ne vo con humil vele. Io mi trattengo perpetuamente in casa, parendo che non con¬ venga in questo tempo andar vagando et a mostra por la città. Sin bora non ini è stato imposto o detto nulla ex offitio; anzi uno di quei SS. ri della Congregazione è stato due volte da me con molta huma¬ nità*”, dandomi destramente occasione di dir qualche cosa in dichiara¬ zione e confermazione della mia sincerissima e ossequentissima mente, stata sempre tale verso S. ta Chiesa e suoi ministri, o tutto da esso no con attenzione, e, per quanto ho potuto comprendere, con approba- zione, ascoltato: e se la sua visita è stata (come ragionevolmente pal¬ elle sia credibile) con consenso o forse con ordino della Sa.* Congre¬ gazione, questo pare un principio di trattamento molto mansueto o benigno, e del tutto dissimile alle comminate corde, catene e car¬ ceri etc. Il sentire anco da molti, et in parte bavere io stesso veduto, che non manchino di quelli, e de i potenti, l’affetto do i quali verso di mo et i miei affari non si mostri so non ben disposto, mi ò di consolazione: e perche io stimo assai più facile il conformar questi nella buona intenzione elio il rimuovere altri dalla sinistra, però io ao stimerei (e così è parere anco al S. Ambasciatore) che fussor buono due lettere del Ser. n, ° Padrone alli Em. m ‘ SS.‘ Card. H Scaglia (1) o Pon¬ ti voglio sopra di elio io supplico il favore di V. S. Ill. ma , tutta volta che ella concorra nell’istesso senso. Questo ò quanto per bora posso dire a V. S. IIl. m * con soggiu- gnergli che mi faccia grazia d’inchinarmi al Sor. mo (1. 1). nostro Si¬ gnore, all’Em.™ S. Cardinale li) et a tutti i Ser. mi Principi, favoren¬ domi anco di far parte di questo che passa sin qui alli Ill. mi SS. ri Arcivescovo (o) e C. Orso (ti) , a i quali con reverente affetto bacio lo <>> Cfr. H.o 2408. <*> r>Ksir)Bnio Scaglia. (ÌIULIANO di'Mrdiot. <*> Conte Orbo d'Klct. 45 [2413-2414] 19 FEBBRAIO 1633. 40 mani, come a V. S. Ill. ma medesima, confermandomeli devotissimo et obbligatissimo servitore. Di Roma, li 19 di Feb.° 1633. Non scrivo a’ SS.* Bocchineri, suppo¬ nendo che per questa resteranno avvisati, e caramente gli saluto. Di V. S. 111.®» Dev. mo et Obblig.® 0 Ser. ro Galileo Galilei. 2414. FRANCESCO N1CCOLINI ad ANDREA CIOL1 [in Livorno], lloma, 19 febbraio 1638. Bibl. Nnz. Fir. Msb. fini., P. I, T. II, car. 123. — Autografa la sottoscrizione. .... Detti parte a Y. S. Ill. ma deH’arrivo del Signor Galilei, e di quel elio b’ era co¬ minciato a fare por suo servizio* 1 ). Ilora posso aggiungerlo d’ossei* stato a trovar i Car¬ dinali Scaglia o Dentivogli por raccomandarli la sua persona, e gl’ho trovati assai ben disposti. Il Commissario gl’ha fatto sapere quel elio lo mandò a dire il Sig. r Cardinal Barberino**), cioè che bì contenti di starsene ritirato senza lasciarsi veder fuora, nè quasi in casa so sia possibile, dichiarandosi di non glie lo comandare nò d’haverne ordine al¬ cuno della Sacra Congregationc, ma d’avvertirlo come amico per il pregiuditio e danno cho le ne potrobbo risultare; et perchè egli così esequisce, nè io Ìnscio d’aiutnrlo per via d’amici in tutti quei modi che stimo più proporzionati al bisogno, spero che s’habbia a 10 camminar in questa causa con qualche dolcezza, por quel che si può vedere ne’ministri, ancorché S. S. u sentissi così male questo negozio, come più volte ho avvisato. Mercoledì mattina, cho il Signor Cardinal Barberino intervenne alla Congregationc del Santo Olhzio contro il suo solito, sento che si trattò di questa matoria* 8 ). Dopo non ò stato fatto saper cos’alcuna al Sig. r Galilei, nè ci è vomito di quel Tribunale altri che Mons. r Serristori *‘>, uno de’Consultori ; il quale due volte è venuto a parlarli come da sè, sotto spezie di visita, ma ossendo entrato sempre nella sua causa e disceso a particolari, si può tener per certo che sia stato mandato, cred’io, per sentir quel cho egli dica e come parli o come defenda le cose sua, per risolver poi quel che si deva fare o come proceder seco. Mi par d’haverlo un poco rincorato questo buon vecchio, col darli animo 20 e col parerli che si prema nella sua causa e ne’partiti che si vanno pigliando. Tuttavia qualche volta torna a parerli strana questa sua persecutione. L’ho avvertito a mostrar sempre di voler obbedire e sottoporsi a quel che le sarà ordinato, perchè questa ò la via da mitigar l’ardenza di chi v’è riscaldato aspramente e tratta questa causa come propria- <»> Cfr. nn.i 2408, 2409. i*) Cfr. n.° 2409. <*> Cfr. n.° 2409, liti. 10-12. I*) Lodovico Skrkistoiii 46 20 — 21 FEBBRAIO 1033. [ 2416 - 2417 ] 2415*. ANDREA OIOLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Livorno], 90 febbraio 1683. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Il, car. 127. — Minuta non autografa. _Il Sig. r Galileo farà bone a starHono ritirato in casa et a rocusar» lo visite, per rendersi tanto più meritevole di grazio.... 2416**. FERDINANDO II, Granduca di Toscana, a DESIDERIO SCAGLIA in Roma. ILivornoJ, 20 febbraio 1633. Arch. (li Stato in Firenzo. Filza Medicea 8869 (non cartolata). Minuta di mano di Geni Bocciiwaat Del Gran Duca. Al S. r Cord. 1 * Scaglia, a Roma. 20 Febmio 1633. Il Galilei, lettore primario di filosofia et matematica nel mio Studio di Pisa et mio particolare servitore, se n’ò venuto costà; et por obbedir prontamente, non ha guardato nè a rigori di stagione, nè a disagi di quarantene, nè a sue indiapositioni corporali: et spera che la rettitudine dolla sua monto sarà costà conosciuta; et io, per l’ainor che gli porto, non posso sino da bora non mi dichiarare obligato a V. Km.'* di ogni favore che spero ch’ella gli sia per fare, massimamente nel procurargli speditiono. Et le bucio di cuore le mani eto. 2417. GERÌ B0CCH1NERI a [GALILEO in Roma]. Pisa, 21 febbraio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 116. — Autografa. S. r mio, Mi rallegro, insieme con Alessandro qui presente, che la tempesta costi co¬ minci a tranquillarsi. Piaccia a Dio che il tempo si rassereni interamente. Mando a V. S. la lettera che mi ha chiesta di S. A. havendolu FA. S. con¬ ceduta molto volentieri. Viene aperta col sigillo volante, et V. S. potrà intendoro Gl Cfr. n.® 2416. 21 — 24 FEBBRAIO 1G33. 47 [2417-2419] dal S. r Segretario del S. r Ambasciatore come si sigilli. Aspettiamo altro nuove (li V. S., et lo bacio lo mani; et hoggi da Livorno siamo tornati a Pisa, cacciati da un grande libeccio che soffiava in Livorno. Di Pisa, 21 Feb.° 1633. io 11 S. r Dall Gioii le ribacia lo mani. Di V. S. molto H1. M et Ecc. ma Oblig.® 0 Parente ot Ser. ro Geri Doccliineri. 2418 *. CRISTOFORO SCHEINER a PIETRO GASSENDI in Aix. Roma, 23 febbraio 1(533. Blbl. Razionalo in Paridi. Fonds francala, u.° 9531, I’eirosc, Mathematica, car. 201l. — Copia (li ìuauo (l’un amanuense del Pkirbho. .... l'rodieriint nuper I Galilei Dialogi italico conscripti, prò motu terrae Coperni¬ cano stabiliendo conscripti contra conimunem Peripateticorum scholnin. Ibi discerpit meas Disquisitiones mathematica» (1) , nianns itom violentas in Rosaio Ursinam motumque ma- culamm solarium ot solis animimi, a me inventimi, iniioit. Quid tibi videtur de bis? Multi» non placet ista scriptio. Ego prò me et ventate defensionem paro ... 2419. GERÌ BOOCIIINERl a GALILEO in Roma. Pisa, 24 febbraio 1033. Blbl. Nnz. Fir. Mas. Gal., P. 1, T. X, car. 120. — Autografa. S. r mio, Ilo già, mandata a V. S. la lettera eli’cU’ha chiesta per il S. r Cord. 1 ® Scaglia (4) , bavendo messo il pieghetto per lei nel mazzo del S. r Ambasciatore. Quello clic adesso lo rispondo il S. r Ball Gioii, può bastare anche per me, massimo non bavendo sue lettore. Cfr. n.° 1077. 1*1 Cfr. n.® 87(5. < s > I,a difesa a cui qui accenna fu data alla luco soltanto molti anni più tardi, col titolo: Pro- iIr ornila prò sole mobili et terra stabili, contra A nule- micum Florenlìnum Qaltlaeum a Qalilaeit. Authoro lt. P. Chuistophobo ScnEiNKiio, Societatis Icsu, auto annos 20 ot amplius elucubrata, qui nunc primum in publicnm lucom prodit sub auspici!» Ferdinandi II, Caosaris Augustissimi. Anno 1651, senza luogo di stampa. «*> Cfr. nn. 1 2413, 241(5, 2417. 48 24 FEBBRAIO 1633. [3410-2420] La lettera por il S. r Card> Bentivoglio si è fatta questa medesima sera, elio ne ò comparsa la sua richiesta; et per conaolatione di V. S. viene eoi àgili» volante. Et lo bacio in frotta lo mani su lo 7 boro di notte ; ot Alessandro et Fi¬ lippo miei fratelli ancora lo baciano lo mani. Di Pisa, 24 Febraio 1688. 10 Di V. S. molto Ill. re et Eco.™* Oblig. mo Parente et Sor.” (ieri Bocchiueri. 2420. ANDREA C10LI a GALILEO in Roma. Pitia, 24 febbraio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., F. I, T. X, car. 121. — Di mano di Giri Boccjukkui, con la «otloacrliloD»- autografa. Molto Hl. re ot Ecc. ,n0 S. r mio Oss. mo Io sono stato (li mano in mano informato dal Borrii inori di quanto ò oc¬ corso a V. S. da elio ella parti di Fiorenza, et il Ser. ,uo Padrone ancora no è stato ragguagliato. Si è però sontito con gusto da tutti ch’olla sia giunta salva a Roma, et che il maro, che pareva tanto procelloso, si vadia ahbonncciando; o tutti desideriamo elio si quieti interamente, acciò V. S. possa ridursi in jHjrto a salvamento. ElTharà ricevuta a questa bora la lettera di S. A. per il S. r Card. 1 * Scaglia: bora le ne mando un’altra delVÀ. S. por il S r . Card. 1 - Bentivoglio, come V. S. ha desiderato. S. A. la saluta, come fanno anche questi altri Ser. rol Principi ; ot il io S. r Conto Orso et io lo baciamo lo mani, et a Mona/ Arcivescovo darò parto di quanto V. S. mi ha scritto (1> . Di Pisa, 24 di Fobraio 1033. Di V. S. molto Ili" et Eec. n,a Ser" Aff. ,no S ' rGalaco - And. Cicli. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no Il 8. r Galileo Gablei. Roma. ni Cfr. li.» 2118. [2421-2423] 24 FEBBRÀIO 1633. 49 2421 **. FERDINANDO II, Granduca di Toscana, a GUIDO BENTIVOGUO [in Roma]. Pisa, 24 febbraio 1633. Arolx. di Stato in Fironze. Filza Medico» 3869 (non cartolata). — Minuta di mano di Orbi BocohikbRT. Del Gran Duca. Al S. r Cardinale Bentivogli. 24 Febraio 1633, in Pisa. Sapendo io quanto Y. Era.** possa favorire Mesa. Galileo Galilei, lettor primario di filosofìa et matematica in questo mio Studio et mio particolare et accetto servitore, nel ncgotio per il quale egli ò stato chiamato a Roma, volentieri mi induco a pregamela, per la compassiono che inerita questo buon vecchio, che, in eti\ così gravo, in stagione tanto horrida, non ha guardato agli incommodi nò del viaggio nè della quarantena per venire subito costò ad obbedire et a dimostrare la sua ottima intentione et la sua reve¬ renza verso la S.‘ a Chiesa. Rimarrò dunquo molto obligato a V. Em/ a d’ogni benefitio ch’ella 10 si compiacerà di fargli, massimamente nella speditione della sua causa. Et lo bacio eie. 2422 **. GIULIO NINCl alla famiglia di GALILEO [in Areotrij. San Lasciano, 24 febbraio 1033. Bibl. Naz. Fir. Appendico ai Mss. Gol., Filza Favaro A, car. 81. — Autografa. Alla famigla dell Sig. ra Galielo Galiei. Mando staia quattro per Santi Rosi di farina, a lire quatro e soldi tvedeci e quatto lo staio, con la vettura o la poli/a lire oinque lo staio. E se vi oeore uietc altro, avisa- temi. Dio vi guardi. 11 dì 21 di Febraio 1G32 <*>, in Sancascano. Vo. r ° Afte. 10 Giulio Ninci. 242 3 * ANDREA CIOL1 a FRANCESCO NIOCOLINI [in Roma]. Pisa, 24 febbraio 1033. Arch. di Stato in Firenzo. Filza Medicea 3523 (non cartolata). — Minuta non autografa. .... Sente S. A. estraordinaria consoìatione della buona speranza che si può bavere dell’interesse del S. r Galilei, il quale farà bene a obbedire a’cenni per migliorare sempre più lo sue conditioni: et oltre all’essersi mandata una lettera per il S. r Card. 10 Scaglia a suo favore, se ne manda bora una altra per il S. r Card. 10 Bentivogli.... G' Di stilo fiorentino. XV. 7 50 ì>fi FEBBRÀIO 1G33. L«4*4J 2424. GALILEO a [GERÌ BOCCHINERI in Pisa]. Roma, 25 febbraio 103& Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. I, T. IY, car. 88. — Autografa. Molto 111.*® Sig. ro e Pad. ao Osser. rao Porgendomisi occasione d’una staffetta che parto questa sera, scrivo a Y. S. et al Sig. re Alessandro, accusando la ricevuta delle loro ultime lettere, pione del solito affetto. Quanto al mio negozio, non posso dirgli nulla di resoluto, porche a me sin qui non è stato detto niente; e me ne sto quietamente in casa rEce. mu S. Ambasciatore, accarezzato in estremo: il qual Signore, continuando sempre col me¬ desimo ardore di occuparsi in favorirmi in tutti quei luoghi onde si può sperare aiuto e protezziono, por quanto coniet tu miniente si può raccòrrò, comprende gl’impeti andarsi continuamente placando; o io l’istesso osserva il P. D. Benedetto, mio ardente et indefesso procu¬ ratore : e finalmente intendiamo, lo tante o sì gravi imputazioni es¬ sersi ridotte ad un punto solo (n , cessando tutte lo altre; e da questo solo io non liarò fatica di liberarmi, quando siano sentito le mie giu¬ stificazioni, le quali tra tanto si vanno appoco appoco rappresentando ad aures ad alcuni di questi ministri supremi il meglio elio si può, mentre essi non possono nè liberamente prestar l’orecchio allo inter¬ cessioni, e molto meno scioglier la lingua allo risposte. Onde per ultima conclusione si può sperare buono esito alle coso mie. Io me ne sto continuamente in casa, parendo a me et a tutti 20 granfici e padroni che così convenga di presente, anzi havendo con¬ sigliato l’istesso l’Em. mo S. 0. Barberino (i \ non ex offizio, ma (come Sua Em. za stessa disse) in termine di amicizia; chè quanto al Tribu¬ nale, come ho detto, da quello non mi ò venuta pure una sillaba. Mi è bene stato a visitare due volte uno de i Consultori u , come mio amico e padrone di molti anni, e mi ha anco destramente dato occa¬ sione di aprirmi in più particolari e di mostragli anco qualcuna delle scritture fatte già da me nel vertente negozio, il elio ha egli mo¬ strato di gradire assai; e noi andiamo conietturando, anzi tenendo '» Cfr. u.° 2427, li». 8-14; n.® 2428, lin. 24-25. <*) Fkakcksgo li a un i; iì ini. '*• Cfr. n.® 24 14 25 FEBBRAIO 1633. 51 [2424] «0 per sicuro, che la sua venuta non sia stata senza participazionc, c forse commissione, de i superiori, per un poco di esplorazione così alla larga: il che quando sia, si può interpretare per il più quieto e nobile termine che usar si potesse verso la persona mia. Questa mia cessazione dall’esercizio, del quale, come V. S. sa, mi servo con notabil benefizio per la sanità, essendomene già privato quasi per 40 giorni, comincia a farmi sentire il suo nocumento, con l’impedirmi particolarmente assai la digestione; onde la copia delle flemme, dando più copiosa materia alle flussioni, mi ha da 3 giorni in qua visitato con acerbissimi dolori in diverse parti delle gambe, io e privato totalmente del dormire: tutta via spero che una esquisita dieta mi libererà. 11 trattenermi di continuo in casa ha cagionato che io non ho presenzialmente presentate le lettere dell’Ecc. mo S. Car. le al Padre Vicario Generalo do i Cappuccini (l) , e l’altra per il suo com¬ pagno; ma il cortesissimo S. Cav. r Buonamici (2) ha supplito e fatto ogni buono uffizio, c massime col detto compagno, suo intrinseco amico in Germania etc., e dal Padre Generale ne ritrae ogni possibile aiuto; il quale si ha voluto ritenere la mia scrittura, fatta già a Ma¬ dama Ser. a (;|) , per consideratamente leggerla. .< Scrissi li giorni passati a V. S. quanto sarebbe stato oportuno 50 2 Ietterò del S. G. D. alli Em. mi SS.* C. Scaglia e Bentivoglio, li quali subodoro che si mostrano intenderla benissimo per me : e quando se ne habbiano uno o due in quella Congregazione che sieno restati ca¬ paci e sicuri di protegere l’innocenza e la verità, si può sperare che possino esser bastanti a quietare i più alterati: però col mezo e fa¬ vore dell’111. 010 Sig. r mio fautore e protettore, dico del S. Bali, prego V. S. a procurarle e inviarmele: al qual Signore, nel fargli parte di questi avvisi, V. S. mi farà grazia far humilissima reverenza in mio nome, mentre a loro con vero affetto bacio le mani e prego felicità. f.0 Roma, li 25 di Feb.° 1633. Di V. S. molto 1. In un polizzino allegato: Obblig. mo Ser. re e Parente Galileo Galilei. Letta la presente, favoriscami farla inviare alle mie Monaci)e e a Vincenzio. <»' Cfr. nu.l 2894. 2395. <*' GlOV ANKltANOKSOO BUOXAMIOI. «“) Cfr. Voi. V, pa*. 309-348. 52 20 FEBBRAIO 1633. [3426-2426] 2425 . ANDREA ARRIGHETTI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 26 febbraio 1688. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. X, cnr. 21. — Autografa. Molto Ill. ro et Eco.® 0 S. r mio Oss. mo Tutti li suoi amici o servitori, o io più d’ogn'altro, corno più obbligato, non potevono sentir cosa di lor maggior gusto e consolazione, «li quello che a’è com¬ piaciuta V. S. di significarmi per la gentilissima sua do’ 19 stante. Perù le rondo grazio infinito di così buona nuova in nome di tutta la conversazione, promet¬ tendoci da così buon principio, o dalla sua sincerità, migliore il mezzo et ottima la fine di questi suoi travagli, e elio queste persecuzioni sieno per ridondare in sua somma gloria e reputazione. Del resto tenga per fermo die non ha il maggior servitore di me, mentre salutandola con ogn’afletto in nome di tutti gl’amici, le prego dal Cielo ogni desiderabile contentezza. lo Fior. a , 26 Fob.° 1632. Di V. S. molto 111.”* et Ecc. mtl La prego a ricordarmi servitore d’infinita obbligazione al P. D. Benedetto. Serv."* Ohb. mft Àml. a Arrighotti. 2426 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Roma). Arcetri, 26 febbraio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 1C1-1G2. — Autografa. Molto Ul. pe et Àmatiss. m ° Sig. r Padre, La sua lettera scritta alli 10 di Febbraio mi fu resa al li 22 del moderi mo, et in questo tempo credo sicuramente elio V. S. haverà ricevuta un’altra mia, insieme con una del nostro II. Padre confessoro, per le quali haverà. inteso qual¬ che particolare circa a quollo che desiderava; o vedendo io elio ancora non compariscano lettore ohe no diano avviso dell’arrivo suo a Roma (lo (piali può V. S. giudicare con quanto desiderio, da me in particolare, siano aspettate), torno 26 FEBBRAIO 1633. 53 [2426] a scriverlo, sì perchè ella sappia con quanta ansietà io viva mentre le sto aspet¬ tando, et anco per mandarlo la inclusa polizza, la quale da un giovane fu, 4 io o 5 giorni sono, portata qui a casa di Y. S. c pigliata dal Sig. r Francesco Ron- dinclli, et egli, dandomola, mi consigliò a dar sodisfa/,ione senza aspettare qualche peggior affronto dal erediterò, dicendomi non potersi trasgredire in alcuna ma¬ niera a questo comandamento, ot offerendosi egli medesimo a trattar questo ne¬ gozio. Io stamattina gl’ho consegnati li 6 scudi, quali non vuol altrimenti pagar a Vincenzio Ul , ma depositarli là in Magistrato, fino che da V. S. verrà avvisato quel tanto che si dova fare. È in vero il S. r Francesco persona molto grata e discreta, o non finisce mai di esagerare l’obligo che tiene a V. S. per questa Labilità elio ha della sua casa. Dalla Fiora intendo elio egli usa a lei et a Gio- seppo molta amorevolezza pur di coso mangiative; ot io nel resto supplisco a i 20 loro bisogni, conformo aH’ordino di V. S. Il ragazzo mi dico che questa Pasqua havorà bisogno di scarpe o calzo, lo quali fo disegno di fargli di filaticcio grosso o vero di starno. Dalla Piera in tondo clic V. S. più volto gl’ha detto clic vuol far venire una balla di lino, onde per questo mi sono ritirata dal comprarne qualche poco o fargli principiar una tela di panno grosso per la cucina, sì come havovo dissegnato di faro ; o non lo farò so da V. S. non mi verrà ordinato altro. Lo vite dell’orto si accomoderanno adesso elio la luna è a proposito, per mano dol padre di Giosoppo, il quale intendo che ò suffiziento, et anco il S. v llon- dinolli vi assisterà. La lattuga intendo elio è assai bolla, et, ho commosso a Gio- seppo elio ne porti a vendere avanti elio sia guasta da altri. Di 70 melangolo 30 elio si venderono, so n’ hobbe 4 lire, pago assai ragionevole, por quanto intendo, essendo un frutto di poca utilità. Lo malarance si venderono 14 crazie il cento, o furono 200. Di quella botto di vino cho Y. S. lasciò manomessa, il S. r Rondinolli ne pi¬ glia ogni sera un poco per sè, ot in tanto fa anco benefizio al vino, il quale intendo che si mantiene bollissimo. Quol poco del vecchio l’ho fatto cavare no i fiaschi, e detto alla Piera che so lo bovino quando haveranno finita la loro botticella, già che noi fino a qui, havcndolo liavuto dal convento assai ragione¬ vole et essendo sane, no haviamo tolto poco. Continuo a dar il giulio ogni sabato alla Brigida; e veramento ebo stimo 40 quosta una elemosina molto ben data, essendo ella oltremodo bisognosa c molto buona figliuola. Suor Luisa, la Dio grazia, sta alquanto meglio, o si va ancora trattenendo in purga; et liavendo, per l’ultima lettera di V. S., compreso quanto pensiero ella si pigli dol suo malo per l’affetto elio gli porta, la ringrazia infinitamente, o <0 Yiscbnzio Lanwucci: cfr. Voi. XIX, l)oc. XL. 26 — 27 FEBBRAIO 1633. 54 [2426-24271 già, che V. S. si dichiara unita meco nell’anmrln, olla all’incontro pretende di star al paragono, nò di un punto vuol cedergli, poi che Valletto suo procedo dal- l’istossa causa, che sono io; ondo mi glorio e pregio di questa cosi graziosa con¬ tesa, o più chiaramente scorgo la grandezza dell’amore che ambo due mi por¬ tano, poi che ò così soprabbondante che arriva a scambievolmente dilatarsi fra quelle due persone da me sopra ogn’altra cosa mortale amate e rovento. 50 Domani saranno 15 giorni che morì la nostra Suor Virginia Canigiani, la qualo stava assai grave quando scrissi ultimamente a V. S. : et in questo tempo si ò ammalata di febbre maligna Suor M.* Grazia del Tace, che è la più antica di quelle tre monache che suonano l’organo o maestra delle Squarcialupe, mo¬ naca veramente pacifica o buona; et essendo stata fatta spacciata dal medico, siamo tutte sottosopra, dolendoci grandomento questa perdita. Questo è quanto por adesso mi occorro dirgli, o subito elio havorò sue let¬ tore (che pur dovrebbono a quest’bora esser a Pisa, ove si ritrovano i SS. rl lioo- ohincri), scriverò di nuovo. In tanto di tutto cuore a lei mi raccomando, insieme con le solito o nominatamente S. r Arcangiola, il Sig. r Hondinelli et il Sig. r me- no dico Ronconi* 11 , il quale ogni volta che vien qui mi fa grand'instanza di haver nuovo di lei. Il Signor Iddio la conservi o feliciti sempre. Di S. Matteo, li 20 di Febb. 0 1032 ltl . Di V. S. molto 111. Fig. 1 * A(T. n '* Suor M.* Celeste Galilei. In questo punto essendo tornato da Firenze il S. r Rondimdli, mi ha detto haver parlato al Cancelliere dei Consiglieri, et haver int<- ;o esser necessario pagar li 6 scudi a Vincenzio Landucci o non altrimenti depositarli, o tanto si OHequirù; se bene io mi ci sono resa alquanto difficilmente, por non haver lmvuta com¬ missiono alcuna da V. S. di questo particolare, 70 2427. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA ClOLl [in Pisa]. Roma, 27 febbraio 1633. Bibl. Naz. Fir. M*9. Gal., P. I, T. II, car. 129. — Autografa la sottoacruiutie. ili." 0 Sig. re mio Oss. mo Il Sig. r Galilei si trova tuttavia in questa casa, spnza esserli stato detto più di quel che avvisai a V. S. 111.“'* con le passate. Io in t-auto non ho lasciato di raccomandarlo nella <*> Giovanni Ronconi. <*» Ili htiltì fiorentino. 27 FEBBRAIO 1633. 65 [ 2427 - 2428 ] maniera elio permette la qualità del Tribunal del S. Offizio, rappresentando la sua pron¬ tezza nell’ubbidire, nel voler dare ogni guato e satisfattone, et il riguardo che pur inerita la sua età ot le sue indispositioni; o benché io non possa dir precisamente in che grado si trovi la sua causa, nè quel che sia per succedere, tuttavia, da quel che raccolgo, la maggior difficoltà deve consistere nel protendersi da questi Signori che sin dall’anno 1616 lo fusse fatto un precetto, che non disputasse uè discorresse di questa opinione: uondi- 10 meno egli dice che il comandamento non stia in questa forma, ma sì bene che non la tenga o difenda, supponendo d’haver modo da giustificarsene, non havendo col suo libro mostrato di tenerla nè di difenderla, come uè anche determinata cos’alcuua, rappresen¬ tando solamente le ragioni lune inde; le altre cose par che siano di minor considerai ione, o più facili anco da uscirne. Tuttavia, perchè in questo paese bene spesso le cose riescono molto diverse da'presupposti, converrà credere all’evento; non mancando chi dubiti, che difficilmente habbia a scansar d’esser ritenuto al S. Oflizio, benché si proceda seco sin adosso con molta amorevolezza e placidità: o di quel che seguirà, ne darò avviso a Y. S. 111." 1 *, alla quale in tanto bacio le mani. Roma, 27 Feb.® 1633. 20 Di V. S. IH. 0 "» Ohi.™ 0 Ser. r0 S. r Hall Gioii, Frane.® Riccolini. 2428 . FRANCESCO NICCOLIN1 ad ANDREA CIO LI [in Pisa]. Roma, 27 febbraio 1033. Cibi. Naz. Flr. Jlss. Gal., F. I, T. II, cnr. 183-185. — Autografa la sottoscriziouo. lll. mo Sig. r mio Oss. m ® Esplicai hiermattina a S. S. <: ‘ tutti i concetti della cifra di V. S. Ill, ntt a proposito del- Punione che potrebbe farsi in questi tempi contro al Gran Turco.... Lo diedi parto dell’arrivo del S. r Galileo, soggiungendo di sperare elio S. S.'*' 1 fusse por restar persuasa della sua devotissima reverente osservanza verso le cose ecclesiasti¬ che, e particolarmente nella materia che si tratta; perchè, essendo venuto animatissimo e risoluto di sottoporsi interamente al suo savio giudizio et al prudentissimo parere della Congregazione, luiveva edificato o consolato me medesimo ancora. Mi rispose S. S. 1 * d’haver- gli fatto un piacer singolare e non più usato con altri, in contentarsi clic potesse tratto¬ lo nersi in questa casa in vece del S.‘° Offizio, e d’haver proceduto con questa dolcezza perchè è servitore accetto del Padron Ser. m0 e non per altro, perchè in riguardo della stima dovuta a S. A. havova voluto privilegiarlo et Imbiutarlo; poiché un Cavaliere di casa Gonzaga, figliuolo di Ferdinando, non solamente fu messo in una lettiga, accompa¬ gnato e guardato sin a Roma, ma condotto in Castello e tenuto quivi molto lompo sino all’ultimo della causa. Mostrai di conoscer la qualità del favore, e ne resi grazie humil- mente a S. C. n ®; o poi la supplicai di dar ordine della spedittione, perchè, come tanto 56 27 FEBBRAIO 1633. [2428-2420] vecchio et anche mal sano, potesse quanto prima ridurt i in patria. Mi replicò che le coso del S.‘° Otlizio procedevano ordinariamonte con qualche lunghezza, et di non saper vera¬ mente se si fesso possuto sporarne così presto spedittiouo, perchè tuttavia s’andava fab¬ bricando il processo, il qual non era per ancora finito. Poi passò a dirmi eh’in somma 20 ora stato mal consigliato a dar fuori quosto suo opinioni, e che era stata una certa Ciam- polata così fatta, perchè se bene si dichiara di voler trattar hipotheticann nte del molo della terra, che nondimeno, in referirne gli argumonti, no parlava o ne discorreva poi assertivamente o concludontemonte, et ch’anche haveva contravennto all’ordine datoli nel 1016 dal S. r Card. 1 Bellarminio, d’ordine della Congregazione dell’Indice <'*. Io replicai in difesa di lui tutto quel elio mi sovvenne havermi egli espresso e significato in questi et altri propositi; ma come la materia è golosa o fastidiosa, e S. S. u ha fatta impressiono che la dottrina del S. r Galileo Bia cattiva o che egli anche la eroda, v’ò da fare; o quand’an¬ che qui restassero appagati dello suo risposte, non vorranno apparir d’havcr nè meno latta una carriera, doppo una apparenza cosi pubblica d'haverlo fatto venir a Roma. 80 Lo raccomandai ofHcacemeuto alla prototiione dol S. r Card. 1 Barberino ’ tanto più vo¬ lentieri, quanto che mi pnrve di trovar S. S. u manco esasperata del solito; o S. Km. ,a ri¬ spose elio le voleva bene o lo stimava por huomo singularo, ma elio questa materia è assai delicata, potendosi introdurre qualche dogma fantastico noi mondo o particolar¬ mente in Firenze, dov’io sapovo che gl’ingegni orano afisai sottili o curiosi, massime che egli referisce molto più validamente quel elio fa per la parto del moto della terra che quel che si può addurrò por l’altra: et ben ch’io dicesse che la qualità del negozio forse portava così, et che egli non vi beveva colpa nll’hora, mi risposo ch’io sapevo pare che egli metteva raramente in carta, e sapova esprimere «squisitamente, e maravigliosamente ancora persuadere, quel die volova. Et a V. S. 111.*"* bacio le mani. 40 Di Roma, 27 Febb. 0 1633. Di V. S. 111.™ Obi.™ Sor." S. p Bali Gioii. Frane. 0 Nicoolini. 2429. FRANCESCO NICC0L1NI ad ANDREA CIOLI [in Pisa]. Roma, 27 febbraio 1033. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicoa 3353 (uou cartolata). — Autografo. 111.® 0 s. r mio Osa.™ Mandai una lettiga al Ponte a Centino al S. r Galilei, come mi ricercò per sua lettera, die ò stata pagata dal mio Maestro di Casa a tanto il giorno iu V 41 trentaaei moneta, per haverlo aspettato quivi alcuni giorni; e perch’io non so so io deva dar debito della <’) Cfr. Voi. XIX, l)oc. XXIV, b, 17, a o fi). <*• FbàNOIBCO ilAKHERiXl. 27 FEBBRAIO — 4 MARZO 1G33. ’Ó7 [2429-2431] spesa a lui o al Padron Ser. mo , prego Y.S. Ill. ma d’ordinarmi quel ch’io debba in ciò fare. La lettiga ch’hebbe di Corto non potette passar il contine, et egli la rimandò a Firenze. Mentre intanto a V. S. Ill. n,a bacio lo mani. i)i Roma, 27 di Feb.° 1633 a Nat. 11 TU V. S. 111."» Obi.** Ser. M IO S. r Bali Gioii, Francò Nicoolini, 2430 * ANDREA CIO LI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma], [Livorno], 3 marzo 1033. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Medicea 8523 (non cartolata). — Minuta non autografa. .... Mi dispiace di vedere che la causa del S. r Galilei sia por andare in lungo, se bone è gran consolazione per lui che sia lasciato stare in casa di V. E. ; la quale potrà mettere a conto suo la sposa della lettiga, perchè la casa di fc>. A. non può hoggi usare i termini soliti della sua liberalità. Et a Y.E. etc. 2431 * ANDREA CI OLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. Livorno, 4 marzo 1633. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal, 1*. I, T. Il, car. 137.— Minuta di mano di Grui Boccumcnt. Al S. r Amb. r# Nicc. nl 4 Marzo 1G33, in Livorno. Il Gran Duca N. S. ha liavuto tanto gusto della habililà insolita clic S. S. ,ik si degna di concedere al S. r Galilei col permettere cho, senza esser messo prigione, sia lasciato staro in casa di V. E. ritirato, in riguardo dell’essere servitore accetto dcll’A. S., che vuole die olla ne renda quanto prima infinite grazie a S. B. ne come di honore sommamente sti¬ mato da S. A., cominciando intanto a pagar questo debito con l’Em."' 0 S. r Card. 10 Barbe¬ rino. Et se bora la S. u S. restasse servita che questa grazia ricevesse il suo intero com¬ plimento con la prestezza della spedinone, S. A. ne rimarrebbe estremamente favorita et 10 allegrissima. Però anche di questo Y. E. farà nuove supplicationi et instauze in nome del- l’À. S. Et le bacio etc. xv. 8 58 5 MARZO 1638. 1*4821 2432. GALILEO a [GERÌ BOCCHI NERI in Livorno]. Roma, 5 marzo 161)3. Mnooo Britannico in Londra. Egorton Mas. -13, rar. 32. — Aut"graf». Molto 111” Sig.” e Pad. ne Col“° Ricevei con la gratissima di V. S.' 1 quella del Sor. m ° Padrone per l’Em. ,no S. Car. le Bentivoglio (il , che si presentò subito; la quale se frutterà (come spero) conformo all’ altra per il S. Car> Scaglia C3Ì , il guadagno sarà grandissimo, mostrandosi questo così bene alletto verso la persona mia, che più non si può desiderare. Quanto poi al resto del mio negozio, si va continuando con quella medesima taci¬ turnità de i primi giorni. Vero è che quel poco che si può andar penetrando va continuamente scoprendo, le imputazioni andarsi di¬ minuendo, et alcune anco esser del tutto svanite per la troppo evi- io dente loro vanità; il che si può credere che arrechi alleggerimento all’altro che sussistono ancora in piede, onde spero che queste ancora siano per terminarsi nel medesimo modo: nò altrimenti convien cre¬ dere, se la verità deve finalmente restar superiore alla falsità. Con questa viene una del Padre Vicario Generale dei Cappuccini, in risposta di quella dell’ Emin. rao S. Card. 10 Medici (4> . Io non ho potuto vedere il detto Padre Generale, et il S. Cav. r " Buonamici lbì presentò esso la detta lettera, insieme con l’altra per il compagno; nò esso per ancora ha potuto penetrare cosa veruna, ancor cho non resti, per sua estrema benignità, d’invigilare con ogni sollecitudine 20 ne’miei affari, obbligandomi ogni giorno più: come anco resto con molt’obbligo al S. Lagi (6) per l’intercessione del S. Alessandro <7> , il quale V. S. saluterà in mio nome, scusandomi se, per non bavere a replicar Pistesse cose più volte, non gli scrivo in proprio. AHi Hb nu SS. n Cont’ Orso s e Bali Gioii mi ricordi servitore devo¬ tissimo, baciandogli con ogni affetto le mani, 0 supplicandogli a far «‘1 Cfr. n.® 2419. »*• Cfr. n.® 2421. < 3 > Cfr. n.° 2410. <*> Cfr. 11 .» 2394, lin. 4-5. <*) Giovaxhunckhco Buokajuoi. ‘•1 Cfr. n.® 2395. < 7 ' ALKH8Axnnn Rocciiixkrj. •*» Orso d’Elci. 5 marzo 1633. 59 [2432-2483] penetrare alla mente del Ser. mo Padrone come io resto infinitamente obbligato alla somma sua benignità, e come, non potendo con altro mezo compensar lo tante grazie die continuamente mi concede, fo 30 che lo mie figliuole monache si occupano in continue orazioni per ogni sua maggior felicità. Con clic a V. S. bacio le mani. Di Koma, li 5 di Marzo 1633. Di Y. S. molto I. Obblig. mo Ser. r0 e Par. 10 Galileo Gal.* 2433 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Arretri, 5 marzo 1033. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 103. - Autografa. Ainatiss. mo Sig. r Padre, Il Sig. r Mario Guiducci hiormattina mi mandò fin qui per un suo servitore le Ietterò di V. S. Lessi con mio particolar contento quella ch’ella scrive al me¬ desimo S. r Mario, e subito gliela rimandai. L’altra ho consegnata al Padre con¬ fessore, il qualo erodo elio senz’altro gli risponderà. Mi consolo, e sempre di nuovo ringrazio Dio benedetto, sentendo che il suo negozio fino a qui possi con tanta [...]te e silenzio, il quale in ultimo ne promotte un folico o prospero suc¬ cesso, come ho sempro sperato con l’aiuto divino e por l’intercessioni della Ma¬ donna Santissima. io Credo cho a quest’bora Y. S. haverà ricevuta l’ultima mia lettera; o da poi in qua le novità occorse sono: lo sborso delli 6 scudi, fatto dal S. r Francesco* 1 in nomo di V. S. a Vincenzio Landacci, il quale venne in persona a pigliarli ; il buon progresso in sanità che va facendo Suor Luisa, essendo stata parecchi giorni senza sentir travaglio; la indisposizione di Suor Arcangiola da 10 giorni in qua, cho travaglia con doloro eccessivo nella spalla o braccio sinistro, so bene con l’aiuto , (U alcuno pillole e sorviziali, ò alquanto mitigato : et anco Gioscppe travaglia con il suo stomaco et enfiagione di milza, sì cho è convenuto fargli guastar quaresima; et il S. r Itondinelli ne tiene cura particolare. Di più, la nostra Suor M. a Grazia organista, cho avvisai a Y. S. che stava gravo, si morì, essendo 20 di età di 58 o 60 anni ; e tutte no haviamo sentito gran travaglio. La Piera sta <» Cfr. 11 .» 2426 5 MARZO 1633. 60 ( 2488 - 2434 ] bono : le vite dell’orto sono accomodati! : di lattuga venduta si ò preso fino a qui un mezzo scudo. Altro particolare non ho da dirlo, so non cho io tutto il giorno fo l’offizio di Marta, senza alcuna intermissione, o con questo me la passo assai bene di sanità; la quale participorei volontierissimo, anzi baratterei con l’indisposizione di V. S., acciò ella rostasso libera da quei dolori che la molestano. Sto aspet¬ tando l’ordine suo circa il dar altri danari al Landucci questo mese presente, perchè non vorrei far orrore, nò cho incorressimo in spese, come questa volta, di £6.13.4, cho importò la polizza che gli mandai. La lettera per la S. ra Am¬ basciatrice potrò, sigillarla, quando rilaverà letta. E con questo di tutto cuore so ino lo raccomando insieme con lo solile. Di S. Matteo, li 5 di Marzo 1682 !1 '. Sua Fig> Afl>» S. r M * Colea[..l. Fuori: Al molto Ill. Pn Sig. p Padre mio Oss. ,no 11 S. r Galileo Galilei. Roma. 2434, MARIO GUIDUCOI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 5 marzo 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 23. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Non mi poteva ghignerò il più caro avviso ili quello clic mi ha arrecato la lettera di Y. S. Ecc. ma , parendomi che oramai non si debba più temerò cho la sua persona sia molestata, o potendosi sporaro cho il libro non abbia da rima- nero indifeso all’arbitrio di porsono poco intendenti dell’argomento cho tratta: c se dall’esito doll’altre persecuzioni che V. S. ha avuto si può conietturaro qual¬ cosa delPcvonto di questa, non si può pronosticare altro fine cho maggioro esal¬ tazione e splendore della dottrina di V. S. o del suo nome. Piaccia al Signore Dio che il tutto sortisca bene, ad onoro della verità o contusione delle fallacie o delle bugie. Lett. 2433. 24. inteniinaìonc — m I)i stilo lioroutino. 5 — 6 marzo 1633. 61 [2434-2435] Ho participato la sua lotterà agli amici, corno ancora alla R. da Suor Maria Col osto, alla quale la mandai subito insieme con la sua propria, et oggi mi ha mandato le alligate, «acciò li dessi ricapito, conio fo inviandole sotto coperta della. S. rtt mia sorella 111 . L’Einin. mo S. r Card.' 0 Capponi 121 è invaghito straordinariamente del libro di Y. S., e si è tirato por qualche settimana in casa il S. r Dino Peri per poterò intenderò più particolarmente quella dottrina. Mi dispiaco che le sue solite doglie sieno tornate a travagliarla sì fieramente, come mi scrivo. Ma se il non faro esercizio ò la cagione di questo, Y. S. arebbe a transferirsi alla Trinità, de’ Monti, a fare esercizio, dove goderebbe anche del- 20 l’aria, che puro dovrà, cominciare a rintepidire. Al T. Abate Don Benedetto mi ricordi devotissimo e obbligatissimo scrvitoro, con diro di più che professo di aggiugnere all’altro grandissime obbligazioni elio tengo a S. P. tk molto It. da tutto quello che ora fa, come mi immagino, con ogni caldezza in servizio di V. S. ; e se bene V. S. non ha bisogno, negli ofizi di gratitudine, di chi entri seco a parte del debito, tuttavia non posso fare di non reputare latto in persona mia quanto viene impiegato per lei. Gli amici comuni insieme meco la riveriscono, corno ancora il P. Abate; o per fine le prego dal Signoro Dio sanità, e lunga vita o ogni bene. Di Firenze, 5 di Marzo 1632 w . ao Di V. S. molto HI. 10 et Ecc. n,!i Aff. m » e Obh. mo Sor. 10 Mario Guiduoci. 2435 *. FRANCESCO N1CC0LINI ad ANDREA C10L1 [in Livorno]. Roma, 6 marzo 1633. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. Il, uar. 13!). — Autografa la sottoscrizione. Ill. n, ° Sig. r mio Oss. mo Del Sig. r Galilei non posso dir a V. S. lll. roa più dello scritto con lo passate, se non elio vo procurando, so sarà possibilo, che li sia permesso di poter qualeho volta transfe- rirsi al giardino della Trinità per poter far un poco d’esercizio, già clic li è di molto nocumento lo star sempre in casa; ma per ancora non m’è stata data risposta alcuna, nè so quel che ce ne possiamo sperare.... m Madoai.kna Guiducoi no'C avalcanti. ‘ s Lumi Caio-oni. < 3 > Hi stilo Immutino. 62 7—12 MARZO 1633. [2436-2437] 2436 *. LUCA HOLSTEIN a NICCOLÒ FA ORI di PEIRESC [in Aix]. Roma, 7 marzo 1633. l)n r.iiOAK TIor.8'rKNii Epistola* ad diverto», qua» ex oditi» ot Inediti* codlelbn* eollmrlt »tqno i!ln«travit lo. Frano. Rotssonadk eco. Parisi!», in bibliopoli gracco latino-gerroiu.ico, C10I0CCCXVU, p*g. 264. _Vidi Gualterii Observationos W ad Unsbergii [Unmonetriamj, ot quantum potui Eminentissimo Cardinali nostrocommendavi. Ibi tnm utilissima se obtulit occasio, ut de eiusdem Lansbergii libro do mota terrao <*> agorein. Sed haec quoquo causa vehemonti praeiudicio iam damnata ost, pvaosortim cum divinum iliaci Galilaei opus oodem tempore in lucem prodiret. Auctor, Florentia evocatus, media liieme ad Urbim venit, ut S. lnqui- sitionis Officio se sistorot, ubi nunc in vinculis detinetur. Longum foret, causarli concepti adversus optimum senom odii commemorare. Id profecio uomo sino indignatione vidit, do- putatos fuisso qui de libro (ìalilaoi et de tota Ime Pythagorea sivo Coperniciana sententia cognoaoeront, homines plano [ànoóoouc; oum] taiueii praecipue de Ecclesia» auctoritate hic agatur, quao minus recto iudicio vobomentor labofactabitur. Kgo seduta illos moneo, 10 ut cogitent primos auctoros summos fuisse mathematicos, et qui cxcellenti prao caetcris studio in veritatis disquisìtionem incubuerunt; tnm qui nostro «acculo cani doctrinnm in lucem rovoenrunt, eruditionis laudo quam proximo ad veteres ncccssisso. Nani Galilneum livor et invidia opprimit eornm qui solum illuni sdii obstare existinmnt, quominus smmni nmtbematici liabeantnr; nani omnis liaec tempesta» ex odio partìculari unius monachi nrtn ereditar, quem Galilaeua prò mathematicorum principe agnoscere noluit. Is nunc ost Suncti Officii Coinmiflsarius ( ‘ l) . Sed mirimi quo me scribendi impotus abripiat.... 2437 . GALILEO a [GERÌ BOCCHINERI in Livorno]. Roma, 12 marzo 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., I’. L, T. IV, cnr. 90. — Autografa. Molto 111. 1 * 6 Sig.™ e Pad. no Col. mo Continua por ancora Pistesso silenzio, il quale dovrà puro volta rompersi, o forse in breve, per quanto mi dice PEcc. mo <*> Discour» (In Sicur Josepii Gaui/tirii dii liou do Rians on Provonco, Dootour en thoologie, Prlenr etSoignour do la Yalotte, Grand Vicairo du Soignour Arcbovosquo il’Aix, pour servir de eupplemenl a In demonstmtion du Ptolemee au 15 e chnpitre de nm V• Uvra de l'Almngeete, et u celiti de Philippe Lam¬ bert] in e r.n eon Uranametrie, concernant tee vrayes di¬ mensione de la grandeur du corpe du soldi et de la una S. Am¬ imi* et de leur eiloignement et dittane* de In terre, F.nvoyé a Roisgoncy mi Sionr do l'nireae, Bnron du dict lieu do Rians ot Abbo ot Soiguenr do lìuistres, Con- soìllcr du Roy on saCour ot Parlement ilo Provonco. Ms. autografo uolla Ribliotoca d'ingulmbert in Car- pentras, Colloction Peiresc, Rog. LX. II, car. 297-801. (,) FRASO*800 IUibrrini. Uff. n. B 2243. P. Vi.hobxxo Macula so da FtaRsauoLA. 12 MARZO 1633. 63 [ 2437 - 2438 ] basciatorc liaver ritratto stamattina da S. S. tk nel leggergli la let¬ toni scrittagli dall’Ill. m0 S. Bali, d’ordine di S. A. S., in raccoman¬ dazione dolla mia spedizione. Scrivo al S. Bali, supplicando sua Sig. a lll. n,a a render grazio al Ser. mo Padrone del favore fattomi (2> . Il Sig. r Cav. r Buonamici ò alquanto indisposto, e pur questa mat¬ tina lia mandato da me per una presa delle mie pillole : si trattiene io in casa di Mons. r Motnianno, Auditor di Ruota; et intendo che è qua per alcuni negozii del Duca di Noohurgo 1 '", suo padrone. Della sua spe¬ dizione e ritorno in costò non posso dir niente a Y. S. ; ma si può cre¬ dere che non sia per esser così presto, attenendo uno de i detti ne¬ gozii al S. t0 0Bizio, le spedizioni del quale par che siano comunemente assai tardo. Questo ò quanto V. S. può ricevere da uno che non va molto at¬ torno. A V. S. et al Sig.™ Alessandro (v) affettuosamente bacio le mani e prego felicità. Di Roma, li 12 di Marzo 1633. 20 Di V. S. molto 111.™ Obblig. mo Ser. r0 e Par. te Galileo Galilei. 2438. GALILEO mi [ANDREA CIOLl in Livorno]. Roma, 12 marzo lGìlìJ. Blbl. Nat. Flr. Mss. fini., 1 ’. I, T. IV, cnr. 01 . — Autografa. . IH.»* 0 Sig. ro e Pad." 0 Col. mo Ilo veduta la lettera (5) scritta da V. S. M. ma , d’ordine del S. G. D. nostro Signore, qua all’Ecc.'" 0 S. Ambasciatore in raccomandazione a S. S. tk por la spedizione della mia causa; la quale S. Ecc. za ha letta questa mattina alla medesima S. lk , e ritrattone quello che Y. S. Ill. lmal più particolarmente doverà intendere dalla risposta (l,) di S. Ecc. z:l . Io conosco la continuazione del benigno affetto di S. A. S. ma verso la persona mia e la multiplicazione degl’obblighi miei, d’infinito inter- (»' Cfr. n.o 2181. I*» Cfr. li.® 2138. < 3 1 Woi.kanuo Uuui.iki.uo Duca di Necbubq. <*) Amcssanduo Rocohinkri. '«) Cfr. n.o 2481. l«) Cfr. n.o 2413. 64 12 MARZO 1633. [24*18-2489] vallo superiore alla mia possibilità dol poterne rendere ricompensa alcuna, salvo elio di nude parole, ma ben pieno di reverente et humi- io lissimo affetto in ringraziamento di un tanto favore in un tanto mio bisogno. Supplico V. S. Ill. ma a rappresentare a cotesta A. S. m " la mia con¬ fessione di tanti obblighi et il rendimento di grazie, dandogli con la sua voce quella forza e vivezza, elio io per me stesso non saprei nò potrei dargli, con baciargli appresso humilissimamento la veste; et a V. S. Hl. raa , confermandogli la mia devotissima servitù, reverentu- mente m’inchino e prego da Dio il colmo di felicità. Di Roma, li 12 di Marzo 1633. Di V. S. lll. ma l)ov. mf ’ et. Obblig. rao Ser.™ 20 Galileo Galilei. 2439 *. ANDREA AURIGI TETTI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 12 marzo 1033. Bibl. Nasi. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 198. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. ro o P.ron Col. n ‘° Y. S. non si stanca mai di farmi grazio et accrescerò il cuniolo del’obbliga¬ zioni che le professo, corno seguo particolarmente adesso con il darmi avvino di sua saluto o dol buon principio do’ suoi negozii, mediante il quale con gran ra¬ gione se no può sperare ottimo evento, e che con somma sua laude sia in Tino per restar giustificata in conspetto di tutto il mondo la sua sincerità, o scoperta la malignità e ignoranza de’suoi avversarli. Tutta la conversazione lo rendo grazie di così buone nuove; o stia sicura ebo da ciascuno do* suoi amici c servitori si stanno aspettando lo sua Ietterò come si aspettano le coso più care, e da me più d Ogn’ altro, corno più di tutti suo obbligatissimo. Il S. r Gabbriello ll) la ringrazia dd’avviso, c la risaluta per mille volte. Re¬ capitai 1 alligata per S. M. R Coleste, o penso ebo con questa sarà la sua risposta. L Emin ™° S. r Card. 1 ® Capponi dette una scorsa a’ suoi Dialoghi con estremo suo gusto, et avendo S. Em.** curiosità di rivederli in compagnia di qualcuno ebo potesse sopirli quelle difficultà dio poteva apportarli il non essere a bastanza impossessato della geometria, se li propose il nostro S. r Dino' 9 ', quale stando del io O) Gabuiei.i.o Riccardi. «*» Cfr. u.® 2131. 12 MARZO 1633. 65 [2439-2440] continuo a Montili °, lo va adesso servendo in questa occasiono con estremo gusto e maraviglia di S. a Em.** La prego a tornare centuplicate raccomandazioni al Rev. mo Padre D. Bene- *20 detto, dicendoli elio se bene il rispetto di non l’infastidirò ha potuto raffrenare così lungamente la mia penna da’ dovuti ossequii, non ha però potuto raffred¬ dare il desiderio elio tengo di servire a sua Paternità, e che gli sono più ser¬ vitore che mai. Del resto confermo a V. S. la mia osservanza, mentre co ’l fino le sto pregando dal Ciclo ogni desiderabile felicità. Fiorenza, 12 Marzo 1632 (2) . Di V. S. molto 111. 1,0 et Ecc. ,na Serv. ro Obb. ,no And. a Arrighotti. 2440. CERI B0CCIIINER1 a [GALILEO in Roma]. Livorno, 12 marzo 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 120. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. mo S. r mio Oss. m0 Tengo la lotterà di V. S. de’ 5. Mi rallegro et mi consolo che le cose sue piglino sempre maggioro speranza di buon esito, et ho gusto elio dal S. r Cav. l '°Buo- namici e dal S. 1- Lagi <3) ella sia assistita et servita. Alli SS. ri Conte Orso et Bali Gioii ho detto quanto V. S. ini ha imposto; et con gusto anche di S.A. si in¬ tendo che il male non Labbia da essere di quella qualità che veniva minac¬ ciato, mentre la verità, come Y. S. (lice, devo bavere il suo luogo. Lo ribaciano lo mani, et aspettano altre nuovo di lei et di sentire il frutto del ringrazia¬ mento che Laverà fatto il S. r Ambasciatore a S. S. tk ot al S. r Card. 1 * 5 Barberino io Mando la dotta lettera di V. S. a 1). Carlo (5) questo giorno, acciò la partecipi allo Monache et la mandi a Poppi (6) ; ot mutamento con Alessandro bacio lo mani a Y. S. Domani partirà la galeazza : Dio lo dia buona fortuna. Lunedì andremo a risa, et fatto Pasqua torneremo qua a veder partire lo galero, et poi daremo volta a Firenze. Di Livorno, 12 Marzo 1633. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. nm Oblig. mo Par. te et Ser. ro Ceri Bocchinori. Lett. 2440. 2. di V. S. di Y. 8. de' — <*> Montughi presso Firenzo. Cfr. n.° 2431. < s > Di stilo fiorentino. ,5 > Caiii.o di Carlo Bocohjxkrt. l») Pietro Laqi. <°> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVJ1, c, 3). XV. 0 GG 12 MARZO 1G33. 2441 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Arcetri, 12 marzo 1G33. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XUI, car. 1C4. - Autograf i. Molto Ill. ro et AmatÌ 8 s. mo Sig. r Padre, L’ultima sua lettora, mandatami dal S. r Andrea Arrighotti, mi La aportato gran, consolazione, si por sentirò elio olla si va mantenendo in buon grado di sanità, conio anco perchè por quella vengo maggiormente certificata del felice osito del suo negozio, chò talo me l’hanno fatto prevedere il desiderio o V amoro: chè so ben veggo che, passando lo coso in questa maniera, si andrà prolungando il tempo dol suo ritorno, reputo non dimeno a gran ventura il restar priva delle mio proprio sodisfazioni per una occasiono la quale habbia da ridondare in be¬ nefizio e reputazione della sua porsona, amata da me più elio ino stessa; e tanto più m’acquieto, quanto elio son certa che olla ricove ogni lionore e comodità io desiderabile da cotesti Ecc. mi Signori et in particolare dall'Ecc. m * mia Signora e Padrona, la visita della qualo, se havossimo grazia Suor Arcangiola et io di ricovero, certo elio sarebbe favore segnalato ot a noi tanto grato quanto V. S. può immaginarsi, chè io non lo so esplicare. Quanto al procurar che ella vedesse una comedia, non posso dir niente, perchè bisognerebbe governarsi secondo il tempo nel quale ella venissi, so bene io veramente crederei che stessimo più in salvo lasciandola in quella buona credenza in ch’ella devo ritrovarsi mediante le parolo di V. S., già che ella si mostra desiderosa di sentirci recitare. Simil¬ mente la venuta del P. D. Benedetto ci sarà gratissima, per esser egli persona insigni© e tanto affezionata a V. S. (ìli renderà dupplicate le salute per nostra 20 parte, e mi farà anco grazia di darmi qualche nuova della Anna Maria* 1 ’, la qualo V. S. esaltava tanto l’altra volta che tornò di costà, perchè io fino all’bora me gl’affezionai, sentendo il suo merito e valore. S. r Arcangiola sta alquanto meglio, ma non bene affatto, del suo braccio; 0 S. 1 ' Luisa sta ragionevolmente bene, ma però con grande osservanza di vita regolata. Io sto bone, perchè ho l’animo quieto 0 tranquillo; 0 sto in continuo moto, eccetto poro le 7 bore della notte, lo quali io mando male in un sonno solo, poi che questo mio capaccio cosi umido non no vuol manco un tantino. N011 lavscio por questo di sodisfare il più ch’io posso al debito che ho con lei Oi Anna Mania Vaiasi. 12-13 MARZO 1633. G7 [2441-2443] 30 dell’orazione, pregando Dio benedetto che principalmente lo conceda la saluto dell'anima, ot anco lo altre grazie che ella maggiormente desidera. Non dirò altro per ora, se non elio liabbia pazienza se troppo la tengo a tedio, pensando che io ristringo in questa carta tutto quello ch’io gli cicalerei in una settimana. La saluto con tutto l’affetto, insieme con lo solito; ot il simile fa il S. r Rondinolli. I)i S. Matteo in Arcetri, li 12 di Marzo 1632 !l) . Di V. S. molto 111.™ Fig> Aff. raa Suor M. u Celeste. Fuori: Al molto 111. 10 Sig. r Padre mio Oss.">° 40 II Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2442 "*. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Livorno], 12 marzo 1633. Blbl. Nas. Fir. Mss Gal., P. I, T. Il, car. 141. — Minuta non autografa. .... Del S. r Galilei S.A. intenderà sempre volentieri le migliori nuove, che par che si possino sperare. E questo basti a V. E. intorno allo sue de’ 6. 2443 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Livorno]. Roma, 13 marzo 1G33. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. Il, car. 143-140. — Autografa la sottoscriziono. 111.™ 0 Sig. r mio Oss. mo Cominciai questa mattina il mio ragionamento con Sua Santità dnll’offUio di rendi¬ mento di gratie, impostomi da V. S. 111."" 1 di passare, per l’habilità conceduta al Si¬ gnor Galilei di starsene in questa casa in vece di quella del Santo Offitio, supplicandola insieme della apeditione con quelle più acconcie parole che io seppi. Ma da S. S. a mi fu risposto d’h&ver fatto volentieri questa dimostratione per honor di S. A., ma di non cre¬ der già che si sia per poter far di meno di non lo chiamar poi al S. Offitio, quando s’havrà (M Pi stilo fiorentiuo. <*» Cfr. n.o 2135. i») Cfr. u.«* 2481. 68 13 MARZO 1633. [‘24431 a esaminare, perchè cosi è il solito e non può farsi di meno. Io le replicai ili sperare che la S. u S. fosse per raddoppiare l’obbligatione imposta a 8. A. con dispensarlo anche da questo: ma ini fu risposto di eroder che non si potrà far di mono. Io tornai a soggiun- io gere che l’età sua gravo, la poca salute et la prontezza in sottoporsi a ogni censura, lo potevan rendere meritevole d’ogni fnvoro: ma mi disse di nuovo di creder in somma elio non si potrà far di meno, et che Iddio li perdoni a entrnr in questo materie, tornando a dire elio si tratta di dottrino nuove o della Scrittura Sacra, e che la meglio di tutte è quella d’anelar con la comune, e che Dio aiuti aneli’il Cianipoli una volta con queste nuovo opinioni, perchè anch’egli vi ha huinoro et è amico di nuova lilosofìa; elio il Si¬ gnor Galileo è stato suo amico, et hanno insieme trattato e magnato più volte domesti¬ camente, o dispiacerli d’haverlo a disgustare, ma trattarsi d’intere ho della ludo o della religione. Mi parve d’andar soggiungendo che egli facilmente, so sarà udito, darà ogni satisfatene, con quella reverenza però elio è dovuta al Santo Uflìtio: marni rispose olio 20 a suo tempo sarà esaminato, ma che v’ò un argunionto al quale non hanno mai saputo rispondere, che è quello che Iddio ò onmipotente e può far ogni cosa; so è omnipotonto, perchè vogliamo necessitarlo? Io dicevo di non saper parlare di questo materie, ma di parermi à’haver udito dire al medesimo Signor Galilei, prima, che egli non teneva per vera l’opinione del moto della terra, ma elio sì come Iddio poteva far il mondo in mille modi, cosi non si potava negar nò meno elio non l’huvessi possuto far anche in questo. Ma riscaldandosi mi risposo che non si dovova impor necessità a Dio benedetto: et io, veden¬ dolo entrare in escandescenza, non volsi mettermi a disputar di quel che non sapevo et apportarle disgusto con pregiuditio del Sig. r Galilei ; ma soggiunsi che egli in somma era qui per ubbidire, per cancellare o rotrattare tutto quel che lo poieHso esser rimostrato 30 esser servitio della religione, o elio io non sapevo di questa scienza, uè volevo, col par¬ larne, dir qualche eresia; o mettendola in canzona, col sospetto di poter anch’io offendere il S. Offitio, passai in altro negotio. Ben la supplicai di compatirlo e di farlo degno della sua grazia, particolarmente col restar servita d’andar considerando se liavosso potuto habilitarlo a non uscir di questa casa; ma tornò a dirmi che lo farebbe darò certo stanze nominatamente, che sono le migliori e le più commodo di questo luogo: et io mi dichiarai clic ne darei conto a S. A., per tornar anche di nuovo a supplicarla, se così m’havesse ella imposto. 'l’ornando a casa, ho conto in parte al medesimo Sig. r Galilei di qnel che havovo ragionato col Papa, ma non gl’ho già dotto per ancora elio si pensi a chiamarlo al 8. ()f- 40 fitio, perchè ero sicuro di darle un gran travaglio o di farlo vivere inquieto sino a quel tompo, massime che non si può saper per ancora quanto siano per stare a volerlo, per¬ chè il Papa m’ha risposto, quanto alla speditioue, di non saper per ancora quel che se ne possa sperare, e che si farà qnel che si potrà; ancorché il Commissario del 8. Offitio rimostrasse al mio secretano pochi giorni sono, che si trattava di spedirlo quanto prima. Ma a me non piace l’impressiono non punto diminuita in Sua Beatitudine. Et le bacio le mani. Roma, 13 di Marzo 1633. Di V. S. 111. 1 "* S. r Bali Gioii. Ohi." 10 Rer." Frane. 0 ^iccoliui. 60 12444 - 8445 ] 17 — 19 marzo 1633. 09 2444 *. ANDREA C10LI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. | Piaa,J 17 marzo 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. 11, car. 147. — Minuta non autografa. Al S. r Amb. ro Niccolini. 17 di Marzo 1033. A quel che più importa del contenuto delle lotterò di V. E. do’13 io rispondo a parte, bastandomi accennarle nel resto elio S. A. le sentì liierserii Lutto con estraordinari» at¬ tenzione .... In proposito del Sig. r Galilei, l’offizio che V. E. ne ha ri[nnov]ato con S. Beatitud.® è parso a S. A. tanto ardente, che si ò maravigliata che S. S.'* non se no alterasse anche più di quello che V. E. rappresenta; ondo si vede ohe ricordandosi S. Santità della familia¬ rità che haveva prima seco il Sig. r Galilei, non lascia di compatirlo. Ma se egli habbia da 10 essere esaminato, non paro elio si possa sfuggire ch’egli non comparisca dinanzi al Tri¬ bunale del Salilo (inizio; et so almeno, andandovi il giorno, potesse tornarsene la sera a casa in riguardo della sua età et non intera salute, si salverebbe forse in questa ma¬ niera dal danno che gli potrebbo fare il travaglio et il disagio della prigionia. Però questa sola replica potrà aggiugnere V. E. all’altre gagliardamente fatte a favore di lui ; et piac¬ cia a Dio che resti consolato.... 2445 . GALILEO ad [ANDREA CIOLI in Pisa]. Roma, 10 marzo 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., I’. I, T. IV, cur. 92. — Autografa. Ill. ,uo Sig. ro e Pati . 06 Col ." 10 Continua meco l’istessa taciturnità, nè altro si può penetrare se non quello che in termini assai generali vien raccolto dall’ Ecc. ,no Sig. rP Ambasciatore e datone conto costà. Con una simile generalità viene anco penetrato, o per meglio dire subodorato, dal mio inde¬ fesso procuratore I). Benedetto Castelli, un miglioramento di speranze, cagionato principalmente dalle lettere del Ser ." 10 Padrone; onde si conclude (come anco intenderanno dal medesimo S. Ambasciatore) che <» Cfr. u.° 2413. \ 70 19 MARZO 1633. [2-145-2446] sarebbe molto profittevole elio ristesse) offizio fusse passato con li altri Eminentissimi del S. to Tribunale, atteso che quelli con i quali io si è fatto T liavranno di obbligo referito in Congregazione. Supplico pertanto Y. S. Ill. ma , che alle intercessioni doli’ Ecc. mo S. Ambasciatore vogli aggiugner le sue per impetrar tal grazia dal Ser. ,no Padrone, della qualo con ogni humiltà lo supplico, assicurando S. A. S. che ne riceverà da Dio quel guiderdone elio meritano i pro¬ tettori dell’innocenzia. Inchino con ogni humiltà la Ser. ma Al. 7 -' 1 , et a V. S. Ill. ma con la debita reverenza bacio la mano, pregandogli da Dio l’intera felicità. Di Roma, li 10 di Marzo 1033. Di Y. S. ili. 111 a Dev. mn et Obblig. mo Sor. 1 ' 6 20 Ualiloo Galilei. 2448*. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. ArcctrJ, 19 marzo 163.'). Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 160. — Autografa. Molto HI» et Amatiss ." 10 Sig. r Padre, Il Sig.*- Mario 1} con la solita sua gentilezza mi mandò iermattina lo lettore di V. S. Ilo recapitate lo duo incluse a chi andavano; e la ringrazio dell’avver¬ timento cho mi dà dell’errore da mo commesso nella lettera della Sig. ,!l Amba¬ sciatrice, dolla quallo tengo una cortesissima lettera in risposta alla mia : o fra Taltre cose mi dico ch’io persuada V. S. a procodor con più libertà in cotosta casa, o con quella sicurtà che farebbe nella sua propria, o si dimostra molto ansiosa dello sue comodità e sodisfazioni. Io gli riscrivo, domandandole il favore dio V. S. vedrà: so gli par ben fatto il presentarla, l’havrò caro; so no, mo n apporto al suo parere. Ma veramente, o per mezzo della modosima S. ra Am- io b asciatri ce o di V. S., havr[..] caro di ottener questa grazia ; sì corno da Y. S. desidererei un regalo al suo ritorno, il qualo pur spero elio non deva andar molto in lungo. Mi persuado cho costà sia copia di buono pitturo ; ondo io de¬ sidererei che Y. S. mi portassi un quadretto di grandezza quanto quovsta carta qui inclusa^, di questi che si serrano a uso di libriccino, con duo figuro una delle quali vorrei che tossi un Ecce Homo e l’altra una Madonna; ma vorrei <*> Maiuo Guiducci. Non è pro-sentemonto allogata. 19 MARZO 1633. 71 [2446-24471 che fossiuo pietosi e devoti al possibile. Non importerà già cho vi sia altro ador¬ namento che una semplice cornice, desiderandolo io per tenerlo sempre appresso di me. 20 Credo senz’altro che il S. Rondinelli scriva a V. S. ; onde sarà bene eli’ella nella risposta gli dimostri gratitudine per le amorevolezze che ci ha usate di quando in quando in questa quaresima, e particolarmente perchè hieri fu qua a desinare e volso che ancor noi duo v’intervenissimo, acciò si passassi quel giorno allegramente, principalmente per amor di Suor Àrcangiola, la quale, per grazia di Dio, va migliorando del suo braccio. È ben voro che, per esser da pa¬ recchi giorni in qua sopraggiunto un catarro nelle reni a Suor Oretta, e non potendosi esercitare, tocca a me in gran parte il pensiero doll’offizio di Prov- veditora; e per questo e per altre mie facconde essendomi ridotta a scriver a mezza notte, ot assalendomi il sonno, tomo di non scriver qualche sproposito. 30 Godo iti estremo di sentir che V. S. si conservi in buona sanità, e prego Dio benedetto cho la conservi. La saluto per parte di tutto lo amiche et anco in nomo del Sig. r Ronconi (1) , il quale spesso con grande instaiiza mi domanda di V. S. Di S. Matteo in Arcetri, li 19 Marzo 1632' 21 . Di V. S. molto 111. Fig> Aff. ma Suor M. a Coleste. 2447*. MARIO QUID UCCI a GALILEO in Roma. Firenze, 19 marzo 1033. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 24. — Autografa. Molto I11. P0 et Ecc.“'° S. r o P.ron mio Òss. mo Sento con molto gusto dalla gratissima di V. S. la continuazione del suo esser lasciato stare, c una certa quasi sicurezza che cosi debba succedere anche per l’avvenire, come anche mi avova dato avviso il S. r Giovanni Rinuccini nel suo ritorno di costà. Mi rallegro ancora che quell’Eminentiss. 0 Signore' 31 , cho ella non nomina, si sia messo a vedere con diligenza, c con l’aiuto del P. Abate D. Benedetto, i suoi Dialoghi, e che ne abbia fatto concetto so non contrario interamente, almeno molto diverso e lontano da quello che s’era formato prima ; o tanto più me ne rallegro, poiché avendomi il S. 1 ' Giovanni Rinuccini dichiarata io la persona, son sicuro che può giovare quanto qualsivoglia altro alla causa o alla verità. Il S. r Card. 10 Capponi, conio le scrissi con altra 01 , è invaghito fuor 0> Giovanni Ronconi. <*> Di stile fiorentino. < s ' Drsidkrio Scaglia: cfr. n.° 2451, liu. 20. (M Cfr. n.° 2434. 72 10 MARZO 1633. i [ 2447 ] di modo della sua dottrina ; et avendo letta quella scrittura di V. S. scritta già a Madama Sor. nm<1 \ rimase appagatissimo che l’opinione del Copernico non sia erronea; e poi ha tanto gusto ne’Dialoghi, che sento disgusto di non potere intendere perfettamente lo dimostrazioni elio vi sono, e se il farsi da capo alle matematiche non fusso cosa lunga o alle sue occupazioni molto contraria, non gli parrebbe fatica nessuna il mottersi a studiare Euclide. Con tutto ciò 1 ingegno suo è tale elio apprende benissimo o presto tutto quello elio studia, o 1’assistonza del Sa Dino aiuta a supplire dove Tesser privo «li geometria può far difficultà. Io ancora ci vo spesso, così ricercato da S. E., alla (juale per ora non mi paro 20 che sia bene che V. S. scriva, per la poca sicurtà cho s’ha (lolle lettere elio non capitino male. Tornerò lunedì in villa sua ; o se scorgerò che sia bone che V. S. scriva a S. E., no la avviserò. I TP. Arrighi o Stefani (8) la ringraziano della parte cho dà loro dello coso suo per mezzo mio, o mi dicono elio hanno sempre no’ loro sacrifizi o orazioni rac¬ comandata al Signore Dio questa causa, o così continueranno. Piaccia a S. I). M. u concedere lume e volontà a' Signori cho hanno a determinare, di eseguire quello che ò maggior gloria Sua o in esaltazione della verità. Mi rallegro cho ella stia bene (li sanità: proccuri di conservarsi por potere illustrare ancora con altre sue opero lo buone Ietterò o la salda filosofia. so Mi dimenticavo di dire che il S. r Card. 10 Capponi ha una gelosia grandissima del suo trattato del moto, o sempre mi domanda so quest’opera si è per per¬ dere, quando costà fussoro proibiti i Dialoghi. Io ho risposto a S. E. clic non lo credo in modo nessuno, o cho io farei ogni opera appresso di lei e (li chi bisognasse, e mi impiegherei per quel poco che sapessi o potessi, acciò non ri- | manejsse nelle tenebro : sì elio ancora da questo V. S. può comprendere quanta stima faccia delle suo coso. La ringrazio in nomo di Giulio (3) o mio della congratulazione del figliuolo maschio, concedutoci dal Signore; o per lino pregandole dal Signore Dio feli¬ cissima la S. to Pasqua con l’accompagnatura di ogni bone, lo fo reverenza, prò- -io gandola a fare il medesimo ufizio in mio nomo col P. Don Benedetto. Di Firenze, lì) di Marzo 1032 ( ‘ l) . Di V. S. molto 111. 10 et Ecc." ,a Ser. ro Aff. rao o Ohi)."» 0 Mario Guidueci. Fuori: Al molto 111."» ot Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Roma. / O) Cfr. Voi. V, i>n£. 307-348. < a > («iacinto Stefani. < 3 > (imi,io Ouidcoci. ,l > Di stilo fiorentino. [2448-24*9] 19 MARZO 1633. 73 2448 **. MARIA TEDALDI a GALILEO in Roma. Firenze, 19 marzo 1033. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. T, T. XIII, cnr. 167. — Autografa. Molto 111. ot Ecc. m0 Sig. r mio Colenti. mo Nella partenza di V. S. E. ma mi ritrovai alla villa di mia figliola, e per questo effetto non la potei nell’ultima sua partenza rovorire conforme al desiderio e de¬ bito mio, che no sentii disgusto. Non potevo credere non essere una volta li ono¬ rata di una sua lettera doppo arrivata costà; ma ho bene procurato bavero nuove da varie persone, o con l’occasione della Santa Pascqua non posso nò devo inanellare di auguriarli dal Cielo le buono e Sante Feste per cento e mill’anni. Havevo da raccontarli una bella aziono seguita tra il Landucci U) e suo padrc (z) ; ma perchè non so so questa mia si vorrà sicura nello sue mani, la taccio: e io iavorischami di risposta, avisandomi come mi deva contenere in avviarli lo let¬ tere, chè desidererei puro tenere qualche volta nuova di V. S. E. ,nn , e quando ponsa di tornare, chè ogn’hora ci paiono miU’anni. Le sue figliuole stanno bene o la salutano, ot io credo die domani sarò da loro; o con tal fino ricordando¬ meli obligatissima servitrice, li bacio la mano, o resti felice o di noi ricordevole. Fir.°, li 19 Marzo 1632 (3> . Di V. S. molto 111. et Ecc." ,il Dov. n,:i Serva o Parente Maria Tedi Fuori: Al molto 111. et Ecc. mo Sig. r mio Colend." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, p. n, ° Filosofo del Ser."'° di Toscana, in 20 Ito ma. In casa l’Ambasciatore dol Sor." 10 di Toscana. 2449 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Pisa]. Roma, li) marzo 1633 Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 149. — Autografa la sottoscrizione. IH." 10 Sig. r mio Oss. Del Sig. r Galilei non posso aggiungnere allo scritto con le passate, se non die giu¬ dicherei a proposito, che sì corno il Ser. m0 Padrone ha scritto in sua raccomandazione <*) VlNORNKio Lanoucci. (3) Di stile fiorentino. <*> Hkickdktto I.andiicci. XV. 10 74 19 — 20 MARZO 1033. [2440-2450] a’Cardinali Bentivogli c Scagliacosì si compiacesse di raccomandarlo ancora a gl’altri Cardinali della Congregazione, che sono gl’infrascritti, acciò a'inanimissero tanto più a favorirlo, o sapendo elio S. A. S. havesso scritto ad altri non le potesse cadere in concetto d'essor meno stimati o men confidenti delli altri. Tuttavia mi rimetto a quel che sarà stimato meglio. In tanto liormai hìh a fatto le Foste si può credere chi* non le sarà detto cos’aldina; ot per bora s’intende che il S. r Card. 1 Scaglia e Bentivogli camminano assai uniti in protegerlo e favorirlo. Et a V.S. lll. wa fo reverenza. 10 Roma, 19 di Marzo 1633. Di V. S. Ill. ma S. Onofrio W, Barberino (8) , Borgia Gessi (B) , Ginnetti W, S. Sisto W, Yerospi ( *>. Ohl. mo Ser. r# S. r Bali Gioii. Erano. 0 Ricoolìni. 2450 . GERÌ B0CCIIINER1 a [GALILEO in Roma!, l’isa, 2G marzo 1033. Bibl. Noe. Plr. Mss. Gal., P, I, T. X, car. 134. — Autografa. / Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Io veramente vorrei elio con V. S. si fusse cominciato a rompere il silenzio, perchè se bone ne i primi giorni che li Cardinali vengono a Roma si chiude loro la bocca, si apre nondimeno loro poco appresso. Ma alla fino ci consoliamo con la buona salute che V. S. gode. Ilieri comparsero lo Ietterò di costà, et havondo S. A. inteso il desiderio et bisogno di V. S. di nuove lettere di favore por quelli altri SS. 1 ' 1 sotte Cardinali, subito molto benignamente le ha ordinate ; et così tutta mattina ho lavorato in distenderlo, et sono in forma di raccomandar la spo- ditiono etc., come V.S. mi ha accennato <9) : ot vedrò di mandarlo anche aperto, per instruttione di chi doverli presentarle ot accompagnarle. V. S. comandi so io altro occorra. Non mi sono nuovi li favori et le cortesie eccessivo ch’ella riceve in casa del S. r Ambasciatore, perchè alla benignità, di S. E. et della S. ra Ambasciatrice non si può arrivare; ot io no so parlare per esperienza. “> Cfr. nn.< 2416, 2421. * 5 ' Antonio Barberini. < 3 ' Francesco Barberini. •*) Gaspare Borgia. < 5 ' Bbrlinqbro Gessi. • c > Marzio Gì netti. < 7 > Laudivio Zaoqiiu. < 8 > Fabrizio Vkrospi. ,9 > Cfr. mi. 1 2446, 2440 Lo minuto dolio lettore ai Retto Cardinali sono stato da noi iiiuLiltnuiilo li- corcato. 26 MARZO 1633. 75 [ 2450 - 2451 ] Mando di mano in mano a Firenze allo Monachine lo lettore di V. S. et poi al S.' Vincenzo, ancorché io creda ch’ella scriva anche a loro ; et lo baciamo io mani Alessandro et io, pregandola di darci qualche nuova del S. r Cav. ro Bnona- mici, baciandoli le mani in nomo nostro, con dirgli elio in questa frettolosa spe- ditione non habbiamo tempo di scrivergli nò di domandargli conio sta, perché °.o tutto il tempo di questa mattina l’ho speso in servirò V. S. Di Pisa, 26 Marzo 1633. Di V. 8. molto HI.** et Ecc." ,: * Oblig.»>° Parente et Sor. 1 ' 0 Dori Bocchineri. 2451. NICCOLÒ CINI a GALILEO in Roma. Firenze, 26 marzo 16:13. Bibl. Nnz. Fir. Mss. (lai., P. I, T. X, car. 132. — Autografa. Molto 111. S. r o P.ron mio Oss. mo Dalla lettera ch’io scrissi a V. S. la settimana passata, ella liavrà veduto per qual causa io facessi la diligenza che feci col Maestro della Posta: et ora re¬ plico (so ben lo sue lettere mi son carissime) ch’io non intendo elio ella s’affa¬ tichi a scrivermi, poi cho quello che olla scrivo al S. r Mario U) o simili, è comune a tutti noi altri più stretti suoi amici e servitori. Di quello che seguirà costì, 10 spero beno insieme con tutta la città di Firenze; non di meno si nuota sott’acqua. Li so ben dire, e lo dico sinceramente e per sua consolazione, che qua si parla di lei con tanto affetto da tutti, che ella medesima non potrebbe de¬ io siderar più; e iinahncnto la sua virtù o ’1 suo merito ha superato l’invidia, quanto 11 suo libro supera di vera dottrina ogn’altro libro. Qui in ogni congresso si parla di V. S. Mons. r Piccolomini, Arcivescovo di Siena, che venne di Siena allo Rose 12 ’ per abboccarsi col S. r Pandoltini (3) , segretario di 11. AA., residente a Milano, parlò di lei martedì passato con ammirazione e compassione insieme. Mons. r Venturi 141 mi referisco quello che fa il S. r Card. 1 Capponi col S. r Peri e S. r Mario (5) . Io sento quello cho si dice nella fioritissima conversazione de’ SS. ri Riccardi o del S. 1 ' Orazio Rucellai, in casa dol quale, per ossei- egli convalescente, va tutta la nobiltà. E finalmente non ci è nessuno che non desiderasse col sangue medesimo di liberarla da cotoste angustie e di vederla esaltata secondo il suo merito. Ogn’uno so si rallegra cho ’l S. r Card. 1 Scaglia legga il suo libro, o (quel che importa) con O) Mario Gcimiccr. <*) Cfr. n.° 197G, lin. 5; n.« 2462, liu. 12. < a > Doaif.nico Pandoi-pini. ( *t Fiianoksoo Vrnturi. < 5 > Cfr. 11 U.‘ 2-131, 2147. 76 26 MARZO 1633. [2451-2452] l’assistenza del Padre D. Benedetto; o si desidera in estremo (pensando elio gli possa molto giovare) che S. Emin.“ legga la lettera elio V. 8. scrisse già a Ma¬ dama Sor. ma(1> : ma a questo già ci havrà pensato il Padre I). Benedetto mede¬ simo. In effetto ogn’uno esclama: Lcggliasi il libro, leggasi il libro, e conside¬ risi: chè nel resto si ha per sicuro elio ella no riporterà la dovuta vittoria. Empierci il foglio s’io volessi nominar tutti quelli elio m’hanno commesso ch’io li baci le mani in nome loro; ma voglio elio olla se lo imagini, e solo nominerò Mons. l ‘ Venturi o ’l S. 1 ' Cav. r Orazio Rucollai e 8. r Vincenzo Capponi, clic me P hanno comandato espressamente. Ma la verità ò che ogn’uno la saluta o gl’augura felicità; di cho non è piccolo o debole esordio il godere della soave so conversazione di cotosti Ecc. mi SS. ri Ambasciatore o Ambasciatrice, n i quali de¬ sidero cho mi ricordi obbligatissimo, devotissimo o vero servitore, si conio io sono a V. S. : alla quale por fine bacio le mani. Di Dir. 0 , 20 Marzo 1633. Di V. S. molto 111. I)ev. mo Ser. r '* Niccolò Cini. Fuori: Al molto Ill. ro S. r o P.ron mio Oss. n, ° Il 8ig. r Galileo Galilei. Roma. 2452 *. ANDREA GIOIA a GALILEO [in Roma]. Pisa, ‘2G marzo 1G33. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 131. — Di mano di Curi Bocciunkri, con sottoscrizione autografa. Molto lll. ro et Ecc. mo S. 1 ' mio Oss. mo Parrebbe che fusse tempo elio con V. S. si rompesse il silenzio. Il Sor." 10 Pa¬ drone la compatisce della sospensione d’animo in cho tuttavia olla si ritrova; nò vi è stato bisogno di mio parole por disporlo a scrivoro per lei agli altri sotto S. n Cardinali del S.‘° Offizio elio restavano, perché da sò medesimo ordinò tali lettere, subito die dallo lettere del S. r Ambasciatolo^’ et di V. S. (3! no inteso la ri¬ chiesta et il bisogno. Desidera S. A. che, sì conio sono efficaci, riesebino di frutto, et io ne prego Iddio ; et lo bacio le mani, confermandomelo por servirla sempre Di Pisa, 26 Marzo 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,,m Sor.™ All."' 0 io S. r Galilei. And. Gioii. "» i ir. Voi. V, pag. 309-318. (*' Cfr. n.» 2419. < 3 > Cfr. n.» 2116. [2458-2454] 2G MARZO 1633. 77 2453*. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. Arcetri, 26 marzo 1633. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 174. — Autografa. Molto 111. 10 et Araatiss. mo Rig. r Padre, Y. S. La voluto clic questi giorni santi io resti mortificata, privandomi di suo lettore; il che quanto io Labbia sentito, non posso esprimerlo. Non voglio già io lasciar, so bene con molta strettezza di tempo, di salutarla con questi due versi, augurandoli felicissima questa Santissima Pasqua, colma di consolazioni spirituali o di buona salute e felicità temporale, cbò tanto mi prometto e spero dalla liberalissima mano del Signor Iddio. Qua di presente, la Dio grazia, siamo tutte sane, ma non già il nostro Gio- soppo, il quale, fatto le Feste, bisognerà elio vadia a lo spedale, per curarsi della io febbre e della milza elio è assai gonfia; et io vo procurando, col mezzo della nostra Madre badessa, ebe egli sia ricevuto in Bonifazio, ovo starà meglio clic in nessun altro luogo. La Piera sta bene o la saluta, sì come fo io di tutto cuore insieme con le solito, e gb ricordo die è in debito meco della risposta di 3 lettere. Di S. Matteo Arcetri, il Sabbato S. t0 del 1633. Di V. S. molto 111. Fig. la Afì> a Suor M. a Celeste. 2454*. MARIO GUIDUCOl a GALILEO in Roma. Firenze, 26 marzo 1633. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 148. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Ilo discorso a lungo col S. r Andrea Arriglietti e col S. 1 ' Tommaso Itinuccini, già che col S. r Dino (1) non ho potuto trovarmi per essere egli a Montili, del desiderio di V. S. Kcc.'" a , elio quel Signore <2> scrivesse costà ad alcuno do’suoi colleglli il suo senso circa al libro di V. S. ; c tutti convengono ineco clic non sia opportuno, nè anche miscibile, questo disegno, perchè non essendo egli in confidenza appresso a’ Padroni di costà, oltreché non arrecherebbe giovamento alla causa, andrebbe molto ritenuto a mettere in carta, sì come ancora va con riguardo a dichiararsi con quelli che non siano parziali, come siamo noi: e non O) Dino Peri. <*> Cimi, Luioi Capponi. 78 2G MARZO — 2 APRILE 1033. [2454-24551 so so avesso anche per beilo elio di qua bisso stato scritto da noi altri a V. S. io quanto abbiamo scritto, por il dubbio che le lotterò non andassero in altre mani; sì elio non mi sono assicurato a ringraziarlo da parto di V. 8., so bone ho detto cho olla, sapendo il suo alletto, no lo resterii obbligatissimo. Ma quello elio egli non farà por lotterà, lo farà sicuramente in voce il S. r Francesco Norli, il quale ò suo confidentissimo, quando verrà a Roma, come disegna di faro fra poco, so però i passi non sono ristretti in modo, cho s’abbia a faro lunghe quarantino. Il S. r Dino non è il caso a faro quest’ ufizio, per essere in casa sua servitore attualo, o tornerebbe di disgustare il padrone. Si andrà scoprendo un poco più indirettamente circa di questo la sua volontà; ot il S. r Tommaso Iiiniiceini s’ò offerto un giorno di questo Festo, con occasiono di darli le mone Feste, di damo 20 qualche motto, e vedere quello cho si può speraro; e trovando buon taglio, si proc- curerà, senza che V. S. abbia a scrivere da por sò, a fare il favoro bramato da lei. Mi rallegro cho questo indugio le dia sempre maggioro speranza di buon esito al suo nogozio, ancorché l’indugio tenga tuttavia sospesi o in travaglio, sto per dire, noi altri quanto lei propria. Confido non dimeno tanto nella giustizia della sua causa, cho spero cho questo travaglio abbia da venire ricompensato da maggioro accrescimento della sua gloria o riputazione noi conspotto del mondo, o che tanto più sia por venire autenticata la verità. Ricapitai la lettera por la sua figliuola, o non mi ha oggi mandato la risposta, conio ha latto dua volte. Il P. Fra Diacinto Stefani bacia lo mani a V. S.. o insieme 30 col P. Arrighi la tiene raccomandata continuamente no’ sacrifizi al Signoro Dio; ot io per fine a V. S. facendo reverenza, come ancora al P. Abate Don Benedetto, lo progo dal Signore felicissima la S. u Pasqua con ogni più bramata felicità. Fironze, il Sabato S. t0 1G33. Di V. S. molto ni.™ et Ecc. llia Sor.” Obb. mo e AfT. m0 Mario Guiducei. Fuori: Al molto HI.** et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Osa." 10 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Roma. 2455. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Roma. Firenze, 2 aprile 1633. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 136. — Autografa. Molto Ill. rB et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Ho v °duto con singoiar gusto mio o dogli amici, a’ quali ho participato la lettera di V. S. Ecc. ma , la continuazione, anzi acquisto maggiore, di buono epe- [2455-2456] 2 — 5 APRILE 1633. ; 79 ranze per il l’elice esito do’ suoi negozi; il qual gusto viene ancora raddoppiato dall’intendere che conferisca alla sanità di Y. S., la quale il Signore Dio lo man¬ tenga o conceda con lunga vita, acciò ella possa godere della gloria elio lo arre¬ cherà Tesser passata per ignem et aquam, combattuta da tanti o sì potenti avver¬ sari, e uscitane felicemente : onde, se, come spera, darà in luco il trattato del moto, sarà ricevuto con maggiore applauso, e minor contraddizione della parto avversa, lo Abbiamo avuto tempi tonto cattivi o piovosi da più giorni in qua, che non sono stato ancora a dar le buono Feste e visitare, come ero solito ogni setti¬ mana, TEm." 10 S. r C. C. a 11 primo dì di buon tempo vogliamo andarvi Mons. r Ven¬ turi i2) , il S. r Canonico Cini (8) e io; o perché S. E. non ha mai veduto telescopii buoni, e non ha mai guardato con tale strumento coso celesti, il S. 1 ' Canonico porterà seco il suo, donatoli da loi. La lettera di Y. S. l’ebbi stamani al tardi, o dopo averla letta a più amici la diodi al S. r Andrea Arrighetti, acciò la mandasse alla R. da Suora Maria Co¬ leste, dalla quale mi è stata poco fa mandata la alligata per V. S. Mi dispicco cho il P. Abate Don Benedetto in queste urgenzo abbia da lasciare V. S. ; puro 20 il negozio debbo ossero tanto bene incamminato, massimamente con quelTEmi- nentissimo cho ella accenna (4) , che non può fare un repentino naufragio. Piaccia al Signore Dio che la sincerità di V. S. sia conosciuta anello appresso degli altri Signori della Congregazione, e di concedere ad ossi grazia o lume talo ili deliberare quello cho ridondi a maggior onore di S. 1 * Chiesa o della verità. Con cho, facendo a Y. S. reverenza, le prego dal Signore perfetta sanità o ogni bene. Firenze, 2 di Aprile 1633. Di V. S. inulto lll. ro et Ecc. mtt Ser. ro Aff. ,n0 e Obb. rao Mario Guiducci. Fuori: Al molto Hl. r0 et Eec. ,n0 S. 1 ' o P.ron mio Oss." 10 30 11 S. r Galileo Galilei. Roma. 2456. GIOVANNI CIAMPOLI a GALILEO in Roma. Montalto, 5 aprile 1033. Dlbl. Naz. Fir. Mss. Cui., P. I, T. X, car. 138-139. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Ricevo la lettera di Y. S., o da ossa ricevo consolatione singolare. Mi ral¬ legro cho il suo famoso valore sia in cotesta Corte honorato di visite, e spero Card. Luigi Capponi. <*' Fuancesoo Vkntuhi. in Niccoi.ò Cini. 0> Cfr. ini.' 2447, 2151. 80 5 — 9 APRILE 1033. [2466-2457] anco ch’ella sia por conoscere infinita benignità, no i superiori, lo qua la passo con sanità o quieto. Un de’ maggior martelli eho mi dia Roma lontana, ò l’havervi prosente il S. r Galileo. Chi parla con V. S. scopro sempre nuove luci nel ciolo della sapienti a, o non ha bisogno di dosidoraro il vero Apollo do gl’intelletti. Qua io posso sfogarmi con gli studii, o procuro elio questo eremo di .solitudine mi riesca un Parnaso di virtù. È vero elio molto tempo mi vien tolto dallo curo dol governo, lo quali effettivamente non sono altro cho materie di forche e di io galea. Oh quanto sono diversi dal mio gonio questi pensieri ! L’assicuro cho io reputo gran miseria l’havor sopra gl’liuomini ius viiae et necis: però io non di mono, in paesi di confini o pieni di latrocinii, ambisco nomo di rigoroso. Così devo faro per servitio di Dio o della quieto pubblica. Ma cho? mi ricordo anco cho Apollo, deponendo la cetra, prese l’arco per sterminare i mostri, o quel grand’Alci de, che resse il cielo con Atlante, non si vergognò, por tranquillaro la Libia, di can¬ giare il proprio corpo in forche, lo proprie mani in piedi di boia, e da sé stesso strangolare in aria Anteo. Ilora veda V. S. cho gloria ha buscato dalla mia penna un carnefice, che volle esser pagato uno scudo por miglio di viaggio. Ma passando a più lieta materia, non comporto giù elio stiano esuli da Mon- 20 talto nè la poesia nè la filosofia. L’ima 0 l’altra aspetta con impatientia amo¬ rosa il S. r Galileo, acciò, tra gl’altri privilegi cho rendono famoso quosto monto, ci sia ancora l’essere stato albergo di sì celebre virtuoso. Mons. r Itinuccino 11 ' mi scrisse che godeva della speranza datali della venuta di V. 8., 0 la sta aspet¬ tando per honorarla con ogni soprabbondanto amorevolezza. Si prepari dunque alla venuta, chè le vogliamo far tanto carezze, che al sicuro la vogliamo far ria- giovenire. E qui cordialissimamente la rovorisco, 0 supplico a ricordar la mia servitù obbligatissima agl’Ecc." 1 ' S. ri Ambasciatore et Ambasciatrice. Di Montalto, il dì 5 di Aprile 1633. Di V. S. molto III.™ et Ece." ,:i Aff>° Sor.™ 30 Sig. r Galil. 0 Galilei. Roma. Gio. Ciampoli. 2457 . GERÌ BOCCHINERI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 9 aprilu 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. HO. — Autografa. Molto Ul. r0 et Ecc. mo S. r mio Oss.«"° Noi tornammo a Fiorenza, come V. S. haverà saputo, con buona salute di tutti, per grazia d’iddio; et mi rallegro con lei di quella con elio starnili lo suo figliuole monache: et Suor M.' 1 Celeste mi ha inviata l’inclusa per lei. < 1 ' Gio. Battista Risuocisi, 9 APRILE 1633. 81 [2457-2458] A Pisa ricovotti la lettera di V. S. de’ 2, et con grandissimo contento inten¬ demmo Alessandro ot io la speranza ch’ella va pigliando sompre maggiore del¬ l’esito dello sue cose. Con impazienza hora aspetto di intendere quollo elio Laverà operato la scrittura clic il S. 1 ' Ambasciatore haverà lasciata in mano del S. r Card. 10 Barberino (,) , con l’accompagnatura poi dello favorite lotterò che V. S. liaveva ricc¬ io vuto del Sor. 1 ” 0 Padrone, il quale ha gradito il reverentissimo ringraziamento cho V. S. no ha fatto; ot il S. r Bali Gioii ancora la ringrazia di quollo ch’eli’ha fatto a lui. La sudetta sua lettera io la invio questa sera al S. r Vincenzo nostro per sua consolatione, et lo bacio di cuore lo mani, a nome anche degli altri di casa; et dica a Marsilio che il buon servizio ch’egli rende a V. S. ci obliga ad aiutar la sua casa: che però io sono dietro a vedere se mi potrà riuscire di fare bavere una cappella a Filippo suo fratello, perché di 3 voci già io ne ho una, et mi affatico per le altre. Di Fiorenza, 9 Aprile 1633. 20 Di V. S. molto 111.” Oblig. mo Parente et Sor.™ Ceri [Bocchinejri. 2458 **. NICCOLÒ CINI a GALILEO in Roma. Firenze, 9 aprile 3683. Bibl. N"az. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 144. — Autografa. Molto 111.™ sjg.r o p.ron mio Oss. mo Io vorrei, insieme con tutti gli amici, poter dar consolazione a V. S. egualo a quella cho ella dà con le suo lettore, dando speranza di esser qua presto da noi ; a’ quali ogn’ora par mill’anni per rivederla in quella quiete d’animo cho ella possa dar perfeziono a mille belle cose, ch’ai mondo tutto saranno d’insegna¬ mento et a lei di gloria. Stetti un di questi giorni, con Mons. r Venturi e S. r Mario Guiducci, dal S. r Card. 1 Capponi (> ’, che l’ama e stima infinitamente, o ’1 S. r Mario lo no darà segno con certo avvertimento che li scriverà 13 ’. Io non ho cho sogghignarle, se io non che tutta la città (senza adulazione) desidera il suo ritorno, ot io tanto più degl’altri quanto son maggiori gl’oblighi che li tengo, e questo però con pace di cotesti Ecc. mi Signori, i quali mi scuseranno se l’amor proprio mi fa preva¬ ricar a desiderare cosa che sarà con scapito loro, poi che resteranno privi della <«» Cfr. n.« 2466. Gir. n.o 2455, lin. 13. XV. 11 82 9 APRILE 1633. 12468-2469] sua dotta, graziosa o soavissima conversazione. La prego però a tener viva col’ Ecc. 10 loro la mia devota servitù, o por lino a Y. 8. bacio affettuosamente le mani. Fir.°, 9 di Aprile 1633. Di V. S. molto 111. I)ev. m0 Ser. M Niccolò Cini. Fuori: Al molto III. S. r mio P.ron Oss. ino iso Il big. 1 ' Galileo Galilei. Roma. 2459*. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. Arcetri, 0 aprilo 1G33. Blbl. Nftx. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 173. — Autografa. Molto 111.” ot Amatiss. mo Sig. r Padre, Sabato passato veddi la lettera die V. S. scrisse al S.r Andrea Arrighetti, e particolarmente mi detto gran contento quel sentire, elio ella non solo si vada conservando in sanità, ma elio più presto va guadagnando qualcosa con l’aiuto della quiete dell’animo che gode, mentre elio spera placida e presta spedizione del suo negozio. Del tutto sia sempre lodato Dio benedetto, dal quoto principal¬ mente derivano questo grazie. Debbi anco molto caro di intender che V. S. presentò la mia lettera, all’Kcc. nn Sig. ril Ambasciatrice, dal che fo conseguenza non esser stato sconvenevole, conio temevo, il domandarle quella grazia, la quale con il suo favore spero di otte- io nere, promettendomi la sua incomparabil cortesia ogni possibile diligenza per impetrarla. Desidero che V. S. supplisca por me con far seco i dovuti com¬ plimenti : et oltre a questo da V. S. dosidero nuovo grazio, non por ino sola, ma per S. r Ai'cangiola, la quale, per grazia di Dio, oggi a 3 settimane, elio sarà L’ultimo del presente, devo lasciar l’ofìizio di Provveditora, nel quale fino a qui ha speso cento sciali e da vantaggio ; ot essendo in obligo di lasciarne 25 in conservo alle nuove Provveditore, nè havendo assegnamento di nessuno, io vorrei, con licenza di V. S., accomodamela di quelli che tengo di suo, tanto elio questa nave si conduca in porto, chè veramente sonza l’aiuto di V. S. non arrivava nò meno alla metà del viaggio. Ma non occorro ch’io mi affatichi in esagerar questo, 20 quando sarà dichiarato il tutto con dire che tutto il bene elio haviamo, oliò no Laviamo tanto, o quello che possiamo sperare e desiderare, l’Laviamo e spo- 9 APRILI 1 ] 1633. 83 [ 2459 - 2460 ] riamo da loi, dalla sua pili che ordinaria amorevolezza e carità,, con la quale, oltre all’havor compitamente sodisfatto all’obligo di allogarne, continuamente ne sovvione tanto benignamente in tutti i nostri bisogni. Ma V. S. vode elio la remu¬ nerazione gliene dà per noi Dio benedetto, al quale piaccia pure, con la sua con¬ servazione o prosperità, di mantener lei c noi lungo tempo felici. il dolore occossivo che sento in un dente m’impedisce il poter più lunga¬ mente scrivere, sì elio non gli darò altra nuova se non elio Giosoppo va miglio¬ so rando o che noi tutte stiamo bene, insieme con la Piera, o tutte la salutiamo affettuosamente. Di S. Matteo in Àrcotri, li 9 di Aprile 1G33. Di V. !S. molto 111. Pig.iji AlT. ,1ia Suor M. a Celeste. 2460. MARIO GUJDUUOl a GALILEO in Roma. Firenze, 9 aprile 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 142. — Autografa. Molto Ill. r ° et Ecc. ,no S. r e P.ron mio Oss. mo Col solito contento lio veduto por la sua gratissima la continuazione delle buono speranze di felice esito de* suoi negozi, che al Signore Dio piaccia sia anche presto. Qui si ò sparso voce, o esco ancora da i medesimi partigiani del Cav. re Chiaramonti Ul , elio il dotto matematico ò chiamato a Roma, o si discorre per metterlo a fronte con V. S. Ecc. ma Circa il qual particolare ragionandone l’altro giorno con l’Eminentiss. 0 S. r Card. 10 C. <£) , mi disse che in tal caso sarebbe di parere, che quando il detto Cavaliere avesse proposto i suoi dubbi avanti a* Si¬ gnori della Congregazione, V. S. domandasse prima so essi vogliono che ella dia io la risposta che le pare aggiustata a solvere tali argomenti, o no; o so dicono di sì, come per necessità paro che dovano diro, allora risolvergli con la sua so¬ lita chiarezza: o questo dico S. E. elio può far colpo negli animi di quo’ Signori, sì por mostrar la modestia, sì ancora perchè, impetrata la licenzia, potrà con più franchezza ribattere i soflismi e le fallacie dell’avversario. Quanto allo scrivere a S. E., mi pare che ora V. S. lo debba fare, con rin¬ graziarla dell’onore fattolo in leggero il libro o dargli tanta lode quanta io le ho significato con mie lettere ; e può sogghignare : Piacesse a Dio che gli altri Em. rai suoi colleghi lusserò stati del medesimo sentimento che S. E., cioè di leg- <*) SciUONK Chiarjuiunti. <*> Cfr. u.° 2458. Un. 7-9. 84 9 aprile 1633. (. 2460 - 2461 ] gore prima il libro che forniamo concetto sinistro. Può faro scusa di non ayero scritto prima, perchè non ci essendo stato in Firenze un segretario di S. A. suo 20 parente (1) , non li pareva di potere scrivoro con quel sicuro ricapito che arebbe desiderato scrivendo a S. E., cbè tanto lo ho detto per scusa elio ella non abbia scritto sino a ora. La lettera di V. S., insieme con quella per Suor M. n Celeste, l’ho avuto oggi al tardi, sì che non gliel’ho potuta mandare quostascra; ma domattina a buon’ora l’avrà. Dalla quale Suor M. a Celeste l’altro giorno ebbi un rogalo di conservo di cedro 0 altro galanterie, ondo prego Y. S. ad aiutarmi a ringraziamola, sì come io no ringrazio anche V. S., per essere venuta da persona tanto a lei congiunta. Non mi paro di avere che soggiugnerlo davantaggio ; però facendolo reverenza, lo prego dal Signore Dio boto fino de’ suoi travagli, con ogni maggior felicità. 80 Firenze, 9 di Aprile 1633. Di V. S. molto Ill. ro ot Ecc. ,no A vvorta di mandarmi la lotterà por il S. r Cardi¬ nale per mezzo del S. r Bocchineri, che è in Firenze. Sor.™ Afl>° e ()bl>. ino Mario Uuiducei. Fuori: Al molto Ill. r ® et Ecc. mo S. r 0 P.ron mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2461. FRANCESCO NIOCOL1NI ad ANDREA CIOLI fin Firenze], Roma, 9 aprile 1633. Blbl. Naz. Flr. Mar. Gai., P. I, T. II, car. 151-152.— Autografa la sottoscrizione. 111."* 0 Sig. r mio Oss. mo Perchè il Sig. r Card. 1 Barberinisi dichiarò col mio secretano mercoledì passato di desiderare ch’io mi lasciassi rivedere da S. Em.“, mi vi trasferii giovedì dopo desinare per ricevere i suoi comandamenti. Mi significò, haverli ordinato S. S. u o la Congrega- tione del S. t0 Offitio di farmi sapere, che a fino di spedir il S. or Galileo non potevano non lo chiamare a rappresentarsi al S. t0 Ofitio; o perchè S. Em.** non sapeva se così in due bore lo potessero spedire, potend’essere che fosso occorso di ritenerlo quivi per co¬ modo della medesima causa, che in riguardo della casa dove lmbitava e della persona mia, come ministro di S. A. S., come ancora del buon termine che l’Alt.* S. teneva con questa S. lR Sede, particolarmente nelle materie della Santa Inquisitione, per corrispondere in 10 tìXBl lioocu inerì. < s > Fkakcksoo IUkbkuini. 9—10 APRILE 1633. 85 [‘ 2461 - 2462 ] parte al merito dell’Alt.8., liavevan volato ch’io lo sapessi, per non mancar di quella corrispondenza ch’ora dovuta verso un Preneipe tanto zelante nello cose della religione. Io resi molto gratin a S. Em. ,n della stima che S. R.° c la Sacra Congregationo mostra¬ vano di fare di cotesta Ser."' a Casa, come ancora di me suo ministro, e ch’io non potevo non rappresentare la poca sanità di questo buon vecchio, che per duo notte continuo liavcva qui gridato e rammaricatosi continuamente de’suoi dolori artetici, la sua età grave o ’l travaglio cho ne sentirebbe; e che in considcrationc di queste cose mi pareva di poter supplicar Sua I3. n0 a far reffessione bo li fosse parso di darlo comodità di tornar ogni sera in questa casa a dormire, et che, a fino di non sapersi i suoi constituti, imporli un 20 silentio sotto pena di censuro. Al S. r Cardinale non parve di potersi sperare alcuna faci¬ lità in questo proposito, benché in processo del discorso io la supplicassi di farvi qualche rcllossione; et in contracambio m’offerse tutte lo comodità desiderabili, c elio vi sarebbe tenuto non come prigione nò in Beerete, come ò solito con gl’altri, ma provisto di stanze buono, et fors’ancho lasciate aperto. E questa mattina havendone anche parlato a S. B. no , doppo i dovuti rendimenti di gratie della participatione anticipata di che ha voluto favo¬ rirmi, s’ò doluta la S.'* S. che sia entrato in questa materia, la quale da lei ò stimata gravissima tuttavia o di consequenza grande per la religione. Egli nondimeno pretendo di difonder molto beno lo suo opinioni; ma io l’ho esortato, a fino di finirla più presto, di non si curaro di sostenerlo, e di sottomettersi a quel che vegga che possili desiderare ch’egli 30 creda o tenga in quel particolare della mobilità della terra. Egli se n’è estremamente afflitto; e quanto a me l’ho visto da Ineri in qua così calato, ch’io dubito grandemente della sua vita. Si procura che possa tenervi un servitore et havervi altre comodità, nò si manca da tutti noi di consolarlo e d'aiutarlo con gl’amici c con chi interviene a queste deliberatami, perchè veramento inerita ogni beno, e tutta questa casa, clic l’ama estrema¬ mente, ne sente una pena indicibile. A’SS. rl Cardinali della Sac. Congrcgatione presenterò le lettore inviatemi (1) ; e come ho supplicato S. S. u et il S. r Cardinale della presta e favorita spedinone, così passerò anche con loro i medesimi offìtii. Et a V. S. Bl. ma bacio le mani. Di Roma, li 9 di Aprile 1633. 40 Di V. 8. Ul.“* Obi." 0 Scr. r0 S. r Bali Cidi. Frane. 0 .Niccolini. 2462. ASCANIO PICCOLOMUU a [GALILEO in Roma]. Siena, 10 aprile 1633. 13ibi. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T X, car. 116. — Autografa la sottoscrizione. Molto lll. re S. r mio Oss. ,no Dalla di V. S. del 26 di Marzo, la quale è tardata più del dovere a capi¬ tarmi, ho ricevuto un straordinario contento, di vedero che non riesco vano il “> Cfr. nn.i 2449, 2150, 2452. 86 10 — 14 APRILE 1033. [2462-2463] giuditio ch’io liavevo fatto do’ suoi travagli; o sebeno io li vorrei a quest’hora havor veduti gionti al suo fino, potriansi darò per benissimo spesi quando tor- minassoro con manifestare quella sincerità e quell’innocenza elio è noll’animo suo : e bonchò la candidezza della causa ampiamente lo prometta, piaccia non¬ dimeno a Dio che quei cavilli che non l’han potuto offendere, non allunghino la speditiono. Ciò dico poi troppo desiderio di rivederla quanto prima resa alla dolco convcrsationo di tanti suoi veri amici o servitori, a' quali non ho potuto io tacerò lo buono speranze che V. S. mi dà, con l’occasiono massimo deirossor io l’altro giorno arrivato in sino alla villa dello Rose 1 , dovo il luogo e la convcr¬ sationo del S. r Can. co Cini destò un più che mai vivo desiderio della persona di lei. Fregola adunque a continuarmi l’honoro della notitia de’ suoi successi; e se la mia servitù havossi mai luogo in niente, impieghila con qiieH’autorità elio lei può, mentre non mi rimano altro cho pregarlo da Dio felicità o contentezza. Di Siena, li IO Aprile 1633. Di V. S. molto ili. 1 ' 0 Dovot. Sor. A. A.° di Siena. 2468. GERÌ BOCOIIINERl a [GALILEO in Roma] Firenze, 14 aprile 1G33. Bibl. Nat. Pir. Mas. fini., P. I, T. X, car. 150. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Si è inteso quanto il S. r Ambasciatore ha scritto questa settimana (r del ne¬ gozio di V. S. ; et con tutto ebe in me specialmente cagioni un gran sentimento l’udire che doppo li costituti da farsele V. S. dova restare nel Tribunale, senza potere la sera tornare a casa, nondimeno mentre considero che per questa strada V. S. camina alla spoditione della causa, et che le saranno fatte lmbilità di stanzo ot torse anche di porto aperte, con tcnoro appresso (li sè un servitore, et cho lo viene promessa la speditione, mi si mitiga il dispiacere; ot non posso poro non pregare V. S. di far cuore a sè stessa, che (li tanto anche la pregano il b. r 1 omaso Rinuccini, il S. r Giovanni pur Rinuccini, il S. r Guiducci, ot princi- io palmento il S. r Bali Cioli, con quanti altri amici di Y. S. mi hanno parlato ; ot molto volte avviene cho il futuro malo si apprendo pur maggioro cho non riesce in ottetto, et mi figuro che maggioro patimento sarà stato quello della quaran¬ tena al Ponte a Contino che quello del Tribunale: et finalmente, in luogo di aborrire questa clausura, V. S. se la rappresenti corno mezzo a potersi spedire (‘) Cfr. n.° 197G, lin. 5; n.« 2460, liti. 12. <•> Cfr. n- 2461. 14 APRILE 1G33. 87 [2463-2465] eli costà, per tornare alla sua quiete di Narcetri: ot piacesse a Dio elio in quei giorni elio V. 8. starà ritirata nel Tribunale, io potessi farle compagnia et ser¬ vitù, per scacciarlo la malinconia et renderlo meno noioso quel tempo, cliè lo farei con grandissimo gusto. Ma questa consolarono Iddio ine la riserba qua; dove intanto tutti noi non resteremo di pregare Iddio per V. S., et lo farà par¬ ticolarmente F. Antonino, nostro fratello Cappuccino, per non dir nulla dello Mo¬ nachine, le quali stanno bene, come sta il S. r Vincenzo, la Sestilia ot li bam¬ bini ^ havendo io havute lettere loro Fieri. Et a V. S. bacio di cuore lo mani; o Marsilio attenda puro a servirla bene, perché spero sempre più elio mi habbia da riuscire di far qualche bone al suo fratello w . Di Fiorenza, 14 Aprilo 1(533. Di V. S. molto Ill. ru et Ecc." ,a Oblig." 10 Parente et Scr. 10 Gerì Doccliineri. 2464*. ANDREA GIOIA a FRANCESCO NICC0L1NT [iu Roma]. [Firenze,] 14 aprile 1033. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. II, car. 168. — Minuta ili mano di Q»:ru Booom.vF.ni. _Ha sentito S. A. con molto dispiacere il pericolo che corre il povero S. r Galileo della atta salute' 3 *, poi elio pur li converrà, o li sarà convenuto, di mettersi prigione.... 2465*. GABRIELE NAUDÉ a PIETRO GASSENDI in Piglio. [Roma, aprile 1G33.J Blbl. d’Inpruimbert in Carpentras. Colleotion Foirosc, Rcg. XLI, T. II, car. 73. — Copia dol tempo. _Domino, mi paro che V. S. si sia mentioato di tutt’ i suoi amici fra questo montagne di Provenza. 0 perchè non siete venuto in Italia con il buon Vescovo 1 **? Bisogna bene che ci sia stato qualche granile impedimento! Sed noli arcana Bei; et je m’en rapporto à ce qui eu est. Vous aurez, cornino jo croy, sceu par Ics siennes cornine nous nous eoimnes veuz à Venisc et à Padouo, où il m’a cliargé plus do trente fois de vous chcrcher quelque livre nouveau; ned ad impossibile nemo tcnetur, n’y en ayant anlcun en ce pais, qui soit do vostre profession, au moins pour les nouveaux. Si j’y eusse peu trouver les Dialogues de Galilei, jo vous en aurois faict achepter un, quoy que vous l’aycz desjà; mais l’ongeance Gai.ii.ko (i Carlo. Cfr. u.o 2467. Cfr. n.» 24G1, lin. 15-IG, 30-32. <‘) Ravparm.o di Bou.oqnk, Voscovo di DJgne. 88 16 APRILE 1633. [2465-2466] cn osi- faillio on ce payp, à causo de la malediction proimncfo sur icollny par la Coni- do Rome, où lo Galileo a osto cittó par les rnenócs da Péro iSchiiner et des anitre* dee Jesui- io tes, qui lo veidonfc pordro, et le feroionfc asscureinont s’il n’eetoit puissamniont protógó du Due do Florence, qui l’a recommandó à Son Ambassadeur, chez lequel il est logé il y a plus do cinquanta jerars, d’où il ©script toutosfois quo personne no luy a encoro rion dict. Au roste, jc crois vous avoir desja escript plusiours foys quo lo Siour Eoo Allntius avoifc uno sympathio estrange pour affoctionner vostro personne, de laquello luy ayant donné trez ampio Information, il vouloit fairc un long poeme gree, et. lo fora asseuré- ment, pour vostro Epicuro. Mais cependant l’occasion ostant survenuo «l’un livre (l) qu’il faict imprimer, contonant la listo de tous les authours qui ont osti- h Homo despuis troia aim, il vous y a inséró on termos tròs advantageux, cn parlimi du Pòro Scheiner ot pronant 20 son subject quo lo Tòro Scheiner ostant ii Rome, et lo Galilei y ayant oste baimi nupa- ravant, il no restoit plus quo do vous y voir quelque jour et on suitte do vous paranim- pher on termos exquis; ot specillo tous vos livrea imprimoz et à imprimer, n'oubliant l’Epicure.... 2466. GALILEO a [GERÌ BOCCHINERI in Firenze], ltonia, 1(J aprile 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. fluì., P. I, T. IV, cnr. 93. - Autografa. Molto 111. r0 Sig. r0 e Pad." 6 Ossor.™ 0 Effetto della scrittura che feci alPEm.™ 0 S.C.B.**’, erodo elio sia stato il cominciarsi a trattar del mio negozio 131 , pur sotto la consueta e strettissima segretezza; per la continuazion del quale mi è conve¬ nuto restare ritirato, ma ben con insolita larghezza o comodità, in 3 camere, che sono parte di quelle dove abita il S. Fiscale'” del S. ,0 Offi- zio, e con libera et ampia facoltà di passeggiare per spazii ampli. Di sanità sto bene, per grazia di Dio e per P esquisito governo della coi tesissima casa del S. Ambasciatore e della S. ra Ambasciatrice, invi¬ gilantissima in tutte le comodità anco per me soprabbondanti esime, io A Marsilio ho fatto sapere quanto V. S. mi scrive <5) , e ringrazia V. S. e va continuando nel servirmi con la solita soverchia amore¬ volezza, la quale non resterà irremunerata. Quanto al resto, la soli- Leoni» A llati i Ape a Urhanae, live De oìrìi (*) Cfr. n.® 2157. illiutribu» qui ab anno MDOXXX ptr (olimi MDOXXX II l»l Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, b, 31. li ovine adfueruvt ne . typia aliquid evulgarunt. liotnae, <*> Carlo Sincero. excudebat Ludovicna Grignanus, MDCXXX1U. Cfr. no.' 24Ò7, 2468. 16 APRILE 1683. 89 [2466-2467] tudine non mi dà occasiono di dargli nuove riissime, salvo die il veder lo lettere di V. S. molto mal concie mi dà indizio de i sospetti rinovati per avvisi non buoni della sanità di costì : cosa die mi dispiace assai. Essendo V. S. ritornata, riceverò por favor particolare che ella e suoi fratelli si prevaglino con assoluta padronanza della mia villa, pigliandone quelle poche comodità che se ne possono cavare. Desidero 20 che Vincenzo mi dia nuove di sè, della consorte e figliuoli e del suo stato minutamente; o V.S. per sua intelligenza gli potrà mandar questa stessa che scrivo a lei : alla quale, et insieme a i SS.* suoi fratelli, con vero affetto bacio le mani e prego felicità. Di Doma, li 16 di Aprilo 1633. Di V. S. molto 1. Àfì>° et Obi.™ Ser.™ e I J ar. t0 Galileo Galilei. 2467. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. Arcetri, 1G aprile 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T. XIII, car. 177. — Autografa. Àmatiss ." 10 Sig. r Padre, Intendo por duo lettere, die questa settimana tengo di suo, il buon progresso del suo negozio: ino no rallegro quanto ella può immaginarsi, e ne ringrazio Dio. ITicrsora qua fu un applauso et allegrezza grande, mediante la grazia im¬ petrataci dall' Ecc. ,ua S.™ Ambasciatrice, alla quale scrivo questi pochi versi, ve¬ ramente di scarso ringraziamento a tanti benefìzii elio da essa ricevo : fo quel eh’ io so, e non quel che dovrei. Scrissi al S. r Giovanni Rinuccini per conto del servizio che V.S. m’importo; o da esso tengo risposta che per adesso non bi¬ sogna trattarne, ma cito quando verrà l’occasione, me ne farà avvisata. 10 Del mal cattivo intendo esserne in Fironzo qualche poco, ma non già con¬ formo a quello cito si va dicendo e ragguagliando costà. Sento che ci sono dei carboncelli, lua che i piti muoiano di petecchie o mal di punta. Quanto al suo ritorno, ancor che grandemente io lo desideri, la consiglierei a soprastaro qualche poco, aspettando altri avvisi da gl’amici suoi, et anco a metter ad effetto il pen¬ siero che liavova quando partì di qui, di visitare la Santa Casa di Loreto. Lett. 2467. G. rigraaìamento « tanti bene/taxi — 14-15. pcn l'ero — XV. 12 90 10 APRILE 1603. [2407-2468] Vincenzio nostro c’ha scritto questa settimana, c mandatoci a donare un pozzo di prosciutto. Io haverei curiosità di sapore come egli visita sposso V. S. con lettere. Giuseppo ò tanto migliorato che è partito da lo spedalo 1 ', o per qualche giorno si trattiene in casa un suo zio in Firenze. La Fiora sta bone, o attendo a filare. Do i limoni so no son colti alcuni pochi che erano già bassi, 20 avanti elio fussero portati via da i malfattori; gl 1 altri intendo che sono molto bolli, e similmente lo favo, le quali cominciano ad allogare il frutto. Spero puro che V. S. sarà qua a corlo da sò, quando saranno in perfeziono. La saluto caramente in nomo di tutto o do i SS. ri Koudinolli et Orsi, e dal Signor Iddio gli prego ogni vero bone. Di S. Matt. 0 in Arcetri, li 16 Aprilo 1G33. Sua Fig> Aff. n,n Suor M. a Colosto. Suor Isabella nostra desidera elio V. S. gli faccia grazia di mandar por il suo servitore l’inclusa in mano propria a chi va, perchè no vorrebbe la risposta 30 quanto prima. 11 nostro S. r Governatore, con occasione di venir a dar l’acqua benedetta, mi domandò instali temente di V. S., imponendomi ch’io gii facessi suo racco¬ mandazioni. 24P>8*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Roma]. lÀrcetri, 1G aprile 1G33J. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 28S. — Autografa. Di fuori, accanto all’ indiriwo, si leggo «li umno di Galileo : Suor Alaria Oolcsto : chiede danari in presto. Amatiss." 10 Sig. r Ladro, Non bobbi tempo stamattina di poter risponder alla sua proposta, olio fu che ella haveva intenzione di volor sollevare o far servizio solamente a noi due, e non a tutto il convento, come per aventura V. S. si persuado che sarà in effetto mentre mi accomoderà di danari per l'offizio «li S. r Arcangiola 181 . Conosco voramento che V. S. non ò interamente informata dello nostro usanze o, per meglio diro, ordini poco discreti; perchè, essendo ciascuna di noi obligata a spender in questo e in tutti gl’ altri ollì/.ii, conviene a quella clic di mano in mano si perviene secondo il grado, trovar quolla somma di danari elio fa di bisogno, o se non gl’ha, suo danno: ondo molto volto avviene elio por strade io 17. Io baveri — "l Cfr. u.° 2458. <» Cfr. li." 24611, Un. 11-20. 1(3 APRILE 1(333. 91 [2468-24691 indirette et oblique (questo l’lio imparato da V. S.) si procurano simili servizii o si fanno molti imbrogli ; ot è impossibile il far altrimenti, convenendo a una povera monaca nell’oifizio di Proveditora spender cento scudi. Per Suor Arcangiola fino a qui ne ho provvisti vicino a 40, parto havuti in presto da Suor Luisa c parto della nostra entrata, della quale ci resta a riscuoter 1 (> scudi, decorsi per tutto Maggio : e Suor Oretta ne ha sposi 50. Adesso siamo in grande strettezza, o non so più dove voltarmi ; o giù che Nostro Signore la conserva in vita per nostro sollevamento, io, provalendomi o facendo capitale di questa grazia, prego Y. S. elio por l’amor di Dio ini liberi dal pensiero che mi molesta, con prestarmi 20 quella quantità di danari che può lino a Tanno prossimo futuro, chè all’bora si andrà riscotondo da quelle clic dovranno pagare lo spese, o so gli darà so- disfazione. Con che per fretta gli dico a Dio. Sua Fig> Aff. ma Suoi M. a Celeste. Fuori: Al mio Amatiss. 0 Sig. r Padre il Sig. r (ialileo Galilei. 2460 . MARIO GUIPUCC1 a GALILEO in Roma. Firenze, 1G aprilo 1033. Bibl. Naz. Slr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 1&2. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc.“° S. r o P.ron mio Oss. mo Con molto gusto sento dalla sua gratissima la speranza di presto e buono esito a’ travagli di V. S. Ecc. ma , o riconosco per mia particolar buona fortuna elio il S. r Orazio (1) mio cognato e la mia sorella 1 ** cooperino a questo bramato fino. Quanto al ritorno di V. S., se lo ò permesso di farlo, non lo procrastini pel¬ li more della pesto, eh è l’assicuro da suo servitore obbligatissimo ebo ci è po¬ chissimo male, o piacesse al Signore Dio che molt’ altre città d’Italia delle più principali non stessero peggio di noi. Speriamo con l’aiuto del Signore di tor via anche questo poco di residuo in breve tempo, io Recapitai lo lotterò per la R. da Suor Maria Celeste sua figliuola, o debbo ri¬ spondere por mezo del S. r Bocchinori. Scrissi la settimana passata del Cavaliere Chiaramonti chiamato aRoma™, ma l’Ilo por una cantafavola, nè credo che bora costi si curino di far venire di qua filosofi, per la temenza elio non arrecassero con loro altra mercanzia che (*' Orazio Cavalcanti. **' Maddalena Uuiducci no’ Cavalcanti. < 3 > Gir. il.» 2460. 92 16 APRILE 1633. 12460 - 2470 ] mattematica; e una quarantina lunga il Cliiuramonti non la pigliorebbo a faro. Mi dispiace clic il P. Abate Don Benedetto non sia per passare di qua, por gli impedimenti do’ passi che ci sono al tornare a Roma; ma questo dispiacerò verrà soprabbondantemente ecceduto dal gusto di intenderò elio (pianto prima sia a Roma per poter giovaro alla causa di V. S. Alla quale pregando dal Signore Dio lunga vita con ogni felicità, fo cordialissima reverenza. 20 Eirenze, 16 di Aprilo 1633. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sor. Pa All’. 1110 0 Obb. mo Mario Guiducei. Fuori: Al molto 111.* ot Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss."'° Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2470 *. MARIA TEI)ALDI a GALILEO in Roma. Firenze, 1 G aprilo 1G33. Bibl. Naz. S'ir. Mss. Gal.. P. I, T.XIII, car. 175-170. — Autografa Molto 111. et Ecc.™ 0 Sig. r mio Colond. 1 " 0 S. Quanto gusto o contento mi Rabbia apportato la gentilissima sua delli 2 del presente, lingua liumana non lo potrebbe csplimoro, trovando in quella coso di molta mia satisfaziono, elio è principalmente la sua sanità o bene stare, o clic la lontananza o’ gravi suoi negozzi non Rabbino sbandita la mia antielm e fodol servitù dalla buona o giovovolo gratia di V. S. E. mtt ; oliò in vero no dubitavo c temevo, come in voce dissi ultimamente (cioò domenica, elio fummo alli 10 del corrente) a Suor Maria Celeste: quale anello ossa mi diceva non bavere ricevuto risposta, che molto si meravigliava o stava cqn pensiero sempre di vari acci¬ denti; ma io la consolavo con l’ottimo nuove elio io vado giornalmente procu- io rando da terzo persone, e cosi ci andavamo rincorando l’una a l’altra, sì che por quella giornata la passai con più quiete. Il lunedì sora Suor Maria Coleste ricevette lo lettere, et il martedì mattina mi favorì mandarmi la mia. inclusa in una sua, che in vero maggior rogalo non poteva[.. ai] mandarmi, clic no rondo gratin ad ambi. Ring ratio S. I). M. anchora, montro sento li suoi negozi passino felicemente, clic tanto no ho sempre sperato, o spero ottima fine. Intendo elio un corto Gav. ro Chiaramonti, quale dovette far contro, sia chiamato anello esso a Roma: 0» Cfr. Iiu.‘ 2100, 24G9, 16 APRILE 1633. 93 [2470] bella sarebbe elio intervenissi corno a’pifferi di montagna! obi sa, cosi al resto! 20 Non si inanella ili fare continove orationi per la sanità, quiete e presto ritorno ili V. S. E., non solo tutti di casa mia, ma in particolare Suor Serafina, quali tutti la salutano corclialissimamonte. Circlia quello io li accennavo volerli diro, è che il nostro Sig. r Vincenzo (1) , sondo creditore di suo padre (c ', della somma pili di 40 d., decorsi deili d. 2 il mese clic li doveva di provisiono ottenuta già da i Consiglieri, come lei sa, e per questo effetto havondoli pili volto chiesti e fatti chiedere, il padre faceva formicolio di sorbo; finalmente il detto Vincenzo mandò a far gravare il padre per detta somma: ma il padre fu lesto, e non si lasciò gravare, e citò il figliuolo a’ Con¬ siglieri; a dove Vincenzo hebbe la sentcntia contro in questa maniera : cioè fo¬ no cioiio elio il padre non fussi più obligato a darli detti d. 2 il mese, madie li d. 40 già maturi glieli dova paguro in tempo o termine di venti mesi a ragione di d. 2 il mese o non altrimenti; o feciono una bella fistiata a Vincenzo, dicen¬ doli che andassi a lavorare: sì che dii restò brutto o molto confuso; et io dissi cho beilo li stava o prudentemente sentenziato. La Lucrotia Mariani, mia nipote, partorì un bambino la mattina della San¬ tissima Nunziata, o sta bene loi et il bambino; ola mia nuora partorì un’altra bambina : ricchezze de’ poveri huomini. Quanto a mio fratello, tribola più elio mai, e si ritrova quella povera casa in pessimo stato. La mia cognata più tempo fa barerebbe volsuto fare il piato ■io d’inopia per levarsi quel naosebaio do’ birri tutto il giorno per la casa: ma perchè ci andavano circha d. 50 di spesa, di qui è cho Cosimo più volto supplicò di farlo por povertà, o sempre tornò un Non altro, perchè mai hanno usato i Prin¬ cipi far tal gratia, mentre la dote passa il. 500, e questi anco [—] gran favori e mezzi: o pensi questa, elio fu d. 2000. Ma io ci messi la mano, supplicai, parlai e lilialmente ottenni la gratia, conforme al mio desiderio, chè non ci era chi lo potessi crederò, già che non ce ne era esemplo. Finalmente, Dio lodato, mi riuscì; et adesso si litiga con il Sig. r Giulio Mariani, quale teme di non perdere il podere cho li fu consegnato per dote : ma questa non è la monto nostra, ma sì bene di mantenerli quanto li fu promesso legittimamente. r>o E già cho V. S. E. con tanta cortesia mi offerisce il suo favore in codeste bando, io l’accetto, e prego si compiaccia farmi gratia di ottenere da S. S. ta una assolutone papale por me per al punto di mia morto: questo è il maggiore o più grato rogalo che già mai io possi ricevere da qual si voglia creatura del mondo. So elio V. S. E. potrà assolutamente ottenerla, già che continovamento S. S. tJl di¬ spensa tal grafie, che puro un’altra amicha mia de’ Bracci l’ottenne; o credo V. S. E. sappia molto bene che questa assolutone ha d’essere in incrittis {sic). Però, caro mio <0 VlNOKKZO LaNDUOCI. (*' Iìk.vkdktto LaNDUOCI. ì)4 Ili APRILE 1033. 12470-24711 Signore, facciami per carità questa supplonissima gratin, che sarà causa che io virerò quosto resto di vita con buona speranza di salute, e morendo avanti a lei sarà sicura di bavero una obligatissima procuratricc appresso S. I). M. por ogni sua maggioro felicità; o se lussi possibile ottener tal gratin ancliora per co Suor Scrnlìna mia sorella, mi sarebbe doppio favore o gratin, già che anello lei mai si quieta di faro orationo per noi. Procuri per carità che al suo ritorno io riceva questo singolarissimo regalo, per il elio si raddoppieranno in me l’oblighi in vita et anello in morte. Li SS. ri Coccliapani mia vicini o Mesa. Lorenzo mio agente fanno reverenza e salutano carissimamente V. S. E., alla quale io coti loro mo li ricordo ubli- gafcissima per sorvirla, con pregarli felicità in colmo. Fiorenza, li Ih Aprilo 1633. Di V. S. molto 111. et Ecc. raa Aflf. ,nn et Oblig.»» Sor. 00 Maria Tedaldi. 70 Fuori: Al molto 111. et Ecc. mo Sig. r mio Colend. 1 " 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p. mo Filosofo del iSer. mo di Toscana. In casa PEcc. 1 " 0 Amb. ro di Toscana. Koiua. 2471. FRANCESCO NICCOL1NI ad ANDREA CICLI [in Firenze]. Roma, 16 aprile 1638. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 155—157. — Autografa la sottoscrizione. 111. 1110 Sig. r mio Oas. mo Doppo quel che avvisai havermi significato il S. r Cardinal barbarmi a proposito del S. r Galileo, posso nggiugner a V. S. IH.' 01 ' conio egli si constiti»! martedì mattina avanti al Padre Commissario del S.‘° Offitio, il quale lo ricevette con dimostrattioni amo¬ revoli o li lece assegnar non le camere o secreto solite darai a’delinquenti, ma lo proprie del Fiscale di quel Tribunale; in modo che non solo egli Inibita fra i ministri, ma rimane aperto et libero di poter andar sin nel cortile di quella casa. Egli nondimeno credeva d’ha ver a tornare Pistesso giorno a casa verso la sera, perchè fu, subito giunto, esami¬ nato; ma il medesimo Commissario rispose al mio secretano, che glielo presentò, di non poter esequir più di quel cho le sarà ordinato doppo che bara dato parte a S. li.** della 10 sua constituttione e di quel che harà ritratto da lui doppo la presente prima esame. Si crede nondimeno che sarà spedito presto; perchè come in questa causa b’ è proceduto con modi insoliti e piacevoli, in riguardo della prontezza che S. A. dimostra negl’interessi "> Cfr. 11 .“ 2461. **> 12 aprile. 1G — 19 aprile 1633. 95 [2471-2472] della S. u Inqnisittione, clic così m’ha rappresentato S.S. U medesima, il S. r Card.’ Bar¬ berini o S. r Card. 1 Bentivogli, così anche s’ha a sperar la spedittione presta e favo¬ rita: perchè non v è esempio che si sian più fabbricati processi di persone inquisite, cho non siano state ritenute anche in Beerete, et a questo gli ha giovato l’csser servitore di S. A. o l’esser scavalcato in questa casa; come nè meno si sa che altri, ben che ve¬ scovi, prelati o titolati, non siano, subito giunti in ltoma, stati messi in Castello o nel 20 medesimo palazzo delPInquisiltione, con ogni rigore e con ogni strettezza. Anzi che le permettono che il suo servitore modeBimo lo serva o vi dorma, e, quel cho è più, che vada o torni donde li piaco, e ch’i miei medesimi servitori li portino di qui la vivanda in camera, e se ne tornino a casa mia mattina o sera. E come queste agevolezze son permesse in riguardo dell’autorità e della stima dovuta a cotesta Ser. n,a Casa, così pale¬ rebbe che so ne dovessi» render gratie particolari a S. 13. no , uscito elio sarà fuori de’pro¬ seliti fastidi; perchè intanto andrò supplendo io medesimo con la S. li S. e col S. r Card. 1 *, il quale dice il Commissario che l’aiuta o l’ha aiutato anche appresso al Papa, in mitigar l’animo di S. B. n0 in modo non ordinario. Egli nondimeno s’affligge d’esscr al S. t0 Ofiitio e le par duro; ot io non resterò d’aiutarlo per la spedittione, coni’ho fatto, doppo clic 80 egli è fuori di quosta casa, con lo lettere dell’A.S.: ma corno in quel Tribunale si tratta con buoni ini che non parlano, non rispondono, nè in voce nò per lettere, così anche più difficile è il negoziarvi o penetrar i lor sensi. Anzi che alcuni di quei Cardinali achi ho rese lo lettere Ser. mo W, si son scusati se non risponderanno, por la prohibittioue die vi è, c qualchuno anche è stato sospeso di riceverle, per dubbio di non cader in censuro; ma gli ho dato animo con l’esempio del S. r Card. 1 Barberino o degli altri che l’hanno rice¬ vute. A lui poi dev’esser stata imposta la pena di scomunica, di non parlar o revelar i constituii; porche al 'J'olomei <*>, mio Maestro di Camera, non ha voluto referir cos’aldina, senza dirli nò meno se no possa o non possa parlare. Et a V. S. lll. ma bacio lo mani. l)i Roma, 16 Aprilo 1633. 40 Di V. S. Ill. nm Ohi. 11,0 Ser. r ® S. r Bali Gioii. Frano. 0 .Niccolini. 2472 *. BALDASSARRE NARDI a [GALILEO in Roma]. Bruxelles, 19 aprile lGStt. Bibl. Naz. FIr. Mss. Givi., P. I, T. X, car. 154. — Autografa. Molto 111. Sig. r mio Oss. mo So bene cho V. S. si meraviglierà di ricovero lettere da me, già sono tanti anni nel gielo di questi paesi di Fiandra sepolto, e forse morto nella sua me¬ ni Cfr. un. 1 2445, 2449, 2150, 2452. <*> Gio. Francesco Toloiiei. li) Arivi le 1G33. 96 12472] moria; ma nò lunghezza «li tempo nò distanza di luogo ha fatto a ine nò farà già mai scordare l’anlica nostra amicitia ot il merito suo, il quale la fama ha portato ancora in quosto parti con suono così chiaro, che qui da ciascuno si celebra et ammira forse più che non si fa in Italia ot in Firenze: sì elio, da lunge rimirando con il suo occlii[a]lo cotanto virtù cho illustrano il nomo di V. B., tutti la riveriscono conio miracolo del nostro secolo, o particolarmente il Sig. r Gol- frodo Vendelino, del quale potrà giudicare da questa operetta (1) , obliandomi a io mandarlo poi il suo libro, noi quale ha trovato non solo l’anno, ma il giorno medesimo del diluvio universale, le tavolo o l’altro elio scrivo dol plenilunio, acciò si possa da tutti subito sapore in qual giorno venga ciascuno anno la Pasqua. Ma sopra tutti è di V. S. partiate il Big/Putoano, il quale ha voluto ch’io mandi a V. S. questo suo nuovo Circolo (2) , por haverne con ogni libertà il suo giuditio 18 '. del quale fa egli tanta stima, che so olla l’avvertirà di quuloho difetto, sarà pron¬ tissimo a correggerla; c so da V. S. sarà approvato, stimerà elio non gli bisogni altro scudo per difendersi dallo saotte dolio lingue, dello quali sogliono esserli brozaglio coloro tutti cho di coso nuove sono inventori, conio egli ha ili già co¬ minciato a sentirne le punture molto più piccanti di quello cho conveniva a c.en- l*o soro ecclesiastico. E perchè la modestia o virtù dol Sig/ Puteano, o la riverenza che porta a Y. S., meritano di ricevere da lei questo honoro, ho preso volontieri a carico di supplicarla die, por faro ancora gratia a me, voglia liburamentc avvi¬ sarmi di questo nuovo Circolo il suo parere, .solo por il fino sopradetto, corno ancora ne la supplicherà il Sig. r Marchese di S. Angelo (<) , et no resterò eterna¬ mente obbligato a V. S. ; la quale m’accrescerà ancora altrettanto l’obbligo, so ini favorirà di ricordarmi servitore al mio Big/ Sertini ° di coro llaldassar Nardi. Ut Godkfridt Wkndki.ini Bolgao, I. U. Poct., Loxiat, hcu de obliquiate eolie diatriba, in qua zodiaci ab aequatore declinatio, hacte nua ignorata, tandem eruitur et in catto nati munì rqferlur, quaque (ut Pliniue a»l) rerum /aree aperiunlur. Antvorpiao, apud lliero- nymuin Vonlussinm, M. I)C. XXYJ. <*' Ertimi Puteani Cireulue Urlanianiu, rive Linea àpXTJJlEp ìvrj compendio descripta, qua die rum eivìliunt principiata hieralicutn in orbe terrarnm hacte- un» detideralnm canetituitur. I.ovAilii, typis Comolii Goauestenii, CIO. IOC. XXXIII. < 3 > Cfr n » 2970 |M Fbderico Cesi: oviilontoniiinlo il Nardi igno¬ rava cho fosse morto; o torso anello non sapova cho lì ai. ii. ko si trovasso in Roma. Alessandro Skutini. <*> Andrka Salvadori. [2Ì78J 20 APRILE 1633. 97 2473. GERÌ BOOCIIINERI a GALILEO in Roma. Firenze, 20 aprilo 1033. Bibl. Nae. Fir. Mas. Gai., P. I, T. X, car. 156. — Autografa. Molto m. r « et Eco. 1110 Sig.** mio Oss." 10 Io sono rimasto tutto consolato per quello elio V. S. mi ha scritto con la sua lettera de’ 16 (i) , vedendo che, per finire il suo negozio et per liberarla di costà convenendo puro dar principio alla causa et conscguentemente faro star ritirata V. S., lo siano, con insolita larghezza et corninoci ità, state assegnate por habitatione 3 camere, con libera ot ampia facilità di passeggiare per spazii ampli, le sia stata data facilità di tenero il servitore et di godere dello squisito governo della cortesissima casa del S. r Ambasciatore et della S. m Ambasciatrice ; et quel che più mi conforta è il sentire la buona sanità con clic V. S. si trova, et la io speranza che il S. r Ambasciatore sogghigno di bavere della presta speditione. Di tutto ringrazio Dio et ini rallegro con V. S. S. E. ha scritto 141 a lungo di questo medesimo oh’eli’ha scritto a me; et io posso dirle che S. A. ne ha havuto gusto grande, et ha ordinato al medesimo S.*' Ambasciatore di ringraziare S. S. th et il S. r Card. 10 Barberino di questo liabi- lità, per esseguir poi di nuovo questo oflitio con proprio lettere dell’A. S. quando la causa sarà spedita : et ha mostrato S. A. di sapere lo gran cortesie che il S. r Ambasciatore et la S. ra Ambasciatrico fanno tuttavia più a V. S. Con la sudotta lettera di V. S. ho dato adesso una gran consolationo al S.r Can.o® Cini, perchè la possa participare ad altri amici, che tutti stanno an- 20 siosi della sua salute; et la manderò domattina al S. r Vincenzo col ritorno di Ber- tino, giunto qua hoggi per provedere una serva: ma essendo cresciuto il male in Fiorenza, non è cosa sicura levar persone di qua per mettersele in casa. Il S. r Vin¬ cenzo con la Scstilia et con i bambini stanno bene, et stanno tutti sospesi della salute di V. S. et dell’esito dolio sue cose, et le baciano le mani. La ringrazio dell’offerta della villa <3) a nomo anche de’ miei fratelli, et volen¬ tieri, se occorra, ne faremo capitale. Ma V. S. sa che noi non habbiamo tempo da godere spassi, et appena habbiamo agio da condurci dal Palazzo a casa su la Costa 141 , senza potervici trattenere nè anche un quarto d’kora doppo desinare. Et cominciamo a spaurirci tutti del progresso che fa il male ; et di persone note so morirno hieri il S. r Braccio Michelozzi et una gentildonna de’ P[itti] : di m[an]iera <«> Cfr. n.*> 2400. < 3 ' Cfr. n.« 2106. < 5 ' Cfr. n.“ 2471. < 4 ' Costa di Sun Giorgio in Firenze. XV. 13 98 20 APRILE 1G33. [24-73-2474] elio è gran ventura di chi bora si trova costà. Bacio lo mani a V. S., a nomo anello del S. 1 ' Can. co Cini et do’ mici fratelli. Di Fiorenza, 20 Aprilo 1033. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. nm Oblig. mo Parente et Sor.' 0 Cori Boeeliineri. Fuori: Al molto IH.” et Ecc. mo S. r mio Oss."' 0 D Sig. 1 ' Galileo Galilei. Roma. 2474 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. Arcetri. 20 aprilo 1633. Blbl. Na*. Fir. Mas. Gal.. P. T. T. XIII, car. 178. - Autografa. Amatiss.'" 0 Sig. r Padro, Dal Sig. r Ceri mi vien avvisato in qual termine ella si ritrovi per causa del suo negozio, cioè ritenuto nollo stanze dol S. 10 Offizio ; il elio per una parte mi dà molto disgusto, persuadendomi elio ella si ritrovi con poca quieto dell’animo o forse anco non con tutto lo comodità dol corpo; dall’altra banda, considerando 10 la necessità del venir a questi particolari por la sua spedizione, la benignità con la quale fino a qui si ò costà proceduto con la persona sua, o sopra a tutto la giustizia della causa o la sua innocenza in questo particolare, mi consolo o piglio speranza di felice o prosporo successo, con l’aiuto di Dio benedetto, al quale 11 mio cuore non cessa mai di esclamare o raccomandarla con tutto quell’affetto io e confidenza possibile. Resta solo che ella stia di buon animo, procurando di non progiudicare alla sanità con il soverchiamonto affliggersi, rivolgendo il pen¬ siero e la speranza sua in Dio, il quale, conio padro amorevolissimo, non mai abbandona chi in Lui confida et a Lui ricorre. Carissimo Sig. r padre, ho voluto scrivergli a lesso, acciò olla sappia che io sono a parte do i suoi travagli, il che a lei dovrebbe esser di qualche allegge¬ rimento : non no ho già dato indizio ad alcun’altra, volendo elio questo cose di poco gusto siano tutto mie, e quelle di contento o sodisfaziono siano comuni a tutto; che però tutto stiamo aspettando il suo ritorno, con desiderio di goder la sua conversazione con allegrezza. E chi sa che mentre adesso sto scrivendo, 20 V. S. non si ritrovi fuora d’ogni frangente o di ogni pensiero? Piaccia pur al Signore, il quale sia quello che la consoli e con il quale la lascio. Di S. Matteo in Arcetri, li 20 di Aprile 1G33. Di V. S. molto 111” Fig> Aff>» Suor M.» Celosto. 12476-2476] 20 AritiLK 1033. 99 2475 *. AN IONIO QTJ ARATESI a GALILEO in Roma. Siena, 20 aprile 1633. Bibl. Naz. Pir. Appoudico ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 45. — Autografa. Molt’Ill.® et Eco.'" 0 Sig. 1 ' mio Oss. mo Penso elio liormiii sia V. S. alla fino de’ sua negozi, e clic non volendo aspet¬ tare costà li caldi, possa ogni volta dar volta in qua. Io li ricordo il mio desi¬ derio di servirla, ot aspotto al suo passaggio il favore elio promesse alla casa mia. In Firenze hanno fatto un poco di rumore, mediante corte peteoliio clic sono andate a torno ; ma in breve si spera sarà cessato ogni sospetto. E li fo re¬ verenza. Di Siena, il dì 20 Aprile 1633. Di V. S. molto 111.® ot Ecc. ,na Sor.® Dev.»»o io Sig. r Galilei. A ut. 0 Quar. 81 Fuori: Al molt’IU.® ot Ecc. mo Sig. r Oss.° Il Sig. r Galileo Galilei, a In casa rAmb. ro di Firenze. Roma. 2476 *- ANDREA CIO LI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. Firenze, 20 aprilo 1633. Bibl. Naz. Pii*. Mss. Gal., P. I, T. Il, car. 159-160. — Minuta di mano di Gem BoccuiNRRr. Al S. r Amb. ro Niccolini. 20 Aprile 1633, in Fior.* a Habbiamo li oggi le lettere di Y. E. de ’16 0) e t 17; et essendo state sentite da S. A. in questo punto, io subito mi metto a replicare a quanto occorrerà.... Pare a S. A. che il S. r Galileo si possa contentare delli straordinarii benignissimi trat¬ tamenti che riceve nelle stanze del S. t0 Offitio, et che altro non debba desiderare die la presta liberationo; al qual tempo S. A. renderà le dovute grazie a S. B. no et al S. r Card. 10 Barberino nel modo che V. E. propone, approvando che intanto non lasci ella di farlo in nome pure della A. S. Et il medesimo S. r Galileo non scrive mai qua che non si lodi infi¬ lo ultamente degli honori, cortesie et consolationi che riceve da V. E. et dalla S. ra Amba¬ sciatrice .... t‘) Cfr. ».*» 2171. 100 22 APRILE 1033. [8477J 2477**. MARTA TEDAl,DI a GALILEO in Roma. Firenze, 22 aprile 1038. Bibl. Naz. 3?ir. Mss. Gal., P. V, T. XIII, car. ISO. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r P.rono Colend." 10 S. La gita passata scrissi a Y. S. Ecc. ,Tm , cioè sotto dì lfi rlol corrente e mandai la lettora al Sig. r Mario Guiducci; e questa procurerò sia data in mano dol Sig. r Bocchineri, conformo all’ordine che no dò, V. S. E. E perchè nell’altra min, accettando l’offerta fattami nella sua da V. S. E., la pregavo o con molta in¬ stanzia supplicavo si compiacessi favorirmi di ottenero una assoluzione papalo por all’bora della morto mia, e, so non ci fussi gravo difficoltò, o elio possibile fussi, desideravo l’istosso per Suor Serafina mia sorella; e già elio in questo mezzo tempo s’è agravato c si agrava tutta via maggiormonte il contagio in questa povera et afflitta città, per il che siamo tutta via e privi c riserrati come io già seguì mentre V. S. E. era qua et io al Cadono cliò puro questa mattina è andato il secondo bando, ripieno di molti avertimenti o privazioni, et imparti¬ colare che lo donne o’ fanciulli si devino riserrare nello loro case por tempo o tonnine di dicci giorni da incominciarsi domenica mattina all’Avo Maria di mezzo giorno, che saremo alli 24 del corrente, per seguire come sopra ; o perché paro che questo terzo anno minacci maggiori travagli o mortalità elio mai ; pertanto di nuovo ricorro all’innata benignità e gentilezza di V. S. E. a pregarla o supli- carla, por quanto mai desiderò farmi cosa grata e por mio utile o giovamento, che vogli fare ogni opra per ottenere la da me desiderata, bramata o per altra mia addomandatuli grazia di questa benedetta assoluzione papale, acciocbè, so 20 piacesse a S. D. M. trasferirmi da questa all’altra vita, io possa essere sicura (sebene indegnamente) della saluto dell’anima mia. Parrà a V. S. E. che io troppo o la solleciti e l’importimi con queste mia lettere, ma no incolpi l’urgente e gravo necessità nella quale io mi ritrovo, la quale è di gran lunga più elio in carta non lece raccontare : e questo basti, pregandola mi favoriscila rispondere con prima commodità; et ottenendola, la mandi per grazia subito inclusa in una di Suor Maria Celeste per via dol Sig. r Bocchineri, acciò venga sicurissima, chò ogni bora mi paiono mille di havere in mano la desiderata grazia. Leti. 2477. 21. trasferirmi a questa — !*» Cfr. u.» 24C8. (1 > Gallono di Castolfranco, noi Valdarno interiore. 22 — 23 APRILE 1633. 101 [2477-2-478] Per altra mia m’oro scordata dirli che il Sig. p Ceneri Galletti andrà a Maggio so Podestà di Fiesole, se ben credo ch’a quest’hora l’haverà saputo V. S. E. ; alla qualo con ogni alletto di cuore li prego felicità in colmo. Fir.°, li 22 Aprilo 1633. Di V. S. molto 111. et Ecc. n, “ Devo. nin et Oblig. ma Ser.° Ma. tt Tedd Fuori: Al molto 111. et Ecc." 10 Sig. r mio Colend. ,no Il Sig. r Galileo Galilei, p. mo Filosofo del Ser. mo di Toscana. In casa l’Ecc. mo Sig. r Amb. ro del Sor." 10 di Toscana. Roma. 2478. GALILEO a GERÌ BOCOHINERI in Firenze. Roma, 23 aprile 1638. Musoo Britannico in Londra. Egorton Mss. 48, cnr. 85. — Autografa. Molto IH." Sig. re Osser. ,no Scrivo del letto, dove mi trovo da 16 bore in qua, ritenuto da dolori eccessivi in una coscia; li quali, per la pratica clic ne ho, do ver anno in altrettanto tempo svanire. Mi sono poco fa venuti a visitare il Commissario et il Fiscale, che son quelli che mi disaminano; e mi hanno dato parola e ferma intenzione di spedirmi subito che io levi del letto, replicandomi più volte che io stia di buono animo et allegramente. Io fo più capitale di questa promessa che di quante speranze mi sono state date per il passato, le quali si è visto per' io esperienza essere state fondate più su le conietture che sopra la scienza. Che la mia innocenza e sincerità sia per essere conosciuta, io P ho sempre sperato, et bora più che inai. Scrivo con incomodo, però finisco. AlPIll. ra0 S. Balì (i) un reverentissimo baciamani: a sè stessa e suoi fratelli il simile. Desidero che le mie monache vegghino questa, e Vincenzio ancora. Doma, 23 di Aprile 1G33. Di V. S. molto I. Tar. 10 o Serv. re Obblig. mo G. G. Fuori : Al molto 111.» Sig. re et Pad. na Osser. mo 20 LI S. Geri Bocch. ri Firenze. 30. auputo — Lett. 2478. 2. mi trovo 1G hore — <*» Andkka Giuli. 102 23 APRILE 1033. [2470-2480] 2479. GERÌ BOCCI1INERI a GAI-11,100 in Roma. Firenze, 23 aprilo 1033. Bibl. Nnz. Fir. Mss. (ini., 1*. I, T. X, car. 158. — Autografa. Multo 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Risposi due giorni sono 10 a una lettera di V. S., et lo un inviai un’altra di Suor Maria Celeste, onde adesso non harei clic dirlo, fuori di mandarlo lo ag¬ giunte 1 * 1 , so non dovessi anche darlo nuova della salute di noi di casa, elio non ò poco nel male grande cho va sorpondo por la città ot elio non lascia esento la Costa 131 ; onde, per esser meno a guardarci, liabbiamo mandato a Prato Ascanio (4) : et domattina all’Avo Maria di mozzo giorno comincerà il tempo della bandita prohibitiono, cho lo donno et li ragazzi minori di 15 anni non eschino di casa per X giorni, il qual tempo si andrà prolungando vsocondo il bisogno. Si sono prohibiti li mercati tutti, et solamonto su la piazza di S. u ‘ Maria Novolla si de¬ vono ridurre coloro elio vendono li viveri, con altri ordini cho si sono parimente publicati, per vodoro di spoglierò questo malo. V. S. Rabbia por ventura di ritro- varsi bora a Roma; ot le bacio di cuoio lo mani. Di Fiorenza, 23 Aprile 1633. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ma Infilo le lettere in questa forma, acciò non siano aperto allo abbronzo ot non si perdimi spicciolato. Oblig. mo Parente et Sor.™ Gerì Bocckincri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo il ì5ig. r Galileo Galilei. Roma. 2480*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Arcetri, 23 aprile 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. XIII, cnr. 182. — Autografa. Molto 111.™ et Amatiss." 10 Sig. r Padre, Se bene V. S. nell’ultima sua lotterà non mi scrivo particolarità nessuna circa il suo negozio, forse per non mi far partecipo do i suoi travagli, io per ultra "> Cfr. il.» 2471. <*) Cfr. mi. 1 2175, 2478. Costa a San Giorgio. O) Ascanio Hocchi nkui. 23 APRILE 1G33. [2480-2481] 103 strada ho ponotrato qualcosa, sì come potrà comprender V. S. eia una mia scrittali mercoledì passato 11 . E veramente che questi giorni a dietro sono stata con l’animo molto travagliato o perplesso, lino (ilio, comparendomi la sua, resto accertata della sua salute, o con questo respiro: e non lascerò diesseguiro quanto in quella mi ordina, ringraziandola in tanto della Labilità di danari che fa a Suor Arcan- giola 12 ', por sua parto e mia ancora, già che miei sono tutti i suoi pensieri, io Qua in monastero siamo tutte sane, la Dio grazia, ma sentiamo bene gran romori di mali cattivi elio sono in Firenze, et anco fuora della città in qualche luogo. E por questo, di grazia, ancorché V. S. fossi spedita presto, non si metta in viaggio por il ritorno, con tanto manifesto pericolo della vita, tanto pili che l’infinita gentilezza di cotosti Signori suoi ospiti gli dà sicurtà di trattenersi quanto gli farà di bisogno. S. r Luisa, insieme con gl’altri nominati, gli tornano dupplicate salute, et io dal Signor Iddio gli prego abbondanza di grazio. Desidero elio faccia reverenza in mio nomo airEcc.' na mia Signora. Di S. Matteo in Arcetri, li 23 di Aprile 1G33. 20 I)i V. S. molto 111.' 0 Fig> Àff>* S. r M. tt Celeste. Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r Padre mio Oss.™ 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2481. FRANCESCO NICCOLI!» ad ANDREA C10LI [in Firenze], lioma, 23 aprile 1033. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 1G1-1G3. — Autografa la sottoscrizione. Ill. mo Sig. r mio Oss." 10 Non mancheranno faccende col Santo Offi/.io. È arrivato il S. r Mariano Alidosi ancora, il qual ni consti tu! liiori in quelle carceri, secondo mi lece saper Mone/ Baffndi, che com¬ parse in questa casa martedì con una lettera di V. S. 111."'* per me de’17 del passato .... Quanto al S. r Galilei, egli è ancora nel medesimo luogo, con le medesime agevolezze. Mi scrive giornalmente, et io le rispondo e le dico il mio senso liberamente, senza che vi si pensi punto, e vo dubitando che questa fqsta li abbia a finir sopra qual eh un altro. È stato esaminato una volta solamente, e credo che lo libereranno subito che S. S. u torni da Castel Gandolfo, che sarà per l’Ascensione. Della materia dol libro non si parla sin 10 fiora, e si preme solamente in ritrovar perchè il Padre Maestro del Sacro Palazzo n'habbia data la permissione, mentre S. S. 1 * dico di non ne haver saputo mai niente, come nè meno 1“ Cfr. n.» 2472. (** Cfr. il.® 2458. 104 23 — 2fi APRILE 1033. [2481-2483] ordinato elio la licenza si conceda. Io presi partito di raccomandarlo al S. r Card. 1 Anto¬ nio la sera antecedente alla partenza tlol I'apa; o poiché sento adesso dal S. p Galilei medesimo quel elio egli scrive al S. r Bocchineri, mi vo persuadendo che l’offizio con An¬ tonio gli habbia giovato più d’ogni altra cosa, perché egli fa da vero quando si ricorre a lui, conio quel che ha gusto d’essere stimato. Et a V.S. 111.™ bacio le mani. Di Roma, 23 d’Aprile 1633. Di V. S. 111.™ Obi * # Sor/* S. r Bali Gioii. Frane. 0 Niccoli ni. 2482 ". FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIGLI [in Firenze]. Roma, 25 aprile 1633. Bibl. Mocliooa Lauronziana in Firenze. Ms. Ashburnhaminno 1850, II, oar. 350.— Copia ili mano do! sec. XIX, elio fa parto ilolla raccolta «li lotterò galileiano mossa insiome, in copie, dall’ab. Francesco Fontani: cfr. ANTONIO Favauo, liagi/unglio dei AfrtiiaaoriMi galileiani nella eolletiane Libri — Aehburnham presso la /iiblioteca Mediceo- Laureminna (li Fifone (Hullellino di bibliografia e di itorin dille scienze matematiche c fisiche, Tomo XVII), Roma, tip. dolio scienze matematiche o Uniche, 1881, pag.861-865. A questa copia sono promosso, (lolla stossa mano, le seguenti parole : « I.a presente fu ritrovata fra lo schedo del Gnlluzzi, autoro della Storia somibugiarda del » Granducato Mediceo; chò non si trova in veruna raccolta, nò tampoco in quella che si con- » serva nella Biblioteca Palatina : quale fa molto onore a quollo che la scrisse. * Articolo di lotterà doH’Ambasciator Niccolini al Consigliar Gioii,da Komuil di 25 Aprilol033 ». E dopo la copia si logge, pur della stessa mano: « NB. Voggasi di questo storico, al capitolo IX doll'anno 1633. la patetica o libora deaeri* » alone ch’agli fa dell'ultima persocuzione del Galileo, ch’ò veramente un capo d'opera ». Dubitiamo doli’nutenticitA di quosto « artìcolo di lettera », di cui abbiamo corcato inutilmente l'originalo, sotto la data indicata, nella Filza Medicea 3353 dell'Arch. di Stato in Firenze, nella quale sono rimasto tutte quelle lotterò dell'Ambasciatoro Niccolini al Giuli dol primo semestre dol 1688, che non no furono covate, perchè riconosciute attinenti a Gai.ii.ro, por formerò, quando fu messa insieme la Collezione Palatina doi Mss. Galileiani, il T. Il dolio P. I dei Manoscritti stessi. Le cose del Signor Galileo camminano sull’ istesso piede. Attendo il ritorno di Sua Santità per eseguire guanto mi viene da V. S. commesso per ordine del Serenissimo Pa¬ drone. Io frattanto, per rendere meno dolorosa la situazione di questo buon vecchio, passo seco lui le prime ore della notte, insieme con l’Ambasciatrice, in vari e dolci colloqui , alla presenza di un Assessore del S. Uffizio; e così seguiterò di fare fino alla sua libe¬ razione, avendone per questo avuto largo permesso. 2483 **. GIO. BATTISTA GONDl ad ANDREA C10LI in Firenze. Parigi, 26 aprilo 1633. Arch. di Stato In Firenze. Filza Medicea 4644 (non cartolata). — Autografa la sottoscriziono. .... Fra tanto V. S. 111.™ sentirà qui quel che m*habbia mandato a chiedere la Sig. r " di Combalot (i) , nipote del Sig. r Cartl. 1 Duca'* 1 , e non senza qualche indizio ohe <*> Antonio di Carlo Barrrrini. Maria i>k Wiqnrrod i>k Pontoourlay, ve¬ dova di Antonio de C'oubalkt, poi Duchessa i>’Ai- quillon. ,;t ' Armando Giovanni du Plessi», Duca di Riciikmeu. 26 — 28 APRILE 1633. 105 [2483-2485] babbi» da servire ftl medesimo Sig. r Cardinale. Domanda clic io le facci venire di costà il libro nuovo, se sia finito di stampare, del Sig. r Galileo Galilei, libro aspettato qua con gran curiosità e con gran concetto, e no vorrebbe almeno due; un occhiale grande del medesimo Sig. 1 ' Galilei, e de’migliori, et un piccolo di simile qualità; o la ricetta del nutrire i capponi di cibo viperino.... Io addirizzo a V. S. Ill. ma la domanda di questa Signora, sì porche in Corte potrà trovare autorità a suo favore sopra il Sig. r Galilei, e la ricetta parimente del detto cibo viperino, come per lar anco nota, come devo, la cosa di 10 questa domanda .... 2484 *. ANDREA GIOÌ il a FRANCESCO NI0C0LIN1 [in Roraa], Fireuze, 27-28 aprile 1638. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. JI, cnr. 1(55. — Minuta «li mano di Gitili Bocohinkrt. _Si è rallegrata S. A. di sentire la continuatione de*benigni trattamenti che riceve il S. r Galilei, et la speranza della sua presta spedinone.... lo cominciai a scriver questa lettera n V. E. hiersera et la finisco hoggi, che siamo alii 28. Nè altro ho da replicare alle sue de’23, 24 et 25. Et le bacio etc. 2485 . GERÌ B0C0I1TNER1 a GALILEO in Roma. Firenze, 28 aprile 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. ICO. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 S. r mio Oss. 1 »® Io mi rallegro sommamente della ben fondata speranza che V. S. ha di essere licenziata di costà, alla prima sessiono che harebbero fatto cotesti SS. ri ministri intorno al suo negozio, et il S. r Ambasciatore conferma il medesimo. Questo av¬ viso è stato sentito volentieri anche da S. A., elio ha sempre compatito grande¬ mente V. S. de’ suoi incommodi. Il S. r Bali Cioli no sente gusto grande: V istesso fanno il S. r Tommaso Rinuccini et altri amici, a’ quali l’ho posticipato. Ilo mandata hoggi la sua lettera alle Monache, le quali vivono ansioso del suo stato, et la manderò poi al S. r Vincenzo. Ringrazio però infinitamente V. S. io di tale buona nuova, non volendo entrare a condolermi delle doglie che la tra¬ vagliavano nel tempo che V. S. mi scriveva, perchè spero cho di già. saranno pas¬ sate. Nè altro ho da replicare alla sua lettera, et insieme con Alessandro ;11 lo <" Al.KaSA.VDKO Bocoiiivkiu. XV. 14 106 28 APRILE 1633. [2485-2486] bacio affettuosamente le mani, conio fa anche il 8/ Bali. Quanto al malo, noi ci trattenghiamo più tosto con miglioramento. Di Fiorenza, 28 Aprile 1633. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. mi1 Oblig. m ® Parente et Sei-. 10 Geri Boceliineri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Osa.'" 0 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei. Roma. 20 2486 *. VINCENZO MACULANO a [FRANCESCO BARBERINI in Oastelgandulfo]. Roma, ‘28 aprile 1038. Blbl. Vaticana. Cod. Barberininno lat. 0108 (già LXXIV, 14), car. 49 — Autografa. Ernin. 1 "® ot !tev. n>0 Sig. ro P.rono Col.'" 0 Hieri, conforme all’ordine di N. S., diedi parte alli SS. rl Em."’ 1 della S. Oongrega- tione della causa del Galileo, lo stato della qualo reflerii brevemente; et liavendo questi SS/ 1 approvato quello che ai ò tatto sin qui, hanno dell’altro canto considerate varie difficoltà quanto al modo di proseguire la causa et incaminarla a speditione, massimo havendo il Galileo negato nel suo constituto quello che manifestamente apparisco nel libro da lui composto, ondo dallo stare così negativo no seguirebbe la necessità di maggior rigore nella giustitia o di riguardo minore a gli rispetti che si hanno in questo negotio. Finalmente proposi io un partito, elio la S. Cougrcgatione concedesse a me la facoltà di trattare ostraiudicinhnente col Galileo, a (ine di renderlo capace doll’error suo o re- 10 durlo a termine, quando lo conosca, di confessarlo. Parve, a prima l'accia, la proposta troppo animosa, e non si concepiva molta speranza di conseguire questo intento, mentre si teneva la strada di convincerlo con ragioni; ma con haver io accennato il fondamento col quale m’avanzavo a questo, me n’hanno data facoltà. Et per non pordcr tempo, lucri dopo il pranzo ini posi a discorrere col Galileo, o dopo molti o molti argomenti o risposte passate fra noi ottenni, per gratin del Signore, l’intento mio, che gli feci toccar con mano l’error suo, sì che chiaramente conobbe di haver errato et nel suo libro di haver ecce¬ duto; il che tutto espresso con parole di molto sentimento, come che si trovasse conso- latissimo della cognitione dell’error suo, e si dispose a confessarlo giuditialmente: mi dimandò però alquanto di tempo per pensare al modo co ’1 quale egli poteva honostare 20 la confessione, che quanto alla sostanza spero seguirà nella maniera sodctta l,) . Ilo stimato obligo mio darne subito parte a V. E., non havendolo communicato a niun altro, perchè S. Santità et l’E. V. sporo resteranno sodisfatti che in questo modo si ponga <>> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, l, 82). 28 — 30 APRILE 1633. 107 12486 - 2487 ] la causa in tonnine che senza difficoltà si possi spedire. Il Tribunale sarà nella sua re¬ putatone, co ’l reo si potrà usare benignità, e in ogni modo che si spedisca, conoscerà la gratin che li sarà fatta, con tutto l’altro conseguenze di sodisfatione che in ciò si de¬ siderano. Moggi penso di ossaminarlo per bavere la detta confessione, et bevendosi, come spero, non mi restarà altro che interrogarlo sopra l’intentione e dargli le diffese; e ciò fatto, si potrà habilitare alla casa por carcero, come accennò V. E. Alla quale faccio humi- 30 lissima riverenza. Di Roma, 28 Aprile 1033. Di V. 8. Em. n,a et R y^ 2487 *. GERÌ B0CCHINEK1 a GALILEO in Roma. Firenze, 30 aprile 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 102. — Autografa. Molto IU. re et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 Io conto i giorni et l’hore da che ricevetti la lettera (li Y. 8. de’ 23, calcu- lando il tempo quando ce ne potranno essere altro, che ci possino arrecare la nuova et la consolatone dell’essere V. S. stata licenziata dal Tribunato ; et pre¬ ghiamo Iddio che non ci differisca questo contento, perchè cominciando noi a migliorare del male, con essere hoggi morto un solo nella città et XI malati stati mandati al lazzeretto, V. S. potrà anche pensare a tornare a Fiorenza, sperando noi però di bavero a guarir presto. Et le bacio di cuore le mani. Di Fiorenza, 30 Aprilo 1033. io Di Y. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Oblig. mo Parente et Scr. w Gerì Bocchineri. Fuori: Al molto Ill. r « et, Ecc. mo S. r mio Oss. mo il S. r Galileo Galilei. Roma. 108 30 Arni LE 1033. 12488-2489] 2488 . GIOVANNI CIAMBOLI a GALILEO in Roma. Montalto, 30 aprile 1033. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I. T. X, car. 101. — Autografa. Molto III/ 0 ot FiCC . ,n0 S/ o P.ron Oss. mo Non mi contento di una sola lettera di V. S. Non doveva eccitarmi l’appetito, so non pensava di consolarlo. La lontananza del nostro P. Abate 10 mi ronde desideroso dello stato di lei; però si degni darmene avviso. Di me ella potrà liavcr nuovo tanto particolari, quanto da me stesso, dal S/ Andrea Silvestri. Questo ò un gentilluiomo della parentela di Sisto V, o ne ritiene qualche vestigio in sua casa, poi cho tra esso o l’Abate suo fratello havoranno sopra cinquemila scudi d’entrata. Ila più di 30 anni habitato in Roma; borasi trattiene in Montalto. È la bontà e la cortesia stessa ; tiene ingegno spiritoso, con gusto et intelligenza di lettere; pratica in questa casa notte e giorno. Egli vorrebbe poterla servire io noi ritorno, perchè sa che ella si aspetta in Montalto. Sig/ mio, quando, quando sarà quell’bora che io possa abbracciarla conio un patirò o sentirla come un ora¬ colo? Non ne vedo l’hora. Fra tanto lo prego la meritata gloria dallo presenti traversie; o qui con tutto il cuore la rovcrisco. Di Montalto, il dì ult.° d’Aprile 1633. Di V. S. molto HI. 10 et Ecc. lua Dcv.m® Sor.™ S/ Galileo. Roma. Gio. Ciampoli. 2489 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Uoum Arcotri, 30 aprile 1033. "Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, cnr. 181. — Autografa. Àmatiss." 10 Sig. r Padro, Ho vista l’ultima lettera che V. S. scrivo al S. r fiori, il quale veramente è tutto cortese e molto sollecito in darmi nuove di lei; e so bone quando olla scrisse si ritrovava indisposta, sporo elio adesso ella stia bone, ondo sto quieta, rallegrandomi di sentire ebo il suo negozio si vadia incaminando a buon tino et a prosta spedizione. Tengo questa settimana lettere dell’Eco." 111 S/ R Ambasciatrice, <‘i Hk.vkdktto Castri,!.!. 30 APRILE — 1° MAGGIO 1633. 109 [2489-2490] la quale con la solita sua cortesia si ò compiaciuta ragguagliarmi dello stato nel quale V. S. si ritrova, perchè, come ella mi dico, non crede che io tenga lettore di V. S. da poi elio uscì di casa sua, ot olla desidera che io stia con io l’animo quieto; e questo mi è un indizio manifesto dell’amore che questi Signori portano a Y. S., il quale è tanto che è bastante a partieiparsi tanto largamente ancora a me, sì come la medesima Signora me ne dà. certissima caparra nella sua amorevolissima lettera. Io gl’ho risposto, indrizzando Inietterà a lei assolu¬ tamente, parendomi che così convenga. Del contagio ci son buone nuove, e si spera, per quanto dicono, che in breve sia por cessar del tutto, sì che ella, se piacerà, a Dio, non haverà, questo impe¬ dimento per il suo ritorno. Sono occupata intorno al muratore, che ci accomoda, o per dir meglio fa, un fornello da stillare, e per quosto scrivo brevemente. Stiamo tutte bene, eccetto 20 Suor Luisa, la quale da 3 giorni in qua travaglia con il suo stomaco, ma non tanto malamente quanto l’altre volte. Giuseppo sta ragionevolmente, o la Piera bene. Il S. r Rondinelli la saluta, o ne farà, grazia di pagar i danari per il litto al S. r Lorenzo Bini (1) . Il Padre confessore ancora se gli raccomanda, et il simile fanno tutto queste monache ot, in particolare Suor Avchangiola. Nostro Signore la conservi. Di S. Matteo, l’ultimo di Aprilo 1633. Di Y. S. molto 111. Fig. ,a Aff.'™ Suor M. a Coleste. Fuori: Al molto lll. re Sig. r Padre mio Oss. ,no il Sig. r Galileo Galilei, so Roma. 2490. FRANCESCO NICCOLINI ad [ANOREA C10LI in Fironze]. Roma, 1° maggio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. f, T. Il, car. 167. — Autografa la sottoscriziono. IU. m0 Sig. r mio Oas.° Il Sig. r Galileo mi fu rimandato hicri a casa, quando manco l’aspettavo, ancorché non sin finita la sua esame, e questo per li oflizi fatti dal P. Commissario col Sig. Card. 1 Barberino 1 ^, che da sé stesso, senza la Congregai ione, l’ha fatto liberare, perché possa rihaversi da’disagi e dallo sue indispositioni solite, che lo tenevano continuamente tra¬ vagliato. Dà anche intontioue il medesimo P. Commissario di volersi adoprare perchè que- Lott. 2489. 24. Nostro In — 0' Intendi, por il fitto del Gioitilo, la proprietà Martkm.ini no’B um. dol quale da KsA.fr Martrlmni ora passala in Ginkvra **> Cfr. n.° 2484. 110 1° - 2 MAGGIO 1633. [24:90-2481] sta causa si stiacci, e vi s’imponga silenfcio; o se s’otterrà, sarà un abbreviare il tutto e liberar molti da fastidi e pericoli. Del Sig. Mariano Alidosi non so che dir altro, se non elio, dopo che fu rinchiuso, Mous. r BalFadi non m’iia fatto saper altro; ma egli non gode già lo habilità e le facilità io concosso al Sig. Galileo, standovi con ogni rigore. Et a V. S. Ill. ma bacio le mani. Roma, p. m0 di Maggio 1G33. Di V. S. 111.®* Obl. mo Ser. r ® Frane. 0 Niccolini. 2491**. VINCENZIO GALILEI a GALILEO in Roma. Toppi, 2 maggio 1033. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal.. P. I, T. X, cnr. 106. — Autografa. Molt’ III. 1 ' 0 Sig. r Padre Oss. n, ° Con mio particolar contento, da più lotterò scritto da V. S. al Sig. 1 ' (Ieri mio cognato, c da lui participatemi, ho sentito l’intera saluto di V. S., lo cor¬ tesie usateli dal Sig. r Ambasciadoro, e ’l folico progresso del suo negozio, elio mi porge sicura speranza elio habbia a torminaro con intera sua sodisfazione o grandissimo lionore, o ch’olla sia por tornar da noi vittoriosa o trionfante; il che piaccia a Nostro Signoro clic segua quanto prima. Noi poi di casa stiamo, per grazia di Dio, tutti beno di sanità; ma la peste, che di nuovo si è risvegliata in Fironzo c va giornalmente facondo pro¬ gressi, o nello caso buono, ci fa stare in timoro dello disgrazio cho possono io occorrere in tali tempi a’ nostri amici e parenti, e massimo cho intendo elio non si fa diligenza alcuna per reprimerò c smorzare un tanto male, cho dila¬ tandosi, come si credo cho sia por fare, arrecherà grandissimo danno. In quanto poi a’ miei particolari, non ho altro cho dirli so non cho attendo a tirare inanzi nel mio olTizio, con dimolto faticho o guadagno mediocre; tut¬ tavia, per essor questo il primo, mi posso contentare, e la speranza clic ho d’lfaver sempre a andar migliorando mi fa parer lo fatiche più leggiero. Altre nuove non ho da darli. Procuri di star sana et allogra, o spori nell’aiuto di Nostro Signore, quale per fino delia presento li prego, insieme con la Sostilia, sempre favorevole in ogni occorrenza. E con questo tutt* a duo unitamonte li 20 baciamo lo mani con ogni afiotto. Di Poppi, li dua di Maggio 1633. Di V. S. molt’ 111.» AH'. 0 Figliuolo Vincenzio Galilei. Fuori : Al molt’ ILl. r ° Sig. ro e P.ron mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Roma. [2492-2498J 2 — 3 MAGGIO 1633. Ili 2492 * [GIOVA NFRANCESCO BUONAMIOI] a. [Roma], 2 maggio 1033. Bibl. Waz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. XV, car. 71 1 . — Da un diario autografo. * 1633. - TI Sig. r Galileo Galilei uscì dal S. t0 Ufitio, dove è staio ritenuto in assai larga cu¬ stodia per 12 giorni per esaminarlo sopra il suo libro do’Dialogi della constitutione dcl- l’universo circa il sistema Coperniano della mobilità della terra et stabilità del solo. Della qual materia è bene di sapere che il S. r Galileo più anni sono, mediante il telescopio o tubo di lunga vista, ha scoperto molte cose noi cielo, dalle quali per buone ratiocinationi filosofiche, comprobatc dal senso visibile, trova probabile l’opinione che Nicolò Copernico conformandosi a quella de’Pitagorici, ha tenuto, clic la terra si muova et che ’1 sole stia fermo, girandosi in sò stesso da mezzo giorno a tramontana; la quale opinione, per prima 10 assai oscura, vien molto dichiarata dallo prove sensate del telescopio. In tempo di Paolo V° fu contrariata questa opinione, come erronea et contraria a molti luoghi della Sacra Scrit¬ tura; perciò Paolo V° fu di parere di dichiararla contraria alla Fedo: ma opponendosi li SS. rl Card." Bonifatio Gaetano et Maffeo Barberino, hoggi Urbano 8°, fu fermato il Papa di testa, per le buone ragioni addotte da loro Eminenze et per la dotta scrittura fatta dal detto S. r Galileo in questo proposito, diretta a Mad. a Cristina di Toscana circa Panno 1614, nella quale mostra che non dobbiamo obligare la Sacra Scrittura a decidere una cosa udii accidenti naturali della quale in progresso di tempo si possa per sensate dimostrationi palesare il contrario, acciò l’ingegno bumano per la sua arroganza o debolezza non habbia campo di dubitare do’punti della Fede, che sono lo scopo della Scrittura, la quale non 20 vuole insegnarci la filosofia, ma la Fede, et la quale molte volte si vede che parla secondo la nostra capacità, et se dovessi esser sempre intesa secondo il suono delle parole, ne seguirebbero grandissimi absurdi et inconvenienze. Però la Congregat.iono de’Cardinali del S. t0 Ufitio o dell’Indice fece, in luogo di dichiarar l’opinione erronea, un decreto, nel quale si prohibisce il tenerla et il difenderla, per esser contraria a quello ne dico la Sacra Scrittura. Così lasciata la materia <’) 2493 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOL1 [in Firenze]. Roma, 3 maggio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 1G9. — Autografa la sottoscrizione. _Il Sig. 1 ' Galilei, corno lo accennai con le passate<*>, fu lasciato tornar in questa casa, dove par che sia tornato in miglior stato di salute. Et perchè desidera che si venga <*> Finisco il foglio, o manca il resto (lolla t 5 > Gfr. n.° 2490. scrittura. Maggio, lunedi, 2. 112 3 6 MAGGIO 1633. 12493-2495] all’ultima toraiinattiono della sua causa, il Padre Commissario del S.‘° Ofiitio gli ha data qualche intentione di venir a questo liuo a trovarlo, continuando verso questo negozio di farci tutti i piaceri possibili et di mostrarsi benissimo inclinato verso cofesta Ser. ma Casa, sì come io non lascio di far ogni opera por conservarli et augmnontarli questa buona disposiziono .... 2494 " ANDIIEA CIO LI a FRANCESCO NlCCOI.INI fin Roma). IFirenze], t maggio 1633. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., T\ I. T. II, car. 171. — Minuta non autografo. Al Sig. r Amb. r0 Niceolini. 4 di Mag.° 1633. Sono arrivato hoggi lo lettere di V. E. de’29 ot 30 del passato et del primo del pre¬ sente (l ’ . . . . Grandissimo gusto lm ricevuto S. A. dall'avviso della liberazione del Sig. r Galileo: ot mi pare di dover ricordare a V. E. che quando io lo Borissi di riceverlo in casa, vi messi la dichiarazione del tornpo di un mese, perchè allo speso del restante del tempo biso¬ gnorii elio vi pensi egli medesimo.... 2495 *. ANDREA CIOi.1 a FRANCESCO NICC0LIN1 [in Roma]. [Firenze 1, G maggio 1G33. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 173. — Minuta non autografo. -posso accusare la ricevuta dello sue do 1 3 (!) , ot dirle qualcho motto intorno al conte¬ nuto di esse. Mi rallegro di nuovo delle consolazioni dol S. r Galileo ot con lui modosimo, al quale bacio per mezzo (lolla cortesia di V. E. allettuosissimamonte lo mani. Ma sento ben ram¬ marico di quel elio mi convenne scriverò a V. E. in materia dello spese, dolendomi in estremo della strana congiuntura de’tempi, che, nel posto in che por grazia di Dio ot de’Ser. ml Padroni mi trovo, mi vieno interrotto il corso degli otlìzii che richiedo la qua¬ lità dol mio carico ot l’inclinazione della mia natura, ila se mi sarà concessa quella lun¬ ghezza di vita elio può esser desiderata senza peccato da tutti gli huomini da bone, mi governerò poi secondo la mutazione delle coso. SI elio viva anche il S. r Galileo, et cessi IO la meraviglia in chi ha filosofato a bastanza, acciò non si tiri dietro la displicenza che non lascia godere il refrigerio delle peno patite.... »>> Cfr. n.° 2190. Ufr. n.° 2193. [2496-2497] 6-7 MAGGIO 1688. 113 249(3*. PIETRO GASSENDI a GABRIELE NÀUDÉ [in Padova]. Aix, 0 maggio 1633. Dnlla pag. 55 dell'edizione citata al n.° 1729. .... Litoras accipio ex amicis noatris qui deg-unt Parisiis .... Accipio siniul quaa Lon- «lino Diodatus noater tum ex se inittit, tum reniittit misaas ex Ueti'uria, agnoscoque Vi¬ rimi praeclarum expeditionora Romani parare: sed nosti tu melius quid id rei sit. Rescri- pturus ad illuni sum; spondore tamen non audeo ut brevi respoudeut. Ellico tu ut nosse valeum quid aget cura ilio fortuna.... 2497. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Arcctri, 7 maggio 1633. Bibl. Naz. FIr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 186. — Autografa. Molto lll. ro et Amatiss." 10 Sig. r Padre, L’allegrezza elio ini apportò l’ultima sua amorevolissima lottora fu tale, e tale alterazione mi causò, elio, con questo e con Tessermi convenuto più volto legger o rilegger la medesima lettera a queste monache, elio tutte giubilavano sentendo i prosperi successi di V. S., fui soprapresa da gran dolor di testa, che mi durò dalle 14 bore della mattina fino a notte, cosa veramente fuori del mio solito. Ho voluto dirgli questo particolare, non per rimproverargli questo poco mio pa¬ timento, ma sì bene perchè ella maggiormente possa conoscere quanto mi siano a cuore o mi premino lo cose sue, poi che causano in me tali ottetti ; effetti che, io so bene, generalmente parlando, par che l’amor filiale possa o dova causar in tutti i figliuoli, in me ardirò di dine che habbino maggior forza, conio quella elio mi do vanto di avanzar di gran lunga la maggior parto degl’altri nelTamare o riverire il mio carissimo padre, sì come all’incontro chiaramente veggo che egli supera la maggior parte de i padri in amar me sua figliuola. E tanto basti. Rendo infinito grazie a Dio benedetto per tutte lo grazie o favori che fino a qui V. S. ha ricevuti e per l’avvenire spera di ricovore, poi che tutti princi¬ palmente derivano da quella pietosa mano, sì come V. S. molto giustamente riconosce. E so bene ella attribuisco in gran parto questi bonefizii al merito delle mie orazioni, questo veramente è poco o nulla; ma è ben assai l’affetto 20 con il quale io gli domando a S. D. M., la quale havoiulo riguardo a quello, tanto benignamente prosperando V. S., mi esaudisce, o noi tanto maggiormente xv. 15 114 7 MAGGIO 1033. [2497-2498] Gli restiamo obligati : sì corno anco grandemente siamo debitori a tutto quello persone elio a Y. S. sono in favore ot aiuto, o particolarmente a cotesti Ecc. mi SS. ri suoi ospiti ; et io volevo scriver all’ Ecc. ra;i Sig. ra Ambasciatrice, ma sono restata, per non la infastidire con replicarlo sempre lo medesimo cose, cioè rendimenti di grazio o confessioni di oblighi infiniti. Y. S. supplirà, por me, con farlo reverenza in mio nomo. E veramente, carissimo S. r padre, elio solamente la grazia che V. S. La liavuta del favore o della protezziono di questi Signori ò tale, che ò bastante a mitigare, anzi annullare, tutti i travagli che La sofferti. Mi ò capitata allo mani una ricetta eccellentissima contro la pesto, della so quale Lo fatta una copia o gliola mando, non perchè io creda elio costà, vi sia sospezione alcuna di questo malo, ma porcliè ò buona ad ogn’ altra cattiva disposiziono. Degl’ingredienti io ne sono tanto scarsa, anzi mendica, per me, che non gliono posso far parto di nessuno; ma bisogna che V. S. procuri di ottener quelli, elio por avventura gli mancheranno, dalla fondoria della mise¬ ricordia del Sig. r Iddio, con il quale la lascio: salutandola por line in nome di tutto ot in particolare di Suor Àrcangiola e Suor Luisa, la quale por adesso, quanto alla sanità,, so la passa modiocremonto. Di S. Matteo in Àrcotri, li 7 di Maggio 1638. I)i V. S. molto 111.” Fig. ,a Afl>-' 1 4o Suor M. a Gelosio. Fuori : Al molto Tll.™ Sig.r Padre mio Oss. m ° Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2498 * GABRIELLO RICCARDI a GALILEO fin Roma]. Fironze, 7 maggio 1G3.>. Raccolta Lozzt in Roma. Autografa. Molt’ Illustro Signor mio Osservandissimo. Non Lo prima risposto alla gentilissima lettera di V. S., perchè non mi bastava l’animo, in congiuntura (li tanti sua travagli, porgerle quello consola¬ zioni che desideravo di poter dare, o conio amicissimo o suo servitore me no chiamavo a parto. Ilora che sento essersi volto a suo prò il vento favorevole, me no rallegro con loi, ringraziando Dio che la sua innocenzia o il suo valore habbino liavuto luogo di giustificazione appresso i superiori e glie no risulti gloria. Gl’amici brillano d’allegrezza e contento; si spera quanto prima il suo 7 — 10 MAGGIO 1633. 115 [2498-2500] ritorno : nò lo sbigottisca lo malo nuovo di sanità, elio non sono tali quali forse io gli sarà accennato o scritto. Mi consoli intanto di qualche comandamento in segno del suo amore e della solita sua buona grazia, baciando (sic) per line di vero coro lo mani. Di Firenze, li 7 Maggio 1G33. Di V. S. molt’ Illustro I)ev. et Obbl. Servitore Gabriello Riccardi. 2499 * ANTONIO BADELLI a. Roma, 7 maggio 1633. Arcli. di Stato in Modena. Avvisi di Roma, 1633. — Di mano sincrona. Di Roma, li 7 di Maggio 1633. .... il Galileo, ch’era trattenuto nel Santo Ufficio per bavere scritto troppo libera¬ mente del moto della terra, ò stato liberato, con questo che stia nel Palazzo dell’Amba- sciatoro del G. Duca et che l’habbia in luogo di carcere.... 2500 . PIETRO GASSEND1 a TOMMASO CAMPANELLA [in Roma]. Aix, 10 in aggio 1633. Dalla pag. 56 doli’edizione citata al n.° 1729. -ox amplia nuper a Galileo epistolis W rescivi, ipsum brevi Romae, quo eilatus est, adfuturum. Id miratila sum, quoniam nihil non approbatum edid.it ; sed nostrani non est nosse lutee momenta. Alia ut mittam, quam ageres prò rara tua humanitate et giugulari industria, si exortum dissidinm inter summos illos et amicos nobis viros (Galileum et Scheinerium intclligo) componeres! Vii* uterquo adeo est bonus, adeo veritntis studiosus, adeo fidei et candoris plenus: et, Donni tamen imniortalcm!, occurrisse quod alterum al¬ teri faceret infensural Ipse certe satis dolere literatorum vicem non possimi, quoties observo magnos viros in generis lniiusmodi altercationes incidere. Nani pusilla quidem ingenia, quae pendentem ex tenui filo consectantur gloriolam, ita excandescere possunt; at viros 10 adeo emiuenteis, quos sincerus agit veritatis amor, iisdem moveri afiectibus, magnopero sane est mirura. Sed baec nimirum videtur esso lminaiiae sortis conditio: adeo sumus omues sive corporis sive ingeuii foetuum amantes. Nolim porro quicquam esse impor- tunus, nisi ipse co propcndcas; quocirca neque adiicio quod, mea quidem sententia, pro- moverc coneordiam possot: tibi sunt clarius omuia perspccta, otiam quae dicero praesenti, quam scribere absenti, tutius. Itaque nihil vebenienter a te oxopto efflagitoque, nisi ut amare me pergas, ac eum habeas qui sit amantissimus et observantissimus tui. Vale. Àquis-Sextiis, vi Eid. Mai., anno M.DC. XXX1I1. <‘> Gir. ufi 2381, lin. 80-81. 116 12 MAGGIO 1633. 1 . 3501 ] 2501. GERÌ B0CCH1NERI a GALILEO in Roma. Firenze, 12 inaggio 1023. Cibi. Naz. Flr. Mas. Hai., P. 1, T. X, car. 168. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Io non lio havuto da un gran tempo in qua consolarono eguale a quella che mi ha adesso apportata la lettera di V. S. do’ 7, per la speranza ben l'on¬ data che mi dà elio le persecutioni et lo calunnio o macchine do’ suoi nomici habbiano a rimaner sonza frutto, perchè alla fino si possono comportar volen¬ tieri quei disagi cho si sostengono por difesa, mantenimento ot forse augumento della reputarono, come haverà fatto V. S., elio più tosto Laverà guadagnato cho scapitato nell’ infortunio occorsolo. Mi si accresco la contentezza, nel sentirò cho V. S. creda con lo prossime Ietterò di potermi avvisare l’ultimationG di questo suo negozio. Anche il Ser. mo Padrone ha inteso il tutto con gusto; et io la città, dirò tutta, si rallegra di questi avvisi, nò sono bastante io solo a risponderò a tanti amici cho mi domandano di lei. Sia lodato Iddio di tutto. Ilo caro cho il S. r Cav. ro Buonamici (l) venga sposso a visitarla. Al S. r Vincenzo io mando ogni volta lo lettore elio V. S. mi scrive; nò si maravigli so forse non vedo lotterò di lui, perché egli non può nemeno scrivere a noi, poi elio il Casentino, come ogni altro luogo dello Stato, ci ha lovato il coinmerzio, nò ci può venir gonte. Ma V. S. non faccia per questo mal concetto di [n . . perchè] il numero de’ morti va più tosto sempro scemando, non ecce¬ dendo nella città quello di 4 o 5 al più il giorno, ot molto volto sono 3, 2 et uno. Dà beno temere la morte di Don Benedotto dol Maestro, seguita questa notte, 20 et do’ duo cerusici cho lo curavano. Bacio lo mani a V. S., a nome anche degli altri miei, et il medesimo fa il S. r Ball Cidi. Di Fiorenza, 12 Maggio 1633. Di V. S. molto 111.» et Ecc. ma Oblig. mo Parente et f?or. ro Gerì Bocchinori. Fuori: Al molto 111» ot Ecc. mo S. r mio Oss. mo il S. r Galileo Galilei. Roma. X.Ott. 2501. 8. contmtenteitn — Gl UaoVANVKANUKBGO DUO.VAUICI. [3&02-&603J 12 — 14 MAGGIO 1633. 117 2502 . BENEDETTO CASTELLI n GALILEO in Roma. Brescia, 12 maggio 1(533. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. X, car. 170. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. re o P.ron Coì. mo Con quanta ansietà, io sia stato attendendo nove di V. S., lei medesima si può imaginaro. Hora finalmente son avisato che le coso passano benissimo, lo¬ dato Dio ; solo mi resta intendere più minuti particolari, come la prego ragua- glianni: o so bene io disegno partire di Brescia 1’ultimo del presento, scriva pure direttivamente a Brescia in San Faustino, chè haverò le lettere a tempo, e quando bene fossi partito, mi saranno mandate sicure dove sarò. Nel resto io sto benissimo di sanità, e non vedo l’hora venire alla volta di Roma por ve¬ derla o servirla. io Ho provista la scattolina di refe per 1’Ecc. 1 "' 1 Sig.™ Ambasciatrice; e se bone tutte lo coso di queste nostre bande sono in grandissimo rovine per lo calamità passate, in ogni modo spero olio S. Ecc. zn restarà sodisfatta. In tanto supplico Y. S. ricordarmi liumilissimo servitore alTEcc. ,m> Sig. r Ambasciatore; o perché penso elio a quest’ hora lei Rabbia facoltà di potere da vicino gustare le mera¬ viglioso prerogative della esquisitezza dell’ingegno deH’Emin. mo Scaglia, la prego a fargli in nomo mio liumilissima riverenza. E li bacio le mani. Di Brescia, il 12 di Maggio 1633. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Devotis. 0 e Oblig. mo Ser.™ e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. 20 Fuori, d'altra mano: Al molto lll. r0 Sig. r et P.ron mio Col. 1 " 0 Il S. r Galileo Galilei. Roma. 2503 **. GERÌ BOCCHINERI a GALILEO in Roma. Firenze, 14 maggio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. X, car. 172. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc.' no S. r mio Oss. 1 " 0 Di nuovo mi rallegro con V. S. del buon progresso delle sue cose, et aspetto con desiderio sue nuove lettere per intendere la ultimatione del suo negozio, 118 14 maggio 1633. [2508-2604] anche quanto al liconziamento del libro, corno mo lo fa sperare quello elio ulti¬ mamente V. S. mi ha scritto. Lo mando le aggiunto del S. r Vincenzo et di Suor Maria Celeste. Noi segui¬ tiamo di travagliare col male, che hiori in 20 boro atterrò il figliuolo del mo¬ dico Portoghese (1) , cioò quello elio attendeva alla medicina; ondo per x altri giorni sono stato lo donne raffermato in casa, ot questo ò il terzo termino. Por grazia d’iddio tutti noi altri stiamo belio; così Iddio conservi V. S.: ot io lo bacio di cuore le mani. Di Fiorenza, 14 Maggio 1633. Di V. S. molto IU. re ot Ecc. ma Oblig. mo Parente et Sor. 1,0 Cori Bocchineri, Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. ino 11 Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2504*. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. Arcetri, 14 maggio 1633. Blbl. Naz. 3Tlr. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 138. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Che la lotterà scrittami da V. S. la settimana passata mi apportassi gran¬ dissimo gusto o contento, io già por altra mia glieli* ho significato ; et fiora sog¬ giungo, che essendomi convenuto rimandarla al S. r Geri, acciò anco Vincenzio la vedessi, no feci una copia, la quale il S. r Rondinelli, doppo haverla lotta, volso portar seco a Firenze por farla sentirò ad alcuni amici suoi, a i quali sapeva egli che sarebbe stato di molta sodisfaziono l’intender questi particolari di V. S., sì corno è seguito, per quanto mi ha avvisato nel rimandarmela il medesimo Sig. r Rondinelli, il quale di quando in quando viene ili casa di V. S., et altri non vi praticano. La Piera mi dico che non esco, se non quanto vien qua da noi, per io sentir mossa o por altro occorrenze; et il ragazzo qualche volta va fino da i SS. ri Bocchineri a pigliar le lettcro, nò si trasferisco altrove, perchè, oltre al fug¬ girò i sospetti del male, è ancora deboluccio e di più pieno di rogna, aquistata nello ospedale, et fiora si attendo a medicarla con qualche untiono elio io gli vo facendo. Nel resto procuro elio restino provvisti nella maniera che V. S. po¬ ol Stbvako Rodiugukz DI CiSTHO. 14 MAGGIO 1633. 119 [2504] irà vedere in questo scartafaccio u) clic gli mando, ove fino a qui ho notatele spese fatte, et anco l’entrata liavuta per questo effetto, la quale so bone è più elio la spesa parecchie lire, io ho presa sicurtà di spenderla per bisogni mia o di Suor Arcangiola; sì che si può diro che siamo del pari, et da qui avanti farò 20 libro nuovo. L’altro speso elio si son fatto doppo la partita di V. S. sono: d. 17 */ 2 al Sig. r Lorenzo Bini per il fitto della villa' 2 '; d. 24 in quattro paglie a Vincenzio Landucci, e lire 6. 13. 4 di spese fatto per la paga di Febbraio (3) ; o di tutti no tengo le ricevuto; d. 25 presi io per accomodarne Suor Arcangiola, come V. S. sa' 4 ’; ot altri d. 15 fui necessitata a pigliare, acciò ella potessi finir il suo bene¬ detto uffizio, il quale ò condotto con l’aiuto di Dio e di V. S., cliò, senza questo gran sollevamento, non era possibile il tirarlo innanzi; et anco lo monache si sono dimostrato assai sodisfatto, perchè, con le amorevolezze di V. S. o con l’ba¬ vero supplito con danari, si sono ricoperte molto malefatte, o magagne che dir 30 vogliamo. Questi ultimi 15 d. aspetto di rimettergli presto con l’entrata di ambe due noi, che a quest’bora doveremmo haver riscossa. Questo presento anno toccava a Suor Arcangiola ad esser canovaia, uffizio che mi dava olio pensare. Pur ho ottenuto grazia dalla Madre badessa che non gli sia dato, con allegar varie scuse, et in quel cambio è fatta pannaiuola, es¬ sendo obligata a imbiancare o tenor conto delle tovaglie e bandinelle per asciu¬ gar lo mani, del convonto. Sento gusto particolare nell’intender che V. S. stia bene di sanità, del che grandemente temevo mediante i travagli che ha passati ; ma il Signor Iddio ha voluto concoderno le grazie compite, liberandola da i travagli dell’animo e del 40 corpo. Sia Egli sompro ringraziato ! Il male contagioso si sente che va per ancora perseverando; ma dicono che ne muor pochi o che si ha speranza che deva terminare, trattandosi di portar in processiono a Firenze la Madonna dell’Impruneta per questa causa. Al nostro già Padre confessore ho mandata la lettera a Firenze, già che egli non sta più qui al nostro convento, e no larviamo havuto un altro, giovane di 35 anni, dalla Pieve a S. t0 Stefano. Mi maraviglio che Vincenzio non gl’habbia mai scritto, o mi glorio di averlo superato nell’esser fervente in visitarla con mio lettere, so bene qualcho volta lio havuto ancor io gran strettezza di tempo, et oggi ho scritto questa in 4 volto, co interrotta sempre da varii intrighi per amor della spezioria, o di più con dolor di denti, che mi causa il mio solito catarro, che già parecchi giorni sono che mi travaglia. Lett. 2504. 1G. questo scarta/orcio — <» Noti è nollft colleziono dui Mss. Galileiani. (*' Cfi\ u.° 2489. ««t Cfr. mi. 1 2420, 2438. <»> Cfr. un. 1 2459, 2408. 120 14 MAGGIO 1033. [2504-2506] Finisco salutandola por parto dello nominato, o pregandola a ritornar een- tupplicati i saluti all’ Ecc." m mia Signora, e pregando Mostro Signore elio la con¬ servi o feliciti sempre. Di S. Matteo in Arcotri, li 14 di Maggio 1633. Sua Fig> AIY. 1 "** Suor M.“ Coleste. Da S. Cnsciano sono venute in due volto 8 stai a di farina per la Piera, ma io non ho cercato di pagarla, sapendo che fra V. S. o il Ninci 1 sono altri conti, co 2505*. MARIO GUIDUCOI a GALILEO in Roma. Firenze, 14 maggio 1033. Bibl. Nar. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 171. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc.“° S. r e P.ron mio Osa." 10 Con singolarissimo contento intesi la settimana passata la liberazione della persona di V. S. ( * : , o con altrettanto ho veduto conformar misi dalla sua cortesis¬ sima lettora nella presente. Sto con desiderio attendendo la totale spedizione del suo negozio, sperando che dobba seguire, come ella accenna, senza alcuna diminuzione della reputazion sua, giti che senza disagio o scomodo della per¬ sona o della mento non si è potuta sin a ora conseguire. Ho caro di intendere elio non sia mai stato mente di cotesti Signori della Congregazione il chiamar costà il Chiaramonti (3) , come alcuni suoi partigiani andavano seminando. io La lettera por P Eminentiss. 0 S. r Card. 10 Capponi io non P ho veduta, oliò il S. r Bocchinori l’avrà ricapitata da sè. Non ho nò anello da molti giorni in qua veduto il S. r Dino, il quale è a Montili con S. E. (4) Spero che ora, passati gl’ incontri elio la facevano star tanto sosposa d’animo, V. S. abbia a ritrovare qualche poco il sonno smarrito e liberarsi anche da’suoi consueti dolori, che al Signoro Dio piaccia di concedergliele, acciò torni da noi sana o da durare lungamente. La ringrazio del suo cortesissimo allotto, elio la muovo ad avvertirmi d’avermi cura ne’ travagli di questa città : ma sappia che io non mi avventuro punto in risico alcuno più di qualsivoglia elio rigorosa¬ mente si guardi, perchè la carità non soprabbonda tanto in me elio mi esponga 20 a pericolo ninno ; oltre elio la cura che io ho ' 5) non lo richiedo punto. Qui si va <0 Gnn,io Ni sci. (*) Cfr. n.» 2487. <*> Cfr. n.» 2409. ,5 * Il Guiducci era dii’ gentiluomini deputati sopra la purificazione delle cune infetto, por il sosto di S. Maria Novella. 14 MAGGIO 1633. 121 [2505-2606) temporeggiando col male, non ci essendo nò notabil miglioramento nè anche peggioramento; o se bene ci è allo volte qualche giorno ottimo, c pel contra¬ rio un altro, rispetto all’antecedente, pessimo, tuttavia si va alternando senza vedore continuazione nò del bene nò del male. Speriamo nella divina miseri¬ cordia che ci abbia da liberare. Con che a V. S. facendo reverenza, le prego dal Signore ogni più bramata grazia. Firenze, 14 di Maggio 1633. Di V. S. molto 111.» et Ecc. mn All." 10 e Obb. mo Sor.™ 30 Mario Guiducci. Fuori: Al molto 111.” et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. 1 " 0 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Roma. 2506 **. GABRIELLO RICCARDI a [GALILEO in Roma]. Firenze, li maggio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 17G. — Autografa. Molt’ 111.” Sig. r mio Oss. mo Con ogni puntualità ho essequito l’ordine di V. S. por Monsig. r Sommai per inviare il mandato costà de’ d. 500 (2) , subito cho da Sua Sig. na mi sarà mandato. Intanto, perchè resti servita di quanto le fa di bisogno, 1* invio l’in¬ clusa lettera per i SS.* Acciaiuoli o Martelli, ringraziando sommamente V. S. dell’occasione, benché piccola, di poterla servire o riverire, sperando pur eh’ una volta in cosa maggiore habbia da mostrare la recogniziono de gl’oblighi che le tengo. Mi consolo poi che nella conversazione di codosti Signori, ad ogni quercia clic possa esser mossa contro di me, V. S. manterrà ogni mia difesa; io e con l’augurio di sì bravo patrino resto sicuro che la mia osservanza sarà sempre a galla, cori la professione che fo fermissima di vero servitore a tutti codesti Signori, e satisfarò a bocca, se lo congenture do i tempi me lo conce¬ deranno, conio ne dà speranza il miglioramento cho si vedo ogni giorno, quale ò tanto che può consigliare e assicurare V. S. a venire ogni volta alla sua villa d’Arcetri, dove ò desideratissima; mentre in nome di tutti i suoi amici, et (0 Gì koi.amo da Sommata. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, &), Un. 2G8-279 o Un. 289-293, o Doc. XXI, d), lin. 339-345. 14 MAGGIO 1633. 122 12506-2507] imparticolare del Sig. r Cosiino mio fratello, suo vero sorvitoro, rendiamo per line a mille doppi i suoi aiì'ottuosi baciamani. Di Firenze, li 14 Mag.° 1633. Di V. S. inolt’ DI. 1,0 Air.'» 0 ot Obb. Ser.° Gabriello Riccardi. au 2507 *. MARIA TEI)ALDI a GALILEO in Roma. Firenze, 14 maggio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 100. — Autografa. Molto 111. ot Ecc. mo Sig. r et P.rone Col."' 0 Con mio sovorcbissimo gusto o contento sento quanto felicemente passi il suo negozio, ad onta c dispetto dell’ inimica ingnoranzia, e satisfattone partico¬ lare dello persono dotto e scienziato. A me paro ogn’ hora mille di riveder V. S. E. in questo parti, o por molti o degni rispetti, oltr’ all’ interesso] mio, eh’ è di ser¬ virla o riverirla, conio farò sempre. Girella al Sig. r Vincenzio (1) , se no sta conio il prete della poca offerta, fa¬ condo capitale di quanto dalla benigna mano di V. S. E. li viene distribuito, nò per ancora li è stato soministrato altra caricha, perchè in questa Sanità si ten¬ gono termini differentissimi dall’anni passati, si corno anchora il malo ò dille- io ronto all’ altro passato, già che in questo no ammalano pochissimi, ma di quelli non no campa tosta: però un sol lazzorotto no avanza a tutta la brigata. Mori il Sig. r Braccio Micbolozzi, già suo vicino alla villa; il simile fece il Sig.*' D. Be¬ nedetto del Maestro, insieme con sua consorte e serva; morì similmente il me¬ dico, e figliuolo del medico, Portughese 121 ; del resto, tutta gonto bassa, elio tra morti o malati ne vanno da dna o tro il giorno. Qua si fa la quarantena por noi altre povere donne, por la qualo sono passati già venti giorni ; o questa mattina è andato il terzo bando por altri dieci giorni, con speranza elio S. Gio¬ vanni ci scarceri c dia libertà; ma purché giovi: o sia fatta la volontà del Signore. 20 Girella all’ assoluzione papale (31 che io desideravo e desidero da V. S. E., non consiste altrimenti in dulgenzie di medaglie, corone 0 immagini di Cinque santi 0 d altri, ma è un’ assoluzione che S. S. t; ‘ dà e concede nominatamente a quella sola e stessa persona: 0 dovore[b]bo S. S. tà esser lì presento alla morto di dotta persona, perchè con quella assoluzione manda quell’anima, subito elio disciolta <" VlXOF.N7.IO LlNDUCCI. «*» Cfr. u.® 2508. <*> Cfr. un. 1 2470, 2477. 14 — 15 MAGGIO 1(533. 123 [2507-2508] dal corpo, alla gloria del Paradiso, senza passare o toccharo il Purgatorio per purgare li suoi peccati; ma non potendo por la lontananza, S. S. tJl dà o concede in scrittis la sua autorità, in quel caso solamente, a quel confessore che in arti¬ colo di morto si ritroverai a dare l’assoluzione a quella tal persona, o non si so può esercitare in altro caso che in articolo di morte: o questa è una gratin particolare che fa S. S. tl1 Per tanto ne aftaticko V. S. E., come persona particolare da ottenere anello grazio particolari. Non l’affaticho in medaglie de’Cinque santi, perchè ne ho appresso di me, o quello hanno indnlgcnzio e remissioni di peccati sì, ma bisogna passare per quel santo Purgatorio, e quest’assoluzione libera di pena e colpa. Per tanto di nuovo pregilo o supplico di tutto quore V. S. K, si voglia sbracciare per ottenere tal grazia, cbò di tanto gnene resterò con ob¬ lìi igho perpetuo; e se V. S. E. no potessi ancho cavaro una per Suor Sorafìna mia sorella, gli sarebbe gratissima, per il cho ne viene e da loi e da me sup¬ plicata. Qtialo continovamento pregila Nostro Signor Iddio per ogni felicità o con- 40 tento di V. S. E., e dosidora al suo ritorno riverirla, o la saluta con ogni affetto di quore, come fa Hess. Lorenzo et li SS. ri Cocchapani ; et io senza fino me li oifero o raccomando, pregandoli dal Ciclo felicità in colmo, con presto e salvo ritorno. Con che facendoli reverenza, li bacio la mano. Fiorenza, li 14 Maggio 1633. Di V. S. molto 111. et Ecc. H:;i Dov. ,na et Oh. 1 " 14 por ser. ltt Maria Todaldi. Fuori: Al molto 111. ot Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col. 1,10 Il Sig. r Galileo Galilei, p. mo Filosofo del Ser.'"° di Toscana, in Iri casa l’Ecc. mo Amb. r0 del Ser. mo di Toscana. Koma. 2508 ** FRANCESCO NICCOLINI ad ANOREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 15 maggio 1U33. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3353 (non cartolata). — Autografa la sottoscriziono. .... Il qual Sig. r Mariano W fu visto a giorni a dietro passeggiar per camera tutto lieto e contento, con una chitarra alla spagnola, che esercitava il talento del cantare, come se fusse in villa et in luogo di suo spasso e piacere; che tanto non ha saputo mai far il Sig. r Galilei, che tornò a casa mezzo morto. È ventura ingomma, per chi vuol vivere, non haver cervello.... <*) Mariano Ali dosi. 124 15 — Ili MAGGIO 1G33. L2509-2510J 2509. FRANCESCO NICOOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 15 maggio 1033. Bibl.Nnz. Flr. Msr. (lai.. P. I, T. II. car. 176. — Autografa la aottoacrizlono. Il secondo o 11 terzo foglio di quosta lotterà, con la sottoscrizione, souo nella Filza Medicea 8863 (non cartolata) doll'Arcb. di Stato in Fironze. _Il Sig. r Galilei .sta assai bene, ma la sua causa non ricevo per ancora spoditione. So ne sta tuttavia sequestrato in questa casa, con qualche suo dispiacere por non poter far esercitio. E quanto a quel clic V. S. Ill. ma mi soggiunge, elio S. A. non intenda di far buone le spese che si fanno qui per lui passato il primo moso (1) , posso replicar che io non sono per entrar seco in quosta materia, mentre ò mio hospito, o più tosto ino raddos¬ serò io medesimo, elio finalmente non passeranno 14 o 15 scudi il mese, compreso ogni cosa; di modo che quando stesse qui anche sei mesi, rispotto all’estate, importeranno poi da novanta o cento scudi fra lui et un servitore.... 2510. ASGÀNIO PICCOLOMINl a GALILEO in Roma. Siena, 10 maggio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 178. — Autografa. Molt’ 111.® Sig. r mio Oss. mo Io, che non ho mai revocato in dubbio V innocenza od ottima intenzione di V. S., bo più temuto de’travagli dell’animo suo, elio d’altro sinistro accidente che mai havessi potuto portare la porsocuzione do’ suoi nimici, poi elio cotesto è tribunale che camma pensatamente, o sempre più che altro eccedo nella fa¬ cilità. Nondimeno mi sono infinitamente rallegrato degl’ albori, elio V. S. m* ac¬ collila, di speranze mcgliori ; o pur eli’ una volta ci scoprino il fine, si possono dare per bene spesi tutti gl* incommodi. Ma data quella felice uscita al tutto eli’ io lo desidero, fin d’bora onninamente V. S. m* ha da promettere di venir¬ sene a dirittura a questa casa, per favorirla finché i rumori di Firenze sian io giunti a quella total buona piega che van prendendo. E so non altro, da questi colli consolerà più i suoi servitori che da quei di Roma ; e con il Sig. Can. co Cini (t) , Commissario di Sanità qui a Poggibonsi, tutto dì mi vado consolando con que¬ sta speranza. Di Fiorenza io intendo più tosto moglioramento, nò per lo Stato Ut Cfr. un. 1 2494, 2495. <*> Niccolò Cini. [2510-2511] 16 — 18 MAGGIO 1033. 125 si sent’altro che questo favillo «li Poggibonzi o d’ai cu ne caso di quei contorni. Clio è quanto ho che dirli delle nostre parti, mentre in coro me le rassegno vero o sincerissimo suo servitore. Siena, li 10 di Maggio 1033. Di V. S. molto Ili. 0 Devot. Ser. 20 S. r Galileo Galilei. Roma. A. A. 0 di Siena. 2511. GERÌ BOCCniNEKl a GALILEO in Roma. Firenze, 18 maggio 1(533. Naz. Flr. Mss. fini., P. I. T. X, car. 180. — Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. mo S. r mio Oss. m ° V. S. ha fatto bene a non replicare a me quel che ella scrive a Suor Maria Celesto, mentre ho potuto vedere da quanto eli’ avvisa a detta Suor Maria Co¬ leste, di che segno sono le cose sue. Mi rallegro sempre più. elio continuino di caminar bene, et che rallungamento del negozio riesca a V. S. di profitto, se- beno io ero entrato in speranza di dover sentire con queste lettere che la causa havesso havuta la sua buona terminationo. Quello che non è avvenuto succe¬ derà, piacendo a Dio ; et intanto V. S. si conservi, nè si lasci trasportare dalla bontà di cotesti vini a beverno più del bisogno, mentre ogni bicchiere poi le costa io tanto caro : ma veramente, so io mi trovassi al cimento, farei peggio di V. S. La nostra sanità sta in questo grado: ogni giorno di Fiorenza si mandano al lazzeretto un numero o di 10 o 12 o 15 o 18 malati, ma rare volto si ar¬ riva a 18; li morti sono (dico in Firenze) bora uno, bora due, bora tre, et bora 4 il giorno, et qualche volta nessuno; a 5 non si è arrivato mai, che io sappia, et rarissime volte a 4, et communemente sono uno o due o tre il giorno. In questo contado ci è qualcosetta di male, ma non gran cosa, et qualcosa è in Poggibonzi, dove si trova il S. r Can. co Cini a sopraintendoro. Il resto dello Stato sento che è sano. Il male, che fino a bora è stato così velenoso elio pareva senza remedio, bora pare che cominci a cederò a’ medicamenti, essendo al laz- 20 zcretto persone che guariscono. Séguita la clausura delle donno, di quello però che non possono andare nella propria sua carrozza. Li contadini non si ammet¬ tono in Fiorenza, fuori di quelli che non portano roba da gabellare ; et si con¬ tinuano et si introducono nuovi buoni ordini. Sabato si condurrà solennomonte in Fiorenza la miracolosa Madonna dell’ Imprunota, et si faranno processioni et 126 18 — 19 MAGGIO 1633. [2511-2512] altre devotioni por placare l’ira d’iddio, il quale ci perdoni a tutti, et guardi V. S. Et lo bacio le mani. Di Fiorenza, 18 Maggio 1633. Di Y. S. molto Ill. ro et Ecc. n,R Il malo, nelle caso do’ nobili, non si fa più sentire. Obli#." 10 Parente et Sor. re so Cori Boccbineri. Fuori: Al molto 111. 1 '® et Ecc. mo S. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Roma. 2512**. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Roma. Brescia, 19 maggio 1033. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. X, tur. 182. — Autografa la sotto.scrir.ionc. Molto Ill. ro Sig. rn et P.ron mio Col.'” 0 Non posso discrivore Tallogrezza ch’ho hauta dalla lettera di V. S., inten¬ dendo il folico ossito dei suoi negotii. In tanto si resta di ammirare o ringra- tiaro l’infinita bontà et somma providonza d’Idio, elio i soliti mezzi e inopinabili e altissimi giuditii suoi T han liberata dal travaglio della peste, bora in questo modo, e l’altra volta preservata in un’altra maniera: il tutto sia sempro bonedotto. llieri sera solamente hebbi la lettera di V. S., però non ho ancora ritrovato l’Arisio: lo ritrovarò, o li parlarò in bona e laudabil forma, o di quello seguirà darò parto a V. S. Dell’ altra pensione (1) non li posso dir altro in carta, solo che il negotio sin bora è andato male, perché quell’amico si ha serviti poco io bene. A bocca fi dirò il resto. Quanto al refe, ne bo provisto una scatoletta per lo suo Monachine et un’altra per TEcc. ma S. rn Ambasiatrico, alla quale, insiemo co’TEcc. ,u ° *S. 1 ' Am- basiatore, o a Y. S. fo humilissima riverenza. Brescia, 19 Maggio 1633. Di V. S. molto lll. ro Dcvotiss. 0 o Oblig. mo Ser. r " e Dis. 10 S. Galileo. Don Bened. 0 Castelli. Fuori : Al molto HI.** Sig. r mio et P.ron Col." 10 Il S. r Galileo Galilei. Roma. 20 Cfr. Voi. XiX, Doc. XXXIII, «). [ 2513 ] 21 MAGGIO 1633. 127 251 S*. GERT BOOCHINEUI a GALILEO in Roma. Firenze, ZI maggio 1633. Bibl. JNnz. Pir. Mss. Gai., P I, T. X, enr 101. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Non posso lasciare di non baciar lo mani a V. R., con l’occasione di inviarle raggiunta di Suor Maria Celeste, et di confermarle la buona saluto nostra et del S. p Vincenzo ancora, del quale liebbi Ietterò bier l’altro, non liavendo nel resto clic aggiugnero a quanto le risposi mercoledì passato (1> . Aspetto sue nuovo Ietterò con avviso della totale et buona speditimi© della causa. Di sanità noi seguitiamo ut sujpra. Speriamo nella misericordia di Dio et nella intercessione della Madonna, la cui santa imagine della Imprunota si ò condotta questa mattina in Fiorenza con solennità et devotione grandissima, io essendo S. A. con tutti i principi et magistrati andata ad incontrarla a piedi fuori della Porta S. Pier Gattolini, et seguitatala sempre, pure a piedi, fino a S. tn Maria Novella, dove si è posata questo giorno. La pioggia rovinosissima et lunga, con vento et freddo grande elio sopragiunse, non impedì per questo la processiono, la quale si è fatta senza concorso di popolo. Domattina la Madonna si condurrà in S. la Maria del Fioro, et domattina l’altra in S.^ Croce, et la sera si riporterà alla Imprunota; et si farà la strada nostra della Costa, ondo ancora noi, a imitationo degli altri, ci prepariamo a parare et ornare la casa nostra et la strada. Et a V. S. bacio di cuoro lo mani. Di Fiorenza, 21 Maggio 1633. 20 Di V. S. molto III. 1 ' 0 et Ecc. ma Oblig. mo Parente et Ser. l '° Gcri Docchincri, Fuori: Al molto 111.» et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Roma. (') Cfr. n.« 2503. 128 21 il AGGIO 1033. [ 2614 ] 2514. LUIGI CAPPONI a GALILEO in Roma. Firenze, 21 maggio 1033. Dibl. Naa. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XIV, cnr. 213. — Autografa la firma o In parola cho lu procedo. Ul. ro et Ecc. m0 Sig. r0 Quand’io tra lo occupationi ho trovato tempo, mi son dato a studiare con avidità i Dialoghi di V. S. sopra il sistema del mondo, eh*è un pezzo ch’io no liavovo desiderio. È poi piaciuto al Sig. r Mario Giliducci di scriverlo in questo proposito (1) quel cho gl’ha dettato l’amorevole animo suo; o così V. S. ancora ha voluto qualificare questa mia lettura com* è partito alla sua cortesia. Io glio no rendo gratie, e così faccio ancora dell’avviso datomi, cho lo suo coso comin¬ cino a pigliare buona piega ; citò sobono ho sempre tenuto cho dovessero passar benissimo, in ogni modo la cortezza elio da lei n’ ho havuta, mi è stata di par¬ ticolare consolationo. Mo no rallegro con V. S. non volgarmente, e prego il Si- io gnore Dio cho la prosperi quanto desidera. Fironzo, 21 Maggio 1633. Di V.S. Fuori: All’111.™ et Ecc. rao Sig. ro Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. !'> Cfr. n.o 24CO. [ 2515 - 2516 ] 21 MAGGIO 1633. 129 2515 *. NICCOLÒ CINI a GALILEO in Roma. PoRgibouBi, 21 maggio 1083. Bibl. Naz. Pir. Msft, rial., P. I, T. X, car. 188. — Autografa la sottoscmiono. Molt’ Ill. r « S. r et P.ron mio Oss. u, ° Il Sig. r Gerì Bocchineri m’ha favorito ogn’ordinario di darmi nuove di V. S., che è quanta consolatione ho havuto ne’ travagli in olio mi trovo, di sollitudine e di negotii fantastici, fastidiosi e pericolosi, come sono questi di soprintendere ad accidenti di contagio (1) ; de’ quali non gli parlerò por adesso, per non gli ama¬ reggiare il contento in che si trova per il miglioro stato e posto in elio sono hoggi le coso sue, e per non gli tor l’animo, quando sia spedita, a venirsene a Firenze, anzi a far questo favore a me d’avisarmi quando sarà il suo ritorno, perch’io possa servirla in questo luogo, rivederla, goderla c metterla in alloggio io sicuro, sì come io le offerisco. Dalli amici o servitori suoi si sta con ansietà aspettando quello che sarà deliberato del suo libro, e so ne spora ogni bene, poiché il progresso del suo negotio ci pare che sia ito sempre di bene in me¬ glio. Ma non è proposito il parlar di questo adesso ; però lo lascio da banda, o solo intendo con questa mia ricordarmeli servitore e farli reverenza, come fo con tutto l’affetto. E li bacio lo mani. Di Poggibonzi, 21 Maggio 1G33. Di V. S. molto 111. 10 Dev. mo Ser.* 6 S. r Galileo Galilei. Niccolò Cini. Fuori: Al molt’111.*' 0 Sig. r P.ron mio Oss. ,no 20 II Sig.*' Galileo Galilei. Ho m a. 2516*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Roma]. A reo tri, 21 maggio 1083. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. 1, T. XIII, car. 192, — Autografa. Amatiss.'** 0 Sig. r Padre, Io non ho mai lasciato passar ordinario nessuno senza scrivergli, e mandate le lettere al Sig. r Geri, il quale mi avvisa che a quest’bora V. S. dovrà haverle »»> Cfr. il.® 2511, lin. 17. XV. 17 130 21 MAGGIO 1G33. [251(5-25171 ricevute. Quanto al tornarsene olla in qua, con questo ordinario non posso darle risoluzione nò sicurtà alcuna per conto dol malo contagioso, atteso che tutta la speranza della città di Firenze ò riposta nella Madonna Santissima, et a questo effetto questa mattina con gran solennità si è portata la sua miracolosa imma¬ gine dell’ Imprunota a Firenze, ove si sento elio dimorerà 3 giorni, e nel ritor¬ narsene larviamo speranza di havor grazia di vederla ancor noi. Sentiremo per¬ tanto quollo che seguirà, o quest’ altro sabato gliene darò ragguaglio. In tanto, io sentendo che la dilazione giova a i suoi interessi, andiamo più facilmente tole- rando la mortificazione elio proviamo por la sua assenzia. In questi contorni sono state due caso di contadini infetto dal mal cattivo, ma di presento non si sento altro; o già elio tutti i gentiluomini elio e 1 hanno lo villo, ci si sono ritirati, è segno cho non ci sono sospetti. Mi sarà molto grato, per amor di Suor Luisa, elio V. S. vegga so può fa¬ vorir il nostro vacchino nel suo negozio; ma sarà di necessità che V. S. vegga di parlarne con il Sig. r Giovanni Mancini, al quale si mandorno le scritture un pozzo fa, nè mai da lui nò da altri, a i quali si ò raccomandata questa causa, si ò potuto haver risposta nessuna. 20 Mi sono fatta portare un poco di saggio dol vino delle due botto piene, o mi par cho sia molto buono. La Piera mi dice havcrlo ripieno più volto, ma clic da un pozzo in qua non no hanno più bisogno. Giusoppo mi aspetta per portar le lotterò, sì che non posso dir altro, so non cho la prego a non disordinar col bero, conio sonto cho va facendo. La saluto in nome di tutte, o dal Signor Iddio gli prego vera felicità. l)i b. Matteo, li 21 di Magg.° 1U33. Sua Fig> Aff. ma Suor M. tt Co lesto. 2517. MARIO GUiDUCOl u GALILEO in Roma. Firenze, 21 maggio 1883, Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., I’. I, T. X, cnr. 180 . — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. mo S. r c P.ron mio Oss. mo Sento grandissimo gusto che V. S. vadia continuamente avanzandosi in buono speranze di presta o felice spedizione della sua causa per poter tornare in qua ; ma quanto più si spera vicino il termino de’ suoi travagli, altrettanto ancora [2517] 21 MAGGIO 1633. 131 si va accrescendo il desiderio e diventa più noioso l’indugio. Dal S. r mio co¬ gnato (1) c dalla mia sorella 121 mi vengono tuttavia replicate le medesime cose, cioè che ella rimarrà presto libera, come ella ancora mi avvisava la settimana pas¬ sata; onde, se bone me ne rallegro sommamente, la dilazione mi fa sempre te¬ mere di qualche ostacolo de’ suoi emuli et avversarli ; e so non che IO coscienza n’asse cura, La buona compagnia che Timoni francheggia Sotto l’usbergo del sentirsi pura, come dice il nostro Poeta, temerei grandemente di naufragio nell’istesso porto, o che chi Tlia fatta trabalzare, senza ragiono, di travaglio in travaglio, fussc ancora per ottenere la vittoria di non la lasciare ritornare alla sua quiete et a’suoi studi. Confido non di meno tanto nella giustizia della causa o nell’inte¬ grità dell’ intenzione di cotesti Signori della Congregazione, che siano per cono¬ scere manifestamente la sincerità di V. S., e col lor giudizio approvare lo sue azioni e i suoi scritti, a confusione degli invidiosi. Di qua io non le posso dire 20 cosa alcuna circa a questi particolari, perchè essendo io assai occupato circa all’ estirpazione dol contagio 13 ', non mi sono già più settimane lasciato rivedere all’ Eminontiss. 0 S. r Card. 10 Capponi, il quale se, corno credo, avrà ricevuto la sua lettera, lo avrà facilmente risposto 145 , chè nò anche ho veduto, è un pozzo, il S. r Dino (6) . Lo cose della sanità vanno temporeggiando, e non ci sono quello rovino che sono stato scritte. Stamani si è condotta in Firenze la Madonna Santissima dell’ Impruneta, e ci starà sino a lunedì. La speranza che si ha in questa sem¬ pre, a benefizio della città, miracolosissima imagine, è grandissima, et il popolo ha concepito grandissima speranza di rimaner libero, mediante l’intercessione 30 della Santissima Vergine. Piaccia al Signore Dio che noi ci siamo disposti in maniera, che non demeritiamo tanto aiuto. Con che a V. S. facendo reverenza, lo prego dal Signore Dio ogni contento e felicità. Firenze, 21 di Maggio 1633. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ma Ser. r0 Aff. mo o Obb. mo Mario Guiducci. Fuori : Al molto HI/ 0 et Ecc. m0 S. r e P.ron mio Osa." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. io 0riA7.ro Cavalcanti. Maddalena Guirrucor tre’ Cavalcanti. <*) Cfr. n.° 2606, Irò. 20-21. <*> Crr. u.° 2514. < 5 ' Dino Peui. 132 22 — 2(3 MAGGIO 1633. [2518-2519] 2518. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze], Roma, 22 maggio 1633. IHibl. Nnz Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 177. - Autografi il poscritto o la sottoscrizioni). Ill. m0 Sig/ mio Obs. Da quel elio V. S. 111."” 1 leggerà con questo, potrà avvedersi elio non bì sia perso punto di tempo da liiernmttina in qua, dopo elio io tornai daU’audienztt. Si contenterà di perdonare se in qualche particolare non riceverà le risposte, perche col primo ordi¬ nario supplirò a quel che potessi liaver mancato. Parlai con S. S. ,fc della spedinone del negotio del Sig. r Galileo, e mi fu data inten- tiono da lei e dal Sig. r Card. 1 Barberino che la sua causa si terminerà facilmente nella se¬ conda congregatone, che sarà giovedì a 8 giorni. Posso ben dubitavo assai della prolii- bitiono del libro, se non vi si rimediassi col farli faro un’apologià da lui medesimo, corno io proponevo a S.B.; et a lui toccherà ancora qualche penitenza salutare, protendendosi 10 che egli babbitt trasgrediti gl’ordini del 161G, datili dal Sig. r Card. 1 Helarmino sopra la medesima materia del moto della terra. Io non gl’ho per ancora detto ogni cosa, perchè intendo, a fine di non l’alfligerc, d’andarcelo disponendo pian piano; e por questo ò ben che costà non si pubblichino questi pensieri, perchè i suoi non glie l’accennino, massimo elio si può anche variare- Roma. 22 di Maggio 1633. Di V. S. 111.-* Ilavevo lasciato di rappresentar ch’ili parlarsi con S. S. li del S. r Galileo, mi soggiunse che si sarebbe cercato di spedir anello il S. r Mariano Alidosi, perchè S. A. vedesse che le cose sua lo orano a cuore: o erodo che dello stato non vi sia pensiero. Io ne baciai a 8. S. li i piodi, e gliene resi le dovute grazie. 8/ Bali Gioii. 2519. GERÌ B0CCHINER1 a GALILEO in Roma. Firenze, 26 maggio 1033. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 190. — Autografa. Molto Ul. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. mo È dovuta da me ogni applicatione et ogni promura allo coso di V. S., ondo non ho da esser ringraziato da lei se sto tanto su 1’ avviso a quello elio le suc- 20 Ohi. m0 Sor/ 0 Frane. 0 Niccolini. <0 Intendi, il feudo di Castel del Ilio. 26 MAGGIO 1633. 133 [2619-2520] cede. Mi rallegro che alla prima o seconda congregatone V. S. speri di bavere a essere spedito con la sua liberatone, et mi si accresco il contento dal sentire che ella disegni di incaminarsi subito verso Siena, por attender quivi l’esito del nostro male ; il quale se continui di diminuire come ha fatto da sabato in qua, noi saremo guariti fra 8 giorni, perché il numero do’ malati si è ridotto a otto et sei il giorno, et hieri fumo 4, et quello de’ morti a due et a uno : grazia io che si riconosco dalla santissima imagine (lolla Madonna della Imprunota, in honor della quale noi facemmo, nel suo passar dalla Costa, apparato tale, con una bizzaria di fonte, che fu stimato forse il più bello che si sia visto in que¬ sta occasione, et fu creduto che la curiosità della fonte fusse un segreto di Y. S. Tutti del parentado stiamo bene, ot unitamente con Alessandro 10 bacio le mani a V. S., et le preghiamo felicità. Di Fiorenza, 26 Maggio 1633. Di V. S. molto 111. 1,1 ot Ecc. ,n:l Oblig." 10 Parente et Ser. ro Gori Bocchiueri. Fuori: Al molto Ill. re et, Ecc. m0 S. r mio Oss. mo 20 II Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2520 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Roma. Brescia, 26 maggio 1G33. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXX, u.° 29. — Autografa. Molto Ill. r0 Sig. ro c P.ron mio Col. mo Ilo parlato al Sig. 1 ' Arisio por la pensiono di Y. S. molto 111. 0 , quale mi dico che ha scritto più volte a V. S. e che vorrebbe aggiustarsi, ma che non ba mai liauto resoluzione; adduce lo calamità di questi paesi di pesto o di guerra, c che non è possibile pagaro tanto, e che vorrebbe ridurre la ponsiono a qualche termine lionesto, e che pagarebbe. Io l’ho ricercato che paghi a V. S. di pre¬ sento almeno quel tanto che lui giudica necessario per sgravio di sua coscienza, chè poi io mi saroi interposto a trattare accomodamento. Mi ha risposto che lo farebbe, quando io havessi commessiono da lei di ricevere il dinaro, overo io ordine lui di pagarmi ; et havendoli fatto instanza di dichiararsi che somma pretondo di scemare, non ha voluto determinare cosa alcuna, ma in generale <*» Alkssandro Booouinkhi. 134 26 — 28 MAGGIO 1633. [2520-25221 elio non ò poasibilo pagare tutta la pensiono. Credo però che si ridurrà a pa¬ gare prontamente quarantacinque scudi al più ; o so V. S. mi ordina elio si con¬ cluda cosa nessuna intorno a questo particolare, farò quello elio lei mi coman¬ darli: e penso che si possa farli questa agevolezza, por quanto ritrovo e provo ancor io nei miei interessi. Forò faccia V. S. come li paro. Sto con ansiotà attendendo la riuscita folico del suo negozio, o mi scriva, perchò mi saranno mandato lo lotterà so sarò partito di Iirescia. Fo humilis- sima riverenza aldi Ecc. rai Sig. ri Ambasciatore o Ambasciatrice, o a V. S. insieme. Di Broscia, il 26 Maggio 1633. Di V. S. molto 111. 0 Oblig. mo e Dovotiss. 0 Sor.» e Dia. 1 ® S. r Gal. 0 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.” Sig. r et. P.ron mio Coll.'" 0 il S. r Galileo Galilei. Roma. 2521 *. ANDREA CIGLI a FRANCESCO NICCOLINI [m Roma]. [Firenze,] 26 maggio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 179. — Minuta di uiano di Gkki HncciiiNF.ni. .... In proposito della nostra sanità havinmo cominciato a godere la grazia elio la Madonna dolla Impruneta ci ha recata, perchè Inerì non havemmo più elio 4 malati et 2 morti; et so por ringraziarne Iddio si desidererà da S. B. n0 un Giubbileo, no ricorre¬ remo alla benignissima offerta di 8. S. 14 Alla quale S. A. rondo grazie della estrnordinaria stima fatta delle suo raccomandationi a favor del S. r Galileo et del S. r Albioni‘ J) .... 2522 *. NICCOLÒ CINI a GALILEO in Roma. Poggibonsi, 28 maggio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 193. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione, Molt’ IU. r ® Sig. r o P.ron mio Oss. mo Bonch’io sia in Poggibonzi da un pozzo in qua, son però stato con l’animo a Roma a compatir Y. S., et ho havuto ogni settimana aviso del progresso del 20 01 Cfr. n.° 2518. [2522-25231 28 maggio 1633. 135 suo negotio, del quale già la veggo al lino per la lettera che ha honorato di scrivermi, e m’ha dato una consolatione incredibile; sì come ho sentito un gran contento elio Monsig. r Arcivescovo di Siena (1> l’habbia invitata, perchè mi rendo certo che, so non fusse per altro che per godere di sì gratiosa hospitalità, ella s’ accosterà a questi nostri paesi, lasciando Boni a nella staggio ne pericolosa. Io poi stimerò grato le lattiche fatte in questa terra, so saranno cagione eh’ io sia io de’primi a rivederla, sì corno so d’esser de’primi a riverirla ; e da Monsig. r di Siena (che m’honora bene spesso di suo Ietterò) sarò avisato di quando olla v’ arrivi ; e se sarà in tempo elio questa terra habbia rihavuto il comertio, vorrò sino a Siena a farle reverenza, e insieme servire e Monsig. r 111. 1110 o lei, e con¬ fabular un poco do’ suoi travagli, secondo che dico il Poota : Forsan haec olmi meminisse vuvabit. La supplico d’humilissima reverenza a gl’Ecc. mi Sig. ri Am¬ basciatore o Ambasciatrice, de’quali la prego a impetrarmi qualche connnan- damento ; et a V. S. bascio le mani. Poggibonzi, 28 Maggio 1633. Di Y. S. molto 111.™ 20 la quale prego a scusarmi se non scrivo di mio pugno, perchè la mia testa non lo permette, Fuori: Al molt’Ill." Sig. r o P.ron Oss. n, ° Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2523 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Roma]. Arcetri, 28 maggio 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, dir. 193. — Autografa. Molto 111.™ et Anmtiss." 10 Sig. r Padre, Da l’inclusa scrittami hoggi dal S. r Rondinolli V. S. potrà venir in cogni¬ zione dello stato nel quale, circa il male, si ritrova Firenze o questi contorni; elio por esser assai buono, et Y. S. quasi del tutto spedita da i suoi negozii, spero puro che non dovrà indugiar molto a ritornarsene da noi, che con tanto desiderio la stiamo aspettando : sì che la prego a non lasciarsi tanto legare Dov. mo Ser. P0 Niccolò Cini. <*> ASCANIO PlGOOLOUlKI 136 28 MAGGIO 1633, [2528-2524] dalla gentilezza indicibile di cotesti Ecc. ,ni Signori, che noi doviamo restar prive di lei por tutta l’ostato. Pur assai ha ricevuto fin qui, nè mai sarà possibile il poter ricompensar tanto grazio o favori, ricevuti da lei o partecipati da noi. Desidero elio V. S., in particolare aU’£cc. mn Sig. r * Ambasciatrice, faccia per io nostra parto la solita reverenza. Di più havrò caro che nel suo ritorno mi porti un poco di amido, conformo a che ha fatto 1* altro volte ; e gli ricordo lo duo figurino elio gli domandai è già un pozzo' 1 ’. Quanto all’orto, por quanto dalla Piera intendo, le favo hanno fatta bel¬ lissima verzura, essendo alto quanto lei, ma il frutto è stato poco o non molto hello, o similmente i carciofi, i quali intendo che fecion meglio Panno pas¬ sato; non dimeno vo ne sono stati per la casa, per noi, et anco qualcuno se n’ò mandato a Vincenzio o al Sig. r Gerì. Gl’aranci ancora non hanno gran quan¬ tità di fiori, atteso elio il freddo o vento, che questi giorni passati ha domi¬ nato, gl’ ha fatto gran danno : quelli che cascano, la Piera gli va raquistando 20 c gli stilla. I limoni sono tanto maturi, elio hanno necessità elio V. S. venga a corgli; e-di quando in quando no casca qualcuno, che sono veramente bolli c bonissimi. Questo è quanto lo faccende della bottega mi permettono elio io gli possi diro, poi che Suor Luisa et un’ altra dello mio compagno sono in purga, ot io, por conseguenza, sola a lavorare. La saluto caramente por parto di tutto lo so¬ lite, 0 di più di Suor Barbera c Suor Prudenza, 0 prego il Signor Iddio che la conservi. Di S. Matteo, li 2S di Mag.° 1G33. Sua Fig> AfT. ,na co Suor M. w Coleste. 2524 *. MARIO GUIPUUUi a GALILEO in Roma. Firenze, 28 maggio 1(133. rfibl. Naz. Flr. Mss. Cai . Nuovi Acquisti, n.° 28. — Autografo. Molto Ill. re ot Ecc. nit> S. r o P.ron mio Oss. mo Con incredibil contento leggo le Ietterò di V. S., mentre vedo continuata la speranza o avvicinato il termine di riaverla qua, chè veramente mi par un’ bora nuli’anni di vederla fuora di questi viluppi, temendo sempre clic qualche ma- IiCtt. 2623. 16-17. V hanno pattalo — 28 MAGGIO 1633. 137 [2524-2525] ligno non si attraversi e porti nuovo ostacolo al negozio, elio cammina felice¬ mente alla fine. Qui non manca clii dice elio il libro sarà senz’altro proibito, chè veramente me ne dorrebbe assaissimo per più cagioni. Ma purché Y. S. torni presto in qua con buona sanità, ogni cosa si fa tollerabile. Non mi sono abboccato col S. r Bocchineri, però non ho saputo niente se ha io ricapitato la lettera per l’Eminentiss. 0 S. 1 ' Card. 1 ® Capponi; ma da esso V. S. ne harà risposta. Qua cominciamo a gustare degli effetti delle grazio della Beatissima Ver¬ gine dell’ Impruneta, essendo il malo cominciato assai a mitigarsi o di qualità o di quantità, ondo speriamo in breve rimaner totalmente liberi, purché la nostra ingratitudine non ci faccia ricadere sotto il medesimo flagello, che Lio ce no guardi. Con che a V. S. facendo reverenza, le prego ogni felicità o contento. Firenze, 28 di Maggio 1633. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ,na Aff. mo et Obli.» 10 Ser » Mario Cuiducei. 20 Fuori: Al molto 111” et Ecc. n '° S. p e P.ron mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2525 . ASCAN10 PICCOLOMINI a GALILEO [in Roma]. Siena, 28 maggio 1(533. Bibl. Nas. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 191. — Autografa. Molt’ 111.® Sig.° mio Oss. mo Posposta ogni considerazione dolPhonorc ch’io riceverei della sua persona in questa casa, s’assicuri elio l’ardire che ho preso nell’invitarla, principalmente depende dal poterla quanto prima ridurre a i desiderii ed alla vicinanza di tanti suoi amici e servitori, che impazientemente stanno attendendo il suo ri¬ torno: senza che, non tengo questa patria di cielo men salubro di Roma; al che anco aggiungo la consolazione eli’ ella potria ricevere dall’ intendere un po’ più dappresso lo nuove di Firenze, che forse, prive del solito augumento della fama, arrecheranno minor spavento. io La di V. S. pel Sig. Can. co Cini fu da me mandata al suo recapito ; o si trattiene anco ne i nostri contorni por ridurre a fine la quarantena che ha co¬ minciato in quei paesi, che hanno liauto una gran grazia da Dio in haver la 18 xv. 138 28 MAGGIO 1033. 1 . 2525-25261 sua assistenza. Mi rallegro infinitamente della poscritta olio V. 8. m’ha sog¬ giunto; od il termino promesso non l’impegna no’caldi, che anco dalla stagione vengano più del solito ritardati. Ritorno por tanto ad accettare od a sollecitare la grazia eli’ ella mi promette, nè altro gli posso promettere se non una servitù libera, d’ogni soggezione ed assolutamente qual V. 8. comanderà» E con line lo bacio devotamente lo mani. Siena, li 28 di Maggio 1633. Di V. S.molt’lll. 20 In Ri ronzo da lunodì in (pia son corsi tro giorni senza morti di contagio. 252G*. MARIA TEI)ALDI a GALILEO in Roma. Firenze, 28 miiggio 1038. Bibl, Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XIII, car. 101. — Autografa. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r P.rono Colcnd.™ 0 * Con mio grandissimo gusto o contento sento conio V. S. E. ma Labbia com¬ preso il desiderio mio; o scuserà l’ignoranzia mia, se nel principio non lo soppi così bene dichiarare : adesso resto in ardentissimo desiderio di sentirò l’otte¬ nuta grazia, quale son sicura sia per sortire a V. 8. E., sapendo quali sicno li meriti e favori suoi. Per tanto la prego clic, subito ottenuta, me no facci parto, e, come già li dissi, so anello per Suor Serafina mia cara sorella no potassi ot¬ tenere una simile, doppio sarebbe il favoro o grazia: et so ci andassi speso alcuna, il clic non so, mi farà grazia di spendere di sua borsa, et avisandomi 28 MAGGIO 1633. 139 [25261 io subito a dove dova rimetterò il denaro, chè io prontamente lo farò, chè non conviene che chi dà brigha dia spesa. Circha al malo contagioso, ò migliorato talmente, che più presto un poco di residuo si può ad di mandare che propriamente malo, et liieri puro non andò più cho uno al lazzeretto: e questo lo riceviamo per miracolo e gratin ricevuta dalla Santissima Madonna dell’ Impruneta, quale fu da’ SS. ri della Sanità con¬ dotta in questa città a tutte loro spese, con molta pompa e festa. Quale arrivò sabato mattina ad bore 9, sondo alloggiata la notte antecedente nella chiesa di S. Gaggio, accompagnata sempre da cavaleggieri; et arrivata alla città, si posò fuori di porta sur un bellissimo palcho, o fu ricevuta da Monsig. r Arcivescovo, 20 il Clero del Domo, S. Lorenzo, et altre fraterie e compagnie, e da S. A. S. in¬ sieme con tutti Principi, Madama, o Principesse e Magistrati : e nell’entrata che fece tirorno le fortezze, e così pricissionalmente andorno al Carmine, o di là a S. n M. a Novella, a dove si fermò per tutta la notte seguente. La domenica mat¬ tina, con la medesima processione di Prelati e Principi et altri, andorno alla Nunziata, e di là al Domo, a dove fece la seconda posata por tutta la notte seguente. Il lunedì mattina con l’istesso ordino fu condotta a S.' 1 Croco, dove si formò fino ad boro 21, che a detta bora con Pistessa processiono fu con¬ dotta a S. a Felicita, tirando per la Costa a S. Giorgio et alla porta, con suono d’arteglicrio. Fu da Monsig. r Arcivescovo benedetta la città, si partì, et ad so bore 2 di notte entrò in S. Matteo in Arcctri, o di là seguitò il suo viaggio all’Impruneta. E per tutto lo strado della città, a dove passò, fumo fatti bel¬ lissimi apparati, con gran quantità di torce et altri lumi, altari, fonte et altri adornamenti ; et imparticolare la casa di V. S. E. su la Costa fociono bollissimo apparato, con bollo altare drcnto alla porta, fonte, con molte belle invenzioni (1> . Quanto a mio fratello, si finì con l’aiuto di Dio il piato d’inopia (2 ’, e fu con¬ segnato alla Sig. ra Cassandra sua consorte la casa, insieme con tutto lo masse¬ rizie che vi sono drcnto, per d. 1G50, sì che detta Sig. ra Cassandra resta ere¬ diterà di d. 350, per li quali potrebbe ferirò il podere di Ganbassi, consegnato al Mariani. Quanto alla. Lucrezia, se no sta tutta via in villa col suo bambino, amata grandemente dal marito e servita, et non li mancha cosa alcuna; anzi la mia sorella mandò la sua fattoressa a visitarla in parto, quale fattorossa non può dire altro che ella sta sì bone c che è tanto ingrassata cho non si riconosco, et il bambino è grassissimo. E quivi era andata la sua cognata vedova a gover¬ narla, la quale li trovò da edizione e la trattò benissimo ; la condusse por tutta la casa, quale dico essere un palazzo con molti bolli abrigliamenti, o copiosis¬ simo d’ogni bone, sì cho a lei non mancha altro se non che non può vedere li Cfr. ».<* 2519. < ! > Cfr. n.o 2470, li». 89-49. 140 28 - 29 MAGGIO 1633. [2526-25271 suoi parenti : ot anello questo spero olio si supini, piacendo a Dio, conio saremo tutti agiustati nolli nostri conti o pretensioni. Il Sig. r Galletti {i) non andò altrimenti in podesteria a Fiesole, già elio S. A. S. 50 foce prorogha por tutto il mese di Maggio a tutti li podestà, vicari ot altri, per causa del malo, e di nuovo ha prorogato por tutto Agosto. Del resto lui sta bene insiomo con tutta sua famiglia. Quanto a mio genero, si ritrova a Cortaldo, o stanno bone lui, mia figliuola o tutti; o con prima occasiono servirò V. S. E., corno anello farò alla mia cognata, elio li sarà gratissimo. Mttd. na Bartolomca* 2 ' so no sta tutta via a Fiosolo, più grassa o fresclia elio mai, o non ha punto voglia di morire. E por fino tutti li saluti li tornono duppiicati, ot io senza fino ino li odoro o raccomando, Resti felice o di ino rieordoYolo. c>o Fir.°, li 28 Maggio 1033. Di V. S. molto III. ot Ecc. n,!l Dovotis. ma o Oblig. mi * por ser. ft Maria Todaldi. Fuori: AI molto 111. et Ecc. m0 Sig. r P.rono Colond. m ° Il Sig. r Galileo Galilei, p. ,no Filosofo del 8or. mo di Toscana. In casa FEcc. mo Amb. ro di Toscana. Roma. 2527. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA C10LI [in Firenze] Roma, 20 maggio 1M3. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal.. P. I. T II, oar. 181. — Autografa la «ottoscmiono. lll. m0 Sig. mio Osa. A giorni passati al Padre Commissario del S. OfRt io rappresentai la necessità elio bavera il Sig. Galilei di poter qualche volta uscir di casa per pigliare un poco d’aria o camminare, come quello elio, avvezzo a far esercitio, si trovava fiora, per esserne privo, in poco buono stato di salute; e lo pregai che, mentre si trattava della speditione della causa, gl’impetrasse da’Sig/ 1 Cardinali del Sant’Offitio e dal Sig. Card. 1 Barberino par¬ ticolarmente questa habilità, corno è seguito, bevendomi fatto sapere il medesimo Padre che questi Signori se ne contentano: o però va bora a questi giardini, ma in carrozza mezza serrat a.... <” Crkakk Galletti. <*> Baktouwmka Ammansati, vedova ili Moscio Tkdaldi. [2528-2530] 30 MAGGIO — 1° GIUGNO 1633. 141 2528 *. NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, HO maggio 1033. Bibl. Nazionale in Parigi. Colloction Dupuy, Voi. 717, onr. 247. — Autografa. .... Nous avons aprins par lediet Scieur Bodier la mesrae nouvello quo vous nous nmndiez, de la prison du pauvre Galileo, que nous deplorons infiniment, eatiuiants que si aulcun la pouvoifc avoir meritéc pour l’ódition de sea Dialogues, ce debvoient estro eeux qui les avoionfc chastrez à leur poste, puis qu’il avoifc remi» le tout à leur discretion et disposition pionière. Voua en verrez un jour un pcu do relation.... 2529 *. GIACOMO GAFFAREL a RAFFAELLO DI BOLLOGNE in Digne. (Venezia, maggio 1633]. Bibl. d’InBuimbert in Carpentrns. Colloction Poirosc, Rog. XLI, T. II, cnr. 73. —Copia rtol tempo. .... il mio carissimo Gasscndio, il quale saluto con ogni amorevolezza e devotione. Il gganra ces tristos nouvelles du pauvre Galileo, qu’il a estc arrostò prisonnier à l’in- quisition. Le uòre Scheiner, Jésuite, luy a joué ce tour, ut ereditai -.... 2530 . GERÌ BOCCHINERI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 1" giugno 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. X, car. 195. - Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. mo S. p mio Oss. m ° Lo doglio visitano V. S. troppo spesso, ma forse questo nasco dalla suavità di cotesti vini; et sarà però ventura di V. S. il tornar qua presto, perchè li no¬ stri vini non le gusteranno tanto. Mi sono molto rallegrato dal sentire dallo lettere del S. r Ambasciatore, elio Y. S. sia stata liabilitata a passeggiare per cotosti giardini (l) , et godo del godi- 0> Cfr. u.° 2527. 142 1° — 2 GIUGNO 1633. [2530-2681] monto eli* eli' havorà liavuto a Castel Gamlolfo. Aspettiamo ili sentirò la spedi¬ rono della sua causa col suo licenziamolito, senza pregiudizio anche del libro, dol quale so no debbo mandar di qua una stampa o due in Francia al cognato del S. 1 ' Card. 1 ** di Richclieu, et io lo laccio legare nobilmente; ot viene anello ri- io chiosto l’occhialo ( 11 . Di sanità noi ci trattonghiamo noi miglioramento avvisato, et solamento liieri il numero de’ malati arrivò a 9 ; gli altri giorni ot hoggi ancora non ha ecceduto 4 o 5, ondo speriamo di guarirò presto interamente. Et io però crederei elio V. S. potcsso vonirseno qua senza scrupolo, o almeno formarsi in Siena, per non si bavero a inchiodaro in Roma tutta la state: massimo obolo speso di V. S. costì non vanno bora più a conto di S. A., et il S. r Ambasciatoro sponde ogli ; et se non so lo farà rifar da lei, sappia ella di dovergli liavor questo obligo Et lo bacio lo mani. Di Fiorenza, p. mo Giugno 1633. 20 Di V. S. molto lll. r0 Oblig. mo Parente ot Sor. ro Gori Bocchineri. Lo raccomando Raggiunta por il S. r Cav. r Buonamiei. 2531 **. VINCENZIO GALILEI a GALILEO in Roma. Poppi, ìì giugno 1033. Dibl. Naz. Fir. Mas Gal., I’. I, T. X, car. 107. — Autografa. Molt* Ill. ro Sig. r Padre Oss. ni ° Giù con molto mio gusto bavovo Lauto avviso da’miei cognati (3) della sa¬ luto di V. S., o conio la sperava di ottener quanto prima la spedizione del suo negozio et a sua sodisfazione ; la qual buona nuova essendomi confermata dalla sua gratissima, mi ha raddoppiato il contento : o ringrazio Iddio elio con tanto suo honoro Labbia fatto scoprire la sua innocenza o rintuzzate le calunnio do’suoi avversarli, confidando appresso nella Sua bontà elio ci Labbia a far la grazia compita, con ricondurla presto a casa sana o con l’aniiuo interamente quieto o tranquillo. ILctt. 2531. S. a canta tana — m Cfr. il.® 2488. <*» Cfr. u.“ 2Ò09. Gkui od Aukssandro BoCOHISKKI. 2 GIUGNO 1633. 14.3 [2531-2532] io Quando olla si risolva a tornarsene, mi farebbe piacere grandissimo a passar di questi paesi, o venire a star qua su da noi parodii giorni e quanto li pia¬ cerà; dove se non Laverà lo delizio o i rogali che riceverebbe in Siena da quel- i’Ill." 10 Arcivescovo, almeno sarà in casa sua, e servita da’suoi con quell’affetto che gli doviamo, oltre cho questo luogo non gli dispiacerà et ci liavrà forse qualche spasso. La staremo dunque aspettando, con desiderio di rivederla sana e contenta. E con questo, non m’occorrendo altro che dirli, li bacio la mano, salutandola con ogni affetto insieme con la Sestilia. Di Poppi, li 2 di Giugno 1683. Di V. S. molto lll. ro Afl>» Figliuolo 20 Vincenzio Galilei. Fuori: Al molto 111. 1 ' 0 Sig. r o P.ron mio Oss. mo Il iSig. r Galileo Galilei. Poma. 2532 *. NICCOLÒ EABR1 L)I PEIRESC a LUCA HOLSTEIN [in Poma]. Aix, 2 giugno 1638. Elbl. Vaticana. Coti. Bartooriniano lat. 6505 (già LXXIV, 51), car. OS/. — Autografa. _Nous avons bicn plaint le pauvre Galilei, que l’on nous a voulu dire estre débtenu prisonnicr, au prejudice de bona et valables saufeonduits et iles declarations reiterees qu’il avoit faictea aux officierà du S. 1 Office de ne vonloir escrire que ce qu’ila auroient. ap- prouvé, cornine ila Pavoient faict. Voua ne sganriez croire come ecla esclatte par tout, et eomme on trouve estrnngc sa persecution, puis que c’est. a ceux qui avoient ostò com- mis a la lcclure de son livre qu’il eust fallu s’en prendre, a’il y pouvoit caclieoir, plustoat qn’a luy. .Io pense que eea l'eros peuvent aller à bornie foy, inaia ila auront de la peino à le persuader au monde. Sur quoy jo finis, derneurant Mousieur, 10 A Aix, ce 2 Juin 1633. "fu» ^ r Arcanuioi-a La.nduooi. <*» Cl'r. n." 2497. 148 4 GIUGNO 1633. [263G-2587J dorè. Io non posso credoro elio un simil concotto sia per ritrovar luogo ap¬ presso di alcuna persona di rotto discorso. Tuttavia mi rallegro sommamente io di scòrgerò in Y. S. un animo tranquillo, apparecchiato o accomodato sì bone ad essor conformo ad ogni deliberazione elio venga fatta. Della lotterà di V. S. scritta all’ Eminentiss. 0 S. r Card. lfl Capponi non ho inteso nicnto, ot iL S. r Dino l4) , elio ho veduto stamani, non no sa niente. Il qual S. r Dino mi dico, avere scritto a V. S. dua volto, o che non ha seguitato di scriver più, stimando, dal non avoro avuto risposta, che V. S. non avesse ozio di occuparsi intorno alle suo lotterò; ma elio ora, vedondo il suo desiderio o coniotturando elio lo lotterò siano andato male, supplirà alla sua mancanza. Quanto al malo di qua, Y. S. si assicuri elio ò mitigato assai, e, a mio giudizio, non arobbo a essor cagiono a lei di differire il ritorno in questo parti. 20 Di Poggibonzi intendo ebo era estinto affatto, essendovi stato là o ritrovando- visi ancora il S. r Canonico Cini (!) , nò ho sentito elio sia passato a Staggia : ma la gente spaurita dico assai più rìie non ò. Et in quanto a me, reputerei por Y. S. molto più sicuro lo starsene nella sua villa elio a Siena o che anche in Roma, perchè non credo elio in alcun luogo ella sia por goder quieto conio in villa sua, dove non si è mai approssimato questo male e dove può aversi ottima cura. Non erodo elio la troppa brama di rivederla presto mi offuschi il giudizio : tuttavia olla ha da deliberare quello che lo parrà più a proposito. E qui facendolo riverenza, lo prego dal Signore Dio ogni maggior folicità o contento. Firenze, 4 di Giugno 1633. so Di V. S. molto Ill. ra ot Ecc. mu Aff.'»» o Obb. n, ° Sor.” 1 Mario Guiduoci. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Oss." 10 D Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2537 *. DINO PERI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 4 giugno Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi. B.» I.XXXIV, n.° ISO. — Autografa. Molto 111.” et Eec. mo Sig. r o P.ron mio Col." 10 Questa è la terza lettera ch’io scrivo a V. S. Ecc. mn , e voglio consognarla al Sig. r Eocchineri, per veder so in compagnia delle sue si potessi ridurre in m Dino Pkiii. Niccolò Cini. 4 GIUGNO 1633. [2537] 149 salvo, o pur so la mia disgrafcia farà capitar mal tutto il resto. So bene io non liavovo risposta, no stavo con l’animo in pace, supponendo die, per l’amore os¬ servantissimo eli’ io lo porto, olla mi favorisse di pigliarsi meco ogni sicurtà o di non affaticar maggiormente la testa, occupatissima in pensieri di estremo ri¬ lievo ; ma il Sig. 1- Mario Guiducci mi ha letto stamattina una lettera di V. S. Ecc. ma , donde ho ritratta la mia sventura o sentito disgusto grande, mentre ella si duolo io ch’io non lo habbia mai scritto un verso. La prima lettera fu piena d’augurii o di preghiere d’esito felice do’suoi viaggi: la 2 a fu. di ringraziamento, eli’io do¬ vevo a V. S. Ecc. n,a per mezo de’ suoi mai a bastanza lodati Dialogi, poiché questi mi tenevano honorato appresso il Sig. r Cardinal Capponi etc. In questa dunque rinuovo lo preghiere, e lo desidero quello felicità che si convcrrcbbono alla sua zelantissima, piissima o sapientissima mente; piaccia al Cielo ch’ella sia cono¬ sciuta, chè insieme resterà conosciuto l’obligo particolarissimo che gli devo c gli dovrà sempre tutto il mondo: rinnovo ancora i ringraziamenti debiti a’dot¬ tissimi libri di V. S. Ecc. n,a et alla sua benignità, donde io riconosco lo lodi so¬ prabbondanti elio mi accreditorno appresso molti di questi Signori, o per mezo 20 loro appresso il Sig. 1 ' Cardinale. Lo nuovo della diligenza o gusto grande con che il Sig. 1 ' Cardmalo ha letto i suoi stupendi Dialogi, penso che già per molt’ altre bande l’habbia sapute (l) ; o qualche cosa ch’io direi di più, non la scrivo volentieri, ancorché ci sarebbo da darle gusto. Il dispiacere elio mi lasciò stamane la chiusa della lettera di V. S. Ecc. ma mi levò la memoria di dir al Sig. r Mario quel eh’ i’ sapevo della lettera inviata da lei al Sig. r Cardinale; cioè che S. Eminenza mi disse da sè, tre sotti mane sono, clic V. S. gli haveva scritto, e me lo disse mostrandone gusto grande, e ch’eli’era sì bolla lettera. Mi disse di più che quella del Segretario non gli era piaciuta, so e che gli havova ordinato che la rifacessi per il sabato seguente w : non ho poi saputo nè domandato altro. Resta ch’io preghi V. S. Ecc. n,a a tenermi honorato della sua pretiosissima c desiderabilissima gratta, a comandarmi per quant’io possa, et a gradire l’of¬ ferta ch’io lo fo di tutto me stesso. Le fo humilissima reverenza, e devotamente le bacio lo mani. Fir. ze , 4 Giugno 1633. Di V. S. molto 111.’ -0 et Ecc. 1,1,1 Oblig. mo e Dcvotiss. 0 S. ro Dino Peri. Al P. Rovcrendiss. 0 Don Benedotto presento mille ossequiosissimi saluti, e con -io ogni devotione et osservanza gli bacio lo mani. (>) Gir. uu.i 2-134, 2447,2451, 2454, 2458,2400. i*l 01V. il.» 2514. 150 9 — 10 GIUGNO 1633. 12538-2539] 2588 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Roma. Urescia, 9 giugno 1633. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, H.« LXX, u.° 30. — Autografa. Molto Hl. ro S. r et P.ron mio Col." 10 Tongo duo lettore di V. S. molto III. 0 , tutto due noi medesimo tempo, elio mi sono stato carissimo, corno lei si può immaginar. È ben vero elio mi sareb¬ bero stato molto più caro so havessi liauta la nova del tino totale do’ suoi no- gozii, quale in ogni modo spero felicissimo. Io penso di partire lioggi otto per Mantoa, Ferrara, Ravenna e la S. u Casa, o penso di andar a staro un paro di giorni dal nostro Monsignor Ciampoli. Non mancarò servirla del refe per le sue Monachine. In tanto attenda a conservarsi nei caldi, o mi conservi la grafia delli SS. r| Ecc. ,ni Ambasciatore o Ambascia¬ trice, a’ quali ot a V. S. fo humilissima riverenza. Brescia, 9 Giugno 1633. Di V. S. molto Ill. ro Dcvotiss. 0 et Oblig. mo Sor. 0 e Dis. 10 S. r Galileo. Don Boncd. 0 Castolli. Fuori: [....] P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. In Corto dell’ Ecc." 10 Sig. r Ambas. re di Toscana. Roma. 2539 *. GIO. CAMILLO GLORIOSI a GALILEO in Roma. Napoli, 10 giugno 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Qui., P. VI, T. XII, car. 19. — Autografo. Molto IU. r ° S. r Ho inteso con mio dispiacere li travagli ebe si danno a V. S. : pure col suo sapere e con la sua prudenza superarli il tutto, e no uscirà con maggior sua gloria e riputationo. Di questo libro del Sistema del mondo, sono parecchi mesi mi ne diede avviso di Pavia il Padre Santini w , o mi disse di più che V. S. ci voleva fare <‘l Antonio Santini. 10 — 11 GIUGNO 1633. 151 [ 2539 - 2540 ] un’aggiunta. In Napoli non ci ne sono comparsi por le librarie; ho procurato Lavorio di Roma, mi dicono che non si possa vendere : la priego a farmene capitar uno nelle mie mani; anzi mi doglio che V. S. non me honori o favo- io lisca dello cose suo che di tempo in tempo manda allo stampe, sapendo quanto io lo sono amico o servitore. Lo bacio lo mani. I)i Napoli, 10 di Giugno 1633. Li V. S. molto 111.” Aff. mo Ser. re il S. r Galileo Galilei. Roma. 2540. GERÌ BOCCIIINERI a GALILEO in Roma. Firenze, 11 giugno 1GI53. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I. T. X, car. 203. — Autografa. Molto Ill. rB et Ecc. mo S. r mio Oss. ,no Dispiacciono anche a me infinitamente le lunghezze che V. S. va incontrando nel suo negozio, con tutto che sempre le venga promosso brevità. Staremo a sentirò se finalmente nella congregationo di liier l’altro V. S. sarà stata spe¬ dita, conformo alla benigna intentiono che no dette S. S. tJk Ma avverta Y. S. sopra tutto a non si mettere in viaggio doppo San Giovanni, perchè il pericolo ò certo di chi esce di Roma in quel tempo ; però glielo ricordo, et ne la prego por il zelo che ho della sua conservatione. Et dovendo mettersi bora in camino, sarà bene ch’ella si fermi in Siena, por aspettar l’esito quivi del nostro malo, io clic da 8 giorni in qua pare che si faccia maggiore, crescendo il numero degli infermi et do’ morti, et essendo chiuse alcuno case di gentiluomini. Mi affligge ancora, elio se il malo seguita, F. Antonino mio fratello, offertosi di andare a servirò a lazzeretto, et che ne fa continua instanza, vi sarà mandato infallibilmente, essendo già morti tre do’ 6 cappuccini che andorno. Et a V. S. bacio le mani. Di Fiorenza, XI Giugno 1633. Di Y. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ma Oblig.™ 0 Parente et Ser. r ® Gcri Boccliineri. Fuori: Al molto IH." et Ecc. mo S. r mio Oss." 10 Il S. 1 ' Galileo Galilei. 20 Roma. 152 11 GIUGNO 1633. [2541J 2541 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Roma]. Arcetri, 11 giugno 1G33. Blbl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 103. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Ladro, Ultimamente scrissi a V. S. (l) , le coso (lei contagio esser ridotto in assai buon termino; ma adesso non posso con verità replicar il simile, già elio da alcuni giorni in qua, essendo variata la stagione con un fresco più elio ordinario in questo tompo, il malo ha ripreso forzo, et ogni giorno si sento serrarsi nuovo caso, so bone il numero di quolli elio muoiono non ò grande, non passando, per quanto dicono, i sotto o gl’ otto il giorno, ot altrettanti so no ammalano. Stando per tanto lo coso in questo termino, giudicherei elio ad ogni modo ella so no potessi venire alla volta di Siena, come già lui dissegnato, quando però siano terminati dol tutto i suoi negozii, per tutto il presente moso: già elio poi fino io all’autunno non si può batter la campagna di Roma, por quanto intendo dal S. r Rondinelli; et io non vorrei già elio V. S. fossi astretta a far costà tanto lunga dimora. Sì che di grazia procuri, por quanto può, la sua spedizione, la quale spero pure elio sia por ottener quanto prima, con l’aiuto di Dio bene¬ detto o dol S. r Ambasciatore, il quale si vedo chiaramente non essersi mai strac¬ cato noli’ aiutare e favorir V. S. con tutto lo sue forze. E veramente, carissimo S. r Padre, elio se da una parte il Signor Iddio l’ha travagliata o mortificata, dall’altra poi l’ha sollevata et aiutata grandemente. Solo l’haverla conservata sana, con i disagi che pati per il viaggio o di poi con i travagli clic ha pas¬ sati, è stata una grazia molto particolare. Piaccia a S. I). M. di concederci elio 20 non siamo ingrati a tanti benefizii e di conservarla e protegcrla fino all’ultimo, del che Lo prego con tutto il cuore; et a V. S. mi raccomando per mille volto insieme con lo solito. Di S. Matteo in Arcetri, li 11 di Giugno 1033. Di V. S. molto 111.™ Fig> Afì’. ma Suor M. a Coleste. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r Padre mio Oss. mo U Sig. 1 ' Galileo Galilei. Roma. Leti. 2541. 8. giwJccherei — Cfr. il.» 2535. [2542-2543] 11 — 12 GIUGNO 1633. 153 2542 * MARIO GUIDUCCI u GALILEO in Roma. Firenze, 11 giugno 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. I, T. X, car. 205. - Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. mo Mi dispiace sommamente dell’indugio che vedo interporsi al ritorno di V. S., dopo l’aver, si può dire, avuto la spedizione. Tuttavia questa tardanza ad ulti¬ mare questo negozio mi fa credere che l’argomento de’ suoi avversari appresso a i superiori non inferisca quella stravolta conseguenza che nelle loro appassio¬ nato o forse maligne menti perversamente conclude clic il libro debba soppri¬ mersi, ma por avventura rettamente ne deducano che si debba andar più con¬ siderato in deliberare, mentre sentono l’applauso elio indifferentemente riceve il libro, dovunque ò letto o inteso. Se a* 9 di questo mese Faranno spedita, V. S. io sarà, a tempo molto bene a incamminarsi verso queste parti, poiché la stagiono è più fresca elio non arebbe anche a essero, sì ebo il viaggiare non può esser pericoloso per troppo caldo. Qui il male, clic ora quasi spento, si è fatto un po’ risentire : piaccia alla Divina bontà elio questo sia l’ultimo sforzo, o non passi più oltre. Il S. r Dino mi promesse di scriverò a V. S., e poi non P ho riveduto, o non posso crederò che non l’habbia fatto. E per lino facendole riverenza, lo prego dal Signore Dio ogni felicità. Firenze, 11 di Giugno 1633. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ma Aff. mo c Obb. mo Ser. re 20 Mario Guiducci. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. 1 ' e P.ron mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Roma. 2543 . ASCANIO PICOOLOMIN1 a GALILEO [in Roma]. .Sitata, 12 giugno 1053. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 207. — Autografa. Molt’Ill. Sig. r mio Oss. mo La pratica ch’io ho della naturai lentezza di cotcsta Corte, mi consola la dilazione ch’io pato al sperato bollore della sua presenza in questa casa. Ma XV. 20 154 12 — 14 GIUGNO 1633. [2543-2544] perché Y ultima intenzione (lata da N. S. denota non mcn preRta che favorevole spedizione, so anco in materia di lettighe o d’altro la conosce buona la mia servitù, li ricordo elio olla la può adoprare con ogni libertà ; nò altro titolo am¬ bisco appresso di lei, che quello di vero sincero suo servitore, fuor d’ogni ciri¬ monia. E qui con fino affettuosamente li bacio lo mani. Siena, li 12 di Giugno 1G33. I)i V. S. molt’ 111. Dovot. Ser. io S. r Galileo Galilei. A. A. 0 di Siona. 2544. GIOVANNI CIAMPOL1 a GALILEO in Ronm. Montulto, 14 giugno 1633. Bibl. Naa. FLr. Mas. Gal., P. 1, T. X, car. 209. — Autografi il poscritto o la sottoscriziono. Molto Ill. ro ot Ecc."'° Sig. r mio Oss.'™> Il longo silontio di V. S. mi tieno troppo inquieto, nò posso persistere con l’animo così sospeso. Gli alletti della mia monto pendono dallo stato de’suoi negoci. Non ho in Roma chi mi dia roguaglio di V. S., però la prego ad es¬ sermi in ciò più liberale. 11 nostro D. JJonedotto sarà qui fra pochi giorni 11 ’: s’uniranno i nostri de¬ sidero in bramar la presenza o la virtuosissima convorsatioiie di V. 13., alla quale bacio con ogni affetto lo mani. Mont. 10 , 14 Giugno 1633. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. ma io Non amo così poco il S. r Galileo, ammirato dalla fama, che io possa soffrire un silentio sì lungo senza gelosia inquieta. Continuo a vivoro con salute e con quiete; e lo studio è la miniera de i diletti su questo monto, dove vorrei pian¬ tare un boschetto di lauri, che riuscissero cari alla gloria. La supplico a roverire in mio nomo 1’ Ecc. mo S. r Ambasciatore. S. r Galileo G. Roma. Dev. rao Ser. ro Gio. Ciampoli. 20 "> Cfr. u.» 2533. [2545-2546] 15 — 15 GIUGNO 1633. 155 1 2545* GOFFREDO WENDEL1N a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Bruxelles], 15 giugno 1633. Bibl. Nazionale in Parigi. Fonda francale, Nouvellos acquisitions, n.° 6205, png. 20. — Autografa. .... Oaetcrnm cum eodem ilio Patresimili lioc agébam, cuius non sino borro re admonuisti nos beri, dum Galilaei tantum non pornioiem suggessisti (et is propter solam istam opinionem tantum periculi invenit?). Loxiam<*> meuni, denuo ac in tri pi uni auctio- rem proditurum, ostendebam, observationibus longe pluribus iisqueantiquissimis instructio- rem, obiterque de mota telluris (cuius me ussertorom professus semper sum etiavn coram Eniiucntissinio Cardinali de Balneo (3) ) verba faciebain, confirmando ex ipsis Sacris sacrile linguae disertis orac.ulis, nisi et fostinatio discessus et siniul Galilaei recordatio me raporent, tibi, antequam quidqmun edam, Ilio couimunicandis .... 2546. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Roma. Brescia, 16 giugno 1633. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. X, ciu\ 211. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 Sig. ro c P.ron Col.' 110 Partirò martedì prossimo alla più longa di Broscia per co testa volta, e non vedo l’hora di vederla e servirla. Spero in Dio e nella somma prudenza e sa¬ pienza di cotesti Signori, che le cose di V. S. saranno Formai terminate in bcno, stante la sua innocenza; perché se bene la debolezza dei corvelli comuni è ri¬ dotta a tanta miseria, cho sono largamente premiati i cacciatori e cuochi, clic con nove inventioni di caccio e pasticci s’affaticano di dar gusto alla bizarria o palato delti huomini, e all’ incontro sono poste altissimo colonne alli intelletti specolati vi col Non plus ultra, quasi elio in queste si sia saputo tutto il scibilo, io e ili quelle non bastino le delicio ritrovato sin qui, non dimeno nelle cose di V. S. habbiamo da fare con il Santissimo Tribunale, o guidato dalla somma prudenza o sapore di un ottimo Pontefice, in modo cho non si può dubitare di traversia di maligni nò d’ignoranza. 0> Franoksoo Linus. <*> Cfr. n.» 2472. < 3 > Uiovan Franoksoo dei Conti Uuidi di Bagno. 156 16 — 18 GIUGNO 1633. [2646-2547] Io pensavo di bavero risposta da V. S. intorno al suo interesso della pen¬ siono; ma non no havendo hauto altro, non posso trattare cosa alcuna. Però finisco, facondo riverenza alli Ecc. mi Sig. ri Àmbasciatoro e Ambasciatrice et a Y. S. con tutto il cuore. Broscia, il 16 di Giug. 0 1633. Di V. S. molto 111.™ Devotis. e Oblig. mo Ser. M e Dia. 10 S. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. 20 Fuori, d'altra inano: Al molto 111.™ S. r mio ot P.ron Cui." 10 11 S. r Galileo Galilei. Roma. 2547. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. . Arcotri, 18 ghigno 1638. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 200-201. — Autografa. Amatiss. 1 " 0 Sig. r Padre, Quando io scrissi a V. S. dandolgli conto dol malo elio era stato in questi contorni 11 ’, giù, ora cessato quasi dol tutto ogni sospetto, essendo scorsi molti giorni, anzi settimane, senza sentirsi niente; o, conio all*hora gli soggiunsi, me no dava intiera sicurtà il vedere elio tutti questi gentiluomini nostri vicini so ne stavano qui in villa, corno seguitano ancora di starci tutti; o, che ò più, nella medesima città di Firenze si sontiva cko il mulo andava tanto diminuendo, che si sperava clic presto dovossi restar libera dol tutto : ondo, con questa si¬ curtà, mi mossi ad esortarla o sollecitarla per il suo ritorno, so bone noli’ultima elio gli .scrissi " 1 , sentendo elio lo cose erano poggiorato, mutai linguaggio, come io si suol dire. Perchè, se bene è verissimo cko desidero grandemente di rivederla, desidero non dimeno molto più la sua conservazione e salute; o riconosco poi- grazia speciale dol Signor Iddio l'occasione elio V. S. ha liavuta di trattenersi costà più lungamente di quello cko lei et noi havrcimno voluto; porchò, se bene credo elio gli dia travaglio il trattenersi così irresoluta, maggioro gliene darebbe forse il ritrovarsi in questi pericoli, i quali tuttavia vanno continuando, o forse aumentando: c ne lo conseguenza da una ordinazione venuta al nostro mona¬ stero, come ad altri ancora, da parto dei SS. n della Sanità, ot è che per spazio di 40 giorni doviamo, due monacho por volta, star continuarli onte giorno o notto <»> Cfr. n.° 2536. <*> Cfr. u.# 2541. 18 GIUGNO 1633. 157 [2547] 20 in orazione, a pregar S. D. M. per la liberazione di questo flagello. Havoromo da i sudetti Signori d. 25 di elemosina; o oggi è il quarto giorno ohe domino principio. A S. r Arcangela Landucci ho fatto intendere che V. S. gli farà il servizio che desiderava ai , et olla la ringrazia infinitamente. Per dargli avviso di tutto lo cose di casa, mi farò dalla colombaia, ove fino di quaresima cominciorno a covare i colombi; et il primo paio che naque, fu mangiato una notte da qualche animale, et il colombo che gli covava fu tro¬ vato dalla Piera sopra una travo, mezzo mangiato e cavatone tutto l’intoriora, che por questo si giudicò che fossi stato qualche uccello di rapina. Gl’ altri co¬ so lombi spauriti non vi tornavano; ma seguitando la Piera a dargli da mangiare, si sono ravviati, et adesso ve ne covano duo. Gl’aranci hanno havuti pochi fiori, i quali la Piera ha stillati, o mi dico haverne cavato una metadolla d’acqua. I capperi, quando sarà tempo, si acco¬ moderanno. La lattuga che si seminò, secondo che V. S. haveva ordinato, non ò mai nata, o in quel luogo la Piera vi ha messo de i fagiuoli, che dico esser assai bolli, o simihnouto de i ceci, do i quali la lepre no vorrà la maggior parte, havendo già cominciato a lovargli via. Dello fave vo nc sono da seccare, et i gambi si danno per colazione alla muletta, la, quale è diventata così altiera, ebo non vuol portar nessuno, et alcuno volte ha fatto far de i salti mortali al io povero Geppo, ma con gentilezza, poi che non si è latto male. Ascanio (e) , fra¬ tello della cognata, la domandò una volta per andar di fuora, ma quando fu vicino alla Porta al Prato, gli convenne tornar in dietro, non havendo mai luuito forza di scaponire F ostinata mula acciò andassi innanzi ; la quale forse sdegna di esser cavalcata da altri, trovandosi senza il suo vero padrone. Ma ritornando all’orto, gli dico che le vite mostrano assai bene; non so poi so prosseguiranno cosi, mediante il torto cho ricevano di esser custodito dalle mani della Piera, in cambio di quelle di V. S. De i carciofi non ve no sono stati molti; con tutto ciò se ne seccherà qualcuno. In cantina le coso passano beno, andandosi il vino conservando buono. In 50 cucina non manco di somministrare quel poco cho fa bisogno per la servitù, eccetto clic nel tempo cho ci viene il Sig. r Rondinelli, chè all’ bora ci vuol pensar lui; anzi cho in questa settimana volse che una mattina noi stessimo in parlatorio a desinar da lui. Questo (sic) sono tutti gl’avvisi cho mi par di potergli dare. L’Archilea desidera che V. S., di costì dove è abbondanza di buoni maestri di musica gli provvegga qualcho bella cosa da sonar su F organo. Suor Luisa havrebbo caro di sapere se V. S. ha poi visto il Sig. r Giovanni Mancini, che ò mercante, por conto del negozio del nostro vecchino; e similmente Suor Isabella Aff. ma Suor M.‘ Coleste. 2548 *. CASSIA NO DAL POZZO a GALILEO lin ltoiua |. Roma, 18 giugno 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. (ini., P. VI, T. XII, car. 21. — Autografa. Molt’Ill. r ° Sig. r o P.ron Col." 10 Ilo di giii visto la scrittura da V. S. inviatami, o da lei fatta tant’anni sono per chiarezza do’ suoi scritti e dolio suo inventioni nobilissime, o ni’ ò parsa talo elio sii da farla goder a molti; o così, so è con sua grazia, ardirò pigliamo una copia, per potoria rileggere o far loggero ad altri a mio commodo, ossondovi da imparar assai. Rimando il libro de’ vantaggiosi moschetti, non ossondo mio o non havendo a rihavere libro nessuno, eccetto il Telescopio del Sirturi (1) cha a V. S. dono, havendol’io duplicato. Ilo fatto conto di quel libretto, perchè dà a V. S. quello elio dove, dico dell’inventione d esso telescopio. Mando anco uno scatolino, con io molte di quello lumacho che si trovano in un condotto della vigna di Madama, fra la rena del medesimo. Sono nell’esattezza loro, riguardata la piccolezza, non mono ammirabili di quello siino nel nascimento, contorni’a cho anco dico Plinio In magnis siquidem corporibus, aut certe viaioribus , fac'dis officina, seguaci mate- ràf, fuit. In his tamparois atque tam nullis, quae ratio? (manta vis? guani inextrì- cabilis pcrfectio? Tuttavia non sono da ammirarsi, quando l’arte giugno, in un certo modo, a contenderò del pari. V. S., cho vedrà in questo scatolino rin¬ chiusi, dirò, centinara di nicchi, stupirà quando in un grano di pepo vedrà rin- m Cfr. u.» 7SS. o. Nat. llièt, XI, 1. 18 GIUGNO 1683. 159 [2548-2549] chiuso un migliavo di bichieretti d’avorio, fatti a calice, lavorati al tomo, c 20 con l’orlo d’ossi dorato. 11 Baron Sciat, gentiluomo Tedesco, che credo eh’ancor lioggi si trovi in questa città, può far vedere questa maraviglia, che da me si procurerà por servirla. E pregandola, se in qualche m[_] posso ricevere l’ho- nore do’ suoi comandi, a favorirmene, le bacio di cuore lo mani, pregandolo quella prosperità o contento eh’ alla sua segnalata virtù si devo. Di casa, a’ 18 Griug. 0 1633. Di V.S. inolt’Ul* Fuori: ÀI molt’Ill. Sig. v e P.ron Col." 10 Il S. r Galileo Galilei. 2549 * GIO. GIACOMO BOUCIIARD a PIETRO e GIACOMO DUPUY [in Parigi]. Roma, 18 giuguo 1633. Bibl. Méjanes In Atec. Corrospondance de Poiresc, Rcg. LX, T. 11, car. 410. — Copia del tempo. .... il y a icy un Lìnceo , qui voit bien plus clair que tonts cen gens cy avee scs lunettcs d’approche, qui ne leur ont pas néantmoins fait découvrir dans la limo les tra- hisons que l’on luy a tramóes à Rome, où il a esté appelé par ceux de l’Inquisition, les- quels Pont mesme rotenn prisonnier quelquos liuit jours, d’où il est maintenant dehors. Je le fus voir l’autre jour avec M. I)oni< l) , et luy lous les louanges que certains maistres de vostro Acadómie m’ont escrites sur ses Dialoghi del flusso et reflusso, qu’il receut avec un extresme contentement. O’est le vieillard le plus sago, le plus éloquent ot le plus ve- nerable que j’aye janrnis veu, et qui a en sa fagon et en ses termes je ne sgay quoy de ces pliilosophes anciens ; aussi cliés luy se fait le cerei© di butti i virtuosi di Doma _ <*> Gio. Battista Doni. 160 l'J GIUGNO 1633. [ 2550 ] 2550 . FRANCESCO NIOCOLINI ad ANDREA CIGLI [in Firenze]- Roma, 19 giugno 1688. Bibl. Nar,. Fir. Mas. Gai., P. I, T. Il, car. 183-18». — Autografa la sottoscrizione. 111.”' 0 Sig. r mio Obs."’ 0 Ho ricevute questa mattina un'infinità di benignissime dimostrattioni da S. D. n# .... Ho di nuovo supplicato per la spedittione della causa del 8/Galilei; o 8. S. u m’ha significato eh'eli’è di già spedita, e che di quest’altra settimana sarà chiamato unu mat¬ tina al S. t0 Officio per sentirne la rìsoluttione o In sentenza, lo, in sentir questo, supplicai nH’liora 8. B. no a restar servita, in grazia di 8. A. 8. nostro Signore, di mitigar quel rigore che potesse esser parso a 8. S.’ A et alla Sacra Congregutiono di dover usar in questo ne¬ gozio, già die con tant’nltrc singolari dimostrattioni s’era in questa causa obligata l’A. S., la quale si riserbava di renderne da sé stessa le dovute grazie, terminato clic fusse inte¬ ramente il negozio. Mi replicò che non occorreva elio S. A. bì pigliasse questa briga, per- 10 che haveva fatta volentieri ogni habilità al S. r Galileo in riguardo dell'amore che porta al Padrone Ser."'°; ma che, quanto alla causa, non si potrà far di meno di non prohibir quell’opinione, perchè è erronea o contraria allo Sacro Scritture dettate ex ore Dei; o quanto alla sua persona, dovrebbe egli, por ordinario o secondo il solito, rimaner qui pri¬ gione per qualche tempo, per haver contravvenuto a gli ordini che teneva sin dell’unno 1016, ma che, come sarà pubblicata la sentenza, mi rivedrà di nuovo, o tratterà meco di quel che si possa far per manco male o per manco affliggerlo, poiché senza qualche dinio- strattione personale non no può uscire. Io tornai all’bora a pregarla di nuovo humilmento a usar della sua solita pietà verso l’età grave di 70 anni di questo buon vecchio, o verso ancora la sua sincerità: ma mi accennò dì creder che non si potrà far di meno di non 20 lo relegar almeno in qualche convento, come in S. 11 Croco, per qualche tempo; ina elio non sapeva ben per ancora quel che fusse por risolvere la Congregatione, la qual tutta unitamente et nomine discrepante caminava in questi sensi del penitenziario. Don era vero che 8. S. u vuol che si dichiari, per fuggir gli esempi, essersi mitigata ogni pena in grazia del 8er. m0 Granduca nostro Signore, perchè per questo veramente, et non per altro, se le soli latte o so le faranno tutte le facilità possibili. Io non ho referito altro sin bora al modesimo S. r Galileo elio la prossima spedittione dolla causa e la prohibittione del libro, ma della pena personale non glieno ho detto niente, per non affliggerlo, col dirgli ogni cosa in un istesso tempo, et perchè anche 8. B. n * m’ha ordinato di non gliene conferir per non lo travagliar ancora o perchè l'orso, col negoziare, 30 si potrebbon alterar le cose; ondo stimerei anche a proposito elio di costà non gliene fusse avvisato cos’aldina.... [2551-2552] 21 GIUGNO 1633. 161 2551 *. ISMAELE BOULLTAU a PIETRO GASSENDI [in Parigi]. Parigi, ‘21 giugno 1(533. Prilla pag. 411-412 doli'adizione citata al n.° 1729. -Quia exhnurire unquam poterit omnia illa quae quotidie nova se produnt? Antiqui Vencrem infra soleni semper currere asseverarlint, et docuerunt, et omnes secutisuntad Copernici aetatern. Ante annos triginta sphaerieam semper eredita est emittore lucem, et faciem globosam versus terram ostendere: tubus opticus detegit, illani proprio carcre lumi ne, et corniculatam versus terram descendere. Quia maculas in «ole viderat, et talea non planetain Mercurium docuerat? Galilaeus et Apelles et infiniti alii viderunt et quotidie vidont; ipseque superiore anno, excepto solis lumino per forameli, maculas grandiores notavi mcnsibus Augusto et Septembri.... Audieram a Domino Luillerio Galilaeum vocatuiu decreto Sanctao Inqnisitionis, ut ad accusationes responderot quae obiiciebautur 10 ei, tauqmun adversus religionem Catholicam et authoritatem Sanctao Sedis A postoli cae baerotica quaedam scripsisset in libello suo de terrae mobilitate. Stupebam et dolebani vicem buius optimi et doctissimi senis; sed gratissimus mihi f'uit nuntìus, qui Galilaeum ani piiatu m non solimi, sed et absolutum, dixit. Nunqnnm persnasuin habeo, Sanctissiniuni Dominum nostrum ac Beatissimum Patreni Papam, Christi Vicorium, ad ea quae ad Fidem non pcrtinent, clavium potcntiam extendero velie. Sane si Sacrae Scripturae, voi decreti» Summorum Pontificum aut Conciliornm canonibus, adversaretur illa de motu terrae opimo, quanto studio illam, ut verisimiliorcm et naturae reruni magis convenientem, tueor, tanta non solmii facilitate amandarem, sed et contrario aft'ectu execrarcr, illins authores, per- fectoquo odio prosequerer.... 2552 **. GIO. BATTISTA GONDI ad ANDREA CIOLI in Firenze. Parigi, 21 giugno 1G33. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Medicea 4044 (non cartolata). — Autografa la sottoscrizione. _Quegli occhiali c libri del S. r Galileo e quella ricetta delle vipere sono aspettati con gran desiderio dalla Sig. ra nipote del S. r Cardinale, elio rende umilissime grazie di questo favore ' a> .... Fkancrsoo Lhu-mbr. (*> Cfr. nn. 1 2-183, 2530. XV. 21 22 23 GIUGNO 10.53. 12553-2554] 102 2553 *. NICCOLÒ FABEI I)I PEI RESO a PIETRO DUPl'Y [in Parigi]. Aix, 22 giugno 1638. B ibi. Nazionale In Paridi. Colleetlon Dupuy, Voi. 717, car. 2Ml. — Antojrrafa. .Te me oonjouyB uveo vous et uvee M. r Diodati, tant de non retour d’Angleterre, que de la glorieuse issue de l’afinire de M. r Caldèe, et qu« Dieu Iny ayt faict la grace de se purger d’uno telle calomnie et do trouver la bornie matiee qu’il méritoit. Sos oeuvres ou uurout tant plus de credit cy apre/..... 2554 *. GERÌ BOCCHI NERI a GALILEO in Roma. Firenze, 23 giugno 16311. Blbl. Nftz. Flr. Ms 8. Gal., P. I, T. X, cnr. 213. — Autografa. Molto 111.” et Ece. n, ° S. r mio Osa."»» Mi rallegro sommamente che il negozio
  • ia fatto intendere di bavero da parlargli por suo servizio. Ma il vecchio Cuv. ra Poltri ,t) mi racconta che Mess. Cesori, oltre al debito, haveva fatto qualche altra cosotta [_J noll’of- fizio, degna di reprensione, (piale è stata in gran parto celata da esso Cavaliere ; io ma il medesimo Mess. Cesori ha voluto aposta darla in luce, con liaver suppli¬ cato S. A. della compositiono del debito; porcili ù bisognato, nella informationo, dire qualche cosa. Spera il medesimo Cavaliero, elio pagando Mess. Cesori il debito, sia per h[ave]r grazia da S. A. di esser reintegrato nell’ odiano, massimo con lo aiuto elio Laverà da noi. Ma V. S. mi impone ebo io prometta la sodi- sfazionc di questo debito sempre che egli sia reintegrato, o almeno lo suo paiolo hanno questo senso implicito ; ot non potendo io esser sicuro di quello elio ha da dopcndero dalla volontà d’altri et [....] dalla grazia di S. A., ho sospeso di ,l ' Orsa he Galletti. <*> Giuliano Poltri. 23 — 25 GIUGNO 1633. 163 12554-2555] promettere fino a nuovo cenno di V. S. È ben vero che, torni o no Mesa. Ce- 20 saro nell oflìzio, il debito l’ha da pagare in tutti i modi, et non lo facendo per amore, gli converrà farlo in prigione, perchè il denaro è del Principe; et se paghi bora, questa prontezza gli faciliterà la grazia. In caso dunque che Y. S. si risolva a fargli questa carità, bisogna sborsar prontamente il denaro ; et se Suor Maria Celeste Labbia in mano denari di Y. S., potrà ella ordinarle che sommi¬ nistri questa somma. Et con molta frotta lo bacio lo mani. Di Fiorenza, 23 Giugno 1033. Di V. S. molto 111.™ et Dee. 1 ™ Oblig. mo Parente et Sor.™ Geri Bocchineri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. m0 ao II S. r Galileo Galilei. Roma. In nessun luogo del Casentino è inale, por grazia di Dio. 2555 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Arcetri, 25 giugno 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mss. fin]., P. I, T. XIII, car. 202. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Ringraziato sia Dio, elio pur sento che V. S. comincia a trattar di mottersi in viaggio por il suo ritorno, il quale io ho grandemente desiderato, non solo per rivederla, quanto anco perchè, con la totale spedizione del suo negozio, do¬ vrà ella restar con l’animo quieto o tranquillo, il che sono molti mesi elio non lia potuto provare. Ma si potranno benedire tutti i travagli sofforti, se saranno terminati con tanto buon esito, quanto ella mi accenna di sperare. Ho caro che Y. S. se ne vadia a Siena, sì perchè ella non venga in questi sospetti di contagio, il quale s’intendo però che questa settimana è assai allcg- 10 gerito, sì anco perchè, sentendo che quell’Arci vescovo l’invita con tanta instanza e gentilezza, mi prometto che quivi havrà molto gusto e sodisfazione. La prego bc.no a venirsene a suo .bell’ agio, e pigliarsi tutte quelle comodità elio gli sa¬ ranno possibili, poi che è stata necessitata a viaggiare in due estremi di freddo c di caldo; et anco a darmi nuove di sè ogni volta che gli sarà possibile, sì come ha fatto in tutto il tempo che è stata assento, del clic devo ringraziarla, essendo stato questo il maggior contento ch’io potessi ricevere. Lett. 2555. 6. proti-anno — 164 25 GIUGNO 1033. [2555-2557] Volovo con questa mandarlo una lotterà por la S. r:i Ambasciatrice (alla qualo por amor di V. S. mi conosco tanto obligata) ; ma perchè sto in dubbio so all’arrivo di questa V. S. sarà già partita, mi risolvo a indugiar a quest’altra settimana o, por dir meglio, a quando V. S. mi avviserà eh’ io dova farlo. l)ol 20 servizio del vocebino (1) no tratteremo in voce, so piacerà a Dio, il qualo prego che la guardi 0 conservi in questo viaggio; 0 la saluto caramente, insiemo con lo solito. Di S. Matteo in Arcotri, li 25 Giugno 1633. Sua Fig> AfT. ma Suor M. n Coloeto. Fuori : Al molto 111.™ Sig. r Padre mio Oss." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Boma. 2556 *. ANTONIO BARELLI a. Roma, 25 giugno 1633. Aroh. di Stato in Modona. Avvisi di Roma, 1633. — DI ninno sincrona. I)i Roma, li 25 Giugno 1633. _11 Galileo fu abiurato mercordì mattina nel Convento della Minerva alla presenza di tutti i Cardinali della Cong.“°, o gli abbruoiorouo in faccia il suo libro, dove tratta dol moto dulia terra.... 2557 *. NICCOLÒ FARRI DI TEIRESC a PIETRO GASSENDI in Digito. Aix, 25 giugno 1633. Blbl. Nazionale in Paridi. Fonds framjais, n.« 12772, I.ottros do Poire.sc, car. fiOl.-fiOr. — Autografa. -M. Naudó<*> m’oscript que le L\ Sclioyner eaorivoit doz lors ex professo contro lo pauvro Galilòe, qu’il y travailloit puiasamment et uvee grandissimo aniinosit», à ce qu’on leur en mandoit do Rome, dont les effeets n’ont qne trop pani, à mon grand regrot. et peult estro au dezadvantago des arta liberaulx. I/ordinane cstant depuis arrivò, j’y ay apprins ime uouvelle bieri agròable pour vous aussy bieu que poni- moy, en faveur du pauvre Galilei, qne M. r du Puy ni’escrit estre heurouRement sorty dee prismi de Requi¬ sitimi, aprez s’estre glorieusement purgò de la calomnie qu’ou luy avoit imposé, d’avoir <*» Cfr. n.° 2517, lin. 55-57. <*' Uariuki.k NaudIs. 25 — 26 GIUGNO 1633. 165 [2557-2558] changé quelque choso en l’edition de son libvre depuis la correction dn Padre Mostro, Maiatre dii Sacrò Palaia; de sorte qu’on luy mando de Home, qu’il y avoit apparanco 10 qu’enfin ses Dialogues se publieroient. Et dict que seB lettres do Homo sont da 23 de May: i’en ay bien de plus fraisches de Rome, dii 2 et 3 Juin, et par la poste et par le retour des galères de M. r de Crequy; mais persone ne m’en dict rien. Vray est quo je n’ay pas de lettre do ceux qui m’en pourroieut parler, no pas meames du Cardinal Barberi n.... 2558 . FRANCESCO NICC0L1N1 ad ANDREA. CIOU [in Firenze]. Roma, 26 giugno 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 187. — Autografa la sottoscihiono. 111." 10 Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo l’u chiamato lunedi sera al S. t0 Ollitio, dove si trasferì martedì mattina, conforme all’ordine, per sentire quel che potessero desiderare da lui; et essendo stato ritenuto, fu condotto mercoledì alla Minerva avanti alli S. r ‘ Cardinali e Prelati della Congregatione, dove non solamente li fu letta la sentenza, ma fatto anello abiurare la sua opinione La sentenza contiene la prohibitione del suo libro, come ancora la sua propria cou- donnatione alle carceri del S. t0 Ollitio a beneplacito di S. S.'\ per essersi preteso ch’egli Rabbia trasgredito al precetto fattoli 16 anni sono intorno a questa materia; la qual con¬ io dennatione li fu subito permutata da S. B. in una relegatione o confine al giardino della Trinità de’Monti, dove io lo condussi venerdì sera, e dove bora si trova per aspettar quivi gli effetti della clemenza della S. tA Sua. E perchè egli Laverebbe pur voluto venir¬ sene in costà per diversi suoi interessi, io mi son messo a negotiare, che non parendo al Sig. r Card.' Barberini et a S. S. 1 * di favorirlo d’una assolutione libera, si contentino almeno di permutarli il confine a Siena, in casa di Mona/ Arcivescovo, amico suo, o in qual¬ che convento di quella città, affine che, passato il sospetto del contagio, possa calar su¬ bito a Firenze per i suoi interessi, dove piglierà anche per carcere la sua propria villa. Attendo qualche risposta da Mons. r Bichi (S) , che tratta eoi S. r Card.* Barberini, non haveudo io possuto veder S. Em. 7a per gl’impedimenti dolle capello di S. Giovanni o con- 20 cistoro publico dell’Ambasciator di Francia. Mi ò parso che il Sig. r Gallileo si sia assai afflitto della pena riportata, giuntali anche assai nuova, perchè quanto al libro mostrava di non si curare che fosse prohibito, come cosa autevistu da lui. E con questo a V. S. bacio le mani. Di Roma, li 26 di Giug. 0 1633. Di V. S. Ul. mB Obi.™ 0 Ser. r * S. r Bali Gioii. Frane. 0 Niccolini. Mi Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, «, 16); c, 3). Gl Alessandro Gì ohi. 160 29 GIUGNO — 1° LUGLIO 1633. [ 2559-26621 2559 *. GIO. GIACOMO BOUOIIARD a FULGENZIO MICANZIO (in Venezia]. Roma, *29 giugno 1G33. Collezione Galileiana nella Torre del Gallo presso Firenze. — Autografa. _11 buon vocchio amico è stato finalmente oppresso. Detenuto di nuovo nel S. U6zio duo giorni, mercoledì fu condotto, come reo, in abito di penitenza, alla Minerva davanti a’Cardinali e gli altri della Congregazione. Là fu sentenziato alla carcere ilei S. Uffizio, oltre la pena di vedersi condannato il suo libro. Non so come egli in quell’età abbia potuto reggere. L’invidia ha trionfato nella sua umiliazione.... 2560 . GALILEO ad URLANO Vili in Roma [Roma, giugno 1G3U.J Ufr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, b, 40). 2561 *. FRANCESCO BARBERINI a CESARE MONTI in Madrid. Roma, giugno 1G33. Bibl. Vatloana. Cod. Barboriniano lat. 8870 (già C1V, 16), cnr. 107. — Minuta. -o perché non si maraviglino costà elio allo volte, per inavvertenza di chi ha cura di rivedere i libri da stamparsi, scappi qualche cosa indegna di stampa, si serva del- Pesempio del Galileo, il quale avendo composto un libro sul luoto della terra, fu ammesso alla stampa dal Maestro del Sacro Palazzo o stampato; noi quale sono stati poi trovati errori gravi, elio hanno obbligato la S. Congrogationo del S.‘° Offitio non solo a soppri¬ mere i libri, ma a chiamar lo stesso autore in Roma por disdirsi, conio ha latto.... 2562 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Firenze,] 1® luglio 1633. Bibl. Naz. Fiv. Mas. (fai., P. I, T. II, car. 189. — Minuta di mauo di Ckki Roooiiixrrt. .... Il povero S. r Galileo ha fatto così gravo penitenza, clic sarà bora degno di con- solatione.... Altro non ho che replicare alle sue do’ 26 _ Cfr. n.« 2568. [2568] 2 LUGLIO 1633. 167 2563 . MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Roma. Aructri, 2 luglio 1033. Blbl. Naz. Fh\ Mas. Gnl., P. I, T. XIII. car. 201. — Autografa. Molto 111.» et Àmatiss." 10 Sig. r Padre, Tanto quanto mi ò arrivato improvviso et inaspettato il nuovo travaglio di Y. S., tanto maggiormente mi ha trafitta V anima (li estremo doloro il sentire la risoluzione che finalmente si è presa, tanto sopra il libro quanto nella per¬ sona di V. S. : il cho dal Sig. r Gerì mi è stato significato per la mia importu¬ nità, perchè, non tenendo sue lettere questa settimana, non potevo quietarmi, quasi presaga di quanto era accaduto. Carissimo S. r Padre, adesso è il tempo di prevalersi pili elio mai di quella prudenza (die gl’ha concessa il Signor Iddio, sostenendo questi colpi con quolla io fortezza di animo, che la religione, proffossiono et età sua ricercano. E giti clic ella por molto esperienze può haver piena cognizione della fallacia o instabi¬ lità di tutte le coso di questo mondacelo, non dovrà far molto caso di queste boraseli e, anzi sperar cho presto siano per quietarsi, e cangiarsi in altrettanta sua sodisfazione. Dico quel tanto elio mi somministra il desiderio, o clic mi paro cho no prometta la clemenza che S. Santità ha dimostrata in verso di V. S., in haver destinato per la sua carcero luogo così delizioso; ondo mi paro che si possa sperare anco commutazione più conforme al suo o nostro desiderio, il che piac¬ cia a Dio che sortisca, so è per il meglio. In tanto la prego a non lasciar di 20 consolarmi con sue lettere, dandomi ragguaglio dell’esser suo quanto al corpo e molto più quanto all’animo; et io finisco di scrivere, ma non già mai di accompagnarla con il pensiero o con le orazioni, pregando S. D. M. cho gli conceda vera quiete e consolazione. Di S. Matteo in Arcetri, li 2 di Luglio 1633. Di V. S. molto 111. Fig> Aff. m » Suor M. a Coiesto. Fuori: Al molto 111.™ et Amatiss.” 10 Sig. r Padre Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 168 2 LUti LIO 1633. [2564-2(65] 2504 *. FRANCESCO NIOCOLINI n GAI,ILEO [in Roma). Roma, 12 luglio 1G33J. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gol.. P. I. T. X, car. 217. — Autografa. S. r Galileo, V. S. potrà andarsono a Siena noli’Arcivescovado (1 \ o quivi aspettar di sentir poi quel elio sia mento di S. S. tà quanto alla grazia libera, non essendo parso alla Congregationo nò a S. S. u così presto di liberarla interamente. Ilo ottenuto questo conti*’a quel elio i SS. n Cardinali havovano risoluto o conve¬ nuto, cioò eli* andando a Siena, si formasse in un convento, a beneplacito di S. B.°; et ho anello supplicato poi il S. r Card . 1 Barberino d’ordinare ch’ella possa andar anche nella Chiesa Cathodralo por udir messo o divini oilì/.i. È necessario adesso elio il P. Commissario vada a pigliarne Bordino por darne lo commissioni oportuno all’Arcivescovo di Siena, in quella maniera elio lo sarà io ordinato; ot io manderò hoggi dal detto Commissario, pereliò vada a Palazzo prima elio puote. Coni’ella sarà stata in Siena qualche settimana, si potrà poi supplicar di poteranno andar a Fironzo ot anche d’essorno interamente liberato; o fra tanto dovranno cessare i sospetti del malo di Firenze, dovo por bora ella non può in ogni modo transforirsi senza pericolo. Como si sia parlato con il Commissario, lo potrò facilmente diro quando olla possa sperare eli partir di qua, alia di dare gl’ordini oportuni. E li bacio lo mani. Di casa, questo medesimo giorno di sabato. Di V. S. molto Ill. ro Afl>° Sor . 1 ' 0 Frane . 0 Niccolini. 20 2565 * ANTONIO BARELLI a. Roma, 2 luglio 1033. Arch. (li Stato in Modena. Avvisi di Roma, 1633. — Di roano sincrona. Di Roma, li 2 Luglio 1633. -Il Galileo, oltre 1*abitazione, ora stato condennato per molto tempo alle carceri del Sant’Ufficio; ma in grazia del G. Duca gli è stato assignato il palazzo di Sua Altezza, posto alla Trinità de’ Monti, in luogo dello carceri medesime.... <»> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, «, 18); b, 40, 41,42). [25G6-2667] 2 — 3 LUGLIO 1G33. 169 2566 . ANTONIO BARBERINI a.Inquisitore di Modena. Roma, 2 luglio 1633. Arch. di Stato in Modena. Inquisizione. Lettera Golia Sacra Inquisizione, 1G29 1041. — Autografa la firma. Rev. Padre, Benché dalla Congregazione dell’Indice sia stato sospeso il trattato di Nicolò Coper¬ nico De revoluìionibus orbium coelcstium, perchè in quello si sostenta che la terra si muova e non il sole, ma questo sia centro del inondo, opinione contraria alla Sacra Scrittura; c sia stato proibito da questa Sacra Congregazione del Santo Officio più anni sono a Ga¬ lileo Galilei di Fiorenza di tenere, difendere, insegnare in qualsivoglia modo, in voce o in scritto, la detta opinione; non dimono il medesimo Galileo ha ardito di comporre un libro intitolato Galileo Galilei lÀnceo, e, senza palesare la detta proibitiono, ha estorto licenza di porlo in stampa, come ha posto; e supponendo nel principio, mezzo e fine di lo quello, di voler trattare hipoteticamente della sudetta opinione di Copernico, ha con tutto ciò (benché non no potesse trattare in modo alcuno) trattatone in guisa tale, che si è reso vehementemente sospetto di haver tenuto tale opinione: onde, inquisito et carcerato in questo Santo Offizio, per sentenza di questi Eminentissimi miei SS. rl è stato condannato ad abiurare la detta opinione et a stare nella carcere formale, ad arbitrio dello Emi¬ nenze loro, et a fare altre penitenze salutari, come V. R. vodorii nella congiunta copia di sentenza e di abiura, che se le manda affinchè la notifichi a’suoi Vicari e se n’ babbi notitia da ossi o da tutti li professori di filosofia e di matematica, perchè, sapendo eglino in che modo si è trattato con il detto Galileo, comprendine la gravità dell’errore da lui commesso, per evitarlo insieme con la pena che, cadendovi, sarebbono per ricevere. Et per 20 fine il Signor Iddio la conservi. Di Roma, li 2 Luglio 1G33. Di V. II. Come Fratello Inquis/ 0 di Modona. B Card. S. Onof. 2567 **. GALILEO a [MAZZEO MAZZEI in Firenze]. Roma, 8 luglio 1033. Arch. di Stato in Firenze. Monto di Pietà, Filza 1008 (d’antica numerazione Campione 10S), n.° in¬ torno 319'". — Autografa. Clar. mo Sig. ro e Pad. 11 Col." 10 Riceverà V. S. Cl. a la presente per mano del S. Gerì Bocchineri, al quale mi farà grazia di far pagare d. 75 costi dal Monte, clic tanti <" Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX, a, lin. 100-104. 21 XV. 170 3 LUGLIO 1683. | 25fi7-2568] sono per i frutti del semestre decorso il mese passato de i d. 3000 che vi ho sopra : et io per tal favore terrò obbligo particolare a V. S. Cl., alla quale, confermandogli la mia servitù, reverentemente bacio le mani e prego intera felicità. Roma, li 3 di Luglio 1633. Di V. S. Clar. ma Dev. mo et Obblig. mo Scr.™ Galileo Galilei. io K di roano di Gkri Booohjkbrt Et por ino (ieri Bocchineri V. S. 111.“* ai compiacerà di far paguro questo denaro ad Alessandro Bocchineri mio fratello, trovandomi io molto occupato. Di Sog. rl * no’ Pitti, 8 Luglio 11533. Di V. S. Ili “* T)evot." # 8or. ro (ieri tocchinoli. 2508. FRANCESCO NICCOL1NI ad ANDREA CIGLI [in Firenzej. Roma, 3 luglio 1638. Blbl. Naz. Plr Mss. dal., P. I, T. II, car. 191. — Autografa la sottoscrizione. Ul. mo Sig. r mio Oss.° Supplicai mercoledì passato la Congregatione del S. Oflìtio di qualche agevolezza verso il Sig. r Galileo, conio m’havova doto animo di laro il Sig. r Card. 1 Barberino; o per¬ ché in leggersi giovedì mattina l'instanza, mentre v’ora anche presente S. B., fu riso¬ luto elio S. S.'* ne trattassi meco il sabato prossimo per concordarle qualche comodità, invitato anche da questo, replicai bici-mattina ristesse preghiere a S. medesima, mo¬ strando anche insieme di saper la determinatione sud otta. Mi risposo la S. u S., che se- ben era un poco presto il diminuirli la pena, che nondimeno s’cru contentata di permu¬ targliene prima nel giardino di S. A., et. bora a mia intercessione, in riguardo dell’autorità del Padron Ser. mo , che potesse arrivar sino a Siena, per star quivi in qualche convento 10 a beneplacito, lo instavo che potesse, subito cessato il sospotto dui contagio, trasferirei costà, per starsene pur relegato alla sua villa; ma le parvo troppo presto: ot io nl- l’bora le proposi che rilaverebbe possuto gratificar di starsene appresso a Monsignor Arcivescovo Piccoloinini. lx> piacque la propositione, e mi disse di contentarsene ancorché la Congregatione non ne sapesse niento; ma che avvertissi di non vi far conversationo in cont’alcuno, comandandomi di darne parte al Sig. r Card. 1 Barberini, come foci, impe¬ trando da vantaggio da S. Em.** elio potesse anche andar in Duomo a’divini offizi. 3 — 4 LUGLIO 1633. 171 [2568-2569) Pensa poi S. B. di permetterli fra qualche tempo che se uè vada alla Certosa di Fi¬ renze, dicendo che bisogna far pian piano et habilitarlo a poco a poco; e qui non replicai 20 niente, per non vi far impegnar innanzi tempo la S. li S., poiché si potrai)’usar quelle di¬ ligenze clic egli vorrà, quando pretenda di ricorrer a nuova grazia. Ma Dio voglia che siamo a tempo anch’a questo, perchè mi par molto caduto, travagliato et afflitto. Nè dovrà in lui solo fermarsi questa tempesta, perchè essendo stato hieri da me il P. Commissario del S. Uflitio m’accennò che il P.Maestro del Sacro Palazzo, com’incorso anch’egli nel pregiuditio per la sua inavvertenza e trascurataggine in sottoscriver il libro, ne patirà qualche pena; e cotesto Inquisitor costà sarà gastigato anch’egli, perchè s’è portato ma¬ lissimo, non dovendo alcuno di quelli che hanno havuto mano in questo negotio rema- nenie immuni. Contro al Big/ Galileo poi s’è preteso elio habbia contravenuto a gl’ordini della Congregatone, poiché 16 anni sono questa opinione fu dannata, non solo perchè 30 nella fede, che gli fa Bellarmino *‘>, attesta che, come contraria alla Sacra Scrittura, le sia stato ordinato di non la tener nè difendere, da che si raccolga che olla in consequenza sia st[ata] dannata, ma perchè ne fu fatto stampar anche l’editto dalla Congregatone del¬ l’Indico* 21 , con il quale ella si reprova e si prohibisce espressamente; pretendendosi in oltre elio dovesse significar tutte queste cose al P. Maestro del S. Palazzo, e anche non vi s’interessar più o scrivervi sopra, e che il medesimo P. Maestro dovesse saper che vi erano gl’oditti o gl’ordini e le prohibifcioni. Pretendono ancora che il libro non parli hypo- toticamente o per supponitene, come era stato ordinato: e per questo è parso di pro¬ ceder con ogni rigore, e farlo abiurare l’opinio[ne] della mobilità della terra, già probibita e notificata a lui o come di diretto contraria alla Sacra Scrittura. Credo clic voglia partir 40 per Siena fra duo o tre giorni. E con quosto a V. S. 111. 1 " 1 ' bacio le mani. Roma, 3 di Luglio 1633. Di V. S. 111.““ S. r Bali Gioii. Obl. ,no Sor/ 0 Frane. 0 Niccolini. 2569 **. NICCOLÒ FA 13RI DI PEIRESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, 4 luglio 1633. Bibl. Nazionale in Parisi. Colloction Dupuy, voi. 717, cnr. 266t. — Autografa. .J’ai bien de Pobligation à M/ Diodati du soing qu’il prend de nona faire pari do sa lettre da S/ Galilei, que nous attendrons en boune devotion. Je m’estonne que personne de mes amys de Rome ne ra’cn ascrive rien. 11 est vray que mes lettres ne sout que de liuit ou dix jours plus IVaisches que les vostres .... "> Cfr. Voi. XIX, l)oc. XXIV, l, 34, y)- <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 18). 172 G — ‘J LUGL1U 1633. [2570-2572] 2570 *. ANTONIO QUARATESI a GALILEO fin Acquapendente?]. Siena, 6 luglio 1633. Bibl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. (lai.. Filza Fararo A, car. -10. — Autografa. Molt’ III. 0 ot Ecc. mo Sig. ro Os. MO Da quella di V. S. Ecc. ma o da altra scritta all’ 111.»° Monsig. r Arcivescovo nostro u ' lio visto conio sarà venerdì **' a’ confini, o por ciò, conforme suo ordine, li invio di qua la lottiga; o sentendo elio voglia andare da Monsig. r Arcive¬ scovo, non posso so non lodaro la sua rosolimene o dolermi della mia poca fortuna in servirla: o mentre sia por stare qua qualche giorno, sarò pronto ad ogni suo comando. E li bacio le mani. Di Siena, il di (5 Luglio 1633. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. ma Sor.* Dov. mo Sig. r Galiloo Galilei. Ant.° Quar. BÌ D. 2571 *. NICCOLÒ IIERItERA nd ANTONIO BARBERINI in Roma. Napoli, 6 lugliu 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 47). 2572 . GERÌ BOCCHINERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 9 luglio 1633. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 215. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. m0 Duo lettere di V. S. de’ 2G et de’ 3 mi sono comparse in un medesimo tempo, elio ci hanno consolato assai. La prima 1’ ho fatta vedere a diversi amici, et questa sera, se bavero tempo, la farò sentirò a S. A., non havendo potuto prima, ot poi la manderò a Suor Maria Celeste, elio ino la chiedo, ot poi a Poppi. lo 0' Ascanio Piccolo mi s i. <*> 8 luglio. 9 LUGLIO 1633. 173 [2572-2573] Presuppongo V. S. partita di Poma et arrivata a Siena con salute, et me ne rallegro, inviando questo pieghetto sotto coperta di Mons. r lll. m0 Arcivescovo. Ho ricevuto li denari dal Monte (l) . Allo Scalandrone 21 ho pagato £ 83. 6. 8. A Mess. Coseri !3 darò li 25 V di , ma dubito ch’egli non potrà altrimenti recu- 10 peraro l’offizio; ot domani si spedirà questo nogo/.io, però questa sera farò sentire a S. A. la lettera, che parla anche di lui. Et la colpa è tutta sua, che volse, contro la voluntà di tutti, supplicar S. A. della compositione del debito, manifestando da sè quel che era occulto all’A. S. et a’ ministri, perchè dal Proveditore sa¬ rebbe stato tollerato qualche poco. Et pagherò il resto a chi V. S. mi ordinerà. V. S. non può intendere l’aggiunta lettera in gergo, so prima non havorà ricevuta un’altra mia, con diversi nomi pure in gergo (4) , che la settimana pas¬ sata lo mandai a Roma, sotto coperta al solito del S. r Ambasciatore, il quale veniva pregato di fare bavero a Y. S. tale mia lettera in propria mano, et credo che S. E. le ne Laverà mandata: però in ogni caso V. S. la procuri. 20 In nessun luogo del Casentino è male: però a Poppi V. S. può andar sicu¬ ramente. Hiori et hoggi non habbiamo alcun morto nè malato, ondo so ne fanno qui publiohe allegrezze. Mess. Benedetto (5) non sta bene, essendogli sopragiunta la febro subito elio si cavò sangue hier l’altro, et hoggi ha preso medicina, onde ne stiamo tutti travagliati. Et a Y. S. bacio le mani. Di Fiorenza, 9 Luglio 1633. Suor Maria Celeste scrivo hoggi alla S. ra Ambasciatrice, ringraziandola con¬ formo alVordinc di V. S. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Oblig. mo Paronto ot Ser. r0 40 Gcri Bocchinori. 2573*o ANTONIO PADELLI a. lioma, i) luglio 1083. Aroli. di Stato in Modena. Avvisi di Roma, lf>38. — Di mano sincrona. Di Roma, li 9 Luglio 1633. .... Il Galileo è partito verso Firenze; e martedì* 6 ! si leggerà su lo cantonate delle piazze la prohibizione del libro 10 .... Lett. 2572. 13. era occulta all' — "> Cfr. n." 25f>7. <*> Bknrdbtto So ai. a sproni. < 3 ' Cksarh Gam.rtti: cfr. n.° 2554. < k > Non possediamo lo lettore in gergo a cui qui si accollila. <*> Bkkkdktto liOCCHINKRr. <°> 12 luglio. lU Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, c, 8) 174 9 — 10 LUGLIO 1033. [2574-2570] 2574 *. CLEMENTE EGIDI1 ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 9 luglio 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b. 13). 2575 *. FRANCESCO NIOCOL1NI u GALILEO [in Siena]. Fonia, 10 luglio 1033. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. X. car. 218. — Autografa la sottoscrizione. \ Molto Ill. ro Sig. r mio Gas. 0 V. S. auguincnta sompro lo nostre obbligatami con lo dimostratimi! dulia sua cortesia; elio però rAmliosciatrico et io lo rendiamo infinite gratin della memoria clic si compiace toner di noi, accompagnandola col lavoro del moscatello inviatoci. Sporo elio sant comparsa a Siena con buona saluto, di dove potrà inviare i suoi comandamenti, già elio non la posso servir di presenza. Et lo bacio lo mani. Roma, 10 di Luglio 1633. Di V. S. 111.'»* Sa Galilei. 2570 . FRANCESCO NICCOL1NI ad ANDREA CIO LI [in Firenze], ltoma, 10 luglio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. II, cur. 199. — Autografa In sottoscrizione. .... Il -Sig. r Galileo partì per Siena mereoledì mattina con assai buona salute, o da ^ iterbo ci scrivo clic havava camminato quattro miglia a piedi con un tempo fre¬ schissimo .... <" 6 luglio. [2577-2578] 10 - 12 luglio 1633. 17D 2577 *. ASCANIO PIOCOl.OMINI a I.'Àrtode’Fabbrìcanti,della quale il (ìau.ktti ora stato Sottocancellioro. Cfr. Archivio di Stato in Fi¬ renze, Archivio delle Tratte, Filza 781, car. C12; o Uni¬ versità dei fabbricanti, Libro di partiti 84, car. 1 Of. <*> Cfr. n.« 2507. <*> Cfr. n.° 2572. Ol Pirro Girolaìii. 13 LUGLIO 1633. 177 [2579] quale ho parlato efficacemente, ot egli mi ha promesso tutto quell’aiuto che può deponfle.ro da lui. Il negozio è bora in questo grado. Vedremo di recuperare li due fagottini che V. S. ha inviati per Alessandro 30 mio fratello; et egli la ringrazia della briga che vi ha havuta. Mesa. Benedetto guarisce 10 , ma adagio; ot bacia le mani a V. S. 11 S. r Ambasciatore ha rimandato l’aggiunto mio pieghetto per lei, poiché non ha potuto presentarglielo in propria mano, come ne lo havevo pregato ; et con questa clavicola V. S. intenderà, meglio il gergo (2) , la sustanza del quale veggo che già V. S. haveva penetrata, et godo di bavero incontrato il suo gusto. Nel ritorno, V. £. si ricordi di consolare con la sua presenza il S. r Vincenzo et la Sestilia, che l’aspettano con desiderio. Colà, dico in tutto il Casentino, non è stato nè vi è male: però V. S. non habbia scrupolo. In questa assenza di V. S. 40 io ho soccorso più volte il S. r Vincenzo di denari, et ho fatto qui anche delle speso per lui; onde il ritorno di V. S. è tanto più desiderato da me, quanto potrò rimborsarmi. Questa casotta del Zuccagni t3) , contigua alla nostra, dico a questa di V. S. (4: , è in vendita: credo che passerà di poco 200 V di . Sarebbe un gran commodo di questa di V. S. se si potesse allargare da quella banda, per¬ chè adesso la sala è monca, et sebene lo stanze nostre sono belle et buono, sono contuttociò poche, et Dio sa quando V. S. potesse bavero una occasione simile, se adesso si lasciasse scappar questa. V. S., rispetto alla vicinanza, in parità deve esser preferito agli altri, et per il medesimo prezzo in conseguenza più compie a V. S. che a un altro il pigliarla. Et finché V. S. non fussc in commodo di in¬ co corporarla con questa et di murarvi, lo Zuccagni continuerebbe di liabitarvi et di tenerla a pigione. Paga bora y di dodici, et potrebbe V. S. far conto di tenere li denari sul Monte. Si compiaccia di rispondermene, perchè io possa referire al Zuccagni il sonso di V. S. Di sanità noi siamo stati 3 giorni senza malati et senza morti; no i giorni seguenti, cioè hieri ot hier l’altro, si è ammalato qualcuno, cioè 2 o 3 il giorno. I)’ hoggi non so niente, et questo speriamo elio sia uno sfogo et l’ultimo residuo del male. Et a V. S. bacio le mani. 11 S. r Àgnolo Guicciardini sta in estremis. Di Fiorenza, 13 Lng.° 1033. co Di V. S. molto HI." et Ecc. ,na Oblig. mo Parente et Ser. ra Geri Bocchineri. I» Cfr. n.° 2572. <*) Cfr. n.o 2572, lin. lò¬ ia. XV. O) Iacopo Zucca ani. I*) Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXXVIII. 23 178 13 LUGLIO 1033. 12580] 2580 *. MARIA. CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Aruotri, 13 luglio 1633. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. XIII, oar. 208 — Autografa, Molto 111."* et Araati8s. m0 Sig. r Padre, C'ho la lettera elio V. S. mi scrivo di Siena (ove dico di ritrovarsi con buona saluto) mi habbia apportato contento grandissimo, o similmente a Suor Arcan- giola, non occorre elio io mi affatichi in persuadernela, perché olla saprà me¬ glio penetrarlo elio non saprei io esplicarlo ; ma ben vorrei sapergli descriver il giubilo ot allegrezza che queste Madri o Sorelle hanno dimostrato nel sentire il folico ritorno di V. S. (elio ò veramente stato straordinario), poi elio la Ma¬ dre badessa, con molto altro, sentendo questo avviso, mi corsomi incontro con lo braccia aperto e lacrimando per tenerezza ot allegrezza ; cosa veramente elio mi ha legata por schiava di tutte, por liavor da questo compreso quanto alletto io esse portino a V. S. et a noi. Il sentir poi eli’ ella so no stia in casa di ospito tanto cortese e benigno quanto è Mons. r Arcivescovo, raddoppia il contento e sodisfazione, ancorché ciò potessi esser con qualche progiudizio del nostro pro¬ prio interesse, poi che facilmente potrà ossero elio quella cosi dolco conversa^ tiono la trattenga costì più lungamente di quello che havremino voluto. Ma già che qua por ancora non terminano i sospetti del contagio, lodo elio olla si trat¬ tenga et aspetti (conio dice di voler fare) la sicurezza da gl’amici più cari, li quali, so non con maggior affetto, almeno con più sicurezza di noi potranno ac¬ certarla della verità. Ma fra tanto stimerei che fossi bouo il pigliar compensa del vino che si ri- 20 trova nella sua cantina, almanco di una botto, perché, se bone por ancora si va mantenendo buono, dubito che a questi caldi non faccia qualche stravaganza; e già quella botto elio V. S. lasciò manomessa, del quale beano la serva 0 il servitore, ha cominciato a entrar in fortezza. V. S. potrà dar ordine di quello elio vorrà che si faccia, perché io non I 10 troppa scienzia in questo negozio ; ma vo facendo il conto, che essendosi V. S. provvista per tutto l’anno, et essendo stata fuora 0 mesi, di ragiono dovrà avanzarne, ancorché olla tornasse fra pochi giorni. Ma lasciando quosto da parte 0 venendo a quello elio più mi preme, io ve¬ ramente haverei desiderio di sapore in che maniera sia terminato il suo negozio con sodisfazione sua 0 dei suoi aversarii, sì come mi accennò nolla penultima elio so mi sciasse di Roma. Faccilo con suo comodo e quando sarà bori riposata, elio bavero pazienza un altro poco, aspettando di restar capace di questa contradiziono. 13-16 LUGLIO 1633. 179 [2580-2682] Il Sig. r Gerì fu qui una mattina, mentre si dubitava clie V. S. si trovasse in travagli, ot insieme con il S. r Aggiunti fece in casa di V. S. 1* opera (4) che poi mi avvisa che gli ha fatto intendere ; la quale ancora a me parve ben fatta o necessaria per ovviare a tutti gl’accidenti che fossero potuti avvenire, onde non seppi negargli le chiavi o l’habilità di farlo, vedendo massime la premura che egli haveva ne gl’interessi di V. S. Alla Sig. 1 * Ambasciatrice scrissi sabato passato con quel maggior affetto 40 eh’ io seppi (2 ’, e, se ne havorò risposta, V. S. ne sarà consapevole. Finisco per¬ chè il sonno mi assale, essendo 3 boro di notte, sì che V. S. mi liaverà poi- scusata se haverò detto qualche sproposito. Gli ritorno dupplicato lo salute per parto di tutto le nominato e particolarmente la Piera e Geppo, li quali per il suo ritorno son tutti allegri, o prego Dio benedetto che gli doni la Sua santa grazia. Di S. Matteo in Arcetri, li 13 di Luglio 1633. Di V. S. molto 111/ 0 Fig> Aff. ma Suor M. a Celesto. Fuori: Al molto 111/® Sig/ Padre mio Oss. mo 11 Sig. 1 ' Galiioo Galilei. 50 Siena. 2581 *. ANTONIO DA LENDTNARA ad ANTONIO BARBERINI in Rome, Padova, 15 luglio 1033. Cfr. Voi. XIX, JJoo. XXIV, b, 45). 2582 *. GERÌ BOCCUINERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 16 luglio 1033. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 224. - Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. ,no S. r mio Oss. m ° Di sanità noi andiamo trattenendoci bora con due malati, bora con 4, bora senza morti ot bora con un morto il giorno. Disonnila noi stiamo bene, ma non siamo guariti. ( 1 ) Cioò, di portar via quello fra lo carte di cembro 1633; o vedi Serie seconda di scampoli ga- Galit.ro, dio si temeva avrobbero potuto progiudi- lileiani raccolti da Antonio Favauo (Atti a Memorie cario, qualora fossero venuto a notizia doli’Inquisì- della li. Accademia di scienze, lettere ed arti in Pa- /.ione’. Cfr. in questo Voi. XV la lettera di Grbi Boo- dova, Nuova serio,Voi.UT,Padova, tip.G. Ilnndi, 1887), cunreai n Galileo in data do’15 settonibro 1688, e pag. 32-35. la lotterà di Niccolò Auuiunti a Galileo do' 27 di- Cfr. un. 1 2555, 2572. 180 16 LUGLIO 1633. [2582-2588] Fra li medici che vengono a curare Mesa. Benedotto nostro fratello u \ è Mcss. Antonio Massi Norcino valentissimo, elio si porta anche con diligenza et amorovolozza indicibile, ondo li siamo tutti obligli rissimi. Egli ha costà un suo carissimo parente, chiamato Arcangelo di Girolamo Seppi cerusico da Norcia, liuoino di 40 anni, che vorrebbe la facilità di portar arme; et si raccomanda però Mess. Antonio ft noi, acciò vegghiamo, con la intercessione di V. S. di io impetrargli costi da Mons. r Ill. mo Arcivescovo grazia di esser messo al suo ruolo, perché in conseguenza possa poi portar l’arme. So per qualsisia rispetto Mon¬ signore 111." 10 non potosso o volesse arrotarlo, prego V. S. di procuraro, col mezzo del S. r Depositario lt) o in altro modo, che questo liuomo restasse sodisfatto. Intanto la prego di farlo chiamare et di roferirli quanto io lo scrivo di lui et la volontà ch’ella ha di aiutarlo, incaricandolo di dare qua relation© di tutto a Mess. Antonio: et di grazia V. S. ci aiuti a scaricarci con questo liuomo. I)o’ christalli dell’occhiale del Gran Duca por ancora non posso diro a V. S. cosa alcuna. Et lo bacio lo mani, a nome anche dogli altri di casa; ot Moss. Benedetto va guarendo, ma sempro adagio. 20 Di Fiorenza, 16 Luglio 1633. Di V. S. molto III. 1 ' 0 ot Ecc. ,na Oblig. mo Parente ot Ser. ro Gcri Bocchineri. 2583 *. MARTA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, 16 luglio 1633. Bibl. Naz. Pir. Mss. fini., P. I, T. XIII, car. 208. — Autografa. Molto 111.™ et AmatÌ88. mo Sig. r Padre, Ilo visto la lettera del Sig. r Mario (3 ’ con mia grandissima consolazione, havendo per mezzo di essa compreso in quale stato V. S. si ritrovi quanto all’ interna quieto dell’animo ; e con questo anco il mio si sollieva o tranquilla in gran parte, ma non in tutto, mediante questa lontananza o la incertezza del quando io dova rivederla: ot ecco quanto ù pur vero elio in cosa alcuna di questo mondo non può trovarsi vera quieto e contento. Quando V. S. era a Roma, dicevo nel mio pensiero: So ho grazia clic egli si parta di là e se no -Lett. 2583. 1. di questo non mondo pud. Aveva omesso non, o soggiungendolo noli'interlinea Io velino fatto di richiamarlo tra questo o mondo invece cho tra mondo e pud. — «'» Cfr. il.» 2572. Aff. mft Suor M. a Coleste. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r Padre mio Oss.'"° Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2584 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 1(5 luglio 1633.. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 22G. — Autografa. Molto IH.” et Ecc. m0 S. r e P.ron mio Oss. mo Con mia singolare contentezza e consolazione, e di tutti gli amici a* quali l’ho conferite, ho letto le due lettere scrittemi da V. S. di Siena, vedendo per esse la quiete e franchezza dell’animo suo in mezzo a tanto tribolazioni, o la conformità elio tiene col volere de’superiori, a’quali è piaciuto di darlo questa mortificazione. Spero clic sempre si avanzerà in confermarsi in tali propositi, o che questo lo cagionerà accrescimento o stabilimento (li sanità c di ogni altro bene, o che le sarà mezzo efficace por potere tornarsene alla sua solita quiete, por potere continuare e tirare a fino quelli studi e quello fatiche che aveva per io lo mani, non attenenti allo materie già dannate, dalle quali vedo che ha stac¬ cato ogni affetto. 182 16 LUGLIO 1638. [2584-2586] Qui si sta assai meglio, ot il malo del contagio ù ridotto a pochissimo ro- siduo, ondo quando a* superiori piacerà di farlo grazia del ritorno, non avrà cagione di ritardarlo per timore di osso. Mi rallegro som ni amento degli onori e cortesie elio ricevo da Mons. r Ill. n, ° Arcivescovo, so bene non mi giungono punto nuovi. Mi farà grazia di ricordarmi servitore divotissimo a S. S. HI."** E qui a V. S. facondo reverenza, lo prego dal Signoro Dio vera tranquillità o ogni bene. Firenze, 16 di Luglio 1633. Di V. S. molto 111.” ot Ecc. raa 20 La lettera di V. S. scritta di Roma al S. r Geli fu veduta da me e da altri amici, e mi maravi¬ glio elio ella non ne abbia sino a ora avuto av¬ viso dal medesimo S. r Geri, elio pure dico di averlo dato. Suor Maria Celeste lia lotto la sua lettera scritta a me, o facilmente lo scriverrà da sò. Sor.™ Obli.*" 0 o Aff. mo Mario Guiducci. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. rao S. r o P.ron mio U.ss.'"° 11 Sig. r Galileo Galilei. 30 In casa Mons. r III."' 0 Arcivescovo. Siena. 2585 *. GIO. FRANCESCO TOLOMEI a GALILEO in Siena. Roma, 16 luglio 1683. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, D.» XCI, n.» 1 Ili. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. ro o P.ron mio Oss. rao Sono arcisicuro clic Mons. Ill. ino Arcivescovo patrocinerà gl’ interessi «li casa mia, trattandosi d’ aiutalo una povera famiglia elio ò nata con l 1 obligationo verso la casa di Sua Sig. na Ill. mn ; l’intercessione poi di V. S. saranno poi causa efficace d’invogliar cotesto Signore a una scoperta prutettione: e certo ch’io n’Laverò necessità, che però prego V. S. della continuatione do’suoi favori. Questi Ecc. nu miei SS. M (,) sono rimasti, por la partita di V. S., ripieni di malenconia, e parlano di lei non senza amarezza, per vedersi privi della sua dolcissima convorsatione. i'i Fkancrboo Nicoomni o Gàtrrima Kiccahmi Nioaoum. [2585-2587] lf> LUGLIO 1033. 183 10 Haverei da faro un lunghissimo catalogo di certuni che mandono saluti a V. S., ma ne tralascierò la maggior parte. 11 llov. Don Benedetto ò restato scon¬ solatissimo per non Laveria trovata in Roma. Saluta però V. S., e seco Mons. r Ro¬ spigliosi (1) o Mons. r Mascardi (2) , il S. r Paolo Mateiti (?), con li SS. ri Moliini (8 ‘, Ridolfì' 4 , Bruni 16 ', Casaola, Leonida (6) , D. Raffaello <7 \ Doni (8) , e finalmente tutta la schiera virtuosa ; et io a V. S. rassegno me stesso por deditissimo servi¬ tore di cuore et humilmento la reverisco. Di Roma, li 16 di Luglio 1633. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ma Dev.«° et Umiliss. m ° Ser. ro Giovanfran. 00 Tolomei. 20 Fuori: Al molto Ill. re et Ecc. mo Sig. ro e P.ron mio Oss. mo Il Sig. 1 ' Galileo Galilei. Siena. 2586 *. PAOLO DA GARRESIO ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Bologna, 16 luglio 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, l, 46). 2587 *. CRISTOFORO SCHEINER a PIETRO GASSENDI [in DigneJ. Roma, 16 luglio 1683. Bibl. Nazionale in Parigi- Fonds frangala, n.° 9531, Poirosc Mathematica, car. 215. — Copia di mano sincrona. ....Ego centra Galilaenm, mearum invcntiomim invasorem, altera mine vice me de¬ fendoObslupesco, (pia liomo fronte tantum dedecns consciscere sustinuerit. Videhis olim et miraberis, ubi defensionem menni perlegeris- in Giim.io Rosnor.ioar. (*> Agostino Masoaki»i. < s ' Benedetto Mulini (*> Carlo UinoLPi. < B > Antonio BnnNi Fabio Lroniua. (7) Raffaello Magiotti, ,8 ' Gio. Battista Poni. i°) Cfr. n.o 241S. 18-1 1G — 20 LUGLIO 1G33. 12588 - 2590 ] 2588*. CRISTOFORO SCI1EINER ad ATANASIO KIUCIIKR [in Avignone]. Roma, ir. luglio 1633. Bibl. Nazionale in Parigi. Fonda fram;ni8, n.« 9638, Correaponilanro do l’eiroac, Divoro, car. 2271. — Copia di mano dui P. Kibchi;r. .... Ego, post oleum Prodromum coiitra Galilaeum, cuius titillila iste est: «Oisto- phori Scheiner o Soc. lesti, Pro sole mobili, terra stabili, Prodromus, oppositus ruo cen- Bori, terrae motori, solis statori <*> », quod opus iam in manibas est lt. ml 1). Sac. Pai. Magi- stri, cuius approbationem nactus inox in Germaniam discedam, ad Saer. (’aesar. Maiestat. vocatus (quid cum mathenmticis Imperatovi, merito quispiam dubitare posset); absoluto inquam Prodromo, comuiunom astronomiam contra Galilaeum opere pieno, Deo dante, defendam : ita hortatnr Pontifox, Generali» noster, Assistontes, omneu meliora soouti. Galilaeus paucis auto diebus abiuravit et damuavit suam de stante solo, de moto terrae, sententiam, coralli Inquisitore, in praesentia 20 testium, ut vocant de vehementi, laborans veli omenti liaereseos suspicione. Liber eius proscribetur. Valeat R. V., mai ad 10 Penili tnemor, et officia mea cum salute amanter de toto corde offerat 1)P. I’nbricio de Peiresc et Petro Gassondo.... 2589*. NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, 19 luglio 1633. Bibl. Nazionale in Parlari. Colloction Dupuy, voi. 717. car. 202. — Autografa. -Jo vions d’avoir dea lottres du II. P. Poni du Puy <*> du 23 Juin, oh il me con¬ finilo la nouvelle du Galiléè, aagé de 70 ans, logé che'/ l’Ainbassadeur de Toscane, glo- rieux d’avoir esté eslargy cn si peu de jours et si avantageuseniont, et qu’on avoit regret de l’avoir si mal traiate.... 2590. ANTONIO NARDI a [GALILEO in Siena]. Roma, 20 luglio 1G33. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 228. — Autografa. Molto 111.° ot Eccedi. mo S. r o P.ron 0.ss. ni ° Disino a elio non ho ricevuto avviso ilei suo felice arrivo in Siena (corno puro starnano ho ricevuto dal S. r Itafaollo Magiotti), sono visso inquieto, il che <" Cfr. ii.« 2118. <*> Cbistofobo Dupuv. 20 — 21 LUGLIO 1033. 185 [2590-2591] V. S. si può imaginare, sapendo quanto io ammiri la sua virtù e dova alla sua gentilezza; oltreché il desiderio ch’io tengo di veder in luce l'altro sue opero, mi fa maggiormente desiderarli vita o prosperità. Nella lettera scritta da Y. S. al S. r Rafaelló, oltre il commun gusto elio egli et io habbiamo preso, ci s’ag¬ giungo un mio particolar interesse della memoria elio lei tiene di me, cosa della quale vivo ambiziosissimo; et in contracambio s’assicuri che in questi pochi io giorni, ne’ quali Y. S. manca di Roma, non sono stato punto contento so non (pianto la memoria della sua conversazione c la venuta del Padre D. Benedetto Castelli mi hanno sollevato alquanto. È comparso quaggiù un libro stampato in Fiorenza, dedicato al S. r Card. 1 Barberino, intitolato : Difesa del CavS Scipione Ghiaramonte contro dlVautor dei Sistema Tolemaico (1) etc., materia di riso o di sdegno, per quel poco che io ho potuto giudicare, havendolo trascorso mentre era sciolto o in breve tempo, non liavendo possuto vederlo con agio. Il S. r Filippo Magalotti et il Padre Campanella mi hanno imposto che io la riverisca per lettere, come faccio; e so V. S. ha occasiono di scrivere al 20 S.r Baldassarri Nardi hi Brusellos, l’esorti a tornarsene in questo parti. La vor¬ rei ancora infastidire, che scrivendo al S. r Ambasciator di Toscana, gli facessi quella attestazione di me che la sua cortesia e prudenza comportano, essendo¬ ché io vorrei andare a farli riverenza; il che sebene è molto tempo che desi¬ dero, contuttociò non ne volsi aggravar V. S. mentre era quaggiù, perchè stava occupata in cose di più importanza: e sono sicuro che il testimonio suo farà più gradito il termino di convenienza eh’ io devo a questo Signore. E con questo pregandola a scusar la mia importunità, la prego insieme a volermi comandar con ogni libertà. Roma, 20 di Luglio 1633. 30 Di Y. S. molto 111.® et Eccell. ,ntt S. ro Obligat. mo di vero affetto Ant.° Nardi. 2591 *. MATTIA NARDI a FABIO CHIGI in Roma. Siena, 21 luglio 1G33. Bibl. Ghiglana In noma. Ms. A. II. 51, car. 451/. — Autografa. .... rinviamo in Siena appresso Monsig/ Arcivescovo il Galileo, che è tornato di Roma por certo suo negotio e si tratterrà qualche giorno. Il Sig. r Francesco Pelagi predicò la Pasqua di Spirito Santo in Duomo, con buon plauso in parte et p'artibus ; e se bene scese presto di pulpito, che non passorno tre C»> Cfr. n.° 2320. XV. 24 186 21—122 LUGLIO 1633. [2591-2592] prediche, nondimeno restò un poco alto più del solito: particolarmente Paltr'hipri venne a ragionamento con il Galileo, e noi discutere ho la tromba d’nqqna havesse l’attione sua per impulsione o por attrattionc, messe il Galileo in inconveniente, porche nella sua opinione di dotta tromba si concederebbe il vacuo. Rispose il Galileo che, Be non natu¬ rale, almeno violento, non havova difficoltà di concedere il vacuo; et il P elogi lo piccò di temerario, in voler conceder cosa negata da tutti, senza addurne ragione. Rispose il io Galileo elio por allora non gli sovveniva ragion più digesta ho non che l’ esperienza gli mostrava cosi, o che incolpava il proprio intelletto che non arrivasse più oltre. Replicò il Polagi che bora non era di carnevale, elio »’ lmvesse a far lo inanellare, e Jìsbo al Galileo che questa sua humiltà era una inaachara alla più fimi superbia che sin; e ad istanza di molti lassò scandalizzato il Galileo. Gobbe ordino, per quanto ho inteso, di non entrar più in palazzo di Monsignore. Sono molte notti che non dorme, va la notte gridando e improvisando alla pazzesca, e si dubita grandemente che presto non sciolga i bracchi n fatto .... 2592 * GERÌ BOCCIIINERI a GALILEO in Siena. Firenze, 22 luglio 1033. Btbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 230. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc.»® S. 1 * 0 mio Oss. m ® Io non ho tempo ili risponderò alla lotterà di V. S. de’ 18, perchè l'ordi¬ nario parto; et solamente posso dirlo, che ho procurato finalmente di bavero li vetri dolio occhiale di S. A. 11 , et mo li sono in questo punto fatti ilare, et con prima occasione li manderò bene accommodati in una scatoletta, non ri essendo tempo bora. Ancorché il Norcino sia assente, potrei)bo ad ogni modo V. S. fargli il favore di procurargli la sodisfattione che desidera ,21 ; perchè so V. S. parta, Dio sa se egli potrà rimaner consolato. S. A. parto in questo punto per il Poggio a Caiano, a far preda di star- io notti: tornerà domenica. Et a V. S. bacio le mani. Di Fiorenza, 22 Luglio 1633. Di \. S. molto IU. ru et Ecc. ,n * 01>lig. n, ° Parente et Sor. re (ieri Docchinori. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. 1 »® S. ro mio Oss." 10 Il S. r Galileo Galilei. Siena. "» Cfr. ii.» 2682, lin. 18. **' Cfr. n.o 2582, lin. 5-7. [2593] 23 LUGLIO 1633. 187 2593 . GALILEO nel [ANDREA CIOLI in Firenze]. Siena, 23 luglio 1633. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1’. I, T. IV, car. 04. — Autografa. 111. 11 * 0 Sig. re e Pad.' 1 Col. 1110 Non ho passato ordinario senza scrivere al S. Gerì Boccliineri intorno a i progressi del mio negozio, il quale non Laverà passato accidente alcuno di momento senza participarlo a V. S. Ill. im , cliè tale era il nostro appuntamento; e però rare volte ho scritto a lei in proprio, in riguardo anco alle molte e continue sue occupazioni, da non doversi accrescere senza necessità. Gli scrivo adesso, spinto dal desiderio di liberarmi dal lungo tedio di una carcero di più di 6 mesi già passati, aggiunta al travaglio et afflizzion di mente di io un anno intero, et anco non senza molti incomodi e pericoli corpo¬ rali, e tutto addossatomi per quei miei demeriti che son noti a tutti, fuor che a quelli che mi hanno di questo e di maggior castigo giu¬ dicato colpevole. Ma di questo altra volta. 11 tempo della mia carcerazione non ha altro limite che la vo¬ lontà di S. S. l? ‘, la quale, alle richieste et intercessioni del S. Amb.™ Niccolini, si contentò che in luogo delle carcere del S. t0 Offizio mi fusse assegnato il palazzo e giardino de’ Medici alla Trinità, dove stetti alcuni giorni; fatta poi, per alcuni miei rispetti, nuova instanza dal medesimo S. Ambasciatore, fui rimesso qui in Siena nell’Arcive- 20 scovado, dove sono da 15 giorni in qua tra g[..]inesplicabili eccessi di cortesia di questo Ill. m0 Arcivescovo. Io però, oltre a[. .Jdesiderio, haverei gran necessità di tornare a casa mia e di esser restitf....] nella mia libertà, la quale si va conietturando da molti che sia ri¬ serbata [per] grazia speciale alla domanda del S. G. D., da non gl’esser negata, mentre si v[...] quanto si è impetrato allo sole dimande del S. Ambasciatore. Prego per tanto V. S. Ill. ma , e [per] lei il Ser. mo Padrone, a restar servito di favorirmi di una domanda a S. S. t: ‘ o [..] S. Card. Barberino per la mia liberazione; dove per maggiore efficacia potrà inserirsi.] la mancanza del mio servizio di tanto tempo, figurandola 23 luglio 1633. 188 [2598-2594] di qualche maggior progiudizio per la Gasa di S. Alt. 14 di quello so che veramente ò. Si crede, conio ho detto, da tutti quelli con i quali ne ho parlato o da gl’istessi ministri del S.° Offizio, che la grazia a tanto intercessore non sarà negata. Confido tanto nella benignità del S. G. 1). mio Signore e nel favore di V: S. Ill. mR , che reputerei superfluo l’aggiugnere altro preghiere. Starò per tanto attendendone l’effetto, mentre con lmmiltà alla S. A. bacio la vosto, o nella buona grazia o protezione di V. S. lll. m& mi raccomando. Di Siena, li 23 fli Luglio 1633. Di V. S. 1I1. ,UU I)ov. mo et 01)V)lig. mo Sor.” Afi>« Suor M.» Colesto. Fuori: Al molto 111.» Sig. r l'adro mio Oss.® 0 Il Sig. 1 ' Galileo Galilei. Siena. 2596 *. MARIO GUIDUOCI a GALILEO in Siena. Firenze, ‘23 luglio 1G33. Bibl. Est. in Modena, Raccolta Campori. Autografi, II.» I,XXVII, n.° 129. — Autografa. Molto 111.*® et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Godo sommamente in vedere la tranquillità dell’animo di V. S. in mozo a tanto perturbazioni, mentre corca con la sua gratissima di quietar me, esortan¬ domi col suo esemplo a non mi prender travaglio di quello che é avvenuto a lei; ondo ammiro singolarmente la sua constanza, o ne ringrazio particolar¬ mente la divina Bontà, che lo ha donato tanta virtù e armatala cosi impene¬ trabilmente contro i colpi della fortuna. Mi par ni ili’mini di rivederla alla sua solita quieto, dov’ella possa, lasciato da banda gli studi dannati dalla Congre¬ gazione, attendere a gli altri elio non hanno principio alcuno di sospetto, so bene non mancheranno di emuli e di invidiosi. io Al Landini (il non è ancora stato dotto cosa alcuna, o sino a che non venga qualche ordine di Roma, resta nel medesimo modo cho alla partenza di V. S. 21. indurùcc aoubtto e — ,l) Gio. Battista Lardici. 23 LUGLIO 1633. 191 [259(5-2598] Qui si continua a staro tuttavia assai bene, sì che quando ella avesse la grazia da S. S. tà , non arebbo cagiono di dimoralo più fuor (li casa sua per timore di contagio. E per fino a V. S. facendo reverenza, le prego dal Signore Dio ogni contento. Firenze,- 23 di Luglio 1633. Di Y. S. molto Ill. ro et Ecc. 1 »* Ser. r ° All’." 10 et Obb. rao Mario Guidueci. Fuori: Al molto Ill. re et Ecc."'° S. r e P.ron mio Oss. luo 20 il Sig/ Galileo Galilei. App.° a Mons.*' Arciv. 0 di Siena. 2597 *. VINCENZIO LAN Gl ERI a [GALILEO in Siena]. Roma, 23 luglio 1633. Bibl. Naz. Flr. Appomlico ni Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 52. — Autografa. Molt’Hl.* 0 et Ecc. ,u0 Sig. r e P.ron mio Oss. ul ° Ritornò a Roma il lettighicro elio servì V. S. fino alli cancelli, tutto mal contento per non Laveria possuta pienamente ubbidire in proposito delli fiaschi di moscatello di Ronciglione, destinato dalla gentilezza di Y. S. por rogalo di questi Ecc. n,ì miei SS. 1 ', non FLavcndo egli possuto bavere da quell’lioste. LL. EE. nondimeno hanno gradito in estremo il pensiero amorevole di V. S., e mi hanno comandato che io no la ringrazi, conio fo, vivamente, ritornandoli in dietro (pii inclusi li quaranta] gitili restituitimi dal medesimo lettigliiero. E lo fo devotissima revoronza. io Roma, li 23 Luglio 1G33. Di V. S. molt’ 111.*® et Ecc."' a Devotiss." 10 So. r ° Vincenzio Langieri. 2598 *. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Siena. Roma, 23 luglio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 310. — Autografa. Molto 111.' 0 et Ecc.'»° Sig. r mio S. Nè il Sig. r Antonio 111 nè io potommo rispondere in tempo a V. S., porchè la sua mi fu resa non prima che lunedì, sebene sempre gratissima poi che ci Antonio Nardi. 102 2.'! LUGLIO 1033. [2598-2699] dà la meglio nuova elio noi sappiamo desiderare, conio della sua buona sanità. Fra tanto ò tornato il 1*. D. Benedetto, quale ha lasciato di visitar un amico 11 ’ per meglio potere arrivar l’altro 1 * 1 , et bora si vede privo della convorsationo d’ambedua non senza gravo cordoglio, e massimo havondo inteso da me conio sia parso mal agevolo a V. S. partirsi di qua senza soddisfazione di vederlo. Così ò comparsa la risposta del Chiaramente l8! , dedicata airEm. 010 Sig. r Card. Bari)., e, per quel poco eh’ io ho possuto vedere (oliò l’ho veduta alla sfug- io gita), ella non supera punto V ©spettarono ot il concotto oh’ io liavovo formato in me d’un simil suggotto. Che più? olla nega l’uso del telescopio por negar lo diverse grandezze di cf o $. Dall’ugna si conosce la granbestia. 8’io po¬ trò legger questo libro con qualche commodo, credo non mi mancherà occa¬ siono di ridere, sobon questo riso non in’ arnioni troppo giù, non essend’ io sicuro eli' a V. S. sia permesso rispondere ad ogni cosa. Pur io mi consolo, elio, chi non ha il gusto guasto, conoscerà eh’ in sì gran pentola non c’ ò punto di sale. Così finisco, progaiulo V. S. a farmi (sempre che sia con suo commodo) grazia di quattro righe e qualche comandamento, assicurandola eh’ io sempre tongo ripercossa la memoria del suo gran valore e del grand’ obligo mio. N. Si- 20 gnoro Iddio gli conceda quella lunga vita 0 sanità ch’io gli desidero; 0 glifo reverenza. Roma, il dì 23 Luglio 1633. Di V. S. molto ill. re ot Eoc. ma Atf. mo 0 sempro ()blig. mo Servitoro Raffaello Magiotti, Fuori: Al molto IH,” et Ecc. mo Sig. r c P.ron mio Uss. ,n0 Il Sig. r Galileo Galilei, in Mell'Àrcivescovado. Siena. 2599. CARLO RINUCCINI a [GALILEO in Siena], ltomn, 23 luglio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 234-235. Autografa. Molt’ III. 0 Sig. r mio Oss. m ° Io non potevo con maggior prontezza sodisfare al desiderio di Y. S. in rap¬ presentare alla conversazione di Castello la memoria cho olla fa di quella nella X- 20 hligo, per non tralasciare offizio alquno, di salutarla particolarmente a nome della S. ra Maddalena, che con tanto affetto m’impose la carica che ogn’ altro assunto havrei più volentieri intrapreso fuori di questo, per conoscermi incapace di sa¬ perlo con la medesima forza eseqnirc, o porciò ne lascorò a Y. S. il giudizio. Non mi giungono nuove lo cortesie di Mons. ro nostro, chè ancora io, che lungo tempo l’ho sperimentate, so di che qualità siano, e con quanto pro¬ fitto i suoi servitori lo ricovino. V. S. goda allegramcnto codesto delizio o si ristori do’ disagi patiti in questo paese con presupposto di non affliggersi mai di quelli accidenti che, prodotti da una ingiusta violenza, faranno poi al mondo più palese il suo merito. E supplicandola a non scordarsi di me e a consor- 30 vanni la grazia di Monsignore, bacio a V. S. di cuore le mani. Roma, 23 Lng.° 1633. Di V. S. rnolt’ 111.® Ser. r ® Aff. mo Carlo Rinuccini. 2G00*. GIO. FRANCESCO TOLOMEI ft GALILEO in Siena. Roma, 23 luglio 1633. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» XCI, n.<* 117. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo Sig. ro e P.ron mio Oss. mo Ricorro al favoro di V. S. per gl’ interessi di casa mia, essendo stato fatto un sequestro sopra l’eredità di mia madre, renuntiata da me e presa dal mio <*■> Maddai.kna (ioiDucoi, moglie di Okazio Cavalcanti. XV. 25 194 23 - 24 LUGLIO 1633. [2600-2601] figliuolo. Io ho mandate molto scritture per lo quali appariscano pagamenti fatti, elio perciò protendo che si debbia levare dotto sequestro. Monsignore ù. decidere questa causa, o spero nella benignità di Sua S.™ Ill. lua e noli’ inter- cessione di V. S., olio ha por punto di gentilezza di favorirmi. 11 gentilissimo Sig. Benedetto Meliini, servitore di cuore di V. S., le bacia affettuosamente la mano, o le manda quosto bollo composizioni cho paro che superino quollo del Padre Panetio (1 ’: avvisi, per grazia, chi di questi poeti io habbia stilo più sdrucciolante. A V. S. ricordo (pianto le (lovo, perchè vegga che mi sono a memoria i suoi favori; e perfine humilmento la rovorisco, sup¬ plicandola della continuatione del suo patrocinio. Di Roma, li 23 di Luglio 1638. * Di V. S. molto I11. M et Eoc.“' a Dov. mo et TJmiliss. 0 Sor. 1 ' 0 Gio. Frano. 00 Tolomei. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. rao Sig."’ o P.ron mio Osa.»® Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2601 *. MARTA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siano. Arco tri, 24 luglio 1GU3. Bibl. Naz. Plr. Mas. (la).. F. I, T. XIII, car. 212. — Autografa. Molto IH.*» et Amatiss. 100 Sig. r Padre, Ho letto la lettera cho V. S. scrive al Sig. r Gerì con mio particolar gusto o consolazione por le coso cho nel primo capitolo di essa si contengono. Noi terzo capitolo ancora io m’intrometterò, por ossor osso attonento al negozio di non so cho casetta 121 , la quale ho penetrato che il Sig. r Gcri ha gran desiderio che Vincenzio compri, ma con l’aiuto di V. S. Io varamento non vorrei esser prosontuosa, entrando in quelle cose che non mi appartengono; non dimeno, perchè assai mi preme qualsivoglia minimo interesso di V. S., la pregherei et esorterei (caso cho ella si trovi in stato di poterlo faro) a dar loro, non dirò in tutto, ma qualche parte di sodisfaziono, non solo per amor di Vincenzio, io quanto per mantener il Sig. r Gerì in quella buona disposizione che ha in verso di lei, havendo egli, nell’ occasioni cho son passato, mostrato grande adotto a V. S. e, per quanto ini pare, procurato di aiutarlo in quel poco cho ha potuto: si che, se senza suo molto scomodo V. S. potesse darlo qualche segno di grati- IiOtt. 2000. II. più iduccinlantr — Giovanni Pankzio. <» Cfr. il." 2579. 24 LUGLIO 1633. 195 [ 2601 ] tudine, non lo stimerei se non per ben fatto. So che da por sè medesima può infinitamente meglio di me discorrerò e penetrar queste coso, et io forse non so quel che mi dica; ma so ben che dico quello che mi detta un puro affetto in verso di lei. Il servitore che è stato a Roma con V. S., venno qui hiermattina, esortato 20 a ciò fare da Mess. r Giulio Ninc.i. Mi parvo strano di non veder lotterò di V. S. ; pur restai appagata della scusa che per lei fece il modesimo lniomo, dicendo cho V. S. non sapeva che egli passasse di qua. Adesso che V. S. è senza servi¬ tore, il nostro Geppo non può star allo mosso, o vorrebbe in ogni maniera, se gli fossi concesso il passo, venir da lei, et io 1’liavroi caro. V. S. potrà, dir il suo pensiero, chè vedrei di mandarlo con buona accompagnatura, o credo cho il Sig. r Geri gli potrebbe far haver il passaporto. Dosidoro anco di sapere quanta paglia si dova comprare per la muletta, perchè la Piora ha paura che non si muoia di fame, e la biada non 6 troppo per lei, che è bizzarra d’avanzo. 30 Da poi in qua che gli mandai la nota dello spese fatte per la sua casa, son corse questo che gli mando notate, oltre a i danari che ogni mese ho fatto pa¬ gare a Vincenzio Landucci, che di tutti tengo le ricevute, eccetto che di questi ultimi ; nel qual tempo, si come anco segue di presento, egli si ritrovava serrato in casa con i duo fìgliolini, per essergli morta la moglie, por quanto si dice, di mal cattivo ; cho veramente si può duo che sia uscita di stento o andata a ri¬ posarsi la poverella. Egli mandò a domandarmi li 6 d. per l’amor di Dio, di¬ cendo che si moriva di fame, et essendo anco compito il mese glieli mandai; e lui promisso la ricevuta quando fossi fuor di sospetto, e tanto procurerò che mantenga, se non altro, avanti lo sborso di quest’ altri, caso cho Y. S. non sia 40 qua da per sè, come dubito mediante questi eccessivi caldi che si fanno sentire. I limoni dell’orto cadevano tutti, ondo quei pochi restati si sono venduti, o delle 2 lire cho so ne sono havute no ho fatto dir tre messe per V. S. secondo la mia intenzione. Scrissi alla Sig. ra Ambasciatrice, come V. S. ordinò, o mandai la lettera al Sig. r Geri, ma non no tengo risposta, ondo non so so sarà bene tornar a riscri¬ vergli con dimostrar dubbio so forso o la mia o la sua lettera sin.no andate male. E qui, salutando V. S. di tutto cuore, prego Nostro Signore che la consorvi. Di S. Matteo in Arcotri, li 24 di Luglio 1633. Sua Fig. ,a Aff. nm 50 Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto I1L™ Sig. r Padre mio Oss. mo 11 Sig. r Uuliloo Galilei. Siena. 196 24 — 26 LUGLIO 1633. [2602-2603] 2fi02*. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO in Siena. Roma, 24 IurIìo 1683. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 230. — Autografa la sottoscmiono. Molt’Ill.» Sig. r mio Oss. mo Io mi rallegro del suo arrivo con salute a Siena, e lo rendo grazie della parte elio l’è piaciuto darmene, sopra!)bendando sempre nello dimostrattioni della sua cortesia. Io non starò a pregarla del favor do’ suoi comandamenti, po¬ tendo per sò stessa esser corta della prontezza o desiderio mio di servirla sem¬ pre; et intanto le bacio lo mani. Di Roma, 24 Lug. 1633. Di Y. S. molt’Ill.'* A1T." 10 Ser. r ° S. r Galilei. Frane. 0 Nicoolini. 2603. gerì bocchineui « [Galileo in Siena]. Firenze, 26 Inolio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. X, car. 238-239. — Autografa. Molto 111. 1-0 et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo Ho sempre maggior consolatione di vedere clic V. S. si porti tuttavia con franchezza negli accidenti occorsile, et elio Iddio lo Labbia anche da ogni banda proparato do’ conforti. Alia sua lettera do’ 18 non pototti risponder subito, et supplisco bora. Quanto idla casotta contigua a questa di V. S. 1 , il S. p Vincenzio nostro Laverà, più biso¬ gno d aiuto che di consiglio o di consenso ; et intorno al primo batto la mia proposta, perché, da quanto io veggo et provo, il S. p Vincenzio ha necessità de denari che V. S. gli somministra, por vivere et supplire allo urgenze della sua casa; et V. S. nell assegnarli quel che ella fece, ben considerò cho non vi io era da avanzare, et pure non liavova allhora 2 figliuoli conio ha hora, perchè m Cfr. n.® 2679. [ 2603 ] 26 LUGLIO 1633. 197 V. S. disse allliora elio V accumulare lo voleva far V. S. per lui et per li suoi figliuoli : et io però lio proposto questa casetta, da impiegar parto di quelli avanzi elio V. S. si promesse di voler fare. Nel resto, quanto alla dote, egli V ba di mano in mano a’ suoi tempi, et serve per estinguere il debito che Y. S. la¬ sciò nella compra di questa casa grande (1) ; di modo elio ritorno a diro che da V. S. ha da esser favorito il S. r Vincenzio più d’ aiuto che di consenso : et io non le raccomando in questo il figliuolo, por non far torto alla bontà, et pietà sua. Confermo bene a V. S. elio la compra della casetta ò assolutamente neces- 20 saria, et malamente si può kabitar questa senza quella ; et V. S. ancora lo con¬ fesserebbe se lo provasse. Il Zuccagni ,8) non vuole staro alla stima cko ne ha fatta fare il Broccardi (3) per 300 V di , et no pretende 400, ma io credo che durerà una gran fatica a trovarne 300 ; et a V. S. complircbbo il pagarla 50 V di più di quel che farebbe un altro ; ma noi al Zuccagni mostriamo di non co no cu¬ rare, et lasciamo ch’egli faccia lo sue diligenze et si disinganni nella preten¬ sione, ma bene stiamo attenti a quel che segue. Et ricordo a Y. S. che bora ò il miglior tempo che possa essere, per comprare case a Fiorenza. Se potrò questa sera provedere una scatoletta da mettervi i vetri dell’ oc¬ chiale di S. À. (4) , li manderò con questa. Ma hoggi è festa, come fu hieri et hior 30 1’ altro. Dissi ad Alessandro <6) del zafferano et delle calzette, ma io non so già so egli le liabbia recuperate dalla dogana. Il S. r Mario Guiducci è da me veduto di rado, et non so quando potrò leggergli il primo capitolo della sudetta lettera di V. S., come l’ho fatto vedere a Suor Maria Celeste. I)i grazia, in qualche modo vegga che quel Norcino liabbia il servizio (B ', ancorché sia assente, perchè questo suo amico o parente vi preme fuor di modo et noi gli siamo straordinariamente obligati, perchè nella cura di Moss. Bene¬ detto egli non si può portar meglio. 40 Rieri in Fiorenza havemmo 2 morti et 2 foriti di contagio; hoggi non so come le cose vadino. Tutti di casa baciamo le mani a V. S. ; et la più vecchia delle 2 aggiunte lettore di Suor Maria Celesto non arrivò a tempo l’altra volta. Di Fiorenza, 26 Luglio 1633. I)i V. S. molto IU. re et Ecc. ma Oblig.™ Parente et Ser. ro Gerì Bocckinori. m Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXXVIII. <*> Iacopo Zucoagni. I 31 Alponbo Buoooakdi. 01 Cfr. un. 1 2582, 2592. < 5 > Ai.kkbandho Bocoiiikkki. <•> Cfr. nn.i 2582, 2592. 193 28 LUGLIO 1633. [ 2601 ) 2604. GALILEO n [GERÌ BOOCHINERI ia Firenze]. Siena, 28 luglio 1633. Blbl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. I, T. IV, car. 95. — Autografa. Molto lll. ro Sig. r0 e Pad. 0 * Col. mo Stretto dalla brevità, del tempo, detti solamente avviso a V. S. della ricevuta della sua delli 26 ". La rilessi poi più posatamente, et insieme una che mi mandò di Suor Maria Celeste (2) , la quale pur mi scrive nel medesimo proposito della casa, esortandomi (ma super¬ fluamente) a dare a V. S. ogni sodisfazione (:,) ; e porcile l’ho sempre conosciuta non men savia e prudente che affezionata a suo fratello et a tutti i suoi parenti, gli [scri]vo nell’alligata che V. S. sarà da lei, o che io, per venire allo brevissimo e per [mostrare quanto io desideri di compiacerle, lascierò elio determinino fra di loro quello io che gli parrà che io faccia in esecuzione di ogni lor gusto, il quale ha sempre da me a essere anteposto a tutti gl’altri interessi. Sia con suo comodo con lei, et havendo ricevuto anco da Vincenzio il suo parere et assenso, mi faccino sapere l’ultima loro determinazione, che io non mancherò del possibile. Mons. Arcivescovo sta con ansietà aspettando i cristalli (V) , per far alcune osservazioni mentre l’oportunità del cielo ce lo permette. Aspetto di sentire la resoluzione del G. D. circa ’l particolare che scrissi ultimamente alPUL mo S. 13alì (5) . Saluti il S. Canonico (6) suo fra¬ tello, et assicuri il suo cerusico che l’amico suo si troverà al suo 20 ritorno graziato dell’arme (7> . Con clic a V. S. ot al S. Alessandro ‘ 8) affettuosamente bacio lo mani e prego felicità. Siena, li 28 di Luglio 1633. Di V. S. molto I. Lett. 2604. 0-10. quanto » tìetitìeri — Cfr. n.® 2003. <*> Cfr. u.o 2601. Cfr. n.® 2579. < 4 ’ Cfr. n.® 2008. <*) Cfr. n.® 2698. <•> Arcanio Bocchikkki. ‘ 7 > Cfr. un. 1 2582, 2592. <•’ A1.K8SANDRO BOOCBIKKRI. [ 2605 ] 28 LUGLIO 1638. 190 * 2605. GERÌ BOOCHINERI a GALILEO in Siena. Firenze, 28 luglio 1688 . Bìbl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 210. — Autografa. Molto DI.» et Eco." 10 S. r mio Oss. mo De’ 25 et de’ 27 sono lo lettere clie tengo di V. S. Al S. r Amb. re Niccolini si dà ordine strettissimo di instare a nomo di S. A. al S. r Card. 1 ® Barberino et al Papa per la liberationo di Y. S., et che rappre¬ senti il pregiudizio che arreca la lontananza di lei al servizio di S. A. Spero cho si otterrà qualche cosa di buono, come io ne prego Dio. Il negozio di Moss. Ccsori (1) si terminerà sabato, nò io lascio di fare in aiuto suo quello che debbo, por dar gusto a V. S. et por far carità a lui cho la me¬ rita. Li darò la lettera con li 25 V di eli’ ella ordina ; et hoggi ho pagato al io S. r Soldani li 40 di giuli cho Y. S. m’impose, et prima havevo pagato allo Scalandroni gli altri (2) : ma perchò li denari non crescono mai, la mia disgrazia ha fatto cho io habbia fatto errore, non so come, d’uno scudo. Ma corno ò mia la balordaggine, così mia devo esser la pena. V. S. ci dà tutti una consolatione grandissima in fare che il Norcino habbia quanto desidera ; et di nuovo torniamo tutti a raccomandarglielo, perchò a que¬ sto suo parente noi siamo sempre più obligati (3) . Li mando li vetri w bone accommodati in una scatoletta. Prego Dio cho ar¬ rivino salvi. La ringrazio di quanto cortesissimamente mi ha risposto sopra la compra 20 delia casetta, cioè del riguardo eh’ ella si compiace di voler bavere in ciò an¬ che al mio gusto. Nel resto crederei di fa[r torto] alla sua bontà so lo racco¬ mandassi chi per natura et per pietà ella ò tenuta ad aiutare; massime doppo che V. S. l’ha posto nello stato cho è, et egli per il suo ossequio et per la sua reverenza verso V. S. non demerita le sue paterne et caritative dimostrationi. Et le bacio di cuore le mani. Di Fiorenza, 28 Lug.° 1683. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. m:i «'» Cksauk Gam.btti. i*i Cfr. il.» 2579. <»> Cfr. mi. 1 2682, 2692. <») Cfr. mi.' 2682, 2592, 2003. 200 28 LUGLIO 1033. [2605-2607] Mi favorisca di diro in elio forma olla stia in casa di Mons. Pe Arcivescovo, ot ho le sono per¬ messo visito et conversationi. Oblig. mo Parente et Sor. p ® 30 Gerì Boccliineri. Fuori: Al molto 111.** ot Ecc. mo S. r mio Uss. ,no 11 S. r Galileo Galilei. Siena. 2600 . ANDREA CIOLI a GALILEO in Siena. Firenze, 28 luglio 1683. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.,?. I, T. X, car. 242. — Minuta di mano di Ukki Uocchinkw; autografa la sot- toscruiono. Molto Hl. ro et Ecc. m0 S. r mio Oss. n, ° Volentieri si è compiaciuto il Ser. m0 Padrone di ordinare al S. r Amb. ra Nic- colini di supplicare S. S. tà in nomo doll’A. S. di concedere a V. S. di poter tornare a casa sua ot di esser restituita nella sua libertà, compatendola S. A. tuttavia più. Staremo a vedero reiletto di questo officio, elio so certo elio sarà passato dal S. r Ambasciatore con ogni spirito, anche por favorirne me, elio no lo prego affettuosamente. Et di cuore bacio lo mani a V. S., liavendo veduto ogni volta tutto quollo clic V. S. ha scritto qua dello stato dolio coso suo 11 ’. Di Fiorenza, 28 Luglio 1833. Di V. S. molto Ill. ro Sor/'' Affi 1 " 0 di cuore io S. r Galileo. And. Gioii. Fuori : Al molto 111.™ ot Eco.® 0 S. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2607 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcotri, 88 luglio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 214. - Autografa. Amatiss. mo Sig. r Padre, Mi maraviglio che V. S. sia stato un ordinario senza mie lettore, non hnvondo io lasciato di scriverle e mandarle al Sig. r Gerì ; e quest’ ultima settimana ne <«> Cfr. li.» 2593. 28 LUGLIO 1633. 201 [ 2607 ] ho scritto due, una sabato et una il lunedì. Ma forse a quest’ bora gli saranno pervenuto tutte, e V. S. resterà minutamente informata di ogni particolarità di casa, come desidera. Restava solo imperfetta la relazione del vino, il quale sen¬ tito dal Sig. r Rondinolli, con il suo consiglio si è travasato in un’ altra botte per levarlo di sopra quel letto. Si starà a veder qualche giorno, e se non mi¬ gliorerà, bisognerà vedere di contrattarlo avanti che si guasti affatto. Questo o io quanto alla botto clic già gl’havevo avvisato dio cominciava a patire: l’altra, per ancora si mantiene molto buono. Non ho mancato di preparar l’aloè per V. S., o fino a qui vi lio ritornato sopra il sugo di rose sette volte ; e perchè di presente non ò tanto asciutto che si possi metter in opera nelle pillole, gli mando per bora un girellctto di quello che facciamo por la nostra bottega, nello quali è lo aloè pur lavato con sugo di rose, ma una sol volta. Non dimeno non credo che per una prosa sola siano per fargli danno, havendo havuto qualche correzione. Quanto il Landucci (1 ' si dolga per la morte di sua moglie w , io non posso saperlo, nè haverne altra relazione che quella che mi detto Giuscppo il giorno 20 clic andò, insiomo con il S. r Rondinolli, a portargli li 6 d., che fu li 18 stanti; e mi disse che posò i danari su la soglia dell’ uscio, e che veddo Vincenzio, là in casa lontano dalla porta assai, clic mostrava di esser molto afflitto, con una cera di morto più elio di vivo, o con lui erano li due iiglioliiii, un maschio (3) o una femmina t4) , che tanti e non più gliene sono restati. Godo di sentire che V. S. si vadia conservando in sanità, o la prego a pro¬ curare di conservarsi col regolarsi particolarmente nel bere, che tanto gl’ è no¬ civo, perchè dubito che il gran caldo e la conversazione non gli siano occa¬ sione di disordinare, con pericolo di ammalarsi e per conseguenza di differirò ancora il suo ritorno, tanto da noi desiderato, so La nostra Suor Giulia, maestra di S. r Luisa o sorella del Sig. r Corso, ha in questi giorni fatto alle braccia con la morte, et, ancor che vecchia di S5 anni, F ha superata, contro ogni nostra credenza, essendo stata tanto male che si trat¬ tava di darle V Olio Santo. Adesso è tanto fuor di pericolo che non ha più feb¬ bre, e si raccomanda a V. S. per mille volte, et il simile fanno tutte lo amiche. Il Signor Iddio gli conceda la Sua santa grazia. Di S. Matteo in Arcetri, li 28 di Luglio 1G33. Di V. S. molto 111. Fig. ,a Aff. ma Suor M. a Celeste. Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r Padre mio Oss. ni ° io II Sig. r Galileo Galilei. Siena. < 3 > Bknkuktto. Virginia. Vincenzio Lanbooci. I*' Anna Diociauti. XV. 26 202 30 LUGLIO 1033. [2008] 2008 . NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 80 luglio 1638. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 246-247. — Autografa. Molti’111.” ot Ecc. ra0 Sig. r e P.ron mio Col.® 0 Io non ho dubbio alcuno cho, so l’esito dol negozio ò stato esorbitante, i in ozi o progressi ancora bisogna cho mono stati tali quali si ricercavano a pro¬ durre una tanta esorbitanza; o so al primo avviso del successo io rimasi atto¬ nito e smarrito, quando saprò lo causo cho l’hanno promosso ed effettuato, mi aspetto di bavere a restaro colmo di stupore o di sdegno. Quella medesima ca¬ gione cho ha tenuto loi meco, ha tenuto o tiene anco me seco in silenzio, si cho io non ho trattato nò tratto del nostro infortunio, perché parlarne come si può non me no curo, o conio io vorrei non si può, mercè di quelli che vogliono ancor con la nostra dissimili aziono di duolo palliare la lor perfida simulazione io di zelo. Ma ò bene entrar in altro. Ho scritto al Sig. p Pioralli (t1 per conto della pensiono, ot ho detto al Rig. p Boc¬ chineri cho se ha bisogno di valersi di tal denaro, senza aspottar questo asse¬ gnamento io lo servirò di tutto quel clic ho, volentiorissimo. Prego V. S. Eco. 1 ™ a inanimir la troppa modestia dol Sig. r (Ieri a far capitale di (pici poco elio vaglio. Di questi SS.® 1 Padroni, quali ho occasione di rivedere sposso, perché vado giornalmente a dar lezzione di geometria al Sig. r Principe dio. Carlo, posso confermargli il lor parzialissimo affetto verso la sua persona, della quale ragio¬ nano spessissimo con lodo estrema e gelosia indicibile; e l’istesso fa tutta la nobiltà litterata di Firenze. Il Sig. r Dino 1 *' sta bone, ma ed egli cd io o tutta 20 la nostra conversazione starebbe incomparabilmente meglio so potessimo goderò della sua desideratissima o sospiratissima presenza, quale piaccia a Dio di con¬ cedercela quanto prima. In tanto andiamo ingannando il meglio elio si può que¬ sta così lunga dimora, col farne frequentissima menziono ne’ nostri ragionamenti. Qui per fine la riverisco con ogni osservanza ot abbraccio con ogni affetto, sa¬ lutandola in oltre e rendendogli centuplicati i baciamani per parto del Sig. r Dino e del Sig. r Manetti 3) , a' quali si aggiungo il Sig. r Alessandro Pitti, cho mi com¬ mette che io faccia in suo nome unti giunta non piccola di saluti o riverenze. Fir., 30 di Luglio 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.® a Oblig. mo o Dov.®° S. ro 30 Niccolò Aggiunti. Oi Marcantonio Pierau.i: cfr. Voi. XIX, Hoc. »*» Dino I’eiu. XX XI11, t). »*' Braccio Manktti. [2GO9-201O] 30 — 31 LUGLIO 1633. 203 2609 *. MARIO GUIDUCCT a GALILEO in Siena. Firenze, HO luglio 1683 Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, cur. 244. — Autografa. Molto HI.™ et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Mi rallegro sommamente di intenderò che V. S. continui a star Lene e con tranquillità, o la riconosco per grazia speciale del Signore Dio: perchè il con¬ trappcsare con un piccolo romano un peso gravissimo, quale io stimo essere stato il suo infortunio, non mi paro opera così agevole come ella mi figura esemplificandolo con una stadera materiale; et io, quanto a me, non so acco¬ modarvi l’applicaziono tanto elio mi sciolga la difficoltà del problema. Qui, per la Dio grazia, stiamo bene; onde, se ella potesso ottener grazia di ritornarsene, il timore del malo non la dovrebbe ritenere dal proccurarla. io Tutti gli amici o servitori suoi lo desiderano in estremo; et io, facendole reve¬ renza, lo prego per fino ogni maggior felicità o contento. Firenze, 30 di Luglio 1633. Di V. S. molto 111. 10 ot Ecc. ma Sor.™ Obb. ,no e Aff>° Mario Guiducci. Fuori: Al molto TU.™ et Ecc. m ° S. r o P.ron mio Osa." 10 Il Sig. p Galileo Galilei. Siena. 2610 *. FRANCESCO RICCIOLINI a GALILEO pn Siena]. Roma, 31 luglio 1633. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, 13.“ LXXXII, u.° 112.— Autografa la sottoscrizione. Molto I11. r0 S. r mio Oss. mo Nel rallegrarmi con AL S. del suo felice arrivo a Siena e nel renderle gra¬ zie della parto che restò servita di darmene (1) , m’uscì di monte d } accennarli 0) Cfr. n.° 2575. 204 31 LUGLIO — 2 AGOSTO 1633. [2610-2611] che quei barattoli rii conserva di fiori di melangoli dovevano esser portati nel monastero di Dandoli in Firenze, e fatti consegnare alla Madre Suor M.“ Ileo- data Niccolini, mia sorella; che però supplendo a questo adesso, le rinnovo il continuato mio desiderio di servirla o lo bacio le mani. Roma, 31 Luglio 1633. Di V. S. molto lll. re Sor." ÀfT. mo S. r Galileo Galilei. F rane. 0 Niccolini. io GERÌ B0CC1IINEKI a (GALILEO in Siena], Firenze, 2 agosto 1633. Bibl. Nrz. Flr. Un. Gal., P. I, T. X, oar. 218. — Autografa. Molto Ill. ro et Ece. n,t> S. r mio Oss. mo V. S. Laverà, a questa bora ricevuto li vetri che lo ho mandati ( ° ; et por accertarmi meglio del recapito, messi al pieghetto- un sigillo di S. A. Ilo veduto quanto V. S. mi rispondo pur di nuovo in proposito della casa, et la ringrazio dell’honore ch’olla si compiace di fare alla mia interpositiono Quando liavorò un po’ di commodo, andrò da Suor Maria Celeste, cito così gli ho fatto sapore, et credo che non passerò di venerdì. V. S. parimente haverà veduto che S. A. molto volentieri ha ordinato al S. r Ambasciatore di domandare in grazia al Papa ot al S. r Card. 1 * Barberino la sua liberatione 31 . Piaccia a Dio elio possiamo, col conseguimento di ossa, io rimanere tutti consolati; ot le bacio le mani, rendendolo infinite grazie del- l’haver procurato che il Norcino rimanga sodisfatto nel suo desiderio (4) , et lo no rimanghiamo tutti obligatissimi. Si sono levati li rastrelli et le guardie della Sanità., ot possiamo diro di esser guariti, sebeno non lasciò liiori di nascere un caso contagioso. Di Fiorenza, 2 Agosto 1633. Di V. S. molto Ill. ro et Eoc." ,a Oblig. mo Parente et Ser. r * Geri Bocchineri. Oi Cfr. n." ‘2005. «*» Cfr. n.» 2604. <*' Cfr. n.° 2605. Cfr. il.» -2603. [ 2612 ] 3 AGOSTO 1633. 205 2612*. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Siena]. Arcetri, 8 agosto 1688. Bibl.Nas5.Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, cnr. 216. - Autografa. Ainatiss.'" 0 Sig. r Padre, Scrivo questi pochi versi molto in fretta, por non trasgredirò al precetto di V. S., clic mi impono ch’io non lasci passar settimana senza scrivere. Quanto al vino che si travasò, par che più tosto sia alquanto migliorato di colore, c alla Piora non gli dispiace o ne va bevendo. Si ò trovato da darne a vili per vino 3 barili: 2 ne piglierà il fabbro, mozzo il lavoratore deU’Ainbru, o mezzo Domenico elio lavora qui il podere do i SS. 1 Bini; si cercherà di darne ancora un altro barilo, perchè finalmente non vorrei che ne gettassimo via punto, e il resto, che sarà un altro barile o poco piò, so lo Leveranno, perchè così si io contentano, et anco Suor Arcangiola non si fa progare a dar loro aiuto. In colombaia sono 2 para di piccioncini, clic aspettano che V. S. venga in persona a dar loro Y ultima sentenza. I limoni mostra ragionevole, se andranno innanzi; ma le melangolo e melarance fecion pochi fiori, e di quei pochi ne sono andati innanzi pochissimi: pur vo ne ò qualcuna. Il pano elio si compra por 8 quattrini è grande o bianco. La paglia per la mula si provvederli,. Dello strame non bisogna farne disegno, perchè quest’anno è stato carestia d’erba, oltre dico la Piera che alla signora mula non gli so- disfà molto, e che V. S. si ricordi che l’anno passato ella so no faceva letto por star più soffice. Adesso ha havuto un poco di malo in bocca, perchè lm lo 20 stomaco tanto gentile elio dicono che il ber fresco gl’Labbia fatto male, d[..] elio la Piera è stata tribolata. Adesso sta meglio. V. S. fece beno ad aprire la lettera della cortesissima Sig. m Ambasciatrice, alla quale vorrei in ogni maniera mandar a presentare qualche galanteria in¬ sieme con il cristallo, quando si apriranno i passi. Il Big. 1 ' Gerì non è ancora venuto qui, sì elio per bora non posso dir altro a V. S. so non che di molto gusto mi sono stati gl’altri avvisi che mi dà noli’ultima s[ua] circa gl’lionori o sodisfazioni che riceve costì. E caramente la saluto, e prego Nostro Signore che la conservi. Di S. Matteo, li 3 d’Agosto 1G33. so Sua Fig. la Aff. mft Suor M. !l Gelosie G. Lett. 2612 . 12 . se andatine — 20G 3 acìojsTO 1633. L 8618 ] 2618 * MATTIA BERNEGGER ad ELIA DIODATI in Paridi. Strasburgo, 8 agosto 1688. Bibl. Clvloa di Amburgo. Supollex opistolica Uffeubachii et Wulflorum, quart-Hnnd XXXII, car. 87*.-8hr. — Mimita autografa. Epistola tua, Vir amplissimo, non minti» humanitate qunm ardimento prolixa, mnl- tiplici me gaudio perfudit. Ad quara otai responsum, pio oo ao par erat, maturare por alias occupationes haud lionit, do praecipuo tamen oius capito, puta do Syatemate Coper¬ nicano Galilaei, Bcripsi statim ad fìlimn meum, oraret ut prima quavia occasiono libri copiato inibi facoros : esse namquo mo paratissimum nd suscipiendam, et prò viriutn tc- nuitato perficiendaui, conversiouem iatinam, cum tanti autoria nomino, qui reipublicao litterariao cives omnes pridem sibi vectigales dnvinetissimoBque reddidit, tura hortntu tuo, cui graviora officia, nedum liane operam non magimm, negare prope religioni duco, cum cogito meritimi iliaci in me tuum ingens, quod filium pridem, felicissimo, ut res docuit, erroro profugum omnique destitutum ope, noe rogatas, paterna piane charitato fovenduiu 10 tuendumque suscopisti; quaro itisi me iugratis, hoc CHt sceleratia hominibus, aceenses, de mea promptitudino in exequendis mandatis tuia quibuscunque dubitare non delie». Td modo interest, ut statuamus quo pacto liber ad nos tuto perferri queat. Oensuerim, Genova Ultissime; onde nuper etiam alternili exemplum eiusdem epistnlae tuan recto transniissum accepi. Mora longior: sed eam festinata conversione pemabo. Rem omneni, prò eo ac par est, arbitrii tui facio. Animus est, te, credo, non repugnaturo, vorsionem rnenm Schiokardi *'» nostri lirnae ntqun censurae subiicero. Is itinere bidui tantum a nobis abest, ot singulis a me septiraanis per litteras conveniri potest, et, quod caput est, in hoc genere studiorum ita versatuB est excellenter, ut unus bic ab excessu Keppleri neroiiium iu Germania parem, nedum snporiorem, agnoscat. Nani ego quidom, iniuria uovercantis fortunae ac sempcr 20 otiuni aut aubsidia negantis, cupiditati meae, qua ferobar in illa studia, satis uunquam lacero potili, vix ultra mediocritatem enisus et mine per 20 et amplius minorimi Bpatium, quo distrabor in alia omnia, plororumque oblitus, nini quod interdum in transcur.su et. quasi furtim mathomaticas delicias animi caussa regustare solco. Quo non obstante, autorem ita me spero interpretaturum, ut ncque (idem ncque diligentiani moam sitis desideratimi: nani ncque recondita ponitioris astronomiao notitia hanc ad rom osso necessaria, sed aatronomicorum terni in or um, qui in italica lafinaqne lingua fere iidem esso Rolcnt, itemque linguae italicae cognitio, quorum utrumquo milii vindicare audeo, suflicore vidontur. Avido libroni expeclo.... 24 Iul.l») 1633. 30 <*’ GdOUSI.MO SOIIICKAHD. IU stilo giuliano [26U-2615J 4 — 5 AGOSTO 1033. 207 2614 **. GERÌ BOCCHI NERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 4 agosto 1(533. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 230. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. lu ® Ilo poco tempo per rispondere alla lettera di V. S. de* 31, percliè bora licen¬ ziamo l’ordinario. Sento contento che i vetri' 1 ' siano giunti salvi. Mi rallegro delle sue conversa¬ tami et dogli altri gusti che ha costì ; ma nondimeno la compatisco della gelosia eli’eli’ha della sua casa. Il memoriale dol Norcino V. S. potrà favorire di man¬ darlo a me, già che egli non ò costì, perché lo consegnerò cpii al suo parente w . V. S. deponga ogni dubio quanto a quello che attiene alla clavicola, perchè non ho che dirlo più di quello che le scrissi allhora (3) , nò mi ricordo di liaver io promesso di scriverlo altro. Ma bora mi sovviene che le dissi, che ella mettesse sotto ordine abecodario, corno harci fatto qui io, il riscontro dogli altri nomi non aboccdati di essa clavicola, per facilitare la deciforationo di quello che fosso occorso di scriverci, non sperando che così presto eli’ havesse a venire a Siena. Hieri non havommo nò malati nè morti, et il medesimo spero d’hoggi. Et lo bacio in fretta le inani. Di Fioronza, 4 Agosto 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. nm Oblig. ino Parente et Sor. 1 ' 0 Cleri Hocchineri. 2615 . • POLISSENA GATTESCHI BOCCHINERl a [GALILEO in Siena]. Firenze, 5 agosto 1033. Blbl. Niva. Plr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 59. — Autografa la firma. Molto Tll. ro Sig. r mio Oss. ino La perdita elio ha latto Marsilio (l) in Prato di suo padre, et il ritrovarmi io qui in Fioronza alla cura del Canonico inio figliolo (5) , ò stato cagiono che "> Cfr. nn.i 2G08, 2611. <** Cfr. n.» 2582. < s > Cfr. un. 1 2572, 2579. <*' Cfr. n.o 2390. < s > Asoanio Boociiinki I ( 5 AGOSTO 1G33. 208 [ 2615 ] tardi io rispondo, perché tardi in’ è comparsa la lettera di V. S. ; o so bone io ho havuto continui ragguagli da (ieri, altro mio figliolo, di tutti i suoi avveni¬ menti, nientedimeno liarei molto volentieri veduto Marsilio; ma egli, por i so¬ spetti che sono qui del malo o por bacchiente del proprio padre, é rimasto in Prato, et io non 1* ho per ancora veduto. Dico bone a V. S. che al pari di lei ho sontito nell’animo lo suo disaventure, non meno che ella l'Imbiba sentito noi corpo o nell’animo; o mi dispiace clic io sue porsocutioni sieno cagionato solo io da iniqua perfidia, e che la sua limpidissima innocenza habbia da esser così conculcata, o da manifesta o pura malignità. Me ne sono sempre condulsuta con tutti questi miei figlioli, che la compativano fuori d’ogni suo credere ; o V. S. tenga assolutamente che non ha havuto chi più desiderasse «li sollevarla da cotesto malignità quanto io con questi figlioli, clic giornalmente s'ù fatto dello suo avversità discorsi molto rammarichevoli. Puro bisogna, elio sì conio V. S. ò prudentissima in tutti i conti, non meno sia in questi sinistri accidenti, o rimettersi in S. I). M., con la (piale sì come s’ò conformata sempre, si con¬ formi fiora, chò più nell’avversità che nolli felici successi si conosce l f kuom forte ; e V. S. harà occlusione di acquistar quel più (li merito appresso I )io e di 20 costanza appresso gl’ huomini. La Sestilia o S. r Vincenzo stanno benissimo, perché ogni giorno sollecita¬ vano questi figlioli a darlo conto di tutti i successi di V. S., che no sentivano grandissimo doloro, o so elio credano assolutamente che nella partita elio farà V. S. di Siena, ella habbia a passar (la Poppi. Rendo per tanto grazie a V. S. dell’Iunior della sua lettera; e qui, confermandole la mia ottima prontezza ad ogni suo comando, a V. S. bacio lo mani, desiderandolo la total liberazione, elio Dio Io conceda. Fiorenza, li 5 di Àg.° 1033. Di V. S. molto HI. 6 Mesa. Benedetto w rendo infinite grazie a V. S. della memoria che V. S. conserva di lui: et egli al par degl’altri ù compassionevole dello sue disgrazie, o se lo ricorda affezionatissimo servitore. Alì. nm Parente come sorella e per ser. la Polisenu Gatteschi Bocchineri. • ‘i Lk.vkdetto Bocobimbbi. [2616-2617] G AGOSTO 1633. 206 2616 . NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 6 agosto 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 252. - Autografa. Molt’ IU. r ° et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col." 10 Se bone io ho praticato qualche tempo la Corto, io ho non dimeno molto più lungamente e con più gusto praticato le matematiche et i professori di essa; c però è ben ragionevole che io Labbia appreso più dalla scuola della verità che da quella della bugia: sì che torno a ratificare a V. S. Kcc. ma che fu mora ve¬ rità quel clic le scrissi dell’adotto verso di lei, di questi SS. ,ni Padroni ; a* quali, dopo havor lotto della lettera di V. S. quella particella che pon dubbio su le mie rotazioni, ho detto che essi solo potrebbero mostrarmi assolutamente veri¬ tiero; ma immediatamente ho soggiunto clic io son certissimo che perla con¬ io tinuata serie do’ moltiplica favori, quali giornalmente V. S. riceve da essi, ella non dubita punto della lor benigna e propizia volontà, ma che questa dubita¬ zione elio ella ne mostra ò argomento sicuro della gelosia e dell’estremo desi¬ derio elio ella ba della loro benevolenza, e della stima che ella fa dell’essere stimato da loro. Hanno di tutto questo mostrato contentezza, o mi hanno com¬ messo che io la saluti in lor nome e T esorti a stare allegramente. Il Sig. r Pieralli mi ha risposto che tra dieci o dodici giorni al più ritornerà a Firenze, o sodisfarà prontissimamente al suo debito (1) . In tanto le fa riverenza, sì come fanno tutti questi Signori; et io sopra tutti me gli ricordo obligatissimo servitore, e pregandogli felicissimo ritorno, le bacio aftettuosissimamento la mano. 20 Firenze, 6 di Agosto 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Dev.™ 0 et Obblig." 10 R. ro Niccolò Aggiunti. 2617 **. GERÌ BOCC111NEUI a [GALILEO iu Siena]. Firenze, 6 agosto 1633. Bibl. Naz. Flr. Mbs. Gal., P. I, T. X, car. 256. — Autografa. Molto HI.*® et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Andai da Suor Maria Celeste, et venimmo finalmente in questo parere, cho por usare modestamente della cortesia di V. S. noi lo proponessimo la compra »> Cfr. n.° 2608. XV. 27 210 6 agosto 1633. [ 2617 - 2618 ] della casetta a spese la metà di V. S. 1 *' et la metà del S. r Vincenzio, al quale, poroliò so ch’egli non ha dollari, glioli presterò io, rimborsato elio io sia ili quelli eh’egli mi devo, atteso elio mi dispiacerebbe infinitamente elio V. S. et il S. r Vincenzio si lasciassero scappare questa occasione. Nè lo ho fatta questa proposta so non por servizio suo et di suo figliuolo, perchè quando il S.r Vin¬ cenzio torni a Fiorenza, o V. S. volosso venir da sò ad habitare la casa, noi su¬ bito habbiamo disegnato di uscirne, nò habbiamo però un minimo pensiero di io coabitare, anche perché la stanza et la salita ci riesce sempre più incommoda. Nè meno ho havuto concetto di sturbare la quiete di V. S.credendo più to¬ sto elio agli huomini sia di quieto raccomodarsi in casa. Bacio le mani a V. S., a nomo anche degli altri miei. Di Fiorenza, 6 Agosto 1633. Di V. S. molto IH.™ et Ecc. nm Ohlig. mo Parente et Sor.™ (Ieri Bocchineri. Lo do nuova come il Celimi è morto in Porto Ferraio. lU'nuian udernam. 2018 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcctrl, G agosto itì:i3. Bibl. Naz. Fir. Mss. Cai., 1\ I, T. XIII, car. 217. — Autografa. Aiiiatiss. mo Sig. p Padre, Il Sig. r Ceri fu hiennattina a parlamento meco per conto del negozio della casetta; o per quanto potetti comprendere, egli non ha altra pretensione elio l’utile o benefizio di Vincenzio, il quale sarebbe assai con l'occasiono di questa compra, potendo bonificare et accrescerò la casa grande, che pur gli pare an¬ gusta, niento monto elio Vincenzio cresca in famiglia; tanto più elio dico, os¬ servi una stanza sopra la citorna, elio non si può habitare por esser malsana, et al quesito eli’ io gli feci, se havova pensiero di Latitarvi insieme con Vincenzio, mi rispose elio, quando egli havessi voluto starvi, non poteva? o elio ò di ne¬ cessitò, che egli no pigli una più comoda o vicina a Palazzo, perchè, tanto per io lui quanto per quelli elio tutto il giorno vanno a trovarlo, questa su la Costa i‘> Cfr. n.° 2001. 1*1 Cfr. n.o 2618, lin. 29. 6 AGOSTO 1633. 211 [ 2618 ] è troppo disadatta o fuor di mano. Stando salilo questo punto, concludo che il Sig. r Gerì havrebbo desiderato che V. S. havessi interamente comprata la ca¬ setta, la quale non passerà i 300 d. in modo alcuno, per quanto egli dico. Gli replicai che non mi pareva nò possibile nè dovero elio Y. S. fossi aggravata di tanto, ossendo verisimile elio ella si trovi scarsa di danari, havondo havuto oc¬ casioni di far spese più elio ordinarie ; e gli soggiunsi elio si poteva proporre o pregar Y. S. a concorrere alla metà della spesa, caso che si trovi in comodo e già cho dice anco clic si sforzerà a dar loro ogni possibil sodisfaziono, e cho 20 l’altra metà de i danari havrebbe potuto il medesimo Sig. r Geri accomodar a Vincenzio, fino cho egli liabbia comodità di renderglieli : al che il S. r Geri con- dosceso con molta prontezza o cortesia, dicendomi che, so bene noi tempo che V. S. è stata fuora ha accomodati altri danari a Vincenzio, non di mono havrebbo proso ogni scomodo, prestandoli anco questi 150 d., purché questa buona oc¬ casiono non gli fuggissi dello mani. Questo è quello che si concluse che si do- vosse propor a V. S., conio fo di presentò : a lei sta lo oleggere, poi che molto meglio di me può sapere quanto si possa distendere. Solamente sogghignerò cho l’essermi convenuto interessarmi in questo negozio, non mi è stato di poca mor¬ tificazione: prima, perché non vorrei in minima cosa disturbar la sua quiete, 30 da lei raccomandatami, il elio temo elio non segua, già che mi paro cho ella non inclini troppo a questa spesa; dall’altra banda, l’escluder affatto il Sig. r Geri, che domanda a V. S. per un suo figliuolo o che dimostra tanto allotto a lei o a tutta la casa nostra, non mi par cosa lodevole. Di grazia, V. S., col darmi ri¬ sposta quanto prima, mi liberi da questa sollevazione d’animo; et anco potrà avvisarmi cho edotto habbiano fatto lo pillole e se vorrà ch’io gliene mandi dell’altre di queste medesimo, non potendosi per ancora metter in opera l’aloè cho ho preparato per formarne di nuovo. Suor Giulia gli ritorna le salute, e sta con desiderio aspettando, non il fiasco del vino bianco che V. S. gli promette, ma ben lei medesima; et il Sig. r Ron¬ do (lineili fa l’istesso, al quale non lascio di partecipare le lettere che V. S. mi scrive, quando mi par di poterlo fare. E qui a lei mi raccomando, o dal Signor Iddio prego felicità. Di S. Matteo in Àrcetri, li 6 di Agosto 1633. Di Y. 8. Eig. ,a Aff. ,Tm Suor M. a Cele sto. Fuori: ÀI molto 111.™ Sig. r Padre mio Oss.' no Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 212 6 AGOSTO 1633. [ 2619 ] 2619**. BENEDETTO MILLINI a GALILEO in Siena. Koma, 6 agosto 1688. Blbl. Kat. in Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.° S5, — Autografa I.a carta ù corrosa dall’inchiostro iu più luoghi, iu modo che la lettura riesco incerta. Molto Ul. ro 8ig. r *, mio Sig. ro Oss. 1 " 0 Finalmente iu’ è .stato conceduto tanto di tempo eli'io posso scrivere duo righe a V. S. o riverirlo, conio fo con tolto 1 cuore. K ben vero che T mio silentio ha passati tutti i termini, ma la gentilezza di V. S. mi assicura cho la colpa 8* attribuirà a moro impedimento o non ad altra cagione, tanto più quanto cho il nostro gentilissimo Sig. r Tolomei 1 potrà far testimonianza della mia ansietà in saper nuovo di WS. Esso m'ha fatta vedere una canzone mano¬ scritta, fatta alla Pindarica (dirò ancor io corno usano divorai, ma degnissimi, moderni) : l’ho letta con mio grandissimo gusto, come soglio leggere tante belle coni posi t ioni elio manda fuori ogni giorno la nostra Italia, che, por produrre io contimiamonto mostri simili, non è indegna del nomo d* Africa. Questo modo di comporro alla Pindarica, sì conio è degno di grandissima lode, cosi viene accompagnato [.] Quanti bau tentato di farsi imitatori di Pindaro, [...] cred’io che vi siano clic non intendon neinono la versione latina da quel poeta. Fra questi il Sig. r Chiabrcra, in buona parto dei suoi lirici, c ’l Sig. r Adimari [..,.] non siano de’secondi. Che la canzone mandata da V. S. sia alla Pindarica, la giu¬ dicheranno altri si benissimo, ch’ella ni’ha fatto ricordare d’un passo di Ter¬ tulliano sopra il camaleonte. Dice questo autore nel libro, cred’io, De pallio : Ghamaelcontem qui audieris , iam timebis aliquid amplius cum leone. Bel nomo 20 è questo di Pindaro o di Pindarico, nomo che compromette assai; ma seguita Tertulliano: ai cum upud vineam offendei in ferme sub pampino tolum (veda Y. S. dovo va a terminare la cosa signilìcata con un nome sì sonante, quanto piccola e sparuta riesca), ridebis illico audacia/», di questi cho ci promettono quel cho non possono, et Graecuim nominis : la ragiono è perché nec succus est corpori, qui minutioribus multo licei V. S. potrà colla linezza del suo ingegno o con m Gio. Francksoo Toi.outr. <*' TKRTur.MANo, Di pallio, cap. III. Riprodu¬ ciamo secondo il tosto di Tkrtuluano la citazione, cho nell’ autografo del Milliki si legge, stante lo condizioni della carta, con difficoltà e lacune. A lin. 25 il testo di Triitoi.liako, secondo un’altra le¬ zione. sarebbe et Griuei inni nominiti ma abbinino preferito et Gmtciam nomini*, perchè pare si presti meglio a «inolio cho può leggerai nella lotterà del Miluvi. G AGOSTO 1G33. 2 13 [2619-2620] la saldezza del suo giudicio s[.. .]dar meglio quell’applicazione che a me piace d’haverle solo accennato. La prego bene, arrivandole alle mani fatiche sì fatte, a farmene parto. 80 ka mia Costanza, {l \ come V. S. l’ha chiamata con colia, mi è tanto cascata dalle braccia [.] mal impiegata ogni fatica ch’io ho [_] per abbellirla, se bene il Sig. r Tolomei cerca di prenderla in grazia: ma l’autore discerne lo coso non come elle sono, ma com’ello dovrebbon essere. Ma non m’avvedendo io competente [....] tropp’oltre. V. S. n’ò cagione, chò, scrivendolo, mi sento i gusti della carissima sua conversazione. Fo dunquo fine, con pregarle dal Signore ogni vero bene. Di Roma, li G d’Ag.“> 1633. Di \. S. molto 111."’ Ser. ro A(T. ,no Bonod. Millini. •io Fuori: Al molto lll.ro et Ecc. mo Sig. r « P.ron Oss. mo 11 Sig. 1 ' Galileo Galilei. Siona. 2G20*. ANTONIO NARDI a GALILEO in Siena. Roma, 0 agosto 1083. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.»LXXXII, n.® 10. — Autografa. Molto III. 0 et Eccell!" 0 S. r o P.ron Oss. ,no Non prima liebbi nuova del felieo arrivo di V. S. Eoe.™ in Siona, che io per lettere mi congratulai seco, et insieme la ringraziai della racomandazione lattami in suo nome dai Sig. Rafaello Magiotti. È ben vero ebo il non liaver ricevuto, nè il Sig. Magiotti nò io, risposta sua, ci persuado cho lo lotterò inviatoli habbino kavuto fortuna contraria ai nostri desidcrii. Il P. I). Benedetto ot il Sig. Tolomei (2) ci hanno ultimamente dato avviso di lei conforme a’nostri vo¬ leri, o la prego a conservarsi in questa tanto noiosa stagiono, per poter mag¬ giormente giovar al mondo con la publioazione delle altre sue opere o faro io amutir i maligni et ignoranti. M’imagino che a quest’ora V. S. habbia visto l’opera del Cav. CJhiaramonti (3) contro i suoi Dialoghi; e perchè io non ho possuto considerarla, massime in I" Fu pubblicata soltanto nel 1647, coprendosi presso Lodovico Grignanì, 1647. l’autore sotto anagramma : La costanza delle danne, <*' Gio. Francesco Tolomei. comedia di Modello Tientibene eco. in Roma, ap- (3) Cfr. u.® 2826. 214 0 AGOSTO 1033. [ 3620 - 2621 ] materia del sito dello nuovo stello, sto ansioso del suo parerò tanto, quanto mi persuado, dall’altra parte, che il contradittoro si sia, in questa come in moli'altro coso, abbagliato. 11 Big. Giusoppo Tarnantini dello Stato di Siena, giovano amicissimo mio o di buonissimo costumo, mi ha ricerco vogli scrivere a V. S., acciò si degni favo¬ rirlo appresso Mons. r Ill. m0 Arcivescovo di Siena in occasiono che si dove far rolozziono degl’alunni dell’eredità dei SS. rl Mancini per lo Studio. Io so elio a Mons. r Ill. m0 ot a quei gentil’ huomini che sono sopra tal negozio gl’è stato 20 scritto da altri por l’istosso soggetto, ot in particolare dui S. r Salviati; ma mi porsuado che l’intercessione di V. S. habbia a poter non meno presso a Mon¬ signore, clic prosso di lei l’attestnziono della bontà e maniero di questo giovane, quaggiù benissimo conosciuto: (lei che e lui et io rimarremo obligatissimi alla sua gentilezza. Prego V. S. a scusarmi di tal importunità ot insieme a coman¬ darmi con altretanta libertà. Poma, 6 di Agosto 1633. Di V. S. Ecc.®» S" Olilig.™ Ant.° Manli. Fuori : Al molto Ill. r ® et Ecc. m ° S. r 0 P.ron mio Oss. n, ° co il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2621. CARLO RINUCCINI «1 [GALILEO in Siena]. Roma, 6 agOBto 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss Gal., P. I. T. X, car. 254-255. — Autografa. Molt’ 111. 8 S. r mio Oss. mo Gran fortuna portono con sè le lettere di V. S., et ò tale, che altri ne gode non solo nella sodisfazion dell’ animo, ma nella salute del corpo ancora : o sappia che sono passati molti giorni che, per indispostone di dolori venuti alla S. r:i Ambasciatrice, siamo stati solitarii, senza la solita unione della buona o notturna conversazione ; quando, pervenendomi la cortesissima sua, al cui co- mandamento volendo obbedire in fare i complimenti da V. S. impostimi, sento un messo che a nome di quelle Signoro m'invita ad andare fuori, per sentire la più squisita musica che far si possa. Io non tanto mi rallegrai per tale invito, quanto elio mi maravigliai cho così presto la S. ra Ambasciatrice fusso libera io da’suoi dolori, che pur poche ore avanti la travagliavono ; ondo io ho attribuito 6 AGOSTO 1633. 215 [2621-2632] il tutto nlla fortuna della lettera di V. S. et allo sviscerato affetto con il quale ella invia i saluti, che furon ricevuti con la solita alacrità et applauso ; anzi sopra di quelli io feci brindisi alla salute di V. S., c mi fu risposto con tanta prontezza, che io confido che lei sia per godere molti o molti anni una perfetta sanità, conformo a che queste Signore li desiderono. I complimenti poi parti¬ colari con la S. ra Maddalena ] a GIO. FRANCESCO BUONAMIC1 [in Roma]. Vienna, 6 agosto 1683. Blbl. Naz. Fir. Mss. Uni., P. I, T. XV, ear, 73. — Autografa. Sul margino superiore della carta, a sinistra, si leggo, di mano poco postonoro: « C Ag> J633. 1«\ l!as.° Cnpp."» ». Molto 111.*» S. r0 Oss. mo Fa ringratio della scrittura mathematica Il P. Valerin.no (3 \ a cui ne mando copia, havrà gusto particolare in essa. Compatisco: in fatti hanno ben del verisimile lo passioni che corsero addosso del personaggio. Però non ho por male che gl’ingegni si trincierino un poco più in qua ne’ sensi ordinarli, acciò non piglino smisurato volo in ogni altra occor¬ renza dell’infinite apparenze celestiali. È meglio che ’1 getter fiumano lasci star in pace quelli scoprimenti pianetarii c siderali, finché siamo noi stessi in Cielo, et qui intanto farci le scale più sicure con sode buone opere. Interim li belli ingegni sono a lodar; ma s’esercitino lontani dalle spiaggie e promontorii sacri. L’ignoranza o l’occhio corto ni’ng- Mt Maiidai.kna Gdiduoci no’ Cava munti. <*' Cfr. Voi. XIX, Doe. XXIV, c, 4). I 3 ) Valkiuano Magni. fi — 7 AGOSTO 1633. 216 [2622-2625] ginla a far un ginditio più poltrone forai olio discreto. In ogni modo ringratio V. S., et 10 Rassicuro elio non allunerò della scrittura. Le bus. le mani. I)i Vienna, alli ti d'Agosto 1033. Di V. S. molto 111/* Fuori : Al S. r Oav/* Buonaniici. AiT.®° Servo in Cb.° F. Bus. 0 2623 *. GIORGIO BOLO OMETTI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, il agosto 1033. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b. 48). 2624 *. FRANCESCO VITELLI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Venezia, 0 agosto 1033. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, b, 51). 2625 *. CIO. FRANCESCO TOLOMEI a GALILEO in Siena. Roma, 7 agosto 1033. Bibl. Hat. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, H.» XCI, n.° 118. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. m0 S. ro e P.ron mio Oss. mo Non poteva venire a tempo più a proposito la conipositione mandatami da V. S. che il primo giorno (l’Agosto, mentre io m’inviavo verso l’Accademia u) a un banchetto dove intervennero 25 Accademici, che con gusto indicibile son- tirno più volto quel bel componimento, dol quale alcuni no volsero pigliar copia per studiarlo meglio, so bene mi dicono che, havendoci fatto molto studio, fino adesso V intendono manco di prima. Mi credovo di poter mandarlo adesso una poesia che supera i Panetii e i Leporci, ma il S. r Pietro della Valle ino V ha portata via: credo porò che di quosta, altra la potrò inviare, o V. S. vedrà cose maravigliose. io Il P. D. Benedetto fu ieri da me, e si maravigliò di non toner risposta di V. S., conio anco D. Raffaello (2 ’, o si ricordono amici cordialissimi della sua persona. Il S. r Melimi (3) , uno degli Accademici, scrive a V. S. sopra la canzone 14 '. <•' L’Acnadomia dogli Umoristi. Rapfaki.lo Maoiotti. ,3 > BKSKKKrro Mii.lini. <»> Cfr. n.° ‘2019. 7 AGOSTO 1633. 217 [2626-2627] Il S. r Primicerio Tolomci' 1 ’ presentò a Monsignore (2) una bolla
  • 1633. *'* Lodovico dr Nooarrt db la Valkttk. <*• Cfr. Voi. VII, pag. i>71 o sog. «•> Cfr. n.® 282f>. •*' Di stilo giuliano. [2031-2034] 11 — 13 AGOSTO 1633. 219 2631 * ANDREA CIGLI a FRANCESCO NICCOLIN1 [in Roma]. [Firenze,] 11 agosto 1633. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3523 (non cartolata). — Minuta non autografa. S. r Bulì Cioli. Al S. r Coirmi/ 0 Niceolini. XI Aposto 1633. So paia elio sia troppo presto a chieder nuove grazie a S. S. u per il S/ Galileo f 1 ), potrà differirne l’instanze, rimettendosene S. A. alla sua prudenza et alla notizia ch’ella tiene della volontà di S. B. nc .... 2632 *. BONIFACIO DA CAIIDON ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Vicenza, 12 agosto 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 49). 2633 *. NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC a PIETRO GASSENDl in Digne. Aix, 12 agosto 1633. Bibl. Nazionale In Parigi. Fonda francate, n.° 12772, car. 79. — Autografa. -Vous aurez aussy uno lettre que m’a escripte lo boa P. Athanaze Kircher, où il en a transcrit uno anitre par lui reseti e du P. Schei ner do Rome, ou vous serez bien aise de voir à quel poinct monte l’estime qu’il faict de vous, mais bien mortifié aussy de voir ce qu’il y dict du pauvre S. r Galileo, que jc plains grandement; ce quejosoroys bien d’advis de no pus divulguer, si vous m’cn croyez, pour bons respeets, paisque la ebose avoit estó tonile dans Rome si secrette jusques à present. Si cola so doibt publior, il vauldra inieux qu’il vimine d’aultre main quo de la nostre.... 2634 . GERÌ BOCCITINERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 13 agosto 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 258. — Autografa. Molto IH.” et Ecc. mo S. r mio Oss .' 110 Il S. r Ambasciatore Niceolini risponde <2 di non gli parer punto tempo adesso di domandare la liberatione di V. S., o stima meglio il differire almeno O» Cfr- u.° 2026. •*' Cfr. n.° 2026. 220 13 AGOSTO 1633. [2634-26861 2 mesi, perchè, da’ discorsi « ho S. E. hobbo ultimanionto con S. S. a
  • Cfr. n.« 2608. <*> Cfr. n.” 2603. <•' Aliwsakduo Hocohimkri. <•' Cfr. n.® 2611. ■UHM 13 AGOSTO 1633. 221 [2635] lo suo sono venute come i frati zoccolanti, non solamente accoppiate, ma con gran .strepito, facendo in me una commozione più che ordinaria di gusto e contento, cho ho preso in sentire che la supplica che por Vincenzio o per il Sig. r Geri ho presentata a V. S. (l) , o raccomandata per dir meglio, sia da lei stata segnata con tanta prontezza e con più larghezza di quella che io doman¬ davo: e da questo fo conseguenza che non sia altrimenti, con la mia impor¬ lo tunità, restata disturbata la sua quiete, eh’è quello cho mi premeva; o per questo mi allegro e la ringrazio. Quanto al suo ritorno, Dio sa quanto io lo desidero; non dimeno, quando V. S. potessi penetrare che, partendosi di cotesta città, gli convenissi per qual¬ che tempo fermarsi in luogo, se ben vicino, fuori di casa sua (2) , crederei che fossi meglio per la sua sanità e per la sua reputazione il trattenersi qualche setti¬ mana d’avantaggio dove di presente si ritrova, in un paradiso di delizio, prin¬ cipalmente mediante la dolcissima conversazione di cotesto lll. mo Mons. r Arci¬ vescovo, o poter poi a dirittura venirsene al suo tugurio, il quale veramente si lamonta di questa sua lunga assenzi»; e particolarmente le botti, lo quali, in¬ no vidiando le lodi cho V. 8. dà a i vini di cotesti paesi, per vendetta una di loro ha guastato il vino, o puro il vino ha cercato di guastar lei, corno già gl’ ho avvisato; o l’altra liavrebbe fatto il simile, se non fossi stata prevenuta dal¬ l’accortezza o diligenza del Sig. r Rondini-Ili, il quale, conoscendo il male, ha procurato il rimedio, consigliando et operando acciò il vino si venda, come si è fatto per mezzo di Mattio bottegaio, ad un osto. Oggi appunto s’infiasca o se no manda via 2 some, et il Sig. r Rondinelli assiste, dello quali senza fallo credo ebo so no havoranno 8 d. : quello che sopravanzerà alle due some, si metterà ne i fiaschi per la famiglia e per noi, che ne piglieremo volentieri qual¬ che pocherello. Si è sollecitato a pigliar questo spediente avanti cho il vino so facessi altra novità maggiore, per non l’haver a buttar via. Il Sig. r Rondinelli attribuisce questa disgrazia al non essersi levato il vino di sopra quel letto elio fa nella botte, avanti che venissero i caldi; cosa che io non sapevo, perchè non son pratica in questi maneggi. La mostra dell’uva dell’orto era assai scarsa, e due furie di gragniuola, che l’ha percossa, ha finito di rovinarla: so no ò colta un poca di quella lu- gliola, avanti che vi arrivino i malandrini, quali, non havendo trovato altro da dissipare, hanno colto alcune mele. 11 giorno di S. Lorenzo fu qui all’intorno un tempo cattivissimo, con vento tanto terribile che fece molto danno, ot alla casa di V. S. ne toccò qualche poco, essendo andato via un buon pezzo di tetto 40 dalla banda del S. v Chcllini, et anco fece cadere un di quei vasi no i quali sono i melaranci: il frutto si è trapiantato in terra, fino che V. S. dirà se si <»> Cfr. n.» 2618. Oi Iti tornii, alla Certosa : cfr. n.° 2568. 222 13 agosto 1033. [2636-2636] dova comprar altro vaso per rimottervelo ; o del tetto ai è fatto sapere a i SS. rl Bini, che hanno promosso di farlo rassettare. Di altro frutto non vi ò quasi monto; o particolarmente delle susino, nessuna; e quello poche pere che vi orano, il vento lo ha vendoraiate. Molto bene son riuscite lo favo, cho, por quanto dico la Piera, saranno intorno a 6 staia, e molto belle. Adesso vi sono do i fagiuoli. Mi resterebbe da rispondergli qualcosa circa quel particolare che ella mi dice del staro o non star in ozio ; ma lo risorbo a quando haverò manco sonno cho adesso, cho sono 3 bore di notte. La saluto per parte di tutti i nominati, o di più del Sig. r modico Ronconi ,0 , il quale non vien mai qui «die con grand’ in- go stanza non mi domandi di lei. Il Signor Iddio la conservi. Di S. Matteo, li 13 d’Agosto 1033. Di V. S. molto Ill. r * Fig> Afl>* Suor M.“ Coleste. Fuori: Al molto 111.™ Big.* Padro mio Oss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2636 **. PIERO GIROLAMI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 13 agosto 1033. Blbl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. I. T. X, car. 2G2. — Autografa. Molto 111.® et Ecc.®° Sig. p e P.ron mio Os.s. mo Io non mancai, noi negozio cho io feci a S. A., di metter fra’ primi sup¬ plicanti questa Sottocancelleria il suo nipote 1 *’; ma ha dato fastidio, più cho P ossersi valso di alcuni pochi denari, V haver notato cl* haverli messi a entrata a carte tanto, e ciò non esser vero : però S. A., por li pochi negozii cho si fanno di presento in questo Ofizio, ha giudicato cho dova o possa tirare innanzi il Cancelliere solo, et altra volta clcggoro, quando bisognerò, il Sottocancelliero. Però mi dispiace essermi troncate le strado a poter aiutare il suo nipote et a servirò a V. S. E., de’ cui comandi sempre mi honorerò, rallegrandomi seco cho si ritrovi vicina al suo ritorno o con buona saluto; mentre por fine, reverente io gli bacio le mani e pregoli dal N. S. Dio ogni belio. Di Firenze, il dì 13 di Agosto 1633. Di V. S. molto III.® et Ecc. m * S. e Devotissimo Piero Girolami. 1,1 Giovanni Ronconi. «*' Cesare Galletti: cfr. u.« 8654. [2637-2688] 13 AGOSTO 1633. 223 2637 * MARIO GUIDUCOI a GALILEO in Siena. Firenze, 13 agosto 1033. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, U.“ LXXVII, n.° 130. — Autografi. Molto 111.™ et Eco." 10 S. r o P.ron inio Oss.“° Ogni volta elio V. S. avrà, la grazia di Roma di potersene tornavo in qua, potrà senza sospetto alcuno farlo, perchè il male, por la Dio grazia, ò cessato nella città di tal maniera che non credo sia stata mai cosi sana ; o di più nel lazeretto sono più giorni cho non n’ è morto nessuno, o sono da cinquanta giorni che non s’ ò ammalato ninno do* becchini e altri Intonimi elio tiene la Miseri¬ cordia per purgare lo caso o maneggiare gli ammalati e lo robe infette, segno evidente che non c’ è più malo contaggioso nella città. Mi par mill* anni cho V. S. sia libera, et il medesimo desiderio tengono tutti gli amici, elio olla ci ha in io grilli numero. Rendo grazio a Mons. r 111." 10 Arcivescovo del saluto che V. S. mi fa in suo nomo, o li vivo servitore divotissimo. Giulio mio fratello le fa reverenza, et io similmente, pregandolo por fino ogni più bramata felicità. Firenze, 13 di Agosto 1633. Di V. S. molto Hl. ro et Ecc.™ 11 Obb. mo e À£T. mo Sor. tu Mario Qui due gì. Fuori: Al molto Ul. re et Ecc. mo S. r e P.ron mio Uss.‘“ w Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2638 . FILIPPO MAGALOTTI a GALILEO [in Siena]. Roma, 13 agosto 1033. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal.. P. I, T. X, car. 200. — Autografa. Molto III.” Sig. r mio P.rone Oss. mo Dal Sig. r Carlo Rinuccini mi sono stato mostrate due lettere di Y. S., lo quali, quanto ànno accresciuto V obbligazioni mie all’infinita gentilezza di lei pol¬ la memoria elio conserva di un suo divotissimo servitore, tanto per altra parte 13 AGOSTO 1633. 224 [2638-2630] mi sono stato cagione (li rossore o mortiiicaziono, avendomi prevenuto in que¬ sto utizio con attestazioni o espressioni sì Bilicaci dell’alletto suo verso di me. Io non voglio colare in tutto, nò mono confessar liberamente, il mio errore, perchè, se bene mi sono astenuto dallo scriverli doppo la sua partenza, non le dando sogno della mia allegrezza doppo d’ayer sentito il suo felice viaggio o salvo arrivo in cotesta città, non ò per questo ch’io non ino no sia rallegrato io in estremo o non abbia continuato a tenerla scolpita nel quoro, adornata da tutta la schiera dolio sue singolarissime qualità, non restando mai di compatire lo sue disavventure. Perchè io so che tra le altre sue virtù vi ò quella della benignità, da me tanto volte sperimentata, ardisco di supplicarla di perdono, offerendomi pronto all’emenda dei commossi mancamenti. Tra tanto lo rappre¬ sento la mia riverente osservanza, o desidero che quella servitù alla quale mi ha obbligato il suo infinito merito, non sia lasciata inutile, ma tal volta eserci¬ tata da’ suoi comandamenti. I caldi tanto eccessivi che da sei settimane in qua abbiamo patito senza nessuna intermissione, ne ànno fatto maggiormente invidiare l’ottima conversa- 20 zione co i buoni freschi che sentiamo che ella ha goduto in compagnia di Mons. r III."' 0 Arcivescovo, suo gentilissimo ospito e mio singolarissimo Signore. Seguitino puro a passare il rimanente di questi affannosi giorni, che io, facendo riverenza a lei 0 supplicandola di rappresentare la mia ossequiosissima osservanza a S. S. ria Ill. ma , resto pregando il Signore Iddio per ogni sua più desiderata felicità. Di Roma, il dì 13 d’Àgosto 1033. Di V. S. molto 111. 01 Devotiss. 1 " 0 Ser.™ S. r Galileo Galilei. Filippo Magalotti. 2689 *. PIER FRANCESCO R1NUCCINI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 13 agosto 1633. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, 13.» I.XXXVII, u.° 48. — Automi afa. Molt’ lll. r ® Sig. r mio Oss.“° Se ò desiderabile P assicurarsi della benevolenza di molti, deve V. S. sentir particolar sollevamento no’ suoi travagli dalla certezza che gli si porge doli’ uni¬ versale allotto di questa città, testimoniatolo nell* incredibil disgusto della sua poco febeo lontananza e nell’ impatienza indicibile del suo desiderato ritorno. Non saprei come prima nominare gli amici di V. S., già che tutti mi paiono contrassegnati dell’istesso carattere d’amore verso la sua persona, il G. D., i 13 — 14 AGOSTO 1033. 225 [2639-2641] Principi, ne parlano con tenerezza; la Corte, quando h avesse diversi sentimenti, elio non ò, fa il medesimo : e tutti in somma compatiscono V. S. e co la desi- io dorano, parendole ogni dimora troppo lunga. Dogli altri più strettamente obbli¬ gatili, può facilmente immaginarselo. Ho mostrato a molti la sua lettera, et ad altri ridettala, e da tutti è stata ricevuta con infinita dimostrazione d’affetto; et ogniuno benedice e le cortesie così ben impiegate dell’Ambasciator Niccolini e di Monsignor di Siena, del qualo io so cho non gli poteva venir occasione altrettanto desiderata da S. S. n Dl. ma quanto il mostrarle la stima eli’ ei faceva del valor di V. S., servendola com’ io ero sicuro eli’ egli karelibe fatto. Ho rappresentato al Ser. mo Principe padrone (1) la riverenza con la quale V. S. gli ricorda la sua servitù, e m’ha commesso ch’io l’assicuri della volontà, eh’ei conserva d’impiegarsi por lei. 11 Sig. Incontri (2) le rende grazio particolari; et 20 io, ricordandomelo obbligatissimo, la supplico a comandarmi, e mentre desidero il suo ritorno, prego Iddio per ogni sua maggior felicità, et a V. S. bacio affet¬ tuosamente lo mani. Firenze, 13 Agosto 1633. Di V. S. molto HI.** Obblig. n, ° Ser. p di core Pier Frane. 00 Rinuccini. 2640 * CLEMENTE da ISEO ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Venezia, 13 agosto 1033. CCr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 60). 2641 *. FRANCESCO NICCOI-INI a GALILEO [in Siena]. liom;t, 14 agosto 1G33. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.'LXXXTT, n.« 108. — Autografa la sottoscrizione Molto Ill. ra Sig. re mio Oss. mo So il Sig. r Antonio Nardi (3) verrà, da me, procurerò di farli quelle dimo- strattioni di stima dovute al suo merito et al desiderio di V. S., col servirlo ancora nelle occasioni cho mi si presenteranno, acciò ella tanto più spesso pigli animo di comandarmi. U) I.orrnzo dr’Medici. (*) Lodovico Incontri. < 3 » Cfr. il.» 2690. 226 14 - 1G AGOSTO 1033. [2641-2043] In proposito del suo negozio, ho accennato quel che ho stimato bone al Sig/ Ball Giuli tl) , dal quale attendo ordini precisi intorno a quel che [.. .]ose- quire; ot intanto assicuro V. 8. della mia osservanza o lo bacio lo mani. Roma, 14 Agosto 1633. Di V. S. molto 111/* Afl>® Ser.™ io 8/ Galilei. Frane.® Niccolini. 2642 *. GIO. NICCOLÒ PICCININI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Gonegliuuo, 15 affusto 1033. Cfr. Voi. XIX, Hoc XXIV, 6, 52). 2643 **. GERÌ BOCCIIINER1 a [GALILEO in Siena). Firenze, 10 agosto 1033. Blbl. Naz. Fir. Mas. fisi., P. I, T. X, car. 275. — Autografa. Molto 111/® ot Ecc. mo S. r mio Osa."* 0 Scrissi a V. S. sabato col procaccio; di poi non oanondo ancora venuti gli ordinarii di Roma, et in conseguenza non havendo Ietterò di V. S., non ho che dirle. Sono stato questa mattina a visitar le Monache, che stanno con ottima saluto et baciano lo mani a V. S., come facciamo tutti noi altri di casa. La morte seguita hiori del S. r Lorenzo Cambi et di un ragazzo ha inter¬ rotto il gusto che havevamo di esser guariti. Il male del S. r Cambi da principio fu creduto una postoma noi petto, ma poi ù stato concluso cho sia posto, che l’ha ammazzato in 3 giorni. Iddio ci aiuti. io Di Fiorenza, 16 Agosto 1633. Di V. S. molto 111/ 0 Oblig. 100 Parente ot Sor."* Cori Bocchinori. Cfr. n.° 2G20. [2644-2647] 16 — 2Ò AGOSTO 1633. 227 2644 *. NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, 16 agosto 1633. Bibl. Nazionale In Parigd. Collection Dupuy, voi. 717, car. 270. — Autografa. .... J’oublioys de vous dire quo l’on escript do Rome qu’eiiiin il a fallii qne le panvre Galileo ayb declaró .solemnellenieut qae ce n’estoit pas son advis quo la terre fust mo¬ bile, encores qu’en son Diulogue il l’eust appuyc do forte» niisons, et qu’il eBtoit do l’aultro advis contrairo.... 2645 *. GIROLAMO da QU1NZANO ad ANTONIO RARI!FRINÌ in Roma. Broscia, 17 agosto 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 53). 2646 . GIO. MICHELE LINGELSIIEIM a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Heidelberg, 19 agosto 1633. Da Epintolaria cornine rei ì M. HeiìNKUCìK hi cum viri» eruditionc otaria faacioulua eeaundu». Argon toniti, sumptibus Iosiao Staodolii, 1670, pag. 26. .... Gratulor tibi do Galilaco adeptoutiimm et mihi inspectio libri permitterctur. Vide audaciam meam : andrò abs te petere, ut per amicum aut notum bue proficiseentem rheda librum illuni conunendes, ad me deferendum; ego spondeo, me integrimi tibi resti- tuturum, prima oblata occasione, post recognitum librum. Imputa hoc bombati tuae, quod iinpudon8 hoc postulatimi ad to deferii. Nosti inorbum nieiuu, impatienter expetendi talia_ 9 Aug.W 1633. 2647 **. ORAZIO CAVALCANTI a [GALILEO in Siena]. Roma, 20 agosto 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. X, car. 266. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. n, ° S. r , mio S. rc , P.ron Col. mo V. S. onora troppo un. suo servitore, se bene di nessun merito; ma la sua benignità è tale, che non guarda a li mancamenti altrui. Confesso che non l’ò 1») Cfr. u.o 2630. l*> Di stilo giuliauo. 20 AGOSTO 1633. 228 [2647-264-81 saputa qua servirò a cosa alcuna, so non di una lmona volontà. Mia moglie ot io ci rallegriamo che la stia bene, o M«ns. n » 111.® 0 sa molto bene conio si trat¬ tano li pari suoi. Io mi ricordo devotissimo servitore a S. S. III."*» Dal S. r Mario 11 ' ò auto continuo nuove del’eaeer di V. S., cosi dal S.r Amba¬ sciatore, così del desiderio che la tiono di andare a goder la patria e li amici : ina lo coso di qua, come la sa per osporienzia, sono assai lunghe. La mia moglie onderà dalla S. m Ambasciatrice, e quest’altra settimana la saprà qualche cosa, io La lettera di quel R. fu data in propria mano. La mia moglie ot io ci ri¬ cordiamo devotissimi servitori a V. S., ricognoscendo la sua benignità, e gli facciamo un’umilissima reverenza, pregandole da Dio ogni desiderata conso¬ lazione. Di Roma, li 20 di Agosto 1633. Di V. S. molto 111. 1 * ot Ecc. 1 *'* Dev. mo ot Oh.»» Sor.™ Orazio Cavalcanti. 2648*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arce tri. 20 agosto issa. Bibl. Naz. Plr. Mss. Uni., P. I, T. XIII, car. 221. — Autografa. Amatiss."' 0 Sig. r Padro, Quando scrissi a V. S. circa il suo avvicinarsi qua o vero trattenersi costì ancora qualche poco, sapevo l’instanza che si era fatta al Sig. r Ambasciatore, ma non già la sua risposta, la quale intesi dal Sig. r Ceri, che fu qui martedì passato quando già havevo scritto a Y. S. un’altra lettera ot inclusovi la ri¬ cotta dello pillole, che a quest’ hora doveri esserlo pervenuta. Il motivo adunque che m’indusse a scriverle in quella maniera fu, elio essendomi io trovata più volto a discorrer con il Sig. r Rondinolli, il quale in questo tempo è stato il mio refugio, perchè, come pratico ot esporimontato nello cose del mondo, molto volto mi ha alleggerito il travaglio pronosticandomi per appunto corno lo cose di Y. S. 10 potovon passare, le quali io mi figuravo più precipitose di quello che poi sono state, fra l’altre una volta mi disso che in Firenze si diceva che quando V. S. partiva di Siena doveva andare alla Certosa cosa che a nessuno do gl’amici ora (li gusto; o vi aggiunse buone ragioni, ma in particolare alcune di quelle Gl Mario Guiducgi. (*i Cfr mi. 1 2508, 2035. 20 AGOSTO 1033. 229 [ 2648 ] che intendo elio lia poi addotte il medesimo S. r Ambasciatore, e quella massi¬ mamente che, se con troppo sollecitar il ritorno di V. S., si haveva una nega¬ tiva, bisognava poi necessariamente lasciar scorrer più lunghezza di tempo avanti cho si ritornasse a supplicare : onde io, che temevo di rpiosto successo cho facilmente saria seguito, sentendo che V. S. sollecitava, mi mossi a scriverle 20 in quella maniera ; chè se a lei non io gran dimostrazione del desiderio che ho del suo ritorno, resto por non accrescergli lo stimolo o inquietarla maggior¬ mente. Anzi che in questi giorni sono andata fabbricando castelli in aria, pen¬ sando fra me medesima se, doppo questi due mesi di dilazione non si ottenendo la grazia, io havessi potuto ricorrere alla S. rn Ambasciatrice, acciò, col mezzo della cognata di S. havessi ella procurato di impetrarla. So, come gli dico, cho questi son disegni poco fondati ; con tutto ciò non stimerei per im¬ possibile che le preghiere di pietosa figliuola superassero il favore di gran personaggi. Mentre adunque mi ritrovo in questi pensiori, e veggo che V. S. nella sua lettera mi sogghigno clic una delle cause cho gli fanno desiderare il so suo ritorno è por vedermi rallegrare di certo presente, o gli so diro cho mi sono alterata da ver da vero, ma però di quella adirazione alla quale ci esorta il santo re David in quel salmo ove dice Irascimini e nolite 'peccare-, perché mi par quasi quasi cho V. S. inclini a creder cho più sia per rallegrarmi la vista del presente che di lei medesima: il cho è tanto differente dal mio pen¬ siero, quanto sono lo tenebre dalla luce. Può esser che io non habbia inteso bone il senso delle sue parole, e por questo mi acqueto, chò altrimenti non so quel ch’io dicessi o facessi. Basta: Y. S. vegga pure se può venirsene al suo tugurio, cho non può star più cosi derelitto, e massimamento adesso cho si ap¬ prossima il tempo di riempier le botti, le quali, per gastigo del male che hanno 40 commesso in lasciar guastavo il vino, si sono tirate su nella loggia e quivi sfon¬ dato, por sentenza do i più periti bevitori di questo paese, i quali notano per difetto assai rilevante quella usanza che ha Y. S. di non lo far mai sfondare, o dicono cho adesso non posson patire e non hanno il sole addosso. Hebbi li 8 d. del vino venduto, che no ho spesi 3 in 6 staia di grano, acciò che, come rinfresca, la Piera possa tornare a far il pane ; la qual Piera si rac¬ comanda a V. S., e dice che se si potesse metter in bilancia il desiderio clic ha V. S. del suo ritorno e quello che prova lei, sarebbe sicura cho la bilancia di lei andrebbe nel profondo e quella di V. S. se n’androbbe al cielo: di Ceppo poi non bisogna ragionare. Il Sig. r Ron(lincili ha questa settimana pagati li G d. G 0 a Yincenzio Landucci, et havuto due ricevute, una per il mese passato, l’altra del presente 121 . Intendo che stanno bene lui et i figliuoli; quanto al lor govorno, non so conio si vadia, non 1’havendo potuto spiare da nessuna banda. Mando l‘> Costanza, moglie di Carlo Barhkeini. r -1 Cfr. un.' 2426, 3483, 2504, 2601, 2607. 230 20 auosto 1633. (2648-2649] altra pasta rielle medesimo pillole, o la saluto ili tutto cuore insieme con lo «olite o il S. r Rondinelli. Nostro Signore la conservi. Di S. Matt® in Arretri, li 20 di Agosto 1633. Di V. S. molto Ul. ra Fig> Aff>» Suor Maria Celeste. Fuori: Al molto 111. 1,1 * Sig. p Padre mio Osa."* 0 il Sig. r Galileo Galilei Siuna. Co 2640. MARIO QUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 20 agosto 1633. Bibl. Naa. Flr. Mi*. dal., P. I, T. X, car. 264. — Autografa. Molto Ill. ra et Ecc. mo S. r e P.ron mio Osa.* 0 Avevo inteso la settimana passata la rÌK|K»sU del S.r Ambasciadore, chò i aveva dotto il S. p Bocchineri al S. p Tommaso Rinuccini ; o dubito elio il faro instanza della grazia libera, per descondero a potere avere por contino la villa, senza potere venire alla città, non sia per succedere, perchè, secondo che intesi più tempo fa, N. S. aveva detto non so che di Certosa 10 , il qual luogo non mi pareva punto a proposito per la sanità di V. S., poiché, oltre all’avere a sturo a discrizione di frati, per necessità non arebbe mai potuto mangiar carne. Il Landini" non ha avuto altro ordine ; e qui il Vicario della Inquisirono mi ha più volto detto che di Roma non ha ordino alcuno di proibizione del libro, 10 ma l’aspetti!, bene. Posso diro bene a V. S. che il S. p Principe Gian Carlo 1 ”, avondo chiesto una licenzia generale di libri, l’ha ottenuta, eccettuatone* nel primo luogo il suo libro et il Machiavelli et un tal Morneo * ; si che si vede che l’in¬ tenzione de’ superiori ò cho sia proibito. Io fui invitato con Alcuni altri mate¬ matici, quando si pubblicò, a sentire la sentenza di V. S., che fu semplicemente letta senza alcuna aggiunta (li altri precetti, si che il libro per allora non restò proibito. Dalla mia sorella s ' me n’ ò stato scritto più volte e confermatomi cho 01 Cfr. nn. 1 2568. 2685. 9648. io primitiva Ecclesia quae fuerit, et MI*** quando, <*' Gio. Battista Lahdihi. quomodo, qulbu* gradibua, j D ip,|u* locum prinium |Sl Giova* Cablo db’ Mkdici. irropterlt. demoni et invuerit, aigiliatim explicatur », Tutto lo opero di FilippoM oRKATD*Pi.igaig. vennero proibite con decreto della Sacra Congrega- Marly, o nominatamente quella intitolata « I’hilippi (ione dell’Indire del 16 tnarxo 1621 Cfr. Indrx li- Mornaci opus de Sacra Eucha.istia, in qnatuor libro* troni» pnJULUonm. ecc. Romae, 1664, pag. 818. diatiuctuui, in quo oiua institutio, celebratìo, doctrìna l») Madpalma Onoroct ne’ Cavalcarti. «.v-41 [2049-2650] 20 AGOSTO 1633. 231 ella non aveva scapitato punto di reputazione neH’universal concetto, anzi nè anche appresso di quelli che s’avevano avuto a trovare nella Congregazione, almeno 20 di una gran parte se non di tutti. Qui la settimana presente ci è stato qualche poco di male, o particolarmente la morte del S. r Lorenzo Cambi, cho sia in Cielo, ha dato che dire, essendo huomo di gran riguardo o elio non conversava quasi con niuno. La maggior parte della città non vuole clic sia stata peste, ma una postema; tuttavia, per abbondare in cautela, s* è fatto conto che sia stata. Ci sono stati in oltre dua frati, uno del Carmino, il quale disse di aver cavato il male per essere andato la notte a spasso noi convonto do’ frati Giesuati, de’ quali più giorni sono no ora morto un altro, o di più un frate converso di S. t0 Spirito, che era portinaio. Tuttavia il lazorotto si va ristrignendo, essendovi rimasti pochissimi malati, cho vanno so guarendo; et il palazzo dolli Strozzini e quello de’Borgherini o la fortezza di S. Miniato, luoghi destinati per far quarantene, si serrano affatto, non vi rima¬ nendo gente, e non ci essendo più da mandarvene della nuova, essendo cessati per la città i malati : sì cho speriamo in breve di finire questo negozio tanto noioso e pestilente, cho al Signore Dio piaccia. Ho veduto con gusto il parere di V. S. circa all’opera dol Chiaramonti (1) , c desidererei in estremo cho V. S. potesse, con occasione di dare in luco qualcho altra sua speculazione, chiarire la sua insipida pedanteria. E qui a V. S. facendo reverenza, le prego dal Signoro Dio ogni felicità. Firenze, 20 di Agosto 1633. •io Di V. S. molto IU.w et Ecc. ma Sar. M Aff. mo e Obb. mo Mario Guiduoci. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. ,no il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2650 . ANTONIO NARDI a GALILEO in Siena. Roma, 20 agosto 1083. Bibl. Naz. Fir. Msr. Uni., P. I, T. X, car. 208. — Autografa. Molto 111. 0 ot Ecc. rao S. r e P.ron Oss. mo Ilo riconto una sua gratissima dolli 15 stante, dalla quale ho preso tanto gusto che non saprei esprimerlo, vedendo che V. S. Ecc. ma tenga tal memoria <»l Cfr. il. 0 2326. 232 20 AGOSTO 1633. [ 2060 ] (li un suo servitore; et io dall’altra parte l’assicuro che conservo le sue lettere fra Io più care coso eh’ io hahbia : nè per questo pretendo (li aggravarla in ri¬ spondermi ogni volta elio io gli scrivo, so non porò mi voglia comandar qualche cosa, il che ascriverci a somma ventura so m’incontrassi in poterla sorvire. Fui dall’Kcc. mo S. r Ambasciator di Toscana, il qual mi fece tanti honori, che bon conobbi qual fossi la sua gentilezza, o quanto appresso di lui potessi l’attestaziono fatta da V. S. por causa mia 111 . Il nostro 1*. A libato D. Benedetto 10 stassi indisposto con febbre, sono hormai 15 giorni ; e sebeno il malo non è pericoloso, contuttociò dubito non sia por esser lungo, essendo molto lento. I medici servono al P. Abbate por medicina, cioè per trattenimento solamente, poiché del resto non vuole che in corpo gl’entri o esca cosa alcuna; et io in parto lo lodo, ma però un lenitivo (havendo egli molte materie crudo nello stomaco) haroi giudicato utile, lo non manco di andarlo sposso a visitare, o soggetto ordinario de’ nostri ragionamenti ò V. S., del quale si come ammiriamo il sapere, così ancora stiamo gelosi della sanità. Di già gli scrissi come in fretta liavovo trascorsa l’opera di quel’amico la quale mi commosse lo sdegno por lo maledicendo senza salo che contiene, 20 et il riso per le semplicità elio senza numero vi si ’ucontrano. Io solamente re¬ stavo sosposo in materia dello [steljlo nuove e loro sito, per non havor possuto (stante la brevità del tempo) esaminar le repliche fatto, quali intendendo dalla sua di cho momento siano, mi quieterò con l’animo, 0 finirò di ridere quando barò commodità di rileggerlo. Intanto, por non la tediare più, gli ricordo la mia devozione, 0 la saluto por infinito volto da parto del 1\ Abbate 0 dei 8. r lia- faello Magiotti. Roma, 20 Agosto 1033. Di V. 8. molto III. 0 et Ecc. ma Fuori : Al molto IH.® et Ecc.®° S. r 0 P.ron Oss. ,uo so 11 8/ Galileo Galiloi. Siena. <*> Ofr. nn.i 2à00, 2641. <*» Intonili, Scil'ioNK CiiuiiAMoNri. [2651-2662] 20 AGOSTO 1633. 233 2651 **. CARLO RlNUCCINl a [GALILEO in Siena]. Roma, ‘20 agosto 1033. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. 1, T. X. cnr. 270. — Autografa. Molt’ 111. 0 S. r mio Oss. mo So la facondia che V. S. ni’attribuisce per favorirmi, fusse accompagnato da quolP ardire modiante il quale si domina quasi l’istessa fortuna, io confiderei di non mi rendere inatto aU’ospugnaziono di qualche fortezza, e massime con l’esempio dell’ odierna milizia, vedendosi chiaramente cader più piazzo poi- assedio elio per assalti ; ma perchè quella non ricovo vigore alquno da questo, io mi ritiro anco da quelle impreso cho mi mostrono facilissima l’espugnazione : ondo con uno schietto parlare in persona di V. S. dirò : Quanto ella mi ordina, ciò non ò seguito, perché m’è mancata l’occasione, ben che non mi sia mancato io il desiderio, ot alqune malattie cadute in persone congiunte a quella buona Si¬ gnora hanno per questi giorni disunita la coiiYorsatione, la quale ben presto tornerò, a godere le solito notturne delizio, che qua non è caduta tal pioggia cho habbia ostinto punto di calore. S’apparecchiono musiche e cose stupende, ot un personaggio grande, che n’ è capo, m’ ha detto che verrà a cantare dove io voglio, purché ci sia unita la conversazione : sì che V. S. consideri quanti si vorriano vestire dell’abito di V. S. e poi parlar per loro. Orsù non dirò altro, chè a suo tempo darò a V. S. avviso del seguito. Intanto la prego a conservarmi la sua grazia o a stare allegramente più elio può. Itoma, 20 Ag. t0 1633. 20 Li V. S. molt’ 111. 0 Ohl. mo S. ro vero Carlo Rinuccini. 2652 *. CIRIACO ROCCI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Vienna, 20 agosto 1033. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 56). XV. 30 234 21 ÀU08T0 1033. L2063-2654] 2653 *. FRANCESCO NIOCOUNI a [GALILEO in Siena]. Koma, 21 agosto 1638. Blbl. Na* Fir. Mas. Gai.. P. I, T. X, car. 272. — Autografa la sottoserlalona. Molt’ DI.™ S. r ® mio Osa.® Io prevenni sabato passato il desiderio di V. S. per l’appunto, perchè, entrato col Sig. r " Card. 1 ® Barberini U) no’ suoi interessi, le domandai se lo pareva che io potessi supplicar S. B.° ch’olla potessi esser habilitata a trasferirsi a Firenze in villa sua; e S. Em.* mi rispose di dubitare che potesse parer anche troppo presto il domandar nuova grazia, mentre appena son duo mesi cln* ella fu habilitata a poter uscifr] di Koma, e eh’ io havevo l'atto bene a non motivar por ancora cosa alcuna con la S. 1 * S. Nella prima audienza, che sarà sabato prossimo, no darò nuovo motto al medesimo S. r0 Cardinale, o poi referirò a V. S. quel che io creda elio si possa sperare o quando trattarne. Godo intanto di sentir elio io ella sia servita costi con quell’amoro elio ò proprio di Mona. 1 * Arcivescovo di Siena, gentilissimo cavaliere, o me no rallegro con lei. K questo è quel eh’ io posso replicare alla lettera di V. S., pervenutami questa mattina con V ordinario di Milano : o le bacio le mani. Koma, 21 Agosto 1633. Di V. 3. molt' 111.™ Aff.">° Sor." Frano.® Niecolini. 2654 *. C.IO. FRANCESCO TOLOMEI a GALILEO in Siena. Koina, 21 agosto 1038. Blbl. Hat. in Modann. Raccolta Campori. Autografi, B.» XCI, n.° 119. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig." e P.ron mio Oss. rao V. S. mi favorisce di maniera, ch’io tengo cagione d'insuperbirmi ; o già mi stimo da qualche cosa por vedermi in grazia di V. S., la quale mi perseguita con la gentilezza o mi tiranneggia con la cortesia. Gl* oblighi che le professo sono tanti, quanti i meriti della sua persona; lo grazie che le rondo sono infinite, Fraxcksco Bakbkriki. 21 AGOSTO 1633. 235 [2654-2655] corno ò infinito il conoscimento di quanto devo. Non mi sono però giunti all’ im- proviso gl’effetti della sua benignità, perchè erano di già palesi. Séguiti pure V. S. di patrocinarmi, chò così sodisfarà sè stessa col favorirmi, e mi farà trovar la ragione più prosto che io non credevo, io II S. r Primicerio (1) mi ha avvisato di quanto passa; et io, confidontomente parlando con V. S., sono sicuro che la somplico croco della scomunica habbia fatto grand’effetto costà. So ben io gli assassinamenti che sono stati fatti alla casa mia, e che taluno passeggia cotesta città vestito del mio, et io mi trovo esulo. Credami pur V. S. ch’io non parlo a caso: però la supplico di mostrar come da sè che sarebbe bene di publicarla, o che il S. 1 ' Ambasciatore mio Si¬ gnore sia di questo parere, perchè si voglia vedere in che tormino sia lo stato mio. Per grazia, V. S. tocchi questo tasto, o dallo risposto giudichi poi so io parlo a caso. La lettera di V. S. delli 18 stante, l’ho ricevuta appunto adesso che si sta 20 per serrare il piego. Sarò da quei Signori ai quali V. S. ha scritto, e vedrò se habbino ricevuto lo lettere. Io prego V. S. di inviare le lettere por questi Si¬ gnori a me, chò mi verranno sicure et io subito lo recapiterò. Volevo mandare a V. S. una curiosissima orationo, ma non è stato possibile d’haverla in tempo. Questi gentilhuomini miei compagni humilmonto riveriscono V. S., et io, fa¬ cendo il simile, le prego felicità. Di Roma, li 21 d’Agosto 1633. Di V. S. molto DI.™ et Ecc. n,a Dev. m0 et Oblig. mo Sor.™ Gio. Fran. co Tolomei. 30 Fuori: Al molto DI™ et Ecc. m0 Sig. r ° o P.ron mio Gas." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2655 *. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI REBIIAN in Dagsbnrg. Strasburgo, 21 agosto 1633. Bibl. Civica di Amburgo. Cod. citato al n.» 2618, car. 90. — Minuta autografa. Vir clarisaime, fautor et aroice plurimum colende, Vigiliti aiiiplius anni sunt, cura Galilaei de Galilaois, mathematici Fiorentini, tractafcurn de instruinento proportionum ex italica lingua latine vei-ti < 2 >. Is labor, post tantum teniporis 0) Cristoforo Tolomki: cfr. n.° 2625. < 5 > Cfr. u.° 100. 236 21 — 23 AGOSTO 1633. [2665-2656] intervallimi, neo cogitanti, laborem ulium peperit. Nam autor, quelli priilem ohiiuse puta- veram, nuntiavit inilii, versionem illam ante quadrienuinm in burh inumi» inoidiss#, nec displicuisse; rogatque ino, ut Systemasuum Oopernicunutn, a pluribun annis multis vigilila elaboratum ot nuper Florentiae excusum, itideni vertali d un» anaci piani, quo opus, ItaliH tantum acriptum, curii orudita Europa cctera connnuuicetur. Grandmacela libri molea eat; itaquo satia invitila in me recepir recepi tainon, nec farti poenitet; tantum e loctiono libri voiuptatoni percipio. Argomentimi eiua demonstrationea ot pbyaicac et mathematicae sunt, io terram ad instar planetae rotundari per aethoreno, coelum immotimi «tare. Delirare dices hominem. Ego vero tibi continuo futurura, ut cultior orbis, hi» lectia, a tara suavi per tot aaeoula aomniatae quieti» delirio tandem aliquando resipiacat. In Ime igitnr occupatimi translatione littorae tuae opproaaerunt, illao quidem iucundisaiumo ; quidni enim a tmn amica marni? aed tamen eam vim non habuernnt, ut ab inatituto me longiua avocarent, aut. a contemplatione tantorum operum ad pubertatis dignoacendae morem rimandimi traducerent.... li Aug.W 1633. 2656. RAFFAELLO MA GIOITI a GALILEO in Siena. Roma, 23 agosto 1088. Bibl. No*. Fir. Mss. Gal., P. I. T. X. car. 278. - Autografa. Molto HI.” et Ecc. mo Sig." e P.ron Col. 1 "® S. Lo lettere di V. S. Ecc. nia scritte al P. Abbate'*, al Sig.r Nardi 3 ot a me, sono (benchò tardi) arrivate e recuperate tutte, non però senza mia gran con¬ fusione; poi cho, essendo sicuro ch’ella si troverebbe in obligo di rispondere a molti e molti amici sua, e fra questi a molti Signori di gran portata, sono stato tanto ansioso o goloso eh’ io 1' ho importunata a scrivermi la seconda lettera, quale hiormattina mi fu mandata tino alla camera dal Sig. p Orazio Cavalcanti. Pur a mo giova crederò che la troppa mia ansietà mi sarà por questa volta condonata, al mono per quel comun proverbio eh' il sospetto non si può armare, promettendo por l’avvenire contentarmi d'un semplice saluto, ogni volta clic tor- io nerà commodo a V. S. di scriver al P. Abbate, al Sig. r Nardi o al Sig. r Tolomei (4) . Fra tanto a me rincresce lino all'anima che di sì gran tempesta ancor ci resti quel poco di maretta, cho non la lascia (senz’ adoperarvi gl’ argani) pigliar porto. Sia fatto il voler d’Iddio, qual si compiacque affaticar tutta la notte Pietro et i compagni, e finalmente a suo tempo gli dette soccorso. Quanto al convito, a noi rincrebbe Uknkdktto Castelli. <*' ARTOVIi) Nardi. •*' Ciò. Fbakcksco Tolomxi. 12656-2657] 23 AGOSTO 1633. 237 lautissimo, ma percliò la presenza rii V. S. Ecc. mfl sarebbe stata il vero condi¬ mento dei nostri cibi. Quel mio desiderar dal P. Abbate che la festa si facossi 20 ben spesso, fu un voler piegare, se non vincere, quel malinconico pianeta che mi predomina, e non osser noioso con tanta mia austerità o seccaggine. Ma l’arto presto si scuopre, ola natu|ra] non si può mutare. Ecco ch’io vorrei dir coso allegro, e per la verità son forzato a scriver coso di cordoglio ; cioè eh’ il nostro D. Benedetto non risposo l’ordinario passato, per trovarsi a letto già sono 13 giorni con una febbretta elio 1’ ha inquietato malamente. Ma racconsoliamoci, che ap¬ presso al veleno nasco l’antidoto: egli non è mai stato in pericolo di vita, o fra duo o tro giorni sarà dol tutto sano, anzi la febbre l’ha cominciato a la¬ sciare. Pur egli m’ha dat’ordino che per questa volta io ringrazii V. S. Ecc. ma della lettera scrittagli ultimamente, quale io lossi, e veddi convella, per sua gon¬ ne tilezza, non si scorda, oltre al P. Abbate, di mo e del Sig. r Nardi, che l’amiamo o riverischiamo con il cuore. Così finisco, pregandola ad onorarmi di qualche suo comando o desiderandogli da N. S. Iddio ogni contento. Roma, il (lì 23 Agos. 1633. Ilebbi nuova come il Sig. r Giori Bocchineri rimesse li 40 V di secondo Y ordine datogli da V. S. E. nia , e no la ringrazio. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,na Fuori: Al molto U1. M et Ecc. mf> Sig. r e P.ron mio Cui."' 0 B Sig. r Galileo Galilei. ■io Siena. 2657 *. BARTOLOMEO..., Inquisitore d’Aquileia, ad ANTONIO BARBERINI in Poma. Udiuc, 2:$ agosto lGHb. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, l, 57). 238 20 AGOSTO 1633. [2658] 2658 **. VINCENZIO GALILEI a [GALILEO in Siena), l’oppi, 86 agosto 1633. Bibl. Nnt. Fir. Mm. dal, T\ I, T. X, car. 277 279. — Autografa. Molt’111.” Sig. r Padre Oss. mo Intesi por lettere del Sig. r (ieri mio cognato, con mio disgusto infinito, l’esito poco felice del suo negozio ; ma ben di consolazione grandissima ini lu il sentire poco dopo, con quanta fortezza d'animo ella havova sollerto tanto colpo, forse tanto più gravo quanto da lui mono aspettato, o che in tanto in¬ fortunio olla havessG saputo trarre dalla sua propria prudenza quella consola¬ zione che io non havrei saputo arrecarli con mio lettere. Ilora, facondo uffizio a me molto più grato che non sarebbe stato quello del consolarla, vengo a rallegrarmi seco della sua buona sanità, dello infinito cortesie che ricevo in casa dell’111. mo suo ospite, della intoni sodisfazione dio ha dui Seroniss. 100 Padrone, io o finalmente della sicura speranza della prosta o totale sua assoluzione o del presto ritorno a casa sua; elio quando ciò sarit, la prego cho per nostro con¬ tento speciale si voglia compiacerò di passar di qua e vonire a stare parocclii giorni da noi. Mi scrisse a questi giorni il Sig.^ Gerì mio cognato, come ora in vendita •una casetta contigua alla nostra, e mi proposo essor bene che io la comperassi, essendo il suo prezzo assai basso, cioè di circa V 300; alla qual comp[er]a io condescenderoi volentieri, mentro V. S. si contentasse di concorrerci per qualche parto, come mi scrivo il medosimo Sig. r (ieri ch’ella farà, poiché quell’aiuto ch’ella si compiace di darmi non è bastante a far tale sposa, o massimo che 20 di presente io mi trovo in bisogno per il poco mio guadagno e molte spose cho soli necessitato a faro, e por i molti doluti dio ho e devo o voglio pagare, o particolarmente quello cho ho col Sig. r Geri, cho non è di piccola somma. E però io la prego con ogni instanza, che quando ella veda andare il suo ritorno in lungo (se però di tanto si contenta), procuri in qualche modo di porgermi il solito aiuto, acciò io possa sollevarmi e dar sodisfazione a chi ha da luivor da mo. Noi tutti stiamo bene, e con speranza cho l simile sia di lei; tuttavia por nostro maggior contento havromo caro d'esserne da lei certificati. E con tal fine la Sestilia ed io gli baciamo cordialmente le mani, pregando Nostro Signoro che li conceda ogni suo più desiderato contento. 80 Di Poppi, li 26 Agosto 1633. Di V. S. molto 111.™ Aff.° Figliuolo Vincenzio Galilei. [2659-2660J 27 AGOSTO 1633. 239 2659 *. NICCOLÒ CINI a GALILEO in Siena. Firenze, 27 agosto 1633. Bibl. Nasi. Fir. Mas. Qui.. P. I, T. X, car. 279. — Autografa. Molto Ill. re Sig. p e P.ron mio Oss. mo Io ho sempre letto le lettere che V. S. ha scritto al S. r Mario (1) , et ho proso gran consolazione di vedere elio ella soffrisse i colpi della fortuna con quella grandezza d’animo che gli dettava la sua innocenza. Mi è stato sommo favore il ricever adesso la sua lettera, come testimonio della sua confidenza o del suo amore inverso di me, nel che io non mi lascio superare, sì come glie no darei segno se mi porgesse occasione di servirla in qualcosa. Mi rallegro con lei della soavo conversazione elio gode in cotcsta città, e in particolare di Mons. r Arcive¬ scovo, della cui gentilezza io ho da testificar più di nessun altro, poi clic, senza io haver alcun merito con S. S. ri:i IU. nw , son in possesso di ricevere non dimeno bene spesso favori o grazie segnalatissimo. Io ho ricevuto una sua lettera, ma por esser responsiva d’una mia non gli scrivo, per reverenza eh’ io porto alle sue occupazioni. Se ella mi impetrerà qualche suo comandamento, glie no terrò molto obbligo, perché mi darà campo di tener viva nella sua memoria la mia servitù. La sup¬ plico dunque di questo favore; e se i passi s’apriranno una volta, verrò a riverir S. S. ria 111." 111 o servii- V. S. Alla quale per fine con ogni allotto bacio le mani. Di Fir.°, li 27 d’Agosto 1633. Di Y. S. molto DI.» Dev. mo Ser. ro Niccolò Cini. 20 Fuori : Al molto Hl. ro Sig. r e P.ron mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2660 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, 27 agosto 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. T, T. XIII, car. 223. — Autografa. Amatiss. mo Sig. r Padre, Sto con speranza che la grazia che V. S. (con quelle condizioni che mi scrive) ricerca di ottenere, gl’Rabbia a esser concessa, c mi par mill’anni di <*> Makim Guiduooi. 240 27 AGOSTO 1633. [2660-26611 sentir la risposta elio V. S. ne ritrarrà ; sì che, di grazia, me lo avvisi presto, quando anco sortisse in contrario, il che pur non voglio erodere. Gli do nuova come, mediante la morto del Sig. r Benedetto Parenti, elio seguì mercoledì passato, il nostro raonasterio ha ereditato un podere all* Am¬ brosiana, et il nostro procuratore andò V istessa notte a pigliarne il possesso. Da più porsono beviamo inteso che è stimato di valuta di più di 6 mila scudi ; o dicono che quest’anno vi si sono ricolte 16 moggia di grano, o vi saranno io 60 barili di vino o 70 secchi di miglio e altro biade, sì elio il nostro convento resterà assai sollevato. Il giorno avanti che io ricevessi la lettera di V. S., Mesa.* Ceseri'*’ s’ora servito della muletto, per andar a Fiesole, et Geppo mi disse che la sera la rimenò a casa tutta sferrata o mal condotta, sì che gl' ho imposto, che quando M. r Ccsori tornasse a domandarla, gli risponda con creanza, allegandoli la im¬ possibilità della bestiuola o la volontà di V. S., che ò elio casa non si scortichi. Sono parecchie settimane elio la Piera non ha da lavorare por la casa; o perchè intendo elio costà vi ò abbondanza di lino buono, se ò vero, V. S. po¬ trebbe veder di comprarno qualche poco, che, so bone ò sottile, sarà migliore 20 per far pezzuole, federo e simil cose: et io desidero elio V. S. mi provvegga un poco di zafferano per la bottega, del quale no entra anco nello pillole pa¬ paline, come havrà potuto vedere. Non mi sento interamente bene, e per questo scrivo così a caso : mi scusi o mi voglia bone. A Dio, il quale sia quello che gli doni ogni consolazione. Di S. Matteo in Areotri, li 27 di Agosto 1633. Sua Fig. u AfT." 1 * Suor M.* Coleste. Fuori: Al molto 111." Sig. r Padre mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. 30 Siena. 2 G 61 . MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 27 agosto 1G33. Blbl. Nat. Fir. Mss. Gal.. P. I. T. X, car. 2S1 282. - Autografa. Molto 111.” et Eco. 010 S. r e P.ron mio Oss. mo Io non ho mai scritto a V. S. d’ essermi trovato alla pubblicazione della sentenza, prima della settimana passata tJ) , non ino no essendo venuta occasione 111 CesaKK Uai.LKTTi, » a > Cfr. n.*- 2649. 27 AGOSTO 1633. 241 [26611 o porcliè non mi pareva bone darle avviso di cosa che le potesse arrecar di¬ sgusto. Ora, giù. clic ella ha desiderio di intendere corno il fatto andasse, le dirò quello che mi sovviene. Del mese di Luglio, fu un giorno al tardi a casa mia il P. Vicario, e mi invitò a nome del P. Inquisitore a trovarmi presente a un atto elio si doveva faro al S. t0 Ufizio il dì 12 del dotto mese, e non mi volle dire che cosa era. io Vi andai al tardi, e trovai che erano in procinto di cominciare. Vi erano i Consultori e alcuni SS. ri Canonici e altri religiosi. Vi trovai il S. r Filippo Pan- dolfini, il S. 1 ' 0 Aggiunti, il S. ro Francesco Rinuccini, il S. r Dino Pori, che erano stati invitati come mo. Ci mettemmo tutti a sederò, et il P. Inquisitore disse elio teneva ordine della Congregazione di leggere, alla presenza delli invitati, la sentenza e abiurazione etc., e commesso al Cancelliere, che ò un frate del medesimo ordino, che leggesse (1) . Dove lesse elio G. Gr., d’età di anni 70, avendo, non ostante il Decreto fatto sino deiranno 1615, e non ostante un particolare e speciale precetto fattoli in Roma dal Commessario, alla presenza del Card. 1 *’ Bellarmino, di non tenore nò insegnare tal dottrina, scritto un libro intitolato 20 Dialoghi etc., o avere con fraudo estorto facilità di stamparlo, per non avero confessato di avero tal precetto, noi qual libro apportava gli argomenti per la sentenza elio ’1 sole non si movesso da levante in ponente, che è eretica, e per la mobilità della terra, che ò erronea o contro alla buona filosofia, senza scio¬ glierli c confutargli, si ora reso veementemente sospetto di tale eresia, era con- donnato a carcere a beneplacito, con facilità però alla medesima Congregazione di moderare la detta pena; e di pili, por penitenza salutare, li era imposto elio per tre anni dovosso ogni settimana recitare i sette salmi penitenziali. E doppo lesso l’abiurazione, nella qualo diceva dio l’autore aveva tenuto tale opinione non già perchè la tenesse per vera, ma per faro il bell’ ingegno, e che la teneva so ora por falsa o la detestava e malediceva, sottoponendosi a pena di perpetua carcere contravvenendo, e di pili obbligandosi a revelaro ogni volta che avesse saputo trovarsi alcuno che tenesse tal sentenza detestata. Questo è in somma il contenuto (2> . Quanto airavorno copia, ci fu un Consultore il quale non s’ora trovato presente, per non essere allora in Firenze, elio ebbe curiosità di sen¬ tirla, c gli fu letta, o desiderando di averne copia non la potetto ottenere. Io ebbi curiosità di sapere per ebo causa ero stato invitato, o mi ha detto il P. Vi¬ cario che tenevano ordine di Roma di invitarvi più matematici o filosofi che avessine potuto avere 131 . Quanto al male di questa città, credo che quosta settimana non si dirà 40 conio la passata, ancorché ci sia stato qualcosa. Santo Spirito è serrato, e si m Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, h, 54). <«> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, o, 8). (■■>) Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 43). 242 27 agosto 1688. [2661-2862] tiene elio non vi sin stato mule veramente, perchè un frate morto era caduto, o percosso sur un fiasco del capo, elio fece piaga e involtini, e da i cerusici della Sanità fu stimato un carbonchio; o perchè i frati non seppero dire dii l’avesso visitato e chi no, a cautola scrrorno il convento. Noi Carmino serrorno l’appartamento dello infermo, elio mori al lavoretto. Del resto so V. S. si consuma di voglia di ritornare a’ suoi studi, qua gli amici o servitori suoi lo desiderano altrettanto, ma temiamo che non li sia per essere conceduto così in breve, come olla proccura. Tuttavia bisogna accomodarsi al volerò di chi regna, o goderò intanto la quiete e V amorevolezza che ricovo da Mona.' 1 Arcivescovo, al qualo fo reverenza; et u V. S. baciando le mani, prego 50 por fine intera felicità. Firenze, 27 di Agosto 1633. Di V. S. molto 111.' 0 et Ecc. m Sor." Afi'. mo e Obli.™ Mario Guiducci. J^hiorì : Al molto 111.» et Eec. mo S. r o P.ron mio Oss."*" Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2662 *. GIORGIO UOLOGNETT1 a PIETRO NIOCOLINI in Firenze. Firenze, 27 aguitto l&UJ. Colleziono Galileiana nella Torre del Gallo presso Fironao. — Aut- rrato. lll. rao e Rov. 100 S. r mio Os8. W0 Coniftndftndomi In S. Congregatane del 8. Offitio eh’ io notifichi in questa Nun- tiaturn la sentenza data contro il Galilei et abiura fatta da lui, perchè so n'habbin notitia da ciasclmno e particolarmente da tutti li professori di filosofia e matematica, acciò, comprendendo ossi la gravità dell’orrore commesso dal medesimo Galilei, possino evitarlo, insieme con la pena che, cadendovi, sarebbero per ricevere; io, eseguendo l'ordine della medesima S. Congregatione, le mando l’accbiusa copia dell’una o dell’altra, a fine si com¬ piaccia notificarla anch’ella in questa città e sua diocese, in conformità del volere della medesima, et darmi parte dell’esecutione, con rimettermi poi riatcssa copiu elio le mando. E le bacio affettuosamente le mani. Di Firenze, li 27 d’Agosto 1688. Di V. S. Ill. m * e Itev. m * Mons.® Arciv." di Firenze. Partialisa.® Ser. Vero Giorgio, Vea.® d'Ascoli. [2663-2665] 27 — 29 AGOSTO 1633. 243 2663 *. CLEMENTE EG1BII ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 27 agosto 1033. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 51). 2664 . MATTIA BEltNEGGER a 010. MICHELE LINGELSHE1M in Heidelberg Strasburgo, 28 agosto 1633. Blbl. Civica di Amburgo. Cod. citato al n.° 2613, car. Oli. — Minuta autografa. .... Galilaoi Systema Copcrnicanum hoc mittam cupidius, et una specimen transla- tionis mese, ut exquiram et. de isto et maxime do hoc iudicium ttium. Video enim, haud paucas diflicultates suborituras, in quibus oxpediendis nemo to rectius aut facilius adiuverit imbecillitatem meam : nisi tamen in commoda publica peccare est, ad baco talia to vocare. Captabo proximam quamque occasionimi, qua liber ad vos eat.... 18 Aug.d) 1633. 2665 *. MATTIA BERNEGGER a GUGLIELMO SCHICKHARDT in Tubinga. Strasburgo, 29 agosto 1633. Ks-1. L:\ndesbibliotbok in Stuttgart. Cod. hist. fot 563, Lottoro ili M. Bornegger, car. 17.— Autografa. S. P. D. Vir olarissinie, fautornm amicorumqno princops, Elias Deodatus I’arisiis nnper ad me misit Systema Copernicanum Galilaoi do Ga- lilaeis, italico scriptum et anno superiore Florentiae exensum, rogavitque nomine autoris ut id latino convertam, quo liber, Ualis modo scriptus, eruditorum omnium lectioni pateat. Quod autem ad me potissimum itur, id esso causane scribit, quod ante quadriennium in Galilaoi inanus, nescio quo reddente, porvenerit interpretatio lat ina tractatus ipsius italici de instrumento proportionum, quara ante bos 20 circiter annos confeceram < 2) , eaqne non displicuerit; uude spera conceperit, me in eadem hac interpretatione nec invite noe 10 iufeliciter esse versaturum. Ego vero, cmn quia vix propriis, nednm alionis, tractandis <‘t Di stile giuliano. »*> Cfr. u.® 790. 244 CO AGOSTO - 1* SETTEMBRE 1633. (2666-26681 Buffino, tum quia iu hoc ut udii genero numquam ultra madiocritatem fui progreaiua, et oh ip.m mediocrità» per 20 ho» Mimo#, dum ah» tracio, in mhiluiu o*t redacta, porinvitus nec niai ea loge condixi nicatn operum, *i to Ulinni «orare queam, ut a me versi» exactissimam illuni iudicii tui liiuutn cemraramqu© cotmnodee. U1 ai ah* te, quae tua in Diod&tum, in ine, benevolenti» est, obtinemua, f»xo prima qua»»* occasione partem aliquum, et deiucep» per intervalla alita aliaaque, accipiaa ; ni*i forte ma vi» totum una opo» expeetnre, quod vix liac hieme, licet orane* »nb*ociva» hora» im penderò, aUolvtro licebiL Malim cumino per parte» inittore. Fio sciaru, quid neri velia. ArgeuL, 19 Aug. (t > 1633. T. CL £0 Diodati roinum librum prophoticum accipi*, « 7 o quo proxiue plora. perpetua fide ot obsoquio Al. Herneggcr. Fuori: Dem Ehrenveaton Hochgelehrtor liorrn Wilhelm Schiokard. Yornehmon Professori xu Tùbing, moinom grosagtinetiiren Homi un i Ibtchgeebrton Freundt, aambt emem Duci», zuzuatellen Tùbing. 2666 *. PAOLO ÀIItOLD! ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Como, ;w agosto lbXi. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, 6, (A)). 2667 *. ANGELO SPEUINDIO ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Parla, 31 aguale lGAi. crr. Voi. XIX, Doc. XXIV, 6, Gl). 2668 *. ALESSANDRO BICHI ad ANTONIO RARBEH1NI in Roma. Saint-hicola», l u acttc-mlm: 1G33. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV. b, 72). DI *tho giuliano. di Kno*m>o Himmt ni Cuimbu*y, mandala dal <*' Accenna all'opera D* «tritato proni rlìriin- Diouati al Biamuoia. guilur « revelatiotu, « vari limili, a poooibili et a /alto |2669-2670] 1° — 3 SETTEMBRE 1033. 245 2669*. FABIO da LAGONISSA a CORNELIO GIANSENIO in Lovanio. Bruxelles, 1® settembre 1(>33. Dallo pag. (locinmscsta o (lacinia-settima (non numerate) della seconda profnziono, «Ad cuimlom » (lectorem), promossa nll’opora: T, irsuti Fhomondi, in Acadomia Lovnnionsi S. Th. Uoct. et Prof, ord., Vesta sivc Ani-Aristarchi vindex, advorsus Iac. Lansborgium, Piiilippi F., Modicum Middellturgonsem. In quo Do- cratum S. Congregatiouis S. K. K. Cardinalinm anno M.DC.XVI ot alterimi anno M.PC.XXX1II, advorsus Copornicanos torrae motoros editimi, itorum dofonditur. Antvcrpiae, ex officina Pluutiuiana Baltlinsaris filo re ti, M.DC.XXXI V. Admodum R. d0 Domine, Ab annis iam aliquot tractatus Nic. Copernici Do revolutionibus orbium caelestium, qui terram, non solem, moveri, mundi tamen centrum esse, contendit, a S. Congregatione Indicis Libronun Bupprossus est, co quod liane sentontiam Sacrae Paginae prorsus repu- gnare oonstet; quain etiam opinionem cum Galileo Galilei Fiorentino tam scripto qunm voce docere postmoduni prohilniisset S. Officii Cougregatio, eo non obstante idem GalileiiB libcllum quemdani qui Gulilùus Galilei inscribitur, quique Copernici doctrinam redolet, praelo mandare ausps est. Yormn lue in S. Officio Inquisitioni exhibitns, carcoriquo man- cipatus, erronei dogmatis pravitatem penitus abiurare coactus est, in custodia illa eousque 10 dotincndus, donec Eminentissimis DD. Cardinalibus suflicientem egisse pocnitentiam vi- debitur; atque hoc Academiis Belgicis significavi praedicta S. Cougregatio voluit, ut buie vcritati se conformare omnes velint. Ideo ceteros quoque istius Università!is Profàssores a Doni. 0 " 0 Sua de hoc adinonori cupimus. Vale. Bruxellae, Kalondie Septembris, CI0.I0C.XXXIII. 2670. GIO. FRANCESCO BUONAMICI a GALILEO [in Siena], lloma, 3 settembre 1033. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., V. I, T. X, car. 293. — Autografa. Molto 111.™ Sig. or mio Oss." 10 Ilavendo V. S. mostrato, nell’ultimo discorso bavuto meco, grandissimo de¬ siderio di haver copia della sentenza et abiuratione nella sua causa, applicai sin da allora P animo a procurar di servimela, sebene non gliene detti alcuna intenzione; et doppo molte diligenze et diversi modi tentatami è riuscito ulti¬ mamente liaver copia dell’una et dell’altra, la quale conservo appresso di me, 246 3 SETTEMBRE 1633. [2670-26711 perchA alla prima piovitura verrò (piacendo a Dio) a cotosta volta et la darò a V. S. (u : alla quale intanto ho voluto participare un racconto 1 *’, che dol suo caso ha mandato un amico in Alemagna l3 ’, Spagna et Fiandra. Se egli ha equivocato in alcun termino, scusi V. S. il non haver, por V improvisa sua par- io tonza, potuto conferir seco, et aggradisca la buona volontà, se non gli contenta l’esecutione. A bocca mi dichiarerò meglio, et a V. S. portino bacio con tutto l’animo (sic). Di Roma, li 3 di Sett. rr 1033. Di V. S. molto IU. r * Se intanto piovessi, V. S. non mi risponda; et rispondendomi, si sorva mandarla al S. r Se¬ gretario del S. r Ambasciatore di Fiorenza. c* orv r» S. r Galiloo Galilei. Gio. Frauc.° Buona mi ci. 20 2071 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in SieimJ. Arcctrl, a settembre HKJ3. Bibl. Nftz. Flr. Mss. Usi., P. 1, T. X111, csr. 226. — Autografa. Amatiss."' 0 Sig. r Padre, Il sentir ragionar di andar in campagna mi piace per la parte di V. S., sapendo quanto quell’abitazione gli sia utile o gustosa, ma mi dispiace per la parte nostra, vodondo che andrà in lungo il suo ritorno. Ma sia pur come si voglia; inentro che ella, per grazia di Dio benedetto, si conserva sana o lieta, tutti gl’altri accidenti soli tolorabili, anzi si fanno soavi e gustosi con la spe¬ ranza che tengo che da questo suo o nostro mortificazioni il Signor Iddio, corno sapientissimo, sia per cavarne gran bene, per Sua pietà. La disgrazia dol vino ò stata grande por V. S., e sto per dire maggiore por noi, che, perchè lei trovassi le botti ben condizionate, non ne Laviamo mai io bevuto un pocolino, o di quella elio V. S. lasciò manomessa ne pigliammo poco, perchè presto prese il fuoco e non ci piaceva più, o quel poco di bianco, por aspettar troppo lungamente V. S., diventò aceto. Vo ne sono in casa 6 fiaschi "» Noi Mss. Gai, P. I, T. IH, car. 6-9, è una copia, di mano ignota, della sentenza o dell’abiura di Galii.ro, a tergo della quale si legge, di mano dolio stesso Gami, no; «Sentenza o abinr. n * », ed ò probabilmente la copia a cui si accollila nella prò- sonto lettera. <*> Cfr. Voi. XIX. Doc. XXVI, c. i). **> Cfr. u.° 2622. 3 SETTEMBRE 1G33. 247 [2G71] dell’ ultimo che si ò venduto, che è ragionevole per la servitù : ve n’ erano al¬ cuni di quel primo che si levò via, clic era diventato cattivo affatto, e non ho voluto che lo bevino ; fino al nuovo bisognerà che lo comprino a fiaschi, e pre¬ gherò il S. r Rondinclli che indrizzi Geppo ove possa andar a trovarne di quella sorto che sarà proporzionata per loro. Per la muletta si è fatto provvisione di 3 migliaia di paglia bellissima, e 20 si è pagata sette lire o quattro cinzie il migliaio. Strame quest’anno non co n’è stato, oltre che non sodisfà alla bestiolina. È un gran pezzo clic havovo mandato il ragazzo a pigliar Pori volo, ma il maestro non glielo volse dare, dicendo che voleva aspettare che V. S. tornasse. Hiori mandai di nuovo a dirgli che lo rimandassi in ogni maniera, o disso che bisognava prima rivederlo, che tornassi un altro giorno, o così si farà; o se per sorte non lo dossi, ordinerò al ragazzo che sia con il S. r Rondinelli. Sig. r padre, vi fo sapere che io sono una hufola assai maggioro di quello che sono in cotesto maremme, perchè, vodendo che V. S. mi scrive di mandar 7 uova di cotosto animale, mi credevo che veramente Rissino vuova, c facevo 30 disegno di far una grossa frittata, persuadendomi elio fossero grandissime, e no havevo fatta allegrezza con S. r Luisa, la quale non ha liavuto poco da ridere della mia goffaggine. Domattina, che sarà domenica, il ragazzo andrà a S. Ca¬ schino a pigliar le bisacce, come Y. S. ordina; in tanto gli rendo grazio per tutto le coso che ella dice di mandare. Quando V. S. tornerà qua, non ci ritroverà il S. r Donato Gherardini, rettore di S. 1 * Margherita a Montici e fratello della nostra S. r Lisabetta, perchè è morto due giorni sono, e ancora non si sa chi deva essergli successore. Suor Polisena Vinta havrebbe desiderio di sapere se in alcuni sollevamenti olio è fama che siano seguiti costà, vi interviene il S. r Cav. r Emilio Piccolomini, 40 figliuolo del capitan Carlo, che fu marito di una nipote della medesima S. r Po- lisona; la quale, per poter maggiormente raccomandarlo al Signore, desidera di saper da Y. S. qualche verità, poi che molte coso che si dicono non si posson credere, nè stimar che sieno altro che bugie e favole del vulgo. Procurai che le due lettere elio mi mandò incluse fossero subito recapitate. Altro non posso dirle, se non che quando ricevo sue lettere, subito lette torno a desiderare die giunga l’altro ordinario per haverne dell’altre, e partico¬ larmente adesso elio aspetto qualche avviso di Roma. La Madre badessa, il S. r Rondinelli e tutte l’altre gli tornano dapplicato salute, et io da Dio benedetto gli prego abbondanza di grazie celesti. 50 Di S. Matteo in Àrcetri, li 3 di 7mbre 1633. Sua Fig. ,a Aff. n,a Suor Mar. Gel osto. 248 3 SETTEMBRE IG33. [3672] 2672*. MARIO GUIDUCOI » GALILEO in Siena. Firenze, «H settembre 1688. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI. T. XII. rar. 23. — Autografa. Molto 111/ 0 ot Ecc. mo S/ o P.ron mio Oss. mo Ilo lotto con grandissimo gusto l’ultima di V. S., vedendo che le turbolenze non lo hanno punto levato l’animo di speculare. Ilo conferito con i nostri co¬ muni amici intendenti lo suo speculazioni, la prima dello quali paro nmravi- gliosa, nuova o pellegrina; o quando lo piacerà di farcene parte, no riceveremo il complimento intoro del gusto. Quanto all’altre duo proposizioni che accenna ritrovato da lei in materia del getto della campana, già che corno ella dico, sono così recondite e di tanto difficile immoginabilità, non saprei elio diro, so non che, mentro al gusto squisitissimo di V. S. appariscono degne di essere esposte in luco, ancorché tanto pericoloso di non esser creduto ancorché son- io sibili, tanto più ci si fanno desiderabili. Io discorsi ieri, insiemo col S. r Tom¬ maso Binuccini, col S/ Pietro Tacca, il quale, come credo elio V. S. sappia, é il più diligente gettatore elio ci sia o forse ci sia mai stato; il quale ci disso elio la cagiono dolio sforzamento della forma per lo più suole avvenire dal non essere imbossolata bene, la qual fattura richiede un mondo di diligenze, elio tralasciate posson render imperfetta l’opora: o mi dice che quando cotesto maestro gettò qui la campana del Palazzo, foce alcuni orrori anche fuor dol- T imbossolatura, perché la campana venne di fuora sfogliata, onde il suono non é grato, o molto più parova spiacevole avanti clic vi si facessi rorecchio. Tut¬ tavia mi giova credere che in un’opera così grande liarà fatto ogni suo sforzo 20 acciò venga perfetta, et il mancamento arà auto dopendenza dal non avoro preveduto lo cagioni pensate da V. S., lo quali so con suo comodo potrà o lo parrà di accennare, io no tratterò qui e no discorrerò con gli amici, o ne terrò qualche proposito col S. r Tacca, elio mi pare huomo docilissimo o gentilissimo. Desidererei bene molto più di sentire questo e simili cose dalla sua voce elio per lettere; ma ho qualche timore elio così di corto non sia per succedere, scrivendomi la mia sorella 111 (la quale fa riverenza a V. S.) elio ne ha parlato con la S. ra Ambasciatrice, o elio per ancora non si sperava di ottenero la grazia. m Madoai.k.na Ubidcoox no’ Cayammnti. [2672-2676] 3 — 4 settembre 1633. 249 Rondo grazie a Mons. r 111." 10 Arcivescovo del saluto fattomi, pregando V. S. so a farli in mio nome reverenza, come parimente fo a V. S., supplicandole per tino da S. D. M. tà ogni più bramata felicità,. Firenze, 3 di Sett. ro 1633. Ri V. S. molto ili. 1 ' 0 et Ecc. ,nn Ser.™ Obb. mo o Aff. ,no Mario Uuiduooi. Fuori: Al molto TU. 1 ' 6 et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Osa.” 10 11' Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2673 *. GIORGIO BOLOGNETTI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, » eettembre 1033. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 58). 2674 *. PAOLO DELIA FRANGI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Ferrara, 3 settembre 1G33. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 65). 2675 *. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO in Siena. Roma, 4 settembre 1G33. Eibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. X, cnr. 332. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. Sig. r mio Oss."'° Y. S. può erodere ch’io la compatisco estremamente, e desidero infinita¬ mente ancora di vederla in tutto o per tutto consolata, nò son por lasciare qualsivoglia cosa che sia a proposito per conseguirne l’intento. È ben vero che mi par, da quel cho sin bora ho possuto ritrarre, elio non possiamo sperarlo por tutto questo meso di Settembre ; ma nondimeno io non lascerò, per quanto mi sarà possibile, di disporro gli animi o di procurar le congiunture di servir a Y. S. Et intanto le bacio lo mani, come fa l’Ambasciatrice ancora. Di Roma, 4 Settembre 1633. io Di V. S. molto 111. Afl>° Ser. ro S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. 32 XV. 250 4 SETTEMBRE 1033. L2076J 2676*. GIO. FRANCESCO TQLOMEI a GALILEO in Siena. Roma, 4 settembre 1683. Bibl Est. In Modena. Raccolta Cauiporl. Autografi, B.» XCI, u.° 120. — Autograf i. Molto 111.” et Ecc. mo Si}'.” o P.ron mio Osa. 100 Mi vergogno di comparire avanti V. S. senza mandarle la compositione pro¬ messalo t4> . Infatti è una inala cosa l’haver a far con poeti: imo di costoro ha detto mille volte di darmela, e mai ha messo in essecutione la promessa. Lavorò pazienza quattro giorni di più, e poi vedrò in ogni maniera d’Laveria, perchè in effetto non è cosa che V. S. habbia a non vederla: intanto scusi ino. La lettera di V. S. è stata recapitata fidelmento; però séguiti d’inviare il suo piego, oliò sempre sarà servita, l’oichò costà si giudica non esser necessaria la publicatione della scomunica 1 * , mi quieto, approvando il loro consiglio. Vorrei bene die si procurasse la revocarono del sequestro, la riscossione del denaro; io o questi dottori di qua tutti dicono esser questione di giustitia. V. S. favorisca quando credo la congiuntura, con diro cho si desidera che gl’avvisi dati bali- bino effetto; o pregando la gentilezza di V. S., scusi la mia continova imper¬ tinenza. Giovedì notte passò a miglior vita il virtuosissimo Querengo (3) , si può diro senza infermità, perché un solo profluvio di catarro calatogli dalla testa, ne¬ gl’occhi prima, o poi per tutto il viso, lo privò in breve tempo di vita; etili quel poco spatio ch’egli bebbe doppo ricevuti i Sacramenti, mandò a salutari) gli amici ; et io bobbi fortuna, di esser un di quelli, e corsi subito alla sua casa o lo trovai con conoscenza, o si ricordò di V. S., imponendomi ch’io la salutassi 20 da sua parte di vivo cuore. Il S. r Card. Barberini volle faro accompagnare il suo cadavere da tutta la sua famiglia e dall’Accademia 14 , et fu portato a sep¬ pellire alla Chiesa di S. Francesco a Ripa, dove concorse quasi tutta Roma, piagnendo morto questo degno Prelato. L'Accademia ha di già decretato elio si faccino l’ossequio con ogni pompa maggiore. L’età di questo Prelato ora di 9 L anno. A eramento io ho sentita questa perdita molto, perchè questo soggetto mi voleva bone da vero. <*> Cfr. n.o 2(154. Cir. un. 1 2G2Ó, 2654. <*’ Astowio Qi'krkxoo. •*> Accademia (lugli Umoristi. > 4 — 5 SETTEMBRE 1633. 251 [2676-2677] Gli Ecc. mi miei Signori (i) salutano V. S. e sospirano poter godere della sua conversatitene, et io, facendo fine, humilmente la reverisco. so Di Roma, li 4 di Settembre 1633. Di V. S. molto 111.' 0 et Ecc." Kl Dev. mo et Oblig. mo Ser. p ® Gio. Fran. co Tolomei. Fuori: Al molto Tll. ro et Ecc. mo Sig. re c P.rone inio Oss. mo il S. r Galileo Galilei. Siena. 2677 **. GIO. GIACOMO IiOUCHAltl) a GALILEO [in Siena]. Ronni, 5 settembre 1631$. Bibl. Naz. Flr. Mss. Onl., ?. VI, T. XII, car. 25-2B. — Autogrflfa. Molto Ill. re Sig. r ° mio P.rone Oss. mo La cortesia e gentilezza che, oltre al suo alto sapere, trovai nella persona di Y. S. questo mese d’Aprile passato, quando fui in compagnia del S. re Gio. Battista Doni (2) , secretano del Sacro Colleggio, a salutarla in Roma noi palazzo del Sig. ro Imbasciatore di Firenze, m’ ha tanto pili fatto pigliare sicurtà, di scri¬ verle, coll’occasione del passaggio in cotesta città di Siena del S. rn S.* Amanto (3) , latoro della presente, gentil intorno rcoXòrpoTco;, il quale più d’una volta ha pas¬ sato sino a i lidi più remoti del nuovo mondo, non contentandosi d’ haver tra¬ scorso questo nostro non solo in persona, ma molto più ancora col nome dello io suo virtù infinite, tra lo quali la saprà elio Tuie facit canneti docta testudine, Quale Cynthius impositis temperat ariieulis. Y. S. si ricorderà facilmente eh’ io le lessi una lettora, nella quale li suoi ultimi Dialoghi venivano laudati, secondo quel che meritano, da tutti questi Sig. ri Eran- zesi, i quali si dilettano di tali sciontie. Ultimamente n’ ho ricevuta un’ altra dell’ istesso tenore ; nel line però ci notavano mi dubbio mosso da parecchi sopra quella propositione che lei fa, che l’acqua babbi il suo flusso o reflusso causato dall’inequalità dei moti delle parti della terra: le quali parti confessano che vanno con moto più accelerato, quando, scendendo il corpo della, terra intorno 20 all’orbo magno, scendono puro dette parti, che quando poi tornano indietro a sa¬ lire; ma questa accelerationo non si fa se non respective al moto circa l’orbo ‘‘i Ekanoksoo e Caterina Niocoi.ini. <*> Cfr. n.« 2619. ,3 > Ma ito' Anton io Uhkuakdo di Saint-Amant. 252 5 SETTEMBRI! 1633. [2(177-2(178] annuo, ot dette parti, comparate al corpo della terra come anco a quello del- l’aqua, vanno sempre con ristesso moto uguale: diinodoccliè dicouo durare fatica a potere comprenderò come le parti della terra, le quali vanno sempre con l'istesso moto rcapotto a sè medesimo ot anco a l’aqua, possino imprimere in detta aqua diversità di moti, et mi pregano caldamente eh' io mi sforzi d’ot¬ tenere di V. S. qualche poco di resolutione sopra questa loro difficultà; quel ch’io in particolare imputarci ancora a summo favore, essendomi venuto l’istesso dubbio quand’ io lessi questa sua divina opera, la quale posso bene chiamare così, mentre la maggior parto delle sue spoculationi passano talmente la subii- 80 mità dell’ingegno humano, elio possono a pena da osso essere capite, non elio prodotto ed inventato. Caso che V. S. si compiacesse favorirmi di qualche risposta, sia sopra il pre¬ cedente dubio o vero alla lotterà del Sig.™ (rio. Camillo Glorioso ll \ la quale ho tratonuta sino al giorno d’hoggi por mancamento d’occasione d’inviartela, potrà V. S. indrizzare le sue lettere al S.™ S.‘ Amante in Firenze, dove lui fa conto di tratonersi tutto questo inverno, o vero al S. r Gio. Battista Doni in Roma; chè por Duna di questo due strade mi capiteranno sicuro allo mani. Q nostro Gassendi lo bascia le mani, il che fo aneli - io con ogni alletto, pregan¬ dolo dal Ciclo longa e prospora vita. 40 Roma, questo dì 5° di Settembre 1033. Di V. S. molto U1. M 2678 *. GIO. MICHELE UNGELSHEIM a MATTI A BERNEGGER in Straaburgo. Heidelberg, ù «ettonibre 1633. Dalla pag. 34 doli'opera citata al n. # 2646. .... Gaìilaoum<*> impatienter expecto .... Heidelbergae, 26 Aug.W 1633.' “> Cfr. n.« 2630. «*> Cfr. n.° 2664. **' Ui stilo giubililo. [ 2679 ] () SETTEMBRE 1633 . 253 2679 *. BAFKAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Siena. Roma, G setlembve 1633. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, li.» LXXIX, n.° 23. — Autografa. Molto III.” et Ecel. mo Sig. r S. di’ io rispondessi quanto prima a V. S. Ecc. nm c che il simile facesse il Sig. Nardi <4) , ella no può esser sicura, etiam chele lettere lussino mal capitate, c questo perchè l’obligo nostro grandissimo non permetteva in noi un tanto mancamento. Dico mal capitate, poiché dal non havor hauto risposta ne siamo tutti dua restati con gran gelosia. Pur io n’ ho ricevuto stamani un saluto, a mo carissimo, dal Sig. r Tolomoi (S) , al quale raccomando la presente, acciò vada sicura e serva appresso di V. S. per segno della devota servitù eh’ io gli professo. Giù è tornato il P. D. Benedetto, sì conio scrissi nella passata et egli di io suo pugno n’ haverà. dato ragguaglio. Questo nostro Abbate usa con me ogni sorte di cortesia, corno d’introdutioni e lodi appresso questi SS. Card. 1 ' 1 Padroni, ma quel che più ni* è giovato, d’un pranzo da storpiati nella sua camera ter¬ rena, affumicata sì ma fresca, con un odoro di mortadella e salame di Brescia, formaggio di tre anni e vino da pontefici. Ben rincresce a me che questi odori siano stati tardi per V. S.; ma il Padre ha pianto questa sua tardanza in pre¬ senza mia e d’ altri con vive lacrime, non però senza qualche speranza di go¬ derla a Fiorenza. Ma elio vo io mescolando con il zucchero l’assensio ? Ter grazia, Sig. r Galileo, scrivetegli elio mi faccia di queste burlo appresso i Pa¬ droni, c più a quella sua tavola ben fornita, eh’ io prometto lasciar da parte 20 ogni pensiero o bever a mio bell’agio una gran tazza di vin fresco alla sanità di V. S., a chi io desidero da Dio quieta e lunga vita. Così, non havend’ altra nuova, le faccio humilissima reverenza, e di tutto cuore me gli raccomando. Di Roma, il dì 6 7mbre 1633. Di V. S. molto 111.” et Ecc. mn Devotiss. 0 ot Obli". 1 » 0 Servitore Raffaello Magiotti. Fuori: Ài molto III.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Oss."'° 11 Sig. r Galileo Galilei. Siena. IiOtt. 2679. 9-10. di tino puot/no — Ci Antonio Nardi. Ci Uio. Francesco Tolomei. 254 G — 10 SETTEMBRE LG 33 . [2680-2681] 2680 *. FABIO da LAGONISSA ad ANTONIO BARBERINI iu Roma. Bruxelles, C settembre 1638. Cfr Voi. XIX. Uoc. XXIV. b, 73). 2681 *. NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC a PIETRO (IASSENDI in Cigno. Atx, 0-10 settembre 1083. Bibl. Nazionale in Parigi. Food» franga!*, n.« 12772, Lettre» de l’eireio 4 Oamndl, cnr. 100. — Autografa. _J’y ay par mestile moyen trouvé la lettro que le P. Scheiner vous e«eript f,) , laqaelle je vous renvoye uveo ntes remerei mena trea humblee, ayant prins plnisir d’y voir la venoration qu’il porte A vostre vertu et fi voz utiles travaulx; nmiB j’ay esté un peu touché de voir qu’il ne so puisse abstenir d’attaquer co paavre vieillard, aprez l’avoir terrassé & sos pieds et l’avoir faict mesntcs condauiner, oultre la retractation, à une prison perpetuelle, contine vous verroz en la lettre cy joincto d’un sien parent ’, bien qu’elle ayt estè remise à la volontó du Grand Duo de Toscane. Et toutea foys le bon P. AthanoseW, que nous avena veu passcr ioy bien A la baste, no so peult tenir do nous advoilor, en pro- sence du P. Ferrando, quo le P. Malapertins^’ et lo P. Claviua ' rnesutes n’improuvoient nullement l'advis do Copernicus, aina ne s’en esloignoient guiòres, encorcs qu’on les cusso 10 presse/, et obligez d’escrire pour les communes suppositions d’Aristote, que le I*. Scheinor mesnies ne suyvoit que par force et par obediance, aussy bien que luy, qui no faict pas de difficili té d’admettre au corps de la lune non seulemont dea montaignes, dns vallées ot deB mera ou estans, mais des arbres et dea plantes et mesmes des animaulx, pourveu qu’on on veuille exeopter et exclurre les plus porfeets, et d'admettre aussy quo la (erro face uno reverbaration sur le globe do la lune de la lumiere du soleil, qui respoude a collo quo faict la lune sur la torio.... In poscritto: Co IO Scptembro. .... M. Rossi 1 ’ 1 de Lyon m’escrit du 7"'. quo le Gulilei osloil do retour à Siene, d’où l’on cscrit qu’il ne bougeroit sana qu’il rogeust son congó do Koinè, et que la dolìanco 20 do son livre on avoit faict enlever tous les exemplaires h grande furie .... O) Crr lì.» 2587. «*' Roberto Gami.ki. • s ' Atanasio Kirkkr. <*’ Giovanni Ferrano. •*’ Carlo Maì.ai-kiit. < 8 ' Ckistovoro Olavio. Ct Lo Siour ex K*>*ht. [2682-2684] 7—9 SETTEMBRE 1633. 255 2682 *. MATTEO ICELLISON a FABIO da LAGONISSA in Bruxelles. l)uuay, 7 settembre 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 89, p). 2683 *. GUGLIELMO SCHICKIIARDT a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Tu bili ga, 8 settembre 1033. Hallo Epùtolae W. Soiiiokaudi et M. IlERXKoaEui mutuae, Argontorati, smnptibus Iosiao Stacdelii, 1073, pag. 183. Excellentiss. Dn. Berneggere, lautor amicissime, Sunmiopcro laetor, Galilaeain versionem tibi oblatam esse ac. recepfcam, quem exlnstrn- raenti r’roportionalis editiono* 1 * constai, in utroque studio, et matheseos et italico, felioitcr versatimi. Utiuam otio acquo abundarea! matura tainen, quantum licebit. Quamvia autem t.emiitas mea nihil monere possit quod acies tuo non pervidcat auto, feceria tainen omnino gratissimum si, curiositatis explendao causa et levandi desiderii, subinde rniseris frustillatim oas paginas, quascunque typographus exseripserit quovis tempore. Valde enim talia videro gestio! Incipc tantum cito, quantumvis non continuo progredì detur, ut ox principio cernam quale sit opus reliquum, quod hic nunquam visum est, quia italici libri parcius ad uos 10 importantur qnam gallicani. Nolo enim nunc te sciscitando latigarc, an mere sit aslro- nomicuin? theorias planelarum tradens, voi Copernicanum saltem fundamentuni experi- mentis novis dioptriois stabiliat? mun sebematibus, numeris et (lemonstrationibus iu- structuui ? Ilaec multo compendiosius ine docueris, mittcndo impressae versioni» particulam; impressae, inquora, non scriptae maini, quam periculo viarum exponere forot inipiuni_ Dab. Tubingae, d. 29 Augusti 1033. 2684 **. GERÌ BOCCI1INERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 9 settembre 1033. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 285. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Anticipo questa mattina in rispondere alla lettera di V. S. do’ 4, clic mi accompagna le altre per il ministro do’ SS. 11 Riccardi, a chi la presenterò et procurerò il pagamento de’ denari ; et quando sarà seguito, serberò li conto scudi por V. S., et disporrò degli altri secondo elio mi accennerà il S. r Vincenzio. Cfr. u.° 790. < s > Di stile giuliano. 250 0 SETTEMBRE 1633. [2684-2685] Dal S. r Aggiunti non ho liavuto denari ili alcuna sorte, corno uè mono dal Pieralli ; et sì come non gli ho mai nò chiesti nò rammentati loro, ma duo volto mo no parlò il S. r Aggiunti, così non li chioderò loro per l’avvenire. M’incresco che V. S. sia sposso visitato dalle suo doglie, conio all’ incontro ho gusto dello continuato cortesie ot favori che olla riceve dal suo ospito Ill. m0 , ot le io bacio le mani: ot questo ò il sosto giorno che non habbiamo casi di contagio. Di Fiorenza, 9 di Sett. ra 1033. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Oblig. roo Parente et Ser. r « Gori Pocchinori. 2685 *. ANTONIO NARDI a GALILEO in Siena. Roma, 9 settembre 1033. Blbl. Eat. In Modena. Raccolta Cnnipori. Autografi, B.* LXXXII, u.* 0. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. ,no S. r P.ron Oss. mo Non prima che stamane ho ricevuto la sua sommamente gratissima delli 25 d’Agosto, o per tanto non ho per ancora visto il P. It. mo 1). benedetto nostro; ma forse avanti sera lo vedrò, o farolli l’offerta di che V. S. E. ma mi scrivo. L’opera del Cav. p Chiaramonti (1 non è capitata a queste librerie, se non con occasione di farla legare a istanza di particolari, sichè non l’ho possuta so non leggiermente o per trascorsa vedere, coinè panni haverli scritto altra- volta ,2> . È bon vero elio le debolezze orano tanto e tali, elio a prima giunta anco a mo in gran parto si manifestorono. Sto con grandissima ansietà del suo ritorno in Firenze por molti rispetti, io ma in particolare por il desiderio che tengo di veder in luco il resto delle tanto maraviglie elio il suo intelletto ha scoperto et è por scoprire al mondo, quando sia elio Dio benedetto li conceda vita o ozio, o per dir meglio tranquillità o quiete. Con che, ricordandomeli vero o devotissimo servitore, li faccio riverenza, salutandola in nome del S. r Filippo Magalotti, quale con grande istanza mi dimanda di lei. Itoma, 9 7b. 1633. Di V. S. molto 111. 0 et Ece. ,na S. re Obligat.™ 0 Ant.° Nardi. Fuori: Al molto IU. M et Ecc. mo S. p o P.ron Oss. ,n ° 20 Il S. r Galileo Galilei. Siena. “i Cfr. U.“ 2326. •*’ Cfr. 11 .» 2650. H [ 2686 ] 10 SETTEMBRE 1633. 257 2686 . NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 10 settembre 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, oar. 20-30. — Autografa. Molt’ Ill. ro ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. m0 10 non potevo ricever da V. S. Ecc. ma maggior lionoro che esser fatto par¬ tecipo dell’ambrosia dclli Dei, chè tale a mio giudizio e gusto deve chiamarsi ogni speculazione del suo sovrano ingegno. Quest’ultima sua meditazione mi ha arrecato gusto grandissimo, non solo perchè ho veduto in essa resoluto con tanta facilitò, et evidenza un quesito così bello o curioso, ma ancora per l’im¬ portante considerazione che appresso ella vi fa, deducondone quella mirabil ne¬ cessitò elio nella struttura delle fabbriche tanto artificiali quanto naturali si ritrova, di esserci una limitata grandezza oltre la quale l’arte o la natura, ten¬ ie tando di fabbricare, pili tosto domolirebbo e distruggerebbe. Questo ò ben altro che il maximum quoti sic et minimum quoti non de’ Poripatetici. Y. S. Ecc. ,na attenda pure (mentre l’invidia mangiai suoi serpi) a recrear con simili delizio sè stessa o gl’amatori di sì bello novità, e sicuramente confidi clic la verità, da lei con tanto 1 studio arricchita et adorna, non permetterà mai clic ella sia defraudata del meritato premio di vera lode. 11 Sig. r Pieralli è in Firenze, et lui prontissimo ad ogni suo cenno il do¬ llaro ; così ancora è altretanto pronto a provvedergli il vino che ella desidera : ma per non esser egli in S. Miniato, o per l’annuale che corro con pessimo speranze di vendemmie, non si assicura se sia belio far venir il vino da quelle 20 parti; e perciò ha scritto a S. Miniato, o secondo la risposta di lì et il cenno elio da lei Laverà, vuol governarsi. Io per me non imbotto, perchè, essendo solo, trovo meglio il bere harpionatim; ma so Y. S. mi avviserà che sorte vino, per a qual tempo, e dove vuol ebo io l’imbotti, mi ingegnerò di servirla nel miglior modo cho sarà possibile. Al nostro Sig. ro Dino (l) son più giorni cho mancò il padre, doppo la morte del quale gli è stato forza l’entrar in un viluppo di faccendo domestiche, lo quali veramente lo tengono intrigatissimo, e però supplica V. S. Eec. ,na a per¬ donargli so non le scrive e non paga il suo debito; ot io di più la supplico non solo a perdonargli, ma a fargli ancora un nuovo favore. Costì in Siena (per 30 quel eli’ ho inteso) è vacante la cattedra delle matematiche, la quale ha di prov- l*) Dino Pkri XV. 33 258 10 SETTEMBRE 1033. [2686-2687] visiono, secondo mi vien referto, circa ottanta scudi: non è dubbio che questa provvisione, rispetto al bisogno del Big.' Dino £ scarsa, o rispetto al merito è scarsissima ; tutta via, in difetto di migliori occasioni, se V. 8., che è costà presente, trovasse elio ci potesse esser modo di far haver questa lettura al Sig.r Dino, con tale assegnamento almeno che egli potesse viverci e star con modo condecente, senza aggravio della sua catti, io credo che il Sig. r Dino non sarebbe alieno da tal impiego, se non altro per farsi conoscere o migliorar lo sue condizioni, in evento che si porgesse occasinn migliore. Aspettiamo sopra di quosto il suo consiglio et aiuto; et offerendolo di qua ogni nostro potere, con cordialissimo affetto le baciamo le mani. 40 Fir., 10 di Settembre 1633. Di V. S. molto 111.” et Eoe.*"* Il Padre Francesco delle Scuole Pie *’ et il Sig. r " Andrea Arrighetti lo mandano mille saluti o baciamani. Dev."*° et Obblig.® 0 Sor. M Niccolò Agg. l> 2087 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Àrcetri, 10 settembre 1033. Bibl. Na Z . Fir. Mss. G»L, P. I, T. XIII, c*r. 2S7. - Àutofrif*. Amatiss.™ 0 Sig. p Padre, Giovedì passato, et anco venerdì fino a notte, stetti con Y animo assai so¬ speso, vedendo clic non comparivano sue lettere, non sapendo a che attribuirmi la causa di quel silenzio. Quando poi le ricevei, e elio intesi elio Mons.' Arci¬ vescovo ora stato consapevole della mia goffaggine, non potei non arrossirò, se bene dall’altra banda ho caro di haver dato a V. S. materia di ridere c ral¬ legrarsi, chè per questo molto volte gli scrivo delle scioccherie. Ho consolata la Madre Vinta 13 con la sicura nuova che V. S. dà del suo nipote; o quando ella inteso il particolare soggiunto dal medesimo Monsignore circa 1 haver delle carità, si risentì gagliardamente, dicendo che non solamente io il S. r Emilio 141 , ma Pistessa Sig. rt Elisabetta sua madre, non la ricordano mai, o che ella crede che essi si persuadine che sia morta: e pure so sia bisognosa, V. S. lo sa, stando ella quasi del continuo in lotto malata. (l > Panuso Miohimni. «*> Cfr. u.o *2671, Un. 27-34. '•> Suor Poljrmxa Vixta: cfr. n.» 2071, liti. 38. (*' Knilio Piccolomixi. 10 SETTEMBRE 1633. 259 [2687-2688] Hebbi le bisaccia, con tutto le robe cho V. S. scriveva di mandare : dcl- l’uova bufaline no lio fatto parte all’araiche et al Sig. r Kondinclli; il zafferano è bonissirno e più che a bastanza por lo pillole, por le quali ho corretto intorno a 4 o 5 on. di aloè, che doversi esser assai buono, havondovi io tornato sopra sotto volte il sugo di rose. La prima volta cho torno a scrivore, cho procurerò che sia avanti martedì, gli manderò della pasta che voglio far di nuovo oggi 20 o domani, so il doloro di testa o di denti, cho provo di presente, si mitigherà alquanto, chè por questo lascio di scrivere, e seguo di tenorla raccomandata al Signor Iddio, il quale sia quello che gli conceda vera consolazione. Di S. Matteo, li 10 di 7inbro 1633. Di V. S. molto DI. Fig> Aff. m * Suor Mar. Colesto. Fuori: Al molto Ill. rn Sig. r Ladro mio Oss. mo 11 Sig.*' Galileo Galilei. Siena. 2088 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 10 settembre 1033. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gel., T'. VI, T. XIT, car. 27. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ecc. mo S. r o P.ron .mio Oss. mo Ilo letto con grandissimo gusto la dimostrazione di che V. S. mi ha favo¬ rito, e 1’ ho mostrata al S. r Andrea Arighetti, che mi dice averla trovata in altro modo, come ancora il S. r Niccolò 11 ’ suo cugino. L’ ha veduta ancora il S. ra Aggiunti e ’l S. r Peri, e anche F ho mostrata al Padre delle Scuoio Pie (2 ', essendomi capitato a casa, o mi ha pregato a far reverenza a Y. S. in suo nomo ; ot io, in nome di tutti e proprio, la ringrazio sommamente d’avercene fatto parto. Quanto alla campana' 3 ', ricevei il profilo, ma non ho havuto tempo di essere con Pietro Tacca, per essere andato a Pratolino o ritrovarvisi ancora. Conosco io bone dalla relazione di Y. S. che il pensiero del Tacca, cho il difetto fusso pro¬ ceduto dal non essere stata imbossolata con tutti i requisiti necessari, non mi¬ lita in questo caso, poiché la forma non s’è spezzata; chè quando l’altra volta ne ragionai con osso, supponevamo che la forma si fusso rotta. Come torna, gli mostrerò il profilo e la storia del getto, e vedrò quello che dice. CO Niccolò Arriohktti. ‘ 3| Cfr. u.° 2672. <*> Cfr. n.« 2686. ) 260 io SETTEMBRE 1633. [2688-26891 Quanto allo nostro malattie, questa settimana o un poco della passata, si ò stato, per grazia del Signore Dio, senza caso alcuno di nuovo, ondo confidiamo di essero guariti, che piaccia alla Divina Bontà che così sia. Dolli interessi di V. S., mi è stato detto por cosa certa che qui Mons. r Nun¬ zio 111 ha fatto fare molte copio della sentenza ctc., o 1’ ha mandate a diversi Nunzii di Cristianità: m’immagino che sia d’ordine de’Superiori, acciò si prò- 20 mulghi senza che osca da loro. Lo scrivo acciò V. S. ne sia avvisata, ma non perchè mi risponda cosa alcuna in questo proposito. E facendole reverenza, conio ancora a Mons. r Ill. mo Arcivescovo, le prego dal Signore Dio ogni contento. Fironze, 10 ili Sett. ro 1633. Di V. S. molto HI." et Ecc.™ Ser" AfT. ,no c Ohb.'"° Mario Guiducci. Fuori ; Al molto III.** et Ecc."* 0 S. r o P.ron mio Utw. ,n « D Sig. r Galiloo Galilei. Siona. 2689 *. MARIA TEDALDI a GALILEO in Siena. Firenze, lo settembre 168S. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I. T. XIII. car. 22'J. — Autografa Molto 111. 0 Ecc. mo Sig. r P.ron Colend." 10 La cortesissima sua mi \ assai consolata per una parte, ma por l'altra ra- tristata grarulemento. Consolata resto dell’ottima volontà quale scorgo mante¬ nersi in V. S. E. ,na verso di me ; ma il sentire che per ancora o così presto non spera tornare, mi A molto travagliata. Puro bisognia aver pationtia. Quanto poi che V. S. E. mi possi favorire con lettere, non mi paro per ancora oportuno, tanto piò che in breve mi converà trasferirmi in villa con mia vedovina, adovo spero trattenermi poco ; solo si va per accomodamento suo e di suo figliuolo, quale si è messo ne’ pupilli •* datoli un attoro. Al mio ritorno forse V. S. E. potrebe essere tornato, o al mono avere qualche cierteza io del suo ritorno. Basta, io ne darò subito conto a V. S. E., et allora ci risol¬ veremo quello sia ben fare per nostro aiuto e soccorso ; in tanto proccurilo por grazia con tutto affetto. Aviamo visitato tutte le monache in queste nostre coniloglienze, o por con¬ seguenza martedì mattina visitamo le sue figliuole, adove ci trattenemo tutto Giorgio Bouoqsktti. [2689-26011 10 — 11 SETTEMBRE 1633. 261 il giorno con somma satisfattone o contento di tutte, o mi raccomandai all’ora- tione di S. ra Maria Cieleste. Quanto a quella povera famiglia, il padre per debito si ritrova in carriere ; non occorre de,l resto li dica altro, sendo quella povera brigata in istato mi¬ ao serabilissimo. La Lucrotia sta benissimo, come ancora il suo banbino, e credo cbc ai Santi tornerà qui in Via Larga da per sè, dividendosi il marito da i fratelli. Si dicio che Vincientio (1) ripiglia moglie; staremo sentendo chi sia quella che abia tanta scarsità di po/.i per anegarvisi dentro. Dimattina si farà, una sagrationo alla Nuntiatina di molte monache, e S. ra Sc- rafina farà, fare orationo allo dette monache, che allora è come rinasciossino, sì come essa fa senpre per V. S. E., ot li rende li saluti triplicati, sì corno faccio io insieme con mia figliuola o Mess. r Lorenzo. Resti felicemente. Di Fior. 2 ", li X 7bre 1633. so Di V. S. molto 111.® Ecc. ma Àft’. ma Sor.® Maria Ted. 1 V. S. Fi. scusi, cliè per la fretta non so quello abia dotto. Fuori: Al molto 111. et Ecc. ,no Sig. r P.rono Oolend. 1 " 0 11 Sig. r Galileo Galilei, p. mo Filosofo di S. A. S., in In casa Monsig/ 111. 1 " 0 Siena. 2690 *- VINCENZO MARIA PELLEGRINI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Perugia, 10 settembre 1633. crr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 69). 2691 *. PIERLUIGI CARAFFA ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Liegi, 11 Bottcmbro 1633. Cfr. Voi. XIX. Hoc. XXIV, b, 78). 0> VlNCKNZIO IìANDUOOI. 262 13 — li SETTEMBRE 1633. 13692-2694] 2002 *. ONORATO VISCONTI ad ANTONIO IIARBEIUNI in R.a. Vilna. 13 settembre 1688, cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 801. 2r»oo. MATTIA BERNEGGER a GIO. MICHELE UNC.E1£I1EIM in Heidelberg. Strasburgo, 1-1 settembre 1633. Bibl. Civica di Amburgo. Cod. citato ni n.° 2618 — Minuta autografa. Vir amplissime, patrone optime maxime, Hori multa vespera Galilaoum cum Diodati libro 11 curandum Ilauberto'*' tradirli: oom- missurus eidem eram litteras, nisi et fere totus dies frivolis intorpellationibus niihi pcriisset, ot bodie Glasero (,) nostro illas tradi commodins exietimassoni, celerini) fortasso perventuras. Galilaeum, non nisi cum opportunum erit, reni itti peto: facile possimi eo cerere ad aliquot septimanas; totus enim occupor in Indice Suetoniano confici «mio, quo abaoluto (id intra monsoni futurum spero) alterimi illuni laborem ex professo Biiscipinm, in quo praevideo sano remoras ac nodos liaud paucos: nonnihil otinm offendit illa morosa et propria Italis, sed a mathesi, nisi fallor, admodum aliena, pxxpoXoffa. Veruni contentili studii eoutem- plationisque incunditas omnia pervincet Iliems ita trunaibit.... 4 SeptW 1633. 2694 *. PAOLO DELLI TRANCI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Ferrara, 14 settembre 1633. Cfr Voi. XIX, Hoc. XXIV, b. 66). "> Cfr ii.° ‘2665, liti. 3. <*’ IÌUUMKI.MO HaBRKOHT (?). Filippo Ulaser. |4 ' Di stile giuliano. [2695] 15 SETTEMBRE 1633. 203 2695**. GERÌ B0CCH1NERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, ir» settembre 1633 . Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 287-288. — Autografa. Molto Hl. r0 et Ecc. m0 S. r mio Oss.“° Dalli SS. ri Taddoi (1) ot Niccolini, ministri et complimentarli del banco do’ SS. ri Riccardi, riscossi li quattrocento scudi, che essi havevano in mano, di V. S., et ne feci loro quietanza sotto la propria lettera di Y. S., liavcndovi an¬ che fatto la soprascritta. Ho dato conto al S. r Vincenzio di tenerne trecento a sua dispositione, come V. S. mi ha imposto, che serviranno por supplire a’ suoi bisogni et per rimborsare mo. Degli altri cento aspetterò poi che V. S. m’in¬ ponga quello cho io dovo farne: intanto gli ho riposti dove stanno lo scritture recondite di V. S.' 2 ' io Devo ben dirle cho siamo stati gravati per lei, cioè per la decima che io trovo che V. S. s’impose quando acquistò la cittadinanza (3) , che sono circa £ 18 l’anno, cho con le spose ci dicono questi ministri cho se no vanno in tre scudi l’anno; et perchè questo seguì circa 3 o 4 anni sono, il debito però dovo importare da 10 a 12 V di : et per tal somma noi siamo stati gravati. Ci ò an¬ che un altro debito di decima, ma questo devo (credo io) attonere al S. r Vin¬ cenzio. Quando V. S. comprò questa casa dal Bramanti (4) , lasciò di metterla allhora a sua decima, la quale dove importare circa £ 31 l’anno; di tanto £ 31 va debitore il S. r Vincenzio, quanti sono gli anni scorsi fin bora: et di più ci sono li quarti et le spese, ma di queste io ho procurata la grazia per 20 via di memoriali; et in oltre si deve pagare un’annata da vantaggio, doppo clic si sia pagato tutto il debito : et così non finiscono mai le speso nè le trap¬ polo da quattrini. Ma per il tempo che siamo stati in casa noi, ci contentiamo di patir noi questo aggravio, por sollevarne il S. r Vincenzio. V. S. bora comandi so voglia cho si paghi il debito dell’altra sudetta decima della cittadinanza, che tocca a lei, acciò non cresca sempre con nuove essecutioni, sebeno ho procurato cho si sospendino per qualche po’ di tempo con la promessa del sodisfare. Le Monache stanno bene; così mi ha referito questa mattina Geppo, cho è venuto a pigliar de’ fichi et dell’uva dell’orto. Se V. S. non havesse veduto nel suo passaggio per costò, il Cav. re Buona- 30 mici l5) , tornato bora da Roma et chiamato al governo dello Spedale di Prato, <*' Giovanni Taddbi. Cfr. Voi. XIX. Doc. XXXVIII. * 5 > Gio. Fkanoksoo Duonamioi. 15 — 1 fi SETTEMBRE 1633. 264 [2695-2697] io lo no do l’avviso. Quando si Laverà risposta del negozio di V. S. dal S. r Amb. ro Niccolini, io la parteciperò a V. S. Il caldo ha fatto tornare il Gran Duca da Pratolino, et aspettiamo però la pioggia con desiderio et bisogno grande. Questo è il 12 mo giorno dio siamo senza casi di contagio, et si tratta di aprire presto li passi por tutto lo Stato. Et lo bacio di cuore lo mani. Di Fiorenza, 15 Settembre 1633. l)i V. S. molto UL rM et Ecc." ,tt Oblig."' 0 Parente et Sor. r ° Geri Bocchineri. 2000 *. MATTIA BERNEGGER a GUGLIELMO 8CHICKIIAUDT in Tubinga. Strasburgo, 15 settembre 1633. Blbl. Civica di Amburgo. Coti. citato al n.° 2013, car. 95r. — Minuta autografa. .... Galilaeum, iam bis rogatus ab amplissimo Lingelshomio (qui totus Copnrnicanus est), misi nuper ad enni Heidelborgam (,) . Ut primum receporo, habebis a me pagella» aliquot, ot deindo por biemom frustillatim alias aliasquo, qimndoquidoui, id quod valde laotoi’, ndeo henovole promptoquo consolidi laborem in tu recopiati.... 5 Sept.' 5 ' 1U33. 2097 *. GERÌ IÌOCCIIINERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 16 settembre 1033. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. X, car. 289. — Autografa. Molto IU. ro et Ecc. mo S. r mio Oss. m ° Mi rallegro di sentire dalla lettera di V. S. de’ 13, ch’ella stesso ron buona saluto. So il S. r Aggiunti mi pagherà denari per Y. S., li serberò a suo conto; et è bene pensare a proveder del vino, perché questo anno vuole essere assai più caro di quel elio è bora. Non si harebbo a denegare la facilità o dispensa del potere V. S. andare in villa con Mons. r Ill. ,no Arcivescovo ; ma la tempesta non debbo forse esser quietata del tutto contro di V. S., perché il S. r Clan. 00 Clini mi ha conferito i‘» Cfr. n.° 2603. <*' Di stilo giuliano. 16 — 17 SETTEMBRE 1633. 26 5 [2607-2700] questa mattina elio un certo pretino, segretario o cancelliere qui dell’ Inquisi- 10 tore, ha detto che giornalmente vengono di Roma qua et costà commissioni di vedere et d’informarsi se V. S. sia mortificata et so li suoi amici et scolari fac¬ cino conventicole. Però V. S., per dar gusto a chi lo desidera, procuri puro di mostrar apparentemente mortificatione. Il Cav. ro Buònamici, appena giunto qua, so ne andò a Prato, onde non hobbi tempo di domandarli di V. 8. ; a chi havendo io scritto hiersera u , non ho adesso che soggiugnore, et le bacio le mani. Di Fiorenza, 16 Sett. ro 1633. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ma Oblig. mo Parento et Sor. 1 ' 0 Dori Bocchineri. 20 Domani o l’altro partiranno per costà Geppo et Simono suo padre, havendo io procurato hoggi loro le bullette di sanità; ma per quello che sento bora, ohe sono lo 2 di notte, essi incontreranno delle ditlicoltà noi passare nel Sanese. 2698 *. PAOLO AIROLPI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Gonio, 1(» settembre 1083. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b. G7). 2699 *. FRANCESCO CUCCINI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Crema, 1G settembre 1G33. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b. 09). 2700 **. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO iu Siena]. Firenze, 17 settembre 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal.. P. I. T. X, car. 293. — Autografa. Molt’ Ill. re et Ecc. m0 Sig. r o P.ron mio Col.™ 0 Il Sig. r Dino (2) et io rendiamo a V. S. Eec. ma infinite grazie dell’amorevo¬ lissimo offorte, ma quosta lettura di Siena 1 ” paro infatti al Sig. r Dino che Lab¬ bia troppo poco stipendio formo, massime essendo senza speranza di augumonto, m Cfr. n.° 2696. (S| Cfr. u. u 2C8G, li». 29-30. Di.no Peri. XV. 81 17 SETTEMBRE 1633. 200 [2700-27011 o di più vede elio s’incontrerebbe grandissima difficoltò in ottenerla; sì elio si risolvo di voler adoprare il favor della amici e padroni in cosa (li maggior mo¬ mento, o il suo pensiero ò questo: di procurar olio a ino sia data la lettura di Padova, et a lui quella di Pisa. Ter effettuar poi questo suo disegno vuol ado¬ perare il mezo del Sig. r Card. Capponi {1> , il quale poche settimane sono so gli offerse in questo proposito spontaneamente; fa ancora grandissimo assegnamento io nel favor o consiglio di V. S. Ecc. raa , dalla quale desidera di saliere per quale strada ella giudicasse bone V incamminare questo negozio. Tra ’l Sig. r Pioralli o me, vedremo ch’ella resti servita circa’l vino: però non si dia pensiero ; o ’l denaro soprabbondanto della pensione l2) , il S. r Pioralli lo darà al Sig. r Bocchinori. Ho voluto veder so mi riusciva l’adoperar la chiavo elio a questi giorni V. S. ci ha data attissima ad aprire infiniti secreti in materia di spezzamenti etc., e perciò ho tentato di risolver il problema da lei accennatomi: glielo mando ^ acciò veda so io ho preso un granchio. Sto poi attendendo con desiderio grandissimo la sua dimostrazione; e per 20 lino mi raccomando con immenso affetto alla sua da me riveritissima grazia. Fir., 17 Settembre 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Mio fratello è sagrestano della Compagnia di S. Benedetto, o servitore di V. S. Il Sig. r Dino nè anco stasera penso elio potrà scriverle, impe¬ dito da un diluvio di faccende fastidiosissimo. Dov. mo ot Oblig. mo Rer. ra Niccolò Aggiunti. 2701 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Siena. Roma, 17 settembre 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. X. car. 295. — Autografa. Eco."' 0 e molto 111.® Sig. r ® e P.ron Col." 10 Credo cho V. S. molto 111. 8 Laverà intesa la mia longa indisposizione dal Sig. r Masotti ■*’ : bora, per grazia di Dio, mi ritrovo con buono miglioramento del corpo, se bene, quanto all’animo, non ò possibile mai più sperare consola¬ zione. Del tutto lodato Dio. Lett. 2700. 5. incanirebbe — 17. aprire injini secreti — • *> binai Capponi. < 3 > Non ò presentemente allogato lilla lottora. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX11I, 6). <*> Uakpaku.o Maoiotti. 17 SETTEMBRE 1633. 267 [2701-2702] Mi ritrovo il rofo per 1(5 Sig. r0 Monache sue figliuole; ma se non ho sicura roccasione di mandarlo, non voglio che vadia male, chè Dio sa quando la po¬ tessi sorvirc. La supplico fare humilissiraa riverenza a Mons. r Ill. ,no Arcivescovo in nomo mio, e mi scusi se son breve, perchè mi ritrovo con qualche debo¬ le lezza della testa. Li fo riverenza o li vivo servitore di vero cuore. Roma, il 17 di 7mbro 1633. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. ma Dcvotis. 0 e Oblig. mo Sor.™ o Dis. l ° Sig. r Gal.° Don Eenod.° Castelli. Allori, d'altra mano: Al molto 111. 1 '' Sig. r o P.ron Col." 10 11 Sig.‘‘ Galileo Galilei. Siena. 2702 . NICCOLÒ CINI a GALILEO in Siena. Firenze, 17 settembre 1033. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 291. — Autografa. Molto 111.™ Sig. r o P.ron mio Oss. mo Y. S. sarà servita de i sei barili di vino cho desidera dalle Rose u ’, e sarà mio il pensiero di fargli bavero del meglio ; ma l’importanza sta cho io sappia a chi s’ha a consegnare, per far cho lo botti sieno all’ordine, o elio poi sia custodito bene. V. S. liavrà tempo a darmi qualche avviso, poi che non si co¬ mincia ancora a vendemmiare. Resto infinitamento obbligato alla cortesia di Mons. r Ill. mo Arcivescovo, e so si aprano i passi, verrò senz’ altro una volta a reverirlo o goder le delizie dello suo villo ; o voglio farlo mentre che vi sarà, anche V. S. acciò che la noia, clic io li potosse arrecar la mia inutil servitù, sia ricompensata dalla soavità della sua conversaziono. La prego a ricordarmi humilissimo servitore a S. Dl. ma , si come io sono a loi, alla quale per fine con ogni alletto bacio le mani. Firenze, 17 di Sott.™ 1633. Di V. S. molto 111. Dov. m ° Sor.™ Niccolò Cini. Fuori: Al molto TU.™ S. r o P.ron Oss. mo il Sig. r Galileo Galilei. Siena. <0 Cfr. u.° 197G, liu. 5. 2G8 17 SETTEMBRE 1U33. [2703-2704] 2703 *. MARTO OU1DUGOI a GALILEO in Siena. Firenze, 17 settembre 1633. Bibl. Naz. Flr. Mss. Osi., P. I, T. X, car. 2tt7. - Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss." 10 Questa settimana non ho lettere (li V. S., né anche ho inteso che ne abbiano avute altri amici ; cho ci fa tornerò di qualche sua indisposizione. Piaccia al Signore che il nostro timore sia vano. Qua stiamo, per la grazia di Dio, be¬ nissimo, o stamani si è per pubblico bando restituito scambiovolmonto il com- merado per tutto lo Stato, eccetto Val di Calci o dua lunghetti al confino del Bolognese, ne'quali t> ancora qualche residuo di male, cho si va estinguendo. Il S. r Pietro Tacca ò stato et è ancora travagliato da renella; tuttavia mi ha promesso di mandarmi il suo parere por conto della campana non riuscita nel gotto w , o sarà con questa. io È piovuto assai; talché ogni volta clic V. S. avesse grazia di ritornare alla sua quiete, lo potrebbe faro sicuramente. E facendolo riverenza lo prego dal Signore Dio ogni bene. Firenze, 17 di Sett. ro 1(533. Di V. S. molto Hl. ro et Ecc. ma Il S. r Canonico Cini mi ha mandato a dire che ha lettore eli V. S. c cho sta bone; die m'ha liberato da gran fastidio. Non ho poi avuto dal S. r Tacca il foglio pro¬ messomi, o lo manderò della prossima settimana. 20 Sor." Obb. mft e AlT. mo Mario Guidacci. Fuori: Al molto DI.” et Eco. 1 " 0 S. r c P.ron Uss. luo Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. Cfr. Voi. XI] 2704 *. ANTONIO da LENDINARA ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Padova, 17 settembre 1633. «‘1 Cfr. li u.l 2072, 2688. I2705-2707J 17 — 18 SETTEMBRE 1G33. 2G9 2705 *. TOMMASO da TABI A ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Faenza, 17 settembre 1638. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, OG). 2706 *. CLEMENTE ECTIMI nd ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 17 settembre 1033. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, b, GII). 2707 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Siena]. Arcotri, 18 settembre 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, cnr. 281-232. — Autografa. Amatiss.™ 0 Sig. r Padre, Pensavo pure di far una burla a Y. S., facondolo comparir costì il nostro Goppo all’ improvviso; ma, por quanto intendo, il S. r Gori mi Laverà prevenuta con avvisarglielo (1) . Ho liavuto questo desiderio da poi in (pia die ella si trova in Siena; liior l’altro finalmente mi risolvei, e Rieri, por mia buona sorte, andò un bando che contiene la libertà do i passi quasi per tutto lo Stato, che così mi avvisa il S. r Rondinelli, dicendo clic nella sua non ne dà parte a V. S., perchè non si era ancora publicato quando egli la scrisse. Credo elio ella vedrà volen¬ tieri il ragazzo, sì per liaver sicure nuove di noi, come anco minuto ragguaglio io della casa; e noi all’incontro havremo gusto particolare d’intendere il suo ben essere da persona che 1’ Laverà veduta. Intanto V. S. potrà vedere se lia bisogno di qualcosa, ciò ò di biancherie o altro, et avvisarlo, perchè bavero comodità di mandarle sicuro. Quanto alle botti, che ò il principal capitolo della sua lettera al qualo devo rispondere, avanti questa sera ne parlerò con Luca nostro lavoratore, e lo pre¬ gherò che vada a vederlo o lo procuri secondo che sarà di bisogno, perchè in questo negozio egli mi pare assai intendente. ut Cfr. u.° 2697, lin. 20. 270 18 SETTEMBRE 1033. [ 2707 ] Il zafferano, a Suor Luisa et a me ci par perfettissimo, o per conseguenza a buon mercato a 2 lire l’oncia, stante la sua bontà; e noi non rilaviamo mai havuto a così buona derrata, ma sì bone a 4 giulii o 50 soldi. 20 Il lino di 20 crazio la lib. ò buono, ma non credo elio motta conto a pi¬ gliarne a questo prezzo per far telo dozzinali por la casa. No ho consegnato un mazzo alla Piera, dicendoli elio lo fili sottile; vedremo come riuscirà. È ben stupendo quell’altro di 4 giulii, 0 qua ci sono dello monneho che l’hanno pagato tino a mezzo scudo la lib.. di questa sorte. So V. S. co no mandassi un altro poco, faremmo una tela, di soggoli molto bella. La Sig.™ Maria T. m fu qui la settimana passata con la sua figliuola restata vedova, 0 mi disso che adesso più che mai desiderava il ritorno di V. S., ri¬ trovandosi bisognosa del suo favore nell'occasione del rimaritar quella giova¬ notta, havondo la mira 0 il desiderio di darla ad un tale do i Talenti, con il so quale non ha altro miglior mozzo cho quello di V. S. ; 0 se por lettore V. S. credessi di poterli dar qualche aiuto, ella lo desidererebbe. Tanto m’imposo olla eh’ io dovessi dirgli, e tanto lo dico. Gli mando buona quantità di pillole, quello dorate, acciò le possi dollaro, 0 quello in roteilo per pigliarne per sò quando no ha bisogno. Havrò caro di sapore so quello pochi' pasto cho gli mando gli saranno gu¬ state, non essendo riuscito a mia intiera sodisfaziono, forse por il desiderio cho ho cho le cose cho fo per lei siano di tutta quella ©squisitezza cho sia possibile, il cho mai mi riesco. I morsollotti di cedro (che son quelli che sono in fondo della scatola) per lo manco saranno troppo duri por lei, havendogli io fatti su- 10 bito cho V. S. venne a Siena, sperando di poterglieli mandar molto prima cho adesso. Gli raccomando la scatola, perché non ò mia. La nota dello spose cho gli mando, questa volta importa più dell’altre; ma non si ò potuto andar più ritirato. Almeno V. S. vedrà cho Goppo ci fa honoro con là sua buona cera, ot ha penato assai a riaversi da quella malattia che oblio. Lo £ 7 che ho appuntate di elemosina, lo detti per amor della Ma¬ donna Santissima la mattina della Sua natività ad una persona cho si trovava in gran necessità, con condizione cho si facessi orazione particolare per V. S. Se olla se no andrà alla villa, corno spero, in compagnia di Monsignore, potrà con maggior facilità andar tolcrando la lontananza del suo caro tugurio ; 50 sì che, di grazia, procuri «li star allegramente, 0 se gli par cho il tempo spa¬ risca, conio in una sua mi scrisse non ò molto, spariranno anco prosto presto questi giorni 0 settimane che ella deve ancora trattenersi costì, 0 maggioro sarà la sua e nostra allegrezza quando ci rivedremo. XiOtt. 2707. 50. la latitanza — <0 Maria Tedaldi: cfr. n.“ 2GS9. 18 SETTEMBRE 1633. 271 [2707-27081 Gli raccomando il buon ricapito di queste lettere, clic sono di monache nostre amiche, lo quali, insieme con la Madre badessa, Suor Arcangiola o S. 1 ' Luisa, la salutano affettuosamente ; et io prego Nostro Signore che gli conceda il com¬ pimento di ogni suo giusto desiderio. Di S. Matteo in Arcetri, li 18 di 7mbre 1033. 00 Di V. S. Fig> Aff. ,na Suor Maria Celeste. Mi ero scordata di dirgli che Suor Diamante desidererebbe di sapere se costì vi ò della tola da pezzuole, della sorte clic è questa mostra: se ve no fussi, vorrebbe che V. S. gli facessi servizio di farne comprar una pezza ot. avvisar il prezzo, ebe subito ella sodisfarà. Il prezzo ordinario suol esser un giulio, l(j ciazio, o più, secondo clic è sottile; ma adesso in Firenze non ce n’ è. 2708 *. GIO. FRANCESCO TOLOMEI a [GALILEO in Siena]. Roma, 18 scttembro 1033. Bibl. Est. In Moclena. Raccolta Campori. Autografi, B.“ XCI, n.° 121. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. ro o P.ron mio Oss. mo ‘Rimando a V. S. la lettera per il S. r Cav. Buonnmici (l> , quale insalutato hospite è partito eli Roma alla volta di Prato, o credo elio nel passar da Siena sarà stato da V. S. Il Padre I). Benedetto si è rihavuto molto bene, e mi dico di voler scriver a V. S. ogni ordinario: s’clla m’invierà lettere por Sua Pater¬ nità, io volonGerissimo lo recapiterò. Stanno parimente bene i Sig. ri Nardi e Mangiotti (Z) . Scrivo al S. r Primicerio (3) alla lunga sopra i mici interessi, quali credo che aneleranno beilo, sì perchè spero che Monsignore mi favorirà mediante Tintor¬ io cessione di V. S., sì ancora perchè mi pare che la giustitia voglia così. Io starò a vedere il successo, e non crederò mai clic le cose vaclino bene fintanto clic non si risquota il denaro. Con V. S. parlo libero; tenga questo in sè, o mi fa¬ vorisca al solito por sua benignità. E per fine a V. S. faccio reverenza. Di Roma, li 18 7mbre 1633. Di V. S. molto Ill. re et Ece. ma Dev. rao et Oblig. mo Sor. 1 ' 0 Gio. Fran. co ToIonici. <0 Clio. Fhanorsoo Boonamici. <*> Antonio Nardi e IUrkarllo Maoiotti. < 3 > Cristokouo Tolomei: cfr. mi.'2626, 2651. 272 2 J SETTEMBRE 1033, [2709-2710] 2709 ** GERÌ BOOOTIINERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, *21 settembre ÌGIKJ. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., 1’. I, T. X, car. 299. — Autografa. Molto 111.» et Ecc. mo S. r min Oss.™ 0 Sono adesso 2 boro di notte, et ricovo la lotterà lunga di V. S., paro a ino di questo medesimo giorno. Domattina partirò per Poppi, per vedere il S. r Vincenzio, la Sestilia et gli altri, et per aggiustar il negozio della casetta. Mi dispiace della negativa elio t> stata fatta a V. S., et pare anche a me una strana cosa elio si vadia tanto stretto in concedere a V. S. delle facilità.. Se la Corto vorrà a Siena di questo altro mese, come già so ne ragiona, potrà essere che allhora so le conceda la grazia di tornare alla sua villetta, acciò ella non habbia occasiono di vedere li Padroni ; et così se le affretterà il tempo di rive¬ dere lo coso suo. Il S. r Aggiunti et il S. r Oun. co Cini mi hanno detto che serviranno V. S. del vino, conforme a che eli’lia ordinato. Lascorò ad Alessandro“ li V di 50 che V. S. chiedo, acciò glieli rimetta nel miglior modo elio si possa; et al ritorno vedrò quello elio si potrà fare in proposito dello sdecimarsi 111 : non si potrebbero credere, se non da chi li prova, li gran ninnoli elio ci sono por cavar denari. Et in fretta bacio le mani a V. S. Di Eiorenza, 21 Sott. ro 1033. Di V. y. molto 111.” et Ecc."'-‘ Oblig.*" 0 Parente et Sor.” Ceri Docc. ri 2719 *. GIO. MICHELE PIÒ ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Milano, 21 settembre 1633. Cfr. Voi. XIX, Doo. XXIV, l, 68). Alessandro Bocohinf.ri. <*» Gir u«° 2695. [ 2711 ] 22 SETTEMBRE 1633. 273 2711 *. ORAZTO GRASSI a GIROLAMO BARDI [in Pisa]. Savona, 22 settembre 1033. Arch. di Stato in Roma. Carte del Monastero di S. Pautaloo, sec. XVII. — Autografa. Molto 111/® Sig. or mio e Pad. n ® Oss. mo Dalla lettera eli V. S., da me ricevuta Palti*’hieri, scorgo quanto gran concetto ella Rabbia delle cose della Compagnia nostra, poiché anche le cose mie rimira con occhio sì affettuoso che lo paiono di qualche stima. Il Sig/ Galileo, che forai non ha l’istesso affetto verso la Madre, non è meraviglia so, rimirando le cose del Figlio con occhio più spas¬ sionato, si ride di quelle e le stima da niente, conio lo stimo anch’io. Resto ben obbligato alla cortesia di V. S., elio si sia degnata tener di me quella protezione la quale poro non meritavo. Quanto alli disgusti del Sig/ Galileo, gli dico sincerissimamonto elio n’ho sentito IO grandissimo dcspiacere, perchè gli ho sempre portato assai maggiore adotto di quello elio si sia degnato egli portare a me ; et essendo stato richiesto in Roma l’anno passato elio cosa mi paresse del suo libro intorno al moto della terra, procurai con ogni sforzo mi¬ tigare gli animi inaspriti verso di lui e renderli capaci dell’ eflicacia degli argomenti da lui apportati, tanto che si meravigliarono alcuni come io, stimato da essi offeso dal Sig/ Ga¬ lilei o per tanto forsi poco ben affetto, parlassi per lui con tanta premura. Ma egli si è rovinato da sò stesso, con invaghirsi tanto del suo ingegno e col non fare stima alcuna degli altri; o però non si meravigli se tutti conspirano a’danni suoi. L’autor del libriccioìo W, insieme col P. Calmo < 2 >, sapranno render buon conto di sé stessi. Le opere o risposte del 8/ ChiaramenteW, io non l’ho vedute, e, quando bene le 2 ft havessi lette, poco buon giudice uc potrei essere; come manco mi son posto ad esaminare i calcoli dal S/ Galileo posti ne’suoi Dialoghi. Ben mi parrebbe cosa strana, che questi bevesse con tanto ardire pronuntiato contro l’altro cosa elio sì facilmente si potesse di¬ mostrar falsa. Con tutto ciò alle volte i più arditi prendono più granchi.... Niccolò Carri. < 3 > Cfr. n.° 2326. XV. 35 22 — 24 SETTEMBRE 1633. [ 2712 - 2718 ] 274 2712 . (110. MICHELE LINGELSHEIM ft MATTIA BERNEGGER [in Strasburgo]. Heidelberg, 22 settembre U>33. Bibl. Civica, di Ambnrjro. Supollex opistolicn Uffonbacbli otWolfiorum, Folio-IJand XVI, car. 41.-Autografa. Vii- Clamai me, I^luprechtus< ,, recte mihi roddidit Galilnnum oum Ilerborto. Ingentes tibi gratina Imbeo de hoc officio. Sunimo cum desiderio evolvo Ualilaeuni, qui mihi por oumia satisfacit. Sed certe pudet me, interrupinse tuas in (lalilaeum curila. Remittam omnia, ut primnm uactua fuero cortatu coni mod itatelo .... Ber complures dica in languore fui et dolorilms ex delusione in humormn siniatruni, quao permoleata fuit in manu et articulis. Lectio lìalilaei plurimmn inibì molestine oxemit, quod lovamen tibi uni dobeo.... lloidelbergao, 12 Septd*» 1633. 2713 **. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Siena). Fironze, 24 aettembre 1033. Bibl. Nai. Flr. Mhb. dal., P. I. T. X, car. 305. — Autografa. Molt’ Ill. ro ot Ecc . m0 Sig. r o P.ron Col . 11,0 Circa T negozio Patavino 14 sentirà a pieno dal Sig. r Peri quanto occorro. Ho letto la sua dimostrazione, la quale mi è piaciuta in estremo, por esser chiarissima, brevissima e speditissima. Non harei ardito di rimandarle la mia; ma perchè olla ha voluto farmi questo honore di richiedermela, gliola rimando C5! con mille ringraziamenti, pregandola però a non voler rompersi più il capo su le mio dappocaggini. Ilo corretto in duo luoghi il medesimo errore di haver messo un b in cambio di un c, ohe era quollo cho poteva partorire oscurità. V. S. scusi l’imbecillità e mula disposiziono del mio utoro, so col some della sua buona dottrina partorisco sconciature, chè tale è veramente questa mia a io paragono della sua ottimamente organizata o perfetta dimostrazione. V. S. at¬ tenda ad arricchire la buona filosofia di simili speculazioni, o si assicuri cho in queste sue avversità, appresso quollo persone il credito dello quali violi da lei stimato o desiderato, olla non solo non ha perso, ma si è sommamente accre¬ ditata, haveiulo dimostrato che il vigor dell’animo suo non è minoro del vigor del suo intelletto divinissimo. <•' Guoi.inr.MO II av.recht. <*> Cfr. li.» 2064, lin. 5. < 3 > Di stile giuliano. i»i Cfr. n.» 2700. <*' Non ò presou tomento allogata. 24 SETTEMBRE 1633. 275 [2713-2715] A Dio, Sig. r Galileo; mi conservi la sua benevolenza, la quale vien da me pregiata sopra qual si voglia preziosissimo tesoro. Fir., il dì 24 7mbre 1633. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,n:l Dov. mo et Obblig. mo S. ro Niccolò Aggiunti. 2714 **. ALESSANDRO BOCC11INER1 a GALILEO in Siena. Firenze, 24 settembre 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 308. — Autografa. Molto Ill« S. r mio Oss. mo Tre giorni .sono, Geri mio fratello partì per Poppi, dove, secondo il disegno, si tratterrà ancora due altri giorni; et havondomi lasciato 50 V di da mandarsi a V. S. per la prima occasiono, gli ho consognati al S. r Vincenzio Mainar di, olio viono costà giudice ordinario et parto posdomani: et con detti danari vi è una mia lettera in accompagnatura, l’orò V. S. procurerà di riscuoterli, et avvisar¬ mene la ricevuta. Et con dare a Y. S. nuova della buona saluto di tutti, resto io baciandole cordialissimamente le mani. Da Fironzo, 24 Sett. ro 1633. Di V. S. molto Ill. Pe Devot." 10 Sor.™ e Parente Alessandro Boccliinori. Fuori: Al molto Pl. ro S. r mio P.ron Oss. mo D S. r Galileo Galilei. Siena. 2715 *. MARK) GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 24 settembre 1033. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 31. — Autografa. Molto lll. r ° et Ecc. n ‘° S. r e P.ron mio Oss.mo In questa settimana ho ricevuto ambedue le lettere di V. S., o con l’ultima la dimostrazione promessa con l’altra, che dovevo ricevere antecedentemente, la qual dimostrazione ò in mano al S. r Andrea Arrighotti ; e perchè non gli pare di averla intesa sufficientemente, non ino l’ha rosa. Il S. r Niccolò Aggiunti me 1’ ha dimostrata, e, se io non erro, è quasi la medesima cosa con la dimo¬ strazione di V. S. Dico, se io non erro ; perchè non ho avuto tompo di vedere 276 24 SETTEMBRE 1033. [2715-2716] quella di V. S., ckè avendo avuto lo lotterò por la via ot essendomi soprag¬ giunto il S. r Andrea, volse elio io gliela lasciassi, non avendo avuto tempo a finirò (li leggerla, nonché a studiarla. Il S. r Andrea scrive a V. S. da per sò l4 ’, io o lo manda la prima dimostrazione. Circa alla campana (,) , dal Tacca non ritrassi cosa di molta sostanza, perchè lo suo considerazioni mi paiono circa a coso comunissime, avvertendo elio la forma abbia i suoi sfiatatoi bono aperti, o elio dalla fornace non escano ma¬ terie grosse elio possano impedirò il corso al metallo, ot in oltre elio la bocca o canna della fornace sia più tosto minoro elio egualo al condotto (lolla campana, o di più che la forma sia senza punto di umidità.; avvertimenti tutti, elio egli medesimo confessa che chiunque fa professione di gettare metallo gli suole avere. Mi dispiace elio Monsignore non abbia ottenuta grazia di condurla un poco in campagna, argomento elio tanto mono possiamo sperare di riaverla qua presto 20 in Arcotri. Sia fatta la volontà, del Signoro, 0 accettiamo ogni mortificazione volentieri, come dalla Sua divina mano. Qui si seguita nolla recuperata sanità.. E per tino facondo u V. S. reverenza, le progo dal Signoro Dio ogni felicità, 0 contento. Firenzo, 24 di Sott. 1 * 1633. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. nw Il S. r Andrea Arrighetti mi avova dato una lottora por V. S., ma ha poi rimandato a pigliarla dopoché il S. r Aggiunti è andato a trovurlo. Aff. mo 0 Obb. mo Sor.™ 30 Mario Guiduoui. Fuori : Al molto Ill. r * ot Ecc. mo Sig. r 0 P.ron mio Oas. iao li Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2716. DINO PERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 24 settembre 1633 . Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. X, car. 301-802. — Autografa. Molto 111. 1 * et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col." 10 La morte di mio padre m’ha mosso in fastidi grandissimi: i miei fratelli non vogliono e non possono esserci a parte; 0 io, por compassiono, mi trovo «u Cfr. u.° 2718. <*> Cfr. nu.l 2072, 2688, 2703. 1HH 24 SETTEMBRE 1633. 277 [ 2716 ] tutto il peso raddosso, con tanto tormento per vedermi immerso in cosacelo alie¬ nissime dal mio genio, elio se non fosse la speranza ch’i’lio di ridurre il governo di tutto le coso nostre a tal facilità eli’ ognun de’ miei fratelli con pochissima briga potrà amministrarlo, et io in conseguenza potrò tornare alla mia libertà ot a’miei stridii, se non fossi, dico, questa speranza, credo senz’altro ch’i’m’elcg geroi di non vivere, tanto mi pare strano questo modo di vivere. Intanto, per io trovarmi, doppo l’accomodamento do’ncgotii di casa nostra, accomodato ancora di qualcho occasiono sussidiaria per i miei studii e’ mici bisogni, havovamo pen¬ sato alla lettura di Siena 111 , tutta volta che lo stipendio potessi salire a segno sì elio e’mi mettessi conto il partirmi di casa; ma l’haver qua inteso ch’egli c poco o terminato, ci lia fatto rivolger la mira a Padova, dove ci credevamo elio la lettura fosse vacante, non havondoci mai V. S. Ecc . 1 " 11 dato nuova o messo dubbio in contrario. Ma adesso li abbi amo presentito, per quel che si ò cavato copertamente di bocca a persona della parte persecutrice, come 16 mesi sono vi leggeva un tale Argoli (2) , huomo vecchio, ma freddo, per giuditio di detta persona che s’abbattè por curiosità a entrar una volta a sentirlo. Plora io mi 20 son molto maravigliato, che doppo Pinformationi seguite già de’meriti grandi del Sig. r Niccolò (3) , e doppo i trattamenti sin della provvisione senza trovar ostacolo, sia stato occupato il luogo, e senza saputa eli Y. S. Ecc. intt ; sì clic si potrebbe dubitare che quell’Argoli vi fosse stato messo per a tempo o corno sostituto, e infatti non fosso morto il negotio nostro. Però, volendocene accer¬ tala}, si è conferito il pensiero con alcuni gentillmomini confidentissimi di V. S., por veder se fra tutti c’era chi no fosse informato o havessi domestichezza por informarsi a pieno da questo Residente 14 ; o perchè il Residente non ne sa nulla, si scrive stasera por mezo di terze persone, a un Canonico di Padova, che fa¬ vorisca quanto prima di puntual ragguaglio. Ma per havorlo fedelissimo e senza so alcuna eccettiono, c per intender molti particolari che potessin ravvivare il ne¬ gotio (caso che l’Argoli non stesse bone in piedi, o fusse mancato per qualsi¬ voglia causa), prego V. S. Ecc. ma a scriverne subito a E. F . 151 o ad altri ch’ella giudichi più a proposito, perchè qui si tratta dell’accomodamento di duo amici, tra di loro amicissimi e servitori devotissimi di V. S. Ecc. ,na la quale ci ha un altro interesse ancora, stimato assai da tutti questi Signori : cioè clic la scuola del Sig. r Galileo, ancorché tanto perseguitato, risegga, a dispetto dell’invidia, in tutti i principali Studii d’Italia. Hora io non vorrei che questo negotio dor¬ missi più, e non vorrei ch’ella rispondesse « Dite quel che volete eh’ i’ scriva, ehè tutto scriverò », ma la supplico a pensar ella da sè stessa al modo di risve- 40 gliarlo. E per concluderlo poi interamente e con ogni vantaggio, posso sperarmi (») Cfr. nn.i 2686, 2700. <*> Ammira Akgoli. (8) Niccolò Aggiunti. O» Pier Antonio Marioki. 15) Fra Fulgenzio Mioanzio. 278 24 SETTEMBRE 1633. 1.27161 favorevolissimo il Sig/ Cardinal Capponi 10 , sotto la cui protettone vivo ab an¬ tiquo obligatissimo, liavendomi egli tenuto da fanciullo parecchi anni a Bologna nel Collegio do’ Nobili con suo dispendio di parecchi centinaia di scudi, doppo l’haver fatto mille lionori a mio padre; e bora ch’egli ha potuto esperimentaro di non haver protetto un pezzo di legno, s’ ò rallegrato assai, o doppo 1* havermi obligato maggiormente col tenermi appresso di sò con tutti gli lionori o con tutti i miei commodi, mostra pensiero di moltiplicarmi gli oblighi col favorirmi della sua protettone por vedermi impiegato dove io desidero; o il desiderio mio, giù. ho detto più volto osser d’una lettura di mattematicho in qualche Studio. Di modo che, non ci essendo modo di aiutar mo senza aiutar il Sig. p Niccolò, co pregherei S. Eminenza a porger principalmente aiuto al Sig. p Aggiunti, o tanto più caldamente, quanto che, por ossor noi amici strettissimi, io sentirei contento estremo d’ogni miglioramento del Sig. r Niccolò, quando bene non fosse per so- guirmeno il luogo di Pisa. È ben vero, per quanto mi dicono tutti questi Signori, che la cattedra di Pisa non mi potrebbe esser tolta, e che il favore del Sig. r Car¬ dinale andrebbe poi adoperato non por liavor la lettura, ma per avvantaggiarmi nello stipendio. Si potrebbe ancora incamminar il negotio a dirittura per met¬ termi in Padova, c giù, il Sig/ Cardinale iatosso mi domandò s’i’ci baverei at¬ teso; ma perché il Sig/Niccolò ed io siamo una cosa istessa, devo considerare donde possa proceder maggior emolumento, dalla somma che risultasse dall’essor fio egli a Padova e io a Pisa, o da quella che no venissi dal suo star a Pisa e io a Padova ; e credendo noi che assai più vantaggioso fusse quello che questo stato, giù. che io, levato, corno si dice, da sedere e d’otio, non potrei aspirare a quel cho potrebbe il Sig. r Niccolò, come lettore di parecchi anni, riconosciuto di notabili provvisioni e adorno di quella facondia latina che V. S. sa, risol¬ viamo d" accomodarci l’un l’altro con questa permuta. Non ho giù. trattatone strettamente per ancora col Sig/ Cardinale, per esser il negotio non ben maturo, anzi acerbo affatto, quando dalle relationi, da haversi por mozo di questi Signori e di V. S. Ecc. ma , venga troncata por un pezzo la speranza di sentir vacante la cattedra di Padova. 70 Conosco d’haver trattenuto troppo a lungo la mente di V. S., destinata dal Cielo a contemplationi miracolose, e veramente sento una repugnanza estrema nell’aggravarla di siimi brighe; però, di gratia, mi conceda scusa o perdono. Viva miir anni V. S. Eco/*' 1 e con quella quiete e prosperità che tutto il mondo dovrebbe desiderarle. Fix." 24 7bre 1633. Di V. S. molto 111/* et Ecc. ma Oblig. mo o Dovotiss. 0 S. re Dino Pori. i*i Luigi Capponi. 12717-2718J 24 — 25 SETTEMBRE 11)33. 279 2717 *. MATTIA NALDI a FABIO CHIGI in Roma. Siena, 24 settembre 1633. Bibl. Ohlgriana In Roma. Ms. A. II. 51, car. 456. — Autografa. -Il Sig. r Galileo ni trattiene anche in casa (li Monsig/ Arcivescovo, in deposito n l’arbitrio di Monsignore, finché sia dato al tr’ordine. Fu sospesa l’opinione che egli tiene dell’improbabilità del moto della terra e del sistema solare del Copernico, e finalmente è venuta dannata l’opinione del sistema, et il resto è in discussione. Egli la mastica male a fatto, sì por essersi dovuto intender prima che stampasse, come per haver non dato fuore alle stampe con le solite circostanze. E veramente non affermando cosa alcuna, ma passandosela per dubitationi, non pare che venga a ferire alcuna determination sacra, ma inferma solamente le ragioni d’Aristotele e scuopre i paralogismi del medesimo, circa l’eternità del cielo e corni ptibil ita della terra assai concludentemente, ma circa il moto lo della terra con più acutezza che dottrina, e da’suoi discorsi si cava più ignoranza che scienza. Pur di là non escono so non sante determinationi, e bisogna che egli habbia patientia.... 2718. ANDREA ARRIGHETTI a GALILEO fin Siena]. Firenze, 25 settembre 1(533. Dal Tomo II, pag. 710-713 (lell’odiziono citata noli’informazione premessa al n.° 1201. Molt’lll. Sig. mio Osserv. Firenze, 25 Settembre 1633. Non ho potuto far di meno di non obbedire a quol tanto ebo dal Sig. Mario Guiducci (1) por sua parte mi ò stato commesso circa quol poco di studio che aveva fatto intorno alla sua prima proposizione di meccanica, mandata qua da V. S. al medesimo Sig. Mario; quale, insieme con alcuno altro dimostrazioni da essa dependenti, sarà in piè di questa. Son sicuro che vedrà il tutto corno cosa fatta per mio trattenimento, scusando se vi Risse qualche debolezza e so, non l’avendo dipoi più riviste, anco nel copiarle mi scappasse qualche passa¬ lo rotto, e por conseguenza non potessero stare a martello. So sentirò che non ci abbia difficultà, e che queste non sieno convinte di falsità, mi affaticherò in¬ torno all’altra mandata ultimamente, non essendo fuor di speranza che si possa ritrovare anco in altra maniera la grossezza del proprio solido, unico ancor esso <*) Cfr. u.° 2715. 280 2f> SETTEMBRE 1633. [2718] fra tutti i suoi simili, tanto montro il suo momento sia superiore alla resistenza della sua base, quanto mentre segua il contrario. Non mi affaticherò in condolermi seco de’ suoi travagli, sapendo olla be¬ nissimo quanto dova partici panie, mediante gl’intini ti obblighi che lo professo. Del resto confermo a V. S. la mia osservanza, pregandola a ricordarmi servitore d’infinita obbligazione a Monsig. Illustrissimo ed a conservarmi la sua buona grazia. Poscritto. Dopo aver serrata la lettera mi son risoluto a mandare a V. S. 20 anco la dimostrazione doli’ultima sua proposizione, la quale sarà aggiunta in fino di questa. E di nuovo la riverisco, aspettandone il suo parere. Dato un prisma 0 cilindro di materia grave e frangibile od omogenea in ciascuna sua parte, qualo aia sostenuto in mezzo o Bivvero in una o in ciascuna delle sue estremità, dico elio coll'andare allungando il detto solido si ridurrà u egn«*. che mediante il suo proprio peso ai spezzerà nel punto dova sarà sostenuto, o sivvero in mezzo quando sarà sostenuto in ciascuna delle suo estremità; e se il detto solido si andrà ingrassando, con¬ servando la medesima lunghezza, quanto più si andrà ingrossando, tanto più sarà abile a sostenere altro peso oltre il suo proprio; 0 che Ira gl’infiniti solidi simili ni dato so¬ lido, un solo è quello che è ancipite fra la fragilità e la consistenza, sicché ogni poco 80 che sieno maggiori di quello si spezzeranno, e ogni poco che sieno minori saranno abili a sostenere, oltre il lor proprio, qualche altra quantità di peso. Sia il dato solido A B, sostenuto in mezzo nel punto C: dico che coll’andarlo allun¬ gando seguirà quanto si ò detto di sopra. Allunghisi fino in E F, sicché il punto C sia £ ^ I) B F 80ra P re » n mezzo. Perché dunque nel’allun¬ gare il detto solido la base bì conserva sempre l’iatosaa, si conserverà anco la medesima resi¬ stenza nel punto G; ma la facilità del superaro tal resistenza va crescendo mediante l’allunga¬ mento dello D F, 1) E, siccome cresce anco il 40 momento che resulta dalle gravità de’ suddetti solidi P F, 1* E secondo che si accrescono i suddetti solidi; no seguirà che il «lotto solido EF si spezzerà mediante il suo proprio peso. Accrescasi il solido A B per la sua grossezza fino in E F, conservando la medesima lunghezza: dico che seguirà tutto il contrario, cioè che oltre al suo proprio reggerà qualche altro peso. Perciocché coll'oc- crescere il detto solido, la resistenza alla resistenza ò come la base D G alla base (ì (’, cioè come il solido A li al solido E II, cioè come il momento del Bolido A II al momento del so¬ lido Eli; ma la differenza nel superare tali resistenze si accresco tanto, quanto si accresce la C ( r, mentre stia forma 50 la lunghezza AB; adunque seguirà quanto si é proposto. (j F D G A G Lett. 2718. 38. nel peto C — 2ó SETTEMBRE 1633. 281 [ 2718 ] Hico di più, che facendosi altri solidi simili al’A B, fra gl’infiniti che si posson fare un solo ò quello che ò ancipite fra la fragilità e la consistenza, sicché quanto saranno maggiori di quello, più facilmente si spezzeranno mediante il lor proprio peso, e quanto saranno minori, tanto più saranno abili a sostenere qualche altro peso oltre il loro proprio. Sia il solido A B nello stato suddetto, e facciami i solidi EF, GII simili al’A B, cioè E F maggiore, e G li minoro. Perché dunque le resistenze elio si fanno in G1), CO KL, MI hanno fra di loro la proporzione delle basi CI), KL, MI, ed i momenti de’ solidi A 13, E F, G li hanno fra di loro la proporzione de’ medesimi solidi, cioè de’ cubi delle medesime CD, KL, MI, e lo facilità del superare tali resistenze si conservano in tutti le medesime, ne seguirà, come si è proposto, che sempre il solido maggiore si spezzi in K L, ed il minoro sia abile a sostenere qualche 70 altro peso, oltre il suo proprio, e che A B sia unico in tale stato, come si ora proposto; ed il medesimo seguirà mentre dotti solidi sicno sostenuti in una, o in ciascuna, delle sue estremità. Di più, volendo ridurre il solido E F di grossezza tale, cho conservandolo della me¬ desima lunghezza E F sia nel medesimo stato del solido A 13, e sia ancor egli unico in tale stato fra tutti i solidi a lui simili, basterà (servendosi della passata figura) trovare la terza proporzionalo delle duo D C, K L, quale sarà il diametro della baso dui cilindro cho si cerca. Perciocché il momento del solido A B al momento del solido E F ha tripli¬ cata proporzione della DC alla KL, o la resistenza che si fa in CD alla resistenza che fa in KL l’ha duplicata della proporzione della medesima DC alla medesima KL, 80 per esser solidi simili ; ed il momento del solido E F al momento del solido ritrovato (per esser della medesima altezza) ha duplicata proporzione della D C alla K L, e la re¬ sistenza del medesimo EF alla resistenza del solido ritrovato ha triplicata proporzione della D C alla lv L; adunque, tanto quanto la proporzione della resistenza del solido A 13 alla resistenza del solido EF ò minore della proporzione del momento del solido AB al momento del solido E F, tanto la proporzione del momento del solido E F al momento del solido ritrovato è minore della proporzione della resistenza che si là in K L alla re¬ sistenza che si fa nella base del solido ritrovato; adunque la resistenza del solido A13 alla resistenza del solido ritrovato, cioè quella che si fa nelle lor basi, avorà la propor¬ zione del momento del solido AB al momento del solido ritrovato; adunque il solido yo ritrovato sarà nel medesimo stato del solido AB; ed il medesimo seguirà mentre il mo¬ mento del solido AB alla resistenza che si fa in CD abbia qualsivoglia altra data pro¬ porzione maggiore o minore, oliò sempre il solido ritrovato sarà unico in tale Btato Ira tutti i solidi a lui simili. XV. so 282 25 SETTEMBRE 1033. |2719] 2719 *. BENEDETTO M1LLINI a GALILEO in Siena. Ruma, 26 «ettombre 1638. Bibl. Rat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.» 64. ~ Autografa. Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. rB o P.ron mio Osa.® 0 Per trovarsi il nostro Sig/ Tolomoi 11 indisposto del suo mulo solito, elio l’ha travagliato por sei giorni, ho preso io quest’ardire di sc.rivoro a V. S. o darle nuova di duo servitori suoi, tanto veri e di cuore come professiamo d’es¬ serlo il Sig. r Tolomoi ot io. Esso ricevò la gratissima di V. S. de’ 21, coll’inclusa pel I\ I). Benedetto Castelli, la quale fu ricapitata Ineri al tardi ; o la ringratia minutamente di quello cho V. S. opera por lui co ’1 Sig. r Primicerio ( *', con cui lo prega a fare sua scusa se non gli scrive, poiché P mdispositiono sua no T permotto por bora ; a suo tempo il farà., con ringratiare sua Sig.”* R. m& dcdla prontezza o del de- io siderio che mostra di spedire con ogni favore i suoi negotii, conoscendo bollis¬ simo il Sig. r Tolomoi di non poter migliorare in cotesta causa di guida o di protettore. Prego V. S. a voler rappresentare al Sig. r Primicerio questo sonso del Sig. r Tolomoi, e conseguentemente l’obligo cho deve a S. S. rlA It. ma Que- st’altra mattina esso medesimo scriverà, a V. S., e supplirà meglio alla dichia¬ razione del suo sentimento, llieri mattina prese una medicina leggerissima, la quulo gli sgombrò ogni cattivo humore dal corpo, si che per bora non gli ò restato altro che una fiacchezza di testa, effetto .susseguente allo modicino. Con¬ tinua la sua purga, con fermissima speranza di toglier via la radice del male, bora che si è scoperta. 20 Sig. Galilei mio Sig. 1-0 , io ricevei la cortesissima di V. S. ; non scrissi di poi por non toglier il tempo a V. S. per legger le mie baie, eh’ io so bene cho ne’ pari di V. S. il tempo è protiosissimo e per conseguenza devo ossoro sposo con molto profitto. Non ò per questo ch’io non le sia quel vero servitore cho meritano le virtù sue, o eli’ io non mi conosca in obligo grandissimo della cor¬ tesia elio m’usa; così fuss’ io buono a servir Y. S. ot potessi godor con la pre¬ senza la sua dottissima conversatione. Presto uscirà la Costanza o Celia (4) , venendomi lodata da V. S. Ecc.’ nix , comparirà un giorno ancor essa da sposa. <*> GlO. FrtANCKBOO Tot.OMEI. < 3 > ClUSTOKOKO ToMIMKI. <») Cfr. 11 .» 2819, Un. 30. <*’ k il titolo d'un’ultra composiziono dramma¬ tica del Millisi, ricordata nolia dedicatoria della c'otlanxu: cfr. u.» 2619, Un. 30. [2719-27211 25 - 27 settembre 1633. 283 Questi Sig. ri Eccellentissimi Borghese lZI sta in transito. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Oblig. ,no Sor. di cuore Boned. Millino. Fuori: Al molto 111. 10 et Ecc. ,no Sig.' 0 P.ron Oss."' 0 il Sig. r Galileo Galilei. 40 Siona. 2720 *. ...., Vicario del Sant'Uffizio in Siena, ad ANTONIO UAllBERINI in Roma. Siona, 25 settembre 1088. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 64). 2721 . GALILEO ad ANDREA ARRIGHETTI [in Firenze]. Siena, 27 settembre 1688. Dal Tomo IT, pag. 718-714 doli’edizione citata nell’informazione premessa al n.» 1201. Molt’Ill. Sig. Pad. Colend. Di Siena, 27 Settembre 1033. Il gusto col quale ho lette e rilette le dimostrazioni di V. 8. (3) è stato maggiore della maraviglia: quello, cioè, grandissimo per la sottigliezza dell’ invenzione, e questa minore assai per esser opera dell’ingegno del Sig. Andrea Arrighetti ; e l’ultima in particolare mi ha tenuto un pezzo confuso, sì per l’insolita testura, sì per la mia consumata memoria, nella quale non prima s’imprimono i fan¬ tasmi che si cancellano. Serva questo, detto incidentemente, per avviso io a Y. S. di speculare mentre è giovane. 11 progresso di V. S. è mae¬ stoso e 8’innalza sopra il comune geometrico, in certo modo come <*> Francesco o Caterina Niooomni. **• Scipione Bohqhe.sk. Mori il 2 ottobro 1638. < a > Cfr. u.o 2718. 284 27 SETTEMBRE 1633. [2721-3722] il metafìsico sopra il puro fìsico, mentre, trattenendosi V. S. tra uni¬ versali astratti, par che sdegni il articola reggi are e di trattare con altre persone che colle molto profondate in questi studi. Replico a V. S. che ne ho preso gusto grandissimo: e quando ella non Sde¬ gnasse che io soggiugnesse questa sua dimostrazione a quella elio ne arreco io nel trattato che ho per le mani, mi sarebbe gratissimo; sebbene, per renderla apprensibile anco a i mediocremente intelligenti, abbassando alle mie pianure, ma veramente con qualche scapito della maestà alla quale V. S. l’innalza, la concluderei nel seguento modo: 20 Le resistenze 1 ), K son tra loro come i quadrati D, K, cioè come i quadrati K, M, cioè come i prismi E, X, cioè come i momenti E, X ; le resi¬ stenze K, M, come i cubi K, M, cioè come i cubi D, K, cioè come i prismi A, E, cioè come i momenti A, E ; adunque, per la per¬ turbata, le resistenze do’ prismi I), M son tra loro come i momenti A, X : e però i mede¬ simi prismi sono in stati simili. Per quanto appartiene a me medesimo, posso dire che la genti- so lissima conversazione di questo mio cortesissimo ospite mi solleva notabilmente, e l'occupazione che Dio mi dà intorno a varie con¬ templazioni mi divertisce assai la monte; e sopra tutti i conforti, il creder che V. S. e gli altri amici e padroni cari mi continuino la lor grazia mi rondo moli grave ogni mia afflizione. 2722 *. NICCOLÒ FABIII DI PEIRESC a PIETRO GÀSSENDI in Digno. Aìx, 27 settembre 1633. 3ibl. Nazionale in Parigi. Tonda fruiifais, n.° 12772, Lettros do Peirosc k Uauondl, car. 91. — Autografa la firma. . ne s > vous n’estiez point encore icy lors quo je receuz un potit livre in 4", imprimé à Pise contro le pauvre Galileo, d’nn Claudius Berigardus^, qui ostoit demenró confondu depuis son arrivée jusques à cotte heure. Si voub trouvez bon, je vous 1 envoyeray, m’imaginant tousjours que vous l’ayez veu, car sans cela je le vous envoye- rois tout à costo heure; bien que jo no penso pas que voub y trouviez grand gouat, car je u’ay pas eu la patience d’en lisro grand cliose .... Cfr. n.o 2711. [2723-2724] 27 — 28 SETTEMBRE l(i33. 285 2723 *. TIBERIO SIN1BALDT mi ANTONIO BARBERINI in Roma. Risa, 27 settembre 1688. Cfr. Voi. XIX, Doo. XXIV, b, 7G). 2724 . VINCENZIO GALILEI a [GALILEO in Siena]. Poppi, 28 settembre 1033. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I. T. X, car. 307. — Autografa. Molt’111.™ Sig. r Padre Oss. mo Dal Sig. r Geri mio cognato, che è stato qua da me quattro giorni, mi è stata rosa la gratissima sua del dì 4 stante, dalla quale ho riceuto consolazione grandissima, venendomi da lei confermato quello elio mi veniva rappresentato dal detto Sig. r Geri e che mi figuravo dentro di me, cioè elio la malvagità do’ suoi persecutori sia scoperta o nota a tutti, onde ritorna in loro il disonore che con tanta malignità li procuravano; e sto con ansietà di sentir da lei a bocca tutto il negozio come sia passato, che doverà esser in breve, sperando io elio quanto prima ella deva ritornare a casa sua. io Dal medesimo mio cognato mi vien detto che di già ha riceuto i 300 scudi che V. S. ha ordinato pagarglisi per me, do i quali egli me ne ha portati cin¬ quanta per i miei bisogni ; e degli altri, parte ne piglierà por suo rimborso di quante li devo e parte spenderà in estinzione di altri miei debiti, et il resto applicherà nella compra della casetta alla nostra contigua, come s’ è rimasto d’accordo con V. S., quale ringrazio con tutto il cuore di tanto bene cho mi fa, eh è veramente senza il suo aiuto malamente potrei andare manzi per il poco utile die cavo di questa mia Cancelleria, o massime da non so che mesi in qua. Quando al suo ritorno ella potrà venir da noi, ci sarà di somma consolazione; però di grazia, potendo, procuri di darci questo contento. Con clic li bacio cor- 20 dialmonte le mani, salutandola in nomo della Sostilia e pregandoli da Nostro Signore ogni felicità e contento. l)i l’oppi, li 28 di Settembre 1G33. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Aff.° Figliuolo Vincenzio Galilei. 286 28 — 30 SETTEMBRE 1033. [2725-2728] 2725 *. VINCENZO Inquisitolo di Pavia, ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Pavia, ‘28 settembre 1033. Cfr. Voi. XIX. Doc. XXIV, b, 77, a). 2726 *. riETRO Inquisitore di Cremona, ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Cromoun, 28 settembre 1033, Cfr Voi XIX, Doc. XXIV, b, 70). 2727 *. GUGLIELMO SCHICKHARDT a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Tubinga, 29 settembre 1633. Dalla pag. 187 doll’opem citata al n.® 2683. Praeclariss. l)n. Berneggere, fautor honoratiaaime, Gratias ago prò Diodati litoriB. Iucundisairaum fuit ex ipsomet cognoacere fatutn Galilaei.... Gallica intelligo ipse, ut et italica et hiapanica, iam a docem anni». Nihilominua DD. Beaoldo et Lattaio (i > exhibui legondaB, talami ouriosia. Qui ambo te perquam officiose resalutant, enixe orantes, velia versionem eam bono publioo maturare.... Dab. Tubing., d. 19 Sept.W an. 1633. 2728 *. AMBROGIO da TABI A ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Mantova, 30 settembre 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b. 74). Ciò. Giorgio Bkhold e Tommaso Lansics. Di stila giuliano. [2729-2730] 1° OTTOBRE 1633. 287 2729 **. GERÌ BOCCHINERI a [GALILEO iu Siena]. Firenze, 1° ottobre 1033. Bibl. Nnz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 309. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Hiersera tornai di Casentino, dove ho lasciato che il S. r Vincen7.io, la So- stilia et il bambino stavano tutti bene, non volendo io chiamar male un po’ di catarro elio hanno: cioè il S. r Vincenzio l’ha in forma di infreddatura, et la Se- stilia di intronamento di testa et di sibili negli orecchi, cliè però si purgava. Et sono giunti molto a tempo li denari elio ho portati loro, rimessimi da V. S. ; di che essi la ringraziano infinitamente et ne la benedicono. Galiloino, sì come somiglia V. S. nella faccia, così sporo elio la deva somi¬ gliare nelle virtù, perchè egli ò tutto spirito et è obbediente; et credo che V. S. io nel rivederlo Laverà gusto. Penso che V. S. liaverà ricevuto a questa bora li V 50 che se le sono man¬ dati per mano del S. r Mainardi 11 ', et no aspetto l’avviso; et lo bacio di cuore le mani. Di Fiorenza, p. ino di Ottobre 1633. Di V. S. molto IH. 10 et Ecc."' il Oblig.m® Parente et Sei*. 1-0 Cori Bocchineri. 2730 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Areetri, 1- ottobre 1633. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. Xlll, car. 233. — Autografa. Anmtiss. mo Sig. r Padre, Dovevo veramente subito doppo il ritorno di Giuseppo, che seguì hieri fece otto giorni a un’bora di notte, darne ragguaglio a V. S., non parendo verisi¬ mile che in tutti questi giorni io non Làbbia potuto rubar tanto tempo che bastassi a scriver 4 versi. E pur ò così la verità, perchè, oltre alle occupazioni del mio ollizio, che di prosente sono molte, Suor Luisa ha travagliato così fiera- in Cfr. n.° 2714. 288 1° UTTOUBE 1033. [mo] mento con il suo solito mal di stomaco, ohe nè per lei nò por le assistenti c’è stato mai requie il giorno o la notte; ut a me in particolare si conviene per debito il servirla senza intermissione alcuna. Adesso che per il suo migliora¬ mento respiro alquanto, do sodisfaziono anco a V. S., dicendolo elio Goppo o io suo padre 11 ' tornorno qui sani e salvi insieme con la mulatta, la quale veramente ricevè torto a esser menata in cosi lungo viaggio, et io mi assicurai con la si¬ curtà elio mi fecero quelli che più di me la praticano: basta, ella sta bene. Ilobbi gusto grandissimo nel sentire le nuovo che mi portò il ragazzo del buon esser di Y. S., dicendomi che ella liaveva miglior cera elio quando si partì di qua; il che io erodo facilmente, perché giudico elio lo comodità, lo cortesie o delizie elio ha godute, prima in casa il S. r Ambasciatore in Roma, o di pre¬ sento gode costi da quell’ 111. m0 Mons. r Arcivescovo, siano state potenti a miti¬ gare, anzi annullare quasi dol tutto, l’amarezza di quei disgusti che ha passati, o por conseguenza non no Labbia sentito nocumento alcuno. Et bora in parti- 20 colare come non potrà V. S. non benedir questa carcero? 0 stimar felicissima questa ritenzione? mediante la (pialo so gli porge occasiono di goder tanto fre¬ quentemente 0 con tanta familiarità la conversazione di prelato tanto insigne e signore tanto benigno? Il quale, non contento di esercitar nella persona di V. S. tutti quelli ossequii elio si possono desiderar maggiori, por far un eccesso di cortesia 0 gentilezza, si è compiaciuto di favorir ancor noi poverello con affet¬ tuoso pardo ot amorevolissimo dimostrazioni, por le quali non dubito che V.S. gl’Labbia reso por nostra parto lo dovuto grazie: ondo non replico altro, so non olio havroi desiderio che V. S., facendolo humilissima reverenza in nome nostro, 1 'assicuri che con l’orazioni procuriamo eli renderci grato a tante grazio, so Quanto al suo ritorno, se seguirà conformo alla sua speranza 0 nostro de¬ siderio, non seguirà so non in breve. In tanto gli dico elio lo botti per il vino rosso sono accomodato ; e quella in particolare ovo stette il vino guasto, ò bi¬ sognato disfarla 0 ripulirla molto bene. Per il vino bianco il Sig. r Rondinelli ne lia veduto 3 dio sono bollissimo; una fra V altre ve 11’è ove l’anno passato vi era il greco, del quale so no sono cavati non so se 4 0 5 fiaschi assai forte (per quanto intendo), ot ancora vi resta il fondo, acciò la botto non resti in secco: 0 dice il S. r Rondinoli! che basta dar a tutte una lavata, avanti elio vi si motta il vino, cliò nel resto sono eccellentissime. La Madre badessa la ringrazia infinitamente dol zafferano, et io do gl’al tri -io regali, cioè lino, lepre e pan di Spagna, il quale è veramente cosa osquisita. Consegnai a Ceppo la corona e i calcetti per la sua cugina. 11 Sig. 1 ' Giovanni Ronconi, il quale vion qui molto sposso por visitar 5 am¬ malate elio haviamo tenuto un pezzo, e tutto con la febbre, mi disse l’altro "> Ofr. n.° 2097, liti. 20. 1° OTTOBRE 1633. 289 [2730-2731] giorno elio non. credeva che io havessi mai fatte a V. S. sue raccomandazioni; et io gli risposi che pur le liavevo fatte, o così ho in fantasia che sia stato al meno una volta. È ben vero che sono stata balorda in non rendergliele mai da parto di V. S., onde la prego a farmi grazia di supplire a questo mio man¬ camento con scrivergli due versi o mandarmeli, chè potrò io inviarglieli, già co elio ho ogni giorno occasiono di tenerlo ragguagliato di questo ammalate; e certo che egli non c’ è mai stato una volta, che non mi habbia domandato di V. S. e mostrato gran passiono do i suoi travagli. Haverei voluto poter indovinar il bisogno di V. S. quanto a i danari, per liaverglieli potuti mandare ; credo però che a quest’ bora gli saranno pervenuti quelli che gli manda il Sig. r Alessandro (1> , por quanto ho comproso da una let¬ tera che V. S. gli scrive et egli mi ha mandata in cambio di quella cho anco a me si perveniva questa settimana, che forse V. S. non mi ha mandata per vendicarsi che non ho scritto a lei : ma ha sentito la causa ; et bora gli dico a • Dio e do la buona notte, della quale è appunto passata la metà.. co Di S. Matteo in Arcetri, il p. mo di 8bro 1633. Sua Fig> All'.'"a Suor M. n Celeste. Fuori: Al molto Ill. p ® Sig. r Padre mio Oss. ,uo 11 Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2781 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 1° ottobre 1688. Bibl. Naz. Flr. Mas. Cui., P. VI, T. XII, car. 33. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo S.’’ e P.ron mio Oss. mo Mi pare che V. S. argomenti bene circa alla speranza della sua liberazione, che non le deva essere aggravata, ma più tosto mitigata, la carcere ; onde in¬ ferisce, cho non potendosi ritrovaro la più gioconda che la casa di Mons. r Ill. n, ° di Siena, eccetto la propria villa, non lo sia per essere assegnata altra che essa. Tuttavia mi pare ci sia da temere, poiché, come ella dice, la poco buona for¬ tuna sua la sequestra dalle comuni consuetudini degli altri huomini. Piaccia al Signore Dio che il timore sia vano, chè tanto più ci accrescerà la letizia, quando vorrà del tutto libera. 0) Alessandro Booohineki: ofr. u.« 2714. XV. 37 200 I" OTTOBRE 1633. [2731-27321 liicoviamo tutti grandissima consolazione o gusto singolarissimo dal vedere io clic V. S. s’impiega tuttavia nelle speculazioni, il che è punto importante, acciò il mondo veda che lo persecuzioni non abbattono talmente l'aniino suo, che non si sollevi a ogni modo a filosofare «opra materie peregrine, lasciate intatto dagli altri ingegni; che servo assaissimo a non mandar dispersa la scuola di quelli che dietro allo suo ormo, benché molto da lungi, proccurano di investigare lo verità della natura. Intendo che il P. Scheiner ò su lo stampare una sua opera, o la manda a stampare in Germania 111 . Non ho ancora inteso circa a che materia si sia, ma dal suo modo «li trattare vo conietturamlo che sarà qualche impertinenza solita. So intenderò altri partioulari, no avviserò V. S. ; alla quale per fine facendo 20 reverenza, prego dal Signore Dio vero contento 0 piena felicità. Firenze, p.° d’Ottobro 1633. Di V. S. molto HI." et EccAIT. ra0 0 Obi».™ Ser." Mario Guiduoci. Fuori: Al molto IH.» et Kcc. mo S. r o P.ron Oss. ,no Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2732 *. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Siena]. Roma, 1° ottobre 1638. Blbl. No*. Fir. Mas. Gai, P. 1. T. X. car. 818. — Autografa la MttoKriiiooe. Molto 111. Sig. r mio Oss. rao Io non manco di tener ricordato il suo negozio al S.r Card. 1 Barberino'* 1 , il qualo spero elio continui nella buona disposittione verso la persona di V. S. È ben vero che essendo uscito il Papa in campagna, non si negozierà più sino al suo ritorno, che seguirà verso la fin del mese; onde i favori di Mons. r 111.'"° tanto più la terranno obbligata, et io mi rallegro che questo infortunio venga ricompensato da così gentil e cortese couversattione. Et le bado alVettuosameiite le mani. Roma, p. mo Sbro 1033. Di V. S. molto III. Aff>° Ser. r0 io S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. Oi Cfr. a.» 2418. <*» Fkanckhoo IUkbkiujo. [2733-2734] 1° OTTOBRE 1633. 231 io 2733 *. DINO PERI a GALILEO in Sten». Firenze, 1° ottobre 1633. Bibi. Set. in Modena. TlAccolta Campori. Autografi, B.» LXXXIV, n.° 179. — Autografa. Molto HI.™ ot Ecc. ,no Sig. r e P.ron mio Col. 11 ' 0 La soma insopportabile di tanti fastidi domestici mi fa scriver con estrema frotta, o l’obligo che di continuo m’accresce Y. S. Ecc. ma mi fa scrivere con estremo affetto. La ringratio però brovissimamente, ma con tutto il cuore e con tutto lo spirito, di quanto oli’ha essequito e mostra voler ossequile in consolatione del mio desiderio (1) . Ottimo è stato il suo parere, ed ottimi saranno tutti gli altri trattamenti, comV deriveranno dal suo intendimento, esquisitissinio in ogni cosa. Sig. r Galileo, le fo humilissima o devotissima roverenza, le mando saluti senza fine, o senza fine me lo raccomando in gratia. Fir. 2 ®, p.° Ottobre 1033. Di V. S. molto HI." et Eco." 111 Devotiss. 0 ot Oblig. mo S. r « Dino Peri. inori: Al molto TU.™ ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col." 1 ® Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, Fil. fo c Materni 0 p.‘° dei Soren." 10 G. Duca. Siena. 2734 **. RAFFAELLO VISCONTI a GALILEO in Siena. Firenze, 1° ottobre 1633. Bibl. Naz. Fir. Mbs. Gal., ?. I, T. X. car. 311. — Autografa. Molto Ill. re Sig.™ P.ron mio Col." 10 Veramente mi accorgo, la fortuna essermi contraria. Speravo di trovar V. S. in Fiorenza, et mi dicono eh’ ella si trattenga in Siena ; di dovo essendo l’altro giorno passato, so l’havessi saputo, l’havroi riverita, conforme al mio debito. Ma per non poter far altro, vengo con la presente a farlo riverenza ot pro¬ to Cfr. n.° 2716. 292 1° — 3 OTTOBRE 1033. [2784-2735] garla a tornarsene quanto prima qui, dove l’aspetto per poter godere dolio sue virtù avanti che io mi parta, il che erodo sarà verso il fine di questo mese. Che por fine resto baciandogli di vivo cuoro le mani et pregandolo dal Signore ogni vero bone. Fiorenza, dì p.° di Ottobre 1G33. Di V. S. molto lll. r# Sig. r Galileo. Fuori : ÀI molto IH." »Sig. ro et P.ron mio Col." 10 il tìig. r Galileo Galilei. Siena. 2735 * MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Siena]. Arcotri, 8 ottobre 1633. Dibl. Naz. Flr. Mas. Gal.. P. I, T. XIII, cnr. 235. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Sabato scrissi a V. S., o domenica, por parto del Sig. r Gherardini tl \ mi fu rosa la sua, por la quale sentendo la speranza elio ha del suo ritorno, tutta mi consolo, parendomi ogn’hora niiH’anni elio arrivi quel giorno tanto deside¬ rato di rivederla; et il sentirò che ella si ritrovi con buona saluto, accresco o non diminuisco questo desiderio, di godor duplicato contento o sodisfaziono, por vederla tornata in casa sua o di più am sanità. Non vorrei già che dubitassi di me, che por tempo nessuno io sia per la¬ sciar di raccomandarla con tutto il mio spirito a l)io benedetto, perchè questo mi è troppo a cuoro e troppo mi premo la sua salute spirituale e corporale, io E per dargliene qualche contrassegno, gli dico che ho procurato e ottenuto gra¬ zia di vedere la sua sentenza, la lettura della quale, se bene por una parto mi dette qualche travaglio, per P altra hobbi caro di Laveria veduta, per haver tro¬ vato in essa materia di poter giovar a V. S. in qualche pocolino, il che è con l’addossarmi l’obligo che ha ella di recitar una volta la settimana li Sette <*) Niccolò Gherardini. 3 — 4 OTTOBRE 1633. 293 [2735-2736] Salmi ; ot ò già un pozzo ohe cominciai a sodisfare, e lo fo con molto mio gu¬ sto, prima perché mi persuado che l’orazione, accompagnata da quel titolo di obediro a S. te Chiesa, sia assai efficace, e poi per levar a V. S. questo pen¬ siero. Così havess’io potuto supplire nel resto, oliò molto volentieri mi sarei no eletta una carcere assai più stretta di questa in che mi trovo, per liberarne lei. Adesso siamo qui, e le tante grazie già ricevuto ci danno speranza di rice¬ verne dell’ altre, pur che la nostra fede sia accompagnata dallo buone opero, chò, come V. S. sa meglio di me, fides sine operilms mortua est. La mia cara Suor Luisa continua di star male, o mediante i dolori o tira¬ mento elio ha dalla banda destra, dalla spalla fino al fianco, non può quasi mai star in letto, ma so ne sta sopra una sedia giorno e notte. Il medico mi disse 1’ ultima volta elio fu a visitarla, che dubitava elio ella havossi una piaga in uno argnione; chè se questo fossi, il suo male saria incurabile. A me più d’ogn’ altra cosa mi duolo il vederla penaro senza potorli dar alcuno aiuto, per¬ so chò i rimedii non gl’apportano giovamento. Hieri s’imbottorno li 6 barili del vino dalle Rose**', o ve n’è restato por riempier la botto. 11 Sig. r Rondinclli fu presente, sì corno anco alla vendemmia dell’orto, e mi disse che il mosto bolliva gagliardamente, sì che sperava che volessi riuscir buono, ma poco; non so già ancora, quanto per l’appunto. Que¬ sto ò quello che por bora così in fretta posso dirgli. La saluto affettuosamente por parto delle solite, et il Signore la prosperi. Di S. Matteo in Arcetri, li 3 di 8bro 1633. Di V. S. molto 111. 10 Fig> Affi™ Suor M. a Celeste. •io Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r Padre mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2736 *. PAOLO EGIDIO da COMO ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Reggio, 4 ottobre 1633. Cfr. Voi. XIX. Doc. XXIV, b. 71). Cfr. n.« 1976, lin. 5. 294 5-7 OTTOBRE 1633. [2737-2739] 2737. GIO. MICHELE LINGELSIIEIM a MATTIA BERNEGGEU in Strasburgo Heidelberg, 16 ottobre Ito»). Blbl. Oivlon di Amburgo. Supollox opiatolica Uffenbachii ot Wolflorum, Folto-Band XVI, car. 42. — Autografa. Vir durissime, frater opt&tiasimo, Litorae tuae, 4 Sept. (l) scriptao, recto mihi, qnamvis tarde, redditae, aed din ante Galilaeua, quein avidissime perieli maxima cum voluptate; ac quauiviB verbositas milii quoque molesta esso aoleat, tanica illa ipsa fucundia placuit, ac prò diulogorum Renio nipapY* di» otiam suam iuounditotem attulerunt. Macte virtute tua, qui labore» non refugis in utilissimo opere nostri» hominibus communicando. Pensimi ouod tibi ipsi parasti, in hano liiemem voveo ut iucunde conlicius.... Heidelb...**» Fuori: A Monsieur Mousieur Beruegger, a Btrassbourg. 2738 *. VINCENZO MARIA CHIARELLI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Gubbio, 7 ottobre 1C33. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, 6, 76) 2739 . GERÌ BOCOHINERI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 7 ottobre 1633. Blbl. Nass. Fir. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 316. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc.“° S. r mio Oss.® 0 Ho inteso che le pelli di martore, bollo intero, con lo rodo, colli et zampetti, varranno qui £ 14 Runa, ot £ 10 li busti soli; ot che pigliandosi bolle per lo parti dinanzi della pelliccia, ot un po’ inferiori por la banda di diotro di essa ---y- Cfr. n.o 2693. '*» La parte inferiore della carta 6 stracciata : argomentiamo la data da quella del ricevimento, cho, servendosi sempre dello stile giuliano, segnò il Brrxsooib a fianco dell’ indirizzo, annotando « 29 Sept. » 7 — 8 OTTOBRE 1G33. 295 [2739-27401 pelliccia, costeranno £8 l’ima ragguagliatamentc. Lo volpi sono tenuto in prozzo di £ 4 l’ima intere, cioè pancia ot dorso, con li zampetti et collo; ma so si voglino solamente dorsi, cho sono la parte più bolla della pelle, varranno £ 2 l’uno. V. S. ragguagli questi prezzi con cotesti, et comandi so in cosa alcuna io deva servirla. Mi rallegro (lolla buona sanità che V. S. gode, et dello nuovo gustose occu- pationi che di nuovo oli’ha alle mani. Carlino (,) è a Prato, tuttavia a balia; ha avuto X burrasche, et è però molto scaduto. Il balio suo et il padro di lui turno ammazzati di archibusate in braccio allo loro moglio, ot il bambino non tu senza pericolo; et havendo poi per 3 giorni succiato un latte tanto alterato, come ora quello (bìlia sua balia, detto così adietro nella sanità, che parova stregato. Li malfattori hanno fatto poi altre crudeltà grandi, con haver anche insidiato li miei fratelli di Prato et nostra madre, por ammazzare anche loro, con tutto che non li oonoscessino. Hora so ne sono andati a Piombino ; ondo por causa, ma non por colpa, (li questo bambino si ha bavuto quasi a rappresentare una tragedia in casa nostra. Al bambino si è mutato balia ; intanto la vecchia con 2 suoi piccoli figliuoli si trattengono in casa nostra, non si assicurando di tornaro a casa loro. Seguitiamo qui di godere ottima sanità, lodato Iddio. Et a V. S. bacio le mani. Di Fiorenza, 7 di Ott,. ro 1633. I)i V. S. molto Ill. r ® ot Ece." m Obli#."' 0 Parente et Ser. 10 Gori Bocchinori. 2740 ** NICCOLÒ CINI a GALILEO in Sienn. Firenze, 8 ottobre 1G33. Blbl.Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 317. — Autografa. Molto Ill. re S. r o P.ron mio Oss. mo Sino lunedì passato feci portare alla villa di V. S. barili sei del meglio vino che si sia fatto nella mia tinaia delle Pose (25 , o fu ricevuto o imbottato da una sua donna. Resta adesso che ella comandi cho lo botto si riempino spesso, che è ’1 miglior modo che si tenga per mantenerlo buono. Lott. 2739. 21. ti tratteggono in — (•) Carlo di Vinoknzio Galilei. <*> Ofr. n.« 2735, liti. 31. 296 8 OTTOBRE 1633. (2740-2741] La pro-pn a conservarmi la sua grazia o far humilisaima reverenza in nomo mio a Mona/ A rcivescuvo ; o por lino iul ambi due prego dal Signor Dio il colmo d’ogni felicità.. l<’ir. 6 , 8 Ott. re 1633. Di V. S. molto III.™ Dev. mo Ser.* 1 " io Mocolò Cini. Fuori: ÀI molto 111.'* Rig. r o P.ron Oss. ,n " 11 Sig.* - Galileo Galilei. Siena. 2741 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Siena]. Arcctri, 8 ottobro 1033. Blbl. Nat. Fir. Ms«. Gal., P. I. T. XIII, car. 237. — Autografa. Anmtiss. mo Sig. r Padre, Il Sig. r Rondinelli, che rivedde le botticelle da vino bianco, mi disse che vo no erano tre bollissimo, come avvisai a V. S., ot interrogato da ino della loro tenuta, mi replicò che questo non occorreva ch’io ravvisassi, perchè V. S. po¬ teva a un dipresso saperlo; mi disse bone essercene dell’altro, ma elio non si assicurava a dirmi elio fossero di tutta bontà. Questa settimana poi egli non è potuto venir qua su, ondo nè anco si è potuto far nuova diligenza; ma no ho fatta io una che non erodo elio lo spiacerà, et è questa : che nella nostra volta sono 3 o 4 botti, una di 6, una di 5 e l’altre di 4 barili, lo quali ogn’anno si sogliono empier di verdea; ma perchè quest’anno non se n’ò fatta punta, lo io ho incaparrate per V. S., perchè son sicura che son buono, con autorità di man¬ darle nella sua cantina, acciò che quivi si possino empiere quando olla manderà il vino, e lasciandolo lino che ella sia in persona a travasarlo a suo modo, o lasciarvelo tutto l’anno, so gli parrà. V. S. per tanto potrà rispondermi il suo pensiero. Il vino da San Miniato al Todosco non è ancora comparso : di quello prestato so ne è riavuto in tanto un barile da questi contadini, e si è messo nella botte ove stette quel guasto, la qual botte si è fatta prima accomodare. Quello dell’orto non è ancora svinato. Al fabbro il S. r Rondinelli, pregato da me, ne passò una parola circa i 3 barili che devo renderne, e ne riportò buono promesso. 20 La ricevuta dolio 0 formo di cacio, non la tacqui nel mio linguaggio, che, per esser molto rozzo, V. S. non poteva intenderlo, poi che io hebbi intenzione 8 ottobri-: 1633. 297 [2741-2742] di comprenderla, o per meglio dire ammetterla, nel ringraziamento che gli di¬ cevo desiderare cho ella facessi per nostra parte a Mons. r Arcivescovo, dal quale V. S. mi scrisse che veniva il regalo. Similmente l'uuova bufatine le veddi, ma sentendo che erano porzione di Greppo e di suo padre, glie le lasciai, e non replicai altro. Ero anco adunque in obligo di accusar la ricevuta del vino eccel¬ lentissimo che ne mandò Monsignore, del quale quasi tutte le monache assag- giorno; o Suor Giulia in particolare ha fatte con esso la sua parto di zuppe, so La ringrazio anco della lettera che mi mandò per il S. r Ronconi ll) , la quale, doppo di haverla letta con mollo mio gusto, fermai o presentai in propria mano Ilici-mattina, o fu ricevuta molto cortesemente. Ho caro di sentire il suo buono stato di sanità e quiete di mente, e che si trovi in occupazioni tanto proporzionato al gusto suo quanto è lo scriverò: ma, por l’amor di Dio, non siano materie che Imbibano a correr la fortuna delle pas¬ sate o già scritte ! Desidero di sapere se V. S. gode tuttavia la conversazione di Mons. to Arci¬ vescovo, o puro se egli so n’è andato alle villo, come mi disse Goppo clic bavera inteso che doveva seguire; il cho mi persuado cho a loi saria stata non piccola 40 mortificazione. Suor Luisa si trattiene in letto fra modici e medicine, ma i dolori sono al¬ quanto mitigati, con l’aiuto del Signor Iddio ; il quale a V. S. conceda la Sua santa grazia. Rendo lo salute in nomo di tutto, o le dico a Dio. Di S. Matt. 0 in Arcetri, li 8 di 8bro 1633. Sua Fig> Aff. ,ua S. r Mar. Celeste. La Piera in questo punto mi ha detto cho il vino dell’orto sarà un barilo o 2 o 3 fiaschi, e cho fa disegno di mescolarlo con quello che si ò ricevuto, perchè da per sè è molto debole. Quello di S. Miniato si aspetta oggi, cbè così 50 ha detto il servitore del S. r Niccolò w fino hierlaltro, et io adesso l’intendo. 2742 *. MARIO GUIPUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 8 ottobre 1683. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII. car. 35. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc."‘° S. r o P.ron mio Oss. mo Trovomi dua gratissimo di V. S., ricevute ieri e ier l’altro. E quanto al¬ l’ultima, le dico aver presentato la lettera a Mons. r Sommaia 185 , il quale dice cho ordinerà al bidello che li mandi il mandato, cbè subito lo soscriverà e ino Cfr. u.« 2743. Ut Niccolò Aggiunti. XV. 38 298 8 OTTOBRE 1633. [2742-27481 lo manderà o darà, o elio giovedì sera si potrà avere sottoscritto. Il nome del S. r Taddoi, elio fa il banco por i SS. ri Riccardi, è Giovanni. Circa all’altra lettera, lo dico conio il I\ Visconti 1 ' ora partito por Bolo¬ gna alcuni giorni sono, ma dovrà essero in breve di ritorno; però gli serbo la lettera, chò non mi paro a proposito mandargliela dietro. La settimana passata il S. r Andrea Arrighetti mi disse elio andava in villa, io che però non aveva tempo di risponderò a V. S., cho intanto io la ringraziassi in suo nomo della stima cho faceva delle dimostrazioni mandatele w , o si repu¬ tava onorato cho ella no disponesse come di cosa propria 13 , e elio bon lo può fare, riconoscendo egli da lei, come da primo principio, ogni suo sapere di que¬ ste scienze. Io avevo serrato e mandato la lettera quando me lo disse, e però non soddisfoci al suo intento. V. S. mi farà ben grazia, scrivendoli per altro, diro di avere avuto da me tale ulizio, acciò non paia ohe io abbia mancato. Mi rallegro poi sommamente della fecondità che trova noi filosofare circa alle meccaniche, o cho sia con l’altro suo opero per riuscire volume maggioro del libro infausto de’Dialoghi ; il quale però non è ancora pubblicato per de- 20 creti della Congregazione conio proibito, nò attaccato su per i canti, conio ò usanza. Se tutto questo mese bastasse a sfogare il cattivo influsso cho tiene V. S. relegata fuor di casa sua, il tonnine verrebbe presto. Io non vorrei che il mio timore riuscisse vero d’effetto, perchè tomo tuttavia che si abbia a dif¬ ferire questa benedetta grazia. Puro sia quello cho piaco al Signore, da Cui pregando a V. S. vera felicità, por fino le fo reverenza. Firenze, 8 di Ott. r ® 1633. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ,nn Afl>° o Obh.“° Sor.™ Mario Guiducci. Fuori: Al molto III.™ et Ece. rao Sig. r e P.ron mio Oss. ,nw 30 Il 8ig. r Galileo Galilei. Siena. 2743 *. GIROLAMO DA SOMMALA a GALILEO [in Siena|. Firenze, 8 ottobre 1638. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11.» I.XXX1X, n." DS. — Autografa. Molto IH.® et Ecc. mo S. or mio Oss. mo Con molta oonsolatione ho visto la gratissima di V. S., et mi rallegro con tutto 1’ animo che si conservi con bonissima salute, che sempre ò da stimarsi, ma in questi calamitosi tempi è qualche cosa più del solito. "> Ux»'kìello Visconti: cfr. d.° 2761. '*> Cfr. u » 2718. <*> Cfr. il. 0 2721 8 — 10 OTTOBRE 1683. 299 [2743-2744-1 Scrivo questa sera a Pisa al bidello elio facci il mandato di V. S. (,) , et lo consegnerò al S. or Mario Guiducci, conforme al suo ordino m ; et so in altro co¬ nosce possi servirla, accenni, cliè sono avidissimo do'suoi comandi. Et li bacio lo mani con affetto. Firenze, 8 di Ottobre 1633. io Di Y. S. molto 111. 0 et. Ecc. ,na S. ro Aff. ra0 S. or Galileo. Girol. 0 da S, ia 2744 . MATTIA BERNEGGER a GALILEO in Firenze. [Strasburgo], IO ottobre 1033. Eibl. Civica di Amburgo. Codice citato nella informazione promessa al u.° 2018, car. 97<. — Minuta autografa. Galilaeo Galilaei. Florentiam. Yir incomparabilis et eminentissime, Systoma tuum Copornicanum Elias Diodatus, inelyti tui nominis admirator, Parisiis non ita pridem ad me misit, autorquo mibi fnit ut illud latine conver- torem, quo tam pretiosum opus, sed Italiae soli scriptum, cum orbe Europaco cetero quoque conmnmicaretur. Etsi vero, cum tenuitatis mihimot moae con- scius, tum alii ofììcii publici laboribus districtus, provinciam liane subterfugore forte debui, lubens tamon eam in me roccpi, maxime quod significasset mihi io Diodatus, libri tui de proportionum instrumento convorsionem, ante 20 circiter annos a me confectam et paucis abbine annis in manus tuas forte delatam (3 ', tibi non displicuisse. Spem itaque conccpi, in boc otiam utilissimo opere mo sa- tisfacturum aliqualiter expectationi tuae, et por liane liyemem opus absoluturum. Iam aliquousquo progressus su in: cuius rei testis oculatus est, qui tibi reve¬ rente]- liane epistolam exhibebit, vir praestantissimus Dn. Beniamin Engelke Dan- tiscanus, qui prò singulari sua, clarissima quaequo cognosccndi, cupiditato nunc Italiam, orbis reginam, ac te cumprimis, non Italiae modo tuae, sed orbis, quem immortalibus tnis scriptis illustrasti, lucidissimum sidus, coram intueri desiderat. Huic otc. 30 Sept. (4 ’ 1633. 20 <» Cfr. Voi. XIX, l)oc. XXIV, U), lin. 34S-3Ó5. «*> Cfr. n.» 2742. «») Cfr. n.» 790. o> ])i stilo giuliano. 300 14 OTTOBRE 1G33. [2745J 2745 . RAFFAELIi0 MAGIOTTI a GALILEO in Siena Roma, 14 ottobre 16W. Bibl. Naz. Plr. Ms». Gal., P. I, T. X, car. 819. - Autografa. Molto III." et Ecc. rao Sig. r ® S. So bone del mio tacerò fino adesso n’è stato in gran parte cagiono il non haver nuovità di rilievo, tuttavia sono stato ritenuto principalmente da quol ri¬ spetto ch’io ho sempre di non turbar a V. S. E. ID * gli studii o l’altre suo occu- pationi, (piali sono (come più volto m’avverti il nostro P. Abbate) gravi o con¬ tinuo, massime in materia di risponder a tanti amici. Ma perù io non vorrei che questo rispetto fusso battezzato con nome di negligenza, e così mi fusso di scapito nella servitù ch’io pretendi» con lei. Perciò ho presa questa occasiono di scrivere quattro righe perii I*. Salvadore del Sacramento' 1 nello Scuoio Pio, scolare di P. D. Benedetto et amico mio ; persona che ha qualche principio d’ai- io gobra o di geometria, insieme con buona volontà o curiosità non ordinaria. Questo passa da Siena por Firenze, dove desidera poter etiam de insù dar qualche nuova di Y. S. al Mathematico delle sue Scuolesi come fece per lettere sompro che V. S. fu qua in Roma. Io per altro, non havondo cosa di momento, darò una nuova forso stracca, cioè eli’ in Collegio si fabbrica da un Padre Tedesco (3) contro al Dialogo di V. S. un gran volume, o più tosto grand’ arca per met¬ tervi tutti gl’animali terrestri, colesti e forse aquatici. 11 Todosco presta il nomo e l’Orso' 4 l’opera, soben ei la perderà della mano ancor la seconda volta, tentando doppo il Chiaramente 5 di macchiare il solo. Io m’aspetto grand’autorità di Padri, grandi scritture, grand’istorio o figure, gran facciate dol Dialogo tradotte in 20 latino, e gran faccende: Dio c’aiuti! Quest’huomo sta molto ritirato: io por me credo ch’egli liabbia condotta una botte in camera per non pordor tempo nemono d’andare in cantina, ma elio non mancheranno aiuti, mentre tutti ci vorranno osser a parte. Così molti s’aspettano un can pezzato in frotta, senza denti, senz’occhi e tutto lingua, da pigliarsene un pozzo di spasso; et io saroi uno di quolli, se mi fusso dat’ in sorte poter esser più appresso di V. S. Ecc. m:i e goder della sua dolce convorsationo. E qui finisco, percliò il Padre ò vomito per la lettera; solo ricordo ch’ella non voglia esser meco sì scarsa do’ suoi co- Lott. 2745. 9. di «erica quattro — 27. r rjodtrdrr d, Ila — “> Salvatore Ghise. <*> Fajiiako Mjchelini. <*> Cristoforo Sohkinkk: cfr. u.» 2418. •*> Intendi, la famiglia Osami. «») Cfr. 11.0 2826. 14 — 15 OTTOBRE 1633. 301 [2745-2740] mandi, sicurissima di’io m’adopererò con ogni prontezza et amore. Nostro Si- 30 gnor Iddio gli conceda quieto o lunga vita por superar l’invidia. Roma, il dì 14 8bre 1633. Di V. S. molto 111.” et Ecc." 1 * Dovotiss. et Obligat.™ 0 Ser/ 8 Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto 111.” et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col."' 0 R Sig. 1 * Galileo Galiloi. Siena. 2746 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Siena. Roma, 15 ottobre 1633. Bibl.338t.iu Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXX, n.» 31. — Autografa. Molto Ul. re Sig. ro e P.ron Col. 0 Ieri, mentre ero fuori di casa, venne per trovarmi un tale Padre Salvatore dello Scuole Pio 11 ', quale si ò partito questa mattina per Firenze; c havendo particolar desiderio di vedere V. S. molto 111. 1 ' 6 o farli riverenza nel passar per Siena, voleva elio l’accompagnassi con una mia: bora, essendosi partito senza la lettera, ho voluto sodisfare con questa e darli conto del mio stato, al solito assai bone del corpo, ma dell’animo come prima, a segno tale che non desidoro altro che ritornare a Firenze, quando però ci fosse qualche occasione, come discorsi con V. S. mentre si ritrovava qua in Roma; o questa sarebbe tutta la io mia consolazione in questo mondo. Non intendo però che V. S. s’incommodi, ma solo, venendo il taglio, sappia l’animo mio. Gli raccomando poi quei Padre del quale ho detto di sopra, essendo ingegno di garbo o di buon gusto e de¬ votissimo delle cose di V. S. Fo humilissima riverenza all’lll. ,no o Rev. m0 mio Signore, Mons. r Arcivescovo, e l’istesso a V. S. molto 111. 0 Di Roma, il 15 8bre 1633. Di V. S. molto 111. 0 Devotiss. 0 o Oblig. Ser. ro e Dis. 10 S. r Galileo. Don Bened. 0 Castelli. Fuori : Al molto 111. 0 Sig. 1 ' o P.ron mio Col. 11,0 Il Sig. r Galileo Galilei. 20 Siena. * 1 > Cfr. n.° 2715. 302 15 OTTOBRE 1033. [2747] 2747 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Siena]. Àrcetri, 15 ottobre 1633. Bibl. Nm. Pir. Mas. Gal., V. I, T. XIII, car. 23tì. - Autografa. Amatiss. ,no Sig. r Padre, Il vino da S. Miniato non è ancora comparso, et io Io scrissi 3 giorni sono al S. r Gori, il quale mi rispose che havrebbe procurato d’intender dal S. r Ag¬ giunti la causa di questa dilazione. Non ho per ancora saputo altro, perchè questa settimana non ho havuta la comodità di mandar Geppo a Firenze, essendo ogli stato, et ò ancora, a S. Cacciano da Mess. r Giulio Ninci, il quale già sono molti giorni che si ritrova ammalato, e perchè ha carestia di chi gli porga una pappa, mandò a ricercarmi, lui o Mess. r Alessandro u ', che per qualche giorno io gli concedessi l’assistenza del ragazzo, al che non ho saputo disdire. Ho sentito il vino dello Rose (1) , c mi par bollissimo: quando il S. r Cano- io nico 131 manderà a pigliar i danari, sodisfarò conforme all’ordine di V. S. 11 Sig. r Gherardini 141 fu qui pochi giorni sono per visitar S. r Elisabetta sua parente, e fece chiamar ancor me por darmi nuove di V. S. Dimostra di esserle restato affezionato grandemente ; o mi disse elio da poi in qua che ha parlato con lei è restato con l’animo quieto, dove che prima ora tutto sospeso e irre¬ soluto no i suoi affari. Piaccia pur a Dio benedetto che il termino destinato al ritorno di V. S. non vadia più in lungo di quello che speriamo, acciò olla possa godore, oltre alla quieto della sua casa, la conversazione di questo giovano così compito. Ma in tanto io godo infinitamente di sentire quanto Mons. Arcivescovo sia 20 perseverante in amarla o favorirla. Nò dubito punto che olla sia depennata, co- in’ella dico, de libro viventium, non solo nella maggior parto del mondo, ma nò anco nella medesima sua patria; anzi che mi par di sentirò elio so ella fossi stata qualche poco ombreggiata o cancellata, adesso ella sia restata instaurata c rinovata, cosa che mi fa stupire, peroliò so che, por un ordinario, Nomo pro¬ feta accettila est in patria sua (non so se per voler slatinare, dirò qualche bar¬ barismo), e pure V. S. è anco qua amata e stimata più elio mai. Di tutto sia lodato il Signor Iddio, dal quale principalmente derivano questo grazio ; lo «piali riputando io mio proprio, non ho altro desiderio elio di esserne grata, acciò che ‘*i Alessandro Ninci. <*> Cfr. n.-> 2"3ó, liu. 31. Nicoot,(> Cini. <*’ Niccolò Gukkardimi. 15 OTTOBRE 1633. 303 [2747] so S. D. M. resti servita di concederne dell’altre a V. S. et a noi ancora, o sopra a tutte la salute e beatitudine eterna. Suor Luisa so ne sta in letto con un poca di febbre, ma i dolori sono assai mitigati, o si spera che sia per restarne libera dol tutto con l’aiuto di buoni medicamenti, li quali, se non sono soavi al gusto conio è il vino di costì, in simili occorrenze sono più utili c necessarii. Subito elio veddi lo (5 forme di cacio, ne destinai la metà per Y. S., ma non glielo scrissi, perchè desideravo di riuscire più a fatti che a paiolo : e veramente che è cosa esquisita, et io ne mangio un poco più del dovere. Mandai la lettera a Tordo (1) per il nostro fattore, il quale intese dalla ino* doglio che egli si ritrova all’ospedale a pigliar il legno 18 ', sì che non è meravi¬ glia che non gl’habbia mai dato risposta. Ilo sempre havuto desiderio di sapore come siano fatte lo torto sanose, elio tanto si lodano ; adesso che si avicina l’Ognisanti Y. S. Laverà comodità di far¬ mele vedere, non dico gustare per non parer ghiotta. Ha anco obligo (perchè me l’ha promosso) di mandarmi del refe di ruggine, con il quale vorrei comin¬ ciar qualcoserella per il ceppo di Galileino, il quale amo perchè intendo dal Sig. r Gerì che, oltre al nome, ha anco dello spirito dell’avolo <3) . Suor Polissena <4) hebbe risposta della lettera che por mezzo di V. S. mandò alla Sig. ra sua nepoto, et anco hebbe uno scudo, del quale ringraziandola nel- no l’inclusa, prega Y. S. del buon ricapito e la saluta, come fanno Madonna e l’altre solite. Il Sig. r Rondinelli già sono 15 giorni elio non si lascia rivedere, perchè, por quanto intendo, ogli alloga in un poco di vino elio ha messo in due botticelle che versano e lo fanno tribolare. Ho detto alla Piera elio faccia vangare nell’orto, acciò vi si possino seminar o, per meglio diro, por le fave. Adesso è comparso qui un lavoratore dol Sig. p Niccolò Cini, il quale mi scrive 4 versi nella medesima lettera cho V. S. scrive a lui, avvisandomi la valuta del vino, che sono £ 19 la soma o £2 per vettura, in tutto £59: o tanto no ho co date (5) , liavendo ancora scritto a S. S. ri, ‘ due versi por ringraziarla. Altro per hora non mi occorre, anzi pur mi sovviene cho desidero di sapore so il S. r Ronconi (G) gl’ha dato risposta: chè so non l’ha data, voglio rimprove¬ rarglielo la prima volta cho lo veggo. Il Signor Iddio sia sempre seco. Di S. Matt. 0 in Arcetri, li 15 di 8bre 1633. Di V. S. molto HI. Fig> Aff. ma Suor M. a Colostri. <‘i IrrouTO Frakcini. < 2 ’ Intendi, il legno guainco. (»' Gir. il.® 2721). <*) Cfr. li « 2687. l*' Cfr. il.» 2711. < 6 > Giovanni Ronconi: cfr. n.° 2730. 304 15 OTTOBRE 1G33. [2748*2749] 2748 *. MARIO GrUIDUCJCI a GALILEO in Siena. Firenze, 16 ottobre 1633. Blbl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11» LXXYII, n.« 137. — Autografa. Molto ni." ot Eco." 10 S. r o P.ron mio Oss.‘ no Da Mona.* Sommai 10 ricevei il mandato di cinquecento scudi per V. S., o l’ho presentato insieme con la sua lettera al Sig. Giovanni Taddoi, conforme a che mi ordinò. Mi rallegro della buona speranza che le vien data di ottenere grazia fra breve di tornarsene alla sua quiete, o insieme della continuazione della fecon¬ dità della vena a scrivere. Piaccia al Signoro Dio conservagliela, insieme con sanità perfetta, da poter tirare a fine le sue speculazioni e mandarle alla luce. Il S. r Card. 1 ” Capponi 1 * 1 si parti martedì passato per la sua Chiesa. Fui do¬ menica a baciarli la vesto; et essendomi trattenuto un gran pezzo con 8. E., il io suggetto de’ ragionamenti fu la persona di V. S., alla quale porta singolare af¬ feziono, ot entrò da sò a ragionare di loi, con dirmi che io facessi opera ap¬ presso di lei che ella pubblicasse il suo trattato del moto: a oho io risposi che V. S. ora adesso intorno allo meccaniche, o elio avrebbe noi medesimo volume compreso anche il dotto trattato. Discorremmo ancora de i successi avvenutili, circa a’ quali compatisce assaissimo a V. S. Mi faccia grazia ricordarmi servitore a Mons. r 111.™ Arcivescovo, e por fino a loi facendo reverenza, le prego dal Signore Dio vera felicità. Firenze, 15 di Ott. ro 1633. Di V. S. molto Ill. rd et Ecc. ,na All'.™ 0 o Obb. mo Ser. ro 20 Mario Guiduoci. Fuori: Al molto IU. ro et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. ,llu Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2749 **. GIOVANNI RONCONI a GALILEO [in Siena]. Firenze, 15 ottobre 1633. Blbl. Nnz. Flr. Mas. Oal, ?. I, T. X, car. 821. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r P.ron mio Oss. mo La divozione che io, già gran pozzo la, ho portato al valore 0 merito di V. S. mi ha di continuo incitato a procurar di sentir nuova della sua buona saluto, (,) Giholamo i>a Sommai* : cfr. n.» 2743 . <*> Lumi Capponi, arcivoscuvo Ui Ravenna. 15 — 21 OTTOBRE 1633. 305 [274-9-2752] della quale nelle passate turbulenze stavo con qualche gelosia; nondimeno, per¬ chè il vero non si può ocultare, non è anco maraviglia se ella delle buone sue azzioni ot ottima sua intenzione resti in maniera giustificata al mondo, che l’odio intestino di persona malo affetta alla sua virtù non potrà mai offuscare il chia¬ rore della bontà e sincerità di lei, di che paro a me che oliasi possa gloriare: e perchè io professo di esser infra li primi che la stimano e riveriscono, può io ben star sicura che io ne ho sentita quella maggior consolazione cho può go¬ dere un particolar servitore, qual sono io verso la persona di Y. S. Alla quale do nuova clic Suor Maria Celeste sta benissimo, se bene già sono parecchi giorni ha hauta ocasione di affaticar più del solito, essendovi stato bisogno della di¬ ligenza et aiuto di lei; alla quale sì come sono obbligato, così non tralasciai^ mai alcuna ocasione cho mi si rappresentarà da poterla servire. Intanto prego V. S. a favorirmi di ricordarmi huindissimo servo a Mons. r Arcivescovo, mentre a V. S. con ogni vero alletto bacio le mani. Di Fiorenza, adì 15 di 8bre 1633. Di V. S. molto 111. et Ecc. ,n:l Aff. mo c Pront. mo Ser. po 20 S.‘‘ Galileo. Giovanni Ronconi. 2750 *. SEBASTIANO BORSA ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Novara, 18 ottobre 1633. Cfr. Voi. XIX. Doo. XXIV, b, 81). 2751 *. PAOLO LATTANZIO da FERRARA ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Casale, 18 ottobre 1633. Cfr. Voi. XIX, Uoc. XXIV, 6, 79). 2752 **. .. Inquisitore di Modena, ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Modena, 21 ottobre 1633. Arch. di Stato in Modella. Archivio doli’ Inquisitone. Lettore dell’Inquisitore alla Sacra Congregazione, dol 1631, utque 1648. — Minuta. .... Ho ritrovato ancora, ritornato a casa, la lettera di V. E. delli 21 di 7bre, con la copia della abiura di Galileo Galilei; conforme alla quale non mancherò di mandare ad esecutione quanto mi vien comandato, eh’ è di l'aria publicare ove ne sia il bisogno, come già vi ho dato principio.... xv. so 306 22 OTTOBRE 1633. [2753] 2753 **. GERÌ HOCCHINEIU a GALILEO in Siena. Firenze, 22 ottobre 1633. 23 ibi. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X. cur. 223. — ÀutOfrafa. Molto IU. re et Ecc. mo S. r mio Osa.» 10 A Suor Maria Celeste ho fatto bavere la lettera inviatami da Y. S., con la sua de’ 18: ot se ella mi manderà fagottini per V. S., li indrizzerò al Maestro della Posta; ma non so già se potranno passare, et V. S. so no dovorà pigliare il pensiero. V. S. non può discittadinarsi, et lo conviene però pagar quella decima (n , per la quale pur di nuovo Rieri vennero li ministri a faro instanza di esser pa¬ gati, et noi glielo promettemmo per un giorno della settimana prossima. Cosi dunque si farà, se V. S. intanto non mi ordini in contrario. Prego V. S. d’intendere a mio nome dui S. r Can. 00 Cittadini w a elio segno siano lo cose di M. a Iuditta Perini (che è una donna Sanese, elio sta nello Mal¬ maritate), ciuò so si possino risquotere, et quando, li suoi crediti ot venderò la sua casa. Questa è una stucchevolissima befana, et non motte conto il faro ca¬ valocchio per lei nè inimicarsi gentilhuomini, come ella protendeva che facesse il S. r Canonico, la (pialo verrà a faro li fatti suoi da sé, così persuasa dal S. r Ball Cioli ot da me; ma nondimeno non ho potuto sfuggire di scriver questo a V. S. Et le bacio di cuore lo mani. Di Fiorenza, 22 di ()tt. ro 1633. Di V. S. molto Ul. 1 ? et Ecc. ma La Corte si trattiene allo cacce del Poggio. Oblig.rao Parente ot Sor."' Ceri Bocchineri. Fuori: Al molto Ill. r « ot F.cc. rao S. r mio Oss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. <*> Cfr. nu.' 2096, 2709. <*> Mattico Cittadini. [2754] 22 OTTOBRE 1633. 307 2754 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Siena]. Arcetri, 22 ottobre 1633. Bibl. Naz. T'ir. Mss. 6Al., P. I, T. XIII, car. 2+1. — Autografa. Amatiss." 10 Sig. r Padre, Mercoledì passato fu qui un fratello del Priore di S. Firenze a portarmi la lettera di V. S. insieme con Y invoglietto del refe ruggine, il qual refe, rispetto alla qualità del filo che è grosaetto, par un poco caro; ma è ben vero che la tintura, por esser molto bella, fa che il prezzo di 6 Grazie la matassa sia com¬ portabile. Suor Luisa se no sta in letto con qualche poco di miglioramento, et oltre a lei haviamo qua parecchie altre ammalato ; che se adesso ci fossi il sospetto della peste, saremmo spedito. Una di questo ò Suor Caterina Angela Anseimi, io che fu badessa avanti a questa presento, monaca veramente veneranda o pru¬ dente o, doppo Suor Luisa, la più cara o più intrinseca amica che io liavessi. Questa sta assai grave: liier mattina si comunicò per viatico, o, per quanto ap¬ parisce, può durar pochi giorni; e similmente Suor Maria Silvia Boscoli, giovane di 22 anni, e, perchò V. S. se la rammemori, quella che si diceva esser la più bella elio fossi stata in Firenze da 300 anni in qua. Questa corre il sesto mese elio sta in letto con febbre continua, che adesso dicono i modici essor divenuta otica, et si è tanto consumata che non si riconosce; e con tutto ciò ha una vi¬ vacità o fierezza, particolarmente nel parlare, che dà stupore, mentre che d’hora in bora si sta dubitando che quel poco spirito (che par ridotto tutto nella lingua) 20 si dilegui et abbandoni il già consumato corpo. È poi tanto svogliata, elio non si trova niente che gli gusti o, per dir meglio, elio lo stomaco possa ricevere, eccetto un poca di minestra di brodo ove siano bolliti sparagi salvatichi secchi, dei quali in questa stagiono so no trovano alcuni pochi con gran difficoltà : onde io andavo pensando se forse il brodo di starna, con quel poco di salvatico elio ha, gli potesse gustare ; e già che costì ve no sono in abbondanza, come Y. S. mi scrive, potrebbe mandarmene qualcuna per lei o per S. r Luisa, chè quanto al pervenirmi ben condizionate non erodo che ci fossi molta difficoltà, già che la nostra S. r Maria Maddalena Squadrali hebbe a questi giorni alcuni tordi freschi e buoni, che gli furono mandati da un suo fratello, Priore del monasterio degl’An¬ so geli, che è di Canonici Regolari, vicinissimo a Siena. Se V. S. potessi per mezzo nessuno far questo regalo, adesso che mi ha aguzzato l’appetito, mi sarebbe gratissimo. 308 22 OTTOBRE 1633. [2754] Questa volta mi conviene esser il corvo con tanto male nuove, dovendo dirlo elio il giorno di S. Francesco morì (loro, lavoratore do i Sertini ; ot ha lasciato una famiglinola lussai sconcia, pur quanto intosi dalla moglie, che fu qui hier- mattina a pregarmi eh’ io dovessi darne parte a V. S. o di più ricordargli la promessa elio V. S. fece al medesimo Goro et alla Antonia sua figliuola, cioè di donargli una gammurra nera quando ella si maritava. Adesso ò alle stretto, o domenica, che sarà domani, dice che si dirà in chiesa; o perchè ha consumati quei pochi danari che haveva, in medicamenti o nel mortorio, dico ritrovarsi io in gran necessità, o desiderar di sapere so V. S. può farlo la carità, lo gl* ho dotto elio gli farò sapore quanto V. S. mi risponderà. Non saprei come darle dimostrazione del contento che provo noi sentirò che ella si va tuttavia conservando con sanità, se non col dirlo che più godo dol suo boiio che del mio proprio, non solamente perché l’amo quanto me mede¬ sima, ma perchè vo considerando elio se io mi trovassi oppressa da infirmità o puro fossi levata dal mondo, poco o nulla importerebbe, perchè a poco o nulla son buona, dove elio nella persona di V. S. sarebbe tutto l’opposito per moltis¬ simo ragioni, ma in particolare (oltre che giova e può giovare a molti) perchè con il grande intelletto o sapore che gl* ha concesso il Signor Iddio può servirlo ot co onorarlo infinitamente più di quello clic non posso io; sì clic, con questa conside¬ razione, io vengo ad allegrarmi o godere del suo bene più elio del mio proprio. 11 S. r Rondinelli si è lasciato rivedere, adesso che le sue botte si sonc quie¬ tato. Rendo le salute a V. S., o similmente il S. r Ronconi. Assicuro V. S. che l’ozio non mi dà fastidio, ma più presto la fame, cagio¬ nata, credo io, non tanto dal molto esercizio clic fo, quanto da freddezza di sto¬ maco, cho non ha il suo conto interamente del dormire il suo bisogno, perchè non ho tempo. Fo conto dio l’oximele e le pillole papaline supplichino a questo di¬ fetto. In tanto gl’ ho dotto questo, por scusarmi di questa lettera che apparisco scritta molto a caso, essendomi convenuto lasciare o ripigliar la penna più d’una cu volta avanti ch’io l'hahbia condotta. E con questo gli dico a Dio. Di S. Matt.° in Àrcetri, li 22 di 8bre 1633. Sua Fig. ,Jl AfT."“ Suor M. a Colosto. Conforme a che V. S. m’iiupone noll’altra sua, comparsami dopo che havevo scritto, scrivo alla S. ra Ambasciatrice. Non so se lo tanto occupazioni mi bave- ranno tanto cavato dol seminato cho io non liabbia dato in nulla; V. S. vedrà o correggerà, o mi dica so gli manda anco il Crocifisso di avorio. Spero pure che questa settimana V. S. haverà qualche resoluziono circa In sua spedizione, e sto ardendo di desiderio di esserne partecipe ancora io. 70 lj6tt. 2764. 88. quando elle ti — [2755] 22 OTTOBRE 1633. 309 2755 *. MARIO GUII)UCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 22 ottobre 1033. 1/autografo della prosonto, che foco parto (lol fondo menzionato noli’informazione promossa al n.° 87, corse lo sorti medesimo dolio lottoro elio pubblicammo sotto i mi.' 1028, 2140: cfr. pag. 418 del Catalogo ili manoscritti eco., citato al n.° 1028. Prima però che avvenisse la dispersione (lolla Biblioteca Ronoom- I’agjji (nella qualo portava la segnatura liusta 608, «.* 53), noi avevamo potuto colluzionaro audio (juesto documento. Molto 111.” et Ecc." 1 ® S.™ P.ron mio Oss.'"° Sento incredibil contonto dall’intendere il buon progresso delle speculazioni di V. S. c la speranza elio ha di continuare questo verno in iscrivere: perchè, oltro al sollevamento elio lo dà. il gusto di ritrovare cose nuovo e pellegrine, sono di parerò elio sia per arrecarle notabilissimo scarico dolio passate traversie appresso di qualsivoglia persona intendente; le quali vedranno elio Y. S. non s’ora talmente ingolfata, come molti hanno detto, nella considerazione del sistema Copernicano, clic non avesse altrettanto o più filosofato intorno ad altre ma¬ terie, lasciate sino a ora illibate dagli altri ingegni: anzi, essendo queste di sua io propria invenzione e provato con rigorose dimostrazioni geometriche, faranno fedo al mondo che gli errori sono stati d’altri, boncliè resi più probabili da lei; ma quello elio depende totalmente et ha avuto principio dal suo ingegno, con¬ clude necessariamente e senza alcuna sorta di scrupolo. Mi par .miU’anni che s’eilettui la buona volontà, del Sig. Card. 1 ® Barberino circa al rimandarla alla sua quiete; o sino a che io non la vedo qua, temo sempre di qualche intoppo. Piaccia al Signore elio il mio timore sia vano, o che tor¬ nando in qua possa continuare con maggior forvoro o quiete i suoi studi. E fa¬ cendolo reverenza, lo prego da S. D. Maestà sanità, e ogni bene. Firenze, 22 di Ottobre 1633. 20 l)i V. S. molto lll. ro et Ecc.'" a Obl. mo e AfT.'"° Ser. ro Mario Uuiduoui. Fuori: Al molto HI.™ ot Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Oss. ,no 11 Sig. r Galileo Galilei. Siena. 310 25 — 27 OTTOBRE 1633. [2750-2758] 2756 **. PIETRO MAZZE1 a GALILEO [in Siena], Pisa, 25 ottobre 1633. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.» 33. — Autograia. Molto Ill. ro ot Ecc. mo S. r o P.ne Oss. mo Dal S. r Taddoi (1> mi ò stato inviato il mandato di V. S., ot ordinatomi a chi devo pagare li d. 500 cho li spettanoe con havor subito adempiuto in questo la sua volontà,, rosto con desiderio particolare di servir V. S. in cho altro da ino li piacessi valersi. E con farlo rovoronza con ogni alletto, resto pregando il Signore la conservi e la guardi. In Pisa, li 25 8bro 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Ali'.»' 0 S.*« Ecc. mo S. r D. r Galilei. Pietro Mazzei. 2757 ** GIO. BATTISTA GONDI ad [ANDREA 010L1 in Firenze]. Parigi, 25 ottobre 1G33. A.roh. di Stato in Firenze. Filza Mediceo 4644 (non cartolata). — Autografa. _Et Rebbi ancora i libri dol S. r Galileo, quali fo legare o saranno grati, come saranno ancora a buo tempo gli occhiali (S) : o però metto in considerazione a V. S. 111. 0 '* di mandarmegli quanto prima per via di Livorno, potendosi, c bene accomodati, in modo da non si poterò rompere.... 9 2758 **. GERÌ BOCCH1NERI a GALILEO in Siena. Firenze, 27 ottobro 1633. Bibl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. 1. T. X, car. 325. — Autografa. Molto lll. Po ot Ecc. m ° S. r mio Oss. mo Accuso a V. S. la sua lettera de’ 24. A Suor Maria Celeste manderò quelle che Y. S. mi ha inviate per lei, et se ella mi farà, havor quella scatola o al¬ io Giovanni Taddki. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, b), Hn. 280-288, o d), Un. 348-359. i*» Cfr. n.« 2483. [2758-2759] 27 ottobre 1633. 311 fcro, la intirizzerò a Y. S., ben raccomandata al procaccio et a cotesto Maestro della Posta. Non ho già trovato tra queste lettore, che V. S. mi ha inviato per sua figliuola et per Fra Fulgenzio 11 ’, quella che Y. S. dice per il Francini, detto il Tordo' 2 ’; et sarà rimasta per errore sul tavolino. Al Residente Buondelmonti (8 ' si mandorà et raccomanderà quella por Venezia, che tanto preme a V. S. io Sodisfarò le decimo 141 , et aspetterò da V. S. il favor della rclatione che ell’harà havuta dal S. r Can. co Cittadini' 5 -. Et lo bacio di cuore le mani, a nome anche di Alessandro mio fratello. La Corte tornerà sabato dal Poggio. Di Fiorenza, 27 di Ott. ro 1633. Di V. S. molto Hl. rft et Ecc. ma Oblig. mo Parente et Ser. ro Ceri Bocchineri. Fuori: Al molto IU. M et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo il S. r Galileo Galilei. Siena. 2759 . GIO. BATTISTA DONI a [GALILEO in Siena]. Roma, 27 ottobre 1638. Blbl. Naz. Fir. Mas. dal., P. I, T. X, enr. 327. — Autografi il poscritto o in souoscm.'ono. Molto Ill. ro Sig. re e P.ron mio Oss.“° Mi è giunta gratissima la cortese di Y. S., sì per l’annuncio die mi dà della sua saluto, sì anco per 1* occasione che mi porge, benché in piccola cosa, di servirla; il che io farò sempre con molto mio gusto, et tanto più quando mi commandorà coso di rilievo. Procurerò fra tanto di dar quanto prima reca¬ pito al piego inviatomi, come di già liarei fatto se conoscessi la persona a chi va. Sento anco con molto mio contento che Mons. r Arcivescovo tenga memoria di me, che sono forse de’ più antichi o partiali servitori eh’ egl’ Labbia qua. La prego a mantenermeli in grazia, e riverirlo anco a mio nome. La soave con¬ io versatone di S. Sig. rin Ill. nm son sicuro che gli rende molto meno noiosa la sua absenza dalla casa propria. Oh s’io potessi gustare alcuna volta do i loro dotti e sonsati ragionamenti, quanto mi terrei contento ! <•> Fulgenzio Mioanzio. (*> Cfr. n.o 27*17, lin. 89. C3) Ippolito Buondelmonti. «*» Cfr. nn.‘ 2695, 2709, 2753. Cfr. u.° 2753. 312 27 — 20 OTTOBRE 1633. 12759-2761] Quanto a’ miei atudii, sappia V. S., eh’ io attendo più cho mai alla musica, dove, per quel poco ili talento elio Dio ra’lia dato, mi paro d’bavere scoperto sin qui (oltre lo coso cavato da i manoscritti greci) bellissime osservatami, così nella parto del melos conio ritmo, et in particolare circa i modi o tuoni anti¬ chi, con pensiero, quando cho sia, di provaro so mi riuscirà ridurli in pratica con un nuovo lustramento cho ho per la fantasia, noi (pialo ai potranno sonare le consonanze nella loro perfezzione. Io spero che dal libro composto sopra la Lira Berberina w (il quale uscirà presto fuori) si potrà giudicare quello ch’io so possi fare in questo genere. Desidero cho V. S. mi favorisca d'avvisarmi di qual materia sono fasciato lo ruote che percuotono le cordo di quell’ instramento del Sig. r Principe D. Loronzo. E baciandoli affettuosamente la mano, prego S. D. M. u a concederli quanto desidora. Di Roma, questo dì 27 d’Ott. r « 1633. I)i V. S. molto 111." alla quale bacio di nuovo le mani, o di nuovo me li offerisco prontissimo a servirla in ogni occorrenza. AfT. mo Serv.r*’ di cuore 2760 *. CLAUDIO COSTAMEZZANA ad ANTONIO BARBERINI m Roma. Piacenza, 27 ottobre 1033. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, h, 82). 2761 *. MARIO GUIDUCC1 a GALILEO in Siena. Firenze, 29 ottobre 1033. Blbl. Est. In Modena. Raccolto Campori. Autografi, 11.® LXXVI1, n.® 132. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc.' no S. r o P.ron mio Oss. mo V. S. non si pigli fastidio del mio timore circa al suo ritorno in qua, per¬ chè non è fondato in altro che nell’ aver visto sino a ora la poca fortuna elio Cfr. Io. Baptistak Doni, Patrici Fiorentini, llluatramlam pertinenti». Kx autographis collegit ot in Lira IJarbarina àjicp()(op8o£. Acceduta oiusdom Incora proferri curarit Antonina Kranciscus(Joriusooc. opera, plcraquo ih indura edita, ad roto rem musi cani Fiorentine, typi* C&esareia, anno M. I). CC* LXIII. [ 2761 - 2702 ] 29 - 30 OTTOBRE 1633. . 313 ha avuto appresso i superiori eoa i quali ha avuto ultimamente a trattare; clic del resto io non ho avviso nessuno di Roma. Mi rallegro che le speculazioni continuino felicemente a somministrarle materia di diversione da i travagli; e spero che tirando a line i disogni, accennatimi con l’altra .sua, intorno a tante belle o intatte materie filosofiche, sia per risarcire appresso a tutte le persone studioso, con grandissimo avanzo, tutto quello ohe potosse avere scapitato per io la disgrazia di quest’ altri malaugurati Dialoghi. E facendo a V. S. reverenza, 1(5 prego dal Signore Dio sanità, lunga vita e ogni bene. Firenze, 29 di Ott.™ 1633. Di V. S. molto HI.” et Ecc. ma AU>° o Obb. mo Ser. r0 Mario Guiducci. Fuori: Al molto Tll. po et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Oss. mo II Sig.‘‘ Galileo Galilei. Siena. 2762 *. GIO. FRANCESCO TOLOMEI a [GALILEO in Siena], Roma, 30 ottobre 1633. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.“ XCI, n.° 1522. — Autografa la lottora, corno puro il poscritto di Uknkdktto Millini. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r c P.ron mio Oss. mo 11 S. r Primicerio Tolomoi (1) mi scrive che V. S. del continovo favorisce di ricordarlo la spedizione degli interessi del mio figliuolo, e che ella si compiace d’honorarmi della sua grazia. A me non ò stato nuovo il sentir gl’ effetti della sua gentilezza, essendo suo proprio il favorire i suoi servitori, obligandosegli sempre con lo cortesie. Io conosco quanto devo a Y. S., e mi reputo da qual¬ cosa mentre da lei vengo sì fattamente honorato. Sono tanto superbo per simili favori, eh’ io ardisco di suplicar Y. S. della continovationo. Questi Ecc. mi miei SS. ri (2 ' hanno sempre discorso sopra V. S., o la vorreb- 10 bono, ora che si veglia, nella conversatione, dovo si fa continova mcntionc della sua persona. Il S. r Benedetto Molimi ò prontissimo senatore di Y. S. Credo che in brove darà luco (sic) la sua prima commedia <3) , o V. S. sarà il primo, fuori di Roma, < l > Cristoforo Tot.omki. * 3) Cfr. u.° 2719. <*) Francksoo e Catkhina Niccom.vi. XV. 40 314 30 — 31 OTTOBRE 1633. [2762-2764] a vederla. Ricordo a V. S. la pronta volontà die ho di servirla, e col mede¬ simo Sig. r Meliini la reverisco di cuore. Di Roma, il 30 di Ottobre 1033. Di V. S. molto 111." et Ecc. m » Dev.o et Oblig. mo Ser.™ Gio. Fran. ft0 Tolomei. Io Benedetto Millino affermo quanto di sopra, mano propria. 2768. MATTIA BERNEGGER a GIO. MICHELE LINGEL8HEIM in Heidelberg Strasburgo, 80 ottobre 16113. Bibl. Oivloa «li Amburgo. Codlco citato nella iufonnaiione prometea al n.» 2613, cor. 99r. — Minuta autografa. Vir flunime, parentis loco mihi sempnr observnnde, GlaaernsW noster, queui, occupatisHimum hactetiu», appellare nondnm licuit, superiori septiraana Galilaeum cum littoria ad me misit, in quo per liane hyetnem convertendo tanto progrediar alacriua, quod autorem cutn inatituto meo tibi, cuiua iudicium facio prò co ac par est maximi, non displicere animadverto. Nec nvocabunt al» intcntiono isti a«l portam noscioqui; non ouim lianuibalea, adeo nihil strenue hic geritur: ni«i forte labore» intor- cipiat epidemia lue», quae septimana superiore 840 hoiuines «pud no» abnumpait.... 20 Oct. 15 ' 1633. 2764 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcctri, 31 ottobre 1633. Bibl. Nta. Fir. Mm. Gal.. P. I, T. XIII, car. 243. — Autografa. Ainatiss.® 0 Sig. r Padre, Ho tardato a scriver questa settimana, percliò desideravo pur di mandar gl’ ortolani, de i quali finalinente non se ne trovano, e intendo che linirono quando coniinciorno i tordi. Se puro io havessi saputo questo desiderio di V. S. alcuno settimane in dietro, quando andavo pensando e ripensando a quello che <•> Filippo Glabr». <*> Di stile giulinuo. 31 OTTOBRE 1633. [2764] 315 gl* havessi potuto mandare che gli fossi grato ! Pazienza : ella ò stata sventurata, ne gl’ortolani, come fui io nelle starne, poi che feci lino smarrir l’astore. (leppo tornò Meri da S. Casciano, o portò le due scatole, che V. S. mi ha mandate, ben condizionate : e giù, che da loi ne fui fatta assoluta padrona, mi io sono provalsa di questo titolo non mandandone altrimenti la metìt alla Cognata, ma sì bene ne ho mandato 2 torte o duo biricuocoli al Sig. r Gerì, dicendoli che V. S. desiderava che ne partecipasse anco la Sestilia; del restante ho havuto caro di farne parto al Sig. r Rondinelli, il quale si dimostra inverso di noi tanto amorevole o cordiale, et anco a molto amiche. Son cose veramente di gran bontà, ma anco di gran valore, chè per questo non sarei così pronta un’altra volta a far simil domanda 10 , alla quale la liberalità di V. S. ha corrisposto quadruplicatamente ; et io centuplicatamente no la ringrazio. Alla moglie di Coro t2) ho latto intendere il desiderio che V. S. ha di pareggiarsi con lei e farlo la carità al suo ritorno : so poi essa tornerà a do- 20 mandare, ossequirò quanto V. S. ordina; et il simile farò a Tordo w . Il Ninci 1 " 0 sta assai ragionevolmente di sanità, e sodisfattissimo de,ll’assi¬ stenza del nostro Geppo. Suor Luisa comincia a sollevarsi alquanto dal letto; Suor Caterina Angela (B) si morì ; la giovane* 6 ’ si va trattenendo, ma in cattivo stato. Il vino da S. Miniato non è venuto, credo io per esser stato il tempo molto piovoso, elio per questo non si sono ancora poste lo fave nell’ orto, ma si por¬ ranno il primo giorno che sia bel tempo. Si è ben seminata lattuga o cavoli, et anco vi sono dello cipolle. I carciofi son belli ; de i limoni ve ne sono co¬ modamente, ma pochi aranci. La moietta ha havuto un poca di scesa in un occhio, ma adesso sta bene ; so e similmente la Piera sua govornatrice, la quale attendo a filare et a pregar Iddio elio V. S. torni presto: è ben vero che non credo che lo faccia tanto di cuore quanto lo fo io ; se bone, mentre che sento che V. S. sta così bene, non so che mi diro, so non che il Signore corrispondo alla gran fede che ella ha nello mie povero orazioni, o per meglio dire in una orazione elio fo continua con il cuore, perchè con la voce non ho tempo. Non gli mando pillole, perchè il desiderio mi fa sperare cho Y. S. dova in breve venir da per sè a pigliarle : starò a sentire la rosoluzione cho olla haverà questa settimana. La commedia, venendo da lei, non può esser se non bella; fino a qui non ho potuto legger altro che il primo atto' 7 ’. Non mi manca materia da dire, ma sì bone il tempo; Lott. 2704. 16. la liberalità di — 0* Cfr. n.« 2717, lin. 42-44. <» Cfr. n.° 2764, lin. 88-42. 0> Cfr. u.o 2747, lin. 39. (M Giulio Ninoi. Ut Caterina Angela Ansklmi. Ut Cfr. n.° 2754. lin. 13. Ut Cfr. Voi. IX, pufcf. 21, nota 2. 316 31 OTTOBRE - 2 NOVEMBRE 1633. 12764 - 8766 ] o por questo finisco, pregando Noatro Signore o la Madonna Santissima che aiano 40 sempre in sua compagnia, e la aaiuto caramente in nome delle solito. Di S. Matteo, 1* ultimo di 8bro 1633. Sua Fig> AfT. mfc Suor M.“ Coleste. Fuori: Al molto ill. w Kig. r Padre mio Osa.*" 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2765*. SEBASTIANO BORSA ad ANTONIO BARBERINI iu Roma. [Novanti, 1° novembre lii&J. Cfr. Voi. XIX, l>oo. XXIV, 6, 83). 2766. GERÌ BOCCI!INERÌ a GALILEO in Siena. FI renio, 2 novembre issa. TJibl. Nar. B*ir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 32'J. — Automato. Molto Ill. r# et Ecc." 10 S. r mio Osa." 0 Ringrazio V. S. di quanto mi ha risposto por conto del Can. 00 Cittadini u ’. La lettera per il Tordo 2 non credo che possa essere stata da V. S. inviata a S. Maria Celeste, perchè non ho visto pieghetti grandi per lei; et mi dispiace clic possa essere andata male. Di Suor Maria Celeste «adotta mando a V. S. aggiunta una nuova lettera: però deponga il duhio che le lotterò di V. S. o di lei, inviate a me, capitino malo, almeno por colpa della mia negligenza. La medesima Suor Maria Celeste m’inviò 2 marzapani et 2 bericuocoli a nomo di V. S., perchè, serbandomene per «no una parte, io mandassi l’altra a Poppi; ma io ho mandato tutto a ’l Sig. r Vincenzio et alla Sestilia, et nondimeno ringrazio io V. S. della cortesia fattami. Procurerò cho si scriva a Roma di nuovo por il negozio di V. S. ; et questa volta sì, cho si haverebbe da hayor la grazia ! Il Senatore degli Asini' 3 ’ ò morto, et il Vescovo Cimenes * sta moribondo; et a V. S. bacio lo mani, dubbiosi cho lo grandi pioggio cho habbiamo non ci habbiano a far diventar ranocchi. iLett. 2760 . 15 - 16 . non ci habbiamo a far — »»> Cfr. nn.' 2753, 2758. **' Cfr. n.° 2758, lln. 7-8. •** Maro’Axtoxio nuoti Asmi. <*’ Tommaso Ximkkeb, vescovo di Fiesole. [2766-2767] 2 — 3 NOVEMBRE 1633. 317 Il successo felice seguito alli XI allo armi imperiali, elio già può esser noto a Mons. r Ill. mo ospite «li V. S., arreca accrescimento di gloria et (li titoli al S. r Fra Ottavio suo fratello, et per questo conto me ne rallegro con V. S. 20 Di Fiorenza, 2 Nov. ro 1633. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. mR Oblig. mo Parente et Sor.™ Gerì Boccliinori. Mi condolgo all’incontro del caso del povero dottoro Iacopo Cicognini, elio, frenetico o più tosto furioso, si buttò da una finostra et subito morì. 2767 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 3 novembre 1(533. Bibi. Est. in Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.“ LXXVII, tifi 133. — Autografa. Molto III. 1 ' 0 et Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss.' no To avevo veramente tralasciato, nell’andar conietturando il tempo della libe¬ razione di V. S., il capo che ella scrivo, della sua infausta fortuna, so bene mi ora caduta in pensiero por uno do’ principali punti, anzi forse e assolutamonto per il principale; tuttavia, por dar luogo alle speranze che ne poteva pòrgerò la giustizia della causa, volentieri andavo ingannando me medesimo, dandomi a credere quello di che io vedo sin a ora per esperienza il contrario, boncliò non mi paia anche possibile che cosi si possa durare lungo tempo, se bene non ò piccolo lo spazio di cinque mesi. Ma lasciando da parte i pensieri e ragiona¬ lo menti noiosi, mi rallegro che ella continui in buona sanità o nelle cortesi di¬ mostrazioni che riceve da cotesta nobiltà, oltro agli onori di Mons. r Ill. n, °, le quali stimo e d’affetto e d’effetto quanto si possono desiderare da qual si voglia gran personaggio. Qui V. S. è desiderata da tutti i suoi amici o servitori con estremo desi¬ derio, argomentandolo da quello che ne tengo io, per aver occasiono di servirla. Mi faccia grazia di ricordarmi servitore di Mons. r Arcivescovo ; et a V. S. facendo reverenza, le progo dal Signore Dio ogni contento. Firenze, 3 di Nov. ro 1633. I)i V. S. molto Ill. rc et Ecc.'" a A ff. mo e Ol>b. mo Sor. 1 ' 0 20 Mario Guiducci. Fuori: AI molto HI.»» et Ecc. 1 " 0 Sig.™ e P.ron mio Oss.'" 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 318 5 NOVEMBRE 1633. |2788] 2768 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcctri, 5 novembre 1G3H. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal.. P. I, T. XIII, c*r. 245. — Autografa. Ainatisfl. mo Sig. r Padre. So V. S. potessi penetrar l’animo et il desiderio mio come penetra i cieli, son sicura che non ai lamenterebbe di me, come fa nell’ ultima sua ; perchè ve¬ drebbe o si accerterebbe che io vorrei, se fossi possibile, ogni giorno ricever suo lettere ot ogni giorno mandarno a lei, stimando questa In maggior sodisfaziono eli’ io possa dare o ricever da lei, tino che piacerò, a Dio che ci possiamo go- der di prosenza. Credo non dimeno che da quelle poche eh’ io gli scrivo così acciarpate, V. S. possa comprendere che sono scritto con molta strettezza di tempo, il quale sabato passato mi mancò affatto per poter mandarle il trihuto debito; il che (sia detto con sua pace) ho caro elio seguissi, perchè in quelle io suo lamentazioni scorgo un eccesso di affetto dal quale son mosse, e me ne glorio. Supplii non dimeno la vigilia di Ogni Santi, mandando la lettera al Sig. r Ceri, la quale perchè, credo che gli sarò, pervenuta, non replico altro quanto a i quesiti ch’ella mi fa in questa ultima, bo non quanto all’ li aver ricevuto il plico per Mess. r Ipolito u ', il quale V. S. non mi ha mandato altrimenti, o quanto a Goppo, dicendolo cho egli, doppo che mi portò le scatole, non è tornato a S. fa¬ sciano, perchè il Ninci (2 non havova più bisogno eli lui; tornerà ad ogni modo a rivederlo un giorno di questa prossima settimana. La buona fortuna ha corrisposto al mio buon desiderio, facendomi trovar gl’ortolani elio V. S. desiderava; et in questo punto consegnerò la scatola, don- 20 trovi della farina, al ragazzo, dandoli commesione che vadia a pigliarli al ser¬ batoio eh’ ò in Boboli, da un uccellatore del G. Duca cho si chiama il Rema 0 il Remino, dal quale gl’ho per grazia a una lira il paio; ma, per quanto mi dice il medesimo Geppo che hieri fu a vederli, sono bellissimi, ot a’ poliamoli intendo cho vagliano tino in duo giulii: il S. r Uondinelli poi per sua grazia ne favorirà di accomodargli nolla scatola, perchè il ragazzo non havrebbe tempo di portarli qui e poi riportarli un’ altra volta in giù, ma li consegnerà ad un tratto al Sig. r Gerì. V. S. se li goda allogramonte, 0 mi dica poi se saranno stati a sua sodisfaziono. Saranno 20, com’ella desiderava. ,l > Ippolito Frakoiki. ■*» Giulio Nikgi. 5 NOVEMBRI-: 1633. 319 [ 2768 - 2769 ] Son chiamata all’infermeria, onde non posso dir altro se non elio la saluto di cuore insieme con le solite raccomandate et in particolare di Suor Luisa, la quale sta assai meglio, Dio lodato, il quale a V. S. concoda vera conso- latione. Di S. Matt. 0 in Arcetri, li 5 di Ombro 1633. Sua Fig. ln Àff. ma Suor M. a Coleste. Fuori: Al molto IH. 1 * Sig. r Patirò mio Oss. mo il S. r Galileo Galilei. Siena. 2769. MARIO GUIDUCC1 a GALILEO in Siena. Firenze, 5 novembre 1033. Bibl. N"az. Fir. Mss. Gal.. P. T, T. X, car. 383n. — Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. m0 S. r e P.ron mio Oss. mo Stiamo con gran desiderio attendendo buon esito delle speranze dato dal S. r 0. 13. (1) circa al ritorno di V. S. alla sua quieto, acciò ella possa respirare da tanti travagli e insieme tirare avanti lo cominciate speculazioni. Non mi dispiace di sentire cho in Doma sia chi scriva ex professo contro, perchè non ertalo cho lo siano por arrecare appresso le persone intendenti diminuzione al¬ cuna di reputazione, benché siano sicuri che da lei non aranno contradizione nè risposta ; essendo io di parere cho scriverranno coso sì materiali e golfo, clic senza alcuna replica chiariranno P ignoranza o malignità dell! autori. So in tanto V. S. manderà in luco queste fatiche che ora ha tra mano, si vedrà che non risponde perchè cedo, conio devo ogni persona cattolica, alle determinazioni do’superiori o acquieta l’intelletto allo loro decisioni, che sono verissime o irre¬ fragabili; ma non è già sì dobole, da esser convinta da ragioni così frivolo come mi vo immaginando cho siano por essere quelle delli avversari. Se poi avvenisse, che non credo, che essi scrivessero talmente da convincer l’intelletto anche con ragioni e argomenti filosofici c naturali, so che V. S. lo stimerebbe por un grande acquisto, ancorché, dovo hanno determinato persone illuminate da altro lume 0) Card. Francbbgo Barbkuini: cfr. u.» 2755, liu. 14-15. 320 5 — 6 NOVEMBRE 1633. 12769-2770) che dal naturale, sia superfluo il volerlo fiancheggiare con le debolissime ragioni inventate dagli huomini. Staremo a vedere u udire. Ringrazio Mons. r Ill. mo dell’onoro fattomi con suoi saluti, o desidero som- 20 mamonto occasione 0 modo di mostrare a S. S. 111.®* con effetto la devotissima servitù che io le professo. Con che a V. S. facondo reverenza, le prego dal Si¬ gnoro Dio felice e presto ritorno 0 ogni felicità. Firenze, 5 di Nov. M 1633. Di V. S. molto 111.** et Eco.®* Afl>° e Obb. mft Sor. 1 * Mario Guiducci. Fuori : Al molto 111.™ et Eco.® 0 S. r 0 P.ron mio Oss." 10 li Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2770 **. CATERINA RICCARDI NIOCOLINI a GALILEO fin Siena). Roma, f> novembre 1883. Blbl. Naz. Fir. M**. Gai., P. I, T. XIII, car. 217. — Autografa la aoUoacrùiono, Molto 111. 1 ® Sig. r 0s8. Suor Maria Celeste m’ha fatto un regalo molto bello e devoto; 0 sì corno è stata grande la stima che n* ho fatta, cosi prego V. S. a rondorlene particolari grazie in mio nome, oltre a quello elio le rendo con mia propria lettera. Il Sig. r Ambasciator et io non ci siamo scordati di servir V. S. nel parti¬ colare della sua liberationo ; e s’assicuri che non si lascierà indietro ollìzio fatto con ogni premura por che la segua, essendo così in obbligo di faro per i suoi gran meriti, singolarissime qualità et altri capi infiniti, concernenti ancora la nostra obbligatione. Et le bacio lo mani. Roma, G Novombro 1633. Di V. S. molto 111.™ io rietxX'cJLs ' «4/ 1 S. r Galilei. [2771-2772] 6-7 NOVEMBRE 1633. 321 2771 **. GIO. FRANCESCO TOLOMEI a GALILEO in Siena. Roma, 6 novembre 1633. Autogxafoteoa Morrison in Londru. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ecc." 10 S. ro P.ron mio Col." 10 Mentre stavo aspettando di sentirò dal S. r Primocerio (1 ' che rafììttuario del mio figliuolo havcsso sborsato il denaro de’ frutti decorsi, mi vien inaspettata¬ mente da Sua Signoria Rover. ,na avvisato elio la parte ha levato la causa dal giudice ordinario e ricorso al foro ecclesiastico, dovo è giudice Hllust. mo Vicario, quale è zio della parte: consideri come sto concio! Questi dottori dicono di non havor mai trovato che si cominci una lite col sequestro, mentre ci sono stabili equivalenti ; dove si vedo chiaramente che Mona. 1 ’ Vicario la vuole a suo modo. Io era consigliato d’allogarlo sospotto; ma perchè spero nella giustitia rottissima io di Mons. r Arcivescovo, non ho voluto farlo: è bensì necessario elio Sua Sig. ri:i Ill. ,na tenga lo mani addosso al Vicario, acciò io, fidandomi, non riceva danno. V. S. por sua benignità interponga il suo favoro e m’aiuti, o, se si può, si levi il se¬ questro e si litighi conforme al dovere. Mi dicono tutti questi giudici elio s’io appello a Roma, in duo giorni havorò la sententia favorevole. Ora è il tempo, Sig. r mio gentilissimo, del suo patrocinio: spero dalla sua mano ogni bene, e la supplico di scusare la mia importunità. E per fino la riverisco di cuore. Di Roma, li 6 Ombro 1633. Di V. S. molto 111. 10 ot Eoc. ma Devot."' 0 ot Oblig.roo Ser. r0 Giovanni Francesco Tolomei. 20 Fuori: Al molto Ul. ra et Ecc.'" 0 S. r ° P.ron mio Oss." 10 il S. 1 ' Galileo Galilei. Siena. 2772 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, 7 novembre 1033. Bibl. Naz. Flr. Msa. Gal., P. I, T. XIII, car. 219. — Autografa. Amatiss. mo Sig. r Padro, Guccio osto, qua nostro vicino, viene in cotesto bande per suoi nogozii, ot io con questa occasione scrivo a V. S. questi pochi versi, dicendolo che se nol- <*' Cristoforo Tommki. XV. 41 322 7 NOVEMBRE 1633. | 2772 - 2773 | l’ultima ch’io gli scrissi mi lodavo della fortuna che nii fece trovar gl’ortolani, i quali all’bora mi pareva di haver in pugno, adesso ino ne lamento, perché non volso che fossero il numero ch’io desideravo, si come a quest bora V. S. bavera veduto, et anco inteso dal Sig. r Gerì. La causa fu, perchè fra quelli cho havevft il Borna' 1 ’ non ve no furono de i buoni altro cho quegl’undici; o poi cho Goppo haveva fatto l’orrore di pigliar questi pochi, doppo havor io fatto cercar do gl’altri qui in paese et in Firenze, ini risolvei a mandarli, inanimita dal io guardaroba qui dol Poggio Imperiale, il quale disse cho erano gran presente di questo tempo die non se ne trovano. Basta, V. S. accetterà se non altro la mia buona volontà. Mess. r Ipolito ( * mandò por li 4 scudi, o glieli mandai subito. Il vino da S. Miniato non comparisce. L’orto non si può ancora lavorare, chò è troppo molle. 11 ragazzo è andato oggi a riveder il Ninci'*. Suor Luisa sta meglio, ina non bene affatto: saluta caramente V. S., et il simile fanno S. r Arcangiola, Madonna, S. r Cammilla et il suo babbo, il qualo ò un pezzo dio non si ò lasciato vedere mediante il cattivo tempo, ma scrivo sposso. Nostro Signoro la conservi. 20 Di S. Matt. 0 , li 7 di Umbro 1633. Sua Fig> Afl>» Suor Al.* Coleste. Fuori: Al molto Ill. r « Sig. r Padre mio Osa.® 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2773 *. GIO. MICHELE UNGEl.SHEIM a MATTIA BERNEGGEB in Strasburgo. Heidelberg, 7 novembre 1688. Dalla pag. 49 dell’opora citata nella Informazione premessa al n.« 8646. -In Galilaeum iam intentns, pelle tristes cogitationeB ouines et de futuri» curati. In Ileo confìdamuB, qui omnia in bonum suoruw dirigiti. Ileidelbergae, 28 Octobr. (4) 1033. “> Cfr. n.° 2768, Un. 22-28. l*> Ippolito Fuaxcini. »*» Giulio Nutrì. **' Di stilo giuliano. [2774-2775] 11-13 NOVEMBRE 1633. 323 2774 *. CESARE MONTI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Madrid, 11 novembre 1033. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 80). 2775 *. MARIA CELESTE GALILEI a [GALILEO in Siena]. Arcetri, 12-13 novembre 1G33. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal.. P. I. T. XIII, car. 251-252. — Autografa. Amatiss."' 0 Sig. r Padre, Con l’occasione che mi si porge della venuta costì dol lavoratore di Mcss. p Santi Biadi, scrivo di nuovo a V. S., dicendolo in prima che mi maraviglio ch’olla in quest’ultima non tratti di haver havuto lettere di Roma nò risoluzione circa il suo ritorno, il quale pur si sperava quest’Ogni Santi, por quanto mi disse il Sig. r Gherardiiii 10 . Desidero cho V. S. mi dica conio veramente passa questo ne¬ gozio, per quietar l’animo, et anco sopra a che materia sta scrivendo di pre¬ sente, so però ò cosa che io possa intenderla: o non habbia sospetto ch’io cicali. Tordo (,) ha havuti li 4 d., corno gli scrissi giovedì passato, o li SS. ri Bini mi io hanno mandato a domandare per Domenico lavoratore i danari del fitto della casa. Ho risposto che si darà, sodisfaziono subito che V. S. no sarà consapevole e me no darà l’ordine. Nell’orto non si ò potuto lavorare altro che una mezza giornata lino a qui, mediante il tempo cho va tanto contrario, il quale credo che sia buona causa cho V. S. travagli tanto con le suo doglie. Le due lib. di lino che mandò per Geppo mi paiano del medesimo di quello che vale 20 Grazie, il quale riesce buono, ma secondo il prezzo credo cho po¬ trebbe esser miglioro. Quolla lib. sola di 4 giuli è finissimo, o non ò caro. Mess. r Giulio Ninci sta bene affatto, per quanto intendo da Geppo, c c’ha 20 mandate dell’ amorevolezze : e particolarmente Mess. r Alessandro l3) suo cugino Lett. 2776. 7. lanino — Ol NlCOOLÒ GhBRAIU)1NI. <*> Ippolito Frangisi. « 8 1 Alessandro Ninci. m 12-13 NOVEMBRE 1633. [ 2775 ] mi mandò un cedro, del quale ne ho fatti questi 10 morselletti che gli mando, che por esser un poco aromatici saranno buoni, so non per il gusto, per lo sto¬ maco. V. S. potrà assaggiarli e, se gli giudica a proposito, presentarli a Mons. r IU. mo insieme con la rosa. Il pinocchiate con quei due pozzi di cotognate gl’ho havuti dalla mia S. r Ortensia, alla quale in contraccambio mandai una di quelle torte elio mi mandò V. S. Non mando pillole, perchè non ho havuto tempo a riformarlo, oltre che non sento che gli bisognino. Al ritorno del latore di questa, sarà conveniente di’io gl'usi amorevolezza, ha vendo lo richiesto : havrò caro che V. S. mi avvisi quol che potrò dargli, per so sodisfarlo e non soprapagarlo; già egli vione costi principalmente per servizio suo proprio. Finisco con far lo solite raccomandazioni, o dal Signor Iddio gli prego vero contento. Di S. Matt.° in Aroetri, li 12 di Ombre 1633. Sua Fig> Aff. m » Suor M.* Colosto. La pioggia continua non lift concesso a Giovanni (chò così si chiama il la- toro di questa) che egli possa partire questa mattina che ò domenica, ot a me in tanto lascia campo per cicalar un altro poco, o dirgli come poco fa mi sono 40 cavata mi dente mascellare grande grande, che era guasto o mi dava gran fa¬ stidio; ma poggio è che ne ho de gl'altri, che fra poco faranno il simile. Dal Sig. r Itondinelli intendo che i duo figliolini di Vincenzio Landucci di pre¬ sente hanno buon governo da una donna che egli ha tolto in casa a questo ottetto da poco in qua. Lui è state malo (li febbre, ma va migliorando. Desidero di sapere come Vincenzio nostro scrivo spesso a V. 8. Ter risponderò a quel particolare che ella mi dico, che lo occupazioni sono tanto salutifere, io veramente por tali le riconosco in me medesima ; chè se beno talvolta mi paiano superflue e incomportabili, per esser io amica della quiete, con tutto ciò a mente salda veggo chiaramente, queste esser la mia saluto, o 60 che particolarmente nel tempo, che V. 8. ò stata lontana da noi, con gran prov¬ videnza ha permesso Nostro Signore che io non Labbia mai, si può dire, un’bora di quieto, il che mi ha impedito il soverchiamente affliggermi : il che a me sa¬ rebbe stato nocivo, et a lei eli disturbo e nou di sollevamento. Benedetto sia il Signore, dal quale spero nuove grazie per l’avvenire, sì come tante ce ne ha concesso per il passato. In tanto V. S. proccuri di staro allegra o confidare iu Lui, elio è fedele, giusto o misericordioso; e con Esso la lascio. U877M777J 12 NOVEMBRE 1633. 325 2776*. DINO PERI a [GALILEO in Siena], Firenze, 12 novembre 1633. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Cnmporl. Autografi, B.« LXXXIV, n.° 178. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Coi." 10 Sono stato parecchie settiraano fuor (li Eironzo, parto noi Valdarno o parto nello Chiane d’Arezzo, per vedere, corno padrone o fattoi- di casa, diversi no¬ stri poderi, elio vanno in rovina, con lo caso o con ciò elio v* è, per gli assas¬ sinamenti de’contadini. Trovo che mio padre era di sangue troppo dolce, o il suo figliuolo, elio a certi tempi non vorrebbe somigliarlo, patisco fuor di modo in violentar la natura o mostrar il viso acerbo; c più patisco, ed è un tor¬ mento continuo, noli’bavero il ccrvollo sempre rinvolto in questo porcherie di traffichi mercantili, e bandito affatto da ogni filosofica speculatione. io Ilo letta la lettera di V. S. Ecc. n,a , inviata giù, al Sig. Niccolò (,) ; oporch’io no ritraggo confermationo di quanto s’era inteso per altra banda, mi veggo lontano dall’impiego desiderato w . Mi quieto in ogni modo in patienza, et a V. S. Ecc. nm resto con obligo grandissimo, vedendo quanto volentieri olla mi ballimi favorito, c quanto più mi favorirebbe se più ci lusso luogo di estender la sua amorevolissima mano. Lo no rendo gratio infinite, e vivo con particolar desiderio di mostrarlo qualche gratitudine di questo e di tanti altri favori elio mi stanno scolpiti nel cuoro. Bacio a V. S. Eoe.'" 11 devotamente le mani, o Io dosidero ogni bene. Eir. z0 , 12 Novembre 1633. 20 Di V. S. molto Ill. ra et Ecc. m!l Oblig. mo e Dcvotiss. 0 S. ro Dino Pori. 2777*. RANUCCIO SCOTTI ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Lacerna, 12 novembre 1633. Cfr. Voi. XIX. Hoc. XXIV. b, 85). (•> Niccolò Aggiunti. <*> Cfr. mi. 1 2716, 2733. 326 13 NOVEMBRE 1633. 13778-2779] 277 »-. FRANCESCO NIOCOL1N1 a GALILEO [in Siena]. Roma, 13 novembre 1633. Dibl. Non. Plr. Mas. Gal., P. I, T. X. car. 836. - Autografa la aottoacrixiono. Molto 111. Sig. r mio Osa. 1 " 0 ITiermattina nulla mia audienza supplicai efficacemente S. S. u il 1 ordinare elio V. S. potesse liberamente tornar alla casa sua, haveudo obbedito sin bora a (pianto gli è stato comandato, con rappresentar quel di più che ho stimato giovevole per facilitarli la grazia; o la S. mi replicò che bo ne purlorobbo in Congregatimi©, soggiugnendomi bene di sentir con disgusto elio ci siano al¬ cuni ohe mettino insieme scritturo per corroborar e difender T opinione publi- cata da V. S. A che soggiunsi elio questo non doveva pregiudicar a V. 8., la quale ero sicuro elio non vi hnveva parto alcuna: onde S. II.®» mi replicò di nuovo che non haveva veramente sentito parlar di lei, ma d’alcuni altri, i quali guardinsi dal Santo Oilitio, perchè so saranno arrivati so n’ accorgeranno. Do parte a V. S. di tutto questo confidentemente per ogni buon rispetto, o col mio solito desiderio di servirla le bacio lo mani. Di Roma, 13 Nov. bre 1688. Di V. S. molto ili. Affi® 0 Sor.™ S. 1 ' Galilei. Frane. 0 Niccolini. 2779 . FRANCESCO NICCOL1NI ad ANDREA CICLI fin Firenze]. Roma, 18 novembre 1633. Bibl. Na*. Pir. Mas. Gal., P. I, T. II, car. 201. — Autografa la sottoscriziono. 111.“° Sig. r mio Os8. Parlai biermattina a S. S. a della liherationo del Sig/ Galileo, a fin elio fosso grati¬ ficato di potersene tornar a Firenze, dopo cinque mesi di relegationo in Siena. S. S. a mi rispose che roderebbe quel che si potessi fare, e che ne discorrerebbe in Congregatione del S. Uffitio; ma che in tanto mi faceva sapere che eli’haveva notizia che vi eran alcuni che scrivevano in difesa della sua opinione. Io replicai di poter assicurar S. B. che queste cose non succedevano di sua participatione o commissione, e che io la supplicavo a restar 13 — 1G NOVEMBRE 1G33. [2779-27801 327 servita di compiacersi che i delitti de gl’altri non le nuocessero. .Replicò di non saper che egli vi ha vesso parto, ma che guardinsi pur quei tali dal S. Offitio : o tornando io 10 di nuovo a quasi i medesimi concetti, la supplicai di nuovo distantemente, in nome del Ser. w0 Padrone, del favore della grazia, e ini l'u risposto il medesimo. Attenderò bora il rescritto del memoriale sta[to da mej anche efficacemente raccomandato al Maestro di Camera, che, corno Secretano de’ Memoriali, lo deve negotior di nuovo por pigliarvi la risolutione; come ancora starò a sentire so in Congregatione se ne parli mercoledì mat¬ tina; e di quel che si sarà ottenuto sarà Y.S. Ill. ma ragguagliata. Mentro in tanto le bacio atl'ottuosamcnte le mani. Roma, 13 di Ombre 1G33. Di V. S. ili." 1 » B. r Bah Gioii. 0bl.”° Ser. rn Frane. 0 Biccolini. 2780 *. GERÌ BOCCHINEW a [GALILEO iu Siena]. Firenze, 1G novembre 1688. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. X, car. 887. — Autotfmfrt. Molto 111. 1 ' 0 et Eoc. ,no S. r mio Oss. mo Il S. r Ambasciatore Niccolini rispondo in proposito di V. S., con sua. lettera de’ 13 (1) , di havoro fatto l’offizio con S. S. ta , acciò doppo 5 mesi di rolegationo in Siena le fusse permesso di tornare a Fioronza, et sogghigno questo parole pre¬ ciso: « S. S. tò mi risposo che vedrebbe quel elio si potosso fare, et elio ne di¬ scorrerebbe in Congrogationo del S. t0 Offitio ; ma elio intanto mi faceva sapere cli’oH’havova notizia clic vi erano alcuni che scrivevano in difesa della sua opi¬ nione. lo replicai di poter assicurar S. B. no che queste cose non succederanno di sua participatione o commissiono, et che io la supplicavo a restar servita di io compiacersi che i delitti degli altri non li nuocessero. Replicò di non saper che egli vi havesse parte, ma che guardinsi pur quei tali dal S. t0 Offitio : e tornando io di nuovo a quasi i medesimi concetti, la supplicai di nuovo instantementc, in nomo del Sor.’" 0 Fadrono, del favor della grazia, et mi fu risposto il medesimo. Attenderò bora il rescritto del memoriale stato da ino ancho efficacemente rac¬ comandato al Maestro di Camera, che, conio Segretario de’ Memoriali, lo deve negoziar di nuovo por pigliarvi la risolutione; còme ancora starò a sentire se in Còngrogatione so no parli mercoledì mattina: et di quel che si sarà ottenuto darò ragguaglio ». m Cfr. u.° 2779. 328 10 — 18 NOVEMBRE 1633. 12780-2781] Piaccia hora a Dio elio V. S. et noi tutti possiamo restar consolati, et lo bacio di cuore le mani. 20 Di Fiorenza, XVI Nov.”* 1633. Sogghignandolo che con questo ordinario non ho lettere di V. S. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ra * Oblig.™ 0 Parente et Ser.*» Gerì Bocchinon. 2781 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, 18 novembre 1C33. E ibi. No*. Tir. Mi». Gal., P. I, T. XIII, car. 2ó8. — Autografa. Amatiss. ra0 Sig. r Padre, Ho ricevuta la sua gratissima insieme con li 4 biricuocoli, quali ho conse¬ gnati alla Piera acciò li dispensi alle vicine. Mi son grandemente rallegrata di sentirò cho V. S. esca fuori della città a pigliar aria, perché so quanto gli sia utile o dilettevole. Piaccia pur a Dio che ella possi venirsene presto a goder la sua musetta, per il fitto della quale ho mandato stamani a i padroni li d. 17 */„ perchè facovano instanza (li haverli, et a V. S. mando la nota delle spese fatto por la medesima casa: dicendole anco corno il fabbro ha reso li 3 barili di vino che ci doveva; è di quello del Navicello, et è buono a bastanza per la servitù: sì che adesso si ò riavuto tutto quello elio si era dato, o per dir meglio prestato, io La verdca non ò ancora in perfeziono ; ma quando sarà, procurerò di havorne della esquisita, o quest’huomo ci farà servizio di portarla. Volevo mandargli delle melarance dell’orto, ma dalla mostra che me ne ha portata la Piera ho veduto cho non sono tanto fatte. So la buona sorte faceva che V. S. trovassi almeno una starna o cosa simile, l’havrei havuto carissimo por amor di quella poverella giovane ammalata (1) , la quale non appetisco ad altro cho a qualcho salvaggiume. Nel plenilunio passato stetto tanto male, cho so li dette l’Olio Santo; ma adesso è ritornata tanto che si credo cho arriverà alla nuova luna. Discorro con una vivacità grando, o piglia il cibo con agevolezza, pur che siano coso gu¬ stoso. Hiornotto stetti da lei tutta notte; o rnentro gli (lavo da mangiare, mi 20 disse: « Non credo già che quando si è in termine di morire si mangi come fo “* Cfr. u.« 2764. 18—19 NOVEMBRE 1633. 329 [2781-2782] io ; coti tutto ciò non mi curo di tornavo in dietro, ma sia pur fatta la volontà di Dio ». 11 quale io prego che a V. S. conceda la Sua santa grazia ; o la saluto in nome dolio solite. Di S. Matteo in Arcotri, li 18 di 9mbro 1633. Sua Fig> AfF. nm Suor M. a Celeste. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r Padre mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei, co Siona. 2782 . GERÌ BOCOHINERl a [GALILEO in Siena]. Firenze, 19 novembre 1033. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal., ?. I, T. X, cnr. 889. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc." >0 S. r mio Oss. mo A Suor Maria Celeste ho mandato Roggi lo lettere di V. S. et della S.™ Am¬ basciatrice, perché non prima hanno lo Monacho mandato la Piera per esse; et al S. r Guiducci farò haver l’altra che ini ha inviata V. S., et che mi è stata re¬ capitata in questo punto. Ringrazio V. S. di quanto mi ha risposto del negotio del S. r Can. co Cittadini, et a me pare mille anni che questa donna importuna si vadia con Dio (1) . Lo Monache hanno liavuto anche questo anno il tributo dell’orto, cioè lo me¬ lagrane, elio tutte si sono custodite por loro. È ben vero elio Gcppo no lasciò io sul frutto alcune piccole, che egli disse di non poter arrivare, et promesse di vo- niro per osso un’altra volta con un luiomo maggiore di lui, che le arrivasse; ma non lo ha poi fatto, et così lo grandi acque, che sono di poi venuto, le hanno marcite et fatto cadero. Vedrò se potrò provvederle le 50 poro che V. S. chiedo; ma mi sarà più difficile il trovar modo da mandargliele. Io dubito che il S. 1 ' Vincenzio habbia da esser privato della Cancelleria, per¬ ché li ministri tutti do’ Nove, et massime il S. r Luca degli Albizi, lo tassano di trascurato, et che o non resti capace o non esseguisca bene gli ordini del Ma¬ gistrato 12 ’. Ilo cercato et corco, se non di giustificarlo, almeno di scusarlo, con prometterne la omcnda, acciò egli sia conservato noll’offizio, perchè meglio sa- 2 u robbe non lo bavere mai liavuto che bora esserne privo; et questo licenziamento et privatione gli sarebbe poi sempre di eccezzione per altri offizii clic egli chie- Cfr. u.° 2733. ,Sl Cfr. Voi. XIX, Doc. XXVII, e, 4). XV. 42 330 10 — 22 NOVEMBRE 1688. [2782-2784] desso. «Sarebbe dunque bene elio V.S. scrivesse in sua raccomandazione al S. r Luca degli Albizi, ot quanto prima, et anche al S. r Hall finii, sebene con questo forso basto io solo. Ma col S. r Luca è necessario «li tursi presto l’nftiaio. Et scriva poi anche al S. r Vincenzio che vegga di essor più diligente, con badare al negozio senza svagarsi o perder tutto il tempo particolarmente dietro a una inventiono nuova di buonaccordo, perchè a questo si ha da attendere quando il tempo avanza; sebene egli dice elio questa è una persocutione do’ ministri della Cancel¬ leria, perchè non sono mai stati riconosciuti da lui di regali: et oomunquo si sia, ogli ha bisogno di raccomandarsi et non di chieder giustizia, che por lui sarebbe, so ned modo sudetto, troppo gravo et rigorosa. Et a V. S. bacio di cuore lo mani. Ho fatto et vado facendo quanto posso in aiuto del S. r Vincenzio, come lo fa anche Alessandro' 0 , ma ho bisogno di aiuto. Di Fiorenza, 19 Nov.™ 1633. Di V. S. molto Ill. r * et Ecc.™* Oblig. TOO Parente et Ser.** Gori Boccliiiiori. 2783 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, 90 novembre 1033. Bibl. Naa. Flr. Usi. Hai.. P. I. T. II cnr. 203. — Autografa la «oltoaeriilono. _Ilavrìi vinto V. S. 111."* ch’io havevo esoquiti «li ordini del Fndron Ser. wft , in¬ viatimi mentre S. S. u era in campagna, a proposito del S. r (ìalilei, nella prima audienci ch’io hftbhia ottenuta; ma questa poca d’indisposittione 1 *’ ha sospeso ogni cosa: ondo non sia maraviglia se, non ostante elio il memoriale sia stato rimesso alla Congrcgntione del S. l ° Oftizio, non vi si sia presa risoluttione, porche senza l’intervento di S. B. h * nuli si farebbe.... 2784 *. FRANCESCO STELI .UT I a [GALILEO in Siena]. Roma, 22 novembre 1633. Blbl. Bit. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* XC, n.“ HO. — Autografa. Molto Ill. ra ot Ecc. mo Sig. r mio e P.ron Oss. mo Non ho più scritto a V. S. da che è partita di Roma, por haver havuto di lei spesso nuova dal Sig. Tolomei, Padre Castelli e S. r Raffaello Maggiotti et <*> Alessandro Boochixkri. '*> Cfr. n.° 2787, Un. 36-37. 22 — 24 NOVEMBRE 1633. 331 [ 2784 - 2785 ] inteso elio fa tuttavia di bellissime speculationi, che l’ho sentito con molto gusto, conio anco che se la passi allegramente e stia bene di sanità. Hora, con occa¬ siono del ritorno in Fiorenza dell’Ecc."' 0 Sig. ro Marchese Salviati (1) , ho voluto baciarle le mani, come fo col mezzo di quosta, ricordandolo insiememente il de¬ siderio c’ho di servir V. S. o quanto sia bramoso d’ogni suo bene. Non resti dunque d’impiegarmi dove credo che sia buono a servirla; et intanto starò at- 10 tendendo il frutto dello sue bello speculationi, volendo credere che sia per pu- blicarlo poi insieme con l’altro sue cose intorno al li moti, acciò non si perdano tante novità o così bollo fatiche. Si conservi sopra tutto sana; e resto pregan¬ doli da N. S. Dio ogni maggior prosperità o contentezza, baciandole di nuovo lo mani, con pregarla a far riverenza a mio nomo a Mons. r Arcivescovo, con ri¬ cordarmeli servitore. Roma, li 22 di Novembre 1633. Di Y. S. molto HI. 10 et Ecc.‘ na Ser. ro Afì'.mo Frane. 0 Stolluti Line. 2785 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO [in Siena). Arcotri, 23-24 novembre 1633. Dibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. T, T. XIII, car. 255-25G. — Autografa. Amata." 10 Sig. r Padre, Sabato sera mi fu rosa l’ultima di Y. S. insieme con una della Sig.™ Am¬ basciatrice di Roma, piona di affettuosi ringraziamenti del cristallo e di condo- glienza mediante la privazione che per ancora V. S. ha di potersene venire a casa sua; e veramente che ella dimostra di esser quella gentilissima Signora che V. S. più volte mi ha dipinta. Non mando la lettera, perchè sto in forse so devo riscrivergli; ma prima aspetterò di sentire che risposta habbia V. S. di Roma. Non lascio di far diligenza per trovar le pere che V. S. desidera, e credo io che farò qualcosa. Ma perchè intendo elio quest’anno le frutte non durano, non so so sarà meglio che, quando io le habbia, le mandi, e non aspetti il suo ri¬ torno, che potrebbe indugiar qualche settimana a seguire, o almeno il desiderio me ne fa temere. Il Sig. r Geri c’ha fatto parte di tutto le frutte dell’orto, dolio quali ve ne sono state pocho e poco buone, per quanto ho inteso da Geppo che andava a Vincenzo Saeviati, Marchese (li Moutiori. 332 23-24 NOVEMBRE 1688. [278B] cerio ; v particolarmente delle melagrane la maggior parte A stata la nostra, ma, conio gli dico, stentate o poche. Domenica prossima cominciamo 1’Avvento, onde se V. S. ci manderà i biri- cuocoli, ci saranno grati per far colazione la sera; ma basteranno di quelli più doz¬ zinali, come quelli che mandò allo vicine, lo quali dico la Piera che insieme con 20 lei ringraziano V. S. 0 so lo raccomandano : et il simile tacciamo noi tutte, pre¬ gando Nostro Signore elio la feliciti. Di S. Matt. 0 in Arcetri, li 23 di Ombre 1633. Di V. S. molto Ili.® Fig. u AfT. ra * Suor Mar. Culesto. Y. S. volti carta 145 . Mercoledì sora vicino alle 24 hore, doppo elio bavero scritto la prima fac¬ cia, comparvo qui Giovanni 0 mi recò le lettere di V. S. al Sig. r Gerì. Non fu possibile il mandarle prima elio la mattina seguente, corno feci di buon 1 bora. Hebbi anco il paniere, entravi 12 tordi; gl’altri 4, che havrobbero compito il numero 30 elio V. S. mi scrive, bisogna elio qualche grazio :i gattina se gli sia tolti per as¬ saggiarli avanti a noi, perchè non vi erano, et il panno che li copriva haveva una gran buca. Manco malo che le starno e le aecoggie erano nel fondo: dello quali una, 0 duo tordi, donai &ll’ammalata, elio no fece grande allegrezza, e ringrazia V. S. ; un’altra, o medesimamente 2 tordi, ho mandato al Sig. r Itondi- nclli; et il restante ci siamo goduto insiemo con le amiche: et ho havulo gran gusto di scompartir il tutto fra molte persone, percliò cose buscato con tanta diligenza o fatica ò stato bone elio siano partecipate da parecchi. K perché i tordi arrivorno assai stracchi, ò bisognato cuocerli in guazzetto, et io tutto il giorno sono stata lor dietro; sì die per una volta mi sono data alla gola da vero. do La nuova elio \. S. mi dà della venuta di quello Signore, mi è stata tanto grata, cho, doppo quella del ritorno di V. S., sto per dire clic non potrei liavcr la miglioro; perchè, essendo io tanto affezzionata a quella, con la quale Laviamo tanto obligo, desidero sommamente di conoscerla di vista. È bon vero ebo al¬ quanto mi disturba il sentire che esso mi hubbiuo in tanto buon concetto, es¬ sendo sicura che non riuscirò in voce quale mi dimostro per lettera; e V. S. sa cho noi cicalare, 0 , por dir meglio, nel discorrere, io non sono da nulla. Ma non mi curo per questo di scapitar qualche poco appresso di persone tanto benigne, elio mi compatiranno, pur cho io contragga servitù con la mia cara Signora. Andrò in tanto pensando a qualche regalo, (hi povera monaca. f>o O) 11 poscritto 6 sul (ergo della car. 255 e sul **> Cfr. n.» 2754. 1.2785-2786] 23-24 — 26 NOVEMBRE 1033. 333 Havrò caro clic V. S. vegga di farmi liaver i cedrati, perché io non saprei dove gli buscare; e mi sovviene die il S. r Aggiunti (il gliene mandò parecchi bel¬ lissimi l’anno passato, si che V. S. potrà tentare anco adesso: et io poi mi met¬ terò a bottega a far i morselletti, con mio grandissimo gusto d*impiegarmi in questo poco per servizio di Mons. r 111. 1 " 0 , c mi pregio grandemente di sentire che questi siano anteposti da Sua Sig. ria a tutte le altre confetture. Saluto di nuovo V. S. e gli prego felicità. 2786 **. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 2tì novembre 1633. Bibl. Nasi. Fir. Mas. Gal., P. T, T. X, car. 841. — Autografa. MoltTll/ 0 et Ecc. ni ° Sig. r e P.ron Col." 10 Ilieri feci imbottare nella mia villa barili dicci di vino per la state, e credo sarà, buono: la sposa è stata lire sedici o mezo la soma; il restante de’ qua¬ ranta scudi lo consegnerò ai Sig. r Geri. Io sono ancora in Firenze, perchè il Sor. m0 Gran Duca mi ha ritenuto et occupato in corti calcoli o considerazioni da farsi sopra i marmi da condursi por la facciata di S. Maria del Fiore; o credo che ancora mi tratterrò qui dieci o dodici giorni, nel qual tempo c sempre, dovunquo io ini sarò, riterrò fissa¬ mente il mio debito desiderio di servirla, io Mio fratello andò quindici giorni sono in Aiomagna per Fisico de’ Ser. n " Fri ncipi. Questo è quanto di nuovo posso dirle. I)a lei desidero una volta liaver nuova corta del suo ritorno, rallungamento del quale fa penar di ansietà tutti i suoi veri amici, tra i quali io professo quanto ogn’altro di amarla, se ben conosco, fuor doll’amore, di liaver manco merito di ogni altro di esser riamato. Supplisca a tal difetto l’abbondanza della sua cortesia, nella qual conlido ; et a lei con ossequio reverente bacio la mano. Di Firenze, 20 Ombre 1033. Di V.S. molto 111. 10 et Ecc. ,na 20 O) Nicooi-ò Auoiunti. Dovot." 10 et Cordial." 10 S. r ° Niccolò Aggiunti. 334 20 NOVEMBRE 1033. |2<87] 2787 . GERÌ BOCCIIINERl a [GALILEO in Siena]. Fi reni:©, 26 novembre 1636. Blbl. Na*. Fir. Un. Gai., P. I, T. X, car. 843. - Aatografa. Molto 111” et Ecc. m0 S. r mio Osa." 0 Io argumento dal mio il travaglio di V. S. por conto del S. r Vincenzio 11 '. Ilo veduto quanto eli’ha scritto anche a lui, et mi pare di’ eli' habhia toccato li tasti buoni. Ma con tutto ciò sospenderò di mandargli la lettera per non ac¬ crescere a lui la afllizzione, finché io vegga dove vadia a parare la cosa, perché il S. r All)ii:i * ) in voce ha risposto in modo, che tuttavia piò cresce in me la paura dol precipizio, et non so so basterà il S. r Hall'*' a ritenerlo, solarne Eia tesso S. r Albizi ha soggiunto che per questo inverno crede che la mutationo non se¬ guirà; il elio implicitamente inferisco elio al pili lungo a Marzo seguirà senz’al¬ tro. Io non lascio offizio né diligenza imaginabile, insieme con Alessandro 4) , elio io possa giovare al negozio; et stimeremmo intanto bene elio V. S. scrivesse al S. r Sen.” Cosimo del Sera, elio so elio lo vuol bene, rallegrandosi prima dell’esser fatto Depositario, et poi lo pregasso di raccomandar caldamente al S. r Luca il S. r Vincenzio, crodondo io elio questo ofiizio gioverebbe assai : et è ben dovere elio tutti ci sbracciamo per sostenerlo, tanto più elio le suo oecezzioni et querele non eccedono l’huomo dabene. Al S. r Hall non ho ancora presentata la lettera, per aspottar di discorrer seco del negozio di nuovo, già che da 3 giorni in qua siamo tutti stati occupatissimi. Ho trovato G0 pero, che mi paiono bellissime, con 7 melagrane; le ho accom- modate in una cassottina, et 7 di esse, che non sono potute entrare nella cas- 20 setta, le ho messe in uno cestino con le melagrane ; et l’uno et l’altro collo io T ho consegnato, perché giunghino più presto, al procaccio Bardella, acciò li con¬ segni costì al S. r Cittadini, Maestro della posta, franchi di porto, havendolo io pagato qui: et costano in tutto lire dieci, così accommodate, et condotte elio saranno. Piaccia a Dio elio arrivino ben condizionate. La ringrazio di quanto V. S. mi ha risposto de’denari di quella donna (B| , la quale aspetta con desiderio il S. r Can. co Cittadini 1 ® , che lo porti anche quella scritta, perchè senz’ essa non può haver l’anello. Oi Cfr. n.° 2782. <*) Luca nuot.i Album. < 8 ’ Andrra Cioli. <*• Alkrsaxuro Bocoiiixkri. tò Cfr. n.« 2758. <•> Mattro Citta dixi. 2G NOVEMBRE 1633. 335 [2787-2788] La prego di leggere, recapitare et di accompagnare anche in voce, l’ag- •'io giunta per il S. r Bernardo Conti, creditore di certo residuo di pensiono della Cancelleria de’ fabbricanti di nostro padre (u : la quale era cara solo per la pen¬ sione, non elio por altro; et chi chiedo tempo, et non grazia, merita di essere essaudito : ma so Mess. Benedetto 121 non haveva bora questa disgrazia, ci pote¬ vamo hora liberare da questa noia. Iddio ha voluto così por li nostri peccati. Bacio lo mani a V. S. Il S. r Ambasciatore dico che, guarito elio sia il Papa, vedrà, di cavare la resolutione del nogozio di V. S. (3: Di Fiorenza, 26 Nov.™ 1633. i)i V. S. molto 111. 10 et Ecc. ma ObJig. mo Parente et Ser. ra 40 (ieri Bocchineri. 2788 **. FRANCESCO GALILEI a GALILEO in Siena. Venezia, 20 novembre 1633. Autofi-rafoteoa Morrlson in Londra. — Autografa. Molto lll. ro Sig. r mio Oss. m ° Io ho sempro sentito dolor graiulo do’travagli di V. S., o vorrei sentirò elio fusso del tutto liboro. Quanto alla riscossione della sua pensione di Broscia 10 , ho già, cavato lo Ducali o domattina le presentorò al Rev.“° M. ro Fulgentio' 6 ’; o prima non ò se¬ guito, porchò s’attendeva la fino del suo affare eli Roma. In questo resterà ser¬ vito senza dilazione. Mi honori do’suoi comandi, sempre che gli occorra altro di Vonetia; et con vero affetto la riverisco. Vcnetia, adì 26 Nov. ro 1633. Di V. S. molto IH.™ Aff. mo et Obblig.™ Serv. 10 Fran.° Galilei. Fuori: Al molt’Hl.» Sig.™ o P. ne mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei. Siena. HI cfr. Voi. XIX, Doc. XX VII, 2 ), liu. 2-3. 1*1 Bknkoktto Hogoimnrri. Cfr. n.® 2783. Cfr. Voi. XJX, Doc. XXX111, o, I, (i). <») Cfr. il.® 2357. 330 20 NOVEMUKK 1033. L2789-27DO] 2789 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, M novembre 1683. Blbl. Nu Flr. Mìb. Gal., P. I, T. XIII, car. 267. - Autografa. Amata.*® S. r Padre, Giovedì passato U) scrissi a V. S. lungamente, et bora scrivo di nuovo, solo per dirgli che Inori venne IO barili di vino da S. Miniato al Todesco. Intendo dulia Piera che ci fu a vederlo imbottare il servitore del Sig. r Aggiunti, et anco che lo pagò, ma ella non sa dirmi quanto por appunto. .Se no é piena una botte interamente, e credo che sia di G barili : V altra di */,, perchè non resti cosi scema, ho detto che si finisca «li empiere con di quello clic bevano di pro¬ sente, che è ragionevole; ma prima, che ne cavino parecchi fiaschi avanti che sia mescolato, per riempier l’altra «li G barili; et anco noi ne piglieremo qual¬ cuno, perché è vino leggieri e mi par buono por l’estate per V. S. : a me piace io anco di questo tempo. La botte che non è mescolata si contrassegnerà, per la¬ sciarla stare, e l’altra potrà, servire por la servitù. Questo per bora m’ occorre dirli. Finisco con le solito raccomandazioni, o prego Nostro Signore elio la conservi. Di S. Matteo in Arcetri, li 2G di Umbre 1G33. Di V. S. molto 111.” Fig> Aff>» Suor Mar. Celeste. Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r Padre mio OsB. mo Il Sig. r Cai ileo Galilei. Siena. so 2790 *. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 26 novembre 1633. Bibl. Est. in Modena. Ibiccolta Camporl. Autografi. B.* LXXVII, n. # 131. — Autografa. Molto III.” et Ecc. mo S. r o P.ron mio Osa.® 0 Io sento con molto disgusto che il negozio di V. S. sia rimesso alla Congre¬ gazione, temendo di un’altra dilazione, perché quando si voglion fare lo grazie, Ufr. u." 2735. 20 NOVEMBRE 1033. 337 [2790-2791] i Principi le fanno da loro o non per via de’ ministri: tuttavia, so si avesse a guardare in rigore il merito della causa, la spedizione o liberazione di V. S. non si deo chiamar grazia, ma giustizia; o però toccherebbe al foro dove si vedono simili cause, non essendo consueto de’ Principi l’assolvere da i pretesi delitti, ma sì bone da quo’ tribunali elio sono competenti. Ma i tempi sono tanto con¬ trari, che non so so più debba temere o sperare, quantunque il dovere sia tanto io por la liberazione. Il Signore Dio disponga la mente di chi ha da determinare a quello elio è più giusto, c in tanto ringraziamo S. D. M. tk che concede a V. S. sanità e abilità di potere, in tanti travagli, sollevare la monto allo speculazioni. E facendolo reverenza, le prego ogni felicità o contento. Firenze, 26 di Nov. r ° 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ,n: ‘ Ser. r0 Alì>° e Obh. m ° Mario Guidacci. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc."‘° S. r o P.ron mio Oss.' no Il Sig. r Galileo Galilei. Siena. 2791 *. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Siena], * Roma, 26 uovembro 1638. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, B.» LXXXU, n.® 109. — Autografa la sottoscrizione Molto 111. 0 Sig. r mio Oss.' 110 Il negozio di V. S. resta por ancora impendento, perchè la Sacra Congrega¬ zione, alla quale il Papa ha rimesso il memoriale lasciatoli da me, non è per far risoluttione di sorto alcuna senza S. S. tà , la quale son già molti giorni clic non negozia, impedita da certa flussione di catarro. Tuttavia, perchè hoggi se no trova quasi libora, possiamo sperare che presto sia per ripigliar il negozio ; et io, che non parto in tanta fretta, havrò campo di rinovar a. favor suo le mie eflicacissime instanze e di continuar a servirla, mentre intanto lo bacio aifottuo- samente le mani, come fa ancora l’Ambasciatrice. io Di Roma, 26 Nov. ,)ra 1633. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Sor.™ Aff. ,n0 S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. xv. 43 338 20 NOVEMBKK 1(538. [Ì792-2798] 2792 *. DINO PERI a [GALILEO in Stana]. Firense, 26 uovembro 1688. Bibl. Rat. In Modena. Raccolta Caxnpori. Autografi, B.» LXXXIV, u.» 175. — Autografa. Molto ILI.” et Ecc. m0 Sig. w e P.ron mio Col.®* Questa mia cura domestica U) mi riesco veramente più laboriosa eh’ i’ non erodevo, e il veder sempre comparir nuove matasse d’intrighi mi motte quasi in disporatione, perdi’i’ vorrei puro una volta dar termine agli accomodamenti, e ridur che la carica non lusso sconcia per le spalle di qualch’ un altro. Ma ven¬ gami pur a traverso quanti viluppi mi so immaginare, che qu&nd’ io dovrò servir V. S. Eoe. 111 *, dov’ella mostri premura, non mi terranno le catene di’ io non ab¬ bandoni ogni altro interesse e venga a spender per lei tutto il mio poco sapere o poterò: con tanta prestezza ci lusso olla restituita, con quanti io verrò aro- vorirla o servirla con tutto lo spirito. Séguiti pure V. S. di accumular nuovo rie- io cliozzo di speculationi o nuovi trofei por l’immortalità, ch’io mi terrò por av¬ venturato et a lei obligatissimo ad esserne fatto il primo spettatore. Spero ancora in breve non dover esser così oppresso dallo urgenze familiari, o però di poter anco, senza storpio di casa nostra, venir a contemplare od ammirare i nobilissimi frutti del suo sovrkumano intelletto, o servir V. S. Ecc. ,u * dovunque lo piacerà di comandarmi. Il Sig. r Niccolò Cfr. un.' 2716, 2776. <*> Niccoli Aooiunti. 26 NOVEMBRE 1633. 339 [2793-2796] gherobbc in servizi (li più considerazione. Riconoscerò anche nel comandarmi la discreta gentilezza di V. S., elio va cercando agguagliar l’onore, ch’ella mi fa, alle min podio forze. Io, doppiamente ringraziandola, la servirò, e Suor Maria Ce¬ leste havrà i cedrati ch’ella m’impone eli’io le mandi; la supplicherò insieme di’ ella voglia elio questo sia stato caparra di qualch’altro comandamento, ch’io con particolar ambizione aspetto. Il S. Gabbriello (,) lo rende 'centuplicati i saluti, et egli o tutti quest’altri Signori sono più. di V. S. elio mai; di me non lo dico nulla, por ricordarmi di quella mosca sul carro. Spero d’havorla a riveder do’nostri, non mi parendo che l’esilio habbia a durar lungamente. In ogni luogo ch’olla sia, la prego a conservarmi la sua grazia, eh’ io, baciandole affettuosamente lo mani, lo auguro da Rio ogni bone. Firenze, 26 Novom. 1633. Di V. S. molto Ul. ro Devotiss.® Ser. r Obblig. m ° Tior Frali. 00 Kinuccini. 2794 *. ANDREA CIOLI a FRANCESCO NTCCOUNI [in Roma]. [Firenze,) 26 novembre 1633. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3523 (non cartolata). — Minuta di mano di (inni TloccmKF.ni .... Por la spedinone do’negozii (lolla Chiesa di Fiesole, del S. r Galileo et d’altri, aspetteremo la redintogratione ddla salute di S. S.' ,v , alla quale Iddio la conceda con ogni altra prosperità, per servizio d’iddio et della Christiauità.... 2795 *. BENIAMINO ENGELCKE a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Venezia, 26 novembre 1633. Bibl. Olvioa di Amburgo. Snpellox epistolica Uffenbachii et Wolfìorum, Folio-Band XXVI, cnr. 307. — Autografa. .... Me Italia iam habet, non antiqua illa, hortus omnium virtutum, sed vera sentina vitiorum et vini veteris optimi acetum acerrimum; et in ea Padua, quam tamen rolinquere brevi animus est: non enim finem ibi, linguam italicam, assequi possimi. De quibus tamen omnibus, si te meas accepisse oognovero, pluribus. Litteras ad Clarissimum Dominum Galliloum misi, adque eas responsum exspecto.... Gabbirluo Ricoakdi. 340 29 — 30 NOVEMBRE 1633 . [2706-2797] 2796. LUCA DEGLI ALBIZZI a [GALILEO In Siena]. FI reme, 29 novembre 1633. Blbl. Nn*. Plr. Mh. «al., P. I, T. X, ear. 345. — Autografa. Molt’ III." Sig. r mio 0 b8. Non ci sono querele del figliuolo di V. S., et i suoi difetti non pare elio sieno altro cho negligenze, corno lei dico, e poca applicazione alla carica elio egli eser¬ cita, forse non proporzionata al suo ingegno, più atto ad impiegarsi in studi ili matematiche e di bello lettere che in questi esercizi delle cancellerie, cho consi¬ stono nell’ hn\ ero una certa premura del bene de i popoli et in una squisitissima diligenza che sieno osservati gl* ordini del Magistrato e che non sia defraudato il pubblico; cose che impiegano la persona, che preme in dar satisfaziono, tal¬ mente cho a poco altro si può attendere, per mia oppenione : che però stimerei ili molto più suo servizio il procurarli altro impiego. Tuttavia ò tale il merito di io V. S., cho quando ella premerà, che so li dia luogo anco in alcuna di queste can¬ cellerie più facili, per servirla con quella poca parte cho posso bavere in questa mutazione (i ’ da farsi, non me ne discosterò. Ma spero che prima ci siamo per rivedere, e intanto li bacio la mano. JDi F., li 29 di Ombre 1633. Di V. 6. molt’ 111.“ Aff. Se.* Luca degPÀlbizi. 2797 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Deveuter, fine di novembre del 16831. Dallo pap. 849- 351 doli'edizione citata nell’informazione premessa al n.° 2850. .... ie m’estois propose de vous envoyor mon Mondo pour c©8 estrennos, et il n’y a pus plus do quinzo iours quo i’estois encoro tout resolu de vous en envoyor au moina uno parti©, si le tout no pouvoit estro transcrit en ce tcmps-là; mais io vous diray, que m’estant lait enquorir ces iours à Loyde et à Amsterdam, si lo Sistemo du Monde do Galileo n’y estoit point, à causo qu’il me sembloit avoir apris qn*il avoit esté imprimé en Italie l’annéo passée, on m’a mandò qu’il estoit vray qu’il avoit ostò imprimé, mais que tous les oxeniplaires on avoient esté brùlez à Rome au mosine temps, et luy condarané a quolque nmande: co Lett. 2796. 5. matemacÀ* — “> Cfr. n.o 2787. 30 NOVEMBRE — 3 DICEMBRE 1633. 341 [2797-27901 qui m’a si fort estonnó, quo ie ine suis quasi resolu de brùler tous mes paniera, on du nioins de ne les laisser voir à personne. Oar ie ne me buìs pù imaginer, quo luy, qui est IO Italioti ot inesme bion votilu du Pape, aitisi que i’entcns, ait pù estro criminalizé pouf nutre chose, sinon qu’il aura sana doute voulu establir le mouveraent de la terre, lequel ie s^ay bion nvoir estn autresfois consuró par quelques Cardinaux; mais io pensois avoir oùy dire, quo depuis on no laissoit pas de l’enaeigner publiquoment, mestile dans Pome: et ie con¬ fesse, quo s’il est faux, tous les f'ondemens de ina philosophie le sont aussi, car il se demonstre par oux evidemment; ot il est tellement lié avec toutcs los parties do mon traittó, que io ne l'en sgaurois dótacher, sana rendre le resto tout defectuoux. Mais, cornino io ne voudrois polir rien du monde qu’il sortit de moy un discours où il se trouvast lo moindro mot qui fusi desaprouvé do l’Eglise, aussi aymé-je mieux lo sopprimer quo de le fftiro paroistro estropió. Io n’ay inmais eu P humour portò e fi faire des livres; et. si ie 20 no m’estois engagé de promosso envers vous et quelques autres do mes amis, alili quo lo desir do vous tenir parole m’obligeast d’autant plus à estudicr, io n’en fusso iamais venu à bout. Mais, aprés tout, io suis assuró que vous ne m’cnvoyerioz point. de sergent pour me contraindre ti m’acquittor do ma dotte, et vous sorez peut-estre bien aise d’estro exeuipt de la peine de lire de mauvaises choses. 11 y a desia tant d’opinions en philosopliio qui ont do l'apparence et qui peuvont estre soustenués en dispute, que si Ics miennes n’ont rien do plus certaiu et no peuvont estre approuvóes sans controverse, io no les veux iamais publier. Touteslbis, pource quo i’aurois mauvaisc grace si, apros vous avoir tout promis ot si long-t.omps, io pensois vous payer ainsi d’uno boutade, ie no laisseray pas do vous faire voir co quo i’ay fait, lo plutost que ie pourrny; mais ie vous demando encore, 30 s’il vous plaist, un au de dclay pour le rovoir et le polir. Vous m’nvez averty du mot d’Horace: nonumque prcvnalur in annuiti; et il n’y en a ancoro que trois, quo i’ay com- moncó le traittó que ie penso vous envoyer. le vous prie aussi de me nmmler ce quo yous sjavez de l’afiaire de Galilée.... 2798 *. GALILEO ad URBANO Vili in Roma. [Roma, 1° dicembre I1533.J Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 84). 2799 **. BERNARDO CONTI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 3 dicembre ll>33. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 347. — Autografa. Molto m." ed Ecc. 1 " 0 S. r e P.ron Oss. wo Arrivai con buona salute, e ne do parte a V. S. in adempimento del mio debito. 11 S. r Gori Bocchineri, come il S.' Alessandro, m’ hanno mostrato il solito 342 8 DICEMBRE 1638. [2799-2800] affetto, c mercordl prossimo pensano a pagarmi por hora dirci scudi. Io vera¬ mente compatisco i loro disastri, e però tanto più sarà. l’obligationo che glio no terrò. Ser Ipolito Franeini haveva comprato quel lapisbizzaro di qualità cosi cat¬ tiva, che non può servire a fare azzurro, e fi' ho detto che veda d'csitarlo; ed egli ha detto di farlo, e che rimborserà il denaro liuvuto con alcuno commissioni che ha da V. S. : però per quattro scudi V. S. potrà ritenerseli, o scrivere al detto io Francini cho farà così, e a me darne avviso, acciò io sappia quanto V. S. si ri¬ terrà, mentre non fussc il tutto por restare in appuntamento con osso di quello che ci restasso. Ho trovato dell’altro lapislazzaro buono, ma è poco, c così faremo manco azzurro. Supplico V. S. a far recapitaro 1 acclusa per Cecchino, e le faccio re¬ verenza. Firenze, li 3 Decembro 1633. Di V. S. molto IU. ,e od Eoe.®* Obligat.* 6 o Vero Sor.” Bernardo Conti. 2800 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, 8 dicembre 1633. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I. T. XIII, car. 2J»9. — Autografa. Arnatiss.'" 0 Sig. r Padro, Ho ancor io conosciuta la dapocaggino del mio ambasciatore Giovanni; ina il desiderio che liavevo di mandar a veder V.S. è stato causa che non ho guar¬ dato a nulla, tanto più che il favore di potermi servir di lui l’ho ricevuto dallo Madri Squarcialupe, le quali adesso son tutte mie. E tanto basti. Tordo 11 mandò hieri per li 4 d., e gl’hebbo. La Madre Archiloa manda il mottetto. È ben vero che in contraccambio de¬ sidererebbe qualche sinfonia o qualche ricercare por l’organo; il quale, gli ri¬ corda cho ne gl’ alti non sèrvo, perchè gli manca non so che registro, si elio le sonate, per farvi sopra, vorrebbono più presto andar no i bassi. io Mi giova di sperare, et anco crodor fermamente, che il S. r Ambasciatore, quando partirà di Roma, sia per portare a V. S. la nuova della sua spedizione, et anco di condurla qua in sua compagnia. Io non credo di viver tanto ch’io io Ippolito Frangisi. 3 DICEMBRE 1633. [2800-28011 3-13 giunga a quell’ bora. Piaccia pur al Signoro (li farci questa grazia, se è per il moglie. Con elio a V. S. mi raccomando con tutto 1’ alletto, insieme con lo solito. Di S. Matteo in Arcetri, li 3 di Xrabro 1633. Sua Fig. lu Aff. nia Suor M. ft Celeste. 20 Fuori: Al molto 111.” Sig. r Padre mio Oss. 1110 Il Sig.*' Galileo Galilei. Siena. 2801 *. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Siena. Roma, 3 dicembre 1033. Bibl. Nhk. Flr. Mas. fini.. P. VI, T. XI, car. 149. — Autografa. Molto DI.” et Ecc. mo Sig. r mio S. Dal non vedor più Ietterò di V. S. E. ma , e dalle parole dottomi stamani cosi alla sfuggita dal Sig. r Tolomei (l> , ho fatto giuditio che la mia ultima, in risposta alla sua scrittami il dì 30 8bre, sia mal capitata, o perciò mi sono di nuovo mosso a scriverò; seben so clic questa volta scrivo ancora il Sig. 1 'Antonio Nardi, c più a lungo elio non farò io, quale scrivo solo per far sapore a V. E. eli’ io vivo o spiro, volsi diro mi spiro d’haver suoi comandi. Torno adunque di nuovo a rendergli infinito grazie doll’accoglienze fatte al P. Salvatore delle Scuole Pie (2) . Della nuova demostratione o invenzione, accon¬ to nata a me e forse scritta a lungo al P. Abbato, non posso ben penetrare dove batta; o questo, perchè il P. Abbato tien la cosa troppo segreta. Pur a me paro d’haver subodorato che sia una demostratione della fabbrica della natura udii animali terrestri e volatili, come giù, ella una volta accennò d’uii cilindro fitto in un muro, di cui gran parte sporga in fuora, poiché questo, doppo una tal grossezza e lunghezza, non solo non reggerà altro cose sopra di sò, ma nè anco sè stesso. Se questo è, dirò una cosa a tal proposito: ed è clic in Costantino¬ poli s’è veduto da un genti limonio, cho hoggi è in Roma, una giraffa di gran¬ dezza molto e molto maggiore elio non è qual si voglia, benché smisurato, ele¬ fante; ma essend’io pur curioso di saper meglio lo suo fattezze, intesi haver un 20 collo molto lungo et i dua piedi dinanzi molto più alti elio quelli di dietro, tal (M dio. Francesco Tolomei. < 2 i Salvatore (ìri.-ìe. 344 3 DICEMBRE 1033. [2801-28021 elio la vita tutta stava a spiaggia; e questo crederò io sia fatto per agevolar il sostegno di sì gran molo. La relatione di questo animale è stata fatta nel pa¬ lazzo del 5Sig. r Giustiniani da quel medesimo clic ha veduta non molto prima questa giraffa. Ilieri veddi lettere del P. Santini *' di Milano, dove si tiene per corto elio V. S. sia per mandar presto le suo opero sopra le coso naturali, chè rosi lo chiama lui. 8* io con tutti gl’altri amici riiavessimo a caro, lo sa I>io. Della già. stampata finalmente dal Giostrila ^ dirò solo che A tutta passi di Scrittura et autorità, di SS. PP., sì conio io m’aspettavo, con molti nuovi punti messi de Fide. Ma che? già. gli sarà, venuta alle mani; et io, per non sdegnar le Muse di ao V. S. E.®*, finirò, pregandogli da Dio lunga o quieta vita o baciandogli con ogni affetto le mani. Roma, il dì 3 Xmbro 1633. Di V. S. molto U1. N et Eoe."® Se. 1 * Affetio.® 0 et Oblig. mo Ilaffaello Magiotti. Fuori : Al molto 111.” et Ecc.*° Sig. r o P.ron Col.' 00 11 Big. 1 Galileo Galilei. Siena. 2802. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Siena! Roma, 8 dicembre 1638. Bibl. Naz Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 380. — Autografi il poscritto e la sottoscrliiono Molt’IU.” Sig. r mio Osa. Sua Santità, essendo intervenuta nella Congregntione del S. Ofììtio di giovedì passato 3 ', si contentò di permettere a V. S. che da Siena ella se ne potessi pas¬ sare alla sua villa, per starvi con ritiratezza e senza ammettervi molto persone insieme a discorsi nè a magniaro, per levar ogn’ombra che ella faccia, por così diro, accademia o tratti di quelle coso che lo posson tornare in pregiuditio, come io son sicuro cho la farà, per conseguire tra qualche tempo la grazia intera. Così m’ ha fatto sapere S. B., acciò io l’avvisi a V. S. ; la quale potrà, muoversi a suo piacere senz’aspettar altro decreto in questo proposito, soggiugncudole cho IiBtt. 2801. 26. Prima arerà scritto V. B., poi corredo V. S. — '*) Antonio Santini. '*> Mrlohioeib Inchofki! o Societàt« Iesu. Au¬ striaci, Traciatuasyllepticus, in quo quid de terme solitque mutu vcl stazione secundum S. am Serijpturam el Sanctos Potrei senliendum, qua ce eertitudine alterulrx i eentenlia tenendo sii, breviler oetendilur. Rotuae, excudebat Lo- doricus Porignanus, 1683. <»» Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 21); o h, 84). 3 DICEMBRE 1G33. 345 [2802-38031 io non li son prohibite lo visite de gl’amici e du ! parenti, pur die non tlien ombra, come sopra. lo Laverei voluto poter darle parto della fine totale di questo negozio per la sua intera quieto, ma conviene, conio olla sa, in questo paeso andar a passo passo, massime in queste materie ; e per spuntar anco questo, ci è bisognato che il S. r Card. 1 Barberino vi s’affatichi e vi adopri della sua autorità.. E pregandola di gradir il mio affetto o particolare desiderio di servirla, lo bacio le mani. Roma, 3 di Ombre (sic) 1633. Di V. S. molto Ill. re L’Ambasciatrice lo bacia le mani o si rallegra 20 del contento eh’ bavranno le sue figliuole di rive¬ derla, le quali saluta con tutto l’animo ; et io lo sono più che mai servitore sviscerato ctc. S. r Galilei. 2803 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI [in Firenze]. Roma, a dicembre 1033. 33ibi. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 205. — Autografa la sottoscrizione. Ill. mo Sig. r mio Oss. rao Non ho mancato di servir tuttavia al S. r Galilei; o mentre S. S. l, \ per la scritta sua indisposittione* 1 ), non è possuta intervenire nella Congregatione del S. 10 Offizio, ho conti¬ nuato di raccomandarlo alla protottione del S. r Card. 1 Barberino ot ad altri del medesimo Tribunale. Finalmente giovedì mattina S. B. no v’intervenne, et Mons. r Assessore, d'ordine del medesimo S. p Cardinal Barberino, propose il negozio; o S. S.' 4 si contentò che se ne potesse andar a lmbitare alla sua villa fuori di Firenze e quivi trattenersi sino a nuovo ordine, ma però senza far accademie, ridotti di gente, magnamente o altre simili dimo- strattioui di poca riverenza, perchè in effetto luivend’egli ancora bisogno dell’intera grazia, 10 ò necessario di procurarsela con la pazienza e col starsene ritirato, più tosto che con la troppa libertà irritar il Papa e la Congregatione. E perchè S. B. nc ha ordinato a questo As¬ sessore di participarmi tutto questo per avvisarglielo, ne do parte a lui ancora con questo ordinario (S) . Et intanto a Y. S. 111.'"* bacio io mani. Di Roma, 3 Xmbre 1033. Di Y. S. lll. ma Obl. mo Ser. r0 S. r Bali Cioli. Frane. 0 Niccolini. Aff. mn Ser. ro Frane . 0 Ni eco li ni. t‘t Cfr. n.° 2783. (?) Cfr. n." 2802. XV. 41 346 5 DICEMBRE 1633. L2804-J 2804. GALILEO a GERÌ HOCCHINE RI in Fironzo. bieca, 5 dicembre 1633. Mnaeo Britannico in Londra. Kgerton Mu. 48, oar. 88 — Autografa Molto 111.™ Sig.™ o Pad. n# Osser. mo Sono quest’ordinario senza lettere di V. S.; o perchè qua e avviso che oggi la Corte partiva per Livorno, dubitando che V. S. la segua, scrivo alla ventura, significandoli come tengo lettere assai cortesi del Senator degl’Albizzi 1 ”, ina non però tali che si possa sperare che la mutazione non sia per seguire: ma perchè ciò non accaderà così bora, haveremo tempo di procurar elio sia fatta con quel minoro intacco elio sia possibile della reputazione; nel che spero che haveremo favorevole il medesimo Signore. Sono da 4 giorni in qua gravemente trafitto da doglio in una io gamba, le quali mi durano più del consueto, e dubito che quest’aria, reputata l’inverno assai più aspra della nostra di Firenze, no sia po¬ tissima causa; talché se doverò continuar qui la stanza, sto con gran pensiero d’bavere a tribolar tutto questo tempo. Sto aspettando qualche resoluziono di Roma, ma non buona. Nè liavendo altro che dirgli, con affetto gli bacio le inani o prego felicità. Di Siena, li fi di Xmbre 1633. Di V. S. molto I. Alf. mo et Obblig.™ 0 Ser. w e Par. 1 ® 20 Galileo Galilei. % Fuori: Al molto TU. rP Sig/® e Pad. ne Osser. mo il Sig. r Geri Bocchineri. Firenze. [2805-2806] 6 — 7 DICEMBRE 1633. 347 2805*. NICCOLÒ FA BRI DI FEIRKSC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, 6 dicembre 1(533. Bibl. Nazionale in Parigi. Collcction Dupuy, voi. 717, cnr. 810(. — Autografa ....On escripfc quo le Galilei est sorty dii monastero de Sicnne, oìi il avoit. esfcé ju- uquos fi prosont, ponr so retirer clic/. l’Archevesquo, qui est de ses amys, et qu’on ospo- roifc qu’enlin il luy soroit pcrmis do so roti rei 1 à uno sienne maison des cliamps, mais quo cepoiuiuut le Grand Due de Toscano ne laissoit pas do l'aire imprimer ses Mecaniques.... 2806. GERÌ BOCCHINEUI a [GALILEO in Siena]. Firenze, 7 dicembri* 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I, T. X, car. 351-362. — Autografa. Molto 111." et Ecc. m0 S. r mio Oss.'"° Diti S. r Aggiunti mi sono stati consegnati a nomo di V. S. scudi ventotto, £ una, sol. IO, de’quali 1*Ilo posta creditora al mio libro al conto degli altri. La ringrazio (li (pianto ella mi ha essibito et risposto in proposito del S. r Ber- nardo Conti, et egli Laverà, sodisfattione. Per servizio del S. r Vincenzio meglio sarebbe stato scriverò al S. r P. Gio. Carlo che al S. r Principe D. Lorenzo ; ma perchè il S. r Mar. 80 Niccolini è stato uno di quelli elio ha esclamato a’Nove 10 contro al S. r Vincenzio, por questa consideratione ot per fuggire V intoppo del S. r Marchese, elio non vorrà ritrai¬ lo tarsi, io penso che sarà più a proposito die V. S. ne scriva al S. r Principe 1). Lo¬ renzo, inviando la lettera a me, ma senza fare di me in essa alcuna menzione, perchè io la presenterò ot accompagnerò in voce; ot stimerei anche buono l’aiuto dol S. r Auditore Fantoni, massime se egli volesse faro 1* offizio in nomo del S. r Conto Orso (2) . Io tengo forte il S. r Ball (3) ; ma se il S. r Luca 14 ’ punti da vero, ot si protesti che non sia servizio dello communità, et in conseguenza dol Gran Duca, che il S. r Vincenzio continui nello offizio, il S. r Bali non potrà o non vorrà opporsi. Per ancora non siamo a questi termini ; ondo spero che lo diligenze di V. S. saranno a tempo. Ma avverta, che sebene il S. r Vincenzio havosse tempo Orso d'Elci. (») Andrea Cioi.1. <*» Luca degli Ai.uizzi. 348 7 DICEMBRE 1633. [2806-2807] ili partirò a primavera, non per questo si differirebbe a quel tempo la negozia- tione della mutatione, perchè si stabilirebbe molto innanzi; et per questo io du- 20 bito elio non si decreti bora. Intanto habbiamo fatto parlare al S. r Luca dal S. r Mar.** Salviati 40 ; ma per ancora non sappiamo che risposta Labbia havuta. È ben vero che il Cancelliere de 1 Nove mi ha confidentemente detto che il S. r Luca ha nuove cagioni di dolersi della negligenza del S. r Vincenzio, et mi pare por molti riscontri di esser sicuro che questa sua disgrazia non gli venga nò per malignità de’ministri della Cancelleria, come egli dice, ma por colpa sua; ondo per que¬ sto io mi risolvo a mandargli In lettera scrittagli da V. S. senza però lasciare di cercare all'incontro ogni mezzo imaginabilo per sostenerlo, non tanto por Lutilo, qualunque egli si sia, quanto per lo scapito di' egli farebbe nella reputationo, elio basterebbe per sempre a non gli fare bavere alcuno altro offizio. Kt questo ò il so maggioro travaglio elio presentemente io Labbia, et però tanto mi diffondo con lei in scrivergliene. V. S. haverà ricevuta una lettera ultimamente di Suor Maria Celeste: nd scappò per errore sabato sora, elio non mi avvoddi di accompagnarla. So il tempo non fusso stato Liuto piovoso, a questa bora saremmo a Lisa; et vi andremo subito elio si rassetti, per esser poi qua a faro il carnovale con l’Ambasciatore di Polloni», che verrà da Roma. Et a V. S. bacio di cuore lo mani. l)i Fiorenza, 7 di Dicembro 1633. Di V. S. molto 111." et Ecc.““ Oblig. wo Parente et Ser. r '’ Gerì Bocchineri. 40 2807 **. BERNARDO CONTI a [GALILEO in Siena]. Fi ronzo, 7 dicembre 1688. Bibl. Nini. Flr. Mu. Gal., P. I, T. X, c*r. 34*J. — Autografa. Molto Ill. M ed Ecc. m0 S. r mio Osa.*" Non sondo unoor spedito, roverisoo Y.S. con questa mia, mandandole L ac¬ clusa di Ser Ipolito Frantimi, lo aspetto da V. S. risposta di quello gl occorra sopra il ritenersi i quattro scudi pagati pel lapislazzaro die non ò buono, 0 elio domani io renderò a dotto Sor Ipolito 3 \ Martedì prossimo credo potrò tornare. Supplico V.S. a reverire ili mio nome Mons. r Ill. mo 0 far mia scusa dell’ indugio, che segue per non bavere a tornarci un’ altra volta. < l » Vincenzo Salti a ti. i*i cfr. n.* 272U. 1 *) Cfr. u.o 2787, lin. 4-5. 7 — 8 DICEMBRE 1633. 349 [2807-2800] Non ho nuovo, o però son breve, pregandole da Dio ogni vero bene e fa- io condole roveronza. Fiorenza, li 7 di Decembre 1633. Di V. 8. molto lll. r0 ed Eco.'" a Obligat. m0 Ser. 10 Vero Dernardo Conti. 2808 . ANTONIO ROCCO ad URBANO Vili in Roma. Venezia, 7 dicembre 1033. Cfr. Voi. VII, pag. 57U» 2809 *. MATTIA BERNEGGER ad ISACCO MALLEOLO [in Strasburgo]. Strasburgo, 8 dicembre 1633. Bibl. Oivioa di Amburgo. Codice citato noli'informazione premessa al u.® 2613, car. 102r. — Minuta autografa. Isnaco Malleolo Mathematico. Galilaeus Galilaei, Magni Ducis Hetruriae et Academiae Pisanae rhilosoj>liu3 ac Mathematicus primarius, ab ali quo t iam annis publiee promisit Systcma Oopernicanum, quoti opus, a viris doctis avide hactenus expectatum, superiore demoni anno 1632 prodiit Fiorentine, conscriptum italica lingua. Cura vero cuperet autor, id a doctis omnibus in- tclligi nec solum in Italia legi, rogavit me per arnicum suum Eliam Diodatum, iuris con- sultum Parisiensem, abstrusiorum scientiarum solertissimum indagatorom, ut idem latino convorterem: vidisse euim se iam pridem latinum itidem a me factum suum de proportiouum instrumeulo tractatum, nec dubitare me similem in hoc etiam opere fìdem diligentiamque 10 praestiturum. Etsi vero, meis ipsius in rebus quod agam, abunde suppetit, non tamen lioo, quicquid est, operae denegare volili, tum quia Diodato ob beneficia filio meo Iaitetiae praestita, ipsique Galilaeo propter publica merita, sum devinctus, tum etiam quia, in Imo asperrimorum didicultate temporuin moisque privatis angustiis, qualecunque solatium vix aliiinde promptius quam ex hoc studii repetito genere petiturus mihi viderer, quo floren- tioribus olim annis mirifice delectabar, quodque a sordida nundinarum rerum cura abductos unum prope syncora voluptate perfuudere potest. Itaque in conversione iam aliqnausque progressus, ot. vere proximo, vitam viresque concedente Deo, ad finom perventurus, iam modo patronum circumspicio, quo necessarias irapensas suppeditaute li ber in meis aodiluis excudi futura aestate possiti cum enim emendationi typograpbicae, ob mult.iplices numeros figu- O) Isacco Hammicbi.kix. 350 fi — 9 DICEMBRE 1633. [2809-2810] rusqiin ot quo omnia sint aocnratìoru, meipuum praeciiBo oporfeat, perinconunoduni easot 20 mihi, praenortim in Ime typographorum plerorumque morositate et impudenza, ai liber alibi potius quara domi meae imprimeretar. Nequo vero vel teruncium mihi poHco gratuitum : quisquis impens&a dahit, mutuo dabit, bona fide atque etiam (ita apondeo) cum fuenore olim ad ho redituras. Nani quioquid in bìii«u1ab septimnna» excudetur, in eiua domum subinde transferri carabo, ut ipae poatea librum abaolutum, et auae poteatatis ex asse factum, alieni bibliopolao prò arbitrio suo bonis oonditionibua diatrahendam oommittoro possiti ad me nil nisi labor ot cura, iucunda tamen illa, redibit. Adiiciam dedicatiouis honorem, et faxo ut et haeo aetas et ipsa posterità» aliquando sciat, cuìub bnnefioio prue» clarum hoc opus, unius Italiae conclusum anelilo, cum omnibus orbi» Euro pari viri* doctis coramnnicetur. Eiusinodi maecenatem si te conciliatore nc proxeneta, venerande Senior, 30 virorum candidissimo, collegarutn optime, naotns filerò, iam ante multi» nominibus tibi me dovinctum obstringea amplius. noe unquutu benelicii huiuice deprehendes immemorem. V. 28 Noveinb/ 1 » 1033. 2810 *. GERÌ BOCCHINKU1 a [GALILEO in Siena). Firenze, 9 dicembre 1638. Bibl. Niw. Fir. Mas. Gal., P. 1, T. X, .:nr. 353. - Autografa. Molto III."’ et Ecc. m0 S. r mio Oss." 0 To mi rallegro sommamente con V. S. della grazia elio finalmente si è Imvuta, ch’ella possa tornarsene alla sua villa di Arretri, corno doYorà bavere scritto anello a lei il S. r Ainb. rt Niccolini l *’, ohe dice che haverebbo procurato (die costà si mandassero por tal conto gli ordini necessari^. Bene aggiugne che V. S. non ha da faro in casa sua nò ridotti nè conviti o desinari, nè in nitro modo ra¬ dunate, volendo S. S. u che V. S. so no stia quivi ritirata. Ma questo non impedirà che V. S. non goda la visita dolio suo Monachine, ot che noi non possiamo rive¬ derci nè io servirla di presenza, tornato cho sarò da Pisa, por dovo partirò do¬ mattina in seguimento della Corte, cho si muovo in questo punto doppo desinare, io Manderò bora questa buona nuova allo Monache ; ot a V. S. bacio le mani. Di Fiorenza, 9 Dicembre 1638. Di V. S. molto 111/ 0 ot Ecc. ma Oblig. mo Paronte ot Ser. ro Gori Bocchineri. 11 » Di stilo giuliano. <*' Cfr. n.° 2802. 12811] 9 DICEMBRE 1633. 351 2811 *. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcctri, 9 dicembre 1633. Bibl. Nae. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XIII, car. 261. — Autografa. Amatiss. m0 Sig. r Patirò, Il Sig.’ Francesco Lupi, cognato della nostra Suor M. B Vincenzia, passando di costì per andarsene a Roma sua patria, si è offerto di portar a V. S. lettere o altro eli’ io volessi mandare ; onde io, accettando la cortesia, gli mando una sca¬ tola, dentrovi 13 morsellott.i, chè tanti e non più ne sono riusciti dclli 6 cedrati die mi mandò il S. r Rinuccini (1) , perchè fumo piccoli e tutti da una banda maga¬ gnati : di bontà credo che saranno eccellenti, ma quanto alla vista potrebbon es¬ ser più belli, perchè, mediante il tempo tanto umido, mi è bisognato asciugarli al fuoco. Mando anco una rosa di zucchero, acciò che V. S. vegga se gli piacessero io alcuni fiori di questa sorte per adornare il bacino che faremo in occasiono di quelle nozze che V. S. sa, ma fiori più gentili e piccoli assai più di questa. Hebbi da maestro Agostino la scatola con li 6 biricuocoli, c la ringrazio in¬ sieme con quello che ne hanno partecipati, elio sono le solite amiche. Intendo che in Firenze è voce comune che Y. S. sarà qua presto ; ma fino olio non l’intendo da lei medesima, non credo altro se non che gl’ amici suoi cari dichino quel tanto elio l’affetto e il desiderio gli detta. Io intanto godo grande¬ mente sentendo che V. S. Rabbia così buona cera quanto mi disse maestro Ago¬ stino, che mi affermò non haverla mai più veduta con la migliore. Tutto si può riconoscere, doppo l’aiuto di Dio benedetto, da quella dolcissima conversazione 20 eli’ olla continuamente godo di quell’ 111.'“° Mons. r Arcivescovo, e dal non si stra¬ pazzare nè disordinare, come olla fa qualche volta quando è in casa sua. 11 Signor Iddio sia sempre ringraziato, il quale sia quello che la conservi in Sua grazia. Di S. Matteo in Arcctri, li 9 di Xmbre 1633. Sua Fig> Aff. ma Suor M.“ Coleste. Fuori ; Al molto 111.” Sig. r Padre mio Oss. u, ° 11 Sig. r Galileo Galilei. Siena. 352 9 — 10 DICEMBRE 1033. [2812-2818] 2812*. ANDREA CiOIJ a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Firenze,) 1) dicembre 1633. Blbl. Naz. Plr. Mi*. Gal., P. I, T. II, car. 208. — Minuta di mano di Gerì IloormsERT. .... della grazia per il S. r Galilei S. A. ha sentito piacere non ordinario 281;]*. MARIA CELESTE GALILEI a GALILEO in Siena. Arcetri, 10 dicembre 1033. Blbl. Naz. Plr. Mi*. Gal., P. I, T. XIII, car. 263. — Autografa. Amatiss.® 0 Sig. r Padro, Appunto quando mi comparvo la nuova della spedizione di V. S., li avevo 1..]no la penna por scriver alla Sig.™ Ambasciatrice por raccomandarle questo negl.) vedendo andar in lungo, temevo elio non fossi spedito anco qu[.J) «1 elio l’allegrezza A stata tanto maggiore quanto più inaspettata; I.] «ole a rallegrarci, ma tutte questo monache, per lor grazia, danno segni |.] allegrezza, sì come molto hanno compatito a i nostri travagli. La stiamo [.| con gran desiderio, o ci rallegriamo di veder il tempo tanto tranquillo. Il Sig. r G[...] partiva stamani con la Corto* 11 , et io a buon’ bora l’ho fatto io avvisato del quando V. S. torna qua, oliò quanto alla spedizione egli la sapeva, e mo n’haveva dato parto liiersera. Gl’ ho anco detto la causa per la quale V. S. non gl ha scritto, o lamentatami perché egli non potrà ritrovarsi qua all’arrivo di V. S. per compimento delle nostro allegrezze, essendo veramente persona molto compita o di garbo. Serbo la canovotta della vordea, che il S. r Francesco 21 non potò portare por haver la lettiga troppo carica. V. S. potrà mandarla nella lettiga elio sarà di ritorno. I morsolletti già gl’havevo consegnati. Lo botto per il vino bianco sono all’ordine. “» Cfr. n.» 2810, Un. 9-10. <*> Francesco Lupi: cfr. u.° 2811. [2813-2815] 10 — 13 DICEMBRE 1633. 353 20 Altro non posso dire per carestia di tempo, so non che a lei ci raccoman¬ diamo affettuosamente. Di S. Matteo, li 10 di Xmbro 1633. Sua Fig. ,a Aff.*" Suor M. a Gel osto. Fuori : Al molto Ill. ro Sig/ Padre mio Oss." 10 il Sig/ Galileo Galilei. Siena. 2814*. MARIO QUID UCCI a GALILEO in Siena. Firenze, 10 dicembre 1033. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXVII, n.» 135. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. mo Ho lotto o riletto più volto la gratissima di V. S., con quel maggior con¬ tento che ella si può immaginare che arrechino lo cose grandemente o lunga¬ mente bramate o poco sperato. Il Signore Dio no sia ringraziato. A V. S. rendo grazie dell’avviso datomcno, il quale io ho voluto participaro a diversi amici, ma ho incontrato clic tutti venivano alla volta mia por avvisarne me. Aspetto con desiderio il suo ritorno, che sia con sanità c lunga prosperità, che così le prego dal Signoro o le fo reverenza. Mi farà grazia di riverire in mio nome Mons. r 111." 10 Arcivescovo, al quale io professo di essere a parte degli obblighi per l’ainorevolozze o gentilezze che V. S. ha ricovuto nella sua cortesissima casa. Firenze, 10 di Die. 10 1633. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma Sor/ 0 Obb. rao o Aff/ 10 Mario Guiducci. Fuori : Al molto 111/ 0 et Fcc. mo S. r e P.ron mio Oss. mu 11 Sig/ Galileo Galilei. Siena. 2815*. FABIO da LAGONISSA ad ANTONIO BARBERINI iu Roma. Bruxelles, 13 dicembre 1UU3. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 89). Lett. 2013. 20. «e clic — XV. 45 354 14-17 DICEMBRE 1G33. [2810-2818] 281 fi*. NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC a PIETRO GASSENDI in Digno. Aix, 14 dicembre 1G38. Bibl. Nazionale in Parigi. Fondu fraudato, n.® 12772, Lettres do Poiroac à (Jasaendi, car. 107 (. — Autografa. .... J’ay aujourcPhuy gouverné quelqu’heure M. r Cfr. u.® 2829. 17 DICEMBRE 1633. [2818-2819] 355 io i quali, accreditati nella ignoranza volgare, temono di perdere il credito o la riputazione. Qua m’è capitato allo mani un S. r Francese (t> , molto intelligente o afìezzionatissimo alle cose di V. S., o disegna fare in breve il viaggio di Fi¬ renze per vederla e riverirla: erodo elio Laverà gusto di trattare con questo Signore. Io sto sano di corpo, se bene travagliato inconsolabilmente dell’animo: solo ritengo qualche speranza di rivederla, clic Dio me no faccia la grazia. Fo con¬ segnare con questa la scatola del refe per lo Sig. r0 Monache sue figliuolo, allo orazioni dolio quali mi raccommando ; o a V. S. fo riverenza. Roma, il 17 di Xmbro 1633. 20 Di V. S. molto Ill. r0 Devotiss. 0 e Oblig.™ 0 Ser. re o I)is. 10 Don Benedetto Castelli. 2819 **. ORAZIO CAVALCARTI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 17 dicembre 1G33. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 854. — Autografa. Molto II. 0 et Ecc. ,no S. r , mio S. r P.ron Col. m0 Al S. r Raffaello w ò portata la sua lettera, e dataglila in proprie mani : mi à promesso mandarmi la risposta; qualo sarà con questa, mandandola. Mi à detto aver scritto altre volto a V. S., senza sua risposta. Mi rallegro che V. S. sia tornata a godersi la sua villa con li suoi amici. So che il S. r Mario (3) l’averà aspettata con ansietà, e so la goderà eli bei pezzi. N. S. la conservi sana e lungo tempo. V. S. diami occasione di servirla come desidero. Mia moglie (4) et io la rin¬ graziamo doragurio delle buone Foste, quali a V. S. lei et io rondiamo duplicate io por moltissimi anni felicemente con quanto la desidera, o gli facciamo umilissima riverenza. Di Roma, li 17 di Xbre 1633. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. mft Dov. Ser. ro Ob. ,no Orazio Cavalcanti. Lett. 2819. fi. il Mario — (M Gto. Giacomo Bouchard. < s > RaPFABLLO MaOIOTTI. 1*1 Mario Guiddcoi. (*) Maddalena Guiducoi. 356 ] 7 DICEMBRE J633. [2820-2821] 2820. 1J0NAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in ArootriJ. Bologna, 17 dicembre 10311. Blbl. Nnz. Fir. Mas. 0*1., P. VI. T. XII, car. 37. — Autografa. Molto 111.” et Eec.“° Sig. r o P.ron Col. 0 So bone io non ho da molto tempo in qua scritto a V. S. Ecc. m “, cioè por il tempo de’ suoi travagli, non ò però elio io non li babbi sentito con quella pas¬ sione che si può imaginare; intorno a’ quali non mi diffonderò in consolarla por non offenderò la sua molta prudenza et il vaierò deH’animo, co’ quali so ch’havrà saputo superar dotti passati travagli. Desidero hono adesso intendere come so la passa con buona salute, et in somma di udir qualche nuova del suo ben staro. Io stampo la mia Geometria (l) , o devo essere alla metà. Mi viene a taglio di insorirvi quella propositiono cho una volta mi dimandò, cioò data la ac se¬ gata comunque in b, lo ab c d prolungarla corno in d, sì cho il cubo della ad s’adegui aììi cubi ac, b Cfr. un.' 2111, 2128, 2161. 17 DICEMBRE 1(1.33. 357 [28211 P. Abbate. Questo fu circa mezzo giorno, et io subito doppo pranzo salii dal P. Abbate, quale mi trattenne perfino allo 24 con l’acqua, e per più spedirono non sigillò altrimenti l’inclusa 11 ’; in oltre m’ha consegnato una scatola di refe bresciano, quale porterò al Sig. r Cavalcanti, acciò con suo coni modo l’invii a V. S. E già elio 1’ bora è tarda, risponderò in breve allo suo Ietterò quanto intendo io, già che il P. I). Benedetto haverà risposto quanto gl’occorreva, io Infine sento grandissimo contento eh.’ ella se no possa star quieta nella sua villa, dovo haverà occasione d’illuminar in molto coso la cecità, durata nelle menti dogli huomini dacliè il mondo è mondo. Mi dolgo bone di non havor sorte di potergli vivere appresso, cliè questa mia ardente sete delle coso di V. S. si satie- rebbo, almeno in gran parte, so non in tutto por la mia insufficienza. Egl’ò vero eh’ olla qua in Roma m’ è stata amorevolissima do’ suoi segreti ; ma però di molti o molti de’ più reconditi io n’ ho solo havuto il saggio, qual mi fa sempre crescer la sete maggiormente. Dio sa quanto gran timore io ho di morirmi con questa voglia ; o questo, non perchè io non gli desideri e speri da Dio lunga vita, ma pol¬ la mia poca fortuna e non molta sanità di corpo. Pur io ringrazio sempre Nostro 20 Signoro, elio permetto in me questa cupidigia, per non dir avaritia, di tanto belle demostrationi, senza peccato. Vorrei più dire, ma dubito non esser o tedioso o molesto: dirò solo, che se 1’ avarizia d’oro o d’argento in altrui ò sì intensa come questa sete ch’io ho di tutte l’invenzioni e demostrationi di V. S., non posso non gl’ liavcr compassione, etili in elio l’oggetto desiderato da loro non sia f>roportionato all’anima ragionevole, con la quale sola si differisce da gl’altri animali. Ma clic fo io? col tacoro non s’intende il mio senso, e col parlare io non mi so bene dichiarare. Quel elio io vo’ dire è questo : che V. S. metta insieme lo coso suo, certissima eli’ il tempo scoprirà i suoi meriti ; et io gli sono e sarò sempre ser¬ vitore, seben dol tutto imitile, mentre non son fatto mai degno de’ suoi comandi, so Non ho veduto, già sono più giorni, il Sig. r Nardi (2) , ma però intendo che sta belio. Por l’avvenire indirizerò le lettere a Mess. Lattanzio Magiotti Sanleo- lini, mio fratello, medico al presento in Palazzo, quale gliene invierà et a suo tempo gli farà reverenza. Così finisco, pregandogli da Dio otio per i suoi stridii et augurandoli felicis¬ sime queste Santissime Feste di Natale con molte appresso. Roma, il dì d.° Xbr. 1633. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. nm All'.' 110 ot Obl. mo Servi/ 0 Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto 111/ 0 et Ecc. m0 Sig/ e P.ron mio Col." 10 ■io D Sig/ Galileo Galilei. Fiorenza. Lott. 2821. 26. Aveva scritto n tacrrr.: aggiunse poi una l ad a, ma non corrosso a in co.— I») Cfr. u.» 2818. O) Antonio Nardi. 358 18 — 20 DICEMBRE 1633. (2822-2824] 2822 **. GIULIO NINCl a GALILEO in Arcelri. San CnRcinno, 18 dicembre 1633. Bibl. Nnz. Flr. Appendice ai Mas. Gal., Filala Fnvnro A, car. 58. — Autografa. Al molto Ilu. 1 * Sig. re Galileo Galilei. Yi mando staia soi di farina per Santi di Gabriello Rosi. Non do risposta dell prezo a Y. S. di quela vornaea, por elio il fattore nor è anchora tornato o lo spezialo non à auto risposta anchora, nò manclio i sagi: subito elio gli ame¬ ranno, gli manderò a V. S. E so gli ocoro nioto altro, V. S. ini avlsi. Doli resto pregado Dio che yì conceda la sanità. Il dì 18 di Decombre 1633, ili San Cascano. Vo. ro Affo* Giulio Ninci. Mandai lo pero conio Vosig/'* mi diso, cho elio funo sesanta. Fuori: Al molto Ilu.” 1 Sig. r0 Galileo Galilei. In vila a Samatco in Narceti. 2823 *. GIO. VINCENZO da TAB1A ad ANTONIO BARBERINI in Roma. Tortona, 19 dicembre 1633. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b. 87). 2824 **. BERNARDO CONTI a GALILEO [in Arcetrij. Siena, 20 dicembre 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 358. — Autografa. Molto lll. ro od Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. rao Ha volsuto la mia disgratia elio io sapessi così tardi il suo ritorno a Fio¬ renza, o per dir meglio alla sua villa, elio io non potesso reverirla, come era mio debito e desiderio insieme. La supplico a oredere che no son restato mor- titicatissimo, o ad attribuire il mancamento alla mancanza del tempo. [2824-2825] 20 dicembre 1033. 359 Io mi rallegro che V. S. sia restato consolato di ritornare in patria, ed in questo Santissime Feste le prego da S. D. M. tà il colmo d’ogni suo bramato bene. Con questo rassegno a V. S. la mia obligata servitù, mentre anco lo rendo lo dovute grazio dol regalo del suo leuto e do’ saluti fattimi per parte sua dal io S. r Maestro di casa u) . Conservimi in sua grazia, chè la stimerò mia particolar felicità, mentre resto supplicandola do’ suoi comandamenti, o lo fo roveronza. Siena, li 20 Dec. re 1633. Di V. S. molto 111/ 0 ed Ecc. mi1 Obligat. rao e Vero Ser/° S. r Galileo Galilei. Bernardo Conti. 2825 **. ANTONIO NARDI a GALILEO in Firenze. Roma, 20 dicembre 1033. Blbl. Naa. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. X, cnr. 158. — Autografa. Molto 111. 0 et Eccoli. mo S. r ot P.ron mio Oss. mo Mi dice il Padre Abbate nostro scriver di rado a V. S. Ecc. m \ perché alla sua partita ha perso una pupilla. Hora io di questo concetto mi potrei servir ugual¬ mente, bisognando scusar anche a me la tardanza nello scrivere; ma perchè non mi piace rubbar i concetti d’altri, dirò solo che l’havor con mio gran gusto in¬ teso qualmente V. S. ritornava a Firenze, o T non saper dove inviarmi lo mio lettere, è stato causa principal che io non prima Labbia scritto che quando babbi inteso il suo ritorno: del quale tanto più mi rallegro, quantochè, con l’occasione di augurarli felice Capo di anno, mi giova anche di augurarli la publicatione io dell’opera che scrivo al S. r Magiotti havor compito mentre è stata in Siena. Io veramente, come quello che ammiro lo sue invenzioni, così ancora vorrei che al mondo fossero note, acciò con l’utilità elio si cava dalla sua dottrina si ac¬ crescessi ancora il contento di chi l’ama et ossorva, acciò la sua gloria tanto maggiormente conculcassi l’invidia dei maligni e degl’ignoranti. Ringrazio Y. S. della memoria che tiene di me, e la ringrazio con quanto maggior affetto possa, assicurandola che non mai passa giorno che o meco non rammenti o con gl’amici la sua dolcissima e dottissima conversazione, della quale pur troppo mi rincresco di esser privo ; ma però, loggendo le sue opero o pascendomi di speranza di veder in luce l’altro dol moto, delle mecaniche, delle osservazioni naturali, della ma- Lett. 282B. 8-9. con l'occasione di augurli felice — <*> Giovanni Vannuocini. 20 DICEMBRE 1633. 360 [2S25-282G] niora corno si muovono gl’animali, o finalmente le suo vario dimostrazioni circa 20 varii pensieri, mi passo il tempo o compenso il dispiacer della sua lontananza. Io dissi al S. r Magiotti corno un tal Melchior Inchofor Giosuita ha scritto un libro 111 , il cui scopo è di far dichiarar hereticale o ropugnante alla Sacra Scrittura l’opinione del moto terrestre; ma, circoscritto quello elio in tal ma¬ teria sia por dichiarar Santa Chiosa, l’autore ha mostrato una gran debolezza di testa: e vorroi che loi vedessi l’opera, quale so non sia in Firenze, l’invierò a V. S., so così comandi. Fi perchè l’harò troppo tediata, faccio fine, pregandola a favorirmi di qualche sua o lettera o comandamento. Roma, 20 di 1 Olire 1633. Di Y. S. molto 111.® et Ecc. ma Ser. re Oblig. m0 co Ant.° Nardi. Fuori: Al molto 11 S. r Galileo IH. 0 et Ecc. m0 S. r o P.ron Oss.“° Galilei. Firenze. 2826 . ASCANIO PICCOIiOMINI a GALILEO [in.Arcetvi]. Siena, 20 dicembre 1683. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 302. — Autografi il poscritto e la sottoscrizione. Molto III.” S. r mio Oss. rao Ricevo questa settimana l’amorevolissima di V. S. de’ 17 elio molto m’iia consolato per sentirla arrivata con salute alla sua villa, am assai miglioramento della sua indispositione di catarro. Me ne rallegro, porchò dovrà già cominciare a r osar ciré il danno di questa carcoro, della quale voramonto no l’ho lassato prender la libertà con amarezza e mortificationo, indotto non da altro che dal desiderio continuo clic tengo d’ogni suo gusto o consolationo : tuttavia se la resterà ser¬ vita di comandarmi, potrò godere di servirla anco in questa poca di lontananza, e la prego a consolarmene, oliò nien dura mi sarà la sua partenza. Prego V. S. a render duplicati i saluti a tutti cotesti Signori, come tongo io commissiono di far con V. S. por parto di questi di qua, elio son rimasti con infinito desiderio di servirla o di rivederla. Rondolo anco vivissime grazio dol l'i Cfr. u.o 2801. 20 DICEMBRE 1633. 361 [2826-2827] folico augurio dello Santo Feste, ripregando da Dio benedetto a lai duplicate tutto le consolationi desiderato a aio, o le bacio affettuosamente lo mani. Siona, li 20 Dee.” 1633. Di V. S. molto ni.» In quosti giorni non manca da scrivere ; però ini perdoni se per la prima volta me la passo con V. S. con cirimonie, che per le prossime la 20 riverirò più familiarmente. S. r Galileo Galilei. 2827 **. VINCENZO REN1ERI a [GALILEO in Àrcetri]. Siona, 20 dicembre 1033. Dibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. X, car. 860. — Autografa. Molto 111.» et Ecc. ra0 Sig. r0 e P.ron mio Col.® 0 Ritornai da Collo la stessa mattina che ella s’era partita per la volta di Firenze; e benché io sentissi non poco gusto dello sue consolationi, fu per ogni modo contrapesato dal doloro che hebbi di non poter ritrovarmi alla sua par¬ tenza, ed offerirmelo di nuovo per quel devotissimo servitore che desidero esser da lei tenuto et adoprato, dovunque mi conoscerà buono. Questa quaresima andrò a predicar a Genova, e spero di far la strada di Firenze, se il passaporto non me l’impedisce, a rivederla e riverirla e goder anco un giorno de’ suoi dolci ragionamenti : e mi creda, Sig. r Galileo, che non io invidio altra fortuna a’ Sig. ri Fiorentini che quella di poter ascoltar tal volta le sue dotte compositioni. Le auguro fra tanto felicissimo questo Santo Feste et un Capo d’anno colmo d’ogni contento, con cent’altri appresso. Ne’ versi che lasciai a V. S. desidero che quel verso : Alma Venus Phaebi- que soror etc. (1) , V. S. lo accommodi : Phacbus, et alma sor or, sacri et dea can¬ dida Cyj)H , benché habbiano forse (li bisogno d’ esser accommodati, o per dir meglio abbrugiati, tutti, non essendo cosa degna d’un par suo. A cui per line bacio lo mani di tutto cuore. Di Siena, adì 20 di Xmbre 1633. Di V. S. molto 111.» et Eco. 1110 20 Dev.™ 0 Ser.® D. Vincenzo Roniori, Monaco Olivetano. Giuuo Niwoi. [2829-2830] 20 — 21 DICEMBRE 1033. 363 2829 *. NICCOLÒ FABIO DI PEIRESC a PIETRO GA88ENDI in Digue. Aix, 20 dicembre 1033. Bibl. Nazionale in Paridi. Fonds framjais, n.° 12772, Lottros (lo Peirosc à Gnssendi, car. 109. — Autografa. -Nona ftvons depuis gouvcrnó icy tout dimanche le S. r de S. 1 Aman, revenant de Rome (,) , qui y a veu fort particulièrement le P. Campanella, et dcpuis à Siennc lo S. Ga¬ lilei ohe/. l’Archevesque, où il avoit un logement. tapissó de soye et fort richement emuieu- hló; disant qu’il no so pouvoit lasser d’adinirer cez deux vcnorables vieillards, et d’ap- prondre les bonnes chosos qui leur esclmppoient en coinnnm discours. Le Galilei luy monstra quelque nombre de lettres missivea fort ouneuses sur divers subjects, lesquolles il estoit aprez do faire mettre soubs la presso, dout plusieurs estoient adrcsseos a uno sienuo fillo roligiouso, lesquellcs ne laissoient pas d’estre sur des subjects des matieres traictées en scs livrea. 11 dict q’un gentilhomme avoit dans Rome la coppie, qu’on luy avoit promise, 10 de deux lottres par luy escriptes à la Granduchesse, ou il traictoit ex professo tonta les moyens par losquols il pouvoit soubtonir en bonno consciance et par la Sainte Escrituro toutes le propositions do ses livrea. 11 avoit esperance d’avoir bieu tost la pcnuission d’aller en uno siennc maison, et ìi Florence uicsmes.... 2830 **. FRANCESCO MARIA FIORENTINI a GALILEO in Firenze. Lucca, 21 dicembre 1633. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Vi, T. XII, car. 39. — Autografa. Molt’IU. r0 et Ecc. m0 mio S. ro e P.ron Oss. mo Si compiacque V. S. Ecc. mR alcuni mesi sono di gradir il testimonio della mia osservanza, rappresentatale per lettere (2) , e mi do’ animo con la gentilis¬ sima sua risposta di tornar anche con T universa! costumo dolio buone Feste a rammentargliela. Ma quanto mi potrebbe assicurar l’innata sua cortesia ch’ella lusso per gradire quest’ olfitio di reverenza, altrettanto mi dovrebbe ritenere il disturbo che può recarle la mia prosontione. Ma chi frena la lingua a sollecito affetto ? (») Cfr. 11 .*» 2810. <*> Cfr. u.° 2578. 364 21—27 DICEMBRE 1633. [2830-2831] Io sto con ansietà, di sapere s’olla sia per degnar di risposta o di replica la Difesa dell’Àntiticone (l> , e lo desidero, per dir il voro, parendomi elio le di- io corie di quest’ huomo possino, se non offuscaro in parte lo splendore del nomo di V. S. Ecc. m * già immortalmente scritto nella memoria degli huomini, almeno siano per generar confusione nella mento di chi, non intendendo più addentro, ha per demostrate lo propositioni che portano il nome matematico. Ilo fin qui lotto il primo libro solamente, perchè due giorni fa solamente mi è capitato nello mani, nè mi è parso elio contenga altro che qualche mendicato puntiglio di logica; o sobono, scorrendone verso il fino qualche particella, mi sono accorto cho quest’autore è di quelli che tiene lo nuovo osservatami del cielo por illu¬ sioni degli specilli, confesso porò, per la mia poca capacità, elio in alcuno coso mi ha lasciato dubioso. Como cho sia, a me, cho sono partialissimo del nomo 20 di V. S. Eco." 1 *, si rendo incomportabile il vederlo vilipeso. Mi consoli però, come la supplico, di farmi parte so almeno alcuno de’suoi discepoli s’armi all’ espu- gnationo di questa Difesa, 0 s’ella sia por dar presto fuori, come prometto, le speculatami do’ moti, già che par che si toma cho i suoi Dialoghi siano por cssor sospesi. Compatisca alla mia affettuosa curiosità, con la cortezza d’altret¬ tanta devotione in me verso il suo grandissimo merito, mentre io, agurandoie felicissime questo Santo Feste, le bacio roverontemente lo mani. Lucca, a’ 21 di Xmbrc 1633. Di V. S. molto HI. 1 * ot Ecc. m * Sor." Partinliss."’ 0 so S. 1 ' Galileo. Firenze. Francesco Maria Fiorentini. 2831. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 27 dicembre 1G33. Bibl. Na*. 3?Ir. Mas. Gal., P. I, T. X, car. 800-867. — Autografa. Molt’ 111.” ot Ecc. m0 Sig. r 0 P.ron mio Col. - * Quando ponsavo di vonir a congratularmi seco dell’ avvicinamento fatto alla patria et a’ suoi più cari amici 0 parenti, 0 dell’animo lieto 0 tranquillo cho olla havea riportato dalle sue turbulenzo, ecco cho mi convien di nuovo venir a cora- piagner le sue disgrazie. È possibile eh’ ella habbia a essere continuo bersaglio delle disavventure? Il S. r Geri Bocchinori mi ha dato avviso cho tra lo scrit- <«> Ofr. n.o 2826. 27 DICEMBRE 1633. 365 [ 2831 ] turo reso a V. S. dal suo fratello (1) , ella ci ha trovo manco una sua opera, o cho por tal perdita ella è caduta in un doloro et afflizione intollerabile. Questa nuova mi lia trafitto l’animo; e perché la mia troppa gelosia delle suo cose ha io dato origino a questo disordino, non posso finir di maledire la mia cattiva for¬ tuna: la quale in questo caso ha partorito effetto diametralmente contrario alla mia intenzione, cho per essero stata ottima, a quella solo prego V. S. Ecc. ,ua a voler liavor riguardo, o per mezo di quella spero da lei di impetrar perdono. Io non ho errato se non eli’ io non sono stato indovino e sono stato troppo go¬ loso : del resto non ho commesso mancamento alcuno. Se io havessi hauto a tener conto dello sue scritture, l’harei conservato corno coso sacrosanto, o cu¬ stodito al pari dell’anima mia; il Sig. r Geri prese lui la cura di conservarle, et io non potevo o dovevo mostrar diffidenza in lui. Do’ libri che erano su la tavola, io ne messi da canto alcuni (2) , parto perchè non andassero male, 20 o parto porcliè non gli lusserò (trovandosi) di pregiudizio, con animo di man¬ dargli a pigliare : tra questi mi scrive liora il Sig. r Geri che io guardi so fosse quost’opera smarrita; ma perchè, sebene restai col S. r Geri di mandar per essi, io non mandai altrimenti, atteso cho cessaron quelli spaventi che da principio mi furon mossi, però io non posso cercar tra essi; ma potendovi anco cercare, non la ritroverei, perché i libri mossi in disparte non eran se non opere stam¬ pate, né vi ora opera alcuna manuscritta. Torno per tanto a dire che qui il mio orrore è la mia mala fortuna, la quale, per non esser nel mio arbitrio, anzi re- pugnantissima al mio volere, non mi devo essere imputata a errore. Mi par poi por sua consolazione di poter dire, cho essendo ella viva, nella perdita di que- ao sta scrittura non si sia perduta l’opera, ma solamente rinovata a V. S. la fatiga di ritessorla; la qual nuova fatiga non sarà anco senza nuovo frutto, porchè, sebone l’opero primieramente uscite dalla sua mente e dalla sua penna sono porfetto o dagl’ altri posson esser sompre più tosto maggiormente ammirato che migliorato, tuttavia ella sola con nuova applicazion di monte può arrecargli mi¬ glioramento, e posson solo tra le suo mani le sue stese’ opere, benché perfette, ricever nuova perfezziono. Iddio sia quello che noi rivolgimento dell’anno gli rivolga la faccia della miglior fortuna, acciò con maggior animo possa affatigarsi in consolazione di sè stessa e di tutti gl’ amatori della virtù. Qui per fino l’abbraccio con riverenti,s- 40 simo ossequio e le prego felicità. Di Pisa, il dì 27 Xmbre 1633. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Dev. m0 et Obbligò 0 S. r0 Niccolò Aggiunti. »') Al.KdtìANUUO BOUOUINKIU. <0 Cfr. u » 2580 366 28 DICEMBRE 1633. [2832-2888] 2832 *. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO [in Arcetvi]. Roma, 28 dicembre 1683. Bibl. Naz. Eir Msa. Otti., P. I, T. X, car. 868. — Autografa la «ottoicruiono. Molto 111. Sig. r mio Oss. m0 Solamente il veder che V. S. gradisco con tanto allotto la mia buona vo¬ lontà, mi obbligherebbe in infinito alla sua cortesia, s’io non me gli professasse obbligatissimo por altro; e da questo spero cho olla creda che s’io potosse per¬ vertir l’ordino, per dir così, delle lunghezze di questo paese, V. S. sarebbe stata più presto, et forse meglio, servita. Ilo presentata la sua lettera di ringrazia¬ mento al S. r Card. 1 Barberino U) , elio so poi non risponderà, non sarù maravi¬ glia, per non ossor il negozio ultimato interamente, con tutto cho poco o niente vi resti. Nel resto l’Ambasciatrico et io la ringraziamo con tutto Lamino dello prò- io sperità cho ci annunzia in questo Santo Foste, sapendo che ci desidera di cuore ogni bone non per somplico complimento, come noi ancora con l’istesso sentimento preghiamo il Signore Dio che feliciti la persona o casa di V. S., la quale non sarebbe gran cosa cho potessimo un giorno goderò o servire in Arcotri. E le bacio le mani. Roma, 28 Xmbrn 1633. Di Y. S. molto 111. AfT. mn Sor." S. r Galilei. Frane. 0 Niccolini. 2833 *. MARCANTONIO TIERALLI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 28 dicembre 1633. Bibl. Est. in. Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.* LXXXV, n.° 40. — Autografa. Molt’ 111.” et Ecc. m0 S. r mio Col. BO Tost varios casus , post tot discrimina rcrvm, io mi rallegro con tutto il quore del felice ritorno dj V. S. Ecc. m * alla patria. Lo chiamo principalmente Cfr. n.o 2817. 28 DICEMBRE 1633. 367 [2833-2884] felice por la buona sanità che l’accompagna, stimata da me particolar gratia di Dio in queste congionture. Piaccia a S. D. M. di conservarla, per gloria di questo secolo e consolatione di tanti e tanti amici e .servitori di V. S., tra i quali io professo o mi honoro di esserle devotissimo o par tintissimo dolla sua singolarissima virtù. Crederò elio V. S. habbia ricevuto li 40 scudi romani per li due termini io decorsi dolla pensione (,) , consegnati da me al nostro Sig. r Niccolò l2) , e col primo comodo di apportatore le invierò gl’altri venti per quest’ultima del Natale; c V. S. potrà favorirò di far la ricevuta di tutti tre. Il Signor Iddio le conceda di poterla risquotore per molti o moli’anni, sì come io Lo prego con tutto l’af¬ fetto ; e baciando a V. S. revorentemolito la mano, le prego felicissimo il prin¬ cipio dell’anno, con tutto il restante di una lunghissima vita. Pisa, 28 Xmbro 1633. Di V. S. molto 111.* 6 et Ecc. ma Devot, ra0 o Oblìi ig. mo Sor.™ Maroant. 0 Pieralli. 2834 *. GIOVANNI VANNUCOINI a [GALILEO in Àrcetri]. Siena, 28 dicembre 1083. Bibl. Naz. Pir. Appendice ni Mss. fini., Filza Favnro A, car. 55. — Autografa. Molto Hl. ro et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Oss. ,no I)oppo liavor inviato a V. S. Ecc. ma il panno verdone ordinatomi (3 ’, ricevei il gruppo con le lire dugento, quali distribuii subito a chi si dovevano. Le mando bora sci barili di vino bianco, del più eccellente ebe si sia trovato in questa città, ebo so sarà di suo gusto rilaverò caro, sì per haver servito V. S. Ecc.'" 11 come Mons.™ Iil. mo mio Padrone (4) , elio con tanta premura me l’bavova coman¬ dato. Non si ò inviato prima per rispetto delle Feste. Se sarà possibile, lo in- viarò anco la sua cantinetta piena di vin rosso, di quello elio beve Monsignore. E qui col fino, facendo a V. S. Ecc. ma humilissima riverenza, lo prego dal Ciclo io ogni più vera felicità. Siena, li 28 Xmbro 1633. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. 1 "* Ser. re Devo. 1 " 0 Gio. Yannuccini. <" Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXX111, l). 1*1 Niccolo Aggiunti. < 3 ' Cfr. n » 2828. Asoanio Piccoi.omini. 366 28 DICEMBRE 1633. [2885*2886] 2885 *. PIETRO GASSENDI a NIOOOLÒ FABRI DI PEIRESC in Aix. Digne, 28 dicembre 1683. Blbl. Nazionale In Paridi. Fonò* franali, n.° 9586, car. 223. — Autografa .... Je voua reraercie encoro de ce quo vous m’nvez appris do l’entat dn bon Ga¬ lilei W. Je luy eacriroy volontiers un mot, mais je ne s^ay counnent l’eutrupremlre; tel- leuiont tuutus cUoBoa soni chatouilleusea de ce coeté là.... 2836 **. OTTAVIO GALILEI a [GALILEO in Arcetri]. tVenezia, fine del 1638?]. Bibl.Naz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. XV, ctir. 16. — Autografa. Molto 111.” S. r Padrone Col. mo La stima elio io fo della sua persona, e la reverenza elio lio sempre portata al suo gran valore, causavano in ino non pocho pensiero in questa sua absenza, quando olla si ò degnata di oxscludoro ogni dubbio con la gentilissima sua do’ 20 del presente, la quale mi è stata d’indicibile consolatione per sentire il suo bene essere ; poi che nel resto io oro certissimo del successo prospero do* sua affari, si corno mi prometteva la sua integrità, exsperimontata in tanto occasiono. Ma pur V. S., con il darne nuova, raddoppia a mo l’allegrezza o assicura gli altri sua partiali, se bene ciascuno ha hauto ferma credenza che l’oppositioni cho ella ha trovato dovessero servirli di exaltatione, e gli ostacoli de’ maligni fargli strada io a gloria incomparabile. Spero rivederla di qua presto, dovo già, superata l’in¬ vidia, dova godere una porfecta quiote; e questo ò il desiderio di tutti noi, o di mia moglie o figliuoli specialmente, cho gli rendono duplicati saluti. E io per fino li fo reverenza, baciandoli affettuosamente le mani. I)i Y. S. molto 111." <*> Cfr. ti. 4 2829. Oblig. mo Serv. ro o Parcnto Ottavio Galilei. [1033]. 369 [28871 2837 **. LORENZO PETRANGELI a GALILEO in Firenze. [1633]. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 23. - Autografa. Molto ni.™ et Ecc. ,no Sig. r mio Ose." 10 Son passati diciotto mesi da elio per gl’imminenti pericoli mi convenne, in compagnia di Mad.° Sor. n,a Elettrice, partir da Monaco; e perchè nel corso di questo tempo ho ricevute phì o più lettere, e pieno di dolore o di lamentationi, dalla Sig. ra Anna Clara (i) , non posso non raccomandarla con tutto l’animo a chi più tocca, per tanti rispetti, il soccorrerla : o corto è cosa degna di compassione il vedero quello che ella habbia patito nel concorrer con gl’altri al pagamento di sì grosso tagliano imposto dal Re Sveco (2) a quella città, e quello cho tut¬ tavia si patisca o da lei o dagl’altri per haver l’inimico a lo porto. Spero dunque io che V. S. molto I. sarà ricordevole di questa povera famiglia e della parola già datagli di volerla soccorrere et haver sempre in su[a] cara protettione; e così il Signore habbia la persona di V. S. molto I., con moltiplicate benedizioni. Di V. S. molto I. ot Ecc. wa Aff. mo Serv.™ Lorenzo Peti-angoli. Fuori: Al molto 111.* 8 ot Ecc." 10 Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. (») Anna Chiara Banimmklm, vedovarti Micuk- 01 Gustavo Adoi.*o. l.ANOKLO GAI.II.EI. FINE DEL VOLUME DECIMOQUINTO. XV. 47 INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XV (1633). 237« Francesco Barberini ad Andrea Gioii. 1° gennaio 1633 2877 Antonio de Ville a Galileo. 4 » 7> 2878 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. » » » 2879 Benedetto Castelli a Galileo. 7 » 2880 Clemente Egidii ad Antonio Barberini. 8 » » 2881 Francesco Niccolini a Galileo. 9 » » 2382 Andrea Gioii » . 11 » » 2888 Gerì Bocchineri t> . 12 !> » 2884 Galileo ad Elia Diodati. 15 » » 2385 » a Carlo de’ Medici. » » » 2880 Giorgio Bolognetti a Francesco Barberini. > » » 2387 Francesco Niccolini ad Andrea Gioii. » » » 2888 » » . 5> ì> 2889 Giuliano de’Medici a Galileo. 19 » » 2890 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. 21 » » 2391 Giorgio Bolognetti a Francesco Barberini. 22 » » 2892 Clemente Egidii ad Antonio Barberini. » » » 2898 Sebastiano Venier a Galileo. 23 » » 2394 Geri Bocchineri » . 24 » » 2895 Alessandro Bocchineri *> . 27 » » 2390 » » . 29 » » 2897 Gio. Battista Landini a Cesare Marsili. » » » 2398 Francesco Niccolini a Galileo. 30 » » 2899 » ad Andrea Gioii. » » » 2400 » a Galileo. 31 » » 2401 Geri Bocchineri » . 3 febbraio » 2402 Andrea Gioii a Francesco Niccolini. 4 » J> 2403 Geri Bocchineri a Galileo. 5 » » 2404 Maria Celeste Galilei a Galileo. » » 2405 Francesco Niccolini » . » » J> 2400 Francesco Barberini a Giorgio Bolognetti. » » » par¬ ili 12 19 » 20 » 21 22 23 27 » 28 » 29 » 30 » » 31 32 33 34 » 35 » 36 » 37 38 39 374 INDICE CRONOLOGICO. 2409 f Antonio Budelli a . 7 maggio 1633 Pag. 2600 Pietro Gaasoudi a Tommaso Campanella . 10 • » » 2601 Geri Boochineri a Galileo . 12 » > 116 2602 Benedetto Castolli » . » » > 117 2608 Geri Bocohineri » . 14 » > » 2604 Maria Celeste Galilei » . » » » 118 2606 Mario Guidaeoi * . » > » 120 2600 Gabriello Riccardi » . » » * 121 2607 Maria Tedaldi > . » p » 122 2608 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . 15 » 123 2600 » » . > p » 124 2610 Aacanio Piccolomini a Galileo . 16 o » 2611 Geri Bocohineri » . 18 p 125 2612 Benedetto Castelli » . 19 p > 12G 2518 Geri Bocchineri » . 21 p p 127 2614 128 2615 Niccolò Cini » .. » » p 120 2610 Maria Celeste Galilei » . > » p » 2517 Mario Guiduoci » .. » » » 130 2618 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . 22 » ► 132 2510 Geri Bocchineri a Galileo . 28 • » » 2520 Benedetto Castelli * . . * » p 188 2521 Andrea Cioli a Francesco Niccolini . » » p 134 2622 Niccolò Cini a Galileo . 28 » p » 2628 Maria Celeste Galilei a Galileo . » » p 135 2624 Mario Guiducci > .. » » p 136 2525 Ascanio Piccolomini » . » » p 137 2620 Maria Tedaldi * . > » p 138 9527 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . 20 » p 140 2628 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy . 30 » p 141 2620 Giacomo GafFarel a Raffaello di Bollogno . » p p 2680 Geri Bocchineri a Galileo. 1° giugno » » p 2681 Vincenzio Galilei » . 2 > 142 2682 Niccolò Fabri di Peiresc a Luca Ilolstein. * » » 143 2688 Niccolò Aggiunti a Galileo. 4 > > 144 2684 Geri Bocchineri » . p » » 145 2585 Maria Celeste Galilei * . > * > 146 268G Mario Guiducci » . » » » 147 2687 Dino Peri » . > » 148 2588 Benedetto Castelli » .... . 9 » » 180 2580 Gio. Camillo Gloriosi > . 10 » » 2640 Geri Bocchineri » .... 11 » » 151 2641 Maria Celeste Galilei » . » » » 152 2642 Mario Guiducci » . p > 153 2648 Ascanio Piccolomini » . 12 » 2544 Giovanni Ciampoli > .... 14 » » 154 INDICE CRONOLOGICO. 370 1 2545 Goffredo Wendelin a Marino Morsenne. 15 giugno 1633 Pag. 155 2546 Benedetto Cantelli a Galileo. 16 » » » 2647 Maria Celeste Galilei » . 18 » s> 156 2548 Cassiano dal Pozzo » . » » i> 158 2649 Gio. Giacomo Bouchard a Pietro o Giacomo Dupuy... » » » 159 2650 Francesco Niecolini ad Andrea Gioii. 19 » » 160 2551 Ismaele Houlliau a Pietro Gasseudi. 21 » » 161 2552 Gio. Battista Gondi ad Andrea Gioii. T> » » » 2558 Niccolò l ( 'abri di Peirosc a Pietro Dupuy. 22 » » 162 2554 Geri Bocchiueri a Galileo. 23 » » » 2555 Maria Celeste Galilei a Galileo. 25 » 163 2656 Antonio Padelli a. » » » 164 2557 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gasseudi. » » » » 2668 Francesco Niecolini ad Andrea Gioii. 26 » » 165 2559 Gio. Giacomo Bouchard a Fulgenzio Micanzio. 29 » » 166 2560 Galileo ad Urbano Vili. » » » 2561 Francesco Barberini a Cesare Monti. » 2562 Andrea Gioii a Francesco Niecolini. 1° luglio T» » 2568 Maria Celeste Galilei a Galileo. 2 » » 1G7 2564 Francesco Niecolini » . » » » 168 2565 Antonio Budelli a. » s> » » 2566 Antonio Barberini a., Inquisitore di Modena .... » » » 169 2567 Galileo a Mazzeo Mazzei. 3 1> » 2568 Francesco Niecolini ad Andrea Gioii. » » » 170 2560 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. 4 J» » 171 2570 Antonio Quaratesi a Galileo. 6 » » 172 2571 Niccolò Horrera ad Antonio Barberini. » J> » » 2572 Geri Bocchinori a Galileo. 9 » S> » 2578 Antonio Budelli a. » » » 173 2574 Clemente Egidii ad Antonio Barberini . » » » 174 2575 Francesco Niecolini a Galileo. 10 » » » 2676 » ad Andrea Gioii. » » » » 2577 Ascanio Piccolomini ad Antonio Barberini. » » » 175 2578 Francesco Maria Fiorentini a Galileo. 12 » » » 2570 Geri Bocchineri » . 13 » » 176 2580 Maria Celeste Galilei » . » !> » 178 2581 Antonio da Lendinara ad Antonio Barberini. 15 » » 179 2582 Geri Bocchineri a Galileo. 16 » s> » 2588 Maria Celeste Galilei a Galileo. » » » 180 2584 Mario Guidacci » . » » » 181 2686 Gio. Francesco Tolomei » . » » » 182 2586 Paolo da Garresio ad Antonio Barberini. » » » 183 2587 Criatoforo Scheinor a Pietro Gasseudi. » » » » 2588 » ad Atanasio Kircher. » » » 184 25S0 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. 19 » » » 2500 Antonio Nardi a Galileo. 20 » » » IN DICK CRONOLOGICO. 37G 2591 Mattia Nabli a Fabio Chigi . 21 luglio OO k 1633 * I*«g. 186 IMA 2592 2593 (ieri Bocchi neri a Galileo . Gai,ileo ad Andrea Cioli . 23 » » 187 2594 Benedetto Castelli a Galileo . » » > 188 2606 Maria Celeste Galilei * . » » > 189 269» Mario Guidacci * . I > > » 190 2597 Vincenzio 1 «agiori » . » » » 191 2598 Raffaello Magiotti » . » » > » 2599 Carlo Rinuccini » .1 » » » 192 2000 Gio. Francesco Toloinoi a Galiloo. ...... . > » > 193 2901 Maria Celeste Galilei * . 24 » » 194 2602 Francesco Niccolini » . » » 196 2608 Geri Bocchi neri » . 26 D • > 2604 Galileo a Gori Bocchineri. 28 P > 198 2605 Geri Boechineri a Galileo . » » » 199 2606 > » » 200 2607 Maria Celeste Galilei » . » * > » 2608 Niccolò Aggiunti » .. • • 30 » > 202 2609 Mario Guiducci » . » » > 203 2610 Francesco Niccolini * . 31 » > • 2011 Geri Bocchineri » . 2 agnato 204 2612 Maria Celeste Galilei » . 3 » » Mi 2618 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. » y 206 2614 Geri Bocchineri a Galileo . 4 » 207 2615 Polissena Gatteschi Bocchineri a Galileo. 5 » » » 2616 Niccolò Aggiunti a Galileo . G » » 209 2617 Geri Bocchineri » . * > > » 2618 y » 210 2619 Benedetto Millini » . » » » 212 2620 Antonio Nardi » . > » » 213 2621 Carlo Rinuccini » . » » 214 2622 Fra Bas.° Capp. n0 a Gio. Francesco Buonamici. » » 215 2628 Giorgio Bolognetti ad Antonio Barberini . > » » 216 2624 Francesco Vitelli » . > » » > 2635 Gio. Francesco Toloniei a Galileo . 7 » » » 2626 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . » > » 217 2627 Vincenzo . . .. , Inquisitore di Pavia, ai propri Vicari.. » » > » 2628 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. . 8 » » 218 2629 Giacomo Gaffarei a Pietro Dupuy. 10 » » » 2630 Mattia Bernegger a Gio. Michele Lingelsheim. 11 > » » 2681 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. » » » 219 2682 Bonifacio da Cardon ad Antonio Barberini. 12 > > » 2688 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassendi. » » » » 2684 Geri Bocchineri a Galileo. 13 » > » 2685 Maria Celeste Galilei » . » » » 220 2636 Piero Girolami » . > » » 222 INDICE CRONOLOGICO. 377 2037 2338 2039 2040 2041 2042 2048 2044 2045 2040 2047 2048 2049 2050 2051 2052 2053 2054 2055 2050 2057 2058 2059 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2000 2007 2008 2009 2070 2071 2072 2073 2074 2075 2070 2077 2078 2079 2080 2081 Mario Guidacci a Galileo. Filippo Magalotti » . Pier Francesco .Rinuccini a Galileo. Clemente da Iseo ad Antonio Barberini. Francesco Niccolini a Galileo. Gio. Niccolò Piccinini ad Antonio Barberini. Geri Bocchineri a Galileo. Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. Girolamo da Quinzano ad Antonio Barberini. Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Berneggor. Orazio Cavalcanti a Galileo. Maria Coleste Galilei » . Mario Guiducci » . Antonio Nardi i> . Carlo Rinucciui » . Ciriaco Bocci ad Antonio Barberini. Francesco Niccolini a Galileo. Gio. Francesco Tolomei » . Mattia Bernegger a Giovanni Rebhan. Raffaello Magiotti a Galileo. Bartolomeo..., Inquisitore d’Aquileia, ad Antonio Bar¬ berini . Vincenzio Galilei a Galileo. Niccolò Cini » . Maria Celeste Galilei » . Mario Guiducci » . Giorgio Bolognetti a Pietro Niccolini. Clemente Egidii ad Antonio Barberini.'■ Mattia Berneggor a Gio. Michele Lingelsheim. » a Guglielmo Sohickbardt. Paolo Airoldi ad Antonio Barberini. Angelo Sporindio » . Alessandro Bichi » . Fabio da Lagouissa a Cornelio Giansenio. Gio. Francesco Buouamici a Galileo. Maria Celeste Galilei » . Mario Guiducci » . Giorgio Bolognetti ad Antonio Barberini. Paolo delli Franci » . Francesco Niccolini a Galileo. Gio. Francesco Tolomei » . Gio. Giacomo Bouehard » . Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bernegger. Raffaello Magiotti a Galileo. Fabio da Lagonissa ad Antonio Barberini. Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassondi. 13 agosto 1633 Pag. 223 » » t> » » » 224 » » » 225 14 » » » 15 » » 226 16 » » » » 5> t» 227 17 » s> » 19 5> » » 20 » » » » » » 228 » » » 230 » » t> 231 » » » 233 j> » » » 21 » » 234 » » » » » » » 235 23 » » 236 » » » 237 26 » » 238 27 » » 239 » » » r> » » » 210 » » » 242 » » » 243 23 5> » » 29 » » » 30 » » 244 31 » » » 1° settembre » » » » » 245 S » » » » » » 246 » D » 248 » » » 249 » » s> » 4 » » » » » » 250 5 S> » 251 » » » 252 6 » » 253 » » » 254 . | 6-10 » » xv. 48 378 INDICE CRONOLOGICO. 2(i82 2683 2084 2085 2080 2687 2689 26S9 2090 2091 2692 2093 2694 8606 2090 2097 2098 2099 2700 2701 2702 Matteo KelUson a Fabio da Lagonissa. Guglielmo Schickbardt a Mattia Bernegger ... Geri Boccbineri a Galileo. Antonio Nardi » . Niccolò Aggiunti * . Maria Celeste Galilei » . Mario Guiducci » . Maria Tedaldi > . Vincenzo Maria Pellegrini ad Antonio Barberini Pierluigi Caraffa » Onorato Visconti » Mattia Ilernegger a Gio. Michele Lingelsheim. Paolo delli Franci ad Antonio Barberini. Geri Boccbineri a Galileo. Mattia Bernegger a Guglielmo Schickbardt ... Geri Boccbineri a Galileo. Paolo Airoldi ad Antonio Barberini. Francesco Cuccini » . Niccolò Aggiunti a Galileo. Benedetto Castelli ► . Niccolò Cini » . 2708 2704 2705 2706 2707 2708 2700 2710 2711 2712 2718 2714 2715 2716 2717 2718 2719 2720 2721 2722 2728 2724 Mario Guiducci » . Antonio da Lendinara ad Antonio Barberini ... Tommaso da Tabia » . Clemente Egidii » . Maria Celeste Galilei a Galileo. Gio. Francesco Tolomei » . Geri Boccbineri » . Gio. Michele Piò ad Antonio Barberini. . Orazio Grassi a Girolamo Bardi. Gio. Michele Lingelsbeim a Mattia Bernegger. Niccolò Aggiunti a Galileo. Alessandro Boccbineri » . Mario Guiducci t> . Dino Peri > . Mattia Naldi a Fabio Chigi. Andrea Àrrighetti a Galileo. Benedetto Millini » . ..., Vicario del Sant’Uffizio in Siena, ad Antonio Barberini Galileo ad Andrea Àrrighetti. Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassendi. Tiberio Sinibaldi ad Antonio Barberini. Vincenzio Galilui a Galileo. 2725 2726 2727 Vincenzo..., Inquisitore di Pavia, ad Antonio Barberini. Pietro..., Inquisitore di Cremona, p Guglielmo Schickbardt a Mattia Bernegger. 7 settembre 1633 8 * * 9 * > > » » 10 » » » » » > » > » » » » » x> 11 » » 13 » * 14 * » > » > 15 » » > > » 10 * » » » > » » > 17 > » » » » > > » » » > » » > » » i » » » 18 » * » r> p 21 *> » » » » 22 & * p t> t> 24 i» » » D > » r- p » p » >0 > 25 » » » » > » » » 27 » * p » p » » » 28 » » » » V p » » 29 t- 0 Pag. 255 » » 256 257 268 259 260 261 » 262 » » 268 264 » 265 » » 266 207 268 » 269 > » 271 272 » 273 274 » 275 » 27G 279 p 282 283 » 284 285 p 286 » » INDICE CRONOLOGICO. 379 2728 2725) 2730 2731 2732 2738 2734 2735 2730 2737 2738 2730 2740 2741 2742 2743 2744 2745 2746 2747 2748 2740 2750 2751 2752 2753 2764 2765 2756 2757 2758 2750 2780 2761 2762 2768 2764 2765 2766 2767 2768 2760 2770 2771 2772 2773 Ambrogio da Tabia ad Antonio Barberini. 30 settembre 1633 Geri Bocchineri a Galileo. 1° ottobre » Maria Celeste Galilei » . » » t> Mario Guiducci » . » » r> Francesco Niccoliui » . » » » Dino Peri » . » » » Raffaello Visconti » . » » Maria Coleste Galilei » . 3 » » Paolo Egidio da Conto ad Antonio Barberini. 4 t> » Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bernegger. 5 » r> Vincenzo Maria Cimarelli ad Antonio Barberini. 7 » » Geri Bocchineri a Galileo. t> & » Niccolò Cini & . . 8 » y> Maria Celosto Galilei » . t> s> » Mario Guiducci » . » b » Girolamo da Sonnnaia a Galileo. » » K Mattia Berneggor » . 10 s> » Raffaello Magiotti » . 14 » b Benedetto Castelli » . 15 » Maria Celeste Galilei » . » » V Mario Guiducci » . » S> » Giovanni Ronconi » . » » S> Sebastiano Borsa ad Antonio Barberini. 18 » » Paolo Lattanzio da Ferrara » . » » » ...., Inquisitore di Modena, » . 21 » » Geri Bocchineri a Galileo . 22 » Maria Celeste Galilei » . » » » Mario Guiducci » . » J> Pietro Mazzei » . 25 » » Gio. Battista Gondi ad Andrea Cioli . » & » Geri Bocchineri a Galileo . 27 » » Gio. Battista Doni » . » J> » Claudio Costamezzana ad Antonio Barberini. » » J> Mario Guiducci a Galileo . 29 » » Gio. Francesco Tolomei a Galileo. 30 s> » Mattia Bernegger a Gio. Michele Lingelsheim. » » » Maria Oelesto Galilei a Galileo. 31 » » Sebastiano Borsa ad Antonio Barberini. 1° novembre » Geri Bocchineri a Galileo. 2 » » Mario Guiducci » . 3 » b Maria Celeste Galilei » . 5 » » Mario Guiducci » . » » » Caterina Riccardi Niccolini a Galileo... 6 » » Gio. Francesco Tolomei » . 5> » » Maria Celeste Galilei » . 7 s> » Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bernegger. » » » Pag- 286 287 » 289 290 291 » 292 293 294 » » 295 296 297 298 299 300 301 302 304 » 305 » » 306 307 309 310 » & 311 312 » 313 314 » 316 » 317 318 319 320 321 » 322 880 INDICE CRONO LOGICO. 2774 2776 2776 2777 2778 277» 2780 2781 2782 2788 2784 2786 278G 2787 2788 2780 2700 2701 2702 2708 2704 2705 2706 2707 2708 2700 2800 2801 2802 2808 2804 2805 2806 2807 2808 2809 2810 2811 2812 2818 2814 2815 2816 2817 2818 2810 Cesare Monti ad Antonio Barbarmi... Maria Celeste Galilei u Galileo. Dino Peri » . Ranuccio Scotti ad Antonio Barberini Francesco Niccolini a Galileo. > ad Andrea doli. Gerì Bocchineri a Galileo. Maria Celeste Galilei » . Gerì Bocchineri » . Francesco Niccolini ad Andrea ('ioli. Francesco Stelluti a Galileo. Maria Celeste Galilei * Niccolò Aggiunti » Gerì Bocchineri » Francesco Galilei > Maria Celeste Galilei » Mario Guiducci Francesco Niccolini » Dino Peri » Pier Francesco Rinuccini a Galileo. Andrea Cioli a Francesco Niccolini. Beniamino Engelcke a Mattia Berncggor.. Luca degli Albizzi a Galileo. Renato Descartes a Marino Morsemi e. Galileo ad Urbano Vili. Bei-nardo Conti a Galileo. Maria Celeste Galilei ► . Raffaello Magi otti » . Francesco Niccolini * . » ad Andrea Cioli. Galileo a Gori Bocchineri. Niccolò Fabri di Poiresc a Pietro Dupuy .. Gori Bocchineri a Galileo. Bernardo Conti » . Antonio Rocco ad Urbano Vili. Mattia Bernegger a Isacco Malleolo. Gerì Bocchineri a Galileo. Moria Celeste Galilei * . Andrea Cioli a Francesco Niccolini. Maria Celeste Galilei a Galileo. Mario Guiducci » . Fabio da Lagonissa ad Antonio Barberini.. Niccolò Fabri di Peirosc a Pietro Gassendi Galileo a Francesco Barberini. Benedetto Castelli a Galileo. Orazio Cavalcanti » . 11 novembre 1688 Psg. 323 12-13 » > » 12 » > 896 » » » » 13 » > 820 » » > > 16 » » 327 18 » > 828 19 & » 829 20 > » 330 22 » ► > 23-24 » » 881 26 * » 833 » » > 334 » » » 836 » » > 336 > > * > » v p 337 p p p 338 » » p * p » > 339 p p p > 29 » 340 Bue di nov. » » 1° dicembre > 341 8 * * * » » » 842 • » p 343 p p » 344 » » » 346 5 » » 346 6 » » 347 7 p >• » » ► p 348 » » » 349 8 * p » 0 » » 360 p » » 361 p p p 362 10 * » » p > p 363 13 » > » 14 » > 354 17 > > * * * > » » > » 366 INDICE CRONOLOGICO. 381 2820 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 17 dicembre 1633 Pag. 356 2821 Raffaello M agioiti » . » ■» » » 2822 Giulio Ni noi » . 18 » » 358 2823 Gio. Vincenzo da Tabia ad Antonio Barberini. 19 p y> » 2824 Bernardo Conti a Galileo.,. 20 » t> » 2825 Antonio Nardi » . > » p 359 2826 Ascanio Piccolomini » . » » » 360 2827 Vincenzo Ronieri & . » 5> » 361 2828 Giovanni Vannuccini » . » » » 362 2820 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassondi. » » » 363 2880 Francesco Maria Fiorentini a Galileo. 21 » » » 2881 Niccolò Aggiunti » .1 27 X> j> 364 2832 Francesco Niccolini » . 28 » t> 366 2888 Marcantonio Pieralli » . » » » p 2884 Giovanni Vannuccini » . p » » 367 2885 Pietro Gassondi a Niccolò Fabri di Peiresc . » P » 368 2836 Ottavio Galilei a Galileo. line del » p 2887 Lorenzo Petrangeli » . 1633 369 < ÌNDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XV (1633). Aggiunti Niccolò a Galileo. 4 giugno » » 30 luglio j, » 6 agosto „ » 10 settembre » » 17 » » » 24 » j, » 26 novembre , » 27 dicembre Airoldt Paolo ad Antonio Barberini. 30 agosto 9 » . 16 settembre Albini (degli) Luca a Galileo. 29 novembre Arri ghetti Andrea » 26 febbraio 9 » 12 marzo . » 25 settembre Budelli Antonio a Barberini Antonio a.. Inquisitore di Modena .... Barberini Francesco a Giorgio Bologuottl. t> ad Andrea Gioii. » a Cesare Monti. Bartolomeo.. Inquisitore d’Aquileia, ad Antonio Barberini. Bas.° (Fra) Capp. n0 a Gio. Francesco Buonamicl. Bernegger Mattia a Galileo. j> ad Elia Biodati. » a Gio. Michele Liugolsheim. 7 maggio » 25 giugno » 2 luglio » 9 » » 2 » » 5 febbraio » 1° gennaio » giugno » 23 agosto » 6 » » 10 ottobre » 3 agosto » 11 » » 28 » » 14 settembre » i 30 ottobre » 2499 115 2556 164 2565 168 2573 173 25G6 169 2406 39 2376 11 2561 166 2657 237 2622 215 2744 299 2618 206 2680 218 2664 243 2698 262 2768 314 3R4 INDICE ALFABETICO. Berneggor Mattia ad Inarco Malleolo. » a Giovanni Iteli li un. * a Guglielmo Schlckhardt » » BiehI Alessandro ad Antonio Barberini.... Boccliltiorl Alessandro a Galileo. » » » Bocchineri Gerì » » > » » » » » » » » » »• » » » > » » » » » » * > » » » » » » » » » * 8 dicembre 1638 N ‘ # 1 2809 21 agosto » 2655 i 29 * > 2665 15 settembre » 3096 1* * » 2008 27 gennaio » 2396 29 » » 2890 18 febbraio 2410 24 settembre » 2714 12 gennaio » 2833 24 » » 2894 3 febbraio > 2401 6 » » 2408 18 * » 2411 21 * » 2417 24 * » 2419 i 12 marzo » 2440 26 > » 2450 9 aprile » 2457 . 14 » » 2463 20 » » 2478 23 » » 2479 28 » > 2486 30 » » 2487 12 maggio » 2501 14 » » 2608 18 » > 2511 21 » > 2513 ' 26 * » 2519 1° giugno » 2580 4 » » 2534 11 » » 2540 23 > » 2554 9 luglio » 2572 13 » a 2579 16 » > 2582 22 a » 2592 ! 26 » » 2603 28 * » 2605 2 agosto » 2611 4 » » 2614 6 * > 2617 13 » » 2634 16 » » 2643 9 settembre » 2634 15 a 2695 Pag. 349 235 243 264 244 82 88 42 275 22 81 86 87 42 46 47 65 74 80 86 97 102 i< ir» 107 116 v 117 126 127 132 141 145 151 162 172 176 179 186 196 199 204 207 209 219 226 255 268 INDICE ALFABETICO. Bocchinerl Geri a Galileo. 1G settembre 1633 p > 21 » » j> » 1° ottobre » » » 7 » » » » . 22 » » » p 27 » » » » . 2 novembro » i> » 16 » » » i> 19 j> » » j> 26 » » » i> . 7 dicembre » » » 9 t. » Bocchi neri Gatteschi Polissena a Galileo. 5 agosto » Bolognetti Giorgio ad Antonio Barberini. 6 » » » p . 3 settembre » » a Francesco Barberini. 15 gennaio » » p . 22 » » » a Pietro Niccolini. 27 agosto » Borsa Sebastiano ad Antonio Barberini. 18 ottobre » > » . 1° novembre » Bouchard Gio. Giacomo a Pietro e Giacomo Dnpuy- 18 giugno » » a Galileo. 5 settembre » » a Fulgenzio Micanzlo. 29 giugno » Bonllinu Ismaele a Pietro Gassendl. 21 » Buona ni lei Gio. Francesco a Galileo. 3 settembre » » 2 maggio » Capponi Luigi a Galileo. 21 maggio Caraffa Pier Luigi ad Antonio Barberini. 11 settembre Cardini (da) Bonifacio » . 12 agosto Castelli Benedetto a Galileo. 7 gennaio > > . 12 maggio Cavalcanti Orazio » Cavalieri Bonaventura Cianipoli Giovanni 19 » » 26 » » 9 giugno » 16 » » 23 luglio » 17 settembre » 15 ottobre » 17 dicembre » 20 agosto » 17 dicembre » p » » 5 aprile » 30 » » 14 giugno » 385 Pag. 264 272 287 294 306 310 316 327 329 334 347 350 207 216 249 27 30 242 305 316 159 251 166 161 245 111 128 261 219 19 117 126 133 150 155 188 266 301 354 227 355 356 79 108 154 xv. 40 386 INDICE ALFA «ETICO. Cimureili Vincenzo Maria ad Antonio Barberini Cini Niccolò a (Galileo. » > . » » . » !> . 9 9 . » 9 . > 9 . 9 9 . Cioli Andrea » . 9 9 ... 9 9 . » 9 .. 9 a Francesco Niccolini. 9 9 . » 9 . 9 9 . » 9 . 9 9 . » » .. » 9 . 9 9 . » » . » 9 . » 9 . » » . 9 9 ... » » . » 9 .. 9 9 .. » » . 9 9 .. 9 9 . Como (da). Paolo Egidio ad Antonio Barberini Conti Bernardo a Galileo. » » . 9 9 . Costamezzana Claudio ad Antonio Barberini.... Cucciai Francesco t> .... Descartes Renato a Marino Mersonno. Doni Gio. Battista a Galileo. Egidil Clemente ad Antonio Barberini. * * . » 9 N.* Pag. 7 ottobre 1G33 2788 294 12 febbraio » 2407 39 20 marzo 9 2451 75 9 aprilo 9 2458 81 21 maggio 9 2515 129 28 » 9 2522 134 27 agosto 9 2050 239 17 settembre 9 2702 207 8 ottobre 9 2740 295 11 gennaio 9 2882 21 24 febbraio 9 2420 48 2(5 marzo 9 2452 76 28 luglio 9 2000 200 4 gennaio 9 2378 19 21 » 9 2300 29 4 febbraio 9 2402 36 18 2412 43 20 » 9 2415 46 24 > 9 2423 49 3 marzo » 2430 57 4 * » 2431 » 12 > 2442 67 17 9 2444 69 14 aprilo » 2404 87 20 » 9 2470 99 27-28 » 9 2484 105 4 maggio 9 24514 112 G » 9 2405 » 26 * 9 2521 134 1° luglio 9 2502 106 11 agosto 9 2031 219 20 novembre 9 2704 339 9 dicembre 9 2812 352 4 ottobre 9 2780 293 3 dicembre 9 2700 341 7 » > 2807 348 20 * > 2824 358 27 ottobre 9 2700 312 16 settembre 9 2000 265 fine di nov. 9 2707 340 27 ottobro 9 2760 311 8 gennaio 9 2380 20 22 » 9 2302 30 9 luglio 9 2574 174 INDICE ALFABETICO. 387 Egidli Clemente ad Antonio Barberini. » \> . Engelcke Beniamino a Mattia Bernegger. Ferrara (da) Paolo Lattanzio ad Antonio Barberini... Fiorentini Francesco Maria a Galileo. p i* . Frauci (delll) Paolo ad Antonio Barborini. » ► ...... Gallarci Giacomo a Raffaello di Bollogne » a Piotro Dupuy. Galilei Francesco a Galileo. Galilei Maria Celeste > . » » . » » . > » . i» » . » » . » » . » » . » » . s> p p p J> » » » » p » p p » » 2 » p » » J> p p » I» J> p » » p » p p p » » » » » p p » )> » » » p » » N.* Pag. 27 agosto 1633 2668 243 17 settembre » 270C 269 26 novembre » 2705 339 18 ottobre » 2751 305 12 luglio » 2578 175 21 dicembre p 2880 363 3 settembre » 2674 249 14 » p 2694 262 maggio p 2529 141 10 agosto p 2629 218 26 novembre » 2788 335 5 febbraio » 2404 38 26 » » 2426 62 5 marzo p 2483 59 12 p p 2441 66 19 p p 2446 70 26 » p 2458 77 9 aprile » 2459 82 16 » » 2467 89 » p p 2468 90 20 p p 2474 98 23 » » 2480 102 30 p p 2489 108 7 maggio » 2497 113 14 t> » 2504 118 21 p » 2516 129 28 » » 2528 135 4 giugno » 2535 146 11 p 2541 152 18 » p 2547 156 25 » » 2555 163 2 luglio p 2668 167 13 » » 2680 178 16 » » 2583 180 23 » p 2595 189 24 » p 2601 194 28 p p 2607 200 3 agosto p 2612 205 6 » p 2618 210 13 p p 2685 220 20 » » 2648 228 27 » » 2660 239 3 settembre » 2671 246 10 » » 2687 258 49 * XV. 388 INIUCK ALFABETICO. iàalllei Maria Celeste a Caldeo. Galilei Ottavio Galilei Vincenzio Galileo ad Andrea Arrighotti.. a Francesco Barberini, a Gerì Hocchiuori ad Andrea Gioii. ad Elia IHodnti... a Mazzeo Mazze!.. a Carlo de* Modici, ad Urbano Vili. .. Garresio (da) Paolo ad Antonio Barberini. Gassendi Pietro a Tommaso Campanella.... * a Gabriele Naudé. » a Niccolò Fabrl di Pelresc. Glrolami Piero a Galileo. Gloriosi Gio. Camillo » . Goudi Gio. Battista ad Andrea doli. Pag. 18 settembre 1633 2707 269 1* ottidire • 2780 287 3 » » 2786 292 8 » * 2741 296 15 » » 2747 302 22 » » 2754 807 31 » » 2704 814 P novembre » 2708 318 7 * » 2772 321 12-13 > > 2776 323 18 » * 27H1 328 23 -24 > » 2786 331 26 » » 2781) 336 3 dicembre > 2800 342 9 » » MI 861 10 » » 2813 352 (ino del » 2886 368 2 maggio * 2491 110 2 giugno » 2681 142 26 agosto » 2668 238 28 settembre 2724 285 27 » 2721 283 17 dicembre ► 2817 354 25 febbraio 2424 60 5 marzo » 2482 58 12 » 2437 62 16 aprile * 2400 88 23 » » 2478 101 28 luglio » 2004 198 5 dicembre » 2804 34(5 19 febbraio » 2413 43 12 marzo * 2488 63 19 * » 2446 69 23 luglio » «593 187 15 gennaio • 2884 23 3 luglio » 2507 169 15 gennaio * 2886 27 giugno » 2660 16(5 1° dicembre » 2708 341 16 luglio » 8680 183 10 maggio * 2500 115 6 > > 2496 113 28 dicembre * 2886 368 13 agosto » 2686 222 10 giugno > 2539 150 26 aprile • 2483 104 INDICE ALFABETICO. 380 N.° Pag. 21 giugno 1688 2552 161 25 ottobre » 2757 310 22 settembre » 2711 273 5 marzo » 2484 60 19 » » 2447 71 26 » » 2454 77 2 aprile » 2455 78 9 » » 2400 83 16 > » 2409 91 14 maggio » 2505 120 21 » » 2517 130 28 » » 2524 136 4 giugno » 2580 147 11 » » 2542 153 16 luglio » 25S4 181 23 » » 2590 190 30 » » 260» 203 13 agosto » 2037 223 20 » » 2049 230 27 » » 2001 240 3 settembre » 2072 248 10 » » 2088 259 17 » » 2703 2G8 24 » » 2715 275 1° ottobre » 2731 289 8 » » 2742 297 15 » » 2748 804 22 » » 2765 309 29 > » 2701 312 3 novembre » 2707 317 5 » » 2769 319 26 » » 2790 336 10 dicembre » 2814 353 6 luglio » 2571 172 7 marzo » 2480 62 13 agosto » 2040 225 7 settembre » 2082 255 6 settembre » 2080 254 13 dicembre » 2815 353 1° settembre » 2009 245 29 gennaio » 2397 34 23 luglio » 2597 191 390 INDICE ALFABETICO. Lendinara (dal Antonio ad Antonio Barberini » » Lingelsheim Gio. Miohole a Mattia Bernegger » » » > » ► > » Maculano Vincenzo a Francesco Barberini. Magalotti Filippo a Galileo. Maglotti Radaci lo > . » » * » . » » . » * ... » » . Mazze! Pietro * . Medici (de*) Ferdinando II a Guido Bentlroglio > a Desiderio Scaglia. Medici (do*) Giuliano a Galileo. Millini Benedetto » . > * . Monti Cesare ad Antonio Barberini. Naldi Mattia a Fabio Chigi » » Nardi Antonio a Gallico ... » > . Nardi Baldassarre » . Nnudé Gabrielo a Pietro Gassendi.... Niccoli ni Francesco ad Andrea (.'ioli N.* Psb. 15 luglio 1633 8581 179 17 settembre » 2704 868 19 agosto » 2646 227 li settembre * 2678 252 22 » » 2712 274 5 ottobre ► 2787 294 7 novembre » 2778 888 28 aprile > 2486 106 13 agosto » 2688 223 23 luglio > 2598 191 23 agosto » 8656 236 G settembre * 2670 253 14 ottobre » 2745 300 3 dicembre » 2801 343 17 > » 2821 356 25 ottobre • 2756 310 24 febbraio > 2421 49 20 » » 2416 40 19 gennaio * 2389 89 G agosto » 2619 212 25 settembre * 2719 282 11 novembre » 2774 323 21 luglio > 2591 186 24 settembre ► 2717 279 20 luglio » 2500 184 G agosto > 2020 213 20 » > 2650 231 9 settembre > 2685 256 20 dicembre » 2825 869 19 aprile » 2472 95 * » 2465 87 15 gennaio > 2887 28 » » » 2888 * 30 ► > 2899 86 14 febbraio » 2408 40 16 » » 240» 41 19 » » 2414 45 27 » > 2427 54 > » > 8428 56 * » » 2429 5G 6 marzo > 2486 61 13 » > 2448 67 19 » » 2449 73 9 aprile > 2401 | 84 INDICE ALFABETICO. Niccolini Francesco ad Andrea doli. * » * > > j> » » p » p » » r> » » » & L J> D » » t> ^ » » » » » » > » n Galileo. » » . !* » . i> » . i» » . » » . » » . » » . » p . p » . p p . i> » . » p . p » . p p . » p . Niccolini Riccardi Caterina a Galileo Ninci Giulio alla famiglia (li Galileo . » a Galileo. Poircsc (di) Fabrl Niccolò a Pietro Dupuy p p p p P » J> P P > P P P a Pietro Gasscndi !» 10 aprile 1633 N.« 2471 391 Pag. 94 23 » » 2481 103 25 » » 2482 104 1° maggio » 2490 109 3 p p 2408 111 15 » p 2508 123 » » » 2509 124 22 » » 2518 132 29 » t» 2527 140 19 giugno » 2550 160 26 » » 2558 165 3 luglio » 2508 170 10 » » 2570 174 7 agosto » 2620 217 13 novembre p 2779 326 20 » p 2788 330 3 dicembre p 2808 345 9 gennaio p 2381 20 30 » p 2398 34 31 » » 2400 35 5 febbraio » 2405 39 2 luglio » 2504 168 10 » p 2575 174 24 » p 2002 196 31 » p 2GI0 203 14 agosto » 2G41 225 21 » !» 2658 234 4 settembre » 2676 249 1° ottobre » 2782 290 13 novembre P 2778 326 26 » P 2791 337 3 dicembre » 2S02 344 28 » » 2882 366 6 novembre » 2770 320 24 febbraio P 2422 49 18 dicembre P 2822 358 30 maggio P 2528 141 22 giugno P 2553 162 4 luglio » 2569 171 19 » » 2589 184 8 agosto ‘ P 2628 218 16 » P 2644 227 6 dicembre » 2806 347 25 giugno » 2557 164 12 agosto P 2688 219 392 INDICE ALFABETICO. Pelreac (di) Fabrl Niccolò a Pietro Gaasendl » » » * » » .... » a Lue» ttolftteln. Pellegrini Vincenzo Maria ad Antonio Barborlnl Perl Dino a Galileo. » * . » » . » » . > » . Petrangoll Lorenzo a Galileo. Piccinini Gio. Niccolò ad Antonio Barberini. Piccolomini Ascanio * . > a Gallico. e > . j> » . » » . Plorali! Marcantonio ► . Pietro ..., Inquisitore di Cromona, ad Antonio Barberini Piò Gio. Michele i> Pozzo (dal) Cassiano a Galileo. Quaratesi Antonio a Galileo. p * . (Juinzano (da) Girolamo ad Antonio Barberini Benleri Vincenzo a Galileo. Kiccardi Gabriello » . » » . Iti miccini Carlo » . * * . > * . Rimiccini Pier Francesco a Galileo > » Bocci Ciriaco ad Antonio Barberini Rocco Antonio ad Urbano Vili.... Ronconi Giovanni a Galileo. Sohoiner Cristoforo a Pietro Gassendi. » • > . » ad Atanasio Kircher. Schickhardt Guglielmo a Mattia Bcrnogger .... » » _ Scotti Ranuccio ad Antonio Barberini. N.* r» K . fi 10 sci ioni. 1633 2681 261 27 » 27 22 284 14 dicembre » 2816 354 20 • » 2829 863 2 giugno > 8682 143 10 settembre » 2090 261 4 giugno > 2687 148 24 settembre » 2716 276 1® ottobre * 2738 291 12 novembre » 2776 325 26 ► » 2792 338 1633 -H37 369 15 agosto > 2012 226 10 luglio * 2677 175 10 aprile » 2462 86 lfi maggio » 2510 124 28 » > 2525 137 12 giugno » 2543 163 20 dicembre » 2828 360 28 * 2888 366 28 settembre • 2796 286 21 » 2710 272 18 giugno > 2648 158 20 aprilo » 2475 99 fi luglio » 9670 172 17 agosto * 2645 227 20 dicembre t> 2827 361 7 maggio » 2498 114 14 » * 2506 121 23 lnglio ► 2599 192 G agosto » 2621 214 20 » » 2651 233 13 * » 2039 224 26 novembre * 2793 3:48 20 agosto » 2662 288 7 dicembre » 2HOH 349 15 ottobro » 974» 304 23 febbraio » 2418 47 16 luglio » 9687 183 > » » 2688 184 8 settembre » 2683 256 29 > » 2727 280 12 novembre * 2777 325 1N1 >ICE ALFA «ETICO. 393 Sini Imiti i Tiberio «d Antonio Barberini Sommai» (da) Girulaiuo a Galileo. Spori odio Angelo ad Antonio Barberini Steiluti Francesco a Galileo. Tabia (da) Ambrogio ad Antonio Barberini Tabi» (da) (ìio. Vincenzo » Tabi» (da) Tomimmo » Tedaldl Maria a Galileo. » » . > » . > > . x* » . * • . Tolomel Uio. Francesco a Galileo » » r> £* > J» » t* » > * 9 » > Yannocclni Giovanni a Galileo. » » . Yenler Sebastiano » . Vili© (de) Antonio » . Vincenzo . .., Inquisitore di Pavia, ad Antonio Barberini. » * ai propri Vicari. Visconti Onorato ad Antonio Barberini. Visconti Raffaelio a Galileo. Vitelli Francesco ad Antonio Barberini. Weudelin Giorgio a Marino Mersennc. .. Inquisitore di Modena, ad Antonio Barberini.. .. Vicario del S. Uffizio in Siena. » 1 N.» | I^g. 27 settembre 1033 2728 285 8 ottobre » 2748 298 31 agosto » 2667 244 22 novembre » 2784 330 30 settembre » 2728 286 19 dicembro » 2828 358 17 sottombre » 2705 209 19 marzo » 2448 73 1G aprilo 9 2470 92 22 » » 247.7 100 14 maggio » 2507 122 28 » » 2526 138 10 settembre » 2089 260 16 luglio 9 2585 182 23 » » 2000 193 7 agosto » 2025 216 21 * » 2654 234 4 settembre P 2670 250 18 » » 2708 271 30 ottobre » 2762 313 6 novembre » 2771 321 20 dicembre » 2828 362 28 » » 2834 367 23 gennaio » 2398 30 4 gennaio » 2877 12 28 settembre » 2725 286 7 agosto 9 2627 217 13 settembre » 2092 262 1° ottobre » 2734 291 6 agosto » 2624 216 15 giugno » 2545 155 21 ottobre 9 2752 305 25 settembre » 2720 283 INDICE DEL VOLUME DECIMOQU1NTO. Carteggio. — 1633 .Pag. 9 Indice cronologico dello lettere contenuto nel Voi. XV (1633). 371 Indice alfabetico dello lettere contenute nel Voi. XV (1(333). 383 1 i LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XVI FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1986 -XIV LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XVI. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO l’alto patronato DI S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XVI. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 19 36 * XIV. KniZlONK D! SEICENTO ESEMPLARI. Esemplare NM69 FIRENZE, 425-1935 36. — Tipografia Barbèra - Altari R Vernai proprietari pKomrroR» du.i.a Kiiizionk Nazionat.r II, R. MINIHTKRO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Diritto»» : ANTONIO FA VARO. Coawl'tori lkttuuiio: ISIDORO DEL LUNGO. Coksui.tori : V. CERRUTI — GOVI — G. V. SCHIAPARELLI. AhMATKKTR PKR LA CURA OKL TKHTO : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa dilla Ediiiokk Nazionale fc POSTA SOTTO OLI AUSPICII DHL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI K DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. J Direttore: GIORGIO A RETTI. Coadiutore letterario: GUIDO MAZZONI. Consultori : ANGELO BRUSCHI. - ENRICO FERMI. Arsihtehtr per la cura dkl tksto: PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1634 - 11 . 36 . XVI. 2 ‘ 2838 . GIROLAMO BARDI a GALILEO in Firenze. Pisa, 8 gennaio 1634. Blbl. Naz. Flr. Mi*. Gai., P. VI, T. XII, c»r. 41. - Autografa. Molto III." et Eoe." 0 Sig. r mio P.ron Col." 0 Intendo da Mona." 111." 0 Arcivescovo 11 elio 15 giorni sono V. 8. partì di Siena per godere lo dolitie della sua villa o in solitudine attendere ad eternare il suo nomo con nuovi trattati, del che me no rallegro assai con V. S., o com¬ patisco Mona." 111. 0 elio tanto la sua partenza ha sentita. Io mi trovo seque¬ strato in casa dal giorno di S. Caterina in qua: il mulo veramente, oltre la febbre, per gl’accidenti di cardialgia ò stato pericoloso e fastidioso, o mi ha lasciato tanto debolo elio non posso ancora uscirò fuori. Intendo elio venne con la Corto il S. r Aggiunti: il primo passo che farò fuori, vedrò di supplire con io esso allobligo mio, per essequire tanto piò li suoi conili, elio mi sono couiinan- damenti, o desiderarci, come V. S. mi disse, elio gli ne scrivesse. Stampare quanto prima il mio primo Ingresso ( ”, e ne farò parto a V. S., conio ò mio debito ; e sarei di pensiero di stampare anco la prima lettiono di Piatone, elio <> in forma di apologia contro Aristotile, e mi son valso di molte suo galanterie; ma tomo li denti de’cani rabiosi, essendo noi troppo pochi, e chi vuole farli partire con ragioni dal tosto, ò un volere stuciccaro lo vevSpo che dormono o trattare dell’impossibile. Loti. 2838. 11. gli ne •crine — 16. gaUnterie — •*» AsCAXlo PlCCOLOMtXl. B Alt DIO OCC., ad Pintori**! et Arùtotelem Prolueio pkiloeopkica A abita in Pi tatuai <•#- esplicando* accederei. Pista, in aoilibus Fraudaci Itbcrrimo Atkeneo XI menti* Noe. 16118 n QlMolTYMO Tanagli!, 1634. 12 3 GENNAIO 1634. 1 ) Por fine, di cuore offerendomeli, le buccio hurailmenU lo mani, e daù(»o do’ suoi commandi me le raccomando. Pisa, li 3 di Denaro 1634. Di V. S. molto 111." et Eoe “ so Devoti!».* Sor.* Giro!.* Pardi. tu ori : Al molto 111." ot Ecc."® 8ig. r mio P.ron Col.* Il Sig. r Galileo Galilei, Mat/ J (li S. A. S. Firenze. 2839 **. ALESSANDRO MARSILI a (GALILEO in Arcrln} .Siena, 3 gennaio 1634. Bibl. Nftz. Plr. Mss. (>al.. P. I. T. X, car. 7$. Autografa. Molto 111." ed Eccl.*° Sig. r et P.ron mio (V .** La cortesia di V. S. Ecd. B * come mi prometterà, in ogni opportunità rhe li si fosse per porgere, una secura protendono delle mie *K>Ieaie, eoa! per una scritta al Sig. r maestro di casa ‘ di Monsig." AràveMOTo l,, t sento rwr «tato sopprabondantemente favorito appresso 1’Àlte." St*r."*; del che ne roto a lei infinitamente obligato, desiderando che se la sua partenza di qua mi ha pri¬ vato di poterla servir presente, non voglia la sua gentilezza tenere otio-a la mia servitù, con non comandarmi per sue lettere in quello che mi conosce atto a servirla, bramando elio altrettanto quante li rivo di quore Mirriteli», da lei esercitato con i suoi comandamenti. E con tal fine baciandole affottuwajnonte io lo mani, li fo reverenza. Di Siena, il 3 Gennaro 1633 w . Di V. S. molto DI." ed EccL“ Àff- et ObbL- Siar." Alosandro Marnili. Lett. 2839. 3. della mi < debolette — O» Giovanni Yannocgixi. <*> Asoanjo Piccolomini. <*> Di »U)« lorcnttno. [2840-2841] 3—4 GENNAIO 1G34. 13 2840**. ASCAN10 PICCOLOMIN1 a GALILEO [in Arretri]. Biena, 3 gennaio 163-1. Blbl. Nat:. Fir. Mas. Gai., P. I, T. XI. car. 5. — Autografa la sottoscrklouo. Molto 111.” S. r mio Oss.®° Hicrsera il mio maestro di casa 111 mi foco vcclor© Famore-volissima lettera di V. S., accompagnata di fuori dall’oaquisitezza do’ suoi regali, o dentro piena di quello nuovo che, por consolatione di V. S. o por mio propio interesso, io non potevo desideralo lo migliori; o porcili a questo posso chiamare a parto il nostro S. r Dottore Mar sili 1,1 , mi promotto di sollevarlo a quoH’allegrnzza elio non piena ha liavuto nel parto della sua Sig. r * consorte, elio gl’ ha fatto una bambina. Quanto i regali di V. S. son venuti benissimo conditionati, tanto intendo io ch’ora stato un poco mal condotto il vino l8 ’. Nel mandar quello del brutto nome, vedrò d’usare un po’ più diligenza. Tra tanto mi metto in ordino d’ar¬ rivar fino alla villa per goder quattro giorni di bel tempo o far duo cucco, a fino di vedere se havrò un po’ di fortuna di far vedero a Suor Maria Celeste un poco dello nostro salvaticine. In tanto la saluti carissimamente da mia parto, rallegrandomi seco eli’ havrà potuto godor V. S. in quello stato di saluto elio tutti li suoi servitori li desiderano. Auguro a V. S. felicissimo l’anno nuovo; ed au¬ gurandoli il colmo d’ogni felicità, lo bacio con ogni allotto lo mani. Siena, li 3 Gennaio 1G34 a N. u Di V. S. molto III.” Devot. Ser. 20 S. r Galileo Galilei. A. Àrc. T0 di Siena. 2841. NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Figa, 4 gennaio 1634. Blbl. Nai. Flr. M«*. 0*1.. P. I, T. X, c*r. 80. — Autografa. Molt’ 111.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.® 0 Col ritrovamento del libro (4> posso dire di bavere ancor io ritrovata ogni smarrita allegrezza e giocondo pensiero. V. S. ha fatto bene a darmi la nuova rn Oiovak.vi Vakkcociju. (*i Ai.kssa.sdho Marsili. <*' Cfr. n.o 2834. <») Cfr. n.o 2831. 14 4-5 GENNAIO 1634. [2 H41-9848] subito, chè mi ha cavato d'un ambascia orribili—imn. Vengo ad. non l'animo tranquillo e pieno di interno giubilo, ad abbracciarla e rallegrarmi •»,»<•.» del tonto clic baveri sentito nel rivedere la sua casa, i suoi amici .• paranti .ari, e godo sommamente ancor io del soavissimo frutto che è nato a V. S. .U 1 !'amara radico de 1 suoi disgusti passati; dico della visita fattale dii S*r * l’ninni-’, quale già sapevo con molto mio gusto che harea tal volontà, m* molto più volontiori ho inteso che egli 1* habbia effettuata, e che nel mrde-dm.. tempo, io honorando V. S., habbia honorato sè stwwo, mostrando di bavere in venerazione la virtù. Il desiderio che V. S. lui di rivedere anco me, tempra in parte d tormento elio sento di questa mia lontananza e mi assicura della »u. benevolenza, jmt- ch<\ cessando in me ogn’altra cagione «li « mt desiderato, non può tal itn«r»f» ....croyant bion «pie le diaoours do P.Scheiner 1 tnAtquorm tonU lei mmoenU q.i« vous y requeroz, et qu’il no tarderà pas de se mettre au ,wir. oi rr n V.| ., u *,| ]« lust omployer dana le livre qu’il faict ex prufauo contre le (iilile* ’ ; k .,u. .. T n„. voulez escrire, je ne penso paa qu’il soit deffendu. pniaqn'il nVot en n-turll* pnx.on. et croys qu’il y aura moyen de lui faire lenir vos lettre, seurement. Mio. je Di stilo fiorentino. Di un « disco»™ » che il P. Sorcini, dorerà mandar», il PKiwtsr parla diffusamento noli» l- ttora al (ÌASSKXOI del 18 gennaio 1631 icfr. n - dall» qa«J« ap)>randiaa»o eh» dorata raa.UUfa sali» . r * Uli-n d»« m .m.nu da *>n obMmìi. i, po«, «rr*. Antonio Rocco, che s’intitola per filo¬ sofo Peripatetico, chiamando il libro: Escrcitationi filosofiche*, e lo dedica al 20 Papa ; et ò un mese solo eh’ è finito di stampare. Non ho ancor potuto vederla, ma basta questo eli egli dice di non essere nò matematico nò astronomo, dal eli© può congetturare il resto. Egli però pretende solo di toccar quelle materie nello quali V. S. Ece.“ contraria ad Aristotile, per difesa di quello. Non dirò altro por bora, se non elio la pregarò a sollicitare la stampa della sua dottrina del moto, per appagarne la curiosità di molti che V aspettano, e tanto più che il tempo, per lei particolarmente più di ogni gran gioia prezioso, l») Cfr. Voi. VII, P»g. 571-712. “• Cfr. li.» 700. i*' Cfr n.» 1970 16 10 — 12 GENNAIO 1634. I2H4.V2H46] so ne va volando; che perciò non manearò di predar N. 8 per Li »ua aamtà e conservationo in essa. E li baccio con ogni alletto le mani. Di Bologna, alli 10 Gen.” 1634. Di Y. S. molto 111." et Ecc.- Ob - Ber * F. 11011.** Cav. rt Fuori : Al molto 111.” et Ecc."° Sig/ e P.run Col."" il Sig. r Gal. 60 Gal.* 1 Arcetri. Fiorenia. 2844 **. GIULIO NINCI a GALILEO io Arretri. Sun Cincinno, il gennaio 1634. Bibl. Nft*. Plr. Appondlco ai Mta. Gnl., Fili* Fatar*» A taf 41. - iik di -q>re c il. i. .* V. S. n’A auto risposta. V. S. mi scusi se io la fastidi 8 - gli .. mete altro, V. S. mi avisi. Dell resto progado Dio eli.- vi curi*-si.» la t ini GL Il dì 11 di Genaio 1033“ , in Sancaneann. Va- Affo. 1 * Giulio Niuci. Fuori: Al molto Ilustre Sig," Galileo Galilei. In vila sua, a Samateo in Narceti. 2845 *. ASCANIO PICCO LUMINI a [GALILEO in Anatri! Mario, 12 gennaio 1634. Blbl. Ifaz. Flr. Ma». Gal., P. I, T. X, car. 89. — Autografa la aotU>*«rl< na Molt’ DI." et Ecc.®° Sig. r mio Osa."* Questi bei tempi de giorni adietro mi hanno fatto e-., irr u godere la cam¬ pagna, dove ho riceuta l’ultima cortesissima sua. E perch* laltr*hien mi nuncl Leti. 2843. 27. mancard di W. S. di pmjar — (1 > Di stilo fiorentino. [2845-28461 12 — 14 GENNAIO 1634. 17 (li faro un pooha (li caccia, con occasiono che no mando una soma a mia co¬ piata ho ordinato al vetturale olà?, passando da V. S., glie ne lasci un podio di saggio ; e barò gusto elio arrivi ben conditionata. Mentre che scrivo, son ancho in procinto d’escir di nuovo in campagnia, e porò non sarò pili lungo, rimanendoli da Dio pregando ogni felicità. Di Mario, il di 12 di Gennaro 1633 *'. io Di V. S. molto Ill. ro et Ecc.**** Pevot. n,n ?or. A. Ar. T0 di Siena. 284G**. FULGENZIO "MICANZIO a |GALILEO in Firenze]. Venezia, 14 geauaio Ai^toffrafoteca Morrlaon In Tundra. — Aiitoitriifa. Molto 111." Ot Ecc.” 0 S. r Coll.' nu Non ho voluto scriver a V. S. Ecc.***, se non havessi terminato il suo ne- gotio della pensiono: ho fatto spedire il possesso ot essoquiro in Brescia w , onde si sarà nel termino di riscuoterla. Resta liora di convenire del quanto, perchè gli anni sono strani, le renditi' tenuissime, le speso grandi. Ilo interposta l’au¬ torità (l'un Cavaglier granilo, et spero che fug iremo lo liti. Mando copia 141 delle rendite del beneficio, ove V. S. vedrà il tutto. Credo elio quando si voglia ridurre la pensione a scudi 40 da £ 7 l'uno, saremo d’accordo, con questo però che alla stessa rata paghi anco tutti li decorsi, lo però non ho voluto io impegnarmi punto, ma sono stato formo noi tenoro che V. S. mi diede delli 4f» scudi di moneta romana; ma andarò tenendo così vivo il negotio su la spe¬ ranza datami di poter vedero o godere V'. S., elio desidero sopra tutto lo cose di questa vita. Se lo paresse anco che tirassi il negotio avanti, me l’avvisi, oliò io non posso esprimer il mio desiderio di servirla. E pregandolo ogni felicità, lo bacio lo mani, con molte ailbttuoso salutatami dell" Ec. Proc. Venier * 8) . Vonetia, 14 del 1084. l)i V. S. molto 111." ot Ecc.®* Dev. m<> Ser. F. Fulgentio. X^ett. 2840. 3. <1*11* j»nrion< — (" Catkkixa Aimmaui no’ Piccoujaiim. W Non i presentimento allegata itila lettera. «*> 1>I stilo (lorentlno. (»> t>M» asti aro Vkkier. <»' (Jfr. Voi. XIX, Hoc. XXXIII, 2, y), Un. 1-3. XVI. 3 18 14 — 15 GENNAIO 1634. [2847-2848] 2847 *. FRANCESCO NICCOLINI a GALILEO in Firenze. Roma, 14 gennaio 1634. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1\ I, T. XI, car. 9. — Autografa. Molt’ 111." S. r mio Oss.° V. S., che sa quanto io le sia servitore, può anche molto ben persuadersi s’io habbia sentito contonto del favor singulare che il Padron Ser. mo gl’ ha fatto 10 , non solo perchè si veggono stimati i suoi meriti da chi costì comanda e pru¬ dentemente conosco i suoi sudditi e buoni servitori, ma ancora per la consola- tione che con ogni dovere olla n’ havrà sentito : ond’ io non solamente me no congratulo di cuore con lei, ma le rendo grazie del contento di’eli’ha dato a tutta questa Casa con simil ragguaglio. Della sua intera liberatione parlerò quand’ io vegga disposinone, et olla a suo tempo saprà, il tutto, sperando pure d’ haver a dar compimento audio a que- io sto suo interesse prima di venir in costà, dove fra’ primi pensieri sarà quello di venir a veder Y. S. e lo SS. ro sue figliuole, afin di goder della loro dolcis¬ sima e virtuosa conversatone, mentre intanto con sviscerato alletto l’Ambascia¬ trice et io la salutiamo. Di Roma, 14 di Gonn. 0 1034. Di V. S. molto IH.** Aff. mo Sor/ 0 S/ Galileo Galilei. Firenze. Frane. 0 Niccolini. 2848 *. NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, 15 gennaio 1634. Bibl. Nazionale in Parig-i. Collection Uupuy, voi. 718, car. 5. — Autografa. .le n’ay pas veu la sentence de lTnquisition contre le Galilei. Car c’est que le Sieur Renandoti a, comrae je pensa, affeeté de ne me la pas envoyer noni plus que sa gazette par cet ordinaire, aussy peu quo celle du precedant, vraysemblablenient pour me la fai re desirer davantage sur roccasion do cette sentance: mais j’entonds qu’il y en a dea exemplaires dans la ville, quo nous verrous, je m’asseure, veuille t’il ou non; et <» Cfr. n.» 2841, li». 8. <*> Tkokuasto Henauoot. ‘ 3 ' Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, c, 7). 15 — 18 GENNAIO 1034. 19 [8848-28501 qimnd bion ce sera un jour plus tari! quo s’il nous on avoit faicfc PudreRse, il n’y ama pas bien grande porte polir nous.... Une cboso vouldroys jo bien avoir apprinse de quolqu'un de ses supposta, s’il y eust eu moyen de la penetrer: do quelle part et de quello uiaiu luy estoit vende cotte sentence contro lo Galilei. C’est sana doubte qu’elle a 10 ente dona Homo tenue si aecrette, que l’on n’y on syavoit rien d’assouró parmy lea per- sonnes plus qualifiéoa, bora de ceux qui s’en pouvoient estro nieslez. Et lault que ce soit uno charité prestée et poaaible extorquée par la jalousio de quolquos una de eo paia do dosa, puis que eoa ultramontains no l’avoient osé fa ire. Nona attendrons on botine devo* tion re qu’il voua plaist nous faire espérer dea notes ou piòoos concoruuuts cotte grande affaire.... 2849 **. SEBASTIANO SCALANDRONI a GALILEO in Arcctri. Firenze, 18 gennaio 1G34. Bibl. Nfta. Flr. Appendice ai Mas. Uni., Filza Fararo A, car. 42. — Autografa. Molto 111." Sig. r o P.ron mio Obs. wo Con risposta ad una nostra scritta a V. S., ci detto intenzione che alla ve¬ nuta di lei ci arerebbe saldato il conto che tiene con questo fondaco: hor per¬ chè lo poche faccende et e’ disastri occorsi finora verso e’ negozzi ci spingono por le rescossione, veniamo a V. S., pregandola che ci favoriscili non far più dimora ; et anco ci farebbe piacere il farne la tara, stante elio siamo por agi li¬ stare la ragione. Al (piai lino con molto affetto li baciamo lo mani, ot dal Si¬ gnor Iddio li preghiamo ogni contento. Fir., 18 Gemi. 0 1638 ^ io Di V. S. molto 111." Àff.“° per ser. 1 * Bastiano Scalandroni. Fuori : Al molto 111." Sig. r e P.ron mio Oss.®° Il Sig. r Galileo Galilei. In villa. 2850 *. NICCOLÒ LABRI DI PEI RESO a PIETRO GA 8 SENDI in Digne. Aix, 18 gennaio 1634. Bibl. Nazionale in Parliti. Fondu francai», n.° 12772, car. 119 — Autografa. .... le luy <** ay faict voir la sentence con tre le pauvre Galilei, dont il a bien en de la compaenion .... O) IH siilo fiorentino. O' A GiUHBrra OauvriKU. 20 19 GKNNA1U 163*1. L8861J 2851. PIETRO GASSE N DI a GALILEO in Firenze. Digito, 19 gennaio 1634. Bibl. N'az. Tir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 45. — Copia fatta trascriverò ria Nir.coiA Fabhi ui I’kihksc dall’autografo, o inviata a Ualh.ro in sostituzione di quosto: cfr. n.° 2864, lin. 7-9. Clarissimo ac aeterni nominis Viro Galileo Galilei, Magni Hotruriao Ducis Malli ematico primario, P. Gassendus S. Magna me tenet exspectatio (o magnimi nevi nostri decus), quid rerum Libi conligerit. Tametsi enim rumore crebro nescio quid divulgatum est, haud fido nihilominus, donec res fuerit piane perspecta. Utcumquo sit, cani esse novi animi tui moderatàonem, ut, seu prò votis scu praeter vota aliquid intcrvenorit, pa- ratissimus fu eri s ad omnem fortuna© eventura. Est raihi proinde quod tibi con- gaudoam, niliil est quod condoleam, quando nihil potest accidisso quod value- rit animi tui serenitatem obturbaro. Vive ergo similis tui, ut degas foolicissimo; io nequo patere, ut hanc adeo venerabilem senectutem, quae sapientia fuit sempor tibi comes individua, destituat. Rescivi nuper ox Deodato, Berneggorum illuni Argentoratensem latinam Dialogorum tuorum intorpretationem moliri. Id forte doleas: sod tu nihil con¬ suma; neque impedire, si velis, eruditorum vota possis. Cum nuper literae ad me deferrentur Partsiis, aliae ad me, aliae ad te, charactere eodem, fuerunt. Et ad me quidom destinatae illius Hortensii (1> sunt, (lui, imitatus Kepplonim tuo cum Nuncio disserentem (2) , Dissortationem 131 insti- tuit de viso a me in Sole $ o(4) . Quae ad te spectant, eiusdem esse, quia sunt eadem manu, cornicio. Accedit quod, licet in meis nulla fiat illarum mentio, 20 rogat mo tamen Hortensius, ut exemplum tibi impertiar (si quod babeam prae manibus) Dissertationis mecum suae. Forte id exoptat, ut inde cogli oscas quam feliciter ex meo Mercurio occasione™ sumpserit incidendi in illam tecum de Liett. 2851. 12-13. Noli'oiliziono priticipo dolio Putrì Gasskndi Epi*tolne (olio abbinino citata nolPinfor- ninziono promossa al n.o 1729), pag. 66-67, tra deitituat e Retrivi ai logge quanto sogno: «Si quid fortassis ndversimi to, hoc ost adversus piacila tua, Sauctissima Sodos definiit, acquo animo acquiosco, uti viruin docct [un don fissi duiiii ; satisquo osso roputa, quod animatila non fueris, nisi in gratiam solius sempor ereditai! tibi veritatis ». Cfr. n.° 2864, lin. 10-11. — 21. La copia manoscritta ha imperiar; la citata edizione, impertiar .— <*i Martino van dkn IIovk. Kcclosiae Diniensis Canonico, Thoologo, Philosopho l-’> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 97-126. ac Mathematico celeberrimo. Lugduni liatavornm, ,S| Martini Hortrnbiu, Delfonsis, Viuertatio de apud Isaaoum Coni mel in uni, Anno CIOIOCXXXIII. Mercurio in Sole viso et Venere invita, insti tuta cuni Cla- <*) Cfr. n.o 2248, lin. 7. rissiino ac Doctissinio Viro D.Potrò Gnssondo Cathod. 19 — 22 GENNAIO 1634. 21 [2851-2852] apparente sy doru ni exilitate sententiam. Gratulatila corte illud ipsi fu crani, ex scriptis etiam quae ino volueras ox tuis tum libris tuin litoris non ignorare. Mitto igitur ad te librum una curii ipsius lifcteris, intorvontu oxintii ac non ignoti til>i Fabricii (11 , qui pridem suraniam virtutem tuam obsorvantia maxima colit Ali vero ausim, tum illius tum meo etiam nomino, id oxigoro ollìcii abs to, ut curos mitti ad noe vitra telescopica optima ot (si sperare quidoni licet) cuius- 3u modi flunt illa tua, quando hactenuB noe Venotiis noe Parisiis noe Amstorodamo nancisei ulla potuimus quao satisfaciant abundo? Audobo sane, quia nota mihi rara tua lionitas est, notus arder quo bonus artes carumque studiosos promo- vero curas. Effice igitur rem dignam tua sollicitudino ; ac scito to facturum rem non modo nobis periucundam, sed aliis quoque, imo etiam tibi (quantura spero), olim futuram porgratam, cum obsorvationos innotuerint quaa to procurante pe- regerimus ot quao consoquenter debebuntur tibi, tum gonoralis inventionis, tum specialls organi nobis conimunicati, gratin. Pofceris porro, seu dirocto Aquas- Sextias mitter© ad Illustrem Fabritium (qui idem est Petrisci topareba, et in Parlamento Regia Consiliarius), seu destinare ad eundom intercedente cognato io tuo 1 *’, aut ftlbno Ilossiaeo (# ’, Lugduni dogontibus. Vale, inconqiarabilis Vir, ot, quod facis, me sompor ama. Dabam Diniae, XIV Kal. Febr. OOlOGXXXIV. Fuori : Clariss. 0 Viro Galileo Galilei. Magni llctruriao JJucis Mathomatico primario. Florentiam. 2852 . ROBERTO GAT.ll.El a GALILEO in Firenze. Lione, 22 gennaio 1(534. Blbl. Naz. Vlr. Ms«. Uni.. P. VI, T. XII, car. 47. — Autografa. Molto 111/ Sig. r e I’.ne mio Col. m ° M’ft stato «li somma consolationo cP intendere il ritorno di S. S.* costì alla patria. N. S. lo mantonglia mille anni. Beno ò vero elio non posso negare a V. 8. il disgusto elio ho havuto della sententia che fu data a Roma del suo 26 . Il manoscritto ha iptù; la citata «limono, — 28-88. l»a Am «to a cura§ nella copia mano¬ scritta e segnato in margino con rirgolvtte, e da Am vera a aitanti» (lin. 28-81) è, inoltro, sottolineato.— 31. 11 manoscritto ha latit/aecrmt ; la citata edizione, iati»/aeian(. — 82. La copia manoscritta ha eorumqur ; la citata edizione, ettntmqvr. — «*» Niccolò Farri di Psikkbc. <*’ Hobkrto Qalilbi. i» Cfr. n.« 2681, lin. 19. 22 22 — 23 GENNAIO 1634. (2K62-2853) libro, non ostante essere stati convinti dalle potenti* radume di S S. 4 Quieti sono frutti del’invidia, che nascano dal'astutie e malignità de Giuriti, che non vorriano vedere altra virtù cho in loro; o pareli* non i intano capaci di arrivare a quella di S. S. 4 , con la rabbia e gelosa loro la Tornano at Trarr. Ma in questo lo è riuscito al contrario, poi che il libro di S. S.‘ non fu mai tanto ricercho; chè havondone fatto venire più volte p*-r amiri, o trovandone io ancora alcuni, mi sono stati levati a ruba a persone a i bi non »i pmiMUio di¬ sdirò, che ce ne fussi lo milliaria, haveriano spaccio; e ir fu-ri %ut in lingua franseso o latina, qua saria stato ristanpato per più volte. Et osando sopra questo proposito, li dirò che sono stato ricreilo da questi librari iuta amici, che havendo qualque opera a stampare, gli ne itan|*ranno vn/a alcuno pri^ mio, anzi a S. S. 4 daranno quella quantità di copie che k.itA accordato; rt io per l’obligho che li tengho, e porlo virtù e sdenti© eh- p.*vde, dune amatore d’esso, li offerisco con ogni sincerità et amore in quello vaghi» e pnaao in que¬ sto parte. Se S. S. 4 ne farà stato, lo riceverò a favore particolare ; e dò li dico di puro affetto e di quore. K facendoli hunnlmente rovere olia, li pregherò da » N. S. il colmo degni vero bene. Di Lione, questo di 22 di Gennaio 1634. Sor. Aff "• e I^t,* 4 [.. .Jalilco Galilei. Rub. to Galilei. Fuori : Al molto IH. 4 Sig. r mio e P.ne Col."* Il S. T Galileo Galilei, Mattematicho primo di S. A. S. Firenze. 2853 **. BALDASSARRE NARDI a |GALILEO n Arwtnj Itrnxcllea, SS gru nato 1644. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI. car. II. - AoU*v*'«. Molto 111. Sig. r mio Osa." 0 Con mio grandissimo gusto intesi di Roma da mio nipote «he V S ^ no ritornava trionfante a casa; nò per ciò ini fu ani nuova, che mi giongeuw* all’improviso, porchò fui meco stesso di cosi felice succtempre prurigo, sapendo cho la verità può beno essere inchinata dal \x-*o «Iella calumntA, ma non oppressa in guisa che ella con maggior fona e gloria non risorga m alto, Lott. 2882. 17. per l'oUgho — Oi Antonio Nardi. [ 2858 - 2854 ] 23 gennaio 1634. 23 nè l’invidia può opprimere la virtù. Me ne rallegro donque con V. S. o sono a parto con l’affetto del trionfo suo, e no ho reso alla divina giustitia lo do¬ vute gratio. io Por l’istcssa lottora lio ancora ricevuto un obligo della promessa fatta di rispondermi alla preghiera eh’ io già feci a V. S. di havero il suo giuditio so¬ pra il nuovo Circolo del Sig. r Puteano (1) , il quale io grandemente amo non solo per il merito dello sue virtù, ma perchè egli ammira quello di Y. S. e non meno di me riverisco il merito o la persona sua. Questa osservanza et affettiono me¬ ritano elio Y. S. gli faccia la gratin elio egli straordinariamente desidera, quando ancora lo mio lettore non havessero credito d’impetrarla ; ma perché so elio V. S. mi tiene por suo servitore et è così cortese elio non vorrà screditarmi con un amico, il quale si è persuaso eli’ io potossi appresso di V. S. altrettanto quanto egli desidera, torno donque a supplicarla, con quella maggior efficacia 20 che posso, elio voglia col suo solito candore scrivermi liberamente quello che ella di questo Circolo giudica, chò mi obliglierà a restarne eternamente debi¬ tore a V. S., alla quale prego da Dio la Sua santa gratin o quella maggior fortuna della qualo tutto il mondo lo giudica meritevole : o m’accrescerà V. S. ancora il debito, se mi favorirà di ricordarmi servitore alli SS. Serrino 1,5 o Salv adori (8 '. limacelle, li 23 Gennaio 1634. Di V. S. molto 111. Se. re Aff. 1 " 0 di cuore JBald. r Nardi. 2854 *. MATTIA BERNEGGER ad ELIA D10DATI in Ginovra. (Strasburgo (?)|, 23 gennaio 1034. Blbl. Civloa di Amburjro. Cod. citato al u.» 2618, car. 106r. — Minuta autografi». Aelio Deodato, viro nobilissimo amplissimoque. Genevara. S. P. D. Amplissime Domine, mihique plurimum suspiciende, Ditterò» ad me Urna, et Parisi» et Motis et novissime Genova intasa», reote accepi, nisi quod mathematica nescio »juae, Parisiensibus litteris addita, nondum reddito sant. CauBsatur filius itinerum pericula, et meliori occasione missurum pollioetur. Etsi vero fui negligentior in rispondendo, cuìub culpae, si qua est, veniam ab eximia humanitate '»> Cfr. n.o 2472, Un. 15. I *> Al.KdSANDKO SXKTINl. <*> Asuuka Salvadobi. 24 23 - 24 GENNAIO 1634. tua facile impetra vero, nolim Umen existimes abiecUm a me OaliUai no*tn «mai. It. primuin «nini librimi Heidelberg» a nobiUwimo Lfafh h l t » mpi. qui avidiMémt bete» io nmplius eesquimenne rotinuit, statili! aggrottai interpolai »on*ti>. quoad par scbolaatteoa laboros ordinario»! mihi licebat, hucusque perrexi, DeodaM tamen adhuc ultra quarta» partem operi*, quod et expectatione mea longiai **t. et interdum ohm bua quibuadau impeditimi. Qua ex re nullum tamen mibi taedium, «mila labori» »osrepU poemtrntia, ra . bori tur; quin potius insigiiem inde voluptntem rapio, b. onora maxime d. >r qmx! i iucundissiraa operin utilissimi traelation® aubinde p«r oernpatioatt alia» iwlltf l’tut ait, enitar, cnm bouo I)eo, nt sub exordium Kttatia on.nia prHir.antnr CVrtr ittn typ■ >- graphum curavi, qui post ferias paschaltt initmm operi» exeodrtidi »** fa turimi recepii Qnae de futura praefatione, no autori ea fraudi «it. pn dentar **In. nunti. cura# h»t-U; ned et ipsatn praefationein, nntequam imprimatur, legendam t< mffrnqur libi ir»..» » mittam. Habe* bic annotatu dubia «juaedam mra 1 , m qiubu» •ìp-dian-b- «iva, quatta me. V. 13 lau. *• 1084. 2855 *\ BERNARDO CONTI a |UALILEO in Are*tn[ Sèma, -• frnnai» 1654 . Btbl. Nat. Fir. Mai. Gal.. P. I, T. XI. r*r. 13 Aat.-erafa. Molto 111.” ed Eco.** S. r e l'.ron mio O - — Benché il oomandainonto di cui V. S. m'hom.ra con la g.-ntilmima ma del 21 sia leggiero, tuttavia m’ha consolato tutto, godendo di «mula m qual¬ cosa; onde in piè di questa sarà la nota che V. S. d.eiidrra Nuove di queste bando iterile non so ne po*»<>no dar n. die. ma sapendo elio una li sarà carissima, che è quella della salut* ri*/ 111.- Ardvaaoovo, non gliela voglio tacere. Le dia» anco che dalle sue pillo!* riporto tante prò- servatione e salute, che eterno sarà lobligo che tengo all- me gratm, rompe n- satemi anco in altri conti; che non basendo Imhilità di »'iirruq»tndrrr in mitro, mi sodisfarò col ringratiarncla sempre di tutto cuore Il Cani panaccio hoggi ai benedirà, e poi U primo giorno di bel tempo «e li darà un’bora e meno di «'orda, ae il oonto do! m*»tro non aboglterA, corno si crede che sia per seguire, parendo tempo troppo inni* alio si gran macchina. Però «temilo a roder la prova, cbé pondo « in ordino ogni cosa. “i La noia * cui . ( ui «i «ectima nuu • ,.r#. i»« ^ tUU ^ son tomento allegata ulln minuta. 24 GENNAIO 1634. 25 [ 2866 - 2866 ] Ho salutato tutti questi proti in nome di V. S., che le rendono molte gratio della memoria favorita olio V. S. conserva della servitù loro, o gliela rassegnano in gratia. E qui a V. S. fo reverenza. Siena, li 24 Gennaro 1634 a N. u 20 Di V. S. molto 111."' od Ecc." 111 Mons. r Fabio Sergardi, Vicario generalo. Il S. r Dottore Lattando Finetti, Rettore del¬ l’Opera. Il S. r Dolio Talentoni, Fiscale. Il S. r . . . . {l Cavalli, Auditore di Rota. Mons. r Gio. Batta Piccolomini, lioggi Vescovo di Cliiuci, o prima di Salamòia. Mona.* Tantucei Vescovo di Grosseto. Il S. r Cav." Agostino Chigi, Rettore dello 80 Spedalo. Devot. m0 ed Obligat. mo Sor.' 1 ’ Bernardo Conti. Il nome dell’Auditore Cavalli verrà con altra 13 '. 2856 *. MATTIA BERNEGGER a BENIAMINO ENGELCKE in Venezia. tStranburgo?J, 24 gennaio 1084. Bibl. Civica di Amburgo. Codiro citato al n.° 2613, car. lOflf.— Minuta autografa. Beiiiauiiu Engelke, Dantiscnno liorusso, Yeuutius. (Curandae per Girolamo Otti.) S. P. D. durissimo vir, eximie fautor ot amico, Litteras tuaa, anni BUperioris exounte Novembri Venctiis ad me Bcriptas* 1 ', ante mcnsein accepi, cupidiasimeque legi. Placuit acume» ac elegautia styli ; plaouit illa de praesenti rerum atatu indici! rectituilo; placuit inprimis umoris in me tui constantia, quem quia, prò eo ac pur est, aeatimo plurimi, respouBum ad tuas maturare nou oiuìbìb- 10 Beni, nisi id ex hoc mercati! nostro tutius ac ructius curatum iri putassem. <») Nell 1 originalo è lanciato in biauco il uoiiw **» Cfr n.* 2875. (Bartolo* Mio). (l> “•* i*i U1RUI.AM0 Taktico: XVI. 4 26 *24 — 25 tìKNNAlo 1634 (2R&4J-28&T] Affo gratiA8 quoti ad inclytuiu nruiu Un. Galliamo» rimi* n.run» •putoliou ; gra¬ tina tamen fuisset, ai reddidiMM ipie, ae taati* et fuuae* o-ui.tu. «U* * i o w- sionia Copernicani SyBtematiB, in qua qnotidit adhne .terno» porgo, ot sub «xordiam sostati» ad finem perdurturom eonlido. lain «tkm «gì mm typograpbo, qui libnun par hano aestatem excudet. Velini hoc autori, tiro incomparabili, p*r oc aa.witm ot, si fieri potest, ad mena littaraa responso tn aliqnod ab ao impetra*, qood ob Unti nn menioriam ac manum inter xBtjn^ta raihi futurura «.«’t Optarmi * Ir »lif!u-tl.<»nl>u« quibo*. datn libri locis sententiam einitdem exquirendi fieri copta*; ai Mimi U parario «4 proxeneta (ieri poteat. Ilabea hic certe materiato mgentia tu tue Uncini ^u(nn,j- 14 Ian. il 1634. 2857 *. MARCANTONIO PIGRA 122 a OAI21.KO in K.reo.r Pìm, & granaio ItkU. Bibl. Est. in Modena. Raccolta CtunporL Aot rr»>. B« I.XXXV. »• »: *v*. , < & Molt 1 III." Sig. r o P.ron mio Cui. - " Non mi si essendo porta sin a qui ot..irione d'inviar a V 5 F ■ ** d do¬ navo por 1 ultimo semestre 1 tiduUimonti', bovino d i me *t«--- • q>ph»t.. ! uutu.i a consegnarlo al S. r (lori Bocchineri, d come ho fatto tanto piò volentieri, quanto mi è stato significato «lai S/ Niccolò 1 dio tal.' ri i il dt"i.lofio di \ S. Ho dato però in mano propria al detto S.' (lori piastre n “ l ■>, t« -.|..ni 14 o un grosso, cho appunto fanno la somma di scudi 20 romani. I-» pr,<> a M-uxar la tardanza o comandarmi corno a uno do i piò aflettmnati «* denti «la Dio intera felicità.. Pisa, 25 Gennaro 1633 J . Il S. T Niccolò mi ha dato la ricevuta ili V. S., o 1» rene rati... Di V. S. Ecc.“ Obblig ò* Sor." M. Ani.* Pieralli. Fuori: Al molto 111." et Eco.* 0 S.' mio Col.** 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Cfr. n.« ‘27-14. '*> Dì stilo giuliano. ,s > Cfr. Voi. XIX. Poc. XXIII, i). “ Hircoi • iiM'iin IH «UU Samum [2858] 20 GENNAIO 1034. 27 2858 . NICCOLÒ FARRI DI PEIKESO a GALILEO in Arretri. < Aix, ‘20 gcunaio 1634. Bibl. d’Imrulmbert In Carpentraa. Collectiou Pei rose, Addlt., T. IV, 8 , car. 447. ~ Minuta autografa. Al molt’IU.” et Excell® 0 Sig. r et ILron mio Col. mo 11 Sig. r Galileo do i Galilei, primario Professore Mathomatico del Sor." 10 Gran Duca di Toscana. Arcetri. Molt* lll. re et Execll. mo Sig. r0 et P.ron mio Col."'° Sonno giù. 30 et più anni ch’io feci Pofferta detti primi voti della mia ser¬ vitù a V. S. 111."'“ montr’ olla ora nello Studio di Padoa, dove, con quella admi- rationo ch’io poteva, benuhò assai giovane all’bora, io intesi alcune suo attiuni ot letture puhlicho, o vidi riuscire assai bone la pruova di corto suo modello io piccolo d’ una machina grande elio s’haveva da fabriear netti giardini dotti Clar."" Sig. ri Contarmi (se ben mi ricordo) per la sollevationo dell’acqua ìnortua 1 *': o so ben non potei fare molta residenza in Padoa, nò darlo alcuna pruova della stima et vonerationo in cui tonova io la somma virtù et dottrina incomparabile di V. S. 111.”, se n’ 6 sempro mantenuta in me la viva memoria, et accresciuta sommamente quando uscì fuora il suo Sidereo Nuncio. Anzi, perciò elio m’ora capitato l’uno di quo*primi telescopi dell* invontione dell’innocentissimo et sot¬ tilissimo S. Giacomo Hadriensem Metsio Alcmariense, con il qualo s’erano sco¬ perti ancora qui li (piatro compagni di Giovo, so ben non arrivava senz’altro il nostro occhialo alla perfottione di quello di V. S. III.”, bobbi animo di lino¬ ne vario i segni della mia dovotiono et mandarlo un assai buon numero dell’osser¬ vatimi elio so n’erano fatto qui, insieme con il calcolo che s’era fatto della proportion del moto loro, elio mostrava non poca convenienza con quello ossor- vationi elicila haveva inserito nel suo Nuncio Sidereo : ma sendovisi incontrata qualche picciola difficoltà, ot sopravonutomi qualche disturbo d’ un viaggio in Corto, (piando viddi poi uscire l’altro sussequenti osservatimi di V. S. 111.” ot del S. r Simon Mario ot altri, mi parvo superfluo di pensarvi più, et m* astenni por maggior rispotto di fartene mentiono alcuna ; havondola riverita sempre nel cuore, come fo ancora, por la grandezza del suo genio et del suo valore, sì conio por l’altezza doli suoi concotti et nobilissime inventimi et por la soda et pro¬ so fonda eruditiono elio si scorgo in tutte lo sue opero ; sornioni rincresciuto non poco l’intendere i travagli che so lo son recati per l’ultima uscita in luco, non («1 Cfr. Voi. XIX, DOC.X11. 28 26 GENNAIO 1634. { 28 * 8 } ostanti lo sue precautìoni, degno veramente di - hu- i et di mollo più U-nign» interprotationo. Ma perchè la vicissitudine delle cure human»* non » compor- taro in una porsona la perseveranza molto lungi de'propri su.•••'ti, e rhe U gran ventura di liuver scoperto il primo tanti nobilitimi secreti nel ciclo, non ancora rivelati ad altri o puhlicati, haveva da patir qu» ita mortifit dinne, U (pKilo vicendevolmente non potrà durar molto anch’ella, come (pero con l’aiuto della Divina Maestà; intanto sendosi il gentilissimo 8. Piffero Gaasendi nostro vo¬ luto valere della mia corresponderua per farle capitare certe tue lettere et del- l’amorevolissimo R. r Hortensio, con l’oporetta di i"»» S. r 1I<•rt« um«» mt..nio *1-40 l’ossorvationo di Mercurio nel sole 1 , m’è stata chinina qu**U oc*-.wmme di farlo riverenza e pregiarla, come fo in«tanti*simanient* f di tenermi -nnpre nel numero de*suoi fedeli servitori, si come non s>»n nni stato altro da tanti anni, di elio potrebbono, se fossero vivi, rendere buon testimonio li .SS ' Man.» Velcro, Gio. Vincenzo Pinelli, Paulo Gualdo, Agesilao Mareecotu. (UvoIum A Ir»mino ot Lorenzo Pignorili, di b. in., come forzi rilaveranno fatto a mio trmp.*. rondomole prontissimo ad ogni suo cenno et ri< idero i"in • d«dl' h- n -r <1. M ioi comandamenti, s’ella mi conoscerà buono a uo Mtmlm. Et -. ella vorrà i.ir n- sposta alli SS.” Gassendi et Hortensio, potrà veiur m ura *.tto 1 n< apito m Roma dell’Ul. r * S. r di Fontcnay liouchurd 1 o dell"ili." S r I.mi..viro di R.n- a unire, quali prenderanno la cura d* inviarmela, d come ugni altra r.«a ch'ella volesso participare a dotto 8. r Gasscmli: il quale non s’è mai incontrato, al corno un anno io, a vedere Giove, nò Saturno, nè Venere, ber» 'j-.gitali dell» raggi loro, per la debole»» delti nostri telescopi, benché tuttavia «i n scorga in certa maniera la rotondità del corpo di Giove, et talvolta le o.rtm di quel (li Venere, et la forma irregolare di quello di Saturno, ma non aecua grand im¬ pedimento di detti raggi; il <&» non patiscono, come intendo, gli crinali d*J- l’ inventane di V. S. 111." Onde, se fosse cosa lecita, ee ne vederebhe volentieri uno de’ suoi, elio se le potrebbe poi fedelmente restituir*, » eoa) da In sarà ordi¬ nato; sapendo che ò cosa ditti ri bssiina d’ incontrar veln della bonU che ai può ss desiderare, se non per gran sorte, già che gli strumenti da lavorargli perdono facilmente la lor proportene più precisa, «1 come V hn f.Uo prorar più volte; stimando che le. no scriverà forzi qualche cosa detto S ' Gaewndi. come ha detto voler faro. E qui per tino le bado affettuosùtomament* Ir mai.: go da Dio Nostro Signore ogni maggiore et più desiderato contento. Di Aix in Provenza, alli 20 Genn.* 1034 . I)i V. S. molto IH." Servitore Lett. 2808. 57. il eh* il cA« non — Umilili» • et Di Petrose. DovoUaa.» <" Cfr. n.® 2851. il [2859-2860] 27 — 28 GENNAIO 1634. 29 2859 *. NICCOLÒ FABR1 DI PEIRESC a GIO. GIACOMO BOUCHARD [in Roma]. Aix, 27 gennaio 1684. Blbl. della Scuola di Medicina in Montpellier. Voi. lì 271, car 228. — Autografa. .... Jo vou8 envoye uno lettre de M. r Gassend, et de Bon ordre jo voli» Ihicta l’tiddreaso d’un sion pacquet pour taire tenir, s’il voub plaid, par quelquo voyo assommo au S. r Ga¬ lileo en mai» propre, s’il est possible, soit qu’il ayt en la porraiasion de se retirer chez luy, ou bien qu’il aoit encores ù Sienne chez M. r l'ArchoveBque, où M. r de S.‘ Aniand<’> ino dict l’avoir vou on revenant de ce paia. Et s’il trouve bon do venia respondre et adreHser ea rosponce aux lettres cy joinctes de ses ainys, voub ino les pourrez l'aire Lenir, s’il voub plaid, uoubs les enveloppos du S. r Cavai, del Pozzo W .... 2860 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Uonui, 28 gennaio 1634. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car. 15. — Autografa. Molto 111.” Sig. ro o P.ron mio Col." 30 Ilo riconta la lettera di V. S. molto 111.”, olio ni’ è stata di infinita conso¬ lazione, massimo noli’intendere la honorata visita che ha fatto S. A. della per¬ sona di V. S., degna veramente di honorata e eterna memoria. Io godo ancora della sua sanità, o prego Dio glio la conservi a benefìcio del mondo e consola¬ zione de’ suoi servitori, o di me in particolare. Non ho ancora visto il nostro Sig. r Raffaello (4 ’: come lo vedorò, che sarà dimani, credo io, farò quanto lei mi comanda. Ilo data la lettera del Sig. r Nardi (S a persona elio glio la consegnarli. Desidero poi sapore so V. S. ha liauta la io scatolina del rofo elio io li mandai ; o con farli riverenza finisco. Roma, il 28 di Goti. 0 1634. Di V. S. molto 111.” Dovotiss. 0 o Oblig.“° Sor.” e Dis. !o S. r Gal. 0 Don Boned. 0 Castelli. Fuori, d'ultra mano: Al molto 111.” Sig. r e P.ron mio (Jol. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p. Filosafo di S. A. Fiorenza. «»' Cfr. n.<* 2851. <*> Cfr. n.° 2816. < 8 ' Gabbiano dai. Pozzo <*> RAVrAKU.0 Maoiotti. <*) Aktomo Nardi. I 30 iìt> gennaio lt>34. 2861 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO ( n K.w .J Veneti*, W IO» Blbl. Nft«. Plr. Km. Gii, P. VI. T. XII e»r. «• - *«Nnfc. Molt* 111. 1 * ot Ecc."* Sig.' (Vii."* Scrissi hoggi 15'*’ a V. S. molto III." et K»v.“ Fin-aminament* di-Ila aiu* «lolla sua pensiono'*’, «li etti li" fatto prender il p< —n —«» ne Ir durali, elio, ossoquito, sono in mia mano. Resta unir al e. i.ij-. rimiri,to «.*« il prete prr fugir lo liti. Veramente le rendite d«* bene ti rii '■■:<•• grandiinrtit# diminuite Aspetto da lei lettere, se deliba accomodar per ronoordafc», c he credo ai rido- robbo a scudi 40 da £ 7 l’uno, con qurdo che ni».ni am«* | «*r .• nmi «!••.. p»i Ilo presa la pacienza di legger*’ il libro di Ant<»n<> !(<*■ • • ntr» V S e suoi Dialoghi 18 ’, fc necessari" < !i - -a lo vegga. Ne ««.Irto mandare uno, ma ■saputo elio dallo stampatore no som» "tati mandati a Firma, mi A pano ra- ie portino, purché V. S. numi «orto hai ut**. L'autore qoi A stimato un gran peripatetico monoculus, c mi pare in u ro che mentre »i »u in atn« rt ter- mini si porti da valente, ma quando ri liene a coae, «cappi run n*>n le toccare o prenderlo in senso che possi sopra ciarlare. Il credito |wrA «he b», me V. S. a pensarci nella stampa de' nuovi Discorri, appettati da me cofl desiderio infinito, conio anco la sua persona. L* Hoc.** l’nxuralor Vomev * 1* Li corte¬ sissimi saluti, et io li bario le mani. Vcn.», 28 Gen.° 1634. Di V. S. molto 111.'* et Eoe.»» S. r Galileo. Drv.** Cfr u.o 2320. (*• limo Peri. 32 1° FEBBRAIO 1634. [280)3-2864] tra i quali io non sarei ammesso. Rinfreschi con esso talhora la memoria di me, o si conservi lieto o sano. Le bacio con reverente amore la mano. Di Pisa, p.° Febr. 1633 (1) . so Di V. S. molto 111.” et Kcc." ,a Dev. m0 et Obblig.® 0 S. re Niccolò Aggiunti. Fuori: Al molt’Tll/ 0 et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei, Fil. e Mai* prim. i0 di S. A. Ser.“« Firenze. 2864 *. NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC a PIETRO GASSENDI in Pigne. Aix, 1° febbraio 1634. Bibl. Nazionale in Parigi. Fonda finn (jais, n.® 12772, enr, 121. — Autografa. _Je fis tenir par le dernier ordinaire de Rome fi M. r Rouchard <*> vostre lettre et celle du S. r Uortensius, avec sa Dissertation, pour M. p Galileo, à qui j’escrivis par mesme moyen < 3 >, puisque vous m’y engagiez aulcunemont. Et parce que votis m’aviez pareillement engagé envers ledict S. r LIortenaius, jo me resolus aussy do luy escrire; et ayant veu par sa lettre qu’il n’avoit encore peu recouvrer les Dialogues du Caldèe, je mia ordre de lui en taire tenir un exemplaire, eatimant quo vous n’en serica pas marry. Mais pour la lettre que vous escriviez au Galilée, je fis punctuellement executer ce quo vous desiriez, et retins vostre autographe, que je garderay pour l’amour de vous jusques à ce que vous le veuilliez retirer, n’ayant envoyé qu’une coppie escripte par mon liommo^, avec l’obmission des troys lignes que vous aviez cottces, en quoy j’ay grandement loiié 10 vostro prudance et vostre franchise tout ensemble 15 ). Car, selon le tomps courant, on en eusse peu laisser couller une moitié; mais à la proflession quo vous iaictes de ne rien dire contro voz sentimentz, il y falloit, les deriderà mots pour l’interprotation de vostro dire, lesquels pouvoient, estre mal prins de personnes mal intentionnées et mal informées de ce qu’il fault s^avoir pour cela en la conjoncture presante: de sorto qu’il vault bien mieux en estre dcnVeuré aux termes generaulx, sur lesquelB on ne scauroit jamais rien trouver à dire.... i*> l)i stile fiorentino. <*> Cfr. n.® 2859. 13) Cfr. u.® 2858. <*' Cfr. l’informazione del n.® 2851. <*' Cfr. n.® 2851, nelle varianti a lin. 12- 13. [2805-2866J 2 — 4 FEBBRAIO 1034. 33 2865 **. GERÌ BOCCHI NERI a [GALILEO In Arretri]. Firenze, 2 febbraio 1G34. Bibl. Nax. Flr. Mn. dal., V. !, T. X, car. 5)8. — Autografa. Molto 111.” et Kcc. mo S. r mio Osa.® 0 Hiersora (li nuovo parlai a S. A. del vino, alla presenza anche del S. T Car¬ dinale 111 et del S. r Ball Cioli. Mi risposo l'A. S. olio si era scordata di darne l’ordine, ot mi comandò di diro al S. r Mare/* Coppoli 1 * 1 che glielo rammentasse, come io feci. In questa bora, elio sono le 4 di notte, ho domandato al S. r Mar¬ chese so l’ordine si ora dato, et egli mi ha detto elio il S. r maestro di casa' 3 lo liavova havuto ; ma nolPusoire in sala il medesimo maestro di casa mi dico di non lo bavero havuto : ondo ho concertato, che il maestro di casa si trat¬ tenga questa sera tanto alle stanze di S. A., duellò l’A. S. entri a tavola, por¬ lo oliò allhora procurerà il S. r Marchese elio S. A. dia questa benedetta commis¬ siono; et spero puro elio la debolezza della memoria non liahhia da fare svanire gli riletti della benigna volontà. IItemerà si seguitò di parlare di V. S. ot dello suo virtù, mostrando sempre S. A. una gran benignità verso di lei. È vero clic io spesi por V. S. in decimo (4) ot in altro, ot me lo ero scor¬ dato, nò bora me no sovviene la somma. La mia memoria ù labile, ot le mie uccupationi non mi danno agio di notare. Et lo bacio lo mani. i>i Fiorenza et da Pitti, di dove mi parto per andare a cena, 2 Kobraio 1G83 W . Di V.S. molto 111.* et Eoe."* 1 Oblig. BO Ser.” et Parente . Uori Bocchino ri. 2866 *. BENEDETTO GALILEI a GALILEO in Fi ronzo. Venezia, 4 febbraio 1684. Bibl. Naz. Plr. Appendice ai Mas. (ial., Filxa Favaro A, car. 60. — Autografa. Molto 111.” S. r mio Oss.®° Sono qualche giorni che il S. r Francosco (n nuo cugino partì per Istria, noi qual luogho vi si tratterà circa mesi dua, onde farò io risposta alla gratissima *•> Gio. Carlo ur'.M anici. <*' Cfr. n.« 2096. •*> Fkanckhoo Coppoli. Di stile fiorentino. •*' Uio. Battista Vkrxaoci. Fkakcusoo Gai.ii.ki. XVI. 5 34 4 — r» kkbhkaio 1634 (£**6-3868] di V. S. de’ 21 passato, dicendoli come bo recapitato m mano propria la let¬ tera mandata per il Rev.** Mastro Fulgnmo; et in * t i* .li * . u lM > ^ gino me li offerisco io in ogni sua occorretua, che mi truvorrA tempra pron¬ tissimo. Et b. le m., pregho Dio che la oom«n e irli- »i Von. a , 4 Pebb.* IH33 ab Ine. Di V. 8. molto 111.** Ser." « l*. w Ohblur** hrnrd Uslilti. Fuori : Al molto 111." S. r e P.rone O** *" il S. r Galileo Uulilai. Fio» «mia. 2807 “ GIULIO NINC1 a GALILEO .n Arretri Ha» Cbclion, 5 febbraio l*M Bibl. Nftz. Pir. Appaltile» ti M«*. Gai Fili* fatar-» 4. mi U • A«W* * Molto Lustre Signore Galileo Galilei, Mando a V. S. dna paia di polli e un-, capraio e per Santi Ilariotti : • lunedi profumo cromprerò dell'altro poli e alti uo Uni, coni \ S un due E sr li 1 i oooré mete altro, V. s. mi aviti, perche ò grande «I». lì * C ruU Doli rosto predadu Dio che tì conceda U aamtà. Il di 5 di Febraio lt>33 ', in Sanc&acaiM Vo." Affé.*» Cimilo N 11» « i . Fuori: Al molto Ila. 1 " Sic." Galileo Galilei. In yìIh sua, a Somatico in Arroti. I 2808 *. CATERINA RICCARDI N1CC01JNI a GALILEO f, n Arreni Roma, & febbraio l&U Blbl- Naa. Fir. Km Gal . P. I T XIII car. MS - A«W'a/« u *>t« M mWM Molto 111. Sig. r mio Osa.** Tra tanti favori riconti dilla cortesia di V. & .timo pio d ,un'altro il Pro- eclisso inviatomi 1 ", per ansar rasi hello e devoto, d 4 all» mi ma U «r^ideo. i** Ui stilo fiorentiuu. '*> Cfr [2868-2870] 5 — 8 FEBBRAIO 1G34. 35 del contento che il considerare clic in* lui privato sé stessa o la sua casa; ma già elio così ha voluto, non posso so non confessare di rostarlone obbligatissima, con fonderli infinito gratin. Noi resto io lascio di ricordarle il mio desiderio di servirla, come cosa nota a V. S., benché forse per la mia inhahilità non ricevo questa consolatione col mozzo di qualcho suo comandamento ; o le bacio lo mani, come ancora alla S. rH sua figliuola. io Di Ilo ni a, f> Fobr. # 1634. Di V - ìS. molto ili. Dovotiss. ms Borra S.' Galilei. Caterina lticcardi Niccolini. 2860 *. NICCOLÒ FABRI DI I’EIRESC a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, G febbraio 1034. Blbl. Nazionale in Paridi. Culloction Dupuy, voi. 718, car 12. — Autografa .le seray bien ayse do voir aussy la sentence concernant le bonbommo Galilén. que le P. Morceno a laissó òchapper de ses niaiiis un peu trop taci lei nei jl, si c’est. de là que l’a tiróu lo S. r Renandoti pour en taire tant do brnict et de scandalo contro l’in- teution moBine des autheurs, qui l’avoient tenue si secrctte durant tant de tenips, jugonnts, cornino je penso, qu’il valloit mieux obtonir par la doucenr et par la longueur dii temps uno partie do leur intcntion, que do porter les clioscs a Pextremité et. engager possible trop de gents à eboreher dos contradictions ouvertes, cnppables de taire de plus grands progrez quo dovant; ainsin qu’il est advenu en tant d’aultros aftaires de plus grande consoquance, qui n’nnsHent usti- riou ou beuucoup moings si un n’y oust procede uvee io tant do vchemence .... 2870 *. VINCENZO RENI EHI a GALILEO \\n Arretri]. Genova, 8 febbraio 1G34. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXV1, n.» 113. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r o I’.ron Col. mo Io pensava, nolla mia partita da Siena, di venir in porsona a Fiorenza a reverir V. S., ma la mia cattiva fortuna non me lo ha permesso, perchè nel passaporto che bavero, mi ordinavano che dovessi andar ad imbarcarmi a Via- Ufr. n.° 2848. 36 8—9 FEBBRAIO 1634. roggio, senza toccar Fiorenza. U nono per Ogni modo tempre sUU> virino col’affetto e colla memoria delle cortesie da lei ricevute in Siena, ili dove iutìssì a V. S. (i) , ma non hebbi risposta, forse perchè la mia andò a male o la molti¬ tudine delle eue occupationi non mi lasciò campo di poter ricever qut to fa¬ vore. Mi trovo hora in Genova a predicar la futura quar»- in.*, d .ve l atrò p. r somma gratia che olla m’honori di qualche suo . orumandalo < nU> ; il dir V 8. io dovrà far con tanto più confidenza, quinto eh* uri ritorno eh*» farò, fatto Pasqua, a Siena, verrò senza dubbio a riverirla in Fiorenza et a..l i' di* sappia dove inviarmele, potrà nella soprascritta notarci (ir* -«*, a S. Ss sfamo, chò le lettere verrano sicurissime. Mi tenuta nell* mi* h-. ■ a gratia. dell* ( .id« vivo ambitìo8ÌB8Ìmo, e si riocordi che fra' suoi .nitori »o n34. 37 2872 **. IACOPO ANTONIO LUNA RI) I a GALILEO [iu Arcetri]. Firenze, 9 febbraio 1634. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal.. P. I, T. X. car. 106. — Autografa. Molto Ul. r# et Ecc. m0 S." et P.ne Osa." 0 Si è presentato la lettera por il S. r Starnili l) , il quale ne à data Lenis¬ sima speranza per conpiacore a V. S. Ecc. ma , ot A avertiti) elio si proccuri che il S. r Cav." Girolami'*' dia bona informazione: o perciò si prega V. S. Ecc. m “ a conpiacersi di scriverò al suddetto S. r Cavaliere; così al S. r Gerì Rocchineri, che raccomandi il negozio al S. r Ball Cicli. Il S. r Cellesi 131 ancora esso favorirà por quanto possa. Mio Signore, la prego di aiutare il suo nipoto 14 ’, sì corno confido riolla bontà di V. 8. Ecc. m “, poi che al ritorno di Fiesole si trova senza alcuna carica o io con 3 figli. So lo paresse anco raccomandaro dotto negozio al S. r Conto Orso' 51 , faccia quello a lei gusta; et il presento apportatore tiene ordine di aspettare le lotterò elio loi si conpiacerà scriverò: ot io con tutti di casa no resteremo obbligatissimi a V. S. Ecc. m * per sorvirla sempre. N. S. Dio la prosperi. Firenze, a 0 Fobbr. 1633 (8 ’. Di V. S. molto 111.” et Ecc. n,!X Servit. Obblig. Iac. Ant.° Lunardi. Fuori : Al molto 111." ot Ecc.'" 1 ’ S. T P.ne Oss. ,n0 11 S. r Galileo Galilei. Li sua mano. 2873 *. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, 11 febbraio 1634. Blbl. Nnz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 21. — Autografa. Molto IH." ot Ecc. ra0 Sig. r o P.ron Col.™ 0 S. Non posso negare elio quello caro raccomandationi fattomi da V. S. E. m * in tutte lo lettere del P. Abbate 171 non siano cagione (oltre al gusto mio straor- <*> Camillo Staccoli. <*■ Pikro Girolami. ,3) Sebastiano Ckm.kri. O) Cesark Gallrtti: cfr. nn. 1 2649. 2636. •*> Orso d'Eloi. <•' Di stilo fioranti no. 0) Benedetto Castelli. 38 11 FKHBKAIO 16.14. [W7S-W74] dinario) ch’io di nie facci più stima di quello eh u> Don fair, p^r altro e quasi ma no mauperbùoa, trovandomi sempre in buona gratia del Sig.' OdHIm. Ma però quanti*io < on.siii. ro il fatto più adentro, vedo che luti., naac* dalla grand’af¬ fabilità et hnmftnìtt sua, habile » sollevami con i grandi -t adattarli ancor sotto la mediocrità con i par mia. Ili qui bo preso ardire di premure a V. 8. il Dottor Lattantio Ma gioiti Sandolini ■ i • fratello, quale gli recapiterà queeta o tutte Dal tre mie lettere, con fermo proposito di, quanto prima Mi «ari per- io messo, venir da lei in |ien*ona, per mm r amnmo nel numcr». de’ rooi più cari amici o serriteli s’io m*es t e ndimi in questo proposito pio a lung», sarebbe un metter in dubbio quella gentile»» eh’ io ho M*apre, verno di me r tutti, provata grandissima. Il Sig. r Marchese Giustiniani non c**>^a in ogni congrego di far onorata mcntione di V. S., e massime doppo liaver Mu buona parte dcll oprm con sua piena soddisfatione, poiché dov'egli ere-leva trovar diti», ullà, .gli ha tro¬ vato spianata la strada a maraviglia. (’»*l «U con una ansietà grandissima i Bibl. Naa. Fir. Mm. 0»!, P. I T. X. e\r. |< Aaf.fr>.’». Molto 111." Sig. r mio n>s.** So un vago giardino non escluda V herbe et fi..ri anco meno che ordinarli per compagnia o vero maggiore splendore de' più pregiali et p^grini, confido 11—12 FEBBRAIO 1634. 39 [2874-2875] che la cortesia di V. S. non sia per negar l’entrata in sua casa (ancorché ro- eo.ttacolo de’ più esquisiti nettari) al saggio do’ rozzi liquori elio producono i nostri poco fortunati pantani. Non ardisco già olYorirglieno in maggior quantità, per non violentare il suo gusto a cosa contro gusto, per non dare a ino il di¬ sgusto d’una repulsa. So che comparirà ansar inter olorcs ; ma V. S. scuserà la poca notitia et il soverchio ardire cho molti mici simili sogliono palesare di io haver delle proprio cose, poiché alle volto anco l’asino si accosta alla lira, per¬ ché non si crede nò si conosco di esser tanto asino. Mia moglie' 1 ' resta con particolare obligationo a V. S. della memoria che tiene di lei et de’ cortesi suoi saluti da ino recatili, de’ quali con ogni più vivo alletto la ringratia, riserbandosi a supplir meglio in voce quando passeremo una volta a reverir Y. S. personalmente, come facciamo hora col mezzo di que¬ ste due righe, baciandoli con tutto l’animo lo mani. Di Prato, li 11 di Febbraio 1933 Di stilo fiorentino. «*) Cfr. n.° 2855. 40 12 — 13 FEBBRAIO 1634. [2870-2877] 2876 **. MARIA TEI)ALDI a GALILEO in Àrcetri. Firenze, 12 febbraio 1634. BILI. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. XIII, car. MI. — Autografa Molto 111. ot Ecc. ,n0 P.rone Col.'" 0 Essendo andata hieri a visitare il Sig. r Leonido t! , quale fi arrivato di Pisa malato, mi fu presentata una sua gratissima, et sentito quanto mi comandava, pregimi dotto Sig. r Leonido a voler favorire di detti tartufi ; quale mi promesso (sebene era in letto) di servire V. S. E.“‘, purché co ne lussino venuti do' belli. Però V. S. E. ma potrà mandare il suo servitore. Quanto al venire noi costassù, non è possibile, stante la sudetta indisposizione. Dalli SS. ri Cocchapani mi fu data nuova che V. S. E.“ a in tutto e per tutto era assoluta, e che in Firenze e dovunque voleva poteva andare, della qual cosa né feci gran festa, stando con ardentissimo desiderio di vederla in io Firenze ; il che non sendo seguito, non ci potremo cosi presto rivedere. Pregan¬ dola a comandarmi e scrivermi quei tanto mi conosce abile a poterla servire, o facendoli reverenza, li pregilo dal Cielo felicità in colmo. Fir. 0 , li 12 Febb. ro 1633 w . Di Y. S. molto 111. ot Ecc. ma Oblig. nm e Dev. ma Ser." Maria Ted. 1 Fuori : Al molto 111. et Ecc. ,no P.rone Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei, p. mo Filosofo di S. A. S., in Villa. 2877 **. DOMENICO CITTADINI a GALILEO in Firenze. Siena, 13 febbraio 1634. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 13. - Autografa. Molto Ili. od Ecc. m0 mio S. ra Accusai a V. S. E. ma il pagamento delle £ 200 al S. r Vannuccini (3 ’, e le detti cenno che mi era capitato allo mani certo discorso sopra i venti, stampato in <*> Leonido Simonrtti. Di stilo fiorentino. (3 ' Giovanni Vannuccini. 13 — 14 FEBBRAIO 1034. 41 [2877-2878] Bologna in luogo di lunario del prosente anno, autore Ovidio Monfcallmni (l \ noi quale, con l’occasione di recare l’oppeniono di varii autori intorno la cagione del vento, nella faccia 7 ft cita un’openiono che il vento possa esser cagionato da materia elio stia ferma, di autor moderno ; che Laverei volentieri sentito, se questa oponione ora stampata, il luogo ove ella fosse, per mia curiosità: o perchè io so quale e quanta sia la cortesia del S. Galileo, mio Signore, so’ ali¬ lo dato dubitando elio la lettera, quale inviai alla posta, non habbia corso bu- rasca di qualche ingegno curioso, non havondono veduto risposta. Questo trat¬ tateli©, che è di 20 carte, è appresso di me ; so Y. S. non l’ha veduto, gliene manderò volentieri, inviato al S. r Bocchineri, come fo questa. Io sono ritenuto in casa, doppo esser stato 20 giorni in lotto, dalla poda¬ gra, e in ogni tempo o in ogni stato ambitioso di servire a V. 8., eliè obbliga¬ tissimo lo sono; e riverentemente lo bacio le mani. Siena, 13 Fobb. 1633 w . Di V. S. molto 111." od Ecc. ,na Obb.“° Servo Doni. 00 Cittad." 1 20 Fuori: Al molto 111. ed Fcc. rao mio S. r e P.ron (Jol. uw Il S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 2878. GALILEO a GIOVANFRANCESCO BUONAMICI in Prato. Arcetri, 14 febbraio 1031. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 85. — Autografa. Molto 111. 1 * 6 Sig. ro e Pad. ne Col." 10 Y. S. molto I., non contenta de i fiori, mi ha voluto esser cortese de i frutti di cotesti non dirò pantani (3) , ma colli diletti da Bacco. Ilo ricevuti i 2 liquori, diversi di sapore, ma simili et eguali di bontà, e così proporzionati al mio gusto, che senza farne parto ad altri voglio godermegli solo. In tanto gli rendo le debito grazie del regalo. La speranza, che Y. S. non mi toglie, di poter una volta riceverla e servirla insieme con la S. ra sua consorte in questo mio tugurio, mi U> Pntumuicopia ovrro Speculatione de' venti. bologneso. In Bologna, presso Clemente Ferrarti, 1038. Discorso astrologico, addattato all'anno di nostra <** Di stilo fiorentino. Saluto 1634, secondo la misura del meridiano di (, t cfr. n.° 2874. Bologna, d’ Ovidio ìIont’Aijiani, filosofo o modico XVI. 6 r 42 M FEBBRAIO 16:t4. (*S7 h-‘2H7»J farà campare un pezzo (li piu, con rallungarmi i giorni che tra- mezerunno quello della lor venuta; ma non p-n> mn l uiU» dtnd®. io roso di vita, ch’io non ni» altrettanto e più d* Ila lor vwt », »• lauto più (pianto col rallegrarmi nel wdorle • larrirle («Mondo l’allegrato» l'ottimo pre^Tvot ivo di Ila sanità o dell» vita > conseguire Pisteeso benefizio. Starò dunque aspettando le perdono, e tratanto i coman¬ damenti loro da me desideratissimi, mentre con r.-v-r-nto affetto gli bacio le mani e prego felicità ; il quale uffizio mi farà grazia passar V. lS. con la S. ra Polissena ", e con tutti di casa hua. D’Àrcetri, li 14 di Feb.° 1633 «i b Ine: l)i V. S. molto 111.” Dev.*° «*t Oh.*" Ser.* Galileo Galilei. » Fuori: Al molto Ill. r * Sig. w e Pad.** Col li Sig. Cav. r Uianfr. 00 Buonaiuici. Prato. 2879*. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO io Aratri. Holofn*. 14 febbraio ICU. Blbl. Na«. Pir. Ma. 0 »l. P. VI, T XII. r»r Aut < Molto III.** et Ecc."* Sig. f e P.ron Col* V. S. Eco."* si querela mocu oh io non babbi con quella **r«*rria proclamato la impertinenza o stoltitìa dell’autore r del libro inviatoli, che U «'uodiUono di (inolio richiedeva, o che io babbi mostrato di farne qualche conto; nel che confesso ili esser veramente andato alqu-into rìmeKMt p^r non dir tro|i|M», tra¬ passando la sua insolenza ogni termine, e -«nprendoM più che chiara la tua incapacità e stupidezza. La fretta con la quale io scnasi non mi diede campo di poter al vivo lapreseQterli come : BOA mi era sembralo altro che (pi. Ilo elio a lei è peno: mi spedi» con dire, ae pur nel n. he mi era parso pieno di sctoflherie e * »propo«Hi; e cosi di nuovo le confano, io nè ho mancato, regioneildo con altri, di rapreeenUrl.. per tale: nè erode «he appreeao di me babbi squartato un tomi .1. stima, me «t bone allnppo- “ to ne ho formftto un concetto di inaienti*., n... s„ n mi 80vvicne e ià cbe babbi detto, del che p.«*e raccoglier» che io K U babbi qualche credito, so funsi non fosse stelo .1 dire che egli *, mostri pretti» in Lott. 2878. 14. Slarù >/un u tettando _ (•» PoUMUM UiTTftliCtlI llOCCaiinUI. a«lv>»K» Hwc. «I». [2879-2880] 14 — 16 febbraio 1631. 43 Aristotile; il ohe però non mi aggiungerla credito alcuno, poiché so bene, co¬ nvella dice, che questi si stimano esser arrivati al sommo del sapore, quando hanno fatto gran prattica sopra li suoi testi, daU’accozzamonto de’ quali pro¬ lassano potersi rispondere a ogni cosa, sprezzando ogni altro modo di sapere 20 et ogni altra, por singoiar che sia, strada di filosofare. Si sganni pur V. S. Eco." 1 '* in quosto, nè si conturbi, poiché il purissimo oro dolio suo saldissime ragioni è da me, por quanto la debolezza del mio ingegno mi permette, benissimo di¬ stinto dal ramo, dol qual sembrano essere i discorsi del sudotto autore. Ala poi, quando io pur non conoscessi a pieno tal distintiono, non per questo creda elio siano per mancare ingegni di gran longa superiori al mio (del quale la ringratio molto della stima che mostra di faro), elio benissimo conosceranno quanto olla sopravanzi tutti gli altri nella saldezza dol suo discorrerò, o quanto scioccho, arrogante o pieno di vanità, si ritrovi il dotto autore noi suo trattare, lo non 1’ ho allo mani, sì elio io lo possa di nuovo vedere; ma poco mi si può so aggiungere, credo, al concetto che no ho formato, so bene io lo vidi in una scorsa, poiché alla prima mi sono parso così ben chiare lo suo sciocliezzo, elio puoco più potroi avantaggiarnii in conoscerle per ,tali. Condoni qualche cosa allo scrivere, che non permette tali’bora allargarsi quanto si dovrebbe, o mi tenga puro por suo partialissimo servitore e clic a niun cedo nel fare singolarissima stima del suo sublimo ingegno, che con saggi così esquisiti olla ha a tutto il mondo co’ suoi sottilissimi discorsi palesato. E con tal fine alla sua affettuosa memoria mi raccomando, baciandoli lo mani. Di Bologna, al li 14 Fob. ro 1634. Di V. S. molto IU. ro ot Eoe.™ Ob. mo o Pov. rao Rer. r " 40 F. Bon. r * Cavalieri. Fuori: Al molto IU. ro et Ecc. mo Sig. r e P.ron Co). 0 D 6ig.‘ Galileo Gal. #i Fiorenza. A reo tri. 2880 **. GERÌ e ALESSANDRO BOCCHINERI a [GALILEO in Aroatri]. Firenze, 16 febbraio 1631. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. I. T. X, car. 111. — Lo fin. 1-15, fino Alla paroln « chiestoci » nono di mano di Ukri, il rosto ò di mano di Ai.kbsandko ISoccuinkhi. S. r mio, Io penso elio V. S. resterà servita di bavero il vino a fiaschi a coni modo et a elettiono sua ui ; ma non mi è ancora riuscito di fare abboccare in pre¬ di Cfr. n.» 2871. 44 16 FEBBRAIO 1654. senza mia il Maestro ili casa 1 di S. A. col canovaio r-r dame lordine, ivm tutto che io habbia parlalo all’uno et all’altro ««pai aumento ai babbi* anche procurato questo abboccamento: et mi pare che questo S.» Marcirò di casa noi sia stato in questo negozio ooeì pronto oome barn voluto. Per il S. T Vincenzio (,) , A1 mMb4io ha parlato al 8 / Luca degli Al bui et agli altri ministri de' Nove, ma senza frutto, perche, come negozio aggio Uto, non lo vogliono alterare, et massime aggiustato (in supplnuento del 8 / Luca) io dal S. r Antonio Carneaecchi; et si rodo die quel ministro, che si ti e ne mal trat¬ tato dal S. r Vincenzio, ha voluto rendergli la pariglia. Per gli altn libri che restano, il S. r Vincenzio o sfugga di fargli, o m dn-buri ani» ipitaiin-nu» di non li poter far per questo prezzo. Le mandiamo lo lib. ti di tartufi dio t< i, ma per amor» noi» 4 I 1 »i può avvisare il prezzo, perchè lo apenditore del 8 / C ardinal»* iJ , eh.* gli ha provvi¬ sti, non lo ha mandato a dire ; ma erodo che batterà a 4 giuh la lib. : et Y. 8 . gli conti perchè hanno da essere 3’J. Spero che V. S. ricevessi hieri un mio pògn, rnfrnvi una lettera «1 I S ‘, ot havrei caro che ella mi avvi u-i quello devo rispoiulrru a dotto S. i Kt *> le faccio reverenza. Da Firenze, 16 Febh.® 1633 3 . Di V. S. molto 111.** iNuot.** Sor." e Parente Alesi.'* Bocchtnori. 2881 *. MATTIA BERNEGGER a GIO. MICHELE MSGKIAIIEIM in llndslher»; |8traaburgoJ, 16 febbraio \>M. Bibl. Civica di Amburiro. Codica citato al 0 ìtfll, *r lo-. V «ta .... Galilaei Systems (in quo vertendo porgo quiatl (<>*autn) in Italia proarriplom ost, quae rea et inilii labori* atitnulu* »t,*t nlim, ut; ; -n libri priKitim ». ■ -1 > \|.tu> proseri pi ionie formulimi, aed ea lego ut ad me redeat, oUraiu sltqusado |irssfsthnf «Nk teriam pr&ebitura. V. 6 Febr.f*» 1634. '** l'irran L»«i In «ili- **•*•.»« •*' In rti»« <••!»«•« U10. Battista VaavAci-i. Cfr. nn ' 2706, 2S06. <*’ tìto. Carlo »■’ .Mkdici. [2882-2884] 18 febbraio 1634. 45 2882 **. GERÌ BOCCHINERI a [GALILEO in Arcotri]. (Firenze, febbraio 16B-1J. Bibl. Nnz. Fir. Mrb. Gal., P. 1, T. XI, cnr. 19. — Autografa. S. r mio, Non fui a Palazzo hiori, ondo non lio nuova dol vino : lo infonderò hoggi (1 \ Lo lib. 6 di tartufi 1 * 1 , a tre filili ot mozzo la libra, costerno ... £ 14 — — La scatola, elio io presi aggiustata, quale io sigillai ot amma¬ gliai bone, ot foci traforare il coperchio acciò l’aria passasse, porcliò nel panierino li tartufi pericolavano di scemare, valso.£ — 13. 4 Francatura dol porto et gabella in dogana.£ 1. 6. 8 £ 1(5. — — Bacio io mani a V. S. io Suo Ser. ro <)blig. mo Bori Bocc. ri 2883 *. GALILEO ni CARDINALI DELLA CONGREGAZIONE DEL 8. UFFIZIO in Roma. [Arcetri, febbraio 1634]. Cfr. Voi. XIX, Due. XXIV, b, 91, a)' 3 ». 2884 *. FRANCESCO NICOOLINI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 18 febbraio 1634. Bibl. Bst. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.® LXXX1I, n.° 113. — Autografa. Molto 111.” S. r mio Osa.® 0 Interporrò, con Pofficacia dovuta, con N. S.” gl’ ofutii desiderati da V. S. por l’assoluta liberatione sua, e mi varrò do’ protesti accennati da lei 14 ' per facilitar la gratin, e stimerò in ostremo di vederla consolata o ridotta alla sua casa; mentre io intanto, pregandole felicità, lo bacio affettuosamente lo mani. Di Roma, li 18 Feb.° 1634. Di V. S. molto 111.” Aff.*" 0 Sor.” S. r Galileo Galilei. Frane. 0 Niccolini. «»i Cfr. un. 1 2885, 2886. 1*1 Cfr. n.o 2880, lin. 16. <*) Cfr. n.® 2881. <*> Cfr. n.® 2883. 46 18 FEBBRAIO 1634. [2885-2886] 2885*. GIOVANNI VANNUCCINl a [GALILEO in Arcetri]. Siena, 18 febbraio 1634. Bibl. Naz. Flr. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 44. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. re o P.ron Oss. mo Si è ricevuto li fiaschi 24 verdea, che V. S. Ecc. mft ha mandati, quattro de* quali farò lioggi presentare al S. r Domenico Cittadini, e per Peltri vinti Mons. r Ill. m0<1) no la ringratia sommamente della troppa parto; e perchè il S. r Segretario non era in casa, si risorba rispondere a V. S. Ecc. ma por il pro¬ caccio 1 *’. In tanto di suo ordine lo invio trenta starno, diciotto dolio quali si pigliarli, briga farlo recapitare alla S. ra Caterinacon rinchiusa lettera, o dodici, insieme con otto tordi, so lo goda lei, accettando questo poche elio por bora ho potuto bavere. Tutti questi Signori di casa, conio l’altri servitori, rendono infinito gratie a Y. S. Ecc. nm della cortesissima memoria che si degna toner di loro, sì come sopra ogni altro faccio io per Y honor elio ricevo tal hora de lo sue lettore. E Lasciandolo in tanto humilmonto lo mani, resto pregandoli dal Cielo ogni vero bene. Di Siena, li 18 Fobr. 0 1633 <4) . Di V. S. molto 111.™ et Ecc.“"* So. TP Umilili. 11,0 Gio. Vannuecini. 288G. GERÌ BOCCH1NERI a GIO. BATTISTA VERNACOI [in Firenze]. Firenze, 18 febbraio 1634. Bibl. Naz. Flr. Jlss. Gal., P. I, T. XV, car. 83. — Autografa. Sul di fuori, accanto all’ indirizzo, si logge, di mano di Galileo: S. Gerì ili Ventacci. S. r mio, Il S. r Galileo vorrebbe poter levare a 2 et a 4 fiaschi per volta, bor bianco, hor rosso, li cinque barili di vino che 8. A. pii dona, perchè così non se pii svanirà nella botte: egli prega però V. S. di darne l’ordine in cantina, con fargli consegnare la poliza 0> Asoanio Piocolomini. «*i Cfr. n.o 2890. (3 > Cfr. n.o 2845, lin. 5. <*> Di stilo fiorentino. 18 — 10 FEBBRAIO 1034. 47 [2886-28881 di credito. Et poiché S. A. gli ha fatta la grazia con tanta benignità, non può so non ltavor caro l’A. S. che il vino se gli conservi buono sino al line, corno seguirà in questo modo; tanto più che il S. r Mar.* 0 Ooppolid) mi disso che V. S. baveva liavuto ordino da S. A. di sodisfare al gusto del S. r Galileo di quella qualità di vino clic più gli fusse piaciuto, et se mal non mi ricordo V. S. medesima ino lo confessò. Il suo gusto in sonmin IO sarebbe questo. Se ella mi manderà questa poliza, io gliela invierò, Et le bacio le mani. Di Sog. rla , 18 Feb.° 1634. Di V. S. molto 111." AffSer." Gerì Bocchineri. Fuori: Al S. r Gio. B. a Vernarci, Maestro di casa di S. A. S. 2887. GIO. BATTISTA VERNACCI a [GERÌ BOCCIIINERI in Firenze]. [Firenze, 18 febbraio 1634J. Bibl. Noz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 88. — Autografa, fc scritta dappiedi alla lotterà che pubbli¬ chiamo col il. 0 2885. L’ordino clic io ebbi da S. A. fu di dare al S. r Galileo cinque barili di vino bianco di Castello, e sempre che egli mandi gli sarà consegnato. Mi perdoni se non lo posso compiacere, poi elio non uscirei del comandamento di S. A. S. E lo bacio con ogni affetto le inani. Di V. S. molto lll. ro Aff. Ber. Gio. Bat. a Verri. 01 2888*. GIO. MICHELE LINGELSI1EIM a MATTIA BERNEGGEli in Strasburgo. Heidelberg, 19 febbraio 1684. Dalla pag-. 63 dell'opera citata nella informazione promossa al n.° 2646. .... Sed, quneso, quomodo procedit Galilaeus tuus V lliems iam praoceps ruit, quem finem labori tuo proposueras. Kiusmodi malo considerare quani publico, qune ruunt culpa universorum .... Heidelb., 9 Febr. <*> 1G34. Di FuanCksoo Copfou. <*» Di stile giuliauo. 48 21 FIBBKA10 1634. 2889**. GERÌ BOCCHI MERI a QALUJBO [m Arcete.: Klreaie, Il febbraio |*»« Blbl. Nnz. Flr. Un. Ual . P. 1, T. X. ear 118 AiU**»'» S. r mio, I/ordino dii vino si è dato; et io ho profani, et poi anche protestato, che sia dato buono, secondo la qualità che V. S. di mai», in ramo «urrà, acciò non si Rabbia a ricorrere di nuovo a 8. A., la quale mi ri(rrt*< ■ il S ' SohUni 11 che disso al Maestro di rana 1 , nutraviglianduai della «uà euti.Lr//* * . « Kt ohe importava egli darlo a fiaschi o a barili 4 \ che u haveme a Denaro quanta 8odisfattione al S. r Galileo? » Perù V. S. mandi a »ua j««tA , et i^r la prima volta farò io la scorta a (leppo. Poiché non ci è il Norcino, V. S dica v vuole eh.- »* le m.indi m.u*Uo Michel agnolo Coveri oerusico o il (. al-mini » i .u. ieru»i. • !.* ì.a n.>me di iv esser valente in cosi fatti mali. Le mando un rinvoltino di scntture ruinpamjnu di Vnirua prr In; at fra porto et gabella il procaccio ha voluto due giuli. Kt io tracio In uhm Di Fiorenza, 21 Feb.* 1633 l . Di V. 8. molto III. ‘ Obi ut-"* Sur." «*t Par mie (ieri [tocchine ri. Fuori : Al S. r Galileo Galilei, inio Sig. r Con uu rinvoltino. lu sua mano. 2890 * A .SCANIO PICCO LO MINI « GALILEO (m Arvtn). bica». Il febbraio 1*44 Blbl. Naz. Plr. Mm Ozi-, P. I. T. XI. cor. ti - Aulogrife .a MllM- nt Molto 111." S. r mio ()«*.■• Sabato mattina comporre qui tuia « con mpruoma «noi creali ■ no* mam. .li fiaschi di rerdea s.juisiik.ima, !.. ecnbttura di Suor Uu» Cet»te re¬ golatissime, e .sopratutto l'occhiale eccll.nu.imo. Io aou » da eh. farmi IACOrt» SALDAMI, ilio. Hattirta Vizxaoci, «*' Cfr. n.' 2NÌ6. '* CTr. •• • UM4 ^ 1M »U1« ImclM». 21 — 22 FEBBRÀIO 1034. 40 [ 2800-28911 ii ringratiarla, essendomi tant’eccesso di favori più tosto di mortilioatione clic d’altro ; ma come coso procedenti dalla bontà o gentilezza doll’animo suo, li promotto elio con gl'aiuici saranno goduto o gustato con ogni contentezza. Non so so V. S. harà saputo elio a’ giorni a dietro, noi tirarsi in Torre la campana (1) , si fi accorilo così presto i due travi elio reggevano il falcone, elio a io malo stento si potò ricalare la campana senza danno. Il ieri poi liavendo meglio assicurato lo cose, andò sì felicemente la campana su, elio in mono d’un’ liora o mozzo fu nella pergamena, sonzaohò nò quolla nò il Mangia pericolasse. 11 nostro Sig. r Rettore dell’Opera (2) ò uscito d’un grand’affanno, per quello elio ogn’uno si rivolgeva a lui, ch’liavossi lidato quest’impresa a un manovale; ma io gl’ ho sempre fatto animo. Io non so trovare meglio mezzano di lei por assicurar Suor Maria Celeste del mio vivo desidorio di sorvirla, franco d’ogni cerimonia : però V. S. m’lionori in questo come nell’altro coso, mentre per lino l’assicuro elio non ho nuovo di maggior gusto olio quello di sua saluto, nò altre più vivamente m’auguro che no quelle do’ suoi comandamenti. Di Siena, li 21 Febbraro lf>34 a N. u Di V. S. molto JLLl. ro Aff. Vero Sor. S. r Galileo Galilei. A. A. 0 di Siena. 2891. NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Pisa, 22 febbraio 1084. Bibl. Naz. Flr. Mas. dal., P. VI, T. XII, car. 15-1(5. — Autografa. Molt’lll.™ ot Eco.® 0 Sig. r c P.ron mio Col.® 0 T tartufi che mi ha regalato V. S. Ecc. mn son tanto bolli, che in qualsivo¬ glia luogo gl’ haveroi riconti per cosa sfoggiata, ma in questo paese poi mi son giunti come delizia miracolosa. Gliene rondo grazio infinito, conio fa anco il Sig. r Apollonii (s ’, qualo si pregia e gloria di esser nominato da loi, o mi ha im¬ posto elio io dova offerirlo, conio fo, a V. S. Eoe.®* per servo devotissimo del suo singoiar morito. Ci siamo mossi alla cerca di Messer Rocco (4) , e per ancora non 1’ hahbiam trovato ; ma trovato che l’haremo, tengo por fermo, che sicome l’opere di io V. S. Ecc. n,a ci hanno certificato che ne’ secoli andati non si era pervenuto alla suprema eminenza di sapere, così la lettura di Messer Rocco ci accerterà che nò anco si ora arrivato all’estrema pecoraggine. In tanto ci dà questa mede- m Ufr. n.° 2855. <*> Lattanzio Finkttj. XVL Apou.onio Ahom.oni. i“ Cfr. n.° 2818. 7 50 22 FEBBRAIO 1634. [2891] sima certezza la lettura (li Messer Scipione (i) ; e so Messer Rocco lo pareggerà, non farà poco. Habbiamo lotta e compresa quell’immensa balordaggine circa le macchie solari accennataci da V. S. Veramente non può essor più madornale nè più palpabil castroneria in tal materia. A suo tempo ce no varremo, come anco di qualunque altra cosa tale, che da lei venisse in detto libro notata. Lodovico mio fratello mi propone, in forma di problema, questo quesito : Come si potrebbe faro che una barca passasse a traverso un fiume di corso 20 velocissimo senza movere altro che il timone di detta barca? Qui io non veggo, mentre la barca sia esposta senza alcun ritegno al corso del fiume, che il timone possa operar niente, perchè nell’esser portata la barca dalla cor¬ rente il timone 0 l’acqua cammineranno con l’istessa velocità, e però 1* uso del timone sarà nullo. Andavo dunque considerando, so dando qualche ritegno alla barca, si potesse sodisfare al quesito ; et a me paro che se so la barca fusso infilata per prua nel cavo ab, in modo che ella potesse scorrer per detto cavo, all* bora potesse anco essere, che mo¬ vendosi il timone da ima parte, la prua do¬ vesse per il cavo scorrere verso l’altra, e così a poco a poco condursi da una riva all’altra. Non ho tempo di dichiararmi meglio, ma credo elio ella mi intenderà anco con questo poco. Desidero sentire il suo parerò ; e perchè 1’ bora è tar¬ dissima, e Gio. Batista Fioratti, lator della presente, hor bora monta in car¬ rozza e parto col procaccia, tronco, per non poter far altro, la lettera, 0 gli prego intera salute c prosperità, baciandogli con interno alletto le mani. 40 Di Pisa, il dì 22 di Febbraio 1633 m . Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. mft Ho indugiato a mandargli i cantucci, perchè pensavo poter havergli migliori ; ma è stato forza pigliargli come si trovano. Con la prima occa¬ siono di navicellaio, gl’invierò al Sig. r Dino (3) . Obblig.™ 0 e Devot. m0 S. rù Niccolò Aggiunti. Fuori : Al molt’ 111.*'® et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, Fil.° 0 Mat. co prim. io di S. A. Ser.™* Firenze. co <*• Soipionb Cnu rimonti: cfr. u.° 2326. ('•*> Diso I’eri. (*' Di stilo fiorentino. |28ttJMi8»8] 24 FEBBRAIO 1634. 51 2892 **. DOMENICO CITTADINI n GALILEO in Firenze. Siena, ‘24 febbraio 1634. Blbl. Naz. Fir. Mas. tini., P. I, T. X, cnr. 123. — Autografa. Molto HI. od Ecc. m0 mio S. r Col." 0 Quasi noli’ istesso tempo ricevei la gentilissima lettera di V. S. e quattro fiaschi di verdoa, mandatimi per parte di V. S. dal S. r Maestro di casa di M. r 111. m0 Arcivescovo (l) , quale mi ò stata in più conti gratissima, o per la sua squisitezza e per essere arrivata in tempo elio la potoi goderò con alcuni pa¬ renti, elio T istossa mattina elio arrivò orono a desinar da ino. Don ò vero elio la gola mi foco patir il fio di non voler contentarmi di un sol bicchcri, nò mi valse alzar il piedi, cliò la gotta so no sentì. No rendo a V. S. lo dolute gra¬ zio; nia vorrei elio sì conio ella mi accresco continuamente di obbligationi verso di lei, così mi dessi occasiono con i suoi comandamenti di qualche solliovo a tanti debiti. Insomma questa desiderata vecchiaia vion sempre in compagnia di inilio travagli: a tollerargli in pationza! Spero partir tra quattro o sei giorni por Poscia, o al ritorno far cotosta strada; quando non por altro, per vedore o riverir V. S., elio tanto stimo o tanto lo devo. E por lino facendolo rovoronza, prego somma felicità. Siena, 24 Fobb. 1633 w . Di V. S. molto HI. ed Eec. raa Devoto e Obb." 0 Sor." Doni .' 0 Cittadini. Fuori : Al molto 111. ed Ecc. m0 S. r mio P.ron Col. 100 11 S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 2893 *. MATTIA BERNEGGIAR a ELIA DIODATI in Ginevra. (Strasburgo], ‘24 febbraio 1634. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato nella informazione promessa al n.»2613, cnr. 109r. — Minuta autografa. Aolio Diodato I. C. Genevara. IIeri Tripponetus tnas mihi reddidit, eximic virorum, idemqne meas nel te sub finem nundinarum recto bo curasse dixit, nec dubitare quin inni eas acceperiu. Nihilominus pancia Ofr. il.® 1*885. <*> Di stile fiorentino. 52 24 — 25 FEBBRAIO 1G34. [2893-2804] repotam eariim argumentum, si forte, praeter spera nostrani, int.crceptac illae aut amissae fuiasent. Seri pai (1 >, curne raihi esso Gal il aci conversiouom, nec lamen adirne raultum ultra quartum libri partein praecessisso, remorantibus subindo diversis occupationibus nliis; cu- raturum autem me ut aestate proxima liber cxcudatur domi meae, et inni egisso cura bibliopola Franco flirt ano Clemente Sebi oidi, ut et impensas auppeditot et librimi diven- io dat; praefationem quoque confecturura ex animi tui sententia. Duina quoque nonnulla notavi, rogaviquo iuvares me in illis expediendis; quanquam pleraque ultro nunc asse- quor, ipse versionis progressi! et exercitatione doctior factus. Pag. 77, fin., quid est pietra S rena ?excidit hic littera typogrupbo. l'ng. 86, ni., quid est che tendono le pareli al communc ? (3) forte, qui popularcm auram eaptant. Pag. 87, lin. ult., et inox pag. scq., di mano in mano (4 \ nescio quid sibi velit. Pag. 88, lin., et 89, lin. 11, ombre tagli enti et 89, lin. 12, il taglio < ll) : sensum video, sed aptis verbis vix ex primo. Pag. 90, 7, ischicra^K Pag. 92, ined., velluti a operai : videtur esse nostro idioniate gettii'inbter sammet. Et inox velluto piano, itera crmisivo^l Do liberatione Gal il nei laetor, prò eo ac debeo, raaximopere. ltogo, incomparabili et 20 immortali viro moae in ipsmn observnntiae studiiquo suimni fidem farina. Quondam slu- d iosa in ei commendavi < 10 ) sub buoni anni praeteriti. Si vel paucarum linearum responsum obtitieo, tanti viri manus inter xEqxvjXta niilii crii. V. 14 Febr.M 1634. 2894. FULGENZIO MICANZ10 a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 25 febbraio 1634. Btbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, uar. 65. — Autografa. Molt’ IU. re et Ecc. mo Sig. r Col." 10 Conforme alla rissolutione clic mi porta la carissima lettera di V. S. molto III.” ot Ecc. ,,,n di 1.1, lio dato ordino all’ Ul. ,u0 Baitollo 1121 a Brescia che con- chiuda, se può, il negotio della pensione «olii scudi 45 overo anco 40, purché prontamente sodisfacia anco per li decorai: n’aspetto risposta. Non vorrei già che queste nuovo compositioni contro li Dialoghi dilungas¬ sero molto il piacere del godimento della sua persona, che mi ho fisso nella m Cfr. n.» 2854. (*' Cfr. Voi. VII, png. 110, lin. <3i Cfr. Voi. VII, pag. 118, lin. <" Cfr. Voi. VII, pag. 120, lin. <«• Gir. Voi. VII, pag. 121, lin. <°> Cfr. Voi. VII, pag. 121, lin. <71 3. (8) 27. IO) 8. IO. noi 5, 17. un 19. ot) Cfr. Voi. VII, pag. 122, liu. 14. Cfr. Voi. VII, pag. 125, lin. 3. Cfr. Voi. VII, pag. 125, lin. 5, tì. Cfr. n.® 2854, lin. 12-13. Di stilo giuliano. Looovico Baitki.u. 25 FEBBRAIO 1634. 53 [285)4] monto por il supremo olio mi rosti in questa vita. Li mandai il libro elei Rocco hoggi sono 15 giorni. Il vederlo in qualche stima me l’ha latto leggero tutto io questi giorni: ho ricevuta molto minor sodisfaitiono elio non erodevo, perchè sobone 6 rigido pori patetico, ò però stimato ingenuo et lumino di buono senso anco in altre coso. Maladotto interesso di Corto, elio fa perder l’Immanità, non elio la civilità. Non veggo noi suo discorso altro elio discorsi verbali e topici contro il sodo dell’opora di V. 8., e lo eonfutationi ove più premo mi paiono tutto fondato in suppositioni di quello elio si disputa. 0 elio non intendo ciò elio no’ Dialoghi sia cielo, o elio fingo queirantica e rancida copulata o scato¬ lata alla tedesca, ove lo scatole stanno chiuse o sode dentro runa l'ultra, por haver bel campo di sillogi/.aro ; et ha opinione, che ovvonquo si movo un corpo, ci lasci, come, la lumaca, un altro corpo. NIi è parsa ben goffa, ridicola e pazza •_’o 1’ iinaginatioiie, elio un globo elio fosse mosso per moto retto non possi darò nel circolare so non trova un corpo sopra cui, per la rossistonza al passar ol¬ ire, acquisti il moto circolare: filosofia imparata dal trottolo o ruzzola. A que¬ sto modo li globi celesti por moversi hanno bisogno di terribili tavolazzi. Il pensiero di V. 8. di non far altro elio noto brevi o marginali al libro mi piace, o si potrà far ristampare con quelle. Ma perché in alcuni luoghi la margine non bastarà, direi che facesse legare il libro con alcune carte bianche fra mozo li fogli, chò così haverà comodità di notare il puoco o ’l molto, e puoi si risolverà. K però conveniente itelli Dialoghi che propara, far una buona passata sopra la creanza do’ pedanti. È V. S. const.ituita in posto, che por 3o necessità devo servir alla sua gloria, che non può mancare, et all’avanzamento della filosofia; et in amonduo ò tanto manti, che non vi ò più potenza che vi si possa opponero. Quell’altro Giosnita (|1 , che fa nuovi articoli di ledo, non è ancora com¬ parso qua: ho ben curiosità che ci sia portato. Ma egli farà più beretici elio conversi. Il Sig. r Arguii (S) , Mathematico di Padova, ha fatte alcuno lettioni delle ma¬ chie solari, portando ragioni che siano elovationi tratto dalla luna; mi vengono lodate por gentili. li’ ICcc. rao Vonier 13 ' con ciera giocondissima riceve, le sue salutfttioni, che 40 rendo con sommo allctto. E con tal lino a V. 8. molto 111.” et Fcu. lu * bacio le mani. Voli.*, 25 Kob. 0 1634. Di V. S. molto 111."* ot Ecc. raa Dev. m0 Ser. r< * F. Fulgentio. Ui Aìri.ohiokrr Inohokkr: cfr. n.° 2801. <*• Anduka A ruoli. < S > SlSBAaTIAiiO Vkniku. 54 25 FEBBRAIO 1634. [ 2895 ] 2895 *. MATTIA BERNEGGIAR a GUGLIELMO SOHICKHARDT in Tubinga. Strasburgo, ...-25 febbraio 1634. Kgl. Lanclesbibliothck in Stuttgart. Coti, citato ni n.° 2665, car. 19. — Autografa. -In trasferendo Syatemate Copernicano non multum ultra qnartam parteni progressus sum oli alias curas et niolestiaB, quao fatali quadam infelicità!c studia mea subindo remorant,tir. Sed posthac festinandum erit inagis, admovento stiniulos Diodato nostro, qui scribi!., librum in Italia proscriptum esse, autorem Sienao honorario carcere domo Episcopi custodiri. Proscriptionis formulam una mitto, sed romittendam. Extat in (ine novorum. Vide quo stultitiae devenerint isti purpurati Patres. Sed non patiemur, opus praeclarum bono publico subtrabi. Rogo itaque, ne de proniissa censura correctio- neque trauslationis sententiam mutes. Ex quo Gallicae copiae in has oras venerunt, itinera minus infesta sunt quam dum Succi, seu potius Suecienses, omnium potircutur, praedatorcs ipsi terrae quam a praeda- io t.ione vindicare debebant. Forsan ergo mittam nunc una cum scripta tum impressa, qua- tenus conversa sunt. Deliberabo tamen : cum enim hoc unicum exemplar Germaniam viderit, nec aliunde recuperari possit, nolim amissionis periculum adire. Pro necessitudino mutui amoris et prò humanitate tua facile obtineri abs te patieris, ut emendes omuia liberiime. Yidebis subinde haesitantcm ac nonnunquam turpiter impingentem imperitia astronomiae, quam et initio loviter didici, et per tot annos mngnam partem dedidici; nisique tu te Schickardum hic praeates, non tara existiniationi meae (noe enim patiar ut me interprete™ esse pubi ice constet) quam autori ipsi et eius operi male consuletur. Praecedentia scripsi ante pluscnlos dies.... Hortante D. Clutenio! 1 ) nostro, ausus sum mittere Galilaica. Sed nova illa, in quibus proscriptio libri, iara non in proniptu sunt 20 milii: venicnt proxime. Quaeso te, magne vir, Galilneum curae liabeas. Dn. Diodatus scripsit ad me nuper, Galilaeum ante aliquot septimanas pristinae libertati restitutum, Florentiam ad suos salvum rediisse. Debebam conversa denuo inspicere: multa enim sunt quae, iam exercitatior, melius intelligo. Tabellario satisfeci, nec voi obolum deinceps abs tc hoc nomine velim exponi. Pro censura et labore gratus ero. Vale, charissimum caput. Scripsi Argentorati, d. 15 Fobr. (*> 1684. M. Bernogger. Fuori: Dem Homi Wilhelmus Sohikardt, Vornehmen Professori d. Universitat zn Tttbing, meinem grossgunstigen Herrn und bochgeehrten Freundt, einzuliiindigen. Der Bott ist bezahlt. Ttlbingen. 80 <‘l UlOAOCUINO Cl.U'l'KN. ,S| Ili stilo giuliano. [2890-2897] 28 FEBBRAIO 1034. 65 2896 **. ALESSANDRO MARSILI a [GALILEO in Arcetri]. Siena, *28 febbraio 1634. Blbl. Naz. Plr. Mss. Oal , P. I, T. X, car. 127. - Autografa. Molto 111.” et Eccl. m0 Sig. mio Oss.® 0 Clio nello comuni allegrezze del carnovale venga con questa a salutarla, riceva V. S. per segno elio non vogli scompagnare dalli altri questo contento di godere almeno per lettere della sua grata conversationo, mentre non lo posso, come desidererei, fare di presenza. Mi assicura poi la sua gentilezza di essere mantenuto tra il numero do* suoi più cari, poiché quella, come eflicace, la corre più pronta a favorire e sollevare dove trova scarsezza maggiore. Qua poi co no andiamo con le nostre lettioni deb il monto, e tra la moltitu¬ dine dello oppinioni do’ principi naturali a me avviene non trovare principi, sì io elio affogo nella abbondanza. Lei poi, si come abbondo di obligationi, non mi renda scarso do’ suoi comandamenti. E li fo reverenza. Di Siena, il 28 Fornirò 1633 u) . Di V. S. molto 111." ed Eccl. ma A\l m0 Sor" et Oblìi.■ # Alosandro Marsili. 2897 *. 610. MICHELE L1NGELSI1EIM a MATTIA BERNEGGElt iu Strasburgo. Heidelberg, 28 febbraio 1634. Balla pag. 64 doli’opera citata noli’informazione premessa al n « 2646. _Keniitto 1 * 1 Tribunali» Sacri sententiam contra Galilaeum. Quam foede se immiscet sacra coliors in decisionem controversiae pbilosophicao! Gaudeo id tibi incitamento esse mi urgendura opus tuum; in quo gnavitor porge, gratum facturus omnibus veritatis stu- diosis .... Heidelbergae, 18 Febr.1634. «*» DI stile fiorentino. <*> Cfr. n.° 2881. <*> 1)1 stile giuliano. 5G FEBBRAIO — 4 MARZO 1634. [2898-281)9] 2898 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE in Parigi. [Amsterdam, febbraio 1G34J. Da Oeuvre » (lo D uso a irrita, publiéos par Charles Adam ot Paul Tannery sona los auspico* du Ministèro do l’Instruction Publiqne. Corrospondance, I. Paris, Léopold Cori', Imprimonr-éditour, 1897, pag. 281-289. Mon Reverend Pere, Encore que ie n’aye nucunc chose partienliero A vons mander. tontesfois, A cause qu’il y a desia plus de deux moia quo ie n’ay recen de vos nouvelles, i’ay e.reu ne devoir pns attcndre plus long-tenips à vons écrire; car si io n’nvois cu do trop longnes preuves de la bonno volonté que vous me laites la faveur de me portar, polir avoir nudine occa- sion d’en dout.er, i’aurois quasi peur qu’elle ne f'ust un pcu refroidie, depuis que i’ay manqué à la promesse que ie vous avois faite de vous envoyer quelque cliose de ma Philosophiei 1 ’. Mais d’ailleura la connoissance que i’ay de votro vortu, me l'nit esperer que vous n’aurez que meilleure opinion de moy, de voir qtio i’ny voulu entierement. sup- primer lo traitté que i’en avois l'ait et perdre presque tout mon travail de quatre ans, 10 pour rendre uno enfierò obeissauce A l’Eglise, en ce qu’clle a deffendu l’opinion du mou- vement de la terre. Et toutesfois pour ce que ie n’ay poinf, encore vù que ny lo Pape ni le Concile ayent ratifió cette dol'ense, faite senlement par la Congregafion des Cardinanx est.ablis pour la censure des livres, ie serois bien aise d’appvendre ce qu’on en tieni, maintenant en Franco, et si leur anthoritc a esté suflisante pour en fairo un article de foy. lo me suis lnissó diro que les Iesuites avoient. aidé A la condamnntion de Caldèe; et tout le livre du P. Scheiner mon tre assez qu’ils ne soni, pns de ses amia. ATais d’aillours Ics observations qui sont dans ce livre, fournissent tant de preuves polir oster au soleil Ics mouvomcns qu’on lui attributi, que ie ne seaurois croire que le P. Scheiner mesme en son amo ne croye l’opinion de Copcrnic; ce qui m’étonne de felle sorte, que io n’en ose 20 écrire mon sentimont. Pour moy, ie ne chcroho que le repos et la tranquilliti; d’esprit, qui sont des biens qui no penvent estre posso.dez par ceux qui ont. de l’animosité ou de Pnmbition; et ie ne deiueure pas cependant sans rien l'aire, mais ie ne pense pour main- tenanfc qu’A m’instruire nioy-mesme, et me iuge fort peu capable de servir A instrtiiro les nutres, pvincipalement ceux qui, ayant desia acquis quelque credit par de fausses opinions, auroiont peut-estre peur de le perdre si la verité so découvroit. 2899 *. DINO PERI a GALILEO in Areetri. Firenze, 4 marzo 1634. BIbi. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11.» J/XXXIV, n.» 177. - Autografa. Molto 111.*® et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col." 10 Il fiasco serrato con lacca vione dal Sig. r Niccolò 121 ; l’altro viene d’altro luogo, con titolo di malvagia : goda l’un e l’altro V. S. Ecc. ma a mio favore. U «o Cfr. il. 0 2797 ,s > Niccoi.6 Acmi uteri. 4 — 5 MARZO 1034. 57 [2899-2900] vino del tìaschctino, quando a lei o alle suo Monachino paresse boihile, si trova in una botticella d’un amico, e 25 o 30 fiaschi saranno a sua roquisitione. M’ è parso eh* olla hahhia commodo di fiaschi voti ; quanti ella me ne mandasse, tanti farò empiere e consegnare a V. S. Ecc. ma Le fo reverenza humilissima, e con alletto ossequiosissimo o singolarissimo lo bacio o ribacio mille volte le mani. Firenze, 4 Marzo 1633 (1> . io I)i V. S. molto 111.” et Ecc.'" a Oblig.“ # o Devotiss. 0 Ser. Dino P. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig/ o P.ron mio Col." 10 il Sig/ Gal. 0 Gal.* In villa. Arcetri. 2900 . NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Pisa, 5 marzo 1(534. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 27. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. mo Sig/ e P.ron mio Col." 10 ITo lotto con tal sentimento di cuore i suoi travagli, elio sono stato tutti questi giorni, o sto di presente, grandemente turbato. Principalmente mi duole la nuova di Suor Maria Celeste; so l’affetto paterno e filiale che tra di loro passa, so l’altezza d’intelletto, l’accortezza, prudenza e bontà di che ò dotata la sua figliuola, e non vorrei in modo alcuno che quella che gli è stata unica e soavissima consolaziono de’ suoi travagli, hora, mancando, gli desse materia d’ineoosolabil pianto. Con tutto ciò in ogni caso di humana necessità bisogna più tosto che ci mostriamo grati e contenti di quella parte di bene elio ci è io stato conceduto, che afflitti et impazienti di quella parte elio ci vien tolta. Piaccia non dimeno a Dio benedetto non solamente di non torre a V. S. tanto bene, ma di accumulargliene almen con qualch’ altro degl 5 infiniti da lei meritati. L’altra nuova della malvagità romana, sempre più ostinata et infellonita, oltre al dolore, mi ha suscitata un’amarissima bile elio internamente mi trava¬ glia ; e ’1 travaglio si accresce nel saper che il vomito è pericoloso, o bisogna per forza vivere col cuore pieno di tanta amarezza, e tacere e soffrire. V. S. può in qualche parte consolarsi, che una tanta indignità è conosciuta; e so ella seguiterà con la sua solita costanza di animo a sostenere la tirannica pertinacia do’ suoi avversarii, lascierà al mondo, tra l’altre sue eterne memorie, anco 20 questo memorabilissimo esempio di equanimità e sofferenza. <0 Di stilo fiorentino. XVI. 8 58 5 7 MARZO 1034. [3900-2901] Tra lo lezzioni pubbliche o private, tra lo brighe interpostisi inopinata¬ mente, o tra i disturbi dell’animo, parte non ho limito tempo, e parte non ho liauto attitudine, al far quella lettera; ma per quest’altro ordinario la manderò infallibilmente a V. S. Ecc. raa , quale ringrazio di quanto mi dico acciò elio io possa servire il S. r Pr. Mattias' 1 ’. 11 mio ritorno non può liaver maggiore stimolo che il desiderio di V. S. ; però sia certa che sarà quanto piò presto mi sarà permesso da’ superiori. V. S. mi continui la sua gratia o benevolenza da me sommamente stimata e desiderata. Lo bacio le mani e prego felicità. Pisa, 5 Marzo 1634. Di V. S. molto 111.”» et Eco.™ Obblig.* 0 e Dev." 0 S." Nicc/ Agg.‘ Jfuori: Al molt’lll. r0 et Ecc.“° S. r e P.ron mio Col.® 0 il Sig. r Galileo Galilei, Pii/ 0 e Mat.®° primario di S. A. S. Firenze. 2901 *. GALILEO ad ELIA DIO DATI [in Parigli- [Arcotri), 7 marzo 10.14. Bibl. Nazionale in Parigi. Fondi framjais, n.»953l, car 113.— l»i mano «im i. uà S* n. li» un’altra copia, di limilo «l’imo degli amanuensi del Prirksc o con correzioni di qu.-.fultimo (. fr n * *14, lin. 8-tì), nel nis. della stessa Bili. Nazionale in Parigi. Fonda lhij.uy n ■■ 390. c*r. 1«; n dello liti. 11 I.’». 80 87 sono cinquo copio (con alquanto modificazioni noi tosto), di umiio di Yixckxxio Viruxi o di un suo amanuense, nei fllss. Galileiani della Bibl. Nazionale in Firenze. P. V, T. VI, car. 'dir., 67r. 75r., 84#-., 145r., tra gli appunti raccolti dal Yivuni per compilar.- il suo fa™ degli F.mmù d'Euclide OCC. Aggiuntevi cose vurie e del Galileo e del Torricelli, ragguagli deli'ultime /om. ivr In Firenze, alla Condotta, MDCLXXIV : in capo a duo di quatto copio (car. 7ór. • 8 1 . -»i l.-ggo di mano dello stesso Vivunr, «Risposta ad una do’2 Febbraio procedente, la qual» manca •. l'al manoscritto Fonde francai», nA 0681, la presente (li esemplata da itoci Liai.no I.inai, e la . qua di ««li¬ mano è nella Bibl. Nazionale in Parigi, Nour. acq., mi. fr., n » 3-.N2. car. 71 72. Noi abbiamo pn*» - u fuudnuiento della nostra edizione la copia Fonde frangeste, n.* OSSI, chi* ci parte la più corretta nono¬ stante alcuno mondo, quasi tutto formali, laddove la copia Fondi Du/uy ha errori più gravi. Cliia mando la prima copia A o la seconda JJ, annotiamo appio di pagina lo lezioni di A che . nicn liaia.. nel testo o che si dove intenderò che sono corretto con l’appoggio «li li, quando non ia e*pre.*.iuieut. indicato elio con A concorda anche B. Vengo bora alla sua lettera: e perchè ella replicatameli! e mi do¬ manda qualche ragguaglio de’miei passati travagli, non posso se non sommariamente dirgli, che da che fui chiamato a Roma sino al pre- Lett. 29 00. 27-28. da sommamente — JLett. 2901. 2. di miei, A — I ' 1 .MaTTIAH BE' MEDICI. 1*29011 7 MARZO 1634. 59 solite, sono, la Dio grafia, stato (li sanità, meglio elio da molti anni in qua. Fui ritenuto a Roma in carcere 5 mesi, e la carcere fu la casa del Sig. Arili), di Toscana, dal quale e dalla Signora sua con¬ sorte fui visto et trattato in modo, che con affetto maggiore non avrebbero potuto trattare i padri loro. Spedita elio fu la mia causa, restai condennato in carcere all’arbitrio di Sua Santità, e fu la car¬ io core il palazzo e giardino del G. Duca alla Trinità de’ Monti per alcuni giorni, ma pur permutata poi in Siena in casa Monsig. Arcivescovo, dove parimenti stetti 5 mesi, trattato da padre di Sua Sig. a 111 * et in continue visite della nobiltà di quella città; dove composi un trat¬ tato di un argomento nuovo, in materia di meccaniche, pieno di molto specolazioni curiose od utili. I)i Siena mi fu permesso tornarmene alla mia villa, dove ancora mi trovo, con divieto di scendere alla città; o questa esclusione mi vien fatta per tenermi assento dalla Corto et da i Principi. Ma tornato alla villa in tempo che la Corto era a Pisa, venuto il (I. Duca in Firenze, 2 giorni dopo il suo arrivo mi mandò ~'u uno stallieri ad avvisare come era per strada per venire a visitarmi, e moz'hora dopo arrivò con un solo gontilTiuomo in una piccola car¬ rozzina, e smontato in casa mia si trattenne a ragionar meco in ca¬ mera mia con estrema soavità poco manco di 2 hore. Stante dunque il non aver patito punto nello duo coso che sole devono da noi esser sopra tutto l’altre stimate, dico nella vita e nella reputazione (conio in questa il raddoppiato affetto dei Padroni o di tutti gl* amici mi accertano), i torti e Pili giustizie, elio l’invidia o la malignità mi hanno machinato contro, non mi hanno travagliato nè mi travagliano. Anzi (restando illesa la vita e l’onore) la grandezza dell’ingiurie mi è più «o presto di sollevamento, et è come una spetie di vendetta, o l’infamia ricado sopra i traditori ot i costituiti noi più sublime grado dell’igno¬ ranza, madro della malignità, dell’invidia, della rabbia e di tutti gli altri vizii e peccati scelerati e brutti. Bisogna che gl’amici assenti si contentino di questo generalità, perchè i particolari, che sono mol¬ tissimi, eccedono di troppo il potere esser racchiusi in una lettera. Di tanto si contenti V. S., e si quieti e consoli nel mio essere ancora in stato di poter ridurre al netto lo altre mie fatiche e pubblicarle. fi i/nnllt, A — 8. pattalo, A — IO. polonio. A, B — 12. fleti, A, B — meri da padre, A. Le copio (lol T VI della 1*. V dui Mss. Cai. hanno tutte imitalo da jndre, trnnno quella a car. 84 (di mano dello stesso Viviasj), doro pnr manca (radalo. — 18. conponi, k — 15. utile, A — 2-1. de rum/, A — 30. tolevamenlo, A — •pene, k — 88. peculi, A — 35. rinchiuti, B — 60 7 — 10 MARZO 1034. [2901-2902] L’avviso che tiene V. S. d’Argentina (l) , mi è piaciuto assai, e ri¬ conosco l’onore dall’intercessione et indefessa vigilanza sua. Harei Lauto gusto che ’l inio Dialogo fusse capitato in Lovanio in mano io del Fromondo <2) , il quale tra i filosofi non assoluti matematici mi par dei meri duri. In Venezia un tal D. Antonio Rocco ha stampato in difesa dei placiti d’Aristotele, contro a quelle imputazioni che io gl’oppongo nel Dialogo <:,) : è purissimo peripatetico, e remotissimo dall’intender nulla di matematica nò d’astronomia, pieno di morda¬ cità e di contumelie. Un altro J esilità <4) intendo bavere stampato in Roma per provare la proposizione della mobilità della terra esser assolutamente eretica; ma questo non l’ho ancora veduto. 2902 *. LODOVICO BAITELLI a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Brescia, 10 marzo 1634. Bifol. Naz. Flr. Mss. Gal., P. YI, T. XII, cftr. 58.— Copia di mano doli’amanuense da cui fu scritta la lotterà elio pubblichiamo sotto il n.° 2907. In capo alla presonte copia si logge, dolla stessa mano: «Copia». Essa formava originalmente il socondo foglio dolla citata lotterà n.°2907: cfr. ivi, lin. 2. Molto lll. r0 et Rev."'° Sig. r mio P.ron Col."’ 0 Sarò parso a V.P. Rev. m * negligente e nell’operare o noi rispondere nel nogotio commessomi del Sig. r Galileo <*>. Li debitori per l’ordinario sono tardi al risolvere di pagar quello che devono: per quanta sollecitudine io babbi usata col Mansionario Arisi W, L’ho potuto far poco frettoloso a danni l’ultima risposta; grafiuri della Ser. ma Repu- blica e de’ Prencipi gl andi non hanno tanta gravezza o tardità di moto, riabbiamo con quell'huotno rivoltati sossopra mille conti et mille sue pretensioni; ho voluto prender informatione minuta d’ogni particolare: in parte sono restato sodisfatto, in parte mal sodisfatto, in tutto poco sodisfatto della sua persona, et poco è mancato due o tre volte che io non habbia perduta la patienza. Pur alla line l’ho condotto nelle sottonotate con- lo ditioni, le quali egli professa che siano l’ultimo degl’ultimi, et che non potrà far più. Pagherà ogn’ anno scudi 40 all’anno da £ 7 per scudo in due rate, corno anco sta la pensione, cioè di Marzo e di Settembre. Quanto alle annate scorse, non vorrebbe pagar niente per l’anno della tempesta, nel quale veramente son informato che non ha fatto raccolto, e nondimeno ha sodisfatto agl’oblighi. 47. Roma in provare, A — < 1 > Intontii, (lolla traduzione del Dialogo dei < s > Cfr. Voi. VII, png. 571. Massimi Sistemi alla (pialo Mattia Ukkkkgokk stava **» Cfr. n.o 2801. attendendo in Strasburgo. •*> Cfr. n.® 2894. <*! Liberto Pkoidmont. <•’ Gio. Battista Arici. 10 — 11 MARZO 1034. Gl [2003*2908] Del resto pacherà a ragione di scudi di', come di sopra. Dice che ha pagato a tal conto un’annata, cioè trenta ducatoni; che da qui a Tasca di Kessurrettioue sborderà 40 scudi per un’altra annata. 80 Et che la pensione di quest’anno ni sodisfarà tutta in Settembre. 11 debito comincia del 1631. Verrebbe in questo modo ad haver franco l’anno della tempesta, qui cornniune- mente rilasciato. lo non ho quanto ne resterà V. I\ Itev."* servita. M’avisi se vi è difficoltà: procurerò di superarle, quanto «arà in me, con ogni spirito. So a caso lo piacessero, por stabilirlo vi vorrà procura. Attenderò nuovi commandi. Supplico V. T. Rev.®* a non argomentare dall’rasitn di questo negotio il desiderio che ho di servirla: ho che fare con un prete acutissimo, in tempi veramente in queatc nostre parti pemiriosissimi; ella hh la debolezza mi». Nell’effetto che ha havuto, merito d'esser compatito per defletto d'auttorità; nel rimanente non cederò a chi si sia. dove so pensi di poterla servire, llumilmonte a V. T. Uev.“* m’inchino, supplicandola della solita da me pregiatissimi! gratia. Brescia, li 10 Marzo 1634. Di V. T. molto All. r * et. Hev. m * Dovotiss." et. ObligntisR . 0 Ser. ra Lodovico Baitelli. 2903 **. FULGENZIO M10ANZI0 a GALILEO in Firenze. Venezia, 11 marzo 1684. Cibi. Nar.. Plr. Uhi. Hai.. P. VI. T. XII, car. 60. — Autografa. Molt* 111. 1 * et Ecc.“° Sig. r , Sig. r Col. 0,0 Con la sua gratissima di 4 ricovo T appostala 75. 1/ho subito letta con sommo gusto o riso. Veggo che saranno postille pieno di boi sali, ma, elio più importa, di saporitissime nuove dottrine. La prego comunicami ile, perchè io ricevo dale coso (sic) tutto il gusto che posso ricercare noll’oporo d’altri vanamente. 11 suo Dialogo, stia sicura, sarà posto in tutto le lingue. Ma eonvione partorirli li fratelli. La postilla è la 75. Io credo che di quelle potromo far un libretto ; et come lo habbia, lasci puro la cura a me, cliò le farò vedere. Ma perchè non le doreremo stampare? Veggo che V. S. non ha perso niente della sua vivacità, io e che nell* insegnare sa ancora far arossire li balordi et insolenti. Io ho tanta gola a queste appostille conio ai Dialoghi, perchè credo che ’l S. r Rocco voglia desiderarsi digiuno dall’ irritare lo vespe. Aspetto dimani, o forai anco hoggi al tardi, il finimento doli’affare della pensiono (1 '. Del Sig. r Argoli tf) non intesi altro, so non che in certo almanaco «»> Cfr. n.o 2m, lin. 8-6; n.» O) Cfr. u.° 28U4, liu. 30. 62 11—13 MARZO 1634. [2903-29041 stampato si dice eli’ egli iri alcuno lottami ha sostenuto, lo macchie del sole essere elovationi cavate dalla luna. Lo vidi alla slugita, me lo raffermò. La prima volta che venga a Venetia, ancor io ho gran curiosità di udirò i suoi sentimenti : egli certo è galant’ huomo. E con tal tino a V. S. molto 111.™ ot Ecc. raa bacio lo mani. Ven.% 11 Marzo 1634. 20 Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Dov. rao Sor. S. r Galileo. F - Fulgentio. Fuori, d'altra mano: Al molto 111." ot Eccoli. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Uol. ,uo 11 Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 2904 *. GUGLIELMO S0HI0K1IARDT a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Tubinga, 13 marzo 1634. Unita paif. l'Jl doli’opera citata nell’ informazione premessa al n.° 2683. Wilh. Schickardus Mattli. Berueggero Sai. et observantiam. Vir. Clariss., amicorum Eminentissime, Galilaica lucrimi mihi visu lectuque multo suavissima. Stupui tamen ad primum aspectum, quod presentissimo viaruni periodo sis ausus tani raruni exciuplar commit- tere. Nimirum vicit amor mei (quem agnosco et grattini liabeo); sed non debuisses, cu- riositatis meao causa, periculum illud adire: iam enini consequilur ut angar, doneo re- sciscani probe redditum esse, ac tabellarii singulos gressus interini solicita mente metinr. itaque moneo no in caeteris idem audeas, maxime cum ad editionis ornatimi tenuitas ntea nil conferre possit. Nani quod censuram praetexis, id nimis benigno adeoque tuo io more facis. Quis ouini ego sum, ut te doceap italico? Sus Minervam! nimia et prope- ìnodiiiu incivilis modestia tua facit, ut magnitudinem ingenii proprii et nescias et scirc nolis. Sed crede mihi et aliis, de te multo praeclarius sentientibus, lice mendacii argue publicam lantani. Gavillator inerito videri possem, si qnicquam iu erudita translatione tua carperem. Nec dubito quin ea loca quae signis notasti, roleotione altera, cuoi post i nter vali uni velut ad aliena fueris reversus, ipse nullo negotio anirnadvertas ; quale, v. g., istmi statini in p racla tiene: il rimettersi ad asserir etc. 11 >, quod, coni inere se ab assensi! slabilitatis terre, et appreheudere contrarium velut ex quadani opinatione mathematica, non inde unscatur quasi non habeatur cxploratum quid alii senserint, sed etc.; item fro- Cfr. Voi. VII, pag. 30, iin. 24 o sor. 13 — 18 MARZO 1634. [2904-2905] 63 20 quens illud additar M prò indignare, quasi digito demonstrare; vaghezza pio lenooinio; sciocchezza {a) prò nugis ; palco ( *>, ein balde, nach dem teutsohen, nini vereris in pulatio Sagrali, magnifico strneto, ullas apparuiase tralu*B. Ecce vero quam feliciter lusoriam phrasin cambiar le carte in mano (5) asaecutuB e»? quam ego Bine tuo indicio nunquaiii intollexissem. Quid imiltis opus? Tu is UerneggeriiB oh, qui t ibi hu ilici» ipae, non indigus cuiusquam Schiokardi. Unicum tatnen, si in aulhentico ipso mutare fu» esset, cupereui: scheinata significantins pingi, veri), gr., lol. (ì solidaH linens, ut ex umbranim rntiono appareat. evidontius trina cUmonaio, quae in plano monogramma!» intelligitur difRcul- ter (0) . Imo liaec potili» dico, ne niliil dixis«o ani non legisso videar. Quoti vero tu que- reris, variis te occupationibua toties in divorami 1 rubi. hoc idem evenit. milii quoque 30 crebriiiB quam vollem, et mine quoque, ut. et bue de cuubu Bini brevior. Vale I elici ter, \ ir ClariBBime. Tubing., d. 3 Martii :7) , an. 1634. 2905 **. 010. GIACOMO B0UCI1AR1) a CAI,ILEO [in Arretri]. Roma, 18 marzo 168-1. nibl. Ne*. Fir. Mas. flal.. P. VI, T. XII, car. 59. Autografa. Molt’ IH." Sig. re o rad."" 0.ss. ,no Saranno tre mesi elio mi fu ricapitato dal librarti dol Solo di "Roma un piego di V. S., dove orano multiuso duo lettore: l’ima, per il S. r G. I umilio Gloriosi, la (pialo gli mandai subbito; ot l’altra ora risposta a quella ch'io le scrissi alli 13 «T Ottobre**’ per via del S. r S. to Amante' 91 : il quale mi rallegro sia stato di gusto a V. S., assicurandola elio dotto Signore altresì sia restato sopraproso dalla sua cortesia ot daU’eceellonti parti del suo divino ingegno. Ma mi ò sopra modo rincresciuto elio la libertà le sia stata levata insino al par¬ lare: Xiyoz y^P èoxiv XÓ7nj4 epàppaxov pive*: ancora ch’io ni’ imagini che la lo io potesso faro con ogni sicurezza con quelli li quali professano d’essere galan- tilmoniini et di più servitori suoi particolari; delli quali voglio che la sappi O) Cfr.Vol.VII, |>. 38, li». 24; p. 39, lin. 28, ecc. (*> Cfr. Voi. VII, pag. 85, lin. 9. < 3 ' Cfr. Voi. VII, pag. 85, lin. 91. (*» Crr. Voi. VII, pag. 87, lin 10, 14. (»' Cfr. Voi. VII, pag. 40, lin. 20. (°) I,a figura puramente schematica dello tre dimensioni (cfr. Voi. VII, pag. 37) fu, conformo al suggerimento dolio Sohiokiubdt, trasformata dal Bua- situo kr In altra, nella quale lo tr.- lineo sono sosti¬ tuito da tre parnllolopipedi ombreggiati. Cfr. Sj/iirma Cotmicum , authorc G ami.* ito Oamt.aki Lvncoo, Aca- domiao Pisana» Matliematico oxtraurdinario. Sor.mis- siini Magnl-bucia llotruriae Philosopho ot Mathema- tico primario, in quo quatuor dialogi» de duobui vienimi» mundi »y»ttmalibu» Ptoletnaico et Copernicano, utriusque rationibu « philoeojihiei» ae nnturnlibu» inde¬ finite propiniti», ili»»' ritur. Kx italica lingua latino conversato. Accessit appendi! gemina, qua SS. Scrlp- turae dieta cum terne mobilitato concilinntur, occ. Auguatae Treboc., impensis Klxoviriorum, typis I)a- vidis IlauLti, alino 1635, pag. 6. * 7 ‘ 1)1 stilo giuliano. (*) Pensiamo che il BoOchard non citasse esat- tomento la data della sua lotterà, la quale sembra esser quolla da noi pubblicata sotto il n.° 2677. < 9 ' Maro'Aktonio Gukraruo di Satkt-Amant. 64 18 MARZO 1634. [2905] die mi preggio d’essere aneli’ io, ot la supplico di voler conio tale trattarne liora mai con più libertà. E confidandomi di potere ottenere questa gratin dalla sua generosità et gentilezza, la supplico die mi voglia tanto favorire che d’av- visarmo del modo eli’ io potria tenore per comperare uno o duoi di suoi ultimi Dialoghi et farli venire qua sicuri; ma sopra tutto desiderarci elio lusso per via occulta, che non si potesse poi sapere. So venisso mai a salutarla con mie lettere qualcho gentilhuomo Francese, il quale andasse di Firenze a Roma, «aria bonissima strada; o veramente la si potria servire di quella del S. r0 G. Battista Doni o Antonio Nardi, gentilhuomo Aretino, col quale so che la tiene corispondenza, 20 et il quale è amico mio particolare. Però mi rimetto del tutto alla sua prudenza. Invio a V. S. questo piego (l) , lo quale m’ è stato mandato da M. r Gassendi per via del S. r Poiresc, essendomi stato raccommandato da tutti duoi molto caldamente, acciò le fosse ricapitato in man propria : però ho aspettato qualche tempo per trovare strada sicura, quale mi sono imaginato elio doveva essere quella del gentilhuomo latoro della presente: arcavias ì\ uatàeuacc; fyiipouc; 7roisr. Detti Signori mi scrivono elio caso elio V. S. si compiaccia di dar loro rispo¬ sta, la me l’indrizzi per le vie già di sopra accennate o altro sicuro; di che la supplico volere prima scrivermi lettera d’avviso particolare, et il più presto che lo sarà commodo, acciò eh 1 io sappia s’il piego le sarà stato recapitato : :io et potrà mettere detta lettera d’avviso o alla posta, o veramente più presto nel piego del S. r Antonio Nardi. Non m’imagino potere finirò questa por nuova più grata a lei di quella dell’ inventione d’imo horologio, dove 1* fiore vengono notate da una certa ra¬ dica, la quale per proprietà naturalo si va movendo continuamente col solo deli’ istosso suo moto, posta che sia in libertà dentro all’acqua. Un tal Giesuita Tedesco, arrivato a Roma da poco tempo in qua, il quale si domanda P. Ana¬ stasio, il’ è stato l’inventore w . Egli confessa nondimeno 1 lavorio cavato da certi autori Arabi, essendo detto Padre molto versato nello lingue orientali. Non dubito elio V. S. col suo sublime intelletto non rechi un giorno da questa in- -io ventiono qualcho utilità grande al mondo, benché bora mai fatto indegno di così fatti suoi benoficii; ma so elio la si contenta del premio, il quale mai può mancare ai pari suoi, inventas qui vitam excóluere per artes. E con questo felice augurio lo basciarò humilmento lo mani. Di Roma, a dì 18 di Marzo 1634. Di V. S. molto 111.™ Devotissimo Servitore ÀI b. r Galileo Galilei. Gio. Iacomo Boccardi. IiCtt. 2905. 21. prundenza — 40. Di V. molto — 1,1 u.°2851, liti. 2G-27; n.® 28C1), liti. 1-2. titum, ecc. Sumptibus Horiuanni Sclieus, sull stiglio Atanasii Kikohriiii, tuldensis Ruchonii, o Roghine. Rolline, ox typograpliin Ludovici (inguaui, Soc. lenii, Miujìuh, sive de urte magnetica, oj/u « trij/io- MDCXL1, png. 730-741. [2900] lb MARZO 1034. 65 2906 *. RAFFAELLO MAG10TTI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 marzo 10114. Blbl. Noz. Pir. Mas. Gal., P. VI. T. XII, car. 01. — Autografa. Molto III.” et Ecc. lu " Sig. r mio S. La lettera di V. S. Ecc. m * delli 4 stante m* è stata di parti colar contento, riconoscendo conservata sempre verso di me quella affetione eli’ io desidero. Le .scuse di mio fratello 11 ’ sono per adesso tollerabili, ma quelle di V. S. mi rendono attonito, non havend’ io inteso d’affaticarla, etiam eli’ ella havessi ogni pili bra¬ mata coinmodità. 11 Sig. r Marchese di nuovo la stimola a perfotiouare il suo ]iarto, e la stima come devo. L’opera del Gesuita w non fu mandata da me, perché il Sig. r Stelluti mi promesso persona fidata che partiva per la Sig.” Marchesa, e io non veddi altro; nò di nuovo mi ci affaticai, poiché sapevo ch’il Sig. r Nardi (3 , per un gentilliuomo che tornava con Monsig/ Usinibardi (4 ' a Firenze, m’ havea prevenuto : o credo elio fino adesso 1’ haverà recapitato. Dell’opera di D. Anto¬ nio Rocco (pia non si sapoa cosa alcuna por nessuno ; pur s’ è con molta curio¬ sità spedito in più luoghi, o subito lo conferirò con il Sig. 1 Nardi et il P. Abbate (B, } (pialo già dua volto non ho possuto trovare in casa, e però non posso rispondere a capitolo, sì come m* impone V. S. Di nuovo, c’è in Roma un Gesuita (#) , stato gran tempo in Oriente, quale, oltre al posseder 12 lingue, buona goometria etc., ha seco di gran bello cose, o fra l’altre una radica, quale si volta secondo gira il sole, o serve per horiolo 20 perfettissimo. Questa ò incastrata da lui in un pezzo di sughero, quale la tanghi libera sopra l’acqua, o sopra il sughero una lancetta ili ferro che mostri le bore, con un calcolo per sapere (piai ora sia in altro parti ilei mondo. Possiede dua radiche quali si tirano fra di loro come fa la calamita il ferro. Ha portato gran copio ili manuscritti arabici e caldei, con una copiosa espositiono di ieroglifìci, e promette esporre tutto quello si contiene nella guglia elei Popolo, quale af¬ ferma esser stata lavorata prima che fusse al mondo Àbramo ; o dice contenersi in quelli scritti gran segreti et istorie. A questo spettacolo di tanto nuovità dovevo trovarmi ancor io, ma per mia cattiva sorte non potetti esservi a tempo, "> Lattanzio Mauiotti. '*> Cfr. u.° 2801. <*’ Antonio Nardi. (*' Lokknzo Usimiiahdi. Benedetto Castelli. <•> Atanasio Kiboher: cfr. n.« 2905, Hn. 37 38. o XVI. ,56 ld MARIO 1654. (tlOMNV) ft il tutto * e. rivo per nUoM dii 8ig. f Nardi, qual A» pwaanU» al mmm meco saluta V, 8 . 0081 lutto il oora. Noatro Signor Uw la »i «• |*» tuto faro in questi tempi cou un cervello litigi" mnm. R«»U a far duo a».>: l’una, che V. S. mi scriva ae è vero quello ilio dice, d'havrrli piota una an¬ nata, perchè mi paro che ella mi scriva*.** 1 da principio, u n haver n * vuto niente; l’altra, che contentandosi dell'accordato. faccia una n.o* j»r»». ura nella persona dell’ 111.®" Sig. r Lodovico Baitello da Breccia con la »|K*aJi' uti< ne di questo punto di poter concordare et diminuire la pennone, perché nell'altra procura al Sig. r Francesco Galilei 1 non ci è e*pn o qm n», et 1'haver a : ir io con 1*Arrisi 41 necessita, a non lasciar nulla. Ho scritto in questo amo ih® tenga il negotio per fatto, che prepari il danaro noi mentre che tiene la procura. Mi sono uno di questi giorni abbattuto col 8ig.* Antonio Hocco, il quale in fatti mostra del galani Imo ino. ma come si «no gl'humuini iippu*M«»nati nelle cose loro, così egli stima liavor proceduto verso V. S. c«n tutu la cr an/a e riverenza possibile. Entrassimo in due punti soli. 11 pruno, circa l'opimom Pia* Lott. 2906. 34. una eoecupaiioiw rkt — " ffr- afe tot XIX. Bt®. tutti, *. I, l! ’ cn. Voi. XIX, Sappi-, Doe. XXXIII, e. I. y) •*' Hinun Ami. 18 MARZO 1634. 67 [29071 tonica, elio i globi colesti si movessero prima per li suoi sparii (li molo retto, per aquistar poi il convenovol moto circolaro : e lo ricorcai dove fondava la sua immaginatione, sopra quale fonda tutta la sua confutatione, elio chi si move per moto rotto, per aquistar il circolare bisogna che s’incontri in un altro corpo fermo, sopra il quale prenda il moto circolare. Non mo no seppo dir parola più elio so fosso stato muto, ma confessò ingenuamente che di mattliematiche non intendo nulla, il che disse haver più volte protestato. Al che io pur replicai, e come adunque voleva confutar un libro che ha le sue domo»trationi in quello scienti»'? L’altro punto fu sopra il moto della terra, nel quale egli non intende che il moto diurno et il moto annuo siano del sol corpo della terra, ma ha in fantasia che por questi duo moti siano necossarii duo globi sodi o reali, col- l’incontrarsi de’quali si l’accia il moto che alteri il flusso o reflusso, come fa l’urto nella barca. Finissimo rìdendo e piacevolmente: solo li dissi elio con un so virtuoso qual è V. S., elio ha portate speculationi così singolari et inaudito in¬ torno al moto, oltre tanto (rose nove osservate nel cielo, mi pareva che i Peri- patetici dovessero usar quella maggior creanza che fosse possibile. Mi lasciai anco cader, che credevo per le littore ricevuto che V. S. fosse per honorarlo di qualche apostillota al suo libro, di maniera che ho fatto l’apertura, che so V. »S. mo lo farà capitare, potrò farle vedere non solo a i suoi, ma anco a lui medesmo. Ma se lo altre appostine sono simili alla 75 mandatami 44 ’, il mio parer è di non lasciar perire gemme cosi preciose, ma al tutto volerle stampare ; di che io havorò il carico, o pensare mo poi chi farne Ruttore. Mi son tutto conso¬ lato in veder in quella appostilla V. S. con l’istossa vivezza o placidezza che era •io già 25 anni : un'eccellente virtù in fatti mostra il suo lustro sompro, ot il savio o temperato cervello conserva la sua tranquillità in qualonque turbulonza. Ma V. S. ha di ciò anco la causa esterna, perchè la malignità altrui non partu- riseo altro che renderla più gloriosa e più desidorahile ; et io certo e sincera¬ mente l’assicuro, elio so non fossi logato, haverei prima d’ hora fatto il viaggio por solo vederla. Dio la conservi in longa prosperità, c lo bacio lo mani. Yen.*, 18 Marzo 1634. Di V. S. molto 111.” ot Eccoli." ,A Devotiss. 0 Sor.” F. Fulgontio. Cnr. 38(.' , I Fuori : Al molto 111.” ot Eccoli. m0 Sig. r , Sig. Col. ra0 50 U Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. Lett. 2007. 48-44. « iwu'wnpn /0 — <•) Cfr. n.« 2908. <** Cfr. l’informazione ilei u.° 2902. 03 10 MARZO 1634. [ 2906 ] 2908 *. BENIAMINO ENOEUCKE » [GAl.I1.EO in Aratri], Piu, 19 marco IOU. Bibl. Naa. Fir. M«« dal. Nuorl Acquiiti. n.» i9. — AuW end» 111." 0 Sig. r P.” mio Osservami.*** Scrissi por il passato di Paduva a V. S Mustri« imn. aggiungi'mio pur una altera lottora dal molto Illustro Sig. Mattina Iltrni'Kger, proferir© «l^llc bistorte ot della Immanità in Argentina, il quale, come V. S. barri intana (no altri» monto sana ot salva è capitata questa mia), con grandmai ma diligi n/a dura faticlia di ridurrò il suo libro Goprmicanum Sy^tnna nel latino; ma mi son maravigliato non ricivendo nissuna risposta di V. 3. Illustri» ima, o alla mia o alla sopradotta del Sig. Bernogger. Però, cercando occasione di potorie far riverenza di nuovo, vengo con questa, pregandola che ni voi enne sdegnare ot solamente con duo parole significarmi se hubbi.i ricevuta qu> Ha ua, prim i* io palmento bavendo tanto desiderio della sua quel dottiamo et acutissimo in¬ gegno ; perchè in questo maniera scrive : « Ago gratias quod ad indytum virum D. fiali, in-um epistolium; ’ gratius tamen fuisset, si reddidissos corara ip*<\ ac tentis ei fuis •• oculatus, s > inchoatae a me Copernicani Systematis (sic), in quo quntidin adirne strenue » porgo, ot sul» oxordium acstotis ad finem perducturum confido. Iani otiam » egi cum typographo, qui librum per hanc aestatem excudet. Velim hoc au- » tori, viro incomparabili, por occasionora significo», et, i fieri potcH, ad mena » litteras responsum aliquod ab eo impetres, quod oh tanti viri memoriain ac » inanimi inter xeip^Xia niibi fu tu rum esset * r \ w Con questo le bacio lo mani, et dal (Molo auguro ogni felicità. Di Pisa, il di 19 di Marzo MDCXXXIV. Di V. S. HI- Ubbligatiasimo Servidore Boniamin Angelo di Danzicha, Patritio. Fuori : AlTHl." 0 Sig. T mio Pad.** Osservami.* -0 Il Sig. r Gallilaeo Gallilaoi, in Firenze [8909-2910] 21 — 29 MARZO 1634. 69 2909 *. MATTIA BERNEGGER a GUGLIELMO 8CIIICKHARDT in Tnbinga. .Strasburgo, 24 marzo 1634. Kjfl. LandoabibUothok In Stuttg-urt. Cod citato al ti.® 2606, car. 20. — Autograia. Guilielmo Schickardo, Tubingam, S. P. D. Vir Excellentissime, amirorum alpha, Rect.e Galilaica recepì, minai» oboliacis et correctionibns tuis *’ fncta meliora! Sed nini ir» m prò meritis notis immcritns laudea rcmittere voltanti, ut importunum Hagitato- rera ita snbnioveres. Non tatnrn abigi me patiar; veruni aut littori» senten tiara tuam de diflicilioribus locis exquirain, aut forano ipBe aliqtiando, ai per otinm et haec tempora licebit, ad te veniate, satiafacturus diuturno desiderio meo, coroni appellatali completi en- 10 dique hominem omnibus milii caritatibus antepositum ac anteponendum .... Memini, prò- misisse l * ! proscriptionis Galilaici libri exunipluin; illud bic habes: curo conimodum erit, remitto. Et vale. Argentorati, 14 Martii 1634. T. T. Fuori: D. Ilerrn Wilhelm Schikliardt, Vornehnien Professori der Univnrsitet zìi Tùbing. raeinem grosgiiiiatigcn Ilerren und hochgeehrten Freundt Tùbingen. 20 Boigelegtea Schreiben nn dio Fi)ratin wird dem Botten seinen Lolm bringen. Sonato» ist or von mir beznlilt. M. II. 2910 . NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Firenze. Pisa, 29 marzo 1631. Blbl. Nar. Flr. Mu®. dal., I*. I, T. XI. car. 80. — Autografa. Molt’ILI." et Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col.® 0 Ricapitai la lettera al Sig. r Beniamino (4) , e questa inclusa è la risposta l5 '. Non ho potuto dal parlar con esso ritrar cosa alcuna, se non il desiderio che "l Cfr. n.® 2004. <*’ Cfr. n.® 2895. lin. 6, 20-21. <*> Di stile giuliano. < 4 ’ Basi amino Khoklck*. <«i Cfr. n.® 2911. 70 29 — 30 MARZO 1634. [ttMMBII] egli haveva che V. S. rispondevo alla lettera di quello che traduce i suoi Dia¬ loghi in Argentina Ho trattato poco seco, perchè era zik ili procinto «li partimi di Pisa, sicome ha fatto questa mattina, o non mi ha detto altro a* non che vorrebbe che ella et io rispondessimo all» lettere di quel traduttore , t alle sue, quando ci scriverà. Vedrò di informarmi, da alcuni con ehi ha prati- ato, delle sue condizioni, o por quest'ultra ne darò informazione a V. S. Il Sig. r Proncipe Mattia*mi ha mandato a chieder»* i Dialoghi ili V. S. Eoe. - *, io quali haveva portati seco quando partì «li Firenze, ma gli un andati mah» per la morte del paggio Guidi, che gl’haveva in consegna; desidera p**mò di riha- vergli in tutti i modi: e questo istesso mi vi*-n ratiticato e da mio fratello *' e dal Sig. r Paolo Consacchi, scalco del Sig/ Prenci}» e inio scolare, dal quale dotto S. r Prencipe vuol farsegli leggere et esplicare. Se V. S in queste stret¬ tezze potesse far eh’ io n’ haveeso un esemplare (perchè di quello che ho non me ne priverei a patto veruno), mi farebbe favor segnalato. Rileggo a sua requisizione Meeser Rocco, o sono adorno -u la generazione do’ moscioni 14 , da lui pulitissimamente dichiarata, *1 elio mi pare «li vedergli na¬ scerò. Oh Cristo, oli Domenedio, l’è pur la bella cosa! Sig. f (ìalil«x>, ine gli» ricordo schiavo obbligatissimo, e gli bacio con affetto interni- imo la mano. Pisa, 29 Marzo 1634. Di V. S. molto 111.* et Eoe.*** Dev.** et Obblig.** S.™ Nicc. Aggiunti. Fuori : Al molt’Ill.™ ot Kcc.“ u Sig.' o P.ron mio Col.** D Sig. r Galileo Galilei, Fil. r * o Mat.** pr. n ® di S. A. S. Firenze. 2911 **. BENIAMINO ENGELCKK a GALILEO in Arcetn. Pisa, 80 marzo 1634. Bibl. Waz. Fir. Usa. Ual, I*. I, T. XI, car. 29. - Autografa. Eò Kparceiv. VeUem, si fors ita tulisset, Nobilisa.* ot Excellent.* Vir, fautor colende, ut vel antea notitiam tui habuissem, voi iamnuno rerum mearnm hic esset status ut ini tao por littoras amicitiao Corani fimi posse m. Sed cuiu crastina luce mihi Lett. 2011. 3. vel iumnum — m Cfr. n.® 8786, Un. 10. “» WV.Vol.Vll. pa f . 610-611. 1U Cfr. il.® 2908. «*> Cfr. il.® 2900. 30 MARZO — 2 APRILE 1034. 71 [2011-2913) abeundum sit Genoani ot indo in Galliam, accuso hano meam infelicitatom, teque mirimi in moduni rogo, ul)icunque littoras a ino acceperis, responduro iis no dodignoris. Ncque dubitare mo facit de line mea petitiono praesons ha oc tua scriptio, qnae (piani grata acceptaque niilii i'uerit haud tacilo dlxorim. Hoc habuit tamen ingrati, quod magni illius Bemeggeri opiatoliura ll) non accoperis, quod io tamen ad te missurum Mathemnticus Patiiviim.s ( * 1 protuisit. Quicquid sit, si Ber- noggorus ab Excel]. T. impetravorit littoras, fidem me minimo fcfellisso expo- riotur, ncque pici ita aurum smini custodie»! «piani iste tuas. Poteris caa ad Excell. Virum Dominimi Aggiunti voi ad aedi» de* Sig. ri Marco Federigo ITuutt et fratrea mittoro, qui oas milii, ego vero illi, bona lido reddemus. Ita vaio. Nobiliss.* et Excell. - " Vir, ot in amore «pio me proseipiorls persevera, et itisi niolastimi erit, Panegyricum lume menni, Sereniss." M. Duci scriptum ’ 3 , lego, iudica, paucisque te accepisso signitica. (Jurronte cromi, Pisi» Tuscorum, .3 caloml. Aprii. QoIOCXXXIY. V."* Excell. 1 *'* 20 <•••> studio Add. - *** Benjamin Engolcke, Dantis. I’atr. Fuori: Al molto 111/* Sig.* o Pad.* Osser. B ® 11 Sig. r Gallilueu Gallilaoi, Matematico Eccollentiss. 0 , in Àrcotri upp.‘* Fiorenz. 2912*. CLEMENTE ECTIMI nrl ANTONIO BARBERINI in Roma. Firenze, 1° aprile lt>34. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, i, 92). 291B*. NICCOLÒ FA BRI DI PEI RESO a PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, 2 aprile 1684. Blbl. Nazionale in Parigi. Colleetion Dapuv. voi. 718, car. 80 — Autografa .... Jo vous ronvoye enfio la sontonce contro le panvre (ìalilée, et y ay joinet un extr.iict qne jo vous supplie do ne communiquer poinct, liors de ceulx de vostre nuiisou, qu’à 13. nd arda» — Cfr. u » 2908. i*’ Andrea Aruoli. l*' Pantgyricyi» Sermittimo fWdinando //, Magno lletr, Duci ete., in expeditiouo lulversus Turcain ina- gnaruin navitim [U dict. Srriptu* a Beniamino Kxuxlcbkx Uantiac. P. l'isis, in aodibus Fraudaci Tanagli!, M.DC.XXX1V. 72 2 — 4 APRILE 1634. [2013-2914] lVT. r Luillier W, et de n’en pns laisser prendre coppie ù personne, pour bona respects qui regardent non Beulement la personne du dict Sieur Galilée, mais aussy ses amys et par- ticulierement celuy à qui la lettre estoit escritte, lequel la vous conimuniquera possible luy raesrae un jour. Mais elle avoit esté adressée ouvertc à celuy qui nous en a donne cotte communication avant que la faire tenir à soli adresse, croyant qu’il ne nianqucra pas de l’envoyer et à vous et possible au bon P. Mercene l2) ; mais il luy fault laisser le plaisir tont entier du vous en l'aire part quand bon lui gambiera, sana que vous fassiez seinblant, s’il vous plaict, de l’avoir vette: car je s^ay bien que l'autheur a grand inte- IO resi et desir que cette relation ne conre pas, et il luy en pourroit mezadvenir tosi on tard, ce qui empescbem peult. estro celuy à qui la lettre est escritte d’oser la l’aire voir à persone. O’est pourquoy je n’ay pus voulu mauquer de vous eu faire part en tonte facon.... 2914 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Firenze. , • Lione, 4 aprile 1634. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 64. — Autografa. Molto 111.® Sig. r mio Col. m ° Assicuro a V. S. ingenuamente o senza adulatione alcuna, che maggiore contento non potevo ricevere di quello mi lui dato lei per la gentilissima sua de’ 7 passato, il vedere il suo bene essere, il buon trattamento ricevuto da tutti, la gloria che ha raportato del suo valore contra 1* ingnorantia, l’invidia e la rabbia. Ilo havufco sommo gusto in vedere quella che la scriveva al S. Dio¬ datie non solo mi sono contentato di vederla et leggerla, ma ne ho preso copia, fattola vedere a tutti li amici della profectione e datone copia; e una di esse ho mandato al S. ro Conseg. 0 de Perez w d’Aix, il quale 1* honora e ri¬ verisce sopra qualsivoglia persona et è stato in continuo pensiero per li sua io travagli. Tengho li doverà havere scritto: haveria ben caro che S. S. a se lussi degniata di farli risposta, già elio lui do’grandi vertuosi o dodi l’Europa hab- bia e la desidera passionatamente. Li mando alcuni intagli in legnio, stati fatti da questi artefici; in ramo, c* è chi fa meglio ; o in materia di figure di geometria tutti sono buoni, basta che sieno esatti nelle ligne per le dimostrationo, che a questo si Ilaverà advor- tenza l5) . Circa al stampare il libro, si farà; e questi librari meglio Pameriano in latino clic nella volgaria nostra italiana, già che dicano non havere correttori Lett. 2914. II. baveri ben caro — <’) Fkanohsoo Lijim.ihk. < s > Marino Mkrsrknk. <»> Cfr. il.» 2901. oi Niooolò Farri di Prihksc. < 5 > Cfr. Voi. Vili, pag. 13. [2914-2015] 4 — 7 aprile 1631. 73 buoni, o aurora per l’impaccio sana maggiore per questo rognio. Ma tutto questo so si supererà, stante hi stima che si fa doU’opcre di S. S. ; sì che in questo e in qual si voglia altra cosa non mi lui che comandare. Con questo ordinario V. S. non potrà havore la risposta del S. Elia Dio¬ dati, ma doYorà seguire con primo ; o havendola gli ne manderò. I n amico in’à fatto vedere un libro deh intitulatione qui alligata (i) : credo che S. S.“ lo doverà bavere; e non havendolo e desiderandolo, gli ne manderò : però comandi. K io finirò dandoli le Santissime Foste di Pasqua con gioia e contento, pregandoli da N. S. ogni vero bene. Di Lione, questo di 4 d’Ap. u 1634. Di V. S. molto 111. so Nella carta intagliata 1 * c è di tutto un poco. Ser.® o P. 1 ® Unni.* 0 e Dev. mo Kub. t0 Galilei. Fuori: |A1 moljto 111." Sig. r e P.ne Col. -0 11 S. r (ìulileo Galilei, Mattomatico primo di S. A. S. Firenze, o dove fusai. 2915 . GERÌ BOCCHINERl a [GALILEO in Areetri]. Livorno, 7 aprilo 1084. Bibl. Noa. Flr. Un. Gal., P. I, T. XI. car. 34 — Autografa. Molto 111." et Ecc. B0 S. r mio Osa.* 0 Compatisco estremamente V. S. del pericoloso ot disperato stato di salute di Suor Maria Celeste, degna di vivere i secoli, nonché quanto suolo il corso humano di quelli che non muoiono giovani. Un padre tenero verso una virtuo¬ sissima ot reverentissima figliuola non può negare al senso le giusto doglianze; sono lagrime dovuto, necessarie. Ma V. S. con la speranza che si può bavero, che verginella cosi buona ot santa sia per andare a pregare Iddio per V. S. a’ piedi del medesimo Iddio, si consoli all’ incontro, et non invidii et non intor¬ bidi a lei all’ incontro quel bene eh’ ella si è guadagnato, perché io credo che io noi haremo più bisogno di raccomandarci a lei, che non harà ella delle ora- io Non è proMUtcmonto oniU alla lattoni. Non è prosoutomento allegata. XVL 10 7 AI'KII.K 1634. 74 1*915) tioni nostre. Io \Y ho] sempre ammirate et merita, e4 non mi eono mai partito daloi se non edffimto, omtamtH «agpmto. Mdb b««letu ri nc«vut» nelle sue braccia, se lo sarà piami». M havorU a qur«U bora '■« a aè, come per lo lettere ancho del S. r Verloni 111 pò» credare che «a wftuito. V. 8^ valorosa in tutto, non sospenda in quarta oeCMione l’ina» dal Mo medino va¬ lore et della sua fortezza, sostenendo con quore filoaudoo et crirtiano questo amaro colpo. Nel resto V. S. ha qui la compassione di tutti, anche j*r la probi*bona che le è stata fatta di non ohfedcr più grana della sua UbraUnnc ' • Qui • fa giudizio, che il male di V. S. non sìa creduto a Roma t-ib quali ù; n* delle so cose del S. 10 Offizio hi può discorrere oon quel fondamento et quali* regola che si fa dello altro cose. Non pare che si uai negli nitri tr ib u n a li et nelle altre corti di comminar malo a chi non si togli» far grazia, |» r divertirla dal lam¬ ie instanze; ma non è già che la medesima prohibitione al commina bone non si potesse fare. Così mi dicono questi SS. rt ministri, tutti aJIrziMiiati di V. 8.; et che il S.* 0 Offizio lo usi, dicono che non * miratigli», p-rrhò I- rie del S. l ° Offizio sono diverse dall’altro, et a «no insolite, niumoinir Si 0 ritto *1 S. r Ambasciatore tutto quello che V. S. ha atti* ibi a me \ ma con ordine di valersi delle notizie et di aiutare V.8. in [quell che ai pose* con le dovute - eospozzioni, acciò non si faccia peggio, trattandosi «li materia d-U-aU ; et f«*rv so credono a Roma che quelle opinioni dann.i(te] da loro pesino, in t. .et in presenza, da V. S. esser meglio rappresentato «il quell-* < !.«• « r.dmo j- -a ■■« guir per lettore, dico a S. A., alti SS. ri Principi et a tutta la ritti Ma quanto « ingannano questi speculativi, poiché V. S. non -rive . t n->u puh», et *>lo raji- presenta il suo bisogno et si raccomanda. Iddio perdoni a rhi erra, soccorra V. S. et li altri angustiati, mentre io, oonfcrm.mdomob -H-rvib.ro, le bacio in fretta lo mani. Nò por ancora siamo certi se verremo o no a far la Pasqua a Kioren/a, perchè in questo punto è sbarcato qui PAmbasci ibre di Fran» ia *. i ho va a ri¬ dere a Roma, ot le galeazze non nono partite, impedite tini vento contrario; et i non sappiamo quando il S. r Ambascùtoro partirà, ni quando il vento « cam¬ bierà, per tornar poi subito costà. Di Livorno, 7 Aprile 1634. Di V. S. molto 111. 1 * et Ecc.** Obli#.** Parente et Ser." Gori Bucchineri. <*» Finto Ykrzoni. <» Cfr. Voi. XIX. I)oc. XXIV, a. 28): b. 91. p) < s > Nello minuto del Seirrotnri.* Asmi* C 101.1 »!• l’Ambftsciatoro in Honm FrakcmcoNiocouxj, e q«II» lattor» 41 q**»to al i'tou, eh* tomo n*UArrhl?i* di SUtn Fiorenti»*, UWmo tBaUlMaU cortole ItrmIr d«U« pr*Urh# • r»l qui mcmii Dui Bocchi*uii. »*’ K**»c*»oo ri Koaiujm, [2916] 6 APRILE 1634. 7f> 291 ( 5 . BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 8 aprile 1684. Bibl. N*a. Flr. M»». «ini . I* I T XI, rur. 86l. Autografa. Molto 111." Sig. r e P.ron Col."* 0 Il Cadrò Francesco pili delli all ri reverendo Che non Reverendissimi chiamati, A stato da ine o ri vien spesso, e continovamente si ragiona ili V. S. molto Tl\. r '* con tanto gusto nostro che io non lo posso esprimere; basta che li dica che In rara conversazione di questo buon Padre ini fi stata di unica consolazione e sollevamento della mia maninconia. Son restato stupefatto del suo sapere, me¬ ravigliato della sottigliezza dell’ingegno, sodi»fattissimo dell’amore sincero che io porta a V. S., e inamorato della sua bontà. Ho inteso il buon stato di V. E., che m* importa assai; e lei dal medesimo Ladro intenderà Tesser mio, del quale bora non li diro altro, solo che son sano quanto mai sia stato, lodato Dio bene¬ detto. Tengo lettere da Mecenate 1 *’, quale ?• tutto di V. S. ; sta bene, contento, studia pii! elio inai, o vive rasignatlssimo nella volontà di Dio c do’ Padroni, risolutissimo che da tal parto viene sempre il meglio. È uscito fuori un libro De Mio Suecico, fatto da un Genovese* 3 , già mio scolare delle matematiche in Pisa, quale si è trovato nello barufTolo; ha scritto in modo elio dà grandissimo gusto a chi lo leggo, e qua ha grand’applauso. Me ne darà uno per mandare a V. S. e li scriverà, e vive ambiciosissimo d’os- ■zu scrii servitore. Quando lo potrei mandare, lo wandarò, e credo li darà gusto. E con farli liuniilo riverenza, finisco. Di Roma, T 8 d’Aprile 1634. Di V. S. molto 111." L’autore del libro si chiama Pietro Batta Borg[hi]. Devota.® e Oblig."® Fig. 1 ® e Sor." Don Bened.® Castelli. 0» Fauiaxo Michmjxi. Succico commentari*, ecc. Ad Km. mom et ReT.®""’ (li Giovarvi Oiampou. Prlncipem ac Dominom D. Franciscum Card. Barbo¬ ni Putrì Battista* Bproi Genuensls D* b«Uo ri non. Laodii, apud Henricum Edolmaiinuiu, 1633. 70 b ai'kilk ie:v4. 1 ^ 17 ] 2917. FAM1ANO M1CHK1.INI » [DALILKO in Arr*r4 Roma, 8 sprll» 18M. 7)ibi. Naz. FLr. MW. «al., 1*. 1, T. XI. »r. Pax Cimati. Molto 111.'* et Eco."* Sig." e P.ron in (’hri-U» Col - Nel solo pensar di dover scrìvere ad nna persona Unto eminente d’ingegno, dottrina, urbanità o lilialmente al filosofo de noatri tempi, mi mancano i con¬ cedi o le parole, »■ però vado procraatinando di giorno in giorno il dar di m a n o alla penna per tal effetto ; e sebeno gli obblighi ntunti.il i* •»*«!. uo u-l«-n infuno di servirla, e l’amore immenso chele porto, -«Unno «ontinuam* nu • j.r n nduni all’impresa, nondimeno il conoscermi totalmente ignorante, anco del aaper ri¬ spettivo, mi ritrarrebbe affatto dal far l’obbligo mio, «e non o*mpremlr*n an¬ cora, l’ingratitudine esser il pessimo tra gli altri viri, e la gentil» a di V. 8. Ecc. ra * atta a condonare ogni mia imperio//tona. Le do aviso dunque d* haver visitato il R.*’ Abbate Cautdl» t premutateli la sua per me favoritissima lettera, che fu da riavuta mine pioti -w-una gioia, anzi por la pi A cara cosa del mondo. Si a* sàuri pur \ S die tra gli altri amici o discepoli suoi da me conosciuti (senza prrgindi* u. .ad il uno) il P. D. Benedetto stimo essere il più affe/.ion ito e alla persona e »!!. su»- tutte; il quale, per gli honori fattimi da lei e jwr l’innata sui «ortooia, mi ammette, anzi ogni giorno m’invita con affiibilitA straordinaria, alla -ma dotta o dolcissima conversazione, della (juale, e d'altre coite, in altro Um»i>o darò a V. S. Ecc.“‘ compito ragguaglio. Il S. T Marchese Strozzi, dalla cui gcntilex/i ho ricevuto -un •' •.ì-umi fa¬ vori, la saluta caramente, et il simile fa il nostro Padre Fruii- • « o Provinciali’ ‘ ; ma io la prego a conservarmi nel numero ilo’ suoi minimi servi. l)< j graiuis, Roma, 8 Aprile 1634. Di V. S. Ecc. tt ‘ IndegiiLss. 0 Scolaro e Servo in Christo Fran. co di S. Giuseppe, Pov." della M. I). <*» Francesco Castelli. 1 . 2918 - 2919 ] 8—10 APRILE 1031. 77 2918 *. GIO. BATTISTA DONI a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Roma, 8 aprile 1634. Blbl. National© in Parigi. Mu.fr., Nour. tcq., n. B f>206. cnr. 246. Autografa. .... l'our ce i|iii fìat de Galliléi, il y a long tempi qu’on luy donne de se relirer à Fiorano», où il ne bongo d’uno aiennc maison au ebani pB, qui n’eat pas pine loin de la villo qifun coup do pierro. I)u tempi qu’il a demeuré à Sienne, il n’a pas esté enfermé dana un idolatre, mai» bien en l'archoveadié, (outeafoiB à la largo et en continuelle convereation de Mouaiour l'Archeveaque. I’our le livre fairt contro luy (,) , »i le peu do tempa quo j’av (à cause du partemont de Mona/ le Marquisi rno permet quo jo voua en chercho un, je voua lenvoyoray avec cesio cy; ai non, par autre ocoaaion.... 2919*. GUGLIELMO SCIIICKHARDT a MATTIA BERNEGGEU in Strasburgo. Tublnga, 10 aprilo 1634. Dalla pag. 197 doli’opera citata nell’ informaxione promoua al n.° 2688 Wilh. 8chickardiua Matth. Bcrneggero Sai. et observantiam. . ...Interea tu, viroruui diligentissime, Galilaica urge, qui solus tibi Buffici?, nec me adiutore indigea. Dolerem vero si serio scripsisses **1, quasi te importunimi submovere cu peroni. An igitur quicquam abs te milii Recidere posso importunum putas? nondum me plano noicii, si hoc tibi persuade!. Libro potissimum parci voliti et ndhuc volo, non mi Ivi. rum exemplar sit unicum et irrecuperabile : dubia vero per epistola» communicare liceat, quaruru intcrit uh non iit acquo damnosus. OfTendent vero illae, abbine (» fere liebdo- matibns, aut non domi, aut occupatissiiuum, donec iudicatum illud scholasticae visita¬ lo tionis uumus explevero .... Tubing., ult.. Mart. m lfiS4. "> Cfr. n." 2801. <*> Cfr. n « 2909. t*> Di stilo giiiliiuio. 78 11 VIRILE 1634. liiWOJ ‘2920. BONAVENTURA CAVALIKKI * (GAMICI Arcata]. Bologna, Il aprile Itti. Bibl. Nat. Flr. Mn. Ual., P. VI, T. XI!. «*r. «J *7 A.t Molto 111." et Eco,*" Sig. r e P.ron Col.** Io Borissi già un pozxo fa a V. 8. Eoe •* p« r «li ranni mui intoni*» »1 libro di Antonio Hocco ( “, cho li manditi, mo*tr.md«di < Ih* b« n* bavero ^ntt<> »on qualche freddezza (non havond’ io esageralo la *ua molla impudenza e sciocchezza, conio meritava), ciò però non era nato prrrhò Ir ^u*’ ragioni barassero fatto pur un minimo motivo nell'animo mio. ma p< r I ivr. io lu ritto in fretta, distratto insieme da molte altre ocatu>ni an itra, »• r}.. p rnò de¬ sideravo ch’ella mi restituissi' in quel grado di alletto rii.- ella p. r ma gì ttu mi havoa sempre portato, nò pensasse di diminuir il concetto dir poteva havrr di me fatto eh’ io stimassi le cose sue sopra quelle d’ogni altro b.-Ue e via più io ripiene sempre d’insolite maraviglie, a comparation delle quali sembrano l'altnii speeolationi filosofiche, massimo peripatetiche, merre fredde/re et insipidezze, poiché talo stima apunto faccio delle cose sue, nò mai altrimenti ha da pensar eh’ io facci. Io non inviai la detta lettera al P. I.utio, prrrhò V havrme più presto ; ma temo forsi si sia smarrita, il che a''-li mi di«piaror<'hbe : ma ae fa- cosso usar diligenza alla posta, foni la ritrovarebbe. Io non manco poi di sollicitare la stamj»a della mia Geometria l5 ’, ma non ostante eli io facci ogni potere, non credo j*»rò di uscirne per «tno al mese d’Ot¬ tobre o Novembre del presente anno ; e mi saria coro ch'ella la potevo vedere in anzi la stampa della sua dottrina del moto, perché meglio intenderebbe ciò so cho fosse congruente (per farmi, se si compiacesse, queeto favore) * toccare circa gli indivisibili etc. Con questa occasione poi non voglio tralasciare di dirli due propositioni cho sono in essa Geometria, per intendere il «no parere, cioè quali le riescano, e so le ha mai visto in alcuno autore ; e se vorrà poi le dimoetrft- tioni, le manderò ancora, se ben da sè, volendo, so ebe le potrà ritrovare. I/una dunque è un problema, di descrivere prossimamente la parabola intorno ad un dato diametro sopra qualsivoglia base; la seconda .., m teorema qual vedrà. Hor vengo al problema. Ofr. n.® 2879. “> Ofr. n.» 1970. Cfr. ..» sats. Ha. »-ia 11 APRILE 1634. 79 [2920] - N \ V S w % \. \ «X \\ \ Sia flato il diametro ah, intorno al quale s’ babbi da descrivere una para¬ si) boia che passi per la cima a et per gli estremi punti di una data base, do’ quali uno sia g, et gb metà di quella base, elio taci con uh qualsivoglia angolo. Tirate dunque per i punti g, a lo gc, ac , parallelo una ad ab o l’altra a n i k c a bg, e concorrenti in c, divideremo ac in quante parti eguali si voglia, conio nello 4 ah, hi, ik, kc, e parimente cg in altro¬ tante parti eguali cd, de, cf, fg ; poi tirate lo hi, ini, kn pa¬ rallelo ud alt, o dal punto a tirato parimente ad, ac, af, ag, notarono il punto del concorso della ad (qual potiamo chiamar prima secante) con la prima parallela hi dopo il diametro ab, cioè il punto o ; similmente noteremo il punto dol concorso della * io seconda secante ae con la seconda parallela itn, cioè p ; poi il punto q della torza secante e parallela, et g della quarta: tirando poi per li punti a, o, p, q, g una linea che si vadi accori»mudando al piegar di quei punti, sarà descritta, benché solo prossimamente, la semipaxabola aopqg ; con la qual regola sa che si farà parimente l'altra parte: e questo nasco da quanta proprietà, elio preso un punto, come o, nella parabola, o condotta ao da a sino a cg, che sia qual¬ sivoglia parallela al diametro, che la seghi in d, essendo cg intercetta fra la parabola o la tangente oc, similmente tirata la hi parallela al diametro, che seghi la tangente ac in /», e bg parallela alla tangente in l, sempre gc a cd sarà come ca ad ah ; il che provo nel mio libro, e non ha molto diffidi dimo- M N &o stratione. Quanto al teorema, siano lo due linee retto ih, ac perpendicolari, che si tocchino in b, in una delle quali, come in hi, inde lini tam onte prolungata, si prondino parti eguali quanto si voglia continuamente, sopra le quali, come dia¬ metri, siano descritti quanti cerchi si vogliano, d, e, f, g, h, che saranno eguali e si toccheranno per di fuori ; s* intenda poi elio siano tutti nel piano dolio duo ih, ac, e che, stando forma ac, si rivolgano intorno essa ac, sin che ritornino di ondo si partimo : ò manifesto che in tal fio rovolutiono dotti cerchi descriveranno certi so¬ lidi, elio sono da me chiamati anelli. Hora trovo cho cominciando a numerare dal cerchio d, questi anelli successivamente hanno la proportene do’ numeri dispari continuati dall’unità, come con numeri sovraposteli ho espresso. Ma è anche vera in altro figure piano, elio si chiamino intorno al diametro, pur che siano debitamente collocate, cioè nei corpi da loro generati ; il che, per non tediarla, tralascio d’esplicare, e tanto più non mi trovando tropo ben disposto, per haver pur la molestia della gotta, che mi dà un mal line della quaresima. Mi scuserà perciò s’io mancassi in cosa alcuna. 80 11 APBILE 1(534. [S920-29211 Sappi poi, che di (inorilo curiosità ve ne nono molte, ma li ho voluto man¬ dar questo elio mi paino fra lo più bolle. Mi dui qualche consolatiunu con ac- 70 corti irmi eh’ io possega appresso di loi quel luogo di gratin che la «ria genti¬ lezza o cortesia si compiacque di assignar al li miei benché pimeli meriti, chè spero sarà questa medicina molto salutare alla mia infirmiti; augurando per tanto a V. S. Ecc.““ ancora compita sanità et insieme felicità in quieta Santa Pasqua. E con tal fine li bacchi riverentemente le muni. Di Bologna, alli 11 Aprilo 1634. Di V. S. molto 111." et Eoe. -4 Drv.-* et Oh.-* Ser." F. Bori.** Cav.“ 2921. ASCANIO PIOCOLOMINI a [GAUl.KO in Ar-tr.| Siena, Il aprile 1681. Blbl. Niu. Plr Mas. Gal., V. 1. T. XI, cai S8. - Aul< en vero che mi confido tanto nella sua prudenza, così ben conosciuta da mo e da tutto il mondo, clic stimo superfluo diffondermi in consolarla,, come meriterebbero i suoi accidenti, o tanto più elio si puoi assicurare elio ancora continua in mo un ardente desiderio d’ogni sua prosperità, c elio non ho pari in compatirla ne’ suoi infortunii : mentre a V. S. bacio lo mani con tutto l’animo. io Buina, 22 di Aprile 1634. Di V. S. molto III.» Dovot,iss. nui Serva Caterina lticcardi Nicc. ni 292D**. GERÌ BOCCIIINERI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 25 aprilo 1(534. Blbl. Naz. Fìr. Mss. rial.. I’. I, T. XI, cnr. 44. — Autografa. Molto III/ 8 ot Ecc. mo S. r mio Oss. mo Y. S. può credere che il S. r Vincenzio nostro sia stretto dal bisogno a farsi quel vestito, dovendo viaggiare; et riuscendo a lui lo coso molto scarse in quel paese, non può senza il soccorso destinatoli da Y. S. tirare innanzi sè, la mo¬ glie ot due figliuoli, con la necessità che ha di mantenere una cavalcatura, ri¬ spetto a' viaggi del suo offizio. Si aggiugnerà a tutto questo il debito col Yen- 84 25 — 27 APRILE 1034. [89*6-9927] turini, elio importa molti centi di Ilio, dolio quali non mi wvvione il numero preciso, non havendo io meco adesso il conto. Ford io la prego, h nomo anche del S. r Vincenzio, a non diminuirli gli effetti della uà b< 0 « 6 c eaia, ancorché lia parimente bonelìzio suo che li denari del Monto crocchino, nm tìnnliueiib* con- io vien prima vivere. Egli nondimeno si andrà regolando, per 'edere se gli ixw*a bastare assegnationo minore : et in somma, quando non si possine metter per bora da V. S. mille scudi sul Monte, potrà metterne 900, per supplir \h )i al futuro semestre ; et più tosto non perda in ciò teinjxi, accio '.di interevd comincino a correrò. Tutto questo volsi diro a V. S. liier 1 altro, ma non vi fu tempo; et 10 scrivo bora, elio io credo che li suoi forestieri siano partiti l'erò so intanto le parrà di mandarli 25 V di , giugnoranno opportuni. Et lo bacio di cuore lo mani Di Fiorenza, 25 Aprilo 1534. Di Y. S. molto 111." et Ecc.“ Stimerei bone ohe V. S. scrivesse al S. r Luca 20 degli Albizi, raccomandandogli il S. r Vincenzio. Oblig.** Parente ot Sor.” Ceri Bocchineri. Ilo saputo, ma in confidenza, clic il S. r Luca disegni di mutare il S.' Vin¬ cenzio et di mandarlo a Larga, che vuol dire un viaggio di più di 100 miglia¬ li S. r Bali 11 ’ mi lia promesso che procurerà che il disegno si revochi, et si metta il S. r Vincenzio in una Cancelleria più commoda. V. S. raccomandi però 11 S. r Vincenzio al S. r Luca con caldezza, senza umeirur di saper questo disegno. Fuori : Al molto 111.” S. r mio Os8. mo Il S . 1 Galileo Galilei. so In villa. 2927. GALILEO a GERÌ HOCCHI NERI [in Firemt*). Arcetri, *27 aprile 1631. Bibl. Na*. Flr. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 96. — AntoRrafa. Molto 111.™ Sig. ro e Pad. 06 Osser. ,no Stavo in procinto di scrivere a V. S. circa lo stato mio di sanità, clic è travagliatissimo. L’ernia è tornata maggior che prima, il polso fatto interciso con palpitazione di cuore; una tristizia e melanconia immensa, inappetenza estrema, odioso a me stesso, et ingomma mi <*' Amdura Cigli. 27 — 28 APRILE 1034 . 85 [2927-2928] sento continuamente chiamare dalla mia diletta figliuola: nel quale stato non giudico punto a proposito elio Vincenzio si vadia allonta¬ nando col mettersi di presento in viaggi, potendo d’ hora in fiora sopraggiugnere accidenti per i quali fusso bene che fusse qui pre¬ io sento; perché, oltre alle cose dette, una perpetua vigilia mi spaventa non poco. Dico questo a V. S., acciò, parendogli, possa farnelo avvi¬ sato, non perchè io voglia distorlo dalle sue deliberazioni, ma perchè così mi par elio convenga fare, acciò egli, con più fermo discorso che non è il mio, possa poi osequir il partito migliore. Stremargli la provvi¬ sione assegnatagli non voglio, nè meno interporci parola che egli non l’impieghi a suo piacimento; però mando a V. S. i 25 d. che domanda. Quanto allo scrivere al S. Albizzi U) , di presente non me ne dà il quoro, essendo totalmente fuori di me stesso, in maniera che lascio anco di rispondere allo lettore familiari degl’amici. Do farò, se la 20 instante inquietudine si abbonaererà un poco. Da uno degl’aiutanti di camera del G. I)., che fu qua ieri, man¬ dato da S. A. con un occhialo, intesi incidentemente come S. A. crede cho io hahbia ancora nello mani i vetri del suo occhiale, che mi mandò a Siena (il ; e pur so d’haverglieli rimandati, e, se ben mi ricordo, credo cho io gli consegnassi a V. S. : però me ne dica se è così. Con che gli bacio lo mani. Di Villa, li 27 Aprile 1634. Di V. S. molto I. Àff. mn Ser." e Par. 0 G. G. uo Fuori: Al molto IH." Sig. rrt e Fad. n mio Ossei’. 1 ' 10 Jl S. Ceri Bocc. ri In sua mano. 292R. GERÌ ROCCIIINERI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 28 aprile 1031. Bibl. Nar.. Fir. Mh». «al-, P. I. T. XI, car 46. — Autografa. Molto IU. re ot Ecc. mo S. r mio Oss. mo La compatisco estremamente dello suo indispositioni, malinconie et vigilie sempro maggiori, et ini duole di non poterò assisterò a V. S. Il medesimo son¬ ai Cfr. n.° 2926. O) Cfr. n.« 2614. 86 28 — 29 APRILE 1634. [2028-2929] timento ha anello Alessandro , aiutante di camera doll’A. K., che li ricevette, et egli ho no è rammentato, et S. A. già resta capace ot quieta. Il male è che detti vetri si sono mandati via in Spagna, col supposto che non funsero quei medesimi squisiti elio l’A. S. prestò a V. S. Ma nè ella nè io habbianio in ciò colpa. Anche il S/ Bali Cioli sente gran dispiacere del male di V. S. ; le bacia Io mani, et crederebbe che lusso beilo che V. S., quando potesse senza incom- modo, scrivesse al S. r Luca degli Albizi. Et lo bacio lo mani. Di Fiorenza, 28 Aprilo 1634. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc.®* ()blig. mo Parente et Sor.” Dori Becchinoli. 2 u Fuorì : Al molto 111/ 0 et Eco.® 0 S. r mio Oss. wo li S. r Galileo Galilei. In villa. 2929. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia», 20 aprile 1634. Bibl. Naz. Fir. Mbs. Gal., P. I. T. XI, car. 48. — Autografa. Molt’111.” et Ecc. m0 Sig/ P.rone Col. rao Debbi la procura (3) , conio credo bavero dato conto a V. S. molto IH.” ot Ecc. ,na , et in virtù di quella si fece l’accordo udii scudi 40 da £ 7 l’uno; e liiori hebbi, per una rimessa fattami, scudi 40 a conto, de’ quali V. S. disponga a suo piacere. Ho stimato bene l’accomodar ad ogni partito por tre rispetti : prima, elio le bollo obligano V. S. farsi chierico, e non so se sia o vada in ton¬ sura et habito <4) , senza di che o si casca o ci vuole brevo di disponsa ; 2°, ora già stato soffiato ncll’orechio all’Àrrisio, che è di copella, elio le coso doppo successe Phavevebbono fatto sgravare; 3°, elio era necessario far lite all’codo¬ ni AbKSBANDRO RoOCIIINKKl. <*> Sisto Adeujaib. « 3 i Cfr. n.° 2907, Un 7-8. Cfr. Voi. XIX, Suppl., Doc. XXXII, b, bit). 29 APRILE 1634. 87 [2929-2930] io siastico, di elio Dio guardi ogni lumino da bone o lo risservi por obi uccise il padre o fece peggio. Vedrà dall’unnoasa copia 11 ' elio il I’. Castelli liobbo 30 scudi do giulii, che sono li 40 ilo’ nostri. Non so quello sia accaduto de’suoi travagli; ma li suoi beni o mali li par- ticipo con gran sentimento. Quello della strettezza non lo stimo molto, o niente ha di malo elio quella barbara eominntiono d’havor per delitto il supplicare. Del resto conviene far buon animo o prendersi libertà da sò medesimo : anco chi ò in ceppi so li dilata: godere quello si può di presente, o sperar di me¬ glio. Ma fa stupire elio un tanto di fraticello 12 ' cssoquisca lo altrui passioni con¬ tro un tu lo servitore ilei suo Principe. In qualche altro luogo non si farobbo so corto, o lo farebbe a suo costo. Aspetto d’intendere che V. 8. babbi ripigliate le speculatami, di’hanno forza di divertire, se altro bone non facessero. Non le tenga celato, elio questa è la maggior niortilicatione che possa ilare all’igno¬ ranza ot alla malignità. E lo bacio di cuoro le inani. Von.‘, 29 Aprile 1634. Di V. 8. multo 111.”' ot Ecc. 01 * Dev. m0 S. or Ecc. Galileo. E. Eulgontio. 2930 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Kouia, aprile 1031. Bibl. Na*. Fir. Mn. dal., P. I. T. XI, car. 32. - Autografa. Molto 111.” Sig. te o P.ron Col. m ° Ilo mandato alcuno copio del libro Ih bello Sucrìco del Big/ Pier Batta Borghi' 3 al Padre Priore di Badia, delle quali sei sono in carta grande line, cinquo per i Sor. mi e uno per V. S. molto 111.”: cosi di commissione o ordine dell’autore, quale vivo desiderosissimo d’essere servitore di V. S., e m’ha con¬ segnata una lettera quale mandarò per il nostro Padre Francesco delle Scuoio Pie' 4 ’, elio dove partire per cotesta volta dimani o posdimani. Credo cho lei liabbia da gustare straordinariamente questa opera, non solo per la materia, ma per il modo con elio è trattata. io Qua io vivo ut supra, rassegnatissimo nolla volontà di Dio o do’ Padroni. Dal Padre Francesco intenderà il medesimo più diffusamente. Il dotto Padre mi ò riuscito di tutta mia soilisfaziono, o confesso di non bavere conosciuto <•» Non è presentomont» allogata. <*' Ctr. n.° 2910. <*' Intondi.rimiuUitoraàlFirouzo^fr.Vol.XIX, <*• FVamuno Micukuxi. Hoc. XXIV, b, 92). 88 APRILE 1634. [2930-2931] huomo di pari ingegno, puro o sincero: bì mostra svi-crrati-òm dolio i*»ae di Y. S. in modo, cho non lio saputo che desiderare; e in somma mi paro un pi- rito elevatissimo sopra la ordinaria classe de’ galanthuomini, p rch»’* non solo Don Bened.” Castelli. 2 o Fuori : Al molto 111." Sig." o P.ron Col.'"" 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Sor."* Firmzo. 2931 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNK in Parigi. (Amsterdam, aprile 1634J. Dnl Voi. I, pai?. 285-288. dell'odiiiono citata al n .• 2*98. .... VoUfl syavez sane dente qne Galileo a • dapalip«Q par le* lnqm»iteurs de la Foy, et quo som opinion toucbant lo mooveinent de la terrò a condanun-o cornine heretique. Or ie vous diray quo tonte* le* cho*m quo iVxpliquois «*n mon traitté <1) , entro lesquelles eBtoit ausai cotto opinion ilu muivcmont «le In terre, dépen- doient tellernent les unes dea autres, que c'eat a*sez de uvaroir qu'il y en ait ano qui »oit fausae, pour connoistre que toutes les r&isons dont io roe servois n’ont point de force; et quoy que ie pensasse qu’elles fussont appuyées sur dea demonstratinila In - ortaine* et tres-óvidentes, ie ne voudrois touteafois pour rien da monde le« souvenir contro l’au- thoritó de l’EgliBe. le s^ay bien qu'on pourroit dire que tont ce que le Inquisitemi de Rome ont decide n’est pas incontinent article do foy pour cela, et qu'il faut premiare- io mont que le Concile y ait passò. Maia ie no sui» point si animimi x ilo rara potinéon, qui* de ine vouloir servir dò telleH exceptions pour avoir nioyon de le* maintouir; ot lo deair que i’ay de vivrò au repos, et de continuer la vie quo i’ay eommonróe on pronant pour ma devise Bene vixit, lene qui laluii, fait que ie buìb piu* aire destre delivré do la crainte que i’avois d’acquerir plus de connoi sua nces quo ie no deaire, par lo moyen de mon ecrit, que je ne suis fascile d’avoir perdu le tempo «*t la peino quo i’ay «nupluyóe à le compOBer.... Pour les experiences qne vous me mandez de Gallile, io le nie tonte», ot io no juge pas pour cela que le mouvement de la terre en soit moins proludile. Ce n’est paa que ie n’avoiie que Cogitatimi d’un cliariot, d'un bateau ou d’un choval, ne domeure encore 20 "> Sic: UI& cfr. un.' 2910, 2917, 293C. Cfr. n.* 27W. APRILE — 1° MAGGIO 1634. 85) (‘2931-2932] cu quelque facon en la pierre apro» qu'on l’n ioltéo estant dessua; mais il y a d’autres raiaona qui empeacheut qu’elle n’y denieuro ai grande. Et putir le boulet de cauou Lire dii haut d’une tour, il doit estro beaucoup ])1uh long-G-mps à descendre que ai on le luissoit tomber de liaut on bas; car il rencontre plus d’air en aon cherain, loquel ne renipe8cbe pus seuleuient d'aller parallelement A l’horizon, mais hiibbì do descendre. Pour le inouvement do la terre, io m’estonne qu’un boni me d’Eglise (1 ) en obo esoriro, en qiieli|uo fagon qu’il s’excuso; car i’ay vou une patente sur la coudamnation do Ga¬ lilea, imprimé© A Liege le 20 Septombro lGìJd i * ) , où sont ces mota: quamvis liyputhclicc a se Ulani proponi simulai et, eu sorte qu’ils semblcnt mosme deffemlre qu’on se serve de 00 cotte hypotheae en l’aBtruuomie; ce qui me retieut que io u’ose luy mander aucuuo de mes penaóes sur ce aujet : aussi quo no voyant point encore quo cette censuro ait està uutliorisée par le l’ape ny par le Concilo, mais aeulcmeut par une Congregation particu- liere dea Cnrdinaux Inquiaiteura, ie ne penls paa tout à fait esperance qu’il n’en arriva aiusi quo dos antipodes, qui avoient eBté quasi en uiesnie sorte condamuéz autresfois, et. ainai quo man Mondo ne puisao voir le iour avec lo touips, auquel cas i’auray besoin nioy-mesuie ile me servir do moa raisons.... 2932 *. BENIAMINO ENGKLCKE a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Parigi, 1° maggio 1034. ijibl. Clvioa di Amburjro. Supollox eplvtoHca Uflatibachii ot Wolfiorum, Folio-Band XXVI, car. 308. — Autografa. Beniamm Engolke Berneggero. S. et off. Vii* Cl.“\ fantor et amico Colon.”* Ultima© mooe Lugdun. Gallorum fuerunt, quae, ufi Rununn festina!ione scriptae, ita broviter quae tua scire intererat continebant. lani, paulispor otii nactus, plusculis ea ipsa ropetenda consui, ne aut officio deflusso, aut memoriam benefici orma (quibus me affatim, dnm praescns ossein, cumulasti) doposuisse, viderer. Negotium quod inibì a to mandatum, bona fide gessi. Cura ipso auctore colloqui Co¬ rani, per fortunale non concessum; littorario nibilominus sermone oum compellavi Àutomuin Retan sub Ime inscriptione mitte: A’ M. M. Sg« et JP.* Oss* A Sg: Marco Federigo rfuut et fratelli. Pisa; neque dubita quia non rectissime ad manna Adiunctii pervrnrrìnt He-pannimi eadmn ope amici mei supradicti expeotabia, si Àdiunctio, in tuia, palici* *u|mt ©n ir Mgmlin- so Dixit mihi ilio ipso, so plura adirne (ìallilnei manuacripta pene»* n© ballerò, qua© tanini pio tempore luceni aspicore non auderent. Quaenam ip»« *»nt «ut ©uiu* generi*, ©erte eu angustia temporis oircumventns fui, ut ne videro mihi quidnn ©a licuerit. Ponegyricum'*> qnem lue inolusnm videe, me automa nonunat suoin; qtiamvi M. 11©- truriae Ducem hilari excipero fronte vidi (ipse ei reddidi), uibil tamen praoter verba et oblationes honorarii loco accepi. Tu, V. Excell., quid libi de tcribendi modo videa tur. candide indica. Probare hoc modo volili doctorum viro rum rnne©pta*. quo* in Italia feli- ciBsiuie assocutua, et libi aliquo modo extemporanoaui opcr.un piacimi.>iu coiitid 2933 *. G1LL10 REYNIER a [GERÌ ROCCIIIKKRI in Fir©n*©). Livorno, 3 maggio 1634. Bibl. Naz. Fir. Appondico ni Mss. Gal., Pii*» Favaro A, car. fi. 1 . - Autografa. Molto 111/ 0 S/° mio Oss. 1 " 0 Per mano dal S. r Paolo Capacci ho ricevuto la grata di V. S. di 29 del pacato con l’involto di scrittura, elio con prima occasione di vaselli lo inviarò in Amsterdam al S/ Martino Ortensio, con racomandarlo caldamente al capitano; et a suo tempo vi darò raguaglio del nome del capitano et nave, per suo governo. Sei giorni sono passò a meglior vita il mio fratello Teodoro, la cui anima N. S. liaverà ricevuto in gloria. In luogo suo m’offerisco quel servitore che soleva e©Mere, come ancora arili. 1 " 0 S. r Ball Gioii, con pregarli di tenermi in numero di ©sai, pregando N. S. per ogni loro contento e desiderio, restando sempre Livorno, a’ 3 Maggio 1634. 10 Di V. S. molto 111/ 0 Ilnmil me Ser.” G ili io lteyuierj Cons.° Fuori, di viario di anni bocchinkriM ; Il consolo ile’Fiaminghi di Livorno mi risponde, in proposito del libro, quanto V. S. vedrà. "> Cfr. li.» 2911. 11 Huccuimrri comuuic iva la lettura u1iaui.ho. 5 — 7 MAGGIO 1634. ( 2986-29961 92 • 2935 **. GIULIO NINCI a GALILEO in Arretri. San Cacciano, 5 maggio 1634. Blbl. Na*. Flr. Appondico ai Mss. Ual., Fili» Fararo A, ear. 6». Àut «m a. Al Molto Ilus.” Big.” Galileo Galilei. Mando a V. S. staia tre di sacina o staia tr«‘ «li pana ho por Domen»«ho Ganozi. Non ò potuto mandagliene pinia. V. B. ini cimi, e «• gli onore niete al tro, V. S. mi avisi, por cho 6 grado desiderio di servi». Do reto pngado Dio elio vi conceda la sanità. Il di 5 di o Maggo 1634, in Btuicascano. Vo." Affé* Giulio Ninci. Fuori: Al molto Uu. ,r * Big.” Galileo Galilei. In via sua a Samatteo in Naceti. 10 2936. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in K.rrn**. Uoiua, 7 maggio 1«U4. Blbl. Naz. Fir. Mss. Uni., P. I, T. XI, car. 50. — Aut rfrafa- Molto 111.” Sig. ro o P.ron mio Col. m0 Quanto è stato il gusto e la consolazione che ho limita in rju* ti pochi giorni, cho si ò trattenuto il Padre Francesco 11 in Uoma, nella sua conversa¬ zione, altrettanto sonto dispiacere della sua partenza. Mi vado consolando perù quando penso cho V. S. goderà la dolcezza e suavità di questo buon Padre, cho ini ò riuscito in colmo, parendomi tagliato giunto alla misura «lidia vera scola di V. S., sublimo d’iutollotto e modestissimo nell»* pretensioni, condizioni che lo devono rendere amabilissimo appresso cotesta nobiltà. Da lui intornierà, il mio stato a bocca, alla relazione «lei «piale mi rimetto. Mando la inclusa lettera del Sig. T Pier Batta Borghi, quale parti ieri por io Fiandra a’ bagni d Ispà con Mons. r Raimondi. Al ritorno doverà passare per Firenze, e vorrà a rivorire V. S., vivendoli devotissimo e svisceratissimo. In tanto raccommandoli la protezzione della sua opera * appresso cotesti Signori, '«I Famiaxo Michkuni: clr. u.® 52930. Cfr. n.® 2916. 7 — 9 MAGGIO 1634. 93 [2936-20371 o in particolare a quelli della sua conversazione. E non occorrendomi altro, li fo riverenza. I)i Roma, il 7 di Maggio 1034. Di Y. S. molto ILI/ 6 Dovotiss. 0 e Oblig. mo Ser/° e Dis. 10 Don Benod. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111/ 0 Sig/ o P.ron Col.® 0 uo il Big/ Galileo Galiloi, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze. 2937 **. GERÌ BOCCHINEIU a GALILEO [in Arcetri]. Firenze, » maggio 1031. nibl. Naz. Fir. Mks. Gal.. P. I, T. XI, car. 52. — Autografa. Molto 111/ 6 et Ecc. m0 S/ mio Oss.' 00 Domali Paltro si porrà, in vendita a 200 V 1 * 1 la casa contigua a questa di V. S., et sentiamo clie ci ò persona che la piglierà ; ina se V. S. ci volesse at¬ tendere, procureremmo che V. S. fusse anteposta. Li denari frutterebbero più elio a metterli sul Monte, poiché la pigione è di V' 1 ' 12. Ma quello che più im¬ porta, é il coni modo cito riceverebbe questa casa di V. S., la quale se si havesse a vendere, varrebbe il terzo più con l’aggiunta di questa casetta. Lo ne avvi¬ siamo, acciò V. S. comandi quello che dobbiamo fare* 4 ’: et in tutti i casi cho il S/ Vincenzio venisso in Fiorenza, o che V. S. volesse tornar con lui, o che io egli havesse mai un forestiero, questa casa sola è stretta; et intanto il tenero a pigione la casetta noi modo che è, frutterebbe più che a mettere sul Monte 200 V' 11 . Et lo baciamo lo mani; et si risolva presto, perché non ci è tempo da perdere. Di Fiorenza, 9 Maggio 1634. Di V. S. molto 111/® et Ecc. ma Oblig. mo Ser/* et Parente Geri Bocchineri. La Sestilia sospenderà la sua venuta sino a che V. S. vedrà di potere o no andare a Loreto, la cui gita il 8/ Vincenzio haveva dismessa rispetto a quello che V. S. me no haveva scritto <2) . 20 Fuori : Al S/ Galileo Galilei, mio Sig.™ Cfr. Voi. XIX, 1100. XXXV1I1, 6). i») Cfr. n.° 2927. 94 12 - 13 MAGGIO 1634. 19988 - 2989 ] 2938 **. [G10. BATTISTA G0NR1 ad AB UREA CIOU io Firenze. 1 Parigi, 19 maggio 1634. Ardi, di Stato in Firenzo. Filza Medicea 4645. car. 19». - Origli 4*. i. a ftra.U. 111." 0 o Clar. m0 Sig. r , mio Sig. r Gol."* Madama di Combalet tre giorni sono mi pregò di farle venire di co* tè li drappi dir V. S. Ul. mm vedrà denotati nell’aggiunta memoria- Et aspetterei anche volentieri quegli occhiali Galilei, desiderati v .mi dalia medi -ima Sig. r “ o promossile tanto tempo fa' 1 ’; e si potrebbero forse accomodar*.» in una custodi* di legno con molta bambagia, da poterli mandare sicuri con qoeat» med* -urna orrasionc, o almeno con la cassetta del raso, che sarebbe forse meglio. h bacio a V h. 111. io mani. Di Parigi, de’ 12 Maggio 1684. 2939 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO (in Firenze]. Venezia, 13 maggio 1634. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 64. — Autografa. Molt’ 111." ot Ecc." 0 Sig. r , Sig. r Col." 1 " Ricevo lo gratissimo sue di 7, e conterò queste sera li scudi 40. Noi com¬ puto veggo, s’io non erro, clic V. S. Ecc.®* prende un puoco di svario, perchè, secondo lo bollo della pensiono, al Settembre venturo nrnturnrà la ottava rata; delle otto, due vanno vuote per l’anno della tempestaduo altro por li 40 scudi che io ho nello mani, una per .quelli che ricevè il P. Castelli tanto che restano tro sole, che a Settembre prossimo sarano scudi 60 da £ 7 l’uno, quali spero mi sarano riscossi. Mi spiaco vederla lasciare le spccolationi, lo quali a lei sariano glorioso, olii lettorati gratissime et a tutti utili. Quella rispostazza alla sua supplica dossu ad e io per hora il tentar altro, perchè verrà interpretato pretosto. I ncùvuw stinti, scu rade seu sccus , acta pretnunt. So l’età non fosse cosi gravo, io so quale dovesse essere la rissolutione. Non mi cagiona maraviglia che chi cominciò la persecu- tione la proseguisca ; ma elio quoli, ad onta di cui lo viene fatta, stia saldo, ò necessario che vi siano li suoi rispetti, non intesi da chi non è sul fatto. La “» Cfr. nn.‘ 2488, 2552, 2757 •*» Cfr. n.° 2902, liu. 14-15. «*> Cfr. n.» 8999, Un. 11 18. 13 — U MAGGIO 1034. [2930-2940] 9 b purga cito sola può sanar V. S. è la prudenza, il ravivar la cognitione c’ ha (lolle coso Immane, o faro elio questo in lei producliino l’effetto cho deve infal- lihilniente portar soco il tempo. E con tal fino lo bacio con ogni affetto le mani. Yen.*, 13 Maggio 1634. 20 Di V. S. molto III.** ot Ecc.'"* Dov.® 0 Ser. r Galileo. F. Eulgentio. 2940. GERÌ BOCCHINERT a GALILEO [in Arcetri]. Firenze, 14 maggio 1684 . Blbl. Nttz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car. 5C. — Autografa. Molto 111." et Ecc. wo S. r mio Oss. n,,, Hieri si concluse la compra della casetta* 11 per prezzo di V 200 a spose del compratore ( % conio si costuma no i Magistrati ; lo quali spese saranno, per quanto dicono, circa V 22. Il Magistrato do* Pupilli ltaveva risoluto di non scemar più detto prezzo, poiché da 350, conformo alla stima, si ò calato a 200, por non finir di rovinare il venditore Zuccagni (3> , il genero dol quale, che ò un commodo lanciaio, voleva egli comprar detta casa, so si havesso havuto a scemar punto do’ 200, ot era venuto a posta al Magistrato hiermattina a farvi offerta; ot il computista dol medesimo Magistrato, che è un de’ Grasselli 1-41 amico io nostro et non ha parontc alcuno in quosto mondo, voleva egli ancora offerire alla casa et crosccro ancora, bisognando, sopra li 200, disegnando di habitaro egli medesimo la casa, cho por lui solo è bastante liabitationo ; ma, per farci piacere, si è ritirato senza darci alcuno fastidio. Insemina la spesa è buona, ma ò migliore a Y. S. por la oommodità. di questa sua casa grande. Si è fermata la vendita prò persona nominando, per farla metterò in testa o di Y. S. o del S. r Vincenzio o di chi ella comanderà. Rosta bora la eiTettuatione di quel che rimane, cioè lo stipularne il contratto, sborsaro il denaro, entrare in possesso ot farsi riconoscere in padrone dal pigionale, acciò cominci a correre la pigione: et noi aspetteremo eh’ eli’ accenni. Et lo baciamo le mani. 20 Di casa, 14 Maggio 1634. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ,;:a Oblig. mo Parente et Ser. r0 Gerì fiocchineri. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo S. r Galileo Galilei. m Cfr. n.o 2937. <*> Off. Voi. XIX, Doc. XXXVIII, b, 2). «*) Iacopo Zcccaoni. (*' Guaspakbi Gbasskni. % 15 — 10 AIAUUIO 1G34. imi-ms] 2941 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSKNNE [in Parigi]. Amsterdam, 16 maggio 1634. Dal Voi. I, pag. 298, doli'etliiiono citata al u.° 2898. _puiaque youb uvea vù le livre ile Galileo, ie voub prie ausa) ilo me nmniler ce qu’il coutient, et quel/, vous iugés avoir eBté lo» moti fa ile sa condfmnation Ir vou» prie auasy ine mander lo noni do ce traiti' qui* voub ditea uvoir e *té lait deputo par un rccle- siastique pour prouver le mouveinent de la terre ", au moina s’il est imprimé; et n’il ne l’eat pas, ie pourroiB peut estro bien donnei* quelque uvis u l’autheur, qui no luy ueroit pas inutile.... 2942 *. ELIA DIODATI a [GALILEO in Arcetri|. Lione, 16 maggio 1634. Bibl. Nn.z. Fir. Mas Gal., P. V, T. VI, car. 78 1 . — Copia dì nuno di Vixcrxiio VjTUift. In cap ^ alla qual* si leggo: « E. D. 1C Maggio 1634, di Liono > Di Parigi mi viene scritto da un amico w , persona peritissima et esercita¬ tissima in ogni genero di scienzie, che, traportato d&U'tunmiraziniie e dal sommo contento nella lettura de’ Dialogi, s’ ora messo a tradurli iu trancese (levatone però il dialogo) in discorso continuo, e ohe vi aveva aggiunto qualche illustra¬ zioni cavate da certo esperienze fatto da lui, o che cercava adesso il modo di poterlo lare stampare; il che spero che le riuscirà. Di che mi è parso avvisar V. S., e metterlo in considerazione se con tal comodità, o della traduzione latina 3 , le parrà a proposito somministrare alcuno memorie, sia per amplia- zione e dichiarazione, o per reptazione di Morino (4> o Fremendo (6) ; il elio fa¬ cendosi sotto altro nome, e con la ledeltà et accuratezza di cauziono neces- io saria, non potrà aver ripiego d’ alcuna mala conseguenza, purcliò nel mandar dette momorie di costà V. S. provveda che passino sicuramente. Sopra di che starò aspettando la sua risoluzione per servirla puntualmente, come mi coman¬ derà, etc. I*' Cfr. n.° 2981, lin. 26-27. <*i Piktro Cardavy. ,S| Cfr. u.o 2901, liu. 38. '*» Cfr. Voi. VII, pii*. 64U 661. Cfr. n.* 2266. [2948-2944] 17 — 18 MAGGIO 1634. 97 2948 **. MUZIO ODDI a PIERMATTEO GIORDANI in Pesaro. Lucca, 17 maggio 1034. Btbl. Ollvorluna in Pesaro. Ma. 418, par. 241. — Autografa. -Non lio huiito tempo et otio da vedere quel Rocco W che ha scritto contro il Ga¬ lileo. Ilo lion veduto gran parte del Ohiaramoiitihavendoini lui inviato da Pisa questa sua Di (Tesa; e mi paro che habbia conseguito molto bene quanto pretendeva, poiché sono molto concludenti le sue ragioni et ha scoperti al mondo gli urtiti ti i del Galileo. Ma sono mutorie fastidiose, odiose e pieno di molla fatica.... 2944 **. GERÌ BOCCIIINERÌ a [GALILEO in Arcetri]. Firenze, 18 maggio 11534. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal.. P. I, T. XI, car. 58. — Autografa. Molto DI.** et Ecc. mo S. r mio Osa. mo V. S. non poteva rispondere più prudentemente a M. a Ginevra, la quale non è già, venuta a trovarmi, ma ben sentiamo ch’olla fa un gran fracasso a’ Pu¬ pilli. L’atto non può esser più giuridico, perchè è stato fatto per via di Magi¬ strato ; non precipitato, perchè ha durato 8 mcs^. Et la medesima Zuccagna fu la prima già a dirmi elio questa casetta stava bone a V. S. et al S. r Vincen¬ zio, et elio io ossortussi VV. SS. rio alla compra ; ma io risposi che VV. SS. rie per bora havovano casa a bastanza, et che anello il prezzo era molto alto. Questo sue doglianze sono una riprova elio la compra è squisita. Et per terminare il io negozio, credo che sia bene elio V. S. mandi quanto prima li denari, perchè tanto dureranno lo querelo et le briglie, quanto rimarrà tuttavia imperfetta la cosa. Et mandando V. S. li denari, sarà bone sigillare il sacchetto, et ordinare all’apportatore elio lo consegni ad Alessandro (3) o a me senza dir niente nè anche alla Giovanna, che all’usanza delle donno è una gran cicala. 11 vino ò venuto ; V. S. potrà mandare a pigliarne un fiasco o due per saggio: se lo piacerà, no potrà pigliare quanto vorrà; altrimenti si cambierà con lo altro rimesse, che di mano in mano verranno al S. r Cardinale (41 , che <*> Ofr. Voi. VII, pag. 671. I*' Cfr. u.° 232G. <*' ÀI.KS8 ANDRO BoOCIUNHRI. <*i Gio. Carlo db’ Mudici. 98 18—19 MAGGIO 1684. [ 2944 * 2946 ] potessero essere di maggioro gusto di V. S.: et Geppo potrà al Casino far motto prima ad Alessandro, il quale la mattina è sempre al Casino, almeno fino alle 14 Jiore. Et lo baciamo lo mani. Di Fiorenza, 18 Mag.° 1634. Di V. S. molto 111." et Eco.*» Oblig.- 0 Parente et Sor." (Ieri Hocc. ri 2945. GALILEO a GERÌ BOOCHINER1 [in Kii. iue) Àrcetri, le maggio HmM. Bibl. Naz. Fir. ItM. Gal.. P. I, T. IV. car. 98. - Autografa Sig. mio, In virtù dell’inclusa riceverà V. S. d. 250 dal S. Giovanni Taddei, de i quali si servirà per il pagamento della cadetta 1 , »*t il resto manderò a pigliarlo per mio uso, essendo esausto affatto. La ringrazio dell’avviso del vino, o domattina manderò per un fiasco. E gli bacio le mani. D’Arcetrip li 18 di Maggio 1634. Tutto di Y. S. Fuori: Al S. Ceri Ik>cc. ri , mio Sig. ro Galileo Galilei. io 2946**. GERÌ B00C1HNERI ail [ALESSANDRO BOCCHINERI in Firenze]. Firenze, 19 maggio 1(>34. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I. T. Vili, cor. 22G. — Autografa. S. r Fratello Osa. 1 " 0 È bene spedire il negozio della casella '. 11 8/ Giovanni Tmldei. clic ini deve sbor¬ sare li V 250, fa bora il banco a casa sua iu via de’Ginori: potresti però >«>i farveli pagare; et io vi invio l’ordine del S. r Galileo et una ricevuta mia, in virtù di ohe potrete farvi sborsare questo denaro, chè, per esser voi tanto vicino alln sua casa, non vi suià scoimnodo: chè sa Dio quando potrei io arrivarvi. Et mi vi raccomando. Di casa, 19 Mag. 0 11)34. Vostro Fratello AfT.“° (lori Bocchineri. I*) Cfr. u.o 2944. •*' Cfr. uu.‘ 9944, 294Ù. j.2947-2948] 28 — 29 MAGGIO 1634. 99 2947 *. GHERARDO GIOVANNI VOSSIO ad UGO GROZIO in Parigi. Amsterdam, ‘28 maggio 1634. Palio pftg. 263-264 dolio Girardi Ioan. Vorrii, et clnrornm virnrum ad eum, EpUtolae , colloctoro Paulo Colotnosio, Eccleaiae Anglicanae Prosbytero, Lendini neper oditae, nane accuratius recitano etc. Augnstao Vindelicorum, sumptlbua Lauruutil Krouigori ot haered. Goebolianorimi, typis SchOnigiaiiis, M.PC.XCl. .... Siniul literaa accipies Hortensiicivis tui, quem puto aliquando non inglorium patri ao «riti fore. Est ot illi fainiliaritas, aed literari a, cum Schikarto <*>, uti et cuoi Gas¬ ando 1 ' 1 ot aliis in mathoai claris viris. Ipse nuno disoiplinas mathematica} in urbe Ime, aed extra ordinom, protitetur. Attamen is est confluxuB audientiuui, ia quoque geuiua docentis, ut non dubitem quin propediem eum collegam simun habituri. Ptolemaeum sic sequltur, ut Tychonianam et Copernioanam sententiam aitimi proponat et oxplicet. Noe obsourum nobis, in Copernicanam magia inclinare, uteunque ea Rolline sit damnata a Cardinnlibus anno oidiooxvi, atque iterimi anno superiori, imo Galilaeus Galilaei E lo lenti mi a, quia hanc sententiam et viva voco et scribendo defenderet, in carcerein ail conieelua, noe inde emil- 10 tondus priuaquani poenitentiao aatia egerit: quam rem a Nuntio Apostolico Bruxelli* Eo- vaniuin perscriptam cBae^ 1 , milii constat ex Frouiondo'^, qui bis diebua Antaristarohuin simili^ hoc de argumento ad me misit.... 2948 *. MATTIA BERNEGGIO!! a BENIAMINO ENGELCKE in Parigi. Strasburgo, 29 maggio 1634. Bibl. Civloa eli Ambuico. Cod. citato ni n.° 2013, car. 115<. — Minuta autografa. _Do Galilaicis recto curatia ingentes ago gratias. Fervet id opus, nec me laboris poenitet : ai tamen labor est, ac non summa voluptas potius, operai» in eiusinodi scriptore, bonae frugia et reconditae literao pienissimo, ponere. Tibi vero pio navata opera, si non alia ro potoro, saltelli exemplari libri, qui nuno sub preio gemit, oblato gratias iaxo ve¬ terani, modo scierò ubi locorum egeris. Ad Nieolauin Adiunctium omnino acribam, et gra- lias Imbeo prò indicio ; nec minila prò insigni Panegyrico <*> tuo, quem cum voluptate ego, itemque Neudorffius cum suo Einsidelio <*>, ot Lucius ot Pmsseliua (qui te salutant oflioioaiasiuio), leginma.... 19 Maii< u > 1634. **> MAnriKo Ortensio. (*> GUOI.IKI.MO SOHICKHARDT. < 3 ' Pietro Iìabsrndi. <»i Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 89, a). Liberto Froidmont. («' Cfr. n.° 2256. l'I Cfr. il.» 2982, lin. 14-19. I®' Cfr. il.» 2911. I®' CORUAOO DI lilNSIBDEUi. (ioi Lodovico Lucius. (i*l Di stilo giuliano. 100 MAGGIO — 3 GIUGNO 1634. [2949-2950] 2949 **. GILLIO REYN1ER a [GERÌ BOCCI! IN ERI in Firen^]. Livorno, maggio 1334. Bibl. Nar. Flr. Appendice ni Mm. fini., Filza Favaro A, car. 71. — AuWrafa. Molto 111.” S. r# mio Osa." 0 Qunlcho tempo fa non vi ho scritto por mancamento d’occasione; H qu.-.ti pochi verni serviranno per dirvi corno ho consegnato al capitano l'ietro di Nicolò lirnoch, capitano della nave Concordia, il piegetto di scritture mandatami per consegnare in Amsterdam al S. r Hortenzio a vostro ordine **> : olio vi servo per adviso. Et se in altro sono buona a servirvi, comandate pure a la libera, chè mi trovareto prontissimo. Facendo fine, vi aguro dal Nostre Signore Iddio ogni colmo di felicità, restando sempre Di V. S. molto llL r * Aft.— Ser. r# Gi 1 lio Heyuierj Con*.® 2950 *. FULGENZIO MI GANZI 0 a GALILEO [in Firenze) Venezia, 3 giugno 1G31. Blbl. Naz. Pìr. Mss. Osi., Nuovi Acquisti, n.® 82. — Autografa Molt’Ill. 1 * et Ecc. m0 Sig. r P.rono Col. - ® La lettera di V. S. Ecc.“* di 29 Aprilo mi capitò in tempo eh’ io ero «marito in mille intrichi nostri capitulari. Mi uscì di mento il negotio dell’ incudine, elio solo Roggi uol rivedere le lotterò trovo l’orroro : la prego perdonarmelo. Scrivo a Brescia, di ondo havorò presta rissolutionc, havendo persona elio farà il servitù) bene. Aspetto di intenderò da V. S. elio sia rasserenata la sua mento e ritornata in porto di quieto, che è la speeulatione, medicina de* mali, so, oltro il tempo, ve n’ ha alcuna. Un nostro Padre qui, c’ ha gusto nell’astronomia più che fondamento, non in¬ tendo nella Copernicana come li pianeti sempre uniformemente non debbano es- io sere, se uno progressivo così anco gl’altri, o retrogradi o stationari, secondo la proportene de’ suoi moti. Io li bo dato il Copernico, credo ve lo trovar^; V. S. lo accenni il luoco. A me par intenderlo, ma solo per me, non por disputarlo con altri. “> Cfr. n.° 2933. I 3 — 9 GIUGNO 1634. 101 [2950-29521 Il Sig. r Baitello 1 *’ mi scrive c’ haveremo la pensione al suo termine, colle duo rato decorse, che sarano li scudi 60 : li 40 li contai conforme l’ordino di V. S. molto Ill. re ot Ecc. ma , alla quale bacio le mani. Yen. 11 , 3 Giugno 1634. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. ma Dev!" 10 Ser.° S. r Galileo. • F. Fulgontio. 20 Fuori, d'altra inailo : Al molto 111. 1 ” et Eccell. mo Sig. T Col. mo Il Sig.' Galileo Galilei. 2951 **. GIO. BATTISTA GONDI ad [ANDREA GIOIA in Firenze]. Parigi, G giugno 1634. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4645, car. 224. — Autografa la sottoscrizione. .... Dciroccliiale , * ) ho già la partenza da Marsilia a questa volta, sì che lo aspetto qua fra otto giorni. Arriverà non men grato clic aspettato.... 2952 *. MATTIA BERNEGGER a GUGLIELMO SCH1CKHARDT in Tubmga. Strasburgo, 9 giugno 1634. Kffl. Landesblbllothek in Stuttgart. Cod. citato al n.» 2665, car. 21. — Autografa. .... l)n. Diodatus nrget et instat de Copernicani Systenmtis editione, nescius quibus undique molostiia et curia premar, ut needum libri medium vertendo superare licuerit. Nihiloniinus impresBionem ordietur typographus, ut primum responsum nb Elzevirio, qui distractionem operis suscipiet, obtinuero. Specimen hic habeto. Deliberamus, quotnain exemplaria sint excudenda. Mihi 600 sufficore videntur, ut in materia paucorum ad guatum faciente. Quaeao, fac nobis consilii tui copiam. Est onim rea adhuc integra. Diodatus suh- miait nuper Pauli Antonii Foacarini Carmelitani ex Italico conversum a se tractatum in quo Sacra Scriptum cum hypothesi Copernicana conciliatur. Eum Galilaeo vult ad- iungi. Ne8cio an per noatroa theologos id liceat. Si tutum erit, mittara proxime legendum «•> Lodovico Baitkm.i. <*' Cfr. nu.‘ 2488, 2552, 2757, 2938. <*> Cfr. n.° 1089. [2984J 4 MAGGIO 1634. 91 2934 **. ANTONIO NARDI a GALILEO in Firenze. Roma, 4 maggio 1634. Blbl. Nm. Pir. Vu. Hai., P. VI, T. XII, cnr. 68. — Autografa. Molto III.® et Eccoli. 1 ” 0 S. r o P.ron Osa.® 0 Stava con desiderio aspettando elio Y. S. Ecc. raa liavessi riceuto il libro da me inviatoli per il S. r Gerollimo Dini da Colle: ma l’havor io inteso elio per ancora non gli è stato ricapitato mi ha apportato disgusto, por toma di non esser notato di negligenza noi servirla; o di già faccio sollecitar detto S. r Dini, acciò non manchi di presentarli il libro quanto prima, sebone non ò cosa elio importi. Ilo lotto ultimamente un libro con gran curiosità, qual poi si è convertita in riso parto, o parto in sdegno. L’autore è un tal Antonio Rocco, il qual scrivo io contro i suoi Dialoghi; e m’imagino elio loi a quest’bora l’babbi visto, sì ebo sopra ciò non occorre dir altro. Quanto al Chiaramente, io non ho possuto per anello havor commodità di veder quei suoi calcoli in materia dolio nuovo stelle e loro sito 111 ; o sobone io erodo ebo siano erronei, eontuttociò no vorrei la cortezza, e por certezza mi basta la sola attestazione di V. S. Il S. r Magiotti la saluta caramente, e due o tre giorni sono si partì di Roma, e starà fuori una settimana o duo. La saluta similmente il S. r Boccardi 121 , il qual mi dico Lavorìi scritto per un gentil huomo Franzese (3> . Io poi li scrivo di rado, perché tomo non l’infastidire, o per l’istesso rispetto farò anello fine, supplicandola do’ suoi comandamonti. no Roma, 4 di Maggio 1634. Di V. S. molto 111. 0 et Eco. 10 * Obligntis. Ser. r0 Ant.° Nardi. Inori : Al molto 111. 0 et Ecc. rao S. r o T.ron Oss. ,no D S. r Galileo Galilei. Firenzo. IO Cfr. II.® 2826. <*' Gio. Giacomo Bocchard. < 3 > Cfr. un. 1 2677, 2tfUò. 102 •0 — la GIUGNO 1034. [ 2052 - 2958 ] tibi eensendunique, additurus una nodos quosdaiu veinionis, iu quihus ospedicndia me lo iuves. Inni enim exacribere non vacabat. Sor. Argentorati, 30 Maii (,) 1634. T. Gl 11 Perpetuo amore devinctiss. M. Bornoggerua. Fuori: D. Herrn Wilhelm Schikhart, Vornelnnon Professori d. Universitiit zìi Tflbing, meinem grosgen. Herrn and geohrtou Freumlt, zu henden. Tììbiugen. 2953 . ASGANIO PICCOLO MINI a [GALILEO in Arcetri]. Siena, 13 giugno 1634. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI. car. 69. — Autografa la sottoscriziono. Molto III.™ S. r mio Oss. mo L’affetto di V. S. verso tutta la mia casa ò tanto partialo o conosciuto, clic dal vivo del suo cuore ricevo quei sentimenti d’allegrezza che si compiace di dimo¬ strarmi in queste reraunorationi, die S. M. Cesarea ha fatto a mio fratello w od a mio nipote 131 ; o gli prometto che racldoppieria.no il mio contento, quando questo domestiche felicità lusserò in qualche parti valevoli a servirò alla saluto e alla con¬ tentezza di V. S. : o perchè di tutte lo cose nostro ella no può disporre come di propie, altro non mi so augurare se non che V. S. eserciti 1 * uniformo e sincero af¬ fetto di tutti noi. E so la traboccanza del suo amore non mi rendesse sospetto la favorita testimonianza che mi dà d’Evamlro w mio nipote, maggiormente no gode- io rei, all’lima massimo ch’egli lussi abile ad approfittarsi do’congressi di lei; o se vari-assi del mio consiglio, questo poco di tempo che dovrà dimorare in Italia sarà bene spesso a reverire V. S. Ma altra conversatione vorrei elio trovassi intorno di lei che di modici o di medicamenti; o puro elio approfittino, si possono dare per bene impiegati, essendo stati troppo mortali i colpi eli’ ella ha ricevuto i mesi a dietro. Anzi m’ho da lamentare ili lei, elio con gl’ultimi regali di Suor Maria Ce¬ leste babbi voluto rinnovare in ino quel sentimento di doloro col quale in me me¬ desimo, come in lei propia, compiango una tanta perdita; nè altro so che ricor¬ darli che la sentenza di Sonoca, che hoc habet assidua infelicitas in se boni , ut qitod saepe vcxat , novissime indurci. 20 IiOtt. 2953. 20. «epe vrxal, novissimi indurci — I') ni stilo giuliano. <*> Ottavio Piooolomini : cfr. ri." 2706. Silvio di Knka Piooolomim. <*> Iìvaxdiio di Enea Picgolomini. 13 — lf> GIUGNO 1G34. 103 [2953-2955] A i frutti del Cosentino inalamelito possono corrispondere questi della nostra creta, mentre massime quelli non falliscano all’occhio, e questi bene spesso anco al taglio. So queste quattro formo elio li mando riusciranno tollerabili, se ne con¬ tinuerà, qualche altro saggio ; se no, aspetterò che sieno secchi, poiché all’ hora tutti riescano più uniformemente, lo passerò l’oflìtio di cortesia, elio V. S. mi comanda, con tutti questi Signori, li quali so elio l’amano o la reveriscano quant’ olla merita : e molto diversa estate mi farà provare quest’anno l’assenza della persona di V. S. ; ma purché Iddio mi facci goder buone nuove di lei in ogni luogo, tollererò volentieri ogni privatimi© di mio gusto. E con pregarlo ogni desi¬ si) dorata felicità, lo bacio con ogni alletto lo mani. Di Siena, li 13 Giugno 1G34. Di V. S. molto lll. ru Vero Afl , ." m Se. A. Ar. vo di Siena. 2954 *. GUGLIELMO SCHIOKIIARDT a MATTIA BERNEGGI ER in Strasburgo. Tnbingn, 13 giugno 1034. Dalla png. 202 delPopera citata nell' informazione premessa al n.° 2088. .... Caeternm quo stata Galilaoica versentur, intelligere aven. Fac, ohpecro, si per valitudinem et infinita)) occupntiones tuaa alias licobit, ut hoc aulimmo prodeaut.... Scrib. 3 InniD'J un. 1634, Tubiugae. 2955 *. BONAVENTURA CAVALIERI a [GAT.ILEO in Arcelri]. Bologna, 1G giugno 1G34. Blbl. Naz. Fir. Maa. Gal., P. VI, T. XII, car. 70. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mn Sig. r e P.ron Col. 0 Prima di hora non ho potuto ritrovare le poesie del Panotio, come ella de¬ siderava, poiché havendo (alla barba de’ buoni poeti) havuto grandissimo spac¬ cio, qua più non so ne trovano; anzi non ho potuto bavere se non il Dialogo dell’anima con Christo {i) , quale li mando por la presento commodità. Vado pur sollicitando la stampa della mia Geometria (3) , ma non no posso venire a capo, poiché quosti stampatori vogliono servire a ciascheduno che li I') Di stilo giuliano. fano di Bologua. In Bologna, por gli horedi dol Cochi, Dialogo tra diritto e l'anima do) P. D. Grò- M.DC.XXV. vanni Panktio, Monaco Celestino, Abbate in S. Sto- 1634. 2957 *. GIO. MICHELE LINGELSHEIM a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Heidelberg, ‘20 giugno 1634. Dulia png. 72 dell’opera citata noli’informazione promossa al n.® 2646. Virorum et Amicorum Prestantissime, Ad Dinas tuas responsum tibi debeo, qua» Miegius « et amplissima Brederodius< 4 > 111 ibi roddiderunt. Specimen Galilaeicorum tuum mihi per omnia placet: tanta est perspi- cuitas in intorpretatione tua, ut longe exactius acceperim quam ex ipso auctore. Sic porge bene merori de publico, et molestia» magni labori» fortiter perler; quibus cor est, magni iacient liane tuam operam .... Ileidelb., 10 Iun. 1634. 2958 **. GERÌ BOCCHI NERI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 24 giugno 1631. Blbl. Wni. FIr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 61. — Autografa. S. r mio, Andrà hoggi la lotterà a Venotia. Non mi maraviglio elio li dispensieri non liabbino mandato il pesco, porche ne hanno carestia, et compenseranno (credo io) V. S. in carne, come hanno pro¬ messo di fare a noi ; et ne parleremo loro, ma hoggi essi non stanno a bottéga. Parleremo al Provoditore dol Monto, o al S. r Cosimo del Sera, per cavar (la loro l’affirmativa ot non la negativa intorno al metterò denari sul Monto, se si possa. "1 Cfr. II.» 2238. (*) Cfr. n.» 2956. '*1 DI stile giuliano. (») Di stile giuliauo. Gì Giuri. io Miro. XVL M 10G 24 — 25 GIUGNO 1634. [ 2958 - 2059 ] Noi facciamo conto di sborsaro ogni volta li V 200 ~ por la casa, senza aspettare altro, perché così siamo consigliati. Il Broccardi 111 non può cautelarci io por doppo la sua morto, perchè il suo ò tutto in censi vitalizii ; ma il Zucca- gni ,2) ha ben egli de’ beni, cioè 2 altro case et un poderino, che sono più elio il soprapago delle doti della moglie et della iigliuola; et li detti suoi boni stanno per la sicurtà della casetta. Delli 25 V di che havovo per le speso, oltre alli 200, defalcato le speso et il ~ di y Uo , mi resteranno solamente V dl 9, perchè V 15 et tanto ho pagato alla Gabella, di cho ho mandato a V. S. la ricevuta. Di questi V ,li 9 si hanno da pagar le spese agli oitì/.ii ; et a questo conto si è pagato al notaio cho venne costà a far la procura 18 ’, V uno, onde ho solo V* 11 tì. Di questi no mando bora tre a V. S., com’ella comanda; ot Dio sa se questi V Jl 5 elio mi restano, ba- 20 tìteranno. Ma V. S. lo vedrà a suo tempo. Et le bacio lo inani. Di casa, 24 Giug. 0 1634. Di V, S. molto 111." et Ecc. ma Oblig.®" Parente ot Sor/” Gori Bocoliineri. Fuori, di mano di Alessandro Bocciiinerl Al K/ Galileo Galilei, mio Sig/ C in villa. 2959 **. ELIA TìIODATI a GUGLIELMO SCIIICKIIARDT in Tubinga. Ginevra, 25 gingilo 1081. Kg:l. IiandesUibliothok in Stuttff&rt. Cod. Iiist. fol.° n.° 508 (Deodatus), cur. 15. — Autografa. -Galilei deplorandae sortis te commiscrali, mihi, qui te cordatimi ot recti iudicii agnosco, non est mirum. linee scilicet sunt tempora, quibus, cum sibi soli sapere vix liceat, aliis nova et insolita face praelucere (invidorum coeca rabie, sub religioni» larva per hypocrisim, ubivis l'ere mine iudicum tribunalia obsidente) prò crimine habetur in- expiabili. IIli tuum de suis infortuniis scnsum significavi, simulque tuam do Burini ex parte astronomicam divinationem misi, ut ei ex hoc velut sperinone innotescas. Exontlatis, vir incomparabilis et optimus, plusquam lierculeis laboribus, illi a malignantium aemulo- rnm furore excitatis, quos ille, animo nusquam fracto sed penitu» invicto et vero philo- sophioo, vigoute imo roborata ei seniper valetudine, ad miruculuui usquo sustiimit, tandem <•' Alfonso Ukocoakdi. (M Purim, ,ive Bacohanalia Iudacorum. Roforento Iacopo Zucoagni. Wir.HKt.uo Sohikart, Professore Tubing. Kxoudentu |S > Cfr. Voi. XIX. l>oc. XXXVJII, b, 1). Thoodorico Werliuo Typ. M.DO.XXXIV. 107 [2959-2961] 25 GIUGNO — 7 luglio 1634. io Stimmi Pontificia benigniate quieti restitutus, in rusculo suo amoenissimo, duobns mini¬ bus passuum Morenti» distante, animo et corpore incoluinis vegetaque sonecta, pacati "uno dogit, oadeni qua prius apud suoni Principem pollens grati», et eodem apud con- cives et omnes bonos quo romper habitus est amore et bonore; suos interim, in dulei quo iruit.ur otio, excolens alios labores typis mandandos, noininat.ini vero insigne et a ple- risquo pridem expetitum opus do molu, in quo multa babentur singularia ad mechanicam praecipue pertinontia, bactonus a nemine nec cogitata nec audita. lJLis, l'utuiis tibi (ut credo) gratissimi», exhilarare to midi visura est.... 2960 **. MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC in Aix. (Parigi], 2 luglio 1034. Blbl. Nazionale In Parlai. Fonda francate, n. 1 * 9513, car. 3. — Autografa .)'»y iey vu uno lettre do Galileo. où il dit avoir assez do sauté et de tenips polir achcver toutoa eea oouvros, dont je suis tres ayse.... 2961 **. t GIO. BATTISTA CONDÌ ad [ANDREA CICLI in Firenze]. Parigi, 7 luglio (, i 1(534. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4645, car. 273. — Autografa la sottoscrizione. ....Madame di Combalet, che mi mostra un animo gratissimo dell’haverle fatto ve¬ nirti quo'drappi o l’occhiale ancora, di fresco arrivato e presentatole con sommo suo gusto, sehene non sappiamo fra tutti trovar la via ad aggiustare in modo, o più a dentro o più in fuori, il cannone che va in su o ’n giù, da poter fare che i vetri si riscontrino a far veder hen chiaro, non dice più altro del voler pagare i predetti drappi: c dell’oc¬ chiale ha reso moltissime e cortesissime grazie, et ha detto che vorrebbe che si presentasse occasione per servizio di cotcsta Ser. m * Casa appresso del S. r Card.' 8 Duca suo zio< 3 >.... Lett. 2959. 10. bmignignitale — <*> I,a lotterà è datata noli'originalo « ili Parigi, do’ 7 Giug.° 1(534 « ; uia « Giug « » è un orrore di penna dolio scrivente. La data, di mano sincrona, che si logge, come di solito, in capo al primo foglio (lolla lettera, a sinistra sul margine superiore, dico * 7 Lug.° 1634 ». (*' Cfr. n.‘ 2938, 2951. < s > Le parole « non dico . . . i predetti drappi ». e < et ha detto... Duca suo zio > sono scritte in cifra, e so ne loggo la trascrizione, di mano sincrona, fra lo linee. 108 7 — 8 LUGLIO 1634. 1 . 2962 - 2968 ] 2962 *. MATTIA BERNEGGIAR a GUGLIELMO S01IICKUARDT in Tubingn. Strasburgo, 7 luglio 1634. Bibl. Civica eli Amburgo. Cod. citnto al li.» 2618, car. 1201.— Minuta autografa. .... Veliomonter cupio proponete dubiti nonnulla convonrionis italicae, sud inni non vncat. Hoc unum tamen, quaeBO, mine «loco ino, quid Bit figura in iscorcio 1,1 spectata. Sonsus loci osso videtiu* do figura eversa noe erecta. Un. Lucius ( *'. con vietar nieus, tui valde lionorifioam rnentionoin subindo facete solitila, proioasua etiam ainicitiain uiarn, putat esse quod pictores vocant vcrUitsert .... 27 Iun.i 8 ) 1(334. 2963 **. • FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze!. Venezia, 8 luglio 1634. Bibl. Naz. Fir. Mas. (lai., P. VI, T. XII, car. 71. — Autografa. Moli’ DI.** et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col." 10 Credo che V. 8. LA. li averti, ricevuta V infonnatione e,irca 1' incudine ", che or¬ dinai le fosse mandata dal mio compagno, essendo io impedito. IA qui 1111.“'° Baitollo 18 ’, e mi assicura elio a Settembre l’Arrisi *' mi mandarà tutto quollo resta, che Barano scudi 00, conformo all’accordato o computo fatto. Ho un giovine gentili’ Intornoche brama far osservatione della luna; ma siamo senza canochiale, perché la posto ha portati li maestri, elio non habbiarao che strazze. Mi conviene ricorrer a lei, che ò inventore et devo bavero cose isquisite. Ilo un altro, elio nello inecaniche lavora ciò elio li viene in fantasia. Oh, so potesse star duo mesi con V. S., che coso impararebbe ! Questo nel studiar io il suo libro si è rissoluto far la sfora Copernicana: liiori mi discorso il suo in¬ tento; non so se vi arrivarà, ma farà qualche cosa. Hor questo mi dico, che se sapesse il diametro della sfora nella portione della quale si debbono lavorar li votri per li canochiali, che le dà. V animo di far lo formo per lavorarli. La Lett 2963. 8-9. cote ùquititi — 9. nelle tnrtcaniche — 0> Cfr. Voi. VII, P ag. 79, liu. 28. Ludovico Lucius. < 81 Di stile giuliano. 0) Cfr. n.o 2950. < s > l.ooovico Baitklu. **' Qio. Battista Arici. C Franoksoo Aubrruhktti. 8—15 LUGLIO 1634. 109 [2968-29641 prego darci gl’ indirizzi, acciò possiamo bavere qualche cosa di garbo, o que¬ gli avvertimenti co’ quali più aiutar la curiosità di questi spiriti non ordinarli. Il Roco (,) non si deve per alcun modo lasciare così; le appostili© devono essere ad calcetti,. Penso, di queste e delle altro sue divine speculationi, le difi- eoltà che può incontrar nel publioarle ; e pure il non farlo ò defraudar l’intol- 20 letto liumano della gloria maggioro a quale sia ancora arrivato in tal sogetto. Io vorrei bavere questo merito coll’ Immanità, d’essere mozo di questo bone. So a V. S. paro l’istesso, io lo farò, colla fede sincera che la lode tutta sia di chi essere dove ; o lassi pure a me il trovar il modo. Ci facia un puoco di ri¬ dosso. Il vendicarsi dell’ ingiurie incolpatamente, come questo, ò uno de’ più alti gusti Immani. Aspetto intendere che babbi ricuperata la sua sanità di corpo o serenità di mente, corno instantemonte le prego da Dio. E lo bacio lo mani. Yen.*, 8 Luglio 1684. Di V. S. molto ili. 10 et Ecc.'““ Dovotiss. 0 Ser. r so Ecc. mo Galileo. F. Fulgentio. 2964. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 15 luglio 1634. Bibi. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, oar. 03. — Autografa. Molt’ Ill. re et Ecc. mo Sig. T , Sig. r Col. m ° Ilo dato l’ordino a Brescia che sia tolto V incudine e le verghe d’aciaio al S compimento della somma, e mi sia mandato. Stimo bene che V. S. Eco.**** dia comissione alli Sig. ri Galilei di riceverla e come prattici mandarla. Il discorso del P. Grombergoro w ò degno della superbia giesuitica, ma ris¬ sante anco quella strana temerità di chi crede bavere dominio sopra la fama. Ho ben io altro pensiero, che anzi la loro sfaciata persecutione debba ronderò il nome di V. S. più glorioso. Di già il suo libro deve essere latino, o si farà in tutto lo lingue. io Lo mie ocoupat-ioni Y. S. non le potrebbe imaginare; nè altro mi fa forte al tolcrare elio il servir volentieri, ot il contento di vedere mordere la catena L.ett. 2964. 4. come prodi — Cfr. Voi. VII png. 571. <*» Cfr. n.o 2970, liti. 17-53. 110 15 LUGLIO lfi34. 12964-2966] a quelli elio por tutto non possono quanto por petulanza et altrui bestialità pretendono. Scrissi nelle passate pregandola aiutar un gentili* huomo 1 che oon un oc¬ chialo dosidora osservar la luna, aciò si motta in via di hatreme un buono: mi favorirà della gratin. ; e mi commandi senza alcun rispetto, rhè il servirla mi è contento e gloria. E lo bacio lo mani. Von.*, 15 Luglio 1684. Di V. S. molto 111.** ot Ecc.** Eco. Galileo. 2965 * GIOVANNI VÀNNUOCIM u [GALILEO in Anatri). Murlo, 15 luglio 1SS4. Blbl. Naz. Flr. Appendice iti Mss. Uni., Filza K*r»ro A. cnr. C4. Autografa. Molto 111." et Eco.*® Sig." e P.ron Col.»» Ricevei r honoro della lettera di V. S. Eco- in Vescovado, dove non ho potuto trovar cosa a proposito secondo il suo frusto in materia dodi 3 barili di vmo, perchè per l’estate non sono vini da resistere. Procurai por* far penetrare a Mons. r RI.»" 1,1 il contenuto della lettera scrittami, et so che egli lia dato or- d.no al nuovo Maestro di casa che usi ogni diligenza, acciò resti servita dell» dotti 3 bardi di Vino alla ricolta futura. Se li faranno bisogno quattro some di vino buono por bere l'inverno, sporo ohe la potrò servire conforme al suo gusto; tutta via starò aspettando a quel tempo i suoi comandamenti di nuovo: od m tanto bascio a V. S. Eco.*» humilmente la mani. Di Murlo, li 15 Luglio 1634. Di V. S. molto DI.» et Eoe- Sor.» [Rimili.- e Dev- Giovanni Vannuccini. 14. Scritte nelle — ‘'I Cfr. il.» 21)03. 11 Azcaxio PlOCOkOMlXb I.2966J 16 LUGLIO 1634. Ili 2966 . GALILEO a MATTIA BERNEGGER in Strasburgo. Arcotri, Ili luglio 16114. Dallo pa«r. 111-112 dell’opera citata nollMnfonnaxione promossa al n.» 264fi. — Nella Biblioteca Nazionale ili licenze, Mss. Dal.. P. VI, T, \ I, car. 82. so no ha una copia sincrona, eli mano tedesca, a tergo «lolla «inalo, sul margine, si logge, «li mano ignota ma ossa puro sincrona: « 1684. Lettre de M. r Galilei a M. r Berneckor, du 1C Aoust », o di mano «li Vincenzio Vituni: « 16 di Luglio 1684. Sig.» Gal. al Hlg.r Herneggero ». Il testo di questa copia presenta, a confronto di «inolio della citata stampa del 1670, lievi diversità (tra cui alcuni manifesti orrori), elio notiamo appiè di pagina. Per illustri et Excell. mo Viro Matthiae Berneggero Galilaeus ile Galilaeis (1) . S. P. D. Si nostros vultus et corporis speciem ab egregio piotore exprimi libenter aspicimus atque honoris loco habemus, quanto iucundius at- , que lionorifìcentius esse d ebeti, si non oris fìguram, non corporis simu- lacrum, iti est no,strae imaginis imaginem, sed animi sensa, mentis habitus, nostraeque intelligentiae simulacra, id est piane nos ipsos, a prestantissimo artifice studiose repraesentari videamus? Nemo itaque io me iure repreliendat, si magnani percipio voluptatem et iam me aliquid esse puto, ex quo inaudii, meas pliilosophicas lucubrationes, quas postremo in publicum lietrusca scriptione emisi, a te, doctissime Berneggere, latinae elegantiae coloribus solertissime referri. Tua vero hac opera effectum iri auguror, ut me omnis posteritas non modo qualis ingenio fui possit contemplari, sed et supra quam merui admi- rari : nana tuum artificium hoc pollicetur, ut, citra similitudinis de- trinientum, me pulchriorem quam sum ostendas, et, imitatila Apellem, qui Antigoni faciem altero tantum latore ostendit, ut arnissi oculi deformitas occultaretur, tu quoque, si quid in me mutilum vel deformo so offendes, ab ea parte convcrtas qua speciosius apparebit. Hanc mei ornandi occasionem, quam, nullo meo officio provocatus, tam amanter ultro arripuisti, percupio sane luculenta aliqua gratitudinis signifi- catione remunerari; sed, ut mine tempora fortunaeque meae sunt, Lett. 2966. La copia manoscritta leggo: lin. 4, corpori* ipeoie»; lin. 6, adtpieimut; lin.5-0, tuaitnditu ri honorijir.entiiii ; lin. 9, repraeientari indiami un : lin. 18-14, Tua vero Ance opera; lin. 17, deforme olienti et; t" Cfr. n.o «023, lin. 18-21, I 12 16 — 20 LUGLIO 1634. [2966-2967] non possum tibi nisi liane ipsam cupiditatem exhibere, et sic o lon- ginquo tuam illam mihi carisaimam manum, qua nostri» laudibus allaboras, ex animo dissuaviari. Ceterum deierare liquido possum, post tot torba* et corporis animique vexationes, quas milii pepererunt primum studia ipsa, qua© radices artium amarao sunt, deinde stu- ditìrum fructus, qui multo ipsis radicibus amariores fuerunt, hoc tuo erga me studio indiani niilii maius solatium contigisse. Etenim (ne uo sis nescius) liber hic, queni tanti putas ut exornes, vix famao lucem adspexit cum mihi subito, obortis invidine tenebria, triste inhorruit caelum, et sensi circa me fragoribus omnia quati, noe solimi tela maini facta in me contorta sunt, sed, caelcsti etiam fulmine atHatus atque ambustus, nonduin piane sordes et vincula evasi, sed adbuc catenam trailo, in mei praedii suburbani circumscriptas angustias relegatus. Non tamen bis angustiis eliditur aut contrahitur animus, quo liberas viroque dignas cogitationes seuiper agito, et ruris angn- stam hanc solitudinem, qua circumcludor, tanquam mihi profuturam aequo animo fero: cum eniin meae iain devexae aetati mora appro- 40 pinquet, fortius ad illam accessero, si me paulatim insuefecero a paucis agri iugeris ad tres ulnas sepulcliri, in quo non una cimi corpore nostrum nomen sepelietur, sed, modo tu me ornare pergas, orbein universum ine fama excursurum, et, modo Deus hanc animi tranquillitatem mihi perpetuali! faciat, animo quoque me semper beata libertate fruiturum, confido. Vale. Ex Arcetrii rnsculo meo, 17 Cai. Aug. 1634. 2967 *. MATTIA BERNEGGEIi a (ITO. MICHELE L1NGELSHEIM [in Hoidelberg]. [Strasburgo], 20 luglio 1634. Bibl. Civloa di Amburgo. Cod. citato al n.° 2618, car. 122r. — Minuta nlitografa ....li) opere Galilaico occupationes aline properare non sinunt. Nuper Elzevirii pro- miserunt irapeusas, itaque typographus initium exendendi feoit. Nobilissimi!» Brederodius (1) (reverentissime nomine meo salutandus) attulit a Piodato traotatum Foscarini (i \ in quo dogma Copernicanum cum Sacris Litteria conciliatili', sntis Un. 2S, amarìorea fuerant ; liu. 86. catena»; liti. 41, pnullatim. — 111 Pietro Corseli» de Brkderode. »*' Cfr. il.» 2962, liu. 7 ; n.» 2956, liu. 4. 20 — 22 LUGLIO 1034. 113 [2967-2968] specioso ac nervose, nisi fallo?. Is Galilaeum adversus eos qui specie pietatis ventatesi impugnant, egregie communiot. Adneetam quoque Kepleri Lunarem Astronomiam^, mule invicta prò Copernico argumonta poti quount.. Nondmr» enim, quod sci am, Inccm is liber aspexit. Si votis propitius Deus annuerit, in siun et comploxu vestrae Universitat.is ex- tremam operi mauum imponam. Quae cinicissima spes animo meo obversaus, percepto IO quodam gaudio moleslias alias aut leniet aut ubaterget. V. 10 lulii m 1634. 2968 . BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arcetri]. Bologna, 22 luglio 1G34. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, cnr. 73. — Autografa. Molto III.” ot Ecc.“° Sig. r o P.ron Col. u, ° Con Foccasiono clic devo passavo di. costi! un Padre nostro, clic tiono or¬ dino di venirla a riverire in mimo mio, essendosi già finita la stampa de’primi cinque libri della mia Geometria (3) , gliel’ ho voluti inviavo, acciò, bavendo agio, gli dia un puoco di un’occhiata, elio mi sarà di molto favore, e massimo so mi dirà qualo gli riesca il mio fondamento delli indivisibili. E perchè dubito elio a molti sia forsi per dar fastidio quel concotto delle infinito linee o piani, per¬ ciò ho poi volsuto faro il settimo libro, nel quale dimostro per altra via, diffe¬ rente anco da Archimede, lo medesime cose; nel sesto poi tratto delli spatii io sotto le spirali o voluto in maniera differente da Archimede : quali vedrà come saranno stampati. Vedrà dunque fra tanto questi cinque, noi primo do’ quali sono scorsi alcuni erroretti, però di puoco riliovo, o nel libro 2° devo mutare il foglio G della dimostratione o propositiono 17 ; perciò potrà lasciar di vederla sino che io non li rimando quel foglio ristampato. E trovandovi mancamenti, come so elio sarà, scusorà la mia debolezza e bassezza del mio ingegno, che non può poggiar tant’alto come il suo, nò apparir io suo degno discepolo, o mi com¬ patirà, non bavendo havuto qua mai con chi poter conferire le mie specolationi. So in cosa alcuna la posso servire, commandi al Padre quanto desidera, chò esso al ritorno del tutto mi potrà avisare, poiché sta qua nel nostro convento, 20 anzi siamo noi due soli che qua ci godiamo il papato. E con tal fino alla sua buona gratia raccomandandomi, gli baccio affettuosa mento le mani. Di Bologna, affi 22 Luglio 1634. L)i V. S. molto 111.” ot Ecc. ,m * Ob. ,no Ser. T0 F. Bon. rft Cav. rI «') Gfr. n.o 29f.fi, lin. 23-24. •*' ni stilo giuliano. XVI. < 3 > Gfr. 11 .» 15)70. 15 114 22 LUGLIO 1034. [2909] 2969 . FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO [in Areetri]. Venezia, 22 loglio 1634. Bibl. Naz. FIr. Mas. Gal., ?. I, T. XI, car. 05. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. mo Sig. r Col.® 0 Dalla collegata vedrà V. S. Ecc. raa quello si ò essequito intorno all’ incudine o la ragione del non havere mandato anco lo verghe d’aciaio 11 ', elio mi paro buona ; o so il suo compadro n’ Laverà bisogno, ad ogni cenno di V. S. no or¬ dinare. 17 incudine sarà in Bologna, ove potrà per mio nomo ordinaro al P. Pro¬ vinciale elio lo mandi, al qualo scrivo lioggi elio no facia quello lo sarà da lei significato. Il suo dimorar in villa è dolio felicità elio ’l suo gonio, la sua età o lo spo- culationi ricercano; et a lei, che non si contamina negl’errori del volgo, non devo diminuirne il piacere o ’l comodo che gl’inimici o persecutori habbino parte io in farglilo godere, perchè la causa efficiente non è considerabile. Io sono così implicato in nogotii, elio non posso assicurarmi d’ Lavoro un giorno vacuo; posso haverno, ma non me ne prometterò mai; et al mio gonio, più inclinato allo me- ditationi elio all’attioni, saria la mia carica intolorabilo, so il debito di servire non me la facesse sostenere volentieri; e ci ha parto anco il sapere di dispia¬ cere a quelli olio credono potere dominare tutto tre le potenze, memoria, intel¬ letto o volontà. Lo vivo al solito deditissimo, o le bacio lo mani. Von. a , 22 Luglio 1634. Di V. S. molto 111.** et Ecc. mx Dov. mo Ser. r * Sig. r Galileo. F. Fulgentio. 20 Volti i2 ’. Post scritta ho la sua gratissima di 15. Lo rendo gratie cordialissimo della promessa de Pocchialo e dell’informationo por farne 131 : so al mio amico riuscirà, procurare anco do’ specchi vecchi. Anco qui venne aviso della sfera Copernicana, ma non comparisse. V. S. è fatta un gran nemico di quel sistema, conio so egli rimesso maltrattata, e non l’altrui malignità; et io le fo pronostico elio non varcarano molt’anni, elio nelli cervelli do’ mathematici la terra Laverà rotto il chiodo postoli, o vorrà far i suoi corsi. L’IU. mo Battello 14 ’ ha un fratello, cho ha gusto nelle matematiche; IO Cfr. n.“ 2901. < 2 > Il poscritto ù sul tolgo «lolla carta. i»> Cfr. iid.ì 8068, 2961. O) Lnnovtro Baitki.m. 22 — 25 LUGLIO 1034. [2969-2970] 115 30 lui letto il libro suo, che si vendeva mezo scudo, adesso 2, 3 o quattro: e l’istesso Sig. r Lodovico è di grandissimo ingegno; ha conosciuto V. S. in Padova, e la honora. So che riceverà suo lettere con gran piacere. Questo inverno vennero a Venetia rabarbari nuovi ; li dicono perfetti co¬ storo: so occorrerà, haverò modo por havorno del migliore. Manna ve n’è sem¬ pre di ©squisita: canella è un pezzo che non n’è capitata di nova; io non credo a chi mi dice Laveria perfetta quanto cara. Scrivo al P. Provinciale de’ Servi a Bologna, che giolito l’incudine, senza aspettar altro lo mandi a S., a cui di novo bacio le mani. 2970 . GALILEO ad ELIA DI0DAT1 [in Parigi]. Arcetii, 25 luglio 1034. Bibl. d’Ing-uimbert in Oarpentras. Rcg. XLI, Voi. II, car. 23. — Copia «li umuo sincrona, in capo alla «inalo si leggo, di mano di Nicooi.ò Farri di Prirhso «1634, 25 Luglio. Galileo Ualiloi al S. r Deodati, (lolla sua carcoro ». I,e parolo da « A tutti » fino a «Ma prima» (Un. 100-114) non si loggono nella copia (lolla Biblioteca di Cnrpontras, o noi lo abbiamo riprodotto da una copia di mano di Vinoknzio Viviani, dio ò noi Mss. Galileiani della Bibl. Nnzionnlo dì Fironzo, P. V, T. VI, car. 88r., tra gli appunti raccolti dal Viviani por compilare il suo Quinto libro degli Elementi d'Euclide occ. (cfr. Pinforma- /.ione dol n." 2091). II Viviani, trascrivendo questo tratto, ma non ciò clic proemio (lolla lotterà, prò- motto ad osso, o a brani di altro lotterò di dato posteriori, lo seguonti parole: «Il Sig. 1 'Galileo nello seguenti lotterò al Sig.« Elia Piodati, noi dargli notizia (lolle proprio oporo elio gli rimangono ancora da pnhlicaro, così dico: no’25 Luglio 1884: ». Il posto in cui lo lineo trascritto dal Viviani devono ossoro inserito nella prosonte lotterà risulta, oltro elio dal contosto, dall'avcr il Viviani conservato nitrosi lo parolo immodiatamonto seguenti, soltanto però lino a «la prosonte» (lin. 117). K sompro tra gli appunti do! Viviani, nel codico citato della Bibl. Nazionale (li Firenze, queste lineo si leggono anche, di mano dol Viviani o di un suo amnunonso, iu vario copio a car. 27 r., G7r., 75r., 84r., 145r. (cfr. Quinto libro occ., png. 79). Molto Ill. rQ Sig. ro e P.rone Col . 1110 Spero che l’intender Y. S. i miei passati e presenti travagli, in¬ sieme col sospetto di altri futuri, mi renderanno scusato appresso di lei e de gli altri amici e padroni di costà della dilazione nel rispon¬ dere «alle sue lettere, et appresso di quelli del totale silenzio, mentre da V. S. potranno esser fatti consapevoli della sinistra direzzione che in questi tempi corre per le cose mie. Nella mia sentenza in Roma restai condannato dal S . t0 Offizio alle carceri ad arbitrio di S. S. u , alla quale piacque di assegnarmi io per carcere il palazzo e giardino del Granduca alla Trinità de’Monti; e perchè questo seguì l’anno passato del mese di Giugno, e mi fu 116 25 LUGLIO 1634. [2970] data intentione che, passato quello e il seguente mese, domandando 10 gratin della total liberazione l’havrei impetrata, per non haver (costretto dalla stagione) a dimorarvi tutta la state et anco parte dell’autunno, ottenni una permuta in Siena, dove mi fu assegnata la casa dell’Arcivescovo: e quivi dimorai cinque mesi, dopo i quali mi fu permutata la carcere nel ristretto di questa piccola villetta, lontana un miglio da Firenze, con strettissima proibizione di non calare alla città, nò ammetter conversazioni e concorsi di molti amici insieme, nò convitargli. Qui mi andavo trattenendo assai quie- 20 tamente con le visite frequenti di un monasterio prossimo, dove bavevo due figliuole monache, da me molto amato et in particolare la maggiore, donna di esquisito ingegno, singoiar bontà et a me affez- zionatissima. Questa, per radunanza di humori melanconici fatta nella mia assenza, da lei creduta travagliosa, finalmente incorsa in una pre¬ cipitosa disenteria, in sci giorni si morì, essendo di età di trentatrè anni, lasciando me in una estrema afflizione: la quale fu raddop¬ piata da un altro sinistro incontro, che fu che ritornandomene io dal convento a casa mia in compagnia del medico, che veniva dalla vi¬ sita di detta mia figliuola inferma poco prima che spirasse, mi veniva so dicendo, il caso esser del tutto disperato, e che non havrebbe passato 11 seguente giorno, sì come seguì; quando, arrivato a casa, trovai il Vicario dell 5 Inquisitore, che era venuto a intimarmi, d’ordine del S. to Offizio di Roma venuto all’Inquisitore con lettere del S. p Card. 1 ® Barberino, ch’io dovessi desistere dal far dimandar più grazia della licenza di poter tornarmene a Firenze, altrimenti che mi harebbono fatto tornar là alle carceri vere del S. t0 Offizio (1) . E questa fu la risposta che fu data al memoriale (2) che il S. r Ambasciato di To¬ scana, dopo novo mesi del mio essilio, li aveva presentato al detto Tribunale: dalla qual risposta mi par che assai probabilmente si possa -io coniotturare, la mia presente carcere non esser per terminarsi se non in quella collimane, angustissima o diuturna. Da questo e da altri accidenti, che troppo lungo sarebbe a scri¬ vergli, si vede che la rabia do’miei potentissimi persecutori si va con¬ tinuamente inasprendo. Li quali finalmente hanno voluto per sè stessi manifestarmisi, atteso che, ritrovandosi uno mio amico caro circa due I*) Cfr. li.» 2912. < ! > Cfr. n.o 2884. 25 LUGLIO 1634. 117 [2970] mesi fa in Roma a ragionamento col P. Christoforo Grembergero, Gie- suita, Mathematico di quel Collegio, venuti sopra i fatti miei, disse il Giesuita all’amico questo parole formali : « Se il Galileo si havesse ga¬ so puto mantenere l’affetto dei Padri di questo Collegio, viverebbe glorioso al mondo e non sarebbe stato nulla delle sue disgrazie, e darebbe potuto scrivere ad arbitrio suo d’ ogni materia, dico anco di moti di terra, etc. »: sì che V. S. vede che non è questa nò quella opinione quello che mi ha fatto e fa la guerra, ma l’essere in di¬ sgrazia dei Giesuiti. Della vigilanza dei miei persecutori ho diversi altri rincontri. Tra i quali uno fu, che una lettera scrittami non so da chi da paesi oltramontani et inviatami a Roma, dove quello che scriveva doveva credere che tuttavia dimorassi, fu intercetta e portata al S. r Card. 1 ® go Barberino, e, per quanto da Roma mi venne poi scritto, fu mia ventura che non era lettera responsiva ma prima, piena di grandi encomii sopra il mio Dialogo; e fu veduta da più persone, et intendo clic ce ne sono copie per Roma, e mi ò stato dato intenzione che la potrò vedere. Aggiungonsi altre perturbazioni di mente e molte corporali imperfezzioni, lo quali, sopra quella dell’età più che settua¬ genaria, mi tengono oppresso in maniera, clic ogni piccola fatica mi ò affannosa e grave. Però conviene die per tutti questi rispetti gli amici mi compatischino e perdonino quel mancamento che ha aspetto di negligenza, ma realmente è impotenza; o bisogna che V. S., conio mio 7o parziale sopra tutti gl’ altri, mi aiuti a mantenermi la grazia dei miei benevoli di costà et in particolare del S. ro Gassando, tanto da me amato e riverito, col quale potrà V. S. partici pare il contenuto di questa, ricercandomi egli relazione dello stato mio in una sua let¬ tera, piena della solita sua benignità tn . Mi farà anco grazia farli sapere come ho ricevuta e con particolar gusto letta la Dissertatione del S. M Martino ITortensio {t) ; et io, piacendo a Dio ch’io mi sgravi in parte dai miei travagli, non mancherò di rispondere alla sua cortese lettera. Con questa riceverà anco V. S. i cristalli per un telescopio, domandatimi dal medesimo S. re Gassendo per suo uso e di altri, de¬ so siderosi di fare alcune osservationi celesti; li quali potrà V. S. in¬ viargli, significandoli che il cannone, cioè la distanza tra vetro et ve- Cfr. u.° 2851. i*) Cfr. n.° 2851, liu. 17. 118 25 LUGLIO 1634. [2970] tro, deve esser quanto è lo spago che intorno ad essi è avvolto, poco più o meno secondo la qualità della vista di chi se ne deve servire. Berigardo (1> e Chiaramente i% \ amendue lettori in Pisa, mi hanno scritto contro ; questo per sua difesa, e quello, per quanto dice, contro a sua voglia, ma per compiacere a persona che lo può favorire nelle sue occorrenze, ma amendue molto languidamente. Ma quello che è degno di considerazione, alcuni, vedendosi un larghissimo campo di poter senza pericolo prevalersi dell’adulazione per augumento de’proprii interessi, si son lasciati tirare a scriver cose, che fuori delle presenti do occasioni sarebbero facilmente reputate assai esorbitanti, se non teme¬ rarie. Il Fromondo si ridusse a sommerger fin presso alla bocca la mobilità della terra nell’eresia. Ma ultimamente un Padre Gesuita ha stampato in Roma che tale opinione è tanto horribile, perniziosa e scandalosa, che se bene si permette che nelle catliedre, nei circoli, nelle pubbliche dispute e nelle stampe, si portino argomenti contro ai principalissimi articoli della fede, come contro all’immortalità del¬ l’anima, alla creazione, all’Incarnazione etc., non però si deve permetter che si disputi nè si argomenti contro alla stabilità della terra; sì che questo solo articolo sopra tutti si ha talmente a tener per sicuro, ìoo che in modo alcuno si Labbia, nè anco per modo di disputa e per sua maggior corroborazione, a instargli contro. Il titolo di questo libro è: Mekhioris Indiofer, e Sode,tate Iesu, Tractatus syllc/pticns (:i) . Feci anco Antonio Rocco, che pur con termine poco civile mi scrive contro in mantenimento della peripatetica dottrina et in risposta alle cose da me impugnate contra Aristotile <4) ; il quale da sò stesso si confessa ignudo dell’ intelligenza di mathematica et astronomia. Questo è cer¬ vello stupido et nulla intelligente di quello che io scrivo, ma ben arro¬ gante e temerario al possibile. A tutti questi miei oppositori, che son molti, ho io pensi oro di rispondere; ma perchè l’esaminare a parte no a parte le vanità di tutti sarebbe impresa lunghissima e di poca uti¬ lità, penso di far un libro di postille, come da me notate nelle margini di tali libri intorno alle cose più essenziali et a gli errori più maiuscoli, e come raccolte da un altro mandarle fuori. Ma prima, piacendo a Dio, voglio publioare i libri del moto et altre mie fatiche, cose tutte nuove e da me anteposte alle altre cose mie sin ora mandate in luce. <•> Cfr. ii.» 2711. <*' Cfr. ».» 2326. < 3 > Cfr. n.° 2801. <*> Cfr. Voi. VII, paff. 671-712. [2970-29711 25 - 28 luglio 1634. 119 Riceverà V. S. la presente dal S. r Ruberto Galilei, mio parente e Signore, al quale potrà fare parte del contenuto di questa, atteso elio a S. S. scrivo bene, ma assai brevemente. Tengo anco lettere m del i 2 o Sig. ro do Peiresc, d’Aix, ricevute insieme con quelle del S. ro Gassendo ; e perchè amendue mi domandano i vetri per un telescopio da fare osservazioni celesti, mi faccia grazia significare al S. r Gassendo che dia conto al S. p de Peiresc d’haver havuto i vetri, pregandolo conten¬ tarsi che di essi anco il Sig. r de Peiresc possa servirsi, facendo di più appresso il detto Signore mie scuse se differisco a rispondere ìilla sua gratissima, trovandomi pieno di molestie, che mi violentano a mancar talvolta a quelli offic.ii che io più desidero di ossequine. Sono stracco, et bavero soverchiamente tediata V. S. : mi perdoni e mi co¬ mandi. Gli bacio le mani. iso Dalla villa d’Arretri, li 25 di Luglio 1G34. Di V. S. molto 1. Servitor Devotissimo e (^Rigatissimo Galileo Galilei. 2971*. MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC [in Aix]. [Parigi, 28 luglio 1034J. Bibl. Nazionale in ParigL Kouds frniir.ais, n.« 9643, car. G. — Autografa. Monsienr, «le vous envoye les 3 petits traile/. (S) que j’ay faita, aflRn que vous on puiasioz reeevoir qnelque contentement panni vos occupations plus sericusoa. «le vous prie U'en- voyer ìi M. Doni < a) , quanti vous en trouverez l’occnsion, ceux où son noni est, doni les questiona morales, niathomatiques etc., sont differentes des vostres: parco qu’il y a des raisons polir le mouvement de la terre snns refutation, pour lesquelles j’avois mìa lasen- tence des Cardinaux pour medecine, cornino vous vene/.; mais parce que l’on ine diat qu’il y avoit eu qnelque bruict panni les docteurs de Sorbonne à cause des raisons que jo ne refutoia pas, j’ay ostò toutes les questions dont ils se pouvoient formaiiser, et en 10 ay mis d’autres, que vous verrez tlans le livre pour M. p Doni, qui sera plus propre pour Rome.... Cfr. u.° 2868. (** Cfr. Oeuvre » ilo Dkscautks publióos par Charlbh Adam ot Paul Taknrkv sous las auspicos Paoi.o Sabbi. < 3 > Cfr. a.» 2003. [2073-2975] 8—12 AGOSTO 1634. 121 2973 *. GIO. MICHELE LINGELSTIEIM a MATTIA BERNEGGER [in Strasburgo]. Heidelberg, 8 agosto 1034. Dalla pag. 77 doli’opera citata noli’inlonunziono promessa al n.° 2046. _Gamico, to pergore in Galilaeauo opere. Placet institutum ile addendis caeteris eiua arguraenti di.... lleidolbergae, 29 lui/ 2 ’ 1034. 2974 **. ERICIO PUTEANO a MICHELE van LANGREN in Bruxelles. Lovanio, 9 agosto 1034. Blbl. Royale de BolR-ique in Bruxelles. Mss. 19887-38. — Autografa. _Nu sulleii wy verwacbten wat MichaloruB <:, > woort sai brengen, om tevatont mynen boeck, dio overlange gereest is geweest^, uyt te laeten gaen. Leso man wil al siemle, blint syn: of blint syndo, sien. "Wat is hy t.e vreesen die tegoli de waerheyt strydt.V Dii is do sententie van deen seer geleerden ernie goede Pater Della Faille die ick sai nemen als cenon sellili, tegen alle de pylen, die eemn man van Urbino soude mogen vytwerpen. lek heb bier gediscoureert ni et Pater à S. Yinecntio, die liier is gckomen op een disputati» (waer van ick Y. L. hier een exemplaer sonde (8 >) ende is nu geinformeert va» t’ begin der dagen, ende waerom dat liet selve, ernie op sulcken plaetso, moet gestelt syn. lek ver- wacht mede uyt Italie» het gevoelcn van Galilaeo 17 ’.. 2975 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 12 agosto 1634. Bibl. Na?.. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 75. — Autografo. Molto Ill . r0 Sig. ro o P.i’on Col . 1110 So bene dal nostro carissimo Padre Francesco <8> tengo frequenti avisì del buon stato di V. S. e della totale rassegnazione della sua volontà in quella di Cfr. nu. 1 2952, 2950. <*> Di stilo giuliano < 8 > Giacomo Michai.oui. <*' Cfr. Knvoi Putbani Circuii Urbaniani vin- ilicine ndvcniuti [ac. Michalorum Urbinatem, et isia eiua upocrisi reiccla, arbitro Uminnitiasinto Cardinali Io. Francisco Ouidio a Calmo. Lovauii, typis Cornelii Ooouostonii. CI0.10CXXXIII. (S) Gio. Caiu.o ohm,a Faillr. «°> Cfr. n.° 2472. (7 > Cfr. Hrnri DosmaNS, S, J., Documenta infilila sur Créffoire de Saint - Vincent. Bruxelles, Polleuilis ot Coutorick imprimonrs, 1903, png. 35, nota 8. < 8 > FaMIANO MrOIIKMNT. XVL Ift ?rop.»« 122 12 AGOSTO 1634. [21)76] Dio c de’ superiori, cosa elio mi dà grandissima consolazione, in ogni modo la lettera di V. S. mi ha talmente rallegrato, che non lo posso esprimere: bastili che di tenerezza lacrimatus sum. Il Signor Dio la conservi in così santi pen¬ sieri, e havendoli fatto dono dol più elevato intelletto che sia stato gran tempo fa, per intender parte delle Sue grand’opere, li conservi ancora questi lumi, co’ quali conosco o vedo che gli avvenimenti di questo mondo sono vanissimi fantasmi di sogni nel breve sonno di nostra vita; o però possiamo esser sicuri, io che quando si svegliaremo alla vera vigilia dell’altra vita, ci sarà consolazione grande l’intendere che assolutamente sono un niente: e questa allegrezza sen¬ tiremo noi quando i sogni siano stati noiosi; ma quelli infelici, che sopiti in profondo letargo d’ignoranza godono di presente avvenimenti, cioè vani sogni, giocondi e allegri, all’ bora restaranno confusi e addolorati, ritrovando che sono state tutte vane imaginazioni. Mi piace assai che il libro De bello Suecico (1 ’ li sia piacciuto, perchè l’au¬ tore fa più stima del purgatissimo giudicio di V. S. clic di ~ di altri. Ilora l’autore si ritrova in Fiandra, e hoggi li scrivo. Volendo lei rispondere, potrà farlo a suo commodo, e mandarmi la lotterà, chè glie la conserverò o li man- 20 darò la minuta, chè così tengo ordine. Nel resto quella cosuccia che mi passò per la fantasia intorno alla luna e sua illuminazione alla terra e reciproca illuminazione della terra alla luna, fu con occasione elio una sora mi trovai con alcuni letterati clic facevano difficoltà come potosso la terra illuminare più la luna di quello elio fa la luna la terra; et ho dimostrata la seguente proposizione, che so che a V. S. riuscirà una bagatella : Se saranno due lumi, ineguali in sjiecie et in grandezza, illuminanti la me¬ desima sorte di ogetti in distanzo ineguali, l’illuminazione assoluta del primo all’ illuminazione assoluta dol secondo haverà la proporzione composta del lume so in specie del primo al lume in specie del 2°, della grandezza della superficie del primo alla grandezza della superficie del 2°, e della proporziono duplicata della lontananza del 2° dall’ogetto illuminato alla lontananza del primo dal- l’ogetto da lui illuminato. Tutto dimostro premesse alcuno difiìnitioni e supposizioni manifesto, dal che si può discorrere di quella tanto varia riflessione di lumi dei pianoti alla terra, l’ero lascio stare il tutto in riposo, per poterlo rivedere senza passione. E qui finisco. M’ero scordato di dilli che non lio riceutc altre lettore sue: o con questo li fo humile riverenza. 40 Lett. 2975. 20. dimoitrala la la tegnente — Cfr. n.° 2910. 12 AGOSTO 1634. [ 2975 ^ 976 ] 123 Tengo lettere del nostro Sig. r Andrea Arrighetti in proposito di condotti di acqua, dalle quali ricevo gusto e per la grandezza di quel* ingegno e perché la stima della mia scrittura Della misura doli’acquo correnti ;U . Roma, il 12 di Ag.° 1634. Di V. S. molto 111.' 0 Devotiss. 0 o Oblig. mo Ser. ro c Dia. 1 ® S. r Oal. 0 Don Boned. 0 Castelli. Inori, d'altra mmn : Al molto 111.™ big. r et P.n mio Col. ,BO 11 big/ Galileo Galilei, p.° Filosofo di bua Alt. Sor."* Fiorenza. 2976 *. FULGENZIO MICANZ10 a GALILEO fin Firenze]. Venezia, 12 agosto 1034. Bibl. Est. In Modonn. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXXX, n.® 114. — Autografa. Molto 111” ot Ecc.®° Sig. r Col." 0 Ricevo con la lettera di 5 di V. S. molto 111.” et Ecc. n,i * li vetri por il ca- nochialo, benissimo condizionati, o lo no rendo quello gratie elio posso maggiori, come di singularissimo favore. Ho ordinato il canone di punto, corno essa m’ha favorito di instruirmi. L’inventione è bellissima, corno tutte quello cui essa aplica l’animo. Stupisco cho l’incudine non sia ancora giunto in Bologna v ; ot hóggi ne scrivo a Broscia <3) . Il Sig. r Rocco ò veramente un galantuomo ; Aristotelico sì, ma in fatti io Intorno sincero, costumato, infatti un galant’ huomo. Tratta con tutti di V. S. come del maggior ingegno cho viva, nè sa satiarsi nelle lodi dolio suo specola- tioni. Non posso penetrar l’interesse del scriver il suo libro; ma chi scrivo por la Corto ha da*essere un insolente se fosse la modestia istessa, e la verità si lasciarebbo indur in bugio. Ha veduta, sotto la fedo cho conveniva, T apo¬ stilla 75 (4 ', o le la una risposta cho non è copiata, assai modesta, e che por mio senso non risolve nulla: è modesta, e la manderò lo spazo prossimo. Di grafia lo apostillo, chè ben veggo elio olla non può parlar senza insegnar cose nuovo o pellegrino. Le bacio di cuore lo mani o prego felicità. Von. a , 12 Agosto 1634. 20 Di V. S. molto 111.” ot Ecc.""' Dev. rao Sor. r S. r Galileo. F. Fulgenfcio. 01 Cfr. 11 .* 1903, lin. 13. <*> Cfr. u.° 2969, lin. 6. <*) Cfr. ii." 2972. 0» Cfr. n.® 2908. 124 12 — 11 AGOSTO 1G34. [2977-2958] 2977 *. UGO GROZIO a GHERARDO GIOVANNI VOSSIO [in Amsterdam]. Fraucoforte, 12 agosto 103-1. Uni 1« pag. 122 dello IIuoonis Grotii occ. Epùtolac occ. Amstolodauii, os typographia P. ot I. Blaov. MDCLXXXVII. .... Sententi am de terrai; rotalione, damnatam Romano iudicio, ut Sacris Literis ini¬ micati), non Italia tantum, sed et illarum reriim peritissimo Koppierò, placuisse scio, et multos quotidie reperio eam sectantes. Est tamen ex xtòv «patvopéviov àvawóSeix-cof, et ar¬ gomenta sunt in contrariam partem haud le via èx xtòv qmcaxtòv, etiam ox umbruruui qui- busdam observationibus, ai Caesenati cridimus .... Francofurti, Aug. 1034. 2978 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Amsterdam, 14 agosto 1634. Dal Voi I, pag. 308-806, doll’odiziono eitnta al u.° 2807. .... Le Sieur Beccinan 1S> vint icy samedy au soir, et me presta le livre de Galileo; mais il l'a remporté a Dort ce matin, en sorte que ie ne l’ay eu entro lea mains quo 30 heures. le n’ay pas laissé de le feuilleter tout cntier, ot io trouve qu’il pbilosophe assés bien du mouvement, encore qu’il n’y ait que fort peli iles choses qu’il en dii, que ic trouve ontiereraent veritable; mais, a ce que i’en ay pii remarquer, il nianque plus en ce ou il suit les opinions desia receues, qu’en co ou il s’en esloigne, exceptó toutefois cn co qu’il dit du flus et rellus, que io trouve qu’il tiro un pcu par les ebevous. le l’avois aussy expliquó en raon Monde t 8 > par le mouvement de la terre, mais en une fagon toute differente de la siene. le veus pourtant bien avouer que j’ay rencontré en son livre quelques une de mes pensées, colmile, entro nutres, deux que ie pense vous 10 avoir antrefois escrites. La premiere est que les espaces par ou passent les cors pesans quand ilz descendent, sont les uns aus autres comme les quarrés des toms qu’ilz emidoyent a descendre, c’cst a dire que si une baio employc troia momens a descendre depuis A iusquos a 13, elle n’en employera qu’un a lo continuer de B iusques a C etc.: co que io ilisois uvee beaucoup de restrictions, car en cflcct il n’est burnus entierement vray comme il pense le demonstrer. La seconde est quo les tours et retours d’une mesme chorde se lbnt tous a peu prés cn pareil tems, encore qu’ilz puissent estre beaucoup plus grans les uus que leB autres. Soipioxk Chiaramovti. <*t Isaoco Heeckmann. < a > Cfr. n.® 275)7. 14 — 19 AGOSTO 1634. 125 [2978-2979] 20 Sea raiaons poni- prouver le monvenient de la terre soiit fort bonnea; .mais il me aemble qu il no los estnle paa corame il fault, polir persuader, car Iob digressione qu’il meale panni soni cause qu'on ne se souvient plus des premieres, lorsqu’on est a lire les dernieres. 1 our co quii dit d un canon tire parallolenient a l’horizon, io croy que vons y trou- veréB quelqiio diflorenco assés sensiblo, bì vous on faites exactoment, l’experience. Tour les autres chosos que ni’esorivés, le messager m’osto le loysir d’y respondre, aussy qu’il m’est impossildo de resoudrc absoluement anelino qnestion de physique qu’ap- prós avoir oxpliqué tous mes principes, co qui m’est impossible que par lo traité que ie me suis resolu do supprimer. 80 Les tormos de l’imprimé de Liego<" eont: Quapropter idem Qalilcus, citatus ad Sa¬ crimi illud Tribunal Inquisitionis, et inquisitus et in carcere detcntus, pr devio que cxu- mine confcssus, visus ferme fuit iteralo in cadevi senta, ti a esse, quamvis hypatetico a se Ulani proponi simular et. Ex quo factum est ut, re optime discussa, prò tribunali sedentes Udini Eminentissimi Cardinales Inquisitorcs gcncralcs pronuntiarint et declu- rarint, cundem Gali team vchcmcntcr suspectum valori de hacrcsi, quasi scctatus fuerit doctrinam falsavi et contrariavi Sacris ac Divinis Scripturis, hoc est, solevi esse centravi mundi nec vioven ab oriu in occasum, taravi vero conira moveri nec mundi centravi ipsam esse, aut quasi cani doctrinam defendi posse uti probabilem existimaverit, tametsi dcclaratum fuerit cavi Scriplurae Sacrac adversari, ctc. 40 Io vous remercie de la lctt.ro que m’avés onvoyee, et vous prie d’en fairo ndrcsser la responso que ie vous envoye. le suis Vostro tros Obeissnnt et. tre» Aflectioimó Serviteur Descartes. D’Amsterdam, ce 14 Aoust 1634. 2979 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, li) agosto 1634. Bibl. Naz. Fir. Mas. (Ini., P. VI, T. XII, car. 77. - Autografa. Molt’ Ul. re Sig. r P.rone Col.’" 0 Mi viene scritto da Bologna l’arrivo dell’ incudine (2) , che lo mainiarebbono a V. S. molto 111. 10 ot Ecc. mi Ricevo con lo sue gratissime lotterò l’apostilla, o non bo pur potuto vederla. Il Sig. Rocco ha veduta la prima, e lo ha anco fatto una risposta, che voglio leggere prima di mandarla ,8) . Un gentili’buomo di gran spirito e elio adora V. S., et è anco amico del Rocco, m’ ha fatto aboccaro con lui due volte. Veramente è huomo di garbo, civile, pieno di buon affetto, o, lovatole questo che crede tutto l 1 ' Cfr. n.o 2931. “ Cfr. uu.i 2950, 29C3, 2964, 2969, 2976. <*> Cfr. a.» 2976. 126 19—25 AGOSTO 1634. [2979-2980] vero il detto da Aristotele più del Vangelo, un altro Simplicio, corto è huomo di garbo, senza malignità, in fatti un galanthuomo. Lo veggo pentito delle pun- io turo del suo libro; parla di V. S. come dell’oracolo vivo, eccetto che ove entra Aristotele iota unum non praeteribit. Questo non rafreddi V. S. dallo postillo ; perchè si potrano levare lo spino, ma nel resto veggo c’ Laveremo cose rare c nuove, et io non ricevo gudto maggioro. Per la monaca, quando arrivino lo mano nuovo, se V. S. così comanda, farò comprare le 4 lire: mi scrivi dove mandarla 10 . La mia età è di 64 anni, cominciati alli 8 di Giugno passato, ma sono oppresso da sì continue occupationi, che mi conviene cadere sotto la soma. La mia più soave rilassatone d’animo sono le suo lotterò, e la lettura iterata dolio suo operationi, dclli Dialoghi e di quanto ha publicato. Non posso però trovare 20 al mondo il discorso De insìdentibus aquae. Dio la conservi, come di cuore Lo prego: e le bacio le mani. Ver»/, 19 Agosto 1634. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ,u ' Dovotiss. 0 Sor. Ecc. m0 Galileo. F. Fulgontio. 2980. LODOVICO BATTELLI a [GALILEO in Arcetri]. Venezia, 25 agosto 163-1. BLbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, Olir. 67. — Autografa. Molt’ 111/ 0 et Ecc. mo Sig/ mio P.ron Col." 10 Fra l’obligationi eli’ io tengo col Rev. mo P. Maestro Fulgontio, numero come singolarissima V havermi aperta la strada di darmi a conoscere a V. 8. molto TU/ 0 et Ecc. ma quel servitore che già molt’anni vivo alla sua virtù, al suo nome, a’ suoi scritti. Col merito ch’olla tiene con l’universale, io concorro con la sola parto dell’ammirationo, perchè non ho occasioni di servirla, conio vorrei. Sappia nondimeno, et lo creda et no faccia esperienza col commandarmi, elio sì corno io amo singolarmente li suoi studii, così non ho maggior desiderio clic d’esserle servitor d’effetti et d’esser da lei conosciuto tale. Ilo dotto al Padre elio mi costituisco perpetuo ossattore (2J , già che altro non posso. Voglia Dio eh’ io la possa servir io por molt’anni, cho Io auguro con ogni prosperità et contento. Et le buccio le mani. Di Venetia, li 25 d’Agosto 1634. Di V. S. molt’ HI." et Ecc."** Ser/ Divotiss. 0 et Cord." 10 Lodovico Baitelli. Lctt. 2979. 12. preterihit — I») Cfr. li.® 2981, lin. 8-10. |!) Cfr. mi. 1 2902, 2007, 2950 occ. [ 2981 ] 2G AGOSTO 1634. 127 2981 *. FULGENZIO MICANZIO n GALILEO [in Firenze]. Venezia, ‘26 agosto 1634. Bibl.12flt.tn Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXX, n.« 109. — Autografa. Molt’Ill/ 8 ot EcC.“° Sig/, Sig/ Crìi."' 0 Acuso le suo gratissimo di 19. L’incudine, per lettore di Mantova, ora gionto là, et già 20 giorni scrive il mercanto di Lavorio mandato a Bologna, e soggiongo : A quest’ bora vi devo essere. Resto con maraviglia che non mi scrivo il P. Provinciale d’Lavorio Lavato. Il P. Prior nostro mi disse elio li scriveva il Provinciale elio vi era gionto (l '; o quando puoi veggo la lettera, dico non è ancor giolito. Io resto non manco. Lo manne nuove non sono arrivate; lo aspettano il moso venturo. So la spctiara vuole della vecchia, al primo conno mandarò lo 4 lire, ot usarò ogni io cautezza per ben servirò w . Il Sig. T Rocco mi riesco un compitissimo Imoino. Non si può esprimerò con clic bonoro a tutti parli di V. S. So sapesse conio, ritrattarla tutte le punture ; ma ove entra Aristotele, noli me. tangere : ipsissimus Sbnplicius. Mi mandarà un corpo do’ suoi scritti per V. S., perchè a caso ricercandoli in libraria, ove era, al tutto ha voluto li prometta di riceverli da lui. Li mandarò slogati, subito clic li Labbia, o vi aggiungerò per ontro li vetri. Séguiti lo postille, perchè veggo clic tarano strada a comunicar spocolationi mirabili ; o V. S. si vaglia doll’oc- casione, o lasci a mo il fastidio, oliò so quollo debbo faro. Quel mio amico della sfera 131 la migliora, che facia la terra l’orbo annuo 20 in 365, o si rivolga in sè 365 volto, tanto elio cambia il cerchio grande. La facilità della cosa nel vederla m’La fatto stupire. Mi comandi, riami, o le bacio di cuoro lo mani. Vcn. ft , 26 Agosto 1G34. Di V. S. molto IH. 1 ® et Ecc. m!l Il nostro spetialo, mio amico, mi dico elio por la mana al tutto conviene aspettar le nuovo. Ecc. m0 Galiloo. Dev. mo Sor/ F. Fulgentio. O» Cfr. n.° 2979. <*> Cfr. u.o 2979, liti. 15-16. <*> Cfr. n.» 29C3. 128 2 SETTEMBRE 1G34. [ 2982 ] 2982 * FULGENZIO MICANZIO a GALILEO fin Firenze]. Venezia, 2 settembre 1634. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, il® 110. — Autografa. Molt’IlI.™ et Ecc." ,n Sig. T , Sig. r Col."’ 0 Colla gratissima di 2G mi capita il rcssiiluo deli’apostilla, con lo nuove e maravigliose osservationi e specolationi, riservate sino a’ nostri tempi al suo di¬ vino ingegno. Piaccia a Dio conservarla in piena sanità, e tranquillità. 10 non scrivo mai so non per la via del Sig. r Geri (i) , onde non so come la lettera di che mi scrive sia uscita del piego. Qua certo non si fallarti di tenere quella strada. Lo sue apostillo vanno a verso di contenere tanto cose singolari, che si ron¬ derà famoso anco il S. r Rocco per liaverno data occasiono. 11 droghiero mi dice elio crede darmi la manna per hoggi a otto; se così io sarà, la man darò, et insieme li vetri o libri del Rocco, non vedendo occasione di mandarli, come desiderarci, per qualche frate di passaggio. Consegnarò tutto al giovino do’Sig. ri Galilei (2) , oliò riceverà qualche vantaggio col procaccio. Non mi maraviglio elio ancora non sia satia la malignità, perchè quelle sono serpi indomesticabili: ben è da stupire che, volendo faro dell’inventioni, non le facia di garbo, oliò lo scritto sono cosi goffo elio non vencriano in fantasia d’un vilano da zappa. Oh quanto mi pesa che V. S. debba pensare a queste laidezze! oliò se fosse ove io 1’ ho sempre desiderata, non solo ridcressbno de tali scioc¬ cane de furbazzi, ma gli le farossimo sorbire a forza di staffilate con la penna. Dio la protegga come Lo prego. 20 Scrivo ogni posta per l’incudine (3 \ o mi struggo che non capiti. È pagato il denaro, e saremo con Arisio l4) per il resto. Et a V. S. molto 111."' et Ecc. ,ua bacio le mani. Ven. a , 2 Settembre 1034. Di V. S. molto 111." 6 et Ecc. ma Dev. n,n Ser. re E.° Galileo. F. Fulgentio. **» fÌKftl Bocoiii.vkrt. < s > Beskuktto o Francesco Galilei. < 3 > Cfr. il» 29S1. Gl Gio. Battista Arici. [2983-2984] 2 — 4 SETTEMBRE 1G34. 129 2983 **. ASGAKIO PIO GOL OMINI a [GALILEO in Arcetri]. Siena, 2 settembre 1(534. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI. car. (59. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111." S. r mio Os.3. mo Sono arrivate benissimo conditionato lo frutte, dello quali V. S. m* La volsuto favorir© : sono veramente belle, o so le /.atte corrisponderanno alle loro promesse, saranno ©squisite. Io no ringrazio V. S. a misura dello mio obligationi, che del continuo vengano accresciute da’ suoi favori. Al Vannuccini (1) manderò la sua lettera; o perchè con ossa mi son ricordato che una volta V. S. li commettessi certo vino bianco, e elio da esso non li fu pro¬ visto, no la voglio servire io d’ una soma in fiaschi, che credo che non li dispiacerà. Non posso estendermi a fargliene maggior offerta, perchè la botto è assai piccola, io e pari a questo, al mio gusto, non ne trovo: però dovrà, a suo tempo, gradire più la volontà che l’effetto, che sarà così tenue. Io mi rallegro con V. S. di vero affetto della sua buona saluto ; e con pregare S. 1). M. che glie la conservi sempre, resto baciandole affettuosamente lo mani. Di Siena, 2 Sett. r ® 1634. Di V. S. molto 111. 10 Dovot. Ser, A. Ar. di Siena. 2984 **. ALESSANDRO NINCI a GALILEO in Arcetri. San Caaclano, 4 settembre 1(534. Blbl. Naz. Fir. Appendice ai Mas. Gal., Filza Favaro A, car. GG. — Autografa. Molto II. 0 ot Ecc. rao Sig. r mio P.ron Col. 11,0 Sono arrivato qui in San Casciano, dove ho trovato una gratissima lettera di V. S. In risposta (lolla quale dico, per me e per Giulio (2) , come diversi accidenti sin bora hanno ritenuto l’uno e l’altro di lasciarsi rivedere; e se bone haveremo potuto scriverò, co ne siamo astenuti per non infastidire V. S. senza necessità; ma fra pochi giorni comparirà Giulio, poi che io non posso per anchora partirmi. 11 medesimo Giulio è rimasto molto mortificato nel’ intendere che V. S. liabbi aspet¬ tato in vano certa farina, poi che non gl’ è stato fatto l’imbasciata, o pure reca- **> Giovanni Vannuooini. <*> Giulio Nimoi. XVL 17 130 4 — 9 SETTEMBRE 1G34. [2984-2986] pi tato la lettera ; ma al più lungho venerdì prossimo la manderà, o non prima, percliò, mediante la siccità de’ fiumi, non si può essere servito bene a sua posta, io E so altro gli odi arre in che da noi possa essere servita, assicurisi elio riceviamo per grazia singulare il potere, mediante i suoi comandi, mostrarci almeno ricordevoli di tanti obliglii con che gli siamo tenuti, mentre co ’l fine, pregbando il Signor Dio che conceda a V. S. cumulata prosperità, con la debita roveronza gli bacio le mani. Di S. Case." 0 , 4 di Settembre 1634. I)i V. S. molto 111.® et Ecc. ma Dovotiss." 10 o Oblig. mo Ser.° Alessandro Ni nei. Fuori: Al molto 111. 0 et E|'cc]. mo Sig. r mio P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, in Arcetri. 20 2985 **. GIULIO N1NCI a GALILEO [in Arcetri]. San Caschino, 7 .settembre 1G34. Bibl. Naz. Flr. Appendice ai Mss. Gai., Filza Favaro A, car. (55. — Autografa. Al molto Ilu." Sig. re Galileo Galilei. Mando a V. S. staia soi di farina per Santi di Gabriele Rosi ; o se gli ocore niete altro, V. S. mi avisi, perchè ò grande desiderio di servila. Dell resto pre- gado Dio ebe vi conceda la sanità. Il dì 7 di Settembre 1634, in Sancascano. Vo. r0 Alfe. 10 Giulio Nilici. Fuori: Al molto Ilu. ro Signore Galileo Galilei. 2980 *. FULGENZIO MLUANZ10 a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 9 settembro ÌO.’M. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autograli, B. a LXXX, u.° 111.— Autografa. Molt’ 111.” et Ecc. rao Sig. r Col.“® Ho la sua gratissima di 2. L’aspettarsi cV hora in hora le manne fa elio non le mandi nò li libri del Sig. r liocclio nè li vetri U) , per faro un solo tramesso. La risposta w alla prima m Cfr. 11.0 2981, lin. 13-1G; n.** 2982, lin. 10-11. <*i Cfr. u.° 2979. lin. 5. 9 — 10 SETTEMBRE 1634. 131 [2986-2987] postilla è in mano di Mona/ Contarmi (1! , uno do’ più devoti ammiratori della sua virtù eh’ alibi V. S.; che è causa che lioggi non la possi mandare, perché non l’ho potuto ritrovar in casa. La sostanza è divertire dallo coso alle formolo del siilo- gizare, cioò dallo cose sode allo chimere. Il ressiduo della soconda ò miracoloso, con specolationi nè mai intese nò imaginate. Veggo clic l’opera di queste postille io sarà un oro puro. Non si prenda cura so la penna punga o no. Séguiti puro, chò saria ben un animalo il Hocco se non amasse anco la batitura elio viene con tanto guadagno. Le dico in pura sincerità il vero : che nella lettura de’ suoi ponsieri facio il gusto cotanto delicato, che divertendolo alli scritti degl’altri, tutti mi paiono insipidi. Quolli c’ hanno voduta la sfera di quel mio amico ( * ! restano amirati dolla facilità. Sappia V. S. che questo è persona di 30 anni : non intende latino, ma un ingegno così habilo allo mathematiche, et in spotio alle mecaniche, che là ciò cho vuole. S’ ha fatto un istromento per far horologi da solo con una facilità estrema; diverse altre cose ha fatto: ma ò stupore come ben intenda il libro di V. S. Un’al- 20 tra cosa è singolare nella sua sfera, che l’occhio vedo tutto quello cho V. S. scrive dello machie solari, che in vero non così facilmente s’intende. Dio la conservi, o lo bacio lo mani. V/, 9 7mbro 1634. I)i V. S. molto IH.'* et Ecc. ,na Sor/ E.° Galileo. F. Fulgentio. 2987 *. MATTIA BERNEGGER ad ABRAMO MARCONNET in Tubinga. [StrasburgoJ, 10 settembre 1634. Bibl. Civica di Amburgo. Coll, citato al n.° 2(>13, car. 126r. — Minuta autografa. .... Saluta Clarissitnum Sohickardum, quaoso, nomino meo poi-officiose, et excusa me do silentio : die ctiain, Galilaeum per liane hyemem excusum iri, et nundinÌB vernalibus proditurum ; litteras quoque Biodati me recto curaturum.... 31 Aug.W 1G34. I.ett. 2086. 17. mncanirht — 01 PiKTBO COHTARINT. <*» Cfr. n.» 2081, lin. 10-21. <®i Pi stile giuli&uo. 132 12 SETTEMlUìE 1634. [2988] 2988 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 12 settembre 1634, Bibl, Naz. Fir. Mss. (lai., P. VI, T. XII, car. 79. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. m0 Sig. T e P.ron Col. 0 Stavo con grandissimo desiderio aspettando il giuditio di V. S. Ecc. ma sopra quei cinque libri della mia Geometria l,) mandatali: ma poiché intendo l’occu- pationi sue e le difficoltà che ha per applicatisi, togliondomisono la speranza, no resto molto mortificato. Dubito però che il non haver io forsi trattato quelle materie con la dovuta chiarezza, e con quella cho a V. S. Ecc. ma suole ossor così familiare nello spiegar delle suo dottrine, 1’ havrà fatta desistere dalla let¬ tura de’ dotti libri. Desidero almeno intendere se il S. r Andrea (,) vi si sia ap¬ plicato, et il suo senso ancora intorno a questi nuovi principii, sì come me no favorì intorno allo Specchio di Archimede* 3 '. lo Non so se mai ricevesse poi il Dialogo del P. Panetio**’, poiché di nuovo parlai al procaccio, e mi disso che glicl’ havrebbo fatto bavere. Similmente mi saria caro sapero se ricevesse mai lo dimostratami de’ duoi problemi cho li mandai 18 ’, poiché non ho sentito che nella sua passata me ne babbi fatto mentione. Vado accellcrando il fine della stampa della mia Geometria; quale finita, subito li manderò ciò che manca al di già mandato. Inviai il foglio G del libro 2 101 al I\ Lutio : non so so 1’habbi havuto. E con tal fino, augurandoli perfetta sanità e felicità, alla sua buona gratia mi raccommando. Di Bologna, alli 12 Settembre 1634. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma 20 Fuori: Al molto 111.” et Ecc. m0 Sig. T o P.ron Col. 0 11 Sig. r Gal. 00 Gal. oi Firenze. Lott. 2988. 7. delle aue dottrina — **i Ofr. n.° 2968. <*> Anuhka Arrkiiiktti. »•> Cfr. il." 1970, liu. 24; u.° 2271, li». 10-19. 9 <“ Cfr. il." 2955. Cfr. ».« 2920. <*> Cfr. n.o 2968. [2089] 16 SETTEMBRE 1634. 133 2989. LORENZO CECIARELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 16 scttcmbro 1634. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, cnr. 71-72. — Autografa. Molt’ 111." et Ecc. m0 Sig. r mio Col. mo Li caldi eccessivi cho sono stati fin fiora, m* hanno fatto contenere di mo¬ tivare la mia causa dell’ fieredità, lo cui scritture già tengo in pronto, man¬ candomi solo mi venga deputato dal S. r Card. D. Antonio Barberino un prolato che mi amministri qualche giustitia, so puro non mi venga suffocata dal troppo favore della parte contraria. Per il qual rispetto vengo a pregarla d’ una sua di raccomandatione al S. r Ambasciatore 11 ', cho mi voglia favorire di pòrgerò a dotto S. r Cardinale un mio memoriale, sicomo già mi si mostrò pronto. M’occorre di pregarla a farmi gratin singolare di far trovare duo canno di io cordellato di Fiorenza tinto in grana, per faro un guardacore alla mia consorte Caterina, quale con le altre sue sorelle fanno devotissima riverenza a Y. S., e questo inviarlo per la corto del medesimo S. r Ambasciatore, con l’avviso del denaro che dovrò pagare, quale pagarò prontamente in mano di chi mi conse¬ gnerà la robba; o lo riceveremo con obligo singolarissimo, oltre gli altri infiniti cho lo devo. Mi scusi della briga, poiché non fio in cotesto bande a chi darla nò da chi sperar possi tal favore. Qui li giorni a dietro successo un caso: cho il primo del corrente essendo andati a S. Egidio, festa di quel giorno, li figlioli del Duca Cesarino w e quelli del Duca Gaetano in una carrozza, s’incontrorno in un vicolo con D. Carlo 20 Colonna, quale mandò li suoi staffieri a far rinculare la carrozza di quei Si¬ gnorini, con gran loro disturbo. Causò tale affronto non poco risentimento nel zio dolli Gaetani, mostrandone grand’offesa ; et il giorno seguente s’incontrorno noi Corso, questo, chiamato D. Gregorio, per avventura, a caso, o quello, ar¬ mato come un S. Giorgio, con buona comitiva a posta fatta; o sfidatisi all’im- proviso, T). Gregorio investì D. Carlo, ma, trovato sotto il duro, cioè giubbone a piastre, si trovò morto il povero Gaetano con una stoccata datali da uno do’ suoi, con miserabil caso d’una carretta cho, venendo a passare, foco cadere osso Gaetano, dove sopragiunti quei del Colonna lo ferirno a morte, abbenchè si fosse portato da invitto cavaliere. Da questo avvenimento stanno in rotta le so principali famiglie di questa città, e Dio voglia si fermino le coso qui. <‘> Fhancrsco Niocolini. (>) Giuliano e Filippo di Gianqiokoio Cesarmi. 134 io — 23 SETTEMBRE 1634. [2989-2990] Tra le altre causo che vertono in mia bottega, lo significo questa solo conio curiosa et pellegrina: d’un certo Andrea Casale, Senatore Bolognese, quale es¬ sendo in età giovcnilo andato alla guerra di Fiandra per soldato venturiero, all’assedio d’Ostenda toccò una moschettata, o reputato morto, li compagni oc- cuporno quanto haveva, mandando finto iodi della sua morto o sepoltura. Fu curato o guarito il giovane; e nel tornare verso la patria, preso da’Turchi, ò stato 27 anni in schiavitudine. Ultimamente riscattato con altri, velino a Roma in età di 50 e più anni, o dandosi a conoscere con li principali Bolognesi, chi por uno interesse e chi per un altro, trattandosi di ~ scudi di facultà elio biso¬ gna restituirgli, ognuno lo nega, ancorché si faccino mollo provo lime inde. Fu -io por ciò carcerato et essaminato, e hiori in Congregazione del Vicario fu detto: Se questo non ò il demonio, è il vero Andrea Casale. E quel elio più, mostra la moschettata, della qualo si disso esser morto. Causa tanto più miserabile, quanto curiosa a narrarsi. Con che por fine a V. S., al S. r Vincenzo e Big." Maria Celeste et Arcliangola fo humilissima riverenza. Di Roma, 16 7mbro 1634. Di V. S. molto 111." et Eco." 1 * Dev. m0 et Oblig." 10 Sor." Lorenzo Ceccarelli. 2990 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, *23 settembre 1634. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal.. P. VI, T. XII, cnr. 31. — Autografa. Molt’ 111 » Sig/ Col. 1110 Mi capita la sua gratissima di 9. La seconda postilla' 11 havuta intiera è cosa divina. Io stimo più la sola domo- stratione, che l’aggionta di gravitò, in eadem specie non possi accrescere velo¬ cità, che quanto del moto ha scritto Aristotele. Altro ò specolar cosi la natura, che l’andare per li per se, per accidcns, e perdersi in termini. Seguiti, la prego, e mi lionori della participatione. Lo manne non sono giolito : è necessaria la pacienza. Mando la scatola de’vetri: un amico, della professione, mi dice esser del più puro c’ babbi potuto ritrovare. Ordinai che anco do’ nuovi mi fossero fatti, io puri quanto si può, ma si depose il lavorare que’ giorni: si ripigliarà doppo S. Francesco, e ne mandarò. I‘> Cfr. Voi. VII, png. 721-744. [2990-2991] 23 — 28 SETTEMBRE 163-1. 135 I)a Bologna mi scrivono esservi l’incudine 111 , et havernc dato conto a V. S. per la difficoltà dol mandarlo : mi paro che lo facciano di 1. 400 ; sarebbe cresciuto per strada, invece di tarlarsi. Tocca al suo compare fabro dar ordino per la condotta. L’ Ecc. wo Sagredo 12 ’ si va ricoverando dalla sua mala fortuna, di elio V. S. dove essere già informata 13 ’. Mora è latto Podestà di Padova, elio ò un grado per salir di nuovo su la scala. L’ Ecc. mo Yonior l<) parla di lei colla bocca di 20 zucaro : altra opposizione non ci ò che 1’ bavere lasciato il luoeo, elio certissimo V haverobbe resa sicura dall’ ingiustitio o porsecutioni patite. Quanto alla gloria, V. S. è in stato elio tutto lo sforzo della malignità non li può nuocere. 11 mondo aspetta le altre suo speculationi, lo (piali forai non starano malo sparso nelle postille: io vi moro dietro. Et a V. S. molto 111/ 6 et Eco." 11 bacio le mani. Yen. 8 , 23 7mbre 1634. Di V. S. Dcv. mo Ser. Ecc. Galileo. P. Fui geni io. 2991 *. FULGENZIO MICANZ10 a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 28 settembre ISSI. albi. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 88. — Autografo. Molt’ 111.” et Ecc. mo Sig. r , Sig. Col."' 0 Accuso la sua gratissima di 17. L’amico della sfera t5) è fuori in villa. Io non sono buono per descriverla; 1’ ha formata su quella di Y. S. a carte ... (0 (ho in villa il libro ; è nel lino, quasi l7) ); quello che posso diro è: il sole, in mezo; seguono Venere o Mercu¬ rio, poi la terra, elio si muove in sè stessa et neH’orhe annuo un grado per giorno' 81 : l’asse sta sempre paralello a sò stesso, inclinato all’asse del zodiaco, e col circuire fa a capello quegl’eftbtti che Y. S. descrive, di riguardar sempre la stessa parte dol cielo, del variar col terminator della luce li giorni e notti. lu¬ to torno lia la luna: una balla, facia conto, da gioco, con una veste di corame, che nel suo girarsi a’agira, o fa le variationi degl’aspetti. Quello che mi dà somma sodisfattiono è la facilità. Mi era dificile formar nell’ idea questa ma¬ china, che in vederla ha una facilità estrema. I») Cfr. n.o 2981. <»• Cfr. nn.‘ 2981, 2986. i*> Zaccaria Saorkdo. <®> Questi puntoliui sono noli 1 autografo. 1 5 » Cfr. n.-> 2272 < 7 > Cfr. Voi. VII. pag. 351. <*' Sebastiano Vkniru. ,8 ’ Cfr. n.° 2981. 136 28 SETTEMBRE — 2 OTTOBRE 1634. [2991-2992] Parto hoggi, per star tre dì in villa: lascio ordine, o credo certo verrà con questa la manna. Il volumazzo dell’opero del S. r Roco (1) lo vorrei pur tra¬ ghettar senza spesa. V. S. mi eroda che l’opere sue le leggo con tanto gusto, elio mi sono l’unico sollievo nelle mie noie: lo aspetto come medicina salutare; tutto l’altro mi paiono insipide. L’error dello lettere è costì certo, perchè a tutto si fa la sopracoperta al S. r Giori 1 *’. E le bacio le mani. 20 Ven/, 28 Settembre 1684. Di V. S. molto lll. r * et Ecc. m * Dev."° Ser. S. r Galileo. F. Fulgentio. 2992 . BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arcetri]. Bologna, *2 ottobre 1684» Blbl. Naie. Fir. Mss. tial., P. VI, T. XII, cur. 86-80. — Autografa. Molto 111/* et Ecc. B0 Sig. r e P.ron Col.® 0 La ntagior consòlatione eli’ io potessi bavero, era che V. S. F,ec. m * vedesse et essami nasse con diligenza questa mia Geometria, stimando io in primo grado il suo giuditio <9 '; ma poiché la mala dispositione del corpo l’impediscono, non posso se non condolermi seco di quella e lagnarmi della mia puoca sorte, poiché mi violi tolta quella consolationo eh’ io speravo. Ilo però sentito con gusto ch’ella li habbi dato una scorsa, nè li paia il mio metodo del tutto improbabile, ben¬ ché ella dichi di havervi molte difficoltà. ; nò ino no maraviglio, mentre par che io trapassi all’ infinito, che porta seco tanti duini quanti ella sa. Io veramente ho conosciuto che potria dar fastidio a molti questo mio Wovo modo ; e perciò, io non contentandomi del rincontro delle conclusioni dimostrate per vere da altri ancora, ho voluto aggiungere il settimo libro, nel (pialo dimostro lo medesimo cose por altra via, esento da tale infinità, come ella vedrà poi t4) , o quest’altro modo T ho lasciato per sentirne il parere de’ studiosi. Pare però tuttavia che alle obiettioni che si posson far contro, si possi dare convenovol risposta; come, por essempio, a quella elio V. S. Ecc.“ fa, elio è veramente bellissima, panni che si potesse cosi rispondere. Ella dice, che se tutte lo lineo (li duo superficie eguali sono eguali, dimi¬ nuendole egualmente, l’ultime esinanizioni di esso dovriano esser eguali : il che poi non apparo nell’essempio della scodella o del cono, restando in quella una 20 Cfr. Il » 2891, Un. 18-16; n.o 298G, liu. 8-4. <*' Cfr. u“ 2982, liu. 5-6. Cfr. n.° 2988. Cfr. u.o 2968. 2 OTTOBRE 1634. 137 [ 2992 ] circonferenza di cerchio, et in questo un punto, infinitamente minor di quella. Tlora io diroi elio puro in questo essempio si verifica la magior propositione, cioè die restano lo ultime esinanitami pure eguali; poiché detraendo parti eguali da intieri eguali, è conveniente, s’habbiamo da intendere le rimanenti essere eguali, che e le dotratto o lo lasciato siano del medesimo genero, non essendo comparabili quello che sono di divorso genere, come olla sa benissimo. Hora, nel suo essempio, gli indivisibili sono piani, o di questi rimangono sompre parti eguali, detrahemione parti eguali dal cono o dalla scodella; o perché por arri¬ vare all’ultima esinanitone di questi, cioè all’annullare i piani (per dir cosi), so basta levarli una dimensione, perciò parmi che con ragione si dica elio questo ultime esinanizioni siano eguali (so ben più tosto negativamente elio positiva¬ mente), essendo noi arrivati al nullo piano tanto nel cono quanto nella scodella, non Lavendoci che far niente che in uno resti un punto e noU’altro una linea, come che tanto sia niun piano la linoa come il ponto. L’essempio lo potiamo haver anco nel presento semicircolo abd, nel quale cadendo le perpendicolari comunquo he, eg sopra il diametro ad in c , g, il rettangolo aed è uguale al D 10 cb, et agd al D t0 gc, o finalmente il rettangolo sotto ad et il punto d s’intenderla essere eguale al 40 [U 1 ® del punto d, essendo tanto nullo il detto rettan¬ golo come il detto D to , o non havendo elio far niente la lunghezza ad sopra 1* in¬ divisibilità assoluta del punto d per accrescere il rettangolo sotto ad et il punto d e farlo magiore del quadrato del punto d. Là ondo non mi pare che in virtù di ciò si possi dire che la linoa ad sia eguale al punto d, ma sì bone elio lo spatio ap¬ plicato ad con la latitudine del punto d, cioè con mima latitudine, cioè il nullo spatio, sia eguale al D l ° del punto d, cioè al nullo spatio, cho è verissimo. In somma panni che lo ultimo esinanitioni dovano essere niente di quel genere che si diminuisse, non importando poi che di fioriseli ino ili altro genero. Non so so mi sarò dichiarato a bastanza, ma il suo valore supplirà al mio man- no camento. Quanto allo circonferenze do’ corchi concentrici, dico cho per liberarmi da questi argomenti cho si ponno faro, massimo intorno allo linee rette o curve, segate (la tutte le linee o da tutti i piani di varie figure, io ho distinto i punti di retto transito da quelli di obliquo transito, si conio anco lo linee di rotto transito e di obliquo transito, non parendomi che si debbano cambiare quelli di retto transito con quelli di obliquo transito; e per misura de’continui ho assunto, per le linee i punti (li retto transito, o per i piani le lineo di retto transito; per i solidi poi non vi bisogna tal distintone (che cosa siano poi i punti o linee (li retto transito overo di obliquo transito, vien dichiarato nel li- co bro 2, alla (lef. prima e nell’appendice seguente). E che importi questa varietà 18 XVL 138 2 — 7 OTTOBRE 1G34. [2992-29931 di transito è manifesto, poiché quanto una linea sarà tagliata meno obliquamente dalle parallelo, magior spatio comprenderanno le estreme parallele fra loro, ot il massimo sarà quando la segaranno perpendicolarmente, cioè con retto tran¬ sito : bora io prendo questo retto transito, o lascio l’obliquo, come variabile in infiniti modi. Che poi tanti punti si causino (la tutte le parallelo, cosi nella per- pondicolaro conio nella obliqua, questo non lo nogarò, come anco nello circon¬ ferenze concentriche; ma che perciò dovesse dirsi tanto longa l’ima corno l’altra, mentre volessimo compor le lineo di punti, dico che la differenza di questi tran¬ siti può cagionare questo, potendosi credere che detti punti siano forsi più di¬ radati nell’obliqua che nella porpondiculare. Tuttavia, comunque ciò sia, non mi 70 pare di essere astretto a rispondere a questo, poiché assolutamente io non mi dichiaro di coraponere il continuo d’indivisibili, ma solo mostro che i continui hanno la proportione dell! aggregati di questi indivisibili, non assumendo io se non lo linee o punti di retto transito. So che vi è molto che diro, o perciò mi sono con il settimo libro disposto a mostrare altrimente le medesimo cose, corno V. S. Ecc. ms vedrà. Fra tanto mi scusi so non li do forsi quell' intera sodisfattiono elio vorrebbe, o mi favoriscili, havondo qualche altra cosa da dirvi sopra, del suo parere, cho mi sarà gratissimo. Li mando lo Lagrime del I , anetio (1) , havute in dono da un amico mio por lei: altre non ho potuto trovare (,) . Mi stupisco cho non si sia potuto havor il 80 già mandato Dialogo (3 ' dal procaccio. E con tal fino li baccio allettuosameuto le mani. Di Bologna, alli 2 Ottobre 1(534. Di V. S. molto IU. r0 et Ecc.®* Ob.®° Rer. M F. Bon. r * Cavalieri. 2993 *. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze}. Venezia, 7 ottobre 1G34. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.® 112. — Autografa. Molt’ H1. T8 et Ecc. mo Sig. r , P.rono Col.® 0 Arrivo di villa, ove sono stato 10 giorni, in questo punto, e non rispondo a nissuna lettera se non a questa di V. S. molto Ill. ro ot Ecc.®* di 30 passato, con solo acusarlo la ricevuta, rimotendo tutto allo spazzo seguente. O» lagrima della Città di llolugna per la morta per Niccolò Tobaldini, M.UC.XXV1. ilei Sig. Girolamo Petri dal Panktio. AH' Illustriss. ot <*> Cfr. n. # 2985. Eccelloutiss. Sig. D. Antonio Barborini. Iu Bologna, '*> Cfr. n.® 2988. 7 — 12 OTTOBRE 1634. 139 [ 2993 - 2994 ] Hoggi otto si mandò la manna; erodo cosa elletta. Tutte lo lettere si in¬ drizzano con sopracoperta al Sig. r Geri u) ; di questo sia sicura. E lo bacio lo mani. Yen.», 7 Ottobre 1(134. Di V. S. molto DI.” et Ecc. lu * Dov. mo Ser. r io F. Fulgcntio. 2994. FAMI ANO MIC11 FUNI a GALILEO in Firenze. Roma, 12 ottobre 1031. Bibl. Naz. Flr. Mas. (Ini., P. 1, T. XI, car. 73. — Autografa. Fax Glirìsti. Molto III.” et Ecc. mo Sig. r e P.ron in Christo Col. m# Il non trovar parole nò concetti esprimenti gli obblighi ’nfiniti elio ho con Y. S. Ecc. ma , mi ritrarrebbe affatto dallo scriverle, se il tacerò non fosse mala, creanza o ingratitudine, o se raffrenar potessi il desiderio ardentissimo ebo ncl- Fintimo dello viscere mi stimola incessabilmente a ricordarmelo servitore humilis- simo e prontissimo in ogni occorronza, come con la presento fo; il quale mi porsuado ancora a non temere do i mancamenti che potessi commetterò nello scri¬ vere, con rappresentarmi l’estrema sua gentilezza. Scusi per grazia la presunzione, io o gradisca il picciolo affetto. Visitai il Rev. mo I*. Castelli il medesimo giorno che giunsi in Roma, e di primo lancio ini dimandò nuovo di Y. S. : gliene diedi bornissime in tutto lo parti, e ricovò me por lettera (bonchò non adeguata) di loi. Discorremmo tre horo dol¬ cemente di diverse cose, e particolarmente delle ammirande qualità del nostro Sig. T Galileo, granosissimo in tutte lo cose. Mi trattengo per lo più col S. r Raffaello Magiotti, partialissimo di V. S. e garbato al possibile. Molte coso vorrei scrivere, ma lo sorbo al mio ritorno, elio sarà fra 15 giorni o poco più, perchè sono lunghissime. Il nostro Padre Generale (8) mi concedo solo due giovani per lo Studio, per la 20 scarsezza del nostro vitto et habitationo in Firenze. Mi spiace non poterne me¬ nare 6 over 8 di non ordinaria aspettazione. Egli mi dice elio bisognerebbe far questo Studio in Roma; ma a me più preme la vicinanza di V. S. che qualunque altra cosa. Nelle occasioni col G. D. non si scordi di noi, corno ancora con altri Signori, affinchè si conducesse a qual elio bramata mota il bone universale. Godo 0) Cfr. n.° 2982. lin. 5-6; ii.«* 2991, lin. 19-20. (*> Giuseppe Cai. acanzio. 140 12 — 14 OTTOBRE 1634. [2904-2995] sentirò da’ miei Padri il suo buon esser di forzo corporali (così il Signore gliono accresca in infinito), e mi pregio eh’ ella di me non si scordi. Dco yralias. Roma, 12 Ott. ro 1634. Di V. S. molto 111.” et Ecc. nu Mi scordavo diro che il S. r Marchese Strozzi la riverisce in estremo, o l’istesso fanno il F. R. mo co D. Benedetto, il Campanella, il S. r Gio. Borrelli 1 * 1 suo discopolo, il Sig. r Magiotti o molti de’ nostri Padri, tra i quali tutti io non mi tengo nell’infimo luogo noi desiderio di servirla : e lo bacio lo mani. Scrivo in fretta, il elio mi ò causa di molti man¬ camenti. 11 nostro P. Generalo lo so conosco obbligatis¬ simo por i favori cho olla fa a me et a gli altri nostri Padri. Indogniss. 0 Servo in Ch risto *0 Frali. 60 di S. Giuseppe. Fuori: Al molto III.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron in Christo Col. ro0 Il S. r Galileo Galilei, Fil. o Mat. 60 p. ri0 di S. A. Firenze. 2995 . FULGENZIO MIO ANZIO a [GALILEO in Firenze] Venezia, 14 ottobre 1G34. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 87. — Autografa. Molt’Ill.” et Ecc. m0 Sig. r P.rono Col. m0 In villa mi portai meco li Dialoghi di V. S. E. ot il libro del Rocco ; non altri. Li ho letti tutti duo con gusto, sondonii questo stato all’ animo quello elio a gl’occhi di riguardanti il zane, che ne’ salti imita il «altarino. Il punto è, che 1 opere di \. S. mi acconciano di maniera il gusto, che in materia di specula- tioui naturali non posso pili leggero niente; o mi paro cho riessaminando li prin¬ cipia peripatetici, come V. S. lia fatto nella constitutione dell’ universo, tutto mi vada in fumo. Non mi resta noi libro di V. S. elio due cose allo quali non bene arrivo : quei computi per lo due stello novo et il modo di adoperar gl’ istro- menti, o conio il moto della luna vario influisca in quello della terra per il io <’» Giovanni Alfonso Bohklm. 14—16 OTTOBRE 1634. 141 [2096-2096] flusso; percliò capisco che quando la luna è pili lontana o vicina al solo, poi* necessità il suo moto si altera, ma non capisco conio questo influisca nel moto della terra, da cui ella è tanto distante. È però bene, perchè ritorno a leggero tutto, et il replicare ha d’essore il mio passatempo. Aspotto da V. S. il discorso promesso De. insidentibus aqnae, so è possibile, e la tengo obligata comunicamo le suo spocolationi, come Dio è obligato per la promessa dello suo gratie. Vorrei vedere anco crescere le postillo, non perchè il Rocco nò intenda nò tocchi mai cosa al proposito, ma perchè ho concetto corto die in queste postille habbiamo coso stupendo, come in questa seconda so sono miracoloso. So motte mano al luoco ovo fa l’oppositiono, che se la sfera langit planum in puncto, cambiando si farà la linea do punti (1) , ho gran desiderio de vedere trattato quel particolare bene, ciò ò dal Sig. r Galileo (2) . Il suo dobitoro' 31 ci vorrobbo contare soli 20 altri scudi: li ho fatto inti¬ mare che voglio li 40, conforme all’accordato. Credo Laverà V. S. havuta la manna, che si mandò sabato. Veggo V. S. nominare spesso il Saggiatore : io non l’ho, nò lo trovo qui. Non ho se non Nuncìus Sidereus e lo Lettore al Vclsoro delle machie solari: il resto da lei scritto lo bramo in estremo. Ilo anco gran curiosità elio mi honori col dirmi so quol gentili’ lumino Bologneseha scritto cosa alcuna sopra la 30 variatione della meridiana, o so V. S. ha osservato cosa intorno alle stello Asse, come no’ suoi Dialoghi promote et assegna il modo. Mi capita con la sua gratissima di 7 il suo Discorso ,n> , che sarà il mio gusto della festa di dimani. Et a V. 8. bacio di cuoro le mani. Von. R , 14 Bbro 1634. I)i V. S. molto 111.”* et Eco. ma Dev. mo Ser. r0 F. Fulgentio. 2996 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Firenze. Lione, 16 ottobre 1634. Bibl. Nftz. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. XII, car. 89. — Autografa Molto 111. 0 Sig. r o P.no Col. mo TI piego che V. S. mi accenna havermi mandato (fi ', è circa un mese e mezzo, per il S. r Diodati, io l’assicuro di non essermi mai capitato. V. 8. no faccia di- Lett. 2095. 16. obligata cominicarme — 29. coia alcuno — oi Cfr. Voi .VII, pag. 682, lin. 19 ; png. 688, lin. 29. liu. 18-26. <*> Cfr. Voi. VII, png. 744-760. <*' Intende, Ir Lotterà a Madama Cristina di ,s > Gio. Battista Arici. Lokkxa (Voi. V, pag. 309-348): cfr. n.° 2998, lin. 6. <*' Cksark Mausili: cfr. Voi. VII, png. 487, <# > Cfr. n.» 2970, lin. 117-118. 142 16 OTTOBRE 1634. [2996] ligontia con quelli a chi l’à consegniate por potere rinvenirlo, già che sono cose elio li promano; e quello capiterà nelle mia mane, ne puole restaro con l’animo quieto, come ò seguito (lolla mandatomi con sua de’ 23 passato, havendola re¬ capitata in propia mano, già elio il S. r Diodati si ritrova qui: e qui alligato ne viono la risposta. Farò il medesimo quando altro mo no capiterà: o perché lo lettere di costi si pagano costì, allo volto l’avarisia do’ porti fa mal capitare lo Ietterò ; chè questo forzo no potria essere la causa, o so S. S. le consegni al io S. r Bartolino o al Ciò Ili, acciò elio vonghino con quello di S. A. S. per mag¬ gioro sicurezza. La nuova proibitione venuta, del’ Indico (1) , dol suo libro veramente è cosa ridicola, o gustosa a chi l’à stampato, già elio questo li -fa mettere de’ buoni quatrim in borsa ; o c’ ò qua molti librari elio furiano il medesimo, e molti mi ronpono la tosta per bavere qualquo sua opera: chò l’assicuro (laverò parente elio non la guarderiano a tante proibitami, e lo fariano molto piò volentieri che non vogliono fare lo Dicisioni di Ruota e Afforismi episcopales di Mon- sig. T Giusti, chè non ci vogliono intendere sonata senza quatrini. Lui so no di¬ spera, perchè pretendeva .buona mancia o metteva questo suo libro noi X ra0 cielo, 20 e questi non tengono arrivato più alto del tetto. Quanto a me, por grafia di S. S.‘ mo lo ritrovo, o ancora no ho fatto veniro una 20 n *, quali ho donati ; o se no havessi havuto dolio centinaio, haveriano havuto spaccio, dico con buoni danari ancora : o non ho trovato alcuno a che la concientia rimorda per questa proibitione; o fino alli Padri Iesuisti lo tengano o leggano, non ostante che sia con loro mortificatione, elio procedo, per dirne la verità, dalla ignoralitia, in¬ vidia o rabbia: sia però detto con paco do tutti. E a S. S.® faccio reverentia, pregandoli da N. S. ogni voro bene. Di Lione, questo di 16 8bro 1634. Di V. S. molto 111.® 80 11 S. Diodati è partito por Parigi, et ha lasciato la lettera alligata; e ancora lui è in pensiero del piegho 1 *’, havondoli fatto vodoro in quello consisteva. Sor/® IIum. m0 e Dov. m ® Par. u S. r Galileo Galilei. Rub. l ° Galilei. Fuori: Al molto 111.® Sig. r o P.ne Oss. mo li Sig. r Galileo Galilei, Mattoni, di S. A. S. Firenze. Lett. 2906. 18. del'Indie —83. t’n quello eoiliiieva — ; ma V. S. m’ ha cosi depravato il gusto, ebo tutto mi paro nulla in rispotto dello suo specolationi nove e singolari. Mi ha fatto ridere da dovero il pensiero suo nel fine circa il fermar del sole di Giosuè (4) , cho veramente è bello. V. S. ha toccati li due punti essentiali nella profata scot¬ io tura: l’uno, del guardarsi di stabilir per dogma di fedo cosa che possi, o adesso <*> Luca Sohickhardt. <*> Di stilo giuliano. (») Cfr. n.® 2995, lin. 82. (*> Cfr. Voi. V, pag. 848 o sog. 144 21 — 24 OTTOBRE 1634. [2998-2999] o ’n progresso di tempo, essere dimostrata non vera; l’altra, elio la Scrittura parla dolio cose naturali secondo che corro l’opinione comune: altrimente con¬ verrebbe bavero per articolo di fede 1* ardersi della fenice, perchè Giob allu¬ dendoci dico: In nidido meo moriar; o ’1 rinovarsi dell’aquila, perchè David dico: Rcnovabitur sicuh aquila iuventus tua; o l’incanto dolio serpi o ’l turar l’orecchio dell’aspide: Sicut aspidis surdar, qme obturut aures suas ne avdiat vocetn venefici meantantis sapienter ; et altri luoghi simili, e le cose che in Giob, elio ’l christallo si facia dal guidarsi l’acqua, e la goneratione de’ metalli, con tante altre cose c’ bora nissuno le ha per vere. Ma se’ Giesuiti l'arano articolo di fedo l’immobilità della terra, s’assicurino puro che tutti li professori di lustro- 20 nomia hanno d’essere herotici. La Copernicana dal suo libro ha preso tanto lume, che vi balzano dentro tutti chi lo leggono. La manna (1) dove essere gionta. Non ho in quella speso più di 14 Lire; ma non si prenda noia di queste spasette: Laveremo di qua presto denaro dal suo debitore certo, ma anco senza quello comandi se lo fa bisogno alcuna cosa. Mi scordai noli’ altra dirlo che nel mio staro fuori in villa 1’ Ecc. ra0 Zacaria Sagredo mi volse un giorno seco a Maroco, ove ha un palazo da ro, 0 la sera il nostro passeggio fu in ragionare di V. S. con un affetto cordialissimo 0 de¬ siderio di vederla. Non abbandoni lo postillo ( * ; , perchè insensibilmente veggo che siamo por so bavero un’opora stupenda. Ilo molti amici elio mi sono sompre adesso, so ho alcuna cosa dol S. r Galileo, il quale ha tanta comenilationo che non si può esprimere. Dio co lo conservi lungamente in prosperità, e lo bacio le mani. Von. m , 21 Ottobre 1634. Di V. S. molto Ill. re et Eco."** L)ov. n, ° Ser. ro S. T Galileo. F. Fu Ig e litio. % « 2999 . FRANCESCO DI NOA1LLES a GALILEO in Arcetri. Roma, 24 ottobre hitf4. Bibl. Nuz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 75. — Autografa. Molto IH.” Sig. ra Ho differita sin qui la risposta da me dovuta alla cortese lettera di V. S., resami allhora dal S. r di Casarches’ 3 ’, per aspettare occasiono di poterle non solo <•> Cfr. nu.i 2993, 2995. <*> Cfr. u.o 2982. ,S| Filippo uk Lusuuuuk>> 24 — 28 OTTOBRE 1034. 145 [2999-3000] con la presente, ma col testimonio do’ miei amici, rappresentarlo non solo la stima elio sempre ho fatta del suo merito e valore, ma dell’affettione che mi porta, che anco ho bon conosciuta con mio gran contento in dotta sua lettera e nella co- municalione che mi fece detto Lusarchos per sua parte. Ilora, per la partita per Francia dolli Sig. ri Croize e Cotignon gentilhuomini Francesi e miei amici, che dovendo passare por costà, li ho pregati di trasferirsi in cotesto suo luogo per io visitarla da mia parte o presentarle questa mia, ot dopo con la viva voce sog¬ giungerlo quanto sia grande il mio desiderio di servirla e di haver nove più frequenti di lei, come in particolare corrispondenza qua, o per via de’ suoi amici della professione o de’ suoi discepoli o altri suoi dipendenti, ne’ quali ella più confida; di elio compiacendosi favorirmi, sarà per accrescermi obligo et affottione. Dalli medesimi Signori Francesi con la viva voce lo sarà più distesamelo in¬ sinuato tutto ciò per mia parto: la prego di ascoltarli volentieri, o di crederli tutto quello clic a mio nomo lo esporranno. Con che lino, saluto V. S. con tutto t'animo, con desiderarle ogni felicità. Di Roma, li 24 di 8bre 1034. 20 Di Y. S. molto 111. 1 * per serv> Galileo Galilei in Arcetri. Noaiiloa, Fuori : Al molto lll. r0 Sig. r0 Il S.* Galileo Galilei. Nolla villa d’Arcetri. 3000 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Arcetri]. ■ Venezia, 28 ottobre 1084. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cauij.ori. Autografi, B.“ LXXX, n.° 113. — Autografa. Molt’ 111. 10 et Ecc. mo Sig. r Col. mo Il R. Arrisio (1 ' si è ridotto al termine : ha contato tutto il suo debito delli GO scudi, che sono £ 420, do’ quali il P. Priore di Brescia si tiene £ 148, se ben mi ricordo per l’incudine, et lo 14 della maua, perchè Y. S. Ecc. ma vuole che anco di questa minutia se le dia debito, o per non essere cosa sua lo facio; onde restano £ 258, quali ho scritto che siano rimesse qui, dove Y. S. ne potrà disponere a suo piacere. Non ho questo dispacio sue lettere ; il che non è requisitoria, ma aviso. Ilo fatto il possibile et impossibile per ritrovar qui il suo Discorso De insidentibus >*) Qio. Battista Arici. XVI. 19 28 — 30 OTTOBRE 1034. 146 [ 3000 - 3001 ] aguae : in fatti non oi è, sventura ordinaria do'buoni libri. Nell’ hore vacue, io elio sono poche, ritorno leggere le sue Lottoro al Valsero, e dietro al Nunckts Sydereus, o poi alli Dialoghi, con pensiero di non vedere più filosofia in chi non trovo gusto. Ma elio si fa dolio postillo? La supplico non lo scordare, per¬ chè questo duo che tongo mi certificano dell’utilità che li veri filosofi sono per riceverne. Il cervello temperato è tutto pieno di desiderio di giovare anco alla posterità., et io son sicuro che V. S. haverà fatta la strada al filosofare di coso, e non di termini vani, per se, per accìdens, materialiter, fonmliler. Dio la con¬ servi : o le bacio con ogni afiotto le mani. Ven/, 28 Ottobre 1634. Di V. S. molto 111/" et Ecc. ,n * Devotiss. 0 Sor/ so S/ Galileo. F. Fulgentio. 3001 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Firenze. Lione, 30 ottobre 1034. albi. Naz. Plr. Appendice ai Mas. Oal., Filza Faterò A, car. 117 — Autografa. Molto 111/ mio Sig/ o P.iie Col. m ° Questo ordinario ultimo mi lui porlato la di V. S. de’26 Luglio passato 10 , insieme con un pieglio per il S. Diodati, elio tengho elio sia quello elio S. S/ no era in pena o travaglio (,) , il quale subito senza perdimento di tempo ho man¬ dato a Parigi a S. S/, dovo al presente si ritrova. Me ne duolo bene che non sia arrivato prima a causa del S. Do Perez (SI o per il S. Gassondro (4) , ci è avanti la sua partenza por esso luogo, ma dovorà. rimandare quollo aspetta ad essi SS/ 1 ; come ancora per non saper lo particolarità, clic S. S.“ li ha scritto, ma doverà, seguir, a Dio piacendo, al suo ritorno. S. 8/ pigli nuovo occasioni di comandarmi, chè l’assicuro elio il maggioro favore cho possa ricevere sarà in io poterla servire. E facendoli reverentia, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, questo dì 30 di 8bro 1634. Di V. S. molto DI/ Ser.® Dov. m ° e Parente All - ." 10 Uub. u Galilei. Fuori: Al molto 111/ Sig/ e P.ne Oss. mo Il 8/ Galileo Galilei, Matt/ primo di S. A. S. Firenze. IO Cfr. n.» 2970, liti. 117. <*) Cfr. u.° 29«U. Ntoc.ot.ò Fabio ut Pkihkho. Oi Putrito Gabsbndi L3002J 1° NOVEMBRE 1634. 147 3002 * BENEDETTO CASTELLI a CxALILEO in Firenze. Roma, 1° novembre 1634. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 77. — Autografa la sottoacriziono. Molto 111. 1 ' 0 Sig. ro et P.rn mio Col. mo Dopo esser stato travagliato aspramente quattro mesi da una mia indispo- sitione, finalmente hora mi ritrovo in bono stato et quasi libero. Ne do parto n V. S. molto Ill. ro con l’occasiono del ritorno del nostro Padre Francesco (i ’, quale mi pare porsona di grandissimo spirito ot ingegno, ma, quello che io stimo sopra tutto, inamoratissimo di V. S. ot dello cose sue. Gli ho dato ordino cho tratti con il Sig. r Andrea Arrighotti di far ristampare il mio Discorso della mi¬ sura doli’a quo currcnti (2) ; ot porcliò Torsi vi si farà qualche aggiunta o di po¬ stillo o di scolii, supplico V. S. farmi grazia et honorc di qualche particolare io che lei havesso osservato in questa materia. Mi viene ancora scritto di Fiorenza, cho il Sig.™ Aggiunti ci ha notati alcuni orrori gravi prosi da me, ot che so ne dochiari assai largamente. Mi par strano cho con me non no habbia mai trat¬ tato: mi consolo poro dall’intendere cho i mici pensieri sono conosciuti veri, et lo suo ohiettioni por falzo; et tanto mi basta. Il Sig. r Gio. Iacomo Boocardi (8) Fransoso, gentil huomo doirEm." 10 Sig. r Car¬ dinal Barberino, mi dico di bavero inviato a V. S. molti giorni sono un piego di Francia, ot no desidera la risposta ; ot io desidero intendere bone novo di V. S., alla quale baccio lo mani di tutto cuore, ricordandomegli sorvitoro di- votissimo. no Roma, p.° 9bro 1634. Di V. S. molto lll. ro Devotis.® e Oblig. ,no Sor.*® e Bis. 11 ® 1 Sig. r Gallileo. Don Bened. 0 Castelli. Fuori, : Al molto IU. r ® Sig. 1 '® et P.rn Col." 10 li Sig. ro Gallileo [GaUiloi, p.°| Filosofo di S. A. Sor. 1 "’ 1 Fierenze. **> Franoksoo di San Guiskìtk, al secolo Fa- 1,1 Cfr. n.° 1903. M1ANO Miohbuni. « a > Uio. Giacomo Bouobard. 148 2 NOVEMBRE 103-4. 13003-3004J 8003 **. ASCANIO PlOCOl-OMINI a GAI-ILEO [in Arretri]. Siena, 2 novembre 1684. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal.. P. I, T. XI, car. 79. - Autografa la aottoicrixiono. Molto Ill. r ® S. r mio Osa." 10 Con questa mia V. S. riceverà da Santi, mio mezzaiolo, tre some di vino bianco, del meglio elio si sia trovato in Vescovado u) : so riuscirà corno prometto ed io vorrei, son sicuro che V. S. no liavcrà gusto. Aggradisca in ciò il mio de¬ siderio di sorvirla sempre con tutto l’affetto, col cpiale lo bacio per fino affet- tuosamonto lo mani. Di Siona, li 2 Nov. rn 1634. Di V. S. molto 111/ 8 Dev.° Sor. S. r Galileo Galilei.. A. A.° ili Siena. 3004 **. GIOVANNI VANNUOCINI a [GALILEO in Arce tri]. Murlo, 2 novembro 1634. Blbl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 07. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig/° e P.ron Col.“° Quando ricevei l’honoro della prima lettera di V. S. Ecc. m * con lo brugno simiane, mi ritrovavo in letto, travagliato da febbre catarrale ; o le brugno, come orano da me molto desiderate, così mi fumo gratissime. Sentii ot appresi il de¬ siderio di V. S. Ecc. ma intorno al vino bianco elio desiderava, e stimai a suo tempo di servirla, corno havevo già fatto dclli sei barili di vino bianco, del me¬ glio™ che si ricolga in questo paese : del rosso non ho trovato cosa elio mi pa¬ resse a proposito. Mentre stavo aspettando l’addirizzamento do’ tempi o la com- modità de’ vetturali, m’ è comparsa la seconda lettera di V. S. Ecc. ma con una di Mons/ Ill. mo Padrone (2) , nella quale mi scrive che io li dia avviso se ho pro¬ visto il vino per V. S. Ecc. ma ; o rispondendoli di sì, glio ne mandai anco il sag¬ gio, quale credo li sia piaciuto, poi che ha dato ordino qui al suo fattore elio (» Vescovado di Murlo, luogo dal Senose. <*' AbCANIO PlOOOLOMlNI. 2 — 3 NOVEMBRE 1634. 149 [8004-3006] mandi por i suoi mezzaioli li soi barili di vino a donare a V. S. Eco. ma a suo nome , ot a me sia restituito altrettanto vino o denari, di elio già me no so’ aggiustato. Se il vino sarà buono o riesca di suo gusto, sarà ogni anno al suo comando, mentre Dio mi darà vita : e ringratiando in tanto V. S. Ecc. ma del’bonoro de’ suoi comandamenti e delle brugne, la prego a favorirmi di una presa delle sue pillole IZI , mentro resto pregandolo dai Signor Dio ogni maggior felicità. 20 Di Mario, li 2 Novembre 1634. Di V. S. molto Ill. rn ot Ecc."' a Dev. mo Ser. ro Giovanni Vannuccini. 8005. GALILEO a GIOVANNI TADDEI [in Firenze]. Arcetri, 3 novembre 1634. Bibl. Naz. Fir. Mb 8. Gftl., P. I, T. IV, car. 99. — Autografo. Molto 111.™ Sig. r0 e Pad. nfl Ossei*. 1,10 Si è ottenuto di poter metter sul monte d. 500 u> ; ondo io prego Y. S. della detta somma, che tiene in mano più tempo fa di mio, esequirne conforme al piacimento di mio figliuolo Vincenzio, per mano del quale ella riceverà la presente : die di tanto gli resterò con obbligo particolare, oltre a i molti altri che tengo a V. S., alla quale, confer¬ mandomi servitore prontissimo, bacio le mani. D’Àrcetri, li 8 di 9bre 1684. Di V. S. molto lll. r0 Parat. mo et Obblifr. mo Ser. re io Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111." Sig. ro e Pad.™ Osser. mo Il Sig. r Giov.‘ Taddei. In sua mano. <3> Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXX, a), liu. 107-112, col 2*. Cfr. n.o 3003. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XIII, e), lin. 85-18. 130 ■1 NOVEMBRE 1034. 13000] 3006. FULGENZIO MI0ANZ10 a [GALILEO in Firenze], Venezia, 4 novembre 1034. Bibl. NÀz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 93. — Autografa. Molt’Ill. 1 ' 0 ot Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo La gratissima lettera di V. S. molto 111.” ot Ecc. ma di 21, clic mi doveva ossore data al tempo ordinario, non mi capitò se non il lunedi passato, 30 dol mese, colli due discorsi Belle cose elio stanno sopra l’acqua et il Saggiatore, elio sarano colli Dialoghi fra lo mio delitie ; o no rondo a V. S. quello gratio cho so o posso maggiori con eterna obligationo. Ilo lotto tutto il Saggiatore con il contento che non potrei mai esprimerò. È gran cosa come Dio, la natura o lo studio, la facia ossorvaro tutto, da tutto cavaro specolationi altissimo, nuovo, singolari, fondato; ot essa versi in che materia si voglia, non può non insegnare a chi non ha la superbia di credersi saputo o la malvagità d’invidiar© l’altrui io ingegno e lode. Ella ha trattato troppo modestamento con quell’ insolente Sarsi. Ma, buono Dio, quante coso pellegrino gli ò stato occasiono di donaro al mondo ! Così farà noi Hocco, le cui postillo la scongiuro seguirò. Farò ristampare il di¬ scorso De insidentibus aquac, o forsi l’altro, oporo che non debbono essere ce¬ lato a’ studiosi. Ma V. S. mi conoscerà importuno troppo ; non posso far di meno : le confesso e giuro elio come esco dalla lettura delle coso sue, non ci trovo cho noia, ot il repetere la lettura dello suo ha d’essero l’impiogo di tutto il tempo cho m’avanza. Ilor occomi con nuova importunità : bramo vedere il Discorso sopra la Cometa (il , cho ha fatto donare a’ lettorati quosta gioia, dico il Saggiatore, credendo elio costì non sia difficile l’Lavorio, oliò qui non lo trovo. 20 Ho memoria eli’ il fu Padro Maestro Paolo liaveva por monto, anco negl’ ul¬ timi suoi giorni, alcuno suo specolationi intorno la coiulonsationo o rarofattione, et in un suo librettino ir liaveva fatta nota, quale liavondo prestato ad un gen¬ tili’liuomo, mai lio potuto ricuperare. Mi resta però sompro improsso quello so¬ leva diro esso buon Padro, cho la natura produce in certe età ingegni atti a certe contemplationi, che so da loro non vengono toccato, non vi resta più spe¬ ranza di conseguirle; e portava l’ossompio di Y. S. nel moto, o dicova a tutti che ella in questo non havova mai havuto pari, nè erodeva fosso por haverlo. Io, nudrito con questo concetto, et vedendo cho in fatti sino qui non habbiamo I,ctt. 3000. 2*2. cwirfmnltone — *0 Cfr. Voi. VI, png. 39-105. [8006-3007] 4 NOVEMBRE 1634. 151 so altro elio parole in quella parto die si può dire contemplationo della natura, se smanio dietro lo cose suo, so non posso bavero pacienza di aspettarlo, devo es¬ sere scusato. È qui un virtuoso o veramente intendente nello filosofie ordinario o qualche cosa più, quale, sovente elio si tratta di lei, non nega la virtù, ma dico elio le coso da lei portate non sono novo, ma giù. del Gheplero. Io lo dissi l’altro giorno in Libraria, che di grafia mi favorisse farmi vedere nel Keplero le specolationi portato da V. S. intorno al moto. Viddi bavero fatto piacere a’ virtuosi di serrarli la bocca. Ilo nelle mani il rossiduo del denaro ricevuto dall’Ansio, cioè £ 258 : V. S. no disponga 11 '. E pregandoli di tutto cuore felicità, le bacio lo mani. 40 Ven. a , li 4 Novembre 1634. Li V. S. molto UL M et Kcc. ma Lev. 1 " 0 Ser. re E. Fulgoutio. 3007 **. ALESSANDRO N1N01 a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Campoli, 4 novembre 1684. Blbl. Naz. Plr. Appendice ni Mss. Gal., Filza Favaro A. cnr. 08. —■ Autografa. Molto IH. 0 et Ecc. ,no Sig. r mio P.von Col." 10 l)a Stinti mio fratello intesi elio V. S. vorrebbe) duo botticelle di tre barili l’un a, e subito feci diligenza per trovarle, ma per essere passato il tempo di fare simili provisioni, non mi sono abbattuto in cosa buona: e porò ho pensato ebe sia meglio farlo fare a posta, o giù. ho dato l’ordine a un maestro, clic m’ha promesso di darmelo finito per tutta la prossima settimana, o di servirmi bene, o di voltarlo con l’acqua. Porò V. S. mi avisi so fra dieci o dodici giorni sa¬ ranno a tempo di potersi metterò in opera, perchè dentro a questo termine io procurerò di farlo condurre; o caso che V. S. n’havessi bisogno prima, o che io giù, si funsi provista por altra via, non babbi riguardo che lo botti sieno fatte ? perché non mancliorà ochasione d’esitarle. E se mi conosco atto a poterla ser¬ vire in altra ochasione, mi favorischa per grazia d’esercitare la sua autorità nel comandarmi, mentre co ’l fine, facendoli reverenza, gli pregilo da Dio cumulata felicità. Da S. ta Maria a Campoli, 4 Novembre 1634. Di V. S. molto III. 0 et Eco. mu Dcvotiss." 10 o Oblig.™ 0 Se. 1 ' 0 Alessandro Ni nei. «‘I U'r. u.° SUDO. Un. 2-7. 152 5 NOVEMBRE 1634. [8008] 3008. RAFFAELLO MA BIOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, G novembre 1034. Blbl. Nasi. Flr. Msa. Gal., ?. I. T. XI, car. 81. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. p , mio S. La venuta del P. Francesco dolio Scuole Pie (i) m’è stata di grandissimo gusto per diversi rispetti, e tra questi por la bontà o sincerità ili questo huoino, per lo conferenze ot occasiono d’haver intese diverse coso, por i viaggi fatti in sua compagnia da una ad un’altra villa con qualche rilievo della sanità mia, ma sopra tutto per la cara ot onorata mentione eh’ in ogni congresso, anzi per tutto il discorso, che si faceva di V. S. Ecc. ro *; o questo mio gusto vie più s’avan¬ zava, quanto più liberamente potovo ad un si buon virtuoso scoprir due pas¬ sioni o sospetti cito già gran tempo [mi] tengono ingombrata la mento. D’una egli m’ha liborato in parte; dell’altro io lo trovo appassionato quanto mo. La io prima era, che non havendo già gran tempo lotterò di V. S., nomano in risposta allo mio ultimo, e trovando eh’ il P. D. Benedetto non mi fa le solite accoglienze, anzi fuggo ogn’occasiono di discorso, dubitavo fortemente non havessi preso ili me qualche ombra, e però non havessi passato con lei qualche sinistro uffizio. Pur il P. Francesco m’ ha rincorato assai, accertandomi (vero o falso elio questo fusse) ch’io però non ho scapitato niente nella servitù ch’io professo con V. S.; o cosi mi giova di crederò, seben io più me no terrei corto quand’ella talvolta m’adoperassi, se mi conosce buono a servirla. L’altro sospetto ò, che vedendo corno lo speculatami di V. S. circa la natura sono tracciato por molti versi da persone avide comunque si sia di gloria, o sapendo di corto corno altri facil- 20 mente spargo quello elio non ha raccolto con i proprii sudori, mi fa temere che buona parto delle sue inventioni non vallino di corto alla stampa, o così Y. S. resti vinta della mano ot in compromesso di buona parto dello sue lunghe fa¬ tiche. Ma il P. Francesco le parlerà più chiaro circa questo. Il senso mio è sti¬ molar Y. S. a mandar in luce quanto prima l’opero suo, ricordandosi che gli scrittori non scrivono tanto per il prosento quanto per il tempo a venire. S’io con lei piglio troppo ardirò, non incolpi tanto la mia natura, elio ò stata sempro di parlar liboro, ovoro il gran desiderio ch’io ho di vagheggiar i suoi parti, quanto un vero zelo ch’altri non la preoccupi in parte, et altri con il tempo non supprima il resto, si conio fanno ben spesso i principi, che tengon le librerie 30 0) Fauiaxo Mioukluii: cfr. n.° 3002. 5 — 10 NOVEMBRE 1634. 153 [8008-80091 ben fornito por i sorci, polvere e tignole, più tosto che per i littorati. Pur final¬ mente io mi confido nella prudenza di V. S., o di quelli suoi più cari elio di continuo gli stanno a torno. Così per fino gli chiedo da Dio lunga vita con pro¬ sperità, o la prego a continuarmi in sua buona grazia. Koma, il dì 5 Olire 1634. Di V. S. molto HI." et E. mtt Àff. ,no et. ObL“° Sor»® Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto 111." et Eoe." 10 Sig. r e P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. 40 Fiorenza. 3009. % ELIA DIODATI a PIETRO GASSENDI fin Diguo]. Parigi, 10 novembre 1034. Bibl. d’Infrulmbert in Carpentras. Colloctiou Peiresc, Reg. XLI, 2, car. 25. — Copia di mano sincrona. Monsieur très cher amy, Peu de jours apre/, mon arrivée j’ay receu le pacqnet de M. p Galilei, qui estoit demenré par cheiuin avec les cristaux du telescope qu’il vous onvoye, lesquelz j’ay baillcz a Mons. r Luillieri 1 ) pour vous les fairo tenir. I, clont, il leur eonfuoion, ce grand personnage a contiuuelle matière de faire, en son innocence et interrite, faire cognoistre au mondo la force de son coniugo et sa constanoe.... 3011 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 11 novoinbre 1034. Blbl. Nnz. Fir. Mas. dal., P. VI, T. XII, car. 96. — Autografa. MoltTll.” et Eoe. 1 " 0 Sig.*, S. r Col.'" 0 Nel Saggiatore ho incontrato il suo discorso circa lo qualità sensibili con piacere grandissimo. È un pezzo ch’io ho fatta qualche specolationo e sopra quelle e generalmente sopra li chiamati accidenti ; o mi restava una confusione da che non mi sapevo svilupare. Tenevo ben per corto, essere tutto chimeriche lo comuni dottrine degl’accidenti, con lo loro inhorentio, inessistenze, e simili proprietà imaginario, o mi pareva che il sito, numero, figura, ordino de’ corpi suplisae a tutto lo mutazioni; ma il moto ò quello mi travaglia, perchè di lui, da quanto è stato scritto sino adesso, non so cavaro cognitiono di sorto alcuna ciò cli’o’ sia: et se è veramente cosa, o non sola imaginatione nostra, oltre il io corpo, non capisco la rissolutione di lui nel niente. Voggo che V. S. Ecc. nelle sudette qualità sensibili o loro sensationi ha francato un grando e rissoluto passo. Nel moto, alla cui cognitione diceva il nostro buon Padre Maestro Paulo che Dio e la natura haveva formato l’intelletto di Y. S. unico sino alla nostra <0 Francesco Luillikr. <*> Gfr. il.» 2970. 11 — 14 NOVEMBRE 1G34. 155 13011 - 3012 ] età,, o elio quello a che lei non fosse arrivata fosse inescogitabile, dobbo aspettar sparso nello suo opere quello che si può havoro. Mi paro che sarebbe opera di gran charità verso l’Immanità, ridurre in uno tutti li discorsi di V. S., anco le lottere, ove ha scritto de spocolationi, e comunicarle al mondo ; e se io mi adoperassi in ciò, mi tenorei essere benemerito dello scienze. È Y ingegno di V. S. 20 come lo botoglie degl’ orefici ; ove si fanno li cancelli, aciò che nè anco la pol¬ vere si perda, perché ha mescolato oro. Io non trovo così in altri. Mentre scrivo, mi capita la sua gratissima di 4, che m* unge, poi punge. Come voggo cosa sua, salto d’allegrezza; ma ogni dilatione è pena. Le bacio di tutto affetto le mani. Von.% 11 9bre 1634. I)i V. S. molto Ill. ro et Ece. ,na Dev. m0 Ser. ro S. r Galileo. I*'. Eulgentiu. 3012 **. GERÌ ROCCIIINEM ft GALILEO [in Arcetri]. Firenze, 14 novembre 1G34. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., 1’. I, T. XI. car. SS. — Autografa. Alla lot.fcflra facciamo seguirò il conto elio il Bouoiuxkki mandava con ossa, o elio ò tuttora allogato (car. 84-tìó). Molto HI.” et Ecc. mo S. r mio Oss. mo Speravo pure di poter venir da me a baciar le mani a V. S., doppo esser tornato di Siena et avanti che io vadia fra X giorni a Pisa ; ma poiché fin fiora ciò non mi riesce, non ho voluto differir da vantaggio, et supplisco con questa. Con la qualo mando a V. S. distinto il conto delli V di 250 che di Maggio pas¬ sato ella mi fece risquotoro dal S. r Taddei li> , con l’esito di essi nella compra della casetta et di quel più cho V. S. mi ha ordinato ; ot perchè mi restavano in mano per saldo del conto soldi otto et denari otto, glieli mando fiora: ot così questo resta pari. io A conto poi delli V di X olio V. S. si contentò fino di Xbre passato, dell’altra somma di denari elio havevo di suo, che si pagassero al Conti (t) , pensionano giù di nostro padre, io adesso ne la rimborso, cioè le mando il conto anche di questi, porchò V 2. —13.4 costorno le bericuocolo et le calzo che V. S. mi fece comprare a Siena, ot adesso lo mando contanti V 7. 6. 6. 8, di maniera che resta pari anche questo conto. O) Cfr n.« 2945. •*» Bbknakdo Conti. » 156 14 NOVEMBRE 1634. [ 3012 ] Se così stia l’imo ot l’altro, prego V.S. di avvisarmelo per mia quiete con uu suo verso. Ma io rosto bon sempre con debito di servirla, et lo bacio 1(5 mani, mandandole alcuno scritture attenenti alla sudetta compra delia casetta, perchè staranno meglio appresso di V. S., che è padrona. 20 Di Fiorenza, 14 Nov. re 1634. Questa, con li denari, le sarà, resa da Pierino nostro servitore, so intanto non comparisca Geppo. Di V. S. molto 111.” ot Ecc™ Oblig.'" 0 Parente et Sor" Geli Bocchineri. Fuori: Al molto 111." et. Ecc. m0 S. r mio Oss."'° 11 S/ Galileo Galilei. Con V di 7. 6. 15. 4. 4 1634. 4 1634. 11 S. r Galileo' Galilei dove darò 30 addì 20 di Maggio 1634 scudi sei di moneta, mandati contanti a Prato per dare al Norcino per haver ca¬ strato Carlino suo nipote. ... V fi. - Et addì 9 Giugno, V13- — man¬ dati contanti al medesimo S. r Gali¬ leo per mano di Goppo, suo servi¬ tore.V 13.- Et addì detto, V 6 contanti alla Sestilia, d’ordine del S. r Galileo; 40 disse,per finire di cucirsi un abito. V 6*-— Et addì 21 dotto, V 15.3.16. 4 pagati alla Gabella de’ Contratti per la Gabella della compra della casetta del Zuecagni.V 15. 3.16. 4 Et più V 4, che uno dato al no¬ taio che fece la procura del S. r Ga¬ lileo in Alessandro a comprare la detta casetta il qual procuratore di Fiorenza era andato a S. Matteo 60 in Arce!ri, et V 3 mandati contanti Il S. r Galileo Galilei deve bavero adì.... (,) di Maggio scudi dugento cinquanta, havuti contanti per lui dal S. r Giovanni Taddei, a chi io no feci ricevuta. V 250.— 1 puntolini sono noli’originale. Hi Gfr. Voi. XIX, Doc. XXXV1U, b, 1). 14 NOVEMBRE 1634. 157 [ 3012 ] al S. r Galileo per mano di Goppo, suo servitore.V 4 *-— Et addì 18 Agosto, V 200.1.15.— per la compra di detta casetta. V 200. 1.15. — Et più alla Can- celleriade’Pupilli. V — 2.13. 4 Per il rogito a spo¬ se del compratore. V 1 •- Mancia a’tavolac- G0 cini, donzelli, coman- datore et banditore, conforme ni solito. V 1 •- Al Passignano, Camarlingo de’ Pu¬ pilli, per la solita tas¬ sa, et altre spese. V 2. 5. fi. 8 Questi pagamenti pn8sorno per mano di Alessandro mio 70 fratello.V 5. 1.-V Et addì 14 di Novembre, sol. 8. 8 mandati contanti al S. r Galileo per saldo di questo conto. V 260.- 5. 1.- - 8 . 8 A conto de’ controscritti V 10- — mi com¬ mosse il 8/ Galileo di iar por lui le seguenti spese, eioè: In lib. XI ~ di bericuocoli fini 80 di Siena, accommodati in uno sca¬ tolone . S7 1- 3. — — In un paio di calze di lana pu- gonazze por Geppo, et in un paio lane bianche por la Piera, mandate al S. r Galileo.V — 4.13. 4 Mandatigli contanti addì 14 di Novembre 1G34 per mano di Pierino, mio servitore.V 7. G. 6. 8 V 10.- Il medesimo S. r Galileo si con¬ tentò elio alli sei di Xbre passato 1G33 io pagassi di alcuni denari che allhora io havevo di suo, et de’quali poi gli ho dato conto et habbiamo saldato, scudi dieci al S. r Bernardo Conti, creditore di nostro padre per residuo di pensione, come foci; con che detti V dl 10. — si dovessero re¬ stituire al medesimo S. r Galileo da Mesa. Benedetto, nostro fratello, di¬ chiarato herede di nostro padre. Però questo conto si è saldato con lo controscritte somme.V 10 .- 158 15 NOVEMBRE 1634. [3013-8014] 3013*. ELIA DIODATI a GALILEO fin Areetri]. Parigi, 16 novembre 1634. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal., P. V, T. VI, cnr. 81r. — Copia di mano di VnrOKKXto Viviaxi, alla quale sono promosso, di mano dolio stosso Viviani, questo pardo: « Alla lotterà dol G. da'86 Luglio 1034 cosi rispondo il D. no' 16 libro 16.14 ». Nello stosso codico, a car. 27/., 67/. o 145/., si hanno altro copio, di nmno dolio stesso Viviani o di un suo atnaimonso, di questo modosiino capitolo; o dallo indicazioni od osso promosso risulta elio la lotterà ò scritta da Parigi. Il suo pensiero di replicare a’ suoi oppositori por postille mi par buonissimo, so por altro il tempo comporterà, olio lo possa faro con ... Intanto farà benis¬ simo di non perder tompo a promuover la pubblicazione dolio suo eccellentis¬ sime opere del moto o «lolle meccaniche, tanto aspettate e desiderato. 3014*. GIO. BATTISTA MORIN a GALILEO in Firenze. Parigi, 16 novembre 1684. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. IV, T. V, car. 84. — Autografa. Nisi tua celebri fama tuisquo libris eruditasimis humanitas tua singultirla iampridem mihi innotuisset, Vir Excellentissinie, liane ad te scribere fortasse iam vororor, tibiquo transmittere librura ( *’ eorum quae nuper in astronomia nactus sum, ut tuum de illis iudicium foras; quippo contrariae de systemate mundi sententiae nostrae animorum contrarietatem viderentur innuore. Sod per ino saltem absit ut ullius rei physicae opinio contraria meam erga quemeunque charitatem dissolvat, virisque doctis debitam vonerationom in me suspondat, pracsortiui vero libi, quem ob ingonii cxcollentiam et egregia inventa ut virimi do rebus philosophicis et astronomicis optime meritum semper colui et a cunctis colendum censui, neque id via nobiliori tequo digniori video faciendum, quara io si sua quilibot inventa tibi transmiserit, illaque tuae consumo committat. Hoc iam secundo facio: cum enim DI). Gasscndus et Deodatus, tui ot moi amici, me X.ett. 3013. 2. I puntolini dopo con sono nella copia a car. 81r. Nello altro copio ai legge che lo poma /ure. Intanto — Ot Cfr. n.o 2970, lin. 110-115. Io. Baptistak Moki.ni, Doctoris Modici ot Parisiis Regii matliematicarum profossoris, Reapontio prò teliti ria quiete aci facobi Lanuhcryii D odori» Me¬ diai Apologiam prò telluria motti. Ad Kminontissimum Cardinalem Richelium, l)ucem ot Franciae l'arem, l’arisiis, auuiptibus auctoria, M.DC XXXIV. 15 NOVEMBRE 1634. 159 [ 3014 ] monuissent, to magnimi prò telluris motu moliri opus, quod forte iam typis mandatum esset, dixi illis me alterimi typis mandasse prò telluris quieto, novis rationibus instructum, quas ante libri tui editionem porpendere moleste minime forres; unde, meam Famosi illius Problematis Solutionem t4> tibi fore transmit- tendam rati (2) , primum oxomplar, ne quidem absolutum, illis dedi in eum lineili: quod tamen (ut postoa didici) non prius accepisti, quam tui Dialogi doctissimi in lucem prodiissent, indoquo non parum dolili. Nunc vero, occasiono quaesita 2 u tandemquo inventa, per fllustrissimum D. LogatumMagni vostri Ducis mitto ad te Scicntiam longitudinum coelestiuin atque terrestrium, a me Parisiis pu- blice demonstratam (4) , quam etiam misi ad celebrioros (rallino, Germaniao, liol- landiae, et Daniao astronomos, teque, ut virum harum rerum peritissimum, veritatis amautissimum et maxime ingommili rogo, ut tuuin de mcorum comniis- sariorum secunda super ea re sontentia iudicium mihi dignoris impertiri: nisi onim tua et aliorum ad quos scripsi cbaritas veritatisque zolus mibi succurrant, ego hic opprimor mcorum iudicum invidia et iniquitate, quae non tantum ex meo libro tibi patebunt, sed in dies etiam intonduntur, maximis illorum cona- tibus ne ulla mois laboribus morces exliibeatur. Nullurn iinquam a iudicibus mois so favorom petii contra voritatem, nec a te vel aliis peto, sed ventati conformo iudicium, in honorem suprema© et adoraiulae Veritatis. Rem facies tuo nomine tuaque veneranda senectuto dignissimam, si oppressao ventati mathematica© opi- tulatus fuoris. Scripsorunt quidem ad me viri Galli doctissimi 1)D. Iosephus Gaul- torius, Dominus et Prior Valletao, Petrus Gassondus, Thoologus Diniensis, Pro- vinciales, et D. do Valois Scotus, degons in Delpliinatu, qui omnos astrorum observationibus incumbunt, idque a multo tempore, ac tibi (ni fallor) sunt omnes notissimi, suisquo litteris sciontiam a me traditalo probant et iudicum meoruin sontentiam damnant. Sed quia sunt Galli et ilici amici, idcirco a iudicibus moia dieuntur inibi favero voluisso. 40 Est autem adirne etiam mihi parallaxium verissima scientia, longo alia ab oa Diggaesei Angli (5) , atque ad praxin et lunares tabulas restituendas, ex Tyclionis et Keppleri voto, accommodatissima. Sed lume publici iuris non faciam, quin prius debitam atque mihi promissam mercedem prò longitudinum doctrina de- monstrata recepero. Antequam autem buie epistola© finem faciam, hoc monitum puto tibi non foro iniucundum prò locorum longitudinilnis. Si lunae tabulis corroctis, sumantur cius ascensio recta et observationis bora, iuxta probi. 4 part. 3 libri nostri, et ad momentino observationis sumatur ex correctioribus ephemeridibus lunae lati¬ ce Cfr. Voi. VII, p:ig. 649. fioca et hactenua optata scicntia. Alidore Ioannk <*> Cfr. il.® 2884. Battista Morino. Parisiis, npud Ioannoui Liberi» '*> Gio. Battista Gondi. 1684. Longitudinum terrestrium nec non caclestium |5) ToNUASO lJlQUES. 100 ir» — 16 NOVEMBRE 1634. [3014-3015] ludo coniecturalis (qua in ro vix uuquara duonun, saope autom vix unius mi¬ nuti, error accidot), por hanc latitudiuom et aaoensionem illam dabitur accurata co lunao longitudo, scliol. probi, part. 3, nulla etiam habita ratione altitudinis vel declinationis lunae (quo pacto vitantur errores timendi a parallaxi et refractiono) ; sicquo super torra via brevissima sciotur vora loci longitudo, vel difforentia me- ridianorum sub quibus ipso dio lunao locus olwervabitur, iuxta arcanum a nobis propositum pag. 159. Ilaoc autem non alia do causa ad te Rcribo, Vir Excel- lentissime, quam ut tuae censurao committantur ; scio enim quao probaveris, ab aliis probanda foro, et quao roieceris reiioienda : atipie idcirco, tuum do supra- dictis omnibus praestolans iudicium, Deum optimum maximum doprecor, ut Tuae Excollentiao corporis sanitatom et animi alacritatom in annua Nestoreos largia- tur. Vaio. co Parisiia, dio 15 Novembris anno Domini 1634. Tuae Excoll.' 1 *’ Addictissimua et Obsequentissimus Ioaunos Baptiata Murili uh. Fuori: Exccllontissimo ac Celeberrimo Viro Domino D. Galileo GaUloi, Magni Hetruriao Ducis Thilosopho atquo Matliematieo primario. Fiorenti am. BOI 5*. MATTIA BERNEGGER a GUGLIELMO SCHICKHARDT in Tubinga. IStrivsburgo), 16 novembre 163-1. Kjrl. Landesblbllothek in Stuttfrart. Cod. liist. q. 201 a, H/àttola» ad 1 Yilh. SeMtokardum, tran**crìpta« ex autographit penei SehieJcardum, Caiutndii Decrinum, car. 191»r. — Copia di mano sincrona. A car. I81f. del codico della Bibl. Civica di Amburgo citato al n.° 2018, ò la minuta autografa, cho non differisco dalla copia dell'originalo inviato. S. P. D. Vir Excellentissime, Oivilis haec Enyo' non intercludet, uti spero, coromercium nostrum litterarium. Quid enim sanguisugi» illis, oum inani sterilique charta, negotii ? llabes ergo hic quao in Ga¬ bbro sequuntur, eo fino inissa, ut severisBimam ccnsuram, si modo vacaverit, adhibeas. Nani et quicquid in versiono peccatum est, et quae de materia ipsa dicendo videbnntur araplius, ad linoni libri reservo ; et valde desidero, mihi praeboas liane occasionem, in tali scripto, quod in plurium manus veniet, aiìectum in te meuin, vel potine iudiciuni, publice testandi. lertiam partem fero typographus abaolvit; ego vertendo vix ultra dimidium 811111 progresBUS, et valde vereor no prò fatali mea infelicitate improvisuin quoddam impo- 10 di mentimi interveniat, quo minus ante vernus nundinas opuB ad uiubilicum perducam. 1G — 18 NOVEMBRE 1634. 161 [3016-30171 Nisi cognitas Imbercili occupationes taos gravissimas, auderem potere ne graveris e po¬ stremi l'oliis nonnulla vertenda Bascipore. Forfcasso tamen in Imo à-xa'tao'caafct reruiu, quieseentibus nliis studila, tulem opera in animi causaa non invitila ausceperia.... 6 Nov.W 1631. 8016**. BENEDETTO GALILEI a GALILEO fin Arcetri]. Venezia, 18 novembre 1081. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI. car. 88. — Autografa. Molto HI.” et Ecc. mo S. r mio Osa.® 0 Il P. Rev. m0 Fulgenzio pagò a questi mia £ 258 di questa moneta per Y. S. l8) , e essi questo giorno lieno rimettono da cotesti SS. ri Galilei l3) , et si sono ritenuti alchune poche spose che fecie por lei il S. r Francesco (l) . Ilavorò caro che V. S. ne resti satisfatta, et assicurisi che in ino viverà sempre un ardentissimo desiderio di servirla, come conoscerà per oii'etti: e fa¬ cendoli reverenza, progho Dio che la feliciti. Ven., 18 Ohre 1634. Di Y. S. molto 111.” et Ecc. ma Sor.™ o P. to Obblig. mo io S. r Galileo Galilei. Bened. Galilei. 3017 **. FULGENZIO MIOANZIO n [GALILEO in Firenze]. Venezia, 18 novembre 1034. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 97. — Autografa. Molt’Ill.” et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Col.' 110 Foci consegnar la lettera di V. S. E. al Sig. T Benedetto Galilei, al quale ho poi contato lo lire 258, di elio ne avisarà V. S. l5 ’ Li miei disturbi non mi lasciano tempo per sollazzarmi in specolationi, so non lo bore che il sonno ini lascia vivo. Il mio trastullo è in riandare quello clic mi si attaca delle cose di V. S. Col ramentar la specolatione olio il calore, odore etc. è effluvio di corpicelli sottilissimi, che no’ sensorii lasciano quelle af- fettioni, mi si rapresentan li corpi ben altra cosa che quella ce li ha fatti la dottrina peripatetica: perchè, buon Dio, che grande, inescogitabile, sarà Teffluvio Di stilo giuliano. 0) Fbancksco Galilki. <*' Cfr. un. 1 3000, 3000. <*> Cfr. u.» 3010. < 8 ’ Antonio ed Ottavio Galilei. XVI. 21 162 18 — 19 NOVEMBRE 1634. [8017-3018] dello chiamate spetto visibili! elio immensità et infinità sarà quella d’un dia-io manto, elio così lungo tempo spargo una sfera continuata di efiìuvii, elio sono corpi reali! Como ai rimette il perduto? Non le posso negare, che come nel sistema de’ suoi Dialoghi mi sentii rapire a nieditaro la grandezza di Dio creatore dall’opora, così con questa specolationo osservata nel Saggiatore mi sento rapirò a riconoscere un’imensità in ogni minima cosuccia e la picciolezza nostra, che si stimiamo così gran cosa. Di nostri thoologi, elio dicono le creature esserci scala alla grandezza del Croatore, non so se l’intendano così, o le sia intervenuto come V. S. dice d’Aristotele, d’havere prese alcune propositioni da buona scola: così noi altri habbiamo quelle dallo Scritture divine, ma non intese come vanno. Mi capita, con la sua di 11, il Discorso delle Comete 1 *’: e V. S. mi dimanda 20 s’haverù caro la scrittura contro quello De insidentitms, con la difesa 1 *'? Le dico con giuramento elio non ricevo sollievo in materia di lettere elio dallo coso sue, ot in quollo sono immerso, 0 tutto il filosofare d’altri mi paro cosa insipida. Dio la conservi, 0 lo bacio le mani. Ven.‘, 18 9bre 1634. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.“* Dev.®° Ser. r F. Fulgenti. 3018 . GALILEO n [FULGENZIO MICANZIO iu Venezia]. Arcetrl, 19 novembre 1634. Blbl. Marciana in Venezia. Cod. XLV1I della Cl. X It.. n.» 1. — Autografa. Rev . m0 P.re e mio Sig. r Col .™ 0 Devo rispondere allo 2 sue ultime, non Lavando io potuto rispon¬ dere alla prima di esse so non molto succintamente : ma il male è che poco più potrò fare al presente, havondomi tolto buona parte del tempo il dover ricopiare il resto della postilla, che con la pre¬ sente gli mando (3) . A quello che mi dice nella prima (4) , di voler far ristampare il trattateli De insidentibus e forse il Saggiatore, quanto a questo se¬ condo, quando si risolvesse, saria forse bene aggiugnervi le postille che ho latte alla risposta del medesimo Sarsi al Saggiatore Cfr. n.o 800G, Un. 18-19. <*> Cfr. Voi. IV, pag. 451-789. Cfr. Voi.VII. pag.744-750,0 cfr. puro n.® 3028. “i Cfr. n.o 3006. <*> Cfr. Voi. VI, pag. 378-500. (3018] 10 NOVEMBRE 1634. 163 Saggiatore. La P. V. ci penserà un poco, et io ancora. Il Discorso del S. Guiducci, che mi domanda, dovrà haverlo ricevuto, che con l’ordinario passato gliel inviai. La nota del nostro q. coniun padre e maestro m poteva esser circa la condensazione e rarefazione, come punti da me più tosto stimati difficilissimi che resoluti, non vi havendo in quei tempi altro che difficoltà; ma ben poi circa 18 anni sono, ritrovandomi alla villa con il Salviati del Dialogo, mi cadde nella 20 mente una mattina, mentre eramo a messa, un pensiero, nel quale poi più profondamente internandomi, mi vi son venuto confermando, et a me è parso poi sempre ammirando come per modo stupendo di operar della natura, secondo il qual modo (e credo in nessun altro) si possa distrarre e rarefare una sustanza in immenso senza ammettere in essa veruno spazio vacuo, et all’incontro in immenso condensarla senza alcuna penetrazione di corpi : pensiero, credami, assai peregrino, il quale insieme con moltissime altre novità spero che ella vedrà sparse nelle opere che mi restano da mandar fuora, le quali penso di ridurre al netto in questa vernata per mandarlo poi alla P. V., acciò ne faccia so il suo volere. Al virtuoso che ella dice, potrà con occasione fare inten¬ dere che io ho stimato sempre il Keplero per ingegno libero (e forse troppo) e sottile, ma che il mio filosofare è diversissimo dal suo, e che può essere che scrivendo delle medesime materie, solamente però circa i movimenti celesti, habbiamo talvolta incontrato in qual¬ che concetto simile, se ben pochi, onde habbiamo assegnato (li alcuno effetto vero la medesima ragion vera; ina questo non si verificherà di uno per cento dei miei pensieri. Quanto all’ultima sua 1 ' 2 ’, piena di affetto troppo appassionato, non ho che dirgli altro: il trattato del moto, tutto nuovo, sta all’ordine; 40 ma il mio cervello inquieto non può restar d’andar mulinando, e con gran dispendio di tempo, perchè quel pensiero che ultimo mi sov¬ viene circa qualche novità mi fa buttare a monte tutti i trovati precedenti. Non voglio voltar carta, perchè si fa sera; gli fo reve¬ renza e confermo servitore. D’Arce tri, li 19 9bre 1G34. Della P. V. R. ,na V I'aou) Sa «pi. Dev. mo et Obb. mo Ser. ro G. G. (*) Ofr. a.» aulì. 164 25 UOVJiiiBBE 1631. [3019] 3019 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze, itomi), 26 novembre 1684. Bibl. Naa. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 89. — Autografi i poscritti o la aottoscràiouo. Molto 111. 1 ® Sig. r P.ron Col.*" 0 Hieri rEcc. mo Sig. r Ambosciator di Francia (n per il suo secrotario mi mandò la sua littora, carissima come si può immaginare, et hieri sera, conforme al comandamento di Sua Ecc.* l’andai a visitare: fui però quasi subito intorotto da duo audienzo elio sopravennero inaspettatamente, una del S. r Pompeo Frangipani, o una del S. r Ambasciatore di Venetia 1 *’, il quale si trattenne sino a bora di cena; ot però non potei negotiare cosa nissnna. A questo primo congresso, mi è parso oavallier compitissimo: mostra stiraaro il gran merito di V. S. e di amarla singo¬ larmente. Restai in apuntamento di esser frequentemente a servirlo, o ne spero ogni bene. Sarò ancora dal S. r Ambasciatore di Toscana <3) , e sentirò i suoi sensi, io Mi son consolato assai della sanità di V. S., o assaissimo dall’ intendere con quanta franchezza d’animo e rassegnamento in Dio benedetto o nella volimtà de’ superiori vadia tollerando i travagli di questo mondo. Il Signor Iddio gli mantenga questi sensi sani e santi, e gli dia l’abbondanza dolio Suo beneditemi. Non ho potuto veder ancora il S/Maggiotti, col quale farò l’offitio che lei desidera por il S. r Vincenzo (0 , e di tutto quel che seguirà darò avviso a V. S., alla quale fo riverenza. Di Roma, b 25 9bro 1634. Di V. S. molto 111." Hora è venuto da me il Sig. r Magiotti, qualo 20 scriverà per questo ordinario a V. S. o la servirà di quanto desidera o lo fa volontarissimo, perchè ama di buon cuore. Ilo scritto a Mons. r Mecenato l5 ’. Dovotis. e ()blig. mo Sor." e Dis. 10 S. r Gallilco Gallilei. Don Bened. 0 Castolli. Il Rev. mo Abb. 1 ® Spinelli w si ritrova Abate di S. Niccolò del Lio in Venozia. Fuori : Al molto RI." Sig.' P.ron mio Oss. ao 11 S. r Gallileo Gallilei, p.° Fil.® di S. A. S. raa Fiorenza. in FRANCESCO di Noaillks. <*' Alvisk Contarmi, i*' Francesco Nigoolini Vincenzio Galilei : cfr. n.® 80si8. l“ Giovanni Ci a m poli. *0 Girolamo Spinelli. [3020] 27 NOVEMBRE 1034. 105 * 3020 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Àrcotri. Lione, ‘27 novembre 1684. Blbl. Naz. Fir. Mss. Olii., P. VI, T. XII, car. 99. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r e P.iio Oss. m0 Con altra mia (l ' dissi a V. S. la ricevuta di quel piegho elio S. S. ft stava in pensiero: subito elio fu in me, lo mandai al S. r Diodati a Parigi, dove al pre¬ sento si ritrova; e sono qualquo giorni elio già bo havuto adviso della ricevuta, o ancora di gratin sua mi ha mandato copia della lettera da S. S.* statoli scritta, quale ho liavuto carissima. Ma veramente da vero servitore e parente la conpa- tisco dello affrictione che ingiustamente patisce o centra ogni ragione. Signor mio, non c’è altro rimedio se non contra fortuna fare buono quore. Lesile scientie o virtù ne sono la causa; e Pingnorantia, l’invidia e rabbia faranno il peggio io che potranno, ma alla fino 6Ì creperanno. Il S. Diodati mi raccomanda particolarmente l’alligato piegho : però mi sari! di gusto sentirne la conparsa. Potrà dare la risposta a Girolamo, mio fratello, al quale ho dato ordino che non intravengha pili quello ò seguito, o no potrà stare di animo posato. Il S. do Perez (t) li porta particolare affetto, c non scrivo mai che non do¬ mandi sua nuove. A’ giorni passati passò di qui il P. F. Tomaso Canpanolla, però sotto altro habito che il suo, portando il vestito di S. Francesco di Paola, o sotto altro nomo : solo a ino si diede a conoscerò, dice solo per l’amicitia che teneva con S. S. a , la • 20 quale li ha servito di grande favore e appoggio appresso di M. de Perez, elio l’à raccomandato a questa casa, e m’ha inposto darli nuova eli lui, facendoli reverentia. Se n’è passato in Corte, e per quanto dice, per negotii di considera¬ tone, e ha buoni passaporti. E io, doppo Lavelli fatto reverentia, me li ricordo servitore di quore; o mi conservi in sua gratia, pregandoli da E. S. ogni bone. Di Lione, questo dì 27 di fibre 1034. Di V. S. molto 111. 6 Sor. re Pev. mo e Par. 40 AtV. mo Rub. t0 Galilei. Fuori : Al molto 111. 0 Sig. r mio e P.ne Col. mo Il S. r Galileo Galilei, Matt. primo di S. A. S., in so Arcretri. "I Ulr. n.° SUOI. (*) Niccolò Eahiu i>i I’eikkso. 1G6 2 DICEMBRE 1631. L3021J 3021. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Koma, 2 dicembre 163*1. Bibl. Naz. Fir. Msb. fini., P. I, T. XI, car. 93. — Autografa la «otto*criziono. Molto 111.™ Sig. r P.ron Col." 0 Ilo cominciato a servirò PIU. - ® et K Bknkdktto Castelli. 168 2 — 4 DICEMBRE 1634. [8028-8024] e l’obligo ch’io ho di sorvir con ogni prontezza a V. S. Cosi mi perdonorà s’io non rispondo a tutti i particolari, massime non havond’ io por ancora inteso la risposta fatta al Sig. r Nardi <4 ’. Dirò solo elio noi legger più volto la sua lettera m’ò venuta voglia di pianger per tenerezza; e ringrazio Dio di non haver fino adesso mostrato al P. Abbate alcun segno di diffidenza ( *’, occotto quanto n’ ho trattato con il P. Francesco l *', qual io stimo persona fidata. Sarò adunque ao più confidente per l’avvenire, Ignorandolo sì come haverci fatto sempro e ser¬ vendolo in ogni occorron[za]. Così fo por adesso fine, pregando V. S. Eco.®* a comandarmi liberamente et mantenermi in buona grazia del P. Abbate. N. Si¬ gnor Dio dia a V. S. E. ogn[i] contento. Roma, il dì 2 Xbro 1634. Di V. S. molto lll. ro et Fcc. raa Affi et Obl.“® Ser." Raffaello Magioni. Fuori: Al molto IH." ot Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Cui."* 0 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 30 3024 *. MATTIA BERNEGOER a ELIA DIOPATI in Parigi. [Strasburgo], i dicembre 1634. Bibl. Oivioa tli Amburgo. Codice citato nella informatone promessa al n.» 2613, car. 132r. — Minuta autografa. Aelio Diodato, Lntetiano. Ingenti me voluptate perfuderunt ot tuae et vero Galilaicae litterne f4 ’, nd quas per- funotorie respondere quia nefns est., diligentiani aiitein et copiam tabellarii fostinatio e( occnpatiuncnlae meae quaedam excludunt, id oflìcii in nliud tenipus reiicere cogor. Interim inducias officiose peto, facile, si novi hunianitatem tnnm, impetraturus. Habebis e mercato nostro, qui in propinquo est, vel citiua furiasse, qnae hactenus excusa sunt in Systemuto nostro. Ultra medietatem progrossao sunt operile. In mercatns Francofurtani catalogo liber relatus est in numerimi non editorum, uti putabas, sed eden- dorum. Spero, vel confido potius, mercato verno proditurum, niai tanien accessoria illa, 10 quorum spem facis, remorentor longius. Oro featines mitterc et carnien illud Risanimi et maxime, de qua salivam certe movisti mihi, (ìalilaei scriptum t 1 ’, quod addondum suscepisti. Carabo, utrnmque imprimatur emendatissiine.... 24 Noveinb. l °> 1634. 16. inietto — Intenda, la T.ottora a Mapaiu Ckibtika: cfr. n.» 8058. '*> Di 8tilu giuliano. **» Antonio Naiuii. <*> Cfr. il.» 3008. Un. 12-14. < s > Fauiano Mieli elisi, Cfr. n.“ 2966. [#025-3026] 4 — 5 DICEMBRE 1634. 169 3025 *. MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC in Ai x. [Parigi], 4 dicembre 1634. Bibl. Nazionulo in Parigi. Fonda frangia, n.« 9543, car. 12. — Automi-afa. _Si vous pouvez egavoir de M. r Gassendi ou d’ailleurs, si Platon dit ce que Caldèo luy fait dire dans ses Dialogues da raouvement de la terre, c’est dans son premier Dia- logue, assez près du commeucement, où il dit que, selon Platon, Dieu laiasa tomber droit les plauettes, et qu’estaut toinbécs jusqu’à co qu’elles allasseut de la vitesso qu’il ftvoit ordonnó, il clmngea leur mouvement droit en circulaire, qu’elles out mainlennnt (1 >. Je voub prie dono de me mander le lieu on Platon dit cela, car je n’en trouve rien dans le Timce; et si vous ne le pouvez sgavoir do M. GasBendi ou d’ailleurs, pour mele fairo sgavoir promptement si vous escriviez à Galiléo, il vous obligeroit de vous lo dire et de vous envoyer un petit fllot do la longueur do la brasse dont il parie tant en ses 10 livrea; ce qu’il fera d’autant plus viste, s’il sgait que je travaille à respoudre pour luy à tona ses envieux dont j’ai veu les livrea, en destruisant leurs raisons et en affermi ssant les sionnes, lorsque jo les trouve veritables apres les avoir examinées ad lapidcm Lydium: mais je ne peux achevor, que je n’aye vu ce qu’cscrira Scheiner contro luy, supposé qu’il escrive, cornine l’on noue disoit il y a un an Si vous sgavez quolqu’un qui ayt escrit contro Galilée, out re Berigard t 3 ). Ingolferà e Roca < 5) , je vous prie de me l’indiquer, car, pnisque j’ay entrepris de dcfendre lu veritó qui me sera conniie, il est necessaire que je les voye tous. J’attends encore Claramontius W do Florence, lequel jo n’ay point encore, contre luy; j'estimo que co sera lo plus Labile, car il a desjà escrit contre Tycho< 7 > et Kepler W : et jo seroy bien ayse de recevoir vos 20 conseils et vos aides, tant sur cela que sur les autres clioses qui concernent mon lubeur.... 3026 . NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Aix, 6 dicembre 1634. Bibl. Vatioana. Cod. Bari», bit. 6508 (già LXXIV, 49), car. 109. — Autografa. .... Una supplica mi resta ancora a fare all’Em.** V., della quale io la preggo quanto so et poBso di schusare l’ardire in un suo servitore fedelissimo, et di voler condonare alla confidenza ch’ella mi suol dare la speranza che prendo nella somma bontà di Y. Em. rn : I') Gfr. Voi. VU, |mg. 44, liu. U 14. **» Cfr. li.» 2418. < s > Cfr. n.° 2711. Cfr. n.» 2801. (Si Cfr. Voi. VII, pag. 571- («i Cfr. n.o 2826. (’l Cfr. n.o 1671, lin. 7. <»> Cfr. u.o 1758. XVL 22 170 5 DICEMBRE 1034. [ 3026 ] ch’ella si degnerà far qualche officio per la cousolatione d' un buon vecchio settuagenario ofc poco 8ano ili corpo, la cui memoria difficilmente sarà scancellata nell’avenire. Et quando egli havesse orrato in qualche propositiono, corno l’Immanità lo può comportare, non mo¬ strando ostinata opinione, anzi havendo sotto scritto l’opinion contraria, conforme a gl’ordini prescritti, di gratia non si tenghi in tanta strettezza, come intendo essere prat- ticata «olla persona sua, so sarà possibile ottenerne qualche relaziono, come la dolcezza naturale di V. Era. u rao lo fa sperare. Io l’ho conosciuto già 34 et più anni nello Studio io di Fadoa et nelle bellissime couversationi che si godevano in casa della b. m. del S. r Gio. Vino. 0 Tinelli, con li SS. rl Àleandro et Pignoria [1> , che siiuo tutti in gloria. Sarà difficile che la posterità non gli mostri sempre grand’obligo delle mirabili nolicio da lui scoperto nel cielo con gli suoi occhiali et con l’acutissimo suo ingegno. Et sì come a Tertulliano, ad Origene et a tanti altri Padri, elio bì sonno lasciati andare a qualche errore por sem¬ plicità o altramente, la S. u Chiesa come buona madre non ha lasciato di portare gran veneratane por gli altri concetti religiosi et indici della lor pietà et zelo al servioio di¬ vino, anzi sarebbe sinistramente interpretato et biasimato il zelo di chi gli havesBe vo¬ luto castigare con la medesima severità che si oastiggano gli heretioi ostinati, et essor- citare sopra delle persone loro quelle pene che puonno cadere in persone ree di qualche 20 grand’errore o furfantarla, stante l’infermità hutnana che gli poteva liaver fatto cadere in qualche peccato, la cui fragilità non è sempre indegna di schusa o di perdono, come tante altre maggiori di persone che tengono i primi gradi fra i santi; così paro che i secoli a venivo potranno trovare strenuo, elio doppo la ritrnttationo d' una opinione che ancora non ora stata assolutamente prohibita in publico nè proposta se non come pro¬ blematica, si usi tanto rigore ad un povero vecchio settuagenario di tenerlo in carcere, sia pubblico o privato, in maniera che non gli sia lecito di tornare alla città et alla casa sua nò di ricevere le visite et cousolationi degli amici, stante le infermità quasi insepa¬ rabili della vecchiaia ot le necessità dclli soccorsi che vi occorono quasi di continuo, che ben sposso non patiscono la dilatione del tempo, che ricohiede la strada et distanza della 80 villa alla città, per i rimedii ad accidenti subitanei. Questo dico per la compassiono che tengo del povero buon vecchio S. r Galileo Galilei, al quale havendo voluto scrivere ulti¬ mamente, et richiestone l’aviso d’un amico di Firenze per sapere dove ei si ritrovasse, mi fu risposto ch’era confinato in una sua villa vicino ad un monasterio, dove gli era morta una figlia monacha, Bua unica cousolatione, et che gli erano prohibite le visite et corrispondenze degli amici, non che l’accesso della città et della propria casa; il che mi percosso il cuore et mi sformò a lasciar uscire non poche lacrime da gli occhi, mentre andai considerando la vicissitudine dolio cose Immane, doppo liaver lmvuto tanto honore et tanto avantaggio non comuni ad altri, la cui memoria è por durar tanti secoli. Io veggo che a pittori excellenti noll’artc loro si sonno condonati peccati gravissimi, et l’enormità 10 de’ quali era a sommo horrore, per non lasciare imitilo il precedente merito ; et tante invontioni, le più nobili che si lusserò scoperte in tanti secoli, non potranno meritare l’indulgenza d’un scherzo problematico, dove egli non ha mai affirmativumeute asserito esser suo proprio parere quello che non s’è voluto approvare ? < l > limui .amo Ai.randbo o Lokknzo Pionoru. 5 — 9 DICEMBRE 1034. 171 [3026-3027] Veramente sarà cosa trovata durissima per tutto, et maggiormente dalla posterità che dal secolo presente, dove pare che ogniuno lasci gli interessi del publico, et special¬ mente delli miseri, per attendere alli proprii. Et sarà appunto una macchia allo splen¬ dore et fama di questo Ponteficato, se V. Km.™ non si risolve di prenderne ella qualche protettone et qualche particolar solecitudine, come ne la supplico et congiuro humilis- 50 simamente et co ’l maggior ardore et premura che mi possa esser lecita seco, et di con¬ donarmi questa libertà forzi troppo grande : ma importa che tal volta sia lecito a suoi fedeli servitori di renderle questi officii della fedeltà loro, eh è non credo che gli altri, che le sonno attorno, Imbibano l’ardire di palesarlo cosili pensieri ch’hanno nel cuore et che toccano l’honore di V. Km.™ multo più che non parrà forzi a molti.... 8027 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, fl dicembre 1684. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, ctir. 95. - Autografa la .sottoscrizione. Molto Ill. r0 Sig. r P.ron mio Oss. mo Col consiglio del S. r Ambasciatore di Toscana, restai in apuntamento col Sig. r Ambasciatore di Francia che S. E. si compiacesse di pregar L’ Emin.""’ Sig/Card. 1 Barberino che gl’aprisso la strada di aiutare V. S. molto Ill. ro (1> Il buon Francese ha corso la lancia con prudenza spagnola, et essendoli venuto il taglio liicr mattina alTaudionza di N. Signore, trattò alla lunga con S. Santità di V. S. ; o la somma do’ ragionamenti por la prima volta non è stata in altro che nelle lodi di Y. S., asserendo N. Signore che lo portava affetto e che la stimava, o che lo pareva solo strano che Y. S. non liavesso fatto conto doll’argumento fat- io toli: et io ho assicurato il Sig. r Ambasciatore che V. S. m’ha detto più volte che non ha sentito il più gagliardo argomento di quello. Andò poi all’audienza del S. r Card. 1 Barberino, col qual similmente trattò alla lunga di V. S., et ha buona speranza; e questa sera m’ha dato questo nuovo. Perchè è tardi, non sarò pili lungo ; ma solo gli bacio lo mani da parto di S. E., e l’assicuro che ha un padrone che desidera fargli servitio ardentissimamente. E per fretta gli bacio le mani. Di Roma, li 9 Xbre 1634. Di V. S. molto Ill. r0 Devotis. 0 o Oblig. rao Sot.™ o Dis.'° Don Boned . 0 Castelli. 20 Fuori: Al molto RI.™ Sig. r P.ron mio Oss. mo Il Sig. r [Galiileo] Gallilei, p.° FU.® di S. A. Ser.™ Fiorenza. Cfr. nu.‘ 3019, 3021. 172 9 DICEMBRE 1G34. [8028] 3028 **. FULGENZIO MIUANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 9 dicembre 1634. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gftl., P. VI, T. XII. car. 101. — Autografa. Molto 111." Gt Ecc. 00 Sig. r Col.® 0 Sono stato una grossa bora col S. Rocco. Li ragionamenti hanno versato per il più sopra V. S., (li cui egli parla con quel maggior honore che ni possi dare ad alcuno: l’antepone a quanti mai habbino filosofato; vi conosco però la ta¬ cita eccettiono dell’Aristotele, corno giù il buon Cremonino. Li mostrai la po¬ stilla dell’ infinito , saremo su la stampa ; ma la penuria d’oporari ò incredibile. Mi scordo sempre dimandar a V. S. so ha fatta alcuna osservatone nello stollo fisso, nel modo da lei inventato e descritto no’ suoi Dialoghi, e ciò che lo sia riuscito, o so da quel gentillhuomo Bolognese 151 ò stato ritrovata cosa di ri¬ levo circa il vai-iare della meridiana; perchè so si trova concordar col sistema Copernicano, a Dio Tholomaici. Mi duole elio il votro mandato lo habbia fatta cosi trista riuscita: no farei 20 fare do’ pezzi a posta; ma se non habbiamo speranza di miglioraro, ò tempo perso. Li vetri donatimi da V. S. mi servano, ma non come haverei bisogno; credo però il mancamento no’ miei occhi, cho si vanno perdendo in scritturo o processi. Il P. Maestro Paolo haveva una lento che bruciava e liquefaoeva il piombo ; il Sig. r Mula' 0 la ruppe: prego V. S. ainaestraroi in cho sorte di forma no po¬ tessimo far lavorare, che fossero buone, porcliò non ho dubbio ch’ossa non babbi (»> Cfr Voi. VII, pag. 744-760. i*' L'Accademia degli Incogniti in Venezia. Cfr. A. Favaro. Oli oppotilori di Galileo. I. .-Inforno Rocco (Alt* del R. fuiituto Veneto dì udente, lettere ed arti. Tomo III, serie VII, pag. G18-G30). Venezia, tip. Anto- nelli, 1892. < 3 ' Cfr. n « 2968, lin. 10-12 <*’ Cfr. n.» 8018. «»' Cfr. n • 2126. (•> Agostino da Moda. 173 [ 3028-30291 9 — 10 dicembre 1634. pronto quello vi fa bisogno, ot il mio amico, intirizzato, lavora tutto ciò elio vuole, massimo di tomo, in ramo, ferro, etc. 80 La postilla della compositiono d’indivisibili (1) mi trasporta, mi pare, in un altro mondo: il corpo mi è tutt* altra cosa di quello mi era ; quest’imiverso mi si fa un altro. Havovo sentito in Aristotolo ot altri l’opinione antica, ma portata senza ragiono o esplicazione mi pareva strana : hora le ragioni di V. S. mi sem¬ brano maraviglio.se, nò so che oppositione che vaglia le possa far il Sig. r Rocco. Ho curiosità di sentirlo, oliò aspetto un primario et secundario o altra tale bolla cosa. Sul finire di questa ricevo lo suo di 2: riservo ad altro spazzo Pinforma- tàone delle monete. Aspetto qualche cosa di bello, e lo bacio lo mani. Ven.% 9 Xmbre 1634. Di V. 8. molto 111." ot £ 00 .““ Devotiss. 0 Ser." 40 F. Fuigentio. 3029 **. ALESSANDRO NINCI a GALILEO in Àrcetri. S. Maria a Campoli, 10 dicembre 1634. Bibl. Naz. Flr. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favnro A, car. 69. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col.® 0 So bene V. S. mi scrisse che era assai ben provista di fascine, in ogni modo, sapendo che in questi tempi riesce il consumarlo più presto elio non si crede, non ho voluto lasciare un’occasione di provedome senza mandargliene prima un saggio o avisargli il prezo, acciò sappia se gli motto conto pigliarle di quassù, dove mi paro si vendino con rigoro, poi ohe costeranno, condotte, lire sei o quattro crazie il cento. Forò V. S. mi avisi se sicno di sua sodisfaziono e quante no vo¬ glia, acciò che io le possi mandare ; o Giulio ( *' metterà al conto che tiene con V. S., conio ha fatto do’ botticmi w . E so in altro la posso servirò, resti sicura io olio i suoi comandi mi saranno sempre singolarissimi favori, mentre co ’l fine, facendoli humilissima reverenza, gli pregilo da Dio cumulata prosperità. Da S. u Maria a Campoli, 10 di Dicembre 1634. Di V. S. molto 111.® et Ecc."® Dovotiss.® 0 e Oblig.® 0 Se." Alessandro A’ilici. Fuori : Al molto 111.® et Ecc.®° Sig. r mio P.ron Col. 11 ' 0 il Sig. r Galileo Galilei, in "t Cfr. Voi. VII, pag. 744-750. <*> Giulio Nino*. Arcotri. Gl Cfr. U.° 8007. 174 Il DICEMBRE 1034. 13080] 3030 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcelri. Lione, 11 dicembre 16JW Bibl. N*z. Pir. Appendice M Mas. Gal., Filza Fatuto A, car. 180. — Autografa. Molto 111." mio Sig. T o P.ne Col. 100 V. S. non si deve affaticare in volerò (laro a conoscere la santissima inten- tione e la sincerità della concientia che lei sempre ha havuto in ogni sua actiono, o non credo che alcuno, per ignorante che sia, non la tocchi con mano e che non la voggia più chiara o più lucida che il solo ; ma la vertù o la sciontia cho lei possodo è sempre invidiata. Se V. S. ha voglia di scrivere a qualquo persona, le faccia darò a Girolamo mio fratello a Firenze che me le mandi, e non se no dia altro pensiero; chò li sua amici fanno tanto stato dello sua lettore e della sua benevolentia, cho essendone privi li saria di mortificatione non piccola, e particolarmente il S. r do Perez (1 , cho l’honorae rispetta quanto mai la si puolo io dire. 11 S. Elia Diodati m’ha scritto che al S. Gassendo o a lui liaveva mandato quanto li haveva comandato iI> , sì che la ne puole stare con Lamino quieto da questa banda. Io la gita passata li mandai un grosso piogho del sudetto Sig/ Elia: tongho cho Phavorà ricevuto; mi sarà gratissimo sentirno qualcosa : o spero in Dioche presto finiranno li sua travagli, alla confusione do’ sua arrabbiati inimici. So lei ha qualcosa a mettere in luce, dove la possi servire, li ricordo cho me lo repu¬ terò a gratia particolare, o qui non hnveremo tante traverso che altrove; e mi continui la gratia e amore suo, che lionoro e riverisco più elio cosa del mondo. E io, doppo liaverli fatto reverenda, li pregherò da K S. il colmo d’ogni suo 20 contento. Di Lione, questo dì 11 di Xbre 1634. Do a S. SA le buone feste con mille appresso. Di V. S. molto DI.® Sor/® e Par. 1 * Ilmn.""* o Pov. m ° S. r Galileo Galilei. Hub. 10 Gali lo i. Fuori : [Al moljto 111.® Sig. r e P.ne mio Col. m0 Il S. r Galileo Galilei, Matt.° primo di S. A. S. Sia dato fido recapito. Firenze in Arcretri. ll > Niccolò Fa bri di I’rirkso. •*> Cfr. n.° 2070, lin. 78-63. [3081-3032] 18 — 19 DICEMBRE 1834. 170 3081 *. GUGLIELMO SOHICKHARDT a MATTIA BERNEGGER [in Strasburgo! Tubinga, 18 dicembre 1084. Dulia pag. 212 doli'opera citata «olla informazione premessa al n.° 2G83. .... Interim, quautum perinittit immenuus inoeror, solatomi capto ex sunvissiniis tuia Galilaeicis, prò quorum tam benevola conmiunieatiouo Bum arctisaimus debitor tuus. Miror quomoilo labori tanto par sia forcmlo, sub quo succumberem ego millies. Augeat libi Deus liuuo virtutem, et inbeat esse longaevum! Vale l'elieiter, et bene rem gero. I>e prop. Tubing., d. 8 Deeem.W an. 1(>34. 3032 *. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arretri]. Bologna, 19 dicembre 1634. Blbl. Naz. Flr. Mss. dal., P. VI, T. XII, car. 108. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. mo Sig. r o P.rou Col." 10 Ilo inviato duo volto a V. S. Ecc. um il Dialogo deH’anima con Ohristo del Pa- notio (2) ; ma la mala fortuna non m’ha concesso ch’ella ne sia restata servita, per negligenza di chi l’havea in consegna. Questo secondo fu un mulattiere, che liavea fidamente ricapitato lo Lagrime che li mandai (3) , ma in questo mi ha ingannato: ò poi ito a Napoli; non ne posso sapere sino al suo ritorno. Si diceva poi, nella lotterà congiunta al libretto, come al suo dubio della scodella (4) parsami ancora si potesse risponder così: che noi concetto di tutto le lineo di una figura piana o di tutti i piani di un corpo non si devono, secondo io le mio definitioni, intendere le estremo, benché parino dol medesimo genere; poiché chiamo tutte lo lineo di una figura piana le communi settioni. del piano seganto la figura nel moto fatto da esso da un estremo a l’altro o da una tan¬ gente sino all’opposta tangente: bora, perché il principio o termine del moto non ò moto, perciò non si devono computare lo estreme tangonti fra tutte le linee; o così non è meraviglia, intendendo T istesso per i piani no’solidi, che questi estremi restino disegnali, corno nel suo essempio della scodella: il cho si scorge anco chiaramente se prendiamo il parallelepipedo fatto da tre lineo Lett. 3032. 17. ti eoryc — 1,1 l)i stilo giuliano. Cfr. u." 2956. ( s l Cfr. il.» 2992, li». 79. <*l Cfr. il.» 2992, li». 20-60. 19 DICEMBRE 1634. 176 [3032-3033] proportionali ot il cubo della media, come di tre liuoo che siano corno 1, 2, 4 ; perché essendo i solidi eguali, sono nondimeno le superfìcie ambienti disoguali, essendo quella del cubo di 2,24, ot quella del parallelepipedo 28. Sì corno 20 dunque sta l’eguaglianza delle solidità, con le disuguaglianze dello superficie ambienti, così sta l'egualità di tutti i piani di due solidi eguali, cioè l’egualità di tutto lo lineo di quei piani, con la disegualità di tutto le lineo che giacciono nello superficie ambienti, senza alcun pregiuditio, essendo ciò conformo allo mie definitami. Di gratin, mi favorisca dirmi qualclio cosa della mia Geometria 111 , 0 so resta sodisfatto o no, liberamente, dello mio risposte. Scrivo con frozza, perciò mi scusi della negligenza nello scrivere, 0 ciò per havor io voluto trascriverò un pensiero intorno alla dof. 5 del quinto d’Euclide, quale li mando per sentirne il suo parere. È cosa fatta a richiesta di un giovine studioso l *’. So li paresse cosa buona, havrei pensiero di metterla noi fine della so mia Geometria; ma desidero sentirne prima il suo parere. E por non attediarla più, finirò, augurandoli felicissimo Foste con il buon Capo d’anno, ricordando¬ meli devotissimo servitore. Di Bologna, alli 19 Xbro 1634. Di V. ri. molto ili.™ et Ecc, ma Ob. m ° Sor.™ F. Dou. r * (Jav. r ‘ 3033 *. MATTIA BERNEGGEU a ELIA PIOTI ATT [in Parigi]. (.Strasburgo|, 19 dicembre 1031. Bibl. Olvioa di Amburgo. Codice citato nella informuxiouo promossa al n.° 2618, car. 132r. — Minuta autografa. Yirornm eximio, Ne nano quidam (proximas enim mea« inni redditas opinor f,) ) ex voto moo prolixe licot ad te scribere, cum ab aliis avocamentis impedito, tuia urgantibus operis typogra- phicis, quae, onm hoc tempore nihil aliud habeant qnod agant, me sibi totani vacare vo- lunt. Iam superato vertice per declivo imus. llabcs hic impressa hacteuus. Differre debe- bara ad nundinas nostras instantes, et minori impenna rniasio constitisset. Sed featinandum ideo duxi, ut istao chartae (si poto) tempori mittantur ad autorem, quo tempestive nobis errata versionis, ad calcem libri annoctenda, remittat. Bidoni, primo quovis tempore, co¬ piose scribam. Yalde me terruit ipsius epistola' 4 ', longe tersissima et elegantissima; quam 28. giaociona — • «> Cfr. n.° 1970. t*> Gio. Antonio Rocca: cfr. n.° 3053. <*» Cfr. n.« 8024. <*> Cfr. n.o 2900. 19 — 21 DICEMBRE 1634. 177 [3083-3035] 10 elegantiam cum vcl mediocriier ossequi posso desperem, verondum Imbeo no magnus ille vir in geni i huì divini foetum in commodiorem interpretem incidisse velit. Sed ioctn est aleo. Cupio quam prinnun nobis copiali» beri oorum quae subinissuruin BcribiB, nunectendn Systernuti . Scr. 9 Deoemb.W 1634. Litteras ad Galilaeum meas, atquc etiain sequentes in opere pagellas, annon cornino- dins per Paasavantios Baailienses curarem in Italiani V Si sic libi videbifcur (luciuni onim ut voles), oro domicilium Gaiilaei et quo dirigoudae litteiae sint sigiliiicos. SO 3 4*. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI FRE1NSHEIM in Nancy. [Strasburgo), 20 dicembre 1G34. Bibl. Civica di Amburgo. Codice citato nulla iuformazioue promossa al n.« 2613, car. 132r. — Minuta autografa. .... Immincnt, voi potius incumbunt in lioras, typograpliicae operae in excudendis Galilaicis satis assiduae. lam ultra medietatem progressi!» sniii. Eins operis exemplar destinavi quoque nobilissimo Muroscoto W patri, quem audio talimn non incuriosuiu esse— 10 Decombi 1634. 3035 *. GALILEO a ELIA D IODATI [in Parigi]. |Are-etri], 21 dicembre 1634. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 88r. — Copia di mano di Vikoknzio Vivuni, di pugno dol quale so no ha un’altra copia a car. 84r. dello stosso codico. Accanto al frammento è notata, in margine, la data « 21 Xbro 1634 >. In breve comincierò a, mandare a Venezia quel che mi resta delle mie fatiche, che è quello che da me è più stimato per esser tutto nuovo e tutto mio, e quivi si procurerà che sia stampato. ««> Cfr. nn.' 3024, 3068 <*> l)i stilo giuliano. XV L 23 < 8 > Guoluclmo Markscot. (*) Di stile giuliano. 178 22 DICEMBRE 1634. [51036-3037] 8036 *. FRANCESCO NICCOLINI a [GALILEO in Areetri]. Roma, 22 dicembre 1634. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B*1.XXXII, n.>» 111. — Autografa la «ottoacrixlouo. Molto 111.** Sig. r mio Oss.“° L’Ambasciatrice et io confessiamo (li non haver mai corrisposto interamente al nostro debito et al suo merito nel servir a V. S., la (piale nondimeno, col gradir il nostro desiderio, ci ha sempre maggiormente obbligati ; onde può credere che cercheremo sempre l’occasioni di mostrarle la oontinuattione del nostro alletto, corno intanto lo rondiamo gratio del favor dolio buone Feste e della memoria elio revsta servita di toner con la S. ra Lucrezia dell’una e dell’altro di noi. E mentre prego il Signore Dio elio lo commuti i travagli in altrettanto allegrezze, bacio a V. S. le mani di cuore. Roma, 22 Xbro 1634. io Di V. S. molto 111.™ Rer.” AtT.®° S.* Galileo Galilei. Frane. 0 Ni eoo lini. 3037 **. ALESSANDRO NINC1 a [GALILEO in Arretri), ti. Maria a Camp oli, 22 dicembre 1034. Bibl. Naz. Fir. Appontlico ai Mss. Gal., Filza Far aro A, car. 70. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. ra0 Sig. r mio P.ron Col.® 0 Ricevetti la cortese lettera di V. S., accompagnata con il bericuocolo o con l’arancio, le quali coso, se bono por loro stesse mi furono gratissime, in ogni modo mi sono state di maggiore consolaziono testificandomi che io sia confer¬ mato nella sua grazia, il che tutto riconoscilo e rirovo dalla sua mera beni¬ gnità: ondo, non potendo io dimostrarmi grato a’suoi moltiplicati favori, non devo però manchare di mostrarmene ricordevole, con rassegnarmi, benché inu¬ tile, Ira '1 numero de’ suoi servitori in augurare a Y. S. felicissimo lo prossimo leste del Santo Natale; noi che pregilo la Divina Bontà che mi facci vero au¬ gure, come io sono devoto oratore. Gradiscila V. S. nel’ofizio comune il mio pai*- io ticolare o sincero alletto ; di che io all’ora son per ricovero sicura caparra, quando 22 — 23 DICEMBRE 1634. 179 [3037-3088] io mi troverrò onorato di qualche suo comandamento, mentre co ’1 fine gli bacio lo mani con la debita reverenza. Da S. tA Maria, a Campoli, 22 Xbro 1634. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. ma Devotias.” 10 o Oblig. mo Se. r0 Alessandro Filici. 3038 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 dicembre 1(>34. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXX, n.° 82. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.” Sig/ P.ron mio Col. 1,10 Il S. Àmbasciator nostro* 11 continua noi desiderio e buona voluntà di sor- viro V. S., e gli dispiace che la moltitudine e gravità do’ negotii che tratta, gli ritardino il trattare quello di V. S. Io gli sarò sempre a’ fianchi, se bone S. E. non ha bisogno di sproni: è però nec.ossario cambiare con gran cautela, per non guastarsi e rendersi inliabilo a poter fare cosa di buono. Viva con¬ solato, e si assicuri ch’io non ho cosa al mondo che mi prema più al coro elio servirla. Ho visto il S. r Pior Battista Borghi, quale ò restato sodisfattissimo di V. S. io molto 111/ 6 , e mi ha detto che in tutto il viaggio che lui ha fatto non ha havuto maggior consolatione che di vedero o trattare con Y. S. Io sto assai belio di sanità, per gratta di Dio, e il simile desidero a V. S. ; alla quale bacio lo mani, augurandoli felicissime lo S. Peste e Capo d’anno. Di Poma, li 23 Xbro 1634. Di V. S. molto ILI/ 0 Devotiss. 0 e Oblig. mo Sor/ 6 e Dis. 10 S/ Gallileo. Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto IH.” Sig/ P.ron mio Col." 10 Il S/ Galli[lco] Gallile!, p.° Pii. di S. A. Ser. m " Fiorenza. Lctt. 3037. 12. di quache — <‘t Fkanokboo Niccomxi. 180 23 DICEMBRE 103*1. L3oao-ao4oj 3089 **. BERNARDO CONTI a |GALILEO in Arcetri]. Siena, 23 dicembre 1634. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal., V. 1, T. XI, car. 67. — Autografa. Molto 111." ed Ecc. mo S. T e P.ron mio Oss. mo Con la gentilissima di V. S. del 21 s’è ricevuto la verdea, le pere, le barbe di bietola o Tarance, di elio V. S. ha volsuto favorire Mona." 111.® 0 Arcivescovo, mio Signoro u> . S. S. riR 111.®* ha ricevuto il tutto con sommo gusto ; o perche il suo man¬ dato l’ha trovata occupata nelTordinationi, ha comandato a ino elio io gliene renda quelle maggiori gratie elio si possa, come fo con questa, o che pel me¬ desimo suo mandato io la serva per sua parto d’un capriolo, dodici starno o quattro marzapani o quattro hiriouocoli di questo paese. Aggradisca V. S. l’animo col quale se li inviano questo bagattelle, che por altro sono un niente al me¬ rito di lei. io Io qui le rendo devotissimo gratie dello buone Feste inviatomi, e per parto ancora di tutti quest’altri di casa prego a V. S. ogni vera felicità e contentezza ; o con desiderio di rovorirla presto in cotesto bando, resto lucendole reverenza. Siena, li 23 Xbre 1634. Di V. S. molto 111." od Eco.®* Lo barbo di bietola son state quattro ; ma lo due altro dice il portatore d’Laverie lassato costà. l)ovot. m ° Ser.” di tutto ouoro Bernardo Conti. 3040 *. FULGENZIO MIC ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 23 dicembre 1634. Blbl. Est. in Moderna. Raccolta Cara pori. Autografi, B.» LXXX n.« 108. — Autografa. Molto IU. ro et Ecc. mo Sig. w , Sig. r Col.® 0 Nè io ancora resto capace del computo che V. S. molto 111." et Eoo.® 1 mi mandò nella sua di 2. Bisogna però sia giusto, perchè questi SS. ri Galilei lt sono <') Ascanio PlCOOI.OUIKI. l a > BlKKDttTO o FbaNOKSOO GaULHI. 23 DICEMBRE 1634. 181 [30401 ) assignatissimi et honoratissimi. Nell’espoditione del possesso della pensiono non credevo fosse tanta spesa ; però questa non mi passò por mia mano : nell’altro cose, cioè il mandarla a Brescia, farla registrar, intimare ot altri atti soliti, non si è speso nulla, ckò io diedi gl’ordmi necessari. Il discapito dolio 55 lire per necessità è questo : il cambio e le monete. Sappi V. S. clic, già tre mesi sono, le valute qui si sono alterate di salto, che il cechino è £ 16, il scudo d’argento, io che già ora £ 7, corre £ 10; e perchè £ 258 (1) sono state pagato con scudi 25 et un realo da £ 8, senza dubbio questo sarà lo svario. Un’altra volta non pas¬ seremo per cambio: trovarò io mezo. Sono stato due spazzi senza scriverlo por occupationi sorvenutomi, et il pas¬ sato scrissi due versi solamente. Queste Feste instanti, elio di tutto cuore au¬ guro a V. S. felicissime, mi dono un puoco di scanso. Mi è convenuto rivedere un libro grosso Vcstigationes peripaicticae (2Ì per la stampa, dol theologo Franciscano di Padova. Questo è un de’ rari intelletti che vivano, ma peripatetico al possibile, versatissimo però in ogni literatura. In questo volume due di questo Vcstigationes ho osservate: l’una, la difesa d’Ari- -0 stotele, 12 Met., t. 45 sino 48, del numero dello sfere celesti, che fa 45, 47, 40, 55 et 59, o lo salva bene; ma come stessero quello sfere nel cervello d’Aristo¬ tele o di Calippo, l’intendo bora manco di prima: e V. S. m’ha così depravato il gusto nel logore altri, cho lo facio con quella diferenza elio farci dal mangiare un pero moscatello aU’inghiotir un bocono di cassia. L’altra Yestigatione è de formae separàbUitate : in questa, con 12 testi d’Aristotele con le sue deduttioni, prova omnem formarti esse separalilem; con tre soli, nullam formatti esse sepa- ràbUem ; e poi, aliqnam tantum esse separalilem. M’ha gustato che in Aristotele con più testi o ragioni si dia il paradiso anco delle oche o doll’anare, che non si dia quello degli huomini. Se si stamperà, n’ haverà V. S. uno, chè merita so in verità essere veduto. Così vengo ricordarle la mia avidità di vedere delle cose sue ; e queste Festo la mia ricreatione sarà leggerle. E con tal fine le bacio con ogni affetto le mani. Ven. R , 23 Decembre 1634. Post. a Ho fatto far il computo: ho indovinato cho sta nelle moneto: un’altra volta toneremo altra strada. Dev. mo Sor.™ F. Fulgentio. Lett. 3040. 28. onore che che non — "> Cfr. li.» 8000. ] 0 gi, occ. Patavii, M.DC.XXXV11II, ox typographia <*> VettigntìoncH peripateticae Matthaki Fkiiouii Pauli Frauibotti. Veglousis, Min. Couv., in Universitato Patavina Theo- 182 23 — 24 DICEMBRE 1634. [3041-3042] 8041 *' MATTIA BEUNEGGER a GIO. MICHELE LINGEL8HE1M in Heidelberg. [Strasburgo], 28 dicembre 1684. Bibl. Civica di Amburgo. Codlco citato nella informatone premo»»» al n » 2618, car 188r_Minuta autografa. -Scripsi -rdxio'ta, oum typographicae openie de GalUaicitj urgermit, tatù ultra medium excudendo progressiie.... 13 Decombi 1 ) 1634. 3042 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO fin Arcotri]. Lione, 24 dicembre 1634. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 105. — Autografa. Molto 111.® mio S. re OsB. m0 Lo Ietterò di S. S. a mi sono tanto grate o di tanta consolatione, che non ostante elio io sia alla vigilia di Natalo occupato in altro, mi onmnciporò di ac¬ cusarli la sua do’ 9 stante, ricevuta in questo punto, o per essa visto la ricevuta del piogho mandatoli del S. r Elia Diodati, che con suo comodo potrà fare risposta. 10 godo cho S. S. a vadia pigliando questo suo esilio in forma di passatempo: questo è il vero modo di faro crepare nel loro veleno o sufTocaro nella loro rabbia l’invidiosissimi sua nemici ; e più seguirù, so la mette in luce altro sua fatiche. Tutti li amici et servitori di S. S. B la pregano e la concedano a questo, sì per lasciare di lei maggiore memoria (bene che grande fino a (pii), corno per sa- io tisfatione loro e per la confusione di quelli che pretendano sapere il tutto. Ma «pii non ferma la sfacciataggine di quelli tali, protendendo di essere conpagni de Dio, quando tutti li altri reputano a gloria il potersi diro humilissimi servi : e questo basti. Io in su detto particolare, sì come in ogni altro, lo servirò con la vita e con il proprio sangue, dove sarò buono. 111“° S. r do Perez ne farà il medesimo, V hautorità del quale è grandissima, e l’affetiona particolarmente più di qual si voglia persona del mondo; o per consolatione di S. S. a li ho man¬ dato la sudetta sua scrittami, ohè sono sicuro che la terrà por gioia. 11 P. Canpanella fa stampare qui alcuni libri, o ne ha dato la cura a me. C’ft un trattato di medicina, che quasi è finito, e un’altra sua Filosofia, che va 20 <‘i Di stilo giuliano. 24 — 29 DICEMBRE 1634. 183 [8042-3048] venire di Roma. Mi scrive di Parigi che si ritrova adesso nel colmo de’ sua contenti, e voria tenere V. S. per goderla; e mi ha iuposto farli sua baciamani, come faccio. Mi ralegro grandemente con S. S. a e m’ ò stato gratissimo il saperlo, clic rill. mo et Ecc. mo S. r Conte di Novaglia 111 sia stato suo discipolo in Padova (#) ; e haverà sempre questo potente mezzo in Roma, elio lo proteggerà in ogni oc¬ casiono con la sua hautorità, e so ha dolli nemici, non li mancheranno amici. E io, in qualità di suo kumilissirao servitore e parente, li do felicissimo Cappo d’anno con un millione appresso, con il colmo d’ogni suo bene. Di Lione, questo dì 24 di Xbro 1634. 30 Di V. S. molto 111.® Sor. rc Hum.“ 0 o Par. 1 ® Dov. m ° S. r Galileo Galilei. Rub. to Galilei. 3043 **. GALILEO a MAZZEO MAZZEI [in Firenze]. Arcetri, 29 dicembre 1034. Aroh. di Stato in Firenze. Monto di Pietà, Filza 1072 (d'antica munorazione Campione 107), n.® in¬ torno 548< 3 ). — Autografa. Molto Ill. ro Sig. re e Pad. ne Col. mo In esecuzione di quello che significai 3 giorni sono a bocca a V. S. molto Ill. r0 , gl’invio la presente per mano di Giuseppo, mio ser¬ vitore, e di Domenico Sollucheri, lavoratore di V. S., con pregarla che voglia restar servita di ordinare a i SS.' ministri del Monte che consegnino i frutti decorsi de i 3 m scudi che tengo più anni sono su cotesto Monte, insieme con quei pochi frutti delli altri 500 che vi sono da circa 3 mesi in qua (t> , per aggiustar l’esazzione di tutti insieme: che di tal favore terrò obbligo particolare a V. S. molto I., io alla quale, con baciargli con reverente affetto le mani, prego felice il prossimo anno nuovo con molti anni appresso. D’Àrcetri, li 29 di Xmbre 1634. Di V. S. molto Ill. ro Parat. rao et Obblig. mo Ser. re Galileo Galilei. Fuori: Al molto Ill. r0 Sig. r0 e Pad. n0 Col. m0 Il S. r Mazzeo Mazzei, Prov. r del Monte. In sua mano. i') Fkanoksoo di NoaiijI.es. < 3 > Cfr. Voi. XIX. Due. XXX, a), lin. 105-109 <2 ' Cfr. Voi. XIX, I)oc. Xlli, b, 1), lin. 101, dolili colouna di sinistra. 166-166. (*> Cfr. n.» 8005. 184 29 - 30 DICEMBRE 1634. [3044-3040] 3044 *. GTO. FRANCESCO PASSIONEI a GALILEO [in Arcetri]. Firenze, 2U dicembre 1634. Blbl. Na*. Flr. Mn. Gal.. P. I. T. XIV. car. 21B. - Autografa la aottoMrUione. Molt’Hl." Sig. r mio Osa. m0 Il favore elio V. S. m’ha fatto in oonuolationo di Munii/ Nuntio di Veneti a (1 \ io lo stimo grandemente e lo no rendo molte grafie, offerendole all’incontro quanto può depender da me: che por fino lo bacio le mani. Firenze, li 29 Xbro 1634. Di Y. S. molt’Ul." Amor.* 0 Aff.*° Serv.™ O. F. Vesc. 0 di Cagli. Fuori. : Al molt’ III.™ Sig. r mio Osa.* 0 Il Sig. r Galileo Galilei. In sua mano. io « 3045 **. ELIA DIODATI a GUGLIELMO SCIGCKHARDT Accanto all’indirizzo si leggo, d’altra mane: « Alla madonna ». <*' Cfr. n.o 2248. < s > Cfr. li.» 2851. Leoni Lanbuergii niodicinao Doctoris Apo¬ logia prò couimentationibm Philippi Latuberyii in mo¬ lata terrae diurnum et annuiti», adversux Liberimi Fromondum, Theologttm Lovanientem, rt Toun. JJnpli- stam Morinum, Doct.med. et Purieiie viuthemutum Pro- feetorm liegium. Middellmrgi Zelandiae, upud Zac- curiam Roinannni, anno ClOIOCXXXlir. (»> Clr. n.o 2256. *•> Liberti Fhomondi in Academia Lovantonai S. Th. Doct. et Prof. Ord., Vetta, tive Ant-Ari*tarchi vindex, ad ver sue far. Lantbergiutn Philippi ■ F., oce. Antverpiao, ex officina Plautiniana Balthasaris Mo- reti, MUCXXXIV. XVI 24 186 80 DICEMBRE 1684. [3048-8049] 8048 *. FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO Tìn Firenia]. Venosi», 80 dicembre 1684. Bibl. Est. in Modena. Raccolta (tempori. Autoirrafl, B.* LXXX, n.« lift. — Autofrafa. Molt’Ill." ot Eco.* 0 Sig. r , Sig. r Col. -0 Ilo sentito inesplicabile contento dal cenno elio V. S. molto 111." ot Ecc. BU mi fa, elio vi sia speranza, col mezo di quel suo scolaro 111 , eh’una volta si plachi questo cielo imperversato : il elio succedendo, credo dovere ricevere di quelle con¬ sol ationi che non lo sa chi non le gusta. Io vado fantasticando intorno la rarefazione e condensati»>ne, ma non arrivo a cosa che mi sodisfacia; e però getto da bravo, o dioo: 11 maestro V insegnarli, senza lambicarsi il cervello. La consideratione dell’infinito mi va aiutando molto, o mi leva gran tenebro dagl’oochi. Vi ù nello Vestigationi peripatetiche, di cui scrissi nella precedente w , questa: che sostenendo con Aristotele la soparatione io dell’anima intellettiva, alla difficoltà, dell’infinito numero rispetto all’eternità del mondo egli si sbriga in duo modi: l'uno, che ’l moto non ò eterno in Aristotele secondo il proprio sentimento, ma secundum opinionem vuiyarem; l’altro, la transmigratione di corpo in corpo, ma del solo humano, con la conditiono ot ordine elio la prima separata entri nell’ultimo formato. E cotesto ò infatti un grand’huomo et un gran peripatetico! E non vuole poi V. S. che mi puzzino questo filosofie, so le comparo con la naturalezza e sincerità dì quella di V. S. ? Habbiamo qui un freddo acutissimo, clic mi fa troncare lo scriverò, ma non mai il desiderio di servirla o la continuatione in amarla ot bramarlo ogni contonto. E lo bacio lo mani. so Ven.*, 30 Deoembre 1634. Di V. S. molto IH." ot Ecc. m * Cordinliss. 0 Ser." S. r Galileo. F. Fulgenti»* 3049 **. NICCOLÒ AGGIUNTI a GALILEO in Arcetri. [Pisa, 1684?). Blbl. Naz. Fir. Mas. Osi., P. I, T. XV, car. 8. — Autografa. Molt’ 111." et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col.® 0 Niccolò Aggiunti, humilissimo sorvo di V. S. Eoe. - *, con ogni riverenza gl’espone, come bavendo in più volto messo da parte tutti (pio’ liquori che gli m Cfr. a.» 8042, lin. 24-26. '*• Cfr. a.» 8040. 187 [ 8049 - 3051 ] [1634 ?] — 3 gennaio 1635. son parsi pii! grati al gusto, adesso no fa un lnunil tributo a V. S. Ecc. ma c la supplica a gradir in ossi la devota volontà del donatore. Quando io potrò respirare da una infinità di faccendacce, verrò a prender ristoro doppo sì lunga dieta. Non posso aggiugner altro. Le bacio con immenso affetto lo mani e lo prego felicità. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. wa l)ev. mo et Obblig." 10 S. r< ’ io Niccolò Aggiunti. Fuori: Al molt’Ill." et Ecc. mo S. r e P.ron Col." 10 TI Sig. r Galileo Galilei. Con venti fiaschi di vino. Arcctri. 3050 . FRANCESCO BARBERINI a NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC in Aix. Roma, 2 gennaio 1635. Bibl. d’Inemimbert in Carpentma. Colloction PoireBC, Rog. XLI, 1, cnr. 208. — Copia dol tempo. .... Non mancherò di rappresentare a N. S. quanto ella mi scrive (,) per il S. r Galileo-, ma essendo io, se bene il minimo, uno de’ Card. 11 ohe assistono al S. Offitio, mi scuserà se non mi stendo in replicarli più particolarmente.... 3051 **. NICCOLÒ AGGIUNTI a [GALILEO in Àrcetri]. Pisa, 3 gennaio 1635. Bibl. Na*. Ftr. Mas. Cai., P. I, T. XI, car. 7. — Autografa. Molt’IU/ 6 et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col. mo Un’altra volta, quando V. S. Eoe. 1 "* mi vuol regalar tartufi, non me gli mandi sì belli, perchè io gli godo con troppa passione. Ogni volta che io vo por affron¬ targli col coltello, doppo baver dato loro tre o quattro occhiate con lo labbra stretto o gl’occhi spalancati, ritiro la mano o non mi basta l'animo a darci dentro, parendomi un peccato a guastargli. Veramente o’ son la più sfoggiata cosa cb’i’ habbia visto. Mi sono stati gratissimi, e por il lor merito e più per il pregio della mano, sopra ogni altra preziosa, che me gli porgo. Ne ho fatto O) Cfr. u.° 3026. 188 3 — 4 CJKNVAIO 1635. [3051-3052] parte, in nomo di V. S. Eco."* al Sig. r Pioralli, il quale penso che da sè stesso la ringrazierà, se lo reliquia d’una lunga imlispoaiziono elio 1' ha travagliato gli© io lo permetteranno. Io por la mia parte le rendo infinitissime grazie, o la prego con tutto l’animo a continuarmi la sua benevolenza, mentre io supplico il Cielo olio a lei continui la sanità per un lunghissimo e felicissimo corso di anni. Con questo lo bacio reverentissimo la mano. Ili Pisa, 3 Gennaio 1684 (1 ’. I)i V. S. molto 111." ot Eoe.' 1 * 4 Devnt.* 0 et ()bblig. mn S” Niccolò Aggiunti. 8052. GIOVANNI PIERON1 a GALILEO [in Arcelri], Noustadt, 4 gennaio 1686. Bibl. Nax. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. XII, car. 107-109. Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r mio P.rone OsH. ro Per molti rispetti ho differito di scriverò a V. S. Ecc.“ n doppo clic dal Sig. r Mario Guidi (elio sia in Cielo) ricevei il favore'*' che ella mi mandò, dal quaffi ho cavato gusti tanto ©squisiti, che maggiori non pare che da coso liumano si possino havero. M’ò incresciuto inaino al cuore d’haver inteso che doppo no siano seguiti travagli a V. S. Non son ben informato de gli eventi, ma questo posso dirli, elio tutti quelli elio sono capaci, o per meglio diro abili, di trar gusto da cose raro, o non dalie vulgari insipido, per quanti io conosco, hanno compa¬ tito a V. S., se li sono affottionati corno a soggetto moritovolo di eterna fama, e qualch*uno di qualità o d’ingegno non ordinario mi ha detto: Scrivi al Sig. r Ga- io lileo, elio si assicuri elio ha degl’amici più che non erodo, e che gli sono affot¬ tionati ancor cho mai non l’habbiano veduto. Tutti questi, ma io poi straordi¬ nariamente desidero, cho il libro di V. S. del moto sia hor mai palesato al mondo, perchè se ne vedo dalli spiragli, che insino ad bora ella ne ha aperti, uno splendore da illuminare tutti gl’intelletti, o tutta la verità di esso moto far manifesta, et a lei ha da illustrare maggiormente ancora la fama e T nomo. E perchè m’è venuto pensiero che V. S. in publicarlo possa forse bavere qual¬ che ditficultà o rispetto, ho risoluto di significarli clic se li paressi belio et a proposito che si stampassi qua in qualche città, potrebbe questo venirli fatto molto facilmente, se ella volessi fidarsi a mandarlo a ine : perchè senza alcuna 20 **> Di stile fiorentino. <*' Infonde, il dono del Dialogo dei Mattigli Stilemi. 4 GENNAIO 1635. 180 [3052] briga nè spesa di V. S. io ini prenderei volentieri l’assunto di eiò, e lo farei stam¬ pare di buon carattere, con lo figure e forma che olla m’imponessi puntualmente. Però se il concetto è a proposito, Y. S. lo giudichi o risolvasi, die harà presto como¬ dità di poterlo mandar sicuro por mezo del Sig. r Ambasciatore U) elio lia da venir qua; et al rimandarne costà gl’esemplari si troverebbe mezo, e tutto in quel modo che fusse di suo gusto, per il quale io principalmente mi muovo a scri¬ verglielo. Mi è stato fatto vedere un libro moderno, scritto contro al libro di V. S. da un tal poripatetico Rocco w , per sua ventura tanto disgradato o stroppiato so di dottrina, che in’è convenuto leggerlo per riferirne a chi, stomacato dalle primo carte, non ha possuto tollerar piè oltre tanta nausea, o però come curioso ha volsuto sentirne più oltre, ma senza tanto fastidio. Si trova in queste parti il P. Sciainer con la sua Rosa {3 \ la quale sta per marcirsi, perchè, havendo condotto qua molti esemplari di quel suo libraccio sì grande, non trova esito di essi, e se ne crucia. Io lo vedtLi, imprestatomi da una persona 14 ’ la quale conosco et ama V. S. e l’ha praticata in Roma, la quale mi ha detto più volte che si ricorda, quanto mai por fiumana certezza può uno diro di ricordarsi, elio fu esso il primo che avvisò a dotto P. Sciainer che nel solo si vedovano macchie, scoperte da V. S. il primo ; sì che io ho un testimonio -io vivo e vero cho il primo libro di quel volume è falso. Sto perplesso, non intendendo corno possa osservarsi l’altezza meridiana della Lira a piedi d’uu monte, venendoci quella quasi per zenit; o poi, osservan¬ dosi v. g. d’un tempo nella meza notto, verrà sei mesi doppo ad esservi nel mezo giorno, quando io non so che la si possa vedere. Se l’osservationo si fa¬ cessi nella parte sotto al polo, mi pare cho non mancherebbero oppositioni di refrattioni. Se piacesse a V. S. di cavarmi di questa ignoranza, mi farebbe un gratissimo favoro, e molto maggioro ancora se ella mi avvisassi se in quella o in altra stella habbia fatta osscrvationo alcuna, o che cosa Labbia trovato. Io son dietro a farne certe altro, cho a suo tempo gli comunicherò ; ma mi sa¬ no robbo di grandissimo avantaggio in esse, supero da V. S. quanto vadia lungo un penduto per misurare uno o alquanti secondi di tempo, e se la lunghezza si prenda insino a tutto il corpo grave pendente o disino al centro di esso. Però se piacesse a Y. S. darmene notitia, non potrei dirli quanto grato favore mi sarebbe: e potrebbe dirmelo alla misura del braccio di costì, perchè io la ritengo meco esatta. Lett. 3052. 35. *« ne evreia — <0 Niccolò Sacchetti. 1=1 Cfr. Voi. VII, pag. 571. <»> Cfr. n.o 876. (M Paolo Gui.din. 100 4 GENNAIO 1636. | 8 (> 62 ] Non mi posso contenere che io non li dica che li duci concetti del periodo menstruo o dogammo del flusso e reflusso mi sono tanto vivamente piaciuti, che più non erodo elio potesse essere ; o quello dell’annuo mi ha fatto avvertire ohe forse si potrobbo venire in cognittiono di qualche verità del male della po¬ dagra, poi che circa i tempi di quello sono tormentati quelli che la portano in co sò, do’ quali qua son molti o pochissimi non ne sentino all’bora. Ma il Rocco, por vedersi inabile a capirla, s’è contentato d’urtare ’n un orbe magno, del quale urto non penso che saprà guarir mai. Pure ha fatto bene a trascriver tanto coso o cosi bollo del libro di V. S. et a lasciare intatte quelle gioie elio por la molta nobiltà loro non meritano d’esser legato in cosi vii materia. So il trattato di quel Signore 11 della variatione della meridiana sia publi- cato, mi sarebbe gran favore il saporlo, per poter far diligenza d’havome qual¬ che esemplare. So io potrò havoro un osoinplaro d'un libretto che m’ò stato fatto vodore, procurerò di farlo havoro a Y\ S., et ò Inventio quadratura* circuii di Cristiano 70 Severino Longomontano, stampato in Ilafnia l’anno 1634Si fonda sopra il persuadersi di dimostrare che l’angolo della contingenza sia nullo, ma quello del semicircolo sia rotto. Ma io, trasportato dal gusto di ragionare con V. S., non mi accorgendo, di¬ venivo indiscreto. Mi pordoni dunque V. S., e si assicuri che si come è voro che ha moltissimi amatori suoi e del suo morito, cosi è verissimo che io sono fra quelli uno partialissimo o desideroso d’incontrare ogn’occasione per farlo cono¬ scerò. Intanto augurando felicissimo a V. S. questo nuovo anno o molti a venire, por fino con ogni affetto gli bacio le mani. Pi Naistat presso a Vienna, li 4 di Gonnaio 1635. 80 Pi V. 6. molto 111." ot Eoe.** Pevotias. 0 ot Aff." 0 Sor/ 0 Giovanni Fioroni, Fuori: Al molto Ill. r0 et Eoe.® 0 Sig. r P.rone Oss. m0 Il Sig. r Galileo Galilei. «•> Cesare M arsili: cfr. Voi. VII, pag. 487, lin. 21 - 26 . <*' Chribtuni Skvkrixi I.OHGOWORTAXI, In Aca- demia Ragia Hafnionsi suporiorum Mathomatum ProfosHoris, Tnventio quadraturar. circuii, nempe : I. Symmetriao lineno roctao ot circolar» longitudine ; If. Aoqnalitatis lineao roctao ot circularis; III. Ka- tionis diametri circuii ad porimetrum oiusdom : qua videlicet obstaculo oumi remoto, solutioni famosi hnins problomatia, quippo hartonua ab ornili litoraria Rotate intor mathomaticos discoptati, demonatratio- nibus geometrici» ot numoricìs longo quaui antoa ovidontioribua, tandom finis optatus imponitur. Cui adiuncta est Diiputatio de o yelometria rationali, trionnhim abbine in Regia Imo Acadomia liabita Uafniao, typia Tychoniauis, sumptibus authoris, anno M0OXXXIV. [8053-8055] 4 - 6 GENNAIO 1635. 191 3053 *. BONAVENTURA CAVALIERI a G-IANNANTONTO ROCCA [in Reggio]. Bologna, 4 gennaio 1035. Dallo paff. 20-21 dolio Lettere (V uomini i llustri elei secolo XVII a (linnnantonio Rocca, filosofo e matetnntico Reggiano, con alcune del Boooa «' medesimi. In Modotift, MDCCI.XXXV, presso la Società tipografica. .... lo non conosco veramente quel P. Gesuita eh’ ella mi nomina W; nondimeno l’At¬ tenzione di V. S. fa che io lo stimi di quol valore ch’ella me lo descrive, e ch’io l’ami di cordiale affetto, mentre egli professa de’nostri stridii ed ò così affezionato al Sig. Gallilco, ch’è pure assai. Perciò, scrivendo V. S. al dotto Padre, mi farò, salutandolo a nome mio, grazia particolare, facendoli testimonianza di questa mia buona volontà verso di lui. Scrissi già al Sig. Gallileo, e li mandai una copia della dimostrazione intorno alla def. 5 del quinto d’Euclide da V. S. promossa<*>, por intenderne il parer suo, od ospettono risposta: havendo cosa nuova, gliene darò avviso.... 3054 **. GIO. BATTISTA CONDÌ a PERSIO EALCONCINI in Firenze. Tarigi, 5 gennaio 1(536. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Medieoa 4045 car. 404. — Autografa la sottoscrizione. .... Nella cassettina della tela sud otta ho preso sicurtà di mettere un pacchetto per il Sig. r Galileo Galilei, noi quale è un libro di mathematiche (l’un professore di questa città W, che vorrebbe sentire il parere d’osso S. p Galileo circa certo nuove opinioni del medesimo professore intorno alle longitudini, o m’ha però molto pregato di procurarli la risposta; onde io ricorro alla molta cortesia di V. S., pregandola a restar servita e di far bavere il libro e di chieder detta risposta fino al conseguirla, sicura che in un medesimo tempo favorirà duo, e me particolarmente che no lo resterò molto tenuto.... 3055 *. PIER BATTISTA BORGHI a [GALILEO in Arcotri]. Roma, fi gennaio 1G35. Bibl. Naz. Fir. Mhs. Gai., P. I. T. XI. car. 103-104. — Autografa. Molt’Ill. re Sig. r o P.rone Colcnd. m0 Non scrissi il passato a Y. S. molto 111.™ sinceramente lo stato del P. Abbate I). Benedetto, per non darle il veleno d’una nuova di cattivo accidente senza as¬ sicurarla prima con l’antidoto della folico riuscita. E libero il P. Abbate dal peri¬ colo di morto, clic lo apportò una retonzion d’urina sopravenutale con una febbre (D tìUUUKI.MO WkILHAURK. (*' Cfr. n.o 3032, lin. 28-29. 13) Cfr. u.° 3011, liu. 3. 102 6 GENNAIO 1635 . 18056 - 3056 ] maligna il ili «li Natalo. Devo la quasi ricoverata sanità a Dio prima, e poi al modico (i) del Sig. r Àinbasciator di Francia '*, che por ordino di S. Eccellenza lo è sempre stato assistente. Non confida il P. Abbate di poter questo ordinario scriverle la sua convalescenza; por ciò hier mattina, che fui da lui a S. Calisto o lo vidi cacciar sangue, m’impose dovessi con V. S. molto 111.” far sue scuso io e pregarla si ricordi nello sue orazioni di lui, corno io con ogni ossequio ne la priego. Invero tra’ gran flagelli che io potessi liaver dalla man di Dio saria il periloro un tal padrone, o tra le grazio immenso che dalla Sua clemenzia ricovo annovero l’havormolo lasciato in vita. Questo travaglio ha causato che non prima di mercordl sera potei consignaro al Sig. r Ambasciatore di Toscana i libretti che il passato 18 lo scrissi. M’ha S. Ec¬ cellenza promesso ricapitar il fagottino (sigillato col mio sigillo, col soprascritto a V. S. molto 111.”) in che sono, costà in segretaria di S. A. ad un cognato di V. S. molto 111.” 141 , da cui potrà ricoverarli. Vorrei che da questi piccioli libretti argomentasse la divozione di chi con ossi lo doneria sò medesimo, so non fosse so schiavo elei Sig. r Galileo da che col suo glorioso nome udì publiearsi le suo virtù. Farò star sull’avviso in Parigi et Anversa per haver quello cho uscirà di nuovo in questa materia, o subito lo farò arrivar in mano a V. S. molto 111”, elio non poco mi consola (poiché non può impiegarsi in gran coso) il vedere che la mia servitù non resta del tutto oziosa. Non mi privi V. S. molto 111.” del fittolo ili suo servitore e m’onori co’ suoi comm&ndi, mentre per line lo faccio rivarenzia o lo priego da N. S. il compimento della vera felicità. Roma, li 6 Gou.° 1636. Di V. *S. molto IIP” Divotiss. 0 et Obligat." 0 Sorv.” Pietro Batta Borghi. 80 305r>. RAFFAELLO MAGI OTTI n GALILEO in Firenze. Roma, 6 gennaio 1038. Bibl. Naz. Fir. Msa. Gal.. P. I. T. XI, car. 105. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. m0 Sig/ e P.ron mio Col." 10 Mi paro di vodoro noi tavolino di V. S. Ecc.“* un gran fascio di lettere, e tutte di buone leste ; e dubitando che questa ancora fusso per entrar nell’istesso numero, pur indugiavo a scrivere, e massimo perchò quanto più io di continuo lo prego da Dio prosperità, tanto più son lontano da questo affettationi et ap¬ parenze cortigianesche; ma vengo affrettato dal P. Abbate Castelli, qualo, por un accidente di dolori di fianco o renella con felibro, non può (sicomo desidera) 1,1 Pietro Micron, dotto l’Àbato Uouruelut. «*> Francesco di Noaii.le3. <*> Cfr. n.® 8047. Oi Intornio, G*ki Hooouineui. 6 GENNAIO 1636. [3056-30571 163 passar da sò medesimo questo uffizio. L’indispositione gli sopraggiunse il giorno di S. Giovanni, et io, che fui a fargli reverenza il dì delli Innocenti, restai ab. io battuto da tal novità. Tur io l’ho trovato molto composto, quieto et ubbidien¬ tissimo a tutto quello che ordinano i medici o cerusichi del Sig. r Ambasciatore di Francia 10 , quale usa una diligenza estrema per la sanità del nostro P. Abbate. Già dua volte gl’ hanno tratto sangue per la vena, o la seconda, scben non 1’ ha del tutto liborato, pur l’ha mosso in sicuro; et in breve spero sia por rihaversi. Per altro già hebbi risposta dalli miei fratelli, e V. S. si può prometter da loro ogni cosa possibile a prò e gusto del Sig. r Vincenzio suo figliuolo 121 ; anzi credo fin adesso si sieno trovati più volte insieme. Della resistenza dei solidi e del moto non parlo ; dirò solo, s’io fussi stato sicuro che ella havessi qnalcho copista, gl’haverei dimandato per mancia di 20 questo Natale lo sue demostrationi, da me desideratissimo, intorno al centro della gravità, o vero (se gli fusse parsa cosa troppo lunga) in quello scambio alcuna delle postillo già inviate a quel gran Peripatetico (3) etc. Ma perchè io dubito che questo gli sia per esser di qualche incommodo, porò starò tollerando questa mia sete, con una ferma speranza di goderle a mio talento quando le tornerà a proposito di farmene degno. Resta ch’a nome del P. D. Benedetto o mio io saluti caramente V. S. Fcc. ma , sì corno fo por mille o mille volte, desiderandolo sempre da Dio ogni bene. Roma, il dì G Gennaio 1635. Di V. S. molto Ili.™ et Ecc. m * Affi” 10 et Oblig. mo Se. ro so Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 3057 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze! Venezia, 6 gennaio 1GB6. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.° 116. — Autografa. Molt’ 111. 10 et Ecc. rao Sig. r , Sig. r Col." 0 Mi capita la gratissima di V. S. E." ,a di 30. Il libro mi venirà il dispaccio prossimo : li giazzi hanno ritenuto il corso. La brama di vedere li suoi Dialoghi mi fa furioso, non che impaciente. Non credo che qui haveremo alcuna difficoltà nella stampa ; e sebene vi è un lepre per Inquisitore 141 , che troma di tutto, non ardirà credo contradirci. <0 Cfr. n.o 3055. <*> Cfr n.o 3023. XVI. i*' Antonio Rocco. <*) Clkmkntk da Isko. 25 194 fi GKNKATO 1635. [ 8067 - 8058 ] Nello opere del Rocco ho perso qualche puoco di tempo, senza incontrar mai in cosa di gusto. Sono io questioni do’ nostri magistrandi o magi stri no- strandi: JJtruw logica sit sdentici ; an de rebus naturaìibus sit scientia; mi di- fini t io motus, naturae, vacui, sit recto, designata' 1 '. Lo mamlarù, ma vorrei pure io senza spesa. In .somma, scripta metuentia sgonibros. L’Ecc. m0 Sagrodo w è a Padova Podestà: col Sig. Venier 3 farò l'ufficio. Habbiamo havuto freddi bombili, ot adesso pioggie o nebbie. So bene ho compresa la risposta di V. S. al mio quesito, lo lenti por ab¬ bruciare si formano corno anco queste do’ canochiali por vedere. Se non ò cosi, mi favorisca dirmi il modo di farne faro dolio migliori por l’effetto sudetto di abbrugiaro. Con quanto broglio ho, non ho mai potuto bavere vetro di specchio grande vecchio. Il male è no’ inioi ocelli, o non nel vetro donatomi: li consumo in procassi, scritturo o diavoli; non si può fai* altro. Prego a V. S. molto HI* ot Ecc. lua felicità, o bacio lo mani. 20 Von., G Gon.° 1635. Pi V. S. molto 111.* ot Ecc.“ Cordial.® 0 Ser. r S. T Galileo. 1\ Kulgentio. 3058 . [ELIA DIODATI] n MATTIA BERNF.GGER [in StrnBburgo]. Danzila, li gennaio Usiti. Dallo p&g. l*-5* (non numerato) In priucipio della tfov-emliqua Sancì iteimorum Pai rum et probatorum theoio- yorum dottrina de Suerae Scriptum» teetimonii», in concluiionilmt mere naturatilo», quae tentata expe- ricatta et neeutarii» ilemonetrationibut «vinai jtounnl, temer• boti uturjxtndit : iti grati atti SoranisRituiie Christinao Lotharlngfte, Magnao Ducis Hetnirlao, priratim ante complure* annos, italico idiomato con- scripta a fiiuuw Qalila«o, Nobili Fiorentino, Primario Seranltatls Eia* PhiloMpho et Mathematica; mine voro Inris puliiici f&cta, cuoi latina vsrsinno Italie 1 testui simili adiuncta. Augnata» Treboc., impanala Klzoviriorum, typis Davidi* llauttl M.DC.XXXV1 (cfr. Voi. V, pag. 274-275). — Nella Biblioteca Naxionalo di Firentto, Appondico ai Mss Gal.. Filza sognata sul dono * 9. Galileo. Lavori por xorviro alla vita di Galileo, raccolti dal Yivinni o dal Nelli », car. 296-297, si ha di quest* lottora un autografo, a tergo del quale si leggo, di mano di Gaulbo: Pref. ne , o cho, per lo varietà di lozione cito pre¬ monta, si dove giudicare nna stesura antorioro alla stampa. Stimiamo snportluo registrare tali varianti. Robertus Robertinus Borusaus ( * Matthiae Berneggero, amico aingularl, salutoni. Uh primum, Vir Clariasinie, Galilaei Dialogoruni De system&te mondi latinam ex italica lingua oonversiouem a te susceptam audivi, protinus eleguutissiumni, eruditissiiuuin et piissimuni ab eodem autore in liane rem, ante 18 ante 20 annos, in gratiniti Serenisa. Cliri- stiuae Lotlmriugae, Maguae-Ducis Hetruriae, conscriptum Discuraum, nondum hactenns, rii Cfr. àntohii Rooot do Scurculs Marsorum, gropliia Varisciana. Doct. Philos. atque Tliool., in Arittot. logioam para- <*> Zaccaria Saorkdo. phrati» textuaiii et quaeetione » ad mentem Scoti, una 1*1 Sebastiano Vknibk. rum introducilo»» in principio et traetalu de. «eoundit 1*1 Cfr. Voi. V, pag. 275, noto 1. intentionilus, occ. Yonotiis, M 1)C XXVII, ox typo- 6 GENNAIO 1635. 195 [30581 quod Bciara, editimi, a multis tamen curiose quaesitum, visum, excepturo, a me autem unnis abbine quindecim inter prebiosas italici mei iti noria merces diligente!* asservatum, tuae Dialogorum conversioni annectendum, ad te mietere constitui. Duplex huius propositi 10 ratio mihi stetit. Nani et publicuiu bonum erat in ocuiis, cuius multum interesse duxi ut sapientissima monita eximiaque doctrina scripti illius patefiut omnibus; et vero honestas ipsa ad pium hoc officium, magni videlicot illius viri, novi astronomiae parentis, a rabido oalumniantium latrati! morsuquo vindicationem, editiono libelli, suscipiendam, inilammabat: cuius immensa in rem astronomicam beneficia udeo oiuneni viventium gratinili omnesque illi prò tautis meri ti 8 debitos bonores sunt aupergressa, ut sola oorurn aetornum duratura memoria et perennitate compensiuida nobis supersint. Is enini hollandioo telescopio ad perfectiorem amussim redacto, velut alter Froruetheus, bacillo hoc optico caelorum abditos recessus lustrane, caelestes ignes, nova inquum sydera veteribus astronomia non visa et incognita, Galaxiae oxpeditam rationeni, antiquis philosophis et astronomia dubiam et 20 perplexam, Solaris corporis nubeculas, luuaris scabritiem et dispersas opaoitates, Saturnum tricorporeum, Venerem falcatam, coterorumque planetarum proprios aflectus, eorumque oniniuni siinul a sole mendicata lumina (ex quibus ineflabilis astronomicae scientiae lux efi'ulsit), primus nobis dotexit. llunc tamen tantum virum nec innocentia vitne, lice beneficiorum promerita gratin (quam cominuuom cum optimis quibusque fortunam habet), ab invidia ìualignantium est tutata. Tristes namque nialeficaeque naturae, quas sydere suo Saturnus atflavit, de incognitis sibi scientiis deccrnendi ius arrogantor usurpantes, ideoque omnibus eruditione supra communeni conspicuis invidentes, sibique ipsis diffidentes (aeterno, felicis si bona sua nosset, sed ingrati, huius nostri secoli, probro), iusolenter adversus euni insurgunt, et prò o0 debita gratia contumeliam (rem vel ipsa morte graviorem) illi concitanti cuius odii causa sola est, quod celebritatem quam sibi ex singularibus dogmatis, peripatoticae et vulgaritoi in scholis receptae pliilosophiae contrariis, adeptus est, ferro non possunt; licot ea omnia necessaria semper ratiouibus fulta probataque et experinientis confirmata ubique tradat. Utque tutius fallant et ad suas partes incautos pelliciant, ac in eum, quelli impetunt, venenata nialedicentine spicula altius ligant, fleto et ementito pietatis et rcligionis zelo amicti, voce et scriptis, privatili! et publice, edicunt, Galilaeum Komae apud Sanctum Officium delat.um, citatum eoque loci carceratura, iudicatum, et ad doctrinae a se de mundi systemate traditae abdicationem condemnatuni, poonitentiisque soleunibns addictuni, rm-BUsque carceri, perpetuimi (ut aiunt) duraturo, niancipatum ; his dicteriis illuni, ut •10 nocentissimum et atrocissimis haeresibus impietatibusque contra Catbolicam Ecclesiani ac Fidem inquinatomi, aeterna infamia obruere satagentes, non alio verisimiliter animo, nisi ut (si res illis ex voto succedat) sibi velut autoribus in poateruui illius inventa tribuant ot arrogent. Has autem calumnias licet insignis huius viri ant-ehac edita opera (in quibus nihil quicquam Oatholicae fidei et debitae erga Ecclesiam observantiae adversum reperire est)eiusque iunoxii mores et spoetata virtus satis superque retundant, prae caeteris tamen hoc ipsius opusculum ad id videtur esse quam maxime appositum ; quod eo nomine (prò meo erga ipsum cultu, iniquae oius sortis ad extremum misertua) in hunc finem ad te mitto, ut invicto hoc intimi eius affectus testimonio, opera tua typis divulgato, sincera viri pietas et candor omnibus bonis innotescat. Cnm enini huius unius tantum insimulari possit, quod 10G 0 — 15 GENNAIO 1035. [3058-3060] circa mundi systeroa sontentiae Copernicanae olini assommili praebuerit (si tauien culpandus 50 elici moreatur is qui, in propositiono moro naturali, opinioni nondura damnntae subBeripserit); et iam do fioc argomento, multis annis antoquarn de eo deliberatimi esset, DiacurBiiB hic ab ipso ait conscriptun, in quo, simili oum doctrina et lincea, qua scraper in omnibus quae traotat pollerò cernitur, perspicacitate, subniisaa etiam eius erga Ecclesiam revereutia et stimma in roligionem ac fìdem pietas adco se produnt, ut a nullo, etiam eorum qui sanctimoniae celebritato claruerunt, quicquara religiosius in hoc argumento dici potuerit; si propter seutentiam adversus eam doctrinam nupor Koraae latam aliquatenus arguì possit, quod in oa discornenda satia ooulatus non fuerit, nequaquam taraen pravi ullius in hac re con- ailii culpari potcrit: quin imo potius pietatis nomine, ab ipso luculeuter in hoc acripto profossae et patefaotao, multum laudis et gratino apud omnes bonos et sinceroH proraeriturus f>0 est; sicque caluiuniis invidorum disiectis et eversis, illorum iniuria apud probatos horaines (ex quibus paucorum insignium Boverura et grave testimonium inepti vulgi fabulis sempor anteponendum) non tam de fama viri dotraxisse, quain ad nominis eius gloriata multum addidisse, comporietur, venerandi praesertim seuis moderationo et constantia protorviarn illorum infamante. Vale. Scrib. Dantisci, die 6 Ianuarii inountis anni 1635, quem tibi tuisque felicem precor. 3059 **. MATTIA BERNEGGER a G10. MICHELE LINGELSHErM in Heidelberg. Strasburgo, 12 gennaio 1635. Bibl. Civica di Amburgo. Codice citato nolla informazione promossa al n.° 2618, car. 184r. Minuta autografa. .... Galilaica (quorum adirne quarta pars excudenda restata valde uio distinont, ut yìx buie epistolae scribendao sufTocorim. Argeut., 2 Ian.W anno 1635. 30G0*. MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FARRI 1)1 FEIRE3C [in Aix]. (Parigi], 15 gennaio 1685. Bibl. Nazionale In Parifiri. Fouda francala, n.» 9548, car. 14. — Autografa. .... je veux vou8 tesmoigner par la presento le soin que j’ay do vous faire passor le tempB eu dee considerations, qui ne aeront pas, à mon avis, indigues de vostre esprit et que vous pourrez comiminiquer à M. Galilóo, si vous lo jugez à propos, afilli qu’il n’ayt pas la peine de taire le calcul do ses experiences, lequol je vous envoyo tres tidelle et <*> Di stile giuliauo. 15 — 20 GENNAIO 1G35. 107 [3060-3063] trea oxact <• ■ •>. Or il suppose<0 que le boulet tombe cent brasseB dans 5", d’où il B’ensuit. que lo boulet ne tombera que 4 brassea (lana un seconde, quoyque jo sois assouré qu’il tombe de pluB haut; mais le respect que je porte h. ce grand homine m’u l’aifc delcr- ininer en vostre faveur de supputer tous les plus grande intervalles du mondo, suivant son exporience, aflin que je recomponsc en quolque fagon la poine quo vous ave/, pria do io m’envoyer la grandeur do la brasse do Florence, que j’avois tousjourB supposóe moindro d’un pouoo et dorai, suivant la relation do nos murchands et du nepveu ou cousiu'^ du S. r Galilée, qui demeure à Lion .... 3061 *. MATTIA BERNEGGER a CRISTOFORO FORSTNER in Montbéliard. (Strasburgo), 17 gennaio 1035. Bibl. Civica di Amburgo. Codico citato nella informazione promossa al u.° 2613, cnr. 135r. — Minuta autografa. .... Haboo domi mene typographiam, sub cuius praelo Galilaei Systcma Copernica- nuiu, ex italica lingua a ino convorsum, nuuc gomit. Elzevirii dant impousus.... 7 lan. w 1635. 3062 *. MATTIA BERNEGGER a GIACOMO GOTTFRIED in Ginevra. [Strasburgo], 19 gennaio 1635. Bibl. Civioa di Amburgo. Codice citato nella informazione premessa al n.° 2618, car. I35r. — Minuta autografa. .... Totus inni occupor in vertendo Galilaei Systemate Copernicano, nec absuui ab umbilico longius. Voi ideo festinabo, quo, delimctus ilio ditìicili labore, citius ad xoivmyeXv, tua legenda me accingain.... 9 lau. '■> 1635. 3063 **. PIER BATTISTA BORGHI a [GALILEO in Firenze], ltoma, 20 gennaio 1635. Bibl. Nae. Blr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 107. — Autografa. Molt* Ill. ro Sig. r e P.rone Colend. mo Se spera V. S. molto 111. 10 coH’accrescere il mimerò delle grazie fattemi au¬ mentar l’osservanza con la quale la riverisco o far maggiore il desio che ho di <*> Cfr. Voi. VÌI. pag. 251. <*> Koììkuto Galilei. i®' Di stilo giuliano. <*> Di stile giuliano. 108 20 OTTONATO 1805. r3068-8064] servirle, spera cosa impossibile, poiché quella o questo sono ascosi ad un grado che, rispetto alla mia debolezza, non può ricever aumento : o questo dico per¬ chè nella sua del 6 corrente m’onora sì oltre i mici ineriti, olio non posso ascriver i favori elio in ossa ricevo, ad altro che alla sua grazia. Credo haverà ricevuto il fagottino do’ libri inviatole già più giorni sono, come le scrissi ll ' ; o quel mio libretto che favorisco mostrar di gradire, V. S. molto HI." 1’ haverà dal P. D. Onorato balconcini, a cui scriverò ne dia a V. S. io molto 111." quanti gliene piacerà di alcuni pochi che gliene inviai, o stimerò a gran favore che so ne voglia di tutti. Del Rov. mo Padre Abbate Castelli scrissi a V. S. molto III." quello occor¬ reva' 1 ', sobone sporo elio osso medesimo haverà oramai reso conto di sè, essendo presso che risanato, por grazia di Dio ; cho si è servito del mozzo del Sig. r me¬ dico del Sig. r Ambasciator di Francia l3 ’. E se V. S. molto 111." m'invidia la cara conversaziono del P. Abbato, noi con estremo dolore toleriamo il non poter go¬ derò do’ suoi colloquii, che dolcemente rapiscono alla vera sapienza, o si nu¬ triamo solo con la speranza di dover ancor una volta in terra haver la com- modità di pascersene por qualche giorni : et in mentre io per parte mia la 20 scongiuro arricchirmi de’ suoi commandamonti, e con divoto allotto la rivorisco e le bacio le mani. Roma, li 20 Con. 0 1(185. Di V. S. molto III." Rivoli**.* et Hbligat."* Sorv." Pietro Batta Borghi. 3064. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firona<*|. Venezia, 20 gennaio 1635. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 51. — Autogiufa. Molt’Ill." et Ecc. no S. r , Sig. r 0)1.»“ Non scrissi lo dispacio passato, aspettando il libro del suo scolaro 14 ’, che poi ho ricevuto questa settimana, o ne ho passato qualche loglio col solito gu¬ sto e profitto nelle specolationi di V. S., die non può far di non pascere som- pre lo spirito di cose pellegrine, non toccate da altri. Io sto in dubbio so l’op¬ pugnatore del Discorso di V. S. era un filosofo o qualche mulatiere ; certo ò <»> Cfr. n.«> 3047. i»> Cfr. n.« 8055. Ofr u.® 3065. IM cir. Voi. IV, pag. 461. 20 GENNAIO 1635. 190 [■ 8064 ] mirabilmente indiscreto e fuori di modo ottuso, nè mai, nelle cose letto, veggo che dica cosa che vaglia. Ha questo di buono, in elio dobbiamo esserli obligati, eh’ ha data occasione alle specolationi della Risposta. È cosa singolare e mira¬ lo bile l’osservare corno a V. S. ogni cosa naturalo sia piena do caratteri ove essa leggo, osserva et insogna dottrino vere, reali, non vedute da altri ; il che è il suo proprio, et ove è unica et incomparabile. Sono arrivato leggendo al luoco ove tratta della continuità doll’acqua: oli che osscrvationi degno! Ho necessità d’importunarla circa questo dono del libro, di che le rendo affettuosissimo gratio, a farmelo compito, so si può. Alla lettera C, che è a carte 33, le duo seguenti, che doYoriano essere 34, 35, non sono stampate, ma bianche, elio viene ad essere il C2; e 1* istesso è nel O vacui il 4°, cioè la carta inaliti il D, che è a c. 49, sì che la 46 e 47 non sono stampata. Se il librn.ro havesse ne’ squarzi da rifarmi, la prego farmene gratin, massime del 2°, ove si 20 tratta di cosa rilevante, o l’ultima riga è : dilatcìtione della figura induce tardità di moto, e volendo poi ilì , e di qui si passa a duo facie non stampato e si arriva a tà, o dentro (2) . Il Sig. r Rocco non ha parlato più, ch’io sappia, doli’infinito, o erodo non sia pane por li suoi denti. Io non, l’ho veduto, ma alcuno de’ suoi scolari me n’ haverebbe, conio l’altre volte, detto qualche cosa. So lo vedrò, lo stuciearò, perchè mi paro cosa di gusto il vedore con questi saltarini che un zani gl’imiti col dar del culo in terra. Il filosofare ordinario de’ nostri stimati non è sopra le cose, corno V. S., ma sopra le parole. Il P. Veglia, autore di quello Vesti- gationes peripateticae™ } erudito al possibile et stimato, come veramente è, un so grandissimo ingegno et universale, si perde però in questo vanissimo filosofare, o n’haveremo un grosso volume, ebe non tratta assolutamente altro so non quae fuerit opinio Arìstotelìs in quella quistione. Bon Dio mio, che fatica vana di un huomo d’ingegno ! un volume por trovar testi ebe poi non m’insegnino nulla ! Ne’ tlieologi vi è la sua scusa, ma nelli naturali nissuna. Non scordi le postille, nè eh’ io aspetto le coso sue con estrema avidità, e dico per imparare, non per curiosità. E prego Dio che la conservi in lunga fe¬ licità, o li bacio di cuore le mani. Ven. a , 20 Gen.° 1634 <4 >. Di V. S. molto 111." et Ecc. ma Dev."° Ser. r S. r Galiloo. F. Fulgentio. Liett. 3064. 18. che Cfr. Voi. IV, pa K . 501, Un. 27-28. <*' Cfr. Voi. IV, pag. 508, liu. 30. < s ' Cfr. n.» 3040. <*> ili stilo veneto. 200 21 — 27 GENNAIO 1635. [8065-8066] 8065 **. FRANCESCO DI NOAILLES a GAULKO [in Arcetri). Roma, 21 gennaio 16H6. A.utOK*nfot©oa Morrinon In Londra. — Autografa la lottotcrliione. Molto 111." Sig." Rendo infinite gratio a V. S. della continuata affettione che mi porta o del’amorevole officio che si ò compiaciuta passar meco in desiderarmi felici le Santo Feste, le quali gli 1* ho ripregate a lei dal Signor Iddio colmo d’ogni bone. Ilo veduto una lettera da V. S. scritta do’ suoi interessi al Padre D. Bene¬ detto, ove fa qualche dubbio et no sta in timore, nè vorrebbe alterare la vo- luntà de’ Padroni ; sopra di elio posso dirle che, afìottionandola io di vivo core, barò sempre la mira alla sua utilità o satisfattione, o per questo sompro tra¬ forò li suoi negocii con sicurezza: e però levasi di travaglio, et si riposa nelle opere dolli amici suoi. E per fino lo prego dal Signore Iddio ogni consolatone. io Di Roma, li 21 di Denaro 1635. Di V. S. molto 111/* Affo. -0 Servitore S. r Galileo. Noailles. Fuori : Al molto 111. 1 * Sig. r# Il S. r Galileo Galilei. 8060 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 27 gennaio 1686. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Gal.. P. VI, T. XII, car. 111. — Autografa. Molt’ IH." ot Ecc. mo Sig. r Col. m0 Siamo in una recidiva di fioro freddo, elio ricorra brevità noi scriverò. Il giaccio ritarda li corrieri: ho ricevuto questa settimana solamente li tro primi fogli dol Dialogo (il , o scorsi con soproma avidità o gusto. È cosa inespli¬ cabile, come da cose triviali, quotidiano o sotto gl’occhi di tutti, V. S. Ecc. m " osservi gl’ effetti di natura, o si alzi a speculatami profuudissimo, iniscogitabili Lett. 3065. 10. delli ami tuoi — • lutando, il manoscritto dell'opera cho poi lidie intorno a due nitore nettine eco. ebbe il titolo di DUcorti e dimottraeioni materna- 27 — 28 GENNAIO 1635. 201 [3066-3067] o diciotto da principi! veri, reali, che pagano la mente e pascono soavissima¬ mente. La continuità, no’ corpi naturali mi ò andata affatto in fumo e non la trovo più, et adesso mi maraviglio di me medesimo di essere stato tanto tempo io a vederla; e nella fusione do’metalli havevo un certo elio in ombra, o non ardivo esplicarmi: bora V. S. m'ha fatto saltar fuori senza alcun intoppo. Leggere) quello di che ella mi fa degno, colla gratitudine debita a si gran benefattore. Il Discorso contro quello delle Colombo Ul mi è riuscito gratissimo. In fatti V. S. non può parlar senza insegnar coso peregrine e nove. Ilo un pezzo di calamita di circa onzo 10 : disarmato, levava non più di omo 6 : un fransese me l’armò di duo come chiodi aclhorenti a’ poli che fini¬ scono in un dente, che sporge fuori quanto questo segno, e leva onze 40. Nelli suoi Dialoghi ho imparato cho la forza nasce dal moltiplicar i contatti; o rHl. m0 Antonini 121 mi scrive, 20 V. S. bavere un suo modo di armare, cho moltiplica a me¬ raviglia: con comodo me n’instruisca. Il pezzo della calamita è quasi quadro. De’specchi ustorii ne ho uno d’aciaro assai buono, concavo, ma io vorrei fame fare uno clic operi per refrattione, senza foglia ; e panni eli’ il P. Paolo, ho. meni., dicesse cho dovo essere una lento, o n’havova una perfettissima. Non so come possa ordinarlo o con cho forma. Al maestro riferisco lo mie fantasie, e di cuore lo bacio le mani. Ven. ft , 27 Gen.° 1636. Di V. S. molto DI.™ et Ecc. ma Dev. mo et Oblig. mo Sor. 1 ' S. r Galileo. F. Fulgontio. 3067 *. PIETRO DE CARCAVY a GALILEO in Firenze. Lione, 28 gennaio 1635. Blbl. Naz. Fir. Km. Gal.. P. I, T. XI. car. 109. - Autografa. Molto IH. 0 Sig. r mio e Pad." Colendiss. 0 Partendo di Fiorenza senza potere goder ol favore che S. Sig. a mi volse offe¬ rirò, pregila! el servitor del Sig. r Bonguiglielmi 181 che pigi bisso la pena di scusarmi appresso di loi, aspettando una commodità, nella qualo io stesso potessi sodisfare al mio debito. Vorriò che quella commoditù fusso più presto capitata nelle mie mani, o che le fatighe d’i viaggi m* havessero dato licenza de potere scrivere a Y. S. a , e con la certezza d’i miei servici assicurarvi cho quello cho vi ho detto in Fiorenza ò poco ni respetto do quello ch’io vorriò fare por su sorvicio. Cfr. n.o 3064. < 8 » Sallustio Uonquuliblmi. ( *> ALroNso A stoni m. 20 XVI. 202 28 — 31 GENNAIO 10.35. [ 30 ( 17 - 3068 ] K1 Sig. r Galilei 1 *' de questa città in’lia promesso di favorirmi (Vaiarne rac- commandatioiii appresso do V. S., acciochè, con el mezzo d’ima persona ch’ò io tanto amica o conoscente d’i vostri meriti, li piacce commandarmi con la me¬ desima libertà che farebbe a luy, tanto por cagione do la stampa d’i vostri libri w , por la quale farò la spesa con ogni diligenza, come per altro elio si voglia servicio. Questo aspettando de V. S. cortesissima, e ringhiandola di nuovo del ano libro, el quale haverò sempre carissimo, pregilo el Cielo conservivi in sanità. Di Lione, cl 28 Denaro 1635. Molto III. 0 Kig. r mio e Pad. 0 Colendiss. 0 liumilisH.® e (. diligati**. 0 Servitore Pietro do Uarcavy. Fuori: Al molto ìli.* Sig. r mio e Pad. 8 Colond. 0 20 il Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 3008 . NICCOLÒ FARRI DI P LI RESO a FRANCESCO HARBKltlNI in Roma. Aix, SI gè» mi io ICJift. Blbl. Vaticana. Cod. Karl). lat. 0503 (già LXXIV, 49). c;ir 114-116. — Autografa. .... Del resto poi non lo saprei rendere lo dovuto grazie di quolle curiosissime re- Intioni elio V. Era.“ s’è doguata farmi partecipare delle cose di Terra Santa et di Aetliio- pia,_non potendolo disBimulare elio non riceverò a minor lavoro della sua immelmi bontà la coiiBolationo elio V. Em. f * si degnerà procurare appresso la S. 14 di N. S. al ve¬ nerando vecchio il S. r Galilei, che se fosso per il mio padre proprio, che sia in gloria; in¬ chinandomele con quello maggiori summissioni elio mi siano possibili por porgerlene l’hu- milis8Ìme suppliche, geloso doll’honore et della riputata ne di cotesto l’onteficato et della prudentissima direttiono et adminiatrationo di V. Km.**, molto più che della consorvntiouc della mia vita, et sicuro che sì come l’indulgenza ch’ella farà concedere al suo peccato di fragilità Humana sarà conforme alli voti delli più nobili ingegni del secolo, che coni- 10 patiscono tanto alla severità et prolungationo del suo castigo, così un evento contrario correbbe gran rischio d’essere interprotato e forzi comparato un giorno alla porsecutionc della persona et sapienza di Socrate nella sua patria, tanto biasimata dall’altre nazioni et dalli posteri istessi di que’che gli diedero tanti travagli. Schusi di grazia l’Ein. 1 * Vo¬ stra quosto mio ardirò, et m’imponga silentio assolutamente se le fosse discaro, ch’io sono apparecchiato d’obbedire in ogni modo a me possibile; ma spero più tosto l’ottata con¬ cessione della grazia dalla pietà e potentissima intercessione di 8. Km. *- < 1 > UollKKTO Gai.ii.ei. <*> Cfr. Voi. Vili, pus- 13. [ 3069-30701 3 — 5 FEBBRAIO 1635. 203 3069 . FULGENZIO MIO ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 8 Febbraio 1035. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. UH. — Autografo. Molt’Ill. re et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. 1 ' 0 Ho ricovuti altri tre fogli del Dialogo (1) , in tutto 6; li ho anco letti con l’avidità che non posso esplicare: ho necessità di meditarli a verso per verso. La novità delle coso, lo ragioni o domostrationi di problemi non più sentiti, mi mettono in un nuovo mondo. L’intento mio mi portava tutto al punto della ra- refattiono o condonsatione, ma m’accorgo elio non ci si può ben arrivare che pel¬ li passi precedenti: e perchè nella geomitria ho fatto puochissimo progresso, havendomi rubbato quo’ studii gl’altri de’ quali un galantuomo mi foco la di- finitiono de’professori così: Sine ratione loquentes, incontro delle difficoltà; ma io convion faticarsi: pretium est operae. Il moto clcll’essagono e del circolo mag¬ gior e minore concentrici 121 mi par delle più bolle coso che possano oadcro sotto specolatione. Vediamo ogni dì il corso delle ruote, o non so elio mai sia stata osservata la maraviglia, elio fa tanto viaggio, o prossimamente, una periferia mi¬ nima clic una imensa ; e so tutto il mondo fosse un corpo continuo di diamante, e si girasse sopra un piano, tanto viaggio a proportione farebbe la periferia con¬ tigua all’asse corno l’ottava sfera: et V. S. sola specola il modo o gl’accidenti. Quel terzo tra ’l finito e l’infinito ò pur realo o non più veduto. Quello do’ numeri, o numeri quadrati o cubi, ò ossorvatione che si vede. Ma elio? tutto oro fino, senza feccia. Io non posso satiaro d’ammirare come alla mento di V. S. sia così 20 aperto questo libro della natura, che in ogni cosa trova profondissime e non più osservate meraviglio. Prego Dio di tutto cuore che la conservi, e le bacio le mani. Ven.% 3 Feb.° 1635. Di V. S. molto 111." et Ecc. m Dev.™ 0 Ser." S. r Galileo. E. Eulg. 0 3070 *. MATTIA BERNEGGER a GIO. MICHELE LINGELSIIEIM [in Heidelberg]. [Strasburgo |, 6 febbraio 1635. Bibl. Civica di Amburgo. Codice citato nella informazione promessa al u.® 2018, car. 1851.— Minuta autografa. _Discessaa inopinatus Camerarii (8) poenituclinem iniicit mihi, quod prnosentis al- loquio et suavitale non siili usua crebrius. Qu ampi ani non negligentia connniasmn hoc est, Cfr. n.® 8006. •*» Cfr. Voi. Vili, pag. 94-98. < 3 > Lumi Camkkakius. 204 5 - G FKBnRATo 1 r.nr». [3070-3071] Ked quorl succisivas horas omues (ìidilaeo tribuere buiu coactiiB, in queui plus laboria, quam initio credidoram, iinpendrnduni fuit-la pemuaait ut (rulilaica, quae hactemm excusa sunt, auderem tibi mittere, quod diceret, te, hoc misero patriae statu, e lectiono talium, quorum tu praecipue iudex es idoneua, aliquid levamenti capturum. Ad umbilicum festinant operao. Venit. in montoni, versionem autori ipsi inacribere. qui nuper amantis¬ simo ad me scripsit. Rogo, ut et de hoc proposito, et quioquid piaeterea in rum tacere videatur, iudioium rnihi tuuin aperias.... 2G Lan.' 1 * 1G35. 10 3071 *. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arcetri). Bologna, 6 febbraio 1635. Bini. Naz. Fir. Mm. Gal.. P. VI, T. XII, car. 115-116. Autografa. Molto III/ 8 et Ecc. mo Sig. r e P.ron (Jol. B0 Ilo cercato con diligenza d’intender so alcuno sapassn della nuova slampa do’ suoi Dialogi in lingua latina, et ho inteso che, so bene qua non no nomi ca¬ pitati, nondimeno vi è chi l’ha saputa: so altro intenderò, l’avisorò. Io poi, giù. un pezo fa, mandai 2 copio dol mio Specchio Ustorio w , non mi ricordo so al Landini w overo al Padre Lutio, acciochè una no fosse data a lei, o questo perché olla mi scrisse che quella prima copia che li mandai li fu portata via da un gentilhuomo : non so poi se mai la ricevesse. Quanto all’appendice intorno alla def. 5 dol quinto 14 ', conforme che mi paro elio inclini il suo parere, la lascierò stare, non havendo veramente alcuna con- io ncssiono con l’opera, e differirò a più opportuna occasione il puhlicarla. Beno havevo gusto inserirla nella Geometria come cosa geometrica, e maggiormente che non so se più stampare di siinil materie, che da molti sono aborrito, da pochi viste e da pochissimi apprezzate, e tanto più che mi paro, so bene ho fatto poco, d’haver fatto assai, riguardando alla debolezza dell’ ingegno mio ; por la qualo so sicuro che li riesco oscura la mia Geometria, e non porchò por la vecchiaia ella sia impotente ad intendere le coso difficili, quando siano trat¬ tate con quei termini che si dove. Ma la gran congruenza trovata nelle conclu¬ sioni dedotto da quel principio, mi ha dato animo di metterlo, o maggiormente mentre soggiungo noi libro 7 novi prmdpii per dimostrare tutto quello elio dai 20 dotto principio per via dell’indivisibili ho giù dedotto nulli antecedenti libri. Io scrissi giù. in una mia a V. S. Ecc.®* un quesito mocanico, ma perchè non me ne dice cosa alcuna tomo che la lettera non si sia smarrita. 11 quesito era questo : Data una rota volubile intorno al suo asse, trovar modo di moverla con un’altra rota, pur volubile intorno al proprio asse, in tal maniera che per¬ ni ni stile giuliano. Gfr. u.° 1970. ,a * G10. Battista La umili. “I Cfr u.° 3063. fi FEBBRAIO 1635. 205 [30711 soverando la medesima velocita della rota movente, la rota mossa vadia sempre crescendo di velocità. Io pensai che ciò non potesse farsi con lo roto solite den¬ tato nè con lo funi avvoltele intorno, calumando ambedue con pari velocità, et anco con pari circolationi quando sono di diametro eguali overo con pari vo- 80 locità e con dispari circolationi, cioè conformo alla reciproca proportene de’ dia¬ metri, quando questi sono diseguali; o perciò venni in questo parere, cho biso¬ gnasse fare una cosa tale quale l'anno qua a Bologna in particolare questi cho trafilano l’argento falso, cho havendo due roto intorno allo quali si avvolge il filo di argento, lo vanno movendo, percuotendo continuamente con la mano quella sopra la qualo lo vogliono avvolgere: imporochè, conservandosi per qualche tempo la velocità conferita nolla prima percossa, e massime so il moto fosso orizontale, sopraggiungendosone della nuova nella seconda percossa, o poi nella terza, paro che si vcrrebbo ad bavero nel moto circolare in tal maniera una cosa simile a quella che si ha nel moto retto de’ gravi al centro dolla terra, 40 cioè cho si farebbe quello che si dimanda nel quesito. Ilora la difficoltà sta in trovare il modo di far dare questa percossa dalla circonferenza di una rota mo- vento nella circonferenza di una mossa. Io foci fare un dente solo ad una rota picola, et un’altra rota dentata, acciò li denti di questa, urtando quando l’uno quando l’altro in quel solo, movessero nel preteso modo la detta rota; e per schivare l’incontro cho può accadere fra i denti di questa rota movente, o quel solo della mossa, quando s’abbatti l’accozzamento nella cima di questo o di uno di quei denti, feci cho in tal caso con una mola o susta il dente cedesse, per poter seguitare la circolatione, e la susta lo ritornasse nel suo sito: ma non no vidi esperienza buona, perchè nel primo accozzamento si ruppo la susta, e non 50 ne feci poi altro. Temo che tale accozzamento rintuzzi assai la conferita velo¬ cità, e perciò poco aquisto si possi faro, massime quando la rota si havesso a movere con resistenza, corno se fosse una macina con sotto il grano. Puro forsi vi 6 il modo di superare queste difficoltà, ma io non ci ho poi più pensato. Perciò a lei ne scrivo, che so che non posso al mondo pari a lei trovare, cho penetri questi misteri del moto, cosi in ogni cosa maraviglioso, come quella che no ha trovato dottrina intiera e nuova, e forsi havrà anco fatto riflessione a questa cosa, che non mi pare triviale nè da disprezzare. La prego a favorirmi di farci qualche poco di consideratane et di dirmene il suo parere. Ira tanto sa quanto io la stimi, l’ami et osservi, come richiedono li molti obliglii che li tengo. <50 Prego il Signor mi dia tanta gratin eh’ io possi mostrarli quella gratitudine che nell’animo conservarò sempre alli molti beneffittii ch’ella mi ha fatto. Finisco per tanto desiderandoli dal N. S. ogni vero contento e baciandoli le mani. Di Bologna, alli 6 Fob. ro 1635. Di V. S. molto 111/ 9 et Ecc." ia Oh." 10 Ser/ 9 F. Bon/“ (Jav. ri 206 7 FEBBRAIO 1635. [3072] 3072 **, ROBERTO GALILEI a GALILEO [iu ÀrcetriJ. Lione, 7 febbraio 1635. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., F. VI, T. XII, oar. 117. — Autografa. Molto 111.* Sig. r 0 P.no mio Om.*° Bua giorni che io li bobbi scritto, mi capitò il piegho elio il S. r Diodati mi accennava con quella elio li mandai. Ilaverei poshuto metterlo in qualque balla per scanzare il porto ; ma il disiderio che io tengho di servirla e che lo riceva prontamente, l’ò consegniate a questo presente corriere, acciò elio lo recapiti a S. S. ft in propia mano : et essendo esso corriere mio conpare o amico particolare, li ho bene volsuto dare questa briglia, o lui volentieri 1* A accettata, por havero V honore di faro roYerontia a S. S.‘ E in caso che lui medesimo non havessi tempo di dargliene in propria mano, no scrivo o lo raccomando in tal caso a Giorolamo mio fratello, che suplisca lui ; si che nel’ una o altra maniera mi io presupongo elio li debba ossero recapitato. E in caso elio il latore lui medesimo lo rocapiti, la supprico di farli carozzo, non solo per la buona voluntà che lui ò portato por S. S. 1 *, come quando haverà occasiono di mandare qua pieghi o scritture di conaequontia, si potrà assicuralo di lui d'ogni buono servitici o di fidoltà, che non ò poco in questa stagiono. À questi giorni ho havuto una visita del S. r Consiglier Carcavi 111 nella Corto di Parlamento di Toloza, il quale personalmente ha visitato V. S. costi. Non si poteva satiare in lodare Io virtù o li buoni trattamenti di S. S.*, o no habbiamo havuto qualque discorso insieme. Li scrivo una lottora 1 *’, quale la mando nel piegho consegnato al S. r Marco Mancini, presente corriere, che la la potrà rice- 20 vero insieme con questa, quale ò il latore sudotto del piegho del S. r Diodati; o la conparsa mi sarà gratissima. So S. S. a vorrà qua faro stampare sua opero, c’ò questo Iacopo Prosi cho mi ha promesso farlo servito con pontualità; e io, come già li ho dichiarato, reputerò sempre a gratin particolare ogni suo comando. M’-è capitato fortuitamente nelle mani la copia di una lotterà cho 1’lH. n, ° S. r di Perez scriveva, o per meglio dire ha scritto, al’ Emin." 0 S. r Card. 0 Barbe¬ rino 31 a suo favore, con un verso di risposta havutoue. Mi è parso farne faro Lctt. 3072. 1. il ducrio che — 8. fare ritentici a — I 1 ' Pir.TBO dk CarCavy, I*) Cfr. u.o S067. <»> Cfr. n * SOM. •*» Cfr. n.o 3060. 7 — 9 FEBBRAIO 1635. 207 ( 3072-30741 copia, quale qui alligata gli ne mando. Da ossa potrà conoscere come sedette Signore ò portato per S. S. n e buona volontà; o veramente fa grande stato della sua persona, e in ogni occasione lo servoria con i! proprio sangue, e di questo no sono sicuro. E facendoli con questo reverenti», li pregilo da N. S. ogni vero bene. Di Lione, questo dì 7 di Feb.° 1G35. Di V. S. molto 111. 0 Ber.™ Aff. mo o Par. tft l)ov. ran S. r Galileo Galilei. itub. t0 Galilei. 3073*. MATTIA BERNEGGER, n NICCOLÒ RITTERSIIAUS in Altorf. [Strasburgo], 8 febbraio 1035. Hlbl. Civica (li Araburifo. Codice citato nella informazione promossa al n.° 2613, car. 136f. — Minuta autografa. _Ohservantissime saluto Cl. Virdungum ut. et D. Hofmanmim quibns et una tibi per occasionem niittam Guidaci Systenta Copernicanum, ex Italico a tuo latine oon- vorsuui, labore molestissimo, quo paucos intra dius del'uugar.... 26 lau.« 1035. 3074 . PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Itouia, il febbraio 1035. Blbl. Naz. Flr. Mas. Hai., P. 1, T. XI, car. 111. — Autografa Molt’ Ill. r ® Sig. r o P.rone Colend.*" 0 Quelli che nello stile attico si diffondono, liavoriano molto a caro, cred’ io, di sparmiare il tempo e le parole, se col laconico sapessero sì bene isprimere i loro pensieri come fa V. S. molto Ul. re La ringrazio del favore che mi la col gradire il mio desio di servirle (elio sin ora non posso chiamarlo serviti!, es¬ sendo infruttuoso), e godo o mi glorio di esser fatto degno di dimostrazioni di padronanza. Mi rincresce clic non fossero ancora arrivati quei libretti (4> , elio però lo doveranno essere a quest’ora; o sono stato più volte a casa del Sig. r Amba- < tl MlOHKI.K VlBDUKO. **> UASI-AUE llolTMANN. <*> Di stile giuliano, l*) Cfr. li.® 3047. 208 0 - 10 febbraio 1685. [3074-8075] sciatore por veder il suo segretario e saper da lui se gli ha inviati. Non 1* ho io mai trovato, ma ci tornerò tanto volte elio lo vedrò. Il Rev. m# P. Abbate (t) si diporta assai meglio, ma vien tenuto basso dal- l’orridozza della stagione. Non credo elio scriverà a V. S. molto 111.", por rispetto che non ha anche ferma la mano: mi ha perciò commandato che saluti V. S. molto 111.” per parto sua con quello dimostrazioni di alletto e divozione elio non so nè dire nò scrivere; solo dirò che egli dice, esser sempre quel medesimo I). Benedetto suo, o che tale viyerà e morrà. È avidisimamente da tutti aspettata quell’opera che mi dice star copiando, por accopiarla al suo nomo elio già sta in seno all* immortalità ; et io sono di quelli elio con maggior avidità l’aspettano, poi che non cedo a chi si sia nel- 20 l’ammirar l’eccellenza di V. S. molto 111. 1 *, e mi dolgo dell’asprezza del tempo, che col darlo molestia ci farà forse penar più qualche giorni, attendendo il parto d’un ingegno che non ha mai partorito che meraviglie a’ dotti e confu¬ sioni agli ignoranti. Poso la pernia, inetta a scriver di V. S. molto 111.”, o mi ritiro ad ammirare e contemplar tra me stesso lo sue virtù, ma non senza prima riverirla con tutto il cuore o baciarlo con l’ossequio elio devo lo mani. Roma, li I) Febbraio 1635. Di V. S. molto IH" Divotiss. 0 et Obligat.® 0 Serv.'® [S. r ] Galilei. Firenze. Pier Batta Borghi. 3075. FULGENZIO MICANZIO n [GALILEO iu Firenze]. Venezia, 10 febbraio 1035. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.. P. VI, T. XII, car. 119. - Autografa. Molt’Hl." ot Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. 1,10 Ricevo la gratissima lettera di V. S. molto 111." ot Ecc. m * di 3, con li due fogli elio mi mancano nella Risposta al Colombo'* 1 . Lo dispazzo passato lo diedi aviso della ricevuta delti altri 3 fogli del primo Dialogo, che sono in tutto 6. È qui il Sig. r Argoli w ’, Matematico di Pa¬ dova: mi ho presa licenza di farglili vedere, perchè ò un galant’ huomo e da- lieue, e elio più volto m’ ha parlato di V. S. come deve fare un huomo da bone, o honora la virtù o detesta la malignità. L’aspetto domatimi per discorrere seco <‘t Cfr. nn. 1 8055, 8063. < 5 ' Cfr. n.° 3004. < 3 > Cfr. n.» 8009. ,k| Anokia Aruui.i. 10 FEBBRAIO lfi35. 20!) [30751 di quest’opera, certo degna di ani miratone e d’altra ricompensa che questo sc¬ io colo non porta; ma 1’huomo virtuoso opera per la virtù, e si contenta giovare senza premio. V. S. però haverà certissimo quello della gloria. Nella figura del moto delli due poligoni ossagoni' 1 ’ mi pare errata una lettera: se sarà così, no mandarò a V. S. copia per correggerla. Nell'ultimo foglio non ho trovato errore elio d’una clausoletta replicata e mancamento di un non. Uno di questi giorni venni a proposito col P. Inquisitore , ma in modo cauto; nel cho pensiamo so possi servire che io, favorito di questo tesoro, per mia cu¬ riosità ne habbia fatta copia e voluto cercare e procurata la stampa, chè non 30 mi curo elio gridi chi vuole. Y. S. E. ma discorro singolarmente, cho non con¬ viene ricevere negativa; nò io ancora la voglio qui a modo veruno: ma se ve¬ drò l’ordine quale di sopra et de edendis, o superare la difficoltà, o trovarò modo fuori. Stampati li voglio certo, se V. S. mi continua il favore che li vegga, come instantissimamente la supplico. Del Sig. r Rocco l’amico suo 14 ha fatto il rotto giudicio. Circa le appostille del quale non intendo stimolare Y. S., se non in quanto dalle tre che tengo veggo che cavano dalla sua richissima minerà oro purissimo di specolationi non più sentite. E quello che nella terza solo accenna, lo veggo in questi fogli in¬ segnato della compositione del quanto ex indivisibilibus , in che sono sempre ; e 40 come ciascuno, per debole d’ingegno, fa le sue refiessioni, e forai altro non ò il filosofare, mi pare vedere il tutto diversissimo da quello mi era: il continuo mi è altra cosa; ogni composto, altra cosa; materia, forma, a Dio. Stavo scrivendo qui, e mi manda dir il S. r Argoli havere lotti li fogli con gusto estremo, ch’il Sig. r Cav. r Tansini 16 ’, ingegnere della Ser. Republica, l’ha lotti hieri sera sino alle 11 della notte, cho li ammira come cose divine o che (»> Cfr. n.® 8069. •*' Oiovakni Pirroni: cfr. u.® 8052, liu. 28-82. <*> Clkukntk da Inno. 151 Kkaxckbco Teksini. <•> Cfr. n.° 3052. XVI. S7 210 10 FEBRRAIO 1035. [3076-3077] al tutto vuolo venir a ragionarne mooo: sichò V. S. mi fa stimar da’ grandi por solo sapere dio mi laniera dolio, usta delle sue gioie. E lo bacio di cuor lo inani. Yen.*, 10 Fehraro 1(135. Di V. t5. molto III.” ot Ecc.®* 3076 *. MARCANTONIO PIERA LEI a [GALILEO in Arretri]. Pimi, 10 febbraio 1035. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, 11.» I.XXXY, a.® 4Ó, — Autografa. Molt’ III.” ot Ecc. mo S. r mio Col.»® La mia lunga infermità o la solita cortesia di V. S. Bice.»* ini Inumo fatto differire il pagamento della pensiono' 11 . Il Sig. r Niccolò (,J , ai quale ho conso¬ gnato il decorso semestre del Natalo, cioè scudi diciannove e un grosso, farà Io scuso per ino, o ringratierà ancora V. S. Eco.®* de i tartufi die mi presentò por parto sua 1 * 1 . Io lo resto con obbligo infinito deU’ttlTetto che mi conserva, e dello dimostnitioni elio me ne dà co’ suoi favori ; o baciandolo con ogni re¬ verenza la mano, lo prego da Rio per publico beneficio lunghissima vita. l’ina, 10 Febb.° 1634 41 . l>i V. S. Eoe.»* Levot .» 0 e Oblìi .® 0 Ser. w io M. Ant.° Pieralli. Lev .» 0 Ser.» co E. E u Igea tic. 3077 . BENEDETTO CASTELLI a FAMIANO MICHELINI in Firenze. Roma, 10 febbraio 1035. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 85. — Autografa la firma. Fuori, accanto all* indirizzo, si leggo di mano di Ualilko: 1). lÌ0Il. to Molto Rev. Padre mio Col .® 0 Godo sopi-amudo che V. U. liabhia la consolntione della soave, gioconda e snpientis- siiua conversatione del nostro Sig. r Gallilei, e in vano desidero di ritrovamiici in terzo: duplicatamente godo che il Sig. r Gallileo habbia la coiiBolatione della sua santa conver- «•» Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX11I, i). (*) Niccolò Auuiusti. «•» Cfr. n.* 8051. **> Di stilo fiorentino. 10 — 12 FEBBRAIO 1635. 211 [3077-30781 satione. Di ma non li posso scriver altro (o scrivo come a tutti dna) se non: Ecco., quevi amutis infirmatiti'. La fobre ostinatamente m'ha travagliato da Natale in qua, senza tener ordine negl’assalti, e hieri in particolare dalle 11) bore e mezzo mi tormentò aspramente, con un orribil freddo che terminò in vomiti, e col principio del caldo, il quale poi m’ha afflitto tutta notte. Hoggi però, lodato Dio, son stato assai bene, e spero di liberarmi IO presto, massime se questi tempi fastidiosissimi, humidi, ventosi e piovosi, muteranno stile. E prego V. R. ha vermi per raccomandato nelle sue sante orati oni. Fo riverenza con tutto il cuore al S. r Gallileo et a V. P. Di Roma, li 10 Febr. 0 1635. Di V. P. molto Rev. P. Fran. 00 Fuori: Al molto Rev. Padre mio in Cimato Oss. mo 11 [Padre Fran.] c0 di 8. Gioseppe delle Scole Pio. Allo Scole Pie. Fiorenza. AfF. m0 Ser. re di onore Don Dened. 0 Castelli. 3078 . MATTIA BERNEGGER ad ELIA DI0DAT1 in Parigi. Strasburgo, 12 febbraio 1G35. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIV, car. 58. — Autografa. Lo parolo, che stampiamo ili corsivo sono sottolineate nell'autografo. Di fuori, accanto all'indirizzo, si leggo, di mano di Elia Diodati: « 1G35. M. r Bernoggor, dii ~ Febr. Rosp. lo 8° Mare par l’adrosso d’Eppostoin; ot lo 15° Mnrs par la susdito adresso; ot le 22° du dit par la dito adrosso ». A car. 136(. del codice della Bibl. Civica di Amburgo citato noli'inforiuaziono promossa al n.° 2G13, si ha di questa lettore la minuta autografa, la (pialo presenta, soltanto poche differenze formali dal tosto clic qui pubblichiamo. 8. P. D. Virorum oximie, Gravem caussam haberes iraacendi silentio meo, nisi ogo multo graviorem liabcrcm quorendi de rhedarii cuiusdam nostri promissis mendacibus, qui, cum certam spem laceret de suo ad vos abitu sub linoni brumalis nostri mercatus, nescio quas frivolas morae caus- sas praetendens hucusque mansit, et in caussa fuit ut occasionem impressa transmittendi per Metenses neglexerim. Ita cogor eundem expoctare, qui, nisi denuo fallit., intra paucós dies abibit et Galilaica secum feret, de quibus quatuor adhuc quaterniones excudendi re- stant. Interim praenuncias bas litteras differre longius non potui, quibus (quod pridem a 10 me fieri oportebat) obnixe rogo, primo quovis tempore consilii tui copiam mihi facias cum de libri titulo tum etiam de praefationis argumento. Nani quicquid tibi videbitur Ine agen- dum, sine ulla exceptione praostabo. Memini, pridem te monuisse dissimulandani autoris de hac editione conscientiam. Sed qua occasione me impulsum scribam, ut lume laborein susciperem? Permittis ne mihi ni 12 FEBBRAIO 1635. 212 [3078] te suasorem cxtilim profitear, qui omnium olegontiarum Beirut i&rumque ut peritisaimuB ita fautor et patronus oa praecipuuB? l'raeterea, cum autori reaponsum adhuc debeam ail humaniaaimam et mihi pretioflÌRsiinain epistolaru, quoti propter concatenatoB labores et molestia» hucusque distuli, quid si Kum publice appellarmi Eique Buum ipsius opus de- dicarem ? Faoerem lioo, ex alto dissimulata notitia illa quae tuo beneficio cum Eo mihi intercediti reverente!- orando ne nobis rxtoris dìvinum hunc ingonii ani partum invideat, 20 noe aegre ferat intorprotutionem meam: digraderei- deindo in laude» Viri, ad quaB quic- quid pertinere videbitur ad me proximo perseli bua oro. Si tamen hoc cortis de caussis dissuadebÌ8, nemini alii quam tibi librimi dedicare animus est. Dubito item, an nomen mevim exprimere debeam, et an non id autori Hit. invidiosum futurum, pvopterea quod ante plurea annos a Magistratu meo l,) porauaderi mihi passila anni ut aliquid in Iesuitas vicinos no.'tros nc-riberrm Eo propendeo, ut aut penitus id omit- tam, aut ascititium uaurpein. Expecto avide consilium tuum, avidissimo vero proiniBBam (ìalilnei appendiceli! loco FoBcarini‘ V) (quini a tìalilaoo aepoiari coiiBtitui, nihil obBtante continuationo nmnerorum) adnoctoinlntn, quae bì intra 2 vel 3 BeptinuuiaB adhuc aliata fucrit, curaho excudatur ante exordium Francofurtani mercatus, quem progressimmi spes 30 est, cum praofectus Udenhemii castri infeliciter amissi securnm transitimi promittere di- catur. Egi quoque cum typographo de eruditÌ8»inio (Juin panel lae scripto S| , itemque do Nlincio Sydereo, coniungendis cum opero nostro : ned ilio hac non improbabili carnea dis- suasit, cum prosteut apud bibliopola» Francofurtanos, quos [non] esso repotita editiono'®) ofTondendos. Nihilominus de utroque libro emendo, tanqunin necessariis appendioibus, lec- torem vel in titillo libri voi in praefationc admonebo. Ad capita binarum literaruin tuarum, quas in hac festinatione relegoro non vacavit, post paucos die», volento Deo, rospondobo, et una niittam quae requiris. Scribam quoque timi amplissimo Dii. llotomanno 17 ’, quem interoa obaei Tantissime saluto. V. Scr. Argentor., Febr. 1035. T. A. omni obsoquio et cnltu Matthias HerneggoruB. 40 Fuori: A Monsieur Monsieur Diodati. à Taris, en la ruo et i\ l’enseigne do Trois Mores, pros de la rue Troussevacbe. K. di a la courtoisie de Monsieur St. Aubin i\ Metz, par amy. In luogo di n Mngittratu meo la minuta auto¬ grafa ba : n eollegìi meit. I*’ Proaulium lulae paci» oecenlne Sdoppiano belli eacri eidetico. 1620. — Tuba parie oceenta Sdop¬ piano belli eacri c lattico, ealpiste Thendoeio lierenien Norico, hUloriarum et patriae etuiiioeo. Àuguatue Tre- bocum. 1621. »•» Cfr. n.« 3024. «*» Cfr. nn.l 1089, 2952, 2967, 2978. *»* Cfr. n.« 1546. Un. 46. <** Cfr. n.° 420. lin. 81. * 7 » Giovarmi Hotomanx. [3079-3080] 13 — 15 FEBBRAIO 1635. 213 3079 *. ELIA DIODATI a GALILEO pii Arcetri]. (Parigi], 13 febbraio 1635. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. V, T. VI, car. 8Ir. — Copia di mano di Vinokn/.io Yiviani, alla quale sono promesso quosto parolo, (lolla stessa mano: «Alla lotterà de’21 X. |,rn 1681 •') così risponde ne’13 Febb. 1635 ab Ine.». Quest’ultima indicazione ab Ine. è evidentemente un lapHus calumi. Circa la stampa delle sue opere Y. S. ha fatta buonissima elezione di man¬ darlo per ciò a Venezia, dove non debbo mancare di protettori potenti. So ebo il Sig. r Domenico Molino si reputerebbe a gran sorte o felicità di spiegar l’autorità sua (la quale ò grandissima in quello Stato) in tale occasiono, o non dubito che V. S. non ricorra a lui, essendo l’asilo d’ogni virili et in particolare de’ letterati. 3080 *. MATTIA RERNEGGER ad ELTA DIODATI [in Parigi]. [Strasburgo], 15 febbraio 1635. Bibl. Civica di Amburpo. Codice citato nella informazione promessa al n.° 2613, car. 137/. — Minuta autografa. Aelio Diodato. Scripsi paucÌ8 ante diebuaad to de Galilaico nostro opere; sed quia non ab re nietuo no littorae illae tardine reddantur, oblata ex insperato bac occasione, paucis argu- mentuni earum repctere placuit. Oravi smnmopere, et nuno repoto preces, ne dilferas ad me raitlere Galilaei tracta- tum italiouui-latinura* 8 *, quem ai intra tres adbuc aufc summum 4 septimanas accepero, ca¬ rabo oxcudatnr adhuc ante nundinaruin Francofurtanarum exordium, et loco Foscarini (quem separare comultius est) cum Systemate iungatur, in quo adirne 3 quaternioncs cxcudendi restant. Nunc indicem conficio, quem tamen non comniittam typographo prius- 10 quam responderis. Imago autoris et frontispicium libri in aes inciditur. Explicavi prae- terea propositum rneurn de versione mea autori ipsi dedicanda sic, ut animadverti non possit ipsum i'uisso conscium. Prima lineamenta illius epistolae iam duxi. Propter otii summam penuriam motuo ut perpolire possim. Oro perscribas, quicquid ad viri laudes et ad argumentum illius praefal ionis pertinere videbitur. Si damnas hoc meuni institutum et autori putaveria invidiosum futurum, patieris saltem ut te publiee alloquar. Certe no¬ mini dicabo unde aliquid lucelli sperare videri queam, quae sordes a me longissiine absunt. Legatus Regis, Dn. ab Ìnsula Pi, liane epistolani cum Galilaicis pagellia curabit, et me fe- stinare iussit: haec caussa brevitatis. Ignosce, et vale, vir magne. 5 Febr.w 1635. «IKI.OIIIOKHE DK L’JsLK. Di stilo giuliano. Cfr. n.® 8035. <*» Cfr. n.® 8078. < 3 > Cfr. n.® 3058. 214 17 FKBRRAIO 1635. [3081] 3081 **. FULGENZIO MICAN/.IO a GALILEO [in Firenze], Venezia, 17 febbraio IOSA. Blbl. No k. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 181. - Auto«rafa. Molt’lll." et Eoe.* 0 Sig. r , Sig. r Col. 00 La porvorsità do’ tempi ha cagionato che dal Natale in qua mai liahbiamo lo lettore so non col trasporto d’una settimana più tardi ; e «li qui è elio V. 8. molto 111.' 0 ot Ecc. ma non liobbe a’ suoi tempi l’aviso della ricevuta de’ fogli, c’ havorà di puoi liavuta. Quella di V. S. di 27 passato mi capitò solamente marto passato, 13 di questo, Fui col Sig. r Argoli 11 , ma non col S. r Cav. r Ville 1 * ingegnerò (questo ò un Franzese qui stipendiato, elio si dico esser gran matematico o valer nello mo- canicho w ), con cui sarò, passati questi bagordi. La sostanza del discorso del Sig. r Argoli fu, doppo le lodi delle inventami o novità, che vede pensieri sodis¬ simi con paradossi. Ciascuno aprendo secondo il suo cervello. L’impedimento io della materia eterna, elio V. S. considera nel principio, a me paro cosa tanto certa, con tutto lo considorationi cho t'accompagnano, «die mi paro vederla con gl’occhi. Il S. r Argoli non stima potersene bavere scienza, perchè versa no’par¬ ticolari. Dubbita anco nel moto dei poligoni am tanti vacui; ma non luivomo havuto tempo che mi ressolvesso la domostrationo. A me paro tanto viva la de- mostrationo trasportata dai poligoni alli circoli, cho sto fermo nel detto del S. r Sagrodo w ; oliò per la rarefazione o cundensatione, so certo non essere stata detta sin bora cosa cho vaglia al pari di queste. Mi sono maravigliato cho ’l S. r Argoli non babbi fatto molta riflessione sopra la proposta, che «lue superficie uguali vadano diminuendosi sempre ugualmente, et una termini in linea, l’altra 20 in punto, sì cho il punto sia uguale alla linea; il cho mi ha stordito, 0 non essendo bene capace della domostrationo, so cho V. S. non lo direbbe so non fosse dimostrato 0 senza paralogismi. Di questo principalmente voglio tenore pro¬ posito col S. r Cav. r Villo, perchè, stabilito questo, noli so quall’altra cosa possi far maravigliare. Passati questi bagordi, sarò coll’ Inquisitore i5 ’, perchè voglio vodore quello si possi fare. Tratanto prego V. S. E. riamarmi, e lo bacio di cuore le mani. Von.\ 17 Feb.° 1635. Di V. S. molto 111." et Ecc. nn T)ev. ra0 Sor. S. r Galileo. F. Fulgentio. so Ol Cfr„ n.° 3075, Un. 5. glnc, come una postilla. «*' Antonio dr Vii**; cfr. n.<* 2377. «*i Cfr. Voi. Vili. pag. 90, lin. 12-22. « a ’ Queste parole cho abbiamo chiuso tra pii- «•) Cfr. n.° 8075, lin. 15. ronteai sono stato aggiunte dal Mioameio sul mar- 18082] 21 FEBBRÀIO 1G35. 215 3082. GALILEO a NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESO in Aix. Arcetri, 21 fobbrnio 1(585. Dallo pag. 311-313 dol Journal dea Stivanti, annuo 18-13, Paris, Imprimono Royalo, MDCCCXLIII, dove fu por la prima volta pubblicala da Guoi.iri.mo Libri. Non ò indicata la fonte dalla rimilo fu tratta. I11. mo Sig. ro e Pad. 11 mio Col. mo Io non potrei già mai con la penna esprimere a V. S. Ili. ma il contento che mi ha arrecato la lettura dell’offiziosissima o pruden¬ tissima lettera da lei scritta in mia raccomandazione 11 ’, della quale il Sig. re Ruberto, mio parente o padrone, me n’ha mandato copia* 2 ’, che pur ieri mi fu resa. Il piacere mio è stato ed è infinito ; e non perchè io speri sollevamento alcuno, ma per scorgere in un mio Sig. re e pad. 110 di sì eccellenti qualità con quanto tenero affetto compa¬ tisce lo stato mio, e con quali ardenti spiriti si muove a tentare, con io generoso e insieme moderato ardire, un’impresa elio ha resi muti tanti altri, bene affetti verso la mia innocenza. E se i miei infor- tunii m’hanno a fruttare di queste dolcezze, trovino pure nuove ma¬ cinile i miei nimici, chè io sempre gliene renderò grazie. Ho detto, 111. 11,0 mio Sig. re , che non spero sollevamento alcuno, e questo perchè non ho commesso delitto nissuno. Potrei sperare e ottener grazia e perdono s’io havessi errato, chè i falli son la materia sopra la quale può il Principe esercitar le grazie e gl’indulti, dove che sopra uno innocentemente condennato convien, per coperta d’haver iuridicamente operato, mantenere il rigore; il quale (credami pure 20 V. S. Ill. ma , anco per sua consolazione) m’affligge meno di quel che altri può credere, perchè due conforti m’assistono perpetuamente : l’uno è* 3 ’ che nella lettura di tutte l’opere mie non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla ri¬ verenza di S. to Chiesa; l’altro è la propria coscienza, da me solo pienamente conosciuta in terra, e in Cielo da Ilio, che ben comprende che nella causa per la quale io patisco, molti ben più dottamente, ma niuno, anco dei Santi Padri, più piamente nè con maggior zelo verso S. ta Chiesa, nè in somma con più santa intenzione di me, havrebbe potuto procedere e parlare : la qual mia religiosissima e santissima Lett. 3082. 25, «mosci»la infera, e in Cielo — Cfr. li.® 8026. 1,1 Aggiunto fra lo righe. <*> Cfr. n.® 8072, liu. 29. « 210 21 FEBBRAIO 163r». IS0821 mente, quanto più limpida apparirebbe quando fusa ro esposte in so palese le calunnie, lo fraudi, gli strattagemmi e gl’inganni, che 18 anni fa furono usati in Roma per abbarbagliar la vista ni superiori ! Ma non ci è al presente bisogno appresso di lei altre maggiori giustifica¬ zioni della mia sincerità, che per sua grazia ha letti i miei scritti, e può in essi ben lui ver compreso qual sia stato il vero e reai inotor primo, che sotto simulata maschera di religione mi ha mosso guerra e che continuamente mi va assediando e trincerando in maniera tutti i passi, che nò di fuora mi possano venir soccorsi, nò io posso più sortire a mie difese; essendo espresso ordine a tutti gl’inquisi¬ tori di non permettere che si ristampi nissuna delle opere mie, già io molti anni sono stampate, nè elio si licenzi nissuna ch’io volessi di nuovo stampare: tal che a me conviene non solamente succumbere e tacere alle opposizioni in sì gran numero fattemi, in materie pure naturali, per supprimer la dottrina e propalar la mia ignoranza, ma conviene inghiottire gli scherni, le mordacità e l’ingiurie, da genti più di me ignoranti temerariamente usatimi. Ma voglio por fine alle querele, benché appena ne abbia prodotto il principio, nè voglio più occupar V. S. Ill. n,& o perturbarla in cose di poco gusto: anzi devo pre¬ garla a scusarmi se, tratto da quel naturale sollevamento che gl’afflitti hanno nel discredersi talora con i suoi più contidenti, son trascorso so con troppa libertà a infastidirla. Restami a rendergli con l’affetto del quore quelle grazie, che con parole non potrei mai rendergli, dell’ kumano e pietoso uffizio da lei intrapreso a mio beneiizio, il quale ella ha così efficacemente saputo porgere, elio se a me non barò profittato, ben possiamo esser sicuri che non senza qualche puntura e rimorso havrà tocco le menti, che, sendo di huomini, non possono esser prive d’Immanità. Io me gli confermo obblig. ni ° o dev. m0 ser.”. Il Sig. re Dio ricompensi il merito dell’opera caritatevole da lei usata, e con rev.® affetto me gl’inchino. I)’Arcetri, li 21 (,) di Feb.° 1G35. Di Y. S. 111.“* Devot. m ° e Obblig.® 0 Ser. M Galileo Galilei. Il I.mm pubblicò questa lettera Rotte la riko resulterebbe del 22: cfr. n.° 3104, Un. 4. ilntn del 21 febbraio; ma dalla risposta del Fri- [8083-3084] 23 — 24 "FEBBRAIO 1G35. 217 3083 **. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 febbraio 1035. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 32. — Autografa. Molt’Ill." Sig. r e P.rone Col end. m0 Fui più giorni sono dal Sig/ Segretario dell’Amhasciator di Toscana, per intender da esso se liaveva inviato a Y. S. molto 111/ 0 quel fagottino di libri die a tale effetto lo consignai; e dissemi elio non V liaveva per anche inviato, rispetto elio, essendo cotosta Corte a Pisa, havea pensato elio non fosse per liaver troppo sicuro ricapito, mentre soggiornava in quella città,, e che liaveva pensiero d’inviarlo con occasione che era per partir in breve a cotesta volta un Cavagliere, fratello dolla Sig. B Ambasciatrice , che rilaverebbe a V. S. molto 111/ 0 consigliato in man propria. No diedi parto al Rev. rao P. Abbate' 3 ', ricercan- io dolo se fosse meglio ripigliarlo o mandarlo por il procaccio ; me lo sconsigliò, rispetto alle difficoltà che s’haveriano costi in dogana, o mi assicurò che il sudetto Big/ Segretario non saria per mancare della dovuta diligenza por servire a Y. S. molto 111/ 0 ; e così risolsi lasciarlo nel medesimo ricapito di prima, o V. S. molto 111/ 0 doverà, sporo, scusar questa tardanza, poiché per mia colpa non segue. Il Rev/ 10 P. Abbate oramai è dol tutto risanato e comincia a lasciarsi qual¬ che poco vedere fuor di casa. Piaccia a Dio conservarmelo sano, c di concedere a V. S. molto 111/ 6 il compimento della vera felicità, mentre io per fine la ri¬ verisco e ino lo inchino. Roma, li 23 Febbraio 1635. 20 Di V. S. molto IR/ 0 Serv/ Devotiss. 0 et Obligat/ 10 S/ Galilei. Firenze. Pier Batta Borghi. 3084 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO (in Firenze]. Venezia, 21 febbraio 1035. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal, P. VI, T. XII, car. 123. — Autografa. Molt’Dl/ 0 et Ecc. mo Sig/, Sig/ Col. m0 Ho le lettere di V. S. di .16. Non ho potuto trovarmi col’Inquisitore (4) per chiarirmi; ma tengo sicuro che vi sia quel più di malo che si possa imaginare, perchè conosco benissimo Thumore: ma che possa essere impedito il dissegno loro, non ho dubio. < 1 ' Cfr. un. 1 3047, 3074. <3 > Bknkobtto Oartki,li. < s > Caterina Riooaudi Niooouni. Cfr. n.° 3075, liu. 16; cfr. n.° 3081, lin. 20. 28 XVI. 218 21 FEBBRAIO — 8 MARZO 1635. [8084-8085] Il Cav. r do Ville» 111 è stato meco duo volte: ha riveduti li (» fogli. Questo è un gentili 5 Intorno Francese, ingegnerò qui, e, per quello posso conoscere, molto intelligente non solo nelle mecaniche, ma in tutto lo scienze mathematiche et prattico no’ buoni authori, ma, come quelli che sanno, ingenuo. Non si satin di comandare lo sottigliezze delle specolationi «li V. S. ; le inalza (pianto può, ma io con libertà dico anco lo difficoltà che le incontrano; et havendono promosso molte alli discorsi nuovi di V. S., nè potendole i<» ben capire, meno tenerle a memoria, l’ho pregato di pollerie in scritto, o m’ha promesso di farlo: so me lo manda a tempo, venerano con questa, se non un’altra volta. L’ho assicurato che V. S. lo ricoverà gratamente, et egli lo farà come fanno li virtuosi e elio sanno ciò elio meriti il trovare cose nuovo. Non so so V. S. habbi in memoria il Sig. r I). Paolo Aproino, Canonico di Treviso, già suo scolaro in Padova, o vero scolare, perchè serva l’honore o l’amore vorso il Maestro; ingegno grande, dabene, libero. Si trova bora qui o spesso si vediamo, o senipro li ragionamenti sono di V. S. Questa mutimi gli ho 20 dati a vedere li fogli del Dialogo, e puoi li darò quelli dello Postille; perchè con il Sig. 1 Hocco non la vuole intendere a modo alcuno, 0 lo chiama sempre M l’tioinazzo Mi cornette il far a V. S. indio saluti: ne diciamo de belle. Dio la conservi 0 lo bacio le mani. Yen.», 24 Fob.° 1635. Di V. S. molto IH. 1 * et Eco." 1 Dev. B0 Ser. ro S. r Galileo. F. Fulgenti n, Nel serrar la lotterà mi arriva il piego delli 8, con li 3 logli: l'ho dal dispensatolo. 8085. PAOLO APROINO a GALILEO in Fi vanite. Venezia, Il marzo it>35. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII. car. 129. — Aotojrrafa. Molto HI.™ et Ecc. mo Sig.", mio Sig. w Col.® 0 Li travagli di V. S. Ecc.“* mi sono sempre penetrati su ’l vivo. Non si può far altro ; il tropo splendore, conio ferisce in echio tenebricene, lo cecutisce : questo è effetto di natura; et V. S. ò bono il maestro che discuopre gl’intimi secreti di lei, ma evacuarne gli effetti, dubito che non si possi. Ct'r. u.° 8081, Hn. 6. 3 MARZO 1635. 219 [30851 Io raedesmamonte sono stato stretto da accidenti del mondo, di vivere quasi duo decine di anni in turbulentie di litigii, si può dir da inimico, con due ve¬ scovi Giustiniani (1) , per interessi così miei come dela chiesa e dola città di Tre¬ viso ; o seben non son restato soccombente se non nel dispendio, ho però perso io la vigoria dola buona salute et il tempo ohe io haveva genio di applicare ad altro. Patientia ! Hora, dopo elio il Giustiniano w è passato, senza morire, a miglior vita, cioè al vescovato di Brescia, io son pure alquanto ritirato dai ne- gocii ; et godendo per il più la quiete di villa, ho dato di mano a rinovare i vocili stridii. Et al presento mi è venuto fatto, con gran ventura, che il P. M. Eulgentio mi coramunichi li fogli del Dialogo elio V. S. Ecc.™ gli ha ultima¬ mente mandato, li quali sebon contengono coso che in parte io ho imbevuto già tanto tempo dala sua bocca, tuttavia ne son rimaso soprafatto in modo, che non posso finire di starne in estrema admiratione ; admiratione che non torbida nè confonde, ma distingue o mette in chiaro, mercè dela facilità et net- 20 tozza con la quale ella rappresenta e dilucida quello che è tanto oscuro o così remoto dal senso. Veramente, come ella insegna, l’indivisibile non si apprende dal nostro con¬ cetto, nò P infinito, nè P immonso, seben con questi due termini mi par elio vogliamo significare più tosto P infinibile e V immensurabile. Quel terminari ter¬ mino alieno de P humitlo, o, per dir bene, del fluido, proviene da l’essere per sè stesso infinito, ma finibile. Audio il radio dola luce per sò stesso è infinito. Il numero non può essere infinito, chè non sarebo numero ; ma la progression de’ numeri è ben ella infinita di sua natura, et finibile solamente por concotto nostro. Anche la rettitudine (non dico il retto) si apprende per infinita, ma fini- 30 bile, et la cireonferontia all’ incontro si apprende per finita, ma infinibile ; et così la magnitudine continua di sua natura è indivisa, infinita ot immensa, ma ipianto più grande si apprendo, tanto è più divisibile, finibile et mensurabile. Ma il punto, sì corno è indiviso et indivisibile, così è infinito et iniinibile, im¬ menso et immensurabile. Et però dubito che non si adatti a bastanza il transito di comparationo che si fa dal poligono di moltissimi lati al circolo, invaginandolo di infiniti ; perchè se ben in quantità si va prossimando alla misura, nela specie però dela figura si va sempre più allontanando, chè il poligono di mille lati mi pare più differente dal circolo che non è il triangolo, tanto quanto mille è più differente •io da 1’ uno che non è tre. Questa medesima considerarono m’ induce qualche scrupolo sopra le demo- strationi introdutte, che la circonferentia maggioro sii eguale alla cireonferontia minoro ot anche al centro, perchè io admetto bene questo assumto che inagni- **) FraNCKSOO 0 VlNOKNZO UlUSTIKI ANI. < 2 > Vinoknzo Giustiniani. 220 3 MAKZO 1895. [3085] tudines in sparìo siantes eodem seu acquali sint acquales, ma mi paro elio ma- fjnitudines in idem sparìum coeunies ctiam eodem tempore possi ni esse non ae- quales, neuipe si cocant ederitate inacquali , come nel caso ile la demostratione. a d Et per evidontia di quel che dico, nel quadrato àbcd, col suo diametro ac, si mova il lato ab, sì cho a vadi in d et b vadi in c : è cosa certa cho il lato ab andarà sodando il diametro ac, che la settione sarà in un ponto, cho questo 60 punto scorrerà et segharà tutti i punti de la ab et tutti i punti de la ac y passando sempre da uno all’ altro, et cho tutta la ab commensurarà tutta la ac senza eccesso o di- b c fetto, poi che il punto dela sottione mai non si separa nò dalli ab nò da la ac, nè può esser minore in al) cho in ac; ot però il lato ab sarà eguale al diametro oc : cho è paralogismo, col quale si potrebe simil¬ mente domostraro, ogni linea essere eguale ad ogni altra anche irrogulare, maggiore o minore cho sii di lei ; la cui forza consiste forse in questo, cho per demostrar il punto indivisibile nel continuo de la linea, assumemo il momento instantanoo no la duratione successiva del tempo, cho non è altro che un potere go pnncipiwn. Io mi vedo rozo d’ingegno e molto piò di parole, et so bone cho non so esprimermi in modo che possi essere inteso da altrui; ma da lei io ho questa speranza di dover essere intoso, non solo in quello cho io voglio diro, ma an¬ che in quello che mi sta adombrato no la mento, che ella con la perspicacità penetrar à, o dilucidarà con la facilità sua incomparabile. Kt aocettarà questo motivo, che, con occasione di rasaignarmele devotissimo servitore, facio secondo la mia vechia libertà da discepolo, con la amorevolezza sua antica di Maestro ; chò per tale la riverisco et la ho riverita sempre, postponendole ogni altro del mondo. Et lo bacio per mille volte le mani. 70 Venetia, 8 Marzo 1685. Di V. S. molto 111/'’ et Eoo.®* 'poi/ìO Fuori: Al molto IH." et Ecc. rao Sig." mio Sig." Col. ,uo Il fc>ig. r (Galileo Galilei. Fiorenza. [ 3086 ] 3 MARZO 1635. 221 3086 **. ANTONIO DE VILLE a [GALILEO in Ài-cetri]. Venezia, 3 marzo 1035. Bibl. Naz. Flx. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 125-127. — Autografa. Molto ni” S. ro P.no mio Col. m0 Scrisse già fa un pezo u) a Y. S. molto Ill. rn senza risposta. Temeva essere importuno si do novo scriveva: ma questi giorni passati il S. r Patre Fulgentio havendo dato a vedere al S. r Argoli (e) alcuni suoi scritti, se scusò sopra il suo poco otio et altro importanti occupatami; me lo diede a vedero, lasciandolo nello mie mani un giorno solo ; discorse con lui dolli miei dubbii ; me pregò con istanza grande, lo scrivesse a V. S. Per compiacerli, la tediarò questa seconda volta con le mio lettore, nello quali vodorà corno sompro riverisco la sua per¬ sona et ammiro lo suo rare virtù : o benché scriva qualcho cosa contra li suoi io sensi, non è maraviglia, poiché li suoi concotti sono novi, sottili et sopra l’opi¬ nione di tutti, donde nascono li dubbii e l’oppositioni ; et anche qualche volta si propone o proba quello che si sa non essere tale, come Zenone l’argomento contra il moto, per mostrare l’eccellenza del suo ingegno sopra quelli elio non 10 sanno sciogliere. Nel principio del suo discorso (3) ini pare voglia affermare che lo machine che riescono in picolo, riussiranno in grande, pur che si osservi nella multipli- catione la proportione che si deve, nel’ istromento e nolle sue parti, e che l’af¬ fezione che si trova sempre nella materia non è argomento buono por probare 11 contrario, essendoché essa affezione ò eterna et sempre ristessa, della quale 20 si può dare regola certa quanto si dà delle figure astratto. L’isperienza mi pare contraria nelle machine che fanno o sostentano forza: come, per essempio, si farà un ponto semovente, per passar un fosso longo un piede, con legni grossi un centesimo di piede ; ma per passar un fosso di cento piedi non potrà farse, otiamsi li legni sono grossi un piede, dico li lati del legno, che cossi sarà dieci mille volte più grosso che quello che ha un centesimo di piede il lato. Chi vo¬ lesse farlo longo ducento piedi, non troverà nissuna materia che porti il peso. Se dirà: perché da sé stessa una trave se rompo per il suo peso, donche la materia se destruggo sé stessa o la machina per la sua gravità, la quale non serve niente alla forza. Si risponderà: (li questo sarà regola. Ma quale, e in 30 qual proportione, et in qual materia? perchè ogniuna è differente : il ferro sostiene 1 Cfr. n.° 2377 Andrea Aitaou : cfr. u.° 3081. Cfr. Voi. Vili, pag. 50 51. 222 8 MARZO 1635 . [ 3086 ] grandissimi posi apposi, il legno diritto lo porta. Poi quale dimostrationo arriverà a mostrare tutte lo imporfettioni che si ritrovano nelle materie, poi che non si dà scienza delti singolari? Queste sono tutte differenti ; o di quelle diversità o affe¬ zioni, si non lo vogliono chiamare imporfettioni, non si può duro nissuna regola olio convenga, non dico a tutto, ma ni anche a quelle d’un’ istessa spedo. 11 legno d’albedo farà un effetto differente dal rovere, questo dal busso; e del busso istesso quello dalla radice sarà diverso dal fusto, il fusto dalli rami, per la differenza della rarità o densità; poi ristesso tagliato per un verso non fa l’cffotto cho fa per un altro, tagliato d’autonno diverso dalla primavera; in tempo humido si fermerà più cho in tempo asciuto ; poi le groppi, le vene, secondo cho s’incon- 40 trano, P esser vecchio o novo, il poliiuento, la limatura, la giusteza nel*essere fabricate, e mille accidenti cho s’incontrano continuamente. Chi n’ha dato mai, ni può darne, regola certa? E si queste cose non si vogliono chiamare diffetti della materia, almanco fanno diffettosa l’arte, la «piale non potendo riconossero questi accidenti nelle piede machino, sono ovidonti nello grandi, essendo acro- sciuto per la forza del poso. Oltra che le forze della materia non crescono conio lo quantità, o molte machine, le quali hanno la potenza grandissima, la quale si mostrerà in picelo, perché si ritrova materia proportinnata a tal forza, non si potranno faro in grondo por mancamento della materia. Lei Istessa ha osser¬ vato che una tromba di attmttiono non puoi attrar più «li 18 piedi «li alteza (W , 50 qual grossa e grande esser si voglia ; donche quella machina ri asse in picolo fin a una corta grandezza, più grande non fa effetto. Se dirà: «piosto non è il dif- fefcto della machina, ma dol’aqua. Che importa donde che venga osso diffetto? basta cho veddiamo che per il mancamento di qualche cosa la machina grande non riesse conio la picola, benché proportionata del resto in tutte lo suo parti. Se dirà, cho quando si volesse dure regola delle materie, non s’intenderebbe di queste imperfette, ni anche dolli mancamenti dcl’artiata. Questa volrà diro una materia perfetta, non soggetta a nissuno «li quelli accidenti; et sarà una ma¬ teria imaginata o astratta, et alhora sarà un «lis«’orso differente dal primo, perché s’intenderanno figure astratte, come nello dimostratami li cubi, li oilin- 00 dri otc. Ma dove si trova talo materia? li metalli istessi, in una istessa spo- cie, sono differenti fra loro, benché non habbino ni vene ni groppi ni radici ni rami, non patiscono ni humido ni asciato. E «jui'ste diversità rtuidono imper¬ fetta l’arto. E per queste ragioni si dice che una sphaera «li ramo non toca il piano in un punto, perchè si è rame è tutto poroso, come altrove ha probato; donche non toclierà in un punto. Si il piano è sotto, il peso imprime; si s’ac¬ costa. si dà botta: o poi, dove si trovano quelli ferri, torni e tornitori, che tor- Ltìtt. 308G. 49. fare in iti prandn — <»' Ofr. Voi. Vili, pag G-t. 3 MARZO 1G35. 223 [3086] nino la sphera e spianino il piano con quella cssatessa? Et questi accidenti et iniperfettioni sono inseparabili dal’arto et da artista e dalla materia, talmente 70 elio quando se dico una cosa materiale e artificiale, s’intende non bavere quella perfetta l’orma imaginata: e quollo elio si dico della sphera s’intende d’ogni figura o corpo, rcgolaro o irregolare, del quale la forma si dà determinata e non fatta a caso ; et mai l’arto arriverà a formare essattamonto quollo elio lo spirito s’imagina : o non so si la causa per la quale la natura non fa mai duo cose simili, sia per la maraviglia o por la difficoltà. E non vaio dire: Donche quello non sarà sphera; perebò quando si dice sphera aenea o materiale, s’in¬ tendo una sphera di quella materia, la quale s’accosti il più elio ò possibile alla sphera ideale o perfetta; oyoi-o sarebbe bisogno rifibrmare il modo di parlare, o non dir mai sphera di vetro, cilindro di legno, ni nissuna figura, mentre si so aggiunga [...] et arte. In questo discorso, nella cosa siamo conformi, nel modo di parlare differenti : perehè lei non vuole elio si dica quollo che s’ò usato diro fin adesso da tutti ; come un circolo d’inchiostro si sap bone elio non ò circolo perfetto, ma por tutto ciò non s’è lasciato mai di chiamarlo circolo; e cossi dolio altre, benché essendo materiali inai siano porfetto. Nella sua isperionza del rompimento del legno o del filo di ottone (1) , vederà che l’istossa longheza del’ istosso filo, passato per un’ istessa filiera, non si rom¬ perà sempro; corno si vedo nelli arpicordi, l’istessa corda in un* istessa esteri/.ione tiene, in un’altra si rompo : anzi dirò che l’istessa estenzione tegnirà in un tempo un peso, il quale non tegnirà in un altro. Come sarà donche possibile dare re- 90 gola di tali diversità? L’artifitio di calarse giuso d’una corda senza offenderso lo mani (21 , 1 ’ ho visto ot havuto fa già incirca quindeci anni; il quale lo teneva come triviale. Nel’ istromento a misurar la forza del vacuo, si dove averlire di levare la forza che è bisognio per il tocamento dol maschio contra il cilindro vacuo. Poi sopra questo istromento dirò, che mai si potrà giùngere cossi giustamente elio non intri l’aria, elio apertamente si vederà; ot di più, clic l’aria o aqua si ra¬ refali, et quando non potrà più rarefarse ni filtrare l’aria, il secchio essendo più pieno che non puoi portar la forza del’istromento, andarà tutto in pezi avanti clic caschi il secchio : et questa isperienza non probarà ni negherà il ìoo vacuo (31 . Sopra questo proposito dirò, che come non s’ò mai probato esser im¬ possibile il vacuo, cossi non ò stato mostrato osscro nella natura ; et quella di- mostrationo che porta Aristotele nel quarto della Pliysica per probaro essere impossibile il vacuo, non conclude niente, mentre si dirà elio la duratione dol 74-75. due cose cose simili — 0> Cfr. Voi. Vili. pag. 65. <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 58. 0) Cfr. Voi. Vili, pug. 62. 8 MARZO 1885. 224 18086] moto proviene non solamente (lolla resistenza del corpo per il quale si fa il moto, ma ancora della natura dodi corpi, li quali non puono moverae che con qualche tempo, benché non si sia ntasuna resistenza. Cho noi numero infinito 1 ’ (si se può dire numero infinito, perchè paro ima contradittione, essendoché ogni numero è finito) stanno tanti numeri quadrati come sono tutti li numeri, questo non si può affermare cossi ; ma bene si può diro cho tanto sono infiniti li quadrati, corno li numeri. Questa questiono è si- no inile a quella: Si fossero infiniti huomini, si sarebbero più capelli che huomini. Direi, saranno tutti duoi infiniti; ma, quanto a me, si so propone qualche com¬ pararono tra li infiniti, estimo cho si debba diro, essere più capelli. Se dirà: Doncho li huomini saranno finiti. Negarò la consequenza, perchè 1* infinito è quello del quale, pigliando sempre, resta sempre a pigliare; pigliando sempre huomini, sempre no rosta, o mai si finirà. L’istesso di capelli; ma pigliando quanti si vo¬ glia huomini, sempre si piglierà più capelli : talmente che sempre la nostra ima¬ ginazione o ruttane intenderà esscro più capelli che huomini, benché tutti duoi infiniti, perché la natura del’infinito non si conosse da noi cho con la sola ne¬ garono di esser finito o di non bavere fine, talmente che, pur che si conservi iso quel* attributo (li non bavero fino, sarà infinito. Ma dicendo che, essendo infiniti huomini e infiniti capelli, saranno più capelli elio huomini, non si dice fino del’uno ni dol’altro, ni essere più infinito l’uno dal'altro. Più, nel finito, denota excosso dal magioro al minore; ma nel’infinito non essendo ni magiore ni minore, più non denoterà eccesso, ma simplicemente nel nostro modo di parlerò, il quale affermando non può diro altro che finito. S’intenderà cho la nostra coniazione, la quale ò finita, s’imagina cho in qualunque quantità assenta finita saranno più capelli clic huomini, ogni affermationo rapportando tino di quantità, essendo raf¬ fermatone contraria alla negatone; ma la negatone ò la connitione che bab- biaxno dal’infinito, o quando diciamo essere tanti capelli come huomini ò after- i-'JO mare egualità c contazione della convenienza delle quantità; et questa denota fine. So dirà, cho dicendo essor più capelli cho huomini, si afferma diseguaglianza, donche fino. È vero ; ma si concediamo cho ogni affermationo cho si fa è dol finito, ò più conveniente alla ragione, quando si ha d’affermare, dire cho sono più car¬ pelli cho huomini, perchè talo è la contazione nostra. Che l’unità sia 1*infinito (i> , non mi pare vero, perchè l’unità, in tanto che divisibile, vuol diro una cosa divisibile, ma non infinita ; o questa è divisibile non in parti infinite oguali a una terza o fra di loro, ma in parti divisibili pro- portionalmente in infinito, come in tro i torsi e questi in altri, cossi in quarti o questi in altri otc., in infinito, ma non si dividerà in infinite aliquote: et quo- no ISO 131. affermar* egualità egualità e connìmon* — I" Cfr. Voi. Vili, puff. 73. «*» Cfr. Voi. Vili, pnjc «6. 3 MARZO 1635. 225 [30861 sto è essere un continuo, ma non un infinito, perchè uno si può dividere in duoi mesi, ot essendo pigliato un meso duoi volte, è pigliato il tutto; cossi di tersi e di qual si voglia altra parto; et questo divisioni sono possibili : doriche non è infinito, perchè l’infinito non è divisibile in nissune parti aliquote. Dipoi, nel’infinito, qual si voglia quantità finita elio si pigli quante volto si voglia, non si piglia mai il tutto, anzi resta sompro infinito: tutto questo è contrario al’ unità. Benché si dica che l’infinito ò magiore che il finito, s’intende senza nissuna proportiono; ot ancorché il finito cresca, non per tutto ciò s’accosta dal’infinito, ir>o il accostarse et alontanarso havendo relationo stili termini; ma l’infinito non ha riissimo termine. Et por dire, l’infinito esser più grande infinitamente elio il finito, non importa nissuna proportiono o somiglianza: sempre potiamo dire uno più grande dal’altro, mentre il più grande contiene il minoro ot ancora qualche cosa di più; talmente che di una infinita linea potondoseno cavare eguale non una sola ma infinite a qual esser si voglia linea finita data, si potrà doncho dire la linea infinita magioro della finita, ma senza proportiono nissuna. Che d’una in¬ finita si possa cavare qual si voglia finita, questo non ò stato non solamente mai negato da riissimo, ma è stato assunto in molte diniostrationi geometriche. Mi pare assai incredibile che Archimede con li spechi (1) brussassc lo navi ùn¬ ico miche molti miglia lontano, essendo che il rincontro do 1 li raggi della parabole non si estende più lontano che il quarto del suo lato retto. Non è possibile che essendo duoi circoli concentrici, dalli quali il magioro si mova sopra un plano, faciendo una linea eguale alla sua circonferenza, et nel’istesso tempo il minore sopra un altro plano, il moto del minoro si facia come nelli polygonii concentrici, cioè per salti et intervalli 121 ; o sarebbe cosa difficile a capire, si l’equinoziale del primo mobile si movesso sopra un piano, come si troverebbono quolli intervalli o vacui in un picolo circolo concentrico, che facino una linea eguale alla circonferenza del’altro. Quanto a me, estimo che il moto del minore circolo si fa cossi: quando qualche parto del circolo 170 magiore si movo sopra il piano, si move anche parto proportionale del minore, porcliè di tutti li punti assignabili del magioro si può tirare semidiametri al centro, lo quali lovaranno portioni proportionali delti circoli concentrici, et come sono li circoli cossi le portioni ; mentre che qualche parto del circolo magiore si muovo sopra il piano, talo parte si muovo del minore ; ma di più il minore continuamente con inversa proportiono è portato avanti, talmente che il tocca¬ mente cho fa sopra il suo piano e la latione adequano la portione del magiore. Come, per essempio, sia il circolo magiore decuplo del minore : mentre si move la sesta parto del magiore, si move anche la sesta parte del minore, la quale m Cfr. Voi. Vili, pag. 86-87. <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 94-95. XVi. 29 226 8 MARZO 1635. 18086] non sarà elio la sessagesima parte del magiore; ma mentre si muove o si rotola questa sesta parto dui minore, si fa la latione di questa parto corno il circolo iso magiore è al minore, cioè portarà dieci volte tanto come olla rotola o si move : talmente che la latione et il rotolamento adequano il rotolamento del magiore, il quale è simplice senza latione. Et questo non importa nissuna contradictione, che un corpo rotolando o giramlose sin anche portato avanti, come nelli epy- cicli et altri moti si concede. Dipoi» neristessa dimostrationo deili polygonii li salti che motte sono lationi, lo quali sono interrotte, coinè il continuo ò inter¬ rotto por li lati, et non si fa applicatione o tatto si no tanto conio ò la circon¬ ferenza del polygonio. Del resto è portato più o meno, secondo elio s’accosta dol centro; o quello che se dice strabico è latione, la quale con il tatto della circonferenza, tutte duo insieme sono eguali alla circonferenza magiore. Donde w se no segue (1) cho il continuo è composto di parti divisibili, in infinito proportio- nalmonte, di modo che le parti proportionali del minore sianno minori che lo parti proportionali dol magioro; ot cossi le parti dol minoro circolo cho carni- nano col tatto, benché sianno divisibili in infinito, saranno tutte allo parti del magiore in quella proportene che è il circolo minoro al magioro : ma lo parti della latione saranno magiori nel minore circolo che nelli altri magiori, corno il magiore circolo è al minore: di modo che lo lationi sono li suppliraenti del li tatti, come si veddn chiaro noressempio di polygonii et nel centro, il quale è sim- plicimente lato come il maggiore o simplicimento mosso. Per confermare questa latione, quel’essompio dovo fa muovere il polygonio minore sopra il piano, faciondo 200 la linea oguale alla sua circonferenza, alhora si sminuisse il tatto del magioro polygonio, di modo cho li tatti siano eguali del’uno et del'altro; il resto è la¬ tione retrocedendo, et è impossibile che il tatto del’uno sia magiore del tatto del’altro ; doncho il resto è latione, la quale è interrotta et per salti nolli po¬ lygonii, por la interruttiono deili lati, ma nel circolo continua, osso essendo con¬ tinuo; et quolli salti sono impossibili noi circolo, perchè se ne seguirebbe che sarebbe circolo et non circolo, perchè alcune parti sarebbono più vicino al centro, cioè quello cho non tochorebbono, et lo altre più lontane, come nelli polygonii. Do dire cho li lati del polygonio minore nel primo essempio stanno fermi tanto tempo quanta parto è il lato dol polygonio di tutta la circonferenza, questo non 210 si può diro, perchè, benché non tocchi il piano, nientedimeno è portato ; et in questo differiscono li polygonii dalli circoli, perchè le lationi si fanno separata¬ mente dalli tatti, perchè li lati sono distinti et non sono egualmente distanti dal centro in tutte le suo parti, ma nel circolo non c’ ò nissuna parto che non sia egualmente distanto dal centro, et nissuna è interrotta ; douche continuamente toccano il piano, et continuamente sono portato inanzi et in dietro, secondo che si <*» Cfr. Voi. Vili, pag. 77, 28. 3 MARZO 1035. 227 [ 3086 ] muovo il magioro o il minoro, ma con la proportene cho hanno li circoli, il minore al magiore nel tatto, o il magioro al minore nella latione, come già s’ò detto. Quando dice (1) che d’una linea rotta formarà un polygonio di 100, 1000 lati, ito piegandola in un polygonio d’infiniti lati, cho sarà il circolo, questo non si puolo, perché la linea si può bene flettere in un polygonio di quanti si volrà lati finiti, ma non giamai infiniti; et diro di flettere la linea retta in un cir¬ colo non è altro cho faro una circonferenza d’un circolo eguale a una retta, la qual cosa fin adesso non è stata dimostrata. Et quando fosse ridotta la linea rotta in un circolo, non saranno nissuni lati et non si dimostrerà nissuna di¬ visione et distintiono delle parti, perchè è certo che nissuno polygonio inscritto nel circolo di quanti esser si voglia lati sarà eguale a esso circolo ; donclie por l’inflessione non si farà nissuna divisione ni apertamente ni confuseroonto, et per continuar la moltiplicationo dolli lati non s’arriverà mai al’infinito, il cir- 2 ;>o colo essendo una continuata flessa, nella quale non è nissuna distintiono dolio parti o lati, o la condizione che si trova nelli polygonii, delli lati distinti, manca nel circolo. Quando se dico che il globo tochorà il piano in un punto, è vero ; ma quel punto è impossibile assegnare, et solamente con la monto si concepisse dove è il tatto : ot questo non si può intendere o assegnare separabile o indivisibile si no in tanto cho è negazione di ulteriore estenziono, come li estremi d’una linea non si dicono punti si no in tanto che oltra quelli estremi non è monte della linea, ma pigliando dove esser si voglia verso la linea, pigliaremo parti infini¬ tamente divisibili: cossi il tatto del globo è l’estremo di tutte le linee cho s’in- 240 centrano in esso, ma non è assegnabile et non importa nissuna divisione o di¬ stintiono. Do diro: Si facia muovere il globo, succederà qualche altro punto; questo non è vero, perchè succederanno infinite parti divisibili, come anche saranno nel sottoposto piano: et in questo è la differenza, che la divisione si fa per parti assegnato l'ima doppo l’altra, come nel’essempio di poligonii; ma in quel moto non si assegnano nissune parti distinte, perchè sempre so ne pi¬ gliano divisibili in infinito tanto nel piano corno nel circolo. De dire cho il moto si facia per punti, prima sopra uno, dipoi sopra un altro, et cossi successiva¬ mente fin al fine della linea ; sarà contra la suppositionc, perchè sarà divisa in parti finito, proponendo dividerla in infinite. Tutta la considorationo consiste in 250 questo: che il globo con parti infinitamente divisibili percorre parti dol piano similmente infinitamente divisibili. L’istesso farà ogni piano sopra un piano, o un lato di qual si voglia figura, et anche ogni corpo, movendose sopra un piano. Dove vuole mostrare che si può fare un circolo infinito (2) , si proba bene che si può fare un circolo magioro et magiore che qual si voglia dato, ma non mai < l > Gir. Voi. Vili, pag. 92. «*> Cfr. Voi. Vili, pag. 85. 228 8 MARZO 1685. [3080-3087] infinito; conio l’angolo si fa magiare et mogi ore, ma quando è fatto linoa rotta, non è più angolo. Quando si taglia la linea noi mono, tutto lo altre saranno eguali, poiché debbono essere neristessa proportene; donde so ne segue che la linoa passando por rincontro di esse, sarà retta, perchè tutto sono perpendicolari et cascano sopra un istesso punto : donche sono ima linea rotta, et non un circolo. Finirò, por non essere più importuno, supplicando V. S. ino scusi del tedio 2 G 0 elio io li do con questo discorso mal contesto. È licito di dubitare di tutto por informarsene meglio, et l’oppositioni confermano et rendono più chiara la verità; ot questo è il mio fino, non di contrariare, ma di ronderme più capace delle suo propositioni, lo (piali, essendo alto ot difficili et tanto sottilmente probate, non puonno essoro capite che con difficoltà, almeno dal mio spirito debole et distratto por li continui affari publici, per li «piali quasi continuamente o sono in viaggio o destinato por fare viaggio, et leggo li libri come li cani hovvono Tu qua del Nilo, talmente elio sempre mi resta inestinta la sete del sapere, corno il desiderio di potere servirò V. S. molto III.”, alla quale con estraordinario af¬ fetto bacio lo mani. 270 Di Veneti a, a dì 8 Marzo 1685. Di V. S. molt’Ill. r * et Eoe."* Non intendo la forza ni la deduzione della di- mostrationo elio un circolo divenghi eguale a un punto Devotissimo 8.» Antonio Devillo Cav.” 8087 . FUI OENZTO M ICA N ZIO » GALILEO [in Firenze]. Venezia, 8 marzo 1(135. Bibl. Nnz. FIr. Mas. Gal., r. VI, T. XU. car. 131. — Autografa. Molt’ 111.™ Ot Ecc Sig. r , Sig. r Col. m# Questa settimana non ho lettere di V. S. Il Sig. r Cav. r da Villcs mi promise scriverò lo difficoltà che le par incon¬ trare nelli fogli veduti del Dialogo' 2 ', ma non l’ho puoi veduto. Tutti danno in quelli vacui ot indivisibili et infiniti. Io resto con questo fermo concetto, elio di certo non è stata ancora detta cosa che tanto apaghi la mento ; e così si dico puro qualche cosa. Il Sig. r Canonico Paolo Aproino, devotissimo (li V. S., ha veduti li fogli et anco lo postillo. Egli ne scrive a V. S. (3) , o so me la manda a tempo, qui sarà inchiusa la sua lettera. “> Cfr. Voi vili, pag. 75. Cfr. 11 .» 30t>4. '•» Cfr. n.» 8085. 3 — 10 MARZO 1635. 220 [3087-3088] io II Sig. r Marc’Antonio Celesti, quello elio 1’ anno passato stampò lo Tavolo Astronomiche (i) , ha inteso eh’ io ho questi fogli o me no fa le mille croci : credo lasciarlili vedere, so V. S. non mi ordina in contrario, perchè è liuomo di garbo, ot è peccato che sia astretto allo contemplationi de pane lucrando. Vi sono puochi elio si delettino di queste scienze, ma quelli tutti parlano di V. S. come d’un nume. Dello tradottigli delle sue opero in altre lingue, inetta pure il suo cuore in pace, chè nè lei nè tutta la potenza italiana lo può più vietare. Il P. Paolo scrisse V Historia del Concilio Tridentino : lo fu copiata sotto spetie di leggerla; io l’ho veduta italiana, latina, francese, inglese: vegga V. S. so lo proibitioni vagliono. So non fosse il non crear a V. S. disturbi, che 20 non conviene, di giù. so quello haverei fatto : ma lasciar perir coso tali, non lo farà tutto l’inferno, so vi si mettesse. Dio la conservi, o le bacio con ogni af¬ fetto le mani. Ven. a , 3 Marzo 1635. Di V. S. molto 111." et Ecc.“ a S. r Galileo. I)ov. mo Sor/ F. Fulgentio. 3088 . FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 10 marzo 1035. Bibl.Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 133. — Autografa. Molt’ HI." et Ecc. lno Sig. r , Sig. r Col.®* Non ho queste due settimane lettere di V. S. molto 111." etEcc. mB : niente importa, purché stia bene, come di tutto cuore lo bramo. Non ho anco veduto lo scritto promessomi dal S. r Cav. r Vii Ics (2) . Habbiaino discorso sopra le nuove speculationi et ammirande dolli fogli del Dialogo di V. S. il Sig. r Aproino et io: s’accordiamo noli’ammiratione dello inventioni o nel confessarlo incomparabili ; ma perchè habbiamo da lei imparata la libertà del giudieio, discordiamo amorosamente nell’opinioni. Egli non può assentire all’ infinito et indivisibile, io vi sono fisso : egli nel numero non admette 1* in- 10 finito, io li dico che non trovo che più ci sia il ternario o ’1 quaternario di quello ci sia l’infinito. Nelle figure poligone egli dico, che quanto più si sco¬ stiamo dal triangolo, tanto meno s’accostiamo alla similitudine del circolo : io non capisco corno il circolo non corrisponda ad un pobgono d’infiniti lati, se ci fosse. Egli no scriverà a V. S. (3> Ma io me no sto col gusto, perchè nelle *') E/emeridi nuove de i moti ccleiti dall'anno appresso Francesco Balia, MDO.XXXIII. 1629 fino al 1640, calcolate al meridiano della Città <*> Cfr. n.° 3081. di Vonetia per Marc antonio CBI.H8TK occ. In Venetia, * 3 > Cfr. n.° 3085. 230 10 - 12 MARZO 1035. [8088-8089] mathematiche sono col solo desiderio, «ondo hormai 40 anni e’ ho perduto tempo in studii di parole senza imparar mai oose. Ilo trattato coll’ Inquisitore 111 : m’ha mostrato l’ordino rigorosissimo di stam¬ pati, da stamparsi, in scritto, et elio no? A me non dà fastidio; ma non si dove croare a V. S. persecutioni. Ho pensato, so ella lo consenta, far faro una bella copia di tutto, o collocarla nella publica libraria di S. Marco col nomo. 20 È cibo di tanto preggio, che cento copie che ne vongano fatte servono al gusto di quei puochi c’ banrió denti e stomaco a proposito. Ma ho ben puoi il modo di far il mio dissegnò, di che un’altra volta piò distintamente. Tra tanto lo bacio lo mani e prego tranquillità. Ven.*, 10 Marzo 1635. Di V. S. molto 111." et Kcc. m * Dov. mo Sor. S. r Galiloo. F. F. Post.* In quosto punto ho le duo insieme di 24 passato 0 3 corrente, e la lotterà del Villos a V. S. 121 3089 *. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in ArcetriJ. Bologna, 12 marzo Untò. Bibl. Naz. Fir. Mss, (lai. P. VI T. XII car. 185. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. m0 Pig. T c r.ron Col.® 0 Non si maravigli V. S. Ecc.“* s’io cosi ho tardato in scriverle, massime circa il quesito cho li mandai nella passata mia, poiché lui, subito ricevuta la sua, assalito così crudelmente dalla podagra, cho mi ha tenuto impedito dal potei- l'aro cosa alcuna per insino adesso, non essendone ancora ben liberato. Hora por tanto la ringratio (lolla sua risposta al quesito l8) , il qualo vcramonto non era da farli, poiché paro chiarissimo cho una limitata forza non possa far crescer la velocità in un mobile indefinitamente. Maio m’ingannavo in questo: poiché, por essempio, nello ruote de’ tiratori, so bene la velocità conferita alla ruota nella prima percossa va continuamente languendo e finalmente si perde, 10 tuttavia perdendosi quella in un dato tempo, corno in un’avemaria, credevo clic sopraggiungendo novo grado di velocità con la seconda percossa, data manzi elio svanisse la velocità conferita nella prima, 0 cosi seguitando di faro, si po¬ tesse aumentare la volocità in infinito. Ma considero che se la mano voi darò maggior velocità alla detta ruota, bisogna prima cho essa 1* babbi, cioè che ella Cfr. n.° 3075. •«*> Cfr. n.» 3 uòo. '•*> Cfr. u.“ 8071. 12—13 MARZO 1635. 231 [ 3089 - 305 ) 1 ] prima si vada accollar andò in infinito, o non cho stia costante in un dato grado di velocità ; e perciò il mio pensiero di fare nel moto delle ruote quello che si fa nel moto do’ gravi all’ in giù, conosco liaver debole fondamento, come ap¬ punto la sua risposta benissimo dimostra : perciò mi scuserà della mia inav- 20 vertenza. Spero di finir la stampa della mia Geometria (1) fra, 2 over 3 settimane ; quando sia compita, farò poi che 1’ babbi tutta, et liaverò pronta l’occasione, poiché faciamo il Capitolo generale a Ferrara, per il quale non mancherano occasioni di farcela bavere. Fra tanto la prego a continuarmi la sua buona gratia, vivendolo io partialissimo amico o servitore : o li buccio lo mani. Di Bologna, alli 12 Marzo 1G35. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ,1,!l Ob. mo Ser.*° F. Bon.“ l Cavalieri]. 3090 *. ELIA DIODATI a [GALILEO in Arcetri]. Parigi, 12 marzo 1085. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. V, T. VI, cnr. 79>\ — Copia di mano di Vincenzio Viviàni, elio promotto (intinte indicazioni: « E. U. 12 Marzo 1685, di Parigi. Risposta alla de’0 Pelili » ». L’opera francese sciolta 12 ' si è come dismessa, o riusciva poco bene. 3091 . PAOLO APROJNO a [GALILEO in Arcetri]. Venezia, 18 marzo 1085. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 200. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r , mio Sig. r Col.™ 0 Ilo veduto bori mattina, che bo visitato M.° Fulgentio, nela lettera di V. S. Ecc.®* con quanta dolcezza ella tiene fresca la memoria di me e di quel beato tempo di Padova. Io ringratio Dio ogni dì, oltre di havermi fatto huomo, spe¬ cialmente (li (lue cose : mia, che di fortune e conditioni meno che mediocri mi habia tirato in grado stimato tra i migliori dela mia patria ; l’altra, che mi habia dato por maestro un huomo il più grande che sii mai stato al mondo. Hora pensi mo V. S. Ecc." 11 * con quanto giubilo ho ricevuto al presento il ri- <" Cfr. u.» 2992. (*» Cfr. n.» 2912. 232 13 MARZO 1035. [ 3091 ] scontro del suo amore ; al quale solo, et non ad altro, ho da ricorrere per iscu- saro tanta distrattiono di sì lungo tempo, provenuta veramente da angustie et io necessità di negooii asprissimi. Lo settimane passate, quando esso M.° Fulgentio mi mostrò do i suoi fogli, vedendomi così sviscerato di lei, mi communicò insieme la intentione dolo stam¬ parli. Sopra del qual particolare io stetti in susposo, e gli dissi che mi pareva cosa da pensarvi ; et il dì dietro andai a posta a dirgli che, por circonspettione di qualche stravaganza elio potesse avvenire, io stimava meglio che ne fussoro messo tre o 4 copie in librario publiohe et libere, come sarobo una qui, una in Francia, in Germania, o in Fiandra, con qualche letera annessa che testifi¬ casse del tempo, e poi si luschisse tuorno copia da chi no voiesso : porcliè in ogni modo le persone che attendono a questi studii sono pochi di numero, et 20 in qualità che non hanno da far conto sopra un poco ili fatica o di spesa mag¬ giore che va nei manoscritti ; e con questa scarsezza, che è solo di apparenza, la dottrina si venirebe a ricevere con maggior avidità et reputatione; cbè quanto a certa sorte d’huomini elio entrano a empire il numero del’universale, credo che sii da desiderare più tosto, per tutti li rispetti, che sì fatte cose non arrivino neh; lor mani. Hora, porchò osso M.° Fulgentio, sohen mi ha dotto di haverle scritto sopra di ciò, mi ha tuttavia incaricato di scrivergliene ancor io, glieno ho aggiunto queste duo parole, a fino che V. S. Eec. m *, che sa il vivere del inondo, vi faci» il riflesso che pare alla sua prudentia. Quanto a me, io liaveva di già cominciato, et no liaveva copiato una facilita ; ma havendomi detto M.° so Fulgentio che non era bene copiare senza il consenso di V. S. Ecc.®*, me no son ritenuto. Et hora la prego (anzi con ogni instantia efficacemente la sup¬ plico) di farmi grafia di un tanto tesoro, e scrivere in ciò una parola a detto Padre. Dimattina parto per villa, cioè per Casale qui su ’l Silo, dove sto ritirato frequentemente, con disegno di passar poi l’altra settimana a Traviso, per ser¬ vire, come deho, alla chiesa in questi di di devotione et ossero di buon essem- pio a gli altri Canonici. Ma dovunque sarò, mandarò messo a posta a pigliare et restituire i fogli, con la cautela che si devo a preciose gioie. Il Sig. r Cavallier do Villes (1) mi ha letto l’altr’liiori la lotterà ch’egli ha 40 scritto a V. b. Ecc. mi •*' Non so so ella il conosca: ha in stampa un libro in Francese di fortilicationi 13 ’, et è assai versato noie matematiche. Ma questi Si¬ gnori, die l’hanno condutto per ingegnerò, lo tengono sì fattamente in essercitio, ohe poco può applicarsi alla indagatione dolo cose intime di natura; et senza osservationi molto bone aggiustate, male si può trattar con lei, che è il padre <0 Antonio »k Ville <*' Cfr. n.° 8080. < 8 ' Let /unificaiioni tfu ChtìYulier àntoink dk Vili.*, Tholosain, aveo l'atai/ue ri la de/encr di* jjlucei, A Lyon, choz lronoo Uarlel, M.DC.XXVill. 13 — H marzo 1635. 233 [3091-3092] degli esperimenti e di ogni loro essattozza. Egli si allestiva per andare in Fran¬ cia, ma il Sig. r Gioanni Quirini, Savio di Terraferma, nepote del già Sig. r An¬ tonio (che era Reformatore di Studio a’ nostri tempi), poco fa desinando meco mi ha detto che questa mattina in Collegio, havendo egli dimandato licontia DO per tre mesi, gli è stata con buono parole negata. Sì clic si fermarà. Scrivo questa avanti di partire, e la lascio a M.° Fulgentio da esserle in¬ viata per sabbato ; al quale anco lascio ordine, so mi vengono lettere di V. S. Ecc. raa , che lo mandi qui a S. Polo su ’1 Canal Grande a casa degl* Ill. ml Qui¬ rini, dove vicino io medesmamente tengo casa, ricapitate particolarmente alla persona del’ III." 10 Sig. r Francesco, al quale lascio questo ordine. Il che avviso a V. S. Ecc. raa a fine che, occorrendole di scrivermi, possi farlo anco senza im¬ pacio di detto Padre, che tropo si trova in mille datari intralciato et occupato. E con ciò lo bacio riverente lo mani. Venetia, 13 Marzo 1635. co Di V. S. molto Ill. ro et Ecc.'"“ Devot. mo et Oblig. mft Se.™ Paulo Aproino. 3092 *. MATTIA BERNEGGER a ELIA DI0BAT1 in Parigi. (Strasburgo], 14 marzo 1635. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato nella informazione premessa al n.® 2613, car. 137/. —Minuta autografa. Mitto ecce quae reliqua simt in opere nostro Galilaico, nisi quod praafatio mea adhuc deest, qnam vix scribam nisi prius accepero responsum tuum ad postremas meas < l) , in quibus oravi consuleres an et qua ratione autori suum ipsius opus dicare debeam. Utrumque, et latinum et italicura, exemplum Apologiae Galilaei (i) accepi, sed serius quarn optaveram; itaque Foscarinus < 3) , ut vides, annexus iam est Systemati. In praefa- tiuucula huius appendicis sub Davide Lotaeo nomen tuum occultatur. In dedicatione quo¬ que tale quid fingam, et ox praecepto tuo recto curabo ne autori tantum meritum, erroris pairaarii generi fiumano ostensi, fraudi sit. Apologia nihilominus excudetur separatila, ot iam ad Elzevirios ea de re scripsi. Prodibit autumnalibus uundinis.... 10 4 MartiiW 1635. “) Cfr. lin.i 3078, 3080. <*> Cfr. u « 8058. XVI. I»' Cfr. n.° 3078. Un. 28. <*> Di stilo giuliano. no 234 15 — 10 MAKZO 1035. [3093-3094] 3093. GALILEO r ELIA DIO DATI in Parigi. Aroutri, 16 mano 1635. Blbl. NftK. PIr. Mas. dal., T\ V. T. VI. oar. 68 r. — Copia di mano di Vixoknxio Vitiak», che promotto (a car. 07*.) questo parola: <11 Ualileo all'amico di Parigi, rispondendo d'Arcutri ad una sua lunga lotterà no’ 15 Marzo 1036 al Romano, Boggiugno quanto appresso*. Nel medesimo manoscritto a car. 27*., 76t., 84r,, ai hanno altra copio di queato capitolo, di mano dello a tasso Vivuki o di un suo amanucnso. Aggiugnesi eli’ io vorrei pur vedere al mondo, avanti eh’ io me ne parta, il resto delle mie fatiche, lo quali vo ridueendo al netto e trascrivendo; ina perchè, nel rileggerle, sempre mi cascano in mente nuove materie, e la maniera dello scrivere in dialogo mi porge assai conveniente attacco per inserirvele, l’opera mi va crescendo per le mani, e il tempo diminuendosi. 3094**. GALILEO a [NICCOLÒ FABHI DI PEIRESC in Aix] A re etri, 1(1 marzo 1635. Autog-rafoteoa Meinort in Dossali. — Autografa. Ul. mo Sig.*® o Pad . 0 mio Gol ."* 0 Veddi la prima scritta da V. S. Ill. ma all’Em . 010 S. Car. Barberino (1) e la risposta di Sua Em. ,:i '~ ! , bì come per altra mia gliene diedi conto, rendendole quelle grazie elio potevo maggiori per sì rilevato favore. Ilo di poi veduta la seconda replica :t) , pur piena del medesimo affetto e maggiore ancora, poi che persiste pure col medesimo ardore in battere gagliardamente una rocca non dirò inespugnabile, ma che non si vede dar segno alcuno di ceder alle percosse, ancor che V.S.Ill. ma vadia ritrovando efficacissimi luoghi, atti a muover la pietà e mitigar l’ira. D’un luogo solo dubito (e sia detto con sua pace) che ella non io Dctt. 3094. 9. affienii timi luoghi — U) Cfr. i>.« 3026. (*) Ur. u .« y u t}#. «*> Cfr. n.» 8050. 16 MARZO 1635. 235 f 30941 liabbia fatto perfetta elezzione, e che nella causa mia non possa liaver forza di persuadere, ma più presto sia accomodato a far contrario effetto: e questo è l’esaltarmi sopra molt’altri del nostro secolo per le molte mie nuove invenzioni di grandissime conseguenze, per le quali ella stima elio il mio nome possa esser di lunga durata nelle memorie de i posteri. Ilor tenga pur per fermo Y. S. Ill. ma che questa, dirò, in certo modo da lei stimata singolarità ò stata e tuttavia ò la principale, anzi la unica e sola, cagione del mio precipizio. L’haver 10 scoperte molte fallacie nelle dottrine già per molti secoli frequen- 20 tate nelle scuole, e parte di esse comunicate e parte anco da pub¬ blicarsi, ha suscitato negl’animi di quelli che soli vogliono essere stimati sapienti tale sdegno, che, sendo sagacissimi e potenti, hanno saputo e potuto trovar modo di sopprimere il trovato e pubblicato e impedir quello che mi restava da mandare alla luce; havendo tro¬ vato modo di cavar dal Tribunale Supremo ordine rigorosissimo ai Padri Inquisitori di non licenziare nissuna dell’opere mie: ordine, dico, generalissimo, che comprende omnia edita et edenda. Di questo vengo accertato da Venezia da un amico mio (l) , che era andato per la licenza all’Inquisitore di ristampare un mio trattatello che 30 mandai fuori 20 anni fa intorno alle cose che galleggiano nell’acqua, 11 che gli fu negato, e mostrato ’1 detto ordine l%) ; ordine che per ancora a me non è pervenuto, e però ò bene che io non mostri sa¬ perlo per non mi progiudicare anche fuor d’Italia. A me convien dunque, Ill. mo Sig. r0 , non solo tacere alle opposizioni in materia di scienze, ma, quello che più mi grava, succumbere agli scherni, alle mordacità et all’ingiurie de’miei oppositori, che pur non sono in piccol numero. Ma siano quanti si voglino i miei infortuni, non sa¬ ranno mai tanti nò tali che mi possino arrecar tanta afflizzione, che molto maggiore non sia il contento che ho provato nel potermi, lor 40 mercè, assicurare del singolare affetto da V. S. Hl. ma con indubitabil dimostraz[..] manifestatomi. Io resto confuso per non saper trovar parole per render grazie proporzionato al desiderio et all’obbligo che gli tengo ; e solo in questo mi consolo, che sapendo Y. S. Ill. ,,m impiegar grandissimi benefizii in chi non ha appresso di lei merito alcuno, saprà ancora appagarsi di quei ringraziamenti che da roza et ine- Cfr. u.° 3075. '*) Cfr. u.° 3US8. 236 16-17 MARZO 1635. [3094-3095] aperta penna non possono uscir ae non mal puliti et inornati: ma cosi languidi e freddi, aia certa ohe vengon da un cuore aincero et ardente di desiderio di potergli con qualche segno mostrare quanto io gradisco i auoi favori e quanto riconosco gl'obblighi miei infiniti. K con reverentissimo allctto gli bacio lo mani e gli prego da Dio il &o colmo di felicità. Dalla villa d’Arcetri, li 16 di Marzo 1634 ab Ine Di V. S. lll. m * Devot. m0 et Obblig. mo Sor.™ Galileo Galilei. 3005 . FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 17 marzo 1636. Blbl. Naz. Fir. Mss. Cai.. P. VI, T. XII, car. 186. — Automa le lin. 83-30. Molto 111. 1 ™ et Eccoli.® 0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Mando un poco di semenze di zattc bianche havute da Padoa, ove pare siano le migliori. Non potei vedere quello cho scrivova a V. S. molto 111. 1 ™ et Eccoli.®* il Sig. r Cavallier Villes 11 '. Ritrovatomi con lui, mi paro che nel suo discorso toccasse più tosto modi di parlare differenti dalle speculationi di Y. S. che differenze di cose. I.«o ricercai intorno al problema da lei dimostrato, che due magnitu¬ dini uguali, scemando sempre ugualmente, una va a terminare in punto e l’al¬ tra in linea, onde s’interrisco il punto e la linea tra di loro uguali, elio, a mio parere, è una dello più meravigliose coso cho possa cader sotto le specu- io lattoni; e perchè egli mi disse, esser de tutto impossibile, lo replicai che V. 8. havova fatta la deniostratione : al elio egli disse ingenuamente, non 1’ bavere punto intesa. Nel moto delli due essagoni, cho quando l’interiore è il movente, i lati dell’esterioro si trasportano indietro tanto che s’uguaglino a quelli del minore, col quale problema V. S. passa poi all’applicatione di quello che av¬ venga nel moto di due circoli concentrici o del centro loro sopra i suoi piani, mi disse una distintione di moto e di lattone, e che questa è la causa che sem¬ pre che si movo una rota, intendendone dentro quella concentriche un’ infinità de minori, come sono, nondimeno con egual numero di revolutioni tanto viag- <>' Cfr. ti.» 3086. 17 — 19 MARZO 1635. 237 [ 3095 - 3096 ] 20 gio fa la più picciola quanto la più grande. Io non ho potuto mai capirò la sua differenza tra moto o latione. Mons. r Àpruino ha havuto ancli’osso ragio¬ namenti col sudctto S. r Cavallicr: forai no scrivo nella collegata (1) . Nel resto questo è un spirito molto gonfilo, e delle speculationi di V. S. parla non solo con lodo, ma liiperbole, e confessa ingenuamente cho so bene egli non credo che tutto sia come V. S. dice, nondimeno sono pensieri singolarissimi, i più bolli che babbi mai veduto, o mi usò la frase : Questo è oro collato di 24 ca- ratti. Il cho mi disse anco il Sig. r Apriiino collo stesso parole. Scrissi a V. S. nella passata l’ordine barbaro che è qui, et ho saputo es¬ sere anco in tutti gl’altri luochi, màio exccpto [z) . Questo però non mi darebbe so fastidio, se non vedessi che sopra tutte le cose non conviene crear a V. S. tra¬ vagli, essendo ove si trova ; chò se fosse qui con noi, potrebbo sbatter chi vo¬ lesse. È cosa da pensarci, e poi rissolvoro. Ho fatto scrivere d’aliena mano per dolore di stomaco. Ho lo sue di 10. Quanto a chi fa del bravo contro di Y. S. perchè non le può respondere, mi creda certo che sono parti che nel nascere morono; ma le sue creature, a di¬ spetto del tempo e della tirania, sarano imortali. Viva lieta, mi mandi il res- siduo, o poi rissolveromo. E le bacio le mani. Ven. a , 17 Marzo 1635. Di Y. S. Ecc." ,ik Ser. ro Dev. m0 40 S. re Galileo. F. F. 3096 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Areetri]. Lione, 19 marzo 1635. Bibl. Naz. Pir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaio A, car. 88. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio Oss. ,no La gita passata non feci risposta alla gratissima di V. S. de’ 9 spirato, con la quale mi raccomandava un’altra per il S. Elia Diodati, la quale subito man¬ dai al suo destinato viaggio. E li dico senza altra adulationo die io ero fuora di me quando seppi che il Sig. T Marco Mancini mio conparo havova smarrito quelle scritture cho li havevo consegnato per renderle a S. S. B in propia mano (3 ’, e nc restai con la maggioro mortificatione cho mai hahbia havuto ; e subito ne diedi conto al S. r Elia Diodati, dal quale ne aspetto risposta d’ogni bora. Ma, Dio lodato, ho inteso che detto Mancini T à ritrovato a Roma e mandato io a Girolamo mio fratello, il quale mi ha detto di ricevuta e di haverlo conse- ") Cfr. n.o 8091. i*' Cfr. u.° 3088. ib Cfr. li . 0 3072. 238 10 MARZO 1035. [3096-3097] gniato «'i S. 8.*; o mi pare che questa nuova mi habbia fìnto propio In vita, e venendomi questo certificato «In S. S.*, maggiormente lo farà, non havendo altra mira elio di potoria servire di quoro o con affetto. Quando si risolverà a stanpare lo sua opere, o che la voglia farlo in que¬ sto parto, rassicuro che si farà, a dispetto al’ invidia o alla rabbia do’ sua in¬ vidiosissimi inimici; o puole essere certa che io terrò a mia gloria di potoria servire in questo conio in qual si voglia altra cosa con il propio sangue. E fa¬ cendoli con questo reverenda, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, questo dì 19 di Marzo 1035. I)i V. S. molto 111.* Ser. I)ev."* o Par.*" Àff. no no S. r Galileo Galilei. Uub. l ° Galiloi. V. S. volti 11 ’. In questo punto vengbo di ricevere lettore del S. Diodi»ti, il quale era in grandissima preplesità di quello scritture, ma li ho dato adviso come si orano, gratin a Dio, ritrovate ; o non scenderà mutare nomi ni allo soprascritte ni nello lettere, già che lo Ietterò elio se li mandano non vengano a S. S.* ftdi- rittura che passando fra le mia mane u «li Girolamo mio fratello. Non ci sarà da temere altro, e questo ò stata pura disgrada, d’ bavero messo quel piegho inadvortentomento noi sacchetto «li Roma, chò per quello dipendeva da Marco Mancini corriere, mio oonpare, fidato lino al’anima, e di lui non credevo alcuna 30 furberia. Il tutto serva a S. S.* d’aviso. La lotterà elio mi ha mandato per M. r di Poresce *, domani la manderò, a Dio piacendo, a fido recapito, e quel buon Signore li porta grandissimo affetto. Quella che il S. Diodati m’ha raccomandata viene (pii alligata nel medesimo modo me P à mandata, senza altra soprascritta o con il nome tìnto. E «li nuovo li bacio lo mani, facendoli con affetto e di cuore reverenda «‘ li pregilo da N. S. ogni bene. Di Lione, li 19 di Marzo 1635. Di V. S. molto (sic) Il di là detto Sor. o P. u I)ev. mo Itub. 10 Galilei. 3007 *. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI EREINS11EIM in Nancy. [Strasburgo], Hi marzo IOSA. Bibl. Civica di Amburgo. Codice citato nulla informarono promessa al n « Ì1G13, car. 138». — Minuta autografa. .... Galilaoi iam absoluti exornplum proximo acci pi «a.... 9 Martii »*> 1635. ,l > Fin qui ò scritto sul reato, il resto sul tenjo. «*> c/r. n.» ausa. |3 ’ Di stilo giuliano. [3098] 24 marzo 1635. 239 3098. FULGENZIO MIO ANZIO a GALILEO fin Firenze]. Venezia, 24 marzo lGiló. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, cor. 1!18. — Autografe Io liu. 21-20 a partire dallo parole chi se V. 8. Molto lll. tro et Eocell.™» Sig. r , Sig. r Col. m0 Non voglio tralasciare di far scrivere questi duo versi a V. S. molto Ill. tr0 et. Eccoli. ma , acciò sia certa della continuatione del mio amore et osservanza verso di lei. Ho ritrovato un maestro che potrà ben servire in armarmi la calamita u> , ma non so bene informarlo io di quello che faccia bisogno, perchè, Lavandogli letto quello che V. S. me ne scrivo, et in particolare elio quanto più li poli sono vicini l’uno all’altro, tanto maggiore è la virtù, egli conclude che essendo la calamita im pezzo longo quant’ ò tutta la palma della mano, et liavendo li poli a i capi della longhezza, adonquo converrebbe scurtarla e dividerla segna¬ lo dola, perchè così li poli si trasportariano vicini l’uno all’altro. l)i questo non voglio far cosa alcuna so prima non ho il parere di V. S., la quale prego di novo favorirmi di tutte le instruttioni che stima necessarie. Veggo prepararsi qualche remedio, acciò l’Inquisitore qui, contra le leggi e contra gl’ordini, non disturbi le stampe, per l’interresse della mercantia, per¬ chè in vero se no prende troppo, et arbitrariamento nega la stampa ad opere che in conto alcuno non concernono religione. Io sto in gran perplessità, se venendo questo negotio sul taoliere, debba farci entrare il libro dello coso che gallegiano sopra aqua et il Dialogo novo. Ilaverei pensiero di superare la dif¬ ficoltà, ma temo che V. S. innocentissima, come anco in tutte lo altre cose sue, 20 no potesso costì ricever qualche disgrafia, e perciò la prego dirmene il suo senso: chè so V. S. incorresse in qualonque minima tribulatione perii mio ar¬ dore di vedere che il mondo goda lo sue gioie (chè tali sono le sue specula- tioni, non trovate, nè torsi trovabili, da altri), non viverci mai senza ramarico. Non ho sue lettere questo spazzo : prego il Signor che non vanghi da in- dispositione, o lo bacio le mani. Ven. ft , 24 Marzo 1635. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. wa rost. a Ho la lettera di 17. Dev. mo Ser. r0 so Ecc. mo Galileo. F. Fulgelitio. X.ctt. 3098. 24-25. da indùpotionc — » Cfr. u.° aoiio. 240 25 - 30 MARZO 1636. [8099-3101] 3099*. MATTIA BERNEGGER a GUGLIELMO SCIIICKIIARDT in Tubila. Ititriusburgo], 26 marco 1686. Blbl. Civica di Amburgo. Codica citato nella infortaaxiono preme».» al n.® «Già, car. I8»t. — Minuta autografa. W. Schickardo, Tubingam. Galilaica cetera Ilio babà», uisi quod praefatiuucula ni e a adirne deeat, qnam confi- cere insuper Imbuì, tum quia Francofurtanua niercatua hoc vere nullus habitum ivi dici- tur, tum praecipue quia valde desidero iudicium tnum de hoc acripto ante oognoscere. Davidea ilio Lotaeua, cuiua in praefatiuucula appendicum extat montio, noater Dioda- tus est* 1 *. 16 Marta» 1G35. 3100**. FRANCESCO PARROT a PIETRO GASSENTII in Bignè. Alx, 20 marzo 1835. Blbl. Nazionale in Parigi. Fonde franai», u.® 12772, Leltraa do l’olrenc a OMiendi, car. 112 — Autografa. Monsieur, Co billet ne sera que pour arcompagner la coppie de lettre de M. r Galilei 1 * , qne Monsieur m’a conunandó do l'aire s’en alluni au Palai».... 3101**. GIROLAMO BARDI a GALILEO [in Àrcetri]. Pisa, 3U marzo 1635. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car. 113. — Autografi il poacritto « la *ottoscri*iono Molt’Ill." Sig. r e P.ron Col.* 0 Non ho voluto lasciar passare l’occasione, che da una minima baga[ttel]la mi vion concessa, di ricordarmi a V. S. desioso de’ suoi coni andamenti e di esser nel numero de’ suoi più devoti servitori annoverato. La compo8Ìtion[e] confesso <‘1 Cfr. n « 8002. <*> Di stilo giuliano. «»' Cfr. n.® 8082. '*' Niccolo Kabui di Dkikk&o. 30 — 31 MARZO 1635. 241 [3101-3102] che non ò degna di comparire a V. S. ; ma mi fa ardito d’approntargliela il riconoscere in V. S. un innato fonte di cortesia, con la quale le cose picole col suo magnanimo cuore per grandi riconosce. Aggradisca donque l’affetto, bra¬ moso che mi dii occasione di poter in effetto a tant’amoroYole/.za corrispon¬ dere. E qui facendole burnii riverenza, di cuore me le dedico. io Pisa, li 30 di Marzo 1635. I)i V. S. molto 111.” Se potessi essere por mezzo suo di uno pezzo di calamita favorito, mi sarebbe gratin singola¬ rissima. S. r Galileo. Dev. mo Sor. 6 Girol. 0 Bardi. . 3102*. FULGENZIO MICANZ10 a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 31 marzo 1635. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B> LXXX, n.<* 117. — Autografa. Molt’Ill/® et Ecc. rao Sig. r , Sig. r Col.'" 0 Non ho lettere di V. S. molto Ill. ra et Ecc. ma questo spazzo : non resto poro di baciarle le mani e pregarle felicissime le prossime solennità. Non ho scritto a Brescia per l’essattione della rata della pensione (il per non parer troppo subitoso, ma non induggiarò molto a farlo. Aspetto il supplemento dei Dialogo, e mi vo persuadendo che le lettere del S. r Aproino <2) e de Villes le farano uscir dal suo tesoro qualche cosa di protioso, ben che da ragiona- monti con questo mi parve contener più tosto formo di dire che cose. È però ingenuo, e nou si satia di commendare l’autore delle specolationi singolarissime, io ancorché non vi assenta in tutte. Le bacio con ogni affetto le mani. Vcn. ft , 31 Marzo 1635. Di V. B. molto 111. 1-0 et Ecc. ma Dcv. mo Ser. r S. r Galileo. F. Fulgori ti o. <•' Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXUl, o). < 3 > Ufi-. n.« 3i)86. <*> Cfr. u.« 3086. xvr. SI 242 MARZO 1(535. [3108J . 3103 . GALILEO [ail ANTONIO DE VILLE in Venta»]. [Arcctri, marzo 1036]. Dal Tomo li, par. 714-7ifl, dell’odUlonw citata Dall' infonnazronu prvmewa al d.« IMI. Molt’ IH. Sig. e Pad. Colend. In risposta dolio obbiezioni di V.S. " dirò brevemente quello elio mi occorre. E quanto alla prima, ella dice parergli che noi principio del mio discorso io voglio affermare che le macchine che riescono in piccolo, riusciranno anche in granile, purché si osservi nelle molti plica e ioni la pro¬ pormene che si dee, nello strumento e nelle sue parti, e che l’affezione che si trova sempre nella materia non è argomento buono per provare il con¬ trario, essendo che essa affezione é eterna e sempre V (stessa, della quale si può dar regola quanto si dà delle figure astratte. Sin qui son parole io di V. S. : in risposta dello quali conviene che io confessi di non aver saputo spiegare il mio concetto con quella evidenza che ò necessaria per ben dichiararsi, o massime quando si arrecano proposizioni remote dalle opinioni comuni. Dico per tanto che Pintenzion mia fu molto diversa, anzi del tutto contraria dal senso che V. S. ne ha cavato; avvengachò è falso che io abbia stimato che le macchino che riescano in piccolo debbano ancora riuscire in grande, tuttavolta elio si osser¬ verà le medesime proporzioni ec., anzi ho voluto dire che non pos¬ sono in vermi conto riuscire. Sogghigno V. S. appresso, che io ho detto che P imperfezione della materia non ò argomento buono per 20 provare il contrario, cioè per provare che in grande non possano riuscire quelle macchine che riescono in piccolo. Anzi per Popposito affermo che di questo non poter riuscire la cagione risiede nella materia, soggetta a mille imperfezioni, alterazioni, mutazioni e tutti quelli altri accidenti che V. S. va con ©squisita particolarità connu- merando, de’ quali io non ho mai preteso, nè, credo, dato sogno di MARZO 1635. 243 [3103] pretenderò, che se ne possa dare scienza; ma la cagione che io re- ferisco e ripongo nella materia, è diversissima da tutte queste, e non è soggetta a variazione alcuna, ma è eterna, immutabile, e però atta ao ad essere sotto necessarie dimostrazioni compresa, ma, per quanto io credo, non avvertita da altri. E per meglio dichiararmi seco, piglio il suo medesimo esempio di un ponte per passare un fosso, largo, v. gr., venti piedi, il quale si trovi esser riuscito potente a sostenere c dare il transito a peso di mille libbre, e non più: cercasi ora se per passare un fosso largo quattro volte tanto, un altro ponte, con¬ testo del medesimo legname, ma in tutti i suoi membri accresciuto in quadrupla proporzione, tanto in lunghezza quanto in larghezza ed altezza, sarà potente a reggere il peso di 4000 libbre. Dove io dico di no; e talmente dico di no, che potrebbe anco accadere che 40 e’ non potesse regger sè stesso, ma che il peso proprio lo fiaccasse: avendo io con necessaria dimostrazione meccanica provato, esser im¬ possibile che due figure solide fatte dell’ istessa materia, e che tra di loro sieno simili e disegnali, sieno simili nella robustezza, ma clic sempre a proporzione saranno le maggiori più deboli; di modo che, se averemo, v.gr., un’asta di legno di tal grossezza e lunghezza, che fìtta in un muro, parallela all’orizonte, resti senza fiaccarsi dal pro¬ prio peso, ma che una grossezza di capello che fusse più lunga si rompesse, dico tale asta, tra le infinite che si possono fare simili a lei del medesimo legno, esser unica che resti sul confine tra il so- 5o stenersi e il rompersi ; sicché nessuna delle maggiori di lei potranno reggersi, ma necessariamente si fiaccheranno; ma le minori regge¬ ranno sè stesse, e qualche altro peso di più : talché se vorremo pigliare un’asta, più lunga della detta e che sia potente a reg¬ gere sè stessa, bisogna alterare la proporzione, e farla più grossa di quel che ricercherebbe la similitudine delle figure. Ora, della cagione per la quale la resistenza al rompersi ne’ solidi simili non cresca se¬ condo le grandezze loro, io lo provo con necessaria dimostrazione; dimostro ancora, qual proporzione è quella che la robustezza osserva nell’accrescimento delle figure; e finalmente dimostro, nell’allungare eo la figura, quanto si debba alterare ed accrescere più la grossezza che la lunghezza, acciò la robustezza si augumenti ancora nelle figure maggiori a proporzione delle minori. Ma che io ricorra mai a dire che queste varietà dependa no dalle diversità di materie, non solo 214 MARZO 1635. [81031 differenti di specie, come legno, ferro, marmo, ma anco della me¬ desima specie, essendo tante diversità di saldezza tra una sorta di legno ed un’altra, ed anco nell’istesso legno, secondo che è tagliato dal tronco o dal ramo, di una stagione o di un’ altra, vicino alla radice o alla vetta; sarei veramente troppo debole a volere arrecar queste notissimo contingenze per ragione di effetti necessari e forse fìu ora non perfettamente penetrati dalli artisti scientifici. I)i queste 7o resistenze de’corpi solidi all’essere spezzati parlo io nel secondo Dia¬ logo, dimostrando molte conclusioni utili e dirò anco necessario da esser sapute dal meccanico teorico, delle quali sono per additarne alcuna: qual proporziono abbiano tra di loro le resistenze di due prismi o cilindri solidi, egualmente lunghi, all’essere spezzati; e final¬ mente qual sia quella de’diseguali in lunghezza e grossezza: Bieche conosciuta la resistenza di un picciol chiodo, o di una piccola cavi¬ glia di legno o di qualsivoglia altra materia, io potrò dimostrativa¬ mente sapere le resistenze di tutti i chiodi, di tutti i pali, di tutte lo catene di ferro, di tutto le travi, travicelli, antenne, alberi, ed in so somma di tutti i solidi di qualsivoglia materia, rimossi però gl’im¬ pedimenti accidentari, di nodo, tarli, oc. In oltre, essendo noto per l’esperienza che la medesima trave o catena di ferro ò mono atta a reggere un peso che gli sia attaccato nel mezzo che verso l’estre¬ mità, si cerca qual sia la proporzione che abbiano fra loro le resi¬ stenze di tutti i punti, più o meno lontani dal mezzo; o trovata qual sia tal proporzione, passo a dimostrare quanto si potrebbero andare assottigliando detti travamenti o catene, acciò fussero in tutte le loro parti egualmente resistenti, e dimostro qual figura doverebbero avere con alleggierimento notabile del lor proprio peso. O*servo appresso ao e dimostro, come, e per qual ragione e con che proporzione, canne, lance ed altri strumenti simili, essendo voti dentro, sono più ga¬ gliardi elio altri della medesima materia, lunghezza e peso, che bis¬ serò massicci e sodi. Altre notizie arreco, che servono a gustare dolio maraviglie delle fabbriche artitiziali e più di quelle della natura, la quale, intendendole tutte, tanto mirabilmente se ne serve nolle suo strutture, facendo, per esempio, Possa delli uccelli vote assai dentro, acciò sieno leggiere ed insieme gagliardissime, quali non sarebbero se, ritenendo il medesimo poso, bisserò massicce, perchè sarebbero sottili e grandemente più deboli. ioo [ 8104 ] 1° APRILE 1635. 215 3104. NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC a GALILEO fin ArcetriJ. Aix, 1° aprile 1635. Bibl. d’Ing-uimbert in Carpentraa. Colloction Poirosc, Addit., T. IV, 3, cnr.449.— Minuta autografa. Molto IH.” et Excellent.*" 0 Sig. r mio et P.rori Col."' 0 Io non Ito potuto faro in sorvicio di V. S. Hl. ro alcun officio elio meriti una minima particella della gratitudine ch’ella no mostra nella sua cortesissima let¬ tera delli 22 Fobraio m ; et quando ne potrei far al centuplo, sì come professo desiderarlo ardentissimamente, non potrei sodisfare al debito mio et obligatione elio tengo alla somma virtù et amorevolezza di V. S. 111. 1 ' 0 ; dispiacendomi di non saperlene esprimere condegnamonto li sentimenti, interni, por la poca prattica di cotesta lengua volgare e per la debolezza dell’ingegno. Ma poi che veggo ch’ella s’appagga del cuore, m’assicuro ch’ella rimanerli sempre sodisfatta della mia io fedelo corrispondenza et del mio devoto ossequio, et ch’olla non sarà, per rivocar in dubbio eli’ io non mi muova a far sempre ogni tentativo a me possibile per finir l’impresa, la qual, se Doniendidio ci degna aiutare, dorerebbe riuscire un giorno conforme a i voti et all’ oppimene eli’ io n’ bavera presa quando riddi la risposta dell’Em. mo S. r Card. 0 Padrone in una lettera scritta tutta di suo pugno, et non di mano o del concetto d’un secretano, havendo provato più volte che quando S. Era." 1 non gustava qualche proposta si è sempre contenuta noi silentio, sena’alcuno schuse nè altri complimenti ; di maniera che quando virigli la sua risposta, se ben in poche parolle 121 , presi grand’animo et ardire di raddopiar l’officio nelli termini che V. S. 111.” barerà poi veduti* 3 ’, alli quali veramente 20 S. Em. za non m’ ha replicato, se ben m’ha fatto risposta, di suo pugno ancora, sotto elli 2 Marzo, a diversi articoli della medesima mia lettera dov’ era inserito il secondo officio por V. S. Ill. r0 : ma poi che son certo che n’ bavera fatto lettura per responder a gli articoli d’eli a, mi giova credere ciò ch’ella m’accenna, cho non sarà stato senza qualche puntura et rimorzo d’Immanità, et che il tempo et la patienza potranno far maggior operatione ch’ella non si persuade, massime concorrendovi gli officii potentissimi dell’Excellen. mo S. r Conte di Noailles; et secondo la riuscita dell’ambasciata dell* Em.® 0 S. r Card. 10 di Lione w forzi che vi si potrà un giorno far intervenire qualche suo officio ancora, sapendo eh’ en Cfr. n.° 8082. «*> Cfr. a.» 8050. < 3 > Cfr. n.° 8068. **> Alfonso Lodovico dd Plkssis df. Riohkliku. 246 1* APRILE 1635. [ 3104 ] quella Corte, quando una grazia è risoluta privatamente, hanno a caro che no sia fatto istanza da diverse persone, alle quali inaiarne ae ne faccia la concessione 30 puhlica: il ohe aspettando, non ho voluto por horu replicar altro in proposito della persona e negotio di V. S. Ill. r * P altri hieri, che passò qui V ordinario d’Avignone per Roma, poi che S. Era." non me no faceva più altra mentione. Ma per mantenere il negotio vivo, havendomi S. Era." scritto che* il P. Sylvestro di Pietra S. u gli liavova presentato un suo libro De symbolis h/roicis 111 , cho S. P. lk m’haveva fatto veder qui, passandovi questo Natalo con Mg. r Caraffa Nuntio di Colonia, presi occasion di ricordare a S. Km.", che se la pressa del- P altro maggiori et più degne occupatami non gli haveva permesso di leggere o scorrore detto libro, si degnasse vedere nel libro IV, al cap.‘ 0 V, ciò che dice l’authore d’un horologio hydraulico dell’ inventarne «lei P. Lino ' 8 ', del quale vederà 40 qui V. S. 111." il dissegno et la deaerittione, che ò cosa mirabile, se pur l’olTotto . può riuscire 14 ’; et perciò cho l’authore del libro non dice haver veduto la machina isteasa nè nomina alcuni che 1* habbuino veduta, ho pregiato S. Eni." di far chiamare dotto P. ro Sylvestro, et interrogarlo sopra la reai verità eli questa machina et d’intenderne ancora il parere di detto Mg. r Caraffa, che ne dovova esser consa¬ pevole non solamente per haverne veduto qualche cosa, ma forzi anco per havorae penetrato il secreto. Anzi scrissi io ancora, sotto coperta di S. Km.", non solo al dotto P. r ® Sylvestro, elio sta bora in Roma nel Collegio Romano, ma al dotto Mg. p Nuncio (il quale, passando qui incognito, volle venire a trattenersi duo boro nel mio studiolo col detto P." Sylvestro), per testificare all'uno et all’altro il 50 dispiacere che mi rimase, doppo la lor partenza, d’essermi scordato di parlargli di quella machina del P. Lino per intenderne da loro medesimi ciò che se no poteva credere, acciò di porgli in obligo non solamente di renderne conto a S. Em.* 3 , ma darmene qualche participatione et intervento in ciò che n’ haveranno da trattare con S. Em. n I)a ondo io spero di prendere a suo tempo occasiono di riparlare del negocio di V. S. 111." con maggior vehomenza et forzi efficacia di prima, già che se la riuscita di quasta machina è vera (9l come mi scrive il S. r Pietro Paulo Rubonio 15 d’Anverza con una sua lettera deli 16 Marzo, che ricevei Iiier sera, essergli stata testificata dal detto P." Sylvestro ot da altri, che affermano esser tale come si rappresenta, havendogli aggionto detto P. M Sylvestro 60 elio 1’havea veduta a bell’aggio, et che Mg. r Caraffa la fece portare a casa sua per essaminarla con commodità, et eh’ havondola osservata qualche giorno la trovò essati issi ma'), par che sia una pniova et testifìeatione caduta Hai Cielo in •U Ut iy"Wii hrroici» libri IX. Auctore SltYR- btko Prr rara nota Romauo 0 Soc. Ioau. Antrcrpiae, ox o/UcinH l'Iantiniann Balthiuaris Morati,M.DC.XXXIV. **> I'ikri.uioi Caraffa. <*> Tommaso Lixub (iosuita, al secolo Fraxcis Hall. Cfr GaliU* M la BA.jitfut, ece. par Akoroks Moxohami**. Saint Trond. «1 Moreau -Schouborechts, 1SW. pa* 187-141. ‘•l Piar ru Paomi Kuaaaa. 1° APRILE 1635. 24-7 [31041 mano d’un Padre Giesuita, più tosto elio d’ un’altra professione, per non lasciar alcun luogo di suspicione contra il testimonio di quel Padre inventore et di quell’altro che l’ha publicata, por convincere il torto di quelli trovavano tanta repugnanza nella dottrina Copernicana et in ciò che Y. S. n’ havova proposto per scherzo problematico. Anzi mi promette detto S. r Ruhenio, grand’ ammiratoro del genio di V. S. 111.™, di far un viaggio a posta in Liege per andare a visitar 70 il P.™ Lino et la sua machina, il che non sarà senza darmene relationo ; et io ce lo spingerò quanto più mi sarà possibile: ot cercarò qualche prattica ot corri¬ spondenza con detto P. ro Lino per mezzo delli detti Sig. ri Caraffa et P. ro Sylvestro o altri, poi che V hanno conosciuto : più tosto procurrcrò di farlo chiamare in Roma et trattar elio prendi la sua strada por questi paesi, per goderlo al suo pas¬ saggio ot cavarne quel maggior costrutto elio si potrà darne vivac vocis oracolo, s’egli non porta seco 1’ horologio hydraulico, in maniera che possiamo haver la vista qui nelle sue mani: il tutto per haver sempre nuovi argomenti di ramme¬ morare V. S. Ill. r0 a quo’ che la possono aiuttare meglio di me. Nò tacerò mai che non mi sia imposto silencio, non pretendendo interessi alcuni in Roma nò altrove, so per essere io pienamente contento della mia sorte, et per non considerare quo’ che sonno sopra di ino che por haver compassione dell’ amaritudini clic patiscono, maggiori di me al centuplo, nò quelli clic sonno sotto di ine cho per rendere grazie alla Di."' 1 M. tt dello stato dove mi ritruovo, che tanti altri più degni di me stimarebbono un paradiso terrestre, il qual mi par dover godere pacifica¬ mente, senza uscirne per andar corcar la malhora udii maggior impieghi : et questo mi dà la libertà di parlare, dove gli altri restano muti, cornine ella dico, senza timore di perderò la fortuna et l’accesso di quelli alli quali io son pronto a continuare la servitù lecita, mentre non rilaveranno discara, ot non più; havondo imparato questa buona prattica dalla b. m. del S. r Gio. Vincenzo Lineilo, oo già 35 anni sonno, mentre V. S. 111.™ stava ella ancora nello Studio di Padoa. Di maniera che non mi ò parso stranno ciò cho ini scrivo V. S. 111. 1 ' 0 , ch’olla s’afllige meno delli suoi disaggii di quel eli’ altri può crederò, poi cho gli ri¬ mangono tanti conforti et tante degne occasioni di essercilare la vera philosophia, la quale è troppo facile et troppo indegna di grande raccommandazione mentre si sta in prosperità, et al contrario si rende più splendida et rilucente al cen¬ tuplo noll’adversità che gli porgi la fragilità humana; sì corno li più generosi del inondo passarebbono una vita ignava et indegna di memoria, se gli man¬ cassero nemici et occasioni do guerra o di vittoria da essercitar il lor valore, la sola adversità proncipalmonto havendo fatto celeberrimo il buon Giobbo et tanti loo S> Padri ot philosophi delli maggiori dell’ antiquità, la cui constanza et magna¬ nimità gli ha fatti degni d’ammiratione alli posteri, come sarà anche V. S. 111.™, nonostante qual si voglia morzura dell’invidia. Et quel voto solo che con tanta gentilezza et gravissima prudenza V. S. 111. 1 * 3 si degna fare, cho truovino pur 248 1° - 2 APRII* 1686. [ 3104 - 8106 ] nuove madrine li suoi nemici, di’olla gliene renderà grazie «e le hanno da fruttare lo dolcezze ch’ella sente negli officii de compassione ch’ella ricevo da gli amici et servitori, non merita meno appresso la posterità, a mio giudici») ben che de¬ bole, elio gli apothegmi più celebri di tutti gli uavii della Grecia antiqua. Et la confidenza con la (piale ella degna discredersi meco, mi rapisce il cuore del tutto: di che rendendole quelle maggior grazie che posso, le fo humilissima riverenza, et preggo dal Signore la continuata felicità interna et l’acquisto del- no T esterna, quando piacerà alla D. Ma.** Di Aix, alli 1° Aprile 1686. Di V. S. molto 111."* Dovotiss ® ot ()l>lig. m0 Sor/ 8 Di Peiroso. 3105 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in ÀrcetriJ. Lione, 2 aprile Blbl. Naa. Fir. Un, Gal., P. VI, T. XII. <*»r. HO. Autofrnfa Molto 111.” Sig/ mio o P.no Oss.* 8 Ancora elio già la gita passata (W sapevo la ricuperationo di quel piegho mandatoli per Marco Mancini, non di mono, essendomi certificato da V. S., vera- monte mi ha dato la vita, chè no ero in grandissimo travaglio. Adesso per questo corriere Francesco Tulini mando altro piegho, statomi caldamente raccomandato dal S. r Diodati; e, conforme suo ordino, Tò aperto o cavatone una letterina, che viene qui alligata, rifatto il piegho ot adirittolo con semplice coperta al S. r Itidolfo Miniati, il quale ha ordine, o lui o mio fratello, di rendeglino nel’ istessa maniera. Questo ho fatto per maggiore sicurezza ; e ben che si venissi a perdere, V. S. non ci sarà ni visto ni nominato : il che però io non credo, andando con lo lettere di S. A. S. o con ogni sicurezza; ma l’ò fatto per ogni cautela. Il corriere al suo ritorno di Roma li verrà a baciare le mane, e per il porlo rosta satisfatto : e fu suo errore haverlo messo nel piogho di Roma. Il S. r Carca vi (tl ò fuora della città, c deve ritornare hoggi o domani; e li darò la lettera scrittoli, in propria mano. Quella del S. r Diodati l’ò letta attontiva- mente, e ancora fattone estarre oopia, quale voglio mandare al S. r de Pe¬ lo Cfr. «.« 301)6. 1*' Firmo i»m Carcayy. 2 APRILE 1635. 249 [ 8105 ] resce con quella elio S. S. B li scrivo, che seguirà, a Dio piacendo, domani ; et esso buon Signore la riverisce e honora cordialmente. L’Emint. Sig. r nostro Cardi- 20 naie Archiviscovo (,) , nel suo passare, loggiò in casa questo Signore: così a Bu- giansì in una sua villa v’è stato 5 o 6 giorni, fino a tanto le galere lussino pronte. Tenglio per sicuro che lui li havorà trattato e pregatolo che a Roma vadia procurando la sua liheratione ( * ) , o sono sicuro che non lascerà alcuno mezzo quando conoscerà di poterla servire, sapendo quello mi ha detto a me di S. S. B e della stima che fa della sua persona. Y. S. non si deve mettere in alcuno pensiero del’ordini elio hanno dato che le sua opero non si stanpino, ni vecchio ni nuove, per Italia. Qua, a mio giu¬ dico, mi pare che lo stampe sieno alquanto migliore, cosi a Parigi ò altrove; sì che a tutti noi ci dà il quore di farne stampare tanta quantità che no vadia so fino nelli antipodi: et saranno sempre lo attestatane elio occorrano; o se li sua nemici non hanno altra inventiono che questa, potranno andare crepando di rabbia ogni volta che li piacerà; chè tutti di qua saremo prontissimi a servirlo, c M. r de Pcresce harà poco più di poterò che li sua nemici in questo e altro. Con questo la pregilo conservarmi in gratta sua: et ecco quanto mi accado in risposta della sua do’ 15 et 17 passato, doppo haverli dato lo Santissime Feste di Pasqua con gioia e contento con un millione appresso. Di Lione, questo dì 2 d’Ap. lfl 1635. Di V. S. molto III. 0 Il S. r de Poresze scrive al S. T do Rossi (3> , 40 come deve fare al S. Diodati, che sarà bene a ritardare a dare fu ora quel suo Dialogo messo in latino <4) , stante che lui ò grandemente allo strette per farlo liberare, e crede le deva riuscire, e teme elio questo non li possa nuocere. Ha ricevuto la sua prima lettera (6) ; se ne loda fino al cielo, o li dorerà, per quanto scrivo, farli con prima risposta. Dev. u, ° e Àff. m0 Sor.™ e Par. 10 S. r Galileo Galilei. Rub. t0 Galilei. r.o II S. r Carcavi è andato a Toloza, e li faccio mandare la lettera in esso luogo. (M Ai.kokso Lodovico nu Pi.Esaia dk lliOHKUKU. <*> Intende, la traduzioni) dol ììkuxkoukh. Ofr. n.“ 8104. ,8t Cfr. u.° 8082. <»> Cfr. n.o 2681, liu 19. XVI. 32 250 8 APRILE 1635. [3106] 3!0fi. PIETRO T)E OARCAVY a GALILEO in Firenze. Tolosa, 8 aprile 1886. Bibl. Nar. Plr. Mas. Gal.. P. VI. T. XII, «*«r H2 Autografa. In ralr# all» lettera *1 leirjro quatti» anno- taiioue, di mauo di Galileo: « la risposta 81 Umilili al b. billllBtio liUOIIgtl- glielmi, alla Piazza de’ Peruzzi •. Molto 111.* Sig. r mio, Pad. mio Colend." Osa.’ Inanzi la mia partita di Lione, sono molti giorni eli’ io pigliai l’ardire di scrivere a V. S. (1) per ringratiarla di nuovo de i favori eh' ho ricevuto de su cortesia; ma non so si la mia sventura sarà stata tanto grtinde elio lei si sia scordato del suo liumillimo servitore, il quale si non può essere in alcuna con- sideratione per ragiono di pochi sui meriti, però non debbo essere sprezzato, si almanco V. S. ha rispetto a l’affetto eh’ ho di servirla, cl quale mi rincresco assay non poter testilicare altrimenti* a V. S. che per una voce eh’è troppo de¬ bole per dichiararlo; ma spero che lei farà nasco re qualche occlusione, nella quale potrò assicurarla di quel che dico. io Intanto avoderò V. S. eh’ è capitato nelle mie mani un libro del Vieta, stam¬ pato solamente doppo tre anni, intitolato Ad logistici m spcciosam notaepriorcs [ *, ol quale mandarò a V. S. subito che da lui mi sarà commaudato; pregandola che mi faci quel favore di mandarmi a la prima commodità una dello sue opero (non so si sia toscana overo latina) intitolata De insidentibvs humido {V , la quale ol Sig. r Buonguilielmi mi mandarà in Francia ; come ancora supplico V. S. quanto più vivamente so et posso d* impiegarmi per la stampa d'i sui altri libri, eh’ ò una scongiuratone da sibrzaro ogni spirito nobile e cortese, massi¬ mamente quello di V. S., eh’ è nel maggior grado di queste virtù. Ma perchè non intendo occuparla con parole di ceremonia dove convengono «flotti di ser- 20 »•> Cfr. n.» 3067. **' (jfr. Kbaxoisci Vietai», Font«naeon»l*. A<1 liuti'•iitmi àp*cio»am notai priore*. P.tri.sils, apud bull- lalinam B&udry vi.. Amyjjdaliuà, prope Colleplum Orassinoruni, M.I'C.XXXI. È inserito con paginatura .1 parto nel volume intitolato : Fhancjsoi Vietar F outauaeeusU In arUui anulgtioaai itayoyt. Ei;. -acuì A4 Uyiciiiem ipri-tutam nota* priore*, nane primut» in ln«am niitac. Kecemuit, scholli»que il lo» tra vi t IfnAXXKa] 1 >|r| B(»aiiobaxd|. Parinli*. «pud Otiil- lolinum Baudry, rii AmyKdnlinè, prope Collegiuiu, M.UC.XXXI. '•» Cfr. Voi. IV, pa*. 58-68. 3 — 4 APRILE 1635. 251 [ 3106 - 3107 ] vitù, pongo fine, pregandole quegli honori e quella felicità, che, come dovute al valor di lei, a lei propria convengono. Tolosa, 3 Aprile 1635. Molto 111. 0 Sig. r mio, Pad." mio Oservand. 0 Humillimo e Eidcliss. 0 Servitore P. Do Caroayy. Fuori: Al molto 111." Sig. r mio Pad." mio Osorv. 0 Il Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 3107 **. DIO. BATTISTA MORIN a GALILEO in Firenze. Parigi, 4 aprile 1635. Bibl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. IV, T. V, car. 32. — Autografa. lampridem binas ad Tuam Excoll. transmisi litteras (Clarissime ac Cele¬ berrimo D. Galilaco) cum libro Sciontiae longitudinuin u a me in Incora nupor edito, circa quem Tuae Excell. iudicinm supplox efflagitabara, illudque avido adbuc expecto. Sed interim venit in hanc civitatem vir egregius, tibique ami- cissiinus, D. Deodatus, qui me tuo nomine salutavit, atquo interrogavit. circa Astrologiara Gallicani [a] me promissam (i , petiitque ut, si fieri possot, ego sal- tom summatim do ilio suscepto Tuam Excoll. inforraarem. I'erplacuit autem ex parte tanti viri salutatio atipie petitio, quibus eum erga me candorem atquc ingonuitatein animi testatus es, ut me Tibi in perpetuimi obstrinxcris et ad- ìo dictissimum cffeceris ; mibique non modico gratularer, si prò eximia doctrina ex Tuia libris a me batista conccptum aliquem edere possera, qui Tuo arriderct ingenio subtilissimo ac perspicacissimo. Caeterum qualis futura sit Astrologia Gallica, coniicoro poteris ex eius idaea, a me nupcr typis commissa animi tantum gratia et inter paucissimos ainicorum meorum dispersa, quam ad Tuam Excell. mitto in meao erga Te obsorvantiae perpetuae signum. Liber erit maior Commentario Cardani in Quatripartituin Ptolcmaei l3) , in quo rerum coolestium physica nobilissima, hactenus ignota, tum genuina astrologiae principia, indeque ipsa scientia, physico-matliematice demonstrata, continebuntur. Huius operis Cfr. n.» 301-1. Fu pubblicata noi 1661: Astrolotjia Gallica, principiis ot rntionibus propiiis stabilita atquo in XXVI libros distributa ecc. opera ot studio Ioannis BaptistakMokini oco. Hagae-Coraitis, ox typoKrapliia Adriani Vlacq, M.DC.LXI. Hikronymi Cardani Mcdiolaueusis, medici et philosophi prestantissimi, In Gl. Ptolemaci Pelu- sienti» UlI l)e astrorum iudiciii ani, ut vulyo vocant, Quadripartitac Construotionis libros Commentarla ecc. nuuc primuui in lucem edita, Basileae. — E in fino: Excudobat Basileae ilonrichus Fetri, mense Martio, anno MDLllli. 252 4 APRILE 1635. [3107] spatrio 20 annorum collegi matoriara univorsnm, et intoni quae invenienda erant; sola supereat forma introduocnda, cui rei me hoc anno accingala, nisi aliundo w impediinentum acciderit Non **«t tamen labor animi anni, sed, ni fallor, requirit adirne quietum ac pacificum triennium, ut opus produat sui» riunì cria absolu- tum. Mitto etiam Tuae Excell. menni Responaionem ad Apologiam laoobi Lan- sbergii' 1 ’, adveraum me editarn, prò tolliiris motu ; in qua ro:q»on8Ìone ìnultao etiam dantur rationoa astrologica© mihi peculiare». Quud vero spectat ad ipsum telluri» motum, valdo dolili do his quao Tuae Excell. acciderunt; atque utinam vidiaaes Solutionem meumante Dialogorura tuoruin editionem, quoa cura por «cium hiduum videro licuisset dum scriborem in Iacobum Eansbcrgium, tandem paucls ab bine diebus nobili» quidam mous amicuB diutiua mihi praebuit invwendoe. In hoc tuo libro multa sano doctissima so et subtilissima continentur, philosophien et mathematica, vidique in fine libri 3 illas solecta8 rationea tua» prò telluri» motu, iiiiniruni potila* a fbixu et refluxu oceani, a directione, statione ot regresso planeUrum, nec non a motu macula- rum soli». Prima autern ratio evertitur in mea Solutione: ex aecunda vero ot tertia non video magia probari terrae motura quam cius quiotem, cum terra quiescente oadein queant phaenomena dumonslrari, et >i non oodem forsan com¬ pendio. Tu ea pnidentia aniinique sagaci tate vale», ut nulli ua consilio hac in re indigena. Attanien Tuam non latet Kxcell., I). Augustini ingonuitatem utquo gonerositatem maxime commendari ex eiu» Uetractationum libro, quo a nomino alio vinci, sed ae ipsuni vincere, voluit, no de se ipso aliua triuniphum agerot, 40 sicquo ingeniorum saluti et suac faraao integri tati sagacissime consuluit. Circa meum de longitudiiiuni scienti a negotium, sciet Tua Kxcell. nullam adirne mihi factam fuisse remunerationem, sed virus doctissimoa et Tibi amicos I)D. Gauteriura [r , Priorcm Valetan, et Gaaaondum 1 , Theologum Dinienseni, Provincialea, timi D. Valesium 151 Scotum, aed in Delphinatu Regia Theaaura- riuin generalem, ac tandem I). Severinum Ixmgomontnnum, ad me humanisaimo scripsiaso, eosque omnes meam longitudinum scientiara approbaase, o contra vero ultimam moorum iu die uro sententinm coiidomnas8o : ex quibua litteris cum ultimae illius aententiae pateat iniquità*, iam moa remunerationia apes ronova- tur. Scripsoram etiam ad DD. Schickardum 6 et llortenaium ", sed eorum re- 50 sponsionea nondum accepi ; siquo aliqua mihi fiat remuneratio, brevi in lucexn edam soquentia a me quoque inventa : I.Ott. 3107. 51. nunrfum — loxjf. Haptibtak Morini Doctori» Medici «t pRrisiis Kegii Matlioinatnin l'rofwMorl». Keejtoneio pn> telluri• quieto ad Incolti Lanibcrijii Dootori» Medici Apologiam prò telluri» moiu. Ad Kininetitisaiinum Crt- dinnlem Richelium, Ducein ot Fmnciae parerli. IV risiis, suiuptibiu auctori*, M.UC.XXX1Y. Cfr iu* S8S4, Un 18. *•> UifaBpr* Uaoltirr. Oi Pietro Uamrxui. Uiaoouo bi Va i.o ih. liimi.IEI.Mn SCHICk HARDT. Martiri» ORTHHSIi». 4 APRILE 1635. 256 [ 3107 ] T. Paralaxium doctrinam completain accuratissimam, et praxi accommo- datissimara, qua ipsius lunae tabula paralaxium exactissima construotur ; 2. Peculiarem niodum invoniendae paralaxeos solis, simulquo vorae obli- quitatis eclipticae, por solam visi solis observationem : quo sane artificio tutius sine eclipsibus quam cum eclipsibus extruentur tabulae motuum solis et lunae; 3. Verissimam mctliodum aequandi temporis, a Tyclione, Longomcntano et Kopplero tantopere quaesitam, nulli autem ante me cognitam ; ‘■'0 4. Gcnuinam et accuratam rationem invoniendi vera loca fixarum, citra probrosum illum in natura circulum, quo ipsa fixarum loca per lumini aut alios planetas, nioxque eorumdem planotarum loca por easdem fixas, corriguntur ; qitod corto arcanum est totius astronomiae maximum. In quibus 4 inventis et longitudinum scicntia, a me tradita, univorsao astronoiniao absolutissima consistit pcrfectio : ego enim praeter baco nibil am- plius video necessarium ad ipsius astronoiniao perfectionem, siquo Tibi quid aliud necessarium vidoatur, pergratum ni ibi feceris si de oo ino monucris, ut eius incumbam inventioni. Brevi autem in Incera oditurus suni appendicem ad librimi scientiae longitudinum, in qua, reipublicae astronomicae exbilarandi 70 gratin, continebuntur quartum ex supra positis inventis, cum nova et facile me- tliodo invemendi linoam meridianam accuratissimam, a multis desideratam, quae ipsis etiam motuum tabulis restituendis tutissime deserviat: est enim li¬ nea meridiana primurn astronomiae fundamentum. Interim vero Doum optimum maximum deprocor ut. Timo Excell. sanitatem mentis et corporis in longos annos conservot, To vero ut me Tua digueris benevolontia atque responsione circa doctrinam longitudinum. Et ego perpetuo futurus sum Parisiis, die 4 Aprilis 1635. Tuae Excell. Fuori : Ad Clarissimum et Ccleberrimum Dominiimim D. Galilaeum Galilaei, Magni Hetruriae Duci Pliilosophum atque Ma- thematicum primarium. G5. concititi — Florentiam. 254 4—7 APRILE 1635. [3108-3109] 3108*. (JIO. MICHELE LINGF.l KHEIM a MATTIA BERNEGGEH in Strasburgo. Krankenthal, 4 njiril© 1636. D»llA pii*. 01 deU'opora Muta nell'Informailon* premiata al n* 2«46. .... l^uas ad me dediati 26 Ian. per inaignem Tirum Camernritim f, \ p»ik Wnrmatiac dedit inibì initteudaa, quum dnbitaret quando bue ventura» esstil ; sed zntrquam mihi redderen- tur timo, ipse me oonvenit, et gr itiiwimo mmtio tuae proaperitati» et in me affectus beavit. Paulo pout redditae sunt mihi tuae, sed in faace de GalilaeauiB nil inrrat qaarn ultima pars operi» cum Epistola Fosrarini * et operi» indici*, una cuoi froutinpioio et inmgino ultori». Quid de reliquo factam sit, non pornwm conicctura adequi, nini forte famulus Cauievarii non integrimi fascem mihi deferendnm tradidit, neque fascia obsignatus erat Maxima cimi Yoluptate legi Foscarini Fpintolam, magno iudicio scriptum. Vincet veritas. De dedicatione operia sequere tuum oonsilium : ego quid suadeam non habeo, ignarus an l'erre possit publicum affatum qui revocare et condi-mnare cnactus t'uit opus immor- io talitate diguissimum. Tu corte optime muroris de literis, qui tot labore* oxantlaris, non sino invidia hoatinm veritatis. Francotlim., 26 Marte* 1 1635. 3 ! 09*. FULGENZIO MICÀNZIO a [GALILEO in Fi ronzai. Venezia, 7 aprile 1686. BI1>1. Rst. In Modena. Hnccolta Cainpori. Autografi, B.‘ I.XXX, ».• 118. — Autografa la auttoacriziono. Molto 111.” ot Eccell.** Sig. r , Sig. r Col.* 0 Non Yoglio lasciare le lettere d’i 30 passato di V. S. molto 111.” et Eccell."'* senza due versi in risposta, benché questo giorno sia pieno d’occupatione. Intendo con gusto particolarissimo quanto mi accenna, che presto havererao i suoi Discorsi a stampa : congetturo che quelli che gli hanno veduti non pos¬ sine tolerare che gl huomini da bene restino privi di cosa cotanto rara et ec¬ cellente. La prego instantemente, già che del primo Dialogo manca cosi poco, formi degno dui compimento; et al ritorno di Mons, r Apruino, che sarà presto, le l'arò, per gratin di V. S., il dono della copia Quollo che lo ho scritto del S.' Cavallier Villes non é cerimonia, perchè io egli è persona virtuosa ot ingenua: ma non è egli solo cho parlino di V. S. “> Cfr. n.® 807i>. !*• Cfr. n.® 8078. 1,1 IH stilo giuliano. **’ Cfr n.* 8001. 7 — U APRILE 1635. 255 [3109-31111 col meritato li onore e con la detestatione di chi si persuado poter tener inca¬ tenata la lingua degl’ huomini elio conoscono la loro malignità. Mandai li giorni passati la mia calamita all* T11. mo Sig. Alfonso Antonino, che ò uno dei più affettionati Cavaglieli alla virtù o porsona di V. S. che viva, Inibendomela ricercata por corti suoi studii: la rihaverò presto, o rissolvo man¬ darla sotto la disciplina di V. S. molto 111. 10 et Ecc. um Alla quale prego felicità, c le bacio le mani. Ven. a , 7 Aprile 1635. Di V. S. molto 111.” et Eccoli. nm Devotiss. 0 Rer. T F. Fulgentio. 3110 *. ELIA DIODATI a GALILEO [in Areetri]. [Parigi], 10 aprile 1085. Bibl. Nftz. Pir. Mas. Gal., P. V, T. VI, cnr. 81r. — Copia di mano di Vutoenzio VrviAwr, elio pronotte questo parole: « In una lotterà do' 10 ApJ® 1685 dice al G. il 1). ». Di mano dolio stosso Vivimi questo capitolo ù copiato audio a car. 79r. dol medesimo codice. Questo medesimo P. Morsennio ha tradotto d’Italiano in Francese uri trat¬ tato delle Meccaniche (l) , elio fu portato qua d’Italia, scritto a mano, 10 o 18 anni fa come opera di V. S., e fattolo stampare con dolio illustrazioni fatteci sopra, il quale mando a V. S. etc. 3111 *. FULGENZIO MTCANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, U aprile 1035. Bibl. Est. In. Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXX, u.® 119. — Autografa. Molt’Ill.” et Ecc. ,no Sig. r , Sig. r Col.* 00 Non lio ancora ricapitata la lotterà al S. r Cav. r Villes (SI , per essere fuori. Si trattarà certo qualche cosa della licenza che si prende l’Inquisitore sopra le stampe, in opere che hanno tanto che fare colla religione come io nel do¬ minio del Perù : ma siamo lunghi. Quanto a V. S. Fcc. ma , si assicuri pure che la vogliono muta, senza difesa; ma si hi tacuerint, lapidea clamabunt. “i Lev Aliehanique » de Gaui.ék Matheuiaticien par L. P. M. M. A Paris, clioz Henri Gueuon, rlie et lugénieur du Due de Florence, aver, plusieur» addi- St. Jacques, près los Jacobius, à l'Imago Saint Ber- tiunv rare* et nouvellet, utile « itux arditiectev, ingenieur», Hard, M.DC.XXXIY. fontanieri,phiìotophe* et arti»an$, tradnitcs de l’italion ,S| Cfr. n.® 3108. 256 14 - 15 APRILE 1635. [1111-8021 Il Sig. Celesti (l ’, che è degl’affetionatù -imi di V. S., mi dice bavere un grosso volumazo del Scheiner (ìiemiita contro V.S.; ma che ai rissolve in due capi : in ingiurie, et in diro che lo cose sue siano inventioni d’altri. Oh questo mi può comandare ! devono essere le sue prove simili all' inventarne aristotelica del ca- io nochiale nel pozzo lf . Quel mio amico di Arsenale c’ha fatta la sfera Copernicana, che adora V. S., mi disse hieri, bavero in testa di aggiungervi cho col moto della terra 30 volte, cho è l’annuo, Saturno si movarà una: e sì come nella fabricata ra- presenta tutto le cose esplicate da V. S. del Copernico, per le relationi tra il sole, terra e luna solamente, ma isquisitamente, con quelli accidenti cho ella tratta delle machie, così crede potere esprimere il resto de' moti degl’altri globi; ma per non far la machina troppo grande, vuole prendere li soli estremi, Sa¬ turno o Venere, e farli faro li moti precisamente come V. S. insegna: o fra l’altre cose, dice cho farà vedere li fenomeni do’ pianeti, retrogradationi etc. 20 L’ho animato ad operare. Il Sig. r Argoli' 4 è stato ricercato da Roma a scrivere contro V. S. : ha data una risposta degna di un virtuoso, d’un servitore di questo Principe et della stima cho si deve far di V. S. Mi si è anco aperto molto ingenuamente. Mi dico per cosa indubitata che in tutte le minere la generatione de' metalli si fa con spire, o vogliamo dire inclinationi, da ponente in oriente ; e perchè le dissi parermi far per il moto della terra, mi replicò: E che se no può dubbitare? et aggionso bavere più di 20 altre osservatami, et che no vuole scrivere. Ilor pensi V. S. so la tiranido dominarà mai gl’ingegni. Folle speranza! Dio la conservi, e lo bacio le mani. so Yen.*, 14 Aprile 1635. Di V’. S. molto 111." et Ecc. w * Dev.“° Ser. F. F. 8112 *. TOMMASO CAMPANELLA a NICCOLÒ FABRI DI PEI RESO in Ai*. Parigi, 15 aprile 1086. Blbl. Nazionale in Pori»!. Kond» franai», n.» 9Ó10, CorroipoDiUace de Palma, Direri, T. VI, car. 288. — Autografa .... V. Sig. IH.** ha fatto da quel che ò ool Gal. Gal.; et io scrissi al No vagli a < B, t mio Signore, et a qualche altro, che secondino le filoaofiohe ragioni 1 *' di V. 8. 111.®* E finita la stampa della traduttiono de’ l'ialoghif 11 , e verranno altri libri.... <*’ Fzamcmco di Ni.aii.lk*. »•* Cfr. nu.‘ 3026, 80BK. Intenda, di ipiolla dal UsKKSooza. m Cfr. n.o 3087. Crr. Voi. VII, pag. 13T. SlQlBMoXD.I AlKKHlllIKTTI. <*> Akdhka Auoou. [ 3113 ] 16 APRILE 1635. 257 3113 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcetri. Lione, 16 aprilo 1635. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. Xll, car. 144. — Autografa. Molto Ili. 0 Sig. r mio Oss. mo Con questo ordinario non lio lettere di V. S., che sarà la causa di maggioro brevità. La gita passata li mandai quelle scritture ricevute di Parigi dal S. r Diodati sotto coperta dol S. r Ridolfo Miniati : aspetterò con desiderio di sentire che li sieno capitate salve, come credo. Qui annesso viene un pieghetto del’111.“° e Ecc. m0 S. r Consiglici’ di Peresce, elio deve essere la risposta (1) della sua prima let¬ tera (8> scrittoli, che l’Laverò caro li pervengha: e questo buono Signore è sempre appresso d’andare procurando la sua liberatione, e lui l’honora o riverisce piò io che persona del mondo. Ilo ricevuto ancora altre lettere e scritture dal S. r Dio¬ dati (3) , quale tutte vengano qui annesse; e li piacerà con suo comodo dirmene un poco di ricevuta. Il sudotto S. r Diodati mi accenna mandare certe altre scritture, credo il resto do’ sua Dialoghi messi in latino, quali non mi sono ancora pervenuti, mandan¬ domeli per amico che viene a sue giornate ; c subito clic poryenghi.no in me, gli ne manderò: spero che, a Dio piacendo, seguirà il prossimo ordinario; e mi conterrò nella maniera già fatta, per obviaro a ogni sinistro riscontro che po¬ tessi succedere. Il S. r Diodati desidera grandemente servirli in tutto come faccio io; perciò, 20 havondo da stampare sua opere, le mandi qua, e non se ne dia alcuno pensiero, e si prosuponga che resterà servita con pontualità, a dispetto di quanti nemici la puole bavere. E facendoli con ogni dovuto alletto reverenda, li pregherò da N. S. il colino d’ogni vero bene. Di Lione, dì 16 di Ap.'° 1635. Di V. S. molto 111.® Ser. r * e Par. 4 ® AlT. mo e Dev. 1 " 0 liub. t0 Galilei. Fuori : Al molto 111.® mio Sig. re o P.ne Oss. ,uo D S. r Galileo Galilei. Firenze, so in Arcietri. <*> Cfr. u.® 8104. < 8 > Cfr. u.» 3110. <*' Cfr. n.» 8082. XVL 83 Iti APHIUS 1635. L8114-J 8114*. MATTIA RERNEOGER a E1JA DIODATI in Parigi. IMraaburgul, Ili aprile Itti.'». B1W. Civica di Amburgo. Codice ciuto u. lU infunuuiooa pr«»ci»* al n.• U61S, car. 142r.~ Minuta autocrata. Nobilissimo al Amplissimo virorum Dm Aeliu Deodato, I. C. u , Uutori meu aiugulari, Lutoliam, S. P. Vir amplissime. Recte luihi redditum rat qnirquid liartena* litterarnm n i me dedisti; quartini novis- aiinas, 6 Aprili* scriptaa, nudiustertius a Metenai label Uno ac boia» tiri, quibuB pe- 20 ni tua immersila anni, baud ainunt. (juaa oadera causa eat, quod praelationem Syateuiatis Copernicani non eo quo parabam apiritu pcrtexert» potai. lusserant Elzeviri! ut, quando- quidom Frauoofurti niercatus hoc vere niillos ageretur, exemplaria libri 800 Lutetiam mitterem ad Wilhelcnum Pele, marchimi libra tre rn la r«e St. Jaques; idqne cura Tacere paraasom, et rhedario, qui nuper in Oxenstirni ('ancellarii Succici eomitatu Lutetiam ivit, vas trunamisisaem, illeque proinininset se recte curati!nini, in ipso sui discesati* articulo renuuciavit, nescio quo caussatus, magno com dolore meo: meta* «nino eat ut, incresccn- tiboa danno latrociniia, non ita facile oociudonem aliam ti .in-miitteudi nanciscamur. Inquiram. tainen accuratissime. In Apologetico 1 correxi de quibus raonuisti. Confido iam reti dita amplissimo Iloto- 30 ni anno * patrono meo quae proxirae miai. Kutn verbi* meni, quando coniuioduui erit, of¬ ficiose, quacso, saluta, et mibi favere perge V. Y, Aprii. ltKiO. ** Gfr. u.° 3«'ótì. '*» UH» ASSI 11 .TOMAXft. [3X15] 17 APRILE 1635. 259 3115. NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC a GALILEO [in Arcetri]. Aix, 17 aprile 1086. Bibl. d’Ing-uimbert in Carpentras. Collection Peirosc, Addìi, T. IV, 8, cnr. 460.— Minuta autografa. Molt’Ill. re et Exc. 1 " 0 Sign. r mio et P.rone 0ol. ,n ° Dalla seconda, lettera (il di V. S. JLll. ra delli 16 Marzo, et da quelle che mi scrivono congiontamente gF Ill. ri SS. ri Diodati et Rossi, veggo con quanta gratitu¬ dine olla s’ò degnata ricognoscere quei debolissimi effetti della mia serviti! ch’io liaveva essercitata a mio modo, cioè con quella semplicità, et sincerità che ho pro¬ fessata sempre, et con quanta modestia ella vorrebbe scaricarsi d’ogni protesto d’invidia et di gelosia che si potesse fondare sopra la stima del suo valore et particolarmente delle nuove invontioni di cui la posterità le ha da essere debi¬ trice, le quali non si potranno mai dissimulare, qualunque artificio che vi pos- 10 sono adoperare suoi nemici ; sondo impossibile del tutto di mentovare, per essempio, le corni di Venere, li satelliti di Giove, l’appendici di Saturno e coso simili senza faro lionnorata commemorationo della somma virtù et venturosa sagaci tà di V. S. III. 1 '® in un sì bel trovato, sì come per quello montuosità et valli, anzi mari, della luna, alla cui contemplationo ella ha spento il mondo et sollevatolo in corto modo sino al cielo, so più non gli piace che si siano rapite dal ciolo cotesto nobilissime noticie. Nè credo che con tutti quegli ordini del Supremo Tribunale si possa impedire la subsistenza delle sue opere, così delle publicato come dello publicande; per le (piali, poi che così occorre adesso, la supplico di provedere a buon’bora elio non rimangiano costì tutte a discretione de’suoi 20 emuli, et di risolversi a mandarne qualche copia di qua da’ monti in man d’amici cho le possino conservare et publicare a suo tempo. Ben vorrei eh’ ella si con¬ tentasse di non premerò alcuna edition nova mentre si sta in qualche speranza ch’ella possa ottenere qualche solovatione dolio sue gravezze, per ogni buon ri¬ spetto, non potendo io per ancora perdere tal speranza, nonostanti le raggimii di stato delli suoi nomici o zelanti, mentre starò aspettando la riuscita dell’ul¬ tima proposta fatta all’ Em. mo C. Padrone [i) di quella machina del P. Lino (8 \ Alla quale, se non giovasse sola, son per aggiongore certe mie esperienze et osservationi non communi, in materia della formatione delle pietre et d’un certo moto naturale ch’hanno nell’instante della fonnation loro, non della sola 30 gravità et caduta d’alto a basso o, come si suol dire, al centro, ma d’una m Cfr. n.» 8094. (*' L«’ràncksco Bahbruimi. < 3 » Cfr. u.° 3104. 2fìO 17 APRILE 1686. [ 6116 ] corta vegetationo, che gli dà la figura differente eeoondo la diversità delle lor specie, come nelli frutti et fiori, et d' una certa virtù di tendere al più vicino corpo solido et d'attaccar visi fortissimarnente, non solamente quando gli ai truovu sottojx)sto, ma quando ancora gli sta sopra o da i lati : et quando la lontananza del solido ù tale che sia pesausta quella virtù vegetante della pietra prima cho possa arrivare sino al solido o che dal solido sia attratta sino alla sna super¬ ficie, ogni minima porcione di seme pe tri lì co forma un solido intiero separata¬ mente, che ritiene corte figure perfetto più o meno, multo mirabili; et poi dalla propria gravità (come se fosse morta la sua vegetatone o vita vegetante*) si lascia cadoro al fondo, llor, si come ogni minima goccia d'acqua è oappace di 4o rappresentar la rotumlità della figura del globo generale fieli’ aqua del mare, non so se lo formo et figure di quelle petruccio, uirimqur turbinate o mucronate, conio dico Plinio delli diamanti et cristalli, non potrebbeno havor qualche re- lationo o rappresentationo della figura del globo terrestre, et qualche disposi¬ none a lasciarsi muovere o rotare nell'aqua mobile, come sogliono far gli calcoli noi fiumi correnti et come vogliono cho fncia quel globo del centro della machina hydraulica del P. Lino; poi che un glol»o solido di qual si voglia materia, sospeso in aqua dove sia liquefatto qual si voglia sale o pietra oommune, ha corta virtù attrattiva, alla quale concorrono et s’attaccano li grani di salo o di pietra nel- P instanto della lor congelatone, pur cho non siano troppo distanti ot cho non 50 siano finiti di congelare prima che j»otor arrivarci, si cmno corrono et s’attac¬ cano alla circonferenza del vaso gli altri grani di salo che gli stanno più vicini: il elio si vede ogni dì nelli vasi dovo si metto a candirò il zuccaro candito ot dove si raffinano gli alumi et altri sali, et se ne veggono di simili in materia di crystalli, umothysti, smeraldi ot altre gemmo ; delle quali tutte, o della maggior parte, ho raccolto pez/.i curiosissimi con le lor proprio figuro et pulli- ture naturali, maravigliosi non meno che sonno quelli grani di nove stellati et fogliati ; non sendo difficile a render raggione della pulittura di dette gemmo ot siili, poi che risponde alla pulitura dell’acqua, dentro la (piale si formano in ligure poliaedrioho o di certo numero di facciatte piane, che toccano conse- CO quentomente una superficie piana dell’ acqua, la qualo non può ossere se non lucidissima. Nè puoi essere tanto difficile di trovar similmente un giorno qualche raggione della lor figura et qualche effetto di moto o rotatione apparento, Gomme quello di tal machina, poi cho già vi si vede il moto dell’attrattione del solido per certo spatio di tempo, et che communcmente si vede poi un moto di gravità cadente al centro in certo altro tempo et congiuntura. Nè sarebbe forz.i del tutto fuor di proposito di mettervi in considorationo un moto di rotatione delle pietre che si formano nella vessica umana. Un gentilhuomo mio parente, Consigliere del Re in questo nostro Parlamento, luivendo mille volte giurato che sentiva rivol¬ gerai dentro la vessica una pietra assai grossa ogni mese nell’ interlunio, quando 70 17 APRILE 1G35. [ 3115 ] 201 morì gli si trovò dentro una pietra di forma quasi d’una castagna, cioè tonda ma compressa, in maniera elio per rivolgersi bisognava che fosse più sensibile il moto o conversion menstrna che d’ una pietra di globo et rotondità, più per¬ fetta. Y. S. Ul. ro Laverà forzi veduto a quest’bora un compitissimo gontilhuomo, di profession medica, nominato La Ferriere (i) , elio m’ha detto baver visto nelle radici de’Pyrenei corti pozzi d’aqua salata, esposti all’inundationi delli torrenti vicini, donde non si poteva cavar l’aqua dolce inundata so non con seccliii; ma vi si gettavano ova, ch’andavano al fondo dell’acqua dolce, et rimanevano nella superficie della salza; in maniera elio quando s’era essausta l’aqua sino a tal 80 segno che l’ova stassero nella superficie, ora ben salza tutta l’acqua restante, da poterne cavare il sale ordinario ; et così quando era inondata l’acqua dolce, po¬ teva stare un ovo fra due acquo di constitutioni differenti. Vi si ha ad aggiungerò ancora un certo moto naturalo elio vogliono alcuni poter essere noli’aquo rin¬ chiuse in cercini di vetro rotondi dell’ inventione del Drebellio <21 di Hollanda, quali si muovono due volte nello spaccio di 24 bore, quasi cornino il flusso et reflusso del maro, havendone io fatto veder uno, elio faceva assai bel effetto, all’Em. 1 " 0 S. r Card.® Padrone quando passò qui Legato ; ma non vi trovai relationc ben regolata, nò proportionata al flusso et reflusso maritimo. Et si ben vi può contribuir non poco la qualità, dell’aria vicino, forzi che non meno potrebbe 90 cooperare l’aria vicino al moto interno della macbina del P. Lino; sì come non sarrebbe inconveniente elio concorressero diversi motivi alla regolarità di quel moto del globo per qualcho movimento dell’acqua che lo circonda, et por l’alte- rationo ancora della qualità dell’ aria ambiente attorno la machina quando non vi fosso moto regolato. Et quanto al flusso et reflusso del mare, ho raccolto molte osservatimi! rarissime, et specialmente di ciò che se ne vede nel Mare Mediterraneo, et cappaci di farvi fondare raggioni ohe forzi non le spiacorebbono, aspettandone ancora certo altro eh’ io ho commosse a persone curioso in diversi luoghi del mondo, che meriteranno forzi un giorno d’essere veduto. Ma per valersi d’ogni occasione di giovare a Y. S. 111.™, in caso eli’ ella ioo trovasso a proposito di dare li suoi sentimenti della macbina del P. Lino, li quali potrebbono esser ben visti in quosta congiuntura et non esser inutili alla sua solevatione, mi son arrischiato di soggerirle questi miei debolissimi concetti et congieturre, ben che indigesto et indegno di comparire avanti un par suo, sti¬ mando che saria bene che s’essaminasscro questo spcrionzo dall’acutissimo in¬ gegno di V. S. 111.™ per cavarne qualche pruova che potesso convincere il moto del sistema Copernicano, sì come credo essere non solo possibile, ma forzi più facile clic non si crede. Et mi risolverò di darne qualche ragguaglio all’ Em. ,no Card. 0 Padrone per servicio principalmente di V. S. Ill. r ®, giovandomi credere che sia per Ut Giacomo db la I'bbbiìkk. <*t Cornelio Ubkubbl. 262 17 APRILI! — 3 MAGGIO 1635. [3115-3117] far cedere un tantino quella rocca inespugnabile allo percmwe, et ch’ella non haverà dia caro eh’ io le habbia spieggato questi miei pensieri, ben che rozzi et inordinati; pregandola di echusare l'ardire et la confidenza, et di oommandarmi senza cerimonie. Con elio, per finir, le proggo dal Signore ogni contento pieno. Di Aix, nlli XVT1 Aprilo 1635. In fretta, di V. S. molto 111/ Sor/"’ Obligatias.* 0 et Dovotiss. 0 Di Peiresc. 3116*. NICCOLÒ PADRI DI PEIRESC a PIETRO GASSENDI [in Digne]. Aix, 19 aprile 1636 Blbl. Niudounle In Parifrl. Fonda fransals, n.* 18778, Uitrr< de Potrete 4 Ua**«ndt, ear 187 — Autografa. .... le luy rtJ baillay aussy par menni* raoyon ’ un» seconde lettre da 8/ Galileo a moy ', dont j'ay envoyò l’originai au S. r Deodati, et la copie que M/ de Rotai' 4 ’ m’a en- voyó d’une antro da mettine Galileo au ditS/ Deodati en me «ne trmps; ensemble la co¬ pie de la replique par nioy faicte au dit 8/Galileoatin que rout y voyiez mea badi- neries et dea reaveriea qui me uont vernice en lV»prit en lui escrivunt h bastona rompus, et quo je mo auia dispencó do lui comrauniqaer pour l’engager ù en donner aon advis et voir s'il y aurait uioyeu de l'employer & aa faveur et à sa doachnrge et soulagement dea rigueiira qn’il souftìre: bien marry quo le tout toit ai mal digeré ot si mal rangé; mais ce ueat que pour luy servir d’aiguillon à Taire ruieux.... 3117*. TOMMASO CAMPANELLA a NICCOLÒ FARRI DI TEIRESO in Aix. Parigi, 8 maggio 1686. Bibl. Nazionale in Pari»!, Fonda francai», n.» 9640, Corrwipondaaco da Psirose, Divora, T. VI, rar. 240.— Autografa. .... Ilo visto quel che \ . 8. filosoficamente scrive al venerando Galileo nostro: degno scritto di chi et a chi lo manda. Non ho cessato io di far quol che devo per l'amico; o scriverei anche a N. 8., a cui sempre scrivo e «la mi qui ricevo e favori e danari (ciò si taccia), ma sarò ripreso da S. B. di molto imprudente, come mi suol fare.... no Intendi, a flitJHsrra Gaci.tisk. Intendi, per meixo di Axroxio Awaìkat. «*’ Cfr. n.» 8094 «» Cfr. n • 8681. Itn. 19. «*’ Cfr. n.« 8116. [3118-3119] 4 — 5 MAGGIO 1635. 263 3118 *. MATTIA BERNEGGER a ELIA DIODATI in Parigi. [Strasburgo), 4 maggio 1635. Bibl. Civico, di Amburgo. Codice citato nella informazione promossa ol u. u 2013, cnr. 143r.— Minuta autografa. A elio Diodato, Lutetiani. Ileri t.uae milii aunt redditae: nero quidem, nani 12 Aprilis eas acripseras, sed Batte adhuc opportune. Cum enim intra paucos dies exemplaria 300, iussu Elzeviriorum, Pari- aios missurus essein, animus erat e reliquis aliqua per nostrates bibliopolus Elzeviriorum nomino di vendere, nonnulla etiavu auiicia donale; quorum neutrum liactenus factum, nec deinceps fiet, usque dui» iudioaveris niliil exinde poriculi metuendum autori, cuius saluti consulere, posthabitis omnibus, iustissimum est. Cum autem illa trecenta, quae dixi, ad vos venerint (quod brevi futurum confido), facile a Wilhelmo Pele, bibliopola in vico 10 S. laeobi, qui Elzeviriorum isthic negotia gerit, obtinebis no prius ea distrahat quam Ubi commodum videbitur. In praefatione, cuius exempla duo hic habes, ita fabulam adornavi, ut prope oredam, libri publieationem autori niliil obfutumm, etsi voi iam nunc fìeret. Non tameu omnia isthic fabulosa. Veruni enim est, Engelko (1 > Dantiscanmn et in Italia et milii convictorom fuisso, Leydani inde ridisse; Loydensem illuni Boxlioruium , a quo Apologeticum (5) allatuni fingo, ante plures annos cum in Italia tum in nieo convictu egisso. Debebam in ampliores autoris excelleutiasinii lamles excurrere; sed ncque chartae modus, ut videa, hoc permittebat, nec sane, ut. fatear ingenue, lubebat in bis publieis iuxta privatisquo calamitatibus, quae omnem spiritila alaentaleio, ai non 20 cxt.inguuut, certe minuuut. 24 April-W 1635. 8119 * FULGENZIO MIC ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 5 maggio 1635. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXX. n.° 121. — Autografa la sottoscrizione. Molto Ill. pe et Ecc. ,uo Sig. r , Sig. r Col.™ 0 Mi capita la gratissima lettera di V. S. molto 111.” et Eccell.™ (li 29 passato, c mi sono supremamente rallegrato (lolle consolationi che ella riceve dai 8er. u " suoi Patroni: e veramente ella inerita quel refrigerio spesse volte in ricompensa O) Brni am ino Kngklckk. I*' Marco Zukrio Boxiioun. Martino Ortknsio. (*> Rohkrto Rorrrthix. <»> Cfr. n.o 3114. (®l Di utile giuliuuo. 204 5 MAGGIO 1035. [3119-31201 e sollievo delle peraecutioni che imlignimùmawente vendono contro di lei con¬ tinuate, effetto della sola invidia della sua gloria, la (piale però è posta in grado elio non solo non può estinguersi, ma crescerà sempre maggiore. Godo del partito preso, et io lo reputo molto sicuro; e a dirle il mio senso, mi paro intorresso tanto grande che non periscano sudori cosi pretiosi, che anco con qualche risico si può tolerar che il mondo no goda. Ma tengo per ferino e veggo impegnarsi io in modo nella sua protottione chi potrà sollevarlo, die non mi so immaginar pericolo, con tutto che conosca l’iniquità e la perfidia di chi 1* ha travagliata. Lessi la risposta al Cavallior do Vili» 11 ’, et vidi quello che è, cioè che por- tarebbe la spesa che cadauno facesse delle oppositioni allo sue divine specula- tioni, perchè è sempre con qualche grande profitto di chi legge le risposte. An¬ cora non ho veduto nè so dove sia il detto ('avallicre, por recapitarli la lettera. Ma quanto le scrissi è verissimo, che egli è persona molto ingenua, o parla di lei come del Dio delle scienze matthematiche; et al modo d«*l parlare degl’altri ben in’accorgo che non finge, perchè le sue frasi sono che quanto vien dalla pona di V. S. tutto è oro finissimo *. 20 Quella sua poca pensione ,w , cioè la rata d’i 2u scudi maturata al Marzo passato, è riscossa ; ma l’alzainento delle monete qui la riduce a niente, perchè 20 scudi si pagano con 14 di quelli che al suo tempo orano sette lire l’uno. V. S. può disponente a suo piacere. Ella ha qui più amici cordiali e sinceri, che ramano teneriasimamente, che non crede, e che parlano delle sue peraecutioni assai liberamente; c spesso io vengo ricercato se ancora quei traditori et assassini travaglino il S. r Galileo e si credono di opprimer la verità. Si consoli, e mi riami, sioome io amo lei cor- dialissimamento e vorrei haver la felicita di servirla in qualche conto. E con tal fine le bacio le mani. 30 Voli.*, 5 Maggio 1035. Di V. S. molto IU." et Eccoli.** Devoties , 0 Ser. r I*\ Fulgentio. 3120 *. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI FREIN8REIM in Nancy. (Stragliurani, Zi maggio 1G.JÓ. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato nella infoi i»nua premetta al u * 2618, car 113/ —Minuta autografe. ....Vide primuni Galilaei quaternione!!». Opin ip*um noliilisGnio Dn. Maresooto patri ^ mittam per occa*ionem, quem audio a talihu* non alicnom. Commercia undique interrino! «» Cfr. n.® 8108. •*' Cfr. u." autfò. •» Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX111, e), OCOUIUlo MaRKbOOT. 5 — 12 MAGGIO 1635. [3120-31211 265 librimi distrahere non sinunt; ot alias quoque Deodatns neper momiit, exeniplaria adhuc aliquandiu premenda, no autoris, qui adhuc in vinculis eHt, liberatio, magni» a priuci- pibus tentata, inipediatur.... 25 Aprili 1 ) 1635. 3121*. MATTIA BERNEGGER a ELIA DIO DATI in Parigi. (Strasburgo |, 12 maggio 1030. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato nolln iuforuiaziouo iireuiossa al u.° 2G13, car. l i lr. — Minuta autografa. Aolio Diodato, l.utetiain, S. P. D. Yir nobilissime et amplissime, Qnod diu voti» ardentibus expetii, tandem vonit, in illud non urbis vestrne sed orbia tlieatrum Systema nostrum Galilaicum, quod quomodo et quo tempore diatrabendum sit ab eo qui isthic Elzeviriorum negotia curat, arbitrio tuo prudentiaequo committo. Nani accepi proximas tuas, quibus ostendisti premendola aliquandiu librimi, ne consiliis et co- natibus eorum, qui do illius magni viri salute et liberatione procurunda solliciti sunt, IO quoquo modo possit ollìeere. Nescio an tibi probaverim connnentum prnefationis meae. Si tamen l'abulam illam seu semirabulam potius (nani pleraque sunt vera), non ninnino damuas, i’ortasse ceusebis, publicatiouem nullo modo damnosam autori aut fraudi futuram. Saltem in Augliam aliquofc exempla sine noxa autoris uiittentur. Qua in re uteris, etsi nulluB monoam, consilio Campanellae, viri summi et incomparabilis, qui genios procerum Italiae unus omnium opt.ime cognitos habet. Eidem ut meae summae in ipsum observan- tiae sis intorpres, imo sponsor, obnixo rogo; quam obsorvantiam fortassis ipsemet audebo, eum per otium liceliit, epist.olio aliquo ipsi testatam reddere. Gratulor ipsi felicitotem hanc ogregiam, quod ea loca tandem efiugerit. in quibus adcmptuni per iuquisitiones loquendi nudiendique commercium, et in illud aureae libertatis asylum pervenerit, ubi quod reli- 20 quurn est aetatia in sinu complexuque maximorum virovum, sibi suavitcr et publico bono utiliter, exigere possit. Deus ipsi vel de meis minia anno» augeat. V. Scr. 2 Maii (8) 1635. Cupio do redditia litteris et libris qunmprimum certior fieri, itemque doreri, num consultum sit ut Yenetias exemplaria quaedam, Elzeviriorum nomine, bine mittantur : nani oecasionem nostrates mercatores satis expeditmn suppeditare possuut. Ol l)i stilo giuliano. l>i stile giuliano. i*> Cfr. n.* 8118. a XVI. 266 17 MAGGIO 1635. |3imm] 3122 **. ELIA DIODATI a GUGLIELMO SCIIICKHARDT in Tubinga. Parigi, 17 maggio 163&. K»l. Landesbihliothek In Stuttgart. Cod. hi»U M.» n« IthH, Lattar* di K. Di-lati, car. 18.— Autografa. _Utinatn desiderio tuo satisfecero in ine e«aol! protimi* telescopi Galileani compos fiero*. Quod no*ciò an ab untore, qui soius id parai, mine curii» et aerumni* oppresso, sperare liceat: tentata) tunien et oranem lapidcm inovobo, etiam oblato, ut praesoribis, praetio, innominato eo in cuiui» gratiaui peUuu; et orna quod ad petitioueui responderit, te oortiorom faciaui. \ale. Pariiìia, 17 Maii 1686. 3123 *. UGO GROZIO a GHERARDO GIOVANNI VOSSIO [in Amsterdam]. Parigi, 17 maggio IGifi. Dalla pa«r U8 doU'edùione citata nell’in formai lono del u.« 8957 .... tìnnt et quae studia in coinmnne nobis amata tangunt de qnibns agore temuti debraiti. Vir in omni matheroatam parte su min uh, in philoaophim caetora non intiiuns, Ga* lilaeus Gali 1 nei, Icsuitarum in ipsum odio, ac Principi* The «ci, *nb qno vixit, socordi meta, coactiiB Romana ire. ideo quod torram movisset, non velante vostro Ilortonsio. dure ha¬ bitus, ne (sic) inaia* vitaret malum. quasi ali Ecclesia edoctus, *ua scita rescidit; nequo eo vitavit infortunium, sed in Etrnriam remisnus est, ea lego ut et ibi rsaat in custodia, quanquam liberiore et quam evadere oi non esaet diiìirile si recepìum alibi vidoret. Sunt lioic amici eius, qui oogitationem de Amstelodamo subieccrunt, sperante- il i posse eum et tuto vivere et reperire qnantum nocesae est ad sencctuti* et *tndiorum solatia* 1 ’. Prae- claru onirn opera parata liabet de bis quae in aqua supernntnnt, aliaque ad varia* sa- 10 pientiae partes pertinentia. Rogo explurea quid vostri* proceribu* super bac re futurum sit sentcntiae. Dialoguni Galilaei, anno 1*532 Florentiae editum, «ri videri* nescio. Est scriptus italico sermone, ea rerum reco ndi tara m peritia. ut nullum nostri «acculi opus ei comparare audeam, antiquorum multis praeferam.... <•’ Cfr. Illustri* Amttflodstmcntivm Aihrnnri m«- lari*, sor. 1 onta itom LsKssmi in ntnunqn* oratlonem mnrabilia. Prodita deinceps oratione Iaconi Pmurrt annotatlon* Amatolodami, apud 1 . Multar at socia*), n'ORViu.s in contesiinuin Atlems»! natatoia, et Dà- MDCCCXXX1I, pag 89-40. vu>ia Iacobi van Lk.vskp in altera Attienici naecu- [3124-3125] 25 — 26 MAGGIO 1635. 267 8124*. MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FARRI 1)1 PE1RESC in Aix. (Parigi], 25 maggio 1035. Blbl. Nazionale in Parigi. Fomls frangia, n.° 9548, car. 10. — Autografa. .... Le R. P. Campanella me vinfc hyer voir, et ce mesme jour CramniRy* 1 ' m’a envoyé Ba Medecine* S) , impriinóe à Lion, que jo vais vistemont parcouiir. Il est hors de doute que cet excellent lionimo a un grand entendement et une heureuso imagination ; et si noiis avions encore lo S. r Galileo, j’uurois perdu l’cuvie d’aller en Italie, dont nous aurions Ics deux plus grand» hommes, h moli advis. J’ay esté soigneux de l'aire venir d’Italic tons ceux qui ont escrit contro lny, aftìn de le deifendre ez choses qu’il a bion avaneéea; mais j’ay trouvé qu’ilz no sont quasi pas dignes qu’on les nomino à l’ógard do ce grand hoinme, et ne me croyant pas moy mesmo, je les ay fait lire h mes amia, qui ont tronvé la mesme eliose: de sorte que je me contente d’agir noblement avec lny, cn parlunt do ses 10 experiences et dea mienues, cornine vous verrez, I)ieu aydant.... 8125*. FULGENZIO M1CANZI0 a GALILEO pn Firenze]. Venezia, 2G maggio IG35. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, LXXX. n.° 123. — Autografa. Molt’ HI." et Eco. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Col. mo Sono stato, nel fine della settimana passata, ad accompagnare il nostro Padre Generalo a Treviso, por il che non scrissi a Y. S. molto Ill. r0 et Ecc. ma Con il Sig. r Aproino habbiamo fatta la commemoratione di Y. S., colla memoria dello cose passate : credo che gli Laverà scritto. Ho cinque doppie, di ragiono di V. S., ratta di Marzo dol suo debitore di Brescia' 3 ', che per essersi riscossa manzi che le monete si bassassero, correvano lire 28 l’una. So che Y. S. non pensa a queste puerilità: disponga quello devo fare. io Mai ho potuto sapere ove sia il Cav. r Villes, e congetturo sia passato in Francia. La risposta fattale da V. S. (4) è prova di ingenuità, ina non senza in- struttione. (M Skbastiano Ckamoihy. Lugduni, ex officina loannis Pillehotte, M.DC.XXXV. < 2 ' TnoMAR Campankixak Stylen*., Ord. Praodic., |S ’ Cfr. n.° 8119 . Mcdiainalium iuxtapropria principia libri soptoiu, ouc. O) Cfr. u.° 3108. 268 26 MAGGIO 1635. [3125-8127] Ho dato rEguaglio al Sig. T Alfonso Antonini delli duo Dialoghi, che se n’ ò sopra modo rallegrato, o più della buona salute di V. S. o della sua franchezza d’animo, che argomenta dalla sublimità delle suo speculationi. La Uosa Ursirw 11 è qui su le librarie. Mi dicono che non se ne vende nis- suno ; o veramente un volumazzo si fatto spaventa, spetialmente me occupatis¬ simo e che non so d’ havere incontrato ancora in volumi grandi ove tra gran ]taglia babbi trovato se non pochissimo grano. Dio conservi V. S., e le bacio lo mani. 20 Ven.*, 26 Maggio 1635. Di V. S. molto 111." ot Eoe."* Dev.""’ Rer." S. r Galileo. F. Jb'ulgentio. 8126 *. NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC a PIETRO GÀ88ENW in Digoe. Àix, 26 maggio ISSA. i Blbl. N «.Rionale In Parlai. Fonda francai», n.• 12772, Letti-ai do Polr. c àUaaaondl.rar 1 »$. — Auk>KTftfa. .... ,1’ay receu, par ce dernier ordinai re d’iiier et par eeluy do Home et par lo pro¬ cedati! de Paris, lettrea il voua oommuniquer, Uut de Galilóe qua autres, ou voua prenci ro/. bieu du plaisir.... 127 *. NICCOLÒ FABUl 1)1 PEIRE8C a PIETRO OASSKNDl in Parigi. Aix, 20 maggio 1036 Bibl. N adontile in Parigi. Fond* fiancata, n. # 12772, L«ttre da Poi rese à CaM^ndi. rar 139. Antegraf». .... Au reste j’ay receu par Pordinaire une lettre dn bon lioinme Cfr. n.- 2681, liu. 1«. [3128] 28 MAGGIO 1635. 269 3128 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Aroetri. Lione, 28 maggio 1(135. Bibl. Nuz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 146. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r o P.ne Col."' 0 Giornalmente V. S. molto 111. 0 mi va caricando di una infinità di diligili por l’affetto e confidensia che dimostra verso un suo servitore, dal quale al meno, non possendosene scaricare con li fatti, seguirà con la voluntà, aspettando di potergline dimostrare con vivi effetti. Ho letto e riletto più volto la lotterà che S. S. a scrive al* Ill. m0 S. r Consigliere di Peresco. Veramente ò lettera dorata, non solo per la pulitezza dello stile, che per havere S. S. a toccato con mano la statagemme del P. Lino (l) , che non credo che ci sia altro so non quello che per ossa lettera la descrivo. Mandai io subito la lettera a sudetto Signore, e io per me spero che S. S. a no haverà la risposta; e per essa vedremo quel tanto no scriverà, c tongho no haverà liavuto consolatione. Al S. r Diodati ancora ho mandato la sua lettera. Tratterò seco in fare re- stanpare lo sua opere. Tongho haveriano spaccio, massime sondo tradotto in lingua fransose. No ho io alcuno, ma mi manca quello dolio macchie nel solo, che giudico il principale, e possendolo ricuperare mi saria gratissimo. Ilo liavuto carissimo liavessi ricevuto quelle scritture. Podio hore doppo della scrittura della sua de’ 12 stante haverà ricevuto le restante, poi elio del medesimo giorno tongho lettere di Girolamo mio fratello, che erano già in po¬ sso tero suo, pronto a mandarle ; o adesso con questo presonto corriere mando, sotto coperta di sudetto mio fratello, un libretto <2) stato stampato qui, che toccha in certi punti li amici di S. S. a Tengho li doverà gustare : al meno ne accetti il buono animo. Con mia particolare satisfasione ho visto come il Ser. m0 P. Mattias (3) por¬ tava una copia delle sua opere in Alemagnia, con pensiero di farlo là mettere in luce w> , chè questa è buonissima occasione ; e por quanto veggio e considero osso sua opere, non potevano manchare d’essere messe alla luce, già che da ogni banda erano desiderate. Solo goderò di vederne una copia, sondo seguito che sua arrabiati nemici non hanno altra premura che d’estinquere la memoria Lett. 3128. 27. sua operare — crr. n.o 3104 <*> Cfr n.° 3145, lin. 4. '*> Mattia or’ Mudici. <*> Cfr. li.® 8138. 270 28 MAGGIO - 2 GIUGNO 1635. 12128-3180] di V. S. Hanno tolto osso duro a rodere, e, ben ohe cani, tengho habbino a 8o crepare con questa voglia; o lo diligentie che fanno, serviranno a loro confu¬ sione o a sua maggioro gloria. Con questo io morentemente li faccio reveron- tia, pregandoli dal Cielo il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, quosto (lì 28 di Maggio 1635. Di V. S. molto IH.* Obig." 0 o Dev“ Pnr. u o Scr. r# S. r Galileo Galilei. Kub. i0 Galilei. Fuori: Al molto IH.* Sig. r e P.ne Col." 0 11 S. r Galiloo Galilei, Mattoni.** primario di 8. A. 8. in Arce tri, in Firenze. 3129 *. NICCOLÒ FABUl DI PEIUESC » PIETRO DUPUY in Parigi. Aix, maggio 1»VJ5. Bibl. Nnslonalo In Paridi. Collectlon Dupuy, to] 718, c*r. 157 — Autografa. _I*ay eu responcn do Sieur Galileo ot du P. Silvestre Pietra Sanrta. eoncrniant la machine du P. Linua* 11 , Si leggo autografa noi cod. llarboriliiano endemia di tcienxe, lettere ed arti in Padova, Voi. XI, lat. 6161, car. 107-114, della Biblioteca Valicatiti. pag. 32-42). Padova, tip. G. B. Raudi, 18‘J5. 272 2 - H GIUGNO 1635. [8181-8188] gratiam, voi «tinnì in honorem illiua quondam illustri» viri Mitre! Welseri quem hiogen- tilein habot, quamque Gallinella noater max imi asm per fecit, benigne lacere digneris_ Co ter uni ad nobilissima» tua» propediem rospondebo, curabo quoque ut Galilaioi operis io exempla, mundiori charta excusa, ad te perferantur. Ibunt una litterae ad nostrum Gali- laeum. Narn oonvictor quidam meu» I.utetiam abitorit: qno aequi ori animo fero, me nunc u prolixiori acriptioue per temporia angustiai» excludi. V, 23 1035. 3132* NICCOLÒ FARRI DI PEIRE8C a PIETRO OASSENDl in Pigne. Aix, 2 giugno 1&.H6. Blbl. Naaionale In Parigi- Fondi francai*, n.* 12772. Lottrss do Petrose à Oaaaondl, car. H4. — Au¬ tografa .... .le n’ay poinet enoore faict responoe au 8. r Galileo ni nu P. Sylvestre**», et me Huis resolu d’attendre l'ordinair« de Rome, qui pourra venir dans 15**, pour voir cc quo nouH on pourrous apprendra de piu». Cependant le b»n M. r Dormaliu* 1 *' pourroit arriver, car M. r du l'uy lM mu mando qu’il estoit a Paria et luy avoit demandi uue lettre pour moy: il nous parlerà de visu de la roaohine du P. l.inu» et noua le pourrous enquerir do beaucoup do dionea; et si vous no pouvez douner juaqms icy pour en prendre vostre part, corame je tascheray de l'arrester quelque» jnurs, msndez nous sur quoy vous vouldriez quo je lo (Use parler pour ce regard ou aultre. Je ne sui* L)i stile giuliano. SlLVKSTR«i Pirthaha.ita. «•> Cfr. n.» 8128. " Pirtku Perir • 4 * Giovassi UaixI «*• Cfr. u* alci. 9 GIUGNO 1635. 273 [3138-3184] stampare; et ha S. A. risoluto di voler egli stesso prendersi questa cura e dedicargli a chi più gli piacerà. Questi contengono i frutti più stimati da me di tutti i miei studi, dove con l’occasion di scrivere in dialogo ho avuta comodità d’inserirvi buou numero di contem¬ plazioni tutte nuove e per lo più remote dall’opinioni comuni, come, piacendo a Dio, tra non molto tempo V. S. vedrà. Alla quale in tanto con vero alletto bacio le mani, conio anco alli SS. ri Gassendo io e Campanella. 3134 * BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 0 giugno 1035. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI. car. 115. — Autografa la aottoscmiono. Molto Iil. ro Sig. r P.ron Col." 10 Oltre li quattro quesiti rissoluti da mo nella lettiono che io mandai al no¬ stro caro Padre Francescomi trovo haverne rissoluti 25 altri: e perchè ho mostrata questa fatica a diversi miei amici intelligenti, e mi ricercano che io la dia alle stampe, prego V. S. molto 111. 10 a prendersi un poco di briga di vederla, insieme con il P. Francesco, Sig. r Mario Guiducci, Sig. r Andrea Àrri- ghetti, S. r Tomaso Rinuccini ot altri di cotesti sinceri et elevati ingegni, e dirmi liberamente il loro parere, senza del quale io non penso di fare cosa nessuna. Il Sig. r Frescobaldi ò stato a ritrovarmi quosta mattina, et habbiamo io speso una buona mezz’bora in ragionar caramente di V. S., e m’ha imposto che gli baci lo mani a nomo suo. Il S. r Ambasciatore di Francia continova ad amarla, et ha anco un desiderio ardentissimo di servirla. Non vado mai da S. E., che non si faccia honoratissima rimembranza del suo gran merito e valore. 11 Sig. r Nardi 1 *’ non si trova in Roma, ma credo che sia in Arezzo. Non ho ancora potuto vedere il Sig. r Magiotti : quando lo vedrò, gli farò l’ambasciata da parte di V. S., alla quale fo riverenza. Di Roma, li 9 Giug.° 1635. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Dovotiss. 0 e Oblig. ,no Sei\ ro e Dis> S. r Galliloo. Don De ned. 0 Castelli. 20 Fuori: Al molto 111.» Sig. r P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo [Galilei], p.° Filosofo di S. A. Sor. 1 ™- Fiorenza. (>) Cfr. n« SI SU. <*> Antonio Nauw, 274 U — 12 U1UUN0 1035. [8135-3136] 3135 *. FULGENZIO MICANZIO . GALILEO [in Finn».]. Ventisi», V giugno 1636. Blbl. Na*. Fir. Mm. «ni., Nuoti Acquieti, n.° 88. — Autografa. Molt'Ill.” et Ree.® 0 Sig. r Gol.* 0 Tengo la gratissima di V. S. M molto 111." et Ecc. m * di 2. Non intendo che mai lo scrivermi le sia di scomodo, e vorrei assolutamente disobligarla, se non fosse il sommo gusto che ricevo nell’ intendere elio si trovi in prospera salute. Lo cere e zucheri sono in prezzo eccessivo di soldi 4« la libra, ove al più solevano essere 32. 11 Sig. r Aproino fu qua inaliti la Pentecoste: non può far elio non si lasci vedere. Il Sig/Alfonso Antonino mi fa grand Usi nia instanza di avisarlo ove ca¬ pitarano li Dialoghi, per dar ordine che subito lo ninno mandati. Io riverisco il P. Mattina l,) singolarmente anco per questo titolo, che il suo io giudicio li fa conoscere il grave danno de 1 virtuosi, se spocolationi tali restas¬ sero senza la proprietà del buono, ch’ò di comunicarsi. Io non ho havuto mai dubbio che la persecutiono non sia contra la persona. Ben è vero che la dot¬ trina serve di stimolo in quei sogotti, elio vorriano estinta ogni eruditiono por far credere a* suoi partiali di soli dominar nelle scienze. Dio la conservi, come instanteraente Lo prego, e lo bacio lo mani. Veri.*, 9 Giugno 1635. Di V. S. molto 111." ot Bice.®* I)ev.®° Ser. M Ecc. ,no S. r Galileo. F, Fulgentio. 313H**. GIULIO N1NCI n GALILEO in Arcetri. Bau fasciano, 12 giugno l&ió Blbl. Na*. Flr. Appendice al Mas. Gal, Filza Fatare A. tur. 84. — Autografa. Al molto Ilustre Sig." Galileo Calile. Gli mando staia sei di farina per Lorenzo Vani, e tre mine di panioho. Il vettrale non à pottuto portano dua staia, corno n’ebi avso dell Ganozo. E so < l > Cfr. u.° siaa. 12—16 GIUGNO 16155. 275 [3136-31371 gli ocore niete altro a V. S., la mi avisi perchò ò grande desiderio di servila. Chi Dio vi conceda la sanità. 11 di 12 di Giugno 1635, in Sancascano. Vo. ro ÀtT." Giulio Ninci. Fuori : Al molto Ilu. ro Sig. ro Galileo Galilei. 10 Invila sua a Samatco in Naceti. 3137. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 1(> giugno 1636. Bibl. NTaz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 160-161. — Autografa. Molt*IlL pe Sig. r o P.rone Colend." 10 Non ha voluto la disgrazia mia che prima di questa settimana mi sia per¬ venuta allo mani la cortesissima sua del 14 Aprile ; la quale nè anche averei avuta, so il P. Abbate D. Benedetto non mi dava nuova l’altr’ ieri che V. S. avea ricevuti quo’ libricciuoli, che più mesi sono lasciai alTAmbasciator di Toscana U) , o non mi diceva elio V. S. m’avea scritto o che dovea la lettera esser alla posta, lo non soglio ricever lettere per la posta di Firenze, o por tanto là se no dor¬ miva la lettera di V. S. con mio gran pregiudizio, che mi trovavo privo di un lavoro così segnalato. Il perchè se V. S. m’avea querelato di poca creanza por io non risponderle, sentendo ora una scusabile ignoranza del fatto, la supplico ad ammettermi alle difiese per esser assoluto da sì fatta imputazione. Se i libri son venuti tardi, so non sono stati al proposito, questa sì è colpa mia, elio co’ miei peccati mi tiro adosso T ira di Dio, che non mi lascia poter servire corno vorrei a chi devo. La cortesia o benignità di V. S. gradisca almeno il de¬ bole allotto di un suo divotissimo servitore. Sento al vivo la solitudine continua di V. S., a cui l’età passata così ben spesa dovea haver compra a danari contanti una quietissima e felicissima vec¬ chiaia. Noi vediamo il mondo pien di falliti ; et è oramai cosa ordinaria, che (piando qualche poveraccio s’ha raccolti quattro baiocchi con la sua industria, 20 sperando poi riposarsi, fallisce un mercante e resta colui in bianco. Si suda a studiare, a trovare cose giovevoli al genere umano, e trovate si communicano, sperando ritrarne quiete et onore, et in iscambio se n’ha persecuzioni e travagli. “> Cfr. n.° 3083. 276 16 GTUONO 1635. [3137] Ma saria pur pazzo chi avesse per tino de’ suoi studii e fatiche non la sodisfa- ziono di sò medesimo, ma quella di altrui o la speranza di doverne essere ben voluto. Il mondo è pieno di Narcisi, elio, amatori di sè medesimi, sprezzano ot odiano altrui, e perciò cercano estinguere il lume delle virtù che in altri ri- splonde, acciò da esso non siano scoperti i loro vizii. La solitudine di Y. S., elio pare le pesi, sarà gloriosa a V. S. ot utile a’ posteri, malgrado di chi per invidia l’ha procurata; e volesse Dio cho io potessi servirle in essa, perchè più avven¬ turato mi terrei di gran lunga so vivendo solitario potessi fuggir la noia cho 30 mi danno l’avarizia, l’infingardaggine, il lusso, Vinfedeltà, il caos de’vizi, che ulloggia tra le genti di corto, i quali, quando non mi dessero altro fastidio, mi fanno morir di voglia di satirizure. Abbi pazienza, $ig. p Galilei, e mi lasci dire quel che sento. Io stimo che V. S. non jmtesso e^or meglio premiato delle suo fatiche, elio tanto Anno giovato ot et« rnamente gioveranno a li huomini, che con Tesser sottratto dalla prattiea della corte, cioè da un inferno, ot esser stato chia¬ mato ad un paradiso di una non oziosa solitudine. Vedo die meschia alle volto tra le dolcezze de’suoi ubidii Tamaro della noiosa lettura del mio libretto 1 , a line cho più dolci le paiano quelli rispetto la roz¬ zezza di questo. Loda V. S. per sua grazia il mio talento, ma erodo che più -io l’arebbe lodato se m’avessi Cicciuto. E perchè m’impone le scriva in che m’im¬ piego, dirollo elio sto perdendo il tempo ad empirmi la testa di paragrafi per doventaro un poco dotto dottore centra mia voglia, chè a simili studii (comunquo me n'abbia sempro avuta poca ad ogni altro) mai ho avuta inclinazione. Grida il padre clic io mi marcisco nell’ozio, e « ho non non Intorno nella terza enneade degli anni da guadagnarmi un baiocco. Povero vecchio, elio a così vii fino ha diretta la sua fatica di generarmi ! Ix> scuso però, perchè casca nell’error coni- mune, che avvilisce Timagine di Dio alla sordida accumulazione di denari. Se porò avessi o virtù o fortuna per sottraenni da questo giogo, sa Dio quanto vo¬ lentieri il farei, e quanto mi saria cara ogni occasione che mi si rappresentasse. 50 Ho alcune bagatelle do’ miei più giovenili studii, che sto ripolendo, et a suo tempo pregherò V. S. tarmici la sua correzione. Trattante la supplico non mi privar della sua grazia, che stimo più che la vita, et onorarmi do’ suoi com- mandi, col consolarmi alle volte con due suo righe, mentri* umilmente la rive¬ risco e prego N. S. le conceda il compimento do’ suoi giusti desìi. Roma, li 16 Giugno 1635. Di V. S. molto 111.* Del P. Abbate Castelli deve \ .S. averne nuove fresche, avendomi esso detto che le ha scritta la <•> Cfr. u.° 8#1«. 1C) GIUGNO 1635. 277 [3137-8138] r.o sua nuova soluzione di alcuni problemi algebra- tici per numeri privativi, [stimajta impossibile per dianzi (1 '. Sorv. p l)ivot."’° et Obbligali. mo Sig. 1 ' Galilei. Firenze. Pier Batta Borghi. 3138. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 1<» giugno 1635. Bibl. Naz. Fir. fifss. Gai., P. I. T. XI, car. 119. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. 1 ' 0 Sig. r P.ron Col. 1 " 0 Io non scrivo a V. S. molto Ill. ro cosa di nuovo nel suo negotio, perchè si corca di pigliare il tempo e l’occasione oportuna per radolcire e non esacerbare gl’animi. In tanto viva sicura che V Ecc. mo Sig. r Ambasciatore di Francia la stima c ama di cuore, et io non mi curo di bavere consolationo nessuna in questo mondo so prima non vedo consolata V. S. Quanto poi alla mia lottione (Z) , aspetterò il suo senso, ola prego a dirmelo liberamente. Quello che mi somministra l’affetione naturale allo proprie cose, è che mi pare in questa mia fatica ci sia qualche novità nella materia e no¬ lo vità nel modo di maneggiarla, o che però possa comparire, massimo che ho acresciuta la lottione di alcuni altri pensieri et in oltre fattali un’aggionta di 26 altri quesiti, un più hello dell’altro. Non di meno non voglio esser tanto appassionato di quell’amore, che infine ha del bestiale, che io habbia da fare cosa nessuna senza il suo consiglio. Mecenate (8) ò tutto di V. S., egli darò la nuova che quel tesoro sia messo in sicuro' 41 , chè so 1’ haverà carissimo. E non occorendomi altro, gli fo riverenza. Di Roma, li 16 Giug.° 1635. Di V. S. molto 111. 10 Devotis. o Oblig. mo Soi*. re e Dis.* 0 Sig. r Galileo. Don Benedetto Castelli. 20 Fuori: Al molto Hl. r ® Sig. r P.ron Col.'" 0 Il Sig. 1 ' Galileo [Galilei], p.° Filosofo di S. A. Ser. ,n » Fiorenza. Cfr mi.» 3130. 3134. <*> Cfr. nn.i 8180, 3184. < 3 ' Giovanni Giamfom. IM Cfr. u.o 3138. 278 1G GIUGNO 1635. [8139] 3189**. LORENZO OEOOARELLI a [GALILEO in Arretri]. Uuma, 10 gitigli» 1636. Bibl. Nu. Pir. Mu. 11*1., P. I, T. XI, c*r. 117-118. - Aatogruf*. Molt’ Ill. r ® et Ecc. mo S. r mio P.ron Col."* 0 Se beno li continui affari del l’esse rei tio mio di rado o non mai mi lasciano respirare et applicare la fantasia in quegli oggetti che più busamente mi stanno mdla memoria impressi, tutta via allo volto, facendo violenza all’ impossibile, mi volgo per dolco diporto a considerare quelle cose che più m’appagano, tra lo quali il principato tiene il mio charo Sig. r Galileo con gli amati suoi SS. ri figlioli. Per lo che, parendomi dura cosa lo star lungo tempo digiuno di loro nove, e massime quando da me non resta, corno ho fatto altre doi volte, di provocare alla penna, della quale hoggi mai me ne posso far mastro, corno dall’ occlusa oporotta V. S. vederi, cho li mando come coccola di quel lauro io eh* un tempo godè la felice uggia di lei. La mia causa doli’ heredità che V. S. sa (l , non 1’ ho fatta ancora dispu¬ tare, ma habbiamo risoluto differirla sino alle Rote nuove di 9bi*o prossimo, havendoci io speso sin bora molto tempo, fatiche e denari ; ma maggior è stata l’industria et accortezza d’un soggetto molto singolare e consumato in questa Corte, come quello che sa trattare in eccellenza qualunque materia sì civile come criminale, ecclesiastica, mista etc. Questi si chiama il S. r Tommaso Ri- bera, di natione spagnola, quale, doppo havor compito li suoi studii nell’Uni¬ versità di Salainanca, si trasferì a questa Corte, dove si è trattenuto lo spatio di tre lustri, attendendo all’avocatia per tutti li tribunali di essa, con applauso 20 et ammiratione universale ; al quale io mi trovo obligato in guisa tale, che prima crederei poter agevolmente sciorre il nodo Gordiano cho quello onde mi trovo avvinto a questo gentilhuomo, poiché in tutti li miei bisogni et occor- rrnze non ho mai trovato altri che lui, sempre mai più pronto a favorirmi cho io a chiedergli favori 0 gratie : di modo tale, cho li molti benefìtii mi sono più tosto stimolo di confusione cho vincolo d’ obligatione, quale non spero già mai in mia vita poter compensare in minima parte, se da V. S. non mi si porgo l’aiuto di cui vengo a supplicarla. Detto gentilhuomo più volte si è meco dichiarato d’aspirare ad un carico di Consigliere o altro simile nella città di Napoli (quali carichi sono chiamati so '*> Cfr. u.« 2980. 16 GIUGNO 1635. 276 [.3139] dalli Spagnoli Piazzo perpetuo) ; et sapendo egli quanto la mia persona sia grata a V. S., e quanto in superlativo grado quella di Y. S. grata et d’auto¬ rità appresso l’Altezza Sor. ma di Toscana, et che però il ricercare a Y. S. quella gratia che le dimando sia più tosto confidenza nella sua gentilezza elio presun- tione d’alcun merito mio, mi ha pregato a supplicarla, come fo di tutto cuore, per una lettora di S. Alt. 11 a suo favore al Yice Re di Napoli per uno di detti carichi ; essendo io securissimo clic mentre questo soggetto ascenda a tal grado, non solo potrò diro d’ havor corrisposto alla gratitudine che sì giustificatamente le devo, ma mi reputarò anco fortunatissimo, poi clic mi sarà ansa d’arrivare a 40 qualche felice stato, mentre lui Laverà così largo campo di giovarmi, sì come ha fatto di continuo da otto armi in qua, chè sono più lo cause che mi dà lui solo, che tutti gli altri insieme. E V. S., facendo questo, farà in uri istesso tempo doi atti : uno di giustitia verso questo tanto meritevole soggetto, e l’altro di gratia verso di me, non dol tutto indegno di qualche favore, quando non per altro, almeno per la gran fedo elio senipremai ho havuto nella persona di Y. S. Con che vengo a supplicarla di cosa assai fattibile nelle correnti con¬ giunture elio ella sa, non solo perchè vi sono molti simili carichi destinati a Spagnoli, de’ quali questo è il più meritevole che si possa proporre, ma ancora pei- la gran corrispondenza che di proscnte passa tra S. Alt.» e quel Vico Re ; so sapendo io certissimo che mentre V. S., non meno di cotesti Prencipi, con la sua autorità, eh’ ò di tutta la terra, con la sua scienza singolare, irreparabile mo¬ tore, mi voglia favorire in. questa occasiono, sarà di tanta efficacia la lettera di S. Alt.* 1 , che forse in risposta se ne vedrà l’effetto et il compimento de’ no¬ stri desidorii, perchè mediante V. S. verrei ad ottenere la maggior pretensione elio mai habbia havuto nè sia per bavere a i giorni miei. Et il mio Sig. r Ga¬ lileo sarà da questo suo Lauro sin all’ultimo spirito decantato in versi heroici con sincera e grata harmonia su la lira d’Apollo, dovunquo il vento di fortuna mi dibatti. Starò dunque aspettando da V. S. benigna risposta della sua volontà, della quale sommamente confido, e ne la supplico di bel nuovo ; mentre io con co mia consorte o cognato le facciamo devotissima riverenza, come anco al mio •S. r Vincenzo o sua Sig. ra consorte et alle sue dilette SS. re Maria Celeste et Archangela Galilei, pregandoli dal Cielo ogni più vera prosperità e salute. Di Roma, li 16 Giugno 1635. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Per vita del S. p Galileo, mi favorisca di benigna risposta, diretta : Al Palazzo nuovo de’ SS. ri Borghesi. Dev. mo et Oblig." 10 Ser. r0 Lorenzo Coccarelli. Lett. 3139. 51. autorità ohe di tulla Ut terra 280 18 GIUGNO 1636. 18140-3141] 3140 *. MATTIA DERKEGGER n ELIA DIODATI in Pnrigi. l&U»uburgo|, IH giugno liWÓ. Btbl. Civica di Amburgo. Codice «ÌUto noi!» informationo pr«»«»s» al ri » *1618, car. U8r. — Minuta autografa .... Convittore* belino MiBnicuni nobileni ab Kiniiedel eiusque praefeotum Neudorf- fuim, qui, conducU iam rheda, bravi Lutetiaui, et inde in Augliam, ibuut. IIob mihi longo olnvrÌB8Ìmo8 hoapitea iam nunc in aut«cee»um Ubi commendo, commendatimi» pluribua verbi» omn diacenserint, iiadeuique coimniMurti» quo» Ubi reddnnt libro», Bcilicet et Syete- mati» oxem piaria cbartae uiundiori» et Thuruey»seri (i> opua, quod no vi»* irne petiiati.... 8 luu.‘»> 1636. 3141 *. NICCOLÒ FA BUI DI PKIRESC a PIETRO OAS8ENDI in Rigne. Alx, IH giugno liM'i. Blbl. Nazionale In Parigi. Food» francai», n * 1272. L» Uro» d« P«lrc»e à Uauendi, car. MS — Autografa. Monaieur, Noub avonfl icy M. r RormaliuH eompngtion d’eatude do M/ Ilolstenin», cbnnoino de Liego, qui s'en va a Rome pour aydcr, aver ledict Sieur Hnlatenius, à riinpression de» libvres greca, qne Pon y veult faire rollorir. 11 in’a renda uno lettre de M. r Vemlclin, adressée à vous, Monaieur, où von» verro* la bonne rapemnce qu’il a concede de pouvoir regler de» choae» bien dionea de Teatro. et Tardante paeaion qn’il uuroit de pouvoir faire obscrver la haulteur du pole ou da soleil à Marseille à ce solatice procbaiu. Si voua en pouviez faire la courvée, voua Tobligeric/ merveilleuaeiuc ut, et connequammout tonta aes amya et tout le paia, qui a intereat ù ce/, bcaux ceclaircia-eraent». Voua verriez par Diesine moyen lea exporiancea de la piene tlottante, quo le bou T. Mercerie M m’a envoyée, et 10 ouyiriez de la bouche du S. r D'Ornialius la deacription de la machine du P. Liuy, et que depui8 a’estre aervy de ciré pour bou globe interieur, il pii avoit foict d'anitre» iimtieres et finalement de cuyvre vuide, a quoy il a'eat enfili arroste. Mai» ce niouvonient orizoutal me faict grand ouibrage, et croy que ce pourroit bieu «atre quelque artifice, à peu presi cornine ce qu’eu diet le S. r Galilóe.... I.RONARDO THCRXKYdWK. Ili stili' giuliano. '*• Cfr o* 8I2U •** Marino Mkkrkxxk. 13142] 19 GIUGNO 1G35. 281 3142*. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 19 giugno 101)5. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XII, car. 152-153. — Autografa. Molto 111." et Ecc“° Sig. r0 e P.ron Col. 0 Non ho maggior gusto di quello elio ricevo dalle lettere di V. S. Ecc." 1 ", tanto da me amata o stimata e por li obligln che le tengo e per 1 : infinito suo valore. Così potessi io trovare un simil balsamo por conservarli la vita, quale ella ha ritrovato per eternarsi la fama. Non ci ò pericolo che quella svaniscili, qualunque industria vi opponghino i suoi emuli, havendola ella alimentata con il sugo sustantioso della sua finissima dottrina. Io mi conosco essere un’umbra rispetto a lei, che però vado seguitando almono con il desiderio il movimento del lume vivissimo elio in lei risplendo o che la generò, io Non so se ella intenda quello che dice, de’ suoi Dialogi già stampati o di quelli che ora per continuare a stampare, che mi saria via più caro, liavendo io un grandissimo desiderio di quella dottrina del moto. Io scrissi giù al P. Lutio, che se a lei fosse occorso di voler servire qualche amico della mia Geometria (l) io lieno havrei mandato, poiché per non aggravar tanto il portatore non li potei dare se non il compimento di quello che teneva. Mi disse lei che un tal Signore suo amico la volea vedere. Havrei havuto gusto sentire abneno il parere di alcun di cotesti Signori che liavesse flemma di ve¬ derla, poichò mi stimo che essa non vorrà affaticar la mente in questa età, che mi saria stato però di molto gusto, o almeno se havesso potuto vedere la prima 20 propostone del 7° libro, e dirmene il suo parere. Ma non intendo di aggravarla oltre al dovere. Quanto alla qualità de’ studii a’ quali sia hora per applicarmi, s’io riguardo al mio gusto mi saria piacciuto applicarmi io ancora alla dottrina del moto, parendomi cosa di gran momento et il compendio della vera filosofìa : ma s’io voglio badare alla sodisfattione di questo luogo, che già dal Magmi lu tanto honorato con la compostone delle Tavolo (2) , bisognaria che cambiassi ancor io por simile strada; e se io facessi l’effemeridi per li anni prossimi futuri, questi Signori mtenderebbono il frutto delle mie fatiche, che per altra via poco li riesce noto, per non esservi eh’intenda poco più oltre che all’adoperare dette effeme- <») Cfr. n.° 1970, lin. 25. tic» dei secoli XV1 e XVII, con Giovanni Antonio Ma- <*> Cfr. CarU.ytjio inedito di Ticone Brahe, Gio- (fini, 000 ., pubblicato ed illustrato da Antonio t avaro. vanni Keplero e di altri celebri aetronomi e materna- Bologna, Nicola Zauichelli, 1SS6, pag. 477-501. 3G XVI. 19 — 23 GIUGNO 1035. 282 [ 8142 - 3148 ] ridi. Mi oi applicarti veramente; ma intendo che VArguii, lettore a Padova,so lo babbi già. fatte per sino al 1000 secondo le ipotesi ili Tioono, sopra le quali farle anch’io sarebbe frusta torio. Similmente non mancano in Germania com¬ positori d’effemeridi e sopra le Uodultine e secondo Tichone; si che par cho mi resti poco campo di far in questo genere cosa nuova, onde sto perplesso, o perciò la prego anco in questo dirmi il auo parere. Prego il Signore che li dia sanità o longa vita, et a me occasione «li servirla in qualche cosa di suo gusto. Alla quale per fine b&ociando le mani, mi ricordo devotissimo servitore. Di Bologna, alli 19 Giugno 1635. Di V. S. molto lll. r * et Eoe.** Ob. m ® Ser. rft F. lion.** Cav. ri io Fuori: Al molto IH.»» et Ecc.»° Sig.' e P.ron Col.** il ì$ig. r Gal.** Gal.®* Firenze. 3143 *. BENEDETTO PASTELLI a GALILEO in Firenze. Konia, 23 giugno Blbl. Na*. Elr. Mu. Hai.. 1*. I. T. XI, ear. 121. — Autografa. Molto 111.”* Sig.» 1 * e P.rone Col.* 0 Ilo riceuta la lettera di V. S. molto 111.**, o mi contento che si dolga di me nelle mie lettere, confidandomi cho non si potuta dolere delle mie operazioni, sincerissimo o ardentissime nel suo servizio. Nella passata mia 1,1 però gli ho scritto qualche cosa di quello che si pensa di faro dal Sig. r Ambasciatore di Francia, il quale ci sta benissimo disposto e li bacia lo mani caramente. Non ho haute lettere dal P. Francesco buono 1 , ma mi ò stata cara l’ap- provuzione che V. S. mi scrivo che ò stata fatta da cotosti Signori (4> ; e sappia pure cho qua tutti sono dello stesso parerò, e però credo che la cosa sarà grata. No ho dato parte al Sig. T Principe Prefetto che ha gradita assai la mia fa- io Lett 3142. 88. Roludulf ln« — •' Non «ino al ISSO, ina dal 1620 al I640.it hanno nella seguente opera: Axnaaia Aruoli a la- liacOUO Nova* cade linei eWiie tpÀfmtrtiit* ad loHjitmdintm lima* Urbi», ab ma 1620 ad l*,40 ut nivtdcm aucU-rit tabuli* tu/ pula hi*, qua* exmgruuKt rum Unnici», Rodnl^Ami* *1 IjrvAonie Drttk* * e. Blbl. Non. Flr. Un Gal.. P. I, T. XI. ear. 12*. Ani -rrafa. Molto 111.* mio S.* e P.ne Gol."** M’è stato di contento di sentire per la gratissima di V. S. molto 111 • de’ 9 stante la ricevuta del piegho mandatoli ; e poco doppo doverà essere seguito di quel libretto d’uremia etc.°\ e gusterò di sentire li sia capitato a salva¬ mento e che Li habbia gustato. Il S. r Elia Diodati, mio Signore e Padrone e suo affectionatissimo, m’à co¬ mandato di rinfrescarli la memoria della promessa che S. S.* li foce anni sono, cioè di mandarli il suo ritratto. Ho ben» preso questo absunto molto volentieri, e più agiungbo le mia delioli preghiere alle sua, con pensiero di haverne an¬ cora io una copia e di goderla, se non la persona, come si desidereria, almeno 10 l’effigio ; però V. S. ce ne faccia questa gratia, così al S.r de Peresoe, il quale più che P huomo del mondo affectiona : e quando S. S.* sarà di questa resolu- tione, ho dato ordine a mio fratello ® di trovarne pictore, caso non ne habbia, e di fame la spesa ; e spero che la sua bontà ce ne farà questa gratia. _ t4 < Areann Societali» T*eu publioo bono vulgata lavico di stampai. Cfr. n “ 3188, Un. 81-88. Cum appandicibua utilissima. Al. DC. XX\ V i senza Girolamo iixi.ii.ai. [ 8145-31461 25 —28 giugno 1685. 285 il S.'Marco Mancini, mio coapare, che l'u quello elio inad ver tentoni onte tra¬ passò quel suo primo libro a Roma, se no vieno al presente costì, e lia volsuto in ogni maniera essere latore «li questa por bavero l’honoro di baciarli le mani. In ogni modo porò gli ne raccomando eli tutto quore ; o lui li darò, diverse novità di queste bande o dello dua grandi.] elio l’armata di S. a M.‘ k ha dato 20 alli Spagnuoli in Fiandra, cioò a quella del Principe Tommaso e a quolla dol S. r Card. Infante, e da lui saprà il tutto sopra questo particolare. Il pieghetto che per il S. r Riodati mi ha raccomandato, 1’ ò mandato a suo destinato viaggio subito che fu in mia mani ; e il sudetto Signore mi manda o raccomanda 1’ alligato, che mi sarà di sommo contento sapero cho 1’ habbia ricovuto, raccomandandolo assai. Il S. do Rossi (1) mio cugino li bacia humilmente lo mani, e li dà adviso corno ha ricevuto quel pieghetto o libro (2) che li lia raccomandato per il S. Cercavi, Consigliere al Parlamento di Tolosa, e sicuramente lo recapiterà ; o non li scrivo per meno sua briglia, nondimeno li servirà questo adviso. E facendoli con quo- so sto reverenda, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, questo dì 25 di Giugnio 1635. Di V. S. molto 111. 0 È passato di qui il S. r Elzeviro di Leidem, stampatore raccomantato dal S. r Diodati, o do- verà fare motto a S. S. a costì. Ser. re Aff. mo e Parente Dot ."’ 0 S. r Galiloo Galiloi. Rub. to Galilei. Fuori : Al molto 111. 0 Sig. r mio o P.no Oss. ,ao 11 S. r Galileo Galilei, Matt. n primario di S. A. S. 10 Arcrotri. 3146 **. ASCIAMO FICCOLOMINl a GALILEO [in Arcetri]. Siena, 28 giugno 1685. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car 125. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111." S. r mio Oss. mo Io non diedi risposta a V. S. col ritorno di Geppo, perchè egli fu più sol¬ lecito a partirsi che io a levarmi ; e che perciò supplissi il mio segretario, è più tosto effetto di quella commodità che bisogna ch’io mi pigli in una lunga m Cfr. n.° 2681, liu. 19. <*> Cfr. II. 0 3152, 28 P> 28 — 20 OniO NO 10.85. DM46 81471 purga che sabato in’ha a condurre a Magni di San ( 'asciano, che mancanza di quel sviscerato riconosci mento de’ suoi favori, co’ quali ella mi va continuamente obligando. A tutti questi Signori ho participato i suoi cordialissimi saluti, e li ritor¬ nano centuplicati; ma il nastro S. 1 Dottor Marnili 1 non li rondo con quell’al* logria, che vorrebbe, ritrovandosi afflitto da un po’ di terzana, che lo tiene assai io spaventato, benché il medico l’assicuri che non sarà altro. Sento con particolare arnbitione il progresso di quelle fatiche che hebbero principio in questa carcere ; o nella compassione della sua rustical solitudine non vedo ch’ella si possa consolar meglio che col suo proprio ingegno, com’olia fa. Sopratutto la si mantenga sano od m quella tranquillità d’animo che è sua propia, poiché del resto ogni cosa si supera. Qua Ili rassegno per sempre il più vero servitore eh’ ella habhia e il più interessato a ogni sua felicità e conten¬ tezza, e con fine le bacio le mani. Di Siena, li 28 Giugno 1635. Di V. S. molto Uh" I)evot. Ser. 20 S. r Galileo. A. Arc. T# di Siena. 3147 **. FULGENZIO MK’ANZIO a GALILEO [in Firenze], Venezia, 99 trinano 1(W». Blbl. Nftz. Flr. Mw Gal, F. I. T. XI, car 187. - Anl .*rafa. Molt’111* et EccSig. r , Sig. T Col."** Ilebbi la sua gratissima di 18 col supplemento del primo Dialogo, piono delle solite osservationi, e specolationi. Non ho potuto essere col S. r Monteverdi, quale sono sicuro è per ricovore gusto grande, perché nolle sue singolarissime compositioni sempre cambia su li fondamenti naturali, con bollissimo ragioni di quanto opera. Il Sig. Filippo Manuzzi è mio particolar patrono. È un sviato, sempre su le galantarie, nolle musiche di certe dame di honore e stima, cantatrici incan¬ tatrici. Non lo veggo alle piazze; senza dubbio sarà in villa, ove lo trovarò quosta sera, cliè siamo vicini ; le mostrarò la lettera, e sono certo goderà di io far il servitio, perché è galanthuomo a tutta botta, sebene ha tanta paura delle corna del diavolo, che sempre è armato di coronazze grosse, pieno di medaglie, che rassembra uno de questi nostri deformati. ‘ 4 > ALtfcHAKDRO 20 GIUGNO 1635. 287 [3147-3148] V. S. creda alla mia esperienza: non scriva di suo pugno, e provarà medi¬ cina sicura. Dio la conservi, e lo bacio lo mani. Ven. a , 29 Giugno 1635. Di V. S. molto 111. 1 '® et Ecc. ma JDov. mo Ser. ro S. r Galiloo. E. ]}'. 8148 * MATTIA BERNEGGER ad ELIA DIODATI in Parigi. LStraaburgo |, 29 giugno 1035. Bibl. Civica di Amburgo. Codice citato nella in forni aziono premessa ul n.° 2G13, car. 149<. — Minuta autografa. .... Mit,to praeterea, per eorundem (,) nurigam, cum Tliurneissernni qnem requi ris, tmn etiam exemplaria tria Systematis Galilaici mundiori charta; quorum unum tamen velini nobilissimo viro Dii. Marescoto seniori < H) transmittas, eundemque reverentissimo verbis meis salutes. Optiine de me meritus est virorum eximius, mule rel'erendae quali- tercunque gratino occasionem quameunque capto. Nisi forte pulaveris, ipsum ab hoc geuero stndiorum alieniorem: tuin enim arbitrati! tuo de libro disponero liceto. Quid si mitteres eum ad nostrum magnum illuni Galilaemn ? nani pagellao istae, separat-ini nntea subinde missae, sino dubio vitium in itinere ceperunt. Colligo dubiorum et errorum tneorum in versione occurentium indicem, qnem si adirne ante discessum cornili quos tibi commendo (4) licuerit 10 absolvcre, secum fercnt cum litteris ad Galilaeura, abs tc, ita rogo, curandis; sin ante- vertunt, illae proxime sequentur. Pro Thurneissero ceterisque nibil posco pretii, nisi quod ingous pretinm hoc existiniabo, si telescopium milii procurabis, aere meo comparandum. Vigiliti coronato» obtulisse meni ini < 5 >; sed mine, re melius expensa, ne triginta quidem nu¬ merare detrectabo: adeoque re quasi corta mercatorem quendam Venetum, domo Augu- stamnn, nomine Reynuinduin Scliorer, per fìlinm convictorem meuin oravi, ut, si forami instrumentum illud ei reddatur, id exsoluto pretio ad me mittere velit; et faciet, uti confido. Tu quid lue spei sit, quaeso primo quovis tempore significes. ... Opto cognoscere, num trecenta Systematis exemplaria Lutetiam pervenerint, et an opus istliic vendibilo sit; num item in Angliain aliqua, qnod milii sane consultimi videtur, 20 transmi 8 sa fuerint. Scripsi ad Dominos Elzevirios de autoris Apologetico ipsorum sumpti- bus excudeudoW deque aliis, sed niliiklum responsi accepi.... 19 lun.G) 1G35. <‘! Intendo, i duo convictore» dei quali parla <*> I duo nonvictoren prodotti, noi n.° 8140. ,5> Cfr. n.° 8114. <** Cfr. n.° 3140, liti. 5. < c » Cfr. n.° 8092. lin. 4-5, 8-9. (*) Guqliei.mo Marksoot. < 7 > Di stilo giuliano. Jtó8 1* — 2 LUGLIO 1635. [3149-3151] 3149 *. MARINO MERSENNE » NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC [in AixJ. Parigi, !• luglio 1616. Bibl. National» in Parigi. Fondi frinii», u» 964 S. car flo — Autografa. .lai un (ìnlilée latin 7)r moto trrrac, imprimi h Strasbourg. Il en est venn 350 à Pari», et amai il gerii comman par tout le mondo. Un in’n oesearé que le 8. r Galilée iait imprimer aon livre dea moti Ternana et de» in^caniquae: Tona m’en poorrez apprendile dea noavellea pian particulièrea. Je voudroii qu’il fuat ausai bien eu Plance quo le Pére Campanella.... / 3150 *. GIOVANNI GHERARDO VOSSIO ad UGO GR0Z10 in Parigi. Amsterdam, 1* luglio 1636. Pali» pag. 29G dell'opera citata nella infonnaiioae prorootaa al n.« 2047. .... K<‘;tlio 1 , queui hia diobug ndfuigge dixi, valde commendavi negotinni Galilaei do Galilaeia (1> ; ime facile dixerim, quantopere optet ut non alibi pedoni ligat. Aiebat, se manibus pedibusque operam daturum, et idem ut agerrui volebat. Tanien de auccessu nihil audebut apoudere. Hortenuiu» miro exuptnt hot- q 'imi, atque mia senior Rlauwiu8< s> , ut alioH taceain. Facilina enset negotiuro. nini tnm multi ex li», qui oiavurn tenente pocuuias uinioris iacerent quam dootriuam et urbia giuliani.... 3151 *. TOMMASO CAMPANELLA a NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC in Aix. Parigi, 2 luglio 1636. Bibl. Nazionalo in Parigi. Fonde francala, u.* OMO, Cormpondance do Polreoc, Divora, T. VI, oar.216. — Autografa .... Credo che il Sig. r Deodato bavera scritto n V. S. HI."* le correttioni et avvisi che fa il Sig. r Merini al Sig. r Galilei, cohor bindolo che ai converta alla veri LA mediante le ragioni del suo libro, qual V. S. baveri» visto. Non dico piu.... Loumo liatru <*> Cfr. u.- 3I1W. **• OroutLun Hi. a ar. <*’ Otti) AMAI llATTiaia Mona. [ 3152 ] 6 LUGLIO 1635. 289 8152. PIETRO DE CARCAVY a GALILEO in Firenze. Tolosa, G luglio 1035. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 154. — Autografa. Molto 111.® Sig. r mio, Pad. mio Osservandiss. 0 Ilo doppio debito con Y. S., anzi triplicato, anzi infinito : e della sua gra¬ tissima lettera del 26 Maggio passato, e della cortese diligenza da lei usata in mandarmi el suo trattato De lo cose che stanno su l’acqua, o d’haverne scom- modato un suo amico. Quando potrò mai rendere a su’ cortesia quelle grazie che io dovrei d* i tanti favori ? meritrebonno veramente ringratiamenti. di fogli interi ; ma voglio più tosto complir co’ fatti che con parole, in tutto quello che • le piacerà sempre di commandarmi. E perchè Y. S. non vuol far questo, anzi caricarmi sieinpre di nuovi favori, li chiederò licenza di far stampare tutte le io sue opere già stampate : non eh’ io pensi che la sua memoria possa esser abo¬ lita o vero che l’invidia trionfi dolla sua riputatione, perchè quella è troppo vivamente scalpita n’ i animi di tutti i virtuosi, e questa di maniera divolgata fra le persone da beno et honorate, che non deve temer di questa canaglia che erode con quatro lotteruccie stitiche saper ogni cosa, imbratamestieri che ra- pezzano scartategli, animaletti studiantuzzi che scacazzano con duoi pigrammi uno straciafoglio e credono esser tenuti i savi della villa ; non perciò, dico, ma porchè ho grandissimo desio di testificare a Y. S. la mia servitù : di maniera eh’ io non aspettarò altro che quello che me sarà commandato da lei, e che capitino nelle miei mani tutti i detti trattati già stampati, poi che lei ha dato 20 ordine per gli altri non stampati. Questo è quanto per bora mi occorre scrivere a V. S., affisandola havergli mandato uno mio parere sopra alcuna cosa d’i sui Dialoghi (1> . Non so si lei havrà ricevuta quella lettera : la pregho darmene nova, e siempre favorirmi della sua amicitia. Assicurandola del reverente mio alletto, baciolo lo mani. Di Tolosa, li 6 di Luglio 1635. Di V. S. a molto 111.® Devotiss. 0 et Obligatiss. 0 Sor. 1 '® P. De Carcavy. Fuori: Al molto 111.® Sig. r mio Pad." mio Osservandiss.® 11 Sig. r Galileo Galilei, in so Fiorenza. <*> Cfr. n.« 8180, Un. 19. XVI. 87 290 6 — 7 LUGLIO 1635. 13158-3154J 3153* UGO ORO ZIO * GIOVANNI G1IEBARPO VOSSIO in Amsterdam, Parigi, 6 luglio 1636. Dall* pag. 169 dall'Optra citata cella Informaaione preiuMaa al a • 0977 .... Do Galilooo hoc addano, prò corto cutn aflinnare repertori libi id quod in Hol- landia taradiu quneritur, ni^na corta iuvanieodae longitudini* «ivo poutu* loci coiuaque ad parte* uoquatoria. Km* inventi, si r. i aie se habet, puhlirari gloriam volim patria® mutto deboi i.... 3154. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 luglio 1(136. Blbl. Nm. Fir. Ma dal . P VI. T XII rar I6S-I67. — Autografe le li». 68-70. Molto 111." Big/ P.ron Gol.*" Mi dispiace sin all'anima elio V. S. molto 111." non possa applicar il pen¬ siero a questa mia fatica ,, 1 per poterne bavero il suo purgatissimo giuditio. Il nostro Padre Francesco buono * mi scrivo una breve lettorina, scusandosi di non potoro scriverò il senso di cotesti Signori miei padroni w ; mi dà però spe¬ ranza ili farlo por il primo ordinario; solo mi muovo una difficoltà principale, la quale è che cotesti Signori non vorebbero che io mandassi fuori questa sola cocolla, ma che io aggrandisci l'opera di altro simili questioni, llora sappia V. S. ohe oltro alli quattro quesiti riasoluti nella Lettione, io ho risoluti trenta altri enigmi, uno più bello dell'altro, pure riputati impossibili di solutione, li io quali perchè mi sono usciti dalla penna in lingua latina, voglio anco che en¬ trino in luce nella medesima: li ho intitolati Appeiuiix ad superiora. Oltre di questo io considero che ciascuno di questi quesiti può essoro proposto in quat¬ tro maniere, o in quattro inumerò riseduto. Prima può essere proposto nolli numeri sopra il niente, e questo in due modi : uno con lu determinationo or¬ dinaria con la quale vien proposto dalli autori, l'altro senza cotale determina* tione. Parimente il medesimo quesito può ergere proposto e risoluto nolli nu¬ meri sotto il niente, e questo pure in duo modi, cioè il primo con una deter- minatione che corrisponde a quella che si fa oommunemente dalli scrittori nelli numeri sopra il niente, e l’altro senza cotale determinatione : di modo che posso 20 con verità pretendere che questa min fantasia abbracci molto piè di quello che tu Ofr. DO.' 8180. 8134. 8188 «*' Fauuxu Al, chslixi. '•> Ctr. n.« 8134. 7 LUGLIO 1635. 201 [ 3154 ] ò stato considerato sin qui dalli altri, non essendo stata considerata so non la quarta parte, e quella che facilmente casca in monte d’ogn’uno. E per dichia¬ rar meglio il tutto, propongo l’essemplo d’un quesito maneggiato in tutti quat¬ tro i modi, ed ho fatta l’elettione di un quesito facilissimo : Numerum invenire, qui additus ad duos numeros datos, faciai duos nmicros in qualunque propor- tione data, quae sit minor proporzione datorwn numerorum : e questo quesito è proposto con la liniitatione, come si usa comunemente da tutti. Si può ancora, conforme alla mia dottrina, proporre contro alla limitatione, o si rissolve be- so nissimo, ed il quosito è tale: Numerum invenire , qui additus ad duos numeros datos, faciai duos numeros in quacunque proporzione data, quae sit maior pro¬ porzione data: e questi sono i due modi di proporre il quesito nelli numeri sopra il niente. Così ancora possiamo proporre il medesimo quesito in due altri modi nelli numeri privativi o cho sono sotto il niento, e prima con dire: Nu¬ merimi privativum invenire , qui additus ad duos numeros datos privativos, faciai duos numeros in quacunque. propoHione data, quae sit minor (e nel secondo modo, quae sii maior ) proportione datorum numerorum. Ma ecco cho horhora, mentre scrivo questa a V. S., mi trovo soprafatto dal stupore, vedendomi aperta una abondantissima vena del medesimo tesoro, 40 poi che mi pare che oltre aJli nominati modi di maneggiare il sodetto quesito, che mi ci rappresentano altri due di pari bolezza, facendomi instanza di non esser lasciati più nelle profondissime tenebre dell’ ignoranza ; e nascono in un certo modo dalla compositione de i precedenti. E stando nel medesimo esscra- pio, si può proporro nelli infrascritti modi : Numerum privativum invertire, qui additus ad duos numeros positivos etc. ; Numerum positivim invenire, qui ad¬ ditus ad duos numeros privativos etc. Posso dunque accrescerò l’opera della medesima materia, e curiosissima, nella quale maneggerò quattro quesiti soli, ma in tutti i modi possibili, e così darò gusto a quelli ancora che desiderano che io faccia il volume grande; la qual cosa, se ben mi parve impossibile sul 50 principio, in ogni modo bora mi pare tanto facile, che non ci ho altra difììcultà che il scrivere, e scrivere corretto: e così io ritrovo che in questa materia ci sono i setto ottavi ancora sepolti. TTora passiamo ad altro. Il nostro Sig. r Itaffaelle Magiotti, più nostro che mai, ò stato chiamato da Nostro Signore alla conversa,tiene famigliare il dopo pranzo e dopo cena por trattenimento di cose di lettere, e dà sodisfattione maravigliosa. Ne do parto a V. S., perchè so che l’ama ed è benissimo ricambiata. E Ji baci.o io mani. Di Roma, li 7 Luglio 1635. Di V. S. molto 111." "Faccia V. S. intendere, a cotesti Signori miei eo padroni, che con ogni libertà vadino censuraudo 202 7 — 10 LUGLIO 1635. ( 3164 - 8156 ] questo mio pensiero, perché quando sarà in ter¬ mine che piaccia a loro, poco stimarò elio di¬ spiaccia ad altri ; ma quando loro non restassero sodisfatti, non mi curarei doll’applauso di tutto il mondo insieme. E li faccia riverenza a tutti a tutti in nomo mio; e abbraccio caramente il nostro Padre Francesco buono, al quale scriverò quando bavero riceuta la lettera che mi prometto. Dovotiss.® o Oblig .® 0 Ser. re e Dis . 10 Don Benedetto Castelli. Fuori : Al molto Ill. r * Sig. r P.ron mio Col .® 0 [.... Galijleo Galilei, p.° Fil.° di S. A. Ser. m# Fiorenza. 8155 *. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI FREINSHEIM iu Nancy. [Strasburgo), 8 luglio 1G35. BIbl. Civica di Amburgo. Codice citato noli» inforni astone premessa al n.° 2618, car 158»._Minata autografa. -Galilnici Systematis exemplar, amplissimo Alarescoto patii reddemlum, Diodato nupor misi Lutctiam ... Scr. 29 Iun.W 1635. 3156 * ROBERTO GALILEI a GALILEO in Aroetri. Lioue, 10 luglio 1635. BIbl. Naz. Plr. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 85. — Autografa. Molto III.® Sig. r mio Osa .® 0 Havendo V Hl. mo Sig. r Luigi Honscllin, Consigliere o Maestro di Casa e della Camera a’ denari di S. M. C. mn hauudito parlare dolio sua virtù, ha dosidorato (li volerla personalmente conoscere : per questo fatto mi ha volsuto honorare di ricevere questa mia a lei adiritta. Non mi estenderò sopra li meriti di questo personaggio, quali sono grandissimi tanto in nobiltà, virtù o ricchezze. Lui è (*I Ctr. n.° 8JL4&. t*i ili stile giuliano. 10 — 17 luglio 1635. 293 [3156-31581 amato o acarezato grandemente da S. M. a e dal Ser. m0 Card. 0 Duca (1) . Tongho terrà a, grata questa conocentia, chè andando lui a Roma, eleverà trattare con Sua Santità e altri SS. 1 Cardinali : son sicuro die, possendoli giocare, lo farà io con ogni affetto, e nl’occasiono potrà dare grande colpo. Conduce seco persona di merito e di grande virtù, che vorrà con S. S. n conferire più coso di lìlosofia, c so che no riceverà gusto. Sapendo che simil persone da S. S. tt sono molto gradite, non mi starò a estendere davantaggio ; e facendoli con questo reve¬ renda, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bene. Di Liono, alli 10 di Lug.° 1635. Di Y. S. molto 111. 0 La persona die conduce seco ò uno nominato M. r Maucort, doctoro di Cerbona e grandissimo filosofo. Sor.® e Par. u Aff. mo e Dev. mo 20 Rub. t0 Galilei. Fuori : Al molto 111. 0 Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei, Filos. 0 e Matt. co primario di S. A. S. Per Sig. e P.ne, elio N. S. conducha. In Firenze, in Arcrotri. 3157 *. MATTIA BERNEGGER a NICCOLÒ R1TTERSHAUS in Altorff. [.Strasburgo], 10 luglio 1685. Bibl. Civica di Amburgo. Coelico citato nella informazione promossa al n.° 2613, car. 155r. — Minuta autografa. _Eximios viros D. Hofmanund*) ot I). Virdungund S) revcrenter et officiose saluto. K mercatu Francofurtano proximo, si quia erit, habebunt a me Systema Copernicannm Galilaei, ex italico latine conversimi, cum litteris mele, ne, cessante tamdiu litterarum officio, favore ipsornm ac benevolcntia penitus oxcidam. 6 IuliìW 1635. 3158 * ELIA DIODATI a GALILEO [in Àrcetri]. IParigiJ, 17 luglio 1635. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. V. T. VI. car. 79r. — Copia di mano di Vincenzio Vivi ani, in capo alla quale il Vivia.ni annota: « E. D. 17 Luglio 1635. Risposta alla do’ 9 Giugno del Galileo ». .... L’aver V. S. il Ser. mo Principe Mattia l5> per promotore della stampa dello sue ultime o più preziose opere, e che da S. A. ne sia stato proso T as- **• Armando Giovanni di Righeliku. < 5 ' Gahpark Hoffmann. <*' Michele Vibduno. Di stilo giuliano. <»> Cfr. n.° 8183. 294 17 — 21 LUGLIO 1035. [8158-8159] sunto per procurarla noi suo viaggio di Germania, me ne rallegro seco o con 11 pubblico; purché questa buona volontà non sia intorturbata da mille incontri dell’afflitto stato presento di quello parti, nò dall’altro principali occupazioni di S. A. : chò so così fosse, V. S. potrebbe procurare che lo fusse rimandato, e, come prima lo scrissi, senza dift'orentia nessuna si farebbe quanto prima stampare in Olanda dal Sig. Elsivirio, il quale por questo edotto (partendo per Italia alle sue incette] ho indirizzato a V. S. UI - 3159 **. LORENZO CECCARELLI a [GALILEO in Areetri]. Roma, 21 luglio 1636. Bibl. Nas. Fir. Usa. Gai., P. 1, T. XI, cor. 129. — Autografa. Molt’ HI." et Ecc. m0 S. r mio Col. 1 " 0 et Amatiss. 0 La perdita da V. S. fatta in terra della sua dolcissima figliuola Suor Ma¬ ria Coleste, vera idea di saviezza, di prudenza e di bontà, maggiormente in’ ha trafitto Taiiirno, quanto so per esperienza che cosa sia perder figliuole balbet¬ tanti, non che ratiocinanti accorte e saggio come quella veramente celosto crea¬ tura, che, per quel breve tempo che la conobbi, posso diro Che ben diede di sè non bassi esempi, come dice quel sonetto del Petraroha eli’ ella mi fece apprendere quando mi condusse a Firenze: dove se mai fui desideroso far ritorno, bora l’ambirei in sommo per venire a servirla ot aiutarla a spassare f acerbo cordoglio, so non io me lo vietasse quella scusa evangelica TJxorcm duxi. Et so bene il corso di 12 mesi pare che possa liavorle in parto alleviato il duolo, con tutto ciò si rende a me presentanco, come penso a lei sia presentissimo et materia (li vi¬ vere afflittissima: che però vengo a passar questo piccol officio di condoglienza seco, benché por altro non la tediarci per bora con questa. Sig. r Galileo mio caro, clic si vuol lare? V. S. sa la logge di natura, elio nascimur omnes morituri, e Come nulla qua giù diletta e dura: però compensarà saviamente la perdita momentanea fatta qua giù, con l’acquisto perenne che n ha fatto nel Ciclo, dovo per salire non ha havuto bisogno d’altra scala che della sua gontilitia e delle proprie virtù, giungendo a quell’ultima meta 20 di noi miseri viventi, là dove piaccia al Signore di condurci o farci rivedere e goder tutti insieme per tutti i secoli. Gl Cfr. u.“ 3145. 21—22 LUGLIO 1035. 235 [3159-81601 Quanto poi al favore con S. Àlt. a(1) , prego V. S., nel ritorno a Firenze, farne qualche tentativo, e trovandovi qualche difficoltà, farmi grafia di scrivere una lettera di destrezza, con negativa lionestata, acciò possa almeno far restar ap¬ pagato l’amico della buona volontà sua e mia. Del che la supplico a non mi mancare. Qui noi tutti stiamo bene, et il pupo che nacque essondo lei qua, chiamato Antonino, ha scampato l’influsso de’ morviglioni, che ne muoiono infiniti, os- 30 sondo lui rimasto senza segni, et una bellissima creatura, con una lingua poi che vince l’età. Io qui, scrivendo, sto con gran pena d’ un borrendo cicolino su la spalla destra, che mi tien sequestrato in casa, senza potermi metter giub¬ bone nè uscire, et in particolare dimani, che si fa la solenne processione del Cannine in Trastevere, dove sarei andato facilmente a desinare dal P. D. Be¬ nedetto Castelli a S. Calisto, qual è gran tempo non ho veduto e mi mandò pur liieri ad invitare; che però perderò gran consolatione, ma non eguale a quella che sento in questo punto cho scrivo a V. S., quale mi paro propria* monto di sentire e vedere. Ma perchè sempre la prolissità fu odiosa, mi con¬ terrò supplicandola a perdonarmi s’incorro seco in questi errori, come l’altra ■io volta, poiché l’interesse proprio mi fa trascorrere. Li miei tutti salutano cordialmente V. S., et io lo bacio di vivo affetto le mani, come anco fo al S. 1 Vincenzo e S. r Archangiola e sua Madre Maestra. Di Boni a, li 21 Luglio 1635. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ,,m I)ev. mo et Oblig. mo Ser. 10 Lorenzo Ceccurolli. 3160 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 22 luglio 1C35. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, H.“ LXXX, n.° 102. — Autografa. Molt’ 111™ et Ecc. 100 Sig. r , Sig. r Col. mo Trovai puro finalmente il Sig. r Filippo Manuzzi, col quale hebbi lunghissimo ragionamento di V. S. con rammemorar le coso passato. Sentì piacere grande ohe V. S. habbi memoria di lui ; le loci vedere il desiderio suo di quello robbe, c li lasciai il capitolo della lettera per informatione. Mi promise di servirla, nè vi è altra difficoltà cho trovar modo per il recapito senza cadere nell’Arpie. (»> Cl'r. u.° 3139. 296 22 - 23 LUGLIO 1635. [8160-8161] È passato per di qua rill. m0 Sig. r Alfonso Antonino, e nell’liore che le so- pravanzarono da’ nogotii, lo spese noi loggere il Dialogo, con il gusto elio non bì può esprimere; o mi lasciò ordino di far a V. S. li suoi cordialissimi ba¬ ciamani. io 11 Sig. r Argoli è dietro al suo sistema con un moto solo della terra, ma temo d’incontrar mala ventura, perchè havendoli questi Dei terreni fisso il chiodo, se si vuole muovere un tantino, mettono mano a' fulmini. V. S. deve essere in qualche singolare specolatione, come è suo costume. Desidero che sia con sua buona salute, o gli la prego dui Signor Dio : e lo bacio le mani. Ven.% 22 Luglio 1635. Di V. S. molto 111.” ot Ecc.® 8 Dev. mo Ser.” S. r Galileo. E. F. 3161**. ROBERTO GALILEI n GALILEO [in ArcotriJ. Lione, 23 Inolio 1636. Bibl. Naa. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 158. — Autografa. Molto 111.® mio Sig. r e P.no Col.® 0 V. S. sempre (li più in più mi va obligando con li continui favori. Ho ri¬ cevuto il pieghetto mandatomi con la gratissima sua do’ 2 stanto per il S. Dio¬ dati, quale mandai subito a suo destinato viaggio, (leppo haverno fatto lettura con mio gusto singulare ; e sono por esso restato gravido di quella invensiono di trovare le longitudine in ogni luogo, corno so si andasse facendo ogni notte cclipse lunare. Bene di questo altre volte mi fu insegniata una corta invensiono, di una bussola messa sopra un piedistallo in perpendiculare, divisa in 300: ci era certa invensiono di trovare lo longitudine, con corte operazione di triancoli sferiebi, il che di bene non mi ricordo ; ma por la diserzione della sua stimo io molto più Tacilo, o no sono innamorato. Però la suplico in qualità di suo ser¬ vitore che ne sia partecipe. La ringratio del libro mandatomi delle macchie solari, quale ò un grandis¬ simo pezzo che io havevo desiderato. Mio fratello (l> 1* à, mosso in una balla, e doverà capitare presto, corno a suo tempo ne darò conto a S. S. a Con altro mia 1* ò pregata di volerci favorire, cioè il S. r de Porose, il S. r Dio¬ dati et io, del suo ritratto ; e mio fratello ha la cura di trovare il pittore o satisfare ad ogni sposa (t) . Gl ROf.AMO (ìAt.ll.RI. <*' Gfr. u.o 8145. 23 LUGLIO — 3 AGOSTO 1635. 207 [3161-3163] Questi giorni passatti li scrissi 111 ili raccomandatione o per mano del’ 111. U)0 20 Sig. r Luigi Hensellin, Maestro di Casa o della Camera a’ denari di S. M. C. ,ua ; et è personaggio di qualità, tanto in nobiltà, ricchezze e virtù : lia desiderato farli reverentia, o tengho che la sua amicitia non li potrà che giovare, essendo conosciuto da S. S. a , o con esso Ilaverà da negotiaro. Mena seco uno nominato M. r Maucort, che è dottoro di Cerbona, e stimato uno do’ grandissimi filosofi di Francia: desidererà conferire con S. S. a di qualcosa; lo potrà faro liberar mento, sondo persone da riceverne ogni satisfattone : e doverà essere costì 12 giorni doppo o incirca al’ liavuta di questa. E io li farò reverentia, pregan¬ doli da N. S. il colmo d’ogni suo contento. Di Lione, questo dì 23 eli Lug.° 1635. so Di V. S. molto ili. 0 Aff. rao o T)ov. n, ° Sor.” o Par. 1 * S. r Galileo Galilei. Kub. 10 Galilei. 3162 *. UGO GRÒ ZIO a GIOVANNI GHERARDO VOSSIO [in Amsterdam]. Parigi, 2 agosto 1635. Balla pag. 167 dell’opera citata «olla iiiforinaziono promessa al n.° 2977 Vir Prestantissime, Galilaeus Galilaei, de quo scripsernin aliqnoties <4 >, fessns senio conati tu it, ninnerò in quihus est locis, et, potius quae ibi sunt incoili moda perpeti, quam mnlao aetati niigrandi onus et novas parandi ainicitias imponere. Interim in literis ad amicos peratnt asseverare repertani siili rationem cortam designandi situm quem locala qnisque habefc ad segmenta aequatoris, quod longitudinem vocant. hi cimi norifc ab omnibus quidem, maxime vero a Batavis, navigata caeteras gent.es superantibns, pridern optavi, quii» et honores proposi- tos iiulicatnro, consilinm cepit, ipsis hoc repurtum suuui aperiendi, quod eum per amicos facturum brevi credo.... — 3163 *. ELIA DIODATI a NICCOLÒ FA BRI DI PE1RESC in Aix. Parigi, 3 agosto 1635. Bibl. N'azionalo in Parlai. Fonda frangia, u.» 9544, Correspoudauco do Peiresc, Divora, T. 10, car. 228. — Autografa. .... Mons. r Bernegger, ou pour mieux dire l’imprimeur, a envoyé ici quelques cen- taiucs dea Dialogues de M. r Galilei de la traduction latine, dont i’en ay donnó un exem- plaire à Mona. 1 ' de S. 1 Sauveur^ pour vous l’envoyer de ma part, vous suppliunt l’agréer. Le Discours de M. r Galilei, qui y doibt estro ioinct<*> et duquel ie vous ay cy devaut escript, reste encor’ ù imprimer, qui, cornine ie croy, est maintenant soubz la presse.... Oi cfr. il.» 8156. ,#l Giacomo Dui-uy, Priore di Saiut-Sauveur. <*> Cfr. nn.‘ 8128, 3153. (t > Cfr. u.“ 8058. XVI. 38 •298 G AGOSTO 1685. [ 3164 ] 3164 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Arcetri]. Lione, G agosto 1685. Bibl. Nae. Fiv. Appondice ai Mss. (Sai.. Bilia Favaro A, car. Rfl. — Autografa. Molto 111.* Sig. r O l\ M Col. mo Ilo ricevuto 2 gentilissimo lettore di V. S. in un medesimo tempo, una delli 9 passato o altra de’20, ohe questa ultima in'è stata rosa da Marco Mancini mio conpare, quale straordinariamente si loda delle cortesie e favori ricevuti da S. E.* Mi ha dato nuova dol quadro, qualo lo trova in tutta pcr- foctione ll) ; o noi con devosione lo stiamo aspettando. Quanto a esserne lui il portatore, lo languiremmo, oliò avanti elio vadia o elio lui ritorni passeranno da 5 m 6 mesi: però sarà bene che lo consegni a Girolamo mio fratollo, elio lo metterà, in qualque cassa drappi, diligentemente accomodato. Beno pregherò V. S. di non mandarlo che dopo Settembre in circa, chò a questi eccessivi io caldi potria patire, o ancora di non farli dare la vernice, già. che quolla si at¬ taccala alii fogli, elio li porta danno; e questo dico per Lavorio osporimentato: e quando sarà nello mia mano, no farò faro una copia per me, altra por M. r do Percscz, qualo la agradirà grandemente, assicurandola elio lui l’honora e rive¬ risce più che lincino del mondo; non ardisce scriverli fino a tanto non li sia riuscito qualcosa di buono per la sua liberasione, battendone ordinariamente il ferro in Roma. Il piego por il S. r Elia Biodati, ricevuto con smlotta sua, mandai subito a suo destinato viaggio : e dovendo capitare il corriere di Parigi d’ ogni hofa, sarà facil cosa che ne riceva uno por S. S.*; il che seguendo, sarà qui anesso. 20 Sudetto S. r Diodati mi ha mandato una scatola con 2 libri della sua tradu¬ zione, qualo è assai grovetta, e il mandarla por il corriore sempre haveria co¬ stato da £ 6. Mi sono pensato mandarla per via di Marsilia a Livorno, o no farò l’indirizzo arili. 1110 e Clar. mo 8. r Ball Ciolli eto., corno robe aspettante a S. A. S. per obviaro ad ogni cattivo riscontro, e a S. S.‘ no darò ad viso, acciò che prontamente lo faccia tenere a V. S., massime elio il S. r Elia accenna es- servene uno per S. A. S. nostro padrone; e a Livorno sarà adiritto al S. r Raf¬ faello Ruccellari. Che a V. S. servirà d’aviso. Il libro delle macchie solari è giunto, ma non l’ò possuto bavero, essendo richiuso in una balla; ma la farò aprirò quando potrò. so <‘> Cfr. uu. 1 8HÒ, 3101. 6 — 9 AGOSTO 1635. 299 [3164-3165] Doverà Laverò fatto molto a S. S.“ 111."' 0 S. r Luigi Hensellin (1) , ohe è per¬ sona principalissima, e non so se haverà liavuto seco M. do Maucort, quale è grandissimo filosofo; o tengho die al’havuta di questa sarà stato costì, caso non 1’ habbia mandato a Venetia, come presento. E con questo li faccio reverenda, pregandoli da N. S. ogni vero bone. Di Lione, questo dì 6 d’Àgosto 1635. Di V. S. molto RI . 0 È capitato di poi il pieghetto del S. r Elia Diodati, quale vieno qui annesso. io Hum. m0 Ser.° e Parente Dev. mo S. r Galileo Galilei. Rub. t0 Galilei. Tn questo punto vengho di ricovero altro pieghetto del S. r Diodati, quale viene qui alligato. 3165 *. FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 9 agosto 1635. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXX, n.» 103. — Autografa. Molt’lll. ro et Ecc. m0 Sig. r , S. r Col." 10 Trovai puro il Sig. r Filippo Manuzzi una di queste matine, avanzato la sera dall’ essere stato a far corta solenne serenata con una cantatrice a certe damo cortesi. Doppo il riso et il dirli di scriverlo a Y. S. Ecc. mn , mi disse che stava in prattioa por servirla di grograno. Hoggi m’ ha mandato dire che crede sabbato, che sarà posdomani, far il sorvitio; et io scrivo hoggi, perchè vado fuori per tre giorni. Hoggi solamente ricevo quella di V. S. di 28 passato, ove dicendomi non so elio di aloe, ho ricercato il mastro delle poste : e senta V. S. il bel successo, io Mi dico, presento il Sig. r Galileo ( % havermi mandata per suo mozo una lettera di Y. S. Il Sig. r Galileo 1’ ha data ad un suo todesco, che doveva portarmela e puoi andar in Istria per suoi negotii; egli ha rotto Lordino, s’ha portata in Istria la lettera, di modo che non intendo niente di aloo, e tocca a V. S. re¬ plicarmi, chè subito servirò. m Cfr. iiu.' 31 i>6, 3161. i*) 0 Bknkdrtto, o Fbanohboo, Uaiulbi. 300 9-11 AGOSTO 1035. [3165-8167] Ho veduto il Chiaramente, con il strapazzo che fa di V. S. È stampato in Firenze li) . Non erodo olio V. S. lo losciarà senza la correttione che merita la sua prosontione. Dio la conservi, o con ogni alletto lo bacio lo mani. Ven.*, 9 Agosto 1635. Di V. S. molto 111." ot Eco.'*** Dev.“° Ser." S. r Galileo. ‘ F. F. 3166 *. UGO GROZIO a GIOVANNI GHERARDO VOSSIO [in Amsterdam]. Parigi, 9 agosto 1636. Pnlln par. 170 dell’opera citata nolla informasione promossa al u.® 2977. _Qnod maximi philoaophi Galilaei negotiura ( *> tibi cordi esse patena, facis rem dignam tua honitate et in honestas arte» constanti studio. l)o migrarono incipit ultro cogitat.ionem exuere, ut postremi» scripsi litoris <*> ; sed sperat so orimturum Bataviam reperto tarn diu quncsito de looorum, ut loquuntur, longitudine, cuius certam n se rati onero inventam constanter in litoris suis aftirmut homo non vanus. Ego ut nostratibus honorem habeat quem proposuit hahere anni tal*, adiuvaute Elia Diodati, amicissimo ipsius et tu- lium quoque erudito.... 3167 . GIOVANNI PI ERO NI a [GALILEO in Arce tri]. Vienna, 11 agosto 1636. Bibl. Nae. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. XI, car. 131-182. — Autografa. Multo DI." et Kcc. m0 Sig. T0 e P.rone Col." 10 Il giorno passato, che fu di S. Lorenzo, ricevei la lettera di V. S. Eoe.**, insieme con la parte del suo libro annessavi, per mano del Sig. r brio. b. tt Mi¬ netti, che 1’ ha h&vuta dal Sig. r March. 0 Guicciardini (4) , porchè tardi esso è ve¬ nuto qua rispetto al viaggio del Ser. ,no Principe Mattias l5) , ot io alla sua venuta non ero qua, perchè solo giovedì tornai di Ungheria, dovo sono stato quasi un mese por ordine e servitù) di S. M. tà Hora dunque ho in mano a salva¬ mento questa parto dell’ opera di V. S., o ini son indicibilmente rallegrato che ella si sia risoluta di valersi del poco che io posso in servirla, e somma- 20 «*> crr. n.° 2826. <*> Cfr. un i 8128, 3163, 3162. > s ’ Cfr. il.® 3162. ,4- Punto GniocuRDiNi. « ! Cfr. n.« 3183. 11 AGOSTO 1G35. 30) [3107] io mento pio por esser ciò di consenso o volontà, del Ser. m0 G. Duca nostro Si¬ gnoro : però son por fare il possibile per servirla con ogni diligenza et a suo gusto. E fra tanto è necessario elio io dica a V. S. alcune mio oonsiderationi circa questo negotio. Prima, io stimo che 1’ opera non si deva stampar qui in Vienna, ma in Praga o altrove, perché qui le. cose vanno un poco più osservato o ordinato, o potrebbe forse esserci necessaria qualche licenza, che là, o non occorrerà, o io 1’ havrò a mio arbitrio ; sì cho non la cimenterò qui, per non bavere un’esclu¬ siva, se per sorte l’ordine cho olla mi avvisa (1) fusse penetrato insin qua. Un’al¬ tra cagione mi muove, et è perché qui ò quel P. suo avversario, del quale mi 20 foco mentione nell’altra sua (21 ; o conio sono curiosi, potrebbe penetrare tal fatto, e corcar di impedir l’impressione, o scrivendo a Roma o altrimenti, perché mi vien detto che non resta di liaver alienatione d’ animo da lei, e che però ha scritto et ottenuto facilità da’ superiori suoi di Roma di stampare qualche sua opera (3: , nella quale inserisco l’istoria del Dialogo di V. S. o l’abiuratione fatta da lei, con la sentenza seguitano : puro non so so è vero sicuramente, perché lo so solamente da un amico che dice haver di ciò penetrato qualche cosa. Por questa cagiono adunquo stimo meglio elio l’impressione non si faccia qui. Io son por andare in Boemia presto, e trattenermivi forse tutto l’anno presente e più, nel qual tempo spero di poterla servire bene, perchè ivi sono stampo forse me¬ co gliori che qui, o nella città di Praga in particolare, e so mi succederà un pen¬ siero, ne troverò dello megliori ancora; et in qualsivoglia luogo o modo pro¬ curerò che sia, per il possibile, bella e corretta. Parrebbemi da farla in foglio, perchè ha più del nobile; no attenderò nondimeno l’ordino suo. Le figuro lo farò bora intagliar qui da un mio conoscente che fa assai bone in acqua forte, o no manderò la mostra a V. S. per rifarlo se non gli piaceranno ; o lodo, perché uso io ancora e torna comodissimo, il farlo in carte da appiccarsi al fino del libro alle estremità dello carto, perchè voltandosi le carte mentre si legge, quelle restono sempre presenti. Manca una figura cho habbia n.° 11; non soso sia mancamento, o che pure basterà ritiraro li seguenti numeri. Circa la dodi- •lo catione, sarà tempo da considerare mentre si stamperà il restante. lo ci ho una considcratione, cho qua li PP. sono onnipotenti appresso quello (4) a chi pensa lei dedicarlo ; e ohi sa clic sapendo essi l’ordine di Roma che ella mi avvisa, no prendessero materia di suggerir scrupoli a quella deli¬ catissima conscienza, o derivarne o proibitione o al meno non gradimento- Chiara cosa ò che son potenti ; et uno è contrarissimo a V. S., che aborrirà in estremo forse la lode che olla ne merita. Il Re di Pollonia è di ottimo gusto, massime di simili cose, e non è soverchiamente nè scrupoloso nè a quelli allotto, et in Cfr. n.o 3075. I*' ClUSTOKORO SOUKINIÌR. < 3 > Cfr. n.o 2413. <4 i Cioè, T lnìjiorntoro. 302 11 — 13 AGOSTO 1035. [3167-8168] riguardo suo solo non sarebbe (credo certo) aborrito a Roma nò liavuto a malo cosa posta sotto la sua protezione. Il nonio di V. S. (elio gli è di già in molta stima) la fa così abile ad esser gradito da esso incognito di persona, come da so quelli dovo ha tanta o così antica conoscenza e servitù. Ma sia ciò detto pol¬ lina semplice mia consideratione : V. S. saprà ottimamente risolversi. Se le opere di V. S. frissero state tradotto in latino, sarebbero per tutta Europa numerosissimo, perchè io no ho veduta gran parte o trovato por tutto ella esser notissima con ammirabile stima; ma pochi ho trovato elio habbino le suo opere, perchè non intendono italiano, et avendone da me e da altri no- titia si consumano di desiderio di potorie havore et intenderlo, e dicono: perchè non scrivo latino? Se i Dialoghi erono latini, io penso che sarebbero già stati ristampati in Francia, Fiandra e Germania, in più luoghi, perchè i curiosi son molti, molti. 60 Non risposi alla cortesissima lettera di V. S., che mi scrisse informandomi dello sue persecutioni, perchè mi mosso tanta compassione e passione, che pen¬ sai di tentar modo di liberamela: ma ho dubitato elio avvisandola prima, fosse in progiuditio alla sua discolpa ; poi, meglio discorrendo, ho conosciuto doverla prima avvisaro, et aspettare il suo volere. Sporo di poter havor ogni favore pel¬ ici dal Re di Pollonia; dicami V. S. se lo vuole, e come o dove, chè lo ten¬ terò, e lo spero di particolar affetto o forza por ottenerli liborationo et altro che olla desideri. Intanto si assicuri che io conserverò il suo libro corno una gioia, e glielo farò stampare, o tutto con ordino sempre e saputa dol Ser. m0 Mattias. E per tino a V. S. con ogni affetto bacio le mani o gli desidero ogni 70 felicità. Di Vienna, li 11 di Agosto 1635. Di V. S. molto 111.” ot Eco." 1 * Dovot. m0 et Oblig. m0 Sor.” Giovanni Fioroni. 3168 **. NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC a ELIA DIODATI in Parigi. Aix, 13 agosto 1635. Bibl. d’Inijuimbert in Carpentras. Collection Poirosc, Addii., T. IV, 3, csr. 157l— Minuta autografa. .... J’ay pareilleiuent receu la traduction latino des Dialogues do Galileo par la voye de la posto; donfc ja vous reniercie trez humblement, et de l’esperanco quo vous uous donne/, d’un aultre Discours qui y doibt estro joint ensuitte, leqnol nous attendrons en boune devotion - “1 Cfr. 11.0 a ICS. [ 8169 - 8170 ] 18 AGOSTO 1635. 30?, 3169 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Àrcetri]. Ruma, 18 agosto 1035. Bibl. Nat. Flr. Mss. Gai., P. I, T. XI, car. 138. — Autografo. Molto 111.** Sig. re e P.ron Col." 10 Quanto siano grandi lo ohlignzioni mie o la mia devota servitù con l’Ecc. mo Sig. r Ambasciator di Francia (i) , V. S. molto 111.™ lo sa benissimo senza elio io lo scriva; e però non si meraviglierà se io, mosso da buon zelo elio la verità sia conosciuta, in servizio di S. Ecc.“ li mando V incluso racconto 12 ' di un caso seguito i giorni passati qui in Roma, il quale viene da alcuni troppo appassio¬ nati narrato molto diversamente da quello clic è stato in verità: o glio lo mando acciò V. S. mi faccia grazia, con la sua prudenza, e destrezza, raccontarlo opor- tunamente a cotesti Signori suoi cari. Son sicuro che ella saprà pigliare lo oc- ìo casioni buono, e operarà in modo cho la riputazione di questo a noi tanto caro Padrone non sia indebitamento lacerata da chi havesse mala volontà. La prego a pensare cho questa cosa mi premo straordinariamente, o cho però mi sarà singolarissimo favore il ricevere da V. S. questa grazia. Con che li fo riverenza. Di Roma, il 18 d’Ag. 0 1635. Di V. S. molto 111.™ Il Sig. r Ambasciatore ha riceuta una lettera di V. 8., che gli ò stata carissima; o m’ha detto che li baci lo mani, in nome suo, o cho se non rispondo quest’ordinario, risponderà l’altro. Di grazia, mi ri- 20 sponda a questa mia in modo cho la risposta possa essere gradita etc. So che m’intende, e torno a dire che mi preme assai assai. Devotiss. 0 e Oblig. mo Scr. T0 e Bis. 10 S. r Gal." Don Bened. 0 Castelli. 3170 . GIOVANNI PIERONI a [GALILEO in Arcetri]. Vienna, 18 agosto 1(535. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 1G2. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. n, ° Sig. r0 P.rone Col. 1 " 0 Avvisai a V. S. Ecc. mft la settimana passata (3) , ciò è subito ch’io fui tornato di Ungheria, la ricevuta della sua gratissima lettera insieme con la parte del <» Fiunoksoo ih Noait.i.ks. < 4 > No» ò prosentomonto allogato alla lotterà. (»> Cfr. u. u ili (57 304 18 AGOSTO 1035. [3170] libro mandatomi, capitato cosi tardi pur la tarda venuta del Rer. m0 Principe; e li dissi, et bora li confermo, la mia prontezza in servirla a farlo stampare: e tanto quanto potrò prima, ò più bene. Por il qual line giù mi sono informato elio qui non sia cosa da farne capitale, per esser stampo molto cattive, et io 10 voglio buonissime; però penso a i messi, o giù gli incammino, acciò possa in oltre esservi la mia assistenza, la quale è necessaria porcliò «pia lo scritto non sarebbe facilmente inteso, o perche vi sono alcuni erroruzzi, elio giù ho notati, io et per bavcrlo interamente a mio gusto, bene o corrotto da me solo. Per lo ligure, ho un amico che intaglia ragionevolmente in acqua forto, olio procurerò che quanto prima me no faccia mostra, la quale V. S. vodrù. Della stampa an¬ cora presto li darò avviso di quello che io pensi di poter fare. In questa settimana ho, non dirò letto, ma trascorso voracissimamente tutto quello ohe mi ha mandato, con tanto suprabondante gusto elio la mil¬ lesima parte non ne saprei osplicare. La materia è tanto bella quanto nuo¬ vissima, o tanto mirabile quanto certissima; e perchè fa veder voro il creduto falso et c cantra , sarù abbracciata o stimata da i sinceri o veri intelligenti, o supererà in breve tempo l’invidia di i lividi e malevoli ignoranti. Por la gran 20 contrarietà e porseeutione che V. S. patisco, li pongo solo in consideratione se 11 ritenere li medesimi nomi degl* interlocutori che nell’nitro Dialogo, possa causar nuova porsocutiono 0 motivo di dannazione di questo ancora, so bene contiene ogn’altra cosa elio dannabile. Lo digressioni della prima giornata rapiscono gl*animi, 0 ’1 mio indicibilmente. A quella ultima della ragiono 0 dimostrationo doli’armo¬ nia manca la figura, la (pialo mi paro deva esser cosi u) : La prego ad avvisarmene, e sapere che io non ho provato maggior gusto in quanto armonio ho mai sentito, di quanto ho ricevuto in intender questa, anzi non vi conosco pro¬ portene da paragonar tali gusti. E questo mi fa tuttavia più desiderare elio il libro fusso ancora latino, porcliò così por i più sarù una gioia ascosa; ma potrà venir fatto forse con il tempo. Intanto io resto deside¬ roso di ogni suo beilo e felicità, e con ogni adotto la reverisoo 0 gli bacio le mani. A 1- 0 K -i- —i 1) A 1 — C~~ E 0 —1 D B —1 B 80 I)i Vienna, li 18 di Agosto 1035. Di V. S. molto 111." et Eco.'”* Dovotiss. 0 et Oblig. mo Ser. T0 Giovanni Pieroni. (*> Cfr. Voi. Vili, |.ag. 148. 23 agusto 1G35. 30 5 [ 3171 ] 3171 **. FULGENZIO MICANZ10 a GALILEO [in Firenze]. Venezie, 23 agosto 1635. Bibl. Naz. Flr. Mss. fini., P. VI, T. XII. eer. 164. — Autografo lo Un. 2131 a partirò dallo paralo Vi S mmtione. Molto Ill. tre ot Eccoli.'" 0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Mando l’aloc, ma 4 ònze solo, e non stato per mandarne una solamente, o poi mandarne di fresco in fresco a’ suoi tempi, perchè nella sua massa si conserva mirabilmente, cliè separato si dissecca e perde in gran parte la sua virtù. È ben del migliore e del più. diligentemente preparato clie si faccia. Io ancora l’uso l’inverno spessissimo volte la sera, ma pigliandone tanto poco che per dosa non è più di cinque o setto granelli mezani tra il grano del miglio e del sorgo, e ne ricevo molto maggior beneficio che quando ne prendo in quantità, maggiore. L’adoperi; e quando sarà appresso il fino, mo n’avisi per potergliene trasmettere del fresco, io Doppo cho il S. r Mamicci 111 mi disse che sperava il sabbato seguonte man¬ dare quelle robbe, non l’ho più veduto; ma egli si dà bel tempo da dovero. La poscritta di V. S. mi mette un pulcie nciroreechio, perchè, il particolare di quella vita (2) mi darobbe estremo fastidio: impcroehè non è altro che un abozzo imperfettissimo, venuto fuori dalla pena por la pura o semplice verità, senza nessuna arte nè cautela. Un signore, sulla sua fedo, doppo havormi tro¬ vato clic scrivevo, mi richiese di veder quel scartafaccio, e lo tenne così poche bore che mi par impossibile pure far l’idea. Vi è dentro un discorseto, fattomi poner per forza da un pazzo, che non vorrei che si vedesse per tutte le cose del mondo, perché quella sola arguirebbe me pazzo, e non chi mo la fecce po- 20 nere. Il mio dissegno anco fu di rilfare e compire la cosa, ma che non dovesse essere se non posthuma. Vi è mentione di V. S., ma non colla pienezza che ho in dissegno. Dio voglia che non mi sia stata fatta la burla. Si deve stampare qui un Discorso, nel quale si dice cho un Claudio Mon- cones da Lione ha trovata l’inventione di far montar l’acqua più alto della sua origino. Un Francese qui m’offerisse di mostrarmi un suo instromento, col «piale getta l’acqua alto e lontano vinti passi in quantità grossissima, per gl’ in- cemlii. Gl’ ingegni s’assotigliano. Dio conservi V. S. molto lll. re et Ecc. ,un , © le bacio lo mani. Ven. tt , 23 Agosto 1635. 30 Di V. S. molto Ill. re et Ecc. nia Dev. m0 Ser. r S. r Gal. F. F. <*> Filippo Masnuooi: cfr. u.° 3105. < 2 > luttiiidi, la vi La di Fra Paolo Sa nel. 30 XVI. 306 25 — 31 AGOSTO 1635. [8172-8178] 8172 **. ASC ANTO PICCO].OMINI a [GALILEO in ÀrcetriJ. Siena, 26 agosto 1086. Btbl. Naz. Ptr Mss. (Sai., I*. I, T. XI, car. lai». — Autografa la sottoscrizione. Molto III.” S. r mio Obb. -0 Il favore dolio /.atto, semiane o cocomeri, fattomi da V. S., m’ ò giunto in tempo elio maggiormente accresco lo mie obligationi, servendo con questi frutti il S. r Marchese Raggi, che è qui da me ili ritorno da’ Bagni di San Casoiano. Il tutto ò riuscito a periottiono ; ma non sarà a perfettione il rendimento di gratlo ch’io gliene faccio so non di volontà, non potendo servirla con qualche starnotto conio vorrei, mediante i «aldi elio non lassano trovarli. Riserbo a farlo a suo tempo, mentre por liora, con nuovo rendimento di gratie dello suo par- tialissimo domostrationi, le bacio affettuosamente le mani; soggiongendolo che stasera anelerà a Min io la lettoni pel Vannuccini (U , che bora è pievano di quel io luogo: però in quello gl’occorra ili queste bande, aspetto i suoi comandi a di¬ rittura a me, elio come suo partiale servitore imu cedo a nissuno nella volontà dell’esequirli. E qui di nuovo lo bacio lo mani. Siena, li 25 Agosto 1635. Di V. S. molto 111.” Dovot. Sor. A. Arc. vo di Siena. 3178 * MATTIA BERNEGGER a ELIA DIODATI in Parigi. [Strasburgo], 81 agosto 1G85. Blbl. Civica di Ambnrgro. Codice citato nella iiiformnziono promossa ni n.- ‘201 U, car. 162r. — Minuta autografa. Aelio Diodato, Lutetium, S. P. D. Amplissime Domine, lam pridem ab Elzeviriis contendi, permittereut Apologetioum 1,1 Galilaei suis impensis excutli. Sero responderuut, rem illam in mcliora tempora et ad repetitam Systematìs edi- tioneiu so reiecturos. Cura autem e proximis tuia animadverterem, librimi tibi non minus ac raihi cordi esse, iuduxi in animum, etsi re familiari, ut in bis temporibus, admodum accisa, tamen vel de meo sumptns typographo suppoditiue. Et habes hic esempla duo <’> Giovanni Vannuccini. <*> Ufr. u.» 80òa. 31 AGOSTO — 3 SETTEMBRE 1635. [ 3173-31741 307 io primi quaternioni». Mittain propediem ceteros, et una respondebo copiouius non ad tuaa modo, veruni etiani ad iiadem inclusa».... In Apologetici praefatione, quae dcmuin, absolufcis coterie, excudetur, autori» laude», plnribus quam in 8y stornate feci, exsequar; et percupio eas in » uni mani contrada» ex te cognoscero, non quod mihi flint ignotae, sed quia notiore» Uhi. Yale, nobilissime Domine, et festinatae brevitati veniam da. 21 Aug.<*> 1635 In praefatione tuum ve! nolenti» nomee exprimere animus est, eamque dirigere (niei aliud auadea) ad autorem ipsilon, sic tamen ut ex alto dissimulem quae opoi tot. 3174 *. ROBERTO GALILEI n GALILEO [in Aroetri]. Lione, 3 settembre 1035. Blbl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gel., Filza Favaro A, car. 87. — Autografa. Molto 111. 0 mio S. r Oss. mo Questi quatro versi serviranno solo por acconpagnare l’alligato pieghetto del S. r Diodati, quale caldamente mi raccomanda ; e bavendo havuto occasiono di mandare alcuni grossi pieghi al*Hl.“° S. r Bali Ciolli, li ho raccomandato an¬ cora questo suo, acciò gli no faccia tenere, o che lo consegni a Girolamo mio fratello, elio gli ne farà, bavere. Aspetto elio S. S. a habbia ricevuto quelli 2 libri {Z) che li ho mandato poi- via di Livorno sotto coperta dol sudetto S. r Ciolli, oliò la conparsa in V. S. mi sarà, gratissima. io II suo ritratto 13 ’ si aspetta con ansietà: il S. r Diodati me lo raccomanda, corno faccio io di tutto quore; c mio fratello Girolamo tiene ordine come lo deve mandare o rimborsarli ogni spesa. A quest’ hora V. S. doverà bavere visto l’111. m0 S. r Luigi Henaellin 14 ’, quale gli ne raccomando di tutto quore, come persona principalissima in questo ro¬ gato c do grande merito ; e volentieri saprò quello sarà seguito. Si aspetta ancora dal suo favore quella invontione della longitudine, per havergliene perpetuo grado. E con questo li faccio reverentia, pregandoli da E. S. ogni vero bene. Di Lione, questo dì 3 di Sett.® 1635. 20 Di V. S. molto 111. 0 Sor.® o Par.* Dev. m * o M. mo S. r Galileo Galilei. Rub. fc0 Galilei. <*» Di stilo giuliano. <*> Ol'r. u.° 3104, liu. 21. < a t Cfr. un.* 8145, 3101, 3164. i*) Ufr. un.» 8150, 3101, 3104. 308 4—13 SETTEMBRE 1033 [3175-3177] 3175*. (ilo. MARTINO RAUSCI1ER a .MATTIA RERNF.GGER in Strasburgo. Tubinga, 1 settembre 1686. Bibl. Civica di Amburg-o. Codice citato nella informazione promossa ni n.°2712, car. 105/. ~ Poscritta autografa ad una lettera dei 25 agosto idi stilo giuliano) 1(185. Sed ubi aunt Guidaci isluu lucubi uLioims'*> ? Ali no» oxsortea situus lierneggei iaui luboris improbi ? .3 I 73**. GIULIO NINO! a GALILEO in Arretri. Sai» Caschino, 18 settembre 1085. Bibl. Naz. Flr. Appondico ni Mss. Gal., Film Favaro A, rar. 88. — Autografa. Molto llu. w Sig. w Galileo Galilei, Gli mando staia sci (li farina per l'aportatoro di questo, che sarft Fran¬ cesco Marchi Non ò potuto mndaglino prima por il nmnchamonto della aqua: in però Y. S. mi scusi. E so V. S. mi poto faro piacoro di farmi avero una licezia di amazare dua porci, V. »S. mi fare servizio grande. E so gli ocoro uioto ‘ alto, V. S. mi avisi, per ò gratulo decidono di servila. Dio vi guardi. Il di 13 di Scttebro 1035, in Sanca/soano. E la rigazio (lolle zato. V.ro" A1T.° Giulio Ninci. io Fuori : Al molto Un." Sig." Galileo Galilei. In vila sua, a Samateo iu Aceti. 3177*. MATTIA BERNEGGER a GIO. MARTINO RAUSCRER in Tubinga. [StrasburgoJ, 13 settembre 1035. Bibl. Civica di Amburffo. Codico citato nella informaziouo promossa al n.° 2618, car 162(. — Minuta autografa. .... Galilaici Systematis exempla 20 prò me excudi curavi, quae iam pridem inter amicos distribui, te praeterito, non quin ossea atnioorum eximin», sed quod talibiiR te non ma¬ gno pere capi crcderem ( *. Igitur ut inexpectuto desiderio tuo sutiBi'aciam, a typographo, • l| Ofr. u.» 8177. <*> Ofr. u.o 81 lò. 13 — 15 SETTEMBRE 1035. [3177-3178] 309 qui ornimi exempiaria nomine Elzeviriorum servai, unum, quoti ecce mifcto, redomi talero imperiali*, tanti enim vendi praccepcnint Elzevirii. Ilano pecuniam do ca, quani prò nu¬ lo is erablematicis debello, detraili patere, neo iti Rordilnis aut avaritiae tribne: ea foi'tu* narum meanim tonuitas est, ul, pruder unimiun liberale nihil prue»turo queam.... 3 Sept. (I > 1635. 3178 **. FILIPPO MÀHNUCC1 a [GALILEO in Arcetri], Venezia, 15 settembre 1(585. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I. T. XI, cnr. 137. — Autografa la firma. Molto 111.™ et Ecc.' n0 S. r Comp.® e P.ron Oss.'"° Sarà resa questa a V. S. Ecc. m * dal mio servitore Francesco Ciolli, die le farà affettuosissima reverenza per mia parto et insieme li darà due pezze, una di grograno cannellato et una di erbaggio verde, ordinatemi dal Padre Rev. mo Maestro Fulgentio 1 * 1 . Ilarò caro, sieno secondo il suo volere. L’alleggrezza eh’ io hebbi quando intesi del suo bene stare, fu grandissima, perché la stimavo a Siena con qualche travaglio. Vedo che ella scrive con una mano saldissima da giovane, che ni’ ho stupito : il Signor sempre la prosperi ; a me interviene il contrario, che, tremandomi la mano, non posso piti scrivere; io pensi poi V. S. Ecc. ma s’io posso esser un Marte appresso Venere; e lo prati¬ che sono di virtù, et in suoni e canti, nè altro si pretende et avanza che schi¬ vare la mestitia del cuore ; et il Padre ha buon tempo : il Signor glie ne con¬ servi et accresca. Mi farà grafia darmi nuovo de’ suoi SS. ri nipoti, che li veddi già piccoletti, e quanti sono, così maschi come lemino, perchè porto particolar all'etto a tutti, discendendo da progenie di tanta virtù, miei Signori e Padroni ; e mi farà fa¬ vore di dedicarmi por lor padre in amore e servitore devotissimo, acciò hab- bino in memoria il mio nome. Lei si conservi sana et allegra, nè affatichi più tanto l’intelletto nelle speculationi, perchè stimo che per l’età possi stancarsi. 20 Sa l’amor che sempre li ho portato ; vagliasi in occasione, per favorirmi, di me, che lo vivo devotissimo sempre, baciandole con ogni più vivo alletto le mani. Di Von. ft , li 15 Sett. bro 1635. Di V. S. molto 111.™ et Eco.™ Dev. ,n0 et Obl. mo Comp.® e Ser. r ® Filippo Mannucci. U> Di stilo giuliano. (*) Ofr. n.° 3165. 310 15 Sl&TTEMBRK 1335 1.3179] 3179 **. FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO fin Firenze]. Venezia, 15 settembre 1(585. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gol., P. VI, T. XI, car. 184-185. — Autografa. Molt’ 111." et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.™ 0 Ilo consegnato il danaro al Sig. r Filippo M&nuzzi per comprar le robbe da inviare a Y. S. molto Ul. re et Eoc.“ a , havendowi assicurato d’ bavere persona espressa c’ hoggi parte, e servirà conforme al desiderio. Di quell’alzamento dell’acqua non so altro che quanto lo scrissi (1 ': che qui si stampa un discorso del R. P. Socondo Lancelloti Perugino, dello novità ri¬ trovato da’ moderni ingegni :8) , ove più volto fa honorevolo mentiono di V. S., por il che ho voluto subito licentiar la stampa. In quello dico, essersi ritrovato in Lione di far salire l’acqua sopra la sua origino. Potrebbe V. S., elio tiene amici in quella città, ricercarne informationo. io E se le viene fatta, la prego di sovonirsi che in quel mio abozzo l8> fui astretto far mentiono di questi nostri duo amici heroi, elio a forza hanno fatto sehicherar tanta carta; o non vorrei elio si vodesse in scrittura scria una bestialità. Doli’ instromento per gettar l’acqua, lio lotto al mio amico (4) quello Y. S. me ne scrive, o dico non essere cosa simile ; o voleva vedere l’instromento, ma ha presa dilationo, dicendo che l* ha in pezzi per ridurlo a duo soli canoni, di tre, per più facilità. Questo è huomo sodo e da bone. Lo vedrò : m’ ha fatto vedere un suo dissegno per l’artigliaria, che ove fa colpo, per ossempio, di una palla d’una libra elio Laverà duo diametro, lo vuole multiplicare sino a (50, e che facia l’istesso colpo, ma non tanto lontano; ina por una galera, cortina, 20 et anco in battaglia di campagna, facia una spazzatura di 60 volte più delli tiri ordinarie Ho veduto il dissegno et modo, non però la prova, quale mi as¬ sicura bavere fatta, et io lo credo. Sa potersi di me fidare nel comunicarmi ogni cosa. Sono che lo presenti a qualche principe, e lo dissegna a Francia. In due giorni di villa ho letto il Landspergio (#l : mi pare un galanthuomo: nomina V. S. con buon termino. La somma è un abbreviato di quanto ha V. S. no’ Dialoghi in prova del sistema Copernicano e rissolutiono delle ragioni con¬ to Cfr. il.® 8171, lin. 28-27. <*> L'hoggxdl, overo II mondo non peggiore n?. piti calamitoso del passato del P. D. Secondo I,an- ckli.oti da Porugia, Abnlo Oli votano, ooc. In Veno- tia. M.DO. XXXVII, appresso gli Guorigli. ‘ 3 > Cfr. il.® 8171, liii. 13. **> Cfr. n.» 8171, Un. 25. ,s * Phimppi Lansbkroii Commentatione» in mo¬ tti m terme diurnum et annuum et in veruni adspectahilis caeli ti/pum ore. Middalburg-I. apnd Zacharluin Roma* tiuu!, M.DC.XXX. / 15 — 17 SETTEMBRE 1635. 311 [3179-3180] trarie: io non vi trovo una minima cosa di pili, se non quello dice con libertà, tale sistema non essere contra la Divina Scrittura. E se fosso provato quello so che dice bavere dimostrato nella sua Uranometria ll \ della vcldeità dclL’ottava sfera, veramente non credo si trovasse cervello sì pazzo al mondo, che non bavesse per impossibilissimo quel moto. Ma non so come possi acertar il moto determinato chi prima non ha la lontananza dello fisse: e questo come lo sa? Il Sig. r Argoli ha scritto un Discorso per il sistema che la terra nel contro si mova in 24 in sé stessa. Ma non ci è altro imaginahilmonte che lo ragioni del Landspergio e di V. S., collo solutioni abbreviate ; ma come si salvino poi li fenomeni, credo lo reservi ad altra volta, perché non ne dico parola. Ilaverò tediato V. S. con cianciumc; ino lo perdoni, c le bacio con ogni alletto le mani. 40 Von.“, 15 7mbre 1035. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc." m S. r Galileo. Dov. mo Sor. I. F. Coll’ocoasiono di raccordar all’111.“° Baitello l’ossattiono della rata matura 125 , in’ ha ricercato come potrobbe bavere uno de’ compassi di V. S. Gli ho risposto non ne bavero ritrovato per me in Venetia, conio è vero, ma che pregherei V. 8. mottorci su la strada di haverno. 3180 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcetri. Lione, 17 settembre 1085. Bibl. Naz. Flr. Mss. Cai., P. VI, T. XII, car. 100. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r o P.nc Col." 10 Tengho elio, poco doppo la scrittami sotto dì primo stanto, V. S. dovorà bavere visto 111." 10 S. r Luigi Hensellin (3) , o trovatolo persona assai conpita in virtù o nobiltà; o non doverà uscire di cotcsta nostra patria senza farli revorentia. Ill. rao S. r di Perozese resta molto mortificato di non potere venire a fine do’ sua disegni por servitio di V. S., o continua sempre di battere il ferro, o vorria darli l’anuutio di qualque buona nuova; e lo posso assicurare del suo continuo all'etto, e lo farò sicuro della gelosia che la tiene e della sua mente. Quanto alle longitudine, non c’ è fretta alcuna, e ogni suo comodo sarà più io grato elio qual si voglia altra cosa; solo dicevo che quando S. S. a le manderà O) Phii.ippi I,a NS » Riunì Umnomctriae libri tros. In quibus lumie, solis et rcliquorum planctanim ot in errai) ti uni stollaruui distantiae a terra et magni¬ tudine» liactcnus ignoratao, perspicuo (louiouslrau* tur, occ. Middelburgi Zolandino, apnd Zaclmrinm Ro- inanum bibliopolam. Anno CI0.I0.C.XXXI. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIII, c). < 8 > Cfr. un. 1 3150, 3101, 3174. 812 17 SETTEMBRE 1G35. [8180-3181] per suo gusto in Olanda, in passando haverei desiderato ili vederle per potere extrarre copia di qualcosa, chè non intendo che per me se ne pigli alcuna bri¬ glia ni fastidio; chè pur troppo li sono a caricho. 11 ritratto veramente da tutti è aspettato con ansietà; o passandomi per lo mane ne piglierò, con sua buona licentia, copia, e una per 111.® 0 S. r de IV roscz, die la desidera: o mio fratello Girolamo ha ordine di ritirarlo e man¬ darlo quanto prima bene accomodato, e suplire alla spesa e a quanto accade (il . Al S. r Piero Corcavi farò tonerò la mandatomi, come farò il libro quando mi capiterà: e mio fratello Girolamo mi scrivo haverlo messo in una cassa drappi, quale doverà essere qui fra 15 giorni incirca; o io subito gli no farò 20 tenero senza fallo. Al S. r Diodati ho fatto tenore la sua; 0 aspettandosene ogni ora quello di Parigi, so co no sarà por S. S.“, verranno qui annesse. K pigli S. S. ft ogni buona occasiono di comandarmi, oliò lo reputerò a gratia particolare, 0 facendoli con questo reverentia 0 pregandoli da N. S. ogni vero bene. Di Lione, questo dì 17 di Sett. 0 1635. Il S. r Diodati mi ha mando 2 pieghi por V. S., un grassetto 0 uno pili pic¬ colo, quali li mando con questo presento corriere Bart.® Roberti, franchi di porto; 0 da mio fratello Girolamo li saranno mandati. 11 suo pacchetto di libri della sua traduzione, tengho sinno tutta via a 30 Marsilia l2) , folta do passaggi ; però S. S.® non so no dia alcuno pensiero, 0 quando piacerà a Dio, capiteranno. E di quoro li bacio lo mani. Di V. S. molto 111. 0 Dev. rao 0 Alf. 1 " 0 Sor.® 0 Pai-onte Al S. r Galileo Galiloi. Itub. to Galiloi. Fuori: Al molto 111.® Sig. r mio Oss. mo Il [...] Galileo Galiloi, Matt. c0 primario di S. A. S. li-anca. Arcretri. SI 81 **. BENEDETTO SOAI ANDRONI a [GALILEO in Aroetri]. S. Piero in Sillano, 17 BOtlembro lGUó. Blbl. Naz. Fir. Mas. Ual., P. I, T. XI. car. ISO. — Autografi!. Molto IU. ro Sig.” e Pad."® mio, Per un mio lavoratore mando a V. S. dua some ili carboni, ile 1 quali ila un mio fratello di suo ordino mi fu commesso, e penso saranno a suo gusto; et “> Cfr. n.° 3174. <*> Cfr. n.° a 164, liu. 23. 17 SETTEMBRE 1635. 313 [3181-3182] volendone più, fra pochi giorni resterà servita. E quanto al peso, V. S. gli po¬ trà far pesare, acciò liabbia il suo conto ; il prezo poi, in Fiorenza gli vendo £ dua e soldi 8 il cento, ma lei non gnene farò più. di £ dua, sicome altro volte gli ha pagati. E potendola servire in altro, V. S. comandi, chè mi troverrà prontissimo; o con tal line gli fo reverenza, e Dio la feliciti. Di tì. Piero in Sillano, il dì 17 di 7bre 1635. io Di V. S. molto 111.™ Aff. ,uo Servi. 0 P. Dened. 1 * 0 Scalandroni. 3182 *. MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESC in Aix. |Parigi], 17 settembre 1635.• Bibl. Nazionale In Parigi. Fonda fmmjuis, ii.° 0548, cur. 20. — Autografa. Monsieur, Encore que je vous aye desja csorit deux on troia foia sana quo je scache ai vous avez receu mes lettres et papiers, j'ay ueautmoins creu que vostre dernière desiroit une responso fort visto, nffin que voua ayez le contentement do voir l’honncur ou la modestie avec laquelle je me suis comportò avec Galileo. Tout le livre est encore eu vostre dispo- sition et privati iuris, d’autant que personne ne l’a veu; de sorte que si voub y trouvez quelque ebose à redire ou de trop rude, je sui» prest de Poster entièrement. Syachez pourtant quo vous n’y trouverez pas un seni mot qui ne soyt vray, en ce qui concerne mes experienoes, par lesquelles vous verrez que j’ay confirmé celles du grand Gnlilée toutes 10 et quant.es foia que j’ay peu; mais lorsque j’y ay cru trouver du manqne, vous ne pourrez, je croy, ny luy inesme, trouver mauvais quo j’on aye averti. Quoy qu’il on soit, le tout est eu vostre dispositivi. Vous verrez la grande pome du calcul fort exuet et plusieura ehoses dont j’attendray vostre avis, avant que de le publier.... Or je vous envoye encore deux livrea, l’un des sons et l’autre des mouvemens, dalia lequel vous trouverez tout l’examen que j’ay lait des Dialogues du S. r Caldèe <*>, lorsqu’il a oste question de confronter mes experienoes avec les sienues. Du uioius suis-je assurè que les miennes out esté repetces plus de 30 foia, et quelques-unes plus de cent Ibis, devimi de bona esprits, qui tous ont conclu cornine moy, sana en excepter aucun .... <*> Harmonie universelle, contenunt la tliiorìe et la pratique de. la musi qu e, ou il e*t traiti de la na¬ ture dea sona et dea mouvemens, dea òònaonaucea, dea diaaonunces, dea i/enrea, dea modea, de la compoaition, de la voùc, dea alianta et de toutes aortea d'inatrtmeua harmonique», par F. Maiiin Mckbknn* do l’Ordre des Minimos. A Paris, cliez Solmstio» Cramoisy, impri- mour ordiuairo dii Roy, rile St. Jacques, uux Cico ; gnos, M. DC.XXXVI, png. 85, l J5, 108, 112, 1-14, 156, 221. XVI. 40 314 18 SETTEMBRE 1635. |31S3] 3183*. BONAVENTURA CAVALIERI a (GALILEO in Arretri]. Bologna, 18 settembre 1635. Bibl. Naji. Fir. Mss. Gnl., P. VI, T. XII, car. 108. — Autografa. Molto 111” ot Eco.® 0 Sig. r o P.ron Col" 0 È un pezzo cho non ho sentito nuovo di V. S. Eco.®*, o perciò vongo con questa mia a salutarla por intendere del suo Lon essere qualcho cosa. Io ino la passo assai bene di sanità, por l’Iddio gratin. Alli giorni passati 1* Eni.® 0 Capponi (1 mi volse vedove, o fui a farli riverenza, stando a discorrerò con osso più di tre hore, ot per il più della persona sua o do* suoi bellissimi Dialoghi. Il desiderio suo poi di vodormi disso cho era nato dall’ Lavoro sentito a lodare da V. S. il mio libro dolio Specchio Ustorio 181 , intorno al qualo puro alquanto ancora si ragionò. Ma olla è troppo prodiga nollo mio lodi, ondo, scorgendosi 1’ opere mie molto a quello inferiori, ad ossa no toccherà poi giustamente la io difesa. La ringratio però dell’ honoro che mi fa sopra ogni mio merito. Ho fatto un poco di festa sin bora doppo la stampa della mia Geometria (3) (qualo non so se alcuno di cotesti Signori babbi havuto flemma di vederla tutta, come mi saria grato d’intenderò) ; essendomi poro stati proposti li seguenti duo problemi, cho mi parono belli, so bene da mo sciolti sin bora solo por luogo solido, ho però voluto mandarceli, per mostrarli che non mi sono nò anco del tutto lasciato irrugginire, e per dirli qualcho cosa di nuovo. Il primo dunque è questo. 41 Data la ad, segata comunque in b, segarla come in c, sì che il rettangolo acb al D 10 cd babbi la data proportiono corno di ab a If. Por far questo, descrivasi la scmiiperbola he, 20 di cui sia ab lato trans verso ot fb lato retto, intorno all’asso bd; poi dal punto d tirisi la de ad angolo semi retto sopra da, cho incontri 1* iperbola in c, o da c caschi ec perpendicolare sopra ad: ò dunque manifesto cho il rettangolo acb al D l ° ca, cioè al Q° cd, ò come ab a hf. II secondo ò questo. Data la ad, segata comunque in b, c, tagliarla come in e, sì che il rettangolo aeb al rettangolo dee babbi la data proportiono come di a b c d % m Litigi Capponi. < J > Cfr. n.« 1970, liu. 24. I») Cfr. u.o 1970, Un. 2». 1*1 Cfr. Lettere a 0. A. lioeca, p»g. 126. 18-22 SETTEMBRE 1635. 315 [3183-31841 p ad o. l'or far questo, sia come p ad o cosi mb a cd, et essendo fatto ab lato so transverso, e preso per lato retto qualsivoglia, coinè bn, si descriva la semiipcr- bola bfg intorno all’asso bc ; fatto poi come ab a. bn così mb a bn, essendo bu lato retto e cd transverso, si descriva intorno puro all’asse eh la semiiperbola cfh, elio seghi la b<) in /’, e da /' cada la fe perpendicolare sopra md : dico che il rettangolo acb al rettangolo dee è come p ad o. Imporochè il rettangolo acb al D° ef è conio ab a bn, overo mb a bu, et il D t0 ef al rettangolo dee è •to come bu a cd ; adunque, per la ugual proportene, il rettangolo aeb al rettan¬ golo dee è come mb a cd, cioè come p ad o ; il che etc. Quello che me li propose diceini havere la solutiono del primo per luogo piano; ma io non ci ho poi fatta pii! riflessione: dice porò essere difficilissima. Ilo però risoluto aneli’ io questo secondo per luogo piano, quando la propor¬ tene data ò di ugualità ; ma non starò a dirne altro per non attediarlo.. Finisco baciandoli affettuosamente le mani e ricordandomeli cordialissimo servitore. Di Bologna, alli 18 Settembri) 1635. 50 Di V. S. molto 111.™ ot Eco."* Oh." 10 Sor.™ F. Bon. ra Cav. ri 3184 *. GALILEO a [ELIA D10DATI in Parigi]. [Arcetrij, 22 settembre 1035. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai.. P. V, T. VI, car. 84f. — Copia di mano (li Yinoknzio Viviani, in capo alla qualo si leggo, pur di inano del Viviaxi: «G. G. 22 7bre 1685». Io ho due miei libri, fatti latini da un amico mio, e gli averei consegnati al medesimo: e sono i libri, le tre Lettere delle macchie solari e il Trattato delle cose che stanno sopra l’acqua. 11 ritratto* 0 ò fatto più giorni sono, similissimo, da mano eccellente (2) etc. Cfr. n.o 3180, Un. 14-17. Giusto Subtkrmams. 31G 25 SETTEMBRE — 2 OTTOBRE 1035. [3185-3180] 3185 *. ELIA DIO DATI a GALILEO [m Arcetri]. Parigi, *25 settembre 1035. Bibl. Noi. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 08r. — Copia di mano di Vmonimn Vivuni, che prometto quosto panilo : « L’amico di Parigi con lotterà do'25 7bro 1035, in risposta ad una del Galileo del 27 Agosto,ohe manca tra quello pervenute di Parigi a S. A. Rov.»»' 1 », tra altro cobo scrivo: ». A cnr.28r., 7S)r., 146r., dello stesso codice si hanno altro copio di questo stesso capitolo, di mano pur del Vivuni o di un suo amanuense. II pensiero dol Sig. r di Carotivi liti (2 di Tolosa, di metter in stampa in an sol volume tutto Doperò di V. S., ò ben inteso per perpetuarle, non conservandosi così bone separato, ot in particolare in libri piccoli. 3186 **. ASCANIO PICCOLOMINT a GALILEO in Arcetri. Siena, *2 ottobre 1UJI5. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car MI. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. 10 S. r mio Oss. mo Ancorché il lavoro dello /.atto, persiche, semiane e lazzcruole, clie V. S. m* ha fatto, mi trovasse in visita, io lo godo bora nel ritorno con sommo gu¬ sto, sondo le zatte perfettissimo. Però, benché il mio segretario glie ne rendesse vivo gratie, non me ne sodisfacendo interamente, no la ringratio ancor io con tutto l’affetto possibile. Quest’anno, che la vendemmia promette i vini un poco abboccati, voglio servirla dol botticino delle tre some di bianco: però faccialo V. S. porre in or¬ dino, e mi dia avviso quando doverò mandarglielo. Sento dal S. r Can. 00 Cini (s) le commemorai ioni favorite che V. S. si compiace, io fare di me, che certo sempre più m’obliga al suo merito. E qui, senza più, resto pregandole da Dio ogni vera prosperità, o li bacio con tutto l'animo le inani. l)i Siena, li 2 Ott. ro 1635. Di V. S. molto 111." <•••> Sig. r Galileo Galilei. Arcoti. A. Ar. di Siena. Ut I, Bopoi.no ok’ AIkdioi, i*i Pjktbo i>b Cargavy: efr u.» 8152. O) Piccono Cini. [3187-3188] 6 — 8 OTTOBRE 1635. 317 3187 **. BENEDETTO SCALANDRONI a [GALILEO in Arce!ri]. S. Fioro in Sillauo, G ottobre 1035. Bibl. KTaz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 89. — Autografa. Molto 111." Sig.™ et Pad." 0 inio Colei. 1 " 0 Molti giorni sono ricevetti una di V. S. molto III.", per la. quale intesi come il carbone mandatoli fu riconto dalla sua serva, sebeno senza pesare, il che non impor¬ ta, poiché lo feci pesare quando si insaccò; o glieno detti debito, e quando sarò in commodo, li manderò il restante di quello domanda, sì per costì come ancora per in Firenze: c del prezzo non ci sarà dificultà alcuna, Bicorne non co n’ è stato por il pas¬ sato. Di più sento corno V. S. desidererebbe gli provvedessi sei barili di vino buono, quale bastassi a’ caldi : elio del trovarlo non credo bavero dificultà, per il prezzo clic correrà nel paese; ma dubito bene del comodo dello bestie, perché quassù n’ ò scar¬ ni sitàassai: però se costì se ne trovassi, credo sarebbe bene il pigliarle; caso che no, farò diligenza trovarlo quassù, quantunque senza suo nuovo ordine non farò niente. Prego ancora V.S. molto 111." a volermi scusare di tanta mia negligenza usata nel rispondere alla sua gratissima, quale ricevetti in Firenze da mia fratelli; ma per molti bisogni che havevo di andare in Valdarno por parlare a Msig. re Vescovo di Fiesole, dove stetti dodici giorni, me lo scordai: contuttociò spero che resterà appagata del buono animo; e conoscendomi abile in poterla servire in cosa alcuna, mi comandi liberamente, chè mi trovorrà prontissimo in servirla, e mentre co¬ manderà lo riconoscerò per favore «iugulare, quantunque senza alcuno mio merito. E con reverente affetto li bacio le mani, pregandoli dal Cielo ogni colmo di felicità. 20 Di S. Piero in Sfilano, li 6 Sbre 1635. Di V. S. molto III." Sor." Aff. m0 P. Benod. tt0 Scalando 1 3188 **. PIETRO LA SENA a GALILEO [in Arcetrij. Roma, 8 ottobre 1035. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, cnr. 148. — Autografa. Di fuori (car. 144t.) si logfrn. di mano di gai.ii.ko : del S. Pietro Sena. A queste 2 U> si deve rispondere al ritorno del S. Birè di Bologna. Molto 111. 0 Sig. r mio P.ron Oss." 10 Il Sig. T Gio. Camillo Gloriosi m’ ha da Napoli fatto capitar in poter mio alcuni essemplari della Seconda Deca Matematica, novellamente da lui data IiOtt. 3187. 18. (lenza dicono mio — O) 1/altra è quella d>. Gio. Giacomo Bovohahi> dol 10 ottobre: cfr. u.» 3190. 318 8 — 0 OTTOBRE 1635. [ 3188 - 3189 ] fuori allo stampe’ 1 ', et insieme scritto se io liavesae modo far pervenir nello mani di V. S. molto 111. 0 una copia d’essi; il elio fu da me negato, non po¬ tendo preveder l'opportunità, c’ lmra mi rappresentono i SS. ri Gio. Battista Ai- tini o Giovan Birò, dottissimi o curiosissimi gentilliuomini Francesi ot amicis¬ simi dol Gloriosi, i quali vengono a riverirla, come aneli’ io vorrei faro, di presenza. Ho lor pregato a presentar a V. S. molto III. 0 detto libro; o partici- pando questo ragguaglio al S. r Gloriosi, aspetterò la lotterà con la quale, ap- io provando questo mio fatto, significherà a V. S. molto II. 0 la parti alitò, dol suo affetto verso lei, di cui, por l’amicitia eli’ ò tra noi, le sono veridico testimonio. E por fine le bacio riverentemente le mani. Roma, li 8 di 8bre 1635. Di V. S. molto 111." Ser. r Devot. m# S. r Galileo Galilei. Pietro La Ben a. 3189 **. ARTEMISIA GENTILESCHI a [GALILEO in ArcetriJ. Napoli, 9 ottobre 1685. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 269-270. — Autografa. Molt’ Ill. r0 S. r mio et P.ron Oss. mo So che V. S. dirà che se mai nii si fusse presentata occasione di valermi dol favor suo, mai haverei ponsato di scrivergli; et in voro, stanti le obliga- tioni infinito cho gli tengo, no potrebbe fare infallibile argomento, non sapendo quanto spesso habbia proccurato sapor di lei, nè da alcuno no ho potuto saper nuova certa. Ma hora che so ritrovarsi costà in buonissima dispositione, Dio gratia, senza far capitale d’altro mezzo, a lei voglio ricorrere, dalla quale posso assicurarmi d’ogni favorevole assistenza, tralasciando di far capitalo d’ogn’altro Signore ; e tanto più lo faccio volentieri, quanto cho mi si rappresenta un’ al¬ tra occasiono simile a quolla di quel quadro di quella Giudith eh’ io diodi al io Ser.'“° Gran Duca Cosimo gloriosa memoria, del qualo se n’ ora persa la me¬ moria, so non ora ravvivata dalla protottione di V. S., in virtù della qualo n’ ottenni buonissima ricompensa. Che però la supplico faccia il medesimo bora, già che vedo non parlarsi più di dui quadri grandi eh’ ho mandato ultima¬ mente a S. A. S. per via d’ un mio fratello, quali non so se habbino gradito : solo so, per terza persona, haverli il Gran Duca ricevuti, et non altro ; che ciò mi ronde non poca mortifìcatione, vistomi honorata da tutti li io ot potentati Lctt. 3189. 10 rjHtlla Oiudth — l, i Ioannih Oauilli (ii.oKioai Exereitationum vomlum propositi, bini ftb oo intor logendum Rni- malhein alt carlini deca» lecunda. In qua contitiuiitiir madvorsa. Ncapoli, ex typograpliia ìSecuudini Bon- varia et lliooronuita et problemata, tua oi ad sol- calioli, M in; XXX V. [3189-8190] 9 — 10 OTTOBRE 1635. 319 doli’ Europa alli quali ho mandato 1’ opere mie, non solo di regali grandissimi, ma etiandio di lettere favoritissime, che tengo appresso di me ; et ultimamente 20 il S. r Duca di Ghisa (i) in ricompensa d’un quadro mio, che gli presentò l’istesso mio fratello, gli diede pei- mo 200 piastre, lo quali non ho havute per essersi incamminato in altra parto; et da S. A. S., mio prencipo naturale, non ho ri¬ cevuto gratia nessuna : assicurando Y. S. elio più haverei stimato un minimo delli suoi favori, che quanti no ho liavuti dal Re di Francia, il Re di Spagna, dal Re d*Inghilterra et da tutti li altri prencipi dell’ Europa, stante il desi¬ derio che ho di servirlo et di rimpatriarmi, et a considorationo della servitù eh’ ho fatta al Ser. mo suo Padre tant’ anni. Già si sa quale sia la generosità di S. A. S., alla qualo fanno ricorso tutti li virtuosi; elio perciò non è maraviglia s’io, messami nel. numero di quelli, so habbia fatto resolutione dedicarli alcun parto dello mio fatiche : anzi a mo più che ad ogn’ altro si conveniva pagarli questo debito, et por raggiono di vassal¬ laggio, et per raggiono di servitù ; ond’ io non posso credere, non haver sodi- sfatto a S. A., mentre che ho sodisfatto all’ohligatione mia ; cho perciò desidero da V. S. saperne il vero, col’accennarmi ogni particolare del Prencipo in que¬ sto affare, cho ciò mi servirà di refrigerio al dispiacer che sento, cho questa mia tanto devota dimostratione sia passata sotto un sì profondo silentio : che di ciò me ne farà gratia tanto grande, eli’io la stimerò sopr’ogn’altra eh’hab¬ bia ricevuto dalla persona di V. S., alla quale bacio millo volte le mani et gli vivo quell’ obligata servitrice di sempro. Et qui li faccio profonda riverenza. 40 Di Napoli, il dì 9 8bro 1635. Di Y. S. molt’Hl/® Ser. 00 Obligatis.™ 11 Artimitia Gentileschi. So V. S. si compiacerà rispondermi, resterà servita scrivermi sotto la cu- perta del S. r Francesco Maria Maringhi. 3190 **. GIO. GIACOMO BOUCHAltD a GALILEO in Firenze. Roma, 10 ottobre 1635. Bibl. Naz. FLr. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car. 145. — Autografa. Molt’Ill. 1 ® Sig. re P.rono mio Oss. ,no Il desiderio grande eh’ io tengo di conservare la servitù già presa con V. S. non patisce ebo lasci passare alcuna occasione eh’ io mi habbia di rinnovarla, **> Carmi di Lokk.va, Duca di Guisa. 320 10 OTTOBRE 1335. [ 3190 - 3191 ] o massi ni all’ bora ne sarà servita. So poi riuscirà coni’ io vorrei, incon- trorrà interamente il bisogno e il gusto di V. R., che ò quello elio ho procurato. Mi trovo in Vescovado (i| a godere la boschettatura, elio passa assai bene; però da questa solitudine mi dispenserà V. S. dalle nuove, sondono stata questa setti¬ mana assai scarsa. E qui prego a V. R. da Dio ogni prosperità, e lo bacio le mani. Di Murlo, li 16 Ott.™ 1635. Di V. S. molto 111.' 0 Divot. Rer. io S. r Guliloo Galilei. Arceti. A. Aio. di Siena. 3195 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [iu Arcetri]. Konia, 17 ottobre 1666. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 149. — Autnjfrnfa. Molto III.™ Sig. re e P.ron Ool. mo So no ritorna con longa giravolta il nostro Padre Francesco buono (8) , col qualo mi sono consolato più volte della sua conversazione, ragionando spesso di V. S. molto 111.™ : e veramente lo ritrovo tanto inamorato e conoscitore del gran inerito di V. S., che non si può desiderare più; o vive ardente di avviare, t* » Cfr. li.® 8006. •** t'AMUNO M.1CUBL1XI. [ 3195-31961 17-18 OTTOBRE 1635. 323 per beneficio della sua Religione, questi studii alla buona maniera, e credo che li riuscirà felicissimo il successo, massime perchè non si cura di moltitudine, ma fa stima do’ buoni ingegni. Habbiamo poi discorso assai intorno a quella mia operetta algebratica (1) , io e glie n’ ho data la copia finita più di tutte. Ho inteso da lui che il Sig. r Ma¬ rio l2) principalmente, come quello che mi ama soverchio, vorrebbe vedere opera dalla mia mano di maggiore pregio, o non stima questa degna dello stampo. Mi rimetto assolutamente in quello clic terminaranno dopo il ritorno del Padre Francesco, il quale (e non posso credere che m’inganni) mostra stimare la novità della materia, come fanno ancora qui tutti questi professori, e li piace assai la facilità del mio modo di lavorare. Tuttavia spesso vado replicando il dotto di quel grand’ huomo : Ncque ita mi hi mea placent, ut non perpendam quid alvi iudieaturi sint, e massime cotosti Signori miei padroni., elio so che mi amano o intendono, a’quali in tutto e per tutto mi rimotto, con l’assistenza di V. S. molto IlL re 20 Del nostro Sig. r Ambasciatore ho detto al Padre Francesco quanto passa, o mi rimotto a quanto lui li dirà a bocca. 11 Ser. m0 Sig. r Card. 1 di Savoia (S) ha fatti honori straordinariissimi al nostro Mons. r Ciampoli, e mi viene scritto dalla S. n Casa che pareva che S. A. non tenesse conto di nessuno altro. Qua si spera che li sarà mutato il governo in meglio dalla benignità di questi Padroni. Noi resto io sto bene di sanità, e tutto tutto suo sempre sempre; o li fo riverenza. Di Roma, il 17 d’ 8bro 1635. I)i V. S. molto 111/® Si è fatta un poco di distribuzione di previsioni dello Studio, o a me è toccata ima ventina di scudi ;jo di augumento; e sono in maneggio di ottonore una pensioncella, di quello che non si riscuotono mai. Devotis. 0 e Oblig. mo Ser. rn e Dis. 10 S. r Gai. 0 Don Benedetto Castelli. 3196*. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 ottobre 1085. Blbl. Nas;. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 151. — Autografa. Molto HI." et Ecc. ,no Sig. r mio S. T l’arrivo, il riposo, et il ritorno del P. Francesco 14 ' non m’hanno data altra occasione clic di scriver queste quattro righe. Il conferire, F imparar da lui, Cfr. mi.' 8130, 3134, 3138, 3154. < 2 > Mario Uuiuuooi. < s > Mauiiizio di Savoia. 0) ICARIANO JllOJlKUNI. 324 18 — 20 OTTOBRE 1635. [3196-3107] elio ha conversato tanto tempo con V. S. E., non è stato possibile. Egli s’ è ritirato a Monte Cavallo noi proprio noviziato, et io, che ho molti intrighi, non ho potuto mai vederlo. L’uscir in sua compagnia fuora di Roma, come verso Frascati, non era molto sicuro per me, non essendo in questi paesi per quattro mesi continui piovuto. Pur io accuso più tosto me di poca diligenza nelTaffrontar l’occasioni, elio lui di poca cortesia nel conferire. Confesso bone invidiargli fuor di modo la commodità ch’egli lui havuto et haverà di conver- io sar ot imparar sempre da V. E. ; non eh’ io desideri privarlo, ma d’esser a parto ancor io, di sì dolco o sì util convorsatione. Pur montro quosto non m’ò concosso, potess’io almeno veder una volta quelle opero ch’io tanto desidero o che lui ha potuto goder a suo talento. Non intendo porò d’infastidirla, ma solo di ripercuotergli la memoria. Quanto alle mio grandezze (1) , quali durorno dua giorni soli, no trattai a pieno con il P. Francesco, o lui potrà renderne minuto conto. Non dirò che mi rin¬ cresca d’havor persa qualche commodità di giovare agl’amici, per non faro (come si dice) una cortigianoria; ma più tosto dirò, essor stato beno ch’io habbia persa l’occsisiono di diventar cortigiano. Ne ringrazio pertanto Iddio, e 20 Lo prego caldamente a dar ogni prosperità a V. S. E.®*, dalla quale vorrei esser riconosciuto per vero suo servitore. Roma, alli 18 8bro 1635. Di V. S. molto 111." ot Eoc. ,n ‘ All’.'" 0 et Oblig. mo Ror. r0 Raffaello Magiotti. Fuori : Al molto 111.” ot Ecc.“° Sig. r 0 P.ron mio Col." 10 Il Sig. r Galileo Galiloi. Fiorenza. 3197. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 20 ottobre 1685. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI. T. XII, car. 169. - Autografa la sottoscriziono. Molto Ill. lr0 et Eccell.® 0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Ricevo la sua gratissima d’i 13. Io son stato alcuni giorni in villa, e doppo ritornato ho ritrovato tanti intrichi, clic m’ hanno occupato totalmente. Mando il Capitolo dolla sua lettera al P. Prior di Brescia per vedere quello che si può fare intorno al negotio dell’ incudine l2) , e mi rincresco in estremo la mala riuscita; come anco delle robbe mandate per il Sig. r Manutio (3) , in- «“ Cfr. n.o 3151, Jin. 58-65. Cfr. un.' 2964, 2969, 2976, 297'.), 2981, 2990. Cfr. u.° 8178. 20 OTTOBRE 1635. 325 [3197-3198] tondo che quel strambone del suo servitore ha fatto il peggio che poteva, et apunto quello che si voleva fuggire. Do conto all’ Ill. mo Baitello di quanto V. S. mi scrive intorno al compasso {l) io o del suo desiderio di farli questo honoro. A Padoa non ho scritto, perchè dis¬ segno andarvi io stesso all’ aprir delle lettioni prossime. Mi par bene un gran defletto clic non ci sia discorso di Y. S. sopra 1’ uso del compasso, perchè tengo per certo che sia di molto maggior uso di quello che mostrar^, a prima vi¬ sta; et io, che assolutamente ne voglio uno, senza il suo indrizzo a che me ne vaierò ? Le mando la domostratione (2) mandatami dal Sig. r Arguii con tra il Coper¬ nico, elio V. S. vodorò, di sua propria mano. Ho però memoria che V. S. 1’ ha tocca nel suo libro e rissoluta, ma non la posso vedere, perchè la bestialità della proliibitione co li fa rubar di mano agl’ amici. Nel Discorso del S. r Ar- 20 goti, per il moto della terra non vi è cosa alcuna immaginabile non tocca da V. S., eccetto questo, elio nello montagne e nelle minoro de’ sassi et altre si vede una dirrettione di tutto, quasi elio siano incrostationi l’una sopra l’altra, rivolte tutte da ponente in levante; e l’afferma, specialmente essere costi nelle Alpi. Se così fosse, sarebbe cosa molto notabile. Ilo memoria clic il Cabeo Do magnete (3) disse una siinil cosa, ma ebo la dirrettione era da austro in setten¬ trione. Y. S. me ne dirà qualcho cosa: considendus semper Magister. E pregan¬ dola a riamarmi, lo baccio con ogni all'etto lo mani. Ven. a , 20 Ottobre 1635. Di V. S. molto Ill. tro et Eccoli. mB so S. r Galileo. Dev. m0 Sor. 0 F. Fulgentio. 8198 *. PIETRO GASSENDI a NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC in Ai*. Digue, 20 ottobre 1035. Bibl. Nazionale in. Parigi. Fonds francato, n.« 9636, car. 239. — Autografa. _Je n’ay poinfc mauque de cercher la lettre de M. r Galilei, touebant l’invention du Pére Dimisi; mais asseurement elle n’est point demeurée icy, et je la voua ay sana doute renvoyée avec un grand fagot d’autres. Je seroy bien regretteux qu’elle fust perdue, parco que je n’ay point aussi retenu do meraoire de l’invention du mesme Galilei, appro- chante, à mon advis, de celle de l’autre. Mais il se pourra Taire que voua la rencontriez quelqi.e jour, quand vous y penserei le moina... <0 Cfr. n.° 3179, lin. 48-46. < 2 > Nou è proseutomento allegata alla lotterà. I 1 *' Cfr. n » 1972. i*' Cfr. mi. 1 3104, 3115. 326 21 OTTOBRE 1635. [ 3109 ] 8199. PIETRO DE CÀRCAVY n GALILEO in Firenze. Toloaa, 21 ottobre 1635. Bibl. Nrb. Flr. Mas. dal., P. VI. T. XII, car. 173-174. — Autografa. Molto 111. 6 Sig. T mio Paci." Colendiss.® Sono alcuni giorni elio m’ ò stata rosa la cortesissima lotterà di V. S. del 20 d’Agosto, a la quale non ho prima fatto riposta per cagione d’una febro assai pertinace, la quale mi togliova ogni libertà, di scriverli. Ringracio a Dio elio no V iatosso tempo si sia degnato favorirmi di duo cosi grande gratta, l’una dolla sanità o l’altra do la lettera di V. S. In essa lei m’avortisce elio m’invia per mano del Sig. r Ruberlo (n il Saggiatore, il quale aspetto con gli altri che mi sono promossi dal dotto Sig. r Ruberto por la stampa di tutto le suo opere, non solamente in sostentamento della sua memoria e riputatione contra i sui invidi avversarli, ma ancora por una mia particulare sodisfattane, desiderando io in ogni modo assicurare V. S. do la mia osservanza verso di loi. Subito eh’ el dotto Saggiatore o gli altri mi saranno inviati, farò incarnili aro la dotta stampa; o li piaccerà mandarmi in qual maniera habbia più gusto cho stanno stampato lo dette suo opere, o in foglio, ovoro in 4°, o si sarà bisogna aspettare una par¬ ticolare dodicatione de tutto el libro (aggiungnondo ancora ciascheduna a’ sui trattati), overo un aviso a i lettori noi quale sia dichiarata la ragiono da questa seconda stampa. El libraro ra’ ha dotto divertire V. S. che sarebbe nosessario aggiungere a la detta stampa un trattato (qual si voglia) non più stampato, non per considera[tiono] del guadagno (el quale per sicuro sarebbe più grande, principalmente in questo regno, ovo sono molti amatori do la novità), ma perchè 20 el privileggio non si concedo por i libri già stampati, ma por quelli clic si stam¬ pano di nuovo ; di maniera elio concedendosi ol detto privilegio per rispecto del nuovo trattato, servirebbe por tutta l’opera: 0 senza quello ol librare sarebbe in periglio d haver altri competitori, e non potrebbe ricuperare la spesa. El libraro dice in olirà, che l’ignoranza de la lingua italiana in queste contrade desiderarebbe eh el detto trattato fusse latino ; ma di tutto ciò V. ip. no di¬ sporrà al suo piaccore : e corno cho sia, farò stampare le dette opere con gran¬ dissimo gusto, o già s’incomminciano a intagliare le ligure sparse ne i sui Dia¬ loghi, sopra i quali ho notato alcuno cose ot mandato il mio parere a V. 8. 1 * 1 ; ma non so si in ciò ha voluto compiacere a la mia debolezza, non avizaiidomi, so m Kobkkto U.tui.Ri: cfr. n.° 3103. <*> Cfr n.° 8152, Ilo. 21-22. 21 — 23 OTTOBRE 1635. 327 [3199-3200] overo che lei non hahbia ricevuto la mia lettera. La pregho mandarmene la sua openione, perchè mi sarà sempre gratissimo d’imparare di maestro tanto meritevole. Qui pongo fine, la fretta del corriero non mi dando licenza di trat¬ tenermi con Y. S. tanto tempo eh’ io havessi desiderato, o questo mi servirà di scusa per gli errori commessi nella favella; ma restarò sodisfatto d’essa, pur che poscia esprimere i più cari concetti del mio coro, el quale assicura V. S. eh’è por sempre aquistato a i sui meriti. Baccio le inani con ogni alletto e riverenzza. Di Tolosa, li 21 Octobre 1635. Di V. S. mollo 111.® 40 Fuori : Al molto III.® Sig. r mio, Pad.® mio Ossei*. 0 , il Big.' - Galileo Galiiey, in Fiorenza. 8200. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arcetri]. Bologna, 23 ottobre 1635. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., F. VI, T. XII, car. 171. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. 1 " 0 Sig. r e P.ron Col. mo Ella mi dice nella passata ultima sua lettera sotto il 13 Ottobre di haverrai scritto un’altra lettera, con accennarmi in quella di haver visto li miei due pro¬ blemi risoluti per luogo solido (1) , ma io non P ho ricevuta. Havrei ben gusto di vedere quel libro del Padre Failla ( * } , ma io non vorrei incommodarla. Mi dispiace cho la Geometria' 3 ' mia riesca così difficile e laboriosa come dice : sarà colpa mia, elio malamente mi sarò saputo esplicare, ma ad ogni modo la materia per aè stessa ò anco molto difficile ; non mi maraviglio perciò cho il Sig. r Andrea Arrighetti, che mi dice Y. S. che 1* ha vista tutta, non me coltro gravitati» partirli » circuii et éUiptìt. Antvor- pifto, ex ofllcina typograpbìca Iouunis Aloursi. Anno M.DC.XXXI. < 3 > Cfr. a.» 1970. I») Cfr. n.o 3183. <*> Ioannih iiRf.i.A Faii.t.k Anfcvorpionsls, o So¬ cietà t;o Iesu, in Acailainia Mafcritonsi Collogii Impo¬ rtuna Regii Mathosoos Professoria, Tlieorematu tic 328 23 — 26 OTTOBRE 1635. [3200-8201] no scriva niente, poi che non vi luirà trovato cosa degna di consideratione. Mi io dovrà porò, credo, compatirò V. S., che non havendo qua con chi conferirò di simili materie, ò cagiono che mi sia tal bora parso facile quello che la confe¬ renza mi harebbe fatto conoscer por difficile. Questa mattina ho discorso per spatio di un’ bora o moza con un genti- lliuomo Francese, che mi pare molto intelligente delle matematiche e mi sem¬ bra un altro Vieta, quale mi ha dotto di volor venire a visitare V. S. : con la quale occasione ho voluto darli la presente, perchè sappi lo conditioni sue. Que¬ sto è il Sig. r Giovanni de Beaugrand, Consiglierò e Secretano del Ito di Fran¬ cia, del quale spero havrà grandissimo gusto, e per quel poco che ho potuto comprendere, troverà altri che F. Bonaventura suo servitore. Havrò gusto sen- 20 tire qual rincontro havrà havuto il mio presagio : e con tal fine alla buona gratia sua mi raccomando, compatendo infinitamente le sue afilittioni, e li buccio lo mani. Di Bologna, alli 23 Ottobre 1635. Di V. S. molto IH." et Ecc.°‘* Oh."' 0 Sor." F. Bou. ra Cav. rl 3201**. GIROLAMO BARDI a GALILEO in Firenze. Genova, 20 ottobre 1035. Bibl. Na.%. Pir. Mas. Gal.. P. 1, T. XI, car. 163. — Autografa. Molto 111." et Ecc. ,n0 Sig. r P.rou Col.® 0 Stimerà torsi V. S. che col longo tacere mi sii caduta la memoria di un molto Padrone, al quale mi ritrovo por tanti capi più che debitore: non per corto, se considererà che ciò è seguito per non incommodarla ; ma mi è parso il dovere di riverirla con questa mia, confermandole l’affetto col quale vivo desioso do’ suoi commandamenti. Sono Riorzato a trattenermi quest’anno por negotii urgenti di mia casa; o perchè mi trovo in Pisa offeso, no son ricorso al S. r Auditore, il quale es¬ sendo rimasi to], per mia mala disgratia, Ricalato, di’havevo buona speranza, per non offendere S. D. M. non so quello seguire. La priego, se ha occorrenza io di esser in Firenze, o con lettere al S. r Conte (1) o S. T Baly w , caldamente rac¬ comandarmi. "l Orso o’Klci. 1,1 Aniìkka Cigli. 26 — 29 ottobre 1635. 329 [3201-8202] Mi vengono instantemente richiesti tutti li libri di V. S., quali non è pos¬ sibile in questi paesi ritrovare o massime il Dialogo, essendo lei solo conosciuta per fama o per notitia da altri; e se me li potesse far bavero, mi saria ca¬ rissimo, ch’in Pisa il S. r Guast. a(1 ' li riceverà e sborserà il prezzo : in tanto se in cosa alcuna atto mi conosco, di me si vaglia. Uen. a , li 26 8bre 1635. Di V. S. molto III. et Ecc. 11 Dcv. rao Ser.° 20 Girol. 0 Bard.fi] . Mi avisi se è per stampare altro, cliè, so mal non mi ricordo, in Siena haveva non so clic alle mani <2) . Fuori : Al molto Ill. ra et Ecc. ,no Sig. r mio Oss. mo il Sig. r D. ro Galileo Galilei, Mat. c0 di S. A. S. Firenze. 3202 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcetri. Lione, 21) ottobre 1636. Bibl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 98. — Autografa. Molto 111. 0 mio Sig. r e P.nc Col. rno Veramente, a non mentire, io resto con qualque mortificasione in vedere che S. S. a sempre continua meco un truppa di conpimenti, che procedano del’ec- cessa sua gentilezza. A me, suo obligato, non convengano, che reputerò sempre a favore il servirli con il propio sangue. Ho bene caro 1’ kavessi ricevuto tutti li libri o scritture mandatoli, massime quelli dua libri mandati per via di Marsilia, elio ne stavo in qualque pensiero a causa del’armata navale (3> . La mandatomi ho inviata al S. r Diodati, et spero avanti la partenza di questo riceverne delle sua. io 11 ritratto di S. S.* o quel libro del Saggiatore non era ancora partito di Firenze; ma mi veniva accennato che dovessi seguire poco doppo in una cassa drappi, elio adesso doverà osscre a camino. Ho havuto gusto che lei bavessi conferito con 111. 010 S. r Luigi Ilesselin {iì o con il S. r Dottoro Maucort; e il primo è persona di qualità, e sono sicuro che O) GuaSTai.acqOA (?). (S * Cfr. n.*> 8168. < 9 > Cfr. ».° 2829. <»> Cfr. n.» 317-1. XVI. 42 330 ‘29 - 30 ottobre 1035. [3202-3203] in ogni occasione lo servirà di quore e con affetto. E mi ha scritto bavere havuto particolare guato della sua convorsatione, o presto spera di rivederlo nella prossima stato; e lo troverà persona oonpita. Avanti elio mandare la lotterà del iS. r Diodati, li detti una lettura: e la ringratio di tutto quore della parti cipasiono che la mi vole fare dolio longitu¬ dine, quale mi saranno di grandissima consolatione ; e doverà dare il modo 20 della fabrica di quelli horulogi, quando li manderà altrove. Tosso assicurare V. S. e senza adulasiono alcuna, che il S. r Do Teresco 1’honora et rispetta sopra qualsivoglia huorno del mondo, e sempre va procu¬ rando qualcosa per la sua sollevationo, por poterli, in scrivendo, darli qualque buoua nuova: o già ò chiaro e tnanifesU) a tutti il torto cho ingiustamento li viene fatto ; ma le sua virtù e sua scientia no sono sole la causa, invidiate dalla ignorantia e dalla rabbia. E io con questo li faccio con ogni dovuto af¬ fetto reverentia, pregandoli da N. S. ogni vero bene. Di Lione, questo di *29 di 8bre 1G85. Di V. S. molto 111." Ser. w ( >hig. m '* e Par. u Dev. m0 so S. T Galileo Galilei. Rub. u Galilei. Fuori: Al molto 111.® mio S. r p P.ne Col“° 11 S. r Galileo Galilei, Matt.*° primario di S. A. S. In Firenze, m Arcetri. 3203. GAI.ILEO a GIO. CAMILLO GIA)RI081 [in Napoli]. Arcetri, 30 ottobre 1036. Dallo papf. Hfi-151 dulia Ioannis Camii.u Rirrt^ialiomom M’ itknmniirarum i/mi* /trita. In firn cui infili ur txirui et tkeorcmata .| yrubiimta la. Imm « ai/ *-/r «dm. jropotiUi, Ih in ab io intrr UyrHtlum mtimadvtriQ, Neapoli. ox typofraphia Sacmidiui Honcalioli, MOCXXXIX. La seconda deca delle Esercitatami Matematiche di V. S. molto I. m mi tu resa 4 giorni fa; alla quale ho dato una vista, per questa prima, correntemente, con pensiero di riveder più posatamente, non dirò il tutto, ma quella parte che dalla mia già per la grave età consumata memoria mi sarà conceduto, la quale è ridotta così al poco, che mi abbandona nel voler rivedere molto delle dimostrationi già tempo fa ritrovate da me medesimo. “> C£r. n.° 31SS. 30 OTTOBRE 1035. 331 [3203] Mi sarebbe stato grato che V. S. havesse veduto il mio Dialogo avanti la sua prohibizione, e particolarmente in quella parte dove io vo esaminando l’artifizio del C. Chiaramonti (,) nel riprovare gli astro¬ nomi che posero le nuove stelle superiori a i pianeti, dove, concor¬ rendo con V. S., mostro l’inefficacia delle sue ragioni (2) . In tanto, per segno d’haver pur capito qualche cosa delle sottilissime speco- 1 azioni di V. S., voglio conferirgli certo mio discorso che gran tempo fa mi passò per fantasia, per provare che l’angolo del contatto sia detto così equivocamente, e che in somma non sia veramente angolo, convenendo in questo col Vieta, le cui ragioni V. S. molto acutamente par che vadia redarguendo ; sì che se mi mostrerà la fallacia della mia che mi par poco meno che concludente dimostrazione, bisognerà 20 eh’ io sia con lei. Stando dunque su la ricevuta definizione, che angolo sia l’incli¬ nazione di due linee che si toccano in un punto e non son poste tra di loro per diritto, figuriamoci un poligono rettilineo et equilatero, inscritto nel cerchio : è manifesto, le inclinazioni o direzzioni de i suoi lati esser tante quanti gii stessi lati, se saranno di numero dispari, o vero quanto la metà, se il numero sarà pari (havendo gli opposti la medesima direzzione). Dora, se intenderemo a qual si sia linea retta segnata esser applicato un lato del detto poligono, questo con quella non for- so merà angolo, caminando amendue per la medesima direzzione; ma ben lo formerà il lato seguente, come quello che sopra la segnata retta si eleva et, inclinandosegli sopra, la tocca. E perchè il cerchio si con¬ cepisce esser un poligono di lati infiniti, è necessario che nel suo perimetro siano tutte le direzzioni, cioè infinite ; e però vi è quella di qualsivoglia linea retta segnata, la quale non può intendersi esser altra che quella del lato (de gli infiniti che ne ha il cerchio) che ad essa sia applicato: adunque quello del cerchio che alla linea 40 retta si applica non forma angolo con lei ; e tale è il punto del contatto. Qui poi non si può dire che se bene il punto che tocca Lett. 3203. 17. — 25. esser lauti quanti — 34-35. se concepisce — 41. che *i iene — O) Cnv. Sou’Ionk Uhiaiumunti. <*> Cfr. Voi. VII, pag. 304. 332 30 OTTOBRE 1G35. [ 3203 ] non contiene angolo con la tangente, tutta via pur lo contenga il punto contiguo conseguente, sì come noi poligono non il lato che si applica alla retta proposta, ma il lato seguente, è quello che l’angolo forma e costituisce ; non si può, dico, dir questo, perchè il punto che succedo a quel del contatto non tocca la retta, la quale da un sol punto del cerchio, e non da più, vien toccata. Ma nella definizione dell’{ingoio si ricerca, oltre all’inclinazione, il toccamente ancora; adunque il chiamato angolo del contatto è con errore detto così, nè è veramente angolo, nè ha grandezza alcuna. r>o Sovvienimi anco, oltre a molti altri, haver fatto un discorso in cotal forma. Se, stando ferma la I)E, intenderemo la segante AB girarsi sopra ’l punto del segamento C, sì che (lidio stato AB trapassi ^ « in GF, facendo l’angolo FCE / A superiore alla CE, dove prima conteneva l’inferiore ECB, è manifesto, l’angolo BCE an- darsi per tal conversione ina¬ cutendo e ristringendo in mo¬ do, che finalmente la sua quantità si annichili e del tutto svanisca; co il che accaderà quando essa retta AB si congiungerà con la DE. Bora, applicando l’iatesso discorso all’arco ACB, segato dalla retta GF nel punto C, costituendo gli angoli misti ACG, FCB, se intenderemo essa retta GF girarsi sopra ’l punto C, inacutendo i detti angoli e final¬ mente trapassando nello stato di OCN, sì che l’angolo inferiore ACG si faccia superiore, come ACO, ciò non comprendo io che possa acca¬ dere senza V annichilazione di essi angoli; la quale annichilazione non può essere se non quando essa retta convertibile non segasse più la curva ACB, il che avviene quando essa si unisce con la tangente DE. Nell’arco dunque e nella tangente non sono angoli, ma la annichila- 70 zione de gli angoli. il discorso anco che vien fatto per confermar che l’angolo della contingenza non solamente sia quanto, ma talmente quanto che sia divisibile in infinito, mentre si descrivono cercini maggiori che passino per il medesimo toccamente, è, s’io non ni’inganno, manchevole: imperò che non V angolo, il quale dico non haver quantità, ma ben lo spazio tra la circonferenza del minor cerchio e la retta tan- 56 . aonlineva — 30 OTTOBRE 1635. 333 [ 3203 ] gente vien diviso e suddiviso dalle maggiori e maggiori circonfe¬ renze ’ il elio assai chiaramente mi par che si possa mostrare con 80 1’ esempio de i molti poligoni rettilinei, simili e diseguali, nella se¬ guente maniera. Siano nella retta MB, perpendicolare alla AE, i centri M, N di due ceroidi diseguali, toccanti la AE nel punto B ; et intendasi nel minore inscritto un poligono equilatero, del quale siano lati le rette BT, IO, OS ; e pro¬ lungata la BI, termini nella circonferenza del cerchio maggiore nel punto 0: è mani¬ festo, la linea BC esser un lato del poligono similmente inscritto nel cerchio maggiore, •jo nel quale le due CD, DF siano lati conse¬ guenti. Qui si vede che ’l perimetro FDCB divide bene lo spazio intercetto tra ’l peri¬ metro del poligono SOIB e la rotta BE, ma non però vien diviso l’angolo 1BE, essendo il lato IB parte del lato BC et esso angolo CHE coinmune, anzi lo stesso della EB e de i due lati de i poligoni Bl, BC. E discorrendo nell’istesso modo di tutti gli altri poligoni tra loro simili, di qualunque numero di lati e quanto si voglia differenti in grandezza, l’angolo IBE sarà sempre comune, nò già mai segato ; ma ben s’andrà sempre facendo più acuto, multiplicandosi i lati del ioo poligono. Vero è che l’angolo IBE sarebbe esso ancora diviso dal lato d’un poligono maggiore, tuttavolta che fusse di più lati et in conse¬ guenza dissimile. Di qui mi par che si possa ritrarre, eli’ essendo i cercini tutti, poligoni simili di lati infiniti, applicandogli alla retta AE nel comune toccamento B, venga ben lo spazio tra la tangente e l’arco BIOS diviso dall’ arco FDCB, ma non già l’angolo B, essendo comune d’amendue i poligoni : e l’essere i cerchii tutti, poligoni di lati infiniti toglie il potersi dire, il cerchio maggiore esser poligono di più lati che il minore e perciò atto a dividergli il suo angolo, perchè sì come non si può intendere, poligono alcuno potersi inscrivere in un no cerchio, benché immenso, di lati innumerabili, che uno di altretanti (e però simile) non si possa inscrivere in qualsivoglia altro, ben che picciolissimo, così non si può dire che l’angolo del contatto non sia S2. perpendicolare alla AG i centri — 88. toccanti la AG nel — 91-92. perimetro b'DFJì divide — 92. lo tjiacio — 334 30 OTTOBRE 1035. [3203] uno o comune ad amenduc i cercini : e se tale angolo non è divi¬ sibile, non è quanto ; e se non ò quanto, non ò vero angolo, ma equivocamente così detto. Considerisi appresso, che sì come multiplicandosi più e sempre più il numero de i lati del poligono, V angolo IBE sempre si fa più acuto, par che per necessaria conseguenza ne segua che dove i lati siano infiniti, tal angolo sia infinitamente acuto, cioè non quanto e non angolo. 120 Nel considerar poi le conclusioni che V. S. arreca alle ragioni del Vieta, mi par eh’ ella talvolta prenda per noto quello eli’ è in qui- stione : e dico mi pare, perchè tengo per fermo d’ingannarmi, ma per me stesso non so disingannarmi ; però liberamente ricorro a lei. La controversia ò, che quello asserisce il diverticolo del cerchio dalla rotta tangente non esser angolo nè liaver quantità ; e V. S. vuol so¬ stenere, esser angolo et haver quantità. 11 Vieta produce sue ragioni, ed ella le risolve; ma nel risolver la prima, alla facciata 117 verso ’l fine, mette per assurdo che l’angolo DAF sia eguale al DAB, sì che come parte sia eguale al tutto, che è grave assurdo. Ma l’avversario 130 nega eh’ il diverticolo FAB sia nò angolo nò quanto, et in conse¬ guenza che non essendo parte del semiretto DAB, non gli scema nulla della sua quantità. 11 medesimo appunto risponderà a quello eh’è scritto alla facciata 119, cioè che gli angoli DAB, DAF sono eguali; e parimente, stando pur saldo che i diverticoli non sian quanti, con¬ cederò esser differenza tra l’angolo lunare e ’l compreso da due cave circonferenze, ma non per differenza di quantità, ma sì bene per configurazione, essendo questo formato da due cavo circonferenze, e quello da una concava et una convessa. Ho voluto conferir con V. S. queste coselle di poca profondità, 140 sendo per la grave età inabile a più alte contemplazioni. Gradisca la confidenza che tengo nella sua cortesia, e, se non gli sarò grave, favoriscami di risposta e di qualche suo comandamento. E con re¬ verente alletto gli bacio le mani, e gli prego intiera felicità. Dalla villa d’Arcetri, li 30 di Ottobre 1635. 121 - 122 . ragtjioni ilei l'itdu — 127 . Viola — [3204-3205] 2 — 3 NOVEMBRE 1635. 335 3204 **. ANTONIO NARDI a [GALILEO in Arcetri]. Arezzo, 2 novembre I0:i5. Autografoteca Morrison in Londra. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r , S. r mio Col.'" 0 Mi paro ogn’ora mille anni di riveder V. S. Ecc. m ‘ almeno por poche oro; e così mi son risoluto, dovendo tornare a Roma, di far la strada per co testa volta, acciò possi e godere della sua presenza e dar nuova di lei al P. Abbate Castelli e al P. Magiotti, a’ quali promessi voler iu tutti li modi, avanti il mio ritorno a Roma, riverirla di presenza. Il S. r Cap. Girollimo Gualtieri ricapiterà a V. S. questo due righe, accom¬ pagnate da alcuni caci do’ nostri paesi, quali, se ben pochi, si goderà per me¬ moria mia; e intanto si prepararli a comandarci qualche cosa per Roma, io Un Padre dello Scuole Pie (1) , alcuni mesi sono, passando di quassù, mi diede buone nuovo della sua salute, del che ne godei e no ho goduto sempre, giovandomi sperar lo stesso di presente che per il passato era; mi dispiacque solo che quel buon Padre non volesse far capitale di quel poco di casa che ho in Arezzo, dicendomi haver fretta di partire : o fra breve lo ritroverò in Roma. Non tediarò più V. S. E. ma , e ricordandomi servitor al suo grandissimo me¬ rito, finirò. Di Arezzo, 2 di Ombre 1635. Di V. S. Eoc. uia S. re Oblig. mo et ver. Ail‘. at<> Antonio Nardi. 3205 . GIOVANNI DI BEAUGRAND a GALILEO in Arcetri. Firenze, 3 novembre 1G36. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 177-178. — Autografa. Molto 111.** et Ecc. mo Signore mio Osservandissimo, Havendo conosciuto por lo honore della conversatimi© di V. S. molto HI.™, che non è senza ragiono eh’ il suo merito et la sua dottrina gli ha acquistata la stima universale di tutto ’1 mondo, poi elio l’un ot, l’altro ò a un punto al io Famiano Miohblini. 336 3 NOVEMHRE 1635. [3205] quale non si può aggiugnero nulla, non ini sono miravigliato s’ella non s’è la¬ sciata vincerò allo importunità del S. Morino, il quale bramava di lei l’appro- batione del suo libro di longitudini (l) , che non poteva darò Ronza contradire al giuditio clic no habbiamo resi, et al quale m’ ha detto che havessi sotto¬ scritto so lei fosse stata de’ suoi giudici. Però, per non fermarvi sopra un so- gotto noi quale V. S. possedè di grandissimi lumi, la sa benissimo che i più io pratici astronomi, muniti d’esquisitissimi instrumenti, possono ingannarsi di sei minuti di grado nella ossorvationo del luogo dello stello fisso, come pare oviden- temento nel principio del libro do’cometi del Tyclio Brullo'* 1 , dove confessa liberamente olio, qualoho diligenza elio lui havesse usata a ricorcare il luogo di certo stello fìsse, nondimeno si era ingannato in molte di sei ìninutti. Ilora non ò nixsuno di quelli che hanno una legiora conoscenza dcH’astronomia, che non sappia elio lo parallassi, che la vicinità della terra dà alla luna, non renda il suo luogo molto più difficile da osservare elio quello delle stelle fisso; et, per consequenza, quelli elio osservano il meglio, vi potranno mancare al manco di sei minuti: tuttavia, por conoscere lo longitudini por il luogo della luna, hi- 20 sogna esserne assigurato fin a duo minuti, per non mancare di sossanta miglia: dove si può facilmente giudicare che la detta methodo del Morino, di trovare lo longitudini per il mozo della luna, elio i antichi hanno disprezzata por le difficoltà die l'accompagnano, non può servire sopra la terra et ancora manco sopra il maro, dovo non si può così puntalmento osservare, por il moto del vascello, come sopra la terra, come sanno i pilotti pratici. Tralascio il manca¬ mento dello tavole della luna, la variationo do’ parallassi segondo la diversità de’ chinati, di che non habbiamo ancora una perfetta scienza, et la multiplicità dello supputationi do’ triangoli spherici, che bisogna risolvere, le quali sono sempre cagioni di qualche errore: tralascio, dico, tutto queste coso, perchè s’io so volessi fermarmi davantagio a particolarizarle a V. S. per facilitargli la conoscenza de orrori che sono noi detto libro del Morino, sombrarebbe eh’ io volessi dare un torcio al sole per condursi nelle tenebre. Ho più a caro, poi che s’ è data la fatica di logorio, riceverne di lei il suo giuditio, eh’ io gli domando per risposta a questa, acciochè quelli che ne havranno la communicatione conoschino elio la verità ot la giustitia hanno assentito in quello elio ne hubhiamo resi. Mentre gli mando il compendio ' 8) della demonstrationo, eh’ i’ ò fatta qualche tempo la, della proportione dello varie gravità d’un corpo gravo, secondo i suoi varii intervalli al contro della terra 14 , di che parlassimo insieme nella mia Lett. 3205. S7. eh'in fatta — eontpoeta, Uranibtirgi, in inalila llollosponti Unnici Uvenn, imprimobat autliorU typugraphus Clirislo- phorus Weida, mino Uomini MPIA'XXVIll. '* Non « presoli tomento allogalo ulta lotterà «•' Cfr. n.« 3210. <*' crr. n.o 3107. <*' Treno# ih Un a he Unni De mundi attherci recentiorihuw phaenomenia Uber necundu», qui rnt de illuni ri niella caudata, ab elupto fere tri e ale Novembri* anno MULXXV11 unque in jinem Januarii mq,tendi 3 NOVEMBRE 1635. 337 [3205-3206] 40 ultima visita et elio mi monstrò aggradii*© di vederla, sarò contentissimo elio passi per il suo esame, al quale la sottometto, et che mi faccia questo favore di credere elio non è nissuno che più di me 1* honori et la stimi, nè chi con maggiore passiono desideri le occasioni di servirla, pregandoli da Nostro Signore ogni felicità.. Fiorenza, li 3 di Novembre 1635. Di V. S. molto Ill. re et Kco.' nft Affettionatissimo Servitore De Beaugrand. 3206. FRANCESCO STELLITI’! a [GALILEO in Àrcetri]. Roma, 3 novembre 1635. 33ibi. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, cnr. 175-17G. — Autografa. Molto HI." et Ecc.'“° Sig. r P.ron mio Oss. mo L* liaver io havuto spesso nuova di V. S. dal Padre Abbate Castelli, son perciò restato di scriverle ; onde non attribuisca questo mancamento mio a di¬ fetto di poca divotione et alletto, perchè 1* ho continuamente alla memoria, pol¬ la grande stima che fo di lei; o Dio sa quanto mi son doluto e doglio de’suoi travagli. Ho poi sentito con gusto particolare che V. S. diede compimento al suo trattato do’ proietti, come ho inteso dal sopradetto Padre, e elio sia per istam- parsi; elio per esser materie nuove e curiose, doveranno comunemente piacere. Devo bora conferire un negotio con V. S., per compimento del quale l’aiuto io suo saria di molta conseguenza, mentre, non potendo preselitialmento trattarlo, potesse con lettere raccomandarlo. Deve sapere, che mentre fu qui in Roma ultimamente il Sig. r Bali Cioli, venne a visitare la nostra Sig. ra Duchessa (4) più volte, e nella sua partenza le fece istanza di alcuni pezzi di quel legno fossile che nasce appresso ad Acquasparta 121 , e ciò a nome di quello Aitozzo Ser.“® per una croce che fu donata al Sig. r Principe D. Carlo (3> ; e parimente deside¬ rava sapere dove si trovava e come si generava, havendo veduto nel comento dol mio Persio w che il Sig. r Principe Cesi, b. m., ne stava scrivendo. La Sig. ra Duchessa mi ordinò elio ne facessi un poco di scrittura, come feci, o fu man¬ data a’ detti Ser. rai , insieme con una cassetta di diversi pezzi di detto legno 20 impetriti e cominciati ad impetrirsi, et anche due tavoloni grandi o grossi, elio furono mandati per mare (5) , nè sono arrivati in Fiorenza per la poc’acqua del¬ l’Arno, ma credo siano a Livorno overo a Pisa. in IsAbKi.i.A Salyiati, vedova di Froerico Orsi. Cfr. la lettera (inedita) di Frakorsoo Strl- <*» cf r . „.o 1659, lin. 13. luti ad Andkka Cioli ilei 2 giugno 1635, noi Mss. < 3 > Gio. Carlo dr’ Mudici. Gal., Oonlemjioranei, T. HI, car 18. (»> Cfr. u.° 1835. XVI. 43 338 3 — 7 NOVEMBRE 1(135. [3206-3207] Con questa occasione foci raccomandare dalla Sig.™ Duchessa al Sig. r Bali Cidi Ciò. Battista mio fratello, quello elio foco lo Scandaglio della Libra Astro¬ nomica (,) , acciò clic lo proponesse al Ser.“° Gran Duca por uno dogli Auditori di Rota della città di Fiorenza, bevendo inteso elio si dovevano rmovare que¬ sto mese di Novembre. Il Sig. r ('ioli promise di aiutare il negotio, e fece ancora a ino molte offerte; o ini scrisse dalli Bagni di S. (lasciano, dove all’bora si tratteneva S. A., die subito giunto in Fiorenza baverebbe trattato questo ne¬ gotio. Ma dopo non bavendono havuto altra nuova, non posso saporo elio di so ciò sia seguito, o perciò ho pensato di scriverne a V. S., con pregarla a voler ricordare o parimente raccomandare questo negotio al sudetto Sig. r Ball Gioii o a chi olla stimerà, meglio; elio mentre mio fratello bnbbia questa gratia, la riconoscerà da V. S., et liavorà in Fiorenza un servitore et uno eli* è gran¬ dissimo suo partitile, per la tanta stima che fa di V. S. Il detto mio fratello ba por più di yent*anni esercitato la professione legale nella patria, .et è stato molto vidto Avvocato della nostra Comunità, et anco eletto dalla medesima Av¬ vocato de’Poveri, ondo non ò nuovo in questa professione ; e non Laverà altra mira che farsi bollore, e di ben servire e diligentemente 8. A. Sor. ,na Però men¬ tre V. S. possa in ciò aiutarlo, lo no resteremo l’uno o l’altro obbligatissimi. 40 E per non più tediarla, liuisco con baciarle le inani, aspettando sentir buone nuove della sua saluto. Di Roma, li 3 di Novembre 1635. Di V. S. molto III.™ et Ecc. ma Sor.™ Afì’. mn et Obblig.“° Frane. 0 Stelluti L. J 3207**. BENEDETTO SCALANDRONI a GALILEO in Àrcelri. Firenze, 7 novembre 1085. Bibl. Naz. Flr. Appendico ni Ma». Gal., Filza Favaro A, --ar. 99. — Autografa. Molto 111.™ Sig. TO mio, Sento conio V. S. ha riceuto i barili sei di vino, compro por loi, quale credo gli darà satisfaziono, inentro lo berà nella sua stagiono. Mando Giovanni mio servidore, acciò V. S. gli dia la valsuta di detto vino, che sono £ sessanta novo, che così mi vien detto che l’habbino fatto in quel paese; et quanto alle vet¬ ture delle bestie, ne terrò conto io, per essere lo mia, e le pagherà con l’altro 0» Cfr. u.° 1081. 7—10 NOVEMBRE 1G35. 339 [3207-32081 cose: e a questo solo mi muove di mandare così presto per la dotta moneta, stante elio il padrone del detto vino lia mandato un suo parente per detti danari. Però V. S. mi scuserà; et occorrendoli altro, comandi liberamente, oliò sarò prontissimo in servirlo. E le bacio le mani. Di Fiorenza, il dì 7 9bro 1G35. Di V. S. molto 111.' 0 Pront. mo Servid. 0 P. Bened. tt0 ìScuiand."' Fuori : Al molto Ul. re Sig. r0 e Pad." 0 mio Col." 10 Il Sig. ro Galileo Galilei. In villa. Acotri. 3208*. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 10 novembre 1035. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Cai., P. VI, T. XII, cnr. 179. — Autografa. Molto 111." ed Ecc. m0 Sig™ o P.run Col. 0 Con l’occasione che il mio servitore viene accompagnando un nostro Padre, vengo ancor io a faro riverenza a V. S. molto 111.” ed Ecc. uifl , e darli nova della mia buona saluto del corpo, e ohe quanto all’animo spero di ricovero an¬ cora qualche consolazione, poiché il Sig. r Ambasciatore di Francia m’ ha pro¬ mosso di volersi valere dell’Em. m0 Sig. r Card. 1 Antonio (1) per servire V. S., e non passaranno otto o dieci giorni che si farà il tentativo; e di quanto seguirà gli ne darò parte. Quanto ahi studii miei, sono intorno allo fantasie meravi¬ gliose del P. Bonaventura, le quali vado domesticando ^ con replicati assalti, o spero intenderle, ma mi riescono difficilissime. Ho scritta un’altra mia a V. S. per il nostro Padre Francesco buono w , ri¬ mettendomi in lei e nel sodetto Padre quanto a quella mia specolazione alge- bratica <3) . Hora li devo dire di piò, che ho scoperto un altro segreto più me¬ raviglioso, il quale è che non solo i numeri nicnto e mono di niente servono a ritrovare le verità, ma ancora si danno lineo e superficie e solidi meno di nicnto, li quali meravigliosissimamonto lavorano, come potrà vedere dall’incluso <0 Antonio Bariikhiki. ì*\a.uiano Miohhmni. < a > Ufr. u.° 8180. 340 10 - 11 NOVEMBRE 1635. [3208-32091 problemapropostomi dal Patirò Francesco o risoluto da me. E non occor¬ rendomi altro, li fo riverenza. Di Roma, il 10 di 9bre 1635. Di V. S. molto 111." od Eco.*"» Devotlss. 0 o Oblig. mo Ser, M o Dia. 10 Don Bened. 0 Castelli. 3209 . GALILEO a GIOVANNI DI BEAUGRAND [in Firenze]. Arcetri, 11 novembre Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal.. P. IV, T. V, car. 7-9. — Copia ili umiio ilol socolo XVII, in capo alla quale si loggo: < Copia doli'originalo ». 111. 11,0 Sig.™ P.rono Col. mo L’assoluta autorità elio V. S. Ill. mR ba guadagnata sopra la mia volontà nello tre visito che con mio grandissimo lionoro si è degnata farmi in questa mia carcero, mi forza a non gli poter negare la ri¬ sposta alla domanda 12 ’ che ella mi fa sopra materia della quale liavevo meco medesimo fatto proposito di non voler trattar, dico dolParrecar mio giudizio intorno alla dottrina del ritrovar la longitudine, trattata dal Morino come nuova, sua, sicura, e pratticabile in terra e in mare senza molta difficoltà. Io dalPistesso Morino ero stato ricercato del- l’istesso giudizio, ma accompagnato dulia approbazione, e per tal fine io mi mandò il trattato suo 131 ; al quale havendo data una vista cor¬ rentemente, con pensiero di rileggerlo più accuratamente, restai in modo disgustato, per non dire stomacato, dal termine tanto incivile col quale egli ingiuriosamente straparla dei cinque Signori giudici deputati (v) , che presi per il miglior consiglio di tacer del tutto, re¬ stando con grandissima ammirazione che quest’ liuomo mi havesse in concetto di così mal creato o scempio, ch’io coll’approvare la sua 1.0tt. 3209. 5. malteria — B. tratnr — 10. accomjntgnala — 12. releggerln — <•) 11 problema a cui qui si accenna ò, di mano dol Castrali, noi Mas. Galileiani, interpoli, T. 1. car. 29r.-30r., o a car. 30l. porta scritto di mano di Gami.ko: « D. Bond. 1 * *. <»> Cfr. n.° 820ó. (»• Cfr. u.° 8014. I* 1 Cfr. Lettre» ncritei u Plbsbib, Duca di Rioiiki.iku. 11 NOVEMBRE 1G35. 344 [3200] razioni fatte da sè siano tali che possano esser fattibili ancora da huomini (li mediocre ingegno, aggiungendo però che l’operazione 120 fatta da se in terra sia fattibile in mare ancora. Io inclino molto a credere che tale esperienza scemerebbe assai l’opinione e la confi¬ danza che ha il Morino di se medesimo, la quale mi sembra essere in grado così sublime, che io mi riputerei per l’ottavo sapiente quando io sapessi la metà di quello che il Morino si presume di sapere: della quale sua ardita pretensione sicuro argomento ne porge a me il dir egli, nissun altro mezzo potersi ritrovar mai fuor che questo per via della 2); a me, dico, il quale pretendo d’haverne uno tanto facile e sicuro, che senza bisogno nè (li strumenti nò di calcoli astronomici, con la sola vista e con un giusto orologio (la fabrica del quale ho ìao io facile e semplice, e così giusta elio non ammetterà errore d’un solo minuto, non solamente in un* bora, ma nè in un giorno nè in un mese), ci darà sopra tutta la terra 0 il mare la longitudine più esatta elio se ogni notte havessimo in qualsivoglia orizonte una ec- clisse lunare. Non esalti dunque tanto il Morino, quanto ei fa, il suo ingegno sopra tutti gl’ ingegni de’ mortali. Ho scritto questo per sodisfare a V. S. lll. ma , 0 non por detrarre alla fama del Morino, la quale esso havrà larghissimo campo di man¬ tenersi appresso tutto ’l mondo, qualunque volta e’ mostri, non con le sole deputazioni verbali, ma con l’esperienze simili alle accennate ho da me di sopra, la riuscita della sua pretesa invenzione. E qui con riverente affetto bacio le mani a V. S. Ill. ma Dalla villa d’Arcetri, li 11 di libro 1635. Di V. S. lll. ,ua Part. m0 e Dev. mn Ser. r0 Galileo Galilei. All’ 111. mo Sig.™ e P.rone Ool. mo 11 Sig. r De Beaugrand. In sua mano. 122. rcirmarehhe — 123. da *3 medeiìma — 127. mmuii — 1.11. mnrir-rì) — 131. naia — 13”. i7 Afnetrto, «/'"•*<*' ri fa — 137. renilo t/itello per — detrarr — 13S. la quale havrà, mo havrà larghitrimo —142. bacata — 143. libre 1UHH — 14ò. Oallilco fiali ilei — [3210-3211] 11 — 12 NOVEMBRE 1635. 345 3210 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GIÀ NNANTONIO ROCCA [in Reggio], Bologna, 11 novembre 1635. Dallo pag. 46-47 doli'opera citala nell’informazione promossa al n.° 3053. .... l’altro giorno passò con l’Imbasciatore straordinario di Francia mi gentiluomo FrauzeseC‘1, intelligentissimo delle matematiche, col quale discorsi circa un’ ora e mezza ; e se ne portò i miei libri, e mi disse di farmi conoscere quei matematici della Francia, che sono in qualche numero rispetto agl’ Italiani : laonde ne spero una comunicazione molto virtuosa. Mi disse che da un tal Senatore di Tolosa { *> gli era stato proposto questo problema, cioè : Descrivere una parabola che passi per quattro dati punti (vogliono però esser talmente posti, ohe so no possi formare un quadrilatero, duo de’ lati del quale almeno non sicno paralleli) e che 1’ aveva sciolto, siccome poi feci ancor io dopo che fu partito, avendoli inviata la soluzione (3 > a Roma. Li diedi una lettera al Sig. Galileo, de¬ io siderando esso di visitarlo, ed un’altra per il P. R. Benedetto Castelli a Roma, e sin ora intendo dal detto Sig. Galileo che ne ha ricevuta molta soddisfazione ; qual mi dice anche d’aver visto un libro d’un tal P. Failla Gesuita, uscito, credo, di nuovo, che tratta de centro gravi!atis partium circuii et clipsìs, e mi ha promesso di mandarmelo; quale se ne sta ancora ue’ termini passati. Mi dice anco ciré uscita la 2. Decade del Glorioso 1 ®).... 3211 *. ROBERTO GALILEI a [GALILEO in Arcetri]. Lione, 12 novembre 1635. Blbl. Naz. Fir. Appondico ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 101. — Autografa. Molto 111.® Sig. r mio Oss. mo . Sempre con mia particolare consolatione ricevo lo di V. S., come è seguito adesso quella de’ 27 passato ; e come haverà visto per altre mia 1 ®’, ricevetti la <’> Giovanni di Bkaugran», il quale aveva vi¬ sitato il Cavai.ikbi il 28 ottobre (cfr. n.° 8200). Ma a mantenere, ciò non ostante, alla presente la data doli’ 11 novembre, sotto la quale fu pubblicata, por- suade la circostanza che il Gavamrki aveva già rice¬ vuto risposta da Galileo (lin. 10-11), dopo che questi avova veduto il Bkauuuand: cfr. nuj 3205, 3200. <*> Pietro Fkrmat. < Sl Si leggo, autografa del Cavalieri, noi Mss. Gal., Ditcepoli, T. II, car. 10-12. Gì Cfr. n.® 3200. < 8 ’ Cfr. n.o 8188. Gl Cfr. u.» 3202, lin. 18. XVL •Il 346 12 — 17 NOVEMBRE 1635. [3211-3212] lettera del S. r Diodati, nella quale andava trattando dello, longitudine; la quale, doppo letta, mandai a suo destinato viaggio, corno da S. b. a li doveri essere scritto. Il Saggiatore, elio devo mandaro al S. r Carcavi, non è ancora arrivato; o per quanto tengho adviso da Firenze, li SS. r * Galilei non lo spedirno che olii 27, insieme con il suo rotratto (i> , sì che non puolo essere qui di una 20“ di giorni : e subito sarà in mano mia, gli no farò bavero. S. S.* li scrive qui l’alligata w , io o tengho elio lo preghi so potessi bavere qualque sua opera nuova per giungere allo altre: tengho che li faria singolare gratia, e, ultra elio daria maggioro spaccio alli libri, amando (jua lo novità, il librare procureria il privilegio che solo potesi stanpare esso libro, il elio non si dà per ristanparo cose vecchio; e lui gli ne dove scrivere, a elio me no rimetto. 0’ è qui un corto P. Iesiliato, nominato I\ dii Lieu (3> , elio, por quanto intendo, è appresso a conporro un libro dello longitudine. Vedrò so potrò saperne qual cosa per j d’amico mio, citò per me non tratto con loro, e quello saprò gli ne reperirò. La lettera mandata por il S. r Diodati è andata a suo destinato viaggio, o 20 avanti la partenza di questo corriere spero riceverne da iS. S. E bacio le mani, pregandoli da N. »S. ogni bene. Di Lione, questo dì 12 di Olire 1635. Di V. S. molto 111. 0 Ser. r * All’. 010 o Dev. n '° S. r G. G. Rub. t0 Galilei. Il S. r Diodati mi raccomanda l’alligata sua lettera, che grato mi sarà sa¬ perne la ricevuta. 3212 * MARINO MERSENNE a NICCOLÒ FARRI DI PEI RESO [in Aix]. [Parigi], 17 novembre [lGHfi], Btbl. Nazionale In Parlg-i. Fonda fraudata, n.« 9543, car. 31. — Autografa -je in'est,onne quo, vous ayant envoyé los 2 livrea du son et dea mouvements (4) , où j’cxamine ni partioulièrement et si ponibleraent les observations du S. r Gallilé©, vous ue ni'en escriviez pas un seul mot, puisque jo m’estois souzmis h y changcr co que vous jugeriez à propos. Je suis cori ain qu’il n’y est nullement offensé, ot quo, voyant ma di- io Cfr. n.° 3193. Cfr. u.« 3199. •*> Carui do I.iku. <*> Cfr. u.® 3182, liu. 15. 17 — 20 NOVEMBRE 1635. [3212-8213] 347 ligenco aux observations, il la louéra, si procède candidoment. Vous demandez l’autre livre, a sgavoir le 3° des mouveraenta W : il n*y a plus rien toucliant Galileo.... Avant que d’acbover la presente, il faut que je vous confesse que je ne puis m’imaginor que vous ne soyez mary de ce que j’ay dit contro Ics positions du S. r Galileo. Mais con¬ sidero/. que nouB aonimes hommes comrao luy, et quo, parlant aprcz luy du mesme aujet. 10 qu’il a ontani e et que nous avons peut estro mieux speculò, que co nous seroit quelquc deabonneur d’avoir celò ce qui ne respond pas à la vórité, puieque nous faisons profossion de aapper l’erreur où nous la trouvous, sana prejudice d’aucnn. Il n’a point d’autre but que de la cbercher, cornine je croy, et de l’embrasser en la trouvant. Neant.nioins dochargez hardiment vostre coeur et coummndez tout ce que vous voudrez, mais aprez avoir leu co dont il est queation ; car je voy bien par vos lettres quo vous n’avez pas leu raon livre dcs mouvemens, autrement vous ne cbercberiez pas mes conceptions ai li cura, puisqu’il y en a d’assoz particulières, et neantmoins qui sont approuvées de bons esprits de pardoyu, et qui, sans l'aire tort a Galileo, no luy en cèdent rien. Ce qui soit dit sans prejudicier ìi l’oboissance de vos coininandeniens futura, touulmnt la suppressiou, amondeiuent ou 20 cbaugeuient de co livre et que quelqu’autre que co soit.... 3213**. IlEENARDO CONTI a [GALILEO in ArcetriJ. Siena, 20 novembre 1035. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. T, T. XI, car. 155. — Autografa. Molto lll. ro ed Ecc. mo S. r e P.ron mio Oss. n, ° Ecco a V. S. Ecc." 1 " la mostra del panno elio io ho trovato, che per bontà, è per darli gusto, mentre il coloro li piaccia; o il prezzo sarà. £11 il braccio. Starò attendendo hora quanto lei si compiacerà, di comandarli, perchè dovendo an¬ dare con Mons. 0 Ill. m0 , mio Signoro (2) , a Roma verso il principio di Decornine, lasserò al S. r Maestro di Casa l3) clic lo mandi a V. S. Ecc. m " con il vino. In¬ tanto in’ honori di qualche suo comandamento per Roma, chè io ne la supplico, mentre rassegnandomele in gratia, lo bacio aticttuosissim amento le mani. Siena, li 20 Nov.” 1635. io Di V. S. molto lll. re od Ecc. ,na Devot. mo Ser. r Vero Bernardo Conti. «*» Traiti de» in»lrumeii» à eh orde. Forma, senza <*> Akoanio Picoolomini. noto di stampa, il secondo volumo doli’opera citata * 3 ' Anduka Sozzi. al u.° 3182. 348 21 — 27 NOVEMBRE 1635. [3214-3216] 3214 *. MATTIA BERNEGGIMI a GIO. MARTINO RAUSCIIER in Tubinga. (StrnsburgoJ, 21 novembre 1635. Blbl. Civica di Amburfo. Codice citato noi la infornuuiouo premessa al u.« 2613, car. 1C7(. — Minuta autografa. .... Memini misiaae quoque Galilaei Sysiema Copernicannniquoti an acceporis, scire cupio. Misi iti hoc minori pudore, quod in libro ilio paiudoxo, praeter versionem, nihil inoum sit.... 11 Nov.W 1636. 3215 **. GIO. CAMILLO GLORIOSI a [GALILEO in Arcotri]. Napoli, 27 novembre 1035. Blbl. Nnz. Flr. Mhs. Gal., P. VI, T. Ili, car. 8-tì. — Autografa. Molto III.” S. r mio Oss. m0 Poi elio piace a V. S. intendere il parer mio a quel suo discorso dell’angolo della contingenza iB , lo farò volentieri, rimettendomi porò al suo più sano giu¬ dizio. La ragione che mi muovo elio l’angolo della contingenza sia voramonte angolo, è perchè vedo che la recovuta definitione so li conviene, cioè cho l’an¬ golo sia l’inclinazione di duo lineo che si toccano in un punto e non son poste tra eli loro por diritto. Alla prima ragione di V. S., dove dico elio T cerchio si concepisce un po¬ ligono do lati infiniti, e che perciò è necessario nel suo perimetro ritrovarsi tutte le direttioni, cioè infinite, e per conseguenza vi è quella di qualsivoglia linea retta signata, la quale non può intendersi altra che quella del lato (do gl' infiniti elio n’ ha il cerchio) elio ad essa sia applicato ; adunque quello del cerchio eli’ alla linea retta si applica non forma angolo con lei, o tale è il punto del contatto; ristesso, par che accenni il Vieta: Circulus enim censetur figura plana infinitorum latcrum et angulorum : linea autem recto, rectam contingens, quantulaecumque sit longitudinis, coincida in eandem linea/m rectam, nec angu- <»> Cfr. n.° 3177. <*' Di stilo giuliano. < 8 > Cfr. n.“ 3203. 27 NOVEMBRE 1635. 349 [3215] hm facit. Dico ingenuamente che non capisco bone la forza di questa ragione : si la tangente talmente vien applicata a qualche lato, de gl* infiniti che n’ ha il cerchio, che di due linee si no facci una, è manifesto che non si forma nes- 2 o sun angolo, perchè non ci è l’inclinazione ; ma come possiamo dir questo, se ’l lato è dentro del cerchio e la tangcnto è di fuori? o forse vogliamo dire cho si annichili la curvatura della circonferenza? So così è, non ha più luogo la quistiono. Alla seconda ragione di V. S., dove dice elio, stando ferma la DE, si noi consideromo la segante AB girarsi sopra ’1 punto del segamento C, gli angoli vengono sempre ad inacutirsi, che finalmente la lor quantità si annichili o del tutto svanisca, il cho accaderà quando essa retta AB si congiungerà con la DE ; fiora, applicando l’istesso discorso all’ arco ACB, segato dalla retta 80 convertibile GF nel punto C, si viene ad annichilar l’angolo quando la linea GF non sega più la curva ACB, il elio avviene quando ella si unisce con la tangente DE ; questo pensiero fu anco del Pcletario (1) . Dico cho ’l caso è divorso: atteso, quando la AB si unisco con la DE, svanisco l’angolo perchè di duo lineo si no fa una e cessa l’inclinazione ; ma quando la GF si unisco con la tangente DE, si annichilano gli angoli del segamento che fa la GF con la curva ACB, ma non si annichilano quelli del toccamonto, che di nuovo si formano dopo eh’essa GF 40 è convertita nella tangente DE. Rifiuta poi V. S. quel discorso cho vion fatto per confermar che l’angolo della contingenza non solamente sia quanto, ma talmente quanto che sia divi¬ sibile in infinito, mentre si descrivono cercini maggiori e maggiori che passino per il medesimo toccamente; dicendo, non l’angolo, il quale non ha quantità, ma ben lo spazio tra la circonferenza del minor cerchio e la rotta tangento vien diviso e suddiviso dalle maggiori e maggiori circonferenze. Dico che, si ben è vero che lo spazio tra ’l cerchio minoro e la tangente venghi diviso o suddiviso dalle maggiori c maggiori circonferenze, stimo che detto circonferenze, mcntro passano per il punto del toccamonto, dividano anco e suddividano l’an- 50 golo della contingenza. L’istcsso si potria dire dell’angolo rettilineo, che non lui, ma lo spazio tra le lineo inclinate, è quello che si divide. Quanto poi all’obiezzioni ch’ella fa allo mio soluzioni, eli’ io talvolta prendo per noto quello eh’ è in quistione, a me non pare così ; pure può essere eh’ io me inganni: di grazia, consideriamola insieme. <*' Giacomo Pki,ktikr. 350 27 NOVEMBRE 1635. [3215] Alla facciata 117 io voglio provare elio l’angolo del semicerchio IAF sia differente dall’angolo rotto rettilineo LAB. In questa prova io non mi servo del¬ l’angolo della contingenza, nò mai lo nomino, si non, dopo fatta la prova, sog¬ giungo, conio fusso un corollario, ch’easendo differente l’angolo dol semicer¬ chio IAF dall’angolo rotto rettilineo IAB, questa differenza non può esser altra elio l’angolo della contingenza, o che perciò osso angolo della contingenza osser co voramento angolo o non imaginario. Dico V. S. elio ’l mio argomento non va heno, quando motto por assurdo elio l’angolo DAF sia ogualo al I)AB, sì elio come parto sia egualo al tutto ; atteso l’avversario noga elio ’l diverticolo FAB sia nò angolo nò quanto, ot in conseguenza, non essendo parto dol semirotto DAF, non gli scema nulla della sua quantità; adunque, si la cosa passa così, non ci sarà differenza tra ’l scmiretto I)AB o l’angolo della sozziono DAF. Il Car¬ dano ha dimostrato il contrario, prop. 159 de proportionibus , da ino anco ci¬ tato alla facciata 119; o prima di lui lo disso Proclo, alla 23 dol primo, cioè elio nessun angolo rettilineo può esser egualo ad un angolo misto compreso da una linea retta e da una porzione di cerchio, coni’ ò noi caso nostro : sì cho 70 mi paro che ’l mio argomento rosti valido, o così puro valido quello alla fac¬ ciata 119 o 121. Per concludere questa mia risposta, lo ritorno a diro quel c’ho dotto nel principio, eh’ io mi rimetto al suo più sano giudizio. Mi sono ingegnato di ri¬ sponderò alle ragioni del Vieta, in favore di coloro cho tengono l’angolo dolla contingenza esser veramente angolo : questa quistione ò ambigua o disputabile ; potranno quei cho sono di parer contrario rispondere allo mio solutioni, eh’ io per me li lascio libero il campo. Por mia sodisfazzione ho rifatto il foglio T ot il mezzo foglio V; li mando a V. S. : mi farà piacere accomodaro il mio libretto, con rimetterci questi c so lovar via quei primi, quali potrà stracciare acciò non paiano più. Del rosto V. S. si lamenta dell’ ehi gravo e dolla memoria : sappia eli’ io sono nell’ istosso passo ; sono, dico, di 64 anni. Almeno V. S. sta nolla sua villa, con ogni contento; ma io meno qui una vita infelicissima: sono in lite con mio nepote, et il tempo eh’ io vorrei stare in quiete, lo consumo ne’ tri¬ bunali. Puro, così vecchio et infelice cho sono, sto sempro paratissimo a ser¬ virla, quando V. S. si degnarà commendarmi; alla quale con ogni affetto faccio riverenza. Di Nap. u , 27 Olire 1635. Di V. S. molto Ul." Aff. mo Ser. re Gio. Camillo Gloriosi. [8216] 30 NOVEMBRE 1035. 351 3216. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 30 novembre 1635. Bibl. Nftz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 181. — Autografa. Alla lotterà facciamo sogni re le duo pro¬ posizioni, elio il CastkIìM mandava allegato (Un. 17-19), o elio sonò, puro autografo, a car. 189 dello stesso codico. Molto 111. 10 ed Ecc. mn Sig. re o P.ron Col. 11,0 Ho riconta la lotterà di V. S. molto Ill. ro ed Ecc. mn dal Sig. r di Ben grand, quale fu a trovarmi domenica mattina, o stetti con lui duo Loro buono, che mi parvero un momento. Mi è parso un compito Signore, o mi ha fatto ricor¬ dare le grazie del Sig. r Filippo Salviati. Mostrò di sapere assaissimo, o restai gustatissimo in ogni cosa; ma sopra tutto m’innamorai di lui, se bene non è donna, perchè lo conobbi inamoratissimo di V. S. e conoscitore del suo gran merito. Non V ho poi più visto sino ieri, perchè è stato occupatissimo in vedere le cose di Roma e di Frascati curiose. Ieri, come dico, l’andai a visitare, e aspettai elio havesse pransato, e stetti con S. Sig. rla sino a sera senza mangiare, e ci sarei stato ancora tutta notte, tanto mi piacque il suo trattare. Hoggi ho finito di fave copiare la scrittura, di Madama Ser. ma(i) , o gliela darò. Tra lo cose hello elio mi disse nel primo congresso, una fu quella di pesi eguali, posti in diverse lontananze dal centro della terra, con affermare che mutavano gravità, scemandola, nello avvicinarsi al centro, con la proporzione delle lontananze dal centro; e mi disso che ne haveva la dimostrazione, e che T haveva data a V. S. (2) Mi piacque tanto la proposizione, che non ho potuto far di meno di non pensarci, e ne ho fatta la qui allegata dimostrazione, con aggiunta di un’altra proposizione pure nella stessa materia e dependente dalla prima. Mi faccia favore di vederla, e poi aspetta,rò che mi dica so ha sodisfa- zione. Voglio credere elio haverà ancora vista l’altra mia 13 ’, simile al cavallo del Bronzino (4) . Hieri poi il congresso secondo fu lunghissimo, e havessimo lunghissimi ra¬ gionamenti di diverse materie, ma spesso delle cose di V. S., e sempre mostrò d’essere affezionatissimo. Mi raccontò ancora diversi titoli di trattati che lui ha fra le mani, e in particolare mi disse che trattava delle mecaniche e de’ cen¬ tri di gravità otc., e che dove da’ passati scrittori erano considerati i pesi come dcscendenti paralelli, che lui li maneggiava come concorrenti nel centro della terra, come realmente sono. Mi parvo sottilissima la specolaziono, e però questa Cfr. Voi. V, pag. 809-348. M. Francesco Bekni, .. . de’ Bronzini, ... e rfi altri ,s * Cfr. n.° 3205. autori. In Firenze, M.D.CC.XXIII, pag.fló 67: Stanze Cfr. n.° 8208. di Cristofano Bronzino al Gran Duca, che gli aveva (1 ) Cfr. Il terzo libro dell' Opere burlesche di promesso un cavallo e non gliele dava. 352 30 NOVKMBRK 1635. [ 3216 ] notte passata facendoci sopra riflessione, mi è caduto in monte di darò a que- so sto Signoro un osso da rodere non nion sottile ili questo, il quale ò talo: che 10 non so più dove sia il centro di gravità di una sfera; poiché, intesa segata la sfera in duo parti equali da un piano orizonlalo, essendo la parto che è verso 11 contro più vicina al contro della terra che non ò l'altro emisferio, sarà an¬ cora men grave; e dovendo il centro di gravità del composto di tutti dua gli oininferii assoro nolla linea che congiongo i loro centri di gravità, o in quel punto di ossa elio la divido in modo che la parte chn tocca al minor peso alla parto cho tocca al maggior peso Labbia la proporzione reciproca elio ha il maggior peso al minoro, ò manifesto che il centro della gravità di tutta la sfora non può più essere nel centro di magnitudine, come si pensa cho sia. Ma quello 40 elio accresce in me la meraviglia, è cho portando la medesima sfera più verso il contro della terra, si va continovamente mutando lo proporzioni dolio distanze dei due emisferii ; o cosi il centro della gravità del composto dei due emisferii si andari sempre mutando, nò mai si potrà determinare il centro di gravità di una sfera senza la relationo della lontananza dei contri di gravità dei duo emisferii dal contro della terra; e, quel che A peggio, por le medesimo ragioni non so come determinare i centri dalli stessi emisferii : o in somma mi paro cho il nodo sia molto intricato, nò so come si possa sviluppare so non da in¬ gegni grandi corno ò quello di V. fc>. Mi favorisca, so il dubbio li pare degno, promoverlo a cotosti Signori e al 1*. Francese*» buono, a’ quali tutti, come anco 50 a V. S., bacio riverente le mani. Di Roma, il 30 di 9bro 1635. Di V. S. molto 111/'’ od Eco.®* Il Sig. r Nardi è giunto in Roma, ina non 1* ho visto. Il Sig. r Magiotti U fa riverenza: 1’ ho intro¬ dotto al Sig. r di Beugrand, con sodinfazione grande d’ambe lo parti. Le difficoltà mi vanno crescendo per il capo : bora mi soviene, elio sospeso il gravo nel contro di gravità comune, non può fermarsi in ogni sito ; e il medesimo accidente seguirà 00 quando fosse sospeso per il contro di gravità, se si Lrovarà mai, otc. Devotiss. 0 o Oblig. wft Sor.” 1 e Dis. l ° S. r Gal. 0 Don Bened.® Castelli. Fuori: Al molto 111.” od Eco.® 0 Rig." e P.ron Col.™ 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Scr. ,n * Firenze. Lett. 3216. 54-55. non l' ho otti»' — [ 3216 ] 30 NOVEMBRE 1635. 353 Proposizione del Rig. r di Beugrand. Se saranno due gravi di mole eguali e della medesima gravità in specie, 70 posti in distanze diseguali dal centro della terra, larveranno le loro gravità assolute la medesima proporzione che hanno le loro distanze dal centro della terra, corrispondentemente prese. Siano due gravi A e 13 di molo eguali, della medesima gravità in spe¬ cie, posti in distanze disegnali dal centro della terra C : dico elio la gravità assoluta di B in B alla gravità assoluta di A in A haverà la medesima pro¬ porziono che ha la distanza di B dal centro della terra C alla distanza di A dal medesimo centro C, cioè liavernnno la proporzione che ha la linea HO alla linea AC. Intendinsi i medesimi gravi disposti in una linea retta che passi per il centro della terra 0 e termini nelli centri di gravità A e B; e 80 di più, facciasi come la linea BC alla linea AG, così tutta la mole AD alla mole A, la quale mole AI) sia della stessa gravità in specie con la mole A e posta nella medesima distanza dal centro C, come è ancora la mole A. K manifesto che il composto di tutti questi gravi AD e B ha il suo centro di gravità nel punto C; e però questo centro di gravità starà congiunto con il centro della terra, e così i gravi si conservaranno nel loro sito senza al¬ lontanarsi ovcro avvicinarsi al centro della terra, e però il peso assoluto di B in B sarà eguale al peso assoluto di AD in A : ma il peso assoluto di AI) al peso assoluto A (essendo ambidua nella medesima distanza dal centro della terra) è come la mole AD alla mole A, cioè come la linea BC 90 alla linea AC: adunque ancora il peso assoluto di B in B al peso assoluto di A in A haverà la proporzione che ha la linea BC alla linea AC; che era quello che. si doveva dimostrare. Proposizione 2. a Se saranno due gravi della medesima gravità in specie, posti in distnnze disegnali dal centro della temi, il peso assoluto del primo al p.eso assoluto del secondo haverà la proporzione composta delle proporzioni della distanza del primo dal centro della terra alla distanza del secondo dal medesimo centro e della mole del primo alla mole del secondo. 77 . ehc ha linea — 88 . di AD al peto al peso antohito — JtVI. 45 354 30 NOVEMBRE — 1° DICEMBRE 1635. [3216-3217] Siano duo giravi, il primo A, il secondo 13, pooti in distanze diseguali dal contro della terra (J, della medesima gravità in specie: dico che il peso assoluto di A in A al peso ìoo assoluto di 13 in 13 haverà la proporziono composta della distanza AC alla distanza IlO e della mole A alla mole 13. Facciasi come la distanza AG alla di¬ stanza 130 così la linea 1) alla linea E, e come In mole A alla mole 13 così sia la linea E alla linea F; dopoi intendasi una mole G eguale alla mole A ed ancora della stessa gravità in specie, ma posta nella distanza dal centro 0 eguale alla distanza I3C. Adun¬ ano il peso assoluto di A in A al peso assoluto di G iu G haverà (por l’antecedente) la proporzione che ito ha la distanza A0 alla distanza 130, cioè che ha la linea 1) alla linea E ; ina il peso assoluto G in G ni peso assoluto 13 in 13 (per essere ambidue nella me¬ desima distanza dal centro della terra C) havorà la proporzione della mole G alla molo 13, cioè della molo A alla mole lì, cioè della linea E alla linea F; adunque, ex acquali , il peso assoluto A in A al peso assoluto 13 in lì sarà corno la linea 1) alla linea F. Ma la linea 1) alla linea F ha la proporzione com¬ posta della proporziono della distanza AC alla di- 120 1 stanza I3C e della proporziono della mole A alla mole lì ; adunquo il poso assoluto A in A al peso assoluto 13 in B haverà la proporzione composta dello proporzioni dello distanze AC, BC e dello moli A o B ; che ora quello elio si doveva dimostrare. 3217. GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO iu Venezia]. Arcetri, 1° dicembre 1635. Bibl. Maroiana in Venezia. Cod. XLVII doli» Cl. X It., n.® 3. — Autografa. Rev. m0 P. w e mio Sig. r Col. ul ° Sono passati 3 ordinarli senza comparsa di lettere della P. V. R. ma Desideravo d’intender da lei se maestro Marcantonio Mazzoleni vi¬ veva ancora in Padova, et in conseguenza se da lui poteva restar servito rill. ,no S. Baitello del compasso che desidera 11 , acciò, non po- Gir. u.® 3107. 1° DICEMBRE 1635. 355 [3217-3218] tendo riceverlo di costà, io potessi in qualche maniera procurar la sua sodisfazione di qua. Desideravo appresso d’intender quel che ri¬ sponde quello di Brescia che dette l’incudine, perchè gli eredi del fabbro, per chi si fece venire, si sentono aggravati per i notabili di¬ io fetti che in essa si veggono, i quali la rendono inutile, et essendo genti incapaci di ragione, si tengono ingannati da me, che ci ho mesBO 21 scudi del mio, e non vogliou credere che io cerchi di costà che sia rifatto il danno. Però la prego a procurar ch’io possa mo¬ strare a costoro ch’io non mi ho buttato il servizio dietro alle spalle; e, di grazia, mi scusi delle brighe che contro a mia voglia gli do. Ho hauto li giorni passati molte visite di oltramontani, tra’ quali un Signor principale inglese, (,) il quale mi dice, il mio sfortunato Dia¬ logo essere stato trasportato in quella lingua (2> ; cosa che non può se non progiudicarmi. D’Alemagna non sento nulla: credo che queste 20 turbolenze faccian pensare ad altro che a stampar libri. Questo ò quanto per ora mi occorre: e con reverente alletto gli bacio le mani. D’Àrcetri, il p.° di Xmbre 1035. Della P. V. R. ma Dcv. ,no et Obblig.™ Ser. ru G. G. 3218 . FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 1° dicembre 1 G:Jó. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XII, ear. 185. — Autografa. Molt’ 111” et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col."’ 0 Io havevo ressoluto non rispondere alle lotterò di Y. S. molto IU. r0 et Ecc. ma se non riscossa la sua pensione, maturata il Sottombro passato. Mi è convenuto scrivere, rescrivere e bravare: finalmente mi scrivono elio è in mano dell’111. 11,10 Baitello, di modo elio V. S. ne può disponere a suo piacere, con il ressiduo dell’altra rata, ebo è £ 52, e questa 140. Quel maestro Marc’Antonio Mazzoioni <3) morì di pesto; non vi ò chi più sappia far li compassi: cosa strana che, sondo di cosi importanti usi, si lasci Lett. 3218. 7. Mar’Antonio — 111 Tommaso Hobbrs. opere, di Galileo nolla Rivinta delle Biblioteche, Firenze, <*' Cfr. Antonio Kavaro, Rarità bibliografiche tip di G. Cnruosocclii e figli, 1889, rum. 18-19, pag. 88. galileiane. Ili, Soj>ra una traduzione inglese di alcune < 8) Cfr. D.® 3217. 350 1° — 2 DICEMBRE 1035. [3218 3219] perir I* inventione, o elio non si trovi nè anco il discorso dell’uso (1, } quale cerco con smania. io Io non intendo punto quello V. S. scrivo no’suoi Dialoghi a c. 241 (,) , cho non repugna il potersi con la circonferenza d’un corchio piccolo, o poche volte rivoltato, misuraro o descrivere una linea maggiore di qualsivoglia grandissimo corchio otc. ; o n’ ho ricerco questi intendenti qui, ma nionto capisco lo loro risposto: la prego darmene luce, so ne sono capace. La sfera del S. r Sigismondo l8) viene ogni dì veduta da qualcuno, o tutti rastano appagatissimi, massime por la facilità o por vedersi ocularmente tutti gl’effetti cho V. S. scrivo delle machie del solo ; ot io non l’intendevo che in confuso, ina in questo li veggo chiarissimamento. riavevo accapato un vetro di specchio vociassimo, grosso, puro al possibile, 20 chè sto por tuttavia ansioso di un occhialo buono, o do la colpa al mandatomi da V. S. e non agl’occhi miei ; invece di mandarlo, un gatto me 1’ ha fatto in minucie: oh bestia senza opinioni humano ! Lo prego di tutto cuore felicità e bacio lo mani. Ven. ft , p.° Docombro 1635. Di V. S. molto 111." ot Ece. wa Dev. mo Sor. S. r Galiloo. F. Fulg.° 3219 **. ASCANIO riOCOLOMINI n [GALILEO iu ArcotriJ. Siena, 2 dicembre 1635. Blbl. Naz. Flr. Mas. fini., P. I, T. XI, car. 157. — Autografa la sottoscrizione. Molto III." S. r mio Oss. BO Perchè il tempo buono da servir V. S. del vino bianco nella seconda muta è questo, o nè anco può desiderarsi miglioro por questo effetto, ho ordinato che la ne sia servita de’ sei barili, elio glio n’ ho proveduto, il giorno doppo la mia partenza per Roma; ondo s’incaniinerà alla sua volta con questa il 4 del cor¬ rente. Quest’anno non è riuscito quello dell’anno passato, ondo per bavere vini dolci è convenuto voltarsi altrove ; e sehe.no la stagiono ha fatto carestia di vini dolci, havendo preso dol meglio, spero d’ essermi accostato al suo gusto, 14 - 15 . le loro ritpoita — <•> Cfr. Voi. II, pag. 365-424. i*. Cfr. Voi. VII, pag. 271. <*' Sioismonuo Albeku narri: cfr. h.° 3111. 2 — 3 DICEMBRE 1635. 357 [3219-3220] ed barò molto caro so mi sarà riuscito. Gradirà però quello li mando, come io che io non li Labbia potuto mandar pili da questo collinette, o mi conserverà in sua gratin, mentre le bacio per fine affettuosamente le mani. Di Siena, li 2 Xbre 1635. Di V. S. molto Ill. r0 De?ot.° Sor. A. Àr.° ili Siena. 8220 ** ANDREA SOZZI a GALILEO in Àrcetri. Siena, 3 dicembre 1635 . Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I. T. XT, car. 150. — Autografa. Molto HI.” Sig. r e Pad.” mio Oss. mo Nel partir elio questa mattina à fatto Monsig. r lll. mo mio Padrone 111 , mi à commosso che con ogni diligenza invii a V. S. sei barili di vino, sì corno l’invio per Santi nostro lavoratore ; et insieme, con ordine del Sig. r Segretario, mando a V. S. corto panno (2) e due para di calzette colorate di lana di diversi colori, o mando due para di calcetti di lana Inanella. Circa alle calzette di lana Inanella por V. S., io non gli lo mando, anchor che quel calzettaro, che sta qua per andare in Camullia, co no avova un paro; ma per non esser a mio modo le Lo lassato: ma orano Leu grandi, cLe so fussero state meglio lo averei prese, io Gli Lo ben dotto cho no facci un paro ; che se saranno a mio modo, le pi- gliarò. Il prezzo di esse, quando V. S. le voglia, non ne vuol meno di due te¬ stoni: però V. S. avvisi quello che li parrà, chè il tutto esequirò; chè, anchor che V. S. non mi conosca, gli assicuro che non pretendo di non esser inferiore all* affetto delli altri servitori di Monsig/ Ul. mo , che lei abbi conosciuto mentre era qua. Il prezzo del panno è cinquanta cinque lire; le calzette colorate va- gliono tre gitili il paro, e li calcetti un giulio il paro : sì che V. S. deve man¬ dare sessanta lire e un grosso. E se in altro conosce sia buono a servirla, la servirò di tutto cuore ; alla quale di tutto cuoro lo bacio lo mani, et lo pregho dal Signor ogni bene. 20 Siena, 3 di Xbre 1635. I)i V. S. molto 111.” All’.' 110 Sor.” Andrea Sozzi, M.° di Casa. Fuori: Al molto 111.” Sig. r et P.ron Osa. 1110 Il Sig. r Galileo Galilei. Arcetri. 0> Asciamo I’iuuoi.omini. '*> Cfr. n.° 3213. 35tì 5—15 DICEMBRE 1635. 13221-3223] 3221 *. G10. GHERARDO VOSSIO a UGO GROZIO in Parigi. Amsterdam, & dicembre 1635. Pnlla pup. 303 dell’opera citata nell' informazione promossa ai u.° 21)47. Illustrissime Domine, Quoti de negotio suuimi viri Guliluei Galilaei <” tarde acìeo reecrilmm, diutina focit ab urbe absentia ayndioi nostri Quii. Rorolii ’ , qui reni omnem apud Domino» OrdineB iide- liter procuraturum se recepit; noe sano ad cani rem alter magi» idoneus oligi poterat: sed non poto eurn afiore ante ChrÌBti Natalem. Maguus est affeotuB proceruni urbis nostrae erga Galilaeium, corona saltem quibus scientia in pretio est. Ante omnes praedicare debeo Nob. UoaUum< 8) , qui nihil acquo exoptarot quam ut Ualilaeius, praetextu offerendi Ordi- nibus nostri» suas «le re maxima cogitationes, lms ipse in terras veniret. Poterat, inquit, opera liino dari, ut figero hic domicilium vellet. Sod volani hoc viri, de suo etiam largiri ad detinendum parati, metuo no, provecta in istac Galilaei uetate, plano frustra sit_ 3222 *. GIO. MARTINO RAUSCUER a MATTIA HERNEGGER in Strasburgo. [Tubinga], 6 dicembre 1635. Bibl.Oivioa di Amburgo. Codice citato nella informazione promossa al n.» 2712, car. 103. — Minuta autografa. .... Systema Gopernicannm accepi, cuius precium in rationibus fnompe Ioachimicum Imperiali) a te notaturn expecto. illuni librimi Lansiuanoster nunc habet.... 27 Noverab. 1 ** 1635. 3223 . GIOVANNI PIERONI a [GALILEO in Arretri]. Violina, 15 dicembre 1635. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 187-188. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc.' no Sig. re o P.rone Col." 1 " Si maraviglierà V. S. Ecc. raa , et insieme mi incolperà, di tanta mia tardanza a scriverli ; ma sappia che la causa ò stata Tesser io stato in Boemia, et in parte «•» Cfr. n.» 3166. ,2 ' Gnm.ici.Mo Borri,. < 3 ' Lorenzo Urakl. ,4) Tommaso I,ansiosi. <5> Di stilo glulinno. 15 DICEMBRE 1635. 359 [32231 donde non havevo commertio con Praga, o però non potevo mandar lettere, oltre elio aspettavo di poter avvisarli qual elio conclusione circa il negotio del libro' 11 . Intanto mi è convenuto ritornar qui a Vienna, dove mi trovo una di V. S. delli S di Settembre, per la detta cagiono ricevuta così tardi, ma gratissima et opportuna, perché mi risolvo quei dubbi che per servirla havevo propostili. Quanto al luogo o carattere per la stampa, bisogna che io dica a V. S., io elio doppo liaver cercato quei luoghi ne’ quali sia stampa et io possa assisterli (cosa elio principalmente intendo di faro), non trovando nè comodità nè cosa di mia sodisfazione, anzi prevedendo pericoli dalli emuli di V. S., clic sono poi- tutto assai potenti o non punto negligenti, mi risolvei di supplicare S. M. tà Ce¬ sarea che mi donassi una tipografia, che già, a mia persuasione, lece bella e nuova il già Fridlant (2) in Saghen, e ne parlai in voce ancora a S. M. l \ la quale benignamente me ne compiacerà, e vuole darmela c no ha dato gl’ordini, la speditiono do’ quali pensavo io di liaver molto presto, e però di andare in persona a prenderla, essendovi assai più vicino da’ miei boni ; ma non è suc¬ ceduto ancora per certa diligenza di ministri, la quale spero bora qui in pochi 20 giorni di superare, o subito trovar poi il modo di haverla o condurla in casa mia, ciò è noi borie : dove può considerar V. S. con quanto comodo, esattezza o sollecitudino io potrò servirla, perchè terrò ivi quello persone elio bisognerà por fare l’impressione o che siano valenti ; et i caratteri di quella .sono bolli o nuovi, che spero saranno di sodisfazione. Però la prego a non turbarsi per tanta lunghezza, perchè io non ho saputo trovar verso megliorc, o cerchorò di compensarla con la prestezza poi. Intanto fo fare l’intaglio dello figure, quale ancora s’è ritardato per l’assenza dell’amico mio che lo fa, elio è stato trat¬ tenuto quasi per forza in Moravia: hora che è qui, io lo sollecito, e spero che presto V. S. no vedrà la mostra. 30 Farò dunque che la forma del libro sia in 4.°, della grandezza del Dialogo, essendo convenientissima la ragione di V. S. ; o così facilmente avverrà che siano ancora ristampate lo duo opero in Francia, come mi avvisa. Che il Dialogo sia stato ristampato, et anco fatto latino, era cosa quasi da aspettarsela, per lo rare curiosità che contiene; et essendo anche in lingua intelligibile a tutti, havrà gran spaccio e nome. Se si fusso possuto levarne qualche cosa a gusto de’ superiori, e lasciar il resto che si ristampasse libero a tutti, sarebbe vera¬ mente stato grato a molti: altrimenti sarà necessitato qualche ingegno a ca¬ varne quelle bolle cose che vi sono, e sotto altra forma palesarle al mondo, o, per meglio diro, a i lottori cattolici. -io Quanto alla dedicazione, io riverisco et amo sommamente questa M.** Pa¬ trone (3> , o però amerei ancora che ricevesse gusto di quella; ma a me paro "1 Cfr. n.o 3170. <*> A i.ukutu Wai.lknstein, Duca ili Fribdcakd. «> Cfr. n.° :J1U7. 360 15 DICEMBRE 1635. [3228] ili veder che quello non sarà so non alla misura di quanto il libro gli verrà approvato o lodato o pur confutato dallo persone elio gli sono appresso, fra le quali in primo luogo sono di quelli elio alcuni no sono contrarii a V. S.: però mi pare il nogotio dubbioso. Si crede elio vorrà in qua il Ser. mo Principe Mat- tias Ladislao IV, Re di Polonia. <*> Cfr. il.» 8170. [3224-3226] 18 DICEMBRE 1G35. 361 3224 *. GALILEO a ELIA J) IODATI [in Parigi]. Arcetri, 18 dicembre 1035. Bibl. Nftz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 84t.— Copia di mano di Vinornzto Viviani, olio vi prometto l'indicazione: « G. G. 18 X.» 1635 >. Nollo stesso codice, a car. 75t.-76r., si ha un'altra copia, pur di mano del Viviani, di questo capitolo; o lo parole « Infelice ... scibile » (lin. 12-15) si leggono altresì, sempre nello stesso codice, a car. Sdr. e a car. 147r., di pugno di un amanuense del Viviani. Mi dispiace bene in estremo che la corrispondenza por lettere sia, per la turbolenza delle guerre, gravemente impedita, cliè, oltre al di¬ sturbo che mi viene da coteste bande, uno e non minore ne ricevo d’Alemagna, dove mandai la metà delle mie fatiche, acciò fussero date alle stampe, le quali furono consegnate in mano dell’ amico 10 che se n’era presa la cura, et esso allora mi avvisò la ricevuta, e che senza indugio si sarebbe fatto metter mano, e che quanto prima mi avrebbe mandato qualche figura stampata per mostra della sufficienza dello intagliatore {v ; con tutto ciò sono ormai passati quattro mesi, nè io io ho avuto più altro avviso, talché sto in gran pensiero che final¬ mente quella parte de’ miei studii, ne’ quali avevo qualche ambizione, abbia a restar desolata e svanire in fumo. Infelice questo nostro clima, nel quale regna una fissa resoluzione di voler esterminare tutte le novità, in particulare nelle scienzie, quasi che già si sia saputo ogni scibile ! 3225 *. MATTIA BERNEGGER a GIO. MARTINO RÀUSCHER in Tubinga. [Strasburgo}, 18 dicembre 1635. Bibl. Civica (li Amburgo. Codico citato nella informazione promossa al n® 2G13, car. 169r. — Minuta autografa. .... Pro Systemate Galilaico paciscoraliquot exemplaria Parentationis Seliiccardi- caoami ci s per Galliano et, alibi cìividenda. Diodatus, IO. Parisiensis, suo et aliorum isthic 1*1 Giovanni Pikkoni. et maUieseoa in Acati e mia Tubint/ami prò ffusoria ce- Cfr. n.° 8167. leberrimi, superiori mense Novembri denati. Memoria <*> Cfr. n.° 3222. et Jiulogium. Tubingao, typis Phi liberti li rumi i. mino 1*1 Wilhelmi Schickardi, lintjuarum orientaiiuta Oliristi 1036. XVI. 40 302 18 — 1!) DICEMBRE 1635. [8225-3226] nmgnorum virorum nomine, sollicite ndmodum apud me do Schiccardo nuper inquisivit lam ante video, quo luctu et moeroro triste adeo nuncium do tanti viri ot amici obitu praematuro sint excepturi. Me quidem id ita perculit, ut aliquandiu vix apud me fuerim l’arem, aut salteni non ninna imparenti, illi viro anccesaorem (praedico vobis, utiuam falso!) vix ao ne vix quidem uspiam Geriuaniae, imo Europae, rcperietis ..., 8 Beo w 1635. 8226 ** GALILEO a MAZZEO MAZZE! [in Firenze]. Àrcetri, 19 dicembre 1685. Arch. di Stato In Firenze. Monto di Piotà, Filza 1075 (d'antica numerazione Campione HO), u.° in¬ terno +28 — Autografa. Molto 111. 1 * 0 Sig. re e Pad." mio Col.”' 0 Riceverà V. S. molto I. la presento per mano del molto T. Sig. p Brac¬ cio Manetti, per la quale prego V. S. molto I. a farmi grazia di far consegnare al medesimo S. Braccio i meriti che di presento maturano delli d. 4000 che tengo sopra cotesto Monte, comprendendo in essi d. 4000 li 500 postivi alcuni mesi fa sotto persona innominata, li cui meriti si potranno aggiustare con quelli de i restanti 3500, ponen¬ dogli in un conto solo. Di tal favore resterò io con obbligo partico¬ lare a V. S. molto I., prontissimo sempre a servirla in tutte le occa¬ sioni; e con reverente alletto gli bacio le mani, annunziandoli felici io le Sante Feste instanti. D’Arcetri, li 19 di Xmbre 1035. Di V. S. molto lll. P8 Parat." 10 ot Obblig. mo Ser. re Galileo Galilei. Fuori: Al molto lll. re Sig. re e Pad." mio Col." 10 Il Sig. p Mazzeo Mazzei etc. In sua mano. '*> Di stilo giuliano. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX, uj, hu.llf.-120 della colonna ili gjuit,tra. [3227] 22 DICEMBRE 1635. 363 3227 . BENEDETTO CASTELLI u GALILEO [in Arcetri]. Roma, 22 dicembre 1635. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 161. — Autografa. Molto III.” Sig. re o P.ron Col. m ° Il gusto infinito che ricevo dalla lettera di V. S. molto 111.” ed Ecc. mR , nella quale mi dii nova dell’ lionore w che mi vieno fatto dal Ser. 010 Gran Duca, mio Signore e Padrone, e da cotesti Ser.“* Principi, resta contemperato o mortifi¬ cato, pure con infinita misura, ritrovandomi prima indegno di tanto lionore, poi legato in modo elio non ci vedo strada per potermi sbrigare : e andarò toccando alcuni impedimenti che mi turbano assai. Il primo de’ quali ò che non so come faro dimanda di partirò senza offendere questi Padroni, a’ quali sono obligato per molti capi : uno de’ quali, che stringe il nodo, è che 1* Em. mo io Sig. r Card. 1 Francesco w è protettore della nostra Religione, ed Laverebbe molte maniere di mortificarmi, come sarebbe di farmi levare il titolo di Abbate nella mia Religione, od anco di fare meco quello che fa con il Padre Don Cirino (8) di Siena, che leggeva a Pisa, caso molto bene noto a S. A. Sor. ma , (iosa che mi impedirebbe T istesso servizio di S. À. zft In oltre, se io facessi questa levata, si farebbe giudichi che io lo facessi por disgusto e per leggerezza ; o quello che puro mi preme assai, è cho ho cominciato a sincerare l’Em. m0 Sig. r Card. 1 ® An¬ tonio (4> (o ha mostrato di Lavorio hauto caro) cho la calonnia data a V. S. molto 111.'", cho ella ne’ suoi Dialoghi Labbia per Simplicio voluto intendere quella persona cho è degna del sommo lionore, ho, dico, sincerata S. Em. 7a in 20 modo come è la verità che questa calonnia è falsissima, o m’ha detto di vo¬ lere parlare con buona occasiono con chi si deve o fare ogni buono officio ; e so cho qui non ci sarebbe che conducesse a fine questa opera, per giustizia, per verità, e per buono c fedele servizio di questi miei Padroni, o anco per con¬ solazione di V. S., alla quale sono tanto obligato. Ilora si ambirebbe forsi ren¬ dendo più difficile il negozio, se io mi partissi di qua. Ci sono poi mille altri rispetti, e in particolare che la mia Religione, o almeno gli emoli, direbbero che io fossi stato cacciato di qua o levato per qualche mancamento ; e a sa¬ nare queste maledicenzo ci volo tanto cho mai non basta. So cho parlo con <*> Inlumii. l’invito alla lottar» di matematica <*> Fkancksoo Babrrkini. nello Studio di Pisa, rimasta vacante i»or la morto Cremo Santi. di Niccolò Aggiunti. **1 Antonio Barberini. 364 22 DICEMBRE 1635. [3227-3228] persona prudentissima o elio mi ama lussai, o elio mi compatirà se non accetto quello ohe sopra tutto lo coso di questo mondo desidero ; e la supplico elio mi ao voglia favorire appresso cotosto Sor.™ 6 Alt/®, prima di renderli liumilissime gra¬ zie di tanto lionore cho mi fanno, poi di prometterlo in nome mio (e non man- carò mai) elio venondo occasiono di servirle por doi o tre mesi in qualsivoglia cosa, prenderò occasione o di andare alla patria o di altro, e verrò a mio speso a spenderò la vita stessa in servizio loro, o ini parerà di faro poco al molto, anzi infinito, obligo mio. Caro Sig. r Galileo, rappresenti a loro AA. Sor.'" 6 la mia humilissima devo¬ zione, o li assicuri di più che quando Dio benedetto mi concedesse libertà, la cambiarò sempro volonticri con la servitù verso cotosta Ser. m * Casa, alla quale se bone starò in Roma, vivorò sempre schiavo. K con questa occasiono la prego 40 a ricordare al Ser. ,u0 tSig. r Cardinale 111 elio li vivo devotissimo servo, conio an¬ cora a Madama Sor. aia , tanto grande mia benefattrice; o il simile officio passi con ogni doYoziono con il Sor." 10 Sig. r Principe Lorenzo, o inchini il mio nomo al Ser. mo Gran Duca, montro a V. S. molto 111." fo riverenza, rendendoli lo do¬ vute grazie di tanti favori. Roma, il 22 di Xbro 1635. Di V. S. molto IR." od EcC. mt Dovotiss. 0 e Oblig." 0 Ser." n Ris. 10 S. r Gal.® Don Benod. 0 Castolli. 3228 . FULGENZIO MIO ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 22 dicembre 1(535. B1U. Naz. Fir. Mas. «al., P. VI, T. XII, car. 189. — Autografa. Molt’ RI." et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Col.® 0 Mando le Rime 1 * 1 , elio desidera: ho memoria che quando lo leggevo, trovavo in un villesco linguaggio qualche spirito cittadinesco. Ancor io pesco il sonno da pensieri di cose vedute da fresco, ma più d’ogn’altro mi servo il libro do’Dia¬ loghi di V. S. lice.®*, spetialmente quando da quelli passo a quel bel tavolazzo cho porta quei terribili groppi dolio stollo fisso ; o qui non posso non ridoro in pensare la sua grossezza, nè so perchè si dovessero quei groppi far tondi più che oblunghi, perchè dovevano essere rapiti in volta non da sè ma dalla sua (’> Caki.o db* Mudici. Astiai probabilmente lo Rime di Magagnò, Ma non e -Bigotto in lingua r mitica padovana, cho «io. Battista Maoahua diede alla luce in quattro parti dal 1508 al 158U. [3228-3229] 22 — 24 dicembre 1635. 365 tavola. Con queste vanità il sonno mi porta via, e con insogni proportionati io mi fa puoi rammentare clie anco le nostre opinioni sono somma vigilantium. La figura, come un circolo minore può misurare un maggioro, ò bella 11 ’, ma mi fa ricordare del sillogismo col quale quel gentil li ssi ino Sagredo, da V. S. ravivato, vollo provare al suo villano die havesse li due piedi in una scarpa, che ascoltatolo con grand’attentiono le disse: Segnare, mi a no ve so rispon¬ dere, ma su ben che ’l non è vera: e questo m’occorre in molte cose. La de- mostratione però ò spiritosa. Il Sig. r Sigismondo 12 ’ è dietro a formar un specchio parabolico: ha fatta la forma per gettarlo : vorrei che li sucedesse. Molti 1’ hanno veduta : io non no so formar giudicio. 20 Ho voluto vedere la Rosa Orsina (8) . Il primo libro ò la testa dell’anguilla, che vorrebbe esser troncata per non stomacare. Il secondo non mi spiace, se non in tante mimici© non necessarie, cho confondono. Non sono più inaliti. Prego a V. S. molto 111.™ felice Panno novo e bacio le mani. Ven.*, 22 Decembre 1635. Di V. S. molto 111/ 0 et Eco." u Dov. mr ' Sei-. 0 S/ Galileo. F. F. 3229. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 24 dicembre 1636. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 191. — Autografa. Molto IH." et Ecc. ,uo Sig. r e P.ron Col.’" 0 Non si maravigli V. S. Ecc. mft so facio così longhe pause nello scrivere, poi¬ ché in questo verno sono stato travagliatissimo dalla podagra, e ridotto a se¬ gno tale che la flussione è quasi fatta continua ne’ piedi, cosa cho, oltre il tra¬ vaglio che m’apporta, mi distoglie anco dalla frequenza dello Studio c dal potere visitar gli amici e patroni con lettere, e lei in particolare che registro nel primo luogo, con quella frequenza che il debito mio richiederebbe. Son risoluto a questa primavera fare una buona purga et un paro di cauterii, per vedere so posso far mutare strada alla natura, quale vedo che ò inviata a rendermi del io tutto immobile. il R. m0 Padre Lutio fu poi fatto nostro Generale, come havrà forsi di già inteso. So li viene l’occasione, la prego d’ima raccommandationcella, se bene stimo ebe esso molto mi ami e desideri farmi piacere. <«' Cfr. n," 3218. <*) SlQI&liONOO Albkbguktti. «»» Cfr. II.» 876. 366 24 — 28 DICEMBRE 1035. [3229-3280] Intesi della molta sodi sfattone elio ricevè dal Sig. r Giovanni do Beugrand, o tanto è successo al P. D. Benedetto, com' havrà torsi da lui inteso. Li man¬ dai a Roma il problema risoluto dolla parabola descritta per 4 dati punti etc., da lui propostomi u) : non bo ancora inteso che babbi visto la detta mia solu- tiono. Ho havuto molto caro un’occasione tale per bavero la commonicatione con quei S. ri matematici dolla Francia, stante la penuria elio vi è qua in Italia. Ho inteso dolla morto dolio Aggiunti nello Studio di Pisa ; non so se sia 20 vora, chè molto mi spiaccrebbo. Fra tanto non li dirò ebo li viva servitore, ma solo ch’olla sa quanto io l’ami 0 l’ammiri, 0 perciò non dirò altro, solo che non havendoli potuto dar lo buono Feste, li auguro febee principio doll’amio nuovo 0 di innumerabib appresso, 0 li bacio lo mani. Di Bologna, nlli 24 Xbre 1635. Di V. S. molto HI.™ et Ecc."“ Ob. mo Sor.™ F. Bon. rt Cav. ri Fuori : Al molto HI.™ et Ecc. ra0 Sig. r 0 P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. eo 3230 *. MATTIA BERNEGGIAR a ELIA DIO DATI in Parigi. [Strasburgo], 28 dicembre ll>35. Bibl. Civica di Amburgo. Codice citato nella informazione promessa al u.° 2613, car. 169<. — Minuta autografo. Aelio Diodato, Lutetiam. Amplissime nobiliasimequo Domine, Binae tuao veuerunt ad me por longas ambages ; per quas cum buie otiam epistolio meo remeandum sit, neo licoat ampliori oliarla onerare littoria suis iti iucludentem, buie brevitati facile largioria, uti spero rogoquo, veniam. l’erplacuit epistola Robertini fictitia i * ) , quam cum auctario nonnullo et cum responso meo edam, utprimum copia typographi dabitur. Apologeticus ipso pridem excusus est, correctis prius isfcis do quibus admonuisti, noe veuditus tumcn, cum hoc ei frontispicium adirne deesset. Constitui, versionis autorem cum elogio nominare< a >, ncscio an te volente et J0 probaturo. !Si hoc oiliciuui aversaris, velini primo quoviB tempore certiorem me facias. Neudorffius, et laudum tuarnm et sibi praestitorum ahs te beneficiorum insigni» praeco, seripsit ad me Londino, Systema Galilaicum isthio desiderari. Si Lutetin nequit eo mitti, O) Crr. n.» 8210. «*' Cfr. u.° 8068. <»' Cfr. n» 3257, Un. 1*2-14 28 — 29 DICEMBRE 1635. [3230-3231] 367 nundiuis Francofurtanis, qnas proxinio vere celebratum iri magmi apes est, ut undique spurgatili', Elzevirii curabunt. De putito a me telescopio promissam curam interinittere, quaeso, noli. Pretium bona fide peraolvam. Indue forteni animimi, quo triste nuncium excipias de Se.hiclcardo nostro. Vir et amicus inconiparabilis epidemia lue heu ! sublatus est Tubiugae, dio 23 Octobris. Apographum 20 uovis8Ìmae ipsius ad ine epistolae, cum narratione de morte eius, forte et Farentationom (1) quatn Soheflerus <*>, professor Àcadernicue, istbio habuit, addo quoque Keplcri Somnium sive De astronomia lunari W, qnin et. reliquas Apologetici pagellas, babebis a me, utprimum itineribuB securitas sua reddita fuerit. Inclusum epistolium nobilissimo Marescoto patri<*>, cum officiosissima ex me salute, curaudum trade, ni grave est; et significa, in parato me Imbeve quae prideru requisivit, utprimum Luto licebit, ventura. V. 18 Decemb. luliani 1635. 8231 **. GIOVANNI PIERONI a [GALILEO in Arcetri]. , Vienna, 29 dicembre 1685. Btbl.Nnz. FIr. Mss. Osi., P. I, T. XI, cftr. 103. — Autografa. Sul di fuori si leggo, di mano di Gat.ii.eo: la risposta si mandi in Cancelleria delle Farine al S. Giov.' del Ricco. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig.™ P.rone Col. 1 " 0 Mentre che, in conformiti di quanto ho scritto ultimamente a. V. S. Ecc. mft(C) , io vo disponendo o sollecitando di servirla, come presto le avviserò, nascendomi pensiero di poter ricovero l’adempimento d’un mio desiderio por mozo suo, pi¬ glio confidenza di supplicarla, corno fo con questa, clic poi’ quanto ella possa (con suo comodo però) si compiaccia di favorirmi del suo aiuto, o consiglio al¬ meno, per un nogotio di die gli parlerà il Sig. r Giovanni del Ricco (fl) , mio ca¬ rissimo et antico amico vero; chè assicuro V. S. elio non potrà, farmi favore più grato nò di cosa da me più desiderata, e perciò mi obligliorà sopra ogni io termine. E per bora resto facendoli reverenza cori ogni affetto, e augurandoli felicissimo il nuovo anno con molti seguenti et ogni felicità. Ri Vienna, li 29 Xbre 1635. Di V. S. molto lll. r0 et Ecc. ma Devotiss. 0 ot Oblig.'" 0 Ser. r0 Giovanni Pioroni. <«) Cfr. 11 .» 3225. <*1 Zaccaria Soharwkr. < s > Cfr. u.» 2233. < 4 > Gitai.iBr.uo Markscot. <«> Cfr. n.» 3228. (•■i Cfr. nu.‘ 8254, 3255. 368 30 DICEMBRE 1635 — 5 GENNAIO 1636. [3282-3238] 3232 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GIANNANTONIO ROCCA [in Reggio]. Bologna, 30 dicembre 1035. Dalla pag. 54 dell'opera citata nell’informazione promossa al n.° 8058. _Quanto a quel Francese (1) , io non ho inteso altro, se non ohe lasciò al Sig. Ga¬ lileo questa proposizione : che i gravi dell’ istessa gravità in specie, essendo eguali e disugualmente distanti dal centro (lolla terra, hanno le loro gravità assolute nella pro¬ porzione delle distanze; ma la dimostrazione non 1’ ho vista. V. S. potrà lavorarci intorno; eh* essendo vera, facilmente la trovorà.... 3233 *. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, 5 gennaio 1(130. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 198. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Osa.” 0 S. I continui e cari saluti cho mi fa il nostro P. Abbate (t) da parte di V. S. Ecc.**, ogni volta m’inviterebbero a scrivere, »' io non bavessi risoluto di non la molestare senza particolare occasione; o questa di presento ò tale. Mi vien dimandata la domostrationo ebo due o più lati di qual si voglia poligono ret¬ tilineo circonscritto al cerchio sieno maggiori dell’arco al quale sono circon¬ scritti; il cho da Archimede (por quanto Ito letto) è assunto sì bone, ma non provato. Io liavovo pensato ad una tale illatione. Sia circonscritto ad un dato circolo un triangolo equilatero : questo toccherà il circolo in 3 punti. Sia circonscritto un quadrato pur equilatero: questo lo toccherà in 4 punti, e gl’angoli saranno maggiori e più prossimi alla circonfe- ronza che non erano quelli del triangolo; e di più il perimetro del quadrato sarà minoro di quello del triangolo. Cosi un pentagono toccherà il circolo in più punti, gl’ angoli saranno maggiori o più prossimi alla circonferenza, et il perimetro minoro cho non era quello del quadrato. L’istesso avverrà delli altri poligoni, quali in quanti più punti toccheranno il circolo e quanto haveranno maggiori gl’angoli o più prossimi alla circonferenza, tanto saranno di minor perimetro. Ma quando finalmente il poligono toccherà tutti i punti del circolo, O» Cfr. il.» 3210. <*> Benedetto (Jasti;i.i.i. 5 — 6 GENNAIO 1636. 360 [3233-3234] e così non potrà avvicinarsi più, il suo perimetro non sarà minore di quello 20 del circolo, ma eguale; adunque gl’altri poligoni che non toccano tutti i punti del cerchio, e da quello por di fuora hanno gl’angoli più remoti, saranno di maggior perimetro che non è il circolo. Qui dubito, non mi sia opposto che gl’excessi dei poligoni sono parti quante, ma i poligoni circumscrittibili ad un cerchio sono infiniti; adunquo avanzeranno infinite parti quante, e così avanzerà una linea infinita, che poi sarebbe minore della metà d’una data rotta linea terminata: il elio si prova, perchè quel po¬ ligono che tocca in tutti i punti il circolo è di maggior perimetro che non è il triangolo equilatero inscritto, per la dofinitione della linea retta; ma il pe¬ rimetro del triangolo inscritto è la metà del perimetro del triangolo circum- 80 scritto; adunque quelli excessi tutti insieme sarebbero manco elio la metà del perimetro del triangolo circonscritto, o così d’una data retta linea terminata. So certo che V. S. E.®* non potrà toner le risa, vedendomi così appannato nella ragna; ma spero ancora nella sua solita cortesia, ch’ella non mi vi la- scerà dentro, ma quanto prima mi svilupperà: anzi confido di più che ella mi faccia gratia di quella sua bella demostratione, che tutti gl’isoperimetri sieno più capaci, quanto sono di più lati et oguali; e questa mi sarà sopra modo cara. Sia questo un nuovo pegno della gran confidenza eli’ io ho in lei e della buona volontà mia, prontissima ad ogni suo cenno. Così prego a V. S. E.‘" a il colmo d’ogni bone da Quello che veramente lo può dare. -*0 Di Roma, la vigilia della Epifania nel 1636. Di V. S. molto 111." et Ecc. ,ua Aiì'. m0 et 01>l. mo Servitore Raffaello Magiotti. Fuori,: Molto Ill. r0 et Ecc. m0 Sig. r e P.ron mio Col.' nu 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 3234 *. FRANCESCO NICCOUNI a GALILEO [in Arcetri} Roma, 6 gennaio 1C.%. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, B.» LXXXII, n.« IH. — Autografa la sottoscrizione Molto 111.” Sig. r mio Oss. mo La memoria che l’Ambasciatrice et io è quasi impossibile che non habbiamo di V. S., ci sminuisce qualsivoglia consolazione quando consideriamo che ella non gode por ancora intera libertà. In questo stato suo è tanto maggiore il XVJL 47 370 G — 7 GENNAIO 1G36. [3234-3235] favor olio riceviamo dalla sua cortesia coirannunzio felicissimo di prosperità in questo Santo Natalo, nel quale, corno negli altri tempi, ci travaglia il conoscere di non haver altro modo por adesso da consolarla che col porgerne preghiere a Dio, come facciamo con tutto l’animo, rallegrandoci in parte il veder che la sua prudenza e costanza le fa pigliar con quiete questi travagliosi accidenti. E le bacio affettuosamente lo mani. io Di Roma, 6 di Genn. 0 1336. Di Y. S. molto 111.*® Aft‘. m0 Ser. ro S. r Galileo Galilei. Frane. 0 Niccolini. 3285*. ALESSANDRO N1N0I a [GALILEO in Arcetri], S. Maria a Campali, 7 gennaio 1030. Blbl. Nasi. Flr. Appendice ni Mas. Uni., Filza Favaro A. car. 111. — Autografa. Molto 111." et Eco." 10 Sig. r mio P.ron Col. m ° Per l’intero complemento de’gusti ricouti da 0iulio <4> mio cugino, questa sera sono stato avisato dal Sig. r Podestà di San Caschino, corno sono già quat¬ tro giorni che egli s’ è assentato, o corre voce che egli non sia per tornare; ondo il medesimo Sig. r Podestà, avendolo innanzi per PAbbondanza, per lo Fa¬ rine o altri particolari, ò risoluto di fare inventario di ciò che si trovcrrà di detto Giulio, o però me n’ ha dato aviso, acciò, volendo, potessi intervenire a vedere inventariare. Io, por non mi acrescere fastidii senza proposito e senza frutto, ho ringraziato il Sig. r Podestà e dotto che eseguisca puro il suo officio, chò io non posso e non voglio assistere a questo atto : ma pregilo bene V. S. io a scriverò a detto Sig. T Potestà, come lei ancora ha credito con detto Giulio quella somma di cento scudi elio prima gli prestò, o poi d’altri ottanta, puro prestati, a’ quali sono obligato io ancora, e di questi ultimi si dichiarassi corno io voglio pagarli senza elio sieno cimentati in concorrenza de gl’altri creditori; ma se lussi possibile ritrarre qualche cosa di quella prima somma, io Laverei molto caro, o però la suplico a scriverne quanto prima al dotto Sig. r Podestà. Non creda già V. S. che io gli facci questa instanza percfhò] io pensi di riti¬ rarmi quanto da quello elio noll’altre mio ho promesso, anzi con la presente lo ratifico e conformo, ma per la mia impotenza a poter corrispondere con pronteza a’benefizi! così segnalati che V. S. ha fa[tto| a questo non so come 20 m Giulio Ninoi. 7 GENNAIO 1636. 371 [3235-3236] chiamarlo, a mia contcmplaziono. So a V. S. piace di scrivere, io riceverò fa¬ vore; e caso che ci liabbi qualche repugnanza, io non lo desidero. E perchè la prossima settimana, piacendo a Dio, spero d’arrivare costì, non la voglio t.o- diaro più, se non pregandola a scusarmi di tanti fastidii che da me continua- monte le vengono, mentre co ’l fine gli faccio dobita reverenza. Da S. tft Maria a Campoli, 7 Genn. 0 1636. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc.“ ,u Devotiss. mo e Oblig.™ 0 Se. r0 Alessandro filici. 3236 . IACOPO SOI-DANI a GALILEO [in Arcetri]. Fisa, 7 gennaio 1636. Uibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 166. — Autografa. Molt’ 111/ 6 et Ecc. rao Sig. r mio Oss.""’ 10 non risposi alla lettera di V. S. ricevuta in Siena, perchè eramo m di par¬ tenza per Firenze, dove essendo dimorati un solo mezzo giorno, non bobbi tempo a pagar questo debito. Ora che siamo a Pisa, rendo a V. S. infinite grazie della cortesissima sua lotterà e dell’agurio che per essa mi fa del buon prin¬ cipio d’anno, quale desidero ancora a lei, insieme col re.staute, colmo di quelli prosperi avvenimenti clic ella stessa sa desiderare. 11 Ser. rao Sig. r Principe mio Signore gradi assaissimo l’uffizio che in suo nome passai con l’A. S., e foce inviaro al S. r Raffaello Alamanni in Firenze io alcuni fiaschi di vino di Montepulciano c alcuni caci di Creta (2) perchè gli man¬ dassi a Y. S., sì come credo che sarà seguito. Mi dispiace sentir P incommodo della solitudine elio le apporta l’esilio. Mess. Marco Lamberti, che veddi nel nostro transito di S. Casciano, e che una sera ci trattenne con lo sue poesie, mi disso cho la voleva venire presto a vi¬ sitare. Io reverisoo V. S. con tutto l’animo, o le prego il complimento di tutti i suoi desidorii. Di Pisa, li 7 di Genn. 0 1636. T)i V. S. molto 111.™ ot Ecc. raa Pevotiss. 0 S. r0 S/ Galileo Galilei. Iacopo Soldani. " Intendi, col Principe Licorof.no dk’ Mkiuoì, • '*> intendi, dello piagge donoininate Croio noi del quale il Soi-dani ora aio (cfr. lin. 8). Souoso. •òli 8 GENNAIO 1036. 13287] 3237 . RAFFAELLO ALAMANNI u GALILEO in Aroetri. Firenze, « gennaio 16H6. Bibl. Na«. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. XI. ••nr. 167. Autografi l'indirizzo interno o In sottnscrizinno. Sul ili fuori, acoanto all’ indirizzo, si legge, di mano di Ualiuco: GÌOVU.Illil. a Leoili, Maestro di Casa del Pr. Leopoldo. Molto 111." Sig. r mio Osa. Dal Maestro di Casa del Sor."' 0 Sig. Principi' Leopoldo (l> mi fu inviato ieri di Siena con l’annessa lettera (,) IO fiaschi di vino di Montepulciano o 6 forme cacio di Creta**’; o perchè so che l’intenzione di S. A. era per regalare V. S. principalmente piucchè me, come vedrà elio son diretto, gliene mando la mag¬ gior parte, sondo mi solo salvato duo forme por assaggio et un paro di fiaschi di vino, chè due altri gli ha voluti sentire il Ser. mo Sig. r Principe Gio. Carlo mio Signore, con animo di restituirgli di altro vino, conio farà alla manimessa di certe botti che ancora non sono in perfezione. V. S. accetti o gradisca l’onoro di S. A., e la mia volontà di servirla sempre in ogni occasione che mi si rap- io presenterà. Di tutto ho dato parte al Big. Niccolò Panciatichi, conio quello che mo ne dette qualche cenno più giorni sono ; al quale ho reso grazie a suo nomo, e significatogli che ella riconosce in gran parto tanto onoro dall’ inter- cession sua. Mi inoresce che i tempi siano così cattivi o contrari, elio non mi permette di poter soddisfare al debito e desiderio di goderla o servirla personalmente, come vorrei ; ondo con la presente mo gli ricordo servitore, o le bacio di quoro lo mani. Fir.®, 8 Genn. 0 1636. Di V. S. molto III.™ AfT. ra0 Sor.™ di core 20 Sig. r Galileo Galilei. Villa. Raff.° Alamanni. Fuori : Al molto 111.™ Sig. mio Oss. il Big. Galileo Galilei. In villa. I,POPI il,DO dk' Mkdioi. <*' Non è allogata, uè iu altra parto dei Mas. Gal. < 8 > Cfr n.» 3vJ86, liu. IO. L3238-3239] 10 — Il GENNAIO 1636. 373 3238 *. UGO GROZIO a G10. GHERARDO VOSSIO [in Amsterdam]. ‘Parigi |, io gennaio 1G3G. Dalla pag. 209 «loll’opora citata noli’informazione premessa al n.° 2917. Non credas, vir nieo iudicio id quod Sonatila Romani indicio ernt Nasica, quanto gaudio aflectus Inerii. Diodatiu», cium videret ex literis ad me et. ipsum scriptis (nani iurte curii cas reciperera, id est liodie, intcrvenerni), quantus in Galilaco lionos li uberete r bonis in commuue literis abs te, tantae auctoritatis viro, ab Hortensio et a Nobili mihiquc plurimi semper facto Realio. Rogavit ine partein ut ipsi literarum illuni darem, ut bene inerito seni, et ab Inquisitone male tractato, aliquid inde ossei solatii; et quando Galilaei, ut recto iudicas, aetas non videtur migrationem pati, ipse cius nomine in ilollandiam ire constituit. Si res, ut spero, bene procedei, aliquid titilli debebunt nostrates, pleriquc itimi mn in me ingrati, quod honorem nobili» reparti ad ip»os derivaverim.... 3239 **. GIOVANNI RRUANO a SERAFINO GUIDONI [in Firenze]. [Firenze], 11 gennaio 1G3G. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 65. — Autografa. Molto lll. r0 Signor mio Ose. 0 Ho lasciato la scrittura del Signor Galilei in mano del P. Antinori <*>, che desidera vederla per suo gusto : non la mostrerà ad altri, et quanto prima la renderà. Il Signor Galilei si può fidar di lui. A me è parsa bellissima: quello che ho notato non è grand cosa; tuttavia è buono d’apportarci qualche moderatione. Ho lasciato altresì i detti punti notati al Padre, et fra due o tre giorni saran mandati sigillati al Grand Duca, et portati dal Padre Luigi Spinola, elio se ne va predicar a Parma, et manzi anderà a pigliar li¬ cenza di S. A. al Poggio. Anderà parimente detto Padre far riverenza al Signor Duca* 3 *: prego V. S. introdurlo. 10 La prego anco far saper al Signor Galilei che m’iucresce di non poterlo vedere inanzi eli’ io parta; et se piace a Dio ch’io ritorni, desidero vederlo; et se posso servirlo a Roma, lo farò volentieri. Et con questo le fo riverenza, restando Di V. S. Dal Coll. 0 , 11 Genaro 163C. Humiliss.® Servitore Giovanni Bruuno. Fuori: Al molto Ill. r8 Signor mio Oss."’ 0 11 S. or Cavalier Guidoni. <" dr. nn. 1 8123, 8162, 3166. <*> Lumi Antihori. <*' Caiilo ui Lokkna, Duca di Guisa. 374 12 GENNAIO 1636. [3240-3241] 3240 **. SERAFINO GUIDONI a [GALILEO in Arcetri]. Firenze, 12 gennaio 1636. Bibl. Nan. Elr. Mas. Gal., P. I, T. XI. cnr. 169. — Autografa. Sul di fuori si leggo, di man» di Galii.ro: Del S. Cav. r Guiil. ni , con una del Gos. la confesserò del S. Duca di Lorena. Molt’ 111.™ S. r mio P.ron Oss. mo Ilior mattina partì di qua per Roma il Padre Confessore del S. r Duca di Lorena, et con quell’occasione mi scrisso questa inclusa poliza (1) , la qual invio a V. S., acciò vegga quello contiene por conto di quella scrittura. Intanto con quest’occasione li fo riverenza, et la prego ad honorarmi de’ suoi commandi. f'irenzo, 12 Gen.° 1636. Dì V. S. molt’ 111. 0 Sor.® I)ov.“° Sera. 0 Guidoni. 3241 *. FULGENZIO MICÀNZIO a GALILEO (in Firenze]. Venezia, 12 gennaio 1636. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, 11.» I.XXX, il. 0 124. — Autografa. Molt’ 111.™ ot Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Ool“° Nella lettera di V. S. molto 111.™ ot Ecc. m * veggo la continuatione de* suoi favori verso me e lo mio obligationi : le rendo cordialissimo gratie. Aspetto il vetro con gran brama. Non le posso esplicare quanto mi stimo hnnorato et obligato a quel Ser. mo G. Duca,- che si sia degnato riguardare la mia bassezza e ìiissun merito, fuori che d’ima humilissima e devotissima servitù, che ò comune a tutta la nostra Religione come singolarmente protetta da quella Sor. ma Casa, elio Dio colmi di tutte le prosperità o grandezze. Mi è stato rimesso certo negotio spettante al Sor. m ° Principo Cardinale (2 ’, o l’ho subito spedito con quell’ossequio ch’era 10 mio debito. m Cfr. Il," 3239. <*• Cablo uk’ Mkimoi. 12 GENNAIO 1036. 375 [3241-3242] Li quattrini della sua ponsioncella li farò rimettere senza perdita, se non prima, al ritorno del nostro predicatore, elio è delti PP. dell’Annunciata : e ve¬ drò se l’Àrrisio ci volesse aggiongere quella di Marzo. Sono pur dietro alla Rosa Orsina (!) nel lib. 4 : la mia pacionza ò delusa, credo, dalla speranza di trovare ciò clic credo essere le machie et il sole. In tanta faragine non trovo sin bora altro, se non che vi sono lo machie, che passano da oriente in l’occidente del sole, che alcune si generano e dissolvono nel disco solare. Tutto ò nello Lettere al Velsero: ma sono ostinato a vedere 20 ove capita quest’animale. Dio conservi V. S. molto lll. ro et Ecc. ,,,a ; e le bacio le mani. Ven. ft , 12 Gennaio 1636. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. mn Dev. mo Sor. 0 Ecc. m0 Galileo. F. F. 3242 *. EMANUELE SCHORER a GALILEO in Firenze. Venezia, 12 gennaio 1(J3(J. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 195. — Autografa. Nisi quod servirem Excellentissimo Dn. Berneggero, non audissom rudiori- bus bisce ac inconditis meis litteris Excellentiam Vestram accedere. Mihi enim, adhuc Argentinao agenti, is ipse Excellentiss. Dominus adco fovit, ut otiam suae amicitiae consuetudinique domesticae participem reddoro band dodignatus fuerit. Quocirca et tanti viro in sempitemum servire cogor, et obligatus sum. Itaque me ante abitimi vehementer rogavit, quo sedulo incumbam, ut possilo, si possibile esset, abbine illi transmittere per commodam quandam occasionem teloscopium Excellentiae Vestrao. Quod si autem nullam prorsus cognitionem ludico, ncque unquam vidi aut videro potui Excellentiam Vestram, otiam atque io otiam rogo ut me, propter Excellentiss. Dominum Berncggcrum (euius optimam cognitionem Vestram Excellentiam liaboro certo scio), renunciaro per littoras dignetur, ubi hoc ipsum teloscopium inveniatur, vcl ubi eiusmodi bona ac per- fecta instrumcnta conficiantur. Caoterum iam diu Excellontia Vostra certior facta orit, Parisios 300 oxemplaria latina Discursuum mathematicorum, quae translata sunt, a praedicto Domino Berneggero, pervinisse' 2) , percursorie etiam indicare Lett. 324». 2-3. A quanto pare, prima aveva scritto Mie. n. adirne Argentina?, agentem ; poi corresse a g entem in agenti, e avrà voluto correggere Me. n. in Mi hi. n., ma ora si leggo Mei in. — “> Cfr. n.o 3228. (*i Cfr. mi.' 3118, 31-18. 376 12 — 16 GENNAIO 1636. [3242-3243] placuifc. Alias .salutatili- Excellentia Vostra quara Immanissimo a Dn. Beraeggero, ut et ogo siinilitor, iuxta augurationem felici (sic) novi anni auspicii, Excellen- tiam Vostram quam humillime saluto, oique incognita moa, sod semper parata, officia quantum poterò odoro. Data Venotias, adì 12 Ianuarii 1636. 20 Excollontiao V ostrao Officiosissimu.s Eniaiuiel Schorer Sturi. Si Excellontia Vostra me dignatur respon¬ sione, littorao dari possunt D 11 . Eborzt. Alias mo detinoo in Fontico di Todcsco. Fuori, d'altra mano: Al molto 111.” S.™ Oss. ,no Il S. ro Gallileo Galliloi, in Firenze. 3243 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcotri]. 8. Maria a Cau.poli, 15 genuaio 168C. Bibl. Naz. Plr. Appendice ai Mss. Gal., Filxa Favnro A, car. 112. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col. mo Mi ero mosso in animo di non comparire innanzi a V. S. sino che io non venivo per darli qualche sodisfazione altro che di parole, e a quest’ora credevo d’aver conseguito il mio desiderio ; ma chi s’ ò cimentato a comprare quella mia casa, dopo avermi trattenuto ha chiamato por sò uno stimatore che s’ è messo a prezo tanto inferiore al giusto, che non è convenuto co ’1 mio, so beno aveva da mo piena autorità di concludere anche con mio disavantaggio. Però avevo mutato pensiero, o deliberato di venire da V. S. o darli conto di questo negozio: ma perchè da un poca d'infreddatura, o più dal cattivo tempo, sono stato ritenuto da domenica in qua, o ora sono impedito per cinque o sei giorni, io 8uplisco in tanto con la prosento lettera; e so Doniencdio, per mortificarmi mag¬ giormente, non mi acresce cause por le quali non possa mantenere quanto dico, innanzi che passi la prossima settimana verrò a riverire V. S. Alla quale pregilo dal Cielo intera prosperità. Da S. u Maria a Cam poli, 15 Gonn. 0 1636. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. n, “ Devotiss.” 0 e 01>lig. mo So. ru Alessandro Niuci. [3244-3245] 15 — 10 GENNAIO 1036. 377 10 3244 . FRANCESCO DI NOAILLES a GALILEO in Firenze. Roma, ir» gennaio 1636. Bibl. Nftz. Fir. Msa. (lai.. 1’. I, T. XI. eur. 171. — Autografo lo pinole « por servirla » (lin. 10), la firma e la po.soritta. Molto 111. 0 Sig. re Oss. m0 Vive in ino la memoria do] suo gran valore et dell’affettiono sua verso di me talmente, ch’ella può star certa elio nelli- suoi interessi la servirò in ma¬ niera, che sì come V. S. ot le suo virtù mi sono di continuo presenti nell’animo, così io li mostrarù, ìioH’occasioni ch’ella si compiacerà darmene, vivi segni della mia benevolenza verso di lei. Potrà similmente attribuire la cagione dell’haver tardato a scriverli all’assenza del mio secretarlo italiano. Et por line me li ra- comando di vivo cuore. Roma, li 15 di Gennaro 1636. Di V. S. molto 111. 0 Affettionatiss. 0 por servirla Noailles. Il latore de la presento li darà novo di me, et quanto gran stima fo de lo sue virtù et come sto con desiderio di servirla in ogni occorrenza. S. r Galileo. jFuori: Al molto 111. 0 Sig. ro Oss.‘"° 11 Sig. T Galileo Galilei. Fiorenza. 3245 *. ANTONIO SANTINI a GALILEO in Firenze. Milano, Ili gennaio 1636. Bibl. Est. in Modona. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» IiXXXVIII, n.“ 165. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 S. r mio Oss. mo Il mio silenzio ha solo per ragione il non turbare V. S. da i suoi più utili studii, che a benefìzio di altri è sempre andata meditando; e la mia devota alì'ezzione o servitù spero, nel tribunale dello sue grazie, non possa restar in contumacia. Vengo ora a farle questi duo versi, per haver sentito con Ietterò del P. Cavalieri, Matematico di Bologna, vacare la catedra di Pisa, e mi ri- XVI. 48 378 16 — 20 GENNAIO 1636. [3245-3246] cercava di propuorli qualche soggetto, sì come ho fatto ; et è un canonico qui di S. n Ambrogio {l , antico segretario di questo Einin. m0 S. r Card. Arcivescovo w , quale ancora non mi ha mostrato inclinar del tutto, ma segondo lo conditioni del stipendio anderia risolvendo: e mentre sto aspettando dal Padre suddetto io avviso piti avanti, ho stimato bone di far ricorso a V. S., conio eroda il mo¬ tivo venire da lei, perchè a lei havoranno fatto l’instanza quei SS. mi Padroni per assicurare la provista. Il soggetto è buonissimo, huomo di 50 anni incirca, e nella geometria vale come in altro parti dello facoltà; di nazione è Gonoveso, uomo di ornatissime qualità: o purché si disponga, tratanto V. S. si degni av¬ visarmi qualcosa dello conditioni por poter regolarsi nel caso, o comandi dove la posso servire. Questo settimane passato il 8/ Filippo Mannucci di Venezia mi foce salu¬ tare, memore ancora della nostra vecchia amistà. V. S. risolva di lasciar go¬ dere al mondo altri frutti delle sue singolarissimo spocolazioni, conio parevano 20 haver sentito dal Padre (3) delle Sade Pio 0 da altri. E qui por fino la riverisco, b. lo mani. Milano, lfi Gemi. 0 1636. Di V. S. molto 111.” et Ecc.“* Devotiss.® 0 et Vero Ser. r Antonio Santini. Fuori: Al molto 111. 1-0 et Eco.® 0 S. r mio Oss. mo [.] Galilei. Firenze. 3246 *. GIOVANNI DI GUEVARA n GALILEO [in Arcetri]. Tonno, 20 gennaio 1686. Bibl. Nat. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 196. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111.” Sig. or mio Osa.™ 0 Essendo io astretto da molti amici a dar fuori alcune nuove questioni me¬ dianiche, fra le quali ve no sono due elio toccano materie et esperienze dot- tissimamonte accennate et presupposte da V. S. nel suo Saggiatore, non ho vo¬ luto farlo senza haver prima da lei approbationo di quel c' ho scritto. Vengo però a mandargli con questa lo medesimo duo questioni (4) , supplicando V. S. si compiaccia darli un’occhiata, e non solamente correggere gli errori che ho <0 Giovanni Ankohhi. iti Sono anche oggi allegato alla prenome, uel **' Orbami Monti. medesimo manoscritto, car. 198 205. ' 8 ' "F AMI ANO MlCHKLl.NI. 20 — 21 GENNAIO 1636. 370 [3246-3248] potuto pigliare, ma darmi ancora qualche lume da megliorare et illustrare i miei discorsi, gii! elio pur hanno havuto origino dalla luce che V. S. universal- io monte in tal materia sparse, o potran esser mirati o favoriti come cose pro¬ prie. So sono troppo ardito in disturbar l’eminentissime speculationi di V. S. con P ignoranze mie, potrà scusarmi la cortesia e bontà sua grande, che non sdognarà di participar quol bene di dottrina, che da sè stesso è communicabilo o del qual tanto abbonda, a chi tanto lo stima e ne la ricchiedo come fo io, che ancor vivo bramoso di veder presto dato fuori il trattato de motti, ohe mi dicono cho V. S. sia por dare. E Nostro Signore Iddio li conceda vita lunga con ogni prosperità, da poter maggiormonte accrescere il beneficio cho ha fatto a tutto il mondo con le suo compositioni, mentre li bacio affettuosamente lo mani. Di Theano, a’ 20 Gennaro 163C. 20 Di Y. S. molt’ III. 16 Dovot. m ° et Atìett. mo Sor/ 0 S. or Galileo Galilei. G. di Guevara, Vose. 0 di Theano. 3247 *. MATTIA BERNEGGER ad ELIA DIODATI in Parigi. [Strasburgo], 20 gennaio 1036. Bibl. Civica di Amburg-o. Codice citato nella informazione promessa al n.« 2613, onr. 173r._Minuta autografa. -lvepleri liunaris Astronomia (1) oum reliquia Apologetici Galilaici pagelli», oh fasciculi molerà, cum bis litteris adferri non potuit; sed brevi Biibsequotur. Praefationeni quoque Apologetici typographus exeuntibus bisce nundinis (citius enim nou potuit) absolvet. Ternae novissimao tuae litterae recto mibi redditue sunt. V. 10 IanuarA*' 1636. 3248 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in ArcetriJ. Lione, 21 gennaio 1636. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 173. — Autografa. Molto 111. 0 Sig/ e P.ne Col.'" 0 Solo questo giorno della speditione mi capitato la gratissima sua de’ 27 passato, chè sarò sforzato asserii breve. “I Ofr. u.° 2238. <*> Di stile giuliano. 380 21 — 23 GENNAIO 1036. [3248-3249] Il piccolo piegho del S. r Diodati domani mando a suo destinato viaggio; o alligato viene uno ricevuto per S. S. a da sudetto Signore, elio con suo comodo me no andrà dicendo di ricevuta. Ilo ricevuto il ritratto di S. S. molto Ill. e(1 ': ne vado facondo extrarre co¬ pia, por mandare poi l’originalo al S. r Diodati, come la m’à comandato ; e an¬ cora io trovo clic il maostro ha benissimo riscontrato. Quel Franzeso che tocca di violino o viola stupendamente bone, so non mi io ha conosciuto altrove elio in accademia e scuole di musica, senza altro va pi¬ gliando equivoco di me o un altro, già che non studiai mai simil virtù non havondo havuto ni voce ni orecchio por questo latto. Nondimeno gli no resto con obligho particolare. Ilo beno havuto carissimo elio V. S. andassi godendo la conversasene del nostro Scr. rao G. I). ; o veramente le persone di suo morito non no possano spe¬ rare di mono, chè sono da tutti desiderati. V. S. non dubiti punto dol’airetto del’ lU. mo S. di Poroso, chè io rassicuro elio pcrpetualmento lo tiene gravato nello vicere e lo affectiona e ama conio suo unico padrone. E io facendoli lo dovuto revorentie, li pregherò da N. S. il colmo 20 d’ogni vero bone. Di Lione, quosto dì 21 di Gonnaio 1036. Di V. S. molto 111. 0 Galileo Galilei. Afi‘. mo c Dev. mo Par. 10 o Ser. ro ltub. t0 Galilei. 324 <)**. PIER BATTISTA BORGHI a [GALILEO in ArcetriJ. Roma, 23 gennaio 1036. Bibl. Naz. P!r. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 175. — Autografa. Di fuori si leggo, di ninno di Galileo: S. Borghi. rÌ8.° Molt’ HI." et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. ,n0 Se no viene costà por far riverenza a V. S. molto 111." il Sig. r Chiaravilla, raccommandato dal Rev. mo P. Abbate Castelli; ed io l’ho pregato che mi onori di recarle questo due righe, significatrici della mia sterile servitù, o supplir lui a bocca dove esse mancheranno. Ero desioso d’una simile occasiono, perchè sa¬ pevo die per me solo non averei potuto riverir V. S. molto 111." come dovorei. Lgli le esporrà la mia osservanza e divozione verso Y. S. molto 111.", e quanto "i Cfr. nn * 8180, 3184. 23 — 25 gennaio 1G36. 381 [3249-3250] riverisca la memoria dolio grazie da lei ricevute. E porchè, osservando io que¬ sto soggetto, corno faccio, per le sue qualità, e conoscendomi aver un genio si¬ lo milo al suo lo stimo un altro me stesso, supplico V. S. molto 111.” di onorarmi col ricever la raccommandaziono fattalo dal P. Abbato corno se per me stesso fosse fatta, poi che lo grazie cho per questa raccommandaziono da V. S. molto 111,” riceverà questo soggetto, saran da me registrate nel numero di tanti altri beneficii et onori da lei ricevuti. Vivo del continuo suo servitore, riverisco lo sue virtù, e prego Domeneddio lo conceda ogni vera felicità. Di Itoma, li 23 Gennaio 1636. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ,,,a Divot. rao et Obbligat.™ 0 Serv.™ Pier Batta Borghi. 3250 *. RAFFAELLO MAGIOTTI a [FAMIANO MICHEL1NI in Firenze]. Roma, 25 gennaio 103G. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIV, car. 63-61. — Autografa. Sul di fuori si leggo, di mano di Uamlbo: fc>. Magiotti. Molto Llev. d0 Sig. r e P.ron in Christo 09H. m0 Conobbi molto bene d’esser appannato nella ragna, e però chiesi così sotto voce soccorso al nostro Ece. mo Socrate ll) , seben io non potevo eroder ch’egli non solo mi vi la¬ sciassi per tanti giorni, ma di più menassi seco amici, come V. P., a pigliarsi gusto di me. Pur il tutto passerebbe bone per esser tempo di carnovale e di burle; ma che V. P. fra tanto pigli la bacchetta per tarmivi più avviluppare e stridere, oltre clic sarà maggior fatica la loro nello svilupparmi, potrebbe esser ancora eh’ io non subito me ne scordassi. Hor su, sentino i miei sparnazzi e le mie strida. Il mio trapasso, rispotto alli punti, non è dal finito all’ infinito, ma sempre dall’ infinito all’ infinito, o rispetto all’ intervallo 10 dell’accostamento, sempre dal finito al finito. Perchè quando il quadrato tocca Ja circon¬ ferenza in un punto più del triangolo, non ò quel punto che levi tanto di perimetro al quadrato in comparatione del triangolo, ma sì bene l’accostarsi il quadrato alla circon¬ ferenza con tutte le suo parti, overo con gl’angoli, e però con punti infiniti. E questo tanto avverrà nel quadrato overo altra figura, quanto nell’ultimo poligono, quale, ancor che differissi dal penultimo d’un lato solo, pur s’accosterebbe alla circonferenza con punti infiniti; e per esser questo l’ultimo accostamento, la verrebbe a toccare con punti infiniti. Ciò fu da me (se mal non mi ricordo) accennato con dire eh’ il poligono d’un lato più t‘> Cfr. n.° 3238. 382 25 GENNAIO 1G36. [3250] toccherà sempre in un punto di più la circonferenza, ma però tutti #l’angoli »’accoste¬ ranno più alla medesima, e con gl’angoli tutto le linee o tutti i punti, perchè non si può variare una inclinatione di duo linee retto, che tutte le parti di quelle lineo ancora non si «o innovino. Ohe questo intervallo dell’accostamento alla circonferenza sia sempre finito, non lm bisogno di prova. Talché l’illationo ò sempre da infiniti punti a infiniti punti, o da spazio terminato a spazio terminato. Nè si può diro che questa sia una fuga; perch’io non ho mai trattato di lati finiti o infiniti assolutamelo, ma solo considerandovi l’accostamonto di punti sompre infiniti per spazio sompro finito. Come, per esempio: quel punto è più vicino, oyero dentro al'ctrchio; adunquo ancor la linea, nella quale è quel punto, è più vicina, overo dentro al cerchio: e ciò è verissimo appresso d’Euclide o di lutti seben la linea rispetto al punto è infinita. Così dalla linea alla superfìcie etc. può esser forza d’illa¬ tiono, quando però quello che si considera tanto è ristesse) noi finito elio nell’infinito. Ma io vo sempre più avviluppandomi; o voi ridete ambedue più cho prima? Oli bel 80 gusto! veramente liaveto fatto assai. Dho, per gratia, soccorretemi presto: non vedete ch’io ho cacciato il capo in un’altra maglia? Sentite. Io dubito, che sì come punti infiniti constituiscono una linea bora finita et bora infinita, cobi faccino infinite parti quante senza alcuna eccetione: ot il discorso è tale. Già s’ò provato ch’infinito parti quante, cioè gl’exressi d’infiniti poligoni circonscrit- tibili ad un cerchio, constituiscono una linea minore della metà d* una data linea termi¬ nata, ciò è del perimetro del triangolo equilatero inscritto al medesimo circolo. Ma qui alcuni rispondono cho questo avviene per esser queste parti quanto disegnali. Così divi¬ dendo una data linoa sempre por motà, bì faranno infinite parti quante, quali poi, messe insieme, constituiranno l’istesfla linea terminata. Et io replico che se nell’ultima divisione 40 noi piglieremo una delle duo parti, pur questa sarà parte quanta, et a lei si potranno fare eguali tutte l’altre, che già sono maggiori; e così faremmo infinite parti quante eguali, dalle quali si constituirebbo una linea terminata, per non conceder cho una parte sia in¬ finita ot il tutto terminato, overo cho la parte sia maggior del tutto. Sì che infinite parti quante eguali o diseguali possono fare una linea terminata. Che queste possino fare una linea infinita (so però si può dare detta linoa), non v’ha dubbio. [laverei ben caro d’in¬ tendere, quando infiniti punti, overo parti quante, faranno una linoa infinita, e quando ter¬ minata; e torse questa sarebbe una gretola, per la quale (se però mi fusso insegnata da loro) potrei liberarmi da tante maglie e gruppi cho mi tengono così legato. Hor su, che questi miei schiamazzi comincino a rincrescere tanto a voi quanto a me: però con la carta 50 si volterà la prospettiva ancorai. Atto primo, scena 2. n \eddi la deroostratione del Reograndt P), et hehbi più gusto nel taglio che fa V. P. alla figura del lemma cho in tutt’ il resto della scrittura. Torcilo (sì come io dissi al P. Abbate ) a me pare di vedervi una potitione di principio manifesta. Io non so intendere come lui ponga quei diversi pesi obliqui, o non <•) Con quosto parolo termina la prima carta della lotterà. 3’ avverta pure elio tutto il capoverso da « Già b’ ò provato » a « prospettiva ancora » è abbracciato sul margino da una grappa o da questo parolo, di inano dello stosso Magiotti: « Ilo intoso il mio orrore doppo scritta >. <*• Giovanni ni Hkacorand: cfr. n.« 8216. **' Bknkmctto Castelli. Gì Salvatore Gribb. 25 GENNAIO 1636. 383 [ 8250 ] orizontali. Perchè ha da scender il peso maggioro, e salire il minore? forse per ragione delle braccia della bilancia? non già, perchè quelle scemano e crescono a proportione. Se per ragiono di peso, adunque lai suppone cho il peso più lontano dal centro della terra pesi più : e questo è quel che si cerca. Similmente domando, perchè l’istesso maggior peso CO non s’accosta più al perpendicolo? forse perchè Biirehbe più basso e più leggiero, overo per miracolo ? Al meno quella del P. Abbate è vera in qualche caso ; scben dai partico¬ lari all’ universale non è forza d’illatione. Io non considero i pesi sempre in comparatione d’altri pesi, ma di forza bene spesso, o virtù: come, per esempio, se una molla, o pur io stesso (stante vera la propositione) posso qui alzar da terra con le braccia (per non dir con i denti) un peso di 100 libbre, adunque a mezza strada per andare in Pellicceria, di quei pesi io potrei alzarne dua. E questo non ha che fare con equi ponderanti, con stadere, o bilance. Nemeno c’ ha che fare il mezzo; perchè la molla haverà per sè l’istessa forza, o poco diversa, in acqua che in aria, e la diversità dei mezzi sarà più rispetto ai pesi che alla forza o virtù della molla. 70 Scena 3. a Por questo benedetto Archimede io ho purtroppo rotto gl’orecchi al Sig. r Oratio Magalotti, e di più n’ho scritta una lunga lettera al Sig. r Filippo* 1 *. Consideri quanta sia la mia confusione. Però commetto a V. P. che per penitenza mi trovi le Galleggianti non solo del P. Abbate**», ma ancora del nostro Ecc. mo Socrate, del quale io v’invidio la con- versatione, e lo confesso, perchè havcrei speranza, con tal conversatione, di galleggiar qualche poco ancor io e goder qualche spiraglio di vera luce. Ma non è tempo di far soliloqui. Scena 4.“ Non inclusi quella lettera a V. P., perchè purtroppo P bavevo affaticata di prima; oltre cho non stimavo molto quella mia consideratione, ma solo cercavo occasione intorno a quell’infiniti per imparare. Pur io ho havuto a caro che ella m’habbia dat’ocoa- 80 sione di replicare qualche cosa, che se gli pare da mostrare al nostro Ecc. m0 , faccia lei. Io per me non so s’io possa pigliar ardire d’aggravarlo a legger, non che rispondere a questo mie bagattelle. Aspetto bene la demostratione di V. P. e fo seco ogni pace. Ma questa commedia non finirebbe in tutto carnovale. Così mi raccomando per fino a lei, e la prego a salutar quanto prima il nostro Ecc.'"° Socrate a mio nome, del T. Ab¬ bate e Sig. r Nardi * 3 ». Roma, il dì 25 Gennaro 1636. Di V. P. molto R. u “ Aff. m0 Ser. r0 Raffaello Magiotti. Non occorre haver tanta fretta di mostrar questa lettera al Sig. G. G., ma potrà 90 andarvi con suo commodo. Se ben l’inclusa* 1 » sarà bene ricapitarla subito, poi che egli me la domanda. Filippo Magalotti. 1,1 Cfr. la scrittura di Bbnrdrtto Castklli sulle galleggianti, indirizzata a Giovanni Ciaupoli, edita da Antonio Favaiio, Amici e corrispondenti di Gali¬ leo Galilei. VII. Giovanni Ciampoli (AMi del li Isti¬ tuto Veneto di scienze, lettere ed arti, T. LX11, jmg. 1 *11 - 145), Venezia, officino grafiche di C. Ferrari, 1003. <*> Antonio Nakdi. Cfr. a.® 3251. 384 2 6 GENNAIO 1636. 1 . 3261 ] 3251 *. RAP'FAELLO MAGIOTTI a [GALILEO in ArcetriJ. lCom;i, 20 gennaio 1030. Jilbl. Nai. Flr. Mss. «ni., P. I, T. XI, car. 177. — Autografa. Molto Iil. r0 et Ecc.“° Sig. r o P.ron mio Col." 10 S. So V. S. Eec. m “ non chiedeva subito risposta, io havovo tanto da considerare o vagheggiare la sua cortesissima o dottissima lotterà, eh’ io per me non so quando mi bissi mosso a riscriverò. L’intention mia fu d’imparar quolla speculatione dogli isoporimotri, fatta da lei in una sola e salda propositione *i Cfr. li.» 8250, liu 52. Famuno Michkmni. <*» Cfr. u.° 3250. [3252] 2G GENNAIO 1636. 380 3252 *. FULGENZIO MTCANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 26 gennaio I6H6. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, 11.“ LXXX, il.® Ilio. — Autografa la .sottoscrizione. Molto Ill. re et Eccell. mo Sig. r , Sig. r Col. 0 ' 0 Mi capita, con la gratissima lettera di V. S. molto 111.™ et Eccoli. ra!t d’i 18, il vetro, del quale le rendo affettuosissime gratie, e resto con quella obligatione che non saprei esprimere a chi ha degnato farmi sì grand’ honore di non de¬ sprezzare un’ hnindissima devotione di un suo minimo servo. Ho detto il vetro, perché il cavo, per mia disgratia, si è trovato in due pezzi, giustamente per mezo. Credo però che, senza travagliarne V. S., non sarà difficile il trovarne qui, non so se colla proportene che si ricerca. Sono nel 4° libro della Rosa Orsina (1) : in così gran faragine non mi pat¬ io saper cavar altro, se non che nel sole sono le macchie, vere e reali, che sono contigue, che hanno un moto da oriento in occidente, che alcuno ritornano le medesimo a i suoi periodi, che verso noi sono rilevate o colme ; ma tutto que¬ sto fu posto anco nelle Lettere al Volsero. Mi pare però che, essendo certo che quotidianamente molte nascono e svaniscono in tutte le parti del disco solare, resti incertissimo se siano le medesime quelle che si dicono ritornare, o pure altre simili ; o mi formo un concetto dalle nostre nuvolo, che potrebbero faro molto simili apparenze. In somma, a dirla in una parola, io non ho imparato niente. Del specchio parabolico non so ancora il successo, perchè non veggo il Sig. r Sigismondo l2) ; ma lo ritrovarò per saper la riuscita. Io però ho sempre 20 havuta poca speranza che li succeda. Mi fu accomodato per bore YArcana Ie$uitica {V : conosco l’auttore 141 , che è veramente insigne; e ne haverò uno certo. Non veggo su i cataloghi elio si stampino li Dialoghi di V. S. Gran castigo de’ speculativi saria la loro suppressione. Il sistema Copernicano, che V. S. mi detesta in tutte le sue lettore come falsissimo e me l’inculca seriamente, non è così tenuto da i più grandi ingegni ; ma per il contrario li veggo tutti intrarvi con tal rissolutione, che apertamente professono, esserli il Tolemaico et Aristo¬ telico et impossibile e ridicoloso. Con qual fine prego a V. S. molto 111.™ et Eccoll. ma buona salute, felicità, e le bacio le mani. so Ven. R , 26 Genaro 1636. Di V. S. molto III.™ et Eccell. raa Dev. ra0 Ser.™ F. F. Hi Cfr. li. 0 3241. ,8> CO-, n.® 8145. <*» Sigismondo Ai.hkbuhktti. <*' (ìabpakk Scioi-i-io. XVI. 49 38G 28 GENNAIO IG36. [8253] 3253 . ANTONIO MINIATI a |(H0VANN1 IMKRONI in Vienna]. Olmlltz, 2H gennaio 1886. Bibl. Nm. Flr. M»s. Gal., P. I, T. XI, car. 178. - Autografa. Sul di fuori si leggo, di mano di Gaui.ro: S. Fioroni, da rispondere. Molto Ill. r0 Sig. rB , mio S. T * Ob 8. b, ° Ilo retardato veramente, nm però l'atto poi con buonissima occasione, l’offitio con il S. re Cardinale 111 per conto della stampa, quale si contenta ili dare quella di Nikilzburg, et anco offerisce un'altra che motte su di nuovo qui in Olmitz, corno dice, assai migliore, e tutto nell’autorità di V. S., acoiochè «la nè stessa sia il revisore e correttore : con questo però, che il libro «la stamparsi sia prima visto ot approvato da due dottissimi teologi, quali mi offerse di ordinare costì, o dove più piacerà a V. S., che lo ragghino o legghino; dicendo che senza tale aprovatione non si può uè è lecito stampare qua cosa alcuna. Intesa questa risposta, e temendo elio sia contraria a quello che V. S. desidera, rengraziai la cortesia, e dissi che gliene darei avviso, sì come fo. Soggiungilo elio il S. r0 Cardinale io è tutto suo, l’ama di core o In stima molto, e vorrebbe vederla qualche volta. Era pre¬ sente il S." Magno <*’, che s’accordò meco a parlare male di lei; e se io feci il tenore, egli foce il contrapunto. Vegglia V. S. quello che vorrà oh’io faccia. Giudico che, non si trattando di cosa heretica, ma solo d’invidia e malignità, si potrebbe confidarli il caso; con tutto ciò me ne remetto alla sua voluntà e prudenza, assicurandola clic nemico mi so» lasciato cono¬ scere, non ch’intendere, d’nna minima parola, nè lo farò. Ma ben metto in consideratione che costì, c qua ancora, sono teologi d’altre religioni che di quella; a chi credo che il S. r “ Cardinale ne comanderebbe la revisione, quando confidentemente V. S. gli parlassi del negozio, e tanto più se interessasse in esso il S. rB Principi' nostro l,) : almoiio credo 20 che quando non volesse tarlo, lo celerebbe, e tacerebbe per non nuocere. Tuttavia dico di nuovo e concludo che me ne remetto alla sua prudenza: e qui annessa metto una pa¬ tente <*>, stampata a Nikilzburg, nella quale troverà V. S. tre sorte di caratteri; et. a me pare che il corsivo «Iella sottoscritioue non sia malo. Nel resto comandi, chè sarà servita con puntualità, e mi tengha in sua grazia. Olmitz, alli 28 di Genn.° 1636. Di V. S. molto 111/* Devot. m ° e Vero Aff. m0 Serv.” Ant. # Miniati. •’i Fra so «caco Dirtrichstrin. Va unii ano Magni. Mattias or. Medici. “i Non è proaontoinouto allegala. [8254-3255] 21) GENNAIO 1636. 387 8254 *. GALILEO a (GIOVANNI DEL RICCO in Firenze]. Arcetri, 29 gennaio 1636. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medieoa 4397 (non cartolata). — Copia del tempo, in capo alla qualo si leggo, della stessa mano: «Copia di biglietto scritto a Giovanili dol Ricce dal S.*« G&liloo Galilei por sorvizio dol S. r Fioroni ». Trattai del negozio dell’amico nostro m col Granduca, il quale mostrò di applaudere al suo desiderio di ripatriarsi, et mi ordinò ch’io facessi intendere a V. S. che avvisasse all’amico come anderebbe pensando a qualche convenevol pretesto di poterlo domandare e stac¬ car di là. Potrà aggiugnelli come S. Àlt. a l’ha in gran concetto, e desidera compiacerlo in tutte le occorrenze. Questo ò quanto devo significare a Y. S., alla quale ecc. D’Àrcetri, li 29 di Gemi. 0 IG35 <;2) . Di V. b. Ser. e Paratissimo io Galileo Galilei. 3255 *. GIOVANNI DEL RICCO a [GALILEO in Arcetri]. Firenze, 29 gennaio 1636. Dobbiamo riprodurre auche questa lettera, della quale non abbiamo potuto ritrovare l’originale (cfr. I*in¬ formazione premessa al n.° 2), dall'edizione del Canfori, che primo la pubblicò a pag. 162 del suo Carteggio Gallicano inedito. Iermattina ricevetti l’avviso del negoziato di Y. S. Ecc. n * a con S. A. S. per l’amico l3> , al quale oggi per via di Milano ho scritto di conformità ; che gli è por apportare consolazione estrema, e avrà del sicuro un obligo infinito a V. S. Ecc. mtt , ed io intanto per lui : e confesso che cosa maggiore non mi paro si po- «‘I cfr. n.o 32S1. •*' Di stile fiorentino. ,3 > Giovanni Pikroni : cfr. u.° 3264. 388 29 GENNAIO — FEBBRAIO 1630. [ 3255 - 3256 ] tosse desiderare, sì ohe costeranno lo molte considerazioni che il S. r Pieroni mi fa con nuovo lotterò, imponendomi che il tutto conferissi, o dal suo parerò e consiglio punto mi allontanassi. Stimo nondimeno bene arrivare sin costì quanto più prosto potrò, per vedoro so si può stringer il negozio a qualche principio, perchè la prescia elio m’impongono lo suo lettere mi fa dubitare di qualcosa. Non posso por lettere troppo allungarmi: basta che intanto sabato ricordai il io negozio di V. S. Ecc. m “ (1> , od ora por via di Milano 1* ho caldamente raccoman¬ dato, e lo farò in ogni lettera, non perchè io creda cho no abbia di bisogno, ma per sollecitarlo al possibile, o elio si sbracci in servirò a V. S. Ecc. 11,11 Alla quale bacio affettuosamente lo mani. Di Firenze, 29 di Gennaio 1635 8I . 3256 *. GIOVANNI DEL RICCO ad ANDREA CIOI.I in Firenze. (Firenze, febbraio 1G3GJ. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Modico* 4397 (non cartolata). — Copia di inano siucrona. 11 8ig. Dottor Galileo Galilei hebbe occasione di trattare col 8or. u, ° Patrone alle settimane passate di alcuni suoi interessi maneggiati in Vienna dal S. r Gap. Gio. Pieroni, Ingegnere Militare di S. M. u Cesarea; por il che detto S. r Galilei entrò in ragionamento con 8. A. del medesimo S. r Pieroni, il quale, sì come partì di qua con buona grazia della Ser. ma Arcid*<*> di gloriosa memoria, con intenzione di praticarsi e rendersi più atto al servizio del suo Ser. mo Principe naturale, come por lo spazio di 15 anni haveva fatto con sua reputazione e utile, così adesso desiderava di rimpatriarsi, servendo S. A.S.: et il S. r Galilei ritrasse da Sua Altezza una ottima inclinazione e desiderio di giovare al S. r Fioroni, la quale ordinò allo stesso S. r Galilei che avvisasse a Gio. Del Ricco, il quale maneggia in Firenze gli affari del S. r Pieroni, che l’A.8. andrebbe pensando a qualche io convonevol pretesto per domandarlo a 8. M. lk c ricondurlo qua, havendolo in concetto non ordinario e havendo gusto di compiacerlo in tutto lo occasioni. 8i prega adesso cho Fili." 10 8/ lìalì Gioii, particolarissimo Padrone e Protettore dol S. r Pieroni, cooperi a così favorita inclinazione di S. A. S. in lavoro del detto S. r Fioroni con quel più onorato impiego che FA. S. giudicherà convenirseli, desiderando esso di anteporre ogni utile o ogni grand’onore di qual si voglia principe straniero a quello di cho è per farlo degno il Ser. ,no suo Prin¬ cipe naturale. “> Cfr. n.° 8223, Hit. 5 o bug. •*' Di stile lìoroutino. Cfr n.o 8254. “ Maria Maodaucna i>'Austria. [3257] 1° FEBBRAIO 1G36. 389 8257 . MATTIA BERNEGGER ad [ELIA DIODATI in Parigi]. Strasburgo, 1° febbraio 1636. Dalla pag. 6** (non numerata) in principio doli'opera citata nell’in formazione promossa al n.° 3058. Berneggerus Robcrtino (,) suo S. P. D. Rernit.fco tibi, virornm et amicorum eximie, quanquam expectatione publica meaquc destijiatione serius aliquanto, Galilaei prò Samia pbilosopliia, contra nostri tevi Cleanthum obicctiones, Apologeticum, quem, Systemati Cosmico incomparabili» illius astronomiae restauratoris annecteudum, pridem ad me misisti. Pro moa et borio publico serviendi et tibi gratificando cupiditate, feci libenter ut editionem egregii scripti, quantum in me esset, promoverem; idque statini cum ipso Systemate, anno superiore, prodiisset in lucem, si, quod velieinenter optaveram, aut a te ipso latine conversimi, aut saltem temporius ut 10 adirne ante Systematis editionem ab alio verti posset, nobiscum comnninicasses. Nunc, dum et quaero interpretem, et liibliopolao longius absentis exquiro voluntatem, annus ftbiit. Oravi autem atque udeo exoravi virum, aviti generis splendore iuxta ac virtutum et eruditionis exquisitae, multiplici iunctae cura experientia, decoribus illustrem, Aeliuni Deodatum Iurisconsultum Parisinum, ut liauc nobis intorpetrandi conimodaret opcram ; qua ilio benevole praestila, non minus ac tu facta prompto scripti copia, rempublicam litlerariftin ipsamque posteritatem demeruistis insigniter. Nam do autore ipso, et quomodo is iustitutum hoc nostrum accepturus sit, non liabeo dicere. Cuin enini ilio (quod nunc primum ex epistola tua recto didici, et ex uno alteroquo loco Systematis antea subobscure conieci) suis ab aeruulis, ad quos refellendos lue comparatus Apologeticus est, indignissimo 20 tractetur, fieri sane queat ut librano, tot por annos domi habitum, nunc demani in lucem aliena curiositate protractum nolit; ne scilicet, ad versando responsandoque publice, istos ex insanis insaniores efficiat. Est enim liaec natura talium liominum, qui persuasionis pertinacia iam occalluerunt, ut implacabili diversa sequentibus indicto odio, etiamsi coni- monstrato errore caussa ceciderint, non tantum non cedant, sed de gemi etiam pugnent advorsus manifestarli vcritatem; ad liaec liominum vulgus, hoc est imperitissimum iudicem etiam eorura quae ante pedes sunt, in partea voceiit; ad estremimi calumniis cortcnt, adversum quas, cum omnia feceris, arma silentio tutiora nulla reperies: ut proinde cre¬ dibile sit, sapioutissiniuin virum inimicorum impotentiain, furorem atque vaecordiam ge¬ neroso contemptu magnanimoque silentio delfine ulcisci, hoc est contumeliae ipsi contu¬ so meliam lacere, malie. Sufficit niinirum illi in hoc tempore iudicium sanioruni paucorum, apud posteros, cum obtrectationis invidia decesserit, luculentissimum industriae teBtimonium consecuturo. Quod enim Demostbenes de rebus gestis vetcrnm Atheniensium dicere solebat, laudatorem iis dignum esse solummodo tempusW, id de magno quoque Galilaeo non absurde <»> Cfr. n.° 3058. (*> Icmpu* e imperite» (liu. 38, 35) sono stampati in carattere diverso noli’edizione originalo. 390 1° — 9 FEBBRAIO 163G. [8257-3259] pronnnciaveris. Ilostiuin eius degoneres obtrectationeB oblivio inox obruet; ipso, por ingenii divini monumenta poatoritati monstratus (noe nio fallit augurium), superstcs orit. Utut flit, iacta alea est ; et bì vel iniquo nostram transalpinorum hominum diligentiam animo vir Huninma est excepturua, impune corto pecca verimus, ut. in nbseutoiu. Vale, iucunditìBime mi llobortine, et, quod faci», mihi meisque favore porgo. Sor. Aug. Treb., Oalend. Eebr. 1(536. 8258*. GALILEO a. Arcetri, 2 febbraio 1636. La presunto fu pubblicata dal Camimuu, Cartei/ijio Golii tono inedito, pag 602, culi la scguonto avvertenza: < Quobta lettoni, tratta da una copia doll’Ab. Fontani, ò la Rola di (ìaliloo di cui possiamo decorare il volutilo. Il Fontani notti in margino eesore la mmlohimn ricavata dallo «arto dulia Sogrotoria o in¬ diritta al Hall Gioii. A Ini infatti paro elio Galileo rivolga noi principio lo suo parole, mentre noi Ano accollila a piti porsono, elio saranno probabilmente i wjretari di Sun Alte un, corno li chiamavano ». Noi abbiamo inutilmente corcato quosta lotterà sia nollo Filze dell'Archivio di Stato in Fironzo, sia noi cod. Ashburnliainiano 1850 dolla biblioteca Modieoa I-aurmiziaiia, elio contiono la raccolta di let¬ tore galileiano mossa insiouio, in copio, da Frakcisoo Postasi (cfr. l’informazione dol ti.« 2482). Tardi rimetto la lettera di Monsig. di Guevara all’ 111.® 0 Sig. Bali Cioli, perchè non mi fu rosa se non iersera a notte, per mancamento non so di chi ; però mi farà grazia di scusarmi. A Monsig. non posso risponder per ora, perchè mi bisogna con attenzione vedere alcune speculazioni sottili che S. Sig. Ill. ma mi manda n , o sopra di esse scri¬ vere il mio parere; talché mi bisogna scorrere a quest’altro ordi¬ nario. In tanto, ricordandomi allo SS. rio loro Ill. rae devotissimo obbli¬ gatissimo servitore, con riverente alletto lo bacio le mani. D’Arcetri, 2 Febb. 0 1635 ( *\ Di Y. S. Ill. ma Dev. mo ed Obblig. mo Serv. 0 io Galileo Galilei. 8259 . GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia). Arcetri, 9 febbraio 1636. Ulbl. Marciana in Venezia. Cod. XLVII dolla CI. X It., n.« 4. — Autografa Itev. mo P.re e mio Sig. r Col."' 0 Il Ser. ,no mio Signore, nel ragionar seco, mi mosse curiosità d’in¬ tender qualche cosa circa la materia della quale nell’ultima sua V. P. <‘i Cfr. n.® 3246. >*) Di stilo fiorentino. 9 FEBBRAIO 1636. 391 R. ina mi accenna alla larga tanto, che, se bene è poco, pur mi basta, e ne le rendo grazie. Dispiacemi del vetro perieoiato (1) : pure il male è leggiero, e costì ne troverà di tutta perfezzione, e da i pezzi del rotto se ne troveranno de i simili ; anzi ella ne potrà provar diversi, più o men concavi, et elegger quello che più gli parrà clic risponda albi sua vista, io Io ammiro la sua flemma nel legger la l{osa (i \ dove sono tante e tanto solenni bamboccerie. Ma ella mi dirà, che pure Tesser que¬ ste in tanto eccessivo grado arreca diletto non piccolo. E chi non trasecolerà nel considerar Targuzia dell’impresa delle 3 orse nelle 3 caverne, l’una delle quali col telescopio riceve le macchie del sole, l’altra lambe i suoi orsacchini, e la 3 a si succia lo mani? con li 2 motti, . ,. 'in, • i. i • Rosa Ursina, tanto significanti e con si bell arguzia contraposti : Tr . ° Ursa Rosina. Ma a che metter mano a registrar le fantoccerie di questo ani- malaccio, se elle sono senza numero? Il porco e maligno asinone 20 là un catalogo delle mie ignoranze, che vengono in conseguenza di una sola, ignorata egualmente sul principio da lui e da me, che fu la piccolissima inclinazione dell’ asse della conversione del corpo solare sopra ’l piano dell’ eclittica : io la scopersi, tengo per fermo, avanti di lui, ma non hebbi occasione di parlarne se non nel Dia¬ logo (,) : ma vegga poi il poveraccio la sua mala fortuna, mentre egli da tale osservazione non ritrasse nulla di maraviglia, et io per essa scopersi il massimo segreto che sia in natura; e questo, scoperto da me, e dopo il mio avviso penetrata da lui la estrema maraviglia, è quello che l’ha mortalissimamente trafitto, e concitatogli la rabbia so canina verso di me: poi che a me solo è toccato in sorte di osservar tante e sì gran novità nel cielo, e da esse dedurne tante e sì stu¬ pende conseguenze in natura, delle quali questa è, si può dir, la mas¬ sima; e Tinfelice, che ha hauto per tanto tempo in mano gioia sì preziosa, non l’ha saputa conoscere. Ho detto assai: con reverente alletto gli bacio le mani. Dalla mia carcere d’Arcetri, li 9 di Eeb.° 1G36. Della P. V. lt. ,ua Dev. m0 et Obb.™ 0 Ser.™ G. G. •" crr. n.° 8252, lin. 5-7. »*• Ofr. uu.‘ 8241, 3252. < 8 > Cfr. Voi. VII, pag. 874. 392 9 FEBBRAIO 1636. [3260] 8260. FULGENZIO MIC ANZIO u [GALILEO in Firenze]. Venezia, 9 febbraio KW6, Bibl. Naz. Fir. Mas. fini., I». VI, T. XII, cnr 211. — Autografi il poscritto o In Bottos. riziono. Molto Ill. tro et Eccell.“° Sig. r , Sig. T Col. 1 " 0 Il Sig. r Emanuel Shorer è un giovammo thedcsco, figliuolo di un mio amico molto honorato di Augusta, il quale di presente è molto indisposto et infermo, credo più por malinconia per le rovino della sua città, che per altro. Non ho potuto vederlo, perchè sta fuori di Fontico {n , e sono andato o non 1* ho tro¬ vato: lo trovarò, e furò quanto V. S. molto 111." et Eccoli." 1 * mi commetto. Il S. r Àpruino è qui in Venetia, et è dietro alla Rosa Orsina collo male parole. L’ ho pregato a veder particolarmente quelle Liuto figuro, ove il Giesuita vuole decchiarar la natura del canocchiale col confronto dell’occhio, perchè, a dirla, in una cosa ove havevo gran curiosità d’intenderò lo deinostrationi, o io elio io non no sono stato capace, come credo, o li dotti del Seheiner sono puro affermatami senza prove. Forai che il S. r Àpruino, come consumatissimo, inten¬ derà. le demostrationi, o poi me no farà parte. Ila questo Signoro bellissime speculationi nove: basti diro elio si professa et è scolaro del Sig. r Galileo. Non ho ancora fabricato il canone per la prova della lento mandatami da V. S., colla quale ricoverò o il gusto di veder qualche cosa nova, o la pationtia che il malo sia no i miei occhi. E con tal lino a V. S. molto Ill. lro et Eccoli. 1 "* bacio le mani. Von. a , 9 Febraro 1636. Di V. S. molto lll. lre et Eccoli. 1 "* 20 Ilo ritrovato il S. r Emanuel Shorer: ò gio- vineto di 17 anni, spiritoso: è stato 5 anni in Argentina, scolaro del Bernegoro. Questo desidera un telescopio. Io m* ho affaticato a persuaderli che basta mandar li vetri colla misura: egli sem¬ pre m’ha replicato: Desiderai- tale tclescopium, idest totum instrumentum iUud cum vitris etc. Dev. 1 " 0 Sor. F. F. i" Cfr n.° 3242. liu. 26. [ 3261 ] 0 FEBBRAIO 1636. 393 3261. GIOVANNI PIERO NI a [GALILEO iti Firenze]. Vienna, il febbraio 1630. Bibl. -Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 180-131. —• Autografa. Molto lll. re et Eec. m0 Sig." P.rono Col." 0 La lettera di V. S. Eco. ma delli 19 di Gennaio mi ha consolato in estremo, perchè veggo olio havendo ella ricevuta la mia, ha inteso e capito le causo della mia necessitata tardanza, e mi favorisce di dire che resta appagata : ond’ io non gli sogghignerò altro, se non che qui in questa città, harei possuto h&ver subito comodità di far stampare, ma assolutameli te o non sarebbe passato alla revisiono et approvazione, o sarebbe stato turbato avanti il mezo, non che avanti il fino, da i contrarii di V. S. ; o però ho cercato altro, come li scrissi. Ma essendo lunghissime le speditioni di questi paesi oltr’ogni credere, o però io non venendosi a conclusione della tipografia che ho chiesta (benché la spero, perchè S. M. vuol ch’io l’habbia), ho preso altra strada, ciò è delTEmi!!." 10 Sig. r Card. 1 ® Dietrista in, mio preziosissimo Signore o Padrone, e ne ho havuto dal Sig. r Baron Miniati la risposta che mi piaco mandavo con questa a V. S. ll) , acciò senta conio sta il negotio ; con di piò, clic io ho accettato il favore, e nominato la qualità dello persone clic desidero essere revisori, e che in tanto, havendone l’ordine da S. Erri. 1 *, darò il libro ad essi a rivedere, e poi subito andrò io in Moravia a ordinar la stampa: sì che in pochi giorni spero elio si comincerà, doppo havuta l’approvazione, elio ancora dovrà esser presto, perchè io bora attendo la risposta dal Sig. r Cardinale, o subito andrò. 20 Ho fatto in tanto altra diligenza, per ogni evento che questa non fusso sortita, ciò è che ho pregiato] dell’istesso 1* Emm.“® Card.' 0 d’Harach (2) in Praga (che ha pur anch’egli una tipografia propria), e ne ho havuto risposta che si compiacerà di farmi il favore, se mi occorrerà di farne capitale: sì elio non manco di ingegnarmi di poter sorvire V. S. in un luogo o nell’altro. Ma piò mi sarà comodo in Moravia, e massime so la stamperia nuova di Olmitz riuscirà bella a mio gusto, benché harei piò caro in Nicliilspurgh, perchè non vi sono di quelle persone otc. clic sono là. Intanto si finiranno li rami d’in¬ tagliare, che per le diversioni dell’ intagliatore non son finiti ; ma io lo solle¬ cito, et egli mi promette di finirmeli bora presto in questi giorni. 30 Metterò la dimostrazione mandatami al suo luogo, e darò a V. S. avviso piò spesso di quello che si farà. “l Gir il.® 3253. <*> Krnrsto Adài.iikìito u’Hauhacii. 394 9 FEBBRAIO 1636 . [3261-8262] Con mia maraviglia non tengo ancora risposta di Polloni[a] l1 ', ma ne attri¬ buisco la causa elio quella Maestà è in viaggi ; o spero che pur la riceverò, al mono por far apparente tanto più lu stima (dio ò fatta di V. S. Eoe.®*, alla (pialo io vivo alletionatissimo : e per line gli bacio affettuosamente le mani, o desiderali felicità. Di Vienna, li 9 Febbraio 1636. Di V. S. molto ili." et Ecc. m * Devotiss. 0 et Oblig. mo Sor.™ Giovanni Pieroni. Mi sovviene di dire a V. S. che i romori della Germania, sì come impedi¬ scono grandemente i negozi nell’Imperio, così se accadessi elio si estendessero 40 in questo provincio, porterebbero incommodn o danno al progresso dell’ impres¬ siono ; o però io solleciterò per il possibile, acciò che al meno fusse finita prima. E perchè gravi urgenze mi spronano a dover cercar di venire insino alla patria a tempo nuovo (come può V. S. sapere), in caso elio io mi dovesse partir prima del fino doli’ impressiono, lascerò persona che assisterà come me proprio ; sì elio non progiudicherà all’opera la mia venuta, o solo lo calamità universali potrebbero farli danno. Por il che mi par che sarà bone elio io havesse quanto prima il restante, acciò non venga ritardato l’opera doppo elio sarà cominciata. Di temer di romori, qua ce ne sono occasioni non poche: però ho giudicato bene il metterle in consideratione, ben che dalla Divina Bontà doviamo sperare 60 ogni efficace gratia o protezziono. Di quello che por mezo d’amico io ho fatto pregare V. S. (21 , gli piaccia di favorirmi quel tanto elio stimerà poter ricevere effetto, e non altrimenti. Ma creda che grandemente lo desidero, perchè grandemente m’importa, o tanto, che non ci havendo contrasto maggioro che quello del non poter servire V. S., pur mi risolvei di ricorrere a V. S. istossa; et bora lo confermo tanto più, che mi par d’haver trovato questo modo elio olla resterà servita in ogni modo, corno spero mostrarli presto in effetto. E di nuovo la saluto etc. 3262 *. EMANUELE SCHOKER a GALILEO in Firenze. Venezia, y febbraio 1080. Bibl. Nqz. Fir. Mas. Gal.. P. VI, T. XII, car. 218. — Autografa. Eseollentissime Domine Gallilee, Oum intellexeriin a Reverendissimo Domino Patre Vnlgentio, E. V. littoras meas quam optiine recepisse, veruni de telescopio opiniouem menni non penitus exaggeratam percepisse, planius bisce littcris indico, Dn. Berneggerum totura "* Cfr. u.° 3228. <*> Cfr. uu.‘ 3254, 3255, 3256. 9 — 12 FEBBRAIO 1636. 395 [3262-3263] ipsum instrumentum, simili con canna , desiderasse (il , cum in Argentina non invcniuntur artifices qui tali modo praedictam cannam conficerent, et cum nudis vitris ipsi non credo serviretur ; quod Excellentiao Vestrae porspicacius annun¬ ciare volui. Pretium huius instrumenti si scivero, Excell. Vest. suinraa cum gratiarum aotione solvetur, et ego et Domiiius Bcmeggerus erimus somper oliti¬ lo gatissimi Escellentiae Vestrae: quocirca igitur maximas ago gratias, quod meas littoras adeo dignari voluerit et liac de causa Reverendiss. Dn. Patri Vulgentio adscriboro, qui alias nobis no.straequo familiae totae, ob suam eminontom pm- dcntiam, virtutem et integritatem vitae, optime cognitus nosterquo maximus fautor et moeccnas fuit. Caotcrum de Dialogis translatis longe auto notitiam E. V. Imbuisse firmiter credo, cum stireni Exuellentis. Dn. Borncggerum saepius littoris per Dn. Dio- dati E. V. confirmasse. Ego minimus gaudeo ex animo, quod me tantum for¬ tuna donaverit, ut possim illos in lingua latina legero, qui adirne carco hac italica; siquidem ex Germania quotidio expecto conforme exemplar, ut et unum 20 de circulo proportionali, itidem translatum ab Exccllcntiss. Dn. Berneggoro (2) . Quod super est, E. V. etiam atipie etiam rogo, excusatam babeat audaciam incanì in littoris; siquidem qui nisi sub umbra tanti viri obtcctus non acccssissom bisce meis puerilibus litteris Excell. Vestram. Comendo me moaque studia Excel¬ lcntiao Vestrao quam bumillime ; iuxtaque augurationem a Nostro Deo Optimo Maximo omnis prosperitatis, sit Sua Excellentia a mo quam submisse salutata. Datao Venetiis, adì 9 Febrar. 1636. V. Excolloi ì tiae 0 bl igatissi mus Emanuel Soboror. Fuori, (Valtra mano: Al molto 111.” Sig. r , Sig. r Usa."* 0 *10 li big/ Galiloo Galileij. Fiorenza. 3268 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 12 febbraio 1030. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 2 ir». — Autografa. Molto 111.™ Sig. r e P.ron Col." 10 Ricevei al 1 i giorni passati una sua, gratissima, nella quale mi diceva elio il Ser.° G. Duca et il Ser.° Sig. r Cardinale <:,> m* erano per favorire di uua let¬ tera per uno appresso rEra. m0 Aldobrandini <4> por quei rispetti che io già. a “» Cfr. n.° 3200. 1*1 Gir. n.® 71)0, liti. 30. I 3 ' CARr.o de’ Medici. I*' lrroi.iTo ÀLDOBli ANDINI. 396 12 — 13 FEBBRAIO 1630. [3263-32G4] lei havevo osposti. Ilora non ho potuto da all’ liora in qua più scrivere per essere impedito dalla chiragra, massime nella mano destra. Adesso supplisco, che sto alquanto meglio, se beno sono in purga, poiché da due giorni in qua ho comin¬ ciato a pigliare un decotto por questa mia troppo frequente e rigorosa infamità. Prima dunque la ringratio infinitamente delTollìttio passato con detti Sere¬ nissimi, restandole molto obligato. Non era veramente il mio desiderio che bora io scrivessero, poiché ogni importuna raccomnndatione può mettere in gran so¬ spetto quel Padre 111 che sa, ma solo all’occasione: tuttavia è stato eccesso di cortesia il disporli a fari’adesso; anzi s’io sapessi sicuro che Phavessoro fatto, scriverei ad ambiduo por ringratiarli di tanta cortesia; ma porehò non lo so sicuro, starò aspettando suo avviso. La prego poi ad aggiungerò al titolo della mia propositiono mandatali in¬ torno la desorittione della parabola per 4 dati punti di un quadrilatero l,) , que¬ sta parola quadrangolo in duo luoghi che ci manca, poiché non per ogni 4 dati punti di un quadrilatero si può descrivere una parabola, ma solo quando osso quadrilatero havrà quattro angoli interni et almeno duo lati concorrenti: il elio 20 li volsi scrivere subito mandatala, ma non potei. Circa poi il mio pensiero intorno lo specchio di Archimede, sto aspettando il suo senso, elio poi sodisfarò aH'obligationo fattami di palesarglielo: o por bora non dirò altro, solo se si abbocca col Padre Il. rao nostro Generale 131 , che voglia ricordarmeli servitore, o dirli ciò clic di me li parrà espediente. Con che fine li bacio affettuosamente le mani. Di Bologna, alli 12 Feli.™ 1636. Di V. S. molto III." ot Eco.®* Oh.® 0 Ser. re F. Bon. r “ Cav. rl Fuori: Al molto 111." et Ecc.“° Sig. r o P.ron Col.® 0 30 [il Si]g. r Galileo Gal. oi Firenze. 8264 *. GIO. PAOLO CASATI a Gl ANN ANTONIO ROCCA (in Reggio]. Pavia, 13 febbraio lim. Palla patr. 59 doli*opera citala nell’ infornm/iono premessa ni n.« 8068. .... Gratissime mi sono le nuove che mi dà del 1*. Lettor di Matematica ili Bolo¬ gna 11 : alle quali aggiungerò, ha vermi dotto Padre scritto esserli ululo proposto dal LiOtt. 3263. 1S. quadroni) itelo — Cfr. n » 3270. i*> Cfr. n.-> 3 '29 ‘ l| ' Cfr. n." 3229. <*' Bosavkktuua Cavammo. 13 FEBBRAIO — 1° MARZO 1636. 397 [3264-32661 Sig. Galilei, n nome del G. Duca, che s’avesse voluto ridurre in pratica il specchio ustorio daini inventatoW, si proferiva alla spesa. Sta però detto Padre irresoluto; cd io crederò clic difficilmente farà risoluzione alcuna, poiché l'opposizione che già V. S. mi foco a Bologna ò di gran forza.... 8265 **. ALESSANDRO NINOI a [GALILEO in Àrcetri]. S. Maria a Campoli, 2$ febbraio 1636. J3ibl. Naz. Pir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 113. — Autografa. Molto 111/® Sig. r mio P.ron Col." 10 Ier mattina ricevetti da Giulio w una lettera scrittami di Roma, dove egli dico essersi messo a bottegha, nella quale, oltre a molte favole, mostra tanta premura di voler sodisfaro al debito ebo tiene con Y. S., che chi non lo cono¬ scessi per scialaquatore di parole forse gli crederebbe qualche cosa ; ma io, elio a mie sposo ho imparato a conoscierlo, fo di lui o dello suo coso quei capitalo che io devo. E so beno non ho suplito per lui con quella pronteza, che V. S. merita o io conoscilo, non è già, elio io me ne sia dimenticato, standomi sem¬ pre nel quorc lo stimolo di rilevare V. S., corno ho promesso, poi olio non posso io mostrare altro segno di gratitudine ; ma i miei disegni sempre sono stati in¬ traversati da mille difìcidtà, quali con l’aiuto di Dio spero sopire, o quanto prima io potrò mostrarmi diverso da’ costumi di Giulio. Mando alcuni pochi tordi o duo ricotto, elio non si devono appuntare, perché io non c’ ho speso; nò anche V. S. mi deve ringraziare, poi che gli mando quello che non posso torre por me: mentre co ’l fine gli faccio debita reverenza. Da S. tft Maria a Campoli, 28 Febraio 1630. I)i V. S. molto 111/ 6 et Ecc. n,a Devotiss." 10 o Oblig." 10 Se/® Alessandro Ninci. 3266 . GIOVANNI PIERONI a [GALILEO in Firenze]. Vienna, 1° marzo 1636. Bibl. Naz. Fir. Mss Gal.. P. I, T. XI, car. 1S6. — Autografa. Molto 111/® et Ecc. mo Sig/ 6 P.rone Gol.™ 0 Avviso a Y. S. Ecc.“ a conio della seguente settimana sarò, col divino aiuto, in Moravia a dar principio alla stampa del libro di V. S., non havendo possuto “) cfr. u.° 3270. «*• Giui.io Ninci. 1° — 3 MARZO 1036. 398 [3266-3267] prima distrigare tutti gl’ intoppi cho ho incontrati : o credami V. S. cho non ho riposo alla mia monto inaino che io non mi vedo di adempire quanto devo in servirla. Lo figure sono intagliato quasi tutte, perché sono in tro rami, o lo provato riescono (paro a me) ragionovolmonto. Subito cho siano finito tutto, no manderò la mostra a V. S., cho dovrobbo essero dolla prossima settimana. Quanto scrissi a V. S. (1) , elio s’io non potrò assistere insino al fino della impressiono, sostituirò persona in mio luogo, torno a confermarlo, ot soggiungo io cho ni’ ingegnerò cho più che sia possibile no sia fatta sotto li mici occhi et assistenza. Così conceda il Signore Dio quiote a questo parti, com’io spero clic olla sia por restar servita, almeno (pianto ò possibile qua, giti che non ho pos¬ salo ancora spedir la gratin di havor quello stampo di Silosia, e non sono in luogo ovo sia commodilA maggioro e meglioro. Resto ohligatissimo a V. S. del favoro segnalato che s’ò compiaciuta di farmi in quanto ho desiderato da lei t2) , o elio lo lui fatto con maniero ot edotto tanto pronte, amorevoli o sublimi sopra ogni mio merito; ondo ha fatto che io ne aspotto l’esito conforme al desiderio, o spero cho sani presto, conio stimo che ricerchino molto concorrenti causo. Sarò tutto sempro per servirla o celebrarla. 20 Il Padro Guldini Giosuita, amico di V. S., cho la conobbo in Roma 0 elio ò partiate suo, ha composto un libro De coltro gravitnlis partìum circuii 131 , 0 mi ha consegnato un osomplaro perch’io lo mandi a V. S.; il che farò con pre¬ sta occasiono. Intanto resto desiderando a V. S. ogni folicitA, mentre con ogni allotto gli fo humilissima reverenza. Di Vienna, il p.° di Marzo 1636. Di V. S. molto 111/® ot Lee.'"* Dovot. m ° ot Ol)lig. mo Sor/ 0 Giovanni Pieroni. 3267 **. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in ArcetriJ. 8. Maria a Campoli, 3 marzo 1030. albi. Naz. Fir. Mss. Gai., P. V, T. II, oar. 125. — Autografa. Molto 111/® et Ecc. m0 Sig/ mio P.ron Col. m ° Ho fatto diligenza por trovare il capretto o agnello; ma in questi paesi c a’ mercati circonvicini prima elio a Pasqua non si trova cosa buona, al qual tempo, quando V. S. no vorrà, havorò occasione di poterla servire. Iesu, De centro (/rovi tal te trium epeeitrrum quantùati» continuar, ore. Vicinino Amorino, formi» Gregorii Gelblnuir, typographi tuonarci. Anno M.DC.XXX V. «n Cfr. n.o 8261. Crr. nn.i 3251, 3255. 3256. <»i P aui.i Gui.oini Sancto Gallensis, o Sociotute 3 — -1 MARZO 1636. 399 [3267-3268] Rendo infinite grazio a Y. S. delli amorevoli offizii offerti per Giulio (i) ; ma io per me non intendo d’affaticare V. S. per procacciarmi causa dì nuovi rossori. Mando sei tordi, olio costano nove crazie, mentre co ’1 fine gli faccio debila reveronza. Da S. u Maria a Canipoli, 3 Marzo 1 G36. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. mft Devotiss.** 10 e Oblig. mo Se.™ Alessandro JN'inci. B 268 . GALILEO a [BENEDETTO GUERRINI (V) in .. .j. Arcetri, 4 marzo 1G3G. Autografoteca Meinert in Dessau. — Autografa. Molto Ili. pe Sig. ro e Pad. ne Osser. mo I freddi eccessivi, l’uno della stagione e l’altro della mia vecchiaia, Vessar ridotto al verde il regalo grande di 2 anni fa (a) delli 100 fia¬ schi e tutti i particolari minori del Ser. mo Padrone delli 2 mesi pas¬ sati, con quello dell’Em.™ 0 S. Cardinale ' 3) , de i Ser. mi Principi e li 2 dell’ Ecc. mo S, D. di Ghisa (4) , oltre all’assennisi guastato il vino di 2 botticelle di questo del paese, mi mettono in necessità di ricorrere al sussidio e favore di V. S. e del S. Sisto (!i> , conforme alla cortese offerta fattami qui all’Imperiale; cioè che con ogni diligenza et in- io dustria, e col consiglio et intervento dei più purgati gusti, voglino restar serviti di farmi provisione di 40 fiaschi, cioè di 2 casse, di li¬ quori varii de i più esquisiti che costi si ritrovino, non curando punto di rispi armo di spesa, perchè rispiarmo tanto in tutti gl’altri gusti corporali, che posso lasciarmi andare a qualche cosa a richiesta di Bacco senza offesa delle sue compagne Venere e Cerere. Costì non debbon mancare Scillo e Carino (credo voglin dire Scilla e Cariddi), nè meno la patria del mio maestro Archimede Siracusano, i grechi, i claretti etc. Havranno, come spero, comodo di farmegli capitare col ritorno delle casse della dispensa; et io prontamente sodisfarò 20 tutta la spesa, ma non già tutto l’obbligo col quale resterò legato <»> Cfr. n.° 8205. <*' Cfr. n.° 2871. ,Sl Cardo dk’Mudici. < 4 ' Caiu.0 di Lorkna, Duca di Uuisa. <*) Sisto Adkdoais. 400 4 — 8 MARZO 1686. [8268-3269] alle SS. e loro, perchè sarà inlinito: ma là dove non arriveranno lo forze, supplirà in parte la buona volontà e la prontezza in servirle, dove ini onorassero di qualche loro comandamento. La neve in questa notte passata si è alzata un buon palmo, e tuttavia continua per arrivare al mezo braccio. E con adotto bacio loro le mani. Dalla mia carcere d’Areetri, li 4 di Marzo 1685 (1) . Di V. S. molto III/ 0 Parat.* 110 et Obblig. rao Ser/° Galileo Gal.‘ 3209. FULGENZIO MIOANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 8 marzo 1686. Bibl. Na*. Plr. Msa. Gai., 1*. VI, T. XII, cnr. 217. — Autografa la sottoscrizione. Molto III/ 0 ot Eccoli.'" 0 Sig/, Sig/ Col. m# La lettera di V. S. molto 111. ot Eccell."* d’i 23 passato non mi è capitata so non martedì 4 del corrente; sì elio accade anco a noi qui, boncliò siamo nella città, lo svario do’ tempi. Mi è stato presentato un libreto di un tal Capimmo veronese, che voleva stanpare, e scrive centra il moto della terra ; o 1’ haverei lasciato correre per far rider il mondo, perchè la bestia ignorante à dodoci argomenti, cho è la sostantia dol suo discorso. Fa por ciascuno il titolo di demoatratione irrefra¬ gabile et insolubile; o pure niente altro porta se non quello fan teli inarie risolute già da chi intendo : devo quest’animalaccio intende tanto di geometria o mattile- io malica, cho mette per dimostratione che so la terra si movesse, non havondo sopra che appoggiarsi, bisognerebbe cho cadesse. Dovova pur dire, cho all’ bora si sarebbono prese tutte lo quaglie. Ma perchè parla immodestissimamento di V. S., et ha usata l’impudentia di mettere l’historia delle coso sucesse, con dire cho egli ha il processo e la sentontia, io ho mandato chi mo lo presentava sullo forche. Ma V. S. conosco il genio d’un insolente Capucino: dubito che capiti altrove, perchè è inamorato o credo così corto cho le sue pazzie siano argomenti demostrativi, cho certo non crede tanto all ’In principio. Non ho veduto il Sig/ Apruino già 15 giorni: o cho è perso in quelle belle speculationi Rosa Orsina, TJrsa Rosina™, con tante belle farfollagino, che non 20 Di stilo fiorentino. Cfr. n.» 8259, lin. 1G-17. [3269-8270] 8-11 marzo 1636. 401 si lascia vedere. Credo però certo gli avvorrà come a me, di perder assai tempo senza trovare cosa alcuna : ma le promesse grandi ingannano ! Ho però per punto grande che li Giesuiti sostentino le macchie nel sole, il moto in sè stesso, la flessibilità del cielo e la corruttibilità del medesimo; che mi paiono coso dalle quali nascono necessariamente consequenze importanti. Farò la relatione al Sig. r Sorer (1) . Ma quando haveremo nova che li Dia¬ loghi andati in Germania siano stampati ? Non è già dovere che dormano tra le carte inutili. V. S. molto TU. et EcceU. ,uft si conservi, mi riami o le bacio le mani. so Ven. a , 8 Marzo 1636. Di V. S. molto 111.™ et Ecccll. ma Devotiss. 0 Ser.® F. Fuigentio. 3270 . BONA VENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Areetri]. Bologna, Il marzo 1630. Bibl. Nu 7„ Fir. Risa. Gai., P. VI, T. XII, car. 219-220. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 10 La mia lunga purga, accompagnata da continuo flussioni, mi ha sin bora impedito dal poter servire V. S. Ecc.“* in quello a che di già mi sono obligato o elio tanto bramavo, restando non meno per questo mortificato, che afflitto dalla podagra. Io non sono per anco libero; ma tuttavia potendo alquanto adoprar lo mani, le ho volsuto subito impiegare a pagare questo debito. Prima però li devo dire circa le lettere del Ser. mo G. D. e dell’ E. mo Sig. r Cardinaleche lo lio trattenuto sino alla presente settimana, havendole finalmente inviate solo mercoledì prossimo passato, e ciò perchè volevo accompagnarle con una mia io lettera all’Em.™ 0 Aldobrandini, con la quale venissi a levare in parte l’ombra che poteva partorire il mandarli, senza una tale necessità, lettere raccomman- datitie; nè potendo io per manzi scrivere, m’ è convenuto sin bora differire rin¬ viarlo al detto Eminentissimo. So che io sono in obligo ringratiare l’uno e l’al¬ tro Ser. m0 Patrone, ma bora mi trovo malamente atto a potere scriver molto; che perciò, venendo l’occasione, la vorrei pregare a faro mia scusa. Differisco questo adunque sino a miglior stato di sanità, sperando che per appunto al- V bora bavrò anco la risposta deIl’Ein. mo Aldobrandini. Mi sono state carissime dette lettore, ma credo che mi sarà di bisogno un gagliardissimo offittio ap¬ io Kmaxuei.k boti ohe a. <*) Cfr. n.° 8263. XVI. 51 402 11 MARZO 1036. [3270] presso il detto Em .® 0 Aldobrandini, fatto, so è possibile, a bocca (clic molto vorria commodo, so fosso vera l’andata in brovo a Roma dell’ Em . m0 Cardinale (1) 20 di costì), poiché quel Padre Teatino lia talmente proso la protottione di questo frate del quale giù, li scrissi, per tenermi uno stocco nelli occhi 0 continuamente inquietato, che non ci voi di manco per potormeno liberare. Per bora non oc¬ corro far altro motivo, ma a suo tempo ne l’aviserò. Finalmente, quanto al mio pensiero circa lo specchio etc. (S ', so che quando olla vi liavosse fatto qualche particolare rillassione, facile li saria stato indovi¬ nare il modo da me pensato, chò per appunto panni che ella fosse su la traccia per ritrovarlo, mentre mi ha accennato elio stimava potesse ossere uno specchio parabolico, so ben sfondato. Il mio pensiero adunque è tale. Sia nella sopra¬ posta figura (3) lo specchio parabolico adg, il cui asso xd et foco 0, pochissimo so distanto dal fondo dello specchio d; 0 por 0 si tiri la bf, perpendicolare ad xo, che termini nella suporlieio dello specchio in b, f ; vonghino poi dal sole (verso il cui centro sia indrizzato l’asse xd) paralleli al dotto asso quanti raggi si vogliono, ma, por il nostro essempio et intelligenza, li duo ha, lg, elio incon¬ trino la superficie dello specchio nella bocca, conio in a, g, 0 li altri duo mb, nf, che incontrino li punti b, f : ò dunque manifesto che questi quattro raggi an- deraimo ad unirsi noi punto 0, foco del dotto specchio; li quali tuttavia qui non si fermaranno, ma, passando più oltre, incontreranno di nuovo la super¬ ficie del modosimo specchio : come li due ha, lg, clic fecoro lo primo reflessioni in a, g, faranno le seconde in e, c per rr, cs; 0 li due mb, nf, elio fecero le io prime roflessioni in b, f, faranno le seconde pure in b, f permutatamente, cioè mb in f per fn, ot nf in b per bm. Medianti le quali due reflessioni do’ raggi si viene ad ottonerò quello che fa al nostro proposito, cioè che, entrando il lume per lineo parallelo all’asse xd di una tanta grossezza, conio nella larghezza dell*armilla hmnl, esce la medesima quantità di lume nell’ampiezza dell’armilla msrn : poiché li raggi, per essempio, intermedii alli duo ha, mb, mediante la loro seconda reflessione fatta doppo il transito per il foco 0, usciranno tutti ri¬ stretti Ira li due er, fn, rodessi dalla parto dello specchio cf; e l’istesso acca- <*' Caribo dk’Mkimci. <*> Clr. nn.l 3268, 826-1. 1,1 La figura ù disegnata sul margino suporioro della carta. 11 MARZO 1636. 403 [ 3270 ] dcrà ai raggi intermcdii alli due Ig, nf , che usciranno da he, ristretti fra li 50 due fm, cs : cioè in somma con questo artificio noi stringeremo il lume del solo, che entra largo o diradato nello specchio e nella parte ab, gf, riducendolo sotto minore spatio mediante la seconda reflessione fatta dalla parte di esso spec¬ chio bc, cf, e mantenendo i raggi pur paralleli all’asso xd. Da questo dunque ò manifesto, che quanto più vicino sarà il foco o al fondo dello specchio (il che porta poi che lo specchio sia sempre più e più cavo), che il lume uscirà sempre più constipato e por lineo parallele all’ asso xd : sì che potiamo labri- care tale specchio, che lo riduca a che strettezza o sottigliezza vogliamo. Queste cose sono molto conformi alla dottrina del mio Specchio Ustorio (il , come ella subito comprenderà, poiché se bene in questa oporationo adopero un òo solo specchio, quosto però fa l’offittio di due, quali sono distinti dal cerchio bf ; impcrochè abfg è lo specchio grande, c bdf il picolo, situati in modo che il loco del grande, che è o, sta unito con il foco del picolo, che pure è l’istesso o: la qualo unione stimo conforme alla struttura insegnata nel mio libro, invero molto difficile da ottenersi in prattica, sì come a questo modo viene levata, per mio credere, gran parto di difficoltà. È però vero clic in questo modo non posso godere del beneffittio della convertibilità dello specchietto bdf por abbru¬ ciare da ogni banda; ma per rimedio di questo due cose mi sono sovvenute, dello quali non no ho veramonte dimostratione, ma solo probabile congettura, c se ne dove attendere l’ammaestramento dall’esperienza. La prima è, che so- 70 bene è vero clic lo sudetto cose si verificano stando l’asso dello specchio in¬ drizzato vorso il centro del sole, nondimeno inclinando alquanto lo specchio non si faci sì presto il diradamento del cannoncino di lume nato dalla seconda reflessione, sì che non conservi anco forza di abbruciare (intorno alla qual cosa li confesso che ho specolato non poco, per sapere che effetto farebbono li raggi che intrassero obliquamente nello specchio, o non paralleli all’asse; nella se¬ conda reflessione non havendo potuto comprendere per speculativa sin bora a bastanza il loro effetto, come nè anco nelle altre settioni conicho). L’altra è, che conservando noi l’asse dello specchio verso il centro del sole, potressimo nella bocca di esso specchio opporre all’uscita del cannoncino luminoso un spoc- 80 chiotto piano, convertibile da ogni banda, che da ogni banda appunto lo potria parimente reflettero, non alterando la grossezza di osso cannoncino. Ma in que¬ sto ci è da dubitare, che volendo adopraro tre reflessioni, non indebolischino tanto il lume, che non sia atto ad abbruciare : nel che mi rimetto all’esperienza. Questo è quanto posso dire al mio Sig. r Galileo, perchè esso ne resti gu¬ stato, et insieme servitone il Sor." 10 G. Duca mio Signore. Io dissi, lorsi troppo Lett. 3270. 77. altri tettioni — <»' Cfr. u.° 1070. 404 11 — 14 MARZO 1636. [3270-3271] temerariamente, cho mi purea cosa bella ; ma bora mi corrego, rimettendomi al suo sottilissimo giuditio, o vendendogliela, o per dir meglio offerendogliela, por quello che vaio e per niente più. Non mi scordo poi di far la prova in picolo: fra tanto mi avisi per gratin della ricevuta di questa, chò non vorrei già che andasse a malo, e del suo parore da me stimatissimo, facendone parto al Ser.° oo G. Duca, quando sia tornato, e mia scusa por la indispostone cho ho, et in¬ sieme in nomo mio humilissima riverenza ad essi Ser. ml ; che io per tanto, de¬ siderando a V. S. Ecc. mft compita sanità, li bacio affettuosissimamento lo mani. Di Bologna, alli 11 Marzo 1636. Di V. 13. molto lll. r ® et Ecc. ,iw Ol). rao Ser. r ® 1’’. Bon. ra Cavalieri. 3271 *. GIOVANNI DEL RICCO a |GALILEO in Arcetri]. Firenze, 14 marzo 1636. Dobbiamo riprodurre anche questa lotterà, della quale non abbiamo potuto trovarti l’originale (cfr. l'in¬ formazione promossa al n ° 2), dall' edizione dol Cahi-dui, elio por primo la pubblicò a pag. -165 del suo Carteggio GaliUuno inedito. Por diligenza cho io facessi di parlare al 5S. r Gran Duca Scr. mo avanti la sua partita di qua, por servizio del S. r Capitano Gio. PieronP 0 , non fu possibile che mi riuscissi; nò mono dopo, ch’io potessi parlare al Sig. Ball Cidi, conio non riuscì al Sig. Prioro Vinta, il quale poi per lotterò ha negoziato; o linai- mente a pena parlato il medesimo S. r Bali Cioli a S. A. S., che dotto ordine di scrivere al Segretario della Imbasciata in Vienna, 18 ', che supplicasse S. M. ta Cesaroa di dar licenza al S. r Capitano Gio. ricroni; e di costì (sic) S. S. scrisso con lettera dolli 11 di questo, soggiugnendo che S. A. gli commette cho supplichi di più S. M. l, \ cho comandi cho assolutamente so no torni. Questo avviso 1’ ho avuto appunto questo giorno, e non ho prima avvisato di nulla V. S. Ecc. ma , io perchè ancor io di giorno in giorno aspettavo risoluzione di questo fatto; ag¬ giunto, cho sono stato non troppo bone, massime noi principio di quaresima. Questa mattina ho poi avuto lottore do’ 23 del passato dol medesimo S. r Pie- roni, in risposta del negoziato 13 ' di V. S. Kce. ma con .3. Altezza : che no ha sentito tanto contento elio confessa indicibile obligaziono, e che non s’è punto ingan¬ nato della gran confidenza che ha avuto in lei. Mi dice che cerca con ogni Lett. 3271. 7. e di costì ti. A. scrisse — <•' Cfr. un.! 8281.3254,3265,8256. < 2 > Gio. Battista Taktaui,inj. < 3 ' Gli. u.» 82ò4. 14 — 15 MARZO 1636. 405 [3271-3272] industria e sollecitudine possibile di cominciar la stampa del suo libro, conforme che ultimamente gli ho avvisato, e che prosto glie ne scriverà qualcosa più avanti, o che per ora con allotto le bacia lo mani. Egli è stato da 25 giorni 20 in Ungheria. Alle settimane passate inviai al medesimo S. r Pieroni una di V. S. Eco. 1 "*, che mi favorì di mandare; e se mi comanderà intanto qualcosa, mi sarà fa¬ vore singolarissimo, facendole devotissima riverenza: e come io mi senta da poter arrivar sin costì da lei, non mancherò di venire a riverirla. Di Firenze, 14 Marzo 1635 (1) . 3272 . GALILEO a [ FULGENZIO MIOANZIO in Venezia]. Àreulri, 15 marzo ltìlit». Bibl. Marciana in Venezia. Coll. XLVII dolla Cl. X it., n.® 5. — Autografa. llev. mo P.re e mio Sig. r Col." 10 Io devo render grazie alla P. V. ltev. ma del non haver lasciato correr la circoscritta gran bestia u) da lei, per il tenero affetto che mostra in tutte le occasioni verso quel poco di reputazione che per ancora m’avanza appresso ’l mondo; ma nel resto, sì come dell’igno¬ rante vulgo io poco mi curo, così, che appresso gl’huomini sensati apparischino dì che lega siano i miei contradittori e persecutori, non è forse cosa del tutto abominanda. Adunque, mi dirà il P. Fulgenzio, non ti sarebbe rincresciuto che uscisse al mondo un libro infamato¬ lo rio della persona tua, con una licenza insignita del mio nome? Oh questo sì, che lo reputerei per la somma di tutte le note e macchie che potessero cadere sopra di me; onde io replico di tenermi a sommo favore et honore il potermi gloriare d’essere stimato degno della sua protezione. Ma quando per altra strada esca in luce quest’ operetta, sia certa che mi è per servire di trastullo e sollevamento, e che a’mia malevoli e invidiosi, tra i quali pur ve ne sono de’ non stolidi in tutto, non sia per dilettare interamente il vedermi staffilar con le code di volpe, dove il lor desiderio è di usare il dente di lupo, o di vipera ben sottile e acuto. Del gusto poi che io fussi per pren- 20 dermi nel leggere li 12 argomenti, me ne dà buona caparra quel O) ])i stilo li oro n ti no. <*> Cfr. n.° 82tiliu. 5. 406 15 MARZO 1636. [3272-3273] solo che la P. V. R ma me no accenna, che movendosi la sposa senza haver sopra chi appoggiarsi, cascherebbe ; quasi che il moto velocis¬ simo (per Popposito) non sia quello che vieta il cadere a gl’uccelli volanti, a i sassi scagliati e alle trottole de’ fanciulli. Ma non dicono i filosofi che la Q) e l’altro stelle non cascano, perchè la velocità del lor moto le trattiene? Oh che nobili postille! Speravo di j>oter con questo ordinario mandare uno de i com¬ passi {1> ; ma il maestro, oltre all’esser di nuovo stato ammalato, gli vuol dar finiti amendue insieme. Il non poter assistergli in persona cagiona di simili dilazioni ; pure mi vien referto che non manca se so non a segnarli. In Alemagna si attraversano varii impedimenti per la spedizione del mio negozio <2> , tra i quali uno è, che quello 1 ' 1 che si haveva preso l’assunto, sta in procinto di tornarsene qua alla patria. Io gli do¬ mando che mi rimandi quanto prima la copia, la quale mi vien do¬ mandata per mandarla in luce in Lione o in Parigi o in Olanda, tal che bisogna elio io mi raccomandi al tempo e alla vita, la quale da alcuni giorni in qua vo travagliando malinconicamente: se ben le cagioni della inquiete non sono delle gravissime, tuttavia l’esser molte mi molestano, et in somma convien dire e confessare : Tristi# io sene dm. Mantenga la P. Y. R. ma la mia nella sua quieto con conti¬ nuarmi la sua grazia: e con reverente affetto gli bacio le mani. Dalla mia carcere d’Arcetri, li 15 di Marzo 1635 ah Ine* Della P. Y. R. ,uu Dev. 1,10 et Obblig. mo Ser. ro (j. (ì. 3273 **. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 15 marzo 1686. JBibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 188-180 — Autografa. Molt’ IH.™ ot Ecc. mo Sig. r o Paone Oss. IBO Se tardi rispondo alla graziosa di V. S. molto 111.™, colpa ne è il non averla avuta se non ieri con le lettore di Genova. Il non soler io ricever lettore per Lett. 3272. 21. la P. — O) Cfr. il.» 3217. <*> Cfr. u.» 3223, lin. 5 o seg. ,#l Giovanni I’ikuom. 15 MARZO 1636. 407 [3273] la posta di Firenze fa elio non ci faccio cercare, e così hV so nc dormono i messi; o per ciò spero die il mio fallo troverà appresso la clemenza di V. S. molto 111.™ perdono. Scrissi per il Sig. r Chiaravilla a V. S. molto Ill. r0<1) inse¬ guito di una lettera che (lovea scriverlo il P. Rev. rao Castelli, acciò gliela pre¬ sentasse, e mandai la lettera ad esso P. Rov. m °, così avendo promesso al Sig. r Chiaravilla, che me n’avea richiesto: seguì poi che egli non partì di Roma, et io il P. Rev. n, ° non mancò di mandar a V. S. molto 111.™ la mia lettera, che le ha data occlusione di onorarmi di così compita c benigna risposta. Questo Sig. r Chiaravilla è un soldato franzese, intelligente delle lingue latina e greca, il quale, arrivato in Roma assai male in arnese, cominciò in Sapienza ad ascoltar lo lezzioni del P. Rev. ra0 , da cui essendo conosciuto lo ingegno perspicace di costui, non solo le insegnava in Sapienza ed in casa, ma lo sovveniva anche nel mantenerlo, non sapendo egli per altro dove dar della testa. Le lesse in poco tempo i sei primi di Euclide, lo introdusse da’ Padroni, o da ossi le fece far un donativo di 15 o 10 scudi; ed alla line, rivestitolo, lo mandava alla guerra in Lombardia, presentandolo al Duca di Parma, o per viaggio volo va. 20 che riverisse V. S. molto III.™ Occorse in questo mentre che l'Ambasciato!* w del Cristianissimo ebbe per bene di trattenerlo, a’ prieghi del P. Rev. mo , per in¬ segnar a’paggi di fortificazione; e così questo impedì il di lui viaggio, e sin ora lo si trattiene, se ben credo clic in breve vorrà eseguir il suo propoli ini mito ; c così verrà a riverir V. S. molto 111. 1-0 , ed io con quella commodità non man¬ cherò di farle similmente riverenza. Vivo mal sodisfatto di me medesimo, elio non posso sollevarmi dalla con¬ dizione del resto dolli huomini ; poiché so io ammiro le virtù di V. S. molto III.™, se la riverisco, se l’adoro, come io io, con tutto il cuore, non trascendo un sol ponto nò mi avvanzo sopra gli altri, perchè tutto il mondo fa il medesimo, so Consoli V. S. molto ILI.™ un suo umilissimo servitore col privilegiarlo di qualche coni mando, a line che, servendole, venga a far qualche cosa che ordinariamente non fanno tutti gli altri ; ed io pregherò N. S. elio, oltro il concederlo felici le prossime Santo Feste di Pasqua, oltre il liberarla da cotosta solitudine che ap¬ pella carcere, oltre il conservarla in Sua grazia, le conceda di viver sano tanti anni quanti viverà gloriosa la sua fama, quanti dureranno i bencficii che ha fatti al genere umano, e quanti si celebrerà per un miracolo di natura il Sig. r Galileo Galilei. I)i Roma, li 15 Marzo 1636. Di V. S. molto 111.™ od Ecc. m " ■io Umiliss. 0 ed Obbligat. 1 " 0 Serv. r0 S. r Galileo. Fior. Pier Batta Borghi. <0 Cfr. u.o 8249. < Sl L'II ANCKBOO DI NoAlt.MC». 408 21 MARZO 1630. L3274] 3274 *. FORT UN IO LI CETI u GALILEO in Firenze. Padova, ‘21 marzo 1G36. Blbl. NftR. Fir. Mas. «al., P. VI, T. XII, car. 221. - Autografa. Molto IH. 6 et Ecc. ra0 S. or , S. or mio P.ron Col."' 0 IL Castro (1 ' et altri mi ha con importuno scritture cavato dalla penna gli ultimi Dialoghi da me pubblicati, de’ quali volevo inviarne a V. S. Ecc. ma gli esemplari coll’occasione di mandarne al S. or Tuoti, libbraio in Firenze; ma tardando egli la risolutione di chiedergli, come si deve, non voglio più tardar io a compliro a questo inio debito. Vederti neH’^D//os (É) ch’io non ho fatto più quel solecismo di castro in luogo di dovere latinamente dir vervex, come altre volte C3> mi avisò; et nelle Trasformatiioni {A ' riceverli in grado il picciolo segno della mia grande osservanza con cui la riverisco nel Lupo cerviero (5) . Nel resto intendo che ’1 C.° di nuovo stampi la seconda parte dello sue io Questioni, molto più vituperosa della prima, havendole da questa il P. Inqui¬ sitore o ’l suo Vicario, por quanto mi viene scritto, cancellate molte cose laide et enormi. Io veramente non mi meraviglio di lui, sapendo elio dalla sua na¬ scita, educatone et religione non può venir cosa buona; ma resto stupido, et meco insieme ogn’huomo di senso, che li siano permesso di stampare cose tanto infami, et massime contro ’l S. or Guastavini w et me, clic siamo pure servidori di cotesto Altezze Sor.™*, alle quali giù io dedicai il mio volume J)e vita (lì et prestai nella mia gioventù, novo anni di servitù nello Studio di Pisa. Ma mi do a credere che S. A. S. non sia informata di questi particolari, ot. elio egli altra copia dia a rivedere alli superiori et altra a stampare al Sermartelli. Comunque 20 si sia, non se gli mancherà, di dovuta risposta toties quoties, scudo lui stato il primo provocatore e non dovendosi negar difesa al provocato, poi cho la difesa A de inre naturar. Sc.d de his luteicnus. *'l Stufano Rumimi v.v. i>k Castro. (*> Fortunii Liukti (ìGiiuensin, oco. Atho» per- fonava, sire Muriella eruditila in Criomixi quaeationra ile. alimento, occ. Patavii, typis Pauli Frambotti, MCCXXXYI. < 3 i Ofr. n. n 2250. Fortunii I.iokti fienuonsis, occ. TJliaaetapud Circen, aitie De quadruplici tranaformatione deque va¬ rie trana/ormutia lnminibua. Dialogus otliico-pliysicus. Titilli, «x typogrrapliia Nicolai Schiratti, MDCXXXVI. < 5 ’ Uliaaea apuil Circen occ., pag. 29: « Flecte nunc oculos ail silvani monti proximam, cernequo I.yncom maculosam, quasi sidora de caelo ad so traxo- rit in pelleui: is Etrnscus Matomaticus fuit, qui, visus aoie pollentissimus, inortalibus novi nostri prlinus ltaloruui dotoxit timi Stella» Medicncas circa Saturni glolnilnm Kyrantes, ot alias ili Nebnla Praosopis do- litescontes, ot plnrimas in albo (ìalaxie cnndicautos, tum asporitatos in corpore lunari, timi lumini» trans- formationos Cyuthiacas in astro Vonoris, tum solaros inaculas, tum alia mira ». *•* Giorno Guastavini. ,7) Devila libri tros Fortunii I,roKTi Gemicnsis, pliilosopbiae ac modicinae Doctoris, philosopliiam in Aead. Pisana profltontis. Seroniasimis Ferdinando ot, Christinae, Maquis Ducibu» Ktruriao. Genuao, ox typographia losepbi Pavonli, MUOVI. 21 — 31 marzo 1630. 40‘J [3274-3276] Ilo sentito con mio sommo contento dal S. ,,r Ronconi w che V. S. godi per¬ fetta sanità, et prego N. S. iddio gliela conceda ad multos annos. Con qual fine la saluto di tutto cuore. Pad/, 21 Marzo 1636. Di V. S. molto 111/ et Ecc. m * Sor/ 0 Aff. ,no Fortunio Liceti. CD Fuori : ÀI molto 111.™ et Ecc. mo S. or , S. 0 '' mio CoL‘“° Il S. or Galileo Galilei. Firenze. Con un involto. Scritture. 3275 *. MATTIA BERNEGGER a GIO. MICHELE L1NGELSHEIM [in Frankentbal]. [Strasburgol, 21 marzo 1636. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato «olla informazionu premossa al n.° 2613, car. 1771. — Minuta autografa. .... Galilaei Systema Copernicanum, una cum Apologetico nuper hie excuso, faxo habeas per nostrates, ad mercatum Francolurtanum itnros; vel potiua (ita conlido) praesens dabo praesenti.... 11 Mart.< 8 > 1636. 3276 ** NICCOLÒ FA Ulti DI PEIRESC a [MATTIA BERNEGGER in Strasburgo]. Aix, 31 marzo 1636. Kgl. Landeablbllotbek in Stuttgart. Cod. hist. Quart-Band 201 a., non cartolato. — Autografa. .... j’y regretterois le retardement des offres, que je vous faisois dez lors, de mon bumble sei-vice et de protestations de l’obligatiou que je vous ay uvee le public, de la peine que vous avez daiguó prendre a faire la versiop de ce bel ouvrage do Mona. Galilée, doni toute la posteritó vous sera si redevable. En tout cas vous aggréerez que je vous eu réitère les complimentz, comme je les faict a ceste heure très affecteueusement, et que je vous rende mes humbles graces d’un exemplaire que M. r Diodati m’en a desparty de votrc bou adveu, dont je vouldrois bien vous pouvoir rendre quelque digne revanche par mes Services.... Giovanni Ronconi. <*» Cfr. n.° 3058. G) Pi stilo giuliano. 410 31 MARZO — 4 APRILE 1030. 13277-32791 3277 **. NICCOLÒ FABRI HI PEIRESC a ELIA DIODAT1 in Parigi. Aix, 31 marzo 1030. BLbl. Méjanea in Alx. Mss. 201 (1022), car. 48. — Autografa. .... toufc cela (1) est pour le Service de la bibliotliòque du Card. Barberini*), »\ qui il faut. que jo donne eneore une atteinto tot ou tnrd pour notre boa vieillard vénérable, le 0/ (Ja- lilée: et sane les desordres domestiques, qui ont interrompu le cours do mea innocentes rechercbes et expórieuces ou celuy de mon repos d’esprit, j’en avois mie en inaili, capable de non» donner dea ouvortures non pareilles à ce charitable dessein; et n’en suis pas eneore hors d’espérance, si je puis trouver quelques expédient en ma cliotive affaire, qui me puiaae mettre hors de l’obligation de conlester à contro coeur, cornine je suis contraint de Taire.... 3278 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE in Parigi. [Leida, marzo I036J. Dal Tomo I, pag. 840-841, doli*opera citata nell* informazione promessa al n.° 2803. .... Mais i’ny employé à cecy toni, mon papier: il ne m’eu reste plus qne poni* vous diro, que pour exuminor les choses que Galileo dit de molli, il faudroit plus de temps que ie n’y en puis mettre à present.... 3279 *. CIO. MICHELE LINGELSHEIM a MATTIA BERNEGGER [in Strasburgo]. Frankeutlial, 4 aprile 1G3G. Dalla pag. 104 dell'opera citata noli’informazione premessa al n.° 2040. .... Imprimis aveo scire, quid in literis pares, et quid tiat de Galileanis, muli esem¬ planti distrahantur.... Francothaliae, 25 Martii <*> 163G. 1,1 Intendi, alcuni libri di cui il Pkikksc avova dato commissiono al Diuiuti. ** FuanoksOo Bakbkkini. ,a » Di stilo giuliano. [3280] 5 APRILE 1036. 411 3280 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 5 aprile 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. IV, T. IV, cnr. 108. — Autografo lo liu. 25-61 u partirò dalle pnrole Ma la vcdcrò presto. Molto 111.** et Eccoli." 10 Sig. r , Sig. r Col. rao Ilo consegnato all’ 111. 1 " 0 Sig. r Gio. Francesco Labia lire trecento trenta duo, che sono di ragione di Y. S. molto Ul. ro et Eccoli. ma , cento nonanta due delle pensioni riscosso, o cento quaranta della maturata alli 25 del passato, elio se bone l’Ansio non l’ha pagata, ho voluto trasmetterla con questa commodità; perché il Sig. r Labia, mio gran Signore, m’ha promosso farla sborsare non solo senza interresse, ma con ordino che lo sia contata in piastre fiorenti ne a lire novo, soldi sei Luna, conio qui corre il nostro scudo d’argento, et il fiorentino sino nove o meza. E che le pare dolla mia economia? Io la veggo ridoro di io questo frascherie. È capitata qui di Holanda la sfera Copernicana. Il Sig. r Nicolò Sagredo, nepote del Sig. r Gio. Francesco, di gloriosa memoria por la virtù di V. S., ne ha una, e questa mattina mi ha dato parola di mandarmela hoggi; o potrebbe farlo, chò ancor servo il tempo. Ma al conto che esso me no ha fatto, o egli non l’intendo nò sa maneggiare, o non è cosa di gran rilevo. Quella dell’Al- berghet.i li) da quanti è stata veduta, et in specie dal Sig. r Aproino, bora im¬ morso nei negotii per esser Vicario Capitolare di Treviso, è stata stimata molto bella: et in fatti egli fa girare nell’orbe annuo la terra, et in sò stessa nelle 24 bore, in modo che tenendo il polo sempre paralello a sè medesimo et alla 20 medesima dirrettione verso il cielo, elio si vedono vivamente variare le stag- gioni, i giorni e le notti, con tutte quelle osservationi che V. S. ha posto no i suoi Dialoghi; et in specie fa vedere ad oculum quello che veramente io non capivo bene delle apparenze delle macchie solari, con tutti quei accidenti che V. S. rappresenta: nessuna delle quali co[se], et se il Sig.'Sagredo m’ha ben informato, si vede in questa, tanto aspettata. Ma la vederò presto. Le mando la lettera por la rimessa del peculio. Il maestro dello poste qui mi dice, che se V. S. man darà le lettere col mezo del S. r Bocliineri, le haverò più a tempo e più sicure. Prego il Signore che la conservi, e le bacio le mani. Yen.*, 5 Aprile 1636. 30 Di V. S. molto HI “ et Ecc. n,a Dev. m0 Ser.° Ecc. m0 Galileo. F. Fulg. <" Cfr. n.» 3218. 41‘2 8 APRILE 163G. [3281] 3281 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 8 aprilo 1036. Bibl. No*. Fir. Mhb. (lai., P. VI, T. XII, cnr. 228. — Autografa. Molto III.'* ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. 1 " 0 Ricevei la gratissima sua por l’ordinario passato, insiemo con quella del Ser. mo GL Duca, che mi apportò molta consolatione, vedendo quanto babbi po¬ tuto la sua raccomandatione appresso detto Ser.® 0 ' 1 ’ Io ino ne sto ancora impedito do’ piedi, non sperando potermi rihavere sino al caldo; tuttavia vado a loggore allo scuoio, se beuo non altrimonte elio in carozza. Sono intorno per vodere di liavoro la lettura perpetua, por potermi ac- commodare di stanze in questo convento dove sto, elio ò malo in essere, di libri ot altro, prevalendomi dell’ occasione di essere stato chiamato costà., sì io come, oltre di lei, me no fece mottivo Mons. r nostro Vicelogato Ofr. u.“ 1970. **> Gio. Battista Gori Pannii.ixj. 8—12 APRILE 1636. 413 [3281-3283] poca esperienza che già dissi in picolo, come ho promesso. Fra tanto starò at¬ tendendo li suoi commandi, pregandole dal Signore compita sanità o longa vita. so Di Bologna, alli 8 Aprile 1636. Di V. S. molto lll. re et Eco. ma Oh." 10 o Dev.®° Scr. ro F. Bon. r * (Jav. ri Fuori : Al molto III.™ et Ecc. mo Sig. T e P.ron Col." 10 li Sig. r Galileo Galilei. Firenze. Ad Arcetri. 3282 *. GIO. MICHELE LINGELSHE1M a MATTIA BERNEGGER [in Strasburgo]. Frankeuthal, 10 aprilo 1G36. Dalla png. 107 doli’opera citata noli’informazione promossa al n.<* 2646. Lingelshemius Berneggero S. P. Decus meum, lngentes tibi gratias habeo prò Galilaeo tuo, qnem intogruni mihi Spira uiisit nepos nieus Mullerus. Totus iam sum in lectione adinirandi eius operi», quo in dies magia ma- gisque capior; et libi ingentes gratias publice deberi profiteor, quod tanto dono nos boaria. Sed autor ipse nihil adirne protulit, quo tuum studiuni et operam depraedicet. Quoties in votis cs mihi, ut tecum colloqui de iis quae minus asaequor poasira ! Sed et absque lioc creber mihi de te et virtutibus tuia sermo, et Kunigunda mea familiam tuam sincero amat. 0 quando meliora dabuntur tempora! Sed pax ref'ugere videtur, quam undiquo 10 futuram brevi iactant. Istis quas suggessisti meditationibus oblivionem nostrorum malorum indueo, et eventum turbarum istarmn Deo permitto. Is te tuamque totam familiam eon- sorvet ineolumes. Utinam occasio mihi pi-aebeatur factis oatendendi, quanti tuum hoc bc- neficium faciam. Francoth., pr. Cai. AprilisW 1636. 3283 . GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arcetri, 12 aprile 1636. Bll»l. Mavoinna in Venezia. Coll. XLV1I (lolla 01. X It., n.° 6. — Autografa. Rev. ra0 P.re e mio S. Col. mo Con la gratissima della P. Y. R. ma(2> ho ricevuto l’ordine delPIll. ra0 S. Labia al S. Mazzeo Mazzei: la ringrazio della sua provida econo¬ mi Di stilo giuliano. (»i Cfr. a.» 3280, Un. 2. 414 12 APRILE 163G. [3283-3284] mia, la quale, esercitata, come ella dice, in frascherie, mi assicura che ristesso farebbe in cose di gran rilevo. Quanto alla sfera d’Olanda, come anco dell'altra del S. Alber¬ ghetti (1) , ne vedrei volentieri un poco di disegno in carta, che, per mio parere, dovrà esser cosa assai semplice e di pochi cerchi. Non vorrei che la P. V. R. ma restassi senza ben capire la terribil conse¬ guenza al moto delle macchie solari. , 0 Ho proso estremo diletto nel sentire che ’l S. Niccolò Sagredo, ne- pote del mio Idolo, continui nelle curiosità dol zio, dalle quali l’Ecc. mo S. suo Padre più volte mi disse che non voleva che i suoi figliuoli si lasciassero sviare w . Duoimi in estremo del sinistro incontro del S. Aproino, non meri¬ tando un ingegno peregrino d’esser distratto dalle sue specolazioni. Il fahro do i compassi liaveva promesso darmegli finiti per oggi: hora si manda a scusare d’essere stato indisposto, e domanda dila¬ zione d’un’ altra settimana. 11 non potor io praticar la città cagiona queste proroghe. 20 Scrivo laconicamente, perchè ho molte lettere da rispondere e poca testa per scrivere. Mi scusi, e mi continui la sua buona grazia. D’Àrcetri, li 12 di Aprile 1636. Della P. V. lt. ma I)ev. mo et Ob. n, ° Ser. re G. G. 3284*. MAZZEO MÀZZEI » GALILEO in Arcetri. Firenzo, 12 aprilo 1630. Bibl. N"az. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 190. — Autogrill*. Molt’ lll. r0 S. r mio Oss. mo Mando a V. S. lo piastre 35 */a» che mi ha scritto il S. r Labia' 3 ’ di Venezia che le paghi a V. S., alla quale vorrei poter servirò in molte occasioni : e pre¬ gandola a darmene il modo, le bacio affettuosamente le mani. Di Fir. e , a’ 12 d*Aprile 1636. Di V. S. molt’ 111. 1 ® Ser. r Ob. mo Maz.° Mazzei. Fuori: Al molt’111. re S. r mio Oss. m ® il S. r Galileo Galilei. In villa. io <•* Cfr. nn.t 3218, 3280. i». Cfr. n.» 1472. [ 8286 ] 14 APRILE 1G3G. 415 3285 *. MATTIA BERNEGGER a ELIA DIODATT in Parigi. IStrasburgo], 14 aprile 10:46. Bibl. Civica di Amburgo. Codino citato nella informaziono promossa al n.° 2613, car. 178r. — Minuto autografa. Aolio Deodato, Lutetiam. Praefationes (l ) in Apologiam nostri Galilaei mitto. Pridem iti factum oportuit, fateor. Sud tempora videa: quae eadem fecerunt, ut, qnemadmoduui ad omnia alia studia fere languco, sic etiam in ambendo ad Robertini, hoc est tuam, cpistolam responso, auccessus voluntati non responderit: quanquam qoicquid do tanto viro dixeris, id infra meritimi sit futurum, noe aceessurum ad magnitudinem splendoremque falline. quam ipsis quae produxit syderibus aequaevam obtinebit. Oro, per occasionem, ipsum ex me reverentissimo aalut.es, atque etiam, nisi intempestivum aut importunimi videbitur, de promisso telescopio aurem 10 ei vellas, in quod coronatos ad 30 aut summum 40 paratus sum impendero, et ut prinium illud accepero, statini representare pretium. Apologiao 200 exemplaria, atque ita paullo plura quam petierat Peleus vester, mer- cator quidam nostras ad vos cu randa suscepit, quibus addidi quatuor alia chartne mun- dioris, quorum unum nobilissimo Marcscoto pal l i W cum perofficiosa salute nomine meo roveronter exbiberi velini, colera tuo arbitrati! dividantur. Si iudicaveris, magnimi illuni GrotiuraO) atenuitate munusculorum eiusmodi non abhorrerc, unum et ipsi dabis, eiusdem- que patrocinio et gratiae me commendabis. Elzeviriis misi Francofurlum exemplaria 300 Apologiae et 438 Systematia. Mercatus aatis frequens isthic iam futurus ereditili*. Typographua, qui utrninque librimi excudit, 20 impostura fraudibusque suis non exigumn damnum mihi intuìit: quod tamen in levi duco patieuterque fero, duminodo liono publico serviatur, et. Galilaei tuaeque voluntati (quorum favorem quantisvis opibus antepono) satisliat. Tubingenses avide expectant epicedia Parisiensium Scliiccardi amicorum, de quibus Kpem ipsis feceram; quae una expoctatio Parent.alium editionem (B > hactenua eat morata. Si respondero dignatus fueris, nolim mittas litteras ad Ioannem Solcourt, mercalorem no- atratem, qui et care vendit et tarde eas reddit. (quoniodo nuper tuas ante semestre scriptas demum reddidit; quauquam linee, ministrorum eius culpa, non ipsius, esse videtur), sed ad Petrum Tripponet, virum valde ofticioaum et bumammi, qui etiam Apologiae exemplaria transmitt.it. V. 80 4 Aprii.W 1636. (l ' 1.0 duo scritture elio pubblichiamo sotto i mi.* 8058, 3257. ,1 > Gooi.iRi.iin Pki.k: cfr. n.» 3114, Un. 24; n.» 3118, liti. 9. < S| Guai.iKi.uo Mahesodt. <*» l)ao tìuozio. < B > Ofr. n.° 8225, lin. 2. *°> Ili stile giuliuno. 416 15 APRILE 1636. [3286] 3286 *. PIETRO DE CAItCAVY a GALILEO in Firenze. Parigi, 1D aprile 163(5. Bibl. Naz. Fir. Mss. dal., P. VI, T. XII, car. 225. Autografa. Molto IU. B Sig/ mio, Pad.® mio Colenti. 0 Si l’essor pronto allo querele non desso indicio d’animo poco constante nol- l’amicitie, havorei elio dolermi di V. S., cho doppo havorli scritto quattro lot¬ terò non si sia degnata farmi risposta; che s’io stimassi così poco, corno mo¬ stra di stimar V. S., la nostra cognitiono, potrei nel medesimo siloncio, ch’ella in’ insegna, lasciarla estinguere et incineriro. Ma non volendo così tosto farmi quell’ iniuria, nè perder il merito do gli uffici e benefìci do’ quali è stata ac¬ compagnata sempre l’affettione mia verso di lei, son sforzato a querelarmi di questo sdendo, del quale, se ben non trovo scusa, sarò nondimeno più pronto a sentir contra me stesso od i pochi miei inoriti, cho contra di V. S. Nè perciò io intendo provocarla a giustilicatione, se non pregarla mi faccia quel favore di conservarmi nel petto : mentre l’aviserò cho sono alcuni giorni eh’ io sono in Parigi, dove pot’essoro cho si presenteranno maggiori occasioni por servirla. Si non si sdegna commandarmi, mi trovar A sempre prontissimo. Per ragion della stampa promessa da me 11 ’, aspetto i sui arisi. I sui Dia¬ loghi sono bellissime tradotti in lingua latina: se gli piace, n’ inviarò alquni exemplari. Mi faccia quolla gracia di mandarmi nuove d’i sui altri trattati, ciò è de moti t, le Questioni medianico (t> et gli altri trattati restanti. Como saprò dello coso di V. S., scriverò più largamente. In tanto baccio lo mani con ogni alletto e di cuoro. 20 Di Parigi, li 15 Aprii 1636. Di V. S. molto 111. 8 Devotiss. 0 e Osservantiss. 0 [...] De Carcavy. Fuori: Al molto 111. 0 Sig. mio Pad/ Coloml. 0 Il Sig. 1 Galileo Galilei, in Fiorenza. O) Cfr. u.° 8190. Cfr Voi. Il, pag. 155-190. [3287-8288] 18 — 19 APRILE 1G36. 417 3287 *. FORTUNIO LIGET1 a GALILEO in Àrcetri. Padova, 18 aprile 1G36. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 227. — Autografa. Molto 111." et Ecc. n '° S. or mio Osa. mo La gran frotta di’ io bobbi noi comporre quo’ Dialoghi, temendo di non poterli publicaro in vita, del C.° ll) , eh’ io sapevo essere decrepito, fu cagione che si facesse l’equivoco da Giove a Saturno in proposito delle Stelle Medicee t2 ' ; che forse sani, causa che colui faccia sopra di ciò qualche grande schiamazzo, di che però poco mi curo. Ho caro che V. S. approvi lo mie risposte nel resto. Mi sarà gratia, se non le torna scommodo, si degni communicarmi le os- scrvationi che barerà fatto delle due ultime ecclissi lunari, seguito l’Agosto del¬ l’anno passato et alli 20 Febraio del corrente, con darmene particolare rag- io guaglio, ciò è con qual sorte d’istrumento havorà preso l’altezza di qualche stella per determinatione dell* bore, se haverà, per notar le phasi della luna, adope¬ rato il telescopio o pure l’occhio nudo, se si sarà servita del destro o dell’oc¬ chio sinistro, se haverà liavuto occasione di dubitare della certezza di qualche epocha o momento, et altre minutie: che di tutto lo resterò con obligo parti¬ colare. Nè occorrendomi altro per bora, le bacio le mani. Pad. 8 , 18 Ap.'° 1636. Di Y. S. molto 111. 0 et Ecc. ma Aff. m0 Ser Fort.' 0 Liceti. Fuori : Al molto HI." et Ecc. mn S. or mio Oss. uo 20 11 S. 0T Galileo Galilei. R. u al S. or Giovanni Ronconi. Fiorenza, per Àrcetri. 3288 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Àrcetri. Roma, 19 aprile 1G3G. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 192. — Autografa. Molto 111." ed Eoe. 100 Sig. r0 e P.ron Col. mo Io tardava a scrivere a V. S. molto 111." od Ecc." 18 su la speranza di qual¬ che cosa di buono intorno a’ suoi interessi, ne’ quali l’Ecc.“° Sig. r Ambasciatore Lett. 3287. 8. publieari — i‘) Stkfako Rodrkiubz i>r Cast ho. Cfr. n.° 3274, nota alla lin. 9. 418 19 APRILE 163fi. [51288] di Francia' 11 preme ancora; ma è necessario procedere con gran destrezza per non l'aro di peggio. Io aspetto una buona congiontura di ossore con TEm.™ 0 Sig. T Card. 1 Antonio 121 per un suo servizio, e trattarò ancora di quello di V. S. ; o credami che preme molto più a me che a lei, perchè io non ho consolazione nessuna, ma V. 8. si sa consolare con la grandezza dell’animo o con la buona conscienza. Vedrò il Sig. r Raffaello (3) , e farò l’ambasciata che olla mi comanda, come io ancora con il Sig. r Borghi 141 , che vivo tutto tutto suo. Devo poi sapore che il Sig. r Raffaello, con l’occasione della lezzione 1 ®', è stato honorato da Nostro Signore del breve di Scrittore della Biblioteca Vaticana, elio li ronderà 200 V di l’anno, o camina per la buona. Quest’anno ho frequentata assaissimo la Sapienza, o sentito gran gusto di un dottoro Bolognese, che legge filosofia straordinaria (al , e spesso spesso fa lez- zioni dottissime e sottilissimo contro l’opinione del Copernico, ripiene di saldis¬ simo dimostrazioni geometriclie, con fondamenti e principii saldi, do’ quali no dirò uno che ho tenuto a mento, riferitomi da un mio scolare, non potendo io ritrovarmi presento alle lezzioni. Il fondamento ò, che il solo sta noi primo 20 mobile come un chiodo nella ruota dol carro, dal quale fondamento poi viene manifestamente convinta l’opinione del Copernico, o si risponde facilissimamente a molti argomenti in contrario : e così va ! Noi resto vivo sempre di V. S., e la prego se mi potesse faro liavoro una copia del libro dell’uso dol compasso geometrico 111 , cho mi sarebbe carissima. M’ero scordato dirli che sono sul maneggio di comprare una gran mano di libri Delle macchio solari <8) , cho si ritrovano appresso corti religiosi, o li pa- garò poco più che a poso, perchè quei Padri non intendono altro cho il peso. Di quollo seguirà gli ne darò parto, e li fo riverenza. Roma, il 19 d’Aprilo 1636. so Di V. S. molto 111." ed Ecc. m * Devotiss. 0 e Oblig. mo Ser." e Bis. 10 S. r Gal. 0 Galilei. Don Boned. 0 Castelli. Fuori : Al molto 111." ed Ecc. mo Sig. re e P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di 8. A. Ser. mB Firenze, in Arcetri. 0> Cfr. n.° 3244. Antonio Bakbeui.ni. **> Raffaello Magiotti. <*> Pisa Battista Bob ohi. <*> Cfr n.o 3294. Giacomo Aooabisi. Gì Cfr. Voi. If. pag. 865-424. <»> Cfr. Voi. V, pag. 71-249. 19 APRILE 1036. 419 3289. GIOVANNI P1ERONI a GALILEO [in ArcetriJ. Vienna, 19 aprile ìGìlti. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 194. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc."' 0 Sig. re P.rone Oas. mo Resto infinitamente obligat.o a V. S. Ecc. ma de’ favori e gratie che mi lia fatto. Intanto perchè il negotio della mia licenza va diilicultandosi et almeno allungandosi, vorrei pur vedere di ricever l’onoro di servirla in quello che tanto lio desiderato. Per questo sono stato in Moravia dal Sig. r Card. 10 Dietristain ll) , quale vuol favorirmi por l’impressione con ogni sua gratin. Ha una stampa tutta nuova e copiosa o bella, ovo manca però le persone, le quali è por for¬ mar qui in pochi giorni, che sarà. S. S. Em. D1R qui di presenza. So io vedrò la sollecitudine et adempimento di tutto, per cominciar subito, darò principio; e io si attenderà con ogni diligenza, et io assisterò al principio, e correggerò tutto con quanta diligenza potrò mai : ma se vedrò che il negozio prendesse forma di lunghezza, rimanderò a V. S. la sua opera, conforme che per la sua corte¬ sissima mi ordina. Intanto vegga V. S. una mostra delle stampe delle figure (2) , se gli piacciono, ancorché le desideravo meglio fatto e che l’intagliatore non havessi errato nel¬ l’ordine di alcune ; e se vuole che siano rifatte meglio, mi faccia gratin di av¬ visarmene. E resto facendoli humilissima reverenza. Di Vienna, li 19 Aprile 1636. Di V. S. molto 111.™ et Eco. 11114 Dovot. m ° et Oblig. mo Ser. w 20 Giovanni Pieroni. V. S. favorisca voltar la carta w . Da un principe italiano mi è stato dato questi giorni un libro: Difesa del Chiaramonli dalle oppositioni ai suo Antiticone {i ‘. Desidero sapere da V. S. se sia stato stimato o fatto degno di replica. Io lo scorgo per gran goffo, benché non 1’ ho ancora veduto tutto ; e mi maraviglio come si conceda le stampe o le dedicatami a tali opere, o come non sia subito subito dannato, come di pos- (*> Cfr. un.* 3253, 8261. zionale di Fironzo Banco li ari, A. 6, p. 8, n. 13, dol <*> Una prova dello stampo dolio figuro rola- quale cfr. Voi. Vili, pag. 20. tivo allo primo duo Giornate dei Dialoghi delle Muove <*) Fin qui 6 scritto sul recto, il resto ò sul tergo. Oriente ò in priucipio dol codice della Biblioteca Nti- <*) Cfr. n.° 2826. 420 19 APRILE 1636. [3289-3200] sima occupazione. Non ho rAntiticone 11 ’, nè quelle osservatami di quelli autori; però non saprei che dire a quei suoi calculi, dove vuol per forza che V. S. non sappia la 32 del primo. Leggendolo por causa di chi me 1* ha dato (che credo mandatoli da esso so per intondore l’applauso che ha in Germania), non mi so contenere da scriver in postilla certe esclamationi o risposte, che forse alcuna ne sentirà egli ancora. Così mi son state mostrate certo conclusioni dell’anno 1633 (aie) in Praga Le celeri et tardo nature et armorum di un Casparo Alexio Francq Silosio 1 * 1 , pre¬ side R. P. Thcodoro Mordo , Soc. lesti , nelle quali il teorema 18 in fine dice: Audax proinde nimiaque caecìtas est recentis , ex nescio qua Academia, impiique Lyncei, qmmvis ad rationis et ocidorum iudicia appdlantis, tollentisqne ab homo- geneis gravibus omnern in celeritate diversitatem. Mi par di capire la sua igno¬ ranza o ostinazione, ma non capisco perché l’ingiurioso titolo d’impio etc. 3290 . LADISLAO IV, Re di Poloniu, a GALILEO in Firenze. Vilna, 19 aprile 1036. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. I, T. XIV, car. 217. — Autografa la firma. Vladislao quarto, Ito di Polonia o Svetia etc. Nobile nostro Afiett. 1 " A ragione si conquistano l’affottiono de’ Principi quelli che godono il pri¬ vilegio di virtù. Ella, che por singolarità di scienze si è resa chiara al mondo, fra molti che Pani mirano ritrova in Noi stima che corrisponde al suo valore. E perchè vive anco con noi volontà di favorirla con piena dimostratione della gratia Nostra in ogni sua occorrenza, mossi da questo, la richiediamo a com¬ piacerci di due o tre para di vetri dello suo prospettive, poiché quelli de’quali ci sodisfece già hoggimai venti anni sono, e ci pervennero in Moscovia (8, } acci¬ dentalmente per le contingenze do’ viaggi ci sono mancati. Desideriamo che io siano di quei proprii de’ quali ella istessa si vale, perchè quelli saranno da Noi <*> Cfr. n.o 1671. '*> PrajioHÌtionet mathematica* de celeri et tnnlo naturile et armorum, demonstraudae in Caesarea Ue- giaquo Univorsitato Pragonsi a D. Gahparo àlkxio Franoq, nobili Silosio Wurtenborgensi. Praesido 11. P. Theodor» Morato, Sociotatis Iesu, Art. etPhil. Mag. au MathoseoB in «adoni Uuirorsitate Professore, mino 1036, inonso Aug. (senza luogo di stampa). 131 Cfr. Re la tinnì di Galileo Galilei colla Polonia, esposte, secondo i documenti por la maggior parte non pubblicati, dal doti. Arturo Woj.ynbki (Are* imo .Storico Italiano. Serio terza, Tomo XVII, pag. 90-91). Firenze, tip. di Al. Collini e 0., 1872. [3290-32911 19 - 24 aprile 1636. 421 stimati, apprezzando forse sovra ogn’altro il suo chiaro valore. Vagliasi nel ri¬ manente (lei Nostro favore nello cose sue, chè lo troverà sempre, e Dio la contenti. Vilna, li 19 di Aprile 1636. Fuori: Al Nobile nostro Alfett. tt0 Galileo Galilei. Fiorenza. 3291 **. GIOVANNI DEL RICCO a GALILEO in Arcetri. Firenze, 21 aprilo 1636. Autogrrafoteca Morrison in Londra. — AutoRrafa. Molto 111.” et Ecc. mo S. r mio P.ron Col." 10 Il S. r Capitano Fioroni (1) mi scrivo quosta settimana che è tornato di Moravia, et ha trovato che il S. r segretario dell’ Imbasciata (2) , havendo havuto ordino dal Ser. m0 Granduca di far instanze a S. M. Cesarea, quella gli havesse risposto cho ne desse memoriale ; il quale dato, gli fu detto cho facesse motto al S. r Conte Slich per la risposta, la quale non poteva bavere so non il giorno dopo fatto lo spaccio, fu alli 5 di questo : e mi sogghigno che con la prossima settimana manderà a V. S. Ecc. mR la mostra degli intagli delle figure in acqua forte, che ha fatte faro per il suo libro là in quel paese, non possendo con questo per io essere occupatissimo per S. M. u et essere sul levare delle tre la partenza delle lettere per Italia. Ho volsuto darlene parte, affinchè V. S. Ecc. mB sappia quello passa; et con la prossima penso che sia per bavere di lui pieno ragguaglio. A V. S. Eoc." m bacio lo mani per fine con ogni affetto. Dall’officio delle Farine, li 24 di Aprile 1636. Di V. S. molto 111.” et Eoe.' 1 " 1 Devotiss. 0 et Aft'. mo Ser.™ Gio. Del Ricco. Fuori-: Al molto Ul. r0 et Ecc. m0 S. r0 mio P.ron Col. ,no Il S. r Galileo Galilei. In villa. 0> Giovanni Pikkoni. <*> Cfr. n.“ 3271, lin. 0. 422 30 Al’HlLE 1636. [3292] 8292 *. VINCENZIO GALILEI a (GALILEO in Arretri]. Kireuxt , 1 80 aprile 168 fì Bibl. Nae. Fir. Mss. 0*1.. Nuoti Acquieti, n." 4 b — Auu>irr*ra. Alla lettera facciamo seguirò una scrittura di Gamico, relativa alln lite di coi pari» Vi»cmh«: arritt...» cho ni leggo, autografa, su l di fuori dolla lettera stessa. In calce a quest* scrittura \ixckx*io Oauui notò: « Dal G. circa la lite col Taccoll fabbro » Caria*. -0 Sig. T Padre Osa. -0 Sarò di nuovo col Sig. r (Ieri per conto dello mortadelle, et avanti sabato l’avviserò di quel che occorre. Feci vedere la Bua scrittura all'Assessore, quale persisto in dar il torto a V. S., fondandosi insomma in su quella parola della scritta del riservo dd do¬ minio. Mi ha detto ch’io lo faccia vedere a qualeh’altro dottore: elio se sarà del suo parere, esorta V. S. all’accordo; quanto elio no, dico elio studierà la causa secondo l’obbiezaoni che gli saranno mosse. Gli dissi ancora del manca¬ mento di M. ro Agostino 1 per non haver procurata la licenza da’ Novo di con¬ venirla. Mi ha risposto, conformo cho li scrissi, elio sarà nullo tutto il fatto io sin qui, ma per questo non starà che M. ro Agostino, havendo ragioni, non ri- cominci la lite da capo. Tornerò da lui, e gli dirò cho ò stato parlato a V. S. dell’accordo; e gli avviserò quel che ne cavo. La Sestilia dice che non ha pattuita la tela; ma può esser che la Madro badessa, che gli ha proposta la t<- itera, habbia lei fatto il patto, che V. S. so ne potrà informare, e piacendoli, ]>otrà mandarli i quattrini; et harà caro che la tela s’imbianchi e curi costà su, già cho qua non ci è la comodità. E con questo li baciamo amendue le mani. Di casa, li 30 Aprile 1636. Di V. S. molto 11L" Aff“° Figliuolo 20 Vino. 0 Galilei. Agostino per qual cagione, non ricercato da me, mentre io cerco ri’esser rimborsato da gPeredi di Cosimo ‘, s’intromette a impedirmi il mio progresso con offerirsi pagatore? et havendo l’incudine in mano por molti giorni avanti la sua obbligazione, perchè non esa- Lett. 8292. 16. % quattri; et tari — Abbinino inutilmente rlcerc*to. in vario M> <’ Annsvixo Taccili. rie deU’Archivio ili Stato Fiorentino, documenti rho 1,1 Cottilo Taocqu. potassero riferirsi all» liU* «II» quale si accenti* qui. / 30 APRILE — 2 MAGGIO 1G3G. 423 [3292-3293] minò le sue imperfezzioni, note ad esso che è della professione? e so questa iu sua negligenza e trascuraggine, per qual ragione vorrà il giudice, con mio scapito, scusarla e stimarla non progiudiziale alle ragioni d’Agostino, e non vorrà scusare l’errore di chi distese la so scrittura, il quale errore da me, alienissimo dal poterlo o doverlo conoscere, dovrà non mi essere scusato ? Si perdonerà dunque ad un fabbro il non haver conosciuto un difetto in un’ incudine, liauta per molti giorni in bottega sua, e non si scuserà in me un non haver conosciuto per errato un termine legale, alieno dalla mia professione, e posto inavvertentemente da un dottor di legge, e da me in un momento di tempo sentito solamente leggere ? Ditemi, Sig. giudice, se un errore commesso deve risultare in danno di chi lo cornette, o pur di chi non ve n’ ha colpa? se di chi lo com¬ mette, adunque deve patirne lo scrittore; ma se deve patirne l’in- 40 nocente, adunque le povere vedove e i poveri pupilli stanno freschi, se, contro all’ impossibile, non si rendono più intelligenti d’ogni procuratore e d’ogni avvocato. Ditemi, S. giudice, se in quella scrittura non si fusse messo il riservo dd dominio, non er’ella chiarissima a mio favore? certo sì. Come dunque volete mostrar di non conoscere elio quella particola fu posta per ignoranza mia, et anco dello scrittore ? vorrete voi dire che per mia elezzione e consenso mi sia voluto tanto gravemente progiudicare? L’agitar dunque delle cause non sarà un cercare il ior merito per ragione, ma un giocare come a scacchi, dove l’accennare co un pezzo ti fa perdere la partita, per altro manifestamente vinta? 8293 *. NICCOLÒ CTAMPOLI a [GALILEO in Arcetri]. Firenze, 2 maggio 163G. Bibl. Nasi. Flr. Mss. Gal.. P. I, T. XI, car. 196-197. — Autografa. Molt’ 111/ 6 et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Oss. 100 So che martedì passato il Granduca e li Ser. rai Principi si fermorno tanto poco al Poggio Imperiale, e furono tanto occupati, che V. S. Ecc.“ a non haverà havuto tempo di suggerire cosa alcuna in mia raccomandatione. Hor perchè sento che lor AA. vi torneranno presto, io, con l’istessa conlidenza con la qualo 38 - 89 . commette, adun deve — 424 2 — 3 MAGGIO 1636. [3293-3204] venni in persona ad infastidirla delli suoi offici amorevoli, torno con la pre¬ sente a replicarli il tutto. Siamo nell’ istesso grado d’irresolutiono o di conti¬ nuate amorevoli dimostrationi verso di me del Granduca e dol Sig. r Principe Leopoldo, perchè con titolo di Teologo di S. A. S. io vadia a leggerli a Siena, o sia anco Segretario delle lotterò latine, o serva allo Studio di S. A. o in tutto io quello elio lo farà di bisogno. Il §jjg. r Principe m’ ha detto che non ha fermato nè dato intendono a nessuno, e mostra affettuosa e cortese indinatione alla persona mia. Il Granduca m’ha detto elio mi risolverà di questa settimana, o che dall’ esperienze fatto si vede che io son fratello di Mons. r C. (i ’ Ilo rin- frcscliato con il Sig. r0 Iacopo Soldani o con il Sig. r Panciatichi suo genero la professione di riverentissima dopendenza et osservanza dal patrocinio o bene¬ placito loro; o trovando assai maggior intentarne et indinatione no’Padroni elio ne’ servitori, ho detto espressamente al Granduca et al Sig. r Principe, che so questa risolutione s’ ha da mettere in nogotio, assicurino quei Signori che io stmo homo quietissimo, da non m’intrigar mai di cosa nessuna fuor dello Stu- 20 dio, et in quello ot in ogn’altra cosa concernente questa servitù dependorò sin¬ ceramente dalla loro diretione. Stamattina il Sig. r Residente di Venetia Piorfrancesco 13 ’ Rinuccini mi dice, haver inteso che io I 10 gran parto nolla benevolenza di lor AA. per quest’im¬ piego, e che non c’ è altri concorrenti elio il P. Albritio Gicsuita, che, per esser vecchio e non poter piè lo fatiche della predica, vorrebbe questo trattenimento. Conialo nolla protetiono et offici efficacissimi «li V. S. Ecc. m ": però di nuovo la prego a favorirmi di raccomandarmi al Granduca et al Sig. r Principe, as¬ sicurandoli che li servirò con ogni squisita diligenza. Et a V. S. bacio le mani. Firenze, 2 Mag.° 1636. so Di V. S. raolt’ 111.” et Ecc. m * Dev. m0 Ser.” ot 01>l. mo Fra Niccolò Ciampoli. 3294 . RAFFAELLO MAGI OTTI « GALILEO in Firenze. Roma, 3 maggio 1636. Bibl. Nar, Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 229. - Autografa. Molto 111.” et Ecc.““ Sig. r mio S. Hieri appunto nell’anticamera del Sig. r Card. Barberino" il P. Abbate no¬ stro mi disse haver da farmi una racemoandationo da parte di Y. S. Eoc. uia , seben por all’ora non si trovava la lettera in tasca, quale per altro desiderava <’> Giovanni Cumpou. **' Niccolo Panciatichi. ,fl Era « FRANCKBrn » e non « Pikkkiunoksco ». l k i Antonio Hauhkkini. 3 MAGGIO 1636. 425 [3294] farmi vedere. Quand’ hoggi io 1’ ho letta, e che doppo le molte lode date sopra ogni merito a quella mia letione (1 ', io trovo nel fine qualche poca di querela, mi s’è quasi addiacciato il coro; e doppo un lungo pensare m’è sovvenuta quella postilla: In Rosa Ursina sunt ad salietalcm haec omnia. Sappia V. S. che quosta e l’altre postille ancora sono state da me postovi doppo per neces- ìo sità, non per eletione. Alcuni sacelli di carboni, elio furono all’Accademia, per sgradir le coso mio, messero in compromesso le macchie solari; et io foci quella postilla per convincergli con quello che è stampato et approvato da loro me¬ desimi, non già eh’ io intenda di preferirgli nell’ inventione di dette macchie, nè mono nelle salde demostrationi, quali io ho vedute nelle Lettere di V. S. E. ma scritte al Sig. r Volsero (2 '. Pur se questa cosetta si stamperà, come credo, io muterò la postilla; et in altro tempo, so Dio mi darà vita, mostrerò con miglior occasiono la stima eh’ io fo dell’ inventioni di V. S. e dell’obligo infinito eli’ io professo d’havergli. Haverei ben caro che se altra cosa le dispiace in que¬ sta letione, nella quale molte cose non son dette con quel senso ch’elle suo- 20 nano, mi facessi gratia d’avvisarmelo, assicurandosi eh’ io son docile nell’esser corretto. Così verrò io a migliorar la letione, ad imparare, et accertarmi di non bavere scapitato della sua gratia. S’io gli contassi l’obietione fattemi in¬ torno al Vallcsio 13 ', son certo che ella ni* Laverebbe compassione. Dirò solo cbe m’è convenuto mettervi la postilla con quelli versi exametri e pentametri per haver il maggioringo dalla mia. V’aggiunsi finalmente quell’epigramma greco por mera collera; o quelle parole che in latino suonano Pervicaci non persiiu- debo , son contro quel gazzcrrone ben grasso e grosso ; e credevo una volta d’ havormi a dichiarare, ma pationza. Accetti V. S. queste mie difese, che ven¬ gono esposto senza rettoriclie, ma con sincerità di core, so Qua sono arrivati dua globi, quasi di 5 palmi di diametro, con tutt’ il si¬ stema Copernicano, et uno ne sarà donato al Sig. r Card. Barberino : io desidero vederlo meglio per gusto. Potrei dargli nuova che per me è spedito un breve di scrittoria nella Vaticana 14 ’, ma per ancora non ho havuto il possesso ; però a suo tempo no farò parto a V. S. E. 1 " 11 , alla quale per infinite volte mi racco¬ mando, e prego da Nostro Signore Dio ogni maggior contento. Roma, il di 3 Maggio 1636. Di V. S. molto 111.” et Eco. ma Aff. n, ° et Oblig. mo Servitore Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto IH.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio 0ol. mo •io il Sig/ Galileo Galilei. Fiorenza. <«> Cfr. n.o 8288, lin 12. <*> Cfr. il.® 8288, lin. 2(3-27. XVI. |S| Francesco Yalt.es. <*> Cfr. u.o 8288, liu. 12-13. 54 426 8 — 6 MAGGIO 1686. 18296-8296] 3295*. GHERARDO SARACINI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 8 maggio 1680. Bibl. E«t. In Modenn. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXV1II, n.° 171. — Autografa. Molt’ Ill. re et Ecc S. r P.ron Oss. mo IL S. r Dino Peri è stimato da me singolarmente per l’eccesso dol suo in¬ gegno o della virtù sua. Per quosto capo liavrò por fortuna il poterlo servire. Non so già come io potrò adempire l’obligo cho m’impone P umanissima lettera di V. S. Ecc. raB , la quale è di morito incomparabile et ha assoluto imperio sopra la mia volontà. Non posso dirli altro, so non cho lo servirò con tutto il cuore, o che mi dispiace di non liavor forze e talenti eguali al debito et al desiderio ardentissimo che ho di ossoguiro i comandamonti di V. S., che mi raccomanda così degno soggetto. Ma olla, che ò di somma benignità, so cho s’ appagherà dol- P animo mio. Lo mando aggiunto il mandato 111 , e la riverisco affettuosamente, io Pisa, 3 Maggio 1636. Di V. S. molto Hl. ra ot Ecc.' na Sor.® Obl. mo Gherardo Saracini. Non ho sottoscritto iL inandato, perchè in caso che andasse in sinistro non ci sia fotta la burla. 3296*. BENEDETTO CASTELLI u GALILEO in Firenze. . Roma, 0 maggio 1636. Bibl. Nass. Fir. Mhr. (lai., P. 1, T. XI, car. 202. — Autografa. Molto lll. ro ed Ecc.“° Sig. re e P.ron Col."*® Con l’occasiono dol gontilhuomo Francese latore della presente, vengo a far riverenza a V. S. molto 111.” ed Ecc. mft , e dargli nova ilei mio ben essere di sanità ; e spero in Dio il simile sia di V. S. 11 nostro Ecc. mo Sig.™ Ambasciatore di Francia li vive svisceratissimo, o sta sempre fisso in volerla servirò 21 , ma aspetta congiuntura buona por non gua¬ stare ; e mi creda, per sua consolazione o por la verità, che qua con questo Signore e con altri si parla di V. S. con ogni maggiore honore, ed io non havorù • '> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, b), liu. 2tìy-305. <*> Cfr. mi. 1 nell, 3288. [3290-32971 6 MAGGIO 1636. 427 mai bene sin tanto che non la veda sollevata affatto da quella poca di affli¬ lo zione che resta. Il nostro Sig. 1 ' Raffaello Magiotti ha vista la lettera di V. S., e credo clic a questa bora li haverà scritto (1> . Qua in Roma sono comparse duo sforo Copernicane. Io non le ho viste, ma intendo elio è cosa bellissima; c credo ohe ne sarà data una all’Em. rao Sig. r Card. 1 Barberino, e forai la vedrò. Il Sig. r Ambasciatore poi mio Signore desi- derarebbe un compasso geometrico di V. S., ma che fosso più grande il doppio di quelli che già faceva in Padova il Mazoleni (2) ; e parimente vorrebbe un li¬ bro per l’uso di osso compasso: per tanto prego V. S. a laro questo favore a S. Ecc. ra , chè della spesa io rimetterò il danaro in Firenze, come olla m’ordinarà. 20 La mercanzia poi delli libri Delle macchie solari 13 non è ancora conclusa, perchè quei buoni Padri che li hanno nello mani, gran parte n’ hanno guasti, o li altri sono senza le figure delle macchie, e di più si sono alzati di preten¬ sione, talché io vado soprasedendo. Altro non m’occorre, so non raccomandarli il latore della presente, che desidera conoscere V. S. Ilice.""* e trattare con lei: e con questo li fo riverenza. Roma, il 6 di Maggio 1636. I)i V. S. molto III.” ed Ecc. m! * I nostri Padri della Religione mi hanno levato il titolo di Abbate di Zara, o fattomi Abbate di Ve- 8o rena: però restarò in Roma sino che piace a S. D. M. Dovotiss. 0 e Oblig. mo Sor.” e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. Fuori, (Vultra mano: Al molto 111.” et. Ecc. mo S. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei, primo Filosofo di S. A. Ser. ma Firenze. 3297. BONAVENTURA CAVA 1.1 Filiti a GALILEO iu Firenze. Bologna, lì maggio 1036. Uibl. Nnz. Fir. Mss. Gal.. P. I, T. XI, cnr. 200. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. m ° Io ho scritto già un’altra mia in risposta a quella di V. S. Eoo. ma , nella quale mi accennava di quelle mortadelle che desiderava; ma perchè non ho <•' Cfr. li." 8291. Gl Cfr. Voi. XIX, Doc. XIII, a, I). Cfr. u.* 8288. 428 6 MAGGIO 1630. [3297] visto sua risposta, ho dubitato non sia andata a malo, massimo elio non rin¬ viai al convento nostro, corno soglio. Di nuovo li dico elio son pronto a ser¬ virla quando mi oommanderà. Li dicevo anco ciò elio mi era sovvenuto circa la forma do’ duoi spocchi, che mi accenna. Elia già sentì il mio pensiero : havrei caro mi dicesse so stima riuscii >ile l'effetto con uno specchio solo, conforme cho io li scrissi (1) . Non ho per anco potuto metter le mani in pasta por vederne qualche prova anco in picolo, sì perchè non si può haver costrutto d’operarii io cho voglino havorvi pazienza, essendo tuttavia questi di poca prattica, sì anco por esser io impedito do’ piedi, cho non posso uscir por anco a piedi, e poi per essoro disturbato per disgusti; poiché in somma non posso ottonero da quel Padre Teatino, benché me li sia burnii iato con scriverli o chiederliene gratia, cho voglia farmi levar quel frate che li scrissi 21 . Vi s’è aggiunta nuova causa: che esso frato fu preso cho ragionava con una sua parochiana su la porta ; fu preso, dico, da’ birri, o mi dano la colpa cho l’babbi fatto pigliar io, che ne sono innocentissimo, nè havrei fatto tal cosa, non mi tornando conto l’aquistar tal nome. Ma perchè il bargello, per iscusarsi, disso che era ordino del suo superiore del frate, cioè di me, limino sentito questo con molto gusto, benché 20 conoschino esser ciò molto improbabile, li suoi partigiani, per servirsene contro di me appresso il P. Teatino, perchè mi conciti maggiormente contro l’Em.“° Aldobrandini nostro protettore, o perchè io non babbi questo gusto che sia le¬ vato di qua, havondomi apunto scritto osso Padre Teatino cho il Sig. r Cardinale non lo voi levare, o massimo dice perchè ciò sarebbe un dar tara al frato cho fosso colpevole, mentre egli si è giustificato et ha mostrato in quel fatto la sua innocenza : la qual ragiono è ben buona por esso frato, ma ad ogni modo mi dovria almeno dare speranza di farlo con un poco di tempo, il che non sento che me lo prometta. Sì che essendosi per questo sospetto maggiormonte cre¬ sciuti i disgusti, e di più volendo cho faci la cura in facia mia senza rendermi so un’obedieuza al mondo, veda so ho cagione di stare disgustato. Havrò patienza sin che a Dio piacerà: fra tanto la prego a scusarmi e continuarmi la sua buona gratia. Di Bologna, alli 6 Maggio 1636. Di V. S. molto ili/® et Eec. ram Ob. mo Sor/® F. lion/* Cav/ 1 Fuori: Al molto 111/® et Ecc. mo Sig/ e P.ron Col." 10 il Sig/ rial. 00 Gal.®' Fiorenza. Cfr. u.o 8270, liti. 69-60. Ut Off. n.° Un. 1«; n.» 8270, Jiu. 21-22. [3298-8299] G — 10 MAGGIO 1036. 429 3298 . FRANCESCO DI NOAILLES a GALILEO [in Arcetri]. Koma, 6 maggio 1036. Blbl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 11)8. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111/ 0 Sig/° La stima eli’ io fo della persona di V. S. e del suo merito o l’affettione clic ie porto, congiunta con l’obligo elio le devo, posson ben farla certa quanto mi prema il servirla, et di’ io non perda la memoria di quanto ella da me desi¬ dera o confida nclli officii miei presso S. S. tfl (1) ; al che sin bora Laverei dato assai principio, quando havessi trovato la congiuntura buona: chò per la più sicura, et a ciò il negocio sia riuscibile, ho giudicato prima trattarne con 1’ Em.° S/ Card.' 0 Antonio <2> , sì come harei fatto in questa ultima mia audienza, men¬ tre S. Era.' 1 non fosso andata a Bagnaia. Ma ben lo farò al ritorno ; et perchè io lo desidero più di V. S., lo dico che la prima grafia che io dimanderò al Papa nella mia partita sarà questa, mentre però prima non mi riesca. Riposasi dun¬ que V. S. sopra di me, et mi continui la sua benevolenza; con elio fino le prego dal Signor Iddio ogni contento. Di Roma, li fi di Maggio 1636. Di V. S. molto 111/® Affott. 10 Servitore S. r Galileo. Woaiiiea. 3299 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Arcetri. Koma, 10 maggio 1636. Bibl. Naz. Fir. Mrs. Gai., P. I, T. XI, car. 204. — Autografa. Molto 111/® ed Eco.® 0 Sig/* e P.ron Col." 10 Il nostro Sig/ Ambasciatore di Francia è andato alla S. a Casa, o sarà in breve di ritorno. Il giorno che partì di Roma scrissi a V. S. molto 111. 10 con l’occasione di un gontilhuomo Franceso cho partiva per cotesta volta (3 ’, e scrissi la lettera in camera di S. Ecc/ 11 e di ordine suo : però aspettarò la grazia che dimando, con fare copiare il libro dell’uso del compasso, perchè se bene, a dire <>> Cfr. n.« 3244. Antonio Bjlkbkrini. Gl Cfr. il.» 3296. 430 10 — 12 MAGGIO 1630. L3299-8300] il vero fra noi, il Sig. r Ambasciatore, por i grandi negozii che ha per le mani, non può attendere nò intendere molte cose, in ogni modo desidera tanto ar¬ dentemente questa scrittura, die è necessario fargliela bavere ; però mi perdoni se sono importuno. Quanto alla mercanzia dolli libri Dolio macchio solari (,) , i libri ci sono, ma senza lo figuro dolio macchie o senza le lettere di Apollo, o molti sono difet¬ tosi, eli è ci mancano altri fogli, e di piò quei Rov. (li Padri, che li hanno nelle mani, si sono alzati dol prezzo ; la qual cosa però non mi darebbe molto fa¬ stidio, ma dicono elio ò necessario fare liberare prima un sequestro di alcuni pretensori. Io ci starò sopra o vodrò concludere, e glie no darò parte. Mi favorisca di faro sapore al nostro Padre Francesco buono (!) , che non rispondo altro alla sua lettera por bora, ma che so concluderò la sodetta mer- catanzia, glio ne farò parte. E li fo humiiissinia riverenza. Roma, il IO di Maggio 163fi. Di V. S. molto 111.™ ed Eco. m * Devoti ss. 0 e ()blig. m0 Ser/° o Dis. 10 S. r Gal. 0 Don Boned. 0 Castelli. Fuori: Al molto Ill. re ed Kcc. mo Sig. re o P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. Firenze, in Àrcetri. 3300 * MARCANTONIO PIERALLT a [GALILEO in Aroetri]. Pisa, 12 maggio Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XI, cnr. 206-207. — Autografa. Molt’ 111/ 6 et Ecc. m0 P.rono Col. A persuasione d’amici e padroni, forse troppo interessati d’affetto, ho la¬ sciato stampare ima mia Orazione (3) , ch’io recitai a i giorni passati in questo Duomo a Mons/ A rei vescovo (4) nel suo solonno ingresso. Ne mando una a V. S. Eoe.'"*, dalla quale se non sarò lodato, saranno a)meri compatito lo imporfez- zioni dol mio ingegno. Qui non posso negare che è stata sentita o poi ricevuta con applauso ; ma il romor dolio voci popolari non m’impedisce il conoscer [me] **> Cfr. un. 1 8288, 3296. t/reito del nuovo Areìveteovo, ecc. In Pisa, prosso •*' Famiako Miohklim. Francesco «Iella Dote, 1686. Orazione di M auo’Anto.wio Pikrai.li peri' in - <*• Scipione Pannocciukschi dei Conti d’Ei.oi. 12 — 24 MAGGIO 1036. 431' [8300-3301] stesso, e stimo più infinitamente il giudizio d’un savio solo die di tutta la turba de i litterati. Per questo lio maggior timore a lasciar veder quest’opo- 10 retta a V. S. che non ho havuto a pubblicarla in questa città, dove pur tanti pretendono di esser la pietra del paragone della vera litteratura. Confido non¬ dimeno nella benignità di V. S., dalla quale se non potranno esser lodati gl’or¬ namenti, saranno avvertiti gl’errori; e io goderò d’haver conseguito ’n un tempo istesso duo beni, cioè il diletto deH’applauso universale o il frutto della correzziono d’ un mio particolar padrone e da me con particolarissimo alletto reverito. Il S. r Dino (1) è qui già molti giorni, e lia cominciato felicemente le sue lezzioni con una prefazione che ha sodisfatto grandemente e per il garbo con che l’ha portata o por l’affetto grande che ha mostrato verso il suo amatissimo S. r Niccolò (8) , cosa elio feco intenerir tutta l’iidienza, che era grandissima. Nella 20 virtù e sapere eminente del Sig. r Dino risplende la gloria e trionfa il nomo di V. S. Ecc. ma , alla quale egli insieme con me reverente mento bacia la mano o prega da Dio por universal benefizio lunghissima vita. Pisa, 12 Maggio 1636. Di V. S. Ecc. m “ Devot. m0 e Ohb. mn Se. rQ M. Ant.° P. H 3301 * FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 24 maggio 163(5. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cainpori. Autografi, 15.» LXXX, n.® 12G. — Autografa. Moli’ 111." et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Col.® 0 Ricevo la gratissima di V. S. Ecc. ma di 17. Li compassi verranno a tempo. Li ringratiamenti del favore li lasciarò da canto, notando solo a partita dì tante altre mie obligationi, a’ quali non ho con che corrispondere che colla gratitudine d’animo. Mi è stata promessa anco la scrittura dell’uso, quale stupisco non fosse stampata (S) . Mai ho potuto bavere la sfera Copernicana. Il Sig. Nicolò 01 mi deve havere promesso almeno 20 volte: La mando hoggi. Poi è andato a Verona senza man¬ darla: aspetto il ritorno. Mi pare strano che d’IIolanda sia capitata in Roma 161 , e io non costì per Livorno. È capitale che V. S. la vegga, chè la migliorerà di certo. È stato qui un giovine Romano, di spirito e di garbo, che conosce V. S. : ho con gran piacere inteso il concetto elio di V. S. hanno gl’ intendenti di Corto, <*> Dino Peri. *** Niccolò Aoohjnti. < 8 > Cfr. Voi. 11, p.ig. «39. Niccolo Saorkijo. (6) Cfr. un.* 3294, 3296. 432 24 — 25 MAGGIO 1630. [ 3301 - 8302 ] al dispetto di quei cornuti. Mi lm anco scoperto un particolare, che, tocco da V. S. gentilmente et modestissimamente, ha però accesa la bile di certo cor- nutone, elio fece un’obiettione a sproposito. Mi ha promessa una lettera in di¬ fesa di V. S. fatta là, cho so mi viene, li voglio lare una bella burla. Ilo scritto a V. S. una lettera che deve servirò di addito a V. S. al P. Maestro Carlo Cassini, doll’Ànnonciata, persona di garbo. Non voggo cho lo sia capitata. Osservo cho non vi è virtuoso che non brami vederla, e non detesti il torto fatto alla virtù et alla gloria italiana nella sua persona, la qualo il Signore 20 conservi: o le bacio le mani. Von. a , 24 Maggio 1636. Di V. S. molto 111.” et Kcc. m!l Dev.“° Ser. r S. r Galileo. F. F. 3802 *. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Arcetri. Roma, 25 maggio (1636). B Ibi. Est. in Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, li.» LXX1X, n.° 2f>. — Autografa. Al molto IH.” et Ecc.“° Sig. r 0 P.ron Col.’"“ S. Torni pnr V. S. E.“" alla tortura, porch’ il processo non cammina beno (tl . Il primo constituto fu, se la vera mia ragione quanto a quella postilla dello mac¬ chie (dov’io non attribuivo altrimenti P invontione a quel Tenebrione w ) ba¬ stasse per mia discolpa; al elio non tengo risposta alcuna: e pur questo era tutto lo stato della causa. Del resto, già molto volto, 0 por sempre, mi son di¬ chiarato, non desiderar mai se non ogni suo maggior commodo nello scrivere, havendo di continuo avanti gl’ocohi molti plichi 0 gran fasci di lettere, che da ogni banda gridano risposta. Pur s’io havessi trascorso (so ben questo a me non sovvione) in farle fretteria, condonilo por sua gentilezza ad un geloso af- 10 fanno di non bavere scapitato nella sua gratia. Iics est solllciti piena timoris amor. Dhe perchè non ho io in pronto qualche autorità dell’Ariosto? cortissimo ch’ella non si metterebbe a contradiro. Pur io spero ch’ella crederà ancora a questi sinceri miei detti, cioè eh’ io 1’ ho sempre roventa et amata con quel maggior allotto ch’io non saprei esprimere, al ebo m’ hanno invitato, e m’in¬ viteranno mentre haverò spirito, Puniche qualità e meriti di V. S.; anzi non mi torrò mai da questo proposito, seben olla per mia sciagura del tutto si scor¬ dassi di me. Perchè, sì come io non ho in me talento alcuno di consideratione, “1 Cfr. n.o 8294. <*> Intornio, Cristoforo Scukinku. [3302-3303] 25 - 27 maggio 1G36. . 433 com’ella ha in sè parti singolari od infinite che di continuo me ne riperquote- 20 ranno la memoria, così mi rendo vinto, e la prego a non mi dar più martello, fingendo di riceverlo. Dovrei rispondere al P. Francesco buono (1) , ma 1* bora è troppo tarda. Quando V. S. Ecc. ma lo vedrà, me li faccia, sì come fo io a lei, una caldissima raccomandatione ; con che lo chiodo da Dio lunga vita c quiete. Itoma, il dì 25 Maggio. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc.“ a Oblig." 10 et Aff. mo Ser.” Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto 111.” et Ecc.“° Sig. r o P.ron mio Col. Il Sig. r Galileo Galilei. 30 Fiorenza, in Arcetri. 8303 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 27 maggio 1686. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 208. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r c P.ron Col. mo Dopo elio V. S. Ec. ,ua mi scrisse delle mortadelle, risposi subito con una mia, inviata a lei pur direttivamente, qualo bisogna si sii smarrita. Ne mandai poi dopo un’altra, inviata al P. Vicario nostro di costì, alla quale tengo bora in risposta la sua gratissima, scritta sotto il 24 del presente ; e li dico che re¬ sto molto maravigliato, non havendo visto altra sua lettera, nè meno le tre piastre ch’ella dice di haver mandato: è necessario ch’olla dichi a chi l’ha con¬ segnati et inviati, aciò si possino trovare. Del resto, quanto alle mortadelle li scrivevo elio mi dicesse quanto ne volea, overo quante libre li fanno di bisogno, io sì come pur hora li replico, chè del resto cercarò resti servita. Quanto aldi miei disgusti (2) , no sarà meglio raguagliata dal nostro Padre II. 1 " 0 Generale, con lo difficoltà che v’entrano a volerli levare: che del certo pur troppo mi bisogneria il favore di S. A. Ser. ma ; ma non mova già niente por hora, chè forsi si accommoderà il tutto, massime se il Padre Generale andasse hora a Roma. Quanto allo specchio 13 ’, non mi potendo troppo movere, o dall’altro canto non potendo cavar costrutto da questi operarii, vado assai lento ; ma s’assicuri (*> Fa mi ano Miouruni. t3 > Cfr. uu.< 8270, 3281, 8207. <*' Cfr. nu.‘ 8208, 8297. 65 / XVI. 4 34 27 MAGGIO — 6 GIUGNO 1G36. [ 3808 - 3805 ] ad ogni modo che voglio pur vederne qualche esperienza, massimo per servirò S. A. S. Mi compatisca di gratin e mi comm&ndi, amandomi come suo vero amico e servitore; e con tal fine li bacio lo mani. Di Bologna, alli 27 Maggio 163G. Di V. S. molto HI.* 0 Ob. mo Ser. w F. Bon. ra Cav. rl jFuori: Al molto Ul. r0 et Ecc. 1 " 0 Sig. r o P.ron Col. 0 Il Sig. r Gal. 06 Gal.- 1 Fiorenza, ad Arcetri. 3304*. MATTIA BERNEGGER a GIO. MARTINO RAUSCIIER in Tubinga. IStrasburgo], !JO maggio 1636. Blbl. Civico, di Amburg’o. Codice citato nella infommsiono promossa al n.» 2618, car. 180l. — Minuta autografa. .... Addo exeropluni Àpologiae Galilaicae prò Systeuiatc Copernicano (,) , quoti eidem quoque T)n. Lana io (!l reddes, qui ipsnm Systema, ut mihi dixisti, legit an possidct. Velini tameii moneas ipsum, utramque praefationem, Diodati priorem G>, e t, meam alterami 11 , fiotitiam esse, et in id comparatam, ut autorem buine editionis oonsoium fuisse diaaimuletur. Pareri tal in Scliickardi ' s> avidissime expecto. V. 20 Maii <•> 1636. 3305*. FORTUNIO LI CETI a GALILEO in Firenze. Padova, 6 giugno 16516. Blbl. Naz. T'Ir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 231. — Autografa Molto 111. 0 et Ecc. mo S. oro o P.rone Oss. mo Lodo che per conservatione di sua sanità. V. S. intermetta l’ossorvationi del cielo in tempo di notte : lo fa parimente qui il S. or Argoli {V per non haver occhio che lo serva nel veder le minutie ; però fa faro tali osservationi a qual- «*> Ctr. n.® 3068. •*> Tommaso Lansius. (3 > Cfr. n.° 8058. O» Cfr. n.o 8257. *■» Cfr. n.° 8230. Di stilo giuliano. D' Anhiika Aroou. [3305-33061 6 — 7 GIUGNO 1636. 435 ohe giovane suo discepolo di buona vista e di gagliarda complessione, facendo poscia lui li calcoli. Quanto alli due amici communi, e padroni anche miei, li SS. ri Pignoria" c Sandelli l2) , furono dal torrente della passata pestilenza portati via dal numero de’ viventi, con danno dello buono lettere non picciolo et con immensa doglia io di tutti i lettorati e degli huomini da bene. Circa lo mie compositioni, se ben mi duole di essere spinto a farle da non troppo buona occasiono, mi consolo però et mi piace che dalli ingegni di gran talento, fra’ quali tiene molto alto luogo V. S., siano tenuto in qualche stima. Piaccia a S. D. M. di porgermi miglior occasione di scrivere et di conservarmi sano, acciò possa bene negotiaro il mio picciolo talento et servire gli amici et Padroni, tra’ quali molto riverisco V. S. : et di tutto cuore le bacio le mani et lo prego dal Cielo sanità ot contento. Pad.®, 6 Giugno 1636. Di V. S. molto 111. 1 * et Ecc. mft Aff. ,nn Ser. re 20 Fortunio JLiceti. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m0 S. or mio Oss. mo 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 3300 *. FULGENZIO MIOANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 7 giugno 1636. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cuuipori. Autografi, B.» LXXX, n.° 127. — Autografa a partirò dallo pa- rolo La veggo (liti. 25). Molto 111.” et Eccell. mo Sig. r , Sig. r Col." 10 Ricevo nel medesimo tempo le due lettere di V. S. molto 111.” et Eccell.""* di 24 e di 30 Maggio, e dal Sig. r Elzivir (:,) li compassi, bollissimo conditionati. Iioggi bivio il suo all’lll. ,n0 Baitollo (4) , il quale so cho, oltre il ringratiamento et obligationo, mi sarà adosso con importunità dol costo. Vorrei saper che ri¬ sponderli in causa commune, perchè io ancora sarei al medesimo, se non co¬ noscessi V. S. un poco più che non fa quel Signore. <*> Lorenzo Pignoria. **> Martino Randelli. < S| Lodovico Rlzrvter. <*> Lodovico Baitelli. 436 7 — 11 GIUGNO 1636. [ 3806 - 3307 ] V. S. mi lia fatto venire la saliva in bocca con la nova di quel fortunato incontro dello lenti maglioni della sua tanto famosa. Senta V. S. so ho buona fortuna. Con tutte le diligentie possibili baveva trovato un pezzo di specchio, io corto più vecchio di 100 anni: lo pongo sopra un repostiglio per mandarlo: un gatto corre dietro ad un sorze, o ino lo getta in terra, e, giuro a Dio, fatto così in minuccio, che non yì ò restato un pezzetto che sia conio l’ungia-grossa®. Ilo liavuto a inspiritarmi, o credo che il diavolo babbi voluto farmi biastemare: ma non ha liavuto 1* intento. Ho data 1* informatione por Monacoad un mercante qui, che certo ci farà il servitio inquisitameli te. Ilo la sfera Copernicana: la farò levare dalla cassa, et vedrò se saprò fargliene un poco di schizzo. Sento una inesplicabile consola tiene che V. S. rissolva far capitaro quello elio ha in ordine al Sig. Elzivir, perchè questo non burlarà, ma presto darà 20 la consolationo a i virtuosi, elio non ponilo ricever da altri che dall’ingegno di¬ vino del mio Sig. r Galileo. Non si metta difficoltà, oliò 0 latino 0 volgare elio scriva, tutto starà bone ; 0 non dubiti che immediate lo sue compositioni non siano portate in tutte le linguo. La veggo scrivere tanto di suo pugno, che me no maraviglio, perchè io ho fatto una mano gravissima, 0 non trovo cosa die più m’offenda elio lo scrivere. Si conservi; e pregandole dal Signor Dio felicità, lo bacio le mani. Ven.“, 7 Giugno 1636. Di V. S. molto HI. 1 * et Ecc. m ‘ Dovotiss. 0 Ser. F. F. so 3307 *. LODOVICO BATTELLI a [GALILEO in Àrcetrij. Broscia, 11 giuguo 1636. Blbl. Naz. Fir. Mbr. Gal., P. I, T. XI, car. 210. — Autografa. Molt’ Ill. r * et Ecc.® 0 Sig. re et P.ron mio Col.® 0 Nel rogale esquisitissimo che l’incomparabil generosità di V. S. molt’ 111.” et Kcc. mR ha voluto fare all’ inutile mia servitù, vorrebbe l’animo mio esser tutto gratio por poter, almeno con esterno dimostrationi, attestarle l’infinita obligationo eh’ io ho contratta con lei, già che ne gl’eccessi della cortesia ri¬ cevuta senza alcun mio merito mi si leva la speranza di mostrarmene in qual¬ che maniera grato. Al P. Eev. m0(3) in discorso richiesi se in Venotia si trovava "1 Cfr. n.° 3218. I*' Cfr. li.» 8811. <»' Clr no. 1 8197, 8217. [3307-3308] 11 — 13 GIUGNO 1G36. 437 presso ad alcuno de’ Signori il compasso di V. S. molt’ 111.™ et Eco."*, por ve¬ derlo et studiarlo ; egl' ha voluto, secondo il suo solito, favorirmi con tanta io pienezza, che m* ha reso di maniera confuso che non ho concetto adequato al- l’obligationo. Già, elio tanto V. S. molto 111.™ et Ecc. mR vuole, goderò i frutti delle sue glorie, ammirerò il sommo della sua virtù, et conserverò perpetua la me¬ moria di questa che stimo singolarissima gratin, fin tanto che col mezzo d’al- cun Gommando, elio pregiatissima gratin sarà sempre da me stimata, come con ogni più caldo affetto ne la supplico, io possa mostrar in fatti a V. S. molt’ 111.™ et Ecc. ,DR di tenermelo perpetuamente donato. M’inchino riverente; et rinovando infinite le gratin, la prego a non lassiar in perdita occasiono con cui io la possa servire, come sommamente desidoro. Di Bressia, li 11 di Giugno 1636. ‘20 Di Y. S. molto 111.™ et Ecc. um Divotiss. 0 et 01)lig. mo Sor.™ Lodovico Bandii. 3308 *. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 18 giugno 1636. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXXX, u.® 128. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.™ et EcceU.™ Sig. r , Sig. r Col. mo Il latore della presente è un Olandese (1) , persona di ottimi costumi, che ha veduto del mondo assae, che basta per farlo liavor in stima da V. S. molto IH.™ et Eccoli. ,nft Yi si aggionge che nella conversatione con lui havuta io ho preso gran piacere, e l’amo cordialmente. Viene costà, per corti suoi negotii, ne i quali potrebbe bavere bisogno di qualche favore in Corte. Lo raccomando a V. S. con tutto l’affetto. Ilo veduta la sfera Copernicana: è la medesima con quella dell’Àlberghcti* 2 , eccetto che questo non ha espresso so non il solo nel centro et li moti della io terra annuo e diurno con quello della luna intorno ad essa, et in questa sono anco li pianeti inferiori e superiori. Vedrò di farne fare un poco di schizzo. Et a V. S. molto 111.™ et Eccoli. 1 ™ bacio le mani. Ven. a , 13 Giugno 1636. Di V. S. molto 111.™ et Eccoli. ,na Devotiss. 0 8cr. F. F. <*• Antonio Kbstkb. • (i) Cfr. ».« 8280. 438 14 GIUGNO 1G36. [3309-3310] 3309*. GALILEO ad ELIA DIODATI [in Tariffi]. [Arcetri], 14 giugno 1686. Blbl. Nftz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. VI — Il primo brano di questo capitolo, fino alla parola *appi n (li». 6) ai logge, di mano di Vincrnzio Yiviani, a car. 88<. ; il secondo, a partire da E qui «appi,,, si logge a car. 85r., pur di mano dol Yiviani, elio promotto quest’indicazione: * Qui no viene il capitolo elio comincia Mi duole otc., o poi: »; l’uno o l’altro poi si leggono di seguito a car. 76»-., trascritti som- prò dallo stesso Yiviani, elio però ometto quosta volta qualche frase, o qual cito altra no modifica, l’orciò, sonza tonor conto di tali modificazioni, riproduciamo lo copio elio sono, rospottivamonto, a car. 88t. e 85r. La data « 14 Giugno 1680 » ò indicata dal Viviani in capo a lutto lo tro copio. Mi duole in estremo esser necessitato a interporre qualche poco di tempo avanti V effettuazione de’ suoi consigli, e ciò per molte cause urgentissime, la potissima delle quali è il desiderio che ho di vedere in vita mia esposte al mondo le mie fatiche di tanti anni, delle quali 10 fo assai più stima che di tutte le altre cose elio sin qui si son vedute di mio. E qui sappia V. S. molto 111." (come mi par d’avergli dato conto altra volta (,) ) che il Ser. m0 Principe Mattias, tornando in Alemagna, ne portò seco una copia, con resoluzione di farle stampare in qualche luogo (già che per tutto dove sono inquisitori 12> ctc.) : fu dato T assunto ad un amico mio, attissimo per questo servizio, io che è il Gap.® Giovanni Pieroni, Fiorentino, ingegnere dell’ Impera¬ tore : questo, temendo etc., ha con ogni studio cercato modo sicuro d’effettuare il mio desiderio; e già aveva fatto intagliar le figure d’una dell’opere mandategli (3) , ma non aveva trovato per ancora luogo sicuro e opportuno per far il resto, etc. 3310*. GIROLAMO BARDI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 14 giugno 1636. Blbl. Nat. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 283. — Autografa. Molto 111.® et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. mo Ilarà inteso le continue controversie che sono tra il Castro e il Liceti ,4) , 11 quale del continuo indeffessamente stampa e si fa sentire; ed io ancora, per Lett. 3309. G. Nella citata copia a car. 88*. si leggo: E .appi* (Goal pure nella copia a car. 76r.).- <•' Cfr. n.» 3133. <*' Cfr. nn.i 8075, 3088, 3095. < 3 ' Cfr. n.<> 8289. <*> Cfr. n.“ 3274. 14 GIUGNO 1636. [3310-33111 439 essere stato tocco senza ragione, mi farò vedere, all’usanza di Luciano. Sono per ritirarmi alli freschi a Padova, dove sono instantemente richiesto; priego però instantemente V. S. di una gratia, elio procuri con sua lettera di calda raccommandatione all’ Ul. rao Sig. r Conte Orso (,) per li torti fattimi et ingiustitie in più guise per tradimenti tramatimi, do’ quali a compimento a sua Sig. ria 111.®“ ne scrivo, e gli dia di me quella informatione che la sua benignità e cortesia, io che verso di me grandissima ho riconosciuto, richiede. Sono andato tessendo uno sistema che tutti loro Signori discordi concorda, c pelo l’osso benissimo al S. r Chiaramonti. Al Sig. r Liceti, affetionatissimo a V. S., piace assai. Se potesse, con mandargliene io copia, darmene il suo buon parere, e se questo gusta, mi saria favore grandissimo. E offerendomelo di tutto cuore prontissimo, me le dedico e raccomando, e priego dal Cielo il colmo di ogni felicità. Gen.“, li XIV Giugno 163G. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. a Oblig." 10 Ser.° Girol. 0 Bardi. 3311 . FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 14 giugno 1036. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. IV, T. IV, car. 110. — Autografa lo liu. 24-35. Molto Ul. r0 et Eccell. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Col.' 1 ' 0 Diedi ordine ad un mercante qui principale per liaver informatione da Mo¬ naco di Baviera circa quanto m’haveva V. S. molto 111.” et Eccell." 14 ordinato' 2 . Ma dominica passata venne qui a star con noi un organista Romano, il Sig. r Giacomo Porro, per sopranome Testone, un soggetto raro in quella professione, che partì poi martedì, fu alli 10, per Monaco, ove ò condotto dal Sei\ mo Duca di Baviera per maestro di capella; e perchè era stato a quella Corte a stabilir il suo negotio, e poi venuto a Roma a levar la moglio o i figliuoli et alcuni cantori con i quali adesso passa in Baviera, mi parve di trarli un moto e pre¬ io garlo dell’ informatione: et egli mi disse che quanto prima me la mandarà esqui- sitissima, ma tra tanto mi dava per caparra questa, che sotto la sua disciplina et in Corte ha un giovino salariato, che si chiama il Galileo (non mi seppe dir altro nome, perchè non va se non sotto nomo del Sig. r Galileo) ; che questo è <*> Onso d’ICloi. <*! Cfr. u." 3306. 440 14 — 17 GIUGNO 1036. [3811-3812] un giovine modestissimo, senza alcun vitio, che sona bene di liuto, di viola da gamba e di tiorba, che commincia a imparar da lui il contraponto, e si farà un valent’ huomo; die ha conosciuto L). Lorenzo Seriose, il qualo morì già, 6 mesi, mentre egli ora a Monaco ; che questo giovine parla la lingua italiana, ot elio il Maestro di Casa stava per mandarlo in Italia per veder paese, soggiùngen¬ domi ebo quando io glie lo accenni, li farà certo haver la licontia di venirci. Eccoli quanto sin bora bo saputo ; ma indubitatamente, giolito che sia, darà 20 perfetto raguaglio d* ogni cosa, o farà clic anco il giovino scriva a V. S., la qualo so mi accennerà desiderio di veder il nepote, non raancarò di farlo sapere. Iioggi Mons. r Aproino, vomito per negotii, ot, che a V. S. fa mille saluta- tioni, ba veduta la sfera Copernicana* 11 , egli è piaciuta. È un globo, che nella parte esteriore ba la sfera stellata buchilo, et il zodiaco parimente : dolli pia¬ neti superiori et inferiori non si mostra altro elio un moto, elio è l’annuo: il sole in mezo. Tutto l’artificio ò nella terra, elio si muove col tenore sempre l’asse fisso, rivolto all’ istesso punto del cielo; et so li muovo intorno la luna, e si veggono le sue mutationi, et anco tutto quollo si può desiderar por la va- so rietà de* giorni e stagioni. Vorrei saperlo beilo esprimere: procuro che no sia fatta un’ idea por V. S. molto 111.™ et Eoe. 1 " 1 *, alla qualo bacio le inani. Vcn. a , 14 Giugno 1636. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. m:l Dev. mo Ber. S. r Galileo. F. F. 3312 **. GALILEO a GIO. BATTISTA PANDOLFINI [in Firenze]. Arcetri, 17 giugno 1630. Aroh. di Stato in Firenze. Monto di Pietà, Filza 1077 (d’&utica uuuicraziono Campione 112), u.® in¬ terno 1081*1. — Autografa. Molto 111.™ Sig. 1 ^ e Pad." mio Osser. ,no Riceverà V. S. molto I. la presente per mano di Giuseppo mio servitore, al quale V. S. mi farà grazia far pagare i frutti de i da¬ nari che tengo sopra il Monte di Pietà etc., che al presente tempo si <*' Cfr. n.° 380S. **• Cfr. Voi. XIX, L)oc. XXX, a), li». 121-125 della colonna di sinistra. 17 — 21 GIUGNO 1636. 441 l 8312 - 3318 ] aspettano ; che saranno ben pagati, et io gliene resterò con obbligo particolare. E con affetto gli bacio le mani. D’Arcetri, li 17 di Giugno 1636. Di V. S. molto I. Parat. mo et Obbligò 0 Ser. ro Galileo Galilei. io Fuori: Al molto Ill. rG Sig. ro e Pad. ne Osser. mo Jl Sig. r Giobat. a Pandolfìni. In sua mano. 3313. GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arcetii, 21 giugno 1036. Bibl. Mai’oiana In Venezia. Cod. XLYII della Gl. X It-, il. 0 7. — Aut.ogrnfa. Rev. mo P.re e mio Sig. r Col. 1,10 Starò con gran desiderio aspettando il minuto ragguaglio dello stato de’ miei nipoti di Baviera (l) ; e se Alberto, che deve esser quello del quale P organista (2> ha parlato a V. P. H. ma , bara voglia e licenza di venire in Italia, mi sarà caro e lo riceverò volentieri, perchè de¬ sidero d’aiutare tutta quella famiglia, sì come son per fare: e tra tanto mi favorisca d’intendere il modo più spedito di poter mandar danari a’ detti miei nipoti, e mandando io cento piastre Fiorentine costì, quello che perverrebbe a loro in Monaco, o pure se fosse meglio io mandare in oro; e l’istesso S. Elzevirio (3) potrà facilmente metterci su la strada di poter far questo negozio con la minor perdita che sia possibile. Al quale S. Elzevirio, scrissi a V. P. It. ,na che mi fa¬ cesse grazia di dire che mi trovavo haver due delle mie opere tra¬ dotte latine, che sono le lettere Delle macchie solari e’ 1 trattato Delle cose che stanno sopra Pacqua e che in quella si muovono; amendue <>> Cfr. ti.» 3311. **> Giacomo Pohuo. <*> Ludovico Elzkvisr. 442 21 GIUGNO 1636. [3313 1 le quali opere hanno grandissima chiesta, e non se ne trovano più, e però vedesse se gli metteva conto il ristamparle così latine, o vero anco latine e italiane insieme. Fo con diligenza far la copia do i nuovi Dialogi, per mandarli costà avanti la partita del detto S. Elzevirio, acciò gli possa condur 20 seco e con la sua diligenza e prestezza farli pubblici, assicurandolo che la novità delle materie, che in essi son contenute, gli farà bavere grand’ esito. Intanto lo saluti caramente in mio nome e me lo con¬ servi ben affetto, e gli dica che faccia intendere al Sig. Bernengero che mandi in grazia delle copie dell’uso del mio compasso geome¬ trico, ch’egli già illustrò e fece latino (,) , perchè continuamente ne vengono domandate, sì che io, per sodisfare a molti che me lo do¬ mandano, son forzato a far farne copie manoscritte del mio antico, con mio gran tedio e spesa. Mi è venuto in mente che il medesimo S. Elzevirio, nel tornarsene a casa, potrebbe con maggior sicurezza 30 portare e far ricapitare in mano al detto S. Bernengero una mia lettera, insieme con i vetri per un telescopio. E sopra questi parti¬ colari starò aspettando risposta da lei. Comporti la P. V. R. ma che io dica d’essermi un poco scandalizato nel veder che ella mi liabbia domandato (2> quello che deve scriver all’Hl. mo S. Baitello in materia del compasso, il costo del quale viene a cento doppi soprapagato col dargli luogo tra le cose rare che adornano lo studio di un tal Signore : però de his detenuti. Piacemi che la sfera Copernicana liabbia dato gusto a lei et al S. Aproino. Da Roma tengo avviso che ve ne son capitate 2, io ma che non muovon punto la curiosità di nessuno, nè anco per vederle non che per esaminarle. Con che reverentomente gli bacio le mani. D’Arcetri, li 21 di Giugno 1636. Della P. V. R. raa Dev. mo et Obblig.™ Ser. ra G. G. Leti 3313. *11. di nu di raccomandatione al S. r Antonio Kestero per V. S. molto 111.” et Eco." 18 È un giovane Olandese, molto accostumato, c’ lia veduto del mondo assai. Sebone non professa essere versato nello scienze, le honora però, et lia sommo desiderio di vedere V. S., orbis ocelluin. È cosa notabile, che doppo uscito il libro doli! Dialoghi di V. S., quanti professano le mathe¬ matiche, tutti di balzo saltano nella Copernicana: tanto profitto hanno fatto lo proibitioni. Ho trattato col Sig. r Elzevir, il quale non fa alcuna difficoltà che le coni¬ lo positroni di V. S. siano più in una lingua che nell’ altra. Quanto a me, vorrei che tutto fossero nell’ italiana, chè non mancarti chi subito lo facia latine. Ma V. S. udirà subito che sarano in tutto le lingue. Lo mandi, e lasci la cura a noi. Sono rissoluto trattare col sudotto elio si stampino tutte l’altro che mi sono venute allo mani per cortesia di V. S., cioè il Saggiatore, il Discorso delle Co¬ mete, Dello cose che stanno sopr’acqua, la Risposta a quel delle Colombo. Ma, a far bene, converrebbe unir anco tutte le altre e farne un volume, perché non periscano con gran perdita comune. Dio la conservi, e le bacio le mani. Ven.“, 21 Giugno 1636. Di V. S. molto HI.” et Ecc."' a I)cv. ,no Ser. r ao S. Galileo. F. F. 3315 **. ASCANIO P1CC0L0MINI a GALILEO [in Arcetri]. Siena, 21 giugni) 1636. Bibl. Naz. Flr. M.ss. Gal., P. I, T. XI, cur. 212. — Autografa la sottoscriziono. Molto HI.” S. r mio Oss. m0 È comparso il solito mandato di V. S., carico di tanto gentilezze, che io mi confesso soprafatto da’ suoi favori. Il tutto è comparso benissimo conditio¬ nato o a conto. Glie ne rendo vivo gratie, con pregarla a tener così memoria <*> Cfr. u.» 3308. 444 21-28 GIUGNO 1630. [3815-3317] di me noi comandarmi, conio ha di obligarmi sempre pili alla sua particolar gentilezza con simili dimostrationi del suo molto allotto verso di me. E qui rassegnandomi partialissimo servitore di V. S., resto con progarlo da Dio ogni contentezza o baciarle affettuosamente le mani. Di Siena, li 21 Giug. 0 1636. Di V. S. molto 111.™ <•■•> Vero Ser. io S. r Galileo Galilei. A. Ar. T0 di Siena. 3316 *. MATTIA BERNEGGER a ELIA DIO DATI in Parigi. [Strasburgo], 22 giugno 1630. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato nolla informaziono promossa al ri.® 2013, car. lSlr. e — Mi- nutu autografa. Aelio Diodato, Lutetium, S. P. 1). Amplissime Nobilissimeque Duo. Q.uae cauaaa raritatis, eadem ot brevi tati», litterarum est. Nimirum rebus undiqne turbatia et incertis, piget seri bere. Oum sua seouritas itineribus, ac tot, suspiriis exoptata pax, nobÌ8 redierit, et longiores et crobriores a me accepturum spondeo. Praofationea in Apologiam magni («alilaei duplici exemplo ad te misi 4/14 AprilisW, quas iain redditas esse confido. Misi etiam aliquanunulta libri exemplaria Fraucol'urtum ad Elzevirioa: sed illi in mercatu iato non comparuorunt. Ita lit, ut exemplaria vix ulta, io ni9i quae amici? divido, distrahantur. Ea quae Dn. Peleus '*> roquirit, pridem in aarci- nam eontraxi, ituva ut prinnun oceasio erit, quam fortasse folicitas Gallicorum armoruin aperiet.... 12/22 Iun. 1636. 3317 . GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arcctri, 28 giugno 1636. Bibl. Marciano in Venezia. Cnd. XI,VII della CI. X It., n.® 2. Autografa. Kev. mo P.re e mio Sig. r Col. nlu Questa mattina è stato lungamente da me il S. Antonio Olandese (:,) con una lettera <4 di V. P. R. ma Ho preso gusto particolarissimo del suo discorso : va a Livorno per spedir alcuni negozii, ne’ quali po¬ ni Cfr. n.® 8285. i*i Gubi.iki.mo Pklb. < 3 ' Antonio Kkstkiì. Cfr. u.® 3308. 28 GIUGNO 1636. 445 [ 3317 ] trebbe haver bisogno di qualche raccomandazione apresso il G. D. ; se avverrà il caso, non mancherò di servirlo con ogni mio potere, essendo il suo aspetto e la sua nascita di quelle cose che subito ra¬ piscono gl’animi. Partito lui, mi sono sopraggiunti 2 mia amici cari, che sono stati a desinar meco: dove haviamo discorso a lungo di lei io e del S. Elzevirio, e letto il frontespizio della scrittura fatta da me 20 anni sono a Mad. ma Ser. ma et bora stampata in latino e vulgare da i SS. ri Elzevirii, dove, oltre al frontespizio, sono due lettere, una del S. Roberto Robertini Borusso al S. Mattia Bernengero, e la risposta ad esso del S. Bernengero (,) . Bisognerebbe bora, che il S. Lodovico Elzevirio ne facesse venir copie in Italia, a confusione de’miei inimici. Già son fatto le copie de i Dialoghi da stamparsi ; mancano le figure, le quali farò quanto prima, sì che le potrò mandar costà avanti la partita di esso S. Lodovico. Il quale se si risolverà a ristampar tutte l’opere mie in un volume, mi sarà gratissimo e son sicuro che 20 haveranno esito; e quando in questo affare gli fusse a grado che io mi obbligassi a tome un centinaio o altra quantità, pagandogliene prezzo conveniente, lo farei di buona voglia. Però in questo mi rimetto in loro. Sarebbe anco necessario che il S. Beniamino u> , se ò ancora costì, scrivesse al S. Bernengero che mandasse molte copie dell’ uso del mio compassoperchè hanno una chiesta grande, e qui continua¬ mente mi bisogna farne far copie manuscritte con tedio e spesa. Della prossima settimana manderò i cristalli per il S. Berneggero (4) , i quali il S. Beniamino potrà mandare, o vero il Sig. r Elzevirio condur seco c farglieli pervenire. Quello ohe ella mi scrive (!,) che va seguendo so dopo la proibizion de’ miei Dialogi, mi dispiace grandemente, perchè può haver cagionato maggior commozione ne i superiori, atteso che il dar licenza di leggergli è ridotto a tale strettezza, che S. S. tó la riserba in sè solo ; sì che posso ragionevolmente temere che final¬ mente se ne sia per annullar anco la memoria. Con che gli bacio le mani, e insieme al mio S. Elzevirio. D'Arcetri, li 28 di Giugno 1685 (sic). Dev. m0 et Ob. mo Ser. re G. G. »*> Cfr. mi « 3058, 3257. i*' Cfr. n.° 8322, liu. 10. *»> Cfr. n.° 3313, liu. 24-20. <*) Cfr. n.° 3260. <*' Cfr. n.° 3814, lin. G-8. 44U GIUGNO — 5 LUGLIO 163G. 18318-3319] 8318*. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenzo. I Venezia, 1686 (?)]. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, u.« 163. —Originalo, di mano d’atnanuonse. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r , Sig/ Col. 0 In questo punto, elio è necessario mandar lo lettere, ricevo quella di V. S. delli 15, alla quale non faccio so non questo vorso di risposta a sua consola¬ tici io : elio è neccessario elio il Ser. m0 Principe Leopoldo babbi voluto darli un poco la burla, perchè tanto è lontano elio la sfora fabricata dal mio Alber¬ ghetti ll> sia contraria a quella di V. S. Copernicana, che anzi V ha fabricata di punto secondo che olla gli ha insegnato noi suo libro, perchè questo non sapeva per imaginazione niente di questo fatto, se non quello elio ha imparato nel suo libro per esser volgare, non havendo lingua latina ; od io mi obligo far¬ gliene mandar dal sudotto Alberghetti, corno ritorni di villa, un dissogno, dal io quale vedrà con maraviglia fatto dall’arto quello elio ella nel suo Dialogo ha sostenuto poter esser latto dalla natura. A Dio. Scr. r Fra Fulgentio. Fuori : Al molto HI.™ et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col." 10 Il Sig. r Galliloo Gallileo. Firenze. 3319. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, & luglio 1636. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car. 214. — Autografa a partire dalle parole ma kora (lin. 29). Molto Ill. r0 et Eccoli.Sig. r , Sig. r Col. ra# Risponderò allo due lettore di V. S. molto 111.™ et Eccoli.™ d’i 21 et 28 del passato'*'. Il Sig. r Elzivir resterà qua ancora per tutto questo mese, ondo V. S. ha tempo per mandar 1 opera. Ho trattato seco, o lo veggo benissimo disposto a stampare tutte lo opere insieme di V. S. in un solo volume; porilchè resta pro¬ curare di metterle tutte insieme e farglielo capitare, nel che io offerisco ogni diligentia. Potremo consegnarlo adesso tutto quello che si ha alla mano per quel fine. Ma subito gionto, stamparà li Dialoghi, il Discorso delle cose che <*> Cfr. il.» 3280. <*> Cfr. un.' 3313, 8817. 5-12 LUGLIO 1036. 447 [3319-8820] io stano sopra l’aqua, Delle macchie solari, e Dell’uso del compasso, purché si trovi ; e con il tempo mi dà intentione che non ha dubio alcuno che si traduca in latino tutto quello elio non è posto. Io pretendo, nel procurar questo che tutto le compositioni di V. S. si riducano in un volume, di far un supremo ser¬ vilo e piacere a chi ha gusto di filosofia o non di chiachiere. Non sa corto il Sig. r Elzivir so farà la strada di Germania. Egli lo desidera, et ne ha necessità, perchè ha bottega in Francoforto e sono anni che non ha ve¬ duto li fatti suoi: ma in questo è necessitato governarsi secondo lo stato elio sarà il mese di Settembre, elio si fa la fiera, imperochè lo coso si mutano a momenti. Se passa per Germania, egli portarà tutto seco, anco li vetri por il Sig. r Berncgcro, 20 se Y. S. li mandarà. Caso che non vi andasse, vedrò io farli capitare, o col mezo del Residente veneto in Zurich (,) , o per quello del Sig. r Beniamin ,2) . Trattarò col sudotto S. r Elzivir quanto V. S. mi ordina, o conchiuderò il negotio. Se V. S. ha qualche altra cosa sopra quello che essa non vuol parlare, la communichi, e lasci far a me. Le rimesse di danaro da Fiorenza a qui, V. S. le può fare in quella valuta che a lei piace, chè torna all’istesso; ma il far rimetter danaro por via di cambio in Germania, adesso è con eccessiva perdita sino di 8 e 9 per 100, in riguardo delle gran rimesse che si fanno. Ho trattato con mercanti miei amici per trovar modo di servirla senza o con poco discapito: ma bora non si può, no perchè mandar il contante è con troppo pericolo. La scarsezza che si trova in Germania di denaro, fa le rimesse tanto dispendiose. Credo elio potrebbe V. S. scrivere al suo nipoto, che venga in Italia a vederla ; con quell’occasione di indrizzar la lettera, io farò officio col S. r Giacomo Poro, maestro di capei la dell’Altezza di Baviera, che le faccia havere la licenza ; così cesserebbe ogni difficoltà. Dio la conservi, e le bacio le mani. Ven. a , 5 Luglio 1636. Di V. S. molto 111.** et Ecc. ,na Dev. m0 Ser. S. r Galileo. F. F. 3320 . GALILEO a [FULGENZIO MICANZtO in Venezia]. Arcetri, 12 luglio 1630. Blbl. Marciana In Venezia. Cod. XLVII della 01. X Ifc., il.» 6 . — Autografa. Uev. mo P. re e mio Sig. r Col. mo Nè questo nè il passato ordinario mi son pervenute lettere della P. Y. R. mu , accidente che mi travaglia, mentre non so la causa onde Anuuka Rossofino. < 2 > Cfr. 11 .» 3322, li». 10. 448 12 LUGLIO 1636. [ 3320 ] provenga: che se l’occasione lusso perchè ella veramente non ini havesse scritto, ciò non importerebbe nulla ; ma se mi ha scritto e le lettere si siano smarrite, mi dispiacerebbe assai, e massime avvenga che le 2 ultime sue mi son pervenute per via do i soliti publici di¬ spensatori, e non con sotto coperta al S. Gerì Bocchineri, Segretario del G. D. o mio parente. Però se ella non ha scritto, potrà seguitare lo stile consueto di farle consegnar costì al Laudi, mastro della posta ™ e compatriotto del S. Gerì, al quale esso S. Gerì harà replicato che le mandi indirizzate a lui ; et altrimenti bisognerà che, scrivendomi di qualche particolare che importi che non sia pubblico, ella invii le lettere a qualche Padre suo confidente qui nella Nonziata, dove io ogni settimana possa mandare a pigliarle. Io ho già fatte ricopiare le 2 mie opere del moto e delle resi¬ stenze, e voleva mandarle costì al S. Elzevirio ; ma il non veder let¬ tere di V. P. R. ma mi ha ritenuto. Ilo anco all’ordine i vetri per un telescopio per il S. Mattia Berneggero, pur per mandargli, acciò per via del S. Beniamino (l) o del S. Elzevirio fusser ricapitati; ma il non 20 veder sue lettere mi tiene irresoluto. Nell’ ultima sua m mi scrisse eh’ era in trattamento col S. Lodo- vico Elzevirio del ristampar tutte lo mie opere (trattone lo sgraziato Dialogo) in un volume. Questo mi piacerebbe talmente, che benché io sia sicuro che tal libro harebbe grande spaccio, non si trovando alle librerie più nissuna delle mio opere et liavendo continue chieste, io mi contenterei (per facilitar il negozio) di obbligarmi a compe¬ rarne cento o più copie, oltre a quelle che alla cortesia di detti SS . 1 Elzevirii piacesse di donarmi ; e pur che si facesse un magnifico volume in foglio, non recuserei qualsivoglia altra iuridica spesa, con- 80 forme alla sincerità de gl’animi Olandesi, celebri sopra tutte le altre nazioni nella realtà. Però la P. V. U. nia , se è anco a tempo, tratti pure col S. Lodovico Elzevirio e vegga di serrare il partito, ch’io non sarò renitente a concorrere a quello che a i medesimi SS.' Elzevirii paresse ragionevole. Otto giorni fa mi fu mandato di Parigi il frontespizio (3) che qui gli mando alligato, acciò lo vegga e lo mostri al S. Elzevirio, che volentieri mi disse che harebbe veduto il primo foglio della mede- l>) Cfr. n.° 8822, liti. IO. <*' Cfr. u.° 33 U. •*> Cfr. u.° 8317, liti. 10-12. 12 LUGLIO 1636. 449 [3320-3321] sima operetta, che mi pervenne 3 mesi sono ; ma un amico me la 40 tolse, con intenzione di procurar di farne venire alcune copie intere. Io gusterei assai che il S. Lodovico ne facesse venir buon numero a Venezia, e poi di costì qua, a confusione de’ miei minici calunniatori. La P. V. IL mil vegga di operare che ce ne venghino. Questo è quanto mi occorre : favoriscami di salutare il S. Elze- virio, e nella prossima seguente settimana manderò le copie manu- scritte, se però mi ghigneranno lettere della P. V. R. raa , alla quale con reverente affetto bacio le mani. co D’Arcetri, li 12 di Luglio 1G36. Della 1\ V. R. raa Dev. mo et Obbligò 10 Ser. rfl U. (j. 3321 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri], Roma, 12 luglio 103(1. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 21(5. — Autografa. Mollo IU. re ed Ecc. m0 Sig. re o P.ron Col. mo Io son sicuro elio V. S. molto IU. r0 ed Eco. ma leggerà questa mia con quella franchezza d’animo con la quale sempre si è governata nolli suoi travaglii. Però li fo sapere, come dopo bavero più volte trattato con 1’ Sig. r Card. 10 An¬ tonio Barberino ll) intorno al suo negozio, o sincerato Sua Em. 7a che V. S. non ha mai hanto pure un minimo pensiero di offendere nè vilipendere la S. t:l di N. S. (S) , e che era lontanissima da così indegna azzione, o che questa verità poteva bavere mille rincontri e riprove, e che l’essere cascato in questo con¬ cetto li premeva più cho tutto il resto de’ suoi travaglii, e che questa machina io de’suoi nemici 1’ haveva trafitta sino all’anima; havendo mostrato S. Em.“ di rostare sodisfatta, ed essendosi mostrata pronta a sincerare N. S. stesso, come unico e potentissimo mezo in questo affare, 1’ Ecc. mo Sig. r Ambasciatore di Fran¬ cia 131 fece risoluzione di pregare S. Em. za cho si degnasse faro così honorata operazione appresso S. S. ta II Sig. T Cardinale promise di fare il sorvizio con tutto il spirito, come effettivamente ha fatto ; o ieri mattina il Sig. r Ambascia¬ tore all’audienza di S. fece la medesima sincerazione a N. S. stesso, il quale, se bene mostrò sentimento che il negozio fosse gravissimo per la Christianità tutta, in ogni modo parlò di V. S. con dimostrazione di benignità, e disse che <*> Cfr. n.«> 8296. ‘ 3 > Fbakcksoo di Noaiu-ks. (*' Cfr. n.° 8227. XVI. 57 450 12 — 15 LUGLIO 1036. [8881-3888] liavova sempre amato V. S., e die li haveva date dolio pensioni, e elio di que¬ sto particolare il Sig. r Card. 10 Antonio haveva parlato gagliardamente: ed havendo 20 il Sig. r Ambasciatore rappresentato a S. S. elio V. S. era prontissimo a tolerare qualsivoglia mortificazione che venisse dalla sua santa mano, ma che non poteva patire elio i maligni havessoro posta in campo così scolorata machina, 0 elio non era mai stato suo pensiero di offendere la S. tà Sua, N. Signore disso que¬ sto precise parole: Lo crediamo , lo crediamo. Il Sig.™ Ambasciatore giudicò prudentemente di non andare più oltre; 0 trattando dopo con 1* Em. mo Sig. r Card. Antonio restò assai consolato, perché S. Em.“ gli promise di continovare gli oftìcii, 0 che sperava fare cosa buona. Riceva V. S. molto 111.™ ed Ecc. ma questo poco che si è fatto da questo Signore veramente suo svisceratissimo, e preghi Dio benedetto elio gli dia forza 30 di faro il resto. Se paresse bone a V. S. fare sapere il tutto al Ser. mo Gran Duca, Signor nostro, e faro darò ordino al Sig. r0 Ambasciatore di Toscana elio ringraziasse l’Em. -0 Sig.* - Card. 10 Antonio, e che li raccomandasse questa causa in nomo di S. A. Sor. 1 "*, mi rimetto. Credo ancora che si potrebbe passare il medesimo officio con il Sig. r Ambasciato!- di Francia, perchè, a dire il vero, si porta egregiamente; e forai non sarebbe male che V. S. scrivesse una lettera all’ Em." 10 Sig. r Card. 10 Antonio di ringraziamento, e stare solo in questo punto, che ella non ha mai hauto pensiero di vilipendere la soproma persona di N. S. Mi perdoni se passo troppo avanti, e riceva tutto da quel continovo desiderio che io ho di servirla con tutto il cuore, 0 mi conservi la sua grazia; e se 40 havesse occasiono di inchinare il mio nome al Ser. m0 Gran Duca e alli Ser. mi Sig. r * il Sig. r Cardinale (i , il Sig. r Pr. Don Lorenzo, 0 a Madama Ser.®*, lo ri¬ ceverò a singolarissima grazia. Con elio li fo riverenza. Di Roma, il 12 Luglio 1630. Di V. S. molto 111.™ ed Eoe.®* Humil.® 0 Devotis. 0 e Oblig.® 0 Sor.™ e Dis. 10 S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Donedotto Castelli. 8322 . GALILEO ,i MATTIA BERNEGGIAR (in Strasburgo]. Arcetri, 15 luglio 1636. ,)al,e P afr ' 1,6 1,20 dell’opera citata nolla informazione promossa ni n.° 2646. — In una * Nola dolio scrit¬ turo ...andato al 8er.« D. Leopoldo » (nel 1656), che è, autografa di Et ,.a Diotuw, nei Msb. Gal. «lolla Biblioteca Nazionale di Firenze, P. VI, T. XVI, car. 13, è indicata anche la presento lettera (cfr. Do- eumenii inediti per la storia dei Manoscritti Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze, pubblicati "1 Caki.o uk'Mudici. 15 LUGLIO 1636. 451 [3322] od illustrati da Antonio Fata no, nel Ballettino di bibliografia e di itoria delle tcìenzr. matematiche e fisiche, Tomo XVIII, Roma, tip. dolio scienze matematiche o fìsiche, 1886, pag. 100); ma quel mano¬ scritto è andato perduto. Sono alcuni mesi che il nostro molto 111. et officiosissimo S. Elia Diodati mi significò il desiderio di V. S. molto I. di havere i vetri por un telescopio 11 ’, e che uscissero delle mie mani. Non mancai di applicarmi subito a mettergli all’ordine per servirla. Non molto dopo il medesimo S. Elia mi avvisò della difficoltà e pericolo del trasmetter anco una semplice lettera da Parigi (dove pensavo d’inviare i vetri) ad Argentina ; onde io sospesi il mandargli là, e stava aspettando qualche occasione sicura, se però sicura se ne ... trovare in questi universali tumulti. Avvenne alcune settimane fa che mi comparse una io lettera scrittami dal S. Beniamino Angeliil quale da parte di Y. S. mi domandava un telescopio, cioè non solamente i vetri, ma il cannone ancora, il quale perchè va lungo più di 2 braccia, è pericoloso, se non impossibile, a condurlo per tanta strada. Intanto mi è sopprag- giunto il S. Lodovico Elzevirio, o di qui passò a Venezia, dove si trattiene ancora, e fra 15 giorni partirà per la patria; e come mi ha fatto intendere, se farà la strada per Germania, come desidera, porterà i vetri a V. S., i quali oggi invio a Venezia, acciò gli siano consegnati insieme con questa : e caso che egli non passasse per Alemagna, i vetri e questa saranno consegnati al S. Beniamino, sicché spero che 20 per P una o per P altra via saranno recapitati in mano di V. S. Io liebbi, circa 3 mesi fa, il primo foglio della mia scrittura tra¬ dotta e stampata, e ultimamente ho ricevuto della medesima il fron¬ tispizio con le 2 lettere i:l) , che mi son piaciute assai ; e ne starò aspettando un esemplare intero, desiderato grandemente da tutti i miei amici, come con affetto contrario è per esser veduto dagli osti¬ nati ed implacabili miei nemici. Io non dubito, che trasmettendone in Italia, harebbe grand’esito, come anco l’uso del mio compasso, che già molti anni sono V. S. si compiacque di far latino ed illustrare con molte sue aggiunte (4> , del quale offizio io mi son tenuto sempre Lett. 8322. 2. » metri — 6. dove pensano — 8. «e ne trovare. — 12. lungo — con l'altro giovino Tedesco Kmanuki.k Sohokkk, dal quale sappiamo che gli ora stato chiesto un telesco¬ pio col cannono per il Bbbnkggkk : cfr. un. 1 3242, 8262. <»> Cfr. mi. 1 3058, 8257. <*> Cfr. u." 700. «*» Cfr. n.o 3285. Cosi Galimco chiamava Dkniamino Enoklckt: (cfr. n.° 2908. lin. 24). il quale in questo tempo ora in Italia e a Venezia. Ma forse Gami-ko qui, come nel n.°3317, lin. 28 o nel n.® 3820, lin. 20 (o cosi puro Fiii.gknzio Miuanzio nel n.® 8819, lin. 21) equivoca 452 15 LUGLIO 1636. [3322-3823] molto onorato e obbligato a V. S. Questo ha grandissima chiesta, e so giornalmente se no fanno copie manuscritte, non si trovando più nissuno di quelli che già feci stampare io (l) , sì come non si trova più nissun’altra dell’opere mie stampate; e se il S. Elzeviro le stam¬ perà tutte in un sol volume, come mi pare che habbia intenzione, spero che il suo utile non sarebbe minore del mio onore. Egli por¬ terà seco per stamparlo un altro mio Dialogo, contenente due nuove scienze intorno al moto e intorno alle resistenze de i solidi all’essere spezzati ed insieme alcune altre cose geometriche, le quali compo¬ sizioni sono la ricolta più stimata da me degli studii di tutta la mia vita. Quando io sia uscito di questa impresa, voglio (se mi avanzerà 40 vita) andar mettendo per ordine una mano di problemi naturali e matematici, che spero saranno assai curiosi per la novità delle con¬ templazioni. Io, S. Mattia, vorrei poter ristringere in breve compendio il molto che harei in animo di dire a V. S. molto I. per rappresentargli quanto io son conoscitore degl’ obblighi infiniti che gli tengo, e quali e quante siano le grazie che io gli ne rendo, e quanta sia la prontezza in me di servirla in tutto quello dove le mie deboli forze arrivassero. La supplico a farne prova con l’onorarmi di suoi comandamenti, da me con ansiotà desiderati; e qui con affetto cordialissimo la riverisco. 50 Dalla villa d’Arcetri, li 15 di Luglio 1636. Di V. S. molto I. Parat. ra0 ed Oblig. mo Ser. ro Galileo Galilei. 3328 *. ELIA DIODATI n [GALILEO in Arcetri]. (Parigi), 15 luglio 1686. Bibl. Naz. Fir. Mss. Bai., 1’. V, T. VI, car. 73r — Copia di ninno di Vincknzio Viviani, elio annoia in margino: < B. 1). 15 Lugl.» 1636. Risposta alla do' 14 lìiug.® ». M’è dispiaciuto il nuovo travaglio sopraggiuntolo, per esserle mancata la speranza di fare stampare in Germania le sue opere del moto, il che avevo antevisto, e, so ben mi ricordo, ne le predissi. Sporo adesso che col riscontro che ha avuto del Sig. Elsevir. 88. u inulta altera — 44. rittrin . Non si preterisce l’ordine mai d’invialo lo lettere al Sig. r Alessandro Bocchineri: come non capitano in V. S., o quello elio li capitano li vengono per la posta ordinaria, non lo so ; ma il diffetto indubitatamente è costì. Ho mostrato il frontispicio del Discorso che si stampa al Sig. Elzivir, et ha li «avuto caro vederlo, e in’ ha detto che le stampo ch’egli farà, dell’opore di V. S. sarano molto più bolle e migliori di questa che è d’Aloinagna. Mi ha promosso di mandarne buon numero qui al Giusti (2) , suo corrispondente. Re¬ io starà ancora tra qui e Padoa almeno sino a mezo il mese venturo, sì che po¬ trà. V. S. mandare le copie, chè egli le portarà seco, e recapitar^ anco lui me¬ desimo li vetri per il telescopio al Sig. Bernegero. Ho tr«attato seco circa il stampare tutte le opere di V. S. in un sol volume, e lo trovo dispostissimo a farlo; e quanto alle conditami, non credo vi sarà alcuna difficoltà, et egli ne scriverà a V. S. Due cose m’ha dotto: l’una, che egli, come sa V. S., non è solo nel traffico, ma in compagnia di altri, con i quali trattarà, e scriverà a me et a V. S. la rissolutione ; l’altra, che converrà trovaro le opere tutto, et, raccolto, faro tradur in latino quelle che sono nella sola lingua italiana, et che questo sarà cosa difficile poterlo fare in Olanda, ove la lingua italiana non è 20 in uso, ma converrà valersi di qualcheduno in Francia. Io credo però cho non sarà molta la difficoltà, perchè sino a quest’ bora credo che la maggior parte sarà stata bitta latina. Quando li ho letta la particola che dovoran escludersi quei disgraziati Dialogi, si è posto a ridere et ha detto : Dio guardi ! pur que¬ sti meritano. Questo è di punto quanto ho trattato. Ilo letta l’epistola liminaro (3 ', quale rimando, et con gusto inesplicabile, perchè tocca gentilmente quello che è vero e notorio a tutto il mondo: e V. S. si consoli, e stia sicura che la sua gloria e fama non può esser soppressa da alcuna malignità o potenza umana; ma V. S. la goda in vita, nella quale Dio <»• Cfr. n » 8820. i*t Giusto Wiffruuioii. Gl Cfr. il.® 8058. 454 10 - 2G LUGLIO 1636. [3324-3326] la conservi con prosperità longamente ; ma doppo sarà ancora maggioro. Con qual fine a V. S. molto III.” et Eccoli. ma bacio lo mani. Yen.*, IO Luglio 1636. Di V. S. molto 111.” et Eccoll. ma Dovotiss. 0 Sor. F. Fulg. 3325* MATTIA BERNEGGER a MELCHIORRE 1IURTER in Scialluaa. ttttrnaburgoj, 25 luglio 1036. Bibl. Olvioa di Amburgo. Codice citato nolla informazione premessa ni ».* 2618, car. 183>\ o(. — Miuutn autografa. Melchiori Hurtoro, Thoologo, Scaplmsiain. Mirifica duo, eaqne prorsus àitpooSóxYjxa, liabuit epistola tua nupera, candidissimi pedona et propellane in me benovolentiae notis refenda: primo, quoti placuisso tibi si- gnificas Apologiam illam Galilaicam, ad defendendam aut saltem impiotata absolvendam sententiam istalli de tenne mobilitato comparatali!. Niliil dissimulo: misi quicquid id est libelli, non quod tibi probatuni iri croderem, qui ariani, neminem tui ordinia hominibus inclomentiora de Copernicano paradoio iudicia ferro Bolero; verum ut, alios antevertens, ipsemet apud te delerrem nomon ineum, ot oxporimontum caperem, an acquo animo pati possis amicum eiuamodi, absurdissimo viso ot a sapientissimorum etiara auribus ab borrente, io dogmate infoctum. Tu vero superasti oxpectationem menni, qui non modo benigniate consumo fortom hanc liberamque pbilosophandi rationem oxcipis, verum oliam animi in has partos inclinantis non obscuram auspicionem praebes. Itaquo Systoma Copernicanum ipsum nunc muuori tibi mittere sum ausuB. Quod si librum accuratius evolvoro per sanctas ac necessarifts occupationes alias tibi vacaverit, niliil quioquam dubito foro, ut, apparenti absurditatis oinni discussa ncbula, sol tibi clarissimae veritatis illucescat.... 15 iul.W 1(336. 332 fi. GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia). Arretri, 26 luglio 1636. Bibl. Marciana In Venezia. Cod. XbVII della CI. X 11.., n.° 9. — Autografa. Rev. ,no P.re e mio Sig. r Col ." 10 Ricevo Ica gratissima della P. V. R.«™ insieme col frontispizio f2) ; et mi è stata resa dal S. Alessandro Bocchineri, come credo che seguirà per l’avvenire delle altre. Di stile giuliano. <*> Cfr. u." 332». 26 LUGLIO 1636. 455 [ 3326 ] Mi piace che il S. Elzevirio si trattenga ancora li 15 giorni di più, perchè barò tempo di mandargli il resto de i nuovi Dialogi, e più le Lettere delle macchie solari e ’1 Trattato delle galleggianti, amendue fatte latine, sì elio non resterà altro che il Saggiatore da tradur latino; il che procurerò che sia fatto in qualche modo. E quanto io al Compasso Geometrico, già fu fatto latino e stampato dal Sig. Ber- neggero (,) con aggiunte e annotazioni ; e sarebbe bene farne venire in Italia, dove ha continue chieste e bisogna continuamente farne copie manuscritte. Di Roma intendo che PEm. mo S. Card. Antonio o ’l S. Ambasciador di Francia han parlato a S. S. là , cercando di sincerarla come io mai non ho hauto pensiero di fare opera sì iniqua di vilipender la per¬ sona sua, come gli scelerati miei inimici gPhavevano persuaso, che fu il primo motore di tutti i miei travagli ; e che finalmente a questa mia discolpa rispose : Lo crediamo, lo crediamo, soggiugnendo però, 20 clic la lettura del mio Dialogo era alla Cristianità per noiosissima e2) . Però è ben considerare, se mettendosi il S. Elzevirio a ristampar tutte P opere mie, sia bene lasciar questa, acciò non venga, per cagion sua, proibito il tutto ; nel che mi rimetterò al lor parere. Aspetto di sentire che le sia pervenuto l’invogl ietto de i 2 primi Dialogi, che trattano la nuova scienza della resistenza de i solidi all’essere spezzati; col quale invoglietto gli mandai anco un plico per il S. Berneggero, entrovi i vetri per un telescopio. Molti aspettano con desiderio questa mia scrittura ultimamente stampata : però mi favorisca sollecitare il S. Elzevirio, acciò ne faccia venir costì al suo so rispondente quanto prima. E con fargli reverenza, insieme col S. Elze¬ virio, finisco. D’Arcetri, li 26 di Luglio 1636. Della P. V. R. ma Dev. mo et 0b. mo Ser. re G. G. Godo da otto giorni in qua, qui appresso rii me, la dolcissima conversazione del molto R. P. Buonaventura Cavalieri, Matematico dello Studio di Bologna, alter Archimedea, il quale con riverente affetto la saluta e gli fa offèrta della sua servitù. Cfr. u.° 7no. i*' Cfr. u. u 3321. 456 20 LUGLIO 1036. [8327-3328] 3327 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, '20 luglio 1000. Blbl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. XI, ear. 218. — Autografa. Molto III.' 0 od Ec.c. ,n0 Sig/ 0 e P.ron Col. 0 lori mattina a buon’ bora a digiuno andai dal Sig. r Ambasciatore nostro 111 o li mostrai la lettera di V. S. molto IH.” ed Ecc.°“, e li feci «istanza elio dovesse mantenere caldo 1’ Em. ro# Sig. r Card. 1 Antoniosì come fece, e no riportò pro¬ messa di continovare il suo favore con S. S. tà Piaccia a Dio elio io possa bavere questa consolaziono, eli è io reputarò di non essere stato a Roma in damo. Credo che il negozio caminarà bone, perchè rEcc. mo Sig/ Ambasciatore sta sul partire, e li sarà facile in questo ultimo ottenero le grazie, e so elio questa li preme al cuore. Mi rallegro che il P. Bonaventura sia venuto a consolarla, o mi dispiace non esserci in terzo. Se si ritrova ancora costì, lo saluti caramente da parte mia, o li io dica che io resto confuso por non poterlo servire nel suo negozio, elio m’inten¬ derà <3) . Fo riverenza a Y. S. e me li confermo il medesimo servitore di sempre. Roma, il 26 di Luglio 1636. Di V. S. molto 111/" ed Ecc. m " T^a lettera che mi ha scritto il nostro I\ Bo¬ naventura credo elio mi servirà mirabilmente, por essere molto a proposito etc. Devotiss. 0 o Oblig." ,n Sor/® S/ Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori : Al molto 111/ 0 et Ecc. ,no Sig/° o P.ron Col.® 20 Il Sig.' Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser.“* Firenze. 3328 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 4 2G luglio IG.%. Bibl. Est. In Moclona. Raccolta Cuiupori. Autografi, B.* LXXX, n.° 129. — Autografi la sottoscrizione e il poscritto. Molto 111.» et Eccoli. 1 » 0 Sig/, Sig/ Col." 10 Ricevo con le lottere di V. S. molto HI/ 0 ot Eccell. 1 " 11 lo scritture de i suoi primi due Dialogi 141 : il primo de'quali havendo già letto, ho voluto subito con <*' Francesco di Noailles. <*> Antonio Bahbkkini. < 3 ' Cfr. n.° 8808. «‘i Cfr. u.o 8826. 2G - 27 LUGLIO 1036. 457 13328-3329] suprema avidità scorrer il secondo, noi quale ritrovo cose del tutto nove, non os¬ servate o erodo neanco pensate, e che arrecherano a i professori maraviglia, diletto et utile. Per dir il vero, la mia cognitiono in tali materie è carta, onde le demostrationi mi rioscono difficili. Aspetto li altri due del moto, cliè è là ovo con grand’ansietà corro ; imperochè sin bora con tanto dicerie è stato in¬ segnato tanto poco, elio si può dire niente, io La lettera al sig. Beraagero' 11 non dubiti che capitarà sicura, come anco quella al suo nepote ; la quale non mandai bieri, percliè non mi venne a tempo elio io potessi ricapitarla con mezo d’un mercante elio indubitatamente ei servirà. 11 Sig. Elzivir è andato a Padoa per suoi nogotii, o sarà di ritorno fra quat¬ tro giorni. Lo consegnerò ogni cosa: e quanto alla stampargli mi ha sicurato ebe la farà presto, e bella o magnifica al possibile. Di novo mi ha riconfermato quanto nelle passate scrissi a V. S. circa lo stampare tutto lo sue opere in un solo volume. Avanti che parta, elio dice sarà doppo mezo Agosto, tratterò il medesimo con ogni strettezza; et essendo questo un motivo che è venuto da me, creda pur V. S. che non mi mancano nè ragioni nè affetto per promoverlo. V. S. 20 tratanto vada mettendo all’ordine lo opere, perchè nessuno meglio elio lei può sapere quali o quanto siano. Mi disse il Sig. r Elzivir anco che farà il viaggio por Germania ; nel qual proposito fermandosi, consegnarò a lui anco il piego del S. r Bernagier. E con tal fine a V. S. molto 111.™ ot R. ma (sée) bacio le mani. Ven. 11 , 26 Luglio 1636. Di Y. S. molto III.™ et Eccoli." lR Dev. ,no Sor. S. r Galileo. F. F. Avverta V. S. che le figure mandate devono essere 30, et sono solamente 37. Vi mancano le due ultime: quella che devo servire alla propositione Tinta una canna vota, si possa trovare un cilindro jne.no, uguale ad essa, et Trovare (inai 80 proportione habbiano le resistenze di una canna e d’un cilindro, qualunque, siano purché ugualmenta lunghi l *’. Credo bene, verranno col rimanente; nondimeno ho voluto avisarlo, chè non creda! 8329 *. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI STEINBERGER in Croazia. [Strasburgo], 27 luglio 163(5. Bibl. Civica di Amburgo. Codico citato nella informazione promessa al u.o 2CI3, car. 186r. — Minuto autografa. i Ioh. Steinbergero, ' in Croatiam. _Cui | Z?7)ro| ndiungo quoque Copernicano!» Syslcma Galilaei, non ut Libi proprium sit (non enim, credo, delectaris, torsau etiam offouderis, ista itapaBógq» philosopliia), sed ut per m Cfr. il.» 3822. »*> Cfr. Voi. Vili, piijj. 188. XVL 68 \ 458 27 LUGLIO — AGOSTO 1636. [3329-3330] occasionom in Italiani ad autorem ipsum transmittas. Quod caute tamen faciendum erit, ne in cuiusquam alterili» manne libor incidat. Audio enim, eximio illi summoque viro per aomnloa, vel inimico» potine, oxcitata pericola propter opus illud italico vulgatum; quod ipsum si transalpino rum curiositate conversum cernerent, metuendum foret ne acriua ipsum persoquerentur. Ueterum liane misBiouem (nini certae occasioni alicuiue improvisa coui- moditas aliutl suadeat) velini difforas, usque dum littorae meae ad Galilaeum ipsum ecri- io bendae subsequantur. Quibus nddam indicem aliquot locorum Systomatis, in quibus con- vertendis oxpedire me non potili, ut saltelli in editione seconda pronao vitia corrigi queant. Hunc autem indicem mine quidem colligere per alias occupationes non vacavi!. Constiti!i quoque ab autore petere, ut mihi tolescopium astronomicum acre meo procure! Quid videtur? anno spes est, voti me compotem l'oro? et qua via instrumentum illud ibit ad me? noni quid Augustam per te curari poteri!? Certo, quantumeunque pedinine hoc no¬ mine expendoa, ìiona fide me redditunnn dubitare noli.... 17/27 lui. 1636. 3830 . GALILEO a LADISLAO IV, He di Polonia, [in Varsavia/?)]. [Arcctri, luglio-agosto 1C86J. Btbl. Na*. Pir. Mss. Gai., P. 1, T. IV, cnr. 110. — Minuta autografa, in calco alla (piale si logge, pur auto¬ grafo: mia al Re di Pollonia. Invio alla M. V., Ser. rao et Invittissimo Re, 3 coppie di cristalli, conforme al comandamento che ricevetti ultimamente dalla sua be¬ nignissima lettera 11 ’. Ho procurato che ella resti servita il meglio che mi è stato permesso di fare, restando io tuttavia nella carcere, dove da 3 anni in qua mi ritrovo, d’ordine del S. t0 Offizio, per bavere io stampato il Dialogo sopra i 2 sistemi Tolemaico e Copernicano, se bene con la licenza del medesimo S. t0 Offizio, cioè del Maestro del Sacro Palazzo di Roma. So che di tali libri ne son pervenuti in coteste parti, onde e la M. V. et i suoi scienziati possano liaver compreso quanto sia vero che in quelli sia sparsa una dottrina più scanda- io Iosa, più detestanda e più perniziosa per la Cristianità, di quanto si contiene ne i libri di Calvino, di Lutero e di tutti gl’ eresiarchi insieme; e pur questo concetto è stato talmente impressionato nella mente del Papa, che il libro resta proibito, et io con ignominia af¬ flitto, e condennato alla carcere ad arbitrio di S. S. u , che sarà in Lett. 3330. 9. In luogo di postano haver compreso prima avova scritto, o poi cancellò: potranno com¬ prendere. — i‘> Cfr. u.o 3290. 1° AGOSTO 1636. 459 [3330-3331] perpetuo. Ma dove mi trasporta la passione ? Torno a i cristalli, li quali sono per 3 telescopii di diverso lunghezze, le quali quanto devano essere lo mostrano li spaghetti avvolti intorno alle medesime coppie. Tutti 3 servano per le viste di terra, et il maggiore serve di 20 più por le osservazioni celesti. Riceverò gran contento in sentire che siano pervenuti nelle mani di Y. M., e maggiore sarà se gli riusci¬ ranno, come spero, di sua sodisfaziono. Io vivo ambiziosissimo della grazia della M. Y. e desiderosissimo de’ suoi comandamenti, mentre con lmmiltà inchinandomi gli bacio la veste e gli prego da Dio il colmo di felicità e di gloria. 3331. ALBERTO CESARE GALILEI e GIACINTO CORNACCniOLI a [GALILEO in Arcetri] Monaco, 1° agosto 1636. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 220. — Tanto la lotterà (mono la firma, cho è autografa) quanto il poscritto sono di mano di Giacinto Counacchiou. Molto Ilb ro Sig. or Zio, Quando mi credevo esser affatto privo di tutti li paronti por la gran pesto soccessa alcuni anni sono costì nella Toscana, ora, colla gratia del Signore, dal Maestro di cappella 10 del Soreniss. 0 Elettore di Baviera, mio Principe e Pa¬ drone, sono assicurato della vita o sanità di V. S., sendo che nel passar detto Maestro por Yenetia, fu pregato dal molto R. P. Fra Fulgentio, Teologo di quella Republica, a procurare qui la piena relatione di noi altri, rimasti della famiglia de’ Galilei, asserendo ciò essere istanza di V. S. : sì elio io ho voluto, com’ è mio debito, con questa obedire a’ suoi cenni et informarla a pieno del nostro stato, io Noi siamo rimasti tre soli fratelli, dopo haver perso padre, madre, altri tre fratelli o sorelle. Il maggiore, che si chiama Vincenzo, si ritrova al pre¬ sento in Polonia, come virtuoso di suono di liuto e canto al servitù) d’un prin¬ cipe ; io sono il secondo, o servo qui in Monacho S. Altezza per virtuoso di liuto o violino; l’altro fratello minore io lo tengo appresso di me, o lo fo attendere a scuola da’ Padri Gesuiti. In quanto poi al nostro havere, è solo il nostro man¬ tenimento la provisione che no dà S. Altezza, poiché quel poco che ne lasciò nostra madre, andò il tutto a fiamma e a foco, come altri moltissimi valsenti d’infinito ora poverissime famiglio; sicliè noi ci manteniamo il meglio che si può, poveri sì ma virtuosi et konorati. E perchè è piaciuto così a S. D. M. tà di farci 20 restar orfani non solo, ma anche poveri per la perdita di quel poco ch’avevamo, 20. Prima aveva scritto: Sentirò particolar contento in sapere che; poi corresse: Riceverò ...in sentire che .— '*> Uio. Giacomo Poh ho. 460 l 8 - 2 AGOSTO 1636. [3331-3332] devo supplicar V. S. a non sprezzar questa nostra povertà, ma a conservar vorso di noi quel moderno affetto da padre die a me portava quando mi manteneva costì in sua casa propria, promettendo noi all’incontro di toner V. S. non solo in loco di padre, ma e di signore, conio conviene al nostro debito o a’ suoi meriti. Fra tanto supplico V. S. a degnarsi risponderò a questa; e se sarà di suo gusto io volontieri, con bona licenza di S. Al., mi risolverei di venire a visitarla por farli debita reverenza di persona ot pigliar da loi ogni bone ordino del nostro vivere: però il tutto dependa dal suo ordine. E por non più tediarla, col mio fratello Cosimo li fo liumilissima roverenza, o lo preghiamo dal Signoro lunga vita o sanità. Di Monaco, p.° d’Agosto 1030. 30 Di V. S. molto Ill. r0 Ilumiliss. 0 Nip.° e So. re Alberto Cmsare Galileo. Sig. r Galileo, io sono D. Giacinto Cornaceli ioli, Maestro di cappella di Siona a quel tempo che loi, nel ritorno da Roma, si fermò in palazzo di Mons. Ar¬ civescovo, o por sua gratia si compiaceva del canto di quel mio castratino, il quale ò meco ancor lui al servitio di quest’Altezze. E perchè il Sig. r Alberto Cesare suo nipote ha fatto capo di mo in dar raguaglio a Y. S. del suo stato o de’ fratelli, ho voluto sorvirlo e far vera fedo a Y. S. conio questi suoi ne- poti sono tre giovani virtuosi ot honoratissimi o degni della sua tutela e pro- tettiono. Io voglio loro tutto il mio bone, et a V. S. m’ofìro por quanto vaglio. 40 3332 *. FRANCESCO NICCOLIN1 u GALILEO [in Arcetri). Roma, 2 aifoftto Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cani|iori. Autografi, B.* LXXXU, n.° 115. — Autografa la sottoscrizione. Molto lll. re Sig. r mio Osa.' 1 ' 0 Ho fatto haver buon ricapito allo lettere inviatomi da V. S. per il S. r Card. Antonio (il o S. r Ambasciatore di Francia; et nel veder i medesimi SS. ri gli as¬ sicurerò, con un pienissimo ringraziamento, della gratitudine che ella conserva do’ lor favori' 2 ', acciò tanto piè volentieri glieli continuino, come io non lascierò mai l’occasioni che mi si presentino di servirla, con disgusto d’ haverlo fatto sin bora poco fruttuosamente. Intanto lo resto obbligato por la cortese memoria che conserva di me, come fa l’Ambasciatrice ancora, elio lo ne rondo grazie; ot con tutto ramino le bacio le mani. Roma, 2 Agosto 1636. io Di V. S. molto lll. ro Devot."’ 0 Ser. r0 S. r Galiloi. Frane. 0 Ni eco li ni. IO Antonio Bariirkini. <*> Cfr. ii.® 8821. lin. 81-35. [3333] 9 AGOSTO 163G. 401 3333 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 9 agosto 1636. Bibl. Naz. T'ir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 222. — Autografa. Molto III.™ et Ecc. mo Sig. ro e P.ron Col. 1 " 0 11 Sig. r Ambasciator nostro (1) , andando a visitare TEm." 10 Sig. r Card. 10 An¬ tonio quattro giorni sono, portò la lettera di V. S. Ecc. ma con intenzione di lasciarla in mano di S. Em. za , a fin che la potcsso mostrare ; ma S. Em. M non la volse, con dire elio non bisognava mostrarla, perchè di già era stato fatto sinistro officio con S. S., che tutto quello che faceva il Big.** Ambasciatore era fatto a instigatione mia o non d’altri. Con tutto ciò la conclusione fu all’bora di replicare gli officii con ogni premura. lori il medesimo Sig. re Ambasciatore andò, per l’ultima sua audionza o licenziarsi, a Palazzo, o nel ragionamento con S. S. io entrò a trattare di V. S. Eoc. irm ; o dopo molte cose, N. S. promise a S. Ecc. 7R di proporre la cosa in Congregazione: del cho havendono dato parte al Sig. r Card. 1 ® Antonio, S.risposo: Buono, buono; ed io farò offiei.o con tutti i Cardinali della Congregamene. E questo ò quanto passa. Io spero bene: tuttavia non pos¬ siamo essere sicuri di altro che di un ardentissimo desiderio del Sig. r Ambascia- toro in favorirla e di una grandissima benignità deH’Eiu. ,n0 Sig. r Card. 1 Antonio. Devo poi significare a V. S.. Ecc." ,!l come il Sig. r0 Ambasciatore mi ha co¬ mandato elio li scriva che in tutti i modi li mandi una copia de’ suoi Discorsi j De molu, promettendoli tenerli cari come tesori preciosi. Io non li dico altro, solo che questo Cavaliere merita ogni bene e ogni servizio: però la prego a 20 non mancare, e fare cho la copia venga in Roma in mano mia per il principio overo mezo di 7bre prossimo, dovendo S. Ecc. 211 partire. Di presento fo copiare la scrittura di Madama Ser.'" a , che ha da servire per il Card. 1 ® Antonio: chi sa? lo li fo humile riverenza, e bacio le mani al Padre Bonaventura, se si trova costì, al quale mi farà grazia di dare l’inclusa; se no, la mandi a Bologna. Roma, il !) d’Ag.° 1636. Di V. S. molto Ill. ro ed Ecc. ma Devotiss.® e Oblig. mo Sor.™ e Dis. 10 S. r Gal.® Gal. 1 Don Bened. 0 Castelli. 80 Fuori: Al molto lll. re ed Ecc. m ® Sig. ro e P.ron Col. m ® Il Sig. r Galileo Galilei, p.® Filosofo di S. A. Ser."’ a Firenze. <*> I>'rANCK 3CO 1)1 NOAlbLKS. 462 9 - 12 AGOSTO 1636. [8834-3335] 3834. FULGENZIO MIOANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 9 agosto 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 285. — Autografa. Molt’ 111 » et Eoe. 1 »» Sig. r , Sig. r Col." 10 Ricevo la gratissima lettera di V. S. molto Ill. ra et Ecc. m di 2. Ho posto lo due figure 11 ’ nel foglio ove mancano, o la demostratione mandata al suo luoco, che è alla figura 31, o la mostrarò al Sig. r Elzivir, acciò non si falli, perché la figura 31 non servirà, più (2> , ma questa mandata da V. S. in suo luogo. Si è rallegrato il Sig. r Ludovico, quando gli ho detto che tutto l’opero di V. S. sarano raccolte, e di già. sono latino eccetto c.ho questi ultimi Dialoghi, do’ quali egli non ha dubbio elio subito sarano tradotti. Mostra gran voglia di fare questo volume, et io reputo si facia gran beneficio alla posterità, studiosa. Ho sentito nominar il P. Cavalieri, Mathematico di Bologna; male attesta- io tioni di V. S. me lo mettono in concetto così grande, che io l’honoro et ammiro in grado supremo. Ho ricercato so vi siano sue opere, e mi dicono di no. La virtù ò bona, e por ciò non può stare senza comunicarsi. Mi duolo del travaglio che le dà, il suo piede : frutti dell’ età,, do’ quali io ancora ne colgo cotidianamente qualcuno con assai pacienza. Li gusti si riducono allo specolationi, le quali V. S. ha tanto nuovo et singolari, che veramente gode in vita la felicità che si può bavere ot con la gloria presente et futura, che certo supera 1* invidia, se fosse sola invidia. Ma contro lei l’invidia fu lo stimolo ; ma puoi la malignità seguita non trova quiete, so non fa contro l’innocenza tutti li sforzi. Dio la proteggerà, come Lo prego ; ot a V. S. Ecc. ma bacio le mani. 20 Ven.“, 9 Agosto 1636. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Devotiss. 0 Sor.® F. F. Aspetto li Dialoghi, perché il S. r Elzivir si allestisse al partire. 3335**. GIULIO NINC1 a GALILEO [in Arcetri], San Caaciaao, 12 agosto 1(336. Bibl. Naz. Fir. Appondico ai Mss. Gal., Filza Fnvaro A, car. IH. — Autografa. Al Molto Ilure Sig. re Galileo Gali. Vi mando staia undici di cruscolino e staia dua di panicho por Lorezo Vani. Ter conto dello legnie grose, io non ò auto anliora risposta, e glene mandrò <» Cfr. 11 .« 3328. <*» Cfr. Voi. Vili, pag. 176. 12—15 AGOSTO 1636. 463 [8335-33371 dire; macho non ò potuto mandarle prima, perchè io non sono stato a casa. V. S. mi cusi; o so gli ocre niete altro, la mi comadi, perche ò grado desiro di ser¬ vila. Dio vi guardi, e vi conceda la sanità. Il di 12 di Agosto 1636, in Sancascano. Vo. ro Afif. 0 Giulio Ninci. Fuori : Al molto lln. ru Sig. 1 ' 0 io Galilelo Galilei. 8336 . GIO V ANFRANCESCO BUONAMICI a [GALILEO in A reetri]. Prato, 13 agosto 1G3G. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 294. — Autografa. Molto 111.™ Sig. mio Oss. m ® Un personaggio oltramontano di molta qualità, particolarmente affezzionato allo virtù et merito di V. S., al quale io già di Roma partecipai il caso di V. S. con quella scrittura u) che a lei medesima communicai, ini richiedo bora di¬ stantemente la copia di quella sentenza che io procurai in Roma et dotti a V. S. in Siena (2) , per valersene a benefizio della reputazione di V. S. ; onde la prego me ne favorisca, acciò io possa servirne dotto Signore, oliò veramente in infinito lo desidero et devo. Con tale occasione ricordo a V. S. le mio molte obligationi verso di lei ; et por un piccolo saggio della memoria che io no con¬ io servo, si compiacerà V. S. gradire la mostra clic le invio di due fiaschi di vino della nostra cantina, elio più ampiamente desidera servirò a V. S. personalmente. Con elio di tutto cuore li bacio le mani. Di Prato, 13 Agosto 1636. Di V. S. molto 111.'' 6 Aff. mo Servitore Giofran. 0 Buonamici. 3337 . GALILEO agli STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI. [Arcctri, 15 agosto 1G3GJ. H. Archivio di Stato oll’Aja. Armadio dotto loquetkn * dogli Stati Generali. — Autografa. Sul margino supcriore, a sinistra, dolla prima carta, si leggo di mano sincrona: « Recopta dio il Novombris 1G3G ». Alli Illustrissimi et Potentissimi Signori, i Signori Ordini Generali delle Confederate Provincie Belgiche etc., Galileo Galilei. A voi, Illustrissimi et Potentissimi Signori, a voi domatori e domi¬ natori dell’Oceano, è stato riserbato dalla fortuna, anzi da Dio, di Cfr. Voi. XIX, l)oc. XXIV, c, 4). (*> Cfr. a.o 2670. 404 15 AGOSTO 1636. [ 3337 ] ridurre all’ultimo et altissimo grado di perfezziorie l’ammirabile arte della navigazione, nella quale, come ben sanno i periti (de i quali voi et in numero et in perfezione sete sopra tutte l’altre nazioni abondanti) una sola scienza e perizia manca, acciò in essa nulla resti più che desiderarsi ; e questa è la facoltà di potere non meno cono- io score e apprender la longitudine, di quello che si conosca e apprenda la latitudine: dalle quali due cognizioni si ha sicura notizia del luogo ove, non meno in acqua che in terra, sopra questo gran globo ma¬ ri timo et terrestre ci ritroviamo. 11 modo di potere in ogni tempo sapere la longitudine è stato per molti secoli ricercato da astronomi et altri ingegni speculativi, et da gran potentati promessa recognizione grande di lionore et di utile a chi ne fusse trovatore. Sino a questa nostra età non è stata conosciuta altra strada che la antichissima per via de gl’eclissi lu¬ nari, con l’aiuto de i quali nel corso di molti anni et secoli hanno 20 i geografi disegnate le lor tavole delle provinole e de i mari sparsi nella faccia del nostro globo. Ma la rarità di tali eclissi per il bi¬ sogno de i naviganti resta totalmente inutile. Da accidenti che acca¬ scili no in terra, non ò possibile trovar la differenza di longitudine se non inutilmente tra luoghi vicini ; perchè nè fumate di giorno, uè fuochi di notte, possono esser osservati nè anco in distanza d’un grado. Però bisogna ricorrere ad accidenti altissimi et celesti, visibili negl’interi emisferii. Di tali ne è stato cortese il cielo nelle età pas¬ sate, ma per i presenti nostri bisogni assai scarso, non ci liavendo aiutato con altrp che con gl’eclissi lunari: non già che l’istesso 30 cielo non sia abondantissimo di accidenti frequenti, notabili, et som¬ mamente più atti et accommodati a i bisogni nostri de gl’eclissi lunari o solari ; ma è piaciuto al Rettor del mondo tenergli celati sino a i tempi nostri, et palesargli poi per industria di due ingegni, uno Olandese et l’altro Italiano, Toscano et Fiorentino: quello, come primo inventore del telescopio o tubo Ollandico ; et l’altro, come primo scopritore et osservatore delle Stelle Medicee, così da esso nominate dalla casa del suo Principe et Signore. Hora, per venire al punto in brevi parole, espongo alle Sig. rie vostre Ill. ma et Potentiss. 6 tutta l’historia et somma del presente negozio. 40 Sappiano per tanto, come intorno al corpo di Giove vanno per¬ petuamente rivolgendosi quattro stelle minori, con diverse velocità, 15 AGOSTO 1636. 465 [3337] in 4 cercliii di differenti grandezze; dai movimenti delle quali stelle Laviamo, per ogni giorno naturale, 4, 6, 8, et ancora, spesse volte, più, accidenti tali, che ciascheduno è non meno accomodato, anzi molto più, che se fossero tanti eclissi lunari, per la investigazione delle longitudini, atteso che, essendo la lor donazione di breve tempo, non danno occasione d’errare nella numerazion delle bore et delle parti loro. Gl’accidenti poi sono i seguenti. Prima, per essere il corpo 60 di Giove per sua natura non meno tenebroso che la terra, et ri- splendente solo per la illuminazione del sole, distende nella parte opposta al sole la sua ombra in forma di cono, per la quale ciascuno de i suoi 4 satelliti passa, mentre scorre la parte superiore del suo cerchio ; et essendo essi ancora, a guisa di 4 lune, privi di luce, et solamente risplendenti per 1’ illuminazion del sole, entrando nel cono dell’ombra di Giove, si eclissano; et per la piccolezza loro, la immer¬ sione nelle tenebre si fa in tempo di un minuto d’bora in circa ; parimente, alcune bore dopo uscendo dell’ombra, in altro tempo bre¬ vissimo recuperano lo splendore: dal che è manifesto, che gl’ osser- co vatori di tali eclissi non possono differir tra di loro, circa ’l tempo della esquisita osservazione, d’un minuto d’hora. Oltre a gl’eclissi, vi sono, secondariamente, le applicazioni de i lor corpi a quello di Giove; dove si può osservare l’esatto momento nel quale mostrano di toccare il disco di Giove, come anco, all’incontro, viene osservabile la loro separazione dal medesimo disco: et tali congiunzioni et separazioni vengono osservabili senza errore di mezo minuto d’ bora, mediante la velocità del lor moto e ’l piccolissimo momento che media tra ’l toccare e ’l non toccare. Sono, nel terzo luogo, osservabili le con¬ giunzioni et separazioni tra di loro de i medesimi satelliti, li quali, 70 mentre che con movimenti contrarii si vanno ad affrontare, scorrendo questi la parte superiore de i lor cerchi et quelli la inferiore, si con¬ ducono all’esatta congiunzione, la quale passa in manco d’un minuto d’hora, sì che il suo mezo viene ésattissimamente comprensibile, senza errore anco di pochi minuti secondi. Questi sono gl’accidenti frequentissimi in tutte le notti, in qual si voglia parte di tutto ’l globo terrestre, et in tutto ’l tempo del¬ l’anno che Giove resta visibile et osservabile: de i quali accidenti quando ne siano da perito astronomo formate le efemeridi, calcolate a qualche meridiano stabilito, come, v. grazia, al meridiano d’Amstel- XVI. 50 15 AGOSTO 1G36. 466 [8837] damo, delle quali ne babbi ano i nauchieri copia appresso di loro fa- so cendo a i tempi oportuni le osservazioni e confrontandole con i tempi notati nelle efemeridi, potranno, dalla differenza dell’ bora numerata da loro e l’bora notata nell’ effemeride, comprender la distanza del meridiano, nel quale si trovano, dal primo meridiano d’Amsteldamo, che è la cercata longitudine. La sicurezza e V utilità grande di potere in terra riformare et emendare tutte lo carte geografiche e nautiche, sì che non differi- scliino dal vero nè pur mezo grado nè (direi quasi) una lega, è ma¬ nifestissima e facilissima; perchè, senza efemeridi nè altri calcoli, basta che uno, nel luogo dove si trova, vadia per alcune notti osservando no de i sopra nominati accidenti, notando Y bora della sua apparenza, la quale, conferita con le osservazioni medesime fatte et notate, con i lor tempi, in Amsteldamo o in altro luogo, darà la differenza de i meridiani: sì che siamo sicuri che tal pratica per l’avvenire è per essere esercitata; e con essa sarà restituita tutta la geografia all’assoluta giustezza, ottenendosi in numero minore di anni quello che in maggior numero di secoli non si è ottenuto con l’aiuto de gl’eclissi lunari. Ma per l’uso della navigazione restano 4 particolarità da guada¬ gnarsi. Prima, l’esquisita teorica de i movimenti di esse Stelle Medicee circumioviali, per la quale da periti astronomi si possano calcolare i«o et distribuire in efemeridi tutti gl’ accidenti sopranominati. Secon¬ dariamente, si ricercano telescopii di tal perfezzione, che chiaramente rendano visibili et osservabili esse stelle. Terzo, convien trovar modo di superar la difficoltà che altri può credere che arrechi l’agitazione della nave nell’uso di esso telescopio. Nel quarto luogo, si ricerca esquisito orologio per numerar l’hore e sue minuzie, a meridie overo ab occasu solis. Quanto al primo, io ho con tal precisione guadagnati i periodi de i movimenti delle 4 stelle, che le costituzioni, per molti mesi calcolate innanzi, puntualmente mi rispondono; et (come sanno ino periti nelle osservazioni et ne i calcoli de i moti celesti) il corso del tempo va sempre aggiugnendo maggiore esattezza. Quanto al 2°, ho sin qui ridotto a tal perfezzione il telescopio, che i satelliti di Giove, benché invisibili non solo all’occhio libero ma a’telescopii co¬ muni, si veggono non manco grandi et risplendenti delle stelle fìsse della seconda grandezza vedute con l’occhio libero; anzi si continua 15 AGOSTO 1636. 467 [3337] a vedergli ancora nel crepuscolo, quando ni una delle fìsse resta più visibile. Ma di simile et anco di maggior perfezzione mi giova cre¬ dere che siano per trovarsene in cotesto regioni, dove fu la prima ! 2 o invenzione. Circa ’l 3°, ho anco pensato a qualche oportuno remedio per collocar l’osservatore in luogo talmente preparato, che non senta la commozione della nave. Ma intorno a questo particolare, mentre io riguardo a quante operazioni ha ritrovate il progresso del tempo, l’esperienza e la solerzia de gl’ingegni humani, non metto difficoltà nissuna che la pratica d’huomini accorti et pazienti non sia per adde¬ strarsi in cotal uso non meno in mare che in terra, et massime che la nostra operazione non ha da esser da pigliar distanze, con qua¬ dranti o altri tali strumenti, tra stella et stella, ina un semplice pas¬ saggio della vista, per vedere se due di quei satelliti son congiunti, 130 se si applicano al disco di Giove, o se sono usciti o siano per entrar nel cono dell’ombra; de i quali accidenti, fatti prima avvertiti dal- l’efemerida che devono seguire in quella notte, col tornare spesso a replicar l’osservazione, incontreranno precisamente il tempo et P fiora dell’evento. Finalmente, circa il 4° requisito, io ho tal misurator del tempo, clic se si fabbricassero 4 o 6 di tali strumenti et si lascias¬ sero scorrere, troveremmo (in confermazione della lor giustezza) che i tempi da quelli misurati et mostrati, non solamente d’hora in bora, ma di giorno in giorno et di mese in mese non differirebbero tra di loro nè anco d’un minuto secondo d’ bora, tanto uniformemente no cambiano: orologii veramente pur troppo ammirabili per gl’osservatori de i moti e fenomeni celesti; et è di più la fabrica di tali strumenti schiettissima e semplicissima, et assai meno sottoposta all’alterazioni esterne di qual si voglia altro strumento per simile uso ritrovato. Io benissimo so, Illustrissimi et Potontiss. L Sig. ri , che avanti a Principi grandi si dovrebbe comparire con le invenzioni nuove già stabilite et atte a porsi in uso immediatamente ; tutta via so ancora che la prudenza vostra comprenderà, che non essendo io liuomo ma¬ rittimo nè idoneo alla navigazione, non son potuto venire nel cospetto loro in altra maniera che in questa. Sarei per avventura potuto ve- i&o nire presenzialmente, quando la longhezza del viaggio, la mia grave età di 73 anni, et altri impedimenti, non mi havessero ritenuto. Ma quello che mi assicura appresso la benignità et grandezza d’animo delle SS. 6 vostre Ill. me et Pot. me è il non haver io preteso altro, se 468 15 AGOSTO 1636. non che la prudenza et Immanità loro gradisca questo piccol parto del mio ingegno, del quale gli fo libero dono, come anco oblazione di quello che restasse per l’intero complimento di questo negozio. Et qui por line voglio aggiugnor questo : che le SS.® Vostre lll. m « et Pot. m ®, come veramente potentissime sopra tutti gli altri potentati del mondo a dar cominciainento et ridurre a perfezione impresa tanto bramata et ricercata, non restino d’applicarvi il pensiero e la mano: e ino siano certi che bora o in altro tempo ha da esser messa in uso questa invenzione, la quale può dirsi ammirabile, come quella che depende da cose celesti e divine, riposte là su da Dio por solamente arrecar benefizio al genere humano. I principii di tutte le imprese grandi hanno delle difficoltà, le quali la paziente industria de gl’ huomini col tempo va superando, come apertamente può ciascuno intendere il quale vadia considerando tante et tante arti, i principii delle quali siamo sicuri che furon debolissimi, et hora si veggono ridotte a far cose che rendono ammirazione a i più elevati ingegni. Io potrei no¬ minare arti innumerabili, ma basti questa sola della navigazione, da no i vostri medesimi Olandesi a sì mirabil perfezione ridotta; che se questa sola perizia che resta, del trovar la longitudine, che a loro par risorhata, verrà aggiunta alle altre tanto industriose operazioni per loro ultimo e massimo artifizio, haranno posto termine e meta alla gloria, oltre alla quale niun’ altra nazione può sperar di passare. Et humilmente le inchino. 3338 *. GALILEO agli STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI. [Arcotri, agosto 1636]. Dallo pn(f. 62-61 doll’opora intitolata : De vero teletcopii inventore, cum brevi omnium conepiciliorum hiitoria, eco. Autliore Pktro Borri.Lo, lìegis Cliristianissimi Consiliario ot Modico ordinario. Hagao-Coinitum, ox typographia Adriani Vlacq, M.DC.LV. I/editoro promotte alla lottora di Gai.ii.ko le aoRuonti pardo: « No(|U6 haoc palaostrn [c»oì il problema della determinazione delle longitudini] dodecuit coloborrimo viro Galilaoo do Galilaois, qui literis ot libello supplico etiam adiit lllustrissimos Dominos Ordino» Uonorales Uniti Bolgii, qui conventua suos habent Hagte Comitis in llollaiidia. Ilio, praofalus do piu- rìmis quao ad honorem Rcipublioao pertinoront ot de bolli ot pacis artihus qnibus fumimi et gloriali) suani ad ufcrosque polos usque ad totum Orlentom et Occidontom dil&tarant, etiam do meclianicis lnvontis pluribus per subditos suos, oloquontcr aduioduui hac sentoutia proposuit quoddam iuvontum suum >. Illustrissimi, Potentissimi Domini, Domini Ordines Generales Unitarum Provinciarum Belgii Confoederati, Cum reverentia debita supplex proponit Galilaeus de Galilaeis, Mobilia Florentinus, Mathematicus primarius et Philosophus Magni 15 AGOSTO 1636. 469 [8338-3330] Ducis Hetruriae, se somma diligenza et cura inquisivisse et (sicuti confidit) invenisse moduin certum, quo ornili tempore et in outni loco terrarum et marium iudicari poterit et nosci ab omnibus vera lon- gitudo loci ubi consistunt aut versantur, et quanto spatio locus iste orientalior aut occidentalior distabit ab urbis aut civitatis aut portus io alicuius vero meridiano, quem quisque sibi proposuerit. Quac inventio eius, cum futura sit rei maritimae et navigantibus valde commoda et utilis, et praecipue subditis Celsitudinum Vestrarum, qui per omnia maria et terras celeberrimas suas peregrinationes et navigationes cum gloria maxima iam instituerunt et quotidie porro instituunt, et com¬ mercia amplissima ubiquo quotidie dilatant ; permotus etiam amore augendae gloriae Yestrae et honore praemii qui ad ipsum supplicem perveniret, si mereretur in re tam insueta et multum desiderata, qualis est longitudinum scientia; voluit ergo inventuni hoc suum Yobis potius, Illustrissimi Domini, praeteritis aliis omnibus gentibus et nationibus, 20 offerre et humiliter dicare. Supplex itaque rogat, velint, iubeant Celsitudines Yestrae committere viros aliquos eruditos et rei de qua agitur gnaros, etiam probos et fidei optimae, quibus (consideratione liabita provexissimae aetatis inventoris et dissiti loci ubi moratur, quae aetas non admittit eius praesentiam in bis Provinciis), quibus, inquit, scripto inventum suum sub fide optima aperiat et examini subiiciat ; ut tandem ex relatu ipsorum commissariorum vestrorum Vos, Illustrissimi et Potentissimi Domini, iudicetis de fide et cortitu- dine propositionis, nempe inventionis longitudinis locorum, et re probata honorem praemii tam optatae demonstrationis ipsi adiudicetis. 30 Id quod rogat humiliter Galilaeus de Galilaeis. 3339 . GALILEO a LORENZO KEALIO [in Amsterdam]. Arcetri, 15 agosto 1630. Dal Tomo 111, pag. 153-151, doli’edizione) citata nell’ informazione promessa ni n.° 1201. D’Arcetri, 15 Agosto 163G. Avendo io risoluto di communicare a gl’Illustriss. e Potentiss. SS. Ordini Generali delle Confederate Provincie Belgiche la mia inven¬ zione di pigliare la longitudine, punto tanto ricercato, tanto prin- 470 15 AGOSTO 1636. [ 3339 ] cipale e tanto necessario per V intera perfeziono dell’ arte nautica, mancava a questo mio desiderio l’aver persona di grande intelligenza ed esperienza nell’arte, d’animo e di mente sincera, e molto accre¬ ditata appresso i medesimi SS., die potesse porgere, ed anco in caso di bisogno proteggere, il mio trovato. La fama di V. S. Ulustriss., che non resta ne i conlini, benché amplissimi, di cotesto famose Provincie, io mi pervenne all’orecchie, fortificata da tali testimonianze della sua gran virtù e bontà, che mi ha dato animo di far capo al suo aiuto e favore per dare ingresso a questo mio negozio col quel decoro col quale a potentati tanto insigni ed eminenti si dee comparire avanti. Quella confidenza appresso la grazia di V. S. Illustriss. che non mi poteva esser data dalla bassezza dolio stato mio, me la dà l’altezza della materia e della proposta clic io fo, la quale ben sa V. S. Ulustriss. di quanto rilievo sia nell’arte maglia ed ammirabile del poter con sicurezza scorrere il vasto oceano. Ella sopra tutti gli altri l’intende, avendo con tanta sua gloria rette le numerose armate più d’una so volta. A lei dunque invio la libera e chiara oblazione che fo a gli Ulustriss. e Potentiss. SS. della mia invenzione; e gliele mando aperta, acciò prima d’ogni altro la veda ella stessa e la consideri, e trovan¬ dola non vana nè indegna di comparire avanti a i prudentissimi SS., la presenti in nome mio, o quando all’ incontro il proprio affetto mi avesse ingannato, sia solamente gradita la mia buona volontà e sop¬ pressa la scrittura. Io non voglio mancare di metter in considerazione a V.S. Ulustriss., come cosa meglio da lei che da me intesa, e questo è che tutti i principi dell’arti grandi e nobili sono stati tenui e bassi, in guisa so tale che se a quello che trovarono i primi inventori non bisserò suc¬ ceduti intelletti speculativi, che avessero coll’acutezza dell’ingegno compreso che sotto quei deboli principi si contenevano i fondamenti d’arti stupende, sarebbero tali arti, come si dice, morte in fasce, ed il mondo restato sempre in una rozza ed inculta inerzia ed ignoranza. Esempi di questo ce ne sono infiniti, cioè tanti quante sono Parti nobili ed industriose. So noi consideriamo le maraviglie di tanti e tanti strumenti musici, nel corso del tempo da gli uomini perfezionati, qual differenza cade tra questi e la prima testuggine di Mercurio o la siringa di Pane? Che diremo noi dell’arte del tessere, i cui prin- io cipi furono intrecciare una stuoia ? ed ora in particolare i vostri 15 AGOSTO 1636. 471 [3339| Fiamminghi intessono istorie, dulie quali più vaglie e bello non ne conducono i pennelli, senza mille e mille sorte di drappi contesti di seta e d’oro, opere de i nostri Fiorentini? Ma senza distendermi in altri esempi, fermiamoci nella sola arte del navigare, e paragoniamola non dirò all’artifizio di quel primo al quale cadde in pensiero di ca¬ vare un legno per traghettarsi oltre un piccolo stagno, ma alla ce¬ lebre impresa degli Argonauti, la quale resta a’ nostri tempi poco meno che puerile e ridicola, paragonata allo moderne navigazioni ed 50 in particolare alle vostre, alle quali angusto spazio sembra, pel volo delle vostre vele, il volteggiar tutto l’oceano. Di qui voglio inferire che l’accortezza ed il giudizio di Y. S. Illustriss. dee inanimire co- testi SS. in occasione di diffidenza della riuscita di questa impresa, la quale ricerca e si fonda sopra due parti : cioè sopra la prima e teorica invenzione, e poi sopra una lunga accurata ed indefessa pratica, lo scuopro a i Potentissimi SS. il primo fondamento della speculazione, pel ritrovamento del quale è bastato l’ingegno d’un solo; ma non sono atto ad eseguire l’altra parte, non avendo io nè navi, uè comando sopra marinari, nè tempo nè forze da praticarla, so Qui si ricerca 1’ autorità, la possanza e la resoluzione di gran poten¬ tato, del quale sopra tutti ho fatto elezione di cotesto. Cotesti Illustriss. e Potentiss. SS. possono mandare per tutte l’isole e continenti uomini che facciano le debite osservazioni, prima per emendare tutte le de¬ scrizioni geografiche, ed altri che in tanto attendano con pazienza a fare studio per la composizione dell’ effemeridi, ed altri a far pra¬ tica nell’adoperare il telescopio. Ho dato con brevità questa mia prima oblazione ed informazione. Da questa potranno gl’Illustriss. SS. prendere risoluzione, col parere appresso di persone scienziate ed astronomi intelligenti, di quello 70 che far vogliono in questa materia, chè mi avranno, per quel breve tempo che può durare la vita mia, prontissimo a somministrare quello che potesse mancare per perfezionare la nobil impresa. Intanto Y. S. 111. gradisca la confidenza che ho presa del suo favore, benché in nes¬ suna parte meritevole di quello ; ma dove tal mio merito non ha luogo, supplisca la grandezza dell’impresa che propongo, ed appresso la sua benignità vagliami l’offerta e la dedicazione della mia servitù. E con ogni debita reverenza le bacio le mani, e le prego il colmo di ogni felicità e maggior grandezza. 472 15 AGOSTO IG3G. imo\ 3340 . GALILEO ad UGO GR0ZI0 [in Parigi]. Arcctri, 15 agosto 1G3G. Dal Tomo III, png. 151-152, doli'edizione citata nell’informazione premoasa al n.« 1201. Dalla villa d’Arcetri, 15 Agosto 1636. Quale e quanta sia stata e sia la confidenza che ho nella gene¬ rosità e candidezza dell’animo di V. S. Illustriss., chiaro ed indubi¬ tabile testimonio le ne può rendere l’aver io già liberamente confidato nella sua mano la mia invenzione della longitudine. La relazione fat¬ tami dal mio amatissimo e vero amico (dico del Sig. Diodati) della nobiltà di V. S. Illustriss., aggiunta al commi grido della realtà e fedeltà che rende spettabile appresso tutti gli uomini la sua nazione, non manco mi spigolerebbe a riporre nolla sua potestà la stessa pro¬ pria vita. Sicché, stante questo saldo fondamento, vengo con semplici io e schiette parole a pregarla che a favor del mio negozio voglia in¬ terporre ed impiegare quella autorità che la sua condizione gli con¬ cede appresso i più grandi della sua patria ; il qual favore io tanto più sicuramente mi prometto, quanto che la mia oblazione è fatta apertamente e lontana da brame avare, e solo per arrecar giovamento alla mirabile arte della navigazione, in cosa tanto desiderata e di tanta utilità. Io mando le lettere e la scrittura tutte aperte in mano del Sig. Dio¬ dati, acciò le coimnunichi con Y. S. Illustriss.; o questo fo acciò ch’ella possa (veduto il contenuto di esso) più acconciamente toccare le prin- 20 cipali mie intenzioni a quelli appresso a i quali ella mi favorirà, tra i quali uno, per quanto intendo, dovrà essere l’Illustriss. Sig. Ilealio. Quello sopra di elio bisogna gagliardamente premere, è che quei SS. si risolvano ad abbracciar P impresa, nè si lascino atterrire o diffidino della riuscita per non gli esser presentata la cosa già fatta, stabilita e dall’esperienza confermata; perchè tali stabilimenti non posson esser fatti da me nè da altre persone private, che non hanno navi da na¬ vigare nè numero- di sudditi da mandare e disporre in vari luoghi Lett. 3340. 7. di V. illustri». — 15 AGOSTO 1G3G. 473 [8340-3341] per far le debite osservazioni e relazioni : le quali cose tutte ricer- 80 cario potenza, autorità e lunghezza di tempo, che dalla tenuità di fortuna o gravezza d’anni mi son tutte negate. Quello che al latto sin qui posso aggiungere, sarà il tentare di rimuovere quelle diffi- cultà che potrebber esser proposte a quei SS. ; le quali se mi saranno notificate, andrò rimovendo, se saranno rimovibili, o ammettendole, so saranno insuperabili. Dalla lettura di tutte lo scritture, che mando aperte, rimarrà V. S. Illustriss. talmente informata di questo negozio, che non occorre che io con suo doppio tedio la tenga occupata d’ avvantaggio. Le dirò dunque solamente questo, che io gli resterò in perpetuo obbli¬ go gato se farà opera appresso i suoi compatriotti, od in particolare coll’Illustriss. Sig. Realio, che quei SS. applichino con saldo proposito l’animo alla mia proposizione, sicché si risolvano a porvi mano con ferma speranza di certa riuscita, perchè assolutamente altro mezzo non ci ò che questo, e questo è tanto accomodato ed eccellente che di maggior eccellenza non poteva desiderio umano domandarlo. E qui con reverente affetto bacio la mano a Y. S. Illustriss., e della mia devotissima servitù lo fo libera offerta. 3341. GALILEO a ELIA D10DATI [in Parigi]. Arcotri, 15 agosto 1636. Dui Tomo UT, pag. 149, doli’edizione citata noli’informaziono promesso ol n.° 1201.—11 frutto (la Mentre vermini u a ridotte in dialoghi (Hn. 7-10) si leggo, ili copia di mano di ViMOSNZio Viviani, nei Mas. Gal., P. V, T. VI, cor. 76f. D’Àrcetri, 15 Agosto 1636. Mando a V. S. molt’Ill. l’allegata scrittura e lettere, tutto aperto, e questo per due ragioni : prima, perchè ella legga il tutto, rispiar- mando a me la fatica d’aver a replicare quasi ogni particolarità che in esse si contiene ; e poi, acciò essa faccia grazia di porre nell’ in¬ scrizioni i nomi con quei titoli che a tali personaggi si aspettano. Mentre verranno le risposte, mi ristorerò un poco colla quiete, facendo tregua colle fatiche che, ne’ calori di questa stagione, mi hanno lun¬ gamente travagliato, in particolare per mettere all’ordine le due opere XVI. 00 474 15 - 1C AGOSTO 1636. [3341-3342] del moto e delle resistenze, ridotte in dialoghi, lo quali sei giorni fa io inviai a Venezia al Sig. Lodovico Elzevirio, che era sul partirsi, con proposito di stampar non solamente queste due opere nuove, ma di ristampar tutte l’altre opere mie in un volume solo ed in bellis¬ sima forma 05 ; e facendo egli la via d’Alemagna, porta una mia let¬ tera al Sig. Berneggero, insieme con i cristalli per un telescopio. Sig. Diodati mio carissimo, sono stracco, perchè pur ora ho finito di ricopiare le allegate scritture e lettere, la qual fattura, insieme col comporle, mi ha tenuto ben quattro giorni affaticato, in questi assai noiosi caldi. Finisco per tanto, riserbandomi a più lunghi discorsi con animo e corpo riposato ; e con riverente affetto le bacio le mani. 20 3342 . GALILEO a [GIOVANFRANCESCO BUONAMICI in Prato]. Arcctri, 16 agosto 1030. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 101. — Autografa. V Molto Ill. ro Sig\ re e Pad." mio Col. mo Mando a V. S. molto Ill. pe la copia della sentenza da lei chiesta¬ mi (2) , acciò la mandi all’ amico suo oltramontano a benefizio (come ella mi scrive) della reputazion mia. Ma sappia V. S., che, trattone alcuni de’ compagni de’ miei nimici, non mancano in tutto ’l Setten¬ trione huomini non vulgari che ben comprendono la mia innocenzia e conoscono la malignità de’ miei avversarii ; et ho relazione come un tal S. Ruberto Robertini Borusso ha fatto far latina quella mia scrittura che circa 18 anni fa scrissi a Madama Ser. a Gran Duchessa, in materia di quello che consigliano i SS. Padri in proposito del dan- 10 nare o ammettere le proposizioni pure naturali, la quale scrittura pur bora è stata stampata nell’una e nell’altra lingua da gl’Elzevirii, principali stampatori di Olanda U) ; et i medesimi pure ultimamente hanno stampato il mio dannato Dialogo, fatto latino dal S. Berneggero d’Argcntina, e si apparecchiano a ristampare in bellissima forma, in un volume solo, tutte P opere mie, delle quali è gran tempo che non se ne trovano nissuna in nissuna libreria. Il medesimo Dialogo Cfr. n.» 3326. Ofr. n.® 3830. « 3 > Cfr. u.° 3058. 475 [3342-3343] 16 AGOSTO 163G. ò tradotto in inglese (n , sì che non manca occasione a i miei nimici di accrescer la lor rabbia. Molte altre cose potrei conferire a V. S. 20 in voce, che non è bene commetterle alle carte. Io godo in estremo in vedere che V. S. molto I. conserva memoria di me et ha a cuore la mia reputazione, del che gli resto con per¬ petuo obbligo. Yo godendo i 2 [liquori eccellenti mandatimi da Y. S., bevendone qualche bicchiero, con amic[i] de’ più cari, alla sanità di V. S. Alla quale per fine con vero affetto bacio le mani, come anco alla S.™ sua consorte, do’cui accorti et arguti discorsi vorrei puro un’altra volta rigodere. D’Arce tri, li 16 d’Agosto 1G36. Di V. S. molto I. Dev. ,no et Obblig.™ 0 Ser. ro 30 Galileo Gal[..J 3343. GALILEO a [FULGENZIO MIOANZIO in Venezia]. Arcetri, 10 agosto 16.%. Blbl. Marciana in Venezia. Cod. XLVII (lolla Cl. X It., n.° 10. — Autografa. ltev. mo P.re e mio Sig. r Col. 1110 Invio con la presente alla P. V. It. ma il libro del moto, con speranza che sia per trovare ancora costì il S. Elzevirio, al quale essa mi farà grazia di consegnarlo insieme con mille mie raccomandazioni et offerte e con augurargli felice viaggio ; dicendogli appresso, che non man¬ cherò di far provisione di tutto il resto delle mie opero per man¬ dargliele, e, se sarà possibile, tutte latine : se ben, per ver dire, dove oltre alle serrate dimostrazioni pure matematiche entrano discorsi, nel trasportar Y opere dalla lingua del loro autore in un’ altra, si io perde assai di grazia, e forse di energia e anco di chiarezza. Quanto al Padre Matematico di Bologna (2) , egli ò veramente un ingegno mirabile; e credo che darà segno alla P. V. II. ma della stima eh’ egli ò per fare della sua grazia, mentre egli senta d’esser da lei tenuto in considerazione. Ilo ricevuto una lettera da Monaco da. Alberto Cesare mio ni¬ pote (H) , la quale mi ha fatto lagrimare nel leggere il caso miserabile “t Cfr. n.o 3217. ‘ 2 ' Cfr. n.o 3331. (*) Cfr. il.» 3331. 476 16 — 19 AGOSTO 1636. [8343-3844] successogli nel sacco di quella città, mentre, oltre al perder madre con tre sorelle fanciulle e un fratello, il poco che havevano andò tutto a fiamma e fuoco, onde egli con un suo minor fratello restorno ignudi, et hora poveramente vivono con quella provisione che il 20 Ser. Elettore (l) gli assegnò dopo la morte di suo padre e mio fratello. Mi scrive il desiderio che ha di venirmi a trovare ; dove si vede ch’egli non haveva ancora ricevuta la lettera che mandai alla P. V. lt. ma nella quale L’esortavo a venire: però gli replico Pistesso con la qui annessa, la quale per più sicuro ricapito potrà inviare al Maestro di cappellase ben gliene invio anco un’altra di qua nel plico di quello del G. 1). So che il figliuolo è di costumi ottimi, d’ingegno non doz¬ zinale : era, quando fu qua 8 anni sono, mirabile nel suono del liuto. Venendo, lo tratterrò il più che potrò appresso di me, sperando che deva essermi di sollevamento alla malinconia che da alcuni giorni in so qua più del solito mi aggrava in questa mia solitudine, dove le sole lettere della P. V. R. ma mi sono di notabil refrigerio, come anco altre che da remote regioni mi pervengono in testimonio della mia, in quelle bande, conosciuta innocenza e del manifesto torto elio mi vien fatto. Or segua quello che è permesso da Dio ; et ella mi continui la sua buona grazia, nella quale mi raccomando. • D’Arcetri, li 16 d’Agosto 1636. Della P. V. R. raa Dev. mo et Obblig.® 0 Ser. re G. G. L’intitolazione, la dedicazione e il proemio Ad lectorem si man- 40 deranno a suo tempo. Per avviso al S. Elzevirio. 3344 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcctri. Bologna, 19 agosto 1G36. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XII, cnr. 237. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig/ e P.ron Col.™ 0 Lo molte facendo che io hebbi al mio arrivo qua tu’ impodirno dal poter riverire V. S. Ecc.‘" a con lettere, conio io desideravo di fare e sì corno, scrivendo O» Massimiliano I di Baviera. **> Gio. Giacomo Porro. 19 AGOSTO 1036. 477 [3344] duo righe al Sig. r Dino (1) , feci in parte por lui, pregandolo a supplire in nome mio con farli riverenza per mia parte. Ilora, che ho un poco più di otio, non ho voluto mancare di darli parte dell’essere mio, cioè che io mi ritrovo quasi no’ medesimi termini di sanità, di prima, più tosto meglio elio poggio, passan¬ domela con questi caldi alquanto noiosamente, o massime ritrovandomi privo della dolce convcrsationo e tanto a me profittevole di V. S. Ecc. ma , non ritro- io vando io qua trattenimento così grato elio possi in parte ristorare la perdita fatta; ondo la prego a consolarmi con qualche buona nuova, e massime ch’ella si vadi conservando con sanità in questi tempi non troppo salutiferi alla vita. Io aspettavo di sentire dal Big. 1 ' Dino, al quale havevo inviato una lettora per il G. Duca in ringratiamento do’ suoi lavori, di sentir nuova so havea più latto riflessione allo specchio, intorno al quale lio disteso alcuno altro proposi- tioni dopo che son tornato ; ma bencliò promettesse por quest’ordinario di dar¬ mene avviso, come anco del problema propostomi, non havendo visto niente, ho giudicato che sia stato impedito: là ondo sporarò per quest’altro ordinario elio mo favorisca, sì come la prego, vedendolo, a ricordarli et a salutarlo in 20 nome mio, come anco il P. Francesco t2) e tutti cotesti Signori conoscenti, quando li voga. Attenda V. S. Ecc. u,a in tanto a conservarsi sana, che è il punto prin¬ cipale, e ini commandi in tutte le ocoorrenzo come a suo fedelissimo et obli- gatissinio servo, conoscendomi molto tenuto alla sua infinita cortesia; e per tanto li bacio affottuosamento lo mani, facendoli riverenza. Mi scordavo poi dirli, che rivedendo qua la demostratione di quel problema dello perpendicolari cadenti sopra una data linea, o nella proportione do’ ret¬ tangoli etc., ho trovato che distinguo tre casi : cioè quando li angoli sono acuti, che vengono a terminare in una circonferenza di portiono maggiore di cerchio ; quando rotti, in quella del scmicircolo ; e quando ottusi, in quella di una por¬ no tion minore: là dove vicn levata l’occasione del paralogismo che venivo a com¬ mettere ìiel modo elio costì mi sovvenne etc. E di nuovo la riverisco. Di Bologna, ahi 19 Agosto 1636. Di V. S. molto m. re et Ecc. ma Dopo scritto ho ricevuto una di V. S. Ecc. ma et una del Sig. r Dino e del Sig. r Manetti (3) , con li vasetti di acqua ben conditionati; e perchò l’hora è tarda per scrivere, la supplico a sup¬ plire con il Sig. r Dino, ringratiandolo dell’offitio fatto in mio servitio circa l’acqua etc., sì come 40 io la ringratio lei dell’occasione cho mi porge con O) Dino Feki. <*) Famiano Miohkuki. < 8 ) Buaccio Manktti. 19 — 23 AGOSTO 1G3G. [3344-3345] 478 il Padre Fulgcntio"', al quale non manchorò di scrivere, facendo quanto ella mi consiglia. E dira al S. r Dino che por questo altro ordinario scri¬ verò poi etc. 01». mo Sor™ V. Bon. ra Cavalieri, Fuori: Al molto 111/* et Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col.*»® 11 Sig. r Galileo Gal/ 1 Fiorenza,’ ad Arcotri. 3345 . FULGENZIO MICANZIO n [GALILEO in Firenze]. Venezia, 23 agosto 1686. Albi. Nftz. Fir. Usa. Gal., I*. VI, T XII. car. 239. — AutoRraf» la lottoscrisiono. Molto Ul. tr ® ot Eccell. mo Sig. r , Sig. r Col.* 00 Ilo ricevuto con le lotterò di V. S. molto 111. et Eccoll. BU '*' il rotolo con li duo tanto aspettati libri del moto, et ho non fatto altro, non havondo tempo, cho scorsi li titoli do’ theoremi e propositioni ; e son restato tanto maravegliato che nionto più, perchè havorano li pastori una nova scientia, tutta di peso, tanto nova cho nò anco è più capitata, cho si sappia, noli’ imaginatione degl’ liuomini, o, quello cho importa, di cosa naturale, realo, con evidenza mathematica. Ho mandata la sua lettera a Monaco, indrizzata per sicurezza al Maestro di capella 13 ’, o replicato per la licentia del suo nepote Al , acciò venghi a vedere V. S. La maninconia nelle menti ben composte, come è quella di V. S., suol na- io scero da indisposi ione nel corpo, perché so quanto olla ha piena cognitione e perciò piono dominio dell’animo. La solitudine è veramente la nutrico della mo- stitia, o V. S. la patisco non solo con ingiuria di sò per l’altrui tirrannide, ma con discapito d’altri, non havendo io incontrato ancora alcun virtuoso, cho non reputi il poter essor con lei una felicità «li paradiso. La prego consolarsi colla comiimno attcstarono del torto che ella putisce e colla gloria elio godo pro¬ sente, ma molto maggioro all’avvenire. Clio è (pianto di presento m’occorro; o lo bacio lo mani. Yen/, 23 Agosto 163G. Di V. S. molti 111. ot Eccoli. ma Devotiss. 0 Sor. 20 F. Fulg.° »*> Cfr. n « 8334. Cfr. n.o 3343. Gin. (Slamilo Pohuu Albrrt» Cr « » rk (i a mi ri. 2G AGOSTO 1G3G. 479 [334(>j 3346. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in ArcetriJ. Bologna, 26 agosto 1636. Cibi, Naz. Fir. Mas. Gal., I*. I, T. XI, car. 226. — Autografa. Molto 111. 10 et Ecc. ,no Sig. ro o P.ron Col. m0 Ilo sentito con mio molto gusto ciò elio scrive il R. mo Padre Fulgentio (1) , come credo elio li dicessi nell’altra mia; o li resto molto obligato di havermi fatto contrarre servitù con un pari di quest’ huomo, o non mancherò di fare a quanto ossa mi consiglia. Ho scritto al Ser. mo Sig. r Prencipo D. Lorenzo, con occasione di ringratiarlo dell’acqua mandatami per la gotta, liavendola inviata al Sig. r Dino Peri, che me n* ò stato procuratore. Io poi me la vado passando al solito, con quella poca sanità elio sa o con pochissimo gusto, ma sì bone con di molto disgusto, io havendo qua chi ella sa (2) . Talché mi trovo allo volte pentito di non bavere accettato il partito da V. S. Eco. ,na propostomi, quando era vacante la lettura di Pisa, che bora cessa per la meritevole sostitutione del Sig. r Dino; e so bene cessa tale occasiono, ad ogni modo non voglio restare di diro che questi miei disgusti potriano arrivare a segno di violentarmi a tornii di qua, non ostante le altre buono conditioni che ho di starvi : e ciò tanto più prontamente farei, quando ella conoscesse che costì si potesse concertare qualche trattenimento por la persona mia in tal caso, so bene non so se questi Signori mi lasciassero poi andare; e mi saria di soprema consolatione bavere occasione di goderla più longamente elio lei et io non stimiamo. Questo li scrivo, acciò, nascendo 20 qualcho occasione, sapi qual saria in tal caso V animo mio. Ho liavuto poi molto caro dell’aggiunta de’ 120 fiaschi c dell’occasione presa dal piacermi il suo vino. Lo beva pure lei allegramente, che non teme di po¬ dagra, chò sentirò l’istesso gusto come che lo bevessi io. La prego a risalutare M. a Lucretia, o dirli che in fatti qua non si trova donna così garbata corno lei, o che so in cosa alcuna la posso servire, mi commandi, e che se mai ritornassi costà, non vorrei che mi guardasse più con quelli occhi bruschi e pregni di stizza che mi faceano tutto raccapricciare. Ma per più non attediarla, finirò ricordando¬ meli obligatissimo o cordialissimo servitore, come la prego anco a salutare hi nome mio il S. r Dino quando lo voga; o con tal fine li bacio affettuosamente le mani. £0 Di Bologna, alli 26 Agosto 1G3G. Di V. S. molto DI.” et Ecc. raa Dev. mo et Ob. mo Ser. r0 F. Bon. ru Cavalieri. “> Cfr. u.® 3384. <*> Cfr. il.® 3303. 480 30 AGOSTO 1G3G. [3347-3348] 8847 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 30 agosto 1(530. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 228. — Autografa. Molto 111” ed Ecc. mo Sig. r ° o P.ron Col." 10 Non si meraviglii V. S. molto Ill. re ed Ecc. mu se por ancora non sento altra nova del suo negozio 41 ’, perchè, chi lo volo condurre a buon line, è nocossario maneggiarlo col beneficio del tempo; o stia sicura elio non si manca a fare tutto il possibile, o con mezi o modi oportuni per non guastaro il tutto. Il Sig. r Ambasciatore w desidera sopra modo di vedere V. S. molto 111.” avanti che parta d’Italia; e perchè non pensa di poterla godere a suo modo costì in villa, designando passare incognito assolutamente, m’ ha ricercato se sarebbe possibile che V. S. s’avvanzasso sino a S. Cassano, o all’ostaria overo in casa di qualche amico, dove potesse trattare con V. S. 4 o 5 boro sonza io disturbo. La sua partita di qua sarà, verso la fine di 7bre: però la prego ad avisarmi di quanto potrà faro, ed ella sarà avisata puntualmente della partita di qua di S. F.cc. 7 -* E non occorrendomi altro, li fo humitissima riverenza. Roma, il 30 d’Ag.° 163G. Di V. S. molto 111.” ed Ecc.”*' 1 Dovotiss. 0 e Ol)lig. mo Ser. re e Dis. 10 S. r Gal. 0 Don Benecl. 0 Castelli. 8348 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Arcetri. Venezia, 30 agosto 163(5. Blbl. Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXIV, u.° G3. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. m0 S. r Il raguaglio eli’ io ho del buon stato di V. S. Ecc. ma non permette che, dopo tanto tempo, debba lasciar di reverirla et insieme ricordarle che vivo deside¬ roso di sue righe, accompagnate anco (la commandi. Non posso rappresentarle il mio senso più etfioacemonte ; ma so lei si compiacerà di commandarmi, pro¬ ni Cfr. u.° 3327. FhaNUKSCO DI NOAIM.K3. [3348-3340] 30 AGOSTO — G settembre 1636. 481 curarò montar la sua gratia et lo riceverò a favor singolarissimo, retro vaialo- melo per tanti capi obligato. Sentirò anco con piacere, mi aceni (love, haven- dolo alcuna volta a scrivere, dovrò inviar lo mio ; elio in tanto, offerendomele, a V. S. molto Ill. ro et Ecc."' ft baccio le mani. 10 Di Vonctia, li 30 Agosto 1636. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. ma Àff. mo Ser. r ° Francesco Duodo. Fuori: Al molto Ill. re mio Sig. re L’ Ecc. m ® S. r Galileo Galilei. Fiorenza, per Arcetri. 3349 **. FRANCESCO STELLUTI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 0 settembre 1036. Bibl. Nnz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 229. — Autografa. Molto 111. 10 ot Ecc. mo Sig. r mio o P.ron Oss. mo Debbi già buono nuovo della buona salute di V. S. dal Sig.* Gio. Batista, libraio del Sole, die mi disso essere stato a visitarla nella sua villa, havendola trovata elio stava faticando intorno allo suo mecaniclio, che mi fu di molta consolationc. Io non lo scrivo per non deviarla da’ suoi stridii e por non infa¬ stidirla, mentre non Labbia cosa necessaria; oltre che spesso ho ancora nuova di lei dal Padre Castelli. Iloggi la Sig. ra Duchessa Salviati Cesi, appresso alla quale tuttavia mi trat¬ tengo, non havendo per ancora aggiustato le cose dell’eredità co’ suoi cognati, io m’ ha detto che scriva a V. S. e gli baci a suo nomo lo mani, come fo con la presente, o lo preghi a volerle procurare un par di vetri buoni por un telesco¬ pio, essendoli stati dimandati da persona grande, che desidera servirla. Qui non si trova cosa a proposito; ma intendo che in Fiorenza v’è un tal Corvo che ne lavora de’buoni; però mentre ella non n’ habbia de’fatti alle mani, potria ordinarlo al detto, acciò che la Sig. ra Duchessa potesse esser compiaciuta di cosa che fusso conformo si desidera, chè passando per lo mani di V. S. po¬ trà assicurarsi di non essere ingannata : et avvisando la spesa, rimetterà il de¬ naro cho bisognerà. Confida grandemente in V. S., sapendo quanto amava la buona memoria del S. r Duca suo marito (l> , o di lei anche spesse volte me ne <*) Federigo Cksi. xvi. ci 482 G — 10 SETTEMBRE 163G. [3349-3350] dimanda, compatendola grandemente dol suo lungo esilio, come fo ancor io. 20 Si mantenga intanto sana, ch’ogni cosa ha il suo lino; e ricordandole l’affetto mio 0 divotiono verso lei, finisco con baciarlo lo mani e con pregarla a favo¬ rirmi al|'le] volte de’ suoi comandamenti, chè me no farebbe sempre cosa gra¬ tissima. Di Roma, li G di Settembre 1636. Di V. S. molto HI. 10 et Ecc. ma Sor.™ Afl>° et Obblig. 1 " 0 Frane.® Stolluti. 3350 **. ALESSANDRO RIARSILI a [GALILEO in Arcetri]. Siena, 10 settembre 163G. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 231. — Autografa. Molto 111.™ ed Eccl.“° Sig. et P.ron Oss. mo Quel’ honore elio hanno ricevuto le mio debolezze dalla sua lingua appresso il Ser. mo Padrone, mentre sporo che mi habbino a giovaro nella pretensione mia della vacata cattedra nello Studio di Pisa, mi ò parso dover venire con questa a darli parto di quanto mi occorro intorno a ciò, o pregarla del suo favore a dove potrà giovarmi. Sappia adonque, conio il Sig. 1 ' Faptono (1) , Audi¬ tore di quello Studio, scrivendo al Sig. 1 ' suocero <2> se ci fosso stato alcuno por poter darli la cattedra vacata per la partenza del Sig. r Chiaramonti, io, quan¬ tunque conoscendo le mio podio forze non mi volesse cimentare per tal carica, .sono stato consegiiato da amici a volerla tentare, come ho fatto con scriverne io al medesimo Sig. r Fantoni et ad altri padroni miei in Firenze. Ma sperando che il di lei favore non Labbia ad essere inferiore ad alcun altro per tal af¬ fare, vongo a pregarla che voglia con la sua cortesia, a dove conosce campo, favorirmi; o sperando da un Signore sì mio amorevole ogni gratia, non sarò più longo, et me fi ricorderò servitore affotionatissimo. Di Siena, il 10 Settembre 1636. Di V. S. molto 111.™ ecl Ecd. ,n * Afl>° Ser.™ Alesandro Marsili. <‘i Niccolo Fantoni-Riooi. < s > Vincenzo Bici». 13851] 12 SETTEMBRE 163G. 483 3351. GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arcctri, 12 settembre 1636. Bibl. Mnrolana in Venezia. Cod. XI.VII «lolla Cl. X lt., u.° 11. — Autografa. Rev. ra0 P.re e mio Sig. r Col. mo Manco por li 2 ordinarli passati di lettere della P. V. R. ma ; ma poco importa, purché non sia per impedimento della sua sanità. Gli mandai l’ordinario passato una nota dell’opere mie già stam¬ pate, pregandola ad avvisarmi quali di esse si trovano costì per poter far provisione del resto, se sarà possibile trovarne altrove. Desideravo anco intendere se il S. Elzevirio era partito, e se haveva portato seco gl’ esemplari man user itti et i cristalli per il S. Berneggero. Facciami grazia d’intender se in coteste librerie, che hanno io corrispondenza in Alemagna, si trova l’Uso e la fabbrica del mio compasso, tradotto già latino dal medesimo S. Berneggero m , e tro¬ vandosi favoriscami di mandarmene un esemplare. Quando succeda di risquotere il semestre della mia magra pen¬ sione in Brescia, mi sarebbe caro che il danaro fusse investito là in tanto refe da cucire, dove lo fanno candidissimo e bello al possibile, e lo desidererei di diverse grossezze ; e con esso mi sarebbe caro che fussero mescolate alcune cordelline e cordoncini, che alcune monache li intrecciano e annodano in alcune figure di gigli e altre bizzarrie bellissime, che poi qua per me saranno regali graziosi per presen¬ to tare a mie parenti monache e fanciulle secolari : inviandomi poi il tutto in una scatola, e consegnandola costì al maestro della posta, con soprascritta al S. Geri Bocchineri, suo amico e mio parente. Eccomi sempre a dargli brighe : mi scusi, mi perdoni e mi ami, mentre con reverente affetto gli bacio le mani e prego felicità. D’Arcetri, li 12 di 7mbre 1G36. Della P. V. R. raa Dev. m0 et Obbligò Ser. re G. G. Lett. 3351. 17. cordoncincinC — <0 Cfr. n.o 790. 484 13 — 18 SETTEMBRE 1636. [3852-3853] 3352 **. ASCANIO PICCOLOMINI a GALILEO [in Àrcetri]. Murlo, 13 settembre 163G. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XI, car. 233. — Autografa la sottoscririono. Molto Ill. ro Sig. r mio Oss. m ° In questo punto arriva qui a Murlo, dove io mi ritrovo in villa, il mandato di Y. S. con lo zatte, con lo simiane e con lo persiche, che in questa conti- nuationo della stato non può essoro regalo più desidorato. Nell’ interrogare elio ho fatto il suo huonio della saluto di V. S., gl’ ho anco domandato dolla riu¬ scita dol vino doli’anno passato, e con mio grandissimo disgusto ho sentito cho subito si gli rinforzò. Mi lamento di lei, cho Labbia Lauta così poca confidenza meco, che non me 1’ Labbia avvisato, poiché appunto quel vino di quella sorto che gli mandai il primo anno ò durato fin adesso molto isquisito, o non si gli mandò perchè qua 1’ havevano giudicato quasi un po’ dobilo, dovo che poi è io riuscito troppo gagliardo. All’omonda quest’anno; o però veda se fosse a pro¬ posito il preparar duo caratellotti, chè a questo modo la si metterobbo più al sicuro, ed io glie no mandarci di due sorte, l’ima da Leverò nel principio del- 1’ Livorno, e l’altra un po’ più tardi. In tanto la mi vogli bone al solito, chè qua non può bavere il maggior servitore di mo ; o bene sposso col Sor." 10 Sig. ro Principe 11 ’ o col Sig. r Soldani (2) si fa commomorationo della sua persona, la quale Iddio guardi con ogni prosperità e contento. Di Murlo, li 13 Settembre 1636. Di V. S. molto Ill. ra Dovot. Ser. S. r Galileo. A. Ar.° di Siena. 20 3353 *. PETRONILLA BARTOLINI n GALILEO in Arcetri. Firenze, 18 settembre 1G3G. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 271. — Autografa. Molt’ Ill. ro Sig. r » Oss. mo So clic di già ò noto a V. S. come Suora Archangiola suo’ nipote (3) è cro- ditora di certa somma di danari al Sig. r Vincenzio suo fratello, il quale gli à volto in schonto di detto debito lo pagho di sei schudi il mese che ricove da V. S. (1) : por ciò gli à fatto le ricevute, acciò mandiamo per essi. Mando adesso <0 Lkopoi.do dk' Medici. U) Iacopo Soldani. (8 > Aroasgioi.a Landucoi. <*» Cfr. Voi. XIX, Doc. XL, a. 5). 18—20 SETTEMBRE 1636. 485 [3363-3364] questa donna, alla qual piacerà a V. S. di pagharli detti scudi sei, chò saranno ben pagliati : o di tanto la pregho, acciò detta suo’ nipote sio soddisfatta, elio por compassiono o amorevolezza à sovvenuto a questo fratello ; per ciò s’ è tro¬ vata in questo intrigho pur degnio di compassiono por essere stato atto di cor- 10 tosia. Arei ben caro no restasse soddisfatta; e V. S. me ne farà grazzia, perchè so no servo in un uffizzio di convento, qual fa con molta diligenza o qualche sposa. Nò por altro essendo questa, la saluto, offercndomogli prontissima a ogni suo comando, pregiandogli dal Signore ogni compito bene. Di San Girolamo, dotto San Giorgio, il dì 18 di 7bro 1636. Di V. S. molt’ 111.** Por servirla Suora Petronilla Bartolini, Ministra del Mori. 0 di San Giorgio. Fuori : All molt’ Ill. r ® Sig.™ Oss. mo 11 Sig. r Ghalilco Ghalilei. 20 In casa. 3354 , FRANCESCO CONTI a GALILEO [in Arcetri]. Mezzomonte, 20 settembre 1636. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. XT, car. 235. — Autografa. Molto 111. S. r mio Oss. mo Non essendo presento il S. r Marchese Niccolini (1) all’arrivo della sua let¬ tera, il Scr.° S. r Principe Padrone 1 *’ aprendola sentito il suo desiderio, et à comandato a me elio li risponda, dicendolo che por domani V. S. si potrà go¬ derò con gl’amici che aspetta, e lunedì manderà il cavallo, acciò, potendo, possa trasferirsi quassù, havendo l’A. Ser. ma da por sè ancora pensato che domani liavcva la festa 131 , ot liavercbbo facilmente fattoli sapore che non si movesse. S. A. li manda dua prese di pietra belzuar, acciò la dispensi al Sig. r Norli : o piaccia al Signore clic li faccia quel frutto che si desidera. Et a V. S. fac- ìo ciò humilissima reverenza. Di Mezzo Monto t4) , li 20 7bre 1636. Di V. S. molto 111. Aff. mo Scr. Fran. co Conti. Fuori: Al molto 111. S. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. In sua mano. Gl Filippo Niccolini. <*' Cfr. n.o 3362. ,3 i In tornii, la ricorrenza (li S. Matteo, titolare (lolla chiesa d’Arcetri. (*) Mozzomouto, villa Medicea in Val d'Ema. 486 20 SETTEAUUìE 1630. [3355J 3355. w FULGENZIO MIOANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 20 settembre 163C. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XII, car. 241. — Autografa la sottoscrizioni). Molto ni." ot Eccoli.'" 0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Ricevo lo gratissimo Ietterò di Y. S. molto Hl. ro ot Eccoli.d* i 12 (2) , o spero .elio ella Laverà parimente ricevuto lo mio di lioggi otto. Io non son ama¬ lato, ma ncanco sano, por un catarro noiosissimo che, fra gl’altri mali, mi rondo sordo e ballordo. Scrivo hoggi a Brescia, e spero elio V. S. restarà compitamente servita. Quanto al Sig. r Elzevir, partì da Venetia il principio di questa settimana, o fa la strada di Germania. Capitani a Basilea, di donde lo sarà facile o si¬ curo transmetter li vetri elio li ho consegnati per il Sig. r Bcrncgero. Mi ha anco promesso, e non mancarà, di trattare subito con i suoi por la stampa in io un sol volume di tutte le opero di V. S., o lo no darà conto quanto prima. Alla dimanda che V. S. mi fa, dico elio dolio oporo di V. S., so intendo quali si ritrovano in Venetia por poterlo comprare, che non se ne ritrova nes¬ suna assolutamente, perchè sono gioio tali, clic chi le conosco non lo lascia por danaro, ot chi lo ha lo tione caro. Quello che ho io, sono questo : Sidercus Nun- cius, il Saggiatore, il Discorso dolio coso elio stano sopra l’aqua, la Risposta alle oppositioni del Sig. r Lodovico delle Colombe, il Discorso dello comete, il Dialogo divino sopra il sistema Copernicano, quali tutti ho cavati dallo mani di V. S. E. nw con 1’ importunità cho ella sa, e non me le lascierei uscir di mano a modo alcuno ; o quando si parla del Dialogo, mi lascio liberamente intenderò 20 cho più tosto restarei privo di quanti altri libri ho cho di quel solo, 0 così è la verità. Ilavovo anco le Lettore dolio macchio solari, lo ho prestato non so a chi, et da galant’ huomo non me lo rondo, conio mi avviene di molti buoni libri; e por diligenza usata, non ho potuto ritrovarlo alle librario. L’instruttiono per l’uso del compasso latina (3) non è possibilo ritrovarla : ci ò nella nostra lingua a penna, ma è del Sig. r Marc’Antonio Colesti, cho non la darebbe poi- cosa alcuna. In somma non occorro pensare di liaver alcuna dolio suo oparo per prezzo allo librario. Delle possoduto da me V. S. ò padrona, ma con la con- ditione che non me ne privarci so non per il suo commandamento et con gran repugnanza dolla mia volontà, porchè s’imagini che quello sono il giardino del so <0 Qui, prima del u.° 3355, dovrebbe trovarsi <*) (;f r . „.<> 8351. il n.° 8358, ma por lo ragioui già riferito lasciamo (») Ct'r. il.» 790. l'ordino attualo. 20 — 22 SETTEMBRE 1036. 487 [3355-3357] mio sollievo doppo elio son stanco delle noie nelle quali vivo immorso. Dio la conservi, o lo bacio lo mani. Ven.®, 20 Settembre 1636. Di V. E. Ill. ra ® Dev. m ® et Oblig. mo Ser. ¥. F. 3356 * GHERARDO SARACINI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 20 settembre 1030. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXV1I1, n • 172. — Autografa. Molto 111.» et Ecc. m0 S. r P.ron Oss. mo Sono tanto partialo del S. r Marsilii 111 , di'io sono sforzalo a rendere affet¬ tuosissimo grati© dello lodi che V. S. Ecc. ,na gli dà o doll’attestationo clic fa cosi onorata del suo valore. Lo servirò quanto potrò, stimolato da due debiti congiuntamente, uno di faro aiti di giustitia, e l’altro di mostrare a lei et a lui il mio affetto singolare et ossequentissimo. Aspetto il bidello dolio Studio di Pisa: subito giunto, gli farò faro il man¬ dato' 2 ’, acciò cbo olla rimanga servita. E por fine lo bacio affettuosamente la mano. Di Fior.®, 20 7mbro 1G36. io Di V. S. molto Ill. re et Ecc." 10 - Ser. r Devot. mo Gherardo Saracini. Fuori: Al molto IH.™ et Ecc. mo S. r P.ron Oss. m ® Il S. r Galileo Galilei. Villa. 3357 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Cam poli, 22 settembre 168(5. Bibl. Nftz. Plr. Appendico ni Mss. Gai., Filza Favuro A, car. 115. — Autografa. Molto III.™ et Ecc. m0 Sig. r mio P.ron Col. m ° Poi cbo Giulio ,3) mio cugino s’è aggiustato con il suo fratello, al quale egli attribuisce la causa di tutte lo sue disaventuro, desiderando io cbo detto Giulio possa rimettersi a bottcgba, nè avendo altro modo di poterli somministrare da- m Al.KSiUKOKO MARSILI. »*» Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, ?>), Un. 300-813. «*) Giulio Ninci. 488 22 SETTEMBRE 163C. [3357-3358] nari, ho risoluto di venderò una casa in S. Casciano, che è tocha a me o Santi mio fratello. Ora, perchè egli affretta il negozio per levare certo grano da l’Abondanza innanzi la fiera, mi dice averne trattato con V. S., la quale io suplico, se bone con molto rossore, a non riguardare a’ trattamenti usati con esso lei per il passato, perchè in caso che si compiaccia di fare a lui questo giovamento segnalatissimo e a me grazia singulare, potrà stare con animo quieto io di spondoro i danari sicuri, perchè, non bastando la mia obligatione o di mio fratello, aggiungerò mallevadori che gli sodisfaccino. E perchè detto Giulio ha animo di poter recuperare detta casa, vorrebbe fare una retrovendita; o però, se bone è stimata molto più, si contentorobbo di scudi 250, de’quali 120 do- vorebbono staro apresso V. S., chè di tanto son creditore lo monache costi di S. Matteo, e ’1 resto vorrebbe prontamente ; e se fra tro anni non restituirà la casa, lussi libera di Y. S. ; e fra tanto egli vi tornerebbe ad abitare, o paghe¬ rebbe la pigione, corno conviene. Conoscilo che questi negozi ricerchano più matura deliborazione ; tuttavia l’occasione che V. S. ha di poter avere sincera informazione della valuta di dotta casa, m’ ha indotto a scriver di questo te- 20 noro: e caso cho lei inclinassi a bonificar Giulio o favorire me anche in quo- sto, non mi potendo io partire da casa, ho fatto la procura in Santi mio fra¬ tello o gl’ ho dato facultà di contrattare anche in nome mio e di obligarmi all’evitione. Suplico V. S. a compatire in me il desiderio che arci di sollevare questo giovane, e con quosto scusare i moltiplicati fastidii che importunamente li do : e quando non si compiaccia o non sia in comodo di aggiungere a gl’ in¬ finiti benefizii fatti alla casa mia questo soprabondante, mi stimerò nondimeno favoritissimo quando lei mi conservi in quel grado della sua grazia dovo m’ ha posto la sua mora benignità; mentre co ’l fino, pregandoli dal Cielo il cumulo d’ogni prosperità, gli faccio umilissima reverenza. 30 Da S. tw Maria a Campoli, 22 Settembre 1636. Di Y. S. molto lll. ro et Ecc. ma Dovotiss. mo o Oblig. ,no Se. ro Alessandro Ninci. 3358 . UGO GROZIO a GALILEO [in Arcetri]. [Parigi, 20 settembre 1686J. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, cnr. 18. — Autografa. Cognationom nobis osso cum caelo, ex tuis maxime operibus didici, Vir sa¬ pientissimo, omnem humanum conatum superantihus, quibusquo ellectum est ut nequo voterum scripta desideremus, neque motuamus ne ulla posterità^ de hoc Lett. 3357. 20. « scrive di — 29. beninità. — Vedi nota al n.» 3355. 23 SETTEMBRE 1636. 489 [3358-3359] saeculo triumphot. Nolo id mihi glorino sumero, ut mo intor discipulos tuos fuifiso (licam ; magni enim est ingonii ista, vel te praoeunte, ossequi : inter admi- ratores si ino dixoro sompor fuisso, nihil mentiar; felicem vero mo, si qua tuia partulms, in immortalitatis lucem oxeunt.ibus, obstetricari possim. Quao causa est cur, ubi ox amicorum optimo Adeodato 10 intellexisaem, te post tot exqui- sitissima studia etiam ad Ulani tara diu, tara frustra, quaesitam longitudini io depraohensionom adiocisse vira perspicacissimao mentis, non ignarus quantum in eo momentuni navigantilms vorsarotur, Batavis, et maris ot maris domitorum doraitoribus, praecipue sacrandum hoc roportum, cunctas humani generis utili- tates post se relicturuni, iudicarom. Viara inonstravi quara ineundam censerom, cui spero succossuin adfore digiuno tanti operis inerito, paratila in id conferrc quicquid aut moao aut amicorum est opis. Veneror tc, qui, ista notate, tam ingratos exporlus animos, advorsus utrunque invictus, et lraec ot alia plurima ac maxima suscipero porgaa. lata vero non soncctus dicenda est, sed vitae per- foctio ot do omnibus fortunao iniuriia gloriosissima victoria: Ilunc ego sublimi quaeaitum mento triumphum 20 Ducere maluerim, quam ter Capitolia curru Scarni ero Pompeii, quam frangoro colla Iugurthao. Valotudinem gotium gore. tihi opto prosporrimam ; quod cura fatilo, Immani generis ne- Tuorum moritorum maximo[rum] non ingratus aestimator Fuori: Sapientissimo Viro D. Galilaeo Galilaoi. 8359 . ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcetri]. (Parigi), 23 settembre 1036. Hai Tomo III, pog. 158-159, doli' odiziou© citata nell'informazione promossa al n.« 1201 Di Parigi, 23 Settembre 1636. La gratissima di V. S. molt’IlL do’ 15 dei passato, coll’allegata scrittura e lottere w , avendomi liberato dalla perplessità, nella quale mi trovava aspettan¬ dole, subito ricevute le portai all’ Mustriss. Sig. Grozio, avendogli dato quella (U Elia Diodati. i*i Cfr. nn ‘ 3837, 8339, 8340. XVI. 02 490 23 SETTEMBRE 1G36. [8869] che V. S. gli scriveva, della quale mostrò grande allegrezza, o molto maggiore dopo aver lotto il suo scritto o la lettora al Sig. Itealio, essendo restato sod¬ disfattissimo dell’uno e dell’altro, e recandosi a grando onore l’amore e la con¬ fidenza che V. S. gli dimostra e di potere acquistare il morito della grazia sua col sorvirla in questa occasione, nella quale vuole sbracciarsi o farci ogni suo potere con gli amici, avendola in somma stima od ammirandola conio persona io singolare noi secolo presento non manco di Socrate nel suo : del qual giudicio (per esser anco lui nel medesimo grado d’ ammirazione appresso tutti, conio peritissimo in ogni scibile, o di una sincerità, e candoro d’ animo veramente filosofico) V. S. può far molto conto, valendo per più di mille altri, o però riuscendolo a gran gloria. Ricovorà con questa alligata la lotterà che lo scrivo per risposta 11 ’ alle suo, della quale la prego favorirmi di mandarmi una copia, desiderando assai di vedorne il concetto, del quale forse potrò con occasiono valermi con lui per servizio di V. S. molt’ 111. nel progresso del suo negozio. Venerdì prossimo manderemo coll’ordinario d’Olanda il tutto a i loro recapiti, od io scriverò al Sig. Martino Ortensio od al Sig. Roalio, come vedrà dall* incluse 20 copio w , essendomi parato di dover enti-are in proposito col Sig. Ronlio per poter con miglior verso (avendo dato principio allo scriverò) servirò V. S. e far seco gli uffici che occorreranno pel bene del suo negozio. Non ò dubbio cho lo scritto di V. S. doverà contentargli molto, essendo, nella sua brevità, discorso con ogni accuratezza 0 chiarezza; sebbene, a mio giudicio, potrà essere cho circa l’effemeridi 0 l’orologio domandino qualche più aperta esplicazione. Mi faccia la grazia V. S. di dirmi, so (poiché, tra i frutti di questo modo da lei trovato, quello del poter formare esattamente lo carte geografiche non ò do’ minimi) con esso suo modo ha fatto prova d’aggiustare alcune dolio carte stampato e particolarmente di quello dol Magino'*’, 0 se in esse so vi ha trovato errori cho funsero di momento. Questa utilità, elio da tutti con ragiono sarà molto stimata, vie più doverà essere in Olanda, attendendosi in quelle bando, conio V. S. sa, più cho in ogni altra parte dol mondo a perfe¬ zionare la geografia. Mi rallegro con loi, che avendo messo nello mani dol Sig. Lodovico Elze¬ viro la sua opera del moto, od avuto parola da lui di stamparla, goda della speranza di beneficare il pubblico e di vederne presto l’offotto. Procurerò di sa¬ pere quando sarà arrivato, por farnolo sollecitare vivamente dagli amici; 0 so V. S. averà fatto (come si suole) qualclio particolare trattato soco por la sua ricompensa, dandomene notizia procurerò di farnogli osservare. 40 Ho dato avviso al Sig. Berneggoro della lettera che V. S. mi dice avergli scritta, e do’ cristalli per un telescopio mandatigli per osso Elzevirio. A quosta <«> crr. n.® 3858. <*» Cfr. un.' 33G0, 8361. ‘ s > Cfr. u.® 44 4. 23 SETTEMBRE 1G36. [3859-3360] 491 nuova so elio giubbilerà o gli parrà di easor già in Cielo. So il povero Sig. SgIlìc- cardo u ' vivesse, lo goderebbe anco lui, e trapasserebbe fiumi o fuochi per questo, avendomene più volte scritto. Sebbene col It. I*. Campanella e col Sig. Erigone <2! avevo ragionato dell’in¬ venzione di V. S. per le longitudini, o coinmunicato loro lo lettere che ne aveva scritto coll’occasiono degli scritti elio io gli mandai dol Morino (3 ‘, non mi sono porò dispensato di passar con loro, nè con altri, più avanti, avendo tenuto (come 50 ora il dovore) il suo sogroto segretissimo, essendo restato ristretto nel Sig. Grozio od in me, essendosi compiaciuta di confidarcelo ; di elio mi è paruto doverla chiarire por liberarla da ogni dubbio contrario elio potesse nascergli dalla prima communicaziono avuta con loro, dolla quale in quel tempo avvisai V. S., non volendo dispensarmi di farne parte so non quando ed a chi V. S. mi ordinerà. Bacio a V. S. revorentomonto lo mani. B360*. [EUA D IODATI a MARTINO ORTENSIO in Amsterdam). [Parigi, lino di settembre 1636]. Dui Tomo III, pii*. 160, dell'odiriono Fiorentina citata noli'informazione promossa al n. # 1201. In que¬ st'udiziuiio la presento ò pubblicata col titolo « Lotterà di Martino Ortensio» o souza dulu; uni cfr. n.o 3353, liti. 20-21. Tribus iaui ab Bine menaibus biimn a te literns accopi, Bitnulque lugubre» versus in laudem durissimi nobisque perpetuum memorandi amicissimi viri Wilhelmi Schiccardi, quos oonfostim cum aliis excudendos ad Dominimi Rorneggeruni misi; sod cum (quod maxime urgelms) a Domino Galileo, valetudine ot variis oceupationilms praepedito<*>, praeter pro- rogatam pollicitorura dilationem nibil haborom, no inanibus verbis fidom a me tibi cius nomine datam oxsolvero vello vidoror, responsum ad tuas litoras tantisper sustinui, donec, re (cuius inibì spem identidom faciobat) ab ilio praestita, pieno tibi satisfacore possem. En ergo vobis, dico, oxpectatus, optatissimus, longitudinis expiscandae modus, ab eo ro- pertus, quom (ut rem sibi oxploratam et probe pcrspcctam) vestrao censurae, liaud dnbius io «lo eventu, fidenter laetus aubiicit. Nani quae ad facilem et accuratum eius prò navigantibus usimi adirne perfìcicnda superesso ipso ingenue aguoscit, cum do rei ventate et inventi certitmline nibil quicquara detrahant, sed artis solertiao (cui nibil impervium) invosti- gatioui cedant, novissiinao buie I.inceae perspicacitati per vos peritissimos et, aequissimos iudiees tenebras non ofTundeut, noe inventoris gloriam minuent. Nobilissinnmi Dominum Realiuiu, virtutis et gestorum celebritate illi notimi, suas in abseutia vices subi turimi ad negocium pronto vendimi siili delegit, et ad emù de inventi sui ratione scriptum, lllustrissimis et PotentÌ88ÌmÌB Domini» Ordinibus Generalibus Foederatarum Rolgicarum Provinciarum Lett. 3350. 43-44. Sch iva rdo — 46. Evi zone — I.ett 33(10. 17. Faederalarvrn - *** (JlHìLIKt.MO SOHICKIUUUT- <*' I 1 1k ino Hrkiuomc. i>' Cfr. il.® 3014. <*> Cfr. n.° 8303, liu. 1-2. 492 FINE DI SETTEMBRE 1636. [3360-8361] offereudum, misit: quod opportune et sapienter ab ilio cogitatomi et. prosperimi, ex oìub ad to epistola, huic meae adnexa, comperies. Illustriss. Domini Grotii in Domini Schiccardi obitum carmen, vere Grotianuni, a te 20 cxpetitnm, hic liabes. De scriptis eius a Domino iierneggero hactonus nihil ultoriua accepi; oa tamen, nisi nmiori ingruente (rpiod Deus averta!) calamitate ultimis eius urbis ruinis involvantur, a Domino Lansio' 1 ), qui eorum curam suscepit, sollicite et fidoliter servatum iri sperandolo est. De barimi porro rcceptione, propter itiuerum incerta, hoc Martis grassantis tempore, suspensi haerebimus, donec de ea per te certiores fiamus. Quare, in optimi praesertim nostri Senis gratiam, quam ocyssime rescribe, oiusquo negocium iudesinenter capesse. Vale. 3361. ELIA. DIODATI a LORENZO RE ALIO [in Amsterdam]. [Parigi, Uno di settembre ÌGHOJ. Pai Tomo III. png. 1 Gl, (loll’eiliziono citata noli’infonnnziono promessn al n.® 1201. La fama dello virtù e delle desiderabili perfezioni di V. S. Illustriss. per giudicaro rettamente e fare degna stima di quanto merito sia l’invenzione per ritrovare le longi¬ tudini, proposta dal Sig. Galilei agrillustriss. SS. Stati Generali (non avendo in età tanto provetta potuto mettersi a sì lungo e pericoloso viaggio), l'ha invitato a ricorrere a V. S. per confidarle il suo segreto, o pregarla di farne la presentazione in nome suo a cote¬ sti Illustriss. SS. o di rendersene protettore verso di loro per via dell’autorità e della lede la quale con i segnalati servizi da loi resi allo Stato si è acquistata. Spero che, trat¬ tandosi in questo negozio di procurare al pubblico, sotto i felici auspici del supremo ma¬ gistrato, un bene tanto bramato da tutti o tanto necessario a cotesti popoli, V. S. Illustriss. testificherà in questa occasiono con pari prontezza il suo zolo al ben pubblico, come 10 ha sempre latto in tutte le passate, e che reputandosi ad onoro di promuoverlo, gene¬ rosamente abbraccerà verso l’Eccellenze Loro l’onore e la gloria dovutane all’nidore, ponderando maturamente, e facendo valere colla sua prudenza e sngacità, le considera¬ zioni da osso Sig. Galilei riferite circa al ridurre questa sua invenzione alla facilità del¬ l’uso sopra al mare; essendo una cosa la qualo, senza dubbio alcuno, coll’arte e coll’in¬ dustria sarà perfezionata, la ricerca di essa non derogando in tanto nulla alla verità nè alla certezza del mezzo dal Sig. Galilei trovato o proposto. Di che, come servitore antico di esBO Sig. Galilei ed ammiratore della sua dottrina, ed essendo anco da lui stato onorato del primo indirizzo del suo segreto per mandarlo a V. S. Illustriss. sotto l’ombra del favore dell’lllustriss. Sig. Grozio, Imbasciatore di Svezia, ho creduto dovere rallegrarmene 20 con lei, giungendo anco i miei preghi con quelli dell’autore per entrare con esso a parto dell’obbligo che le averò per un tanto benefizio, offerendomele con ugni reverenza e sin¬ cerità d’animo. I.ett. 3361. 6. /Huntriin. SS. di — l‘) Tommaso Laksius. *24 SETTEMBRE 1636. 493 13362 ] 33G2. GALILEO n GIOVANNI TAL DEI fin Firenze]. Arcetrl, ‘24 Hottcìnbro 1G36. Blbl. Naa. Pi r. Msk O&l., P. I. T. IV, car. 102. — Autografa. Molto 111.™ Sig.™ e Pad. ne Osser. mo Ieri l’altro, che fui a Mezomonto l1) , dove venne il Ser. mo G. Duca, parlai con Sua A.** per conto dell’esazzione del mio stipendio, e da quella ottenni di risquoter per il tempo a venire il danaro in Firenze in buona moneta : però cessa la cagiono d’importunare et aggravare, come tante volte ho fatto, la cortesia dell’111. mo S. Mar. 80 Gabriello (2> e di V. S. molto I., a i quali resterò con obbligo x>erpetuo del tanto spesso replicato lor favore. Per bora, quando sia senza incomodo di V. S., mi farà grazia far consegnare al lator della presente, che sarà Giu- io seppo mio servitore, il danaro del mio semestre che finì l’Aprile pros¬ simo passato (3) , del quale il mandato fu consegnato nel suo banco, e riscosso p[oi] in Pisa da i SS. ri Cooli. Et intratanto, restandogli servitore devotissimo, con reverente alletto gli bacio la mano [•••]&° felicità. D’Arcetri, li 24 7mbre 1636. Di V. S. molto 111." Fumi: [All molto HI." Sig." e Pad." Col. 1 » 0 Il Sig. r Giov.* Taddei. In sua mano. < 5 ' Cfr. Voi. XIX, J>oc. XXI, b), liu. 801-805 (lolla colonna di sinistra. “> Cfr. n.® *3854. **» Gabbi *u.o Riccardi. 4 Cosimo Pici. Skra. <*> Cfr. il.® 3357. * J > Giulio Nihci. 25 — 26 SETTEMBRE 1636. 495 [ 8364 - 3365 ] io Mona.™ Arcivescovo e d’alcuni ammalati che non mi permettono il vonire in persona, caso che questa lettera non sia stimata sufficiente; mentre co ’l fine, rendendoli quelle maggiori grazie elio io di tanti eccessi di benignità (sic), gli faccio debita reverenza. Da Maria a Campoli, 25 7hre 1036. Di V. S. molto I ll. r * et Kcc." m Dovotiss. m ° o 01>lier. mo So. ra Alessandro ilici. Fuori: Al molto 111.” et Kcc. n, ° Sig. r mio P.ron Col." 10 il Sig. r Galileo Galilei. In villa. 33 ( 35 **. ALESSANDRO N1NCI a GALILEO in Arcetri. S. Murisi si (Janipoli, 20 Bottembre 1036. Blbl. Nai. PIr. M«i Uni., Nuoti Acquisti, n.« 34 bis. — Autografi. Molto III." et Kcc. mo Sig. r mio P.ron Col."' 0 Io non ho altro modo di poter giovare a Giulio mio cugino elio con ven¬ dere la casa, etimo ho scritto; o se bene mi son lasciato trasportare dal desi¬ derio in proporla a V. S. con tanta fretta, non è già che io non conoscessi che dotto Giulio era troppo intento al suo bisogno, e io pocho aveduto a compia¬ cerlo in darò tanti fastidii a V. S. Ma elio occorre che io mi scusi dell'imper¬ tinenze usate, se io mi son messo a scrivere por usarne dell'altro? Egli mi dico che V. S., non ostante olio gl’abhi prestato cento scudi, gl’ ha dato intenzione di prestargli altra stimi 1 somma, acciò si possa rimettere a bottogha; onde io io non mi ardisco già «li suplicarla, ma acconsento: oso V. S. si compiace d usare questa traboccante umanità, in virtù della presente io mi obligho corno malle¬ vadore a conservare V. S. indonno o rimborsarla sì do conto scudi già prestati conio d’ogn’altra somma elio in questa occasiono gli presterà, oblig&ndo miei eredi o beni in «igni miglior modo. Fra tanto lei potrà vedere o far vedere la casa, o pigliarla loi se ci averà gusto; caso che no, procurerò di contrattarla con altri por sodisfare a V. S. Alla quale facendo debita reverenza, progho dal Cielo cumulata felicità. l)a S. u M.* a Campoli, 26 7bro 1636. Di V. S. molto 111.'° et Fcc.'"* Devotiss.*"® o OblÌ£r. rnrt Se.™ go Alessandro JSinci. Fuori : Al molto TU." et Eco.»» Sig. r mio P.ron Col.'" 0 11 Sig. r Galileo Galilei. In villa. m 30 SETTEMBRE 1636. [ 3866 ] 8366 *. ALESSANDRO MAUSILJ a [GALILEO in Arcetri]. |Siena |, :J0 settembre 1(586. Bifcl. Nftss. Flr. M»a. tisi., P. I, T. XI, cur. 289. - Autografa. Molto I11. P0 ed Eccl. mo Sig. r ot P.ron mio Oss. mo L’offiti da V. S. molto lll. pa od Eccl. raa fatti a mio favore per la cattedra di Pisa, procedendo dal di lei amorovolo adotto verso di me, anco son stati caldi od affettuosi ; o venomlo da un Signoro come lei, il (pialo per ogni ri¬ spetto è somamonto stimato da tutti, sono anco di sommo valore ed efficacia. Sento adonquo per una dol Sig. r Fan toni (t! al Sig. r Vincenzo Biodi mio suocero, eho da lei son stato honorato di più cortesissimo lettore in mio favore non solo al medesimo Sig. r Fan toni ed al Sig. r Pro veditore dello Studio (S| , ma anco forse al Ser. ,n0 Granduca; quale, come son certo, mosso dalla stima di lei o dallo suo intercessioni, favori domandare al Sig. r Fantoni di propio suo moto della io persona mia con richiedergliene informatione, dal quale Signoro fui per sua gratin favorito oltra il mio merito. Ma sento dono, conio scrivo il niodosimo, odo voglino faro una gran potatura allo stipendio di dotta cattedra, la quale, so don conosco superiore a quanto posso meritare, non di mono è molto infe¬ riore a quanto spenderei conducondo la fameglia mia in Pisa, senza quasi punto scemare quella di mio padre in Siena, dovendo stare con quello splendore di accompagnamento di servitù o carrozza die richiede il luogo, il sorvire i Pa¬ droni, e la persona di mia moglie por il parentado elio tiene. Io non di meno, poi desiderio che tengo di cssorcitarmi nella professione che fo in servitio de’Pa¬ droni, quando anco pendesse da me, potrei far resolutione di applicarci il sca- 20 pito ; ma essendo figliolo di fameglia, non persuaderei mai al Sig. r padre que¬ sto, il quale, se beno resta persuaso (li danni e spondere qualche centinaro del propio, non però può restare persuaso che ciò debbia farsi da me con scapito sì grave o con scompiglio dei ben essere di casa : ansi li fa gran caso il sapere che fumo offerti al Sig. r Angelo Cardi di questa città (quale haveva letto solo in Siena, nè havova havuto cattedre prime) scudi settecento ed altre commo- dità, quantunque fosse di bassissimi natali, figlio di calsolaio; e non volse an¬ darvi, se ben credo che fosse un pazzo suo capriccio, inviatosi allora a Roma col Sig. r Cardenal Borghese (3J . Basta: a volere che possa adempire il mio deside- I" Niocoi.ò Fantoni-Rioci. <*> liUKRARDO SaRAOINJ. **> l’i riho Maria Boruiiksk. 30 NETTI'..MURE — 1° OTTOBRE 1G36. 497 [8366-38681 so rio, ho necessità di liavor tanto elio possa mantenermi, come ho detto, fuora con qualche spesa di casa, ma non con gravo lussai. Però io lasso negotiare al Sig. r suocero col Sig. r Auditore e col Sig. r padre, perchè non posso fare se non il loro volere; ed essendo ora finito il roto, sarà più longo il tempo di nogo- tiaro. Io poi, che provo si pronte lo suo gratie, non starò con longe parole a pregarlo della sua prototione in quanto 1’ ho detto, perchè no son più sempro in sicurezza : solo la supplico, che quanto è pronto nelli altri favori, altrettanto cortesemente mi lionori de’ suoi comm andamenti, de* quali altrettanto vivo bra¬ moso, quanto desidero palesarmeli col’opero quorohhligatissinio servitore che lo vivo di affetto. E le fo rovorenza. roLURinuo Micakxio. {i) Aubkbto Cbbabk Galilei. \ 500 9 OTTOBRE 163G. [3371-3372] 3371 . BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri], Bausano di Sutri, 9 ottobre 163G. Bibl. Nftz. FI». Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 245. — Autografo. Molto III.” ed Ecc. ,no Sig. ro o P.ron Col." 10 Il Sig. r Ambasciatore' 1-1 si ritrovarà a Poggibonzi giovedì prossimo, a’16 dol presento ; por tanto V. S. Ecc. ,na potrà ritrovarsi a Poggibonzi quel giorno per servire S. Ecc. ZI1 , che dosidera trattaro seco tre o quattro hore avanti il suo ritorno in Franza: o caso che non sia gionto, l’aspetti venerdì mattina senza fallo, e di grazia non manchi, perchè questo Signore è tanto affozzionato, cho non si può dir più. A mo dispiace sopra modo non poterlo servire o con que¬ sta occasione vedere V. S. ; alla quale in tanto fo rivoronza di Passano, vicino a Caprarola, dove mi trovo con S. Ecc. za , qualo si trattonerà tre o quattro giorni, aspettando la sua gente di Roma por far il viaggio, il 9 d’ 8bro 1636. io Di Y. S. molto lll. ro od Ecc. ,na Devotiss. 0 o Oblig. mo Ser. r ® e Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. 3372 . FRANCESCO DI NOALLLES a GALILEO in Arcetri. Bussano di Sutri, 9 ottobre 1G36. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 247. — Autografa la sottoscrizione. Molto HI.™ S. ro Di già mi son mosso in viaggio, et. scrivo questa da Bussano, ove anco è venuto sin qui il Padre D. Benedetto, tanto suo o mio affettionato, il quale di già lo scrisse por prima (21 , come bora lo rinova, il mio desiderio di poterla ve¬ dere. E perché mi bisogna seguitare il viaggio per Francia, nè posso trasferirmi a Firenze, desiderarci cho V. S. arrivasse a Poggi Bonzi, ov’ io penso di essoro alli 10 del prosento. Per essoro così presta la mia partita, io in quel tempo supplicai S. S. tt per la licenza per Y. S. da trasferirsi sino a detto luogo. S. S. tò rimise il memoriale alla Congrogationo del S. l ° Officio, alla quale ho lasciato UI Franokbco di Noaiu.k3. <*> Cfr. n.® 3347. 9 — 11 OTTOBRE 1036. 501 [3372-3373] io persona a posta che solleciti detta licenza* 1 ', evenendo, come spero, la por tarò meco; e però non trulasci di venire, chè mi sarà di gran contentezza. Con olio fine lo bacio lo mani. Di Battano, li 9 di 8bro 1636. Di V. S. molto Ul. ra Fuori: Al molto Ill. r * Sig." Il S. r Galileo Galilei. Itaccom. u subito per il ricapito al Padre Era llonuvcntura Lupi. Arretri. 3373 *. ALESSANDRO M ARSI LI a [GALILEO in Arcotri]. Siena, 11 ottobre 1636. Blbl. Naz. Tir. Mu. (lai.. P. I, T. XI. oar. «61. — Autografa Molto 111." oortalettere o con li zaffi che havossero 20 commesso il mancamento. Il P. Cavallieri, Mathematica di Bologna, mi ha scritto una lettera corte¬ sissima o mandato a donare lo suo opero, ilio ricovo in questo punto (3> . Que¬ sta mi ò una gratin singolare o di somma obligationo, o so che mi viono «la V. S. Risponderò a quel Signore tanto virtuoso il spatio seguente, ira tanto rendo infinite gratie a V. 8. molto Ul. rn et Kcc. ma , alla quale bacio lo mani. Ven.\ 11 Ottobre 1636. Di V. S. multo Ul. r * et Eccoli."* S. r Galileo. Dov. ,no Ser. r F. F. Post.* Ritrovo assai buona giustifiratione che non sia lovato nulla dalle sca¬ so telo. Per le prossimo lo inviarò, chè hoggi non posso. COSIMO DEL SF.UA a [GALILEO in Arcetri]. Firenze, 11 ottobre 1630. Bil)l. Nu. Plr. Mu 0.1. P. I. T. XI. e *r. «49. - Antofr*f« lo Ho. 0-10. Molt’ 111. Sig. mio Osa." 0 Ho scritto al Camarlingo della Dogana di Pisa, che quando sia il tempo di faro a V. S. lo Bue paghe, ne faccia Bordine a questa Generale Depositerà, il cassiere della quale li sborserà in moneta fiorentina, e così oll a resterà se I,0n«iVI<-0 lUlTELU. «*» Cfr. n.» 83ól. I*» Cfr. un.’ 8834, 8844, 3316. 504 11 — 17 OTTOBRE 1630. [3375-3377] vita, et ió obbedirò con molta mia satisfammi e gusto al comandamento cho me n’ ha fatto il Padrone Ser. mo , desiderando havere spesso occasione di po¬ terla servire. E le bacio lo mani. Di Firenze, li 11 8bre 1636. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 Obb. mo Ser. Cosimo del Sera. io 3370 **. ASCANIO PICCO!iOMINI a GALILEO [in ArcetriJ. Minio, 14 ottobre IMO. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 258. — Autografa la sottoscriziouo. Molto Xll. ra S. r mio Oss. ,no Sabato indirizzerò a V. S. quattro some di questo vino, e sarà la sua prima tramuta. Lo porterà il solito Santaccio, ed havrò gusto di sentire che venga ben condizionato ed a suo gusto. Roggi è stato qui in campagna a favorirmi il S. r D. Marsilii (,) , con una viva commemoratione dell’obligationi elio a V. S. professa; o veramente se sor¬ tirà niente del suo negozio (2) , professa di riconoscerlo intieramente da lei. Dopilo un estremo caldo qui s’ò rivoltata una rigorosa tramontana, di ma¬ niera che por questi due estremi non si fanno facendo co’ boschetti. La Dio gratia, io la passo di saluto assai bene, con particolar gusto di sentire dio an- io cora lei la passi felicemente : o Tddio sia quello che la preservi quanto io de¬ sidero. E le bacio por line lo mani. Di Murlo, li 14 Ottóbre 1636. Di V. S. molto Ill. ro Vero Aff. Ser. S. r Galileo. A. Ar. di Siena, 3377 **. ASCANIO PICCOLOM1N1 a GALILEO [in Arcotri]. Murlo, 17 ottobre 1G3G. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 256. — Autografa la sottoscriziouo. Molto 111.” 5 Sig. r mio Oss. mo Stanotte carica Santi il vino di V. S. ; o perchè quest’anno si è avvertito di pigliarlo di sito, come dicon qua, tischioso, m’assicuro die non farà la burla <‘i Dottor Ai.ebsandko Ma usili. i*i Cfr. u.« 88GG. 17 — 18 OTTOBRE 1G3G. 500 [3377-3378] dell’altro unno. Creilo elio gl’habbiu a riuscirò; e perchè della medesima sorto non c’era il compimento di quattro some, glio no verrà un barrilo di corto elio ho imbottato per me, acciò V. 8. mi dica so costoro m’ hanno ’ngannato ad eleggerò il primo per lei, od acciò elio ella anco sappia dio questo mi rimano di riservo per lei. Sono ancora di Inora; ma lo caccio mi vanno malo, ondo non posso farlo io assaggiare duo starno. La servirò in questo inverno; o tra tanto N. S. me la conservi con felicità o contentezza. Di Mudo, li 17 Ottobre 163G. Di V. S. molto lll. M S. r Galileo. I)evot. mo Ser. A. Arc. vo di Siena. 3378 . GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arretri, 18 ottobre 1G30. Bibl. Murolaim In Venetia. Cod. XI.VII doli» CI. X It., n.® 12 — Autografa. llev. mo P.re e mio Sig. r Col. 100 La gratissima ot aspettatissima lotterà di V. P. R. ma delli 11 stante 05 mi ha levato di una gravissima sospensione di animo, mentre che dopo l’ultima sua, nella quale mi dava avviso della sua indisposizione, erano passati 3 dispacci senza comparirmi sue lettere. 11 suo accidente è stato simile a quello che sopravvenne a me repentinamente una notte, 10 anni fa: che risvegliatomi dal sonno 4 hore avanti giorno, mi pareva sentirò nella corto contigua alla mia camera precipitare una pioggia incomparabilmente più strepitosa di qual si possa anco io imaginare ; o continuando tal romore con mia ammirazione, venutami occasione da tossire e non sentendo il mio medesimo suono, conobbi il romor della pioggia esser nelle mio orecchie e non altrove ; restai però attonito, o di una sordità tale che per 2 mesi continui non harei sentito lo artiglierie. Cominciò poi a poco a poco a dissolversi questo profluvio, e finalmente dopo 5 mesi rihebbi V udito quasi che interamente ; il quale bora por l’età mi va declinando. 1/ inconveniente delle azze non ò proceduto nè da zaffi nè da procacci, ma dalla mia fortunaccia, che in tutti li miei affari, dal minimo al massimo, mi si attraversa; e son più che sicuro, le scatole 1,1 Cfr. li.® 3374. XVI. 04 50G 18 OTTOBRI*: 163G. [ 8378 ] non mi esser per pervenire senza qualche altro intoppo. Io la farei 20 maravigliare, e insieme ridere, se io gli facessi un registro di 60 , 0 più, sinistri incontri avvenutimi fuori di tutti i corsi Immani 0 consueti. Ma non voglio che perdiamo tempo in queste vanità. Sento gran consolazione della sodisfaziono eli’ ella mostra della contratta corrispondenza d’affetto col Padre Matematico di Bologna'”: e perchè il Sig. Dino Pori, nobile di questa città, Matematico dello Studio di Pisa, d’ingegno mirabilo, di costumi angelici, da me sti¬ matissimo e amatissimo, estremamente desidera esso ancora di dedi¬ categli servitore, io, animosamente intraprendendo questa onorata impresa, gli offero la sua servitù; la quale quando intenda non essergli 30 discara, P barò per una delle più grate nuovo che io gli possa dare, nè mancherà di ratificargliela. Ne i 5 mesi che stetti in Siona in casa Mons. Arcivescovo di quella città, liebbi cotidiana conversazione col S. Alessandro Marsilii, lettor di filosofìa in quello Studio, riavemmo tempo di discorrer in¬ sieme molte centinaia di fiore : lo trovai nella scolastica dottrina non inferiore a qualsiasi de i più celebri dell’età nostra, ma ben supe¬ riore a molti nella trattabilità, et inferiore a tutti nella petulanza e ostinazione. So che da i soprintendenti dello Studio di Padova vien domandata da Siona minuta informazione di questo soggetto, e che 40 è stata resa buona Io, come suo amico et ad esso e allo Studio di Padova affezionato, ho volsuto di proprio moto darne questo motto alla P. V. R. ma per servirsene, caso che gli venisse in taglio oportuno di servirsi di questa mia casuale relaziono. Procuri con ogni diligenza la sua sanità, nella quale consiste gran parte della mia e l’intera mia quiete c contentezza ; 0 con reverente affetto gli bacio lo mani. Bella P. V. R. ma I)ov. mo et Obblig. mo Sor.™ G. G. Non havendo ricevuto risposta da mio nipote di Monaco, dubi- co tando che forse le sue lettere siano intercette, gli scrivo con V alli¬ gata, dicendogli che, col favore del Maestro di cappella mi mandi risposta per via di Venezia. Gli raccomando per tanto questa, come anco la risposta, se pervenisse nelle sue mani. Bohavkntura Cavalikki. »*) Cfr. n.o 3373. ‘ 3 > (ìjo. ducono Porro. [3379] 18 OTTOBRE 1636. 507 3379 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 ottobre 1036. Blbl. Eat. in Modena. Raccolte Campori. Autografi, B.» LXX, n.» 33. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111/'® ut Ecc. m0 Sig. ro o r.ron Col." 10 Rieri, ritornato da Bagnala, dove son stato a servirò il nostro caro et gen¬ tilissimo Sig. r Ambasciatore l,) , fui necessitato a mettermi in letto por un poco (V indispositiono, dulia quale sperò in Dio presto liberarmi. Iloggi ricevo la let¬ tera di V. S. molto lll. r0 ot Kcc. ma , per la qualo resto maravigliato vedendo elie non ha riconto lo mie lettere, in duo dello quali accusava la riceuta del compasso e li scriveva altri particolari, et sopra il tutto ch’io havovo dicidotto scudi in mano per la spesa del compasso, quali mandavo o pacavo qui in Roma, conformo a quello elio mi parrà da V. S. ordinato, io II Kig.™ Ambasciatore partì da Bagnaia giovedì mattina allo quindeci bore, continuando il suo viaggio alla volta di Siena, o erodo che da Pongibonzi si trasferirà incognito a riverire il Sor.'" 0 Gran Duca; ma sopra il tutto tione ar¬ dentissimo desiderio di vedere V. S. (s) Del rosto non ho ebo dirli altro; inten¬ derà molto coso dal medesimo Sig. r Ambasciatore 18 ’, e credo ancora che toccarà con mano che io li vivo servitore di fedelissima e constantissima devotione: e tanto basti. Con elio li fo riverenza. Di Roma, il 18 Ottobre 1636. Di Y. S. molto Ill. ro et Ecc. mo Devòtis. 0 o Oblig. mft Ser. vo 20 Sig. r Galiloo Galieij. Don Bencd. 0 Castelli. Fuori: Al molto lll. ro et Ecc. mo Sig. r et P.ron Col.” 0 11 Sig. r [Galileo] Galilei, p.° Fil.° di S. A. Ser. m * Firenze. • O Francesco di Noaiu.ks. I*' Cfr. nn.i 3871. 3372. <*> A car. 76l. clol Tomo VI della Tar. V dei Mss. lial. si logge quest' appuntu, di pugno di Vis* cknz.1i> Viviani: < Adi 16 8bre 1636 il Galileo va ad abboccarsi col C. di Noaillos a Poggi Bonsi, di ritorno da Roma per Parigi ». 508 21 OTTOBRE 1036. [3380] 3380 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 21 ottobre 1686. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gnl., P. VI, T. XII, car. 243. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Col." 10 Quantunque io babbi differito molto lo scrivere al R. mo Padre Fulgontio, ciò però è stato perché aspettavo l’occasione di un Bolognese elio dovea tra¬ sferirsi a Venotia, acciò elio li potessi faro bavere li miei libri stampati, si conio finalmente bo fatto la settimana passata' 11 , dal quale ricevei cortesissima ri¬ sposta, mostrandomi molt’affettiono nella sua lettera ; il die havondo cagionato la sua buona relationo lattali della persona mia per sua grafia, oltro tanti obligbi che le tengo, riconosco questo ancora per singolare, d’ havermi intro¬ dotto alla servitù di così raro sogetto. Mi scrive poi che un giovine w pure in Yenetia è dietro a fabricare il mio specchio, il quale dice liaver fatto la sfera alla Copernicana, bavendola, dice, imparata da’ suoi Dialogi. Starò con deside¬ rio aspettando so lo specchio ancora li riesce. Io sto peggio di sanità che non stavo costì, non potendo' più caulinare, il che, oltre i miei soliti disgusti, mi fa vivere una vita molto penosa. Diodi ri¬ sposta alla sua lettera, nella quale per memoria mi salutava da parto di M. a Lu- crotia; ma temo che quella lettera sarà andata a malo, et havrei pur caro di saperlo, perchè dubito che questi frati non mi piglino le lettere. Mi vado di¬ sponendo por leggere, se bone, come dico, in mal termine di sanità. Desidero intendere di lei qualche buone nuovo, o che mi favorisca di riverire in nomo mio la Madre abbadessa di S. Mattina et il Sig. Cesare, che ci facoa compa¬ gnia, andando a dir mossa, con M. n Lucrezia. E con tal fino bacio a V. S. Kcc. ma affettuosamente le mani. Di Bologna, aldi 21 Ottobre 1636. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ,na Dev. nl ° et Ob. mo Scrv. rrt F. Bon. pa Cavalieri. Fuori : Al molto III.™ et Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col. mo Il Sig. r Gal. 60 Gai. 0 ' Fiorenza. Arcetri. U) Cfr. n.° 3374. (*) Siqisaiondo Alukiuìukiti. [3381-3382] 22 — 25 OTTOBRE 1G3G. 509 3881 ** ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Campoli, 22 ottobre 1636. Bibl. Nm. Pir. Appendice Ri M«*. 0»1., Filza Kavaro A. cnr. 11C. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col." 10 La lotterà di V. S. scrittami li 15 stante mi pervenne lunedì sera, elio oramo a li 20, sì che non si maravigli se non m’ ha trovato in San Casciano, dove infallibilmente sarei venuto, se bene mi ritrovo sempre lo medesimo dificultà in partirmi da casa. In risposta gli dico, elio so Giulio non manderà, lo legno cominciando questa settimana, come pur oggi mi dice d’avere stabilito, lo manderò io*, poro V. S. stia con l’animo quieto, o non pensi a farne altro provedimento. Quanto alla casa 11 , poiché V. S. non so no compiace, corcherò di contrat¬ tarla con altri, por dargli quella maggioro sodisfaziono elio io potrò nel resti¬ lo tuir gli d. 180 prestati a Giulio medesimo mio cugino: o so bene lo mie poche forzo non mi permettono il corrispondere prontamente all’obligho de’ benefizii così segnalati elio V. S. por sua mera benignità, s’ è degnata di fare alla casa mia, non é già, che io non riconosca e professi il debito ; poi elio se bone i miei parenti sono stati molto arditi in domandargli aiuto, la benignità di Y. S. è sompre stata più ampia in concedere di quello che l’audacia loro abbi saputo domandare, et ha mantenuto sempre questo stilo uniforme, non ostante cho in quest’ultimo avessi molta occasione di variare ; il che acrcsce maggiormente l’obli- gho, quanto il benefizio è più gratuito. Orsù, poiché Y. S. a mia contemplationo ha usato verso mio cugino eccessi di carità, mi sforzerò io ancora di mantenere a lei 20 quanto nell’altra mia gli promessi, mentre co ’i fine gli faccio debita reverenza. Da S. to M. a a Campoli, 22 Ottobre 1636. Di Y. S. molto Hl. ra et Ecc. raa Devotiss." 10 o Oblig.™ Se. ro Alessandro Ninci. 8382 *. FULGENZIO MIO ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 26 ottobre 1636. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Compori. Autografi, B.» LXXX, n.» 183. — Autografa la sottoficririone. Molto Ill. ro et Ecccll. mo Sig. r Col." 10 Certificato che se beno una dello scattole ora stata aperta por titolo di contrabando 111 , nondimeno non è stato levato fuori alcuna cosa, ho fatto acco¬ modare da uno di questi nierzari tutto in una sola scattola, che hoggi faccio Ul Cfr. no. 1 8804, 8305. <*> Cfr. n.° 3374, lin. 14-10, 510 25 — 27 OTTOBRI*: 1636. [3882-3383] consegnar al* 111.® 0 Sig. r Gio. Francesco Labia, elio mi farà il lavoro di man¬ darla sicura a V. S. molto 111.” et Ecell. mft , la quale credo rostarà molto so¬ disfatta. Corto il morzaro che 1* ha accomodata, come della professione, attoso l’eccessivo prezzo di simili bagatelle quest’anno, l’ha stimata di sopra 25 ducati. Io però non no ho alcuna cognitione, ma ben some desiderio elio Y. S. resti servita. Ilo voluto dar qualche occhiata allo opero doli’ Eccoli." 10 Padre Matthoma- io tico di Bologna, ma le suo speeulationi eccedono la mia capacità. Conosco ben certo, il mancamento ossero da ino ; ma pelò non credo ingannarmi : non vi ò un altro Galileo che le più alto speeulationi riduce a tal facilità, che anco li poco prattichi, conio son io, no ricevono gusto inestimabile. L* IH.™ 0 Sig. Comissario Alfonso Antonini, al quale mandai il primo delli ultimi quattro Dialoghi di V. S., no ricevo tanto piacerò o no fa a V. S. tanti ringratiamonti, che non si satia mai, et. aspetta la stampa di questo con li com¬ pagni con avidità et impazienza estrema. Delli primi già stampati il giudicio di chi intendo ò questo: elio cessata l’invidia della persona di V. S., elio Dio conservi lungamente, corno Lo prego di tutto core, non sarà più alcun mattilo- 20 matico, nemico in Italia, elio non sia Copernichista. È sventura et infortunio non di lei, elio sempre vivrà gloriosa, ma do’ buoni ingegni 0 della scienza me¬ desima, che V. S. non proseguisca, perché non ho minimo duino elio ella non Labbia altro osservatami 0 speeulationi importantissimo. Lo faccio ben conscion- tia corno di gravissimo mancamento, so lo lascialo morir, o, por dir meglio, un aborto senza veder lume 0 goder vita, poiché a dispotto della malignità vi sono tanto vie e modi di farlo vitali ; 0 non cessarò mai di raccordarlo il giu¬ dicio del nostro buon P. Maostro Paolo, elio dicova elio 1* intelletto del S. r Galileo era così atto nato all’ intelligentia del moto (l> , cho doppo elio si ha uiomorìa non ve n’ora ricordato un tale. Dio la conservi 0 prosperi, e lo bacio lo mani. 30 Di Ven.% 25 8bre 1636. Di V. S. molto 111.” ot Eccoli. ma Devotiss.® Sor. F. F. 3383 *. GALILEO ad [ELIA DIOPATI in Parigi]. [Arcotri], 27 ottobre 1636. Bibl. Naz. B*ir. Mss. Gal., P. V. T. VI, cnr. 85r. o t. — Copia di mano ili VtjfCKXxio Viyiahi, del quale è, sul marcino, l'annotazione : « 0. G. 27 Sbro 1030 ». Le parole ila « trattati » a « curioso » (lin. 3-5) si leggono, pur di mano del Viviani, a car. 7Gf. dolio stesso manoscritto. A compimento di quosto ca¬ pitolo dolili lotterà di Gai.ii.ko, confronta, a suo luogo, il riassunto cho di essa faceva Elia Uiodati a Costantino Huyukns, scrivendogli da Parigi, sotto 1’ 11 giugno 1637. Quanto al Sig. Elsevirio, egli portò seco due mie opere, cioè il trattato del moto e quello delle resistenze de* solidi all’essere spezzati, i*i Cfr. ti.® 3000, lin. 27-28. 27 OTTOBRE 1G36. 511 [33H3-M84] trattati amenduo nuovissimi ot amenduo distesi in dialogi, et in con¬ seguenza sparsi di varii opisodii (por dir così) di materie pur nuove o curioso. Io glie li ho lasciati liberamente, lasciando fare alla sua Ollandica schiettezza, elio dovrà, pens’ io, qualche particella man¬ darmene. Ben mi sarà gratissimo cho Y. S. molto I. per Ietterò o per amici lo vndia sollecitando, e mantenendo anco in proposito di ri¬ stampar tutte lo altro opero mie in un volume solo, trattone però io lo sfortunato Dialogo, per levar l’occasiono di proibire senza occa¬ sione anco tutto il restante: et io tra tanto vo procurando di metter insieme dette mio opere per inviargliele, se ben duro gran fatica ad averle, non so no trovando pur una in tutte le librerie. Sì che può esser sicuro il Sig. Elsevirio cho il libro avrà grande spaccio. 3384 **. ALESSANDRO MAUSILI a [GALILEO in Àrcotri]. Siena, ‘27 ottobre 1630. Blbl. Nat. Plr. Mu. <ìal„ I\ 1. T. XI. c&r. 257. — Autografa. Molto Ill.f* ed Eccl. mo Sig. r mio o P.ron Oss. mo Ilavendo lanuto lettera dal Sig. r Puntoni ieri in risposta di una mia, in¬ viatali con una del Sor.® 0 Prcncipe Leopoldo, scritta con ogni caldozza a mio favore por la cattedra di Pisa al Ser. rao Granduca, mi dico cho S. À. S. li hubbia detto cho sento con gusto l’occasione cho io ho per Padova, o cho sen¬ tirebbe bone elio io facesse la mia domanda por la cattedra in quello Studio. Io, quantunque possa ricognoscere il paterno affetto di S. A. S., sto non dimeno con un gran martello olio non sia stato creduto che habbia cercato altri ma¬ neggi che servire dentro i suoi felicissimi stati, o che habbia voluto con questa io occasiono di Padova vantaggiare; il che sa V. S. EccL ma quanto sia stato lon¬ tano dal mio pensiero, perchè, come li scrissi 11 ', sarebbe sempre da me ante¬ posto (.vie) ogni altra cosa al servire i Sor. mi Padroni, ed il chiedere lo stipendio solito della cattedra è stato perchè volevo belio metterò qualche centinaro di mio, ma non potevo disporre d’assai per essere figliolo di fameglia; o lettore non con la decenza si chiedeva al luogo e lo stato mio, non 1’ havrei mai fatto : eh è del resto il solo servire i Padroni ed 1’ h onoro della cattedra stimavo su¬ periore al mio inerito. Scrissi solo al Sig. 1 ' Fautori. ed a V. S. Eccl. ma l’occa¬ sione di Padova, conio a protettori e. perchè ne potessero far quel capitale lo “> Cfr. u.° 3373. 512 27 — 20 OTTOBRE 1035. 1.3384-3885] fosse parato nella protezzione elio di me con tanta cortesia ritenovono. Ilo vo¬ lato 8 igni licare questo a V. S. Eccl. mn , acciò, presentaiulolisi occasione col Sor. mo 20 Granduca, mi voglia favorirò sincerarmi, caso elio veda essercene bisogno, per¬ chè del resto io por la gravezza della spesa 0 per mia eletiono non posso in¬ drizzare il pensiero allrovo che a servire qua i Padroni, 0 conosco elio so V in¬ comodo delli affari domestici è cagiono che non tiri avanti a quello elio mi honorerebboro qua di darmi, forse molto maggioro impedimento sarebbe in Pa¬ dova, a dove bisogna stare tatto Panno senza poter ritornare a casa, e con spesa forse superiore di Pisa. Rendo non dimeno gratio a V. S. Kccl. ratt , la quale anco, conio mi accenna nella cortesissima sua, in detta occasiono ha voluto esercitare la sua cortesia con aitarmi con lo suo autorevoli informatami. Piaccia a Iddio conservarmi un tanto padrono, 0 danni campo di poterli domostrare conio so tenga scolpiti P infiniti diligi che le professo: e le fo humiliasima reverenza. Siena, il 27 Ottobre 1636. Di V. S. molto DI/ 8 od Eccl. m:i Obbl. mo od Aff. mo Se. ro Alosandro Marsili. 3385. ASCANIO PICCOLOM1NI a GALILEO fin Arcetri]. Siena, 29 ottobre 1636. Bibl. *Tnz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 259. — Autografa la aottoscriziono. Molto DI/ 8 S. r mio Os3. rao Questo Sor. m ° Principe 111 m’ha accennato lo buone speranze dal S. r Conto di Novaglies arrecate del ripatriamento di V. S. ; e come elio il complimento elio ella ha fatto a I’oggibon.si a S. Ecc.* a(21 non può elio havorle accresciuto il sti¬ molo di favorirla, mi par mill’anni di sentire elio ’1 Sig/ Card. 1 ® Antonio (3) hab- bia effettuato quello che è por seguirò con applauso di tutti i galantimoni ini. Santi mi diede conto d’ baver imbottato il vino in una botto nuova, 0 que¬ sta mia gente ha dubbio che sia per dargli o coloro od odore cattivo. Però V. S. avverta 0 me no dia avviso, perchè qua sono non so che altro somo di riservo, che non credo che riusciranno cattive. E supplicandola ad cssercitaro 10 il vivo desiderio cho ho di servirla, l’auguro ogni felicità e confcentfezjza. Di Siena, li 29 Ottobre 1636. Di V. S. molto 111/ 0 Dovot. 0 Sor. S. r Galileo. a. Ar.° di Siena. Lett. 3384. 24. dello affari — 28. nella corlenimn ma — 0' Lkopoi.oo i>k’ Mkdici. I*' Cfr. n.o 6872. < J > Antonio Uakukkini. [3386*8387] 1“ - 6 NOVEMBRE 1G3G. 513 3386 . FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 1° novembre 1680. Bibl. Nr*. Fir. M»«. dal., P. VI, T. XII, car. 24.*. — Autografa. Molt’ III.” et Ecc. mo 8ig. r , Sig. r Col." 10 Consigliai lo pazzo passato la scatola dello azze (1) all* DI.® 0 Sig.r Ciò. Fran¬ cesco Labin, elio la pose in una cassa di cero elio manda a Firenze : sporo V. S. Eoo.®* 1' haverà sicura. Ho mandata a Monaco la lettera al suo nopoto 181 : prendo molta maraviglia che V. 8. non riceva risposta; et puro il Sig. r Giacomo Testoni 181 , Maestro di capello, mi promise non solo mandare lo risposto, ma procurarli licenza per Italia. Mi passa per mento se fossero insospetiti, come facilmente quella na- tione fa, che non si lasciasse ritornare. io Ho scorso il Specchio Ustorio del S. r Matematico di Bologna 14 ’, il qualo è un degno scolaro di V. 8. Iloggi lo mando al Sig. r Comissario Antonini 16 ’ a Broscia, che ne riceverà gusto singolare. La fama del 8/ Alessandro Morsili non può essere cho scarsa, perchè l’at- testatione dello suo qualità di Y. S. <4) vaio più cho quanto no possa dire chi cho sia. Io di già le sono sopramodo devoto ot affottionato, et opportunamente no darò li contrasogni. Qui sempre lo ressolutioni vanno lento per la maniera del governo. Prego a V. S. ogni felicità o bacio lo mani. Ven.*, p.° Novembre 1G3G. Di V. S. molto 111. 1 * et Ecc. ma Dev. mo Ser. 20 S. p Galileo. F. F. 3387 *. PIETRO DE CARCAVY a GALILEO in Firenze. Parigi, 6 novembre 1636. I.*autografo Colla presente, elio foce prirte del fondo menzionato nell’informazione promossa al n.° 87 (cfr. png. 427 dol Catalogo di manotcritli ecc. ciUto ni il. 0 1023), corse le sorti medesimo dolio luttore che pubblicammo sotto i mi.' 1023, 2140, 2765. Prima poro elio avvenisse la dispersione della Biblioteca BoacoKrAQKi (nella quale portava la segnatura /inula Oli, n.® £0), noi avovamo potuto collazionare aticho questo documento. Molto 111.® Sig. r mio, Pad.® mio Colenti. 0 Ilo scritto tre Ietterò a V. S., dello quali non ho havuto mai nova alquna, nè so se saranno andate a sinistro, overo se lei, straordinariamente occupata, si Crr. n.° 8882. Cfr. n.° 8378. Cfr. a* 3811. C5 XVI. «*» Cfr. II.® 1970. •*) Alfonso Antonini. <«' Cfr. n.® 3378. 514 0—12 NOVEMBRE 1G3G. [ 3387 - 3888 ] sarìl sdegnata del mio scrivere ; e questa ò la cagiono del mio silentio, cho fin qui ho continuato non sonza dolor d’animo incredibile, non potendo non solamente servirla, ma convenendomi anco darli inditio d’animo poco grato o poco civile. Mi perdoni Su. Sig.' 1 questa troppo stretta prudenza o ini dia licenza di sal[. .]arla, acciochè, conoscendomi suo servitolo, sappia elio può sompro commandarmi. Non sono molti giorni eh’ ò passato in questa città un libraro di Loyden, cugino de gli Elzeviri, famosi stampatori di quella università, el qu.alo m’ ha io assicurato cho tra poco tempo vedremo stampato el suo trattato de rnoiu, el quale li diodo mcntro trattonevasi in Fiorenza: di cho resto consolatissimo, tanto per la satisfattione che ne rea tori! a lei, quanto per il desiderio di veder opera di tanto valore ; o benché tutte lo suo sian esquisitissime, si crede cho questa avanzarà le altre. Mi rincresco assai cho V. S. non habbia voluto impiegarmi in questo negotio (l1 , e restava sodisfatto di quel che lei mi scrisso in Tolosa, eli’un grande liaveva pigliato questa carica, persuadendomi nondimeno cho la sua prudenza elegga e deliberi sempre il meglio. La prego che mi conservi nella sua gratia, et in ogni caso la supplico tenersi servita della mia buona volontà, con la quale la satisfarò di tutto quello che mi commandarà, alibi cho sappia 20 che, studiando io di servirla dove credo che non bisogni, molto più cercarò di farlo dove mi parerà di portarlo veramente servicio. I)i Parigi, li G di Novembre 1636. Di V. S. molto Ill. re Devotiss. 0 Servit. ro P. De Carcavy. Non potendo temperarmi del desiderio dello cose eccolenti, prego V. S. di lavorirmi del dotto trattato de molli, subito che sarà stampato. Fuori : Al molto Ill. re Sig. p mio Padron Col." 10 Il Sig. Galilaeo Galilaei, in Fiorenza. :- 3388 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Cnnipoli, 12 novembre 1630. Bibl. Naz. FIr. Appendice ai Mss. Gal., Filila Favaro A. car. 125. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. n "> Sig. r mio P.ron Gol. ,BO La prima notizia che io ebbi da V. S. do’ trattamenti poco civili usati seco dal mio cugino (2) , mi fece sospettare di quello che poi conobbi pur troppo vero, cioè che egli avessi peggiorato lo suo condizioni in maniera, che i mancamenti <») Cfr. u.° 8286. <*» (Irono Ni»oi : cfr. u.° 8357. [3388-838»! 12 — 15 NOVEMBRE 1636. 515 fatti procedessero più da necessità cho da volontà, o cho mentre si vergognava di non poter corrispondere a quanto era tenuto, por il suo poco discorso «gra¬ vassi la contumacia con non bì lasciare rivedere o non si lasciaro intendere. Cercai di scoprire la piagha e di tagliare quello che non giudicai medicabile, e poi ho applicato a spese mio tutti i medicamenti cho ho potuto, o mi por¬ lo suadovo non già cho Giulio fussi interamente guarito, ma cho si andassi rin¬ francando, e non ero fuori di speranza d’avorio a rivedere in buona sanità; ma la recidiva che V. S. mi accenna nella cortesissima lettera dclli 10 stante, mi fa molto dubitare, o non mi lascia assicurar© a farli il pronostico. Sono stato oggi a San (lasciano por intendere la causa di questi ultimi spropositi, ma non c’ ho trovato detto Giulio, anzi ho inteso cho sia venuto a casa di V. S.; però non gli posso dare adesso precisa informazione, conio io farò sapendo elio egli non sia venuto a trovarla, come ha detto di venire. Fra tanto significo a V. S. come io sono in pratica
  • Benedetto Castelli. 18 NOVEMBRE 1G36. 517 [8300-33911 Decrovi nihil omittere ox nugamontis illis meis in Epicuri philosophiam, donec roversus fuero abs to : utiiiam sia ipso superstes, si is tandem foetus vi- suriis sit lncem. Memorabit egregius vir, quid me rorum interea heic molicntem offonderit. Scilicet eximio ilio telescopio quo me boaro (lignatus cs, effigiala lu- nam procuro suis linoamcntis et coloribus; qua etiam in re pictor iam adlii- bitus fuorat ante iluos annos per complurois monsois. Nunc oidem negotio tanto 20 incumbo ardentius, quanto noster Fabricius (1) , incomparabilis ilio, detinet boia Glaudium Mollanuin (8> , pictorom illuni caolatoremquo celoberrimuni quem tu Roman nosti (certo et ipso milii do to quam-plurima commemoravit), ut peni- cillo scalpelloquo instituto subserviat. Si ros succedat, nomo to prius promo- rulsso exemplum potest. Yidisso videor iu Venero, quao corniculata otiam-num adparet, futura brevi 8ix6xo|io5, ncscio quid disparitatis inter intimam oxtro- mainquo oram. Si cum evadot apepfxupxo:, uebulosior in medio quam in limbo deprohendatur, tum demuni comprobabitur, quod est vero-simillimum, xò , porchè lo monache questa mattina m’hanno <0 Niccolò Fabri di Fkikksc. **) Claudio Mkllas. Hi Ofr. uu.i 3371, 3382. 518 18 — 21 NOVEMBRE 1636. 1.8891-3892] accertato che puro un’azza non era differente una scattola dall’altra. I/ho pregate a riutraccialo la quantità, perchè fra molte le formarono, desiderando io non solo por questa ma por altre occasioni assicurar il porto ot castigare i malfattori. Questi nostri corrieri hanno sicurtà bollissimo, e mancando alcuna cosa vorrò elio sia al tutto restituita et rein- io tegrata. Con la pensione del Sig. r Galileo fu fatta una scattola, un’altra no feci far io simile. So manca, ò rubbato, et io procurerò ili cavarne la verità. Supplico V. S. Rev. m& a favorirmi, perchè so persona intendente ha riposte lo azze por mandarlo a Fiorenza, deve anco presso a poco haverne cavato il valore, onde non sarà diffìcile l’uguagliarsi.... 3392**. ALESSANDRO NINCI a GALILEO [in Arcotri). S. Maria a Campoli, 21 novembre 1G3G. Blbl. Naz. Fir. Appondico ni Mss. Gnl., Filza Favaro A, car. 12G-127. — Autografa. Molto 111/ 6 Sig/ inio P.ron Col. 0,0 Sono già molti mesi elio Giulio va investigando tutto roccasioni «li darmi disgusti; ma veramente non poteva mai trovarla meglio oche più mi tediassi nel vivo, quanto procedere nella maniera elio egli fa con V. S., alla quale ò più obligato che al proprio padre, perchè da quello ricovetto parto di ciò elio si dove a’ figlioli por debito di natura, ma da V. S. ha riconto benefizii gra¬ tuiti così segnalati, elio io nel considerargli mi confondo, o non so discornoro che sia maggiore, o la carità, trattando noi da veri amici che non siamo de¬ gni d’essere suoi schiavi, o la pazienza, comportando tanti mancamenti elio veramente hanno dell’ insopportabile. Ho scoperto la causa perchè penso elio io detto mio cugino tratti meco sì male, o credo elio habbi connessione con quella perchè non proceda con V. S. come doverehbe. Trovo con fidati riscontri elio quest’ huomo senza ragiono non ò contento elio io gl’ habbi lasciato godere o consumare la porzione del’eredità paterna elio si aspettava a me e mio fratello, tale qualo ella si fussi, o che vi habbi aggiunto da vantaggio quanto ho potuto senza grave mio incomodo; chè pretenderebbe ancora elio io mi riducessi al¬ l’ultimo necessità per somministrare a lui danari, con cho si promotte di faro gran coso; ma i disegni presto svaniscono. Io con amorevoloza ho cercato di farlo capaco cho l’entrate della mia chiesa mi servono, perchè io vo aggiustando lo mio voglio a quella misura ; o così bisogna cho facci egli ancora, massimo 20 adesso che non ha scusa del suo frattello. Mostrò di quietarsi, e dopo pochi giorni cominciò di nuovo con la solita importunità a molestarmi, chiedendo da¬ nari come se fussi stato mio creditore ; ondo fui astretto a dirli liberamente che deponessi queste speranze, perchè mi pareva pur troppo quello elio per lui 21 - 22 NOVEMBRE 1036. 516 [3892-3393] liaYovo fatto o (letto: onde egli, vedendosi chiusa la strada per potermi pilu- chare, erodo senz’altro che con questi suoi brutti termini cerchi di addossare a me tutto il debito elio tiene con V. S., la qual cosa mi dispiace più per il suo mancamento che por il mio danno; e so io avessi potuto rimediare pron¬ tamente, credami V. S. che più volentieri l’averei compiaciuto, che scriverò di so lui questa lettera con tanta mia confusione. Oggi non mi sono abboccato seco, nò anche cercherò più di abboccarmi per sfuggirò roccasiono di farsi scorgere, perchè non so come io potessi conte¬ nermi ne 1 termini. Ilo ben mandato il mio fratello, o ho inteso che dice voler venire martedì prossimo da V. S. So questo seguo, la suplico a domandarli da che proceda la poca intelligenza che passa fra di noi, e dicali di saperlo da me, acciò che quando vorrò io, cho sarà subito concluso il negozio dolla casa, possa giustificarmi interamente di questo mio dubbio, elio io stimo mora vorità. Ila detto audio a Santi di mandare domattina il panico e l'altro coso, ma Dio sa so anello questo sarà vero. 40 Ilo rapresentato a V. S. una azione assai brutta, ma ho dotto Uberamente, sì perchè lei, a cui tanto devo, me n’ ha fatto replicata instanza, sì anche por- chè il volere scusare orrori sì manifesti mi par cosa o da pazi o da complici. E per non tirare più in lungho sì odioso ragionamento, facendo a V. S. debita reverenza, gli pregilo dal Cielo intera prosperità. Da S. u Maria a Campoli, 21 Novembro 1636. Di V. S. molto Ill. ro Devotiss." 10 e Oblig. 1 »® Sc. ro Alessandro Ninci. 3393 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 22 novembre 1636. Blbl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.* I.XXX, n.° 134. — Autografa. Molt’ IU. rtì et Ecc. ,n0 Sig. r , Sig. r Col. mo Vegga V. S. quello mi scrive il gentilissimo Sig. r Baitello in proposito dello azzo ll) : et io fui così sciocco che non lo foci pesare! Prego V. S., so sono gionto o può farlo pesaro, a darmene minuto raguaglio. Mi piace cho lo suo lettore siano state ben capitato a Monaco, o mi ma¬ ravigliavo assai elio il Maestro di capella 1 *’, che ò liuomo molto savio o cortese, non rispondesse. Eett. 3302. 29. Toreri compiaciuto — ni Cfr. il.» 8391. 1*> Ilio. Giacomo Pobbo. 520 22 — 24 novembre 1636. [3393-3394] Non lio ricevuto alcun aviso del S. r Elzeviri mi promesso trattare il no- gotio della stampa et di darne a V. S. minuto conto. L’Ill. m0 Comissario Antonini (1 ’, c’ha letto il Specchio Ustorio del dottis-io simo Cavagliela, mi ricerca so egli o V. S. fanno alcuna cosa por voderno la riuscita. Ha qualche dubbio sopra il rinforzar et unire li raggi, so sia per cor¬ rispondere in prattica. Intendo che ’1 S. r Argoli ha fatto non so clic per il suo sistema della terra mobile, nel centro, del solo moto diurno. Le suo ragioni del moto in universale sono precisamente parto dello espresso nel Dialogo elio sempre vivorà; ma non so niente come, ponendola nel centro, salvi lo apparenze, massime doli» rocres- simenti di Marte o Voliere. Lo vedrò. V. S. mi riami o comandi : o le bacio lo mani. Ven. n , 22 Ombre 16,36. 20 Di V. S. molto IH." ot R. ra » (sic) Dov. mo Ser. S. 1 ' Galileo. E. P. 3394 *. ARRIGO ROBINSON a [GALILEO in Arcetri]. Firenze, 24 novembre 163(5. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. I, T. XI, car. 261. — Autografa. 111.™ 0 Sig. 10 mio, Nel riceverò 1’ honoro di visitare V. S. III.®* già duo volto, et ultimamente da duo mesi sono, quando si trovò qua quel’ Ecc. ,n0 Sig. r modico ingleso, ìui assicurai tanto della sua gentilezza, elio li conferivo il desiderio elio tenovo di pigliare duo occhiali da quel tale Ilippolito (8) , elio lavora in Galleria, sopra la parola di V. S. 111."" 1 , perchè li desideravo di tutta perfettiono. Però da venti giorni sono che detto Ilippolito (por quello mi dico) li mandò dua vetri; et in¬ clusi haveril altri dua, delli quali la supplico a volerò fare prova con primo suo commodo, con dirne in voce al latoro della presente quando io potessi ar¬ rivare da loi senza darli briga por riceverne sua resolutiono. In quello che io io paia ardito, incolpi sua fama et gentilezza, mentre elio per line a V. S. lll."' a humilmente mi inchino. Fir.°, li 24 di 9bre 1636. Di V. S. 111.®* Umil. mo Ser. ro Arrigo Robinson. U> Cfr. il.» 8386. <*> Ippolito Frangisi. [ 8896 - 3896 ] 24 — 29 NOVEMBRE 1636. 521 8395. MARTINO ORTENSIO a ELIA DIODATI fin Parigi]. Anmtordam, '24 novembre 1686. Dal Tomo III, ptf. 163, dall’vdiziuno citata noli' informadono premetta al n.<* 1201. Amsterdam, 24 Novombro 1(536. Inventimi praestantissinii viri I). Galilei Illustries. Ordinos grato animo et. onm stimino oflerentis Iunior»* oxeopero, jioat quatn NobilisHimus UealiiiB (,) literas id rei continentes iis obtulit; quod continuo reBcribendum pittavi, ut oxpectationis veatrae taodium, quantum in Ute est, levare possoui, et de oventu quoc.umquc vos cortiorea reddere. IllustriaHimoruin Ordinum responsuni, italico conacriptum età scriba IllustrÌB8Ìmorum Ordinimi subsignat.imi, Noli. UeaìiuR ad 0. Gal il cura propediem daturufl est, ad te missurus, ex quo omnia quao gesta fluiti ti >i perspecta erunt. Interim illnd scias, gratisBinnnn IllustriBS. Ordinibus fuiase Nobilissimi Galilei nutnus, idque eo magia qnod a tanto viro, cuins fatnam ot oxiatimationom 10 non nesciunt esse maximam, primis ipaia inter tot Europae principcs otleratur. Praeteroa, ut tanto citili» et commodius rea iRta pronioverotur, ipaoni L). Roalium rogarunt ut exn- mini inventi internaset, imo praeeHBet, iuxta delegatoli me et Blauvium <*> nostrum et, ai opus videretur, Olarissimum Golium (S) , professoroni Leidensem. Quod ad me attinet, dudmn antelmc auspicatila fui, et Domino Bechmannoot Blauvio indicavi, non esse aliam Do¬ mino Galileo viam inveniendaruin longitudimnn quaui per Iovialos : et ecce divinalioni meae respondìt oventuH. Rogo autom te, ut apud ipsum me excuses quod iani nullaa per to dem ad illuni literas. Decrevi istud agore, ubi Noli. Realius, qui cras denuo Hagain cogitai, redimit, ot ad IlluatrisBiinum Grotium scriptuma est missurusquo resolutionis Illu8trÌ88Ìnioruin Ordinum apograplium italicum. 20 Scriptorum Wilielmi Schiccardi curam ut quantum poteris per occnsiones liabeas, ex animo rogo. Spero Doum Optiraum Maximum non permissuruni, ut oum Academia Tn- bingensi fnnditns delenntnr. Si ad Dominimi Peiroscium ant. Gassendum scribis, indica, quaeso, me ad Illustreni l'oiresciuni qumn primum tranBUiisBiirum obncrvationeui eclipseos lunae anni 1635 mense Augusto a me habitam. Vale, etc. Qua8 hic diflicultatea habeam, iam non dico, ot data occasiono ad Nob. D. Galileum perscribam. 3396 . RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Areotri. Roma, 29 novembre 1G36. Bibl. Naz. Pir. Mss. Qui., P. T, T. XI, car. 268. — Autografi! Molto 111” et Ecc. mo Sig. mio S. Il nostro P. Francesco' 5 mi fa rompere il silentio, e così turbar la quiete di V. S. E." 1 ' 1 Essendo lui fino adesso tutto occupato in pigliar ordini sacri, spe- “> I.Oli ENZO Rraki». Traooo Bkeoku/n. i*> UuoMiLwn Hi. 180. Iacopo lioot. XVI. 86 522 29 NOVEMBRE 1036. [ 3396 * 3397 ] dir brevi d’estratompora per altri suoi fratelli, o divorai negozii della Religione, credette sempre sbrigarsi o tornarsene quanto prima, o però non si messo mai a scrivere. Ma adesso con quanta nuova indisposiliono di discatena, per la quale nè può molto bene scriver da por sò nè spora cosi presto di tornarsene, ha pregato me che dova farne parte a V. S., conio fo ; o lo do nuova conio por la strada che pigliavano questi non dirò modici ma carnefici, il nostro Padrino se n’andava cosi buono buono alla gattaiola. Pur a Dio grazie, eh’ il flusso è io in buona parto stagnato, la febbre assai smorzata, od assicurata la partita; cosa che egli potrò, da sè stesso contaro a bocca, quando sia del tutto rihavuto. Fra tanto crederei che una lettera di V. S. (o questa servirebbe por risposta a me ancora) gli sarebbe di gran consolarono. Ma vorrei ch’ella lo disponessi a non esser meco tanto guardingo, por non diro avaro, dello coso di V. S. Io F ho aspettato già dua anni, o finalmente, nel conferir seco, lo trovo più muto elio un pesce. Non sa diro altro, solo che non s’ò ardito dimandarne, ha visto poco, non ha liavuto coininoditò,, non ha notato nè a monto cosa alcuna: et io resto a bocca aperta, insaccando di molta nebbia. Dico questo, perché io vor¬ rei esser tenuto da lui per manco semplice o più fidato. Così prego V. S. E. ma 20 a comandarmi et amarmi, con augurarli felicissimo questo S. n Natale. Roma, fibre la vigilia
  • . Blbl. Kat. in Modena. Raccolta Catnporl. Autografi, B.» I-XXX, n.‘> 139. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111.” ot Eccell. rao Sig. r , Sig. r Col."' 0 Ricevo la gratissima lettera di V. S. molto 111.™ et Eccoll. n,a di 22. Ho parlato col Sig. r Labia (1) , il qual mi dico elio neanco Ini ha nova del¬ la rrivo della cassa in I'iorenza, colpa de’mali tempi, ma che capitarsi sicuris- 8Ìm ani ente ot che in quolla a punto sono anco li drappi che manda a suo <*' O10. Francesco Labia. 29 NOVEMBRE — 6 DICEMBRE 1636. 523 [3307-33981 figliuolo costì, paggio di quello Altezze Ser. mn ; ot è inviata ad un speciale, di famiglia Turconi, che mi ho scordato il nomo. La gratin in che mi ha posto V. S. appresso 1* Eccoli. mo Matthematico di Pisa 111 è de i favori che io ricevo dal mio dilettissimo Sig. r Galileo, o la stimo io singolarmente. Ma vorrei elio fosse con qualche occasiono di servire quel Si¬ gnore, tanto meritevole di ogni honore ; o li offerisco con tutto l’affetto il mio ossequio por tutta la mia vita. Al mantenimonto della saniti! può V. S. applicar il non scrivere, che vera¬ mente ò gran progiudioio dell’età, sonile. Ma se debbo giudicare gli altri da me, il non attenderò a speculationi, a chi vi ò nato, è impossibile; et adir il vero, benché siano più di 40 anni che tralasciai quei primi rudimenti dello mathe¬ matiche, che furono pochissimi o debolissimi, non ho in questa età, massime nelle vigilio della netto, cosa elio mi trattenga più che li capridi di quelle sciontie, o me no vado per l’infinito per gl’ intormondii con supremo diletto, 20 fin che poi il sonno mi occupa: ot so il cervollo do i nostri Aristarchi vuole inchiodare la forra, la. mia chimera la fa volare e faro do’ bellissimi giri co¬ gl’ altri corpi mondani ; o non posso osprimoro il sollievo che mi arrecano da’ pensieri noiosi questo fantasie. L’ ingegnerò di questa Sor. ma Repubblica, Olandese (2 ', in’ ha dato a vedere una nova aritmetica, che dice inventata o pratticata in Olanda, nella quale si fanno tutti li computi senza rotti. Ilo curiosità di intenderla; e vorrei poter applicarmi anche a quella logaritmica del libro dell’ Eccoli. 1 " 0 Mathomatico di Bologna (S) , nm in fatti non posso. Il 8ig. r Comissario Antonino [i) mi fa spesso comemorationo di Y. S. nello 80 lettere. Le prego dal Signore felicità, ot bacio lo mani. Von. a , 29 Novembre 1636. Di V. S. molto lll. r6 ot Ecc. ,mi Dcv. mo Ser. S. r Galileo. E. E. 3398*. GALILEO a ELIA DIODATI in Parigi. Arcotri, G dicembre 1G36. Blbl. Nat.. Plr. M«w. Hai., P. V, T. VI. A CAr. 85*. «i leggono, di ninno di Vinof.nzio Yiviani, tntt’fl duo i capitoli di lettera che qui pubblichiamo: sono trascritti sotto la medesima data, segnata sul mar- «ino, * U. G. G Xbro IG8G ». o il secondo immodiatninonto di sognito al primo (sebbene tra l’uno u l’altro, a quanto snmbra, non vi sia continuità); soltanto dinanzi alla prima parola dol socondo rapitolo Sono è un segno di qnosta forma Il secondo capitolo si leggo, sempre di mano di Vin¬ cenzio Vi vi a ni, audio a car. 76*. ; c dell’ultimo periodo di quosto secondo capitolo si hanno tro altre *" Dino Puri. <*’ Kiunckboo VAX Wkkrt. <*> Ronavkntuka Cavalieri <*> Alujnso Antonini. 524 6 DICEMBRI*; 1036. [ 8308 ] copie, di pugno o del Viviam o di un «ilo amanuense, » rii 29r„ 78t. H7r : ma tanto Ih copi* a car. 76f., quanto lo tre ultimo ricordato prosoutauo, In quosto periodo, alcuno diversità di lesiono, che notiamo a piò di pagina. Tengo l’ultima di V. S. molto I., piena del solito suo eccesso di cortesia e di diligenza, nella quale mi dà minuto ragguaglio dello stato nel quale lia veduto ritornar li Dialogi consegnati al Sig. Ele- sevirio <1) , i quali sono per appunto tutto quello elio gli mandai a Venezia. Vi manca la 3* parte, attenente al moto do’ proietti, che non ebbi tempo di ricopiare, sollecitando egli la partita ; e giudicai meglio il consegnargli quella parte, acciò quanto prima si desso prin¬ cipio alla stampa, con mandar poi il resto col titolo o la dedicazione, la quale non ho por ancora stabilita: ma ciò si termina presto. Sono attorno al trattato do’ proietti, materia veramente mirabile, io o nella quale quanto più vo speculando, tanto più trovo cose nuove nè mai state osservato, non che dimostrato, da nessuno. E «elicne anco in questa parto apro l’ingresso agl’ingegni speculativi di diffon¬ dersi in immenso, vorrei io ancora ampliarmi un poco più; ma provo quanto la vecchiaia tolga di vivezza o di velocità agli spiriti, mentre duro fatica ad intendere non poche delle coso nell’età più fresca ritrovato e dimostrate da me. Manderò quanto prima questo trattato de’proietti, con una appendice d’alcune* dimostrazioni di corte con¬ clusioni de emiro gravitate voli donivi, trovate da me essendo d’età di 22 anni e di 2 anni di studio di geometria, lo quali ò bone elio non 20 si perdino. Lett. 3398. Nolla copia n cnr. 7fif l'ultimo periplo cominci* eo»l: A questo trattato f*nso tVaygiugner un appendice di alcune dimostranoni ; o prima dolio parole A questo imitato > lento, cancellato: Ho ancora t.n frollalo. Nello copio a car. 29r, 78*.. 147r. dotto periodo cominci*: All' Ili— Sig / Conte di Sodttm manderò quanto jtrima «ria appendice d'alcune dimostrati. m« ; o in questo copie in lineo di 2» anni (lin. 20) si logge SI anno: nella copia poi a car. 73f., che ù autografa del Vi mai. dopo lo parole All'III."- SigS Conte di Ptriilles sì hanno quest'altro, cancellate: a cui. come ella oa, ooncegnai a Poggibonri, circa un mete c wruo /o. « Poggibonti. nel suo ritorno dall'amUuciata di Roma. qsui miei quattro dialogi do mota r delle resi.lente, dopo di che continua: manderò quanto jndma anco una appendice. A car. 29r. ni periodo ivi riferito i pre- mossa quest’ indicazione : « Il Galileo al Sig. N. N. di Parigi, con lettera d'Arcetri de'fi 10l.ro 1686, fra gli altri particolari negozi scrive cosi *; o tale indicanone, con varietà insignificanti, ai leggo altresì, in capo al periodo, a car 73f. o a car 147r. * 1 * Alla lettor» di Ki.ia Diodatt, a cui qui Ga¬ mi, no si riferisco, e cho non ò pervenuta fino a noi è rotativo il seguente appunto, di mano di Vurncxiin Vivi a ni, cho si leggo noi Mas. flnliloiani, P V, T. VI car. 79f.: « E. D. Nella lettoni senza data, cho succede allo 2 do’ 22 7bro 1636. Manda come un ìndico o nota do’ trattati del manoscritto dolio rosi» lonze e del noto, congegnato dal Galileo all' Klsovirin, dio pasvi di Parigi con osso esemplare otc. ». Delle (lue lettere del 29 •otUabro, qui accennate dal Viviam, forse una sarà quella che, con la data bensì del 23 settembre, b giunta fino a noi, o dalla quale abbiamo che il Diodati non s'ora por anco abboccato con P Klzkv IKK : cfr. n.» 3359, lin. 87-88. [33»»J li DlOEMJJltE 1636. 52f> 8399 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, G dicembre 1G3G. Bibl. N&z. Fir. Mas. Gal.. P. I, T. XI, enr. 2G5. — Autografa la soltoacriziono. Multo 111. 1 ' 0 et Eccoli."' 0 Sig. r , Sig. r C()l. ,no Ricevo la lottora di V. 8. d’i 29, la quale mi ha fatto maravegliare con qualche sdegno dell’ ingiustitia fatali, e poi con il mio compagno dare in una risata con una historiota, elio è quosta. Un nostro fratto Vicentino, por fare lo cerche, ordinò ad un sartore suo amico elio le comprasse un asino: glie lo com¬ prò. Venuto il tompo di adoperarlo, si trovò Moss. Asino pieno di schinolle, odiabile ad esser adoperato. Il fratto convonno il sarto avanti il vescovo, o, per dir meglio, il sufTraganoo, elio era vescovo di Caurlo, Intorno faceto; et nella disputa della causa ricercò la parto, elio professione era la sua. Disse, di sarto; io et il fratto lo confirmò. 11 giudico condannò il fratte a tenersi l’asino, por la ragiono che doveva sapor clic li sarti non s’intendono d’asini ; et appellandosi il fratto della sontontia, lo disse il giudice : O pollati il cullo. L’ historia è ve¬ rissima, por Dio; l’npplicationo ò facilo. Horsù, V. S. ha da Dio o dalla natura animo molto superiore a tali bassezze. llaverà nella lettera ultima dello spazzo passato (,) ricevuto quanto mi scrivo il Sig. r Baitcllo ( *, cho mi scordai metterò nella precedente <3) . Ilaverà inteso anco cho la cassa ovo sono lo azze ò indrizzata al speciale Turconi. Discorsi col Sig. r Argoli (4) circa il suo sistema, apunto sospettando quello cho V. S. mi accenna, che voglia accomodarsi alli tempi; ma mi disse che vo- 20 lamento si salvano tutto le apparcntio. Aspetto d’ intornici' il modo al fine delle lottioni, cho vonirà a Venotia. Attenda a passaro li giorni con allegrezza, cho ò quel piò ove possi arri¬ vare il saper humano. Et a V. S. molto 111. et Eecell.’™ bacio le mani. Von. n , G Decembre 1636. Di V. S. molto 111. et Eccol. ma Devotiss. 0 Scr. di cuoro S/ Galileo. F. F. <•' Cfr. n.o 3a:>7. <*> Cfr. n.“ 3301. Cfr. li.» 3398, <*' Akdrka Arqou. 520 7 - Ò DICEMBRE 1636. [3400-3401] 3400 **. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in Arretri], ti. Maria a Campali, 7 dicembre 1(536. Bibl. Nub. Flr. Appondico ai Mus. Gal., Filza Fnvaro A, car. 129. — Autografa. Molto Ill. r « et Eco.™ 0 Sig. r mio P.ron Col. ,n0 Dopo la cortese lettera ili V. S., scrittami li 5 stante, lio compatito a’ suoi dolori ili ventre con tanto Bontimonto, quanta è la cognizione ile gl’oblighi in¬ finiti elio io gli devo e della sua tanto esperimentata benignità. In risposta dico, come lio provisto le lagne grosse, e anche chi m’ ha promesso di condurle spe¬ di ttunonte, sì come invigilerò elio mi sia mantenuta la promessa. Quanto alla farina, sarà portata infallibilmente por tutto giovedì prossimo, se però si dà il caso che un bugiardo dica mai verità; so ciò non seguo, pregilo V. S. a pigliar nuova briglia d’avisarlo a ino per il vetturale dello legno o altri, perchò pro¬ curerò di mandarla io. Tengo aviso da quel fattore a chi sono por vendere la casa 111 , come egli è quasi spedito dal suo negozio di rimettere i conti, sì che l’aspetto fra pochi giorni a terminare il mio ; e subito, conio altro volte ho scritto, sarò da V. S. : alla quale facendo dobita reverenza, pregilo dal Cielo intera prosperità. Da S. u Maria a Cam poli, 7 Dicembre 1636. Di V. S. molto 111.” et Eoe.'"* Devotias. mo o Oblig. ra ° Ro. re Alessandro Einoi. 3401 . ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcetri]. Parigi, 8 dicembre 1636. Dal Tomo 111, |»og. 162, doli'edizione citata noli'informazione premessa al n.° 1201. Di Parigi, 8 Dicembre 1636. Ilo differito di fare risposta alla gratissima o lunga lettoni di V. S. molt’lll. dogli 27 Ottobreaspettando di poterlo referire qualche cosa del successo del suo negozio; e ieri appunto per buona sorte dall’Tllustriss. Sig. Grozio ebbi una lettera del Sig. Martino Ortensio dogli 24 del passato, della quale averà U* Cfr. ii.® 3388. <*> Cfr. u » 3383. 8—12 DICEMBRE 1636. 527 [8401-84081 qui allegata la copia o da ossa conoscerà, la buona od onorata introduzione elio so gli ò data, o corno por maggioro onorovolezza 1*Illustri». Sig. Itealio è stato da quegli III ustrinà. SS. fatto capo dolPesainino elio dovrà esser fatta della sua proposta, il che servirà di nuovo appoggio por feria riuscire al termino d’ogni io perfetta soddisfazione. Vedrà anco conio in lirove osso Sig. Ile alio doveva mandarlo la risposta degli Illustriss. SS. Stati, la quale maggiormente raccerterà d’ogni cosa, e sin¬ golarmente dello schietto e sincero proceder loro; dal che non so ne può au¬ gurare se non ogni lume. Però me no rallegro fioco tanto piò, che sono stato autore di dedicar loro questa sua nobilissima invenzione, degnamente da loro pregiata, o reputata, questa elezione loro fatta da lei, a grande onoro. Il di¬ scorso che hì ò compiaciuta spiegarne alla distesa per questa ultima sua, più elio non aveva fatto avanti, spero verrà molto a proposito por la replica elio avrò tla faro siili* prossime lettere del Sig. Itealio o del Sig. Ortensio, il quale, •j'i come V. S. vedrà, mostra di volere indicare alcune difficoltà da lui osservate. Con ciò bacio umilmente lo mani a V. S., augurandolo por sempre felicità o particolarmente in queste prossimo Santissime Posto di Natalo o udranno vi¬ cino luiuro. 3402 *. 11(10 GROZIO a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. Bangi, 12 dicembre 1(536. lini In pai? 287 dolPopora filata noli'In formazione promossa al u.° 21177. Vir PraeBtantiaaime, Itade un* merita cui civitna Amatelodamensia, ut quicquid possila, id semper ad invalida oìur coni moda promovendamquo eius gloriano proinptiaaimo animo sim collaturus. Qnare «uni ad notitiam menni pcrvenisaot viri in sublimibua studila egregii Galilaoi cogitatio ad deprohendendo8 locorum terra mariquo ari coeli partes rcspectue, statini disi honorem dedicandi lahoria huius ad Ordine» Foederatoa, qui pridem omnia ingenia ad hnius rei iuquisitionem invitarant, iure optimo pertinere; uteudum autem conimondationc eius civi- tatis, cuius talia sciri plurimuni interest; in ea ci vitate, imo in omni Foederatorum imperio, ucminem eaBe qui meritia, auctoritate, rerum etiam iatarum recta diiudicatione, par sit 10 Nubilissimo I). Realio, qnare por eum parando» aditila aapientiae, audioutiam sibi postu¬ lanti. Secutua est, me auctore, annitonte D. Elia Deodato, Galilaeus hoc conailium, quod ipsius I). Realii, tuuquo et amicorum aliorum prudentia, eousque perductura est feliciter, quoad usque negotii status patitur. Quod restat, id a Galilaei primum perspicacia, deinde a Foederatorum Ordinimi magnanimi tate, expectabiinua. V aldo autem lnetatus buio, quod "i Cfr. a.» 8395. 528 12 — 17 DICEMBRE 1636. [8402-3403] buina rei noti© ipni l). Realio, tibiquo et Blavio nostro, omnibus et. amicis moia et ad eam rem nece«Maria qua© sunt omnia aliunde nuperque habentibua, delegata eat: digni ©nini ealis quoa Respublica triumviroa aacris natura© aperiendis demerendoque humano generi f'aciat. Logi oum voluptate daeretum, dignura tautae rei maieatate; niliilque magia opto, quam ut puleherrimae molitionia fructuin gustare oetas nostra incipiat, incrementa band rlubie oum poateritate aumpturum. Tibi vero, Vir eruditissime, priraum qnod publicia 20 bonis tam aedulo invigilila gratiam prò mea parte habeo, dcimle et privatilo, quod ami- eitiam eam, quam nobis iniungit urbis natali» consortiiirii, stndiorumqne in te profeetus, in me reverenda, «uni alitar datimi bnotenus non ait, per menti# iuterpretes literas tam benigne fovea. Vale, Vir raihi semper future uiaximi. Lutetiae, 12 Deoembris 1636. 8403 ** ALESSANDRO NINO! a [GALILEO in Arcetri]. 8. Maria a Campuli, 17 dioembre 163tì. Bibl. Naz. PIr. Appentìico ai Mas. Gal., Filza Fa varo A car. 181. — Auto^rafu. Molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r mio P.ron Col. 1 " 0 Y. S. non rosta mai (Vaccumulare nuove demostrazioni della sua benevo¬ lenza, o per dir meglio beneficenza, verso ili me, ondo io non posso corrispon¬ derli con altro elio con la professione d’obligbo infinito ; o si come io sodisfò a me stesso con il desiderio che io tengho di mostrarmi grato, così per fatti rendo parole, ringraziando Y. S. quanto io so o posso dell’arancio o dol vino. Mando un saggio do’ pali elio V. S. desidera, per quanto mi viene rapre- sentato, che condotti costeranno lire novo il conto ; o so li piacciono, no potril bavere quanti ne vorrà; e se non sono conforme al suo gusto, gli piglierò por me, chè io ancora n’ ho bisogno, o in tanto elio si taglieranno i nuovi, vedrò io so la possa servirò meglio. Secondo ebo m’ò stato promesso e ripromesso, V. S. doverobbo aver riconto lo legno grosso : però la suplico a scusarmi dell’ indugio, e non argomentare da questo ebo in ino sia quel medesimo defotto ebe tanto mi dispiace ne gl’al- tri; mentre co 1 fine, pregando a V. S. dal Cielo il cumulo d ogai desiderata prosperità, gli faccio debita reverenza. Da S. 1 " Maria a Campoli, 17 Xbre 1636. Di V. S. molto 111.™ et Ecc.' UI1 Devotiss." 10 o Oblig. rao Se. r ° Alessandro Nilici. ro [3404-8406] 20 - 22 DICEMBRE 1G3G. 529 3404 *. ALESSANDRO MARSILI a [GALILEO in Arcotri]. Siena, ‘20 dicembre 1036. Bibl. Na*. Flr. Uu. GaL, P. I. T. XI, car. 207. — Autografa. Molto 111/ 0 ed Kecl/ 00 Sig/" mio et P.ron Oss.“ 0 So borio resta otiosa la mia devota servitù verso Y. S. Eccl. ma per la pri- vatione che ho ile’ suoi a me gratissimi comandamenti, non voglio però clic in tutto resti privata do’suoi dovuti offici la veneratone che porto al’infinito suo inerito; o per ciò vengo con questa ad annunciarli colme d’ogni sua maggior felicità, le future Feste del Santissimo Natale ed a pregarli felicissimo con molti più il futuro Capo d'anno, supplicando l’Altissimo che come 1’ ha fatto di qua¬ lità si singolari filli altri Inumimi superiore, così piaccia al medesimo conce¬ derli loiigezza di vita più d’ogni altra maggiore. Ma, Sig/" Galileo mio Signore in singolarissimo, non creda che non voglia fare seco qualche guadagno; onde la prego n partieiparmi alcuna dello suo speculationi 11 ', dello quali mentre speravo, col trasferirmi in Firenze, goderò da più vicino alcun giorno, vedendo che la tardanza della venuta del'Em. roo Sig. cognato (l) va in lungo, ardisco per l’im- patienza della longozza domandarli con questa; poiché qua, nelle occasioni elio mi si porgono, non provo poter far meglio o cosa di mio più gusto, die comu¬ nicare con Faltri alcuna di quello cose cho potè la mia debolezza giù appren¬ dere dalla sua cortesissima convorsatione e profonda dottrina. E con tal lino facendoli hnmilissinia reverenza, li offoro quanto vaglia. Di Siena, il 20 Dicembre 1G3G. 20 Di V. S. multo 111/ 0 ed Eccl. n,# Aff. mo od Obbl. mo Ser. ro Alesandro Marsili. 3405 ** GIO. BATTISTA .... a [GALILEO in Àrcetri]. Roma, 22 dicembre 1036. Bibl. Na*. Fir. Mu. Gal., P. I, T. XI, car. 2fl9. — Autografa. Molto 111/" Sig/ mio P.rone Oss." 10 Mi trovo in Roma por nogotii della Religione, e con buona gratin do’ Sor."'' Padroni. Il Sig/ Luigi Arrigucci mi pregò a voler mostrare il mio modaccio di mi¬ niaro alia Sig.** Margherita Viviani principiante o nostre fiorentine ; o con que- (*) Cfr. n.° 3418. <*> Alessandro Bigiù. XVI. 67 530 22 — 23 DICEMBRE 1636. [8405-3406] st’occasiono la Sig.™ Anna Maria' 1 ’, che si porta sì beilo in dipingerò o dise¬ gnare, sonare o cantare non ordinariamente, volentieri uscirebbe di questa città; et il Sig. r laiigi lo desidera, et babbiamo concertato insieme elio lei sarebbo suggetto per la Ser. ,n * Gran Duchessa, et, al mio ritorno in costà, elio io lo negotii. Ma avanti elio io parta, conoscendo V. S. la fanciulla, elio, a mio pa- io roro, non à pari, nello virtù christiane principalmente, o con tanta reputatione et lionoro si porta avanti elio non si può più desiderare, o poi ne’ doni con elio Dio 1’ ha adornata; a ino pare elio aia cosa da proporsi, o elio meritino lo povere fanciullo d’essere aiutate: ma, conio dico, V. S., che lo conosco, mi può dare consiglio, et anco aiuto con S. A. S. conio da sò, o cominciare a met¬ terli in gratia e elio S. A. S. la desideri, et a mo farmi favore di svisarmi corno mi devo governare. Il tutto lo scrivo con consenso della Rig. r ® Anna Maria, che dico, se vieno costà, lo parrà di trovare suo padre, perchè veramente lei l’ama et reverisco conio tale. Però, Sig. r Galilei mio, facciamo avanti la morto nostra quest’opera di carità, di rimpatriare soggetti tanto meritevoli, come lei sa, ac- 20 ciò Dio ci dia poi la Sua patria in eterno. So paressi a Y. S. che la Sig.™ Anna facessi qualcosa di pittura, 0 la Sig. ra Margherita di miniatura, mi avisi ; et in tanto pregho Dio la conservi, mentre che le bacio lo mani per parto di tutto lo SS. Viviano ot io con loro, aspet¬ tando con desiderio 0 per sua gratia risposta. Roma, ilei convento di S. Marcello, li 22 Xlire 1(13(5. Di V. S. molto 111.” S." P. ,n0 et Obb. mo F. Gio. Batta eremita. 8400 *. ORTENSIA GUADAGNI SALVIATl n GALILEO in Aroetri. PogK'o i\ Calano, 23 dicembre 1030. # Bitol. Nuz. Pir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 273. — Auto K rafa. Molto Ill. tr ® Sig/ 6 Presentai subito la casetta di rofo m alla Sor.» G. D.», la quale mostrò es¬ ser molto grato et m’ inposo che io no dovossi ringraziare V. S., con doman¬ darmi della sua buona sanità 0 discorrendomi dello sue raro virtù. Io non ho voluto mancare di signifìare questo a V. S., aciò voga quanto sia stimata da Ansa Maiua Vaiasi. <*■ Cfr. un.' 8382, 3380. 23 — 24 DICEMBRE 1636. [3406-3407] 531 S. A. S.; et io sempe goderò quanto .sentirò che abia quanto desidera, ringra¬ ziandola del buono anunzio et Santo Natale: et le fo reverenza. Dalla villa del Poggio, 23 Dicemb. 0 1636. Di V. S. molto HI. 1 " Aff.™ ft por sor . 1 ' 1 io Ortenzia Guad. ui Salviati. Fuori : Al molto 111.™ Sig. r mio Oss." 10 li Sig. r Galioo Galiui, in Arcetri. 3407 **. ALESSANDRO N1NOI u [GALILEO in ArcetriJ. 8. Maria a Cainpoli, 24 dicembre 1636. Bini. Nax. Flr. Appendice ai Mas. Gal., Filza Favnro A, car. 132. — Autografa. Molto lll. 1 * ot Ecc.“° Sig. r mio P.ron Col. 1 " 0 La benignità, di V. S., elio non ha termino nò misura, ò anche soprabon- data in provenirmi nell’annunzio delle buono Feste; ondo por gratitudine di così cortese ofizio, oltre a i molti e segnalati benefìzii, non so che dirmi altro, se non elio io conosco elio V. S. non lascia, anzi cerca, tutte l’occasioni di po¬ termi giovare o onorare. Però lo no rendo quello maggiori grazio che io posso, o pregilo la divina Bontà, elio retribuisca por me, concedendo a V. S. o le pros¬ simo Feste o molto appresso pione d’ogni più desiderabilo felicito e allegrezza. Il vetturale mi dice aver condotto la catasta (credo puro che sia vero), e io arci caro che funsero state a gusto di V. S., conio anche di sapore so voglia altre fascino, o altra cosa in che io la possi servire. Intesi da mio fratello che V. S. averobbe preso de’polli, trovandosene a prozo mediocre; da che mi sono presupposto elio V. S. non n’ habbia bisogno urgente, e però indugio a man¬ darli, perchè ho inteso che sin a ora si son venduti assai bene. Mi dice anche il medesimo mio fratello cho V. S. gli dotto intenzione di volermi favorire in¬ tervenendo alla festa di S. Giovanni Evangelista, che io io in una chiosimi annessa a questa mìa, di che non posso esplicare quanto io mi stimerò ono¬ rato; e la festa cho ordinariamente suol quasi finire in chiesa, dalla presenza di V. S. sarà, continuata in casa, perchè son corto che ogn’uno che v’interverrà 20 sia per godere più di quella che d’altra cosa ; mentre co 1 fine gli laccio de¬ bita reverenza. Da S.** Maria a Cam poli, 24 Xbre 1636. Di V. S. molto 111” ot Ecc. ma Devotiss™ e Oblig. mo Se.” Alessandro Ninci. 532 25 26 DICEMBRE 1636. 13408-3409] 8408 **. ALESSANDRO NIN01 n [GALILEO in Arcetri]. tì. Maria a Campali, 25 dicembre 1636. Bibl. Naz. Fir. Appendice ai M>b. lial., Filza Fatarti A. car. 134. — Autografa. Molto 111.* 8 ot Ecc. mo Sig. r mio P.rou Col.*" 0 Ho inteso con mio disgusto elio lo legno non siono stato condotte in quel tempo o quantità die io credevo, e dubito di qualche aggiramento del vettu¬ rale, perché i suoi padroni, che io stimo galant’ buoniini, gl’ hanno dato ordine in presenza mia ohe già molti giorni dovessi aver condotto questa catasta. Non ho potuto in questo giorno ritrovare il bandolo di questa matassa, ma quanto prima procurerò che V. S. resti servita. Ho riceuto la verdea e Parando, e la ringrazio quanto io posso, (ili mando un germano e un paio di raviggiuoli, che gli goda por amor mio con il Sig. r 'Vincenzio (1 \ che, per essere cose domito anche a me, come le colombelle, non io vanno registrato alla notula delle spose. E perchè sto aspettando «li giorno in giorno l’occasiono di potermi lasciare rivedere, Unisco facendoli debita reverenza. Da S. u Maria a Campoli, 25 Dicembre 1636. Di V. 8. molto Ill. r ® et Eco. m * Dovotiss. m ° o Oblig. n, ° So. ro Alessandro Ninci. 8409. ROBERTO GIRALDI « GALILEO [in Àroetri]. Firenze, 26 dicembre 1636. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P I, T. XII, car. 103. Autografa. Molto 111. 8 Sig. r P.ron mio 0ss. mo In questo punto ricevo lettere di S. M. u n \ la quale m’nvisa lmvor ricevuto le sue prospettive, ma per disaventura tutte spezzate. Mi ordina elio io la dova visitare e pregarla «li altre, et insieme discorrer con lei circa a’ sua interessi, perchè vuole giovarle in quello che sarà necessario. Basta, sarò da loi, e più Lett. 3408. 4. gali’ A uomini VlNCRMIO OaLILZ! Vi.ADin.Ao IV, Ra . — Autografa. Ill. ,no Sig. r e Pad. 0 mio Col. mo Quando sia senza incomodo di V. S. lll. ma , havrò per favore die ella faccia consegnare al latore della presente, che snrìi Giuseppe mio servidore, i frutti del seniostre, che bora matura, dei danari che tengo su cotosto Monte, che di tanto gli resti'rò obbligato. E con augu¬ rargli felice il presente Capo d’anno con molti altri appresso, con reverente affetto gli bacio le mani. D’Àreetri, l’ult. 0 di Xmbre 1631». Di V. S. Ill. Iua Parat. m,) et Obblig.®" Ser. ro (ialileo Galilei. Fuori: All’fll. rao Sig. ro e Pad." mio Col. 11,0 11 Sig. r Mazzeo Mazzei. In sua mano. 3412 . GALILEO a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. | Arcotri, 1636J '*•. !>al Tomo [II. pag. 150-151, doli' udizione citata noli' informazione promossa al n.° 1201. Sono alcuni mesi che feci risoluzione di far dono della mia inven¬ zione per trovare la longitudine a gli Illustriss. o Potentiss. SS. Ordini Generali delle Confederate Provincie Belgiche, conoscendo io loro esser più atti di tutti gli altri potentati a metterla in uso, corno “> Cfr. Voi. XIX, 1>0C. XXX, «), Un. 126 129. 1,1 Qiiost-i lotterà si logge, nell'edizione da cui la riproduciamo, con la data « 15 Agosto 168f> . la quale è indubitatamente errata, poiché I’Ortbnhio fu delegato, con altri, a giudicare sopra la proposi dono di lUtiuo (cfr. lin. 33-34) PII novembre 1036; cfr. Voi. XIX, Hoc XL1I, «). 10 1636. 535 [84121 quelli che abbondano di navili e, quello ohe più importa, di uomini scienziati ed intelligenti di astronomia, colla relazione e consiglio de’ quali possono esser animati ad abbracciare l’impresa come riusci- bile, o a tralasciarla come vana. Io, dopo avere communicato questo mio disegno col mio caro amico di Parigi, intesi che ne venne sen¬ io toro a V. S. 111., la quale mi parve intendere che desse segno di qual¬ che geloso ma lieve sdegno per non aver io fatto il primo ricorso a lei, elio mi aveva dato segno di affezione e di stima delle cose mie; e più, oltre a questo, intendo ch’ella si è alquanto doluto della mia dilazione in mandare il mio trovato: le quali sue querele non però mi sono state moleste, comprendendo io procedere dal desiderio che la mia riputazione e 1' utile della sua patria non si andasse più lun¬ gamente differendo, lo da queste amiche querele e gradite accuse mi voglio purgare ed insieme sincerarmi appresso Y. S., con farle sapere che della dilazione ne è stata causa, prima alcune mie gravi 2 u occupazioni ; tra lo quali una ò il ricopiare e mettere al netto i miei Dialoghi intorno al moto locale e sopra le resistenze de i solidi al¬ l’essere spezzati, materie ambedue novissime, li quali mi è convenuto allestire per farli consegnare in Venezia (siccome ho fatto) al Sig. Lo¬ dovico Elzevirio per isfcampargli. Oltre a queste occupazioni, una assai lunga e non leggiera malattia mi ha tenuto oppresso. Ma che? quello che ò stato occulto tutti gli anni del mondo, ben poteva, Sig. Orlenzio mio, celarsi tre o quattro mesi ancora. Quanto poi al far capo aV. S. prima che a tutti gli altri, sappia che io ne sono stato assai per¬ plesso : e la cagione della mia perplessità è stata il non avere io no- ao tizia di nessuno di coteste regioni, pari o simile a lei in quelle co¬ gnizioni, che al poter dare sicuro giudizio di queste materie se gli potesse comparare ; onde io, come presago di quello che poi è acca¬ duto, cioè che a V. S. dovesse in gran parte esser delegato il giudicare sopra la mia proposizione, vedendo che quando essa ne fosse stato il presentante, poteva diminuire il credito, con mio pregiudizio, ap¬ presso cotesti Illustrissimi e Potentissimi SS., ho avuto per ventura eh’ ella sia restata in neutralità, onde il suo giudizio venga ricevuto come totalmente sincero. Verrà dunque in mano di V. S. la mia scrittura, nella quale espongo •io a gl’ Illustriss. Ordini ec. il mio trovato. A lei toccherà il darne giu¬ dizio, con approvarlo o riprovarlo, ed approvandolo (come spero), 536 1636. [ 3412 ] sopra gli omeri suoi dovrà esser imposto il carico di reggere per l’avvenire tutta la macchina di questo gran negozio; poiché oliasi trova (per relazione fattami in voce da’suoi compatrioti) d’una pro¬ spera o sana gioventù, o di quello acutissimo ingegno del quale fa testimonianza quello che ho veduto dell’ opere sue ; dove che io, per la gravissima età di sottantacinque anni, con sensi debilitati e me¬ moria in gran parte perduta, non sono per vedere ridotta all’uso l’invenzione mia, nè per godere altro che quell’applauso il quale da cotesti sapientissimi e benignissimi SS. le fesse conceduto, in parti- r»o colare sull’approvazione di V.S. La confidenza elio ho nella sua equità ed il non desiderare io più di quello elio giuridicamente mi si per¬ viene, non secondo il mio ma secondo il parere d’altri, fa clic io non spenderò parole per implorare il suo favore. Ella, conio intelligen¬ tissima, so certo elio comprenderà non essere al mondo altro mezzo per conseguire la notizia della longitudine, fuor cho questi ammi¬ randi accidenti delle stelle circumioviali, nè altro esser 1*uso che da essi accidenti possono ritrarre gli uomini, fuor che questo del sod¬ disfare al gran bisogno di porgere l’ultimo aiuto all’arte del navi¬ gare. Ella veda, maturamente consideri ed esamini, il tutto con quella go libertà che a vero filosofo si conviene, referisca a gli Illustriss. SS. il suo parere, o non mono a me medesimo schiettamente promuova quelle difficultà e dubitazioni per le quali la mia proposizione le fusse renduta dubbia ; e sopra, tutto mi restituisca la sua grazia, mentre io con paterno affetto 1' amo e reverisco. fine del volumi: decimosesto. INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE, CONTENUTE NEL VOL. XVI (1634-1636). 8888 2831) 2840 2841 2842 2843 2844 2845 2848 8817 2848 2840 2850 2851 2852 2858 2854 2855 2850 2857 2858 2850 2SOO 2801 2802 2803 2804 2805 2800 2807 2808 Girolamo Bardi a Galileo. 3 gennaio 1634 Alessandro Marsili » . » » » Ascanio Piceolomini » . » » » Niccolò Alianti > . 4 » > Niccolò Fabri di Pei rese a Pietro Gassendi. 5 » » Bonaventura Cavalieri a Galileo. 10 » » Giulio Ninci » . 11 t> » Abouuìo Piccolomini > . 12 » >» Fulgeuzio Micanzio » . 14 » » Francesco Niccolini » . » » » Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. 15 » » Sebastiano Scalandroni a Galileo. »—* CO » j> Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassendi. » » 7> Pietro Gassendi a Galileo. 19 » » Roberto Galilei ' » . 22 » » Baldassarre Nardi » . 23 » X> Mattia Bernegger ad Elia Diodati. » » » Bernardo Conti a Galileo. 24 » » Mattia Bernegger a Beniamino Engelckc. » » » Marcantonio Pieralli a Galileo. 25 » » Niccolò Fabri di Poiresc > . 26 » » > a Gio. Giacomo Bouchard- 27 » » Benedetto Castelli a Galileo. 28 » » Fulgenzio Micanzio » . » i> » .... ai Cardinali della Congregazione del S. Ufììzio ... » » Niccolò Aggiunti a Galileo . 1° febbraio ■» Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassendi. » » Geri Boccbiueri a Galileo . 2 >> I> Benedetto Galilei » . 4 p » Giulio Ninci » . 5 » » Caterina Riccardi Niccolini a Galileo . » p » Pag. 11 12 la » 14 15 16 » 17 18 » 19 » 20 21 22 23 24 25 26 27 29 » 30 » 31 32 33 » 34 XVL Oli 538 INDICE CRONOLOGICO. 2809 2870 2871 2872 2878 2874 2875 2876 2877 2878 2879 2880 2881 2882 2888 2884 2885 2886 2887 2888 2989 2890 2891 2892 2896 2894 2895 2890 2897 2898 2899 2900 2901 2902 2903 2904 2905 290(5 2907 2908 2909 2910 2911 2912 2913 2914 Niccolò Fahri «li Peireso a Pietro Pupuy. 0 febbraio 1634 Vincenzo Reniorì a Galileo. 8 » > Cleri Bocchineri » . 9 > » Iacopo Antonio Lunardi a Galileo. » j> > Raffaello Magiotti > . li » » GiovanfranceBco Buonamici » . » > > Bernardo Conti » . 12 > » Maria Tedaldi » . » » » Domenico Cittadini » . 13 > » Galileo a Giovanlrancesco Buonamici. 14 » » Bonaventura Cavalieri a Galileo. » p » Geri e Alessandro Bocchineri a Galileo. 10 p * Mattia Bernegger a Gio. Michele Lingolsheim. » » » Geri Bocchineri a Galileo.. » » Galileo ai Cardinali della Congregazione del S. Uffizio. P > Francesco Niccolini a Galileo. 18 p > Giovanni Vannuccini » . > » » Geri Bocchineri a Gio. Battista Vernarci. » p » Gio. Battista Vernarci a (Ieri Bocchineri. * * > Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bcrnegger. 19 » » Geri Bocchineri a Galileo. 21 » p Ascanio riccolomini » . » p p Niccolò Aggiunti » . O0 » > Domonico Cittadini * . 24 » p Mattia Bernogger ad Elia Diodati . » p p Fulgenzio Micanzio a Galiloo. 25 p p Matlia Bernegger a Guglielmo Schickhardt. » p > Alessandro Marnili a Galileo. 28 » > Gio. Michelo l.ingolsheiin a Mattia Bcrnegger. » » » Renato Descartes a Marino Morsenue. » p 4 Niccolò Aggiunti a Galileo. . 5 » p Galileo ad Elia Diodati. ... 7 » p Lodovico Battelli a Fulgenzio Micauzio. 10 > p Fulgenzio Micanzio a Galileo. 11 > p Guglielmo Schickhardt a Mattia Bernegger. 13 > » Gio. Giacomo Bouchard a Galileo. 18 p > Raffaello Magiotti * . * p p Fulgenzio Micanzio » . » p > Beniamino Engclcke » . 19 » p Mattia Bernegger a Guglielmo Schickhardt. 24 p p Niccolò Aggiunti a Galileo. 29 p » Beniamino Engelcko p . 30 » p Clemente Egidii ad Antonio Barberini. 1° aprilo » Niccolò Fabri di Pciresc a Pietro Dupuy. 2 » p Roberto Galilei a Galileo. 4 p p rag. 35 » 36 37 » 38 39 40 » 11 42 43 44 45 40 > 47 » 48 » 49 51 » 52 54 55 » 56 p 57 58 00 61 02 03 05 G6 08 69 » 70 71 p 72 INDICE CRONOLOGICO. 539 29 lo sino mi 2918 291» 2920 2021 2022 2928 2024 2025 2026 2027 2928 2920 2930 2081 2082 2088 2084 2086 2936 2037 2oas 2089 2940 2041 2942 2948 2044 2046 2040 2047 2048 2049 2950 2951 2952 2953 2054 2056 2056 2057 2058 2059 2060 (litri Rocchi neri a Galileo. Benedetto Castelli » . Kantiano Michclini » . (ìio. Battista Doni a Marino Mersenno. Guglielmo Schickhardt a Mattia Bernegger .. Bonaventura Cavalieri a Galileo. Ascanio Piccolomini » . Antonio Quaratesi » . Niccolò Aggiunti » . Girolamo Bardi » . Caterina Riccardi Niccolini » . (Jeri Bocchineri » . Galileo a Geri Bocchinori. Gori Bocchinori a Galileo. Fulgenzio Micanzio » . Benedetto Castelli » . Renato Descartes a Marino Mersonne. Beniamino Engelcke a Mattia Berneggor. Gillio Roynier a Geri Bocchinori. Antonio Nardi a (ìalileo. Giulio Ninci » . Benedetto Castelli » . Geri Bocchi neri » . Gio. Battista Gondi ad Andrea Cioli. Fulgenzio Micanzio a Galileo. Geri Boechineri » . Renato Descartes a Marino Mersenno. Elia Diodati a Galileo. Muzio Oddi a Piermatteo Giordani. Geri Bocchineri a Galileo. Galileo a Gori Bocchineri. Geri Bocchineri ad Alessandro Bocchineri- Gio. Gherardo Vossio ad Ugo Grozio. Mattia Bernegger a Beniamino Engelcke. Gillio Roynier a Geri Bocchinori. Fulgenzio Micanzio a Galileo. Gio. Battista Gondi ad Andrea Cioli. Mattia Bernegger a Guglielmo Schickhardt .. Ascanio Piccoloniini a Galileo. Guglielmo Schickhardt a Mattia Bernegger .. Bonaventura Cavalieri a Galileo. Mattia Bernegger ad Elia Diodati. Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bernegger Geri Bocchineri a Galileo. Elia Diodati a Guglielmo Schickhardt.. Marino Mersonne a Niccolò Fabri di Peircsc. 7 aprile 1634 Png. 73 8 » *> 75 » » y> 76 » » » 77 10 » X» » 11 !> » 78 » » » 80 » » p 81 12 » P » j> » 82 22 » j> 83 25 » » » 27 » > 84 28 » » 85 29 » » 86 » 87 » » 88 1° maggio p 89 3 » p 90 4 5> » 91 5 » p 92 7 » » » 9 5> p 93 12 » p 94 13 » » » 14 » > 95 15 » p 96 16 P » » 17 P » 97 18 » » » » » 5> 98 19 P J> » 28 » P 99 29 J> P » » » 100 3 giugno » » G » 101 9 » » 2> 13 X» » 102 » s> » 103 16 p » p » » » 104 20 J> » 105 24 » P » 25 y> P 106 2 luglio P 107 INDICE CRONOLOGICO. 540 2001 (rio. Battista Gonili ad Androa Cioli . 7 luglio 1634 Pag. 107 2062 Mattia Bernegger a Guglielmo Sohickhardt . * p p 108 2968 Fulgenzio Micanzio a Galileo . 8 p p i> 2064 » » > . . 15 » p 109 296» Giovanni Vnnnuccini » . » p p 110 2966 Galileo a Mattia Bernegger . 1G t> p 111 2067 Mattia Bernegger a Gio. Michele Lingelsbeim . 20 p p 112 2968 Bonaventura Cavalieri a Galileo . 22 p p 113 2969 Fulgenzio Micanzio » . » p 114 2970 Galileo ad Elia Diodati . 25 » x> 115 2971 Marino Morsonne a Niccolò Fabri di Peiresc . 28 x> » 119 2972 Fulgenzio Micanzio a Galileo . 5 agosto i» 120 2978 Gio. Michele Lingelsbeim a Mattia Bernegger . 8 > p 121 2974 Ericio Puteano a Michele van Lnngren . 9 p p x> 2975 Benedetto Castelli a Galileo . 12 p p p 2976 Fulgenzio Micanzio » . p » p 123 2977 Ugo Grozio a Gio. Gherardo Vosaio. p p p 124 2978 Renato Descartes a Marino Mersenne. 14 » r> » 2979 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 19 » * 125 2980 Lodovico Baitelli » . 25 p p 126 2981 Fulgenzio Micanzio » . 26 p p 127 2982 » » » . 2 sottombro p 128 2988 Ascanio Piccolotuini » . » » p 129 2984 Alessandro Ninci » . 4 » p > 2986 Giulio Ninci » . 7 D p 130 2986 Fulgenzio Micanzio » . 9 » p > 2987 Mattia Bernegger ad Àbramo Marconnet. 10 P p 131 2988 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 12 r> p 132 2989 Lorenzo Ccccarelli s> . 16 P p 133 2990 Fulgenzio Micanzio t> . 23 * » 134 2991 » » p . 28 » p 135 2992 Bonaventura Cavalieri » . 2 ottobre p 136 2998 Fulgenzio Micanzio » . 7 » p 138 2994 Famiano Michelini » . 12 » p 139 2995 Fulgenzio Micanzio p . 14 p p 140 2096 Roberto Galilei * . 16 p p 141 2997 Mattia Bernegger a Guglielmo Schickhardt . p » p 143 2998 Fulgenzio Micanzio a Galileo . 21 » > p 2990 Francesco di Noaillea » . 24 » » 144 3000 Fulgeuzio Micanzio * . 28 » » 145 3001 Roberto Galilei » . 30 » p 146 3002 Benedetto Castelli » . 1° novembre p 147 3003 Ascanio Piccolomini p . 2 » p 148 8004 Giovanni Vannuccini »■ . * p p p 3006 Galileo a Giovanni Taddei. 3 p p 149 3006 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 4 » » 150 INDICE CEONOLOGICO. 541 3007 Alessandro Ninci a Galileo. 4 novembre 1634 Pag. 151 8008 Raffaello Magioni » . 5 » P 152 3000 Elia Diodati a Pietro Gassendi. 10 » P 153 3010 » a Niccolò Fabri di Pciresc. » » J> 154 8011 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 11 » P p 8012 Gerì Bocchineri » . 14 » P 155 3018 Elia Diodati » . 15 » P 158 3014 Gio. Battista Morin »• . » 3> P » 3015 Mattia Bernegger a Guglielmo Schiokhardt. 16 I> P 160 3016 Benedetto Galilei a Galileo. 18 T> P 161 3017 Fulgenzio Micanzio » . » P » j> 3018 Gami.ro a Fulgenzio Micanzio. 19 P P 162 3019 Benedetto Castelli a Galileo. 25 » 7> 164 3020 Roberto Galilei » . 27 P J> 165 3021 Benedetto Castelli » . 2 dicembre 166 8022 Benedetto Galilei » . » » » 167 3023 Kaffitelio Magiotti » . p J> J> » 8024 Mattia Bcrneggor ad Elia Diodati. 4 J> P 168 8025 Marino Mersenne a Niccolò Fabri di Peiresc. » » » 169 302G Niccolò Fabri di Peiresc a Francesco Barberini. 5 » » j> 3027 Benedetto Castelli a Galileo. 9 » P 171 8028 Fulgenzio Micanzio » . i> » » 172 3029 Alessandro Ninci » . 10 » » 173 3080 Roberto Galilei » . 11 » » 174 3031 Gugliemo Schickhardt a Mattia Bernegger. 18 » J> 175 3032 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 19 P » » 3033 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. p S> P 176 8084 * a Giovanni Froinsheini. 20 P » 177 3085 Galileo ad Elia Diodati. 21 P » p 3036 Francesco Niccolini a Galileo. 22 P » 178 8087 Alessandro Ninci » . » P » p 8088 Benedotto Castelli » . 23 » P 179 8039 Bernardo Conti » . » » » 180 8040 Fulgenzio Micanzio » . » » I* » 8041 Mattia Bernegger a Gio. Michele Lingelsheim. » P P 182 8042 Roberto Galiloi a Galileo. 24 » » » 8043 Galileo a Mazzeo Mazzci . 29 » P 1&3 8044 Gio. Francesco Passionei a Galileo. » » » 184 3045 Elia Diodati a Guglielmo Schickhardt. » P » » 8046 Girolamo Bardi a Galileo. 30 » » » 8047 Tier Battista Borghi » . » » » 185 8048 Fulgonzio Micanzio > . » » » 186 3049 3050 Niccolò Aggiunti » . Francesco Barberini a Niccolò Fabri di Peiresc. 1634 (V) 2 gennaio 1635 p 187 3051 Niccolò Aggiunti a Galileo. 1 3 P » » INDICE CRONOLOGICO. 542 «or,2 Giovanni Piproni a Galileo. 4 gennaio 1635 Pag. 188 «053 Bonaventura Cavalieri a Giannantonio Rocca . » » p 191 8054 (ìio. Battista Gondi a Persio Falconciui. 5 » p » 8055 Pier Battista Borghi a Galileo . j ti p p » 8056 Raffaello Magiotti » » 9 P 192 8057 Fulgenzio Micanzio » . » 9 P 193 3058 Klia Diodati a Mattia Bernegger. » 9 P 194 8050 Mattia Bernegger a dio. Michele l.ingelshcim. 12 P P 196 8000 Marino Moncone a Niccoli» Fabri di Peireac. 15 P P p Mattia Bernegger a Cristoforo Forutner. 17 P P 197 8003 p a Giacomo Gottfried. 10 9 P p 8008 Pier Battista Borghi a Galileo. 20 P P p 3004 Fulgenzio Micanzio » . » P P 198 8065 Francesco di Noailles r> . 21 P P 2(K) 8000 Fulgenzio Micanzio » . 27 P P p 3067 Pietro de Carcavy » . 28 P P 201 8068 Niccolò Fabri di Peircsc a Francesco Barberini. 31 > P 202 3060 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 8 febbraio > 203 3070 Mattia Bernegger a Grò. Michele LingeUheitn.. 5 P P » 3071 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 6 P P 204 8072 Roberto Galilei » . 7 > P 2 P 207 8074 Pier Battista Borghi a Galileo. 9 P P p 8075 Fulgenzio Micanzio » . 10 P P 208 8070 Marcantonio Pieralli » . » P P 210 3077 y P P » 3078 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 12 P P 211 807» Elia Diodati a Galileo.. 13 P P 213 8080 Mattia Bernegger ad Elia Diodati . 15 P P p 8081 Fulgenzio Micanzio a Galileo . >7 P P 214 8082 Galileo a Niccolò Fabri di Peircsc . 31 P P 215 8088 Pier Battista Borghi a Galileo . 23 P > 217 8084 Fulgenzio Micanzio > . 24 * P » 8085 Paolo Aproino > . 3 marzo » 218 8080 Antonio do Ville > . » * p 221 3087 Fulgenzio Micanzio » . > p p 228 8088 > j> . 10 p p 229 8080 Bonaventura Cavalieri p . 12 p p 230 8090 Elia Diodati » . » > p 231 8091 Paolo Aproino * .... 13 p » p 8092 Mattia Bernegger ad Elia Diodati . 14 » » 233 8093 Galileo p 15 » » 234 8004 p a Niccolò Fabri di Peircsc . Iti » > » 8005 Fulgenzio Micanzio a Galileo . 17 p p 236 8090 Roberto Galilei > . 19 p p 237 8007 Mattia Bernegger a Giovanni Freinsheim. » p p 238 INDICE CRONOLOGICO. 543 aoos Fulgenzio Micanaio a Galileo. 24 i marzo 1635 Pag. 239 3000 Mattia Bernegger a Guglielmo Sckickkardt. 25 > » 2-10 8100 Francesco Parrot a Pietro Gaasomli. 26 » » > 3101 Girolamo Bardi a Galileo. 30 » » » 8104 Fulgenzio Micanaio * . 31 » » 241 810* Galileo ad Antonio de Ville. > t> 242 8104 Niccolò Fabri di Peiresc a Galileo. P aprilo » 245 8105 Boberto Galilei > . 2 » » 248 8 km; Pietro de Carcavy > . 3 5> x> 250 3107 Gio. Battista Morin > . 4 » » 251 3108 Gio. Michele Lingelsheim a Mattia IJerneggor. » » *> 254 8100 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 7 s> » » 8110 Elia Diodati » . 10 » * 255 8111 Fulgenzio Micanzio » . 14 » » > 8112 Tommaso Campanella a Niccolò Fabri di Peiresc. 15 *> 9 256 8118 Roberto Galilei a Galileo. 16 » » 257 8114 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. » b J> 258 3115 Niccolò Fabri di Peiresc a Galileo. 17 » ì> 259 3110 ► a Pietro Gassendi. 19 » » 2G2 3117 Tommaso Campanella a Niccolò Fabri di Peiresc. 3 maggio » » 8118 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 4 j> » 263 3110 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 5 » » » 8120 Mattia Bernegger a Giovanni Freinskeim. » > > 2G4 8121 ► ad Elia Diodati. 12 » 265 3122 Elia Diodati a Guglielmo Sckickhardt. 17 » » 2G6 3128 l’go Grozio a Gio. Gherardo Vossio. > J> » «> 3124 Marino Mersenne a Niccolò Fabri di Peiresc. 25 » » 267 8125 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 26 » » » 8120 Niccolò Fabri di I'eiresc a Pietro Gassondi. » » » 268 3127 » 9 * . . » » S> » 312S Boberto Galilei a Galileo. 28 » » 269 3120 Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Dupuy. 29 » » 270 3130 Benedetto Castelli a Galileo. 2 giugno » » 8181 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. » » » 271 313J Niccolò Fabri di Peiresc a Pietro Gassendi. » » » 272 3183 Galileo ad Elia Diodati. 9 » s> » 3134 Benedetto Castelli a Galileo. » » » 273 8185 Fulgenzio Micanzio » . » » » 274 8180 12 » » » 8137 Pier Battista Borghi » . 16 » » 275 3138 Benedetto Castelli > . » » s> 277 3180 8140 » » » 278 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 18 » » 280 8141 Niccolò Fabri di Poireso a Pietro Gassendi. » » » » 3142 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 19 ► » 281 3148 1 Benedetto Castelli » . 23 » J> 282 544 INDICE CRONOLOGICO. 8144 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 21 giugno 1035 8145 Roberto Galilei » 25 » » 8140 Aecauio Piccolomini » 28 » > 8147 Fulgenzio Micanzio » 29 * > 8148 Mattia Berneggor ad Elia Piodati . * » » 8148 Marino Mersenne a Niccolò Fabri di Pei reso. 1° luglio * 3150 Gio. Gherardo Vossio ad Ugo Grozio. * » > 8151 Tommaso Campanella a Niccolò Fabri di Peiresc. 2 > » 3152 Pietro de Caroavy a Galileo. G » > 8158 Ugo Grozio a Gio. Gherardo Vossio. » > * 8154 Benedetto Castelli a Galileo. 7 » » 8155 Mattia Derncgger a Giovanni Freinshoim. 8 » > 815G Roberto Galilei a Galileo . 10 » * 3167 Mattia Berneggor a Niccolò Ritter»liana. 1G » » 8158 Elia Diodati a Galileo. 17 » » 8159 Lorenzo Ceccorelli * 21 > » 8160 Fulgenzio Micanzio > 22 ► > 3161 Roberto Galilei » 23 » » 8162 Ugo Grozio a Gio. Gherardo Vossio. 2 agosto > 8168 Elia Biodati a Niccolò Fabri di Peiresc. 3 ► > 3164 Roberto Galilei a Galileo. 6 * * 8165 Fulgenzio Micanzio > 9 » » 8166 Ugo Grozio a Gio. Ghorardo Vosaio. » » > 8167 Giovanni Fioroni a Galileo. 11 » s 8168 Niccolò Fabri di Peiresc ad Elia Diodati. 13 » > 8169 Benedetto Castelli a Galileo. 18 » » 8170 Giovanni Pieroni » » » > 8171 Fulgenzio Micanzio » 23 » » 8172 Ascanio Piccolomini * 25 * * 8178 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 31 > » 3174 Roberto Galilei a Galileo. 3 settembre » 8175 Gio. Martino Rauscher a Mattia Bernegger. 4 » > 3176 Giulio Niuci a Galileo. 13 > » 3177 Mattia Bernegger a Gio. Martino Rauscher . > » > 8178 Filippo Mannucci a Galileo. 15 » » 8179 Fulgenzio Micanzio » . > » > 8180 Roberto Galilei * . 17 » » 8181 Benedetto Scalandroni * . » i> > 8182 Marino Mersenne a Niccolò Fabri di Peiresc. » j> » 8183 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 18 » » 8184 Galileo ad Elia Diodati. 22 » > 8185 Elia Diodati a Galileo. 25 > » 8186 Ascanio Piccolomini a Galileo. 2 ottobro » 8187 Benedetto Scalandroni » (j » » 8188 Pietro La Sena » 8 » * 8189 Artemisia Gentileschi » y s, » Pag. 283 284 285 286 287 288 » » 289 290 » 292 9 293 * 294 295 296 297 » 298 299 300 » 802 303 » 305 806 > 307 308 » 9 309 310 311 312 313 314 315 316 > 317 » 318 INDICE CRONOLOGICO. 3190 (rio. Giacomo Bouchnrd a Galileo . 10 ottobre 1635 8191 Giulio Ninci n Galileo . » » p 8192 Marino Morsenne a Niccolò Fabri (li Poiresc . 12 t> » 3193 Roberto Galilei a Galileo . 15 » » 3194 Àscanio Piccolomini » . 16 » p 8195 Benedotto Castelli » . 17 » » 8196 Raffaello Magiotti t> . 18 » » 3197 Fulgenzio Micanzio » . 20 » 5> 3198 Pietro Gossemli a Niccolò Fabri di Peirosc . » s> » 3199 Pietro do Carcavy a Galileo . 21 » » 3200 Bonaventura Cavalieri » . 23 x> » 8201 Girolamo Bardi » . 26 » » 8202 Roberto Galilei » . 29 » » 3208 Galileo a Gio. Camillo Gloriosi . 30 p » 8204 Antonio Nardi a Galileo . 2 novembre » 8205 Giovanni di Beangrnnd a Galileo . 3 p » 8200 Francesco Stelluti > . j> P 1> 8207 Benedetto Scalandroni » . 7 » » 8208 Benedetto Castelli » . 10 J> » 8209 Galileo a Giovanni di Beaugrand . 11 » » 8210 Bonaventura Cavalieri a Giannantonio Rocca. » » 8211 Roberto Galilei a Galileo. 12 P P 3212 Marino Mersenne a Niccolò Fabri di Peiresc. 17 » » 3213 Bernardo Conti a Galileo . 20 » » 3214 Mattia Berueggor a Gio. Martino Rauscher. 21 J> » 8215 Gio. Camillo Gloriosi a Gnlileo . 27 P » 8216 Benedetto Castelli » . 30 » P 3317 Galileo a Fulgenzio Micanzio. 1° dicembre P 8218 Fulgenzio Micanzio a Galileo . » » P 8219 Ascanio Piccolomini » . 2 p P 8220 Andrea Sozzi » . 3 » P 8221 Gio. Gherardo Vossio ad Ugo Grozio . 5 » P 3222 Gio. Martino Rauscher a Mattia Bernegger . 6 *• P 8223 Giovanni Pieroni a Galileo . 15 p P 8224 Galileo ad Elia Biodati . 18 » P 8225 Mattia Bernegger a Gio. Martino Rauscher . » s> P 3226 Galileo a Mazzco Mazzei . 19 » P 3227 Benedetto Castelli a Galileo . 22 P P 8228 Fulgenzio Micanzio » . !> b P 8229 Bonaventura Cavalieri » . 24 » P 8280 Mattia Bernegger ad Elia Diodati . 28 » P 3281 Giovanni Pieroni a Galileo . 29 p P 8232 Bonaventura Cavalieri a Giannantonio Rocca. 80 » P 3288 Raffaello Mngiotti a Galileo . 5 gennaio 1636 3234 Francesco Niccolini » . 1 « p j> 545 Pag. 319 320 321 p 322 » 323 324 320 32G 327 328 329 330 335 » 337 338 339 340 345 » 34G 347 348 P 351 354 355 356 357 358 361 » 3G2 3G3 3G4 365 366 367 308 3G8 369 546 INDICE CRONOLOGICO. 8235 Alessandro Ninci a Galileo. 7 gennaio 1636 8236 Iacopo Soldani » . » p » 8287 Raffaello Alamanni » . 8 p » 8288 Ugo (trono a Gio. Gherardo Voesio. 10 p > 8289 Giovanni limano a Serafino Guidoni. li p » 8240 Serafino Guidoni a Galileo. 12 » p 8241 Fulgenzio Micanzio p . > > p 8242 Emanuele Schorer * . ► » p 8243 Alessandro Ninci > . 15 p p 8244 Francesco di Noaillea p . * » p 8245 Antonio Santini » .. 16 » p 8246 Giovanni di Guevara p . 20 p » 8247 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. » p p 8248 Roberto Galilei a Galiloo. 21 » p 8249 Pier Battista Borghi p . 23 » p 8250 Raffaello Magiotti a Kantiano Michelini. 25 » » 8251 p a Galileo. 26 » p 8252 Fulgenzio Micanzio » . » » p 8253 Antonio Miniati a Giovanni Piero ni. 28 » » 8251 Galii.ro a Giovanni del Ricco. 29 » » 8255 Giovanni del Ricco a Galileo. > » > 8256 > ad Andrea Gioii. febbraio p 8257 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 1° » » ROfiS 2 > 8259 » a Fulgenzio Micanzio. 9 » » 8260 Fulgenzio Micanzio a Galileo. » » > 8261 Giovanni Fioroni > . » > > 8262 Emanuele Schorer * . » » » 8263 Bonaventura Cavalieri » . 12 p * 3264 Gio. Paolo Casati a Giannantouio Rocca. 13 » » 3265 Alessandro Ninci a Galileo. 28 » » 8266 Giovanni Pieroni > . 1“ marzo > 3267 Alessandro Ninci » . 3 > p 8208 Galileo a Benedetto Guerrini (?) . 4 » * 8269 Fulgenzio Micanzio a Galileo. « > p 8270 Bonaventura Cavalieri » . 11 p > 8271 Giovanni del Ricco » . 14 » » 3272 Galileo a Fulgenzio Micanzio. 15 p » 8273 Pier Battista Borghi a Galileo. p » » 8274 Fortunio Li ceti » . 21 » > 8275 Mattia Bernegger a Gio. Michele Lingelsheim. » p > 8276 Niccolò labri di Poiresc a Mattia Bernegger. 31 > » 8277 » ad Elia Diodati. » » » 3278 Renato Descartes a Marino Mersenne. > > 3279 Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bernegger. 4 aprilo » 3280 Fulgenzio Micauzio a Galileo. 5 » » Pag 370 371 372 373 > 374 » 375 37G 377 » 378 379 > 380 381 384 385 886 !tó7 » 388 389 390 * 392 393 394 395 396 397 » 398 399 400 401 404 405 406 408 409 t> 410 411 8281 8282 8288 «284 8285 8288 8287 8288 828 » 8200 8201 8292 8293 8294 8295 8296 3297 3298 3299 3800 3801 8802 8803 8804 8806 3800 8807 8808 8809 8810 8311 8812 8313 8814 3815 8316 8817 8318 8819 8320 3321 8322 8828 8824 8825 8826 INDICE CRONOLOGICO. Bonaventura Cavalieri a Galileo. Gio. Michele Lingelsheim a Mattia Bernegger... Galileo a Fulgenzio Mioanzio. Mazzco Mazzei a Galileo. Mattia Bernegger ad Elia Diodati. Dietro do Carcavy a Galileo. Fortunio Liccti p . Benedetto Castelli » . Giovanni Fioroni :> . Ladislao IV, Ro di Polonia, a Galileo Giovanni del Rieco » Vincenzio Galilei p Niccolò Ciampoli » Raffaello Magiotti t - Gherardo Sar&cini » Benedetto Castelli p Bonaventura Cavalieri p Francesco di Noailles p Benedetto Castelli » Marcantonio Pieralli » Fulgenzio Micanzio » Raffaello Magiotti » Bonaventura Cavalieri p . Mattia Bernegger a Gio. Martino Rauschcr Fortunio Liceti a Galileo. Fulgenzio Micanzio » . Lodovico Baitelli » . Fulgenzio Micanzio » . Galileo ad Elia Diodati. Girolamo Bardi a Galileo. Fulgenzio Micanzio » . Galileo a Gio. Battista Pandolfìni. » a Fulgenzio Micanzio. Fulgenzio Micanzio a Galileo. An r.fl.nio Piccolomini » . Mattia Bernegger ad Elia Diodati. Galileo a Fulgenzio Micanzio. Fulgenzio Micanzio a Galileo. » * . Galileo a Fulgenzio Micanzio. Benedetto Castelli a Galileo. Galileo a Mattia Bernegger. Elia Diodati a Galileo. Fulgenzio Micanzio » . Mattia Bernogger a Melchiorre Hurter Galileo a Fulgenzio Micanzio. 547 Pag. 8 aprilo 1636 412 10 » » 413 12 i> » j> » » p 414 14 i> » 415 15 » » 416 18 » p 417 19 » » » » » p 419 » » » 420 24 » p 421 30 » » 422 2 maggio » 423 3 5> » 424 » P 5> 426 6 » » » » 5) P 427 » » P 429 10 » » » 12 P P 430 24 » P 431 25 P P 432 27 P P 433 30 » P 434 6 giugno P > 7 $> P 436 11 » P 436 13 p 3> 437 14 » » 438 » p » » » p J> 439 17 » » 440 21 » » 441 i> » P 443 » » » » 22 » J> 444 28 » P > 1636 (?) 446 5 luglio P » 12 1> J> 447 » » I> 449 15 » P 450 » P 452 19 » » 453 25 » P 454 2(3 p P » 548 INDICE CRONOLOGICO. 8327 8328 8329 3330 8331 8332 8333 3334 8335 8888 8887 8888 8839 3340 3841 8842 3843 3844 8845 334(5 8347 3348 8349 8350 8851 8852 8353 8354 3855 835(5 8357 8858 885 » 3360 83(51 3832 8808 33(54 3365 33(53 3337 8338 3339 8370 Benedetto Cantelli a Galileo . 26 luglio 1636 Fulgenzio Micanzio » . » » » Mattia Bernegger a Giovanni Steinberger . 27 » > Galileo a Ladislao IV, Re di Polonia . luglio-agoBto » Alberto Cesare Galilei e Giacinto Cornaeehioli a Galileo. 1° ugosto » Francesco Niccolini a Galileo . 2 » » Benedetto Castelli > . 9 » 9 Fulgenzio Micanzio » . » 9 9 Giulio Ninci * . * . 12 9 9 Giovanfrancosco Buouamici a Galileo . 13 9 9 Galileo agli Stati Generali delle Provincia Unito dei Paesi Bassi . 15 9 9 » agli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi ... » 9 » a Lorenzo Realio . 15 9 9 » ad Ugo Grozio . » » 9 » ad Elia Diodati . » » 9 » a Giovanfrancosco Buouamici . 16 > 9 » a Fulgenzio Micanzio . 9 » 9 Bonaventura Cavalieri a Galileo . 19 » 9 Fulgenzio Micanzio » . 23 9 9 Bonaventura Cavalieri > . 26 9 9 Benedetto Castelli 9 . 30 9 9 Francesco Dnodo » . 9 9 9 Francesco Stelluti » . fi Beltcìnbro 9 Alessandro Marsili » . 10 9 9 Galileo a Fulgenzio Micanzio . 12 9 » Ascanio Piccolomini a Galileo . 13 9 II» Petronilla Bartolini » . 18 » 9 Francesco Conti » . 20 9 » Fulgenzio Micanzio * . > 9 9 Gherardo Saracini x> . . » x> » Alessandro Ninci » . 22 9 9 Ugo Grozio » . 20 9 9 Elia Diodati > . 23 9 9 Elia Diodati a Martino Ortensio . lino di Bclt. 9 » a Lorenzo Realio . 9 » Galileo a Giovanni Taddei . 24 settembre » Andrea Arrighetti a Gulileo . » 9 J> Alessandro Ninci * . 25 9 » * » . 26 » » Alessandro Marsili * . 30 9 » Ascanio Piccolomini » . * 9 9 Gio. Michele Pierucci * . 1° ottobre 9 Francesco Duodo » . 4 » » Gio. Giacomo Porro :> . 8 . » 9 Pag. 453 » 457 458 459 4G0 461 462 » 463 468 469 472 473 474 175 476 478 479 480 > 481 482 483 484 » 485 486 487 » 488 489 491 492 493 494 » 495 496 497 » 498 8371 INDICE CRONOLOGICO. Benedetto Castelli a Galileo. 9 ottobre 1G36 549 Pag. 500 8872 Francesco di Noaillos » .. » i» p » 8878 Alessandro Marsili » . 11 » » 501 8874 Fulgenzio Micanzio » . p » » 502 8875 Cosimo del Sera » . p s> » 503 8370 Ascanio Piocolomiui » . 14 » » 504 8877 *• p . 17 » P » 3878 Galileo a Fulgenzio Micanzio. 18 s P 505 3370 Benedetto Castelli a Galileo. » » » 507 8380 Bonaventura Cavalieri » . 21 » P 508 88S1 Alessandro Niuci » . 22 » P 509 8882 Fulgenzio Micanzio » . 25 J> » » 8888 Gai.ii.ko ad Elia Diodati. 27 » J> 510 8884 Alessandro Marsili a Galileo. » p » 511 8885 Ascanio Piccolomini » . 29 p » 512 8380 Fulgenzio Micanzio » . 1° novembre » 513 8387 Pietro de Carcavy > . 6 » 7> t> 8888 Alessandro Ninci p . 12 » » 514 8889 Giovanni di Guovara » . 15 » i> 515 3300 Pietro Gassendi * . • 18 i> P 51G 0391 Lodovico Baitolli a Fulgenzio Micanzio. » » P 517 0392 Alessandro Niuci a Galileo . 21 » P 518 8893 Fulgenzio Micanzio » . 22 » P 519 3391 Arrigo Robinson ** . j 24 » P 520 3395 Murtino Ortensio ad Elia Diodati .| p » » 521 8890 Raffaello Magiotti a Galileo . 29 » X> » 3897 Fulgenzio Micanzio ► . » » » 522 8398 Galilho ad Elia Diodati . G dicembre » 523 8399 Fulgenzio Micanzio a Galileo . » p » 525 8400 Alessandro Niuci » . 7 » 1> 526 8401 Eli» Diodati * . 8 p » p 3402 Ugo Grozio a Martino Ortensio . 12 D !> 527 8408 Alessandro Ninci a Galileo . 17 3> P 528 3404 Alessandro Marsili » . 20 » P 529 3105 G io. Battista .... » . 22 P P » 8100 Ortensia Guadagni Salviati a Galileo. 23 P P 530 8407 Alessandro Ninci a Galileo . 24 » » 531 8408 > » . 25 P » 532 8409 Roberto Giraldi » . 2G P P » 8410 Alessandro Ninci ► . 29 » P 533 8411 Galileo a Mazzeo Mazzei . 31 » P 534 3412 j> a Martino Ortensio . 1G36 » tufi INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XVI (1634-1636). Afflanti Niccolò a Gallino * » » » i» » > * p » > » » » Alamanni Raffaello » Ap rollio Paolo » > » Àrriglietti Andrea » N.° Pag. 4 gennaio 1634 2841 13 1° febbraio » 2803 31 22 » » 2S91 49 5 marzo 2900 57 29 » » 2910 69 12 aprile 5> 2923 81 1034 (?) 8049 186 3 gennaio 1635 8051 1S7 8 » 1636 8237 372 3 marzo 1635 8085 218 13 » » 8091 231 24 settembre 1630 8868 494 25 agosto 1634 2980 126 11 giugno 1636 3307 436 10 marzo 1634 2903 60 18 novembre 1636 3391 517 2 gennaio 1635 3050 187 3 » 1634 2838 11 12 aprile » 2924 82 30 dicembro » 3046 184 30 marzo 1635 3101 240 26 ottobre » 3201 328 14 giugno 1636 3310 438 18 settembre ! » 3353 484 3 novembre 1035 8205 335 23 gennaio 1634 2854 23 24 febbraio » 2898 51 16 giugno » 2956 104 4 dicembre » 8024 168 19 *> » 8033 17G 552 INDICE ALFABETICO. Berneggor » * » » » » D » » !> X> * » » » » » » J> Mattia ad Elia Dlodatl. » . .. » . r> . t< . » . » . » . » . » . » . » . » . ^ . » . a Beniamino Engelcko. ► a Cristoforo Foratner.. a Giovanni Freinshelm » » > » » » .... a Giacomo Gottfried. a Melchiorre Hurter. a Gio. Michele Lìngelsliehn ail Àbramo Mnrconnet .. a Gio. Martino Rauscher a Niccolò Klttershans a Guglielmo Schlckliardt a Giovanni Stclnberger. Bocchineri Alessandro a Galileo. N.* Pag. 12 febbraio 1635 «078 211 15 * » «080 213 14 marzo » 8092 233 16 aprilo » 3114 258 4 maggio » 3118 263 12 » » 8121 265 2 giugno * 8131 271 18 » » 3140 280 29 » » 3148 287 31 agosto > 3173 306 28 dicembre » 8280 366 20 gennaio 1636 8247 379 1° febbraio » 8257 389 14 aprilo » 8285 415 22 giugno » 8316 444 24 gennaio 1634 2856 25 29 maggio » 2948 99 17 gennaio 1635 8061 197 20 dicembre 1634 8084 177 19 marzo 1635 3097 238 5 maggio » 8120 264 8 luglio 8155 292 19 gennaio » 8062 197 25 luglio 1636 8825 454 16 febbraio 1634 2881 44 20 luglio » 2967 112 23 dicembre * 8041 182 12 gennaio 1635 3059 196 5 febbraio » 3070 203 21 marzo 1636 8275 409 10 settembre 1634 2987 131 13 » 1635 3177 308 21 novembre » 3214 348 18 dicembre » 8225 361 30 maggio 1636 3804 434 8 febbraio 1635 8078 207 16 luglio » 3157 293 25 febbraio 1634 2895 54 24 marzo » 2909 69 9 giugno » 2952 101 7 luglio » 2962 10S 16 ottobre » 2997 143 16 novembre * 8015 160 25 marzo 1635 8099 240 27 luglio 1636 3329 457 16 febbraio 1634 2880 43 INDICE ALFABETICO. 553 Bocchiuerl Ceri ad Alessandro Bocclilnerl. 10 maggio > a Galileo. 2 febbraio » * . 9 » j> » . 16 » t> » . 7 aprilo t> t> t> 26 » » » » . 28 » » y> » 9 maggio » » » 14 » » » t 18 i> i> » » 24 giugno » j> » . 14 novembre » » a Gio. Battista Yernaccl. 18 febbraio *> Borghi Pier Ilaltiata a Galileo. HO dicembre » » j> 6 gennaio 1635 » » . 20 » » » > 9 febbraio t> » i> 23 » » p » 16 giugno y> » » 23 gennaio 1636 » » 15 marzo » Bulichimi Gio. Giacomo a Galileo. 18 » 1634 > » 10 ottobre 1635 Brunito Giovanni a Serafino Guidoni. 11 gennaio 1636 Buonnmioi Giovanfrancesco a Galileo. 11 febbraio 1634 » » . 13 agosto 1636 Campanella Tommaso a Niccolò Fflbrl di Poireso. 15 aprile > » . 3 maggio » • • » . 2 luglio Carcavy (de) Pietro a Galileo. 28 gennaio t, » 3 aprilo » i> 6 luglio » » 21 ottobre „ » 15 api-ile » » 6 novembre Casati Gio. Paolo a Gianuantonio Bocca. 13 febbraio Castelli Benodotto a Gulilco. 28 gennaio j, » . 8 aprile 7 maggio » 12 agosto » 1° novembro » 25 » » XVI. 70 654 INDICE ALFABETICO. Cintoli! Beneciotto a Galileo » » » a Fu un inno Micheli ni Cavalieri Bonaventura a Galileo » » » > » > » » » » » * » » » » j> » » » » » » » » » » > » » » » » N.* Png. 2 dicembre 1684 8021 166 1) i> 3027 171 23 » 3088 179 2 giugno 1635 8130 270 9 » » 8134 273 16 * p 8188 277 23 » p 8148 282 7 luglio p 3154 290 18 agosto p 3169 303 17 ottobre » 8195 322 10 novembre » 8208 339 30 » » 8216 351 22 dicembre > 3227 363 19 aprile nini; 8288 417 fi maggio 9 3290 426 10 * p 8299 429 12 luglio » 3321 419 2fi ^ > 3827 456 9 agosto i> 8838 461 30 » p 8347 480 9 ottobre » 3371 5O0 18 » > 8379 507 10 febbraio 1635 3077 210 10 gennaio 1631 2848 15 14 febbraio p 2879 42 11 aprilo p 2920 78 16 giugno » 2955 108 22 luglio » 2968 118 12 settembre > 2088 132 2 ottobre » 2992 130 19 dicembre » 3032 175 0 fobbraio 1635 8071 204 12 marzo » 8089 230 19 giugno » 8142 281 24 ► 9 3144 283 18 settembre 9 8188 314 23 ottobre » 3200 327 24 dicembre » 8229 365 12 febbraio 1636 8268 395 11 marzo p 8270 401 8 aprile p 8281 412 6 maggio p 8297 427 27 i* p 8308 433 19 agosto » 8844 476 26 » 8840 479 21 ottobre » 3880 508 INDICE ALFABETICO. Egidil Clemente ad Antonio Barberini .. Engelcko Beniamino a Mattia llernegger 4 gennaio 1635 11 novembre » 30 dicembre » 16 settembre 1634 16 giugno 1635 21 luglio » 2 maggio 1636 13 febbraio 1634 24 » » 24 gennaio » 12 febbraio » 23 dicembre » 20 novembre 1635 20 settembre 1636 1° agosto j> febbraio 1634 aprilo » 15 maggio i> 14 agosto t> marzo 1636 G gennaio 1635 16 maggio 1634 15 novembre » 13 febbraio 1635 12 marzo » 10 aprile j> 17 luglio » 25 settembre » 15 luglio 1636 23 settembre » 8 dicembre » IO novembre 1634 (ine sett. 1636 10 novembre 1634 3 agosto 1635 fine seti. 1636 25 giugno 1634 29 dicembre » 17 maggio 1635 8 aprile 1634 30 agosto 1636 4 ottobre » 1° aprile 1634 1° maggio » N.* 8068 8210 8282 2980 8189 8159 8298 2877 2892 2856 2876 808 » 8218 8354 8881 2898 2981 2941 2978 8278 3058 2942 3013 3079 8090 3110 8158 8185 3328 8359 3401 3009 3860 3010 8168 3861 2059 3046 8122 2918 8848 8369 2912 2982 555 Pag. 191 345 368 133 278 294 423 40 61 24 39 180 347 485 459 56 88 90 124 410 194 96 158 213 231 255 293 316 452 489 526 153 491 154 297 492 106 184 266 77 480 498 71 89 556 INDICE ALFABETICO. Engelcke Beniamino a Galileo. » » Galilei Alberto Cesare a Galileo Galilei Benedetto » » » » » Galilei Roberto » » » » > » > » » » *• » » » * » » » * » » » » » » . » «> . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . Galilei Vincenzio » . Galileo a Giovanni (li Beau grand » a Mattia Bernegger. » » . » a Gerì Bocchineri. » » ... » a Giovunfraucesco Buonainici » » » ai Cardinali della Congregazione del 8. Uffizio. » ad Elia IMoiluti. i> » . » » . » » . » » . » » . » » ... » » .. ir.* Png. 19 marzo 1631 2908 68 30 > » 2911 70 1° agosto 1636 8881 459 4 febbraio 1634 2866 33 18 novembre » 8016 161 2 dicembre » 3022 167 22 gennaio » 2852 21 4 aprilo » 2914 72 16 ottobre » 2996 141 30 » » 3001 146 27 novembre » 8020 165 11 dicembre » 8080 174 24 » » 8042 182 7 febbraio 1635 8072 206 19 marzo » 8096 237 2 aprile » 3105 248 16 » » 3113 257 28 maggio » 3128 269 25 giugno » 3145 284 10 luglio V 8150 292 33 » » 8161 296 6 agosto » 3161 298 3 settembre » 3174 307 17 » » 3 ISO 311 15 ottobre » 8198 321 29 » » 3202 329 12 novembre 3211 345 21 gennaio 1636 3248 379 30 aprilo » 3292 422 11 novembre 1635 8209 340 16 luglio 1684 2906 111 15 » 1636 3322 450 27 aprile 1634 2927 84 18 maggio » 2945 98 14 febbraio » 2878 41 16 agosto 1636 3342 474 febbraio 1634 2883 45 7 marzo » 2901 58 25 luglio » 2970 115 21 dicembre 1 » 8086 177 15 marzo 1635 3093 234 9 giugno ► 3188 272 22 settembre » 8184 315 18 dicembre » 8224 361 14 giugno 1636 3309 438 INDICE ALFABETICO. 557 Galileo ad Elia Biadati a trio. Camillo Gloriosi. ad Ugo Gro/.Io. a Benedetto Gnerriui (?) a Mazzoo Mozzo!. » . * . a Fulgenzio Micauzio. .. » a Martino Ortensio. u (rio. Battista Pundolliul a Niccolò Fuòri di Peiresc a Ladislao IV, Ite di Polonia... a Lorenzo Renlio. a Giovanni del Ricco. agli Stati Generali delle Provincie Unito dei Paesi Bassi. agli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi. a Giovanni Taddoi. v ud Antonio de Villo. » a. . Uassondi Pietro a Galileo. > » . » a Niccolò Fabri di Peiresc. Gentileschi Artemisia a Galileo. Gimidi Roberto » . Gloriosi Gio. Camillo » . Guadi Gio. Battista ad Andrea Gioii. a Persio Falconcini 15 agosto 1636 27 ottobre » 6 dicembre if 30 ottobre 1035 15 agosto 1636 4 marzo » 29 dicembre 1634 19 » 1635 31 * 1636 19 novembre 1634 1° dicembre 1635 9 febbraio 1636 15 marzo » 12 aprile » 21 giugno » 28 » » 12 luglio » 20 » » 16 agosto » 12 settembre » 18 ottobre » 1G3G 17 giugno 1636 21 febbraio 1635 16 marzo » luglio-agosto 1636 15 agosto » 29 gennaio » 15 agosto » » » 3 novembre 1634 24 settembre 1636 marzo 1635 2 febbraio 1636 19 gennaio 1634 18 novembre 1636 20 ottobre 1635 9 » » 26 dicembre 1036 27 novembre 1635 12 maggio 1634 6 giugno » 7 luglio » 5 gennaio 1635 IN DICK ÀLFÀHF.TICO. 558 Ororio Ugo a . » u Martino Ortensio .... u Uio. Oberardo VohhIo. Ouoarn (di) Giovanni a Unllleo. » e Ouldoni Serafino *• Ijtcoii Fortunio a Onllloo Liugelsheliu (rio. Michel» a Mattia Herneggor »■ » b ► ► l.nnardi Iacopo Antonio a («alileo .... Mngiotti Itail'aullo u Galileo a Fiumano Mlohelinl Mannuecl Filippo » Galileo. Mai nili .Hennaudrò >* .... Marrei Maa/.eo * . .. .. Muratane Marmo a Niccolò Fabrl di t'eireac » » N.« Pag. 20 penembre 1630 8858 •188 12 dicembre » 8402 527 12 andato 1634 2977 124 17 maggio 1635 8128 266 6 loglio > 3168 290 2 agosto » 8162 297 9 * > 8166 300 10 gennaio 1636 8288 373 20 * » 8246 378 15 novembre » 8889 515 12 gennaio » 8240 374 21 nmr/.o 1636 8274 408 18 aprile » 8287 417 6 giugno » 8805 434 19 febbraio 1684 288* 47 28 » ► 2897 55 20 giugno > 2957 105 8 agoato p 2978 121 4 aprilo 1635 8108 254 » » 1686 8279 410 10 * • 8282 413 9 febbraio 1634 2872 37 11 febbraio 1634 2878 37 18 marno * 2906 65 5 novembre » 8008 152 2 dicembre » 8028 167 6 gennaio 1635 8056 192 18 ottobro > 8196 323 6 gennaio 1636 8283 «68 26 » » 8251 384 3 inaggio > 8291 424 25 > > 8802 432 29 novembro % 8896 521 25 gennaio » 8250 ì 15 Kottembro 1085 3178 809 8 gennaio 1634 2889 12 28 febbraio » 2896 55 K> h ut!ombre 1686 8860 482 30 » j 3306 496 11 ottobro » 8878 501 27 * » 8884 511 20 dicembre k 8404 629 12 aprilo > 8284 414 2 luglio 1634 2960 107 28 » » 2971 119 INDICE ALFABETICO. 559 Hforflenne Marino u Niccolò Fnbrl di Petrose * * > » j> s> » » » » » » ,H inni Do Fulgenzio a <« ni II oo ... >■ » . » » » 5> » » » » ... . » » ► » » » » » . » * » * » t> , . . » » » »... i> » ... » »... » »... » » I> »... » »... » »... » » > » » »... » » . . . » » ... » » » » » » .. . » * » » ... » » .. . * * » » ... > » ... » * » » ... » » .. . N." Pag. 4 dicembre 1684 8025 169 15 gennaio 1635 3000 196 25 maggio » 8124 267 1° luglio » 8149 288 17 settembre » 3182 313 12 ottobre » 8192 321 17 novembre » 3212 346 14 gennaio 1634 2846 17 28 » » 2861 30 25 febbraio » 2894 52 11 marzo t> 2908 61 18 » 7> 2907 66 29 aprile » 2929 86 18 maggio » 2939 94 3 giugno » 2950 100 8 luglio » 8908 108 15 » » 2964 109 22 » » 2969 114 5 agosto » 2972 120 12 » » 2976 123 19 » » 2979 125 26 « » 2981 127 2 settembre » 2982 128 9 » » 2980 130 23 » » 2990 134 28 » 5> 2991 135 7 ottobre » 2993 138 14 » » 2995 140 21 » 2098 143 28 » » 8000 145 4 novembre » 8006 150 11 » » 8011 154 18 » » 8017 161 9 dicembre » 8028 172 23 » » 8040 180 30 » » 8048 186 6 gennaio 1685 3057 193 20 » » 8064 198 27 » » 8066 200 3 febbraio » 8069 203 10 » » 8075 208 17 » » 8081 214 24 » » 8084 217 3 marzo » 8087 228 10 » » 8088 229 17 » » 1 3095 236 INDICE ALFABETICO. Micanzic Michel ini Miniai i Mariti i Kantiano i Dahl Antonio a rio. llattinta a (« inni IMeroni ralileo. . . Nardi Antonio a QaHleo » » 1 N, ,1 24 manto 685 809* 81 > » 8101 7 aprile 3109 14 » » 8111 & maggio » 8119 36 » > 3186 9 gitigli* • a 8116 29 • » >147 ‘22 luglio > 8164) 9 agnato » 8166 88 » » 8171 Ih eetteinbrr m 8179 2ll ottobre e 8197 1* dicembre > 88 IH ! a * a 181H 12 gennaio 1086 3811 j 26 ► • 8868 l* febbraio » 8860 N mari) • • 8869 fi aprile » 88 HO 24 maggio » 3801 7 giugno » S84>€ 13 • 880*» . I< 8811 21 3314 | llLUil?) 18 IH i b luglio 1636 8819 19 » > 8884 2». » » 188H 9 agiato a 8884 23 k 8846 30 aettefnLre k 8866 11 oltobge * 8874 . 35 * k 88H8 1* novembre S8M6 . 22 • k 8898 . 2;» * » 8897 . 1» tjirrmlifi' k 8399 H apri le 1634 8917 12 ottobre » 1994 2» gennaio 1686 8868 l.'i novembre 1634 8014 . , 4 aprile 1636 8107 4 maggio 1634 2984 1 2 novembre 1686 884)4 INDICE ALFABETICO. 561 Nardi Baldassarre a Galileo. Niccollui Frunceaoo » Niccolini Riccardi Caterina u Guliico NIncI Alessandro Niuci Giulio Noulllcs (di) Francesco . 23 gennaio 1634 . 14 » j> . 18 febbraio » . 22 dicembre j> . 6 gennaio 1636 . 2 agosto » dileo. 5 febbraio 1634 * 22 aprile s> *> 4 settembre » & 4 novembre i> » 10 dicembre t> > . 22 » » » 7 gennaio 1636 » 15 » » » 28 febbraio » » 3 marzo » » 22 settembre » » 25 » » > . 26 » » »> 22 ottobre » » 12 noveinbro » » 21 » j» » 7 dicembre » » 17 » » j> . 24 » x> » 25 » » » 29 » » » 11 gennaio 1634 t> . 5 febbraio » » 5 maggio » » 7 settembre » » 12 giugno 1635 t> . 13 settembre » » 10 ottobro ?> » 12 agosto 1636 » 24 ottobre 1634 »> 21 gennaio 1635 n . 15 » 1636 j> . 6 maggio » » 9 ottobre » Oddi Muzio a Picrnmtteo Giordani. 17 maggio 1634 2943 97 Ortensio Martino ad Elia Diodati. 24 novembre 1636 3895 521 Parrot Francesco a Pietro Gassendi. 26 marzo 1635 3100 240 Passione! Gio. Francesco a Galileo. 29 dicembre 1634 3044 184 XVL II 5 62 INDICE ALFABETICO. Poiresc (di) F libri Nicoolò a Franeesco Barberi ni.... » ..,. » a Mattia Bornagger. » a Gio. Giacomo Bouchard. n ad Elia Diodati. e > . » a Pietro I>upny. » » . » * . t> ► . t> a Galileo. » » . » » . » a Pietro Gtuutendl. > » . » p . » * . » * . » » . » » . •p » . Ter! Pino a Galileo. Piccolomini Aacanio a Galileo. » » . » » . » » ... » t- . »> o . » » . » J> » «> . * » . » » ...... I» i> . » » . » :> . ^ p . » » . t> » . » » . Pieralii Marcantonio » . » » . > » . Fioroni Giovanni » . » » . » » . 1 N.« Pag. 5 dicembre 11.34 8036 169 31 gennaio 1G35 8068 202 31 marzo 1630 8276 409 27 gennaio 1634 2851) 29 18 agosto 1635 8168 :$02 31 marzo 1636 8277 410 16 gennaio 2848 18 6 febbraio » 2861) 85 2 aprile ► 2918 71 29 maggio 1635 8129 270 20 gennaio 1634 2858 27 1° aprile 1685 8104 245 17 » » 8116 269 6 gennaio 1034 2842 14 18 ► » 2850 19 1° febbraio » 2864 32 19 aprile 1636 3116 262 26 maggio * 3126 268 » > p 3127 » 2 giugno * HI 82 272 18 » 8141 280 4 marzo 1034 2891) 66 3 gennaio » 2840 13 12 » » 2845 16 21 febbraio » 2890 *48 11 aprilo r> 2921 80 13 giugno i> 2958 102 2 settembre i> 2988 129 2 novembre 8003 148 28 giugno 1636 3146 285 25 agosto » 3172 806 2 ottobre > 3180 816 1G > » 3194 822 2 dicembre » 8219 366 21 giugno 1636 8815 443 13 settembre p 3852 484 30 » 3367 497 14 ottobre 9r » 8876 Mi'l 504 17 » > 3877 > 29 » * 3885 612 25 gennaio 1634 2857 26 10 febbraio 1685 8076 210 12 maggio 1686 8800 430 4 gennaio 1686 8052 188 11 agosto » 8167 300 18 » » i 3170 303 INDICE ALFABETICO. 563 Fioroni Giovanni a Galileo.. » » . > » . » » . » j> . Pleracci Gio. Michele * . Polonia (Re di) Ladislao IV a (Galileo Porro Gio. Giacomo » Patenno Ericio a Michele vuu Laugron Qnaratesl Antonio n Galileo. Raaschor Gio. Martino a Mattia Bornoggor. » » Kenleri Vincenzo a Galileo.. Renyer Gillio a Gerì Bocchineri. » » . Ricco (del) Giovanni ad Andrea Gioii. * u Galileo. » » . » » .. Robinson Arrigo i> . Salviatl Guadagni Ortensia a Galileo. Santini Antonio a Galileo. Saraclni Gherardo * . > » . Scalandroni Benedetto a Galileo. » » . * » . Scalandroni Sebastiano » Schickhardt Guglielmo a Mattia Berncggor » » » » t> » Schoror Emanuelo a Galileo. » » . Sena (La) Pietro s> . Sera (del) Cosimo » . Holdani Iacopo » . Sozzi Andrea » . Stellati Francesco » . » » . N. # Pag. 15 dicembre 1635 8223 358 29 » » 8281 867 9 febbraio 1636 8201 393 1° marzo » 8206 397 19 aprile . r> 8289 419 1° ottobre y* 3868 497 19 aprile » 8290 420 8 ottobro T' 3370 498 9 agosto 1634 2974 121 11 aprilo 1634 2922 81 4 settembre 1635 3175 308 6 dicembre » 3222 358 8 febbraio 1634 2870 35 3 maggio t> 2988 90 » 5> 2949 100 febbraio 1636 8250 388 29 gennaio *> 3255 387 14 marzo s» 8271 404 24 aprile- » 8291 421 24 uovombro » 8894 520 23 dicembre 1636 3400 530 16 gennaio i» 8245 377 3 maggio » 8295 426 20 settembre » 8850 487 17 » 1635 8181 312 6 ottobre » 8187 3J7 7 novembre » 3207 338 18 gennaio 1634 2849 19 13 marzo » 2904 62 10 aprile i> 2919 77 13 giugno » 2954 103 18 dicembre » 8081 175 12 gennaio 1636 8242 376 9 febbraio » 8202 394 8 ottobre 1635 8188 317 11 » 1636 8375 503 7 gennaio » 8236 371 3 dicembre 1635 3220 357 > novembre » 8200 337 6 settembre 1036 8349 481 12 febbraio 1634 I 2870 Todaldi Maria a Galileo 40 564 INDICE ALFABETICO. Yannuccini Giovanni a Galileo. » * . > • . Vernatici Gio. Battista a Gerì Boccbinori . Villo (de) Antonio a Galileo. Tosalo Gio. Gherardo ad Ugo Grazio. » * . » » . .Gio. Battista a Galileo. .ai Cardinali dolla Congregazione del 8. Uffizio. | N.' Pag. 18 febbraio 1634 2886 46 15 luglio » 2065 110 2 novembre » 8004 148 18 febbraio » 2887 47 3 marzo 1635 8080 221 28 maggio 1634 2047 99 1° luglio 1635 8150 288 5 dicembre » 8221 358 22 dicembre 1636 8405 620 genuaio 1634 2862 30 INDICE DEL VOLUME DECIMOSESTO. Carteggio. — 1634-1636 . ..Pag. 9 Indico cronologico delle lettere contenute nel Voi. XVI (1634-1636). 537 Indice alfabetico delle lettere contenute nel Voi. XVI (1634-1636). 551 iW* V/t, ' I ' I tori l yfrt il LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XVII FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1937 -XV LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XVII. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE BOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. IL RE D’ITALIA K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XVII. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 19 37 - XV. Edizioni di seicento esemplari. Esemplari N°469 FIRENZE, 223-1D3C-37. — Tipogrjifin Barbèra - AUTAKI it VENTURI proprietari. Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PllDHLKJA. Direttore: ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERRUTI — G. GOVI — G. V. SCIIIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale È POSTA SOTTO GLI AU3PICII DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ABETTI. Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo : PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1037 - 1038 . 3413 *. GALILEO ad ALESSANDRO MARSILI in Siena. Arcetri, 10 gennaio 1037. Blbl. Naz. Fir. Coll. Magi. Cl. Vili, 7, 882 (Lotterò di Uberto Benvoglionti ad Antonfrancesco Marmi), car. 182. — In una lottorn autografa di Ubruto Bknyoulibkti ad Antoxfkanoeboo Marmi, da Sionn, 10 marzo 1717, si logge: « III.» Sig. r ®, Sig. r Pd.® Col."'® R un so che tempo che V. S. III. 1 " 1 mi scrisse cho costà si stampavano Puparo del Galileo, o elio avo- rohbono dosidorato saporo so qua vi fusso dol medosimo qualcho cosa. A questi giorni, andando nella libreria di casa Mnrsili, mi mostrarono tre o quattro lettoro do! Galiloo scritto ad uno di casa loro, elio fu lettore a Pisa. Quosto lotterò, fuori d’una, non contengono cho coso familiari, la lettura dello quali nulla importa a’lottorati; ma in una v’ ò della curiosità. Questa ò scritta da una sua villa, i 10 di Gonnaio 1636 G). Un quello cho quivi si leggo, si riconosco elio in quosto tempo la dottrina dol Galiloo ora attaccata ed era sub indice ; fra l’altro coso quivi si leggo: Io 80110 intorno alla terza parte delle mie speculazioni intorno al moto, che ò quella de’ proietti. Quost’uomo si lamenta di dover ossor giudicato da chi, dico ogli, ò ignudissimo di queste cognizioni. li più sotto, parlando allegoricamente, soggiungo: che forse il fortunale che occupa buona parte dell’Europa non croscia per tutto egualmente, nò sempre durano i cattivi influssi. Questa lottora forai sarebbe degna di vedersi alla luce, ma non mi penso cho se n'otterrà mai li¬ cenza; ma quaudo piacesse o non vi fusso intoppi, io vedrei d'averla o mandarla, altrimenti io non ne farò passo alcuno ». ‘ l > Di stilo florontiuo. 12 20 — 21 GENNAIO 1037. [3414 3415 ] 8414 *. MATTIA BERNEGGER a GIOVANNI STEIN»ERGER [in Vienna! (Strnabiirgo), 20 gennaio 1037. Cibi. Civica di Amburgo. Codico citato i.l n. 2G13, car. 10Ir. — Minuta autofi Afa. .... Cum ex littoria ad me tuia, 8 Martii 1630 «cripti», «ininmdverterem t« niltil areepinae. non modo librum illuni anto semestre denuo misi,... seti ot munus addali Syatenm (ìa- lilaei Copernicannm ox italica lingua in latitimi) a ino tranciatimi... Den to mittain, utprinram non redditoa (hoo enim euspicor) ox to cognovero.... 10 Ianuar.W 1637. 3415. DINO PERI a [GALILEO in Aroetn). Pisa, 21 geunaio 1637. Eibl. Naz. Plr. Mss. Gal., I’. VI, T. XII, cor. 207 208. — Autigrafn Molto III.” ot Ecc.™ Sig. r o P.ron mio Col. mo Mercoledì mattina passata parti ox abrupto il G. Duca per Livorno, o benché ini giugnessi tardissimo l’avviso di tal partenza, proemimi non di meno di parlare a S. Altezza avanti il suo partirò, dubitando che l'indugio non progiudicassi, massime intorno a quello sfere da desiderarsi. Gli parlai dunque */, d’ bora innanzi, e sentì Runa o l’altra nuova o dolio sforo o dello lenti; ina delle lenti n’havoa già, Lauto sentore. Mi risposo che liavrebbe scritto all' Imbasciatoro per l’un conto o l’altro; ma conobbi elio quanto allo sfere non sciiti molta titil¬ lazione, ancorché io ritoccassi qualche punto per risvegliarla. La sera poi mi fu impossibile affatto lo scrivere per una strana congiuntura improvisa, che lungo io sarebbe a ridire. Sì che vengo stasera a darlo la risposta, ma in gran penuria di tempo, por essermi raggirato o trattenuto assaissimo per parlar coni moda- mente dol suo negotio all’ 111.™ 0 Sig. r Auditore Stacco» (3) , il quale tornò col G. Duca hiersora di Livorno, sì che, bench’ io havessi duo giorni sono la seconda lotterà <“ Cfr. n.o 3320. <*> Di stile giuliano. —In pari data il Ukrxeogkh inviava la sna traduzione dol Dialogo dei Mattimi Sistemi * Ioan. Valentino Androne, Calwam », o duo giorni dopo « loanni llonisio modico, Angustam », o a « loan. blrieiis Oostorreichorus », conio abbiamo dallo minuto dol suo carteggio (car. 103(. o 105t.); o da annotazioni intercalate allo minuto «tesso ri¬ sulta puro, nverno ogli mandati esemplari . I). y Kob. 1637, an Horrn Kranciscum l’aa«arant gnn Basel » (car. 203r.j, e « Don 16 Martii 1637, Horrn Ioachimo a Wlckfort nncb Amsterdam » (car. 210r.). ,:|1 Raffaem.0 Stacooli. 21 — 22 GENNAIO 1G37. 13 [ 3415 - 3416 ] di V. S., ho Lauto il tempo abbreviato. Sua Aitozza partì stamattina a buonissima bora alla caccia, et è stato fuora tutto il giorno, sì elio quando io havessi volsuto trattar l’interesso del Re di Fellonia, non Laverei potuto. Ma nel legger il resto dolla lettera di V. S., contenente l’interesse (1) di loi medesima, risolvetti subito di abbracciar prima il negotio suo, parendomi che comportassi minor dilazione, L’o c di vedere contro di lei il pericolo solito di qualche impertinenza. La sua lettera mi pare che rappresenti al vivo l’abbondanza dello suo ra¬ gioni : però mi elessi di leggerla primieramente a chi più mi pareva clic impor¬ tassi, cioè al Sig. r0 Auditore, ma bene in qualche congiuntura tanto quieta, che potesse imbeverla bene o ricever tutti i colpi. Mi è finalmente riuscito assai bone; ma ho saputo in ultimo che la sentenza non la darà Sua Sig. ria Hl. ,im , ma elio il negotio fu rimesso e mandato costà alla Ruota, quattro o cinque giorni sono. L’informationo fatta qui non può so non giovare; ma costà penso adesso che bisogni l’occhio aperto, so già questa revisiono non fusse venuta a fermarsi dove ella vorrebbe, cosa che per bora stimo al contrario. Io compatisco in co estremo V. S. o no ho travaglio; ma sono hora mai avvezzo in pazienza alla stranezza del suo destino. L’altro negotio del Re di Fellonia vedrò di trattarlo quanto prima, c no darò subito avviso a V. S., o insieme lo manderò una lettera por il Rov. m ° F. F. Ful- gcntio, già cho stasera non ho dramma di tempo. Tronco i ringratiamenti ch’io devo alla benignità di V. S., che sompro mi va accumulando di favori o di gratio singolari. Lo sue amorevolissime lettere o dimostrationi mi confondono: accetti per bora la mia infinita gratitudine nel silenlio. Scriverò in oltro por l’altra occasione qualcho avviso dello cigno ctc. c di altro, come olla mi comanda. Fo liumilissima reverenza a V. S., o con devotissimo •io allotto lo bacio lo mani. Fisa, 21 Gon. 1636 <*’. Li V. S. molto IU. re et Ecc. raa Lovotiss. 0 ot Oblig. mo S. 10 Lino Feri. 3416 **. ASCANIO PICCOLOMIN1 a- Siena, 22 gennaio 1037. Elbl. Nnz. Fir. Mss. fini., P. VI, T. X.1V, car. 74. — Copia di mano del secolo XVIII. 111.'"° Sig. r mio Osa.'" 0 Scarsamente posso sodisfare al desiderio o comandamento di V. S. in materia di quei frammenti de’ Dialogi elei Sig. r Galileo, perchè, se bene è vero eh’ egli la maggior parte <‘> Cfr. il.» 3410, Un. 17. <*> Di stilo fiorentino. 14 22 — 23 GENNAIO 1G37. [3416-3417] li distendesse qui in casa tuia, sopra do’particolari elio V. S. accenna non ne lasciò nò a me nè ad altri copia nessuna. Posso ben brevemente raccontarle quel elio succedette e si discorse del fondere delle campane, e per conseguenza dell’esperienza del mercurio. Dovevasi rigettare la campana grossa di questa Torre ; e fattane la forma, mentre vi si foce correre il metallo strutto, non venne a bene, essendosi tutto sparso sott’il fondo della forma. Se no speculò la cagiono, ed il Sig. r * Galileo resolutaniento disse elio non poteva esser stato altro che il peso del metallo, che si fosse levato la detta forma in io capo. Por ciò dimostrare con l’esperienza, fece veniro in casa una forma di legno da cap¬ pello, e votatala a torno, la riempì tutta di migliarole: prese poi un orinale di vetro, che la coprisse, lasciando tra il vetro e legno una distanza della grossezza d'una piastra; e ciò fatto, per un buco che lmvova per di sopra il vetro, cominciò ad infondervi dell’ar¬ gento vivo, o disse che tantosto elio l’argento vivo si fosso alzato fino all’altezza da lui dimostrata nelle Galleggianti, che senz’altro con sì poco peso si Barebbe levato in capo la forma con le migliarole, che venti volte più pesavano dell’argento vivo: o l'elTotto riu¬ scì giusto a capello; onde concluso cho por assicurar la fusione della campana era ne¬ cessario di ben legare e fermar la forma con il terreno sopra la terra dove posava : o così la seconda volta il getto venne benissimo. ao Più di questo poco non è da sporarsi da questo parti, perchè niun nitro frequentava la convorsnzione più che il Sig. r Dottor Marsilii appresso del qualo io so di certo non ritrovarsi cosa nessuna. E sommamente rallegrandomi di vedere il suo ingegno rivolto a simili virtuosi impieghi, bacio a V. S. senza più dovotiasimamento lo mani. Di Siena, 22 Gemi. 0 1G57 (sic). Di V. S. 111.®* Dov. mo e Vero Serv." Arciv . 0 di Siena. 3417 **. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Arcetri. Venezia, i23 gennaio 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.<> 35. — Autografa. Molto Ill. re ot Ecc . ra0 S. r Sa V. S. come l’Ecc . ,n0 Aquapendento (2 ’ era affottionato alla nostra Casa, ondo al S. r Cav. r mio zio (3} diede il vero secroto dello sue pilollo 14 ’, che per¬ ciò ogn’ anno ne facciamo fabricaro in casa con l’aloe lavato in sugo di roso. Ho consegno per un scatolàio de tro onzo al S. r Patavino ,5 ’, nostro Socretario, acciò ce lo faccia haver sicuro senza bagnarsi ; che secondo il suo bisogno O» Al.RSSANDRO Maksii.i. •*i Giroi.amo Faiirizio D’ACQUAI’KNDKSTB. * 3 > Piktro Diodo. Cfr. Voi. XIX. Doc. XIII, «), lin. 86-48. <*> Gio. Battista I’adavix. no 23 — 24 GENNAIO 1037. 15 [8417-3418] farò capitare a V. S. Ecc. mn do fresco in fresco, come mi ordenerà, elio di ciò la prego con affetto ; oliò mentre si vaierà di me, conoscerò la memoria che conserva della nostra Casa. Attenderò suo aviso do quando in quando no dovere io far capitare, oliò resterà servita et do roba al aecuro buona. Et a V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma mi raccomando, augurandole sanità. Da qui faciamo che ogni onza faccia 18 piroio. Di Venotia, li 23 Gonaro 1037. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma A£f. l ° Sor. Francesco Duudo. Fuori : Al [....] S. r L’Eoe." 10 S/ Galileo Galiloi Do/ Per Arcotri. . Fiorenza. [... scjatolino. 3418 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 24 gennaio 1037. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, B. b LXXX, u.° 185. — Autografa. Molt’ 111/ 0 et Ecc. mo Sig/, Sig/ Col." 10 Lo lettere di V. S. molto 111/ 0 et Ecc/ na in risposta della ricevuta delle azzo, con il ringratiamonto al Sig. Baitollo, mi capitarono ; et sono certo ca¬ pitato lo suo anco al sudetto Signore. Non mi ricordo veramente so doppo lo scrivessi; credo però di sì, et mi paro anco con qualche sdegno contro quelli che mai cessano di molestarla* 11 . Poco però importa, perchè so le lettere le capi¬ tassero in mano, sentirebbono le ponturo non solo mie, ma do tutti li galanthuo- mini, contro la loro malignità. Non ho inteso mai quello che V Elzivir faccia della stampa de’ Dialoghi. Sono io stato in casa 24 giorni por il mal tempo o per un raffredamento, che, facen¬ domi sordo, mi rendeva odiabile a trattare. Questo è un accidente elio l’età mi porta quest’ anno, che ogni volta cho mi rafreddo, e vi sono sogetto sopramodo, mi dà noli’ orecchio con sordità o intonamento continuo. Ne sono però rissoluto mediocremente. Il tempo cho m’avanza da’ nogotii, o la notte in particolare, se non dormo, lo passo in riandare le coso do’suoi Dialoghi: l’immensità o l’infinito in par¬ ticolare mi rapisse soavemente alla considerationo della grandezza del Creatore, Ofr u.« 3309. « 16 24 GENNÀIO 1637. [3418-84191 o se lioiio a quella l’intensità dell’universo ò nulla, non potrei però esprimer il gusto olio mi dà questo chimerizar. Certo io ho ricevuto da ciò più aiuto a solle¬ varmi al meditare quella grandezza, che da quanto ho letto in thoologhi. 20 V. S. mi conservi il suo amoro, o le bacio lo mani. Il dauzuiuo è per ri¬ sposta dello suo di 17. Yen.*, li 24 Gon.° 1637. Di V. S. molto Ill. r " et Eco."* Dov.*'* Sor. S. r Galileo. F. F. 8419 . [DINO PERI a GALILEO in Aratri]. [Pisa, tra il 22 od il 24 gennaio 1G37J. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XII, car. 200-210. — Autografa. Molto DI. 1 ® et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col.® 0 Di nuova lotterà mi favorisce V. S. molto 111." et Eoe.®* questa settimana, nella quale sento particolarmente con gusto che (pielle sfere Copernicano sieno per venire a Firenze por mezo del Sig. r Usimbardi U) , già che ila S. Alt." non no speravo molto l’effetto, sì come maggiormente me ne sono accertato adesso ch’io gli ho fatto destramente sentirò gran parte di quest’ultima lettera di V. S., e intorno all’avviso dello sfere 1 * 1 non ha mosso parola. Dell'occhiale di V. S. tornò a interrogarmi dolla bontà: io dissi che ora di suprema eccellenza; et egli, come altre volto, a replicarmi clic no ha fatti de’ meglio, e che di presente ne ha cin¬ que, un più perfetto dell’altro. Con tutto ciò non prese il partito di renunziarc io quel di V. S. al Ro di Pollonia, ma disse che harebbe mandato a lei una lento o una luce per lunghezza di tre braccia, ma non dello migliori, tanto più elio l’evento dell’altre le mostrava pericoloso: e poi le migliori dice assuverantisai- mamente che non le vuol concedere a nessuno, le stima assaissimo, le vuol per sò : questa coppia la mandassi V. S., cliè non sarebbe entrato egli a mandar al Ro di Pollonia duo vetri. Lessi prima a S. A. il principio della seconda lettera di V. S., non toccando il negotio della incudine' 8 ', non mi parendo più niente pro¬ fittevole. Lessi poi, corno ho detto, gran parte della terza, dove, al pensiero del Re per impetrare la liborationo di V. J3. otc., non mosse parola. L’uso delle cigno, intorno al quale olla mi domandò qualche avviso, mi dice so il Sig. r Lori 14 ’ elio per liora non si esercita; innanzi alla partita delle galere ci fu un giorno solo, o due al più, di scuola, doppo l’ordine di S. Alt"; e doppo il ritorno delle galere è stata fin qui chiusa sempre la scuola per mancanza ili (•' IjOUENZO Usimiubdi. <»* Cfr. n.® 8292. 24 GKNNAIO 1637. 17 [34191 scolari, oliò tutta la ciurma era ammalata ; ma che, guarendo e ricominciandosi l’arto, si ripiglierà. - il nuovo artifitio. La gelosia elio ha V. S. del P. F. F. u> fa temere anco me: pure voglio sem¬ pre sperar bene, e il silentio di 4 settimane si può attribuire a molte non cat¬ tivo cagioni. Invio a lei la lettera, perch’ella mi favorisca d’inviarla sicuramente, sì come olla mi si offerse; e di nuovo io rondo gratie infinite della partecipa¬ no tione favorevole da V. S. incamminatami appresso un tanto suggetto. Ho contento grandissimo noi sentire che la sua nuova dottrina dello resi- tonze o del moto sia già sotto la stampa o elio l’Elzeviro faccia instanza dol resto dol moto, o che però V. 8. vadia lavorando intorno a’ proiotti. Vorroi es¬ sere intanto quanto prima a goderne, et essere il primo a nutrir Tannila dello sue nuove e sempre maraviglioso dottrine; ma non veggo modo di partirmi di qua per più mesi senza mio storpio notabile e senza scandalo mentre ei ò la Corte: però mi è forza il digiunare in pazienza. Di questo Studio non ci è nuova di consideratione. Gli scolari son pochis¬ simi; filosofi non no è comparsi: ci son bono lettori frati minierò 14, elio fa •io riderò o scandalizaro ognuno. Io poi alla loziono di cattedra ho liauto buona udienza, ma un continuo flusso o roflusso d’ogni genero di persone. Alla letione di casa ho sompro tutti gli scolari eh’ io ci liavevo da principio. Di dieci soglion ridursi a uno, io ci ho intera la decina; ho liauto ventura, credo io, di dare in ingegni assai ragionevoli. Ce ne ho tre do’ migliori, uno gentil’ Intorno di Rimini de’ Guidoni, uno do’ Buonaiuti (2) Fiorentino, o quel gentil’ huomo Lucchese, Sig. r Tommaso Balbani, del quale ha già. Inulto qualche avviso. Di lui veramente conosco una dispositene et attitudine grande, ma si trova contro la volontà, di suo padre con altrettanta premura di quel che si liavesso il mio di farmi studiar leggo. Questa gli progiudica in maniera, che sentendolo suo padre deviato per l’indi¬ co natione vorso la mia scuola, l’ha richiamato a Lucca in tutte lo vacanze; e du¬ bita adesso il figliuolo del ritorno, o d’havcr a star qua anno por anno tanto poco tompo quanto basti per liaver lo fede del corso scolaresco e dottorarsi. Dico bene questo giovanetto con tutto lo spirito e quasi piagnendo : E se io non ho a studiar le matematiche, mio padre non mi liavrà, nè matematico nò legista, perchè io mi morrò di dolore. Questo e tutti gli altri riveriscono infini¬ tamente il nomo di V. S., ammiratissimo da tutti gli huomini d’intelletto. 11 Sig. r Pieralli (3) saluta reverentemonte V. S., ma séguita nel medesimo stato di cattiva sanità,, so non con peggioro. Ila una continua tossonaccia, c spesso spesso sputi di sangue, in copia alle volto di un’ oncia o più ; sichè, sobene i co medici stimano por cosa certa che venga dalla testa li> .... I») Padro Fra Fiii.oknzio Micmnzio. <*» Con quosto parole toriniua il primo foglio <*> Niccoi.ò Buonaiuti. dolla lotterà, o manca il resto. < 8 ' Maiicantonio Piruai.i.i. XV1L 8 18 24 - 2G GENNAIO 1637. [ 3420-34211 3420 *. MATTIA BERNEGGER a ELIA DIODATI in Paridi. [Strasburgo], ‘24 gennaio 1687. Blbl. Civica di Amburgo. Codice citato noli» informarono premetta ni u.* '2018, ear. ìyfli. — Minuta autografa. Aelio Diodato, Luto ti ara. .... Addas etiam esemplar Fiori Freinshemianiaere ineo, quod do Apologetici Un- lilaei < a > pretio detraili poterit, redemptum in officina Liberti. .... Ad Galilaeum, ad Gassendmn, litteras meas una cum Parontatione SchiccardicaM, quam in singulas horas expecto, vel in fine nundinarura praeoentiom voi corte primo quovia tempore submittam .... 14 Ianuar.1637. Exomplaria Apologetici mundiore charta latitant alicubi in moo muweo ; n quo cum ego nunc exulera, nec meis unde eruaut significare polsini, iera» rnoraiu uun luugara, uti io spero, uaque dura couvaleacara. 3421 . MARTINO ORTENSIO a GALILEO (in Areotri]. Amsterdam, “26 gennaio 1687. Dal Tomo III, pag. 164-106, dell'odiztono citata noli’ informarono premetta al n.“ 12 1. Non credes, vir Nobilissimo atquo amicissimo, quam grata fuerit Illustrissi- mis Ordinibus uostris oblatio inventi tui circa longitudine* locorum quam por Nobilissimum Realium non ita dudum beri voluisti, quando «*t literis tuia, ornili humamtato et benevolente plenis, ad tantao rei promotionem ino excitasti. Responsum obtinuimus votis nostris undique congruum, cuius suminam iam ad Illustrerai Grotium transmisi, nec dubito quin por Dominum Deodatum eius sia factus compos ; quod tamen etiam so confirmaturum promisit modo dictus Koalius, ubi italico sermone conceptura, data occasione, denuo manu Secretarli Illusi rissi- monim Ordinimi fuorit subsignatum. Ut autem interim non ignoro* quid in cou- sessu Illustrissimorum Ordinum docretum sit, sic habo. io m LtJCii Annaki Fr.OKi Iterum liomanarum oditio <*i Cfr. n.® 3225. noyu.ftccuriuiteloÀNNEKKEiNaHKMio.ecc.Argontorati. i»i pj a tii a giuliano, in bibliopolio Eborhanli Zotzneri. Anno M.DC.XXXII. (*» Cfr n.® 8887. «*» Cfr. u« 3058. 26 GENNAIO 1637. 19 [ 8 * 21 ] Intellocta proposi turno tua, gratina non tantum egerc Nobilissimo Realio, vorum ut etiam is Dominationi vcstrao ipsorum nomine quam maxima» ageret, petierunt; facta promissione, si inventum iudicetur praxi reperiendarum longi- tudinum idoneum, non uno modo Dominationem vcstram ulteriorem ipsorum gratitudinem laborumque compensationom experturain. Hinc, ad oxamen inventi tui et totius negotii promotionom, commenclarunt nobis tribus, scilicet Nob. Realio, Ortensio, Bluuvio, ut, post quam Nobilissima Dominatio vestra omnia quae penes so habet requisita cxhibucrit, non modo ca expendamus, verum etiam ad praxim revocomus, primique viam ac modum eruditis ostondamus longitudines locorum 20 por orbom torrarum passim omondandi. Ilacc sunt quae in causa Dominationis vcstrao coram Illustrissimis Ordini- bus porogimus; quao si grata ltaboas, suporost ut necessaria media nobis pro- cures, quao ad inchoandum lioc opus scribobas penes te iam parata adesso, aut adhuc mansisse exeogitanda, qnao nos quoque admodum avide iam dudum ex- poctamus. Sed fortasso curiosa est Nob. Doni. V. sciendi, quid liac de re nos sen- tiamus, et an non aliqua dubia nobis inter quotidiano» pene sermones incidcrint. Do iis igitur aliquid dicam, quod Dominationi vestrao dabo secum expendendum. Post crebras inter nos in utramquo partem disputationcs, visum est Nob. Realio et Blauvio, inventum Dominationis V., ob summain quietem quao requi- eo ritur inter observandum, in mari non posso rovocari ad praxim. Ego vero prò Dominatione vestra contendebam sufiìcero si iam nunc in terra ad usimi revo¬ cali possit, quippe hinc insulas, portus omnes, quo ad meridianorum distantias, posso rectificari; roliqua commcndanda esso industriao liumanae, quao vel magis ardua tum invonit, tum superavit: cui meao sententiae post modum et ipsi acquio veruni. Hinc do telescopio agore coepimus, comperimusque nulla in Batavia hodie, quao tantam praecisionem polliceli queant quanta ad oas observationes requi- ritur: solent enim etiam optima discum Iovis hirsutum offerre et male tormi- natum, undo Ioviales in oius vicinia non recto conspiciuntur ; atqui novit Do- 40 mi natio vestra requiri in primis tara Iovialium quam Iovis discos bene terni inatos, ut coniunctiones et emersiones intra unum temporis muratura rito observontur. Quod et si a telescopio Dominationis vestrae liaud dubitaremus praestari, non tamcn vidimus quomodo in Holandia tam exquisita possemns nancisci, quando- quidem omnes artitices rudes experimur et dioptricao quam maxime ignaros. Itaquo rogandam censuimus Dominationem vestram, an non aliquod auxilium nostris artificibus praestare queat, ut telescopium ad maio rem perfectionem re- ducatur; quamquam ego prò mea parte numquam hic desporaverim, sed viam noverim, ad talem pcrfectionis gradimi, qui instituto inveniendarum longitudinum sulliciat, telescopium feliciter perducendi. Lett. 3421. 16. scilicet nobis Realio — 28-20. visum est nolis Realio — 158. etiam optimi disoum — 20 26 GENNAIO 1637. [3481] Circa motum Iovialium visum nobis fuit, ephemoritles requiri tam exactas, r,o ut saltom in annuin unuin phaonomena praedici queant; thcorias itoni tam firmas, ut sufììciant por omnia zodiaci loca. K«q)onsum ergo a Nobilissima Do- minationo vostra potiinus, ut quanta motuum notiti» iam pene* Dominatinncm vostram sit agnoscamus, ot simul ultoriores obBervationes iiistituamus, phaeno- mena per calculum indicata continuo cum cacio conferente* ; quem in lìnem speraraus Amplissimos Consulos Amstelodainensos obsorvatorium nubi* idonmim cum instrumontis procuraturos. Et sane non parum buie negotio Domiimtio vostra prodosse possot, si ad ipsos Anistolodamcinos Consulos seri boro t, poto re t- quo ut talom obsorvandi commoditatcrn utilii largiantur, qunndoquidcm inventio Dominationis vostrac nullis mortalium tanto crit usui ot emolumento quuin Am- no stclodamensibus. Hoc ogo Nobilissimao Dominationi vostrac latin* perpondendum rolinquo. Quod si non conseat Dominatio vostra id sibi foro commoduni, qua.so ad lllustrissimos Ordines iterato scribat, ut totum negotium nuis h umori-' im- ponnnt, adiungantque media necossaria, pitta observatoriuiu et inst rumenta: per illos kl facillime a Dominis Arastelodamensibus potorit impetrari. Kg» autom, Nob. Galiloo, sub lido boni viri ot conscie ut iao integritate tibi spondeo, mini mo do tuis invontis milii arrogaturuin, sed glorialo omnem tibi relicturum, solunt autom invonti tui usimi promoturum in commoduni generis liumani et putriae moae; hoc tantummodo in praomium laborum postulali*, ut per te 1). Ordine* intelligant ino cum osso, quom tu dignum iato honoro iuilicasti, ot ut simul ?o occasionom nanciscar per congrua instrumenta aatronomiom otiam in alibi par- tibus promovendi, cui rei hactenus omnia peno studia inea impendi. Sed, ne ni- mium oxtra oleas vagor, rodeo ad propositum. Circa horologiuni quod Nob. Dominatio vostra promittit, nobis visoni fuit non posso dari meliorem invontionem in toto orbe terrarum, *i tam constali* sit ut narrat Dominatio vostra, et ubique locorum, tam in mari quam iti terra, tam hiomo quam aestate, oxpoditum ac certum praebeat iisuin. Tale onini huro- logium in observationo motuum caelostium tantum habet uauni, ut nulla humana inventio in aliis rohus habeat maiorem. Quocirca et huius structuram admodum desideiamus novisse, ut in praxi observationum usum nobis praostet percoinmoduni. ho Tuum ergo erit, Nobilissime Galileo, quam primum inventa tua ad nos tras- mittere, ut, cium adhuc in vivis es, ipse videas iam ad praxim ista revocari. Tantum enim iam apud lllustrissimos Ordino* actum est in tua causa, «piani agi potuit, et scripsisset dudum ad Dominationom vostram Nob. ReaUns, si non impeci itus fuisset intìnitis fere nogociis ; quod si tamon eius responsum desideres, urgobo ut quam primum respondeat, simulque exemplar decreti Illiistrissimonmi Ordinimi italicum ad te mittat, quamquam niliil inde aliud quam ex apograpbo, a me iam ad lllustrissimum Grotium misso, potoria intelligere. 59 - 60 . quandoijuidtm inventi» Dominationis — 26 — 27 GENNAIO 1637. 21 [3421-3422] Avventante vere tondot in Italiani Borolius (1) nostor, huius civitatis Syndicus, 90 ad Seronissimam Venotorum Rcmpublicam legai,us. Isto vir magnile quoque ista- rum rerum fautor est, et por ipsius forto in Italiani adventum amplius cxpo- rioris, quam grata fuerit Illustrissimis Ordiniima nostris tua oblatio. Sed interim, quantum te oraro possimi, Nobilissime Galileo, matura obsorvationum et tabula- rum tuarum nobiscum communicationcm ; ut, quia in tam incorto aetatis statu versaris, nos, si quid tibi humanitus accidat, tam utili ac nobili invento minime frustrcmur. Praemium laborum tuorurn admodum illustre ne dubita quin liabi- turus sis, modo lilla rationc iudicare quoamus inventum esso praxi idonoum, voi in sola terra. Iudicium vero nostrum non alimi credo foro, quam sincerissimum et ornili livoro ac inalignitate prorsus vacuum. loo Ilaoc fere sunt, quao circa hoc negotium Nob. Dominationi Y. habebam rc- scribonda; quao si tardine putcs prodire quam expectavcras, velini existimcs non culpa mea id factum, sod quia dotentus apo rosponsi Nob. Itealii, qui tamen oli impcdimonta suiuma liactenus nequivit respondoro, quod ot emendaturum se promisit. Interim Doum Optimum Maximum rogo, ut Dominationcm Y. diu adirne incollimeli! servet, et in publicum bonum prospera patiatur fruì valetudine. Vale. 3422 *. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. filaria a Campoli, 97 gennaio 1G37. Blbl. Naz. Fir. Appendici) ni Mss. Uni., Filza Favnro A, car. 141. — Autografa. Molto 111/ 0 ot Ecc. m0 Sig/ mio P.ron Col." 10 So io por la mia naturalo stolidoza non intesi male il desiderio
  • Cfr. n.® 3322. [3423-3425 J 30 — 31 gennaio 1637. 23 20 maximas, amplioribus acturus vorbis, atque etiam do usu nobilissimi instrumenti, si permittis, aliqua quaesiturus, utprimum, Dei et medicorum adiutus ope, va- luoro rectius. Interim mitto et Schiccardi toó ^axapttoo Parentationom (1) et, pri- dem a me confectum, indicem eorum locorum Systomatis, in quibus convertendis haesitavi voi etiam erravi. Velini, nini grave est, de smgulis explices sontontiam tuam, ut saltem soeunda editio (nani melioribus temporibus prodituram sperare fas est) prodeat eniondatior et Galilaeo dignior. Deus tibi, divino sonox, longam tranquillamque vitam largiatur, ut suporstes sis inimicis tuia, superstos calami- tatilms publicis, quao miserabilom in modum tot per annos orbem nostrum con- cutiunt lancinantque. V. uo 20/30 tannar. 1637. 3424 *. MATTIA BERNEGGIAR ad ELIA DIODATI in Parigi. [Strasburgo], HO gennaio 10H7. BIbl. Civica di Amburgo. Codice citato nella informazione premessa ni n.® 2(113, car. I98r. — Minula autografa. Peculato, Lutetiam. .... Adioci ego unum ( *> prò magno Galilaeo et alterimi tui arbitrio. Litteras etiam ad Galilaeum (S > hic liabea, quaa apertas reliqui ut indicem erratorum nc dubiorum videas, quao velini etiam abs te solvi aut corrigi, quo melior olim editio procuretur. Obsigna quocuuque sigilo. Non dissimulo suspicione!» meam, telescopi vi tra non esse illa a Ga¬ lilaeo missa, soci ab alio supposita, rotontis melioribus. Suspicandi rationos explicabo alio tempore.... 20/30 lanuar. 1637. 3425 *. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in Arcetri]. 8. Maria a Campoli, 81 gennaio ltì3(5. Bibl. Naz. Flr. Appondico ni Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 146. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col. 00 Mando tredici tordi e duo gazino, cho costano duo lire o cinque soldi, o un paio di capponi, do’ quali aviserò il prezo per la prima occasione, perchè adesso Parontatio » : cfr. ».» 3428, li». 22. <») Cfr. n.® 3423. Crr. n.® 8225. < s > Intendi, un esemplare della « Schiccardi 24 31 GENNAIO 1037. [8425-8426] non lo so, non mi essendo abboccato con chi gl ha compri: <■ in questo mentre non trascuro l’esecuzioni) di quello che ultimamente ho «lotto a V. S., perché il mio desiderio corrisponde all’obliglio infinito cho io professo «li sodisfarla per il mio cugino 111 , cho, a mia contemplationo, da lei con tanta benignità fu «eve¬ nuto ; mentre co ’l line a V. S. faccio debita reverenza. Da S. ,a Maria a Cam poli, 31 Gennaio 1636 ab Ine."* Di V. S. molto 111." et Ecc.“* Devoti»." 0 e Oblig." 0 Se. w Alessandro Niuci. 3426 . GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI [in Firenze]. [Arcetri, gennaio 1637). Galleria e Arohivio Buonarroti in Firenze. Filza 48, tatt. U, car. Utf'J. — Autografa Molto Ill. ra Sig. ro e Pad. n Col. mo Sono col S. poeta Coppola, il quale mi favorisce di leggermi la sua Favola (2) con mio gran diletto. Ho proso licenza di risponderò a V. S. molto I. dopo il 2° atto, por non faro aspettar più il man¬ dato suo. Io non ho ritratti della persona mia, salvo che una bozza fatta un anno fa dal S. Giusto fiammingo ia> , la quale è manco elio ab¬ bozzata; però Y. S. mi scuserò, se non posso servirla. Il Ser. Principe Giancarlo ha condotto a me il Sig. Coppola, o lasciato il suo carrozzino per ricondurlo. ITbora si fa tarda, e ci re¬ stano li altri 3 atti. Mi scusi in grazia il mio S. Mieli. 1 " o mi ami. Tutto di V. S. molto I. G. G. Fuori: Al S. Michel. 0 Buon. 1 * mio Sig.™ ai Giumo Ninoi. Ferdinando II o Vittoria principe«*a d* Orbino in I*' Le notte degli Dei. Favola dell’Ab. Gio. Cari.o Firenze, per A madore Mani o Lorenzo Laudi, 1637. Coppola, rappresentata in musica in Firenze nelle i*» Giusto ScarKRiiAXri. Reali nozze do'Sereiiis.™ 1 Gran Ducili di ToscLaua 13427-3428'j l u FEBBRAIO 1037. 25 3427. ÀSCANTO P1CGOLOMINI a GAI ILEO in Firenso. Siena, 1" febbraio 1637. Cibi. Nftz. Flr. Mss. dal., P. I. T. XI, car. 273. — Autografa In sottosciiziono. Molto IH.” S. r mio Osa." 10 Il Padre I). Vincenzo Ranieri m’ ha accresciuta la consolatone della lettera di V. S. del 30 con nuovo cosi buone della sua salute, che io non posso mancar di rallegrarmene con ogni più viva maniera. E perchè anco m’ ha dato conto della continuatone dello suo faticlio, vorrei in questi dì di carnevalo potergliene ristorare con un po’di caccia; ma i miei vesoovini (1) non ni’ Inni saputo am¬ mazzare so non cignaletti sì piccoli, che quasi mi vergogno che il nostro Santi gliene lasci costì uno. Ilo dotto non dimeno che l’accompagni con quattro starne o con quattro tordi, so si saran presi. Gradisca lo bagattelle, giachò non posso io servirla in coso grandi, o mi conservi la sua grazia. Siena, il p. mo Feb.° 1637. Di V. S. molto 111.” Dovot. Ser. S. r Galileo Galilei. Fiorenza. A. Ar.° di Siena. 3428. MARTINO ORTENSIO ad ELIA DIODATI [m Parigi]. Amsterdam, 1° febbraio 1637. Dui Tomo III, pftjr 427, doli'edizione citata nell’ informazione promossa al n.° 1201. Vir amicissimo, Bonum factum, quod apographum Decreti lllustrissimorum Ordimmo super causam celeberrimi Galilei continuo ad ipsum Galileum miseris. Dominila Realius oh infinitas oc- oupationes nundum ei reBpondoro potuit ; sed non est qnod Dominua Galileus ideo cun- ctetur inventum suum in medium depromere, quippe in cuius caussa tantum aduni est hucteuuB, quautum agi potuit : qui per Dominum Realium tantummodo rneorum dictorum recepturus est confirmationem. Ut autem ternpus diutius non trahatur, iam et sententiani nostram, ot quid ei porro censeam faciendum, late scribo. Tu, quaeso, fac ut literae quam rattissime curentur. Si hoc Domini Galilei inventum procedat, profecto spe sua et cona- m Intendi, i vassalli dol feudo di Vescovado di Murlo: cfr. u.° 3003, lin. 3. XVII. 4 26 1 ° — 3 febbraio 1637. 13428 - 3489 ] tibus egregie excidet vostor MorinuB f,) , qui haotonna ex lunae motu locorum longitudine»! lo irrito labore, me iudice, cruore tontavit ; et tamen ilio suiti literia me rogare non oessat, ut prò ista inventiono praemium ipsi ab Illustrissimifl Ordinibua exigam : qua in parte nunquam a me impetrabit, ut honorem menni parici iter. Nnpor potiit, ut ipsi indicarem quale ossot inventum Domini Galilei. Indicavi. Quid do eo tudicet, potoria facile expiscari. Non egissem illud, nisi Beecmannufl <*> noster id iain ante nomimi nira*Het Meraenno^. Vaio, mi optiate Doodate, et negotium hoc nobiliaainium, quautuiu potes, promova 3429. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Arcetnj. Lione, 8 foiibraio 1637 Bibl. Naz. Flr. Mas. «al., r. VI, T. XUI, car. 7. — Autografa. Molto 111.® Sig. r mio o P.n Col. -0 Rospondorò assai brevemente alla di V. S. de' 1C del passato, solo ricevuta liieri, ch’oggi mando quella mi ha raccomandato por il S. r Diodati a suo desti¬ nato viaggio, e qui alligato vi viene altra raccomandatomi da S. S.‘, che grato mi sarà saperne la ricevuta. Quanto a quel libro del Saggiatore, lo ricevetti o lo mandai a Toloza al S. r Carcavi (4) , il quale so che da S. S.‘ è stato ricevuto. Ma altro che domandò, o un altro che la mi scrissi alcuni mesi sono, che l’bavera consegnato alli SS. 1 Galilei, o in casa, por il S. r Diodati un certo libro, bora mi scrivono bavero trovato in loro bottegha un corto libro, soprascritto al S.’ di* Russi 1 : mi vado io im&ginando che sia quello, o scrivono haverlo mandato. Lo aspetto d’hora in altro; e sondo cosa che aspetti al S. r Diodati, la puolo credere che gli ne farò subito bavero, o S. S.° lo saprà con altra. Io scrivo ancora al S. r Diodati, elio quando quelle sua opere saranno stam¬ pate, me ne mandi un oxemplario. Così ancora desidero di quelle longitudine, quando baverà finito il suo negotio con li SS.' Olandesi, o barerò caro di sa¬ pore in che lingua si stampino. Ma di questo ancora ne ho scritto al sudetto S. r Diodati, o presto no havorò resposta. Mi dispiace bene che 111." 10 C. di Noaillio non habbia possuto operare cosa alcuna circa la liborasiono di S. S.“; chò bisognia diro ebo li sua nemici siano 20 Lott. 3428. 15. Brecntannui — i‘> G 10 . Battista Mohix : cfr. n.« 3011. <*> Isaooo Bkkckuan.v. Mabixo Mkksexnk. Cfr. n.® 3109. Cfr. n ® 2621, Un. 1U 3 — 5 FEBBRAIO 1637. 27 [ 3429 - 3480 ] più prosto diavoli elio linoni ini, giacliò ad altri predicano la roconciliatione o por loro observano la vendetta; o so no puoi© andare tirando consequentia, so poggio potessino fare, peggio senza altro fariano. Ma N. S. è giusto, o spero ebo alla fino, malgrado loro, la no riceverà satisfasione. E facendoli con questo re¬ verenza, li pregilo da N. S. ogni bene. I)i Lione, questo di 3 di Feb.° 1G37. Di V. S. molto 111. 0 Sor. 0 IIum. mo e Parente Lev."' 0 S. r Galileo Galiloi. liub. t0 Galilei. 3430 *. GIO. GIACOMO PORRO a [GALILEO in Arcetri]. Monaco, 5 febbraio 1637. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXV, n.° 67. — Autografa. Molt’ 111.™ Sig. r mio Oss. mo Por fretta gli scrivo queste due righe in ringratiarla delli belli sonetti man¬ datimi, quali farò in musica o li mandarò a Vienna subito; e sia certo elio sa¬ ranno almeno lo parole gradite. S’il S. r Bartolomei si vorrà degnare, per mozzo del favor di V. S., grattarmi di quella opera, cioò la favola di Perseo w , la metterò parimente in musica, o, con occasione di’ io ho d’ andar a Vienna, la portarò meco e la presontarò al Ser. m0 Arciduca Leopoldo, qual la farà recitare al Ilo suo fratello; e così sarà rappresentata l’opera con maggior applauso. Il S. r Albertosta borio e fa riverenza a V. S., e passati questi crudeli io freddi in ogni modo l’inviarò a V. S.; sebone por altra gli scriverò in questo proposito più diffusamente. Intanto la supplico a tenermi in gratin sua e del Sig. Bartolomei, e con tal fine gli faccio humilissima riverenza. Monaco, li 5 Febraro 1637. Di V. S. molto 111.™ Obligat.™ 0 Scr. ro Gio. Giacomo Porro. Cfr. Drammi musicali morali di Girolamo nardi, MDCLVI. Noi Perico trionfante « si predicano Baktolommri, già Smicdocoi. Parte prima, cioò Cerere lo glorio de' Serenissimi Principi di Baviera > (Ar- raccomodila, TI natale, di Minerva, Perico trionfante, gomento della favola, a pag. 108). ecc. In Firouzo, uolla stamperia di Gio. Antonio Bo- <*> Alberto Cksaub Galilei. 28 7 FEBBRAIO 1037. 1 . 8481 ] 3431. FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO fin Firenze]. Venezia, 7 febbraio 1687. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI. T. XIII, ear. 8. — Autografa la loMoacrirìono. Molto 111. et Eccoli. m0 Sig. r , Sig. r Col. mo Mi capita la lettera di V. S. molto 111. ot Eccoli. I:; * dell’ultimo passato con l’allogata dell’Eccoli. m0 Sig. r Matthematico di Pisa 11 ', alla quale farò risposta il seguente ordinario. Questi sono degl’bollori che io ricevo dal mio Sig. r Galileo, il quale so bone che non può stare senza qualche specularono mirabile. Godo sommamente d’intenderò che s’affattichi a perfottionaro la materia do’proietti, che sarà tutta nova. Ma qualo dello opero del Sig. r Galileo non ò nova? Mi pare impossibile elio anco in quella materia, che la ronderano immortalo et am¬ mirabile a quelli istossi che, col perseguita ria, la credono più di tutti, «• restano convinti, io erodo, della verità, ma certo della maraviglia, non hubbia dello oa- io servationi o dello spccuktioni, da comunicar almeno agl' amici et a quelli che, conoscendola, non solo l’ammirano, ma adorano corno un nume P Ruttore. È verissimo quello che V. S. mi dice, che la meditatione dell' immensità mi trabalza nel medesimo tempo ne i minimi, e, quello che importa, in questi trovo più che meditare che in quolla, o mi passano per mente tante cose che mi con¬ fondono: che in fatti vi ricevo gran solazzo, e passo poi, come non so trovar ripiego per intendere, al detto di Salomone, che Dio fecce il mondo e lo diede da disputar agrhuomini, ma con questa rìsserva e conditione, che non inten¬ dano mai nessuna dello opero, elio egli fecce e fa, dal principio al fine ; il che li nostri theologi, che tanto sanno dello cose divine e tanto poco dello naturali, 20 intendono per hiperboli, ot io l’intendo litteralissimaraente, e sempre più mi vo chiarendo che così sia. La prego conservarmi la sua gratia, che stimo per un thosoro precioso, o lo progo con ogni allotto folicità o bacio le mani. Ven.*, 7 FobraTo 1637. Di V. S. molto 111. ot Eccoli. nu Dovotiss. 0 Sor. S. r Galileo. T* <*» Cfr. n.® 3419. 1 3432 - 34 : 33 ] 8—11 FEBBRAIO 1637. 29 3432 *. VINCENZO RENIERI a GALILEO in Arcetri. Fisa, 8 febbraio 1087. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, 11.» LXXXVI, n.° 115. — Autografa. Molto DI.” Sig. r mio Oss. n:0 Ilicri giunsi in Pisa, doppo esser stato sci giorni a Siena, o penso dimane di lar riverenza al Sig. r Gioii. La prego tra tanto a scusarmi se non sono ri¬ tornato por Fiorenza, porcliò vorrei puro esser a Genova gli ultimi giorni di carnovale. Starò attendendo colò, elio V. S. m* avvisi di ciò elio seguo del nogo- tiato di Parigi 1 *’, o elio vada pensando in elio la posso servirò al paese por dove penso di partirò fra otto o dieci giorni. Ilo fatto lunga commomoraziono di V. S. col’ 111.™ 0 Arcivescovo 12 ’; o Rien¬ tro la prego a conservarmi tutto suo, lo bacio allettuosamente lo mani. io Di Pisa, adì otto Febraro 1G37. Scrivendo a Genova, ponga nella coperta : a 6'. Stefano. Di V. S. molto 111.™ Dev. m0 Sor. o Vero Amico D. Vincenzo ltcniori. Fuori : Al molto 111.' 0 Sig. r0 o P.ron Col. 1 " 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 3433 . DINO PERI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 11 febbraio 1687. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., V. I, T. XI, car. 182-183. - Autografa. Molto III.” et Ecc. mo Sig. r0 o P.ron mio Col. mB Subito ricevuta la lettera di V. S. molto 111.™ et Ecc. mn de’ 7 del presente, andai a Palazzo o la detti al Sig. r Guerrini (3) , acciò, subito che fosse possibile, la leggessi al Gran Duca e l’indugio non si facessi maggiore. Mi rispose poi, che Intontii, dallo trattative condotte por mozzo <*’ Arcamo Piocoi.omini. Cfr nn.i 3415, 3419. < 3 > Cfr. n.o 3119. <‘l Di stile fiorentino. <*> Cfr. u.o 8438. [8434-3435] 18-21 febbraio 1G37. 31 rebbo elio V. S. sapessi elio certi suoi duo’ vetri si contenta di dargli a quell’In¬ glese por venti scudi. Il miglioramento doll’occhio di V. S. lia dato a mo, et a tutti gli amici che n’oran consapevoli, consolatimi grondo, pigliando ferma speranza elio a quest’bora cli’habbia a ritrovarsi libera adatto da ogni offesa. L’havermi poi favorito, non io ostanto simil indispositiono, di lettore di sua mano, mi ha obligato maggior- nicnto alla benignità di V. S., elio mi tien sompro col cuoro devoto, incatenato o confuso. È qua un P. D. Vincenzio (l) Olivetano, clic si mostra molto parziale di V. S. Mi ha visitato por lo bugio troppo amorevoli elio olla gli haverà dotto di me ; son però in obligo di ringratiarla, sì conio io la ringrazio sommamente. Ci siamo poi trovati insiomo da giovedì passato in qua più volto, sompro concordando in laudo di V. S. o in dotostationo di chi non la riverisco. Mi par segregato dalla maggioro schiera dominanto, o dispostissimo alle dottrino do’ pochi o do’ migliori. Ila poi alcuno suo faticho por istamparo; non mo lo ha dato nello mani, ma 20 io non potrò so non lodarlo. Di quello sforo 1 * baici caro saporo di elio materia siano, di elio grandezza, di qunnt’orbi, so rappresentino la teorica di tutto il sistema o so dolio stello fìsso o del solo solamente, o, appresso, l’ultimo prezzo o doli’una o dell’altra. 11 Sig. r Marcantonio (3) piglia qualche miglioramento, ot io sto benissimo; o unitamente facciamo reverenza a V. S. molto 111. 10 ot Ecc."" 1 , o lo desideriamo prosperissima saluto por bonefitio di tutto il mondo. Pisa, 18 Fobb. 1G3G (4) . Di V. S. molto IU. r0 et Ecc. ma Oblig."' 0 o Devotiss. 0 Sc. r0 Dino Pori. 3435 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 21 febbraio 1G37. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, B. s LXXX, n.° 13G. — Autografa. Molt’Ill." ot Ecc. ra0 Sig. r , Sig. r Col.® 0 Rispondo al Sig. r Matematico di Pisa (5) : il favore della sua lotterà mi è stata dello gratio elio ricovo da V. S. molto III." et Ecc. nin Vorrei potere in qualche cosa servire quel Signore, quale, sendo stimato virtuoso da loi, non devo curar più sicuro testimonio, so fosso bone l’oracolo d’Appello. • •> Visoknzo Rknirri. '** Cfr. nn. 1 8415, 8488. • a > Marcantonio Pirrai.lt. Di stilo fiorentino, «si Cfr. n.« 8419. 32 21 — 22 FEBBRAIO 1637. [3436-3436] Il Sig. r Alborglietti (1) fu a vedermi uno do questi giorni. Mi dico che va dietro al suo specchio parabolico, o questa quadragesima sarà compito. Io pure, senza sapore perchè, ho certa ripugnanza di credere che risponda alla qicttatione. Mi promise un schizzo della sua sfera Copernicana, elio mi dà più soddisfattone che l’Olandese, do quali ho una. Corto nello macchie solari egli occularmento fa io veliero li fono mini scritti da V. S., elio è cosa singolare. Vi ha aggiunti duo, Giovo superiore, et inferiore Vonoro: non li ho veduti, ma mi accorta lar ad unguem lo loro rivolutioni, cioè la terra una annua, Venero in IO mi si, et Giovo in 12. All’allongar del giorno sarò a vederlo, else mi fa lo schizzo, lo mandarù a V. S.; alla qualo dosidero quiete o gusto, dove io mi travaglio, in vece di spcculationi, in processi. La notte mi rifacio, perchè mi rido ili molti* coso che il mondo ammira. Lo b. lo inani. Ven. a , 21 Feb.° 1637. Di V. S. molto illr ot Ecc. m * Dm.— Sor. S. r Galileo. F. F. 20 3436. PIETRO DE CARCAVY a [GALILEO in Firensfl. Parigi, 22 febbraio 1037. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P. VI, T. XIII, cnr. 10. - Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio e Pad." mio Cariss. 0 Giudicarà V. S., cho conosco la mia osservanza verso ili lei, quanto gravo mi sia stato V intenderò elio ella non habbia ricevuto lo mio lettore. Ho pur scritto a V. S., e mi assicuro di non dir cosa clic non sia vera; ma conio vedo che so no sono perdute dello sue, non mi maraviglio cho le mie si sianno smarrito, ancora cho fussero tutto consegnato al Sig. r Ruberto suo cugino: non dimeno non mi dolgo di lui, ma della mia mala fortuna. Scriveva (3) a Y. S. multo coso attenenti alla stampa dello suo oporo (lo figuro delle quali sono intagliato), preglmndola mi iliesso aviso della maniera nella quale desiderava cho fussoro stampato, 0 si fusse bisogno adiugnicrvi alcuna cosa me io lo mandasse. Scriveva ancora in consideratane del librare, «*l quulc, non imtondo bavere un privilegio per lo opero già stampato (chè si tratta cosi in Francia), Lieti. 3435. 13-14. Giove un 12 — Xiett. 3436. 2-3. Bar- berino intorno alla piena rilassatione di V. S. molto Ill. ro , por potorlone render conto con occasiono di ricordarmele sempre devotissimo servitore et ammiratore dolla sua virtù et sommo valore; ma sondo andato tanto in lungo il negotio, non ho voluto lasciar andare a cotosta volta un morcantc di Marsiglia mio amico 131 senza farlo riverenza, et dirlo eh’ io non mi tengo ancora per escluso della grazia appresso S. Era. Dalla qual, por l’ultimo ordinario, me n’ ò stato concessa un’altra, io negata positivamente duoi anni intieri et più, et una seconda elio pattiva difficoltà *0 PlRTRO Fekmat. endemia di ecienze, lettere ed arti in Padova. V ol. XI, •*' Cfr. Serie decima di Scampoli Galileiani rac- pag. 40-42). Padova, tip. Q. B. Bandi, 1895. colti da Antonio Favaro (Atti e Memorie della li. Ac- •*> Giovanni Ibsaui.tikr. XVII. 5 34 24 FEBBRAIO 1037. [8487J grandissima ancora già, da più d’un anno: quando meno io ci pensava, ò venuta una lettera di suo pugno titilli 6 Fobraio, con l’aviso della concussione inaspet¬ tata d’ambo le grazie già, disperate, da dondo io mi risolvo di prendere occasiono di rinovar l’instanze per V. S. molto 111.™; dalla quale io prendo miglior con¬ cetto che prima, et auguro l’osito conformo olii voti. Intanto lo dirò elio con l’occhiale già, da V. S. mandato all’111.™ S.r Gassendo nostro (1) habbiamo veduto il corpo di Saturno d’ una ligura molto più stranila elio non V havova anco visto prima con altri occhiali, parendo dio la ligura sia forata o macinata in duoi luoghi, più tosto che composta di tre globi separati o congionti ; ma non si spoglia bone dalli raggi, clic caggionano qualche con- 20 fusione, et molto maggioro quando si mira al corpo di Venero, che non vi si può vedere spogliato dolli medesimi raggii et molto maggiori : di maniera che se si potesse ottenere qualche altro occhiale più forte, et più cappace di spogliare o nettare quelli astri de i lor raggii fallaci, lo riputaressimo a somma ventura; ma non vorrei esserlo troppo gravo per questo. Kt havendo inteso da un dottor di Sorbona, olio passò qui ultimamente, elio per sorvicio di S. Altezza di Toscana s’ora accasato in cotesta Corte un tal Hyppolito Fraudilo, elio faceva occhiali più perfetti degli altri, la preggo di volerno diro il suo parerò al latore della pre¬ sente, et dargli qualche buon ricapito di qualche suo amico o parente, olio glie no possa faro impartire uno do i migliori et più forti elio si possa; dove io spcn- so doroi volontieri il quadruplo del prezzio cho vi potesse occorrere, per cavarmene la voglia et vedere quanto vi si può sperare et quanto ha potuto scoprire V. S. molto 111.™ La quale preggo volermi schusaro di questa et tanto altre importu¬ nità,, et commandarmi più liberamente che non ha voluto ancora. Kt lo preggo dal Signoro ogni meritata quietudine et contonto, con la piena saluto et prosperità. Di Aix, alli 24 Fobr. 0 1G37. Di V. S. molto 111.™ et Kxc. u,a Devotiss.® et llumiliss. 0 Scr.™ Di Peirosc. Io so che T Em."‘° S. r Card.* 1 Barberino ha avuto occasione et voglia di far instanza alla S. ma Altezza di Toscana di corto favore in materia di bulle lotterò; 40 ot io son per porgergliene un’altra occasione, per ottenero la licenza di prenderò dissegni et modelli dell! vasi gommei più preciosi della sua credenzieri!, per mia particolar curiosità, havendo io incontrato in simili monumenti dell’ antiquità certe noticio assai rare et non inutili, come parerebbe. V. S. molto 111.™ potrà intendere dall’ 111.™ S.™ Hilariono (8) ciò che glie no mando, ot spero eh’ ella non haverà discaro di favorirmici della sua intercessione appresso gli custodi o altri ministri della guardarobba, et appresso S. A. medesima quando bisognasse ; et Ofr. u.° 3300, Un. 17. 1*1 II, A RIONE BoNOCOblKLUl. 24 FEBBRAIO 1037. 35 [3437-34381 s’ella lo giudicherà a proposito, farò io instanza a S. Em. w di scriverne a favor mio a S. Alt. r!t : ot con questa occasiono rinovandosi lo instanze por il negocio 50 di V. S., forzi elio si potrebbe spuntare, conformo olii voti della ropublica let¬ teraria. N’ aspetterò il parere di Y. S. per la via solita di Lione, et puro al ritorno del latore della presento ; et in ogni modo olla schuserà il zelo, forzi indiscreto, di un suo servitore. riabbiamo fatto dissegnare il corpo limare di grandezza competente, visto con gli occhiali già inviati da Y. S. molto lll. ro al S. r Gassendo nostro; et l’intaglia in ramo qui in casa nostra il S. r Molano (1 ', che è stato in Roma più di x anni, mio amico singolare, elio vi ha speso sei mesi di tempo et osservato lo macchie con grand’ essattezza, con speranza elio doverà riuscire l’opera a gran gusto dolli curiosi ot onore di V. S., elio ci ha impartito lo stromento da vederla nella go forma elio s’ò intagliata, tutta piena; sopra la quale s’nuderanno intagliando poi altro phasi, con osservatimi dell’ ombro di tutti li monti o promontorii, più cssattamento elio non si fosso ancora praticato: ot se no manderanno subito lo pruovo a Y. S. molto 111.", et all’Ein. mo S. r G. Barberino ancora, so non con il prossimo ordinario, almeno con il soquonto ; il elio darà nuova materia di parlare di V. S., elio ò stata la prima a scuoprir questo miracolo della natura. La preggo di volermi far supero s’olla liabbia liayiito alcuna noticia di un Silvio l’ontevico, già curiosissimo di libri rari manoscritti et specialmento degli authori toscani antiqui, il quale liavcva l’historia di Pisa d’Agnellus, della quale io vorrei pur intenderò so sia più in essoro o no, ot so V. S. ha mai visto alcun 70 frammento d’ historio di cotesta città di Fisa ox professo. Ella mi farà grazia singolare. Soguo, di mano di Pietro Gashknm: Et io anco, riscontrandomi qua, ho voluto sottoporre questo tro lineo, per basciaro humilmento le mani a Y. S. molto lll. r0 et assicurarla del mio sempre divotionutissimo adotto. P. Gassond. 3438 *. NICCOLÒ FA bill DI PEI RESO a ILARIONE BONGUGLIELMI [in Firenze]. Aix, 24 febbraio 1637. Bibl. d’Ing'ulmbert in Carpentras. Collodio» Poirosc. Addit., T. IV, 8, cnr. 451t. — Minuta autografa. Molt’Ill. r ® Sig. r mio et P.rone Oss. mo Le cortesissime offerte che V. S. molt’Ill. r# bì degnò farmi ultimamente con la sua lotterà, mi colsero in tempo ch’io mi trovai fuor d’ogni libertà di teatificarlene la mia Roberto Gai,ilei. '*» Cfr. n.o 2681, lin. 10. 21 — 27 FEBBRAIO 1037. 37 [3438-8439] gioie, di’ io viddi altro volto nella credenza di S. A. S. ,,,a nelle nozze della Regina, madre del Ro; anzi, so fosso lecito con qualche mancia al custode, vorrei hftvcrne un schizzo o dissegno di quelli che più apparentemente mostrano d’essere di maniera antiqua.... Et quando hisogniasso adoperar altri mezzi, sohen non lo credo necessario dove si tratta del credilo dell’Ill. r0 S. r Galilei sopra l’Altozza S. S. m * et. sopra gli suoi ministri (1> , io tengo 50 Monsicur do Guizo l,) non mi negarohho la sua intercessione, nò forzi ancora l’Em. ro0 S. r Oard.* 1 Uarborino, a che si potrà ricorrere so tal sarà il parere doli’111/ 0 S/ Galilei et di V. S. Intanto si potrà procurar la nota et qualche schizzetto, se non le sarà gravo.... Ri Aix, alli 24 Feb.° 1(537. Di V. S. molto 111/ 0 IIumil. mo et Oblig.” 10 Servitore Di Poiresc. So si trovassero costì da vendere per sorte a moderato pretio gli authori greci ch’hanno fat to connnentarii o noto sopra l’Aristotelo, stampati già in Venotia et alcuni poi in Basilea, come se n’incontrano talvolta nollo bibliothccho vecchie, quando vengono a mancare le persone che no fecero la raccolta, no farei volentieri la compra.se l’assortimento o Berio CO di detti autori fosse ben compita et gli volumi non difettuosi ; et si prenderebbe la cura il S. r Issaultier di pagamo il prozio c di farmeli condurre al suo ritorno. Ma per ciò ch'egli non ha noticia di quella Icngua nò di tal Borto di commercio, sarà forza che Y. S. ci lacia la grazia d’impiegatisi olla, o far riconoscere da qualche suo amico la qualità di quo’volumi, aciò non vi si truovi, se sia possibile, defletto d’alcun foglio, quinterno o volume, necossarii alla perfezione della raccolta; facendosi bora questa perquisitione per Bervicio delli studii deH’111/ 0 S. r P.° Gassendo, che attende bora qui in casa mia ad un’opera dello più isquisite elio siano uscito a’tempi nostri, dove si fa mentione o rnocommandation frequente della dottrina deU’Ill. 100 S. r Galileo Galilei.... 8489 . VINCENZO RENIERI a GALILEO in Firenzo, Genova, 27 febbraio 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. X, car. 125. — Autografa. Molto 111.” ed Ecc. m0 Sig/ e P.ron Col. mo Son giunto finalmente a Genova, stimolato a ritornar più presto dalla mancanza del predicatore cho quest’ anno ora destinato alla nostra chiesa. Fui a Pisa e presentai il libro 13 al Ser. m0 Padrone, il quale mostrò d* aggradir sommamente la testimonianza di V. S. circa dello mie qualità ; e por darne <0 Cfr. n.° 3437, liti. 47. Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, XII. Vin- t*) Cari.o di I.ohkna, Duca (li Guisa. cenzio Henieri (-4«» del Reale Istituto Veneto di scienze, <*> Intendi, il manoscritto dello Tabular Medicene lettere ed arti, Tomo I.XIV, Flirto li, pag. 118,164). trcnnrionini mobilium universale». Cft.AsTOKio Favaro, Venezia, officino grafiche di C. Ferrari, 1905. 38 27 FEBBRAIO — 3 MARZO 1037. [3439-3440] segno mi disse che liavrebbo trattato ch’io fossi impiegato costì nello Studio di Pisa. Il mio desiderio ò d’ima catodra di filosofia, por legger la materia de cado filosofica o matomaticamento senza quella maledetta servitù d’Aristotele. So elio a 5 favori do’ prencipi ò neccossaria la solleeitudino do’ministri; ondo quando V. S. si compiacesse di scriver duo righe al Ser.®° Padrone, col ringra- io tiarlo della buona intentiono che ogli m’ha dato, credo cho sarebbe un rinfre¬ scarli la memoria, acciò cho il nogotio sortisse. Io poi son tutto tutto suo, o qui nolla patria non mi par cho cosa alcuna mi sodisfaccia, mentre >on privo della sua amabilissima conversationo: so piaco a Dio elio riesca il negotiato, per la vicinanza di Pisa mi sarò più fucilo il rivederla. Col Sig. r Pori li ebbi lunga conuneiiiorationo di V. S. 111.®*, o veramente m’ò riuscito quale olla me lo descrisse; ma non ò meraviglia, perché tali sono gli amici del Sig. r Galileo. Attendo nuovo dol trattato dolio longitudini 111 , o per fine affettuosamente con l’animo l’abbraccio o riverisco. ^ Di Genova, adì 27 di Fohraro 1637. Di Y. S. molto 111.” ed Kcc. ra '* Dev." 43 o Sincero Sor.® Sig. r Galileo. I). Vincenzo Itenieri. Fuori: Al molto 111.” et Ecc. m0 Sig. r o I'.ron Col.® 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 3440**. PIETRO DE CARCAVY a GALILEO in Firenze. Parigi, 3 marzo 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 11. — Autografa. Molto 111. 6 Sig. T mio, Pad." mio Colond. 00 Mi rallegro con Y. S. elio la cagiono d’inviarli le propositioni promesso nolla mia lettera del 28 di Febraio o cho sono capitato hoggi nello mio mani, mi dia commodità di confessarli ancor una volta cho la sua cortesissima lettera mi ha liberato da un gran fastidio, et d’assicurarla cho corno Rcppi che quello che io li scrissi di Tolosa oranno andato a malo, n’ hebbi tanto disgusto, quanto contonto ricevo trattenendomi della amorevolissima memoria cho ella si degna tener di me. Per corrispondenza della qualo mi ò parso dover man- Cfr. n.o 3432. <*> Cosi l'autografo; ina la lotterà a cui si ri¬ ferisce ù doi 22 febbraio: cfr. n.° 8436. 3 MARZO 1637. 30 [3440-34411 darli quello propositioni, ponsate da un gentilhuomo assai stimato, ma partico- ìo larmente nella geoinotria, el qualo m’liò tanto amico, elio el lui rocusato di coni- inimicalo questi et altri suoi pensieri intorno alla materia di movimenti ad ognun altro fuor di me; e quantumclio sia opinione contraria a quella di V. S., ho stimato elio lei la vorrà con la solita amorevolezza sua o con qual suo can- doro d’animo elio non ha pari. Io ho dotto che quel gentilhuomo é mio amico, perché veramente l’è, e non s’affatica in queste materie che por la considerationo di V. S. o per avisarla di quello clic li paro necessario manzi che sia fornita la stampa del suo trattato de inotn. Dello qualità di queste domonstrationi, doppo haver parlato del’ authoro o dovo concorre il giuditio di V. S., non oc¬ corro di inviare il mio parere: dirò solo eli’io sono stato ancora mosso di man- 20 darglieli dal suo vero amico el Sig. r Deodati, con el quale ho parlato di lungo di lei con piacer grande o reciproco; e lui ha potuto chiaramente conoscoro con quanto fervoro io sia por continuare sempro noi suo servicio : o la certifico di tanta correspondcnza, quanta si devo al suo merito et alla sua amorovolozza. Pregola commandarmi, perché io possa incastrarglielo por effetto ; et in tanto mo le offero di coro. Di Parigi, ol 3° Marzo 1637. Aspetto risposta allo duo mio lotterò. Di V. S. molto Ill. re Humill. 0 e Vero Sor. 1-0 P. Do Carcavy. so Fuori : Al molto 111. 0 Sig. r mio, Pad. n mio Colendiss. 0 11 Sig. r Uallineo Galilaei, in Fiorenza. 3441. LORENZO REALIO u GALILEO [in Arcetri]. Amsterdam, 3 marzo 1037. Dal Tomo III, png. 1C0-1G7, doll’odiziono citata noli' informaziono promossa al n.° 1201, Amsterdam, li 3 Marzo 1637. Non mi é mai bastato l’animo di sperare una felicità tanto grande, che di poter faro alcun servizio o cosa grata a V. S. Illustriss., persona da mo sempre stata tanto stimata o pregiata, quanto il suo divino ingegno, accurato giudioio ed ingenui concetti, appresso tutto il mondo meritano. Ilo ricevuto la sua dalla 40 3 MARZO 1637. 13441| villa d’Arcotri in (lata do’ 15 Agosto 1036“', accompagnata da quella stupenda invenzione per poter, con aiuto di Giove o delle Stello Medicee suoi satolliti, aver ogni notte accidenti diversi, o tali che ciascheduno sarebbe non meno ac¬ comodato, anzi molto più, elio se fussoro tanti eclissi lunari, per l’invenzione della longitudine, (lolla quale a V. S. Ulustriss. ò piaciuto per la mia mano fare io offerta in libero dono a gli Ulustriss. o Potentissimi Ordini Generali dello nostro unito Repubbliche. Lasciando dunque di puntualmento rispondere a quella di V. S. Illustrissima, e principalmente all’encomio tanto grande elio a lei della mia bassezza ò piaciuto faro^ dirò solamente che io l’assicuro che avrebbe forse potuto trovare più dotto e atto a questo negozio, ma più affezionato, zoloso o ardento di me nessuno. Avendo dunquo fatta una traslazione della sua Relaziono nella nostra ver¬ nacola lingua, ino no sono presentato avanti questi Potentissimi SS. con questo suo da mo tanto stimato dono ; il quale con gran maraviglia prima, o poi con maggior affetto o benevolenza, da loro fu ricevuto, come la Signoria V. Ulustriss. so ha potuto vedoro per la copia della risoluzione presa sopra questa sua nobile offerta, inviatalo pel Sig. Martino Ortensio ***, professore mattematico del nostro ILI. Ginnasio, al (pialo incontinente io feci instanza di roscrivoro a V. S. Ulustriss. tutto il negoziato. In questa resoluziono mi trovai aggiunto all’ esamino di que¬ sta difficile impresa, non altrimenti elio so a mo anco restasse qualche scienza o arte, ad un’ opera di tanta erudizione, spoculaziono ed osservaziono senza lino richiesta. Questo solo ardirò attribuirmi, di poter giudicare dogli strumenti atti per locare l’osservatoro nella nave in modo che stesso corno immobile; il elio noi altri fino adesso non abbiamo potuto trovare so non con una cosa pensile, la quale nientedimeno in quosto negozio non potnl soddisfare, avendo il navilio so non solamente il suo moto dalla prua alla poppa, ma anco, per P impulsioni do i golfi, (li lato in lato. Ma sopra questo aspetteremo quel che la Signoria V. Ulustriss. col suo divino giudicio potrò. aver pensato e trovato. Il Sig. Ortonsio, avendo cominciato a scrivere a V. S. Illustriintorno ad alcuni dubbi o difficultà previste (sopra lo quali aspettiamo risposta), ha proso questo negozio allo suo spallo, di con essa lei corrispondere; al «pialo la prego di voler liberamente comunicare quel che a lei ed a lui potrebbe parer esser necessario e richiesto. Quanto a me, io procurerò in ogni modo elio questa sua invenzione, colla reputazione a V. S. Ulustriss. dovuta, sia trattata od esami¬ nata. Ilo latta anco la traslaziono italiana (lolla risoluzione degli Ulustriss. o 40 Potentissimi Ordini Generali sopra questa vostra singoiar offerta, la (pialo poi Clariss. ed Illustrissimo Sig. Cornelio Muscli, di questi Potentissimi Stati degno Grafiario, parimente allo vostro incomparabili scionzo o candida virtù inclinntis- "> Cfr. n.° 3339. 1,1 Cfr. a.° 3491. 3 — 7 MARZO 1637. 41 [3441-3443] simo, farò autenticare. E conio a questo tino me no trasporterò all’Aja, così prego la Signoria V. Ulustriss. con un poco di pazienza aspettarla collo mie al suo tempo od in tanto non lasciar (li conmmnicaro col Sig. Ortonsio tutto quello elio potrobbo aver proparato por perfezionare un’ impresa, al ben comune tanto utile od importante. E con questo umilmente lo bacio lo mani. 3442 **. ELIA D10DAT1 a NICCOLÒ FABItl DI PEIRESC [in Aix]. Parigi, 0 marzo 1037. Blbl. Méjanou In Aix. Mai. 204. Currospoadanco do l’oirosc, T IV, Modali, lott. IV. — Copia di mono sincrona. Monsicur, Ayant, apròs uno forte longue attento, finalnmont. recou l’impvession du Discours do M. r Galilei, par moy tradititi (nuquel M. r Beruegger, contro mon vouloir expresW, a Hans aucuno raìson, non seulcment pour estro ebosq do nul inerito, mais ausai pour l’in- torost do l’nuUieur qui no doit estro soubgonnó l’avoir sceu, m’a voulu nommer en son opistro responsivo à la preface W), jo vous en onvoyo un oxomplairo pour le joindro à la traduction dea Dialogues. Vous trouverez cot oscrit tol qu’il ost qualifió on la proface, ot on offet tros digne do son autheur. J’ay corrigé les plus grossiòres fautes do l’im- prossion, allin quo vous y rocoviez moina d’intorrnption du plaisir qu’il vous donnera en 10 le lisant, no vonlant vous rien diro de la traduction, qui no vous doit divertir de lu vive et fluire so uree do l’origimvl italica.... 3443 *. GALILEO a ELIA DIODATI [in Parigi]. [Arcctri], 7 marzo 1637. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. V, T. VI, car. 8Cr.— Copia di mano di Vincenzio Viviani, cho prometto questa indicazione: €(1.0.7 Marzo 1630 ab Ine.*. Pur di mano del Viviani questo capitolo si logge anche u car. 76(. dolio stesso codice. Voglio por termine al trattato de’ proietti, e mandarlo quanto prima al S. Elsevirio; e dico por termine, perchè nel rivederlo e rior¬ dinarlo mi vengono continuamente proposizioni bellissime alle mani, dello quali questa materia è abbondantissima, ma voglio per ora <•> Cfr. II.» 3606. Cfr. n.o 3058. XVII. (»' Cfr. n.° 8230, lin. 10-11. <»> Cfr. u.o 8257. 0 42 7 MARZO 1637. [3448-3444] fermar la scrittura con una tavola eli e ho dimostrata e calcolata per tiri di volata delle artiglierie o de’ mortari, mostrando le loro proiezzioni, e con che proporziono creschino e decrescliino, secondo lo diverse elevazioni di grado in grado: la pratica della quale sarà utile a’ bombardieri, e la teorica di maggior gusto a gli speculativi. 3444. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 7 marzo 1037. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car 12; — Autografi il poscritto o la sottoscrizioni». Molto 111. 1 " ot Eccoli. m0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Mi capita la gratissima lettora di V. S. molto 111. ot Piccoli.™* doli’ultimo passato. In quanto all’inviare quello elio V. S. mi mandarli al »Sig. r Pdzivir, io Laverò ogni commodo, sicuro o tacilo recapito, et do mercanti, ot, doli 1 Amba¬ sciatore (1) residente all’IIaia, et altri ancora; e perciò V. S. mandi, oliò sarà servita. Mi duole la sua flussione noll’occhio. Quando io no ho patito, non ho trovato cosa migliore che qualche prosa di pillole d’aloe, ma in si picciola quantità elio non passi tre alla volta, non maggiori di un grano di sorgo rosso, ot la¬ varmi la mattina, cioè sprizzarmi un pezzo con l’aqua della Brenta, più tosto io calda elio tepida. Ma in ogni paese sono li suoi rimodii. V. S. mi fa veramente maravigliare dello coso strano, elio gli occorrono. Ilo ben letto Oum damaveriUs ad me, non exaudiam : ma quello elio si usa con lei, è apunto officio di un Officio del diavolo et di chi va contra Christo. Non si può far altro. Veramente i miei vaneggiamenti, i trattenimenti nello vigilie, sono l’infinito, gl’indivisibili o’l vacuo; ot sono i tre da i quali Aristotile argomenti l’impos¬ sibilità del moto, ot io stimo senza di essi impossibile ogni moto, ogni opora- tiono, o, quel che è peggio, ogni ossistenza. Ho ponsato qualcho volta elio in questo libro della natura, i cui caratteri sono noti a V. S. sola ot intelligibili, 20 overo a chi da lei è eccittato a leggerli 0 considerarli, sonza elio lo opinioni anticipato li conservino gl’orrori fissi, ò impossibile che essa non liabbia specu¬ lato anco intorno a i moti che noi chiamiamo volontà rii 0 elio seguono noi corpo dall’ imaginationo, perché anco in quosti io ho una massa confusa ot congorio Oi Fkancksoo Mie III kl. [ 3444 - 3445 ] 7-13 marzo 1637. 43 di concetti oscuri, che non me li so dilucidare. Mi raccordo che il nostro buon P. Maestro Paolo, di gloriosa memoria, soleva diro che Dio e la natura liaveva data un’ liabilità a V. S. per conoscere li moti, che quello che da lei non fosse stato investigato ora investigabile all’ Immanità. Ma so elio di quosto genere bisognerebbe non scrivere. 30 Dio la conservi, o con ogni adotto le bacio lo mani. Yon.*, 7 Marzo 1637. Di V. S. molto II. et Eccoli.' 1 "' Dev. mo Ser. F. F. Doli’ opere elio mandarli, è bene che ci sia il duplicato. 3445. ELIA DIODATI a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam!. Parigi, 13 marzo 1037. Dal Tomo 111, pag. 427-128, dell’ediziono citata noli’ informazione promossa al n.° 1201. 9 Parigi, 13 Marzo 1637. Uiido, Vir Diarissimo, aitimi tibi mine silentium, qui nuper ad exporgiscondum Do¬ minimi Galileum tara auxie me urgebas ? Satisfeci is (qua est ingenuitate) pollicitis; tuque eius propositionom ab Illustrissimis Ordinibus gratanter et cura honore exceptam per literas quatuor iam ab bine mensibus raihi nunciasti, paratumque, inox sequuturum, Illuatrissimorura Dominorum ad euro responsum, Nobilissimo Roalio mandatimi, esso: cuius, tua fide, optimo seni spe a me facta, oius adventu hactenus frustratum me, noe ad tot meaa tibi ab eo tempore scriptas literas ullas a te aceepisse, non possum non mi¬ rari; curo longa linee mora auctoris et nogocii dignitati, eiusque in cuius sinu inventimi 10 hoc primum conditimi est, quoque sunsoro et per quem ab auctore Illustrissimis vestris Domini» prae aliis omnibus proditum est, dignissimo merito, nullatenus respondeat, quum eum praesertim in hoc nogocio quasi vicariala sibi auctor delegorit, illi, ad expeditiorem eius I ractationom propter niniis longe dissitam absentiam, ultorioribus suae propositionis illustrationibus, ad solvendas et euodandns difficultates emergentes, postmodum adhuc creditis. Quare quid caussac subsit, a te scire expecto. Vale. Invigila, quaeso, impressioni operi» Domini Galilei do motu, ab Elzevirio susceptae, de qua nuper ad te scripsi. Cfr. n.® 3895. 44 10 MARZO 1637. [ 8446 ] 8446 . ELIA DIODATI a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. Parigi, 10 marzo 1037. Dal Tomo III, pag. 428-429, dell’edizione citata nell'informazione promessa al n.« 1201. Parigi, 16 Marzo 1637. Heri demutn, Yir durissimo, tnam epistolam prid. ('al. Febru&rii scriptum'’J accepi ; ad quam maiori otio, qunni nunc mihi suppotat, doinceps responsurus, huìus solum in praosontia te moni!,un» volui, aegerrimo me ox ea percepisse, Domini Galilei in ventuno (quod is, velut arcanum nomini propalandum, IUnstrias. Dominis Ordinibus dicaverat, quodque ab illis vestrao (idei commissum fuerat) a te et a Roecmanno, Morino et Mer- senno indicatimi fnisse. Quo enim iure quove line id fecoritis, non video: in spom quippu silentii vobis creditnni, citra Dominorum scituni, Ulustrissimorum iiiquam Ordinum, et auctoris (cuius quam maxime celatimi asservari interorat, nondum praesertim a vobis re¬ lato nogocio, nec debito lionorario eius auctori adirne dum decreto), a vobis revelari non io debuit; speciatim vero Morino (qiiom eidem negotio oporam frustra navnsso sciebatis) ut a rivali cavendum vobis fuifc, noe non a Morsennu, cuius nimia curiositas vobis debuit esBc snspecta. Quare ntrumque vestrum etiam atque etiam rogo, ne cum illis aliisquo hac do re in posterum ulterius agatia. Pessimo interim me babet, ncgocium hoc prò eo quanti maximi pendet momento a vobis non satis perpensum, praecipiti hoc ot nimia incauto lapsu paulo minus quam funditus pessundatum esse, nec, prò incomparabilis auctoris eius dignitate, honorificae eius recoptionis debitaeque prò tanto oblato rnuuere gratitudinis (velut par erat et spem ipse feceras), quinque ot plus ab bine monBibus, ullum voi mini¬ mum hactenuB signum extitisse: quao inexpectata neglect.io, generosao llluBtriasimorum vestrorum Dominorum magnati imitati penitus absona, fiduciam band dnbie, ot quidem me- 20 rito, quam de illis, me sponsore, vir nobilis altum animo conceporat, illi voi invito radi- citus avellet; ita ut auxiliorum, quae ab eo post oxpiscatum inventimi ad expeditum oius usum instanter nunc postulatis, spes vobis omnis hac rationo praocidatur, sicque tmn oxpetitum, tamque non solum ad navigationem sed et ad promptam et accurntam geo- graphicarum tabularum reformationem ueccssarium, ideoque nullis tinquam sat dignis praemiis ot honoribus compenaandum, vereque diviuum, inventum, vobis, id rocusnntibus voi parvipendentibu8, oxcidet, et per vos humano etiam generi, per quos, cum aetorna atrenuae et industriae vestrae gentis gloria, illud orbis terrarum Auctor destinato vo- verat: nec enim tantum virum, tantique a Serenissimo suo Principe habitum, rem adeo Lott. 8440. 6. Ureemnnno — 9-10. re notti* retato — 11 Dir. n.° 8I2S. La lotterà dell’O ktknsio alla talo data è couiurumta altresì dal n.° 8470, Un. 2. qualo qui accentui ò, por verità, del 1» fobbrnio; o 16 MARZO 1637. [3446-3447] 45 30 exiiniam precario (ut illi guaderò videris) iterata ad Illustrissimos Ordines, scriptione licot, nullo ab illis por tantum tempus habito responso, vel literis ad amplissimutn Am- steledaraonsom Senatum, importune obtrudere decot. Sat sit illum Illustrissimis Dominis Ordinibus fidonter et generose, summae illorura virtut i et potentine habita reverontia, id semel obtuliaso; vestrnrum porro sit partiura, qui ad eius promotionem ab illis deleoti ostia, negocium apud cornili Celsitudines, prò pei’sonarum et rei ipsius dignitate, gnaviter curare perfìciondum, omnibus ad id facientibus prudenter ab iis sine ulteriori mora pro- spect'i8 et provisis : ex quo vobis Dominis Commissariis, tibique nominatila, vir Claris- sime, magna apud omnes gratin et meritissimus honos quaeretm*. Iure mi Ili a Domino Galileo delato usus, tuam ad enm epistolara, illibata altera ad 40 Dominimi Peirescium, Illustrissimo Domino Grotio praesente, aperui et legi ; cuius cor- datissimi omnibusquo (ut scie) virtutibus cumulatissiuii viri, crgaquo publicum patriae totiusque universi bonum optimo afTocti, de bac re iudicium ox suprascriptis habes. Per Dominimi Ieremiam Calandrinum, liane tibi officiose traditurum, tuum ad cani expecta- tissimum responaum milii mittero poteris. Vale. 3447. LODOVICO ELZEVIER a FULGENZIO MICANZIO iu Venezia. Leida, 10 marzo 1037. Btbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 08. - Autografa. Molto Rov. d ° ot Ul. r ® Signore, Questa sarà per dar aviso a V. S. del mio arrivo in Leida- In quanto il libro del Sig. r Galilaeo, no ho fatto intagliare le figure, dello quale mando 4 per prova. Comminciarò con il primo la stampa; intanto aspetto il restante con il Irontispicio, il quale piacerà a V. S. di consegnare al S. r Giusto O librai o, al quale ho dato ordino di mandarmelo. Ovunque la potrò servire, prego d’onorarmi delli suoi eom- maudi, alli quali sarò sempro Di Leida, 16 m0 di Marzo 1637. Di V. S. Rcvd. loa li’ IIumill. ,n0 Servitore Lodoico Elzovior. Fuori: Al’ Ill. m0 et Rovd.™ Signore Fulgontio Sorvita, Teologo della Ser. m “ Rop/' di Venetia. 43. Calandriwn — (») Giusto Wiffei,dich. 46 20 MARZO 1037. [3448-3449J 8448 *. VINCENZO RENI ERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 20 marzo 1637. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, B.» LXXXYI, n.° IN. — Autografa. Molto 111/ 0 ot Ecc. mo Sig/ mio Col.™ 0 La sua do’ 9 dol corrente m’ò stata (li molta consolatione, perchè, sebono olla m’avvisa che ancor seguita l’informità del suo occhio, por ogni modo, ve¬ dendo che ella non per questo manca di honorarmi dolio suo lettere, reato sompro più corto della continuatione del suo affetto, più elio mai vivo. Io non intondo però elio questo mio contento debba esser di pregiuditio in cosa alcuna alla sanità sua, bastandomi dio quando sarà guarita, conio in brovo sporo, me ne dia parto. Sto componendo un epitalamio per lo noz/.o dol Ser. m0 (il , del quale, quando l’havrò finito, no farò parto a V. S.: alla qualo, nel ritorno del Scr. m0 a Firenze, non raccomando il negotio della lettura 12 ', sicuro elio ella farà por sò stassa senz’altro stimolo. Mi conservi sempre suo, o si ricordi elio fra’ più affettuosi suoi servitori non cedo ad alcuno in amarla e riverirla. Con che per lino lo bacio ntlettuosamcnto lo mani. Li Genova, li 20 Marzo 1037. Li V. S. molto 111/ 0 ot Ecc. ,u3 I)ov. mo o Cordini. 0,0 Sor/ 0 L. Vincenzo ltoniori. 8449 . ELIA DIODATI a COSTANTINO IIUYGENS [all’Aja], Parigi, 20 marzo 1637. Dal Tomo III, pag. 430-433, doU’odiziono Fiorontina citata noli’ informaziono promossa al n.° 1201. I.o pro¬ selito ò la traduzione, inviata dal Diodati a Galileo (cfr. n.° 3499, Un. 45-46), doll'originalo. — A questa lotterà tion diotro, nella citata ediziono Fiorontina, una « Poscritto dol I'oodati ni (ialiloe », la quale, coni’ ò naturalo, dovotto esserlo accodata quando il Diodati trasmise la lotterà a Galileo; o perciò noi la pubblichiamo al posto che cronologicamento lo spotta (cfr. n.° 3499). Parigi, 20 Marzo 1637. La fama dolla virtù e Ferdinando II, Granduca di Toscana, con <*> Cfr. n.° 3439. VITTOK1A DELLA ROVERE. ( 3 I CRISTIANO HUYQBN3. 20 MARZO 1037. '17 onorato, o continuatamela anco di poi mentre ha vissuto; ora, con l’occasiono d’un ne¬ gozio importantissimo, nel quale ricorro alla sua protezione verso gl’illustrissimi Signori Stati, dignissimo della loro grandezza e potenza, me le vengo a offerirò devotissimo ad onorarla o servirla. Il Sig. Galileo Galiloi (il solo nome del quale, senza altra più particolare denotazione, io manifesta l’eccellenza del suo merito, come di persona singolare nel nostro secolo, aven¬ dolo illustrato por lo cose da lui ritrovato nel ciclo, inaudite cd incognito a i seco] passati), avendomi scritto da un anno in qua (secondo l’antica amicizia della quale Sua Signoria s’ò compiaciuta onorarmi) elio oltro le cose da lui ritrovato o pubblicategliene restava una importantissima, desidorata in universale da tutti, ed alla ricerca della qualo tutti i gran principi avevano invitati i mattematioi o gli astronomi con promesse d’ono¬ ratissime ricompense a chi la trovasse, cioè l’invenzione dello longitudini, nella quale, essendosi affaticati invano fin adesso, gli ora felicemente riuscito di venire a capo cd ac¬ certarsene por ogni sorta di prove ed esperienze continuate per molt’anni ; non restarli so non di trovare un principe potente, al qualo dedicando il suo segreto, il negozio sotto CO tali auspici pigli stabilimento, ed in progrosso di tempo ne sia introdotto l’uso por terra o por maro, dovo assai più questa invenzione era necessaria per la sicurezza de’navi¬ ganti ; essendomi rallegrato seco elio con questo nuovo trovato potosso, oltro a’prece¬ denti giù pubblicati, anco illustrare la sua memoria con un tanto beneficio verso il go- ncro umano, gli scrissi elio mi pareva (so per altre considerazioni non ne era ritornilo) elio por questo non poteva far miglioro olozione che degl’illustrissimi Signori Stati Generali dello Provincie Belgiche foderate, concorrendo in essi tutto le qualità desiderabili por la perfeziono di questo, o potendo meglio d’ogu’altro principe, per via delle continue ed universali loro navigazioni, introdurre o stabilirne l’uso, avendo negli stati loro peritis¬ simi astronomi e numero grandissimo di nocchieri o marinari espertissimi ed industrio¬ so Bissimi, o cho di più potova sperare, anzi assicurarsi, che essi, conoscendo per prova l’im¬ portanza di questo negozio o l’onoro cho glio no riuscirebbe rendendosi pubblico ed all’uso universale del genero umano sotto i loro auspici, non nianchercbbono di testifi¬ carglielo, rimunerandolo onoratamente socondo la solita loro magnanimità. Avendo dun¬ que osso Sig. Galilei condesceso al mio parere, mi pregò di scriverne al Sig. Ortensio por farne fare la proferta alle loro Ecccllenzo; la quale essendogli stata fatta dal Sig. Borei, Consolo d’Amsterdam, fu ricevuta da loro con molto applauso, avendo nominato i Commissari por osammo della proposizione, quando venisse loro presentata: la qualo osso Sig. Galilei, essendosi trovato indisposto, non potè mandargli che in capo a quattro o cinque mesi, cioè nel meso di Settembre passato, avendola indirizzata al Sig. Realio e 40 scrittoli in particolare una lettera onoratissima (come feci ancldio, accompagnando quella del Sig. Galilei, per dargli notizia che, pervenendogli per mezzo mio, me no mandasse la risposta), pregandolo di farne la presentazione in nome di Sua Signoria alle loro Ec¬ cellenze (non essendo parso di dover servirsi in ciò del Sig. Ortensio, se bene suo amico, ossomlo uno de’Commissari nominati). Alli 4 di Novembre ebbi avviso dal Sig. Ortensio della presentazione fatta dal Sig. Realio della proposizione, c che dalle loro Eccellenze era stata ricevuta con grande aggradimento o con molto onore, come esso Signor Galiloi lo vedrebbe dalla loro risposta, la quale in breve dal Sig. Realio gli sarebbe mandata, 20 MARZO 1637. 43 [ 3449 ] secondo la commissione glie n’ora stata data da loro; e che intanto detta proposizione era stata data a i Commissari per esaminarla e darne relaziono. E non essendo fin adesso detta risposta dell’Eccellenze loro stata mandata, avendo il Sig. Ortensio dopo un silen- 50 zio continuato di quattro mesi, benché instantemonto da me sollecitato, finalmente scrit¬ tomi che il Sig. Realio aveva avuto molte occupazioni, le quali l’avevano impedito di mandare la risposta, e che in breve me la manderebbe per inviarla al Sig. Galilei, e non essendo nò anco seguita la relazione de’Commissari, V. S. lllustrisB. può da sé facilmente comprendere se il Sig. Galilei, il quale, per la generoso confidenza dimostrata noi suo procedere avendo con ragione dovuto sperarne ogn’altra cosa elio una tanta freddezza, ha occasione ora di ritrovarsi perplesso, ed io, per avercelo ridotto, di restar confuso; una tanta dilazione non rispondendo nò alla dignità del negozio, di valore inestimabile, nò al merito incomparabile dell’autore, confidatosi generosamente nella magnanimità del- PEccellenze loro, e riverito la loro potenza con parole e con fatti nell'aver loro fatto un fio presente di si gran prezzo, uè finalmente all’onore ed alla gloria immortale che glie ne risulta, dovendo non solo i loro popoli, ma anco tutto il genere umano, ricevere dallo loro mani questo dono del cielo, negato a tutti i secoli passati. Ed acciò V. S. lllnstriss. conosca maggiormente quello avrà da esser fatto por la pro¬ mozione del negozio, ecco che le mando la copia della proposizione (avendomela esso Sig. Galilei mandata aporta), non solo per informamela, ma anco per la sua soddisfazione, tonoudo elio avori molto a caro di vederla, e che, essendo intelligentissima in questo scienze mattematiche, ne riconoscerà facilmente la verità, o diBcernerà che quanto resta da farsi per facilitarne l’uso in maro e superare l'impedimento che l'agitazione della nave potesse arrecare a far l 1 osservazioni necessarie, non dee minorare il merito, non dero- 70 gando ciò alla certezza della cosa, e per quanto spetta alla terra, potendosi senza altro maggior comparamento, per via di questa invenzione, riformare lo carte geografiche o marittime od essere in esso assegnati i veri siti de’ luoghi, i quali sin qui non si Bon po¬ sti per lo più che immaginari ; il che solo, essendo bene presento ed eccellentissimo per l’aggiustamento della geografia, quando altro non fosse, dee far tenere in grande stima il segreto di questa invenzione. E nondimeno per rispetto anco del maro, oltre che il big. Galilei nella 6un proposizione dice d’averci trovato qualche opportuno rimedio, non bisogna dubitare, che come universalmente Parti, principalmente le più nobili, hanno tutte nella loro prima introduzione incontrate delle grandissime difficultà, per lo quali in prin¬ cipio si perdeva ogni speranza della loro riuscita, le quali nondimeno dipoi, per l’indù- SO stria degli nomini (alla quale non ò cosa alcuua insuperabile), con ammirazione si son rese facili e praticabili anco da i spiriti volgari, senza dubbio interverrà il medesimo in questo, principalmente se v’aggiungono promesse d’onorati premi a chi lo riduca a per- 1 ozimi e: attesoché (per non uscire della navigazione) moltissime sono l’operazioni clic si fanno nel governare lo navi, le quali, proposte a i primi naviganti, sariano state riputato del tutto impossibili; e parlando d’una sola, chi avrebbe mai creduto elicsi potesse faro una mistione dell’uso delle vele e di quello del timone, che, senza scapito alcuno, anzi più presto con qualche guadagno, si potesse contrastare alla forza d’impetuoso vento contrario ? Sicché P ingegno umano venendo a capo d’ogni cosa a che s’applica con fissa Lett. 8449. 73. tu etti attegnuli — 20 MARZO 1G37. 40 [3449] 00 ostinazione, questa, difficoltà per la fluttuarono della nave sarà anco col tempo facilmente superata, come s’ è visto di molto altro assai maggiori ed assai manco necessario ad es¬ ser superate. V. S. Illustrissima vedrà di più por La detta proposizione, come il Sig. Ga¬ lilei offerendo di dichiarare il modo per la costruzione dell’efomoridi de’moti regolari de’ quattro satolliti di Giove, e d’insognar la fabbrica dell’ orologio da lui trovato, esat¬ tissimo misuratore del tempo senza errore nò anco d’un minuto secondo d’ora in un giorno nò in un moso (aiuto mirabile in tutto l’astronomicbo osservazioni); por venire all’effetto di tutto queste gran cose, lo quali non si possono sporaro da altri che da lui, non avendo por la sua gravo otà potuto intraprondero un viaggio di tanta distanza por trattar questo suo negozio di presenza, come sarebbe stato assai più opportuno, anzi ne- 100 cessano, pare cho quello s’abbia da faro por supplirci sia che con un trattamento con¬ venevole al suo merito, alla dignità del negozio ed alla grandezza e potenza di cotesti Illustrissimi Signori, testificatogli con gli effetti, gonza più lunga dilazione, venga ad es¬ sere indotto ed invitato a dichiarar lo coso da lui offerte, perchè il continuare nel modo cho si ò proceduto fino adesso, gli priva giustamente d’ogni speranza e motte il negozio in termine di pordorsi, frustrandone l’autore dell’onoro o del premio dovutogli, il mondo universale del benefizio desiderato, e cotosti Ulustriss. Signori della gloria dello stabi¬ limento. Però, con quel maggiore affetto ch’io posso, prego umilmcnto V. S. Illustrissima di volere abbracciare questo negozio, nel quale non credo poterle essere importuno, anzi, 110 visto dalla sua generosità, spero cho lo giudicherà degno oggetto della sua virtù e d’es- sor appoggiato all’autorità di Sua Altezza< l ), in quanto la gloria di sì nobili e sì illustri stnhilimonti ridonda principalmente nella gloria de’principi sotto gli auspici do’quali si son fatti, notandosi tra lo più segnalate imprese loro, come in Cesaro la riformazione del calendario, ed in Ferdinando di Castiglia lo scoprimento dell’Indie; ondo Sua Altezza, non cedendo in grandezza d’animo ad alcuno do’detti principi, se sarà informata da V. S. Illustrissima del merito di questo negozio, nobilissimo per la sua origine, essendo deri¬ vato dal cielo, ed illustrissimo per lo bone universale o porpetuo al genere umano, l’ani¬ merà senza dubbio a proteggerlo volentieri con l’autorità sua. Il Sig. IIouBcborcbon w , Residente in questa Corte per cotesti Illustrissimi Signori, 120 col quale no ho conferito, ostato di parere che ne scrivessi all’Illustrissimo Signor Muschi, Segretario di Stato dello loro Eccellenze, per raccomandargli il negozio, come persona di molta autorità nel Consiglio loro e di gran virtù, al quale ne ho scritto, sebbene più succintamente. Piacerà a V. S. Illustrissima conferirne con lui, e concertare insieme quello cho giudicheranno s’abbia da fare, facendomi il favore di avvisarmene. Il zelo del ben pubblico od il devotissimo affetto mio verso cotesto trionfante Stato, dal quale prima sono stato mosso, me ne fa desidei'are il felice successo per la gloria loro, oltre l’inte¬ resse dell’autore, persona singolare o d’incomparabil valore, trovandomici in obbligo per suo rispetto, avendo egli in ciò seguito il consiglio che io glie ne ho dato; sicché gli buoni uffici, che V. S. Illustrissima si compiacerà far per il bene del negozio, mi terranno 130 in obbligo strettissimo e perpetuo verso di lei, pregandola ec. Ol Kkdbiuco Enrico d’Oiunob. Giovanni Ecskkrckrn XVII. 7 50 21 MARZO 1637. [ 8450 ] 3450 ** RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 marzo 1037. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 14. — Autografa. Molto IH.™ et Ecc. m0 Sig. r o P.ron Oss.“° S. Fui por le festo di Natalo, in compagnia dolli SS. Sacchetti, a vedere il pre¬ sepio (in questo erano diversi orologii, elio si movevano in virtù d’una radica' 11 , dol P. Atanasio Gicsuita (il ), e nella loro libreria veddi, tra gli scritti del P. Gram- borgicri' 3 ’, alquanto demostrationi de centro gravitate solidorum, quali nò orano di sua mano nò scritto così di fresco ; sicliò, tenendo per certo elio fossero quello di V. S. Ecc.“ bW , fecci grand’instanza por Laverie, ma por qualsivoglia mezzo o preghiera non ho possuto ottenerne copia, sott’un protesto generale che hanno scomunica di dar fuora l’opcro elio non sono stampato. Io confesso d’essermone piccato, o così progai il P. Francesco 51 clic a mio nomo chiedessi a V. S. coni- io raodità. di copiarle. Ma egli, por non liaver mio lotterò (chò non liehbi tempo, corno scrissi a lui) overo per esser troppo guardingo, non ha ardito far simil domanda, ma solo m’assicura trovar V. S. prontissima a farmi di continuo grazio, ot egli s’obliga (quando gli sia permesso) di copiarmelo. S’io ardisco troppo, domandando cosa elio non ò per anco stampata, n’ò causa (circoscrivendo la sua cortesia la mia curiosità e segretezza) il vederlo in potere di costoro, sì come avviene d’altri libri, che, sotto protesto di volergli confutare, sono di con¬ tinuo letti o riletti da loro. Potrei anco, so così lo pare, mostrarlo per passaggio al detto P. Atanasio, acciò intonda elio si possono Lavoro senza loro, c elio non è orba dol loro orto, sì corno tengo per sicuro. 20 Fra tanto gli do nuova corno da Napoli ò venuto un cristallo, elio porta 15 palmi di cannone: ingrandisce gl’oggotti fuor di modo, dò. grandissimo gusto intorno allo Stello Mediceo; ma però non termina bone il disco di Giovo, mo¬ strandolo imbambagiato. Così no sono venuti dal medesimo maestro al P. 1). Be¬ nedetto dei più corti, ma però, a mio giuditio, molto migliori. Talché tengo poi- sicuro cho questo instrumento sia por avanzarsi più elio mai, non ostante elio molti Poripatetici di Roma affermino ostinatamente esser tutto illusioni di vetri ; ma troppo elleboro ci vorrebbe por questi corvelli. Lott. 3*450. 4. de P. Atanaiio — <" Cfr. nn.‘ 2905, 2906. •*’ Atanasio Kiroiirr. i fll Cristoforo Gribmbrrqkr, tM CO- Voi. I, pag. 187-208; Voi. Vili, pò*. 318. **’ Fauia.no Miuhbi.im. 21 — 22 MARZO 1637. 51 [3450-3451] Godo in estremo elio ella s’occupi intorno al moto dei proietti, o tanto più, quanto meno mi dà soddisfattone Aristotile. Per fine la prego quanto so e posso a non lasciar indietro lo spcculationi de incessa animalìum (1) , acciò conquesto tratto ancora si sbarbi quella opinionaccia elio questo autore sia in tutto o por tutto un oracolo. M’è sovvenuto questo, perchè qua si trova un medico todesco, anatomista raro, quale mostra in latto assaissimi errori de natura animalitm; o quand’io gli contai del cavallo di Gattamclata' 2 , elio sta sopra dua gambe dalla medosima banda, contro il detto d’Aristotile, rise veramonto di tutto core; et ogni giorno porta qualche luogo, por farci sempre più riderò. Mi perdoni, por grazia, Y. S. E."'* s’io mi son troppo allungato, o mi co¬ mandi senza risparmio, ch’io gli sarò sompro buonissimo servitore. E le prego da Dio ogni bono. Roma, il giorno di S. Benodotto 1637. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. ,n: ‘ Aff. m0 ot Obl. mo Sor.™ Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto IH." et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Oss. ,uo 11 Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 3451. MATTIA BERNEGGEit ad ELIA DIO DATI in Parigi. [Strasburgo], 22 marzo 1637. Bibl. Civica di Amburgro. Codico citato ni n.° 2G18, car. 207f. — Minuta autografa. .... Apologetici (S> exemplaria 12 hic habea. Doni consule munusculutn. Mundioris oliar tao, nulla mihi suppetunt ampline. In illuni sarcinam, quam nondum allatam vobis ex littoria tuia 24 Februarii scriptia cognosco et dolco, quatuor immdiora, et qualia requiria, promte indidi. Quadraginta libraa, Peleibibliopolae nomine dandas a nepote, ut acribia, uolas prò omnibua moia irapensia typographieis accipiam. Guai enim per infelicitatem tem- porum omnia commercia iaceant, exemplaria nnllibi distraberc conceditur. Quicquid eorum intor bominea doctoa sparsimi est, mei munoria fuit. Sed acquo animo patior hoc damnum, (pio me tamen Elzevirii levare posseut et forte doberent. V. 12 Martii< 5 > 1637. 0) Cfr. Voi. Vili, png. 567-5G8. « 3 > Cfr. n.» 8058. <*' Monuuiontooquestro fatto erigere sulla piazza (iuocirlmo Pede. dol Santo in Padova, in onoro di Erabuo da Nakni, ,S) Ci stilo giuliano, dui tiglio Giaknantonio ; oporn di Conatki.lo. 52 24 — 27 MARZO 1637. [3452-3453] 3452 ** NICCOLÒ FARRI DI PEI RESO a ELIA DIO DATI in Parigi. Aix, 24 marzo 1G37. Bibl. d’Injfuimbert in Carpontrus. Collection I’olroso, Ad Cfr. n.« 2962, Un. 7. ‘ 3 > Cfr. n.o 3439, liu. 4. <*> Cfr. n.o 8142. < s > Cfr. n.« 8448. 27 — 28 MARZO 1637. 53 [3453-3454] dispiacerà; et ò, che lasciandosi andar dal’uno do’lati del’arco da loro de¬ scritto, o restringendosi sempre più, tante vibrafoni pongono la prima volta nel ristringersi un palmo, quanto la seconda e la terza otc. Col’ ossompio mi lascierò forai meglio intendere. Sia sospeso il pendulo A dal punto E lino al’altezza del’arco LF : lasciandosi poi 20 andar libero fino ad II, nel ritorno farà, la vi¬ brafono d’arco minoro in B, la terza in C, otc. Hora so, por ossompio, la decima vibrafono liavrà slontanato il pendulo dalla porpondicolar al’orizonto EI por la quantità del’arco GL, ogni volta elio il pendulo si tornerà a lasciar cader libero dal punto F o elio havrà ristretto lo suo vibrafoni al’arco GL, saranno sempre dieci vibrafoni o non più; il che potrà servirò per numorar lo vibrafoni, senza Laverie a contar ad una ad una. so Sono, per fino, tutto suo, o di cuore mo le raccommando. Di Genova, li 27 di Marzo 1637. Di V. S. molto HI." ot Ecc. ma Dcv. m0 et Obl. mo Sor." D. Vincenzo Ronieri. Attendo buono nuovo del’occhio suo. 3454**. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri']. S. Maria a Oampoli, 28 marzo 1637. Blbl. Nftz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 149. - Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m Sig. r mio P.ron Col." 10 ( Tra lo mortificationi che già molti mesi per causa do’ miei cugini ho ri¬ edito o continuamente ricevo, una delle maggióri ò l’aver trattato la vendita di quella mia casa (1 > con persona che m’ha saputo trattenere tanti mesi, o quando io penso d’avero concluso, avendola indotta a compromettere Uberamente, mi Lett. 34 53. 27-28. dirci librationi. A lin. 20-21, 22. 27, 28, aveva pure scritto dapprima libra*»". Sbraitoni, e poi corresso vibratone, vibrafoni. — O) Cfr. no. 1 83S9, 3400. 54 28 — 29 MARZO 1037. [3454-3455] trovo burlato, volendomi egli pagare in tanti eroditi: e cosi, con questi aggira¬ menti, io ancora apparisco scialaquatoro di parole, che ho dato intenzione a V. S. di rimborsarla prontamente do gli d. 1 80 prestati a mia contemplazione, o poi con qualche dilazione del resto. Suplico però V. S. con tutto 1 affetto, che non ascriva questi allungamenti a vizio della mia natura, anzi gli stimi più presto io necessairi elio volontarii; o mentro elio io ni’ingegnerò di purgare una volta questo contumacie, mi onori di qualcho suo comandamento, menti o co 1 tino gli faccio debita reverenza. Da S. ttt Maria a Campoli, 28 Marzo 1637. Di V. S. molto 111." ot Ecc.™ Dovotiss.* 0 o Oblig"° Se» Alessandro Ninci. 3455. DANIELE SPINOLA a GALILEO in Firenze. Genova, 29 marzo 1037. Bibl. Naz. Pir. Mas. Gal., P. 1, T. XI, car. 285. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. rao Sig. r mio Oss. mo Debito di qualunque huomo ci vivo panni elio sia l’onorar la virtù; la quale quando in sommo grado si truova congiunta allo più nobili scienze in un suggotto, io stimo ebo all’ attoismo s’accosti chi non la riverisco in quello come cosa divina. Porlocbè V. S., da cui le filosofiche e matematiche disciplino, stato sin ora cieche, han ricevuto il vedere, non dovrà riputarmi per ardito soverchio, se, sconosciuto, vengo con queste righe a testificarlo l’osservanza che io vorso di lei professo, parto della maraviglia che vivo in tutti i cuori, o spezialmente nel mio, del sovrumano sapere di V. S.: giacliè, non valendo io di vantaggio, in questa carta presontole un obbligo di perpetua servitù. La quale, awegna che io gran tempo habbia da che ella in me nacque, non ho mai osato però di pale¬ sargliela, dono stimandola agli alti meriti suoi sproporzionato; ma, sovvenutomi esser un cuor sincero volentieri accettato anche da Dio, ho dato bando a quel rispetto, come troppo nocivo al mio bone, che alla mia fortuna toglieva il modo di poter avanzarsi con alcun comandamento di V. S., non messo più in dubbio ch’ella sia per accettarmi nel numero de’suoi più dovoti: il che so, corno io bramo, mi avviene, giusta cagione havrò sempre di gloriarmi di essore stato dal gran Galileo, cioè a diro dal miracolo di tutti i secoli, riconosciuto por suo am¬ miratore. Ma se V. S. punto gradisco l’ossequiosa mia volontà, diamone arra, no 29 MARZO — 2 APRILE 1637. 55 [8465-3456] 20 la supplico, col farmi degno di attualmente servirla, mentre io, pregandole ogni meritata felicità, lo bacio le mani. Di Genova, il dì 29 (1) di Marzo 1637. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ma 3456 *. MATTIA BERNEGGER ad ELIA DIODATI in Parigi. Strasburgo, ‘2 aprilo 1037. Blbl. Civloa di Amburgo. Coilico citato al n.° 2G13, car. 21 Ir. — Minuta non autografa. Aclio Diodato, Lutotiam. Amplissime nobilissimoque Domino, Nudius tertiuB aut quartus cognatus tuus, cuius ogo diligentiani, modestiam, pruden- tinm, magia raagisquo mihi probatam, valde commendo, cum tuionenscs illos 40, do quibus nuper scripserasO), in boni commatis moneta, scilicet unciatis nunnnis, quos nos imperiales taleros appellamus, mihi repraesentavit, tura ctiam litteras tuas reddidit, 1 Martii scriptas. Pergratum est, moas ad summos viros Galilaeum atque Gassendum recto curatas, quorum benevolentiara, quovis auro contra caram, ut primus mihi nihil talo merito conciliasti, sic 10 otiam ut porro eandora foveas atque conserves, obnixo rogo. Nuper ad me scripserunt Elzevirii, so instnntcm mercatum Francofurtanum frequen- taturos: ita fiet, ut Systema Copernicanum, quod iam integrimi annum Francol'urti, uescio quo abditum angulo, latitavit, una cum Apologetico tandem aliquando lucem aspiciat. Crystalla tolescopii supposititia esse, suspicandi hae mihi causane: quia in maioris margine gluten adhuc haeret, ut appareat id iam votus esso et alicui tubo iam ante l'uisse inditemi: cum pertinacissimi morbi vis hactenus me sempor abstiuuerit cubiculo, in eo non niai lunam interdum inspicore datum fuit; sed in ea tantas inaequalitat.es, quantas no3lor Galilaeus describit, observare minime potui: etc. Cum per Doi gratinili valebo, rectius et hnoc et cetera plmenomena diligentius explorabo.... 20 23 Mart. Ialiani 1637. <•> Prima ora stato scritto SO, poi lo 0 fu cor* **> Cfr. n.» 3161, Un. 4-5. rotto iu O. Cfr. u.o 3458, lill. 4; u.« 34G3, lin. 4-5. 3 - -1 APRILE 1637. 13457-3458] 56 3457**. ALESSANDRO NINCI n [GALILEO in AreetriJ. 8. Maria a Campo!!, 3 aprilo 1037. Bibl. Naz. Fir. Appendice ni Mas. Gal., Fil*a Favaro A, car. 160. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. m0 Sig. T mio P.ron Col.™ 0 Ho riceuto la gratissima lotterà (li V. S. in tempo elio non m’lia permesso il servirla con quella pronteza elio io dovevo o desideravo; ma lunedi prossimo non mancherò di provedere il grano, e por tutto il giorno giovedì susseguente manderò la farina, o latto lo Feste, poiché V. S. non no fa frotta, manderò le fascino. E por grazia mi scusi so l’ultima volta non fu servita dal mugnaio conio desiderava; ma adesso m’ingegnerò di provedere elio lei resti satisfatta, mentre co ’l fino, facendoli debita reverenza, gli pregilo dal Ciclo prosperità intera. Da S. tft Maria a Campoli, 3 Aprilo 1637. Di V. S. molto DI. 10 ot Ecc. Bim Devotisa.™ 0 e Oblig. mo So.™ io Alessandro Ninci. 3458. GALILEO a [VINCENZO RENIERI in Genova]. Arcotrl, 4 aprile 1637. Bibl. Nftz. Fir. Mss. Gol., P. I, T IV, car. 104. — Autografo. Molto 111.” o molto Rev. do P.re e mio Sig. r Col.® 0 Due lettere di V. S. molto Rev. da , una dalli 20 o l’altra delli 27 m del passato, mi sono pervenute in questo punto, o (li più una dell’111. ,no Sig. Daniele Spinola, pur dolli 20 del passato l ’ 2) ; o di questa dilazione ne ò stata cagione la malattia, e poi anco la morte, del mio povero servitore, il quale, in questo mio esilio dalla città, andava a recupe¬ rarle : però conviene scusarmi della tarda risposta, aggiugnendosi un’ altra cagione, die, oltre alla tardanza, mi necessita ad esser breve, che è 1’ hora tarda, che mi toglie il benefizio delle molto bore della notte concesse a quelli che habitano dentro la terra, dovo che a me io conviene haver mandati i miei dispacci avanti il tramontar dol solo. "> Cfr. un. 1 3448, 3453. <*» Cfr. u.° 3465. 4 APRILE 1G37. 57 [ 34 - 58 - 3459 ] Posso aggiugner la 3 a causa, clic è la radunanza di molte lettere che chieggono risposta, cosa che non ho potuto fare da un mese in qua per una infiammazione nell’ occhio destro, clic mi ha fatto temer di perderlo, nè per ancora son del tutto libero. Convien dunque non solamente che essa mi scusi, ma che mi faccia grazia di rappresen¬ tare alPlll. mo S. Spinola questo mio stato presente angustioso, il quale non mi dà poterò di rispondere prontamente alla sua cortesissima lettera, piena di tanti affetti di benignità, oltre alla inaspettatissima 20 comparsa, che mi è forza dar 4 o fi giorni di tempo alla mia ammi¬ razione e confusione per poter condegnamente sodisfare pure a una minima parte delhobligo nel quale mi ha incatenato la gentilezza di questo Signore; et intanto gli faccia libera offerta della mia de¬ votissima servitù. Subito che Y. S. molto Rev. da mi manderà il titolo dell’opera (1) , procurerò, per via del Rev. mo P. Ab. Castelli, che s’intenda l’animo dello stampatore di Roma. Aspetterò con avidità di vedere l’Epitalamio l2) , sicuro che sia per esser cosa insigne. Credesi che il S. G. I). sia per venire al Poggio so Imperiale qui vicino, dove barò comodità di servir V. S. : alla quale per fine fo humilissima reverenza. D’Arcetri, li 4 di Aprile 1G37. Di Y. S. molto I. et molto Rev da 3459. LODOVICO ELZEVIER a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia], Leida, 4 aprile 1037. Bibl. Naz, Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIV, car. 69. — Autografa. In quanto il libro del Sig. r Galilaei, ne habbifttno comniinciato la stampa < 3 >. Man¬ derò por un altro lo duo primi fogli; fra tanto aspottarò il resto con l’inscrizione, il qual piaceri! consignare al Sig. r Giusto per mandarmelo- Ut Cfr. n.° 3453, Un. 8. Ut Cfr. n.® 3418, liti. 9; n.® 3453, liti li. XVII. ' 3 > Cfr. u.° 3447. Ut Giusto Wifkkuuoii. 8 58 6 APRILE 1637. [84G0J 3460 ** ALESSANDRO MARS1L1 a [GALILEO in Arcetii]. Siena, 0 aprile 1037. Bibl. Naz. Fir. Ms9. Gal., P. I, T. XI, car. 287. — Autografa. Molto 111." od Ecd. m0 mio Sig. r ot P.ron Osa.® 8 Dal Sig. r Domenicho Cittadini ho sontito con mio singolarissimo gusto il ben osso re di V. S. Eccl. ul , o conio por sua gratta continova il suo amorevole allotto verso di me, il qualo, so bon ò effetto della sua cortese natura, non ili meno dà agumonto alle molto obligationi che lo tengo. Partii por Pisa por incontrare rEmin. mo Sig. r cognato' 1 ’, a dovo ho havuto occasione di ragionaro con alcuno di quei Sig. ri lettori con molto mio gusto; ma non potei sentirli, por non leggoro in quel tempo, facendosi la notturna. Non mancai però no’ miei discorsi palesarmi ammiratore o deboi conoscitore del va¬ lore di V. S. Eccl. m “ e seguace di molto suo oppinioni, il elio so elio anco venne io al’orecbio di S. A. S.: ansi col Eminentissimo Sig. r Cardonale o con un prelato 1,1 di gran valore o bibliotocario del Sig. r Cardcnal Barberino discorromo delle suo oppinioni, od io anco non lassai mostrarli quanto paresse a torto travagliato da Roma; o detti Signori conio ammiravano il valore di V. S. Eccl.®*, così la com¬ pativano in ixstremo, o credo elio al’occasioni potranno operaro, conio io li pregai, palesandoli quanto dovevo a V. S. Eccl. ma 11 nogotio della cattedra c3) sta nella maniera dio sempre; ed io parlandone col Emin. mo Sig. r cognato, par cosa dura che si debbia scemare a me quello che dà la cattedra od hanno voluto darò ad altri miei compatrioti! o neristesao cat¬ tedre elio sono io, tanto più por lo grandi spose cho occorri' faro a me, por i co rispetti clic Y. S. sa. Son certo clic da lei, evo occorrerà, sarò sempre favorito della sua protezzione. Di Padova il nogotio l4) sta in trattato; ma sono sennso- gliato per la lontananza, o per questo non lo batto con caldezza. Vorroi rendermi Labile a corrispondere a’ suoi favori, e lo fo reverenza. Di Siona, il 6 Aprilo 1637. Di V. S. molto 111." ed Eccl. m * Obbl. mo .Sor." Alesandro Marsili. IiCtt. 3400. 5. al molte — 9. palesarmi — 12. Jlnrbinio — Ai,RsaANi>uo Bichi. 1,1 Luca Ho(.strin, ,3 ’ Cfr. nn.‘ 8350, 33f.fi, 3873, 3884. Cfr. nn.< 8373, 3381. L8401-3462J 11-13 APRILE 1637. 5'J 3401 . FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 11 aprilo lf>37. Blbl. Nuz. Flr. Mss. dal., P. VI, T. XIII, o.nr. 18. — Autografa. Molt’ 111.” et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Vctlnl V. S. dalla col legata !1) il principio dell’impressione dello suo fatiche et spoculationi, et il desiderio del Sig. r Elzivir (li bavere il rcssiduo ot compimento dell’opera. Dall’intaglio ili queste quattro figuro mi pare potere sporar una stampa bella. Mi manda 7 fogli d’un’opcrota che portò seco di qua: in tutti 7 non vi ò l’errata il’una sola lotterà, elio nelle nostro stampo l’errata avanza il resto. Il P. Matlieraatico di Bologna (e) , coll’ occasiono del suo capitolo in Itoma, verrà a vedere V. S. Io gl’ invidio la felicità. Dovo publicaro qualche cosa, ma, per quanto mi scrivo, piò per la comuno che di suo gonio: calamità de’ gran- io il’ingegni, elio non possono meno far conoscere quanto siano elevati fuori del volgo; et Dioyenes a vulgo ncque reges ipsos scccrnelat. V. S. affretti il nmndaro quello elio si dova aggiongero all’opera sua, nec parcat calamo : faccia scrivoro da altri, perchè a’ vecchi è gran pena lo scrivere, ma il copiaro intolerabile. Dio la conservi, o lo bacio lo mani. Von.*, 11 Aprile 1G37. Di V. S. molto 111." ot Ecc. ma Dcv. mo Ser. S. r Galileo. F. F. 3462 *. COSTANTINO HUYGENS ad ELIA DIO DATI [in Parigi]. L'Aja, 13 aprilo 1G37. Bibl. dell'Accademia dello Scienze In Amsterdam. Ms. XI.IX, Lotlros framjoises de Constantin lluygons, T. I, pag. 771. — Copia dol tempo. La traduzione italiana, compendiata, della proselito, inviata da Bua Diodati n Galileo (cfr. n.° 8499, lin. 45-40), si leggo noi Tomo 111, pag. 484-436, doll’odizionQ citata noli' informaziouo promossa al n.° 1201. A Monsiotir Diodati. A la Haye, ce 13 d’April 1637. Monsieur, Sorti à peinc du nuage d’uno calamite domestique, doni il a pioti à Diott ino menneer seulement, contrae j’espere que M. Pallotti< 8 > vous aura faict outendro par avanco, .j’at- XiOtt. 3461. 6-6. non vi l'errata — 0> Cfr. n.o 3447. <*> Bonaventura Cavalieri. <*) Alfonso Ballotti. 00 ’ 13 APKILE 1037. [}M2] frappo ce premier ordinaire pour vous rendre compte de co quo voub m’avez voulu coin- raandor, touchant la proposition faicte per le S. r Galilei il cent Estat. L’hiatoire en aera courte, par co quo, n’en ayant conferò oncor qu’avocq M. Musili j’ay trouvò quo, pour co qui est do l’accoptation de l’offro et lo rcBsentiuient qui bo doiht à In grande bieu- vueillanco d’un personnage ai celebre, la choao est icy en ausai bona tenue* qu’on la io puisse desivor ot, h ce que le dict S. r Musch m’asseure, le S. r Rcael s’est cliorgi* do par l’Estat d’on faire uotification très-ample a vostre amy. Maia ce sera (ai desia Ics dopo- schos ne Bont parties) on luy domandaut un telesoope de sa fayon, coux do cob pai/, no nous pouvant representer ces quatre satellite», dont il a’agit, sana je no syay quello «orto do Bciutillation, qui pourroit empescher Ics obaorvationa soudaines et uiomentanécs de leurB conjiuntionì, applicationi et eclissi, telloa que 1’anteur nous les h peci Ho ; de aorte, Monsieur, que lo rappovt de eoa Commiasaire» ne s’eatant peu faire quo provieionol ot en partie, sana l’ayde de l’engin principal, jo ne voy pa» quel subjoct le S. r Galilei pourroit avoir de so tenir peu satisfaict du dclay do noz resolutions. 11 resterà d’ailleurs l’cxpe- diout si nécessaire oontres los agitations de la mer et l’horologe, do pareille importance 20 à bien effoctuer ces operations. Tout cela ent de l'essence, en tant quo la choso regardo la navigation. Si no lo voyons nous qu’en espcrance (et qui syait si co grand personnugo vivrà assoz pour nous achever d’inatruiroV), je vous donno à penser la desso» s’il n'im- porte pas que vous continue/. \ l’on presser et quo, si tout no paroist (l’abord au degró do la perfoction, nous ne dobvons mottro peino et nous liaster d’en approchor, par »on ad rosso, tant que pouvons. J’ndvoue quo, si sibi con sta t calculus ephemeridum, commo jo suia bicn coutent de m’on roposer sur la bonno foy do l’auteur, c’cBt desia un grand point gaigné par torre, et d’ou s’onsuivra necessairemont la roformation de touto la geographie. Mais les inforcata particuliers nous prossants plus et uniquoment à noua veoir designer eu haute mor, ou nous sonnnes, tant au regard du long quo du largo, vous pouvez con- 30 siderei’ qu’il n’y a que l’invention marine qui nous chatouillo principalemont, et sana la quelle, auennoment reduitto à l’ofìect de la praltiqne, quo noz penploB anront do la poino à so tonir obligoz (l’un benefico generai et beau plus qu’avnntageux à leurs aflairoa. Maia co sera bien moy, Monsieur, qui travailleray ii leur donner do plus sainea improssions. Jo vous prie d’en asseurer ce digno porsonnage, et que si tout ce mondo a de la passion pour son excellent inerite cornine moy, il ne nianquera pas d’en tiror toute sorto do sntiafaction. C’est ce peu, Monsieur, que j’ay eu à vous dire sur cette illustre nmtiero, dont je cheris l’occasion au doublé pour m’eschoire danB l’acquest de vostre amitié, recherebbe avecq raison par tous ceux qui estiment la vertu des Sciences ot la Science dea vertuz. Je prendroy plaisir à m’estendre sur ce subject, mais il faut quo j’abbrege, en protestant 40 que j’ay oste bìx foia intorrompu dans ces troia pages d’escriture. Ita nos dii nimirum tamquum pilas habent ! C'est la rouc do mon mostier, qui ainsi m’agito do matioro on raatiere. Aggreez, s’il vous plaist, ce discours tumultuaire, et me faictes la favour de croire que j’auroy un soiu tout particulier de vous faire veoir à coinbien je reputo l’bon- ueur d’estre crou, Monsieur, etc. Counklio Musco. [3463-3464 J 17 A1’KILE 1G37. Gl 8463*. VINCENZO RENI ERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 17 aprile 1037. Dibl. Est. in Moderni. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVJ, u.“ 110. — Autografa. Molto 111. 1 ® ot Ecc. ,n0 Sig. r c P.ron Col." 10 Ricovo una di V. S. do’ 4 del presento (1) , e mi dispiace sì della sua infermità, conio del disgusto elio credo gli havrà arrecata la morto di quel povero giovino. Ilo ritrovato Roggi il Sig. Daniolo Spinola, il quale, dubitando elio la sua non fosso ita a male, havea di già replicata la seconda, et ho fatto le scuse eli V. S. ; ma egli è cosi ben aflctionato allo compositioni di lei, elio era sicuro clic in un ingegno pari a quello di V. S. non potea esser elio non albergasse una cortesia straordinaria, ondo di già la teneva per iscusata: o tanto m’ha sogiunto ch’io lo replichi. È giovino di bel ingegno et amico della verità, elio è quanto posso io diro per farlo meritevole doll’amor di V. S. L’Epitalamio lI) , por alcuni miei negotii, non è aneor finito, ma non tarderà molto. Tra tanto, con la vicinanza del Ser. mo G. I). al Poggio (3) , attenderò che V. S. m’aiuti a sbrigar il negotio della loitura, con ricordar a S. Altezza Ser. um elio si compiaccia di ordinare elio la provisiono possa bastare a sostentarmi; perchè, essendo il monasterio di Pisa lontano dalla città quattro buone miglia (4 ', mi bisognerà star a mio spese nella città. Lo mando il titolo (B) del’opra por il lt. n '° P. Castelli, e cordialmonto le b. lo mani. Di Genova, 17 di Aprilo 1G37. Di V. S. molto IU. r0 et Ecc. m * Dcv. mo et Obl. m ® Ser. w 20 D. Vincenzo Renieri. 3464. DANIELE SPINOLA a GALILEO in Firenze. Genova, 17 aprile 1G37. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 289. - Autografa. Molto III."» et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo L’ambizione d’esser riconosciuto da V. S. per suo particolarissimo servidore mi fece riverirla a’ giorni passati con una mia lettera w , in cui per tale me cu Cfr. n.° 3459. <*' Cfr. nn. 1 3448, 3458. <»i Cfr. n.» 3458, lin. 29-30. <*) A S. Girolamo d’Agn&no. Non è allogato: cfr. n.° 3489, lin. 4. ««' Cfr. n.° 3455. 62 17 — 24 APRILE 1037. [3464-3465] lo dedicava; e la medesima mi fa replicarlo al presento con questa, por dubbio cko quella non lo sia pervenuta. Egli è però certo che nò quella nè questa mi sarei fidato io già di scriver a V. S., so il Padre D. Vincenzo Itinieri a farlo non m’iiavosso confortato. Perciocliè a personaggio, cui desid[erano] i maggiori principi d’onorare a tutto poter loro, sembravami che dovesse rocar tedio la mia debolezza ; e stimava che chi lia stancato per la maraviglia i più grandi ingogni del mondo, non dovesse curar gli ossequi di sconosciuta persona. Ma il Padre io sudetto, coll’accertarmi dell’infinita umanità di V. S., m’ha fatto sperare cho non in vano liavrò con tutto l’affoftto] bramato ch’olla mi accotti per quel servi¬ dore elio è obbligo di ciascuno, che ò ragionevole, essere a i meriti di V. S. Ho dal medesimo inteso con mio estremo dolore il malo ch’olla patisce a un occhio, o prego N. S. por la intiera sua sanità; oliò troppo fuor di ragiono ò che sian travagliati da malo alcuno quegli occhi, degni di staro aporti eter¬ namente, a i quali ò lo stesso ciolo obbligato por esser da loro stato arricchito d’infinito stollo. V. S. mi feliciti con comandarmi, cho io frattanto, augurandolo ogni desido- * rata grandezza, lo bacio riverentemente lo mani. so Di Genova, il di 17 di Aprile 1637. Di V. S. molto 111.” ot Ecc. mR Devotiss. 0 S. ,a S. r Galileo Galilei. Firenze. Dani ole Spinola. 3465 *. GALILEO ad ELIA DIODATI [in Parigi]. Arcetri, 24 aprile 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. VI, cnr. 88 1. — Copia (li mano di Vixoknxio Viviawi, il quale racchiuso tra parontesi quadro l’ultimo brano dol proselito capitolo da e mamime a caccia (lin. 7-11), notando in margino: «si lasci ». E invoro questo stosso capitolo, ina sonra l'ultimo brano indicato, si loggo, di mano, pur dol Viviani o di un suo amanuouso, anche a car. 221., 68l., 77r., 8Br., 147t. del medesimo eodico. A car. CSf. sono promosso dal Yiviani al capitolo questo parole: « Il Galileo ull’amico di Pa¬ rigi-[*io] tra lo altre coso con sua lotterà d’Arcetri do’21 Aprilo 1687 aggiugno: »; o indicazioni simili si leggono a car. 29f. e 147<. Tratanto V. S. supplisca per me appresso il Sig. Carcavil, acciò mi dispensi della risposta ancora per alcuni pochi giorni; e Iratanto che S. Sig. ri!l farà metter mano alla stampa generale di tutte lo opere mie, anderò riducendo al netto l’altro mie composizioni non ancor vedute, che saranno un libro de centro gravitata soUdorum overo una Cfr. Voi. VJiJ, pag. 313. L846&-8466J 24 — 25 aprile 1637. (J3 mano di problemi, parte fisici e parte matematici, overo un libro di postillo fatto a' libri de’ miei oppositori, che son molti, e massime doppo la proibizione del Dialogo et il precetto a tutti gl’inquisitori di non dar licenza elio si ristampi alcuna delle mie opero vecchie o io elio si stampi alcuna delle nuovo, onde s’è verificato, come è in pro¬ verbio: Ognun corre a far legno All'arbore che il vento in terra caccia etc. 8460. RAFFAELLO MA.GIOITI a GALILEO in Fireuzo. Roma, 25 aprilo 1657. Blbl. Naa. Flr. Msh. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 20. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ece. mo Sig. r o P.ron Osa.® 0 S. Non risposi l’ordinario passato a V. S. Ecc. ma por esser pur troppo aggravato d’ima cattiva febbre, elio finalmente mi si ò, por grafia ili Dio, sgraticciata d’ad osso. Peci l’imbasciata et i complimenti con l’Abbate Castelli quanto prima potei. Dolli orologii non parlo adosso, porchè spero mandargli un pezzo (li quella ra¬ dica'*’, et allora darò minuto ragguaglio del tutto. L’istoria del Sig. T Marchese o P. Clavio'*’, che V. S. mi racconta intorno allo suo demostrationi 1 , fu da mo intosa un’altra volta in casa del Sig. r Ambascia¬ lo toro di Toscana, quamVella mo lo promesso ; aggiungo di più, ch’olla mi contò l’ftvvenimonto compassionovolo (li quel gentil Intorno amico suo, elio dotto in un subito delirio etc. Senza questa notitia, non Laverei mai posante immaginarmi il modo con elio questi sacelli di carboni si fussoro impossessati di simil gioia. Non l’afiaticai id suo ritorno, perché molto si trattenne in Siona, o d’Arcotri più volto mi significò esser molt’occupata nel porfefionar l’opera della resistenza doi solidi. Non erodo elio questo demostrationi sieno arrivato in Francia con l’altro opero, perché il P. Merscnio do’ Minimi (4) , elio ha veduto il libro de moia con l’altro osservationi, di questo non fa montiono alcuna ; o pur ò vero eli egli vuole scompuzzaro ogni cosa. Questo frate stampa grandi o molti libracci, coi - 20 cando con lo sgradire altrui d’acquistarsi reputatane, o forse gli riuscirà ap¬ presso della marmaglia. L’opere che mi sono stato prestato di suo, la maggior parte sono in franzoso; o mi sa malo non osserno padrono, cbé lo manderoi, acciò ella lo vedesse ot a suo tempo o luogo l’arrivassi con qualche frustata. O) Cfr. n.» 3150. Un. 3. ,J| UUlDOBALDO UEtMo.VTKCCKl8T0F0R0Cl.AVrO. 1*1 Cfr. n.° 3450. lin. 6. (M Cfr. u.° 3182. 64 2b APRILE 1037. [3466-3467J Ma tornando al proposito mio, dico elio V. S. Ecc. m * può ben tenermi in una continua soto deU’oporo suo e mortificarmi a suo talento, eli’ in tutti i modi son nato por vivergli sempre servitore. Così prego Dio elio gli dia maggior comino- dità o contento. Roma, il giorno di S. Marco 1637. Di V. S. molto Xll. ra et Ecc. ma Sor. r ° Obl. mo Raffaello Magiotti. co Fuori: Al molto III.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Oss." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 34G7. RAFFAELLO MAGIOTTI a FAMIANO MICIIELINI in Firenze. Roma, 25 aprile 1037. Blfel. Naz. FI». Mss. Gal., P. VI, T. XIV, cnr. 01-G2. — Autografa. Molto Uev.* 10 P. S. M’è piaciuto quel risentirsi meco, quella sua vivacità, quel brio, intorno alla passiono del circolo; ma non m’è punto piaciuta la repulsa ricevuta dal nostro Socrate. In questa non so s’io più mi devo doler della sua tenacità opur della poca accuratezza della P. V. ; e pur io dissi che rifarei ogni spesa della copia< l >. Ma però è vero elio mio fratello^ in questa ultima mi fa piena fede che V. P. ni’è amicissima. Horsù, pntienzn: mi dorrò solo della mia cattiva fortuna, che mi rende in questo di peggior conditione che tutti i mag¬ gior nemici che Labbia questo grand’huomo. Dico questo, perché l’opere de molu (oltro a queste demostrationi) sono state già viste in Fiandra et in Francia dalli emoli, o più tosto sindaci, anzi nimicissiuii, sua; tra i quali pongo l’Abbate Mersenio Minorità in Fran- IO eia, poiché havendo vedute diverso opere di questo frate, trovo elio non ha altra mira che di sgradir (sebon alla fine sarà con suo scapito) i pensieri nobili, le sottili inventioni e demostrationi, di sì gran virtuoso. S’io non temessi d’offender troppo V. S., riempirei di querele tutta la lettera; ma nè anco mi antieroi, anzi allliggoroi ino et altri noll’islesso tempo. Sia pur celato a me ogni cosa, pur ch’egli acquisti fama per tutto le parti del mondo, oliò io finalmente preferisco la sua gloria ad ogni mio gusto. La prego a per¬ donar in questo alla paasion ch’io sento, che mi rende confuso nel dire, nei concetti o nello stile. Mi fu di qualche sollievo all’ indispositione, che mi ha travagliato dalli giorni Santi fino adesso (mediante la quale non scrissi l’ordinario passato), l’intendere eli’ il mio ne- 20 potino impara alle Scuole Pie. S’io l’ho a caro o s’io glieno raccomando, bastigli sapere <»> Cfr. 11 .» 3150 i*' Lattanzio Ma arem. |S467J 25 APRILE 1637. 65 che io Bon prei o et egli m’ò nipote unico. Fratanto il mio fratello gli rimetterà li 6 giuli delle Galleggianti. Confesso non haver, in questo punto, spirito di trattar delli spiriti vitali; pur tutta¬ via, per non la lasciar affatto a bocca aperta, gliene darò un poco di saggio così al bar¬ lume, non potendo noi per adesso haver commodilà di veder insieme anatomie. Sono molti anni elio un medico milanese osservò negli animali pasciuti di fresco e poi ammaz¬ zati (massimo nei cani), che nel mesentereo sono mólte vene lattee (1) , quali da tutti gl’ in¬ testini tirano succo overo chilo alla volta del pancreas, e per quello al fegato et alla 30 vena cava, per la quale finalmente s’annida, si riscalda e concuoco dentro al destro ven¬ tricolo del cuore; di quivi dalla vona arteriosa passa a refrigerarsi nel polmone per me¬ glio conquocersi, e dal polmone per l’arteria venosa torna nel sinistro ventricolo del cuore, dove si fa l’ultima concotione. Di là per l’arteria magna, e da lei per tutto l’arterie, si spargo il sangue spiritoso per tutto il corpo. Così si diffondono gli spiriti et il calore, e cosi il moto del pulsare, a tutte le membra. Dalle membra tutte succhiano le vene ca¬ pillari il sangue, quale era stato portato dallo arterie per nutrir le parti, come se fus- soro tanto radiche o barbe; e riconducano il sangue così con pochissimi spiriti al quoro per la vena porta, acciò là di nuovo con qualche portione di nuovo chilo per opera delle vene lattee bì riscaldi e conquoca. Questa è la circulationo che fa il sangue in noi, osservata 10 alti tempi nostri, e bastante a rivolger tutta la medicina, sì come l’inventione del telescopio ha rivolta tutta l’astronomia, la bossola l’economia, e l’artiglieria tutta l’arto militare. Queste vene latteo non sono vene mesai'niche, anzi non sono visibili se l’animale fusse estenuato o non pasciuto poco avanti la morto: però noll’huomo si vedono di rado. Ar¬ gomento certo elio l’arterie portino dal centro alla circonferenza, ò clic per l’arterie si trovano molte valvule, overo animelle, che lasciano bene passare il sangue dal cuore allo membra, ma non rientrare; o por il contrario nelle vene l’animello lasciano da ogni banda tornare il sangue al core, ma non uscire. Ma de valvulis è fuora un libro<*>. I/arterie sono più carneo che lo vene, perchè devono rattencro gli spiriti con il sangue, dove le vene non portano se non il sangue; e questa loro carnosità sempre più scema, quanto più si r.o filoniana dal cuore, perchè sempre manco spiriti devono rattenere. Nò importa che le vene sicno sì grosse e l’arterie sì sottili, perchè il sangue spiritoso presto passa per loro. S’io bevessi meglio distesa questa nuovità, baverei havuto a caro che l’havessi in¬ tesa il Sig. r G. G. S’ella si rincuora di meglio raccontargliene, facc’ella. Vero ò eh’ io ho havuto grandissimo gusto questo anno in alcune anatomie fatte da un medico todesco (t) , persona di rara et esquisita curiosità in buona filosophia e medicina. Se mai V. P. mi darà nello mani, gli farò intendere in questo genere coso di mara¬ viglia, seben più gl’ arriverebbono nuovo quand’ ella fusso molto versata nella dottrina tenuta fino adesso da questi fisici. Resterò por non f[-] ciechi, pregandola a recapitar l’inclusanella quale non è altra querela [.. .Jmentar di passaggio che queste demo- Lett. 3407. 30. vena cava, la quale — («i molle vene lattee ò sottolineato nell’auto- graphia Lanrontii Pasquftti, M. DC. IH. grafo. E così vene lattee a lin. 39. ,s ' Cfr. n « 3150, lin. 33. < ! > IJikrhnymi Fabricii ab Aqoapkndkntk, Ana- (4) Cfr. n.° 84G6. tornici Pataviui, De venarum oetiolit. Patavii, ex typo* XVII. 0 66 25 APRILE 1637. [8467-34681 strattoni mi furono promesse. Così prego a Y. V. ila Dio ogni bene, e me gli offerisco, se co però so’ buono a cosa alcuna. N. Signor Dio la feliciti. Roma, il dì ili S. Marco 1637. l)i V. P. molto R.' u Aff ™° Sor." Raffaello Magiotti, Fuori: Al molto Rev.' 10 P. Francesco di S. Giuseppe. Nelle Scuole Pie. Fiorenza. 3468 **. GLI STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI PASSI a GALILEO [in Aroetri]. [L’Aja], 26 aprile 1037. R. Aroh. di Stato all’Aja. Lina Oost Indisela» Compagna 1 — Minuto. An Sieur Galileus Galilei, grand matliematicio». Le 25 d’Avril 1637. Monsieur, Cinq mois y a quo le Sieur Read, jadis Gouverneur generai cs Indes Orion- tales, nous a offert en don do vostre part (i| 1’inyentioii trouvée nouvollement do pouvoir scavoir on tout toinps la longitudo, chose deairéo vrayemont par boau- coup dos sièdes sans quo personne on soit vonuo a bout jusquos a prosent. Nous avons tesmoigné au susdiot Sieur Read quo vostre don nous estoit tres aggroablo ot quo vous on scavions grand grò, l’ayant aussi quant et quant faict moctre a la preuve a nos grandissimes despons par nos inatheniaticions les plus doctos, io experimentcz et relovez, qui sont en ces quartiers; en sorto quo nous sominos on attento avec indiciblo desir, pour on estro par eux esdaircis. Et pour vous iairo cependant paroistre un oscbantillon do nostro gratitudo et bienveullanco, nous vous envoyons par provision ces presentes, accompagnóos d’uno cliesno d’or do la valeur environs do deux cents cscus; et au cas quo vostro invontion soit trouvòo ainsi quo vous nous en promettez, nous ne lairrons pas do la rocognoistro plus liberalemont, outre l’honnour et roputation qui vous cn reviondra par tout lo mondo. Sur ce (ì> . Faict le 25 d’Avril 1637. "> Cfr. li.- :J336. <» Cfr. u.o 35l)G, liu. OU lUO. [8469-3470} 25 — 27 APRILE 1637. 67 3409 *. GU STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI alla CAMERA DELLA COMPAGNIA DELLE INDIE ORIENTALI in Amstoi'dum. L’AJa, 25 aprilo 1037. Cfr. Voi. XIX, lJoc. XLII, b, 3). 3470 . MARTINO ORTENSIO ad ELIA DIODATl [in Parigi]. Amsterdam, 27 aprile 1037. Dal Tomo III, pag. 486-438 dell’edizioni) citata noli’informazione promossa al n.° 1201. Amsterdam, 27 Aprile 1G37. Gamico, vir doctisaime, literas meas kal. Februari datasi tandem ad te pervenisse; sud dolco tantum to offondisseW, quod Morsonno ot Morino innotuorit Domini Galilaei propositum. Ituque stndebo me purgare, ot ad difficultates, quas obiieis, respondere. Quantum ad me attinot, optasaem rem totam potuisae occnltam nmnere, donec nobilis Galileus requisita omnia exkibuisset ot ab lllostriBsimis Ordinibus debitam habuisset re- muuerationem. Veruni non potuit illud, divulgata ipsius intentione, ullatenus obtineri. Ubi enim facta fuit a Noli. Realio litcrarum Domini Galilaei oblatio, non Illustrissimi Ordines modo, veruni plurimi alii Ilngae nmgnatcs, amici Domini Reali!, inventi arcanum io voluerunt sibi aperiri, et ilio, me inscio, raultis totum negotium communicavit. Inter alios, quibus facta fuit inventi detectio, erat Nobilis Hugenius (3 >, Illustrissimi Principia AuriacP*> sccretarius, qui Domini Galilaei propositum epigranimate prosequutus est; hoc post ad Clarissimum Uarlenm< B > missnm; cutnque Leidam pauco interlapso tempore venirem, Cla- rissimus Golius ,#) non modo inventi Galilaeani, sed et modi observnndi Ioviales, fecit men- tionem, deprebondiqno etinm studiosis quibnsdam hunc innotuisse. Sequuta fuit Becmanni ad mo epistola, qua rogavit ut (quia inter Oommissarios delcctus fu erat) Galilaeanmn inventimi sibi penitus communicaretnr: quod antequam perfido, ecce literae a Morino advolant, Mersenno per Becmannam indicatimi esse quod Nob. Gnlilaens inventionem lon- gitudinis inoliatili', eamque iam oblatam fuisse Illastrissirais Ordinibus; petit simili Mu¬ so rinus ut prò amicitia nostra de rumore a Becmanno excitato facorem euni certiorem. Ego, considerane hano famam per totam Holandiam iam diffusam (pluries enim eius conscii inni me coni pollarmi t) facileque inde Lutetiam usque penetratnram, scripsi Morino, in¬ ventimi Domini Galilaei niti observationi Iovialium, nec quidquam praeterea. Haec tota culpa mea est: fateor autem melina futurum fuisse et auctore Galilaeo dignius, si nibil istorimi, antequam remunerationem obtinuisset, potuisset divulgari. Veruni vos ipsi qno- dammodo fuistis in caussa, cur tam leviter hoc inventimi innotnerit: numquam iillibi in i“ Cfr. n.° 8428. i*' Cfr. n.° 8446. <>• Costantino IIuvgbns. <*' Fkdkkioo Enrico d’Oranof. (*> fi a spark Bari, a kos (yan Bakri.k), <"> Iacopo Gomob (Gooi.). <7> Lacco Bbkkmann. 68 27 APRILE 1667. [84701 literis vostri* menti onem fecistis, oblationem inventi tacito deboro fiori, aut expressam eilontii conditionem tv nobis efllagitnstis. Ipso Domini» Galilaeus causam ottani nliquam praobuit, quominus de silentio easeraus solliciti: scripsit enim inter alia, se liane invon- tionem Illustrissimis Ordinibus ita offerre, ut si bona iudicetur, rocipiatur; quoti si tara yo ceri,us fuissot ac Dominatio vostra seribit, nonno potius cura fiducia (licore debutaset, bo habere inventionern certani ac indubitatam, et silentium a Nobili Realio caeterisquo com¬ missari» tantis porpetere, donec ipso eam IllustrisBimis Dominis obtulissot? Apud mo quidem tanta orat do D. Galilaeo concopta opinio, ut non aliud existimarem quam certa esse omnia et explorata, et hactenus quoque tacebnm; Bed quid ego potili praescriborc Domino Realio, Becmanno, Golio, qui onmes do succobsu rei dubitare vidobantur? Quura reprehendorem Becmauuum quod Morsenno aliquid indicasset de Domino Galilaeo, re- spondit se ignorasse oblationom eius debere esso occultano. Bracatitis8et Dominimi Gali- laeura, fiducia liboralitatis lllustrissimorum Ordinimi, una oum literis requisita omnia ad inventi sui praxim exhibutaso, quod ego ab initio seuiper nrgcbam ; sic timi statini sequuta -IO fuissot remuneratio, ot, fama eius rei divulgata, habnissent oruditi inventionis aliquem gustimi, et bine tanto maior ad ipsunì rediisset laus. Apud nos morta est ut quicunquo aut privilegium aut proemiti m prò aliqua inventione petit, coram lllustrissimis Ordinibus oius veritatem prius comprobandam liabeat, ac tum simili cuni immunitatc aut praemio inventum omnibus innotoscit. Id quum a Domino Galilaeo (quicquid ego contra contcn- derim) non sit observntuni, sed mentio inventi tantum l’acta ante exbitita requisita, ipso sutis vides, mi Deodato, arennum hoc nullo modo potuisse reticeri. Si ab initio niihi aut uni Realio res fuissot connnissn cura aliqua mentione tariturnitatis, voi iurainentiini intor- ponero ausus fuissom, nomini mortalium ante tempus al) ipso Domino Galilaeo statutum potuisse quicquam innotescore. Nane autem, cimi istnd neglectum sit, din antequani de 50 Morino aut scirem aut cogitarem, per Nob. Realii rolationem omnibus peno Ilagao ac Leidae innotuit: adeo voluntatis lllustrissimorum Ordinum aut sciti auctoris nulla (quod earpis) l'uerit Inibita ratio. Non contigisset illud, si prius Domimis Galilaous arcani sui nudam fccisset apud lllustrissimos Dominos mentionom, et responso aceepto totum illud trausmisi8set. Nunc, cum rationem inventi patentibus literis ad D. ltealium raiserit sine po- titione silentii, omnium curiositate excitata, minime potuit latere; et mihi quoque niillam singularem potcstis imputare divulgati secreti culpam. Sed quid multa? Putasne, mi Deodate, Nob. Galilaoi lionori quicquam detractum esse, eo quod Mersenno cuidam aut Morino ratio eius inventi innotuerit ? Plures apud nos eam norunt, et me nil tale cogitante, ex quo Ilagae rumor iste difFusus fuit, calculis suis inventi successum aut daunmrunt aut appio- fio barunt, salvo interim manente peritorum iudicio et auctoris honore. Veruni enim vero demus toti Europae iam innotuisse: an ideo minuB vere D. Galilaeus quae obtulit potori! praostare? Ego hactenus contra omnes contendo, maximi momenti rem esse, et illustri* auctoris fannie nihil ex praoiudicio dorogatum. Modo successus non desit inventioni Nob. Viri, etiam contra mille invidos ducot triurnphum. Quocirca noli sequius quid de nobis ominari, aut in perversimi sensum traboro quod tantillus orrorculus commissus sit, poBtquam pu- blica iam loquebatur fama; sed contra urge Nob. Virimi ut enotera maturet et praemio debito gaudere queat, cuius gustum aliquem non dubito quin brevi sensurus sit, quia Nob. Realius in eo iam totus occupatnr. Caeterum, cum Morinum aemulum 1). Galilaei 27 APRILE 1637. 09 [3470] 70 dicis et cum co in posterum tractare vetas, candido quidom agis; sed erode milii (nisi ipso Galilaeo transcripseris quid sifc ftetum) nullum bino metuendum discriinen. Posterina il luci spondeo non futurum; prius nullum infert praeiudicium. Quicquid Moriuus D. Galilaeo invideat, quicquid circa lunam moliatur, nihil nnquam apud nos obtinobit; et ut semel scia* quao sit apud Illustriasimos Ordines D. Galilaei oxist.imatio, ego et Noli. Itcalius hucusque rem porduximns, ut si voi centum alii cum cadem aut simili inventione prodi- rcnt, Nobilissimus vir me quasi sncceasorem sibi constituit, ut miuutas ballucinationcs, quae adirne invento adbaorere possent, successa tem porta einondnrcm, do quo nullatenus despero. Vidos ergo, opti me Deodate, nullum esso metuendum D. Galilaeo dainnum ex eo quod inventio oius iam pluribus innotuerit. 80 Conquereris porro, quod a quinque mensilius nullum signum extitevit. ltonorificac rcccptionis inventi Galilaeani et debitao gratitudinis. Illud negociis 1). Renlii et Jllustrtasi- rnorum Ordinum in bis bollorum tumultibus atlscribendiim, non neglectui aut contetnptui ofibrentis. Ego operam sat strenuara navavi, ut citius ci responderetur; scd quid solus possimi? Velini igitur por to Nobili viro siguificari, omnia recto se liabitura et praeclare lllustrissimos Ordines oius laboroa remuneratnros, idque quam primum, quia D. Ilealius Ilagam profoctus est ut negotium absolvat. linee peto ut et iam Illustrissimo Grotio si- gnifices, et Exccllentiam suam roges ne spem deponat aut male de me ominetur, Mersemii aut Moriui causa aut ob liane lllustrÌ8SÌmorum Ordinum tarditatem. Ab iis cnim nihil metuendum ; de hac Ulustrissiiiius ipse vir multo cortius quam ego potest indicare, ob 00 rationos status nostri penitus cibi perspectaB. De Morino, ut hoc adirne addani, quominus sis sollicitus, lmbe utriusquo nostrum verba, tam ex literis meis quam ex eius responsione. Ego sic sci-ipsi : Galilnous inventimi 6uum nondum exhibuit, sed tantum ad lllustrissimos Ordines scripsit, se per motus lovia- liuni, beneticio telescopii observatos, longitudines locorum vello inqnircre; ubi requisita omnia nobis transmiserit, ad coolurn ea probabinms, et, si bona siut, totani inventionom fttcieinus publici iuris. Ipso rospoudit hoc modo: Pergratuui mihi fecisti, quod me de Ga¬ bbici inventione certuni reddidcris : pcropto ut illi quam mihi longitudinuni praxis suc- ccdat felicius, ipseque Iovialcs satellites supor terra mnriquo facile observabilcs praestet, ac illorum tabulas ad eam perducat praecisionem vir illc inter mathcmaticos celebcrrimue, 100 ut saltelli singulis diebus crrores ad plures gradus inlegros observando non deprehendan- tur, quod contingcbat DD. do Pcirese et Gauterio (1) , Priori Vallcttae, dum anno 1607 (sic) in labulis similibus condendis mea opera utebantur prò calcalo, undo a proposito desistere coacti fuere. Haec sunt ipsissima nostra verba, quao utrum inventioni D. Galilaei obesso queaut, facile dispicies. Interim vale, Nobilissime vir et amicissime, pracstantissimoque D. Galilaeo quam pri¬ mum scribe, no de Illustrissimorum Dominorum Ordinum propensissima erga eum bene¬ volenza ullatenus desperet. Scribe quoque ad Nob. Galilaeum, Elzovirios daturos operam ut libor eius de mota correcte et nitide excudatur. Vidi primi folii specimen, sane per quam pulebrum. Lctt. 3170. 108. utrum {nteutt'oni T). flalilatì — <*> Giubep'pk Gaultikb. 70 APRILE - 2 MAGGIO 1GJ7. [3471-3472] 3471 *. PIETRO FERMAT a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Tolosa, aprilo o maggio 1037]. Dalla pag. 112 «lolle Oéuwca «In Kkruat, publiéos par los soius do MM. Paul Tauimry ut Charles llonry. Turno douxlòiuo, Correspondunce. l'aris, Uaufchior-Villara, M. DCCC. XC1V. .... l’abtona la favour quo vous mo faitos esperer, do voir pur voBtro moyen los uutros livrea do Mousiour Doneurtos ot lo livre do Ualilóo De motu .... 3472 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 2 maggio 1637. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, cnr. 291. — Autografa. Molto 111. 10 ed Ecc. m0 Sig. ro e P.ron Ool. ,no Veramente la confusione in elio mi trovo, o il non li avere da serivero rome 10 vorrei, mi ticno in silentio ; con tutto ciò il silenzio è solo con lo lettere, per¬ chè parlo quanto posso o quanto dovo, o lo sa Dio o tutti gli amici nostri, do’ quali in assai buon numero mi sentono continovamente. Orsù, pacicnza ; de¬ sidero però cho V. S. mi apra qualche strada con la quale io la possa servire, oliò vedrà la mia constanza in amarla, stimarla e riverirla sempre, conformo al suo gran merito o immensa mia obligazione. Hora mi ritrovo in stato cho non so dove mi sia, perchè intendo, per voce sparsa per Roma, cho N. Sig. re stia con poco buona salute; cho so fosse vero, io cho Dio non voglia, mi ritrovarci in travaglio grandissimo. Sporo porò in S. D. Maestà e nolla Sua infinita misericordia. Quanto a’ vetri, io ne ho quattro para di quei di Napoli nello mani, e sono dell Em. rao Sig. r Card. 0 Antonio 1 * 1 , i quali tutti, ancorché ricorchino varii can¬ noni, sono esquisitissimi, e no aspetto due para di Napoli quanto prima; o mosso da quello che mi disse il Sig. r Magiotti nostro, disegno di regalarne (li un paro 11 Scr. m0 Or. Duca mio Signore, se mi riusciranno di porfezzione degni di man¬ darli tanto alto. Con uno di questi cho ho nello mani, io posso leggere una IiOtt. 3472. 17. di perfezzioni degni — Antonio LIakbkiuni. 2 MAGGIO 1037. 71 [3472-3473] lotterà, del carattere elio è questa clic scrivo, lontano ottanta sei passi andanti 20 do’ miei, o torsi più: V. S. giudichi la perfezione. Se io havessi hauti dinari, non mi sariano usciti dallo mani, ancorché il maestro li faccia pagare salati bone, perchè la vorità è che quello antico mio, in comparazione di questi, è un niente, nò io 1’ ho mai più potuto vedere dopo che ho provati questi. Altro non ho che dirli; forsi por il primo ordinario li darò altro nove: por bora li fo riverenza, o me li confermo quel di sempre servitore di vivo cuore. Roma, il 2 di Maggio 1637. Di V. S. molto 111. 1 ® ed Ecc. n,a Humil.® 0 Devotiss. 0 c Oblig. mo Sor.” e Dis.'° Al S. T Gai. 0 Gal. 1 Don Benod. 0 Castelli. co Fuori: Al molto 111." ed Ecc. mo Sig. ro c P.ron Col."' 0 Il Sig. r Galileo [Galilei], p.° Filosofo di S. A. Sor. ma Firenze. * 3473 *. FULGENZIO MIOÀNZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 2 maggio 1G37. Bibl.Est. in Modona. Raccolta Cam pori. Autografi, IWjXXX, n.° 120. — Autografa In sottoscrizione. Molto 111. ot Eccoli.® 0 Sig. r , Sig. r Col. m * Mi capitano insieme le duo gratissime lettere di Y. S. molto Ul. ro et Eccoli. ma d* i 18 et d* i 25 passato, et in questa il foglio con lo tre figure della sua opera; et non l’ho mandato hiori al Sig. r Elzovir, perchè il Sig. r Giusti (M librare, elio tiene la corrispondenza, non si trova qui: lo mandarò per le prossimo infallibil¬ mente. Ilo Ietterò dal sudetto Sig. r Elzivir di 4 (2 ’, 14 passato, nello quali mi scrivo elio por il spazzo seguente mi liaverebbo mandato il primo foglio; ot subito elio sia giolito, lo invierò a V. S. Mi dispiace che lo convenga fare la fattica d sua mano, perchè in vero è grande, et a mo, quando occorro, riesco intol- 10 lorabilo. Da quello che V. S. mi scrivo circa li moti volontarii, in quali metto tutti quelli do’ viventi, resto chiaro cho lo mie chimere, elio vi faccio sopra, sono adonquo intorno all’ impossibile, poiché mi resta sempre impresso il detto del giù P. Maestro Paulo, cho quello cho in materia di moto non è scibile da lei, U) Giusto Wippbldicii. <*> Cfr. n.» 84CO. 72 2-7 maggio 1637. [3473-3471] non è adonque scibile. Ma anco circa l’incomprensibile il corvol Inumino si agita, purché non sia sompre al medesimo. Ho ricapitata anco la lettera per Monaco. V. S. attenda alla consorvationo, chè quanto alla quioto elio si promette dallo speculationi, io lo faccio il pro¬ nostico elio non la ritroverà so non mono fatticosa, porcliù a lei ò una opera¬ zione vitale. E lo bacio con ogni affetto lo mani. 20 Venezia, 2 Maggio 1637. Di V. S. molto 111.” ut Eccoli.' 01 * Dev. mo Sor. S. r Galileo. i’. Eulgontio. 3474 . MARTINO ORTENSIO a GAI .ILEO [in Arcetri]. Amsterdam, 7 maggio 1037. I>nl Tomo III, pag. -138, doli’edizione citata noli'informazione promossa ni n ® 1201. Amsterdam, 7 Maggio 1637. Tntellexi ex litoris Domini Dcodati et hodierna ad me por Dominum Rar- tolotti rolationo, Nob. I). V. magno teneri desiderio sciondi, quo in statu vorsetur negotium illud circa longitudincs locorum, cuius oblationem por Nob. Realium fieri volueras auto niensos quasi sex; ncc dubito quin caussam tam diuturni silentii lllustrissiniorum Ordinum ad Nobilissimao Dominationis Vostrae litoras haud potueris bactonus divinare. Niliil iam do ea dicara, quia alias, ad Noi). Do- minationem Yestram et D. Doodatum datis litoris (quas torto iam accepisti), I nsiiis exposui uti aqua haeserit quominus optatum toties nactus fueris rospon- sum. Res mine ad fìnem peno est deducta: nani Nob. Rcalius, Hagao degens, io ultimimi IUustriss. Dominorum Ordinimi circa propositionom Nobilissimao Romi- nationis Vestrae decretimi adoptus est 11 *, et procul omni duino ofìiciot ut quam primum Noi). Dominationi Vostrae ampio respondeatur. Decreti summam non- dum oxacte novi; sed quantum audiro potili, bonorarium Dominationi Vestine, nobis locum obsorvationis idonoum cum instrumontis nocessariis, iussorunt assi- gnari. Ubi plonarium decreti sonsuni porccpero, Dominationi Vestrao Excollon- tissiinae significabo quid poiTO sit agendum. Nunc brovis esse cogor, quia avocant nogotia, quibus non obstantibus liaec tamen Dominationi Vostrae Nobilissimao duxi indicanda, sub spo quod in bonam partom sis accopturus. Vale. Itaptim. <•) Cfr. Voi. XIX, Doc. XLII, b, 2). [ 8476 - 8476 ] 8 MAGGIO 1637. 73 3475 *. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 8 maggio 1637. Bibi. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXXVI, n.« 117. — Autografa. Molto Dl. re ed Ecc. ,u0 mio Sig. r Oss. n, ° Vidi ultimamente il Sig. r Daniel Spinola, elio voramento ha sentito disgusto elio V. S. con tanto suo scommodo venga dol continuo impedita di non poter consolar più spesso i suoi amici con lottoro; ma m’ha imposto ch’io sogiunga a V. S. elio basta a lui la certezza dol di loi alletto, senza elio s’affatichi ad altra risposta, havendo liavuto tutto due lo lettere da lei scritte. Lo stesso le sogiungo io, al quale con duo versi soli eli’ ella scriva, e anco con suo commodo, por havor nuova di lei, basta por sodisfarmi; cliò, so pinco a Dio, kavrò occasiono di vederla più spesso o goderò della sua presenza. Non lo raccordo il negotio della io lettura' 11 , perchè so l’amor elio mi porta; onde faccio lino, o lo bacio lo mani. Di Genova, a dì 8 di Maggio 1637. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Dev. mo Ser. ro D. Vinconzo Roniori. M’ò giunto da Roma un discorso fatto dal Sig. Giacomo Acarigi contro l’opinione Copernicana (l> , il qualo se ella non ha voduto, m’avvisi, che lo man¬ derò. Ma siamo al sicut erat. 3476 . ELIA DIODATI a COSTANTINO IIUYGENS [all’Aja]. IParigiJ, 8 maggio 1037. Dal Tomo III, pag. 489-440, doll'odiziono citata nell’infonnaziono promossa al n.® 1201. La presento ò la traduzione, inviata dal Diodati a Galileo (cfr. n.® 8499, lin. 45-40), doli’originalo. 8 Maggio 1637. Con grandissima soddisfazione ho veduto la (sic) gratissima di V. S. Illustriss. do’ 13 del passato t*', responsiva alla mia, la sua prontezza (qualo l’aveva sperata dalla sua sapienza o virtù) a voler protegger del suo favore il negozio del Signor Galilei, facendone la do¬ te Cfr. n.® 3439. 18 Kal. Dccombris 1636, qua dio nggrossus est Ro- '*) Terrete, quieti noligqur motti », ilemonatratu» jtri- nino in almo Sapiontiao Gyimmsio publico oxplicaro munì tìie.oloijiei», tum plurimie philoeophicie rationìbue. libros Aristotelìs Do cuoio. Itomao, 1687. Disputatio Iaooih Aooakisu occ., balata ab oodem < s » Cfr. u.° 8462. XVII. 10 71 tì MAGGIO 1037. bita stima secondo l’infinito suo valore por la riformazione della geografia e per l’uso della navigazione: e siccome, por non perderci tempo alcuno (l’età desso Signore renden¬ docelo carissimo), V. S. Illustrissima m’esorta a procurar con lui l’accelerazione delle coso lo quali per la sua proposta agl’Illu 8 trÌB 8 Ìmi Signori Stati ha inoltre offerto di dichiarar loro, desidererei che bì fesso compiaciuta di dar ordino costà o provvedere che l’opera mia potesse riuscire a qualche buono effetto, facondo in modo elio dalla parto di cotesti io Illustrissimi Signori Stati gli venisse fatta qualche dimostrazione, se non di gratitudine, almeno di gradimento per un sì nobile o prezioso presente fatto loro; poiché la lettera loro in risposta della presentazione della detta proposta (la qualo il Sig. Realio fin dal mese di Novembre passato oblio commissiono di mandargli, e della qualo allora gli fu data speranza) non essendogli sin qui stata mandata, non vedo in che modo io possa per¬ suaderlo ad aprirsi più avanti, avendo por si fatto ritardamento giusta occasiono di re¬ stare in dubbio so la dedicazione della sua invenzione è stata loro grata o no. Del resto non so comprendere per qual ragione il Sig. Realio fibbia tanto nogligentato questo ne¬ gozio; o se ben tengo por cosa certissima elio non abbia avuta nessuna mala intenzione, nondimeno mi par di potorio diro con ragione, che continuandosi in questo modo, sarebbe 20 al certo la via di perderlo, non potendosi sperare elio il Sig. Galilei sia per aprirsi più avanti nelle cose da lui offerto; nec enim óbU'Uilunlur beneficia, solendo le persone savie ed intelligenti il merito delle coso, qualo non si può dubitare essere il Sig. Galilei, pro¬ ceder sempre con circonspezione o riservatezza. Però, per scancellar tutti questi sinistri riscontri, successi in questo principio (come io credo) piuttosto per disgrazia clic nitri- monti, e per ristorar la fiducia la qualo per questo lungo silenzio potesse essere scemata in esso Sig. Galilei, parrebbe non solo necessario che la risposta dello loro Eccellenze non fosso più ritardata, ma forso (per corrispondere al merito della persona, alla dignità del negozio ed alla grandezza di cotesti Illustrissimi Signori) saria anco opportuno che essa risposta fosse accompagnata con qualche regalo, per testificargli con gli offi-tti l’onorata 8 <) stima fattane da loro, finché il negozio sondo ridotto a fino, gli sia ordinata da loro la dobita ricompensa del suo trovato. V. S. Illustrissima si compiacerà di pensarci o «li con¬ ferirne con l’IUustriss. Signor Segretario Muschi 1 *, e procurare che, quanto più pronta¬ mente si potrà, dallo loro Eccellenze sia risoluto quello elio giudicheranno doversi faro per il meglio, acciocché in vita dell’autore questo negozio si riduca alla maggior perfe¬ zione elio si potrà, avendomi egli per nuove lettere, con termini magnificili, accertato del¬ l'infallibile verità della sua invenzione. Adoperiamoci dunque, Illustrissimo Signore, per farla metter quanto prima in evi¬ denza, sapendo al certo che tale ò il desiderio dell’autore, purché dall’Eccellenzc loro vi sia corrisposto. Gli ho significato l’onorata stima nella quale V. S. Illustrissima lo tiene, 40 secondo che da lei m ò stato ordinato: però, comecché succeda il suo negozio, resterà sempre obbligatissimo alla generosa virtù sua, accertato da me corno olla se gli mostra bene alletta o di quanto momento gli abbia da essere la sua protezione, per la grande autorità che tiene appresso S. A.<*> o tutti cotesti Illustrissimi Signori, per merito del suo singolare valore. (l) CriRNKWO MuBOH. •*’ Federico Enrico d’Oiungr. [3477-8478] 8 — 9 MAGGIO 1G37. 7 £> 3477. ALFONSO P ALLOTTI ad ELIA DIOI)ATI [in Parigi]. Amsterdam, 8 maggio 1637. Dal Tonto III, pag. 410-411, doli'o Cfr. n.« 8168. <*> Cfr. n.« 3-174. 76 9 MAGGIO 1G37. [8478-3479 1 fatiche, le quali da due mesi in qua hanno grandemente oppressa la mia vecchiaia. L’aiuto del Signor Pori in pochi giorni mi condurrà in porto, dove poi tranquillerò la mia vita, non con l’ozio, ma con studi meno gravi e più piacevoli. Oggi ricevo avviso da Venezia (,) che ò per strada il primo foglio stampato, che vien per caparra elio in Leiden si lavora per me da quelli Elzevirii, più famosi stampatori d’Europa; e sono quelli che stamporno il mio Dialogo, fatto latino dal Signor Bemeggero, come anche ultimamente quella mia scrittura io a Madama Seronis., di gloriosa memoria, fatta pur latina e stampata nell’una e nell’altra lingua, della quale aspetto alcune copie. Discorrendo col Signor Principe Gio. Carlo, compresi come il S. G. D., per sua benignità, non disgradirebbe una mia visita, quando potesse seguire senza mio danno. Io, desiderando una tal grazia, sono andato pensando, che facondo essere un carrozzino a buon’ ora alla Pace 1 *’, io vi potrei entrare, e serrato venirmene alla Petraia 1:11 , e la sera al tardi ritornarmene nell’istesso luogo. Lascio alla diligenza di V. S. di far la proposta, ed insieme render le debite grazio a S. A. S. del favore che mi fa dell’ aiuto del Signor Peri : ed a V. S. con ogni -m affetto bacio le mani, e rendo il saluto a Tordo t4) . D’Arcetri, li 9 Maggio 1637, Galileo Galilei. 8479 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze!. Venezia, 0 maggio 1637. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXX, n.° 122. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. et Eccell. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Con la lettera di V. S. molto 111." et Eccoli." 1 * di 2 ricovo li duo fogli dello sue speculationi ; o li ho già mandati por la posta di Mori al Sig. r Elzivir, es¬ sendomi gionti opportunamente et in tempo di potorio faro. Veggo elio olla col trascriverli di sua mano fa la fatica, o mi par impossibile elio la possa toleraro, perchè a me sarebbe assolutamente impossibile. Tenga per certo che andarono (1 ' Cfr. n.° 3478. (S) Petraia di Castello, prosso Fironzo, villa <*' Monastero di S. Maria della Paco, oggi di- granducale, strutto, fuori di Porta Rouiauu. (») Ippolito Fraxcini. 9 MAGGIO 1637. 77 [3479-3480] sicuri, se qualche straordinario infortunio non sopravenisso al corriere, il che non so quando sia mai accaduto. Il mezzo che adopero por mandarli è corto il miglioro che potessi ritrovare, perdi’ è il iibraro del Gionta, che ha corrispon- ìo denza con il Sig. r Elzivir per ragiono di morcantia et ogni settimana suolo bavere Ietterò responsive. È ben vero che la settimana passata, nolle lettore, mi scri¬ veva osso Sig. r Elzivir mandarmi alcuni foglietti, supplemento d’un’operetta da lui stampata, o non ò stato possibile ricuperarli; ma non so se egli si sia poi scordato di ponerli nel piego, o si siano smarriti qui alla Sanità.. Aspetto per hoggi anco il primo foglio stampato dell’opera di V. S., quale mi scrisse dovermi mandare (l) ; et so rilavorò, venirà, con questa. Et con tal fine prego a V. S. molto 111." ot Eccoli.™ ogni contento o bacio le mani. Ven. n , 9 Maggio 1G37. Di V. S. molto 111. et Eccoli.““ Dev. ,n0 Sor. 20 S. r Galileo. F. Fulgentio dei Servi. 3480 **. ALESSANDRO NINCL a GALILEO [in Àrcetri]. S. Maria a Campoli, 9 maggio 1037. Bibl. Naz. Fir. Appondlco ai Msst Gal., Filza Favaro A, car. 159. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig/ mio P.ron Col."' 0 Sono stato molti giorni travagliato da un mio catarro, o più dalla fobre; puro, per grazia di Dio, da domenica in qua mi paro essere libero, o vo recu¬ perando lo forzo. Però so V. S. ha bisogno di farina o d’altro di elio io la possa servire, non sarò così lungo come nello fascino: dello quali ho mandato sola¬ mente 150, che costano lire otto o mozo, perchè non ho saputo se sieno riuscite buone, sì come io l’ho pagato por tali, occorrendo alcuno volto che i vetturali mostrano d’una sorto e portano d’un’altra; però so V. S. ne vuolo più di quello o d’altro, mi accenni, chè procurerò che resti servita, io Dotti finalmente in retrovendita quella mia casa (8, ,ma in maniera clic non in’è pervenuto danari da sodisfare V. S., perchè m’hanno progiudiato a questa vendita i terremoti, o per ultimo s’erano opposti issino i diavoli, essendosi sparsa voce che alcuni folletti molestavono gl’abitatori ; ma in verità erano diavoli in¬ carnati, che offendevano il venditore, sì che, per uscire una volta di questi in¬ trighi, m’è convenuto pagare altri 50 scudi per il mio cugino, a’ quali non ero obligato, perchè costui la comprassi, chè altrimenti non ci sarebbe entrato. Così Lett. 3479. 9. ritrovare, j>erc/>?. il — «*> Cfr. n.° 8460. <*> Cfr. u.° 3454. 78 0 — 12 MAGGIO 1G37. [3480-3481] V. S. resta in dietro, elio puro doverebbe essere preferita ad ogn’altro : o io, con tanto mio rossore e confusione, bisogna elio ora suplichi V. S. a restar appa- ghata che io vadia estinguendo il debito, come ho cominciato, con prevedere alla sua casa di quello che si trova qui nel paese, o pure, so lei non mi co- 20 nosco atto a potoria, 0 per dir meglio saperla, servirò a suo gusto 0 senza suo disavantaggio, si compiaccia elio io di tompo in tempo gli rimetta in danari tutto quello elio io potrò. So elio ò maggioro la sua benignità elio non ò la mia impertinenza, e però confido che por questo non mi sia per esiliare dalla sua grazia, montre co ’1 fino gli faccio debita reverenza. Da S. tn Maria a Campoli, 9 Maggio 1G37. Di V. S. molto Ill. r0 et Kcc. na In questo punto m’ ò stato donato un capretto, quale mando a V. S., elio lo goda per amor mio. Dovotiss.® 0 0 Oblig.® 0 So.' 0 so Alessandro hi ilici. 3481. ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcclri). Parigi, 12 maggio 1637. odi Tomo III, i>ng. 172, doli’odiziono citata nell’inforni aziono promossa al n.« 1201 Di Parigi, 12 Maggio 1(537. Rispondendo alla gentilissima di Y. S. molflllust. degli 7 Marzo 11 ’, capita¬ tami sono da pochi giorni in qua, lo dovrà esser parso strano elio, contro al mio solito, sia restato senza scriverle tanto tempo (l’ultima mia essendo dogli tro Marzo, in seguito d’altro duo precedenti dogli 17 o 24 Febbraio, responsive alla sua dogli 10 Gennaio). Et io reciprocamente mi trovavo perplesso poi suo lungo silenzio; pure me ne ha soliovato il Sig. Ruberto m suo, accertandomi della sua saluto, o finalmente loi stessa colla sua desideratissima dolli 7 Marzo : sob¬ bolle per essa m’accenna d’essersi trovata indisposta per una flussione sopra l’oc¬ chio destro, elio gli aveva causato infiammazione; della quale voglio sperare elio io dopo ne dovrà essere stata liberata, di cko starò aspettando avviso da loi con molto desiderio. Il mio silenzio, conio V. S. molt’Illust. potrà averlo argumontato dallo mie antecedenti lettere, è proceduto dall’essere stato in continua aspettazione di nuovo del buono inviamento del suo negozio della longitudine, poi quale ho sentito elio Cfr. n.® 3448. Oi Roberto Gai.imu. 12-15 MAGGIO 1037. 79 [3481-3482] stanno aspettando da loì clic le piaccia concorrere con loro por l’accelerazione della perfeziono dol negozio : sarà pregata che (secondo no gli ha offorto por la sua proposta) voglia mandar loro un telescopio de’ suoi perfetti, l’effemeridi o lo tavolo da lei construtto do i moti regolari do’ satolliti di Giovo, la fabbrica 20 dell’orologio da lei ritrovato, od il moto stabile per l’osservaziono sopra ai mare. Da questi quattro capi, da lei offerti, dopende il giudicio, elio si aspetta da i Commissari, della sua invenzione. Con che por lino le bacio lo mani. 3482. ELTA DIODATI agli STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI [all’Aja]. Parigi, 15 maggio 1087. Uni Tomo III, png. 411-112, doli'odiziono citata nell’ informazione promossa ni n.® 1201. La proselito ò la traduzione, inviata dui Piodati a Galilko (cfr. n.° 34‘J‘J, Hn. 47), doli'originalo. Parigi, 15 Maggio 1637. Illustrissimi c Potentissimi Signori, La reputazione della vostra potenza, illustrata da i gloriosi successi o dalle memo¬ rabili navigazioni loro, avendo ripieno il mondo di stuporo, e ridotto l’onor dovuto all’ar¬ dita impresa del navigare nell'ammirazione do’nuovi scoprimenti e delle felici conquiste fatto da loro, la ragione voleva elio l’ultimo capo che restava per la perfezione della na¬ vigazione e por la riforma della geografia, cioè il modo por l’osservazione della longitu¬ dine, dopo d’essovo stato sin qui cercato da molli indarno, essendo in fine stato felice¬ mente ritrovato dal Sig. Galilei, fenice degli astronomi del nostro secolo, fusse, come nobil io trofeo delle sue speculazioni, da lui consacrato all’Eccellenze loro, per esser sotto i felici auspici della loro potenza reso universale a beneficio del genero umano, acciocché la gloria d'un così necessario ed insperato bene fosse riconosciuta dalla beneficenza loro. L’adempimento di questo negozio, Illustrissimi Signori, dopende principalmente dal gradimento loro di sì fatto presente, acciocché in séguito di esso l’autore no mandi loro la chiarezza ed altre dependenze necessarie per l’uso e la pratica di esso, non avendo cosa alcuna più a cuore (dopo il devotissimo affetto suo di riverire e servire l’Eecellenze loro, testificato da lui con questo suo dono) che di far conoscer loro la verità o la cer¬ tezza di questa sua invenzione, manifestando loro con ogni pienezza le particolarità spe¬ cificate nella sua proposta; aspettando sopra ciò l’onoro de' comandamenti loro, con tanto P.O maggior zelo quanto, non avendo potuto per l’età provetta venire a riverirle di presenza dall’estrome parti d’Italia, desidera sommamente di deponcr quanto prima nello loro man- l’intoriore di questo suo segreto, consolandosi con la speranza che per mezzo loro abbia da esser stabilito o che della sua invenzione ne resti perpetuata la memoria a’ posteri. Di che essondo stato informato da esso (avendomi fatto l’onore di confidarmi questo suo negozio da poco manco di due anni in qua), ho preso ardire, Illustrissimi Signori, d’av- visarno l’Eccellenze vostre, sentcndomici obbligato come devotissimo alla prosperità ed alla gloria dolio Stato loro; supplicando le vostro Eccellenze ecc. 80 15 — 1G MAGGIO 1G37. 1.8488-8484] 3483. ELIA I)IODATI a COSTANTINO HUYGENS [all’Aja]. Parigi, 16 maggio 1637. Dal Tomo III, pag. 442, doli'edizione citata nell' informazione promossa ni n.° 1201. l.a presento ò la tra¬ duzione, inviata dal Diodati a Gamlko (cfr. n.° 3499, lin. 45-46), doli*orijfinalo. Parigi, 15 Maggio 1637. Non potendo abbandonar questo negozio per diversi rispetti, c principalmente per il bene che ha da riuscirne all’universale, essendo persuaso della verità o cortezza di osso, prego umilmente V. S. lllustriss. ad interpetraro in bene la cura sollecita che no piglio con scriverne anco agli Illustrissimi Signori Stati; rimettendo nondimeno alla sua pru¬ dente censura di presentar loro o di sopprimere la mia lettera' 1 ', secondo che conoscerà dover farsi per il maggior beilo del negozio. 3484. RAFFAELLO MAGIOTTI a GALILEO in Firenze. Roma, 16 maggio 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 22. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r S. Non è poco cho V. S. molto 111/ 6 ot Ecc. m * habbia letto con qualeho gusto la circolationo del sangue, scritta da mo (2 ’ con modo pur assai confuso o con monte astrattissima, sobono io non l’amo pili por giudice dolio parole cho dello coso. Così non è poco eli’ ella non si sia scandalezzata di qualeho mia impationza, ma solo doli’ liavor io offerta soddisfatione por il copista. Lo foci con il P. Fran¬ cesco, perchè dubitando eh’ egli non potessi da per sò copiarmi quello clomon- stralioui de centro etc., non restassi però di farmi il servitio por mozzo d’altri, allegando poi per sua scusa il voto di povertà. Ma tutto questo non è servito per altro cho per scandalizzare V. S. contro ogni mìo volere, o però senza colpa. Quel buon Padre della radica 131 s’è partito all’improviso per Malta con il Sig/ Principe Langravio w , ot io son restato senza la radica promessami. Pur qua è un canonico di S. Eustachio, dal quale intendo poterla similroonte lmvoro, et a suo tempo non mancherò di mandarla. Ch’ il P. Morsonio si vanti d’havor letto il libro de motu, ò corto, lnivon- dolo lui significato al Sig/ Gio. Batista Doni, et io letta la lotterà. Non so già <*> Cfr. n.o 3482. <*> Cfr. u.® 3467. I 5 ’ Atanasio Kibciikr. <*> Fkdbbioo »’Abbia. ll> — 20 MAGGIO lG:-)7. 81 13484-3486J diro come là sia trapelata questa opera. Cli’ egli corchi por ogni verso farsi lionore con quel d’altri, non ne ho dubbio, conoscendolo benissimo dalli scritti di lui, nei quali, per esser la maggior parto francesi, ho perso pur troppo tempo. 20 Mi rincresce poi fino all’anima della sua gravezza di testa, indigestione o vigilie, e la prego quanto so e posso a conservarsi per tempi più felici. Feci re¬ verenza al P. Abbate (1) , et intesi elio l’ordinario passato rispose allo lettere di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. U)a , alla quale di bel nuovo, con il Sig/ Nardi 12 ’ o me, si raccomanda di vivo cuore, con pregarlo da Dio prosperità e vita. Roma, il dì 1G Maggio 1G37. Di V. S. molto 111/ 6 et Ecc. ma Aff. mo et Oblig. mo Ser. ro Raffaello Magiotti. Fuori: Al molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig/ o P.ron mio Ool. rao 11 Sig. 1 ' Galiloo Galiloi. so Fiorenza. 3485 **. PIETRO MAZZEI a GALILEO [in Arootri], Firenze, 20 maggio 1G:»7. Bibl. Eat. in Modona. Raccolta Cnmpori. Autografi, B.» LXXX, n.° 31. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo S/ e P.ne Oss. mo Con la cortese di V. S. do’ 1G stante ho riccuto il mandato do’ d. 500 per la sua paga, o volontierissimo rilaverei servita secondo il gusto suo; ma non sondomene stato scritto con questo procaccio dall’ 111.“° S/ Depositario Gene¬ ralo <3) cos’aldina, non m’è parso poter pigliaro l’autorità di traigliene. Potrà V. S. farli ricordare elio me ne dia l’ordine, sì corno seguì l’altra volta, por non far errore, oliò di subito farò quanto occorra, conservando in tanto appresso di me il detto mandato. Con desiderar occasiono di poter servir V. S. in altro, senza più lo faccio io reverenza, augurandoli dal Signore ogni contento. Da Pitti, li 20 Mag. 1G37. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. m Dovot.™ Ser/° S. D/ Galilei. Pietro Mazzei. Lett. 3484. 20-21. e viglile — <» Bknkdktto Castbiai. < s > Uukbaudo Sakaoini: cfr. n.» 3180. <*• Antonio Nardi. XVII. 11 82 20 — 21 màggio 1637. L3486-8487J 3486 *. GHERARDO SARACINI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 20 maggio 1687. tìibl. list. in Modena. Raccolti Campori. Autografi, B.» LXXXV1II, n,° 178. — Autografa Molto 111.” et Ecc. m0 S. r P.ron mio Osa." 10 La lettera umanissima (li V. S. Ecc. mft mi lu resa cinque giorni sono. Mio Sig. re , son pronto a servirla in tutte quello cose che havoranno sola depen- donza dalla mia volontà, non che nel mandarle il mandato del suo semestre, il quale lo si deve da me por debito o per necessità elio m’impone il carico che so¬ stengo. Credevo bene elio olla se lo facosso pagar costà, sì come è succeduto del semestre passato; il elio ini-fa dubitare elio forse il mandato che lo mando alligato non sia per essere a gusto suo. Quando sia questo, comandi; e quando voglia pur darmi ricompensa della briga elio dico dovermi, mi comandi altro coso, perchè non ho ambition maggiore che noi farmi conoscere in molti sui co- io mandamenti per suo servitore non in tutto inutile. E per fine la riverisco con tutto 1’ animo. Pisa, 20 Maggio 1637. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m * Ser.” Dovot. m ° Gherardo Saracini. 3487 **. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Arcetri. Venezia, 21 maggio 1687. Autosrafoteca Morrlson in Londra. — Autografa. 111.” ot Ecc. m0 S. r Itecevorà con questa l’aloè lavato che desidera; et se mi avertirà do quando in quando ne doverò inviare, restarà al corto servita, conio de ogni altra cosa della qualo mi conosco idoneo al suo serviggio, essendolo invero por molti capi obligato, ma massime havendomi instruito in quello scienze che bora mi ren¬ dono atto a servir la mia patria. Io d’altro non la posso pregare, se non elio riceverò a favor singularissimo se sarò fatto degno di alcuni belli suoi scritti, 21 — 22 MAGGIO 1637. 83 [3487-84881 do’ quali restarà adornata la sua patria. Voglio far ogni mio sforzo per venirla a reverire questo autuno et rcvcdorla. A V. S. Hl. ma ot Oss. ma Laccio lo mani. io Di V.*, li 21 Maggio 1637. Di V. S. 111.™ ot Oss.™ S. r Galileo Galilei. Aff. mo Sor/ Frano. 0 Duo do. Lo no invio cinque drarae, elio, corno 1’ à scritto, lo servon. So me avviserà quanto no fa di bisogno preparar, no farò capitar do volta in volta tutti mesi, cliè farà meglio operationi. Fuori ; Al molto Ill. ro Sig. r L’Ecc. mo Sig. r Galilei, Doct. Matti. Itac. l ° al maestro dello posto di Fiorenza. Arcetri. 3488 ** ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. tì. Maria a Campoli, 22 maggio 1(537. Blbl. Naz. 3?lr. Appondico ai Mas. Gai., Filza Favaro A, car. 1G0. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col. mo L’amorevolissima lettera di V. S., scrittami li 20 stanto, ni’ è pervenuta questa sora, ebo siamo alli 22 : in essequzione della quale manderò la farina della prossima settimana, o continuerò a mandaro altre fascine; ma arei caro di sapore se io mi devo servire del medesimo vetturale o pure provarne un altro, perché mi promette o mostra di portarlo buono, ma io non so poi come lo mantengha. Mando aduso il conto (1) di V. S., cavato da’libri di Giulio <2) , acciò elio lei con suo commodo lo possa riscontrare; o quando verrò io, porterò il mio, per io saporo la somma di che restorò dobitore. Verrò a riverire V. S. circa mezo il prossimo mese di Giugno ; e so fussi atto a servirla in qualche cosa, sarei pron¬ tissimo a ogni conno, non avendo per ora impedimenti urgenti: mentre co ’l fine, ringraziandola dell’ amorevoli offerte, di che in ogni occorrenza farò capitale, gli faccio debita reverenza. Da S. 10 Maria a Campoli, 22 di Maggio 1637. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma Dovotiss. m Giulio Ninci. 84 22 MAGGIO 1637. [ 8489 ] 3489. ELIA DIODATI a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. Parigi, 22 maggio 1087. DjlI Tomo III, pag. 443-445, doH’odiziono citata noli’ informazione premessa al il.® 1201. Parigi, 22 Maggio 1637. Do Nobilissimi Galilaei nogotio impense sollicitum non leviter me sublevarunt exoptn- tissimae tuae litorae quibus (humaniter ita tibi placitum) omnibus quae a te expetiveram cumulatissime respomles, fcuumque erga oum inBigno studium verl>is cordatissimis, ipsisque otiam factis coinprobatuni, mihi expromis. Quare opportunissimo totius lniius sui negotii promotio et perfectio ab eo tuae (idei et accuratae diligentiao destinata est, quomadmodum ex apograpliis eins liternrurn, ad ine de liac re scriptarum, hic adnexis porcipies; qunm fiduciam meo ad eas responso sedalo illi confìrmavi, nulla interim de eius inventi propa- latione Morino et Mersonno, a vobis facta, mentione illi Inibita, ne inani suspicione animimi eius obvolverem; de ea iti auguratila quod re ipsa ex literis tuia comperi, vob scilicet, ex lo occasione vulgatae de eo apud vestros magnates et acadomicos l.eidenses famae, Mer¬ sonno et Morino rem tantum verbis geiteralibus exposuisse, et a me rogatos, cum iis aliisque de ea amplius non egisse. Satius tamen fuisset (ut et ipse agnoscis), inventum hoc abditum conservatimi fuisse, donoc ei colophon impositus ossei, ro ipsa sino alio mo- nitu silentiuni satis indicente. Non propterea tamen, ut spero, inestimabili eius merito et auctoris lionori derogabitur, quam indubitatatn eius veritatem ipso facto vobis compro- bare paratus sit. Nec enim quod in propositione sua ad Illnstrissimos Ordines dubitanter illud protulisse videatur, eo senso id nccipiendum est., quasi re vera de eo dubius fucrit; importunae siquidera nec oxcusamlae temoritatis culpandus forot, si Illustrissimis Ordinibus, ex tara lougiuquis oris, a neniine requisitus, rei incertan ostcntatione illnsisset; veruni mode- 20 stiae omnibus primariis pliilosophis, licet dogmaticis, familiari id tribuendum, inventa sua et opiniones proprias verbis ut plurimum scepticis et dubiis propouentibus. Nani, ut dicam quod ros est et quod mihi ab eo testatum ex eius literis vides, inventimi hoc suum (ut prius ad to scripsisse memini), primo sibi compertum, deinde iugi multorum annonim observa- tione etiteratis oxperimentisconfirmatum, sibique prius penitissimo, cognituni, velut cnclestc deuium omnique cxcelsa potentia dignissimum, Illustrissimis Doniinis Ordinibus submisso et reverenter, ne felici hac sorte sibi divinitus concessa tumescere videretnr, quamquam do eius veritate nullatenus anceps aut dubius esset, illorum lieroicam virtutem et. celebra- tam potentiam ad expetiti et insperati universali liuius boni porfectionem prae omnibus aliis propitiam foro confidens, dicavit. 80 Quid porro causae subBit cur (cura Illustrissimis Ordinibus gratisHimam et perhonorifìce ab illis cxceptam fuisse hanc eius pi'opositionem, cum singolari omnium vestroruni ma- gnatum auctoris commendatione, in dies maiorem in modani mihi confirmes) hactenus Illu- strissimorum Ordinum ad enm responsum nondum comparucrit, noe divinare possuni, nec inult.iplicibus quibus Nob. Realium dotentum fuisse dicis occnpationibus acquiescere : ilio “> Cfr. n.« 3470. 22 MAGGIO 1637. 85 [ 3480 ] ctenim (ut ad me scripseras) iara n mense Novembris ab Illustrissimi» Ordinibus decreto, quid postmodum tantam cius moram cansari potuerit, nec percipio, nec Illustriss. Grotius, cui coniicienduin rolinquis, id assequitur; est enim inaliditimi, ulla esse negocia quae tot mensium decursu intermissionem aliquam non recipiant. Cumque id (ut per to iudicare 40 potos) illum merito perploicum tenero debeat variaque de verisimili producti buius silentii causa cogitantem, non ob spretimi parvique habitum munns, aut quia ab iis prius damna- tum quatn cognituni sit, quomodo, quaeso, inter liaec dubia ulterioreni, quam libens pol- licitus fucrat et quam nunc sollicite promis, eius inventi oxplanationem ab oo cxpectaro liceat, noe video, nec rationcs quibus illuni ad id boiler, ut snades, tnihi suppetunt, donec, IllustrisBimorum Ordinimi ad illuni responso liabito, et donantis animum, et rem ipsam benigniter acceptam, penitioromque eius dilucidationem, ad ncgociuui capessonduni et ad praxim reducendum, expeti ab iis, rosciscat: nani tunc serio ad illorum Celsitudinos quac- cumquo primum libens illis obtulit, quam ociissimo transmittet, tolescopium vidclicct pcr- fectissimum, ciusquo utenili rnodum a se exeogitatum, navis in mari librationi accomoda¬ no tum, tino Iovialiuni Stellarmn motuum obsorvationes, ot horologii accuratissimi a se inventi fabricam, oniniaquo animi intima et pcnitiorcs recessus verbis et scriptis super Ime re oxplicabit; cum ea sit philanthropia, ut non gaudeat inventis nisi quatenns ea liumano generi usui futura esso novit, seque maxime Ime spc soletur et substontet, foro hoc no- vissimum snum inventimi, sub folicibus Illustrissimorum Dominorum auspiciis, volut nova fax ot caelosto lumen geographis et navigantibus in posterum, cum aetorna illorum gloria et perpetua anctoris memoria, illucescat. Quaro cum in partem augustissimi buius laboris ab ilio voeeris, tuarum sit pavtium, vir Olarissimo, IllustrisBimorum Dominorum Ordinum responsi ancipites morns ornai tuo nisu rurnpore, illudque cura primum ad me per Dominimi T eremi am Calandrinum mitten- 00 dura curare, cum adiuncta cius responsi copia, ut ego, de eorum niente certior faotus, offica- cius quod nlterius instat faciendum, apnd oum urgeam. Utinam, arropta occasione pro- fcctionis vostri Consulis Domini Borelii ad legationem Yenetam, Illustrissimorum vestrorum Ordinum mandato, to ad Galilaeum couferres, ut praosens (quod vix alias per literas perfici potest) buius tanti nogotii omnia requisita a dicentis ore coìligere et excipere et ad vostros referro, insignisque viri singulares dotes experiri, illiusquo aspectu et sermone cum indicibili nuinquamqne intermoritura voluptatc fruì, possesl Tuaa et Noli. Realii ad eum litoras iam dudum transmisi. Cum ab Elzcvirio acce- perim, nulla adliucdum Galilaoani Discursus prò mundi systematis asscrtione, latine a me versiti, exeinplaria ad te pervenisse, ecce tibi unum exemplar, ne to longiori eius expccta- 70 tione detineam. Illius publicationis occasionem ex mea praefatione, sub fiotitio llobertini nomine, cognosces. Miraberis in boc, ut in aliis omnibus, auctoris acumen: nam quod meae fuit oporae in vertendo, nibili est, nec notnoii meruit apponi, quamquam D. Bernoggero contrauitenti aliter fuorit visum^. Nob. Itcalio, meo nomine, quamplurimam salulem iinpertire, illumque ut opus sibi pio responso Illustrissimorum Ordinum ad Nob. Galilaeum niauclatum maturet, etiam atque etiam roga. Vale. Lett. 3489. 52. phiUinthropio, et non — 57. auiputUtimU — <59. a Cfr. u.o 3058. <*> Cfr. uu.i 3257, 3142. 86 23 MAGGIO 1637. 18400] 3490 **. LORENZO BINI a GALILEO in Arcctri, Firenze, 23 maggio 1637. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, oar. 298. — Autografa. Molto 111. Sig. r 0 P. n0 Oss. mo Già che V. S. non s’è compiaciuta sin ora di soddisfare mia madre* 0 , non ostante l’haver mandato molto volto a chiederli il litto elio V. S. li devo di co- testa villa o podore, adducendo alli mia mandati che V. S. non havossi visto il patto apposto nella scrittura, del pagare anticipatamonto ; circlia elio roduco a memoria a V. S., che oltre ad liavor fatto lo scritturo più volto, che dolio primo coso elio lo dissi fu elio, mentre V. S. volessi ricontinuare l’affitto, intendevo elio pagassi anticipatamente ; circlia elio V. S. non solo non mostrò di difficoltaro, ma disse che non lo dava fastidio, o elio Laveria anco pagata somma di considc- ratione, quando fussi tornato comodo a noi o al S. r Esaù Martollini, ma sempre io la sua difficoltà mostrò noi pigliar in affitto ancora il podore. Ma in questo non occorro mi allunghi da vantaggio, non si supponendo che V. S., corno pru¬ dente, si fussi obbligata a cosa non vista o considerata, conio veramente fu quosta. Però tutte lo ragioni svaniscono; o per ciò con questa m’ò parso bone, por compire il termino che si devo con loi, di nuovo farlo supero che mia madre ha bisogno di far capitalo del suo, o massimo essendo fìtti elio non si suol haver difficoltà, o massimo con lei, che so non li mancha la comodità. E porchò a nostra madre bisogna servirsene por coso sua particolari, vion di nuovo a suo nomo per questa, vogli pagarle al* apportator di questa, acciò possa dar sadi- sfationo ancora lei a chi si dovon paguro; o si compiace! farlo, acciò, essendo 20 necessitata a pagar a altri, non sia necessitata darli disturbo. Con qual fino lo bacio lo mani. Di Fir., questo dì 23 di Maggio 1637. Di V. S. molto IU. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r 0 P. n0 Oss. m0 Il Sig. r Galileo Galilei. In villa. In Arcetri. Lett. 3400. 2. compiacili" — 4. udducento — 8. cirche che — non tolo mottrò — 12. a llujhi — 10. « mat¬ tino ettendo — Ginrvka Martkluni uo’illMj Cfr. n.° 2489. Affi Ser. Lor.*° Bini. [3491-3492] 27 MAGGIO 1637. 87 3491 **. PIETRO MAZZEI a GALILEO [in Anatri]. Firenze, 27 maggio 1637. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Ciunporl. Autografi, B.» LXXX, n.° 32. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc. mo S. r e P.ne Oss. mo Invio a V. S. con questa l’ordine por 1*111.“® S. r Depositario (1) , acciò le fac¬ cia pagare li d. 500 por la sua provvisione, in conformità di quanto m’è stato scritto. Potrà farlo presentare per li effetti, comandando a mo in tutto quello elio io fossi abile por servirla, chè mi troverà prontissimo. Et a V. S. senz’ altro con ogni affetto bacio le mani. N. S. la conservi o contonti. Da Pitti, li 27 Maggio 1637. Di V. S. molto HI." ot Eccl. ma Devot. m ° Ser.” S. r D. r Galilei. Pietro Mazzoi. 3492 **. ALESSANDRO NINCI a GALILEO [in Arcetri], 8. Maria a Campoli, 27 maggio 1637. Bibl. Naz. Eir. Appendice ai Mss. Gai., Filza Favaro A, car. 161. — Autografa. Molto HI." ot Ecc. n, ° Sig. r mio P.ron Col.® 0 Mando staia sei di farina, che costa, computato la poliza e la vettura, lire 45. Stimo quest’ ultimo vetturale, che ha condotto le fascine, assai fedele tra gl’altri della sua professione; non dimeno suplico V. S. ad accennarmi se in tutto n’babbi condotto 590, sì come egli afferma, chè subito lo spignorò a con¬ durne sino che V. S. ne vorrà: mentre col fine, baciandoli lo mani con debita reverenza, gli prego dal Cielo intera prosperità. Da S. ta Maria a Campoli, 27 Maggio 1637. io Di V. S. molto 111." et Ecc.“* Dovotiss." 10 e Oblig. mo Se. ro Alessandro Ninci. < l ) Ombrando Sakacini. 88 2 — 5 GIUGNO 1637. [3498-8494] 3493 **. ELIA DIODATI a ROBERTO GALILEI in Lione. Parigi, 2 giugno 1687. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Medico» 5851, car. 4. — Autografo. Molto 111." S. re mio Osfi. mo Mi trovo debitore a V. S. molto Ill. re di tro gratissimo suo, de’ 12, 19 ot 22 del pas¬ sato, ot d’una dol S. r Galileo Galilei, al quale non bavero tempo di far risposta adesso. La ringratio quanto pili posso della solita sua cortesia nel ricapitare i miei plichi a esso Signore et in particolare la scatola de’libri, la quale haverò caro sentire gli sia pervenuta in salvo. Ho fatto vedere a i principali di questi librari ot a diversi curiosi l’intitulatione del libro clie V. S. mi ha m Andata, della quale non sapeudosouo che la notitia generalo che se ne può cavare dall 1 intitolatione, i mercanti non mi ci hanno risposto assegnatamento di desiderarne, so bone i dotti mostrano d’haverci affetto. Nondimeno sarebbe (come in cose 10 simili si suol faro) a proposito d’incielarceli, facondo veder l’opera, della quale si mandasse qua qualche dozzona d’esemplari por farne la prova dello spaccio, ot so no potrebbe anche mandare in Olanda; il che V. S. potrà signilicare al suo amico, et che se si risolverà di mandarne, dia l’ordine del pretio che do vera esser venduto; a che io lo servirò volentieri ot con ogni cura.... 3494. GALILEO a PIETRO CARCAVY [in Parigi]. Arcetri, 5 giugno 1637. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. Y, T. IV, cnr. 1-3. — Copia, «li mano dolio stesso Camuso fino allo pardo « farsi sensibile » (Un 1-95), il resto di mano di Marco Ambrogrtti: mancano la data o la sotto- scriziono. Pi fuori, di mano doll’ÀifBROOKTTi, si leggo: « Risposta al Slg.' CardiviI ». A questa copia seguo nello stosso codice (car. 4-8) un'altra copia di rnauo di VimOruio Yxviani, nulla quale si log- gono audio la data o la sottoscrizione. Ili . rao Sig. ro e Pad." mio Col. mo Allo ultime 2 lettere di Y. S. lll. ma<,) sono in obbligo di rispon¬ dere, le quali mi son pervenute nell’ istesso tempo ; del quale perchè ne ho grandissima scarsità, trapasserò i complimenti elio si ricerche¬ rebbero per corrispondere a i molti che sono nelle suo, pieni di cor¬ tesia, assicurandola solamente che, giusta mia possa, non mancherò mai a quello che al mio debito s’aspetta. Che ella continui nel pensiero di voler far ristampare tutte l’opere mie in un volume solo, mi piace assai, perchè è gran tempo che non “i Cfr. nn.l 3436, 3440. 5 GIUGNO 1G37. 89 [ 3494 ] io so ne trovano più. alle librerie, et Inumo continua chiesta, sì che l’esito sarà grande e sicuro, con grosso guadagno del libraro, il quale V. S. potrà assicurare che gl’ultimi esemplari che si trovarono furon pagati il quadruplo e ’l sescuplo più del prezzo corrente ordinario; e dei miei miserabili Dialogi so che ascosamente ne sono stati venduti 4 e 6 scudi la copia. Quanto poi al facilitare il privilegio 11 ’, non mi mancherà da aggiugnervi alcuna cosa non più stampata, o da me al pari o più di altre mie fatiche stimata. Però concluda pur V. S. lll. mu col libraro, o faccia metter mano all’impresa, che non mancherà d’esser all’or¬ dine, in tempo oportuno, quanto basterà per cavare il privilegio. E per 20 mio parere l’opera dovrebbe esser fatta in foglio. Vengo bora allo opposizioni che l’amico di V. S. ( ‘ 2) fa ad alcune delle mie proposizioni ; le quali opposizioni io ammetto, trattone una, per vere e concludenti, ma non già per non prevedute e da me ino¬ pinate, perchè è gran tempo che, havendo con estrema ammirazione veduta e studiata la spirale d’Arcliimede, la quale egli compone di 2 moti equabili, uno retto et l’altro circolare, mi cadde in pensiero la spirale composta del circolare equabile e del retto accelerato se¬ condo la proporzione dell’accelerazione de i gravi naturalmente de¬ scendenti, la quale io mi persuado haver dimostrato esser in dupli- 30 cata proporzione di quella del tempo: e questa è la spirale dell’amico di V. S. ; e sebene nel Dialogo (:,) vien detto, poter esser che mesco¬ lato il retto del cadente con l’equabile circolare del moto diurno si componesse una semicirconferenza che andasse a terminar nel centro della terra, ciò fu detto per scherzo, come assai manifestamente ap¬ parisce, mentre vien chiamato un capriccio et una bizzarria, cioè iocularis quaedam audacia. Desidero per tanto in questa parte esser dispensato, e massime tirandosi dietro questa, dirò, poetica finzione quello 3 inaspettate conseguenze: cioè, che il moto del mobile sarebbe sempre circolare ; secondariamente, sempre equabile ; 3°, che in questo io apparente moto deorsim niente si moveva di più di quello che si fa¬ ceva mentre era in quiete. Aggiungo bora, che sebene dalla compo¬ sizione del moto equabile orizontale col retto perpendicolarmente de¬ scendente, con l’accelerazione fatta nella proporzione da me assegnata, si descriverebbe una linea che andando a terminar nel centro sarebbe (»» Cfr. u.° 3480, liu. 14. < 3 ‘ Cfr. Voi. VII, pag. 190-192. <*> Cfr. u.° 3110. XVII. 12 90 5 GIUGNO 1G37. [31941 spirale, niente di meno sin clic noi ci tratteli ghiaino sopra la super¬ fìcie del globo terrestre, io non mi perito di assegnare a tal compo¬ sizione una linea parabolica, asserendo tali esser le linee elio da i proietti vengono descritte: la qual mia asserzione potrà somministrar materia d’impugnarmi assai maggiore del moto di mezo cerchio, il quale almeno facevo pure andare a terminar nel centro, dove anco 50 son sicuro che andrebbero a terminare i proietti; e pur la linea pa¬ rabolica si va sempre più e più slargando dall’asso, che è la perpen¬ dicolare al centro. Hora qui potrà V. S. e l’amico suo maggiormente maravigliarsi di me, che, conoscendo e confessando l’orror mio, pur vi vo perseverando. Tutta via spero d’impetrar perdono dalla loro benignità, e tanto più me lo prometto, quanto comprendo elio gl’av- vertimenti loro derivano dal desiderio di farmi cauto, acciò elio io non incorra in quelli errori nei quali incorrono e sono incorsi tutti i più intelligenti mecanici, e l’istesso Archimede, massimo ingegno e sovrumano; il quale supponendo, come egli fa ne’suoi Equopon-co deranti e nella Quadratura mecanica della parabola, e come fanno tutti gl’ingegneri e architetti, supponendo, dico, che i gravi descen¬ dano per linee parallele, danno occasione di dubitare che gli sia stato ignoto come tali linee non sono altramente equidistanti, ma vanno a concorrere nel centro comune delle cose gravi. Da questa veramente falsa supposizione traggono origine, s’io non erro, lo obbiozzioni fat¬ temi dall’amico di V. S., le quali nell’avvicinarsi al centro della terra aqquistano tanta forza et energia, e tanto variano da quello che noi in superfìcie con errore, benché leggiero, supponghiamo, che quelli che qua su noi chiamiamo piani orizontali, finalmente nel centro do- vo ventano linee perpendicolari, e di linee non inclinate degenerano in linee totalmente inclinate. Aggiungo di più, come V. S. e l’amico suo in breve potrà vedere dal mio libro che già stai Sìib prado, che io argomento ex suppositione, figurandomi un moto verso un punto, il quale partendosi dalla quiete vadia accelerandosi, crescendo la sua velocità con la medesima proporzione con la quale cresce il tempo; o di questo tal moto io dimostro concludentemente molti accidenti: soggiungo poi, che se l’esperienza mostrasse che tali accidenti si ri¬ trovassero verificarsi nel moto dei gravi naturalmente descendenti, potremmo senza errore affermare questo essere il moto medesimo che so da me fu definito e supposto; quanto che no, le mie dimostrazioni, 5 GIUGNO 1G37. 91 [34941 fabricate sopra la mia supposizione, niente perdevano della sua forza o concludenza ; sì come niente progiudica alle conclusioni dimostrate da Archimede circa la spirale il non ritrovarsi in natura mobile che in quella maniera spiralmente si muova. Ma nel moto figurato da me è accaduto che tutte le passioni, che io ne dimostro, si verificano nel moto dei gravi naturalmente descendenti : si verificano, dico, in ma¬ niera, che mentre noi ne facciamo esperienze sopra la terra, et in altezze o lunghezze da noi praticabili, non s’incontra ninna sensibile oo diversità; la qual però diversità, sensibile, grande et immensa si fa¬ rebbe nell’awicinarsi o grandemente approssimarsi al centro. Et an¬ corché l’amico suo ammetta che nel farne esperienze riescano senza errore, ma che con tutto ciò vuole anteporre la ragione al senso, che può ingannarsi, io gli mostrerò qualche esperienza che pure do¬ vrebbe farsi sensibile e senza inganno del senso. Pendano da due fili egualmente lunghi due gravi, quali sarebbero, per esempio, due palle d’archibuso; e l’uno di questi fili sia attaccato nella più sublime al¬ tezza che liaver si possa, e l’altro nella più bassa, posto la lor lun¬ ghezza essere di 4 o 5 piedi; e stando 2 osservatori, l’uno nel luogo iou altissimo, e l’altro nell’infimo, allarghino dallo stato perpendicolare esse palle, e dato loro l’andare libero nell’istesso momento di tempo, vadano numerando le loro vibrazioni, continuando la moltitudine di quelle per molte centinara; che troveranno riscontrarsi talmente i numeri di quelle, che nè in molte centinara, nò anco mi gli ara, si troverà lo svario di una sola: argomento necessariamente concludente, che ciascheduna di esse si fa sotto tempi eguali. E perchè quello che accado in questi movimenti per archi di cerchi accado ancora nelle corde a quelli suttese, casca a terra tutto quello che l’amico di V. S. dice accadere deve sopra piani inclinati, paralleli tra di loro et egual- iio mente lunghi, dei quali l’uno fusse più vicino al centro della terra che l’altro; cade, dico, assolutissimamente, mentre siano posti amen- due fuori della superficie del globo terrestre. Quello poi che dovesse accadere tra due simili piani, de i quali l’uno fusse fuora della su¬ perficie terrestre, e l’altro tanto adentro che andasse a terminare anco nell’ istesso centro, io per adesso non voglio dire quello che me ne creda; ma non ho sin ora ragione che necessariamente mi convinca ad ammettere che il mobile che va a terminare nel centro passasse Lett. 3404. 84. circa le tritale. La copia di mauo del Vivuni lia la spirale. — 92 5 GIUGNO 1(537. [ 3494 ] il suo spazio in tempo più breve elio quell’nitro mobile il suo. Ma più dirò, elio appresso di ino non ò bene risoluto o chiaro che un mo¬ bile gravo arrivasse più presto al centro della terra partendosi in Lon- 120 tananza da quello di un sol braccio, che altro simile elio si partisse da lontano mille miglia. Questo non affermo, ma lo propongo conio paradosso, per la destruzzione del qualo forse l’amico suo bavera 0 troverà dimostrazione necessariamente concludente. A quello poi che ei produce per destruziono del mio asserto, cioè che il grave partendosi dalla quiete passi necessari amento por tutti i gradi di tardità (1> , non so veramente applicare il suo postulato, mentre domanda che li sia conceduto, non darsi moto senza velocità: dove mi pare che tale proposiziono importi quel medesimo elio so altri dicesse, non darsi linea senza lunghezza; e sì come ... partirsi dal 130 punto, che manca di lunghezza, non si può entrare nella linea senza passare per tutte le infinite linee, minori e minori, che si compren¬ dono tra qualsivoglia linea segnata e ’l punto, così il mobile elio si parte dalla quiete, che non ha velocità alcuna, por conseguire qual¬ sivoglia grado di velocità deve passare per gl’infiniti gradi di tar¬ dità compresi tra qual si sia velocità e l’altissima et infinita tardità. Sia l’angolo compreso dalle linee al), ac, e passi per il punto a la linea de , la quale si intenda descendere in fg, mantenendosi seinpro parallela a se stessa: è manifesto che di essa - 1 linea de nell’angolo a non vo ne è parto elio no habbia lunghezza alcuna; ma nel descen- f -^ ^- g dere e trasferirsi in fg vengono di lei intor- cette tra le ab, ac parti maggiori e mag¬ giori, secondo che maggiore si fa lo spazio della scesa; et in questo esempio la parte intercetta è la m. Ora è manifesto, nissuna linea potersi assegnare di così poca lunghezza, sì che altre infinito minori e minori non ne siano state compreso tra lo an, as verso l’angolo a; onde l’asserire, nel moto della traversale fg essersi passato per tutte le immaginabili lunghezze comprese tra la ns 0 l’angolo a, sì che nissuna se ne sia lasciata in dietro, mi paro prò- 150 posizione lontana da ogni dubbio. E così, mentre io stabilisco uno in¬ stante di tempo, nel quale partendosi il mobile dallo stato di quiete, 180. Tutt’o duo Io copio hanno: «t come fxirlirsi. — Cfr. Voi. VII. pag. 14. 5 GIUGNO 1637. 93 [ 3494 ] nel quale si trovò nell’assegnato instante, et entrando in moto, il quale debba andarsi accelerando con quella proporzione elio cresce la quantità del tempo, la quale nel detto instante era nulla; sì come non si può assegnare così piccolo spazio di tempo che di minori non ne siano decorsi dopo il primo instante segnato, così partendosi il mobile dalla quiete non trapassa quantità alcuna di velocità segnata, che per minori ancora non si sia ritrovato. Vorrei che V. S. propo¬ ngo nesse all’amico, se egli ammette meco che un mobile che vadia per¬ dendo continuamente di velocità, come, per esempio, fa un grave proietto perpendicolarmente in su, passi ad un tal grado di velocità poco minore della sua più tosto che a uno minore assai; come, per esempio, una palla di piombo, che tirata in alto va continuamente perdendo di velocità, sia per trapassare prima da 10 gradi a 9, che a 6 o 4. Credo che egli concederà, non essere ragione alcuna di tra¬ passare immediatamente da 10 a 6, saltandone e interponendone li gradi 9, 8, 7, sì come stimo io e credo elio egli ancora concederà. Consideri adesso elio quella palla, andando continuamente et succcs- i7o sivamente perdendo di forza e di velocità, si riduce finalmente allo stato di quiete, tra ’l quale e qualsivoglia assegnato grado di tardità ne sono altri et altri maggiori. Quando dunque ei sarà giunto, per esempio, a 100 gradi di tardità, che ragione si potrà egli addurre ch’ei faccia passaggio da i cento gradi di tardità alla quiete, cioè alla tardità infinita, tralasciando di passare per li 120, per li 200, per li 1000, che pur sono al 100 più propinqui che l’infinito? E così convertendo il suo movimento dal punto altissimo verso il basso, arbi¬ trario più che ragionevole sarebbe, per mio parere, il discorso di colui che volesse negare ch’ei ripassasse conversamente, cioè con ordine ìso prepostero, quei medesimi gradi per i quali passò nella salita. Questo è quanto per ora voglio dire a V. S. Ill. ma in questo pro¬ posito, aggiugnendo solamente il rendergli le debite grazie del ge¬ loso olfizio che gli è piaciuto di fare por conservazione della mia re¬ putazione. E per non tediarla più lungamente, con riverente affetto gli bacio le mani e li prego da Dio il colmo di felicità. D’Arcetri, li 5 Giugno 1637. Di V. S. Ill. ma Dev. mo et Obb. mo S. ro Galileo Galilei. 162. Tutt’o duo le coj ie hnnno: pati! ) Cfr. n® 8481. <*> Marco Ambkooktti. 1*1 Cfr. n.o 3141. <*> Cfr. u.» 3421. 6 GIUGNO 1G37. 95 [3495] che fare a un paio di miei amici per ritrarne il senso. Scrivendo, manderò annessa con questa la risposta aperta, acciò Y. S. molti’HI. so la possa vedere. V. S. mi concede tempo di poter apparecchiare ed avere in pronto le risposte a i quattro capi, quando mi pervenga la risposta degl’ Illustriss. Stati alla mia proposta ; ma simile larghezza di tempo non mi pare che mi venga conceduta dall’ altro due lettere de i soprannominati, anzi me ne fanno istanza e fretta. Io però, ri¬ spetto allo stato in che mi trovo, sono necessitato ad aspettare di potermi servire della propria vista, essendo impossibile servirmi degli occhi di altri, in particolare per rivedere calculi, osservazioni ed altre cose necessarie, bitte già molti anni sono intorno a i movimenti de i satelliti di Giove, per ridurre il tutto congruente al tempo presente 40 ed al bisogno che sarà del Sig. Ortensio o di altri a chi sia imposta la carica di continuare l’osservazione, calculare l’effemeridi, ed in somma continuare tutto il maneggio di questo negozio ; che, per mio parere e consiglio, doverà cadere in mano dcll’istesso Sig. Ortensio, come, per mio giudizio, attissimo a simil opera, ed anco perchè se ne dimostra desideroso. Mi vengono anco domandati dall’istesso Sig. Ortensio i vetri per un telescopio, i quali sieno di perfezione tale elio mostrino ben ter¬ minato il disco di Giove e chiaramente apparenti i quattro suoi sa¬ telliti; effetto che, come egli scrive, non si ha da quelli che si fab- 50 bricano in Olanda. Se mi succederà prontamente il farne provvisione, gli invierò a Y. S. molt’lll. insieme colle presenti. Resto con pregarle da Dio intera felicità. A questa lettera, quale si logge nella citata edizione Fiorentina, uniamo il seguente capitolo, elio con la medesima data « 6 Giug.® 1G37 » ò trascritto nei Mss. Gal. della Piblioteca Nazioimlo di Firenze, P. V, T. VI, car. 8G»\, di inano di Yinoknzio Viviani. Il primo periodo di tale capitolo, lino allo paralo « sarà necessario» (lin. 56-57), si leggo nello stesso codino anche a car. C9r. o 77r., di mano pur del Viviani, o a car. 148r. di mano di un suo amanuense; o a car. Olir, il Viviani premetto quest’ indicazione : «Il Galileo all’amico di Parigi, d’Arcotri ne’G Giugno 1637 ». Quanto poi all’impresa alla quale si apparecchia il Sig. Carcavil, come per altra ho scritto a V. S., non mi mancherà d’aggiugner al resto delle mie opere altre cose di nuovo ; e quando io veda qualche principio dell’opera, non mancherò di mandare quanto sarà neces¬ sario. M’ è anco passato per la mente, che quando il Sig. Elsevirio 96 G GIUGNO 1637. [ 3495 - 3 - 196 ] ai risolvesse interamente di ridurre in un sol volume tutte l’opero mio, e che gli fusse grato di averle latine, e ben tradotte e mante¬ nutone il senso, potrei con l’aiuto d’un amico che dimora appresso eo di ine, et è scrittore della presente, dar buona satisfazione, perchò tra l’amico et io ridurremmo il tutto in istile chiaro, seben non con tanta energia con (pianta posso spiegarmi nella nostra favella toscana. 3496. GALILEO a LORENZO RE ALIO [in Amsterdam]. Areotri, giugno 1G37. Dal Tomo III, pag. 174-180, noli* edizione citatn noli’ inforinaziono promossa al n.« 1201. Dalla Villa d’Arcetri, 5 Giugno 1,1 1637. Insieme colla cortesissima e benignissima lettera di V. S. Illustriss. (i) ne ricevo una del molt’Dl. e dottissimo Sig. Martino Ortensio, invia¬ temi ambedue dal mio carissimo, confidentissimo ed officiosissimo amico il molt’Ill. Sig. Elia Diodati da Parigi. Queste mi sono pervenute in tempo che non ne ho potuto leggere pure una sillaba, mediante una flussione nell’occhio destro, che mi toglie l’uso della vista non meno che se io fussi del tutto cieco ; onde mi ò stato forza servirmi degli occhi altrui. E siccome tale mia passione mi è stata cagionata dallo scriver molto da tre mesi in qua, così mi toglie al presento il potere io scrivere pure una parola; onde per dare quella maggior soddisfa¬ zione, che il mio sinistro accidente mi permette, a V. S. Illustriss. ed al Sig. Ortensio, ho preso partito di scrivere a lei sola, in modo però che la mia risposta serva per ambedue le Signorie loro. E questo torna tanto opportunamente, quanto le domande contenute nelle let¬ tere loro sono Distesse. Mi avvisa V. S. Illustriss., aver presentata la mia proposta a gl’Il¬ lustri. e Potenti. Ordini delle Provincie Unite ‘ ;1) , e quella essere stata gratamente e benignamente ricevuta e di più averne sopra di essa decretato, e che per mano del Sig. Ortensio riceverei copia della 20 risoluzione di essi Signori Illustriss. e Potentissimi t4) , la quale però <1) La data « 6 Giugno » non sembra possa <*> Cfr. n.° 8441. ossoro esatta, poiché nolla precedente lettera dei •*' Cfr. n.« 3387. G giugno Gami.ro scrivo al Diodati che ha pensioro <*> Cfr. n.« 3468. di rispondere al Rkamo: cfr. u.° 3495, liu. 24. GIUGNO 1637. 97 [ 3496 ] non mi ò pervenuta, mancandoci l’autenticazione del Sig. Cornelio Muscli, di cotesti Potentissimi Signori degno Grafiario, cioè (corno credo in nostra lingua) Cancelliere : contuttociò non voglio restar di dare quella maggior soddisfazione, die al presente mi sarà conceduto, alle domande e a i dubbi elio mi vengono promossi sopra la pratica usuale della mia invenzione sopra il ritrovamento delle longitudini tanto in mare quanto in terra. Il dubbio che principalmente vien promosso da Y. S. Illustriss., so per quanto mi significa il Sig. Ortensio, è circa il potersi adoperare il telescopio in nave, la quale per le fluttuazioni dell’onde non sia per permettere di poter fare le debite osservazioni intorno a i satel¬ liti di Giove. La seconda difficultà, pure dal medesimo Sig. Ortensio addotta, è il mancare in coleste parti telescopi di tanta perfezione, che basti per ben distinguere le piccoline stelle concomitanti il pia¬ neta di Giove. Domanda Pistesso Sig. Ortensio tavole e modo di usarlo per poter esattamente calculare di tempo in tempo i movimenti, ed in conseguenza gli aspetti, delle medesime piccole stelle. Richiede, oltre a ciò, la fàbbrica dell’orologio da me proposto, di tanta esqui- 40 sitezza che basti per numerare le parti del tempo, ancorché meno- missime, senza errore alcuno in tutti i luoghi ed in tutte le stagioni dell’anno. Quanto alla prima difficultà, non è dubbio che si rappresenta es¬ sere la maggiore, alla quale però credo aver posto rimedio, nelle me¬ diocri commozioni della nave; e tanto dee bastare, attesoché nelle grandi agitazioni e tempeste, che il più delle volte tolgono anco la vista del sole, non che dell’altre stelle, cessano tutte l’altre osserva¬ zioni, anzi pure tutti gli offizi marinareschi. Però nelle mediocri agi¬ tazioni penso potersi ridurre lo stato di quello che dee fare l’osser- 50 vazioni ad una placidità simile alla tranquillità e bonaccia del mare; e per conseguire un tal benefìzio ho pensato di collocare l’osserva¬ tore in luogo talmente preparato nella nave, che non solamente le commozioni da prua a poppa, ma nò anco le laterali delle bande, sieno punto sentite : ed il mio pensiero ha tal fondamento. Se la nave stesse sempre in acqua placidissima e nulla fluttuante, non ò dubbio che l’uso del telescopio sarebbe egualmente facile che in terra ferma. Ora io voglio costituire l’osservatore in una piccola nave collocata nella nave grande, la quale piccola nave abbia dentro una quantità XVII. 13 98 GIUGNO 1037. [ 8496 ] d’acqua, conforme al bisogno elio appresso dirò. Qui primieramente ò manifesto, che l’acqua nel piccolo vaso contenuta, ancorché la gran co nave inclini o reclini a destra ed a sinistra, innanzi o indietro, si con¬ serverà sempre equilibrata, senza mai alzarsi o abbassarsi in alcuna delle sue parti, ma si conserverà sempre parallela all’orizonte ; di modo che se in questa piccola nave noi ne costituissimo un’altra mi¬ nore, galleggiante nell’acqua contenuta, verrobbe a ritrovarsi in un mare placidissimo, ed in conseguenza starebbe sonza fluttuare : e questa seconda navicella ha da essere il luogo dove l’osservatore dee collo¬ carsi. Voglio per tanto che il primo vaso, che dee contenere l’acqua, sia come un gran catino in forma di mezzo orbe sferico, e che Rimilo a questo sia il vaso minore, e solamente tanto più piccolo, che tra 70 la convessa superficie sua e la concava del contenente non rimanga spazio maggiore della grossezza del dito pollice ; pel che accaderà che pochissima quantità d’acqua basterà per reggere il vaso interiore, non meno che se fusse costituito nell’ampio oceano, siccome io dimo¬ stro nel mio trattato delle cose che galleggiano nell’acqua ; che ve¬ ramente nel primo aspetto ha del maraviglioso e dell’incredibile. La grandezza di questi vasi dee esser tale, che l’interiore o più piccolo possa sostenere senza sommergersi il peso di colui che ha da fare l’osservazioni, ed insieme il sedile e gli altri ordigni accomodati alla collocazione del telescopio. Ed acciò che il vaso contenuto sia sempre so separato dalla superficie del contenente senza toccarla mai, sicché non possa esso ancora esser commosso nel modo che esso contenente vien commosso dall’agitazione della nave, voglio clic nella superfìcie interna e concava del vaso contenente, ovvero nella convessa del con¬ tenuto, si fermino alcune molle, in numero d’otto o dieci, lo quali impediscano l’accostamento tra gli due vasi, ma non tolgano all’in¬ teriore il non ubbidire a gli alzamenti ed abbassamenti delle sponde del contenente: e se in cambio d’acqua volessimo porvi olio, tanto ed anco meglio servirebbe, nè la quantità sarebbe molta, perchè duo o al più tre barili sarebbero a bastanza. Potrebbe V. S. Illustriss. ed 90 il Sig. Ortensio farne un poco d’esperienza con due piccoli catini di rame, mettendo nel minore una quantità d’arena, purché galleggiasse nell’acqua, e fermato uno stile eretto dentro ad essa arena commuo¬ vere il vaso esterno, inclinandolo ora da questa ed ora da quella parte: vedranno mantenersi sempre dettò stilo nella medesima posi- GIUGNO 1637. 99 [ 3406 ] tura senza punto inclinare, e massime se le inclinazioni del vaso con¬ tenente si faranno tarde e con notabile intervallo di tempo tra runa e l’altra, (piali finalmente sono quelle delle gran navi. Ma V. S. Illustriss. tenga pure per fermo, clic quando si cominci a porre studio nel pra- ioo ticare simili operazioni, non ci mancheranno uomini di tal destrezza, che col tempo si avvezzeranno a praticare queste operazioni senza altri artifiziosi preparamenti. Io feci già sul principio, per l’uso delle nostre galere, certa cuffia in forma di celata (n , che tenendola in capo l’osservatore, ed avendo a quella affisso un telescopio, aggiustato in modo che rimirava sempre l’istesso punto, al quale l’altro occhio libero indirizzava la vista, senza farci altro, l’oggetto che egli riguardava coll’occhio libero si trovava sempre in contro al telescopio. Una mac¬ china simile si potrebbe comporre, la quale non sopra il capo solo, ma sopra le spalle e il busto del riguardante immobilmente si fer¬ ito masse, nella qual fusse affisso un telescopio della grandezza necessaria per ben discernere le piccole stelle Gioviali, e fusse talmente acco¬ modato, rispondente all’uno degli occhi, che andasse a ferire nell’og¬ getto veduto dall’altro occhio libero, che col semplice dirizzar la vista al corpo di Giove l’altro occhio l’andasse ad incontrare col telescopio, od in conseguenza vedesse le stelle a lui propinque. Quanto al secondo punto, che è del trovarsi telescopi di maggior efficacia di quelli che si fabbricano costì, mi pare d’avere scritto altra volta, la facoltà di quello che ho adoprato io esser tale, che mostra, primieramente, il disco di Giove non irsuto, ma terminatissimo, non 120 meno che l’occhio libero scorga il lembo della luna; e così terminati mostra ancora i satelliti di quello, e di grandezza tale, che all’oc¬ chio libero non si mostrano più grandi e distinte le fìsse della seconda grandezza ; e di più, seguitando col telescopio il movimento di Giove, essi satelliti si vedono, la sera, innanzi, e la mattina, dopo, all’appa- rire o sparire delle fisse, e l’istesso Giove, seguitandolo col medesimo telescopio, si vede tutto il giorno, come anco Venere e gli altri pia¬ neti e buona parte delle fisse: e qui giudichi V. S. Illustriss. ed il Sig. Ortensio, quale immenso benefizio sia quello che questo mirabile strumento arreca alle scienze astronomiche. Io non mancherò di man- 130 dare i vetri a V. S. Illustriss., e forse verranno colla presente, se però <*> Cfr. un. 1 1260, 1200, 1305, 1324. 100 GIUGNO 1637. [ 3496 ] il mio artefice 1 ”, che gli lavora, averii il comodo di fabbricarmene uno: e questo dico, perché il Serenissimo Gran Duca mio Signore, invaghito di tali strumenti, tiene continuamente questo mio uomo appresso di sò, conducendolo sempre seco per tutto le terre o villo dove S. A. si trasferisce. Sicché non mettano dubbio sopra la fabbrica e riuscita di tali ordigni. Vengo ora al secondo artifizio per accrescerò in immenso lo pun¬ tualissime osservazioni astronomiche. Parlo del inio misuratore del tempo, la precisione del quale è tanta o tale, che non solamente ci darà la quantità esatta delle ore o minuti primi o secondi ed anco no terzi, se la frequenza loro fusse da noi numerabile; o la giustezza è tale, che fabbricati due, quattro o sei di tali strumenti, cammineranno tra di loro tanto giustamente, che l’uno non differirà dall’altro, non solamente in un’ora, ma in un giorno nò in un mese di tempo, pure d’una pulsazione di polso. Ed il fondamento di tal fabbrica traggo 10 da una ammirabile proposizione, che io dimostro nel mio libro de motu che ora est sub preio do i Sig. Elzeviri in Leida; e la propo¬ sizione è tale : Se in un cerchio eretto all’orizonto s’ecciterà dal toc¬ camente la perpendicolare, che in conseguenza sarà diametro del cer¬ chio, e dal punto del contatto, ovvero dal termine sublime del diametro, ino si tireranno quante si vogliono corde, sopra lo quali s’intendano scen¬ dere mobili come sopra piani inclinati, i tempi do i loro passaggi sopra tali corde e sopra il diametro stesso saranno tutti eguali; sicché se, ver. gr., dal contatto imo si tireranno sino alla circonferenza lo suttese di 1,4, 10, 30, 50, 100, 160 gr., il mobile sopra tali inclina¬ zioni e lunghezze scenderà per tutte in tempi eguali, ed anco in tutto 11 diametro perpendicolare. E questo accade ancora nelle parti delle circonferenze de i duo quadranti inferiori, nelle quali, come so tessero canali ne i quali scendesse un globo grave, in tanto tempo passerà tutta la circonferenza dell’ intero quadrante, quanto se incominciasse ieo a muoversi 60, 40, 20, 10, 4, 2 o un sol grado lontano dall’imo punto del contatto. Accidente in vero pieno di maraviglia, o del quale cia¬ scheduno si può render sicuro col sospendere da un filo, legato in alto, un globetto di piombo o d’altra materia grave, c quello allon¬ tanando dallo stato perpendicolare, sin che si elevi por una quarta ; Ippomto Frangimi. GIUGNO 1637. 101 [3490] lasciatolo poi in libertà, si vedrà andare o ritornare, facendo moltis¬ sime reciprocazioni, grandi le prime, e poi diminuendole continua¬ mente, sin che si riduca a non si allontanare più d’un sol grado di qua o di là dallo stato perpendicolare; o camminando sempre per no la medesima circonferenza, si vedrà le vibrazioni grandi, mezzane, pic¬ cole e piccolissime, farsi sempre sotto tempi eguali. E volendone più ferma esperienza, sospondansi due simili globetti da due fili d’eguale lunghezza, e slargato ed allontanatone uno per un arco grandissimo di 80 o più gradi dal perpendicolo, e l’altro due o tre gradi sola¬ mente, e lasciatili in libertà, numeri uno le vibrazioni dell’ uno de i penduli, ed un altro le vibrazioni dell’altro pendulo, che si troveranno congiuntissimamente numerarne un cento, per esempio, delle grandi, quando appunto averà l’altro numerato cento delle piccolissime. Da questo verissimo o stabile principio traggo io la struttura del iso mio numeratore del tempo, servendomi non d’un peso pendente da un filo, ma di un pendulo di materia solida e grave, qual sarebbe ottone o rame; il qual pendulo fo in forma di settore di cerchio di dodici o quindici gradi, il cui semidiametro sia duo o tre palmi; o quanto maggiore sarà, con minor tedio se gli potrà assistere. Questo tal settore fo più grosso nel semidiametro di mezzo, andandolo assot¬ tigliando verso i lati estremi, dove fo che termini in una linea assai tagliente, per evitare quanto si possa l’impedimento dell’aria, elio sola lo va ritardando. Questo è perforato nel centro, pel quale passa un ferretto in forma di quelli sopra i .quali si voltano le stadere; il ino qual ferretto, terminando nella parte di sotto in un angolo, e po¬ sando sopra due sostegni di bronzo, acciò meno si consumino pel lungo muovergli il settore, rimosso esso settore per molti gradi dallo stato perpendicolare (quando sia bene bilicato), prima che si fermi aiuterà reciprocando di qua e di là numero grandissimo di vibrazioni ; le quali per poter andare continuando secondo il bisogno, converrà che chi gli assiste gli dia a tempo un impulso gagliardo, riducendolo alle vibrazioni ampie : e fatta, per una volta tanto, con pazienza la nume¬ razione delle vibrazioni ebe si fanno in un giorno naturale, misurato colla revoluzione d’una stella fissa, s’averà il numero delle vibrazioni 200 d’un’ora, d’un minuto e d’altra minor parte. Potrassi ancora, fatta questa prima esperienza col pendulo di qualsivoglia lunghezza, cre- !Lett. 3490, 170. circonferenza, vedrà — 102 GIUGNO 1637. 13406] scerlo o diminuirlo, sicché ciascheduna vibrazione importi il tempo di un minuto secondo ; imperocché le lunghezze di tali penduti man¬ tengono fra di loro duplicata proporzione di quella de i tempi, come per esempio : Posto che un pendulo di lunghezza di quattro palmi faccia in un dato tempo mille vibrazioni, quando noi volessimo la lunghezza d’un altro pendulo che nell’istesso tempo facesse duplicato numero di vibrazioni, bisogna che la lunghezza del pendalo sia la quarta parte della lunghezza dell’altro ; ed in somma, conni si può vedere coll’esperienza, la moltitudine delle vibrazioni do i pendoli da 210 lunghezze disegnali è sudduplicata di esso lunghezze. Per evitar poi il tedio di chi dovesse perpetuamente assistere a numerare le vibrazioni, ci è un assai còmodo provvedimento, in questo modo : cioè facendo che dal mezzo della circonferenza del settore sporga in fuora un piccolissimo e sottilissimo stiletto, il quale nel passare percuota iti una setola fissa in una delle sue estremità, la qual setola posi sopra i denti d’una ruota leggierissima quanto una carta, la quale sia posta in piano orizontale vicina al pendolo, ed avendo intorno intorno denti a guisa di quelli d’una sega ; cioè con uno de i lati posto a squadra sopra il piano della ruota, e l’altro inclinato 220 obliquamente, presti questo offizio, che nell’urtare la setoletta nel lato perpendicolare del dente, lo muova, ma nel ritorno poi la medesima setola sopra il lato obliquo del dente non lo muova altrimenti, ma lo vadia strisciando e vadia ricadendo a piè del dente susseguente : e così nel passaggio del pendolo si muoverà la ruota per lo spazio d’uno de’ suoi denti, ma nel ritorno del pendulo essa ruota non si muoverà punto ; onde il suo moto ne riuscirà circolare sempre per l’istesso verso, ed avendo contrassegnati con numeri i denti, si vedrà ad arbitrio nostro la moltitudine de i denti passati, ed in conseguenza il numero delle vibrazioni e dello particelle del tempo decorse. Si può ancora intorno 230 al centro di questa prima ruota adattarne un’altra di piccolo numero di denti, la quale tocchi un’altra maggior ruota dentata, dal moto della quale potremo apprendere il numero dell’intere revoluzioni della prima ruota, compartendo la moltitudine de i denti in modo che, per esempio, quando la seconda ruota avrà doto una conversione, la prima ne abbia date 20, 30 o 40 o quante più ne piacesse. Ma il significar GIUGNO 1637. 103 [8496] questo alle SS. loro, che hanno uomini esq uditissimi ed ingegnosis¬ simi in fabbricare orologi ed altre macchine ammirande, è cosa su¬ perflua, perchè essi medesimi sopra questo fondamento nuovo, di sa- 240 pere che il pendulo, muovasi per grandi o per brevi spazi, fa le sue reciprocazioni egualissime, troveranno conseguenze più sottili di quelle che io possa immaginarmi. E siccome la fallacia degli orologi con¬ siste principalmente nel non stessere sin qui potuto fabbricare quello che noi chiamiamo il tempo dell’orologio, tanto aggiustatamente che faccia le sue vibrazioni eguali ; così in questo mio pendolo semplicis¬ simo, e non suggetto ad alterazione alcuna, si contiene il modo di mantenere sempre egualissime le misure del tempo. Ora intende V. S. lllustriss., insieme col Sig. Ortensio, quale e quanto sia il benefizio nelle osservazioni astronomiche, per le quali non è necessario far an- 250 dare perpetuamente l’orologio, ma basta, per l’ore da numerarsi a meridie ovvero ab occasti, sapere le minuzie del tempo sino a qualche eclisse, congiunzione o altro aspetto ne i moti celesti. Quanto alle tavole de i movimenti de i satelliti di Giove ed al modo che io ho tenuto per calculare o fabbricare l’effemeridi, io non posso di presente interamente soddisfarle, attesoché mi trovo talmente impedito da una flussione nell’occhio destro, che mi toglie con mio grandissimo dispiacere il poter nè scrivere nè leggere pur una sola parola; ed avendo bisogno, in grazia del Signor Ortensio, per stabi¬ lire le radici di tali movimenti, di rivedere le presenti costituzioni, 260 per poter raggiustare i loro movimenti medi, ed oltre a questo ri¬ scontrare numero grande d’osservazioni fatte in molti anni continua- mente da me, non potendo prevalermi nè punto nè poco della vista, è forza che io aspetti quanto piacerà alla mia mala sorte, che forse non potrebbero passar molti giorni. Quanto a quella parte che mi tocca il dottissimo Sig. Ortensio, cioè di poter cominciare a praticare il mio trovato in terra, per raggiustare le carte e stabilire con somma precisione le longitudini dell’ isole, porti ed altri luoghi fermi ; in questo fatto non ci è bisogno di tavole nè d’altro effemeridi, ma si ricercano due osservatori, uno 270 fermo nel primo meridiano, che pongo esser cotesto d’Amsterdam, o l’altro che vadia di luogo in luogo facendo, per tre, quattro o sei notti, le osservazioni delle congiunzioni, separazioni ed altri aspetti, tenendo esatto conto del tempo che casca tra il loro mezzo giorno 104 GIUGNO 1637. [• 8496 ] e rincidenze di tali aspetti; i quali, mandati e riscontrati con i me¬ desimi accaduti ed osservati, daranno la differenza do i meridiani, cioè la cercata longitudine. Converrà dunque avanti ogni altra cosa, che gl’illustrissimi e Potentissimi Signori Ordini commettano elio in Amsterdam sia assegnato e preparato un osservatorio con gl’instru¬ menti necessari per fare continue osservazioni, e che a questa carica sia eletto uomo scienziato in astronomia, diligente e paziente, quale 280 sono stato io per molti anni per ritrovare quello che con fatiche ve¬ ramente atlantiche ho conseguito. Per tale offizio so che in cotesto parti non sono per mancare uomini idonei : io però, per quello elio ho potuto penetrare del valore del Sig. Martino Ortensio, stimo ch’egli sarebbe non solamente attissimo per questo servizio, ma senza pari, o almeno senza superiore. Quando dunque questo Signore non recusi d’applicarsi all’impresa, io ad esso invierò tutto quello che resta per pienamente e liberamente scuopriro a gl’Illustrissimi e Potentissimi Sig. ogni mia invenzione. E perchè quello che appresso voglio sog¬ giungere è il punto principalissimo di tutta questa impresa, non re- suo stero di replicarlo, benché già ne abbia scritto con grande esage¬ razione. Comporti dunque V. S. Illustriss. che io replichi, che non solamente dell’imprese ed arti magne i principii sono stati tenui, e bisognosi elio la solerzia e continuo studio d’ingegni perspicaci vadia superando col tempo le prime apparenti difficultà, ma questo medesimo è acca¬ duto nell’arti minime e basse. Voglio per questo inferire, che non avendo io potuto comparire con un’arte già stabilita e perfezionato, poiché nè sono stato marinaro nò anco ricercatore di luoghi remoti, però bisogna che gl’ Illustriss. e Potentiss. SS. si rimettano al giu- aoo dizio di persone intelligenti, e volendo conseguire il desiderato line, comandino che si dia principio ad una tanta impresa, senza inter¬ romperla o ritardarla per quelle difficultà che da principio s’incon¬ trassero, imperocché tutte si supereranno, non se ne potendo incontrare alcuna della quale molto maggiori non ne abbia l’umana industria superate. Io ho fatto elezione di presentare a cotesti Illustriss. e Potentiss. SS. il mio trovato più che a qualsivoglia altro principe assoluto, im¬ perocché quando il principe solo non sia bastante a capacitare tutta questa macchina, siccome quasi sempre avviene, dovendosi rimettere aio 6 GIUGNO 1637. 105 [341)6-3497] al consiglio di altri e ben spesso non molto intelligenti, quello affetto che rare volte si separa dalle menti umane, cioè di non vedere con buon occhio esaltare altri sopra di sè stesso, cagiona che il principe, mal consigliato, disprezza l’offerte, e l’oblatore, in vece di premio e di grazie, ne riporta disturbo e vilipendio; ma in una repubblica, dove le deliberazioni dipendono dalla consulta di molti, piccol nu¬ mero ed anco un solo de i potenti, e mezzanamente intelligente delle materie proposte, può fare animo a gli altri SS. di prestare il loro assenso, e concorrere all’abbracciamento dell’imprese. Questo aiuto .120 ho io sperato dal favore e dall’autorità di V. S. Iliustriss. ; e quando succeda che per suo consiglio si ponga mano all’impresa, io ne sen¬ tirò contento grande, benché la mia gravissima età non mi lasci speranza di poter vedere, i miei studi e le mie fatiche aver pro¬ dotto e maturato il frutto che per me ne ò per risultare al genere umano in queste due grandissime e nobilissime arti, nautica cd astronomica. Ilo soverchiamente tenuta occupata V. S. Iliustriss. : la prego a scusarmi ed a communicare quanto scrivo col Sig. Ortensio ed al Sig. Llauvio, eletto pel terzo de’ SS. Commissari, salutandogli con ri¬ sso verente alletto per mia parte: mentre umilmente a V. S. Iliustriss. m'inchino, e le prego da Dio il colmo d’ogni felicità. 3497 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenzo]. Venezia, G giugno 1G37. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, u.° 137. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. 10 et Ecc. rao Sig. r , Sig. r Col. mo Havorà con questa V. S. molto 111. et Eccoli. 1 " 3 li due primi fogli do’ suoi Dialoghi. Non ho havuto torapo però di vederli, ma so che in quello parti stam¬ pano molto puramente. Lo nove di Roma mi fanno sperare tal mutationo, che V. S. potrebbe presto stampare lo cose sue anco in partibus ; o sarebbe ben dovere che la fortuna cangiasse un poco. XVII. 14 106 6 — 'J GIUGNO 1637. [ 3497 - 8498 ] Il Sig. r Baitello mi ha mandato una letterina, per la quale hoggi forai mi saranno portati li 20 scudi por la rata della pensione 111 maturata al Marzo pas¬ sato: perciò V. S. può disponorno a suo piacimento. io Li fogli promessi non sono ancora comparsi. Scrivo al Sig. r Elzivir che la tardanza sarà con grossa usura. Et a V. S. molto 111." et Eccell. M con tutto l’affetto bacio le mani. Ven. a , 6 Giugno 1637. Di V. S. molto DI." et Eccoli.™ Dov. mo Ser/ S. r Galileo. F. Fulgentio. 3498. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenzo. Bologna, 9 giugno 1637. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 25. — Autografa. Molto 111. 1 * et Ecc. 1 " 0 Sig. ro o P.ron Col. M0 Credo ch’havrà saputo la causa por la quale io non andai a Roma, con¬ formo che lo havevo scritto, et in conseguon/.a non potei mantenoro la parola di venirla a vedere come havevo determinato, essendomi sopraggiunta la gotta con la febro bove miglia lontano da Bologna, che mi fece ritornare addietro. Mi è dispiacendo in estremo sì il restar privo della consolationo ch’io havroi havuto in vederla, sì anco perchè quello ch’havrci forsi ottenuto con la pre¬ senza ha havuto per me poco buon esito; chò mi rapportai allo promesso del Padre Generalo, il quale ha havuto buona voluntà di favorirmi, ma lo forzo li sono mancato, havendo havuto molti travagli o disgusti, che l’hanno reso dobolo io e per lui o per me. Sed haec transeant : Iddio sia quello che babbi pietà a’ no¬ stri bisogni, e che accominodi il tutto conformo al Suo volerò. Ho più volto guardato e rivolto quel Cursus mathcimticus w ch’ella mi donò, diviso in 4 tomi ; et essendomi accorto che mi manca il quinto tomo, vorrei pregarla, se l’havosse, che mi volesse favorire tanto eli’ io li dossi una scorsa, o, non l’havendo, che mi dicesso almeno da chi potrei bavero questo favore, chò subito lo rimandarci. I.ett. 3497. 10. a ano piacimpento — l't Cfr. Voi. XIX, Doc. XXXIII, o). methode par note» réellee et univertellet, qui peuvent **l Curati» mathemalioue, nova, brevi et dora me- cetre cntenduea faciìement *«n* l'utage d'aucune Inn- thodo demonatratu» per nota» realea et universale!, cifra ijuc, par Pikrrb IIkrioonk, mfttlx'inaticion. A Paris, unum cuìuscunque idiomatie intelUetu facile». Cimi» M.DC.XXXIV, olioz l'Autliour. mathématique, demona In' rl'unc nouvelle, briefve et da ire 9 — 11 GIUGNO 1037. 107 [3498-3499] Desidero intendere buono nuove del suo stato, ossondo io non meno deside¬ roso della sua sanità o quieto elio della mia, della quale puoco godo, ritrovan- 20 domi col solito impedimento o disgusti. Io non starò più attediandola, ma pre¬ gandolo dal Signoro qualche consolatone ne’ suoi travagli, li faccio con ogni affetto riverenza o le bacio lo mani. Di Bologna, alli 9 Giugno 1G37. Di V. S. molto Ill. ro ot Ecc. ma Dov.“° et Oh." 10 Ser. rc F. Bon. rR Cavalieri. Fuori: Al molto 111. 10 et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. 1 " 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 3499. ELIA DIODATI a GALILEO in Arcetri. Parigi, 11 giugno 1037. Dnl Tomo 111, |iag. 4-15-447, dell’cdiziono citata nell’ informazione promessa al n.® 1201. Dolio lin. 77—91 ò copia, di ninno di Vincenzio Viviani, noi Mas. Gal., 1*. V, T. VI, car. 79r. Parigi, 11 Giugno 1637. In fino il negozio di V. S. molt’ Illustro piglia buono inviamento, corno dal¬ l’ultima mia do’12 del passato (1) avrà potuto conoscerò, ma molto più e con maggior certezza lo vedrà dall’allegata che il Sig. Ortensio (2) lo scrivo (la quale mi son dispensato d’aprire per essere informato di quello seguiva o potervi ri¬ mediare), ed anco dalla lettera del Sig. Alfonso Pallotto (3) , scrittami circa que¬ st’istesso negozio, per le quali vedrà come fra poco dovova esser mandata la risposta degl’Illustrissimi Signori Stati a V. S., con un regalo d’ima collana d’oro (4> : sicché essendo in termine d’iui procedere onorato, condegnamente al io merito del negozio c delle persone, me ne rallegro seco con tutto l’animo, e di nuovo lo confermo quello lo scrissi con detta mia ultima, cioè che tenga pronto od in ordine il telescopio con tutte l’altro particolarità da lei offerte loro per la sua proposta, non solo per soddisfargli dol gran desiderio cho veramente hanno di ridurre a perfeziono questo negozio (come V. S. potrà vederlo dagli ordini o dallo provvisioni fatte da loro sopra ciò, mentovate nella lettera del Sig. Or¬ tensio), ma principalmente per soddisfare a sè stessa o per trionfare onoratamonte della convinta verità della sua invenzione, facendone cessare ogni dubbio o con¬ tradizione. Intanto la tardanza dandomi indizio che ci s’usasse troppa fred¬ dezza, m’aveva tenuto fino adesso molto perplesso; ed essendo stato tre mosi (') Cfr. n.® 3481. <*> Cfr. u.® 3474. <»> Cfr. n.o 8477. <*) Cfr. n.® 3403. 108 11 GIUGNO 1637. [34991 senza ricevere alcuno lettere dal Sig. Ortensio, sebbene di tompo in tempo gli 20 scrivevo sollecitandolo, scrissi al Sig. Iereinia Calami rini in Amsterdam, pregan¬ dolo di riconoscer la causa e d’avvisarmi lo stato dol nogozio; il quale aven¬ domi con la sua risposta confirmato il mio dubbio, dopo averne conferito con l’Illustrissimo Signor Grozio, anch’esso incerto a elio attribuirlo, mi risolsi di parlarne col Sig. Heuscherchen (1) , Residente in questa Corto por gl* Illustrissimi Signori Stati, 0 di farnegli lo mio doglianze, con pregarlo di dannici aiuto 0 consiglio : il che avendo cortesemente accettato, 0 consigliatomi di scrivere al Sig. Eugenio (8) , Segretario del Principe d’Oranges 131 , ed al Sig. Muscli 141 , Socro- tario di Stato noi Consiglio di essi Signori Stati Generali, come a persono prin¬ cipali e di grande autorità nel governo, avendomi offerto di mandar loro lo mio 30 lotterò e d’accompagnarlo della sua raccomandaziono espressissima, scrissi a i dotti Signori ed a due altri principali Consiglieri dello Stato, miei amici e pa¬ droni antichi, od al Sig. Alfonso Pallotto, gentiluomo Piemontese ridotto in quollo parti, mio intrinseco, il qualo, essendo stato della Casa di osso Signor rrincipo, è stato dipoi da Sua Altezza promosso, por la sua virtù 0 valore, a’ carichi prin¬ cipali nella milizia, ed amico confidente dol Sig. Hugenio : lo pregni di confe¬ rirne seco, e persuaderlo ad abbracciare il negozio ed appoggiarlo all’ autorità del Padrone, cioò di Sua Altezza, onnipotente in quello Stato, appresso il qualo lui ha grandissimo credito. Da questo diligenze n’ ò riuscito l’effetto elio adesso V. S. vede, essendo stato necessario di svegliare il negozio, il quale (essendo 40 quei Signori distratti da infinite occupazioni pubbliche, ed il Signor Realio non avendolo sollecitato con quella caldozza cho conveniva) restava come sopito. Acciò V. S. molto Illustro resti chiarita d’ogni cosa, e per soddisfazion sua, sebbene senza dubbio le sarà tedioso legger tanto scritturo, le mando la lettera del Sig. Calandrila, quella del Sig. Pallotti* 5 ’, la traduzione dello lettere ,6) da me scritte al Sig. Hugenio 0 della risposta avuta da lui a> , e d’una lettera mia agl’illustrissimi Signori Stati 18 '. Non ci ho aggiunte quelle che ho scritte al Sig. Musch, Segretario di Stato, nè quello agli altri due Consiglieri di Stato, por essere doli’ istesso argumento di quella scritta al Signor Hugenio. Oltre a ciò le mando le copie delle lettere scritte da me (9 ' 0 ricevute dal Sig. Martino Or- 50 tonsio’ 10 , dallo quali potrà vedere esser stato proposito di stuzzicarlo per ani¬ marlo a proseguire il negozio, e che ci si proceda onoratamente, secondo il me¬ riti di esso, essendo ora (come V. S. vedrà) ridotto a termini civilissimi, 0 di freddo, che prima pareva, fatto zelante cho il negozio si stabilisca, come so fusso cosa sua propria; dal che ho prpso occasione d’esortarlo a trasferirsi appresso «*> Giovanni Kuskkrokkn. i»' Cfr. nn.i 8449, 8476, 8483. ,S) Costantino Hotqkns. Gì Cfr. n.» 8462. '** Fkdkrico Enrico d’Orano*. (*' Cfr. n.® 8482. «*1 Cornelio Muboh. ibi cfr. nn.' 8446, 3146, 8489. t8) Cfr. n.® 3477. <>0) C fr. n.® 3470. 11 GIUGNO 1637. 109 (34 99] V. S. molt’ Illustro, por trattarne soco di presenza, difficilmente potendosi in si¬ mili materie supplire per scritto a tutto quello che occorre: e Dio volosso elio si risolvesse ! Da una (1 ' dello suo lettere, notata B, V. S. vedrà conio poco cau¬ tamente esso od il Becmanno 12 ’, l’uno do’Commissari, avevano palesato l’inven- oo zione di V. S. al Morino w ed al P. Morsenno (4> (questo ò Monaco doli’Ordine di S. Francesco di Paola); di die essendomi stomacato seco (B) , ed avendomi risposto e scusatosene assai vcrisimilmente, io me ne sono appagato non solo come di cosa fatta, come é verisiraile, senza alcun cattivo disegno, o per non poter esser ridotta al non fatto, ma principalmente per non alienarlo, poiché con parole tanto cordiali mi si dava a conoscere ottimamente affetto verso di lei, o d’un grandissimo fervore per lo stabilimento del negozio, con desiderio di portare, conio vicario di V. S. molt’Illustro, l’ultima mano, temendo solo che, da mo essendo stata avvisata di quello elio egli aveva scritto al Morino, gli fosso stata turbata la fiducia elio V. S. molt’Illustro mostrava d’avorgli: sopra di elio 70 avendogli risposto di non avernela avvisata, anzi d’avere con ogni mio potere confermata V. S. nella confidenza che mostrava d’avergli, le piacerà starno seco in detti termini, senza alterarsene nò manco fargliene dimostrazione alcuna; poi¬ ché ogni minimo risentimento che lei no facesse, oltre elio non potrebbe giovare a niente, anzi nuocere assai, non paro elio si deva faro, non potendo una tal communicazione, nel modo che l’hanno fatta, come vedrà per la lettera so¬ gnata B w , apportarle pregiudizio alcuno. Rispondendo alla gratissima sua dclli 24 Aprilo, il Signor Carcavi persiste costantemente nel disegno della stampa dell’opero di V. S. ; ed acciò non ci si faccia orrore, la prego a prescrivercene l’ordino o mandarcene la nota, so per 80 sorto ve no saranno dell’altro che lo specificato qui sotto: 1. Il Nuncio Sidereo. V’aggiungerà lo scritto del Keplero, approbativo di osso 17 ’. j Questi duo ci mancano. 2. Mario Guidacci, Belle comete. 3. Il Saggiatore. 4. Belle cose clic stanno sull'acqua. 5. Belle macchie solari. 6. S’aggiungerà a questo Appellcs post tabularti. 7. Il trattato del compasso di proporzione. L’ariamo solo in latino, tra¬ dotto dal Signor Bernoggero ed annotato. oo 8. I Bicdogià. 9. Il Biscorso a Madama Serenissima. <«> Cfr. n.° 3428. Un. 18-15. < 2 > Isacoo Brbokmann. < 8 > Gio. Battibta Mori*. <*> Marino Mkrhknnk. <»> Cfr. n.o 3446. <«> Cfr. n.° 3470. 01 Cfr. Voi. Ili, Pnr. 1, pag. 90-126. 110 11 GIUGNO 1G37. [34091 Il Signor Carcavi aspetterà da V. S. molt’ Illustre con suo comodo la sua risposta all’ osservazione elio lo mandò del suo amico sopra alcuno cose del suo libro dol moto (1> , sobbollo no lia preso il concotto da quello elio V. S. m’ha scritto, al elio non ò replica alcuna: intanto lo bacia lo mani, conio fa anco l’Illustrissimo Signor Grozio od il Rovorcndo Padre Campanella. Il Signor Beaugrand essendosi, con il suo procedere poco grato a molti, fat¬ tisi diversi nimici tra quelli cho professano lo medesimo scienze inattouiaticho, per lo quali si hi anco lui noto al mondo, intendo che si stampa qua la confu¬ tazione di certo suo trattato da lui pubblicato poco fa, o che glio no ha da m riuscire gran confusiono por i molti orrori cho vi si scuoprono; ed essendomi stato reforito cho si dà gran vanto doli’approbaziono di V. S. molt’ Illustro dello coso suo, m’ è parso dovorleno darò avviso. Quando sarà finita di stampare, lo no manderò un esemplare. Con ciò revorontomento lo bacio le mani. Di V. S. molt’ Illustro od Eccoli. Àvcrò caro sontiro che la cassettóni, con i cin- quo libri legati le sia pervenuta ben condizionata. Dovotiss. Servit. Elia Diodati. A questa lofctora uniamo una « Poscritto . A questa lettera ho aggiunto l’estratto d’una di V. S. molt’Illustro, scrittami no alli 27 d’Ottobro 1636o cavatone gl’infrascritti capi: 1. Cho V. S. propono questa sua invenzione con piena fiducia o cortezza d’indubitata verità, por lo provo ed esperienze fatto ; 2. L’osservazioni di molt’anni fatte da lei do’poriodi e moti regolati do’ quattro satelliti di Giovo, por poterne fabbricare lo tavolo o calcularo l’efe- ineridi ; 3. Il desiderio di V. S. d’avero dagl’Illustrissimi Signori Stati un’attesta¬ zione autentica della presentazione fatta loro da lei della sua invenzione, acciò la gloria, cho per tale ritrovamento se lo pcrvieno, non lo sia contesa nò levata; 4. La libora o franca generosità di V. S. noi confidarsi nella sincerità 120 e magnanimità di quei Illustrissimi Signori; “1 Cfr II.® 3136. <>' Cfr. u.® 3363. 11 — 13 GIUGNO 1637. Ili [3499-3500] 5. Il valore, reputato da lei inestimabile, della sua invenzione, o la ge¬ nerosa sua risoluzione di non metterla a prezzo, anzi rimetterne 1’ estimazione all* Eccollenzo loro, sulla medesima fiducia della loro virtù ; 6. La sua profferta di dichiarar loro, con la medesima franchezza, il rimedio da loi ritrovato por la pratica dell’invenzione sul mare; il modo di fabbricaro lo tavolo o calculare l’efcmoridi, o la fabbrica dell’orologio da lei ritrovato esattissimo. E da questi capi no ho raccolto lo conseguenze elio no risultano per coniir- mazione della soprascritta mia lettera. 3500. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 13 giugno 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 295. — Autografa. Molto 111. 18 ed Ecc. m0 Sig. ro o P.ron Col. 130 Ho ricevuta la lettera di V. S. molto Ill. re ed Ecc. ma , la quale mi ha mosse lo lacrime abbondantemente. In risposta, non potendo per degni rispetti andare a ritrovare T Ecc. m0 Sig. r Ambasciatore (i) , l’ho mandato a supplicare elio man¬ dasse qua da me persona di confidenza, con la quale potessi trattare; o così S. Ecc. Ktt ha mandato il suo Segretario, al quale ho letta la lettera: o siamo restati che non è bone proporre da noi il negozio e la dimanda giustissima di V. S., ma elio sarebbe bone operare che il Rev. mo Padre Inquisitore di Fi¬ renze con lo medesime parole, se fosse possibile, in sostanza proponesse la cosa, io chè così credo si spunterà; più presto poi, quando si venga a questo, io non mancarò fare officio con l’Eni. mo Scaglia w e con altri. Ilorsù, Sig. r Galileo caro caro, allegramente. Y. S. ha conturbato me assai, od io la voglio consolare. Li mando una scrittura, fatta da me sopra gli mici avvenimenti ,S) : la legga o conservi senza lasciarsela uscire di mano, c mi creda elio scrivo il vero. Così haverà occasione di consolarsi. Il mio ballo non è an¬ cora finito : T istoria va tuttavia crescendo, o quando sarà finita spero di dargli gusto. In tanto si racoommandi a Dio, che non manca mai, od io pregarò sem¬ pre nelli miei Sagrifìci elio li dia lo vere consolazioni. Non scriverò più al longo di questo. 20 Sono restato in appuntamento con il Sig. r Segretario, so avanti serri le let¬ tere mi sarà accennato altro da S. Ecc.“, supplirò. Di tanto voglio che sappia elio io combatto per una causa giustissima, per la qualo ho inteso questa mat- m fc'iuNOKsco Nioooi.ua. <*> Desiderio Scaglia. ' 3 I Questa scrittura, indirizzata a Galileo, si loggo, in copia ma con correzioni autografo do) Ca¬ stelli, noi Mss. Galileiani, Discepoli, Voi. I, car. (i-13. Disgunrda interessi personali del Castelli. 112 13 GIUGNO 1637. [8500-3501] tina elio a’impiega anco il Ser. mo Gran Duca Signor Nostro, che Dio prosperi o feliciti sempre, o consoli V. S. ; alla quale fo humilissiina riverenza. Di Roma, il 18 ili Giugno 1637. Di V. S. molto 111.” ed Eco. 1 "® Dovotiss. o Oblig.® 0 Sor.” o Dis. 10 S. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli, Abbato di Praia. Questa sera al tardi ho franta l’inclusa poliza (11 dal Segretario dell*Eco.® 0 Sig. r Ambasciatore, acciò olla \oda il senso di S. Ecc.“, al quale, corno pruden- so tissimo, mi rimetto; o così devo furo V. S., sicura che di qua non si mancarà di servirla con tutto il spirito. E li bacio lo mani. 3501. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 13 giugno 1037. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 27. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto 111. 1 ” ot Eccoli.® 0 Sig. r , Sig. r Col.® 0 Nel medesmo tempo elio io ricevo la lettera di V. S. molto 111. et Eccell. ma , haveril essa ancora, spero, receduta la mia hoggi otto. Non si falla mai di far alle lettere qui la sopracoperta al Sig. r Alessandro Boccliineri; di maniera cho il mancamento che vengano allo suo mani per il dispensato! ordinario, ò costì. Questa ultima io 1’ho ricevuta per mozo doli’111. -0 Sig. r Residente 181 , il quale havoroi ambitione di riverire et servire, ma non posso por la strettezza dolio nostro leggi, essendo io in caldeo publico; ben lo osservo o riverisco nel mio coro e nel modo elio posso. Sento gran dispiacere della sua flussione, che è con progiudicio publico io de’ virtuosi. Quest’ anno è stato copiosissimo ili simili mali : io ancora no ho grandemente patito e ne patisco tuttavia, ma ha fatto il suo impoto nel collo o poi nella spalla sinistra; con il caldo vado migliorando. Voglio sperare o progo il Signore cho così sia, che anco V. S. se no solliovi. Ma non ho alcun dubio che non glie n* babbi data occasiono col tanto scrivere, dal cho io ricovo som- pre notabilissimo nocumento. Io consegliarei omninamente che V. S. recevesso il partito cho li viono offerto, di stampare tutte lo sue opero in mi solo volume, da quel Parigino w , essendo cosa tanto intonsamente desiderata da tutti; et il Sig. r Elzivir, con cui no trattai, mi diede intentione di volerlo far osso, ma prima trattatone con i suoi 20 0) Non ò presentemente allocata. ,s > Francisco Rikdooini. < S ' l'iKTKO DH (JaHCAVV. 13 GIUGNO 1G37. 113 [3501-3502] collega, eli che più non ha scritto cosa alcuna. Tutte le coso di V. S., anco i fragmenti, sono come lo minucciolo d’oro, per raccoglier lo quali gl’ orefici fanno i cancelli anco sotto piedi. Vorrei che così facesse anco V. S., e mandasse tutto, sì cho niente perisse. Quello duo apostillo del Rocco mi fecero ben conoscere il gran piacere e profitto de’virtuosi se ella lo seguitava: ma io debbo dirlo che la gloria del suo nomo ha da essere in specialità per li Dialogi del sistema del mondo. È impossibile clic V. S. non habbia delle altre cose et osservationi : per amor di Dio, non le lasci perire, e non tema, cbè si trovorà modo che non ne riceva male. Che è quanto mi occorre di presento, pregandolo dal Signor so Iddio sanità e felicità; e le bacio con tutto l’affetto lo mani. Von.“, 13 Giugno 1637. Di V. S. molto 111. et Eccoli."' 51 Il Sig. T Manutio (,) nostro ci lasciò già duo mesi, con mio sommo dispiacer. S. r Galileo. Dev. m0 Sor. R R 3502 *. FRANCESCO RINUCCIN1 a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 13 giugno 1037. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, R. 1 * LXXXVII, u.° 4. — Autografa, Sig. r mio, Già elio mi proibisce l’usar soco i titoli più frequentati, io, tralasciandoli tutti, riterrò quel solo di mio Signore, come veramente por talo la riconosco o poi- il lavoro ebo si è degnata farmi in ascrivermi, benché immoritevolo, al nu¬ mero de’ suoi servi o por l’ambitiono elio io ho di esser conosciuto per tale. Al Padre Maestro Fulgentio ho potuto far presentare la lettera di V. S., ma non già dedicare la mia servitù, mediante il rispetto della carica elio egli esercita, sicliò por mozzo di un mio servitore solamente gli ho rappresentato il desiderio che ho di servirlo. Nella risposta, cho gli mando inclusa, riconosca il gusto cho io ho do’ suoi comandi, e me ne favorisca, già che io ne la supplico con ogni affetto o riverisco con tutto l’animo. Venotia, 13 Giugnio 1637. Di V. S. Aff. mo et Obb.™ Ser. ro S. r Galileo Galilei. Fran. co Rinuccini. o> Filippo Mannugoi. XVII. 15 114 20 GIUGNO 1037. [8508] 3503. FULGENZIO MIUANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 20 giugno 1637. Blbl. Naz. Fir. Mas. fluì., P. VI. T.XIII, car. 29. - Autografa I» sottoscriiiono. Molto 111. ot Eccoli." 10 Sig. r , Sig. r Col.* 0 Mi capita per la cortesia dell’Hl.“° Sig. r Residente Rinuzzini la lettera di V. S. molto 111. ot Eccoli.®*, con il compimento do’ suoi Dialoghi, quale liiori inviai al Sig. r Elzivir, o le ho inaiamo dato conto elio V. S. attende con ogni solocitu- dino a por insieme o metter in lingua latina tutte lo suo opero, acciò possano essore stampato in un sol volume; o gli raccordo 11 ’ elio di questo si trattò con lui, il quale promise di prenderne rissolutiono con i suoi collega et avisare, o che per tanto V. S., benché ricercata di Parigi, aspetta la sua rissolutiono. Non veggo in questi due ultimi fogli la dedicatoria, cho V. S. m’ha dato intontiono di mandare. io Sento con incredibile dispiacere il mancamento che mi significa del suo oc¬ chio, il quale so nasco da semplice flussione, mi par impossibile cho non sia por ricuperarsi ; ma so ò cattarata, vi rosta il rimedio (lolla sua gran prudenza in tolerare lo cose Immane, supplendo colla perfettione degl’occhi della monto, nelli quali Dio o la natura l’hanno dotato, stimo io, sopra tutti i viventi, questo difiotto nel corpo. Il Sig. r Rocco ha aperto anco meco una gran bottega di complimenti o d’i favori ricevuti da V. S. ; ma so ella ha delle apostillo, come mi persuado cho non haverà tralasciato 2 che la sua licenza et adulation papale (3 ’ sia senza ri¬ sposta, di gratin non permetta che si pordano, chè non ò dovere. co Mandai lo dispacio passato alcuno mostro de grograni con li predi, acciò V. S. faccia eletta de i colori, chò subito resterà servita. Desidero anco di sapere so dovere in quello impiegar tutto il danaro, che ò £ 140 di questa moneta: ot credo sarebbe bene cho V. S. appuntasse col Sig. r Residente por il recapito, perchè io non dubito che egli non habbia spesso dello occasioni di simili tramessi, o, come le scrissi 11 ’, il nostro caro Sig. r Filippo Manuzzi è andato in Cielo. Col Sig. r Residente io non posso liaver convorsatione, per lo stato in clic mi trovo; del che sento particolar mortificatione, poiché, essendo amico di V. S., io son sicuro cho è anco soggetto colmo d’ogni virtù inoralo et intellettuale. <’* Cfr. n.° 3383. '*• Cfr. u.® 2908. Cfr. Voi. VII, pag. 573. «‘i Cfr. il.» 3501, lin. 38-81 i 20 — 22 GIUGNO 1637. 115 [3503-3504] 30 Prego Dio che consoli V. S. molto I., corno deve veramente consolarsi sopra la buona conscienza e sopra la siccurezza dolla gloria approsso li buoni et in¬ tendenti: e lo bacio con ogni affetto lo mani. Von. tt , 20 Giugno 1037. Di V. !3. molto 111. et Eccoli. m * Dcv. m0 Sor. S. r Galileo. E. E. 8504 **. GALILEO u MÀZZEO MAZZE1 [in Fii •enzo], Arcotri, 22 giugno 1637. Ardi, di Stato in Firenze. Monto di Piota, Filza 1080 (d'antica mimeraziono Campione JJS), n.« in¬ torno 325"'. — Autografa la firma; il resto ò di uiuno di Marco Aìiiirouktti. Ill. m0 Sig. r e P.ron Col. mo Dell’honoratissimo grado e dignità senatoria, conferita dal Sor.™ 0 G. I). nella persona di Y. S. Ill. ma , no ho sentito quel contento e gusto che si conviene alla devota servitù mia verso di lei et agli obblighi ch’io li tengo per favori ricevuti dalla sua cortesia; onde, per sa¬ tisfare in parte al mio debito, me ne vengo a rallegrar seco, con annunziargli ogni maggior grandezza. E già che è il tempo della maturazione di quei pochi frutti che ritraggo dal Monte, dove ella ò Provveditore, la prego, quando sia io senza suo incommodo, fargli consegnare al latore di questa, elio sarà il molto Rev. do P. Marco Ambrogetta che saranno ben consegnati » et io aggiugnorò questo favore a gli altri obblighi che tengo con V. S. Ill. ma , alla quale con reverente affetto bacio le mani. D’Arcetri, li 22 Giug.° 1637. Di V. S. Ill. ma Devotiss. mo et Obligat. 1110 Serv. re Galileo Galilei. Fuori: All’111. 010 Senat. r Mazzei, Sig. r e P.ron mio Col. mo In sua mano. Lett. 3604. 12. altri ohbligho — Cfr. Voi. XIX, Doc. XXX, «), lin. 130-133. 116 22 GIUGNO 1637. [3606-3606] 3505 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Àrcotri]. Lioue, 22 giugno 1637. Uibl. Naz. Pir. Appomllco ni Mss. Gai., Filza Favaro A, car. 1C2. — Autografa. Molto III. 0 S. r mio Osa. Scrivo questi quatro vorsi por includerli questo pieghetto, che il S. Elia Diodati caldamente mi raccomanda: haverò caro sapere che a S. S.° sia capi¬ tato. Quando mi capitò, inadvertentomonto lo principiai ad aprire, o senza finirò cominciai ad accomodare; e di questa inadvertenza gli no domando perdono, che spero mediante <-> ottonore. E li bacio lo mani di quore. Di Lione, questo dì 22 di Giug. 0 1G37. Di V. S. molto DI. 0 Sor.” o P.‘° AfF. mo o Dev. 1 " 0 Rub. to Galilei. 8506 . LORENZO REALIO a GALILEO [in Arcetri]. Amsterdam, 22 giugno 1637. Dal Tomo III, pag. 163-171, doll'odizione citata noli'inforumziono promcMa al u.» 1201. Amsterdam, 22 Giugno 1637. Assicurandomi che V. S. sappia che nello repubbliche, nello quali le consulto passano per molto mani o teste, ogni cosa pianamente condotta tardo progresso faccia, non dubito ebo olla mi scuserà, facilmente so il suo grande o lodevole invento non sia recato all’effetto desiderato, cosi presto conio all’ importanza del concetto od alla reverenda grandezza dell’età sua conveniva. Però io por la di¬ mora essendo in parte disgustato, mi trovai schifo a scriverlo talvolta intorno a questo argumento, senza elio vedossi andare avanti qualche dimostrazione di ringraziamento, picciola e bassa cho fosse. Alle lotterò che io (benché non più di una volta 10 ) dirizzai a V. S. IUustriss., io non ho visto mai risposta. La copia di esse, o anco la risoluzione dolli Sfuti Generali presa sopra la prima offerta del suo illustro donativo, vengono ad esser Uett. 3506. 4-5. lodevole intento non. Cfr. Un. 40. — <•> Cfr. n.° 8441. [ 3506 ] 22 GIUGNO 1637. 117 mandate colla presente. Ma acciocché ella conosca che io non abbia mancato al mio dovere, dipoi ho impetrato appresso di loro un’altra risoluzione, nella quale, per dichiarare quanto l’invenzione sua fu gradita e per mostrare il piacere che ebbero dell’oblazione già fatta, costituirono d’onoraria d’una collana d’oro (so¬ lamente come saggio della recognizione), la qualo, ovvero la valuta di essa per lettere di cambio, colla prima occasione a lei sarà inviata. Per la medesima risoluzione è fornita a noi qualcho somma di denaro, per comprare o far faro 20 alcuni strumenti propri per esaminare l’invenzione proposta. Ora siamo per ri¬ chiedere dal Magistrato di questa città un osservatorio, per poter mettere in opera lo speculazioni a questo negozio bisognose e profittevoli. In quel mentre non tralascia il Sig. Ortensio ogni occasiono (quanto questo nebbioso cielo no permette) di speculare i periodi de i Pianeti da V. S. Illustriss. ritrovati. Ma essendo sfornito d’ogni «istruzione ed ammaestramento, e principalmente di quelle teoriche delle quali V. S. Illustriss. senza dubbio averà fatte alcuno calefazioni, egli ha scritto diverse lettere por potere esser provveduto delle coso a tale esa¬ mino conduccvoli. Mosse anco egli corto difiìcultà sopra la materia prenominata, allo quali fin adesso non ha ricevuto risposta, non che dichiarazione alcuna, so Credendo però che V. S. Illustriss. abbia a cuore questa impresa, la prego di voler col Sig. Ortensio predetto comunicaro liberamente tutto quello cho essa a questo negozio potria aver preparato. Lo speso clic ci verranno fatte por gli stru¬ menti cho lei ci manderà, saranno da noi prontamente pagato o rimborsato. Illustriss. Signore, quest’opera pareva al primo aspetto allo Celsitudini loro Illustriss. cosa incredibile, anzi impossibile da poter essore indagata ; ed essendo indagata, pareva in niuna maniera praticabile a i nostri marinari, gcnto rozza, uomini non più cho superficialmente tinti nella disciplina matematica, che si contentano di poche proposizioni cavato dagli elementi di essa, con quello astronomiche che sono atte solamente al bisogno loro ; ed insino adesso ancora 40 trovano insuperabili lo difiìcultà por adoperare l’invento in una nave mobile, ad ogni momento mossa, o sempre mai senza fine inquietata : tanto elio V. S. Illustriss. non deo prendere dispiacere so il cammino di tutto questo negozio con tanta circonspezione cd avvedimento occorra ad esser esaminato da parto di quelli che hanno promesso ed ordinato gran premio all’ inventore cho con modi atti e praticabili saprà insegnare l’ordino di adoperare la conoscenza della lon¬ gitudine, quanto no serve all’uso della navigazione; mentre procurerò in ogni modo che il rispetto di V. S. Illustriss. per tutto sarà conservato ed augumen- tato, come ancora faranno i Commissari a questo esame destinati, tutti affezio¬ natissimi ed osservantissimi delle sue nobilissime virtù cd incomparabile dottrina. 60 E con questo le bacio le mani, restando ecc. 118 22 GIUGNO 1G37. Copia del lìcffistro delle Risai linoni degl’ Illusi rissimi e Potentissimi Ordini Generali delle Provincie Unite Belgiche. Martis, 11 Novombre 1636 E comparso nolPAssemblen il Sig. Lorenzo Beai, già Governatore Generale all’Indio Orientali della parte di questo Stato, o presentemente Schabino o Consiliario della città d’Amsterdam, il qualo, dopo ossero richiesto di sedere e coprirsi, ha offerto a loro Altezze Potentissime, colli complimenti debiti e requisiti, certa relazione, in forma di lettera, in nomo e da parto del Sig. Galileo de’ Galilei, gran Mattematico e Astronomo della Sua Altezza il Gran Duca di Toscana, aggiungendovi il translato di italiana nella lingua nostra volgare; consistendo questa relaziono principalmente in questo, che il soprannominato Galileo Galilei offerisco a loro Altezze Potentissime in libero dono un’opera grande, essendo un principio per produrre alla sua perfezione certo medio per poter sapere (la cosa essendo 00 prodotta al suo colmo) non meno la longitudine elio la latitudine sopra questa grande sfora in acqua e in terra. Alla qual proposta essendo deliberato, ò parso beno o conchiuso di ringraziare il sopraddetto Beai d’aver preso questa fatica, ed insidilo richiedergli di volere rescrivere al prenominato Sig. Galileo Galilei, elio all’Altezzc loro Potentissime questa preseiitnziono ed offerta ò stata sommamente cara o gradita, o che loro Altezze Potentissimo daranno ordino per esaminare l’impresa, e trovando (la cosa essendo pro¬ mossa alla sua perfezione) che per questo la scienza della longitudine c latitudine potrà essoro trovata, non mancheranno loro Altezze Potentissime verso il nominato Sig. Galileo Galilei di gratamente tutto quello riconoscere. E sono richiesti o commessi all’esamino di questa invenzione il Bpcsse volte nominato Sig. Reai, ed insieme con lui i SS. Ortensio 70 e Rinvio, abitanti ancora essi loro ad Amsterdam; o potrà il professore Golio, essendo P impresa ritrovata riuscibilo, a questo negozio ossero aggiunto. Questo traslato è trovato concordante col principale. Copia del Registro delle Rcsohieioni dcgVIllustrissimi c Potentissimi Ordini Generali delle Provincie Unite Belgiche. Sabato, 25 Aprile 1637 Essendo intesa la relaziono del Sig. Randuvich ed altri, dello Potentissime loro Cel¬ situdini Commissari, essendo stati in conferenza col Signor lteael, concernendo quello clic il Sig. Galileo Galilei a loro ha palesato circa le suo nuovo osservazioni nel corso del cielo; la qual cosa essendo messa in deliberazione, è parso bene o concluso di rimunerare il predetto Sig. Galileo Galilei con una collana (l’oro al valore di cinquecento franchi, a venti soldi il pezzo, e che le dette Celsitudini a loro speso la predetta invenzione faranno esa- 80 minare, e, trovandola conforme alla sua relazione, che gratamente o liberalmente tutto 54. di sedera e compirti, À« — »*' Cfr. Voi. XIX, Doc. XL1I, 6, 2). »•» Cfr. Voi. XIX, Doc. XLII, a). 22 GIUGNO 1637. [3506-86071 119 questo riconosceranno. Si scriverà anco alla Camera della Compagnia dell’Indie Orientali ad Amsterdam di voler fornire alle mani del predetto Sig. Reuel mille franchi, al valor di sopra, per comprare strumenti necessari por la detta investigazione; la qual somma alla predetta Camera vaierà incontro la Generalità, in diminuzione di quello che si troverà esser debitrice per le gabelle e dazi. Lettera degl'Illustriss. e Potentiss. Ordini Generali delle Provincie Unite a Galileo Galilei W. Aja, 25 Aprile 1637. Sig. Sono cinque mesi elio il Sig. Reai, già Governatore Generale dell’Indie Orientali, ci 90 ha offerto in dono per vostra parte l’invenzione trovata ultimamente di poter sapere in ogni tempo la longitudine, cosa desiderata veramente da molti secoli senza che persona ne sia venuta a capo lino al presente. Noi ariamo fatto fede al suddetto Signor lveal che il vostro regalo ci era gratissimo e che ve ne sappiamo grado grande, avendolo messo subito alla prova con nostro grandissime spese per mezzo de’ nostri mattematici più dotti e sperimentati e celebri, elio sicno in queste parti; di maniera cho stiamo in aspettazione con indicibile desiderio d’esserne da essi chiariti. E per farvi intanto vedere un saggio della nostra gratitudine e benevolenza, vi mandiamo per modo di provvisione le presenti, accompagnate da una collana d’oro; ed in caso che la vostra invenzione sia trovata come ci promettete, non lasceremo di riconoscerla più liberamente, oltre l’onore c reputazione 100 elio ve no ridonderà per tutto il mondo. Su questo preghiamo Dio cho vi abbia nella Sua santa guardia. PIoos van Amstol. Vostri bene affezionati Gli Stati Generali delle Provincie Unite del Paese Basso. Por comandamento loro Cornelio Musoh. 8507. MARTINO ORTENSIO ad ELIA DIO DATI [in Parigi]. Amsterdam, 22 giugno 1637. Dal Tomo 111, pag. 186, doll'oiliziono citata nell’ informazione promossa al n.° 1201. Amsterdam, 22 Giugno 1637. En tibi, Vir Nobilissime, fasoiculum literarum, o quo certo cognosces quo in staili versatili- ncgocium Nobilissimi Galilei. Ilabes litoras Nobilissimi Itealii ad Illustrissimum 102. liloos Firn Amatel — Cfr. u.° 8468. 120 22 — 24 GIUGNO 1637. [3607-3608] tìrotium, in quibus acta ot porcata omnia late exponit, caueamque sitimi tantae nostrae tarditatia ; liabes etiam eiusdem Kealii nova» ad Nobilem Galileum, cum apographo bel¬ gico ac italico decreti ultimi Illusi rissiniorum Dominorum Ordinum<‘>: quae ut in No¬ bili» Viri manuB quam citissime et tute perveniant, uuice ourabia; Nobilis enim Realius oxistimat, prioros literasW intercidisso, co quod nondutn ei Nobilis ilio sonex reapondit: quapropter lias ipsas Vcnetins quoquo missurus est, ut per duplicem banc viam securius eius desiderio satisfiat. Mcas ad illuni fascicolo D. Reali adiunxi, quia existimo viam illam 10 per Venetias esse brevioreui quam per vestram ci vi tatara. Sed tamen longiores video mo- ras noeti hac literaruin permutatione ; undo non possimi non probare votum tuum, quo oxoptas ut liceat mihi ad Nobilem virimi me conferro et cum pruesente de rebus omnibus agere. Ego iter einsmodi minime detrectarem, si sub alidori tate lllustrissimorum Domi¬ norum Ordinimi suscipi posset; sed non video qua ratione tum Celsitudines illorum, tum Amplissimi Uonsules Amstelodamenses, a quibus dependeo, eo possint commode perdaci. Si Illustrissimus Grotius lue verbum commodaret, et I). Realius saxuni volvere inciperet, forte aliquid posset obtineri. Salteni tentare non desinam, cum extra controversiam sit, me cum Nob. viro pruesente intra unum diem plus agero posse, quam sollicita et anxia literarum scriptione intra mensem, iramo et intra annura. 20 Nupor, summo meo cum dolore, obiit doctissimus meus Rocmannus, nnus ex prioribus Commissariis ; in quo viro quantum mathosis, et hoc ipsuni quoque negocium Galileanum, amiserit, nullis verbis datur eloqui, lllud, quaeso, Gassendo nostro, data occasione, si¬ gnifica. Nobilem Galileum adamantini amoris vinculis mecum coniunge, quod amicum magia lidum nusquam inveniet. 3508**. MAZZEO MAZZEI a GALILEO in Arcotri. Firenze, 24 giugno 1637. Bibl. Naz. FIr. lisi. Gal., P. I, T. XI, car. 297. — Autografa. Molt’ 111." et Ecc.“° S. r mio Oss. ,no Io rendo a V. S. Ecc."* 1 tutto quelle maggiori gratio elio io posso del favor che mi ha fatto passando meco ufitio cosi cortese per 1’ honor conferitomi dalla benignità del Ser. m0 Principe (3) . Gliene resto senza fine obligato, o vorrei haver molto occasioni di servii- a V. S. Ecc.®*, acciò conoscessi la prontezza elio ho di obedirla. La supplico bene a scusarmi se non risposi subito, ma sondomi cavato sangue quel giorno, come dissi al suo mandato, non mi arrisicai a scrivere, o confido mi liarà perdonato. I*ett. 3507. 6. decreto ultimo — Cfr. il.® 350G. i*i Cfr. n.° 3441. < 3 ' Cfr. n.» 3504. 24 — 27 GIUGNO 1637. 121 [3608-3609] Feci pagar subito i danari de’ suoi frutti ; e mentre aspetto il favor do’ suoi io comandi, le fo reverenza. Di Fir.°, a’ 24 di Giugno 1637. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dev. mo Sor. Maz.° Mazzei. Fuori : ÀI molto 111.™ et Ecc. mo S. r mio Oss. m0 Il S. r Galileo Galilei. Arcetri. 3509 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 27 giugno 1G37. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gai., P. VI, T. XIII, car. 31-32. — Autografa. Cfr. n.» 3539. Molto 111. 0 ed Ecc. ,no Sig. ro et P.ron Col.® 0 V. S. molto 111.™ attonde a darmi nove dei suoi travaglii, od io continovarò a darli parto dei miei gusti. E prima li dico, che se bene non ho per ancora limito risoluzione del mio negozio U) , ed ancorché dalle parti di Vinctia siino difficoltò, gagliardissime, in ogni modo vivo il più contento huoino del mondo, o spero con l’aiuto di Dio superare questi ponti, questi mostri, questi antropofaghi o Lestrigoni, asini armati, o simili; c quando non ne potessi cavare construtto nessuno, io spero di uscire di bordello con honor mio, in capo a 25 anni, o, quello elio mi conforta, sporo rivedere V. S. molto 111.™ e staro seco qualche giorno, io Li voglio ancora di più dare conto di un altro gusto che ho hauto in questi giorni, di una strana meraviglia, la quale, so belio in parte non mi gionse nova, tuttavia non havoroi mai creduto elio fosse tanto stravagante. La cosa è questa: che un giovane mio scolaro (,) , di spirito ed intelletto assai lucido, trattando meco del caldo, dopo bavero celebrato e lui od io la dottrina di V. S. molto 111.™, spie¬ gata divinamente nel Saggiatore, mi venne detto che se fossa preso un mattone, e tinto dalla medesima faccia mezo nero e mezo bianco, ed esposto a questi soli ardenti o lasciatolo staro per un’ bora o poco più, si sarebbe riscaldato sensi¬ bilmente più nella parto nera che nella parto bianca; e poi essendo il sodotto giovino scolaro de’ Il. di Padri del Collegio Gregoriano, o del Padre Confalomero (3> 20 in particolare, filosofo insigne e prontissimo in risolvere qual si voglia problema per dilìicile che ci sia, mi venne in pensiero di indurlo a dimandare la ragione Cfr. n.° 8500. •*) Oio. Agostino Conkalonikbi. <*) Cablo Appiani. XVII. IO 122 27 GIUGNO 1637. [3500] di questo accidente al suo maestro, ma con proporli la conclusione alla roverscia, cioè con dimandargli la ragiono por eh è si riscaldava più la parto bianca che la nera; o lo assicurai elio la filosofia profonda del Padre haverobbe subito asse¬ gnata la causa vera, adequata e chiarissima di questa stravaganza. Il giovino proposo il quesito, o subito li fu risposto : « 0 non sapoto voi la ragione ? ò faci¬ lissima ; vo la dirò io » ; o cominciò a entrare in un labirinto, del bianco o do nero, o (li corto bollicine che si trovano nel bianco, e di mille cose sottili che non le saprei spiegare: basta, elio si reso la ragiono perché il bianco si riscal¬ dava più del noro. Fatto questo, ed havondomi il giovane riferito il tutto, con so grandissimo risa e suo o mia, io andai di lungo a fare imbiancare la metà, della faccia di un mattono, o l’altra metà fu da me tinta con l’inchiostro di nero, o poi esposta al solo o lasciato vela tanto quanto si trattenne meco quel giovino in compagnia di un altro, pur scolaro delli medesimi Kuv. di I'P. ; poi, mettendo noi le palme (lolle mani, una sopra il nero, l’altra sopra il bianco, toccassimo con mano elio la parte nera poco meno che scottava, e l’altra ora quasi fresca: (lolla qual cosa quei giovani rostorono stupefatti ; cd io confesso, che so bene tenevo per fermo elio il nero sarebbe più caldo del bianco, in ogni modo mai mi sarei creduto elio la differenza fosse tanto grande a un pozzo ; e son sicuro elio so V. S. farà l’osperienza, li parorà cosa strana. Ilora, fatto questo, dissi al 40 giovane medesimo: Orsù, Sig. r Carlo (chò così si chiama), bisogna fare la se¬ conda parto del ballo; bisogna elio V. S. ritrovi il P. Confaloniero, o li dica elio havoado proposto a me il quesito « Perché il bianco si riscalda più elio il nero? », io li liaveva risposto che la faconda cambiava al roverscio, cioè elio si riscaldava più il nero elio il bianco, e che subito andai a tingerò il mattone o lo esposi al sole, o dopo una mozz’ ora o poco più li liaveva fatto propriamente toccaro con mano che il nero ora molto più caldo del bianco ; o soggionsi al medesimo giovano che dimandasse la ragiono di questa conclusione, promettendoli per parto di quel filosofo elio li sarebbe stata assegnata ancora la ragione di questo. Quel giovane non vedova l’hora di fare la seconda prova, ma non potò farla così go presto ; finalmente, passati alcuni giorni, fece pulito o foco la seconda proposta. Ilora qui ci fu che faro assai a ridurre quel buon filosofo a prestaro, prima, l’assenso alla esperienza, negandola francamente, e poi mettendola in dubbio, o poi cautelandola, che bisognava farla con tutto lo sorti di nero o con tutte lo sorti di bianco e con tutto lo materie o alla presenza di uno elio fosso dell’opi¬ nione contraria ; ma il Sig. r Carlo, elio pur troppo chiaro liaveva il fatto in mano, si portò tanto francamente, che il P. llov. do si riflusso a mettere mano alle più alto specolazioni e sottili della più recondita filosofìa, ed assegnò la ragiono di questa altra conclusione tutto il contrario della prima. Io mi confesso insufii- cionte a intenderla e distenderla per extensum tutta, ma in sostanza mi pare che co la ragione fosse assegnata assai bone e concludente: cioè, essere più calda la 27 GIUGNO 1637. 123 [8509-8610J parto nera dol mattono olio la parte bianca, perché nella parte nera era più caldo elio nella parto bianca; cosa che veramente mi quietò assai assai, restando meravigliato di così sottilo modo di filosofare. Io bo pensato a questo quesito od ho ritrovata qualche rosetta, ma perchè non arriva che si possa paragonare con quella del Padre, non ardisco per bora proporla. Mi scusi se non bo distesa questa historietta come la cosa merita, e in quel modo che bisognava faro per comparirò avanti a V. S. molto TU.™ ed al Sig. r Peri : al quale mi ricordo servitore, od a V. S. fo humilo riverenza. 70 Roma, il 27 Giugno 1637. Di V. S. molto III/ 0 Quello che accresco la meraviglia noi spiegato accidente, è elio havendo esposto al calore del fuoco il medesimo mattono, la parte nera ora poco poco più riscaldata della parto bianca; ed anco di questo erodo di haverno la ragiono. Ma con altra occasiono gli no darò parte; o prima sarà proposto all* oracolo. Dovotiss. 0 o Oblig.® 0 Sor/ 0 e Dis. 10 80 S.*' Galilei. Don Boned. 0 , Abbate di Praia. 3510. FULGENZIO MIO ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 27 giugno 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 299. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. et Eccell. mo Sig. r , Sig. r Col.'" 0 Per la via doli’ Ill. m0 Sig. r Residente (,) mi vengono lo lettere prontamente et sicure. Ho fatto comprare la robba et posta tutta in un rotolo, che hoggi farò consegnare al messo del Sig. r Residente, il quale penso haverà ricevuto da lei ordine per il ricapito. Scrissi già al Sig. r Helzivir quanto accenni a V. S. e n’ aspettarò risposta, come aspettavo anco da lui lettore con altri fogli della stampa : ma questa set¬ to Fkancksco lìiNucom. 124 27 GIUGNO 1037. [8510-3511 1 timana non ho veduto cosa alcuna, di elio non mi maraviglio, porchò lo posto vanno fallaci. 10 Un nostro Padre qui, che ha qualche gusto nelle cose astronomiche, mi dico elio la sera con l’occhialo vede Giove falcato, di punto come la luna. Io non ho più occhi por tal effetto. Mi rincresce noli’intimo il travaglio cho V. S. ha nella vista, ma a lei non possono mancare lo consolationi che seco porta una profonda cognitione dello coso Immane. Io, in me medesimo provando che si manca a poco a poco, lo ricevo ot come aviso et come gratio particolari di Dio e dolla natura. E con tal tino a V. S. molto 111. ot Eccoli." 19 bacio le mani. Von. a , 27 Giugno 1537. Di Y. S. molto JLll. e ot Eccoli." I)ov. rao Sor. £0 S. r Galileo. F. 3511 * VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetrl], Genova, 27 giugno 1637. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXY1, u.* 118. — Autografai Molto 111.” et Ecc. mo mio S. r o P.ron Col." 10 Il caldo eccessivo, cho corre qui da noi, mi ha spaventato, sì cho non ho risoluto di venire a Firenze, conio prima havea dotorminato. Sento gran disgusto che ella non sia ancor libera dell’ infermità del suo occhio, o prego Dio cho lo renda la desiderata saluto. Del negotiato (l’Olanda la suplico a darmene parte tanto più, quanto che, dovendo questi SS. rl nostri mandar un ambasciator straordinario in quello parti, so l’eletiono cado in per¬ sona del S. r Gio. Battista Centurione mio parente, come si credo, siamo in apun- tamento cho io debba seguirlo in questo viaggio. Non manchi adunquo di avvi¬ sarmi il suo pensiero, e quanto più prosto puole, perché fra cinquo o sei mesi io penso cho dobbiamo esser di ritorno; nò olla potrà haver servitore cho più prontamente di me procuri di servirla. Con cho por lino lo bacio ail’ettuosamonte le mani. Di Genova, adì 27 di Giugno 1637. Di V. S. molto Ill. ro ot Ecc. ma Dev. m0 Ser. ro D. Vincenzo Keniori. | 8612 | 29 GIUGNO 1637. 125 3512 **. 110BERT0 GALILEI a GALILEO in Arcctri. Lione, 20 giugno 1G37. Autografoteca Morrison in Londra. — Autografa. Molto 111." S. r mio Oss. mo Ilo sentito grandissimo disgusto nella ricevuta della lettera di Y. S. molto Illustro dactata doili 8 stanto, sentendo corno lei ora assaltata d’una deflussione sopra rocchio destro; o il più delle volto esso deflussione sono passagicre, c hanno certi giorni' di corso, quindi vanno passando, come spero in Dio benedetto sarà quella di V. S.: benché con sua buona licentia mi perdonerà, se li piace, so li dico elio V. S., nell’età o qualità che la si ritrova, non si devo nella scrit¬ tura affaticarsi come la fa ; chò por questo poteria bavero uno scritturale sotto di lei, elio ne troverà a milliaia che lo temano a favore grandissimo ; e perla io loctura o studio so ne dovcria astenere, o anteporre la sanità a qualsivoglia altra cosa: o già il rinomo del suo sapere o valore risuona por tutto l’universo, e questo li devo bastare. E mi perdono se troppo arante sono entrato. M’è stato grato non poco havor ricevuto quella cassettina de’ suoi libri per Maso do li Gondi. Doverà ancora havere ricevuto un pieghetto, mandato già sono 8 giorni per mano del sudetto, in quanto elio caldamente mi veniva rac¬ comandato dal Sig. r Diodati: la conparsa mi sarà grato saperla. Il Sig. r Dio¬ dati sudetto mandò di quelli suoi libri dedicati a Madama Ser. ma airill. m0 S. r Pcyres (1> , li quali séno stati da lui ricevuti con grandissimo affetto; e adesso, per quanto intendo, sudetto Signore si ritrova in letto, gravemente amalato d’una 20 buona frebbe, o ben che non sia di grave età, ma grandemente affaticato da continui stuclii, e li medici co fanno qualche dubbio. Piaccia a Dio liberarlo, chò veramente saria grande perdita di questo Signore per le sue buone e rare qua¬ lità, com’ancora perderia uno delli alfectionati amici elio possa bavere al mondo; o spero ancora in Dio che a tutti ce lo conserverà. E con questo alle Ituosamonte lo faccio reverenda, pregandoli da N. S. ogniun bono. Di Lione, 29 di Giugno 1637. Di V. S. molto Ill. ro Scr. ro Aff. m0 o Par. 16 Devot. lu0 Sig. r Galileo Galilei. Eub. 10 Galilei. Fuori: Al molto IH.™ Sig. r mio Oss. mo 30 II' Sig. r Galileo Galilei, Matt. 00 p.° dell’A. S. Firenze, in Arcetri. <*) Niocolò Fa bui di Pbibkso. 12G *1 LUGLIO 1G37. |861»J 3513*. GALILEO ad ELIA DIODATI in Paridi. Aicetri, 4 luglio 1037. Blbl. Na*. Plr. Mas. Onl., P. V, T. VI. — J.o lin. 1-17 si leggono a car. 86». in copia di mano di ViscKX7.ro Vivi ani, elio sul margino annota: « G. G. 4 Luglio 1637», o in matita soggiungo: «in quosta la por- dita doli’occhio destro ». Lo lin. 18-30 sono, nello stosso codice, a car. 60»., puro in copia di mano dol Viviani, elio prometto quost’indicazione : « Il Galileo all’amico di Parigi, in lottora coscritta di sua mano, li 4 Luglio 1037, d'Arcetri » ; o si leggono, sompro nello stesso codice, audio a car. 8Ir. (di inano dol Vivuni) o a car. 148». (di uinno d’un amanuense dol Viviani): o dallo indicazioni pro¬ mosso a car. 31 r. o 148». alle copie del capitolo ricaviamo dio l’originalo di questa lott'-ra ora di uiauo di Marco Amdroov.tti poiché l’opere che si stampano adesso contengono due intere scienze, tutte novissime e dimostrate da’ loro primi priucipii et elementi, siche, a guisa degli altri demoliti matematici, aprono 1’ ingressi a campi vastissimi, pieni d’infinite conclusioni ammirando; porlochè leggieri stima fo di tutto quello che sin qui ha visto il mondo di mio, in comparazione di questo che resta a vedersi. ... Quanto all’impresa dell’111. mo Sig. Carcavil, V. S. faccia pur istanza che dia mano all’opera, cominciando in tanto dal Nuneio Sidereo, già latino, e dall’Uso del Compasso Geometrico, fatto pur latino già dal Sig. Lerneggero, chè fra tanto fo tradurre in latino tutto il resto io delle mie opere ; e quando io vegga un poco di principio, potrò mandar le Lettere solari, già finite di tradurre, e di mano in mano conseguentemente tutte l’altre mie composizioni, sichè non resterà impedimento alcuno all’ ottenere il privilegio. E quando V. S. scorga costà irresoluzione o turbamento, me ne dia avviso, x>erchè credo che dando l’opere tutte latine al Sig. Elseviri, l’abbraccieranno, che così me ne dette intenzione in voce il Sig. Lodovico. Io poi mi ritrovo da cinque settimane in qua nel letto, prostrato di forze grandissimamente, e questo per più cagioni: prima per una purga fatta, la quale per le molte evacuazioni m’ à reso languido ; in 20 oltre per l’età di settanta quattro anni, che non lascia luogo a restauri che possano refocillarmi; ed anco per la stagiono ardentissima, la quale con insoliti caldi prosterne il vigore dei più robusti giovani. Aggiu- gnesi ( proli dolor!) la perdita totale del mio occhio destro, che è quello che ha tatto le tante e tante, siami lecito dire, gloriose fatiche. Questo 4 — 7 LUGLIO 1637. 127 [ 8518 - 8515 ] ora, Signor mio, ò fatto cieco, e V altro che era ed è imperfetto, resta ancor privo di quel poco di uso che ne trarrei quando io potesse adoprarlo, poiché il profluvio d’una lacrimazione, che di continuo ne piove, ini toglie il poter far ninna, niuna, niuna delle funzioni nelle so quali si richieda la vista etc. 3514 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO in Arcctri. Venezia, 4 luglio 1037. BU>1. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B* LXXXVII, il.® 28. — Autografa. Molto DI.” ot Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo Non hcbflo la settimana passata il procaccio tempo di far la bulletta per il suo fagotto, sichò fu forzato a lasciarlo in terra; ma di questa lo riceverà per mano del Conti 11 ’, al quale l’ho consegnato: e veramente la colpa fu mia an¬ cora, elio non mandai a pigliarlo dal Padre Maestro Fulgentio, ma stetti aspet¬ tando che egli me rinviasse. Scusimi pertanto la sua gentilezza, nò arguisca, da questa negligenza, menomato in me il desiderio et ambitiono che ho di servirla ; mentre per tino, pregandola a continuarmi il favore della sua gratin, gli bacio affettuosamente le mani. io Vonotia, 4 Luglio 1G37. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dov. rao o Vero Ser. ro S. r Galileo Galilei. Arcctri. Fran. 00 Itinuccini. 3515 . ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcetri]. Parigi, 7 luglio 1637. Dal Tomo III, pag. 180-182, doll’ediziono citata nell'inform.iziono promossa al n.° 1201. Parigi, 7 Luglio 1637. Colla gratissima di V. S. molt’Ill. de’ 6 del passato ho ricevuto la sua ri¬ sposta allo lotterò de’ SS. Realio ed Ortensio (2) . È stato molto a proposito cho V. S., mossa dalla sua solita generosità, abbia senza indugio mandato nella lettera al <*> Bernard» Conti. < : > Cfr. u.° 8406. 128 7 LUGLIO 1037. [3615J Sig. Roalio la sua risposta ai quattro cupi scrittigli dal Sig. Ortensio, avendo con essa rivelato quanto le restava da dire circa il suo segreto, sebbon pareva elio con ragiono avria potuto aspettare a mandarlo fili elio avesse ricevuta la risposta, già tanto tempo aspettata, degl’ Dlustriss. SS. Stati ; poiché, come vedrà dall’ allogata lettera (l) del Sig. Realio, detta risposta non comparisco, elio in luogo di essa so gli manda solo la traduzione italiana dol primo e secondo loro do- io croto sopra questo negozio ; sicché se non 1* avesse anticipato con questa sua risposta, il nogozio avrobbo potuto ricovero qualche sconcerto ed cssoro ritar¬ dato : il quale poiché lo pigliano a cuore, e eho desiderano vadia innanzi e elio per l’ultimo loro decreto hanno ordinato alla Camera dell’Indio d’Amsterdam di provvedere a’ Commissari lo cose necessarie per attenderci, non si sarebbe in tal congiuntura potuto desiderare meglio di quello che V. S. molt’Ill. ha fatto senza saperlo, avondo colla sua prontezza prevenuto tutto il disturbo elio potova nascere. Intanto, quantunque V. S. molt’ 111. si sia spiegata nolla sua risposta al Sig. Realio con quella maggior chiarezza si potesse desiderare circa la costru¬ zione dolla macchina por rimediare alla librazione dolla nave sul maro e circa 20 il mirabile orologio da lei ritrovato, nondimeno difficilmente il Sig. Roalio ed il Sig. Ortensio potranno capirne il concetto ; tanto no manca che lo possano met¬ tere in opera per farne la prova. Questi tali disegni, por esser boue intesi, ri¬ chiedono di esser piuttosto fatti vedere coll’ opera, elio co’ discorsi por iscritto : onde molto più mi confermo nel mio parere scritto al Sig. Ortonsio, che dovesse procurare d’osser mandato da V. S. per trattar seco in prosonza d’ogni cosa con¬ cernente a questo negozio, approvandolo grandemente i soprannominati SS., anzi giudicandolo esser necessario; ed il Sig. Itealio nella sua lettera al Sig. Grozio scrive che questo nogozio pativa assai, avendo da esser trattato por lotterò ; dal che esso Signore, facendogli risposta, pigliorà occasiono di farli apertura elio il so Sig. Ortensio sia mandato da V. S.: ed è da sperare che esso Sig. Roalio, tro¬ vandosi impedito ad effettuare le due invenzioni da lei proposto, o conoscendo da questo incontro la necessità dolla conferenza verbale, farà offizio per questo, o ne tratterà col Sig. Ortensio, già da sè non solo disposto o pronto a questo, ma di più desideroso, come V. S. vedrà dalla copia della sua lettera (t! , dicen¬ domi di volerne far lui stesso la proposta o sollecitarla. Il capo concernente io osservazioni do’ movimenti do’ satolliti di Giovo, e il modo di forniamo Teffemo- ridi, non richiedo manco la conferenza in presenza, cho gli altri duo. Staremo ad aspettare quello ci risolveranno sopra. Sobbeno nolla lettera del Sig. Realio V. S. molt’ 111. vedrà cho dice il Sig. Or- io tonsio averlo più volto scritto senza avero avuta risposta da lei, sappia V. S. Lett. 3515. 5. icrittegli — «*i Cfr. n.» 3506. <*> Cfr. n.» 8507. 7 LUGLIO 1037. 129 13515] elio lo (lotto lotterò si riducono a duo: l’una do’ 20 Gennaio (1 ’, alla qu alo V. S. rispondo colla sua prolissa do’ 0 del passato, indirizzata al Sig. Itealio 121 , la quale io gl’inviai por l’ultimo ordinario; l’altra do’ 7 Maggio 131 , elio mandai a V. S. alli 11 del passato 141 . V. S. vedrà anco dalla lettera del Sig. Ilealio cho la mira principale di quei SS. Stati in questa impresa è elio abbia da essere adoperata nolla navigazione, gl’ interessi loro premendoli da quella parto, o facondo poca stima dol benefìcio certo che ha da riuscirno per la riformazione della geografia, conio di cosa elio go erodono non importare agli loro traffichi, avondomi anco accennato l’istesso il Sig. llugonio, Segretario del Sig. Principe di Oranges, conio V. S. avorà visto nella copia della sua lcttora 151 cho lo mandai colla mia precedente (6) : o por ino stimo, eh’essi SS. avondo presupposto elio l’invenzione di V. S. molt’lll. non po¬ tesse esser messa in uso sul mare, questa sia stata una dello principali causo (lolla loro tepidezza. Ma non per questo paro cho V. S. molt’Ill. debba allen¬ tarsi, anzi piuttosto continuare nel medesimo zelo di prima o colla medesima generosità o costanza, per cooperare alla perfeziono dell’impresa quanto più potrà, quando non lusso per altro ebo per la propria soddisfazione, oltreché lo importa assai, per la reputazione, d’ossorvaro fin al line un medesimo tenore, so senza punto variare. Non avendomi mandati i cristalli poi telescopio che V. S. molt’lll. ha de¬ stinato a quei SS., spero l’averà fatto dipoi, o cho gli averà provati, per mag¬ gior certezza, che sieno perfettissimi, questo importando assai, e che segua quanto prima. Sin qui non si è dato principio alla stampa dell’opero di V. S. molt’lll., ma infallibilmente seguirà in breve, il Sig. Carcavi alfezionandocisi da dovero. Non occorrerà che mandi li due libri Dolio macchie solari e Dello cose cho stanno su l’acqua, avendogli ritrovati tra i mici. Ma quello del Compasso di propor¬ ziono, stato stampato a Padova, non visto in questo parti, lo piacerà provvederlo, 70 mandandomi, come già lo scrissi, l’ordine che se gli dovcrà osservare. Ho caro cho V. S. molt’lll. avesso ricevuta la cassettina do’ libri mandatigli ben condizionata, o cho l’esemplaro cho ne ha presentato a S. A. sia stato gra¬ dito da lei. Il Sig. Elzevirio portandosi verso di lei da galantuomo nella stampa della sua opera del moto, mi paro cho debba aspettarne il fine prima che gli pro¬ ponga se vorrà stampare tutto lo sue Opere tradotte in latino ; perchè in ogni modo non ci metterebbe la mano adesso, mentre durerà l’opera doli’ altra, oltre¬ ché la stagione favorisco poco, anzi è contrarissima, all’imprese litteraric. In- l» Cfr. n.» 3121. <*> Cfr. 11 ." 8490. («> Cfr. il." 3474. XVII. Cfr. il.» 3162. («) Cfr. n » 3499. 17 130 7—9 LUGLIO 1637. [3515-8616] tanto se V. S. avorii comodità, di farle tradurre, non ne perda l’occasione, e tenga l’opera a suo agio preparata, la quale a suo tempo non mancherà d* essere 80 richiesta. L’Illustriss. Sig. Grozio ed il Rev. P. Campanella le baciano lo mani, od io con riverente affetto ine lo raccomando. In questo punto, dopo avere scritto quanto è di sopra, con grandissimo cor¬ doglio mi vion portata la nuova funesta della morte dell’incomparabile o vir¬ tuosissimo Sig. rillustriss. Sig. Perisse seguita alli 24 del passato, della quale (sapendo quanto vivamente se no sentirà trafitta) ino no condoglio sccq cordia- lissimamento, sperando puro che in questa, come nell’ altre occorrenze della for¬ tuna elio le sono intervenuto, non lo mancherà la solita costanza por moderarne il dolore, o elio la ragiono vincerà in lei l’eccesso dell’ affetto ; poiché a simili do persone eroiche o dignissime dell’immortalità non è stato in questa parto con¬ cesso dal Cielo alcun privilegio, nitro la sorto comune ili tutti gli uomini, anzi spesso sono di vita più breve. Esso era ili cinquantasoi in cinquantosotte anni pel più. 3516. GIOVANNI PIERONI a [GALILEO in ArcotriJ. Praga, U luglio 1637. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 38-84. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. mo Sig. re P.rone Col. mo Mi è accaduto, con particolarissimo mio contento, ili trovarmi in Praga que¬ sti giorni che ci è arrivato il Ser. mo Principe Mattina, por poter riverire o sor- viro l’À. S., o poi per haver da tanto Principe nuovo ili V. S. Ecc.®* tanto mio Signore, et al particolare haver occasione di riferire all’A. S. Sor. m ‘ quello che bora intendo riferire ancora a V. S. Ecc.“‘ circa la stampa del suo libro. Doppo che V. S. Ecc. mn , pensando ch’io dovessi ritornar costà, mi scrisse che io glielo rimandassi, non potei risolvermi così presto, perché vedili vacillare la licenza, come in effetto non la ottenni; però presi risolutione poi di tirar avanti 10 stamparlo. Voddi chiusa la strada a far ciò in Vienna, perchè ci si trovava io 11 Padre Sciamar, e dovendo li Padri approvare che si stampi o no ogni libro in Vienna, dubititi che potesse kaveme egli la revisione, o almeno venirne in no¬ tizia e forse impedirne la impressione ivi et in ogni luogo poi. Sì che (non mi essendo mai stata spedita la gratia della tipografia elio chiosi) ricorsi al Sig. T l*i Niccolò Fa bui di Punisse. 9 LUGLIO 1687. 131 [ 3516 ] Card. 10 Dietristain (1) ; il quale abbracciò il negotio e di favorirlo sì clic si stam¬ passi in Olmitz, o che ivi lo rivedesse un Padre di altra religione, sì che non si havessi da temere di scoprimento al detto P. Sciainer o suoi aderenti, come 10 pregavo: o così feco; preso il libro, lo mandò a un Padre Domenicano (8) , c ne seguì Papprovatane m che V. S. Ecc. mft sentirà. Ma avanti clic la spedissi, 20 morì il S. r Cardinale; ondo io, per riavere il libro e stamparlo, andai a Olmitz, dove il nuovo eletto Vescovo w , prelato di gran sapere, sottoscrisse et approvò che si stampassi, lasciando egli però in bianco da ponere il nomo del libro, come cosa stimata da lui essontiale. Con questa poca di difficoltà, e co ’l non mi piacer molto il carattere di quella stamporia, c già che seppi che il P. Sciai- ncr in questo mentre era stato mandato a stare a Nissa in Silesia, ripigliai il libro e ritornai per stamparlo a Vienna, dove anco, per aver l’abitatione, avevo maggior comodità. Ma qui non bastando la predetta approvarono, nò potendosi havor la nuova senza li Padri, mi son valsuto dell’ amicitia che ho con un Pa¬ dre Teologo professore principale, il quale, fatta egli stesso la revisiono et ap- 30 provatione, mi ha fatto ottenere la licenza dal Rettore dell’Università (5) ; sì che già potevo cominciar l’impressione, quando a punto ò arrivato di nuovo in Vienna 11 P. Sciainer a stampare un suo libro (6) , che presto si vedrà; onde, per non mi mescolare et correre qualche pericolo, ho stimato dover lasciarlo prima par¬ tire, sentendo che in poche settimane havrà finito o dovrà andarsene : noi qual mentre di ordino di S. M. tà ho dovuto io venir qui a Praga, sì come nel tempo di tutto il narrato sono stato mandato in Stiria per alquanti mesi et in altre provincie per il servitù) della M. S. E qui, liavendo dubitato so forse io mi ci fusso dovuto fermaro per alcun tempo, ho portato meco il libro, por potere, se occorreva, stamparlo qui, dove il S. r Cardinale di Ilarach (7) , già pregatone da ■io me, mi ha ofierto di valermi della tipografia che ha eretta per questa Univer¬ sità; ma non trovatoci esso Sig. r Cardinale, et informatomi che dovrei in ogni modo havor qui ancora nuova revisione et nuova approvatione, o dovendo io presto per il servitio ritornare a Vienna, sono per dar ivi mano subito alla im¬ pressione, se V. S. Ecc. m1 ' così si contonta e non mi ordina in contrario. Il che dico perché il Ser. mo Principe mi ha detto che senza nuovo ordino di V. S. Ecc. m * io non lo faccia, perchè ella lo fa stampare altrove; anzi mi soggiugno che V. S. Ecc. ma habbia havuto molto a male che io abbia pregato l’A. S. che si contentassi che io m’ingegnassi di risquotero mille fiorini di molte più migliara che ne ha credito S. A. in Moravia, per valermene alla impressione e restituirli Lett. 3517. 42. e dovendio io — 0) Francesco Diktriohstkin. <*' Qio. Tommaso Manca do Prado. (») Cfr. Voi. XIX, Doc. XLIII, «). O» Gio. Ernesto Pi.atats. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XLIII, b). <«> Cfr. n.o 2418. < 7 > Ernesto Ad Alberto d'Harfacii. 132 9 LUGLIO 1637. [ 3516 ] all* bora o prima so comanderà, havondo io scritto a V. S. Ecc. ma elio la stampa r>o si farebbe senza haver a pensare a sposa. Mi duole di cuore elio lei U&bbia que¬ sto fastidio, che io, contro le promesse, por causa sua abbia molestato S. A. Mai bo nò anche pensato di molestar pur minimamente l’A. S., ma usato ad una certa maniera meno stretta cho si usa qua, trovatomi por accidenti occor¬ simi (come a tutti alle volte avviene) non così comodo elio io avossi possuto far fare la impressiono all’bora; e sapendo ebo quel danaro S. A. nè 16 baveva in mano nò lo avrebbe so non a poco a poco o con molta diificultà, la qualo io con la presenza bavrei facilitata, lo supplicai di tal gratia, e, conio scrissi a S. A., gli ponevo, ciò è speravo di ponero, in sicuro o con avvantaggio di tempo la riscossione di questa parto dol suo credito; corno ò avvenuto cho io con la prò- co senza in Moravia lo bo havuto, et bora lo bo, conio liicri bo dotto a S. A., pronto in casa mia a Vienna por ad ogni momento elio S. A. comandi o voglia havorlo, non Fhavondo io chiesto nò dosidorato por altro elio perla dotta stampatimi: la qualo scrissi (so ben mi ricordo) clic non sarebbe di spesa nò di scomodo, ciò intendendo di V. S. Ecc. m quanto alla sposa, perchè io volevo farla o po¬ tevo, ma quanto a me non poteva nò può essere, perché qua non si stampa so non a pagar tanto per foglio o comprar la carta, nò giova fama o altro, per¬ chè così si usa. Ma a me non torna danno, anzi gusto grandissimo, perché rim¬ borsandomi con una parto dclli esemplari dello speso, gl’ altri tutti barò per sommo favoro che siano di V. S. Ecc. ma et a sua dispositiono. 70 Però, so può essere, la supplico non si pigli fastidio di tal mio procedere, elio spero non ha disgustato S. A. nò vorrei cho fusse stato, per quanto ho cara la vita; o so li piace elio io ricova il favoro di questa impressiono, mi faccia gratia di scrivermene et ordinarmelo, chò senza ciò mi comanda S. A. che io non cominci. E se non ho scritto continovamente a V. S. E., ò stato, prima, por il dubbio so dovevo rimandarle il libro o no, conformo al suo comandamento, o doppo, oltre li miei continovi viaggi, por non narrarli sempre diflìcultà, ma potere con la prima mandarli il primo foglio, che sempre speravo sarebbe presto presto, e fidandomi della mia vera sincerità, cho olla non bavrebbo pensato di me negligenza in servirla, massimo ov’ io mi glorio di tanto favoro perchè la 80 amo e riverisco sommamente. E quanto qui bo scritto ò pura verità. Con cho a V. S. Ecc. ma fo umilissima riverenza, o la supplico della continovationo della sua gratia. Di Praga, li 9 di Luglio 1637. Di V. S. Eco. ,Qa Devotiss . 0 et Partialiss.® Sor." Oblig. mo Giovanni Pieroni. [ 3517 - 3518 ] 9—10 LUGLIO 1637. 133 3517. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Àrcetri]. Genova, '.) luglio 1037. Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. SOI. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. mo mio S. r o P. Col. m0 Por ancora non è stabilito chi debba andar aU’ambascioria di Olanda, essendo il contrasto de’ voti fra il Sig. r Gio. Battista (1> mio ot il S. r Nicolò Pallavicino; o dubito elio inter duos litigantcs non tocchi a qualch’un altro la beneficiata. In ogni caso darò avviso di quel elio succedo a V. S. ; ot occorrendo ebo vada còlà qualche mio amico, non mancherò di raccommandar il negotio (2) . Al S. r Daniele (:,) ho fatto le sue raccommandationi, il quale estremamente si duolo del’occhio di V. S., sì come faccio ancor io. Ma cosi va, Sig. r Galileo mio caro: il solo ha fatto a concorrenza della sorella, chè s’ella punì Ateono pol¬ lo Laveria veduta nuda, egli ha voluto offuscar quel’occhio elio l’ha scoperto fino al vivo. Ma faccia pur a suo sonno, chè por ogni modo se il solo ha sorrato a lei una pupilla, olla ha aporto infinito bocche, lo quali eternamente canteranno le meraviglie di quella. Mi conservi suo, e creda elio estremamente mi dolgo di questo infortunio, mentro per fino affettuosamente lo bacio lo mani. I)i Genova, adì 9 di Luglio 1637. Di V. S. molto 111. 0 ot Ecc. ma Dev. m0 e Cord. 1 " 0 Sor.” D. Vincenzo Renieri. 3518**. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze.' Roma, 10 luglio 1637. Bibl. Naz. Pir. Mss. fini., P. I, T. XI, car. 303a. — Autografa. Alla lotterà facemmo seguirò la « poscriltu » elio il Castri. ci mandava inclusa, o cho, pure autografa, è audio picsontomonte allegata (car. 8036). Molto 111.” ed Ecc. mo Sig.” e P.ron Col. mo Il mio negozio in Venetia è delicatissimo e golosissimo, per essoro portato por interesso di Stato. Non ho dubio che l’amico {i) sarebbe ottimo mezo. Quello che io desiderarci è assai bone espresso in una poscritta mia a un amico mio O» Giovanni Battista Ckntukioni. <*> Gfr. n.o 8432. < 3 > Daniri.k Spinola. <*> Fùlgknzio Mioanzio. 134 10 LUGLIO 1637. [3518] in Vonotia, quale ho copiata noli’incluso foglietto. Quando fosso bone inteso il punto, elio ò realissimo o importantissimo, reputo elio quello elio si mantiene con male arti nel mio monitorio, si rirauoverobbo ; o importerebbe assai so l’amico di V. S. abbracciasse lui di fare l’officio, corno io accenno. Però faccia V. S. molto DI." od Ecc. m * quello li paro, oliò io sono assai quieto nella volontà, di Dio, elio ci governa. io Por l’ordinario passato scrissi a V. S. la mia Mattonata 111 impinguata; oso potrò vedere quei moscioni, mi sarà di gusto. In tanto mi comandi dove mi conosco buono, che la sorvirò sempre sempre: o li fo humilissima riverenza. Il Ser. mo Sig. r Principe Cardinale w si porta tanto regiamente, che tutta Roma gii applaude, o non ha altro che dire. Io non l’ho ancora potuto vedere e ri- voriro, ma lo farò quanto prima potrò, essendoli servitore di principalissima devozione. Roma, il 10 di Luglio 1637. Di V. S. molto 111." ed Ecc.®* Dovotiss. 0 o Oblig. mo Sor." o Dis. 10 20 S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111." od Eco." 10 Sig. ro 0 P.ron Col.® 0 Il Sig. Galileo [Galilei, p.° Filjosofo del Sor.® 0 Ur. Duca di Toscana. Firenzo. Poscripta a N. N. Io sono assai lontano di trattare questo mio negozio di Draglia con punti di Stato, non toccando a rao nè meno a pensarci; con tutto ciò porcliè il particolare che sono por dirli in confidenza è tanto annesso all’uno ed all’altro interesse, glie lo voglio confidare : facciane ella quel capitale che li paro. 11 punto è questo: che N. S. si ritrova con qual¬ che indisposizione, ed è stato in pericoli; e la verità ò che chi vivo corro a morte. E per 80 tanto, essendo io sicurissimo che la somma prudenza di cotesti Eco."* 1 Signori un giorno vorrà ritrovare modo di aggiustare le controversie con la Sedia Apostolica, pare che, senza entrare a trattare di annullare gli ordini fatti a favoro di 1). Modesto da Padova, si possa in beneficio publico far fare oflìcii con D. Modesto che bì accomodi, por non lasciare questo osso duro da rodere (e mi creda che è più duro di quello si pensa) da rodere, dico, nell’accomodamento delle altre coso principalissimo e importantissime, acciò che i maligni, nemici della felicità della Ser.“ R Republica, non habbino questo attacco, di conturbare la mente di quello 0 di quelli che haveranuo da ngiustarc le partito mag¬ giori, essendo questa alla fine cosa di monaci, la quale non deve intorbidare i massimi negozii della ber. nitt Republica, la quale Iddio conservi e prosperi eternamente. 40 D. Beuodotto di Brescia Ab. l# “> Cfr. u. u 8509. '*» Carlo uh’ Mkdiol [3519-3520] 11—14 LUGLIO 1637. I 135 3519*. FRANCESCO RTNUCCINI a GALILEO in Arcetri. Venezia, 11 luglio 1G37. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camporl, Autografi, B> LXXXV1I, n.° 29. — Autografa. Molto 111." et Ecc. m0 Sig. r0 e P.rone Oss. mo Quando V. S. mi tralascierà il favore do’ suoi comandi, mi priverà di quel gusto, che provo grandissimo, di servirla, c perciò sarà in obbligo di compensare in qualche altro modo questo mio danno; elio seguirà in buona parte, quando mi farà sentire buono nuove della sua salute, che con ogni maggioro affetto gli prego felicissima. Havorò gusto sentirò che gli sia giunto ben conditionato il fagotto che pol¬ ii Conti gl* inviai la passata (l> . Il piego per il Padre Maestro Fulgontio è stato recapitato in mano del suo compagno, elio subito glielo mandò in villa, dove io egli al presente si trova; però non si maravigli so assorte non fussi qui alligata la risposta. Con che fino gli bacio revorontomento le mani. Venezia, 11 Luglio 1637. Di V. S. molto 111." ot Ecc. ma alla quale invio la lettera del Padre Maestro Ful¬ gontio, mandatami di villa, in risposta della di V. S., bonchò con soprascritta al Sig. Dino Peri. S. r Galileo Galilei. Arcetri. 3520*. ELIA DIODATI a [GALILEO in Arcetri]. [Parigi], 14 luglio 1637. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. V, T. VI, car. 79 1 . — Copia ili mano di Vincenzio Viviani, In capo alla qualo ogli annota: « E. D. 14 Luglio 1637 ». Al Sig. Corcavi, essendo tornato di fuora, ho dato la lettera di V. S., della quale ò restato sodisfattissimo per le soluzioni doli’ obiezzioni fatto avanti dal suo amico w , il quale anco lui dovrà restarne appagato quando lo vedrà. Il nomo suo è M. r Format, Consigliere del Parlamento di Tolosa, ove risiedo. Già s’intagliano le figure delle macchio solari, e in breve mi prometto di far dar principio alla stampa dell’opere in foglio, conformo al desiderio di V. S., alla quale per fine otc. Dev. m0 o Vero Ser.° Frali/ 0 liinuccini. Cfr. mi.' 3486, 8440. 136 16 LUGLIO 1637. [ 8621 ] 3521 *. GALILEO ad ELIA DIODATI in Parigi. Arcctri, 16 loglio 1637. Lo lin. 1-4 si leggono nei Mas. Gal. della Bibl. Nazionale di Firenze, P. V, T. VI, car. 86/., In copia di mano di Vinornzio Vivuni, che premetto quest' indicazione: « G. G. 16 Loglio 1037 ». Le lin. 6-44 si hanno nell’opera citata noli’ informazione promessa al n.° 3838, o precisamente a pag. 64-55 del Libar iteun- due di j eompiciliia, eive Compendium prateipuorum autkorum qui ile Hi diueruerunt, il qual libro se¬ condo lift paginazione a parto. Quost’ edizione, fatta in Olanda e por cura di un erudito Olandeso. ha alterato quasi ad ogni parola In lozione genuina, con formo elio non ò possibile attribuirò a Oai.ii.ko; e poiché noi non conosciamo ultra fonte di questa parto della lotterà, abbiamo corretto gli orrori manifesti dova ci parvo sicura la corroziono, annotando appiè di pagina la lozione della stampa, o abbiamo dovuta lasciare questa noi tosto, Uovo la corroziono sarebbe stata troppo incorto Avvertiamo puro che nella stampa Olandoso allo lin. 6-44 è promessa quest’ indicazione: « Lotterà del S. r Galilei de’ 16 Luglio 1635, d’Arcetri»; ma il millesimo l085 devo indubbiamonte correggersi, por tutto il contesto della lotterà, in 1687. Piacemi che il Sig. Carcavil continui noi proposito di ristampar tutte le mie opere; e quando io ne vegga un po’ di segno o di prin¬ cipio, non inanellerò d’inviare conseguentemente il resto de’ miei libri fatti latini, nella traduzione do’quali s’insisto continuamente. Soggiungo per tanto a V.S., che non si maravigli se non mando prontamente le due parti che vengono domandate da i SS. ri Com¬ missari et in particolare dal S. r llortensio, cioè le tavole de i moti medii delle Medicee et i cristalli per un telescopio per faro lo osser¬ vazioni: l’una e l’altra dello quali due opere ricerca che io possa valermi di quel poco che mi resta di vista, per potere da una far- io ragine di migliara di osservazioni ritirare le radici do i movimenti di esse Medicee a’ tempi più propinqui, con songare (sic) insieme il modo tenuto da me per calcolare tutti gli aspetti di quelle, conse- quenti di giorno in giorno; il che ho ridotto a far sì esattissima¬ mente, senza quasi calefazioni alcune, con uno instrumento conte¬ nente con esatta precisione le grandezze de i cerchi descritti dallo quattro stelle circonioviali. Il fabricarne poi le efemeridi riesce ope¬ ratone facilissima et speditissima, con mezzo de i soli moti medii et della prostaferesi di Giovo, come a suo tempo si dirà. Quanto al telescopio, essendo in meglior stato, non mancherò di 20 farlo tabricare e di mandarlo ; ma voglio che sia esquisito, perchè non Loft. 3521. 6. promtamente — 8-9. oeeervacinni : l'uria e Vallerà — 10. valermi de quel — II. mi crvn- eioni — U-12. de i monumenti di rete — 15. calculacioni — 15-16. «oiUendenf* — 19. a ruo lampo — 16 - 17 LUGLIO 1637. 137 [3521-3522] vorrei che nò il S. r Ortensio nè altri mettesse dubbio sopra le mie affer- mationi : cioè che 1* instrumento che io ho adoperato, e simile al quale io ne manderò il compagno, et ha tale perfezzione che mostra il corpo di Giove terminatissimo et rotondissimo, e di grandezza (quando Giove è perigeo) non minore della terza o al più quarta parte del disco lunare con Pocchio libero; mostra le Medicee più distintamente che P occhio libero non vede le fisse della seconda grandezza, et una delle quattro, che è alquanto maggiore delle tre, si vedo non men so bella della Spiga ; in oltre, si continua la loro veduta in tal chiarezza de’ crepuscoli che le stelle fìsse non compariscano anchora. Col me¬ desimo telescopio seguitando Giove et ogni altro pianeta, et anco le fisse della prima e seconda grandezza, si scorgono distintamente tutto il giorno, e sia il sole quanto si voglia alto. Questo medesimo instrumento mostra Venere, nel suo primo apparire vespertino e sino quasi alla sua massima digressione, tutta rotonda; comincia poi, uel- P avvicinarsi et abbassarsi sotto il sole, a farsi come mezza, et quindi, seguendo, a farsi falcata, fino che si conduce alla sottilissima falce, quale si vede nella luna nel suo primo apparire: et è la grandezza di •io tal falce Venerea, veduta con telescopio, poco inferiore a quella della luna veduta con P occhio libero. Continua parimente Venere a ve¬ dersi tutto il giorno, sin che sta sopra P orizonte, et alcuni di buona vista la trovano anco di mezzo giorno, che è vista mirabile per la sua delicatissimamente desegnata figura, et si trova Venere a tutte boro. 3522 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcotri. Lione, 17 luglio 1G37. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 323. — Autografa. Molto III. 0 Sig. r mio o P.ne Oss. mo Tongho cho prima che bora V. S. molto 111. 0 baveri! havuto nuova della morte dePIll. m0 o Ecc." 10 Sig. 8 Consig.® di Feirese d’Aix, che seguì alli 24 del passato 11 ’. 28. libero noti volt le finse della seconda grandessa — 30. se continua — 31. compariscano ehora — 32. altra pianeta — 83. secando — 31. il giorno, o sia — 35. aparire — 30-37. rotonda; comminata poi nel'avicinar ci — 38. seguendo a farli falcata — alla scctilissima falce — 89—10. de tal falce Venerea reduta — 42-48. di bona vista — 48. mento gioino — <‘> Cfr. u.° 3515. XVII. 18 188 17 LUGLIO 1637. [3522-3523] È stato pianto generalmente da tutta la Francia per lo virtù, dottrina e buono qualità di questo Signore; e a V. S. doverà, toccharlo al quoro, perchè questo Signore partioularmonte lo affectionava o di lei faceva grandissimo stato. Non o’ è altro rimedio che d’andarsi conformando alla voluntà di N. S. Dio, con pre¬ garlo d’havorlo ricevuto a gloria, come si tiene per sicuro. E facendoli con questo roverontia, li pregherò da N. S. ogni voro belio. Di Lione, questo di 17 di Lug.° 1G37. 30 Di V. S. molto 111." Sor.” o Par. 10 Dev [...] r Galileo Galilei. Itub. 10 Galilei. Fuori: [Al] molto 111.* Sig. mio Oss. ra ' , Il S. r Galileo Galilei, matt. p.° di S. A. S. Firenze, in Arcetri. 3523 . VINCENZO REN1ERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 17 loglio 1G87. Blbl. Naa. Fir. Maa. Gal., P. I, T. XI. car. 305. — Autografa. Molto Ill. r0 ot Ecc. m0 mio S. or o P.ron Osa.® 0 Finalmente morcordì mattina fu ciotto por ambasciatore il Sig. r Gio. Battista Centurione (1 ’ in Olanda; ma io non son però ancor risoluto di seguitarlo, stante l’infermità, di mia madre, cho non mi lascia scostare fino a tanto ch’io non sia sicuro di sua salute. Tutta via non manchi d’inviarmi la lottorn ch’ella m’ac¬ cennò di voler mandarmi, perchè in ogni evento ch’io mi risolvessi d’andare, l’habbia pronta. Mi consorvi tra tanto in gratia sua, mentre por line aflbttuosis- simamonte lo bacio lo mani. Di Genova, adì 17 di Luglio 1637. Di V. S. molto II.™ otEcc.®* io [3524] 18 LUGLIO 1637. 139 8524 ** BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. • Roma, 18 luglio 1637. Blbl. Nae. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 85. — Autografa. Molto 111.” ed Ecc. mo Sig. ra e P.ron Col." 10 Io non ho riceuta lettera nessuna del Sig. r Peri, ma due di V. S. molto 111.” od Ecc. mR Nell’ultima mi ricerca il vetro da cannocchiale : intorno alla quale materia dico, che è la verità cho i mesi passati hebbi corti vetri, quali orano molto buoni e penso cho siano di eguale e forai maggiore perfezzione di quello dal testimonio falso; ma gli ha presi tutti l’Em. m0 Sig. r Card. 1 Antonio' 1 ’. Dopo di questi ne venno uno pagato trenta scudi, il quale riceroa il cannone longo novo volte e mezo quanto è la linea qui in margine della lettera w , con un con¬ cavo assai acuto, elio a me non pare proporzionato al convesso, poiché rappre- ìo senta l’ogetto assai confusotto; fa però grandissimo l’ogotto, a segno tale che credo ingrandisca più di 44 il diametro dell’ogetto; o ieri sera osservai Saturno grande quasi quanto la luna vista con 1’ occhio naturalmente, se bene no feci comparazione in absenzia della luna, così con la mento mia: dico che il diametro maggioro di Saturno, visto con questo occhiale, fu giudicato da me poco meno che il diametro della luna vista con l’occhio libero, e penso che con applicarci un concavo proporzionato più dolze, farà stupendamente. Plora quello cho ha pagato questo vetro, mi ha dotto cho non n’è molto sodisfatto. Io procurarò di li avere liconza di mandarlo a V. S. ; lei lo vedrà, lo provarà o farà provare, e poi mi or- dinarà quello devo fare. Se io mi trovassi danari, non ci farei conti nessuno, ma lo 20 comprarei senz’altro, e lo pagarei ancora più. Però starò attendendo i suoi ordini. Nel resto non posso fare di mono di non dirgli liberamente, e mi perdoni, cho sento grandissimo gusto di quelle cose che ella sento travaglio, cioè di quello che si fa in Fiandra, in Olanda, etc. Bacio le mani al S. r Peri; a V. S. fo riverenza. Con l’altra mia' 3 ’ scrissi quanto m’occorreva intorno al negozio di Vinczia. Roma, il 18 di Luglio 1637. Di V. S. molto 111.” ed Ecc. ma Dovotis. 0 o Oblig. mo Sor.” e Dia. 10 S. r Gai. 0 Gal. 1 Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.” ed Ecc. ,u0 Sig. ro e P.ron Col. mo co II Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Ser. ma <0 Antonio Babbkrini. **) La linea non è sognata nella lottor». <*> Cfr. il.® 3513. Firenze. 140 18 — 20 LUGLIO 1637. [3525-862G] 3525 **. FRANCESCO HINUCCINI a GALILEO in Arcetri. Venezia, 18 luglio 1037. Bibl. Est. in Modena. Rnocoltn Cnmpori. Autografi, B.» LXXXVII, d.« 00. — Autografa. Molto III. 0 ot E. ,no Sig. r mio Oss.° Ho servito V. S. del recapito della lettera, giuntami alligata con la sua Im¬ manissima do gl’undici; ma perchè l’amico ,l) si ritrova tuttavia in villa, non no ho liavuta ancora la risposta. So no la manderà, gli ghignerà, con questa alligata. E sigillando questa con un affettuoso ricordo dell’osservanza che lo porto, gli bacio affettuosamente lo mani. Veneti a} 18 Luglio 1G37. Di V. S. molto 111.® ot Ecc. m * Dov. mo ot Obbl. 0 So. ro Sig. r Galileo Galilei. Arcetri. Fran.” Iiinuccini. 3528 . LODOVICO INCONTRI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 20 luglio 1037. Blbl. Nus. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 307. — Autografa la sottoscrizione. Molt’111.™ Sig. r mio Oss. mo Il Ser. rao Principe mio Signorehavondo sentito il bisogno dello stomaco di V. S., o premendoli quanto a lei medesima elio si conservi sana, ha volsuto ch’io gli mandi duo saggi di vino, uno di Monto Pulciano e l’altro di Chianti, d’uve scelte, che di presonte bevo S. A. V. S. potrà provare l’uno e l’altro, ot avvi¬ sarmi quale se li conferisce più, acciò gliene possa mandare, assicurandola elio non haverà porsona più devota in servirla di me. Gli rimando il polizzino do’ due fiaschi di vino, acciò in tempo più opportuno so no possa valore con il capitano ; ot a V. S. faccio roverenza. Di Firenze, a’ 20 Luglio 1637. io Di V. S. molt’ 111.™ Aff. mo et Dov. mo Se.™ Lodovico Incontri. Fuori : Al molt’ 111.™ Sig. T mio P.ron Oss. 1 " 0 Il S. r Gali.® Galilei. In villa. l " IfuUiBNZIO MtOANSilO. < s > Luurotuu i>k‘ Mkdiui [3527 ) 21 luglio 1637. HI 3527 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Àrcetri], Lione, 21 luglio 1687. 4 Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal.. P. I. T. XI, car. 309. — Autografa. Molto 111.® Sig. r mio Oss. rao 11 S. u Elia Diodati, mio Signore o padrone, mi ha caldamente raccomandato li alligati dua pieghetti, come ho fatto io a Firenze alli mia fratelli 10 . I)i più esso S. r Diodati mi ha partecipato come li SS. Stati d’Olanda liaveva abracciato con molto gusto la sua invensione dello longitudine, e che per segnio del gra¬ dimento li andavano aprontando una collana d’oro, quale presto sperava ricevere per mandargline, oltra la riconpenza che so li andava preparando doppo la prova fattone. 11 che havendolo sentito, ne ho particepato un gusto incredibile, e non ho possuto di mono di non congratularmeme seco con questi quatro versi, come farò in ogni sua felicità. E facendoli con questo reverentia, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, questo dì 21 di Lug.° 1637. Scordavo dirli che il S. Diodati scrive che mi mandorla la collana subito ricevuto, o io gli ne manderò per sicura occasione. E li faccio reverentia di quore. Di V. S. molto 111.® Lett. 3527. 4. abacciato — 1>» Giovanni o Girolamo Gami.kj. 24 LUGLIO 1637. L»528j 142 3628 **. FRANCESCO VAN WEERT a GALILEO [in Arcetri], Padova, 24 luglio 1637. Blbl. Naz. Fir. Msb. Gal., P. IV, T. V, car. 80. — Autografa. Molt’Hl." et Eccell. -0 Sig. re mio P.ron Osa.® 0 La fame clolle profondissimo dottrine che V. S. Eccell."* tanto eccollentamente possedè nelle mathematiche et filosofiche scienze ò passato tunt’oltra, cho ha po¬ tuto anco introdur nell’ animo di quelli che non la conoscono altrimento un ardentissimo desiderio di servirla; ondo non ò da maravigliarsi, cho essendo io nel numero di quelli, e con ciò bramosissimo di avanzarmi nello scienze mathe¬ matiche, che ancora io con maggior ardore et più vivo affetto ho ricercato molto tempo occaggiono a dedicarlo la servitù mia, conio al presente la prego rivo- rontemonte di accettarla con quella allegressa cho ho havuto io di ha ver trovato strada apporta per no far riverentemente l’offerta a V. S. per raezo della con- io giunta lettera (l) , mandata o consignatami d’un segnalato padron mio por farla sicuramente capitar in mano di V. S.; della quale me sarà caro di intenderò come all’aveniro io lo potrei speditamente et scemamente inviar lo lettere, so tuo no capiterassero per questo fino. Prego Dio cho l’effetto del contenuto della presenta sia la caparra del premio di. d. M 25000, da’ Potenti Sig. ri Stati Generali delle Provincie Uniti promesso a colui o coloro cho potranno dar regole por poter di ogni luogo osservar la lon¬ gitudine con la medema sicurtà cho si osserva la latitudine. Tengo aviso che i fondamenti posti da V. S. Ecc.®* in questo proposito sono stati giudicati, da por- sono non ignorante in questa materia, sodissimi por fahricarne sopra una tanta 20 opera, la quale sondo incominciato da lei con profonda maturità di scienza, re¬ golato con un’ infallibile esperienza, dà occaggione de ne aspettar anco una ter- minatione tale che (oltra il dotto premio), corno al presento il suo giuditio le rendo a tutto il mondo riguardovoli, così cotal operatione terrà il suo nomo immortale no’ secoli futuri. Et per fino la baccio riveroutomonto lo mani. Pad.\ dì 24 Luglio 1637. Di Y. S. molto 111." et Ecc.®° Divottiss.® 0 Servitoro Fran. 00 de Weort, Ingegnerò Hollandcso, al presento condotto al servigio della Sor.™ Rep. c * di Vonotia : so di casa sta in contrado S. k Pietro, in fac¬ cia dell’ hostaria del Cavallo, a Padua. “> Cfr. n.° 8531. <*> Cfr. n.o 3506, liu. 18-18. Ì3529-3530J 25 LUGLIO 1G37. 143 3529 **. GIOVANNI REIJUSK a [GALILEO in Arcetri]. [Venezia, luglio 1637]. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. IV, T. V, car. 31. — Autografa la firma. Il S. r Do Wccrt, mio amicissimo, desideroso do hauer corrispondonso con V. S. molto 111. r “, mi ha pregato con questo occasione (1) do inviarlo la presento 12 '. Et homo virtuoso ot dosidcrioso d’apprenderò. Mi scuse V abbaldansa. Dio li guardi. Gio. Reijusk. 3530 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Fironzo. lionin, 25 luglio [1G37]. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 87. — Autografa. Molto 111/ 0 ed Ecc. mo Sig. ro o P.r'on Col. mo Per l’ordinario passato scrissi a V. S. molto 111/ 0 quanto mi occorreva in¬ torno al votro' 3 ’; bora aggiongo cho tengo parola elio mi sarà, dato nello mani, o lo ni andari) por l’ordinario cho viene, acciò V. S. lo veda o lo provi. So li piacerà, bastarà, cho noi paghiamo li trenta scudi ; caso cho non sia di sodisfa- zione, mo lo rimandare sicuro, ed io procurarò servirla in altro modo. Ilo ricouta la lettera del nostro caro Sig/ Pori, al quale non rispondo perchè non ho tempo : risponderò quanto prima. In tanto rassicuri che li vivo sorvitore di tutto cuore. io Lavoro intorno al matone (4) , ma la mia debolezza e la difficoltà della ma¬ teria m’hanno ridotto più presto in confusione che altro. Se io potessi esser ap¬ presso V. S., sperarci di fare qualche cosa col suo aiuto, o, per dir meglio, la stuzzicarci tanto che ella mi lovarebbe d’impaccio. La verità è che ci è di bollo ; ma non è carne per i miei donti. Quanto al negozio di Venezia (5) , sappia V. S. cho è facenda notissima al¬ l’amico suo (0> , ed è informatissimo del tutto. Con tutto ciò li mando questo poco di scritto, o mi creda cho tanto basta. Io stimo assai che il Padre s’ adopri solo Lett. 3530. 11-12. potessi casi appresso — <» Cfr. n.*> 3581. <*> Cfr. n.° 3528. < s > Cfr. n.° 3524. <»> Cfr. il.® 3509. «“) Cfr. n o 8518. («) FuLtìKNZIO M.10ANZI0. 144 25 — 28 LUGLIO 1637. I3530-3532J in faro l’officio elio desidero, sonza entrar© più innanzi, essendo materia perico¬ losissima o golosissima o da trattarsi con delicatezza. K li fu riverenza, baciando lo mani al Sig. r Pori. 20 Roma, il 25 di Luglio. Di Y. S. molto 111." ed Ecc.“* Humil.® 0 0 Devoti». 0 Sor.” 0 Dis. l# S. r Gal. 0 Don Benod. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111." od Ecc. mo Sig" 0 P.ron CoL“° Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo dol Ser. mo Gr. D. di Toscana. Firenze. 3531 **. GIOVANNI REIJUSK a GALILEO [in Arcotrì]. Venezia, 25 luglio 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal.. P. I, T. XI, car. 312. — Autografa la firma. Molto Ill. r0 Sig. r Por avanti non ho havuto occasiono do scriverlo. Questo servirà per accom- .paingiarelo incloso lcttro, inviatomi dal mio cugino Laurcns Roaol d’Amsterdam con racoinandationo caldissima do farlelo capitaro sicuro. Li piogi sono stati così strazziati alla Sanità. Occorondo a V. S. rosponder al’ amico, potrà indriz- zaro lo sue lettore qui a me, et consignarli al’amico dello quale gli sarà data la prosontc, cliò sicura mo perveranno. Con che, potendolo servirò, me comandi. Dio vi guardi. Vono. n , adii 25 Luglio 1037. Di Y. S. molto 111." Aff. m0 Ser. r io S. r Galliloo Galiloi. Gio. Roijusk. 3532 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 28 luglio 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 80. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. mo Sig." o P.ron Col. mo Io sentii con estremo dolore la nuova elio mi diede, della pordita di un occhio e dubbio dell’altro ; onde essendomi seco una volta condoluto con lettora, U1 Cfr. n.° 3506; u.° 8507, lin. 9-11. 28 LUGLIO 1G37. 145 [ 3532 ] stavo con ansietà aspettando nuova elio il male havosse proso qualche buona piega, o elio si fosso ristorata, sì come sto ancora. Io dimandavo quella 5 ta parto dol Cursus Mathomaticus di Pietro Horrigono* 1 ’, del quale mi donò li primi 4 tomi, e ciò perché stampando il mio Direttorio, restò in bianco la dimostratione di un problema do’ triangoli sferici, o, por dir meglio, di un modo di sciogliere un tal problema publicato dal Nopcro, inveli¬ lo toro do’ logaritmi, senza dimostratione: o perchè pensavo che in quello potesse essere talo dimostratione, con occasione eh’ io aggiungo al libretto dolio Diret- tioiii (t> un compendio delle regolo de’triangoli con lo loro dimostrationi, non vo¬ levo di nuovo lasciarla in bianco; ma la mia buona sorte ha portato che, doppo haverci pensato più o più volto nello spatio di 4 anni e più, io l’babbi ritro¬ vato 20 o 25 giorni sono. Questo ò, elio noi triangolo sferico obliquangolo, i cui lati insicmo presi siano minori dol quadrante, la tangente della semibase alla tangente della somisomma do’ lati ò come il seno del compimento del semiag¬ gregato delli angoli aggiaccici alla base, al seno dol compimento della seini- difìorenza di ossi; o la tangente pure della somibase alia tangente della soini- 20 differenza do’ lati ò conio il sono del somiaggregato desistessi angoli alla base, al sono della loro semidifferenza: il che serve, dati li duo angoli alla base conia baso del triangolo sferico, por trovare ambedue i lati in compagnia ; dal quale si lia poi anco il modo di trovare, dati li duo lati con l’angolo compreso, am¬ bedue gli angoli alla baso in compagnia. Tuttavia quando ella havesso il detto 5° tomo, mi saria, anco per altro, caro potorio darò un’occhiata, che poi lo ri¬ mandarci. Scrivo questa specularono non per occuparla loi, ma perchè ini persuado che vi sia il Sig. r Dino, alla vivacità del cui ingegno non può riuscirò di ag¬ gravio alcuna speculationo. Di nuovo la prego a darmi nuova del suo stato, et so io intanto, pregandole da Iddio sanità perfetta e contentezza di animo, finisco baciandole affettuosamente le mani e salutando caramente il Sig. r Dino. Di Bologna, alli 28 Luglio 1637. Di V. S. molto 111. 10 et Ecc. n,a Dev. mo et 0b. mo Sor.” F. Bon. ru Cavalieri. Fuori : Al molto Ill . r0 et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. mo [... Sig]. r Gal . 00 Gal. oi Fiorenza. Lett. 3532. 22. de triangola — 0) Cfr. II. 0 3498. /ere vuhjarem additionem reducuntur, OCC. Authore <*) Directorium generale uranometrìcum, in quo Fr. Bona VKNTmt a Cavai.kuio ecc. Bononiao, typifi trigonomctriae logaritkmicue fundamenta uè reyulae Nicolai Tobaldini, M.DC.XXXVII. de mone tran tur, aetronomicaeque aiipj)utatioii>:e ud aulam XVIL 19 146 1° AGOSTO 1037. [8538-8534] 3533 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Fironzo. Roma, 1® agosto 1087. Albi. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 314. — Autografa. Molto Ill. ro Sig." o P.ron Col.® 0 Non mando il vetro 111 promosso a Y. S. molto 111." od Ecc.®° perchè sporo mandarlo sicuro, chè non vorrei elio mi andasse male; ma lo mandarò quanto prima. Lo coso di Venezia per mio interesso, con l’aiuto di Dio, pare elio comin¬ cino a prenderò buona piega ; e por faro dal canto nostro il possibile, desidero olio V. S. molto 111. 10 scriva una lotterà con ogni premura al suo amico o li raccomandi di vivo cuore l’interesso elio li sarà rappresentato dal Rov. mo Padre Don Girolamo Spinelli intorno alla Badia di Draglia. Il dotto Dadro Don Giro¬ lamo è il nostro caro Cocco Ronchetti ,3 \ Si tratta ancora di suo interesse gravis¬ simo: però scriva la lettera, o la mandi a nizza volante al medesimo Padre io Spinelli, con la soprascritta: Al Rev."'° P.rr Cól. mo II P.re Don Girolamo Spi¬ nelli, Abbate del Lio, Venezia, a S. Niccolò del Lio; e poi lasci faro al medesimo Padre, chè spero in Dio clic saremo consolati. Io ho fra lo mani di molte brigho, però non posso scrivere del nostro ma- tono: ho però di già posto insieme qualcho cosetta, o sporo dargli gusto. In tanto mi ami al solito, chè io riverisco V. S. molto 111." ed Ecc. ma Roma, il p.° d’Agosto 1G37. I)i V. S. molto III." od Ecc. ,Da Devotiss. 0 o Oblig. mo Sor.” o Dis. 1 ® S. r G. G. Don Benod. 0 Castelli. Fuori : Al molto 111." ed Ecc." 10 Sig." o P.ron Col.® 0 20 Il Sig. Galileo Galilei, primo Filosofo del Sor." 10 G. D. Fironzo. 3534 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 1° agosto 1637. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.® 13S. — Autografa la sottoscrlziono. Molto 111. et Eccoli.® 0 Sig. r , Sig. r Col.® 0 Nel partirmi per andar in villa, lasciai buon ordine che venendo lotterò di V. S. molto III.” et Ecc. raa mi fossero con diligenza mandato, et che se entro <*> Cfr. n.° 8624. • s > Cfr n.» 8830. ‘ J > Cfr. Voi. II, pag. 271-272. 1° AGOSTO 1637. 147 [3584-3535] vi fossero fogli fossero consegnati ili diligenza al Sig. r Giusti 11 ’, conio fu essequito delli ultimi mandati da V. S., compimento della sua opera; o perciò di questo non si pigli alcun travaglio. Questa settimana il Sig. r Residente Rinuzzini 12 ’ mi lia mandato lo duo sue lotterò d’i 18 e d’i 24 del passato. Vado crescendo nella speranza datami dal- l’Eccell. n, ° Sig. r Dino elio V. S., come instantissimamente ne prego il Signore io et intensissimamente desidoro, recuperi lo suo forze, et anco si sollevi dal man¬ camento dell’occhio. In questo infirmiti! ogni miglioramento, per picciolo che sii, è argomento di convalescenza. Ben ò vero che conviene che li medicamenti siano molto pochi, e elio si lasci la cura alla natura; la quale elio cosa sia et come operi, non credo che ancora vi sia stato liuoino che habbia inteso più di lei : così potesse, o por lo sue forzo o por il cessaro dell’altrui malignità., far questo beneficio al commune, di communicarli intieramente quello che in¬ tende et sa. Da questi altri fogli, elio lo mando, vedrà, V. S. che l’opera camma inaliti di buon passo. Nessuna cosa mi può arrechar maggior consolatione cho d’inten¬ do dorè il suo miglioramento. E con tal fine, con ogni affotto le bacio le mani o prego sanità, o felicità. Ven. a , p.° Agosto 1637. Di V. S. molto 111. et Eccoli. ma Dov. m ° Ser. S. r Galileo. F. Fulgontio. 85 35 **. FRANCESCO RINUCCIN1 a GALILEO [in ArcetriJ. Venezia, 1° agosto 1637. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» IYXXXVII. n.° 31. — Autografa. Molto IH. 0 et Ecc. mo Sig. r e P.ron mio Oss. ,1,u Mi ritrovo due sue gentilissime, una de’ 18, l’altra do’ 25 del caduto, giun¬ tomi nell’istesso tempo con due altro per il P. M. F. (3) , del quale vedrà inclusa la risposta (AÌ , credo non solo dello 2 ultime da me recapitategli, ma della an¬ tecedente ancora. Mi duole noi più vivo dell’animo sentirò elio non vadia risorgendo dalla sua indispostone, altrettanto quanto godo di vedermi dalla sua gentilezza con- <*' Giusto Wifkki,dioh. <*' Francesco Rinugoini. < 3 » Padre Maestro Fulgenzio Mioanzio. (*) Cfr. ii.° 3531. 148 1° - 7 AGOSTO 1637. [ 3635 - 3536 ] limiate con tanta benignità il favoro della sua gratin, (lolla quale io cotanto mi pregio. K qui, a V. S. di nuovo ricordando l’osservanza elio lo porto, gli bacio con ogni maggiore affetto lo mani. Vonotia, 1 Agosto 1637. Di V. S. molto 111. 0 ot Ecc. ma S. r Galileo Galilei. I)ov. mo ot Obbl. 0 So. r ° Frali. 00 Rinuccini. 358G**. FORTUNIO LI CETI a GALILEO in Firenze. Bologna, 7 agosto 1637. Bini. Nftz. Fir. Mss. Gal., 1*. 1, T. XI, cnr. 316. — Autografa. Molt’ Ill. ro ot Ecc.“° S. or , S. or mio P.ron Col. m0 Por ottenere quanto io desidero da questi SS/' Assunti di Studio, mi fa di bisogno la protettiono et il particolar favore del S. or Ercole Buonlìglioli, Caval- liero di S. l ° Stefano, elio sondo Decano di tale Magistrato, quando egli convenga con li altri SS/ suoi collega, li quali mi sono molto favorevoli, facilmente Laverò ogni mio intonto. Però vengo a supplicare V. S. con ogni spirito, vogli restar servita d’impetrarmi un efficacissima lettera scritta in mia raccoman- dationo a questo Signoro (li ordino di S. A. S., clic mostri premura oh’io liab- bia intera sodisfattiono di quanto dimando ot ch’io sia allo occorrenze sompro di vivo cuore protetto da questo Senatoro, il qualo ò di grande autorità in «pie- io sto Reggimento. Se bene io so elio il mezo di V. S. sola ò baatanto ad otte¬ nermi questo favoro, ne ho però scritto anche al S. r Antonio do Modici et al nostro S. 0T Ronconi (1) , sapendo elio muUijplicatis intcrccssoribus gratiae facilius elargiuntur. Dovcrà lei perdonarmi s'io lo do questo fastidio, ot ascriverne la colpa alla sua molta cortesia et alla sua grande autorità elio tiene in cotesta Sor. ,,m Corte, poiché quella mi dà l’ardire di chiederlo questa gratia, ot questa mi dà certa speranza di ottenerla; che sì come un tal favoro sarà a me di molto giovamento, così sono por tenerne a V. S. particolarmente un ohligo infinito. Spero d’inviarle in breve li esemplari di duoi miei Gigli (,) , a cui non man- 20 cano altro cho duo fogli dello dedicatorie. Fra questo mentre, aspettando con Giovanni Ronconi. Foiitumii Liobti IAlium mimi», siva De anima Fortumi Lickti TÀlivm maini, rive De natura ad corpus physiae non propensa, dialogai, OCC. Utini, assistente, ilialogus, occ. Utini, typis Nicolni Schiratti, typis Nicolai Schirntti, MDCXXXYJI. MDCXXX VII. 7 — 8 AGOSTO 1037. 149 [3536-3537] desiderio il frutto dolla sua gentilezza, lo resterò piegando dal Ciolo gli anni di Nestore in sanità. Boi.*, 7 Agosto 1037. Di V. S. raolt* 111. 0 et Ecc. n,a Divot. m0 et Oblig. ,ao Ser. rc Al S. or Galioi. Fior.* Fortunio Liceti. 3537*. FULGENZIO M IO ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 8 agosto 1037. Bibl. E3t. in Modena. Raccolta Gainpori. Autografi, B.» LXXX, n.° 10-1. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. et Eccoli. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Col." 10 Ilavrà V. S. molto 111.” et Eccoli. ma ricevuto un mio piego con quattro fogli della sua opera, mandato hoggi otto per recapito all’111. 1 " 0 Sig. r Residente lli- nuzzi (1) (sic). Per questa posta di liiei-i non liabbiamo liavuto cosa alcuna dalli Sig. ri Elziviri: ma il mio mezano qui mi dice clic il Sig. r Lodovico ò passato in Danzica per nogotio, elio perciò non si ritarda la stampa ; e quanto alla de¬ dicatoria mandata da V. S. per la via di Parigi, cPo quella strada ò molto fallace, o spesso si sraariscono i dispazzi. Dello stato presente di V. S. non sto contento, perchè vorrei intendere la io sanità, et almeno la convalescenza. La fobreta, che mi scrivo esserli sopragionta, non sarebbe stimabile, so non fosso por l’età; ma havendo V. S. fatto qualche acquisto nello forze, come mi scrive il Sig. r Dino, vengo in sporanza di liaver presto nuova di maggior meglioramcnto, qualo li prego dal Signor Iddio et iustantissimamente desidero. Attenda a consolarsi con l’acquisto fatto della gloria, ot col possesso di quei gran doni di natura e d’ingegno de’ quali Iddio o la na¬ tura l’hanno dottata por farla la fenico del nostro secolo. E con tal fino a V. S. molto 111.” et Ecc. m;i bacio le mani. Von. a , 8 Agosto 1637. Di V. S. molto 111. et Eccoli. ma Dev. n>0 o Cord." 10 Sor. F. F. 20 l>) KkANCKSOO lìlKUCOINI. 150 8 — 9 AGOSTO 1537. [3538-3539] 3538 **. FRANCESCO ItlNUCCINI u GALILEO [in Àrcolri]. Venezia, 8 agosto 1637. Blbl. Eat. In Modena. Raccolta Oampori. Autografi, 11.» LXXXVII, n.° 22. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. Ecc. mo Sig. r o P.rono Osa. 00 È stata V. S. da me servita nel recapito dello sue lettore, come sarà sempre in tutto quello elio si degnerà comandarmi, non provando io maggior gusto elio vedere esercitata quella servitù clic gli professo devotissima. So dal 1’. M. F. ll> mi vorrà la risposta, gli giugnerà alligata con questa. Intanto, pregandole dal Cielo ogni pieno appagamento do’ desidorii o suoi o delli servitori di V. S., gli bacio reverentemonto le mani. Yonetia, 8 Agosto 1637. Di V. S. molto III. 0 et Ecc. ma Dov." 10 Sor. 0 S. Galileo Galilei. Fran. 00 Kinuccini. 3539 *. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 0 agosto 1637. Blbl. Palatina in Parma. Cod. IIH. IX. 60. 191, pag. 107-117. — Copia ili inano dello «tosso ’BrsKnuTTo Càbtklli. La presento ò una seconda stesura, con data divorsa e correzioni quasi ad ogni parola e notevoli aggiunto, dolla lotterà che pubblicammo sotto il n.® 3509; so uou elio, ineutro quolla del 27 giugno ò la missiva effettivamonto spedita, quosta, in data ilei 9 agosto, rapprosonta 1’ olaboraziouo, por cui quosta scrittura, insieme con un’altra lotterà sullo stesso argomento (cfr. n.« 3541), fini col formare un brovo trattato in forma epistolare. Molto Ill. ro od Ecc.'"° Sig. r ° e P.ron Col. mo V. S. molto Hl. ro attendo a darmi nuova delle suo informità o travaglii, od io continovarò a dargli parte dello mie consolazioni. E prima li dico, cho an¬ corché non Labbia Lauto risoluzione del mio negozio (i) qua in Roma dalla beni¬ gnità do’ Padroni, e so bene dalle parti di Vinezia sono difficoltà grandissime, in ogni modo vivo il più contento kuomo del mondo, o spero con l’aiuto di Dio superare questi ponti, questi giardini incantati, questi antropofaghi o Lestrigoni, asini armati e simili altre bestie mostruose; o quando bone non no potessi ca¬ ni Padre Maestro Fuuìknzio Micanzio. <*) Cfr. n.® 3500. 9 AGOSTO 1G37. 151 [3539] varo construtto nessuno, io spero uscirò di quel bel loco con honor mio, in capo io a venticinque anni, o, quello clie più mi conforta, spero di rivedere V. S. e staro seco qualche giorno. Gli voglio ancora dar parto , di un altro gusto elio ho Lauto a’ dì passati per una strana maraviglia, la quale, se bene non mi giunse totalmente nuova, tuttavia non Laverei mai creduto elio fosso tanto stravagante. Devo dunque sa¬ pore V. S. cLe un giovano, elio vionc spesso a ritrovarmi, di spirito ed intelletto assai lucido, trattando meco del freddo e del caldo, dopo bavere celebrata o lui od io la dottrina di V. S. intorno allo nominato qualità, spiegata maravigliosa¬ mente nel Saggiatore, mi venno detto che so fosse preso un matone e tinto dalla medesima faccia mozzo nero con l’inchiostro o mozzo bianco con la calcina, ed 20 esposto con la faccia tinta a questi soli ardenti o lasciatovclo stare per mezza bora in circa, si sarebbe riscaldato sensibilmcnto più nella parte nera che nella bianca; ed essendo il sodetto giovano scolaro di un celeberrimo filosofo (1) , pron¬ tissimo in risolvere qualsivoglia problema ancorché difficilissimo, mi venne in pensiero di indurre il giovane a dimandare la ragiono di questo accidente al suo maestro, ma con proporgli la conclusione al roverscio, cioè con dimandargli la ragione perché si riscaldava più la parto bianca che la nera ; e lo assicurai clic la profonda filosofia dol suo maestro Laverebbe subito assegnata la causa vera, adequata e chiarissima di tale stravaganza. Ilora il giovane propose il quesito come havovo concertato, e subito li fu risposto: « Oh non sapete voi la ragione? so é facilissima ; ve la dirò io » ; e cominciò a entrare in un laberinto, del bianco o del nero, o di certo bollicine che si trovano nel bianco, e di mille cose sottili elio non lo saprei spiegare: basta, elio in sostanza si venne a rendere la ragione por la quale il bianco si riscaldava più del nero. Fatto questo, ed havendomi il giovano riferito il tutto, con gran risa e sue e mia, io andai subito a faro imbiancare la metà di una faccia di un matone con la calce, o l’altra metà fu da me tinta di nero con l’inchiostro, e poi esposto al sole e lasciatovelo staro tanto quanto si trattenne meco quel giovane in compagnia di un altro, pure sco¬ laro dol medesimo filosofo ; e dopo mettendo noi le palmo delle mani, una sopra il nero e l’altra sopra il bianco, toccassimo con mano che la parto nera poco 40 meno che scottava, e l’altra era quasi fresca: della qual cosa quei giovani re¬ starono stupefatti ; ed io confesso, che se bone tenevo per indubitato che il nero si sarebbe riscaldato più che il bianco, in ogni modo mai mi sarei creduto che la differenza fosse tanto grande a un pezzo; o sono sicuro che se V. S. non ha fatta l’esperienza, quando la farà li parerà cosa strana. Dopo dissi al medosimo giovano: Horsù, Sig. r Carlo (clic così si chiama, ed ò di casa Appiani), biso¬ gna faro la seconda parte del ballo ; bisogna cho V. S. ritrovi di nuovo il suo Ol Gio. Agostino (Jontalonikui. 152 9 AGOSTO 1637. [8589] maestro, o li dica elio liavendo proposto ancora a mo il quesito « Por elio cagiono la metà del mutuilo tinta di bianco si riscaldava più al lume del solo elio la nera », io gli liavovo risposto elio la faconda cambiava al rovorscio, cioò elio si riscaldava più la parto nera elio la bianca, o elio subito andai a tingerò il ma- so tono o l’esposi al solo, o dopo una mezz’hora o poco più o poco meno gli bavovo propriamente fatto toccaro con mano elio la parto nera ora molto più calda elio la bianca; o soggionsi al medesimo giovano cko dimandasse al suo maestro la ragiono ancora di questa conclusione, promettendogli per parte del filosofo elio gli sarebbe stata assegnata. Il giovano non vodova l’hora di faro la soconda prova, ma non potè cosi presto; finalmente, passati alcuni giorni, corso la se¬ conda lancia. Hora qui ci fu che laro assai a ridurre il filosofo, prima, a pre¬ stare fedo od assonso all’esperienza, negandola egli francamente, o poi mettendola in dubbio, o poi cautelandola con quattro cautelo, avvertendo elio lo esperienze dovevano ossero fatto con gran circonspozziono. La prima cautela fu, elio biso- co gnava farla in tutto lo sorti di bianco ; la soconda, in tutto lo sorti di nero ; la terza, elio ora necessario faro l’esperienza in tutto lo materie ; o quello che im¬ portava molto per assicurarsi liono (od ora la quarta cautela), il tutto si doveva faro alla prosonza di uno elio fosso doll’opiniono contraria: od assegnò la ra¬ giono in lingua latina porchò si ricercava questa ultima cautela; « Impcrochè » disso « incredìbile est qxiantum quis sibi ipsi api nudai ». Ma il Sig. r Carlo, che pur troppo chiaro teneva il fatto, si portò tanto valorosamente, ebo il filosofo si ridusse a mettere mano allo più alto o sottili specolazioni della più recondita e profonda filosofia. Ma prima di passaro più avanti, vengo tirato, conio per digressione, a considoraro alcuno cose in questo caso. 70 La prima dello quali ò, elio paro elio l’intelletto od il corvello di questo filosofo si ritrovi molto più pronto o facilo a prestaro l’assenso allo conclusioni falso che allo voro; poi, mostra parimente clic più facilmente si riduce a filosofare intorno al falso che intorno al voro. Imporò che, essendogli stata proposta prima la conclusione, elio si riscalda al lume del solo più la parto bianca dol matono elio la parto nera, cosa falsissima, subito non solo fu da lui ammessa por vera senza difficoltà, ma proteso di più saporno assognaro la ragione, o l’assognò ds facto : in oltre, quello elio li fu proposto la soconda volta, od ò verissimo, fu cho preso il matono o, con il bianco di calco da imbiancare lo mura, imbian¬ cata la motà di una sua faccia, o l’altra metà tinta di nero con l’inchiostro da 80 scriverò, e poi osposto il matono con la faccia tinta al solo, in brovo tempo di un hora in circa la parto nera si riscaldò assai più cho la bianca, o qui il filo¬ sofo stetto renitente ad ammetterò la conclusione vera por vora. Di più (ed è il terzo punto cho considoro), non potendo egli negare l’espe¬ rienza pur troppo manifesta, trapassò a cautelarla con lo quattro cautolo, cioò cho si debba faro in tutto le sorti di bianco, in tutto lo sorti di nero, in tutto 9 AGOSTO 1637. |.3539| 153 le materie, e finalmente alla presenza di uno elio sia dell’ opiniono contraria. Intorno allo quali cautele, in generalo dello prime tre dico elio mi pare che vanghino introdotte affatto fuori del caso nostro. Imperò elio non è stato pro¬ no posto da nessuno elio in tutti i bianchi, in tutti i neri, o in tutto le materie, il negozio camini nel medosinio modo; ma la proposta è stata fatta solamente di un matono di creta, di quelli elio s’adoprano da matonare lo stanze, tinto d’inchiostro in una metà di una sua faccia, e l’altra metà della medesima sua faccia imbiancata col bianco con il quale s’imbiancano lo muraglie, nel qual caso riscaldandosi al lume del sole più la parto nera che la bianca, si dimanda la ragione di tale effetto, o non si cerca nò si tratta di quello cho intravenga in tutti i bianchi, in tutti i neri, e in tutto lo materie : o però le sodette cau¬ tele vengono, con buona paco del filosofo, introdotto fuori di ogni proposito. In oltre, a quelli cho sanno moltiplicare un numero por un altro, potrebbero por ioo avontura tali cautelo parere impresa troppo laboriosa. Imperò clic, so si trovas¬ sero, ver. gr., trenta sorti di nero e trenta sorti di bianco (cho forsi so ne ri- trovaranno molto più), il numero dell’esperienze arrivarebbo vicino al milliaro, sì che bisognarebbe tingerò quasi mille rnatoni; c quello che mi riesce più spa¬ ventoso ò cho lo diversità delle materie forsi trapassaranno lo milliara do’ mil- lioni, ed in conseguenza il numero dello sperienzo giungerebbe a un numoro incompronsibilo, o vado dubitando cho l’esperimentatoro, tanto cautelato o cir- conspotto come ricerca il nostro filosofo, si spavontarebbo : od io por me, so fossi ridotto a tal termine, lasciarci senza invidia così largo campo di filosofare e faro esperienze al filosofo medesimo. Qui, so io ho da diro il vero di un mio pen¬ ilo siero, mi vado imaginando, che ritrovandosi questo galanthuorao avviluppato e confuso, nò potendo sfuggire nè scusarsi, habbia poi preso partito di confon¬ dere od avviluppare ancora il conpagno in un mare di cose, aceiochè così ve¬ nisse a restare offuscato quel concetto che egli meritava cho si facesse della sua filosofia. Quanto poi a quell*ultima cautela, di faro l’osporionza alla presenza di uno cho fosso deH’opiniono contraria, dico cho veramente sarebbe facilo il farla, o quando non si trovassero altri si potrebbe fare alla presenza di questo gran filo¬ sofo ; e so bene se li potrebbe giustamente opporre quella medesima eccozziono cho egli oppone a noi, cioè cho sibi applaudendo fosse por tenero salda la sua 120 opinione che il bianco si riscaldi più del nero, in ogni modo mi rimetterei sempro alla sua sentonza, stimandolo per huomo ingenuo o di buona conscienza, ed es¬ sendo l’esperienza tanto manifesta cho non si può nogare in modo nessuno. Mi sarebbe però piacciuto più che la cautela fosso stata proposta del pari per una parte c per l’altra, cioè che si facesse alla presenza di una persona indifforonto, non intendendo bene la ragione per la quale egli pretenda di ceserò più degno di fede dell’avversario. XVII. 20 154 0 AGOSTO 1637. flora, por ritornare al Ilio dell’historia nostra, elio Torsi con troppo lunga digressione ho quasi smarrito, il filosofo, conio ho dotto, ::\ ridusse finalmente a mettere mano a’ ferri, cioè allo più alte e sottili specolazioni della più recon¬ dita o profonda filosofia, ed assegnò la ragione di questa altra conclusione, cioò 180 por qual cagiono si riscalda più la parte nera clic la bianca, lo confosso la mia insufficienza nell’intenderla bone o spiegarla, ina in sostanza mi paro che la ra¬ gione fosso assegnata molto buona o concludente, o fu questa: essoro più calda la parte nera del unitone elio la bianca, perchè nella parte nera si ritrova più caldo elio nolla bianca; cosa elio veramente mi quietò assai assai, restando ma¬ ravigliato di così sottilo modo di filosofare. Questo ò quanto sin bora è occorso con il sodetto filosofo. Ma dopo, abor¬ rendo io d’ontraro in quello gran pelago di quelle innumorabili od a mo asso- lutamente impossibili esperienze, mi sono contentato di abbracciarne quattro altre solamente, oltro alla sopramontovata, dallo (piali forse so no potrò, cavare uo qualche probabilità di certo mio ponsioro intorno a questa materia. Duo di quosto sono giù state fatto da me, o farò lo altre con la prima occasiono che io habbia un poco di ozio e quiote. La prima di questo quattro è, che io ho esposto il medesimo mntono, tinto come sopra, al fuoco, o dopo, havondovolo lasciato staro por un poco di tempo con la faccia tinta verso il fuoco, lo levai ; o mettendo una palma della mano sul bianco o l’altra sopra il nero, con qualche difficoltò, ritrovai elio era un poco poco più calda la parto nora cho la bianca; ed haveiulo imparato a cautelarmi per non ingannare me stesso mihi applaudendo , chiamai uno di casa desinte- rcssato, e di più fattolo chiudere gli occhi o stendere le palmo dello mani gli irò applicai il inatone, sì cho una palma della mano toccava il bianco o l’altra il nero; ed interrogandolo da qual parte sentiva più caldo, ci fu bisogno di grande applicazione d’animo per fare il giudicò), ma finalmente giudicò cho era un poco più calda la parte nera che la bianca. Qui io non vorrei che mi fosso imputato da qualche scropoloso l’ossormi io servito di un testimonio che tonova gli occhi chiusi. La seconda esperienza, fatta da me, per dirla forsi troppo alla grossa o semplicemente e senza molte cautelo, fu cho io esposi al sole il rovcrscio della faccia tinta del matone, e dopo un paio d’horo in circa havendo il caldo pe¬ netrata la crassi/.io del matone, ritrovai aasolutamonto, ossersi riscaldato tanto ico il nero quanto il bianco, se però mihi apjdaudcndo non mi sono ingannato o nell’una o nell’altra esperienza: perchè la verità è, cho avanti cho io facessi lo sodotte due esperienze, di giù m’ero imaginato cho la cosa dovesse riuscire conio in fatti mi paro che riuscisse. Duo altro esperienze mi restano da faro, o poi prometto a V. S. di man¬ dargli certo mio pensiero intorno a quosto proposito, sottomettendolo allo suo 0 — 12 AGOSTO 1637. 155 [3530-36401 corrozzioni, da mo stimato più che gli applausi di altri. Bacio lo mani al Sig.'Peri, cd a V. S. molto 111." od Ecc. ma fo rivoronza. Di Roma, il 0 d’Agosto 1637. 170 Di V. S. molto III.™ od Ecc. m: * Dovotis. 0 od Ohlig. mo Sor. V0 c Dis.'° Don Benedetto Castelli. 3540 ** ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcetrl Lione, 12 agoBto ltì:J7. Bibl. KTnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 41. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio P.ne Col." 0 Solevo sempre ricevere consolatione alla ricevuta dello sua lettere, ma in questa d’adesso, dactata de’ 17 del passato, di S. S. a è seguito il contrario, e so la mi ha portato disgusto Dio lo sa, in havermi dato conto particolare della sua gravo indispositione. Sì por affetto, sì per obliglio, le conpatisco più elio so lussino nella mia propia persona, riverendo lei al pari della propia vita. Altro non li posso dire por ogni consolatione, che la pacientia è virtù che viene a capo d’ogni cosa, e che insieme si degni di moderaro il suo dispiacerò per non darò conscquentia al malo, che potria maggiormente alla sua saluto pregiudi- 10 caro : al cho Dio non piaccia, anzi sporo quanto prima sentire il raeglioramento dello suo tante indispositione o bavero nuova del suo meglio stato. Oltra li pieghi cho S. S.° mi accenna bavero ricevuto, spero cho di poi altri gli ne saranno capitati, mandati sotto coperta del’111." 0 S. r Cav. ro Gondi (1) , o massime uno per il quale il gentilissimo S. ro Diodati li dava conto conio dalli SS. ri Stati d’Olanda era stato ricevuto con applauso generalo Y invensione dello sua longitudine, e che finitone le prove ne poteva speravo honorata riconpenza di questa sua nobilissima fatica; intanto andavano preparando una catena d’oro in segnio di gratitudine, che, passandomi fra le mano, gli no farò sicuramente havore. 20 Gusto ancora cho le altro sua fatiche e sbadii si andassino stanpando; o oltra li soi fogli ricevuti ne liaverà ricevuto altri : o come la puole credoro, il S. r Diodati non lascerà Y inpresa, essendo troppo affectionato allo sua cose, e Phonora e riverisce conforme alli sua ineriti, come faceva il povero S. r de Pereice buona memoria, cho da tutti li virtuosi del regnio viene pianto, chè tutti hanno <" Uio. Battista Goniu. 15(5 12 - 15 AGOSTO 1637. ( 3540-3541] fatto gravo perdita, o tanto più, por quanto intendo, liaveva coso nobilissime fra lo mano por mottore sotto stampa, o adesso Dio sa conio ('andrà. K facon- doli con questo revorentia, con affetto li pregherò dal sommo Dio il colmo d’ogni sua prosperità o felicità. Di Lione, quosto dì 12 (V Agosto 1(537. Di V. S. molto 111.® Sor.™ AfT." 10 o Par. 1 ® I)ov. rao co S. r Galileo Galilei. Kub. 10 Galilei. fuori: [Al] molto 111. 0 mio S. ro o P.ne Col.™ 0 Il !S.° Galiloo Galilei, Matt. 00 primo di S. A. S. Firenzo, in Arcetri. 351 1 * BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri). Roma, 15 agosto 1037. Bibl. Palatina In Parma. Coll. H1I. IX. 00 IDI, pag. 118-148. — Copia di mano dolio stosso Hknij- kktto Uiutrcli: cfr. l’informaziono promossa ni n.® 3539. Un’altra copia, di mano del hoc. XVII, si ha noi Mss. Gal. dolla Cibi. Nazionalo di Firenzo, Discepoli, T. I. car. 149r.-lG5f., la qualo porta il titolo: « Mattonata dol Rov.»° P. Abato l). Gonodotto Castelli, Monnco Cassinense »; o la lotlora tu pubblicata (con la data erronea dol « 16 (l’Agosto 1638 ») a png. 67-79 doli’opora: Alcuni opu¬ scoli filosofici dol Pndro Abbate D. Bkskdktto Castxi.u occ., In Bologna, por Giacomo Monti, IC69. Cosi il codico dolla Collezione Galileiana corno la stampa Bolognoso offrono, a confronto doli’ auto¬ grafo Parmense, numcrossimo difforonxo più che altro formali, o audio alcnne aggiunto sostanziali (montro, per il contrario, mancano di alcun tratto elio si leggo noi codico di Panna); differenze o aggiunto elio possono forso, in parto, rnpprescntaro correzioni introdotto postcriormouto dall’autore, ma elio, in parto almeno, sono dovuto ad arbitri! altrui, come, por quol cho risguarda l'odiziono Bo- lognoso, lo stampatore stesso aport&uieuto dichiara nolla prefazione « a' lettori ». Abbiamo osouiplato la nostra odiziouo sul codice Parmonso; e dello aggiunto importanti dolPnltro codico o della stampa abbiamo tenuto conto appiè di pagina, trascrivendolo «lai codico Galileiano tebo chiamiamo G), quando uou ontuo (lolla sola stampa. Molto DI." od Ecc. mo Sig. ro o P.ron Col. m ° Vengo calonniato eli havore trattato eoa poco buon tormino quel filosofo (lo! qualo scrissi a V. S. molto I1L" ed Eco.® 4 a’ giorni passati od in particolare quando 1 introduco a renderò la ragiono della conclusione vora, cioè cho la parto nora dol matono si riscaldava più elio la parto bianca, la qualo dissi cho fu porchò nella parte nera si ritrovava più caldo cho nolla bianca. Qui in dillosa mia bastarebbo clic io dicossi ebo il fatto ini fu rappresentato in quol modo, cioò ebo tale ora stata la risposta di quel filosofo. Contuttociò sporo cho V. S., od il iìlosofo stesso o qualsivoglia altro che vedrà quanto ho scritto in questa matoria, <" Cfr il il.' 3609, 3639. 15 AGOSTO 1(337. 157 [ 3541 ] io conoscerà chiaramente elio non solo non ho dotto cosa di vilipendio e di¬ sprezzo suo, ma l’ho lodato noi miglioro modo che ho saputo o potuto; anzi dico resolutamentc elio non credo che si potesse cominciare a filosofalo intorno a quel quesito con più sodezza o chiarezza: od io confesso che dovendo bora rappresentare a V. S. quanto mi ò sovvenuto intorno a tale materia, non posso faro altro che cambiare por le pedate medesime di quel filosofo ; hor veda quanto sono lontano dai biasimarlo e vilipenderlo, mentre lo reputo degno d’esscro imitato. È vero elio io, per certo mio costumo, non mi quieto in quella brevità rigorosa filosofica, che ò solita risòlverò i quesiti, ancorché difficilissimi, con duo o tro parole solamente; ma in sostanza intendo di cambiare o battere 20 la medesima strada a capello, adit&tami o mostratami da quel filosofo : o tutto farò, narrando a V. S. quello che m’occorso pochi giorni sono con un figliuolino'*' del Sig. r Marchese Martinonghi, di tonerà età sì, ma di spirito o d’ingegno viva¬ cissimo o curiosissimo. Essendo questo fanciullotto venuto allo mio stanze per goderò di una festa e procesciono, elio si faceva con grandissimo concorso di popolo avanti alla mia habitazione, o vedendo egli il matone tinto messo nero e mezzo bianco, quale si abbattè essere posto sopra quella stessa finestra di dove si doveva vedere lo spettacolo della processiono, con gran curiosità interrogò il suo aio e maestro, elio si trovava presente, che cosa era quella o cho cosa significava. 11 maestro so si voltò verso di me, ed io narrai al marchosino il fatto, cioè cho so havesimo lasciato al solo quel matone per qualche spazio di tempo, si sarchio riscaldata più una parte cho l’altra, o soggionsi: — Indovinate, Sig. r Marchese, quale si riscalda più, la nera ovoro la bianca. Ed egli, dopo essere stato un poco sopra di sè, accennò con la mano alla parto nera, o disse: — Questa. Io restai maravigliato, perchè m'oro abbattuto a faro simile interrogazione a molti o molti, o la maggioro parto persone provetto o di buono giudicio, o in ogni modo quasi tutte erano state di parere cho la parto bianca si sarebbe 40 riscaldata più cho la nera. Ma quel fanciullo, bora voltando gli occhi verso me, bora verso il suo maestro, mostrava curiosità grande di saperne la ragione: della quale curiosità io presi grandissimo gusto; o così, posto al sole quel ma- tono, lo lasciassimo stare per un terzo d’hora e poco più, o poi glie lo feci toccare con lo palmo delle mani; e sentendo egli cho la cosa calumava bene o conforme al suo pensiero, so ne compiacque assai. Ma non per questo si quietava, anzi interrogando il suo maestro no ricercò con instanza la ragione; e quello, rivolto a me, disse che dovessi dargli qualche sodisfaziono. Io ridendo risposi : «e Francesco Amarro figlio di Gbbardo Martinknuo Colleoni, marchese di Pianezzo. 158 15 AGOSTO 1037. [3541] — Eh il Sig. r Marchese la sa benissimo; c elio sia il voro, co la (lin\ ©squi¬ sita™ ento so noi randuromo interrogando. E cominciai : co — Ditemi un poco, Sig. r Marchese: dovo sentile voi più caldo, stando al solo ovoro stando all’ombra ? Ed egli sorridendo disse: — Stando al solo. Ed io: — Paro a me elio il nero si rassomiglii più all’ombra che alla luco : elio no dite, Sig. r Marchese? Risposo : — Ed a mo ancora. — Adunque, soggionsi, dovorobbo il bianco essere più caldo del nero, contro co quello clic il fatto dimostra, o dichiara l’esperienza. Qui restò tutto sospeso, o non rispose altro, ma, quasi chiedendo aiuto, vol¬ tava gli occhi verso il suo maestro. Ed io seguitai interrogandolo: — Da qual parto viene più lume itili occhi di V. S., dalla parto nera o dalla bianca? Ed egli: — Dalla parto bianca. Ed io: — Desidero sapore un’altra cosa, però mi risponda : So noi sparassimo ven¬ ticinque pistolettate con palio infuocate nella parto nera, o venticinque nella ?o parto bianca, o di quello sbarrate nella nera no ritornassero indietro venti, ma di quello cho fossero sbarrate nolla parte bianca ne ritornassero indietro sola¬ mente cinque, in qual parto sarebboro restato più palio infuocato, nella nera ovoro nolla bianca? pensatoci bone. Ed egli, senza molto pensarci, francamente rispose; — Nella bianca. Ed io: — Dove si sentirebbe più caldo? — Nolla bianca, disse. Mi piacquo fuori di modo la prontezza o vivacità, di spirito, o soggionsi: so Ma la verità ò, Sig. r Marchese, cho Y. i3. mi ha detto poco fa, che spar¬ gendosi egualmente il lume del solo sopra il nero e sopra il bianco, ritorna in¬ dietro alli occhi nostri più lume dal bianco cho dal noro: non ò così? — Padre sì, risposo. E di più V. S. ha confessato che il lume del sole ò caldo: non ò egli voro? — È verissimo, disse. 15 AGOSTO 1687. 159 [3541] — Adunque, soggionsi io, non è da fare maraviglia nessuna, clic essendo vero che nella parte nera sono restate maggiori moltitudini di palline caldo che 90 nella parte bianca, quando noi ci applichiamo lo mani si sonta maggioro caldo nella parte nera clic nella parto bianca. Ed ecco che il Sig. r Marchese ha sa¬ puto rispondere esquisitamente. Allliora quel fanciullo mostrò un’allegrezza grande di bavere saputo così bone risolvere il quesito: ed io sospirai dal profondo dol cuore, considerando che da una Casa tanto illustro (lolla mia patria, anzi illustrissima, come è Casa Martinonga, elio si può dire madre d’horoi, continovavano a uscire spiriti ed ingegni egregi o lucidissimi, od in ogni modo, con essere poco applicati alle virtù, a’ studii nobili ed allo operazioni honorato, no seguivano tanti disordini; e deplorai da me stesso la miseria della patria mia, vedendo nello stalle do’ grandi ìoo educare poliedri e cavalli con grossissimo speso ed acuratissime diligenze, ed all* incontro nelle case nobilissime con grandissima trascuragine allevarsi i figliuoli : dal che poi no seguo che si vedono continovamente scemare quello ricche mi¬ niere di ferro nelle viscere dolio nostro montagne, per adoperarlo a spargere il sangue do’ proprii cittadini; ed a me tocca a piangerò amaramente la morte violenta di tre miei fratelli carnali. Questo non dico già nella educazione del sopradetto fanciullo, poiché é stato dato in governo ad un sacerdote honora- tissimo o conosciuto da ino di lunga mano per persona di bontà insigne ; e spero in Dio elio si andarà continovando a mantenergli appresso huomini di garbo e valore, acciò possa riuscire pari a’ suoi antenati ed avi, lumi splendentissimi no non solo della città honorata di Brescia, ma di tutta l’Italia. Da tutto questo progresso desidero che V. S. faccia la conseguenza, che io non ho scritto nell’altra mia con derisione la soluzione di quel filosofo, anzi vengo a sottoscrivonni alla sua sentenza o parere; e cosi pretendo di havorlo honorato, come farò sempre. Nò protendo di guadagnarmi per questo appresso di lui grazia nessuna, perché so che tale é l’obbligo mio, al quale se non so- disfacossi, sarei degno di biasimo: come a punto accaderebbo, se io por disgrazia mi ritrovassi privo del naso, sarei ben mostrato a dito o biasimato da tutti ; ma per bavero il naso non ho mai ritrovato pur uno elio mi Labbia lodato di talo prerogativa. E tanto basti in mia difiesa. 120 Ma ritornando al proposito nostro, io considero clic quando vieno rappre¬ sentata all’intelletto nostro qualche insolita conclusione nolla natura, subito si eccita in noi la maraviglia, cd indi nasce la curiosità di saperne la ragione, nè mai la mente nostra si quieta sino che con il discorso elio ella va facondo, per altro cd altro conclusioni antecedenti note, o elio conio noto non hanno del maraviglioso, si conduco finalmente a cascare con necessario conseguenze in Lett. 3541. 110. Uopo biasimo il coli. G aggiungo: ma sodisfacendo non nc merito nc lode n2 gratta nessuna. Aggiunta simile l a puro lo stampa Bolognoso. — 100 15 AGOSTO 1037. ( 3541 ] quella elio prima ci ora stata rappresoli tata con maraviglia; od allhora non solo cessa affatto la maraviglia nostra, elio la cosa stia in quel modo, ma ci sa¬ rebbe molto più maraviglioso se la cambiasse d’altra maniera, diversa da quella che ci ha scoporto il nostro discorso. Di questo elio io dico lmbbiamo tanti Gssempli chiarissimi quanto sono le peregrine conclusioni dimostrate in geome- 130 tria particolarmente, e ne addurrò una o due, non giù per V. S., elio so elio intendo benissimo questo mio pensiero, ma per altri in mano de’ quali forai potesse pervenire questa mia scrittura. Gran maraviglia sento uno principiante udii studii di geometria, sentendo pronunziare la conclusione elio i triangoli posti sopra la medesima base e fra lo stesse paralelle sono sempre fra loro eguali, overo quando sento elio nel triangolo rettangolo il quadrato del lato opposto all’angolo rotto ò eguale ai quadrati dei lati elio contengono l’angolo rotto ; ma quando poi, mediante il progresso demostrativo, si conclude ciò essoro verissimo, non solo cessa la maraviglia nostra, ma ci sarebbe molto più mara- viglioso so la verità fosse in contrario, cioè che i triangoli posti sopra la ho stessa baso o fra lo medesime paralello fossero ineguali : o così sarebbe a noi, dopo la dimostrazione, maraviglia grandissima, so il quadrato del lato opposto all’angolo rotto, nel triangolo rettangolo, fosse maggiore o minoro dei quadrati doi lati cho contengono l’angolo rotto. IC in tal modo allhora pare cho l’intel¬ letto nostro si quieti, quando giongo, por dir così, ad evacuare allatto quella maraviglia che prima ci haveva ingombrata la fantasia. E tutto questo ci suc¬ cede felicemente nel progresso dol nostro discorso: cominciando da una cosa che non ci è maravigliosa, anzi 1 * liabbiamo por notissima e chiarissima, trapassiamo ad un’altra cho parimente, essendo vera o conosciuta por vora, non ha del ma¬ raviglioso; o da questa ad un'altra ed un’altra, puro ammesse sonza stupore; i&o o con questo o con altro, bisognando, finalmente caschiamo nella nostra con¬ clusione, la quale conosciuta cessa affatto in noi la maraviglia. flora, applicando tutto questo al proposito nostro, dico cho si doverossirao contentare di quanto si è dotto di sopra per bocca di quel fanciullo. Impero- chò, ordinando tutto il discorso prima col metodo risolutivo o poi compositivo, diremo che: Tinta elio sarà la metà di una faccia di un unitone di nero o l’altra metà di bianco, ed esposto al lume del solo por un’ bora in circa, la metà tinta di nero si sentirà più calda elio quella tinta di bianco: perchè? Perchè nella parto nera saranno più calidi cho nella parte bianca (cho fu a punto la risposta del nostro filosofo). Ma porcliò sono più calidi nella parto ico nera che nella bianca i Perchè il lume del solo è caldo, o più lume di solo resta nella parto nera che nolla bianca. Perchè resta più lumo di solo nella parto nera elio nolla bianca? Perchè è manifesto cho dal bianco si ridotto più lumo cho dal nero. E cosi havondo risoluta la nostra conclusione ignota in questa manifesta, di novo ordinaremo il metodo compositivo, cominciando da 15 AGOSTO 1637. 161 [ 3541 ] questo principio noto, in simile forma: Essendo dunque verissimo e chiarissimo che il lume del solo si spargo egualmente sopra la faccia del matone, tanto nella parto nera quanto nella parte bianca, ed essendo vero che maggiore copia di lume o splendore si riflette dal bianco che dal nero, adunque necessariamente ito resta, per dir così, sepolta maggiore quantità di lume nella parte nera elio nella bianca; o perchè i lumi sono calali, adunque nella parte nera sono restati più calidi che nella bianca, o però si sente più calda la parte nera che la bianca; adunque, tinta elio sarà, la metà di una faccia di un matone di nero o l’altra metà di bianco, ed esposto al sole por un’bora in circa, ne seguirà elio la parto nera si riscaldali più clic la bianca: che era quello clic si doveva di¬ mostrare e che prima ci muoveva la maraviglia, la quale resta totalmente eva¬ cuata; e però non habbiamo occasiono di corcare d’avantaggio intorno a questo particolare, essendo la sodotta nostra dimostrazione stata dedotta da proposi¬ zioni o principii notissimi. iso Ma se altri desiderasse tuttavia ancora di più saporo le ragioni di questi altri quesiti, cioò perchè il lume produca il caldo, o perchè il bianco rifletta o ribatta più lume elio il noro, qui prima io direi che queste due proposizioni sono stato passato communemente e senza difficoltà per vere, nè mai da nessuno è stata ricercata la cagiono di tali effetti, anzi tutti concordemcnto lo hanno riconto per vere o note. Impcrochè, interrogato chi si sia so il lume dol solo riscalda, subito e senza difficoltà risponderà affirmativamente ; parimente, inter¬ rogato da qual parte vicno più lume alli occhi nostri, dal nero ovoro dal bianco, risolutamente risponderà elio viene più lume dal bianco che dal noro. E quando pure curiosamente fosse ricercata più a dentro ancora la ragiono di questo, cioè l'JO perché il bianco habbia questa proprietà di riflettere più il lume clic il nero, o perchè il lume habbia questa condiziono di riscaldare, risponderei di bavere gran¬ dissimo dubio di entrare in una impresa difficilissima, e elio forsi ci potrebbe riuscirò impossibile uscirne felicemente: e voglio dichiarare in che cosa consista principalmente la mia difficoltà, con essempli geometrici. Io reputo assolutamente impossibile dimostrare una proprietà o passione di un soggetto dol quale prima non sia stabilita e supposta la sua diffinizionc. E chi vorrà o potrà mai dimostrare proprietà nessuna dell’ isoscclo, dell’ ortogonio, dcirambligonio o dell’oxigonio, se prima non liavcrà fermato in che cosa consista l’essere isoscele, ortogonio, otc. ? E così dico, che volendo al presente dimostrare 200 proprietà dol caldo, del lume, del nero e del bianco, sarà necessario stabilire prima lo loro dilfinizioni, e sapere in che cosa consista la natura del caldo, la natura del lume, del nero o del bianco ; coso tutto difficilissimo da investigare, 188. Dopo dal nero il coti. 0 aggiungo: E per tanto pnseiamo dire che. la noetra nopr ridetta dimostrazione è stata dedotta da conclusioni vere r. note, e in quella ci dobbiamo quietare. Aggiunta si ni il e Ini puro la stampa Bolognose. — XVII. 21 102 15 AGOSTO 1037. [ 3541 ] o reputato alla mia debolezza assolutamente inscrutabili. E qui liberamente mi confesso di queste cose ignorantissimo, e più volentieri pagarci il maestro elio essere riconosciuto dal discepolo. Di più osservo, elio quando mi fosse proposto un problema geometrico, il qualo fosse stato da qualche perito geometra risoluto, come, per essomplo, so uno mi proponesse, essere stato fatto un quadrato eguale a una parabola, o fossi interrogato del modo elio quello havesse tenuto per risòlverò il problema, io non potrei rispondere altro che : Non lo so. Questo so bene, ohe so havesso osservato 210 quello elio 0’ insegna Archimede, in qual si voglia dei due modi elio egli udopra, all’ bora si sarebbe ottenuto l’intento ; overamonto, se havesse tenuta la strada inventata da V. Sig. ria , haverobbo parimente risoluto il problema medesimo in- gegnosamonto ; overo, so havesso imitato il nostro mirabile Fra Bonaventura Cavalieri, haverobbo ancora ridotta a perfezzione quella operazione; e tutto potrei stabilire goometricamolito e demostrativamento : ma perché i modi di risolvere quello e gli altri quesiti sono moltissimi e forsi infiniti, io verroi a restaro per¬ plesso 0 dubioso, quale di quelli fosso stato eletto por la risoluzione. K noi me¬ desimo modo, havendo noi il nostro quesito per lo mani, corno il lume riscalda 0 corno noi noro sia restata sepolta, per così diro, maggioro moltitudine di lumi 220 o di calidi elio nel bianco, mi paro che non possiamo rispondere altro (se vo¬ gliamo rispondere bene) elio un sincerissimo : Nescio. Forsi potremo arrivare a qualche cognizione, con supporre, prima, qualche notizia dello nature o condizioni necessario dello nominate coso, caldo, lume, nero, 0 bianco, 0 poi andarsi avvan- zando con il discorso a poco a poco al ricercato quesito. Ma prima di faro questo, stimo bene clic noi ci ritiriamo alla osservazione e contoniplaziono elio io dissi di bavero fatta nella mia passata lettera 10 a V. S. Dissi dunque, elio havendo io esposta la faccia tinta del unitone al fuoco nostro ordinario di legna, dopo havercelo lasciato staro poco più d’un quarto d’hora, ' ritrovai elio il caldo si ora impresso quasi egualmente nolla parto nora corno 23u nolla bianca, cioè con pochissimo vantaggio di caloro nolla parto nora, tal monto elio la differenza era quasi insensibile. E di più dissi di bavero osservato, elio esponendo al lume dol solo il rovcrscio della faccia tinta dol matono, dopo bavere il caldo penetrata la crascizio dol matono, tanto si era riscaldata la parto bianca quanto la nera. E finalmente io ho osservato, elio riscaldando al caloro del fuoco senza lume la medesima faccia tinta, si veniva a riscaldare egualmente la parto nora 0 la bianca. I quali effetti mi paiono degni d’essoro molto bene considerati, vedendosi una segnalatissima differenza tra il caloro del fuoco somja lume, ed il caloro elio procedo dal lume senza il fuoco, ed il caloro elio procede parte dal luoco 0 parto dal lume. Imperò elio noi vediamo elio il caloro elio prò- 240 <“ Cfr. 11.0 353'.), liti. 144-160. 15 AGOSTO 1G37. 1G3 [35411 cede diil lume solo, riscalda notabilissimamonto più il nero elio il bianco (caetcris paribus) ; o por il contrario, il calore del fuoco solo senza lume riscalda egual¬ mente il bianco ed il nero; ma il calore clic depende dal fuoco con il lume del fuoco riscalda con qualche poco di vantaggio più il nero elio il bianco. Dalla diligente ossorvaziono di queste coso, o per molti altri riscontri nella natura, liabbiamo una gran differenza neH’operaro di questi caldi, a’ quali por dargli qualche nomo, chiamaremo calidi luminosi somplieemento quelli elio vengono prodotti dal lume solamente, a differenza di quelli che vengono prodotti dal fuoco solamente senza il lume, quali chiamaremo calidi fuocosi, o calidi misti 200 chiamaremo quelli che dependono parte dal lume o parto dal fuoco. In oltre metto in considerazione un’altra grandissima differenza tra la luce od il calore: la quale ò, che la velociti! della luco ò d’infinito intervallo supe¬ riore alla velocità del fuoco, come che quella arriva al sommo grado di velocità, o forsi si fa in instanti, o questa si fa in tempo; quella risiede nell’ultima divisione o partizione, o questa risiede assolutamente nei corpi di quantità an¬ cora divisibile in minor molo. La lucei, se si ridurremo a contemplare la sua finezza, ritrovaremo che non è possibile che possa mai, con un suo minimo, urtare in corpi nò in particelle corporee elio siiuo minori di lei; ma bene il caloro del fuoco può incontrare minuzie di corpi molto minori delle parti che 2Go fanno il caloro del fuoco. E per tanto da queste e da altro condizioni, elio si osservano in questo cose, inclino grandemente a pensare che la luce, sottilissima, velocissima, penetrantissima, operi, si sparga o si diffonda per spazii o tratti immensi con «squisitissimi modi; e di più direi elio non possa mai intraveniro elio una dello minuzie della luco urti in due, tre o più delli altri corpuscoli, ancorché minutissimi, della natura; e parimente penso elio non sarà mai pos¬ sibile ritrovare intervalli, por minimi che o’ siano, per i quali non entri la luco, conio quella che è assai più minuta di essi. Hora, so noi supporremo per vere tutto questo cose (intorno alle quali ve¬ ramente non nego che siano grandissimo o forsi inesplicabili difficoltà), mi pare 270 elio segua che data una di questo nostro superfìcie sensibili di questi nostri corpi sensibili, la quale fosso un aggregato di altri minutissimi filamenti, eretti per gran parte di loro alla volta dolla luce, sarebbe necessario, prima, elio la luco entrasse per quelli spazii, ancorché angustissimi; o ferendo nei lati o bande di quelli filamenti eretti, o dovendo riflettere con le regole inviolabili dolla ri¬ flessione, cioè ad angoli eguali a quelli dello incidenze, no seguirebbe che pochis¬ sime e forsi talvolta nessuna potesse ritornare indietro verso quelle parti dalle quali viene quella luco : o in tal modo la luce vorrebbe a rimanere corno sepolta, per dir così, in quella superficie sensibile, quale poi ci si rappresentarobbe affi ocelli nostri con pochissimo lume, e in tal modo verrebbe a renderei quell’ap- 2so parenza che noi chiamiamo negrezza. 164 15 AGOSTO 1687. 13541] Di questo che io dico no habbianio un esemplo veramente assai rozzo o grosso, il (pialo però ci può sollevar» non poco all’apprensione delle sottigliezze cosi brevemente accennato. L’essemplo è tale: se sarà presa una quantità di Beta tinta di nero, o di quella sarà tessuta una pezza «li raso overo di ermesino, od un’altra di velluto, non è dubio che esposte al medesimo lume tanto il velluto quanto l’erinosino, ci apparirà assai piò «scuro il velluto che rannerino ed il raso; anzi se il raso o l’ermesino mode imo arà sparsamente trinciato con taglii, come sogliono usare i sarti nei vestiti, o poi «frangiati o sfrappati i medesimi taglii, senza dubio tali trinciature appariranno negri?* imo, ed assai più oscure che il campo rimanente del drappo: o tutto «juosto non per altro, se non perchè fido noi velluto o nelle trinciature habbiarao quei filamenti della seta eretti alla volta dol lume, il quale, entrando tra filo e filo e percuotendo nelle faccio o bando dei medesimi fili, e dovendo riflettere ad angoli eguali a quelli dello in¬ cidenze, viene necessitato a riflettere verso le parti interne del drappo; o cosi poco no risalta e ribatte alla volta delti occhi nostri, e ci apparisco oscuro e nero. Quanto si è detto, sia detto così alla grossa, per apprendere lo più alte e sottili maniere di lavorare della natura. K forsi non sarebbe inutile a questa con¬ templazione, so noi, per approe imam più al vero, intendessimo che la cosa, quanto spetta alla negrezza di questo inchiostro con il quale sono scritti questi caratteri, fosse fatta di filamenti tanto minori, in proporzione di quelli de’ quali 300 ò composta la superficie del velluto, quanto i filamenti del velluto sono minori dello grossissime colonne del Panteon ; e se Unto non bastasse, si potrebbero intendere minori in centuplicata e millecuplicata proporziono, e più e più se più bisognasse. Io dubito che darò nel rhlicnlo con questo Unto sottili sotti¬ gliezze. Forsi non sarò ridicolo a quelli die hanno fatto il gusto a molto mag¬ giori minuzie e sottigliezze, corno sono quelle che adopra la natura per farci ima linoa incommensurabile di lunghezza ad un’altra, e più quello minuzie quando la medesima natura co la rondo inoommensurabilo ancora di potenza, e final- rnonto quello altre, incomprensibilmente minori di questo, lo quali sono beno maggiori (lei niente si, ma restano minori «li qualsivoglia cosa imaginabile da noi. 8io Ma tornando al proposito nostro, voglio, per maggioro dichiarazione di questo pousiero, esplicarmi ancora con un poco di disegno. Intombimi «Ine piani AH, CI), A A £ nelli quali caschi dalle parti B e D un raggio v s. solo EF, por minor confusione (cbè poi da questo solo s’ inton- b il nuvlronnio delle infinite moltitudini dell! altri), e caschi nel piano AB in F, il quale, dovendo rifletterò con angolo eguale a quello dell’ incid«Miza, rifletterà, ver. gr., in G 320 15 AGOSTO 1637. 165 [ 3541 ] nell’altro piano CI), o d’indi risaltar^ in II, poi in T, o di lì in L, etc.; di modo elio non ritrovarà strada di uscire, anzi li converrà restare sepolto fra gli detti duo piani. Hora, so noi a questo pensiero pronunziato da me forsi troppo te¬ merariamente e rozzamente, aggiongeremo quello che V. S. con esquisita, sottile ed altissima maniera discorro della natura del caldo nel suo Saggiatore (1) , mi paro elio Laveremo assai probabile ragione di dire elio i lumi, corno velocissimi in altissimo grado, possono ancora in assai veloci muovimenti o spezzamenti eccitare quello particollo elio compongono i sodetti piani, e per conseguenza produrre il calore; il quale calore assolutamente non intendo, come ben dico V. S., 330 elio si faccia con altro che col transito do’ corpi, sì che non intendo che il lume por sò stesso produca il caldo in altro modo. Dico dunque, elio con qualche congruenza o probabilità possiamo assegnare la diffinizione di quella qualità da noi comunemente chiamata negrezza, o dire che non sia altro elio una suporlicio a guisa di uno artificiosissimo sepolcro di lume, talmente disposta elio i lumi elio la feriscono habbino sempro i loro tratti, corsi o muovimenti verso lo parti interne dopo essa superficie, ed ivi rostino nel modo dichiarato sepolti : o per il contrario diremo, il bianco essere una suporlicio talmente disposta elio i lumi che la feriscono habbino da risaltare la maggior parto, se non tutti, verso lo parti esterne. E clic questo sia probabilmento detto, 3 lo pare che so n’Labbia assai buono riscontro dal vedere noi, che macinato elio siano in poivero finissima molto pietre colorato, subito si vestono di bianco; ed i coralli rossi, dopo essere stati macinati, si fanno bianchi, perdendo quasi al¬ latto il loro primiero coloro. llora, venendo più d’appresso alla soluzione del nostro quesito, direi, stanti lo sodettc cose, elio la parte nera del unitone si riscalda più clic la bianca al lume del sole, imperochè, agitandosi o ribattendo il lume dentro al nero, muovo in gran copia quelli corpuscoli elio compongono quella parte, e cosi eccitano il calore; cosa elio non possono così facilmente fare i lumi nel bianco, dal quale vengono ripercossi verso le parti esterno per lo ragioni già spiegate, e però non 850 commuovono in tanta copia lo particollo o corpuscoli componenti quella parte. E qui notisi, elio con lasciare per longo spazio di tempo ancora il bianco al lume del solo, final mento ancora esso bianco concepisco il calore, dovendosi muovere finalmente ancora lo suo parti o produrre il calore. Di qui possiamo ancora, nel secondo loco, risòlverò il dubio, por che causa, esposto al fuoco il bianco ed il nero, il riscaldamento si fa quasi eguale e nel nero e nel bianco, con quel poco o quasi insensibile vantaggio di calore nel nero. 839. Dopo esterne il cod. 0 aggiungo: che sarebbe, credo io, quando la fosse (jrancllusa o in altro modo accomodata per ribattere, come si è detto, i lumi verso le parti esterne. Aggiunta simile lift pure la stampa Uologneso. — 01 Cfr. Voi. VI, pag. 351. 15 AGOSTO 1637. 1G6 135il| E i a ragione si può diro dio sia, imperò die, quanto alla parte del calore die proviene dal fuoco, quel caldo fuoooso viene ad essere eguale nel nero o nel bianco, non essendo tanto sottilo il culaio fuocoso quanto il calalo luminoso, ed in conseguenza non potondo fare quei scherzi e giochi così Uniti o regolati corno 360 fa il calido luminoso: ma quanto al caldo luminoso, ci resta il vantaggio noi nero, nel quale quel poco di lume elio si spargo dal fuoco opera quello di più elio nel bianco; e così ne nasco quel calido misto, il quale poi nella parto nera ò un poco maggiore elio nella bianca. E di qui, noi torzo loco, si rende la ragione, perchè quando si espone il ro- vorscio della faccia tinta doi matono al lume del solo, in tal caso la parto nera o la bianca si riscaldano egualmente. 11 quale effetto diremo che seguo, perchè quella parto esposta al solo, essendo tutta della medesima tinta, conviene dio in quella sua prima pollo, tocca da’ raggi solari, si riscaldi egualmente, e quella, riscaldata, riscalda la seguente, non giil più con il caldo luminoso, essendo essa :jto totalmente immersa nello tenebro tra la prima pelle uei matono ed il rimanente del medesimo, ma viene a riscaldarla con quello calore che ha di già concepito; o così questa seconda riscalda la terza, o quella la seguente, o così di mano in mano, sin tanto che, essendo riscaldata tutta la crassizie del matono, si arriva a quella ultima superficie, tinta mezza nera o mezza bianca, la (piale necessariamente poi si deve riscaldare egualmente, per essere riscaldata senz’ il calido luminoso. E se noi ricorcaremo quello elio seguire doverebbe quando, essendo prima stato riscaldato un pavimento (o sia stato riscaldato dal solo overo dal fuoco), li ap¬ plicassimo il matono in modo che la parto tinta combaciasse il pavimento, dirci clic dallo coso detto di sopra si deduce elio il riscaldamento si farà eguale nella sso parte nera e nella bianca. Voglio di più avvertire, ebo liaveiulo io preso un cristallo di Vinezia pulito o trasparente, lo tinsi (l’inchiostro in una metà di una sua faccia, o l’altra metà lasciai nel suo essere di trasparenza, o l’esposi al solo, prima con la faccia tinta verso il sole, poi con l’altra faccia, ed in pochissimo tempo sempre ritrovai elio si riscaldava notnbilmonto più quella parte del cristallo che era tinta di nero, che la rimanente: i quali effetti hanno prontissima la cagiono con i nostri sopra spiegati principii. Imperò clic, quando si espono al sole la faccia tinta del cri¬ stallo, i raggi solari, che percuotono nell’inchiostro, non riflettendo, operano e cagionano il calore, come habbiamo dichiarato; ma quelli elio feriscono il rima- suo noiito del cristallo trasparente, ancorché non riflottino, tuttavia trapassano il cristallo senza trattenervisi dentro, e così non lo riscaldano. E parimente quando si rivolta al solo la faccia dello stesso cristallo elio non è tinta, i raggi del solo 377. Innanzi a E se noi rieercaremo il cod. Q a?uiiingo: Abbiamo ancora facilissima soluzione dell'altro dubbio, cioè per che cauta il mattona al caldo focoso senza lume ti vieti pure a ritcaldare egualmente nella parta nera e nella bianca ; et è perche non ci 2 quella dijfcrcnza che depende tolo dal caldo luminoso. — 15 AGOSTO 1G37. 1(17 [8541J in tal caso trapassano tutta la crassizie del cristallo; ma quelli die arrivano all’inchiostro, lavorano come prima, o riscaldata quella crosta d’inchiostro ri¬ scaldano poi ancora il cristallo ; la quale operazione non può essere essercitata da quei raggi che, ferendo nella rimanente porzione di cristallo trasparente, non vengono trattenuti ed agitati. Non devo tralasciare di notare (o sarà in loco del sesto problema), che non 400 solamente il nero ed il bianco mostrano questa diversità nel riscaldarsi al lume del sole, ma segue il medesimo, so bone non con tanta differenza, in tutti gli altri colori ; e tutto dependo dalla medesima ragione, dovendosi riscaldare meno quella parto che sarà colorata di coloro che rifletterà maggiore copia di lumo, o più quella elio rifletterà minore vividezza di splendore. Dallo coso dette di sopra, nel settimo loco, non sarà forsi difficile risòlverò altri quesiti che occorrono in questa materia del caldo: corno sarebbe, por dio cagiono sotto lo stesso clima si ritrovarà tal volta un paese che sarà più caldo ordinariamente di un altro ; potendosi dire, che ciò può nascere non solo dalla diversità delle materie, vedendo noi elio divorso materie si riscaldano molto di¬ ne versamento, ma ancora possiamo, con lo ragioni di sopra spiegate, dire clic ciò dopendo dalla varietà dello tinto delle medesimo materie, già elio si vedo elio di mano in mano elio i colori sono più oscuri, riflettono meno il lume, o però mag¬ gioro copia in loro ne resta, o però si eccita in loro maggiore velicmonza di calore. Questa ancora si potrà stimare potente cagiono, o almeno concagione, di rendere habitabilo o temperata in molto suo parti la zona torrida, stimata inha- bitabilo dalli antichi nostri, la qualo in fatti si ritrova da’ moderni assai com- modamente habitata. Parimente non devo essere maraviglioso elio la medesima sorte di herbe o pianto o frutti nascliino di diversi sapori o virtù, traportati o nodriti in diverso 420 parti della superficie terrena ; la qual cosa si osserva assai ovidontemento nello diversità delle viti o dei vini. E non ò dubbio, che potendosi nollo stesso cam¬ pagne eccitaro gran varietà di calori por lo ragioni assegnate, si dovoranno an¬ cora in gran parto variare i vigori e sapori de’ frutti e delle pianto. Moltissime altro soluzioni di altri dubii dependono dalla medesima ragiono, conio sarobbo di dondo nasco la negrozza del carbone, della fuligine, del farsi negro molte coso esposto al lumo del solo, del farsi prima nere tutto lo cose combustibili, avanti elio in quello il fuoco si accenda. E forsi chi più interna¬ mento andarà filosofando, potrà assegnare la ragione, perchè esposti diversi corpi simili ed eguali di figure, ma di diverse materie, concepiscono grandissime dif- •104. Dopo splendore la stampa Bolognoso aggiungo: Facilissimamcnte dalle cosa delle »ì rende la ragione di quello effetto che si osservo vetjli specchi ustorii, il quale ì che molto difficilmente si accende il fuoco nella carta bianca, dove all'incontro la carta che sia tinta di qualche colore »'infiamma facilmente, e pili facilmente se sarti tinta di nero: il che segue, perchì non è possibile infiammarsi se jirima non si riscalda; via prima si riscalda il litro e poi il bianco; quindi piti facilmente s'infiamma il nero che il bianco .— 1158 15 AGOSTO 1(537. | 8541 ] forense di cabro; e così di molti altri effetti potrà investigare lo ragioni da 480 questa medesima considerazione, la quale intendo di bavere proposta dubitati¬ vamente, o non affirmativamonto e resolutamente, prontissimo a mutarmi d’opi¬ nione a più efficaci ragioni. E qui prego V. S. molto 111.", so si compiacerà faro reflessione a questa mia lettera, elio mi favorisca ancora di correggere ed emen¬ dare quello che li paresse lontano dal vero, perchè, come dissi nella passata mia lettera (4> , mi saranno sempre più care lo corrozzioni suo clic gli applausi di altri, raentro che da questi non fo acquisto d’altro elio di un vanissimo fumo di lodo, o da quelle guadagno tesori reali di verità. Hora, por tino o sigillo di tutta questa mia qual si sia considerazione, li voglio raccontare un pensiero elio io feci a giorni passati, mentre mi ritrovavo involto 440 in qualche travaglio per le cose mio od interessi particolari, ed anco publici della mia Religione ; il qual pensiero mi fu di grandissimo sollevamento o conforto. Per sollevarmi dunque da quello noioso fantasie, esposi un giorno, conio ero solito di faro spesso, il rnatone tinto al sole, por prendermi ancora gusto di quella esperienza ed applicare intanto il mio pensiero a quello strano offetto della natura: o così di una cosa in un’altra trapassando, considerai che havondo esposto al sole quel rnatone a fin elio me lo riscaldasse conforme al solito, su¬ bito la virtù solaro senza dimora si ora applicata a farmi il favoro con tutta la sua forza, mandando da ciaschedun punto del disco del sole in ciaschedun punto del matono i raggi suoi luminosi ; o notai elio il tutto operava come se 4&o non liavess© da faro nessuna altra cosa nel mondo, e vedevo od intendevo molto bene cho gli altri innumerabili immensi e maravigliosi negozii del solo c della sua virtù non erano di nessuno impedimento alla illuminazione o riscaldamento del matono, a sogno talo cho nò por essere occupato il sole in riscaldare cd illuminare tanti altri corpi nell’universo, nò por bavero da vestire lo campagne di lierbo o pianto, nò por coprirò i monti di folti boschi o selve, nò por far na¬ scere tante sorti di animali o in mare e in terra o in aria, non per questo ve¬ niva punto impedita quella veramente segnalata operazione cho il solo faceva in grazia mia intorno a quel matono: e andai tanto avanti in questa fantasia, elio quasi precipitai, non avvedendomi, in volere scusare l’empietà di quelli antichi 4«o elio havovano adorata la grandezza della potenza ed il maestoso modo di operare del solo. Ma subito formatomi saldamente, ed accortomi del mio errore o de¬ testando cotalo empietà, venni in ferma credenza o deliberazione, elio molto maggioro o molto più stolta, empia od essecranda sceleragino era stata quella di coloro che si erano ridotti a tanta bassozza, viltà ed ignoranza, elio havovano 438. Dopo ili verità il cort. 0 aggiungo : Anzi confetto che te in quetto ditoorto si trova cota di buono, tutto ri derivato dalli doUittinii trattati ohe ho da V. S. appresi. — Cfr. n » 3589, liti. 1G7. 15 AGOSTO 1G37. 160 [3541-3542] adorato por Dio un altro Intorno semplice, tanto debole o tanto vile, elio occu¬ pandosi ancora intorno a minime cose (quasi l’Iio detto) veniva impedito dal farne non solo delle maggiori, ina ancora delle minori; o così conclusi che in¬ finito od immenso era l’obligo nostro di adorare solamente l’onnipotenza, la 470 sapienza, la prudenza, la giustizia, la misericordia e la providenza infinita di Dio, la quale egualmente si applica alle cose grandissime od allo piccolissime, nè mai intraviene che una delle sue operazioni, per minima che ella sia, venghi impe¬ dita dalle altro, applicandosi a tutte e a ciascheduna con tutta la Sua efficienza, per condurla a quel grado di perfezzione cho è già ab aeterno nel Suo altissimo decreto, e questo opera in ciascheduna cosa come se non havesse da fare altro : o mi venne in monto l’accuratissima providenza e la profonda sapienza di Dio, applicata egualmente allo cose minime ed alle massime, a sogno tale cho si ap¬ plica por sino a numerarci i capelli del nostro capo : Omnes cavilli capitis vostri numerati sunt, dice Dio stesso ; la quale numerazione, benché sia intorno a una 4so cosa minima, siamo forzati a confessare che sia fatta tanto porfottamonto e tanto esattamente e con la medesima esquisitezza, corno fa quell’altra numerazione stupenda e maravigliosa quando numcrat multitudinem stellar uni et omnibus eis nomina vocat. E così internandomi in questa contemplazione, mi parve estrema pazzia la nostra quando pensiamo e si affatichiamo affannosamente di condurrò le nostre coso a migliori fini e termini di quello che la Maestà divina conduce con la Sua somma sapienza e providenza. Viviamo dunque quieti e consolati, e rendiamo di continovo sagrifìcii di lode alla Sua infinita misericordia, orwnem solicitndincm nostram proiicientes in Eum, quia Ipsi est cura de nobis. E fo riverenza a V. S., o bacio le mani al Padre Francesco delle Scolo Pie 11 490 o a tutti cotesti Signori cari. Iioma, li 15 d’Agosto 1637. Di V. S. molto 111. ed Ecc. ma Devotiss. ed 0blig. m6 Sor.™ e Dis. 10 Don Bene dotto Castelli, Àb. to di Draglia. 3542 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 15 agosto 1637. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 820. - Autografa. Molt’111.™ et Ecc. mo Sig. r Col. m0 Il R. mo Padre D. Girolamo Spinelli mi manda in questo punto la lettera di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ma di 8, ma non l’ho veduto por potere ricevere infor¬ ni Fauiano Mioiibmni. XVII. 22 170 15 AGOSTO 1037. [3542-3543] mationo del negotio del P. R. mo Abbate Penedotto Castolli (1) , di cui V. S. mi scrivo con tanto allotto. In una parola farò tutto quello da mo può provenire. Mi paro raccordarmi di questo virtuosissimo Padre, che Tanno della stella nuova diede una facetissima fischiata a’Poripatetici in lingua pavana ,w . Io Tho sempre amato: ma basta; V. S. comanda. Sonta V. S. un’ historia. Il P. M. ro Paolo di gloriosa memoria hobbo un’ in¬ firmiti, gravissima, in quella un abborrimonto al cibo, che sebono lo ricchiedeva, io come so li presentava alla bocca, lo abominava in estremo. Mai li modici vi trovarono rimedio. Vonno a visitarlo Francesco Contarmi, ch’ora stato Bailo a Costantinopoli o morì Dogo di Vonotia: narrò, elio occorsoli caso similo nel suo bailaggio, un Turco li foco prendere un matono, o piotra cotta, o scaldata quanto potesso sopportare, involta la faceva applicare allo sole do’ piedi. Facessimo T istcsso al P. Maestro : fosse overo il malo al periodo o altro, li giovò assai. Lo ricetto di mastro Grillo allo volto sono migliori che quello di Galeno. Risponderò più fondatamente alle suo, parlato c’Lavorò col R. m0 Abbato Spi¬ nelli. Tra tanto assicuro V. S. (dio sono tutto suo, o pregandoli sanità le bacio di cuore Io mani. • 20 Ven. a , 15 Agosto 1637. Di V. S. molto 111." et Eco.™ 3543 **. GIOVANNI REIJUSK a GALILEO in Arretri. Vonezia, 15 agosto 1637. Dov.“° Sor. F. F, Bibl. Nass. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 318. — Autografa. Molto 111." S. r0 mio Oss. rao De Padova mo fu mandato dal S. r0 Dewecrt (S1 la grattissima sua di primo stante. D’essa vedo cho la mia 141 l’ era porvenuto senza sapor da dii era stato mandata, cho Tindrissemmo di qui sotto coporta del S. r0 Depositario Corra t5) . Però giudico sarà meglio V. S. indrissi mio lettere in Fironza al S. ro Giorgio Eberz, che sicuramente me porvorano, conio farà quosta a V. S., che li invio <*> Cfr. n.o 8538. <*) Cfr. Voi. II, pag. 309-334. Francesco Tali Wbert. <*) Cfr. ri.® 3581. ai Cosimo del Sera. 15 AGOSTO 1637. 171 [3548-3544] queste altro dal S. re mio ger[m...] Rcalo (1) . Y. S. so no servi, o mi comandi in quello vaglio in suo sorvitio. Con che lino gli baccio lo mani. Di Veu. n , adì 15 Agosto 1037. io Di V. S. molto Ill. r0 Ser. r0 Gio. Koijusk. Fuori: Al molto Ill. re S. r0 mio Oss. m0 Il Sjg. r# Galileo Galilei, in A r celli. 3544 *. GIROLAMO SPINELLI a [GALILEO in Arcetri]. Venezia, 15 agoato 1G37. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1*. I, T. XI, car. 321. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. 10 et Ecc. mo S. r mio Col.™ 0 Ricovo la lettera di V. S. Ecc. mu con quel gusto, ot la leggo con quella tene¬ rezza, elio si conviono alla sincerità, ot candore dell’antica amic.itia nostra, sta¬ bilita sopra fondamento delle virtù sompro amabili e sempre caro. Intendo lo stato di poco buona saluto, che mi muove alle lagrime in riguardo della eterna prosperità, cho si doverebbo alla virtù et al merito di un suo pari. Ma in fatti noi siamo liuomini, et ci conviene acquetarsi alla disposition divina in tutte lo coso. La scusa cho fa V. S. Ecc.™ per il silontio tenuto sarebbe una espressa ac- ìo cusa contro di me, mentre la sicurezza dol nostro reciproco affetto, che non ha bisogno di testimoni scritti, non ci assicurasse da ogni colpa. La occlusa al P. M. Fulgcntio la consegnavo domani, et procurerò di servire il nostro carissimo P. Abb. e Castelli, ancor cho il negotio patisca grandissime durezze, come facilmente intenderà V. S. Ecc. ma dal sopradetto M. Fulgcntio l2) . Comunque si sia, a me basterà di servir 1’ amico nella maniera affettuosa eh io devo, et nel rimanente render gratio a lei, cho con questa lettera mi ha porta occasiono di significarlo lo stato mio buono, per la Dio gratin, et attestarle la continuatione della mia divotissima ot obligatissima volontà vorso di lei, già che dell’amor suo verso di me io non ho mai potuto dubitare. Non mancherò per 20 fine di pregare et far progar Dio benedetto che conceda la pristina salute e O) LOHKNZO ItEAMO. <»> Cfr. ii.° 3542. 172 15 — 18 AGOSTO 1637. [3544-3646] tranquilità a V. S. Ecc. ma , alla quale io bacio cordialmente o teneramente la mano. Di Venetia, li 15 Agosto 1637. Di V. S. molto Ul. w ot Eco.®* 3545. BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Arcotri. Bologna, 18 agosto 1637. Bilil. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, ear. 824. — Autogrnfa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 0 Compatisco grandemente l’inlirmità di V. S. Eoe."* o deploro vehementemente T infortunio di molti miei amici o padroni, tra* quali olla tiene il primo luogo, poiché, por maggiormente accrescerai i miei travagli, cagionati o dalla mia in¬ fermità continua o da quello elio tanto volto li ho scritto, non ne sento so non cattive nuove, o di infirmiti corporale, o di disgusti, che mi fanno credere o che 10 stelle habbino congiurato contro di noi, o elio il Fattore di quelle ci vogli por questa via tenere staccati dalle coso di questo mondo, sopra le quali vera¬ mente poco fondamento si può faro. So niun huomo sa comportarsi nelle afflittioni, credo lo saprà far lei, che tanto intendo e tanto sa. Dolce cosa veramente saria io 11 vivere, se non se no pagasse così grand’usura di continui travagli e dolori, massime a chi si ritrova come lei in. quella età che per sò sola porta titolo d’infirmità. Tuttavia panni che da una vita ponosa so ne cavi questo vantaggio, di incontrare con maggior corraggio la morte, peritissima medica delle nostre inlirmità e certissimo fino de’ presenti travagli. Discorro seco in questa guisa por procacciare a me stesso ancora qualche consolationo, che mi trovo forsi in peggioro stato di lei, attesa la qualità del tempo nel quale anch’io, privo dol- l’uso do piedi, sono fatto vecchio in gioventù, o mozo vivente nel miglior corso della vita mia. Consolisi dunque meco, e speri cho Chi più di noi intonde o vedo i nostri bisogni, soccorrerà a quelli in modo da noi non penetrato, quando 20 l’amore verso di Lui co lo faci meritare. 18 AGOSTO 1637. 173 [ 3645 - 3646 ] Non si prenda altra briga del libro (1) , poiché volendone ne procurerò altrove, e por bora non mi bisogna più che tanto. Cerchi di ricupera[rsi] meglio cho può, nè si scordi di me, che l’amo o riverisco come mi[o] singolare padrone, maestro e padre, o mi dia qualche consolatione con qualche aviso di ricuperata sanità, come da Iddio li desidero. Con elio li laccio affettuosamento lo mani, salutando il Sig. r Dino. Di Bologna, alli 1S Agosto 1637. Di V. S. molto 111.” et Ecc. 1,1:1 Dov.“° et Ob.“° Scr. re 80 F. Bon. r “ Cavalieri Fuori: Al molto III.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.® 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze, ad Arcotri. 3546 *. ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcotri]. [Parigi], 18 agosto 1037. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 79t.-80r. — Copia di mano di Vinokkzio Viviani, cho prometto P indicazione : « E. D. 18 Agosto 1687 ». Quanto alla stampa dell’opere sue in un volume, promessale dal Sig. Carcavi 12 ’, non avendo esso Signore dopo molti andamenti potuto concluder cosa alcuna con la maggior parte di quelli stampatori co’ quali ha trattato, o persistendo tuttavia in questa medesima volontà di procurar dotta stampa, mi ha pregato di scriverno in Olanda; siche ne ho scritto 8 giorni fa agl’Elsovirii, con dire loro, por ordine del Sig. Carcavi, che se si sgomentassero per la spesa, scri¬ vendomi sopra ciò la loro intenzione, si vedrà di sodisfarli. Del resto lo dirò che il pensiero di esso Sig. Carcavi, conformo all’opinione della maggior parte do’ dotti, sarebbo di farlo stampar non tradotte in latino, ma italiane, conio io sono state composto da lei (e così ne ho scritto agl’Elsovirii), essendo egual¬ mente ammirata la sua dottrina e viva chiarezza de’ suoi concotti, la qual si crede non poter esser espressa per qualsivoglia traduzione : sopra cho piacerà a V. S. dirmene la sua volontà. m Ofr. n.o 3498. 1*1 Cfr. n.o 8387. 174 22 AGOSTO 1637. [3547-8648J 3547 *. GALILEO a [ELIA DIODATI in Parigi], (Arcetri), 22 agosto 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 80t. — Copia di mano di Vomimmo Vivmni, cho promotto quo- st'indicazione : « U. Q. 22 Agosto 1637 ». Piacemi sentir che si sia dato principio all’intaglio delle figure delle macchie solari, per venire alla stampa dell’opere. Delle quali V. S. mi domanda 1’ Uso del Compasso Geometrico, ma non so ne trovali più già son molti anni, e due o tre che sono in mano d’amici miei, non se ne vogliono in conto alcuno privare; anzi ultimamente bisognò farne fare una copia manuscritta per 1’ Ill. m0 Sig. Conte di Noailles, dal quale si potrà averla sinché se ne fabbrichi costà la stampa. Si va continuando la traduzion latina del resto delle mie opere, e già ci è quella delle cose elio galleggiano o quella delle macchie solari, et ora si va lavorando sopra il Saggiatore, con spe¬ ranza che tali traduzioni siano per riuscire intelligibili e ciliare non meno delle mie volgari. 3548 *. GALILEO a LORENZO REALIO [in Amsterdam], (ArcctriJ, 22 agosto 1637. Bibl. Na>s. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 87r. — Copia di inano di Vinoknzjo Viviani, elio promotto quosto panilo: « G. G. 22 Agosto 1637. Al Sig. Iloalio tra altro cose cosi scrivo: ». Lo «tosso capitolo, con variatiti di forma insignificanti, si leggo, pur di mano del Viviani, a c&r. 82r., dol medesimo codice. Ho anco deliberato di mandar il mio medesimo telescopio, più squisito di quanti ne siano fin ora stati fabbricati, col quale ho sco¬ perte tutte le maraviglie celesti, del quale avevo fatto donazione posi mortem al Ser.° G. D. mio Signore 11 ’; ma significando a S. A. S. come mi ero obbligato a mandarne uno agli Ill. mi e Potentissimi Stati, me P ha benignamente ridonato ; et io, come quello che, avendo perso Cfr. n.° 379. Cfr. puro Intorno ai cannocchiali tere al arti. Tomo XL, Parto seconda, pag. 330-332), costruiti e(l usati da Galileo Galilei. Nota di Antonio Yenozia, tip. di Carlo Ferrari, 1901. Fa varo (Atti del Reale Istituto Veneto di sciente, let- 10 22 — 31 AGOSTO 1337. 175 [3548-3550] rocchio buono, non era più per adoperarlo, volentieri lo colloco in mano di cotesti Ill. mi e Potentissimi Signori, li quali supplicherò poi a suo tempo clic voglino farne fare buona custodia, se non per altro io almeno per esser stato lo scopritore di tante novità nel cielo, con grandissimo accrescimento della nobile scienza astronomica. 3549 . ALESSANDRO MARS1LI a GALILEO in Arcetri. Siena, 23 agosto 1G37. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., I’. I, T. XI, car. 320. — Autografa. Molto 111. 10 ed Eccl. mo Sig. r0 et P.ron mio Oss. mo Do parte a V. S. Eccl. mft con questa mia come dal Scr. m0 Granduca son stato honorato della gratia della condotta di Pisa con stipendio di scudi secento. Questo honore mentre lo riconosco quasi allatto dalla cortese protezione di Y. S. Eccl. ma , anco vengo a confessargliene una somma obbligatione, desiderando ebe quanto da lei mi viengono augumentati i debiti con nuove gratie, altrettanto si voglia compiacerò essercitare la mia devota servitù con li suoi comandamenti. Spero, rinfrescandosi, esser a riverirla di persona ed a ricevere quelle instru- tioni ed avvertimenti ebe mi può dare o la prudenza ed il cortese affetto del io mio Sig. r Galileo; ed affettuosamente li bacio le mani. Di Siena, il 23 Agosto 1637. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 od Eccl." ,a Àff. n, ° ed Obbl. mo Ser. r0 Alosandro Marsili. 3550 **. LATTANZIO MAGIOTTI a GALILEO [in Arcetri]. [Firenze], 31 agosto 1037. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XI, cnr. 328. — Autografa. 111.” ot Ecc."'° Sig. r mio, Ho inteso quanto m’ha referito il R.' ,n P. re F. Francesco (l) , c giudico bene elio Y. S. Ecc. n,a s’ astenga da questo latto di mandorle, poiché lo stomaco suo non lo digerisco. Potrà far la sera in quel cambio bollirò un poco di lattuga t‘) Fauiako Miohkuni. 17G 31 AGOSTO - 2 SETTEMBRE 1687. [3550-3551] nella sua minestrina, o non volendo la lattuga, mangiar solo la minestra; benché potrà anello talvolta mangiar la lattuga doppo cena, cotta noi brodo, com' è detto. Intanto io lodo elio alle volto V. S. Ecc. ,, "‘ si bagni lo mani et i piedi con l’infrascritta lavanda, doppo cena; e potrà anello bagnatone un tantino lagola, lo tempio o le narici del naso. Pigliasi : io di lattuga, ) . una manciatma per sorto; di foglio di violo mammolo, ) capi di papaveri acciaccati n.° tre o quattro. Si bolla il tutto in sufficiente quantità d’acqua rosa, fin elio l’liorbo paiono cotte; poi si coli o sprema; et alla colatura s’aggiunga: vin bianco buono, la quarta parto o manco; cioè a una libbra di dotta colatura s’aggiunga duo oncio o mozo di vino, por servirsene nò freddo nè caldo, doppo cena. Con tal fino prego a V. S. Ecc. n,tt ogni contento, e li bacio la mano. Di casa, il di 31 d’Agosto 1637. 20 Di V. S. HI.” ot Ecc. ,nn Dovot. mo Ser. ro Lattantio Magiotti Sanloolini. Fuori : All’111.»'® ot Ecc. ,no Sig.* Galiloo Galiloo, Sig. r mio Col. 1 "" In propria mano. 8551. BENEDETTO GUERRINI n GALILEO [in Arcetri]. Firenze, 2 settembre 1637. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XI, car. 330. — Autografa. Molt’ 111. 0 S. r mio Ossor. Il Sor." Padrone desidera saporo so V. S. sia in grado da potor discorrere, cliè questa sora al tardi facilmente saria da lei. E con quosto lo bacio lo mani. Di Pitti, li 2 di Sott. re 1637. Di V. S. molt’ 111. 0 Fuori : Al molt’ III.® S. r mio Oss. Il Sig. r Galiloo Galiloi. Oblig. Sor. Bonod. Guorr. 1 In sua mano. [#552-3553] 2 — 3 SETTEMBRE 1637. 177 3552 ** ALESSANDRO NINC1 a GALILEO [in Arcetri]. S. Maria a Campolì, 2 settembre 1G37. Bibl. Naz. Fir. Appondlco ni Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 1G3. — Autografa. Molto 111.'* ot Ecc. ,no Sig. r mio P.ron Col." 10 Poiché non posso venire a rovoriro V. S. innanzi la Natività della Madonna, rispondo in tanto alla sua cortesissima lettera dclli 30 del passato, elio se bene io non ho mai dimostrato con gl’effetti quanto io sia tenuto a V. S., ciò non è proceduto o non procede dalla poca cognizione, ma dalle podio forze o dalla pocha attitudine a corrispondere con un solo per mille do’ segnalati favori c benefìzii che da lei ho riceuto io e tutta la casa mia: però non occorre che lei sia tanto circonspetta in comandarmi, chò, oltre all’obligo o desiderio elio io tengo di servirla, reputo onore singolarissimo il potermi impiegare in qualsivo- io glia cosa di suo servizio. Quanto prima manderò la catasta, sì come mando aduso il conto di quanto ho speso por V. S., eccettuato però l’ultimo fascine, acciò elio da quello possa intendere il prezo di ciascheduna cosa, sì come mi accenna d’aver gusto. Arei caro di sapere so il numero dell’altre fascine riscontri, por aggiustarmi con queste ultimo, se il vetturale n’avessi fatte pagare più che non n’ha portato. Rendo a V. S. quello maggiori grazie elio io posso del vino di Siena, quale goderò per amor suo; mostro co’1 fine, pregando Dio che restauri la sua sa¬ nità, gli faccio debita reverenza. Da S. to Maria a Gampoli, 2 Settembre 1637. 20 Di V. S. molto 111.* 0 et Ecc. raa Devotiss. mo o Oblig. rao So. r ° Alessandro Ninci. 3553 *. ALESSANDRO N1NCI a GALILEO [in Arcetri]. tì. Maria a Gampoli, 3 settembre 1G37. Bibl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 164. — Autografa. Molto 111.* 0 ot Ecc. m0 Sig. r mio P.ron Col." 10 Ricovo la gratissima lettera di V. S. con parto del rogalo fattoli dal Ser. m0 Gran Duca, nel quale riconosco la sua soprabondantc cortesia o la mia scarseza, 2d xvn. 178 3 — 5 SETTEMBRE 1037. [3558-8664] poiché quanto più segnalatamente vengo onorato, più ammutisco, nè nò trovar parole da ringratiarla ; massimo dio V. S. mi (là anello intenzione di volermi adoperare in fare una copia della traduzione dolio suo opero, il dio ascriverrò a favoro singolarissimo, o non potevo sentirò nuova più grata: e assicurisi però V. S. elio io protenderò elio s’accresca molto all’infinità do gl’obliglii con che gli sono tenuto, so da lei sarò fatto degno di servirla in questo particolare, come in ogni altra cosa dove io sia buono. io Riscontrerò con più agio il conto, elio per ora mi paro elio stia bono; mentre co ’1 fino, pregando Dio elio in V. S. rosarcisca i danni della malattia, con sin¬ cero affetto la riverisco. Da S. ta Maria a Campoli, 3 Settembre 1G37. Di V. S. molto 111. 1 * ot Ecc. m * Devotiss. mo o Oblig. mo So. rc Alessandro Ninci. 3554. MARTINO ORTENSIO a ELIA DIODAT1 [in Parigi]. Amsterdam, 5 settembre 11537. Dal Tomo III, pag. 448-449, doll’odiiiooo citata noli’informazione promossa al n.» 1201. Amsterdam, 6 Settembre 1637. Saopissime iam testatila anni, Vir Nobilissime et Excollentissimo, nunquam per me stare, quominus negotium Domini Galilaei promoveatnr; atl eoque ctiam mine culpa omni careo, quod tanto tempore ad fuas et Gnlilacanas non sit responsum. Noli. Reai in a in Co- mitiis Hagae Comitis totos caniculnres, in summis et diffieillimis Reipublieae nogotiis, con- trivit; inde domani revorsus, no sic quidem, ob domestica ot aliu irapedimcnta, roscriptioni vacaro sat commode potuit. Nolui autom ego solua rescribcre, antequam ipse responsum dedisset ad Illustrissiimim Grotium, ob causa» quasdam non contemnendns. Scias autom, Domine, negotium hoc (ut et quodvis aliud), inter tot capita et in tanto sententiarum dissonali, haud posso in bac Republica tam facile aut tam cito expediri ac rcs quidem 10 videtnr postulare. Do itinere meo uihil adhuc actum, ot forte nihil agotur, cum videam Nobilem Renlium pcnitus desperare : ait, ncscire se qua ratione id ab Ulustrissimis Ordi- nibus aut Magistratu nostro impetrar! posset; idque et iam Illustrissimo Grotio iam si- gnificasset, nisi infortnnium aliud, mora nempe fillobio ex peste, domo cum surama cum coniusione, ob gravidam uxorem aliaque incommoda, cxpulisset. Nudius tcrtius id factum, et cum hcstorna die literas tuas ei traderem, ncque animimi ncque occasioiicni habnit eas legendi aut tibi atque Illustrissimo Grotio respoudoudi. Ubi paululum sedata fuerit haec tempestas, urgebo ut votis vestris setisfaciat. Potrà in di cium ineum do iis quae continentnr in Nobilissimi Galilaoi literis. Quid dicam, ini Deodute? \ oreor, ut omnia in mari ita succedant, quemadinoduni a Nobilissimo 20 5 — 8 SETTEMBRE 1637. 179 13554 - 3555 ] viro proponuntur. In obsorvatione Iovialium stimma rcqiuritur nistrnmentorum quies; au autom machina, in qua collocami uni censot obsorvatorem, enm praestitura sit, valete du¬ bito, cum agitatio maris magni admodum variabilis et inconstans doprehendatur, navcnique non uniformi motu, sed quassaudo et volvendo, propellat. Mensuratorem temporis, quem proponit, non existimo ullum in mari locura inveniro posse, aut certuni usuiti praestare. Nani etsi deimis, motuni eius esse uniformem et, constantem, quia tanien requiritur aliud immobile super quod volvatur, fieri non potest, quin eius motus aliquantum varictur, si quando cimi observatoro in macinila collocatili-, ob continuum navis agitationem, quae duni machinam in aoquilibrio siatit, aliquando mensuratoris inotum aut impedit aut adiuvat. 30 Piaeterea in ipsa terra non existimo usimi eius omnino esso infallibilem, nisi libere pendeat et eius vibrationes per continuam inspectionom numerentnr. Nani si, ad vitandum hoc taodiuni, usurpetur rotula dentata et seta quae a mensuratore pulsetur, concedendum vi- detur setam magia minusve vibrationibus resistere, prout leutae aut vcloces snnt, adeoque inotum, qui in vibrationo libera et simplici uniformis et; constans est, non niliil perturbare et inacquatela reddere. Circa tclescopia non iam tantum reperio difficnltatem, et expecto ab auctoro luculentam istius, quo usus fuit, explicationcm; quoniam intelligo, litteras mcns, quas por amicum Venotiis ad cum detienimi, salvas in ipsius maiius pervenisse' 2) . Dolco sane ex animo optimi senis casual, et inetuo ne provsus intercidant quae circa motus Iovialium por tot aiinos observavit. Veruni quid agam ? Sperabo meliorem eventum, 10 quelli illi aniinitus voveo : si quid autem soquius ei nccidat, licct summo cum macrore (ut in necossuriis fieri convenit) patienter feram. Utinam tabulns motuum Iovialium ante alia omnia transmisisset! non haererenius in hoc luto. Nani quod motuis, ne quid in po- steruiu iu tanto negotio, a nobis oscitantcr ueglectum, scro pooniteiulum supersit, frustra est: nulla onitn unquam negligontia mila poterit imputari, qui negotium prò virili scraper promovi, et in futurmn etiam proniovobo. Quominus autem omnia ex voto vostro non succedant, aliao causilo su ut, quas iam uou scribo. lllustrissimum Grotiuni inoo nomino (quaeso) pbirimum salntabis, omniaque officia Mica eius Excellentiao otì'eres; teque ex animo valere ac gaudere cupio. 3555 *. COSTANTINO HUYGENS a RENATO DESCARTES [in Leida]. Broda, 8 settembre 1637. Bibl. dell’Accademia delle Scienze d’ Amsterdam. Mss. XLIX, Lottros friunjoisos ile Constantiii Huyguns, T. I, pag. 759. — Copia di mano siucrona. .... J’ai veu autrefois ce quo Guido Ubaldo (3) en a escrit et depuis Galilaeo, traduit par Io P. MersonneP ) ; mais l’un et l’autre a peu do satisfaction, en iiiiagiiiant que ces gens-la no font qu’envelopper do superfluités obscures en deux ou trois positions, n’y ayant, rieu, à mon avis, qui se tienne d’une si claire et necessaire [fa^on?].... <•' Cfr. n.° 3507, fin. 9-11; n.° 3531, lin. 2-4. nicorum liber. Pisauri, apud Hieronymum Coucordiam. <*i Cfr. il.» 8548, lin. 3. MDLXXVII. < 3 ) Uuidiubaldi o Marchionibus Montis Mecha- <*> Cfr. u.° 8110. m 12 SETTEMBRE 1G37. | 3566 - 3557 ] 355 ( 5 *. FULGENZIO MIOÀNZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 12 settembre 1637. Bini. Naz. Flr. Mss. (lai., P. 1, T. XI, cnr. 832. — Autografa. Molt’111.” et Ecc. mo Sig. r , S. r Col.™ 0 Mi favori l’Ecc. ra0 Sig. r Dino 11 ’ dolla nova del miglioramento di V. S. molto IU. ro ot Ecc."®, cho mi fu la più cara o bramata che potessi ricevere. Spero noi divino aiuto elio sarà continuato. Io però no aspetto un sogno con una sotto- scrittionc di sua mano, della quale ho necessità valermi por la sua pensioncella : imperò elio da Itoma non ha mancata la solita carità di scriverò elio fosso morta, il cho anco qui m’ha fatto ricorcaro da molti so ora vero. In questo prosaggio di vita, ho liavuto il contento di sontiro cho tutti li virtuosi si rallegrano cho la fama sia stata falsa, o cho quando piacerà a Dio che sia vera, si dirà essoro persa la fenico degl’ingegni. E corto ha gran partiali che lo desiderano vita, io sanità o forzo di operare. Mi vado ogni dì più accorgendo cho il sistema Tolomaico va cadendo; ma li professori si maravigliano di sò stessi, coni’ habbino mai potuto aggiustarvisi. Ecco il frutto di chi credo potere comandare anco alli pensieri. Progo Dio cho conceda a V. S. Ecc. ma perfetta sanità e le bacio lo mani. Von. a , 12 Settembre 1637. Di V. S. molto 111.” 1 et Ecc. raa Dov.®° Sor, S. r Galileo. F. F. 3557 . BENEDETTO CASTELLI a VINCENZIO GALILEI in Firenze. Roma, 12 settembre 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai.. P. I, T. XV, car. 87. - Autografa. Molto 111/® Sig/® e P.ron Col. ra0 Ilo riceuta la lettera di V. S. molto 111/® nella quale mi dii nova del stato del Sig/ Ga¬ lileo suo Sig/ Padre e mio caro Signore. Lodato Dio d’ogni Sua grazia ohe ci fa, e di conservarlo o di haverlo consolato col mezzo di quella gran visita del Sor Gran «') Dino Peri. 12 — 15 SETTEMBRE 1037. 181 [3557-8558] Duca (,) . Altri lodino 8. A. Ser. ma della grandezza sua c potenza; io lo reputo doglio di mille corone regali, per la carità usata verso il Sig. r Galileo. Ho sentito infinito gusto di questo avviso, e ne ringrazio V.S. che me l’ha dato. Quanto all 1 opere mie, non ho potuto fare cosa alcuna. È vero che non manco ogni mattina nel santissimo sagrificio della Mossa pregare S. Divina Maestà clic lo consoli e che l’aiuti, e che lo faccia partecipe della Sua 10 santa grazia. Starò attendendo quanto passa dell 1 occhiale o vetro< S) con desiderio, perchè il padrone mi mortifica contiuovamente, a segno che li ho promesso i trenta scudi dol mio, quando non so ne faccia essito in Firenze. Fi non occorrendomi altro, la prego a fare riverenza cara al Sig. r Galileo in nomo mio; ed a V. 8. bacio lo mani, ricordandomeli devoto e an¬ tico servitore. Roma, il 12 di 7bre 1(537. I)i V. S. molto lll. r0 S. r Viuc. 0 Gal. 1 Fuori: Al molto Ill. re Sig. r0 e P.ron Col.'" 0 ‘20 II Sig. 1 ' Vincenzo Galilei. Fi ronzo. Devotias. 0 Sor.™ Don Ben ed. 0 Castelli. 3558 *. ELIA DIODAT1 a GALILEO [in Arcefcri]. [Parigi], 15 settembre 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 80r. — Copia di mano di Vincrxzio Viviaxt, in capo alla qualo il Vivi ani annota: « E. 1). 15 7° IG37. Risposta alla do* 22 Agosto del Galileo > 3 > ». A car. 82r.-«. dolio stosso codico si ha un’altra copia, pur ili inano dol Viviani, di quosto stosso capitolo di lotterà. Circa la lettera che V. S. mi ha mandata por il Sig. Roalio, ho da dirle che mi son trovato sorproso vedendo che assolutamente e senza riserva alcuna V. S. gli promette di mandar a gl’Ill. mi SS. rl Stati il suo caro o senza pari telesco¬ pio (4) , parendomi elio in questo V. S. si faccia un gran torto et a S. A. S., a cui sola et a’ suoi posteri con ragiono, doppo la morto di V. S., legittimamente spetta, come insegna o trofeo dello scoprimento delle nuovo Stello o della su¬ blimazione in cielo doll’aiigusto nomo Mediceo, por restaro in perpetuità appeso, come reliquia sacra collocata da loi, nel tesoro ducalo con gloria eterna della sua memoria. Onde non averci voluto elio V. S. molt’Dl. 0 , per desiderio di promuo¬ io vero il suo negozio co’ detti SS. ri , contravvenisse ad una giustizia tanto evidente, valendosi senza necessità della pronta benignità, di S. A. a dispensamela, etc. (>> Cfr. n.° 3551. <*> Gir. n.° 8533. < 3 > Cfr. n.° 3547. O) Cfr. n.° 3548. 182 15 — 16 SETTEMBRE 1037. [8669-3500] 3559 *. ALESSANDRO NINOI a [GALILEO in Arcetri[. 8. Maria a Oampoli, 15 «ottembre 1537. Dlbl. Naz. Flr. Appomlico ni Mas. dal., Filza Kararo A, car. 165. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col." 10 Pensavo di venire domattina a congratularmi con V. S. di quel migliora¬ mento clic loi mi avisa nolla sua cortesissima lettera; ma perché m’avogho elio ancora mi bisogna procrastinare, suplisco in tanto con la presento, augurandoli felice progrosso nello sgravio del malo o resarcimento dello fòrze, di che pregilo Dio elio mi l’accia verace augure, come io no sono ansioso ^spettatore. Rimando tre fogli dolla mia copia ll> , con altr’o tanti do’ dodici elio ho ri- ceuto, acciò V. S. mi facci avertiro so v’ò cosa di elio io possa o sappia emen¬ darmi, perchè il desiderio ardentissimo elio havovo di servirla in questo parti¬ colare, come in ogn’altra cosa, s’ò multiplicnto in infinito, dal diletto elio io io trovo in questo esercizio. Ilo riscontrato la nota delle sposo, che con l’ultimo mandato dello fascino, elio io non avevo scritte, sta benissimo, eccettuato però elio V. S. ha scritto sotto dì 7 d’Agosto un paio di pollastro elio non si dovovono registrare, come nè anche questi pochi uccelletti cho il mio fratello preso iori e gli manda a V. S Mando adusa la medesima nota (,) di V. S., dove ho aggiunto quanto ho sposo sino al presente giorno, o messo il prezo di ciascheduna cosa. Fra tanto di nuovo riverisco V. S. con sincero alletto, pregandoli dal Cielo intoni prosperità. Da S. la Maria a Campoli, 15 7bro 1037. Di V. S. molto lll. r * ot Ecc. ma Dovotiss.™ 0 e Oblig. mo Se.” Alessandro Ninci. 3560 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO iu Aratri. Lione, 10 settembre 1037. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., 1*. VI, T. XIII, car. 43. - Autografa. Molto 111. 0 Sig. r o P.no mio Col. mo La gita passata por alcuno mio occupasiono non possctti rispondere alla gentilissima lettera di Y. S. molto 111. 0 do’ 22 scorso: lo laccio adesso, dicen¬ doli che il pieghetto 3> , statomi da lei tanto o tanto raccomandato, ho inviato <*' Cfr. n.o 3558. '*> Non è presentomento allegata. <5 > Cfr. nu.' 3547, 3648. 10 — 20 SETTEMBRE 1637. 183 [3560-3561] al S. r Diodati a suo destinato viaggio; e spero che presto ne vedrà, la dovuta risposta* 1 ’, che capitandomi gli ne manderò senza altro. Sì come la morte dorili."* 0 c Eoe. 11 ' 0 S. r di Poroso ha cauusato in lei 2 con¬ trari effetti, conceptione dello spirito di S. S. n , ha latto l’istcsso effetto in me sudetta sua, havendomi causato un cordoglio grandissimo in sentire la perdita io che ha fatto di un occhio c la descrisione fattami del suo stato, che non li po?so negare elio non mi habbia toceliato fino nel profondo dello vicere. La maggioro consolasiono che ho havuto è di vederla rimossa nella volimtà de Dio (scopo principale di tutte lo nostro actione), e di vedere elio lei medesima si consola con la sua propria generosità d’animo, effetti o segni del suo solito valore; e spero nel Signore Dio d’haverne presto a sentire il sollevamento. L’altro effetto causato in me, o di contento grandissimo, è di vedere che tutto va secondo il suo desi¬ derio, cioè la stampa del suo ultimo Dialogo la rinpresionc di tutte lo sua opero in un solo volume, e il negotio delle longitudine con li SS.* Stati d’Olanda, quale va benissimo. so Capitandomi- quella collana* 21 nelle mane, osequirò quanto la ini comanda, ben che la considorasiono elio ha di rimandarla non ò do grande sustantia, essondo lei conosciuta per tutto il mondo; si sa chi l’è o l’esperientie fatto della sua persona; l’inimici sua sono controtti di confessarlo, buono o malgrado elio hab- bino : ma solo S. S. a vuole mostrare troppa pontualità, e io sempre 1’ ubidirò. Intanto li faccio revorentia, pregandoli da N. S. ogni vero bone. Di Lione, questo dì 1G di Sott. 0 1637. Di V. S. molto 111. 0 Scr. r0 Aff. mo o Tar. 10 Dev. mo S. Galileo Galilei. Rub. t0 Galilei. Fuori: Al molto III. 0 mio S. r0 Oss. mo 80 II S.*° Galileo Galilei, Matt. co primo di S. A. S. In Firenze, in Arcotri. 8561 **. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetrij. Roma, 20 settembre 1637. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. 1, T. XI, car. 834. - Autografa. Molto 111.” od Ecc. mo Sig. ro 0 P.ron Col.” 0 Il latore della presento ò il Sig. r Bordelot < 3) , medico del Sig. r Conto di Novaillo, carissimo al detto Signore per il suo valore, o però mio particolare (»» Cfr. n ® 3568. i*> Cfr. >i.® 3108. Cfr. n.° 3055. 184 20 SETTEMBRE 1687. [3561-8562] Padrone. Venendo in Firenze, desidera lare riverenza a V. S. molto 111." od Ecc. u “‘, o m’ ha pregato (dio io l’accompagni con questa mia, raccomandando¬ glielo caramente. Io l’ho voluto servire, perchè è gontilhuomo che merita, o son sicuro che olla lo favorirà e per la sua solita cortesia e por la mia raccoman¬ dazione. So no ritorna in Francia e vedorà il Sig. r Conte, al quale portarà vo¬ lentieri nova di V. S., o sarà cosa gratissima al Sig. r Conto intendere del suo stato. E non occorrendomi altro, li fo riverenza. io Di Roma, il 20 di 7bre 1637. Di V. S. molto 111." ed Eco.®* Devotiss. 0 e Oblig.® 0 Sor." e Dis. !o Don Bened. 0 Castelli. 3562 *. ALESSANDRO NINOI a [GALILEO in Arretri). 8. Maria a Campoli, 20 settembre 1637. Blbl. Naz. Flr. Apponcìico ni Mas. Gai., Filza Favaro A, c*r. 171. — Autografa. Molto Ill. r# et Ecc. ,n0 Sig. r mio P.ron Col.® 0 La gratissima lettera di V. S. dolii 18 stante m* è pervenuta in questo punto, che sono circa duo oro di notte, onde non ho tompo di fare l’ultima diligenza por poter venire domattina. In risposta dico come non mancherò di procurare che V. S. resti servita dolio cotogno; o quanto alla scrittura 10 , avendo inteso che lei gradisce'*’ e s’appaga della mia buona volontà o risguarda più l’affetto elio l’opera mia, seguiterò con molto mio gusto. Mando a V. S. quella poca preda elio oggi ha fatto il mio uccellatore, c rimando la sua fiasca piena di vino, non già simile a quello mandatomi da lei, ma pure potrà servire por far meglio conoscere la perfezione del suo; inentro io co ’l fino, desiderosissimo di servire V. S., gli faccio debita reverenza. Da S. u Maria a Campoli, 20 Settembre 1687. Di V. S. molto 111." et Ecc. ma Dovotiss.® 0 e Oblig. mo Se. r0 Alessandro Ninci. (*> Cfr. n.» 3558. i*> Cfr. un. 1 3553, 3559. [3563-3564] 21 — 2G SETTEMBRE 1G37. 1S5 3563 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Arcetri]. Lione, 21 settembre 1G37. Bibl. Naz. T?ir. Appendice ni Mas. Gal., Filza Favaio A, car. 172. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio Oss. mo Dirò a V. S. con questa mia la ricevuta della sua de’ 2G passato insieme il pieghotto elio la mi raccomandò por il S. r de Valavez Cosi P autografo. Ma sul di fuori la inano di tompo in cui Galileo ora oramai quasi cicco: cfr. Marco Ambuooktti (il quale, continuando Pabita- Voi. X, pàg. 10, uotn 5) notò: * S. Rub. to Gal. 21 dine di Galileo, scrivo il nomo o il cognome dol 7brc 1G37 ». XVII. 24 186 26 SETTEMBRE 1637. (11564] Il Sig. r Dino Pori mi scrivo (li quel pittore (i ’ francese che dipingo la luna. Io qui sono necessitato a scriverò a V. S. lo mio miserie. Non essendo mai stato assoluto dal voto della povertà, non ho potuto mantenero questo pittore come liaveroi desiderato; c però non ho altro da mandaro che le incluso bozzo, fatto io con gran scommodo, o non con tempi continovati, come sarebbe stato neces¬ sario. Ma la verità ft elio questo giovano mi pare il caso por faro questo ser¬ vizio, essendomi riuscito molto meglio di tutti quelli che ho provati in similo impresa. Questo ò il medesimo elio ha servito quel Monsù di Peyros francese w , che ha fatto intagliare in ramo i disegni che si diceva che erano tanto mara- vigliosi, i quali però non sono ancora comparsi in Roma. Ma il nostro mi dico elio il mio occhialo ò molto meglio (li quollo di Monsù di Peyros, o elio li dà l’animo di faro meglio assai ancora di questo bozze, elio mando a V. S., acciò, so li paro bene, lo dia al Sig. r Dino, por mostrarle al Sor. rao Gran Duca. Io erodo elio si potrebbe disporre questo pittoro a veniro a Firenze, quando fosse 20 por servire a S. A. Sor. ma : por quanto l’ho pratticato, è bollissimo figliuolo, ed è por staro tutta la notto con pacionza a lavorare. Ila fatti alcuni paosotti, elio non sono di esquisita maniera, ma mostrano elio egli ha buon gusto. È giovane, od ha cominciato a dipingerò solo da cinque anni in qua. Prego poi V. S. a raccomandarmi caramente al Sig. r Dino, al quale non scrivo porchò non ho tempo, 0 lo supplico elio in nomo mio faccia bum biasima 0 pro¬ fondissima riverenza a S. A. Sor. ma 0 li ricordi elio li vivo devotissimo 0 fedelis¬ simo servitore. Resto poi troppo honorato da V. S. molto IH.™ per la approva¬ zione elio si compiace faro di quella mia scritturettaDove sapore elio quel buon filosofo tutto quest’anno nei suoi scritti di filosofia ha dato (lol dento contro so la dottrina di V. S., e però io ho abbracciata volentieri la briga (li pettinarlo con questa burla, la qualo è stata bistorta vera. Ilo ritoccata in alcuno coset¬ ti no la medesima scrittura, 0 però spero mandargliene una copia corretta in breve; o sporo che liavorò presto un poco di moneta, elio farò venire vetri da Napoli elio saranno di sodisfazione, 0 gli no darò parto. Con questo li fo rive¬ renza, 0 rendo grazio a Dio benedotto ebo li conceda miglioramento di sanità, conio Lo prego sompre. Roma, il 26 di 7bro 1637. Di V. S. molto lll. ru od Ecc. roa Dovotiss. 0 e Oblig. mo Sor." 0 Dis. 10 40 S. r Gai. 0 Galilei. Don Bened.° Castelli. Lctt. 3504. 29. ii campine — C(.audio Mki.i.an. **» Cfr. 11 .® 3437. «*» Cfr. un.' 8539, 364L [3565-356G] 26 SETTEMBRE 1637. 187 3565 *. GIO. GIACOMO PORRO a [GALILEO in Arcetri]. Monaco, 2G settembre 1637. Bibi. Est. in Modena. Biiccoltu Campori. Autografi, B.» LXXXV, n.° 98. — Aulogiufa. Molt’Ill. ro Sig. r o P.ron Oss. mo Il Sig. r Alberto (1) suo nipote so ne viene a questa volta, havendo ottenuta la licenza di star fuori por alcuni mesi, havendo anco liavuto una anticipata d’un quartale por il viaggio suo; ond’io ho essortato il detto Sig. r suo nipote a non perder l’occasione d’avanzarsi nella virtù, por quanto potrà, poiché à buo¬ nissimo ingegno e farà riuscita sì nel violino quanto nella tiorba. Ma io pre¬ gilo V. S. quanto so o posso a farlo studiar d’arpa doppia, con occasiono che costì si ritrova il Sig. r Fabio Laudi Romano, molt’eccellente virtuoso di tal istro- mento, perchè queste Maestà o Altezzo si dilottano molto di sentir a sonar solo io d’arpa, viola bastarda e violino. Oggi giorno in queste corti il louto non ò di molta stima, da cent’anni in qua. Il fondamento però di tutte queste virtù è il contraponto, con il quale si riducono a porfettione tutti questi stridii ; ond’io credo ch’il Sig. r Alberto non perderà questa sì buona occasione di farsi perfetto. So di qua potrò servir V. S. o lui insieme, ini comandi, oliò prontissima¬ mente la servirò. Se ci vorrà prolunghamento del tempo di star fuori, degnisi V. S. scriver doi righe al’ IH.® 0 Sig. Stalmastro w nostro, che gliele proscntarò io me¬ desimo o solleciterò il bisogno. Con che fino gli faccio riverenza. Monaco, li 26 7bre 1637. Di V. S. molt’Ill.' 0 AfF. ,no Ser. ro so Gio. Giacomo Porro. 3566 * GIUSTO WIFFELDICH a GALILEO in Firenze. Venezia, 26 settembre 1637. Bibl. Nua. Pir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 475. - Autografa. Alla lotterà facciamo seguirò il « biglietto » dogli Elzeviri, elio il Wipkkldicii mandava incluso (lin. 9-10) o cho anello proscntouiouto ò allogalo (car. 47«): osso è dolla stossa mano della lettera cho pubblichiamo sotto il n.° 8569. Molt’ Illustre Sig. r ot Pat. ne Oss.' no Il Sig. r Elzeviri mi scrive che debba scrivere a V. a Sig. a Ill. ma et informarvi si il libro vostro, quale loro stampano, sia diviso in più di quatro Giornate et in (*) Al.BERTO CKSARK GAI.II.Kt. (*) Ottone Enrico ui Eugukr-Kirchueiii. « 3 i Àbramo o Bonaventura Elzbyikr. 188 2G — 28 SETTEMBRE 1637. [3566-35G7J quante Giornate l’haveto partito. Loro hanno comininciato la terza Giornata al trattato De mota locali, o t dicono non trovar la quinta Giornata, si la non ò avanti l’Appendice; et di più desiderano saper si V. n Sig." 111."*» ha mandato tuta la copia, et pregano d’esser avisati quanto prima, altramente bisogna che aspet¬ tino con la stampa: et di più pregono che non faciate tanto abbroviaturo nel vostro originalo. Et acciò vedente quello elio scrivino, li mando qui incluso il biglietto mandatomi da loro. Aspetto subito la risposta, acciò possa rispondere io al Sig. r Elzovir. Et facendoli humilissima reverenza, prego Iddio elio la consorvi per molti anni, et li bacio li mani. Di V. a Sig‘ 111.*»» Promt." 10 Servitore Giusto Wiffeldich Fiamengo, fattor della libraria del Jonta. Da Von. a , alti 26 di 7brio 1637. Fuori: Al molt* Ill. r * et Ecc. mo Sig. r et Pat.°® mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galileo, mathomatico celeberrimo, in c ito ito. Fiorenza. 20 Memorie pour S. r Galileo de Galilei^. Pour demandar si illia plus do Giornate» quo quutro ot en combien do Gornates les a divide. Nous avons divido le 3 1 "* «Tornate a De motu locali. Noua no trouvons poinct lo 5 in0 Jornate, si il ne doit pas estre dovant l'Appendice. Et quii noua foco scavoir si nous avons touto la copie. Quii nona face ceci scavoir parfaictement dio dio, paroeque nous atteudrons anltroment, ot quii ne face pa3 tant des abreviatures en sa copio. 3567**. ASCANIO PICCOLOMINI a [GALILEO in Arcetrij. Siena, 28 settembre 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, c&r. 386. — Autografa la sottojcruiouo. Molto Ill. ro Sig. r mio Oss. ma Iticovo il favoro che V. S. mi fa dello zatto o dolio si minilo, o tanto più vi¬ vamente ne la ringrazio, quanto, in riguardo del grand’asciuttore che corre, ò veramente regalo desiderabilissimo. Ho sentito con straordinario gusto il suo buon stato di salute, e rimango continuamente pregando Dio che glie la continovi, con ogni più vera conten¬ tezza. E perchò pretendo di sodisfare al mio debito anche quest’anno in ser¬ virla del vino, la prego ad accennarmi di qual sorte maggior monto si sodisfac- 28 SETTEMBRE — 5 OTTOBRE 1637. 18 ‘J [3567-3560] eia, giacliè io non ho altra ambitiono cho d’incontrare il suo gusto ; o V. S. sa io che può meco trattar senza cerimonie, mentre io lo vivo il più sincero o divoto servitore che oH’habbia, e le bacio con ogn’aiìetto lo mani. Siena, 28 Sett. 0 1637. Di V. S. molto DI." Dcvot. Ser. A. Àr.° di Siena. 3568 . MARTINO ORTENSIO ad ELIA DIODATI in Parigi. Amsterdam, 1° ottobre 1037. Dal Tomo III, pag. 449-450, doli’edizione Fiorentina citata nell’ informaziono premessa al ».<> 1201. — Questa lotterà si leggo anche a pag. 58-54 del Libar sccundns de contpiciliie occ., Hagae-Countuui, ex typograpliia Adriani Vlacq, M.DC.LV, citato noli’informazione premessa al u.° 8521. Amplissime Domine, Vide, quaeso, ex literis D. Galilnei, quam necesso sit me ipsuni adire et praesentem convenire, ad promovendam rem istam incomparabilem. Ego perfectionera inventi eius attonito legi, et miratus suin; ncque telescopium tam perfectura usque hactenus visum ncque auditum fuit, quale Galilaeus promittit. Etiam hoc solum meretur ut Italiani potimi quam ocissime. Ilinc cnim non solum longitudiuum scientia aperietur navigantibus Oceanum, sed etiam magna perfeetio in studiis gcographicis et aatronomicis. Yides etiam venerandum sonein prae senio non satis aptum recolligendis observationibus suis, niultis numero et tamen necessariis et utilissimis. Et utinam hoc fieri possit,me iuvante, ante mortem Galilaei! 10 linee occasio, qnae nohis datur, magnimi et illustre aliquid promittit et producet, etiamsi ad navigationiB usum nihil conferret. Ego tibi rei litorariae publicam utilitatem et poate- ritatis laudom summopere commendo et meipsum, ut intor promotores rei tam mirandae imiuisccar non ultimus nec inglorius. Amsterodami, ipsis Kalenclis Octohris anno GIOIOCXXXYII. Martinus Ilortensius. 3569 **. BONAVENTURA ed ABRAMO ELZEVIER a [GALILEO in Arcctri]. Leida, 5 ottobre 1(537. Blbl. Naz. Flr. Mss. Dal., P. VI, T. XIII, car. 49. — Originalo. Excellontissimo et Clarissinio Domine Galilaoo, Praomissa humanissima salutatione, scire te volumus in Dialogis tuie nos ad calcem aspirare, in quibus extremam liane, quam heic expressam mittimus, tigu- Lott. 3568. 3. La stampa Olandese leggo ad promovendum. — C. L’odiziono Fiorentina loggo apertrettir ; la stampa Olandoso, aperietur. — 10. L’edizione Fioreutiua legge produciti la stampa Olnndcso, producet. — 14-15. NoH’odiziono Fiorentina la data ò tradotta iu italiano e messa in capo alla lettera, o manca la firmo. - 190 6-0 OTTOBRE 1637. [3660-3570] rum 11 ’, praotor oxplicationem oius, nihil aoquitur; quae, abrupta quasi praeter lo- gontium spom, opinionom gignore possit nonnullis, librum esse imperfoctum. Hac in praosumptione evitanda quum et operis commendationi et typographis nonnihil interesse vidoatur, tali lini oxtromam adderò manurn citra autoris consiliura noluimus, si fortasso aliquis epilogus voi conclusio, sou praesons scriptum com- mondans sou etiam in futurum cuiuspiam aliius facions spem, formam nostrao oditionis porficere possit. io Quod titillimi cuoi praofationo voi dodicatione concernit, ut ea, quidquid erit, prima occasiono sino mora ad nos porveniant oportet. Summatim quidquid nos sciro ot habere roforot, hac vico expodiondiun orit. Postrema vorba haoc sunt: Et demonstratum est, nid ad no esse ut frustarti ad cornati au : constai erijo, hanc eamdcm rationem habere etiam in ad no. Quare potei propositum (,) . Atquo bisce vaio. Loidao, ox officina nostra, 5 Octob. 1G37 Grog. Tuao ExcoUentiae Amantissimi B. et A. Elsovier. 20 3570 *. FORTUNIO LI CETI a GALILEO in Firenze. Bologna, 0 ottobre 1637. Dlbl. Est. in Modona. Raccolto Cninpori. Autografi, B.» I,XXVIII, n.® 141. Autografa. Molt’Ill. ro et Ecc. m0 S. r , S. r mio P.ron Col. mo Invio a V. S. li miei due Gigli (8) , pur bora finiti di stampare, non gift por darle occasiono di affaticarvi su la vista, ma por puro segno di mia osservanza et acciò si pregino d’havor havuto luogo noi suo museo. Resterò non di mono molto favorito se mi lionororà di farsene talhora leggere qualcho particella. Et per fino, pregandolo dal Ciolo quanto desidera, lo bacio con affetto lo mani. Bologna, 6 Ottobre 1637. Di V. S. raolt’Bl. ro ot Ecc. m:x Divot. mo Ser."» Fortunio Licoti. Fuori: Al molt’Ill. r ® et Ecc. ,n0 S. r , S. r P.ron Col."' 0 Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. Con un ligassetto scg. 10 fi fi "> Cfr. Voi. Via, pRg. 313, nota 1 , o Voi I. pag. 206. Cfr. Voi. I, pag. 208, Un. 10-12. ,9 > Cfr. n.° 3630. [3571-3572] 6—10 OTTOBRE 1637. 191 3571 **. ASCANIO PICCOLOMINI a GALILEO [in ArcetriJ. Siena, 6 ottobre 1037. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 838. — Autografa In fiottoscminno. Molto Ill. ro Sig. r mio Oss. mo S’é imbottato il solito vino d’anno, o subito elio a lei paia l’indirizzerò a cotosta volta; ma no voglio il suo conno per non far qualche orrore. Io non vuo’scornar lo somo, perché a lei auguro sanità da potergliene raddoppiavo; ed essendo la vendemmia andata sonza pioggia, Y. S. prepari vasi o luogo elio non dia occasiono di rinforzare. Quel mellone smisurato arrivò un po’ fatto, ma non dimeno riuscì bollissimo. E perché il rogalo mi velino in mattina ch’havovo duo Giesuiti a desinar meco? por pospasto li lessi il libretto di che V. S. mi favorì costì in Fironzo, o li pro¬ to metto elio non sapovan elio dirsi. Por scordanza, non resi a V. S. i baciamani del S. r Marsilii. Ma non venendo la Corto a Siena, sarà egli in breve a baciar a V. S. lo mani costà. Vorrei clic mi poiesso darò buono nuove della saluto di V. S., so non quale da Dio lo prego, almeno mogliori di quando io la veddi ultimamente. E con baciarlo con ogni affetto lo mani, lo confermo che ella non ha di ino il più voro o parziale servitore. Siena, 6 Ott." 1637. I)i V. S. molto 111.” Devot. Ser. S/ Galileo Galilei. A. Ar. di Siena. 3572 . EENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 10 ottobre 1037. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 50. — Autografa. Molto 111/ 0 ed Ecc.'"° Sig. ro e P.ron Col." 10 Ieri il Segretario dell’Eco. Sig/ Ambasciatolo di Toscana mi portò 30 scudi per l’occhiale (1> , i quali, così povero come sono, presi mal volentieri, o mi sa¬ rebbe stato più caro che il Ser. Gran Duca si fosse compiacendo ritenersi 1 oc¬ chialo, quale di già io liavovo pagato. Mando a V. S. i duo vetri por essitargli, od uno per V. S. : il prezzo di due è di scudi 18; il terzo, a olezzione sua, lo ricoverà in dono, quando liabbia da servirò por lei. A me pare elio quello elio é l») Cfr. n.» 8561 192 1U OTTOBRE 1037. [3572-3573] contrasegnato Pai. 5, Palmi romani 5, on. 10, mediocre, con una croce *, sia il meglio (li tutti tre; però V. S. .si ritenga quello che più li piace, o mandi il prezzo dolli altri duo quanto prima, acciò io possa sodisfare in Napoli per altri vetri, io Io crederei elio fosse servizio di S. Al. Sor.®*, che io havessi un centin&ro di scudi in mano per potere far lavorare in Napoli a questo galant’lumino {i ', il quale so elio mi farà piacerò più che ad altri per certo interesse suo ; e di già ho in¬ teso che corti Signori li no hanno pagato uno settanta scudi per servizio del Ser. mo Gran Duca, che forsi io rilaverei hauto per molto meno. Però mi rimetto a quanto parerà al Sig. r Dino Peri di rappresentare a S. Al. Sor."'» La verità è elio mi pare che costui habbia la vera maniera di lavorare, e che porti la spesa faro incetta dello opere sue. Starò attendendo i comandamenti di S. A. o quelli di V. S. ; o la prego elio si compiaccia significare a S. A. Ser.® a che li vivo devotissimo sorvitoro. Voglio aggiongere, elio se si con tino varà a pigliare 20 lo opero in nomo dol Sor. mo nostro da questo galantliuomo, le farà pagare ca¬ rissimo, elio noi altri poveretti non ci potremo arrivare. Sì elio torna il conto elio sia commosso a me il negoziare, oliò mi riuscirà con molto vantaggio, od ancora noi potremo bavero qualche cosa di bollo. Desidero intendere se quel pittore mio franzeso, che ha fatti quei disegni**', lia dato sodisfaziono al Sig. r Dino, e rassicuro che farà molto meglio. Bacio lo mani caramente al Sig. r Dino, od a V. S. molto 111.” ed Ree.®* fo riverenza. Roma, il IO d'8hro 1637. Di V. S. molto Ili.” od Ecc. m Non mando i concavi, perchè mi riescono ino- 80 glio quelli di Venezia, elio so clic non mancaranno a V. S. E li mando li inclusi disogni lunari, quali mi sono parsi assai goffi. Devoti»*. 0 0 Oblig. mo Sor.” c Dis. ,n S. 1 Gal. 0 Don Benedetto Cantelli. 3573 . GIOVANNI PIERONI a [GALILEO in Arcetri]. Vienna, 10 ottobre 1037. Bibl. Nasi. Fir. Mss. Gal., I\ VI, T. XIII, cnr. 53-64. — Autografa. Molto 111.» et Ecc. mo Sig. re P.rone Col. 1 » 10 Ricevo in quest bora la lettera di V. S. Ecc. ma de’ fi del passato, la quale non potrei diro di quanto affanno mi habbia cavato, parendomi di riconoscerò da '■» Fiuncesco Fontana. 1,1 Cfr. li.» 85C4, li». 7. [8573] 10 OTTOBRE 1037. 193 quella che V. S. E. resti capace e sodisfatta della verità che gli scrissi di Praga, di elio stavo molto geloso, havendo indicibile desiderio della sua gratin por la somma stima elio fo dell’inarrivabile suo merito. M’incresce d’haver (benché involontario) cagionato allungamento nella publicatione de’ suoi Dialogi, ma resta con avvantaggio della bellezza del carattere, la quale qua non sarebbe stata tanta, e non più di quella che olla vedrà nel libro del P. Guldini, non essendo io qua meglioro, la qualo non arriva a gran pezzo a quella de’ Dialogi latini, i quali ho veduti qua o spero di presto havcrli. Le indispositioni clip V. S. Ecc. ma mi racconta bavere, mi trafiggono l’anima, o vorrei poter trovarli rimedio che ce la conservasse sana ancora conti di anni. Fra tanto fa bisogno conformarsi allo divino ordinazioni. Il Padre Paolo Guldini stampò qui il suo libro De centro gravitatisi, e me no diede un esemplare da mandare a Y. S. E., quale egli stima c riverisce grandemente, perchè è galani’liuomo, o segnò sopra il libro di sua mano, qui in casa mia, il nome di V. S. Io lo mandai in una cassa di cert*altro mio cose, ma è stato circa un anno o più per strada; poi è capitato costà in mano del so Sig. r Giovanni del Ricco, il quale poco tempo fa mi avvisò la ricevuta di detto robe, clic essenti’ io poi all’ bora in Boemia senza occasione di scrivere, mi è uscito di mente l’avvisarli che dotto libro consegnasse a V. S. E. Poro bora glielo sciavo, e lei lo riceverà presto; e penso che gli piacerà. E perchè detto Padre è quello elio mi attesta che fu il primo che diede lume et avviso al P. Sciainer dello macchio del sole scoperte da Y. S. E. (2) , però più particolarmente io lo amo, o desidero, so piacerà a V. S., di risponderli alla donatione, che li fi del libro, con duo righe, elio mi favorisca mandar la lettera a me per recapitargliela. Egli aggiunge, o più tosto vuole sogghignerò, un’ altri opera t3 ’ alla di già stampata, li P. Sciainer ha finito l’impressione del suo libro De stabuliate tcrrae {ÀÌ 80 (così me lo ha nominato un Padre) por ragioni fisiche, e non è publicato ancora perché mancano le figuro, che si fanno. E intanto trovandosi qui il figliuolo* 5 ’ dol già Keplero per sue pretensioni di avanzi del padre, esso Padre si trattiene por far ogn’opera di cavarli delle mani le osservationi di Ticone o l’opero forse ancora dol medesimo Keplero non stampato ancora, o si serve di mozi do’ Pa¬ droni per violentarlo; ma inaino ad hora non li è riuscito, et io non mancherò di diligenza di aintaro per assicurare che lo detto osservationi non pericolino di essere falsato, ma un tratto si stampino molto solennemente con autorità im¬ perialo, o no spero buono effetto. <*> Cfr. 11 . 0 8260. de composti Ione, et rcsolutione poteslatum rotundorum, <*' Cfr. n.» 3052. Viennao Austrine, formis Mftttlmoi Cosuiurovii in Aca- < 3 > Paui.i Comuni Sancto-Gallonsis, o Sociotnto ilomia Colonionsi. Anno M.DC.XL. Iosu, Do centro gremitati» libor sncuildua: de risii centri <*i Cfr. n.° 2118. gravitati» binarum spe.ciernm quuntitati « continuile, sine l f.ODOVlOO Kkpi.RII. XVll. 25 194 10 OTTOBRE 1037. [ 8578 ] Della sposa dolio figuro intagliato' 1 ’ mi fa arrossirò V. S. E. a trattarne, anzi a pensarci solo. Altro barei volsuto faro, o speravo di faro so non oro di 4 o così sconvonovolo fortuna in servirò V. S. E.; la quale supplico cbo mi avvisi elio devo faro delli scritti Dialogi cbo mi mandò o, por meglio diro, con prima sicura occasiono glieno rimanderò insieme con lo originali approvatami 131 dolio stamparli, sentendo elio potranno esserli grato, conio ammirabili sono gli ordini di Itoma contro. Un mio amico, cbo si dilotta di coso astronomiche, è stato ultimamente nello università di Pollonia o in Danzica e altrove, et ha trattato con tutti i primi matematici ivi, o trovatili tutti grandemente affetti al merito di Y. S. E., e di forma opiniono univorsalmonto tutti cbo tieno per vero il moto della terra; ma non sono cattolici. &o La scrittura di V. S. E., stampata in Olanda vulgaro o latina, ciò è quella elio lei foco 20 anni sono a Madama G. Duchossa, non l’ho veduta o desidero sommamonto haverla; però so di costà, corno dubito, non si può bavero, la sup¬ plico almeno di farmi saporo il nomo di ossa, perch’io la possa chiedere. Si corno desidero ancora conseguirò un tratto il favoro elio V. S. E. mi accennò una volta, di poter dare una lottura a quello postillo fatto da lei circa il libro del P. D. Rocco <4) : elio so por havorlo bisognasse farne far costì copia, sporo cbo il Sig. r Giovanni del Ricco mi favorirebbe di farmi trovare chi facesse la fatica, ot a V. S. Ecc. mft no resterei obbgatissimo ; o però no la supplico, o di farmi saporo so mai alcuno perso tempo a rispondere alle gofforio del Chiaramonti t5 '. 60 E resto facendoli reverenza e desiderandoli folicitadi e presto perfotta sanità con ogni grazia dal Cielo, che por lunghissimi anni ce la conceda in terra. Di Vienna, li 10 Ottobre 1037. Di Y. S. molto 111. 1 ® et Ecc. m * “) Cfr. n.o 3289. < s > Cfr. Voi. Vili, pa K . ic. ' 3 > Cfr. Voi. XIX, I)oc. XLIII. Cfr. Voi. VII, pji*. 712 o sog ,s > Cfr. u.° 2326. [ 3574 ] 1U OTTOBRE ÌG37. 195 3574 . ELIA DIODATI a MARTINO ORTENSIO [In Amsterdam]. Parigi, 10 ottobre 1037. Dal Tomo III, pag. 450-451, doll’odiziono citata noli' informazione promossa ni u.° 1201. Parigi, 10 Ottobre 1637. Vix est, si bene advortns, vii* durissime, ut ex meis literÌR ullum tibi praebitnm sit arguuientum, unde inre queri possis quod, praeter quam par fuerit, longam vesti-ani in rescribeudo moram impatienter tulerim. Veruni bis querimonia, literario nostro pio bono publico circa Domini Galilaci de longitudine negotium coopto commercio minimo conve- niontibuB, postbabitis, illndque potius amico et sedulo, ut rcs postulat, prosequentes, id quod vobis nunc prao manibus est, serio, quaeso, capessite, iustaeque ipsius de vostro candore et erga euro remque communem testato studio expectationi respontlere vobis sit curae. IO Sententia tua de mensuratoro tomporis et de usu telescopii in fluctuatione navis (quatuor ab hinc mensibus vobis ab eo patefactis), quam novissima tua epistola milii si¬ gnificasti W, eum vcrisimili tantum coniectura, non antera certa et comperta scicntia, ni- tatur, rei veritati ipso experimento comprobandao non est quod praeiudicet, ita ut ipsius circa haec duo capita inventa, vobis prodita, indicta causa a vobis reiici possint aut debeant; quininnno potius illa (a vobis bene percepta), prò instituti negocii merito, accurato opero extructo erectisque ad illa probanda ex eius pracscripto requisitis machinis, attente a vobis perpendenda et adamussim exploranda forent; et si quid in iis deficiat, industrie supplori, pollicitisque praemiis insignium artificimi ad id opera advocari, nihilque praeterea, quod ad negocii proraotionem et perfectionera conducere possit, a vobis praetermitti, ob duas 20 potissimum rationes optandum foret: quod, vidolicet, longitudinis investigandae modus Ine per Stollas Mediceas, ab eo repertus, indnbie sit verus et certus; tum etiam, quod' eitra omnetn exceptionem is sit in rerum natura unicus ac singularis, quodque frustra in posterum ad earn rem ab hominibus aliunde auxilium sit expectandum. Quidni igitur fidenti animo eius ultiraae perfectioni mine adnitendura, et tanti tantopereque exoptati boni fruitio posteris est a vobis antevertenda, cum de eius praescrtim successa tantum abest ut vobis sit desperandura, quin potius do eo apes certa a vobis sit concipienda? Nullus cnim hominis ingenio in robus humanis, quantaravis arduis, irritus hactenus fuit. labor, dummodo obfir- ìnatila et assiduus: idipsum evincunt omnes artes et sciontiae, qnae, in prima carimi ru- ditate productae, pleraeque velufc impossibiles iudicatae, postea tamen, ubi perpolitao fuere, 30 intellectu cniusvis faciles et promiscuo usui accommodatae tandem evaserunt. Quod et in Lott. 3574. 3. iure quueri poni» — 7. iutloque — 14. tndìcln ea a vobi» 80. cuìtivie <•> Cfr. n.° 3508. 196 10 OTTOBRE 1637. r8674-8575| hoc invento eventurum osso, certo certius sperandolo est. Non enini, postquam innotuorit, cessabunt homines, donec eius usura sibi farailiarera reddiderint: raaioris namqno id ost raomouti pio communi hominum bono, quam ut, ubi semel detectura et comportino fucrit postea, quasi neglectum, perpotuis rursus tenebria ab illis indiscriminatim addictum iri spermi possit. Praelationis autom honorem et praerogativara, qua nunc potimini, penes vos est, ro maturata et ad perfectionem redacta, cura aeterna IlluBtrissimorum Ordinum (quorum auspiciis res per vos nunc agitur) gloria et immortali nominis vestri fama, sartam tectam conservare; quam si noglexoritis, ex rei ipsius natura necessario vobis in posterum praereptum iri, nullatonus est dubitandum : huiusque etiam est sententiae IlluatrissirauB Dominila Grolius. 40 Vale, et Nob. D. Realio (cui post mesa* 11 ad illuni, ante tros septimauas ad to raissas, in praesontia nil raihi scribuudum suporest) salutoni a me plurimam. 3575 . MARTINO ORTENSIO a COSTANTINO HUYGENS all’Àja. Amsterdam, IO ottobre 1637. Dal Tomo III, pag. 451-152, dell'edizione Fiorentina citata neH’infbnniuionu prometea al n.« 1201. — Questa lettera si leggo anche a pag. 50 dol LiUr trruntlui de eontpieiliii occ., llagao-Gomitimi, ex typograpliia Adriani Vlacq, M.DC.LY, citato nolla inforuiaxiouo premessa al u.« 8521. Amplissime Domine, Accepi literas Parisiis Bcriptas, quibus certior fio Dn. Gassendum Italiani patere volle, ut invisat Galilaeum. Ilio (ut probo nosti) Gnssendus (’lariss. est mathcmaticus ot raihi intimus; iu Provincia Romanorum Gallica habitat, estque in omnibus studiis cxercita- tÌ88Ìmu8 et fama celeborrimus, plurimia ab bine annis per observationes astronomicas praeclarus, et iudicio pollens optimo. Quam optandum inihi erit cum ipso Galilaeum posse convenire super rebus tara grandibus ot utilissimis! Promove, quaeso, mi Domine, hunc honorem saeoulo nostro, imo tuo, qui inter Mecoenates studiorum et promotores coolestis huiua scientiae audies inter primates, primua ab inventore. Vale. Amstellodami, 10 Octob. CIOIOCXXXVII. 10 Martinus li ortensi us. 32. ccenabant hominet — 39. praereptam tri — Lott. 3675. 6-7. L'odixiouo Fiorentina logge cum i pio Qalilnto convenire ; la stampa Olandoan, cum «'/>*(» Qulilaeum pone convenire. — 10-11. Noirodiziono Fiorentina la data è tradotta in italiano o mossa in capo alla lotterà, o manca la firma. — <“ Cfr. n.» 3:161. [3576-3577-J 12 — 13 OTTOBRE 1637. 197 3576*. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in Arcolri], S. Maria a Campoli, 12 ottobre 1037. Blbl. Nnz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Fa varo A, car. 173. ~ Autografa. Molto 111/® et Ecc. mo S!g. r mio P.ron Col. 1110 Il regalo fattomi da V. S. non potova mai arrivare in tempo più opportuno, poiché avevo qui da me due amici con i quali mi son fatto onore del vino, che per la sua esquisita bontà persuadeva di venire da principi, e della zatta che veramente fu degna di essere presentata d’ondo veniva il vino. Ne rendo però a V. S. quelle maggiori grazio elio io posso, conoscendo di non la potere mai ringraziare a pieno. Mando nove fogli originali e altri e tanti di copia (1) , o aspetto con desiderio gl’altri da potor proseguirò. Mando ancora quattro formo di cacio, che pesano lib. 13, on. C, costano lire sei o soldi quindici, o cotogno n.° 33, costa nosoldi sedici. Prego V. S. a scusarmi so non resta servita conformo al suo desiderio, perché in questo paese per quest’anno non si trova meglio, so bene di questa sorto ora non ne manca. Avevo provisto i raviggiuoli, ma la trascurataggine di Santi, o la troppa dostreza d’un mio gatto, mi proibisce il poterli mandare; procurerò bene che V. S. n’ abbia la prossima settimana. Ancora non ho rivisto il Sig. r Piovano di Campoli, quale saluterò in nome di V. S., pregando a lei dal Cielo intera sanità, acciò quanto prima possa ricovero il favore che nella sua cortesissima lettera mi accenna, d’essere onorato in questo mio tugurio con la sua presenza; mentre co ’l lino con sincero alletto la riverisco. Da S. ta Maria a Campoli, 12 Ottobre 1G37. Di Y. S. molto 111/ 6 et Eco. n,a Dcvotiss/" 0 o Oblig. n, ° So. re Alessandro Ninci. 8577. PIETRO GASSENDI a GALILEO in Arcetri. Marsiglia, 13 ottobre 1037. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 55-50. — Autografa. Yiro incomparabili Galileo Galilei, Magni Hetruriae Ducis Mathematico, P. Gassondus S. Adoram miper Aquis-Sextiis, Galileo ebbrissime praestantissimeque virorum, cuni inlustris Petriscii (2) nostri toò jj,ay.aptxoo gcrmanus l3) tuas accepit litteras, ot quanta mei mentio facta abs to fuisset ostendit. Et conlostim quidem, grati¬ li Cfr. nn.t 3558, 3559, 8502. (*» Niccolò Fabri di Pkikkro. <*> Cfr. n.° 35C3. 198 13 OTTOBRE 1637. 13577] tudinera testaturus ad te, scripsissem ; sed partila fiuae ad manum erant negotiola intorturbarunt, partila desiderami ac spos agendi corata gratias continuit. Consti- tuoram vidolicot hoc ipso anno te convenire 11 ', inarseratquo animus, cunt signi¬ ficatimi a Diodato est, gravem morbum aotati iam ingravescenti supervonisso. Quara adparato commeatu do dio discossus deliberabam, cimi ecce renuntiatum io est itinora omnia terraque marique sic occupari milito, ut sine magno discrimine ponotrari istuc non possot. Id ubi confirmatum est, ao bona sorte simul accopi to ab eo inorilo convaluisso, sic nutaro copi, ut bindelli praestabilius ccnsuerim differro adirne in paucos inenseis meam versuui te profectionem. Accessi interoa ad liane civitatom, et discessuro Lugduiniin veredario paucas basco bneas oxa- raro placuit, quae Rossio w cognatoque tuo< 3) , optimis viris, commendareutur. Ac- cipies proinde, et valere me, et gestare semper in mento medullisquo intimis memoriam iucundissimam ac venerationem tui. Quantum vero, putas, id doloo, quod commemoras qnodqno a Diodato iam acccpcram, oculorum altero to fuisso orbatum ! Scd et quantae, putas, id railii consolationi vertitur, quod perspectam 20 animi tui moderationem habeo, ncque liaereo quia solita, hoc est invicta, constantia casum istum admiseris, tanquam nihil a conditiono humanitatis passus aliommi ! Et versotur ctiam alter, qui suporest, oculus in simili discrimino: cogito tamen to ad hanc quoque iacturam loniter ferendam osso paratissinium, quippo sic adfectum, ut quocumquo to voi natura vel fortuna adegerit, lubens lactusquo consoquaris. Nosti niinirum quantum praestet sequi volentom quam traili invitimi, et patiendi necessitatom consonsione potius lenirò quam repugnantia exaspcraro. Te vero pracscrtini consentaneum est ad omnem oventuin compositum osso, qui es iampridom advorsus fatum tantoporo oxercitatus, quemquo vix ullum tclum ferire, quod non fuorit praevisum, potost. Quao caccitaa certo instare videtur, so non ex inopinato continget; ncqug sic moerore adficiet oh hebetatam corpoream aciom, quam voluptato rccreabit ob superstitom perspicaciani mentis. Accidat onim : futurus tamen et habondus es quasi alter Appius, quo intor Romanos nemo oculatior, aut quasi alter Democritus, quo (sou veruni seu fictum sit quod do caecitato eius dicitur) nemo intor philosophos solortius ac ponitius naturam rorum introspexit. An forto etiam non cogitabis, praeter hoc spolium, quod nisi aliud saltcm mors sui faciet iuris, suporfuturos oculos iramortalitatis luco co- ruscanteis? Vidolicet fiori non potost ut oxstinguantur aut intereant foelices illi oculi, quibus primis conccssum est tot res mirandas conspicoro et conspiciundas oxhiboro. Veruni consisto, ne candorcm modestiamque summam offendam, addo- 10 que solum osso qnod doloam nisi to lumino utroquo res discernontem convenero. Quippe tocum communi care in animo crat, praeter caotora, non contomnciuluni paradoxum : quod, aperto licot oculo utroquo, altero tamen solum videamus, "> Cfr. n.° S3U0. <*' Cl'r. li.® 2G81. <*' UoBKRTO GaI.II.KI. 13-17 OTTOBRE 1G37. [3577-3578] 1U‘J visione quam distinctani vocant. Sed quanquam non possis ipse esplorare quao exporiundo milii contingunt, liabcbis tamcn facile caeterorum oxporimenta, et voi ex solo parallelismo motus oculorum tibi cognito coniicies, opinor, opinionem liane vidori plano ncccssariam. Et quacretur quidem fortassis, quid alter interni oculus moliatur. Vcnun constabit, illius axem sic rolaxari aut retrahi, ut piane prorsumque otietur, et naturao ductu ex oculis duobus illius axem dirigi qui 00 valcntior oxstiterit, ut solent membra gemina inaequalis esso virtutis. Plura, Deo volente, coram. Intorea nihil adiicio circa dolorem quem conce¬ pisti ex immatura optimi nobilissimiquo Potriscii morte. Sane is summo quidem studio bonus literatosquo omneis, qua orbis patet, complectebatur, sed te, ut primas in iis tenero arbitrabatur merito, ita imprimis suspiciobat et proseque- batur insigni adfectu. Conscius sum ipse, quid tui caussa procuratum voluerit, quam veliementer institerit, quam obtinere non desperarit. Et quanquam for¬ tassis id tibi, qui es ingenti animo praeditus, àStà^opov fuit, saltelli illius erga te niens esso non potuit avdentior, noe por euin stetit staturumvo fuit quin maxima cum libortato tranquillitatequo dogeres quod supercst aevi. Me quod fio attinet, ipse te superiorem longe bisce casibus insultibusque fortunao duco, istam- que sedem liabeo non instar infausti cuiusdam exsilii, sed instar optatissimi for- tunatissimiquo sccossus. Quasi vero cordati viri quidquam amplius desiderent, in mediis aulao lluctibus tumultibusque civitatum, aut quasi tibi in hac notato possit aliquid esso dulcius quam procul abesse a propliana turba, quao quasi bcllua multiceps nibil vere humanum sapit, nihilque praetcr simulationem, invi- diam, perfidiam, caeteraque id genus spirat. Tsteic proinde contontus vivo, et quatenus licet foelicitor. Vale. Massiliae, IH Eid. Octob. coIOCXXXVII. Fuori : Clariss. 0 Viro Galileo Galilei, 70 Magni Iletruriao Duois Matliematico. Florcntiain ad Arcctram. 3578 *. FULGENZIO MIC ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 17 ottobre 1G37. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, D.» LXXX, n.° 105. — Autografa la sottoscrizione. Molto 111. et Eccoli." 10 Sig. r , Sig. r Col.' 110 Son stato quasi un meso in villa, lontano o da i negotii c da i pensieri noiosi. In qucll’otio però non ho ricevuto gusto maggiore clic quello che mi ha apportato una lettera di V. S. molto Ul. re ot Ecccll. 1 "*, dandomi raguaglio so 200 17 OTTOBRE 1637. • \ 13578-8579] non della sua sanità, elio lo prego et desidero con sommo affetto, almeno dol gran moglioramonto. La vecchiezza è infirmiti, così fu dotta, ot io lo prattico vero; benché son anco incorto so dal di che nasce, l’huomo, cominciando a mo¬ rire, comincia anco ad esser infermo. Ma puro noi chiamiamo sanità lo staro manco malo; ma quando si perviene all’età senile, ogni mediocre moglioramonto si conta per sanità. La cognitiono elio V. S. ha dello coso humano e naturali io è tanto grando, cho li debbo servire por maggior trattenimento che a gl’altri non fanno le forze dol corpo e ’l vigore della giovinezza. Scrivo hoggi all’Ansio ( ‘* rissolutamonto la vanità del suo pensioro, che V. S. non sia più di questo mondo por la nova cho si era sparsa, o lo farò pagare la pensiono indubitatamente. Il Sig. r Giusto 11 , lihraro qui al Giontu, mi mostrò hieri una lettera di V. S., quale haverà Inori sera mandata al Sig. r Klzivir. Son sicuro cho V. S. non può staro senza contemplatami non più vomito nello menti do’ filosofi per li documenti che n’habbiamo, ot si vaierà degli occhi et mano altrui per non lasciar sepolti tliesori tanto protiosi, cho Dio sa so nel 20 corso degl’anni mai più capitassero in uso degl' huomini. I’rcgo Dio cho la tonghi consolata ot in tranquillità di animo, ot con tal lino a V. S. molto Ill. ro ot Eccoli. ma bacio lo mani. Ven. R , 17 Ottobre 1037. Di V. S. molto 111. et Eccoli. m> I)ev. mo Ser. r F. F. 3579*. FRANCESCO RINUCC1NI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 17 ottobre lft37. Bibl. Est. in Modona. Raccolta Campori. AutoRrafi, B.» I.XXXYU, n.® 33. — Autografa. Molto Ill. ro Sig. r,s o P.ron mio Oss. mo La lotterà da V. S. inviatami con la sua gentilissima do’ 10 non ò stata recapitata in propria mano por error di un mio giovano, quale la portò al Padre Maestro Fulgentio, conformo haveva fatto l’altro; ondo io di nuovo mandai al Padre Maestro, quale mi fece rispondere cho la lettera sarebbe stata reca¬ pitata da Lui stesso in propria mano : sicché resti sicuro V. S. cho ò pervenuta dove doveva. Intendo cho le sue opere a quest’ bora devino essere a buon tormino. Mi dispiace solo di non esser stato soggetto habilo a potoria sorviro in qualcosa; <'i Gio. Battista Arici. <*i Giusto Wi» fkldioh. 17 OTTOBRE 1637. 201 [3679-3680] io pure godo infinitamente di vedere condotto a fine quel che tanto ho desiderato, come dal Padre Francesco (il , elio fu qui da me a’ passati giorni, potrà inten¬ dere. Conosco veramente che di gran lunga trascendono la sfera della mia poca Inabilità; nondimeno la supplico a voler fare che io non sia de gl’ultimi a ve¬ derle, già che sono il primo fra’suoi servitori d’affetto e d’osservanza. Equi, ricordandoli che da un semplice recapito d’una lettera non rimane appagato l’ambitioso desiderio che. ho di servirla, gli bacio di cuore lo mani e gli prego dal Cielo augu mento di salute. Venetia, 17 8bre 1637. Di V. S. molto III.» I)ev. n '° et Obb* mo So.» 20 S.*' Galileo Galilei. Fran. co Rinuccini. 8580 *. GIUSTO WIFFEI.DICII a GALILEO in Firenze. fVcnezial, 17 ottobre 10:57. Bibl. Nnz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 174. —Autografa. Laus Beo. Ady il 17 d’Ottobrio 1637. Molt’Ill.» et Ecc. m0 Sig. r Ho ricevuto la carissima vostra w por mano del R. P. F. Fulgentio, et visto per ossa quanto che la scrive. Ho mandato biori 1* istessa lettera al Sig. r Bona¬ ventura Elzeviri acciò veda più chiaramente quanto che V. a Sig. a scrive et elio io resta escusato del tardiraento della risposta. Ho un libro novo, composto dal R. P. Guldinio Iesuita: tratta de contro gravitati * w , et è stampato in folio con diverso figure. Costa 1 */« ducatene, io Piacendolo, li mandate per il corriero. Non altro, si non che prego Iddio che la feliciti et resto alli commandi. Di V. :i Sig.* molt’ Hl. nKl et Ecc.»" Promt." 10 Sor.» Giusto Wiffoldich m. p., librare. Fuori: Al molt’Ill.™ et Ecc. m0 Sig. r et P.no mio Oss.™ Il Sig. 1 ' Galileo Galilei, in Firenza. <*> Famiano Mici! buni. ,8) Ufr. 11U - 1 3678. <*) Cfr. n.o 3578. 20 XVII. 202 20 OTTOBRI-: 1637. 13581] 3581. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 20 ottobre 1037. Bibl. Nat. Plr. Mns. Gal., P. VI, T. XIII, car. 57. — Autografa Molto Ill. ro ot Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col. mo Noi passaggio elio foce di qua il nostro P. Francesco delle Scuole Pio {1 ’, mi favorì di venirmi a vedere, insieme con il suo molto lt. P. Provinciale, por la venuta e presenza de’ quali non solo ricevei gusto per le loro qualità, ma porcliò mi arrechorno nuove se non in tutto liete, almeno meno cattive di quello ch’io mi ora preconcetto, della sanità e stato di V. S. Ecc. n '*, della quale discorres¬ simo al longo con mio particolar gusto. E perché noi progresso del discorso venni a nominarli quel Cursus mathematicus del quale gli scrissi, desiderando di vedero il quinto tomo, ot osso mi disse elio P havea un suo scolaro, porciò con questa occasione di riverirla li scrivo di questo ancora, acciò, se il P. Fran- in cesco è ritornato costà, olla mi favorisca di ricordarli quosto mio sorvitio, chè mandandomi dotto quinto tomo, dato cho li babbi una scorsa, glielo riman¬ derò subito. In tanto mi vado disponendo por leggoro con quel puoco di sa¬ nità cho mi ritrovo, e desidero eh’ ella mi consoli con buone nuove della sua sanità, la quale prego vadi conservando con il staro pii! allegro cho sia possi¬ bile, poiché ella sa quanto vaglia per allongare la vita. E con questo li faccio riverenza, ricordandomeli cordialissimo servitore, sì come desidero anco mi fa¬ vorisca con il P. Francesco o con il Sig. r Dini t3) . Di Bologna, alli 20 Ottobre 1637. Di V. S. molto Ill. ra et Ecc. mB 20 Tiene un libraro costì in mano circa 12 delle mie Geometrie (4) ; e perché non è robba di spaccio, ho dato ordine cho siano consignate al P. Francesco, (piando vi sia, acciò egli, con l’occasiono de’ suoi scolari, veda se ne può far esito di qualch uno. Perciò la prego a ricor¬ darli questo ancora, e cho mi avvisi so ricevè le lettere in Venetia eh’ io inviai al R. P. Fulgentio etc. I)ev. mo et Ob. mo Ser. r « e Disc. ,n F. Bon. r “ Cav. rl Fuori: Al molto 111.*» ot Ecc.' n0 Sig. r e P.ron Colmo Il Sig. r Gal. 00 Gal. 6 ' Firenze, ad Arcetri. "1 Cfr n.o 8579. <*> Cfr. n.o 8498. ,s ' Ilixo Fruì. <*' Cfr. n.o 1970. [3582-3583J 22 — 24 OTTOBRE 1537. io 203 3582 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in ArcotriJ. S. Maria a Campo!!, 22 ottobre 1637. Bibl. Ntiz. Fir. Appondico ivi Mas. Gal., Filza Favaro A, car. 175. — Autografa. Molto Ill. r0 ot Eco." 10 Sig. r mio P.ron Col." 10 Por il portatore della proselito lotterà mando quattro raviggiuoli, tre do’quali sono simili o uno minoro, elio costano lire quattro e duo Grazio, prozo vera¬ mente rigoroso, ma non insolito por quest’anno ; ondo aspottcrò elio lei mi ac¬ cenni so no dova provedoro altri, porchè volendoli di questa sorto bisogna farli faro a posta. Suplico però V. S. a scusarmi della dimora, o non argomentare da questo che io babbi poco desiderio di servirla; montro co ’i line, ringran- ziaiulola della zatta o del cotignolo, gli faccio debita reverenza. Da S. t!l Maria a Campoli, 22 Ottobre 1637, Di V. S. molto Dl. ro et Ecc. ,n:i Dovotiss." 10 o Oblig. 1 " 0 Se. 1 ' 0 Alessandro Ninci. 3583. GALILEO n BENEDETTO CASTELLI in Roma. Arce tri, 24 ottobre 1G37. L'mitotrrnfo ili questa lottorn fu un tempo nella Biblioteca Palatina di Parma, alla qualo si riporta Oiam- iiatista Vknturi elio por primo la pubblicò nello Memorie e lettere inedite finora o diejteree di Galileo Galilei eco., Parte seconda, Moiiona, por G. Vincenzi o Comp., M. DCCC. XXI, pag. 214-215. Arcetri, 24 Ottobre 1637. Ricevei con la gratissima sua le tre lenti cristalline Cfr. n.« 3572. 204 21 OTTOmcK 1(137. (3583] ancora tre o quattro giorni a rimandarlo, già elio ini si porge occa¬ siono sicura por la venuta costà del Signor Andrea Arrighetti, il quale, facondo la strada di Loreto, conduce a Roma un suo figlio, o sarà a godere, non senza mia invidia, la dolce conversazione di io V. P. Reverendissima. Mi dà nuova il medesimo Signor Peri aver fatto parallelo dell’ultimo occhiale, venuto da Napoli al Gran Duca con sposa di settanta scudi, parallelo, dico, con un altro suo dell’ istessa lunghezza, lavorato qua da Tordo (1> di Galleria, e finalmente trova¬ toli pochissima differenza, con qualche vantaggio però di quello (li Napoli. Io veggo adesso di rado il Signor Dino, occupatissimo in varie curiosità del Gran Duca et affari dì casa sua, et ora massime che si va mettendo all’ordine per l’andata alla sua lettura di Pisa; talché non posso dirle se abbia trattato col Gran Duca per conto del tenere 20 impiegati costà i cento scudi por investirgli in vetri di Napoli, li quali vengono comunemente stimati qua di troppo alto prezzo. Io gli rendo grazie dell’avermi voluto regalare di una delle tre lenti mandate, a mia elezione; ma perché l’averle senza poterle usare mi accresco malinconia e cordoglio, la rimanderò insieme con le altre, so già non si trovasse da recapitarne qualcuna qua al prezzo asse¬ gnatogli ; il che io non credo. Ho veduto i disegni della faccia lunare n> , dei quali quelli fatti con lapis 0 gesso sono ragionevoli, ma vi manca però il rappresen¬ tare una parte elio io stimo principalissima sopra tutte le altre, 0 so questa è quelle tirato lunghissimo di monti scoscesi et altri gruppi di scogli dirupati, dei quali non ve ne veggo nissuno, conio nò anco quelli elio sono di perfetta vista e elio gli sanno scorgere 0 distin¬ guere chiarissimamente nella faccia della luna. Gli altri duo disegni stampati sono veramente goffi oltre modo, 0 disegnati da chi non abbia veduto mai la faccia della luna, ma si sia regolato su la re¬ lazione di qualche persona molto grossolana. 11 Gran Duca ne fa esso ancora disegnare, onde non credo che desideri altri disegnatori. K questo ò quanto mi occorro dirle in risposta della sua. Starò aspet¬ tando di intendere la terminazione (lei suo negozio, 0 il tempo nel io quale devo sperare di goderla qua da me. lri'OLrro Khanuuu. 0(r. nn.< 8561. 8572. 13584] 24 ottobre 1637. 205 3584 **. LORENZO CECCÀRELLI a [GALILEO in Arcotri]. Roma, 24 ottobre 1G37. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., t\ I, T. XI, car. 340. — Autografa. Molt’Ill. re et Ecc. mo S. ro mio P.ron sempre Oss.° Doppo havero stampato l’accluso sonetto anagrammico, in’è occorso stam¬ pare l’altro, parimente annesso 111 , acciò, sicome liavovo in parto gustato le dolcezze del Ser." 10 Principe Cardinale <2) , sorbii lassi ancor quelle di cotosto augustissime nozze 131 , materia heroica di molte belle poesie, et in particolare qui del Tacchini con anagramma non mono fortunato elio ingegnoso, benché alquanto licentioso, del quale licbbe rogalo di A 50 da S. Alt. a in un mandato diretto a questo Eco."' 0 Ambasciatore (4> . E perchè del secondo no mando stampo a loro Altezze con mia lettera dell’incluso tenore' 51 , faccio adesso grandissimo capitalo di V. 8., io la quale prego, per quell’amore elio mi portò un tempo, ad aiutarmi del suo lavoro et insinuatione opportuna, che m’assicuro potrà, giovarmi notabilmente a farmi ricovero qualche segno di gratitudine ; o quosto, subito vista la presente, mentre le occorra d’andare a Palazzo o d’abboccarsi con alcuno do gl’ili."'' Se¬ gretarii o 111." 10 S. r Conto Orso (0) otc. In reliquis, io con Caterina (la quale saluta carissimamente V. S.) e tre figliuoli godomo buona saluto, come speriamo intendere da lei nella risposta di questa, della quale enissamento la prego. E Dio N. S. Signore la consorvi con la S. ra Suor Archangiola, S. 1 ' Vincenzo otc., a’ quali bacio affettuosamente le mani. Di Roma, li 24 Ottobre 1637. 20 Di V. S. molto 111.™ et Ecc.‘° AfF." 10 et Oblig."“* Ser.™ Lorenzo Coccarelli. llavevo, con l’occasione del sonetto nuttialo, inserto noi fondo l’incluso di¬ stico, benché latino; ma quando fu lo stampatore a pigliar YApprobo, non volso P Inquisitore lasciarlo passare, con diro che sotto quelle parolo Orbis nane Do- minorum otc.- davo tutto il mondo a Casa Medici o non no lasciavo niente a gli altri. 0 utinam, che li pooti o semipoeti, coni’io, potessero haver tanta possanza! Ma certo che il Padre con gran torto me lo scassò, che nondimeno glielo mando etc. I,ctt. 3584. 15. In reliquie» — <«> Nè l’uno uè l’altro, o nepimro il «distico » accennato più in giù (lin. 22-23), non sono presento- monto allogati alla lottorn. <*) tìio. Carlo or’ Mkdioi. < 3 > Di Fkiidinanho li con Vittoria uklla Rovkkr. m Franorsoo Niccouni. (5) Cfr. n o 3585. <°> Orso d’Kloi. 20C 24 — 27 OTTOBRE 1637. [3586-3686] 3585 **. LORENZO CEOOARELLI a FERDINANDO II DE’ MEDICI o VITTORIA DELLA ROVERE, Grauduchi di Toscuua, [iu Firenze], Roma, 24 ottobre 1G37. Bibl. No*. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XI, oar. 341. — Autografa. Ser. m ® Aitozze, Nogli communi applausi di Parnasso, destati al mondo pur dianzi dalle fastose nozze dell'Alt.** VV. Sor.* 1 *, io, come inferior di inerito et di talento, cobi tra gl’ultimi vengo a rendere riverente tributo dell’antica divotione, gl’unni a dietro da me concepita ot in¬ sieme essibita verso i Ser. ml Cosmo 2° e Francesco Maria 2° di gloriosa memoria, l’uno in Firenze sotto l’appoggio dol gran Galileo, d’ogni virtù compendio, l'altro in Castel Durante noi viaggio col moderno Galileo a S.‘* Casa. Confido per tanto, l’Alt.** Vostro Ser. m * gradiranno quest’ Rumilo presente con quella benignità con la quale il re Serse non si sdegnò ricevere l’onda corrente nella mano del povero soldato; col di cui puro ossequio riverentemente P inchino. Roma, 24 Ottobre 1687. Delle VV. Ser. m * Alt.** IIum.° Ser.** Lorenzo Ceccarelli. 3586 **. ASCANIO PICCOLOM1NI a GALILEO [in Aratri]. Siena, 27 ottobre 1037. Blbl. Nasi. Flr. Msa. Gal., P. I, T. XI, car. 342. — Autografa la aottoBorlziona. Molto Ill. r ® S. p mio 088. m0 Alla prima muta, elio seguirà fra pochi giorni, farò cho V. S. aia servita del vino ; e sicome havrò particolar riguardo cho se li mandi del meglio olio io Rabbia, così mi starò augurando che riesca proporzionato alla sua complessione, come desidoro. Il S. r Marsilii che (li questa settimana partirà di qua per la sua carica, rondo a V. S. dupplicato saluto ; ed io, rallegrandomi con lei dol felice rihavi- monto delle forzo, resto, con tutto 1 animo pregando Dio cho me la conservi lungamente col colmo d’ogni prosperità e contentezza. Siena, 27 Ott. re 1G37. Di V. S. molto DI.*» Devo. Ser. _®-* “ileo. A. Ar. di Siena. (I) Ai.ksba.vdho Ma ubili. [3587-3588] 29 — 30 OTTOBRE 1G37. 207 3587 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Àrcetri]. 8. Maria a Campali, 29 ottobre 1G37. Blbl. Naz. FIr. Appondice ai Mss. (lai., Filza Favaro A, car. 176.— Autografa. Molto 111." ot Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col."' 0 Mando staia sci di farina, che, computato la poliza o vettura, costa lire trentasette; e ho soprastato a mandarla, perchè chi havova promesso di con¬ durla sino mercoledì, fu impedito : però suplico V. S. a scusarmi. Mando ancora il fanciullo che io proposi a V. S., acciò possa vedere se gli paro a proposito per il suo servizio, sì come io lo stimo, poiché mi paro di buona natura o da servire affettuosamente. È malo in ordino, perchè in una servitù che ha fatto ha consumato i vestimenti proprii, o poi è stato pagato di straneze. Viene con grandissimo desiderio di dare sodisfazione, o massimo per la speranza d’avere io qualche comodità, d’impararo a leggero e scrivere. Con che, baciando lo mani al Sig. r Alberto Ul , a V. S. faccio debita reverenza. Da S. u Maria a Campoli, 29 Ottobre 1637. Di V. S. molto 111." e molto ltcv. (sic) Devotiss. 1 " 0 e Oblig. mo Se. ro Alessandro Ninci. 3588 . ISMAELE BOULLIAU a GALILEO in Firenze. Parigi, 30 ottobre 1G37. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 59. — Autografo. Illustrissimo et Excellentissimo Viro Lynceo Philosopho Astronomo celeberrimo D.no Galilaeo Galilaei, Nobili Fiorentino, S. P. Illustrissime Domino, Multis urgontibusque rationibus adductus sum ad hanc epistolam tibi mit- tendam, unaque libollum quom imporrirne scripsi Do natura lucis (2 ’ : in posto- rum enim tibi, qucni maxime facio, innotescam, ot, quod admodum cupio dequo tua humanitate spero, de ilio opuscolo iudicium tinnii intelligam. Clarissimum ot doctissimum virum Dominum Gassondum, amicum meum singularem, aeger- rime foro a profectione sua, quam te invisendi causa suscepturus erat, retractum io esse: suspensum animi tenent belli por Italiani grassantis continui torrorcs ot <*) Auikkto Crsark Gai,ii,ri. (*) De natura luci», auctoro Ismaki.k Boi.I.IAI.do. Paiisiis, apucl Ludovicum do Honquo ville, 1638. <*» Cfr. li. 0 3577. *208 30 — 31 OTTOBRE 1637. [8588-3580] non ambigua prrioula. Liitoram ot libruni ipsi inittoro ad lo porforondos mocum statuoram, ot imponso laotabar in tantorum philosophorum congressu oonira indicio acquo sanoque subiici : vulgus otonim inibi suspectum est, ot plausus illius in rebus eiusmodi ingrati semper mihi fuerunt. Vorum cum liuius temporis tumultua furoresque bellici congressi! ot colloquio mutuo vos arceant, milii diutius difForendnm non potavi, cum a morbo molesto to convaluisso et redditam tibi sanitatom pristinam ab amico audiorim. Grave porro tibi non erit audire, Philolaum'* Àmstolodami typis cxornari: is systema mundi rationibus in lume usque diom ignotis, a geomotria ot optica doductis, necessaria conclusione demoustrare oontendit. Typograpbi mora acriter 20 roprehonditur, quia ubi illuni legoris, quid de ilio senties audire multi cupiunt. Valctudo interim tua aetasque aollicitos et anxios tenont: hanc libertatom moam, a civili forsan comitato nimis dotortam, excusatam habobis, et ingenuo atquo aperto animo voniam dabis. Hunc Domino Diodato fasciculum commendavi: is tibi notisaimus est, ot amicitia mocum iunctus. Multos adirne annos Dominus Noster to salvimi et incolumem servet, ot to Suis gratiis abunde curaulet. Vale, Vir Illustrissime. Scripsi Lutetiae Parisiorum, Octoliris die 30, anno Saluti» 1637. Tuus Humillimus Ismubl Bullialdus. 30 Fuori: Clarissimo Viro Domino Galilaoo Galilaei, Nobili Fiorentino. Florontiam. 3589 **, BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in l irenae. Roma, 31 ottobri* 1687. Bibl. Naz, Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 00. — Autografa. Molto Ill. ro od Ecc." 10 Sig. ra 0 P.ron Col. mo Mi dispiace che i vetri (t> non siano stati di sodisfnzione rispotto al prozzo. Questa mattina ne ho scritto a Napoli : starò attendendo la risposta. Quanto a quello clic V. S. molto Ill. ro mi dico dei disegni lunari fatti con carbone e con gesso, ancor io no ho avvertito il mio pittoro 131 , olili medesimo lo conosce e va tuttavia corcando di far moglio ; ma la moltitudine dello cose che IiCtt. 3589. 4. lunari fatto — • ') Philolai, scu /)U»trlatìonis de vero aystemntc <*> Cfr l).° 3583. mundi, libri IV IbmabmsBoluaj.di. Amsterdam!,apud <*) Cfr. n.« 3583, liu. 28. Quii, et iohamiem Ulaov, C10IOCXXXIX. [3589-3590] 31 OTTOBRE 1G37. 209 si vedono nella luna lo confonde in modo, che o’ si perde: però mi scusi, chè io non havorei mandati quei disegni se non perchè il Sig. r Dino mo li ricercò. Ho scritto, giù. molti giorni, che mi ritrovo un occhialo di quelli di Napoli io di gran perfezziono, e talo elio non ho mai visto il meglio assolutamente, e m’offerivo a farne un dono al Ser. mo Gran Duca, con patto cho so S. Alt. za no liaveva di megliori, me lo rimandasse; chò in altro modo non intendo di pri¬ varmene, so non a fin elio questa gioia resti appresso S. A. za Non ho porò mai hauto risposta dal Sig. r Dino. Mi scrivono di Napoli cho si sta sul condurre a perfezziono una lente, con speranza cho habbia da riuscire molto meglio di quella che hebbe il Ser. mo Gr. D. por 70 scudi; cd io ho scritto che la voglio vedere e elio mo la mandino; se mi riesce buona, mi voglio impegnare per haverla. Starò attendendo il Sig. r Andrea Arrighetti, col quale farò più d’una ses- 20 siono con mio infinito gusto. Quanto allo cose mie (,) , sporo bene, o forsi avanti Natale: sto però talmente rimesso nella santa volontà di Dio, cho non sento un minimo fastidio ; o mi creda, Sig. r Galileo, cho questa è la verità. Li prego dal Cielo la medesima e maggiore contentezza, o li Ih humilo riverenza. Di Roma, il 31 d’8bro 1637. Di V. S. molto IU. ro Devotiss. 0 o Oblig. ni ° Ser. re o Dis> S. r Galileo. Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto Ill. ra ed Ecc. mo Sig. ro e P.ron Col. mo 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo dol Sor." 10 Gr. di Tose. 1 » Firenze. 3590 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 31 ottobre 1G37. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.“ LXXX, n.« 10G. — Autografa la sottoscriziono. Molto HI.» et Eccoli. m0 Sig. r , Sig. r Col. 1 " 0 Ricevo la lettera gratissima di V. S. molto 111. 10 et Eccell. m ' 1 d’i 24, et mi vado sempre piò consolando por il miglioramento cho V. S. va facendo, qualo prego il Signore lo conduca se non a piena sanità, a quella almeno cho seco patisco l’età. Aspetto hoggi risposta da Brescia, so l’Arisio vuol mandare la pensioncella già maturata il mese passato ; e credo certo lo farà. m Cfr. 11 .® 8500. 27 XVII. 210 31 OTTOBRE 1637. [3&90-359ÌD Por la settimana elio viono mandarò tutti li particolari che V. S. mi scrive al Sig. r Elzivir; e resto con grand’ammiratione di non vedere altri fogli che li già mandati, perché non tralascio mai occasiono di farlo solecitare dal io Sig. r Giusti* 11 . Lo specchio che si erodeva il Sig. p Alborgheti (,) far parabolico, non gli è poi riuscito come credeva, et il maggior effetto elio faccia ò l’abbracciare nella distantia di cinque in soi piedi. Egli però non si perdo d’animo di volor ton¬ fare il moglioramonto. Un mercanto Alemano galant’huomo, et che ha gran gusto nello mattho- maticlio, si è servito del mio occhialo per una lunationo. Hora mi mette in croco che glie no procuri uno in proprietà. Mi dice anco che costi no sarà da altri pregata Y. S. Io non ho potuto nogarli di fargliene moto, perchè dai ragiona¬ menti ha potuto conoscoro cho io amo V. S. in grado supremo o la stimo l’unica 20 fenico di questo secolo. Non vorrai poro esserlo importuno. Gli Eccoli. 1 " 1 Sig. 1 Procurator Vernerò (8) ot Zaccaria Sagredo sono in ottimo stato, o mai visito il Sig. p Venioro cho non mi dimandi di loi con demostra- tione di grand’affetto. Dio N. Signoro la conservi, come di tutto cuora Lo prego: ot a V. S. molto 111.° et Eccell. n,n bacio lo mani. Von.“, 31 Ottobre 1637. Di V. S. molto Ill. ro ot Eccoli."”* Dov.™ 0 et Oblig.™ Sor. Sig. r Galileo. F. E. 3591**. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, .'il ottobre 1C:17. Blbl. Est. in Modena. Tlnccolt.i Campori. Autografi, I).* LXXXY1I, n.® 34. *— Autografa. Molto 111.® ot Ecc. mo Sig. e P.ron mio Oss. m ° Io non ho dubbio alcuno cho bene spesso molto gli prema il fido recapito delle sue lettere, ma conosco ancora cho ciò è un niente in riguardo ih quel molto cho dalla mia obbligata servitù si devo alla gentilezza di V. S. : quale dall’inclusa 111 potrà conoscere cho lo suo lotterò fanno buona o sicura strada per lo mio mani. E qui, con un affettuoso ricordo dell’osservanza elio lo porto, gli bacio cordialmente le mani. Venetia, 31 Sbre 1637. Di V. S. molto 111.® et Ecc. nui Dov. mo et Obb. mo Ser.° S. r Galileo Galilei. Fran. 00 Rinuccini. io l't Giusto Wipprldioh. <*> Cfr. n.® 3135. |3 > Sebastiano Yinikr. <*> Cfr. u.® 3590. [3592-3593] 1° - 5 NOVEMBRE 1637. 211 3592 *. LODOVICO ELZEV1ER a GALILEO in Arcotri. Laida, 1° novembre 1G37. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori, Autografi, B. a LXX1V, n.» 111. — Autografa. Exc. mo Sig. ro et Pad. no Col. ,no La causa del mio longo silentio è stato il viaggio fatto in Denmarca et Polonia, del quale soli di ritorno la settimana passata. Iloggi mi ò capitata la lettera di V. S. por il Sig. r Giusto Wyfìeldig, con l’incluso foglio della quarta Giornata, per la quale intendo con grandissimo disgusto la sua infimiità. Non tralasciai^ intanto la continuazione dolla stampa, aspettando, si sarà possibile, la quinta Giornata. Spero che bora Laverà ricovuto il restante del primo alfabeto : mando por quosto sei fogli del secondo, avanzato fin bora sino la littera lek. Mandarò con¬ io tinuamento gli altri per far la tavola, la quale sarà non meli utile ebo neces¬ saria. In quanto tutto le sue opere essendo tradotte in latino ot mezze in ordino, no comminciaremo la stampa nella forma miglioro ebo si potrà. Facendo fine, li prego da Dio ogni colmo di felicità o le Laccio le mani. Di Leida, adì 1° Novembre 1037. Di V. S. Exc. mtt LTIumiU. ln0 Servitore Lodovico Elzevier. Fuori : Al Exc. mo Sig. r ot Padr." mio Col.’" 0 Il Sig. r Galileo di Galilei, Matematico dolla Ser.’ nR Grand Duca di Toscana, in Arcotri. 8593 . GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arcetri, 5 novembre 1637. Bibl. Maroiana in Venezia. Cod. XLVI1 dolla Cl. X It., u.° 15. — Originale, «li mano di Marco Aubrocrtti. Rev. rao P. ro e mio Sig. r Col. mo Non risposi l’ordinario passato alla gratissima ultima della P. V. Rev. raa , perchè mi fu resa un giorno più tardi, et io di già havevo scrittole il giorno antecedente. Le rispondo adesso, con significarle 212 5 NOVEMBRE 1G37. [3593] prima, il peggioramento dell’occhio, non ancora del tutto perso, ma che aneli’esso pur va verso le tenebro; ondo mi trovo oppresso dalla ma¬ linconia o soprafatto iminoderatamente dalla necessità di fare scrivere perpetuamente, non solo in risposte di lettere moltiplici che da di¬ verse bande mi vengono, ma por deporre varii miei pensieri e con¬ cetti, parte do’ quali sono antichi ma non spiegati ancora in carte, io et altri sono nuovi, che contro a mia voglia mi cascano in mente per tenermi, credo io, tuttavia travagliato. E pur ora sono intorno al distendere un catalogo dello più importanti operazioni astronomi¬ che (i) , le quali riduco ad una precisione tanto esquisita, che mercè della qualità de gli strumenti por le osservazioni della vista, e per quelli con i quali misuro il tempo, conseguisco precisioni sottilis¬ sime, quanto allo misure non solamente di gradi e minuti primi, ma di secondi e terzi e quarti ancora; e quanto a i tempi, parimente esattamente si hanno le bore, minuti primi, 2‘, 3‘ o più, se più ne piace : mercè dello quali invenzioni si ottengono nella scienza astro- 20 nomica quelle certezze che sin ora con i mezzi consueti non si sono conseguite ; et a suo tempo la P. Y. liev.“® non sarà la seconda ad haverne parte. Le nuove osservazioni fatte da me nella faccia lunare ci porgono indubitabile certezza come la conversione di essa luna, fatta nel suo dragone, ha per centro il centro della terra ; sì che se l’occhio del riguardante fusse in tal centro collocato, nessuna di tali muta¬ zioni scorgerebbe, in maniera che la nostra lontananza dal centro della terra o l’obliquità del dragone cagionano tutte le apparenti mutazioni : come con un poco di ozio (del quale al presente son del so tutto privo) potrò significarle ; ma facilmente con questo poco di cenno ella per sè stessa penetrerà il tutto. Sto con grande avidità aspettando i fogli smarriti, e gli altri che haveranno stampati di poi. Alla cattiva nuova della mia imminente cecità totale voglio pur arrecarle un poco di temperamento al dolore elio son sicuro che ella ne sente ; e questo è, che quanto al resto della corporale sanità sono, la Dio grazia, ritornato in assai mediocre stato : onde non casco di Lett. 3593. 22. conseguiti — C» Cl'r. Voi. Vili, paff. 153-466. [ 3593 - 3594 ] 5 — 7 NOVEMBRE 1G37. 213 speranza (li esser per potere andar deponendo i miei problemi varii ■io e le postille in risposta allo opposizioni principali di quelli che mi hanno scritto contro, e forse qualche altro pensiero che impensata¬ mente mi potrebbe sovvenire. 0 di quanta consolazione mi è il sentire che PEcc. mo Sig. r Pro. r Veniero U) mi conservi ancora luogo nella sua grazia! Procuri essa di conservarmelo col fargli certa testimonianza della mia humilissima e devotissima servitù. Ricordisi di me nelle sue orazioni, e mi con¬ tinui il suo amore. D’Arcetri, li 5 9bre 1G37. Della P. V. R. ma Devot. 1110 et Obligat. mo Ser. re 50 Galileo Galilei. 3594*. GALILEO ad ELIA DIODAT1 in Larigi. Anidri, 7 novembre 1637. Bibl. Nftz. Fir. Mss. fini., P. V, T. VI, car. 31/.-33»-. — Copia di mano di Vinoknzio Viviant, cho vi pro- motto questa notizia: « Il Galileo al Sig. N. N. di Parigi, con lotterà di Arcelri do’ 7 Olirò 1637, in una poscritto iu lino di propria mano soggiuguo : ». Nollo stosso codice il medesimo capitolo ò tra¬ scritto, pur di inano del Viviani, a cor. 70r. (promossavi dal Viviani quest’ indicazione : « 11 Galileo all’amico di Parigi in una lettera firmata di sua mano, do’7 Olirò 1637 d’Arcetri, con poscritto iu fino di pugno dol modosimo Galileo »), cnr. 87r., 88f., o, di mano d’un aumnuenso dol Viviani o con correzioni di quest' ultimo, a car. 21Gr. Porgami per sua pietà la sua mano adiutrice, acciocché, sgravato da cure che mi tengono oppresso, io possa tornare a distenderò i miei problemi spezzati, fisici e matematici (2) , che sono in buon numero e tutti nuovi, et oltre a questo, alle mie postillo per difesa mia dalle opposizioni, contradizioni e calunnie di tutti quelli che mi ànno scritto contro e cercato di abbassar la mia reputazione : e sia certa che io, così languido e quasi cieco, farò che la mia penna mi sostenti; e se bene sono di così grave età, spero in Dio e nell’aria perfetta, della quale io mi pasco e respiro, di vivere ancor tanto, ch’io possa pro¬ io lungar la vita a’ miei scritti, mal grado di quelli che tanto rabida¬ mente vanno proccurando di seppellirli. et Sebastiano Vknip.r. <*> Cfr. Voi. Vili, png. 598-607. 214 7 NOVEMBRE 1637. L3595J 3595. GALILEO a [FULGENZIO MICANZIO in Venezia]. Arcotri, 7 novembre 1637. Bibl. Marolana in Venezia. Cod. XLVI1 della Cl. X It.,car. 17. —Originalo, di mano di Marco Awbiiogbtti. Rev.® 0 P.re e mio Sig. r Col." 10 Alla cortesissima lettera della P. V. Rev. ma delli 17 del passato (1> risposi quanto mi occorreva. Ora mi conviene soggiugnerli come oltre alli dieci primi fogli del mio Dialogo, che si va stampando in Leida dalli Sig. ri Elzovirii, me ne sono ultimamente pervenuti altri sette, ma non seguono li primi dieci, anzi ve ne mancano sei in mezzo, li quali bene è credibile che li Sig. ri Elzevirii mi habbiano mandati, ma si sono smarriti; però la prego a dire a Giusto li> li- braro che usi qualche diligenza per ritrovarli e mandarmeli; o vero converrà che io aspetti un’ altra rimessa, conforme a che scrivo a i io medesimi Elzevirii. Rileggendo la lettera della P. V. Rev. ma veggo come ella va sti¬ mando che io non cessi del tutto dalle specolazioni ; il elio ò vero, se bene con notabile danno della sanità, poiché, aggiunto queste alle molte altre perturbazioni che mi molestano, mi tolgono il sonno, con accrescimento della notturna malinconia, la quale notabilmente mi nuoce ; e quel gusto che si suole haver nel ritrovamento di nuove osservazioni, viene dall’offesa corporale, se non del tutto tolto via, sicuramente in gran parte stronzato. Io ho scoperta una assai ma- ravigliosa osservazione nella faccia della luna, nella quale, ben che 20 da infiniti infinite volte sia stata riguardata, non trovo che sia stata osservata mutazione alcuna, ma che sempre l’istessa faccia nell’ istessa veduta a gli occhi nostri si rappresenti ; il che trovo io non esser vero, anzi 'che ella ci va mutando aspetto con tutte tre le possibili variazioni, facendo verso di noi quelle mutazioni che fa uno che espo¬ nendo a gli occhi nostri il suo volto in faccia, e come si dice in maestà, lo va mutando in tutte le maniere possibili, cioè volgendolo alquanto ora alla destra et ora alla sinistra, 0 vero alzandolo et "> Cfr. 11.0 3578. <*> Giusto Wikfbloicu. 7 — 11 NOVEMBRE 1637. 215 [3595-3590] abbassandolo, o finalmente inclinandolo ora verso la destra et ora 30 verso la sinistra spalla. Tutte queste mutazioni si veggono fare nella faccia della luna, e le macchie grandi e antiche, che in quella si scorgono, ci fanno manifesto e sensato questo eh’ io dico. Aggiugnesi di più una seconda maraviglia, et è che queste tre diverse mutazioni hanno tre diversi periodi : imperò che l’una si muta di giorno in giorno, e così viene ad haver il suo periodo diurno ; la seconda si va mutando di mese in mese, et ha il suo periodo mestruo ; la terza ha il suo periodo annuo, secondo il quale finisce la sua variazione. Or che dirà la P. V. Iiev. ma nel confrontare questi tre periodi lunari con li tre periodi diurno, mestruo et annuo de i movimenti del mare, 40 de i quali, per comune consenso di tutti, la luna è arbitra e sopra- intendente ? Voglio che per ora mi basti haverli dato questo cenno, poiché, soprapreso in questo punto da importuni dolori di ventre, mi è forza andarmene su ’1 letto. Mi ami e si ricordi di me nelle sue orazioni, mentre io con reverente affetto le bacio le mani. D’Arcetri, li 7 9bre 1637. Della P. V. Rev. ma Devot. mo et Obbligat.™ 0 Serv. ro G. G. 3596 *. GIO. MICHELE PIERUCCI a [GALILEO in Arcetri]. Pian, 11 novembre 1037. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cauipori, Autografi, B. a LXXXV, n.« 50. — Autografa. Molt’Ill. 0 et Ecc. ln0 Sig. r e P.ron mio Col. mo Perché non sono arrivato in Pisa prima che venerdì prossimo, per questo non ho liavuto più pronta occasione di poterla servire che T prosonto ordinario, per il quale le mando il suo mandato, fatto (com’olia vedorà) sotto T dì 29 d’Ot- tobro ( ‘ , ; o mi dice il bidello, che si maravigliava che nessuno gliono domandasse. Il Sig. r Dottor Marsili (2) fece hiermattina il suo ingresso con buona audienza, o domattina darà principio alle sue lezioni, dalle quali si spera di sentir coso buone. Io fui lasciato leggero nella mia solita cattedra doiristituta primaria, ma presonto belio elio il Sig. r Auditor Fantoni (3) voglia che io circoli con uno m Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, b, li». 3M-320. < 2 > Alessandro Mausiu. < 8 > Niccolo Fantoni Ricci. 21G Il — 14 NOVEMBRE 1637. [ 3596 - 8697 ] dogli Institutisti ordinarli non primario, o olio così io venga a scenderò dal luogo io o possesso elio tengo da duo anni in qua; noi qual caso con molto maggior mio gusto o profitto mo no ritornerò a Firenze a servire et udirò V. S. Ecc. ma , o così dallo porsecuzioni no caverò utile o benefizio. Mi conservi tra tanto nel numero do’ suoi vol i servitori o do i rovoronti contemplatori ot ammiratori della sua dottrina, mentre con tutto l’affetto lo fo reverenza o lo prego da Dio lunga o felice vita. Pisa, 11 Olire 1637. Di V. S. molt’Ill.” ot Ecc. ,,,a Dev. mo et Oblig. ,n ° Sor. 16 Gio. Michele Pienucci. 3597 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Aroetri. Roma, 14 novembre 1037. Blbl. Naz. Fir. Mts. Gal., P. VI, T. XIli. car. 62. — Autografa. Molto Ill. ra ed Ecc. roo Sig. ro o P.ron Col."' 0 Non potei rispondere a V. S. Ecc. ma l’ordinario passato prima, perchè non liavova hauto tempo di operare cosa nessuna dell’accomodamento del Sig. r suo nipote U) . Mora li dico che ho ritrovato modo di accomodarlo, o bene, in casa dol nostro M. r Lorenzo Ceciarelli, quale Laverà grandissimo gusto di riceverlo cd accarezzarlo per quel tempo elio vorrà trattenersi in Roma; e mi eroda ebo ò meglio così cho cercare altri, quali overo dichino di non volerlo o preten¬ dine di farci gran servizio. Iloggi il mondo ò fatto per un certo verso, cho io ci perdo la scherma affatto. Credo che l’istosso M. r Lorenzo no scriva a V. S. : però lo mandi, chè io non mancarò servirlo dove potrò, conforme alli infiniti io oblighi miei. Tengo lettere di quel Signor francese (8) , medico del Sig. r Conte di Novaillo, quale non finisse di stupirò del valore e sapore di V. S. Ecc. ma , o posso assicu¬ rarla che è galantissimo huomo, o la servirà di buon cuoro. Ilo hauto infinito gusto del nuovo scoprimento nella luna (8) ; e quando si potranno sapere i periodi di quello mutazioni, mi saranno carissimi conio gioie preciose. Li voglio ancor io diro una certa fantasia, cho mi passò por la mente con occasione che io ossorvai la luna vicina al primo quarto noi mese passato, e viddi cosa che mai m’era riuscito poterla vedere, dico il lume secondario ; **' Albrrto Crbark Galilei. PlKTItO lioURDKLOT. < s > Cfr. u.o 3596. 14 NOVEMBRE 1637. 217 [3507-3598] 20 elio so belio V. S. Ecc. ,na dico noi suo Nuncio Sidereo elio debiliti admodum et incerta conspicitur (1) , in ogni modo non m’ora mai riuscito vederla, ed allbora la viddi molto bene. E facendo riflessione a quanto olla pure nei Dialoghi 121 ac¬ cenna della medesima luco secondaria, assai più conspicua e lucente la mattina che .. . ", e ne adduce per ragione o cagione Tesser in quel tempo illuminata la luna dal reilesso di vastissimi continenti della terra, giudicai ancor io a’ giorni passati, che ritrovandosi la luna meridionale dovesse essere illustrata dalla terra, e poro mi venne in monte che le terre meridionali, a noi incognito, debbino essere vastissimo provincie, o clic però riflettine gagliardo lume nella luna. Se ho detto qualcho sproposito, me lo perdoni, perchè confesso di non havorci pen¬ so sato a bastanza. E li fo riverenza. Roma, il 14 di 9bre 1637. Di V. S. molto Ill. ro ed Ecc. ,nn Dovotiss. 0 e Oblig. mo Sor.™ o Dis> Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto lll. re ed Ecc. ,no Sig.™ e P.ron Col. mo Il Sig. r Galiloo Galilei, p.° Filosofo del Ser. mo Gr. Duca di Toscana. Firenze, in Arcetri. 3598 **. LORENZO CECCARELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 14 novembre 1687. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. XI, car. 844. — Autografa. MoltTll. r ° et Ecc. n, ° S. r mio P.ron Oss. n, ° Dalla sua do gli 8 stante, colma d’amoroso affetto, son rimasto certificato del felice ricapito do’ sonetti inviati a S. Alt. a(4) , se bene con qualcho mia mor- tiiicatione dell’interesso da V. S. patito por il voluminoso plico pervenutoli por via ordinaria contro ogni mio intento, havendolo io consegnato in casa del S. r Ambasciatoro a posta, acciò V. S. non no restasse in dispendio. Ma tutto il male vada con 30 soldi. Lett. 3597. 80. a bastanza. E di fo — IO Cfr. Voi. Ili, Par. I, png. 73, li». 1f-8. m Cfr. Voi. VII, pag. 124, li». 4-5. < 3 ' Co» lo parole « la mattina elio » terminn il recto (lolla carta, o sul tergo continuò « e no ad¬ duce », dimenticando, nel voltare il foglio, di com¬ piere la fraso. I*l Cfr. u.* 3584. XVII. 28 218 14 NOVEMBRE 1637. [3598-3599] Grandissima speranza prendo dal suo favorevole offitio, por ino fatto in iscritto con S. A. ; e volendo il Ciolo no seguisse qualche buon ovonimonto, no darò subito parto a V. S., ringhiandola in tanto con ogni vivace inchiostro io del cortese all'otto dimostratomi particolarmente in questo o nel desiderio di mio bene. Quanto al Sig. r suo nipote {t) , di cui a punto adesso m’ha parlato il P. 1). Be¬ nedotto Castelli, che a posta mi ha mandato a chiamaro a S. Calisto, dico a V. S. elio sempre che verrà, troverà la mia casa o povertà al suo servitio o comando por tutto quel tompo elio li tornerà in piacere, et havorò caro havor occasiono d’essorcitar in parto l’infinita obligationo elio tengo a Casa Galilei, godendo gran- demonio dol capitalo si compiace far di ilio, sicomo ho risposto anco a detto Padro 1). Benedetto. Nel resto, io o Catorbia, mia consorto, la salutiamo caramente, conio fo an- 20 cora col S. r Vincenzo 0 S.” Suor Archangiola, a’ quali tutti prego da Dio ogni vera prosperità 0 saluto. Di Poma, li 14 Nov. ro 1637. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. nm Aff. mo et Oblig. mo 8er. ru Lorenzo Ceccarelli. 3599 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venozia, 14 novembre 10:17. Blbl. Naz. Fir. Mss. Onl., P. I, T. XI, cor. 346. — Autografa. Molt’Ill. r ° et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Ho le carissimo lettere di V. S. molto 111.™ et Ecc. m * di 7 (2) . Ho dato su¬ bito ricapito allo collegato. Mi dispiaco la perdita di quei fogli: l’istosso ò accaduto anco a me, elio di corta operetta mi è capitata la mità solamonto, perdutosi il resto. Sollici- tarò il S. r Giusti (3! per il supplimonto. Lo moditationi fanno in me offotto contrario che in V. S., perchè la notte vi entro o mi portano al sonno con molto gusto, che sonza di quolo non lo ri¬ ti ovo, o mi crucio in pensieri del mio carico, elio versa sempre in conteso. GYodo <*i Cfr. 11 .» 8697. « s * Cfr. 11 .» 3695. ,3 I Giusto Wipkkldicii. 14 NOVEMBRE 1G37. 219 [3599-3600] io sia la diferenza, perchè le mio sono rameinorationi di coso d’altri, o la mag¬ gior parte, por non dire tutte, delle inventioni di V. S. ; perciò l’intelletto è sicuro di poterci con facilità, ritornare: ma quello di V. S. rapiscono tutta l’in- tontiono, o l’una tira l’altra. Ma, buono Dio, che coso rare et ammirando mi accenna essa della luna? et che sete mi eccita di intenderne qualche maggior particolare? Poiché io non ho nè sito nè tempo nè occhio per osservarle, se V. S. non mi risveglia, sendo la mia natura assai docile al seguire le invontioni d’altri, con qualche giudicio tra loro, ma puoco atta all’ inventione, e le mie occupatami anco mi impediscono; ma quando incontro in di queste novità,, no ricevo gusto inestimabilo. Desidero intonsamente una sua parola, se questo novo 20 osservationi favoriscano o faccino alcun argumento por quolla sfortunata opinione, che per la persecutiono si va facondo generalissima, tanto che tutti li sensati stu¬ piscono d’liavore mai potuto essere dell’altra. Le prego con tutto l’affetto consolationo, e le bacio le mani. Ven. !l , 14 9bre 1G37. Di V. S. molto 111.” et Ecc." ul S. r Galileo. Dev. ,no Sor. F. F. 8600 **. FRANCESCO RINUCC1NI a GALILEO [in Arcctrij. Venezia, 14 novembre 1637. Bibl. Eat. In Modena. Raccolta Cuwpori. Autografi, B.« LXXXVII, n.« 35. — Autografa. Molto 111. 0 ot Ecc. 1 " 0 Sig. r o P.ron Mio Oss.' 110 Se al titolo, del quale mi honora, di affettuoso verso la di lei persona, Y. S. havesse aggiunta quella parolina di servitore, la defìnitione si adequava al defi¬ nito por l’appunto; ma il vedere che Signore tanto prudente et amorevole la tralascia, mi fa credere d’osserno facilmente immeritevole, e tanto più elio non veggo, come vorrei, esercitata la mia sorvitù : la devotione della quale pregola a riconoscere noi recapito dello sue lettere, giachè non mi porgo con i suoi co¬ mandi maggioro occasione di testificargliela. Con elio fine, supplicandola a con¬ tinuarmi il favore della sua gratia, gli bacio reverentomente le mani. io Venetia, 14 9bre 1637. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc. l,ia Dev. mo et Obb. mo Sor. 0 S. r Galileo Galilei. Frane. 0 Rinuccini. 220 20 NOVEMBRE l(i37. [3601J 3601. GALILEO a [FULGENZIO MICAN/.IO in Venezia], Arcctri, ‘20 novembre 1637. Bibl. Marciano, in Venezia. Cod.XLYII (lolla CI. X It., u.° 1G —Originalo, di inano di Makoo Aubroqctti. Rev. mo P.ro e mio Sig. r Col. mo Alla gratissima della P. V. Rov. ma delli 81 8bro (1) risponderò bre¬ vemente, essendo soprafatto dall’obbligo di rispondere a molte let¬ tere, et inabile a scrivere pur un sol verso. Quanto a i Sig. ri Elzevirii, già con altra ho scritto alla P. V. Rov. nia come i fogli stampati, inviati da loro sin qui, sono al numero di 23, se bene li sei tra il decimo e decimo settimo non mi son pervenuti; ma glie n’ ho dato avviso, e senz’ altro dovoranno rimandargli. Dello specchio parabolico ho sempre tenuto per difficilissimo, se non impossibile, il condurlo di tal figura ; ma quando ei sia sferico io e di porzione di sfera grandissima, ò intorno al suo centro la figura sua tanto poco differente dalla parabolica, elio supplendo il potersi lo storico perfettamente lavorare al mancamento della figura para¬ bolica, che l’effetto dell’abbruciare riuscirà più gagliardo nello sferico che nel parabolico, se ben questo unisce i raggi rellessi in un sol punto e P altro no. Duoimi di non poter dar satisfazzione alla P. V. Rov. ,na ed al gen- tilhomo Alemanno, amico suo, in materia de i cristalli per un tele¬ scopio, imperò che, havendo io persa la facoltà di potergli adoprare, mi sono levato di casa due che ne havevo di mediocre bontà, riser- 20 bandomi solamente il mio antico e scopritore delle novità celesti, il quale già destinai al Gran Duca mio Signore: il quale si è applicato da alcuni mesi in qua sì fissamente alla fabbrica di tali cristalli, che si mena perpetuamente seco per le ville e per tutti i luoghi uno che lavora continuamente; e l’A. S. S. sempre soprastà all’opera, nò vuole che il maestro lavori per nessun altro, e l’A. S. S. ne è così avara che non se ne può bavere in conto nessuno : sì che conviene che per ora mi scusino se non le servo, come sarebbe il mio desiderio. <•> Cfr. n.o 3690. 20 NOVEMBRE 1637. 221 [3601-3602] Quando gli pervenga in mano la pensioncella, mi farà grazia di tenerla appresso di sè, sin che Alberto mio nipote, che serve il Ser. mo di Baviera et ora si ritrova appresso di me, nel ritornarsene a Mo¬ naco passi da Venezia a riverire la P. Y. Rev. ma , dove si vuol far provvisione di un violino di quelli di Cremona o di Brescia, il quale strumento egli tocca assai gentilmente, e la detta pensioncella gli servirà per pagamento del violino : de i quali strumenti penso che se ne troveranno costì, se bene fabbricati altrove ; e quando non ve ne fossero e bisognasse farlo venir di fuora, mi farà grazia di pro¬ curare che qualche persona intelligente del mestiero ne elegga uno di quelli di Brescia, che sia di tutta perfezzione. Trattone P infelicità della vista, quanto al resto del corpo me la passo mediocremente, continuandomisi però la frequente visita delle mie antiche doglie di freddure. E qui cordialissimamente la reverisco, e sento gusto particolarissimo della memoria che PEcc. mo Sig. r Pro. Veniero {,) conserva di me. D’Arcetri, li 20 9bre 1637. Della P. V. Rev. ma Gli raccomando l’alligata. Devot. mo et Obbligat. mo Serv. ro Gal. Galilei. 3602 . VINCENZO RENIERL u GALILEO in Eirenzo. Genova, 20 novembre 1607. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XI, cnr. 818. — Autografa. Molto 111.”* et Ecc. mo mio Sig. r e P.ron Oss. n, ° Dovrà V. S. pensar eli’io sia liormai giunto agli antipodi non che in Ollanda 1 ”, così ò stato lungo il silentio della mia penna nel salutarla : o pure non feci mai minor viaggio a’ giorni miei, stante che da i 28 d’Agosto, quando apunto pen¬ savo partire, sino a i 20 d’Ottobre, son stato in letto, travagliato da una febro continua, che, in vece d’imbarcarmi por Olanda, m’ha quasi fatto prender il viag¬ gio del mondo novo. Ilora, lodato Dio, ho ricuperato la total sanità, e però il primo <‘> Skuàstuno Yuan. i*) Cfr. n.° 8523. 222 20 — 21 NOVEMBRE 1G37. [3602-3603] desiderio olio mi habbia stimolato è stato l’haver nuova di V. S., la quale la¬ sciai norultime lotterò così mal stante doH’occliio. Di gratia, mi faccia favore di raguagliarmi dello stato suo, o già cho non m’è stato lecito d’esser in quello io parti, d’awisarmi conio passa il nogotio delle longitudini, o s’io debbo in cosa alcuna servirla. Con cho por fino affettuosamonto lo bacio lo mani. Di Gonova, adì 20 di Novombre 1637, Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. nm AfTottuosiss.™ 0 Sor. ro D. Vinconzo Itoniori. Fuori : Al molto Ill. pe et Ecc. mo mio Sig. r e P.ron Col. m ° Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 3608. ELIA DIODATI a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. Parigi, 21 novombre 1637. Da] Tomo III, png. 452-458, doll’odiziono Fiorentina citata noli’ informazione promossa al u.° 1201. — La prosonto lattora si leggo altresì n pag. 65-56 dol Liber secundus de conspiciliis ecc., Ilagao-Coinltum, ox typographia Adriani Vlacq, 51DCLV, citato noU’informaziono promessa al n.» 8521. La stampa Olan¬ dese, so in qualcho parto ò piti compiota della Fiorentina, ometto invoco alcuni brani; lia lozioni divorso dalla Fiorentina o no corroggo qualche orroro, ma, por il contrario, ha gravissimi strafalcioni. Nello varianti indichiamo con / In stampa Fiorentina, o con o l’Olnndoso. ClansBimo Viro Dn. Martino Ilortensio, Mathe3eos in Dl. pl Collegio Amstelodamenai Professori, IIeliu8 Deodatus S. P. D. durissimo Vir, Dinas tuas literas accepi, Vir Clarissime, quarum novissima do Nobilissimi Roalii obitu certior factus, ingenti moerore concepto attonitus substiti, publici vostri status et uegotii nostri Galilaeiani in huius viri morte damnuin pensitans. Soriani nempe, si bone adver- timus (praeter desidorium insperati casus), nobis bine monitum emergit; simileni, vidc- licet, sod multo procliviorem singulisque momentis in optimo et effoeto nostro seno ti- mendum eveutuin, omni rupta mora, plusquam nitnium hactenus (quod et ipse sponte 10 nunc agnoscis) protracta, industrie et sollicite nobis esse antevert.endnm. Quare quum do utilitate, quin et necessitato, eius invisendi cum eoquo conferendi nunc videam apud to penitu8 esse constitutum, quod supcrcst cura ut cara, Bimulque euscepti ncgocii inaesti- mabilc momentum, Illustrissimis Ordinibus Ilollandiae et Amplissimi vestrae urbis Con- sulibus, per Nobilissimos Dominos Borelium < l) et Beveren **>, tibi fidos et ipsi nogocio faventes, commonstres : quo peracto, Illustrissimus Dominus Grotius nullatenus dubitat, Lott. 3603. 1-4. Manca in /. — G. ingenti moerore eorreptui, attoniti! », o — 7, mortem, f; morte, 0 — 11-12. do utilitate, imo eliam necessitate, o — 18. suscepti huius negotii, 0 — 15. et de Beveren, 0 — **> Guai.ir.LMo Borekl. <’» Cornei. io van Beveukn. 21 NOVEMBRE 1637. 223 [ 3603 ] quin Illustrissimi et Amplissimi vostri Ordine» et Consules per se (tnm redimondi tem¬ pori, tum subiovandorum lllustrissimornm Ordiuum Generalium inuumoris et instantibus aliis negociis, gratia) protinus de tuo ad eum itinere statuant, et inipcnsas ad id ncces- 20 sarias, quali» eorum est in rebus magnis elatus animus, munifico tibi submiuistrent, quarum deinde in contributionum publicnrum rationibus, voluti in rem prò bono pubico ab illis erogatarum, subductionem ineant. Quod nec sine exemplo (id enim ab iis alias factitatnm esse audio, in urgentibus scilicet, qnalis haec est, occasionibus) nec, dubio procul, absquo lllustrissimornm Ordinum Generalium eomprobatione fieret, quum vestrae tum provinciae tum urbis in rebus quae ad commune omnium foederatarum bonum pertinent ca sit aucto- ritas, ut illorum sententiae, tanquam sapientissimis decrotis, rcliquae omnes libentissimc acquiescant, multoque magis re ab iis prudentor preavisa et, utiliter peracta, in negocio praesertim, quale hoc est, nautico, eo quod in bisce unanimi omnium consenso prae aliis provinciis Hollandiae provinciae, ipsiusque nominatilo Amstelodameusis civitatis, potissima© 30 sint rationes: sicque, longo ilio, quo terrebaris, circuitu resecato, obviae omnes difiìcultatcs a te superalmntur ; et, si hoc hiemali tempore id a te perfìciatur, sat.is, ut spero, supcrqno factum erit. Dominus enim Galilacus seso paulatim roficit in diesque vires resumit, animo cius invicto corpori vigorem ministrante; ita ut sperari possit., fore ut ineunte proximo vere rei bene gerondao opportunitas adhuc integra tibi sit futura. Quarc gnavitcr rem promove, meque de successa certiorem facito. (Jeterum optassem ut, quod antccedentibus meis tibi indicavi, simpaticoni aliquod ofiìcium optimo nostro seni prò miserando eius casu, suis literis adco diserte vobis expo¬ sito, exhibuisse8. Iners enim de eo silentium ccrcd&eiav, cordatae quam erga illum profiteris amicitiac nullo modo convcnicntem, indicat, oiusquo fiduciam, toties a te illi datam, band •io dubie enervat; futurique vestri colloquii per literas ipsius uegotii patefactionis exposituni fructum, ex quo tamen omnis por te postime perfieiendi negocii spes pendet, vide no ruinuat. Vide etiam ne nimis lmctenus dilatimi omni ea, quam convenienti temporo exlii- bitum promovissot, gratia cadat. Quapropter, ut, decent.er abs to illi oblatnm, gratanter ab co excipiatur, necesse est quam ocissimo id maturari. Gassendus, privatis negotiia impeditosi), meditatimi, de quo ad te scripseram, iter intermisit, inccrtus an et quando, nondum quippe re peracta, in posterum id sit suscepturus. Elapsi mensis Octobris dio decima ad te scripsi (1) , et ante octiduum, per Ioanneni Vanleiden vestratem tabellarium, Bulialdi fasciculum, in quo eius est libellus l>e natura lucis (S ) ab eo tibi oblatus, ad te misi. Proxima hebdomada, annuente Doo, nd Nobilissimnm 50 liugenium scribam, literasque, quas mine per tempus exarare non licuit, illi tradendas ad te mittam. Responsum tuum ad liane meam anxie expectabo. Vaio. Parisiis, 21 Novemb. 1G37. 10. alti* negotii» implioitorum, gratia, o — 19-20. nel id conficiendum, qnalis, o — 30. longo ilio, (pian inctuebus, circuitu, O—31. id ad te perfìciatur, f; id a te perfioìatur, o — 33. ita ut sit verisimilc, fore, O — 84. tibi ait ina usura. Quare, 0 — gravitar, f ; gnavitcr, o — 86-44. Manca in o; 87. sui* libria adco, f ; 89. toties ad le illi, f—45. negotii» praepeditus, meditatimi, O — 46. et quando per illa (nondum ijuijipe jjeracta) in posterum, o — 51. Vale, Vir durissime, o — 52. In / la data ò tradotta in italiauo o portata in capo alla lotterà. — Cfr. n.“ 3577. l 1 ' Cfr. u.° 3574. < a > Cfr. u.o 3583. 224 22 NOVEMBRE 1637. 1 . 3604 - 8605 ] 3604 **. ALESSANDRO MARSILI a [GALILEO iu ArcetriJ. Pisa, 22 novembre 1087 Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XI, car. 350. — Autografa. Molto Ill. ro od Eccl. mo mio Sig. re ot P.ron Coll.™ Sì come i favori da V. S. Eccl. m “ ricevuti infinitamente mi tengono a lei obblieato, così, ove mi trovo, porto meco un sommo desiderio di essere ricono¬ sciuto non ingrato suo servitore. Questo adonquo cagiona elio venga con questa a pregarla del’ honoro di qualche suo coni mandamento in queste parti, nello quali, mentre godo maggiormente l’iffetti dolio suo gratio impiegato a mio prò’ con i g or mì Padroni, vorroi anco ricevoro l’honoro di potermi palesavo riconoscitoro di quanto le devo, so ben son molto inferiore ad ogni corrispondonza. Noi poi stiamo qua, tirando avanti le lottioni, o, por la Dio gratia, con buona salute, la quale piaccia al’Altissimo conservare anco longamonto a V. S. io Eccl.'" 11 ; e lei mi mantenga nella sua gratia. Di Pisa, il 22 Novembre 1637. Di V. S. molto 11." ed Eccl."' 11 Dovot.™ ot Obbl. m ° So. ro Alesandro Marsili. 3605 **. ASCANIO PICCO LO MI NI a GALILEO [in Arcetri]. Siena, 22 novembre 1037. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 352. — Autografa la sottoscrizlono. Molto Ill. re Sig. r mio Oss. n, ° Un giorno di questa settimana saranno inviate a V. S. tre some di vino, elio di bontà spero che non sia por riuscirò inferiore a quello dell’almo passato. Ilo voluto antocepargliono l’avviso, porchò V. S. possa far mottoro all’ordino il vaso; e di grazia avverta elio sia buono, perchè, por i grand’asciuttori elio son corsi questo anno, ogni sorto (li vino porta pericolo di rinforzare. Rassegno a V. S. la mia solita osservanza, e con pregarlo da Dio ogni vera felicità, resto bacian¬ dolo affettuosamente lo mani. Siena, 22 Nov.° 1637. Di Y. S. molto 111. S. 1 ' Galileo. Devot. Sor. A. Ar. di Siena. io |3(>06-3° 20 S/ Gai.® Galilei. Giob. a Gondi. 3607 **. ASCANIO PICCOLOMINI a [GALILEO in Arcetri]. Siena, 25 novembre 1637. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. I, T. XI, car. 356. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.” Sig/ mio Oss."‘° Acconnai a V. S. (i) per l’ordinario di Genova che di questa settimana se li sarobbono inviate tre some di vino, perchè facesse preparare un buon vaso per 0» Cfr. Il » 3G05. XV IL 20 220 25 — 27 NOVEMBRE 1037. 18607-3608] riceverlo. Questa mattina se no vieno con esso Santaccio, mio mezzaiuolo, e mi sto con gran desiderio, augurando elio riesca secondo il gusto di V. S. La quale so gradirà questa piccola dimostrazione in veco del molto che io lo devo, mi obbligherà maggiormente alla sua buona grazia; alla quale mi raccomando con tutto l’animo, o prego a V. S. ogni vera felicità. Siena, 25 Nov.° 1687. Di V. S. molto 111. 10 Dovot. 0 Sor. io A. Are. di Siena. 3608 **. MARINO MERSENNE a GALILEO in Firenze. Parigi, 27 novembre 1037. Bibl. Kaz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 04. — Autografa. Illustrissimo V. Magno Galilaeo. Tandem, Vir Illustrissime, porfectam habes de dioptricis theoriam et praxim, quibus dioptrica instrumcnta deincops construantur, quao sidorum phacnomona nobis porfectius detegant, et geometriam, quao hactenus incognita dotegat. Ac- cipe igitur librimi Domini do Cartosii (1 ', quem ad te Datavi a mittit, nosquo fac certiores do huius libri reception©, ut ad illuni cenfestim acribam to illuni ac- copisso. Quod si difficultates quascunquo proponcndas habueris circa quaedam quao forto satis oxplicata non fuorint aut quao videbuntur nogotium aliquod facessero, pollicetur so statini oa soluturum atquo rosponsurum. Tuas autem lit- teras fidelissime sum ad illuni missurus, si quas scripsoris. Utinam nostra te io Gallia, quemadmodum lt. P. Campanollam, tenerot, ut duobus summis viris eodom saoculo eodomquo loco fruoremur, et oa ossos libortate qua Gallos esso contingit. Verumtamen sit sum ma laus Doo Optimo Maximo, oiusque voluntas in nobis, siout in coclis, ex ornili parto perficiatur. Quom voneror tibi firmissimam salutoni atquo valetudinem impertiatur, quamdiu tui fuero ObsequentLssimus F. M. Morselinus M. Lutetiao Parisiorum, 5 Kalondas Decombris anni 1037. Fuori : Illustrissimo Viro D. Domino Galilaeo, Magni Hetruriae Ducis Arcbi-matbomatico. 20 Fiorenti am. 0' Discount (le la methode pour lien confluire essai* de cele tnrlhode. A Loyde, ile 1* iuipritnorlo do sa raison el chcrcher la verilf dans le» scienccs, piu* Jan Mire, CI010CXXXV1I. In diojilriqiie, les meleores el la geometrie, qui soni des |3G09-3til0] 28 — 29 NOVEMBRE 1037. 227 3609 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 28 novembre 1037. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVll, n.« 36. — Autografa. Molto 111.” et Ecc." 10 Sig. r e P.ron mio Oss.™ 0 10 mi pregio infinitamente del titolo di suo servitore; poro so gli sono troppo importuno con le mie lettore, n’incolpi il gusto che provo di quello di V. S. Alla qualo dico come ho finito di rileggere i suoi Dialoghi ; o se bene non ho potuto intendere come il moto diurno faccia maggiori i flussi e reflussi dol maro nelli equinotii, ci ho havuto tanto gusto che ho perso quello di leggere altri libri. Però se V. S. non mi favorisce di mandarmi quella espositione sopra il salmo Codi enarrarli etc. (tl , che io non potei mai trovare costì in Firenze, non so come faro a rimettermi a leggero. Scusimi la sua gentilezza del troppo ardire, c n’ in- io colpi restremo desiderio che ho havuto già molto tempo di vederla. Al Padre Maestro Fulgentio ho fatto recapitare la lettera, ma egli non mi ha inviato la risposta. Con cho fino, pregandoli ogni desiderata felicità, gli bacio reverentemente le mani. Venezia, 28 Novembre 1637. Di V. S. molto Ill. ro Dov. mo et Obb. mo Se. ro S. r Galileo Galilei. Fran. co Rinuccini. 8610 *. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Campoli, 29 novembre 1637. Bibl. Naz. Pir. Appondico ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 177. — Autografo. Molto 111.** et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col." 10 11 portatore della presente lettera deve consegnare a V. S. gl’ultimi tre fogli della sua scrittura con altr’ o tanti di copia ( *'. Dico, gl’ultimi di quelli cho ho riceuti, aspettando con desiderio di poter proseguire ; onde potrà mandarmene altri sicuramente per il medesimo, se però ve no sono do’ tradotti: mentre io, assicurando V. S. che con i molti oblighi moltiplica anello in me il desiderio di servirla, co ’l fine gli faccio debita reverenza. Da S. t!l Maria a Campoli, 29 Novombro 1637. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. mft Devotiss." 10 e Oblig. mo Se.™ to Alessandro Ninci. <» Cfr. Voi. V, pag. 297-305. <*> Cfr. n.° 8576. 228 1° — 2 DICEMBRE 1637. [ 3611 - 3612 ] 3611. MARTINO ORTENSIO a COSTANTINO HIJYGENS [ull’Aja]. Amsterdam, 1° dicembre 1637. Dal Tomo III, pag. 464, doli’ odiatone Fiorentina citata noli' inforimuiono promossa al n.° 1201.— Questa lotterà si leggo audio a pag. 67 dol hibvr seettnrfii* de conipiailUs occ., llagao-Comitum, ox typographia Adriani Vlacq, MUCLV, citato noli'informazione promossa al n.« 8621. Amplissime Domine, Literas quas accepi a Dn. Deodati <*> tibi mifcto, ut promiseram; undo patebit accopta- tissima restitutio valetudinis Clarissimi sonis Galilaei, cui in proveotissimo ilio senio vires coclitus vidontur redditao, suffccturao perficiendo adrairando ilio (sic) invento quod noeti. Si tua intercessione apud Clarissimos Doiniuos Ordine» Goncrales eflecoris ut ad eum in Italiani properare possim, et venerandum senom inter vivos reperiam, certe anni ipsiuB et non satis aestimanduni inventum nullam moram doincepa patiuntur; nara inexorabile fatum est mortelium. Tu, Domine, magnani partem glorino inventi tibi adscribore potoria, aut ego certo tibi adscribam mentissimo, si hoc iter moum apud IlluBtrisBimoB impotres. Ego iam limavi diatribam menni de longitudinum scientia, quam omnino paralaiu 10 otiam line soptimana tibi mittam. Kalendis ipsia Decemb. CIOIOCXXXV1I. 3612*. ROBERTO GALILEI a GALILEO fin Arcotri], Lione, 2 dicembre 1637. Bibl. Naz. Fir. Appondico ni Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 103. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio Oss. ,no Questo medesimo giorno partendo di qui il S. Bartolomeo Roberti con il cor¬ riere di Roma, se li è consegniate diversi pacchetti e fagotti por S. A. S. Con que¬ sta occasione se li è consegniate, cioè s’è ciato, un assai grosso pieghetto e un piccolo pacchetto, ambidua in uno, por V. S., che ambi vengono sotto coperte del S. Cav. ro Gondi (2 , mio signore o padrone, che subito giunti gli no consegnerà: e mi è parso bene scriverli questi quatro versi, acciò che subito giunti se li possa Lett. 3611. 12. Noll’odiziono Fiorentina la data ò tradotta in italiano (promossavi l’indicazione del luogo « Amsterdam »), o portata in capo alla lotterà. Lett. 3613. 3-4. per S. A. S. con questa occasione con questa occasione ir. li 3 — 7. scriverli questi questi quatro — "> Cfr. n.*> 3603. Uio. Battista Goni». 2 — 5 DICEMBRE 1637. 229 [3612-3613] fare consegnare ; o mi sarà di sommo contento intendere cho li sicno pervenuti salvi, perché dal S. r Elia Diodati mi sono stati caldamente raccomandati, e lei io sa con quanto affetto et pontualità desidero servire l’uno et l’altro. Però S. S. a vadia pigliando occasiono di comandarmi, assicurandola cho lo farò con ogni dovuto affetto. E facendoli revorontia, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bone. Di Lione, questo dì 2 di Xbre 1637. Di V. S. molto 111. 0 Ser.° All. 1,10 e Dev. n '° o Par. 10 Co.'" 0 S. Galileo Galilei. Rub. to Galiloi. Fuori: Al molto 111. 0 Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei, Matt. 0 primo di S. A. S. In Firenze, in Arcetri. 8613 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, f> dicembre 1037. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 67. — Autografa. Molto Ill. r ® ed Ecc. mo Sig. re e P.ron Col.*' 10 Scrissi tre settimane sono w a V. S. molto Ill. re ed Ecc. ma cho poteva man¬ dare a Roma ogni volta il Sig. r suo nipote, chè il nostro M. Lorenzo Coccarolli l’Laverebbe riceuto comodamente in casa sua e Dilaverebbe trattato con ogni amorevolezza; nè mai ho Lauto risposta nessuna. Però replico il medesimo bora, o di più aggiungo cho in questa quaresima havorà commodità di sentire mu¬ siche bellissimo a questi oratorii ed in oltre sentirà diversi musici insigni parti¬ colarmente. Io poi sto benissimo di sanità, lodato Dio, per la cui grazia vivo ancora io contentissimo dell’animo: e spero ogni dì meglio. Ilo poi fatto qualche considerazione ai muovimenti lunari osservati da V. S. w ; e così alla grossa mi vado imaginando cho per haverno i periodi, come ella dice d’ havere ritrovati, sia necessario ricorrere ai siti della luna nel Zo¬ diaco, se ella si ritrovi nei segni meridionali o settentrionali, con l’aggionta delle sue latitudini dall’Ecclittica, ed in oltro alla posiziono del Zodiaco sopra al nostro orizonte, cioè se si ritrovi in oriento e in occidente i due Equinozzii overo i due punti solstitiali overo altri punti del Zodiaco quando noi osser¬ vi Cfr. n.° 8697. **> Cfr. un.* 3598, 3695. 230 5 DICEMBRE 1637. [8613-3614] viamo la lima, o parimente so la luna sia verso levante o verso ponente o verso mozzo giorno. Ma sono tanto grosso di corvello, elio non m’arrischio di affermare cosa nessuna di corto; o però starò aspettando di sentirò da V. S. 20 molto 111.” ed Ecc. n ’° il compito stabilimento ancora di questa novità, cioè osser¬ vata da loi di nuovo. E con questo li fo riverenza caramente. Di ltoma, il 5 di Xbro 1637. Di V. S. molto 111.” ed Eco."** Dovotiss. 0 0 Oblig. mo Scr. ro 0 I)is. 10 S. r Gal.° Don Gonodotto Castelli. Fuori: Al molto Ill. ro ed Ecc. n, ° Sig. ro 0 I’.ron Col.'" 0 11 Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. Sor."" 1 Fironzo. 3614. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO fin Firenze]. Venezia, 6 dicembre 1637. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., 1’. VI, T. XIII, car. r>5. — Autografa a partire dalla lin. 80, mono l’indirizzo intorno. Molto 111. ot Eccoli. 1 * 10 Sig. r , Sig. r Col." 10 Ebbi lo lettoro gratissime di V. S. molto DI. ot Eccoli." 1 * (Vi 21 passato 111 . La sua pensioncella V ho già ricevuta col far darò sicurtà dall’ Ill. m0 Baitello a quel sciagurato dell’Ansio cho V. S. ò viva, o col farli il debito rabuffo cho stimi gl’altri poco huomini da bene, conio forsi é lui. Por il violino cho desidera nel suo passare di qua il Sig. r suo nepoto, ho trattato col maestro do’ concorti di S. Marco, il quale mi ha dotto che di quelli da Brescia ò facil cosa havorno, ma cho quelli da Cremona sono incomparabilmente li migliori, anzi cho portano il non plus ultra; ot ho ordinato col mezo del Sig. r Monteverdi (,) , maestro di ca- pella di S. Marco, cho no faccia venir uno col mezo di un suo nepoto elio ò in io Cremona, di onde ò nativo. La differenza del prezzo mostra la porfottione, perché quelli da Cremona costano ducatoni dodeci l’uno por almanco, ovo gl’altri manco di quattro; o credo che servendo il Sig. r suo nepoto l’Altezza di Baviera, havrà caro quello, cho si è ordinato cho si mandi a Venotia quanto prima. Mi trovo poi in una confusione grande per li moti da V. S. o servati nella luna (3) , o non so formarmi idea de i poli di tanta varietà. È necessario cho V. S. mi faccia scrivere qualche cosa in tale proposito, cho mi sviluppi un poco; o sopra tutto, la mia curiosità ò se queste osservationi s’accordano con lo dottrino li) La lotterà di Gai.ii.eo ò in data del 20 no¬ vembre: cfr. n.o 8601. •*> Cr.Acmo Montkvkruk. < 8 ) Cfr. nn.‘ 8503, 8595. [3614-3G15] 5—8 dicembre 1637. 231 de i Dialoghi. Ilo bisogno che lei mi apra la mente, perchè da me stosso non 20 mi so sviluppare. V. S. vodo elio i Giesuiti vano destramente intrando in tutto le osservationi da V. S. fatto; o non ci è altra differenza, se non che vogliono parer d’esser ossi li inventori : ed in quella Rosa Orsina tra tanta paglia non vi trovo altro che quosto grano per lo macchio solari, cioè che porta lo cose da V. S. osser¬ vato, ma combatto por vincere di essere stato prima di lei l’osservatore. Io son sicuro che avvenerà il medesimo di questi moti lunari ; onde crederei esser a proposito che V. S. no facesso distendere un poco di contezza, che le paresse potersi publicare, e poi lasci la cura a me del farlo. Non manchi, la prego, o non lasci alla malignità di costoro l’usurpatione in questo particolare doli’altrui lode, so È stato qui il S. r Comissario Antonini (1 \ ot habbiamo ragionato a lungo di V. S., o lo fa mille saluti. Li ho detto l’ossorvationi do’ moti lunari, et osso ancora entra noli’opinione elio altri se no farà inventore, so V. S. non ne fa qualche publicatione. Lo prego di cuore folicità o bacio lo mani. Ven. a , 5 Docembro 1037. Di V. S. molto 111.”» et Ecc. ma Dov. mo Sor. S. r Galileo. F. F. 3615 **. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Arcetri. Venezia, 8 dicembre 1637. Autografoteca MorrlBon in Londra. — Antogrnfft. Molto Ill. ro et Eccol. S. ro È non mon grande elio cortese l’affetto dolla V. S. Ecc. ma verso di me, poi elio resplcnde ad ogni piciola occasiono che lo si presenti. Dondole grazie dol- l’aviso che si è compiaciuta apportarmi del suo stato : ce lo auguro dal S. Iddio felicisimo, acciò possi proseguir nel far veder al mondo il suo valore et virtù; dello quali se alcuna volta me no farà parte, lo riceverò a favor più elio sin¬ golarissimo. Lo prego per felici queste Sante Feste dol Natale con molto altre a venire, che, di coro offerendomelo, a V. S. Ill. mu o Osserv. mft baccio le mani. I)i Vonetia, li 8 Docombrio 1637. io Di V. S. Hl. ma et Osser. ma Afl>° Scr. ra S. Galileo Galilei. Francesco Duodo. Fuori : Al molto 111.", Oss. mo et Ecc. mo S. r Galileo Galilei D. M. Fiorenza, per Arcetri. <‘i Ai.roNso Antonini. 232 9—11 DICEMBRE 1637. [3616-3617] 3618*. ROBERTO GALILEI 4 GALILEO io Aratri. Umm, » dicembre 1637. Bibl. Nti*. Flr. Apponile* *i Um Q«L, TU** F»Tir* A. mg. 17*. — A«ta«n/ft Molto III* Sig. r mio e P.n© Osa.*» Alla di V. 8. molto DI. - do’ 14 parlato *<.»o debitore; « già oon altra mia scrittoli otto giorni nono 0 ’, li ho dato advno ooiuo por Bartolomeo Roberti li havevo mandato un grassotto piegho, dote poatno rotore de’fogli della sua opera che 6 sotto stampa, e altro piccolo di lettor», ambiduo statomi raccomandati dal gentilissimo Sig. r Diodati: quali arabidua pieghi v.-ngan© sotto coperta del S. r Cav. r Gondi *’ por maggiore sicureua, • tengho li dorerà hav. ro ricevuti. E di questo con altra mia gli no dato advl-o. Il suo pieghetto, che mi ha raccomandato con la gratinima sua do’ 14 pas¬ sato por sudetto S. r Diodati, è andato ipaofatto a suo destinato riaggio, come io spero cho a suo tempo la no vedrà U dorou rispoeta. Bone la ringratio del conto datomi della sua saltile, quale piaccia a Dio che sompro yadia di bene in meglio. Tanto più ogni uno lo di viderà, per quanto si vedo cho S. S.* ha voglia di mettere altro sua fatiche in luco; cho prego N. S. di fargliuo la gratia, acciò che tutto multi a confusione de' sua nemici, a io pas- sionatamento ambiscilo di vederle corno erritoro devoti- imo. K con questo af¬ fettuosamente li faccio reverentia, pregandoli da N. 8. ogni vero bene. Di Lione, questo di 9 Xbre 1637. Di V. S. molto 111.* Sor.»* Aff»* e Par.»* Dot.* 0 [S. f Galileo Galilei]. [Rub.** Galilei]. a> Fuori: Al molto 111.* Sig.» mio Osa.** Il S. Galileo Galilei, Matt* primo di 8. A. 8. ^ ,c * Fironso, in Arcotri. 3617. SMNCENZO RENIERI a GALILEO io Fi renate, Genove, U dicembre 1«7 Bibl. Nai, Fir. Msj. Gel., P. VI. T. XIII. car. «S. - Ailafrafc. Molto 111." et Ecc. B0 mio 8.»* o p.ron 0 m.«° Dall’ultima sua de’ 7 del corrente vedo come la indispomUone dogli occhi suoi va tuttavia continuando, di che ne sento quel disgusto elicila può persua- Lett. 3616. 10-11. Viaggio, oomt comi «jmt« — «*' Cfr. n.o 3012. m Qto Battista Uomdl 11 — 12 DICEMBRE 1G37. 233 [3617-3618] dorsi in un vero amico, quale io proffesso di viverle: così potessi io sovvenirla in questo travaglio, corno sarò pronto a venirla a servire quando mi sia per¬ messo dallo ocupazioni, da cui non posso sbrigarmi fino elio non sia passata tutta quaresima. Tra tanto non manchi di avvisarmi dello osservazioni ch’ella giudica potersi far da por me solo, poiché ella sa benissimo che patri unditpie caclum, nò io tralascierò cura o diligenza alcuna, per mo possibile, noi servirla, io Ho veduto ultimamente una nuova Apologia del Chiaramente in diffesa d’al¬ cuni orrori da lei nel suo Dialogo accennatili {i \ o m’è parsa così bella che m’ha cavato di mano il sogli ente sonetto in lode del’autore. Leggalo V. S., o le sorva por trattenimento. E le bacio le mani. Di Genova, li 11 di Xmbre 1637. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 ot Ecc. ma Affettuosiss. mo Sor.™ D. Vincenzo ltenieri. Un corto da Cesena, un sor cotale Ch’ha scritto di Tichono o del Keplero, E ’n algebra trovando il cubo al zero 20 Ha spacciati ambidue por senza sale; S’cra creduto, il povero stivalo, Che ’l Ciel fosse di vetro intero intero, E ch’ogni cerchio suo tondo e legiero Tolta havesse l’idea dal’orinale. Quindi è che le comete o travi acceso Scrisse nella bell’opra Antiticona Esser lofio terrestri in alto ascoso. Falli dunque, ser Febo, in Elicona (Poich’ancho a trarti ogni tua macchia atteso) so Di midolla di trippe una corona. Fuori: Al molto Ill. ro et Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Oss. ,no Il Sig. 1 ' Galileo Galiloi. Firenzo. 3618. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenzo. Roma, 12 dicembre 1037. Bibl. Nftz. PIr. Mss. Osi., P. I, T. XI, car. SOS. — Autografa. Molto Ill. ro od Ecc. rao Sig. r0 e P.ron Col. ,no Ho riconta la lettera di V. S. molto 111.” ed Ecc.™", dalla quale con gusto mio particolare ho intoso l’approvazione che ella fa di quel mio pensiero o coniot- (»> Cfr. n.» 2326. XVII. 30 231 12 DICEMBRE 1637. [3618-3619] tura, elio nello parti meridionali dol globo terrestre siino vasto provincia di con¬ tinenti o torre (1) : frutto però elio dopando totalmente dalli alti concetti di V. S. Ecc. mn Mi dispiaco bone infinitamonto ohe quolli occhi, elio sono tanto benemeriti, si vadino perdendo, e lodo Dio elio li conservi Y intelletto più lucido o perspicace elio mai a contomplaro le Suo grand’oporo, a beneficio universale di tutta la filosofia. A’ giorni passati trattando con una porsona honoratissima o assai intolligonto o prattica do’ nogozii, e dolondomi doU’ordino che liavovo frainteso, cbo fosso io inbibito (,; a V. S. il ricorroro alla misericordia della carità di S. Chiesa noi suo bisogno, mi disse in sostanza elio non poteva ossoro, o cbo solo si doveva inten¬ derò del ricorrere por via di favori, o cbo porò olla bavorobbo potuto scrivoro il suo bisogno, con quei termini di riverenza cbo ella ha sempre usati, alla Con- grogaziono Sacra dol S.° Ollicio, con ogni humiltà rapprosontando il suo bisogno, o supplicando di quello aiuto cbo-fosso parso ospodicnto alla prudenza de’su¬ periori por salute dell’anima sua o per sollevamento della sua ostroma neces¬ sità. Porò sarei di parere olio olla abbracciasse questo consilio e scrivesse, non gli ne potendo venire so non bene. Mi perdoni so ontro innanzi, perché il de¬ siderio cbo ho d’ogni suo beno o la riverenza cbo li porto mi traporta. E non 20 occorrendo altro, starò attendendo i suoi comandamenti, 0 li fo riverenza. Di Roma, il 12. di Xbro 1637. Di V. S. molto 111.™ ed Ecc. ra * Questa sera ò stato qui da mo il S. r Magiotti, al quale ho fatto il baciamano da parte di V. S. Gli no rendo grazie 0 li fa riverenza, come anco il Padre Francesco (8) , elio era in sua compagnia. Dovotiss. 0 0 Oblig. mo Ser. M 0 Dia. 10 S. r Gal. 0 Don Boned. 0 Castelli. Fuori : Al molto 111.** ed Ecc. mo Sig. r 0 P.ron Col. mo co Il Sig. r Galileo [Galilei, p.°] Filosofo dol Sor." 10 Gr. Duca di Toscana. Firenze. 3619 **. FAMIANO MICHELINI a GALILEO in Firenze. Roma, 12 dicembre 1C37. Antog-rafoteoa Morrison in Londra. — Autografa. Fax Christi. Molto 111.™ et Ecc. mo Sig.™ 0 P.ron in Christo Col.'» 0 La rovoronza che porto scolpita noi cuore verso la porsona di V. S. Eco.™ è tanto glande, ebe non mi ha perni osso mai il poter mettere in carta duo parole "> Cfr. n.» 8597. 1*1 Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 91, 92). '*» FiUU.so MiotlKLlKl. [3010-3620] 12 DICEMBRE 1637. 235 per significarlo con qualche segno esterno l’affetto grande elio le porto; et è avvenuto a me quel che avvenne a un gentilhuomo in Venotia, elio fu graduato dalla Signoria di non so elio dignità, elio havondo preparato egli bellissimi con¬ cetti di ringraziamento, abbagliato dalla maestà di quel Sereniss. 0 Sonato, non potò quasi proferir parola. Io mi trovai presente a questo caso, o considero clic io per l’appunto s’adatta al mio proposito, mentre continuamente mi si rappre¬ senta la ricchezza e maestà grande del suo sapore, che col mio sta in propor¬ tene dell’infinito al finito. Le ho volsuto accennar questo poco, affinché ella conosca pienamente la cagiono del mio silenzio. E qui, baciandolo le mani, la supplico a scusar i miei mancamenti con la sua gentilezza et ad honorarmi di qualche comando mentre mi trattengo in Roma, che sarà lino a Natalo, la qual Pasqua io da Dio glieno prego felicissima. J Deo yralias. Roma, 12 Dicembre 1637. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m * Indegnissimo Servo in Christo 20 Al S. r Galileo. Frane. 0 di S. Giuseppo. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. ,no Sig. e P.ron in Cliristo Col. 1 " 0 11 Sig.*' Galileo Galilei. Firenze. 3620 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 12 dicembre 1(537. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, 13.» LXXXVII, n.° 37. — Autografa. Molto Ili.™ et Ecc. mo Sig. r ° o P.ron mio Oss. mo Mi trovo in questa settimana due sue amorevolissimo con una alligata: la lettera per il Padre Maestro Fulgentio, recapitata in propria mano, o l’altra per Giusto 10 , libraio de’ Giunti, datagli con le mie proprie mani hiornmttina nel pas¬ sare per Mercieria; ma la fretta elio havevo di tornarmene a casa a scrivere fu cagione che io non gli dimandassi se la lettera già (la Y. S. scritta a Ma¬ dama Sor. ma , che io mi trovo in penna e che sapevo essere stata stampata in latino in Olanda, fusse pervenuta in questa città. In tanto gli rendo devotis¬ simo et affettuosissime gratie dell’altra della quale mi ha favorito, che, subito io da me letta, gli sarà rimandata. Vedrò ancora, con l’avvertimento del quale mi («) Giusto Wifkrldjch. 236 12 — 14 DICEMBRE 1037. [8620-3621] favorisco, di procurare di superare la mia ignoranza circa l’accidente do’ llussi o reflussi no gl’oquiuottii (1) . È uscito qui un libretto di un medico Francese, tradotto da questo Monsig/ Nunzio (,) , elio tratta, in una parto di osso, della vista o dtd modo nel quale si faccia; e perchè mi fu mandato da porsona intelligento conio cosa bellissima, o particolarmente circa il trattato che fa della vista, ponsai di mandarlo a V. S. ; ma mi è poi riuscito sì sciocco, che non mi sono ardito ad inviarglielo. Puro se havesso questa curiosità di vederlo, me l’accenni, chò la servirò prontamente. E qui, rendendoli nuove gratio di tanti favori che mi comparte, gli bacio rc- verentomento lo mani. 20 Venezia, 12 Xrnbre 1C37. Di V. S. molto 111.” ot E. ,na S. r Galileo Galilei. Dov. n, ° ot Obb. So. r « Fran. 00 ltinucoini. 3621 ** GALILEO a MAZZEO MAZZEI iu Firenze. Arcetri, 14 dicembre 1637. Aroh. di Stato in Fironzo. Monte di Pietà, Filza 1081 (d'antica numerazione Campioni 110), n.® in¬ torno 587 < 3 >. — Di mano di Maroo Ajibrooktti : autografa la firma. Ill. mo Sig. r e P.ron Col. mo Riceverà la presento V. S. Ill. m “ a mano del molto Rev.' 10 F. Marco Ambrogetta al quale, se è senza suo incornili odo, potrà V. 8. lll. ma co¬ mandare che sicno consegnati li frutti del semestre che matura al prossimo instante Natale, chò saranno bon pagati, et io ne terrò obligo particolare alla Sig. r,a vostra Ill. ma Alla quale per fine con reverente affetto bacio le mani e prego felicità. D’Arcetri, li 14 Xbre 1637. Di V. S. Ill. ma Devot. mo et Obligat. mo Serv.™ Galileo Galilei. Fuori: All’ Ill. mo Senator Mazzei, Sig. r e P.ron mio Col. ,no In sua mano. io <‘> Cfr. n.° 3609. <*> Francesco Vitku.1. <*> Cfr. Voi. XIX, Doo. XXX, al, liti. 184-137. [3622-3628] 15 — 19 DICEMBRE 1637. 237 3622*. ELIA DIODATI a [GALILEO in Arcetri]. [Parigi], 15 dicembre 1637. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 80r. — Copia di mimo di Vjncen/.io Viviajji, in capo alla qualo egli annota: « E.D. 15 X° 1037 ». Ho mandato agl’ Elsovirii la copia dol suo ritratto, benissimo imitata dal- l’originalo, per farla scolpire. 3623. GALILEO a BENEDETTO GUEBRINI [in Cerreto Guidi]. Arcetri, 10 dicembre 1637. Autografotoca Gnecclii in Milano. — Originalo, di mano di Marco amukouktti. Molto 111." 5 Sig." 3 e P.ron Oss. mo Ho necessità che il Ser. mo Gran Duca Nostro Signore senta il con¬ tenuto dell’ inclusa lettera, scrittami dal P. Abbate D. Benedetto Castelli (,) ; imperò che havendomi S. A. S. accennato, circa duo mesi fa, di volere sottomano far fare alcuno tentativo per il mio solleva¬ mento, e non sentendo io esserne seguito alcuno profitto, io possa per V avvenire tentare alcuna cosa in tale proposito. Ma niente muoverci senza farne consapevole S. A. S., nè meno senza haverne il suo consenso. Però V. S., dopo bavere a S. A. S. fatto sentire il con¬ io tenuto dell’alligata lettera, mi faccia grazia di procurare il piaci¬ mento dell’A. Ser. raa , acciò che io possa, in conformità di quello, tentare o non tentare alcuna cosa per il mio stato veramente misera¬ bile ; e dico miserabile, perchè gli occhi miei sono pervenuti a quel termine che non riceve transito in peggiore, cioè che è tale che nulla più veggo con tenerli aperti che col tenerli serrati. Humilmente inchino il Ser. mo Gran Duca e tutte le altre Ser. mo Altezze, con l’augurio di felicissime le prossime Sante Feste; o facciami Y. S. grazia particolare di reverire in nome mio la Ill. ma Sig. ra Ortensia (•> Cfr. n.° 3618. 238 19 — 20 DICEMBRE 1(537. 18623-3*24:] Salviati, e. per lei humiliarmi alla Sor. ma Gran Duchessa. Et a V. S. molto 111.™ con simile augurio bacio lo inani, e resto aspettando ri- 20 sposta da V. S. et il ritorno dell’alligata. D’Arcetri, li 19 Xbro 1637. Di Y. S. molto 111.™ Aff. rao Serv.™ Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r e mio P.ron Oss. mo 11 Sig. r Benedetto Guerrini. Alla Corto. 3624. BENEDETTO GUEUIUN1 a GALILEO [in Arcotri]. Cerreto Guidi, 20 dicembre 1637. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., I’. I, T. XI, cnr. 360. — Autografa. Molt’Ill. S. r mio Osser. Il Padron Sor."' 0 lui sentito hi lettera ilei Padre D. Benedetto Castelli Cfr. n.» 3532. 244 29 DICEMBRE 1637. L3631-3632] quintuplo dol trilineo binde , o così sestuplo, 7 l °, 8'°, 9'° otc. de’ soguonti tri- linoi otc. Ilora sapi ch’io disegno il parallelogrammo ae, facendolo però quadrato o tirandovi il diamotro Id, la parabola dhb o la curva dib con diligenza, scio- glio moltissimi problemi conformo ch’olla fa con il compasso, so bono è istru- mento più scommodo di quollo. Non ho voluto publicaro questa cosa senza farne motto a V. S. Ecc. mft , il cho non farò nò anco sonza il suo consonso, montre scioglie alcune oporationi del detto compasso. So me no darò, licenza, ne ador¬ nerò la mia Centuria ; so non, lo tonerò suppresso, non intendendo se non di far publicaro cosa cho li sia di gusto. Non posso più por la debolezza dello mani, o finisco con augurarlo felicis¬ simo anno nuovo con molti altri appresso e facendole riverenza. Di Bologna, alli 29 Xbro 1637. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dov.“° o Ob. ,no Ser. r0 F. Bon.™ Cavalieri. Fuori : Al molto IH.™ ot Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col. 0 [11 Sig.j r Gal. 00 Gal. ai Fiorenza. 3632 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GIANNANTONIO ROCCA [in Reggio]. Bologna, ‘29 dicembre 1687. Dalli» pag. 78 doll’opora citata noli’ informazione promessa al n.° 3053. .... Circa il Sig. Galileo, non li so dire se non che alli giorni passati restò privo dell’occhio destro. Circa le sue opero da stamparsi, non gliene so dire cos’alcuna. Ilo vista un’ opera del P. Guldini Gesuita, stampata in Praga, nolla qualo tratta del centro della gravità do’punti, dello linee, dello superficie e de’corpi, o vi metto la tavola de’quadrati e do’cubi da 1 fino a 10000 <*>. V. S. corchi vederla, che forsi n’havrà gusto. Se questo Padre havesse visto la mia Geometria nuova <*>, nella quale tratto di molti corpi da ninno considerati, per quanto io sappi, havria allargato più questo campo, restandovi di trovare il centro di questi nuovi corpi. Ma la mia Geometiùa ò stampata dopo questa opera.... 40 Cfr il.® 8266. <»> Cfr. n.° 1970. [ 3633 ] 1° GENNAIO 1638. 245 3633. GALILEO a ISMAELE BOULLIAU [in Parigi]. Firenze, 1® gennaio 1638. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. VI, cnr. 114r. — Copia della seconda metà del sec. XVII. Noi cod. della Bil>l. Nazionale di Parigi, Fonda fratn;nis, n.® 13037, car. 90, so ne ha un’altra copia, puro del sue. XVII, la qiialo presenta, a confronto della copia doi Mss. Galileiani, pochissimo varietà: no registriamo qual¬ cuna appiè di pagina. Perillustri ac Prestantissimo Viro et Pliilosopho Celeberrimo D.no Ismaeli Bullialdo S. P. Gratissimas literas tuas (1) , lectissime vir, una cum libro De natura lucis, tunc accepi, cum iam oculorum meorum lux omnis est extincta. Siquidem fluxio, quae mihi septem circiter abbine mensibus alterum oculum, meliorem scilicet, densissima obduxerat nube, rursus et alte¬ rum imperfectum, qui mihi reliquus erat ot aliqucm, exiguum licet, in rebus meis suggerebat usum, adeo atra obtexit caligine, ut nihil amplius apertis oculis quam occlusis videam : ex quo fìt ut per lucem io mihi non liceat bene omnia percipere, quae tute tam diserte de luce scribis ; demonstrationes enim, quae ex fìgurarimi dependent usu, nullo pacto comprehendi siile lucis ope possunt : ea tamen quae ca¬ pere auribus potui, summa cum delectatione audivi. Pro tuo igitur erga me tam propenso ac benefico animo, quas possum et quas debeo tibi gratias ago. Pliilolaus ( ' 2) ille, quem Amstelodami typis exornari significas, ignotus mihi omnino erat ; at acceperam e contra, iam sub praelo esse in Germania librum Patris Sciainer e Societate Iesu De stabiliate ter- rae (3) , quam pliilosophicis atque astronomici rationibus probat. 20 Libenter audio, te cum D.no Diodato, mei amantissimo atque offi¬ ciosissimo viro, amicitia iunctum esse; mihique credas velini, quod in liac, qua premor, calamitate summum levameli foret, si et ego vestra familiaritate mutuisque congressibus coram frui possem ; sicut et non parum doleo, ingruentibus belli terroribus, clarissimi atque doctis- simi viri D.ni Gassendi mihi tandiu exoptatum congressi! m eripi (4) . Lett. 3033. 24. incruenti» belli, cod. Parigino. — m Cfr. n.® 3588. t*i Cfr. n.® 3588, Jin. 18. i») Cfr. n.® 2418. <»> Cfr. n.» 8577. 246 1° GENNAIO 1638. [8683-3684] Sperabam etenim mirifìcam illius doctrinam ac euavitatom ingenii, quam ex oius scriptie praegustaram, propina ac maiori cuna voluptato ex mutuo colloquio haurire. Sed quid mirum, quando iam pridem nihil ex eententia mea cadit? Breviter admodum ac ioiune scribo, praestantissime vir: pluraenim so scribore me non patitur molesta oculorum valetudo. Quaro me velini excusatum liabeas ; meuinque omne ad te studiuin atque odìcium deferens, tibi a Deo fausta omnia precor. Yale. Dat. lflorentiae, Kal. Ianuarii 1638. Tui Studiosissimus Galileus Galilei. 3 ( 534 **. FRANCESCO DI NOAILLES a [GALILEO in Arcetri]. Parigi, 1“ [gennaio 1638]. Bibl. Naz. Fir. Mss. («al., I*. 1, T. XV, car. 22. — Autografa I,a accollila carta, contouonto l'indi¬ rizzo ostorno, sarobbo d'ultra ninno; ò noli» Raccolta Rozzi in Roma. Monsieur, J’ay recou l’iioiiour (pio Monsiour Deodati m’a fait, (lo ino (lonnor do vos nou- velles, avoc uno satisfaction ot un rossontimont oxtrcmo. J’ai apris par luy quo vous vous portios bion, ot quo vous ino vouliea doimer do nouvollos prouvos do vostro affcction. Vous pouvos iugor quo i’ay ostò bion ayso d’ostro nsseurò do cos doux choscs, puisque, d’un costo, io souliaitorois quo vous doussios vivrò aussy longuomont quo vostro roputation, ot quo, do l’aultro, il m’ost glorioux d’ostro dans lo souvonir d’un lioinine qui fait l’honour do son sioclo ot do son pays. Co sora dono, Monsiour, avoc boaucoub do joyo ot d’honour, quo io verray inon nom a la tosto du livre duquol M. r Doodati m’a parlò 1 ' 11 ; on recognoissanco do io quoy il n’y a cliose au monde quo vous puissios dosirer de moy, quo io no sois prest de vous rendro. L’amitié quo vous me portes et restimo (pio io fais do vous sont si vieilles ot si afformies, quii no fault plus craindro qu’aucun acci- dont los esbranle, ny quo io cosse iamais do publier vostro morite ot do vous acquerir dos admiratours, puis quo io suis si bion recomponsò dos louangos quo io vous ay données et du seul dosir quo i’ay ou do paroistro, Monsiour, Vostro tros acquis ot tres affeotionò Sorvitour Do Paris, ce 1. Noailles. Fuori : A Monsiour, Monsiour Galilei, premier Philosophe ot Mathomaticien do S. A. Monseig/ lo Grand Due do Toscane. F. 26. doctrinam atque tuavitatem, cod. Parigino — <*> Cfr. Voi. Vili, pag 18. t3G35] 2 GENNAIO 1638. 247 3635 . GALILEO a ELIA DIO DATI In Parigi. Arcetri, 2 gennaio 1688. 23ibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V, T. VI, car. 70f.-71/. — Copia di mano di Vincenzio Viviani, elio vi prometto questa notizia: « Il Galileo all’amico di Parigi no’2 Gou.« 1038, al romano, con lotterà d’ Arcetri, di carattoro dol suo amanuense, ma sottoscritta di sua mano, lo ragguaglia di accidento memorabile, moritovolo della commisornzione di tutti; elio però P ho stimato degno di trascriverlo, in esempio doli’ infelicità della umana condiziono». Sul margino poi il Viviani nota: «Gal. 0 2 Gemi. 0 1688 a Nativi Risposta alla do’20 Olirò “> ». Quosta copia s’arresta allo parole: «tutto in un volume» (lin. 28): invoco nollo stesso codice, a car. 83t.-84r., si ha un’altra copia, pur di mano del Viviani, che giungo lino allo panilo: «cosa elio a ino sarà gratissima» (lin. 28-29), o a car. 87/. il Viviani Ita trascritto l’ultima parto, incominciando cosi: «... i ntioi ultimi Dialogi » (lin. 21) e terminando con lo parolo « co’ SS. 1 Elsovirii » (lin. 30). Infine, sempre nello stesso codice, a car. 217r., lo lin. 1-21 si loggono copiato da un amanuense dol Viviani. In risposta all’ultima gratissima di Y. S. molt’ll]. re delli 20 9bre, intorno al primo punto eh’ ella mi domanda, attenente allo stato della mia sanità, le dico che quanto al corpo ero ritornato in assai mediocre costituzione di forze; ma ahimè, Signor mio, il Galileo, vostro caro amico e servitore, è fatto irreparabilmente da un mese in qua del tutto cieco. Or pensi V. S. in quale afflizione io mi ri¬ trovo, mentre che vo considerando che quel cielo, quel mondo e quello universo che io con mie maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comune- io mente veduto da’ sapienti di tutti i secoli passati, ora per me s’è sì diminuito e ristretto, eh’ e’ non è maggiore di quel che occupa la persona mia. La novità dell’accidente non mi ha dato ancora tempo dissuefarmi alla pazzienza ed alla tolleranza dell’infortunio, alla quale il progresso del tempo pur mi dovrà avvezzare. Questa così strabocchevole trasmutazione ha cagionato nella mia mente una straor¬ dinaria metamorfosi di pensieri, concetti ed assegnamenti, sopra di che per ora non posso se non dire, anzi accennar, poco a Y. S. molt’Ill. r0 , perchè mi trovo troppo distratto di monte anco nel pen¬ sare alle nuove amministrazioni circa alle cose familiari : però mi 20 riserberò con animo meno inquieto a risponder più particolarmente alle cose contenute nella sua gratissima lettera. Sto con estremo desiderio aspettando d’intendere l’esecuzione del desiderato favore da V. S. e dall’ lll. mo Sig. r Conte di Noailles, in <‘> Questa lottora do’ 29 novembre 1637 ò nudata interamente perduta. 248 2 gennaio 1G38. [3635-363G] proposito della dedicazione de’miei ultimi Dialogi (l) , che or mai devon esser alla fine della stampa, essendomene pervenuti qua sino a 29 fogli, mandatimi da SS.* Elsevirii. Et il Sig. Lodovico mi scrivo ultimamente che io faccia d’aver in pronto le altre opere mie fatte latine, perchè loro le stamperanno tutte in un volume, cosa che a me sarà gratissima ; e volentieri sentirò da V. S. se il Sig. Carcavil si sia interessato o ingerito in questo negozio co’ SS.* Elsevirii. so 8636. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Uomn, 2 gennaio 1688. Blbl. Ntv 2 . J?ir. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 6. — Autografa. Molto 111." od Ecc. mo Sig. ro o P.ron Col.® 0 Solo questa mattina ho riccuta la lotterà (li V. S. molto 111." od Ecc. ma , od hoggi sono stato duo volto da quello elio diodo a ino il consiglio, corno li scrissi con lo passato l?) , por concertare con osso il memoriale in termini buoni, nè mai l’ho potuto ritrovare; ma senza fallo mandare» la minuta a V. S. por l’ordinario elio viene. In tanto pregarò Dio por lei elio li doni la grazia della pacionza nella sua infermità, contrapeso a quella gloria elio olla ha riedita, di Lavoro visto più di tutti gli altri huomini dol mondo. Vorrei essergli appresso por po¬ terla consolare o servirò in questo bisogno, ma forsi è meglio elio io mi ritrovi qua, dove farò tutto quello elio conoscerò elio possa essoro di suo servizio, o ne io stia sicura. Con elio li fo affettuosissima rivoronza. Quando vorrà il Sig. r suo nopoto, sarà servito da ino e dal nostro caro Coc- carolli con ogni affetto w . Roma, il 2 di Gen.° 1G38. Di V. S. molto III." ed Ecc. ma Dovotiss. 0 o Oblig.® 0 Scr. ro o Dis.’° S. r Gal. 0 Gai.* Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111." Sig. ro e P.ron Col.® 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo del Sor." 10 Gr. Duca di Toscana. Firenze. 20 «*» Cfr. n.o 3684. « ! » Cfr. n.o 3C18. < 3 » Cfr. uà.’ 3597, 3598. [8637-3638] 2 GENNAIO 1638. 249 8687 *. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Àrcetri]. S. Maria a Campoli, 2 gennaio 1638. Bibl. Naz. Flr. Appendice ni Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 188. — Autografa. Molto Ill. re ot Ecc. m# Sig. r mio P.ron Col.™ Non lio potuto servire V. S. con quella pronteza elio io desideravo quanto alla farina, perchè in questi tempi qui si trova con dificultà chi voglia vettu¬ reggiare. No mando adesso staia sei, elio con la poliza e vettura costa lire tren- taotto o mezo. Non mando capponi nò pollastro, perchè questi miei popolani, cho all’occorrenze mo no sogliono provedere al mercato di Figlino, non vi sono andati, mediante le nevi. Rondo grazie a V. S. dello molto o belle arancio, con lo quali ho ricouto anche tre fogli della sua opera, che seguitano immediatamente, so bone dalla io copia Cfr. nn.‘ 3553, 3550, 3562, 3576. XVII. (») Cfr. Voi. Vili, pag. 460-170. 32 250 2 — 3 GENNAIO 1038. [ 8688 - 3039 ] Ho sentito elio tal pietra vien da molti chiamata lapis Bononiensìs; però so mi accorte rii olio in quello parti so no possa trovare, non mi mancheranno pa¬ droni de’ quali mi possa promettere ogni favore. Rimando intanto a V. S. la io sua lotterà (1> , o con un affettuoso ricordo doli’ osservanza elio lo porto, gli bacio di cuoio lo mani. Vonetia, 2 Gon.° 1038. Di V. S. molto 111." 5 et Ecc.“* Dov. mo et Obb. mo Se. ro S. r Galileo Galilei. Jb'rau. 00 Rinuccini. 3639 **. ANNA MARIA YAIANI a [GALILEO in Arco!ri]. Iioraa, 8 gennaio 103s. Blbl. Nftz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 279. — Autografa. Molto 111.” Sig. r mio P.rono sempre Oss. mo La molta gentilezza o cortesia del Sig. r Arrighotti *' m’ha fatto pigliar animo di riverirò Y. S. con questi doi vorsi, sì por significargli come l’afìbtto grande, elio havovo verso di lei, si è sempre conservato o conserverà fin eli’ Iddio mi darà vita, come anco por rallegrarmi del suo bone staro, il elio tanto desidero o bramo molti anni. Il P. I). Gio. Battista, romito di Monto Sanano (3) , mi foco una volta una rac- comaiulationo da parto di V. S., del elio la ringratio sommamonto o gli resto con infinito obbligo. La prego di conservarmi nella sua buona gratin, qualo stimo più di qual si voglia cosa, a bone eli’ io no sii del tutto inmeritovolo. Nondi- io mono, confidata nolla sua benignità, spero elio la mi farà questo favoro, sup¬ plicandola insieme, dove la mi conosce buona, di honorarmi do’ suoi comandi, chè haverò grandissima ambitiono di potoria servirò, come anco, so la diman¬ dila non ò tropo inpertinente, doi vorsi di sua mano, quali conserverò come una reliquia. Non occorondomi altro, por paura di venirgli a noia, finirò con pregargli dal nostro Signore Iddio tutto il bone elio meritano li suoi rari meriti. L’istosso fanno mia madro con tutti di casa. Di Roma, li 3 di Genaro 1G38. Di V. S. molto 111." 5 Deditiss.®* Serva Anna Maria Vaiani. 20 m Cfr. nn.‘ 3G09, 3020, 3030. < J| Andrka Ahriqubtti. **» Cfr. n.o 3403. [ 3640 ] 4 GENNAIO 1638. 251 3640. LODOVICO ELZEVIER a GALILEO in Firenze. Amsterdam, 4 gennaio 1638. Blbl. Naz. Flr. Mss. Otti., P. VI, T. XIII, car. 73. — Autografa. Exc. mo Sig. r0 et Padr. ne mio Colend. mo Ilo ricevuto la sua di 7 Novembre con l’intitolazione dell’opera, la quale sostennerò sino che babbi ricevuto la dedicazione dal Sig. r Elia Diodati. Con questa rimando li sei fogli, che gli non sono stati recapitati (l> , per poter con¬ tornare le nota delle corrozzioni degli errori di stampa et la tavola delle ma¬ terie, ebo starò quanto prima aspettando. Inquanto il trattato della percossa e dell’uso della catcnolla (2) , si V. S. non lo puoi condurre a perfezziono, farò il compimento conforme il suo ordino. Spero che h aver A ricevuto lo 9 fogli mandatigli por il S. r Giusto' 3 ’ libraio io le 22° dol passato, cioò Gg sin Pp. Tengo aviso di Venetia eh’un ingegnerò Olandese al sorvigio della Rnpu- blica, nominato il Sig. r de Woordt t4) , à tradotto gli Dialogi l)c sijstematc mundi in lingua fiaminga, i quali desidero far stampare por l’uso dolla nostra nationo, curiosa di questa scienzia. Ilo scritto al tranzlatore per ottener la copia: si però sono occorsi qualche errori nell’originale, prego V. S. de voler mandare lo cor- rettioni al Sig. r Giusto per non commetter gli stessi nella traslazione. Lo suo opere essendo fatto tutto latine, ne comminciarò la stampa (W . Manderò con il primo vassello alcuni libri al S. r Giusto, a i quali giungerò per V. S. alcune copie della scrittura a madama Gran Duchczza. 20 Por l’aveniro haverò la mia stanza in questa città, per essor meglio situato per traficaro et haver corrospondonza in altro paese: gli moi consorti (6) reste¬ ranno a Loyden a attendere alla stamparia. Se gli posso servirò in cosa alcuno, m’honori delle suo commandi, alli quali restarò di V. S. Exc. ma D’Amsterdam, il 4° di Gennaro 1638. Fuori: Al Exc. m0 Sig. r0 et Padr. no mio Colend." 10 Il Sig. r Galileo di Galilei, Matematico del Ser. m0 Gran Duca di Toscana. Firenza. <*> Cfr. n.® 3001. <’> Cfr. Voi. Vili, pag. 26. < 8 > Giusto Wikfkudioh. **> Franoksco van Wrkrt. <»> Cfr. n.® 3592. Àbramo e Bonavkntura E lzevirr. 252 G — 8 GENNAIO 1638. [3641-3642] 3041*. GIO. GHERARDO VOSSIO a UGO GROZIO in Parigi. Amsterdam, 6 gennaio 1688. Italia pag. 341 dell’iipora citata nell' informnzlono promessa al n.° 2947. _Impenao ab eo<‘> actum, ut publicis impernia, id ftuth ori tato Ordinum Geiiora- lium, ad Galilaeum de Galilaeis mitteretur. Perhonorificum hoc foret, et ex colloquio cum viro reconditao doctrinae multa addiscere darotur; ac forte in Gallia voi Italia luculentior obtingoret dignitas, quam apud noa babet. Sed enim metuo, no tam facilo id nunc sit conaecuturus, poBtquam Urbicua Senator Rcalius, Indicus antea Praofectus, vitao buie 08t creptus, qui valdo hoc nogotium urgebnt, ut noaso te nrbitror. Quamquam vero non le- viter incommodave posait illuatris urbis luiius Gyiminaio, ai compluribua menaibua nullao habeantur auditionoa mathematicao, nihilominua docretum, si nuxilio nostro ei opus erit, adiutore eum apud urbiB buius procorea, idque ea fiducia, quod, publico nomino et sti¬ pendio rniseua, futurna sit devinctior ad se sistendum poatea Hatavia, ot quodeunquo 10 fructua ex profectiono pcrceperit, 8 uis potius impertiendum quam alienis.... 3642. VINCENZO IlENIEUl a [GALILEO in Arcotri]. Genova, 8 gonnaio 1633. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 7. — Autografa. Molto Ul. r0 et Ecc. rao mio Sig/ 6 o P.ron Col. ra0 Sono tre ordinarli ch’io risposi a V. S. por conto del mio venir a Firenze, nò da alhora in qua ho più liavuta nuova alcuna dol’esser suo. Vengo porò di nuovo a salutarla ot a conferir con esso lei un tal pensiero elio m’ò vomito, il quale se succedesse, sarebbo a lei et a me di non poco giovamento. Già l’anno passato il Ser. m0 G. D. ini diodo intentiono d’honorarmi con una lettura nello Studio di Pisa (2 , e benché io non Labbia più fatta altra istanza, stimo per ogni modo che Sua Altezza benissimo se ne riccordi. Egli è ben vero ch’io non ho sostenuto molto simil nogotio, perché, havondo io qui in Gonova un anno por l’altro da alcuni scolari poco mono di 300 scudi, non mi son cu- io rato molto di cambiar con Pisa Genova. Ilora, perchè il mio desiderio sarebbo Xiatt. 3642. 8. nuova alcuno — Parili ili Martino Ortknsio: cfr. n.° 3611, i*> Cfr. n." 3431». lin. 5-6. 8 GENNAIO 1638. 253 [3642-3643] puro d'haver servitù con cotesta Ser. ma Casa, lio stimato che quando ella mi proponesse por Matematico o Astronomo a cotosto Ser. lu0 o a qualcheduno de’ Pron- cipi, con insinuarli che potrei succeder a V. S. quando che piacerà al Cielo di chiamarla, il elio sia più tardi cho si puole, sarebbe forai facile elio egli mi honorasso di simil titolo, con solo tanto di stipendio cho servisse por mo et un servitore, cliè più non chiodo. Havoroi con simil honore anco licenza dalla Re¬ ligione di potor stanziar quant’io volessi fuori del monastcrio, o servirei a V. S. non solò nello sbrigar lo tavole de’ pianeti Medicei, ma anco nelle osservatomi 20 colesti ot in tutto quello faticho cho la gravezza del’età sua non è più atta a sostenere; con elio verrei ad haver fortuna di sollevar il poso degli anni a V.S. sì corno giù foco il Rethico al Copernico. V. S. ci faccia riflessione o mi dia ri¬ sposta, cho io per line lo bacio caramente lo mani, sì come fa ancora il Sig. 1 ' Da¬ niello Spinola. Di Genova, adì 8 di Genaro 1638. Di V. S. molto 111.“ ot Ecc." ,a Cordialiss. m0 Ser.™ D. Vincenzo Rcnieri. 3643 *. GIO. GIACOMO PORRO a [GALILEO in Arcetri]. Monaco, 8 gennaio 1638. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, 15» LXXXV, n.° 99. — Autografa. Molt’DL" Sig. r e P.ron Oss. mo Subito ricevuto il suo piegho, lessi la diretta a me o diedi ricapito all'altro due. Ho poi parlato al Sig. Conto Foccari (1) , o gl’ho esposto il desiderio del Sig. r Alberto l2) : il qual Sig. r Conte m’ha detto cho io scrivi a V. S. che parl&rà a S. A. o farà in modo d’ottener la proroga della licenza, o subito ottenuta no darà per sue lettere a V. S. ragguaglio ; intanto essorta il Sig. r Alberto a stai- di buon animo o studiare: od io procurare anco quanto prima l’espeditione. La favola del Sig. Bartolomei l3) non s’è anco potuto recitare, prima per la longha infermità della Sor.'" 11 , dopo il parto per la morte della Maestà dell’Im- ìo potatore: sporo bone, finito l’anno del duolo, si cominciarà a far qualche cosa. S’intanto V. S. mi potesse far degno di qualche dialoghetti, o spirituali o mo¬ rali, per cantar in camera, lo riceverei a gratia singolare, pur cho non siino troppo lunghi, essendo intra si fanno servitii di tavola, al’ uso di Vienna, ogni <*> Ottone Enrico di Fijgof.u Kirohhkim. C*> Alberto Cesare Galilei. <»> Cfr. u.« 3430. 254 8 — 0 GENNAIO 1638. [3643-3644] festa, mattina o sera; e la nostra Sor. m, ‘ si dilotta grandemente di questo coso morali o spirituali, ed anco qualche volta si dilotta di bizzarrie ridicolo, ma o'Rabbino del dialogho; elio di queste coso li SS. ri poeti fiorentini non hanno pari, massimo per vorsi da mottor in musica. La supplico dunque a farmi questa gratin, favorendomi non incommodar per ciò un virtuoso solo, ma varii, e non mandarmi ogni cosa in una volta, ma in più volte. Mi par havor inteso eh’ H fratello ll> dol Sig. r Alberto sii por venir in Italia, 20 poiché giù. s’è messo per paggio doli’ Ill. m# S. r Residente di Spagna, qual lo fa imparar di violino 0 di louto ; ma quosto non lo so por sicuro : son ben restato molt’attonito di questa sua rosolutiono. Con cho fine a V. S. faccio riverenza, o saluto il S. r Alberto. Monaco, li 8 Gonaro 1G38. Di V. S. molt’Ill.” Obligat. mo Ser. r0 Gio. Giacomo Porro. Subito havuta la proroga, s’il S. r Alborto vorrà andar a Roma, gli mandarò una o dui lcttoro por quelli virtuosi principali, dali quali non potrà ricever so non utile od bollore. 30 3644. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Noma, 9 gennaio 1038. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 9. — Autografa. Alla lattoni facciamo imgiiirn la minuta clol * moinorialo *, elio il Castkm,i mandata inclusa (lin. 0) o cho, di manu pur del CAbTKU.i, e auclie oggi allegata (car. 91»)- Molto 111." ed Ecc. mo Sig. r0 o P.ron Col. m0 Quel mio amicom’ha consigliato cho il memoriale dovo esscro fatto da V. S. molto Ili/ 8 alli Em. ,ni e Rev. rai Sig. n Cardinali della Sacra Congregazione del S.° Officio, semplicissimamento supplicandoli che por misericordia li faccino la grazia dolla liberazione o cho possa staro in Fironze, in quosto suo estromo bi¬ sogno, appresso ai medici. No ho fatta la inclusa minuta, qualo ella doverà man¬ dare da sè con una lettera airill. m0 e Rev. m0 Sig. r Assessore della Sacra Congro- gazione del S.° Officio, senza altra raccommandazione. Solo ò necessario cho sia accompagnata con la fede de’ modici, che narrino, medio giuramento, il stato <*» Cosimo <1.iulki. «*» Cfr. u.» 3036. 9 GENNAIO 1638. 25 r» L3044] io della informità ed il bisogno. Io non mancarò al debito mio, ed in particolare con pregare ogni mattina nel Santissimo Sacrificio il Padre delle misericordie e Pio d’ogni consolazione, che li dia il Suo santo aiuto; o lei ponga in S. D. Maestà tutto lo suo speranze, o si consoli che se bene resta priva per bora del lume delli occhi corporali, ha non dimeno goduto e gode il lume dell’intelletto molto più superiore a quello delli altri huomini, e tanto che il vantaggio è maggiore che non è quello che si fa con la sua maravigliosa invenzione del cannocchiale nella vista corporale; e canti allegramente con franchezza d’animo: Si bona suscejpimus de marne Domìni , mala quare non sustineamus ? E non occorrendomi altro, li fo humile riverenza. 20 Qua sono stato latto le ossequio a Monsù di Poires con una orazione del Sig. r Bussiard (tl francoso, quale ha fatta honoratissima menziono del merito di V. S. Ecc. mn , o tale che io no sono restato maravigliato. Quando sia stampata, gli no mandarsi copia, e in tanto li fa riverenza, corno fa ancora il P. Fran¬ cesco buono. Roma, il 9 di Gon.° 1638. Di V. S. molto 111.™ od Ecc. ma Dovotiss. 0 e Oblig. mo Ser.™ e Dis. 10 Don Bcncd." Castelli. Fuori: Al molto 111." od Ecc. m0 Sig. ro o P.ron Col." 10 ao il Sig.' Galileo [Galilei, p.j Fil.° del Sei*."'" Gr. Duca. Firenze. Em. ml e Rev. ml Sig. rl Galileo Galilei, humilissimo servitore delle Em. t# Vostre, riverentemente espone, che ritrovandosi sequestrato, sono borami unni.. . <2) , per ordino della Sacra Congregazione, fuori di Firenze, ed essendo dopo una louga infermità corso il pericolo della vita o perso af¬ fatto la vista, come por lo congionte fedi de’medici è manifesto; per tanto, ritrovandosi in estremo bisogno di medicarsi, ricorre alla clemenza dello VV. Eni. 10 , humilmente sup¬ plicandole a fargli la grazia della liberazione in questo ultimo miserabile stato od in età decrepita. Ghe reatarà obligato pregare l)io per le Eni.™ VV. A tergo: Alli Em. ,nl e liev. n ‘ l Sig. rl Card . 11 del S.° Off . 0 Per Gal . 0 Galilei. <‘> Gio. Giacomo BouOuabd. < a > i puutoliui sono noU'origiuale. 25G 9—11 GENNAIO 1638. [3645-3646] 3645*. ALESSANDRO NINOI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Cainpoli, 9 gennaio 1688. Bibl. Naz. Flr. Appendice fti Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 148. — Autografa. Molto 111.' 0 et Ecc. ,n0 Sig. r mio P.ron Col. m0 Se lo condoglienze apportassino qualche alleviamento a chi ha il male, mi sforzerei di rapresentare a V. S. conio nell*intenderò il nuovo accidente della sua cecità l’ho compatita come padre amorevolissimo, oliò così richieggono i fa¬ vori o henefìzii singulari che da lei ho ricevuto o continuamente ricevo; ma per¬ chè io mi persuado elio questi ofizii non siono medicine a proposito, anzi pos¬ simi più presto esacerbare cho levaro il dolore, più volontiori mi appiglio al rimedio cho Y. S. mi accenna, di ricorrere a Dio, cho è fonte o origine d’ogni vera consolazione. Piaccia dunque alla divina Bontà di consolare V. S. in questa tribolazione, sì come io ne’ miei Sacrifizii instantemento La suplico; o spero cho io • sì come V. S. s’è acquistata fama eternamente singularo nelle scienze o in altro virtù, così anello sia por dimostrarsi esempio singularo di pazienza. Mando un paio di capponi, cho ho fatti comprare al mercato di Greve, che costano un mozo scudo ; o un paio di raviggiuoli, cho mi sono stati donati, an¬ cora io gli dono a V. S., ringraziandola quanto io posso del vino di Siena, quale conservo por il giorno di S. Bastiano, che io fo un poca di festicciuola al mio annesso: mentre co ’1 fino gli faccio debita reverenza con sincero affetto. Da S. ,a M. a a Campoli, 9 Gennaio 1637 (1) . Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Dovotiss.™ 0 e Oblig. mo So.™ Alessandro Ninci. £0 3646*. ORTENSIA GUADAGNI SALYIATI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 11 gonnaio 1638. Bibl. Nnz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 275. — Autografa la sottoscrlzlono. MoltTll.™ Sig.™ L’infortunio accaduto a V. S. per la privazione della luce m* ò stato di molto disturbo, che la compatisco quanto so o posso, e volentieri mi cavarci del pro¬ prio sangue, purché non havessi incontrato tal perdita, stante lo suo buono et (>' Di stile fiorentino. 11 — 12 GENNAIO 1638. 257 [ 3646 - 3647 ] honorato qualità; ot come prudente, doverà Y. S. abbracciare il tutto dalla mano di Dio, por ricoverilo dipoi maggior gloria: et eli novo me no dolgo soco fin all’anima, con tirare avanti con pacienza. Ricevo la supplica dy, V. S. raccomandata por la fanciulla estremamente. S. A. ha visto volontiori, et eroderò rostarà consolata, sendo stata contrasegnata su- ìo bito infra l’altre. Rosta che la fanciulla s’ossorciti in progaro S. D. M. th per la propria salute di questo AA., mentre col fino ino li oiforo, et la saluto nel Si¬ gnore caramente. Pisa, li 11 di Gennaio 1637 Di Y. S. molto lll. r0 Aff. mn Sor. Ort. a Guad. ni Salviati. 3647 . ASCANIO P1CCOLOMINI a GALILEO [in Arcetrì]. Siena, 12 gennaio 1638. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 11. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.” Sig. r mio Oss. mo La franchezza con che V. S. s’accomoda a tollerare dalla mano di Dio la perdita della più cara cosa che s’habbia in questa vita, mi leva l’obbligo tanto della condoglienza quanto della consolazione; perchè la prima saria gittata, o la seconda è già presa dalla prudenza di lei per quel verso elio si può pren¬ derò. Compensi adunque Iddio benedetto la cecità corporale con quell’allunga- monto di vita e preservazione di chiarezza d’intelletto elio può rendere granili di V. S. non mon gloriosi o profittevoli al publico de i già passati; e s’assicuri che la condizione di lei è tale, elio le miserie stesse gli renderanno sempre più io parziali e più veri i suoi servitori. Con questo Ser. ,no Principo (i) non ha bisogno V. S. della mia opera, perchè l’ingegno suo gli fa conoscere o stimare la persona di lei quanto conviene; e venendo a suo tempo a godere di cotosto bande, V. S. n’aspetti più d’una visita. A Francesco mio nipote (3) ho indirizzato la lettera di V. S. ; la quale bora prego a volermi comandare con più libertà che mai, poiché s’assicuri che da questo argomentai^ in elio grado di servitù ella mi tiene. E Dio benedetto li conceda quello grazie che non posso altro che desiderarlo. Siona, 12 Genn. 0 1638. Di V. S. molto 111.” Dovot. 0 Sor. 20 S.° Galileo. A. Are.” di Siena. Di stilo fiorontiiio. ,8 > Gfr. il.® 3627. (*> Lboi'Oi.do dk’ Mudici. XVII. 33 258 13 — 1C GENNAIO 1038. [H648-3649J 3648 **. ANDREA ARRIGIIETTI a GALILEO in Arcotri. Firenze, 18 gennaio 1638. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XI, car. 271. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ecc. mo S. r mio Oss. nu> La S. ra Anna Maria Yaiani, dama dolio qualitil elio sa molto Leno V. S., si è compiaciuta noi mio ritorno di Roma, in testimonio (lolla stima elio fa della persona sua o doU’onorata menziono elio si ò fatta più volto di Y. S., accompa¬ gnarmi con l’inclusa lotterà (i) , la quale, non mi avendo permesso la stagiono così contraria nò alcuno mio occupazioni il rondorla in propria mano, ho reso¬ luto mandare a V. S. con occasiono dol mio lavoratore, con pensiero di venire quanto prima a rcvcrirla o darlo nuove del nostro Padre I). Bonedotto o di tutti gl’amici, elio la salutano con tutto l’affetto: pregandola in tanto a onorarmi do’ suoi comandamenti et a mandarmi la risposta per dotta Signora, acciò abbi io occasiono di servirla; montro a V. S. fo debita reverenza. Fir. 20 , 13 Gon.° 1637 <*'. I)i V. S. molto Ill. po ot Ecc. m: * »Serv. r « Obl. mo And.® Arrighetti. Fuori- : All’ molto 111.™ ot Ecc. mo S. r mio Oss. n, ° il Sig. r Galileo Galilei. In villa. 3649 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Iloina, 16 gennaio 1038. Bibl. Naz. Fir. Mb 9. Gal., P. I, T. XI1, car. 18. — Autografa. Molto 111. 1,0 Sig. r ° o P.ron Col. 1 ' 10 Per Pordinario passato mandai a V. S. molto 111.* od Ecc. ma la minuta del memoriale (3> , e erodo ebo a quest’ bora l’havorù, ricouta. In tanto progarò Dio benedetto che la consoli nel suo travaglio, o ci aiuti a conseguilo quella grazia che ò più proporzionata alla saluto dell’anima. <*) Cfr. n.o 3639. <*' Di stile fiorentino. ,3 > Cfr. n.° 3644. 16 GENNAIO 1638. 259 [3649-3650] Quanto alle cose mie, sto consolatissimo o ressignatissimo nella volontà di Dio; e ini creda che quanto li scrissi nel fine della Matonata (1) mi sta talmente stampato nel cuore, che non mi scomporrò mai per qualsivoglia strano avve¬ nimento che mi possa intravenire. Di Venotia aspetto ogni di buono nove; ma io venghino in qual modo si sia, che riceverò tutto dalla mano di Dio. In tanto qua da’ Padroni vengo trattato meglio che non merito. Ho consegnata la lettera al nostro veramente gentilissimo Sig. r Borghi (2) , elio gli ò stata carissima. Quanto alle lenti, credo che sarà più sicuro che ella lo con¬ servi appresso di sè, legato nella scattolctta medesima con la quale io mandai, sino che verrà occasione, o a me o a Y. S., di mandarle. Ho hauto occasiono di trattenere qua da me un Padre Fra Beneciotto da Siona, Gcsuato, quale di mattina s’imbarcarà por Livorno, e verrà a trovare Y. S. molto 111.™ e li darà più minuto raguaglio dello stato mio: a lui mi ri¬ metto, e in tanto bacio lo mani a V. S. con tutto l’affetto. 20 Roma, il 16 di Geli. 0 1638. Di V. S. molto 111.™ od Ecc. ma Devotiss. 0 o Oblig.*“° Sor.™ e Dis> S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Bonod.° Castelli. Fuori: Al molto 111.™ od Ecc. mo Sig. r ° e P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galiloi, p.° Filosofo di S. A. Ser. ma Firenzo. 3650 . FULGENZIO MKJANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 16 gennaio 1638. Blbl. Nftz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 74. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. ot Eccoli. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Col.» 10 Ilo ritardato lo scrivere a V. S. molto 111. ot Eccell. ma aspettando puro da Cremona questo benedetto violino, por il qualo Mons. r Monteverdi (3) mi assicura havor fatte molte e replicato instantio, o pur ancora non comparisco. Recevorà con questa 9 fogli del suo Dialogo 4° con l’Apendice, dal che cavo, so ben mi riccordo, che la stampa è sul fino; ma non so so V. S. li Laverà Lett. 3049. 22. Olig — <«) Cfr. n.o 3541, lin. 483-188. <*> Pikb Battista Borcuu. < a > Cfr. n.<* 3614. 260 16 GENNAIO 1618. [3050*3661] havuti tutti ordinatamente, porchè questi con li altri mandati di qua non sono susseguenti. Quei particolari do i moti dalla sua diligenza osservati nolla luna' 1 ’, li oom- municai qui a divorai, in particolare al Sig. r Argoli, elio no restò assai muravi- io gliato, et anco ad un di questi Sig. ri Fianionglii, elio no ha scritto fuori, per il elio mi fa continua instanza, a ricchicsta do’ profossori fuori, che so lo dia qual¬ che maggior lume, spocialmcnto sopra il modo dell’osservarli. Ilor vegga Y. S. che io non son solo elio, anco svogliato dalla sua divina monto, non so caminar inaliti. La prego di qualche maggior aiuto, anco per sodisfattiono dell'altrui cu¬ riosità; elio porò servirà a questo bone, cho quei buoni Padri, elio s’arrogano rin¬ vengono dolio macchio solari, non potrano faro ristesso do i moti lunari. Il Sig. r Argoli in una sua lettera mi motto questa polizzeta (>> , cho mando di suo pugno a V. S. o no aspottarò il suo parerò. Ilo pregato l’Albcrgheti cho mi faccia una forma della sua sfora <8) por man- 20 dar a V. S., cho è veduta con gran gusto da’ curiosi cho capitano in Vonetia, perchè adesso mostra assolutamente tutto lo coso contenuto no’ Dialogi, in par¬ ticolaro lo stationi, retrogradationi do’ pianeti; o Giovo fa una revolutiono sola nel tempo cho la torra no fa 12, o cosi dogli altri tutti a pendio : ma nessuna cosa dà gusto maggioro che quolla dello macchio solari, dolio quali si veggono tutti li accidonti descritti, cho por altro a molti erano inintelligibili. In somma la sfora venuta d’Olanda non è comparabile a questa. Prego il Signore cho questo ingrosso d’anno novo sia a Y. S. molto HI. et Eccell.'"* con più felicità dol passato, o lo buccio con tutto l’affetto lo mani. Ven. ft , 16 Gonaro 1638. so Di V. S. molto 111. et Eccoli. ma Dovotiss. 0 Sor. S. r Galileo. F. Fulgentio. 3651 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Aratri], Venezia, 16 gennaio 1638. Bibl. Ent. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVII, n.° 9 . - Autografa. Molto Ill. r ® ot Ecc. mo Sig. ro o P.ron mio Oss. mo Io non posso negare elio non mi fusse stato di sommo contento il vedere i riscontri et i paralolli fatti da V. S. fra il Tasso e l’Ariosto ,4 \ promosse della con¬ clusione da lei fatta dell’ingegno di quei poeti, cho mi ha noU’animo impressa f ‘> Cfr. nn.i 3598, 8595. <*' Non « presontemonte allogata. < 3 ' Cfr. n.® 8486. < k > Cfr. u.° 3630. 16 — 18 GENNAIO 1638. 261 [3651-8652] altrettanto di curiosità, quanto mi è giunta peregrina la conclusione e quasi di¬ mostrarono elio mi dico haver fatta della diversità e differenza di quelli duo ingegni; ma perchè io sopra tutte lo coso desidero ogni maggior sua quiete e riposo, appago con questo desiderio la mia curiosità, o la prego a scusarmi so troppo ho ardito. Dal Padre Maestro Fulgentio mi è stato inviato l’incluso piego, nel quale mi fo a credere che sieno i fogli stampati che lei mi accollila. Vorrei vedere alle volto esercitata la mia devota servitù da’ suoi comandi, de’ quali suppli¬ candola con tutto l’animo, con il medesimo la riverisco. Vonetia, 16 Gen.° 1638. Di V. S. molto 111/" S. r Galileo Galilei. Dev.™ et, Olii» m0 Se. ra Fran.' 0 Kinuccini. 3652 **. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in Arcetri]. 8. Maria a Campoli, 18 gennaio 1688. Bibl.Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 189. — Autografa. Molto Ill. Pa et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col."' 0 Avevo preso duo o tre volto la penna por ringraziare V. S. del vino di Mon¬ tepulciano e del greco mandatomi iersera, e non trovando parole che esplicas- sino l’affetto mio, me no stavo così dubbioso, quando è comparso il suo man¬ dato, carico di tanti rogali, che potrobbon confondere un ben esercitato rottorico in faro i debiti ringraziamenti, non elio un par mio, anche commosso e alte¬ rato dall’allegreza di sì moltiplicati favori, con i quali potrò molto accarczaro i mici ospiti e agrandire me stesso, rapresentando loro che questi son rogali di V. S. Non saperci già che dirmi in rendimento di grazie, se non elio io con¬ io sidero le coso stesse o pondoro la persona e 1’ affetto di chi le manda; o con questo sporo d’essor compatito, non che scusato, se io passo con riverente si¬ lenzio quello che in minima parte potrei esplicare. Non avendo altro, gli mando un paio di raviggiuoli, che almeno saranno morbidi, mentre co ’l fine, pregan¬ doli dal Cielo felicità, gli faccio debita reverenza. Da S. 1 * Maria a Campoli, 18 Gennaio 1637 (1) . Di V. S. molto 111.” et Ece. raa Devotiss. m ° o Oblig.™* Se.™ Alessandro Ninci. 0> Di stilo floroutino. 262 23 GENNAIO 1638. [3663] 3653 . GALILEO a ELIA DIODATI in Parigi. Arcetri, 23 gennaio 1038. Bibl. Naz. Pir. Msa. fini., P. V, T. VI, car. 74r.— Copia di mano (li Vikcknzio Viviani, cho tra la Un. 19 o la Un. 20 inserisco quost’ indicazione : « In fine dolla lettora aggiugno : ». I.o Un. 1-18 si leggono, nello stosso codice, anello a car. 34(.-35r., pur di mano del Viviani, o a car. 217f.-218r., di mano d'un suo ama¬ nuense. A car. 217(. ò promossa alla copia questa notizia, che lui correzioni autografo del Viviani: « D'Àrcotri, con lettora in data do’ 23 Genn ® 1088, dottata al suo amanuense Ambrogotti o firmata col suo nomo di propria mano, intorno al particolar dolla nota dello sue opere non ancora stampato cliiostali con la lotterà do’ 22 Xbro prossimo passato dal lottorato Frnnzoao <’), cosi rispondo il Ga¬ lileo: »; o notizie Bimili si leggono ancho in capo allo altre duo copie. Quanto poi al prometter altre mie faticlio, sappia V. S. che io ho buon numero di problemi e questioni spezzate, tutte, al mio consueto, nuove e con nuove dimostrazioni confermato. Sono ancora sul tirare avanti un mio concetto assai capriccioso; e questo è di portar, pur sempre in dialogo, una moltitudine di postillo fatte intorno a’ luoghi più importanti di tutti i libri di coloro che mi ànno scritto contro et anco di qual eh’ altro autore et in particolare di Aristotele, il quale nelle sue Questioni Medianiche mi dà occasiono di dichiarare diverse proposizioni belle, ma molto più ancora me ne dà nel trattato De incessu animaMum, materia piena di cose ammirabili, come quello che io son fatte meccanicamente dalla natura; e qui mostro esser assai manchevole et in gran parte falsa la cognizione che dall’autore ci vien data. E queste ultime mie opere saranno, s’io non in’ inganno, d’una gustosa e curiosa lettura. Ho di poi una mano di operazioni astronomiche, parte delle quali acquistano perfezzione dall’ uso del telescopio, et altre dalla maggior squisitezza nella fabbrica degli astronomici strumenti, mercè de’ quali aiuti tutte le osservazioni ce¬ lesti potranno esser con notabile acquisto poste in opera etc. Quanto etc. In questo punto mi sono pervenuti altri fogli stampati, che sono 20 in tutto al numero di 40, siche la stampa a quest’ora deve esser presso alla fine. Lott. 3653. 1. A car. 74r. il Viviani prima scrisse: Quanto poi al prometter altre, poi corrosso: Quanto poi all'altre, o così si leggo ancho nollo copio a car. 84 1 . 0 217l. Ma a car. 87l. il medesimo Viviani citando solo lo primo parole di questo capitolo, lo riforisco in questa forma: Quanto poi al promettere altre mie fatiche, sappia V. S. etc. — «»> Cfr. n.® 8625. [8654] 23 GENNAIO 1638. 2G3 3654. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 23 gennaio 1638. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XII, cnr. 16-16. — Autografa. Molt’Ill.™ ed Ecc. ,n0 Sig. r e P.n Colond."' 0 Non poteva giongermi nuova più ingrata di quella elio mi ha portata la per altro gratissima di V. S. molto Ili. rc de’ 9 corrente, deH’occlisse di quei lumi che tanto splendore hanno apportato allo scienze e elio tanto hanno illu¬ minati gli ingegni do gli huomini. Confesso che il mondo era indegno di cosi eccellente lume, ma dovea il Cielo nel gastigar i nostri peccati non affliggere l’integerrima bontà di V. S. molto 111. 1-0 Tacerò a fino di non accrescerle il do¬ loro nello esprimerle il sentimento della mia passione; la quale mi si renderla al tutto intolerabilo, so non venisse alleggerita dalla speranza che mi vien data, io che non sia questo accidente del tutto incurabile. Trovasi in Roma a’ servizii dol S. r Card. 1 Barberino (i) , con trattenimento non ponto da cortigiano, il Sig. r Giovanni Trullio, il quale, dalla sua patria di Vomii passatosene in Francia, ha colà fatto studio particolare nella chirurgia, con tale successo che ha fatto più tosto miracoli elio cure in Francia, in Genova ot in Roma, e no fa del continuo. Ila in manco di duo anni qui in Roma cavata la piotra a ventisoi huomini, do’ quali nessuno è morto o tutti ora godono intiera sanità; il che dico solo a V. S. molto 111.™ por darlo un saggio del valore di questo liuomo. Io l’ho conosciuto di là da’ monti, o qui in Roma passiamo stret¬ tissima familiarità; ed avendole io conferito questo mio disgusto, m’ha detto 20 aver curati infiniti di simili accidenti, ancorché fossero di età gravissima e per altro non troppo sani, ed esserne la cura facilissima. Scriverò ad verbum il suo consiglio, secondo me l’ha dettato, senza aggiongere o sminuire. Dico donque che fa di mostiero, noi principio di questo infausto accidente, rimovore tutto le causo elio posson impedire che lo cataratte non s’indurino e si condensino, come sariano lacci, cautorii e l’applicazione di medicamenti topici, i quali possono causare che la materia delle cataratte acquisti una natura troppo rara, sottile o vaga, la quale, non potendo poi ubbidire all’industria dell’ago, si renderia ri¬ belle ad ogni operazione chirurgica ; ma che bisogna lasciarlo digerire e matu¬ rare dalla natura, sin tanto che si condensino, che piglino una certa sedo ot assor- so bino tutto Tumore che è diffuso nolTalbugineo. Quando poi saranno arrivate alla (*) Francesco Barberini. ‘2G4 23 GENNAIO 1G38. [3054-3055 J porfolta maturili, la «pialo si conoscerà, all’ora che non si vedrà, niente del tutto, solo elio mi certo splendore del sole o «li una candida, e elio sfregolando la pupilla con la palpebra di sopra si slarghino o si riuniscano nolPistosso tempo con gran prestezza et acquistino un color bianco ot argenteo; o facilmente si scorge la densità o molo dulia cataratta col mettere tra l’occhio et una candela accesa una caraffa rotonda di sei o setto dita di diametro, piena d’acqua, overo uno specchio concavo, facondo che il cono del lume dia nella pupilla, et in questo modo si vedrà chiaramente quanto la cataratta sia grande o densa o se sia ma¬ tura; o quando si conoscerà esser matura (ot è bene aspettar la perfetta maturità, non passando tempo), all’ora facilissimamonte con l’ago si caverà con poco do- 40 loro o si tornerà la vista al pristino suo stato: ed asserisco averne cavate a vecchi di 80 et 85 anni. Questo ò il parere di questo eccellente huorao, ed ho voluto scriverlo a V. S. molto Ill. re a fino che so no serva, so le parrà espediente. Prego por fino S. D. M. che esaudisca i voti di tutti i suoi servitori, elio le augurano la pristina sanità; e facendolo umile rivoronza, le bacio lo mani. Roma, li 23 Gon.° 1G38. Di V. S. molto Ill. w od Ecc. ,na Devot. mo od Obbligai 1 * 10 Sorv. ro S. r Galiloi. Firenze. Pier Batta Borghi. 3G55*. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 23 gennaio 1038. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Cauiporl. Autografi, B.» LXXXVII, n.« 10. — Autografa. Molto 111.™ Sig. ro o P.ron mio Oss. n '° 10 comincio a eroder per vera l’oppiniono di un corto Giesuita elio leggeva a mio tempo in Roma, che a un infinito si potesse accrescere; poiché me lo fanno toccare con mano i favori elio mi continua dello suo lotterò, ripieno di così vive dimostranzo d’affetto, con che si vanno facendo maggiori lo mio ob¬ bligatami, quali io, come inabile a corrispondorgli, reputavo infinite. So lo pietre lucifero (il ini occorreranno per servitù) dell’amico, farò capitalo della sua gentilezza. 11 libraro do’ Giunti 1X1 mi disse a’ dì passati, non havor ancora havuto dal lazzeretto i libri che vi ha d’Olanda; porciò non posso rispondergli altro circa io '*1 Cfr. u.° 3G3S. (*i Giusto WimcLDicii. 23 — 25 GENNAIO 1638. 265 [ 3655 - 3656 ] il proposito elio mi accenna. Ma nel piego grosso, elio gl’inviai la passata, del Padre Maestro Fulgentio, mi fo a credere elio vi fussero i fogli clic desiderava. E qui per fine con tutto l’animo la riverisco. Venotia, 23 Gon.° 1638. Di V. S. molto Ill. ra Dev. ,no et Obb. m ® Se. re S. r Galileo Galilei. Fran. co Rinuccini. 8656 . LODOVICO ELZEVIRI!, a GALILEO in Arcetri. Amsterdam, ‘2f> gennaio 1638. Bibl. Nftz. Fir. M«s. Gal., P. VI, T. XIII, car. 76. — Autografa. Exc. u, ° Sig. r mio Oss. mo Ho ricevuto la gratissima lettera di V. S. del 5» Xcembre. Mando per quosto il restante del suo opero per poter finire la tavola, la quale starò quanto prima aspettando. Fin bora non ho ricevuto l’intitolazione et la dodicatione dal Sig. 1 ' Dio¬ dati. Spero che baveri! ricevuto tutti gli fogli mandatigli, con gli sei elio non li erano capitati, i quali ha inviato di nuovo. Inquanto il trattato della per¬ cossa, si V. S. non lo puoi condurre in breve a perfezione, le piacerà mandarmi in che modo lo significai^ al lettore dopo l’Appendice, acciochè non si com¬ metti orrore. io Tutto le suo opere essendo fatto latine, non mancherò di stampare, cornino l’bo avisato 11 ’, di che assicuro ancora V. S. ; et perciò sarà necessario d’inviare di quel che sarò fatto latino per poter comminciaro a farne intagliar lo figure. Dello sue opere non balliamo altro che gli Dialogi, De proportionibus (2) et il scritto a Madama Gran Duchessa: il restante aspettarema di costà por il Sig. r Giu¬ sto t3) di Venetia. Facendo fine, le prego da Dio ogni felicità. D’Àmsterdamo, le 25 do Gennaro 1638. Di V. S. Exc. ,na L’Humill. mo Servitore Lodovico Elzevir. Fuori: ArExc. mo Sig. r et Padr. n mio Oss. mo 20 II Sig. r Galilei de Galilei, Matematico del Ser. mo Grand Duca di Toscana. Arcetri. <» Cfr. 11 .» 8640. lin. 37-89. <*> Intendi, la traduzione latina dolio Operatimi < 3 ) Giusto Wiffeldioh. del compitato geometrico e militare: cfr. il. 0 790, XVII. 34 2GG 25 - 27 GENNAIO 1638. [3657-8658] 3657 * COSTANTINO HUYGENS a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. L'Aja, 25 gennaio 1688. Bibl. dell*Accademia dello Soienze in Amatordam. Mi». XL1V, Lettre» lutine» do Oonatnntin lluy- gens, pag. 262. — Copia di mano sincrona. Hortensio. 25 Ian. lf>38. Pistriotus tot negotiis, Hortensi doctissime, quot nobis nosti in frusta dieni discer- pere, socurius eo distuli ad biuas tuas rescribere, quod cum, separatis Comitiis, ad vos rodiret Ampliasimus BoreliusW, ab ilio te certiorem foro sciebani omnium eormn quao Ilio Ragne circa negotiuni Galilaeum administrata ossent. Quod a me porro potasti, ut Celsissimo Principi l*> ad rem fovendatn atque propellandam autor essein, tanto impotu a me procuratura est, ut praosons facile iudicasses, nihil calcari opus esse equo tam sua nponto currenti ; ncque dubium eBt, si consulatur, operae moae fructum persensuros qui hoc in maudatis Inibituri Biiut. Passim deniquo et ubicumque cum profoctu fiori posse videtur, maximae rei ineflabilo momontum et nimis quam paucis porspoctam utilitatom 10 totis viribus inculcatum eo. Catsimn < 8 > postremo ante paucos dica tam incitato sermone concussi, ut se recoperit, quam primum ullo pacto fiori possit, Hollamlica de profcctiono tua vel deliberationem vel docretum ad Ordines Generales perlaturum, ut grave scilicet negotium, quia ad aorarii angustias pertinot, senatusconsulto tamen sanciatur. Ilaec apud Clarissimum Dcodatum, si quando ad eum rescribes, ut commemores, a te peto. .... et me ama, qui te diligo ut quidom te praesente saepe multumque fruì optem; mine vero quam romotissimuin ot trans saeva Alpium iuga vectum velini, ut. ne aero Flo- rentiam adeas et extinctnm (quod cum Principe metuo) nebulosum illnd sidus reperias, aine quo parimi est quod de luce Iovis ot satellitum orbi terrarum polliceamur. Yale. Ilagae Com., IIX Cai. Fobr. CIOIOCXXXIIX. 20 3658 **, ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arretri]. S. Maria a Canipoli, 27 gennaio 1688. Bibl. Nnz. Fir. Appendice ni Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 190. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col."' 0 Mi persuadevo clic V. S. havessi ricouto lo legno, si conio io, fidato nol- 1 altrui promosso, liavoyo dotto elio la settimana passata sarebbono condotte, quando dal mio fratello ho sentito questa sora con mio disgusto elio ancora non 1,1 (ium.IKI.Mn HoitKKI,. (*) Fedeuico Esumo d’Oiunuk. Oucouo OàTUIUS. 27 — 29 GENNAIO 1638. 267 [3658-3659] ò finita la catasta, essondo egli vomito in cognizione di questo fatto nel portare i danari al vetturale, elio, supponendo di essere scoperto perchè V. S. m’avessi fatto scrivere, cominciò a trovare diverse scuso, e finalmente promosse di finire in tutti i modi martedì prossimo. Per tanto suplico V. S. a non attribuire questa mancanza a pocho desiderio elio io babbi di servirla, ma a’ soliti costumi di io questa gente. Hebbi lo susino da Greve, ma perchè erano dello vccliio gl’ho dato altro ri¬ capito, e n’aspetto di Figlino la prossima settimana, clic, secondo mi vien dotto, saranno assai meglio, o subito 1* invierò. Credevo di venire per duo giorni da V. S., ma sono occupato in rcsarcire un muro elio m’è rovinato inaspettatamente, dove se io non rimediassi con pro- stoza, arei da temere danni di maggior consequonza che il danno presente. Però sì come la riverisco continuamente con l’animo, così pregilo il Signore co’l fine che gli conceda ogni contonteza. I)a S. til Maria a Campoli, 27 Gennaio 1637 (1) . 20 Di V. S. molto HI.” et Eec. ,mi Devotiss. mo c Oblig. mo Se.™ Alessandro Ninci. 3659. VINCENZO RENIEItl a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 29 gennaio 1638. Blbl. Nftz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 77. — Autografo. Molto Ill. ra et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo L’ultima sua do’ 16 del corrente così tardi mi fu rosa, elio non hebbi tempo di dar a V. S. subita risposta. Dio sa, Sig. r Galileo, il sentimento olio ho della sua disgratia; o erodami che s’io potessi servirla con uno degli occhi miei, non penserei punto a consolarla. Piaccia a S. D. Maestà, di darle pacienza, già- che le dà, tanti travagli. Ho poi sommamente gustata l’invention sua della misura pupillare, ed io fo conto di servirmene in questo modo: Produr una linea longa dieci o più braccia, tanto che sia capace della divisione del sino totale di 100000, o poi io accommodarli in cima una tavoletta bianca, divisa in parti proportionali a quello della linea, in modo ebo stando ad angoli retti rapresenti la tangente del’arco che si sottendo dal’altro punto della linea o dalla larghezza di dotta tavola; indi nel mezzo di detta linea dispor la seconda tavoletta nera, com’olia m’ac¬ cenna. Ma perchè lo allontanar ot avicinar della pupilla al’estremità, di detta Cfr. u.° 3650. [mi] 30 GENNAIO 1638. 261) 3661 . GALILEO a [FULGENZIO MIOANZIO in Venezia]. Arcetri, 30 gennaio 1638. Bibl. Marciana In Venezia. Cod. XLYII della Cl. X It., car. 13 -14. — Originalo, di mano di Marco Aubroqbtti. Rev. mo P.re e mio Sig. r Col. mo L’ordinario passato, soprafatto da molte occupazioni, non detti risposta a tutti i particolari contenuti nella gratissima della P. V. Rev. ma(1) : supplirò adesso, ma però brevemente, perchè nò di pre¬ sente posso esser con lei, liavendo buon numero di lettere alle quali mi convien rispondere. Quanto alle novità ultimamente osservato da me nella faccia della luna, ne scriverò senza fallo, e le manderò tutto quello che ci è di nuovo, per sua satisfazzione e dell’ Ill. mo Sig. r Antonini c de gli altri io forestieri che ella mi dice che desiderano haverne contezza. Quanto al particolare toccato dal Sig. r Argoli, cioè del rispondere al Chiaramente, io havevo pensiero di farlo nelle postille, toccando le cose più essenziali ; ma il non potere per la cecità nè far calcoli nò disegnar figure o discorrervi sopra, fa clic la cura che in ciò al¬ cun altro si prendesse, sarà sempi'e da me molto gradita. Tra le cose molto spropositate che porta il Cliiaramonte contro di me, due me ne sovvengono assai solenni : l’una è, che egli con replicati rimpro¬ veri s’ingegna di dichiararmi tanto ignorante geometra, che io non liabbia saputo gli angoli del triangolo essere eguali a due retti ; e 20 ciò, dice egli, perchè in certi computi per i quali si considerano due angoli del triangolo, havendone io o diminuito o accresciuto uno di essi, non ho nominato il terzo, diminuito o cresciuto per l’alterazione dell’altro: il che da me è stato tralasciato, perchè questo terzo non entra mai nella dimostrazione nè nel computo, sì che il nominare la sua quantità sarebbe stato pedanteria superflua. È anco una fuga più che miserabile la sua, mentre si va storcendo per liberarsi dalla tremenda opposizione che io gli fo, del non liaver egli intesi i tre movimenti attribuiti dal Copernico alla terra, mentre che ei vuole tal posizione impugnare ; e ben che egli non dica nè possa dire cosa IiCtt. 3601. 12. Chiannonte — c‘> Cfr. il.» 3050. 270 30 GENNAIO 1638. [3661] elio lo sollevi punto da così grande ignoranza, vi è poco dopo por- so tata da lui, in un altro proposito, certa dimostrazione, nella (piale di nuovo apertamente si mostra l’equivoco preso da lui sopra i me¬ desimi movimenti. Questi due punti potrà ella accennare al Sig.'Ar- goli, se bene son sicuro che tra moltissimi altri e’ gli liaverà sco¬ perti ; ma questo ultimo, come massimo e principalissimo sopra tutti, merita di esser messo in considerazione : sì clic quando il Sig. r Ar- goli voglia mostrare le fallacie di quollo autore, che ei commette mentre e’ vuole con le proprie loro armi trafiggere gli astronomi, liaverà largo campo di confutare quello; et io, per quello che aspetta a me, gli liaverò buon grado della fatica intrapresa: et in tanto mi 40 farà la P. V. Rev. ma favore di rendergli grazie del cortese affetto. La forma della sfera, che ella mi dice volermi mandare, mi sarà grata, benché io non sia per poterla godere con la vista, nè meno col tatto ; ma goderò del gusto che ne prenderanno gli amici miei, et in particolare di quella conseguenza clic viene dalla diversità de gli apparenti movimenti delle macchie solari : la quale osservazione se bene, per esser mia, io non dovrei esaltarla, pur tuttavia, deposta ogni modestia, l’antepongo a tutte le altre conietture dependonti da tutte le altre osservazioni. E perchè qui mi cade in mente l’altra pur mia del flusso e reflusso, desidero che olla mi metta in chiaro 60 certo pensiero e dubbio che mi si raggira nella mente, il quale è tale : Si osserva, i flussi e reflussi esser massimi ne’ plenilunii o nuo- vilunii, e minimi nelle quadrature ; onde costì è il detto comune : Sette, otto e nove, Vacqua non si move ; venti, ventilino e ventidii, Vacqua non va nò in su nè in giù, che sono i tempi dello quadrature. Ora, potendo i flussi e reflussi esser grandi in due modi, cioè o che l’acqua si alzi molto sopra lo stato mezzano e comune, o vero che ella sotto di questo si abbassi molto, sì che, per esempio, alcune volte, cre¬ scendo, ella si alzi, v. g., tre braccia sopra il comune nel suo cre¬ scere, e nel calare poi si abbassi sotto il comune un braccio solo, eo si che la differenza tra gli estremi termini del flusso e reflusso im¬ porti quattro braccia, la quale differenza importerebbe la medesima quantità di spazio se l’alzamento nel flusso fusse un sol braccio so¬ pra il comune e poi, sei bore dopo, calasse nel reflusso tre braccia sotto il comune ; ora qui desidero di esser informato se queste due maniere diverse indifferentemente seguono nel nuovilunio e nel pie- 30 GENNAIO 1G38. ‘271 [ 3661 ] nilunio, o puro so nell’uno di questi tempi, v. g. nel plenilunio, i flussi e reflussi son grandi perchè l’acqua si alzi molto sopra il co¬ mune, e nell’altro tempo, cioè nel nuovilunio, la grandezza del flusso 70 e reflusso dependa non dall’alzarsi tanto sopra il comune, ma dal- l’abbassarsi sotto. Sopra questo particolare ne aspetto sua informa¬ zione. Desidero anco saperne un altro ; e questo è, che entrando il mare per il taglio di Malamocco o vero per i Due Castelli, e diffon¬ dendosi a rigonfiar la laguna oltre a Venezia e Murano e Marghera sino alle ultime spiagge verso Treviso, nel reflusso poi l’acqua a i Due Castelli o a Malamocco cominci a calare prima di quello che ella comincia a calare in Venezia, Murano e nelle altre parti più re¬ mote : del quale effetto, quando così segua, ne cavo poi certa mia conseguenza, di poter dare a questo effetto di natura un nome assai so comune a gli altri moti dell’acqua, cioè che il flusso sia una sola grande onda, che si muova in quel modo che infinite minori, che noi domandiamo cavalloni, si veggono venire verso le spiagge del maro, e sopra di quelle per lungo tratto spargersi e diffondersi, e poi immediatamente, senza interpor quiete, ritornarsi in dietro. Que¬ sto effetto ho io osservato in Venezia più volte, e veduto come ncl- l’alzarsi l’acqua va per alcuni rivoletti, quasi distesi in piano, a poco a poco scorrendo e discostandosi dall’acqua grande del canale con¬ tiguo, e finito il discostamento immediatamente, senza interporre mo¬ mento di quiete, P ho vista tornar in dietro, oo E così nelle mie tenebre vo fantasticando or sopra questo or sopra quello effetto di natura, nè posso, come vorrei, dar qualche quiete al mio inquieto cervello : agitazione che molto mi nuoce, tenendomi poco meno che in perpetua vigilia. Non è bastato alla fortuna levarmi la totale vista, ma mi va continuando una perpetua pioggia di lacrime da gli occhi, con tedio e noia fastidiosissima; e da un laccio, che a tal fine i medici mi hanno fatto fare, non ricevo benefìzio alcuno, anzi panni che continuamente la flussione vadia moltiplicando. Orsù, sit Ictus Beo. Aiutimi essa con le sue orazioni; e con reverente affètto le bacio le mani. ioo D’Arcetri, li 30 Gen° 1637 (1> . Della P. V. llev. ma Devot. mo et Obligat. mo Serv. ro Galileo Galilei. O) Di stile tioreutiuo. 272 30 GENNAIO 1638. 13662 - 3663 ] 3662 . BENEDETTO CASTELLI ti GALILEO in Firenzo. Roma, 30 gennaio 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, cnr. 17. — Autografa. Molto Ill. rB ed Ecc. mo Sig. ro o P.ron Col.» 10 Ilo ricouto il piego di Y. S. molto Ill. r ® ed Ecc.' ns , ed ho dato ricapito all’inclusa; o non manco ogni mattina nel Santissimo Sacrifìcio dolla Mossa di raccoman¬ dare a Dio, padre dello misericordie e Dio di ogni vera consolazione, elio consoli Y. S. molto Ill. re nel suo travaglio. Non si potn\ prima di mercolodì prossimo ven¬ turo leggere la lotterà o proporro il memoriale nella Sacra Congregaziono* 11 , od aspettare la risoluzione. In tanto olla faccia orazione, e ne faccia fare con quolla clausula consacrata col sudore di Cliristo nostro Redentore: Fiat voluntas tua , o si rimetta totalmente in quella: o mi conservi la sua grazia, con che li fo rivoronza. Desidero sapere se il Sig. r Dino Pori nostro è andato a Pisa, perchè non ho io mai intoso corno sia piacciuto il mio vetro elio li mandai per il Ser. ,no Gran Duca. Roma, il 30 di Gen.° 1638. Di V. S. molto Ill. ro Devotis. 0 o Oblig. mo Ser. re o Dis. !o S. r Gal. 0 Gal.' Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111. 1-0 Sig. ro o P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo [Galiloi], p.° Fil.° dol Scr. mo Gr. Duca. Firenzo. 3663 *. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenzo]. Venezia, 30 gennaio 1638. Blbl. Eet. In Modena. Raccolta Canfori. Autografi, B.» I.XXX, n.« 140. — Autografa la sottoscriziono. Molto DI. et Eccell. rao Sig. r , Sig. r Col. mo Habbiamo un freddo rigorosissimo, elio mi lega lo mani dallo scriverò; o non scrivevo questo spazzo, so non era por inviarli questo piego del Sig. Elzivir, noi quale debbono essere fogli della sua opera. Il elio mi servo di occasione di ba¬ ciare a V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma lo mani, come di cuore facio. Ven. a , 30 Genaro 1638. Di V. S. molto III.” et Eccell. n,a “» Cfr. u.« 3644. Dev. n, ° Ser. F. Fulgontio. [3664-3665] 30 GENNAIO — 2 FEBBRAIO 1G38. 273 36 ( 34 **. FRANCESCO RINUCOINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 30 gennaio 1038. Blbl. Eat. In KCodona. Raccolta Campori. Autografi, B.“ LXXXVI1, u.® 12. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. m ° Sig. n e P.ron mio Oss. ,no M’immagino cho nella aggiunta 11 ’ a questa del Padre Maestro Fulgentio siano nuovi fogli dol libro di V. S., alla quale mi par mill’anni di poter mandare l’in¬ toro compimento di esso, e per il gusto elio ho di servirla, o por il godimento che ho in vedero cho si possino godere lo bollo fatiche di V. S. Alla quale ra¬ tificando la mia dovota osservanza, bacio di cuore lo mani. Vonotia, 30 Gon.° 1G38. Di V. S. molto 111.® ot Ecc. ma Dev. mo et Obb. mo Ser. e S. r Galileo Galilei. Pran.*° Rinuccini. 3665 **. BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Arretri. Bologna, 2 febbraio 1038. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal, P. I, T. XII, car. 20. — Autografa. Molto Ul. ro et Ecc. n, ° Sig. r o P.ron Col.® Dispiacomi infinitamente il sinistro accidente della perdita dolla vista affatto affatto, corno nella sua mi dico. Vorrei poterliela ristorare in parte almeno con parto della mia, della quale no ho d’avanzo; o meglio saria ch’io n’havessi un puoco manco et un puoco migliori piedi, poiché mi trovo per essi anch’io in uno stato molto infelice. Ma conviene portare con patienza ciò cho Dio ci manda. Essa si può molto ben consolare, che so bora patisce questo mancamento, lia però ri¬ cevuto tanto beneficio o tanta gloria mercè dell’acutezza della sua vista, elio ha trapassato quella di tutti gl’ antenati, et havranno i posteri cho faro a poterla io acuirò in grado così eccellente. Io me la vado passando al meglio che posso, con alquanto di tregua con la podagra. So il Padre Francesco w si trova costì, di gratta li ricordi, venen¬ doli il commodo, se mi potesse far vedero quel quinto tomo di quel Franzese (3 ' (•) Cfr. u.® 3603. ‘ 3| Cfr. n.° 3581. (*> Fabiano Micukmki. XV IL C5 274 2 FEBBRAIO 1G38. [ 3665 - 3666 ] delTEuclide scritto in tutto lo lingue, inviandomelo por il corriero o condottiero], che subito visto lo rimanderei : e mi perdoni doli’in commodo. Stia allegramente più elio può, e vada suscitando P allegrezza di quando in quando con il buon vino, che non li nuoce conio a ino; o si ricordi del cordialissimo o rivoronto all'otto elio li profosso: con elio li bacio lo mani. Di Bologna, alli 2 Fob.° 1038. Di V. S. molto HI,*® et Ecc. ma Dov. mo ot Ob. mo Sor.* 0 20 F. Bon. m Cavalieri, Fuori: Al molto Ill. ro ot Ecc.'"° Sig. r o P.ron Col. 0 Il Sig. r Galiloo Galilei. Firenze, ad Arcetri. 3666 *. ORTENSIA GUADAGNI SALVI ATI a GALILEO in Arcetri. PUn, 2 febbraio 1638. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XIII, car. 277. — Autografa la sottoscrulono. Molt’IU.' 0 Sig. ro Quando V. S. si compiacque, nella prima lotterà elio mi scrisse, darmi parto dello suo miserie in esscro allatto venuto cieclio, non inanellai di compatirla et risponderli imodiatamonto, con darli intonziono ancora, circa la fanciulla elio mi raccomandava 111 , che sarebbe stata consolata, si conio in oflotto ò seguito, sondo che S. A., a intcrccssiono di V. S., ha ottenuta una dolio doto; elio poro potrà detta fanciulla mandare dal S. r Segretario Guidi (2) , chè troverà ossor cosi. Pre¬ gando V. S. ossorcitarmi con suoi comandamenti, o la saluto noi Signoro. Pisa, li 2 Fob.® 1G37 13) . fuori: Al molto Ill. r ® Sig. r Galileo Galilei. A S. 10 Matteo in Arcetri. Firenzo. “> Cfr. u.° 3(>+(>. Gio. Francesco Gemi. <3 > Di stile fiorentino. [3067-3669] 2—3 FEBBRAIO 1G38. 275 8667 *. ALESSANDRO NINOl a [GALILEO in Arcetrij. S. Maria a Campali, 2 febbraio 1638. Zllbl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gai., Filza Favnro A, cnr. 146. — Autografa. Molto 111.™ et Eco." 10 Sig. r mio P.ron Col." 10 Rimando gl’ultimi tre fogli elio io ricevetti, con altri o tanti di copia (t) , o as¬ sicuro V. S. elio sempre mi si agumonta il gusto nel continuare: però occor¬ rendo elio io sia più sollecito, la suplico a darne cenno, perchè io senza mio incomodo posso sollecitare molto più, o, per dire meglio, essere manco tardo a scrivoro di quello che sin ora sono stato. Avevo mandato a chiedore ad un mio amico di Radda alcuni raviggiuoli con intenzione veramente di pagarli; ma perchè mi dice non aver trovato cosa di sua sodisfaziono non ha voluto danari, avendomene donati due e una fìasclia io di vino, quali mando a V. S. che li goda per mio amoro, vedendo clic i ravig¬ giuoli sono morbidi o sapendo cho il vino è vecliio : mentre co ’1 line, pregando a V. S. dal Cielo ogni contonteza, con la debita umiltà la reverisco. Da S. ta Maria a Campoli, 2 Feb.° 1637 (2) . Di V. S. molto 111/® et Ecc. m:l Dovotiss. m ° o Oblig. ,no So.™ Alessandro Ninci. 3668 *. GLI STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI a MARTINO ORTENSIO in Amsterdam. [L’Aja], 2 febbraio 1638. Cfr. Yol. XIX, Hoc. XL1I, c, 2). 3669 **. ANTONIO SANTINI a [GALILEO in Arcetri]. Como, H febbraio 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 22. — Autografa. Molto IH.* 0 et Ecc. mo S. r e mio S. r0 Col." 0 Sento dire non so cho altra inopinata novità, parto della profondità do’ suoi stridii, cioè che si siano da lei osservate le macchie lunari mobili 13 ’. Vengo, dopoi (*> Cfr. n.® 8687. < 5 > Di stile fiorentino. Gì Cfr. un. 1 3595, 3597. 276 3 — 5 FEBBRAIO 1638. [8G69-8670] tanto silenzio, a riverirla o pregarla farmene scrivor qualcosa, desiderando sa¬ pore il modo di questa osservassione, o quando vedranno lo stampe le altre suo filosofiche fatiche. Non più, per non ossorlo molesto. Stò qua in angolo ancora per 3 mesi. So il P. Francesco (i) dello Scolo Pio ò soco, godo elio si nutrisca a cibo così solido. Et li bacio lo mani. Como, 3 Febr. 0 1638. 1C Di V. S. molto III." et Ecc. rao Devot. m0 Sor." D. Antonio Santini. 8670. FRANCESCO PICCOLOMUNI a [GALILEO in Arcetri]. Presburgo, 6 febbraio 1638. Dibl. Naz. Fir. Mas. GiU., P. VI, T. XIII, car. 79-80. — Autografa. Molt’Il. 0 ot Ecc. m0 Sig. r et P.n Col.® 0 Qual disgusto ricevano l’affotionati all sommo saper di V. S., che li sia man¬ cato quella più nobiiparte elio sia nel’huoino, non si puolo da me a bastanza espri¬ mere ; ma vedendo che da V. S. sono stato conosciuto l’intimo segrotozze della vera filosofia, si sa elio con franclioza si sopporta questo danno, che però non ò suo particolare, poiché, sì conio il mondo por quelle luci ha potuto scoprirò le reali villo dol ciclo, così ora dova rimaner chiusa la strada. Ma replicando 10 lo forze doll’accidonti Immani, no rondo gratio al Sommo Motore, che almeno ci resti quella luco che più splendo tra’ viventi, nella profonda immaginatione. Quanto ancora mi sia doluto che così tardi habbia ricevuto V. S. il libro, cho io 11 inviai sino di 7bre, dol’opero del Padre Guldini (,) , lo puoi ben erodere, poiché in me vive ambitioso desiderio di rendermeli esocutor do’ suoi comandi ; ma la fortuna non mi ha, per la prima volta, dato campo, corno haveria voluto. Poi(?) spero che da lei no ricoverò continuata gratia, asicurandola sincoramonto cho io desidero di servirla: però so per il tempo che mi tratterò qui, vaglio per lei qualche cosa, mi faria sommo torto a non farmene la gratia. Nò voglio trala¬ sciare che due settimane sono hebbi discorso con S. M. C. (S) della persona di V. S., il quale non a bastanza potè lodar la sua virtù; così il contrario mi osposc la troppa presuntione del Padre Scainor, dicendo queste parole : « Il Padre Scainer Lett. 3670. 4. Vintimi- tegretezxa — 7. (lena rimar rhiuta — 8. accidenti humini — **> Famiako Miohhi.ini. Cfr. n.o 3206. (*' Frkdina.ndo III. 5 — 6 FEBBRAIO 1638. 277 [3670-3671] 20 non sa nò puoi portar i libri al Galileo ». Questo testimonio è di tal Principe che oggi riluce por lo suo raro virtù et è vero amatore do’ virtuosi; però mi saria parso far torto et al Principe et a Y. S. E mi dimandò di più. che Laveria voluto tutto le sue opero; e dicondoli elio ne erano in Amsterdam nove sotto la stampa, volso che si ordinasse elio subito venissero, tanto degniamente stima il vero lume do’ nostri tempi. Et a bocca spero che a V. S. dirò con più ef¬ ficacia quello che dal mio rozzo diro non puoi esprimersi con la penna, poiché paro a S. M. C. elio il libro dolio Scainer sia carta buttata e scritti otiosi o senza conclusione. Del resto io ino li dedico por sempro, o desidero esser anunierato tra i suoi devoti: o Dio la conservi. ao Di Possonia, li 5 Febbraro 1638. Di V. S. A. 0 (?) S." e Fran. 0 Piccolom." 1 Aragona, Con. 10 d’Anpiano. 3671. LODOVICO KEPLEIi a GALILEO in Firenze. Venezia, G febbraio 1G38. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XIII, car. 81-82. — Autografa. Salutoni et observantiam etc. lllustris, Excellontissimo atipie Doctissiino Vir, Patrono suspiciende etc. Novit Illustriss.* Excell. a V. ra tritimi illud et antiquum provcrbiinn: Miseris solcitium socios Imbuisse malorum : quod an mila applicare possila vel Illustrissimae Excoll. 8 ® V. ra0 , dubius baereo; hoc tamon scio, periclitantem non posso magis convoniens consilium peterc, nisi ab eo qui in eodem olim bacsitavit luto. Hinc tomoritatis opus sum aggrcssus, molestando Illustriss. am Excoll. am V. rara scripto moo non porpolito. Idem enim adversarius qui Illustriss. an ' Excell. am Y. ram ali- quando circiuuvenit, et milii struxit et adhucdum struit insidias, scilicot Sclieu- 10 norus (1) iste bonus, Iesuita, qui sul» specio religioni atquo devotionis obscrvan- tiaequo erga Ecclesiam Itomanam, quasi dogmata et liypotbeses dictae Ecclesiae displieentes vollet abolero, alienis se plumis exornare desiderati Multa iam tentavit bonus iste homo contra parentis (3) ilici, ante septonnium pio Ratisbonae in Comitiis defuncti, manuscripta postbuiua, sed por Altissimi gratiam frustranei hactenus fuenmt conatus et macbinationes ipsius: Deus avortat et sequentes! Sed quid faciam ego misor contra tot insidiis et astutiaruin tolis annatos, contra Imperatoris potestatem inviolatam bactcnus, quem ipsum eiusque inter 21. «ite rari turiti — <*> Cristoforo Scrrinkr. <21 Cfr. n o 3578. <®i Giovanni Krpi.ru. 278 6 FEBBRAIO 1638. [ 3671 ] aulicos praccipuos ita inforniavit Sclieunorus? scilicot: « In acriptis parontia mei postliumis multa continoli prognostica in praeiudioiuin Domila Auatriacao codon- tia » ; item, « Observationes Tychonis Brahoi, » (quas ogo iuro rotentionia, usque 20 debitum ox Camera Imperiali nobis haorodibus adhucdura aolvendum exponatur, possidoo) « ut et quaedam ex operibua parentis mei, instar thosauri esse aosti- manda, et proptorea, no omnibus innotoscant, in bibliotlioca Imperiali reservanda, prò notitia soliua Imporatoris ot paucorum quibus, ex singulari gratin, ad usua libros istos volit concederò ». Quare, ante quadriennium modo, praesens Imporator'*’, por Comitom Trautmilnsdorflìum ,!, apudsororom moam, viduam Bartschianam (3) (cuius custodiao dicti libri tum erant concrediti) Laubani Lusatiao degentom, sorio copit inquiroro, ubi sint? quot sint? ot an Imperatori potenti tradero velit nec ne? Interim absontia mea, quia me non consontionto in hoc nogocio responsum dare non potuit, ipsuin oxcusavit. Ego interim ob pauportatom variis agitatus so aum fortunao procellis, et quidom por varios casus; por literas autom vocatus a sorore, penetrare conatus aum, atque nudus ex spolio militimi Caesaroa- norum ad sororem veni, quam ipsam quoque Bumma pressam egostato salu¬ tavi. Vestimonta ad corpus centra iniurias liyomalos tutandum, ut ot viaticum prò itinere Vionnonsi suscipiondo, praxim excrccndo modicam, intra menses paucos, comparavi. Vicnnam ante menses novom profectus sum, dieta autem manuscripta omnia in locum alium tutiorom transportavi: Imperatori interim Vicnnao miseriam, inde ab obito parontis nostri perpessam, coloribus quasi do- pinxi; opem ipsius, debitum solvendo, imploravi: nihil tamon rosponsi por tres integros menses obtinoro potui. Causa fuit quia Sclieunorus Vionnao praesens ; io cuius instinctu decretimi, ab Imperatore propria manu subscriptum, dum ogo causam meam in aula tractavi, mittebatur ad Baronom quendam Bohemum, prò inquirendis et, nolenti volenti, surripiendis sorori libris istis manuscriptis. Sed ot iati conatus fuerunt frustranei, quia iam praotor me nomo scit ubi libri la- teant: soror autem per cursorom colerem talia me quamprimum roscire fecit; qui¬ bus intelloctis, ego statini contra violentiam protestatila sum apud Imporatorom, ot quidem nomino totius roipublicae literariae. Consiliarios plorosquo dcliortatus sum a consultationibus quao in praeiudicium ac ignominiam Imporatoris totiusquo reipublicae literariae detrimentum codoro possent, atque facinus Schounori in Illustriss.* m Excell. 4 ® V. ram perpetratimi prò argumento secuturao perfidino intro- 60 duxi, hisquo porsuasionibus a multis approbationem rationum mearum obtimii per privatos discursus ; ubi autem ad consilia publica conveiiorunt, omnino con¬ traria decreta fabricarunt. Vult Imperator sibi tradi et observationes Tyclionicas ot manuscripta pa- rentis mei posthuma simili; de solutione autem 13 millium florenorum Germa¬ ni Ferdinando III. M assimilano, conto di Trauttmannsdorvp. < 8 ' Sosanna Kfcrt.BR, vedova dì Giacomo Bartsou. 6 FEBBRAIO 1638. 279 [ 3671 ] nicorum, quos adirne dobet, niliil certi vult statuore, sed ad annos quatuor vel plures (imo iniinitos), et quidein ex reditibus extraordinariis et incertis, succes- sivam tantum satisfactionom promittere, do remunorationo prò manuscriptis pa- rentis nulla montiono facta. Interini nos patimnr insti, ot quidem ornili ope destituti: co bini frati-es^ mei minores cum novorca 12 ’, ante sesquiannum, circa Francofurtum ad Moenum misero vitam finierunt : supersunt adirne tres sorores, una nupta viro socundo (3) , reliquao duae (4> parvulao adirne; ot ex fratribus ego solus resto, pauper et inops, multis iam sollicitudinibus curis atque miseriis defatigatus, ut idem fere, quod fratribus contigit, exitium et mibi metuendum sit. Cognati mei ox linea materna (5) , in Styria viventes, prò liboralitate sua, ad graduai susci- piendum doctoralem in medicina aliquid sant largiti, queiu propter ego nunc Patavium proficiscor ; sed rationes ab aliis mibi factae non sunt aequales sumpti- bus prò obtincndis bonoribus istis exponondis. Cognatos rursus compcllaro non audeo, quia vix id quod dedorunt impetrare potui ; neque promotionem alibi, nisi 70 titulum doctoris assecutus fuero, sperare possum. Quarc si patronus quidam et sumptus ad proinotionem, et ad iter suscipiendum ad locum istuin ubi libri latcnt, suppeditare vellct, is animi mei gratitudinem exporiretur infallibiliter, scilicet in hoc, quia iam dccrevi manuscripta parentis, nolente volente Imperatore, extra Imperium publici lacere iuris, et quia ego iure kaereditatis immediatae illa pos- sideo; at vix alius cbaracteres parentis, tot correcturis maculatos, legere vel intcl- ligore potest quam ego, qui por integrum fero decennium opclla mea quacunque parenti praosens fui. Quis enim do iure mibi potorit inbibore promulgationom famao paternae? quis interdicet bonus ut non dobeam servire bono publico, com- municando libros adeo desideratos? Itaquc dico, si quis cssct patronus qui mibi so suppeditarct subsidium aliquod et inedia, quibus adiutus scopimi attingere in me¬ dicina, et postea dispositionem ad publicationem tacere, possem, moreretur is non tantum ut illi adscriberotur a mo unus vel alter ex istis libris, sed et universam rempublicam literariam sibi devinciret, laudomque et nomen immortale sibi com- pararet apud postcros. Observationes Tychonis quod attinet, illas reservare cogor usquo Imperator vel satisfecorit, vel loco satisfactionis illas potestati meao plenariae concesserit. Do- lenda sane ingratitudo Domus Austriaca^, quae nobis baeredibus Keppleri extremo angustatis opem suam denegaro potest, cum pater ad conservandoli dictao Do- mus Illustrissimae autboritatem, ot ad promovendam utilitatem reipublicao lito- oo rariae, quaocunque ab aliis obtinuit beneficia Principibus exposuorit. Intel* dictos autera Principcs benefactores munilìcentissimos non ultinius quoque fuit Sorenis- simus [VJester, ante paucos annos pientissimo defunctus, Florentinus, cuius ele¬ ni F RIDAI AU 0 Il.RKHERTO. < s > Susanna Rkittinokk. > 3 ' Susanna rimaritata a Martino ììim-kr, >*> Cordula od Anna Maria. ,8 > Di Barbara di Mohi.kok. 280 G FEBBRAIO 1638. [ 3671 - 8672 ] jnontia erga litoratos et, ardor in promovendi» literarum studiis non nisi studia negligentibus ignotus ost, ut qui Fragno auto annos decem munificentiam ot libe¬ ral itatom simili parenti meo satis largiter demonstravit. Si itaque idem ardor et amor erga literatos et literarum studia fìlio nunc dominanti Serenissimo est impiantatila, certo ex haoroditate patema ego me subioctum liabile agnoscere poterò ad rocipiendam similem gratiam. Siouti autem agens in patiens non nisi mediate agore potest, ita, ot in hoc nogocio, medio aliquo opus fore iudioavi: Illustriss. 8 "' igitur Excell.*® V. rnm humilitor et officioso rogare volui, ut si in hoc 100 nogocio voi consiliis voi commondationo sua me iuvaro potest, opellam suam mihi non denegare velit, sod crodat bonoficii memori, quioquid faciet, se fecisse. Sed bisce manum de tabula; mequo Illustriss. 80 V. ra0 Excoll.“ humilitor ot officioso commendo, responsum per occasionem proximam expectans laetiferuin. Dabam Yenotiis, ad iter Patavinum procinctus, dio 6 Febr. anni 1638. Illustriss." 5 Excell.*® V/*® Observanti88. n,, Ludov. Kopplorus, M. C. m.p. Fuori : Al molt’Ill." Sig. r et Pati -." 0 mio Osh.“° 11 Sig. r Galilaoo Galilaoi, Mathematico del Seren. mo Granduca di Toscana, in Fiorentza. no 3672 ** FRANCESCO RINUCCIN1 a GALILEO [in Arceiri]. Venezia, C febbraio 1CHS. Bibl.Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVII, n.® 13. — Autografa la sottoscrizione. Ill. m0 et Ecc. mo Sig. r et, P.ron mio Oss. mo Non rispondo alla sua, gentilissima de’ 30 dol caduto di mio pugno, perché non mi sento interamente bene: nondimeno ho voluto significarle con questa conio por l’avvenire, non mi si porgendo occasione di pregarla di nuove gratto, tralascorò d’infastidirla con mio lottore, conte V. S. mi accenna. Il Sig. r Cav. re mio fratello (i) , elio parto domattina a cotosta volta, sarà a ri¬ verirla in mio nomo; o so li piacesse di darli un pozzo di quello suo piotre di Bologna 12 ', acciò me l’inviasso, io no resterei con particolare obbligationo alla gentilezza di Y. S. : alla quale per fino bacio di tutto cuore lo mani. Yenotia, 6 Fobbraro 1638. 10 Di V. S. Ill. ma ot Ecc. raa Dev. m0 ot 01>b. mo Sor. 0 Sig. r Galileo Galilei. Frane. 00 R inucci ni. ni Amedeo III succidi. <*> Cfr. u.® 30Ó5. [ 3678 ] 0 FEBBRAIO 1638. 281 3673*. ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcefcri]. [Parigli, 9 febbraio 1638. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. V, T. VI. — Lo liti. 1-17 si loggono a CRr.71t.-72r., in copia «li mano ili Yin- oknzio Yiviani, in capo alla quale egli nota: « E. I). 9 Kob. 1088 a Nat. Risposta alla di»’ 2 Genn.° », o sono pur trascritte a car. 34r.-t. di mano dello stesso Viviani, e a car. 217r.-t. di carattere di un suo amanuense. Lo lineo poi 18-23 si leggono a car. 80i., in copia di mano del Viviani o con V indica¬ zione: « E. 1). 9 Kob. 1G38 ». Hora mi ritrovo la mestissima sua do’ 2 del passato (1) , por la (pialo V. S. molto I. mi avvisa della perdita sopravvenutale deU’altr’occliio o della total ce¬ cità alla quale è ridotta, di che tanto maggior cordoglio ho sentito, quanto elio il caso m’è stato improviso; sì che con parole non le posso esprimerò Postremo mio compatimento a questa sua dura sorte. Se bene avendo V. S. ne’ passati suoi infortuni fatta prova della sua virtù e costanza, spero che nò anco in quosto resterà vinta, anzi che in breve, domesticatasi con la necessità, oltre lo conso¬ lazioni che si somministrerà da sò stessa e le dolci diversioni che ne troverà da gl’amici (poiché con la sanità se le son ristorato le forze), non lo manclio- 10 ranno, anzi se lo raddoppieranno, i sommi diletti dello spirito, con attenderò a ordinare lo opere sue sin qui non stampato, e col rammemorarsi l’eterna memoria elio lascia di sè a’ secoli futuri per i suoi divini scoprimenti o por l’ampliaziono dell’astronomia, instaurata in universale da lei; onde (a guisa di quel filosofo che, noli’estreme punture de’ dolori nefritici rimemorandosi lo coso da lui tro¬ vato ot il gran numero de’ suoi seguaci, rapito d’allegrezza non proruppe mai in alcun lamento) V. S., so non estinguerà affatto, almeno tempererà il suo giusto rammarico per la perdita fatta d’una gioia tanto preziosa. Il Sig. Lodovico Elsevirio, essendosi egli proferto, come V. S. mi scrivo, di stampare in un corpo di volume le sue opere tradotte in latino (B) , senza dubbio 20 lo fa per acquistar reputazione nel suo introito del negozio in proprio (3) ; o questa ò una opportunità da non dover esser negletta. Non credo che lui si attenda in ciò al Sig. Carcavi, poichò non no ha fatto menzione; anzi ò velisimile che lo voglia intraprender da sè, il che sarà molto moglio etc. («l Cfr. II.® 3085. Cfr. u.° 3640, liu. 20-21. <*> Cfr. n.° 3G40, liu. 17. XVII. 3« 282 10 FEBBRAIO 1638. [3674] 3674 . DINO PERI a [GALILEO in Arcetrl]. Fisa, IO febbraio IOSA Bibl. Nasi. Fir. Msb. (lai* P. I, T. XI, car. 876-876. — Autografa. Molto 111." ot Eoe.® 0 Sig." 0 P.ron mio Col.® 0 Bench’io non creda di haver nuove particolari por V. S. molto IH." et Eco." 1 , ho nondimeno obligo particolarissimo di scriverlo qualche verso per ricordarlo la mia infinita devotiono o ringratiarla, sì conio io fo con tutto l’animo, dello dimostratami elio olla mi continua della sua benignità, honorandomi di suoi sa¬ luti per mezo del Sig. r Pioralli e regalandomi appresso di delitio. Compatisco poi estremamente gli occhi di V. S., ot ammiro la sua franchezza in tolleravo un tanto accidente. Muovo la compassiono e la maraviglia insieme noi Sor.® 0 Gran Duca o in tutti questi Ser." 1 Principi. Domandandomi il Principo Gio. Carlo cho consolationi si pigliassi V. S., risposi: « l’adoprar più elio mai la specula- io tione »; o poi in tornine allogro, « la speranza, noi disperar (lolla vista, di non haver paura de’ vini generosi, potendone trovar do’ buoni ». Mi soggiunse elio havova corta malvagia perfettissima, e n’haveva mandata al Sig. r Alamanni (l> , o elio era porò facile cho V. S. no havesse hauto parto ; ma io replicai ridendo, elio ora forse più facile, so ora cosa tanto «squisita, cho il Sig. r Alamanni non so la sapessi spiccar dalla bocca. Soggiunse Sua Altezza: « Potrebbe anco essere; ma io no rinfonderò di nuovo por il Sig. r Galileo ». Questo fu mercoledì o giovedì passato, oliò V uno o l’altro giorno fui a Palazzo, chiamato dal Gran Duca. Di proselito, da venerdì in qua, la Corto si trova a Livorno, o si erodo por tutto carnovale. Io ancora fo diligenza di vini nobili, e s’io non potrò haver cosa da 20 agguagliarsi a quella malvagia, lo manderò al mono il miglior groco ch’io possa trovare. Il Sig. r Marsilii'* 1 partì di Pisa no’ bei primi giorni ch’io ci arrivai; porò non mi successo visitarlo e conoscerlo di presenza, si come io lo conosco por fama dalle nobili relazioni di V. S. Tornerà di Siena a quaresima, e passerò soco tutti gli offitii. Io porsi i y del mio stipendio della prima terzeria, per non haver io letto se non 4 lezioni dello 28 elio sono state; ma acquistai altrettanto dalla beni¬ gnità (lol Gran Duca, il quale si risolvette a darmi di propria borsa i più di (•' Raffakllo Alamanni, ( s » Alkssanoko Marcili. 10 FEBBRAIO 1638. 283 [3674-3675] so 70 scudi elio importava la perdita; poiché il Sig. r Auditor Fantoni (i) rappre¬ sentò ardentemente che pur troppo segnalata e scandolosa gratin era stata il comportare ch’io mi trattenessi a Firenze i primi duo mesi o più, et anteposto al benditio universale et al mio obligo publico il mio privato interesso ; che por suo rigore o zelo di riordinar lo Studio, si eran perso parecchi dottori il denaro di qualche lezione da principio trascorsa; che n’andava di scrupolo di conscienza il concedere a lettor novelli, non benemeriti dello Studio, il denaro di lezioni non lette, dopendento da roscussioni di decime ecclesiastiche: sì che in somma il Sor." 10 Gran Duca, risoluto puro di volermi honorare di benigna singolarità, doppo rhavoruii un pezzo difeso, si rivolse a farmi il donativo del suo por messo del ■io Sig. r Benedetto Gucrrini. Ci sono alcuni particolari di consolationo, ch’io riserbo a V. S. poi a bocca. Intanto starò pregandole miglioramento di salute e di pro¬ sperità, e por fine lo fo lmmìlissima reverenza e devotamente le bacio lo mani. Pisa, 10 Fcbb. 1637 (2) . Di V. S. molto I. et Ecc. ma Oblig. mo et Dovotiss. 0 Sor.™ Dino Peri. 3675 ** GLI STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI a GALILEO [in Arcetri]. L’AJa, 10 febbraio 1638. R. Arch. di Stato all’AJa. Lias Oost Inilischo Compagnie) — Minuta. Illustri, Doctissimo ac Celeberrimo Viro, D.° Galilaeo Galilaei, Nobili Fiorentino. Nobilissime, Doctissimo, Celeberrime Vir, Inventum Illustris Dom. R V. a0 de longitudinibus locorum torrestrium, quod libero dono 111. D. V. 11 nobis obtulit, adeo grattini nobis fuit, ut Commissariis ordinatis eius certitudincm et summum rei momentum doderimus examinandum, simulquo de bono nostro erga 111. D.°“ V. ara affectu per litoras nostras D. om V. ara 111. fecerimus cortiorem l3) . Quoniam vero ab ilio tempore saepius ad nos relatum fuit, D. ora V. a,n 111., in vergente actatc constitutam, non satis tam gravis nogotii io promotioni vacare posse, et Commissariis nostris plenariam inventionis III. D. ,s V. a0 notitiam por literas ultro citroque datas acquirere non modo taediosum sed et difficillimum esse, Nos, in eadom erga 111. D. c,n V. am bona voluntate persisten¬ te Niccolo Fantoni Ricci. <*' Di stile fiorentino. t»i Cfr. n.» 84C8. 284 10 — 12 FEBBRAIO 1038. [3675-3676] tes, docrevimus .ad I). 1 '"’ V.“ ,n 111. ablogare D. Martinum Hortonsium, professoroni mathoseos in illustri Gymnasio Amstolodamonsi, ut, cornili cum 1).° V.“ 111. agons, roctius so do penitioro invontionis vostrao constitutiono omnilmsquo ad oam por- ficiondam roquisitis informot, atque ad nos postea roferat quidnam ad ultcrio- rom totius rei oxpoditionem a nobis deincops orit statuondum. Requirimus itaquo al) 111. D.° V. B ut cum pracdicto Ilortcnsio libero agat, requisita omnia ipsi coni- municando ot do oxporimcntorum faciondorum cortitudine mutuis colloquiis con¬ ferendo, ut, postquam ad nos rodiorit ot do voritato ac indubitato involiti successi! 20 nos cortos reddiderit, roipsa demonstromus oblationcm D. u V.“ 111. nobis fiòsso gratissimam. Tostamur onim, oam osso montoni nostrani, ut, coinprobata inventi cortitudine, non tantum doluto honoro et invontionis praerogativa 111. D.° V.* coram loto torrarum orbo afiìciatur, veruni ot praomio ac romunerationo gaudoat, tam utili invonto ot nostra magnificentia digno. Et insuper Divinae Maiestati D.®“ V.“ m IH. commondamus. Dabantur Hagae Comitis, decima Februarii 1638. D." V. B0 I11. M Amicissimi Ordinos otc. Ad mandatum illorum. 80 367 ( 5 **. ALESSANDRO BEDINI a [GALILEO in Arcetri]. ltoma, 12 febbraio 1038. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 24. — Autografa. Molt’Ill/® Sig. r mio o P.ron Colend. mo Chi logge con qualche attontione le fatigho degli buoni ini letterati, sonto destarsi nel cuore un generoso ossequio verso i medesimi; ondo mi porsuado che V. S. sia per riconoscersi cagiono di questo, dirò, chirografo, c’hora lo invio, de la mia servitù: la quale giù che non posso, per colpa di communo infortunio, più al vìyo rappresentarle, mi giova, in una parto deH’animn studiosa scolpita, offrire al suo lucidissimo intelletto ; il puro lume del qualo corno non isdegnò lo tenebre del mio ingegno, così voglio sperare cho sia por gradire l’inchino de la mia volontà., benché ascosa dal velo de la fortuna. Prego a V. S. dal Cielo il meritato possesso d’ogni felicità, et lmmilmonte la riverisco. 10 Roma, il dì 12 Febbraro 1638. Di V. S. molt’Ill. r ° Humilissinio Discepolo e Sor/ 0 Alessandro Redini. [ 3677 ] 13 FEBBRAIO 1633. 280 3677 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 13 febbraio 1G38. li ibi. Naz. Flr. Mas. Gal., 1*. 1, T. XII, cnr. 28. — Autografa. Molto HI." cd Eco." 10 Sig. Te e P.ron Col." 0 Ho riceuta la lotterà di V. S. molto Ill. re cd Ecc. ma , o subito ho mandata l’inclusa al Sig. r Pier Battista (1 ' nostro, quale veramente è appassionatissimo c vorrebbe col saligno proprio poterò soccorrere al bisogno di V. S. È venuto da me, o m’ha detto che trattarii con quel medico suo amico w o con un altro va- lont’huomo, e cho li mandarà il parere loro ed il loro consulto sabato prossimo, non havondo hauto tempo hoggi, nò si potendo faro così presto, poiché lio ri¬ conta la lettera solo questa mattina. Non occorro poi cho ella scriva altro al Sig. r Dino Pori, poi cho il Sór.® 0 io Gran Duca, liavendo fatto paragone del mio con i suoi, ne ha trovati duo sua più perfetti del mio l3) . Veramente Laverei desiderato cho il mio fosse stato supe¬ riore a tutti, chò così volentieri me ne privava. Ilora il Sig. r Dino me l’ha ri¬ mandato. Quanto poi all’altro negozio, non ho potuto penetrare clic cosa si sia fatto, trovandosi fuori di Poma quel mio amico che mi potova svisare. So V. S. Laverà, risposta, me ne dia avviso ; o nel resto si mantenga in quolla saldezza che mi scrivo, che è la vera consolazione di ogni nostro travaglio. Mi ami c conservi la sua grazia, o sia sicura cho non ho cosa al mondo cho mi prema più che ser¬ virla, come farò sempre: o li fo riverenza. 20 Di Roma, il 13 di Feb.° 1638. Di V. S. molto ili." od Eco. m! * Devotiss. 0 e Oblig. ,uo Ser. re c Dia. 10 S. r Gal. 0 Don Bened. 0 Castelli. Fuori : Al molto DI." ed Ecc. ,no Sig. ro o P.ron Col." 10 R Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo del Sor.® 0 Gr. Duca di Toso. 0 ® Firenze. m Pikji Battista Borghi. < s > Giovanni Trulli. <») Cfr. u.° 8G88. 286 13 FEBBRAIO 1638. [3678] 3678 . FULGENZIO MICÀNZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 18 febbraio 1G38. albi. Nasi. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XHI. car. 88. -* Autografa Molt’Ill."’ et Eoe.* 0 Sig. r mio, S. r Col. 1110 . Credo elio questa sera consignarò lo botargho all’111. mo S. r Ressidento: lo aspotto da chi m’ha promesso far il sorvitio noi modo miglioro elio si può, per¬ chè ho impiegato persona dolla professione, et ordinato elio non si riguardi sposa. Mi attristo tanto in sentirò che Y. S. sia priva dolla vista, che non ne posso riceverò consolationo. Buono Dio, quoll’occhio linceo, c’ha scoperto tanto mara¬ viglio dolla natura, elio al dispetto doli’ignoranza e malignità linvorà fatta una nuova o vera filosofia coleste, cieco! Cosi porta la nostra conditiono: ma dovo V. S. consolarsi cho lo rosta quello della mento, il più sereno o perspicace elio forsi sia stato concesso ad huomo. io Le ossorvationi che V. S. desidera circa il flusso o riflusso qui, sono di punto quali essa descrivo {i> : ciò è cho in alcuni tempi, conio l’Ottobre e 9bro, il cre¬ scerò doli’ acquo ò molto maggiore elio il calare, perché nell’ escrcsenza vanno sopra lo fondamonta, rovinano li pozzi, nel calare poi restano a sogno elio altro volto non sono sì alto nel crescerò; al contrario, li mesi passato o corronto ca¬ lano tanto che restano li canali asciati, o l’escressonza non arriva all’altezza ordinaria. Io però non ho fatta ossorvatione sottilo dol quanto o dolio misuro. È cosa corta anco, cho entrando lo acquo por li Duo Castelli o taglio di Ma- lamoco, ci corre lungo spatio di tempo prima cho lo crescerò ot calare si co¬ munichi alla laguna; et io, nell'andar in villa, osservando cho l’acqua crescesse, 20 por andar, come qui si dice, a seconda, avendo gondola veloce a quattro remi, ho veduto cho passavamo dalla soconda alla contraria, di modo c’ ho creduto che fosso veramente il flusso un’onda continuata, cho va facendo il suo viaggio in tompo assai lungo. Il particolare so tra il flusso e riflusso si dia quioto o no, non l’ho osservato. Mons. r Aproino mi disse già, in proposito di quelita materia, duo suo osservationi. Egli ha il suo luoco di Casale sul Silo, tra la laguna ot Troviso : serva quel fiume a Casale li periodi del flusso e rillusso di modo, cho la diferrenza è più di un brazzio tra ’l crescerò et calare, ot questo cotidia- namente, ma colla proportene del tempo cho cala alla laguna, che ancora cresco nel Sile, et e cantra. Ma questo va con i suoi piedi. Quest’altra è più : ha os- ao IO Cfr. 11 .» 3661. 13 FEBBRAIO IG38. 287 [3678-8679] servato elie anco in Treviso, o più su ancora in tutto il Silo dalle foci al fonto, vi è il periodo del flusso e reflusso, ma in Treviso di circa un palmo. Conside¬ rassimo, questo non poter accadere dall’ impedimento dell’acquo salso, che soste¬ nendo lo dolci ciò cagionassero, perchè il declivo di questo è più di otto passi; et perciò pensassimo che non può nascere che dal moto del vaso, osservando che il Silo camma sempre per piano da ponente a levante, et da Treviso in giù fa giri a biscia quasi sempre, elio pare un laborinto; et entrassimo in conget¬ tura di quello elio non vuole V. S. elio so li nomini, ma però per tutto si parla constantemento senza paura dol fumo delle lasagne, del moto terreno. 40 II nostro ingegnerò qui 11 ’ ha scritto in lingua francese una risposta ad un discorso accademico di un tale Giacomo Àcarisio contra il sistema Copernicano (2) : la risposta è buona, ma tutta cavata dai Dialoghi, eccetto ove rispondo ai luochi dolio Scritture, quali rissolve bene; c so si stamparà, come credo, canonizarà il consiglio del S. r Galileo a Madama, clic ò ardir temerario far articoli in aria et ovo può, col tempo, trovarsi anco dimostratami in contrario. Parlarò col Sig. r Argoli, ma a dirli il mio senso, vaierà, più un foglio di carta che V. S. possi dottare, elio un libro d’altri. Prego Dio che le conceda mi¬ glioramento di corpo o continui la sanità, d’animo, o con tutto l’affetto lo bacio le mani. do Ven.*, li 13 Feb.° 1638. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Pos. a Mi sono portate le botarghe: delle buono, ma non bello a mio modo. Quasi non le ho vo¬ lute mandare; ma sentendo che delle stesse ne sono mandate a Roma, et che quest’anno non tro- varò di meglio, lo lascio veniro. 3679 **. ALESSANDRO NINC1 si [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Campoli, 13 febbraio 1038. Bibl. Nftz. Flr. Appendice ai Mss. Gai., Filza Favaro .4, car. 147. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc.“° Sig. r mio P.ron Col. mo Mando staia sei di farina, che con poliza o vettura costa lire trentanovo. Mando ancora tre mostro di vino : quello del fiaschetta vechio si vende attual- Dov. mo Sor. P. F. l>> FllANOKbOO VAN YVbBBT. <*> Cfr. u." 3475. 288 13 FEBBRAIO 1338. [ 8679 - 3680 ] mento da un proto, mio vicino, un giulio il fiasche ; quello del liaschetto nuovo, turato con sughero, costerà lire 23 la soma; e quel del fiaschetto nuovo, turato con la paglia, costerà lire vontiduo : o ci sarà un testone per soma di vettura. Però so ve no trova che gli gusti, accenni, chò io procurerò che resti servita con ogni pronteza, come anche dello susine, poi che non ebbi avertenza di do¬ mandarne quando fui costì. Mando duo paia di colombelle, elio lo goda per amor mio, mentro, pregan- io doli dal Cielo ogni desiderabile prosperità, gli faccio debita reverenza. Da S. u Maria a Campoli, 13 Febraio 1637 (i) . Di V. S. molto DI." et Ecc. m * Dovotis8. m ° e Oblig." 10 So. ra Alessandro Ninci. 3680 . FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 13 febbraio 1G3S. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 26. — Autografa. Molto DI." Sig. ro e P.ron mio Oss. rao Io non pensavo d*infastidire questa settimana V. S. con mio Ietterò; ma la lettera del Padre Maestro, inviatami con una cassettina elio ho consegnata al procaccio, me no ha porta l’occasiono, corno anco certo stravaganze elio ho visto nel flusso e reflusso di questo maro, quale, por quel poco elio ho visto, cresco la stato o scorna di 6 boro in G liore. I passati mesi di 7hro et 8bro ò cresciuto talmente, elio nel suo colmo non solo non si poteva passuro con le barello sotto i ponti, ma nè meno andaro a piedi por lo fondamenta; il calare era assai più di quello elio accade nolhi estate, ma non però tanto quanto ho visto in questi duo ultimi di Gennaio o Febbraio, elio moltissimi rivi rimangono del tutto io secchi : la crescenza poi è ragionevole, o comincia sul’ uscirò che fa la luna dal¬ l’orizzonte, durando da 14 in 15 bore; o così ogni giorno va variando, secondo il moto della Q)> o così in questi mesi non osserva il medesimo periodo di G in G boro, corno fa l’estate. Ma fra pochi giorni, che sarò formo di casa, vo¬ glio un poco vedero di ossorvar por appunto lo ditìbronzo dolli decrementi et O) Di stilo fiorentino. 13 FEBBRAIO 1638. 280 [3080-3681 ] incrementi, per vedere so potessi intenderò qualche cosa di più con la scorta del discorso, di V. S. ; quale prego a scusarmi dolla briga, mentre per fino gli bacio di cuore le roani. Vonotia, 13 Fobb. 0 1638. 20 Di y. S. molto 111.* Dev. ,no et Obb. mo Se. ro S. r Galileo Galilei. Fran. 00 Rinuccini. 3681 *. COSTANTINO IIUYGENS ad ELIA DIODATI [in Parigi]. [L’Aja], 13 febbraio 1688. BIbl. dell’ Accademia delle Scienze in Amsterdam. Ms, XI.IX, Letfcros fiamjoisea de Coustautin Huygons, T. I, pai?. 821. — Minata autografa. Diodati. 13 Fob. 1638. Monsieur, J’ay osé attendre à vous faire responco jusquea h ce que j’etisse moyen de vous Taire paroistre aux effeets ce \ — Copia (li mano di Marco Ambrocrtti. Ili qnosta lotterà conosciamo duo nitro collie, di mano sincrona, dolio quali una ò noi codico dolla Bibl. Nazionale di Parigi, Colloction Dupuy, n.° 668, car. 206-209, o l’altra nel codico dolla stessa Biblioteca, Fonde francato, n.° 13037, car. 140-143: Pana o l’altra presentano, a confronto dolla copia elio è noi Mss. Ga¬ lileiani, numeroso varietà formali, com’è naturalo in una scrittura dio fu diffusa daH’antore in esem¬ plari manoscritti; ma siffatto differenze, a cui non sappiamo qualo autorità si possa attribuirò, non sono tali da diminuire credito a quella leziono elio fu trascritto da dii ora compagno di Giunco in Arcotri. Noi perciò abbiamo fodolinonto osomplato la copia doll'AMiiROGETTi, nò ci parve mettesse conto pur registrare lo varietà dello altro due, elio non di rado sono errori manifesti. Anello la prima stampa di questo lettera, elio ò nel voi. II dell’odiatone Bolognese dolio Opere di Gaui.ro, a png. 64-59 di seguito al Sidereiti Nunoiut, o dalla qualo fu riprodotta, con lievi modificazioni, a quanto sembra arbi¬ trario, nello posteriori edizioni, offro, riscontrata con la copia doirAuRitoosm, numeroso vnriotà for¬ mali o tre aggiunto: noi, trascurando quelle varietà, forse dovuto a Vimokkzio Viyiani (cfr. Per la Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei 0CC. Esposizione c Disegno (li Antonio Fa varo, Fi ronzo, tip. di G. Barbèra, 1888, pag. 9-10), notiamo appiè di pagina le duo aggiunto, pensando che Galilko stesso potrebbe avorio dottato, perché fossero introdotto nello copio successive della lettera. Ill. mo Sig. r e mio P.ron Col. m0 Se io non havessi, Ul. mo Sig. ro , per mille altri riscontri certezza del candido e sincero affetto suo verso di me, potrei star in dubbio se V instanza che ella mi fa del non tener più celata certa mia, nuo¬ vamente scoperta, osservazione nella luna, derivasse (come ella mi scrive) da zelo e timóre che ella habbia ebe le novità da me sco¬ perte non mi vengbino da altri usurpate, nel modo elle di alcune mi è accaduto, o pure se il consiglio suo tendesse al mantenermi integri gli odii di moltissimi, concitatimi dalle tante novità scoperte io da me nella natura e nelle scienze, per i quali odii io mi ritrovo in stato di non lieve calamità : ma perché io sono più che sicuro della sua affezzione, voglio più presto, col comunicarlo ciò che ella ricerca, mostrarmeli obediente servitore, che, col supprimere tal novità, tron- 292 20 FEBBRAIO 1038. [3084] car la strada all’augumonto di nuovo indignazioni. Procurerò dun¬ que di esplicar, più chiaramente e succintamente eli’ io posso, questo elio nuovamente lio osservato nella luna ; con protestarmi prima a Y. S. Ill. ma che gli accidenti da me in quella osservati sono grandi, in quel modo che grandissimi sono anco tutti gli effetti minimi della natura, ma sin ora non ne ho saputo trar gran conseguenze, come trar ne ho potuto di qualche altra osservazione ; e non intendo che 20 la mia impotenza deroghi punto a quelle conseguenze elio forse al¬ tri, con più maturo giudizio e saldo discorso, col tempo no potreb¬ bero dedurre. E per fuggire nuove instigazioni a i miei avversarli, potrà Y. S. 111.™* 1 tenersi appresso di sò questa mia narrazione, la quale in ogni evento potrebbe esser ferma testimonianza del non mi essere io attribuito anteriorità in cose ritrovato da altri. Dico per tanto a V. S. lll. ma che il primo motivo che mi indusse a stimare, grande essere la corrispondenza e, come dicono, cogna¬ zione tra la luna e la terra, fu l’essere stata tal conclusione comu¬ nemente tenuta e pronunziata da i principali filosofi. Fu, nel secondo :;o luogo, confermato in me questo concetto dalla diversità delle mac¬ chio che nella faccia della luna si scorgono, molto somiglianti a quelle che nella terra apparirebbero mercè de i continenti e de i mari, quando da gran distanza fussero rimirati ; ma sommamente poi vien accresciuta tal opinione da più minuti particolari che in essa luna, similissimi a i nostri di terra, si scorgono : dico dallo ampio cam¬ pagne in piano distese, e da i lunghi tratti di montagne e gruppi di scogli, li quali egualmente e similissimamente in quella et in que¬ sta si veggono. Si aggiugne, nel terzo luogo, il vedere come indu¬ bitabilmente la luna si va rigirando intorno alla terra, scorrendo 40 per il suo cerchio, il quale mostra haver per contro un punto poco, o per avventura niente, remoto da quello della terra ; dove che i centri delle revoluzioni di tutti gli altri pianeti sono sicuramente lontanissimi dalla terra, e non molto remoti dal sole. Da queste con- ghietture svegliato, mi venne, non è molto tempo, pensiero di por monte se da qualche più sensata e certa osservaziono io potessi ve¬ nir in notizia, se per avventura il globo lunare senza mutazione al- Lett. 3684. 26-27. Tra altri e Dico l’ediziono Bolognese aggiungo: letichi di tal non' alla faccia 40, dove si leggono queste parole : Certe miujnus astronomus Galileus, liorim sidereorum ostentorum praeciputis invcntor, maculas solcai inumbrantes aliud non vulb esse de.; e sappia Y. S. lll. ma clic questo Padre dimorava in Ingolstadio, e leg¬ geva nel medesimo collegio che il Padre Sclieiner e nelPistesso tempo che questi andava facendo le osservazioni delle macchie, e, come ella vede, ne chiama me precipuo inventore, nò pure nomina mai lo 300 Scheiner in tutto il suo libro. Dell’altro Padre voglio per ora tacere il nome (:,) , ma vive, et afferma egli essere stato il primo elio diede lume et avviso al detto Padre Scheiner delle macchie del sole, scoperte da me, nel tempo che io mi trovavo in Roma, dove più volte lo foci vedere a molti prelati grandi ne gli Orti Quirinali; il che accadde molti mesi avanti che lo Scheiner ne movesse parola con sue lettere al Sig. r Marco Velsero, Duumviro di Augusta. Ma che vuole questo insensato farsi anteriore a me di tempo in tale scoprimento et os¬ servazioni, mentre egli tanto scioccamente circa di esse discorre, et io con assai manco osservazioni ne pronunzio tante conghietture, 210 confermate di poi da indubitata verità? Ma bastimi per ora haver pur troppo lungamente tenuta occupata Y. S. Ill. ma , alla quale per fine con reverente affetto bacio le mani. Dalla mia carcere di Arcetri, li 20 Feb.° 1638 a Nat . 13 Di V. S. lll. raa Devot. rao et Obligat." 10 Scrv. rG 111. 1110 Sig. r Alfonso Antonini. Ud.° Galileo Galilei. e' Cfr. 11. 0 3259. occultia,jiraciiertim futuri*, ex lutri» iudiciumferre, OCC. (!) Adami Tannkhi, S. J., Aniroloi/ìa Siterà, hoc Iiigolstftlrtii, ex typograplieo Edoriano, M.DC.XV. est orni ùnica et quacstionea qitinque, quibua explicatur < s > Paolo Guldin: cfr. Iin.‘ 3206, 3578. «>i et quii rat ione fua sii homini ChrioliunO de rebus XVII. 38 298 20 FEBBRAIO 1638. [3085-3686] 3685 . PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenzi», ltoina, 20 febbraio 1638. albi. Naz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. XII, car. 80. ~ Autografa. Molt’Ill." ed Eccollent.” 10 Sig. r e P.no Colend. ra0 La consolaziono elio io sento nel veder lo lettore di V. S. molto 111.™ mi violi tanto amareggiata dalla lezione do’ suoi travagli, che son constretto a risponder succintamente alla compitissima sua degli otto corrente, ricevuta l’ordinario pas¬ sato. Sig. r Galilei mio Signore, io non son bono ad altro che a compatirò o pian¬ gere; ma so il mio sanguo, et il sangue del cuoro, fosso buono por renderò la sanità ad un tanto huomo conio è V. S. molto DI.", vorrei con questo com¬ prarmi l’immortalità, e restituendo in un stato sano il Sig. r Galileo, elio tanto giova al mondo, sgravar questo di un poso imitilo conio ci sono io. Qui accluso le mando il consulto del Sig. r Giovanni Trullio* 11 , fatto sulla lettera io della qualo Y. S. molto III.” mi ha favorito, o potrà conferirlo con cotesti SS. rl modici o chirurgi, e poi fame quello elio la sua prudenza le detterà. Io e tutti in Roma ascoltiamo questo huomo conio un oracolo, per i miracoli continui elio fa. Spera egli che senza dubbio resterà V. S. libero da questo fastidio in poco tempo; o V. S. molto Ill. ro mi farà grazia di andar scrivendo i progressi della cura, a fino elio possa di mano in mano consultare. Egli desidera con questa occasiono dedicarsi servitore a V. S. molto Ill. ro , afino di goder del patrocinio di quello lo cui virtù por l'adietro ha tanto ammirato. Io poi prego di tutto cuoro N. S. che mi facci questa grazia, di restituirò la sanità a V. S. molto 111.**, alla qualo poi’ fino faccio umile riverenza. 20 Roma, li 20 Fob.° 1638. Di Y. S. molto 111." et Ecc. raa Dovot. m ° et Obbligat.® 0 Serv. 10 S. T Galilei. Fironzo. Pier Batta Borghi. 3686 *. GIO. GIACOMO BOUCIIARD a VINCENZO CAPPONI [iu Firenze]. Roma, 20 febbraio 1638. Collezione Galileiana nella Torre del Gallo presso Fironzo. — Autografa. .... il mio tanto indugiare proviene dalla risolutiono ch’io haveva fatta, di non rin- gratiarla prima ch’io non bavessi occasiono di domandarle un nuovo favore, cioò eh’olla !*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XL1V, «). 20 — 21 FEBBRAIO 1638. 290 [3686-3687] si fosse degnata leggere la mia Oratione funebre ù) e dirmene il suo parere. Ma la stampa sarà assai più tarda di quello ch’io in’era imaginato, mercè al Reverendissimo Padre Mo¬ stro O), il quale, dopo liaverini tenuta questa Oratione duoi mesi continui, me l’ha quasi storpiata tutta, e, quello eli’è peggio, in cose per il più indiferenti e che non hanno che fare con la Fede. Tra l’altro egli non vuol ch’io chiami nessun heretico dotto, nè manco il Tuano< S) , et in particolare il Galileo, havendo cassato tutto quello ch’io havevo detto in laude di lui; la qual laude, si come anche quella del Campanella, è stata la caggione 10 d’ogni scandalo. Non so ancora dove parerà il negotio. Questo le so ben dire, ch’io sono talmente sdegnato di questa barbarie, usata contro il povero Galilei in particolare, ch’io son risoluto d'impiegar il primo tempo libero che mi sarà concesso, a scrivere la sua vita, della quale la prego di voler procurarmi le memorie più particolari che sarà possibile; e V. S. Ill. ma mi farà grafia di comunicare questo mio pensiero con ristesso Ga¬ lilei, il quale forse da sò, sì come egli ò cortesissimo Signore, si compiacerà di darci la materia necessaria, rallegrandomi che le suo opere siano arrivate a cobì buon termine_ Desiderarci sapere che arme la il S. r Galileo, con i colori, per metterlo in uno suo ritratto ch’io ho fatto farete. 3687 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Firenze. Lione, 21 febbraio 1G38. Blbl. Naz. l?ir. Appendice ai Mas. Gal., Filza Favaro A, car. 101. — Autografa. Molto 111. 0 mio Sig. r o Pad. Oss. mo La gita passata mandai a S. S. a un pieghetto del S. r Elia Diodati, elio credo lo doverà bavero ricevuto, come feci io quello elio Sua SS.“ mi ha mandato con la gratissima sua do’ 23 passato per osso Signoro, al quale subito mandai a suo destinato viaggio, conio doverà, vedere per la risposta. M’è stato ancora di gusto havesse ricevuto quella lettera del Rev. P. Mercena (B) . Il libro lo conse¬ gnai a M. Rabout, Consolo di Fransesi a Livorno, sotto coperta del’ Ill. mo S. r Cav. r Gondi (#) , il quale ricevendolo gli ne farà subito bavere. Esso S. Rabout ha tardato in alcuni luoghi della Provenza e Linguadocha per fare inregistraro io o verificaro alcune autorità ottenute in Corte ; non di meno lo tenglio a quest’bora arrivato, e S. S. a haverà ricevuto esso libro. <>l Nicolai Olaudii Fabricii Perescii, Senatorie Aquenti», Laudatio, habita in funebri conclone Aca- demieorum Romanorum a Io. Leo no Buccardo Pa- risionsi. Vonetiis, anno C10IOCXXXVIII. So non che, qui si accenna alla seconda ediziono, elio forma lo pag. 1-27 deU’opora: Monumcntum romanum Nicolao Claudio Fabricio Pcretcio, Senatori Aqucnsi, doctrinae virlutiique cauta factum. Romac, typis Vaticanis CI0I0CXXXIIX, la quale porta V Imprimatur del P. Niccor.0 Riccardi. Gl Niccolò Riccardi. 1*1 Giacomo Augusto de Thou. Gl Lo lin. 17-18 si leggono in un poscritto. <*) Marino Mrusenne. <®> Gio. Battista Gondi. 300 21 — 24 FEBBRAIO 1038. [8687-8688] Resto poi con mortificatone estrema, havendomi descritto lo stato della sua gravo indispositiono. Sporo in Dio elio entrando adesso nella primavera, nella quale stagiono il solo piglia forza sopra il nostro orizonte, fa nascerò o rivordire tutta la terra o fa ricuporaro lo forzo a tutti li indisposti o sconvalccenti, risana li malati, tonglio di sicuro elio S. S.‘ no dova ancora ossa sentirò sollevamento grande, conio da Dio gli no agurio con ogni altro suo bene. Di Lione, questo di 21 di Feb.° 1638. Di V. S. molto 111.® Aff. mo o Dev." 10 Sor. re o Parente S. r Galiloo Galilei. Rub. t0 Galilei. 20 * Fuori : Al molto 111.® Sig. r o P.no Oss. n, ° 11 S. Galileo Galiloi, Mat. 00 primo di S. A. S. Firenze. 3688 . DINO PERI a [GALILEO in Arcetri], Pisa, 24 febbraio 1638. Bibl. Naz. Pir. Mbs. Gal., l\ I, T. XI, cnr. 277. — AutoRrafa. Molto 111/® ot Ecc. m0 Sig. r o P.ron mio Col." 10 Io sento passiono grandissima elio all’impedimolito della vista di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. 111 " sia aggiunta così ostinata lacrimationo, o piti una tanta vigilia e una tanta intemperie di testa elio la renda offosa da ogni minima appliea- tiono. Vorrei potorgnone restaurare col sangue mio proprio : ma qui non posso so non'condolermi, o con tutto il mondo, elio il gran Galiloo di merito immor¬ talo non venga immortalmonto difeso o conservato. Ricevei risposta da I). llenodotto sino otto dì sono del votro rihauto e dol- i’avviso dato a S. Sig. ri * Rov. ,nn , elio por ossero inforioro a i duo migliori dol G. Duca e garroggiar col terzo 11 ', non era da S. Alt.*® stato accettato ; che so io ora superiore a tutti, sicuramente non gnene rimandava indietro. Godo (lolla risolutione dogli Elzevirii etc., o ne godo il Sig. r Pieralli e il Sig. r Marsilii, che è ritornato da Siena ot è stato visitato da me o ritrovato qualo più volte mi ha rappresentato V. S., cioò laudabilissimo. Mi dico che il Ser. ,no Prìncipe Leopoldo habbia appresso di sè una sfora Copernicana. Sua Al¬ tezza col Gran Duca e tutta la Corto si trova ancora a Livorno, donde di dì in di vieno aspettata. Sarò al ritorno a passare i debiti offitii. Mi sono informato intorno al rispiarmo che desiderono coleste Monache, o trovo unitamente il consiglio di persone pratiche esser di pigliare in Firenze Cfr. lì.® asso. 24 — 27 FEBBRAIO 1638. [3688-8089] 301 no quella quantità, di aringhe che gli bisognano, poiché qui in Pisa più si pagano una cratia l’una o assai scriate, e a centi vien messo in dubbio il darlo a dieci giuli ; a Livorno poi, per mezzo del Sig. r Lori che ci ha un amico, si otterreb¬ bero a lire cinque il cento. Ma questi medesimi, benché interessati, dicono che in Firenze si Laveranno al medesimo prezzo, e che questa non ò la prima nò la quarta mercanzia che vai meno a Firenze che a Livorno, donde ella si parto. 11 Sig. r Braccio Manotti ha costà, il fratello informatissimo di ncgotii mercantili, e facilmente potrò, ragguagliarla del vantaggio cho si può bavere a quella dogana. Finisco baciando a V. S. lo mani con reverentissimo affetto, e lo desidero* - con tutto il cuore buona prosperità. so Pisa, 24 Feb. 1637 (1) . Di V. S. molto 111.' 0 et Ecc. 1 " 11 Oblig. mo c Dovotiss. 0 Sor. 1 * 0 Dino Peri. 3689 . [BENEDETTO CASTELLI] a GALILEO in Firenze. Roma, 27 febbraio 1G38. Blbl. Naz. Fir. Mas. «al., I’. I. T. Xli, car. 36. — Autografa. Molto HI.” od Ecc. m0 Sig. ro o P.ron Col." 10 Un figliuolo del Sig. r Assessore del S.° Oflr/,io (2) , ricercato da me por mezo di un terzo, servatis scrvandis, m’ha mandato a diro che questa sera, cho io scrivo questa mia, sarebbe spedita lettera por il negozio di V. S. molto Ul. ro ed Ecc. 1 " 11 , e cho si sarebbo fatto qualche cosa di buono; altro non ho potuto penetrare. Voglio sperare nolla misericordia di Dio e nella paterna carità di questo S. mo Tribunale, cho olla rostarà consolata ; e sia come si voglia, mi rallegra quella massima nobile cho mi scrive: Piace così a Pio, deve piacere ancora a noi. Saldi in questo punto, Sig. r Galileo, chè non possiamo mai essere soprafatti da tra- ìo vorsie di sorte alcuna. Havorò però caro sapere come sia passato il tutto, e in tanto non mancarò implorare la misericordia di Dio, che ci conceda il colmo delle vere grazio o consolazioni. E li fo Tumulo riverenza. Roma, il 27 Feb. 0 1638. Di V. S. molto 111/ 0 od Ecc.' nal3, S/ Gal. 0 Gal. 1 . Fuori: Al molto 111.” ed Ecc. m0 Sig/° e P.ron Col.™ 0 Il Sig/ [Galileo Galjilei, p.° FiL° del Ser."'° Gr. D. Firenze. 0) Di stile fiorentino. (*) Fkanobsoo duoli Ai.bizzi. Lo scrivente non ha apposta la firma. 302 27 FEBBRAIO 1638, L3G90J 8690 **. FULGENZIO MIC ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 27 febbraio 1638. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 85. — Autografi il poscritto o la sottoscrlziono. Molto 111. ot Eccoll. mo Sig. r , Sig. r Col. 7 " 0 La collegata doveva mandarsi lo spazzo passato, ma non mi fu trasmessa a tempo. Mi dico il Giusti (1) libraro, elio in Livorno sono già. arrivati alcuni libri, elio li sarano mandati di qua, e credo riceverli avanti finisca la quare¬ sima. Mi giova credere che tra quelli siano li Dialoghi di V. S. Eccoli. 1 ® a , poiché so per la via di Parigi liavorà il Sig. r Elzivier ricevuta la dedicatoria e l’ultimo compimento, è credibile baveri! finita l’opera, la quale viene aspettata con grand’an¬ sietà. da quei pochi che hanno gusto della materia o speculacioni pellegrino. È qui ancora un gentil Intorno Siciliano, molto intelligento e discroto, et in particolare nolla prospettiva o fabrica do* specchi ha molto cose peregrine, io Mi dice liaver preso il viaggio por la sola curiosità di conoscoro li professori di questo sciontio peregrine, et elio in Roma ha conversato con il P. D. Benedetto, discepolo di V. S., e con quei professori Giosuiti, tra’ quali non ha osservata cosa nova; et in particolare del P. Scheinor non parla con hiperbole, anzi elio no i suoi proprii istromonti 1’ ha trovato assai corto. Dice anco elio vi è un Giesuita cho scrivo contra li Dialoghi di V. S. Eccoli.® 11 , professando una confutatone con li proprii argomenti di lei. Vedremo anco questo, o se saprà farci stravedere. Dico questo Signore, che principal desiderio suo ora d’impararo qualcho cosa da V. S., ma cho l’ha ritrovata così indisposta dolla sanità cho non ha ardito travagliarla. Si è abboccato in Bologna anco col P. Cavalliori, et havuto di- 20 scorso sopra il suo Specchio Ustorio, del quale sicome loda la diinostrationo, così tiene cho in opera non riesca; 0 me ne ha detta qualche buona ragiono, fondata sulla prattica dolla matoria. Procurava qui in Murano la fabrica de’specchi grandi concavi, ma non si trova nè chi li sappia fabricar giusti nè mono lavo¬ rare. L’istesso era avvonuto per manti anco a mo, che grandomonto no bramava uno per qualche bizaria che mi passa per mente. Il mio medico qui non mi sa riccordaro per la flussione dogi’occhi cosa di meglio che il sedagno ; ma già V. S. lo prova, 0 sento estremo dispiacere cho Lott. 3090. 5. di V. Eeceil. na — 7-8. anielà — <•> Giusto Wiffkudich. 27 FEBBRAIO 1638. 303 [3600-3691] ricova il tormento senza profitto. Egli però stima eli e debba sentirlo alla venuta so della stagione migliore. Li dirò una cosa ridicola, ma ricordata giù, dal nostro buon Pietro Asselineo (1) , di cui V. S. deve haver memoria; et è, tenersi sotto il guan¬ ciale sempre un poco di pan biscotto, et avanti l’ultimo sonno mangiarlo, sì che sopra vi si dorma qualche poco. Non potrei esprimono a V. S. quanti in prova ne hanno ricevuto sorvitio, particolarmente in questo di asciugar gl’humori. Se sa¬ pessi di meglio, benché fosse con parto dol mio sanguo e della mia vita, può creder V. S. che lo raccorderei, si come non posso deplorar sufficientemente la perdita della sua sanità, quale gli progo ristorata dalla mano dol Signore Iddio con tutto il mio affetto : o lo baccio le mani. Ven.% 27 Febraro 1638. 40 Di V. S. molto 111. et Eccoli. Ilo informationo di due che sono guariti con l’application© di un vessicatorio diotro nella coppa; ma é potente revulsione, nò senza dolore : ma fa l’effotto presto. Credo però che quegl’ Ecc. mi mo¬ dici costì lnworano considerato tutto. Dov. mo Sor. F. F. 3691 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Campoli, 27 febbraio 1638. Blbl. Naz. Fir. Appondico ai Mas. Gal., Filza Favaro A, car. 148. — Autografo. Molto DI.” et Ecc. m0 Sig. r mio P.ron Col. mo Ricevetti le bottarghe, che veramente sono cosa esquisita ; onde ringrazio V. S. quanto io posso, mentre lo vo godendo per suo amore. Ancora non è tempo di poter trovare agnelli o capretti in questi paesi, e tanto mono di verso Radda, d’onde cavai gl’ ultimi raviggiuoli, elio erano ancora dol frutto dell’anno passato ; o innanzi Pasqua non credo si babbi a trovar cosa buona. Mando però due colombacci, due colombelle o sei tordi, che in tutto costano quattro giuli. Gli mando ancora un panierino d’uva assai buona, por quanto mi dico chi me l’ha donata. Gradisca Y. S. il mio affetto, mentre co ’l (U Pietro Abskunkao. 304 27 FEBBRAIO 1638. [8691-3602] fino gli faccio debita reverenza, aspettando fra pochi giorni di venire in persona io a riverirla. Da S. lft Maria a Campoli, 27 Foli. 0 1637 (l) . Di V. S. molto 111." et Ecc. m * Non ho potuto trovare per Mesa. Marco w so non otto lib. di susino, perchè gl’ incettatori a quest’ora V hanno raccolto, e non si contentano di raddoppiare. Mando queste pocho, elio costano un giulio. Devoties." 10 o Oblig. mo Se.™ Alessandro Ninci. 20 3692 . FRANCESCO R1NUCCIN1 a GALILEO [in Arcotri]. Venezia, 27 febbraio 1038. • Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XII, car. 38. — Autografo. Molto HI." et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Osa.® 0 Del favore che mi promotto dello piotro lucifere w , resto con particolar ob- bligationo alla gentilezza di V. S., alla qualo ne rondo affettuosissime o devo¬ tissime gratie. Di qui gli posso diro elio rimanghiamo quasi in secco, perchè l’acquo quando sono in colmo sono bassissime, o quando calano lasciano molti rivi del tutto asciutti, e particolarmente quello dove io habito. Da questi bai-caroli mi vien dotto elio Tacque dureranno a far questo effetto fino a mezzo questo altro mese, perchè (così dicono loro) sono in amoro. Non lasci giit V. S. di continuare a me il suo, insieme con la sua gratia, già. elio io no vivo tanto anibitioso o no la io prego con tutto l'affetto, baciandoli con il medesimo le mani. Venetia, 27 Febb.° 1638. Di V. S. molto HI. 10 ot Ecc. ma Dov. m ° et Obb. mo Se.™ S. T Galileo Galilei. Frali. 00 Rinuccini. <*> Di stilo fiorentino. t 5 > Marco Amhhooktti. < a > Cfr. il,® 3G72. [3693-3094] 28 FEBBRAIO — 3 MARZO 1638. 305 3693 ** ROBERTO GALILEI a [GALILEO in Arcotri], Lione, [28J febbraio 1638. Bibl. Naz. Fir. Msa. Gal., P. VI, T. XIII, car. 87. — Autografa. Molto 111. 0 mio Sig.™ Oss. mo Como si dice o si vedo volgarmente, un gusto non vio.no mai se non accon- pagniato di qualque amaritudine ; e questo ho visto o sperimentato in più e più occasiono o bora maggiormente mi viono raffermato, elio essendomi con S. S. molto 111.° ralograto della sua ricuperata sanità mi dà adesso maggioro campo di cordoglio la perdita fatta della vista, qual accidente mi affrige nel profondo del quoro. Solo li dirò elio li colpi inres anali ili hanno di bisognio di somma fortezza: co li manda Dio per nostro maggioro merito. So elio per sua prudentia, elio ha mostrata in ogni altra sua occasiono, saprà da sè medesimo andare pigliando io quello consolasene che io non li potrei dare in così acerbo accidente. Solo li dirò elio li rosta la vita, con la quale andrà facendo maggiormente rilucere io sua virtù, elio pregilo Dio segua longamente, tale, qualo gli no desidero. 11 pieghetto elio la mi raccomandò por il S. Elia Diodati, lo mandai, se¬ condo il solito, a suo destinato viaggio; o subito capiti la risposta, quale non puolo tardare, gli ne manderò subito, secondo il solito. Il S. Rabout, Consolo de’ Fransesi a Livorno, doverà essere arrivato (1> , al qualo consegnai un libro per S. S. a , statomi di Parigi raccomandato dal P. Mor- cena, Minimo, sotto coperta del S. Cav. ro Gondi l2) . Spero li sarà capitato, et io gusterò saperne il propio. PI facendoli con questo lo dovuto reverentio, li pre- 20 gherò da N. S. ogni vero bene. Di Lione, questo dì 30 (sic) Feb.° 1G38. Di V. S. molto 111. 0 Sor.™ Aff.’ n0 o Par. to Dov. ,uo Iiub. t0 Galiloi. 3694 . ALFONSO ANTONINI a GALILEO in Firenze. Saciletto, 3 marzo 1638. Bibl. Naz. Fir. Msb. Gal., P. VI, T. XIII, car. 88. — Autografa. Molto lll. r0 et Ecc. ino Sig. r mio Oss. mo Rondo afettuosissime gratie a V. E. Ecc. ma dell’ bollore che mi fa di man¬ darmi la sua nuova osservatone nella luna* 3 ’ ; e può ben esser sicura che il mio Cfr. n.<> 8687. <*> Cfr. u.® 8684. <*> Gio. Battista Conni. se XVII. 306 3 MARZO 1638. [8694-3696] desiderio di vodcrla publicata deriva da buon zelo, cliò altro non può cadere nell’animo mio. Non resti V. S. Ecc.°* di far parto al mondo dei nuovi frutti doliti sua virtù incomparabile, perchè sì corno la sua gloria è giunta al sommo, così sono giunti la invidia o ’l livore, seguaci indubitabili ; sì elio i suoi nuovi parti possono ben acrescero il beneficio all’universo, ma non acroscer quelli. Io ri- sorbarò questa apresso di me, poiché così V. S. Eoo.”* desidera; ma panni un gran peccato il defraudarne lei del merito, o i curiosi del contento. io Mi dispiace intimamente del male sopravenutolo agli occhi, elio mi fa du¬ bitare che la invidia sia passata fin nella natura. Queste tonobro sono di gran duolo a chi l’ama, ma funesto agli indagatori dolio coso celesti. Dio renda a lei quel lume, che ha servito di tanto lume a tutti gl'ingegni. Io confermo a V. S. Ecc. 1 " 1 * il mio antico sviscerato afotto; ot l’assicuro elio sì come tutti quelli che hanno osservato o che osservano il cielo cedono a lei, così io non cedo ad alcuno di quelli elio osservano la sua virtù o ’l suo merito. E por fine lo bacio afettuosamento Io mani. Di Succhietto, li 3 di Marzo 1638. Di V. S. molto IH." ot Ecc. ma Sor.” Aff. mo ot Cord.® 0 so Alfonso Antonini. Fuori (Valtra mano: Al molto 111.™ ot Ecc. m0 Sig. r mio Oss. rao Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 3695. DINO PERI n [GALILEO in Arcotri], Pisa, 3 marzo 1638. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal.. P. I, T. XI, car. 279. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r o P.ron mio Col. mo Non rimando por istasera a V. S. molto 111. 1 * ot Ecc. nni la sua lettera del Sig. r Piocolomini (i> , perch’io desidero di mostrarla ancora ad alcuni amici, elio no riceveranno gusto grande. L’Ill. m0 Senator Soldoni (,) fu incontrato da me otto dì sono per Pisa, e nel farli riverenza mi disse d’esser por partire il giorno di poi per Firenze. Dotti nuova di tal lettera all’Altezze hiermattina, o la lessi particolarmente al Ser. mo Principe Leopoldo et al Gran Duca. Ringratiai ancora il Ser. m0 Gio. Carlo della intentione, che havoa V. S. saputa da me, di («) Cfr. u.° 3070. < s * Iacopo Soluani. [3695-3696] 3 — 5 marzo 1638. 307 volerlo inviar della malvagiao mi replicò di voler la sera metterla in esecu- lo tiono. Tutti poi questi Ser. mi Principi la compatiscono teneramente, e vorrebbono poter trovar modo di restituirlo o la vista o la gioventù. Si trova da ino da parecchi di in qua il P. Francesco <2, } il quale si scusa con V. S. del non haverlo fatto motto nella partenza, perchè fu assai improvisa. Scppo il Gran Duca esser mio ospito, o cosi hiermattina, mandandomi a chia¬ mare, mi commesse ch’io menassi meco il Padre ancora. L’occasione fu una gran partita di stranienti, venuti a S. Alt. za di Aiomagna. Volse intanto elio il Padre vedesse i suoi occhiali, e disso S. A. che, per sapere come il Padre era de’ se¬ guaci del Galileo, gno no voleva donare uno, o buono bone ; o così gne ne donò uno, contrassegnato de’ migliori fatti da Tordo (3) . Il P. Francesco ringratia però co V. S., riconoscendo da lei in gran parte questo donativo. Altro nuovo ancora potrei dare; ma il Padre medesimo, elio non starà molto a ritornar costà, gno ne racconterà pienamente a bocca. Il Sig. r Marsilii (4) non l’ho veduto doppo questa lettera di V. S. Il Sig. r Pio- ralli w è stato parecchi dì a San Miniato, donde è tornato stasora, o l’havrò qui a cona. Presenterò all’uno e all’altro i saluti di V. S.; o perch’io so l’animo loro, mi muovo anticipatamente a ringratiarla o a risalutarla con singolare af¬ fetto. Io poi me lo inchino con devotissimo cuore, e con liumilissima reverenza lo bacio la mano. Pisa, 3 Marzo 1637 (fl) . so Di V. S. molto 111." et Ecc. ,na Oblig. mo o Dovotiss. 0 Sor. TO Dino Peri. 3696. VINCENZO ItENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 5 marzo 1(538. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 90. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo mio S. re o P.ron Col.' 110 Sarò breve per esser ritornato di villa, dove son stato alcuni giorni, risor- bandomi a scriver più a lungo con altro ordinario. Dalla prima vista dolla sua lettera non Lo ben compreso il modo di misurar Io distanze col’occliialo, ma forsi col por in opra lo strumento l’intenderò me¬ glio. Tra tanto m’avvisi se la righetta va contro l’occhio libero, perchè contro <*• Cfr. n.o 8674. <*> Famiano Miohkmsi. < 8 > Ippolito Frangisi. <*> Albssanoro Marsili. CO) Maroantoxio Pikrai.t.t, (®) Di stilo fiorentino. 308 5 — G MARZO 1G38. [8696-8697 J al’occliio dol telescopio non mi par che si possa accommodare. Circa il misurar la grandezza delle stello con un foro fatto in una lamina, stimo cho si potrobbo faro servendosi dol diametro di dotto foro nello stosso modo elio vogliamo ser¬ virci di quello della pupilla, mentre porò dotto foro si faccia più piccolo di quella, io M’avvisi por gratia se ci ha difficoltà. È giunto a Genova un ritratto dolla luna, inviato qua dal P. D. Benedetto Castelli, con voce d’un telescopio nuovo inventato da un tal Fontana (W a Napoli, elio mostra molto più osquisitamonto lo coso elio non fanno i consueti. Non so s’ella no habbia notitia: tutta via, per quel elio dalla detta solinografia posso comprendere, non so so sia por corrispondor al grido. So ne lia inteso cosa alcuna, di gratia me no dia parto. E lo bacio affottuosamento lo mani, con speranza di rivederla questo estate. Di Genova, adì 5 Marzo 1638. Di V. S. molto 111.” ot Ecc.®’ Obl. mo o Cordial.® 0 Sor.™ ::o D. Vinconzo Konieri. 3697 *. GALILEO ad [ELIA DIO DATI in Parigi!. [ArcotriJ, 6 marzo 1638. Bibl. Naz. Fir. Msh. Gal., P.V, T. VI, car. 87*. — Copia di mauo di Vinobnzio Viviani. In capo a quosto frammento il Viviani nota: «O.O. 6 Marzo 1637 ab Jncar.” ». con lettere dal Sig. Lodovico Elsevir, nelle quali mi sollecita ad in¬ viargli le copie di tutte P opere mie fatto latine per metter mano all’ impressione ; e forse tratanto, conforme a che egli per altra sua mi aveva significato, stamperà il mio Dialogo do’ Sistemi tradotto in fiammingo da un ingegnere de’ SS. Veneziani, pur di patria fiam¬ mingo (2> . Mi domanda copia dell’opere già stampate per metter mano tratanto a fare intagliar le figure; ma qui non se ne trova già gran tempo fa, e se V. S. potesse mandargliene, almeno in presto, mi sa¬ rebbe gratissimo etc. E circa allo spaccio che possiamo esser certi che siano per avere tali mie opere, glie ne sia argomento che ho da io amici miei che ànno veduto pagare una copia del mio Dialogo 6 doppie al libraio che qui lo stampò, e continuamente ce ne sono grandissime chieste: ma dell’altre opere non se ne trova. (*' Fkancksoo Fontana, ‘ 2 > Francesco van Wrkrt. [3G9S-3G99] G MARZO 1638. 308 3698. GALILEO a FRANCESCO DI NOAILLES [in Parigi], Arcctri, li marzo 1033. Cfr. Voi. Vili, p&g. 13-44, e pag. 305. 3699. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 6 marzo 1038. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 40. — Autografa. Molto 111." ed Ecc. mo Sig. re o P.ron Col. m# Ilo parlato con Mons. r Assessore w , o m’ha detto clic assolutamente questa sera si sarebbe mandata la lettera a Firenze, con l’ordino elio V. S. potesse an¬ dare a Firenze e medicarsi; mi ha poi soggionto che ella si astenosso da fare discorsi e congressi etc. Io V ho assicurato che V. S. mai parla nè tratta di cose appartenenti a materie sospetto nè prohibitc, e che in questo cil in ogn’altra cosa va unitissimo alla volontà, di Dio o do’ superiori, e che io sarei entrato a ogni sorte di sicurtà c della mia vita stessa. Io glie lo scrivo, non perchè du¬ biti elio olla non sia osservantissimo o puntualissimo, ma a fino si guardi dalle io calunnie quanto più sia possibile. Nel resto si raccomandi a Dio ed alla Ma¬ donna Santissima Vergine o Madre, e non si dubiti. Il Sig. r Magiotti o Sig. r Borghi li fanno rivorenza, conio fo ancor io di tutto cuore. Roma, il 6 di Marzo 1638. Di V. S. molto 111.” od Ecc. ma Devotiss. 0 e Oblig. mo Ser.” o Dis. 10 S. r Gal. 0 Gal.' Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111." ed Ecc. mo Sig. ro e P.ron Col.® 0 Il Sig. r Galileo [Galilei, p.°] Fil.° del Ser. m0 Gr. D. di Tos. a Firenze. <»» Cfr. ri.» 8689. 310 6 MARZO 1G38. [3700-3701J 3700 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Anidri], Venezia, 6 marzo 1638. Bibl. Eot. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, B* LXXXVII, n.« 11. — Autografa Molto Ill. ro ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Oss. mo Non posso por bora servire a V. S. circa il particolare elio desidera do i flussi o reflussi (1) , cioè so il flusso, elio è maggiore no’novilunii o pleniluni^ sia talo per il massimo alzamento dcH’acque o puro por il massimo abbassamento di osso; sì perchè questi barcaroli non no sanno cosa veruna, sì anco perché io, por star di partenza di questa casa, non ci ho posto l’animo por osservarlo. Ilo ben fatto fare un palo por ficcare d’avanti alla porta, por amor della gon¬ dola, con certo misuro, dovo si potrà minutamente osservare il tutto; ma finché non tomo alla casa nuova, non posso far cosa buona. Intanto, supplicandola .a continuarmi l’onoro della sua gratia, gli bacio di cuore lo mani. Yonetia, 6 Marzo 1638. Di V. S. molto lll. ra ot Ecc.™ Dov. mo et Obb.“® So. r ° S. r Galileo Galilei. Fran. co Itinuccini. 3701 *, FRANCESCO BARBERINI a [GIOVANNI MUZZARELI.I in Firenze]. Roma, 6 marzo 1038. L'originalo di questa lettola fu un tempo nell’Archivio doll’Inquisizione ili Fironzo: cfr. In in forni aziono promossa al n.« 8692. Noi la riproduciamo dall'edizione procuratane tra i Nuovi documenti inediti del procedo di Oalileo Oulilei illustrato dal Dott Artuho Wolthski. Fironzo, tip. dolla Gazzetta d'Italia, 1878, png. 27. Molto Rev. Padre, La Santità di Nostro Signore, col parere di questi miei Eminentissimi, s’è compia¬ ciuta di permettere a Galileo Galilei, che dalla villa d’Arcetri, ove sta ritenuto, possa farsi trasportare a sua casa in Fiorenza ad effetto di farai curaro do’suoi mali. Comanda però Sua Beatitudine eh 1 egli non esca per la città, nò meno ammetta in sua casa, a pub¬ bliche o segrete conversationi, huomini tali che gli possano dar campo di far discorsi della aim dannata opinione del moto della terra; volendo Sua Santità che particolarmente gli 10 <») Cfr. il.» 8092. 6—9 MARZO 1638. 311 [3701-37021 prohibisca sotto gravissime pene l’entrare a ragionare con chi si sia de sì fatta materiaW: o stia ella nel rimanente avvertita ch’egli osservi quanto da Sua Beatitudine e da questi 10 Eminentissimi se gl’impose. Et il Signore la conservi. Di. Roma, li 6 Marzo 1638. l)i V. R. Como fratello Il Card. 10 Barberini. 3702 *. LODOVICO ELZEVIER a GALILEO [iu Arcctri'J. Amsterdam, 9 marzo 1038. La semento lotterà fu pubblicata «la Anoblo Db Gubbrnatis, Carteggio Galileiano, nella Nuova Antologia, seconda serio, Voi. X VIII, 1879, pag.46; di poi figurò col n.° 983 noi catalogo dogli autografi posseduti dal Conto L. Paar o venduti all’asta li 20-25 marzo 1893 dalla Ditta Alberto Colin di Boriino; ma ignoriamo dovo ora so ne trovi l'originalo: perciò la riproduciamo dall’edizione del Db Gobkhnatis; cfr. l’informazione promossa al n.° 87. Excollentissimo Signoro et Padron mio Osservandissimo, Ho ricevuto la lettera do V. S. delli 6 Febbraio, per la quale ho inteso la sua infelicità, la quale non è men stata a ino che ad altri osservatori del suo nomo dolorosa. Prego Dio do consolargli nella sua alllittiono. In quanto le suo opere, comminciaromo quanto prima de far intagliare lo figure dolio macchie solari, e staremo aspettando l’ordine elio si ha da osser¬ vare nella stampa. Sarebbe anco necessario do veder quale serà la grandezza del volume, acciò cho il carattere o la forma sia d’una convenevole grandezza ; et allora cominciaremo con diligenza la stampa. Spero elio V. S. haverà ricevuto tutti gli fogli del sua opera : aspetto la con¬ clusione e gli errori di stampa per finirla. Al Signor Diodati manderò alcuno copie por presentar a quel Signore w al quale viene dedicato, cornino anche a V. S. per gli suoi amici. Il Signor Martino Hortensio gli saluta, et prega, havendo da scrivere a luy, d’indirizzare a me lo lettore, essendo per Francia la strada la più longa. Le copie della scrittura a Madama Gran Duchessa sono già imbarcate con altri libri per Venezia, indirizzato al Signor Giusto 13 ' libraro. Facendo lino, lo baccio lo mani. D’Amsterdam, a dì 9 di Marzo 1638. De V. S. Exc. L’ Humill. rao Servitore Ludovico Elzevirio. <•1 Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, u, 25). <*' Francesco di Noaii.i,ks. < 8 > Giusto Wiffumuoit. 312 9 — IO MARZO 1638. [ 3703 - 3704 ] 3703. GIOVANNI MUZZARELLI a GALILEO in Arcetri. Firenze, U marzo 1638. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. XII, car. 42. - Autografa. S. r mio Oss. mo La S. th eli N. S. si contonta di permetterò a V. S. il transferirsi da cotcsta sua villa alla casa elio tiene qua in Fiorenza por curarsi dolio suo indisposi- tioni (1 '. Dovrà però lei, nell’entrare in città, venire o farsi condurre qua a di¬ rottura al S. Ufficio por intendere da me quello che d’avvantaggio devo significarlo o prescriverle. E con questo lo bacio lo mani o lo prego da Dio ogni felicità. Fiorenza, li 9 Marzo 1G38. Di V. S. Fuori : Al S. r Galileo Galiloi, elio Dio guardi. Arcetri. 3704. GIOVANNI MUZZARELLI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 10 marzo 1638. Riproduciamo quosta lotterà dalla copia moderna citata noli’informazione promossa al n.° 3682. Noi «co* pialottore > che ivi indichiamo si leggeva a car. 23t. I Eminentiss. 0 e Reverd. m0 P.ron Colcnd. 0 Io ho significato a Galileo Galilei la grazia fattalo dalla Santità di N. S. e dalla Sacra Congregazione di potersi far portare dalla villa d’Arcetri a sua casa in Fiorenza por curarsi delle sue indisposizioni, e giontamente l’ho precettato di non uscire per la città, 10 (*) Cfr. il.® 3701. <*> Cfr. nu.i 3701, 3703. 10—13 MARZO 1G38. 313 [3701-3705] e con pena ili carcero formalo in vita o ili scomunica lutae sententiae, riservata a Sua Beati¬ tudine, di non entrare con chi si sia a discorrere della sua dannata open ione dol moto della terra. Egli si ritrova dall’età di 75 anni, dalla cecità, o da molte altro indisposi¬ zioni e sinistri accidenti che lo travagliano, talmente mortificato, che si può facilmente credere, come ha promesso, che non sia per trasgredire il comandamento che se li ò fatto. 10 Oltre di questo, la sua casa è in uno do’ più remoti luoghi e lontani dall’abitato clic forai sia in città ('); e di più lift un figliuolo molto morigerato e dabbene, che li assiste conti¬ nuamente, e questo ò avvisato da me di non ammettere in modo alcuno persone sospette a parlare col padre, e di far sbrigare presto quegli clic alle volte lo visiteranno, e son sicuro elio invigilerà ot eseguirà puntualmente, poiché, come si confessa obbligatissimo a Nostro Signore et a V. E. por la grazia fatta di poter essere in città a curarsi, così teme clic ogni minima cosa possa fargliela revocare, compiendo assai all’interesse suo proprio clic il padre si governi e che campi assai, perché con la morte di esso si perdono mille scudi che le dà l’anno il Granduca. Con tutto ciò invigilerò conio devo, affinché sia eseguito quanto viene imposto da Sua Beatitudine e da V. E.: alla quale aggiongo che il mede- 20 simo Galileo si raccomanda assai por poter farsi portare nei giorni eli festa, per quanto le sarà permesso dallo suo indisposizioni, a sentir messa in ima chiesa piccola, lontana da 20 passi dalla sua casa, e rn’lia richiesto di supplicarne, come faccio, V. E. E qui umi- lissimamente me le inchino o bacio la veste. Fiorenza, li 10 Marzo 1638. Em."" ot Kevermd.™ Si*.' Cardinale Umilissimo, Dovotisa,"'» Obbligetiss.'"", Francesco Barberino. j,' ra qì ov# Fanano, Inquisitore. 3705 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 13 marzo 1038. Blbl. Nat Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 44. — Autografa. Molto Ill. ro od Ecc. n, ° Sig. ro o P.ron Col . 1110 Tengo per fermo che V. S. molto Ill. r « od Ecc. mft haverà, kauta la grazia fat¬ tagli da questi Signori e da Dio benedetto di potersi ritirare in Firenze e me¬ dicarsi t2) ; si che non ha occasiono se non di consolarsi e rallegrarsi ed assicurarsi elio gli ofììcii fatti sono stati buoni o conforme al bisogno. Lodato Dio d’ogni cosa ; o veramente qua il Sig. r Assessore (3) ha portato il negozio con carità, od afFetto. O) Sulla Costa a S. Giorgio. Cfr. mi. 1 8G89, 3099. <*> Cfr. un. 1 3701, 8703, 3704. XVII. 40 314 13 MARZO 1G38. [3705-3700] Il Sig. r Borghi o Sig. r Magiotti li fanno riverenza, e si rallegrano d’ogni suo contento. Io poi starò aspettando il discorso promossomi dolio apparenze lunari {l \ quando però non sia d’incommodo a Y. S.: o li fo riverenza. io Di Roma, il 13 di Marzo 1G38. Di V. S. molto Ill. ro od Ecc. ma Dovotiss. 0 od Oblig. mo Sor.™ o Dis> S. r Galileo Galiloi. Don Bened. 0 Castolli. Fuori: Al molto 111.™ ed Eco." 10 Sig. ro Il Sig. r Galiloo Galiloi, p.° Fil.° dol Sor. 010 Gr. Duca di Tose.* Firenze. 3706 **. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 13 marzo 1038. 13Ibi. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 10. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111." et Ecc. mo Sig. r ot P.ron mio Osa.® 0 Ricevo dal Cav. ro mio fratello (t) lo pietre lucifero, o da V. S. il solito favore dello suo lettore, dello quali, conio di quelle, gli rondo devotissimo gratio. Mi di¬ spiace di sentire la nuova sua indispositiono di tosta, quale non vorrei clic po¬ tesse mai esser fatta maggioro dalla briga di rispondere alle mia lettore, o por- ciò la prego a volere in tutti modi tralasciar lo scrivermi in simili occasioni. Io ancora mi trovo da 6 giorni in qua con una infiammarono di occhi, elio m’impedisco totalmente lo scrivere di proprio pugno : non dimeno non posso lasciare di non dirgli conio ho chiarissimamcnto osservato, essere in questo no¬ vilunio il flusso o reflusso maggioro assai che nello quadrature nell’ abbassamonto 10 dell’acquo, lo quali mi dicano questi periti del paese elio a mozzo il presento mese o poco più comincoranno a non essere più in questo eccessivo abbassa¬ mento, il quale comincia adesso su lo 4 boro di notto o dura sino allo 20. E qui, pregandola a continuarmi il favore della sua grafia ot accusandolo il re¬ capito della sua por il P. M. F. w , gli bacio di cuore lo mani. Venotia, 13 Marzo 1638. Di V. S. molt’ IH." ot Ecc. ma Dev. rao et Obb. rao Se. ro Sig. r Galileo Galilei. Fran. 00 Rinuccini. IiOtt. 3706. 13. Olig.~* — 01 Cfr. n.o 3084. <*> Amedeo Ill.NCOCINl. <»! Padre Maestro Fulgenzio Miganzio. [ 3707 ] 17 MARZO 1638. 315 3707. DINO PERI a [GALILEO in Arcetri], Pisa, 17 marzo 1638. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gnl., P. I, T. XI, car. 281. — Autografa. Molto HI." et Ecc. m0 Sig. r o P.ron mio Col. m ° Bench’io sia senza tempo, non voglio mancar di dare al meno brevemente alcuno buono nuove ch’io so dalla bocca del Ser. mo Gio. Carlo: prima, della be¬ nigna inclinationo di S. A. verso V. S. molto III." et Ecc. ma , havendomi parlato più volte di lei con sentimenti di tenerezza. Mi ha detto ancora elio aspetta l’occasiono di qualche bel pesco grosso di 30 o quaranta libbre, per mandar con esso la malvagia: e tutto di suo moto spontaneo. Di più, elio ci sono non so cho nuovo di Roma per conto della liberatone di V. S. (1) , lo quali non orano ancor noto a Sua Altezza precisamente, so non in generalo cho orano buono, io Appresso dice di sapore che a Livorno sia arrivata la collana regalata dagli Stati d’Olanda a V. S . {i) Di tutto mi rallegro con lei, come ella può credere, con tutto l’affetto. Il P. Francesco si trova ancor qua, ma non più in casa mia; ha trovato miglior trattenimento. Il Ser.“° Gio. Carlo e poi il Sor." 10 Leopoldo ancora si sono invogliati d’assaggiar l’algebra, e così come a lor servito lo tengono custodito d’alimento o di stanza a S. Niccola. Dovranno essere a quest’ bora a casa mia sei fiaschi di greco, sicuramente arrivati ; e un cestino di 50 cantucci, eh’ io non potetti inviare per la modesima occasione, devono essere, se non arrivati, su l’arrivare. Desidero clic siano gra- 20 diti da V. S., venendo da un animo, come il mio, verso di lei devotissimo. Aspet¬ teranno il commodo del suo servitore, cho faccia motto a casa, credendo in questa maniera di sfuggir meglio qualche disgrafia. Finisco augurandole con tutto il cuore felicità, e con humilissima reverenza lo bacio le mani. Pisa, 17 Marzo 1637 (3) . Di V. S. molto I. et Eco." 1 * Oblig. mo o Dovotiss. 0 Sor." Dino Peri. <‘l Cfr. n.® 8701. <*> Cfi. nnJ 3168, 3477. <*> Di stilo fiorentino. 316 18 MARZO 1638. ( 3708 ] 3708 **. FAMIANO MICIIELINI a [GALILEO in Arcotri]. Pisa, 18 marzo 1088. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XII, car. 48. — Autografa. Fax Ghristi. Molto 111. et Ecc. m0 Sig. r e P.ron in Christo Col." 10 La lettera di V. S. molto III. et Ecc. ma mi lia apportato indicibile consola¬ zione, non solo per havermi assicurato della sua grazia, eli’ io la stimo sopra tutte lo altre cose temporali, ma ancora per havor conosciuto elio por l’avvo- niro le altrui mormorazioni non mi nuoceranno, nò (quol che più mi promo) sturberanno o inquieteranno V. S. molto 111. et Ecc. m& Non ho veramente dato piena fodo alle altrui ciarle ; nondimeno 1’amoro elio porto a loi mi ha fatto forse eccodero nello scriverlo con troppo senso. La prego a scusare la mia teme¬ rità,, e la ringrazio infinitamente della immensa gentilezza con la qualo si è io compiaciuta rispondere alle mie stravaganze o spropositi. Quanto al vino, non ne ho ancora parlato nò al Ser. mo G. Duca nò al Ser. mo Principe Gio. Carlo, porchò il Sor. 1 " 0 Principo Leopoldo mi ha promosso di sol¬ lecitarlo lui medesimo ; anzi egli stesso da sò si offerse di far simile ofiìzio noi leggergli io quel particolare del vino dolla sua lettera. Ad ogni modo farò an- ch’ io il debito con la prima occasione, anzi la piglierò a posta. Qua si trovano due predicatori insigni, o almeno stimati tali: l’uno, che predica a’ Cavalieri, è il P. Poggi, Servita ; l’altro, che prodica in Duomo, è il P. Niccolò Zucchi, Gesuita. Questo nella seconda predica ci ha dato un precotto ammirando in astronomia, por assicurarci sensibilmonte che il sole sia da noi 20 più lontano l’estate che l’invorno (cosa che sin hora non vi è dimostraziono, ma solo probabilità), e questo con l’osservare le macchie del solo col telescopio, che per vederlo distinte (disso egli) bisogna noli’ estate tener o adoperar diversa lun¬ ghezza di canna da quello che si adopera noli’inverno. Ilarò forso occasiono d’imparare altre belle cose, delle quali ne farò parte a V. S. molto 111. et Ecc. raa nel mio ritorno a Firenze, cho forse sarà presto, por pigliarci un poco di gusto di questo moderno astronomo o della sua astronomia, cho fa Vonore più vicina al solo di Mercurio, perchè quella significa la bellezza e questo l’ingegno. Ho ricevuto due saluti per parte di V. S. molto 111. et Ecc. ma , l’uno dal Sig. r Filippo Pandolfini, e l’altro dal Sig. r Dino Peri. La ringrazio di nuovo, o 80 si assicuri che io l’amo o riverisco quanto qualsivoglia persona più cara, o più, 18 — 20 marzo 1638. 317 [3708-3709] perchè da lei riconosco più boncfizii elio da mio padre. Nè occorrendomi per bora altro, le bacio le mani reverentemente, o le prego da Dio pienezza di vera consolazione. Dco gratias. Pisa, 18 Marzo 1638.’ Di V. S. molto 111. et Ecc. ma Indeg. m0 et Obbligatila. 0 Servo e Discepolo in Christo Fran.°® di S. Giuseppe. 3709. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 20 marzo 1638. Bibl. Naz. Tir. Mss. dal., P. VI, T. XIII, car. 92. — Autografa. Molt’Ill. 10 et Ecc." 10 Sig. r Col.™ Habbiamo perso con mio estremo doloro il nostro Aproino d’ima plouritide da lui stimata flato, per discuter il qualo con vini potenti, ha fatta l’iiifiama- tiono mortalo: sia in Cielo. Mi struggo con questo benedetto violino (1) : ogni dì mi si mostrano le let¬ tore, elio per far cosa perfetta ha convenuto lasciar passar il freddo, elio fra due giorni sarà in ordino, o mai si finisse. V. S. si assicuri che non lascio im¬ portunità. Non ho potuto in questo principio di luna far osservatione su l’acqua, por¬ lo cbò sono stato indisposto ; et ho pensiero farla un’ intiera lunationo di tutto il sommo et imo di tutti li giorni. Ho misurato qui noi canale vicino al Convento dalla 23“ sino al fine della luna : restava il secco, che non vi era d’acqua più che un quarto di brazo et una quarta d’asso quarto, non variando di un dito, et l’alzamento sommo un brazzo, una quarta e meza, sì cho l’acrescimonto non è più che un brazzio et un 8° di esso. Saria di parere di far stampare la lettera di V. S. all’ 111." 10 Comissario An¬ tonino delli moti lunari (2) ; ma no desidero il suo parerò, chò anco questo non servisse alla malignità. Il discorso De insidentibus ctc. l’ho prestato ai nostro ingegniero (3) , cho è 20 a Padova: lo rihaverò; ma conio privarmene, conio anco del Saggiatore, so ho giurato più tosto restar senza alcun libro cho privarmi delli suoi, cho sono la mia ricreationo o li godo continuamente? So non si può far in altro modo, li (») Cfr. n.° 3650. < ! > Cfr. li.» 3684, Francesco van Wekut. 318 20 — 24 MARZO 1638. [8709-3711] mandarò all’ Elzivir ; ma so n’ ha altri, la prego scusarmi : ma so non n’ ha, ali’ aviso li consognarò subbito. Et a V. S. molto 111." et Ecc.“* bacio lo mani. Ven.% 20 Marzo 1638. Di V. S. molto 111." ot Ecc. ma Dov. mo Sor. S. r Galileo. F. P, 3710*. LA CAMERA DELLA COMPAGNIA DELLE INDIE ORIENTALI agli STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI [all’Aja]. Amsterdam, 2 ;t marzo 1G38. Cfr. Voi. XIX, Doc. XLII, d, 7). 3711**. DINO PERI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 24 marzo 1638. Albi. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. XI, car. 283-284. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. rao Sig. r o P.ron mio Col.® 0 Il non esser io solito a ricever Ietterò so non por l’ordinario della domenica fa elio solamente la domenica sera io mando por esso il servitore alla posta; dondo ò accaduto elio la lettera di V. S. molto III. 8 ot Ecc.®*, inviatami por io straordinario no’ 15 del presento, non fu da me riscossa subito, ma portata poi tra altre dai portalettere nel Collegio di Sapienza il giovedì mattina, dovo, vedendola a caso uno do’ Buonaiuti mio scolare, la prese o immediatamente mo la fece bavero, che stavo desinando: e conoscendo al carattere venirmi da V. S., rifiutai ogni altra vivanda, o mossomi a leggerla, o inteso la premura del nc- gotio, me ne andai subito, senza metter tempo in mezo, infiammato dal desi- io dcrio che bobbi et barò sempre di servir puntualmente V. S., a trovare il Sor.® 0 Gran Duca: dal qualo hebbi immantinente benignissima udienza. Ma a pena sentito un cenno del negotio che ero per trattare, mi troncò il filo, con dirmi: Questa cappella è data è più di duo’ giorni, e 1’ ha bauta il Citorni ; biso¬ gnava maggior prestezza. Questo annunzio mi trapassò il cuore, conio olla può credere, o mi reso mezo perso ; con tutto ciò mi sforzai di rinfrancarmi, ina¬ nimito ancora dal sembiante placidissimo dol Sor.® 0 Padrone, e lo pregai a vo¬ lerò ascoltare in ogni modo con quanto ardore si moveva V. S. a domandare a S. Alt.™ questa gratia, acciò per ogni ultra occasione, che potesse succedere, 24 — 27 MARZO 1638. 319 [3711-3712] 20 gno ue restassi memoria. Stetto però ascoltando la lettera di V. S., che io lessi, dove bisognava, adagio e vivamente; e di più aggiunsi doppo, con più repliche, tutto quello elio mi parve a proposito a colpir efficacemente, per fermar nel¬ l’animo di S. A. proponimento di gratificar V. S., nella persona di Mess. Marco (1) , a qualche altra buona occasione. Mi rispose d’essor per ricordarsene o d’essorci molto disposto. Questo è l’esito del suo negotio, nel qualo havroi veramente volsuto miglior ventura ; ma la lettera di V. S. mi giunse tardi, anzi si spiccò tardi di costà, chè quand’ io l’havossi hauta in mano subito entrata in Pisa, in ogni modo tro¬ vavo il negotio finito, por quel ch’io deduco da quel elio mi disse giovedì mat- 80 timi il Gran Duca, sì come sopra lo ho riferito. Non son poi stato più a Palazzo da quel giorno in qua ; però non ho ancor passato l’altro olìtio col Ser. mo Gio. Carlo, significatomi da loi nella seguonto let¬ tera do’ 20. Non lascierò opportuna congiuntura. Il P. Francesco (2) rendo a V. S. duplicati saluti, sì come il Sig. r Pioralli' 3 ’ ancora, che se le ricorda obligato servitore, in occasiono massimo della spedi¬ rono ultimamente seguita circa la renunzia del suo canonicato, dove, per l’age¬ volezza o benignità concessale da V. S., ha potuto fermarsene un’annua pensiono di conto scudi. Lo bacia insieme meco con devotissimo affotto lo mani, o uni¬ tamente lo preghiamo dal Cielo prosperità. 40 Pisa, 24 Marzo 1637 (4) . l)i V. S. molto 111." et Ecc.™ Oblig. mo e Devotiss. 0 Ser. ro Dino Peri. 3712. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenzo. Roma, 27 marzo 1038. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., V. I, T. Xll, car. 84. — Autografa. Molto 111” od Ecc. mo Sig. r 0 P.ne Colend. mo Starò aspettando da V. S. molto 111.” avviso di quello elio averò più da fare in suo servizio, ricevendo per grazia particolare il potermi impiegare in esso. Il Sig. r Giovanni Trullio w parimente attende l’occasiono por potersi di nuovo stu¬ diavo di apportar a V. S. molto 111 ” qualcho sollievo allo sue infirmità; o so non fosse quivi impiegato con impiego così assiduo, mi prom ottona di farlo venir (*> Marco Amrrooktti. (*) Famiano Mioublini. < 8 ) Marcantonio I’ikkai.li. Di stilo fiorontino. <»> Gir il.® 3G85. 320 27 MARZO 1638. [8712-3713] costà a far l’oporaziono ; ma lo stimo por impossibile in riguardo dolio continuo occupazioni elio lo dà il Card. 1 Barberini, suo padrone 11 '. Egli ringrazia V. S. molto 111.” dell’onoro che lo fa nella cortese sua lettera, o la prega por l’utile publico a sottomettersi alla cura por ricoverar almeno la vista dell’ occhio io destro. Io poi mi rallegrò con V. S. molto 111." dello nuovo elio mi lia dato il Padre Abbate (>) , cioè cho le sia pormosso il ripatriaro 1 *. Piaccia a Dio elio sia per moltis¬ simi anni con intiera sanità, mentre io a V. S. molto 111.” dal Cielo auguro folici lo prossimo Santo Foste, o lo faccio umilo riverenza. Di Roma, li 27 Marzo 1638. Di V. S. molto 111.” ed Ecc. ma Dovot. m ° ed Obbligat.® 0 Serv.” S. r Galileo. Firenze. Pier Patta Borghi. 3713. BENEDETTO CASTELLI n GALILEO in Firenze. Roma, ‘27 marzo 1038. Blbl. Nft*. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, cnr. 50. — Autografa. Molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. rt ' o P.ron Col.® 0 Ilo riccuta la lotterà di V. S. molto 111.” od Ecc. ma , o sentito gusto della grazia riceuta. L’ho lotta al Sig. r Assessore (4) molto mio Padrone, o m* ha dotto cho l’ordino dello visito non s’intendo rigorosamente, ma solo cho non si tratti, nè dia occasiono di trattare, di moto di terra etc., o m’ ha promesso di fare alla giornata ottimi oilicii per sua consolazione. Ilo consegnata la let¬ tera al Sig. r Borghi, ed inteso il stato suo, cho mi duolo assai ; ma mi piace cho olla si vadia conformando con la volontà di Dio, conio dobbiamo faro tutti. Non scrivo al lungo, non havondo occasiono nè tempo, solo li fo riverenza. Di Roma, il 27 di Marzo 1638. lo Di V. S. molto 111.” ed Ecc.®‘ Dovotis. 0 ed Oblig. rao Sor.” o Dis.'° S. r Galileo. Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.” Sig.” o P.ron Col. n, ° Il S. r Galileo Galilei, [-delj Ser. mo Gr. D. di Toscana. Firenze. <" Cfr. il.» 3654. |S| Bknkiirtto Castri.li. '*> Cfr. n.« 3701. Cfr. n.o 3080. [3714-3715] 28 — 29 MAllZO 1638, 321 3714. ÀGABITO 8EMONI a GALILEO in Arcotri. Firenze, 28 marzo 1638. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 62. — Autografa. Molto I1L" S. r P.ron mio Col. mo Ero venuto alla sua casa por raggionar seco (la parte del Padre Rev. rao Inquisitore (i) y ma perchè non lio trovato nessuno mi sono risoluto scriverli quanto occorro. Lo dico dunque elio esso P. Itov. rao si contenta che V. S. possa in que’ 4 giorni, Giovedì, Venerdì, Sabato Santo et il giorno di Pasqua, andare alla sua parrocchia o altra chiesa più vicina alla sua casa, por potersi confes¬ sare, comunicaro et attenderò ad altro suo divotioni, o puro starsene in villa, corno meglio lo parerà. Clio è quanto le devo: o rassegnandomi servitore al so¬ lito a V. S., lo bacio affettuosamente lo mani, io Di sua casa, li 28 Marzo 1638. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ,na Humiliss. 0 Se. ro F. Agabito, Vic.° del S. Off. 0 di Fir.* 0 Fuori: Al molto IH." et Ecc. m0 S. r P.ron mio Col. -0 il S.* Galileo Gal.* In sua villa. 3715. FAMI ANO MICIIELINI a [GALILEO in Arcotri]. Pisa, 20 marzo 1038. Blbl. Noz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 54. — Autografa. Fax Christi. Molto 111." ot Ecc. m0 Sig. r o P.ron in Christo Col." 10 Conosco haver commesso mancamento notabilissimo in non haver io di proprio pugno dato ragguaglio a V. S. molto 111." et Ecc. lna sì della mia improvvisa par¬ tita da Firenze, come dell’inaspettato trattenimento qua da questi SSer. m * Pa¬ droni; nè mi vale la scusa d’haver pregato più volto il Sig. r Dino Peri a compire con V. S. in mio nome, già che egli ha continua corrispondenza seco, nè mi giova il diro che in quei primi giorni mi ammalai di febre, nò finalmente mi suffraga 1* haver scritto al P. Clemente w che faccia, poi che gli obblighi infi¬ lo niti che tengo con V. S. molto 111." et Ecc. ma dovevano avvalorare la mia debolezza e far animo alla mia soverchia timidità in comparirle avanti tanto povero di <*) Giovanni Muzzamclm. < a ) Ci.bmkntb Settimi. XVU. 41 322 2!) - 30 MARZO 1038. [ 3715 - 3716 ] sapore. Il malo ò fatto, il pentimento ò grandissimo, o da loi sto attendendo una grossa penitenzia con un cumolo di comandamenti, elio il tutto sani rice¬ vuto da me come cosa preziósissima, venendomi da amatissima parto. Il Sor." 10 Gran Duca fu il primo a darmi nuova delle grazio elio V. S. ha ricevute da Roma u) ; no parlava con gusto particolare : o questo fu un giorno nello stanzo del Principe Leopoldo, mentre io davo un poco di lozzione d’alge¬ bra al Principe Gio. Carlo et al detto Principe Leopoldo. Si foco un lungo ragionare del valore di V. S. o delle suo disgrazio, del che sposso il Gran Duca • o tutti gli altri Principi ragionano con particolar sentimento ; ondo io ho havuto 20 et ho spesso occasione di assicurarmi, anzi di toccar con mano, che questi SSer. mi Principi la riveriscono e stimano assaissimo, e più d’ogni altro soggetto che liabbino in questo felicissimo Stato l’ammirano. Mi rallegro seco in estremo d’ogni cosa, 0 la ringrazio poi non solo della memoria cho si degna conservar di me, ma ancora do i buoni uilizii cho V. S. ha operati con questi Ser.“ l Pa¬ droni, por i quali bora io vengo solamente honorato singolarmente. Solo mi di¬ spiace cho non saprò corrispondere al nomo cho V. S. ha sparso di me, che in vero eccede d’assai non solamente il vero, ma ancora la mia ambizione, onde temo bavelle a far poco bollore. E qui per non più tediare V. S. molto 111." et Ecc. ma , profondamente inclinato le bacio lo mani. Dco gralias. 30 Pisa, 29 Marzo 1638. Di V. S. molto III." et Ecc. Bt 8716*. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcctri. Lione, 30 marzo 1638. Bibl. Naa. Fir. Appendice ai Mas. Gal., Filza Favaro A, car. 192. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. r mio e P.ne Oss. rao Di poi cho S. S. a mi ha scritto la sua do’ 6 di questo, dovorà havere rice¬ vuto il libro del P. Mercene, havendo havuto adviso di Pisa dal’RI.“° Sig. r <’) Cfr. n.° 3703. 30 MARZO - 2 APRILE 1638. 323 [3716-3717] Cav. r Gomli (1) cho 1* liaveva ricevuto e elio gli no faria havore, corno tenglio Laverà, fatto, o così mi gusterà, sentire. Il piccolo piegho, raccomandato por il S. Elia Diodati, l’ò mandato a suo destinato viaggio, corno farò d’ogni altro che manderà; così a loi le risposto cho verranno. La conpatisco poi nella sua indispositione. Sporo che entrando nella prima¬ vera, corno facciamo adesso, che questo li potrà, dare sollevamento o grande, io come gli ne agurio da N. S. Dio, con darli questo Sacratissime Feste di Pasqua con gioia o contento, con moltissimo appresso, con il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, questo dì 30 di Marzo 1638. Di V. S. molto 111. 6 Sor. 10 Aff. M0 e Dev. m0 Ilub. t0 Galilei. Fuori: Al molto 111. 0 Sig. r mio Oss. mo Il S. r Galileo Galilei, Matt. M primo di S. A. S. Li Firenze, in Arcetri. 3717 *. GIO. GIACOMO PORRO a GALILEO in Firenze. Monaco, 2 aprile 1638. Bibl. Eat. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, 13.» LXXXV, n.° 96. — Autografa. MoH’Ill.” Sig. r mìo Oss. mo Subito levato di letto, parlai al Sig. Conte Fiiccaro' 2 ’, qual m’ha detto che si contenta ch’il Sig. r Alberto (3) habbi proroga di tre altri mesi, acciò possi arrivar sin a Roma per sentir quelli virtuosi et avanzarsi nella virtù, purché poi se no ritorni al servitio. Ed io infinitamente ringratio V. S. delle parole mandatemi, belle tutte invero, ma bellissime quelle del Sig. r Bartolomei (4) , al qual vivo obli- gatissimo. Et a V. S., con il Sig. r Alberto, auguro le Sante Foste di Pasqua. Monaco, li 2 Aprile 1638. Di V. S. molt’ I1L" Obligat. rao Sor. ro Gio. Giacomo Porro. Fuori: Al molt’111. 10 Sig. r mio Osa.™ 0 Il S. r Galileo Galilei. Firenze. (*) Gio. Battista Condì. <*> Ottone Enrico di Fuggbr-Kirchhrim. <** Ai.bkrto Cksark Galilei. W Cfr. n.o 3648. 324 3 — 14 APRILE 1638. [3718-3710] 3718 *. FRANCESCO BARBERINI n GIOVANNI MUZZARELLI in Firenze. Roma, 3 aprilo 1638. Dalla pag. 27 doli’opera citata noli’informazione proinosua al n.» 8701. Anello di . Ho risposto che non so altro che quel che mi ha scritto V. S. su’ ragguagli del Sig. r Diodati, cioè che deva essere per strada, ma quel che possino importare le sue fermate o gli accidenti di mare non lo saprei. <*> Martino Ortensio. 14 — 1G APRILE 1638. 325 [3719-3720] Quando V. S. pensassi elio fusso su l’arrivare, e che però ella volesse dati gli ultimi ordini risolutivi, credo benissimo fatto che olla lo scriva al Sig. r Be¬ nedetto Guerrini, perché si tratta che la Corte di giorno in giorno sia per an- daro a Livorno ; oltre che il Sig. r Benedetto credo che saprà subito dove vadin dato l’ultimo e diverse commessami, che a me, malissimo pratico de’ negozii 20 cortigianeschi, potrebbe tornar cosa lunga. Potrà scrivere anco a me nell’istosso tempo, e la lettera per il Sig. r Guerrini la presenterò io o la invierò a Livorno diligentemente. Di tutto mi rimetto al giudizio di V. S., o sarò sempre pron¬ tissimo a quanto ella mi comanderà. Le mando incluso il mandato 10 ch’ella domanda, o Unisco facendolo con tutti gli amici reverenza, mentre devotamente lo bacio la mano. Pisa, 14 Ap. 1638. Di V. S. molto lll. re et Ecc. ma Dovotiss. 0 o Oblig. mo Ser. ro Dino Peri. 3720 . VINCENZO RENIERI a GALILEO in Firenze. Genova, 16 aprile 1038. 33Ibi. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 91. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. mo mio S. r o P. Col. ,no Fino dalla prima sua ben considerata, ponendo in opra il telescopio, com¬ presi benissimo il modo d’adoprarlo o di misurar gl’intervalli do’ pianeti di Giovo (2) : non ho però potuto ancora mettermi al’opra, per esser stato sempre impiegato fino alla gola in alcuno compositioni latine, impostomi per la coro- nationo dol nostro Doge (:i) . Hora cho son libero comincierò l’ossorvationi, e di mano in mano lo andrò notando. Il modo col qualo io stimava di misurar i diametri delle stelle è quello stesso con cui dagli antichi si misuravano i diametri del solo; cho era di fal¬ lo un picciol foro in una lamina, alla qualo ponendo l’occhio e poi fermandolo nel fine d* una riga di legno divisa in parti proportionali al sino, con un altro poz¬ zetto di tavola, cho ad angoli retti hor in su hor in giù potesse moversi su tal (»> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, b ), lin. 827-329, 336-838. <*> Cfr. n « 3696. De Serenissimi Duci» Augustini Pallavìeini eleetìone. Camion Panogyricuui D.Vinokntii Rkwbbii, Geuuensis, Monachi Montia Oli Yeti. È stampato negli Applausi della Liguria nella Reale Jncoronatione del Serenissimo Agostino Pallavicino, Duce della Repub¬ blica di Genova. In Genova, per Giuseppe Pavoni, MDOXXXVIII. 32G 16 — 18 aprile 1638. [3720-3721] riga, notando il punto nel quale la tavoletta ricopre la stella, si poteva da dotta tavoletta conio tangente venir in cognitione dol diametro. Starò attendendo in ciò il suo parere. Ilo caro d’intendere cho i christalli di Napoli non siano così miracolosi come altri scriveva, perché, al gran prezzo cho di là ne veniva chiesto, mi disperavo di poterne mai bavere. La ringratio dell’avviso ch’ella mi dà della mirabil trepidaziono dolla luna, alla quale attenderò con ogni diligenza. Speravo di poter essor da V. S. al fino di Maggio, ma non so so potrà ossor prima di Settembre: in ogni caso farò sforzo di sbrigarmi più presto cho sia possibile. Mi conservi tra tanto nella sua solita gratia, e di cuore le bacio le mani. Di Genova, adì 16 di Aprile 1638. Di V. S. molto Ill. r0 ot Ecc.'"* Dev. rao Sor. 10 D. Vincenzo Eenieri. Fuori: Al molto 111." et Ecc. mo mio Sig. r e P.ron Col. m0 11 S. r Galileo Galdoi. Fironzo. 3721 **. GIO. GIACOMO PORRO a GALILEO in Firenze. Monaco, 18 aprilo 1638. Il primo foglio di quosta lotterà, autografa, si conserva nell’Autografoteon Morrlaon In Londra; il secondo foglio, che contiene soltanto l’indirlsio, puro autografo, ò nulla Bibl. Nazionale di Fi¬ renze, Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.® 36. Molto 111." Sig. r mio Oss. mo Repplicho (1) a V. S. com’il Sig. r Conte Foccari per parte di S. A. Ser. m * ( *' si contenta che il Sig. r Alberto si trattenghi fuori ancor per tre mesi, per poter andar a Roma ed avanzarsi nel studio più elio può o poi tornarsene. Io poi la pregilo a volermi far gratia di procurar qualche versi morali, ma dilettevoli, come sarebbe di caccia, pescaggioni, maritime, burlesche, ot altri simili, por poter metter in musica per la nostra Ser. m ‘, qual si diletta grandemente di simili coso ; od bora babbiamo servitio alla tavola tute le feste e doi giorni della •U Cfr. n.® 3717. 1,1 Massimiliano I ili Baviera. 13721 - 3722 ] 18 — 20 aprile 1638. 327 settimana : perciò mi raccomando alla sua buona gratia. Et per fine la sup- io plicho raccordarmi sempre affetionatissimo al Sig. r Bartolomei (1) , ed a V. S. faccio riverenza. Monaco, li 18 Aprile 1638. Di V. S. molt’ Ill. ro Obligat. m0 Sor/ 0 Gio. Giacomo Porro. Fuori: Al molt’111/ 0 Big/ mio Oss.' no Il S/ Galileo Galilei. Firenze. 3722 *. GHERARDO SARA CINI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 20 aprile 1638. BiM. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVIII, n.® 174. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo S/ P.rone Oss. mo Io, elio sono singolarmente devoto all’ infinito valore di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma , non codo ad alcuno suo servitore nel desiderio d’effettuare i suoi co- mandamenti. Perciò le mandai subito il mandato w elio ella con la sua ultima mi dimandò. Ben è vero che non lo sottoscrissi, desiderando che nell’ istesso mandato da lei si facesse la ricevuta del denaro, e poi io l’liavrei sottoscritto quando il denaro le doveva essere sborsato. Questo mio desiderio nasceva dal disordine avvisatomi da’SS. ri Soprasindici, i quali hanno dell’anno passato un mandato fatto a V. S. Ecc. ma , il quale non è stato riscosso o dà difficultà al io mio negotio. Tuttavia, perchè ella comanda, le rimando il mandato sottoscritto, o preferisco il suo gusto ad ogni mia commodità. Mio Signore, l’assicuro che la riverisco quanto devo, cioè in estremo, e la supplico a farne prova con altri comandamenti. E per fine le fo affetionatissiraa riverenza. Pisa, 20 Aprile 1638. Di V. S. molto 111/® et Ecc. ms Ser/° Devot. mo Gherardo Saracini. (‘1 GlROl.AMO lURTOI.OMUm. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXI, l), lin. 327- 330, 886-338. 328 21 ÀPB1LE 1636. 13723] 3723 . DINO PERI a [GALILEO in Àrcotri]. Pisa, ‘21 aprile 1G38. Blbl. Knc. 3?lr. Mas. Gai., P. T, T. XII, cnr. 68-59. - Autografa Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col. ,n0 La settimana passata, per molte diligenze eli’ io facessi, fui trattenuto fino al mercoledì a notte ad ottenere il mandato per V. S. molto 111.” et Ecc. ma ; e maravigliandomi poi di non lo veder sottoscritto, mi fu dotto e replicato più volto, testimonio Niccolò Buonaiuti mio scolaro, di’ io non no hayessi maravi¬ glia nò pensiero alcuno, elio gli stava benissimo, elio por il Sig. r Galileo an¬ dava fatto cosi, o elio il Sig. r Galileo lo sapova benissimo. Non voglio disten¬ dermi più oltre in discolparmi appresso di V. S. Ecc. ma , riserbandomi a bocca ad informarla a pieno conio stia il fatto; dovo ella riconoscerà il mio solito zelo di servirla puntualmente o la vera disposiziono degli amici. Ho impetrata io la grazia della soscriziono da Monsignore <1! , e una lettera (2) approsso, con la quale invio questa et il mandato insieme. Vorrebbe Monsignore cho olla riscuotesse presto il denaro, perché altrimenti nasce confusione. Il P. Francesco non 1’ ho veduto son parecchi giorni : intondo cho andò Inori a Livorno por corti suoi negozii. Ho passato nuovi complimenti in nomo di V. S. Ecc. ma col Sig. r Marsilii, elio ha ricevuto la di lei lotterà o la ringrazia in infinito degli honori cho olla li continua. Io poi vivo assai solitario ; con tutto ciò, por il gusto che mi scrive V. S. Ecc. mft , sarà da me proccurata la conversatione di questo Signore. Gli SS. Pieralli o Piorucci (8) ancora rendono a V. S. somme grazio do’ continuati saluti. Sentiamo ben tutti disgusto gran- 20 dissimo del suo compassionovole stato, e particolarmente della offesa elio sento dalle specolazioni la sua tosta, per altro immortalo e divina. Resto perù io tanto più maravigliato o con gran consolazione, por la nuova che ella mi conferisce di haver tuttavia internatosi nella profondissima spocu- latione della percossa et haverno acquistato la sua quasi intera sodisfazione. Mi preparo a riverire e ad ammirare in questo ancora gli altissimi o nobilis¬ simi concetti di V. S., si come in ogni argomento l’intelletto suo si ò sempre sovra ogni Fumana condiziono discoperto sublimo o venerando. Riconosco poi da un eccesso della sua cortesia e del suo affetto verso di me la troppa stima < S > SÌABC’AnTOMO FlKBAt.ll o Gto. Michklr Piu- • ') UlIRRARDO SaRAOIKI. <*> Gir. u.° 8719. RUCCl. [3728-3724] 21 - 24 aprile 1G38. 329 so che fa del mio giudizio ; o ringraziandone V. S. Ecc.“ m con tutto l’animo, lo fo liumilissima roveronza o devotamente le bacio lo mani. La Corto è a Livorno da Ineri in qua, e si dice elio torni qua sabato, o da alcuni lunedì. Pisa, 21 Ap. 1638. Di V. S. molto IU. r0 ot Ecc. m[| Oblig. mo o Devotiss. 0 Ser.° Dino Peri. 3724 . FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 24 aprile 1G38. Bini. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XIII, car. OC. — Autografa la soltoscriziono. Molto 111. et Eccoli. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Col.’" 0 Son stato indisposto di catarro o raffredamonto, e con il capo, oltre le mie solite occupationi, involto anco, sicome tuttavia sono, in frattarie o negotii ca- pitulari, e perciò distratto dal pensare nè alla luna nè a quello che faccia l’aqua, e non ho anco scritto a V. S. molto 111. et Eccell. nm Io ho lotterò dell’ Ill. mo Sig. r Comissario Alfonso Antonino, che mi sollecita a scrivere a V. S. clic sarebbe cosa desiderabile il publicare colla stampa que¬ sto suo novo osservatigli lunari (il , perchè so n’ è parlato con tanti che è im¬ possibile che non capitino a notitia di quelli che sono tanto ambitiosi et avidi io elio trovano maniera di farsi inventori anco delle cose del Testamento Vecchio; ma considera duo cose : l’una, elio V. S. debbo bavere qualche altro partico¬ lare, oltre li contenuti nella lettera, da aggiongerci ; 1’ altra, che fosso bene lovar da essa lettera quello clic può irritare quelli conosciuti ingiustissima- mento implacabili. Qua da noi non importarebbe, anzi desidoravessimo aggion- gorci qualche notabilo sferzata, ma convien liaver riguardo al luoco ove V. S. si ritrova. Di questo trattaremo quando io Labbia il cervello un poco meglio a casa. Per il violino, mi ha mostrato ultimamente il Sig. r Monteverdi (2! lotterà nella quale suo nepoto li scrive che il novo si va mettendo in ordino, non si 20 potendo perfettionare, volendo cosa esquisita, se non sole gagliardo ; ma che no ha un vecchio di esquisita perfottione, ma che ne vogliono duo ducatoni di più, cioè 14, che del novo. Io l’bo pregato a far mandare questo quanto prima, o che non si guardi a spesa. Mi lia promesso farlo, e l’aspetto di giorno in (») Cfr. u.° 8684. •*> Cfr. u.° 3709. XVII. 42 330 24 APRILE — 7 MAGGIO 1G38. [3724-8726] giorno. In cosa che mi conviene passar per mano altrui, la progo scusarmi, o lo giuro che non vo n’ ha havuta negligenza, ma diligenza anco importuna. E con tal fine a V. S. molto 111. et Eccoli.®* bacio io mani. Von.“, 24 Aprilo 1638. Di V. S. molto 111. ot Eccell. m * Dev. rao Sor. Sig. r Galileo. F. F. B725*. GIO. GHERARDO VOSSIO ad UGO GROZIO in Parigi. Amsterdam, 2 maggio 1088. Dallo png. 050-351 dcll'opora citata nell'informazione promessa al n.° 2917. -Collegne Hor beasi i iter negre procedit. Delegati Provinciarum in Generalinm Ordi- num consessu assignarant in itineris impensas bis mille cnroleos, quos potere iusserunt nb rei maritiamo Prnofectis, voi simili collegio quod Amstolodami sit (,) . Displicct id buie urbi. Si idem fecissent Ordines Ilollandiae, negotium inm confectum haberomus. Motuitur nunc no, si in minuto hoc Foederatarum Provinciarum dolegatis gratificotur, res sit excmpli non optimi, ac assuescant imperare quantum volont; immcnsam autem peouniam volent sompor, si urbem hanc, opibus ut aiunt affluentem, habere coeperint in talibus obse- quentem.... 3726*. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 7 maggio 1638. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, B.» LXXX, ».° HI. — Autografa la sottoscriziono. Ricevo la gratissima lcttora di V. S. molto 111.™ ot Eccoli.®* del primo. Il violino venirà, pur finalmente, e bieri il Sig. r Monteverde w mi mostrò la lettera nella quale suo nepote li scrive che è in pronto, o sarti por la prima : basta che di lù. parta. Sento mortificatione che in tanto tempo ella non sia ancora servita, ma la colpa non è mia. Ilo fatta riscuotere la rata dolla sua pensioncella, maturata al Marzo pas¬ sato. V. S. ne disponga a suo piacimento. Il Sig. r Elzivir scrivo al libravo Giusti l3) elio li manda un collo di libri, o ponendo la lista non vi nomina li Dialoghi di V. S.; e puro questi sono finiti, **> Cfr. Voi. XIX, noe. XL1I, d. 3). 1*1 Cfr. n.o 3724. (») Giusto Wiiwsldioii. 7 MAGGIO 1638. 331 [3726-3727] io o li più aspettati. Ma anco in questo vegga V. S. la disgratia. Il vassello ha latto scala a Livorno, et ivi apunto ha lasciata la balla sudetta che doveva portar a Yenetia; ondo convien bavero buona pationza et aspettare che di là venga, come si è dato l’ordino. Mi paro però impossibile che V. S. non ne hab- bia sino adesso ricevuti. Io son immorso in occupatami pione di disturbi, che non mi lasciano pensar ad alcuna galantaria. E con tal fino a V. S. molto IH." et Ecc. ma bacio le mani. Von. a , 7 Maggio 1038. Di V. S. molto Ill. ro et Eccoli." 13 I)ev. n ’° Sor. r S. r Galileo. F. Fulg. 3 GIO. GIACOMO PORRO a [GALILEO in Arcctril. Monaco, 7 maggio 1638. Bll)l. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 86. — Autografa. Molt’ 111.™ Sig. r mio Oss. rao M’è rincresciuto molto Timer inteso Tindispositione tanto di V. S. quanto dol Sig. r Alberto suo nipote, e vorrei poter (bench’impossibile) esser buono con lo mio forzo a liborar ambidoi da questi travagli: mi do però a credere che la prudenza loro non prenderà ciò solo per visitatione divina. Y. S. tiene qua la risposta dal Sig. r Conto Foccari (1) e di suo nipoto mi¬ nore ( * ) . PoiclT il Sig. r Alberto non è andato a Roma, io giudicarci se ne rctor- nasse, con occasione cho di costì partirà un nostro della Corto per condili* qua certi cavalli al nostro Ser. mo ; tuttavia mi rimetto a quello che V. S. disporrà io por saluto del giovino. Desiderarci ricever un favore da V. S. segnalato ; ed è che mi facesse gratia mandarmi con tal occasiono doi para di calzette di seta nera, ma delle più grandi cho si trovino, che subito pagherò il costo al detto Sig. r Alberto. In¬ sieme la supplicho a far venir per mezzo do cotesti librari quattro o cinque o sei libri d’arie napolitano moderne, se porò in Firenze non so ne trovasse; queste arie sono per il più in libri soli stampate ; gl’ autori sono Girami, Ciclio Lambardi (3> , ed altri moderni : ed un libretto d’ottave siciliane, ma non in musica, basta solo la poesia; e erodo che si troverà facilmente costì. E passando il Sig. r Alberto per Bologna o per Verona, se non per Vonetia, mi favoriscili 20 prender alcune coppie de’ concerti da camera, stampati T anno 37 o 38, di < 3 > riKTHo Antonio Cibano « Fkanorbco IìAU- BAI1DI. <» Cfr. n.° 3717. <*) Cosimo Galii-ki. I 332 7-11 MAGGIO 1G38. [3727-3729] qual eh’ autori lombardi buoni, perchè di questi concorti ino ne servo por variar tiono (ledi sorvitii di tavola, o por il più prendo li versi o no faccio altra mu¬ sica. Spero ciò ricever dalla cortesia di V. S., alla quale faccio riverenza, e sa¬ luto il Sig. r Alberto. Monaco, li 7 Maggio 1638. Di V. S. molt’ 111." Dovot." 10 Sor.™ Gio. Giacomo Porro. Raccordo al Sig. r Alberto di portar qualche mazza di cordo romano vero. 3728 **. FRANCESCO RINUCCIN1 a GALILEO [in Arcotri]. Venezia, 8 maggio 1638. Bibl. Eat. in Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXYII, n.® 15. — Autografa la sottoscrlziono. Molt’ 111. 0 et Ecc. mo Sig. r et P.ron mio Oss. mo Pio ricevuto questa settimana PImmanissima di V. S. del primo del corrente, o con ossa la lettera del Rev. P. Maestro Fulgentio, ma non già l’altro piego elio V. S. dico havermi inviato ; però potrà faro usar diligenza, acciò non capiti in sinistro. So dal Padre Maestro mi sarà mandato il violino 11 ’, lo raccomanderò con ogni diligenza al procaccio, inviandolo al Sig. Bocchincri, conformo a’ coman¬ damenti di V. S. Alla quale bacio cordialmente lo mani. Vonotia, 8 Maggio 1638. Di V. S. molto 111. 0 ot Ecc. raa Aff. m0 ot Obbl.“° Sor. 0 Sig. r Galileo Galilei. Fran. 00 liinucciiii. 3729**. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Firenze. Lione, 11 maggio 1638. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. XIII, car. 98. — Autografa. Molto RI. 0 Sig. r o P.ne mio Col. mo Resto non poco maravigliato cho la non habbia ancora ricevuto quel libro del P. Merconna (t ’ ; o puro già settimane sono PIU. 1 " 0 S. Cav.™ Gondi w co n’à scritto la ricevuta : ma stimo cho sondo stata la Corte sempre absento di costì, «•’ Cfr. 11.0 3726. ,s ' Marino .Mkhbknnk. < a > Gio. Battista Gondi. 11-15 MAGGIO 1638. 333 [3729-3730] o lui volendo rendere in propia mano lui medesimo, da questo ne dove proce¬ dere la causa; o stimo elio di poi lo haverà liavuto: che non sendo, lo potrà faro domandare a S. S.% che gli ne doverà rendere. Ho mandato a pronto c fido recapito la mandatomi per il S. Elia Diodati; ma por quanto ho presentito d’amico, non era in Parigi : godeva la campagnia io della primavera; e per questo forzo non potrà bavero risposta tanto pontualo come havoria liavuto; o lo doverà fare. Di costì, questo ordinario, da’mia di casa m’è stato dato adviso della sua liberationo venuta da Roma, clic mi ha apportato contento grandissimo e cho alla lino sicno ricollociate lo sua virtù e sincera mento e la malignità di sua nemici; o questo li doverà bavere apportato consolatione tale, cho sarà stato di grandissimo sollovamonto al suo male, conio pregilo Dio havorglieno fatto la gratia. E facendoli rovorontia, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bene. Di Lione, questo dì 11 di Maggio 1638. Di V. S. molto 111. 0 Scr. ro Aff. mo o Dov. n "’ 20 Rub. to Galilei. Fuori: Al molto 111. 0 Sig. r mio Oss. rao 11 S. r Galileo Galilei, Matt. 0 primo di S. A. S. Eironzo. 3730 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcctri], Venezia, 1B maggio 1G38. Bibl.Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B * I.XXXVll, n.® 16. — Autografa la sottoscriziono Molt’ 111. 10 et Ecc. m0 Sig. r et P.ron mio Oss. mo Ho servito V. S. con recapitare di mia propria mano a Giusto {i \ libra.ro no’ Giunti, il pieghetto aggiunto alla sua Immanissima del primo di Maggio, per¬ venutomi questa settimana. Sento partioolar gusto cho se la vadia passando, fra tanti travagli, con le sue belle speculatami ; ma più goderei poterlo presentialmentc udirò, por essere a riverirla. Ho fatto fare un palò con alcune misure por l’osservationi di questo flusso o reflusso (2> , quale a suo tempo li saranno da me inviato. E qui, pregandola della consorvatione della sua gratia, gli bacio affettuosamente le mani. io Yenetia, 15 Maggio 1638. Di V. S. molt’ IU. r0 et Ecc. ma Aff. mo et Obb. n, ° Ser. ro Sig. r Galileo Galilei. Fran. c0 Rinucoini. IjCtt. 3730. 8. inviati — 9. gratto — <*> Giusto Wikkkmjioh. < s > Cfr. il.® 3700. 334 17 — 28 MAGGIO 1638. 13731-8782] 3731 **. DINO PERI a [GALILEO in Arcotri], Pisa, 17 maggio 1638. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 60. — Autografa. Molto 111." et Ecc. m0 Sig. r e P.ron mio Col. mo L’ordino io non V ho ricevuto ; o perché dallo parole dol Sig. r Agostino no cavavo elio potessi essere inviato non in mano mia, erodendolo porò in mano a Monsignore 111 , n’ho domandato Sua Sig. ri « Ill. n,a , la quale mi ha risposto non no saper nulla. Sì che o l’ordino non è arrivato, o so arrivato vion rite¬ nuto dalla disgratia. Caso che non fussi anco partito, vegga V. S. molto 111.* et Ecc. ma che sia indirizzato a mo, chò ella potrà promettersi minor proroga. Resto facendole humilissima rovorenza, o con tutto l’animo lo progo felicità.. Pisa, 17 Maggio 1638. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dovotiss. 0 et Oblig.™ 0 io Dino Pori. 3732 **. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. G'arpcnodo di Mestre, 28 maggio 1638. Blbl. Nttz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII. car. 62. — Autografi l’indirizzo interno o la sottoscriziouo. Molt’Ill. r ° et Ecc. ,no Sig.L, Sig. r Col. n '° Qui in villa, ove mi sono ridotto per bisogno di un puoco di solievo et per necessità di fabrica, ricevo noli’ istesso ponto lo due gratissimo Iottoro di V. S. molto Ill. ro et Ecc. mu di 13 et di 22, alle quali farò insieme risposta. Quanto al violino, il Sig. r Montoverdi (,) mi lesso una lotterà di suo nipote, nella quale gli scriveva havor havuto il violino, quale in prova gli ora riuscito instromonto singolare; che lo haveva consognato ad un barcarolo, cho stava all’ancora per Venctia di momento in momento; cho non haveva potuto haverlo por manco di ducatoni quindoci, oltre la sposa dol porto ot la casetta. Risposi cho sodisfarei tutto, pregando quel Signoro a non ritardar più, parendomi troppo io Iongo il tempo di questa bagatella. Subito cho sia gionto, lo consegnarò al- rill. mo Sig. r Residente Rinuzzini. Il Sig. r Bernardo Tagliapietra può essere conosciuto da me, ma non con questo nome. Sino al presente non mi ha consegnato nè lottere di V. S. nè scritto di <*> Gukiurdo Saracini. Cfr. n.o 8724. 28 MAGGIO 1638. 335 [3732-3733] sorto alcuna; se mi consegnali le traduzioni elio V. S. scrive, immediatamente lo metterò in mani del Sig. r Giusti (,) per il ricapito, et le francarò del porto, acciò quanto prima pervengano al Sig. r Elzivir, essendo la via consigliata dal Giusti (8) la più sicura et più spedita. È stato a Venotia quattro giorni meco il Padre Fra Gio. Batta, uno de’ no- 20 stri oromitti di Monto Senario (8) , persona di gran buontà ot di ottimo, ma giu¬ dicioso, zelo. Tra lo altre suo condittioni ha questa, che è fedelissimo servo ot sudilo del Serenissimo Gran Duca; ot ho sentito con grandissimo mio gusto a racontarli li favori elio quell’Altezza fa a V. S. con le visite spesse personali. Io creddo questa una gran consolarono di V. S. nei suoi travaglii, et la prima doppo quella che dovo riceverò da sò medesima, che è una cognitione delle coso naturali, et particolarmente doli’ Immanità, la più alta che forsi sia stata donata ad altri. Questa devo essere il suo panereste, et tutto il resto acessorio ; et fra questi può sicuramente honorarmi di collocar il mio devotissimo affetto, per il quale sempre son con lei con l’animo come con il più amato et stimato amico so che io habhia, al quale prego instantemente ogni consolatane dal Signor Iddio. Et lo baccio per fine lo mani. Di villa di Carpeneto, 28 Maggio 1638. Di V. S. molto 111» ot Ecc. ,,,a Dovotiss. 0 Sor. S. Galileo. *'• *• 3733 *. UGO GROZIO a GIO. GHERARDO VOSSIO in Amsterdam. Parigi, 28 maggio 1638. Dalla png.432 doli’opera citata noli’informazione premessa al u.» 2947. .... Ilortensium nisi mittant veatri proceres quamprimura ad Galilaeum magnani ot fiumano generi ot sibi ipsis facturi sunt inumani. Senex is, optane de universo ine¬ ritila, morbo fractus, insuper et animi «egritudine, haud multuni nobis vitae suno pro- mittit; quaro prudentia orit arripere tempus, dum tanto dottore uti licet. Ilaud duìne quae ad longitudines investigandas reperit, si non omnes quae sperantur utilitates adfe- rent, adfereut tamen magnas, et ad quas comparatum itineris illius ìmpendium prò levi duci debeat. Ut autem operai» suam etiam in postemi» vestrae ci vitati obliget Hortensius, et aequum et publico utile fore iudico. Ad perficienda Galilaei coopta opus ent viro perito ta- lium ac diligente, qualern esso credo Hortensium. Valde dolerem, post rem bue usque etiam 10 me adiuvante deductam, si tanti commenti aut lionos aut utilitas ad alio» potius quam ad Amstelodamonses perveniret.- -- Gl Giusto Wipfki>i>ioh. Gì Cfr. n.° 3730. <») Cfr. n.° 3405. (*) Cfr. u.o 3725. 336 29 MAGGIO 1638. [8734] 8734 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO iu Firenze, lloimi, 29 maggio 1038. Bibl. Na«. Plr. M«8. rial., ?. I, T. XII, oar. 01. — Autografa. Molto 111. 10 od Ecc.. mo Sig.‘° 0 P.ron Col.' 00 Fatto il Corpus Domini, partirà di qua un monaco mio amicissimo, al quale consegnarò lo cordo di leuto, c procurarò con ogni diligenza elio V. S. molto Ill. ro od Ecc. ni!l sia servita bone. Ilo sontita consolazione elio la sua indisposizione non incrudelisca più, anzi elio si vadia mitigando: piaccia alla Divina Bontà consolarla. Quanto al mio voniro a Firenze, sappia che non ho maggioro desiderio, ma non ci vedo strada. Il Ser. rao Gran Duca mi foco lionoro, un moso o mozo fa, di farmi scrivoro dal Sig. r Incontri (1) , comandandomi elio io dicessi il mio pa- roro sopra un corto negozio maneggiato da me sino quando oro al suo servizio io in Pisa; o così scrissi, o por il desiderio cd obligo elio ho di servire S. A. Ser. n,a soggionsi elio forsi sopra il luogo stesso liavorei liauto occasiono di servirò più puntualmente, e però mi offersi a veniro a Firenze in persona; ma sin liora non ho Lauto risposta nessuna. Mi sarebbe stata carissima l’occasiono por sò stossa, o poi por potere vedoro V. S. molto Ill. r0 cd Ecc. ,n * o staro seco qualcho giorno ; ma mi conviene quietarmi. Ho fatte sino adesso alcuno copio della lettera al Sig. r Antonini (,) , cd una no ho mandata al nostro Mecenate (3! , al quale ò parsa maravigliosissima, o così ò parsa a diversi altri a chi l’ho comunicata. Nel resto io sto bone di sanità quanto mai mi sia stato, lodato Dio, o vivo contontissimo; e il simile prego 20 Quello elio tutto governa conceda a V. S. molto Ill. ro , alla quale fo riverenza. Di Roma, il 29 di Maggio 1638. Di V. S. molto Hl. ro ed Ecc. ,na Devotiss. 0 o Oblig. rao Scr. 1 ^ o Dis.'° S. r Gal. 0 Don Benod. 0 Castelli, Ab. 10 di Monreale. Y. S. potrà far consegnar la scatoletta dei vetri al Rov. mo Padre Abate costì di Badia, qualo mi farà la grazia di mandarmela sicura con la priifta occasiono. Fuori: Al molto Ill. ro ed Ecc. m0 Sig. re o P.ron Col. mo Il [.] Galilei, p.° Filosofo del Sor.™ 0 Gr. Duca di Tos. a Firenze. so Oi Lonovico Incontbj. O) Giovanni Ciappoli. <*> Cfr. n.o 8684. / [3735-3736] 29 MAGGIO 1G38. 33? 8735 ** FRANCESCO RINUCOINI a GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 29 maggio 1G38. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVII, n.° 17. — Autografa In sottoscriziono. Molt’ 111. 0 et Eco. 1110 Sig. et P.ron mio Oss. u, ° Si quieti puro V. S., perché il piego por Giusto w librare mi pervenne la settimana seguente, et io non solo in propria mano lo recapitai, ma egli an¬ cora ! inviò in Asterdam, corno doveva. Sento noi più vivo dell’animo i travagli di V. S., o fra essi non picciolo stimo 1* inabilità, che ho di corrispondere all* infinite grafie elio mi vengono dalla sua gentilezza. Mo ne levi dunque l’occasiono col favore de i suoi comandi, mentre io no la supplico con ogni affetto ; ot accusandole il recapito della lot¬ terà per il Padre Maestro Fulgentio, gli bacio cordialmente le mani. io Vonotia, 29 Maggio 1G38. Di V. S. molt’ DI.® et Ecc. um Dov. mo et Obb. mo Ser.° Sig. Galileo Galilei. Fran. c0 Rinuccini. 3736 *. GIUSTO 'WIFFELDICH a GALILEO in Firenze. [Venezia, maggio 1638). Uilil. Naz. Fir. Appondico ai Mss. Oal., Filza Favaro A, car. 193. — Autografa. Sul di fuori, accanto al¬ l'indirizzo, si leggo, di mano di Manco Ambkooktti : < Giusto libraio, Mag.® 1G38 ». Molt’ 111.™ Sig. r ot P.no mio Oss. mo Ilo ricevuto la carissima vostra del 29 passato con l’incluso plichetto per il Sig. r Elzcvir, il quale mandai bieri a Leida per la posta. Quanto alla scrittura di V. a Sig. ria , latina ot volgare, dedicata a Madama Sor. maW , non m’è capitata anchora. Aspetto una balletta di Fiandra, nella quale credo sarà questa scrittura; caso cho l’arrivarà in salvo, et elio questa scrittura sia dentro, vi la mandarò subito. Quanto all’opero vostro latine, quale vorebbe mandare in Fiandra acciò siano stampate, non trovo strada più sicura ebo quella della posta, anchora io elio qui bisogna pagar il porto a ragion di soldi 24, moneta veneta, Ponza. Niente di meno questa è la più sicura. Mentre ella si risolverà a volerla man- O) Giusto WimuuOB. , * 1 Cfr. n.° 80ù8. XVII. 43 338 MAGGIO — 1° GIUGNO 1038. (.3786-8737] dar por ciucila strada, la poterà mandar a Vcnetia, ot io non mancharò di ri¬ commendarlo acciò sia inviato noi valligio dolio lotterò. Non altro, si non cbo resto alli conimandi Di Vostra Sig/ 1 * molt’ 111. 10 Promt.® 0 Sorvit/ 0 Giusto Wiffoldich ni. p. Fuori : Al molt 1 111." Sig/ et I’.no mio ()ss. ,n0 Il Sig. r Gallileo Galilei, Mathomaticlio di Sua Altezza Ser. ma di Toscana, in Fio ronza. 3737 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 1® giugno 1G.'18. Blbl. Nnz. l?ir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. GG. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. mo Sig/° o P.ron Col. mo È tanto elio io non ho scritto a V. S. Ecc. ra “, elio liavrà liavuto sonz’altro occasione di molto maravigliarsi; ma cessi in lei la meraviglia, poiché ò un mese che sono stato molto travagliato dalla gotta, o por l’manzi lo occupationi dolio lottioni publicho e privato mi hanno sompro distolto dal far questo, bon- chè più volto babbi liavuto l’animo di scriverle. Desidero grandemente sentir nuova di loi o corno so la passi, compatendola io molto, o tutti quelli elio la conoscono, dolla pordita della vista. Ma si consoli ch’olla ha veduto più dolli altri huomini o che il mondo conosco la gran passata ch’ella ha fatta noi ve- dere, ondo viverci sempre gloriosa la sua sottilissima vista appresso gli huomini di tutti i secoli ; il elio devo esserli di non puoco alloggerimento. Io li faccio compagnia nella debolezza do’ piedi, tanto a mo più dolorosa quanto più presto mi ha soppraggiunta, restandomi a ragiono di natura da pc- naro più assai che non resta a loi. Lasciamoci governare a Chi il tutto rogo, e passiamocela con quella maggioro tranquillità e franchezza di animo che sia possibile nel nostro stato, elio tanto dosidoro a lei ot a mo; o con quosto Uni¬ sco, baciandolo affettuosamente le mani o ricordandomelo devotissimo sorvitoro. Di Bologna, il p.° di Giugno 638. Di V. S. molto 111/ 6 ot Eco. ma ' Dov." 10 ot Ob. mo Ser.™ o Disc. 1 ® F. Bon/ u Cavalieri. Fuori : Al molto 111/ -0 ot Ecc. rao Sig/ o P.ron Col.® Il Sig/ Galileo Galilei. Fiorenza, ad Àrcotri. [3788-8789] 4 — 5 GIUGNO 1638. 339 3738 *. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 4 giugno 1688. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Canipori. Autografi, B.« LXX, n.° 34. — Autografa. Molto III/ 0 ecl Eco/ 00 Sig. ro o P.ron Col. ,uo Mando a V. S. molto 111. 0 od Ecc. ma lo cordo (i) , dello quali credo restart ser¬ vita, por quanto mi dico quollo elio lo ha comprato. Quello mazzetto dove sono lo colorato, son quollo dal violino ; dolio altro, duo mazzi soli si sono potuti ritrovare di quollo vecchio, lo altro sono novo, però tutto buono o romanesche vero. Dico il mastro cho si possa adopraro prima lo vecchie, chò in tanto lo novo si vengono stagionando. Ilo parlato col Sig. Borghi nostro, al quale ho lasciata la lotterà di V. S. : egli ha trattato con quel medico francese (S) suo amico, o m* ha detto ieri sora io cho scriverà a V. S. A lui mi rimotto ; o non occorrendomi altro, li lo rivorenza. Roma, il 4 di Giugno 1638. Di V. S. molto 111." od Ecc. ma Dovotiss. 0 o Oblig. rao Sor. o Disc. 10 Don Bened. 0 Castelli, Ab. di Monreale. 3739 **. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 5 giugno 1638. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 68. — Autografa. Molto 111." ed Ecc. mo Sig/ o P.no Colend.® 0 Dal Padre Abbate D. Benedetto mi fu mostra una lettera di V. S. molto 111/ 0 , nella quale dava relazione dello stato della sua malatia, ed accennava che averia volentieri saputone il parere dol Sig/ 'frullio (3 sopra ossa. Ne fui <‘> Cfr. n.° 3727. <*> Giovanni Trom .1 da Ycroli, dotto « il Fran¬ cese » per la lunga dimora da lui fatta in Francia. (») Cfr n.° 8712. 340 5 - G GIUGNO 1038. 13739-8740] dunque seco ; o dalli accidenti elio V. S. molto 111.** narra, dice poter racco¬ glier poco, o dosidern sapore so si venne mui a far nessuna dello operazioni che lui consigliò, a fin di poter da questo o dagli altri accidenti argomentar dol resto : o V. S. molto 111/* si compiacerà scriverne al sudotto Padre Abbate, senza pigliarsi incommodo di risponder a me, acciò là dove io m’industrio d’alloviarle il malo, non vonga indirettamente ad accrescerglielo con l’obbli- io garla a dottar risposto. Prego S. D. M. elio si degni restituirlo la primiera sa¬ luto con molti anni di vita, o facendo fino dimoro A V. S. molto 111.™ od Ecc.“° Di Roma, li 5 6iug.° 1638. Dovot.® 0 ot Obbligat. 00 Sorv. TO S. r Galiloo. Firenze. Pier Batta Borghi. 3 740 *. GIO. MICHELE PIERUCCI n [GALILEO in Arcotri]. rimi, C> giugno 1638. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autogrill!, 15.» LXXXV, n.° -18. — Autografa. Molt* HL" ot Eco.*” 0 Sig. r e P.ron mio Col.® 0 Mi ritrovo in una lunga contumacia con V. S. Ecc." 1 *, cagionata dal rispetto dovutolo di non l’apportar fastidio con mio lotterò senza proposito. Ma bora, noU’occasiono dol ritorno dell’ Ecc. mo Sig. Dottor Tori (dal quale son stato più volto honorato degli amorevoli offizi passati meco in nome di V. S. Ecc. mft ), non posso nè devo contenermi di non venir a riverirla, corno fo con tutto l'affetto, et a rassegnarlo insieme la mia devota osservanza o la mia perpetuamente obli- gatalo servitù; tanto più, che non così presto conio speravo potrò esser costà a sodisfare in parto a’ miei debiti di presenza, poiché per negozi d’altri mi convien rostaro in Pisa quasi por tutto Giugno, o poi por intorcssi proprii devo io trasferirmi in Valdiniovole, dove mi bisognerà trattenermi qualche settimana o forse qualche mese. Tra tanto la supplico a honorarmi di suoi comandamenti in questo e in quello parti ; o con farle blandissima royerenza lo prego da Dio lunga o felice vita. Dovol. m ° ot Oblig. mo Sor/ 0 Gio. Michele Pierucci. Pisa, li 6 di Giugno 1638. Di V. S. molto 111/ 0 ot Ecc. raft 1 . 8741 - 3742 ] fi — 8 GIUGNO 1G38. 341 3741 **. GHERARDO SARACINI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 6 giugno 1638. li ibi. Est. in Modena. Raccolta Cnmpori. Autografi, R. a LXXXV1I1, n.« 175. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. mo S. r P.rone Oss. mo In somma non posso contenermi dal venire a tediar V. S. Ecc. raa , con oc¬ casiono della venuta costà del gentilissimo Sig. r Dino Peri, per ricordarlo la mia osservanza, la quale è veramente eguale al suo merito, cioè è infinita. La supplico a credermi questa vorità et a farne prova con qualche suo comanda¬ mento, il quale ambisco in estremo. E per fine li fo affettuosissima riverenza. Pisa, fi Giugno 1638. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ,ua S.° I)ov. mo o Vero Gherardo Saracini. 3742 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arcetri |. Bologna, 8 giugno 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, L\ VI, T. XIII, car. 101. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. re o P.ron Col. 0 Scrissi per l’ordinario passato (l) a V. S. Ecc. ma , o rloppo ricevei una sua, a ino gratissima per intendere da essa come so no va comportando con patienza li suoi travagli, alla quale molto compatisco, facendolo aneli’ io compagnia pol¬ la parto mia. Non potrei ricevere maggiore favore e gusto, quanto potendola di nuovo godere por qualche giorno ; ma io sono tanto indebolito do’ piedi, che non posso faro duo passi, non cho venire costà: so che suppliranno eccellento- mente por me il Sig. r Dino (2) et il P. Francesco (3) , sogotti degni della di lei conversatione, quali mi convorrà invidiare realmente, sì come in vano m’invidia io lei della conversatione con l’Ecc.® 0 Liceti' 4 ’, proibitami dalla mia indispositione. Fu però da me l’altro giorno e li feci le sue salutationi, o la risaluta caramente, compatendola aneli’ osso molto ne’ suoi infortunii. Discorressimo lungamente so¬ pra un’osservatione fatta da un Franzese, amico suo, circa le ombro del sole o» Cfr. n.o 3787. I)1N0 Pubi. < 3 > Famiano Michkt.ini. Fortunio Lickti. 342 8 GIUGNO 1638. [3742] posto in duo siti, cioò alto sopra l’orizonte, o basso, cioè intorno al detto ori- zonto ; al quale so si opponorà un corpo ombroso, corno, per essempio, una palla, elio mandi la sua ombra in un piano, dal quale olla stia egualmente lontana nel sito basso et alto dol solo, dice olio l’ombra causata dal solo vicino alForizonte ò maggioro dell’ombra cagionata da esso noi sito alto; cioò elio osserva ebo lo larghezze delle ombro fatte dai solo nato di puoco, o elio puoco doppo tra¬ monta (nel qual sito apparo maggiore per i vapori etc.), sono maggiori delle lar- 20 ghozzo dello ombro causate dal sole noi sito alto, stante Pistesso corpo ombroso 0 P istessa distanza dal piano noi quale la sbatte : cosa che paro elio dobba ossero al contrario, poiché facendosi il sole apparentemente maggiore, paro elio venga a tosare l’ombra attorno attorno, elio saria bitta da esso apparentemente mi¬ nore, 0 cho perciò quella deva essoro minore noi sito più basso. Ilo bono con¬ siderato cho so non si parla dell’ombra totale, ma doll’ombra con la chioma, dirò, 0 con quella parto elio credo i pittori chiamino sbattimento, nella quale si va degradando con ti imam olito dalla ombra totale alla luce totalo, elio l’ag¬ gregato dell’ombra totale e della chioma fatta dal solo basso, cioò maggioro in apparenza, devo essere maggioro dell’aggregato dell’ombra totalo 0 della chioma so fatta dal solo alto, cioò minore, come anco V. S. Ecc."’* facilmonto intenderà essere vero. Ma che la sola ombra totalo del solo maggioro dova essoro maggioro dell’ombra totalo del sole minore (il che afferma ancora della luna bassa et alta), credo che ciò sia impossibile, s’io non m* inganno; tuttavia mi rimotto alla sot¬ tigliezza sua, che subito intenderà qual sia la verità in questo fatto. Ilo voluto farne un puoco di esperienza con una riga parallola ad una tavoletta, nella quale ricevendo l’ombra del solo noi mezodì, 0 vicino al tramontare, non vi ho cono¬ sciuto differenza di ombra. Vero è che la riga, che ò longa puoco più di un palmo e mezo 0 lontana solo un palmo dalla tavoletta, non dove forsi distin¬ guere bene esse ombre ; onde la voglio fare con metterla assai lontana dalla 40 tavoletta, por veder pure se può essere quosto cho dice bavero osservato dotto Franzese. La mia Centuria (1> poi va lentamente, perchè al tempo del leggere non ho potuto attendervi, et bora è un mese cho sono travagliato dalla gotta ; por ciò non si maravigli dolla mia lentezza. Mi favorisca, la prego, quando viene da lei il Sig. r Dino et il P. Francesco, salutarli a nome mio; al quale P. Francesco potrà diro quollo cho tanto volte li ho scritto, se mi potesse far vedere il quinto tòmo di quel Cursus Matiie- maticus eh’ ella mi donò, eh’ havria P occasiono di mandarlo por il nostro (1) Centuria di varii problemi per dimostrare l'uso e Za facilità de' logaritmi nella gnomonica, astro¬ nomia, geografia, planimetria, stereometria et aritmetica pi-attica, occ. di Fr. Bonaventura Cavalieri, occ. In Bologna, por Giacomo Monti o Carlo Zouoro, MDCXXXIX. <*» Cfr. n.o 8498. 8 — 12 GIUGNO 1G38. 343 [3742-3743] go Prioro di costì, elio verrà al nostro Capitolo Generale a Ferrara alla lino di questo mese, et io lo rimandarci per l’istcsso. Potrà anco raccom in andare ad ambiduo lo spaccio di novo o dieci delle mie Geometrie (1) , che sono in mano del nostro Padre Priore. E con questo li bacio afféttuosamente lo mani, et in¬ sieme di tutto cuore la riverisco. Mi scordavo dirli, che mi riferisco PEcc. 1110 Liccti d’bavere inteso dal detto Franzese elio babbi un canocchiale lungo piedi trentasei, con il quale veda lo coso lunari in particolare molto distintamente : onde potrà dire al Ser. mo Gran Duca elio li suoi canocchiali sono per niente, conio anco saranno quelli di V. S. Ecc. raa rispetto a questo. So bene, a dire il vero, questa gran lunghezza co di canocchiale mi rende assai sospetta la sua osservarono dello larghezze dello ombre, se ben quella non ha elio faro con questa. Se poi il Sor. mo la vonisso mai a vedere, mi saria molto favore ch’ella li sovvenisse la mia humilissima servitù elio le professo, boncliò io non P esprima con altro atto por non me no nascoro occasione. E qui di nuovo fo ponto per finire di attediarla, e di nuovo la riverisco. Di Bologna, affi 8 Giugno 1G38. Di V. S. molto Ill. r0 ot Ecc." m Dcv. mo et Ob. mo Sor.™ c Disc. 10 F. Bon. r ' 1 Cavalieri. 3743*. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 12 giugno 1(538. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Cnmpori. Antogrnfi, B.» LXXX, n • 112. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col." 10 Ritornato di villa, ove mi sono trattenuto 12 giorni, ricevo la gratissima lettera di V. S. molto IU. re et Ecc. n,a di 29 passato. 10 non ho havute ancora lo scritturo, et il Sig. Bernardo Tagliapietra non ò in Vonetia : non ò porò da prendersi altro travaglio che della dilationo, che veramente mi spiaco ; nel resto ò gentil huomo, cho non comcttcrobbo manca¬ mento. Havute, lo mandarti subito sotto sicuro ricapito, o pagarò quanto farà bisogno. 11 violino ò in viaggio, et il Sig. Montovordo (a) m’ha fatto veder il bolot- 10 tino del nomo* del patrono a cui ò stato consegnato. Lett. 3743. 4. Io non /incute — <‘> Cfr. u.° 1070. Cfr. u.° 3732. 12 — 19 GIUGNO 1(538. 344 [3743-3744] Ilo persa la forza por scrivere, clic non scrivo una lettera in duo liorc, o la matina niente afatto: men malo che si perdiamo a puoco a puoco, impa¬ rando così non essere gran male quando ò finito. Il gusto elio resta al rcssiduo della vita sono li amici o lo speculatami : di quelli mi restano puoclii ; in quello sono sturbato sempre da processi, causo o sentenze; tuttavia volo fieri quae funi. V. S. mi conservi il suo amore, elio stimo un gran tesoro; o lo bacio con ogni affetto le mani. Von. a , 12 Giugno 1638. Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma I)ev. mo Sor. S/ Galileo. E. F. so 3744. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 19 giugno 1688. Bibl. Nftz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. XII, cnr. G9. — Autogrnfa. Molto 111/® od Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. 1 »'* Ilo mostra al Sig/ Giovanni Trullio la lcttora di V. S. molto 111/ 0 , il quale sulla relaziono di cotesto eccellente chirurgo, elio quello elio si trova noli’ occhio di V. S. molto 111/ 0 non sia cateratta, ma panno esteriore, discorro elio si dovo con medicamento Uovo erodente consummare quello elio nella superficie della tunica apparisce ; il elio vomì, fatto con zucchero candito, sepia, tutia, parti eguali, ridotte in polvoro sottilissimo, overo con aqua fatta di vitriol di Cipri, o puro con oglio di carta o altro cose simili, come benissimo saprà cotosto S/ chirurgo. Ma so il diffetto fosso nogli umori, questi rimedii soriano inutili, o bisognoria aspettar il tempo elio la natura no avesse fatta la separazione, la io quale si potria poi deporro con l’ago ; overo so il panno fosso denso instar un¬ gula#, si potria sollevare o tagliare; overo so apparisse in forma di hypopion o pterigion, si devo arrestar la materia flucnto, o dopo parimente levarne la congionta. Questo è quello che discorro il Sig/ Trullio, il quale insidilo meco o con tutti i studiosi sommamente desidera la sanità di V. S. molto 111/ 0 , alla qualo por fino io dal Cielo auguro con intiora saluto una compitissima folicità. Roma, li 19 Giug.® 1638. Di V. S. molto 111/ 0 ed Ece/ na Dovot/ 10 et Obbligat. mo Serv/° S/ Galilei Firenze. Pier Batta Borghi. 20 Lctt. 3744. 11-12. instar unr/vulae — [3745-3746] 19 — 22 GIUGNO 1638. 345 io 3745 *. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 19 giugno 1638. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B » LXX, n.° 35. — Autografa. Molto Ill. r ® ed Ecc. mo Sig. 1 ' 6 o P.ron Col. Ilo fatta consegnare la lottora al Sig. r Borghi, ma non l’ho visto ancora. Credo elio a quest’liora V. S. molto 111.» od Ecc." la baverà riceute lo cordo 115 : Lavorò caro intendere elio siano state di sua soclisfaziono, sì conio ancora mi sarà, di grandissima consolazione sapore come sia passato il favore elio li ha fatto il Sor." 10 Gran Duca. Io continovo a star bone di sanità, ed assai quieto d’animo. La mia mutazione di titolo 125 ò stata por servizio publico della religione, e però no resto consolato; o così devo essere ancora a V. S. molto III. 0 , alla qualo por fino fo riverenza. Roma, il 19 di Giu. 0 1G38. Di V. S. molto IU. ro od Ecc." 111 Dovotis. o Oblig. Ser. r o Disi 0 S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Bonodotto Castelli. Fuori : Al molto Ill. ro od Ecc. mo Sig. r0 e P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo [....] Fil.° del Sor." 10 Gran Duca di Tose. 1 Firenze. 3746 *. ROBERTO GALILEI a GALILEO in Arcetri. Lione, 22 giugno 1638. Blbl. Naz. Flr. Appondico ai Mss. Gal., Filza Favaro A, cnr. 194. — Autografa. Molto 111. 0 Sig. 1 ' mio Oss. mo Resto veramente con mortificasiono grandissima olio quel libro del P. Mor- cena (3) , mandato a V. S. per mozzo del S. Cav. re do’ Gondi, si sia sì misera¬ mente perso fra costì o Pisa, non per la valuta dol libro, ma per la satisfatene di V. S. o del’ autore. L’autore di esso ò esso P. Mercena. Lettere sua non ce era con il libro, porchò anticipatali!onte le liavevo mandato con mia Ietterò (») Cfr. n.° 3738. <3> Cfr - n -° 8729 - (*) Cfr. n.° 3734, Un. 25. XVII. 44 34G 22 - 26 GIUGNO 1638. [8746-8747] a S. S. n , la quale me no disse la ricevuta. Ora qui non ci veggio altro espo- diente so non quello ha fatto, di darne conto al S. r Elia Diodati, come ho fatto ancora io, o lui lo dovorà faro al sudotto P. Mercena; o stimo elio non man¬ cherà di mandarglino un altro prontamente, o cascandomi nelle mano procurerò io d’bavere meglio fortuna elio noi passato, acciò elio no ricova maggior contonto. La passata mia li mandai un piogho del S. r Elia Diodati. Sporo lo doveri bavero ricevuto, liavcndolo raccomandato costi alla casa a’mia fratelli, elio glino haveranno fatto bavere ; o per osso baveri visto la causa della sua dilasiono nello scriverò, che lia proceduto per una sua indispositiono. Ben cho la liberationo statali concessa sia alquanto limitata, la si puolo andare allargando, oliò in questo non ha nò spie ni alcuno cho la possi con¬ trolaro, o tanto più cho S. A. S., nostro Signoro o Padrone, lo proteggerò, in tutto o per tutto o contra ogni uno. Godo poi ancora elio della sua indispositiono andassi più tosto rnogliorando, so e ben cho segua lentamente, con un poco di tompo si va avanzando ; o S. S. n ha qualquo difiicultà nello sua solito oporatione matematiche, havondono a’ sua giorni fatto tanto o tante o tanto elio la so no puolo andar contentando por l’honoro, reputazione, memoria et gloria sua, a dispetto do’ sua arrabiati no¬ mici : o conio V. S. doverti liavoro saputo, il suo libro rostava stampato in Olanda, o presto il S. Diodati no stava aspettando li esemplari, conio gli no doverti liavoro dato conto. E facendoli con questo revorontia, li pregherò da N. S. il colmo d’ogni vero bone. Di Liono, questo dì 22 di Giugnio 1038. Di V. S. molto 111. 0 Sor. rn Afl>° o Par. 10 Dov. mo 30 Rub. to Galilei. Fuori : Al molto 111. 0 Sig. r mio Oss. mo Il S. ro Galileo Galiloi, Mattoni. 00 primario di S. A. S. Fircnzo, in Areotri. B747. GALILEO a MICHELANGELO BUONARROTI in Fironzo. Arcctri, 20 giugno 1038. Museo Britannico in Londra. Adii. Mss. 23130, cur. -15. — Originalo, non autografa. Molt’ Ill. r0 Sig. ro e P.rone Oss. ni ° Bendo grazie a V. S. dell’avviso datomi, per cagione del quale risolvo di trasferirmi domattina a Firenzo, dove, potendo essere con V. S., tratteremo più a lungo sopra la materia da lei significatami; 2G GIUGNO 1638. 347 1.3747-3749] onde per ora non entrerò in altro, ma starò aspettando colà in casa, poiché non mi è permesso il poter arrivar da lei. E qui con reve¬ rente affetto li bacio le mani. io D’Àrcetri, li 26 Giugno 1638. Di V. S. molto 111.™ Devotis. et Oblig. mo Ser. ro Galileo Galilei, Fuori: Al molto Ill. ro Sig\ r e P.ron Colen. 0 Il Sig. r Michelagnolo Buonaruoti. Firenze. 8748 *. GALILEO a [ELIA DIODATI in Parigil- [Arcetri,] 26 giugno 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. fini., P. V, T. VI, c&r. 87«. — Copia di mano di Vinornzio Vivasi, in capo alla (pialo ogli annota: € G. G. 26 tìiug.» 1638 » Scrivo anco in questo medesimo tempo al Sig. Lodovico Elsevirio, in conformità di quello che V. S. mi domanda, e gli invierò le copie, fatte latine, di tre delle mie opere, cioè del Saggiatore, delle Lettere delle macchie solari e del trattato delle cose che stanno su l’acqua. 8749 * FULGENZIO MIO ANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 26 giuguo 1638. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Antograll, B.“ I.XXX, n.° 118. — Autografi il poscritto o la sottoscrizione. Molto 111. ot Eccoli. 1 " 0 Sig. r , Sig. r Col. 100 Ilo finalmente ricevuto dall’ Ul. mo Sig. Bernardo Tagliapiotra lo scritturo, lo quali biori si cominciorono mandare in pieghi al Sig. r Elzivir. Non era punto da dubitare che non mi capitassero sicure, perchè, come già lo scrissi (l) , questo gentil huomo è di conditiono che non comotterebhe mancamento : la tardanza ò cu Cfr. n.o 3743. 26 — 29 GIUGNO 1G38. 348 [3740-37511 stata, porche ot, egli sta molto in villa, ot io ancora in questi calili scappo dalla città quanto più posso, benchò poco possa. Por il violino lascio gl’ordini, elio subito capitato, so io fossi absonto, sia riscosso, o pagato il danaro, elio sono ducatoni quindeci, oltre lo speso; cosi m’hanno tirato su dalli 12 alli 15, con pretesto elio questo sia un violino usato io ili un famoso suonatore. Ben ò vorò elio hanno posto in mia libertà Faccettare o il novo por i 12 o questo por li 15. Ma me n’hanno dotto tanto della sua eccellentia, elio mi hanno portato a dire, conio già quel galant’ huomo alla sua morosa spagnola: Chi più spendo, manco sponde. È locito qualche volta dar anco nello burlo ; o vorrei poter essor con lei di presenza, conio sempre sono con l’affetto o memoria, chò ridorossimo qualche volta, so non d’altro, dello coso più sono o più stimato, elio non hanno mono dol ridicolo dolio altre. Prego il Signor Iddio elio la consoli o lo conservi un’anima così cara lun¬ gamente, ot a V. S. molto 111.” ot Eccoli." 111 bacio lo mani. Voli.*, 26 Giugno 1G38. 20 Di V. S. molto 111. ot Eccoli.“* Dov. mo Sor. Eccoli." 10 Galileo. F. Fulgentio. Ilo il violino : lo farò consigliar all’Ill. m< * Ressidento ll) . Il costo ò ducatoni 10, mono soldi 13. Lascio ordino elio qui dentro sia la ricevuta 3750 . GIOVANNI MUZZÀRELLI a FRANCESCO BARBERINI iu Roma. Firenze, 26 giugno 1638. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 94, a). 3751*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Egmond de Binnen, 29 giugno 1638]. Tini Voi. II, png. 194, doli’edizione citata noli’in formazione promossa al n.° 2898. .... Vostre deridere lettre no contient quo des observations sur lo livre do Galilée, nusquelles ie ne figaurois répondre, pource quo ie no l’ay point encore vu; mais si tost qu’il sera en vente, ie le verray, senlement afin de vous pouvoir envoyer mon exemplairo apostilló, s’il en vaut la peine, ou du moina vous en envoyer mea observations.... Francesco Rimuccini. <*) Non ò proBoutomouto allegata. [3752-3753J 3 LUGLIO 1638. 349 8752 . PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 luglio 1G38. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, cor. 71. — Autografa. [_] ed Ecc. m0 Sig. r o P.ron Colend." 10 Ho lotta al Sig. r Trullio la lettera elio V. S. molto Tll. ro scrivo al Padre Abbate Castelli, e lui approva tutti i rimedii proposti da cotesti SS. ri medici e chirurghi, nè lo dispiaco quollo che V. S. molto Ili. 1 '® propone, di far seccar la pupilla. Loda tuttavia elio, trovando V. S. molto 111.™ giovamento nel zucchero candito liquefatto nello canollo di finocchio, continui con esso sino a tanto che veda riceverne utile, per venir dopoi a più potenti medicamenti, in evento che quello non basti. Rallegrami di tutto cuore di questo principio così felice per ricoverar la primiera sanità,, che piaccia a Dio restituirlo quanto prima, mentre io resto io A V. S. molto 111. 1 ' 0 ed Ecc. ma Roma, li 3 Lug.° 1638. Dcvot.'" 0 et Obbligai" 10 Serv. r0 S. r Galilei. Firenze. Pier Batta Borghi. 3753 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Fireuzo. Roma, 3 luglio 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 102. — Autografa. Molto 111.” ed Ecc. ,no Sig. ro o P.ron Col." 10 Tengo aviso dal Rov. n, ° Padre Abbate di Badia che gli è stata consegnata la scattoletta dei vetri, e che me la mandarà con la prima occasiono. Lo corde di leuto sono state consegnate molti giorni sono al Padre Priore di Badia, con ordine elio lo mandasse a V. S. molto Ill. ro ccl Ecc.' na , e mi maraviglio cho non habbia ancora fatto il servizio, tanto più ebo il Padre è huomo puntuale o mio amicissimo : per tanto ella potrà mandare dal dotto Padre o farsi darò lo corde; o mi dispiaco elio forsi in tanto tempo havoranno patito, cbè so sarà così io sodisfarò con altra provisiono. io Ieri sera solamente hebbi occasiono di lasciare la lettera di Y. S. Ece. mil al nostro Sig. 1 ' Borghi, qualo farà fare consulta a questi Signori, o li scriverà quanto si sarà considerato por beneficio suo, ma non prima del venturo pros- 350 3 LUGLIO 1638. [3768-3764| simo ordinario. Piaccia a Pio benedetto elio ella possa ricuperare quella vista elio vide più acutamente di tutti gli altri huomini del mondo. Io mi ritrovo in mano un vetro di Napoli, elio servo por un cannono longo quatordoci palmi napolitani, elio sarà intorno a cinque braccia fiorentini. Io l’ho provato, e leggo il carattoro con il quale ò stampato il libro De hello Suecico del Sig. r Pier Batta Borgo (1> lontano cento braccia, o ili somma in¬ grandisco l’altezza doll’ogetto novanta volto più di quollo elio mostra la vista naturale. I/autoro no volo risolutamonto duconto scudi o non meno. So V. S. 20 Ecc. mn mi può faro lionore di farlo significare, 0 por mezzo del Sig. r Dino Pori 0 del Padre Francesco buono, al Sor.'" 0 Gran Duca mio Signore, mi sant fa- voro singolarissimo, 0 no attenderò risposta, pronto a mandarlo, bisognando, consegnandolo qua al Sig. r Àmbasciatoro con quollo cautelo ebe mi viene im¬ posto da Napoli. Mi perdoni che son necessitato a finirò e non ho tempo : però li fo riverenza. Di Roma, il 3 di Luglio 1638. Di V. S. ria molto 111.” od Ecc.™ Devotia. 0 e Oblig." 10 Sor. rp 0 Dis> Don Benedetto Castelli. so Fuori : Al molto HI.® od Ecc. mo Sig. ro 0 P.ron Col." 10 Il Big. 1 ' Galileo [Galiloi, p.°] Filosofo del Ser.'"° Gr. Duca di Toscana. Firenze. 3754**. ANTONIO NARDI a GALILEO in Firenze. Roma, 3 luglio 1638. Bini. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. Vili, car. 14. — Autografa. Molto 111. 0 ot Ecc. mo S. T o P.ron Oss. mo Sebene risparmio la ponna, temendo di non infastidire V. S. Ecc. m, ‘, non ò perciò che io non Labbia sempre in mente il merito suo, notissimo a tutto il mondo, o che insiemo non no goda in estremo, sentendolo di continuo inalzare nelle conversazioni dei letterati. Io bo preso occasiono di rompor un lungo si¬ lenzio, por l’istanze elio molti amici miei mi fanno d’intonder qualche cosa del- l’opera sua del moto, tanto desidorato dal mondo, perché per ancora non si vedo comparire a quella luco elio merita; o però supplico V. S. a volermene dar qualche nuova, conio ancora della salute sua o dolla infermità dogli occhi. Cfr. u.o iiSJlti. 3 LUGLIO 1638. 351 [3754-3755] io La S. a Anna Maria Vaiarli m* impose ultimamente che io ricordassi a V. S. la sua servitù elio gli professa ; il che faccio volentierissimo, e insieme la sup¬ plico por mo di qualche suo comandamento. Viva felice. Roma, 3 di Luglio 1638. Di V. S. molto 111/" ot Ecc. ma S/° Oblig. mo Ant.° Nardi. Fuori: Al molto 111. 0 et Eco.» 10 S. r o P.ron mio Oss. mo Il S/ Galiloo Galilei. Firenze. 3755. GIOVANNI REIJUSK a GALILEO in Firenze. Venezia, 3 luglio 1G38. Cibi. Naz. 3?ir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 73. — Autografa. Molto 111/ 0 Sig/ Già lo scrisse elio il S/ Lorons Read mio parente, d’ordine do’ Potentissimi SS/' Stati dello Unito Provincie do’ Paeso Bassi, haveva mandato a Livorno con la navo Lion d’Oro un scattola con una colana d’oro. La dotta navo arrivò giil tempo fa a Livorno, et fu mandato la detta scattola a Fiorensa in mano do’ SS/' Ebbors por seguirne mio ordine; et sondo elio io son stato treo mesi fuora do casa a Milan, Turino ot poi a Genova, li ilici non hanno saputo che ordine dare a Fiorensa, stanto l’absensa mia et la morte seguito dal S/ Reale, elio passò a miglior vita li mesi passati. Per ciò, a ciò si cssoguito l’ordine da- 10 tomi dal dotto Signore mentro viveva, insieme la volontà de’SS/' Stati, do or¬ dino con questo alle dette SS. ri Ebbors elio consegnano a V. S. la detta scattola, quale ot bolato con le armo delli SS/' Stati. Piaciavi dunquo rcsovorlo et farne receputo in forma, come ordinato alli dotti SS/ 5 dover prender por mio disca¬ rico; ot piacerà V. S. farmi dare un motto d’aviso dolla reseputo. Con che fine Dio vi guardi. Von. a , adij 3 Luglio 1638. Di V. S. molto 111/ 0 Sor/ Afi>° Gio. Roiju.sk. Fuori: Al molto 111/ 0 Sig/ Il S/ Galileo Galilei. 20 Fiorensa 352 G LUGLIO 1G38. L375G] 3756 **. TOMMASO CAMPANELLA a FEUDI NANDO II DE’MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenze]. Parigi, 6 luglio 1638. Bibl. Naz. Flr. Mia. Gal., Cimento. T. 27, car. 13. — Autografo lo Un. 40-41. Serenissimo Gran Duca, Da elio io comminciai a gustar non volgarmente qualche verità del nostro mondo o del suo Autore, onde me vidi obligato richiamar la gente da le scolo Immane alla scola del primo senno divino, stimai ancora elio io et ogni ingegno egregio portarao grande obligo a i Principi Modicoi, che facendo comparir i libri Platonici in Italia, non visti da’ nostri antichi, fur cagiono di levarci dalle spallo il giogo d’Aristotclo e por conseguenza poi di tutti sofisti, o comminoiò l’Italia ad esaminar la filosofia delle nationi con ragione ot esperienza nella natura e non nello parole de gli buoni ini. Io, con questo favore fatto al socolo nostro, lio riformalo tutto lo scienze secondo la natura e la Scrittura, dui codici di Dio. Il socolo futuro giudicarli di noi, perdi’il presente sempre crucifige i suoi bene- io fattori; ma poi resuscitano al terzo giorno o ’l terzo secolo. Per tanto, havendo stampato molte opero in questo paeso (ove Dio m’ha mandato, credo, per questo fino, o non por quel elio gli huomini, ignari del secreto fatale, van dicendo), ho ardir d’inviar a V. A. Serenis."”* il secondo tomoli, dove si tratta la filosofia naturalo con novo testo, chiaro breve e forzoso, con lo dispute aggionto contra tutti settarii del mondo e stabilimento do la filosofia Christiana, id est veramente rationnlo. Ci va ancora aggionttn la filosofia morale, la politica et economica, con loro testo novo o questioni come di sopra. Ci ag¬ giorni la Città del Solo, idea do ottima rcpnblica e di ottima città inespugnabile o tanto riguardevole, che mirandola solamente s’imparano tutte le scienze historicamcnto. Ci uggiolisi anche un trattato del governo ecclesiastico. Nella prima disputa ch’io fo , an sit endemia 20 nova philosophia, vedrà la testimonianza del debito di filosofi alla Casa Medicea, et io in particolare per lo grazie elio ni’ha fatto il Gran Duca Ferdinando primo l'anno 15513, corno credo elio Lauronzo Osimhardi e Baccio Valori o Ferrante di Rousain’Imhhiano lasciato qualche memoria, o per elio causa non venni alla lettimi in Pisa, corno S. A. mi coni mandava o ’l P. Medici<*> ne sa l’historia, di chi mi dispiace elio sia passato tanto presto al’altra vita. Vederà in questo libro V. A. che in alcuno cobo io non accordo con Pammirabile Galileo, suo Filosofo o mio caro amico e padrone da quando in Padua mi portò una lotterà del Gran Duca Ferdinando: può star la discordia dclli intelletti con la concordia dello volontà d’ambidui, e so cli’ò huomo tanto sincero e perfetto, che bavera più a piacerò l’oppositioni mie (del che tra mo e lui c’ò scambievole licenza) che non delle approbationi d’altri. 30 Al medesmo Gran Duca io liavevo dedicato il libro De scnsu re rum, e per la per- secntion sopragiontami (ch’il mondo sa) non hebbo effetto; et hogge ò ristampato( 4> . So 1*1 Tiiomar Caui’anki.i.ak, Ord. l’racd., Ditpu- (ationum in quotitor partee «une philoaophiae realin libri quatuor ecc. Suoram opcrum tornita II, ecc. Pa- risiis.cx typograpliia Dionys. lloussayo, ai». Doni. 1637 I*' Fkrbantk db’ Rossi. Padre /.anodi dr' Mudici. Amplisi Card. A. I. P. Richollnoo Thomas Campanri.u, Ord. Praod., De *«n#u re rum et magia libros quatuor occ. dedicai consecratque. Parisiia, apud Ludovicum Boullenger, M.DC.XXXVT. 0 — 10 LUGLIO 1638. 353 [3756-37571 V. A. n’havorà gusto, lo consiglierò al Signor Conto Bardi suo residcnto, il quale, come dedicato allo virtù, mi suole favorir spesso, e nel trattare si la conoscere por persona dedita alle scienze, alla politica, all’officiosità, e fa honor alla patria ot a chi lo mandò in queste parti. Io resto al coimnandamento di V. A., e li prego da Dio sempre maggior felicità, a ben di virtuosi o della patria coniraune Italia, che sempre ha ricevuto beneficii o più ne spera dalla prudenza o valor della Casa Medicea. Parigi, fi di Luglio 1638. dO Di V. A. Serenis. ma Se. r0 Divot. 0 et Humilis. 0 Fra Thomaso Campanella. 3757 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenzo. Roma, 10 luglio 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 104. — Autografa. 111.' 0 ed Ecc. mo Sig. ro 0 P.ron Col. n, ° Iloggi lio ricouta la scattoletta dei vetri, benissimo condizionata, inviatami dal Rev. n '° Padre Abbate di Badia con lo quattro piastre, c no ringrazio V. S. molto 111” ed Ecc. ma Mi ò stata carissima la nova elio lo cordo non siino andato malo, o desi¬ derare sapore la riuscita. Non ho potuto ritrovare il nostro Sig. r Pier Batta Borghi, qualo so che si turbarti, assai intendendo l’ostinazione doli’ infermità di V. S. Io no solito quel dolore, o gli ho quella compassione, clic ella si può imaginaro. ìó Scrissi la settimana passata 12 ’ del vetro elio ingrandisse l’ogietto 90 volto più in aitozza di quello elio apparisce alla vista naturalo : no starò attendendo risposta. Hora gli do nova elio credo di bavere arrivato il segreto col qualo il nostro Napoletano lavora i vetri; e quando ne sarò assicurato, subito no darò parto a V. S., acciò rappresenti il tutto al Sor.'" 0 Gran Duca. In tanto, non oc¬ correndomi altro, li fo humilissima riverenza. Di Roma, il 10 di Luglio 1638. Di V. S. molto Iil. ro od Ecc. a "’ Dovotiss. 0 ed Oblig. ,no Ser.™ c Dis> S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Bonod. 0 Castelli. eo Fuori: Al molto 111.™ ed Ecc. mo Sig. ro o P.ron Col.'" 0 Il Sig. r Galileo Galilei, p.° Filosofo del Ser. mo Gr. Duca di Toscana. Firenzo. U> Fkkdixando Bardi. * S| Cfr. n.° 3753. XVII. 45 354 13 — 17 LUGLIO 1638. [3758-3759] 3758 **. ROBERTO GALILEI a GALILEO [in Arcetri]. Lione, 18 luglio 1038 Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal.. P. I, T. XII, cnr. 75. — Autografa. Molto 111. 8 S. r mio Oss. ,no Como con altra mia (1) lio accennato a V. S., m’ò borio dispiaciuto intendere elio la sua liberatione non fussi totale, come mi oro imaginato: ma ad ogni cosa c’ è principio, e adesso ebo va adolcondo, al minimo tentativo dovorà riu¬ scire facilmente ; o poi non bavendo in questo controllori, e protecto da S. A. S., doverti andar facondo quanto li piace: e io, in qualità di suo svicerato servi- toro, Laverò sempre caro ogni suo bene. La lotterà dol S. Elia Diodati, elio la m’ à raccomandato con la gratissima sua de’ 26 passato, è andata a suo destinato viaggio, come la dovorà vedoro a suo tempo por la risposta di esso; o io in tutto quello si andrà dogniando di comandarmi, lo reputerò a singularo gratin o a favore particolare. E facendoli rovorontia, li pregherò da N. S. ogni voro bono. Di Lione, questo dì 13 di Luglio 1638. Di V. S. molto 111. 8 Di questo punto m* ò capitato una lotterà dol S. r Diodati di Parigi, quale vieno annesso a questo, o li dà conto dol libro dol Rov. ,l ° P. Morcona (S) . Sor. 0 AtY. n, ° o Dov. ,n ° Par. t0 S. r Galileo Galilei. Rub. 10 Galiloi. 3759 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 17 luglio 1038. Blbl. Nrz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 100. — Autografa. Molto 111.™ Sig. re o P.ron Col." 10 Ho ricouta la scattolotta do’ vetri bon condizionata con lo quattro piastro, corno mi paro di Lavoro già scritto a V. S. molto Ill. ro od Ecc. mal3 ’; o la rin¬ grazio dol favore elio mi fa dandomi nuova elio lo cordo fanno buona riuscita, cosa elio mi è stata di gusto, perché stava con qualche gelosia di bavere fatta io Cfr. n.» 3740. <*> Cfr. u.o 3740, Un. 5. <*> Cfr. u.o 3757. 17 LUGLIO 163S. 355 [8759-3760] cattiva compra, ossendo passato per mano d’altri. Nel resto mi vado trattenendo con adoperare l’occhialo, maraviglioso veramente, al quale ho applicato un vetro concavo da tutto duo lo bande politissimo, ma acuto a segno tale che mi mo¬ stra l’ogetto più alto, o vogliamo dire più vicino, centosessanta volto di quello io elio in’ apparisco alla vista naturalo, cosa mostruosissima. Iio visto Marte, bora che è intorno al Q 10 col solo, scemo chiaramente dalla parte orientale corno una luna di dodoci o tredeci giorni ; e si vedo chiaramente che la parto di esso Marte occidentale è vivissima di splendore, dove che la orientale apparisse a poco a poco sfumata, segno manifesto che in Marte si ritrovano sparse più om¬ bro nella detta parto orientale elio nella occidentale, corno parimente si osserva nella luna. Cosa poi maravigliosa ò il vedere lo stello fisso piccolissime, in modo che non appariscono più granfio di quello che m’appariscono i Pianeti Modicei. Starò attendendo quello elio comandarti il Ser. mo Gran Duca, quando il Sig. r Dino ovoro il Padre Francesco Laveranno parlato con S. A. Scr. ma co Ieri fu da me il Sig. r Magiotto, al quale, corno ancora a me, dispiace al cuore la perfidia dell’ indisposizione di V. S. Io non posso mai dirgli la più bella cosa di quolla che V. S. mi scrisse alcuni mesi sono, o non passano giorni che io non la replichi spesso o in voce o col cuoro e in scritto alli amici miei, la quale fu questa : Piace così a Dio, deve piacere così ancora a noi. Fo riverenza a V. S. molto 111.*® ed Ecc. raa , e bacio lo mani al Sig. r Dino e al Padre Francesco o al Sig. r Vincenzo suo figlio o al Sig. r suo nipote w . Roma, il 17 di Luglio 1638. Di V. S. molto IR/ 0 od Ecc. ,na Devotiss.® ed Oblig. mo Sor.™ o Dis. 10 so S. r Galileo Galilei. Don Bened. 0 Castelli. Fuori: Al molto Ill. r0 ed Eoe." 10 Sig. r ° o P.ron Col." 10 Il S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo del Sor." 10 Gr. Duca di Toscana. Firenze. 3760 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri], Venezia, 17 luglio lGìitì. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori, Autografi, B.» LXXXVI1, n.° 18. — Autografa. Molt’ 111. 1 ' 0 et Ecc. mo Sig. r ° o P.ron Oss. mo Perchè il violino mi fu mandato doppo havor io finiti i miei spacci, et os- sore io assai stracco dallo scrivere, mi dispensai di significargli quolla settimana <0 Alberto Cesare Galilei. 356 17 — 19 LUGLIO 1638. [3760-3761] rincamminamento eli esso, con far pregaro il procaccio a supplire in mio nomo, sì che a ino (piasi si devo tutta ascriverò la colpa della tardanza a comparirgli ; ma Tessergli pervenuto ben conditionato o la sua gentilezza me no dovoranno impetrare la scusa. Al Padre Maestro Fulgontio ho inviato la lettera di V. S., ma per trovarsi egli di fuora, non so so a questa verrà aggiunta la risposta, o so potessi venir ritardato il cammino delle suo lettore por Australiani. Forò si ricordi, come altro io volto gli ho dotto, cho non ho maggior gusto cho di vedermi honorato do’ suoi comandi. E qui gli bacio di tutto cuore lo mani. Vonotia, 17 Luglio 1638. Di V. S. molto Ul. r ® ot Ecc. ma Dev. mo et Olii)."' 0 So. ro S. r Galileo Galilei. Fran. 00 Itinuceiui. 3761 *. FRANCESCO BARBEBINI a [GIOVANNI MUZZARELLI in Firenze]. Roma, 19 luglio 1838. Riproduciamo In scguonto lotterà, il cui originale nrn noII'Arckivio doli' Inquisixiono di Fironzo, dalla pag. 28 doli’ opera citata noli' inforuiaziono promossa ni n.° 8701. Molto Reverendo Padre, Se il personaggio destinato a Galileo Galilei, e con regali di prezzo, por ritrarne da lui l’istromento che mostra il modo di navigare per la longitudine del polo, sarà di setta heretica, o mandato da città heretica, questi Eminentissimi miei Signori ll) non hanno per bene cho il Galileo possa introdurlo a ragionar seco, et ella gli no dovrà faro la prohi- bitione in forma; ma quando e la città e ’1 medesimo personaggio fusso cattolico, non stima la S. Congregazione di dovergli impedirò la negotiatione, purché essi non trattino del moto della terra, conforme agl’ordini già dati. Ma qui difficilmente si credo che ristrumento sia talo ohe possa senza difficoltà aperir la strada a sì fatta navigarono, sino a questi tempi incognita, ancor che investigata da ingegni altissimi; e quando forai egli no 10 havesse ritrovato il modo, non si crede s’habbia da codest’Altezza permettere ch’egli ca¬ piti in mano di gente straniera e si tolga all’Italia la gloria d’haver isperimentata, prima degli altri, sì nobile inventione, assai più utile di quella c’hoggi si costuma per l'altezza del polo, pur anco facilitata, col segreto della calamita, da ingegno italiano. Serva d’av¬ viso a V. R., et il Signore la conservi. Di Roma, li 19 Luglio 1638. Di V. R. Como fratello Il Card. 1 * Barberino. Lott. 3780. 9. non $o a — Lett. 3701. 10. da ingrani alcuni; e quanto forti egli — m Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, a, 27). [3762-3763] 10 — 20 LUGLIO 1G38. 357 3762*. G10. FRANCESCO PASSIONE1 a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 19 luglio 1638. Bibl. Vaticana. Coti. Barberiuiauo lat. 7325 (già LXXXVIII, 34), car. 9, in cifra, o a cnr. 7 docifrato di uiauo sincrona. Di Firenze, da Mona/ Vescovo di Cagli Nim.°, li 19 Luglio 1638. Deciferato li 23 detto. .... Li Stati Olandesi hanno inviato in mano degli Eborzer, mercanti Tedeschi, una lettera ed un donativo, chi dice di 600 o chi di y scudi, por il Galileo, ad effetto di esser amacstrati della lunga navigatione. Ma il Buffetto non ha accettato nè accetterà l’uno uè l’altra, se procedentemente non havorà ottenuto licenza di Roma. 3763. FRANCESCO DI NOAILLES a GALILEO [in Arcetri]. Parigi, 20 luglio 1638. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 77. — Autografa. Nel medesimo manoscritto seguo (car. 79) la triuluziono italiana, di mano di Vincenzio Galilei. Monsiour, Vous ne pouviés adrosser vostre excollont ouvrago a persone qui on prisast et cherist plus le inerito quo moy (l) . Outre que les pensees y sont nouvelles et les raisons fortes, ellos sont oxprimeos avec tant do clairté, tant fio giace, tant d’ornement et tant d’ordre, qu’il no s’y peut rion adionstor. En un mot, si io suis capable d’on faire iugement, tout y est digne de cotte raro suflisance, qui vous a acquis la reputati on du premier espriet d’Italio. Je m’asseuro qu’il sera leu soigneusement en cotto Court avec un egal fruict ot contontement de tous ccux qui so connoissent en ccs matiercs, ot qu’il n’y en aura poinct qui no re¬ to gretto avecque moy l’accident qui vous est tombe sur la vefìe, cornino un malhour qui priverà peut estro lo siede d’uno infinité de ccs bolles lumi eros dont vous avos esclairé iusques icy les Sciences que vòus maniés. Toutesfois, Monsiour, si c’est l’entendoment qui voit ot qui oyt, suivant co quo disoit autresfois, si ie ne me trompe, ie ne scay qui dos antions, il fault esperer quo vous continuerez d’y dissiper les tenobres qui y restent encore a percer. Rien no peut oster a vostro grand esprit le mouvement qu’il a osté au soleil; il faut qu’il agisse <»> Ofr. n.° 3698. 358 20 — 24 LUGLIO 1G38. [3768-3764] tousiours selon son naturol, pour sa gioire et pour l’utilitó communo dos horames studioux. C’ost co qui me consolo dans lo déplaisir quo i’ay rcceu do vostro aflliction ; au soulagomont do laquollo no pouvant contribuer autro choso quo dos dcsirs ot dos vooux, io vous prie pour lo resto do me favorisor tousiours do vos 20 bonnos gracos, ot do vous assourer quo, vous estimant, commo io fays avoc tout lo mondo, un dos plus grands orncmonts do nostro aage, io no me croiray inmais digno do vostro amitié iusqu’a ce quo i’ayo trouvé l’occasion do vous pouvoir tesmoignor aycc offoct quo io suis, Monsiour, Vostro plus Ilumble ot tres Ailoctioné Sorvitour Noaillos. Do Paris, co 20 Julliot 1G38. Fuori , di mano di Elia Dio dati: A Monsiour Monsiour Galilei, [p'jremier Pbilosopbo ot Matliomaticion du Grand [D]uc so do Toscano. 3764 *. MATTIA BERNEGGIAR ad ELIA DIODATI in Parigi. (Strasburgo], 24 luglio 1638. Bibl. Civioa di Amburgo. Codice citato al u.« 2G13, car. 273 (. — Minuta autografa. Aelio Diodato, Lutetiam, S. P. D. Amplissimo Nobilissimeque Domine, Valde mihi iucundum fuib, a tam longo intervallo videre tnanum illam tuoni, et regustaro suavitatem litterarum tuaruni, quao in bis pertinacisBiini morbi reliquia haud esiguo mihi solatio fuere. Quam vis autom acerbum sano fuit, do magni nostri Galilaoi lyncoo quondam visu, nunc perpctuis tenebria fatorum quadani invidia danniate, cognoscere, vi- cissim tamen ercxisti significatione invidi oius animi et vere pliilosophicae, onininoque tali viro dignae, in hac calamitate ferendo constantiae, quam recordatione tot meritoruni 10 rn publicum, indeque partae sempiternae gloriae, non mcdiocriter augescore crediderim. Si, quod opinor, ad ipsum quandoque scribcro pergis, ex me salutoni officiosissimo adseri- bas, eique fidem facias, observantiam et cultura, sunimis virtutibus ac moritis ipsiua debitum, adirne mihi constare et quoad vixero constiturum. Parino pudenter, sed et fortasse frustra, fecero, si funiculum alium, telescopi longitudini parcni, loco eius qui artificis incuria mihi periit, non tam ah ipso quam familiaiibus oius, per te coucr impetrare. Gommitto rem ornnem arbitrio prudentiaeque tuae.... li Iul.U) 1638. <•) Di stile giuliauo. L37G5J 25 LUGLIO 1638. 359 3765. GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma], Firenze, 25 luglio 1638. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. VI, car. 97. — Copia di mano di Vincenzio Galilei Revd. mo P.re mio Sig. r Colend. mo Le novità scrittemi dalla Paternità Vostra Revd. ma mi sarebbero state di gusto grande, quando lo stato mio infelice non mi tenesse oppresso da molte cure moleste. Oltre alla continua lacrimazione et una mordace infiammazione di ocelli, ho travagliato per 15 giorni di dolori colici, la cura de i quali mi ha fatto curar meno quella degli occhi et anteporre i medicamenti per quella, benché contrarii al bi¬ sogno degli occhi. Tornerò alPastinenza del vino; ma non perciò vengo punto in speranza di non bavere a perdere totalmente anco io l’altro occhio, cioè il destro, come già molti mesi sono persi il sinistro. Il G-. Duca fu informato del vetro tanto da lei celebrato ; e già ella dal Sig. r Dino Laverà inteso la volontà di S. A., che penso che sarà di volerlo vedere. L’osservazione di Marte, che ella mi accen¬ na (1) , è bellissima, e più ancora quel che ella scrive della piccolezza delle stelle fisse, che verranno ad esser sommamente minori non solo di quello che hanno creduto gli astronomi generalmente, ma di quello ancora che io havevo giudicato ; cosa veramente di gran conseguenza. Il Padre Francesco buono (2) è doventato tutto aulico, et è con¬ tinuamente appresso questi Ser. mi Principi, instruendogli nelle mate- 20 matiche et in particolare nell’ algebra, onde rarissime volte mi accade il potergli parlare. Il Sig. r Dino Peri si trova da 5 giorni in qua in letto ; e benché sin qui i medici non ne faccino sinistro giudizio, tut¬ tavia P incaminarsi la sua malattia per quella strada che ha portato via quattro altri suoi fratelli, fa temere tutti gli amici suoi, e me in particolare che tanto lo amo. Piaccia a Dio di preservarlo; ma quando havesse a mancare un suggetto tale, che provisione dovorà farsi per lo Studio di risa? La P. à Vostra Revd. ma ci applichi un poco il pensiero, e me ne accenni qualche cosa. (1) Cfr. n.o 3759. <*) Famiano Micheli*». 360 25 LUGLIO 1G38. [ 3765 - 8766 ] Quanto al modo dol lavorare le lenti napoletane, il vederlo pulito ©squisitamente non in tutto il disco, ma nella parto di mezo, lasciando so a torno come una ciambella non bene lustrala], confondo il cervello a questi artefici di qua. Io ho pensato a qualche cosa non triviale, ma non ardisco di aprir bocca, havendo altro por il capo ; tuttavia sentirò volentieri quello che sopra ciò ella scrive di haver ponsato e penetrato, et io, se mai potessi ridurmi in stato men travaglioso, procurerei di significargli il mio concetto; ma perche ò una mac¬ chinazione e struttura fissai grande e difficile a spiegarsi, e massimo con nude parole senza |)oterne un cieco disegnare la figura, non posso per ora dir cosa essenziale, se non elio il mio artifizio dopende da una proposizione di Euclide. 40 Le corde per mio nipoto son riuscite di satisfazione. In questa mia malattia ho liauto e tuttavia ho l’amorevole assi¬ stenza dell’ Ecc. mo Sig. r Magiotti M) , del qualo i piacevoli remedii in questa ardentissima stagione mi hanno sollevato assai. So che a parte di tal mio benefizio vi ò V affezzione del nostro cortesissimo Sig. r Raf¬ faello (2) , il quale ella reverirà in mio nome, come anco il Sig. rG Nardi et il Sig.™ Borghi (3> , alli quali due scrissi l’ordinario passato, ma furon le lettere consegnate qui per lo strasordinario di Genova, come anco questa; però non son sicuro dol ricapito, non le havendo io indirizzato in contrada o abitazione particolare. E tanto basti per co ora: si ricordi di me nelle sue orazioni; e con reverente all’otto li bacio le mani. Di Firenze, li 25 Luglio 1638. Della Vostra Pat. h Revd. ma Dcvotis. 0 e Oblig. mo Se. r0 Galileo Galilei. 3766*. GIOVANNI MUZZARELLI n FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 25 luglio 1638. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 95, a). <" Lattanzio Maoiotti. <*> Rapfaku.o Maoiotti. < 3 > Antonio Nardi o Piku Battista Bokoui. [3767-3768] 27 - 30 LUGLIO 1G38. 301 3767 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Kg ino mi de Rimimi, 27 luglio 1638]. Dal Voi. II, png. 271, dell’edizione citata noli’informazione promossa al n.° 2898. .... le n’ay pas ausBy encoro vù lo Galilée, bica que i’aye mandò a Lcyde qu’on me l’envoyast.... 3768 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri], Roma, HO luglio 1638. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 108-109. — Autografa. Molto 111.' 0 ed Ecc. m0 Sig.‘° o P.ron Col." 10 Mi trafiggo il cuore la perfidia dell’ indisposiziono di V. S. molto 111.™ ed Ecc. m “, o la compatisco tenerissimamente, nè so che dire altro so non quelle sante parole che ella mi scrisse a’ mesi passati, da me replicato a loi cd a molti altri : Piace così a Pio, deve giacere così a noi. Mi si accresce il dolore dol- T infermità del nostro caro Sig. r Peri, per il quale, come anco por V. S., pre¬ gare sempre la Maestà Divina elio faccia la Sua santa volontà, nella quale è necessario assolutamente rassegnarsi. Questa mattina ho visto il nostro Sig.‘ Borghi inamo ratissimo di V. S. o dol io suo merito o valore, o l’aspotto questa sera a osservare Giovo e Saturno o Marte; o li leggerò tutta la lettera. Quanto all’occhiale, non mi risolvo man¬ darlo a Firenzo, intendendo por l’ordinario passato che quello del Ser. ,n0 Gran Duca non sia inferiore a questo. Ilo scritto al Sig. r Peri quello elio dovova rap- prosontare a S. A. Ser. ma , ma dubito che la sua infermità V lmverà impedito che non Laverà potuto fare l’officio : per tanto se ella potesse fargli sapere che fac¬ cia trattare al Padre Francesco buono nel medosimo modo che esso Sig. r Dino Laverebbe trattato, mi sarchilo favore. Dio Benedetto ci conservi, come ella dice, il Sig. r Dino, sogetto veramente sublime e degno : però intorno a quanto ella mi scrivo, sappia elio io non poti ci 20 bavere più felice nuova che di potere venne a finire gli anni miei in quella ser¬ vitù nella quale ho consumati i meglio di vita mia, dico alla servitù di cotesta Serenissima e veramente Beai Casa. Ma l’essere io della Congregazione nostra Cassinese, sogetta alla protezione dell’ Em. M Sig. r Card. 1 Barberinoal sei- in FkANOKSCO Il A REBBI M. 362 30 LUGLIO 1638. [ 3768 ] vizio del quale di presento ini trovo, non ho modo nessuno di liberarmi di qua, so non con pericolo di rovinare lo coso mio in modo elio mai più potrei rimet¬ termi: o questo che io dico ò secundum presentati iustitiam; tanto più elio V. S. dovo saporo elio un monaco di Badia, assai animoso, teologo, filosofo o altre- tanto intclligonte dello matematiche, ha liauto ardire di venire a Roma, fomen¬ tato da corti miei poco amorevoli, o portando lottere di calde raccomandazioni all’Em™ 0 Barberino, ha dimandata la mia catedra soi mesi fa, senza dirmene so una minima parola; ed io vedendomi .soprafatto da simil tratto, mi risolsi di non faro motivo nessuno, ma staro a vedere la riuscita del negozio : quale ò stata elio questa mattina mi ò stato significato elio non solamente io resto con¬ formato nella lettura, ancorché non liabbia nò fatto nò fatto faro olìicio nessuno, ma di più mi ò stato fatto parto di un poco di augumento di provisiono annua cho ci restava da distribuire del dinaro dolio Studio; cosa elio veramente ò stata di mia consolazione ed honorevolozza, in modo che non posso da ilio muovermi por bora in conto alcuno. Io voglio provarmi so posso provocare V. S. alle risa con un saggio dol pro¬ fondo saporo ed alta intelligenza dolio matematiche di questo sogotto. La stanza 40 di questo buon Padrino ha rivolto lo finestre verso levante: fiora, intorno al S. Giovanni, essendo il solstizio estivo, osservò cho il sole nel suo spuntaro dal- l’orizonte, liavendo all’ fiora la massima latitudine ortiva verso tramontana, man¬ dava il lume verso la man destra sua nella camera; od ossendo la luna intorno all’opposizione quel medesimo giorno di così acurata osservazione, osservò la sera cho ossa luna mandava il lume al contrario dol solo nel suo nascere, cioò alla sinistra di essa camora. Stupefatto questo grand’ huomo di così strana ap¬ parenza, il giorno soguente propose questa cosa corno un astrusissimo dubio in un congresso do’ monaci, tra* quali si ritrovavano duo, in particolare, più cho mediocremente intendenti della professione, quali restarono maravigliatissimi che r>o essendo costui tanto ignorante di questa puorilo apparenza, havesso liauto ardirò di tentare l’impresa di salire la catcdra di Roma delle professioni dello mate¬ matiche ; o così no habbiamo fatto parecchio comcdiotte. Serva questo poco por sollevarla con quosta facozia dalla sua mestizia; o consideri il stato mio, o di¬ sponga di ino corno moglio li paro. E li fo riverenza. Roma, il 30 di Luglio 1638. Di V. S. molto 111.” ed Ecc. aft Voglio soggiongere, che so bene non manca- ranno sogotti al Ser. mo Gran Duca in caso di mancanza, io però tongo elio non sarebbo info- c.o riore a nessuno il nostro Sig. r Raffaello Magiotti, persona non solo intelligentissima delle materna- 30 — 31 LUGLIO 1638. . [3768-3709] 363 ticho, conio quello elio ha visto tutto il buono ed il bollo dolli scrittori insigni antichi o mo¬ derni, od in particolare versatissimo nella dot¬ trino od opore di V. S. Ecc.' na , ma, quollo elio im¬ porta por un lettore publico, egli ha studiato logge, teologia o medicina, versatissimo nello bollo lettore, havondo visto tutti poeti della greca o 70 latina favella o le historie, o in somma huomo raro o, quello che io stimo più di tutto, huomo hono- ratissimo o di costumi integerimmo, intclligontis- simo della lingua greca o latina, con qualche no¬ tizia dolla lingua hebroa. E tutto quello che dico è verissimo, sonza hiporbolc o parlando por verità. Devotiss. 0 ed Oblig. mo Ser. re e Dis. 10 S. r Gal. 0 Galilei. Don Boned. 0 Castelli. Li do ancora nuova, elio un Padre Gicsuita fa sostenere publicho conclu¬ sioni di lilosofia, nello quali difendo che il sistema Copernicano non si può bu¬ so pugnare con ragioni astronomiche, ma solo con la Sacra Scrittura otc. : Systema Copernici, quoti de facto terra curri caeteris elementis et stcllac moveantur circa solcrn, rciicimus ut contrarimi Fidci principiis et phisicis rationibus, licei non demonstretur impossibile per astronomica^ rationes. 3769 **. FULGENZIO MICANZ10 a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 31 luglio 1G38. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gnl., P. VI, T. XIII, car. 110. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111. et Eccoli. 010 Sig. r , Sig. r Col." 10 Sono capitati tutti li manuscritti, mandati da V. S. molto 111. ot Eccoli. ma Giroi.amo Gjustinjan. 364 31 LUGLIO 1638. [3769-3770] in uno (li tal singolarità, elio por lo coso del ciclo è un miracolo. Mi si ag- io giongo elio no ha donati a divorai, uno in particolare al Sor. 00 Gran Duca, quale Dio conservi in ogni prosperità et faciat pulchra prole beatavi : V. S. no debbo saper il tutto. Lo osservationi sono, a mio computo, in crescente, una circa la duodecima, in mancante circa la 16*. Voramonto, so il ritratto <3 vero, ò cosa stupenda. Ma, buon Dio, ovo sono gl’occlii dol Sig. r Galiloo, scopritori delle ma¬ raviglio ot occittfttori di quel giudicio, so non divino, certo incomparabile ? Non posso negarli, con questa occasione, di non deplorare con vivo sentimento il mal publico. E chi sarà quollo elio sopra questo nove, stranissimo, apparenze possa formar un giudicio fondato, conio farebbe il mio carissimo Sig. r Galileo? Hoggi apunto leggo in lotterò di Napoli ad amici qui, elio il Gloriosi mandarà il suo 20 Discorso ll> . Aspetto di vodorlo con gran curiosità, ma con sicurezza che debba eccittar, non estinguer, la sete, conio farebbe il fonte inossausto 0 limpido (lolle osservationi del Sig. r Galiloo. So elio a Napoli ot in Roma ò stato dato conto di novo osservationi da V. S. fatto, 0 110 ho lotterò da Roma; non mi dicono poro dol particolare d’i moti, ma sono ingolosito elio anco in questo si tratti rohbar la gloria dell’invontione. Prego V. S., so oltre la lotterà scritta già al Sig. r Antonini (,) ha cosa di aggiongero, communicarcola, acciò in occorrenza po¬ tiamo far il debito do’ veri amici 0 servitori. È qui in Vonotia il P. F. Colio da Seravozza Gapuoino, persona cho ho havuto gratia di conoscere con mio supremo gusto, perchò, oltre l’ossor liuonio 30 di una bontà prudente, non superatitiosa, mi si scuopro grand’amico di V. S. La quale pregando di riamarmi, corno io lo prego di tutto cuoro consolationo, si conservi con l’allegrezza elio può prondoro dalla cognitione (lolle cose humano; e lo bacio lo mani. Vcn.*, 31 Luglio 1638. Di V. S. molto 111. et Eccell. m Dov. BO Sor. F. F. 3770 *. MATTIA BERNEGGER a GASPARE HOFMANN in Alturf. [Strasburgo], 31 luglio 1638. Blbl. Civica di Amburgo. Codico citato al n.° 2618, car. 27Sr. — Minuta d’altra mano, con correzioni autografo. .... De Galilaeo non valde me perculisti, qui sciani, ipsuni simulate, non serio, dixisse quae dixit. Anni sunt 20 et quod excurrit, cum, ami comm rogatu, ex italico converti tracta- tum ipsina de instrnmento proportionum < 8) . Ea versio cum non displicuisaet, intornuncio (’' Ioamnis Camiu.i Gloriosi Exermiationum malliematicaruni Cfr. n.o 790. [3770-3771.1 31 luglio 1638. 365 Dcodato I. 0.‘° Parisiensi, rogavit me ut item Systoma suum Copcrnicanum verteuduni auseipercm, ex alto tainen dissimularcm ino hoc precibus suis dedisseW. Feci, et in id comparata ad lectorem praefatio est, ut editionis crinicn ab autore depulsum in alios con- feratur. Nani quac do Engelke (2) et ceteris scripsi, fictitia pleraque sunt : Engelke librimi ne per somnium quidem vidit. Habeo binasab autore liltoras, unas latine alteras betrusco idiomate' 4 scriptas, elegantissimas utrasque et bumauissimas, in quibus maglias prò ua- 10 vaia opera grati as agit. Et ne ante carcerimi scriptas existimes, istum squalorem et per- secutionem illam (quae potissimum a Scheinero, lesuita quodam, auctorc et insti udore pro- ficiscitur) paticuter a se ferri ostendit. Velini ad inanimi sit epistola (nec enini iam vacat inquirore) : describerem verba, mascula profecto et vere pbilosppbica. Vidcreris libi So- cratcni quendam in carcero concionantom audire. Quin et iam telescopio, gratissimo non niinus ac pretioso miniere, transmisao suani ili me bcncvolentiam testatale reddidit. Deodatus, quelli dixi, scripsit ad me mi per ista : Galiluous noster, qui nuper lynceus, visu mine orbatus et pcnitus caecus porpotnisque tenebria immersus, vitam ducit, sat,Ì3 oetc- roquin, prò aelate, obfirmata valetudine, animo invicto torpori vires ministrante, llaec ille. 21 lui. (5) 1638. 377 r :: . UGO GR0Z10 a GIO. GHERARDO V0SS10 [in Amsterdam]. [Parigi], 31 luglio 1638. Dalla pag. 452 doll'opora citata noli’informaziono promossa al n.® 2917. _Scripsit ad me collega tuus vir Cl. Martinus Hortensins, cuìub ogo sunimam in rebus matbcmaticis peritiam facio maximi. Gaudeo et ipsi et tibi et vostris liectoribus, quos opistola ipsius noniinat, curae fuisse admirandum Galilaei repertum. Nocuit ei rei, ut multis aliis, mora. Itaque iam ad Collegium Inquisitorum, quod est ltoinae, dolatus est eo nomino, quod hoc commentimi haereticis propinaverit. Yult quidem eum Dux Ethrn- scus in hac causa aequissima tutari, sed invidiam, dum ost recens, declinare vult. Prac- teroa solis ad Iovem propinquitas niensos octo aut amplius faciet inutiles contemplando Curetibus ibis xoS At,òg nepixopeoxccrg. Itaque videtur has ob causas differendum in tempus aliquod D. Hortcnsii iter; qua de re ad ipsum scriborem Hortensium, nisi et nunc respon- 10 dendum baberem literis plurimis, et ad Hortensium scriberet D. AdeodatuB, qui mi hi ad liane rem longo splendidissimara promovendam impulsor primum, deindo adiutor, fuit. Ego quacunque parte studia et generis bumani utilitates promovere poterò, faciam id animo volentissimo.... <*) Cfr. n.® 3257. (*> Beniamino Knori.kr. (3» Cfr. n.® 2966. (M Cfr. n.® 3822. < s l Ui stilo giuliano. 366 7 — 10 AGOSTO 1638. [3772-3774] 3772 *. FRANCESCO BARBERINI a GIOVANNI MUZZARELLl iu Firenze. Roma, 7 agosto 1638. Dalla pag. 28 dell’opera citata nella informazione promossa al n.« 37C1. Aucho l’originalo di quosta lottorn ora uoll’Archivio doli’ Inquisiziono di Firenze. Molto Itov. Padre, Gftliloo Galilei, con non voler ricovero lo lettere o i rogali destinatigli dalli Stali d’Olanda, ha dato segno di molta pietà. V. R. gli può accennare che la sua attione ò stala sentita volentieri con molta sua lodo da questi miei Eminentissimi <*> ; o V. R. lo manterrà in fede, acciò non prosti orecchie a sifatte osibitioni. Et il Signoro la conservi. Di Roma, li 7 Agosto 1638. Di V. R. Como fratello Il Card.'® Barberino. 3773“. UGO GROZIO a GIO. GHERARDO VOSSIO [in Amsterdam]. Parigi, 7 agosto 1638. Dalla pag. 454 dell'opera citata noli’ informaziono promossa u) ».° 2917. .... Gaudoo, amplÌ83ÌmÌ8 urbis vestrae Roctoribue et Galilaei repertum, sicut meretur, cordi esse, et D. Uortensii in isti» studiia peritiam magni, ut certo debet, iieri. Caeterum, cur videatur dilatum nimis diu D. Ilortonsii iter nunc nova do causa differendum, et ipse ad te scripsi, et uberiua ad D. Hortensium maximus Galilaei ainicus Adeodatus (t) . 3774“. PIETRO FERMAT a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Tolosa, 10 agosto 1638. Dal Tomo II, pag. 166, dell’edizione citata noli'informaziono promossa al n.° 3471. .... le tirai le Galilei en mon voyago, à quoi io n’ai pu encore vaquer à cause dos occupations de la fin du Parlement.... <‘> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 28). •*> Bua Diodati. [3775-5770] 14 — 18 AGOSTO 1638. 367 3775 *. GIO. GIACOMO BOUCHÀRD a VINCENZO CAPPONI [in Firenze]. Roma, 14 agosto 1638. Collezione Galileiana nella Torre del Gallo presso Firenze. — Autografa. _non mancherò di mandarne pur uno a V. 8.111.“% subito che la stampa sarò finita, pregandola scusarmi so non le mando hora questo della prima editiouo (, % essendone stato tirato così poco numero che non mi resta se non questo, il quale sono necessitato dare al S. r Galilei, attoso che nella stampa di Roma il suo elogio, ch’io fo di lui là dentro, sarà corretto secondo il beneplacito di frati. Pertanto resterà servita V. S. 111.™* di far dare a detto S. r Galilei questa Orationo, assieme colla lettera sua, dopo ch’ella Phaverà vista a suo commodo et anche fatta vedevo a dotti suoi amici, de’ quali, sì come parti¬ colarmente di lei, dosidero sapevo il giuditio che ne faranno .... 3776 **. MARIA FELICE NERLI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 18 agosto 1(538. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. XIII, car. 281. — Autografa. Ill. ,no et Ecc. mo Sig. re Desideravo con mio gusto rivodero V. S. Ecc. ma o insieme roverirla ; ma poi elio sento che si va più aggravando nelle sue indisposizione, temo di non avere a conseguire tal grazia: però venglio con queste duo righe a salutarla e in¬ sieme offerirmeli, cho so posso servirla in qualcho cosa, mi comandi, chè mi sarà favor particolare. Non inanello già far preghare il Signore Dio alle mie monacho per lei, o lo farò di continuo, sì conio fa S. v Arcangiola w sua nipote, quale la saluta caramente o desidera qualcho suo comando, offerendosi a ser¬ virla di tutto core, quando la vogli favorire. S. r Maria Vittoria li bacia le mani, io o io ancora, pregandoli dal Signor ogni maggior felicità. Di San Giorgio, il dì 18 d’Agosto 1638. Di V. S. Ul. ma et Ecc. ma Àff. ma Serva nel Sig. ro S. r M. a Folice Nerli, Ministra al presento. Fuori : Al’ Ill. ra0 et Ecc. m0 Sig. T Galileo Galilei. In villa in Arcetri. A Arcottri. Lett. 3770. 2. e ùtieme (»» Cfr. il.» 3G8G. 1*1 AllOANUlOI.A r.A JfDIJGCI. 18 — 21 AGOSTO 1638. [3777-3778] 368 3777 ** DARLO DI S. GASPARO a [GALILEO iu Arcetri]. [Firenze], 18 agosto 1638. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. XII, car. 81. — Autografa. Eccoli. mo Sig. ra Mi sono proso un ardirò di mandare quei vorsacci a V. E. elio dissi, quando fui a visitarla, di liaver fatto in suo lionoro, so si ricorda. L’Ardire, doppo di bavere molto combattuto con il Rossoro, ha vinto alla fino, perchè, desiderando che Y. E. havossi qualche cosa dol mio por poi insuperbirmene, si svegliava nol’animo quosto movimento : “ E tu ponsi che un huomo sì savio babbi tempo d’avanzo por udire le tuo baio? Fa’ ch’egli babbi tempo: tu stimi elio porsona tanto gravo tanto s’abbassi?,, Eccoti l’Ardire in campo : “ Sia come si voglia ; „ dico “poniamoci a rischio: Audaces fortuna „. Non sapovo in mozzo a questo onde clic farmi, quando, ricordandomi della promessa, mi diedi por vinto al- io l’Ardire. Non sprezzi dunque V. E. questi miseri versi, ma con quol volto li ri¬ covi elio ricovò una volta l’autore di ossi. E con questo, baciandoli lo mani, me gl’offro servitore. Li 18 Agosto 1638. Di V. S. Eccel. n,a Affet. mo Servitore Carlo di S. Gasparo, Ckerico dolio Scuoio Pie. 3778 *. LODOVICO INCONTRI a [GALILEO in Arcetri). Firenze, 21 agosto 1638. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campo ri. Autografi, B » LXXVIII, n.« 45. — Autografa. Molto Ill. ru Sig. r mio Oss. mo Mando a V. S. li duo fiaschi di vino d’amarasche della Potraia (1) ; e so sonto che li conferisca, avvisi, chò S. A. gno no mandorli dell’altro. Noli’ incluso scatolino sono quattro pillole di quelle di S. A., che fanno dormire. Se ne piglia una per volta, mezz’ora doppo comi ; o so V. S. trovasso giovamento, la seconda sera no potrebbe pigliare un’altra nel medesimo modo Cfr n.° 11178, Un. 17. [3778-3780] 21 - 23 AGOSTO 1G38. 369 doppo cena, e l’altro duo lo potrebbe serbaro per altro tempo. S. A. la saluta, et io lo faccio reverenza. Da Pitti, li 21 di Ag.° 1038. io Di V. S. molto 111.» ÀfT. ,nft et V.° Ser.° Lodovico Incontri. 3779*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi], [Egmoml (lo Binnen], 23 agosto 1638. Dnl Tomo II, pag. 333, 830, doli’adizione citata noli’informazione promossa al a.® 2898. .... l’ay considerò oxactement la demonstration pretendile de la roulete, envoyée par M. r Fcnnftt, laquolle commence par ces mots: Le cenlre du demi cerclù N, le diumetre ctcS l) \ mais c’est le galimatias le plus ridicole que i’aye ancore iamais vù. En ell'ect il monstre par la que, n’ayant rien sceu trouver do bon touchant cete roulete, et ne voulaut pas ponr cela demenrer sans responso, il a mis la un discours embarassó, qui no conclnd rien du tout, sur l’esperance qu’il a eoe que les plus habiles ne l’entendroient pas, et que Ics autres croiroient cependant qu’il l’auroit trouvée. Si le S. r de Roberval (S) s’est contentò de cela, on peut bien dire en bon latin que mulus muluin fricat. Vous m’avioz mandò, il y a un nn ou deux, qu’il avoit escrit un livre contre Galilée, avec un titre fort fastuenx< S) , IO de quoy ie n’ay plus ouy parler dopuis; io voudrois bien syavoir ce qui en est reussi_ I’ay aussy le livre de tìalilòe, et i’ay employó deux heuros a le feuilleter; mais i’y trouve si peu de quoy rompi ir les marges, quo ie croy pouvoir mettre en urie fort petite lettre tout ce que i’y pourray remarquer, et ninsy que ce ne sera pas la peine que io vous cuvoye le livre.... • 3780. GALILEO ad ELIA DIODATI [in Parigi]. Firenze, agosto 1038. Bibl. Naz. Flr. Appomlice ai Mss. Gal., Filza segnata sul dorso: « 8. Galileo. Copio di documenti, lettere, etc., o-stratto dalla Raccolta Palatina dei Mas. scientifici », car. 595r.-598r.— Copia del socolo XVIII, servita alla prima Edizione fiorentina dolio Opere di Galileo del 1718: perciò in quosta copia furono cancellati (ma sono tuttavia leggibili) quei tratti elio nella dotta odiziono (Tomo III, pag. 184-185) vonnoro omessi. In margino, al principio della lettera, si legge, pur di mano dol socolo XVIII: Lederà di Galileo Galilei ad Elia Dcodati, o quindi, cancellato: Q. al Deodali. 7 Aij .* (e prima era stato scritto 7 May.») 10.19. Molto 111.” Sig. re e P.rone mio Col. mo Trovomi (la circa un mese in qua sommamente afflitto e prostrato in letto, consumato di forze e di carne, che dispero del tutto il più (*t Quosta dimostrazione, relativa all’area (lolla puteaancea qui eouetiennent un poidn auapendu ), nella Seconde partie l8 ' Traiti de Mechaniqtte. Dea poida aoustenua par de l'Ifarmonic univeraelle dol P. Mkusennk (1G37). dea pniaaancea aur lea plana incline» à l'horixon. De» XVII. 47 370 AGOSTO 1638. [3780] poterne risurgere con la vita. Alla cecità, infiammazione e flussione d’occhi 8’ò aggiunto Fossero io stato travagliato da dolori colici o finalmente da una grandissima e violentissima evacuazione, accadu¬ tami non per errore del modico, ma di chi mi somministrò alcuni bocconi di diaprunis, elio per ordine del medico doveva esser lenitivo, ma per errore del ministro fu preso in quel cambio il solutivo, sì che doppo brevissimo tempo cominciò a tirarmi giù tutto quello che io avevo non solo nello stomaco e no gli intestini, ma credo in tutta la sustanza carnosa, cavandomi da dosso credo bene due fiaschi d’umori. Aggiungasi a questo una perpetua vigilia, per la quale a gran for¬ tuna mi tocca a dormire qualche quarto o mez’ora sul far del giorno e tal volta un’ora o duo verso la sera. Disgustatissimo d’ogni cosa, il vino nimicissimo alla testa et a gli occhi, 1’ acqua a i do¬ lori di fianco, sì che in questi ardori il mio bere si riduce a poche once tra vino e acqua et ad una totale astinenza di frutte di qual¬ sivoglia sorte; l’inappetenza è grande, nessuna cosa mi gusta, e se alcuna mi gusterebbe m’ è del tutto proibita. Questi, Sig. r mio, sono so a me travagli grandi ; ma molto maggiori sono i fastidii elio mi perturbano per molti versi la mente e la fantasia, elio lunghissima cosa sarebbe il raccontarli, nè io posso dettare anco questo poco senza grave offesa della testa. Con brevità grande, dunque, rispondo all’ ultima sua gratissima del dì 8 di Luglio. E. con maraviglia e travaglio son restato della libertà presasi il Sig. re Elzovirio di tra¬ sformare l’intitolazione del mio libro, riducondola di nobile, qualo ella meritamente deve essere, a volgare troppo, per non dire plebea; et è forza, per mio credere, che qualche mio poco affetto in Amsterdam gl’abbia tenuto mano: e V. S. molto Ill. re , come mio vero o sincero amico so e padrone, ben fa a procurare la reintegrazione di essa intitolazione. Della lettera del P. Mersenno ò accaduto quello che ella mi accen¬ nava, poi che, avendola data in mano d’amici e finalmente di tutta 1’ accademia, non è stato possibile leggerne tante parole, che almeno in confuso si sia potuto ritrarre senso di tale scrittura: e quelli che non vogliono essere intesi, por loro minor briga possono tacere ; e volendo essere intesi, doverebbero fare scrivere in carattere intelli¬ gibile. Però io non posso soggiungere nulla, so in altra forma non mi viene scritto ; onde la prego a far mia scusa. Iiett. 3780. 86. a quello ohe — [ 3780 ] AGOSTO 1638. 371 40 Sei giorni sono mi fu portata da i Sig. ri mercanti Ebers tedeschi una lettera de gl’ lll. mi e Pot. rai Stati, insieme con una scatola en- trovi una collana. I portatori mi trovorono in letto afflittissimo, e, per essere io cieco, apersero e mi lessero la lettera di detti Signori, veramente piena di cortesia. Io la presi, e l’istesso feci della scatola ; ma la lettera la ritenni appresso di me, e la scatola, con quello che dentro vi era, riconsegnai in mano de i medesimi Sig. ri mercanti, pregandoli che la tenessero appresso di loro sin tanto che io potessi scrivere in ringraziamento a gl’Ill. mi e Potentissimi Stati et aspettare risposta a quello che io averei scritto, che era di ringraziarli della no benigna dimostrazione del buon affetto loro verso di me, ma che la collana non volevo che restasse in mia mano per adesso, e ciò per varii rispetti et in particolare per avere il mio infortunio della perdita della vista e dell’aggravio di gravissima malattia interrotto il negozio che si trattava. La gravezza del male non m’ ha permesso per ancora di rispondere a i detti Signori: lo farò, se mi sarà da Dio conceduto tanto di vigore, e ne manderò copia anco a V. S. molto Ill. re ; ma se il peggioramento mio va crescendo, come ha fatto da tre o quattro giorni in qua, dubito che il dettar più lettere sarà giunto al fine. oo La lettera de i Sig. ri Stati mi fu mandata dal Sig.™ Giovanni Reijusto (1) , parente del già Sig. r Lorenzo Realio, al quale io ho ri¬ sposto, e doverà fra tanto dar conto in Olanda del succeduto sin qui. Le traduzioni latine per le altre opere mie si vanno inviando di posta in posta per strada sicura al Sig. re Elzevirio. Starò attendendo di sentirne la ricevuta, come anco che l’intraprenda lo stamparle, poi che queste traduzioni mi stanno in meglio d’ottanta scudi di spesa, la quale non vorrei che fusse del tutto buttata via. Mi maraviglio che il Sig. r Lodovico non m’abbia fatto qualche b.uona parte d’esemplari della mia scrittura a Madama. Staremo a 70 vedere quello che seguirà del Dialogo ultimamente impresso ; che non posso credere che la realtà olandese non sia per corrispondere alla mia liberalità nel concedere le mie fatiche, le quali son sicuro che apporteranno guadagno non ordinario alli stampatori, chò così è acca¬ duto fin ora dell’opere mie, et il Dialogo sventurato s’è venduto qui et in Venezia sino a tre, quattro et anco sei scudi la copia. i*) Cfr. n.° 3755. AGOSTO 1G38. 372 [3780-8781] Como per altra mia lio scritto a Y. S. molto 111. 1 *, vana impresa del tutto sarebbe che il Sig. r Ortensio s’imbrigasse a venirmi a tro¬ vare ; che quando gli succedesse il trovarmi vivo (il elio non credo), mi troverebbe del tutto impotente a dargli minima sodisfazione. Finisco, amico mio caro et amatissimo: conservato la memoria so mia come di persona che lia conosciuto e stimato i benolizi da lei ricevuti. Riverisca umilissimamente in mio nomo gli Ill. mi 8S. ri Noailles o Grozio insieme col molto R. P. Campanella, del quale il Ser. mo Gran Duca mi fece leggero una sua lettera scritta a S. A. Ser. raal1, J la quale io sentii con gusto. Di Firenze, li 17 (2) Ag. t0 1638. Di V. S. molto 111 k> Dev. mo et Oblig.™ Serv.™ Galileo Galilei. 3781. GALILEO ad ELIA DIO DATI [in Parigi]. Firenze, agosto 1688. Blbl. Naz. Fir. Coti, citato noli' inforui&zione promessa al u.° 3780, cnr. 598r.-f>99f. — Copia del so- colo XV111, della stossa mano di quella cho esemplò il prodotto n.® 3780. In capo alla copia, sul margine, si logge, pur di mano dol secolo XVIII: Lettera di Galileo Galilei a Elia IJeodati, o quindi, cancellato : G. al Deodati. 14 Ag• 1688. Molto Ill. re Sig. r e P.rone mio Col. rao Continuando le mie gravi e noiose indisposizioni, non posso se non con brevità rispondere all’ ultima sua de 5 20 del passato, con dirlo che già che la mala fortuna ha voluto cho si scuopra al S. Ollizio (aì il trattato che tenevo con gl’ Ill. mi e Potentissimi Sig. ri Stati circa la longitudine, il che mi poteva arrecare gran danno e pregiudizio, come già le accennai, m’è stato gratissimo che Y. S. molto Ill. re , con avvisarne il Sig. r Ortensio e distorlo dal pensiero del viaggio che intendeva fare, abbia ovviato a qualche sinistro accidente che mi soprastava e nel quale per la sua venuta facilmente sarei incorso, io < l > Cfr. n.® 3756. <*» Da tutto il contesto apparisce che quosta let¬ tera ò anteriore a quella che pubblichiamo qui appresso col n.°3781. Restiamo porò incerti, qualo dolio dato dello duo lettere debba, come si leggono nella copia di cui ci serviamo, tonerai errata; nò sappiamo qual valoro possa attribuirsi alla data dei 7 ngosto, elio nella copia stessa ora stata apposta marginalmente (cfr. V informazione) in principio della presento. » a » Cfr n.« 3761. AGOSTO 1638. 373 [ 3781 ] Ben è vero, Sig. r mio, che per le ragioni verissime e chiarissime che ella adduce, tal trattato non dover ebbe essere a me di pregiudizio alcuno, ma più tosto doverebbe acquistarmi onoro e fama, quando però io fossi un uomo della condizione de gli altri, cioè non più de gli altri sventurato; ma già che da molte e molte esperienze son reso certo della malignità della mia fortuna, altro non posso aspettare dalla sua ostinata perfidia in perseguitarmi, se non che quello che ad ogni altro sarebbe di giovamento, a me sarà sempre di detrimento e danno. Pur anche in tanta avversità m’acquieto, già che vana temerità su¬ so rebbe il voler contrastare alla necessità del destino. Già che non s’ è potuto ricorreggere V intitolazione del mio libro, bisognerà avere pazienza (1) . Ringrazio infinitamente V. S. della pre¬ sentazione che ne lia fatta a mio nome all’111." 10 Sig. re Conte di Noailles, dal quale tengo lettere d’avviso di tal presentazione t2) e piene d’in¬ finita cortesia e di certa dimostrazione d’avere S. Sig. ria lll. ma gradito assai tal opera ; del che resto interamente contento e sodisfatto, e molto obligato a Y. S. Ben mi danno occasione i SS. ri Elzeviri di ma¬ ravigliarmi et in certo modo dolermi di loro, poi che infino ad ora in vano ho aspettato qualche quantità d’esemplari della mia scrittura ao a Madama Ser. ma , da loro più mesi fa stampata (3) , e di questa ul¬ tima mia opera ultimamente impressa. E pure, secondo che mi pro¬ metteva la sincera realtà di che si vanta l’Olanda et il libero mio procedere verso di loro, doverei a quest’ ora avere ricevuta una buona partita d’esemplari dell’una e l’altra opera, o almeno della detta scrittura. Per tanto prego V. S. molto Ill. r0 che con buona occasione o destramente voglia ricordargli questo che a me pare loro debito, acciò che io possa presentare le dette mie opere a i miei Ser." 11 Padroni et a diversi amici, a i quali, come era conveniente, ne ho data ntenzione. 40 Altro per ora non ho che soggiugnerle ; però, facendo fine, con vero e reverente affetto le bacio le mani. Di Fir. e , li 14 <4) Agosto 1638. Di V. S. molto Ill. re Dev. m0 et Oblig. mo Serv.™ Galileo Galilei. I o d’altri, qui se n’è bavuta informatione: e tanto più volentieri intraprendo questo ufficio, quanto elio ciò mi serve d’occasione di ricordarlo la mia divota osservanza vorso di lei ot il desiderio ch’lio di rivederla e rigoderla; il che, se Iddio favorirà a qualche mio peusioro, potrebbe esscro forsi presto. di Cfr. ii.° 3769. 11 — 15 SETTEMBRE 163S. 375 13783-3784] Ilora si trova in Napoli una persona assai civile, chiamata il Fontana r1) , la quale, senza alcun studio di matematica, ma guidata ed indutta solamente dalla naturalezza et incli- nationo del proprio gonio, s’è messa a polire vetri di cannochiali, et in tale artcficio ò pervenuta a tanta eccellenza che con questi arriva a scoprire nel cielo coso uovo o ad ingrandire straordinariamente l’altro. Imperocché con uno di questi, di longhezza di 14 palmi, la luna apparo grande quanto è il mercato di Napoli, il quale, benché da me non visto, giudico però sia una gran piazza, et in essa si vedono distinto le cavità e le montuosità; Giove si è osservato apparer grande quanto la luna nella sua pienezza, et in esso lo medesimo o simili inegualità di parti elio nella luna; Marte si fa vedere poco 20 men di Giove, o nel suo contro si scorge una prominenza, conio un velluto nero, che ter¬ mina in figura di cono, e d’intorno vi stanno duo cerchi o due fascie, tanto rubiconde che hanno sembianza di fuoco, o tutto ciò è mobile, atteso che non si mira sempre nel- l’istesso luogo. 11 sudetto maestro ne ha mandato uno al Padre D. Benedetto Castelli^ 1 in Roma, acciò lo mandi al Gran Duca, sperando d’ottcncruo qualcho mancia honorevolo; e, per quello no scrive un amico, il sndetto Padre no ha fatto la prova, e non solo ne resta sodisfatto ma insieme meravigliato. Egli ne pretende scudi 100 per uno di quelli ili 14 palmi, lo mi credevo, al principio di’ intesi di questa invontione, che fosse una nova lubrica, con moltiplicati vetri etc. ; ma ho poi inteso che è l’istesso instrumento per appunto dell’or¬ dinario cannochiale, né altro v’aggionge del suo elio un polimento di vetri, tanto esqui- 30 sito et uguale ch’è incomparabile, et a ninno è noto, nò egli lo vuole insegnare. Non vo¬ glio tralasciare che, benché questo novo telescopio babbi virtù d’ingrandire, come ho detto, gl’oggetti, non aggrandisce però le Btelle fisse: argomento evidente della lor lon¬ tananza dalla terra. Non so so il Padre Bonaventura, costì lettore delle matematiche, ne sarà di ciò informato; perciò la supplico a ciarlone parto. E qui restando, a V. S. buccio le inani e pregole dal Cielo felicità c contenti. l)i Milano, il di 11 7bre 1638. Di V. S. molt’ 111.' 0 et Ecc. ma Dovot.® 00 Ser. ro Gio. Giac. 0 Cozzolano. 8784*. FRANCESCO NICCOLINI ad [ANDREA C10LI in Firenze], Roma, 15 settembre 1038. Bibl Naz Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 209. — Autografa la sottoscriziono. I brani dio stampiamo in corsivo, sono noli’originalo in cifra, o tra lo liuoo no è la decifraziouo di inailo sincrona. 111.” 0 Sig. r0 mio Oss. mo Comparvero domenica sera le lettere di V. S. 111."* do’ 9 < s >, o lunedì mattina andai io medesimo a trovar il P. D. Benedetto Castelli, col quale concertammo che rappresentasse al 8/ Card. Barberini che il Ser. m0 Gran Duca lo lmveva ordinato per mezzo mio di pro¬ curar licenza di venir in costà quanto prima, sema punto esprimere la causa nè nominar <») Francksco Fontana. is> Cfr. u.° 3753. < 3 > Cfr. il.® 3782. 370 15—18 SETTEMBRE 1638 % [8784-3786] mai il Ss Galileo, perché darebbe in una espressa negativa, anzi confessare di non sa¬ pere così per appunto quello che il SerS" Padrone potesse volere da lui, se non fosse per conto di certe acque delle quali gli fu trattato altre volte. M’ha fatto poi sapore, perchè non m’ha trovato in casa, d'haver fatta l’instanza o di non haver incontrata difficoltà noi SS Card. Barberini, ma che sarà necessitato di supplicamo più alto; cred’io elio vo- io fflin dire di S. B. Sto porò attendendo di vederlo, per intendere quel che hobbia trattato da vantaggio e riportatone. Posso ben diro, che quando io li promossi questo interesso, entrò in certa speranza d’bavere a essere essnudito, perchè questi Signori possino haver caro che egli, come da sè, promuova qualche trattato d'accordo, perchè dice di sapere di certo che qui s’hobbia gran voglia d’accomodarsi. Et a V. S. 111."* fo reverenza. JLloma, 15 7bre 1638. Di V. S. 111.™ Obi." 10 Ser." Frane . 0 Niooolint. 3785 ** FRANCESCO RINUCC1NI a GALILEO [in ArcotriJ. Vonezia, 18 settembre 1038. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gai., P. I, T. XII, car. 83. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc." 10 Sig. r mio o P.rono Oss. ,no Il favore elio V. S. Ecc. mu si è compiaciuta di farmi in darmi parto dol- l’avanzamento della sua saluto, so bono era in qualche parto dovuto alla stima che io più d’ogni altro fo della sua persona, et all’affetto et osservanza elio più di tutti gli porto, mi ha però somnmmonto obbligato, non potendo ricovor nuovo di maggior mia consolationo elio quollo del suo ben essere, ltendoglino pertanto gratio affettuosissime. Al Padro Maostro Fulgentio non ho potuto darò questo contento, mediante la sua absenza della città ; ma subito che torni in Vonetia, gli farò pervenire la lettera di V. S. Se il Sig. r Alberto suo nopoto vorrà a favorir me o la mia casa, conoscerà la piena io autorità che V. S. tiono sopra di me, o quanta sia l’ambitione olio io ho di servirla. Sono rimasto certissimo, per molto ossorvationi, elio 1’ aqquo ogni ottavo giorno della luna, elio viono a ossoro ogni primo 4°, non fanno quasi moto nessuno, crescendo o seminando insensibilmento, elio non fanno nel 2°, cosa elio per 1’ ignoranza mi cagiona non poca maraviglia ; o cosi va gradatim cre¬ scendo ogni giorno fino al plenilunio, nel qualo i flussi o reflussi sono notabil- mento maggiori. E qui gli bacio cordialmente lo mani. Vonetia, 18 7bre 1638. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. n,tl Dev. m0 ot Obb. mo So. 1-0 Sig. r Galileo Galilei. Fran. 00 Rinuccini. 20 Lott. 3785. 6. Rendvtjlineut — [3780] 20 SETTEMBRE 1038. 377 3786 *. . BENEDETTO CASTELLI a FERDINANDO CESARINI iu Roma. Roma, 20 settembre 1608. Btbl. Waz. Fir. Mas. Gal., Dìteepoli, Tomo I, cnr. 1GS-174. — Copia ili mano di Vincenzio VivuNI. All’111." 10 et Rev. m0 Sig. ro o P.ron Col.“° Mons. r D. Ferdinando Cesarmi. 111." 0 o Rev. mo Sig. r e P.ron Col." 10 Non potendo ritrovarmi, conforme al Bolito, nell’onorata conversazione della carrozza di V. S. Ill. ma e R."' a , sono in obbligo di rappresentarlo in iscritto, non potendo in voce, quello che mi ò sovvenuto intorno alla cura, veramente maravigliosa, fatta dall’Eccl." 10 Sig. Giovanni Trullo di quel povero che a’ mesi passati, essendo Btato ferito nel ventre, gli erano per la ferita uscite gran parte dolio budella, e perciò era da acerbissimi dolori tormentato ; nè si trovando modo da’ medici uè da’ ccrusici di rimetter al suo luogo quegli IO intestini, stante che dopo essere uscite dal lor luogo del ventre si erano stranamente rigonfiate, fu chiamato il sudetto Sig. Trullo, il quale, veduto che ebbe il paziente, con gran franchezza e risoluzione prese un ago, e pungendo in diverse parti quell’intestina, Bcnp- pando via quel fiato rinchiuso, subito sgonfiarono, e facilissimamente furono nel ventre del ferito rimesso; e chiusa la piaga e dopo, conforme all’arte curata, l’infermo si ridusse nella pristina sanità. Il caso fu bello, ed il rimedio facilissimo ed intelligibile ; ma io rimasi da una dif¬ ficoltà sopraggiunto, la quale mi ha dato che pensare assai a questo fatto : poi che alcuni giorni sono discorrendo col medesimo Sig. r Trullo di questa cura, egli mi disse che sempre in simili ferite coll’uscita dell’intestina seguiva l’istesso accidente del rigonfiarsi, e di più 20 che sempre il ferito veniva da crudelissimi dolori tormentato. In questo mi sovvenne un’esperienza lattami vedere già più di trentacinque anni sono dal nostro Sig. r Galileo, la quale fu, che presa una caraffella di vetro di grandezza di un piccol uovo di gallina, col collo lungo duo palmi in circa, e sottile quanto un gambo di pianta di grano, e riscal¬ data bene colle palme delle mani la detta caraffella, e poi rivoltando la bocca di essa in vaso sottoposto, nel quale era un poco di acqua, lasciando libera dal calor delle mani la caraffella, subito l’acqua cominciò a salire nel collo, e sormontò sopra il livello dell’acqua del vaso più d’un palmo; del quale effetto poi il medesimo Sig. r Galileo si era servito per fabbricare un istrumento da esaminare i gradi del caldo e del freddo. Intorno al quale strumento sarebbe elio dire assai; ma per quanto fa al proposito nostro, basta che in so¬ no stanza si osserva che l’acqua, quanto più l’aria circonfusa intorno alla caraffella si trova più e più fredda, tanto più alto sale l’acqua sopra il livello della sottoposta, e quanto Io strumento vien portato in aria meno fredda, tanto più l’acquasi va abbassando nel collo della caraffella. Da questo effetto della natura, come ho detto, restai soprapreso da una difficoltà, e dissi al Sig. Trullo, corno stupefatto: Oh io averei creduto che, uscendo le bu¬ della dal ventre di un animalo vivente, quelle dovessero più presto sgonfiarsi dopo essere 48 xvn. 378 20 SETTEMBRE 1G38. [3786] uscite, che gonfiarsi. E mi movova così a dire, perchè nella carafiellu portata nell’aria più fredda, l’aria rinchiusa dentro la. carafiella viene a condensarsi e ridursi in minor mole, o non potendo rientrare, a riempiere lo spazio lasciato, altro che l’acqua del sottoposto vaso, però viene a sormontare in alto; così io da questo concludeva, senza pensar più avanti, che trapassando i vasi dell’intestina fuori del ventre doll’animale, assai caldo per 40 lo calor naturale, e venendo nell’aria nostra assai mcn calda, doveva ancora quella por¬ zione di fiato, rinchiuso nello budella uscito fuori, ridursi in minor mole et occupalo mi¬ nore spazio di prima: e però mi parova che dovessero più tosto sgonfiarsi che rigonfiare. Ma poi, considerando meglio il negozio, e tenendo por vero indubitato quello che liaveva osservato nella carafiella, o non lasciandomi luogo di dubitalo dol fatto la fede elio io tongo al Sig. Trullo, dissi tra me medesimo : Tutte le verità hanno fra di loro una catena in¬ dissolubile, et un vincolo tanto stretto che non è stato mai possibile trovare elio un vero sia contrario ad un altro vero; anzi, data una verità, da quella maravigliosamente l’in¬ telletto nostro no va scoprendo altre et altro et infinite, lo quali tutte cospirano poi in¬ sieme a testificare unitamente o concordemonte con mirabilo armonia, per iscoprire nuovi, r>0 altissimi e meravigliosi segreti della natura. E così presi tempo di pensare n questa ma¬ teria; e dopo averci fatta qualche rillessione, ritrovai, se non m’inganno, la soluziono della mia dificoltà noll'istessi principi da’quali mi era nata. A me parova elio Belletto dovessi seguire in contrario di quello che il fatto dimo¬ strava, stante che quella porziono d’uria contenuta nell’intestina mentre stavano nel ventre, luogo proprio e caldo, nell’ uscir poi in una costituzione d’aria assai mcn calda, si doveva condensare, riducendosi ad occupare minor luogo; la qual cosa è verissima, o de furto penso elio così segua. Ma la conseguenza poi da me detta ò falsa: cioè che quelle budella dovessero sgonfiarsi, non cammina bene o di necessità se non in caso che fosse impedito l’adito ad altra matoria, facile ad essere attratta nelle medesimo budella esterno, e con- c.o dotta daH’Ì 8 tes 80 ventre, o per dir meglio, da quelle intestina che bouo rimaste nel ventre. Forai colla considerazione dello strumento di sopra nominato mi dichiarerò meglio. Sia dunque la caraflella A, il suo collo BOI), colla bocca 1) nel vaso, nel quale sia l’acqua sino al livello EF: è manifesto, che riscal¬ data la carafiella A e poi collocata la sua bocca nell’acqua del vaso, tosto che la carafiella sarà libera dal calore, riBtrignendosi in minor mole l’aria A, l’acqua del vaso sormonterà pel collo in C o poi in B e più in alto, non potendo rientrare altro corpo per l’istesso canaletto, più facile ad esservi tirato. Ma se potesse entrarvi altra materia, l’acqua non salirebbe a riempiere lo Bpazio 70 lasciato dall’aria condensata; e se fosse totalmente proibito l’in¬ gresso nella carafiella ad ogni altro corpo esterno, in tal caso o rimarrebbe l’aria in A rarefatta, ovoro si spezzerebbe la ca- raffella. E forsi (siami lecito per digressione aggiugnero) da questo accidente si può risolvere il quosito, per qual cagione i vetri, et anche altri corpi, alle volto da sò stessi si spezzano, overo con immergerli nell’acqua notabilmente fredda o notabilmento calda; la qual cosa direi che potesse avvenire, perchè ritrovandosi sparse per la sostanza del vetro molto 20 SETTEMBRE 1638. 379 [ 3780 ] bollicelle ripiene d’aria, quando quel vetro viene immerso nell’acqua fredda, allora l’aria 80 rinchiusa dentro a quello bollicelle si ristrigno e condensa, e non potendovi entrare nessun altro corpo, e forzata quella bollicella a crepare, et è cagione poi clic-tutto il vaso si spezzi; e parimente coll’immergere il vetro nell’acqua notabilmente calda, allora l’aria rinchiusa nello bollicelle suddetto si dilata rarefacendosi, o facondo forza finalmente le apro, et in consequenza il vetro si spezza. E notisi che questo effetto, considerato da noi mentre il vaso vion collocato o nell’acqua calda o nella fredda, seguirà ancora quando segua una subitanea mutazione dell’aria circonfusa al vaso, trapassando da una costitu¬ zione di aria calda ad una fredda, o vero da una fredda ad una calda. Sarebbe questa occa¬ siono di discorrere di quella operazione che fanno gli artefici che lavorano i vasi di vetro alla fornace, quando, dopo finito di lavorare un vaso, non lo ripongono subito all’aria 00 fredda, ma prima lo fanno staro per qualche poco di tempo sopra la fornace, in luogo parimente caldo assai, c dicono clic in questo modo il vetro si tempora nè così facilmente si rompe; e forse non sarebbe fuori del caso trattare dello tempere del ferro e dell’ac¬ ciaio: ma per esser materia assai difficile o sottile, e forse la digressione sarebbo troppo lunga, pertanto, ritornando al proposito nostro, dico che quando non potesse rientrare facilmente corpo nessuno in quello intestina uscite dal ventre dell’animal ferito, segui¬ rebbe senza dubbio nessuno lo sgonfiamento e non il rigonfiamento di esse; ma perchè tutto lo budella dello stesso animale comunicano sonza dubbio una coll’ftltra o con esso gli altri meati di altri vasi del vivente, come mostrano chiaramente gli anatomisti, c questa tale comunicanza va continuando fino alla respirazione dell’animale, però venendo l’aria, 100 rinchiusa nell’intestina uscite del ventre, raffreddata, di necessità vien condensata; e perchè ncH’ìiltre intestina e vasi dell’animale 6i trovano molti fiati, i quali sono facilissimi ad esser mossi e forse cercano l’esito, però questi fiati entrano nelle uscite intestina e le rigon¬ fiano. E so io non dubitasse, in queste difficilissime materie di medicina, d’inciampare, non essendo mia professione, direi di più che, stante la ferita, accendendosi nel corpo dol- l’aniinale il calor febrile, ancora questo calore può cooperare al rigonfiamento dello bu¬ della fuori del ventre: imperochè riscaldandosi di soverchio lo parti interne dell’animale, è necessario che cagionino la dilatazione de’ flati rinchiusi nel ventre; quindi con mag¬ gior forza et impeto trapassano nello parti dell’intestina di già uscite e le gonfiano. Ma questo sia detto non assertivamente nè ro.solutivamente, chè solo intendo proporlo per 110 metterlo in considerazione di quelli che si compiacciono di filosofare oltro la scorza, acciò, ben esaminato, ne sia fatto quel capitale che parrà a’ loro savi e circonspotti giudizi. Si potrobbe ancora aggiugner qui il desiderio che ho di vedere con curiosità un’espe¬ rienza, per maggior chiarezza di tutto questo nostro discorso. L’esperienza sarebbe, che si prendesse un cane, o vero altro animale bruto, e tagliatogli il ventre in modo che gl’uscissero fuori le budella come nel caso nostro, io vorrei che si procurasse riscaldarle e mantenerle calde gagliardamente, in modo che il calore circonfuso alle budella uscite fusse più intenso che quello del ventre dell’animale; perchè io vado pensando, che fatta bene e con accuratissima diligenza questa prova, il rigonfiamento non sarebbe tonto vio¬ lento a un pezzo in quelle intestina di già uscite. E forse da quanto si è detto si potrebbe 120 raccòrrò una ragiono, assai piana ed intelligibile, perchè ne’ dolori del ventre giovino tanto i panni caldi posti sopra esso; la qual direi che fusse perchè quel calore de’panui, dila- 380 20 8ETTEMJJHB 1038. [3786-3787] tiindo i flati rinchiusi noli’intestina, le forza a mutar sito, e così dilatandosi prendono esito in altra parte. Alla medesima ragiono si potrebbe ridurrò il benefìzio che fanno i bagni di ncque caldo, o sieno caldo per natura o per arte, lo quali acque calde con questa dilatazione possono ancora cooperare provocando l’orina o remissione di altro materie cat¬ tivo dal corpo dell'animale. Ma, corno ho detto, non avendo io latto studio in queste difficilissime materie di me¬ dicina, posso commetterò errori notabilissimi. Pertanto prego V. S. 111." 1 * elio b» compiaccia ricovero questo poco elio ho dotto por tale quale egli è, poiché ho preteso di presentar¬ glielo non già come cosa risoluta e che non possa stare altrimenti; oltre che so benis- 130 siino che uomini intelligentissimi di queste materie et in particolare dell’anatomia, nella quale si vede che i nostri moderni professori si sono tanto avanzati che li ànno superato di gran lunga gli antichi filosofi, et in ogni modo conoscono chiaramente che ci restano ancora infiniti e meravigliosi artifizi e maohine stupende da scoprirsi nella fabbrica del¬ l'animale, e del corpo umano in particolare, a sogno elio quello elio fin ora è stato sco¬ perto è una minima parto di quello che ci resta ancora da scoprire: e basta Bolo dire che questa costituzione sia opera nobilissima, fatta dalla potentissima o sapientissima mano d’iddio, dalla quale ancora si dee riconoscerò conio benefizio singolare quel poco che sin ora è stato dall’ingegno umano, a benefizio universale, penetrato u conosciuto; u siamo in grundissini'obbligo di rendergli le dovuto grazie, elio ci ha fatti poco meno che angoli 140 o costituiti nel gran principato sopra tutte l’ultre opere suo. Di S. Calisto, il dì 20 7bre 1638. Di V. S. III.** ot Uev.®* Dev. mo ot 0bb. mo S. rfl D. Benod. 0 Castelli, Ab. Cas. ,B 3787 *. [ANDREA CIO LI] a FRANCESCO NI0C0UNI [in Roma]. [Firenze], 20 settembre 1638. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. II, cor. 211. — Miuuta, non autografo. Al Sig. r Ambasc/® Niccolini. Li 20 Settembre 1638. Io credo che basterà a V. E. di sapere che S. A. ha sentito lo suo de’ 15 W con la solita attenzione.... So il Padre Castelli liaverà licenza di vonire a Fiorenza, S. A. ne liaverà gusto grande: però V. E. non abbandoni il negozio.... <•' Cfr. n.<* 3784. [3788-3790] 21—27 SETTEMBRE 1G38. 381 3788 * ANDREA. CIOLI a FRANCESCO NICCOLINI Tin Roma]. [Firenze], ‘21 settembre 1638. Ardi, di Stato in Firenze. Filza Medicea 3527, car. 408. — Minuta, non autografa. .... Ho già detto a V. E. con lo antecedenti < l > elio il Padro Castolli ò desideratis¬ simo. ... 3789 . FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA GIOI A [in Firenze]. Roma, 25 settembre 16:18. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. II, car. 213. — Autografa la Bottoscriziono. 111. 1 " 0 Sig. r0 mio Oss. mo Il Padre Don Benedetto Castelli venne domenica a pnrticiparmi d’haver dimandata la.licenza di potersene venir costà a S. B. n0 medesima: la quale (dice lui) entrò in so¬ spetto elio lusso procurata per abboccarsi col S. r0 Galilei; e perchè egli disso elio, mentre veniva costà, non poteva non procurar d’esser seco, dice clic li fu risposto che se li da¬ rebbe licenza di vederlo, ma con l’assistenza di qualch’uno. Io gli ho fatti pagare cin¬ quanta scudi di questa moneta, perchè possa pigliare una lettiga, come vecchio, lo quali in questo tempo son qui estremamente care, e condur seco un altro suo servitore et una soma; facendomi saper hoggi di voler partire domattina, non havendo possuto effettuarlo 10 prima, perchè il S. r Card. 1 Barberino <*> non l’ha dispacciato prima di liieri. Et a V. S. 111."* fo riverenza. Roma, 25 Sett. re 1638. Di V. 8. 111."® Ohi.'" 0 Ser. r0 8/ Bali Gioii. Frane. 0 Niccolini. 3790 *. [ANDREA CIO!A] a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Firenze], 27 settembre 1038. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. II, car. 215. — Minuta. _Ho ben dato conto all’A. S. della licenza elio il Padre Castelli ha Iiavuto di potere arrivare qua, ot. ne ha mostro gusto estraordinario, havendo approvato il danaro che V.E. gli ha dato por la spesa.... Cfr. tt.o 3787. <*> Franorsco 8arhkiu.ni. 382 2 OTTOBRE 1038. 1 . 8791 ] 8791 *. BENEDETTO CASTELLI a FRANCESCO BARBERINI fin Roma]. Firenze, 2 ottobro 1038. Bibl. Vaticana. Coti. Itarboriniano lat. 0401 (già I.XXIV, 7), cnr. 65. — Autografa Em. 010 o Rev. ra0 Sig/ o P.ron Col.™ 0 Sono giolito in Firenze sano e salvo, per grazia dol Signore, ed lioggi sono stalo a faro riverenza a questi Ser. rol , da’quali tutti sono stato visto con gran benignità; ma ho scoperto subito un poco di difficoltà in obedire puntualmente V. Em.“ ed il comanda¬ mento di Nostro Signore: vivo però risolutissimo di non mancare mai, e più presto che mancare ci lasciare la vita. Il punto è elio il Ser. w0 Gran Duca, vedendo che il Sig. r Ga¬ lileo va tuttavia mancando o elio assolutamente non può durare molto, ha procurato o tuttavia procura elio si prepari a questo ultimo passo per farlo da christiano o con quella devozione elio è obligato; e non solo S. A. Scr. 01 * ha procurato da sè medesima, con pietà singolare e carità benigna, di essortarlo a finire i suoi giorni honoratamento, ma con altri 10 mozzi ancora l’ha incaminato in modo, che sta tutto rimesso nella volontà di Dio bene¬ detto, e si ò dato a devozioni ed a pensieri santi : bora, so beno io sono inettissimo por altro, in ogni modo S. A. desidera che ancora io vadia cooperando, come quello con il quale il S. r Galileo ha sempre hauta particolare confidenza. Por tanto vengo a suppli¬ care V. Em.** per amor di Dio ohe si compiaccia impetrarmi da Nostro Signore grazia più libera di potor visitalo questo povero vecchio; e gli promotto di non trattare con esso lui se non di cose concernenti all’anima ed alla sua salute, ed al più di un altro parti¬ colare che non appartiene punto a coso controverse o dannate da S. Chiesa. Se V. Em/* mi concede e mi impetra questa grazia, me ne vaierò oonforme a quanto ho promosso; e quando con più alto consiglio non mi sia concosso, li giuro che lascierò 20 prima la vita che disubidire. Voglio bene significare a V. Em.** un particolare, dol quale forai no sarà stata avisata da altri ; ma, por essere importantissimo e perchè esprime al vivo la riverenza e stima che fa il Sig. r Galileo della S. u Romana Chiesa, voglio ancor io rappresentarlo. Deve dunque sapere, qualmente i Stati d’Olanda hanno, por publico de¬ creto, ordinato qui in Firenze elio sia donata una grossa catena d’oro al Sig. r Galileo, con lettere testimoniali publiche; ma il buon vecchio non ha voluto accettare cosa nes¬ suna azzione veramente honorata e pia, e degna di lui. Per bora non mi occorre altro: la 7“* che viene bavero lettere di Venezia, o farò quanto V. Em/* m’ha comandato; in tanto gli fo humilissinm riverenza. Mi sovviene dire che il Rev." 10 qua di Badia mi accompagnerà volentieri, conforme 80 al comandamento di V. Em/*' 1 *, per le tre volte che io ho facoltà di faro la visita; ma se Nostro Signore allargarà il seno della paterna carità, ritrovandosi il Padre Abbato ocoupato nel governo del monasterio, sempre mantenuto in rigore di santa osservanza, sup- <" Cfr. n.° 3780. 1,1 Cfr. n.» 37b0. 2 OTTOBRE 1638. 383 [3791-3792] plico humilmente elio il medesimo Padre Abbate mi possa assegnare un altro compagno, cou il quale, e non altrimenti, io possa far quel tanto che Dio benedetto m’inspirerà che io faccia. In tutto però sempre mi rimetto nella santa carità e deliberazione di Vostra Eminenza, alla quale di nuovo humilmente m’inchino, Firenze, il 2 d’Sbro 1638. Di V. Brain. 1 * ITumiliss. mo e Devotiss. m0 Sor/* 40 Dou Bened. 0 Castelli. 3792 . BONAVENTURA CAVALIERI a BENEDETTO CASTELLI in Roma, Bologna, 2 ottobre 1038. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, car. 70-71. — Copia di mano tini socolo XVII. llev.’" 0 P.ro Abbate o P.ron Col. mo Scrissi un mese fa a V. P. Rev. m * dando la lettera al nostro P. Priore di Roma e Procuratore Generale, aciò la venisse a riverire a nome mio: non so se ancora l’habbi fatto, ondo di nuovo mi sono risoluto di scriverli per alcuni particolari ch’io li dirò. Credo ch’ella saprà forsi come lmbbiamo havuto por protettore l’Ein. mo BichiM, un fratello del quale intendo che sta alla Corte dell’Eni." 10 Barberino, lasciato dal detto Era. m0 lliclii per viceprotettore. Ora io non ho cognitione nè dell’uno nò dell’altro, e sto perplesso circa la dedicatoria del mio libro ondo lei, che conoscerà questi soggetti, di gratia mi favoriscili dirmene qualche cosa, e so il libro fosso bene dedicarlo al detto 10 protettore o pure all’Em.™ 0 Sig.° Card.’ 0 Francesco Barberini, al quale inclinarci assai, ovoro all’Era." 10 Card. 1 * Antonio. Intendo che quel P. D. Vincenzo Theatino si sia ritirato a S. Andrea, ma non lo so di sicuro: di gratia, se sa ch’egli ci voglia pure privare della sua persona, tanto a noi fruttuosa, me no dia qualche avviso, cioè se è per ingerirsi più nella religione. Io poi ho una curiosità estrema di dimandarli una cosa già portata dalla fama in questo et altre parti, dallo quali sono stimolato da amici a procurare qualche chiarezza del fatto. 8’intendo W che un tale Sig. r Francesco Fontana in Napoli habbi talmente mi¬ gliorato il telescopio, che scuopra in cielo cose nuove e massime ne’pianeti; e perchè mi scrivono che V. P. Rev. ,ua ha corrispondenza con questo tale, e ch’egli li habbi mandato uno 20 di questi suoi occhiali per il Ser.° G. Duca, perciò la prego a farmi tanto favore di dirmi se è vero o no che quello trapassi di eccellenza quello che ha il Sig. r Galileo et anco V. 1\ Rev.' nB , e che si vegga Giove con le inegualità delle macchie antiche della luna, Marte cou un cerchio focoso intorno al suo centro, che dicono apparire oscuro, et altre coso, elio non ardisco dire dubitando di non farla ridere. Non però voglio credere che non possi esser qualche cosa, ma sino elio da lei non me ue viene fatto fede, non mi risolvo a darli credenza. (*i Ai.kssanduo Biom. l 2 > Ormo Bicm. '»» Ofr. n.° 37-12. (‘i Cfr. li.» 8783. 384 2-7 OTTOBRE 1638. [8792-3794 ] Lei mi lavori di duoi dissegni lunari, quali non ho più perchè li diedi al'Eco.* 0 Li- ceti, che li mandò in Provenza ad un suo amico che professa di bavere occhiale di smi¬ surata Ionghezza, discoprendo aneli’esso, come ha scritto al detto Liceti, cose non più vedute noi cielo. Io non posso ricordami se siano del dotto Fontana, come vado imagi- 30 nandomi, ovoro d’un altro ch'ella mi scrisse ch’era per faro tali dissegni più esquisiti. Comunque sia, la prego a favorirmi di questo et a ricordarsi qualche volta in cotesto grandezze del povero F. Bonaventura, il quale se ne sta continuamente in casa, conii- natovi dalla podagra che li ha tolto l’andare; onde mi consoli almeno con qualche sun lettera, a me cara tanto quanto possi esser l’haver nuova di un carissimo amico, patrone o maestro, alla cui gratia raccomandandomi, li faccio per fine hurnile riverenza. Di Bologna, alli 2 di Ottobre 1638. I)i V. P. Rev.®* Dovo.® 0 ot Oh." 10 8.* o Bisce. 10 F. Bon. 1 Cavalieri. Al Rcv.®° P.re e P.ron Col.® 0 *0 Il P. D. Benedetto Castelli, Mer."° Abbate de P.ri Casinensi. A S. Calisto. Roma. 3793 **. FRANCESCO RINUCCINl a GALILEO [in Arcelri]. Venezia, f> ottobre 1038. Bibl. Est. in Modona. Raccolta Camporl. Autografi, H.« LXXXYII, n.* 19. — Autografa Molto IR. 0 et Ecc.®° Sig. o P.ron Oss." 0 La lettera di V. S., presentatami dal Sig. Alberto suo nipote, por l’occasione elio mi porgo di mostrargli quanto io mi pregi dol titolo di suo servitore, mi ha ripieno d’infinita consolatone ; e maggioro sarebbe stata, se egli mi iiuvosso fatto sentire a bocca quello buono nuovo della sua saluto che haveroi desiderato. In tanto io non lascierò di servirlo in tutto quello ebo vaglio; o V. S. non lasci di continuarmi il favore della sua gratia, mentre io, ringratiaiulola di tanti favori, gli bacio r over onte ni ente lo mani. Venetia, 6 8bre 1638. Di V. S. molto 111. 0 ot Ecc. ma Dov. mo ot 0bb. BO Sor." io S. r Galileo Galilei. Fran. co Itinucoini. 3794 **. FERDINANDO BARDI a GALILEO in Firenze. Parigi, 7 ottobre 1638. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. VI, T. XI, car. 240. — Autografa la sottoacrixlono. Molto 111." Sig. r , mio Sig. ro Oss. rao Non ho voluto dar risposta alla cortesissima di V. S. do’ 6 7bro, prima di baver recapitata in propria mano quella cho vi ora aggiunta per il Sig. r Conto 7 — 8 OTTOBRE 1638. 385 [3794-8795] di Noalles, qualo fino a pochi giorni sono è stato in Piccardia con il Sig. r Card. 1 de Richolien. Questo Cavalioro stima quanto conviono il merito o lo qualità di V. S., sì corno anco la scelta che ella ha fatto della sua persona per dedi¬ carli il libro ll) , elio lo congiunture de’ tempi hanno fatto apparire solamente confermazione. Credo che presto ne ringrazierà V. S. per suo lettere 12 ', quali, subito mi saranno dato, lo farò tenore. io Io stimo mia fortuna particolare che mi si porga questa occasiono, benché piccola, di servirla, poi che non solo sono obbligato a farlo per seguitar l’esem¬ pio de’ miei, che l’hanno sempre osservata o ammirata, ma per mio instinto particolare e per gl’ onori che più volto ho ricevuti da V. S. e in Firenze o costì in Àrcctri : però mi comandi pur liberamente, chè lo riceverò a grazia partico¬ lare. Mi dispiace che doppo la mia partenza ella habbia persa del tutto la vista, clic ha scoperto tante maraviglio al mondo. Il Sig. r Elia Deodati, gentiluomo ripieno di tutte lo qualità elio V. S. m’accen¬ na, m’ha favorito di venirmi a vedere, e di più anco m’ha regalato il suo libro. Starò aspettando clic da lui mi sia detto quello deva fare per suo servizio. Noi 20 resto, so bene so clic ò superfluo e eli’ ella o n’ ò informata o Io può presup¬ porre, non voglio lasciar di dirle che la sua fama fra’ virtuosi di questo parti ò arrivata all’ ultimo segno di venerazione e di gloria, o non ci è biblioteca dove non si vegga la sfera secondo il nuovo sistema. V. S. mi conservi in sua grazia, mentre io prego Dio elio mantenga ancor lungo tempo nella persona di V. S. la più gran prerogativa di questo secolo ; o lo bacio affettuosamente le mani. Parigi, 7 Ottobre 1638. Di V. S. molto HI» Dov.™ Sor.™ Sig. r Galileo Galilei. Ferdinando Dardi. 80 Fuori : Al molt’ 111. 10 Sig. r mio Oss. mo 11 Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 379 . 5 *. [ANDREA CIOLI] a FRANCESCO NICC0L1NI [iu Itonm]. [Firenze], 8 ottobre 1688. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I. T. II, car. 217. — Minuta, non autografa. Dell’arrivo del Padre Castelli mi paro di haver dato conto a Y. E., c se non lo havessi latto, dico mea culpa. Et S. A., che ha fatto un gran profitto nelle mathema¬ tiche, ha grandissimo gusto di conferir seco quel che ha imparato- (i) Cfr. u.° 3668. <8> CCr. u.° 3763. xvn. 40 386 9 OTTOBRE 1038. L3796J 8796 *. BENEDETTO CASTELLI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Pire ino, 0 ottobre IC.H8. Bibl. Vaticana. Cod. Rarborlnisno Int. Wfll (già LXX1V, 7). far. 60 — Autografa. Em. wo o Rav. mB Sig. ro e P.ron Gol."* 0 Oltre a quello che sci-ìsbì a V. Km." l’ordinario passato devo significargli di più, che essendo stato fatto Generalissimo del mare il 8or. w# Principe (ìio. Carlo, il Sor.” 0 Gran Duca desidera che il Sig. r Galileo mi partecipi compitamente i moti dei Pianeti Medicei, con le tavolo e teoriche loro, per stabilire il modo di ritrovare la longitudine, negoxio importantissimo o desideratissimo, come V. Em.“ sa molto bene, e pericoloso di perdersi e sepelirsi con la morto di quest'intorno; o per tonto è necessario che di nuovo supplichi V. Eni." che mi ottenga grazia da Nostro Signore «li trattare col S. r Galileo con maggiore libertà: e di nuovo l’assicuro che i miei ragionamenti saranno sempre incorni nati al ser¬ vizio di Dio benedetto, in salute doll'anima mia e del prossimo; e mi creda clic; in questi io Sor." 1 * ritrovo pietà, religione o riverenza olle cose di Dio e de’superiori, tale che no resto consolatissimo. Anzi li dico, elio havendomi il Sor.” 0 Gran Duca fatto istanza che dovessi essere col Sig. r Galileo por le sodette cagioni, io francamente mi dichiarai che doveva obbedire V. Em.'“ o S. S.‘\ o elio se ha vessi fatto altramente che ora indegno di comparire avanti l’Al.“ Sua; o di più li dissi liberamente elio non si dovesse mai fidare di quelli elio mancavano a Dio od a'loro superiori proprii, perchè haverebbero mancato ancora a 3. A., o molto altre cose simili, delle quali tutte S. A. restò sodisfattissima: n si com¬ piace favorirmi straordinariamente, oltre a ogni mio merito, conoscendo in me ottima volontà di servire nel modo che devo. In oltre vengo impiegato ancora in una consulta gravissima por negozio di acquo, nel quale prego Dio benedetto che mi dia il Suo santo 20 aiuto; od humilmente supplico V. Em.** e la S. u di Nostro Signore, elio, stanto verissimo quanto ho detto, mi dia larga benedizione dello sue grazie, ohe al Bicuro non saranno da mo abusato nò adesso nò mai. Mercoledì, subito ricevuta la nuova della nascita del Re di Franciasi diede ordine por farno publicho allegrezze; e tutti questi Ser. wl andarono in S.‘* Maria del Fiore c. rendere grazie a Dio, e si fecero fuochi e sparamenti di artiglierie etc. Scrivo anticipatamente hoggi giovedì, perchè penso che sabato sarò fuori di Firenze; e perché ancora non ho le lettore di Venezia, non dico altro; ma se avanti sera bavero cosa nessuna, no darò parte. In tanto humilmente la supplico conservarmi la sua grazia, o li fo hurailisaima riverenza. 80 Firenze, il 9 d’8bre 1638. Di Vostra Em.** IIumil. m0 o Devotis. 0 o Oblig. n, ° Ser. ,# Don Benedetto Castelli. Che fu poi Lumi XIV. »*> Cfr u.« 8701. [3797] 11 OTTOBRE 1638. 387 3797 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi], [Egmoud de Binneu, 11 ottobre 1638J. Tlftl Voi. II, pag. 380-889, 893, 899, 402, doli’ odiziontf citata nell’ informa/.iono promossa al n.» 2893. Mon Rev. u<1 l’oro, Io commenceray ceto lettre par mes observations sur lo livre de Galileo ll) . Io trouve cn generai qu’il pliilosophe beancoup mieux que le vulgaire, en ce qu’il quitte le plus qu’il pout les errenrs do rEschole, et lasche a examiner les matieres physiques par des raisons mftthematiques. En cela io m’accordo cnticrcmont avoc luy, et ie tiens qu’il n’y a point d’autro moie» polir trouvor la vorité. Mais il me semble qu’il manque beaucoup en ce qu’il fait eontinnellement. des digrossions, ot ne s’aresto point a expliquer tout a fait une ma- tiere; co qui monstre qu’il no les a point oxaminées par ordro, et quo, sana avoir considerò les preinieres causes de la nature, il a seulement, cliercbò les raisons de quelques eflots parti¬ lo culiers, et. ainsy qu’il a basti sana fondement. Or d’autant que sa facon de philoBophcr est plus procbo de la vraio. d’autant peut-on plus aisement connoistre sos fantea; ainsy qu’on pent mieux dire quand s’esgarent coux qui snivcnt quelquefois le droit chemin, que quand s’esgarent ceux qui n’y entrent iamais. L’ago 21*'. 11 propose co qu’il veut traiter, a s^avoir pourquoy les grandos machines, estant en tout do mesino ligure et de mesme matiere que les moindres, soiit plus foibles (|u’ollcs; et pourquoy un enfant so lait moins ) revient a mesme clioso, et il n’y a rien en 30 tout cela qui no soit vulgaire. Mais sa favoli d’escrire par dialogues, ou il introduit troia personnes qui ue font autre chose que louer et exalter ses invontions chascun a son tour, aide fort a faire valoir sa marchandise. (») Cfr. nn.l 3751, 3797, 3779. '»> Cfr. Voi. Vili, png. 56, lin. 18-25. <*) Cfr. Voi. Vili, pag. 50, Un. 10-81, pag. 61-52, Cfr. Voi. Vili, pag. GB, lin. 10-35. png. 53, lin. 1-5. 388 11 OTTOBRE 1038. [37071 Fa. 12<*\ Il donno deux causo» de co que Ics parties d’un cors contini» s’ontretienonfc: l’uno ost la crainto da vuide, l'aatre certaino colo ou liaison qui lea tient, co qu’il oxplique oncoro oprea par lo vuide; ofc io los croy tonte» doux trea fauaaea. Ce qu’il attribnd an vuide (pa. 13 <*>) no ae doit attribuer qu’a la peaantour de l’air; ot il est certain que, si c’estoit la crainto du vuide qui ompeschaafc que deux cora ue ae aeparassont, il n’y auroit aucune forco qui fust capable de lea separar. La fagon qu’il donne pour distinguer leB efleta do ces deux cause» (p. ne vaufc rien, et co qu’il fait dire a Simplicio (p. 1G' 4) ) est plus vray, ot (p. 17 ( *') l’obsorvation quo 40 los pompea no tiront point l’eau a plus de 18 brasses de hauteur ne so doit point rapporter nu vuide, mai» ou a la matiere dos porapes ou a collo do l’eau mesme, qui s’eacoulo entro la pompe et le tuyau, plutost que s’eslever plus haut. P. 19 (•>. 11 oxamino la cole qu’il adiouste avec lo vuide pour la liaison dea parti»» dee cors, et il l’attribué a d’autres petits vuids qui ne sont nullemont imaginables. Et ce qu’il dit (p. 22< 7) ) pour prouver ces petits vuids, ost un sopimmo; corl’hexagone qu’il propose no laisse rien de vuide en l’espace par ou il passe, mais chasoune do ses parties se meut d’un mouvement contino, lequol descrivant des lignes courbos qui remplissont tout un capace, o»» ne doit pas les considerer, cornino il fait, en une seule ligne droite. Et il n’importo qu’en sa figure les parties do la ligne droite, IO, PY, otc. no soient point touchées par la 50 circonferenco IIIK L, car elles lo sont on recompence par d’autres parties de la super¬ ficie ABC, et aiusy no sont non plus vuidos que les parties OP, YZ, ctc. P. 28 (8) . C’ost aussy un sopliismo que son argumont, pour prouver qu’un point est egal a une ligne ou n une superficie. Car in formi on no pout conclure, sinon quo la liguo ou superfìcie n’est pas un plus grand cors solide que le point, et non qu’elle n’est pas plus grande absolument. P. 31 ( 8) . Il manque on tout co qu’il dit de l'infini, on co que, nonobstant qu’il confesso que l’esprit humain, estant fini, n’est pas capable do le comprendre, il ne laisse pas d’en discourir tout de mesme quo s’il le compronoit. P. 40 (,0) . Il dit que les cors durs, devenant liquides, sont divise» en une infinità de CO points: ce qui n’est qu’une inmgination fort aisée a refuter, et dont il ne donne aucune preuve. P. 42* u >. Il monstre n’estre pas sgavant en la catoptrique, de croire ce qui so dit d»8 miroirs ardans d’Archimede, lesquels i’ay demonstró estro impossibles en ma I)iop., p. 119. P. Son experienco, pour sgavoir si la lumiere so transmot en nn instant, est inutile: car les ecclipses de la lune, so rapportant asse» exactement au oalcul qu’on on fait, le prouvent incomparablement mieux que tout ce qu’on sgauroit osprouver sur torre. I» Cfr. Voi. Vili, pag. 59. Un. 6-84. 1,1 Cfr. Voi. Vili, pag. 60. Un. 1-27. i*t Cfr. Voi. Vili, pag. 62, lin. 2-85, pag. 63, liti. 1-10. <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 68, lin. 11-19. I*' Cfr. Voi. Vili, pag. 63, lin. 36, pag. 64, lin. 1-25. <»' Cfr. Voi. Vili, pag. 65, lin. 25-34, pag. CC, lin. 1-10. ,7) Cfr. Voi. Vili, pag. 68, lin. 14-21, pag. 69-70, pag. 71, lin. 1-20. ,R > Cfr. Voi. Vili, pag. 74, lin. 4-84, pag. 75, lin. 1-81. Cfr. Voi. Vili, pag. 76. Un. 32-84, pag.77*84, pag. 85, lin. 1-14. «‘oi Cfr. Voi. Vili, pag. 85, lin. 17-23. Cfr. Voi. Vili, pag. 86, lin. 80-31. «**> Cfr. Voi. Vili, pag. 88, lin. 3-29. 11 OTTOBRE 1638. 389 [3797| P. 48 (1) . Il fftit considerar uno ligno droito, deaeritc par le mouvement d’un corde, pour prouver qu’ollo est composée d’uno infinitó do poins actu, ce qui n’est qu’une ima- 70 gination toute pure. P. 50 (t) . Tout co qu’il dit do la rarefaction et condensation n’est qu’un sopimmo; cal¬ le corde no laisso point de parties vuides entro ses poins, mais il se meut seuloment plus lentement. Et polir moy, ie ne congoy autre choso touchnnt cela, sinon que, loia qu’un cors so condenso, c’est quo ses pores s’estrecisaent, et qu’il en sort uno partic do la iiih- tiere subtile qui les remplissoit, ainsy qu’il sort do l’eau d’une espongo quand on la presse. Et au contraire, quand un cors se dilato, c’est que ses pores s’eslargissent, et qu’il y entro davantage do matiere subtile, ainay quo j’ay expliqué en piusi euro endroits de mes Motcores. P. 54 lS) . Ce qu’il dit de l’or trait n’est nullement a propos pour expliquer la rare- 80 faction; car cet or ne se rarefie point, mais cliange seulement de figure. P. 62< 4) . Il est oloquent a refuter Ari stote, mais ce n’est pas chose fort inalayséo. P. 69 (*>. II dit bien que les corps descendent plus inesgalement viste daus l’ean quo dan8 l’air; mais il n’en dit point la cause, et il so trompe (p. 70< 6 >) disant quo l’eau no resiste aucunoment a estro divisée. P. 7H 7) . Il dit ignorer la causo qui soutient les gouttes d’eau sur les eboux, laquollo i’ay assoz expliquée en nies Meteores. P. 72 <*>. Tout ce qu’il dit de la vitosse des cors qui descendent dans le vuide etc. est basti sans fondement; car il auroit deu auparavant determiner ce que c’est que la posan- teur: et s’il en sgavoit la verité, il sgauroit qu’elle est nulle dans lo vuide. •JO P. 79 < 01 . Sa fagon de pescr l’air n’est pas mauvai.se, si tant est que la pesanteur en soit si notable qu’on la puisse appercevoir par ce moyen; mais i’en doute. P. 83 (l0) . Tout co qu’il dit icy ne peut ostro determinò sans sgavoir co que c’est quo la pesanteur. Et tout co qu’il met iusques a lo fin de ce dialogue, touchant la musique, est vulgaire pour vous et pour moy. P. 103 < U) . Il dit que le son des chordos d’or est plus bas que celuy des chordes de cuivro, a causo que l’or est plus pesant; mais c’est plutost a cause qu’il est plus moL Et il se trompe, de dire que la pesanteur d’un cors resiste davantage a la vitesse de son mouvement que sa grosseur. P. 114< 1 *). Il compare la force qu’il faut pour rompre un baston de travers, uvee celle 100 qu’il faut pour le rompre en le tirant do haut en bas, et dit que, de travers, c’eBt cornino un levici- dont le soustien est au milieu de son espaisseur; ce qui n’est nullement vray, et il n’en donne aucuno preuve. (•> Cfr. Voi. Vili, png. 91, li». 29-85, pag. 92, lin. 1-29. <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 93, lin. 30-37, png. 94-95, png. 96, lin. 1-12. <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 97, lin. 1-33, pag. 98, pag. 99, lin. 1-13. i»> Cfr. Voi. Vili, pag. 105, lin. 23-24, pag. 106- 111, png- H2, lin. 1-17. (»> Cfr. Voi. Vili, pag. 113, lin. 18-25. (0) Cfr. Voi. Vili, pag. 114, lin. 28-29. (f) Cfr. Voi. Vili, pag. 115, lin. 8-32. <*) Cfr. Voi. Vili, pag. 116, lin. 27-35, png. 117, lin. 1-18. i») Cfr. Voi. Vili, pag. 123, lin. 4-21. 09) Cfr. Voi. Vili, pag. 127, lin. 8-20, pag. 128, png. 129, lin. 1-9. 0» Cfr. Voi. Vili, pag. 146, lin. 11-20. <»*) Cfr. Voi. Vili, pag 156, lin. 16-22. 390 11 OTTOBRE 1038. [3797] P. 129 Sa consideratimi, pourquoy los poissouB peuvent estro plus gronda que Ics animaux terrestre», n’est pas mauvaise. P. Ce qu’il dit dea boia qui doivont estro coupé/ en domi-parabole pour resister par tout cgalement, est vraye a pou prés: mais tout le reste est vulgairo. P. 1461 3 >. Ses doux fanone pour deacrire la parabole sont da tout mechaniques, et en bornie geometrie sont fausses. P. 1570). Il suppose quo la vitesse dea poida qui descendent, s’augmonte touaioura eagaloment, co que i’ay autrofois cren cornino luy; mais ie croy niaintenant sgavoir par l io demonstration qu’il n’est pas \ray. P. 166 (3> . 11 suppose aussy que les degrea de vitesso d’un niesme cors sur divora plana sont égaux, lorsquo les elevations do ces plans sont egales, co qu’il no prouve point, ot. n’est. pas exactement vray; et poni- ce quo tout ce qui snit ne depend que de ces deux suppositions, on peut dire qu’il a ontieremont. basti en l’air. Au reste, il seinble n’avoir escrit tout sou 3 dialoguo que pour donner raison de ce quo les tours et retours d’uno niesme cliorde sont ogaux entro r-ux, ot toutefois il ne la donne point ; mais il concimi seulemont que les poids descendent plus viste, suivant l’aro d’un corde, quo auivant la cliorde du mosme are, et encove n’a-t-il sceu dodnire cela exactement de ses Buppoaitions. P. 236< fl) . Il adiousto uno autre supposition aux preeodentes, laquelle n'est pas plus 120 vraye, a sgavoir que les cors ietoz en l’air vont osgalcment viste suivant l'horizon ; mais qu’en descendant lem* vitesso s’augmente en proportion doublé de l'cspaee. Or cela posò, il est tres aisó do concimo que lo mouvement dea cors ietea devroit auivre uno ligne pn- raboliquo; mais ses positions estant fausses, sa conclusimi peut bien aussy estro fortesloignée de la verité. P. 269 < 71 . 11 est a remarquer qu’il premi la converse de sa proposition, sans la prouver ny l’expliquer; a sgnvoir quo, si le coup tirò horizontalemont do II vers E suit la para¬ bole BD, le coup tirò obliquement suivant la ligne DE doit suivre la niesme parabole DB ; co qui snit bien do ses suppositions. Mais il senible n’avoir osé l’expliquer, de peur que leur fausBeté paruBt trop 180 evideiiinent. Et toutefois il ne se sert que de cete converse on tout lo resto do 8on quatriesme discours, lequel il semble n’avoir escrit. que pour expliquer la forco des coups de canon tire/ Belon diversea eleva- tionB. Do plus il est a remarquer qu’en proposant ses suppositions, il en a exceptó l’artillerie, aflin de les fairo plus aiscnient recevoir; et que toutefois, vers la tin, c’est a l’artillorie principaleinent qu’il applique ses conclusioii8. C’est a diro, en un mot, qu’il a tout basti en l’air. le ne dia rieu des demonstrations de geometrie, dont la plus part de son livro ost rempli, car ie n’ay sceu avoir la patienco de les lire, et ie veux croire qu’elles Bont toutes vrayes. I’ay seuleraent remarqué, on voyant los propositions, qu’il n'estoit pas bosoin d’estro 140 “t Cfr. Voi. Vili. pag. 170, Un. 10-34, pag. 171, «‘l Cfr. Voi. Vili. pag. 197, Un. 81-32, pag. 108, Ila. 1-80. Un. 1-8. Cfr. Voi. Vili, pag. 180, Un. 17-86, pag. 181, <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 206, Un. 0-11. ,in - 1_1B - . ««' Cfr. Voi. Vili, pag. 268, Un. 13-22. '*» Cfr Voi. Vili, png. 186, Un. 16-82, pag. 180, < 7 > Cfr. Voi. Vili, pag. 290, Un. 2-K>. lin 1-16. 11 OTTOBRE 1G38. (3797 ì 391 fort grand geometra pour les trouver: et. iettant les yeux sur quelques unes, i’ay apperceu qu’il s’en faut beaucoup qu’il u’y sui ve los plus cours chemins. Au reste ceey ne sera vii, s ii voua plnist, qne de vous seul, qui avez desiré que ie vous l’oscrivisse, et a qui i’ay tnnt d’obligations que ie croy ne vous devoir rìen refuser qui soit en mon pouvoir. Sana cola ie no me seroia pus amuaé a reprendre les fautes d’un autre, car il n’y a rien de plus contraire a mon humour. Et du moina, si ie l’avois fait, i’y auroia adiousté les raisons de mon dire plus aoigneusement que ie n’fty faifc, affili que ceux qui ne me connoistroient pas cornine voua, no se poussent imaginer que i’euaae iugé sana raiaon. 150 le passe aux articles de vos lettres, ausquels la violonce du aommoil m’empeaeha der- nierement de respondre. Et preiniereuient, touchant Galilée, ie vous diray que je ne l’ay jamais vù, ny n’ay eu aucune commuuication avec luy, et que par consequent ie no sgnurois en avoir emprunté aucune chose. Auasy ne voy-ic rien en ses livrea qui me lasse envie, ny presque rien que io voulusse avouer pour mieli. Tout lo meilleur est ce qu’il a de mu- sique; mais ceux qui me uonnoissent peuvont plutost croire qu’il l’a cu de moy, qne raoy do luy: car i’avois escrit quasi le mesme il y a 19 ano, auquel tema ie n’avois encore iamais oste en Italie, et. i’avois donuó mon escrit au S. r Peecmand), qui, cornine vous syavez, en faisoit parade et en ócrivoit yà et là, cornine de chose qui estoit sienne.... Pour la force de la percussion, elle n’est point si mal-aisée à expliquer par mes Prin- if .0 cipes, que Galilée la represente sur la fin de son livre f *>; inaia ie n’cu syaurois rien dire sana expliquer mes Principes, c’est à dire mon Monde- Ce que dit Galilée, que les cors qui desceudent passent par tona les degrez de vi- tesso' : '>, io ne croy point qu’il arrivo ainsi ordinairement, mais bien qu’il n’est pas impos- sible qu’il arrivo quelquesfois. Et il y a du méconte en l’argument dont se sert, M. F. a pour le refuter, en ce qu’il dit que acqui) itur celeritas, vel in primo instanti, vel in tem¬ pore aliquo determinato ; car ny l’un ny l’autre n’est vray et en termes d’Esehole on peut dire qne acquiritur in tempore inadacquate sirnpto. Enfili tout co qu’il dit des degrez de vitease du inouvement, se peut diro en mesme fayon des degrez de largcur du triangle ABC, ot toutesfois io 170 ne croy pas qu’il veiiille nier qu’entre le poinet A et la ligne PC, toutes les lnrgeurs qui soni moindres que PC ne s’y rencontrent.. Vous remarquez fort bien en vostre lettre quelqucsuns des parnlo- gismes de Galilée; mais i’ay dit, au commcncement de celle-cy, ce que ie pensois de tout son livre. le vous remercie de vostro experience du cylindre de clioHne. le n’attribuii rien du tout au vuido, ny à la crainte du vuide; et toutesfois ie vous diray que l’explieation de toutes les ehoscs dont traitte Galilée, est fort facile solon mes Principes.... Et pour la refutation de l’opinion de Galilée touchant le mouvement sur les plana inclinez, M. F.<*> se méconte, en ce qu’il fonde son argument sur co que les poids tondelli 180 vera le centro, de la terre, qu’il imagine corame un poinet, et Galilée supose qu’ils descen- dent par des lignes parallele».... (>< Isacco Bkkokman. i*> Cfr. Voi. Vili, pag. 313, Un. 8-5. <3) Cfr. Voi. Vili, png. 202, liu. 19-83. (X l’iKTKO FbHMAT. 392 14 — 16 OTTOBRE 1638. [3798-8799] 3798 *. GIO. GHERARDO VOSSIO a UGO GROZIO in Parigi. Amsterdam, 14 ottobre 1638. Dalla pajc. 301 dell’ Optra citata noli’informaxiono premo**» »! n.* 2M7. _Putabam, collegato inoum Ilortensiuiu dilaturum iter in terra» exteras, propter luculontam rationem quani seripseraa et ilio ex Deodato coguorut. Sed longe uliu ei ineus. Noe miror. Bina illa caroleorum nostratia milita ad hoc iter sunt naaignuta ab Ordinibus Goneralibusf‘1. Praeterea fruitur stipendio nongentorum, quos percipit ab urbe line. Vides quantuin profneris. Non vidit locu estera: nunc impeiiHÌs publicis, praelustri titulo, iter suscìpiet; quae re9 et nunc lionori illi futura, et postmodo momornbitur ad ingentein eius gloriam. Deus illi gratain tribuat montani; et tributurum confido. Ait, se primo in Bri- tluminili iturum, mule in Gallina, tum Venetioa, indo prout rea dederit. Sed cum longis- 8Ìmo tempore niliil mecum comniunicasaet, uti neque cura Blauwio 11 (nempo quia, credo, Burnus occupatiores aliis quam ferendo simuB), tandem mihi aignifìcavit, de Anglia dicis io grafia so spargere, quo iter hoc sit occultius, sed recta iturum in (ralliaa, non Luto ti am tnmen, ne de eo Italia cognoscat ex ibis quibus fortaaso innotuerit, si Lutetiae videant : nolle enim so periculum magno soni creare; no Venotiis quidem agore se quicquam vello per literus, nisi ex consilio illorum qui rei sunt piane intolligentoa.... 3799 *. ALBERTO CESARE GALILEI a [GALILEO in Arretri). Vonezin, 16 ottobre 1638. Blbl. Est. in Moilona. Raccolta Campori. Autografi, B.« I.XXVI, n.° 8. — Autografa. Molto Illu. re Sig.° Zio, Capitai a’ 15 del prosento in questa città a buon salvamento, Dio laudato, dove venuto a far riverenza a questo Ill. m0 Sig. r Residente 13 , por sua grazia mi à favorito et konorato coi farmi suo ospito. Grandissimo favore certo ricevo da S. S. riB 111.™, per il elio ne doverò restar ottermimonte obligato. La lottora per il R. ra0 P. Mastro Fulgcntio non ho mancato di roenpitaro in propria mano; ma per ritrovarsi di partirò por villa non ho potuto havor “> Cfr. Voi. XIX, Doc. XLII, et). «*> Guqliklsio Bi.ako. Fhamoichoo Ri mi cci m. 10 OTTOBRE 1G38. 393 [3700-38001 tempo di parlarli con comodità, il elio seguirà al suo ritorno, elio sarà lunedì. L’altra por l’Ul. mo Sig. r Francesco Duodo non ho potuto portarnogli, poiché io ancor lui si trova fuora lontano 40 miglia; la lascierò però in casa di questo Ill. mo Sig. r Residente. Intanto devo dire a V. S. corno ho ritrovato una buonis¬ sima compagnia, quale sono dui musici che vanno al medesimo servizio del- V Elletore di Baviera, sichè spero da liavor far felicissimo questo viaggio, si piacerà a Dio. Intanto mi resta da pregare Idio per la conservazione di V. S., poiché in altro non posso oorrispondero a i benoficii riceuti da lei. La prego a volere conservare quel’affetto verso di me come à fato fin ora; e per non più tediarla, li fo humilissima riverenza e li prego dal Signoro Dio longa vita e sanità, e raccomandandomi alla buona grazia di V. S. Di Venezia, li 16 Ottobre anno 1038. Di V. 8. molto 111.™ Ilumill." 10 Nipote e Ser. r0 Alberto Cesare Galilei. 3800 * FRANCESCO BARBERINI a BENEDETTO CASTELLI [in Firenze]. Roma, IG ottobre 1G3S. Blbl. Vaticana. Cort. Barboriniano lat. GIGI (giù I.XXIV, 7), car. G7. — Minuta, non autografo. R. Jo P.re Rispondo brevemente alla lettera di V. R. (l \ perché non ho tempo: et dico elio S.S.* si contenta ella faccia le visite per trattare con quella persona, quante volte li pare, di cose concernenti all’anima et alla sua salute, come V. R. mi scrive, ma non già di un altro particolare (per usar delle proprio di lei parole) che non appartiene punto a coso con¬ troverse o dannate da S. Chiesa. Forse può procedere dalla mia relatione ambigua, ma non dal scrivere di V.R.**; ma tutto è uno, elio o io non l’intenda, o ella non si lasci intenderò. Basta, l’ordine preciso ò come di sopra ho detto, ot quello importa. Vuol per¬ ciò 8. 8."'' elio ella si faccia dare un compagno, riputato idoneo dal P. Abate per trovarsi in io simili discorsi, acciò, quando il P. Abate non puoi venire, questo compagno possa assi¬ sterli: elio tutto questo è stato concesso, essendo nota la pietà di V.R. lB et clic olla se no vaierà come ha promesso. Et io mi ricordo allo suo orazioni. Roma, 16 Ott,™ 1638. (») Cfr. n.° 379G. XVII. 50 394 1G — 22 OTTOBRE 1638. [8801-8808] 3801 *. BENEDETTO CASTELLI u FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 16 ottobre 163H, Bibl. Vaticana. Cod. Barboriniano lat. 6401 (gii LXXIV, 7), car. 68. — Autografa, Em. m0 e Rev.®° Sig. r * e P.ron Col.® 0 Io sto aspettando la grazia di V.Em.** e la santa benedizione di Nostro Signore per potere servire questi 8er. nl , conformo ai loro santi e giusti desiderii: e si assicuri 1' Em.“ Sua che Bempre loquctr de testiìnoniÌ8 Dei et non confiindar; e se piace a Dio conservarmi tanto elio io ritorni a Roma, spero che olla giudicar^ di non bavere fatta grazia a uno nffatto indegno, o restarà sodisfatta della mia venuta in queste parti. Non sono andato ancora a fare riverenza alle Rev.®° sorelle <*> di VoBtrn Eminenza, perché non ho limito tanto animo; volentieri però li darei parte della felicissima pro¬ sperità di Nostro Signore, di V. Em.“ e di tutta 1’ Kcc.“* Casa. Giovodì sera gionso in Firenze l’Em.“° Cennino^, incontrato dal Ser.®° Gran Duca 10 e dal Sor." 10 Card, do’ MediciW, ed hoggi deve partire. Tengo lettere di Venezia, ma di poco contento. Dio benedetto ci metta la Sua santa mano e illumini quei cuori che ne hanno bisogno; e conceda a V. Em.“ tutte le grazie od ogni maggioro prosperità. Con che li fo humilissima riverenza. Di Firenze, il 10 d’Bbre 1638. Di V. Em.** Humil.** e I)evotiss. mo Ser. r * D. Bened." di Brescia. 3802 *. PIETRO FERMAT a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Tolosa], 22 ottobre 1638. Dal Tomo II, pag. 176, doll'odizlono citata noli’ informaiiono promossa al n.« 8171. -Ponr Galilée, j’avois commencé de l’examiner par le menu, et, si j’ai dn loisìr asscz, jo continuerai. Lorsqu’il parie do la vitesse en la doscente qui so fait cn un infime ou divora milieux par des corps differente, vous tronvorez quo son expérience qui précède contredit sa règio qui suit.... Innocenza o Maria Grazia Babbbbini. <*' Fkanckboo Cunim. tl > Carlo db’ Mkdici. [3803-8804] 23 OTTOBRE 1638. 395 3803 . FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO iu Firenze. Venezia, 23 ottobre 1G38. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 85. — Autografo. Molt’111/ 6 et Ecc. mo Sig/, Sig. r Col. m0 Sono duo mesi elio io vo vagando, in villa quanto ho potuto, nella cittì! so non quanto la necessiti! ini astringeva. In questo tempo non ho scritto, se non ò stato per urgenza di negotio. Hora sono ritornato fermamente, e debbo ripigliare il solito, massime con V. S. Ecc. ma , mio principalissimo Signoro. È stato qui il Sig/ Alberto suo nipoto, clic hieri partì al suo viaggio ; l’ho veduto con singular piacerò et affetto. In Vcnetia ha havuta oecavsiono di toccaro il violino, et lascia nomo di toccarlo gentilissimamonto bono. Io però non ho havuto gratin di sentirlo. Ne’ nostri congressi mi ò riuscito di buono giudicio, io di soavità di costumi, et in una parola degno di esserli nipoto. L’Arisi 10 , elio dove la rata della pensione maturata il mese passato, fa la bestia; per certo calamità, c’hanno levato il raccolto, pretende essentiono, ot si scusa che così fanno altri pensionarli. Non è però vero altro, so non che alcuni hanno fatto qualche difalco. Io gli ho scritto o fatto trattaro per il Sig/ Bai- tollo^’, che voglio elio paghi; chè la reduttiono già fatta ad una mica non admotte più scusa. In questo mentro si è gravomonto amalato. Il punto è che non si può procedere se non per via di sequestri, ot hora non ha più niente in campagna. Sononsi riduce all’honestà, sarà necessario aspettar elio habbia che sequestrarli; o ci vorrà procura nova. Vedrò però ridurlo a pagare. Mi restano nollo mani 20 anco dieci piastre: V. S. no disponga, corno anco di ino come di cosa assoluta¬ mente sua. E con tal fine le bacio cordialissimainonto lo mani. Von/, 23 Ottobre 1638. Di V. S. molto 111/ 0 ot E.™ Dev.™ Sor. S/ Galileo. l r . E. 3804 *. BENEDETTO CASTELLI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 23 ottobro 1638. Cfr. Voi. XIX, Hoc. XXIV, 6, 93, a ). Oio. Battista Arici. <*> Lodovico Baitru.i. 39C 28 OTTOBRE 1038. [3806J Molto Ill. ro Sig. r Patron mio Oss.™ 0 Questa lotterà scrivo a V. S. un antiquissimo affitionato discipolo o servi (or suo, so ben mai da lei conosciuto (occotto si ha sentito dello suo tanto publicho infelicità o patito porsecutioni) ; il qualo si trova in lotto da un mese in qua o condennato a star anche parecchi, o non solo a non leggor, ma nò anco a dir l’officio ecclesiastico, por tre accidenti di vertigini caliginose, minaccianti cascarmi la guccia, e che mi hanno mosso in una rigorosissima dieta, dopo medicine, sa- lassature et altri penosi benefici. Pur in questo stato, elio ò quasi vicino alla sepoltura, ed età di 52 anni, l’amor alle scicntio non si mi ò intepidito, anzi cresciuto in modo, che, nascosto da i medici, studio poco manco elio in sanità, io interponendo pur intervali di due, tre boro, acciochò la tosta non patisca tanto. Da che arrivò il S. r Card. 1 Sacchetti U) , mio Signore, a Bologna, sempre hobbi animo di scriver a V. S. nella sostanza presento; ma dilatando per farlo più compitamente, vengo a farlo alla peggio. Sig. r mio, V. S. ò di quelli grandi ingegni e scienza elio Dio mostra al mondo rade volto e interponendo centone do anni, meritevole di ogni favore per konoro dol secolo, conio io, quando arrivai da Spagna a Roma saranno tre anni, lo dissi assai disteso a i duoi miei Patroni (a chi devo la vita, la libertà, o quasi P bo¬ llore), cioò il S. r Card. 10 Barberino o il Maostro del Sacro Palazzo l?) , o non gli parve elio io parlava spropositi. Questo giudicai (si può giudicar persona tanto co inferiore) dal primo giorno clic Mons. or Giulian di Modici, allora imhasciator, mi presentò in Madrid quanto V. S. fin a quel tempo havea palificato: ma conio quella mia infelicissima bibliotheca, elio allora ora la più scelta, mi fu confiscata, ot il Re la tiene lioggi nell’ istcssa sua galeria del Ciorgo o Tramontana, o V. S. ha dopo di questo publicato parecchio opero, nessuno delle quali ho o nò anco un solo foglio di V. S., ho suplicato al Sig. r Alessio do gli Horatii, fratello dol S/ Lu¬ dovico, Maestro di Camera dol S. r Card. 10 mio 13 ’, voglia, andando costì, portarmi questa lettera, per la qualo supplico a V. S., mi favorisca di farmi comprar, por man di sorvitor suo, non solo quanto V. S. ha composto o stampato o in nomo suo o d’altrui, ma anco quolP opra del Sig. r Vincenzo, suo padro 4I , intorno alla co Giulio Saccfiktti. <*> Dialogo di Vino«nzio Galilki uobilo florcn- Nicooi.ò Riccardi. tino. Della Mimica antica et della moderna. In Fioreuza, 'D Giulio Saccubtti. M.D.LXXX1, appresso Giorgio Maroscotti. [ 3805 - 3806 ] 28 OTTOBRE 163S. 397 musica antiqua, o qualunque altra si trovarà di detto Signor, perché quantun¬ que dal*ni. mo S. r Vincenzo Sacchetti e Sig. r Giulio Inghirami, come patroni, io potrei valermi in questa comissione, come non sono della professione potrebhono esser gabbati; ot il Sig. r Alessio darà il prezzo che V. S. dirà: o vorria che ve¬ nissero tutto ligate, por non patir la dilatione di farlo qui. E V. S. mi perdoni questo fastidio, chè questo albero non può già dar altri frutti, e anche mi scusi gli orrori di nota o lingua, perché papagallo vecchio mai impara bene lingua nova: e V. S., quantunque patisca no gli occhi, non perciò lasci di contemplar o ridur in carta per amanuense ciò che gli occorrerà; o fin all’ultimo che vorrà •io Dio conservargli la vita per molti anni, non lasci di beneficar a secolo tanto ingrato, chè ne’ futuri non mancherà chi lo compatisca e lo lodi, e anco si serve a Dio noi* impiego di ciò elio gli ha dato. E buccio le mani di V. S. Nel Palazzo di Bologna, 28 di Ottobre 1638, stando con un decotto pi¬ gliato mezza bora avanti. Di V. S. molto DI.» Ho licenza da Roma por leggor ogni cosa, o così niente lasci V. S. por scrupulo. Affi™ 0 Servitore Don Vincenzo Nughéra. 3806 *. BENEDETTO CASTELLI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 28 ottobre 1638. Bibl. Vaticana. Cod. Barbariniano lat. 6161 (già LXX1V, 7), car. 69. — Autografa. Em. m0 e Rev. mo Sig. ro o P.ron Col.'" 0 Questa sera ricovo la benignissima lettera di V.Em.* a{1 >, quale credo elio sia in ri¬ sposta della mia prima, perchè in essa vedo che V. Em.* a mi ha impetrato tutte quelle grazie che dimandai. Sono poi stato necessitato in altre mie essere più specificatamente importuno in quell’altro particolare, che è intorno alla longitudine etc., della quale gra¬ zia aspettorò i comandamenti, a’quali obedirò puntualmente: e mi creda elio non sarò mosso dal proposito per nessun rispetto. V. Em. 7R bavera inteso il spaventoso e pericoloso incendio di Pitti, nel quale vera¬ mente da’ più savii è riconosciuta la misericordia di Dio, non essendo il danno d’altro 10 che ~ A hi circa, compreso ogni cosa. Si Bono perso tre bellissime portiere, di valuta 500 scudi 1* una, ed alcuni quadri di nobil pittura, e quella soffitta del salone sopra la volta del salone della foresteria, qual volta ha retto la rovina con stupore d’ogn’uno. Lett. 3805. 41. ehi ac compattarti — <») Cfr. li.® 3800. 398 2S OTTOBRE — 4 NOVEMBRE 1038. [3806-8808] Non ò seguita morto di nessuno, stimato miracolo da tutti. Il pericolo però ò stato di grandissimo spavento, porchò, so andava poco più avanti, correva rischio di calcinarsi tutto il palazzo. E non occorrendomi altro, humilmente m’inchino facendo profonda riverenza. Di Firenze, il 28 d’8bro 1638. Di V. Em.“ IInmil. m0 o l)evotiss. roo Ser. r0 Don 13 e ned. 9 di Brescia. 3807 * FRANCESCO BARBERINI a BENEDETTO CASTELLI in Firenze. Roma, 30 ottobre 1688. Blbl. Vaticana. Cod. Barboriniano lat. 6101 (già LXXIV, 7), car. 70. — Minuta autografa, aul margino (lolla quale si logge, d’altra mano: «di proprio otc. ». Al P. D. Ben od. 0 Castelli. Firenze. Ilo ricevuto in un istesso tempo dna lettere di V. II. 1 *, una do’ O*'*, l’altra de* 16 W del prosonte, alle (piali brevemente, conformo alla commodità che ho del tempo, repli¬ cherò, contentarsi Nostro Signoro elio ella possa trattare circa i moti do i Pianeti Me¬ dicei con le tavolo e teoriche loro per stabilire il modo di ritruovar lo longitudine, mentre la monte di S. S. u o della S. ro Congrogationo ò, che quando si pilotasse formare cosa pro¬ ficua alla navigationo, questa capiti in mano a principe Cattolico. In ordino a questo adun¬ que tieno la licenza V. R.“, In quale son sicuro che s’asterrà da altri discorsi, o massimo da quelli contrarii al senso della S. Congrogationo. Non posso esser più lungo; ma ap¬ provando quanto ella dico delle gran qualità di cotesti Principi, me lo ofloro e mi ri- 10 cordo allo sue orationi. Roma, 30 Ott. ro 1638. Mi ero scordato di communicarlo una mia curiosità, et 6 di quali ncque olla sia per dire il suo parere. Attendo da V. li. 1 * lu risposta, o lo prego l’assiBtonza di Dio nel 8uo santo servitio. 3808 . FRANCESCO DI NOAILLES a GALILEO [in Arcetri]. Parigi, 4 novembre 1638. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 89. — Autografa. Nollo stosso codico seguo (car. 91) la tradu¬ zione italiana, di mano di Mario Guiducoi. Monsiour, I’ay tousiours tomi la modestie polir une qualité fort estimablo en toutes sortes do porsonnes ; mais estant reconneu, commo vous estes, dans touto l’Eu- '«) Cfr. u.° 3796. <*> Cfr. n.° 3801. 4 — 6 NOVEMBRE 1638. 399 [3808-3809] l’opo pour un des plus rares ot plus excollonts esprits du siede, vous me per- mettrés, s’il vous plaist, de vous diro que cello qui vous faict reiottor cornino faulses los veritables louangcs quo io vous donnoy par ma dorniore ne so peut opposer a cotto approbation universelle, ou vous ostes auyourdhuy, sans degenerer en quolquo sorto do prosomption. Car qu’est ce la autro clioso que preforer vostro jugoment particulier a celuy do tout lo resto des honnnes? Si io avés vous beau fairo, Monsiour, il faudroit qu’un malheur seniblable a celuy qui vous a oste l’usage de la veuo, vous ostast encores coluy do l’ouyo, pour osloigner de vostro cognoissanco co que le bruict corainun publie par tout de vostre grande et celebro eruditimi. A moins quo cela, il n’cst pas en vostre pouvoir d’empescher que les applaudissements, avcc lesquols vos beaux ouvrages sont receus, no vous portent, malgré vous, dans los orcilles Y estimo quo tout lo mondo en faict. Veuillés vous ou non, il fault quo vous souffriés qu’estant un do vos admirateurs, io ronde a vostre morite le tesmoignage que ie luy cloibs, iusqu’a co que j’aye trouvé lo moyen que ie chorclio do vous fairo cognoistro, par quolquo effeet convenable a mon desir, que ie suis entierement, 20 Monsiour, Do Paris, co 4 Novom. br ° 1638. Votro bion Ilurable et tres Affectioné Servitola- Noailles. Fuori, d'altra mano: A Monsiour Monsiour Galileo Galilei, premier Philosopho et Matbcmaticion do Monsoignour le Grand Due de Florence. 3809 **. FAMIANO MICIIELINI a [GALILEO in Arcotri]. Siena, G uovombro 1G38. Blbl. Nasi. FIr. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 112. — Autografa. Fax Ghristi. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r o P.ron in Christo Col. ra0 Il Sor." 10 S. r Principe Leopoldo, mio Signore, mi ha commandato scriverò a V. S. molto 111. et Ecc. ma , elio S. A. S. desidera la dimostrazione nuovamente da lei ritrovata' 21 , che de i gravi sopra diversi piani inclinati, mentre liabbino (» (Jfr. u.° 3763. Cfr. Voi. Vili, pag. 211-219, nota 1. 400 G NOVEMBRE 1G38. [3800-8810] la medesima elevazione sopra il piano orizontale, lo velocita, acquistate sieno eguali sopra il detto piano orizontale ote., poicliò S. A. ha dillicoltù in ammetter por noto l’assunto ch’olla suppone nel bollissimo suo libro del moto l,) . Il Ser. mo ha di giti visti i sei libri d’Euclide, e di presente vede l’undecimo et il detto libro dol moto, con pensiero di vedere prima le opero tutte di V. S. molto 111. et io Eco.®*, o poi il resto do’ matematici etc. 10 poi son qua, al solito sempre al sorvizio di lei, pregandola ad honorarmi di qualche suo gratioso coni mando. Le calzette di lana non si trovano fitto coni’ella desidera, ma vedrò che si faccino a posta quanto prima. 11 latoro dolla presente è un vetturale di Palazzo, al quale S. A. dosidera clic V. S. molto 111. et Ecc. m ‘ dia la dimostrazione sudetta, perchè senza ossa le paro d’andar al buio, ancorché quelle esperienze eli’ olla pone nel libro m sieno poco meno che dimostrazioni. E qui, por non haver più tempo, tacendole humi- lissima riverenza lo bacio le mani. Siena, 6 Novembre 1G38. 20 Di V. S. molto 111. et Ecc. raa Quando ella mi voglia scrivere por la posta, invii le lettore con sopra coperta al Ser. mo Prin¬ cipe o aU’Ill. mo Sig. r Iacopo Soldani, qualo saluta caramente V. S. Aft'. m0 ot Obbligatiss.® Sor.® in Gli risto Eran. 00 di S. Giuseppe. 8810 *. ANTONIO NARDI a [GALILEO in ArcetriJ. ltoma, 0 novembre 1038. , Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXXII, n.° S. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ecc. ,n0 S. r o P.ron Colend.“® Scrivo tardi, perchè essendomi provato più volto d’inviar mio Icttoro a V. S. Ecc.“ a in sogno della mia devozione, non ne ho mai ricevuto risposta, di ma¬ niera che havendo sospettato che lo mio non li capitassino nello mani, mi sono astenuto dal mandarlo per l’ordinario; et bora elio il P. Francesco dello Scolo <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 214. ag. 212-218. G NOVEMBRE 1638. 401 [3810-3811] Pie !1) parte a cotesta volta, non voglio mancare di farli quella riverenza che devo a i suoi meriti, ot alla mia devozione si conviene. Mi dico il S. r Rafaello w nostro di havorli a lungo scritto por l’istessa occasione-; però io non li sarò te¬ dioso, per non haver elio dirli, so non clic vivo desiderosissimo di veder in luce io gl’ altri suoi pensiori, distesi in dialogo come violimi affermato dallo stesso Pa¬ dre, il qual mi asserisce che con tal maniera di scrivere V. S. insinuerà lo inventioni suo o dimostrazioni tanto desiderate. È hen vero, che quando il tempo se ne vola così ratto, sto dubitando del tempo o dello indugio; però la sup¬ plico, in nomo anche di molti virtuosi elio di quaggiù vivono con la stessa an¬ sietà, ad affrettar il parto di così esquisiti concetti. E con questo, ^segnando¬ meli servitore di vero affetto, finisco. Poma, fi di fibre 1638. Di V. S. molto 111. 1 ' 1 ot Ecc. ma Oblig. rao S. ro Ant.° Nardi. 3811 **. BENEDETTO CASTELLI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 0 uovonibre 1638. Cibi. Vaticana. Cod. Barberini imo lat. GIGI (gii! LXXIV, 7), cnr. 71. — Autografa. Em. m0 o Rev." 10 Sig. ro e P.ron Col."* 0 Il negozio dell’acquo (:1> , sopra del quale devo fare considerazione, è per conto del lago di Bientina verso Pisa, quale scola in Arno vicino a Buti; del qual negozio, per essere stato da me maneggiato altre volte, sono informato assai bene, e questo Ser."‘° volo ohe io informi il Sig. r Marchese di S. Angelo. Che è quanto devo rappresentare a V. Em. ia in breve; ma quando desiderasse più minuto ragunglio, gli no mandare più longa rela¬ zione, bastandomi bora baverla obbedita con questo poco di cenno. Devo poi rendergli humilissime grazie della larga beuedizziono impetratami da Nostro Signore, che Dio benedetto conservi felicissimo longo tempo, e rassicuro che non sarà io da me abusata. E con questo li fo bumilissinm riverenza. Di Firenze, il 6 di 9bre 1638. Di V. Em/ a Humil.“°, Devotiss. 0 cd Oblig. wo Scr.*'° Don Bened. 0 di Brescia. Fiunoksco Oastbixi (1’. Fuanoksoo dklla Puri vie a zi onk). <*> Rafvabm.0 Maoiotti <3> Ofr. n.® 3S07. XVII. 51 402 13 NOVEMBRE 1038. [ 8812 ] 3812**. FULGENZIO MIOANZLO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 13 novembre 1688. Bibl. Na«. Flr. Mas. Gai., P. I, T. XII, car. 93. — Autografa. Molt’ Ill.ro et Ecc. ,no Sig. r , Sig. r Col. mo È capitato qui un pacheto dolli Sig. ri Elziviri por V. S. molto 111/" ot Ecc. ma , con otto libretti del Discorso elio già fece a Madama Sor."» G. Duchessa circa il dannare l’opinione del Copernico, ot è stampata latina o volgaro 111 ; e perchè non vo no sono capitati d’altri, ho proso ardirò ritenermene uno. Questo mi fa pensare elio l’Elzivir non babbi mancamento, ma o cho non serva il tempo, o elio babbi por via di Francia inviati a V. S. dolli nuovi Dialoghi, o siano inviati eli qua ma non ancora capitati ; perchè ho memoria elio mi scrisse, elio la prima cosa che stampasse, ora questo Discorso; puro adesso solamente capita. Gran sventura de’ letterati, che in questi nuovi scuoprimenti con l’occhiale io napolitano (,) V. S. non babbi occhi, perchè havoressimo di già qualche giudicio fondato, dove sin bora tutti spasimano d’havorne et non è chi meno ardisca citire. Cho fa il P. Castelli, il Cavaglieli, et altri, cho non parlano? ma più, cho fanno li Giosuiti, inventori di tutto? hanno persa la favella? Cosi sarin stato dello macchio solari, do’ Pianeti Medicei, di Venero falcata, so non ora il giu¬ dicio dol nostro divino Galilei, più linceo di giudicio cho degl’occhi. Io moro di desiderio di sentir qualcho cosa, ma non so da chi aspettarlo. Habbiamo perso questi giorni il Sig. r Marc’Antonio Colesti, uno dolli ado¬ ratori dol Sig. r Galileo, et cho non havova paura nò in voce nò in penna ma- 20 ledir l’ignoranza e la tiranide di chi ha havuto cuore di molestare la fenico dol nostro secolo e l’interprete della natura. Ogni nuova di suo miglioramento mi è la più desiderata. Lo prego bone o bacio di cuore le mani. Von. a , 13 9bro 1638. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. 1 ™ S. r Galilei. < 1 ' Cfr. u.° 3058. <*) Cfr. un.1 8769, 3783. 15 NOVEMBRE 1638. 403 3813 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Egmond de Binnen], 15 novembre 1638. Da) Voi. II, pag. 433, 486,489-448,445, 446-447, do))'edizione citata noli’ informaziono promossa al n.° 2898. .... Pour ce qu’a écrit Galilée touchant la bnlance et le levici-<*>, il oxplique Fort bien quod ita sit, mais non pas cur ita sit, cornino ie faie par nion Principe. Et pour ceux qui discnt que ie devois consiileror la vitesse, cornine Galilée, plutost que l’espace, pour rondro raison des Machines, ie croy, entro nous, que co sont des gens qui n’en parlent que par fantaisie, sans entendre rien en cotte matiere.... La proposition de Ilonavcnturo^, geometre IlaTien, que vous avez pria la pcine de Iranscrire en l’une do vos lottros, no contient rien du tout do nonveau. le n’ay point icy d’Aristote, pour y voir la queation quo M. F.< 8) dit quo Galilée n’a pas entendub w ; mais ie n’y trouve pas plus de diflìculté qu’à concevoir comtnont un 10 homme, qui marche leutenient, est une lieure à fairc lo mesme chemin qu’il pout fairo en domy-bouro, lors qu’il va plus visto. Car les points qui sont proches du centro d’une roub no font autre choso, siuon qu’ila décrivent des lignea courbcs, qui sont plus courtes quo coIIob que décrivent les points plus éloiguez, et qu’ils se meuvent à proportiou plus len- tement. Ce que i’ay vu autresfois do Campanelle< B > ne me permct pas de rien oaporer de bon de son livro, et ie vous remercie de l’offre quo vous me faites de me l’envoyer; mais io no lo desire nullement voir..,. Votte seconde lettre est divisée en troie partios, et. la premiere contient diverses expe- riencos, dont ie vous remercie; mais pour celles du tuyau, i’ay desia mis cy-devant com- 20 raont ie dosirerois qu’olles fussent faites; et pour ce qui est de rompro des cylimlres de long ou de travers, ie croy quo c’est tout à fait peino perduè, et qu’il est impossible do trouver aucuae proportion elitre l’un ot l’autre: car la pluspart des cors sont beau- coup plus aisez à rompre on un sens qu’cn l’autre; cornine si vous prenez la longueur d’un cylindre dans la largeur d’ime plnuche de bois, il sera incomparablement plus aysé à rompre que si vous le prenez dans la longueur de la mesme plancho. Et un alesino bois, estant fort scc, sera plus aysé à rompre de travers qu’estant liumide; et au contraire, en lo tirant à plomb suivant sa longueur, io croy qu’on le peut mioux rompre, lorsqu’il est liumide, quo lorsqu’il est sec. La seconde partio contient vos romarques touebant Galilée, ou i’avouc que co qui 30 empcsche la separation des cors tcrrcstres coutigus, est la pesanteur du cylindre d’air qui est sur eux iusques à l’athmospliore, lequel cylindre peut bien peser moina de cent livrea. Mais ie n’avoue pas que la force de la continuiti des cors Vienne de là; car olle O) Cfr. Voi. II, pag. 165-167. <*' Gfr. Voi. Vili, pag. 94-96. La proposiziono m Bonaventura Cayaubri. 6’Aribtotki.k ò la 25* della Meccanica. (*) PlKTRO FkRMAT. (5) TOMMASO CaUI’AKET.I.A. 404 15 NOVEMBRE 1G38. 13813] no consisto qu’en la liaison ou en l'union ile leurs parties. I’ay dit quo, si qnolque choso so faisoit crainte du vuido, il n’y auroit point de forco qui fust capable de l’empescher ; ilont la raison ost que ie croy qu’il n’est pas moina impoisible qu’un capace Boit vuide, qu’il est qu’une montagne soit sana valóe. l’imagine lea parties do la matiere aubtile aussi dures et aussi solidea que lo puis- acnt ostro doa corB de lour grandeur; mais pource qu’elles ne peuvent monvoir nos seus, et que les noma de qualitei! sont. relatifa à noa sena, ila ne leur peuvent proprement estro attribuoz ; ainsi qu’on no dit point quo la poussiere soit dure et posante, mais plutost 40 qu’ello est molle et logore, il compnraison des cailloux, et toutefois cbacune de bob parties ost do mesme naturo qu’un potit caillou. le n’accordo point que le boia pourri, ou uno chandelle, puissent estro sana mouvo- mont lors qu’ils donnent de la lumiere, mais bicn qu’ils ne donneroient point do lumiere, si leurs petitea partieB, ou plutost celles de la matiere aubtile qui ost dana leur poro», n’avoiont un mouvement extraordinairement fort. Et pource que i’ay tres-particulierement expliqué la cause de ce mouvoinent ot toute la naturo du fcu dan mon Monde, ie n'en ay point voulu parler on tncs Essais, ot io no 8$auroÌB le faire entendre en peu de mota, l'avoue ce quo vons ilites do la souvcraino condensntion et Bouveraine rarófaction, et qu’il no so peut faire ancuno rarófaction en un lieu, qu’il no se fasso autant de condonsation r,o on quelqu’autre; et il n’est pas malaisó de trouver où se fait la condensation compensa¬ tive des cors qni se dilatent dans uno fournaiso, car l’air libre, qui est autour, peut fa- cilement estro pressò; mais si on allumoit du feu dans une cavo, dont toutes les ouver- turea fussent oxactement fermées, ce feu ne pourroit devenir fort grand, cncore qu’il y eust eu quantitó do boia ou do paille auprós, pour cela seul quo l’air enfennó en cetto cavo ne se pourroit pas assez condensar. Si la matiore snbtile ne 8e mouvoit point, elle cesseroit d’estre matiere aubtile, et seroit un cors dur et terrestre. L’inégalitó des descentes est autre dans l’eau quo dans l’air, à cause que l’air et l’eau ne different pas seulement en solidité ou pesanteur, mais aussi en ce que les parties de CO l’eau, ayant il’autres figures quo cellos do l’air, peuvent estre cattcris paribus, plus ou tnoins difficile à divisar. Pour la rondeur de9 gouttes d’eau, voyez page cent quatro-vingt doux et deux cena quatre des MeteoreB. Quand l’eau se filtro par un drap, il u’entre point d’air en ce drap, et il so fait une superficie de ses parties exterieures iointes à quelques-unes do cellos do l’eau, qui l’on cmpesche et sert cornine de tuyau, par dedaus lequel coulent les parties interieures do cotte eau; car elles sont en cont.inuel mouvement de leur nature. Et co mouvement qu’olles ont leur aide aussi à monter dans un morceau do pain, ou antro tei cors, dont les pores sont de tollo grandeur et figuro, qu’ils sont plus propres à recevoir les parties de l’eau que celles de 1 air. Mais mon opinion n’ost pas qu’un cors, estaut poussé, no puisse con- 70 tinuer à se mouvoir dans le vuido, c’est à dire dans un espace qui n’est rempli que il’uue matiere qui n’augmente ny no diminuii son mouvement; car, au contraire, ie tiene qu’il n'y peut. iamais cesser do se mouvoir quand il a une fois commencé ; mais bicn qn’un cors n’aura aucune pesanteur dans ce vuide, c’est à dire aucune iuclinatiou ù se mouvoir vors en bas plutost que vers les autres costez. 15 — 23 NOVEMBRE 1G38. 405 [3813-3814] lo croy bien que la vitcsse des cors fort pesane, qui descendent par l’oir avec une mediocre vitesso, s’augmeute A peu prés en proportion doublée; mais ie nio quo cela soit oxact, et ie croy que cela n’arrive point lors quo le mouvement est fort vite ou fort lcnt. le craina ausai bien que vous que Monsieur do BeauneW se méconte en ses Mechani- 60 ques, puis qu’il suit Ics fondements de Galileo. l’ay desia tantost dit que l’air n’empesche pas Reulonient. la doacente des cors, en tant que posant, mais aussi en tant que ses parlies estant d’autre figure quo celles de l'oau, elles peuvent cetre plus ou moina aisces h diviser. Et voila tout ce que ie trouvo h répondro à cct article.... Ne croyez pas tout co qu’on vous dit de eoa uiorveilleuses lunettes do Naples; car la pluspart dos honmies, et principalement Ics charlatans, tei qu’est sana doute vostro Maire lbnt tousiours les choscs qu’ils racontent plus grandes qu’ellcs ne sont — le ne croy pas qu’il y ait nieanie raiaon de la vitesso des cors qui montoni duna l’cau, avee leur legerotó dans cotto eau, qu’il y a de la vitesse de ceux qui descendcnt 90 dans l’air, aveo leur pesanteur dans co mesme air, à cause que l’eau et l’air no sont pas ógaleniont lluides, cadcris paribus, aiusi que i’ay desia dit. Et la raisou qui empesebe quo cos cors no monteut plus liaut que la superficie de l’ean eBt qu’estant, raros et logore, ils rolicnuent beaucoup moins l’impression du mouvemont quo Ics cors solides et posane qui rejaillissont cn liaut, apres estro tombez contro terre; ce qui est cause aussi que leur vitesse ne s’augmente pas si approcliant de la raison doublée, quo fait la vitesse des cors qui dcscendont en l’air. Io vous remereie des soins quo vous prenoz pour softtcnir nion party; mais ie n’ay pas polir qu’aucune porsonno de iugement se persuado que i’aye empriinté ma Dioptriquo de Roger Jlacou et oncore moiiiB de Fioraventi< 3 >, qui n’a ostò qu’un cliarlatan italien.... 3814 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcotrl. . Bologna, 23 novembre 1638. 1/autografo (lolla prosonte, elio foco parto dol fondo menzionato noll’inforniaziono promossa al n.® 37 (cfr. pag. 41G dol Catalogo di manoscritti occ. citato al n.® 1028), corso le sorti niodosinic dolio lettere elio pubblicammo sotto i nn.» 1023, 2140. 2755, 3887. Prima però elio avvenisse la disporsiono dulia Biblioteca Bokooupaoni (nolla (inalo portava la sognatimi fluita U08, n.° 27), noi avovnmo potuto collaziounrc ancho questo documento. Molto Ili/ 6 et Eco."' 0 Sig. r o P.ron Col." 10 Vivo con molto desiderio di sapere qualche buona nuova dello stato di V. S. Ece. ma , et ò meco a parte in questo desiderio T Ecc. 8ig. Liceti, che non mi vede volta che di lei con molta istanza non mi dimandi. Ho scritto al Rev."' 0 Padre D. Benedetto nostro por intenderne da esso ; ma, o che le suo occupatimi! (U I'Yokihondo db Bkaune. Giovanni Lb Mairk. (®> Leonabdo Fioravanti. 406 23 — 27 NOVEMBRE 1638. [3814*3815] non glielo pormottino, o porchò non sia costì, non posso da lui ricevore quosto favore, conio anco d’altre coso scritteli. Io perciò la supplico a darmi qualche nuova di sè, acciò potiamo restare consolati. Io me la passo assai bene di sanità, fuorché ne’ piedi, elio non posso cauli¬ nare. Si consoli ch’io li fo compagnia nel suo malo; cliò se loi ha appannati io gli occhi, et io ho legati i piedi. Iddio, dispositore del tutto, sia quello che ci dia gratia di comportarlo patientomente. Quanto alli studii, non ho cosa di nuovo, essendo occupato nella lottura publica e privata, che non mi lasciano attendere a spocolationi di mio gusto. Finisco con pregarlo da Iddio sanità o lunga vita, o la riverisco, baciandoli lo mani o salutando, se vi ù, il Rov. mo Pa¬ dre I). Gonodotto. Di Bologna, alli 23 Novembre 1638. Di V. S. molto lll. r0 ot Eco. ma Dev. mo ot Ob. mo Rorv. p « F. Bon. ra Cavalieri. Fuori: Al molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. 0 20 IL Sig. Gal. 00 Gal. 01 Ad Arcotri. Firenze. 3815 *. FRANCESCO BARBERINI a GIOVANNI MOZZARELLA in Firenz . Roma, 27 novembre 1688. Dallo png. 28-29 doli’opera citata nell’informazione promossa al u.» 3701. Ancbo l'originalo ili questa let¬ tera ora noll'Archivio doli'Inquisizione in Firenze. Molto Rov. Padre, Si contonta N. S. che D. Benedetto Castelli, Monaco Cassinense, possa trattare ire- quontomente con Galileo Galilei, e per servitio dell’anima del suddetto Galileo, e per istruirsi de’ periodi de’ Pianeti Medicei, ne’ quali protende fondarsi l’arte di navigare pol¬ la longitudine de 1 gradi; ma comanda Sua Beatitudine che, sotto pona di scomunica lo tari sentcntiae e da incorrersi senz’altm dichiarationo, la cui assoluttiono riserva S. Santità a sò medesima, levatone anco la facoltà alla S. Penitentiaria, non ardisca egli di favellare col suddetto Galileo dell’opinione dannata da questa Suprema ot Universale Inquisitone in¬ torno al moto della terrai. V. R. si contentarà di darli notitia di senio di N. S. Et Dio la conservi. i > Di Roma, li 27 Novembre 1G38. Di V. R. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 29). Como fratello Il Card. 1 * barberi no [ 3816 ] 29 NOVEMBRE 1G38. 407 3816. FAMI ANO MICHELINI a GALILEO fin Arcetri]. Sioua, 29 novembre 1038. Bibl. Naz. Plr. Mas. dal.. 1’. 1, T. XII, cnr. 95. — Autografa. Pax Ch'isti. Molto 111. et Ecc. m ° Si".v o P.ron in Cliristo Col.™ Credo che a quest’ bora Laverà ricevuto (lai P. Clemente (i) sei fiaschi di vino di Montepulciano, elio lo manda il Sor. 11 ' 0 Principe Padrone w , et duo paia di calzette di bambagia, elio le presento io, et insieme Labbia sentito la mia inha- bilità all’ intenderò la dimostrazione clic V. S. molto 111. et Ecc. ,,m si ò compia¬ ciuta inviarmi circa l’uguaglianza delle velocità de i mobili di uguale eleva¬ zione, quando sicno arrivati al piano orizontalo <3) . Hora, trovandomi afflittissimo e quasi disperato por l’ottusità del mio ingegno o per lo solito indisposizioni della io mia tosta, questa mattina avanti dì son ricorso al Supromo Matematico con quella humiltà o riverenza elio ho potuto maggiore, pregandolo ad illuminarmi per scoprire per qualche facile strada la dimostrazione della falsità o verità di tal proposiziono. Mi paro che S. D. M. mi Labbia internamente risposto: Sta’ allo- gramonto, perché la conclusione è vera, e la troverai per una via facilissima. So dunque sortirà il ritrovamonto, come spero, no farò un presento a V. S. molto 111. ot Ecc. ma , dalla quale, doppo Dio, riconosco tutto quollo elio di vero filoso¬ fare io mi sappia. Piaccia a S. D. M. ch’io diventi strumento atto a poter ap¬ portare a lei quosto gusto, o conceda a V. S. molto 111. et Ecc. ,,m perfettissima sanità con abbondanza di grazie celesti in questi santissimi giorni deU’Àvvonto. 20 Deo gralias. Siona, 29 Nov. r ° 1638. Di V. S. molto 111. et Ecc.™ Aiì>° ot In dog.' 110 Sorvo in Cliristo Al Sig. r Gal. 0 Gal. 1 Fran.«° di S. Giuseppe. Ot Cl.RMKNTK SKTTtMt. **> Leopoldo dk’ Medici. i»t Gir. u.« 3809. 403 3 DICEMBRE 1638 . [ 381 ? J 3817 *. GIO. BATTISTA ARICI a (LODOVICO BATTELLI in Venni»). Brescia, 3 dicembre 1688. 13Ibi. Naz. Plr. Mss. Gai., P. I, T. XV, car. 91. — Autografa. Ili» 0 mio S. rp , Sig." o P.rone Col. 100 Noi ricevere (lolla lettera di V. S. IU. m * di 2(1 passato, capitatami hoggi solamente, pensavo pure di sentire qualche buona nuova intorno alla pensione del 8ig. r Galileo, ma scordo tutto il contrario. Non devo però lasciare di ringratiare, come faccio vivamente, V. S. 111.™** dell’operato a mio prò, nò di soggiùngere corno il Padre li.®* Fulgontio piglia un grosso errore, quale può venire dal non bavere S. P. R.®* osservato bene lo bollo della pensione, perchè hnverebbe trovato che non di Camera, ma di moneta romana, sono li sessanta, non ducati, ma scudi, che ò come a dire ducatoni, ondo non ha perciò da do¬ lersi di V. S. Ill. mtt : et piacesse a Dio che il beneficio rendesse, come in Roma mi fu sup¬ posto, cagiono potissima ch’io acconsentei alla pensione; chè se ne havcsiii bevuta la vera io notitia, o non lraverei certo acconsentita la pensione, o havoroi lasciato il beneficio a chi l’havesse voluto, perchè non è capace nò nnco delti 40 che V. 8. IH."'* ha aggiustato, et io, per non bavere a litigare, mi sottoposi volontari a pagare. Horsù, non vi sono in questo anno frutti: io so che in conscientia non sono tenuto, perchè non vi è da mantenero me medesimo, che sono padrone del beneficio, et non il 8. r Galileo, al quale non si doverebbe se non quello che avanza al necessario mio sostentamento et aggravi! che yì sono, fila lasciamo anco questo; vi è di peggio: se l’anno che viene voglio cavare frutti et pernio et per la pensione, convengo, per non lasciare andare la possessione inculta, sostentare anco il massaro. Pare rao a V. S. 111.®*, che per mantenere la pensione in borsa al S. r Ga¬ lileo io lmbbia a cavarmi anco il sangue dalle vene? fili scusi V. 8. IH. - » per gratia, per- 20 chè chi non ne lm, et è constretto a spenderne, si trova a partiti tali, che altri che quelli che ciò provano lo credono. So il S. r Galileo fusse nel mio stato, non so quello farebbe; et se fusse a fare il cativo, per passivo circa la pensione, altretanto premerebbe il P. II.® 0 Fulgentio in procurare che io m’acquietassi per le ragioni addotte per me, qunnto bora preme perchè io mi cavi il sangue per sodisfare a chi non ha bisogno. Reati servita Y. S.I11-* di far capace S. S. R. ro * delle calamità mie; quali non ostanti, quando mi si Piccia rilasso della rata presente, sperando che a Marzo possano quelle pocoline entrate che mi trovo, et che bora non hanno alcun prezzo, pigliare un puoco più d'odore nel prezzo, mi darebbe l’animo di pagare quella seconda rata, altrimenti non saproi dove voltarmi. De’ beni di fortuna V. S. 111.®* sa il mio stato, et li posi che convengo soste- 30 nero intolerabili. Mi gotto nelle braccia di V. 8. 111.®* et del P. R.®° Fulgentio, et in tutto o per tutto mi rimetto alla loro prudenza et benignità, con sottoscrivermi a quanto co- [3817*3818] 3 — 4 dicembre 1638. 409 manti «.ranno, sicuro che lo narrate causo non lo permetteranno che mi faccino fare l’im¬ possibile. A V. S. IU. n,B m’inchino, ot le bacio le mani humilmente. Di Brescia, li 3 Xmbro 1638. Di V. 8. 111.™ Hum.o Serv.“ Oblig. 1 "* Gio. Batta Arisio. B 818 . FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO [in Firenze]. Venezia, 4 dicembre 1038. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. IH. — Autografi il poscritto o la sottoscriziono. Molto IH." et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. 0 Ilo parlato con il Sig. r Giusti (1) , il quale m’afferma con ogni attestarono elio nel paccheto inviattoli dal Sig. r Elzivir non orano più elio 8 essomplari della scrittura di V. S. molto Ill. re et Ecc. a , 7 do’ quali li saranno a quest’ bora ca¬ pitati. Mi aggiongo che dal medesimo Elzivir ha lettere cho sopra il vassollo S. Giacomo, che deve partir d’Ollaiula por Venetia, è un paccheto di libri por V. S. Io non ho dubio cho questi saranno li Dialoghi ultimamente stam¬ pati: ma quel vassoio non ora ancora partito di porto; ha però havuta la buona ventura, cho nella tempesta bombile ultimamente seguita, la quale viene io scritto haver abbissati in porto sino a 53 navi per il valsente di più di 4 mil- boni, ha nuova il Giusti ebo questo S. Giacomo è salvo. È qui 1’ Ill. mo Baitello (!) , il «pialo mi riferisco elio veramente il luoco detto le Casazzo, ove l’Arisio ha tutte le suo entrato, è tempestato, che non si è rac¬ colto cosa alcuna, onde anco altri pensionarli tacciono. Ma vi è di più, che da Agosto in qua sta in letto, gravemente infermo; et mi dice il Sig. r Baitello, kaverlo veduto osso medesimo in stato molto miserabile. Li ho però fatto scri¬ vere elio si portarli tempo inanzi, ma che essendo stata ridotta la pensione a così poca somma, è dovere e voglio che paghi. Ma in latti io medesimo lo com¬ patisco, et so che V. S. fa il medesimo et poco cura questa minuccia. 20 Io vorrei sentire meglio ri nuove della sua sanità, perchè se bene nelle suo lettere comprendo qualche picciolo ristoro, non ò però quale ardentemente bramo ; et la meglior consolatione eh’ io incontro in questo ò la sicurezza dell’ animo tranquillo di V. S., la quale sa tanto delle coso humane, elio sì come niun acci¬ dente gl’ avviene inopinato, così son sicuro che non b riesce intollerabile. Sento bene noi discorsi di tutti li virtuosi et curiosi quanto sia gravo il danno pU- IU («I08T0 WU'PKLDICH. «*> Lodovico Baiteli.!. XVII. 53 410 4 DICEMBRE 1638. 13818-3819] blico, elio V. S. non Roda la sanità ot particolarmente qnolla dogi’ occhi ; perché con li nuovi scoprimenti (li questo occhialo napolitano 11 , Lavorassimo certo qual¬ che consideratione ot discorso degno del &ig. r Galiloo. Mi pare però cosa strana cho dal P. Castelli, elio ha veduto ot usato l’occhialo, dal P. Cavallieri et dal Glorioso non si babbi pur un verso sopra tale materia, nò meno dal Scheiner, so che vuol saper tutto ot essere il ritrovatoro di tutto lo novità. Questo manca¬ mento in altri ci fa fede cho non havressimo cosa alcuna ferma o ordinata nello altro coso, so non fosso stato il divino ingegno del nostro sempre famoso Ga¬ lileo, al quale il Signor Iddio conceda piona tranquillità ot sanità ancora, so cosi è il suo beneplacito. Et a V. S. molto IH." 0 et Eco.®* bacio con ogni af¬ fetto lo mani. Von. a , li 4 Xbro 1638. Di V. S. molto 111.” ot Ecc.®* Questa dovè mandarsi lo spazzo passato ; fu tenuta per errore. Vogga ciò scrive PArisio *'. 40 Devotiss.o Sor. P. F. 3819. GIOVANNI MUZZÀRELLI a [FRANCESCO BARBERINI in Roma]. Firenze, 4 dicembre 1038. Riproduciamo questa lettera dalla copia moderna citata noli’ informaxiono promessa al n.° 8C82. Noi » coplft- lottoro > die iri indichiamo si leggeva a car. 30. A Don Benedotto Castelli, monaco Cassinoso, ho significato la grazia che N. S. le ha fatto di poter trattare frequentemente con Galileo Galilei per servizio dell'anima sua o per istruirsi del modo di navigare per la longitudine del polo, e (politamente la proibizione d’aste¬ nersi di favellare dulia dannata opinione del moto della terra, sotto pena di scomunica laide sentcnliae, da incorrersi senz’altro dichiaraziono, spiegandolo che l’assoluzione di questa so la riserva la Santità Sua particolarmente a sé, levandone la facoltà alla Sacra Penitenzieria. 11 Padre con non minor riverenza che prontezza Im ricevuto la grazia, o promesso di valersene con inviolabile osservanza di quello che se lo impone. Che è quanto mi occorre di dire in esecuzione dell’ordine che m’è venuto con lettera di V. E. do’27 del passato' 3 ’: e le bacio nmilissimaraente la vesto. 10 Fiorenza, li 4 Xbre 1638. Uniiliss. 0 Devoti*». 0 Obbligatisi." Fra (tìov. Fa nano, Inquisitore. ('* Cfr. u.° 8812. (*> Cfr. n.° 8*817. »*' Cfr. u.» 8816. [3820-8821] C — Il DICEMBRE 1638. 411 • 3820 **. ASCANIO PICCOLOM1NI a GALILEO [in Firenze], Siena, 6 dicembre 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gnl., P. I, T. XII, car. 07. — Autografa la sottosoriziono. Molto Ill. r0 Sig. r mio Oss."' 0 Mi raddoppia Y. S. i favori col suo libretto (1) , perchè, havondomeno dato un altro l’anno passato do i tro venutigli di Fiandra, duo ne son tocchi a ino ; ma l’occosso della cortesia non sarà mal impiegato, perché havendono tenuto discorso col Ser. m0 Principe (2) , m’ha comandato eli’io no lo serva d’uno. Godo adunque del favore in propio, o ringrazio la benignità di V. S. del campo che ni’ ha dato d’incontrar il gusto di S. A. con quello che non mi scommoda. S’accosta il tempo della tramuta do’ vini ; e però so V. S. m’avvisarà se ’l saggio di questi miei 1’ ho da inviargliene costà o veramente in villa, mi varrei io volentieri di questi bei tempi. Me li protesto beilo, che quest’anno li faranno inferior riuscita ; ma ossondo la doglienza universale, sarà più legittima la scusa. E con pregarle salute e contentezza, la supplico de’ suoi comandi, ed affettuo¬ samente lo bacio lo mani. l)i Siena, li 6 di Dicerab. 1638. Di V. S. molto 111/ 0 Dovot. Sor. S. r G. Galilei. A. Ar.° di Siona. 3821 . FAMIANO MICHELINI a [GALILEO in Arcetri], Siena, 11 dicembre 1638. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 116. — Autografa. Fax Christi. Molto IH. et Ecc. mo Sig. ro o P.ron in Christo Col." 10 Io mandai a donare a V. S. molto 111. et Ecc."* ft due paia di calzette di bambagia, lavorato con diligenza grande, perchè le servissero questo inverno a mantenerle il caldo ; ma già ch’ella vuol destinarle ad altro uso, cioè per il fresco della stato, io di già ho dato ordine che si lavorino di lana altre cal- zotto con ogni maggior strettezza e tinozza, affinchè la lana faccia quello che <‘) Cfr. u.° 3812, liu. 2-4. < a i Luoroux) dk’ Medici. 412 11 — 15 DICEMBRE 1G38. [3821-8822] la bambagia non sapova o poteva faro : fra tanto accetterà il inio sincero af¬ fetto, elio con la bambagia credeva servirla meglio che con la lana, e scuserà con la solita sua gentilezza lo mio balordagini. io Quanto alla dimostrazione di V. S. molto 111. ot Ecc. ,nil(0 , io la stimo vora, cioè concludente ; elio sebono scrissi havorvi qualche difficoltà nell’ intenderla, ciò proveniva e dal mio poco giudizio e dallo stare piò applicato al ritrova¬ mento della mia, che al penetrare la sua bellissima dimostrazione. Non starò a mandarlo la mia, poiché ultimamente mi sono avveduto elio era la medesima elio la sua, o non lo conoscevo per l'affetto elio ognuno porta alle coso proprio più elio allo altrui, ancorché d’inferiore condiziono. Io però m’ingegno di per¬ suaderò altrui, cho in tempi eguali li spazii passati nel moto accelerato stieno come gl’impeti (la qual cosa poi è una bagattella cho ogni bambino la saprebbe dimostrare), o piglio por assunto che gl' impeti stieno in reciproca proporzione 20 degli spazii no i diversi piani inclinati cho hallbino la medesima elevazione, conio V. S. molto 111. ot Ecc. m& dimostra nella prima scrittura, la qual cosa era il principal punto etc. ; ondo del mio noi mio ci sarebbe pochissimo, sobone fosso divorso dal suo. Il Sor." 10 Principe 12 * lo vuole un gran berne, conio anche Mons. r 111."' 0 Ar¬ civescovo, cho hiori mi disse havor ricevuto una sua lettera. Io Inibito in S. Ago¬ stino, dovo lio di molti frati all’udire matematica, oltro ad alcuni gontilhuomini, o si fanno continuanicnto dolcissimo commemorazioni di lei. Nè occorrendomi por bora altro cho il ringraziarla infinitamente degli honori delle suo lettere, le prego da Dio abbundanza di consolazioni colesti, e le bacio affettuosamente so lo mani, fico gratias. Siena, 11 Dicembre 1038. Di V. S. molto DI. ot Ecc. mR Indeg. rao et Obbligati. 0 Sorvo in Christo Fran.°° di S. Giuseppe. 3822*. GIO. GHERARDO YOSSIO ad UGO GROZIO [in Parigi]. Amsterdam, 15 dicembre 1638. Dalla pag. 382 doli'opera citata noli* iuformaziono promossa al n.° 2947. -Hortenaius hac hyeme hic subaistet. Interim parabat se ad hoc, ut jmratior ait ad colloquendum cum Galilaeo do Gahlaeis coram voi per intermmtioa uut literaa, et loco nliquo tufco aut propinquo.... Oi Cfr. uu.‘ 8809, 3816. ( *> I.koi'oldo dk’ Mudici. [3828-8824] 16 — 17 DICEMBRE 1638, 413 8823 ** ÀSCANIO FICCOLOMIN1 a GALILEO [in Arcetri], Siena, 1G dicembre 1638. Bibl. Ntiz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. XII, cur. 09. — Autografa la sottoscriziuno. Molto Ill. Pfl Sig. r mio Oss. mo Parto domattina Santi con la solita quantità di vino, ma non della solita qualità, iiavondolo voluto il tempo inacquar no’ bigoncii ; manca dunque del so¬ lito polso, ma, por quel elio si può sperare dal present’anno, credo die riuscirà al par dogli altri. Ma il mio desiderio è d’havor nuova che sia riuscito al suo gusto. Mi dispiace di sentirla tra i soliti suoi dolori, o no sentirò volontieri il suo meglioramento por darne desideratissima nuova al Sor." 10 Principe ll) , elio con- tinuamonte parla di lei o studia il nuovo libro col P. Francesco (2) con estrema io sua sodisfazione. Ma ò una vergogna cho a Roma si spaccino a tre scudi l’uno, e elio costà non no siali comparsi. Ritrovai eli’ il S. r Soldani (3) liavova quello sopra i passi della Scrittura, ma non por questo è stato mono accetto il duplicato (41 . E con ricordar a Y. S. la libertà, che ha di comandarmi, lo bacio con ogni alletto le mani. Di Siona, li 16 di Dicemb. 1638. Di V. S. molto Rl. r ° Devo. 0 Sor. S. r Galilei. A. A. di Siena. 3824 . GIO. BATTISTA BALIANI a [GALILEO in Arcotri'J. Genova, 17 dicembre 1638. Bibl. Naz. Pir. Mss. Osi., P. VI, T. XIII, car. 118. — Autografa. Molt’Ill. ro et Ecc. mo Sig. or mio Oss. mo Havondo io risoluto di mandar fuori un’operetta del moto naturalo de’ corpi gravi 15 ’ mi parrebbe far mancamento so non la mandassi subito a V. S., pre¬ di Leopoldo dr’Medici. i*> Famiano Mioiirliki. 0) Iacopo Soi.dani. <»> Cfr. n.° 3820. < 5 ) J)e malu naturali yravium solidorum Ioannis Baptistae Bai.iani, Patritii Gonuonsis. Genuno, ex typographia Io. Marmo Farroni, Nicolai Posagli» ot Petri Francisci Barborii soc. MUCXXXVIII. 17 — ltì DICEMBRE 1G38. 414 [3824-3825] ganclola elio a tanti favori fattimi voglia aggiongor questo (li logorla o corro- gorla o dirmono il suo parerò. Son sicuro elio, se non por altro, la stimerà almono degna di comparirlo (linanti per conoscor la fattura di autor© elio, an¬ corché da lontano, si ingegna di seguir lo suo pedate ; et io in tanto starò con dosiderio di veder uscir in luco lo opero di V. S., in cui sporo di vedere ridotto a porfettiono ciò che io ho abbozzato così alla grossa. E pregandola conservarmi nella sua buona gratin, lo baccio por tino lo mani, o priogo dal Signor ogni vero contonto. Di Gen. R , a 17 di Pooombro 1638. Di V. S. molto lll. 1-8 et Eco. ma S. or Obbl. mo Gio. B. R Ballano. 3825 **. PIER BATTISTA BORGHI a GALILEO in Firenze. Roma, 18 dicembre 1038. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. 1, T. XII, cnr. 101. — Autografa. Molto 111." od Ecc. rao Sig. r o P.no Coloiul. rao So è storilo il desio che ho di servir a V. S. molto IH. 1 ®, poi che non par¬ torisco ©fiotto veruno, almono mi conceda elio non sia del tutto muto, o che nella solennità dolio Santo Feste di Natalo non compaia alla sua presenza a di¬ mostrarsele quale esser deo. Io desio sanità o gli anni di Nestore al Sig. r Ga¬ lilei, splendor del nostro secolo ed onor della nostra Italia, o, quel che a mo tocca, mio beneficentissimo padrone; o perciò con queste duo righo mal com¬ poste, o per T imbecillità del mio ingegno e per la scarsezza del tempo, vongo ad augurarlo felici queste Sante Feste od avventuroso il principio doU’anno pros¬ simo, noi qualo et in un secolo di altri piaccia a Dio N. Signore mantenerla con intiera sanità o contento. E lo faccio umile rivoronza. Di Roma, li 18 Xbre 1638. Di V. S. molto III." ed Ecc. ma Tengo che il Padre Abbate Castelli, conforme mi accennò con una amorevolissima sua, sarà por viaggio, e perciò non lo scrivo; o piaccia a Dio condurloci a salvamento. Devot. m ° od Obbligat.™ 0 Sorv." S. r Galilei. Firenze. Pier Batta Borghi. [ 3826 ] 28 DICEMBRE 1638. 415 3826 ** BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Firenze. Bologna, 28 dicembre 1638. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 120. — Autojfiafft. Molto Ul. r0 et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col."* 0 Si accrescono notabilmente lo mio afìlittioni, sentendo che lo sue mai fac¬ cino tregua, ma si vadino tuttavia mantenendo ncll’essoro di prima. Mi parve d’intendere di’ ella fosse in Firenze (il elio argomento anco dalla sottoscritta della lettera), o perciò liavevo anco preso di qua argomento di consolationo c fattono parto all’ Ecc. mo Sig. r Liceti, elio ne sentiva straordinario gusto ; ma quando habbiamo visto la sua lettera, l’allegrezza si ò convertita in doglia et amari¬ tudine. La risaluto caramente da parto del detto Sig. r Liceti, o li dico insieme da parte sua come il Cavaglioro Scipione Ckiaramonti ha ultimamente scritto io contra osso Liceti un libro, che è il quarto dell’Antitichono, intitolato Libellus Apologcticus otc., con apporli particolarmente che indegnamente olii si sia meso a volere conciliare gl’ astronomi elio mettono le comete sopra la luna con Aristotile o a difendere le parti di Aristotile in materia che non è pura filosofica, ma astronomica o matematica, là dovo, non essendo egli matematico, non havoa da farlo etc. S’accinge a risponderlo, o mi dice che se li fosso avan¬ zato cosa alcuna per dimostrare quanto osso Chiaramonti sia eccellente mate¬ matico, li faria favore particolare a signillcarliela. Sì elio ella vede che il Chia- ramonti, doppo credere di bavere abbattiti tutti gastronomi, non avanzandoli altri vione bora alle mani con i Poripatetici ; ondo aspetto clic presto, non 20 havondo con chi combatterò vonga, qual valoroso Ruzante, anco allo mani con sò stesso. Staromo a vedoro o a sentire questi colpi da Paladini. Io, conio male in gambo, non posso entrare in mezzo. Non posso più in longo estendermi, perchè soli fresco di una scossa di podagra. Mi conservi nella sua buona gratia, chò li auguro per fine felicissimo Capo d’anno e compita sanità, salutandola di nuovo a nomo del dotto Ecc. ,n0 Sig. r Liceti. Di Bologna, alli 28 Xbro 1638. Di V. S. molto HI.™ et Ecc. m “ Dev. mo et Oh." 10 Sor.™ e Disc. l ° F. Bon. ,u Cavalieri. Fuori: Al molto HI.™ et Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col. 0 so 11 Sig. r Gal. 00 Gai. 01 Firenze. Lett 3820. 6. aWB*SigS — 416 DICEMBRE 1038. [3827-8828] 3827 *. RENATO DESCARTES a MARINO MER3ENNE [in Parigi], [Kgmond da Binncn, dicembre 1688]. Bai Voi. II, pag. 460, dell’odiatone citata nell’informaxtone premetta ai n.* 9898. _Io n’ay rien dit sur Galilée de bob portt-es de canon, qu’il rodnit en tablea (l \ A cause qu’aprèa avoir desaprouvé toutes lea raison* sur leiquellea il lea fonde, il in a aeinbló qu’ellea ue valoient paa netti® me nt le parler.... 3828 **. G. DE BEAULIEU a GALILEO [in Aratri]. [Parigi, 1638 (?)). Blbl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. I, T. XV, car. 6.— Autografa. Di fuori ai legge, di mano di M**co Ambio- darri : < ltoauliau Aquitano-Gallus > ; o poiché sappiamo da un appunto di mano di Vikobxbiu Vi¬ vimi (Mas. Gal., Diecepoli, Tomo 100, car. 2146 : cfr. A. Fatalo, Virmmmo l'm'mii • la nut « Vita dì Galileo », itogli Atti del 11. htilulo Fendo di (ciens#, lettere ed arti. Tomo I.XII. I'ar. II, Vonexia, Officino graflclio di C. Ferrari, 1908, pag. 699) cl.o l'AMBRoorrn fu presso Gali tao dal luglio 1687 al 25 gennaio 1689, di qui argomentiamo cho la presento lotterà appartenga all'anno 1688 Ad sui cooli, soli Italici ingeniosissimum pliilosopkoinathomathicum Illustris- 8Ìmum Galilaeum, Dominum sumn, intonsissimo mentis affoctu excolendum, J. De Bcauliou, Aquitano — Gallila, Excell." suao addictissimus, obeoquentissimua. Mellifluo (Excellentissimo) accuratissimae philosophiae succo tinctum, oxcul- tum, aspera Ponti me saopius interclusit hyems, et terruit, ut dicitur, Auster euntem; noe adirne, naufragium, ut patet, exporto, as assi proximus ost; zona taraen spoliato beatitudini illud in vita suporest, quod Deo praepollicita devo- taquo Ileo vota oxsolverim, et fuoro, peregrinationis itinere ftinctus, defunctus. Unde, licot miseriarum omnium amfractuoso ac scyrtoso salo immorsua, foelicem me praedicom, ac foeliciorem censerem, si Serenissima Sua Celsitudo otiolo io liuicce nieo aurein faciloni praestitorit, idquo converso pollice, ut dicitur, non respuerit; quod mihi suavissima ac amaonissima Celsitudinis Suao in musicolos ac pliaebcos humanitate suasus, persuasus, onno quodlibet foelicitatia culmou comprecari haud minimo audeam. Nec minus annoso quem dicunt Nestore mossee Vidisse innumeras, vivere fata rogo. «« Cfr. Voi. vili, pag. 304-806. [3828] 1638. 417 Ad Ulustrifls. mum Epigramma. Ito rudoB versus, et nostro ferte salutem; Ite salutetis quidquid haboraus opimi 20 Comis erit Dominus, tantisque indulsorit ausis; Maturato gradus, fecerit liospes iter. No timoatis, ayt, versus, properate, venite, Excipientquo manus, oxcipientque sinus. Nostra votustatem superant monimenta beato, Duui capit aethereuni, te duco, navis iter. Si quia Olynipiacas arces bene fulciat Àthlas, Sustineas partom doxtorioro manu. Excell . 140 Suao 30 Addictissimus, Obsequentiss.™"" J. De Boaulieu, Pliilosophiao Parisionsis arcbivo emissus. FINE DEL VOLUME DECIMOSETTIMO. xvn. 58 INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XVII (1637-1038). 8418 Galileo acì Alessandro Mai-sili. 10 gennaio 1637 1 Pag. 11 8414 Mattia Bemegger a Giovanni Steinberger. 20 » » 12 8416 Dino Peri a Galileo. 21 » » » 8410 Ascanio riccolomini a. 22 » » 13 8417 Francesco Duodo a Galileo. 23 » » 14 8418 Fulgenzio Micanzio » . 24 r> j> 15 8419 Dino Peri * . 22-24 » » 16 8420 Mattia Berneggcr ad Elia Diodnti. 24 5> T> 18 8421 Martino Ortensio a Galileo.. 26 » » » 3422 Alessandro Ninci » . 27 » » 21 8423 Mattia Berneggcr » . 30 & 22 8424 » ad Elia Diodnti. r> » » 23 8426 Alessandro Ninci a Galileo. 31 » » » 8420 Galileo a Michelangelo Buonarroti. » » 24 3427 Ascanio Piccoloniini a Galileo. 1° febbraio * 25 8428 Martino Ortensio ad Elia Diodati. » » » » 8429 3 » 1> 26 3430 Gio. Giacomo Porro » . 5 » r> 27 3431 Fulgenzio Micanzio » . 7 » » 28 8482 8 & j> 29 3433 11 » 5 > y> 8484 » » . 18 » » 30 3485 21 » » 31 3430 22 32 3437 Niccolò Fabri di Poirosc e Pietro Gassendi a Galileo.. 24 » » 33 34:18 s> a Uni-ione Bonguglielmi . » » » 35 3489 Vincenzo llenieri a Galileo . 27 » » 37 8440 Pietro de Oarcavy » . 3 marzo » 38 8441 Lorenzo Realio “ . » s> » 39 8442 Elia Diodati a Niccolò Fabri di Poiresc . 6 r> J> 41 3443 7 » i> » 420 INDICE CRONOLOGICO. 3444 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 7 murzo 1G37 P«8- 42 8445 Elia Diodati a Martino Ortensio. 13 ► » 43 3440 » * . 16 » » 44 3417 Lodovico Elzevier a Fulgenzio Micanzio. * » > 46 3448 Vincenzo Renieri a Galileo. 20 ► > 46 344» Elia Diodati a Costantino IIaygene. > » » > 8450 Ha tinello Magiotti a Galileo. 21 » > 50 3451 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 22 » > 51 3452 Niccolò Fabri di Peiresc ad Elia Diodati. 2-1 ► » 92 8458 Vincenzo Renieri a Galileo. 27 » > * 8454 Alessandro Ninci > . 28 » » 53 8465 Daniele Spinola > . 29 » > 54 8450 Mattia Bernegger ad Elia Diodati. 2 aprilo » 55 3457 Alessandro Ninci a Galileo. 3 » » 56 8458 Galileo a Vincenzo Renieri. 4 » » » 3450 Lodovico Elzovier a Fulgenzio Micanzio. > > > 57 8400 Alessandro Marsili a Galileo. 8 » » 58 8401 Fulgenzio Micanzio » . 11 » > 59 8402 Costantino Huygens ad Elia Diodati. 13 » » > 8403 Vincenzo Renieri a Galileo. 17 » > 61 8404 Daniele Spinola » . » » » » 8405 Galileo ad Elia Diodati. 24 » » 62 8400 Raffaello Magiotti a Galileo. 25 » > 63 8407 » a Famiano Michelini. » » > 64 3408 Gli Stati Generali delle Provincie Unito dei Paesi Bassi a Galileo. » * * 66 840» Gli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Passi alla Camera della Compagnia delle Indie Orientali. » » > 67 3470 Martino Ortonsio ad Elia Diodati. 27 > » » 3471 Pietro Fermat a Marino Mersenne. aprile-maggio > 70 3472 Benedetto Castelli a Galileo. 2 maggio > ► > > 3473 Fulgenzio Micanzio » . > 71 3474 Martino Ortensio * . 7 > » 72 3475 Vincenzo Renieri * . 8 » » 73 3470 Elia Diodati a Costantino Huygens. » * » » 3477 Alfonso Pallotti ad Elia Diodati. * » » 75 8478 Galileo a Benedetto Guerrini. 9 * » » 347» Fulgenzio Micanzio a Galileo. » » * 76 8480 Alessandro Ninci » . > > i» 77 3481 Elia Diodati * . 12 » » 78 8482 » agli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi. 15 > > 79 3488 » a Costantino Huygens. » » > 80 8484 Raffaello Magiotti a Gnliloo. 16 » » » 3485 Pietro Mazzei > . 20 » » 81 8480 Gherardo Saracini t> . » » » 82 INDICE CRONOLOGICO. 421 8487 Francesco Duodo a Galileo. 8488 Alessandro Ninci » . 8489 Elia Diodati a Martino Ortensio . 8490 Lorenzo Bini a Galileo. 8491 Pietro Mazzei » . 8492 Alessandro Ninci » . 8498 Elia Diodati a Roberto Galilei ... 8494 Galileo a Pietro de Carcavy. 8495 » ad Elia Diodati. 8490 » a Lorenzo Realio. 8497 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 8498 Bonaventura Cavalieri » . 8499 Elia Diodati » . 8600 Benedetto Castelli » . 8501 Fulgenzio Micanzio » . 8502 Francesco Ri miccini » . 8508 Fulgenzio Micanzio » - 8604 Galileo a Mazzeo Mazzei. 8505 Roberto Galilei a Galileo. 850G Lorenzo Realio » . 8507 Martino Ortensio ad Elia Diodati 8508 Mazzeo Mazzoi a Galileo. 8509 Benedetto Castelli » . 8510 Fulgenzio Micanzio » . 8511 Vincenzo Reniori » . 8512 Roberto Galilei » . 8513 Galileo ad Elia Diodati. 8514 Francesco Rinuccini a Galileo 8515 Elia Diodati » • •. 8616 Giovanni Pienoni » — 3517 Vincenzo Renieri J> — 8518 Benedetto Castelli » ... 3519 Francesco Rinuccini » 3520 Elia Diodati » 8521 Galileo ad Elia Diodati. 8522 Roberto Galilei a Galileo. 8528 Vincenzo Renieri » . 8524 Benedetto Castelli » . 3525 Francesco Rinuccini » . 8526 Lodovico Incontri » . 8527 Roberto Galilei » . 3528 B’rancesco van Wccrt a Galileo 3529 Giovanni Reijusk t> 8580 Benedetto Castelli » 8531 Giovanni Reijusk » 8532 Bonaventura Cavalieri » 21 maggio 22 » » » 23 » 27 * » » 2 giugno 5 » 6 » x> G » 9 » 11 » 13 » » » » » 20 » 22 » » » » » » » 24 » 27 » » » » » 29 * 4 luglio » » 7 » 9 » » » 10 » 11 > 14 » 16 » 17 » » » 18 » » » 20 » 21 » 24 » » 25 » i> » 28 » Pag. 1637 82 » 83 * 84 » 86 » 87 t> » » 88 i> » i» 94 » 96 * 105 » 106 > 107 » 111 » 112 i> 113 » 114 » 115 » 116 x> » » 111 ) » 120 » 121 ' p 123 » 124 » 125 » 126 * 127 » > » 130 » 133 i> » » 135 j> i> » 136 » 137 » 138 » 139 » 140 y> ì> » 141 » 142 » 143 » i> » 144 » » 422 INDICE CRONOLOGICO, 8588 Benedetto Castelli a Galileo. V agosto 1637 8584 Fulgenzio Micanzio * . » » » 3585 Francesco Itinuccini * . » > » 3530 Fortume Liceti o . 7 » > 8587 Fulgenzio Micanzio t> . 8 » > 8588 Francesco Rinuccini » . » > » 8589 Benedetto Castelli » . 9 » » 3540 Roberto Galilei v . 12 » > 3641 Benedetto Castelli » . 15 » » 3542 Fulgenzio Micanzio » . » » » 3548 Giovanni Reijusk x> . » » > 3544 Girolamo Spinelli » . » » » 3545 Bonaventura Cavalieri * . 18 » > 8640 Elia Diodati » . » » > 8547 Galileo ad Elia Diodati. 22 » > 8548 > a Lorenzo Realio. > i p 3549 Alessandro Marsili a Galileo. 23 » » 3550 Lattanzio Magiotti * . 31 » > 3551 Benedetto Guerrini i* .. 2 settembre ► 8552 Alessandro Ninci & .. » » » 3553 p » .. 3 » » 8554 Martino Ortensio ad Elia Diodati. 5 * ► 8555 Costantino Iluygens a Renato Descartes. 8 * > 8556 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 12 » » 8557 Benedetto Castelli a Vincenzio Galilei. » » 9 3558 Elia Diodati a Galileo. 3559 Alessandro Ninci a Galileo. 9 P 9 3500 Roberto Galilei » . 16 » » 3501 Benedetto Castelli x> . 20 » » 3502 Alessandro Ninci * . 9 9 9 8508 Roberto Galilei » . . 21 » > 3504 Benedetto Castelli » . 26 » > 3505 Gio. Giacomo Porro » . » » » 8500 Giusto Wiffeldich » . » » » 8507 Ascanio Piccolomini » . 28 » « 8508 Martino Ortensio ad Elia Diodati. 1° ottobre » 8509 Bonaventura ed Àbramo Elzevier a Galileo. 5 » > «1570 Fortunio Liceti a Galileo. 6 o » 8571 Ascanio Piccolomini ► . > > > 8572 Benedetto Castelli p . 10 » > 8578 Giovanni Pieroni » 8574 Elia Diodati a Martino Ortensio. 8575 Martino Ortensio a Costantino Iluygens .... » » 9 3570 Alessandro Ninci a Galileo. 12 » > 8577 Pietro Gassendi » 13 9 9 3578 Fulgenzio Micanzio » . 17 » » P«g. 146 » 147 148 149 150 » 156 156 169 170 171 172 173 174 » 175 » 176 177 » 178 179 180 » Ibi 182 * 183 184 185 » 187 » 188 189 > 190 191 » 192 195 196 197 » 199 INDICE CRONOLOGICO. c 8579 l’rancGBco Rinuccini a Galileo. 17 ottobre 1637 8580 Giusto Wiffeldich » . » t> , » 8581 Bonavontura Cavalieri » . 20 j> » 8582 Alessandro Ninci i> . 22 i> » 8588 Galileo a Benedetto Castelli. 24 » » 8584 Lorenzo Coccarolli a Galileo. i> » » 21585 » a Ferdinando II de’ Medici c Vit¬ toria della Rovero, Granduohi di Toscana. » » » 8586 Ascanio Piccoloniini a Galileo. 27 » » 8587 Alessandro Ninci j> . 29 » » 8588 Ismaele Boulliau » . 30 » 5) 8589 Benedetto Castelli » . 31 » i> 8590 Fulgonzio Micanzio » . » t> J> 8591 Francesco Rinuccini » . » t> » 8692 Lodovico Elzevier » . 1° novembre » 8698 Galileo a Fulgenzio Micanzio. 5 » » 8594 » ad Elia Diodati. 7 » » 8595 » a Fulgenzio Micanzio. » » 8590 Gio. Michelo Pierucci a Galileo. 11 » » 8597 Benedetto Castelli » . 14 » » 8598 Lorenzo Ceciarelli » . » » » 8599 Fulgenzio Micanzio » . 2> » » 8(500 Francesco Rinuccini » . » » » 8001 Galileo a Fulgenzio Micanzio. 20 » » 8602 Vincenzo Reniori a Galileo. * s > » 8003 Elia Diodati a Martino Ortensio. 21 » » 3(504 Alessandro Marsili a Galileo. 22 » 1> 3005 Ascanio Piccoloniini » . » » » 3000 Gio. Battista Gondi » . 24 » » 3007 Ascanio Piccoloniini » . 25 » » 8(508 Marino Morsenne » . 27 » » 3009 Francesco Rinuccini » . 28 » » 3010 Alessandro Ninci » . 29 » 5> 3011 Martino Ortonsio a Costantino Iluygens . 1° dicembre » 3(512 Roberto Galilei a Galileo . 2 » » 3018 5 » » 8014 Fulgenzio Micanzio » . » » » 3015 8 » » 3010 Roberto Galilei » . 9 » » 8017 Vincenzo Renieri » . 11 » 1> 8018 12 » » 8019 » » 8020 » » 8021 14 j> » 8(522 15 x> » 8023 19 k » 423 Png. 200 201 202 203 » 205 206 » 207 x> 208 209 210 211 » 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 224 » 225 » 226 227 » 228 » 229 230 231 232 » 233 234 235 236 237 » IN DICK CRONOLOGICO. 424 8684 Benedetto Guerrini a Galileo. 20 dicembre 1637 8626 Elia Diodati > . 22 » » 8626 Pier Battista Borghi » . 23 » » 8627 Ascanio Piccolomini » . . » > > 8628 Roberto Galilei » . » » » 8629 24 » » 8680 Francesco Rinuccini * . 26 » » 3681 Bonaventura Cavalieri * . 20 » > 3682 » a Giannantonio Rocca. ... » » > 3688 Galileo a Ismaele Boulliau. 1 # gennaio 1688 3684 Francesco di Noailles a Galileo. » » » 8686 Galileo ad Elia Diodati. 2 » » 3686 Benedetto Castelli a Galileo. * * » 3637 Alessandro Ninci » .. » » » 8638 Francesco Rinuccini » . » » » 808» Anna Maria Vaioni » . 8 » > 3640 Lodovico Elzevier » . 4 » » 8641 Gio. Gherardo Vossio a Ugo Grozio. 6 » » 8642 Vincenzo Ilenieri a Galileo. 8 » » 8648 Gio. Giacomo Porro * . > » » 8644 Benedetto Castelli * . 9 » > 3646 Alessandro Ninci » . » » » 3646 Ortensia Guadagni Salviati a Galileo. 11 » » 8647 Ascanio Piccolomini a Galileo. 12 » » 8648 Andrea Arrighetti * . 18 » > 864» Benedetto Castelli » . in » » 8660 Fulgenzio Micanzio » . * > t 8651 Francesco Rinuccini » . * » » 8652 Alessandro Ninci » . 18 » » 8658 Galileo ad Elia Diodati. 23 » » 8064 Pier Battista Borghi a Galileo. » » » 3665 Francesco Rinuccini p . 8056 Lodovico Elzevier * 25 » > 8657 Costantino Ilnygens a Martino Ortensio. » » » 3658 Alessandro Ninci a Galileo. 27 » > 8659 Vincenzo Renieri * . 29 ► > 3660 Francesco Rinuccini » . » » > 3661 Galileo a Fulgenzio Micnnzio. 30 » > 8662 Benedetto Castelli a Galileo. > » > 3668 Fulgenzio Micnnzio > . r> » » 3664 Francesco Rinuccini » . 8665 Bonaventura Cavalieri » 3066 Ortensia Guadagni Salviati a Galileo. » > » 3667 Alessandro Ninci » 8668 Gli Stati Generali delle Provincie Unito dei Paesi Bassi a Martino Ortensio. » > » Pag. 238 289 > 240 241 > 242 243 244 245 246 247 248 249 » 250 251 252 » 258 254 256 > 257 258 » 259 260 261 262 263 264 266 266 » 267 268 269 272 » 273 > 274 275 INDICE CRONOLOGICO. 86(19 Antonio Santini a Galileo. 3 febbraio 1638 8670 Francesco Piccolomiui a Galileo. 5 » » 8671 Lodovico Kepler » . 6 » 3672 Francesco Rinuccini » . » » » 3673 Elia Diodati » . 9 » » 8674 Dino Peri » . 10 s> 2) 3075 Gli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi a Galileo. » » y> 8670 Alessandro Bedini a Galileo . 12 & » 3077 Benedetto Castelli » . 13 » » 3678 Fulgenzio Micanzio » . » » » 3070 Alessandro Ninci » . » » » 8680 Francesco Rinuccini » . » » » 3081 Costantino Huygens ad Elia Diodnti. & » » 30S2 Giovanni Muzzarolli a Francesco Barberini. » » » 3083 Gli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi alla Camera della Compagnia delle Indie Orientali. 18 » » 3084 Galileo ad Alfonso Antonini. 20 » » 8686 Pier Battista Borghi a Galileo. » s> » 8086 Gio. Giacomo Boucliard a Vincenzo Capponi. » » » 8087 Roberto Galilei a Galileo. 21 » » 8688 Dino Peri » . 24 » » 8089 Benedetto Castelli » . 27 t* & 8090 Fulgenzio Micanzio » . » » » 8691 Alessandro Ninci i> . » » » 8092 Francesco Rinuccini c- . » » b 8698 Roberto Galilei » . 28 £> » 8694 Alfonso Antonini t» . 3 marzo J> 8005 Dino Peri » . » » » 8090 Vincenzo Renieri & . 5 » » 8097 Galileo ad Elia Diodati . 6 » J- 3698 j> a Francesco di Noailles . » » i> 3699 Benedetto Castelli a Galileo . » » J> 3700 Francesco Rinuccini » . » » » 3701 Francesco Barberini a Giovanni Muzzarelli. » » » 3702 Lodovico Elzevier a Galileo . 9 » » 3703 Giovanni Muzzarelli » . » t> » 3704 j> a Francesco Barberini . 10 » » 8705 Benedetto Castelli a Galileo . 13 » » 8700 Francesco Rinuccini » . » » » 8707 Dino Peri » . 17 0 J> 8708 Famiano Michelini » . 18 » » 3709 Fulgenzio Micanzio » . 20 >' & 3710 La Camera della Compagnia delle Indie Orientali agli Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi. 23 » » 3711 24 » » 54 425 Png. 275 276 277 280 281 282 283 284 285 286 287 288 289 290 291 » 298 » 299 300 301 302 303 304 305 » 306 307 308 309 » 310 » 311 312 » 313 314 315 316 317 318 XVII. 426 INDICE CRONOLOGICO. 8712 27 marzo 1638 l‘ag. 319 8718 Benedetto Castelli » . » D » 820 8714 Agabito Simoni » . 28 a 9 821 8715 Pannano Michelini » . 29 » t> a 8716 Roberto Galilei » . 30 » D 822 8717 Gio. Giacomo Porro » .'* 2 aprilo Z> 323 8718 Francesco Barberini a Giovanni Muzzarelli.... . 3 » » 324 8710 14 » » 9 8720 Vincenzo Itenieri a Galileo. 16 a a 825 8721 Gio. Giacomo Porro a . 18 t> » 826 8722 Gherardo Saraoini » . 20 a » 327 8728 Dino Peri » . 21 a » 328 8724 Fulgenzio Micanzio » ... 24 » D 329 8725 Gio. Gherardo Vossio a Ugo Grozio. 2 maggio » 330 8726 Fulgenzio Micanzio u Galileo. r* 1 a D » 8727 Gio. Giacomo Porro » . » > » 331 8728 Francesco Rinuccini » . 8 0 a 332 8720 Roberto Galilei » . 11 s> a » 8780 Francesco Rinuccini * . 16 » a 333 8731 Dino Peri * . 17 * a 334 8782 Fulgenzio Micanzio » . 28 e > » 8788 Ugo Grozio a Gio. Gherardo Vossio. » a > 336 8784 Benedetto Castelli a Galileo. 29 » » 336 8785 Francesco Rinuccini » . > » a 337 8786 8787 Giusto Wifleldich » . Bonaventura Cavalieri » . i- » giugno a » 9 338 8788 Benedetto Castelli > . 4 » 9 339 8780 Pier Battista Borghi * . 5 a 9 > 8740 Gio. Michele Pierucci a . 6 a » 840 8741 Gherardo Saracini * . » a 9 341 8742 Bonaventura Cavalieri » . 8 p > » 8748 Fulgenzio Micanzio » . 12 » P 843 8744 Pier Battista Borghi » . 19 » a 344 8745 Benedetto Castelli » . * > p 346 8746 Roberto Galilei > . 22 p 9 * 8747 Galileo a Michelangelo Buonarroti. 26 > 9 346 8748 * ad Elia Diodati. > » P 347 8710 Fulgenzio Micanzio a Galileo. > !> P > 8750 Giovanni Muzzarelli a Francesco Barberini. ► » > 348 8751 Renato Descartes a Marino Merscnne. 29 » 9 » 8762 Pier Battista Borghi a Galileo. 3 luglio P 349 8758 Benedetto Castelli » . > » 8764 Antonio Nardi i> . » a 9 350 8755 Giovanni Reijusk » > D P 351 3756 Tommaso Campanella a Ferdinando 11 de* Medici, Gran¬ duca di Toscana. 6 > a 3524 INDICE CRONOLOGICO. 8757 Cenedetto Castelli a Galileo. 10 luglio 1638 8758 Roberto Galilei » . 13 » » 8759 Cenedotto Castelli » . 17 5> r« 3760 Francesco Rinuocini » . » » r > 3761 Francesco Barberini a Giovanni Muzzarelli. 19 & » 3762 Gio. Francesco Passionei a Francesco Barberini. » J> » 3763 Francesco di Noailles a Galileo. 20 r > » 3764 Mattia Borneggor ad Elia Diodati. 24 » » 3765 Galileo a Benedetto Castelli. 25 t> » 3766 Giovanni Muzzarelli a Francesco Barberini. » » & 3767 Renato Descartes a Marino Mersenne. 27 t> » 3768 Benedetto Castelli a Galileo. 30 t> » 3769 Fulgenzio Micanzio » . 31 » s> 3770 Mattia Berneggor a Gaspare Hoilinann. » » 8771 Ugo Grozio a Gio. Gherardo Vossio. » » » 3772 Francesco Barberini a Giovanni Muzzarelli. 7 agosto » 3778 Ugo Grozio a Gio. Gherardo Vossio. & » » 3774 Pietro Format a Marino Mersenne. 10 » » 3775 Gio. Giacomo Bouchard a Vincenzo Capponi. 14 » » 3776 Maria Felice Nerli a Galileo . 18 » » 3777 Carlo di S. Gasparo » . » » » 3778 Lodovico Incontri » . 21 » » 8779 Renato Descartes a Marino Mersenne. 23 » » 8780 Galileo ad Elia Diodati. » » 3781 » » . s> s> 3782 Andrea Cioli a Francesco Niccolini . 9 settembre » 8788 Gio. Giacomo Cozzolani a Carlo Antonio Manzini. 11 & » 8784 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli . 15 » » 8785 Francesco Rinuccini a Galileo . 18 » t> 8786 Benedetto Castelli a Ferdinando Cesarmi. 20 » j> 3787 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. » 5> » 3788 » » . 21 » » 8789 Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. 25 » 3790 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 27 » y > 3791 Benedetto Castelli a Francesco Barberini. 2 ottobre » 3792 Bonaventura Cavalieri a Benedetto Castelli. » » » 3793 Francesco Rinuccini a Galileo. 6 » 3794 Ferdinando Bardi » . 7 » 8795 Andrea Cioli a Francesco Niccolini. 8 » » 3796 Benedetto Castelli a Francesco Barberini. 9 » » 8797 Renato Descartes a Marino Mersenne. 11 » » 3798 Gio. Gherardo Vossio a Ugo Grozio. 14 » » 3799 Alberto Cesare Galilei a Galileo. 16 » » 3800 Francesco Barberini a Benedetto Castelli. » J» » 8801 Benedetto Castelli a Francesco Barberini. t> » » 3802 Pietro Format a Marino Mersenne. 22 » » 427 Png. 353 354 » 355 350 357 j» 358 359 360 361 ì> 363 364 365 360 » » 307 » 368 » 369 & 372 374 » 375 376 377 380 381 » » 382 383 384 » 385 386 387 392 » 393 394 428 INDICE CRONOLOGICO, sm aso* 8806 8800 8807 8808 8809 8810 8811 8812 8818 8914 8815 8810 8817 8818 8819 8920 8821 8822 8823 8824 8826 8S26 8827 8828 1 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 23 ottobre 1638 Benedetto Castelli a Francesco Barberini. * » » Vincenzo Noghera a Galileo. 28 » » Benedetto Castelli a Francesco Barberini. » & p Francesco Barberini a Benedetto Castelli. 30 » p Francesco di Noailles a Galileo. 4 novembre x> Famiano Michelini ► . 6 » x> Antonio Nardi » . » a t Benedotto Castelli a Francesco Barberini. » i* j> Fulgenzio Micanzio n Galileo. 13 » p Renato DoBcartea a Marino Morseune. 15 » p Bonaventura Cavalieri a Galileo. 23 » p Francesco Barberini a Giovanni Muzzarelli. 27 ► •* Famiano Michelini a Galileo. 29 » 5 Gio. Battista Arici a Lodovico Baitelli. 3 dicembre » Fulgenzio Micanzio a Galileo. 4 » » Giovanni Muzzavolli a Francesco Barberini. » p P Ascanio Piccolomini a Galileo. 6 » P Famiano Michelini » . 11 » P Gio. Gherardo Vossio a Ugo Grozio. 15 » » Ascanio Piccolomini a Galileo. 16 » > Gio. Battista Bulinili » . 17 » I» Pier Battista Borghi » . 18 » » Bonaventura Cavalieri » . 28 » Renato Descartes a Marino Mersonne. » G. de Beaulieu a Galileo. 1638 (?) 1 r»g. 895 » 896 397 898 * 399 400 401 402 408 406 406 407 408 409 410 411 » 412 413 > 414 415 416 INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XVII (1637-1638). 3 marzo 1638 N.° 3694 3 dicembre » 3817 13 gennaio i> 3648 17 dicembre 1638 3824 16 ottobre » 3800 30 » » 3807 6 marzo & 3701 3 aprile » 3718 19 luglio » 3761 7 agosto » 3772 27 novembre » 3815 7 ottobre » 3794 1638 (?) 3828 12 febbraio 1638 3676 24 gennaio 1637 3420 30 » » 3424 22 marzo 8451 2 aprile » 8456 24 luglio 1638 8764 30 gennaio 1637 3423 31 luglio 1638 3770 20 gennaio 1637 3414 23 maggio » 8490 23 dicembre » 8626 23 gennaio 1638 3G64 20 febbraio » 8685 27 marzo » 8712 5 giugno » 8739 19 » » 3744 3 luglio » 3752 | 18 dicembre 8825 Pag. 305 408 258 413 393 398 310 324 356 366 406 384 416 284 18 23 51 55 358 22 364 12 86 239 263 298 319 339 344 349 414 430 INDICE ALFABETICO. Boucliard Gio. Giacomo a Vincenzo Capponi. » » . Boulllau Isniaelo a Galileo. Camera della Compagnia dello Indio Orientali agli Stati Generali dello Provincie Unito dei Paesi Passi. Campanella Tommaso a Ferdinando II «lo’ Medici, Gran¬ duca di Toscana. . Carcavy (de) Pietro a Galileo. > * . Castelli Benedotto a Francesco Barberini. > » . » » . p » . » » . > » . p a Ferdinando Cesarla!. t> a Vincenzio Galilei. p a Galileo. » * . » » . p » . p * . » > . » » . » p . * » . » » . » » . t> » .. » » . » » . » » .. » » . » » . > » . p » . p > . » » . p > . 9 P . » » . » » . » > . P » . J> P . ! N.“ Pag. 20 ebbraio 1638 uose 298 14 agosto » *775 367 30 ottobre 1637 3588 207 23 marzo 1638 1 3710 318 6 luglio t 3750 352 2*2 febbraio 1637 3130 32 3 marzo > 3440 38 2 ottobre 1638 3791 382 9 » » 8790 386 16 » p 8801 394 23 » » 3804 395 28 » > 3806 397 6 novembre p 8811 401 20 settembre » 3780 377 12 > 1637 8667 180 2 maggio p 3172 70 13 giugno p 3500 111 27 p » 3500 121 10 luglio » 8618 133 18 » D 8524 139 25 » P 8680 143 1° agosto P 8583 146 9 > P 8539 150 15 » 8541 156 20 settembre P 8501 183 26 » P 8504 185 10 ottobre » 3572 191 31 > > 85ND 208 14 novembre » 3597 216 5 dicembre P 8018 229 12 » P 8018 233 2 gennaio 1638 8880 248 9 » t 3044 254 16 > » 8049 258 30 » p 3002 272 18 febbraio p 3077 285 27 p » 8089 301 6 marzo p 3099 309 13 » p 3705 313 27 » > 8718 320 29 maggio p 8734 386 4 giugno p 8788 339 19 » p 3745 345 INDICE ALFABETICO. 431 Castelli Benedetto a Galileo . Cavalieri Bonaventura a Benedetto Castelli. » a Galileo. t> a Giannantonio Rocca. CeccarelII Lorenzo a Galileo. j> a Ferdinando li 3759 30 » s> 3708 2 ottobro » 8792 9 giugno 1037 3498 28 luglio » 3582 18 agosto » 3545 20 ottobre » 3581 29 dicembre » 3031 2 febbraio 1038 3005 1° giugno » 3737 8 » j> 3742 23 novembre » 8814 28 dicembre » 3820 29 » 1637 3032 24 ottobro » 8584 14 novembre » 8598 24 ottobre » 3585 9 settembre 1638 3 782 20 » » 3787 21 » » 87S8 27 » » 3790 8 ottobre » 3795 11 settembre » 8788 Descartes Renato a Marino Morse»ne. giugno K>.*8 » s> . 27 luglio » & » 23 agosto » & x, 11 ottobre » , t j, 15 novembre » 5> * . dicembre » Diodati Elia a Gnliloo. 12 ™Wg*° 1637 » »> 11 giugno » ,> t> 7 luglio » » » . 14 » » » » 18 agosto » D 15 settembre » „ 15 dicembre » » " .. • • * * » . 22 * . 9 febbraio 1638 a Roberto . 2 S‘ n 8 no a Costantino Huygens. 20 marz0 3 , 8 maggio . 15 » Pag. 349 353 354 361 383 106 144 172 202 243 273 338 341 405 415 244 205 217 206 374 380 381 > 385 374 348 361 369 387 403 416 78 107 127 135 173 181 237 239 281 88 46 73 80 432 INDICE ALFABETICO. Dlodatl Elia a Martino Ortensio. » » . > » . p p . p p . » a Niccolò Fabri di Petrose. p affli Stati Generali dolio Provincie Unite dei Paesi Passi. Dnodo Francesco a Galileo. p p . p p . Elzevler Abramo a Galileo. Elzevler Bonaventura a Galileo. El/.evicr Lodovico » . » » . » p . » p . » a Fulgenzio Micauxio » » Ferniat Pietro a Marino Mersenne p » » » Galilei Alberto Cesare a Galileo Galilei Roberto » » » » » p » » p p p » » » » » > p » » » » » » p » » x> p » p p » Galileo ad Alfonso Antonini. » a Ismaele Houliiau. p a Michelangelo Uuouurroti. N.* Pag. 13 marzo 1687 8446 43 iti » p 8446 44 22 maggio » 84H9 84 10 ottobre p 8674 195 21 novembro p 8608 222 G marzo p 8442 41 16 maggio 1637 8482 79 23 gennaio p 8417 14 21 maggio » 8487 82 8 dicembro p 8616 231 5 ottobre 1637 866» 189 > » » p p 1° novembre p 8692 211 4 gennaio 1638 8640 261 25 * p 8666 2G5 9 marzo p 8702 311 10 p 1637 8447 45 4 aprile p 846» 67 aprilo-maggio 1637 8471 70 10 agosto 1638 8774 3(56 22 ottobre » 8802 394 16 ottobre 1638 870» 392 3 febbraio 1637 342» 26 22 giuguo p 3606 116 29 * p 8612 125 17 luglio • 8622 137 21 » 8627 141 12 agosto » 8640 155 16 Bottombro p 8600 182 21 » > 8668 185 2 dicembre p 8612 228 9 p 8616 232 23 p p 8028 241 21 febbraio 1638 8687 299 28 » p 8603 305 30 marzo p 8716 322 11 maggio > 8720 332 22 giugno p 8740 346 13 luglio 8768 354 20 febbraio 8684 291 1° gennaio » 8688 245 gennaio 1687 8426 24 INDICE ALFABETICO. Galileo a Michelangelo Uno narro ti » a Pietro de Carcavy. *> a Benedetto Castrili. » » . » » » » x> » » X» s> J» » » » » > » » » » > » ad Elia Diodatl. » . » . » . j> . » . j> . » . x> . r> . » . » . » . a Benedetto Quercini. » ad Alessandro Marcili a Mazzeo Mazze!. » . a Fulgenzio Micanzio. » » » » a Francesco di Noaillos. t> a Lorenzo Realio. i» » > a Vincenzo Reniori. (insparo (di S.) Carlo a Galileo Gnssondi Pietro »> ... ■ > j> Gondi Gio. Battista » — Grazio Ugo a Gio. Gherardo Vossio » t> » » Guerrini Benedetto a Galileo. » » . Hnygens Costantino a Renato Descartes, » ad Elia Diodati .... » a Martino Ortensio Incontri Lodovico a Galileo. > » . 433 N.° Pag. 2G giugno 1638 3747 346 5 » 1637 3494 88 24 ottobre 1637 3583 203 25 luglio 1638 3765 359 7 marzo 1637 8448 41 21 aprilo » 3405 62 6 giugno » 8405 94 4 luglio » 3518 126 16 » » 3521 136 22 agosto » 8547 174 7 novembre » 8594 213 2 gennaio 1638 3635 247 23 » » 8653 262 6 marzo » 8697 308 26 giugno » 3748 347 agosto 3780 369 » » 3781 372 9 maggio 1637 8478 75 19 dicembre » 3628 237 10 gennaio » 3418 11 22 giugno » 3504 115 14 dicembre » 3621 236 5 novembre » 3598 211 7 » » 8595 214 20 » » 3601 220 30 gennaio 1638 8661 269 6 marzo » 8698 309 giugno 1637 8496 96 22 agosto j> 3548 174 4 aprile » 8458 56 18 agosto 1638 8777 368 24 febbraio 1637 8487 33 13 ottobre » 3577 197 24 novembre » 8606 225 28 maggio 1638 8783 335 31 luglio » 8771 365 7 agosto 8773 3 66 2 settembre 1637 8551 176 20 dicembre » 3624 238 8 settembre 1637 3565 179 13 aprile » 8462 59 13 febbraio 1638 3681 289 25 gennaio » 8657 266 20 luglio 1637 8526 140 21 agosto 1638 8778 368 55 XVIL 434 INDICE ALFABETICO. Kepler Lodovico a Galileo. Liceti Fortunio a Galileo. » » . Magiottl IlafTaello a Galileo. > » . » » . j> a Fannano Micliellnl Magiottl Lattanzio a Galileo. Marslll Alessandro » . » » . » » . Mazze! Mazzoo * . Mazze! Pietro * . » » . Monetino Marino * . Micnnzlo Fulgenzio » . » » . » » » » 0 I» N.* rag. 6 febbraio 1638 3671 277 7 agosto 1637 8586 148 6 ottobre » 8570 190 21 marzo 16,37 8450 50 25 aprile » 8400 63 16 maggio » 84S4 80 25 aprile » 8407 64 31 agosto ► 3550 175 6 aprile » 8400 58 23 agosto » 8540 175 22 novembre » 8004 224 24 giugno ► 8508 120 20 maggio > 8485 81 27 * » 8401 87 27 novembre » 8606 226 24 gennaio » 3418 15 7 febbraio * 8481 28 21 » » 8485 31 7 marzo » 3444 42 11 aprile ► 8401 50 2 moggio . » 8478 71 0 » » 8470 76 6 giugno » 8407 105 13 » » 8501 112 20 » » 8503 114 27 * » 8510 123 1° agosto ► 8584 146 8 * 8587 149 15 > » 8542 160 12 settembre » 8556 180 17 ottobre » 8578 199 31 » > 8500 209 14 novembre » 8500 218 6 dicembre * 8614 230 16 gennaio 1638 3650 259 30 » » 8668 272 13 febbraio » 3678 286 27 » > 8600 302 20 marzo » 8709 317 24 aprile » 8724 329 7 maggio ► 8726 330 28 » v 8732 334 12 giugno » 3743 3-43 26 » » 8740 347 INDICE ALFABETICO. 435 N." Pag. 31 luglio 1G38 8769 3(53 23 ottobre » 8803 395 13 novembre j> 8812 402 4 dicembre » 8818 409 12 » 1037 8010 234 18 marzo 1638 3708 316 29 » » 3715 321 6 novembre » 8800 399 29 » » 3810 407 11 dicembre » 3821 411 13 febbraio » 3082 290 10 marzo » 3704 312 20 giugno » 3750 348 25 luglio » 3766 300 4 dicembre 3819 410 9 marzo. » 3703 312 3 luglio 1038 3754 350 6 novembre i> 3810 400 18 agosto » 3770 307 15 settembre » 3784 375 25 » » 3789 381 27 gennaio 1037 3422 21 31 » » 8425 23 28 marzo » 3454 53 3 aprilo & 3457 50 9 maggio » 3480 77 22 » j> 3488 83 27 » » 8492 87 2 settembre » 3552 177 3 » » 3553 » 15 » » 8559 182 20 » » 8562 184 12 ottobre » 3576 197 22 » » 8682 203 29 » » 3587 207 29 novembre » 3610 227 24 dicembre » 3629 241 2 gennaio 1638 3637 249 9 » » 3645 250 18 » » 3652 261 27 » » 3658 266 2 febbraio » 8667 275 13 » » 8679 287 27 » 8691 303 1° gennaio ? 3634 246 43G IN DICK A LFAI3KT1CU. NouillOH (di) Francesco a Gallloo. » » Nogliora Vincenzo » Ortensio Martino ad Elia Dtodatl. » .. p . p ...... » . a Galileo. » . a Costantino Iluygcns, a Pai lotti Alfonso ad Elia Diodatl. rnssionei Gio. Francesco a Francesco Barberini. Polresc (Fabri di) Niccolò a Barione Bongugliolml... » ad Elia Diodatl. » a Galileo .. Pori Dino a Galileo. Plccolomini Ascanio a Galileo. Piccolominl Francesco a Galileo Pieronì Giovanni a Pierncci Gio. Michele 1 N *‘ r *g. 20 luglio 1638 8768 357 4 novembre » :1H0H 398 28 ottobre » 8806 396 1® febbraio 1637 8428 25 27 aprile » 3470 67 22 giugno » 3607 119 6 settembre a "i 3554 178 1° ottobre » 8668 189 26 gennaio » 3421 18 7 maggio a 3474 72 10 ottobre > 8676 196 1° dicembre » 8011 228 8 maggio 1637 3477 75 19 luglio 16:48 8702 357 24 febbraio 1637 343S 86 24 marzo » 8468 52 24 fobl>rnio » 8487 33 21 gennaio p .'4415 12 22-24 » a 3419 16 11 febbraio a 8488 29 18 * a 3434 30 10 D 1638 .'1074 282 24 » » 3088 300 3 marzo a 8695 306 17 » a 8707 315 24 «> p 3711 318 14 aprilo p 8719 324 21 i» a 3723 328 17 maggio » 8781 334 1° febbraio 1637 3427 25 28 settembre » 3507 188 6 ottobre a 8571 191 27 » a 8580 206 22 novembro a 8005 224 25 * a 3007 225 23 dicembre > 3027 240 12 gennaio 1638 3047 257 6 dicembre » 3820 411 16 a > 3828 413 22 gennaio 1637 8410 13 5 febbraio 1638 3070 276 9 luglio 1637 8610 130 10 ottobre a 8678 193 11 novembre a 3590 215 INDICE ALFABETICO. 437 Pionieri Gio. Michele a Galileo Porro Gio. Giacomo » » » t> » p » t> » » Renilo Lorenzo a Galileo. » ► Keljii.sk Giovanni » » » > » » t> Genieri Vincenzo » » i> » » > » i> » » t> * » » » » » j> * r> » » * » » t> » > » Kinueclni Francesco » » » » » » J> » » » » » » » * » » » » > » > » » *> J> » 0 » 5 > » » » 6 giugno 1638 3740 5 febbraio 1637 3430 2(1 settembre » 3505 8 gennaio 1638 3048 2 aprilo » 3717 18 » » 8721 7 maggio s> 3727 3 marzo 22 giugno luglio 25 » 15 agosto 3 luglio 8 febbraio 27 *> 20 marzo 27 » 17 aprilo 8 maggio 27 giugno 9 luglio 17 » 20 novembre 11 dicembre 8 gennaio 29 » 5 marzo 16 aprile 13 giugno 4 luglio 11 » 18 5> 1° agosto 8 » 17 ottobro 31 > 14 novembre 28 » 12 dicembre 26 » 2 gennaio 16 » 23 » 29 » 30 » Pag. 340 27 187 253 323 326 331 39 116 143 144 170 351 29 37 46 52 61 73 124 133 138 221 232 252 267 307 325 113 127 135 140 147 150 200 210 219 227 235 242 249 260 264 268 273 438 INDICE ALFABETICO. Kiuuccini Francesco a Galileo » » » » » » »> t> > » !> X> » » » D D » » » Sai vint i Guadagni Ortensia a Galileo * * Santini Antonio a Galileo ... Stradili Gherardo > » » * » Simonl Agabito •■> Spinelli Girolamo » Spinola Daniele » » » Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi alla Camera della Compagnia dello Indio Orientali. Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi alla Camera della Compagnia delle Indie Orientali. Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi n Galileo. Stati Generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi a Galileo . Stati Generali dello Provinole Unite dei Paesi Bassi a Martino Ortensio. Yaianl Anna Maria a Galileo. Yossio Gio. Gherardo a Ugo Grozio. » » » » x> » Weert (van) Francesco a Galileo Wiffeldicli Giusto > * » S* » 1 N. # Pag. 6 febbraio 1638 3672 280 13 ► » 8080 288 27 » » 8608 304 6 marzo > 8700 310 13 * » 8706 314 8 maggio » 3728 832 15 » p 8780 333 29 * > 8736 337 17 luglio p 3760 356 18 sottembro p 3785 37G 6 ottobre » 3703 384 'Il gennaio 1638 8646 256 2 febbraio ► 3666 274 ! 3 * » 3669 275 20 maggio 1687 8486 82 20 aprile 1638 3722 327 G giugno > 8711 341 28 marzo » 3714 321 15 agosto 1637 ::.»-4-4 171 29 marzo » 8465 64 17 aprilo » 8464 Gl 25 > > 3160 G7 18 febbraio 1638 8683 291 25 aprilo 1637 3468 G6 10 febbraio 1638 8676 283 2 » » 8668 275 3 gennaio 1638 8630 250 6 » * 8641 252 2 maggio > 8726 830 14 ottobre » 3708 392 15 dicembre » 8822 412 24 luglio 1637 8528 142 26 settembre ! » 8566 187 17 ottobre > 3680 201 maggio 1638 j 3736 337 INDICE DEL VOLUME DECIMOSETTIMO. Carteggio. — 1637-1638 .Pag. 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel Voi. XVII (1637-1638). 419 Indico alfabetico delle lettere contenute nel Voi. XVII (1637-1638). 429 ", A) 'L-x, \ !Xa*> /T) LE OPERE GALILEO GALILEI VOLUME XVIII i ¥ m i FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1937 -XV LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XVIII. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. VITTORIO EMANUELE III RE IMPERATORE K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XVIII. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 1937 -XV. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N°469 FIRENZE, 645 - 1030 - 37 . — Tipografia Barbèra - Alfani e Venturi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale 11, R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore : ANTONIO FAVARO. Coadiutore letterario : ISIDORO DEL LUNGO. Consultori : V. CERttUTI — GL COVI — G. V. SCITIAPARELLI. Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale k posta sotto gli auspicii DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ALETTE Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO PAGNINI. CARTEGGIO. 1639 - 1642 . 3829 *. GALILEO a [GIO. BATTISTA BALI ANI in Genova]. Firenze, 7 gennaio 1639. Bibl. BrnidenBe In Milano. Cassetta AF, XIII, 13, 1. — Originale, d’altra ninno. Hl. mo Sig. ro e P.ron mio Col. mo La gratissima lettera di Y. S. Ill. ma (1) mi fu resa hieri, insieme col suo libro Del moto (2) , dal molto Rev. P. D. Clemente di S. Carlo dello Scolo Pie (:)> , compagno del Rev. P. Francesco di S. Giuseppe 14 ’: o perché il mio infortunio di esser cieco del tutto da circa due anni in qua non mi permette il poter vedere nè anche il sole, non cho oggetti tanto minori e privi di luce quali sono le scritture e le figure geometriche, ho ottenuto questo giorno che il sopradetto P. D. Cle¬ mente sia venuto a trattenersi da me per molte hore, nel qual tempo io haviamo di compagnia scorso il detto suo libro, veramente con mio gusto particolare, ancorché io non habbia potuto intendere distinta- mente le dimostrationi, non potendo incontrarle con le figure; ma per la pratica che ho della materia, e per sentire buona parte delle suo propositioni incontrarsi con le mie già scritte, ho penetrato i suoi sensi e concetti. Io ho trattato la medesima materia, ma alquanto più diffusamente o con aggressione diversa; imperochè io non suppongo cosa nessuna se non la diffinitione del moto, del quale io voglio trattare e dimo¬ strarne gl’accidenti, imitando in questo Archimede nelle Linee Spi- <>' Cfr. li.® 8824. <=> Cfr. 11 .® 382-1, Un. 2-3. < 8 » Cl-KMKXTK SKTTIMl. <*> Fabiano Miohbi.ini. ]2 7 GENNAIO 1630. [3820] rali, dove egli, essendosi dichiarato di quello die egli intenda por 20 moto fatto nella spirale, che è composto di due equabili, uno retto e l’altro circolare, passa immediatamente a dimostrare le sue passioni. Io mi dichiaro di volere esaminare quali siano i sintomi che accaggiono nel moto di un mobile il quale, partendosi dallo stato di quiete, vada movendosi con velocità crescente sempre nel medesimo modo, cioè che gP acquisti di essa velocità vadano crescendo non a salti, ma equabilmente secondo il crescimelito del tempo; siche il grado di velocità acquistato, per esempio, in duo minuti di tempo ri r doppio dell’acquistato in un minuto, 0 l’acquistato in tre minuti, e poi in quattro, triplo, e poi quadruplo, del medesimo elio fu acquistato 80 nel primo minuto ; e non premettendo altra cosa nessuna, vengo alla prima dimostratone, nella quale provo, gli spatii passati da cotal mobile essere in dupplicata proportione di quella de’tempi, e sèguito , poi a dimostrare buon numero di altri accidenti. I)e’quali ella no tocca alcuni, ma io molti più ve ne aggiungo, 0 per avventura più pellegrini, come V. S. IH.™ potrà vedero noi mio Dialogo di tal ma¬ teria, già due anni fa stampato in Amsterdam 11 : del (pialo non me ne è venuto, salvo che di foglio in foglio mandato di là per lo correttioni e per fabbricarne una tavola delle cose più notabili; di poi non me ne è pervenuto pur uno, e tuttavia so che ne sono stati Cfr. n.o 3825. < s > Cfr. u.° 3685. '*i Fhanckbco Bakbkhiju. 8 GENNAIO 1G39. [3831-3888] lt) Qua in Roma sono comparso diverse copio del Dialogo de molu, c sono stati licenziati, in modo elio no bavero uno, havendo di giù dato ordino elio si leghi ; io od il simile ha fatto il Sig. r Cardinale. 10 poi sto bene, Dio grazia, od ho hauto felicissimo viaggio. In Siena ogni sera, avanti il Scr. mo Princ. Leopoldo (1> , si facevano honoratissinio ricordanze del gran merito di Y. S. o da Mons. r 111. m0 Arcivescovo 121 o dal Sig. Soldani <3) o dal P. Francesco (4) buono, o veramente buono, quale studia con ardoro o stu¬ pore il suo libro. Qua da tutti solito colobraro tanto altamonto la virtù di V. S., che boriimi l’invidia non ci può arrivare o resta totalmente vinta. 11 Sig. 1 'Magiotti, il Sig. r Borghi (5) , la riveriscono; od io l’abbraccio strotta- meiito, o non l’abbandono mai al Santissimo Altare, pregandogli ogni grande o vera consolazione, o spero nella infinita misericordia di Dio, facendoli riverenza. 20 Di Roma, 1*8 di Gen.° 1639. Di V. S. molto Ill. re od Ecc. ma Dovotiss. 0 od Oblig. ,no Ser.° o I)is. 10 Sig. r Gal. 0 Don Bonod. 0 Castelli. Fuori, d'altra ninno: Al molto 111. 1 ' 0 od Ecc. mo Sig. r o P.no Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei, p. ln0 Filosofo del Sor. 1 " 0 Gran Duca di Toscana. Firenze. 3832 *. FULGENZIO MICANZIO n GALILEO [in Firenze]. Venezia, 8 gennaio 1639. Blbl. Est. in Modona. Raccolta Cnmpori, Autografi, B.“ LXXX, n.° 144. — Autografa la sottoscriziono. Molto Ill. r0 ot Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Lo lotterò di V. S. molto 111.” ot Ecc. ma mi sogliono essere di somma con¬ solarono, ma quella di 23 del passato mi ha grandemente afflitto et fatto in¬ ternamente doloro, intendendo distintamente le suo gravi indispositioni. Mi trovo in letto con un doloro nella parte sinistra, particolarmente nella gamba, senza tumore o inditio alcuno di malo; e pure mi ha cagionata febre per alcuni giorni, et no sto tuttavia senza poter uscir di camara o faro fondono alcuna. Me la vado passando con la pacienza, sapendo questi esser frutti delli anni. Bisogna elio noi andiamo consolandosi con la cognitione delle cose liumane, ot io la prendo io come una ammonitiono ad cogitandum de scpidcro. Deploro bene nello indispo¬ ni Leopoldo i>k’Mudici. Asoanio Piccolomini. Iacopo Soldani. Ut Famiaxo Miciikmni. < 5 ) Raffaello Maoisti o Pikk Battista Bokoiii. 1(5 8-12 GENNAIO 1639. [ 3832-8834j sitioni di Y. S. il danno oominune do’ virtuosi, quale conoscono o devono cono- score presento noi veder© elio, in occasiono ili titilli scoprimenti nuovi, nissuno sa osservar cos’alcuna, nò farvi sopra un minimo discorso. E giunto qui nel porto di Malamooco un vasello, che porta una casetta di libri por Y. S. : stimo siano li nuovi Dialoghi. Ilo fatto pregare il 8ig. r Giusti a cui è inviata, elio accolleri la estraltione: erodo lo farà, et sarebbe fatto a quest’bora so io non fossi inchiodato tra la camera et il letto. Jx> sollecitarò. Ilo voduto il Pv. ,ì0 Don Viconzo Ranieri con gran gusto: in fatti basta il dire elio sia discepolo di V. S. per farlo conoscerò colmo di bontà, di soavità di costumi, et d’ingegno non ordinario. Prego il Signor Iddio che conceda a V. S. 20 allovianionto dei suoi mali ot il dono della toloranzo, come dalle suo eccollento virtù son sicuro lo possoda, ot lo baccio con ogni all'etto le mani. Di Yonotia, il dì 8 Gennro 1639. Di V. S. molto 111." ot Eco.®® Devotisa. 0 Sor. Sig. r Galileo. F. Fulg.° 3883 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GIANNANTONIO ROCCA [in Reggio]. Bologna, 8 gennaio 1639. Dulia png. 120 dell’opora citata noli’informazìono promo.^a al n.« 80. r >3. -quanto al Sig. Galileo, credo che ora posai andare in Fiorenza; ran è male con¬ ditionato quanto alla sanità, 0 massime trovandosi cieco. Di quoH’occhiale < 2) ch’ella mi accollila ho sentito dire gran cose anch’io, ma non ne 90 nionto di certo. 11 P. D. Benedetto Castelli òbeno stato a Fiorenza, ed ora ritornato a Roma ; ma per qual effetto, non l’ho potuto sapero: nè credo sia stato per rivedere lo cose del Galileo, com’ella dice d’aver inteso, ma forse per altro.... 3834 **, IACOPO SOLDANI a [LEOPOLDO DE’MEDICI in Pisa]. Siena, 12 gennaio IMO. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, ctir. SO. - Autografa. Sor ." 10 Sig. r Principe, In un medesimo tempo ho ricevuto una lettera del Padre D. Benedetto Castelli, con la quale mi di nuova del suo salvo arrivo in Roma, et nn rinvolto di logli indili! to a Loti. 3832. 12-13. rumino •* ha enervar — (‘) Giusto Wifkri.dioh. (D Intendi, tinello dui Fontana, comprato dal Granduca: cfr. l’opera citata, pa*. 104. 12 — 15 GENNAIO 1039. 17 [3884-3836] V. A.'", che credo sieno gli ultimi Dialoghi del Sig. r Galileo, che presuppongo che von- ghino dal medesimo Padre, già clic mi dice esserne arrivati in Poma molte copie, che si vendono senza difficoltà o si leggono con somma lode deH’autore. Lo invio a V. A., e con tale occasione rapprescntole la mia umilissima osservanza, dandole conto che sto in de¬ creti di partir lunedì per Firenze con la mia famiglia, dove aspetto l’onore de’ suoi co¬ mandamenti. E con la stessa umiltà m’inchino a V. A., alla quale prego da Dio il colmo d’ogni felicità. l)i Siena, 12 Gemi. 0 1688 W, Di Y. A. Ser."'** Dev. 010 Umiliss.® et, Obblig.® 0 S. r0 Iacopo Soldaui. 3885 *. GALILEO ad [ELIA DIODATI in Parigi]. Parigi, 15 gennaio 1639. Bibl. Naz. Flr. Mas. dal., P. V, T. VI, car. 87 1. — Copia (li mano di Vincenzio Viviani, elio prometto que¬ st’ indicazione : « G. G. 15 Gon.° 1088 ab Inc.” > ». Mandai al Sig. Elscvirio la traduzione latina del resto doli’opere mie, sentendo che aveva pensiero di ristamparle tutte in un volume. 3Nou ho poi avviso nò della ricevuta nò d’altro. 3836 . GALILEO a., Arcetrl, 15 gennaio 1039. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 97i.-97d. — Copia di ninno dol soc. XVII, in capo alla quale si logge il soguonto titolo: « Lettore ovoro Discorso dol Sig. r Galliioi sopra l’occhiale di Napoli oltra nominato ». La copia ribocca di errori grafici o di formo scorrotto (corno, por esempio, nelle primo lineo, gralliitima, giallo, affiige, me domanda, teiere giallo onervate, divenne, longo, giallo pagliata, lo n- getta, familliari, cierca al ingrandire, occ.), elio abbiamo corrotto senza tenerne nota a piò di pagina Alla gratissima di V. S. molto Ill. re delli 18 Xbre, comparsami tre giorni sono, rispondendo, dico lo stato mio essere infelice et andare di giorno in giorno peggiorando in tutte le mie indispostone, che sono molte, et sopra tutte la total cecità mi affligge perpetuamente, privandomi del poter operare nessuna cosa. Lett. 3834. 7. rappresole — Di Di stilo fiorentino. s XVIII. 18 16 GENNAIO 1639. [ 8886 ] A quello poi che ella mi domanda circa i telescopi del Fontana di Napoli (,) e delle novità cho viene a V. S. molto 111.'” scritto essere state osservate, le dico cho il Gran Duca mio Signore no ha ricevuti tre o quattro di diverse grandezze, l’ultimo do’quali grandissimo 6 lungo dieci braccia, e mi pare intendere cho la sola lento aia stata io pagata 300 scudi, li medesimo Gran Duca no ha molti altri, lavorati qua, ma non di tanta lunghezza, nò di tanta perfetiono. Io, come impotente, sono rimasto privo del potere sensatamente osservare ninna cosa; ma ristesso Gran Duca, insieme con alcuni gentilhuomini miei familiari, o molto essercitati nello osservationi, non referiscono tutto quello di cho ella ha havuto per altra via informatione, cioè dal molto Rev. do Padre Santini (2) , mio antico et carissimo amico e padrone, et egli senza alcun dubio è stato iperbolicamente informato da Napoli. Quanto all’ingrandire gli oggetti più de gli altri telescopi no¬ strali e più corti, ò verissimo: e circa all’ingrandire la luna e ino- 20 strarla maggiore dol mercato di Napoli, questo ò un parlare? del volgo, argomento della poca intelligenza del Napolitano artefice, che ne ha dato relazione a esso Padre. Del vedervisi infinite differenze ò vero, ma sono le medesime che si veggono co i telescopi nostri, ma alquanto più conspicue mercè dell’ingrandimento; ma non è già che vi si scor¬ gano cose nuove e differenti dalle prime scoperte da me e poi rico¬ nosciute da molti altri. Quanto al pianeta di Marte, si è osservato che essendo al qua¬ drato col sole, ei non si vede perfettamente rotondo, ma alquanto sguanciato, simile alla luna quando ha 12 o 13 giorni, che dalla parte so opposta a quella che è tocca da i raggi solari resta non illuminata, e per conseguenza non veduta: cosa che io già dicevo dover appa¬ rire quando Marte fusse poco superiore al solo ; ma i nostri telescopi], come quelli che non ingrandiscono tanto, non ci mostravano al senso la rotondità non perfetta di esso Marte. Qui credo che habbia origine il dire che in esso si scorga come una gran montagna; cosa che qua non si ò osservata, nè forse è osservabile. Che Giove parimente si mostri grande come Marte, et amenduo come la luna, questo è verissimo: e potrannosi anco ingrandire si che mostrino maggiore. <«> Cfr. mi. 1 8769, 3783. <*• Antonio Santini. 15 GENNAIO 1639. 19 [3836] Quanto a Saturno et alla figura che V. S. molto 111.™ mi manda, non potendo io vedere nò la figura nè riosservare Saturno, da quello elio mi vien referto da gli amici miei qui, non si scorge novità alcuna oltre a quelle che scopersi io già e scrissi nelle mie Lettore delle macchie solari et altrove; cioè che il corpo di Saturno si vede in alcuni tempi con due minori corpicelli, ancor essi rotondi, uno a le¬ vante e l’altro a ponente, in altri tempi si vede solitario (1) cioè un solo globo luminoso, in altri tempi i due globetti sopradetti ritor¬ nano, ma trasformati come in due mitre o orecchioni, che rendono do tutto il composto di figura ovale, simile a una oliva: si distinguo però tra le due mitre il globo di mezzo perfettamente rotondo, e non di figura ovata, e nel mezzo delle attaccature delle mitre al globo di mezzo si veggono due macchie oscure assai (2> . Tutto questo è stato osservato, nè di novo ci si vede altro che un maggiore ingrandi¬ mento, mercè di questi novi telescopii più lunghi. Quanto allo stelle fisse, che non mostrino di ricevere ingrandi¬ mento alcuno dal telescopio, già ne ho io scritto et ò stampato molti anni sono, dichiarando a lungo che il telescopio ingrandisce i pia¬ neti e le stelle fisse, tutti secondo la medesima proporzione, e dichiaro co molto apertamente onde apparisca che le stelle fisse non ricevano in¬ grandimento, anzi talvolta più tosto diminuzione. Favoriscami di ri¬ vedere il mio Saggiatore, che troverà questa materia assai diffusa¬ mente trattata Della immensa lontananza delle stelle fisse ne cavo argomento non dal poco ricrescere, ma dalla estrema loro piccolezza, la quale io nel predetto luogo mostro essere centinaia e migliaia di volte minore di quello che gli astronomi sin qui le havevano giu¬ dicate. Ma io, di più, non molto avanti la perdita del lume, trovai un modo esattissimo per misurare il loro diametro (4) , il quale lo dà ancora molto e molto minore di quello che io medesimo haveva 70 prima detto ; onde l’argomento preso contro all’orbe magno rimano ancora più e più snervato. Questo è quanto mi occorre in risposta della gratissima sua. D’Arcetri, li 15 Gennaio 1639. <«» Cfr. Voi. V, pag. 237-238. lettere ed arti. Tomo LX, Parto seconda, pag. 415- <*> Cfr. Antonio Favaro. Intorno alla apparenta 432). Venezia, tip. di Carlo Forrari, 1901. di Saturno osservata da Galileo Galilei nell' agosto ,3 ' Cfr. Voi. VI, pag. 853-861. dell'anno 1616 (Atti del lì. Istituto Vtnelo di scienze, Cfr. Voi. Vili, pag. 457-459. 20 15 — 21 UENNAIO 1639. I3b37-3h38| 3837. riER BATTISTA BORGHI a GAMLEO in Firenw Soma, 16 gennaio 1630. Blbl. Naa. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 107. — Autografa. MoltTll. re ed Ecc. mo Sig. r e P.no Colenti. 0 Il Sig. r Trullio* 1 ’ non stima espediente l’irritar con medicamenti la materia che concorro a V. S. molto 111. 1 * ne’ reni, mentre non lo genera altri incommodi elio gli scritti, dubitando, in risguardo della stagione, che non si facci peggio. Dico cssore catarro elio la natura evacua per quella parte, o che, durando questa evacuazione, V. S. molto Ill. r< sentirà alleggerirsi le incommodità del cupo. Si ricorda servitore a V. S. molto Ill. rt , sì come faccio io por fino di tutto cuore, pregandolo dal Ciolo ogni vera felicità. Roma, li 15 Gon.° 1639. Di V. S. molto 111." od Ecc. ma 10 Devot. mo et Obbligat."® Sorv. M S. r Galilei. Firenze Pior Batta Borghi. 3838 **. ALESSANDRO NINC1 a [GALILEO in Aratri]. S. Maria a Campoll, 21 gennaio ISSO. Blbl. Na*. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Fararo A, car. 902. — Autografa. Molto III.™ Sig. r mio P.ron Col." 10 Mando un moggio di bracio, elio costa lire soi e mezo, con «tuia due di pa¬ nico, a vontidue crazic lo staio. Non mando capretto, perchè oggi da S. (.'asciano non ò passato cosa buona, o gli vondovono carissimi. E perchè scrivo con qualche dificultà mediante corto catarro, finisco facendo a V. S. debita reverenza o pre¬ gandoli dal Ciolo intera prosperità. Da S. ttt Maria a Gampoli, 21 Gemi. 0 1638 ab Ine ." - Di V. S. molto Ill. r ® et Ecc. mft <*> Cfr. n.« 3744. I)ovotis8. m ° o Oblig. ra ® Se.™ P. Alessandro Ninci. io [m»j 20 GENNAIO 1039. 21 3839 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetrl. Bologna, 25 gennaio ÌG.'IO. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 122. — Autografa. Molto lll. ro ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col." 10 Iiicovei la lettera di V. S. Ecc. m!l tanto più grata quanto più longa, liaven- dola subito fatta vedere all’Eco. mo Sig. r Liceti, il quale n’hebbe molto gusto, o mas¬ sime sentendo che hormai siano stampate le sue specolationi del moto, opera tanto desiderata dalli studiosi dello buone lettere. Io veramente mi sento molto inclinato a tali materie, perché panni che quello possino arrechare gran gusto ad ogni sorte d’ingegni et insieme manifestare la grande utilità o por meglio dire necessità che habbiamo dello mathematiche discipline per intendere lo cose naturali, cosa non troppo creduta dalli filosofi poripatetici in particolare. Quanto io al libro Del moto dei gravi descondonti del Sig. r Baliani ,1, J io non l’ho ancora visto, nè meno il Sig. r Liceti; procureremo però di vederlo quanto prima, come anco la prego a favorirmi di avviso quando sapi cho comparino copio della sua ultima opera stampata in quosto parti, perchè sono molti qua che la desiderano. Sta bora il Sig. r Liceti scrivendo sopra quella pietra cho si trova qua su ’1 Bolognese (2) , o cho s’imbeve, o pare cho s’imbeva, del lume del sole, della quale ella ne ha già un pezzo fa essatta cognitiono; o di poi replicar^ contro il Chia¬ ramente. Io poi posso faro puoco, quasi sempre afflitto dalla gotta. Vado però stam¬ pando quel puoco che resta do’ problemi della mia Centuria w . Sono hora in- 20 torno al problema di misurare la capacità o il vano delle volto fatte in croce sopra le portioni di cerchio o di olissi, purché la lunghezza sia oguale alla lar¬ ghezza, cioè purché le quattro portioni do’ cerchi cho terminano la volta siano simili et eguali ; poiché quando quello non sono eguali, ma la volta è una croco più lunga che larga, non la so ritrovare, et è problema, credo, assai difficile. Sapi adunque, cho intesa una volta sopra 4 colonne, fatta sopra 4 mezziccrchi eguali, et inteso un quadrato che posi con gli angoli sopra le istesse collonnc, o sopra detto quadrato concepito un parallclepippcdo di altezza egualo alla volta, trovo cho il detto parallolepippedo, al vano compreso tra il detto quadrato o la superficie della detta volta in croce, è come il quadrato circonscritto al cer¬ eo chic, all’istcsso cerchio con l’eccesso dell’istesso cerchio sopra ~ deH’istcsso qua- 1.0tt. 3839. 9. creduto — «>' Cfr. n.° 8824. <’> Cfr. Voi. Vili, pag. 169. Cfr. n.° 87-12. 22 25 — 26 GENNAIO 1631). [3889*8840] drato ; trovo poi, questa proportene esser® prò Mimameli to come 21 :i 2. Ma quando lo portioni son minori di mezzocerchio, varimi le proportioni secondo elio variano le portioni di cerchio. Mi ò anco venuto trovato, che emendo un parallelogrammo circonscritto ad una parabola, o rivolgendosi quella intorno alla base, il cilindro generato dal parallelogrammo circonscritto al corpo para¬ bolico fatto dafl’istossa parabola, è come 15 a 8, benché un Padre Gesuita Fiamongo (i) mi scrivesse di bavero ritrovato essere tra quelli projmrtiono doppia. L’uno o l’altro poi di questi problemi è da me dimostrato per i principi! della mia Geometria w . Havrei da dirli altre cose, ma le riserbo ad un’altra volta per non attediarla. Con elio finisco, facendole riverenza, ricordandosele meco insieme 40 servitore l’Ecc. rao sudotto Sig. r Licoti. Di Bologna, alli 25 Gen. ro 1639. Di V. S. molto 111.™ ot Kcc. ma Tengo la vita dol Copernico in un libro dovo stanno descritte altro vite di varii virtuosi Polachi w . S’bavesso gusto vederla, gliola mandarci, nella (pialo sentirebbe conio nò anch’egli andò essento da travagli, e nel fino della sua vita perso la me¬ moria o l’ingegno; con altro cose degno da sapersi. Dev. roo et Oh. 0 e Dia. 1 ® &o F. Bon. r * Cavalieri. Fuori: Al molto Bl. r « ot Ecc. mo Sig. r e P.ron Col. 0 Il Sig. r Gal." 0 Gai. 0 * Firenze. Arcotri. 3840 *, MATTIA BERNEGGEH ad ELIA DICI)ATI in Parigi. [Strasburgo], 26 gennaio 163U. Blbl. Civica di Amburgo. Codico citato nolla informarono promessa al n.« 2013, car. 2S5f. — Minuta autografa. Aelio Diodato, Lutetiam. Ft insigniter abutar humanitato tua, illa ipsa profecto facit insigniti tua huniAnitAS, quae in me (nescio nn allo meo merito) tam prona Bemper ot effusa, ut non liduciatn («) Gkkoorio ni Saikt-Vinoent (?). «m « EKATONTAS , Ccntum iUuetrinm Polonia* 121 Cfr - " 0 1970 ' tcriplorum elogia et vita*. Veneti!*, MDCXXVII, apnd >' 1 ’ Simonis Staroyolsoi Scriptovum Polonico- haeredos Damiani Zenarii. 2G — 29 GENNAIO 1G39. 23 [3840-38411 animo sed quandam audacinm iniecerit, cum impudenza coniunctam. Debui sane, si quid honestura sit potius quam quid expediut Bpectare voluissem, egregium operis Galilaici, tanto autore digniasimi, munus tuum (1) alio nuinere vedhostire ; et erant in prò ni p tu quae reraitterem, liaud ingrata forte futura. Sed cum adiunctum liisce librimi ad Epstenium recto curari mea plurinunn interesset, nec maiori tninen snrcina cognutus tuus .... one- io randus esso videretur, eam aolam ipsi commisi ferendam.... 10 lan.W 1039. 3841. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 29 gennaio 10:59. Cibi. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, oar. 124. — Autografa. Molto Ill. ro cd Ecc. mo Sig. re o P.ron Col.» 1 ® 10 veramente pensava di potere incontrare più presto occasiono (li servire V. S. molto 111.»; ma sin bora non ho fatto altro so non elio con l’Em. m0 Sig. r Card. 1 Barberino t3) ho fatta una passata, ed ho conosciuto che S. Era.» ha gra¬ dito o fatto conto della azzione honorata di V. S. Ecc. m », ma non ho hauto tempo di faro il fatto mio, conio io disegno di fare e spero di poter fare; e non oc¬ corro elio ella mi solleciti, perchè non ho cosa nessuna elio mi prema più di questa. 11 suo libro ò stato venduto qua in Roma tanto presto, cho molti che lo io desideravano non l’hanno potuto bavero. È opinione elio il libraro ci Rabbia fatto sopra un grosso guadagno. La verità è che tutte lo copio sono stato ven¬ dute due scudi l'ima, ed erano sopra 50, per quanto mi vien detto. Il Sig. r Borghi sta bene o aitonde a’ suoi studii, ma non gli ho potuta an¬ cora consegnare la lettera (li V. S. Ecc. ,,,a Qua si trova un giovane studioso di musica, quale desidera sopra modo sa¬ pere come sia fatto l’instrumento novo trovato dal Sig. r Vincenzo, figliuolo di V. S. Ecc. raa (4) Io gli ho detto (come è la verità) che non lo so, e poi, cho es¬ sendo l’invenzione nuova, forai il Sig. r Vincenzo non la vorrà publicare cosi presto, potendola perfezzionaro e accrescere con il tempo: con tutto ciò se si 20 può sapere qualche cosa per dare qualche sodisfazione a chi me no ricorca, mi sarà caro. E non occorrendomi altro, fo fine, abbracciandola caramente o assi- <*' Cfr. n.° 3852. Un. 7-8. <*' Di stile giuliano. < 3 > Fll ANCKSCO llAItnP.RlN!. <0 Cfr. n.» 2782, lin. 26-27. 24 29 GENNAIO — 8 FEBBRAIO 1039. [S841-S842] curandola elio non l’abbandono mai nel Santi simo burrificio ; e bacio io mani al Sig. r Vincenzo e al Padre Clemente ul . Roma, il 29 di Gon.° 1(539. Ri V. S. molto IlL r ® ed Ere. ,n * Devoti*.® ed Oblig."*® Sor."» e Dii. 1 ® S. r Galileo. Don Bened.* Castelli. Fuori: Al molto 111." od Ecc.*° Big."» o P.ron (\d. ro# Il Sig. r Galileo [Galilei, p.|° Filosofo del Sor. - ® Gr. Duca di Tose. 1 » Firenze. 80 3842. FAMI ANO MICHELI NI a [GALILEO in Arcetri) l’isa, 8 («libraio 1630. Blbl. Nar. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. ISO. — Autografa. Fax Christi. Molto 111. et Ecc. mo Sig. p o P.ron in CUriato Col.*® Mi è venuto di Siena il libro del S. r Baliaui , ma non mi baata l’animo di vederlo, si por lo molte supposizioni o terniini che egli mette innanzi, che per me sarebbe difficile il ritenerli a memoria per la debbolezza della mia tasta, sì anche por non vedervi quella semplicità e purità di procedere conio nello eo o di V. S. molto 111. ot Ecc. ma , lo quali mi hanno apportato meraviglia o gusto indicibile, come ancora al Ser. ,no Principe Leopoldo mio Signore, che ha di già finita di vedere la terza Giornata, che tratta dol moto accelerato; e sebeno lo caccio hanno qualche poco impedito il vedere un’altra opera sua, non però ha i tralasciato la lezzione ordinaria dello dimostrazioni del moto, se non in casi di grandissima stanchezza, che sono stati rarissimi. Ilo sentito con gusto che lo calzette gli sieno riuscito a proposito’ 3 ', e so in altro vaglio per lei mi comandi, chò chi mi ha dato quello mi puoi darò altre coso, e per lei massime me le dà più che volentieri. Quanto alla dimostrazione, non dirò altro se non elio io ringrazio V. S. molto 111. ot Ecc. ma delli honori che mi fa di stimare per mio quello che io riconosco tutto da lei, anzi che ò tutto suo ; e le dico con ogni sincerità elio mi son ver¬ gognato assai di mandarlo quel poco che lo ha dotto il P. Clemente 141 a bocca, ma per obbedirla, doppo tanto instanzo, mi volsi mortificare. sa *') Cl.KHRKTR Skttiui. <*' Cfr. n.° 11824. ‘ 5 > Cfr. il.» 3821. Ci.rmkxtii SrrTuii. 8 — 9 FEBBRAIO 1039. 25 [3842-3843] Il Ser. ,no Principo ricevo con gusto i suoi inchini, et ammira lo suo virtù c 10 predica. L’111." 10 Senator Soldani 111 credo sia in Firenze {i) , perché qua non è ancor capitato. Si dico elio domani si vadia a Livorno, dove starò attendendo i sua comandi. L’altra sera hobbi lunghissimo discorso col Ser. m0 G. D. dolio coso di Y. S. molto 111. et Ecc. nm , presento il Ser. m0 Principe Leopoldo, il quale mi aiutava ad esaltare il suo valoro, et S. A. S. gustava in estremo di sentirci. 11 discorso mi riserbo a raccontarlene a Firenze. Di Livorno spero darlo nuova d’una cosa, elio, so mi riesce, ne harà gusto senz’altro. Con cho facendole humilissima riverenza, lo prego da Dio ogni vero 80 bene. Beo gratias. Pisa, 8 Fcb.o 1639. Di V. S. molto 111. ot Ecc." 1 ' 1 Se rispondo tardi allo suo lettore, no incolpi la mia naturai freddezza in tutto le cose, che in tante occupazioni non sa trovar tempo di comin¬ ciavo a scrivere ; ondo tutti i miei superiori della Roligiono si lamentano che non scrivo loro. Indog." 10 et Afl>° Servo o Discep. 10 in Christo Frali. 00 di S. Giuseppe. 3843 *. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Egmond de. BinnenJ, 9 febbraio 1C89. Dal Tomo TI, png. 495-49G, doll’opora citata noli’ informazione premessa al u.° 2898. .... Tacconle ce quo dit Galileo, que l’eau n’a nullo resistance a estro tlivisce, cela s’entend au dedans do son cors, par un mouvement. qui luy soit proportionné ; et c’est ce quo io penso vous avoir escrit en quelqu’uno de mes prccedentes, a sgavoir qu’il n’y a poinfc de liquour qui ne puisse servir do medium aussy libre que lo vuide, au regard dos cors qui ne s’y mouvent que de certoine vitesse. Mais la superficie de l’eau no laisso pas d’avoir de la resistance, ainsy que i’ai prouvé dans le Discours du sei W ; et c’est pour cela que les aiguillos d’acier, les lames d’ivoyre etc., llotent dessns.... IA coro Soi.DANt. la verità dans Ics Sciences, plus la Dioptrique, les Cfr. n.° 383-1. Meteore» et la Geometrie, qui soni des essais de cete < 3 > Cfr. Meteores, Disc. 111, pag. 182: iu Discours methode. A Leydo, (lo l'imprimerie do iau Maire, de la methode pour iteti conditil e sa ruison et cereher C10I0CXXX VII. XVI ir. 4 2G 12 — 14 FEBBRAIO 1639. 1.8844-3845] 3844 . BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Àrcctri]. Roma, 12 febbraio 1032. Bibl. Nox. Fir. Mas. Gai., P. VI, T. XIII, car. 128. — Autofrafa. Molto Ill. r ® od Ecc. m0 Sig." o P.ron Col." 1 ® L’interesso di V. S. molto 111.™ ed Kce.'°» è tutto mio proprio, ma bisogna che io mi serva del beneficio del tempo por non guastare il negozio ; .spero però in Dio benedetto che si farà qualche casa di buono, e non manco di rnccoman- daro a S. D. Maestà ogni nostro desiderio. Lo copio del Dialogo ultimo venuto in Roma sono state vendute tutte, o se co ne fossero tre tanti, puro si venderebbero, a due scudi l’una ; o se il libraro no volesse maggiore prezzo, credo elio lo trovarobbo : ogn'uno no dico bene, e se no parla honoratissimnmente da tutti. Io ho occasione di buggerio in conver¬ sazione di Mons. r Cesarino 10 o Cittadinoi quali Signori, ancorché non siino io capaci dello dimostrazioni geometriche, nondimeno restano maravigliati delli altri discorsi, o con infinito lor gusto godono quel che possono intendere. D’una cosa sola non resto io capace: conio V. S. non mantenga il costume (per altro osser¬ vato ©squisitamente da’ suoi interlocutori) nel Sig. r Simplicio ; già che mi paro che con la lunga prattica do’ suoi colleglli si sia assai domato, o non corra cosi precipitosamente nò ostinatamente, come a buon Poripatetico converrebbe, a pro¬ nunziare o munteli oro spropositi. Quattro giorni sono fui a fare riverenza alla regina della gentilezza, io dico all’ Ecc.">» Sig.« Ambasciatrice di Toscana, quale al lungo parlò di V. S. con tanto aftetto elio più non si può diro, o mi comandò che li baciassi lo uiuni in so nome suo, come fo facendoli riverenza. Di Roma, il 12 di Feb.° 1639. Di V. S. molto 111." ed Ecc.“» Devoti**.® od Oblig.*® Ser." e Dia. 1 ® Don Benedetto Castelli. 3845 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arretri]. S. Maria a Cani poli, U febbraio 1639. Blbl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., FiUa Fararo A, car. 203. - Auto*rafa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col.™ Ancora non mi sono abboccato con Marinaio, perch.' egli sta poco a casa, ma procurerò di vederlo quanto prima. Ml FKttDWAHDO CkSAKINI. Dumkxico L'ittamni. 14 — 15 FEBBRAIO 1639. 27 [3845-38461 Mando uno staio di marroni, elio costano quattordici crazio, e un mazo di tordi, cho costano tredici. Chi mi promesso in vendita le melo appiole, me n’ha donate un corbellino, onde ne fo parte a V. S., o no conservo por lei altro e tante, elio invierò, per la prima occasione, con lo poro bronche del mio nesto che già gl’ho dedicate. Se V. S. volessi più appiole, mi avisi speditamonte, perchè harò occasiono di poterla servire: ma costeranno al meno un testone la bigoncia, io Gli mando ancora due ricotto, se beilo saranno più proporzionate a’ suoi denti cho al suo stomaco ; mentre co ’l tino, pregando a V. S. dal Ciclo cumulata pro¬ sperità, con sincero affetto la rovcrisco. Da S. u Maria a Campoli, 14 Fobraio 1638 db Ine. nt Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ,,,u ' Dovotiss." 10 e Oblig. mo Se.** P. Alessandro Ninci. 8846. T30NAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 15 febbraio 1039. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 129. — Autografa. Molto Hl. ro et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.”' 0 Mando a V. S. Ecc."' a la Vita del Copernico (l ', acciò veda il corso di sì grand’ lumino, perturbato non dimeno da varie molestie e traversie, e si consoli perciò anch’cssa ne’ suoi travagli. Ilo salutato a nome suo l’Ecc. 1 " 0 Sig. r Liceti, cho la risaluta caramente, il quale dice, so bone si è messo a scrivere di quella luminosa o famosa pietra 121 por dirne il suo parore, non dimeno elio non si presume di poterlo dare in questo, nò meno in materia del lume e della luco in genero, quella sodisfattione ch’olla dosidera, e perciò no la progarà a scusarlo, intendendo solo di dirvi intorno qualche suo pensiero o dubitatane, io Io poi la ringratio del buon concetto ebo lia di me, ch’io sia atto a con¬ tinuare la sua maravigliosa dottrina dol moto ; ma so mi fosso lecito, direi che in questo s’ingannasse assai, conoscendo ben in me un intenso desiderio di applicarmivi, ma non quell’ingegno elio vi si richiederebbe. Anzi stimo cho conio non si trovò alcuno cho si conoscesse atto a finire l’opera di quel famoso pit¬ tore Apollo da esso incominciata, così forsi non vi sarà chi si conosca degno di dare quel compimento a così alta dottrina che vi potesse mancare, quando in alcun modo, il che non credo, ella si ritrovasse imperfetta, et io molto meno '») Cfr. n.o 3839, lin. 41-45. «■» Cfr. u.* 3839, lin. l i- 1G. 28 15 — 19 FEBBRAIO 1G39. 13840-5847] di tanti altri nobilissimi ingegni che hoggidl fioriscono. Io mi ritrovo vecchio in età virile, o quasi impotente a faro cosa di momento nelli - tudii, intendo troppo progiudi ciò alla sanità, o perciò so quel ch'io dico tirila, mia molta debolezza. l*o Conceda Iddio adunque lunga vita a V. S. Kcc/“, che può e.- *ero di tanto pro¬ fitto con così nuovo o così rare dottrino a tutto il mondo, corno io I^o prcgurò soinpre; alla quale baciando lo mani faccio insieme riverenza, a nomo ancora deFEco." 10 Sig. r Licoti. Di Bologna, nlli 15 Feb. ro 1639. Di V. S. Ecc. m ‘ Dcv. mo et Ob. mo Sor.'» o Dwc. 10 F. Bon/* Cavalieri. Fuori: Al molto 111.™ ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.® 11 Sig/ Gai.® 0 Gal. oi Fiorenza. so Ad Arcetri. 8847. FULGENZIO MICANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 19 febbraio 1639. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., 1’. I, T. XII, car. 111. — Autografa la aottoicriiirn*. Molto Ill. r ° et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. 0 Il Sig. r Giusti libraro ini mandò diro elio era giunto un invoglio di libri da indrizzaro a \. S. molto 111/' 3 ot Ecc. m *, et sopra quel riporto io le scrissi 1,1 ; ma poi, abboccatomi con il medesimo, trovai che il suo garzone havoa mal in¬ teso et havea posto por presento quollo che il patrono li havoa dotto di futuro: ma perché mi soggionse, ot mi mostrò la lettera, che il fagotto dei libri é «opra il vassoio S. Giacomo, il quale mi diceva s’aspetta di momento in momento, io ancora ho sopraseduto so por ventura capitasse. Questa è la cagione delift- tar¬ danza del mio scrivere, ina non ù giunto ancora quel legno nel nostro porto, come li viaggi di maro sono incertissimi; subito che sia giolito, havrò cura di io ricuperarlo et consegnarlo all’111.'" 0 Sig/ Residente Rinuccini. Io son stato dall’ingrosso di quest’anno sino al presento con qualche indi- spositione maggiore del solito: ipsa sencctus morbus est. Io desidero et prego instantemente il Signore di poter haver da V. S. nuova di qualche suo miglio- <*) Giubto AVipkeloich. <*» Cfr. n.» 8833. (.3847-3849] 19 — 20 FEBBRAIO 1639. 29 ramonto, poi elio piace a S. D. M. tà avisarci del nostro disloggio con il deterio¬ ramento del tugurio. Dolio coso del cielo o suo novità, osservato con quosto nuovo tanto occel- lento occhialo ul , non si parla più, conio non ci fosso elio diro. In fatti l’ossor- vatione di queste maraviglio et l’ingogno por esplicarlo et comunicarlo ò un dono £0 riservato al Sig. r Galileo, i cui soli occhi sono stati atti per vederlo et la mento por capirlo ; ot non sono io solo che faccia questo giudicio, ma con quanti parlo, della professione, dicono il medosimo. Et con tal lino a V. S. molto 111.” et Ecc. n,!l prego miglioramento nella sanità, tranquillità nella mente, et le bacio lo mani. V 0 n. R , li 19 Feb.° 1639. Di V. S. molto IU. ro ot Ecc. ,na Devotiss. 0 Sor. F. F ulg.° 3848*. RENATO DESCARTES a FLOR1MONDO DE REAUNE [in Blois]. [Egmond do Binnen, 20 febbraio 1639]. Dal Tomo II, png. 518, doll'opera citata noli’ informnziono promossa al n» 2898. .... Les potites remurques quo i’ay faites Bur lo livro do Galileo, ne vnlent pas la poino quo vous les voyon; mais, puis qu’il vous plaist, io no laisseray pas de prier le Rovorend Pere Mersenue do vous los envoyer. l’ay bien pria garde que Galileo no distingue pus los diversea dimonsions du mouvement; mais cela luy est couiniun uvee tous les autres, dont i’ay vcu quelquea écrits de mechanique.... % . • . . • .... 3849*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE in Parigi. [Egmond de Binneu, 20 febbraio 1639]. Dal Tomo II, pag. 52G, doll’opora citata noli’informaziono promossa al n.« 2898. .... Monsieur de Reauno( ! > me mando qu’il desiro voir ces petitos observations sur lo livre do Galileo, quo io vous ay onvoyées W.... Lett. 8847. 23. utilità, tra (?) tranquillità — <0 Cfr. n.o 8818. l*> Flobimondo db Bbàcne. «»> Cfr. nn.< 8797, 3813. 30 7 MARZO 1630. [3860J 3850 " LODOVICO ELZEV1ER a GALILEO in Aratri. Amsterdam, 7 roano IMS. Bibl. irai. Plr. Un. 0*1., P. VI, T. XIII, c*r 181. - A iWrtfe IH ." 0 Sig. re et Pad.** mio Colendi s."° For lo lotterò del’ III." 0 Signore Elia Diodati ho intero con grandÌMÌmo di¬ sgusto elio V. S. 111."° non ha anchora ricevuto Ir copie della ni rittura a Ma¬ dama Sor." 1 *, mandato adì 15 di Marzo con altri libri al S. r Giunto Wyffeldig, libraro in Yonetia; di cho resto molto maravigliato, ra'havendo il nominato Si¬ gnor dato aviso della ricevuta. In quanto lo copio delli Dialoghi, le ho mandato con altri libri nel mese d’Agoeto a Yonetia (et al’bora non era altro vagello per Orno» nò Livorno), ma por vento contrario ot altro incoiomoditA non ò partito il va «dio che su ’l fino d’Octobre. Mentre ha comminciato a Gargare un altro vu elio per Livorno, io ot havendo un libraro di Roma domandato alcuni libri con Online d’indirizzarli a Livorno, v’ho giunto poche copio delli Dialoghi, et qui ti sono prima arrivati a Roma cho gli altri a Vonotia. La causa forse sarà ch’alle volte li va gelli de¬ stinati por Vonotia scargano prima alcune mcrcantie a Genoa, Livorno, o Na¬ poli; tuttavia non ne ho ricevuto nova alcuna. S’havemi saputo eh’ un vinello fosso por partirò per Livorno, non l’haveroi cargato nel'altro: ma quel ch’io ho latto è stato di buona intontione, o però prego V.S. III.- de volermi scu¬ sare. Domani por l’ordinario scriverò al 8.» Giusto in Venctia, per ricordarli che V. S. non ha anchora ricevuto le copie della scrittura a Madama Sor.—, della cui ricevuta m’ha dato aviso. 20 Habiamo ricevuto por il secretarlo dell’Ambasciato re di Vonotia senza lettera di V. S., questi trattati; et havendo fin bora aspettato da lei alcuna nova, balliamo differto la risposta: 1. Symbdlator, in quo acqua atque otc.: finisce per la lotterà O. 2. Histona et danonslrationes de maculi» solia: finisce por lettera G. 3. De hts quae circumnatatU aquas ctc. : finisce lettera F. «* Lett. 3850. 24. in quo aqua atque — 111 Giacomo Giostiniax. Probabilmente le traduzioni latine di pintore, dell’ Istoria o Dimostrazioni intorn macchio solari o loro accidenti, e del Diacoi torno allo coso che stanno in su Pacqaa o quella si muovono, alle quali qui I’Klwtu* n», tono quelle di coi abbiamo copie nell» Bibl N»- lionalo di rirenM, Appendice *i Mae. 0*1.. Fili» la- titolat* sul dono: € 9 Galileo. Lavori per servire *11» viu di n*lileo, raccolti d»l Vlviani e dal Nelli », car.SO 286. 7 — 20 MARZO 1639. 31 [3850-3852] Quando piacerà a V. S. Ul. m11 mandare il restante, ne comminciaremo la stampa, et non mancharemo di dargli ogni sodisfattione. Et facendo line, le bacio li mani. Di V. S. Ill. mR L’Huinill."* 0 Servitore 80 Ludovico Elzovirio. D’Amsterdam, adì 7 di Marzo 1639. Fuori: Al’Ill.'" 0 Sig. re o Padr.® mio Colend." 10 11 Sig. ro Galileo Galilei, Matliematico del Ser. ,no Grand Duca di Toscana, in Arcetri. 3851 *. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 18 marzo 1639. BIbi. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVI, n.» 112. — Autografa. Molto 111. 1 '® et Ecc. m0 mio Sig. ro e P.ron Col. ,n ° Non si meravigli V. S. Ecc. ma so mi sono lasciato prevenire da lei nel darle parto del mio salvo arrivo a Genova, perché quella sola consolazione clic liavevo in questo mondo, della compagnia di mia madre, è piacciuto a Dio levarmela in tre giorni di fobro, in età fresca di cinquant’un anno; che m’ha lasciato in modo stordito, elio non ho potuto complico conforme al mio debito. Al Sig. r Daniele Spinola farò parte della sua; e so m’aboccherò col Sig. r Ba¬ llano, li dirò bellamente il senso di V. S. Ecc."" 1 Ilo intermesso le osservationi (li Giove, perchè m’è stato bisogno attender ad altro; ma lo andrò ripigliando, io e spero elio al mio ritorno saremo a buon porto. Mi conservi suo, o si riccordi elio ha pochi servitori elio come me deside¬ rino servirla; mentre per lino lo bacio affettuosamente lo mani, come la prego a far in mio nomo al molto R. P. Clomente (1) , con raccommandarli che voglia sollecitar lo stampatore t2) , il qual mi par che se la pigli assai commoda. Di Genova, adì 18 di Marzo 1639. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ma Dev. n '° et Obl. mo Ser. ra D. Vinconzo Renieri. 8852 . MATTIA BERNEGGER a GASPARE HOFMANN in Altorf. Strasburgo, 20 marzo 1639. Blbl. Clvioa di Amburgo. Codice citato nella informazione premessa al u.» 2613, car. 2S8r. — Minuta autografa. .... Epistolne Galilaei non deposui meinoriani, et pridem lmberes npographum, si en in promptu mihi essot: abscoiulitn. latet in indigesto ilio cumulo litteraruni, qui in hoc >‘l Cl.KUKNTK SSTTIMI. <*> Auatork Massa o Lorknzo iik' Candì. 32 20 — 22 MARZO 1030. [3852-3853) biennali morbo, ut omnia alia raca, redditas multo confusior. Nuno constitui disponete et in tomos distributna concinnare; noe iminemor ero, ut par est, oflicii promissique. Si mortane est, ut scribis, Galilneus, nuper admodum id fuctum oportuit. Nani proximo mercatu nostro, id est sub oxordimn huius anni, por Deodatuni, l'arisienscm advo- catum, et salutoni mila nunciavit, et librura suuni, Leydae ab Elzeviriis excusum, dono misit, quem aliis suis opeiibus omnibus antoponit. Eius libri praecipua capita, si cogno- score placet, ista sunt: 1) Scientia nuova prima, intorno alla resistenza do i corpi solidi all’eBsere spezzati, io 2) Qual potesse esser la causa di tal coerenza. 3) Scientia nuova altra, do i movimenti locali: cioè, deiroquabilo ; del naturnlmento accelerato ; 4) Del violento, ovcro do i proietti. 5) Appendice di alcune proposizioni e dimostrazioni attenenti al centro di gravitò do i solidi Sane credo iniposuisso tibi, quisquis est ilio, qui de morto atque otiam do carcere retulit. Nuraquam audivi de carcere, strido ilio quidem. Nani «Miapov istalli r su, le infir- mità sono frutti del tompo o pena al constituto de’ nostri corpi; e V. S., corno piena di alto sapere, so ne conformerà a questo con ottima re igim- done. Mi pervonno un’oporotta di V. S., con la versione latina fatta da amico o signor mio in Parigi (11 , qual so essere caro a Y. S. Mi querelai soavemente perchè io prima non me no havesso fatto copia, col passar lettere noi a d frequento, con questa occasiono che si aspettava, o già ora arrivato, in Roma l'altro libro suo do’ Discorsi mathematici sopra le duo nuovo scienze, de’ quali con gran pena, per esser absento, no ottenni uno, o vado con mio singoiar gusto vedendo. No aspetto da Parigi altro copio por sodisfare ad amici, aucora elio qua si attenda poco a corta sottigliezza. Et in Venotia ancora hanno tardato assai o tardano a ca¬ pitarne. Nel mentre fu stampato in Genova dal S. r Gioh.* Italiani un trattatello (,) , elio quasi va in parto dimostrando qualche simil propositione. Ne inviai un cssemplare, col mozzo dol S. r Ambasciatore di Genova 3 , aHamico nastro comninne di Parigi, quale con lettoro molto fresche mi dice haverne dato parto a V. S. 20 conio so non lo fosso porvenuto a notitia; et ancora che ella non possa più curar corto coso, tuttavolta, so non l'lmvesso ricevuto, no lo farei pervenire copia. V. S, mi dica sincoramonto (essendo stato quell’authore di sua cognizione) se può esser stato prima ponetrato dell’opere di Y. S. 0 da lei comunicata ; e poi che non può olla scriverò, iaccilo ossequine da alcuno di quei Signori cho saranno appresso di loi: 0 mi conservi noi grado della mia devota et antica servitù, desiderosis¬ simo di ogni sua maggior gloria, conio veramento acquistatasi noi tumulto di varie agitassimo. E qui lo prego dal Ciclo ogni più vero heno 0 li bacio lo mani. Milano, 23 Marzo 1639. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. ma Dovot. m ° Sor. co D. Antonio Santini. **> Ei.ia Diodati. <*• Cfr. U824. ‘ J l UlAMBATTIBTA SaMJXXO. |3855-385GJ 25 — 2G MARZO 1039. 35 3855 *. DANIELE SPINOLA a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 25 marzo 1639. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» XC, n.° 75. — Autografa Molt’Hl.” et Ecc. mo Sig. r mio Oss. mo La cortesia elio V. S. nella sua lettera dimostra verso di me è tale, elio io mi trovo da lei sommamente confuso ed obbligato. Vengo per ciò a ringraziarla tanto dol desiderio c’ha di favorirmi dol suo libro, quanto io mi sento morti¬ ficato dal non potere al presento godere della sua lezione. Il P. D. Vincenzo Ite- nicri alla sua venuta mi disso puro che costà, non no erano pervenuto copio, ond’io il foci commetterò in Amsterdam assai subito ; per ciò starò attendendo elio mi giunga, affino di ammirare in osso la sovrumana dottrina di chi l’ha composto. Ilo da pregiarmi poi grandemente cho qualche pensiero vomitomi circa il io libro del S. r Baliani (il sia stato da V. S. autenticato nella lettera scritta ultima¬ mente al detto P. D. Vincenzo. Imperocché (tacendo dol rimanente) quello sue supposizioni mi son sempre parse alquanto difficili da concedere. Ma non ho io talento da ragionare di cose sì fatte, o non debbo trattener lungamente V. S. con mio pardo. Si compiaccia, la supplico, di conservarmi per suo servitore di singolare osservanza, o si degni d’esercitar la mia servitù con alcun suo coman¬ damento, da me bramato conio favore spezialo del Cielo, mentre io a V. S. bacio riverentemente le mani. Genova, 25 Marzo 1G39. Di V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ,na Devotiss. 0 S. ro so Danioio Spinola. 3856 **. FAMI ANO MICHE LINI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 26 marzo 1639. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 114. — Autografa. Fax Christi. Molto 111. et Ecc. m0 Sig. ro o P.ron in Christo Col." 10 ITor bora son tornato di Livorno, dove hieri parlai al Ser. mo G. D. del vino per V. S. molto III. ot Ecc. ma , e mi disse che l’harebbe mandato quanto prima. <*1 Cfr. II.» 3824. 36 20 MANZO 1039. [8866-8857] La sera poi ricordai al Sor. rao Principe Leopoldo che effettualo il vanto o la promessa di far mandare detto vino, o mi disse che fluirebbe fatto. Io ho grandissimo desiderio di rivederla, et a questo edotto ho quasi deli¬ berato di tornare a Siona per Firenze, ro mi sarà dato licenza. Ilo detto quasi, porchò non vorrei elio la passiono mi facesse mormoraro di qualcheduno che forai ha poco timor di Dio, noi’occasione di discorrer seco, so bene ho fermo io proponimento di tacerò quello elio si devo tacere. Mercoledì i Ser. ml G. Duca o Principi so ne tornano a Firenze, et il Ser. wo Leopoldo a Siona portino a S. Giovanni. Caso che io non la venissi a vedere bora a Firenze, sappia d’bavere a Siena un servitore atfezionatissirno et obbli¬ gatissimo, dovo la prego ad inviare i sua comandi, elio saranno da mo ricevuti corno lo coso più caro di questo mondo. Lasciavo di diro che il G. D. si è preso gran gusto do’ sua scherzi circa il vino. Con che facendole huniilb ima rive¬ renza, lo prego vera felicità. Beo grutias, Pisa, 26 Marzo 1639. Di V. S. molto 111. ot Ecc. ma co Iiid."' 0 et Obbligatila. 0 Scolaro o Servo in Christo Frnn. 00 di S. Giuseppe. 3857 **. ALESSANDRO N1NCI a [GALILEO in Arcetrij. 8. Maria a Campoll, 20 marzo 1030. Blbl. Naz. Flr. Appondieo ni Mss. Gai., Filza Favoro A, car. 205. — Autografa. Molto Ill. re et Ecc. rao Sig. r mio P.ron Col." 10 Poiché mi bisogna patire il desiderio di goderò la presenza di V. S. anchora una settimana, in tanto con la presento lettera rondo quello grazio che io posso del pisciancio o dell’occellcntissimo moscatello, o co ’l iìascho o fiaschette voti rimando lo scorzo dell’arancio. Avendo qui un mio amico imborciadore, elio di quosti tempi compartisco ad altri tutta la sua preda, ho ricouto questa sera un paio di starno o quattro tordi soli, perché hanno abbandonato il paese : gli mando a V. S. elio gli goda por mio amoro, suplicondola a gradirò il mio allotto, mentre co ’l tino gli faccio debita reverenza. Da S. ,a Maria a Campoli, 26 Marzo 1639. 10 Di V. S. molto 111.” et Ecc.® 1 Dovotiss.® 0 o Oblig.® 0 Se.” P. Alessandro Nilici. [3858-3859] 2S — 2U MARZO 1G39. 37 3858 . GALILEO a [VINCENZO NENIE RI in Genova]. (Arcotri], 28 marzo 1039. Dalla car. 8“f. del volitino intitolato: Di Qio. Battista B aliano Opere diverse. In Genova, per Pietro Gio¬ vanni Calonzani, in Piazza Nuova, M.DC.LXVI. In questa stampa, elio ò l'unica fonte a noi nota (lolla presento, si logge sul margino l'indicazione : « Pai Sig. Galileo Galiloi, do’ 28 Marzo 1G39, al P. Fran¬ cesco dello Scuole Pio » ; ma tutto il contosto induco a crederò elio la lettera sia indirizzata non al P. Famiano Miohrmni, ch’era allora in Pisa (cfr. n.® 385f>), ma al P. Yincknzo Rknikri. Resto tuttavia privo eli qualche esemplare del mio ultimo Dialogo, già molti mesi finito di stampare, e pervenutone a Roma moltis¬ sime copie, et a me nò pure una sola : accidente che mi rappre¬ senterà meno offitioso a lei stessa et a gli Illustriss. Signori Spinola e Baliani. Del (piale mi ho fatto leggero il suo Trattato 111 più volte, ma, per non potere veder le figure nè riscontrarle con la dichiara- tione e dimostratone, mi lascia in qualche scrupolo in un luogo o duo; credo, per non liaver potuto arrivare con la immaginativa sin dove il senso della vista vi si ricerca di necessità. Quando dal mio io perpetuo infortunio mi sia conceduto, pregherò Sua Sig. lllust. a rimuovermi quel poco di ombra che ini offusca, perchè non vorrei rimaner privo di una chiara intelligenza di cose che io stimo essere acutissime e bellissime. In tanto, all’occasione, facciami gratia di ri¬ cordarmi a Sua Sig. lllust. servitore devotissimo, come anco all’lllust. Sig. Spinola. E qui la riverisco e con sincero affetto 1. b. 1. m. 3859 *. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 29 marzo 103'J. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Caulinni. Autografi, B.» LXXXV1, n.° 131. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 et Ecc. ,no mio S. r P. Oss. mo Dovendo esser in Firenze uno de’ nostri Padri, elio si parte di Genova, ho risoluto di mandar a V. S. una scatola delle nostre pasto di cotogno, dello quali ella mi ragionò mentre oro in Firenze. Gradisca V. S. nella piciolcz/.a del dono il mio affetto, e mentre sono lontano mi consorvi nella sua buona gratia. “> Clr. n.o 3824. 38 29 MARZO — 9 APRILE 1039. 13869 - 3860 ] Fatto Pasqua, spero di rivederla, e tra tanto non intermetto lo osservazioni dolio Mediceo. E pregandola a far un baciamano in mio nomo al P. Clemente w , a V. S. auguro dal Ciolo ogni vera felicità. Di Genova, adì 29 di Marzo 1639. Di Y. S. molto I11. M et Ecc. ma DevSor." 10 D. Vincenzo Uenieru 8860 **. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO iu Firenze. Venezia, 9 aprilo 1039. Autoernfotcca Morrison In Londra. — Autografa fa flrinn. Molto DI." et Ecc. mo Sig.", Sig. r Col." 0 Mi era intrata in capo un’ostinazione di non scrivere più a V. S. molto IH" et Ecc."* poi tanto elio lo potesse dar certezza dell’arrivo et ricapito della cas- seta dei libri, ot anco rimetterli la penzioncella della rata di Marzo passato; ina la lettera dolli 27 di Marzo del molto R. Padre Clemente di S. Carlo dello Scolo Pio mi fa mutare pensiero. Le dico adunque elio li libri " non furono posti sopra il vassoio S. Giacomo ,8 ’ > elio è gionto qui in porto, ma «opra il S. Marco, che si aspetta d’hora in bora; ma ogni aspottatione ha il suo disgusto, conio in questa io l’ho grandissimo, ma conviene haver pationza. Anco il It. do Arisio' 41 mi va lento et con scuse : io però non cossarò di premerò, benché so elio V. S. io ha poco pensiero di questo bagatelle. Sono stati qui ad honorarmi di visita due gentil* huomini virtuosissimi, gran- d’amici di V. Sig. ria , ma, in consequenza inffaUbilo, offettionati al Sig. r Galileo quanto virtuosi ot fuori dcll’ordiiiario intelligenti. Questi mi dissero che godeva la compagnia di Y. S. il sudotto Padre: adunque esso ancora ò ingegno confa- cevolo con il Sig. r Galileo, por il qual rispetto io vorrei esser buono a prestarli qualche ossequio. Qui non si parla più nò di scuoprimonti nò di occhiali nò di cosa alcuna, cosa invero strana et come li Gesuiti in coso tanto nuovo habbino persa la fa¬ vella. Perché non corrispondono gl’occhi del corpo a quelli della monto di V. S., 20 che a quest’bora havrossimo infallibilmente discorsi elio ci farobbono conoscere clic li caratteri di quosto libro dell’ universo agl’ altri sono zifro non intelligi¬ bili, ma a V. S. più che intelligibili? Io prego il Signoro continuamente che lo <” Clismkntr Settimi. »*> Cfr. n.o 3847. < 3 ' Cfr. n.* 8818. Gio. Battista Arici. 9 — 10 APRILE 1639. 39 [3860-3861] doni o meglioramento o paticnza, corno dalla sua gran virtù et dall’occellento cognitione delle coso Immane et divine da lei si può promettere chi la conosco. Io vivo con lei con la memoria continua et col desiderio elio mi reputi, conio veramente lo sono, cordialissimo servitore; et con tal lino lo bacio lo mani. Yenctia, li 9 Aprile 1639. Di V. S. molto 111.» et Ecc. ,na Devotiss. 0 S. fìr F. Fulgontio. Fuori : Al molto 111. 1 * et Ecc. m0 Sig. re , Sig. r Col.» 10 11 Sig. r Galileo Galiloi. Fiorenza. 3861. FAMI ANO MIOHELIN1 a [GALILEO in Arcotri]. Siena, 10 aprilo 1039. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 110. — Autografa. Fax Christi. Molto 111. et Ecc. mo S. r o P.ron in Cliristo Col.” 10 Il partirmi da V. S. molto III. et Ecc. n,a insalutato hospite, come si suol diro, molto ne sono stato lo cagioni. Prima, il non voler io abusare la sua troppa gentilezza, elio non harebbo comportato il lasciarmi partirò per molto tempo, mentre il Ser. mo Principe Leopoldo mio Signore mi liavova mandato da lei per alcuni giorni ; 2 a , il non essermi parso ben fatto il valermi con troppa larghezza dello grazie fattemi dal Ser." 10 Padrone, sapendo io massimo l’eccessivo dosidorio elio S. A. lia di studiar sempre più o più ; 3 a , il considerare elio la mia rozza io conversazione non poteva so non cagionarlo tedio e impedimenti allo suo con¬ templazioni e indisposizioni : oltre elio l’esser restati d’ accordo d* aspettare il P. elemento (1) sino al principio (lei giorno mi parvo sufficiente licenza, benché stiracchiata, massimo havendo io aspettato lino a duo boro di sole, non essendomi parso buona creanza nò carità destarla, so non por altro almanco por esser olla andata la sera a letto con gravissimi dolori di corpo. Questo et altre simili sa¬ rebbero lo mie scuso appresso lo persone non conosciuto, ma appresso di lei, olio mi ama oltro al merito d’assai o cho sa benissimo elio così dovevo fare, lo stimo superfluo; però passorò a cose più allegro. Arrivai a Siena mercoledì mattina a 16 boro, con la solita infreddatura più 20 tosto rineappellata, che punto digerita, por il vento e altri disagi del mio ca¬ lo Clkukktk Skttiiii. 40 10 — 13 APRILE 1639. [3861-3862] priccioso viaggiaro. Noi medesimo tempo feci riverenza al Sor." 10 Padrone, il quale mi dimandò subito di V. S. molto DI et Kcc. n, ‘ con questo formato parole : Che è del nostro buon vecchio? E mi disse altro coso ili tanta tenerezza verso della persona sua, elio io, esaminando la mia coscienzia, ardirei ben di diro di amarla più d’ogni altro suo dovoto servitore, ma non già più del Sor.* 0 Padrone, al qualo dispiacque alquanto la mia partita senza essermi da lei licenziato; che però mi ha imposto più volto eli’ io faccia mio scuso con lei, orni - la prego a scrivermi in maniera ch’olla mostri restare sodisfatta. Lo do nuova come il Scr. ,n0 Padrone ha fatto già il disegno per far faro l’istrumento da far occhiali lunghi, conformo alla istruzione elio no diodo V. S. so molto 111. et Eco. ma Harei alcuni altri particolari da scrivere, ma por esser l’hora tarda, o dovendo questa mia esser portata daH’Ill." 0 Pannatici tn , mio sin¬ goiar Padrone, elio so no -viene in costà domattina a buon' bora, mi riserbo il resto di scriverlo al P. domante, elio poi gliene riferisca. Era tanto veda so posso ser¬ virla in cos’aldina qua, oliò mi troverà prontissimo ad ogni minimo conno: con elio facendolo humilissima riverenza, lo prego da Dio pienezza il» grazio celesti in questi santi giorni di Passione. Beo Graiias. Siena, 10 Aprile 1639. l)i V. S. molto 111, et Ecc,®» Indeg. mo et Obbligatisi!. 0 Servo e Piscep. 0 in Christo io Frali."* di S. Giuseppe. 3862. FRANCESCO NICCOI.INI ad ANDREA C10L1 [in Firenze!. ttomn, 13 aprile 1039. Bibl. Naz. Plr. Ms9. Gal., P. I, T. II, car. 219. — Autografa la sottosemlouo. 111." 10 Sig. r# mio Oas." 10 Con un corriero ili Napoli, elio passa a Milano, posso accusaro a Y. S. 111."’* la rice¬ vuta delle sue lettere de gl’8, 9 et 11, comparso qui hiersom con un altro straordinario di Monaco per Napoli. In risposta dello quali posso dirlo per bora, elio io sarò col P. Ge¬ nerale delle Scuole Pio (S > per procurare al S. r Galileo Galilei la dovuta Batisfationo, percliò possa valersi dell’aiuto del P. Clemente; ma il pernottare fuori del convento non si suolo in questi tempi concedere a nessuno, e Dio voglia che anco il P. Generalo lo possa faro .senza la Congregatioue. Non dico però niente di certo per bora, ma me n’informerò me¬ glio, e mi v impiegherò con tutti li spiriti per la giustizia dellu domanda.... • *’> NlCCOlA r*NCUTJOttT. <*' GlBSKPFK Cil.ASANZlO. [38G3-88G5] 15 — 10 APRILE 1639. 41 3868 . VINCENZO REN1EIU a [GALILEO in Arcetri], Genova, 15 aprile 1G39. Cibi. Nttz. Plr. Mss. fini., P. I, T. XII, cnr. 113. — Autografa Molto 111.“ et Ecc. ,no mio Sig. r o P.ron Col."' 0 % Ho sentito gusto cbo lo pasto 10 siano giunto ben conditionato, o sporo fra pochi giorni (Tesser anch’io a riverirla di presenza. Stimo elio borami poco mi inanelli por baver in tutto emendato i moti dello Mediceo, e crederò di portarne T efeineridi de’ sei mesi futuri, che Giovo si lascierò, vedere. Mi conservi ella in tanto la sua buona gratin, o di cuore lo bacio lo mani, come fa il Sig. 1 'Daniele <2) . Di Genova, adì 15 Aprile 1639. Di V. S. molto 111.“ et Ecc. niu Dev. mo Sor.™ D. Vincenzo iteniori. 3864 *. [ANDREA CIOLI] a FRANCESCO NICCOL1NI [in Roma] Firenze, 15 aprile 1639. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gai., P. I, T. II, cnr. 221. — Minuta, non autografa. AU’Amb. r Niccolini. 15 Ap. lc 1639. Con l’ordinario per Francia et con uno estraordinario per Milano, comparsi insieme questa mattina, ho ricevuto lettere di V. E. degli 11, 12 etl3< :,> , allo quali io anticipo di risponder subito, per havor pronto quanto m’occorra per la prima occasiono .. Attenderemo quel che sarà riuscito a V. E. a favore del S. r Galileo, et so costì vo- glino permettere che egli si possa valere dell’aiuto del P. Clemente dello Scuole Pio.... 3865 . GIUSEPPE CALASANZIO a GIO. DOMENICO ROMANI in Firenze. Roma, 1G aprile 1639. Casa del noviziato delle Scuole Pio, dotta del Pellegrino, presso Firenze. Lotterò di S. Giu¬ seppe Causando. — Autografa. .... E se per caso il Sig. Galileo dimandasse ohe qual ohe notte restasse là il P. Cle¬ mente W, V. R. glielo permetta; e Dio voglia ehe ne sappia cavare il prolitto che doveria. Prego il Signore ci benedica tutti. Di Roma, li 16 Aprile 1639, P. Ministro. Firenzo. S. re nel Sig.™ Crioscppe della Madre di Dio. <«> Cfr. n.o 3859. (*’ Daniel» Spinola. XVIII. < 3 > Cfr. n.o 3802. OU-3867j 3866 . FRANCESCO NICCOMNI ad [ANDREA CIOLI in Firenzi], Kouiu, 16 aprile 1630. Blbl. Nas. Plr. Mas. Ori., P. I, T. II, csr. 998. — Autografa I* « 111." 0 Sig. r * mio Oas.® 0 Ilo rappresentato al P. Generale dello Scuole Pie >1 deriderlo del 9/ Galileo Galilei circa al volersi del P. Clemente di S. Carlo, col farlo anche pernottare orila «uà vili». Ma il P. Generalo, doppo ha vermi rimostrato che il medi-limo Padre ha pernottato più volte fuori di convento a instnnza del medesimo S. r Galileo, ha procurato di rendermi ca¬ pace che la licenza in scritto di poterlo fare di continuo non è concedibile, non tanto perchè è Padre giovino, corno perchè questa introduttiune è di cattivo esempio nella ina Religione, che professa osservanza grande delle sue constitutioni, e che i Padri più vecchi che sono costà se no potrobbono lamentare; soggiogandomi che bora vengono le gior¬ nate lunghe, e che quando non basti al S. r Galileo che il audetto Padre si trasferisca IO alla sua villa una volta la settimana, può farlo chiamare o ordinarle che vi vada più sposso. Dice bene che se qualche volta bisognerò che vi pernotti, potrà farlo, come è seguito sin qui, ma che la continuatione di star fuori di convento a dormire non »e li può permettere; et in questa conformità ne scrive questa medesima sera ai suo Superiore di Firenze!* 1 , supplicando reverentemente S. A. a perdonarli se non Pobbidisce come si conosce tornito, con speranza che l’A. S. dovrà compatirlo c concorrere più presto col suo sentimento, mentre repugna d’indurre un cattivo esempio nella sua Religione. Et le bacio le mani. Roma, 10 Ap. u 1G39. Di V. S. Ili®* ()blSor.'* Frano.* Niooolini. 20 3867 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 17 aprile 1630. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Canfori. Autografi, B.» LXXX, li.' 116. — Autografa la «ottoscririono. Molto DI.” et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.'™ Con questo benedetto tramestìo o cassata che s’aspotta, il Sig. r Giusti 01 li- braro mi paro quell’Hercole negl’arrazzi, che sempre sta in ferir colla clava et mai fa colpo : ogni giorno mi dò, speranza che dimani giongerà il S. Marco in porto, ot mai ci arriva; et me no struggo, perchè conosco la ragione, il desiderio et il giusto lamento di V. S. molto III.» ot Eco.®» in questa aspettatione. Ma io non posso far altro. “i Cfr n.o 3SG5. Oivkto WirrsuDicii. 17 — 18 APRILE 1639. 43 [8867-3868] Il prete Arrisio questa volta ha mantenuto la parola, et mi ha mandata la rata di Marzo passato; sì elio mi trovo nolle mani, di ragiono di V. S., piastro io o scudi d’argento 15 et soldi dieci, che fanno li scudi 20 di lire 140, ot oltre di ciò altri scudi 10 che già mi rcstorno, che Y. S. non no ha disposto : per il elio commandi quello cho se no debba fare. Così vorrei poterla servire in cosa elio fosso di suo gusto, et non in questo minuccie, chò so che ella, intenta a cose maggiori, poco le cura. Io sono stato dieci giorni a prender aria in villa, et me no ritorno alla città senza curiosità delle coso del mondo. Una sola mi sarebbe di grandissimo sol¬ levo, l’intendere qualcho miglioramento di Y. S. Ecc. ma , c particolarmente nel corpo: chò quanto all’animo so cho ha quella sanità et virtù maggiore cho possi provenire da perfetta cognitiono delle cose Immane; ma so però corto cho 20 ogn’huomo è huoino, et constando di corpo et d’anima, li beni et mali di una parte si comunicano all’altra. Dio Nostro Signore la consoli, come instantomente Lo prego : et a V. S. molto 111. 1 ' 0 et Ecc. m;l bacio le mani, conio anco a quel degno Padre dello Scolo Pio' 11 , delle cui singolari qualità il godore la compa¬ gnia di Y. S. mi è più che mille tcstcs. Veli.*, li 17 Aprilo 1G39. Di V. S. molto Ul. ro et Ecc." ,a Dev. n, ° Sor. S. r Galileo. E. Fulgentio. Fuori : Al molto Ul. r ® et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. ,no Il Sig. r Galileo Galileo. 80 Fironzo. 3868 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GIANNANTONIO ROCCA [in Reggio]. Bologna, 18 aprile 1639. Dallo pag. 128-129 doll'opora citata noli’informnziono promossa ni n.° 8053. _Quanto al libro o Dialoghi del molo del Sig. Galileo, non l'ho ancora visto: dicono cho se no vendino in Roma, ed alcuni amici miei in Milano l’hanno fatto venire da Parigi. Ilo ricevuto poco fa un’operetta di un Sig. Gio. Battista Baliani Genovese, intitolata l)c mota naturali (jravium solidorum ( *\ dove vi sono molto cose, credo io, inventate dal Sig. Galileo e che si vedranno in quest’ultimo Dialogo. Io non l’ho ancora visto con di¬ ligenza, ma nelle supposizioni clic fa pare che vi sia in una parte qualche difficoltà a con¬ cederlo. Lui le suppone provate da Simone Stcvinio^ ,, ’ , e dal Sig. Galileo. V. S. ne procuri uno da Milano, dove ve ne sono; lo vegga, e mi favm-isca poi di scrivermene il suo pnrere.... U1 Cfr. n.° 3800. <*> Cfr. li. 0 3824. < J > tìlWONK STKV1N. 19 - 22 aprili-: 1G39. [ 3869 - 3870 ] 44 3869 *. ANDREA OIOLI a FRANCESCO NICCOLINl [in Remai. [Firenze), 19 aprile 1639. Bibl. Nftz. FIr. Mas. flal., P. I, T. II, car. 225 — Minuta, non autografa, _Mi servirò bene di questa occasiono por accuserò a V. E. le suo de’HD 11 , stato Bcntito da S. A. questa sera con tutto quello che vi ora dentro.... Quel che ha risposto il Padre Gonerale delle Squole Pie'*! in proposito del Padre Cle¬ mente di S. Carlo, potrà bastare per quel elio si desiderava.... 3870 ** ALESSANDRO NINOI a [GALILEO in Aratri]. $. Maria a Carapoli, 22 aprile 1631). Bibl. Naz. Flr. Ajipondico ai Mss. Gal., Filza Fnraro A, car. 206. — Autograf •, Molto 111. 1 * et Ecc. n ’° Sig. r mio P.ron Col. mo Rendo a V. S. quolle maggiori grazio elio io posso doli’ ulivo e do’ vini esqui- sitissimi, elio m’hanno aiutato la digestione do’ cibi quadragesimali di tal ma¬ niera, elio io non ho sentito alcuna molestia, conio ordinariamente soglio in¬ nanzi che io mi conduca a Pasqua; ondo sono tanto maggiormente obligato a V. S. Non rimando i fiaschi o la bombola, perché manderò ogni cosa insieme, quando averò voto l’alhorello. M è pervenuto un capretto, che mi pare assai grasso e tenero; o stiman¬ dolo proporzionato a’ denti e a lo stomaco di V. S. glio no mando, clic lo goda per mio amore, con l’ultimo reliquie d’aloune poche frutto (dio io volovo con- io servare. Al principio di Maggio comincerò a mandare lo legno, e prima so mi accennerà, di avorno bisogno; mentre, restando sempre con maggior desiderio di potermi impiegare in servizio di V. S., gli prego dal Cielo nollo prossimo Pesto, c in molto aprosso, continuata felicità,. Da S. Ul Maria a Campoli, 22 Aprilo 1039. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. l,,;i Dovotis8. n, ° e Oblig. mo Se. r0 P. Alessandro Ninci. ‘O Cfr. n.® 8866. '*» Cfr. n.* 3860. [3871-3872] 23 — 30 APRILE 1630. 45 3871 *. GIO. GIACOMO BOUCHARD a VINCENZO CAPPONI [in Firenze]. Roma, 23 aprile 1639. Colleziono Galileiana nella Torre del Gallo presso Firenze. — Autografa. .... si degni, in quanto potrà, procurarmela, sì come anco le memorio intorno la per¬ sona e fatti del S. r Galileo; le cui ultime opere ile moto etc. vengono qui ammirato, per non dire adorate, e mi hanno tanto maggiormente accesa la voglia di servirlo in quello che io già le scrissi ... 3872 * FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 30 aprile 1039. Bibl. Est. in Modona. Raccolta Cninpori. Autografi, 13.» I.XXX, u.« 146. — Autografa la sottoscrlaiono. Molto Ul . r0 et Ecc. rao Sig. r , Sig. r Col . 0 Quando è piacciuto a Lio, è pur arrivata quosta benodelta nave S. Marco, nolla quale sono li Dialoghi novamente stanpati di V. S. molto Ul. ro et Ecc. n, “; ma per ancora non essendo estratti dalla dogana, non li ho potuti bavero. Subito che li recuperi, farò consegnar il tramesso in casa doli’ Ecc . ,n0 Sig. r Re- sidonto (2) , il quale però ò partito questa mattina per Fiorenza, et V. S. lo potrà dir una parola, se bone credo Laverà lasciato ordino al suo secretarlo. Il Signor Pietro Lindcr, un Alcmano affettionatissimo di Y. S. e elio ha gran gusto delle coso sue, mi ha detto di bavero un discorso di V. S. sopra io il mcglioramento fatto in Napoli del suo canocliialo o sopra lo novo osserva¬ tami fatto delle cose celesti 13 '. Mi ha anco promesso farmelo vedere. Apcna li credo che cosi sia, perché mi paro impossibile che V. S., che sa che io adoro, per così diro, lo cose suo come l’auttore, non me n’ bavesso fatto dar nello let¬ tore un moto. Ma se me lo lasciarà vedere, son sicuro elio dai primi versi co¬ noscerò se è opera di V. S. o d’altri. Et qui, pregandoli dal Signore Dio, con tutta P instanza e desiderio, mcglioramento et pacienza, lo bacio lo mani. Ven.% li 30 Aprilo 1639. Di Y. S. molto Ul. ro ot Ecc. ma Devot ." 10 Sor. S. r Galileo. F. Fulgentio. Fuori : Al molto Ul. re et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col ." 10 20 II Sig. r Galileo Galileo. Firenze. “> Cfr. li.® 8686. tSi Cfr. u.« 3836. < s l Fka.ncksco lllNUCOINI. 46 4 MAGGIO 1639. 13878] 3873**. DINO PERI ft [GALILEO in Aratri]. Pimi, 4 maggio 1B39. Ulbl. Naa. tflr. Mss. Gal., P. I. T. XII. car. 120-121. - Autografa. Molto Ill. re ot Ecc. m0 Sig. re o T.ron mio Col." 0 Do’ quindici giorni elio dura la fiera, i primi otto sono frnstratorii, perchè non ci capita nulla affatto; o porcliè lo stendardo si messe domenica passata, por tutta questa settimana non si ò visto nè si vedrà nulla. Domenica pros¬ sima si comincierà a negoziare. Voglio inferire elio per istasera non posso mandare a V. S. molto 111.” et Ecc.“‘ saggio di materia alcuna di questo anno, cioè della presonte fiera. Ma posso in ogni modo generalmente avvisare, prima, per quel che appartiene a’ servitori, come dello perpetuane ce ne dovranno vc- niro di tutti i colori, alcuno di larghezza d’un braccio scarso, tenuto in prezzo di un testone il braccio, alcuno altro di larghezza di un braccio e mezo, in io prezzo di 26 crazio il braccio. Ma io ci soglio veder comparire certa roba che chiamano calis di Lione, largo manco un dito di un braccio, che la riveiulon poi a minuto questi fondachi circa 22 soldi; ma a torno una pezza intera da i mercanti franzesi, mi riuscì l’anno passato l’havorla por cinque pezzo, o tirò cir[ca] 29 braccia, conio sogliono tutte l’altro. Di questa materia ne mando a V. S. un saggio di color turchino, ma ci sarà poi di qualsivoglia coloro. Per la fanciulletta, ci sarebbe certa materia a opere, di lana ot accia, di diverso fiorame; è vistosa, ma forse sarà troppo grave. La larghezza è duo terzi di braccio, il prozzo ò duo giuli. No mando tre mostro, ma co no saranno di molto altre sorte. 20 Ci vengono certo saio imperiali di tutti i colori ; son largbo braccia 1 y, o in prezzo di tre lire il braccio ; ma non ho potuto lmverno il saggio. Insomina mercoledì prossimo V. S. sarà avvisata puntualmonte, so già ella non mi man¬ dassi sabato qualche risoluzione; chò so io dovrò aspettare alla risoluzione di sabato a otto, non potrò leggerla so non la domenica sera del di 15, elio ò l’ultimo giorno della fiera. Ben ò voro, elio liavendo V. S. bisogno di poche braccia, e in conseguenza di comprare a minuto, tanto la potrò servire quattro o sei dì doppo la fiera, che tutti questi fondachi saranno riforniti; e in tanto V. S. liarà commodo di far vedere alla fanciulla più saggi e significarmi il suo gusto. Questo è quanto per bora posso dirle. so 11 mio ritorno, tanto da loi desidorato ò da me parimente desideratissimo, perchè desideratissima è da me la presenza di V. S., sì conio sempre scolpita la porto nel cuore con infinita devozione. Il mio partire sarà da me affrettato, 4—11 MAGGIO 1639. 47 [11873-3875] cioè non prolungato, ma non anticipato, perché il zelo (lei Sig. r Auditore (1) non lo comporta. Resto in tanto con risalutar V. S. Ecc. mft duplicatamente in nome di Monsig. r Saraci ni (2) e del Sig. r Dottor Marsilii 13 '; et io revorontemento lo bacio lo mani o con tutto 1’animo le prego da Dio felicità. Pisa, 4 Maggio 1639. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ,na Oblig. mo o Dovotiss. 0 Ser. r0 40 Dino Peri. 3874 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria a Campoli, 5 maggio 1G39. Cibi. Naz. Fir. Appemlico ai Mss. Gal., Filza Favaio A, cnr. 207. — Autografa. Molto IU. ro et Ecc. ,no Sig. r mio P.ron Col." 10 Credo sia stata condotta una catasta di loglio, elio costa lire trontuna e mezo; o por il portatoro della presento lettera mando staia soi di farina, che con poliza o vettura costa lire ventiuna. Ho mandato anche il panicho; ma non credo già elio ancora sia stato portato, so bene credo che non sia per in¬ dugiare. Tra pochi giorni, quando sarà tempo più opportuno, manderò i mar¬ zolini; e poiché por tutta la prossima settimana mi bisogna patire il desiderio di veniro in persona a roveriro V. S., la suplico in tanto a onorarmi con i suoi comandi, se mi conosco atto a poterla servire in cosa alcuna, mentro co ’l lino, io pregandoli dal Cielo intera prosperità, gli faccio debita reverenza. Da S. ta Maria a Campoli, 5 Maggio 1639. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dovotiss." 10 e Oblig. mo Se. ro P. Alessandro Min ci. 3875 **. DINO PERI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 11 maggio 1C30. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 122-123. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m0 Sig. r o P.ron mio Col. 1 " 0 Mi riuscirà questo anno ancora l’bavero una di quelle pezze di calis di Lione, come l’anno passato, per il prezzo di cinque pezzo, e mi conterrò no’ co¬ lori significatimi da V. S. molto 111.™ et Ecc. lna , col trascorro ancora dolio mi- io Niccolò Fantoni-Kigoi. **> Gherardo Saracini. l 3 > Alessandro Marsili. 48 11 MAGGIO 1639. |8875] glieli. Non ho hauto tempo a sufficienza di faro talo scelta a mio modo, ma si assicuri elio sarà, servita o bone. Calzette di Francia vengono di starno, ma dello piccolo non no ho ancor trovato. Vedrò lo botteghe tutto affatto, por faro il possibile. Di filaticcio non no ho ancor trovato, nè grande nè piccolo, in questi mercanti forestieri. Di quello di Pisa non ne tratto, por essere care o cattivo. io Quanto allo perpetuano di larghezza d’un braccio o mezo, sono questo anno tenute por l’ultimo prozzo in crazie 20 il braccio, sondocone più carestia del¬ l’anno passato, elio si hobbero a tre giuli. Co no sono dello mistie, o co no sono di tutti i colori, sì elio mi par superfluo il mandare i saggi, porchò basta elio chi si ha da contentare dica Voglio il tal coloro, o io la provvederò, o scorro dello migliori. Con tutto ciò volevo mandare i saggi ancora di dimolte, ma perchè questi fondachi sono ancora in fiera, dove protendono o sperano di ven¬ der tuttavia a pozzo intero, non lo vogliono scucirò por tagliarne saggio; o un pochino, cho ciondola rasento un marchio di piombo, o di coloro imbrattato, dico malamente il vero. Gno no mando non di meno quattro saggi, staccati 20 donde meglio si ò potuto con gran diligenza. Quanto alla nipotina, la roba fiorita eli’ io lo mandui, non mi parvo 0 non mi paro veramente a proposito, per esser roba grossa troppo, ancorché vistosa; 0 della più fine, di tal matoria, non no è comparsa; anzi elio quella cho ci si Yode, ebo ò tutta grossa, è dell’anno passato. La mostra cho mi ha mandato V. S. ò durante, ma del più fino e bello eli’ io habbia visto a’ miei dì. Ce ne è ve¬ nuto a Pisa, ma poco; ma non ci ho visto ancor colori elio mi dieno tanta sodisfaziono a un pezzo, c, quel che più importa, sono più grossi. No volevo mandar qualche saggio a V. S., ma som pezzo intero cucito, cho non lo vogliono toccare di niente, 0 non ne ciondola marchio nè racimolo alcuno, sì elio sin so finita la fiera non posso ottenerne alcuna mostra. Avviso belio a V. S. cho questi duranti, sì conio certi mucaiardi stampati, vengono di Fiandra, 0 elio tal volta in birenzo si hanno a miglior mercato cho qua. Il prezzo di questi colorati a opere, 1 ultimo sarà qua 26 crazie. Intenderà se lo motto conto ctc., e so può haverne dol fino, conlorme a quello di elio olla mi ha mandato la mostra 0 che io qua sono fuor di speranza di trovarne questo anno. E tutto quello cho poi V. S. mi comanderà esequirò con ogni diligenza 0 con ogni affetto; ch’io sarò sempre tutto in tutto lo cose, e minime e grandi, dove io habbia a ser¬ virò il mio riveritissimo et adoratissimo Sig. r Galileo, al quale por lino bacio devotamente le mani. 40 Pisa, 11 Maggio 1639. Di V. S. molto 111.™ ot Eco. 1 "* Oblig.»" o Devotiss.» Sor.» Dino Peri. [3870] 13 MAGGIO 1639. 4‘J 3876 *. GIO. MICHELE PIERUCC1 a [GALILEO in Arcotril. Padova, 13 maggio 1639. Bibl. Est. in Modena. Raccolte Campori. Autografi, H. a LXXXV, n.“ 61. — Autografa. Molt’Ill. ro et Ecc. m0 Sig. r o P.ron mio Col. mo Lo resto con molto obligo por l’honoro elio ricovo dalla sua gentilissima, o della solita benevolenza clic por sua benignità, mi conserva. Subito ricovuta la sua lettera, andai dallo spozialo dell’Angiolo, qualo subito elio sontì parlar di lei, mostrò un’allegrezza e contento incsplicabilo, con segni di grand’affetto, ra- raentandosi d’ogni cosa elio gli seguì con lei quand’olia era qua, fino di quando mangiavano lo fragole insieme, mettendo ella lo frugolo o lui il zucchero, essendo lo frugolo in quel tempo delizia preziosa c rara. Mi dico elio ha sompro conti¬ nuato o continua a preparar l’aloè col sugo di roso, con la medesima et anco io piil esatta diligenza, ma elio adesso non n’ha se non del vecchio, cioè preparato dell’anno passato, o elio bora appunto comincierà, a prepararne di nuovo nella raccolta delle nuovo roso. Ho voluto non di meno mandarlo un poco di questo elio egli si ritrova di presento, ridotto in pillole piccolo conformo al solito, del quale egli non mi ha voluto dar più d’un’oncia, dicendomi elio questo per adesso 10 servirà,, e elio poi, subito che haverà preparato il nuovo, me no darà, quant’ella no vorrà,, o elio por amor suo vuol usare nella presento nuova proparaziono la maggior diligenza che v’babbi mai usata. M’ha imposto a più ripreso eli’io la riverisca con tutto l’affetto (sì conio fo) in suo nome, ringraziandola cho ella tenga memoria di lui. 20 La presento lettera et alligata scatoletta con lo detto pillole d’aloè glieno mando per via do’ giovani di casa dell’ Ill. mo Sig. r Residente Rinuccini, qualo adesso si ritrova costà, in Firenze. Domani qua sarà, l’ultima lezzione di quest’anno, per quanto si dico da questi Sig. r ‘ dottori o scolari, sì elio, per grazia di Dio, bavero finito il mio noviziato in questo Studio, con molta mia sodisfaziono o contonto, o potrò adosso studiare a mio modo e con intera libertà,. La memoria di V. S. Ecc. 104 in queste parti è freschissima appresso tutti, et 11 suo nome e la sua fama è stimata c riverita in sommo grado; et io ricevo por tutti i versi congratulazioni d’haver liavuto fortuna d’esser tra’ suoi servi- so tori e d’esser fatto partecipo della sua benevolenza et anco, in qualche parte, della sua dottrina e do’ suoi documenti: così havessi io potuto non attender ad altro, e lasciar la logge da banda, come volentieri l’havorei fatto! Ma Dio ha xv 111. 7 DO 13 — 24 MAGGIO 1039. [3876-3877] voluto così, e, corno (lice il Sig. r Sdoppio' 1 ', la logge mi dà la pagnotta, o per questa via della lettura non mi impedisce il poter ancor attendere ad altri studi più nobili, o particolarmente nella via o dottrina di V. S. Ecc.“*, si come procuro di faro, benché con passo di testuggine o molto volte interrotto. Il Sig. r Scioppio la riverisce con sviscerato alletto o Tania cordialissima- mente, acclamandola lo splendore del nostro secolo. Io poi lo vivo devotissimo, affezzionatissimo et obligatissimo (pianto mai si puoi essere, o come tale lo fo umile reverenza o lo prego da Dio ogni bene. 40 Padova, li 13 Maggio 1G39. Di V. S. molt’Ill/ 8 ot Ecc.“ a Devot.® 0 et Obl. B# Vero Ser." Gio. Michele Pierucci. 3877**. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Aratri, liolognn, 24 maggio 1G39. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gai, P. VI, T. XIII, car. 13fi. — Autografo. Molto Ill. ro et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col." 0 Ricevo favoro singolare dalla gratissima sua, mentre prima mi dà nuova del suo vivere men noioso dell’ordinario, ot insieme mi dà occasione (V impie¬ garmi ne’ suoi commandi. Io procurarò a tutto mio potere ch’ella resti servita delle 12 mortadelle per Mons. r 111.® 0 di Siena, meglio elio non fu l'altra volta, perché mi servirò d’altri, elio no havranno più prattica: perciò scriva puro a chi le ho da consigliare, chò subito lo farò. Quanto poi al mio venire costà, Iddio lo sa so io ci verrei più volontieri elio in alcun altro luogo del mondo, ma il mio malo non me lo permette, oltro a molto altro occupationi. Li man- darò poi anco insieme una copia della mia operetta'*', quale potrà far vedere io al Sig. r Dino, al qualo puro glie no farò parte, quando no babbi gusto: ma olla è robba tutta calculatotia, o erodo che V. S. Ecc.®* no restarà più tosto scandalizata che altro. Ma la conditiono del luogo e dol tempo mi ha necessi¬ tato a fare di questa robba. Farò le sue raccomandatami all’ Ecc. mo Sig. r Licoti, o li ricordarò del libro delle pietre lucifero' 8 ’. Non ho anco liavuto gratia di potor vedere il suo libro del moto. Ilo ben visto quello del Sig. r Balliani' 4 », il quale cita pure la Medianica di V. S. Ecc.®* o O) Gaspare Schopp. <*' Nuova prattica ustrolaejica di fare le dirct- tioni, fecondo la via rattonale e conforme ancora td fondamento del Kepplcro, per via di loyaritmi, di F. BoxAVK.vruHA Cavalieri, ccc. In liolognn, per il Forroni, 1080. Cfr. n.o 884C. Cfr. n.o 3824 24 — 27 MAGGIO 1639. 51 [3877-3879] fabrica sopra li suoi fondamenti, nò mi pare ch’egli procoda male; tuttavia l’ho lotto così in fretta: lo leggorò più attentamente, e poi gliono dirò più distin¬ tamente ciò elio me no pare. Intanto la riverisco con tutt’il cuore, o li prego quella consolatone e felicità d’animo ch’io desidero per me e elio sola è atta a prolungarci la vita; o li bacio affettuosamente le mani. Di Bologna, alli 24 Maggio 1639. Di V. S. molto 111." et Ecc.™ l)ev. mo et Oh. 0 Ser.° e Dis.'° F. Bon. ra Cavalieri. Fuori : Al molto 111." et Ecc. m0 Sig. r e P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo Galilei. Firenze. 30 Ad A ree tri. 3878 **, ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcctri]. S. Maria a Campoli, 24 maggio 1(530. Bibl.Nnz. Fir. Appoudico ai Mas. Gal., Filza Favaio A, car. 208. — Autografa. Molto 111." et Ecc. m0 Sig. r mio P.ron Col." 10 Credo cho sieno state condotte costì sino adesso n.° 190 fascine, o questa mattina no mando altro 90, che in tutto saranno n.° 280. Mando anche n.° dieci caci, cho a cinque crazie la libra costano lire undici. Intesi dal P. Clemente, con molto mio disgusto, come V. S. ora travagliata crudelmente da’ soliti dolori: piaccia a Dio cho io senta adesso qualche nuova della sua intera salute, mentre co ’l fino affettuosamente la rovorisco. Da S. ta Maria a Campoli, 24 Maggio 1G39. Di Y. S. molto 111." et Ecc. ma Dcvotiss.'" 0 o Oblig. mo So. ro P. Alessandro Ninci. 3879 **. ♦ VINCENZO RENIERI a CLEMENTE SETTIMI [in Firenze]. Genova, 27 maggio 1039. mbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIV, onr. 72. — Autografa. Molto 111." e molto R. P. in Cimato Oss. n>0 Non ha occasione alcuna la P. V. molto R. d’accusar mancamento alcuno per non haver potuto attendere alla correzione del mio libro 11 ', non havendo ella in ciò altr’ob- <*> Cfr. n.° 3439. 52 27 - 28 MAGGIO 1G39. 13879*3880] bligo elio quello elio le no poteva far credere la sua cortesi»; perciò sono superflue meco le scuso. Io pensava d’essor, subito fatto Pasqua, in Fiorenza: ma mentre era apunto por par- tiro, mi soprftvonno la fobro, clic con alcuni termini di terzana non ha mancato di farmi dubitare; o benché, por gratin di Dio,sia libero afatto, per ogni modo non sono in istato di poter fidarmi di viaggiare prima do’frcscbi. Tanto la implico di far intendere al Sig. r Ga¬ lileo: al quale potrà sogiungere elio dalle osservazioni fatte, e che da pochi giorni in qua io ho di nuovo incominciate, spero d’haver agiastato assai Viene il moto delle Medicee; ma che ogni volta più mi confermo che questo moto del primo multilo ohe ò stimato tanto uniformo, lmbbia qualche alteratione, non essendo possibile che nel moto de’ Pianeti Me¬ dicei siano le variationi che talliora vi Bcorgo di due o tre gradi, ma'«imo in questo tempo che la prostaphercsi dol l’orbe è pochissima. Et al’uno o l'altro, perchè la testa non mi reggo molto, bacio affettuosamente le inani. Di Genova, adì 27 di Maggio 1639. Di V. P. molto 111/ 0 o molto R. AfT. m ® ot OM. mo Sor.” P. elemento. D. Vincenzo Koiiiori. 3880*“. FERDINANDO BARDI a [GALILEO in Arcetri]. Parigi, 28 maggio 1030. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B » LXTV, n. # 121 — Autografo la tinta e la solfr scriziouo. Molto 111/ 6 Sig/, mio Sig/ Oss. rao Stimerò sempre a mia gran fortuna quando V. S. si compiacerà di coman¬ darmi; o perchè l’occasioni non si presentano, o la mia poca abilità non mi permette di poterla servire in cose maggiori, godo almeno d’essere impiegato da loi nello piccolo, servendomi questo, so non per altro, per esser conservato nolla sua memoria. Non mancai di dar subito recapito alla lettera per il Sig/ Deodati, quale dovrà per altra strada havergli fatto risposta. Spesso facciamo commemorazione di V. S. il Sig/ Grozio, Imhasciatoro di Svezia, et io; o veramente questo virtuosissimo personaggio stima quanto con¬ viene la sua persona o valore. Mori il povero Padro Campanella, clic ancora io egli era suo gran parziale, come son generalmente tutti quelli cho son disap¬ passionati o intendenti. Piaccia a Dio di conservarcela ancor lungo tempo per ornamento della nostra patria, mentre io lo bacio con tutto l’affetto lo mani. Parigi, 28 Maggio 1639. Di V. S. molto 111.* Aff. 1 " 0 Ser/° Fordinando Bardi, [3881-38S2J 1° — 3 GIUGNO 1039. 53 3881 **. DINO PERI a [GALILEO in Arcotri]. Pisa, 1° giugno 1G39. Bibi. Naz. Flr. Mss. fini., P. I, T. XII, car. 124. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. re o P.ron mio Col. -0 Ricevo la cortesissima lettera (li V. S. molto 111.” et Ecc. mn de’ 27 di Maggio. A i ringraziamenti di clic ella mi honora rendo io grazio infinite, o lo resto maggiormente obligato, so maggiore può esser l’obligo ch’io professo al favo¬ rirmi olla do’ suoi comandamenti. Mi dispiaco in estremo la pertinacia dello suo (loglio, o vorrei in qualche ma¬ niera potere sollevar V. S. da esso c da qualunque altro travaglio. Il mio ritorno costò, sarà subito ch’io possa osser licenziato, e si spera questo anno che la libertà sarà data a’ 9 o a’ 10 del presente, sì elio io, se questo io sortisce, farò a Firenze la Pasqua della Pentecoste. In tanto ringrazio V. S. del felice viaggio che ella mi desidera, e sto ancor io numerando i giorni e lo boro del mio ritorno, per consolarmi con la sua presenza o fruttuosissima conver¬ sazione. Il Sig. r Marsilii mi par d’intendere che sia fuor di Pisa, non so so a Li¬ vorno; ma V. S. si tenga risalutato con affettuosi saluti o duplicati. Il Signor Iddio la conservi e le conceda prosperità. Pisa, p.° Giugno 1639. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. raa Oblig.'" 0 c Dovotiss. 0 Sor. 0 Dino Peri. 3882 . GIO. MICHELE PIERUCOI a [GALILEO in Arcetri]. Padova, 3 giugno 1039. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 128-129. — Autografa. Molt’Ill. et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col.® 0 Ilo fatto lo sue raccomandazioni allo speziai dell’Angelo w , al quale son state carissime, et egli la riverisce con tutto l’affetto; o tra tanto tira innanzi con somma diligenza la preparazione dell’aloè, la quale però sarà un poco lunga, <*> Cfr. n.° 3876. 54= 3 GIUGNO 1639. 13882] cioè ancora per duo mesi, havondo bisogno di tutti i soli dell’estate por pur¬ gare o lavar bene l’aloè col sugo di roso. Subito finita la detta preparazione, sarà mia cura mandarne lo duo oncio a V. S. molt’ 111. et Ecc."'*, sicomo di sodisfar lo speziale, corno ho fatto dell’oncia mandata, la quale per questo tempo della nuova preparazione credo che lo basterà; o caso non bastasso, non ci va altro che darmene un conno, chè subito da mo sarà servita di quanto io occorrerà. Veramente provo ancor io elio ancora qua lo fragole son squisito, e mi pre¬ paro a goder© ancora lo zatte, tanto lodato da V. S. Ecc.**, il cui purgatissimo gusto so che è superiore a quel d’ogn’altro ; però a quello in tutto o por tutto mi deferisco, o n’aspetto con ghiotto desiderio il tempo opportuno. È parimente verissimo cho qua i frutti di Bacco o di Pallado non arrivano di gran lunga a cotesti di Toscana, perchè qua Bacco ama troppo lo Naiadi, o Pallado diffondo troppa sapienza. Io però mi son provvisto in maniera, cho non m’accorgo d’essermi partito di Toscana, havondomi fatto condurrò il vino di Vicenza, quale m’ è riuscito molto saporito o spiritoso, o l’olio l’ho provvisto 20 a Venezia da un mercanto cho v’ò di Pisa, amico mio, quale me n’ha dato una quantità per tutto l’anno, tanto dolco o delicato che ’l butirro ne perdo; si che per bora lo coso non mi vanno male, o sporo meglio por Tavveniro, porchè sempro anderò pigliando maggior pratica dol pacso. Il Sig. r Scioppio continuamente scrivo, ot ha già finito più d’ottanta opero da dar fuori, et fiora n’ha una allo mani di gran considerazione, cho è l’inter¬ pretazione di tutta la Sacra Scrittura, qualo assicuro V. S. Ecc. m * cho sarà un’opera tremenda; et io ho quosta fortuna, cho di giorno in giorno cho la va tacendo, me la leggo o dà a loggor tutta. Non ha però stipendio alcuno da’ Ve¬ neziani, perchè egli non no vuol da nessuno, ma vivo dol suo o d’alcuno pon- so sioni cho ha, o sta molto commodamente. Ila ciotto questo paese, porchè dico tiovaivi la miglior aria per la sua complessione cho egli li abbia mai provato in luogo del mondo, ot anco per la libertà o quiete che vi si godo, insieme con la comodità delle corrispondenzo da tutto lo parti d’Europa. Egli con tutto l’af¬ fetto riverisce V. S. Ecc. m % o la ringrazia ch’ella conservi memoria di lui. Havemmo lo vacanze al tempo cho lo scrissi, et bora posso dir con verità o per prova cho qua i lettori nella lor professione son padroni, ot a Pisa son schiavi- Mi duole di non haver compagno di questo felicità ancora l’Ecc.™ Sig. r D. r Pori, sì come ci voriei poter haver tutti gli amici; ma spero in Dio che havorò una volta ancor questa fortuna: o veramente qua ci sarobbo bisogno d’un par suo, io perchè la matematica è per terra, e l’Ecc.™ Sig/ Argoli non attendo ad altro che a far dello natività, e di matematica non c’è pur uno scolare. Eroderò cho a quest’ fiora il Sig. r Peri sarà in Firenze, che però supplico V. S. Ecc. ,ua a ri¬ verirlo caramente in mio nome. 3 — 4 GIUGNO 1639. 55 [3882-3888] I/ni. rao Sig. r Rinuccini, Residente qua per il nostro Sor.'" 0 Gran Duca, ò signore di tanta gentilezza o cortesia, elio dispensa i suoi favori o lo suo grazio anco con chi non ha merito alcuno, sì conio ha fatto meco in molta copia nel tempo elio son stato a Venezia in casa sua, dove io ho contratto tanti obliglii o tanta servitù con questo Signore, elio gli sarò porpotuamento schiavo et amerò co sempre svisceratamente il suo nobilo ingegno o lo suo raro virtù. Ilo inteso elio a Venezia sono arrivato d’Olanda l’opero di V. S. Ecc. refc , che però ho dato ordine ad alcuni miei scolari, che vi sono andati, elio me lo por¬ tino, o l’aspetto domani o l’altro; o ringrazio Dio elio pur una volta potrò pascermi pienamente l’animo di vivando tanto nobili o singolari o tanto da mo desiderato, con pregar sempre S. D. M. elio ci conservi lungamente l’autore: mentre con tal desiderio lo rassegno la mia devotissima ot obliguta servitù o lo fo affettuosissima revorenza. Di Padova, li 3 di Giugno 1639. Di V. S. molt’IU. et Ecc.'" a co Dovot." 10 et Ohi. mo Vero Sor. re Gio. Miclielo Piorucci. 1/ 111." 10 et Ecc. mo Sig. r Cav. r Aloisio Valarosso, uno do i Riformatori di questo Studio, questa sera m’ha imposto elio da sua parto baci aftettuosamonto lo mani a V. S. Ecc. 1 "", sì corno fo, attestandolo che questo Signoro l’ama cordialissima¬ mente e la stima, come veramente è, per la fonico del nostro secolo. 3883 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Fironze. Venezia, 4 giugno 1689. Bibl.Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I.XXX, u.° 147. — Autografa. Molto Ill. re ot Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Mi do a crcdoro elio a quest’bora liaverà V. S. molto IH.” et Ecc." rice¬ vuto il pachetto con li suoi Dialoghi, venuti dall’Elziviro. Io non ho voluto elio sia mosso, so bene quel stampatore, contro ogni debito almeno di civiltà., non mo no ha mandato pur uno; ma havendone mandato un simile invoglio al Sig. r Giusti 10 , mo ne sono provisto di due, uno per 1*111.“® Sig. r Comissario An¬ tonino ,2 ’, l’altro por mo. Mi duolo non ne potere regalar di uno il P. Cavagliori suo, lettore in Bologna; ma tengo por fermo elio V. S. no lo favorirà. Giusto Wiffbldich. <*> Alfonso Antonini. 5G 4 — 7 GIUGNO 1639. [3883-3884] Ilo consegnato con questa lettera all’agente qui per 1’ Ecc. mo Sig. r Residente Rinutini (1) piastre vintiduo et tre quarti, residuo dello suo pensioncelle, da quali io mi è convenuto dotraro scudi tre, elio il Giusti dico liavor sposi noi porto del sudetto invoglio por la parte di V. S. Quanto alli pieghi mandati da Leidem, non si ò speso cosa alcuna, perchè io li feci capitare col mezzo dol nostro Sig. r Ambasciatore (2) . Ilo veduta copia di una lettera, paro scritta da V. S., circa il canochialo Napolitano et li nuovi scoprimenti (3) ; et creddo così sia, perchè non fa altro di¬ scorso se non che quoll’occlnalo aggrandisco, ma però per quollo non si ò osser¬ vata cosa di nuovo. E vcramonto è così, e paro elio fosso riservato lo scoprirò le novità a V. S. ; ondo è deplorabile da tutti li virtuosi la sua infirmiti., et io gli confesso che uno de’ maggiori dispiaceri clic io senta è questo, elio nasco 20 principalmente dall’amore elio le porto singolare, di poi anco dall’ interesso, cliè non spero di potere più nella mia vita ricovero il gusto elio incomparabile ri¬ cevevo dallo sue speculationi et osservationi. Prego con tutto il euoro Dio elio la consoli o coi dono della sanità o della pacienza, et gli bacio con tutto l’afletto le mani. Di Venctia, il dì 4 Giugno 1639. Di V. S. molto 111." et Ecc.' lla Dev Sei*. S/ Galileo. E. Fulgentio. Fuori : Ai molt*Hl." et Ecc. mo Sig. r , Sig/ Col." 0 Il Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. Con scudi d’argento vintidoi et tre quarti. 3884 . BENEDETTO CASTELLI n GALILEO in Firenze. Roma, 7 giugno 1G39. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 130-131. — Autografa. Molto 111." ed Ecc. mo Sig. re e P.ron Col." 10 Essendo stato fuori di Roma un mese al nostro capitolo generale, ritornato con buona saluto, ho ritrovate duo lotterò di V. S. molto 111/ 0 ed Ecc. ma , lo quali mi sono stato carissime, come ella si può imaginaro. È vero che e, prima del mio <0 Francesco Rinucoini. •*’ Giacomo Giustinian. <»> Cfr. n.° 383G. 7 GIUGNO 1639. D7 [ 3884 -] partire di Roma, dal Sig. r Benedetto Landucci e dal Sig. r Piovano Scalandroni' 1 ' ìio inteso nuove di lei, o tali elio mi hanno consolato tutto: ho lacrimato di tenerezza, perchè i sodetti Signori mi hanno scritto lo puntuali parole da V. S. pronunziato, le quali non possono voniro so non da altissima banda. Sia bene¬ detto sempre il nostro Salvatore Gicsù Christo, il quale ci chiama in diverso io bore del giorno, e per Sua infinita misericordia ci dà la morcedo di tutta la gior¬ nata, ancorché il lavoricro nostro sia stato solamonto nell’ultima bora. Sopra il tutto mi piaco elio V. S. prenda il buono ossempio, o veramente meraviglioso, della nostra cara o veneranda Madro Suor Elisabotta, la quale non ha altro gusto elio imitare continovamente il suo amato sposo Giesil Christo, o trionfa gloriosamcnto con lo croci dei travaghi, meritando ricovero grazie da Dio se¬ gnalatissime. Ella so no sta corno oro finissimo nella fornace ; o so bone le cose suo vanno segretissime, con tutto ciò il splendore delle suo virtù è tale, che continovamente si sentono coso di infinita maraviglia. Una sola voglio elio mi basti mettere in carta, la quale dà che dire a tutta Roma; prego però V. S. 20 riceverla con ogni circonspozziono, senza dar loco allo nostro passioni, ma lodi Dio nello Sue grandezze, e Lo preghi instantemento con ogni carità elio habbia misericordia dei peccatori, o di me in particolare, miserabile sopra tutti. Devo V. S. bavere inteso elio è morto di goccia il Rev. mo Padro Maestro di Sacro Palazzo (2) : bora sappia che tre anni sono questo Padro apparve in sogno a Suor Elisabotta, attraversato alla bocca di una sepoltura in atto di cascarci dentro, ed essa Suor Elisabetta porgendogli la mano l’aiutò da quel pericolo ; o dopo raccontando il sogno al Rev. m0 Padre Marino, Segretario della Congre- gaziono doli’Indico o suo Padre spirituale, li disse che un’altra volta non sa¬ rebbe riuscita la cosa noi medesimo modo. Di lì a pochi giorni il sodotto Padre so Mostro incorse in una gravissima infermità con pericolo della vita, ed essendosi raccomandato alle orazioni di Suor Elisabetta, fu in pochi giorni ridotto in buona saluto; o Suor Elisabetta disso prima che il Padro Mostro non sarebbe morto, ma che sarebbe stato averso o contrario alio cose di Suor Elisabetta, o elio poi si dovesse guardare alla seconda volta, chè non l’haverebbe campata. Simili pa¬ role la medesima Suor Elisabetta ha replicato più volto con diverse occasioni, a segno tale che io ancora tenevo per sicurissimo che in breve il sodetto Padro sarebbe morto; e più volte no ho ragionato con amici o con alcuni Signori o Padroni, od in particolare più e più volte con Mons. ro Cesarmi (3) , al quale pochi giorni avanti la mia partenza di Roma, incontrando noi il Padre Mostro o con- 40 trapassatolo, dissi a Monsignore: Io non vorrei essere nel stato del Padro Mostro. Hora è seguito che il giorno 31 di Maggio prossimo passato, la mattina intorno allo X hore e mezza, il medesimo Padre Mostro ha resa l’anima al suo Creatore ; <>) Bknbdktto Soat,androni. (®> Ferdinando Cesarini. ,a > Niccolò Riooaudi. XVIII. 8 58 7 GIUGNO 1639. [ 3884 ] noi qual giorno per a punto tre anni avanti il muletto Padre liavova fatta una gagliarda ed aspra riprensione a Suor Elisabetta nella chiosa della Minerva, trattandola da indemonia[ta] otc. In questo caso sono seguiti diversi particolari, che io non voglio stenderò in carta, ma sono di gran considerazione. Ho però inteso elio ha fatta una morto honoratissima o da buon religioso, in modo elio si può sperare elio Dio habbia limito misericordia di queU’anima; la qual cosa piamente viene creduta tanto più da quelli elio hanno intrinseca cognizione di Suor Elisabetta, quanto elio quosta buona serva di Dio, nel tempo elio il Padre go Mostro è stato informo, ossa ancora è stata travagliatissima, o tengono elio habbia patito, conforme al suo solito, por impotraro la sollevazione o la saluto dell’anima del Padre, effetto della sua ardentissima carità. Per tanto replico elio godo grandemente elio V. S. stia rimessa nella santa volontà di Dio o sopporti con pacienza i suoi travagli i, o li ricordo elio chi non ha croci non ò christiano. È ben vero che duo furono lo croci laterali a quella del nostro Salvatore Giosù Christo; in tutto dua furono crocefissi duo ladri; ma uno bestemmiò, o l’altro confessò gonorosamento Kos quidem (tigna patimur, e meritò la gloria dol Paradiso, o l’altro restò dannato. Io liaveroi molto coso da dire, ma so che ho da faro col più nobile intelletto elio si trovi, o elio intonde co molto meglio di me il buono ed il bollo; però non andarò più avanti in questo particolare, risorbandomi, so piacerà a Dio, diro molto coso a bocca, conio spero: e questa mattina 1’ Em. mo Sig. r Card. 1 Padrono mi ha dato buona intenzione di impetrarmi liconza elio io possa voniro a Firenze; e all’bora spenderemo molto tempo in questi discorsi, i quali soli sono necessarii alla nostra salute: o in tanto non manco, nò mancarò ogni giorno, ed in particolare nella Santa Messa, pregavo Dio elio ci conceda la Sua santa grazia. Quanto a’ suoi interessi particolari, li dico clic non ho cosa elio mi prema più, o non sono fuori di speranza in Dio di operare qualche cosa di buono; ma ci bisogna grande cautela nel negoziare, essendo il negozio pieno di traversie. ?o Quando vedrà il Sig. r Landucci, mo li ricordi servitore. Da Perugia mandai por il Ilov. mo Padro Abato di Badia a V. S. alcuno devozioni por lei o per tutta casa sua, o por Pierino in particolare : credo lo liaverà a quest’ bora riconto, elio siino in saluto dell’animo di tutti, acciò tutti uniti in carità possiamo godoro la fe¬ licità eterna. Bacio caramente lo mani al Padre Clemente, ed a V. S. fo pro¬ fonda riverenza, abbracciandola caramente. Mons. r Cosarmi li bacia lo mani. Roma, il 7° di Giugno 1639. Di V. S. molto 111." ed Ecc. 0 ” Vado distendendo corta specolazioncella elio ho fatta in Porugia intorno allo coso dol lago w Trasimeno; quando rilaverò finita, gli no man- 7 GIUGNO 1639. 59 [3884-3885] darò la copia. Mora ho riconta l’ultima di V. S. ; o quanto allo medaglie mandato, sappia elio hanno la benedizione straordinaria, elio ò la maggiore che conceda Nostro Signoro. Devotiss. 0 Ser. r0 o Discepolo Oblig. mo S. r Gal. 0 Don Bonod. 0 Castelli. Fuori: Al molto Tll. r0 ed Ecc. mo Sig. ro o P.ron Col.” 10 11 Sig. r Galileo Galiloi, p.° Fil.® del Sor." 10 Gr. D. di Toscana. 90 Fi ronzo. 3885 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in Arcetri]. Bologna, 7 giugno 1G39. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 138. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. mo Mando a V. S. Ecc. ,nn per la condotta dclli Mag. cl Pier Maria e Tosare Bandi una cassetta di 14 mortadelle, con uno delli miei libri ultimamente stampati quale prego a voler mostrare al Sig. r Pori ancora, c so li piacerà limo man- darò poi uno a lui ancora. Ho corcato con diligenza che resti servita, essendosi prese esse mortadelle dal primo che ne facci professione qua in Bologna, o da persona molto intendente: resta elio v’babbi o facci haver cura che non stiano in luogo nè troppo liumido nè troppo ascólto, perchè così usano qua. Del re¬ sto, quanto al pagamento io ero risoluto ch’olla non no sentisse incommodo io alcuno, ma le ricevesse senza spesa; ma poiché mi ricordo ch’ella, trattando meco di simili servigli, disse che restava più tosto disgustata, quando ella ri¬ chiedeva cos’ alcuna o l’amico lo voleva essentare dal pagamento, parendo che ciò fosso un levarlo l’animo di comandarlo altre volte, perciò io, che desidero tanto volte servirla quante si degnarà commandarmi, ho condesceso all’accettaro il denaro in sodisfatione della dozina di mortadelle che mi dimanda, o gliene ho aggiunte due, che sono le più grosse, quali goderà per amor mio, deside¬ rando che gli rieschino buone come ella lo vorrebbo, c non essendo tali, accet¬ tarli però la mia buona volontà di servirla. Ho dunque ricevuto da questi SS." Laudi £ 28.13.10 di moneta di Bologna per sodisfattiono della spesa 20 fatta. Ella però mi ha colto in un tempo eh’ io mi ritrovo raezo fallito, por bavero fatto una fabrica che mi costa circa 3000 lire di questa moneta, o Lett. 3885. 2. la condono — <0 Cfr. n.® 3877. 60 7 GIUGNO 1639. [8886-8886] questo por mia commodità o per resisterò più agevolmente ai rigori inevitabili della podagra: so ciò non fosse stato, havria con tale occasione riconosciuto maggiormente la prontezza o l’allotto dell’animo mio verso di lei in qualche cosa degna di loi. Ma a maggior commodo no riservo l’emenda. Circa il Balliani, non ho tempo di dire molto coso eh’ havroi a di[r]o; me lo riservo per un’ altra volta, et in tanto la riverisco insieme con L’ Ec.c. mo Sig. r Liceti, elio sta intorno a staffilare il Chiaramente nò si scorderà dell’opera dello piotre lucifore. E li bacio affettuosamente lo mani. Di Bologna, alli 7 Giugno 1639. 80 Di V. S. molto 111.” 3 ot Ecc.“* Doy. wo ot Ol). M0 Sor.” o Disc. llo) F. I3on. r * Cav. rl 3880 . VINCENZO RENIEllI a [GALILEO in Arcolri]. Genova, 7 glitRno 1631). Bibl. Naz. Fir. Mss. Gnl., P. Ili, T. VII, 2, car. -18. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. rao mio Sig. r Col ra0 Io vado ogni giorno più ripigliando lo forzo, ma la debolezza del capo, che por ogni poca fatica mi s’infiamma, por ancora non mi vuol abbandonare; che ò quanto posso dirli della mia salute. Vedo l’avvertimento ch’ella mi dii circa il crescer la prostaphercsi dell’orbo più sensibilmente ne’ tempi che Giove si trova opposto al solo, di quello elio faccia no’punti dello massimo digressioni del’epieiclo; o bench’io conosca eli’io non havea fatto sovra di ciò la debita considerationo, por ogni modo non mi par dallo osservationi passato poter in tutto levarmi qualclio scrupolo di questa anomalia del moto del primo mobile: o pur vado dubitando che in questi tempi, io ne quali la terra è più discosta dal sole, il moto diurno venga ad esser più tardi che non ò no’ tempi del perigeo solaro, o che oltro la solita cquatione do giorni naturali, ve ne sia bisogno d’un’ altra, cagionata dal mancar la ve¬ locita del moto diurno nello allontanarsi la terra dal sole apogeo, in cui ri¬ sieda la virtù motrice. Facciami gratia di pensarci un poco V. S. o dimeno il suo parere. Lasciai al Ser." 10 G. Duca in Pisa l’efomeridi dello Stelle Mediceo per tutto Fohraro o Marzo, e di quelle havrà S. A. Sor.'"' 1 con esso loi ragionato. Como “> Cfr. u o 3826, lin. 9-11. 7 — 11 GIUGNO 1G39. 61 [3886-3887] prima mi sarà concesso di poter affaticar la testa, vedrò di mandarle per un 20 anno a venire, o forai mi risolverò di farle stampavo per poterno mandar attorno più copie. I loro mezzi moti li tengo per agiustati, come anco lo massimo di¬ gressioni, nè altro mi resta che questo benedetto prostapheresi del’orbo di Giovo, elio nè alla Copernica nè alla Tyconica quadrano in tutto, se puro non v’ ò qualche irregolarità nel tempo. Egli è ben vero elio chi considererà la difficoltà del’ impresa non dovrà meravigliarsi so così subito non risponderà a capello ogni cosa. Dol suo libro no diedi comissiono in Amsterdam, o l’altr’ liicri apunto licbbi risposta che mi inviavano due essemplari, con una nave elio di giorno in giorno sto attendendo, o elio era divisa l’opra in tre tomi, dal elio stimo che vi siano so tutto lo fatiche di V. S. : o mi costano questo duo copio lino colà scudi dioci di nostra moneta. Questo è quanto m’occorre con lo presenti; e sperando elio passino presto questi giorni di caldo, attendo la stagion più mite per esser a riverirla, e lo bacio affettuosamento lo mani, come faccio al 1\ Clemente di S. Carlo. Genova, adì 7 di Giugno 1639. Di V. S. molto 111.” et Ecc." m Dov. n, ° et Obl.“° Sor.™ D. Vincenzo Itoniori. 3887 **. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Arcetri. Venezia, 11 giugno 1631). Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, cnr. 120. — Autografa. Molto Ill. r0 et Ecc. t0 S. r So no vieno por ordino publico, cusì ricercato da quell’Altezza, por fabricar corto ponto sopra l’Arno il S. r Bernardino Contino, ingegnerò ot protto del- 1 officio nostro dello aquo. Lo ho contesso venga a farle riverenza a mio nome. L lio accompagnato con duo mio righe : piacerà a lei ricovorlo et aggradire l’olììcio dol suo ossequio ; elio pregandola comandarmi, a V. S. molto 111.” et Ecc. te baccio le mani. Di Venctia, li 11 Zugno 1639. Di V. S. molto 111." Aff.* 0 Ser. Frane. 0 Duodo. Fuori: [-Ill.] re mio S. r L’Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei, Dot/ Mat/° R. la al S/ Mastro delle Poste di Fiorenza. Arcetri. 02 18 (iiUUNo 1030 . [3888] 3888 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri], Roma, 18 giugno 1089. Bibl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 110-142. - Autografa. U provento lott.-ra ai legge nitrosi a piig. 47-50 doli'opera: Della mìeura dell'acque eorrnli di Don Hhhoktto 1 antki.u, Monaco Cassinonsc, In Roma, por Francesco Cavalli, 1039. Questa stampa protento molto differenze formali e qualche manifesto errerò, a confronto della lozione dell’autografo inviato a Uzuuo e da noi riprodotto, o dopo lo parolo «con lo scarso misure nostre» (lin. 162) omotta lo liti. 162-167 e, invoco, soggiungo uu brano, che noi pubblichiamo appiè di pagina. Molto 111." Sig." c P.ron Col. B0 Per sodisfare a quanto promisi a V. S. molto 111." con lo passato mio' 11 , di rappresentargli corta mia considerazione fatta sopra il lago Trasimeno, li dico elio a’ giorni passati ritrovandomi in Perugia, dove si celebrava il nostro Capitolo gonoralo, havondo inteso ebo il lago Trasimeno, per la gran siccità di molti mesi ora abbassato assai, mi velino curiosità di andare a riconoscere oculatamente questa novità, e por mia particolare sodisfaziono ed anco per potere riferire, venendo l’occasione, a’Padroni il tutto con la certezza della visiono del loco. E cosi giolito alla bocca dell’emissario del lago, ritrovai elio il livello della superficie del lago era abbassato cinque palmi romani in circa dalla solita sua altezza, in modo io elio restava più basso della solia dell’ imboccatura doU’cmissario quanto ò lunga la seguente linea i- - 1 ; o però non usciva dal lago punto d’acqua, con grandissimo incommodo di tutti i paesi o castelli circonvicini, por rispetto che l’acqua solita di uscirò dal lago fa macinare 22 mole di inolini, 10 quali non macinando necessitavano tutti gli habitatori di quei contorni a ca¬ ulinare lontano una giornata e più por macinare al Tovere. Ritornato elio fui in Perugia, seguì una pioggia non molto grossa, ma continovata assai ed uni¬ forme, quale durò por ispazio di otto boro in circa ; o mi venne in pensiero di volerò essaminare, stando in Perugia, quanto con quella pioggia poteva essere cresciuto il lago o rialzato, supponendo (come havova assai del probabile) che la 20 pioggia fosso universale sopra tutto il lago, ed uniformo a quella elio cadeva in Perugia: o così preso un vaso di vetro, di forma cilindrica, alto un palmo in circa o largo mozzo palmo, ed havendogli infusa un poco d’acqua, tanta elio coprisso 11 fondo del vaso, notai diligentemento il segno dell’altezza dell’acqua del vaso, o poi 1 esposi all’ aria aperta a ricevere l’acqua della pioggia, elio ci cascava dentro, o lo lasciai staro per ispazio d’un’hora; ed havondo osservato che nel '»> Cfr. n. n 3881. 18 GIUGNO 1G39. G3 [3888] dotto tempo l’acqua si era alzata noi vaso quanto la seguente linea i- 1 , con¬ siderai che se io havessi esposti alla medesima pioggia altri simili od eguali vasi, in ciascheduno di essi si sarebbe rialzata l’acqua secondo la medesima so misura: o por tanto conclusi, che ancora in tutta l’ampiozza del lago ora ne¬ cessario clic l’acqua .si fosso rialzata nello spazio d’un’ bora la medesima mi¬ sura. Qui però mi sovvennero duo difficoltà, elio potevano intorbidare od alte¬ rare un tale effetto, o almeno renderlo inosservabile, lo quali poi, considerato beno e risoluto, come dirò più abasso, mi lasciorono nella conclusione ferma elio il lago doveva essere cresciuto nello spazio di otto bore, ebo era durata la pioggia, otto volto tanto. E mentre io, di nuovo esponendo il vaso, stava re¬ plicando l’operaziono, mi sopravenne un ingognoro por trattare meco di certo interesse del nostro monasterio di Porugia; o ragionando con esso, li mostrai il vaso dalla finestra della mia camera, esposto in un cortile, o li communicai 40 la mia fantasia, narrandogli tutto quello elio io liavova fatto. All’ bora m’av- viddi elio questo galant’huomo formò concetto di ino elio io fossi di assai dobolo cervello, imperoccliò sogghignando disso : Padre mio, v’ ingannato ; io tengo che il lago per questa pioggia non sarà cresciuto nè mono quanto ò grosso un giulio. Sentendolo io pronunziare questa sua sentenza con gran franchezza o rosolu- ziono, li feci instanza clic mi assegnasse qualche ragiono del suo dotto, assicu¬ randolo elio io baverei mutato parerò alla forza dello suo ragioni; cd egli mi risposo, clic haveva grandissima prattica del lago, o che ogni giorno ci si tro¬ vava sopra, o elio era molto beno sicuro elio non era crosciato niente. E fa¬ cendoli io puro instanza che mi significasse qualche ragiono del suo detto, mi 50 mise in considoraziono la gran siccità passata, o elio quella pioggia era stata come un nionto per la grande arsura : alla qual cosa io risposi : « Signore, io pensavo elio la superficie del lago, sopra dolla quale ora cascata la pioggia, fosso bagnata » ; e che però non vedevo come la siccità sua, elio era nulla, potesso bavero sorbito, per così diro, parte nessuna della pioggia. In ogni modo, per¬ sistendo egli nella sua opiniono senza punto piegarsi por il mio discorso, mi concesso alla fino (crcdd’ io per farmi favore) cho la mia ragione era bella o buona, ma cho in prattica non poteva riuscire. All’bora, per chiarire il tutto, io feci chiamare uno, o di lungo lo mandai alla bocca dell’emissario del lago, con ordine cho mi portasse precisamente raguaglio come stava l’acqua del lago oo in rispetto alla solia dell’imboccatura, flora qui, Sig. r Galileo, non vorrei cho Y. Sig. r,a pensasse cho io mi liavessi accommodata la cosa fra lo mani per staro su 1 lionor mio: ma mi creda (e ci sono testimoni! viventi), che ritornato in Porugia la sera il mio mandato, portò relazione che l’acqua del lago comin¬ ciava a scorrere per la cava, o cho si trovava alta sopra la solia quasi un dito in grossezza; in modo che congionta questa misura con quella che misurava prima la bassezza della superficie dol lago sotto la solia avanti la pioggia, si 64 18 GIUGNO 1639. 18888 ] vedova elio l’alzamento del lago cagionato dalla pioggia ora «tato a capello quelle quattro dita elio io liavovo giudicato. I>uo giorni dopo, abbattutomi di nuovo con l’ingegnerò, li raccontai tutto il fatto, e non seppe elio replicarmi. Lo duo difficoltà poi, elio ini erano sovvenuto, potenti a conturbarmi la ?o mia conclusione o almeno la osservazione, erano lo seguenti. Prima, considerai che poteva essere che spirando il vento dalla parte dell’emissario verso lo ri¬ viere opposto del lago, laverebbe caricata la mole o la massa dell’acqua del lago verso lo riviere contraposto, sopra delle quali alzandosi l’acqua, si sarebbe sbassata all’imboccatura doU’cmissario, o così sarebbe oscurata assai l’osserva- zionc. Ma questa difficoltà restò totalmente sopita dulia grande tranquillità dell’aria, elio si conservò in quel tempo, perchè non spirava vento da parto nessuna, nè mentre pioveva, nè meno dopo la pioggia. La seconda difficoltà, elio mi metteva in dubbio l’alzamento, ora elio li avendo 10 ossorvato costì in Firenze ed altrove quei pozzi elio chiamano smaltitoi, noi so quali concorrendo lo acquo piovane do’ cortili o caso non li possono mai riem¬ pire, ma si smaltisse tutta quella copia d’acqua, elio sopravieno, por lo mede¬ simo vono ebo somministrano l’acqua al pozzo, in modo elio (niello vene, elio in tempo asciutto mantengono il pozzo, sopravonendo altra copia d’acqua noi pozzo, la ribevono o ringoiano; così ancora un simile effetto poteva seguire nel lago, nel quale ritrovandosi (come ha del verisiniilo) diverse vene elio man¬ tengono il lago, questo stesso vono haverobboro potuto ribovere la sopravenento copia d’acqua per la pioggia, o in cotal guisa annichilare l’alzamento, ovoro scornarlo in modo elio si rendesse inosservabile. Ma simile difficoltà risolai fa- cilissimamento con lo considerazioni dol mio trattato Della misura dell’acqueW correnti (1) . Imperocché, havendo io dimostrato che l’abbassamonto del lago alla volocità dol suo emissario ha reciprocamente la proporzione elio ha la misura della sozzionc dell’emissario del lago alla misura della superficie del lago, fa¬ cendo il conto o calcolo ancora alla grossa, con supporre elio le vene suo fos¬ sero assai ampio o elio la velocità dell’acqua por esse fosse notabile nell’ingiot- tiro l’acqua del lago, in ogni modo ritrovai elio, per ingoiare la sopravenuta copia d’acqua por la pioggia, si sarebbero consumato molte settimane o molti mosi: di modo elio restai sicuro che sarebbe seguito l’alzamento, corno in effetto è seguito. E perchè diversi di purgato giudicio mi hanno di più posto in dubbio questo 10Q alzamento, mettendo in considerazione che essendo por la gran siccità, elio 11 aveva regnato, disseccato il terreno, poteva essoro elio quella striscia di tona elio circondava gli orli del lago, ritrovandosi secca, assorbendo gran copia d acqua del crescente lago, non lo lasciasse crescere in altezza; dico per tanto, 18 GIUGNO 1639. 65 [ 3888 ] clie se noi considerammo bene questo dubbio elio viene proposto, nella mede¬ sima considerazione lo ritrovammo risoluto. Imporochè, concedasi che quella striscia di spiaggia di terreno che verrà occupata dalla crescenza del lago, sia un braccio di larghezza intorno intorno al lago, e che, per essere secca, s’in¬ zuppi d’acqua, e però questa porzione di acqua non cooperi all’altezza dollago; no conviene ancora in ogni modo cho noi consideriamo, che essendo il circuito del¬ l’acqua del lago 30 millia, come si tiono comunemente, cioè ~ braccia fioren¬ tino di circuito, e por tanto ammettendo che ciascliedun braccio di questa stri¬ scia bova duo boccali d’acqua, o che di più por l’allagamento suo no ricerchi tre altri boccali, liaveremo cho tutta la copia di quosla porzione di acqua, cho non vicno impiegata nell’alzamento del lago, sarà ^ boccali di acqua; o po¬ nendo cho il lago sia 60 millia riquadrate, di 3000 braccia longlie, trovammo elio por dispensare l’acqua occupata dalla striscia intorno al lago sopra la su¬ perficie totale del lago, doverà essoro distesa tanto sottile, cho un boccale solo d’acqua venga sparso sopra — braccia riquadrato di superfìcie: sottigliezza tale J 20 olio bisognarà che sia molto minore di una sottilissima foglia d’oro battuto, ed anco minore di quel velo d’acqua che circonda le bollicino della stessa acqua; o tanto savebbo quello che si dovesse detrarre dall’alzamento del lago. Ma ag- giongasi di più, cho nello spazio di un quarto d’hora del principio della piog¬ gia, tutta quella striscia si viene ad inzuppare dalla stessa pioggia, in modo cho non habbiamo bisogno, per bagnarla, di impiegarci punto di quell’acqua cho casca nel lago. Oltre cho noi non habbiamo posto in conto quella copia d’acqua che scorre, in tempo di pioggio, nel lago dallo pendenzo dei poggi e monti che lo circondano, la quale sarà sofìiciontissima per supplire a tutto il nostro bisogno: di modo cho nò meno per questo si doverà metterò in dubbio ìso il nostro preteso alzamento. E questo è quanto mi ò occorso intorno alla con¬ siderazione del lago Trasimeno. Dopo la quale, forsi con qualche temerità inoltrandomi troppo, trapassai ad un’altra contemplazione, la qualo voglio rapprosentare a V. S., sicuro cho ella la riceverà, come fatta da me, con quelle cautelo cho sono necessario in simili materie, nelle quali non dobbiamo assicurarci di affermare mai cosa nes¬ suna di nostro capo por certa, ma tutto dobbiamo rimettere alle sane e sicure deliberazioni della S. a Madre Chiesa; come io rimetto questa mia o tutto lo altre, prontissimo a mutarmi di sentenza e conformarmi sempre con lo deter¬ minazioni dei Superiori. Continovando dunque il mio di sopra spiegato pensiero i to intorno all alzamento dell’acqua nel vaso di sopra adoperato, mi venne in mente, che essendo stata la sopranominata pioggia assai dobole, poteva molto bone intraveniro cho cadesse una pioggia cinquanta e cento o mille volto maggioro di questa, e molto maggiore ancora (il che sarebbe seguito ogni volta cho quelle gocciole cadonti fossero stato quattro o cinque o dieci volte più grosse di quello GG 18 GIUGNO 1039. [ 8888 ] (lolla sopramentovata pioggia, mantenendo il medesimo numero); od in tal caso è manifesto elio nello spazio di un’bora si alzarobbo l’acqua nel nostro vaso duo o tre braccia o forsi più : o conseguentemente, quando seguisse una pioggia simile sopra un lago, ancora quel tal lago si alzarobbo secondo l’istessa misura; o parimente, quando la pioggia simile fosso universale intorno intorno a tutto il globo torrestro, noccssariamento farebbe intorno intorno al dotto globo, iso nello spazio di un’bora, un alzamento di duo o di irò braccia. E perchè hab- biamo dallo Sacro Memorio elio al tempo del Diluvio piobbo quaranta giorni e quaranta notti, cioè por ispazio di 960 boro, ò chiaro elio (pianilo dotta pioggia fosso stata grossa dicci volto più della nostra di Perugia, Tal/amento doU’acquo sopra il globo torrestro sarebbe arrivato o passato un millio di porpondicolo; oltre ebo lo prominenze dei poggi o monti concorrerebbero ancora essi a fare crescere l’alzamento. E por tanto conclusi elio l’alzamento dell’acque del Diluvio tiono ragionevole convenienza con i discorsi naturali: ilclli quali so bollissimo che lo verità, eterno dello Divino Carte non hanno bisogno; ma in ogni modo mi paro degno di considerazione così chiaro riscontro, che ci dà occasiono di ado- ieo raro ed ammirare le grandezze di Dio nello grandi opero Suo, potendole ancora noi tal volta in qualche modo misurare con lo scarso misure nostro E li bacio le mani, pregandogli dal Cielo lo vore consolazioni. Di Roma, il 18 di Giugno 1G39. Di V. S. molto 111/ 0 ed Ecc.®* Dovotiss. 0 cd Oblig.*" Sor” o Dis. 10 S. r Gal . 0 Gal . 1 Don Bonod . 0 Castelli. Lctt. 3888. 102. Uopo con ?e teorie misure no «ire In stampa Romana ilei 1039 continua: Moltissime notizie ancora si possono dedurre dalla medesima dottrina/ le quali tralascio, pcrchì eiaiehcdunu da lì stato le potrà facilmente intendere, fermata Itene che haverà quitta Mnin'ina; che non i possibile pronunziare niente di certo intorno alla quantità dell’acqua corrente con comidcrare lido hi tempi ire mi tura volgare dell'acqua lenza In Velocità, ni come per il contrario chi tentile conto lohtmenle della velocità tenia la mi «lira commette■ relbe errori grandissimi. Impcrochì trattandoti della mi tur a del? acqua corrente, ì accettano, estendo l'acquo corpo, per formare concetto della tua quantità, comidcrare in uni tutte tre le dimensioni, cioì larghezza, pro¬ fondità « lunghezza: le prime due dimeniioni tono ottcrcale da tutti nel modo commune ed ordinario di mi- turare le acque correnti; ma viene tralaieiata la tersa dimensione della lunghezza, e foni tal mancamento ì stato a ornine no per cnere riputata la lunghezza dell' aequa corrente in un certo modo infinita, mentre non finisse mai di panare, e come infinita ì stata giudicala incotnprentibile e tale che non te ne poni bavere determinala notizia, e per tanto non i italo di està tenuto conto alcuno. Ma ie noi pià attentamente faremo rifusione alla considerazione nostra della velocità dell’ acqua, ritrovarono che lenendoti conto di etto, ti tiene conto ancora della lunghezza; conciosia cosa ohe mentre ti dice » La tale aequa di fonte corre con velocità di fare milito due milla canne per hora », questo in sostanza non ì altro ohe dire « f*i tale fontana teorica in un' Aora un'acqua di mille o due nulla canne di lunghezza » : «1 che, se lene la lunghetta totale dell'acqua corrente è incomprentibile, come infinta, si rende perii intelligibile a parte a parte nella sua velocità. E tanfo Insti per hora di havere avvertito intorno a questa materia, con iperanzu di spiegare in altra occasione altri particolari pià reconditi nel medesimo jiroposilu. [ 3889 ] 28 GIUGNO 1639. 07 3889 . BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in ArcctriJ. Bologna, 28 giugno 1639. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 114. — Autografa. Molto Ill. ro et Ecc . m0 Sig. 1 ' o P.ron Col. mo Nè più nobile nè più gradito dono potevo io ricovero dalla cortesia di V. S. Ecc. ma dell’opera mandatami, cotanto da me desidorata o elio contiene in sè tanto meraviglie. Io non havendo patienza che si legasse, gli lio dato una scorsa così sciolta; et in somma sono restato sopralatto dallo stupore, vedendo con qual nuova o singolare maniora ella si interni no’ più profundi secreti della natura, o con quanta facilità ella spieghi coso difficilissimo. Ferreum róbur et aes illi triplex circa pectus, fu detto di chi prima ardì solcare l’immensità dol mare et ingolfarsi nell’oceano; ma credo che ciò più ragionevolmente si possi io diro di V. S. Ecc. ma , che con la scorta della buona geometria o con la tramon¬ tana del suo altissimo ingegno ha potuto felicemente navigare l’immenso oceano do gl’indivisibili, de’ vacui, de gl’infiniti, della luco o di millilitro coso ardue e peregrine, ciascuna delle quali è bastante a faro naufragare qual si voglia por grande ingegno che sia. Oh quanto li sarà tenuto il mondo, che gli havrà Spia¬ nato la strada a cose così nuove e così delicate! quanto i filosofi, che impara- ranno quale è la vera via del filosofare ! Et io insieme gli dovrò tenere non puoco obligo, mentre gli indivisibili della mia Geometria (1) verranno dalla nobiltà e chia¬ rezza do’ suoi indivisibili indivisibilmente illustrati. Io non ardii di diro elio il continuo fosse composto di quelli, ma mostrai beilo che fra continui non vi ora 20 altra proportene che della congerie de gl’ indivisibili (presi però equidistanti, so parliamo delle lineo rotte e dello superficie piane, particolari indivisibili da me considerati); il elio mi metteva veramente in sospetto, che quello che ha filialmente pronuntiato, potesse esser vero. S’io havessi havuto tanto ardire, l’havroi pregata a non tralasciarne questa confermatione, so non per la verità di essa conclusione, almeno acciò altri più attentamente havossero fatto rifles¬ sione a questa mia nuova maniera di misurare i continui. Io veramente non havrei proteso tanto, conoscendo il mio puoco merito; ma lei con straordinario affetto ha voluto sollevarlo, con farmi così segnalato favore di honorare il mio Specchio (2> et il mio nomo con 1 ’ honorata mentione che si è 80 compiacciuta di faro : del che professo elio gli ne restarò eternamente obligato, “l Gfr. n.o 1970. “I Gfr. Voi. Vili, pag. 86-87. I 6S 28 GIUGNO - 1' luglio 1039. 1.3S89-3N90J accertandoci] elio so l’affettuosa mia servitù et amore che le ho sempre pro¬ fessato potesse ricovero più accrescimento, olii bora sana arrivato al colmo. La ringratio dunque (li un tanto favoro (li vero cuore, o dovo mi si po[r]gerà oc¬ casiono di contracambiarlo, farò ch’olla non habbi da d«*Mclorare[...]me la dovuta gratitudine. Io li ho datto una somplico scorsa, lasciai ndo] intatto lo dimostrationi, porch’era slegato. Mi riservo doppo elio sia legato a vederlo con accuratezza, o gli verrò poi dando raguaglio del gusto che no anderò ricevendo; ne farò anco parto all’Eco.™ 0 Sig. r Licoti, al quale non l’ho anco potuto far vedere: tuttavia, por ordino liavuto da lui un pozzo fa, la saluto caramente. io Quanto al mio libro U1 , s’olla ne volesse por qualche amico, mi avisi, cliò no la servirò subito. Godo elio lo mortadelle li siano giunto ben conditionate: cosi li rioschino di quella bontù. ch’ella desidera, sì corno desidero elio me no avisi. Ter tanto veda so in altro la posso servire, dio per fine la riverisco con ogni affetto, salutando insieme il Sig. r Peri, che boriimi Mirò. tornato, quale liavrò gusto veda il mio libro, o so gustar ù al no palato ne li provedorò poi d’uno. Saluto anco il T. Francesco o P. Clemente, o li prego dal Signor ogni vero contento. Di Bol. a , alli 28 Giugno 1639. Di V. S. molto 111.” et Ecc.' 1 Dcv. mo et Oh. 100 Sor.” o Disc. 10 so F. Bou. r * Cav. rl 3800. G10. BATTISTA ITALIANI a [GALILEO in Arcetri], Genova, 1» luglio 1639. Blbl. Naa.Ifir. Usa. Gal., P. VI, T. XIII, car. 115-116. — Autocrata lo Ila. 91-01 Molt* 111.” et Ecc. mo Sig. or mio Oss. m ° Ricevei l’ordinario passato la cortesissima lotterà di V. S. do’ 20 (li Giugno, insieme col libro do’ Movimenti locali, essendomi stata l’una cosa o l’altra oltre modo cara, tanto più elio per quanto io habbia dato ordino in più luoghi per baici il libro, e in Roma o in Fiandra et a Pariggi, non mi ò riuscito po¬ torio bavero: per tanto ne resto io tanto più obligato a V. S. Non fecci subito risposta perciò elio mi pareva raggionevole dirle insieme di Lavorio lotto, o per dir meglio trascorso, cliò a leggierlo o digerirlo bene vi vuole o più tempo o Ol Cfr. u.° 3877. 1 ° LUGLIO 1G39. 09 [ 3800 ] più otio. L’Ilo trascorso, dico, con grand’avidità o grandissimo mio gusto, e io riconosciuto in lui l’autore, ancorché non vi si fusso scritto il nomo. Io, conio in tutto lo altro opere di V. S., ho ammirato la dottrina, la novità o la chia¬ rezza, stimando oltre modo non solo lo coso principali, cioò principalracnto in¬ teso, ma lo accessorio, cioò a diro lo digressioni dotissimo o curiosissimo. Piaccia al Signoro lasciarci V. S. longamente, o con saluto tale elio possa participaro il mondo non solo delle coso elio prometto, ma di quollo cho la tinozza del suo ingiogno è atta a produr di nuovo. Ringratio V. S. pavimento della pacienza havuta in legger lo mio coso o dello considerationi cho vi fa. Io in vero ho giudicato cho l’esperienze si delibano por per principii dello scienze, quando son sicure, o cho dalle coso noto por lo 20 senso sia parto della scienza condurci in cognitiono dello igniote. Non ricuso però in questo ciò che V. S. mi prometto di questo particolare trattarmene un’altra volta, come anche io penso di raggionarno compitamente in un tratta- tello cho col tempo penso di publicaro in materia di loica, c mostrare come la scienza non opera altro in noi, o che il cercar lo causo spotta ad un altro habito, detto sapienza, corno ho accennato nella prefattionc dol libro do’ Moti, e sì come i principii dello scienze sogliono essoro deffinitioni, assiomi e potitioni, che queste nello coso naturali siano per lo più esporienzo, o sopra tali son fon¬ dato l’astronomia, la musica, la meccanica, la prospotiva o tutto lo altro. Rispetto alla propositiono cho io cittai nel suo trattato di Meccanica, di cui 30 V. S. non ha memoria, la priego ramemorarsi che altro volto, non so in qual occasione, io lo dissi che non ero sodisfatto di ciò cho scrivo il Guido Baldo della vito {1) , fondato su l’ottava dell’ottavo di Papo, so bon mi raccordo, o cho di questa materia no scriveva bone il Viota in un manuscritto di meccanica, cho per tale mi liaveva mandato da Napoli il S. r Gio. Batta Aijrolo; o perché Y. S. mi scrisse che io lo mandassi tal propositiono, come feci, Y. S. roplicò cho tal propositiono et opera ora sua, o perciò l’ho sempre tenuta o tengo por sua, tanto più cho così mi pare e dal suo stile o dalla sua solita sottilità c chiarezza: nel fino del qual trattato vi ò un discorso molto bollo della forza della percossa 12 ’, clic credo sia quello di cui fa mentione o in quosti suoi Dialoghi io o nolla lettera che mi scrivo. Rispetto a quel cho dice di haver scritto dello vibratami dol pendolo fatto nell’istesso tempo, o dell’osservationo do’ gravi cho con pari velocità discendono, io non ho veduto altro, solo quel cho scrivo ne i Dialoghi del Sistema. Anzi cho in quelli Y. S. dice qualche cosa, di che io sperava che ne dovesse dar più di¬ stinto conto in questi, cioò di haver ossorvato che il gravo discendo di moto naturale per cento braccia in cinque minuti secondi d’hora; sperava, dico, cho ,l l Cfr. u.o 51. «*) Cfr. Voi. Il, pug. 188-190. 70 l* LUGLIO lt>39. 13890] dovesse dir con elio ragiono ai è assicurata che ni:in cinque secondi, e massimo dove, a fogli 175 u> , V. S. dà. conto distinto di altre esperienze fatte in simil materia. E finalmente, perchè V. S. mi scrive che io le dica liberamente il mio senso, &o io lo dico sicuramente che tutto ciò elio ho detto di sopra non stimo che vi sia ponto di adulationo, perchè V. S. insegna al mondo molto cose nuove o bel¬ lissimo, mostrando in che consisto che lo machine picole non riescono in grande, o lo prova bollissimo particolarmente all’ottava propositione del secondo Dia¬ logo 12 ', alla qualo io arrivai con grandissimo gusto. Mi par benissimo provato ove consista non solo la resistenza al rompersi dello corde, legno, pietre e mot- talli, ma ancho dell’acqua, se ben di questa già V. S. me ne fooe parte altro volto con sua lottora (3) , in occasiono che io lo domandai aiuto in un sifTone alto circa 40 braccia, che non riuscì 141 : o tutti i discorsi in tal materia, che V. S. fa dello particollo di vacuo, ancorché io non no sia totalmente sodisfatto, ad ogni co modo le conosco per coso sotilissime e verissimo, servendosi di propositioni di mattematica molto sottili o molto a proposito, elio pur tale ò quella che ò a fogli 28 (5) . Tali ancho harei stimato ove ritrova la proportiono fra l’acqua o l’aria, se non fusso cho non mi è comparsa per nuova, perciò che V. S. con sua lettera altre volte me no foce parte 1 ®'. Tutto il discorso del secondo Dialogo è parimente molto dotto, nò io vi ho diflìcultà di considoratione : solo dosiderei che V. S. liavesse un tantino più dichiarato alla propositione prima 171 , cho il momento della forza in C al momento della resistenza è corno CD alla metà, di DA; corno ancho quel che dice a fogli 119, alla quinta linea (8 ’, cho i fila¬ menti sparsi per tutte le superficie dei cerchi è come so tutti si roducessoro 70 no i centri. Da ciò cho discorro a fol. 94 (9 ' et a fol. 161 (,c par che, sparan¬ dosi in alto un archibugiata, dovrebbe la palla far l’istessa passata, in distanza, verbi gr., di 10 palmi daH’archibuggio, tanto nollo scendere quanto nel salirò; il che nè credo cho riuscirebbe in fatto, nò paro cho si possa sciorer por lo condensamento dell’aria, perciò che non è questa, per mio aviso, tale altezza cho nollo scondero il gravo non osservasse la regola della duplicata proportiono in tempi uguali. In quanto a i principii posti a fol. 166 1 “', io gli ho por ve- rissimi, ma dubito so vi sia tanta ovidenza quanta par che sia necessaria no’ prin¬ cipii, cho nel resto poi vedo cho V. S. ha saputo cacciarne molto conchiusioni, che non ho ritrovato io : corno anche mi par molto bollo e sottile il quarto so Dialogo de i proieti, con quella aggionta noi fine, ove a fol. 286< 4,) ritrova la <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 212-213. Cfr. Voi. Vili, pag. 166-167. '*> Cfr. 11.0 2018. Cfr. il.» 2010. < 5 > Cfr. Voi. Vili, pag. 74. " ! > Cfr. il.» 983. «’> Cfr. Voi. Vili, pag. 156. Cfr. Voi. Vili, pag. 160, lin. 25. <»> Cfr. Voi. Vili, pag. 137. (,0) Cfr. Voi. Vili, pag. 200-201. “U Cfr. Voi. Vili, p&g. 205. <”» Cfr. Voi. Vili, pag. 811. 1° LUGLIO 1G39. 71 [8800-3891] ragiono della fune tesa, elio non si può riduro a total dirittura. Ciò poi elio dico nell’Appendice (1) fa conoscere elio se Luca Valerio tardava molto a compor la sua opera (! \ V. S. li levava la fatica. Io vedo che l’barò attediata, ma più mi convorchbo attediarla so io volessi lodar, cosa per cosa, tutto ciò elio por mio parere ò degno di tal lode ; perciò farò fine, con bacciar a V. S. lo mani o con rostar desideroso di ricever suoi commandaiuonti, o progarlo dal Signoro vista, salute et ogni maggior pro¬ sperità. 80 Di Gen. a , al pr.° Luglio 1G39. Di V. S. molto 111.*' 8 et Ecc. ma Ser. r Obb1. n,<> Gio. B.‘ l Baliano. 3891 . VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 1° luglio 1639. Blbl. Nnz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 117. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. n, ° mio S. r o P.ron Col.™ 0 Invio a V. S. Ecc." ,il l’inclusa lotterà per il P. Maestro Fulgontio Servita, nella quale il prego a far ufficio por ottener por me un pulpito por la futura quaresima. So quanto V. S. Ecc. ,n!l possa con esso lui, o perciò la prego ad accompagnar questa mia con duo righe, elio lo no terrò obligo particolare. Séguito l’osservazioni delle Mediceo, lo quali no’ congressi con Giovo non mancano di darmi da fare; e pur la mia vista è acuta a segno, elio li vedo il più dello volto anco quando toccano il limbo di Giove. Non dispero però del¬ l’impresa, o mi risolvo di portar a Settembre l’effemeridi di tutto l’anno a ve¬ lo aire; lo quali, so V. S. Ecc.“ a si compiacerà, metterò in stampa, con attestar lo osservatami da lei communicatemi nel riordinar i moti loro. Sto attendendo risposta ad un’altra mia lettera, o prego il molto II. P. Cle¬ mente a voler tal volta dar una vista alla stampa, per veder come camiha (3) . Che è quanto in frotta m’occorre ; et a V. S. Ecc. nia bacio affettuosamente lo mani. Di Genova, adì p.° di Luglio 1639. Di V. S. molto lll. re et Ecc. ma Cordial." 10 et Oblig. mo Sor.” D. Vincenzo Reniori. <»> Cfr. Voi. Vili, i»ng. 313. “» Cfr. n.° 217. < 3 > Cfr. n.» 3879. 72 8 — lù LUCILIO 1039. 13892 - 3898 ] 3892**, ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Areatri]. 8. Maria a Cainpoli, H luglio 1630. Blbl. Naz. Pir. Appendice ai Un. Gal., Fili» Fumo A. far . >9. - Autografo. Molto IU. ro et Eco." 0 Sig. r mio P.ron Col.* 0 Non c* ò alcuno atto (li virtù clic io eserciti con maggior mio guato, cho mantenoro la parola quando ho promesso di veniro da V. S., doro starei voi®* tiorissimo, impiegato in qualsivoglia basso servizio, non cho onorato sempre con multiplicati favori, o, quello cho io stimo sopra ogn’altra cosa, trattato (laici conio amico o acearezato con vive demostrazioni «li sincero a (Tetto. Forò può crederò cho non senza mortificazione alibi lasciato trascorrerò il tonnine cho avevo proscritto al mio desiderio, mercé d’una flussione ili t< sta o infiammazione d’ochi, cho per molti giorni m'ha tenuto in timore tale, cho mi sono astenuto anche dal bore. Ma adesso cho per grazia di Dio comincio a star bone, verrò» ben presto a mantenoro la promessa o farne un’altra, por aver sempro occa¬ siono (li esercitarmi in questa virtù. Mando altro 40 fascine o un paio di pollastro, cho costano una lira o quin¬ dici soldi; mentre co’l fino, baciando affettuosamente lo mani al P. Clemente, a V. S. faccio doluta reverenza. Da S. u Maria a Campoli, 8 Luglio 1030. Di V. S. molto III/* et Ecc.“* Devoti*-'*».* 0 o Oblig." 0 Se/ 0 P. Alessandro Nilici. 3893 *. VINCENZO RENI EHI u [GALILEO in A reetri]. Uenova, 15 luglio 163». Blbl. Est. in Modena. Raccolta CamporL Autografi, II* LXXXVI, n.« 1:11. - Autografa. Molto IR.” et Ecc. mo mio Sig." P.ron Col.™ È stato qui da me il Sig. Giovanni Bangio di Amsterdam, il quale se no viuio pei far riverenza a V. S. Eco.®* ; ond’io, cho non devo tralasciar occa¬ siono alcuna di salutarla, 1 ho voluto accompagnar con queste quattro righe. 15 - 10 LUGLIO 1G39. 73 [3893-3894] Sto attendendo risposta di due mio lettere (I) , e resto sommamente moravi- gliato che olla non iscriva, nò sto senza grande ansietà, della sua saluto. Questo ò quanto por bora m’occorre; et a V. S. Ecc. uia bacio affettuosa¬ mente lo mani. Di Genova, adì 15 di Luglio 1689. Di V. S. molto 111." et Ecc."' a 11 Sig. r Daniele w le bacia caramente lo mani. Dev. ,n0 et Oblig. mo Sor.* 0 I). Vincenzo Kenieri. 3894 **. ALESSANDRO MARSILI a [GALILEO in ArcetriJ. Siena, 1G luglio 1639. Blbl. Naz. Plr. Mas. fini., P. I, T. XII, cnr. 132. — Autografa. Molto 111." ed Eccl. ,no Sig. r et P.ron mio Coll." 10 Cito V. S. Eccl. m * accusi sò di lentezza in honorarmi do’ suoi favori, mi fa riconoscere lo mie mancanze in riverirla men spesso con mio lotterò; ma conio quello è effetto della di lei suprabbondante cortesia, così il secondo viene fatto da me per non infastidirla, procurando elio il Sig. r Tori, con quella gentilezza con la quale mi portava lo raccomandationi di V. S. Ecd. ma , anco rassegnasse a lei la mia devota servitù, il che spero che Labbia fatto. Il dono col quale mi lionora del suo non mon dotto elio curioso libro, al¬ trettanto mi è stato caro, quanto son sempre bramoso di imparare, e riconosco io non potere ciò meglio faro ebo col’oporo o maravigliosi parti dol subbiime in¬ gegno di V. S. Eccl. ma ; del quale come sono ammiratore, così desidero bavero capacità, di intendere le suo profondo speculationi, o non dubbiarne o revocarlo in dubbio, conio lei, con la sua somma modestia non scompagnata da tutto lo altre sue admirabili virtù, paro che richieda dalla mia tenuità. Vorrei elio V. S. Eccl. ma vedesse il mio quoro, chè lo riconoscerebbe non meno pieno d’affetto che colmo di veneratione verso i suoi gran meriti, o mi scorgerebbe altrettanto ambitioso di servirla di quello olio mi trovo infinitamente obbligato allo suo gratie. E con tal fine, rassegnandomeli devotissimo,' li prego dal’Altissimo l’allog- gerimento d’ogni travaglio con un agumento di molti anni c. ili tutto le felicità. 20 Siena, il 16 Luglio 1639. Di V. S. molto 111.™ od Eccl. ,nn Dcvot. mo et Qbbl. mo So. r ° Alessandro Marsili. «'» Cfr. nu.i 3886, 3891. Daniki.h Spinola. XVlll. IO 74 19 — 23 LUGLIO 1639. 13895-381X1] 8895 **. ASCANIO PIOCOLOMINI a GALILEO (in Aratri]. Siena, 1» Infilo 1039. Blbl. Noz. Plr. Vm. ani., P. I, T. Zìi, car. 134. - Ani U Mti*friilot>«. Molto 111. 1 * Sig. r mio Os9. mo Al S. r Dottor Marnili foci subito con la lettera congegnar il libro diV.S. 111 , cd alla risposta di lui mi rimetto del quanto egli • ne m i miniato favorito. Mi dispiaco infin all'anima elio la sua poca aiuti- non 1« lascia godere il saggio dol mio vino ; ma so almeno lo gu tas-e, prenderei animo di serbargliene qualcho poco per quando ella si fu ss e rihavuta. Ricontalo di’ il merito di lei e la grazia con elio ella mi tiene per suo vero servitore, mi tengono deside¬ rosissimo do’ suoi comandamenti, o però dove me ne manchi il favore, supplirò ' con pregarlo da Dio benedetto quella salute e prosperità che se le dove per i gloria dell'Italia: od affettuosamente le bacio le mani. 14 Siena, li 10 di Luglio 1639, Di V. S. molto 111." I)erot.° Ser. S. r Gali. A. A. di Siena. 3890. FULGEN7.TO MtCANZIO a GALILEO in Firmio. Venexia, SU Inolio 1639. Blbl. Naz. Flr. Mu. 0*1., P. IV, T. V, ear. 2H — Aalofrafa la ». Uo> riil. i . Molto 111.” ot Ecc. B0 Sig. T , Sig. r Col.* Vengo di villa, ovo mi son trattenuto dieci giorni, ma per fermarmi poche boro et ritornare per quattro soli giorni: sarò poi a Ycnotiu fermo per un pozzo. Trovo qui la sua lettera di 7, alla quale risponderò un’altra volta più sedata- mente : por bora rì contenti che lo dica, che quanto ul negotio io farò tutto quello cho mi ordinarti, ot qui a Venotia et per mezo del Sig. r Amb. r Veneto all Ilaia' 21 , se ella cosi vorrà; ma resto bene con maraviglia et del timore et della rissolutiono di V. S. molto 111." et Eoe.** dell’ invontione per ritrovare in ogni tempo la longitudine. Ilo memoria cho due volte venero soggetti di gran stima a trattare col P. Maestro Paolo di gloriosa memoria, elio intorno a tal M “> Cfr. n.° 3894. «*' UuCuMU UlL'BTlXIAN. 23 LUGLIO — 1° AGOSTO 1639. 75 [3896-3897] soggetto sempre andava meditando: uno di questi era un Scozzcso, elio havea in sò stesso la persuasione certa di esservi arrivato, l’altro un Tedcsclio, c’ havea puro la medesima fantasia; ot furono ambulilo disinganati dal sudetto Padre Maestro, elio non haveano colpito, ma erano lontani quanto ogn’altro ingegno che vi si sia intorno travagliato. Forsi elio questo gran secreto ora riservato al Sig. r Gallileo, inventore ot dimostratore di tanto meraviglie. So belio che una tal inventione non si rimuncrarebbe col dono di un regno ; et perciò un picciolo rogalo ricusato per non havoro potuto compir l’opera mi parerebbe un affronto notabile a quel Principe che 1’ ha fatto, et a modo nessuno consigliarci il ri¬ co mandarlo. Ma che si tratta forsi di religione o di fede? et forsi ò il comcrcio liumano dalla tiranido inaudita ridotto a tale, che un ingegno divino ot ado¬ rabile non può osscro riconosciuto da un Prcncipo di un segno di honore ot stima? Al mio ritorno lo scriverò più in lungo; trattanto ha il mio parere: et fa¬ cendo riverenza al Sig. r Ecc. mo Gcri (1) et al 11. m0 Padre Rinieri, a V. S. molto 111.™ et Ecc. ma prego solliovo maggioro o patienza, et li baccio le mani. Vcn. a , li 23 Luglio 1639. Di Y. S. molto 111.” ot Ecc. ma Dev. n, ° Ser. E. Fulgontio. £0 Fuori : Al molto 111.” Sig. r , Sig. r Col. 0 11 JSig. r Gallileo Galliloi. Fiorenza. 3897*. GALILEO a TGIO. BATTISTA BALI ANI in Genova], Arcetri, 1°. agosto 1639. Bibl. Biaidenso in Milano. Cassetta AF, XIII, 13, 1. — Originalo, d'altra mano. 111." 10 Sig. r e P.ron mio Col." 10 Altra, prosperità di corpo et altra tranquillità di mente, che quella che a me vien conceduta, mi bisognarebbe per condegnamente ri¬ spondere alla lettera di V. S. Ill. ma(a) , piena di cortesi affetti e di non meritate lodi. Differirò per tanto in altro tempo a satisfare a quella parte che è piena di benignità, e solo per bora dirò, et anco con bre¬ vità, alcuna cosa intorno alli particolari scientifici che ella mi tocca. C' Curi Booohineri. < s > Cfr. n.® 3890. 76 I* AG06T0 1639. [ 8891 ] V. S. 111.® 1 mi dice che voleutiori barellile sentito l’artificio col \ quale io mi sia potuto assicurare ch«- il grave d v* ce n denta a perpen- ! dicolo, partitosi dalla quiete, passi conto braccia di altezza in cinque h r minuti secondi. Qui due cose hi cercano: la prima *'• il tempo della scesa per le cento braccia, la seconda è il trovare qual parte sia questo tempo delle 24 horo del primo niobi!»* Quanto alla prima ope¬ ratone, la scesa di quella palla che io fo «condor© per quel canaio ì ad arbitrio nostro inclinato, ci dar » tutti i tempi non nolo cbdle cento braccia, ma di qualsivoglia altra quantità di caduta perpondicolare, atteso che, come ella mode dina sa e dimostra, la lunghezza del dotto canale, o vogliamo diro piano inclinato, è medi » proporzionale tra la perpendicolare elevarono di detto piano •* la lunghezza di tutto lo spazio perpendicolare clic nel mede-imo t* mpo *i passerebbe dal» mobile cadente: come, per in pio, posto che il detto canale sia lungo 12 braccia, o la sua perpendicolare elevazioni* sia mezo braccio, un braccio o due, lo spazi'» passato nella perpendicolare sarà braccia 288, 144 o 72, corno è manifesto. K< sta bora che troviamo la quantità del tempo delle sceso per il canale. Ciò otterremo dalla ammirabile \ proprietà del pendolo, che à di fare tutto le suo vibrationi, grandi o piccole, sotto tempi eguali. Si ricerca, prò una nW tantum, che dua, tre o quattro amici curiosi e pazienti, havendo appostata una stella fissa che risponda contro a qualche gno stabile, prono un pendolo di qualsivoglia lunghezza, si vadano numerando lesile vibrafoni per: tutto il tempo del ritorno della medesima fi* ha al primo luogo ; e questo sarà il numero delle vibrafoni di 24 bore. l>al numero di queste potremo ritrovare il numero delle vibrafoni di qualsivoglino altri pendoli minori e minori a nostro piacimento ; si chi* se, vgr., le nu¬ merate da noi nelle 24 bore fossero state, vgr., 234 567, pigliandomi altro pendolo più breve, col quale uno numeri, per esempio, 800 vi- brationi mentre che l’altro numerasse 150 delie maggiori, già havreuio per la regola aurea il numero delle vibrationi di tutto il tempo delle 24 bore: e se con queste vibrationi vorremo sapore il tempo della scesa per il canale, potremo con la medesima agevolezza ritrovare *> non solo i minuti primi, secondi e terzi, ma quarti c quinti, e quanto più ci piacerà. A ero è elio noi potremo pa-sare a più. esatte misuro con havere veduto et osservato qual sia il flusso dell’acqua per un sottile cannello, perche raccogliendola, et havendo pesata quanta no 1° AGOSTO 1639. 77 [ 3897 ] passa, vgr., in un minuto, potremo poi, col pesare -la passata nel tempo della scesa per il canale, trovare l’esattissima misura o quantità di esso tempo, servendoci massime di una bilancia così esatta clic tira ad un sessantesimo di grano. Questo è quanto all’artificio; il quale penso che ella stimerà osquisitissimo, ancorché poi volendo r,o sperimentare se quello che io scrissi delle 100 braccia in cinque secondi sia vero, lo trovasse falso, perchè per manifestare la estrema gofferia di quello che scriveva et assegnava il tempo della caduta della palla d’artiglieria dall’orbe lunare, poco importa che i cinque minuti delle 100 braccia siano o non siano giusti. Che Y. S. Illustrissima, benché approvi quelle sottigliezze che io arreco, in proposito di quei vacui disseminati, per la esplicatione della condensationc o rarefatione senza la necessità di introdurre la penetratione dei corpi o gli spatii quanti vacui, soggiunga poi di non restare intieramente appagato, io non me ne maraviglio, dovendo co noi con l’intelletto fare una mescolanza di infiniti e di indivisibili, quelli per la troppa grandezza, e questi per la piccolezza, soverchia¬ mente sproportionati all’intelletto nostro, terminato e finito: e bene a me sarebbe carissimo il sentire qualche sua contemplatione in proposito di questi due effetti, chè sono sicuro che sentirei concetti molto più rationabili di quelli che sono stati sin qui arrecati da gl’altri filosofi. Quanto al desiderare che ella fa di essere assicurata clic nella mia propositione prima del secondo Dialogo la forza della resistenza habbia la medesima proportene che GB alla metà di BA, mi pareva che fusse assai chiaro, mentre che si parla di prismi o di cilindri, 70 intorno al centro de’ quali siano circunfuse resistenze di eguali mo¬ menti : nella quale operatione casca il medesimo accidente che in¬ terviene nel vette AB, il cui sostegno sia in C, dove posti nella B_ J _A C minore distanza CB quan tisi vogliano pesi eguali, pendenti da distanze eguali, faranno la ìuedesima resistenza alla forza posta in A, che se tutti i detti pesi, ridotti in un solo, pendessero dal mezo di BC. E quando sopra di ciò gli restasse pure qualche dubbio (il che non credo), tenterò con più distinta dimostratione di rimoverlo. Che poi l’impeto della palla descendente dalla altezza dove dalla forza del fuoco fu cacciata, non racquisti, tornando indietro, giunta 78 1 ° AGOSTO 1039 . 13897] lo dieci braccia vicina all'archibugio, elio ella ebbe quando da prin-so cipio fu scaricata, da ino è tenuto per effetto verissimo; ma questo non altera punto la mia propostone, nella quale io dico che il grave: descendente da alto racquieta, nei medesimi luoghi della scesa, della forza che era bastanto a rispingerlo in su, (piando ne’ medesimi luoghi si ritrovò salendo. Ma questo effetto niente deroga dalla mia prima opinione e proposta, e forse da quello che già si legge nei luoghi da lei citati raccor si potrebbe ; ma è vero che, senza aggiungere io alcune nuove ossei*vationi, forse non potrebbe agevolmente esser com¬ preso. Ma il produrle ricerca un poco più di ozio e di quiete di monte di quella che di presente io posseggo: lo farò altra volta, quando ella oc pure me lo richiegga. Che poi il principio che io suppongo, come V. S. nota, a faccio 166, non gli paia di quella evidenza elio si ricercherebbe no’ principii da supporsi come noti, gli lo voglio concedere por bora, ancorché ella medesima faccia l’istessa suppostone, cioè che i gradi di velocità acquistati sopra V orizonte da’ mobili descendenti per diversi piani dalla medesima altezza siano eguali. Ilor sappia V. S. Ill. mn , che doppo haver perso la vista, e per conseguenza la facoltà di potere andare internando in più profondo propositioni e dimostrationi elio non sono le ultime da me trovate e scritte, mi sono andato nelle tenebre not- im turno occupando intorno allo prime e più semplici propositioni, rior¬ dinandole e disponendole in miglior forma et evidenza; tra le quali mi è occorso di dimostrare il sopradetto principio nel modo che a suo tempo ella vedrà, se mi succederà di bavere tanto di forze elio io possa migliorare et ampliare lo scritto e publicato da me sin qui intorno al moto, con aggiungervi altro speculationcello et in par¬ ticolare quella attenente alla forza della percossa, nell’investigationo della quale ho consumate molte centinaia e migliaia di boro, o final¬ mente ridottala ad assai facile esplicatione, sicliè altri in manco di mez’ bora di tempo potrà restarne capace. E qui voglio tornare a no dirgli che non ho memoria alcuna di quelle scritture elio ella dice essergli state mandate già come pensieri del Viette, da me afferma¬ togli essere miei; e però desiderarci di rinfrescarne, col suo favore, la memoria, et in particolare dello scritto intorno alla percossa, il quale non può essere se non imperfetto, essendoché quello nel quale Uctt. 3897. 79-91. La lesiono dol ras. ò, eTidentemonte, imperfetta. - 1° — 3 AGOSTO 1 G39. 79 [3897-3898] io mi quieto non è stato da me ritrovato salvo che da pochi anni in qua, nè io so d’haverne dato fuora intiera notitia. E qui con reve¬ rente affetto gli bacio le mani. Di Arcetri, il primo d’Agosto 1639. 120 Di V. S. Xll. ma Devotiss. et Obblig.™ 0 Serv. re Gal. 0 Galilei. 3898 *, DANIELE SPINOLA a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 3 agosto 1639. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Cam pori. Autografi, B » XC, n.° 70. — Autografo. Molto IH.* 8 et Eco." 10 Sig. r mio Oss. mo Non so s’io dalla soverchia cortesia di V. S. mi sonta più obbligato o con¬ fuso, tanto più elio l’obbligo è fatto maggioro dal vedermi privo di ogni me¬ rito, o la confusione è accresciuta dal conoscermi innetto a poterla servire in una minima parto di quel elio debbo; e l’uno o l’altra mi rendono inabile a ringraziarla del segnalato favore fattomi nell’inviarmi il suo libro, o dell’ecces¬ siva sua gentilezza nel chiamar debito questo cb’è stato un puro effetto della infinita umanità sua. Ma già elio io non vaglio a renderlo lo grazio dovute, accetti V. S. quelle elio io lo rendo, elio son lo maggiori eh’ io posso. Ho però io da dolermi ebo, por favorir me, V. S. habbia privato il suo amico di cosa tanto pregiata; poiché questo mi fa conoscerò di non esser da lei trattato del pari co’ suoi servidori più intrinsechi, come io desidero se ben no ’l inerito, de’ quali so non esser alcuno elio mi superi nella brama del servirla. Ma non posso negar dall’altra parto elio il dono non mi sia stato carissimo oltre ogni credere, c por esser opera di V. S., c per venire dalle sue mani. Ilo cominciato a leggerlo; nel elio faro, lo stupore in me supera quello elio io aspettava, per immaginarlomi uguale allo altro opero sue. Taccio quel eli’ io no sento, perchè, avvegna che io non habbia talento da capir tutto le maravi¬ glio die ci sono, veggio che parlando con lei non mi conviene dir altro. 20 Per lo resto, io stimo affatto privo d’ intelletto chi sente minor gusto nel leggero il libro di V. S. per la lezione di quello del S. r Gio. Battista Baliani. Non dovrei dirlo, perchè troppo è manifesto; ma già che V. S. s’è compiacciuta di accennarmene alcuna cosa, dico che veramente i supposti del S. r Gio. Bat¬ tista, appresso di ognuno, ban mestieri di gagliarda dimostrazione (corno scrissi pure a V. S. nella risposta alla cortesissima sua do’ 12 di Marzo, che dubito ora, con mio disgusto, elio non le sia pervenuta); or considerisi qual piacerò si può cavaro dalle proposizioni fondato sopra di essi, le quali molti stimano 80 3 — 5 AGOSTO 1G39. [ 3898 * 3899 ] che non. situi del tutto suo, perchè si vedo di dove potino esser tolte. Ma nel libro di V. S. son congiunto la chiarezza, U facilità, la novità, il dilotto, il pro¬ fitto o la maraviglia in ogni cosa, di modo che non di cernendosi qual vi habbia so pii\ parto, ai conosce camminar tutto allVcccsso con passi eguali. Non debbo però entrar di nuovo a parlare di quello che non so nè posso farlo conio dovrei. Pertanto Unisco raccordando a V. S. che a lei, che ni’ha legato con tanti obblighi, tocca di darmi comodità di cingliermeno in alcuna parto col servirla, so tanto vaglio; e mentre io aspetto suoi comandamenti,le bacio con riverente alletto lo mani e le auguro felicità. Di Genova, 3 di Agosto 1639. Di V. S. molto DI. 1 * et Ecc. m 1 Devoti s.° ed Obbligò S. w Daniele Spinola. 3899 **. VINCENZO RENI ERI n IGAI.II.EO in Aratori |. Genova, 6 adonto 1639. Blbl. Nas:. Fir. Mss. Clal., P. VI, T. XIII, e*r 149. — AuU*»r*fa Molto lll. ro et Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Col. 010 Questa è la quarta lettera t0 che invio a V. S. senza haver bavulo risposta sino ad bora di nessuna dello altro scritte, il elio mi cagiona estrema meravi¬ glia, tanto più elio il Sig. r Daniele ha ricevuto da Y. S. il libro et avviso del suo stato 12 ’. Starò pertanto attendendo con ansietà risposta di questa mia, che lo dovrà esser presentata dal P. 1). Vittorio della Rena. Mandai con l’ordinario passato l'etl'omeridi de’ due mesi avvenire ne' pianeti di Giovo a S. A. Ser." 1,1 , o credo elio havrnnno poco bisogno di correzione, havendo io conosciuto donde nasceva la varietà nelle osservatami, che era der- rivata dal contatto de’pianeti nel limbo di Giove, che prima che veramente W lo toccassero ora da ino creduto succedere, stante il perderli di vista. Tirerò manzi lo osservationi di quosti due mesi elio si potrà veder Giove, por poter poi 1 anno avvenire publicare l’effemeride, se cosi ella si compiacerà. Ihiggi ho havuto di Ajnsterdan tre copie del suo Dialogo nuovo, una delle quali ho data al Sig. r Daniele e l’altra promessa ad un altro amico. Che è quanto por bora m’occorre darli di nuovo, mentre, sperandola di rivedere a’ grimi freschi, lo bacio affettuosamente lo mani. Di Genova, adì 5 di Agosto 1039. Di V. S. molto DI.» ot Eco. 1 "* Pev. n,n Sor.™ I). Vincenzo Renieri. 2(1 Cl'r. un. 1 3886, 3801, 3893. <*' Or. n.* 039*. [31)00] 8 AGOSTO 1G39. 81 3900. GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma]. Arce tri, 8 agosto 1639. ( Blbl. Nnz. Fir. Mas. Ani., P. VI, T. VI, rnr. 98. — Copia ili mano ilol Ree. XVII, in capo alla qnnlo si leggo, (lolla stessa mano: « Copia dell'originale, fatto sorivoro dal Sig. r A. (1. » (cfr. liu. 12-13). Rcv. mo r.re e mio Sig. r Col. mo Mentre stavo aspettando lettere della P. V. Rev. ma , mi è pervenuto il trattato dello aecpie correnti, da lei ristampate (1> con l’aggiunta della sua curiosissima e ingegnosa lettera da lei a me scritta in pro¬ posito del lago Trasimeno e del diluvio universale registrato nelle Sacre Carte (2> : per lo che la ringrazio della memoria che tiene di me, e del procurare che il mio nome non si estingua, ma si vadia con¬ tinuando nelle memorie delle future genti. 11 libro mi fu mandato dal Ser. mo Gran Duca subito che l’hebbe io ricevuto, et io immediatamente me lo feci leggere, et in particolare in quella parte che non era nella prima stampa. Il lettore fu il molto R. P. Clemente di S. Carlo delle Scole Pie, scrittore anche de’ pre¬ sènti versi ; per meno tedio del quale sarò breve colla presente, e tanto più quanto per distendermi a più miei particolari non potrei arroccargli altro che suoi disturbi o condoglienze : tale è il mio com¬ passionevole stato. Lo compatisca, e nelle sue orazioni mi vadia im¬ plorando quell’aiuto che solo sperar si può per me dalla Divina mano. A i soliti amici cari Nardi, Magiotti e Borghi mi ricordi affet¬ tuoso servitore al solito, e non manchi talvolta di refìciarmi con 20 quattro righe di sua mano, la quale io con reverente affetto le bacio. D’Arcetri, li 8 Agosto 1639. Della P. V. Rev. ma Dev. mo et Obbligatisi 0 Seri Gal.° Gal. 1 La pioggia delle gocciole cadenti in un lago mi ha dato occa¬ sione, specolando nelle tenebre, di ritrovare il numero di esse goc- Lett. 3900. 9. Ser. n,> Sig. r Duca — 20. laccio — 26 speccolando — *'» Della miiura dell'acquc correnti di 1). Benedetto '** Cfr. a.® 3888. Castri.!.!, ecc. In Roani, per Francesco Cavalli, 1G39. XVIII. 11 62 6 — 13 AGOSTO 1639. [3900-8901] ciole in ogni data ampiezza di superficie con una regola stravagan¬ tissima e, per mio credere, remota assai da ogni immaginazionema non lio nè tempo nè mente di poterne al presente trattare, però mi riserbo ad altra meno importuna occasione. 3901 . BENEDETTO CASTELLI n GALILEO in Firenze. Homo, 13 ngotlo 1839. Bibl. Naz. Flr. Mss. (lai., P. VI, T. XIII, far. - Autografa. Molto III.™ ed Ecc. mo Sig." o F.ron Col. m0 Io non frcquonto molto il scriverò a V. S. molto Ill. ru od Ecc. m * por diversi rispetti, il primo ilo’ quali ò elio olla non può leggoro lo mio lettore por sò .stossa; ma tenga por sicuro elio la porto sompro scolpita nel cuore, « con quella veno- raziono elio devo no parlo o no scrivo ad altri. Ho fatta ristampavo quella mia operetta 1 *’, o nella aggionta 3 ho inserta la lettera dell’orinalo, misura del lago Trasimeno ,4 \ per hnnor mio o non per etor- naro il gran nomo di V. S., scolpito con caratteri eterni noi ciclo, in terra o in mare. Ilo ben caro elio ella si sia compiacciuta di quel pensiero, o starò con avidità attendendo quel modo, che mi accenna, di numerare lo gocciolo cadenti; io ed io in ricompensa, por l’ordinario elio viene, li mandarò un corto consulte elio ho fatto per poterò continovaro a macinare in tempi asciutti sopra il fosso doli’emissario del lago Trasimeno' 51 , nel qnalo ho limito occasione di promuovere il medesimo orinalo ad altro specolazioni importantissimo, dallo quali ancora vedo aperta una strada a gran cognizioni, od utili o curiose, nello quali, piacendo a Dio, penso di trattenermi quel tempo elio mi avvanza allo più necessarie occupazioni. Tutto sia a gloria di Ilio o por esercitare il dono dell’ intelletto ancora nolla contcmplaziono dello niaraviglioso opere Sue, ut per vi sibilla, quae facta sunt, invi sibilla pcrcipiantur. E li fo liumilo riverenza. Di Roma, il 13 d’Agosto 1G39. 20 Di V. S. molto 111.™ od Ecc. n! * Dovotiss. 0 e Olilig.** 0 Sor." o Dis. 10 S. r Gal. 0 I ) 0I1 Benod.® Castolli. Fuori: Al molto III.™ e d Ecc. 1 " 0 Sig.™ o P.ron Col.» >0 Il Sig. r Galileo [Galilei, p.]° Filosofo del Ser." 10 Gr. I). di Tose.» Firenze. 29. ri»»erbo — tM Cfr. Voi. Vili, pag. C31, lin. 15-129. •*» Cfr. li." 3900. ,3 ’ Cfr. p&g. 47-5G. «‘I Cfr. n.» 33S8. '*• L*autografo ili questo consulto ò nei Mss. Gal., interpoli, Tomo I, c»r. 30-3‘J [8902-8903] 13 — 16 AGOSTO 1039. 83 3902 **. FRANCESCO R1NUCCINI a GALILEO [in Àrcetrì]. Venezia, 13 agosto 1639. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B. a LXXXV1I, n.° f>. — Autografa la sottoscriziono. Molto 111.® S. r mio Oss." 10 et Ecc. mo V. S. è sompro meco con la virtù o col merito, et io son sempre con lei nel desiderare tutto quel elio possa esser di suo servitù) ; però la lontananza non ci priva di altro conforto, elio di quello elio mi toccheria nel goderò dolla sua presenziai convorsaziono, et a lei noi sentirsi vivamente riverire con la voce. Io ho ricapitata la lotterà da V. S. inviatami ; o desideroso di aumentar la mia obbligazione verso di lei col ricover spesse occasioni di servirla, lo bacio [intanto] affettuosamente lo mani. io Di Vonetia, 13 Ag.° 1G39. Di V. S. molto 111. Aff. mo et Obb.° Sor.® Sig. r Galileo Galilei. Fran. co Einuccini. 3903 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 16 agosto 1639. Bibl. Naz. Flr. Mss. (Ini., I\ VI, T. XIII, cnr. 153. - Autografa. Molto 111.' 0 et Ecc. mo Sig. r e P.ron Col.' 110 La lettera di V. S. Ecc. 111:1 mi ha sommamente consolato, intendendo ch’ella puro si conservi almeno con quella puoca sanità, elio l’età, li permette. Prego Tddio elio li dia tranquillità noll’animo, poiché non può liavorla compitamente nel corpo. Io li mandai quella mia oporotta (l) , non perchè olla si applicasse per in¬ tenderla, sapendo ciò essere molto malagevole allo stato suo, ma solamente per dargli quel contrasegno di osservanza o servitù eli’ io li professo e professarò sempre. È robba più proportionata a questi benedetti calcolatori elio al suo io purgatissimo intelletto, avezzo ad altissimo specolationi. E veramente ella ne ha <" Cfr. u.o 3877. 84 16 AGOSTO 1639. [3903] dato tal saggio in tutte lo suo oporo, e massime in questa ultima, che spalan¬ cando lo porte alla maraviglia di tutto il mondo, ha posto quei confini all’im¬ menso oceano delle scienze naturali, oltre ai quali non sarà lecito senz'altro, por grande ingegno che sia, a trapassare. Poiché chi potrà mai con più sodezza discorrere del vacuo, dell’infinito, del continuo, della rarefattiono e condensa¬ tone, della gravità, del moto, e di cento altro mille coso hello elio sono nel suo libro, più di loi? Io li diedi una scorsa superficiale, poi mi sono riapplicato per vederlo tutto con attcntione, o fra l’altro coso il pensiero della rarefattione o condensatone mi ò parso bellissimo; come anco ho havuto estremo gusto nel sentire cosi chiaramente spiegata la ragione della consonanza o dissonanza nella 20 musica, non havendo por anco potuto passare la prima Giornata; poiché mi nasce nuova occasiono di disturbi dalla Religione, o, per diro meglio, da quel Padre Teatino w ch’olla sa, il quale, so bene assentato dal nostro convento di Roma, opera puro cho la nostra Religione sia riformata conforme alla sua edu¬ catone. E però l’Em. ,no Sig. r Cardi. 10 Richi 11 Senese, nostro nuovo protettore, ci ha intimato una riforma, che . Cfr. nnJ 3263, 3297, 8803. « pigliarti opri bone, per giorno allibiti Alkbsasdro Hichi. a | tr „{ , < 3 » Dopo Che seguo nell 1 autografo una linea di <*>*A«cakio Piccolomii»!. scrittura, cho è accuratissimainonte cassata; di cui i*i Vikcrkxo Rkktrri. lo ultimo pardo sembra cho si possano leggere: <•) Cfr. n.° 3489. 1G - 19 AGOSTO 1639. 85 [3903-3905] L’Ecc."' 0 Sig. r Liccti ot io conserviamo sempre viva, la rii lei memoria no’ no¬ stri discorsi, e so li ricorda sempre affettuosissimo servitore. L’opera dolio pietre lucifere 11 ’ credo sia da lui composta, ma non anco stampata. Ha ben finito di stampavo un’opera di varii quesiti fattili (2 ’, no’ quali mostra la sua varia dottrina o molta cruditiono. Quando quella sia stampata non mancarò d’avisarla; o fra tanto la riverisco con ogni aft'otto di cuoro, o li prego da N. S. felicità compita. Di Bologna, alli 1G Agosto 1G39. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ,im Dcv. mo et Ob. mo Scr. re e Disc.'° E. Bon. ra Cavalieri. 3904 *. ORAZIO SERAFINI a GIANNANTONIO ROCCA [in Reggio]. Modena, 17 agosto 1639. Dallo pag. 133-131 doll’opora citata noli’ informnziono promossa al n.« 8053. _Con recensione che il Sig. Principe Leopoldo, fratello del Gran Duca, è stato a Modena, quando venne a levare la Sig. Duchessa di Parma sua Borelln< : '>, volse il moderno Sig. Principe venire nelli miei camerini, che S. A. mi ha dato in Castello, per vedere al¬ cune mio cosette fatte in quelli per un poco di passatempo: o con tale occasione venni a discorso delli cannocchiali del Fontana napolitano, del quale non mi disse miracoli ; e stabilì il medesimo Signor Principe che l’iride, che V. S. mi significò, fosse difetto delli vetri, e non d’altro. Mi soggiunse il Sig. Principe che il Galilei fa lavorare una macchina per il Gran Duca da lavorar cannocchiali, o si credo che dovrà essere cosa singolare.... 3905 . GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma]. Areetri, 19 agosto 1639. Bibi. Naz. Fir. Mss.Gal., I’. VI. T. VI, car. 99. — Copia di mano del soc. XYU, in capo alla qualo si leggo, dolla stossa mano: « Copia doli'originalo ». Rev. mo P.re e mio Sig. rc Col . m0 Sento ' 41 con diletto Papplicazione che la P. V. It. ma fa con l’in¬ telletto a nuove speculazioni, dependenti da questo suo ultimo trovato, e ne starò con desiderio aspettando di parteciparne, conforme a che ella me ne dà speranza. Quanto alla moltitudine delle gocciole cadenti sopra una superficie data et il modo del trovarla, gli dirò solo la con¬ clusione et operazione, lasciandone la dimostrazione al discorso di lei. Cfr. n.° 3909, lin. 6. 1*1 Cfr. n.° 8909, liu. 2. <») Margiikrita dk’ Mudici. ’ Cfr n.» 3897. 19 AGOSTO 1G39. 87 E Vedo ciò olio mi dico del modo di assicurarsi elio il gravo discenda per cento braccia in cinque secondi, il elio tutto caniina bollissimo. Io licbbi tal pensiero per altra strada, o stimai ebo a questo dovosso giovare il ritrovar un pendolo di tal lunghezza elio facesse le vibrafoni precisamente in un minuto io secondo; o perchè è cosa che richiedo diligenza o patienza, pregai il Padre Nicolò Cabeo, elio mi pareva atto a ciò et a molto maggior cosa, elio volesse cercarlo, et esso mi scrisse da Ferrara di bararlo fatto, o me no mandò la misura, elio ò come questa elio ò qui in margine m : ore dico elio il filo ha da esser longo quanto ED, o nel D sia il contro della palla gravo da applicatisi, dicendo elio in un secondo ritorna la palla nel luogo di dove partì. Questo, come V. S. vede, serve per un horrologgio da misurar molto cose che richiedono tempo breve, o particolarmente servirebbe a questi (sic) di misurar la scesa del gravo, ovo fosso una torre altissima. Per quello elio spetta alla condonsationo, intorno alla quale V. S. dico coso 20 belissime o sottilissimo, io così alla grossa mi andava fra ine immaginando che la materia sia atta a condensarsi, e elio rispetto a lei non sia absurda la pc- nctrationo (2) , già che paro assai chiaro che debba esser più materia in un cubo di piombo elio di pietra, o elio per la istessa raggiono no possa esser più in un cubo di aria densa elio rara, o elio V impedimento al penetrarsi sia solo fra le coso di sostanza diversa, nello altro no; cliò ancho il vetro vedo elio si piega, ondo la superfìcie interna si fa minore, nè io so salvarlo senza la ponc- tratione. Et in somma la materia è cosa sicura che ha quella natura che è piacciuto a Dio di darlo quando la creò, nè vedo esperienze elio mi assicurino elio la crea-sso impenetrabile. 30 Ciò elio dice nella propositiono prima del secondo Dialogo (3) , mi parvo veris¬ simo, e tanto più mi si conforma con ciò elio V. S. dico nella lettera: il poco scropolo elio mi resta è solo se, per quanto sia voro, si dovessi domandarlo in una petitionc. In quanto all’ impeto della palla descendonto dall’altezza ovo fu cacciata dal’archibuggio, non solo son sodisfatto di ciò elio dico nella lettera, ma ancho di quel che dice nel Dialogo, elio ho lotto di nuovo. Credorei però che chi havesso commodità di torre di grand’ altezza, potrobbono farsi dello esperienze a questo proposito, o non solo vedere se la palla dcll’archibuggio, il quale a questo effetto doverebbo esser molto curto, tirata perpendicolarmente all’ in giù, 40 andasse perdendo vigore, ma so spinta da stromento di forza minore, corno da una balestra, perdesse di velocità; parendomi, ma non so per elio raggione, (, t Nel mnrgiuo ò sognata una linea, lunga min. 223. m Di fronte allo Un. 19-22 ò scritto in mar¬ gino, (V altra mano: « vedi nel libro, a cario Gl, verso il fino»; con lo quali parole ò fatto riferi¬ mento ai Diiconi e JJimotlrazioni matematiche intorno a (lue nuove ecìenze: cfr. Voi. Vili, pag. 10J-105. <») Cfr. Voi. Vili, pag. 15G. D 88 19 AGOSTO 1039. [3906-390?] elio possa essere elio la perda, o poi caminando avanti, possa esser che la riacquisti, so ben, come ho detto, par elio la raggiono voglia il contrario. In quanto al principio a fol. 166 è vero che anche io me no sono ser¬ vito, et è la mia settima petitiono, però con qualche duino non della veritA ma dell’evidenza, o con aggiongerli che i mobili gionti in un ponto da piani varia¬ mento inclinati, so poi habbiano pari inclinatione, sono egualmente veloci: che ò, per mio aviso, quell’ istesso che, senza haverlo posto per principio, V. S. sup¬ pone alla decima propositiono del 3° Dialogo * ; cioè elio il grave vada con l’istessa velocità per la BD, se noi ponto II sia venuto per V FB conio per w l’AB, ondo non venga ad importare che si sia fatto l’angolo ABE. Crodo però elio queste coso non delibali dar noia ad alcuno, mentre che son vero, come anello io le ho stimate e stimo verissime, e elio il mondo debba più tosto ami¬ rarlo elio riprenderle. Con quest’occasione dirò ancho che forse si poteva metter per principio quel che si dice a fogli 207, alla linea 20 u) , che quicunque yradus velocitati* sit in mobili, sua natura indclébiliter impressus de., da cui però no procedono tanto bello consoquonze, particolarmente nel moto de i proietti. Rispetto alla forza della percossa, so barò tempo, no farò ricopiare il di¬ scorso che è registrato nel suo trattato dello Medianiche 141 , o lo manderò a eo V. S.; alla quale baccio por fino afFottuosissimauicnte lo mani o priego dal Si¬ gnore saluto et ogni voro compito bene. Di Gon.*, a 19 Agosto 1639. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m » Vero et Oblìi. m0 Sor.™ Gio. B.* Baliano. 3907 . VINCENZO RENI EHI a GALILEO [in ÀrcetriJ. Genova, 19 agosto 1639. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal, P VI, T. XIII, car. 167. - Autografa. Molto Ill. r ® et Ecc. rao mio Sig. r « e P.ron Col. mo Ricevo finalmente lioggi una sua doppo molto aspettare, per la quale vede elio dello mio non ha ricevuta altra che quella che conteneva una inclusa a F. Fulgentio ; e certo resto molto di ciò moravigliato. Mandai l’effemeridi di due mesi al Seren.™ G. Duca, cioè Agosto o Sotteni bi e, et ho caro che elio siano capitate in mano di V. S. Io fino a qui, per quelk <*» Cfr. Voi. Vili, pag. 206. «*) Cfr. Voi. Vili, pag. 228-229. I» Cfr. Voi. Vili, pag. 2-13, lin. 17-18 Cfr. Voi. II, pag 188-190. 19 — 20 AGOSTO 1G39. 89 [3007-3908] elio lo ho riscontrate, vedo che caminano assai bene, c non v’ è bisogno d’altra emendatone che di sminuire un poco l’orbo del quarto e del primo; del che m’andrò di giorno in giorno assicurando, prima clic alterar la quantità, che da io lei viene assignata nelle suo ossorvationi. Potrà, avvertire chi lo riscontrerà, che quando s’acostano al disco di Giovo, in particolare il primo ed il quarto conio più piccoli dclli altri duo, si perdono di vista prima elio veramente siano giunti al contatto, il dio non suol accadoro cosi nel terzo, conio maggior degli altri, o poco nel secondo: conio anco so nel dissegno per disgratia lusso accaduto che in cambio di porno qualcho d’uno a levante elio andasse verso pononto, si puoi emendare col numero dello sessageno postoli di sopra ; boncliò io stimi che non sia occorso errore, o solo lo scrivo perchè quando mandai l’elFemeridi, por la fretta del corrioro non hebbi tempo di riscontrarlo col’originalo. Sto legendo il suo libro, elio puro finalmente mi gionso d’Amsterdam, con no un gusto straordinario; o so non elio lo dimostratami di quando in quando mi trattengono, 1’ havrei già scorso tutto: ma la dimora è poi ricompensata da altretanto piaccio doppo elio si sono viste lo dimostrationi. Ai dieci del mese avvenire spero di inviarmi alla volta di Firenzo ; tratanto mi conservi la sua gratin, o le bacio affettuosamente lo mani. T)i Genova, li 19 di Agosto 1039. Di V. S. molto 111. 10 ot Kcc. ,na Obli"." 10 e Dev. m ° Ser. Ta S. r Galileo. D. Vincenzo lienieri. 3908 **, BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in Arcetri]. Roma, 20 agosto 1039. Bibl. Nns!. Plr. Msr. Gal., P. VI, T. XIII, car. 159. — Autografa. Molto Ill. re ed Ecc. n, ° Sig. re o P.ron Col. ni ° Mando a V. S. molto lll. r ° ed Eco. ma l’inclusa scrittura {4) fatta da me in pro¬ posito della dilìicoltà elio intravviene di macinare nei mulini elio sono sopra il fosso dell’emissario del lago di Perugia; nella quale scrittura Lo ancora promosso l’orinalo a contemplare P abbassamento del lago, cagionato dalla sublimazione elio fa il calore del sole, massimo in tempi estivi, intorno al qualo particolare mi si è scoperto un largo campo di filosofare, e vado distendendo qualche cosetta, per quanto comporta la mia debolezza. So mi succederà di faro cosa che mi para degna d’essero vista, ne darò prima parto a V. S. Ecc. m:i io In tanto, forsi per l’ordinario elio viene, li mandarò la copia di una lettera (S , I*' Cfr il. 0 8901. scienze matematiche, ejliiche, Tomo XI, I?oma, tip. dolio 1,1 Fu pubblicata ila Bai.dasharur Bokoompa- scionzo matematiche o fisiche, 1878, pag. 650-667. GNI libi Ihillcttino di liibtioyrujìa e di Storia delle. XVIII. 12 90 20 — 23 AGOSTO 1G39. [ 3908 - 3909 ] nella quale dichiaro un particolare, anzi il punto principale, del mio trattato Bolla misura dell’acque correnti, o credo che ella haverà gusto; non perchè liabbia bisogno appresso di lei di dichiararmi meglio, ma perchè sentirà un modo assai stravagante elio ho ritrovato per rappresentare a qu alai vòglia cer¬ vello il mio pensiero. In tanto li fo riverenza, assicurandola che li sono quel sorvitoro di serapro. Roma, il 20 d’Agosto 1639. Di V. S. molto IH. 1 * ed Ece.®» Bevotiss.* ed Oblig.® 0 Ser. M e Dis.'° S. r Gal. 0 Galiloi. Don Benod.» Castelli. 20 3900 *. FORT UN IO LICETI n GAL1I.EO in Fireiuo. Bologna, SS agnato 1639. Bibl. Naz. Flr. Mas. Oal., Nuoti Acquisti, n <■ 39. — Ant /raf.v. Molt’ 111.” ot Ecc. 1110 S. or P.ron Col.® 0 Invio a V. S. un osemplare del mio libro J)r quarsiiis otc.'*\ in testimonio della mia continuata osservanza; mi honorerà di far sono leggero qualche parte, con iscusaro li difetti elio vi troverà, anzi svisarmene, acciò in altro tempo io possa schifargli. Fra tre settimane spero elio sarà finito «li stampare il mio vo¬ lumetto De lapide Dononiensi lucifero * t del quale sino a quest' bora sono tirati 28 fogli : subito che sarà compito, lo no manderò parimente un esemplare. Fra tanto mi conservi nella sua gratia, ch'io le vivo servidor di cuore. Col P. Cavalieri ho sposso ragionamento di lei, et da S, l\ u ricevo nuovo dell’esser suo, elio desidero conformo al suo desiderio. Et pregandolo dal Cielo io contentezza, lo bacio lo mani con tutto l’animo. Boi.», 23 Agosto 1039. Di V. S. molt’ IH. 0 ot Kcc.®» Devot. mo et Oblig.® 0 Se. r# Fortunio Liceti. Fuori: Al molt*III." ot Ecc. rao S. 0r mio P.ron Oss. rao Il S. or Galileo Galilei. Con un involto seg* Fiorenza. "'De qtmuitii per epùlola, alari, viri, retpotua in * conce/Jam uh ambimi, duro wm in tenebri, *ir* Fobtonii r.icF.n Genuonds, in Bononionsi Archi- emeeroanu, llber Fontomi Liern (lennenth, pridem ginnasio Phylosophi Eminentissimi, eco. Bononiae, in l*i«ano, nupsr in Patavino. mine in Bononiensi tvpis Nicolai Tobnldini, MDCXL. ArchigymuMlo Philosnphl Kmlnontli, ecc. Utini, ex ' Lilheotphorni, Uve De lapideBononienti,luca i tj pographia Nicolai Hchiratti, MDCXL [3910-3911] 24 — 27 AGOSTO 1639. 91 3910 **. '• GIROLAMO BARDI a GALILEO in Firenze, Genova, 24 agosto 1G39. Bibl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 161. — Autografa Molto ni." ot Ecc. mo Sig. r P.ron Col. mo Con mio grandissimo gusto o consolationo ho intesa la nuova di sua buona salute sì dal P. D. Vincenzo Rainieri come anco dal S. r Gio. Batta Ballano, elio mi dico essersi con la sua operetta (1> in maggior parto incontrato con la mento sua, registrata nolli suoi 4 Dialoghi; li quali ho sensibile mortificatione di non poter bavere, ma li commetterò però subito: ma mi dico Pistesso S. r Baliano, elio sarà, difficilissimo havorli; onde, sì per la curiosità, sì anco per la venora- tiono che lei sa eh’ io tengo o stima che faccio dello sue super spelerà data opera, no starò con grandissimo desiderio. Fra tanto veda se in cosa alcuna io vaglio e posso, o mi coramandi. Vien proposto dal S. r Gassendo un problema, che l’ombra da un corpo opaco resta maggioro dal sole a orizontale elio dal medesimo verticale' 25 . Vorrei elio V. S. me no desso la ragione, perchè la lontananza dol semidiamotro dovrà di ragione faro insensibile mutatione; ed egli asserisco, essere grandissima. E per fino di tutto cuore prontissimo ino lo olierò, dedico o raccomando. Gcn. a , li 24 Ag.° 1639. Di V. S. molto 111. 0 ot Ecc. ,na Oblig. mo Sor. 0 Girol. 0 Bardi. Fuori: Al molto 111." et Ecc. ,n0 Sig. r P.ron Col. 1110 20 11 Sig. r Galileo Galilei, Mat.° Ecc. n '° dol fc>er. ,u0 di Toscana. Firenze. 3911 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO [in ArcetriJ. Koala, 27 agosto 1639 Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, ear. 103. — Autografa. Molto RI." od Ecc. in0 Sig. ro o P.ron Col.'” 0 Voramento mi è riuscita la specolaziono di V. S. Ecc. ma stravagantissima nel ritrovamento del numero delle gocciole cadenti in una data superficie, dato l’intervallo tra gocciola e gocciola 135 ; o confesso la mia debolezza, elio alla prima lettera di V. S. non intesi bene la proposizione, ed anco in questa seconda ho <*> Cfr. n.o 3824. ‘*1 Cfr. u.° 3742. '*> Cfr. n.o 3905. 92 27 AGOSTO 1G39. 13911 ] stentato assai in intenderla, non discemondo so il numero dolli intervalli, corno chiama lei, aia veramente delli intervalli tra gocciola o gocciola, overo delle stesse gocciolo prese noi diametro del cerchio, cominciando da quella che si considera nel centro inclusive sino a quella presa nell’estremo del diametro pure inclusivo, già elio il numero dello gocciole supera di una unità il numero io delli intervalli. Ma finalmente, cambiando io in questo principio por via d’espe¬ rienza, ho conosciuto che si devo prendere il numero delle gocciole o non dolli intervalli, per radice dei cubi, o no ho fatti di molti rincontri con la numera¬ zione attuale o poi con l’oporaziono di V. S. Eco." 1 ', o tutto mi sono riuscito puntualissimamento. È vero che mi paro che sempre la sez/ione di tutto il fa¬ stello dello gocciolo cadenti nel cerchio dehbu riuscire un esagono equilatero ed equiangolo inscritto nel cerchio dato; altrimonto il mio conto non torna con quello di V. S. Ecc. ma , quale puro devo essere verissimo, come depomlento dalla dimostrazione, alla qualo non sono por ancora arrivato o for-i la mia debolezza non arrivarti mai. Per tanto mi resta screpolo nel mio modo di numerare, ew vado dubitando che non torni so non quando la biotta dell’arco di (IO gradi non è maggioro di uno delli intervalli tra gocciola o gocciola. So che ho scritto questi versi confusamente, però la prego a scusarmi; se mi succederà trovare cosa più netta o chiara, mi portarò meglio un’altra volta. In tanto mando a V. S. Ecc. ma una copia di una lettera elio scrivo a Mons. r Cesarmi por darò sodisfazione a molti che non intendono il princi¬ pale fundamento del mio trattato Polla misura dcll'acquo correnti, dovo cerco di esplicarmi di più di quello elio ho fatto nel trattato stesso. Mi paro però di essermi in questa lettera vantaggiato qualche cosa por ridurrò alla prattica il mio modo di partirò lo acquo dello fontane, parendomi di havorlo spiegato 50 assai facilmente; dovo Y. S. Ecc." 1 ' vedrà che non adopro il pondulo por misu- ìaio 1 bora di pranso ovoro di andaro a letto etc. In oltro ho registrati alcuni disordini elio seguono nel communo modo di misurare lo acque correnti, e mi paio (so non sono di mo stesso adulatore) di havorli fatti spiccaro assai fieno. V. S. so la farà leggero una volta, quando sarà meno impiegata nello suo più alto spccolationi; o poi mi farefibo favoro farla capitare in mano del Sor.™ Pa- dione Gr. Duca o del Sor. mo Sig. r Principo Leopoldo, porchè forai non sarà cosa mutilo noi dispensare l’acqua della fontana condotta con magnificenza vora- mcnto icgia da S. A. Ser. nm in Firenze o per commodo o per vaghezza della città. E non occorrendomi altro, li fo liumile riverenza. 40 Di Roma, il 27 d’Agosto 1639. Di V. S. molto 111.™ ed Kcc. na S. r Gal. 0 Gal. 1 Devotiss. 0 ed Oblig. m0 Sor.” e Dis b Don Bened. 0 Castelli. (1 ' Cfr. li.- 8008 . x ,S| Kkrdmaxdo Cubarmi [3912] 1° SETTEMBRE 1G39. 93 3012 . GALILEO a [GIO. BATTISTA BALTANI in Genova]. Arcetri, 1° settembre 1639. Blbl. Bralclcnse in Milano. Cnssotta AK, XIII, 13, 1. — Originalo, di mano ili Yincenzio Galilei. 111. 11,0 Sig. re o P.ron Colend. mo In risposta alla gratissima sua delli 19 del passato' 0 , dico clic quanto al misurare il tempo con un pendulo aggiustato a fare le sue vibra- tioni in un minuto secondo, si avanza la fatica del fare il calcolo con la semplice operatione della regola aurea, havendo una volta tanto tenuto conto del numero delle vibrafoni di qualsivoglia pendolo fatte in 24 ore : la quale osservatione è necessario che il Padre Cabeo Labbia fatta con un pendulo di qualsisia lunghezza, o da esso cava¬ tane, con Pinventione delle medie, la lunghezza del pendolo di un io minuto secondo ; la quale inventione è sottoposta a qualche errore, il quale, benché piccolo, multiplicato secondo il numero delle molto vibrationi, può partorire notabile errore, il che non accade nelle vi¬ brafoni non obbligate «alla lunghezza del filo che, molte centinaia di volto replicate, ci deve dare la misura del tempo, sicliè ogni pic¬ colo errore preso nella lunghezza del pendulo va molte centinaia di volto multiplicato: mentre nell’altra mia operazione l’errore non può nascere, salvo che nel numerare le vibrazioni, delle quali una sola parte di una sola vibratione può esser presa più o meno del giusto. Dove accade (per dichiararmi con un esempio) il medesimo che avver¬ so rebbe a quello che volesse assegnare la lunghezza dell’anno da due ingressi del sole nell’equinoziale, presi con l’intervallo di un solo anno tra ingresso et ingresso; dove l’errore di un quarto o di una mez’ora casca tutto sopra la determinazione della quantità dell’anno, la qual quantità ritenuta come giusta con tale errore, volendo asse¬ gnare la quantità del tempo di cento, 200 e più anni, partorisce errore di 100 o 200 volte maggiore di quello che cadde nella deter¬ minazione di un solo anno : ma se si piglierà P ingresso del sole nel¬ l’equinoziale accaduto et osservato 1000 o 1500 anni fa, e si prenderà simile ingresso al presente, posto che da gli antichi si fusse errato di so una raeza- ora, e che non meno anco da noi si incorresse in simile <’> Cfr. n.« 3906. 94 1* SETTEMBRE 1039. errore, questo, compartito nelle quantità «lei 1900 o 1500 anni, al più elio mi possa ingannare nell*assegnare la quantità del tempo di un anno, non può partorirmi maggior orrore di quello che importi la millesima parte o 1500™ di tutto Terrore intrapreso. Cho l’uso del pendolo per misuratore del tempo sia cosa esqui* sitissima, ho io detto molte volte; anzi ho raccolte insieme diverso operazioni astronomiche'”, nelle quali col benefizio di tal misuratore trovo io precisioni infinitamente più esatte die quello cho si traggono da qualisivogliono strumenti astronomici, quando anco i quadranti e sestanti, armillo o altri tali, liavessero i lati o i diametri lunghi nono solo lo dua o tre braccia di quelli di Ticone, ma nò 20, 30 o 50, divisi anco non solo in gradi e minuti, ma in parti di minuti ancora. E Thaver trovato modo di misurare esattamente il diametro di una stella, oltreché per sé stessa ò operazione belli-rima, tanto è più da stimarsi, quanto io trovo, gli astronomi che tali grandezze hanno voluto determinare si sono ingannati non dirò di 20 o 30, ma di venti o trenta mila, per cento. Quanto a quello cho ella mi dice della opinione sua circa alla condensazione e rarefazione, cioè cho ammette la penetraziono dei corpi l’uno con l’altro, già ho io scritto (corno olla può vedere) eliow chiunque tale operazione volesse ammettere, io gli concedo quanto li piace, non havendo io liauto intenzione di scrivere quanto in tal proposito ho scritto so non in grazia di quelli che negano la pene- trazione e gli spazii vacui potersi dare in natura. Quello che ella dice intorno alla proposizione prima del mio secondo Dialogo (i ’, se si dovea apprendere per principio o puro dimostrarlo, io l’ho passato come cosa por sé stessa assai chiara: perchè, che noi vette la forza alla resistenza risponda reciprocamente alle distanze dal punto del sostegno, Bicorne ò stato dimostrato da altri nelle Mecaniclie, dependentemente da quello cho dimostra Archi- w mede negli Equeponderanti, può prendersi come di già conclusione nota; e che poi, piegata ad angoli retti la minor distanza soprala maggiore, trovi la forza il medesimo contrasto dalla resistenza, non mi pare che deva esser messo in dubbio, e tanto più che, se beno ho in memoria, credo cho il Sig. r Guidobaldo ,3) nelle sue Meca- — _______ _ ♦ yy iS Cfr. Voi. Vili, pa*. 453-465. «•, UuiDOBAtuo Ml( Monti». <*> Cfr. Voi. Vili, m . 162 o teg. 95 [3912-3913J 1° SETTEMBRE 1G39. niclie ponga questa medesima conclusione e che la dichiari assai a bastanza. Che una palla cacciata da grandissima altezza dall’archibuso o dall’arco all’ingiù possa perdere del primo impeto conferitogli, credo 70 che l’esperienza lo mostrerebbe senz’altro, e V. S. lo concede; ma sogghigno poi, poter essere che quello che ella ha perso da principio per l’impedimento del mezo, lo possa poi per sò stessa andar raccqui- stando nel medesimo mezo. Questo veramente a me sarebbe duro a con¬ cedere, quando io non havessi esperienza o dimostrazione in contrario. Due altri particolari che ella tocca nella sua lettera, non ho po¬ tuto riscontrarli in quello che scrivo, intervenendovi figure lineari e rincontri di caratteri, impossibili essere da me fatti, come per mia infelicità resto privo di poter mai più intendere lo mie medesime dimostrazioni, dove intervengono figure e calculi ; ma perchè ella ille¬ so desima me le ammette, io volentieri le trapasso. Solo gli dico che quello che posi per principio, cioè che i gradi di velocità accquistati da i cadenti sopra qualsivoglino piani, dei quali la elevazione sia la medesima, giunti che siano all’orizonto siano pari, lo ho poi dimostrato apertissimamente; e quando li piaccia, glie ne manderò la dimostrazione. La scrittura intorno alla percossa è assolutamente mia, fatta già più di 40 anni sono; ma poi l’ho ampliata assai assai, e esplicata molto più diffusamente. E tanto basti haverla tediata per ora : gli bacio con reverente affetto le mani e li prego da Dio felicità. D’Àrcetri, il dì p.° di 7bre 1639. tìo Di V. S. lll. ma Devo.™ 0 e Obblig. mo Serv. Galileo Galilei. B91P). GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma]. Arce tri, l'° settembre 1639. BIbl. Nnz. FIr. Mss. 0*1., P. VI, T. VI, cnr. 100. — Copia ili ninno «lol soc. XVU, in capo alla qunle ei legge, (lolla «tossa ninno: « Copia dell’originalo, fatto scrivoro dal Sig. r G. G. » Rev. mo Pro e mio Sig. r Col. m0 Con la gratissima sua ho ricevuto la scrittura in proposito del rimediare all’incomodo che tal hora si patisce nel macinare per man- Lc-tt. 3013. 3. tali' hora 90 1° - 3 settembre 1639. [3918-89H] camento d’acqua del lago Trasimeno 11 ; e credami la P. V. Revoche ne ho ricevuto grandissimo gusto, vedendo con quanta agevolezza o chiarezza ella espone un sì rilevato beneficio, che sarà, per mio cre¬ dere, impossibile che non Ria ricevuto o messo in opera da i Patroni; e come accade nei trovati bellissimi e utilissimi, che il più dello volte sono facilissimi e brevi, così questo si riduce al l’avvertire quel sem¬ plice canovaio, che quando la cannella di mezzo della botte non getta io più, egli no metta un’altra più abasso, attero che la botto non è secca, ma vi resta ancora del vino da trarsi, (piando vi sia l’esito. Resto con desiderio di sentire gli altri suoi trovati, che in conseguenza di questi primi pensieri no vengono. Fra pochi giorni sarà costà il I*. elemento di S. Carlo delle Scolo Pie, il quale, perchè frequentemente è da ino, potrà dargli nuove dello stato mio, ondo io per bora non gli dirò altro. Saluti in mio nome i soliti amici nostri comuni, e si ricordi di me nelle sue ora¬ zioni; e con reverente affetto gli bacio le mani. Di Arretri, il dì p.° di Settembre 1639. Della P. V. lU*v. ma Dev. mo et Ob. mo Ser. w Galileo Galilei. 3014. GALILEO n [BENEDETTO CASTELLI in Roma], Arcetrl, 3 settembre 1039 Blbl. Nna. FIr. Ma*. Gal., T. VI, T. VI, car. 101. — ('..(li» di Diano dot toc. XVII, in capo alla qualo ti legtfo, dulia stossa ninno: « Copia dell’originale .. Rev. mo P.re e mio Sig. r Col. 0 ' 0 Ricevo la gratissima sua, insieme con la copia delfaltra che scrive a Mona. 1 Cesarini <2) . Le ho sentite amendue con gusto estremo, e questa, che mi manda, procurerò che venga in mano del Sor. 100 Principe 10. cannaio - ranella — 11. mela - 22. Gallétto OalliUi — Lett. 3914. 4. procurarti — Pmcipt — • e» Cfr. n.° 3001. •*' Cfr. u* 3999. 3 SETTEMBRE 1G39. 97 [3914] Leopoldo e presso del Ser. mo G. Duca, sicuro che siano per far gran reflessione e capitale degl’ avvertimenti che in essa si contengono e degli altri cho restano e che la P. V. ltev. ma promette. Quanto a quello ch’ella tocca nella sua in proposito delle gocciolo cadenti, che si devino prendere non gli intervalli tra goccia e goccia, ionia i numeri di esse goccie, è verissimo; nè io potevo venire in co¬ gnizione di quanto scrissi se non servendomi del numero delle goc¬ ciole, ponendo il primo come centro et altri sei come gli angoli dell’exagono inscritto nel primo cerchio, e così i contenuti sono sette. Presi poi duo punti o fattone il cubo, che è otto, et trattone il primo cubo, che è uno, restano pure sette. Aggiunto il secondo cerchio, doppio in circonferenza del primo, e per ciò contenente dodici gocce nella circonferenza, o fatto il cubo di tre punti, cioè 27, e trattone il cubo di dua, cho è 8, restano dicianove, eli’ è la somma stessa delli 12, delli 0 e dell’l del centro. E seguitando con quest’ordine, 20 aggiungendo il terzo cerchio, e li 18 punti contenuti nella sua cir¬ conferenza sommandogli con gli antedetti dodici e gli altri G prece¬ denti e quello del centro, si fanno 37 gocce; o tale è il numero che resta cavando il cubo di 3 del cubo di 4, cioè 27 di G4. E così con¬ tinuando, veddi la continuazione della regola; ma poco potetti an¬ dare manzi, vietandomelo la privazione della vista e del potere ado¬ perare la penna: infelicità che mi accade anco nel poter discorrere sopra lineamenti che passino oltre a un triangolo, sì che nè pure posso intendere una delle mie medesime proposizioni o dimostrazioni, ma tutte mi giungono come ignote et inintelligibili. Lascerò dunque 30 la cura a S. P. à di allargarsi in questa contemplazione, c di ritrovare se ci è cosa che meriti che ne sia tenuto conto. Sono in continui stridori per una orribile doglia in una mano, di quelle mie antiche; non posso esser più seco. Credo che riceverà questa insieme con un’altra mia, scritta tre giorni sono. La riverisco con ogni affetto e mi raccomando alle sue orazioni. D’Arcetri, li 3 di Settembre 1G39. Della P.“ Y. Rev. ma Dev. mo e 0b. n, ° Ser.™ Galileo Galilei. G rejJlf»»ìone — 7. promete — 12. et altre iti — 14. trafori* — 15. Aggiùnto — 16. do,Ieri — 18. dicianove, thè la — 24. puteti — 29. gionyono — 33. Creda che — XYI11. 13 98 3 8ETTEAIUKE 1039. 3915. GALILEO ad ODOARDO FARNESE [in Parma). Àree tri, a settembre 188». Blbl. Na*. Plr. Mm. GaI.. ?. !, T. V, cnr. 30 — Copia di mano di Vittimo Qiuui, che annota! «do! U. al 8.“° di Parma. 1031» ». Ser. mo Sig. 1 * o P.ron mio Colend. mo Il segno che l’A. V. S. mi dà (li conservare ancora nella sua me¬ moria quella mia humilissima o devotissima servitù della quale già molti anni sono li foci offerta o libero dono, per sò stesso mi è stato di singolare allegrezza, ma raddoppiata poi per il mezo del quale l’A. Y. S. si è compiaciuta di servirsi ; dico deH’essormi stata rappre¬ sentata per via della Ser. ma Duchessa sua consorte (, \ la quale si è com¬ piaciuta mandarmi a visitare o salutare in nomo delPA. V. da duo principalissimi suoi servitori : da i quali ella potrà intendere lo stato mio compassionevole nel quale mi ritrovo, poichò per le molte mie io indisposizione, et in particolare per la totale cecità, son reso inabile a più impiegarmi in alcuno degli studii elio per li tempi passati sono stati cibo del mio debole intelletto. E non potendo avanzarmi più oltre, invio all’À. Y. un esemplare delle mie ultime specolazioni intorno ad alcune proposizioni filosofiche e matematiche, ultimamente stampato in Asterdam. Io non supplicherò l’A. V. che desista da i suoi gravissimi negozii per occuparsi nella lettura di alcune di queste mie cose di poco momento; ma assai mi parrà di esser onorato e favorito se ella li darà luogo tra i suoi libri, servendosene per inno¬ vare talvolta nell’animo suo la mia devotissima et umilissima servitù, £0 la quale con questa gli conformo in perpetuo, mentre humilissima- mente li bacio la veste e li prego da Dio il colmo di felicità. Dalla villa di Arcetri, li 3 di Settembre 1639. Di \. A. S. llumiliss. 0 e Devo." 10 Se. r0 Galileo Galilei. M * Cfr. n.° 3004, lia. 2. [3916] 9 SETTEMBRE 1639, 99 3916 . GIO. BATTISTA BALI ANI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 9 settembre 1639. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cur. 1G5. — Autografo le Un. 51-132. Molt’Ul.» et Ecc. m0 S. r mio Oss. ,no Ancorché la lettera di V. S. dol primo (1 ', ricevuta lioggi, non mi obligli! a risposta, tuttavia è tanto il gusto che io sento di trattar seco in questo modo, già che non posso farlo di presenza, che por non privarmene voglio scriverlo questo podio righe. Il calcolo dol Padre Caheo credo elio sia fatto al modo di V. S., chè così io gli suggieri’ quando esso era qui ; non però tanto essattamonte di numerar 10 vibrationi fatto in 24 lioro, ma credo in una o duo boro solamente in qua- lonquo longhezza di pendolo, con farvi poi il conto por la regula aurea, conio io V. S. dice. Che l’uso del pendolo possa servire a’ calcoli celesti, è cosa chiara; et io ho per fantasia di valermene un dì, se haverò otio, come anche di altri stro- mcnti fatti senza artificio e elio operino giusto, intendendo io in tal caso di va¬ lermi poco di uno sestante, elio ho assai bollo, di 5 piedi in circa di semedia- metro, fatto in Bologna di ordino del Piccone, di cui esso fa montione nello sue lettere, cho restò appresso al Magino, da cui io lo hebbi poi: so ben so che V. S. in questo e ogn’ altra cosa harà inventiorii più sottili c più bollo delle mio. Resto sodisfatto a pieno di ciò cho dice dolla accelerationo del moto ; però 20 par dura cosa a crederò che non solo il moto della palla di artellaria sia più veloce al principio di quel cho possa essere, passato qualonque distanza di moto naturalo, ma che anche qual si sia proietto, spinto o da braccio o da altro stromento, vada sempre crescendo di impeto ogni volta cho si allontana dal proicionto, per quanto vada di moto violento o per quanto poco declini verso 11 contro; onde si verificherebbe il detto che il moto si va sempre colorando, non solo del moto naturale, ma del violento ancora, come V. S. prova benis¬ simo alla 4 a propositiono del 4° Dialogo (2ì : il cho prima io stimavo ialso, e par ad un certo modo contra il senso, parendo verisimile che una ferita non solo- fatta da una balestra o arco, ma da un sasso tirato dal braccio, sia mag- 30 giore quanto è più vicina a quel che la tira; onde quello che V. S. dice, che “> Cfr. n « 3912. O) Cfr. Voi. Vili, pag. 28-1-285. 100 9-10 6ETTKMBKK 1639. [ 3916 - 3917 ] il crcscimonto (lolla velocità non ha luogo ove si tratta do i proietti fatti dal’ impeto di fuoco, si vorrebbe anche a verificare in quelli che son fatti da altri moventi di minor attività. Ilo piacere elio V. S. habbia riconosciuto per suo il Discorso della percossa, elio così anello sempre parvo a me e por la novità o sottigliezza della materia o por lo stile. Sento dir gran cose di ciò che si ritrova in ciclo con 1 aiuto di tolcscopii longhissimi a Napoli, e elio Marte sia cornicolare, o elio sian molte coso nuove nella luna, e altro; che so son vere, V. S. no hnrà liavuto raguaglio, o mi duole che non possa osservarle. io Per impir il foglio, voglio darlo notitia di una inventione che tre anni sono addatai ad una dello nostro galero, con che riesco alla chiurlila vogaro con molta maggior facilità, o far molto meno fatica: o questo solo con porro un legno sotto il banco, ovo il vogattore posi il piede in vece di posarlo sul banco. Questo ò stato poi approso non solo dalla più parte dello nostre galere, ma da altro ancora; so ben contiene poca sottigliezza, nò da stimarsi per nitro che por esser di tanto serviggio o por non ©termino avveduto alcuno di tanti belli ingiegni elio prima di bora lmn navigato sopra gallerò. K por più non tediarla finisco con lmcciar a V. S. di onoro lo mani e pregarlo dal Cielo ogni felicità. Di Gon/, a’ 9 7bro 1639. Ki Di V. S. molto 111.™ et Ecc.®* Vero et Obbl.“° Ser.” Gio. 11/ Baliano. 3017. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. lioina, 10 ftettcrabro 1630. Bibl. Naz. Fir. Mss. GftL, P. VI, T. XIII, c*r. 167. — ÀuU>#r»f*. Molto Ill. ro od Ecc.'"® Sig. w o P.ron Col.™* Ilo sentito con grandissimo gusto Tapplauso ohe V. S. mollo 111.” ed Eco. 01 fa a quello mie scritturetto, nello quali so ci è msu ne suim »li buuno lo devo riconoscere dalla Divina mano prima, o poi dalli documenti riceuti da V. S. Ecc.“ Quello di elio io ho qualeho compiacimento nel consulto dei mulini di Perugia, è elio mi paro di cavarlo dalla natura stessa del lago, considerato noi suo os- sore naturale, cioè che sia una gran conserva d’acqua, ma malo custodita o governata, in modo elio in alcuni tempi scarica più acqua del bisogno o poi li viono a mancaro; ma io propongo il modo di conservarla e andarla dispensando, sì clic serva tutto l’anno continovatamcntc. Sono però fuori di speranza allatto io clic si habbia da mettere in prattiea mai. ancorché l utilo sia così manifesto; 10 SETTEMBRE 1639. 101 [3917-8918] o mi vado confirmando poiché si ò dato orecchio a un tale, quale lia proposto di cavare l’acqua dal lago con ingegni o machino maravigliose, od ha promosso di cavare tanta acqua elio farà macinare continovatamento una macina, elio verranno ad essere undeci molini. È stato qui in Roma, ha negoziato, od otte¬ nuto patenti e brevi di faro l’impresa. Non ha però avvertito di farci mettere clausule tali, che avvalorassero lo suo invenzioni; o però, ritornato a Perugia, dopo bavere fatta una buona spesa, tutto gli è riuscito vano, e solo ci ha gua¬ dagnata una gagliarda febbre con petecchie, o non so bora corno la passi. 20 Io ho risoluto di attendere da qui avanti al vino o lasciar l’acqua: dico di attenderci in prattica; ma in speculativa, da diversi accidenti elio si sono osser¬ vati nella corrente siccità o da alcuno osservazioni mie particolari, congiongendo tutto con lo conseguenze dependenti da quel poco elio io ho scoperto noi mio trattato Della misura deH’acquo, inclino assai ad affermare elio l’origino do’ fiumi o di fontano dependa tutto da questo consorve d’acqua, dolio quali parto si scoprono manifeste, corno sono i gran laghi, o parto sono riposte nello segre¬ tissime viscero della natura. La materia è bolla, assai vasta o sin bora ci trovo di gran riscontri. Non so come mi riuscirà spiegarla: andarò faticando o farò quello elio potrò, o di tutto darò parto a V. S. Ecc. ma , alla quale fo riverenza, so Quanto al numero dello gocciolo cadenti, la ringrazio di quanto ella mi scrive; chò veramente mi paro maravigliosa l’invenzione e fuori d’ogni humana fantasia, nè dubito punto che, ruminato bene il problema, non habbia da sor- viro a maggiori scoprimenti. Roma, il 10 di 7bro 1639. Di V. S. molto IU. ro cd Ecc. ma Dovotiss. 0 cd Oblig. mo Sor. re e Dis. ,u S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111.” ed Ecc. mo Sig. ro o P.ron Col. n, ° Il S. r Galileo Galilei,] p.° Filosofo del Ser. m0 Gr. D. ho Firenze. 3918 **. GIO. GIACOMO BOUCHARD a VINCENZO CAPPONI [in Firenze]. Roma, 10 settembre 1630. Collezione Galileiana nella Torre del Gallo presso Firenze. — Autografa. .... Rendo grazio a V. S. 111."" 1 ... per la diligenza ch’ella si è degnata faro intorno ai particolari della vita del Sig. Galileo Galilei^ 5 , della quale non fu mai intenzione mia di I.ett. 3917. 21, in tpelucalirrì — ,l > Cfr. n.“ 3086. 102 IO — 18 SETTEMBRE 1630. pubblicare niente vivente lui, nè manco stando le cose come si ritrovano oggidì Po r fc EP questi Signori suoi amici volessero favorire di mandarmi tuttavia quelle cote piò notabili ohe sanno di quel buon vecchio, lo potria fare sicuramente : il elio mi nervina a cornili, ciano l’opera, la quale poi non lascorei vedere se non in tempo . loco oportuno; ed in quello credo essere degno di fede, mentre, faciendo altrimcnte, pregiudicare! più a mg stesso ch'a altri.... 3919 . : GIO. BATTISTA BALIAMI a [GALILEO in Arretri]. Genova, lfl settembre 1630. Blbl. Naa. Flr. Mss. Gol., P. VI, T. XIII, e«r. 170 . — AuU>*rafa Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. T mio Oss. Pn Scrissi a V. S. l’ordinario passato 11 ! ; però non risposi ad un particularo della sua lettera, ovo scrivo d'haver dimostrato, cho ovo sia pari olevatione, i gradi di velocità do’ cadenti gionti all’orizonte siano pari, o elio é pronta a favorirmi di mandarmene la dimostratone. Io, che hoiio inclinatissimo a specular intorno alla verità dolio coso, ancorché poco mi riesca farlo bone, amai meglio tentar la mia fortuna con tentar di dimostrarlo anche io, o credo che mi sia riuscito; o con occasiono elio mi ò convenuto ristampar un loglio della mia operetta, por un orrore trascorsovi per colpa parte del riccoppiatore o dello stampatore o parto mia, nella correttione degl’errori di stampa vi ho .succintamente mestato io la dotta dimostratone. Ilo havuto por beno di damo parto a V. S. o mandarle una copia di detta mia operetta così racconcia, pregandola cho la faccia degna di star in un canto della sua libraria, con stracciar l’altra cho lo mandai prima, cho non vorrei che vi stesso in alcun modo. Io erodo che sia buona dimostratone, supposto per principio cho la proportene dogli spatii si compone della proportene dei tempi o dolio velocità; e no ho fatto una gionta alla dichiaratone del settimo postu¬ lato, facendola nascerò dalla propositiono decima quinta. Ilo voluto mandarglielo tale quale è, so ben con poca speranza cho senza veder lo figure possa dirmene intieramente il suo senso. Con questa occasiono spero anello nel fin dell’opera?) liaver dimostrato, cho ovo il cadente giongo e si muovo sopra il piano orizon- tale, fa, in tempo uguale, moto per ispatio doppio a quel cho fece cadendo tanto perpendicolarmente quanto sopra piano coinonque sia inclinato. So cho V. S. sarà contenta di vedere che io, ancorché pigmeo nello lotterò, aspiri ad emular con i giganti, o cho ella mi habbia data occasiono di far I 1 ' Cfr. n.° 3916. 1C SETTEMBRE 1G39. 103 [3910-3020] qualche belle speculationi, se pur son tali, e che so pur mi lia fatto benefìcio, l’Labbia fatto a persona cbo gliene tien animo grato, o lo dimostra, se non con altro, con essere partialissimo dello suo cose ; o so bene quello non bau bisogno di maggior pruova, pare tuttavia una certa sodislattiono il vedere che lo stesso so concbiusioni si pruovino con principii tanto diversi. Nel resto voglio farle parto d’un’esperienza che mi riuscì faro dominica passata, andando a spazzo sopra una galea : ove feci salir un marinaio al calcese in cima doll’albero, e di indi lasciar cadero più volto una palla di moschetto, in tempo che la galea andava velocemente ; o perchè la ciurma faceva noi vogare la mag¬ gior forza cbo ella potesse, o perchè il vento modorato nel trinchetto ci dava non poco aiuto, o ogni volta la palla cadova al piò doU’alboro, senza restar ponto a dietro, con non poca meraviglia di tutti coloro che vi erano presenti ; o pure essendo l’albero alto più di 40 braccia, massimo elio la galea è grossa, cioè la nostra capitana, per ragione la palla dovea star per aria più di tre mi- 40 miti secondi, nel qual tempo la galea calcinava sicuramente almeno sedici brac¬ cia. E per non darlo maggior noia finisco con baciar a V. *S. afìbttuosamente lo mani e pregarlo ogni voro o compito bene. Di Gen.“, a’ 10 di Sott.. 8 1G39. Di V. S. molto Ill. re et Eco. 1118 Vero et Obbl. mo Sor.™ Gio. B. a Baliano. 3920 . ISMAELE BOULLIAU n GALILEO [in Arcetri]. Parigi, 1G settembre 1G39. Cibi. Naz. Flr. Msa. Gal., P. VI, T. XIII, car. 1G9. — Autografa. Illustrissimo ot Excollentissimo Viro Domino Galileo Galilei, Nobili Fiorentino, astronomorum nostrao aotatis fucilo principi, S. P. Tandem, Vir Illustrissime, prodiit Philolaus (il , postquam per triennium ©t trimestre inter Batavos, diuturna© morao voluti compedibus constrictus, latuit. Ingrata© morao molestiam, typorum nitor ac schematum sculptura subtilis ad- modum lovarunt, ot quicquid bilis in typographum efferbuerat sedarunt. Unum cxemplar Ulustriss.* 8 Dominationi tuae mitto, illudque honoris et cultus erga se io tostimonium serena fronte accipiat rogo, eodemque animo atque ipsi olierò. Philolui, sire DiaaerUttionia de vero syninnale lilaou, CI0I0CXXX1X. mutui», libri IV. Amsterdam!, apinl Quii, ot loliaunom 104 1G - 17 SETTEMBRE 1630. 13920-8921] Utinam Deus, qui alligai contriiiones suor un!, resti tua t oculorum lumen tibi ademptum, nobiaque tale damnurn resarciat, ut ipee lega» libellum, et rationum soriom sino alienorum oculorum opera dispieiaa. Sed si voto damnari non datur, unum interim, si per valetudinem Dominationis tuao lieot, rogo, ut recitari tibi ex ilio aliquot paginas cures, et quid sentina cuw libertato et ingenuitate ma¬ thematica mihi signilìcos. Librum ad to mittendum commendavi nobilissimo atquo gonerosMmo viro Domino Corniti do Bardi»' 1 ’, apud Itogem rhrLtinnivdinum Serenissimi Magni ltotruriao Ducis oratori, in quo pergrata humaniUw, virtus eximia, erga libe- ralos disciplina» amor, in robusquo multi*» perspicaciUi.s, auprn vulgarom moduni 20 rolucent. Dominationi tuao omnia foelicia procor; ip»a me amot, qui illi euro Parisiis, E. A. D. XVI Kal. VHP" CIODCXXXIX. i rnLLj y/ ff/rruttM 1$ 11 iLict Idusj 3021. FULGENZIO MICANZIO h GALILEO in I ironie, Vcneiia, 17 aettriubro 1 GJU. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XII, car. 138. - Antofrafa. Molt’ 111." et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.*- Io sono cosi sviato, elio non sto nella ci UÀ se non quanto mi ci tiene la necessità, o mi vi chiama l’obedicnza. Venutovi, una delle maggiori obligatióni ò scrivere o salutare V. S. molto 111.™ et Ere."*, quale ho continuamente nel cuore: o non mi vieno mai suo lettere, che si corno mi sono soavissimo per ve- niro da lei, così non mi dia un tremore di leggervi qualche gravamento dolio suo indispositioni ; o quando vi leggo che almeno non siano più gravato, no resto tutto consolato; ma so vi trovassi miglioramento, l’allegrezza saria inesplicabile. Al punto di quel rogalo risposi già 1 *'; replico bora assolutamente che non sento elio por modo alcuno lo ricusi, nò so imaginare causa alcuna elio lo possi io m no vero a ciò fare. Si tratta con Principe, o Principe grande o potente, al quale saria sicuro affronto ; poiché non potria imaginarsi esser altro elio un rinfaciarli la religione, la quale vorrei elio il più scrupoloso del mondo mi sapesse diro ciò c’ha da faro qui dentro. Il suo Principe, il Ser. m * G. Duca, elio Dio colmi di felicità, conio incessante mento Lo prego, tiono comercio, ricevo no’ suoi porti; Lett. 3921. 6. iovatU$ime — M > Ferdinando Dardi. «*» Cft n.* 3800. 17 SETTEMBRE 1G39. 105 [ 3921 ] la Sor.® 4 Republica, il Re Cliristianissimo, tutti li Principi, ci hanno ambascia- tori, occetto quelli elio seco hanno guerra; non vi ò nominatamente impedimento: perché vuole V. S. temere? Ma leva ogni dubbio che è una republica, elio non può essere sogetta alla nominationo censurata, perchè ciò si addatta allo solo persone 20 particolari. Non vi è dunque rispetto di religione. In termini civili, che cosa la può muovere? Il non bavero perfettionata l’opera, por lo suo indispositioni? questo meno, perché il segno ove ò arrivata V. S. sino adosso, non si può ri¬ conoscerò da quella Republica nò anco col dono d’una città: nò devo V. S. dubbitaro elio gl’ingegni di quella natione non siano per ritrovare macinilo por goder il frutto d’un’invontiono nella quale hanno sudato li più grandi intelletti indarno et lasciata l’impresa conio disperata od impossibile, perchè era riser¬ vata al divino Galileo, conio tant’altro maraviglio, elio al dispetto dell’invidia, malignità, so fosso più potento elio tutto l’inforno, lo rende o ronderà adorabile a tutta la posterità, c’havorà gusto di scienza sodo o peregrino. Mi pordoni so V. S. ch’io desidero il Galileo nel Galileo, il quale tanto sa della natura o dol- l’Immanità. Franchi una volta l’animo, e s’assicuri ossoro arrivato al punto elio li rispetti timidi non fanno più per essa, o tutto quello li occorresse prenderà lo qualità suo d’essero glorioso, a croppacuoro del diavolo o do’ suoi maladetti satelliti. Ritornando al proposito, sento che non solo ritenga quel puoco di recogni- tiono, ma elio espressamonte no facia mentiono, si elio passi alla sua posterità per testimonio d’honorc. Ma quando trovi nocossità di far altriinonte, elio non vorrei nò credo, io la servirò in tutto quello mi accennarà. È qui il Sig. r Dino, so non erro il nome' 1 ’, ma in casa dell’111." 10 ltessi- 40 dente, il elio m’impedisse visitarlo. È conosciuto da’ virtuosi por scolaro del S. r Galileo; basta così, perchè questo solo è più di quello si potesse dire in mille encomii. L’ho riverito così alla sfugita por strada. So mi può V. S. favorire di qualcho cosa intorno alla sua, la cliiamarò magnami opus della longitudine, mi sarà un thosoro, ma senza suo scomodo. Lo prego di tutto cuore augmonto di sanità o di pacienza, o li io humilissima reverenza. Von. a , 17 Settembre 1639. Di V. S. molto III™ o R “ (sic) Dov.™ Sor. F. F. Fuori, d’altra mano: Al molt’Ill.” et Ecc. mu Sig. r mio Col. mo CO il Sig. r Galileo Galilei, in Fiorenza. 25. limino tildi ti lì — C) Forse qui il Mioaxzio equivocò fra Dino Furi, li il mento ora iu quei giorni a Vonezia, al seguito del ch'era allora informo (cfr. n.» 3925), e l’altro disce* Principo Leopoldo, elio nella seconda metà dol set- polo di 0ai.ii.ko, Fabiano Miouklini, il quale proba- teuibro vi fu por pochi giorni (cfr. u. # 3929, lin. 27). XYI1I. 14 24 8KTTEMBRK 1639. 106 3922*. GALILEO a FORTUKIO UCETI in Bologna. Aroetri, 24 settembri» 1639. Dalle pag. 137-188 dall’opera: Ve Urrà % rato emiro mo tue nmy.Uru* ro.l, j>mrtùnbn,m dùp*tatie*t, Fo». toni: Ilio kt i ecc. Utini, ex typogrnphia Nicolai SehlratU, Ml'CXL Molto DI. etc. Non si maraviglierà V. S. molto 111. et Eccellenti ss., se tardi ri¬ ceve risposta da me alla gratissima sua, quale ricevei già un mese là insieme col suo libro delle Lettere responsivo'"; anzi mi scuserà,, perchè ho voluto sentirne almeno parte, nè potendo ciò ottenere salvo clic per la lettura di amici, la conversatione do’quali gli ardori de’ giorni passati mi hanno impedita, mi è convenuto inte nettamente riceverò la grazia di sentirne qualcuna, ma non senza estremo gusto et amirazione della facondia e somma erudizione chi' in esse lettere si contiene. Io non posso finire di maravigliarmi come in uno intei-io letto umano si ritrovi una conserva di tutte le dottrine sparse in mille libri da mille altri ingegni peregrini. Ho sentito in particolare nominarmi da lei con laude in quella ovo diffusamente disputa della grandezza dell’ universo, se si deva credere finito o infinito. Molto ar¬ gute sono le ragioni che si apportano per runa e per l’altra parte, ma nel mio cervello nè quelle nè queste concludono necessariamente, sì che resto sempre ambiguo quale delle due asserzioni sia vera; tut¬ tavia un solo mio particolare discorso in’inclina più all’infinito che al terminato, essendo che non me lo so nè posso imaginare nè ter¬ minato nò interminato e infinito; et perché l’infinito rottone sui non 20 può essere compreso dal nostro intelletto terminato, il che non accade del finito e da termino circonscritto, debbo riferire la mia incom¬ prensibilità alla infinità incomprensibile che alla finità, nella quale non richiede ragione di essere incomprensibile. Ma questa, come Y.S. Eccoli, liberamehte afferma, è una di quelle questioni per avven¬ tura inesplicabili da i discorsi umani, simile forse alla predestinazione, al libero arbitrio, et ad altre, nelle quali le Sacre Pagine e le divine asserzioni sole piamente ci possono quietare. Lett. 39 22. 23-24. La lozione è oridonlomento imperfetta. — Cfr. n.° 3209, liu. 2. 24 SETTEMBRE 1630. 107 [3922-3923] Io le rendo grazie infinite dell’onore e del favore fattomi, e con so grande ansietà sto aspettando il trattato dello pietre lucifere (l) , il quale mi rimprovera la sterilità e mendicità del mio ingegno, mentre sento che V libertà o ricchezza del suo ha di già empiuto molti fogli di discorsi sopra una materia nella quale io non crederei di potere diffondermi nè anche in pochissimi versi. Taccino pure tutti gli altri ingegni che pretendono di poter gareggiare con quello del Sig. Liceti, mio Signore: al quale con riverente affetto baciando le mani, prego da Dio lunga vita o prospera sanità a benefizio della republica litteraria. Di Arcetri, 24 Settembre 1639. Di V. S. molto 111. et Eco. Devotiss. ed Oblig. Sorv. 40 Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111. et Kcc. Sig. mio Padron Colondiss. 11 Sig. Por tunio Liceti, Filosofo eminente nello Studio di Bologna. 3923**. ASCANIO PICCOLOM1NI a [GALILEO in Arcclri]. Siena, ‘24 settembre 1689. Blbl. Naz. Fir. Mss. (ial„ 1’. I, T. XII, car. HO. — Autogmfft la sottoscrizione. Molto 111.” Sig. r mio Osa. -0 Quanto più hanno liavuto la stagione contraria, tanto più riconosco l’amo¬ revolezza di V. S. nel rogalo delle /.atto, eli’appunto saranno godute nell’occa¬ sione d’una buona foresteria che aspetto in casa. Gncno rendo perciò devotis¬ simo grazie, sentendo estrema consolazione che ella tra i suoi travagli si vadia mantenendo con la solita franchezza, o che sì favorita mantenghi la memoria della mia servitù. Il tempo ci ha dato un po’ d’acqua, sì cho ripigliamo speranza di ricorre un po’di vino; o so olla m’accennasse qualo i suoi medici giudicano megliore por loia sua salute, non mancherò di provedernela: o tratanto si metterà da parte il solito degli altri anni. Pregola con ogni alletto di qualche suo comandamento ; e Dio nostro Si gnoro lo conceda ogni più desiderabile contentezza. Di Siena, li 24 di Sctt.” 1639. Di V. S. molto 111/ 0 Cfr. u.u 3000, Iin. tì. Devot.® Ser. A. Are/ 0 di Siena. 108 25 — 27 8ETTEMBRE 1639. L3»24-3»26] 3924 *. DANIELE SPINOLA a [GALILEO in Arcotri]. Genova, 25 settembre 1889. Blbl. Est. In Modena. Raccolta tempori. Autofrafl, B » XC, n.» 77. Autografa. Molto. 111." et Ecc. mo Sig. r mio Osa." 0 Lo grazie c’ho da V. S. ricevute, mi accusi*rebbi-*ro di troppa ingratitudine, s’ io non lo testificassi l’obbligo, che verso di lei no consono, ogni volta ch’io posso conoscer di farlo seri/.’apportarlo disturbo; e fra lo altro quella singolare d’inviarmi il suo libro maraviglioso ricerca eh’ io ino lo ricordi servitore il più devoto ed obbligato ch’olla habbia. Dubito nondimeno che V. S. (per cattivo ricapito havuto dallo mio lettore) mi tenga dchitor anche o di risposta alla sua do’ 12 di Marzo o di avviso della ricevuta grazia del libro sudotto. Ma io, dopo d’havorle scritto o ringraziatola amenduo lo volte non replicai più Ietterò por non cagionarlo soverchia noia; che so io havessi sperato cosi di otte-lo nero alcuna comodità di servirla, conio dubitava di tediarla, Laverei con piacere occessivo continuato a riverirla assai spesso. Il P. D. Vincenzo w potrà esser a V. S. buon testimonio della particolar mia osservanza verso di lei, o dello stupore cagionato in me dalla lettura del sudetto libro, di cui la ringrazio di nuovo infinitamente; e la prego, ro ino no stima degno, ad onorarmi de’ suoi comandamenti, i quali bramo quanto debbo, avvo- gna che io non mi conosca atto ad eseguirgli come sono obbligato. Et a V. S. bacio riverentemente le mani, e le auguro compita felicità. Genova, 25 di Sett.® 1639. Di V, S. molto Ill. r# et Ecc. w% Devotiss.® eri Obblig." 0 S. r 20 Daniele Spinola. 3925 . BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Firenze. Bologna, 27 «eltembre 1680. Bibl. Naa. Flr. Mss. Gal, P. I, T. XII, car. 142. — Autografa. Molto IH.» et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col." 0 Ricevo grandissimo gusto dalla sua lettera ultimamente scrittami, mentre intendo ch’ella si va puro conservando in qualche grado di sanità e tiene pur memoria di un suo cordialissimo servitore. Mi dispiace che il Big/ Dini ( * J stia <" Cfr. nn.‘ 3855, 3S08. Vincenzo Rknii ri. ‘ 3 > limo Putì. 27 SETTEMBRI-: — 1° OTTOBRE 1639. 109 [3925-3026] così travagliato tV intimità, poiché un ingegno talo dovria non ossoro impedito, per la molta utilità, elio da quello no possono sperare gli studiosi. La mia Centuria 10 si prattica tutta con i logaritmi, o per ciò chi non ha l’agio, gusto o patienza, di imparare la prattica di calcolare con quelli, non ne può intendere nionto; però non mi maraviglio elio il Sig. r Dino, stante la io sua infirmiti, non vi babbi anco fatto studio. Ma quell* infortunio elio travaglia il Sig. r Dino, cioè 1* infimiità dol corpo, non mi lascia nò anco me applicare a spoculationi, poiché ò un mese eli* io sto travagliato dalla gotta in tutto il corpo ; ondo non si maravigli so io non li rondo quel conto dol suo libro maraviglioso ch’io vorrei, poiché in tal tempo mi conviene sbandire ogni speculationo. Quanto poi al cognato 10 doli’Eni. 00 Dichi 3 et a Mone.* 111.® 0 di Siena* 4 ', già intesi por l’altra sua quanto per mezo loro potevo sporaro dal dotto Km. ,no ; et io tengo molto cara talo congiuntura di amicitia, o la supplicarci del loro favore quando vonisso l’occorrenza, ma por bora non il’ ho occasiono. Già sono andati li nostri Padri- principali dolla llcligiono, cioè li Padri definitori, co *1 no Generalo a Roma por faro questa benedetta riforma 16 ’; tuttavia pare elio il detto Em. B0 Biclii riesca gentilissimo, nè sia por fare gran novità. Basta: so quello arrivaranno a darmi molestia, la progarò poi, conio dico, do’ dotti favori. E con questo faccio fino, pregandolo dal Signoro lunga vita o tranquillità d’animo ot il compimento do’suoi desidcrii: alla quale facendo riverenza, bacio affettuosa- mente lo mani, salutando il Sig. r Dini et anco caramente il Padro demento* 6 . Di Bologna, alli 27 Settembre 1639. Di V. S. molto Ul. ro ot Ecc. m * Ob. mo Sor.™ o Disc. 10 F. Ron. r * Cavalieri. Fuori : Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.® 0 so II Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 3926 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 1° ottobre 1639. Blbl. Nnz. Fir. Mss. «al., 1\ I, T. XII. car. 144. — Autografa. Molto 111.™ od Ecc. mo Sig.™ o P.ron Col." 10 Dal Padro demento al longo sono stato informato dello stato di V. S. molto 111.™ od Ecc. ma , o gli ho fatto replicare lo medesime coso più volto por mia "> Cfr. n.° asso. 1,1 Alessandro Marsili. Alessandro Bichi. <*» Ascanio Pjocolomini. i*' Cfr. il* 3003. («) Clemente Settimi. 110 1 ° ottobre 1639. [ 3926 - 3927 ] consolazione. Quello elio mi è piacciuto assai è l’intenderò la composizione del¬ l’animo suo, mentre ella di buon cuore si quieta nella volontà di Dio, unica strada di vivere contenti. Mi ò ancora piacciuto assai intendendo che lo forzo vitali sono in buon stato, o ebo il lume dell’ intelletto si conserva in modo elio non lascia di filosofare. Sia ringraziata sempre la misericordia altissima di Dio. Quanto al nostro intrepido Mecenate 111 , sta bene di sanità di corpo o con¬ tontissimo dell’animo. No tengo Ietterò assai frequenti, dalle quali intendo cho io mi continova la sua buona grazia, e mi dà qualcho speranza di lasciarsi rive¬ dere a Roma; la qual cosa se riesco, cantarò il Nunc dimUtis. Il Sig. r Magiotti, S. r Nardi o S. r Borghi stanno bene o sentono allegrezza elio V. S. si mantenga; li fanno riverenza di tutto cuore, conio fo ancor io; o li prego dal Ciolo ogni voro bone, facendoli riverenza. Roma, il p.° d’8bro 1639. Di V. S. molto 111." od Ecc.®“ Mons. r Cesarmi (l) li fa un caro baciamani. Dovotiss." od Oblig.*° Sor” o I)is. l ° S. r Gal. 0 Gal. 1 Don Bonod.° Castolli. 20 Fuori: Al molto III.” od Ecc.® 0 Sig." o P.ron Col. 0 ’ Il Sig. r Galileo [Galilei], p.° Filosofo del 8er.®° tir. Duca. Firenze. 3927 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Firenze. Venezia, 1* ottobre 1639. Blbl.Eat. in llodena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXXX1Y, n* 60. — Autografa. Molto 111.” Ecc.® 0 S. r Il retrovarsi nel letto il S. r Andrea mio fratello con non poca gota, ot li Consigli nostri, elio in questi mesi, corno a lei ò noto, si sogliono fare, ha cau¬ sato che non babbi a questa bora adempito il mio desiderio di roverirla: tut¬ tavia spero eli farlo in breve spazo avanti l’invornata. Rcndolo grazie del catalogo che si ò compiaciuta inviarmi dolio suo opere, nò sparmierò a fatica certo per haver sì il proibito corno li altri ; cho perciò la prego coadiuvar questo mio desiderio con indrizzurmi ovo al sicuro possi far capo a un de loro, cho è uno do’ maggior favori che possi ricovero, assicuran¬ dola elio non guardarò a sposa per porlo insieme, stimandolo io una gioia. Mi io m (ìiotasni Cuwrou. <*’ Fikdivaxdo Ckbarim. 1° — 2 OTTOBRE 1630. Ili [3927-3928] retrovo bavero l’Uso (lei suo Compasso, con la Difesa di lei a Baldassar Capra, il Dialogo (lelli duo sistemi, et quell’ultimo elio lei si è compiaciuta inviarne. Mi escusi, la supplico, di tanta noia, o mi condoni ; elio con ogni allctto pre¬ gandola favorirmi do’ suoi comandi in alcuna cosa, a V. S. Ecc. mB baccio lo mani. Di Venetia, li p.° Ottobro 1639. Di V. S. molto 111." Eoe.®* Aff. mo Sor/ S. r Galileo Galilei. Francesco Duodo. Fuori : [....] S. r L’ Ecc. m0 Sig. r Galileo [Galilei], Dot/ Mat. co 20 Fiorenza, Raccomandata al S/ M." dolio Posto. por Arcetri. 3928 . ODOARDO FARNESE a GALILEO in Arcotri. Capraroln, 2 ottobro 1681». Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. 1, T. XIV, cnr. 219. — Autografa la firma. 111." Sig/° Ho seinpro fatta stima particolare del merito di V. S., e la visita clic lo ha fatta faro por mia parte la Sig. rB Duchessa mia (,) , è un argomento infallibile di questa verità. Compatisco alla sua cecità corporale, la quale però non lo toglie il lume dell’animo. Goderò il libro dello sue specolazioni filosofiche et matematiche; et ringraziandola del dono, parto del suo felicissimo ingegno, qui m’offero a V. S. et le auguro prosperità. Da Caprarola, li 2 di Ott. re 1639. Di V. S. io S. r Galiloo Galilei. Villa d’Arcotri. Fuori : All’ 111." Sig. rft 11 S. r Galileo Galilei. Firenze. Cfr. u.° 391 ò. 112 8 OTTOBRK 1G39. [3920] 3929. FULGENZIO MICÀNZiO a GALILEO in Firenze. Vincila, 8 ottobre 163V. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII. c»r. 178. Aot< jrafo I* «otte, trilione. Molto 111." et Ecc. mo Sig.% Sig. r Col.* 0 Yeramento lo coso et lo sventure avvenute a Y. S. molto 111.'* et F.cc. 0 * sono di quelle elio non si possono capire, et a me, per modo ili dire, restano ancora inintelligibili. .Non ho mai letto, nè anco nei più rigorosi trattati de’ casi di conscionza, elio fosso obligato alcuno a spesar una famiglia *’ in altro caso che Lavandogli ucciso ingiustamente il padre; ma il spesarla doppo che non è, mi paro Tenigma di Gioii: llalilnti in taUrnaculo eius sodi illius qui non est. L’eminenza della virtù di V. S. et V incomparabile suo sapere ha cagionato ohe li fulmini della malignità, ingiustitia et invidia habbino havuta sempre la mira a ferirla; ma può ben assicurarsi elio ogni tentativo riesce vano et gli arrecha 10 splendore o gloria, nò lo può far altro male elio moverli l’indignationo elio ac¬ cada a lei quello che mai sudi in altro. L’incomparabile cognitiono elio ha dello coso Immane li devo servire di scudo a tutti li colpi. Il partito preso circa quel regalo non mi dispiace *, porcliò mi assicuro che Fevento non sarà altro elio una risposta quale si deve aspetterò da Principe grande, cioè che non dona per ritorre, et cho quello ò un minimo segno di gratitudine rispetto alla grandezza dell’ invoutiono et deirutile che da quella può provenire. Io sto con tanto desiderio d'intenderò sul particolare qualche cosa di questa grande impresa, che non vedo l’hora di ricovero sopra ciò il suo discorso. Il Sig. r PieruzzL 1 ' mi disse, cho altro non mancava a perfettionar so l’opera so non trovar una macliina elio tenghi ferma la vista del canocliialo ad un punto del cielo, non ostante il moto della nave. So questo è, io ho per fatto dal canto di V. S. quanto fa bisogno ; pcrchò quanto a quella macliina non du¬ bito cho non siano per ritrovarla quegl’ ingegni oliandosi, cho in materia di ma- eliino vogliono sopla ogn’altra natione, esclusa P italiana mentre vive il Gallileo. Prego il Sig. r Iddio elio lo conceda quiete et tranquillità di animo. Ilaverà Y. S. rolationo da quelli cho qui sono stati col Ser. mo Leopoldo, della, sfera del nostro Alberghetti (4) , cho ha mosso sotto gl’occhi quello cho nei suoi Dialoghi ha imparato, di modo cho si vedo in fatto dall’arte quello cho V. S. ha portato conio possibile dalla natura et dall’Auttore di essa. Pai 30 Cfr. Voi. XIX, Doc. XL. b, 2). »*» Cfr. d.° «921. *•* Uio. Michel» Pibbccci. Ol SlUUMuMxj ALBIBGIIKTTI. 8—18 OTTOBRE 1639. 113 [3929-3931] quale instantomente desidero a V. S. molto 111." et Ecc. m * ogni bene, et le baccio le mani. Ven.*, li 8 8bro 1639. Di V. S. molto 111." ot Ecc. re * I)ev. mo Sor. F. Fulgentio. Fuori: Al molto DI." ot Ecc. mo Sig.', Sig. r Col. 0 Il Sig. r Gnlliloo Gallile». Fiorenza. 8930 *. GIO. MICHELE PIERUCCI a [GALILEO in Arcetri]. Padova, 14 ottobre 1089. Bibl. Est. In Modona. Raccolta Campo». Autografi, B.» LXXXY, n.» 52. — Autografa. Molt’Ill." ot Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col." 10 Mando a V. S. Ecc. m * lo duo ondo d’aloè, preparato, accomodato o rinvolto dallo spezialo in cartapecora grossa, acciò venga meglio custodito. E con que- st’occaaiono le rassegno la mia diligala servitù ; o con riverirla con tutto l’animo, lo prego da Dio ogni prosperità, pregandola di più a scusarmi so non così breve, perchè questa sera non ho tempo di scriver più a lungo. Di Padova, li 14 d’Ottobre 1639. Di V. 8. molt’IU." et Ecc.®* Devot.® 0 et Oblig.“° Ser." Gio. Michele Pierucci. 3931 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arcetri]. S. Maria n Campali, 18 ottobre 1639. Bibl. Naa. Flr. Appendice ai Msb. Gol., Filza Favaro A, cnr. 210. — Autografa. Molto 111." et Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col.® 0 Lo demostrazioni di benevolenza ebo V. S. ha fatto verso di me sono tali o tante, cho io da padre amorevolissimo non averei potuto desiderarle nè più af¬ fettuose nè più frequenti; ma questa ultima, nella quale V. S. manda a posta, e si priva del suo proprio servizio, per prevenire non solo i miei bisogni ma 15 XV11L 114 18 OTTOBRE 1639. [ 8981 - 3032 ] anche i miei dosici crii, fa olio la sua cortesia più presto si possa dire infinita chogrando: o io, elio mi trovo astretto con tanti legami indissolubili dubita¬ zioni, non posso anello a me stesso in altro sodisfare, elio considerando gl’eccessi della sua amorcvoleza, o appagandomi nella mia coscienza con una inclinazione o pronteza singularo a far conoscere a V. S. che io conosco questi ostraordinarii io ottetti d’umanità, so beilo non so anche trovare parole per renderne le debito grazio. Mando adusa la cedola dalli trentacinque scudi, elio ho riceuto por mano di Pierino, il quale andò al mercato, ma in vano, perchè, stante la fiera, non v’era gente, non che roba. Manderò io de’ pollastri quanto prima, mentro co ’] fine, facendoli debita reverenza, gli prego dal Cielo cumulata prosperità. l)a S. u Maria a Campoli, 18 Ottobre 1639. Di V. S. molto IlL" et Ecc."* Devota,"® e Oblig.“° So. rt P. Alessandro Ninci, 3932 ** ASCANIO PICCOLOMQ1I a GALILEO liu Arcetri). filoni!, 18 ottobre 1639. Blbl. Nnz. Plr. Mss. G»l„ P. I. T. XII, c»r. 146. — Autografa la •ottoacrUIon*» Molto DI." mio Sig." Oss.°*° La lettera di V. S. per Mons. T Saracini' 1 ’ ha havuto subito o fedel ricapito; e partendo egli domani per cotesta volta, forse più da vicino farà a V. S. signi¬ ficare o la ricevuta e la risposta. Allestisca puro V. S. la solita botticella, perchè a suo tempo mi conserverò il contento di servirla del mio vino; e credo che haverchbe a essere un po’ rae- glioro dell’anno passato. Saluto \. S. per parto di questo Ser. mo Principe elio mi dice che ha havuto disgusto di non haverla potuto godere un poco, prima del suo ritorno. Ella adunque vedo l’obligo in che è di conservarsi, a consolazione e de’ Padroni e io de suoi servitori; o però pregando Dio por ogni sua più desiderabile felicità, devotissiraamente le bacio le mani. Di Siena, li 18 d’Ottob. 1639. Di Y. S. molto 111.™ Devot. Sor. S - r Galileo. A . A- di Siena. ,l) Gukkakdo Saracixi. O) Leopoldo de’ Medici. 1.3933] 22 OTTOBRE 1639. 115 8933 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 22 ottobre 1639. Bibl. Nnz. Flr. Mss. «al., I 1 . I, T. XII, car 148. — Autografa. Molt’Ill." Ot Ecc.®° Sig. r , Sig. r Col." 0 E pure si travaglia ancora V. S. molto IH.™ et Eoe.™ sopra quel piciolo ro¬ galo (,) , elio in rispetto dell’invontiono o di olii gli lo foco ò un puro nulla. Ponga, la prego, il suo cuore in paco, o so dove pensaro, pensi all’opera, o lasci alla posterità, quei lumi elio dagli ocelli dell’intelletto, sciupio lincei o perspicacis¬ simi, si attendono. Il caso di quelPussassino ò tanto simile a quello gi:\ occorso nella persona di quel già, tanto amiratoro delle virtù di V. S., dico il P. Maestro Paolo, elio mi fa sovvoniro il dotto che redcutU radon infinitics. La fama, elio l’haveva io portato qui assai alterato, 1* ha però vestito (lolla medesima circonstanza quanto alli mandanti, elio noi nostro fu il Cardinale nipote, non senza scienza del zio. Non ho creduto al riporto, che por essere levato l’assassino di chiesa, il Noncio fosso passato a censure, perché lo leggi stesso ecclesiastiche eccettuano il caso; o sobeno por una bolla di Gregorio 14 ci vuole licenza, quella però non è rice¬ vuta, dicono questi casisti, so non in puochi luoclii. Qui si foco resistenza, si prohibl la publicationo, si pretese la nullità., e doppo negotio di 4 mesi si finì che il Papa stesso assenti elio non si osservasse; o così si prattica. L’Arisi si scusa elio non si cava un soldo dallo entrade, o dico il vero: lo sollicito però al suo debito. 20 Le raccordo la mia avidità, di vedere il discorso della longitudine. Prego Dio che le dia tranquillità, e lo bacio le mani. Ven.», 22 Ottobre 1639. Di V. S. molto IH.™ et Ecc. ms Dev. ra0 Ser. F. Fulg. 0 Fuori, d'altra mano: Al molto 111.™ et Ecc. mo Sig. r Sig. r Col.® 0 Il Sig. r Gallileo Gallilei. Fiorenza. «'> Cfr. ìi.o 3929. 116 22 — 28 OTTOBRE 1639 . [8934.3935] 3934 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO fin Arcatri]. Venezia, 23 ottobre 1639. Blbl. Est. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, B.* I.XXXVll. n * 6. Autografa la wltoicrixiono. • Molt’ Ill. ro et Ecc. mo Sig.™ e P.ron mio Os3.“° Io non vorroi elio V. S. Ecc. B * decimasse il sommo guato, che provo in sor- virili, con lo soverchio cirimonie, le quali offendono in un istesso tempo o la mia infinita osservanza o la piena autorità che tiene di comandarmi. Supplitala por tanto a tralasciarlo, et in luogo di quello soggiungerò qualche suo coman¬ damento. La lotterà per il Padre Maestro Fulgentio è stata presentata in propria mano; o so egli mi invierà la risposta, V. 8. Ecc.“* la vedrà aggiunta con questa. Io poi, giachò lei conserva (anta prontezza di favorirmi, torno a supplicarla di quello che già un tempo la pregai ; cioè, ho alle volte gli veni sso fatto il ri- io cordarsi di quei passi no’ quali l’A riosto è stato tanto superiore al Tasso, haverei por somma gratia che mo no favorisse. (Vedo che il Padre delle Scuole Pio (t> mi farobbe il favore di notarli : ma tutto intendo di ricevere dalla sua cor¬ tesia, quando non li poasa essere d’incomodo o travaglio. E qui a V. S. Ecc.“* bacio con sommo affetto lo mani. Venotia, 22 Ott.™ 1639. Di V. S. molto 111™ et Ecc.™ A fi." 0 et Obb.“° Se.™ Sig. r Galileo Galilei. Fran. M Rinuccini. 3935 . ELIA DIOPATI a GALILEO |m Arretri], Parigi, 28 ottobre 1630. Dal Ionio III, p»g. 185-186, doll'ediziono riUU noli' inforiiMuiona prono . -a aI n • 1201. Di Parigi, 28 Ottobre 1630. Sebbene da molto tempo in qua mi ritrovo privo dello lettore «li V. S. molt’IH., nondimeno, non scemandosi porò il devotissimo mio affetto a riverirla e ser¬ vii la, mi sento in obbligo di significarlo l'unsietà mia di supero dello stato suo “l Cfr. nn.« 3680, 3651, '*» Ci.au arra Sarrtw. 28 — 29 OTTOBRE 1630. 117 [3935-3936] prosento, rinnovandolo la memoria della mia servitù. L’ultima avuta da lei fu de’24 Aprile, alla quale foci risposta agli 21 Giugno o dipoi lo ho scritto duo volte, dandole avviso o condolendomi con lei della morto inopinata o pre¬ cipitosa (in capo a otto o dieci giorni da elio s’ammalò) dol Sig. Martino Or¬ tensio, solo superstite do’ quattro Commissari che dagl’ Illustriss. Signori Stati io erano stati deputati per Tosammo della proposiziono di V. S. molt’ 111. circa la longitudine, gli altri tre, cioè gli SS. Itenlio, Blavio o Golio, essendo morti molto prima; e dicendole elio non por questo credeva elio il suo negozio restasse spento con i detti SS., se V. S. molt’ 111. vorrà elio so no risvegli la pratica, non man¬ cando in quello parti peritissimi astronomi per supplire in luogo do’ defunti. L’aggiunto piego è d’una composiziono del Sig. Bulialdo (autore dell’opo- retta De natura lucis, vista da lei od approvata con molto elogio (l) ) sopra il sog¬ getto do’Dialoghi di V. S. molt’111., con nuove ragioni mattomaticlio l3 ’; della qual opera, come tributario di V. S. molt’ 111., lo no fa presento, o mi ha pre¬ gato a mandarlcno: sicché, per mio discarico doli’officio che ha desiderato da 20 ine, la prego elio con quattro lùglio di risposta lo piaccia avvisargliene la rieo- vuta o cho a suo agio so lo farà leggoro o glie ne scriverà il suo parere, so però, pigliandone il saggio con farseno leggere alcuna parte, non volesse dar¬ gliene qual cho approvazione nella prima risposta alla sua lettera, colmandolo in questo modo d’inaspettato favore. Con ciò umilmente le bacio lo mani. 3936 *. FRANCESCO DUOLO a GALILEO in Firenze. Venezia, 29 ottobre 1639. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.* LaJ£IV, n.« 07. — Autografa. Molto 111. 10 Ecc.“° S. r Resto con ohligo infinito a V. S. molto 111.” Ecc. 1 ”* dell’ lionoro elio si è degnata farmi con inviarmi la sua Dilesa contro il Capra, la quale anco haveo appresso di me, corno con mio passato 14 ’ lo accennai. Scrivo perciò in Germania per veder haver quello mi mancano, et anco in Olanda. Quollo che mi man¬ cano sono queste, cioò Nuncio Sidereo, la Risposta itili scritti di Benedetto Castelli (5) , Do lo coso elio notano sopra l’acqua, il Saggiatore, le Lettor & solari. 11 restante mi ritrovo haver tutto. Nò l’uua nò l’altra di quo&to lotterò ò por- de cero tyiUmalo mumli, Ulti IV: cfr. n.° 3&88 venuta (ino a noi. liu. 18-25. •*» Cfr. nn.t 3588, 3638. <*> Cfr. n « 3927. • 3| lutomle, l’opora Philolai, *cu Viucriationie *** Cfr. Voi. IV, pag. 451, 4 53. 29 OTTOBBE 1639. 118 29 OTTOBBE 1039. 13936 - 3937 ] Uscito elio sii di corta carica elio mi tiene occupato, cho sarà fra pochi giorni, al sicuro verrò a reverirla; che so bene la staggione fosse freda, poco io mi curo. Nel revsto progola con ogni affetto impiegarmi in alcun suo serviggj 0 lice lo ricoverò a favor singolarissimo ; et di cuore offerendomi a V. S. mo ^ 111.” Ecc. ma buccio lo mani. Di Venezia, li 29 Ottobre 1639. Di V. S. molto Illustre S. r Galileo Galilei. Aff.° Ser. Francesco Duodo, Fuori: (-Sig. r ] L’ Ecc.“° Sig. r Galileo (GaliJIei, Dot.' Mat/° Fiorenza. Roc. u al S. r Mastro dello l’oste. 3937 *. DANI E!.E SPINOLA « [GALILEO in Arretri |. Genova, !W ottobre 168U. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cam pori Autografi, II.» XC, o.» ?tt. — Aul. 2. — Autografa. Molto 111." od Ecc. 100 Sig.'° o P.ron Col. 1 ’ 10 Il latoro o, per diro meglio, latori della proselito sono il Sig. r Niccolò della Fiora ed il Sig. r Carlo Mollino, pittori eccellenti, quali so no vengono a Firenze principalmente desiderosi di vodoro o conoscere V. S. molto 111." ed Ecc. ma , o par¬ ticolarmente desiderano faro il ritratto suo. M’hanno pregato elio io li raccom- wandi; por tanto la prego elio si compiaccia fargli ogni grazia: o l’assicuro che sono liuomini di buonissimo gusto e elio montano d’essere serviti; o tutti quei favori elio olla si compiacerà fargli saraimo bene impiegati, ed io gli ne restarò con particolare obligaziono. io Mi vado trattenendo in alcuno speculazioni, le quali ho quasi abbozzate; e spero in brovo dargli quolla ultima mano elio può dare la mia debolezza, e poi gli no mandarò la copia. Io desiderai a’ giorni passati di bavero il segreto di fare i sfiatatori ai condotti dolio fontano sotto terra, ma non fu possibile otto¬ nero l’invonziono; o però, dopo harem fatta qualclio roflossiono, ho incontrato un modo il quale, so non m’inganno, ò molto meglio di quello elio ò stato ri¬ trovato costì. No ho fatta la prova, o riosco molto bone, ed è cosa veramente degna di sapersi. Quando V. S. l’intenderà, credo no haverà gusto: in tanto li fo bum ilo riverenza. Di Roma, il 15 di 9bro 1639. 20 Di V. S. molto 111.” od Ecc. raa Devotis. Ser. r0 o Dis. 10 Don Bened. 0 Castelli. ,l > Cfr. u.o 3930. <*) YlNOKNZO UkNIKKI. 124 ir» — 26 NOVEMBRE 1639. [ 3048 * 3044 ] 3943 ** ASCANIO PICCOLOMINI n [GALILEO in Arcetri], Siena, 16 novembre 1639. Dlbl. Na*. Flr. Mss. Ga).. P. I, T. XII, car. 1.14. - Autografa la kottocriiiona Molto 111." Sig. r mio Osa.* 0 La nostra scarsa ricolta di vini non gli fa essere quest’anno megli ori, poi che, so beno l’uve parovano di fuora incotte, ni pestare j>oi non sono riuscite a bastanza mature. Servo in ogni modo V. S. del mon cattivo che li abbino fatto i mici luoghi, e posdoman mattina compariranno costà i vetturali ; ondo si compiaccia di dar ordine elio il solito vaso sia preparato. Passai l’officio elio V. S. m’ordinò con la sua del 27 con questo Sor.® 4 Principe tl) , elio, gradendolo estremamente, mi confermò il sentimento che havea liavuto di non liaverla potuto vedere prima del suo ritorno in qua: e per dare a V. S. un sincero contrasegno del favoriti - imo affetto dell’A. S., basterà dirle io elio continuamente studia lo suo opero. E senza più a lui confermo la mia divotissima osservanza. Di Siena, li 16 di Nov. 1639. Di V. S. molto ili." Dovot. Ser. , A. A. di Siena, 3944 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze, Veneti», 26 novembre 1639 Bibl. No». Flr. M*s. GuL, P. VI, T. XIII, car. 174. - OrifinaU, non antofrafa. Molto 111." et Ecc.“° Sig. r , Sig. r Col.® Scncdtis ipsa morbus est. Sono in letto già più d’una settimana, parte por febre, parto per dolori di gambe et altri mali, che non so esplicare so non por frutti dell’età et della stagione. Monsig/ Ansio mi usa una cortesia di questo generi»: ha mandato a Ve- netia il danaro della pensioncella, ina c»»n conditione che non mi sia date so non mostro una fede che V. S. molto 111." et Kcc.- sia viva. Ho fatte quel rLssentimento di parole che si dnvea contro questo sciagurato, che, immemoro dello maniero cortesi con che si tratta con lui, esondo un furbo, mi giudica et misura colla sua propria misura. Non si può far altro: sia contenta man*io (l > Leopoldo db* Mudici. liG NOVEMBRE —3 DICEMBRE 1639. 125 [3944-8945] darmela, non porchò meriti la spesa, ma por non lasciar elio questo furbazzo babbi il suo intento. Il metafisico Francescano (lì di Padova, per quello elio intendo, scrive qual¬ che cosa del ciolo. Mi ha fatto tanto aggravare, elio son stato necessitato pre¬ starli per 4 giorni li Dialoghi di V. S. del Sistema: passa un mese et non me lo restituisco; sto aspettando elio me lo truffi, porchò di qua ò impossibile havorno. Non andarti la sua compositiono alla stampa elio mi passarà por mano, ot sto con desiderio ad aspottar quello elio vorrà, diro. Se uscirà dei tormini della modestia, non lo stamparti corto. 20 Sopra la lettura ot consideratone della proposta da V. S. giti fatta, ot di cui mi ha fatto il favore di farmi parto, intorno alla longitudine, mi paro po¬ tere arrivare sino a quosto punto, elio consista in stello elio faccino occlisso tra loro, che poi sarebbono lo Mediceo, poiché altre non no ha ritrovato V. S., elio vuol diro che nessuno no ritrovarsi se non quello. Ma 1’ havervi fatto lo osservationi et tavolo ©squisito ò una cosa divina, et elio il lasciarla morire ò un grandissimo peccato; ot il solo havor ciò accollato morita li rogali non di una collana, ma d’un stato intiero. Prego Dio elio lo conceda forza di potor faro quest’ altro miracoloso frutto per gl’ ingegni capaci della verità ot elio non si appagano di pardo senza succo o senso. Si conservi, et lo prego con ogni 80 alletto tranquillità di animo nella tolleranza dei mali ; ot lo baccio lo mani. Veri.*, li 26 9bro 1639. Di V. S. molto 111/ 0 ot Eoe.® 3 Fra F ulg.° de’ Ser. Fuori: Al molto 111/ 0 ot Ecc. mo Sig/, Sig/ Col." 10 Il Sig/ Gallilco Galliloi. nel spotialoFiorenza. 3945. GALILEO a BENEDETTO CASTELLI [in Roma]. Arcetri, 3 dicembre 163'J. Dal Tomo II, pag. 105, dolio Opere di Galileo Galilei occ. In Bologna, por gli HII. dol Pozza. MDCLV, tlovo porta il Utolo: « bottoni dol Sig. Galileo Galilei al I’adro Abbate D. Bonodetto Castelli, conte¬ nente una dimostrntiono d'un principio già supposto dall':uitoro noi suo trattato dol moto accelerato no’ Dialoghi do’ movimenti locali » <*>. Molt’Illustre e Rever. Sig. o Patron Colendiss. È manifesto pur troppo, Sig. mio Reverendiss., che il dubitare in filosofia è padre dell’ inventione, facendo strada allo scoprimento del (l ’ Francesco Maria Vaccarj. Quosto duo parole sono d’altra mano. <»> Cfr. Voi. VIIJ, pag. 23 126 3—4 DICEMBRE 1639. [ 8945 . 3946 ] vero. L’oppositioni fattemi, son già molti mesi, da questo giovane”’, al presente mio ospito et discepolo, contro a quel principio da mo supposto nel mio trattato del moto accelerato, eh’ egli con molta ap- plicatione andava allora studiando, mi necessitarono in tal maniera a pensarvi sopra, a fino di persuadergli tal principio per concedibile e vero, elio mi sortì finalmente, con suo e mio gran diletto, d’in¬ contrarne, s’io non erro, la dimostratone concludente, che da me io fin ora è stata qui conferita a più d’uno. Di questa egli ne ha fatto adesso un disteso per me, elio, trovandomi affatto privo degli occhi, mi sarei forse confuso nello figure e caratteri elio vi bisognano. È scritta in dialogo, come sovvenuta al Salviati, acciò si possa, quando mai si stampassero di nuovo i miei Discorsi c Dimostrationi, inserirla immediatamente doppo lo scolio della seconda propositiono del sud¬ detto trattato, a faccio 177 di questa impressione (1) , conio teorema essontialissimo allo stabilimento delle scienze del moto da me pro¬ mosso. Questo lo comunico a V. S. per lettera, prima che ad alcun altro, con attenderne principalmente il parer suo, e dopo quello de’no- 20 stri amici di costì, con pensiero d* inviarne poi altre copio ad altri amici d’Italia 0 di Francia, quando io no venga da lei consigliato. E qui, pregandola a farci parte d’alcuna dello suo peregrine specu- lationi, con sincerissimo affetto la rovorisco, 0 gli ricordo il conti¬ nuare Porationi appresso Dio di misericordia e di amore per Peatirpa- tiono di quelli odii intestini do’miei maligni infelici persecutori. D’Arcetri, li 3 Decembro 1639. Di V. S. molt’Illust. e Rover. Affotionatiss. Serv. Obbligata. Galileo (ìalilei Linceo ciuco, so 3940. GALILEO a [FERDINANDO II DE'MEDICI, Granduca di Toscana, in Firenze]. Arretri, •» dicembre 1639. Bibl. Ntt*. Flr. il ss. Gal., P. I, T. V, car. 40. — Originalo, di inano di Vixokxzio Uàmlxl Ser. mo Sig. TO e P.ron mio Colend. mo Y. A. S. sentirà dalla viva voce del Sig. r (ieri Bocchineri, presen¬ tatore di questa, la causa per la quale io mi son mosso a supplicarla Lett. 3940. 3. per la quale io io mi — «U ViNGiNEio Vivici. delle Suo* Sciente. Cfr. Voi Vili, p»g. 214, nota l <*) Intendo, P ediziono di Leida dei Dialoghi 4 DICEMBRE 1639. 127 [3946-3947] a farmi grazia die io possa metterò sul Monto di Pietà scudi sette¬ cento; la qual causa, por non tediar V. A. con soverchia lunghezza, non mi è parso di mettere in carta. Per alcuni miei particolari et urgenti bisogni mi sarà di sommo favore il ricevere da Y. A. la do¬ mandata grazia, ancorché P animo mio non sia di prevalermene con¬ forme alla mia domanda, come di tutto liarà contezza dal sudetto. io Spero che sì conio V. A. S. in tante altro occasioni si ò degnata favorirmi, così in questa con la solita sua benignità mi habbia a concedere quanto desidero. E con tal fine, pregandolo da Pio intera felicità, umilmente le bacio la vesto. D’Arcetri, li 4 di Xbre 1639. Di V. A. S. Umilissimo e Devo.” 00 Se. re Galileo Galilei. 3947 *. PETRONILLA 1MRTOL1NI a [GALILEO in ArcetriJ. Firenze, 4 dicembre 1089. Bibl.Nnz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XIII, car. 283. — Autografa, Ill. mo Sig.™ Quando seppi iorinattina elio V. S. ci aveva favorita con la sua presenza (li venire a parlare a lo sua nipote 111 , mi rallegrai assai, o venivo a faro l’obligho mio (li salutarla; ma perché la mia mala fortuna mi volso mortificare, quando arrivai, appunto si ora partita, o no rimasi mal contenta. Ma poi elio non po¬ tetti in persona ricever questo favore, li scrivo questi quattro versi salutandola, con dirli elio sono entrata ncl’ofizio di ministra bora ò poco, o desidero servirla in quello elio mi conosce buona; o a lo suo nipote porto affetto particolare, o non mancherò far faro orazione por lei a lo mio monache. Li mando un erbo- 10 lato in piccol segnio di amorevoleza; mi scusi so ò poca cosa, mentre per fino la roverischo. N. Signoro li assista con la Sua grazia. Pi San Giorgio (2) , il dì 4 di Xbre 1639. ’ Pi V. S. Pl. ma Aff. ma noi Sig. ro S. r Petronilla Bartòlini, Ministra' al presente. Suon Arcanofof.a di Bknkdktto T.akddCci Cfr. Voi. XIX, I)oc. XL, o). e Viuqinu di Vixoknzio Landtjcof. 12S 7 — 11 DICEMBRE 1639. [3948-3049] 3948. FAMIANO MICHELINI a GALILEO [in Arcetri], Sienn, 7 dicembre 163U. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. IMI. — Autografa. Pax Christi. Molto 111. et Ecc. mo Sig. r o r.ron in Citrato Col.' 10 Invio a V. S. molto 111. et Ecc.*“* il più antico o curo amico che io Labbia nella nostra Itoligiono, elio si chiama il Patire Ambrosio della Concezioneper¬ sona di ottimi costumi o raro ingegno, studioso e desideroso di servirla in ogni occorrenza; o gli effetti mostreranno più di quel che io dico a V. S. molto 111. et Ecc. m * Egli supplirà allo mio negligenze o mancamenti, et ella potrà far conto tV Lavoro un altro Francesco di S. Giuseppe appresso di sù, quanto alla dovoziono et osservanza verso dello cose sue; ma quanto alla diligenza et altre qualità etc. Laverà uno che mi avanza d'infinito intervallo. Però lo raccomando io alla sua protozziono et alla sua solita gentilezza nell’ammetterlo nel numero do’ suoi discepoli, o tanto più quanto ù amicissimo del 11.“" Padre Abbate Ca¬ stelli, primo discepolo di V. S. molto III. et Ecc." 1 * Con elio hu in il mente inchi¬ nandomelo, la prego ad honorarmi do’sua comandamenti, e le annunzio pienezza di grazio colesti in queste Santissime Feste di Natale. JJcv yralias. Siena, 7 Dicembre 163!). Di V. S. molto 111. et Ecc."* Il Sor. -0 Principe Leopoldo la saluta, o le racco¬ manda il medesimo Padre. Indeg."* et Obbligatisi * Disccp.* c Servo in Christo 20 S. r Gai. 0 Fran. ## di S. Giuseppe. 3949. GALILEO ad ELIA DIODATI fin Parigi]. Arcetri, 11 dicembre 1630. Blbl. Naz. Flr. M*i. Gai., P. VI, T. VI, c*r. liti. — Copi* di mino della ■«'conti* moti del «a* VVIf, In capo all* qualo kì legge, dello atosao carature: * Lottar* D.ol ••alile! ad II.una Diodatuui, veld ea para excerpta ». Molto Illustre Signore e Padron mio Colendissimo, La gratissima di V. S. molto Illustre delli 28 Ottobre (i) non mi ò pervenuta se non quattro giorni sono, insieme col libro del S. M Ismaele m Ambkoqio Ambkooi. «*• Cfr. n.- 8t>!16. 11—18 DICEMBRE 1G39. 129 [3949-3950] Bullialdo (1) , il quale diedi subito a far legare, ed lioggi solamente me ne lio fatto leggere correntemente in diversi luoghi; e bench’io non possa per la cecità rimanere capace delle dimostrazioni, tutta¬ via dalla maniera di trattare materia sì profonda comprendo, il suo autore essere persona intelligentissima et elevata assai sopra gli astro¬ nomi e filosofi communi dell’età nostra. Tornerò a farmi leggere par- io titamente il tutto, o non mancherò di quello elio resterò capace di darne conto all’autore, con significarli ingenuamente il mio senso e concetto, il quale son sicuro che sarà come di opera eccellentissima o dottissima ; e tra tanto, sin elio io possa direttamente scrivere all’autore, mi farà favore V. S. molto Illustre di rendergli grazie del- f lionore fattomi in mandarmi l’opera. Di Arcotri, li 11 Decembre 1639. 3950 . GALILEO n [BENEDETTO CASTELLI in Rotimi. Arcotri, 18 dicembre 1089. Bibl. Nnx. Plr. Mas. Gal., P. VI, T. VI, cnr. 103.— Copia di mimo del eeo. XVII, in capo nlln quale si leggo, dolio stesso carattere: « Copia doli’ originale ». Rev. mo P.re e mio P.ron Col."' 0 Questa mattina mi è stata resa la gratissima della P. V. Rev. raa (2) da’pittori da lei inviatimi e commendatimi. Gli ho ricevuti con quel maggior alletto che dalla miseria dello stato mio mi è concesso; gli ho fatto offerta della casa e di tutto quello in che io potessi com¬ piacergli : et a lei devo render grazie del mettermi, appresso buoni ini virtuosi, in concetto molto maggiore di quel ch’io merito. Sono stato molte settimane con ansietà aspettando sue lettere o sue scritture intorno a varie speculazioni già da lei accennatemi, alle io quali sento che ne aggiungerà altre bellissime, cioè della calamita del terremoto, con quella dell’origine de’fiumi, e più l’ultima che mi accenna (4> delli sfìatatori per P acque correnti in canali sotterranei. Tutte sto avidamente attendendo, essendo sicuro che sentirò specu- Lett. 3050. 6. melermi — 10. aggiùngerà — beiintime — ( ’’ Cfr. n.“ 3920. Fava HO ( Ballettino di Bibliografia e di Storia delle 1,1 Cfr. n.® 8942. trienne matematiche efiiiehe. Tomo XVI, png. 545-564). |Sl Cfr. Intorno ad un Vincono topra la cala- Itoinn, tip. delle scienze matematiche e fisiclm. 1883. mila Ambrogio Ambrogi: cfr. n.» 8048. „ ,,, <*' Suor Arcìsoiola di Bexidktto UxDtrooi. [39521 24 DICEMBRE 1639. 131 3952*. GALILEO a FORTUNIO LICETI in Tlolopna. Arcctri, 24 dicembre 1(539 Dallo pnp. 189-MO doll’opor» citata noli'in forni aziono promossa al n.° 8922. Molto 111. ed Eco. mio Sig. Padron Colendiss. La cortesissima lettera di V. S. molto 111. et Eccellentiss. dalli G stante non mi è stata resa se non questo giorno, et assai tardi, sì che non ho liavuto tempo di poter mandare a riscuotere il libro ch’ella dico d’inviarmi. Farò usare ogni possibil diligenza domani, per haverlo e poter godere della sua lettura in questi Santi giorni del Natale, giudicando di non poter impiegar meglio l’avanzo del tempo che mi resta doppo le orazioni e meditazioni divine. Io resto confuso e con rossore del non poter corrispondere a gli io obblighi de’quali la sua cortesia mi va giornalmente caricando, poi¬ ché non posso almeno con i fogli, benché sterili e privi di concetti degni de’suoi orocchii, compensare i libri suoi, pieni d’esquisitissima dottrina, de’quali ella mi tiene continuamente bonorato. Mi sono fatto di quando in quando leggere le Lettere respon¬ sivo (1> di V. S. Eccellentiss., sì che ne ho sentito la maggior parte; ma tutte, e più d’una volta, rilaverei lette per me stesso, se il mio infortunio non me l’bavesse vietato. Ci trovo dentro sottilissime con¬ templazioni, et oltre a ciò sento le occasioni che la va interponen¬ dovi di honorare più volte il mio nome; di che le resto particolarmente 20 obbligato. E perchè io antepongo il giudizio suo a quello di ogn’al¬ tro, la voglio pregare a farmi grazia di significarmi le cause per le quali ella dice di non applaudere all’opinion mia di quella seconda illuminazion della luna, la quale io attribuisco al reflesso de’raggi solari nel globo terrestre, intorno a cui ella assai largamente discorre nella lettera che scrive in proposito della conclusione del Sig. Pietro Gassando delle ombre meridiane e vespertino diseguali (ì) ; perchè, po¬ tendo accadere che le opere mie si ristampassero, cercherei di emen¬ dare questo errore, sì come se ne vedranno emendati alcuni altri. Lett 3952. 20. antipongo — Cfr. n.° 8909. <»> Cfr. un.» 8472, 3910. 132 24 — 30 DICKMHUK 1030. 13952-3953] Instano lo Santissime Feste del Natale, lo (inali io devo augurare, sì come fo, a V. S. Eco. felici, et altretanto il principio o tutto ih 0 corso dell’anno seguente, insieme con molti altri, acciò la republica litteraria vada sempre godendo deH’augumcnto elio il suo acutissimo e fecondissimo ingegno arreca a tutto lo scienze. E qui con riverente affetto le bacio lo mani. D’Àrcetri, li 24 di Decembro 1030. Di V. S. molto 111. et Eccoli. Devotiss. et Obligatiss. Servit. Galileo Galilei. Fuori: Al molto 111. et Ecc. mio Sig. o l’adron (’olendiss. Il »Sig. Fortunio Liceti, Filosofo eminente nello Studio di o ■Bologna. 3953 . GALILEO mi ELIA DIODATI fin Paridi], Firenze, 80 dicembre lttl'J. Dal Tomo III, pag. 1BG-187, doll’eduioiio ciUU noli'informuionr protnma ni n.° lfiol. Firenze, 30 Dicembre 1639. Dalla gratissima lettera di V. S. molt’Ill. degli 28 d’Ottobre (n , pervenutami non prima di tre settimane fa, comprendo non le essere stata rondata una mia, tra lo altre, nella quale lo discorreva intorno alla restituzione del negozio con gl’ Illustrine, e Potentiss. Signori Stati. Scrissi anco ultimamente 11 della ricevuta del libro del Signor Bulialdo; ma il vedere quanto facilmente si smarriscano le mie let¬ tere, fa che io torno a replicarlo sopra i medesimi particolari. E quanto al primo negozio, mi dispiace assai la morte del Sig. Or¬ tensio e degli altri tre Commissari, accidenti clic, aggiunti al mio io infortunio, par che vadano intraversando o disturbando il progresso, nel quale però, per quanto per me si potrà, non restorà impedita se non la più presta esecuzione: attesoché, come nell’altra (che pur vo¬ glio credere che le possa essere pervenuta) lo scrissi, ed ora le re¬ plico, l’opera che restava a farsi da me è trapassata in mano d’amico mio intelligentissimoe che di tutto cuore l’abbraccia; ed essendosi Cfr. n.° 8935. '*> Cfr. n.o 3949. •*> Vixoinu Krnibm, 30 DICEMBRE 1030. 133 [ 3953 ] impadronito della parte principale, cioè dello osservazioni, tavole o calcoli di quei movimenti celesti sopra i quali s’appoggia il negozio, in breve potrà dar segno d’essersi impadronito del tutto, con man- 20 dar costà l’effemeridi di sei o più mesi, nollo quali si vedranno gli aspetti futuri di notte in notte, e, confrontandogli collo sensate ap¬ parenze, potranno gl’intelligenti di quello bande assicurare quei Si¬ gnori della verità di questa parte. Questo medesimo mio amico è di fresca età, di buona complessione, d’acutissima vista, o d’animo pronto a trasferirsi in cotosto bando, quando così giudicassero espediente quegli Illustriss. Signori. Io lo diceva nell’altra mia che mi pareva che fusse bene, per mezzo dell’Illustriss. Sig. Grozio, far pervenire all’orecchio loro lo stato presento di questa materia, perché, ritraen¬ dosi clic volessero deputare altri Commissari e riassumere l’impresa, so io poi con altre mio lettore averei fatto intendere il tutto. Ora, perché per la lontananza grande le lettere facilmente si smarriscano, 8e così piacesse a’detti Illustriss. e Potentiss. Signori, parrebbe a me che si potesse deputare fra gli altri l’Illustriss. Imbasciatoro che tengono in Venezia (1) , perché, o per la vicinanza e per la comodità di potergli anco favellar a bocca l’amico mio, si faciliterebbe molto più presto questo trattato. Starò dunque sopra questo attendendo la risposta da V. S. molt’Hl. Scrivo la qui alligata (2) al Signor Ismaele Bulialdo in ringrazia¬ mento del libro mandatomi, del quale a me ò stato conceduto po- 40 terne comprendere pochi particolari, essendo esplicato il tutto con figure lineari e dimostrazioni geometriche, dello quali è impossibile senza la vista restarne capace. Ho compreso in generale il suo me¬ todo: l’opera mi pare ingegnosa e molto degna di lode; e V. S. nel recapitargli la qui alligata potrà soggiungerli, oltre a quello che gli scrivo io, una libera offerta della mia servitù e prontezza in servirlo, por quanto dalla mia debolezza mi fusse conceduto. Qui, essendo tempo d’augurare a V. S. molt’Ill. felice il prossimo Capo d’anno con molti altri appresso, con reverente affetto le bacio le mani. Bai Commemoriali dell’Archivio di Stato in presso la Serenissima. Forse porò gli Stati avevano Venezia risulta elio nel 1(509-IR 10 fu ambasciatore a Venozia intorno al 1639, piuttosto elio un vero •logli Stati Gonorali (l'Olanda in Venezia il S. r di ambasciatoro, un ageuto diplomatico noli» persona VVandkrwim,; ma da quel tempo fino al 1731 non di Giovanni Riti just. si trova nitro rapprosontanto ufficialo dogli Stati <» Cfr. n.» 39 134 30 DICEMBRE 1639 3 GENNAIO 1640. [3954-3955] 8954 . GALILEO n ISMAELE BOULLIAU [in Parigi]. Firenze, 80 dicembre 163W. Blbl. Nazionale in Parigi. Fondu francali. n.« 13087, rnr 101. — Originala, non antnrrafa Nella Bibì. Nazionali) di Firenze, Msb. Gal., P.V1, T.YI, car. 1 14r.. aa ne ha una copia di mano «lolla seconda metà del aec. XVII. Clarissimo Viro Domino lama eli Bullialdo S. P. Pervenit bue e Gallia, Vir durissime, Philolaus tuus' 1 ’ ad me di- rectu8 (s) ; sed tenebrarum incleinentia, quorum perpetua caligine of- fundor, accedentem ea (pia optabam fronte non permisit amplecti. Nitorem illius etgratiam meorum infelicitns ocnlorum potius suspirare sinit quam cernere; tentavi tamen si luminis inopiam auditus pensare potuisset, alienique obtutus auxilio loquentem avidia aurilms hausi. Placuit summopero methodus, qua in propriao utitur confirmatione sentGntiao, aliarum scilicet cum coelestibus apparentiis repugnantia; sed, ut dixeram, non est quod de ilio fari possim, qui conspicere non io valeo. Unum quod miti datur, infinitas Dominationi tuae gratias ago et honoris in me collati et gratissimi sui amoris doni, quod miti obtulit; ob quae vicissim promptiRsimam rependo ad eius imperia voluntatem et felicissimam precor valetudinein, quam ipso in tenebria positus anxie suspiro. Florentiae, penultima Decembris anni 1639. AddictÌ88Ìmu8 Servila Galileus Galileus. 3955 . , BONAVENTURA CAVALIERI « [GALILEO iu Arcctri]. Bologna, 3 gennaio 1640. Blbl. Naa. Flr. Mas. G&L, P. VI, T. XIII, car. 170. — Autografa. Molto 111" ot Ecc. B0 Sig. p e P.ron Col."* Una mia lunga infirmiti, non solo di podagra, ma di dolori di corpo elio mi hanno aiìlitto lungamente, mi ha ancora impedito dal poterli dare le buono “1 Cfr. n.o 3538, lin IS. Cfr. a.* 3935. Un. 15. 3 GENNAIO 1G IO. 135 [3955-3960J lesto et il buon Capo (Vanno, com’ora mio desiderio. Ilora vengo a riverirla con questa et a supplire al mancamento, bramando molto di intendere doll’ossor suo. Io non posso darli troppo buona nuova di ino, trovandomi in uno stato di continua intimità, per il elio non posso applicarmi alli studii conio vorrei. Mona/ 111." 10 di Siena 11 ’ mi ha raccomandato un gontil’liuomo senese, elio è venuto allo Studio qua a Bologna: ho pensiero di lcggorlo fra l’altro coso la io dottrina di V. S. Iicc. ra “ ultimamente publicata, perché mi servirà a impossessar¬ mene meglio, non havendo potuto sin bora vederla so non così alla sfugita. Havrà a quest’bora torsi ricevuto dalVEcc. mt> Sig. r Licoti l’opera dello piotro lucifere (8) , già da lui publicata, il quale caramente la saluta. Finisco di scriverò, desideroso di bavero qualche nuova di loi ; o fra tanto, desiderandoli tranquillità di vita o folicità nel presento anno nuovo con molti altri appresso, li bacio affettuosamente le mani, facendolo riverenza. Di Bologna, questo dì 3 denaro 1040. Di V. S. molto Ill. ro ot Fcc," lil Dov. mo et Ob. mo Sor. r ® e Disc. ,£> F. Bon. ra Cavalieri. 3956 *. FORTUNTO LICETI a GALILEO in Arcetri. Hologmi, 3 gennaio 1040. Blbl. Nfiz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 177. - Autografa. Molt’ Ul. ra et Ecc. mo S. or , S. or P.ron Col." 10 Io ne’ libri di V. S. ammiro la somma perspicacia d’ingegno, elio con in¬ dicibile solerti» ritrova dogmi non volgari, et con inquisita sottigliezza conferma scntenzo pellegrine; ma nella sua lotterà do’ 24 del passato (,) particolarmente riverisco un’ incomparabile modestia ot ingenuità, elio la trasporta ad eccesso di lode degli scritti altrui, benché non conformi alla sua opinione. Questi é frutto di sincerità singolare d’liuomo d’alto sapere o di candidissimi costumi, so beilo li oncomii che mi dà V. S. provengono in gran parto dall’amor che mi porta : dol quale si assicuri di essore da me veracemente contracambiata cum foenorc io magnae venerationis, ancorché l’intelletto mio non arrivi sempre all’altezza dolio suo contemplationi ; (l’ondo procedo che no’ miei scritti la riverisco spesse volto sì, ma talhora non apprendo le suo opinioni, et in particolare quella del riflesso del lume solaro dal globo terrestre nel corpo della luna, por le cagioni che fa- Iiett. 3956. 7. d'altro «a pere — “> Ascanio PrccoLOXimi. ,s ' Cfr. u.o 3909. « 3 Cfr. u.» 3952. 136 3 - 4 GENNAIO 1640. [3950-3957] cilmento V. S. haverà potuto vedere noi cinquantesimo cupo del mio Litheosphoro ultimamonte mandatole, lo quali io le notifico por ubidire a' Buoi comandi, non già a quol fino che la sua rara cortesia mi propone nella stessa lettera, p 0 - sciachò io non mi arrogo tonto, cedendolo in ogni cosa, ma principalmente nelle mathematiche, dolio quali io la riconosco veramente principe e padre nell’età nostra. Attendi a conservar aè nella sanità che può maggiore, et me nella sua buona gratia; elio io per fin di questa lo bacio affettuosisaiinamente le mani. 20 Bologna, 3 Gen.° 1640. Di V. S. raolt’ (sic) et Ecc. m ‘ Devot.®° et Oblig.® 0 Sor.® [S.] r Galiloo Galilei. Fior.* por Arcetri. Fortunio Liceti, 3957 *. DINO PERI n [GALILEO in Arcetril. Pisa, 4 Rcnnalo 1G40. Blbl. Est. in Modena. IUocolta Cftapori. Autografi, B. 4 LXXX1V, n 4 170 Aotojrmf*. Molto 111." ot Ecc. mw Sig." 0 P.ron mio Col."*° Io arrivai qua giovedì passato, col mio poco felice stato di sanità. Non ho già aggiunto nuova perdita da poi eh’ io ci sono, ma mi trattengo, 0 più tosto ho acquistato un tantino, perch’io dormo qualcho cosa più. E puro sono stato in non poche fatiche in questi trambusti di caso ; no' (piali anche ho fatta la mia funzione del leggere, sì corno io spero di bavere a poter seguitare, se lieno il parlar forte, ot anco mediocremente, mi affanna assai assai por il catarro ebo mi aggrava il petto. Di nuovo ci è cho la Corto arrivò qua hiersora a 24 boro. Posso diro poi che il Sig. r Dottor Stecchini (U è parzialissimo ammiratore do’ meriti di V. S. Eco." 1 ; io ot esso 0 il Sig. Dottoro Marsilii 1 * 1 la risalutano ferventemente 0 con ogni de¬ vozione. Finisco, perchè la mia testa è debolo, e perch’io non ho altre nuovo. Mi ricordo a V. S. servitore di infiniti oblighi 0 d’infinito alletto. Sto desiderando in estremo qualcho suo coruandaiuonto, c intanto le prego dal Signore Iddio ogni consolazione. Di Pisa, 4 Gonn. 1639 Di V. S. molto 111." et Ecc. m ‘ Oblig.® 0 0 Devotiss. 0 Sor. Dino Pori. (l ' Paolo .Stecchisi. 1,1 Alessandro Marsili. «*' Di Bill* fioieutiuo. [3058-3059] IO - 14 GENNAIO 1040. 137 3958 *. FORTUNIO LIOETI n [GALILEO in AroetriJ. Bologna, IO gennaio 1010. Bibl. Est. in Modenn. Raccolta Cftinpori. Autografi, 15.» LXXVII1, n.° 139. — Autografa. Molt’Dl." ot Ecc. mo S. r , S. r P.ron Col." 10 Mi dispiace in estremo, elio dove io desideravo elio loi fusso do’ primi a vedere il mio libro De lapide bononiensi [i) (elio perciò lo mandai senza principio et dedicatoria), colpa del procaccio, sarà delti ultimi ; poiché li altri, a’ quali lo mandai molti giorni dopo compito, l’hanno ricevuto. Ma perchè non no resti più senza, vedendo il gran desiderio che tiono di Lavorio, gli ne mando un altro esemplare compito col presento ordinario, ot con suo commodo potrà vedere di ricuperar l’altro, con farne poi dono a qualche amico suo. Nel cinquantesimo capitolo V. S. vedrà quelle ragioni elio mi ritraggono dalla sua opinione della io causa di quella luce elio si scorgo nel disco lunare nelle eclissi o nello quadra¬ ture vicine alla congiuntione. Può essere ch’io m’inganni nel preferirle alto suo; sarà sua parto di levarmi di orrore, che io lo no terrò particolare obligatione. Con qual line le prego da N. S. contentezza, o le bacio riverentemente lo mani. Boi. 8 , 10 Gen.° 1640 Di V. S. molt’Ill." et Ecc.“* Dovot“° ot Oblig.* 0 Ser. ra Fortunio Liceti. 3959 . FULGENZIO MICANZIO fi GALILEO in Firenze. Venezia, 14 gennaio 1»>40. Blbl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 179. — Originale, non autografa. Molto III." et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. 0 Consegnai alcuni giorni sono quei pochi di soldetti della pensione di V. S. molto III. ro et Ecc. w * al Sig. r secretano dell’111. 010 Possidente Renuccini : mi do a credere elio sarano stati transmessi a V. S. <’> Cfr. n." 3909. XVIII. 18 138 14 GENNAIO 1640. Qui viene ogni giorno dimandato l’opera del Sig. T Gailileo de motu teirae: io credo elio sia un equivoco, et vogliono dire li Dialoghi ultimamente stampati in Ollanda, elio ò bone una gran cosa che non no vengano di qua mandati. È cosi impressa nell’animo degl’intendenti la dottrina dei primi Dialoghi di V. S. elio tutto quello ch’ella scrivo vorrobbono li virtuosi elio fosse noi medesimo sog¬ getto : o puro in quello ella è stata puro dilucidatone, che in quost’altri è in- io vontoro di cosa non più capitata nella mento degl’huomini. Io, a dirlo il vero, sono qualcho volta in colera con V. S., et sempre elio lei mi biasma e vitupera quei suoi primi Dialoghi mi fa alterare; porchù io dico a tutti, et è vero, elio più tosto mi lasciarci torro tutti li libri elio restar senza quel solo del Sistema. In nomo di Dio, V. S. lasci latrar contro di quello coloro che hanno por im¬ prosa destrugger ogni verità ot ogni parto d’ingegno non ordinario, et lasci quell’opera incomparahilo sotto la per erudirne, ma non cosi bella proio mal voluta dal suo genitore; lasci cho quel tiglio corra la fortuna del padro, il quale dalla persecutiono ricevo tant’alta gloria, quanta dall’incomparabile sublimità del suo ingogno. V. S. si consoli, conio fanno tutti li huoraini non ordinarii, chèla 20 porsecutiono consacra le suo fatiche all’ immortalità. Kt con ogni affetto le bacio lo mani et prego tranquillità. Yen.*, li 14 Gon.° 1640. Di V. S. molto 111." et Ecc."* Div.° Se.* Fra Fulg. 0 Fuori : Al molto 111." et Ecc. B0 Sig. r , Sig. r Col."" 11 Sig. r G albico Galliloi. Firenze. 3960 **. GIOVANNI PIERONI a [FRANCESCO RINUCCINI in Venezia]. Vienna, 14 gennaio 1640. Blbl. Nftz. Flr. Filza Rinuccini&na 8. F. 2, incerto segnato « Podici Ietterò di Giovanni Fioroni eco.», lott. n.° 1. — Autografa. 111." 0 Sig. r * P.rone Col.™ Mando qui incluso a \.S. 111. 1 * la tavoletta de gl'Mpetti delle fisso dove segono 1 eclittica, ciò è delle stello di prima grandezza, e di seconda le principali, quali lio Questa « tavolotta » è uella «tossa Filza. mutua Axarum in consequentiatn signoroni > (cfr. inserto segnato « Astrologia, n.« 8 » : porta il ti- lin K-6), e soggiunta altra tavoletta ‘ Aspoctus tolo: « Fixarum aspectus, ut incidnnt in oclipticam Syril » (cTr. lin 3 G). ad linoni anni 1C00 » ; lo ù promossa la « Tabula 14 GENNAIO 1640. 139 [3960] calculato per l’anno 1(500 finito: ot acciò si possino adattare a gl’anni passati o eve¬ nire, ho aggiunto a principio la tavola del moto dello fisso, secondo la qualo camminano precisamonto ancora gl’aspetti in conseguenza de’segni; si elio tutti dotti aspotti al fino di questo anno 1640 saranno 34 minuti più avanti, e cosi all'opposito por gl’anni passati. So elio V. S. 111.® 1 * si piglierà briga di metterò per ordino tutti questi aspetti secondo 10 l’ordine de’segni o de’gradi loro, o vedrà coso degne di essoro osservate. Mi rendo certo che i gradi lucidi, tenebrosi, fumosi, puteali, ozimene, fortunati o va¬ cui, non sono stati altro che questi aspetti dello fisse, secondo che sogavono l’eclittica; e da gl’effetti elio vedevono, cavarono quogl’antichi il nomo a’ gradi, o di più ancora conobbero la natura dolio fisso, ciò ò di ciascuna, conio io ho osservato di alcuno, ohe mi rispondo a capello a la natura assegnatali da essi, come riferisco Tolomeo: che poro ho notato in mar¬ gino la dotta natura conio Tolomeo la scrive, acciò V. S. 111.® 1 * ancora la possa osservare. Il modo di farlo ò di osservare la mutattiono dell’aria quel giorno nel quale qualche piauela, e particolarmente $ , traversa l’eclittica, perché fa edotto forte assai o della natura di quella stella che sega con aspetto quel grado, se da altro pianeta non ò con troppa forza impedito; 20 o molte bollo coso ci sono da osservare: una no dirò notabile. Le fisse che non arrivano all’eclittica co ’l o Ai ma solo co’ 1 Q fanno effetti gagliardissimi in quelli gradi del loro Q, e specialmente le più lontane operano più effioacementc; e però la polare fa ottetti inaino al portento. Ma, di gratin, supplico V. S. 111.®* non palesi questo cose inaino che io ne farò dono, come ho promosso, al Sor.® 0 nostro S. r Card. 1 * Padrone W, il olio non posso faro ancora, perché ho trovato elio la virtù di questi aspotti non ò solo dove segano l’eclittica, ma per tutto ancora dove gira quel razzo; per il che mi son messo a calcularo dotti razzi inaino alla latitudine che possono toccarli i pianoti, e no ho già calculati molti, o seguito, perchè si scoprono nitro maraviglie, a mio parere bollissimo. La mia (£ è in gr. 7.21' Ijp, clic cado al 1600 in 7.33', dove non ò nella eclittica aspetto preciso; ma perché la ha 80 latitudine 171 di 3 gradi e mezo, tocca quivi precisamente il ^ dol piede del Centauro o fa, a mio crederò, gran buono effetto, più che bo l’havesse nltr’o tanta latitudine settentrio¬ nale, dove sarebbe tocca dal Q del caput Iunonii, stella infausta. Tal calcalo dunque è necessario, ma è alquanto laborioso, perchè s’ha da solvere un triangolo di tre lati noti e corcar un angolo, o ciò por ogni grado, sì che per ogni stella so n’ha da solvero 36 tali; ma io l’ho facilitato assai, e ne ho già calculato molto, o ne mando a V. S. 111.®* l’esempio d’una, ciò ò della maggioro, dico dol Cane Sirio. Quanto prima gli manderò un’altra cosa in questo proposito; bora, escluso dal tempo, non posso più soggiungerli clic di riverirla con tutto il cuoro ot aspettare qualche suo avviso per dirigermi a meglio speculare. E resto baciandoli le mani. 40 Di Vienna, li 14 Genn. 0 1640. Di V. S. 111.®* Dovei.® 0 et Oblig. mo Ser. r * Giovanni Pieroni. Carlo dk‘ Mimici. 140 15 GENNAIO 1640. [3961] 3961 *. GALILEO a [UGO GKOZIO (?) in Parigi V Àrcetri, 16 gennaio 1640. Dallo pug.r.9 no de] Libtr oHmudu» ton«. dobbiamo ripeterò dò ch« abbiamo avvertito noli» citala informatomi a proposto dal n.« 3Ó8I, ' perniò annotiamo aneli» qui appiò di pagina gii orrori manifesti della atampa Olandoi*. Molto 111.™ mio Sig. w et Padron Colend. r, ° Mi ò dispiaciuta sin all’anima la morte improvisa del S. op Martino Ortensio, successa doppo quella do gli altri tre Comtnissarii; acci¬ denti eliti, aggiunti al mio infortunio, paro che vadiiio intraversando et disturbando la continuatone et il progresso del negozio già da me intrapreso con gli 111.®* et Potent.®* SS.” Stati: il quale nondi¬ meno, per quanto per mo si potrà, non resterà impedito uà ritardato, havendo io incontrato persona 1 intelligentissima di queste scionzic astronomiche et attissima non solo a supplire al difetto causato a me dalla cecità, ma a tirarlo avanti con maggiore accuratezza, es- io sendo, oltre alla perfetta intelligenza, huomo d’i rigoglio destro et perspicace, di complessione et freschezza d’età atta ad ogni fatica, di vista acutissima, di voglia ardente a prosequire avanti, abbracciando l’impresa con gran fervore, et (quello che sommamente mi ha pia¬ ciuto) disposto anco a trasferirsi in Olanda, (piando così giudicassero expediente quelli DI.®* et Pot. rai SS. ri , et anco di mandare costà le ephemeridi de’satelliti di Giove per sei o otto mesi futuri, antici¬ patamente da lui calcolate et dissegnate, nelle (piali rì vedrebbe esat¬ tamente gli aspetti futuri dello dotte stelle di notte in notte, et con¬ frontandogli con lo sensate apparenze potranno gli intelligenti di 20 quelle bande assicurare quelli 111.® 1 SS. ri dell’ ha ver noi consequito il vero calcolo de’movimenti dello Stelle Mediceo, sopra i quali s’ap¬ poggia il fondamento di questo negozio. Ho reputato a gran ventura questo incontro per potere assicurare quelli 111.®* et Potent.® 1 SS. ri , et Lott. 3001. 4. faJroMraaiufo — 16 «»■<■.. ria mauJ.iH m,f& 10. eaMolt et diettgnati — W-83. t'op pogia — 28. negotio. Itò reputato — 24. queiU 111 «< , perchè, et per la vicinanza et pol¬ la commodità di poterli anco favellare a bocca dall’amico mio, si faciliterebbe molto più presto l’ultimazione perfetta dell’impresa. Starò dunque sopra ciò attendendo la risposta che V. S. molto lll. ro no bavera havuta da quelle parti. Io scrissi già molti mesi sono a quelli Ul. mi o Potent.™ 1 SS. n , clic con lo debite grazio et con riverenza accettavo et aggradivo il re¬ galo della collana, del quale si erano compiaciuti honorarmi, ma che non 1’ haverei ritenuto nè adornatomene sin che il negozio non so restasse terminato; sì che, per non offendere la magnanimità di quei SS. ri , il detto regalo resta ancor qui, in mano del mercanto che me lo portò et al quale io lo lasciai in consegna. Ilo voluto che V. S. molto Ill. ro resti informata di quanto passa, acciò clic possa sincerare me et lei : me, di non havor proposto cosa vana; et se, di non si essere ingerita in leggierezza etc. Dalla villa d’Arcetri, alli 15 Gennaio 1640. 30. liltcrc — 31. di tanto nuevo,]ioi e .he — 32. in vtninu altra — 33. inorneione otlcncri giamai — 40. quelle Ill.mi — 41. vitinanxa — 47. accollavo — 49. V havcrci ritenuto — 51. rata anco qui — «‘i Cfr. n.» 3953, Un. 34. 142 20 GENNAIO — 3 FEBBRAIO 1640. [3962-3963] 3962*. VINCENZO RENIKRI a GALILEO [in Aroatri]. Genova, 20 gennaio 1640. Bibl. Hat. In Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.« LXXXVI, o.* 112.— Autografa Molto 111." ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.* 0 Giunsi domenica passatoi a Genova, doppo harer corsa una bui-asca di maro elio mi condusse fino in bocca alla morte; lodato Iddio che l’ho potuta contare, oliò corto non crede» «li uscirne vivo. Do per tanto avviso a V. S.Ecc.’ u del mio arrivo, accioelift olla sappia dove inviarmi i suoi conimandumenti o lo risposto elio boriimi dovranno venir da Paridi tl . Ho havuto risposta dal Ser. B0 Sig. r Cardinale 1 " elio ha ricevuto il libro 13 ', o rendo gratio a V. S. Eco.** elio 1’ Labbia fatto presentare. La coronazione del Dogo si trasporta sino a Pasqua, si elio io potevo star anco qualche giorno in Firenze. Orsù, patienxa; con miglior eommodità la ri-io vedrò, mentre por fino lo bacio caramente lo mani. Di Genova, li 20 di Genaro 1640. Di V. S. molto 111." ot Kcc. fc * Dev.*° o Cordialiss.® Ser. 1 * S. r Galileo. D. Vincenzo Roniori, 3963 * VINCENZO RENIERI a [GALII.EO in Arcotri]. Genova, 3 febbraio 1A40. Blbl. Kat. In Modona. Raccolta Campori. Autografi, II.* LXXXVI, n.» 120. — Autografa Molto 111." et Ecc“° mio Sig. r o P.ron Col.** Por non esser ancor giunto l’ordinario di Fiorenza quando l’altro vuol partirò, non ho voluto aspettar a salutarla doppo lette lo lettore, ma riverirla a tempo. <‘> Cfr. n» 3968. (l > Cablo db' Mbdioi. Cfr. n.« 8489. 3 — 8 FEBBRAIO 1G40. 143 [3968-8964] Dello stato mio potrei diro di passarla assai bone, so una flussione di catarro, cho mi tormenta, non mi travagliasse. Sporo però di liberarmene in breve. Ilo veduto il Sig/ Daniele Spinola, che affettuosissimamento lo bacia le mani, ma per ancora non ho incontrato il Sig. r Baliani. Lunedi ricominciai lo osservazioni dello stollo Mediceo, por la prima volta cho Giovo si lasciò vedere, lo quali corrisposoro ad unguem col calcolo, doppo quattro mesi trascorsi da l’ultima osservazziono ; sì elio borami non mi resta dubio di non esser ben in possesso do’ loro periodi o distanze dal contro di Giove. Starò por tanto attendendo avviso se il Sig. r Elia U) ha dato risposta. Di nuovo habbiamo la morto dol Sig. Principo Doria l8) , viceré di Sarde¬ gna, o la ricuperazione fatta da’ Spagnuoli del forto luogo di Salsas, loro già tolto da’ Francesi. Con cho per fino nnbttuosissimamonto 1’ abbraccio o bacio lo mani. Di Genova, il 3 di Fobraro 1040. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m# Dov. mo Sor.” D. Vinconzo Roniori. 3964 **. DINO PERI a [GALILEO in Arcolri]. Pisa, 8 febbraio 10-10. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 100. — Autografa, Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col.™ Io servirò sompro V. S. molto 111.” et Ecc. ras in qualunque maniera ella vorrà comandarmi ; però s’io ho errato circa quel greco o cantucci, la prego a scusarmi, e correggerò adesso l’errore con l’obbedirla puntimi monto. Yendon dunque qua il greco 32 soldi il fiasco di questa misura; o cinquo soldi l’uno vendono i fiaschi. 1 quattro di V. S. sono alla giusta misura di qua. Tra porto o gabella ha 10 soldi per fiasco di spesa, cho cinquo di gabella o cinque di porto, prezzo fatto e trito. I cantucci fini vogliono una crazia l’uno, ma i soprafini vaglion tre crazie la coppia. Dicono di farno solamente per il io Palazzo, o puro a posta per qualch’ uno amico etc. Son maggiori, con più zuc- O) Elia Diodati. '*) Gian Comunico Doria. 144 8 FEBBRAIO 1G40. [3964] chero o più odore, dicono. A me veramente non ini ci par migliorala elio im- porti il prezzo: con tutto ciò mandai a V. S. i 40 de soprafini, com'olla chiese. Di gabella pagano dieci crazio il cento: quattro cra/io dunque importa la ga¬ bella, 4 il costino e 4 il porto. Dell'autore w che mi scrive V. S., io sono scandal natissimo, stomacatissimo, conio di persona ignorantissima, furba o maligna. Io 1' bavero in concetto neu¬ trale, non havendo mai letto nulla di suo; ma da poi che ho visto quel capi- tolo w , corra puro il grido a voglia sua, sia pur predicato dall’universale per un oracolo, elio a me paro risolutamente che si sia fatto con quello poche carte un marchio indelebile di grandissimo Renaccio, ma insieme insieme, a parlar» libero, di furbo. Il medesimo concetto s ’ò guadagnato appresso il Sig. r Dottor Marsilii w o Sig. r Dottor Stecchini; non dio alcun di noi si muova all’oppi- nion dell’altro, ma ciascuno mota pr>, / io, in una semplice corrente lettura, ha conosciuto o inteso subito lo scimunito debolezze di colui, che non inerita titolo d’huomo, perché del raziocinare non no sa straccio. La furberia l’ho scoperta io, elio conoscevo citato o stampate al contrario lo asserzioni di V. S., et ho riscontrato i luoghi, o mostratigli a questi duo Sig. ri Dottori con lor sommo stupore di tanta sfacciataggine. Si sono però maravigliati assai elio V. S. Ecc." me ne parli nella sua lettera tanto lionoratnmcntc o con tanto riservo. Io no ho accusato la benignità incomparabile di V. S., che sempre esercita termini» gentilissimi, soavissimi e magnanimi, e che verso colui, oltre a questa innata cortesia, havesse accresciuto P honorevolezza nello scrivermene a quella loggia il dubitar forse ella che potessi baver amicizia o protezione di alenino di lor duo, o elio por lor rispetto, giù che ella per mille cause gli ama e stima tanto otc., havesso V. S. volsuto parlare per ogni caso da non disgustargli. Risposta, dicliiamo tutti d’accordo elio non la merita, cioè non merita da loi tanto lionore. Poi, sarebbe un grattare il corpo a una storta cicalacela, cito se non si è vergognato a scriver quel ch’egli ha scritto, cioè tanta feccia o con furberia, la prima volta, in tempo clic non è irritati, o che fa l'amico, pensate so si vergognerà a sporcar dieci volte più fogli, quando si vedessi risposto. » Sig. r Galileo, la testa non mi regge più. Finisco con remarla devotissima- mente e in nome ancora do’ SS. Marsilii e Stecchini. Pisa, 8 Febl). 0 1G39‘ 5 '. Di V. S. molto III" et Kcc.** Ol»lig.*“° o Devotiss. 0 Sor.® Dino Peri. ---— - —-—^$£j •0 Fortunio Liciti. <*> Cfr. Voi. VII], P a&. 481-486. <8 ' Ai.kssaxuro Morsili. Paolo Sticcbini. '*> Di itilo fiorentiuo. [3965] 10 FEBBRAIO 1040. 145 3965 **. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 10 febbraio 1040. Bibl. Naz. Flr. Mas. Cini., P. III, T. VII, 1, car. 1S2. - Autografa. Mollo lll. r0 et Ecc. rao mio Sig. re o P.ron Col. m ° Mi è a punto giunta la carissima sua, quando eli’ io stava con somma an¬ nota, d’havor nuova di loi, essendo tanto tempo ch’io non no lmvova avviso: o mi creda V. S. Ecc. m “ elio al martello eli’ io sento nella lontananza da lei, mi pare di potor dir col Bornia, elio E’ non è donna, e me no innamorai. Lo invidio in tanto la lettura del Sig. Liceti, del quale in questa parto non ho per ancor veduta l’opra, ma quanto prima m* informerò dal di lui fratello per veder se ve no son giunto copio. Nel sentir elio in questo suo trattato egli io impugna la opinione dol reflesso della luco dalla terra noi’orbe lunare, m* è venuto in pensiero eli’ egli habbia forsi creduto che la luna fosse della materia di quella pietra ebo imbeve il lume, o vero non dissimile ; il cho se fosso, conio pur alcuni bau fantasticato, sarebbe veramente una linda galanteria. Io, in quanto a me, credo elio lo ragioni elio egli o altri sono por arrecar in questo propo¬ sito contro l’opiniono di V. S. Ecc/ na , faranno apunto in me quella forza cho farebbero quello di chi volesse persuadermi che il lume eh’ io vedo in terra nel reflesso della quintadecima non mi venisse dalla luna. Quel diro cho tal lume si vede nel crepuscolo, o non nolla quadratura, quando che, se non ve¬ nisse dalla terra, più dovrebbe vedersi, 1’ ho per un argomento cho dureranno 20 fatica a scioglierlo. E ciò sia dotto prò interim, fino a tanto eli’ io veda più commodamente questa nuova dottrina. Vidi il Sig. r Baiiani, il quale subito mi chioso nuovo di V. S. Eco.®*, o mi disse meravigliarsi che olla non rispondesse alle suo duo ; ma io non le sogiunsi altro, perchè egli era in compagnia d’altri amici o non volsi dirli in presenza loro la cagione, flora, che V. S. Ecc. nm mi commanda eh’ io li dica elio ella sta pensando a risponderli, non mancherò di farlo con bella maniera. Farò anco lo suo raccommandationi al Sig. r Spinola; e tra tanto la suplico, quando non sia con suo scommodo, a darmi nuova di sò più spesso clic si possa, perchè due solo righe scritto da Pierino (1) mi saranno abastanza. E quivi caramente lo bacio le mani. 80 Di Genova, li 10 Febraro 1640. Di Y. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma Oblig. 00 o Dev. m0 Ser. rt D. Vincenzo Renieri. "I Cfr. n.» 3977. XVIII. 19 14G 11 — 14 FEBBRAIO 1640. [3966.8967] 3966 **. GIOVANNI PIER0N1 a [FRANCESCO IUNUOCIN1 in Venezia] Vienna, 11 febbraio 1040. Bibl.Niw.Flr. Fili» Rinucclniana 8. F. 2. lo»«to MfH»lo: . Dodici lauro di Giovanili Piorouicco.» lett. ufi 2. — Autografa. Ili»® Sig. r# P.rone Col.® 0 Vorrei sentire ohe V. S. 111.““ funse guarita dell» tua gamba, e poi desidero di adem* pire il suo dosidorio di estere a servirla, maialino che qua cominci» a increscermi per la privattione della gentilissima convcraattione de’ S3. rl Capponi, partiti liieri con l'Ecc.» Sig. T * Ambasciatore l,) , e cobi resto solo quasi » fatto; o poi il pensare u’io potessi godere quella di V. S. 111.“* mi fa impattante n risolato che, se io trovassi per me uguali con* dittioni, vorrei al certo ridurmi alla doeiati quiete della patii». Ilo contento molto che gl'aapetli delle finte ! > gli aiano pervenuti o gli piaccino. Ho scritto nell’incluso foglioI* 1 quello che mi paro intendere dalla sua che olla volesse di¬ chiararseli; ma ho dovuto scrivere in una stanza piena di romore, che f* ch’io non solo se mi sarò saputo esplicare e far intendere; perù mi esibisco a supplire, occorrendo. Non occorre che V. S. 111."* prenda la briga di calcularo detti aspetti con latitudine, per¬ chè io ne ho già calcala ti molti; anzi ho fatto una tavola, o fo l'altra, che mi donno su¬ bito gl’archi cercati; però, finita questa seconda, in brevi giorni potranno esser calcolate cento o dugento stelle principali, e più molte ancora volendosi : et io non mancherò di sollecitare, per quanto barò tempo; e V. 8. III.**, di gratia, noti ogni di la qualità del tempo, che poi havrà notabil gUBto a ritrovarne le cause. E resto facendoli humilissima riverenza. Di Vienna, li li Febb.® 1G40. Di V. 8. 111.“* Devot.*** et Oblig."® Ser. M Giovanni Pieroni. SO 3967 . BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 14 febbraio 1040. Bibl. Naz. Flr. Ma. Gal, P. VI, T. XIII, car. 181. - Autografa. Molto 111." ot Elee." 0 Sig. r o P.ron Col.* 0 Io mi ritrovo ancora noi letto co '1 mio solito malo, elio mi ha particolarmente aftlitto i genoeclii o lo inani, elio m'impedisce assai dallo scrivere. Non ho man- I* 1 Tommabo Capponi. <*> Cfr. n.o 8900. < 5 N'U * pn* tanto ni loto allegato alla lettera. 14 FEBBRAIO 1640. 147 [39671 cato di mandar daH’Ecc. mo Sig. r Licefci a faro quella scusa elio loi desidera, quale non intornio incommodarla, ma si rimotto ad ogni sua commodità. Mi ò dispiac- ciuto il suo faro, parendomi elio ad un amico conio loi non havesse da far questo, massime movendosi a contradirlo por ragioni così leggieri. Io non ho saputo prima questo, ch’havrei procurato di ritirarlo da questo fatto; ma poiché egli ha portato a loi puoco rispetto, panni ch’olla procoda con lui con troppa mo¬ lo destia, meiitro dico di stare porplesso in risponderli otc., so liono in questo li verni a faro troppo lionoro. Stia poro sicuro elio Io suo coso hanno pochissimo applauso, nò no vion fatto qua molto conto. Mi sono stati mandati di Parigi duo quositi da quei matematici, circa de’ quali tomo di farmi puoco lionoro, porohò mi parono curo disperate. L’uno è la mi¬ sura della suporlicie del cono scaleno; l’altro, la misura di quella linea curva simile alla curvatura di un ponto, descritta dalla rovolutiono di un cerchio sino elio scorra con tutta la sua oirconforonza una linea retta etc., o dello spatio piano compreso da quella o dol corpo generato por la rovolutiono intorno all’asso ot alla base; il ebo mi ricordo elio una volta mi dimandò loi, ma elio infruttuo¬ so samento mi vi affaticai. Di gratin, mi dica so sa elio questo dua coso siano state dimostrate da ninno, porchò, per quello eh’ io vedo, mi parono diffìcilissimi. L’occasione è nata, elio passando un Padre di S. Francesco di Paula' 0 qua da Bologna, elio ò di Parigi ot molto intondento dolio matematiche, noi discorrerò seco di diverso cose, li venni a diro ch’havevo trovato la misura dol corpo pa¬ rabolico nato dalla rovolutiono della parabola intorno alla base, o elio havovo trovato ebo il cilindro generato dal parallelogrammo circonscritto alla parabola, al detto corpo era conio 15 a 8'°, so bono uno do’principali Gesuiti matematici mi havea già un pozzo fa scritto ch’era doppio. Hora il dotto Padre disso: Lasci, di grazia, eh’ io lo voglio scriverò a quei matematici di Parigi, por vo- 30 doro so rincontrano questa verità; o così l’hanno, dico, trovata conio 15 a 8. E questa è stata la occasiono di propormi questi altri problemi, da mo riputati di diffìcilissima solutiono, por quol puoco eli’ io vedo. Io non posso più scriverò; però mi dia licenza di finirò, ot occorrendoli ser¬ virsi di mo non mi sparagni: con elio li bacio affettuosamente lo mani. Di Bologna, alli 14 Fob. ro 1640. Di V. S. molto 111.” ot Ecc. ma Dov.™ et Oh."' 0 Ser.™ o Disc.' 0 F. Bon. ra Cavalieri. Fuori: ÀI molto 111.” ot Ecc.”° Sig. r o P.ron Col. mo Gal. 00 Galilei. 40 Fiorenza. Ad Arcotri. m GlO. l'RANGKSCO NlCUtOM. I*) Cfr. n.o S88U. J48 16 FEBBRAIO 1610. 3968 . GALILEO ft [BENEDETTO GUEUIUNI in risai. Arcotri, 16 febbraio 1640. Blbl. Comunalo in Basnono. Raccolta «amba. — Originale, ili mano di Vwcasiio Viruai, Molto 111” Sig. r et P.ron mio Osser. mo Se ne viene a Pisa il latore della presento 1,1 por faro gl’ultimi giorni del carnovale con il Sig. r Alamanno Viviani, suo fratello e scolare costi in Sapienza. Ma non è questa la causa principale; ma bene potentissima e principalissima è il rappresentarsi al Ser. mo 6. D. nostro Signor, per continuare di renderli grazio del’aiuto elio SuaA.S. gli porgo nel poter continuare i suoi studii, nel modo elio egli fa, con la frequente conversazione di me o del’uso di casa mia, con mio particular gusto e con reciproco aiuto tra di noi delli studii miei e do’suoi: onde pregilo V. S. molto 111.” ad introdurlo con opportuna io occasione al cospetto di Sua A.S. Oltre a questo, per mio particolare interesso avviso V. S. molto I., come alcuni giorni fa il molto R. Padre Francesco dello Scuole Pie 121 mi dette avviso qualmente il Sor.® 0 G. Duca, dopo haver inteso ch’io liavevo finito di levare dalla cantina li 120 fiaschi che già più di 20 mesi sono Sua A.S. mi donò, haveva per altretanta somma dato ordine che nel’avveniro mi fosso a mia richiesta consegnata; tuttavia non sento che tale commissione sia stata per ancora fatta qua a i cantinieri: però, per mia onorevolezza e per 1’(‘sedizione della volontà del S. m0 Padrono, pregilo V. S. ad interporci il suo favorevole 20 ricordo, acciò la grazia sia eseguita. Et a questa opera di favore potrà aggiungerne un’altra di carità, che ò quella (che pur passa per le mani di Y. S.) del sussidio che porge l’Altezza S. allo inserbo di quella mia nepotina <:,! nelle monache di S. Giorgio in su la Costa, dove essendo più giorni fa spirato l’aiuto di un trimestre e comin¬ ciato l’altro, potrà, quando cosile piaccia, consegnare l’intero seme¬ stre al presente latore, e massime dovendo Y. S. con la Corte staro ancora per molto tempo assente di qua. Lett- 3968. 26. rfi «no trimtitre — <*> VlNOKNZIO Viviam. 1,1 Famiano Michkmxi. (*) Vjkqima Lahduocj. 16 — 17 FEBBRAIO 1610. 30 [3968-3969] 1G “ J 7 FEBBRAIO 16-10. 149 Io non stimo di soverchiamente gravare V. S., mentre li mostro la gran confidenza elio io ho nel suo favore, perchè conosco elio, in effetto, più lodevole prerogativa non può alcuno ricevere in se stesso, che Tessero stimato abile a beneficare gli altri. E con questa confi¬ denza mi volgo a V. S., con pregarla a rappresentare a i piedi del Ser. mo nostro Signor la mia umilissima e devotissima servitù; et a lei stessa, con affettuosamente reverirla, bacio le mani e pregilo da Dio intera felicità. D’Arcetri, li 16 di F.° 1639 ab Tue. Di Y. S. molto Ill. r0 Devotiss. mo et Obbl. mo S. ro G. Ct. 3969 . ELIA DIO DATI a GALILEO [in Arcotri], Parigi, 17 febbraio 1640. Dal Tomo HI, png. 190-191, doli' odiziono citata nell' informaziono promossa al n.® 1201. Di Parigi, gli 17 Febbraio 1640. L’cssermi fermato di volere aspettare la risposta d’Olanda sopra quello V. S. molto Illustre mi scrisse, della sua intenzione noi proseguire sin alla perfezione la sua proposizione circa il negozio della longitudine, per potertene poi darò ragguaglio, è stato causa della mia troppa tardanza in faro risposta allo gratis¬ sime suo; di elio la supplico umilmente ad avermi per iscusato. Sebbene sin qui detta risposta non mi è ancora pervenuta, nondimeno spero non doverà mancare a venire, avendono scritto di nuovo e dato commissiono ad un amico di solleci¬ tare ; però non faccio dubbio elio non sia per venirmi in breve, o spero elio sarà io di soddisfazione, non potendo verisimilmento esser altra, avendogli riferito tutto il particolare di quanto V. S. molto Illustro me no ha scritto, cioè della per¬ sona nella quale ha trasferito l’intera notizia o la dichiarazione di questo negozio, la sua perizia c porspicacità in queste scienze c la sua disposizione in voler faro il viaggio in Olanda per darne tutto lo chiarezze, se sarà giudicato necessario, o di mandalo una effemeride dolio Stello Mediceo, calcolata colle predizioni degli aspetti loro per molti mesi futuri, por darne a conoscere la certezza. Sicché tengo por cosa sicura che dovranno avere abbracciata con applauso simile offerta ; nè mi sgomenta la lunghezza nel rispondere, potendo essere stata causata da diversi impedimenti. E subito che mi capiti, le no darò parto. 33. mi vaylio a V. S. — 15 o H FEBBRAIO 1640. 13969-8970] Il Big. Bulialdo ha ricovuto por sogno di gran favore la lettor» cho V.S.» molt’Ul. gli ha scritta 4 ’ 0 l’onorato giudicio elio si è compiaciuta fare del suo libro, avendogli letto, come V. S. mi ha ordinato, quello me no ha scritto, in particolare come, essendo esplicato in dimostrazioni »• figuro lineari, dello quali senza la vista è impossibile restarne capace, V. S. moli’ 111. non glie no ha p 0 - tuto scriverò so non in generalo circa il concetto dell'opera ed il modo di trat¬ tare, molto approvato da lei. Con ciò rovorentementc le bacio lo mani, pregandolo dal Ciolo ogni desiata felicità. 3970. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arretri]. Genova, 17 febbraio OMO. Blbl. Naz. Flr. Ma*. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. ISO. Anto*rafa Molto IH." ot Ecc.“° mio Big." o P.ron Col." 0 Mi ò porvenuto allo mani il libro del Big/ Liceti, ed ho lotto il cap. 50, con¬ formo V. S. Eco.®* mi scriveva eh’ io facessi. So debbo dirle liberamente il mio senso 0 con quella coniidenza che passa tra noi, a me pari' cho questo Signoro non solo non intenda bene l’opinione di V. S. Ecc.. mm , ma nò anco la propria: quella di V. S. Eco. raft , perchè, pretendendo ohe la luna nella quadratura e nel novilunio, per esser egualmente distante dalla terra, egualmente anco dovesse esser da quella illuminata, mostra di non capir beno che nella quadratura la sola metà deremisferio terrestre ribatte la luce del solo, là dove vicino al no¬ vilunio tutto l’eraisferio lo riflette; la propria non mi par che capisca, perchè io volendola appoggiare al lume crepuscolino dell'aria ambiente la luna nella parto aversa a i corni illuminati, da V. S. Ecc.“* introdotto, non so poi vedere corno vogli addattar questa luce a tutto il resto del disco lunare, se forsi 0 ’ non credesse elio in terra, quando a noi comincia l’aurora, cominciasse anco nel Perù 0 nella Spagna, il cho sarebbe poi orror più massiccio. Giudico dunque beno elio V. S. Ecc. ms , mentre non venghino in campo argomenti più saldi, possa lasciar la briga di rispondere: cho so pur la non vuolo lasciar così trascorrer tal opra sonza replica, m’offerisco di farlo io a capo per capo col’ordinario se¬ guente, 0 mandarne a V. S. Eco.®* la lotterà, acciocliè, so giudicherà, ch’io babbia interamente sodisfatto a quosto Signoro, gli mandi la mia risposta. » Resto poi attonito della lunga dimora dello risposte di Parigi 0 non so inia- ginarmi come sia possibile cho quattro lettore da noi scritto siano andate a Lett. 3070. 5. di V. Ecc.** — Cfr. n.° 3633. 01 Cfr. n.* 8962. 17 — 18 FEBBRAIO 16-10. 151 [3970-3971] male. Ma non occorro altro: alle grandi impreso sempre s’attraversa la fortuna. I moti sono agitatissimi, ed io in breve linvrò al’ordine l’efemoridi por tutto l’anno seguente. Questo è quanto m’occorro significarlo per bora; o stando con desiderio di sentir nuovo di loi, lo bacio affbttuosissimamente la mano. Di Genova, li 17 di Fobraro 1640. Di V. S. molto 111.'® et Ecc. nia 30 Se V. S. Ecc. m “ mi avviserà di qualche bel problema intorno a’ lumi diretti o rodessi, eclissi lunari o solari, corno mi scrive liaver avvertito, mi farà sommo lavoro. Cordialiss. 0 o Vero Sor/ 8 1). Vincenzo Renieri. 8971 *. ELIA 1 RODATI a COSTANTINO IIUYGENS [all’Aja]. Parigi, 18 (o28?) febbraio 1040. Palio png. 57-53 del Lìber teoundui de eonijnoiliU occ., citato noli' iuformaziono promossa al u.°3581. Noi Tomo III, pag. 454-455, dell’adizione citata noli'informazione promossa al n.° 1201 si ha una tradu¬ zione italiana, alquanto libera o compendiata, di una parto di questa lettoni, traduzione elio vorisi linimento fu inviata dallo sfosso Piodati a Uai.ii.ko; in capo ad ossa si leggo: * Lettera d’Elia Doodati a Costantino Ugonio, primo Segretario di Stato del Principe d* Orango» ». Monsieur, L'accomplissement de la proposition de Monsieur Galilaoi polir l’iuvention de la lon- gitude, faicte à Mcsseigneura Ics Estate Generaux, ayant receu diversoa interruptions, promicrement par Pontiere privation do la veue qui luy est survenue depuis deux ans, apres avoir peu auparavant perda un oeil, et on second liou, tout nouvellement, par le doceds de M. r Ilortensius, qui seul aurvivoit dea quattro Commissaires qui par Alea Sei- gneura les Estata avoyent ostò deputoz pour cotte affaire, il pourroit aembler, qn’estant combattue par tant de mauvaiaea rencontres, olle deubst auccombcr et demeurer aban- donuéo; n’estoit que l'auteur, personnage (par l’adveu do touta) sana pareil en aa protes¬ iti sion, asseuré do la verité de sa proposition, persiste avoc line conatance invincible à la vouloir poursuivre de tout aon pouvoir jusques au dornier bout, ayant (collimo voub vorrez, Monsieur, par la copio cy joincto de la lettre W qu'il m'a esoripte) heureusement... . (a) U) Cfr n.® 3953. pordò (come V. S. Illustrissima vedrà dalla copia qui <*' Tra heurcuecment o initruict la stampa olan- aggiunta dolla lettera ch'egli mi ha scritto) avuto la (leso, elio sola ci ha conservato l'originalo di questa sorto di ritrovare un personaggio intelligentissimo lotterà, ha omesso alcuno parole, coni’ò manifesto dal o perfettamonto instiaito doli’affare, por supplire senso o dal confronto con la traduzione italiana da noi plonameute ccc. ». citata uoll’iuformaziono, la quale dico cosi: « avendo 152 18 FEBBRAIO 1640. [39)1] instruict pour »uppléer ploinemeni k tout co à quoy, «n l < oa il o*.t reduit, il u'euet peu aatiflfaire: no restant apré* cola ai non quo de la pari de Mr-aeig.” le» Kstat» Gene* ranx ostanti correspondu à cotte bonne intention, pour la »uit.« <-t pour la porfection d’uno bì granile oeuvro (y estant fort bieu acheinm- e par 1 aidr d un si digne persomiagc) il plaiso ò. Laura Ex/ H doputer d’autrea Commi»«aire», au ben de Me»»." Ileal, Ilortensius, Beckmannna et Blaeu qui aont defuncta, auxquel» tonta le* papier» de cotte affaire, con- signi'B h feu Monsiour Ilortensius, »eront delivr.-*; pour cet efiect ne pouvaut (pour sa- , tisfaire il la priere du 9.' Galilei) m’adrc»»er h nutre qua vou». Monsiour, non aealemont 20 ponr estro l’asylo et lo refugo en ci» p»y» là de tout* le» honiine» vertueux, mais prin- cipaloment pour los grand» inerite» que par le pa»»« vous vou» oste» desia acquis en cetto affaire, tout l’heureux achennnement d'icelle e»taut d« ub à la protection qu’il vons on a plou premlro, qui me faict esperer que vou* ne la voudrea pomt abandonner à pre- sont cn sa nouvelle ro-aource, aius la remettrea en vigueur pour triompker de son està- blisscment, et que portant vou» accopterea favorablemnit la trthbumble Bupplication quo je vous en fay, soubz prote'iUtion de vou* en avoir le* mesate* obligation» que l’auteur, niiquel je donneray advi» dea faveur» quo vou* luy dipartire/. en cette occurrenco et do tout lo succeB de co qu’il atteml et deniro, »uivaut co qu’d vous plaira prendre la peino ilo m’en escrire (co que j’attendray avec devotiou), vous en «uppliant tnshumblement, et 8) de m’honorer do vos comuicndementB, atin de vou» pouvoir tomuigner per le» efleets quo je suis veritablemcnt ctc., Monsiour, saebant combien vou* e«te» amatenr do toutes bolles et curieiiBe» recerche», je vou» en* voye lo titre d’un livro do lay roani, qui «'imprime à Romo et doibt estro achevé d’impriraer dan» 2 ou 3 raoÌB, d’ou il ra’o oste euvoyó par un de nio» ami» pour le conimuniquer et convier reux qui ont «perule sur cette matiero d’y contrilmer, l’auteur proraettant de profesBer ot recognoistro avec eloge en »on livro lo et d’y nommer ceux qui luy auront envoyé leuro observations. MaiB pour mon regard, je vou* lenvoyo pour en U8er conuno il voub plaira, esperaut Squami antro chose ne seroit) qu’il vous sera ngre»ble poor la nouveautó et pour les curieusea recerche». Resterà à voir bì l’oeuvro respondra à lai tento, Monsiour, Do Paris, le 28 de Febrarier* 1640. Voetre tresbumble Serviteur Diodati. Lett. 3071. 22. Itt grand* meriiH ■ 24. n*r “’ Nella traduziono italiana, ciUU usIl'iDforniMioos, la data *: « Parigi, 18 Febbraio 1040 » [30721 24 FEBBRAIO 10-10. 153 3972 . GALILEO a BONAVENTURA CAVALIERI [in Bologna]. Arcotri, 24 febbraio 1G40. Palio png. 8-4 doli’opuscolo Intitolato: Lrttera a’finirti <11 Tua uno Antiatk (Itila vera ttoria Arila cicloide « della famoiiiiima uperienna dell'argenta vivo; In Fironzo, all’Insegna della Rtolla, 1068. Cari.o Dati, elio si nascondo sotto lo pseudonimo di Timauro Antiatk, c'informa, eolio notizie promosso alla let¬ tera, elio quosta ora scritta por mano del P. Clbmintk Settimi. Rispondendo alla gratissima della P. V. molto R. (,) con quella con¬ fidenza che tra amici veri si conviene e elio veggo ch’ella usa meco, gli dico cho non posso a bastanza maravigliarmi della maniera del discorrere e filosofare del Sig. Licoti: la qual maniera mi pare che in languidezza ecceda quella di qualsivoglia meno anco che mediocre¬ mente uso a discorrerò o sillogizaro; e mi dispiace che questo con¬ cetto si sia risvegliato tra’letterati di Pisa t2) e di Genova <3) . Poichò mi trovo in necessità di purgarmi da’ mancamenti impostimi, non so se io saprò trovar maniera tanto placida, modesta o civile, cho io non io mi conciti almeno in parto la indignazione di questo filosofo. Io, ben¬ ché averei larghissimo campo di notare moltissime leggerezze nella gran moltitudine do’suoi scritti, lascerò scorrere tutto il resto, e solo mi fermerò sopra lo impugnazioni che egli fa contro (li me; e per ora anderò esaminando le leggerezze ch’egli adduce in riprovare la mia oppiniono del tenuo candore della luna, del quale deferisco la causa nel lume ripercosso dalla terra illustrata dal sole. Vedrà a suo tempo quello che io produrrò, benché per conoscere la nullità de’ di¬ scorsi di questo filosofo ella non habbia bisogno d’altro die d’una sem¬ plicissima o momentanea scorsa sopra quello ch’egli scrive. 20 De’ quesiti mandatigli di Francia non so che ne sia stato dimo¬ strato alcuno. Gli ho con lei per difficili molto a essere sciolti. Quella linea arcuata sono più di cinquantanni che mi venne in mente il de¬ scriverla, e l’ammirai per una curvità graziosissima per adattarla agli archi d’un ponte. Feci sopra di essa, e sopra lo spazio da lei e dalla sua corda compreso, diversi tentativi per dimostrarne qual- Lott. 3072. 24-25. Io epatio di lei e dalla — Cfr. n.f 8207. <»» Cfr. u.» 8005. '*» Cfr. n.<- 8901. xvin. 20 164 21 FEBBRAIO 1040. [3972-3973] che passiono, o parvemi da principio olio tale spazio potesse esser triplo del cerchio elio lo descrive; ma non fu così, benché la diffe¬ renza non sia molta. Tocca all'ingegno del P. Cavalieri, o non ad altro, il ritrovarne il tutto, o mettere tutti li speculativi in dispera¬ zione di poter venire a capo di questa contemplazione. M Ebbi circa un anno fa una scrittura di un P. Mersenno decli¬ nimi di S. Francesco di Paola, mandatami da Parigi, ma scrittami in caratteri tali, elio tutta l’accademia di Firenze non no potette in¬ tender tanto elio se no potesse trar costrutto alcuno. Vedovasi elio conteneva alcuni dubbi sopra alcune mie proposizioni, e pareva clic no domandasse la soluzione. Io risposi all’amico che me la mandò, che facesse intendere al detto Padre che mi scrivesse in carattere più intelligibile, perche qua non ariamo nò la stingo nò altri inter¬ preti di misteri reconditi ma non ho poi inteso altro. Sento grando afflizione de’suoi travagli, i quali accrescono i miei, io che sono tali elio posso con verità diro di ritrovarmi in uno inferno terrestre superficiale, poiché non ini avanza momento di tempo elio io possa passero senza lamentare. Piace al Signor Iddio così, e in ciò doviamo quietarci. Mi continui il suo amore, mentre con ogni affetto la riverisco. D’Arcetri, li 24 Febbraio 1639 ^ 3973. GALILEO a BENEDETTO GUERRINI Tin Pina"). Arcctrl, 24 febbraio IMO. Dallo Memorie t lettcn inedile finora o dinptrt* «li GaULEO OaULKI. ordinata od Illustrata con annotazioni «lai cav Giamuatista Vrxtcri ecc.. Parta ««fonda, Modena, par G. Vincami o Camp., M.DGCdXXI, pag. 221. Il VsxTuai trasse la presenta dall'originale, aottaacrittO, com'egli afferma, collo iniziali del nomo o cognomo «formate del carattere consueto del Galileo» (pag. 219). La lettera ora stata odila già «la Giambatibta Toxdixi nel Tomo II. pag. 28-29, dell'opera citata noli* in formarono premessa al n.® 8178, ma con qualcho gravo scorrezione: il Tovnigi però pubblica anche lo ultime parole: «E qui.... 1089 * (Un. 28-25), cho il Vaartrai trascura Avendo per la gratissima di V. S. molto Illustre intoso gli ordini dati dal Serenissimo Gran Duca nostro Signore in materia del vino 1 ' 1 ’, del quale PA. S. mi favorisce et onora, mandai alla cantina per averno I'» Cfr. n.® 8780, lin. 82-33. t»i Cfr. n.® 3968, ,,, Di atile fiorentino. 4 24 — 29 FEBBRAIO 1040. 155 [3973-3974] due fiaschi; ma dissero i cantinieri, non aver ricevuta commessiono alcuna, ondo ne restai senza : o mentre ch’ella mi accenna, la volontà di S. A. essere stata di propria bocca significata all’Illustrissimo Si¬ gnor Marchese Colloredo, ho giudicato essere mio obbligo necessa¬ rio dare un motto a S. S. Illustrissima d’avere io (ma non prima elio adesso) inteso di tal commissione, e perciò supplicarla a porla in ese- ìo cuzione, con assicurarla che glie no terrò perpetuo obbligo e che, dopo la persona del Serenissimo Gran Duca, riconoscerò la grazia et il regalo dalla cortese mano di S. S. Illustrissima. Prego dunque V. S. molto Illustro a recapitar la qui allegata. Ho sentito piacerò clic il Serenissimo Gran Duca abbia esaminato il giovanetto Viviani e mostratogli d’aver caro che frequenti la vi¬ sita di casa mia, con prevalersi di quell’aiuto ne’ suoi studi che dal debile stato mio gli potrà essere somministrato ; e la speranza che ho del progresso elio sia per faro negli studi, sì per l’attitudine dell’in¬ gegno come per l’assiduita colla quale si applica o per il gusto che 20 prende della qualità degli studi, mi fa intraprendere quest’opera senza sentirvi aggravio o stanchezza. Egli non è ancora ritornato, ma da casa sua intendo che tornerà domani ; ed intanto rendo gra¬ zio a V. S. del trimestre consegnatogli m . E qui con riverente affetto le bacio le mani o prego da Dio felicità. D’Arcetri, 24 Febbraio 1639 l2> . 8974. DINO PERI a [GALILEO in Arcclri]. Fisa, 20 febbraio 1G-10# B!bJ. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 112. - Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r o F.ron mio Col." 1 ® Sono stato molti giorni assai peggio del solito, o non sono ancora ritornato in quel posto mio ordinario, cho, ancorché cattivo, puro era migliore del pre¬ sente. Perdonimi però di grazia V. S. molto lll. re et Ecc. ma 3 ’io ho differito 1° scrivere, 0 s’io scrivo adesso brevemente. “> Cfr. a.» nm, lin. 25. <*) DI stile ftorontiuo. 29 FEBBRAIO 1040. 156 [ 8974 - 8976 ] Ilobbi por mano dei Sig. r Viviani Uro trentaaei o soldi tredici. Presi 9 braccia e ~ di quell’accordellato, o lo pagai manco per essere uno scampolo appunto otc. Costò tro pezzo, cioè £ 17.5; o il conto del sarto ò im¬ portato £ 4, che fanno £ 21. 5. Non ho ancor potuto bavero il libro del Licoti o loggor quel capitolo 49 » io L’ho avvisato a’ SS. rl Marsilii e Stecchini, elio hanno moltiplicato lo risa. Il sentir poi noi elio il risponderli V. S. Ecc. m * potrebbe ossor causa di conferire ella al mondo qualche novità di garbo, ci ha fatto variar parere o desiderare ch’olla risponda puro, perchè i frutti, o massime lo novollizie di V. S. Ecc. B » son cosa troppo ghiotta, troppo singolare, troppo divina. Resto con morirla devotamente insieme co’ SS. Marsilii e Stecchini. risa, 29 Fcbb. 1689 w . Di V. S. molto IH." Oblig. mo e Devotiss. 0 Sor.® Dino Peri. 397 5 # *. VINCENZO REN1ERI a [GALILEO in Arcotri]. Genova, 29 febbraio 1640. Blbl. Nat. Flr. Mas. Gal., P. Ili, T. VII, l, car. 178-17». — Autografa. Molto Ill. r ® et Ecc. m0 mio Sig. r ® o P.ron Col. 1 ' 0 M’ ò finalmente pervenuto allo mani il libro I>r lapide Bononiwsi 131 , publi- cato dal’Ecc. mo Sig. r Liceti, ed ho con molta curiosità letto il cap. L, nel qualo detto Signore argomenta contro l’opinione di V. S. Ecc.”*, che stima quella luco secondaria del disco lunare intorno a’ novilunii esser un riflesso «lo’ raggi solari, colà dal globo della terra ribattuti; e perchè la mi commanda ch’io debba in ciò esporre il mio senso, benché l’affetto della patria communo con quel Signore, o molto più l’eminenza del sogetto, po^sa farmi andar ritenuto noi contradirli, tutta via, o per la libertà del mio genio o per ubbidir a’cenni di V. S. Ecc. ma , dirò speditamente quel che ne sento, stimando che quando puro e’ pervenga al-10 l’orecchio di lui, se havrò havuto fortuna di propor coso vero non dovrà ripu¬ tarsene offeso, o pure sia per levarmi d’orrore quando eh’ io mi trovi ingannato. Lott. 8075. 9. di V. Ece .«• — <•' Avrebbe dovuto scrivere caditoio 60 . Cfr. n.® 8964, 1 io. 17-18. **• Di stile fiorentino. «»' Cfr. n.® 8909. 29 FEBBRAIO 1610. 157 [3975] E primieramente, confesso 1* ignoranza mia ili non intender bone la di lui conclusione, mentre elio chiama quolla secondaria luco del disco lunare conitm- dum quid ex imbecilla lunae luce nativa et limine solis in ipsam reperGasso refle- xoque ab aetheris alti partibus, lunare corpus ambicntibus {i) : non intendo, dico, il modo col quale sia possibile elio porcotendo il raggio solaro nel’aria ambiento la luna, venga poi ad essor ripercosso in tutto il resto del disco e verso lo parti dol mozzo; perchè panni elio quando ciò esser potesse, lo stesso effetto dovrebbe so anco nella terra succedere, o n’avvorrobbo elio riflettendosi lo stesso raggio so¬ lare nel’aria elio la circonda, leverebbe in tutto dal mondo l’oscurità, dolla notte. Ma io veggio, so non m’inganno, l’intoppo elio il qui fatto inciampar quel Si¬ gnore. Afferma V. S. Ecc. ,,m elio quella secondaria luco della luna elio alquanto più viva si vedo nello estremo della circonferenza opposta allo corna illuminate, puoi esser una tal aurora lunare, cagionata colà dal roflcsso di quo’ raggi so¬ lari che, dall’aria ambiento la luna ribattuti, in essa si vodono : il elio è, per mio creder, verissimo ; ma non è già vero per questo che tal riflesso possa dif¬ fondersi poi per lo restante del disco, accadendo colà por apunto tutto ciò cho qui in terra succede, cioè cho mentro il raggio del sole ripercosso dall’aria cho 30 ne circonda cagiona la luco cropuscolina della sera o dol mattino, non la dif¬ fondo por questo per lo restante della terra, ma mentre, por essempio, la nostra Italia rischiara, lascia hor il Gange hor l’America del tutto in braccio alla notto. In proposito di che voglio adesso agiungor anch’io un mio pensiero, por cui stimo poter arrecarsi un’altra ragione di questa maggior luco dol limbo cho non è noi mezzo alla luna ; et è quella stessa per cui V. S. Ecc. mn no insognò cho nella luna piena vediamo le parti della circonferenza risplender con luco più viva cho non fan lo più prossime al centro, cioè a diro il riflettersi do’ raggi solari all’occhio nostro molto più vivamente dalle lucidissimo punto do’ monti lunari, moltiplicato alla nostra vista molto più verso la circonferenza cho verso 40 ilei mezzo, ovo son sparso e mescolato con altro parti mono atto a ripercuoter i raggi : o tanto più in questo pensiero mi confermo, quanto cho pur vicino alla quadratura, quando il crepuscolo lunare a noi invisibil si trova, per ogni modo par cho si scorga in quella debolissima luce questa istessa differenza di lume. Ma vediamo liormai lo ragioni per le quali si muovo 1' Ecc. mo Sig. r Licoti a creder cho questa secondaria luco dolla luna non possa derivare dal riflesso della terra. La prima dello quali è, cho essendo la luna così distante da tal rillcsso circa il novilunio come dopo la prima quadratura, dovrobbo per conseguenza nell’ima e nel’altra occasiono vedersi egualmente illustrata; il cho però non succedo, essendo molto maggiore questa secondaria luce presso il novilunio di 23 . Afferma V. Ecc/- a — 85 . per cui V. — Gir Voi. Vili, pag. 4B3, lin. 11-13. 158 20 FEBBRAIO 1640. 13975] quello elio sia dopo il quarto: che «e, por lo contrario, diremo venirli la luco co dal riflesso tlol’aria vicina, essondo la luna, con detta aria ambiente, più lontana al solo nel quarto elio nel novilunio, no verrà conseguentemente elio più noi no¬ vilunio elio nolla quadratura apparir dovrà lucida o chiara, come por apunto succedo. Ilor vagliami il vero, Sig. r Galileo: qui sento nascermi scrupulo elio cotosto Signoro non Labbia torsi fatto quell’ intero concetto della positiono di V. S. Ecc. ma che parmi saria neccessario; poiché se havesse fatto riflessione elio noi tempo elio la luna è al quarto non vede altro cho un quarto della terra illuminato dal solo, o da quel solo ricevo il riflesso de* raggi, là dove ne* con¬ fini del novilunio vedo tutto l’emisfero illustrato e da tutto si ribatte la luce, liavrcbbo cbiaramonto veduta la soluzione del dubio, essendo che, si conio nel co quarto la luna minor luco ne presta di quello che noi plenilunio ci faccia, così con iscambiovol viconda la terra nel novilunio alla stessa maggior quantità di raggi rifletto di quollo cho nolla quadra ministri. Oltre cho non ben veggo conio gli si possa concodoro, elio essendo la luna più lontana dal solo nolla quadra¬ tura cho non è circa la congiontione, debba per ciò seguirne che quando i raggi si riflettessero dal’aria ambiento nel disco lunare, potesse questa diversità di lontananze cagionar differenza sensibile nell'illuminarono di quello; poi che non la cagionando ne’ raggi diretti, che mostrano lo corna lucide splender nello stesso modo elio fa successivamente fin al plenilunio tutto il restante del disco, non so vodor corno poi la debbano cagionaro in quelli che da essi si riflettono. 70 Ma passiamo avvanti. Sogiungo questo Signore, che essendo cho in pleni¬ lunio terra perfunditur a luna fulgidissiwis ratliis, quibus plcnilvnii noctes ilht- strissimac fìunt, no dovrobbo e converso seguire cho in coniunctione lunare cor¬ pus deberet esse, atque a nobis aspici, splendidius quam terrae facies in pieni- lunii iiocie u) . Al che rispondo cho egli ha molto ben ragione, o che cosi por apunto succedo; ma si come noi vediamo rilluminntione fatta dalla terra nel disco lunare stando lontani da quello, così quando vogliamo compararla con la luco che la luna ripercuote in terra, non bisogna mettersi in minor lontananza di quollo che sia dalla luna a noi, chè così cambierà bene il paragone. E so ben io che qua giù basso la notto del plenilunio ci sembra più chiara del disco 60 dolla luna sparso di quolla secondaria luce; ma da questo altro non si cava, so non cho chi è più vicino al lume, meglio lo vede. Confesso bone di non in¬ tenderò che cosa habbiano da far lo cavità della luna co’ specilli concavi, o credo cho quando la luna fusso come uno specillo concavo, ci darebbe poca materia da filosofare, perchè non si potendo da noi, che siamo lontani dal punto ov olla unirebbo i raggi reflossi, vederne altro che una piciolissima parte illumi¬ nata, quella dal’altro canto fora così lontana, cho no sarobbe al tutto invisibile. U) Cfr. Voi. vili, pnj. 481, Un. 3-8. 29 FEBBRAIO 1040. 159 [3975] Sogniamo adunque la terza instanza. Insupcr, dico egli, si terra solare lu¬ men in luna repercuteret , ac matjis vividum, ut ainnt , quam illud quod a luna Cfr. n.* 3683. 3—4 MARZO 1040. 101 [3970-3977] fantine 10 et un altro 7V centro et tir cimi fMenti : sì elio veda con quanta fa¬ cilità egli stampa libri, elio non credo si potriano quasi leggero così facilmente com’ogli li stampa. Aspcttarò di vedoro la risposta al suo cap. 00 dello pietro * lucifero, acciò egli riconosca il suo duplicato orroro. Per tanto, non occorren¬ domi altro per bora, Unisco con baciarli afìettuosnmolito lo mani. Di Bologna, alli 3 Marzo 1040. 20 Di Y. S. molto 111." et Ecc.®* Dov. mo et Ob.“° Sor. re F. Don."* Cavalieri. Fuori : Al molto 111." ot Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col. mo U Sig. r Gal. 60 Galilei. Firenze. Ad Arcetri. 3977 *. ALESSANDRO NINC1 a [GALILEO in Arcetri]. •S. Maria a Campoli, 4 marzo 1640. 33ibl. Nnz. Fir. Appendice ni Mbb. dal., Filza Favaro A, cnr. 204. — Autografa. Molto 111. 1 ' 0 ot Ecc. mo Sig. r mio P.ron Col." 0 In esecuzione della cortesissima lotterà di V. S., so conoscerò di poter fer¬ mare la speranza, che mi paro di aver concepita, del’emonda di Pierino, lo ricondurrò costì, senza lasciarmi però intendere da lui di avere appiclio di poterlo rimettere, nò anche della sopraabondante amorevoleza elio Y. S. ha intenzione di usarli ancora elio egli non si raffermi, acciò elio egli abbi maggior occasione di conoscerò il suo orrore; o credo senza altro elio lo malo creanze usato da lui sin ora, dopo molto disgusto sicno per causare in me questo buono effetto, di farmi rivedere o godere almeno por un giorno la desideratissima presenza di V. S., io prima elio io non credevo, o così anello il Sig. r Yiviani (3) , al quale non posso far di meno di non portare affetto, sì per i suoi meriti, sì ancora perchè re- verisco V. S. Alla quale invio un panierino di uva o quattro tordi, elio gli goda por mio amore, mentre co ’1 fine gli prego dal Cielo cumulata prosperità. Da S. tft Maria a Campoli, 4 Marzo 1639 w . Di V. S. molto 111." ot Ecc. raa Dcvotiss.™ o Oblig." 10 Se. ra P. Alessandro Ninci. — * — - 1 ■ ■*— | M Fortumi! Licrti, ecc. De luminie natura tl varietale, natura, tpeciebtu, projtrietatibtu et «tilt tati Irne, effleientia libri tres, ecc. VJtini, ox typogr. Nicolai ex rei natura et potùiimum ad auree Aritlolelit. Utini, Schiratti, M. DC.XL. ox typ. Nicolai Schi ratti, M. DO. Xt. 1,1 Fortumi Licrti occ. De centro et ciremnfe- |8 ' Vincenzio Viviani. rcntia libri duo, iti quibiu diliyenterphyiice mathema- Di stilo florontino ticeque tractatur de centri et circum/ereutiae nomine, XVIII. 21 1G!2 9 — 10 MARZO 1640. [ 11978 - 3970 ] 8978 **. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcctri], Genova, 9 marno 1640 Blbl. Niu. Plr. Mas. Gal., P. VI, T XIII, car. 186. - Aulirai» Molto 111." et Ecc.“° mio Sig. r o P.ron Col* 0 Ilo gusto ch’olla habbia havuta nuova di Parigi che il Sig.» Diodati Labbia ricevuta la sua; e venendo la risposta, potrà darmeno avviso, con agiunger alla soprascritta S. Stefano , perchè così ho lo lettere più sicuro. Lo mandai collo passato una mia in risposta *' allo obiezioni del Sig. r Li- ceti, non perchè io stimassi ch’elleno n’ ha vesserò di bisogno, ma per mostrar a V. S. Ecc.*“ il mio senso. M’è poi occorso di riveder il suo Nunzio Sydoreo, o veggo che dove olla tratta del'aurora lunare, non no parla conformo io dallo pardo del Licoti m’ora creduto. Desidero però che V. S. Ecc.** m’avvisi, s’ella stima elio il vedersi la parto o circonferenza del disco lunare opposta alle corna ì illuminato più lucida del resto potesse derivare, no’ giorni più vicini alla con¬ giunzione, da questa aurora, che in tal tompo da noi si potesse vedere, sì conio io m’ora imaginato. In quanto allo effemeridi dello Stollo Medicee, lo andrò di mano in mano calcolando; o già la settimana passata mandai al Ser. w ” G. Duca et al Sig/ Principe Leopoldo il dissegno dolio consti tuzioni future in questo mese. E mentre sto con sommo desiderio attendendo elio V. S. Kcc.“ mi mandi lo suo consi¬ derazioni sopra gli argomenti del Licoti, affettuosamente lo bacio lo mani. Di Genova, li 9 di Marzo 1640. Di V. S. molto 111.** et Kcc. ma Dot.* 0 et Oblig.® 0 Sor. ro -0 I). Vincenzo Itenieri. 3979 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in Arcctri. Veneti», 10 mano mio. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Camporl, Autografi. Il» LXXIV, n.® 68. — Autografa, Molto 111.*» Ecc. m0 S. r \ ivondo ansioso di intender sposso del suo stato, essendo molto tempo elio non mi capitano lettere di V. S. Eoe.®*, vengo con questo poche riglio a ri* "> Cfr. II.® 3‘J76. 10 MARZO 1040. 1G3 [3979-3980] cordarmele, ot insieme pregarla volermene far dar parte, elio lo riceverò a favore singolarissimo. Kt a V. S. molto Ill. ra Kcc. ,na olVorendomi, baccio lo mani. Di Yonetia, li 10 Marzo 1640. Di V. S. molto III." ot Eec. n,a Aff. mo Sor. S. r Galileo Galilei. Francesco Duodo. Fuori: [-] mio io L’Ecc.“° S. r Galileo Galilei, D. r Mat. M R. t0 al S. r Mastro dolio Tosto di Fiolonza. Arcotri. 8980 **. GIOVANNI PIERON1 a [FRANCESCO IUNUCC1NI in Venezia]. Violina, 10 marzo 1640. lllbl. Naz. Plr. Filza Rinuccininnn 8. F. 2, insorto segnato « Dodici lotterò di Giovanni Fioroni ccc. n, lott. n.° 8. — Autografa. Ill. mo Sig. r0 P.rone Col. 0 0 E che spirito viene a V. S. 111." 18 (li diro elio io potrei un tratto ripatriaro? o elio titillarmi al cuore è quello di dirmi, forso prima ch’io non credo? Oh volosse Iddio che qualche cosa fusse! Confesso a V. S. 111.®*, che da poi ch’io fui costà, mi s’è tanto im¬ presso il desiderio di tornarvi, elio penso del continovo come potrebb’essere ; ma ci veggo diflicultati quasi insuperabili. Por qua io son reso quasi necessario, per l’informattione che ho di tutti i paesi; ci son solo, in credito, ben volsutto, benissimo trattato; sarei in¬ gratissimo a tentare io. Quanto a me, ho beni (bora recuperati dalle mani del nemico) per CO" 18 fiorini: a tenerli o star lontano, frutterebbero niente; a venderli, forse non ur¬ lo riverei a 40, e di contanti pronti a pena 10 o 15, e gl'altri chi sa quando. Ilo tre figliuolo grande da accomodare: lasciarle qua accomodato, mi dorrebbe grandemente; menarle non accomodato, sarebbero mercantia forse discreditata (benché sarebbe a torto, perchè in casa mia si vivo all’italiana con ogni rigore); e so puro, bisognerebbe gran sposa di dote più che qua. Io, povero, in capo a 18 o più anni, tornare a dover servire per necessità, in vece di riposo della vecchiezza, mi sarebbe di gran mortificationo, che pur qua, ancorch’io fusso senza servitio, ho da vivere da signore con i beni; c qui godo una casa fabbricata da S. M. per mia abitatione, tanto a mio modo e bella e gustosa quanto ho Baputo disponeva ot ordinarla a mio modo. Con tutto ciò volesso Idio elio qualche cosa fusse: fnss’egli Suo volere ch’io dovessi tornano a così cara patria, a godere di servire quel Padrone che Idio mi ha dato 20 naturalo, a goder di servirò li miei padroni come V. S. 111." 18 , che fra tutti mi sarebbe singo¬ larissimo sempre, tanto mi hanno innamorato le gentilissimo sue maniere. Ma la corda che ella ha toccato ha risuonato a bastanza, se non troppo : scusi ella la delicatezza della materia. Ilo contento che V. 8. Ill. m8 resti capace a suo gusto di quelli aspetti d); io vo calco¬ lando tutta via i medesimi con lo latitudini, ma mi riesce adagio, perchè ho molto da disegnare per S. M.; pure ci ho stimolo. E perché lei mi tocca dello stampargli, bisogna ch’io gli dica che ho un concetto e qualche principio di voler fare un libro De slcllis fìxis, Di stilo fiorentino. I») Cfr. Voi. Vili, pag. 188-486. 13 MARZO 1040. 100 oppiniono intorno al tenue lume secondario che hi scorge tal volta nel disco lunare, o che io lo stimo effetto del reflesso do i raggi so¬ lari nella terrestre superfìcie; tali, dico, contradizioni et opposizioni non pure mi si rappresentano scusabili o da esser lasciate sotto si¬ lenzio, ma plausibili e degno di esser da me sommamente gradite o tenute in pregio, poiché ini hanno fruttato acquisto e guadagno così onorato et illustre, quale mi ò stato la comparsa della umanissima io et cortesissima lettera dalla A. V. S. mandatami, nella quale ella mi co¬ manda che io liberamente gli dova aprire e communicare il mio senso circa le dette opposizioni. Io lo farò solo per obbedire al suo cenno, ma non perchè io pensi di esser per produrre cosa alcuna, in man¬ tenimento della mia oppiniono et in diminuzione delle opposizioni fattomi, la quale nella prima e semplice lettura non sia caduta in pensiero dell’A. V. S., usa a penetraro con l’acutezza del suo ingegno i più reconditi secreti di natura. Resti tra tanto l’Altezza V. S. servita di condonare al mio compassionevole stato la dilazione di qualche giorno nel porre ad effetto il suo comandamento, il quale, quando 20 della mano 0 della vista già mia potessi servirmi, forse in una sola tirata di penna Laverei esoquito. K qui humilmente inchinandomi lo bacio la vesto, e le prego da Dio il colmo di felicità. * D’Arce tri, li 13 di Marzo 1639 U) . Dell’Altezza V. Sor. ,ua Leti. 0083. 4. icoryit — 1,1 *U1« fiorentino. — Noli» copi» doli» let¬ tor», cho citiamo noli’ informazione, la dal» si legge: « Dalla mia carcore d’Arcetri, li 14 Marzo 1640 »; ma mentre la copia è in tutto il resto doli» marni di Yixcaxxio Yiviaki giovinetto, la data ò stata ag¬ giunta dal Yitiaxi ben*!, ma, crediamo, molti anni dopo, riconoscendovi!) I» Diano di lui più tarda. [8983] MARZO 1G-10. 1G7 3988 **. [DANIELE SPINOLA a GALILEO in Arcetri]. [Genova, marzo 1640]. Bibl. Naa. Flr. Mas. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 170-171. — Autografa. Molto 111/ 0 od Ecc. mo Sig/ mio Oss. rao S’io sapessi tanto ringraziar V. S. quanto olla mi favorisco, e s’io fossi tanto atto a dirlo il parer mio intorno a quollo elio scrivo il Sig/ Fortunio Licoti al cap. 50 del suo Liteosforo’ 1 ' quanto V. S. mi onora col richioderlomi por mezzo del P. D. Vincenzo Iteniori, io soddisfarci in qualche picciola parto collo parolo a quel tanto di elio io me lo conservo dobitoro. Ma già elio non posso giunger di molto a rendorlc lo grazio dovuto, m’ingegnerò almeno di dirle quella oppi- nion mia ch’olla mostra di voler sentirò, avvegna elio io m’assicuri di non esser in ciò punto dissimilo da quel cieco cho volosso disputar do’ colori ; o, se non io ad altro, servirà, spero, questa in parto a farmi saporo (non accertando io il punto, corno dubito, mercè del mio poco intendimento) in cho maniora dobbn rispondere a chi vuol sostenere l’oppiniono del Sig/Licoti: il quale, a dir ciò ch’io no sento, ho paura cho non habbia fatto quel concetto cho fo io della dot¬ trina di V. S. intorno al lume riflesso dalla torra alla luna ; et a parlar fuor de’ denti, o egli non l’ha intesa, o io non intendo lui. Panni cho ogli capisca cho quel lume secondario della luna, so lo vion dalla terra, debba venir accresciuto o sminuito dalla minoro o maggior lontananza cho tiene da essa. Et a me par d’intornierò cho lo riceva dal vodoro or più ed or meno l’emisforo della torra illuminato dal sole, secondo cho essa luna più vicina 20 o lontana dalla congiunzione si trova. Ila oppinione che cotal lumo sia mandato alla luna dall’otoro, cho la circonda, illustrato dal solo, ondo sia simile a i nostri crepuscoli ; il cho in parto lio por voro, parlandosi di quel chiaroro cho è noi lembo del disco lunare, essendo questo pensiero anche di V. S. Ma se di qui venisse, com’egli tiene, tutta la secondaria luce di quel globo, noi qua in torra, por la sua ragione, non dove- rem mo bavere nessuna notte oscura, ma tutto sarebbon illuminato da continuo crepuscolo. Ma che, posto che fosso vero ciò ch’egli dico, dovesse quel lumo scemaro neH’allontanarsi la luna dalla congiunzione, io non l’intendo. Perché, se la vici- 80 nanza della luna al solo intende che sia vicinanza nel zodiaco, non capisco conio i raggi del sole siano ricovuti men vivi daU’etero ambiente la luna in quadrato <■> Cfr. Voi. Vili, pag. -183 480. MARZO 1040. 108 [3083] o in trino di quel luminare (dirò coni), elio in sostilo o congiunta, parendomi che sempre vi percuotano vivi ad un modo (so che por rispetto di tal lontananza noi veramente non possiamo vedere quel cropunculo lunare, il quale, nel crescer la luna, fuggo nella parto di lei superiore; ma questo non importa al proposito di lui): ma so vuol che la dotta vicinanza o lontananza sia reale, di quella che misuriamo in semidiametri della terra, et è di parerò che questa faccia rifletter lo splendor del solo a quel modo intorno alla congiunzione, o poi nel quadrato o noi trino la lontananza di più la duodecima parte in circa pensa che levi tutta la riflessione, so egli, dico, ciò crede, buon prò gli faccia. w Afferma, olio so la terra riflettesse il lume del sole, dovrebbe farlo maggior¬ mente della luna, il che non ai vedo seguire, essendo che la sperienza mostra esser assai più chiaro in terra nello notti della quintadecima, che nella lana al tempo della congiunzione. S’egli è stato colassù in tal tempo, onde Labbia di ciò potuto far paragono, mi rimetto; ma se non v’ò stato, dubito ch’egli dica dolio baio o elio contraddica a sè stesso, il quale poco anzi vuol che derivi Tesser o non esser quel secondario lume nella luna dalTessor ella più o meno vicina al solo, et ora vuol che tanto chiara vediamo quella luce eh’è lontana dal cielo in terra, quanto quella c’habbiamo quaggiù negli ocelli. Certo seia luco si rifletto nien gagliardamente da luogo più lontano, men viva si fedii pa- m rimonto in distanza grandissima di quello che si vegga presente. Dico, che so la terra mandasse quel lume, ei si vedrebbe più vivo noi centro elio nella circonforonza del disco lunare, per ragione di quelle concavità ch’egli vuol trasformare in specchi: come se, essendovi specchi, noi fossimo nel luogo dove mandassero la riflessione, o come se la luco non dovesse mostratisi mag¬ gioro di dove ci si manda dalle spesse cime do' monti lunari, elio di onde si ribatte da vario cavitò, o lagune dello stesso corpo. K poi, S. r Fortunio, faccendo tutto camminare a vostro modo, non dovrò, seguir lo stesso del lume elio ricevo dal sole? So dito di no, bisogna ridere; se dite di si, guardato la luna, elio sompro, e più quando è piena, vi il A cento mentite, mostrandosi più risplendente co noU’ostrcmitò. elio noi mezzo. A quel elio dice, elio so la terra mandasse maggior lume alla luna di quello elio da lei ricevo, nolTeclisso solare non si oscurerebbe il giorno (come fa spesse volto), perchè un corpo manco lucido ponto dinanzi ad uno più luminoso non gli leva il lume, io risponderei che quosta sua proposizione è falsa, se il corpo mon lucido non è trasparente; ma la luna è opaca; adunque ctc. E di molto altro coso elio se gli potrebbon dir contra, io aggiungerò solo, che allora quello secondaria luce nolla luna, per sua confessione, pur vi è; ma, S. r Licoti, perché debbo la luna manco impedir la luce del sole, venendole questo lume dalla terra elio d’altrovo? E se quel lume le vieno dalTetero elio la circonda et in parte ^ è suo proprio (come voi affermato), o, secondo la vostra dottrina, allora è nel MARZO 1040. 169 [3988] colmo, essendo la luna vicinissima al sole, non dovrò lasciar libera la faccia di niello pii! elio venendolo dalla torra, puro in parto oscurata? elio vanità son lo lo vostre? et a elio proposito lo dite? Io non intendo poi la necessità elio pone, di veder tutta la luna, lo notti vicine alla congiunziono, almeno si viva conio Venero di giorno, porcliò Venero è illuminata dal sole di Unno primario, o la luna dalla terra di secondario. Con tutto ciò, dico elio la luna si vedo sempre benissimo da chi vi bada, o Venero di giorno si vedo molto di raro; ondo la luna col mostrarsi sompro, ancorché 80 manco lucida, dovrebbe compensar lo splendor di Vonoro, elio si lascia discerner sì podio volto. Ma questo sia dotto di vantaggio (corno anche quollo di sopra intorno all’cclissi), porcliò non si ha bisogno di difender cho quel lume faccia più di quel cho si vedo elio fa, ma si afferma, tale qual è, osser mandato dalla terra. Toccante a quella dubbia luco ch’egli vuol mottor a campo, elio si scorgo lidia luna eclissata, un bell’umore gli dirà cho la consideri bone, o poi consi¬ deri anche quella dol globo della luna scema, o vedrà cho, come dico Burchiello, Da lo buffolo a l’odio è gran divario. Non parlerò mica io di ciò ch’ei dico, ebo data la posiziono di V. S., i raggi dol solo ribattuti dalla torra nella mezzana rogiono dell’aria no leverebbero la % freddezza, assegno cho più non vi si gonororebbono acquo, novi e grandini ; porcliò non liavondo mai voduto corno questa roba si lavori, mi rimottorò facilmente a coloro a’ quali il Maestro l’ha dotto, o cho sanno cho nella mezzana regione vi è sempre quel freddo intenso. Ma intondoroi ben volontieri ciò cho rispon¬ desse il Kepploro o il Mestlino, citato da lui alla facciata 14 del libretto in¬ titolato Disscrlatio etm N'andò Sidereo, il quale scrive d’liavcr un giorno veduto nuvolo o pioggia nolla luna u) , che pure, al detto dol S. r Licoti, riflette effica¬ cemente il lume del solo. E perchè ciò cho dice nel fino non mi par dissomigliante da quello c’ habbiam già essaminato, non m’estenderò più in lungo. Ma non posso tacere cho mi par ìoo vana la risposta data a quel falso quosito, onde avvenga cho l’ombra del mez¬ zodì sia minore cho quella della mattina : parmi vana, dico, la risposta, perchè io non so discorner nell’aria del mezzodì vivezza di lume cho faccia cotal effetto ; o falso il quesito, perché l’ombra mandata dal modesimo corpo nella medesima lontananza etc. io stimo che sia la stessa ad ogn’ora, così dettandomi la ragione. Questo è quanto io, senza diffondermi corno bisognerebbe, saprei risponderò al Sig. r Licoti in quel capitolo nel quale io credeva di trovar qualche dimostra¬ zione cho (2) .... ,l ’ Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 116, Un. 8-9. della lettera, e manca 11 resto. (l! Cou quosto paiolo termina il primo foglio XVIII. 22 170 19 MARZO 1G40. [8984] 3984. GALILEO a DANIELE SPINOLA [in Genova], Arcetrl, 19 mar*o 1€V4<». Blbl. Nfl*. Plr. Mm. Onl., P. VI, T. VI, c»r. 105. - Copi» ai m.no di Vivcmio Camui. Sul di faorl si leggo, della mano giovanile di Vmonnto Yituxi : « Mi» *1 Si».' Panalo Spinola, in proposto del Sig.r Licoti •! IH rao Sig. re o P.ron mio Colend. mo Io non negherò a V. S. Ill. ma cho quanto olla mi scrivo nella cor¬ tesissima sua lettera 10 mi sia stato ili contento grande, per vedere la sua affettuosa inclinazione verso le coso mie, mentre cho ella si riduce a sostenere l’opinion mia contro alle obiezzioni fattemi da persona anco della sua patria; ma più ancora mi sarebbe stato grato che tale occasiono non so gli fosso presentata: e questo dico per l’amicizia di molti anni passata tra P Ecc. mo Sig. r Eortunio Liceti e me, por la quale haverei stimato che egli non si fosso, senza niente parteciparmi del suo pensiero, indotto a darmene i primi motti con le stamperò ofììzio cho forse non meno haveva riguardo alla sua che alla mia re¬ putazione. E credami V. S. lll. m * che il maggior disgusto cho io sento in questa azzione, procede dalla siccità o debolezza delle sue oppo¬ sizioni; che so in esse fusso pur qualche spirito e vivezza d’ingegno, con maggior leggiadria sarebbe comparso in campo, et a me Lave¬ rebbe porta occasione di mostrare qualche poco di maestria nello schermo. Io stavo fra lo due, di rispondere qualche codetta o del tutto tacere; ma tale irresoluziono mi fu levata da un comandamento del Ser. mo P. Leopoldo, il quale, dopo haver sentiti i pareri di alcuni lit- terati dello Studio di Pisa et il giudizio che essi facevano sopra le 20 obiezzioni fattemi dal Sig. r Liceti, mi scrisse et. ordinò cho io dovessi aprirli il mio senso circa tali obiezzioni et anco conferirli quello cho io liavossi saputo c potuto dirli in mia difesa: nò potendo io mancare di ubidire al conno di S. A. S., messi, con l’aiuto degli ocelli e della mano di un mio caro amico, in carta quello cho potrà V. S. Ill. ma ancora vedere fra pochi giorni, cioè quando io no habbia po¬ tuto far trascrivere copia; chè essendo la scrittura assai lunghetta, et io necessitato a ricorrere all’aiuto di altri, son costretto a inter¬ porre qualche più di tempo che non vorrei. Nello mie risposte ci Cfr. d.° 3983. 19 MARZO 1640. 171 [3984] so saranno quelle die sono sovvenute a V. S. Ul. raa et alcune altre di più, secondo che la mia perpetua vigilia mi ha dato tempo di poter an¬ dar vagando con la mente; o forse ci troverà qualche mio pcnsieruc- cio nuovo, et uno in particolare elio è circa del rendere la cagione ondo avvenga che in alcune eclissi totali della luna, talvolta, benché immersa nello parti di messo del cono dell’ombra, ella si lascia pur scorgere alquanto, et altro volte talmente si perde di vista che ò vano l’andarla con l’occhio ricercando, restando ella del tutto invisibile, et anco per assai lungo tempo. Circa cotale accidente, da me benis¬ simo osservato, ho io filosofando in molti anni consumate molto c 40 molte ore senza incontrar cosa che mi quieti; ora finalmente dovrò riconoscere questo guadagno dallo opposizioni del Sig. r Liceti, posto però che la mia mira sia andata dirittamente a terminare nello scopo. L’occasione di sentire questo opposizioni hanno mosso un gen¬ til’ huomo amico mio a farmi avvertito come sono parecchi anni che il medesimo Sig. r Liceti scrisse e publicò un suo libro assai grosso sopra lo comete o stelle nuove (n , nel quale egli quasi in tutta l’opera mi ò addosso con impugnazioni e con tradizioni a qualunque mio pensiero che dalle vulgate opinioni e dottrino punto punto si scosta. Io, fattomene leggere sparsamente in qua e in là molti stracci, sono 60 veramente restato stordito nel sentirmi smaccare tutti quei frutterelli che io mi credeva haver raccolti dalla cultura di quel mio poderetto elio io stimava non essere del tutto un campo di infeconda arena; ma è ben vero che, per quello che io comprendo, i frutti non sono stati svelti dalle radici, sì che non potessero ravvivarsi e germogliare an¬ cora: ma la brevità del tempo, la mancanza delle forze, e qualche altra mia più grata occupazzioncella, mi faranno forse più fruttuo¬ samente impiegare la fatica. Intanto, per non occupare più lunga¬ mente V. S. 111.™, gli rendo grazie del benigno offizio da lei usato in mio sollevamento, mentre con singulare affetto la reverisco e li prego co dal Cielo intera felicità. D’Arcetri, li 19 Marzo 1640. Di V. S. HI.™ Oltre a gli errori in filosofia naturale, al mio parere scusabili, vegga V. S. Ill. ma (l > efr. n.o 1135. 172 19 — 24 MARZO 1640. mnrn\ un peccato in filosofia morale, molto più grave et inescusabile, mentre, il mio op¬ positore, per migliorare la causa sua, mi fa dire il contrario di quello che ho scritto; et egli medesimo ina vertentemente si ac¬ cusa e condanna. Legga alla faccia 245, ^ versi 13 ( ”, dove egli registra mezo un mio periodo, che contiene una proposiziono la cpiale io confuto nel resto del periodo, il quale ella potrà leggero nel cap. prece¬ dente, alla faccia 237, versi 32 2 . Devo.® 0 o Oblig. mo Se. ro Galileo Galilei. 3985 **. FULGENZIO MIGÀNZIO a GALILEO in Firenaa Venesia, 24 marzo 1640. Bitol. Naz. Flr. Mas. dal., P. VI, T. XIII, ear. 188 Autocrati l'tudirluo iulorno e la aottoicriiione. Molto 111.® ot Ecc. B0 Sig. r , Sig. T Gol. -0 Lo mio occupationi, ot, a confessar la verità, un poco di negligenza, m’ha fatto ritardar tanto a scriverò a V. S. molto 111.” et Ecc."“ Vi ha havuto parte anco il desiderio di vedere prima ciò c’ ha potuto scrivere contro di lei il Sig. r Licetti in questo suo libro 1 * 1 , il quale ò stato ricevuto con tanto grido, elio, stampato in Udene, non vo n’ ò nessuno elio babbi potuto trovare in Ve- netia. Ho fatto scrivere a Udene per haverlo, et non 1* ho ancora. Quel Signore era solito mandar alle stampe ogni mese un volume, di modo che havendo voluto stampar l’indice di tanto suo opere, è riuscito per un volume. Lo leg¬ gerò quando mi capiti, et ne dirò a V. S. il mio parere ; ma io non so già far io concetto, che cosa filosoficamente babbi potuto dire. So bene di certo che molti li quali si prendono assonto di scriverò contra le divine suo specolationi, con¬ fidati nell’ indispositioni sue elio non li possa fare la debita ainmonitione, altro Cfr. Voi. Vili, pag.484, lin. 40 - pag 485, mluione, nel Voi III, Par. I, par78. liti, lin. 8; Voi. Ili, Par. I, pag. 78. Un. 26 - 29 . lin. 25 Cfr. aneto Voi Vili, pag. 691, Un. 17- <*> Anche questa citazione si riferisce al Litkto- par 622. Un. 11. nel testo e nelle Tarlanti. •phorut del Liciti. Il luogo del ««ferra* Mmmtt», «•» Cfr. «.• 880V. che ivi il Liciti riporta, si legge, nella presento 24 MARZO 1640. 173 [3985-3980] però non consoguiscon so non quello eh’ ò in proverbio, elio per acquistarsi lodo bisogna diventar temerario et torla con li grandi. In verità che mi paiono coso tanto ridicolo, elio non lo saprei esprimere. Ma quanto a V. S., mi creda corto elio li fanno un grandissimo honore appresso tutti quelli elio hanno ingegno. So olla fa scriverò qualche cosa, la prego, per la riverenza cho le porto o por la stima cho faccio soprema di ogni cosa sua, farmene parto. Quello pocho ap- 20 postillo cho fece al filosofo Sig. r Rocco ll) , dimostrano cho opera sarebbe stata so V. S. non fosso stata impedita dal compirlo sopra tutto il suo volume. So il Sig. r Incetti lia trattato con lei con più modestia del Rocco, questo ha un termine cho comprendo tutto lo modestie, porchò confessa ingenuamente cho di quello elio ha scritto, fuori cho quanto n’ha saputo imparar d’Aristotile, non ne intendo nulla nò anco por imaginationo, cho corto ò un modo di scrivere contro un’opera peripatetico. Prego il Signor Iddio elio conceda a V. S. molto 111.™ et Ecc. nia sollievo dallo suo indispositioni o patienza di tollerarle, et prego loi conservarmi il suo amore, cho stimo un tosoro; et lo bacio lo mani. SO Von. a , li 24 Marzo 1640. Di V. S. molto Hl. ra et Ecc.™ Dev. mo Sor. Galileo Gal. F. Fulgontio. Fuori : Al molto Ill. ra ot Eco." 10 Sig. r , Sig. r Col. ,n0 Il Sig. r Gallileo Gallilei. Firenze. 3986. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 21 marzo 1640. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, onr. 187. - Autografa. Molto 111." et Ecc. n, ° mio Sig. re o P.ron Col. mo Già con un’altra mia, sentale 15 giorni sono' 2 ’, havrà veduto V. S. Ecc. ma eli’ io m’ era accorto del giuoco del Sig. r Liceti, che, tirando lo parole a suo proposito, va buttando la polvere negli occhi a chi non sta ben attento. Ho poi fatto diligenza per havoro il trattato dolio stosso intorno alle nuovo stelle (3> , od liieri apunto mi capitò nelle mani ; no ho letto così qualche poco, e, per quel cho vedo, o’ va con una furia di vir optimus, sublimis, eximius ctc. co- ut Cfr. Voi. VII, j>ag. 712-750. <*> Cfr. n.° 8978. <»> Cfr. u.° 1485. 21-31 MARZO 1640. 174 [ 3086 - 3988 ] prendo una mano d’improperii o villanie. Lo leggerò con più attenzione o più tonipo, o poi «tarò attendendo eli’ella m’avvisi il suo scaso. Lessi la lettera del Sig. r Residente Bardi et aspetterò a suo tempo la io roplica del Sig. r Elia, elio hormai non dovrebbe molto tardare. Mi meraviglio bone elio il mio libro 1 * non siti coli! giunto, porche fu consigliato al corrioro con una doppia di porto; ma forse il galantuomo havrà proso i danari o lasciato il libro all’ hosteria. La torza festa di Pasqua si fan! la coronazioni* di questo Serenissimo, cd io manderò a V. S. Ecc. nui una copia dell’orazione ,3) che farò in questa cerimonia. Séguito lo osservazioni dello Medicee, so non quanto i cattivi tempi mo l’impediscono, o posso crederò che l’emendazione da mo fatta sopra l’epoche o mezzi moti siano per risponder agiustatauionte per un pezzo a venire. In tanto in’ ò sovenuto, elio so quello duo striscio elio si vedono nel corpo di Giovo sono 20 punto inclinate al piano dell’eclittica, il moto annuo ed il proprio del pianeta devono far di bollo variotù, elio sarebbero degne d'ossorvazione ; ma io non ho occhialo elio serva. V. S. Ecc. 1 "*, elio ò costì vicino a’ Sor. 101 Principi, po¬ trebbe loro por in cuore il farlo osservare. Lo bacio por fino affettuosamente la mano o lo prego dal Cielo saluto. Di Gen. 1 , li 24 di Marzo 1640. Di V. S. molto Ill. r * ot Ece. m * I)ov.®° ot Obl. mo Ser. ro I). Vincenzo Pionieri, 3987 . GALILEO a LEOPOLDO DE’ MEDICI iu Pisa. Cfr. Voi. Vili, pag. 480-541 Arcctri, 31 marzo 1540. 3988 . DANIELE SPINOLA a [GALILEO iu Arcctri], Genova, 31 marzo 1640. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 191. — Autografa. Molto Ill. ro ed Ecc. mo Sig. r mio Oss. ,no Io stimo elio chi non procura di mantonero o difendere l’oppinioni di V. S. sia tanto privo d’intendimento, quanto Ferdinando Bardi. <*' Cfr. n.° 8439. I 3 ' Orazione di 11. Vincenzo Kknieri, Monaco Ollvetano, per la coronatone del Sereniamo /Vinci/* Olo. Rottila Durano, Duce della Repubblica di Oc¬ chi lo oppugna si dimostra mancante noM, a pag. 89-66 del libro intitolato U i coronatone del Sereninimo fìio. Ilaitila Durano. In Genova, per Gio. Maria Farroni, Niccolò 1 osaglio ot Pier Iran- cosco Barbieri [sonz' nmioj. 31 MARZO 1G40. 17& [ 3988 ] di sonno; o mi spiaco elio il S. r Licoti, il quale ha voco di si gran filosofo, s’liabbia lasciato bendar gli occhi dell’ intolotto dal desiderio d'essor tenuto d’ingegno acutissimo col contraddir a V. S., assegno di stampare tanto vanità (parlo schietto) ot apportar allo sproposito lo parole di lei, elio son contrario alla sua intenzione. Nel elio tutto (tralasciando che per l’amicizia elio passava fra loro, coni’ella accenna (1) , ora suo debito di proceder in molto differente ma¬ io niora) mi ha scandalizzato assai il vedere elio un filosofo, qual egli ò comuiio- mento tenuto, apporti i testi tanto sconciamente, elio veduti al loro fonto suo¬ nino spesso fiato il contrario di quollo c’ ha di bisogno ; ondo non ò maraviglia clic io, camminando alla buona, liabbia inciampato in non so elio, stimando elio in un luogo del Nunzio Astronomico V. S. liabbia voluto dir quollo cho non intendo di diro. La risoluzione cho V. S. ha fatto di rispondergli, paro a ino cho sia ottima, non per lo porsono cho capiscono quollo cho ella ha scritto, ma porchò egli o molti altri simili a lui in dottrina non si credano di Laveria vinta; poi cho mi pare cho ponghino la vittoria noi dir francamente dello ciancio o nell’allogar 20 molti testi, beilo o malo cho il facciano, più elio nel discorrer con ragioni sodo o conchiuder con matcmaticho dimostrazioni, com’ olla fa in tutto lo opero suo. Ma non s’incomodi già V. S. di mandarmi copia di dotta risposta, porchò potrò soddisfare alla brama c’ho di vcdorla col furiami mostrare da chi l’liavrà in Genova, dovo sicuramente pervenirà; o non vuolo il dovero cho io, il qualo non ho servito giammai V. S. in cos’ alcuna, comporti cho ella tanto brighe si prenda, e no dia a’suoi amici, por cagion mia: ola ringrazio infinitamente del desiderio cho ha di favorirmene, il qualo vorrei cho olla cangiasse in alcun suo comandamento, allinchò non parosso cho io del tutto lo fossi imitilo servitoro. Ma per tornaro al Liccti, ho corcato la sua opera dello nuovo stollo o co¬ so moto (2) , o fattala bavero al P. 1). Vincenzo, a cui circa il giudicio di ossa in tutto mi rimetto, perché no siamo totalmente conformi ; o panni cho con suo onoro poteva l’autoro tenorlasi, o non far pubblica una gioia sì preziosa, cho così credo eh’ egli la stimi. È vero però cho allo coso scritto da V. S. in quella materia io son d’oppiniono che ognuno conosca cho fan tanto pregiudicio quollo fanfaluche, quanto fa noia alla luna l’abbaiar de’ cagnacci. Iddio conceda a V. S. quella felicità cho io lo desidero, inentro lo bacio riverentomento lo mani. Genova, l’ultimo di Marzo 1010. Di V. S. molto Ill. ro od Ecc. ma Dovotiss. 0 ed Obblig.' 110 Scr.™ W Daniele Spinola. m 1* Ai'UILK 1040. 3989 *. COSTANTINO HOYGENS ad ELIA DIODATI fin Parigli. iL'Ajaj, 1» aprile 1640. Blbl. dell’Accadami», delle Sciente In Àjneterdnm. M». X1.IX, LetUe* frangiseli de CenstenUn Huygena, T. I, ptg. 078. — Copia di mano sincrona A p«f. Ino-100 del Tomo III d«U*edizfnnecitata noli’ informa*iono promessa al n.* IflOl « la Uadnai->«- italiana di inatta lettela, inviata dal biomn a Qalii.ro: cfr. n.» 4041. Àu S. r Diodati. 1 d’Apvril 1640. Monaieur, J'ay vou rovivre avecq bcaucoup de contenteniont l'illuaire dessein que vous avez faict escloire autrefois pour lo bien do cent He Ut, qui, à tuon ndvis, no voua estpasre- devable de peu da soin que vona continue/, do prendre à noua faire tirer lea avantage 9 possibles du peu de joura qui reato au Sienr Galilei, l'eut-estre aoupyonnez vous de la nogligence on moy, et voua semble que jo aoye lent a voua y aeconder; nuda jo pula et doibs vous asBeurer en bornio foy, que, depuia collo qu'il voua a pleu in’eacrire sur ce subjectO, jo n’ay cesse de m’employcr avecq vigueur & tout co qui m'a seinbló capable d’avuncer l’affaire. Tout revient là cependant, quo feu lo S. r llortenaius eatant venu h io niourir, saisy dea donicra qu’on luy aroit faict fournir pour lo voyago d'Italie, sans quo jamais il se boi t mia cn posture ni debvoir do s'y acheminer; ceste frasque (aiusi l’a-t-on voulu baptiser) a faict refroidir bcaucoup de courngru, qu'on avoit eu de la peino à rechaufìer. Et de faict, tous I 03 quatre peraouuagcs deputez à ceste all'aire estants ve* nuz à deceder, nouB en voyci collimo à recom mence r, et force nou* est de roprescher Ics pnradoxes de cest evangile tout do nouv. au. C’oat, Munsieur, où j’mlvoilo d’en estro oncor pour lo present, n’ayant autre nssistanco quo cello do Mona. r Doreel Conseiller et Pen- sionaire d’Amsterdam, personnage lottré, amateur .le bonnea choaea et particulierement de celle-cy pour l’interest de la Compagnie dea Indea Orientale», de laquelle il est et faict un membro fort considerable; a quoy a’adjoustant qu’il assiste do par sa ville aux 20 assemblée» de Iiollande, tous pouvez juger le moyeu qu’il a de noua servir avecq effi¬ cace. Et là desaus, Monaieur, je vous donue a pender a’il ne aeroit à propos quo luy donnassiez un coup d’eaperon, par un mot d’honnoste lettre que je luy puiBse fairotenir. Quoy qu’il en soit, deux chevaulx tireront mieulx le carros.so qu’un acuì; et, ai vous ag* greez inon ouverture, jo voua respond* quo, pour tua part, voua ne trouverez point de faulte d’ussiduité à faire reuiasir uno conccption que je me ropreaeute ai utile et d’un succèa ai indubitable, pourveu qu’on a’y applique cornine il appartiont Je vous prie d’en nsseurer Monaieur Galilei, et du rcasentiment que j’ay de ce qu’il m’eat né de l’occasion a luy faire s^avoir que je auia au monde avant qu’il en sorto. Aprila tout, Monsieur, con- tinuez moy l’bonneur de vostre amitié, que je mettray peine à meritar par raes Services; 80 donnez m’en souvent matiere, a’il voua plaiat, et m’employez sana reserve.... Cfr. u.® 84421. Kl QCOLISLMO BoSSIL. [8990-3991] 0 — 13 APRILE IGiO, 177 3990 *. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, G aprilo 1640. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» I,XXXVI, n.» 121. — Autografa. Molto 111.** ot Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Col.'" 0 Ricevo la scrittura (M , da V. S. Ecc. ma inviatami, nello stesso tempo elio il corriere sta (li partenza, ondo nò anco ho liavuto tempo di darle una scorsa. Servirà questa adunque per accusarne la ricevuta, riserbandomi a scriver più a lungo con lo seguenti. Ed a V. S. Ecc. ina bacio di tutto cuore lo mani. Genova, li G di Aprilo 1640. Di V. S. Ecc. ,,,a Dov. m ° Sor.™ 1). Vincenzo Reniori. 8991 **. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 13 aprile 1640. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., V. Ili, T. VII, 1, car. 184. — Autografa. Molto 111/ 0 et Ecc. m0 mio Sig/ o P.ron Col." 10 Ilo letto con mio sommo gusto la scrittura inviatami da V. S. Ecc." 1 * 1 * 5 o 1*lio communicata al Sig. r Baliani, che, sì conio faccio anch’io, infinitamente la ringrazia: non l’ha por ancora veduta il Sig/ Daniele 13 ’, che sta in procinto di far viaggio fino in Sicilia por interessi di casa sua; ma prima che parta, farò che la veda. Ilo notato il suo pensiero circa di quel rossore cho ha la luna nelli eclissi, e sommamente mi piace, perché in vero, so Venero a noi commu- nica tal volta tanta luco che è atta a cagionar l’ombra, perchè non lo dovrà far nello stesso modo nella luna? Una sola cosa mi dà un poco di fastidio, io cho è la variationo di colori stravagantissimi cho io ho osservato nell’ eclisse del’anno 1G35, a’ 27 d’Agosto, dovo appariva la luna tinta di macchie pallide, pavonazze o rosse, in modo cho mi faceva sovoniro ciò cho scrivo Cornelio Gemma, Cosmocritices, lib. 2: «Anno 1569, Martii die 3% roane bora 3 ft , Phoeben vidi cclipsim horrondam passam, diris coloribus insignitalo. Primo ©nini fuscus, indo sanguineus fulsit, mox punicous et virons et lividus, ac tan¬ dem incredibili varietato difìformis » : cosa degna in vero d’ammirazione o che *') Cfr. Voi. Vili,-pag. 489-542. ,s * 1)anii£Lk Spinox.a. <*' Cfr. n.o 3990. XVIII. 178 13 — 10 APRILE 1040. 1.3991-3992] io difficilmente havrei creduta, se non 1 bavosi apuntino veduta con quost’occhii in tempo elio l’eclisso fu centralo. Facciasi por grazia V. S. Eoe.»» leggero ciò elio in questo proposito scrivo il Keplero, a carto 271, cap. 7, num. 3°, della sua Astronomia Optica u \ dove tratta de rubare lunae deficiente e dove arreca» la cagiono perchò non crede in tutto a Tycone, che fu di questo stesso pen¬ siero, elio Venero communicasse il lume alla luna, benché non nel tempo degli oclissi, ma circa i plenilunii; e mi faccia gratin dirmene il suo parere. In quanto al Liceti, vado lcgemlo tal volta i suoi capricci intorno allo obiezioni elio fa a V. S. Ecc.‘"‘ nel libro dello comoto (IJ ; od in vero eh’ io resto confuso della confidenza che questo galanthuomo si piglia nel voler vender il bianco per il nero a chi non sta sul’avviso. Ma tal sin ili lui. Mi meraviglio elio tanto tardi a risponder il Sig. r Elia 3 , che pur doveva almeno acusar la ricevuta, ed in sei me i, che sono trascorsi dalla prima let¬ tera 14 ’, non habbia dato cenno veruno; se puro le lettere non vanno a male, il so elio non vorrei. Mi conservi intanto in grazia sua, e con le seguenti manderò l’orazione ,B) ; mentre per fine lo bacio affettuosamente lo mani. Di Genova, li 13 di Aprile 1040. Di V. S. Eco."'* Dev.“° et Oblig. mo Sor.™ Ih Vincenzo Renieri. 3992 . GALILEO n [BENEDETTO CASTELLI in Boni»]. Àrcrtrl, 16 aprile 1640 Blbl. Naz. Fir. Ms*. Gal., P. VI, T. VI, car. 107. - Copia di mano dal m«. XVII. in capo all# qualo e! logge, della stessa mano: < Copia dell'originale, aeriti, di co»Bm*iuo« del Hi*.’ G.0.*. Rev. rao P.re e mio Sig. r Col. roo Sono trascorsi molti ordinarii senza elio io sonta nuova della sua P. Itev. ma , o finalmente otto giorni fa passò di qui I). Tomaso, mo¬ naco dei loro in Napoli o lettore in S. Severino, il quale mi referi¬ sce ha ver cercato di veder lei in Roma, ma non gli esser succeduto, onde egli stimava, o che olla si trattenesse in qualche luogo fuora di Roma, o vero che già si fosso inviata a Parma al Capitolo che quivi doveva celebrarsi. Io in re dalia ho proso ressoluzione d’inviarle que¬ ste poche righe, con pregarla elio voglia darmi qualche avviso di se Leti. 3002. 4-5. rffferùtt — 6. tmtmm* 01 Cfr. u.* 1689. i*) Cfr. n.« 1485. 0) Elia Diodati. «*> Cfr. n * 3985. «•» Cfr. n • 3986. 1C APRILE 1640. 179 [3992] io medesima, dalla quale sono stato tutto questo tempo ansioso d’inten¬ dere dello stato suo o de’ suoi studii, li quali non voglio però cre¬ dere ch’ella del tutto babbi abbandonato, ancorché occupata in molte più alte contemplazioni. Io stava aspettando d’intendere le novo sue speculazioni intorno a diverse sue nuove meditazioni, conforme a elio ella medesima me ne havea dato speranza, et in particolare della origino dei fonti e dei fiumi, come elio in luoghi più eminenti si conservino conio la¬ gune atte a scaricare profluvii di acquo non meno elio nei laghi più bassi per le derivazioni di altri più minori fiumicelli. Quojnodocumquc 20 lioc sit, per quel poco che mi avanza ancora di facilità speculativa, io continuo di affermare di non ricevere gusto maggiore di quello che prendo dalle meditazioni della P. V. Rev. ma , conio quelle che pro¬ ducendo frutti del suo ingegno, o non foglie indifferentemente rac¬ colte da questa o da quella pianta sterile o non fruttifera, arroccano cibi molto grati. So ella non si è del tutto distolta dallo nostre an¬ tiche contemplazioni, la prego farmi partecipe de’ suoi filosofici pen¬ sieri. Io, fatto impotente per la gravo età, o più dall’infortunio della mia cecità c del mancamento della memoria e delli altri sensi, vo trapassando i miei sterili giorni, lunghissimi per il continuo ozio, e so brevissimi per la relazione ai mesi e agli anni decorsi; nò altro mi resta di consolazione che la memoria delle dolcezze dello amicizie pas¬ sate, delle quali pocho ine ne restano, ancorché una sopra tutte le altre gratissima mi rimanghi, quella della corrispondenza in amore della P. Y. Rev. ma Alla quale con reverente affetto bacio le mani, come anello ai soliti gratissimi miei Padroni, Sig. n Magiotti e Nardi. Se costì vi è pervenuto un libro ultimamente stampato dal filosofo Liceti T)e lapide Bononiensi (1 mi faranno grazia di vedere quello che egli contro a me scrive al cap.° L°, in risposta al quale gli manderò certa scrittura fatta da me a richiesta del Ser. mo Principe Leopoldo, •io se gli piacerà di vederla. D’Àrcetri, li 16 di Aprile 1640. Della P. V. Rev. ma Dev. mo Ser. r0 Galileo Galilei. 20. nvvama — 29. trapaitandi — 30. rellationi; — 34. laccio — 38. cap. I in — 39. Prencipc — “> Cfr. il.® 3909. 180 16 — l'J APRILE 1640. [3993-3994] 3993*. PIER FRANCESCO K1HU0C1NI a GALILEO in Arcetri. Firenze. 16 aprile 1640. Blbl. Nas. Flr. Mss. Gai., Nuotì Aequlatt, n.» 41. — Autografa Molt’Ill." Sig. r mio P.ron Osa.*® Do’ cedrati o sparagi si manda poco, perché non bastano, o del vino perchè V. S. non disordini : supplirà S. A. col mandargliene piè spasso, et io, eserci¬ tandomi in servirla, raccorrò dal numero dello volte consolazione maggiore, pa¬ rendomi cosi d’haver fatto qualcosa por lei; et in questa maniera ingannerò la mia inabilità. V. S. m’accresce il rammarico, rimproverandomi il mancamento della pa¬ rola datalo di venir a goder un poco la compagnia. Dio sa con qual regretto io resto privo di questo gusto; la speranza che gli impedi menti abbiano a sva¬ nire, solamente mi consola : e perchè io credo che non habbia ad ire in lungo, io mi riserbo a dirlo a bocca la necessità elio m* ha trattenuto di venir a goder la conversazione di V. S., che farebbe delitio‘o ogni piò orrido paese, non pur codesto, bello di sue prerogative. E qui, pregandola do’ suoi comandamenti, lo fo riverenza. Firenze, 16 Aprilo 1640. Di V. S. molto 111." Devoti»}». 0 Ser. r Vero Pier Fran. e# Rinuccini. Fuori: Al molto IH." Sig. r mio P.n Osa. -0 11 S. r Galileo Galilei. Arcetri. so 3994*. ALBERTO CESARE GALILEI » GALILEO in Firenzo. Monaco, 10 aprile 1610. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Camporl. Autogrill, H.» LXXYI, n.» 7. — Autografa. Molto 111.” Sig. r Zio, Già cinque mesi ricevei una dal suo Sig. r figliolo, scritta por parte (li V. S. molto 111.”, dalla quale sentii grandissimo contento, intendendo il buon stato di V. S. molto III.” o del ricuperamento di un poco di vista, che prego Dio sentir nuova della ricuperatione di tutta. 19 — 21 APRILE 1640. 181 [3994-3995] Gli rondo humiliasimo ofc infinito grazio della memoria elio conserva di me, suo riverento nipote, non liavendo io altro desiderio elio solo di esserli apresso, por poterli mostrar con atual servitù il mio divoto affetto vorso la sua persona. Mi sono maritato, o, laudato Iddio, ho trovato compagnia secondo il mio de¬ io sidorio od una giovano conformo al mio bisogno, elio prego Dio succeda sino al fino si conio è il principio. Altro non desidoro appresso questo mio con¬ tonto, elio solo potessi saper nova all meno una volta al moso del stato di V. S. molto Uh", non liavendo altro padre nò altra madre al mondo elio lei; elio per tanto non inanello nò mancherò mai di pregar il Signoro Dio por la conservatone di V. S. molto 111.", alla quale gli bacio humilmento la mano, riverendo il suo Sig. r figliolo o tutta la casa sua, sì conio fa la mia moglie Massimiliana, o si raccomanda a V. S. molto 111." infinitamente alla bona gratin di V. S. molto 111." Monacho, li 19 di Aprilo 1640. 20 Di V. S. molto 111." Humiliss. rno Nipote o Sor." Alberto Cosar Galiloi. Fuori: All molt’IU." et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. mo Il Sig. r Galileo Galilei, Filosofo o Matematico del Sor. mo Gran Duca di Toscana. Fiorenza. 3995 . ELIA DIODAT1 a COSTANTINO IIIJYGENS [all’Aja]. Parigi, 21 aprile 1640. Dal Tomo III, pag. 455-456, doll’odiziono citata noli’ inforuiaziono promossa al n.° 1201 Parigi, 21 Aprilo 1640. Una lettera dol primo di questo mese mi è una perfettissima prova della sua ge¬ nerosa magnanimità, e dell’onoro (l’ima benevolenza dalla quale sentendomi obbligatis¬ simo, e volendo seguitare l’apertura che prudentissimamento ha voluto farmi, io scrivo una mia al Signor Borei W sopra questo suggetto, come mi avvisa, inviandola a V. S. Il¬ lustrissima aporta a sigillo volante (che le piacerà sigillare prima di dargliela), senza darli altra informazione dell’affare so non in termini generali, avendolo giudicato super¬ fluo, poiché di viva voce egli l’intenderà molto meglio da lei. Io aspetterò dunque sotto gli auspici de’suoi favori il rinascimonto di questo degno affare, o darò frattanto avviso 10 al Sig. Galilei corno olla gli fa l’onore di prendersi la cura della proposizione da lui fatta, di che egli ed io le no averemo un’eterna obbligazione. Io sono ec. <'* Cfr. n.° 8989. <*> Guoi.iki.jio Bobf.kl. 182 21-28 Al'Kl LE 1G40. [ 8996 - 8997 ] 3996 *. ELIA DIODATl » IOUOI.1EI.MO BOKEEL in Amatonlam], Parisi, -1 aprila 1640. Dallo pnfj. 60-61 del lAhtr d* couq»dUi* we eiUto nuli’ inforuiaxiumi pretnuu al n.* 3521. A pag. 4&8 del Tomo III dell’ edizione dUU noli* Inforuiailono premessa «I n.» 1201 A la tradai /.ione italiana di questa lettera. inriaU dal Dumari »L uo a OaULao; o alla traduzione ò promessi quest'indicazione: «Dottora d'Elia Deodati a Pietro Borei. Comirlier di Stato o Pensionarlo della città d'Amsterdam », dove b fatto equivoco tra Piano Bona», o iìiuli«i.mo IloasaL, a cui la lettera ò veramente iudirlsuta. Monsiear, Vos singulieres verttu ot voa merito* vomì ayant*, outre lo rang que vous donne la dignità do vos charges, acquis uno tree gratulo creane* »•■ conseils et deliberations patii- ques, j’estimeroy m’oublier grnndcment, ni an renouTellement de refluire cy devant proposéo par Monsiear Galilei, le phenix des aetronomes de ce tempi*, d’un moyen asseuró otinfail- lible par luy trouvó pour l’invention de la longitudo, dont, par mori entremise, il a faict preaont ìt Messeigneurs les Estati» G onera ux, laquelle par di vere aocidenta ot roncontres a ostò retardée, commo vous entemlr. particuliereincnt de Monnieur le Chevaliar de Zuyli- chenG‘>,je n’implorois votre aasUtanco pour un prinripal appuy do l’avanceraent d’uno si haute ot utile affaire, qui asseorera la navigatimi et rcctifi ra leu iahles geographiques, IO no roslant plus quo co bouI point pour ruduire l’uno ot l’autre à leur porfection. C’est pourquoy la cognoissant proportionée à vostre gonerenno vertu, qui no s’appliquo qu’aux choscs grandes et nicuiorables, j’espere, Monnieur, quo vous ugnerò» ot favoriserés volon- t.iors la treshurable supplication quo je voue lay, do PembrasHor avec zelo ot affoction, vous ioignant pour cet offoct à nton dict Siour lo Cbevalior, qui vous on dira touto la suite et a qnoy olio ost i\ present rednitto, dont, pour ne vous point ennuyer inutilement, je ne vous foray point d’autro rocit. Ains, apn s vous avoir tre* hurablement baise les maina, jo vous supplioray m’honorer do vostre bicnreuillance et voun usseuror qu’on reverant vos vertus jo suis, Monsiear, , 20 De Paris, le 21 d'Avril 1G10, Votre treahuinble Sorviteur Diodati, 3997 **. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO (in Arcetri]. Roma, 3S aprilo 1640. Btbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 193. — Autografa. Molto 111 « ed Ecc. mo Sig. r « e P.ron Col.™ Mi ritrovo a Macarese, loco del Sig. r marchese Maftei, vicino alla marina di Porto, dovo ricevo la lettera di V. S. molto IH.™ ed Eco.®*, occupato in una ,,, Costantino Hotokns, [8997-3908] 28 APRILE 1640. 183 impresa ili essiccare una vasta campagna soprafatta dall’acquo, o sin bora il negozio mi riesco folicissimamento o con sodisfaziono o maraviglia ili questo Si¬ gnoro. Ma il compimento (lei mio gusto è in vedere quanto puntualmente si può praticare la dottrina della misura dell’acquo correnti; o veramente cono¬ sco elio Dio benedetto mi aiuta, o di già il negozio ò ridotto in sicuro, o le acquo sono scolato in gran parto, o tuttavia vanno scolando, in modo elio fra io pochi giorni sarà tutto ridotto in perfezzione. Dimani, che sarà domenica, sarò ili ritorno a Roma, o por l’ordinario elio viene li scriverò più a longo, rispon¬ dendo ai particolari della lettera ili V. S. : per liora la supplico a perdonarmi so sono breve, percliò non ho tempo ; solo l’assicuro, ebo sicome ho conosciuto sempre che ella mi ama cordialissimamente, così reciprocamente io l’honoro, rive¬ risco o stimo, so non quanto olla merita, almeno al pari cl’ogn’altro, o mi crepa il cuore di non bavero forzo por poterla servire. Prego Dio nei miei Sagrifici che supplisca por me, e la consoli noi suoi travaglii, dandogli la Sua santa bene¬ dizione: e li fo humile riverenza. Di Roma, il 28 (l’Aprile 1640. 20 Di V. S. molto Ill. ro od Ecc. nia Dovotiss. 0 od Oblig. n, ° Ser. 1 ' 8 S. r Gal. 0 Don Benod. 0 dastolli. 3998 **. FULGENZIO MICÀNZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 28 aprilo 1040. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 195. — Autografa Molt’ 111.” et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. m ° Sabato passato nell’istesso tempo mi capitò la gratissima lettera di V. S. molto 111.” et Ecc. ma colla scrittura et il libro del S. Licetis De lapide Bononiensi , credo per buona fortuna, aciò noi medesimo tempo il dolcissimo nettare (lolla sua risposta mitigasse l’amaro (lolla proposta, et non liavessi a lambicarmi il cervello per intendere ciò che l’oppositore vuol dire; perché attribuendo il candore lunare aìl’etero ambiento, haveroi affaticato a pensar conio a quel filosofo, ch’ogni mese partorisce un libro, fosse potuto intrare in capo simile chimera. Ma V. S. ha levato ogni difficoltà,, ma al solito con maravigliose osservationi et avertenze di effetti io naturali. Era meco un gentili’ huomo francese di gran portata, e leggemo insieme, o divorrassimo, la scrittura, o volle portarla seco, nè anco l’ha ritornata : è però sicura, credo no prendi copia. So questi virtuosi ino la lasciarano fermar in mano, sarà il mio gusto nel rilegerla più volte, come fo di tutte lo sue opere; ma del 184 28 APRILE 1640. [3988-8999] libro del Liceti mi ò impossibile la pacionza «li Iberno un capitolo intiero, fuori elio quel 50 ,1} . V. S. non può scriverò cosi breve, che non vi sia qualche gentili», eirna spoculationo di cose naturali, non piò osservato da niellino: egli non può scriver cosi lungo, elio vi si trovi altro elio ramatameli ti ili dotti rancidi cho infastidiscono. Non ho potuto trovar il Giusti, ma, o col suo inezo o del Sig.r Ambasciato? Veneto w , procurerò colPKlzivir qualche ri mlutiono. Già mi disse il Giusti cho’1 20 Sig. r Lodovico era andato in Germania. Veramente manca al suo debito; ma fa gran fraudo a* virtuosi. Io sto assai beno in quest’età, e lo giuro non bavero cosa più molesta elio il sapore elio V. S. non sta con quella sanità ch'io di tutto cuore lo desidero. E con tal fino lo bacio con ogni alletto lo mani. Ven. n , 28 Aprilo 1640. Di V. S. molto III. 1 * Dov.™ Sor. F. Fulgentio, Fuori, d'altra mano .• Al molto IU. r * et Eec. ,uo Sig. r , Sig. r Col. mo Il Sig. r Gallileo Gnllilei. Firenze. 3999 *. VINCENZO RENI ERI a (GALILEO in Areelri]. Genova, SS aprile 1640. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Carnpori. Autorraft, B.« LXXXVI. n.« 122 — Auto*r»fs. Molto Ill. r " et Ecc. mo mio Sig. r * e P.ron Col."* 0 Mando a V. S. Ecc."’* una copia dellonuioiie 14 da me recitata domonicapas¬ sata nella chiesa ile'I‘l’. Gesuiti per la coronazione ilei nostro Seroniss. 0 Prin¬ cipe, cho si feco in quella eli io-a. Parvo ch'ella fus.so assai gradita: no starò at¬ tendendo il suo parere. \edo quanto scrivo il Sig. r Elia** 1 , et ho gusto che le nostre lettore non siano ito a male. Rimando pertanto la lettera di quel Signore, 0 metterò all'or- dino l’oflemeridi do* mesi Luglio, Agosto 0 Settembre a venire, acciocliè, se colà lo riccliicdesscro, si passino inviare; o starò attendendo ciò cho risponderanno. Per saper qualche nuova del libro cho si mandava a Parigi ^ , stimo cho 10 si possa far motto al giovino della posta, Sig. Simone Torrigiani, il quale liebbe la doppia 0 1 libro, cho facilmente si ricorderà del corriere a cui lo diede. “> Cfr. Voi Vili, p»g. 481-186. <*> Giusto WirriLoion. <*' Giacomo Uicstixu.v. Cfr. n.* 3980, lio. 10. »•» Cfr. n. 3909. «•> Cfr. n* 39S6, Ho. 12. 28 APRILE — 1° MAGGIO 1040. 185 [89994000] Il Sig. r Daniele (i| sta di partenza por Sicilia, o con molto suo gusto ha lette le risposte fatto al Sig. T Liceti, sì come anco il Sig. r Baliani, elio mi disse di volerne scriverò a V. S. Ecc. ma ; o tutti due baciano le mani di V. S. Ecc. n " 1 , sì come fo io di tutto cuore. Genova, li 28 di Aprilo 1040. Di V. S. molto 111/" et Eco."'* Dev. mo et Oblig."* 6 Ser." D. Vincenzo Renieri. 4000 *. BENEDETTO CASTELLI a [GALILEO in Aroetri], Roma, 1° maggio 1G40. Blbl. Naz. Flr. Mas. fini., P. I, T. XII, car. 100. — AutoKrnfa la sottoscriziono. Molto 111/° ed Ecc. m0 Sig." o P.rn Col." 10 Mi sono incontrato con moltissimi ingegni ammiratori della virtù o merito di V. S. molto 111." od Ecc.'" 11 , o nostri italiani o forestieri, ma tra tutti non ho trovato mai nessuno elio con maggioro affetto o sincerità Rabbia celebrata la dottrina o 1* alto saporo di V. S. olio il lator della presente, signore Pollacco, Proposito di S. Nicolò : il suo nome è Stanislao Pudlovvschi. Da questo olla può argomentare elio il suo sapere ò più elio ordinario. Ilo trattato con esso più volto, o più volto m’ha dotto vivamente elio tutto quello elio ha inteso di buono lo riconosco dall’ havor visto lo opere di V. S. molto 111.", dallo quali ha cavati io frutti saporitissimi di filosofia profondissima. Hora, nel ritorno alla patria, passa por Firenze a posta per conoscerla di prosonza, od io l’ho voluto accompagnalo con questa mia, sicuro ch’ella liavorà gusto particolare di sentirlo. E venuto a Roma por visitare limina Apostolonm in nonio del Vescovo di Cracovia. Però la supplico a riceverlo come uno dei più devoti ingegni della sua dottrina elio io habbia mai conosciuti. E non occorrendomi altro, li do nuova elio mi ritrovo in Roma, sano o consolatissimo del mio stato, assai quieto nella volontà di Dio, conio desidero di V. S. molto 111.", alla quale fo riverenza. I)i Roma, il p.° di Maggio 1G40. Di V. S. molto 111." ed Ecc. m> 20 Dovotiss. 0 ed Oblig. m0 Ser." o Discepolo Don Bened.® Castelli. "> Daniklk Spinola. XVIII. 24 181» 1* MAGGIO 1640. [4001] 4001. BONAVENTURA CAVALIERI » GALILEO in Arretri Itologna, 1* maggio imo. Ilibl. Nnz. Pir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII. <»r. 197. - Aat- craf» Molto 111.** et Ecc,* 0 Sig. r o P.ron Col.** Ricevo grandissima consolationo dalla grati- ima sua, sì per intendere come ella va passando con qualche alleviamento la Mia deplorabile cecità, mentre ha in sua compagnia giovano cosi studioso coin’ella mi significa ' u , sì anco por ve¬ devo con quanto allotto olla mi continua il suo amore, invitandomi con tanta cortesia a rigodoro la sua dolcissima conversationo, del elio la ringratio quanto so o posso. Io però sono in stato coni cattivo, che non ardisco diro di sì di venirla a vodero; ma non lo nego nò anche a volutamente, se potrò ottonoro qual- elio tregua da* miei continui dolori. Qui nti mi distolgono affatto da tutte lespc- colationi di qualche sottigliezza, conoscendo la notabile offesa ch’io no ricevo; o io però non si maravigli so non li ho scritto cosa alcuna in materia do* problemi 1 ” mandatimi da Parigi dal Sig. r Giovanni de Ilcuugrand, poiché, conoscendoli alla prima por molto difficili, non ardii d’intcmarinici maggiormente, imi -imo essendo stato quasi sempre con qunlcho dolore, ot anco occupato nella publica lettura. Starò con desiderio aspettando lo risposto al Liceto 11 , del quale ho visto il libro De novi fi asiris et cometis 14 poco fa, dove, conforme ch’olla dico, si con- trupono ad ogni detto del S. r (luiducei, et anco a molto coso delle suo Macchio Solari; ma credo resterà mortificato dallo suo risposto. L’altro giorno mi dimandò s’havevo di loi niento di nuovo: lo risposi, non bavero inteso cosa alcuna. Deve staro con ansietà aspettando sua risposta; però sarà beno darli quella sodisfat-*» tiono elio merita. Non mi posso estenderò per bora piò in longo per Trozza; però faccio fine con morirla di tutto cuore, pregandole dal Signore sanità o lunga vita, salu¬ tando insidilo il suo cancelliero. Di Boi.*, il p.° Maggio 1040. Di V. S. molto 111. 1 * ot Ecc.** Dov. BO et Ob. m0 Sor.” E. Don." Cav. ri Fuori: Al molto 111." et Ecc.* 0 Sig. r o P.ron Col. w0 Il Sig. r Galileo Gal.* 1 Fiorenza. 8(1 Ad Arcotri. *" Yixokxzio Vituri. Cfr. n.® 39117. Cfr. Voi. Vili. p**. 488 642. tl Cfr. n.* 1485. 1° MAGU10 1640. 187 [ 4002 ] 4002 **. MARINO MERSENNE a GALILEO [in Arcctri]. Parigi, 1° maggio 1640. Bibl. Nnz.Fir. Mas. Gai., P. "VI, T. XIII, cnr. 199. - Autografa. Ad Clarissimum Virum I). Galilaoum. Saopo ninnerò miratila sum, Vir durissimo, nominem apud vos moos apìcos logoro potnisse, cum nullus sit in tota Gallia, Anglia ot Germania, quaqua pa- tent, qui non eos optimo legat; ot forsan hac vico, paulo foelicior futurus, por- lcgar ot rosponaum foram, idquo circa matcriam do qua Vestra Excollcntia mul- totios cogitavit. Imprimis, quaonam sit vis ot immediata causa ol) quam arcus intenti rodcunt: quemadmodum onim a vi cogonto arcuantur atque curvantur, otiam vi certa reduci ot ad linoam rectam adduci dobent. Deinde, cum adr raro- factionem patitili*, si modo sempor continuus perstct et nulla sint in co spatiola io vacua, qua rationo potost oxplicari rarofactio. Donique, cum plumboum globu- lum, qualis est pila mosquoti, unico ictu malici forrei, in incudem impacti, redu- camus ad formam unius denarii aut aurei nummi, quaoro quanti pondoris do- bcat esse mallous alter, ut, simpliciter superpositus absquo motu et ictu, dindoni globum plumboum in eandem aurei formam reducat. Quao liactenus, donec au- reum illuni tractatum in lucom omisoris do vi percussionis, quem a te tandiu cxpectamus. Quod si hac vice contigorit, uti sporo, meos cliaractores legi posso ab amicis tnis, plura postmodum satis iucunda et curiosa, praesertim circa ma- gnetem, Tuao Excellentiao scripturus sum, quao vostris acadomicis non sint ingrata futura. Vale intorim, Vir ad vorae pliilosopliiao perfectionom nato, ruoquo 20 tui credas Parisiis, Calcndis Maii anni 1640. j ^7 jìyj- Gallus Lo Maire (1) assevorat, so praeclaro instrumento sciontiam longitudinum invenisse, quas sit brovi daturus, ut ot Mediterraneum maro iuncturus Oceano pj’ope Tholosam, ot alpliabetum daturus quo, absquo ullo internuncio voi pacto, cum Sincnsibus ot reliquis totius orbis nationibus et incolis libero colloqui possimus. <‘) Giovanni Lk Maibr. 188 2 — 5 MAGGIO lf.40. ( 4008 - 1004 ] 4003 **. DAMELE SPINOLA » [GALILEO in Arclri], Genova, 2 maggio 1640. Bibl. Ha*. Plr. Msi. Gal.. P. 1, T. XII, oar. 1651. - Aut irafa. Molt’Dl.” od Eco,. -0 Sig. r mio Osa.** Non posso dir a V. S. il gusto che ho sentito in legger la risposta sua allo opposizioni del S. r Liceti ‘, perche non ho tempo da estendermi in scrivere, elio mi conviene partirmi ora per Palermo per occasione improvisa et importante Riverisco però V. S. con tutta Panima, a -murandola che mi «piace infinitamente d’andar si lontano prima d’havor potuto servirla in alcuna cosa, come ho sompre liavuto estromo desiderio; e so mia fortuna vuole che io di colà possa in qual¬ che modo soddisfare a questa mia brama, potrà V. S. conoscerò che non merito d’esser annoverato per l'ultimo de* suoi servitori piò divoti. Non dico di più, perchè il tempo mi manca; per ciò riverentemente le bacio le mani, e leau-io guro ogni meritata felicità. Genova, 2 di Maggio 1840. Di V. S. molto IU.** et Elee.** Devoti**. 0 od Obblig.® 0 Ser.” Daniolo Spinola. 4001 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO m Eircnse. Koroa, b maggio 1640. Blbl. No*. Fir. Mm. Gal., P. I. T. XII, ear. 164. - Autografa. Molto 111."' od Ecc.®° Sig." o P.ron Col." 0 Ilaverà a quest’hora V. S. molto III.” cd Ecc.®* ricente duo altre mie, una per 1 ordinario e l’altra por mano di un «ignoro Pollacco 1 *', col qualo ho trat¬ tato diverse volto qui in Roma, e mi è riuscito un huomo di garbo o sopra tutto manieratissimo del merito e valore di V. S. ; e mi eroda che quanto ho scritto di lui ù verissimo : so cho haverà riceuto e dato gusto a V. S. Quanto poi al particolare del stato del Sig. r Pori, mi dispiace assai ; od in occorrenza di quella vacanza, non li posso diro altro intorno a quel sogetto del <*> Cfr. Voi. Vili, pag. 4fc9-M2. <*' Cfr. n.« 4000. 5 — 13 MAGGIO 1040. 189 [4004-4005] quale li parlai, so non che bora si trova lettore dello matematiche nello Studio 10 di Messina, liavondo ottenuta quella catedra a concorrenza di soggetti principali Giosuiti. Io erodo però elio laseiarà quella lozzione por quella di Pisa ; o so V. S. comanda elio io li scriva por sontiro il suo senso, lo farò. Si chiama Giovanni Alfonso Borolli, di grandissimo ingegno, studiosissimo o tutto tutto nostri ordinis\ e son sicuro elio si farebbe honore. Starò attendendo il suo comandamento. Io poi sto ingolfato nell’acque sino alla gola, cd ho condotta a fino una bo- nificaziono di gran considoraziono del Sig. r Marchoso Mattoi (1) , con mio infinito gusto e sodisfazione del detto Signoro. Iiora sto per intraprondero un’altra im¬ presa simile ; o con questo occasioni osservo diversi od importantissimi particolari, i quali concordano in prattica mirabilmente a quanto ho scritto in teorica. Nel •20 resto sto bone di sanità, ma occupatissimo, tanto che a fatica ritrovo il tempo di sodisfare alli oblighi mici principali dell’oflìcio o della mossa, nella quale sompro memoriam fui facio apud Altissimum. Con che li fo riverenza. Roma, il 5 di Maggio 1040. Di V. S. molto 111/’’ ed Ecc. ma Dovotiss. 0 od Oblig. mo Sor. ro o Dis. 10 S. r Gal.° Gal. 1 Don Boned. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111.” od Ecc. rao Sig. r0 e P.ron Col.® 0 11 S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo del Sor. mo Gr. D. di Tos." 5 • Fironzo. 4005 **, CLEMENTE SETTIMI a [GALILEO in ArcetrìJ. Siena, 13 maggio 10-10. BU>1. Naz. Fir. Ms«. Gai., P. I, T. XII, car. 1C6. — Autografa. Molto 111. S. ro o P.ron Ecc. m0 La resolutione elio foci di venirmene a Siena fu sì subitanea, ebo mi proibì di far la seconda riverenza a V. S. Ecc. ma ; ma bo ben tenuto a memoria il suo desiderio significatomi nella prima licenza elio gli domandai, cioè elio gli desse qualcho raguaglio della sua ultima postilla. Ilo trovato elio il Soreniss. mo Prin¬ cipe 121 medesimo ne lui scritto a V. S. Ecc. ma , o credo P Laverà per questo me¬ desimo ordinario; et il medesimo seguirà del P. Francesco (3) , al quale ho fatto le suo gratissime raccommandationi, o gli renderà dupplicate riverenze. 01 Cfr. no 3097. (i| Leopoldo de’ Medici. Famuko Michki.int. 13 — Il MAGGIO ll»40. 190 13 —14 MAGGIO 1W0. 11005-4001)] Domattina andarò a far riverenza al Ser.*° Principe, e da sua parto gU farò devotissimo inchino. Non mi occorre altro, se non pregare S. P. M. u «‘ho gli co n . 10 ceda qualche sorto di prosperità nella vita presente; et io con il solito allotto gli bacio lo mani. Siena, li 13 di Maggio 1G-10. Di V. S. molto III. et Ecc."' 1 Mi perdoni so io non scrivo più a lungo, per¬ chè non ho tempo; havendo trovato un oorriero di partenza por costà, subito elio sono arrivuto. Indegno Sor." Cloni. u di S. Carlo, 400G. LEOPOLDO DE' MEDICI a [GALILEO »n ArcetriJ. Siena, li uuggto 1640 Bibi. Nuz. Fir. M»s. Gai., P. Ili, T. VII, 1, car. 103 — Autofraf* b flro.% Sig. r Galileo, Foci vedere, come V. S. desiderava, ad alcuni dottori dello Studio di Pisa quella scrittura che ella mi inviò, quale rispondeva a quello che il Dottor Li- ceti dicova contro all’opinione sua intorno al secondario lume della luna 11 ’. Tra gli altri che io chiamai vi fu il Marnili ,, ‘ l conio lei declorava, et egli o gli altri concorsero, benché Peripatetici, in quanto da V.S. vion detto nella sua si ingegnosa o dotta scrittura, quale fu lodata in estremo ; et io tra l’altro coso che in essa sono, ho ammirato quella di dimostrarci, benché tanto lontani dalla luna, che il lume in essa retlesso dalla terra sia maggiore del nostro Unno ere- pusculino et, in conseguenza, di quello che la luna sopra di noi roflotte. E poiché io io non posso goderò e cavar quel frutto che desidererei dalla conversazione sua, cerco di trattenermi e di ammaestrarmi in qualche parto nel leggere lo suo opero; o però havendo finito di scorroro l’undecimo o duodecimo di Euclido, sto vedendo adesso il suo libretto dello Galleggianti, parto non meno do gli altri degno del suo intelletto; soggiungendole che farò ancora un poco di sessione con Monsig." Arcivescovo Piccolomini, tanto affezionato a V. S. et allo coso sue, Lett. 4005. 1G—17. un corrtrio di — “> Cfr. Voi Vili, pay. -189 M2. 0 Auujuxdro Marbiu. 14 — 18 MAGGIO 1640. 191 [4006-40071 dove si leggerà la scrittura sopra il lumo secondario della luna. Sporo io di esser poi da lei in questa stato, dovo discorrerò seco di alcuno cose che mi sono sovvenuto in diverso materie, non lo potendo faro tanto bene con la penna quanto so con la voce. Et in tanto, mentre lo confermo il mio vivo allctto, desidero che il Signore con sanità la conservi quanto desidero. Siena, 14 Maggio 1640. Al piacere di V. S. Jl Principe Leopoldo. 4007 * VINCENZO RENIEU1 a CALI LEO [in Arcetri]. Genova, 18 maggio 1640. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVI, n.« 123. — Autografa. Molto lll. re ot Ecc. mn mio Sig. r o P.ron Col. mo Dall’inclusa lottora del Sig. r Marcheso Gonzaga 10 vedrà V. S. Eco."** a che ter¬ mino sia il mio negoziato; o so ho da dir il vero, stimo ch’egli habbia appli¬ cato 1’ animo a quel’ amico dello cene spirituali : tutta via staremo a vedere. Non manchi V. S. Ecc."' a di tenore ricordato qualcho volta il mio interesso: elio è quanto m’occorro, lasciando del resto la cura a chi tocca. V. S. Ecc.'" a poi non mi dice cosa alcuna della mia oraziono (2) , nò so l’habbia ricovuta o intesa : no desidero il suo parere. Io pensava di venir a cotesta volta, ma la ràbbia do’ libcccliii o mozzi¬ lo giorni, che sino ad hoggi sono durati, m’hanno tratenuto tanto, elio por bora non penso di mettermi in viaggio, por non venir costì o trovar le coso fatto ed haver a tornarmene con lo pive noi sacco. Havrei da dirlo assai in questo proposito, ma non è ben fidar ogni cosa alla carta. Mi conservi suo al solito, elio è quanto por bora mi rosta da desiderare ; ed afì'ettuosissimamonto lo Lacio le mani. Di Genova, li 18 di Maggio 1040. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m Dcv. m0 et Ohi." 10 Sor/ 0 S/ Galileo. D. Vincenzo Itoniori. 10 Franoksco Gonzaga. <*> Cfr. ii.» Òil90. 192 19 MAGGIO 1040. 14008] 4008. GALILEO a [FRANCESCO RINUCCINI in Venezia], Àrcctri, 19 maggio 1640. Bibl. Naz. Fir. Ranco rari, Armadio 9, Cartolla 6. 93. — Originalo, di mano di Marco Auiiroqetti. Ill. ni ° Sig.™ e P.ron mio Col." 10 Vo continuamente meco medesimo meditando, quale sia in me mag¬ gior mancamento, o il contenermi in silenzio continuo con V. S. 111.™*, o lo scriverli senza esequire il desiderio che ella già mi accennò, di mandarli quei motivi che mi fanno anteporro rimo all’altro de i due poeti eroici. Vorrei ubbidirla o servirla; e talvolta mi riuscirebbe im¬ presa fattibile, se non mi fusse, non so come, uscito di mano un libro del Tasso, nel quale avendo fatto di carta in carta delle stampate in¬ terporne una bianca' 1 ’, avevo nel corso di molti mesi, e direi anco di qualche anno, notati tutti i riscontri de i concetti comunemente io da gl’autori trattati, soggiungendo i motivi i quali mi facevono an¬ teporre l’uno all’altro, i quali per la parte dell’Ariosto erono molti più in numero et assai più gagliardi. Parendomi, per esempio, che la fuga di Angelica fusse più vaga e più riccamente dipinta che quella di Erminia; che Rodomonte in Parigi senza misura avanzasse Rinaldo in Ierusalom; clic tra la discordia nata nel campo di Agramante e l’altra nel campo di Goffredo ci sia quella proporziono che è tra l’im¬ menso e ’1 minimo ; che l’amore di Tancredi verso Clorinda, o ver tra esso et Erminia, sia sterilissima cosuccia in proporzione all’amore di Ruggiero e Bradarnante, adornato di tutti i grandi svenimenti 20 che tra due nobili amanti accader sogliono, cioè d’imprese eroiche e grandi, scambievolmente tra loro trapassate. Quivi si veghono le gravi passioni di gelosia, i lamenti, la saldeza della fede datasi e con¬ fermata più volte con alte promesse, gli sdegni concepiti e poi pla¬ cati da una semplice condoglienza, in una sola parola proferita, etc. Quale aridissima sterilità è quella di Armida, potentissima maglia, per trattenersi apresso l’amato Rinaldo! E quale all’incontro è la («' Cfr. Voi. IX, pag. 13. 19 MAGGIO 1640. 193 [4008J copia di tutti gli allettamenti, di tutti gli «passi, di tutto le delizio, con le quali Alcina trattiene Ruggiero! Lascio staro elio dalle discordie so o da i 8ollovamenti nati per frivolissime o più elio puerili cagioni nel campo de’ Cristiani nissuna diminuzione di fortuna, che punto rilevi, no nasce; dove elio nella discordia tra i Saracini parte Rodomonte sdegnato, muore Mandricardo, resta ferito a morto Ruggiero, partesi Sacripante, allontanasi Martina, si che finalmente sopragiugnendo Ri¬ naldo dà una grandissima rotta ad Agramante, restato privo de’ suoi più famosi eroi, ondo poi finalmente no segue la sua ultima rovina. La osservazione poi del costumo ò veramente maravigliosa nell’Ariosto. Quali e quanto o quanto differenti sono le bizarrio elio dipingono Mar¬ fisa temeraria o nulla curante di qual altra persona esser si voglia! 40 quanto è ben rappresentata l’nudacia o la generosità di Mandricardo! quanto sono le provo del valore, della cortesia e della grandeza di animo di Ruggiero! Che diremo della fede, della costanza o della ca¬ stità d’isabella, d’Olimpia, di Drusilla, et all’incontro della perfidia et infedeltà d’Origille, di Gabrina, o della instabilità di Doralice! Io, lll. mo Signore, quanto più dicessi, più mi soverrebbono cose da diro; ma l’abbozarle solamente, senza venire a gl’esami particolari di passo in passo, nò potrebbe dare sodisfazione a me medesimo e molto meno a V. S. IU. ma : oltro elio già vede ella che in questo poco che ho dotto, niente ci ò che non sia notissimo a chiunque puro una volta 50 a hbia letto tali autori. Per venire a capo di una simile impresa, bi¬ sognerebbe sentire i contradittori in voce, o se pure in scrittura, pro¬ porre a lungo da una parte e leggere lo risposto dell’altra, e di nuovo replicare, et andarsene, per modo di dire, in infinito; impresa per me, cioè per lo stato mio, impossibile. La prego ad accettare non dirò questo poco che scrivo, che so bone che non è di prezo alcuno; ma quello che io desidero da V. S. 111.™* è che ella mi perdoni o scusi il mio lungo silenzio, sì che non mi progiudichi punto nella sua buona grazia, nella quale con caldo affetto mi raccomando, mentre reve¬ rente gli bacio lo mani e gli prego da Dio intera felicità, e gli rac¬ co comando l’alligata per il buon ricapito. Di Arcetri, li 19 Maggio 1640. Di V. S. lll. nia Devoti».® 0 e Oblig.® 0 Se.™ Galileo Galilei. xvi n. w m 22 — 24 MAGGIO 1G40. [4009-4010] 4009 **. ASOANIO PICCOI,OMINI a GALILEO [in Àrcotrt]. Siena, 22 maggio 1040. Bibl. Nae. Flr. Mas. (Ini., P. VI, T. XIII, cnr. 200. — Autografa la aottoscrizlono. Molto 111.™ Sig. r mio Oss. mo Diedi subito ricapito alla di V. S. por il P. Francesco (i> ; o, coll’occasiono dello buone nuovo della saluto di lei, entrato in discorso con S. A.'*' o della scrittura bitta o di quel più elio V. S. andava distendendo, scorsi elio S. A. non giudicava il Liceti por soggetto meritevole da divertirò l’ingegno di V. S. dai parti incominciati di più gloriosa sostanza. F veramente, a quel elio si vedo, lo opposizioni non son tali elio habbino ad haver l'konore della confutaziono di lei. M’è parso d’acconnarglieno, acciò conosca quanto S. A. pregi le suo fatiche ; e vodoli così continuamente tra mano tutto lo opero suo, elio m’assicuro elio ella liabbia a riconoscernelo impossessato al pari di qualunque altro ingegno, io L’bonore poi elio V. S. fa alla mia servitù, allora sarti da ino pienamente gradito, quando m’apporti più spesso la consolazione do’ suoi comandamenti. E da Dio pregandolo saluto o piena contentezza, affettuosamente le bacio lo mani. Di Siena, li 22 di Maggio 1G40. Di V. S. molto 111.” Dovot. 0 Sor. S. r Gal. Gal. A. Are.™ di Siena. 4010 . GALILEO ad [ALESSANDRA BOCCIIINERI RUONAMICI in Prato], Arcetri, 24 maggio 1040. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, cnr. 105. — Originalo, di ninno di Vincenzio Viytani. Molto 111.” Sig. ra mia Col. ,na Questa mattina ò arrivata quassù da ine, insieme con suo marito, la balia che fu di Carlino mio nipote, la quale andava dispensando e vendendo in questi contorni alcune telerie ; ot essendo occorso, nel ragionare con lei, che ella mi dicesse di bavere un taglio di tela da camicie di 50 braccia in circa, e che era di V. S. molto Ill. re , io, per esser cosa sua, l’ho volsuta ritenere appresso di me, con darò alba Ui Famiano Michhlini. <*' Leopoldo dk' Medici, I [401040111 24 - 25 MAGGIO 1640. 105 donna, a ragione di 2 giuli il braccio, gitili 98 e */*, die tanto è ram¬ mentare eli braccia 49 ot un quarto. L*ho presa per essor cosa di V. S., io non perchè io habbia bisogno per toner memoria di lui di altro elio do’ discorsi o ragionamenti elio, già tanti anni sono, liebbi con lei nel suo ritorno di Germania"’; li quali furono di tanto mio gusto, elio poi ho liauto sempre desiderio, ma invano, di abboccarmi con lei. poiché sì rare si trovano donno che tanto Bensatamcnto discorrino corno ella fa. Ilo preso rosoluzione di inviarli queste 4 righe, su la speranza di taverne altr’e tante di Hiia mano in risposta di questa mia: la qual per altro non ò che per ricordarli un intenso desiderio che sempre ho havuto, o che in me si va continuando, di servir lei et il molto 20 lll. ro Sig. r Cavaliere suo consorte *. K con reveren temente baciarle mani ad amenduo, le prego intera felicità. Dalla villa d’Arcetri, dovo continuamento mi trattengo lontano dalla mia casa di Firenze, li 24 Mag.° 1640. Di V. S. molto 111." Aff. mo S.^ Galileo Galilei. 4011. GALILEO [LEOPOLDO DE’ MEDICI in Siena]. Arcctrl, 26 miugio 1640. Bibl, Noe. Fir. Mgg. Gal.. P. Ili, T. VII, 1, car. 99 — Originalo, di tnano di VtncRxeio Viti a si. Ser. mo Principe, Sig. r et P.ron mio Col. 010 Atteso che dopo l’bavere io inviata all’Altezza Vostra Ser. ma la mia scrittura, distesa in forma di lettera U) , nella quale rispondevo al filosofo Liceti, inio oppositore, fossero pa&sati oltre a quindici giorni senza elio io sentissi tali mio risposte essere alPorecchie dell’A. V. per¬ venute, cascai in timore elio o la troppa lunghezza o la frivolezza de i miei concetti gli potessero essero state più di tedio che di gusto. Ma quando poi, fuori della mia aspettazione, mi sopraggiunse la Imma¬ nissima e benignissima lettera"’, nella quale l’A. V. Ser. mn mi dava Lott. 4011. 3. nella quale gli ntpondeva — Giova»fra xcisco Boosamici. (,) Cfr. n.o 2007, lin. 15-18. »»> Cfr. Voi. Vili, m 4*0-542. <»> Cfr. n.* 4006. 196 25 MAGGIO 1640. [4011-4012] conto di havor sentita g con diletto gradita tal mìa risposta, restai io in maniera soprapreso da una insperata allegrezza, che restando per non breve tempo come fuori di me stesso, non hebbi talento di dettar parole degne e proporzionato al renderle le dovute grazie a tanto favore; ma voltandomi al molto B, do Padre Francesco 11 \ gli scrissi c col maggior fervore che potetti lo pregai che, Immillandomi al co¬ spetto dell’A. Sua, li porgesse in nomo mio un poco di caparra del debito nel quale conoscevo di trovarmi, e che sarei stato per pagarle interamente se mai havesse havuto forze bastanti a poter ciò faro. Ma vana, Ser. n ‘° Principe, mi è riuscita anco questa seconda speranza; anzi sentendomi tutta via indebolir le forze e gettandomi al misera- 20 bile, ricorro all’inesausto tesoro della sua clemenza, supplicandola che voglia appagarsi di quello che non potendo con 1’ effetto renderle, resti servita di ricevere dall’affetto mio purissimo e devotissimo. E poi¬ ché ella si appaga di discorsi e di parole, starò attendendo la sua venuta a Firenze, e di lì le suo domando del mio sentimento sopra lo proposizioni che accenna di riservarmi; e tra tanto nutrendo di speranza il mio desiderio di servirla et obodirla, starò pensando se qualche cosa potesse di nuovo cadérmi nella fantasia, che fosse degna dello orecchie dell’À. V. Ser. ma Alla quale liumilmente inchinandomi, bacio la vesto e prego da Dio il colino di felicità. m D’Arcetri, li 25 Maggio 1640. Dell’Altezza Vostra Ser. mn 11 umili ssi. 1X10 et Devoti." 10 Servo Galileo Galilei. 4012 *. VINCENZO RENIEIU a [GALLLEO in Arcotri]. Genova, 25 maggio 1010. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, LXXXVI, n.° 124. — Autografa. Molt’Ill.” et Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Col. mo S’io sapessi così indovinarmi il bene, come il male lo preveggo cento mi¬ glia da lungi, buon por me. Dissi già a V. S. Ecc. n,ft che io dubitava che i libri andassero in mano dell’amico dello cene spirituali 181 ; o tanto a punto è succo- 29. orechie — "> Famuno Miohklini. '*» Cfr. nfi 4007. 25 — 2fi MAGGIO 1640. 197 [4012-4018] duto, perohò a lui no hanno fatto offerta, ed ogli li ha acettati: nò in ciò sento io altro disgusto, se non ch'io credeva bene, por la mia debolezza, (Tesser in poco credito appresso il padrone di quo’ libri, ma non giù, in così vile, elio s’havesso da offrir ad altri, che non chiedeva, quello ch’io faceva instanza d’ottenere. Orsù, poco importa, od io sono addottrinato prima d’hora al ceffo della fortuna poco io prospora. Mi conservi V. S. Ecc.“* la sua buona grazia, ch’io andrò tirando inaliti la incomminciata fatica, o so non por sorviro a chi mostra poco di gradirla, al- raono perché un’opera cosi nobile, da lei cominciata, non vada a travorso, por la poca cura del mondo elio non prezza ciò che non conosce. Et affettuosamente» lo bacio lo mani. » Di Genova, li 25 di Maggio lfi40. Di V. fc>. molto lll. fo ot Ecc. nn Dev. mo a Cordiali. 0 Sor.™ D. Vincenzo Kenieri, 4013. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenzi. Bona, *26 maggio 1610. Bibl. Naz. Fir. M*s. Gal.. P I, T. XII, car. 168. - Autografa. Molto Ill. r ® ed Ecc. m0 Sig. ro o P.ron Col. mo Io non intendo noi principio della lettera di V. S. molto 111.” quello elio olla mi scrivo d’havere intoso sotto gorgo, che l’amico haverebbe condescoso alla carica honorata, poiché io non so d’havorgli scritto altro so non che in Mes¬ sina si trovava lettore dello matematiche un talo Sig. r Gio. Alfonso Borelli, Intorno di grandissimo ingegno o saporo, versatissimo nello dottrino eli V. S. molto 111.” o tutto tutto nostri ordinis; o proposi a V. S. questo sogotto per lettore di Pisa, e scrissi puramente o schiettamente. Hora vado pensando elio ella babbi» sti¬ mato elio io Labbia voluto intenderò dol nostro caro S. r Magiotto ; ma sappia che io egli non partirebbe da Roma nò por questa nò por altra occasiono. Quanto al mio particolare, ò verissimo che il Scr. ,n0 Gran Duca, facondo troppa stima dol mio poco merito, m’ha fatto intenderò dal Sig. r Benedetto Guer- rini che la catedra di Pisa sta per me ; ed io per la parto mia ho accettata la grazia, supplicando S. A. che mi conceda tempo che io possa sbrigarmi con buona grazia di questi Padroni, poiché non posso far niente senza questo etc. : ed hora tengo lettore dal S. r Benedetto, elio S. A. mi honora di darmi tempo; ed io atten¬ derò a sbrigarmi per venire a finire i miei giorni, horamai gioliti ad intaccare il 62 anno di mia età, in Firenze. 198 20 MAGGIO 1040. [ 4013 - 4014 ] Quanto a quella essiccazione' 11 , ò riuscita, por grazia di Dio, tanto felice¬ mente o con pochissima spesa, elio ò cosa di stupore, havendo superato ogni 20 imaginaziono altrui; 0 di più, col medesimo aiuto di Dio, ho fatto un altro be¬ neficio al Sig. r Duca Cesarmi, con notabile utile e con pochissima sposa intorno a un molino nel quale, con spesa di 28 giuli soli, ho ridotta la mola, elio bora si affitta quaranta rubbia di grano più di quello si faceva : od ò cosa in fatto. Servirò V. S. della pollo da collotto, ma desidero supero so la volo delle grandi overo ordinario : 0 quanto alla concia, sappia elio si spenderà quel tanto che vorremo noi; poi che con la concia ordinaria di Roma, non passarà 15 giuli; ma so ci vorremo la concia d’ambra, si spenderà quel più. Forò mi avisi, chò subito la servirò, 0 si dichiari so la volo dello sottili overo di raprono. E li bacio lo mani. 30 Roma, li 26 di Maggio 1640. Di V. S. molto lll. ro Dovotiss.® ed Oblig. mo Sor. re 0 Dis> S. r G. G. Don Bonod.® Castelli. Fuori: Al molto Ill. ro Sig. r ° 0 P.ron Col." 10 Il Sig. r Galileo [Galilei,] p.® Filosofo dol Ser. n, ° G. D. di Tos K)l Fironze. 4014 *. FRANCESCO R1NUCCINI a GALILEO [in Arcetri], Venezia, 26 maggio 1640. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.® LXXXVII, n.® 21. — Autografa la sottoscrizione. Moltlll.” et Ecc. mo Sig. r 0 P.ron mio Oss™° Al P. M. h ulgontio foci subito presentare la lotterà inclusa nella gentilissima o cortesissima sua' 2) , la quale con le bollo aniinadversioni e sensato considera- tioni sopra tanti luoghi del Furioso ha talmente appagato il mio gusto, elio non mi resta altro da desiderare dalla sua gentilezza, so non di poter godere della sua dolcissima conversatione per poterò con alcuno contraditioni, elio por bora non ho tempo di soggerire, pienamente levare ogni ombra di difficoltà cho mi potesse offuscare la mento. Per bora lo rendo pienissimo gratio di tanto favoro; o supplicandola a non lasciare otiosa la mia servitù, con tutta l’efficacia dol mio spirito la riverisco. io Venetia, 26 Maggio 1640. Di V. S. molt’Ill. r ® et Ecc. m * Obb. mo o Vero Sor. 10 Sig. r Galileo Galilei. Fran.°° Rinnccini. OI Cfr a.» 4004. '*) cfr. u.° 4008. [4015-4016] 30 MAGGIO — 1" G1UUNO 1040. 199 4015*. cesare monti a Galileo [in Arcetrì]. Livorno, 80 maggio 1640. Bibl. Naz. Plr. Mm. Oal., P. I, T. ZÌI, car. 170. - Autografa. Molto Ill. ro et Eoe.®* Sig. r ot I’.rn Osa.® 0 L’infinita sua gontiloza, qual sempre ha partorito copiosissimi frutti di do¬ vutoli lionori per il supremo dono concessoli dalla natura, conponendo in lei una perfettissima archa di scienti», corno da rao por fama certissima si credo; ristessa non derrogando al suo principio e mozo, ma seguendo il cammino verso il fine, non inanella in quello di sigillare il colmo dello gratio o favori : poi elio molto ben conoscilo quanto ciò sia il vero, intendendo dal Sig. r Ipolito Fraudili, mio cogniato, un tanto lionoro che dal Cielo mi vien concasso per mozo della sua gontiloza, con la reaolutione elio ha fatta di ricovero il mio pargoletto io figliuolo**’ senza ohlighi nò dovutali servitù; aiggillo veramente di perfettissima qualità, per il elio non posso nò so come rendergliene il guidardono; ma, con¬ fidato noi Motore di ossa, non mancherò, por quanto potranno lo mia forze, di preghare il Fattore di quella, die, conservando lungliamonto in lei l’individuo, separandolo poi lo restituiscila nel suo primo onte. E facendoli humilissima re- ' vorentia, la suplicho mi voglia honorare di con uni orarmi noi numero do’ suoi hurni- lissimi servi ; o baciandoli lo mani, salutandola, mi li racomando di tutto cuore. Livorno, 30 Maggio 1040. Di V. S. molto ili.™ et Ecc. roa Scrvitor IIum. rao S. 1 'Galilei. Cosare Monti. 4016*. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcatri]. Genova, 1» giugno 1640. Blbl. Est. In Modona. Raccolta Camporl. Autografi, B.* LXXXVI, n. # 125. — Autografa. Molto Ill. r » ot Ecc. mo Sig. r mio Oss." 10 Lalla mia, che lo scrissi con Pordinario passato 12 ', havrà inteso V. S. 1 esito del mio nogozio, del quale di già havovo dato conno al Ser.®° Principe Leopoldo 13 ’, Luchino Monti. (,) Cfr. n « -1012. ,3 ' Cfr. Antonio Favaro. Amici e corriepondenti giugno 10-10. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., 1\ VI, T. XIII, car. 202. — Autogrill». Molto 111.™ ot Ecc. m0 S. r o P.ron Col." 10 Ilo ricevuto puoco la la sua gratissima con l’inclusa al R. r Licoti, quale su¬ bito invio a Padova, conformo al suo ordine. Lotto ch’io liohbi il discorso di V. S. Ecc. n,! » (,) , capitò da me un nipote doH’Em. mo S. r Card. 1 " Sachctti (5 ’, suo par- tiRiissimo, cho è il Sig. r Giulio. (6) da Urbino; ondo bisognò, intendendo di ciotto discorso, ch’io gliene facessi parte, e por anco non mi sono abboccato seco. Ilebbi gusto singolare elei ciotto discorso, vedendo con quanto bolla maniera olla riveda i conti a questo lìlosofo. Io mi ricordo cho anch’io gli opposi cho il lume secondario della luna ora maggiore del terrestre nel plenilunio, ot altro cose, noi lo quali mi sono incontrato con le risposto di V. S. Ecc. nm , benché non le io havessi così bene digerite. Mi è ben giunta nuova la ragione del vedersi ne’ to¬ tali ecclissi lunari essa luna talvolta, o talvolta no ; poiché io credevo prima, che G* Cfr. il.» 4007. <:i ’ Rbnbdktto Castkm.i: cfr. n.° 4020. < 3 > Cfr. n." 8909. Cfr. Voi. Vili, pag. 489-542 Questi puntolini sono noli’autografo. [ 40174018 ] » “ G 1640. 201 sempre si vedesse, corno pii! volto ho rsperimentato, o che quel tornio lume fosso cagionato dai raggi del solo rofratti nelTatmosfora terrestre. Ma essendo vero che talvolta .resti invisibile la luna, conosco elio di tale effetto non può essere elione tale refrattione, elio sempre è, o almeno tale lume dove restare insen¬ sibile; o perciò resta elio siano veramente cagioni ili tal lume Venere, Giove et il Cano principalmente, trovandosi dalla banda del sole : o so bene, considerato il lume elio viene a noi in terra da questi tro corpi luminosi, egli pare molto so tenue, nondimeno comprendo elio nel campo oscuro del cielo devo faro qunlcho comparsa o distinguerci, se bene oscuramento, il disco lunare. Ilo letto la lettera diretta al Liceti, nella quale ella lo tocca corno si merita; nondimeno credo elio non restart per questo di risponderle, poiché esso fa un libro in una settimana, o sin bora, por quanto mi disse, no «love bavero stam¬ pati da 37. Egli ò ben vero elio non hanno li suoi libri molto spaccio o credito appresso gl* intendenti ; anzi le sue compositioni, come mi disso un valente ra¬ dio, lottoro publico di metafisica in Padova, ivi sono chiamate barzelletto. La nuova elio mi di\ del R.' no Padre Abbate I). Benedetto Castelli, elio sia por venire a leggero a Pisa, mi ò sopramodo cara; o s’egli venisse questa estate, so mi spingoria torsi a risolvermi di veniro al dispetto del mio malo, mentre potrei incontrare così fortunato albergo appresso di lei. Non ho ancor visto il Padre metafisico 111 ; spero vederlo presto, o con mio gusto di intendere qualche buona nuova dell’essere suo. E con questo faccio tino, con baciarle aiìettuosamento lo mani. Di Bologna, alli 6 Giugno 1640. Di V. S. mollo 111.” et Ecc. ,ua Dov. mo et Ob. mo Sor.™ o Dia. 10 F. Bon. r * Cavalieri. 4018 *. ANTONIO SANTINI a GIANNANTONIO BOCCA [in Reggio]. Milano, ti giugno Itilo. Dalla png. 109 dell'opera citala noli’informazione promossa al n.« 3053. .... La controversia che possa tra il Sig. Liceti e il Sig. Galileo é stampata dal Liceti nel libretto eli’esso intitola De lapide B oxoniensi, al capo 50. Io desidero veder detto libro. Galileo lo risponde in penna, non so che sia ancora stampato, e in forma di lettera diretta all'A. Seroniss. di Firenze. Sin qui posso dir u V. S. : o crederò poter aver copie di questa scrittura con la Bpesa del copista .... Ml Giuskpvk Costaszi. 202 8 GIUGNO 1040. [ 4019 ] 4010. FORTUNIO LI CETI a GALILEO in Firenze. Padova, H giugno 1640. Bibl. Naz. Flr. Mss. «al.. P. VI, T. XIII. car. 204. - Autografa. Molt’Ill . 0 et Ecc . m0 S. or Mi spiace elio al mio libro De luminìs natura et c/Jìcientìa {lì sia incontrato l’istesso disastro elio al Lìtcosforo, altro volto mandatoli; ma so farà, usare dili¬ genza col corrispondente clol S. or Landò, condottici- di Bologna, o nella dogana di Fiorenza, facilmente lo ritroverà. Che lo mio oppositioni lo siano parso di facile risolutione, non è meraviglia, stanto la sua molta acutezza d’ingegno ot peritia nollo cose matomaticlio et il costumo do’ gran littcrati di non cedere così facilmente a’ suoi contradittori. So mi favorirà di farmi vedere (pianto no ha scritto al Sor. mo P. Leopoldo, lo no terrò particolare obligationo, perchè so lo sue difeso mi parranno vero, goderò di uscir d’erroro; so altri monte, o le si- io gnifichcrò il mio senso con quella libertà elio lei fa, o vero, non bisognando ciò fare por non pordcr il tempo, lasserò elio il mondo giudichi della nostra contro¬ versia, veduto lo ragioni di ambiduo. Quanto allo altro nostre differenze litteraric, registrato noi mio libro De novis aslris et cornette™ tanti anni sono, sì conio io non ho mai stimati frivoli i detti suoi nò quelli del S. or Mario ,3) (cliè altrimenti non li haveroi giudicati degni di mia considerationc), così mi paro clic il giuditio elio in quel tempo V. S. feco dolio mio ragioni posto in dott’opera, palesatomi in una lotterà scritta di suo pugno {A \ sia molto difforonte da quello elio bora in suo nomo mi scrivo il suo amanuense, il quale dico ossero di facilissima solutiono, o non doversi da lei 20 spenderò tempo in altro elio in considorationi più ingegnoso ot apportatrici di qualclio utile allo persono intelligenti. Ma perché si compiace di tralasciar quella disputa, mo no rimetto anch’io al giuditio degl’intendenti, anzi a quello di V.S. dichiaratomi in una sua pochi mesi sono' 5 ', elio divorsissimamento sonte di tutto lo opero mio ot della dottrina in esso sparsa. Mi è sommamente cara la libertà filosòfica di elio si servo meco, la qualo anch’io mi sono ingegnato di sempre abbracciare. So poi nello mio opere io faccio pala dell’autorità di infiniti scrittori por confermaro lo mio opinioni, o puro di fondamenti dedotti dalla natura dolio coso et dalla autorità di un solo, Aristotele, ot talhora di Platone, mo no rimetto a chi con occhi proprii lo vede so et con propria mano scrivo li suoi sentimenti. ni Cfr. 11 .» 3970. < 8 > Cfr. n.® 1435. <*' Mario Guiducci. «*> Cfr. n.® 1529. <»> Cfr. n.« 3922. 8—15 GIUGNO 1<>40. 203 [4019-4021] Starò attendendo lo suo risposto per profittarmene; ma non vorrei elio li suoi buoni termini, sino a qui meco usati dalla sua modestia ot cortesia, fumerò, colpa d’altri di cui è necessitata di servirsi, alterati punto. Con qual lino la rive¬ risco di tutto cuore al solito, et lo prego quanto desidera. Pad.», 8 Giugno 1640. Di V. S. molt’lll.® ot Ecc.™* Dovot. m ° et Oblig. mo So.™ Fortunio Licoti. Fuori : Al niolt’ 111." et Kec. ,no S. or P.ron Oss. n, ° 11 S. or Galileo Galilei. F. c » por Yen.® Fiorenza. 4020 *. VINCENZO RENIEItl a (GALILEO in Arcotri]. Genova, 8 giugno 1640. Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campo ri. Autografi. B.* I,XXXVI, n.° 120. — Autografa. Molto Ill. ro et Kcc. rao mio Sig. r P.ron Col. m ° Quest’ordinario non ho liavuto lettere di V. S. Ecc. m »; scrivo por ogni modo per darlo nuova della mia saluto, con essermi liberato dalla distillazione del cat¬ tano elio mi tormentava. Desidero elio olla m’avvisi so il P. I). Gonodotto credo di poter venire (1) , per¬ chè, dovendo ogli aspettarne il placet da’ Barberini, non so so glio lo vorranno conccdorc. Ed a V. S. Ecc.. m * bacio affettuosamente lo mani. Di Genova, li 8 di Giugno 1640. Di V. IS. molto Ill. r ® ot Ecc. ra * Dov. m ° ot Obl. mo Ser. r ® io D. Vincenzo Ronicri. 4021 . ELIA DIODATI a GALILEO [in Arcetri]. Parigi, 15 giugno 1640. Dulia pag. 188 del Tomo III doll’odiziono citata nell’informazione premessa al n.® 1201. Alla lotterà fac¬ ciamo seguirò un' « Aggiunta del Diodati », elio questi soggiungeva alla traduzione, Inviata a Galileo con la presento (cfr. Un. 10-11), della lotterà a lui di Costantino IIltokns in data 1° aprilo 1640. Tale aggiunta si leggo a pag. 189-190 dol citato Tomo III, in calce a dotta traduzione. Di Parigi, gli 15 Giugno 16-40. Mi ò rincresciuto infinitamente, come dall’Illustriss. Sig. Conte Bardi !2> potrà esser testificato a V. S. molt’lll., d’essere, per l’aspettazione dello lettore d’Olanda, stato tanto tempo senza scriverle, e di non aver dopo l’ultima mia, scrittale Cfr. n.o 1013. (*• Ferdinando Bardi. 204 15 GIUGNO 1G40. [4021] a 17 Febbraio (1 ', ricevuto
  • Cfr. n.® 3989. O) Cfr. n.® 399U, «*' Cfr. n.® 3999. lin. 10-12. <«’ Cfr. n.® 4001. ,7 > Cfr. n.® 8995. «•> Cfr. n.® 3906. [4022] 19 GIUGNO 1G40. 205 4022 **. GIUSEPPE GOSTANZI a [GALILEO in Arcotri]. liologun, 19 ghigno Itilo. Blbl. Naa.FIr. Mss. Qui., P. VI, T. XIII, cnr 200 — Autografa. Molt’Ill.” ot Ecc. m0 S.** o P.ron mio Gol® 0 Quell’ifltoaso affetto (li riverenza o di straordinaria stima oh* io faccio del merito di V. S. Ecc. m *, il quale mi stimolò a venir costà di persona ad esibir¬ mele por servitore, bora tanto più efficacemente mi muovo a reiterar con questa i medesimi uffitii c a conformarlo la mia perpetua divotione, (pianto ch’egli da doppio capo ha ricevuto notabile accrescimento: l’uno è l’obligo singolare ch’io contrassi fin dall’ bora con la sua benignità, per non havor olla ricusata la mia servitù, ancorché hiimilissima, nò sdegnato di admettere la mia ignoranza a i suoi sapientissimi colloquii, di die nuovamente lo rendo infinite gratie; l’altro io è la sodisfattiono incredibile elio ho ricevuta in leggero e rileggere più volte lo suo sapientissime risposto al S. r Liceti, lo quali mi sono state participato dal dottissimo o di lei partialissiino Padro Bonaventura Cavalliori. O (pianto volto ho detto tra ino stesso o conferito con amici, che molto meglio haverebbe fatto questo Sig. r Dottore a procurar d’intender prima la dottrina di V. S. Ecc. ma , o poi emularla! anzi maggior gloria liaveria conseguito a professarsene seguace, che a volem’essere oppugnatore. Io por me questo glorioso tittolo amiohevol- mento invidio al Sig. r Alessandro Marsilii, il cui perspicacissimo ingegno o pru¬ dentissimo giuditio conobbi lìn da’ primi anni della nostra giovinezza, elio passai con la sua nobilissima conversarono in Siena. E Bicorne penso di sodisfare alla 20 giustitia ot alla semplice verità, mentre a tutto le occasioni predico V. S. Ecc. ma per il maggior filosofo elio doppo tanti secoli Labbia prodotto l’Europa o elio si ritrovi a i nostri giorni al mondo, cosi riputerei mia singolar fortuna se io meritassi giù mai (Vesserò annoverato tra’ minimi suoi discepoli, ed incontrassi occasiono di palesar l’animo mio ossequioso all’incomparabile suo merito con poterla servire. Ma perchè l’uno dependo in gran parte da me medesimo, io corcare d’affaticarmi in studiar lo suo opro; l’altro perchè non posso sperare che dal favore do’ suoi commandamenti, di questi supplico la sua bonignitil ad es¬ sermi liberalo (lisponsatrico, mentre l’esibisco ogni mio potere, e con tatto l’animo in fine di questa la riverisco, com’ancbe fa Vistcsso P. Bonaventura. 30 Di Bolog. a , 19 Giugno 1G40. Di V. S. molto IH.** ot Eco."'* Devot.® 0 Sor.** I). Giosoppo Costanzi, Abb.® o Mei. 00 P.° 206 22 GIUGNO 16-10.. [4023-4024] 4023. GALILEO a BENEDETTO GUERRINI [in Firenze!. Arcetri, 22 giugno 1640. Piimootoca Borromeo in Milano. Cartollan. 9, Lotturino n. 8, sotto il n. 15. — I)i mano di Vincenzio Virino!. Molto Ill. ro Sig. re et P.ron mio Osserv. 010 L’ultima lettera del Reverend.mo P. Ab. Castelli mi è stata di gran consolazione, sentendo io che il suo ritorno qua non è dispe¬ rato, come io veramente temevo ; e tanto maggiore sarà il mio contento, se mi sortirà di potere ancora godere qualche tempo della sua onorata e gratissima conversazione. Ho sentita la sua scrittura in proposito del potersi conservare il grano per lungo tempo (1) , la quale, come tutte le altre che ho già veduto e sentite, ini è parsa derivare da un discorso molto aggiustato e ragionevole ; e sommamente mi piace quel volersi rimettere alla esperienza, per tor via lo imputazioni ohe per avventura potesse alcuno io dare ai suoi puri discorsi. L’esperienza è assai facile a potersi fare ; e quanto al pensiero, a me pare elio sia assai probabile e degno di lode. Rimando a Y. S. molto I. la scrittura e le lettere, et insieme una umilissima riverenza al Ser.mo G. D. Nostro Signore ; et a lei confermo la mia devota od obbligata servitù, e da Dio le prego intera felicità. D’Arcetri, li 22 di Giugnio 1640. Di V. S. molto 111. 1 * 0 Devotiss." 50 et Oblig. mo S. ro G. G. 4024. FERDINANDO BARDI a GALILEO [in Arcotril. Parigi, 22 giugno 1640. Bibl. Nfi 2 . Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 203. — Autografa la sottoscriziouo, Molto Ill. ra Sig. r mio Oss. mo La settimana passata mandai a V. S. un piego del Sig. rn Elia Deocìati, qualo facilmente gli capiterà insieme con questa, havendo cominciato gli ordinami (li (•' Viacorso del modo di conservare ì grani del Pa- Alcun» opuscoli filosofici del l’adro Abbate D. BENEDETTO dro D. Bcnedr-tto Castelli; a pag. 40-45 dell'opora: Castelli occ. In Bologna, por Giacomo Monti, 16G9. 22 — 23 GIUGNO 1640. 207 [ 40244025 ] Lione a non partirò so non di quindici in quindici giorni. Dal sudotto Sig. r Deo¬ dati V. S. intenderà pienamente la stima grand» elio questi letterati fanno dello Tavolo Mediceo, pubblicate dal Padre Don Vincenzio Rinieri (i ', essendo stato riconosciuto universalmente per esattissime. Si aspetta però con curiosità, di ve¬ dere il resto del libro, quando sarà finito di stampare, perchè fino ora non no sono comparsi se non da duo terzi o poco più. io II medesimo Sig. r Deodati mi lia comunicato con passiono straordinaria tutte lo diligenze fatto da lui por servir V. S. in Olanda, o corno quando si sperava la conclusione di un negozio tanto importante, si sono incontrato mille difficultà non previste. Io son certo elio a V. S. è molto ben noto il suo affetto, o quanto egli stimi il merito o la persona di V. S., o per conseguenza so ch’ella non potrà dubitare elio dalla sua parto non si sia adempito a tutti gli obblighi di un vero amico. Nondimeno mi è parso dover ronderò questa testimonianza alla verità, che io ho visti in questo gentiluomo sensi non immaginabili per lo traverso elio contro ogni ragiono si oppongono a un sì bel pensiero, conservando nel resto una risoluzione immutabile di non l’abbandonar fino all’ ultimo, o di non tra- 20 scurare nessuna occasiono elio si presenterà di rattaccarlo, conio ci sono molte apparenze clic dova seguire, o particolarmente so lo gran burrasche di guerra, elio turbano la Cristianità, pigliarono un poco di calma. Io vorrei essere atto a cooperare a ogni cosa di suo servizio, professandomi obbligatissimo a farlo por mille rispetti. Mi onori dunque della sua grazia o mi comandi, cho intanto lo bacio con tutto l’animo le mani. Parigi, 22 Giugno 1640. Di V. S. molto 111.™ Obb."»> Ser. M Sig. r Galileo. Ferdinando Bardi, 4025. GALILEO a FOKTUNIO LICETI in Padova. Àrcetri, 23 giugno 1640. Hallo pag. C4-C5 dol libro intitolato: De «<■ cundo-quaetìli» per epitlulai a eJarii pine, ardua, varia,pulchra et nobiltà quaeque petentihu» in medicina, philoeopkvt, theologia, m atkeei et alio quorie eruditionum genere, rosponsa Fortumi! Lickti, occ., Utini, ex typographiA Nicolai Schiratti, MDCXLVI. Il brano porò da « non porvonno » (lin. 23) a « assai facili otc. * (lin. 39) non è riprodotto noi De eeoundo- quaeeitit, perchè non attinouto all’argomento di cui ivi tratta il Lickti, il quale perciò allo parole Lett. 4024. 14. Prima aveva scritto: il tuo merito o la tua pereona; poi cancellò evo davanti ft me- uto o aggiunse tra lo iinoe di 1\ S. dopo pertona, ma dimonticò di cancellare tua davanti a pertona, co9l che ora si leggo il merito e la eua j>ereona di V. S. — Cfr. n.o ^ 43 ^, 208 23 GIUGNO 1640. [4025] « 1] libro’suo De cornetta et novi# aélrit » soggiungo: « etc.: ot post multa, propostimi alimi attingontia, deniquesubdit», e continua con lo paiolo «Quanto al mio p on siero » (lin. 40). Abbiamo riportato que¬ sto brano dalla lottora Gol Lickti stesso dol 0 luglio 1640, cho vo lo inserisco: cfr. u.» 1029, lin.55-66. Al molto 111. et Eccoli. Sig. mio Oss. 11 Sig. Fortanio Liceti. Padova. Si ò finalmeute ritrovato, appresso il rispondente del bandi, con¬ dottiero di Bologna, il libro 0 ’ del quale V. S. molto 111. etEccell. mi onora col mandarmelo. Mandai subito a farlo legare, ma per ancora non l’ho rihavuto. Me lo farò leggere, con speranza di esser in breve ora per intender quello in che pensando molte o molto centinaio d’ore non mi è succeduto di poter restar capace; parlo della essenza della luco, di che sono stato sempre in tenebre; o reputerò a mia somma io ventura quando, scudo fatto capace che cosa sia il fuoco et il lume, potrò intender in qual modo in un pugnello di polvere d’artiglieria, fredda o nera, si contenghino rinchiuse venti botti di fuoco e molti millioni di lume; oltre all’essere in quei minuti grani rinchiusi e ri¬ tenuti fermi una, per così dire, grandissima quantità di piccolissimi archetti, li quali, scoccando poi, portino una mirabilo forza e velocità. Qui non vorrei cho mi fusse dotto che io non mi quietassi su la verità del fatto, poiché così mi mostra succedere la esperienza; la quale potrei diro che in tutti gli effetti di natura, a me ammirandi, mi assicura dello an sit , ina guadagno nissuno mi arreca del quomodo. 20 Voglio che V. S. Eccellentiss. sappia che io havevo veduto altre sue opere, et in particolare le controversie col N. (i) , et in tutte lia- vevo ammirato la somma sua erudizione e la felicità di memoria nel ritenere e prontamente servirsi di quanto si trovasse scritto da tutti li antichi scrittori e moderni; e perciò, nel ringratiarla dei favori fattimi in mandarmi tali opere, aggiunsi quelle lodi che mi pareva 0 tuttavia mi pare convenirsegli. Il libro suo De cometis et novis astris (3) non pervenne in mano’ a me, ma del S. or Mario Guiducci, il quale non so per qual cagione se lo habbia ritenuto senza conferirmelo, sino a clic mi è pervenuto 30 il libro De lapide JBononicnsi; nel qualo incontrando il capitolo L°, !Lett. 4025. 12. artigliarla — 20. della mi »it — 28. tuo si leggo nel De tf.cuntlo-quaetitii; non è nella copia, ili umno Gel Lioeti.Gì questo capitolo ili lottora, citata nell’ in forni tu ioti e: cfr. u.» 1029, lin. 55.— m Cfr. u.° 4018. <*> Cfr. u.° 3271. <» Cfr. li.» 1435. 22 — 29 GIUGNO 1640. 209 (4025-4036] dove ella impugna la mia oppiniono (lolla luco secondaria della luna, c ragionando di ciò col detto Signore, mi disso bavere ella scritto in contradizione a moltissimo altro mio oppinioni, conio nel libro De cornetti havrei potuto sentire: per ciò fattomelo dare, ho veramente sentito quanto ella ampiamente impugna ogni mio dotto. Esaminando poi la forza dello suo instanze, ho finalmente veduto come elle non concludono con tanta forza contro a ninna dello mio posizioni, elio le risposte e soluzioni non siano assai facili etc. 40 Quanto al mio pensiero o proponimento (li trattar sempre con lei con ogni dovuto rispetto o civiltà, non no motta dubbio, imperocliè questo sarebbe un contraveniro a quello elio io internamente ho fer¬ mato concetto della sua gran dottrina o somma erudizione: la qualo mi fa estremamente meravigliare corno, vedendo olla minutamente i pensieri scritti da mille autori, li sia avanzato tempo di poter con tanto grande attenzione speculare sopra lo suo proprio invenzioni, 10 quali mi paro elio abbraccino tutto lo scibili o disputabili questioni. Non senza invidia sento il suo ritorno a Padova, dove consumai 11 diciotto anni migliori di tutta la mia età. Goda di cotosta libertà eo e delle tanto amicizie che ha contratte costì e nell’alma città di Ve¬ nezia. Mi commandi in quello elio mi conosce atto a servirla; o con vero alletto li bacio le mani. D’Arcetri, li 23 Giugno 1640. Di V. S. molto 111. et Eccoli. Affett. Serv. Galileo Galilei. 4020. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri, Bologna, 29 giugno 1640. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 172. — Autografa. Molto Dl . r0 ot Ecc. n, ° Sig. r o P.ron Col .* 110 Ilo sentito con giubilo la speranza elio ticno del nostro Padre D. Benedetto, la qualo senz’nitro, doppo l’interesse di goderla lei, sarà bastante a farmi con¬ cludere il venire, al dispetto di qualsivoglia gotta elio mi voglia impedire. Ho mandato subito la lettera al Sig. r Lieoti, della cui dimora in Padova oltro Io vacanze non ho sentito cosa alcuna : procurare di saporlo por servire al suo 49. Qodo di (I.a traduzione latina, elio il Licsti soggiunge a j>ag. 66, ha: « Fruaris ista liberiate »). XVIII. 27 210 29 GIUGNO — LUGLIO 1G40. [4026-4027] desiderio. Li posso ben dire elio non ò visto qua troppo voluntieri dalla mag¬ gior parte di questi 111. ,ni Sonatori, elio perciò alla sua ricondotta vi fu elio fare; ma la dependonza elio ha da’ Patroni fu potente a fare concludere a suo prò il negotio, senza però altro augmento: nel quale tempo credo ch’io ayisassi io V. S. Ecc. nm , cho incominciando la mia torza condotta di setto anni, che fu il Novembre passato, della quale mi favorirno tro anni sono quando fui chiamato per leggere a Pisa, mi haveano insieme honorato di 100 scudi di augmento, cho sono 80 piastre fiorentino, sì cho no vengo ad bavero 360; quali veramente pos¬ sono in parto ristorarmi dalla mia continua afìlittiono por la mia incurabile in¬ firmiti, ma non gii a bastanza: tuttavia ricevo voluntieri il tutto da Iddio, elio conosce meglio di me il mio bisogno. Quanto al libro del Longomontano (1) o del Bulialdo 1 *, io non l’ho visto: mi saria bene carissimo vederli ; tuttavia porchò non si prenda questo incomodo, quando ella sappi di sicuro cho il P. D. Benedetto sia per venire costì in quosto 20 vacanzo, potrà differire sino alla mia vomita ancora il farmeli vedore. E con questo finisco di scriverle, ma non di amarla 0 riverirla con tutto l’affetto, conio faccio con ricordarmele cordialissimo servitore. Di Bologna, all! 29 Giugno 1640. Di V. S. molto lll. ro et Ecc. ma Dev. mo ot Ob. mo Sor.™ 0 Disc . 10 F. Bon. ra Cavalieri. Fuori: Al molto Ill. ro ot Ecc. mo Sig. r 0 P.ron Col. ,no Il Sig. r Galileo Gal. ei Firenzo. 30 Ad Arcotri. 4027. GALILEO a FERDINANDO II DE’ MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenzej. [Arcotri, luglio 1G40J, Bibl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. I, T. I, car. 202. — Origiualo, Ser. mo Gran Duca, Galileo del q. Vincenzio Galilei, umilissimo servo o suddito di V. A. S., reverenteinente la supplica a concedergli grazia che gli sia l*i Aitronomia Danica, vigilila et opora Curi- typographica Guilieltni I. Cacai!. Anuo M.DC.XX1I. stiakj S. Lo.VGoiioNTA.Nf, occ. Amstoro(lami,es olllciua »*» Cfr. u.» 8588. 3 LUGLIO 1640. 211 [402 7-4028 J pagato anticipatamente un semestre della sua provvisiono, che matura a Ottobre prossimo, offerendosi dar mallevadore per la sopravvivenza: o di tal grazia sarà perpetuamente tenuto alla somma benignità di V. A. S. Quam Deus eie. Di mano di FkbdUUSDO Ut For. E di mano di Punti io Palco munti Concedoai. 10 Toraio Falconcini. XI Luglio 1610. 4028**. BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Arcolri. Bologna, 3 luglio Ui- 10 . Blbl. Nnz. Flr. Mas. Gal., I*. I, T. XII. car. 174. — Autografa. Molto Ill. ro et Eco."' 0 Sig. ro o P.ron Col." 10 Ricovo bora una lettera dal S. r Vincenzo Viviani, mio antichissimo amico o patrono, con insiemo gusto indicibile della risoluta venuta a loggcro a Risa del P. D. Benedetto, la quale sarà potente a far risolvere mo ancora alla venuta, benché differirò sino eh’ io sappi ch’egli sia giunto a Firenze, sì conio la pregarò all’bora ad avisarmi. Ilo sentito parimente gusto del detto Sig. r Vincenzo fatto suo ospite, persona veramente meritcvolo d’ogni bene, appresso il qualo la prego faro mia scusa, so vi ò, eh’ io non rispondo alla sua, non sapendo so sia più costi, o so vi è, pregandola voglia ricovero questa in risposta, con ricordarmeli io cordialissimo servitore. Non mi estendo per frotta più in lungo, ma la riverisco con baciarli affettuosamente lo mani. Di Bologna, alli 3 Luglio 1640. Di V. S. molto lll. ra et Ecc. Ria Dev. mo et Ob. mo Sor/ 8 e Disc.' 0 F. Bon.” Cavalieri. Fuori: Al molto IH.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. 0 11 Sig. r Gal. 80 Gal. 81 1 Firenze. Ad Arcetri. 212 6 LUGLIO 1640. [4029] 4029. FORTUNIO LI CETI a [GALILEO in ArcetriJ. Padova, 6 luglio 1G40. Bibl.Naz.FIr. Mss. Gol., P. Ili, T. VII, 1, cor. 1G2-163. — Autografa. Molt’Ill. ro et Ecc. m0 S. or mio Oss. mo Io sento molto gusto elio V. S. molto 111. 0 ot Ecc. mtt habbia ricuperato da cotosto condottiero il mio libro De natura et cfficientia lwninis Ki \ elio lo ho man¬ dato in tributo della mia osservanza, ot ricoverò a mia buona sorto elio facen¬ dosene leggere qualche parte corregga lo suo imporfottioni, con farmene avi- sato; gustando di pari Tessero rimesso nella buona strada, quand’io traviassi dalla verità, et haver Thonoro elio lo coso mio fussoro approvato dal suo giu¬ dico, del qualo io fo grandissima stima. Della grandissima quantità di fuoco, in cui si converto poca polvere d’artiglieria, et della volocità o forza mirabile di quelli archetti metaforici elio V. S. dice, non ho havuto occasiono di trattaro io in queU’opera, sondo questi puramente effetti del calore, ot non del lumo, del quale precisamente ho intrapreso quivi a ragionare. So V. S. comanderà elio di tali effetti lo dichi li miei sentimenti, ad ogni suo cenno m’ingegnerò di ubi¬ dirla, per ritrarne il suo miglior parere. Le lodi elio in molto sue lettere, da me conservate, ho ricovuto dalla sua cortesia, con occasione di havorlo inviato qualche mio componimento, sono da lei stato dato con abondanza, non solo alle controversie col Portughoso (2) , ma a tutti li volumi do’ quali lo ho mandato li esemplari, ot in particolare all’opera De co- metis etc. (3) , elio subito stampata inviai a Y. S., elio mi honorò di scrivonnono in queste formali parole 14 ’: 20 Molt’Ill.® etc. Ieri l’altro mi fu reso il libro Da comctis etc., inviatomi da V. S. Ecc. ma ; o ben che lo stato mio di sanità non mi permetta di poter leggere allungo nè affaticare la vista e la mente, tuttavia, tratto dalla curiosità, gli ho dato in questi 2 giorni una superficiale et interrotta scorsa, e veduto come ella veramente ha condotta a fine una fatica atlantica. Mi duole di non l’havere havuto prima per poter far menzione di lei et honorarla, conformo al debito, in una i'* Cfr. ri.» 4019. <»> Ufr. n.« 3274. i» Cfr. n.» 1435. (‘i Cfr. ri.» 1520, 6 LUGLIO 1640. 213 [4029] risposta olio fo alla Libra Astronomica o Filosofica di Lottario Sarsi so Sigenzano, la quale 6 giorni fa inviai a Roma, dove forse sarà stam¬ pata, nella quale saranno per avventura molte dello cose nelle quali y g m i è contrario, o, por dir meglio, al S. or Mario Guiducci, autor primario di quel trattato, elio dal Sarsi e da V. S. viene attribuito a me. Mando in questo punto il libro di V. S. al S. or Guiducci, por mettermi in necessità di non liaver gravemente a disordinare con mio notabil danno, poiché la lunghezza do i giorni, la solitudine della villa, e più il gusto elio prendo della lettura, non mi lasciano tem¬ peratamente occuparmi. Io rendo a V. S. Ecc. roa grazio infinite del- l’honoro o favore fattomi, et insieme mi rallegro seco della sua pro¬ mozione, la quale già havevo intesa. La prego a salutare in mio nome il molto II. S. Lorenzo Pignoria, e ricordargli che in gratia voglia favorire il S. Pichena in quel suo desiderio, citò amondue gliene resteremo obbligati. Et risorbandomi a scrivergli più a lungo con miglior commodità, per bora gli bacio le mani o ino gli ricordo vero et affettionatissimo servitore. Di Firenze, li 30 di Luglio 1622. I)i V. S. molto 111. et Ecc Ser. re Afl>° Galileo Galilei. A tergo: Al molto 111. et Ecc. mo S. ore o Pad."* Oss. ,no eo 11 S. or Fortunio Liceti. Venezia per Padova. Dalla qual lotterà, scrittami di suo pugno, chiaramente comprendo elio 1 ul¬ tima de’ 23 Giugno 1640 w , dopo 18 anni, nella quale leggo registrate questo formali pardo : Il libro <2) De cornetti et novis astiti non pervenne in inano a me, ma del S. or Mario Guiducci, il quale non so per qual cagiono se lo habbia ritenuto senza conferirmelo, sino a che ini ò pervenuto il libro De lapide Donatiicnsi; nel quale incontrando il capitolo L°, dove ella impugna la mia oppinione della luco secondaria della luna, o co ragionando di ciò col detto Signore, mi disse bavere ella scritto in Cfr. ii.» -1025. (»> cfr. n.» -1025. lin.28, uol tento o uello varianti. 214 6 LUGLIO 1640. [4029] contradizione a moltissimo altro mio oppinioni, come noi libro De cornette havrei potuto sentire: per ciò fattomelo (laro, ho veramente) sentito quanto ella ampiamente impugna ogni mio dotto. Esaminando poi la forza dolio suo instanze, ho finalmente veduto come elio non concludono con tanta forza contro a niuna dello mie posizioni, che le risposte e soluzioni non siano assai facili etc., comprendo, dico, chiaramente elio quest’ultima lettera, scrittami in suo nome, non sia veramente stata da lei dettata, o sia stato il suo dottarne stravolto da suo scrittore, elio, poco a noi amorevole, procuri di sciorro l’antica nostra arai- citia, ma indarno dal canto mio. So però, non ostante lo coso tra di noi paa- 70 sat.o, si ò compiacciuta di farmi così scriverò, lo dirò breve et, amichevolmente con libertà quanto mi occorro por risposta all’ultima sua. Che V. S. habbia assai facili lo risposte o lo solutioni allo mio oppositdoni, voglio crederlo, sapendo quanta sia la sua poritia ot acutezza d’ingegno. L’es- sero poi al presente stato suo impossibile di condurrò a tino lungo volume, che ci vorrebbe a satisfare a tutto, che sono molto in numero, ciò grandemente mi pesa por lei o por me, elio resto privo di potor essoro illuminato dove a lei paro elio io non iscorga il voro ; resterò por tanto pago del suo volere, con aspottaro lo risposto circa il controverso lume secondario (folla luna. Clic lei non habbia. pensiero di publicaro lo dotto suo risposto, starà serapro 80 in suo arbitrio di farne il suo talento : ben mi grava elio lo mie disputo contro lo sue oppinioni, ingenuamente fatto ot sompre con lode del suo nome, lo quali nella sopra registrata sua lettera da lei sono chiamate suoi bollori et favori et dello quali mi reso infinite gratto di suo pugno, come anello si degna di faro in altre sue de’ 7 Gennaio 1639 (1> , de’ 24 7mbro 1889 w et do’ 24 Xmbro 1639 w , siino in quest’ultima de’ 23 Giugno 1640 da lei chiamato publiche accuso, poiché veramente non per accusarla in publico, ma por indagar la verità o por acqui¬ star honoro di disputar publicamento -seco, ho stampato lo nostro controversie. Si potrà ridurre a memoria cho lei ancora nollo opero suo stampato ha disputato ' con altri, o talhora senza intentiono o fino di accusar alcuno, ma di rintracciare 90 la verità, la quale fion di rado scintilla dallo contradittioni do’ filosofanti. 1 Che V. S. non faccia stima dell’applauso popolaro in quello arti o scienze che per la loro difficoltà sono da pochi ben comprese o capito, mi riesco un detto degno dell’altezza della sua monte, che sdegna il volgo ot apprezza sola¬ mente il giuditio de-’pochi più saggi; quali chi siano, lasserò giudicare a gl’in¬ tendenti. (t) Questa non ò pervenuta insino a noi. < s > Cfr. il.» 8922. (») Cfr. n.o 8952. 0 — 7 LUGLIO 1040. 215 [40294080] II proponimento elio fu di trattar meco con civiltà ò degno della sua na¬ scita, dottrina et antica nostra amioitia; la quale non devo cssero violata, so bone foto codo dissentiamo nelle positioni filosofiche. Attendiamo puro ad inve¬ li stigar l’occulta verità, disputando nobilmente con libertà lilosolìca, proponendo 10 nostro ragioni schiette, semplici et nudo, con lasciare il giuditio ad altri di¬ sinteressati so siano vero o falso, sodo o fievoli, gravi o leggiero, non essendo giusto nò dicovolo il lodare lo coso proprio et biasimare con pardo di sprezzo quelle dell’antagonista ; et infliggiamo d’imitar coloro elio terminano lo loro dispute in sozzo conteso, cotanto biasimati da Platone nel Gorgia, a elio non si dove pervenir mai, so non tirati po’ capagli, corno dir si suolo, per dotto dolio stesso. Noi resto mi trattonirò questi pochi mesi della stato la maggior parto in Padova et qiialeho poco in Venetia, dove mi sarà gratin elio mi porga ocea¬ no siono di porteria servire, il elio farò con ogni alletto. Spero d’inviarlo in brovo 11 mio volitino De centro et circwnfcrenfia u , elio sta sul line della stampa; sopra il qualo fondamento sono cominciato a stamparsi altro duo opere, di cui lo manderò a suo tempo li osomplari. Mi scusi dolio cassature, chò non ho tempo di copiar la lettera. Con qual lino lo bacio lo mani di tutto cuuro. Di Padova, li G Luglio 1G40. Di V. S. molt’Ill.® et Eoc. ,aa Sor/® Air. mo Fortunio Licoti. • r 4030 *. \ BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 luglio 1040. Blbl. Eat. in Modena. Raccolta Camporl. Autografi, B.» LXX, il. 0 87. — Autografo. Molto IU. r ° cd Ecc. rao Sig. ro o P.ron Col." 10 Del mio particolare rostarà V. S. molto 111. 8 od Ecc. ma informata dalla let¬ tera che scrivo al Sig/ Benedetto Guorrini {t ì : però non dirò altro, solo ebo fo ogni possibile por ottonerò il mio intento. Quanto poi a quello polli o guanti, li replico sinceramente, che quando hab- bino da servire por Y. S., overo cine ella gli voglia donare ad altri, mi basta che siano stati di sodisfaziono; ma se li fossero stati commessi, in tal caso potrà faro pagare il dinaro al Padre Don Basilio di Firenze, Cellerario di Badia: o Cfr. !).<• 8970, Un. 14. (*» Cfr. n.° 4023. 216 7-10 LUGLIO 1040. [±030-4031] di grazia, non faccia altrimente, perchè lo riceverei por affronto. E non occor¬ rendomi altro, li bacio caramente lo mani, come fanno li Sig. n Borghi, Magiotti io o Nardi. Roma, il 7 di Luglio 1640. Di V. S. molto lll. re ed Ecc. ma Devotisa. 0 Sor.™ o Disc. l ° S. r Galileo. Don Bonedotto Cantelli. Fuori: Al molto 111.” od Ecc. mo Sig. r0 o P.ron Col." 10 Il S. r Galileo [_] del Ser.“° Or. Du. di Tos.*» Firenze. 4031 ** BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetrì. Bologna, 10 luglio Uì-10. Cibi. Nuz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII, cnr. 170. — Autografa. Molto 111." et E. mo Sig. r o P.ron Col. 100 Mi dispiace che il negotio del P. D. Benedetto resti dubbioso, poiché T in¬ contro di goderò ambiduo insieme poteva senz’altro farmi molto maggiormente risolvermi al venire, benché lei sola sia potente a farmi pur faro tale risolu- tione. Anderò dunque anch’io portando manzi, sino elio si veda l’esito del negotio. Quanto alla scrittura contro il S. r Licoti, s’ella vuole manderò la mia, pren¬ dendone prima copia; e perciò mi potria mandare una lotterà, con la quale ac¬ compagnarci detta scrittura, acciò ella non babbi briga di farne faro altra copia. Al S. r Vinconzo Viviani, so costi si ritrova, mi farà favore ricordarmi cor- io dialissimo servitore; et io fra tanto starò aspettando la detta risolutone. E non occorrendomi altro per bora, finisco con baciarli affettuosamente lo mani, fa¬ cendolo riverenza. Di Bologna, alli 10 Luglio 1640. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. m * Dev. mo et Ob. mo Ser. rt F. Bon. ra Cav. rl Fuori: Al molto Ill. re et Ecc. n, ° Sig. r o P.ron Col. 0 Il Sig. r Gal. 00 Galilei. Fiorenza. Ad Arcetri. 20 [4032] 14 LUGLIO 1040. 217 4032 . GALILEO a FORT UN IO LICJETI in Padova. Arcctri, 14 luglio 1640. Dalla pai?. 65 dol libro citato noli’ Informazione promossa al n.» «4025. Del racchiuderai in piccolo apazio di negra polvere una mole grande di fuoco et una immensa di lume, lio io sempre dilìidato di poter capire per la debolezza del mio ingegno ; o quanto alla espan¬ sione quasi che infinita del lume, giudicai la sua considerazione non esser aliena dal trattato della luce, etc. Ma sia come si voglia, io stimerò a gran ventura P intendere conio l’una o l’altra di queste due operazioni [...] ; dico del racchiudersi in breve spazio grandissima mole di fuoco, e quasi che infinita di lume possa esser in così an¬ gusto spazio racchiusa e senza voruno serrarne incarcerata. Se mai io mi succedesse di tale effetto intendere la ragione, Pharei per gran¬ dissimo guadagno; purché il rimuovermi da cotal dubbio non suppo¬ nesse in me una certezza di altri naturali effetti non meno di questi a me incogniti. Riceverà con la prosento la copia della mia al Sereniss. Principe Leopoldo; leggala in grafia, o sinceramente me no additi il suo senso, mentre starò con avidità aspettando il suo libro Jk centro et circumfe- rentia 111 e gli altri elio mi accenna. E continuando di riverirla e di ammirare il suo gran sapere, li ratifico e confermo la mia prontis¬ sima servitù, e da Dio li prego intera felicità. 20 D’Arcetri, li 14 Luglio 1G40. Di V. S. molto 111. et Eccoli. Serv. Affett. Galileo Galilei. Lett. 4032. 7. 17 edizlono di cui ci soniamo ha optrasioni, dico. Ma elio sia stata omessa qualche parola, oltro cito dal contesto, risulta dalla traduzione latina (lolla lettera, che il Liorti soggiungo nel* l'odiziono stessa (pag. CG) O che suona cosi: Sed utcumqve ait, ego magnai meae fortunae (lucani intcllujere, quomodo ulraque duarum huiuamodi Junclionum fieri vaimi ; dico, quomodo in adeo augnilo apatto pyrii pul- verin inclina valeat tate maxima molli ignii et propemodum infinilu luminii quantità», et alique ulta lira carceri tuancipari. — •*' Cfr. n.° 1029. XV11I. 28 218 17 LUGLIO 1040, 14038] 403B. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO iu Aroetri. Bologna, 17 luglio 1040. Blbl. Nasi. Fir. Mas. Gal., P. TI, T. XIII, car. 210. — Autografa. Molto 111/ 0 ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col." 10 Ricevo in questo punto la lotterà w con il Discorso indirizzato al Sig/Liceti, il quale penso mandavo per uno elio è por partirsi dimani o l’altro di qua per Padova, sì elio resterà compitamente servita. Ilo porò lotta la lotterà allogata, che mi è piacciuta molto, sbrigandosi olla con molto giudizio o modestia dallo innumerabili oppositioni elio li converrebbe faro al libro De novis astris et co- iiietis con puoco o nullo suo guadagno. Non mancherò porò prima di incontrare o correggere con questa la mia, dove ella mi accenna. Mi spiaco dell’impedimento dol P. D. Benedetto [i ', elio apunto impedisce quei gusti elio noi desiderato da noi triumvirato speravamo ; e, quel elio è pog- io gio, mi si è aggiunto impedimento per la parto mia ancora, di insolita gotta, cioè nel collo e nella tosta, con dolori di fianco per l’orina, sì elio vogo clic si sta sempro per peggiorare. Voglia Iddio elio questo sia per nostro meglio o por farci con tanto maggior diletto gustavo quoi beni elio dalla Sua immensa libe¬ ralità vengono preparati a chi Lo adora con tutto il cuore, conio vorrei sompre con l’opere poter fare. E fra tanto non si scordi di mo V. S. Eco."' 11 , clic in altrotanto miserabile stato li faccio compagnia con la vita, sì conio la riverisco con l’affetto. Con elio, salutando il nostro carissimo Sig/ Viviani, lo desidero dal Signoro pationza o lunga vita. Di Bologna, alli 17 Luglio 1640. £0 Di V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ,,,a Dev. ra0 ot Oli. 0 Ser/° o Disc.' 0 F. Bon. ra Cavalieri. Fuori : Al molto III/® et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. 0 11 Sig/ Galileo Gal. 0 ' Firenze. Ad Arcetri. «0 Cfr. u.° 4032. <*» Cfr. nn.‘ 4031, 4035. [4034-4085] 24 — 28 LUGLIO 1840. 219 4034 **. GIROLAMO BARDI a GALILEO in Firenzo. Genova, ‘J1 luglio Hi 10. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Ozi., 1*. VI, T. XIII, car. 212. — Autografi». Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col.'" 0 Ho inteso dal Sig. r Gio. Batta Ballano elio il P. D. Vincenzo 11 ’, che intendo ritrovarsi costì amalato, gli mostrò una lettera di V. S. in risposta di alcuno propositioni insorto dal S. r Licoti nello suo lotterò De quaesitis otc. 4 * 1 ; o porcliò io sono partiate di V. S. o di lui ancora, corno elio stimo elio siino incitamenti a meglio iscopriro lo coso, la natura dolio quali si ricerca, mi saria gratin par¬ ticolare l’ossorno partecipo : elio perciò no la priego quanto so o posso. Vedrò, quanto prima il Sig. r Ghiaramonti fatto nuvoloso con duo dialoghi De centri et circnmfcrentiae esscntia et passionibus™ : in tanto goda dol puro titolo, io per vedorno poi con suo gusto il senso, agiustato con ragioni efficaci o concetti di sali ot argutio risporsi. Viva folico, o mi consorvi tutto suo, conio di cuoro me lo dedico; et Ini linimento la riverisco. Goii. r , li 24 Lug.° 1G40. Di V. S. molto 111.® et Ecc. mA 01)lig. mo Ser.® Girolamo Bardi. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. m0 Sig.° o P.ron Col." 10 Il 8ig.° Dottore Galileo Galilei, Mat. co dol Sor. 1 " 0 di Toscana. Firenzo. 4035 . BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenzo. Roma, 28 luglio 1640. Bibl. Nnz. Flr. Mh. Gal., P. I, T. XII, car. 178. — Autografa. Molto 111.” ed Ecc. mo Sig. ru o P.ron Col." 10 Ilo ricouta la cara lettera di V. S. molto Ill. r ®, con il paterno e savio con¬ siglio elio mi di\ intorno al licenziarmi di qua e venire a servirò il Ser. mo Gran Yinoknzo Hknirri. scrivente equivoci con l’opera De centro et arcvm- Cfr. l'informazione del n.° 4025. ferentia del Liciti (cfr. n.° 3076), che ò appunto in 131 Non conosciamo alcuna opera di Scinosi duo dialoghi. Chi ahamonti con quosto titolo. Probabilmente lo 220 28 LUGLIO — AGOSTO 1640. [4036-4036] Duca; ma le coso non sono in quel termine elio olla ponsa elio si trovino, o so bene in voce non lio potuto per il passato cavavo nò la licenza nò l’esclu¬ sione, in ogni modo chi ha trattato por ino ò di sonso elio io non debba nò possa faro resoluzione, che pur troppo volentieri haverei fatto. Ci s’aggiongo che sino lunedì prossimo passato mi venno a trovavo un pallafrenioro di Mons. r Conci 10 , Rettore dolio Studio il prosento anno, o mi diodo la nota di novo lettori, di 36 elio siamo, i quali novo hanno lanuto augmonto : il primo solo ha lanuto trenta io scudi di augmonto; dolli altri otto chi ha limito 20, chi 15 o chi 10, ed io sono nel numero di quelli che no hanno hauto 20 ; la qual cosa ò una dimostrazione speciosa che questi Padroni non vogliono elio io parta. Ma quello che più m’in¬ chioda ò elio questa mattina sono stato a Palazzo per trattaro col Sig. r Conto di Castol Villano ( *’, il quale ha negoziato per me o più volto ha parlato con Nostro Signore o con l’Em. mo Padrone (3) , o m’ha detto che assolutamente io non pensi di partire ; sì che V. S. vedo in cho angustia mi trovo. Li motto in considera¬ zione che sono religioso, o di una rcligiono prototta daH’Em. ,no Barberino, il quale mi può rovinavo affatto c prohibirmi non solo il loggore, ma ancora il venire mai in Firenze. Però ho risoluto aspettar© quietamente il giudicio di Dio 20 c rimottormi totalmento nella Sua santa volontà: cho ò quanto posso diro in risposta alla sua amorosa. 11 Sig. r Magiotti 0 Borghi li fanno riverenza, come fo ancor io. Roma, il 28 di Luglio 1640. Di V. S. molto Ill. re od Ecc. ma Dovotiss. 0 Ser. ro 0 Dis. 10 [S.] r Gal . 0 Don Bcnod . 0 Castelli. Fuori: Al molto Ul. r0 ed Ecc. n, ° Sig. ro 0 P.ron Col."' 0 Il S. r Galileo [Galilei, p.° Filosofo del Scr . m0 G. D. di Tose.* Firenze. 4036 **. GALILEO a FERDINANDO li, Granduca di Toscana, [in Firenze], [Firenze, agosto 1640.] Aroh. di Stato in Firenze. Monto ili Pioti, Filza 1091 (d'antica numerazione 126), u.® intorno 42.— Originalo, non autografa. Ser. mo Gran Duca, Galileo di Vincenzio Galilei, umilissimo e divotissiino servidore e suddito di V. A. S., reverentemente supplica V. A. S. a concedergli <0 Giulio Cenci. <*> D. Acquaviva u’Atki, Conte ni Cuatkau Villa in. < s > Francesco Barberini. 3 AGOSTO 1040. 221 [408640371 grazia di metterò in sul Monte di Pietà quattrocento ducati da ser¬ vire per il vestimento e monacazione della Verginia di Vincenzio Landucci (1) , nipote del supplicante. Che di tal grazia rimarrà per¬ petuameli to tenuto a V. A. S. Quarti Deus etc. D'altra mano: f. 400. Di mano ili Fumi in A suo Fer. E di mano di Asdkma Cioi.t: 10 Concedasi ; c il Pro veditore del Monte di Piota li faccia rispondere de’frutti. And." Gioii. XX Ag. 1640. t Fuori, d’altra mano: S. rf Camarlingo riceva li d. -100 contenuti in questo memoriale. 4037 . FOItTUNIO LICETI a [GALILEO in ArcetriJ. Padova, 3 agosto 1640. Bibl. Ntus. Flr. Mas. (Sai., I*. VI, T. XIII, car. 214-215. — Autografa. Molt’Ill/ 0 et Kcc. ,no S. or o P.ron mio Oss. mo Io ricevei non prima di sabbato prossimo passato la gentilissima sua de’14 Lu- glio (2 ’, insiemo con la copia della ingegnosissima scritta al Sor. Principe Leopoldo 48 * in difesa di sua opinione ot impugnatane della mia circa la luco secondaria della luna, da V. S. inviatalo sino al fino di Marzo ; o però non ho potuto ac¬ cusarne la ricovuta prima di hoggi, partendosi di qua lo lotterò per Fiorenza il venerdì. Ma tutto ciò ò stato bone, porcliò ho kavuto tempo in questi cinque giorni di leggero o considerare le suo ragioni o dir lene brevemente il mio senso in universale; che volendo ciò faro partitamente, mi bisognerà, comporro una io scrittura assai più lunga della sua, stante le molte o bello considerationi ebo loi motto in campo. Io lo rendo primieramente molto gratio ohe non habbia col silentio sprez¬ zate lo mio ragioni, come meritamente ha fatto di alcuno altro oppositioni fat¬ togli, ot in oltre ebo tanta stima mostri eli faro dello coso mie, montro por iscioglioro ragioni contenuto in poco più di mozo foglio di carta habbia vergato quindici mezi fogli, con carattere molto minuto; di più, elio civibnonto habbia disputato meco, se bene con qualche risentimento e puntura: poi, elio mi habbia fatto gratia d’inviarmi questa sua nobilissima disputa, e principalmonte che mi m Cfr. Voi. XIX, Doc. XL, c, 1). <*> Cfr. n.o 4082. <*> Cfr. u.° 8987. 222 3 AGOSTO 1040. [4037] Labbia lionorato
  • mi caihlò in pensiero già umidi negare elio S. S. fosso stati» l’aulor primario «li quelTopera, mentre, disputando sopra quei dogmi elio «‘gli stesso in qu«*l medesimo lihrt» confessa essere posi- tioni di V. S., io indirizzai il mio discorso a lei: nò in ciò fu mio pensiero d'imi¬ tare il Sarsi, poi elio non venne a mia notitia quella sua Libra se non «lupo stampato il mio componimento De eometis iV etc., sì elio non soggiaccio ad 70 alcuna colpa por la «piale il S. or (ìuiducci dubita contro di me tenero l’animo alterato di alcuna maniera. Circa l’altro problema della polvere poca e nera, che rinchiudo in s«\ per crederò di V. S., molo granilo di fuoco et una immensità «li luce, m’ingegnerò di mandarlo il mio sentimento, por ubidirla o con tal esca cavar dal suo so¬ pranno giuditio più grande e più salda dottrina, quando lmvorò posto in carta li mici pensieri circa il controverso lume secondario della luna. Non lo prometto già di poter ciò faro so non dopo il mio ritorno in Bologna, «love starò rmi l’animo quieto, il quale, per queste poche settimane ch’io «levo (limoraro in Pa¬ dova, tengo involto in continui conti e litigii per occasiono dello mio rendite, so lassato por tre anni intieri a vurii coloni et amministratori, elio me ne rendono ragione; laonde mi (rovo alieno dalle molte o sottili contemplatami indio quali mi metterà la sua lettera e la sua dimanda. Il mio libro De centro Ferdinando Cksaui.ni. [40394040] 4 AGOSTO 1010. 225 » raccordato delle miracolose parole del divino Galileo, che tra non mollo tempo si sa- » rehhe veduta mutazione, in Saturno {l) : cosa che ha più dol divino che doli’astronomico, » per non essersi mai nè dall'antichità nè a’tempi nostri fatto simili osservazioni nella » detto stello, dalle quali si possa regolare questa. Però io resto non maravigliato, ma „ stupido, e curiosissimo di vederla, corno sono obligatissimo a V. P. d' havermela par- t> tioipata con la figura etc. ». Sin qui Mona/ Cesarino, il qualo bora ai trova travagliato dalla riaipila nella 30 gamba, e quando sarà liboro, corno spero in breve, vorrà a vedere la metamor¬ fosi, E non occorrendomi altro, li fo rivorenza. Di Roma, il 4 d’Ag.° 1640. Di V. S. molto 111/ 0 od Ecc. ,n * Devoti». 0 ed Oblig. n ’° Sor/® o Dis.'° S/ Gai. 0 Galilei. Don Benedetto Castelli. Fuori: Al molto 111/" Sig/ 0 o P.ron Col.*" 0 Il Sig/ Galileo Galilei, p.° Filonofo del Ser. mo Gr. Dura di Tose/ 1 * Firenze. 4040. FULGENZIO MICÀNZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 4 agosto IMO. Bibl. Nnz. Pir. Mss. dal., P. I. T. XIF, car. 180. — Autografi V indirizzo intorno o la sottoscrizione. Molto 111/ 0 ot F,cc. rao Sig/, Sig/ Col.® Non ho scritto il passato mese posso dir pur una lotterà, perchè sono stato sviato et in villa tutto il tempo c’ho potuto, ot non veduta la città se non per mera neccessità do’ negotii: resto per ciò dobitoro di risposta a V. S. molto 111/ 0 et Ecc. ma almeno di due Ietterò ; ma so havessero contenuto o qualche comando o bisogno di servirla in alcuna cosa, haverei tralasciato ogni affare per servirla. Trattenirò la sua poca pensione sin tanto che riscuotarò la rata di Settembre, o poi farò quel tanto che mi ordinarà, o nel spendorla, e so dovrò mandarla, io procurarò di farlo por qualche mezo che non no riceva alcun discapito. ,l) Lo parole elio stampiamo iu corsivo sodo sottoliooate noi manoscritto. co XVIII. 220 4 AGOSTO 1040. [4040] Io vo puro lamicandomi il corvello, non potendo capirò donde nasca a V. S. Ecc. ma questo nuovo e strano accidente, elio anco la speculatine la tra¬ vagli tanto ot gli levi il sonno o la quieto; o non saprei dir altro so non elio possa essere una così gran fissatine, elio si tiri dietro quell’effetto. Lo suo opero mostrano veramente elio il suo ingegno ò stato ot è talmonto passibile dallo coso naturali et da quosto libro della natura, elio da ogni minima sua parte, elio ad ogn’altro ò invisibile ot inossorvabilo, olla cava considorationi lo più bollo o lo più notabili elio si possano sentire. A me avviene tutto il contrario : in questa età di 70 anni, o sia perchè sono continuamente occupato in verbosità, processi, causo, pretensioni, o coso simili, o per altra causa, non ho gusto maggioro et 20 mi riesco come una culla por saporosamento adormentarmi l’ontrar in qualche speculationo naturale, la quale, cominciata, mi porta nel sonno, elio ancora godo non folice come in giovontù, ma molto comportabile. E fra l’altro coso m’arrocha sommo gusto l’entrar nello pazze opinioni di chi ha filosofato noi proposito dei corpi 0 moti colesti : ben m’accorgo della mia imporfottiono, elio non son atto ad inventare, et un sol poco a far giudicio dello spocnlationi altrui. Non I 10 veduto il Sig. r Liceti, 0 qui non si sa di quosto suo nuovo compo- sitioni cosa alcuna; 0 puro ho ricercato so vi è questo suo libro De lu)nine {l) , perchè ancora di quosta materia non lio letta cosa elio mi dia una minima so- so disfattimi e. Quel gran filosofo scrive tanto, elio paro impossibile elio possi far altro elio prender dal giornalo 0 metter in libro maestro. Un nostro frato, elio è a Monaco 0 sorvo nella musaica il Sor. 1110 di Baviera, mi scrive ultimamente elio fa camerata col Sig/ Alberto Gallilei, nepote di V.S., et elio, por havorli scritto diverso lotterò senza haverno risposta, sta con gran gelosia della sua vita. Io gli risponderò questa settimana. Prego il Signor Iddio elio dia a V. S. molto Ill. ro et Ecc." ,a quieto c consolationo ; e lo giuro elio doi suoi patimenti I 10 cosi gran passiono come so fossero miei proprii, et non ricovo altra consolationo so non elio so quanto ella sappia dello coso fiumano. Et di tutto cuore lo bacio lo mani. 40 Ven. a , li 4 Ag.° 1640. Di V. S. molto HI." ot Ecc. nm Dev. ,no Ser.° S. Galileo. F. Fulgentio. Fuori: Al molto 111. 10 ot Ecc. n, ° Sig. r , Sig. r Col. mo Il Sig.r Gallileo Gallilei. Firenze. 0» Cfr. u.° 4019. 4 AGOSTO 1640. 227 [4041] 4041. GIO. MICHELE PIERUCCI a [GALILEO in Àrcetri]. Padova, 4 agoBto 1610. Bibl. Na*. Tir. Mas. Gal, P. VI, T. XIII, car. 216. — Autografa. Moli 1 Ili. ot Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col ." 10 Son stato da un mese e mezzo in Venezia, dove con mio eccessivo dolore ho inteso la gran perdita che habbiamo fatto doU’Ecc .® 0 Sig. r D. r Pori, che sia in Cielo; e considerando il dolor grande, e la giusta cagione di esso, che n’haverà havuto V.S. Eoe.™, non ho ardito por ancora scriverlo in questo proposito: nel quale però spero che la sua solita somma prudenza le sarà stata o sarà una efficacissima consolatrice, sapendo olla molto beno elio questo è un debito di natura, che si paga ad arbitrio d’un creditore, che insieme ò giudice et ose- cutore inappellabile. io Ritornato in Padova, ho trovato che il Framhotto ha proso a ristampare ^Operazioni del Compasso Geometrico o Militare di V. S. Ecc. ,na ' u , conforme alla licenza ch’olla ne dette già con una sua amorevolissima lettora; o fin bora n’ha stampato sei fogli, quali ho giudicato beno subito mandarle, sì come farò an¬ cora del rimanente, insieme con quegli esemplari intieri ch’ella habbia gusto cVbavere e por sè o per amici suoi. Tra tanto vengo a pregarla, che s’olla havosse gusto d’aggiunger qualche cosa, o nella lettera a i lettori o in altra parte dell’opera, mi voglia far favore di darmene avviso avanti che si finisca di stampare, perchè tratterrò la stampa quanto farà di bisogno, finali’ella mandi quelle aggiunte che più vi desideri. 20 Anzi havendo io letto nel fino del detto suo libro la speranza ch’ella no dà di risolversi in altra occasione a publicar, insieme con la foibrioa dello strumento, una più ampia descrirsnone de* suoi usi IV , prendo ardire di metterle in consi¬ derazione, che se questa lo paresse l’occasione di farlo, io insieme con tanti altri, elio ciò desiderano, lo riceveremmo por favor singolarissimo o le no reste¬ remmo con obligo perpetuo. In occasiono elio è qua l’Ecc. mo Sig. r Liecti, mi son ritrovato alcuno volto a discorrer seco delle suo nuovo oporo, dolio quali egli m’ha favorito, o particolar¬ mente in quella parto dove in materia del secondario lume del disco lunare egli discorda dall’opinione di V. S. Ecc.”*, cioè dalla verità, e n’ habbiamo havuto so insieme qualche poco di disputa, ma però con scambievole amorevolezza e, come Lo Operazioni del Compatto Geometrico e Mi - Knunbotto, MDCXL. Marc di Galileo Galilei occ. In l'&iloYfc, pur Paolo •** Gfr. Yol. II, pug. 424, li». 8-9. 228 4 - 13 AGOSTO 1640. [4041-4042] si dico, con le buone, sì conio egli dice o professa di far sempre non solo prin¬ cipalmente con V. S. Ecc. ma , ma ancora con tutti i sognaci della sua dottrina. Mi disso a questi giorni elio aspettava da lei la copia d’una sua lettera scritta al Sor." 10 Principe Leopoldo in questa materia, o che, conio lo venga, me la mo¬ strerà; di elio sentirò sommo contento, perchè son certo elio da quella sì io im¬ parerò cose di buono, sicorao mi succedo sempre da tutto lo coso di V. S. Ecc. ms Alla qualo con tutto l’animo prego da Dio porfetta sanità o lunga vita, et in¬ sieme col Sig. r Scioppio u) devotamente la riverisco. Di Padova, li 4 d’Agosto 1640. Di V. S. molt’ill. et Ecc. ,nft Pevot." 10 et Oblig." 10 Sor. r Vero 40 Gio. Micliolo Pierucci. 4042 *. riETUO GASSENDI a FORTUNIO LICETI [in Bologna] Aix, 18 «ROBto 1G10. Bibl. Nnz. l’ir. Mas. dal., P. Ili, T. VII, 1, car. 168-169. — Copia (li mano sincrona, inviatn dal I.iceti a Qai.ii.bo con lettera del G noveuibro 1640: cfr. n." 4078, liti. 30-86. Questo capitolo della lottora dol Gasskndi fu pubblicato, con altro parti dolla lottora stessa, dal Liokti, De lunae mbobtcura luce prope coniunctionei et in eeliptibut obiervata occ., 1J tini, M. DC XI, li, typls Nicolai Sdii rat ti (vodi a pag. 400-463); o la lottora intera si logge in Pktiu Gabskndi occ. Opera omnia occ., Tomus tertius, I.ugdunl, snmptibus Laurentii Anisson et loannls llaptistao PoYenet, M.DO.LVIII, pag. 422-448 (vodi a pag. 445-447). Conformo alla stampa dol 1G58 correggiamo alcuni orrori di penna (o li notiamo appio di pagina con la lottora L ), trascorsi nella copia spodita u Qai.ii.ko (ma non però, noi più dei casi, noll’odizione procurata dal I.ickti stosso); o dol resto esempliamo quella copia, sebbono anche in qualche altra particolarità, specialmente grafica, ai discosti dalla stampa del 1658. Excmplum capitis epislolac a Vetro Gasscndo ad IÀcetum nupcrrimc scriptum (sic). Pergis deinde, opinionem, quod lux illa dcbilior ex repercussione a terra oriatur, non probari tibi ob plures rationos, quas alias proposueris. Ipse vero, qui facile Maestlino pri- mura, Kepleroque et Galileo postoa, id opinantibus, adsensi, exoptarnin sumniopere cani partem videro tuornra operimi, in qua eao rationes propositae forent. Conmiodum vero, me haec Bcribente et priuB quum Brinoninm, unde (intonnisBft scriptione) cura vero bono eruditoquo Principe ac Pro-rege nostro sum iam reversua, discederem, rediit ad nos ex Italia clarus rara eruditione bonarunique rerum Btudio iuveuis Lihìovìcub Decormius Ilcl- recuelliuB' 5 », non ita pridera generalis causarumquo regiarum patronus in Bimmiam Pro- vinciae curiam cooptatus, qui ad me abs Naudeo^ nostro detulit tuum Litheospliorum io scu De lapide Bononiensi librimi; commoduni, inquam, quippo in eo to exequutuin rem comperi digressione illa physico-mathematica, quatn ubi pellegi, agnovi non posse tuam caussam elegantius, subtilius, pleniusque defendi. Et cxoptassem quidem accipore simili desideratimi De natura et etììcientia luminis opus***; Bed interim tamen percepi ex iato, Gaspakk Schopp. <*' TjUIoi db Coioiis, signore di Beaukkcuru,. < 3 > G a luti ki.k Nacdé. **» Cfr. n.o 3976. 13 AGOSTO 1640. 220 [4042] tuam de natura luminiti sentontiam non esse olienam al) oa qnnm auguratila fucram. In- tompostivum, inmio etiam importmiuin, penitua forot quidquain propterea retoxoro : quare, no ftniplius digrediar, ad digressione») tuam accedo, in qua lucem illam subobscuram lunac ita explica8, ut reilexao ex aotliore etiam aliquara nativain adiungas. Non haereo vero ut cxpendam quid do nativa sentiondum «it, cum et tu ip.se illam ad calcem indubitata™ oo non habcas, et videatur luna non magia quam terra auapte natura esse lucida, quippe ox coetu planotarum. Id nimlrura esse vidotur inter Bydera inerranza errantiaque discriminis, nt. cum illa de buo lucoant et sint instar boIìh totidem pcrenncB exundantesque splendori» fontes, undo et similem solari Bcintillationem obtinent, ista ox oppoaito non ni si niutuati- tiani et quasi precariam lucem nancÌHcantur (nempe quantum «ni proximu» voluti effundit, et ipsa inerrantia, propter immensa!» (listantiam cxilissinift visa, voluti instillant), ox quo obtusa immotaque et non fulguritantia aunt. Ergo, ut de luce lunao Becundaria iuxta an- tedicta pergam dicoro, patiere lubens, oximie vir, ut, quia Bcrupulus quiapiam haesit et rationes tua» percurrontem neacio quid remoratum eat, ideo adtingam breviter quid ad ra- tionos singola» viBum mihi fuerit piume reaponderi. 30 Praomittam aolurn, luculain illam quae in deticiento luna observatur, non osbo reflcxam a terra, instar illius videlicot quae in cadem coiiBpicitur dum ante et post coniunctionem non longo a sole Bpoctatur. Nam cum bine inde a sole est, facile radios excipit qui ex terra in solem directe, et in circumpositara regionom oblique, toto circiter honiispbaorio, repercutiuntur. Ex quo fit, ut versante luna intra id hemisphaerium, seu intra quudratu- ram utramque, Incula in illa rocepta adpareat, ac tanto quidem debilior, quanto a solo receditur iuagis, propter obliquare» et pauciores radios; donoc ultra quadraturaa tandem clanguescat et inconspicua prorsus evadat, oh radios obliquisBÌmos et voi pcrpaucoB vel otiam nulloa. Quod cum ita sit, qui poterit tieri ut luna soli opposita, et in alterius hemi- splmerii meditullio conBtituta (videlicet cnm deficit), lucem vel radios excipiat ex avorsa 40 terrao parte rcpercusBOH ? Censendum ergo potius est, praeter rndioB in terrae globum impactos et ox eo rollexoB, ceteros, qui incidunt circumquaque in aerem terrao circum- fusuni, rofringi, et ob aiiriB convexitatem retro colro; adeo ut conum umbrae terrtmao, futurum alias tota sua capacitato aequo obscurum, illustre™ faciaut, et maxime ad oiua partes circuì» oxtremas. Itine scilicot esse videtur, quamobrem luna, in umbrae conum tota domeraa, eam partem sempcr clariorem aervet, quae circumfercntiae umbrae est propinquior, eam obscuriorem quae remolior: quippe pauciores radii refracti versus centrimi umbrae pervoniunt, plures versus oius extrema. Neque mirum est, ai prò variis lucis et obBcuritatia gradibu3 luna tam vario coloreB niutet, ut in ruborem denique tetrnm ac peno inconspi- ouum vertatur. Vidimus certe aliquaiulo centrale prope deliquium, in quo parum aberat 50 quin luna, scu locus quom tcnebat, rcquircretur, adeo maligna ac peno nulla, qua discer- noretur, supererat lux; nude et subiit cogitare, tametsi nulli radii refracti ad lunam usque pertingerent, tantillam tamen luculam osso quae a stelli» oppositis illuBtrantibusque posset derivari. Sed ad rationos. Dicis, primo, lunam tam aute quam post quadraturas aequa distanti» a terra abesse, non vero a sole; quamobrem a aole, non a terra, peti lucia illius discrimina, atque adeo Lett. 40 42. 33. oiraumcwnpontam, L - 36. dune* intra quadratura!, L — 43. ilhutram faciat, L — 49. L — 230 13 AGOSTO 1G-10. [ 4042 ] ipsnmmet luceni. Sod patot ex elicti», discrimini cauBsam esso non raaiorom minoromve distantiam ab alterutro, verum maiorem minorenne relloxionis obliquitateni ot participa- tionem radiorum, cum nihil aliunde dicendum sit do acoessu et recesBu lunae respeotu terrae in oxcentrico, ex quo est diametri illius non acqua semper adparentia. Dici», seoundo, perexiguam esso eam lucom respectu ili ina qua luna plona terrai» co illustrai., et foro tamen ut easet iunior ai terra quasi piena Umani illustrare!:., cum ait molo iunior ot soli quam luna in plenilunio propinquior. Sed cur non potiua oxiatimemus, eiuamodi lucem osso maiorem ea qua terra per plonilunimn illustratili 1 , cum linee prooul spectan- tibus sic hebes evadat, ut nihil sit vernimi Ibis quam ipsam detectuni aegerrime iri ex luua, si quispiam illino spoctaverit. ? l)icis, tertio, luccm illara esso vividiorem au liinbnm quam in media facie, cum, seu luna conoavitatem sou politam convexitateni circa medium liabeat, possit inde magie ro- flectere lucem quam o superficie marginea, e qua radii praeteriluunt in aetherem. Veruni lux illa hobetior circa mediani regionem est ob macula» àlias prnegrandes, quae, quasi la- cunae seu maria, maiorem lucis partem (piasi coinbibunt, transmittuntqno in fundum; 70 cum ad lirabum non ita grandes lacunae sese oflerant, sed aolidiores parte», quae lucem potentius relleotant. Non quod lacunae quoque grandes versus superfìcicm margineam non sint; sed quod, nostro obtutui noti perinde obversao, non perinde respoctu nostri expli- centur, ob seriem quoruindaiii quasi montami sou conlineiitimn iiisularumquo, sua dovexi- tate illas occultantium. Non, itera, quod radii multi versus aironi non praeterfluant, sed quod plurimi ndliuc reflectantur, tamquara oxistonte ea ilevexitato acabra, non polita, et positarutn ox ordino aolidarum partium auperficieculas plurinias ad nos obvertente. Dicis, quarto, Galiloum opinione illa sua de creatione aurorao ex circuml'uso aere com- probare tuam de refusine lucis ox circumvicino aetliore sententiam. Sed dietimi inm est, quam brevis rofloxio ex oo a8re, quam insenaibilia aut nulla sperari ex aethoro possit. 60 Dicis, quinto, foro ut per totalem solis eclipsim eao tenobrno non crearentur, por qua» possent stellae etiam in meridie conspici, tamquom luna Beniper illustrata, nisi a toto termo disco, saltelli ab ea parte quam umbrae lunaria conus non occupai Veruni, si lux primaria et argentea lunao non obstat quin, latente sub terra aole, atollao a nobis conspi- oiantur, ecquid ni ini ni ai, occupato a luna aole, ea secondaria ot dchilis lux Btellarum conspoctum nobis non eripiat, ao tanto minus quanto, ex concessiB, non est a toto terrae disco, ipsa lunae opacitate partem illius occultante? Corte et nihil minus est mirimi si, debilissima cum sit., vix aut nullo modo discernatur per eclipsim, quae vix unquani est aut perseverai quicqunni totalis, oculis aliunde a luco solari praesente recenteve non pa¬ rimi ndlectis. Quod addi» vero, lunaui soli copulatala nullas tonebrus eflusuram, si fuorit 90 ipsa lucida, non potesb sano congruere nisi luna admissa fuerit tam lucida quam est sol ipso, aut saltelli ita diapbana ut radiorum solarium traiectioni obstaro nihil possit. Neu- truni porro admittitur; et vix locum liabere potest. quod quasi oliatimi assumis, minus Incidimi malori lucido copulatimi illius illuminationcm non impedirò : quippo quantum lucidum minus corpulentum est, tantum avertit radiorum lucidi maioris ; lindo ot fax et rogus ardens, quae exempla tua sunt., speciem umbrae creant ad partes soli oppositas ; quod do vitro quoque est Buperius dietimi. 56. caunam non, L — 70. cutnlibunt, L — 77. luperjtciculat, L — l:t — 23 auusti) 1 ij-i< >. [4042-4043] 231 Dicis, sexto, Venorem etiain in meridie plerunique voleri, quare et Umani per eam lucem visibilem fore, si tantopero u terra illustruretur. Sei! lux, qua Veiiu» conspicitur, 100 primaria ost imniediateque a Hole balista, quali» est ot illa argentea qua luna quoque interdiu apparot. Non viiletur miteni potuisao argumentum inde deduci ad lucem secun- dariam, quao in Venere etiarn nulla observntur, non modo interdiu, acd in vespertinis etiain matutinisquo tenebria, et no per telescopiun» quidoni, adro ut inter iliius cornila niliil a cnelo reliquo diverauni posBÌt observari. Dicis, septimo, lunaiu, «Inni eelipnim patitur, nihil lucia aceipere, ncque, a terra, tan- quam obscuram sui partcm ipsi obvertente, ncque n sol»*, tainquam ipsa terrneopacitato intercepto; quare et fulgorem in oa dopraelicnsuni, esse partila ab aethcre ropcrcusRimi, parti m nativum. Veruni, ut is fulgor sit ex railiis hoIìh in nero terrai) rofractis, iuvantibus otiain non nihil stollarum igniculis, inni auto declaratum rat. HO Dicis, denique, si radii soli» ailun vividi repercuterentur ex terra ut in lunam per* tingerent, eos, cimi dircctis coeuntos, regionem mediani aì ri» ita excalefacturns, ut non posseut in ea nix, grando, aliaque metheora progigni. Veruni, cimi illa ai ; ria regio saia ex caussis frigida sit, alia profecto indiget, ut possit iuralescere, quam opponila rad ioni ni simplicium dupliciumve coalitiono. Nani si pone vitruin convexnni aut in aprico cnlescit aer, ibi ea rndiorum est mnltiplicatio, quao in aero medio non occurrit. Quoti pula» miteni, solis railios ad lunam usque non rellecti, cogita, quaeso, si sul) meridiem adtollereris sensirn a terra, ita ut illuni rcBpoclares ex niilliari centesimo, millesimo, dorica et cen- ties ac tandem ducenties millesimo, scu ex orbe lumie, an non illuni aouiper decrescenteni quidem magnitudine, sed illuatratam tamen u solo, vidcresV Non ossot profecto locus in 120 quo evancsceret, tanta prae. ertim opacitato comparatione aetheria, tanta molo mpcetu lnnae. Si ita vero futurani esset, quid dubitemuB, solis milieu ad lunam usque reperenti, et lucem ibi esso ex terra, libi terra sit futura illustrisi* Gratias postremo debeo, quod sub digressioni» et capii is lineili meministi rursus et mei et propositi in epistola mi Naudeum problemnlin, ut cuiua solutio abs te tradita conferrc quiepiam visa sit explicamlae causae litbeospliori, 8 eu Ilononiensis lapiilis lucem externnni concipientis conservantisijue nliquantisper. Quo loco non est eur exeurram, ut nieum sym- bolum conferam, et maxime quidem oum ipse tam accurato opere aute\ erteli» ouineindi- ligentiam, etc. 4043 *. VINCENZO RENI EHI a VINCENZIO YIVIANI in Arcetri. Firenze, 23 agosto lii ta Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XV, car. 92. — Autografa. Molto IH." Sig. r mio Osa .® 0 La prego a farmi grazia ili dar al portator ili questa quo 1 libretti che posi da parte per legare così sciolti, clic li anderù legando; come anco a darli l'orologio e l’oflemeridi, ritenendo appresso ili sò quello ili Giove per poter questi pochi giorni osservarle, come 125. ejcjiìieandi oautae, L — 232 23 — 25 AGOSTO 1640. [4043-1044] la prego a faro in particolare posdimani a sera in quella orientalo più vicina a Giovo, che è la quarta o dovrà uscir dal’ombra, credo, circa le tre bore. Saluti il Sig/Galileo, e li dica che vo racquistnndo allegramente la sanità, e che hoggi si dovea far la lista do* dottori. Ohe è quanto m’occorre. Di Firenze, li 23 di Agosto 1640. Di V.S. molto 111.” Ser” 1). Vincenzo Ueniori, Fuori: Al molto 111.” Sig. r o l\ron Oss.™ 11 Sig. r Vincenzo Viviani. In casa del Sig. r Galileo Galilei. Arcetri. 4044. GALILEO a FORTUNIO LI CETI in Padova. Arcetri, 25 agosto 1640. Bihl.TsTftz. Pir. Mss. Gal., P. IH, T. VII, 1, cnr. 117, 148n, 1481». 148e. — Polla mano giovando dlYixo«tm< Viviani. Polla stesa» mano si logge, sul margino della car. 147r.: « Copia di una scritta al Licoti in proposito doli» lunn »; nm le cassature, o lo rimosso dio sono scritto su di un fogliottino incollato (cnr. I486, H8c), più ancora elio la mancanza della data o della sottoscrizione, mostrano elio il mano¬ scritto non ò tanto una copia, (pianto piuttosto una minuta; qualora non voglia dirsi elio, incominciato corno copia d’nna prima stosurn, o torso anello corno originalo da spedirsi, diventasse poi, por correzioni sopraggiunto, la minuta d’ una stesura successiva. 11 principio della lotterà, da « Ho sentita » ad « artifizio » (lin. 2-18), si logge altrosl a png. 167 dol D« luna» »u6oò»cura lue» prope eoniunelionit et in ticliptibut obetrvata ecc. Auctor Fortuniuh Licrtos occ., Utini. M.DC.XLII. typis Nicolai Scliiratti; o l’ultima parto, da «Io non ho liavuto ponsioro » a « felicità » (lin. 111-134), ò pubblicata, omesse podio pardo, a pog. 848-344 della stessa opora. I.a stampa procurala dal Lickti presenta, a confronto della minuta manoscritta, alcuno varianti elio abbiamo creduto opportuno sognnro (tralasciando quello puramente grafiche) appio di pagina; dove abbiamo notato altresì i brani che nel manoscritto si leg¬ gono sotto lo cassature, o qualche grafia sfuggita per laptut calami al giovino Viviani, elio noi testo abbiamo corrotta. Con l'aiuto della stampa I.ickti abbiamo puro integrato la minuta, aggiungendo 1$ data, la sottoscrizione (elio si leggono a pag. 814) o l'indirizzo (elio ò a pag. 107). Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r et P.ron mio Osser. mo Ilo sentita la lettera di V. S. molto 111.™ et Ecc. matn in risposta alla mia con la quale li mandai copia della lettera scritta in mia difesa dalle obiezioni fattemi da lei etc. Veramente ò ammirabile la mode¬ stia e delicatezza con la quale ella va vestendo i suoi concetti; li quali, benché in sè stessi contenessero internamente qualche poco di amarezza, tutta via, conditi con tanta soavità, vengono con di¬ letto e gusto dolcemente ricevuti. Io per me stimo che, in materia Lett. 4044. 3. La stampa Licrtt: monda» la copia — “> Cfr. n » 4037. 25 AGOSTO 1040. 233 [4044] di scientifiche dispute, forse lo censure che si fanno sopra le propo¬ rzioni e le oppinioni della, parte, procurando di scoprirle false et erronee, non siano dello meno gravi e sensibili: o pure V. S. può es¬ sere conscia a sò stessa del non liavor portato alcuno de’ mici pen¬ sieri, diversi da i comunemente ricevuti nelle peripatetiche scuole, il quale da lei non sia stato reprovato ; sì che lia ben sempre con titoli speciosi, por sua gentilezza e cortesia, adornato il inio nome, ma ben poi all’ incontro oscurati i miei pensieri. Io, conio liuonto rozzo e cortigiano poco accorto, quando mi è occorso scrivere o par¬ lare in mia difesa, non ho saputo servirmi di cotale artifizio. Ma voglio ben qui sogghignerò a V. S. (e «pia potrei addurli molti te- 20 stimonii) elio, parlando della persona sua, non ho taciuta l’ammira- ziono che tengo in me o che sempre ho tenuta del sommo suo sa¬ pere, il quale mi pare elio basti a superare le dottrine e cognizioni di dieci altri de i più eruditi huomini del nostro secolo; e se non che ella si è compiacciala di notare et emendare molto delle mie oppinioni, le quali io tengo por verissimo, già mai non mi sarei in¬ dotto a parlare do i suoi scritti so non con lo debite, cioè con le ecces¬ sive, lodi; o sempre terrò l’istesso tenore, ancorché la mia gravissima età et infelice stato siano per permettermi di parlar poco e forse di Scrivere niente. so V. S. Eccel. ma si duolo di mio punture, cioè che io habbia in due luoghi di quella mia scrittura troppo liberamente parlato, dicendo clic io habbia scritto quollo di che veramente ho io scritto il con¬ trario; nè può da lei esser dissimulato questo, poi elio ella medesima registra le mie proprie parole nel capitolo precedente al 1 /’, nel quale ella scrive il contrario. Io, Kecel. mo Signore, havorei delli altri luo¬ ghi da mostrarli come olla registra per mie oppinioni tali, che mai (la me non sono stato scritto nè tenute; e pure, per non partirmi di quello che larviamo per le mani, mi sono maravigliato che ella per cosa accennata dal filosofo Lagnila mi attribuisca clic io habbia 40 tenuto il lume essere cosa materiale e corporea, mentre che ella me¬ desima legge nell istesso autore che io mi era sempre tenuto tanto inhabile a poter penetrare che cosa sia il lume, che mi sarei esibito 10. La Stampa LiCKTI: all' incontro ferralo di oirurare * miri peni ieri. — 30. Ili luogo (li che io habbia «olla minuta era stalo scritto prima di bavere. — 41. Nella minuta ora stato scritto prima nel meditano autore ; poi fu cassato medesimo o sostituito itleteo, ina non fu corrotto nel in nell'. XVIII. 80 234 25 AGOSTO 1G10. [4044] a star in carcere in pane o acqua tutta la mia vita, purché io lussi stato assicurato di conseguire una da me tanto disperata cognizione. Altro simili imputazioni mi vengono imposto da lei nel libro De co- metis (1) , delle quali io no sono innocentissimo. Quanto all’altra, che ella chiama puntura, d’bavere io scritto di rispondere a chi sinistramente habbia usato la peripatetica dottrina, ciò mi venne detto perchè, contro a tutto lo ragioni del mondo, vengo io imputato di impugnatore della peripatetica dottrina, men- go tre io professo e son sicuro di osservare più religiosamente i peri- patetici, o per meglio dire aristotelici, insegnamenti, che molti altri li quali indegnamente mi spacciano per avverso alla buona peripa¬ tetica filosofia; e perchè quello del ben discorrore, argumentare, o dalle premesse dedurre la necessaria conclusione, ò uno delli inse¬ gnamenti mirabilmente datici da Aristotile nella sua Dialettica, men¬ tre io vegga da premesse dedur conclusioni che con esse non hanno connessione, e perciò deviano dalla dottrina Aristotelica, so io le emen¬ derò e le ridrizzerò, penso di potere meritamente stimarmi miglior Peripatetico, e che più destramente io adopri quella dottrina della co quale altri sinistramente si sia servito. Mi era parso che in certo silogismo, posto da V. S. Eccel. raa nel suo primo argomento, havesse introdotto un quarto termine, non toccato nello promesso ; et in un altro luogo in quello argomento, dove ella introduce Venere vista di giorno etc., mi era parso elio, oltre al quarto, ella introducesse anco il termine quinto, e che per ciò ella havesse piegato a sinistra nella strada del Peripato. Haverò caro di essero disingannato, e elio col ritorcere ella sopra di me la mia ignoranza si mantenga nella sua integerrima reputazione, la quale per tanti e tanti altri suoi mi¬ rabili discorsi si è appresso il mondo tutto guadagnata, mantenen- ro dola anco illesa et intatta da queste due minuzie. Che poi io sia stato troppo prolisso nel rispondere alle opposi¬ zioni fattemi con succinta ma ben concludentissima scrittura, sin¬ ceramente lo confesso a V. S. Ecc. lna : o dico che per mantenere ve¬ rissima la mia oppinione dell’essere la tenue luce secondaria della luna effetto de i raggi solari reflessi nella terra, bastava solo met- 45-1G. La minuta: De cornetta, nelle quali. — 47 La minuta: alla altra. — 53. La minuta: averto. — 5G. La minuta: dotaci. — <‘> Cfr. n.» 1435. ‘25 AGOSTO 1 (510. 235 [ 4044 ] turo in considerazione, dio so lo ragioni portato in contrario erano concludenti, lo medesimo con la medesima necessità havrebbero pro¬ vato che quel lutilo notturno elio illumina la terra, e che comune- so mente si chiama lunio di luna, non derivasse altrimonte da’raggi solari, ripercossi nel limar disco ; o porche questo in vermi modo può negarsi, così resta in tutto o per tutto necessario che i raggi solari rellessi dalla terra verso la luna la illustrino in quella parto che ella resta oscura et intatta da i raggi del solo. Ma perchè V. S. taco la maniera con la (piale la medesima terra, noli’ intenso modo illuminata e posta sempre nella medesima lontananza dalla luna, possa or più vivamente et hor meno illustrarla, mi tu forza qui dif¬ fondermi alquanto, per ben dichiarar questo punto e mostrar conio alternatamente ciò vidi fatto dalla terra nella luna o dalla luna nella do terra. Per altre simili necessità mi fu forza distendermi nel manife¬ stare quei particolari elio mi pareva elio potessero desiderarsi nel fare lo ragioni di V. S. necessariamente concludenti. Ma non lo do¬ veri parer nuovo elio in dichiarazione di un senso contenuto in po¬ chissimi versi talhora se ne scrivano venti volto tanti, e talhora an¬ cora molti più in confutarli. E qui voglio che V. S. Eccol. mR sappia che io, por non tanto soverchiamente estendermi in una lettera, tra¬ lasciai alcune altro considerazioni, osservazioni et esperienze, per le quali più ampiamente potevo mostrare, la saldezza della mia oppi- mone non essere stata debilitata dalie impugnazioni di V. S. ioo Clio poi di tal mia lettera ne sia andato copia in mano di alcuno prima elio pervenirne in mano di lei, non comprendo come ciò debba essermi ascritto a mancamento, sì elio anco in una scrittura privata, 90. Dopo terra nella minili» si leggo, cancellato : Questo solo dico bastava; e quindi, pur cancellato: E rislrignendo in brevissimo dite urto tutta la questione, diro in rotai guisa. Qual ti voglia corjw opaco, espo¬ sto [o prima ancora era stalo scritto opaco rime illuminato J alla ritta del tote, piena da » raggi Hi quello illuminato, et i meditimi raggi per i muti trasparenti e diafani ripercuote, et incontrando altri corpi opachi di luce secondaria gli illustra. Sono la terra e la luna corpi egualmente [o prima ancora ora stato scritto corpi opaci] capotti alla ritta del sole, e per ett Cfr. n.o -1011. <*) Francesco Uinuooini. 238 28 AGOSTO 1640. [4046] 4046. GALILEO a [BENEDETTO CASTELLI in Roma]. Arcetri, 28 agosto 1610. Bìbl. Naz. Fir. Msb. Uni., 1\ Ili, T. VII, 2, car 60 61. — Copia di mano dol koo. XVII, in capo nlla qunlo ai logge, (lolla stessa inano: « Copia (l'originalo scritto di cornicione dol Sigiti. G. mani* aliena». Rov. mo Padre o mio Sig. r Col. mo La prima vista elio hobbi di Saturno fu di tre stello rotonde, di¬ sposte in linea retta da ponente a levante, quella di mezzo maggiore assai delle due laterali: tale continuai a vederlo per alcuni mesi, et havendo poi intermessa la sua osservazione per alcuni altri mesi, tornai a riguardarlo, e lo trovai solitario, cioè la stella grande sola di mezzo. Meravigliato di ciò, andai meco medesimo pensando come potesse star tal mutazione; e immaginandomi un certo mio modo partico¬ lare, presi ardire di dire che di lì a Soli mesi, che veniva il tempo del solstizio estivo, sarebbero ritornate lo due picciole stelle laterali: io e così seguì, e si videro poi per lungo tempo. Doppo, liavendo di nuovo intermesso la osservazione mentre stette sotto i raggi del sole, tornai di nuovo a riguardarlo, o lo vidi con duo mitre in luogo dello stelle rotonde, le quali lo riducevano in figura di oliva. Vedovasi però la palla di mezzo assai comodamente distinta, o massime da due mac¬ chio oscurissime, posto nel mezzo delle attaccature dello mitre o vo¬ gliamo dire orecchi 1 ”. Tale si ò osservato per molti anni : et bora, come Sua P. llev. ,m * scrive, si veggono le mitro trasformato in globetti ro¬ tondi, che così ancora mi riferiscono amici miei; o potrebbe essere che da tre anni in qua, che io non l’ho potuto vedore, sia un’altra 20 volta rimasto solitario, e clic poi sia tornato al primo stato, nel quale da principio io lo osservai. Toccherà per l’avvenire ad altri il fare le osservazioni, registrando il tempo delle mutazioni; cliè sicuramente si troveranno i loro periodi, quando ci siano persone che babbuino Lott. 4040. 10. pinole — 11. longo — 15-16. mtirAia — 16. aitata ture — 17. orechi — 18. globeii 19. rìjf'vnecono — 24. irovanumo — <»» Cfr. nn. 1 1135, 1038, 1039. 28 AGOSTO 1640. 239 [4046] curiosità di faro quello ch’io, per non saper far di meglio, ho fatto per tanto tempo. Io mi reputo più di quello elio sin qui ho fatto, mercé dell’essere venuto in qualche concetto all’Ul. ra0 Monsig. r Cesarmi (1> ; se però la infinita ammirazione elio prendeva dall’ 111. 1,10 Sig. r D. Virginio o da so tutta la sua Casa, colma di tutto lo virtù, non mi ha guadagnato tanto nella grazia del presente Monsignor 111™ 0 , elio lo faccia trascen¬ dere di grandissimo spazio il mio tenuissimo merito. Vorrei rendoro le debite grazie a S. S. Ill. raa del benigno affetto verso di me, ma non saprei trovar parole condegno ad un tanto ufficio: supplisca ella per me con la viva voce, offerendoli tutto quello che sta nello mie debo¬ lissime forze, il elio veramente ò poco più che niente. La P. V. lt. ,na ha mantenuto qua i padroni, gli amici, i servitori, in una continua fluttuazione di speranze o di timore, e puro ancora ne va mantenendo, so non del venire per fermarcisi, almeno per la¬ nciarsi godere por alcuni pochi giorni; o sarebbe bene elio quell’ul¬ timo attacco il quale ella dà nell’ultima lettera scritta al Sig. r Guer- rini (2) , non andasse in fumo corno l’altro ch’ella puro da principio detto, elio in tutto lo maniero ella voleva adempire il desiderio di qua o di sò stessa. Di grazia, non dia occasione di esser tassata per incostante e che poco leghino lo sue parole. In difetto di loi ò stato condotto alla lettura della mathematica in Pisa il molto 11. P. D. Vincenzo Pionieri, genovese, molto mio amico, il quale, corno ella ancora fa, continuando lo osservazioni di Giove, et havendogli io comunicato numero grandissimo di osservazioni fatte bo da me por molti anni passati, ha conseguito il calculo assai comoda¬ mente aggiustato per lo costituzioni future di sera in sera. [Pia]cemi sommamente che quello, elio non posso proseguire] o continuare io, sia fatto da’ miei cari amici. E qui r[i]verentemente gli bacio le mani e gli prego felicità. D’Arcetri, li 28 Agosto 1640. Della P. V. Rev. mn Dev. mo et Obblig. mo Sor.™ Galileo Galilei. 27. del tisere — 20-30. e di (ulta — 32. Vorei — 38. Jlutuaxion* — 40-41. ?w Ferdinando Cebarum: cfr. n.® 1039. (*> Beskdetto GuBRRixr. 240 28 AGOSTO 1G40. [4047] 4047 **. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO In Arcetri. Bologna, 28 agoiito 1G40. Blbl. Naz. Plr. Un. Gal., P. VI, T. XIII, car. 220. — Autografa. Molto 111." Ot Ecc. ra0 Sig. r o P.ron Col. n0 Quando olla non vedo mie lottoro, s’assicuri pure olio por ordinario mi trovo oppresso et impedito dalla mia solita indispositione. Così m’ò occorso da circa un mese o più in qua, o nè anco ne sono libero, chè scrivo nel letto con la mano molto debolo. Manderò la lotterà al Sig. r Liceti, il quale in somma, cercando di acquistarsi gloria con pigliar la pugna con i primi lettorati do’ nostri secoli, V. S., elio si può chiamar tra essi la fenico, troppo gran copia gliene ha somministrato con mostrare di faro tanto capitalo dello suo istanze. Io son con loi noll’opiniono di quel lume secondario della luna, anzi, subito ch’io Tintosi, mi parvo Lavorio tanto del naturalo, elio non potesse staro in altro modo. Così credo elio gli huo- mini amatori del vero adheriranno a questa o non ad altra opinione, come fen¬ duta sopra saldissimo ragioni o sensatissime esperienze. Non voglio poi restar di dirlo, con occasiono di questa benedetta luna, eli’io resto pure sommamente ammirato quando rimiro la di lei faccia tutta sparsa di cerchi, o por dir meglio di argini circolari, quali grandi, quali piccioli, quali distanti, quali vicini o elio si tochano, o che generalmente nel mozo di ciascun argino vi è un monte, il elio mi dimostra la proiettiono dell’ombra, sì come anco che il dotto circolo sia come un argino, parendomi così alla grossa che il dia¬ metro di alcun argino sia di 00 miglia, più o mono otc. Et a elio fino, Dio 20 buono, questi recinti, con questi monti in inezo? per non diro dello lunghe tratto de’ monti, massimo circa lo macchio antiche, privo poi, se non m'inganno, di detti argini circolari. Gran prurito in somma sento T intelletto in vedere simili coso, non potendo passar più oltre. E con tale occasiono li dico di più, che mi saria caro sapere se li paresso sofficienteiuente riprovato elio la materia dello macchio antiche della luna non possi esser acqua 0 in somma corpo fluido, con dire che se fosso tale, por virtù del solo so no sollevarobbono vapori, si forma- rebbono nuvole 0 pioggia sopra l’istessa luna, il che poi pare elio non si osservi che si facci in essa luna. Mi scordavo dirli elio ho letto la lettera diretta al S. r Liceti con molto mio 30 gusto, perchè in essa lo tratta conio apunto si merita. Mi spiaco della dispo¬ rla 40 47. 28. ti poi — [404740481 M - 31 aoohto 1640. 241 rata venuta del R.** P. D. Beoed • 1 tali ift d eh* haruto un contracambio di aumento molto oc u ràde ra h fl e, o, per dir MgUo, . » n incoie¬ remo di liavor a fare il triunirirato forai a qualche non sperata occasione i questo finisco, ricordami.'im i.» •».*• et Oh* 8er " e D> F. Bon." Cav.- Fuori: Al molto 111.** et Ecc.-“ 8ig • e P.ron l’oL** 11 Sig. r (ìal.* Galilei. Firenze. Ad Arretri. 4048 . FORTUNIO UCKTI a GALILEO in Fimi** PmIotb, SI tfMl* IMO. Bibl. Na«. Fir. Mt. Ut 1 P VI T XIII. nr : 2 Avi Gio. Miciiklk I’ikrucoi. 244 1° — 7 SETTEMBRE 1640. [4050-4051] Resto con particolare obbligationo alla sua gentilezza della viva memoria elio conserva della mia servitù, restando con qualcho mortificatione di non potoro altrimenti che con parole rappresentargli la grandezza delle mie obbligatami; o tanto più, quanto elio io conosco di essergli sempre apportatore di nuovi in¬ comodi, come particolarmente segue con la presento. Sento elio V. S. Ecc. raa Labbia scritto una lettera al Sor." 10 Sig. r Principe Leopoldo, in risposta di corto io sciocclio obbietioni fatto dal Licoti contro al lume secondario della luna, prove¬ niente dal reflesso della terra inluminata: so con il mozzo di qualcheduno di cotesti Padri dolio Scuole Pio io potessi haverno una copia, mi saria a sommo favoro. Supplico ancora la sua gentilezza a volermi far gratin di avvisarmi conio si possa ridurre in atto l’esperienza dello pietre di Bologna elio conservano la luco, poiché quello delle quali V. S. Ecc. roa mi favorì non fanno tale effetto, nè a mo nè al Sig. r Dottor Piorucci è riuscito, con il calcinarne una, ridurla in grado da potersene servire. Mi condoni con la solita sua cortesia tanti incomodi o mi continui l’honoro della sua gratia, montro io senza più gli bacio rovorontonionte lo mani. 20 Vonczia, primo 7mbro 1 fido. Di V. S. molt’IU. ro ot Ecc. ma Dcv. m0 et Obb. mo Se. re Sig. v Galileo Galilei. Fran. co Rinuccini. 4051. FORTUNIO LICETI r [GALILEO in Arcetri]. Padova, 7 settembre 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 221. — Autografa. Molt’ 111.** et Ecc. mo S. or 0 mio P.ron Oss. mo Dalla gentilissima sua do’ 25 passato (1) ricevo la gratia di poter honorare il mio componimento del candor da lei chiamato della luna con lo suo bellissime considerationi, che prometto d’inviarmi ripulite, sotto altra forma o con aggiunta di nuovo spcrienzo ; di elio mo le professo grandemente obligato, ricevendo tutto ciò a sommo favore, e con estremo desiderio sto aspettando di godere delle spo- colationi sue ingegnosissimo, dalle quali vivo sicuro di dovero imparar molto. Il mio lino altro non è che di sottilizar seco questa materia bellissima, da altri tino a qui non tocca se non da noi, eccitando la solertia del suo sublime in- »*' Cfr. li.® 1044. 7 SETTEMBRE 1610. 215 [4051] io gcgno con lo mio contradittioni a partorire concetti degni del suo gran sapore, reputando a mia gloria o somma ventura l’essere da lei addottrinato in quosta così oscura luco della luna. K sì come nello suo oppositioni io non voglio rico¬ noscere sorto alcuna di amarezza, ma quella dolcezza di dottrina olio nello con- tradittioni di Socrato provar solevano i suoi discepoli, così vorrei elio V. S. nello inio non ponesse coll’imaginatione sua punto di amaro, non liavomlovi posto io altro elio il dolco di un puro desio di scoprire la verità, per mantenimento della qualo in* insegnò Ari.stotolo doversi contradiro non solo a gli amici, ma rifìutaro anello lo proprio opinioni, per l’ndictro abbracciato et hauto in pregio. Nell’adoprar seco sempro termini di vonerationo, dovuti non meno all’antica 20 nostra amicitia elio alla sua chiarissima fama di uno de’ maggiori matematici del nostro secolo, procurerò di non lasciarmi vincerò: nella dottrina poi, altre- tanto mi sarà caro di essere da lei rimesso nolla destra via del vero, quanto ini potesse piacerò di non liavor mai deviato alla sinistra ; ili elio Insterò il giu¬ dico all* ingenuità degli intendenti. Clio V. S. professi di non contradire alla dottrina Aristotelica, mi ò molto caro, sì conio (per dirglielo liberamente) mi ò molto nuovo, parendomi da gli scritti suoi raccòrrò il contrario; ma può essere elio in quosto particolare io m’in¬ ganni, con molt’altri elio sono dcll’istesso parere. Mi duolo elio V. S. formi concotto ch’io piò d’una volta lo habbia attribuito 30 positioni non suo, non essendo mai stato mio pensiero di ciò faro, conio altro volto lo ho scritto o conio sporo di sincerarla a suo tempo. La lunghezza poi da V. S. tenuta nel risponderò allo mio brevi ragioni, l’ho ricevuta io a mio grando lionoro o no lo ho reso gratie, sì corno fo di bel nuovo, o mi pesa ebo ciò da lei sia stato proso in diverso sentimento dai mio. Io prendo però in grado tutto quello elio si ò compiacciuta di scrivermi ; ma la supplico bono a credoro elio la mia lettera sia stata scritta con semplice purità d’animo, lontano da ogni artifitio cortigiano. Questa sua mi fu resa sabato, dopo ebo il giorno procedente lo liavovo in¬ viata un’altra mia (l \ nella qualo io la pregavo di questa gratin, elio bora be¬ lo inguauiente mi concedo. E por lino lo prego da Dio benedetto prosperità, con baciargli lo mani di tutto cuore. Starò in Padova tutto Settembre; partirò per Bologna nel principio d’Ot- tobro: che lo servi por sapere dove inviarmi l’houoro de’suoi comandi. Pad. a , 7 7brc 1640. Di V. S. molt’Ill. e et Ecc. ma (1 > Cfr. h.o 4018. Aff. mo o Pcvot. mo Ser. r0 Fortuiiio Licoti. 246 8 SETTEMBRE 1010 [4052] 4052. BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Firenze-. Roma, 8 settembre 1640. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gnl, P. VI, T. XIII, car. 220. — Autografa. Molto 111/ 6 ed Ecc. mo Sig/° o P.ron Col. m ° lori sera lessi in carrozza la lettera Ul di V. S. molto 111/*» od Ecc. ma all’Ill.™ 0 Mona/ Cesarmi t#) , elio restò stupefatto dello mutazioni di Saturno, o molto più di quanto olla con lo suo faticlio o con l’ingogno ci ha scoperto, o mostrata la strada a’ posteri di penetrare più oltre : o quando io lessi quella parto della lot¬ terà nella quale mi commnnda che passi con S, Sig/ ia Ill/ na quoH’oflizio, mostrò di stimaro l’honoro, elio V. S. li faceva, sopra modo, e mi comandò procisamento elio gli no rendessi affettuosissimo grazie, e soggionso che faceva più stima di questo elio di qualsivoglia favore elio gli fosse stato fatto da un grandissimo monarca; e m’ha detto di volere la copia della lottora o elio no volo tenoro io eterna memoria, e la ringrazia ancora deH’honoro elio olla fa a tutta la sua Casa ed in particolare alla memoria veramento 111.™* di Mons/ Don Vorginio. Quanto al mio negozio, sono molto ben sicuro in conseionza elio non ò man¬ cato da me, perché ho fatto tutto il possibile per ricovero il favore elio mi faceva il Sor. 1 " 0 Gran Duca, ma non si ò potuto più. Por Pavvenire moverò ogni pietra; o in tanto sappia elio per ancora non sono comparso avanti nirEm. rao Barberino* 31 , nò mi dà il cuore di comparirci : e quando potrò, farò conoscere a tutti elio io non sono inconstante. Ho poi sontito con gusto che la catedra dolio matematiche di Pisa sia stata provista di un soggetto tanto honorato corno ò il Padro Riniori, nel quale si andarà continovando di coltivare i fecondissimi semi della dottrina 20 di V. S. Ecc. ma La prego a fargli riverenza in mio nomo 0 dodicarmcgli sono: con che li fo riverenza. Di Roma, l’8° di 7bro lf>40. Di Y. S. molto 111/ 0 ed Ecr ma Dovotis.® ed Oblig. mo Sor/ 0 0 Dis. 10 S. r Gai. 0 Don Bencd. 0 Castelli. Fuori: Al molto 111/ 0 ed Ecc. mo Sig/° 0 P.ron Col. mo Il Sig/ Galileo [Galilei, p.|° Filos. 0 del Ser. m0 Gr. Du. di Tose/ Firenze. <•» Cfr. n.® 4040. •*> Ferdinando Cesarini. Francesco Barberi?»». [40584054] 13 - 15 SETTEMBRE 1640. 247 4058*. FORTUNIO UCETI a [GALILEO in Arcetri]. Padova, 13 settembre 1G40. Bibl. Est. in Modenn. Raccolta Camper!. Autogrill, 11.* I.XXV1II, n° 112. — Autografa. Molt’Ul.” ot Ecc.'"° S. r o P.rou Col. 1 " 0 Con altra mia 111 lo rosi gratto o ino le professai obligatissimo perl’honoro cho mi fa noi darmi Tassonso di publicaro lo .suo nobili considorationi con li mici sensi circa il candoro della luna: lo fo di boi nuovo; ofc con grandissimo desiderio di Lavorio in quella forma cho più lo piacerà, lo sto attendendo, sicuro di dover molto profittarmi dello aggiunto elio vi farà. Fra tanto mi conservi nella sua gratta, scusando la mia brevità, chò a pena mi permetto l’angustia del tempo di sogghignarle elio io sono stimolatissimo da porsono, cho tengono sopra di ino supremo grado di autorità, di publicaro questo mio spccolationi, sicliù non posso io far di mono di ubidirli. N. S. la prosperi, elio por fin di questa lo faccio molta riverenza. Pad. a , 13 7mhro 1040. In V. 6. molt’ IU. ro ot Eco." 1 * Dovot. n, ° ot Oblig. ni0 So.” Fortunio Liceti. 4054. GALILEO a FORTUNIO LICETI fin Padova]. Arcetri, 16 settembre 1640. Bibl. Naz. Fir. Msb. fisi., P. Ili, T.VIT, 1, csr. 145-14G. - Copio della inano giovanile di Vincenzio Vivtani, di pugno del quale si legge, sul margino superiore dol primo foglio, a sinistra: « Copia », o in calce dol secondo foglio: < Copia di una mia, in risposta a una del Liceti delli 7 di 71*ro l[C10j ». Noll'opera dol Liceti, Ve lumie luLohcura luce occ. (citata nell’informazione del n.® 4041) si leggono, n pag. 161, lo lin. 57-70, da JVw. reputa a nitri, e a png. 880 lo lin. S2-87, da Quanto a Iute. Appiè di pagina abbiamo notato, con la lettera L, lo varianti cho in quosti brani presenta la stampa Liceti, montro abbiamo distinto con la lettera V le grafie e gli errori che nella copia manoscritta sono da consido- raro con tutta vorisimiglianza corno lapmt calami dol giovinetto Viviani (cfr. ia citata iulormaziono dol n.<> 4011). Molto Ul. re et Eccl. mo Sig. r et P.ron Osse. mo La gratissima di V. S. molto 111. 1 * et Eccel. mn delli 7 stante f2) , piena di termini cortesi et affettuosissimi, mi è stata resa questo giorno; “» Cfr. u.° 4051. »*> Cfr. u.« 4051. 218 15 SETTEMBRE 1040. [ 4054 ] e non liavendo io altro tempo di risponderli fuorché poche ore che restano sino a notte, per non differire la risposta una settimana più in là, cerco di satisfare a questo obligo benché succintamente, ma però con pure e semplici parole. A quello che V. S. Eccel.“ ft insieme meco grandemente desidera, cioè che in dispute di scienze si osservino quei più cortesi e modesti termini che in materia sì veneranda, quale ò la sacra filosofia, si con- io vengono, li do parola di non mi separare pure un dito dal suo ingenuo et onorato stilo: per il elio faro userò li stessi titoli, attributi et encomii di onorevolezza verso la persona sua, che ella verso di me ha liuma- namento adoperati, benché molto più a lei elio a me, o molto più eccellenti, si converrebbero; ma la sua singoiar cortesia non me ne ha lasciati di potere usarne maggiori. Mi giunge grato il sentire elio Y. S. Eccel. ma , insieme con molti altri, sì come ella dico, mi tenga per avverso alla peripatetica filo¬ sofia, perche questo mi dà occasione di liberarmi da cotal nota (chè tale la stimo io) c di mostrare quale io internamente sono ammiratore 20 di un tanto liuomo quale è Aristotile. Mi contenterò bene in questa strettezza di tempo accennare con brevità quello che penso, con più tempo, di poter più diffusamente o manifestamente dichiarare e con¬ fermare. Io stimo (e credo che essa ancora stimi) che Tesser veramente Pe¬ ripatetico, cioè filosofo Aristotelico, consista principalissimamente nel filosofare conforme alli Aristotelici insegnamenti, procedendo con quei metodi e con quelle vere supposizioni e principii sopra i quali si fonda lo scientifico discorso, supponendo quelle generali notizie il deviar dalle quali sarebbe grandissimo difetto. Tra queste supposizioni è tutto so quello che Aristotele ci insegna nella sua Dialettica, attenente al farci cauti nello sfuggire le fallacie del discorso, indirizzandolo et adde¬ strandolo a bene silogizzare e dedurre dallo premesse concessioni la necessaria conclusione; e tal dottrina riguarda alla forma del dirit¬ tamente argumentare. In quanto a questa parte, credo di bavere ap¬ preso dalli innumerabili progressi matematici puri, non mai fallaci, [tal] sicurezza nel dimostrare, che, se non mai, almeno rarissime volte io sia nel mio argumentafre] cascato in equivoci. Sin qui dunque io sono Poripatetico. Lett. 4054. 1S. averto, V — 37-38. volte i tia, V — 15 SETTEMBRE 1G4Q. 24<> [40541 40 Tra le sicure maniero por conseguire la verità è l’anteporre l'espe¬ rienze a qualsivoglia discorso, essendo noi sicuri che in osso, almanco copertamente, sarà contenuta la fallacia, non sondo possibile che una sensata esperienza sia contraria al vero: e questo ò pure precetto sti¬ matissimo da Aristotile e di gran lunga anteposto al valore et alla forza dell’autorità di tutti gli huomini del mondo, la quale V. S. medesima ammette che non pure non doviamo cedere alle autorità di altri, ma do¬ viamo negarla a noi medesimi, qualunque volta incontriamo il senso mostrarci il contrario. Or qui, Kccel. mo Sig. r , sia detto con buona pace di V. S., mi par d’essor giudicato per contrario al filosofar peripatetico da Bo quelli che sinistramente si servono del sopradetto precetto, purissimo e sicurissimo, cioè elio vogliono che il ben filosofare sia il ricevere e soste¬ nere qual si voglia dotto e proposiziono scritta da Aristotele, alla cui assoluta autorità si sottopongono, e per mantenimento della quale si inducono a negare esperienze sensate o a dare strane interpotrazioni a’ testi di Aristotele, per dichiarazione e limitazione do i quali belio spesso farebbero dire al medesimo fdosofo altre cose non meno strava¬ ganti e sicuramente lontano dalla sua imaginazione. Non repugna che un grande artefice habbia sicurissimi e perfettissimi precetti nell’arte sua, e clic talvolta nell’ operare erri in qualche particolare ; come, co per esempio, che un musico o un pittore, possedendo i veri precetti dell’arte, faccia nella pratica qualche dissonanza, o inavvertentemente alcuno erroro in prospettiva. Io dunque, perchè so che tali artefici non pure possedevano i veri precetti, ma essi medesimi ne erano stati li inventori, vedendo qualche mancamento in alcuna delle loro opere, devo riceverlo per ben fatto e degno di esser sostenuto et imitato, in virtù, dell’ autorità di quelli ? Qui certo non presterò io il mio assenso. Voglio aggiugnere per ora questo solo : che io mi rendo si¬ curo elio se Aristotele tornasse al mondo, egli riceverebbe me tra i suoi seguaci, in virtù delle mie poche contradizioni, ma ben conclu- 70 denti, molto più elio moltissimi altri che, per sostenere ogni suo detto per vero, vanno espiscando da i suoi testi concetti che mai non li sariano caduti in mente. E quando Aristotele vedesse le novità sco¬ perte novamente in cielo, dove egli affermò quello essere inalterabile et immutabile, perdio niuna alterazione vi si era sino allora veduta, 45. della autorità, V — 53. e per manlimento della, V — 58. nella arte, V — 59. nello operare, V (nell'opera- re, L) — 62. errore di protettiva, L — 66. della autorità, V — di quello/ Qui, L — 70. pii ohe li molti altri, L XVI li. 83 250 15 SETTEMBRE 1040. [4054] indubitatamente egli, mutando oppimene, direbbe ora il contrario; oliò ben si raccoglie, elio mentre ei dico il ciolo esser inalterabile, perché non vi si era veduta alterazione, direbbe ora essere alterabile, perché alterazioni vi si scorgono. Si fa l’o[ra] tarda, et io entrerei in un pelago larghissimo se io volessi produr tutto quello che in tale occasione mi è passato più volto por la mente; però mi riserverò ad so altra occasione. Quanto all’havermi V. S. Eccel. mn attribuito oppinioni non mie, ciò [può] essere accaduto elio ella no habbia prese alcune attribuitemi da altri, ma non già scritte da me : come, por esempio, che, per detto del filosofo Lagnila, io tenga la luce esser corporea, mentre che nel medesimo autore e nel medesimo luogo si scrivo, liaver io sempre in¬ genuamente confessato di non saper elio cosa sia la luce; o così il prenfder] corno risolutamente primarii miei pensieri alcuni portati dal . Sig. T Mario Guiducci, potrebbe esser che io non ci havessi havuto parto, benché io mi reputi a onore che si creda tali concetti esser oo mia, stimandoli io veri e nobili. Circa l’efsser] per avventura parso prolisso noi rispondere allo sue obiezioni, non lo ascrivo io a minimo neo, nò pur ombra di in¬ dignazione in V. S. Eccel. ma , sì come nò anco in me mancamento], se non in quanto con minor tedio del lettore bavere! potuto espri¬ mere i miei sensi; ma la mia naturai durezza nel dichiararmi mi fa tal volta traboccare dove io non vorrei : oltreché, sia per la nostra concertata filosofica et amichevole libertà lecito di piacevolmente dire, quando ella paragonassi la multiplicità o lunghezza delle opposizioni che ella fa alla unica mia proposiziono del candore lunare, distesa 100 in pochissimi versi, paragonasse, dico, con la lunghezza delle mie ri¬ sposte, forse ella non troverebbe la proporziono de i suoi detti a’ miei minore della proporzione de i versi della mia lettera a i versi che le sue instanze contengono. Ma questo son coserelle da non prenderle altro che per ischerzo. Piacemi grandemente che ella applauda al mio pensiero di ridur in altra testura le mie risposto, inviandole alci medesima; dove bavero campo di non mi lasciar vincere in usar termini di reverenza al suo nome, benché io sia certo di dover esser di lunga mano superato in dottrina dal suo elevato ingegno. Potrebbe bene accadere che il mio no 79. valette,V — 82. al Inverni, V {all'havernii, L) — 80. anfore ti terire, T, — 89. battete,V— 90. reputa^— 15 SETTEMBRE 1G40. 251 [4054-4056) infortunio di havere a servirmi dolli occhi e della penna di altri, con troppo tedio dello scrittore, prolungasse qualche giorno di più quello elio in altri tempi por ino stesso haveroi spedito in pochi giorni, et ella, per la prontezza o vivacità del suo ingegno, in poche ore. Viva felice o mi continui la sua buona grazia, da me por favo¬ revole fortuna stimata e pregiata; et il Signor la prosperi. D’Arce tri, li 15 di 7bre 1G40. 4055 *. VINCENZO II ENI E HI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 15 settembre Itile. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Camporl. Autografi. B. % I.XXXV1, n.° 128. — Autografa. Molto III.” et Ecc. mo mio S. r o P.ron Col." 10 Mi è stato necessario il tratenormi a Pisa, perchè por il viaggio patii di modo elio non liobbi animo di passar più avvanti; nò di qui penso partire prima elio giunga a Livorno la galora padrona di S. tó Stefano, qualo devo passar a Genova o d’bora in bora s’aspetta. Dolla saluto sto mediocremente, e stento a ritornar su la gagliardia eli prima; tuttavia spero a’freschi di ritornarci. Che è quanto ni’occorro dirli dolio stato mio; o pregandola a conservarmi nella sua buona grazia, a lei ot al S. r Viviani bacio caramente lo mani. io Di Pisa, li 15 7mbro 1040. Di V. S. molto Ul." et Ecc. m,t Dov. mo et Obl. mo Sor." D. Vincenzo Reiiiori. 4056 *. FRANCESCO RINUOC1NI n GALILEO [in Arcetri]. Venezia, 15 settembre Itilo. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, R.“ I.XXXVII, u.» 8. — Autografa la sottoscrizlono. Molt’Ill. re ot Ecc. mo Sig. r o P.rono mio Osa." 10 Giù, elio V. S. Ecc." 11 resta, occupata in ampliare la lettera per mandare al Sig. r Licoti, con aggiungervi nuovo considorationi per dar campo a questo gian filosofo di mostrare il suo incompronsibilo valore, io indugierò a ricovero i suoi 252 15 — 17 SETTEMBRE 1640. [4056-4058] favori in tal tempo; o so la pazzientia mi riuscirà un po’bone, vedrò di rice¬ verò il favore o dal Padre Maestro Fulgontio o dal bug. Pietro Liiuler, come V. S. Ecc. n,a mi accenna. Quanto allo pietro lucide, il Sig. ricrucci, qualo fu qui, volso calcinarle a suo modo; ma io ho sicura speranza, quando quest’altro mese si rimetta il foco a questo fornaci o cho io sia sbrigato da un altro negozictto elio mi tiene io occupato, poterlo ridurrò in quolla perfotiono che si ricerca, senza bavero ad aspettare d’impararne la calcinationo da questo gran filosofo, con il qualo io penserei un pozzo a barattarmi. Accuso a V. S. Ecc. mB il recapito dello suo por il P. M. Fulgontio c por il Sig. r Liceti, e gli bacio con pienissimo affetto le mani. Ven. a , 15 Sctt. ro 1640. Di V. S. molto Ul. re et Ecc.“* AfT."'° ot Obi.™ So." 5 Sig. r Galileo Galilei. Frali. 00 Kinuccini. 4057 **. IACOPO SOLDAN1 a [LEOPOLDO DE’ MEDICI in Siena], Firenze, 15 scttembro 16-10 Arcli. di Stato in Firenzo. Filza Medieoa 5550, lotterà n.° 5271. — Autografa. .... La scrittura del S. r Galileo ò in mano del S. r Francesco Nerli, il qualo ha ordine da Ini di notare tutte le mordacità, essendo risoluto, conforme al consiglio di V. A., di levarle tutte.... 4058 **. MARIO GUIDUCCI a GALILEO in Arcctri. Firenze, 17 settembre 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 176. — Autografa. Molto 111." 5 et Ecc. ,no S. r o P.ron mio Oss. ,no Io dissi alcuni giorni sono al S. r Iacopo Soldani il pensiero di V. S. circa allo scrivere a dirittura al S. r Liceti quanto ella aveva scritto ai Sor." 10 S. r Prin¬ cipe Leopoldo; di elio avendono esso dato conto a S. A., ha avuto risposta che lo piaco il pensiero, ma che avrebbo desiderato cho V. S. avesse levato del di¬ scorso alcuno parole cho apparivano pungenti e piccanti, per non irritaro un lmomo tanto maledico corno in altre occasioni si ò scorto il Licoti. Risposi olio V. S. si sarebbe attonuto al peiisioro di S. A., quando lo fusso stato mostrato 1© [4058-4059] 17—21 SETTEMBRE 1040. 253 punture, le quali non aveva avuto intenzione di mettervi corno tali. E perchè io esso S. r Iacopo si esibì (li notarlo insieme col S. r Francesco Nerli (1) , non ho ancora riavuto la scrittura nè il libro : proccurorò bene di riaverlo quanto prima, e verremo il S. r Iacopo et io a riportarglieli, avendo esso S. r Iacopo ordino di visitar V. S. a nomo di S. A., avanti si parta por Siena. E le fo riverenza. Di Firenze, 17 di Sett.™ 1640. Di V. S. molto DI.” et Ecc. ma Obb. mo Sor.™ Mario Guiducci. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. roo S. r o P.ron mio Col." 10 11 Sig. r Galileo Galiloi, in Arcetri. 4059 *. FORTUNIO LICETI a [GALILEO in Arcotri]. Padova, 21 settembre 16-10. Bibl. Est. in Modena. It&ccolta Cauipori. Autografi, D.» LXXYIII, u.® 144. — Autografa. Molt’Ill. r ° ot Ecc. m0 S. r o P.ron Oss. ,no Finalmonto ho ricevuto alcuni esemplari De centro et circumferentia : no invio uno a V. S., insieme con altra operetta finita di stampare piu- bora in Padova, in sogno della mia riverente osservanza. Si compiacerli di farsi leggero qualcho parto del primo, con honornrmi di avisarnii de’ miglioramenti ebo sti¬ merà, dovorsegli faro, che lo no resterò con perpetua obligationo. Sto aspettando con grandissimo desiderio la sua compositiono del candore, accommodata a modo suo, per gustare dolio aggiunte ebo mi scrisso volergli fare. Fra quindici giorni penso di essere in Bologna, dovo starò attendendo li io suoi favori. Fra tanto mi conservi nella sua gratia, cho io resto pregandolo dal Cielo prosperità.. Pad.*, 21 7mbre 1640. Di V. S. molt’ 111. 0 ot Ecc. ma Dovot." 10 et Oblig. n, ° Sor.™ Fortunio Liceti. All’opera De centro mandatami manca mezo foglietto di corti versi, che le manderò poi; se bone non sono nccossarii alla materia, ma si sono posti por compiacere li amici. Cfr. n.« 4054. <*) Fohtunio Licbti. 21 SETTEMBRE 1010. 255 [ 4001 ] io starsi fama col contradiro a lei et insieme all’istessa verità di natura. Tutta volta ancor ogli meco confessa elio questo a noi altri sia di benefizio, perchè dà occasiono a Y. S. Ecc. ,na d’aprire i tesori dol suo divinissimo ingegno et arric¬ chirò il mondo di tanto bollo speculazioni o di tanti nuovi ritrovamenti et arcani reconditi della natura, da loi sì chiaramente o con sì nobile eloquenza spiegati. Il Sig. r Filosofo ancora con segni di molto ossequio la riverisco, o mi dico ch’egli non por altro ha intrapreso o continua con lei questa disputa, elio per sottilizzavo o chiarificare questa così oscura luco della luna, o per insegnare agli altri come si disputi tra i filosofi o lettorati. Nel qual particolare, so potessi parlar in voco con V. S. Ecc. ,na , lo direi di bollo coso di quel elio seguo o si so dico in questo parti, ma non ardisco metterlo in carta; seben nel fino dell’ultima mia lettera mi ricordo elio ino no scappò una, elio varamento vorrei havorla ritenuta; o però supplico adeaso quoH’amorevolo affetto, ch’ella por sua grazia mi compartisco, a farla stracciare et abbruciavo por ogni buon rispetto. Le dirò bone, conio bavomlomi ogli stosso favorito della lettera di V. S. Ecc. mn , io subito la copiai, o con nuovo sommo piacerò rilessi, riconsiderai o rianimimi. Noi parlar poi una volta con S. Sig. ria Ecc. m# di quel lume elio vicino alla congiunziono si vedo maggioro nel dintorno del disco lunare, io gli dissi elio a mo pareva ch’egli non fusso parto di quello del (piai si disputa, ma elio fosso una parto dolio splendor primario do’ raggi solari, o puro uno sbattimento di no quegli nel corpo stesso della luna, essendo quello un lumo di color pieno o (piasi aureo, non argenteo o tornio conio è il reflosso dalla terra; tanto piò elio io pen¬ savo elio, per essere il corpo luminoso del solo tanto maggioro di quel della luna illuminato, venisse però ad illuminarne più della metà di quella, ondo non sia maraviglia so da noi si vegga quel sottilissimo cerchio ili lume primario ancora dall’altra banda opposta alla falco luminosa, o così d’ogn’intorno ; dove si vedo tal lume tutto d’una medesima sorto o qualità di luco o di coloro, o molto di¬ verso da quel candoro elio in tutto ! 1 resto dol disco interioro ugualmente si scorge. Non so già s’io dicossi beno o malo ; è ben vero elio S. Sig. r,a Ecc. ma s’acquietò, nò trovò da dirmi altro in contrario. Moggi ni’ ha presentato il nuovo 40 suo libro De centro et circumfercnlia a \ e così uno per Y. S. Ecc. ,mi et un altro por rill. ni ° Sig. r Residente, a’ quali in questo punto gl’invio: et a V. S. Ecc." ,fl con devotissimo affetto fo reverenza, o lo prego da Dio ogni bramato beno. Di Padova, li 21 di Sett. ro 1G40. Di V. S. molt’IU. et Ecc. ma Dovot." 10 et Oblig. mo Ser. r Vero Gio. Micholo Piorucci. Lett. 4061. 84. te da da noi — Cfr. u.o 4029. 256 21 SETTEMBRE - 5 OTTOBRE 1610. L1062-40G3J 4062 . PIETRO GASSENDI a GIROLAMO BARDI fin Genova]. Antibes, 21 settembre 1640. Dallo pag. 99-100 doll'odizlone citata noli’informnziono promossa ni n.« 1729. .... Quod rogas, ecquid do libello (1 > abs to trnnsmisso sentiam, scito mo illuni suBpicero propter deraonstrandi mcthodum specialem. Quippo eximius Galilous, qui eadern propoauit ot plura dednxit, alia ratione progressi» est; egregius autom vir Balianua propriam aperuit semitam, ac perspicuum focit posso multis viis ad veritatem perveniri. Et poatulat quidom concedi nonnulla, quao quispiam forte abnuorot: quod naturao subtilitas liebetu- dinem sensus non 6equatur; quod coactus retinnculo motus non videatur ullo momento coaequari libevrimo; quod pcrpendiculoruru parallolisnius in fliniilitudincm assumptus non eximat difficultatem, cum velut ex eius suppositiono circa linee nostratia intcrvallula crror tanto proditur magia quanto beine magis rcceditur, ita ex postulatorum concessione tanto possit maior detegi fallacia quanto motus prolixior (vidolicet ex cacio usque, aut ad cen- io trum usque) usnrpabitur. Euimvero et coliaorentia experimontoruni illis fìdera facit, et consequutio proportionis qua gravia docidontia velocitatis acquirunt gradus. Mirabile certe videatur, si Balianus solo ratiocinio cani proportionem invexerit, quam prinius, quod sciam, Galileus ost oxperiundo nssequutus; et par est tamen ita censoro, cum ilio adeo inclytus vir oxperimeuti nec pvoprii noe Galileani meuiiuerit- 4063 *. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcotri]. Genova, 5 ottobre 1640. Bibl. Est. in Modena, Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVI, n.° 129. — Autografa. Molto 111." et Ecc. n>0 mio S. r o P.ron Col. mo La cortesissima sua m’ ha trovato in Genova, Rovo son giunto un poco tardi per essermi tratenuto alcuni giorni a Porto Venero a godor di quell’aria e ri¬ cuperar la sanità, quale, so non fusso un poco di debolezza rimastami tal volta nello gambe, potrei dire di aver dol tutto ricuperata. V. S. Ecc. mtt poi fa tanto scuso con esso meco di non havermi trattato conformo io merito mentre sono stato da lei, che mi ia dubitaro elio e’ non voglia entrar meco in cerimonie o <*> Cfr. a.» 3824, liu. 3; il.® 3921 bis. 5 — 6 OTTOBRE 1640. 257 [4063-40GI] trattarmi da non domestico; elio però non lo replicherò altro circa questo, solo ch’io vivo obligatissimo allo suo cortesie, o elio sporo questo carnovale d’esser a io riceverne dell’altre. Mi conservi la sua buona grazia; o mentre bacio lo mani al Sig. r Vincenzo' 1 ’, a lei prego perfetta sanità. Di Genova, li 5 di Ottobre 1640. Di V. SS. molto III," et Ece. m * T)ev. rao et Obl. mo Ser. rd D. Vincenzo Itenieri. 4004 **. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in ArcetriJ. Venezia, 0 ottobre 1010. Bibl.Na*. Fir. M» 0 . Gal., P. I, T. XII, car. 181. — Autografa. Molt’Ill.” et Ecc. m0 Sig. r mio Oss. mo Io non mi conosco cosi bene in gambe, elio mi possa assicurare di non bavero a esser di quelli a’quali non Labbia a toccare a sospirare, poiché la mia igno¬ ranza mi può ridurre in questo termine; ebo seguirebbe quando io non inten¬ dessi le propositioni di V. S. Ecc. ma contro al filosofo Licoti, perchè del non capir lo sua poco m’importa, essendo pione di falsità o forse nò anco inteso da lui, devo le sua mi son parso o vere o chiare: sì elio, non intendendo il vero, Laverei qualche cagiono, et anco non piccola, di sospirare. Pure fin bora io sono stato forse il primo a ridoro; o perchè il simile possa faro ancor lei, gli racconterò io quanto mi ò succeduto. Andai domenica mattina a Padova, dove mi trattenni il lunedì fino a 17 boro. La prima occasiono elio no bobbi fu rincontrarmi noi Filosofo, perchè, non rimondo mai più visto, all’ habitudino del corpo o fisonomia mi parvo giusto un cantambanco, ma di minor reputationo assai di Posaccio ; o per tale al certo rilaverei tenuto, so il Sig. r Pierucoi, che ora con me, non mi bavesso assicurato essere il Sig. r Liceti. La soconda fu in una bottega di un libraro, mio amico, dove, essendo entrato ad aspettare il padrone per parlargli, trovai che insino i fattorini si ridevano di questo filosofo o della pazzia che haveva fatto in volere scrivere anco contro a V. S. Ecc. mB ; ma quello elio mi hebbe quasi a faro sma- 20 sceliar dello risa fu il padrone della bottega, quale mi disse come il Filosofo andava continuamente attorno all’ Argolo (t> per informarsi di quello haveva scritto Ticone et il Cheplero, por metterlo in questa sua lettera: sì che, corno si ha da vestirsi con lo penne dol compagno e pigliare molte volte un cieco per guida, bisogna o rimaner ignudo o cascare no’ precipita ; oltre che sento diro *** Vinornziu Vivunj. •** Akorka A lui OLI. xvm. 33 258 G — 0 OTTOBRE 1G40. [4064-4065] che un tal Scipione Gramonto w gli Labbia detto a posta alcune coso a rovescio, tanto si ò roso questo gran Toripatetico ridicolo in quella città. Mi par raill’anni di veder questo suo coso su la simbolla di V. S. Ecc.'“ :i : alla quale bacio per lino con sincerissimo affetto lo mani. Venetia, 6 8brp 1640. Di V. S. molto ili." ot Eco.®* S. v Galileo Galilei. 4065 ** BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 9 ottobre 1G40 Bibl. Naz. !Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 223. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. mo Ilo fatto vedere se vi era il S. r Liceti, ma non s’ò visto ancora, o s’aspetta di giorno in giorno: subito giunto, farò quanto ella mi ordina. Scusi il mio si- lentio, cagionato por il più dalla mia solita infirmità, poiché ben mi conosco obligato a ringratiarla del discorso fatto sopra lo coso lunari, nel quale io mi aquieto, non potendo passare più oltre. Io poi, elio molto volto ho biasimato il faro dol Sig. re Liceti, conosco elio devo sommamente lodarlo, poiché, so beno a torto impugna le suo ragioni, cagiona però un grandissimo bonefittio a’ letto¬ rati, mentre fa eh’ ella partorisca nuovo specolationi al mondo, elio forsi Dio sa, se non resterobbono sempre sepolto ; et io sono a parto con lui di questo guada- io gno, so beno non mi tocha punto della gloria ch’egli s’acquista da così glorioso avversario. Starò dunque anch’io aspettando di vederlo; o fra .tanto la riverisco, baciandole affettuosamente lo mani o risalutando il nostro caro S. r Viviani. Di, Bologna, affi 9 Ottobre 1640. Di V. S. molto 111.» et Ecc. ma Dev. mo et Oh. mo Sor.» F. 13on. ra Cavalieri. Fuori: Al molto 111.» et Ecc. mo S. r o P.ron Col. 0 11 Sig. r Galileo Galilei. “» SOIPIOKK DI GiUMMONT. Firenze. Ad Arcetri. 20 [1000-400? J 13 — U OTTOJ3UE 1040. 259 4066*. LUCA 1IOLSTE a (CARLO STROZZI in Firenze], Roma, 13 ottobre 1640. Arch. di Stato in Firenze. Carte Stroizi-Ugucciuni, Filza 101, car. 235. — Autografa. _Supplico V. S., se li vene occasiono di vedere quel divino vecchio il Sig. r G. Ga¬ lilei, di salutarlo con ogni sviscerato afletto per parto mia, o farli credere che anch’io sono tra quelli elio ammirano la sua profondissima scienza; o si a V.S. si porgesao l’occasione del discorso, liarei caro di sapere elio giudicio egli fa del librettino di Proclo Platonico De molli, stampato in Parigi dal Cuiicate l,) , et in Ferrara da Francisco Patricio 4067**. ALESSANDRO NIN01 a [GALILEO in Arcetri]. 8. aiaria a Campoli, Il ottobro 1610. Blbl. Naz. Flr. Appondico al Mss. Cai., Filza Fararo A, car. 218. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. n, ° Sig. r mìo P.ron Col. ,no Sono stato con speranza di giorno in giorno di poter venire ; ma poi elio non m* è riuscito, nò anche mi può riuscirò per quindici giorni, mi son risoluto a scriverlo cito di questa settimana manderò le sorbo o quanto prima la brace, poi che montro si trova da portare vino, i vetturali non vogliono attenderò ad altro. Mando a V. S. quello poche melo cotogne o otto tordi, che gli goda per mio amoro, mentre co ’1 fino, salutando caramente il Sig. r Viviani, pregilo dal Cielo cumulata prosperità,. io Da S. la Maria a Campoli, 14 Ottobro 1040. Di V. S. molto 111.™ et Ecc. nu Devotiss." 10 e Oblig. mo Se.™ P. Alessandro Ninci. IiOtt. 4006. 5. tn Parigi drl Cuneate et »n Ferrara — O) Pbocli insigni» philosophi Compendiaria de 1,1 Procm Elemento phyiica; a pag. 56-69 del- motu dùputatio, posteriore» quinque Arinoteli* l)e l’opuscolo Procli Lycii Diadochi Platonici philosoplii auscultatione. naturali libro» mira brevitàte compitetene. eminentissimi Elemento theologica et phi/tiea, opus Parisiis, apud Iacobum Bogardum, sub insigni 1). Chri- omni admirationo prosequondum, quao Feakcisoos stophori, 1542. Il tosto greco ò accompagnato dalla Patrioicb de graecis focit latina. Forrarino, nprnl traduzione latina di Spirito Martiri da Cuneo. Uominicuin Mntnarollum, MDLXXXIH. 260 20 OTTOBRE 1010. 14068] 4068 ** FULGENZIO MIOANZIO a GALILEO in Firenze, Venezia, 20 ottobre lOl'V Blbl. Naz. Flr. Msb. Gal., P. VI, T. XIII, car. 230. - Autografi il poscritto o la sottoscriziono. Molt’ lll. r0 ot, Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.™" Questo freddo sprovistamentc capitato mi ha cacciato di villa, ove son stato tutto il tempo elio ho potuto et elio mi è stato permesso, non no perdendo un’ bora nò anco per scrivoro alli patroni et amici. Ripigliavi) bora il solito costume, et particolarmente con V. S. molt’ Ill. w ot Ecc. ma , elio posso assevcran- tomento diro essermi som prò in cuore: et il freddo medesimo o la stagiono mi raccorda il mio debito circa li dossi et cullatoni. La rolationo do’ quali ò, che delli dossi no sono di tre sorti, elio qui chiamano sottofini, fini, soprafmi : di una fodra dei primi dimandano ducati vinti; dei secondi, ducati vintiotto; dei terzi, ducati trentaotto. L’istessa distintiono fanno dei cullatoni: dei sottofmi, io ducati deciotto; dei fini, vintiquattro; dei soprafini, trentaquattro. Comandi V.S. quello elio desidera, chè qui, benché la servirci senza di questo, li aver à credito sufficiente giù, delli vinti scudi, o solocito Y Arisi por la ratta passata; ma questo niente importa, oliò subito sarà, servita, ancorché il sudetto andasso per violo, conio fanno adesso tutti elio pagano pensioni, scusandosi elio lo rendite nulla vagliano. L’Ecc. mo Licetti mi regalò della sua opera De luminc li) , et De centro (,) . Il primo, l’ho lotto con grandissima avidità, ma non ho imparato da huomo così grande cos’alcuna, massimo nel ponto ovo l’aspettavo, so il lume sia corpo; ot li argomenti contro quella positiono mi paiono assai deboli, eccetto a chi crede 20 elio quanto dice Aristotile sia irrefragabile verità. Quello De centro, io non l’ho letto ancora: un proto galant’huomo, clic l’ha letto, mi dico elio posso far di meno di leggerlo con fine d’impararvi, et mi ha datta la similitudine d’un pittoro che sopra la sua tavoletta havesse amassati molti colori et poi li caciasse l’un sopra l’altro sopra la tela et si credosso d’haver fatto una bella figura. Ma io, elio ho alto concetto dell’ crruditione dell’ Ecc. ,no Licetti, son sicuro elio lo leggerò con gusto ot v’impararò di bollo cose. Ma aspetto bone altro dilicatezze da quello elio passarà tra V. S. Ecc. ma et il Sig. r Licetti, se di nuovo meterà il doto nella luna, perchè la contentiono di duoi si grand* huomini non può capitare so non a spoculationi degne del loro sapore. Prego il Signoro che dia a V. S. molt’111. re et 30 O) Cfr. u.° 3976. <*» Cfr. n 0 4029. 20 OTTOBRE 1 flirt. 261 [4068-4069] Kcc. m,t sanità et tranquillità di animo, .sì clic possa con gusto giovare ancora et dilettare li desiderosi di sapore; et lo buccio con ogni affetto lo mani. Di Venetia, li 20 8bre 1640. Di V. 8. molt’ lll. r ® et Ecc. ma Pos. R Mi capita la sua gratissima di 13, elio mi dà occasiono di novo di abbruciarla con tutto l’affetto del cuore. Della pensioncella, vedrò tro¬ var modo elio non si perda so non quello portano lo moneto, che crescono tanto elio presto si pa- 40 garà con niente. Dov. nin Sor. F. Fulgentio. Fuori: Al molto Ill. r ® et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.*®® Il Sig. r tiallileo Galliloi. Firenze. 4069 *. FRANCESCO HINUCCINI a [GALILEO in Arcetri). Venezia, *20 ottobre 1610. Bibl.Eat. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, H.« LXXXVII, n.« 23. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111/ 0 et Ecc. mo Sig. T o P.ron mio Oss. ,no Manco malo elio non ci mancherà questo carnovale occasiono di stare alle¬ gramente, già clic il Filosofo (n vuol far il zani. Mi creda V. S. Ecc. ma elio mi par mill’ anni di vedere allo stampe questi suoi spropositi, poiché ni’ imagino elio non dovono nò possono esser lo cose, che ò per dar fuora, differenti da quelle che si sono visto fin bora. Il Padre Maestro Fulgentio, al quale io feci hior mattina presentare in pro¬ pria mano la lettera di V. S. Ecc. ma , godo, la Dio morcè, ottima saluto, et a un mio giovano disse ch’havcrobbo inviata a casa la risposta; però, so verrà, sarà io con questa aggiunta. Et in restando con tutta l’osservanza cho lo porto, la riverisco. Venetia, 20 Ottobre 1040. Di V. S. molt’111.” et Ecc. m " Obb. mo et ÀlT. mo Se.™ Fran. 00 Rinuccini. Lett. 4009. IO. con tutto Vouertnnta — *> Cfr. n.° 3132. '*> Giovanni di Beadgrand. »»> Cfr. n.° 3967. [4071] 27 OTTOBRI* Iti40. 203 4071. GALILEO a FOKTUNIO LICETI in Uolo^na. Arco tri, 27 ottobre 1640. Dallo pag - . lGr»-ir.r« dell'opera Ih lumia tubobteura luce occ., citala noli' informazione premessa al n.°40!4. Al molto 111. et Eccellentiss. Si”;, o Pntr. Osservami iss. Il Sig. Fortunio Liceti, lettor primario di filosofia, in Ilologna. Molto 111. ot Ecc. Sig. o Pati*. Osa. Per lettere del molto Itev. P. Bonaventura 1,1 vengo avvisato del ritorno di V. S. Eccellentiss. in Bologna ; per lo che, sapendo dove inviare le mie per lei, vengo con questa a dargli conto della ricevuta delli duo libri ultimamente da lei mandatimi, de i quali le rendo le debite grazie. Mi son fatto leggere amendue, li quali sono pieni della io sua, in ogni genere, singoiar dottrina; et in particolare le tante vario definizioni elio ella apporta del contro e della circonferenza, mi hanno fatto meco medesimo dolermi della sterilità del mio ingegno, che giamai, oltre a quelle puro notizie die ne apportano i semplici geometri o mecanici, non liarei saputo introdur ninna minima nuova cognizione: o se, come i sopradetti matematici dalle definizioni de¬ ducono poi un numero grandissimo di teoremi o problemi con loro sottilissime dimostrazioni, sarà che V. S. Eccellentiss. o altri deduchino simili nuove conseguenze, no nascerà una nuova et ammirabile scienza ; et a lei, corno primo e principale introduttore, converrà con qualche 2 f> esempio aprire la porta alla strada lunghissima che resta. L’altro dell’Àia di Simmia Rodio (2> mi si rende maraviglioso più per le interpretazioni che vengono dalli autori, c sopra li altri da V. S. Eccellentiss., date all’enigma, che non è l’enigma istesso. Ma veramente il trovare modo di addattare sensi e fisici e metafisici c teologici sopra parole che potrebbero essere state una semplice fan¬ tasia, per non dir chimera, del suo prolatore raddoppia in me la maraviglia delli ingegni tanto acuti e speculativi. (*> Cfr. n.° 4070. tione, perenni contervatione, optimaque guhernatiOM <*» Ad aia» amori . divini a Simmia llhodio com- loquent. Encyclopaedia Fortunii Licf.TI, OCC. Patavli, paefn», in quibui Deu» inlroducitur ut Oplimut de tua typis Iulii Crirollari, M.DC.X L. mirabili yentra tione, deque mundi toliui primaeva crea• 2G4 27 — 30 OTTOBRE 1040. [4071-4072] Pensavo a questa ora ili poter inviarle lo mie risposte sopra il candore della luna, distese in forma di lettera a lei medesima ; e già 10 bevevo quasi che ridotte al netto, quando mi è venuto aviso l1> elio 30 11 Sereniss. P. Leopoldo, alla cui Altezza havovo in prima scritto, si maravigliava che io liavessi mutato concetto, solo per dubbio che, dovendo tali mie risposte esser publicate con lo stampe, vi fosse inserto il nome glorioso di Sua Altezza, cosa aliena dal suo pensiero, anzi facendomi intendere di esser per gradire che il nome suo faccia manifesto della sua compiacenza di esser frapposto tra me et uno de i più famosi litterati del nostro secolo. Onde io, reputando a mia somma gloria che il mondo senta una testimonianza dell’esser io in buon grado di grazia di un tanto Principe, 0 stimando che il me¬ desimo possa accadere a V. S. Eccellcntiss., ho risoluto di ritornare 40 in su la prima maniera di scrivere all’A. S., ma con tessitura alquanto più ampia per la interposizione di varie mie considerazioncelle, le quali daranno anco a lei più largo campo di arrecare altre sottili speculazioni, temperando io appresso ogni minima ombra di amarezza, spargendovi sempre parole di dolcezza 0 soavità. Compiacciasi in tanto di condonare questa mia proroga, che pur sarà breve, alla miseria mia, che mi necessita valermi delli occhi 0 della penna di amico: c confermandogli il mio reverente affetto, gli bacio le mani 0 li prego felicità. Di Arcetri, li 27 Ottobre 1640. 60 Di V. S. molto 111. et Ecc. Affett. et Oblig. Sorv. Galileo Galilei. < 4072 *. F0RTUN10 LICETI a [GALILEO in Arcetri]. Bologna, 30 ottobro 1G-I0. Bibl. Eat. In Modena. Rnccolta Cnmpori. Autografi, B.» LXXV1II, n.° 135. — Autografa. Molt’Ill. ro et Ecc. mo S. r Oss. mo Io sento molto gusto elio Y. S. Ecc.*™ liabbia ricevuto li duo miei libretti ultimamente mandatigli (!) , o elio, fattiscgli loggoro, non siano dal suo finissimo «*' Cfr. n.o -1058. «*> Cfr. n.o IOTI. [4072-4073] 30 ottobre — 1° novembre 1640. 265 giuditio stimati inutili o sprezzabili: lo rondo molto gratta dolThonoro elio mi fa nel darmene così buona testimonianza. Sto con desiderio grandissimo attendendo la sua nuova lettera riformata del candor della luna ; o sento gran contento elio ’1 Sor." 10 Leopoldo si dogni di hono- raro col suo nonio glorioso questa nostra disputa di materia così nobile ot altre- tanto diflicilo quanto sublimo. Sia sicura V. S. eli’io ni’ingegnerò di confonderò io quelli elio con acerbo et indiscreto costumo hanno disputato meco, nel corri¬ spondere alla modestia di V. 8. con pari c, so mai potrò, con maggior grado di venorationo. lfra tanto mi conservi la sua gratta, elio resto pregandolo da N. S. il colmo della vera felicità. Bologna, HO 8bro 1640. l)i V. S. mult’Jll/" et Ecc." 1 -'» All’. 1 » 0 et Oblig. ,no Sor.** Fortunio Liceti. 4078. ALBERTO CESARE GALILEI a GALILEO in Firenze. Monaco, 1° novembre 1640. Bini. Naz. Pir. Mm. Gal-, P. I, T. XII, car. 186. — Autografa. Molt’lll. re Sig. Zio Col."»» Dio sa la consolatione elio mi ha apportato la lotterà di V. S. molto III/ 0 , la qual leggendola quasi mi sono scatorite le lacrime dagl’occhi por tenerezza. Iiora intondo il suo stato, il quale se non ò conformo clic V. S. molto Ill. ro de¬ sidera et io bramo, causa no sono gli anni et i patimenti do’ stridii : ringratio però il Cielo elio sia viva e con speranza ancor, con l’aiuto di Dio, di assai più vivere. Dalla sua vedo il desiderio che ha di sapor il mio stato. Io mi ritrovo in sanità tale, cho Dio volesse elio quello di V. S. molto 111/ 8 fossi cossi. La mia io moglie si ritrova gravida, o questo Natalo sarà in capo doli parto, cho prego Dio riesca in bene, cliò mi dispiacerebbe perderla, essendo compagnia di mia so- disfatione e gusto e buona per mia casa ; che se non è di tutte quelle qualità elio si ritrovava havor la mia madre, al meno di poco vi sarà', spero, dispartita. Vi è solo una cosa elio ne tiene mortifieatti assai, che è il poco stipendio cho ho da questo Ser. n, ° mio Patrone, perchè non posso vivere con quel decoro che è sempre stata la mia casa, ma bisogna vivere poveramente. V. S. molto 111.” Lett. 4073. 5. rigratio — 11. dipiacerebbe — 15-16. decoro che che ì — XVIII. 34 i 260 1 ° NOVEMBRE 1640 . [ 4078 ] puoi considerare : duconto e vinti fiorini è il mio salario, o fiisognia elio faccia le speso presto presto a cinque fioco (sic). Ma il tutto rimetto nello mani della Divina Providenza. Del mio fratello Vioenzo sono doi anni che non no Lo havuto nuova alcuna. 20 Di Cosimo, è stato da me già quatro mesi, il qual ò stato in Francia, in Fiandra 0 per tutta la Germania, ot so n’ ò ritornato a Ratisfiona con il suo patrono, qual è un gontilomo principalissimo, quale lo ama corno so fosso suo figliolo istesso, essendosi avanzato però in virtù : lui sona di liuto, di spinetta 0 di chi- tara, parla prima todesefio, francese, italiano 0 latino, elio (li tutto questo suo qualità io no Lo havuto grandissima consolarono ; ot ò più grande di me. Lui non si ritrova haver altro desiderio elio di veder una volta V. S. molto Ill. re , 0 con prima fiona occasiono lui si vuol trasferir sin a Fiorenza. Questo ò quanto gli posso dar di novo di mia casa 0 fratelli : là dove, per non atediarla più, farò fino, pregandola a non si scordar di me, povero 30 suo nipoto 0 rivorento sorvo, con darmi almeno una volta ogni doi mesi del stato di V. S. molto 111.”, efio mi sarà di consolationo particolare, non liavendo al mondo altro rifugio che V. S. molto 111." ; alla qualo inchinan¬ domi io et la mia moglie, lo tacciamo riverentemente la mano 0 li prego doi Signoro Dio longa vita 0 sanità, pregandola salutar il Sig. r suo figliolo ot tutti di casa. Monaco, il primo di Novvembre 1640. Di Y. S. molto 111.” Fuori : All molt’ Ill. ro ot Ecc. mo Sig. r 0 P.ròn Col."' 0 Il Sig. r Galileo Galilei, Filosofo 0 Matematico del Sor."’ 0 Gran Duca di 40 Toscana. Fiorenza. 21-82. con darmi ... del italo: cosi l'autografo tl «tata omosBa, evli^ntomonto, una parola. 37. Novvcbrt — [4074-4075] 2 — 3 NOVEMBRE 1640 . 267 4074*. GALILEO n [CESARE MONTI in Livorno]. Arcctri, 2 novembre 1610. Blbl. Naz. Flr. Ms«. Cai.. Nuovi Acquisti, li. 0 19. — Originalo, ili mano di Vihoknzio Viyiani. Molto 111.” et molto Eccel. 1 ® Sig. r mio Osser .® 0 Coll’ occasiono del ringraziarla del regalo do i pistacchi, elio 4 giorni fa mi furono mandati dal Sig. r Ipolito' 1 ’ suo cognato, vengo a dargli avviso di Lucliino suo figliuolo , il quale con mio gusto si va continuamente trattenendo appresso di moecon(?) [... ] gua¬ dagno di buon procedere, mediante le conversazioni elio frequente¬ mente mi vedo bavero in casa: oltre al quale acquisto ci è quello dell’ imparare per ora a leggiero, nel quale esercizio io volentieri mi ci vo occupando con una dirò quasi inesplicabile pazienza, ma però io senza disgusto, sapendo elio non si può combattere e ottener vittoria sopra la natura; ma lilialmente, sia quanto si voglia la sua durezza, si vien pure, col continuo distillarvi sopra, a mollirsi in qualche parte; nè si deve stimare [po]co (pici guadagno, benché tenue, quando di maggiore non se ne possa ottenere. Stia dunque V. S. coll’animo quieto, per quanto appartiene al benefizio di suo figliuolo; e so in altro posso gratificarla c servirla, liberamente mi comandi. E li bacio le mani. D’Àrcetri, li 2 di fibre 1640. l)i Y. S. molto lll. re et molto Eecl. te Prontiss. m ° S.re Galileo Galilei. 4075**. G10. MARCO MARCI a GALILEO in Firenze. Praga, 3 novembre 1610. Blbl. Naz. Fir. Mas. (Ini., I’. VI, T. XIII, car. 231. — Autografa la firma. Foriliustris ot Excollontissimo D.no, D.no Galileo, D.no Observandissime, Licet magno tui desiderio tcnoror, lume tamen folicitatom fortuna invidit, quao me, libi adeo vicinimi, prohibuit a tuo desiderato conspcctu, cluni soeii itineris, nescio quo rumore do sinistro bolli evontu permoti, Italiani praocipitos relinquunt; quos ot ego sequi coactus, magno doloro afticiobar, non potuisse illuni liOtt. 4074. 3. mi furono mandato — 01 Iitolito Frangisi. (*) Cfr. n.« 1015. 268 3 NOVEMBRE 1010. [4075] honorem tibi doferre, quom omncs literati deforunt, et praesentcm venerari quom tota Germania suspioit cum animi grati significationo, ex cuius divinis scriptis ino quoquo proferisse gaudeo. Quod si tua scripta do motu videro contigisset, priusquam in oo argmnonto ino oxorcoro cepissem, abstinuissem sano a laboro suporvacanoo. Vorura librimi tuum do motu Graeeii primum aspexi, dum Ita- io liam indo pctorom, a Patro Guldon (l) matlicmatico illius logendi spatio duntaxat unins dioi milii copia facta. Systoma quoquo mundi nimis soro accepi, a D.no Pironi communi amico, do oo monitus, qui, cum scripta moa vidissot, miratus fuit mo in plerisquo tccuni convenire. Illuni ergo libellum Do proportiono niotus <3) Tuao Claritati misi, non quod oxistimarom aliquid oruditionis tibi accessimnn, sed ut ostcnderom ino iisdom stadiis tenori, ut li ac rationo illa similitudo to allicorot ad mutuimi amorcm. Siquid vero in oo libello a ino poccatum fuit, a to corrigi prò magno acstimabo. Altoram partom do proportiono motus figura- rum rectilinearum, ex qua circuii quadraturam elicere tentavi, sicut et alium librimi do motu et huius efiìcientibus causis, gravitate levitato et impulsu, iani 20 absolutos, ubi lucom aspexerint, Tuao Claritati censondos submittam. Dolco autom vchemontor do tua calamitato, et, cum mentis oculis praecellas, visum corporoum tibi deferisse, magno rei literariao dispendio, quo et plura scripta a to oxspcctaro, et nostra vicissim a te logi et corrigi, liceret : difficilo onim geoinetricas demonstrationos, figuris alligatas, solo auditu pcrcipere. Sed vidotur anima a sensibus externis so intro retraxisso, quo vis ingenii collecta maius quid moliatur : nani ot quosdam pliilosophos, quo magia sapientiae vacarent, sibi oculos oruisse proditum ab historicis: quanquam, o Galileo, ca iam praestitisti, ut monsuram ingenii humani oxeossisse videaris. Itaquo sunimis votis exopto hoc tibi in aetatc sonili solatium, ut illuni solem rursum aapicere valoas, quom tu 30 nobis prinius ostendisti, qualis nimirum in so est qualisque videri caelicolis solet. Vale felicissimo, Vir Clarissimc, mequo inter eos numerari patere, qui to amant coluntquo. Pragae, 3 Novomb. a. 1640. Tuao Claritatis Servus Promptissimus Ioannes Marcus Marci ra. p. Fuori: Perillustri ot Excellentis. 1 " 0 D.no, D.no Galileo Galileo, Patricio Fiorentino, pliilosofo eximio ot raathomaticorum coryphaeo etc., D.no Observandiss. mo , in 40 Florontia. Lett. 4075. 32. Vale fecilicittimc — <'i Paolo Golden. authoro Ioànne Marco Maroi, ecc. Pragao, tjpis ' J i Giovanni Pikroni. Ioaunis Biliuae, 168». < 3 » De proporl ione niotui, teu regula gphygmica, [4076-4077J 3 5 NOVEMBRE 1040. 269 4076 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcetri], Venezia, 8 novembre 10-10. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, H.» LXXXVII, n.® 24. — Autografa la sottoscrlziona. Molt’Ill.” ot Ecc."° Sig. r o P.ron mio Oss. mo La tardanza olio farà a comparirò la sua lotterà sarà con molta usura di chi la sta con tanta ansietà attendendo, per i bolli o veri insegnamenti olio no potrà apprenderò; nò io mi maraviglio ch’il Ser. ra ® Sig. r Principe Leopoldo goda tanto ch’esca in puhlioo, sapendo qual sia il gusto di S. Alt." in giovare altrui. Però io starò attendendo a suo tempo i suoi favori. Al Padro Maestro Fulgentio feci presentare hier mattina la lettera di V. S. Ecc. ma ; o so egli mi manderà la fodra por la zimarra che lei m’accenna, gliela farò pervenire quanto prima o con minoro sposa elio sia possibile. In tanto lo io rattilfico la mia vera osservanza, c gli bacio rivorcntomento lo mani. Venotia, 3 Novembre 1640. Di V. S. molt’Ill” et Ecc. ma Aff.° et Obb. mo Se. re Sig/Galileo Galilei. Fran. c0 Rinuccini. 4077 **. ASCANIO PIGCOLOM1NI a GALILEO in Firenzo. Siena, 5 novembre 1640. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gai., F. I, T. XII, car. 188. — Autografa la sottoacriziono. Molto 111.® Rig. r mio OsB. mo L’haver sopraseduto in mandarlo ’1 vino ò stato per non haver i saggi cor¬ risposto al mio gusto ; ondo sarà minore il mancamento della dilatione, mentre mi porterà’l commodo di servir V. S. del panno che mi comanda. Farò bavero quel riguardo al coloro ed alla spesa che m’accenna, o premerò che tutto sia costà verso la fino di questa settimana. Veramente la prontezza dei S. r Liceti alletta la curiosità di veder le suo risposte; e questo Ser. m0 Principe imparticolare confessa che bisogna che siono sopra l’immaginazione di qualunque ingegno, mentr’al discorso di lei par di io rimanere interamente appagato. Lett. 4077. 8. che binomi che — 270 5 — 6 NOVEMBRE 1640. [4077-4078] Mi rallegro poi infinitamente elio lo sue indispositioni ammettine ’1 sollievo dolio solito spoculationi ; o conformandomolo quel solito o devotissimo servi¬ tore, da Dio honodetto lo prego ogni bone. Siena, 5 9bro 1640. Di V. S. molto III. 0 Devot. Sor. S. r Galileo Galilei. Fiorenza. A. A. di Siena, 4078. FORTUNIO LICET1 n [GALILEO in Aicetri]. Bologna, 0 novembre IMO. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 166. - Autocrata. Molt’ 111.™ et Ecc. mo S. or , S. or F.ron Ora."" Ricevei, quattro giorni sono, dal S. or Gassendi una lunghissima lettera di se¬ dici fogli interi 11 ’, scritta con molto minuto carattere, replica alla mia risposta di quel suo quesito della varietà dell’ombro, piena di molto bollissimo curiosità, et ornata non mono di pretiosa dottrina elio di singolare modestia e civiltà. E per¬ chè con ossa ricevei anello copia (V un’altra, ad altri (< ’ scritta pure dall’istesso S. or Gassondi, nolla quale sono alcuno coso spettanti a V. S., mi è parso di in- viargline descritto il capitolo. Die’egli dunque: « An ausivi diavi rogare te, ut cum viro ilio nostri aeri celeberrimo Galileo argu- » mentititi cummunices? Nempe cum eximius noster Belreoucllius > ,} Florcntia iter faccrct, io » significava maximus vir se pellubenter, si quid haberem quod illustrando problcmoti » faccrct , esse cogniturum. Cum forem diavi nuper JBrinoniac, sollecitava me non parimi » Bellonius nostras, Florcntiam brevi ad Ducem Guisium < 4) disccssurus, ut, conscripla » epistola, exemplum sibi concrederem, quod ad Galileum deferret. Kgo vero,ncsciusan » Licetus fucrit acqui bonique consultarne si, te exccpto, quispiam alius vidcrit prior » ep'istolam, non audeo morem gerere, nec viri tanti tamque vici umantis desiderio faccre » satis. Heine est ergo cur tc t am rogem ut, si Hbi liceat per Liceti gcnium, aut ex litteris » illis meis argumentmx ducas quod idoneum sit, aut exscribi mandes capita praecipua, » quac ad Galileum vico nomine tnittas. » Se V. S. desidera di haver copia di questa lotterà, ino ne avisi, chè procu- “° rerò (con qualche commodità di tempo, attesa la sua gran lunghezza) di tra¬ scriverla e mandargliene : ma non vorrei già che questa cosa mi prolungasse il Oi Cfr. rintani]aziono promossa al n» 4012. (2 ’ Gabriele Naudé: cfr n.« 4080, liii, 4. i*i Cfr. n." 4042, lin. 8-9. <*) Carlo di I.okkna Duca di Guisa. C NOVEMBRI*: 1040. 271 [4078-4079] tempo di bavero a godere i frutti della sua lotterà, accresciuta et accommodata secondo il suo gusto, intorno al nostro discorso del oandor della luna, elio sto tuttavia non mono desiderando elio aspettando. Però, se potesso loi aspottaro senza noia, eroderei di mandargli la dotta lettora dol S. or Gassondi, stampata' 11 con la mia risposta: o mi giova di crederò olio ciò a loi poco importi; corto molto mono elio a ino di haver la sua, por lo continuo instanze olio mi vengono fatto della risposta. Ma potrobb’ossoro elio a V. S. fusso caro di vodero parti¬ lo colamento quel capo della lettora noi quale il S. or Gassondi, conformandosi col- Topiniono di V. S. circa il candor dolla luna, partitamentc con brevità rispondo a tutto lo mio ragioni, da loi molto più diffusamonto esaminato: bo fatto poi- ciò da mio nipote trascriverò ad verbum ciò elio dotto valentliuomo mi scrivo in questo proposito (al quale spero di potor darò a suo tempo convenevole ri¬ sposta), o no mando acclusa la minuta a V. S.'* 1 Alla quale pregando da Dio felicità, bacio lo mani di tutto cuore. Bol. a , 0 Olirò 1640. Di V. ti. molt’lll. 0 ot Ecc.“* Devot. ,no Sor.” Eortunio Licoti. 4079* VINCENZO BENI ERI a [GALILEO in Àrcotri]. Pisa, G novembro 1640. Bibl. Est. In Moderni. Raccolta Cauipori. Autografi, B.« LXXXVI. n.» 180. — Autografa. Molto 111.™ ot Ecc. m0 mio S. r o P. Col." 10 Servirà questa por dar avviso a V. S. Ecc.™ corno il primo dol corrento giunsi con perfetta saluto a Pisa por incominciar lo mie fatiche, doppo haver, al solito, per maro corsa una fierissima tempesta, di modo ch’io spero d’haver a campar un gran pezzo, stanto elio, havondomi la morto assalito tanto volto o per tanto strade, (lovrohho boriimi contentarsi. Giovedì a otto farò il mio in¬ grosso ; no manderò a V. S. Ecc. ma la copia. Cho è quanto por bora m’oecoiTO dirle, mentre con ogni affetto a loi od al Sig. Vincenzo (3) bacio la mano. . Di Pisa, li 6 di 9bre 1640. io Di V. S. molto 111” ot Ecc. ms Dev. ra0 e Coril. mo Ser” D. Vincenzo Iionieri. <0 Cfr. In citata inforiìiaziouo dui n.° 4042. <*' Cfr. u.o 4042. « s > Vincenzio Viti a ni. 272 8 — 9 NOVEMBRE 1640. [40804081] 4080 *. FOBTUNIO LI CETI a PIETRO GASSENDI [in Aix]. Bologna, 8 novembre IMO. Dalla pag. 885 dell'opera De lume nibobieura luce occ., ritata noli’ Infonnazlono promessa ni n.« 4044. Eia lettera i> altresì a pag. 488 dell'cdisione citata nuli’inforuiaxiunu del u.° 1728. _Quia vero mihi noeessitas ingruit in praesontia rcspondendi Cl. Galileo de candore lunae, cogitavi smini in ea disputatione perpendere quao tu, illi consentiens, eontra mena rationes afferà ad calcem epistolae, quorum exemplav ipso traiiBiuisi nuper nd inclytum Vipum<*>, quod ex tuia ad optimum Naudaeum 1 * 1 datis agnovorim te pereupere, cogitationea istas tuas earum cupidissimo viro commuues fieri..., 4081 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 9 novembre 1040. Blbl. Est. In Modena. Itaccolta Camporl. Autografi, B.» LXXX, n.° 148. — Originale, d'altra mano. Molto Ul. re et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Col."* 0 Mi capitò la gratissima lotterà di V. S. molto IH.” et Ecc. mtt di 7 del pas¬ sato in tempo solamente elio mi trovavo nel maggior travaglio di una terzana, elio mi lia trattenuto 15 giorni in lotto, o così violento elio dovoa aspettarsi più tosto in un giovano disordinato elio in un vecchio settuagenario conio sono io. Comincio, coll’aiuto di Dio, levarmi di letto, benché con poche forzo, ondo in epiesta proroga havrò occasiono di servire V. S. : dalla quale aspettarò, non dico con ansietà, ma con impatienza, quello elio scriverà per questa eontentionc col Sig. r Liceti, le cui opero De limine l3> , De, centro et circinnfercntia w ’, in fatti sono tanto sublimi, elio, con tutta la patienza di logorio, io non posso capirne cosa io minima che non sapessi manti. In questa sua numerosità de’ contri io ho por constante che nè lei nò altri vogliano cavar nè problemi nè tlieoremi ; et mcl- l’assicura il non esser stato fatto in due mille anni, che quello stesse deffini- tioni cambiano intorno. Mando la fodra dei cullatoni, nei quali V. S. sarà servita nel più perfetto modo che porti quest’ anno, nel quale sono così cari e poco buoni che venivo consigliato a diferir ad mi altr’anno ; ma la nostra età non ci consonte il diforir <■> Cfr. n.o 4078, Un. 5-19; u.» 4012. Gahkiklk Nauuè. i 3 > Cfr. n.« 3070. <*> Cfr. n.o 4029. [4081-40821 9 — 14 novembre 1640. 273 a dimani quello elio ci può giovar hoggi. Li ho raccomandati alla benignità dell’ Ecc." 10 Sig. r Ressidento Renocini, il qualo con suprema cortesia, sua propria 20 doto, si è offerto di farli capitaro senza disturbi et sicuri a Y. S. molto 111." et Ecc. ma Alla quale por fino bacio lo mani, et con ogni affetto di cuore l’abbraccio. Ven. a , li 9 Novembre 1640. Di V. S. molto 111." et Ecc.“ a Divotiss. 0 Sor." Fra Fulg. 0 do’ Servi. Fuori: Al molto IU." et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. wo Il Sig. r Galliloo Galliloio. Con un fagotcllo. Fiorenza. 4082. VINCENZO RENIERI a GALILEO in Firenze. Piaa, 14 novenibro 1040. Bibl. Nnz. Fir. Mai. Gal., T. I, T. XII, car. 190. — Autografa. Molto lll. ro et Ecc. 1 ' 10 mio Sig. r o P.ron Col. m0 Servirà, questa a V. S. E. ,,m por darlo avviso della ricevuta della sua, et in¬ sieme por raguagliarla come biori feci il mio ingresso od boggi ho dato princi¬ pio allo lezzioni. So non m’adulano gli amici, non è stato ingrato; et non no mando bora copia a V. S. Ecc."* por non haver tempo di potorio faro, ma spero farlo sonz’ altro con lo seguenti. Della sanità, ò vero ch’io sto molto meglio, ma non sono per ancora nello stato di prima; od il mio malo ò tutto nel ventricolo, elio so mangio un poco più doli’ordinario, subito mi dà, altoraziono: tutta via spero con la regola del io vivere di liberarmi allatto. Ho fatti i suoi baciamani alli Sig. ri Stecchini o MarsiliD 4 ’, che li rendono duplicati, sì come anco al fratello [t) del Sig. r Yiviani, a cui bacio caramente le mani; o prego por fino a Y. S. Ecc. 1 "* un poco del sonno d’un mio servitore, elio dormo la sua parto o quella di V. S. Ecc. m * Di Pisa, li 14 di 9mbro 1640. Di V. S. Ecc. ,na Dov. m ° et Ob. mo Ser. ra D. Vinconzo Renieri. Fuori: Al molto 111.™ et Ecc. mo mio Sig. p o P.ron Col.' n ° 11 Sig. r Gableo Galilei, Matbom. co o Filosofo prilli. 0 del S. G. D. 20 . Firenze. Paolo Stecchisi o Alessandro Marsili. <*> Alamanno Yiviani. XVIII. 85 17 — 21 NOVEMBRE 1040. 14083-4084] 274 4083 * FRANCESCO IllNUCCINI a GALILEO [in Arcetri] Venezia, 17 novembre 10-10. Blbl. Est. In Modena, «accolta Camporl. Autografi, B'LXXXVII, ri." 25. — Autografa la sottoscrizione. Molt’111. 10 et Ecc. mo Sig.™ o P.rono mio Osa."' 0 Il poco avvedimento del procaccio il quale partì la passata settimana, che, per essero poco pratico di questo parti, tralasciò di fare la bulletta, fu cagiono elio io non mandai a V. S. Ecc. ma il fagottino do’ culattoni, consegniatomi dal Padre M.Fulgcntio. Supplisco però questo giorno, inviandoglielo per Giovanni Baldini, al quale V. S. Ecc." m non doverà pagaro altro cho mozza pozza da otto fra il porto et altro speso cho ci potessero essere di gabello a Bologna et a Ferrara, chè così sono io con esso rimasto d’accordo. Gli confermo la mia af¬ fettuosissima osservanza, et insieme con il Sig. r Dottor Pierucci, qui presento, gli bacio revorontemonte le mani. K, Vonezia, 17 Nov. r ° 1640. Di V. S. molt’111. 10 et Ecc. ni11 Aff. mo et Obb. mo Ser. ro Sig. p Galileo Gahlei. Fran. 00 Hi nuoci ni. 4084 **. L\COPO SOLDANI a GALILEO [in Arcetri |. Siena, 21 novembre 1640. Blbl. Naz. Plr. Mss. dal., P. 1, T. XII, car. 192. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. m0 Sig. r mio Oss." 10 Questa Ser. 1 ™ À. zal * ha ricevuta quella parto d’Archimodo elio Y. S. Ecc. ma lo lia mandata, cho è stata opportuna, liavendo in ossa studiato quollo proposi¬ zioni che appartengono alla materia dello galleggianti, che ultimamente liaveva alle mani nel suo trattato; e quando il S. r Viviani li arò. finito di studiare il re¬ stante, V. S. Ecc. ma lo potrà inviare all’A.** S. : la quale aspetta con desiderio la sua risposta al S. r Liceto, et ha ammirato la di lui intropiditù, cho non si r Cfr. n.-> 1086. <*> Aaca.Nio Piccoi.omi.ni. 2G NOVEMBRE 1640. 276 [4086-4087] elio li prevedessi sei braccia di panno di questo doli’arto, corno ho fatto; o credo elio sarà di sua satisfattone por la qualità o pel colore, oliò m’è parso siamo stati benissimo serviti. Il prezzo non è più di dioci lire il braccio; tanto l’ho pagato ad un bottogaio mio amico, o di più n ho staccata la tela per involtarlo. Se sarà stata ben servita, sarà mia fortuna, chè tale la reputo, o desidero occa¬ siono elio m’impieghi in altre coso di suo gusto, come la progo; mentre con quest’occasione mo lo dedico servitore di desiderio infinito di servire al suolo merito, o per fino, facendolo reverenza, resto pregandolo dal Signore ogni bene. Siena, 26 9bro 1640. Di V. S. molt’Ill.™ Dando il donaro al vetturale dol vino, sarà ben dato, elio sono liro sessanta. Oblig. et Aff. Ser. Cristofano Fiochi. 4087 . VINCENZO RENIER1 a GALILEO [in ArcetriJ. Pisa, 26 novembre 1640. Blbl. Na*. Tir. Mas. fluì., P. 1, T. XII, car. 194. — Autografa Molto 111.™ ot Ecc.“° mio Sig. r o P.ron Col. m0 Tardi mando a V. S. Ecc. m:i la copia del mio ingrosso (l ’, perchè son tanto pigro nel copiare che non prima d’hieri finii di riscriverlo. Vedrà in esso fatta mentione di V. S. Ecc. ma , o mi compatirà so non F ho celebrata con quelli elogii cho si doYrobbono, accettando il buon animo, Chà quanto posso dar, tutto vi dono. Del resto, mo la vado passando assai bene, o sperando puro d* haver anco in breve a ritrovarmi in quella prosperità di forzo elio oro una volta. l'eci lo suo raccommandazioni alli Sig. ri Stecchini o Marsilii, che io rendono duplicati i bacciamani o vivono devotissimi alla persona sua. Con un poco di ozio anderò mettendo all’ordine l’cffomoridi dolio Mediceo por 1 anno avvenire, acciochò, se fossero ricercato di colà 1 * 1 , potessi inviarle. Con <*> Cfr. n.® 4082. •*> Cioè, d’Olanda. [4087-4088] 2G NOVEMBRE - 1° dicembre 1640. 277 che, pregando a V. S. Ecc. m * lunga o prospera sanità, lo bacio ailettuosamento la mano. Di Pisa, li 26 di Novembre 1640. Di V. S. molto Ili.' 0 et Ecc. n,a Al Sig. r Viviani mille raccommandazioni, pre¬ gandolo a favorirmi di diro al Sig. r Braccio Man- notti so mai hebbe fortuna di trovarmi l’Apol- 20 Ionio Pergaco elio li richiesi, con un baciamano affettuosissimo in mio nomo. Pov. mo et Obb. mo Sor/* S. r GL G. D. Vincenzo Roniori. 4088 **. ASCANIO PICCOLOM1N1 a [GALILEO in ArcotriJ. Siena, 1° dicombro 1G40. Bibl. Ntvz. Fir. Mss. Ciai., 1’. I, T. XII, car. 182. — Autografa. Molt’ IH. Sig. mio Oss. mo Ricevo il rogalo di V. S., olio tanto più godibile si rendo, quanto elio vera¬ mente qua a simili dilizie stiamo scarsissimi o, conio V. S. dico, è vantaggio che la stagione non faccia desiderar i frutti quanto gl’ alti-’ anni. Gliono rendo le dovuto grazio, o sopratutto mi rallegro che olla si vadi mantenendo con salute tra i suoi travagli: o con quosto Ser. Principo (U non occorro mendicar l’occa¬ sioni di far memoria di V. S., perchè con la solita stima dol suo monto spesso so no tiene discorso. Passerò con il S. r Dottor Marsilii w gl’ uflizii di cortesia da V. S. incarica¬ lo timi: nò altro mi riman elio desiderare, se non che le sue continue grazie mi venissero allo volto accompagnate da qualche comandamento, do’ quali mentre la supplico, devotamente lo lincio le mani. Di Siena, il p.° di Xbro 1640. Di V. S. molto 111. Devot. Sor. A. A. di Siena. ,l > Luopot.oo dr’ Mudici. 1*1 At.kbbandio Mahsili. 278 5 DICEMBRE 1010. [4080] 4089 **. VINCENZO BENIEIU a [GALILEO in àrcelrij. Pisa, 5 dicembre 10-10. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Gal, P. I, T. XII, car. 195). — Autografa Molto Ill. re ot Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Col. m0 Non poco dovrò stimar per Tavvenire quella mia composizione olio lo inviai w , mentre sento esserlo stata cosi gradita, so però Tuffetto non T ha fatta errare noi giudizio. Non penso di stamparla per bora, ma la riserbo a dar fuora con alcuii’altro orazioni, fatto in diverso occorrenze, le quali spero di metter insieme quest’ inverno ; tratanto, acciochè V. S. Eco.®* possa mandarla a Venezia, dove pur liavrci caro di farla vedere, cercherò di farno io un’altra copia o manderolla più presto ch’io possa: ed anco andrò mettendo all’ordino l’effemeridi dolio Mediceo per Tanno futuro. Di sanità, por grazia di Dio, sto assai bene : mi travaglia però anco un io poco la vigilia della notte, segno elio questi benedetti ippocondrii non sono ancor quietati. Ilo preso casa, e condotto con osso meco mio fratello Gio. Bat¬ tista, clic bacia bumilissimamente lo mani a V. S. Ecc. m “; o sin bora, per accora- modarmi o nel viaggio, ho speso 180 scudi: pensi V. S. Ecc. Dt s’io posso vivere coi salario destinatomi. La scuola poi cambia assai bene, particolarmente in Sapienza, dovo sino ad bora continua l’auditorio; in casa poi, al ponto del’asino ne ho smarrito qualcheduno ; spero bone d’havor più concorrenza al principio dell’anno, nell’ incominciar a leggor la Sfora, essendone da molti richiesto. Do’ sogetti che ascoltino ve n’ ò qualch’ uno che farebbe passata, ma la poca voglia di studiare non li lascierà sollevarsi ; ed alcuni che vorrobono o fanno 20 ogni sforzo, hanno il capo che li pesa. Puoi esser eho mio fratello riesca, chè ci ha gonio e cervello accommodato ; ma li bisogna principalmente attenderò ad imbrogliar il corvello agli altri con la legge. Questo è quanto m’occorre, od affettuosissimamente le bacio lo mani. Di Pisa, li 5 di Xmbre lfi40. Di V. S. molto 111.” et Ecc. m ‘ <‘t Cfr. Q.o 1087. Dev.®° o Cordialiss. 0 Ser.'° D. Vincenzo Kenieri. (4090-1091] 8—11 DICEMBRE 1G40. 279 4090 *. FRANCESCO RINUCCINI a GALILEO [in Arcotri] Venezia, d dicembre 1040. Uibl. Est. In Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, U.» I.XXXYII, n.» 20. — Autografa. Molt’ 111." ot Ecc. mo Sig. ro o P.ron mio Oss.™ 0 Sento con sommo gusto l’arrivo ben conditionato della pelliccia: o di estremo contento mi sarà il poter vedere il grosso volume del Filosofo (1) , elio V. S. Ecc. m * mi dico dovere in brovo uscir fuora ; ma, so l’ho a dir come la sento, pagherei volentieri uno elio leggosso por me tutto lo suo filastrocche, per non liavor a perderò il tempo in cosa senza gusto, perché, conio si sarà riso di una cosa, m’immagino tutto l’altro doveranno essere dell’ istesso tenore. Puro sarà non poco 1* acquisto clic no farà l’universale, por lo coso elio vorranno in luce di V. S. Ecc. um Alla quale ricordando la mia vera osservanza, bacio con since- io rissimo alletto le mani. Venezia, 8 Xmbre 1040. Di V. S. molto 111." ot Ecc. m * Aft> 0 et Obb. rao Ser.” S. r Galileo Galilei. Fran. 00 Rinuccini. 4091 * FORTUNiO LI CETI a [GALILEO in Arcetri]. Bologna, 11 dicembre 1640. Blbl. Kat. In Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXVI1I, n.° 188. — Autografa. Molt’ IH." et Ecc. mo S. r o P.roii Oss." 10 Non occorreva elio V. S. Ecc. raB mi mandasse la lettera dell’ Ill. mo S. r Se- nator Soldatiiper assicurarmi elio la tardanza di mandarmi la sua lettera riformata non venisse dalla sua negligenza, massime, corno mi dice, che ha in essa poche cose, e di poco momento, alterate dalle poste nella sua prima, mesi fa inviatami, poiché la sua peritia sopraordinaria nelle cose matematiche tiene bisogno di poco tempo nello sciòglierò difficoltà grandissime, non cho questo mie podio ragioni che altre volto mi scrisse essere di facilissima solutione, per ciò che anco alla semplice sua attestatone io do amplissima ot indubitata ieue: »*> Cfr n.o 4069. (*> Cfr. n.° 4084. 280 11 - 15 DICEMBRE 1G40. [4091-4092] con tutto elio altri potesse dubitare, non essore stato necessario il mandare io tutta la lettera a considerare a quell’A. S., ma solamente il proemio, poscia- chè anco V 111.“° S. r Soldani scrive ebo ’l S. mo Principe non era por censurarla, ma por rigustarla et ammirarla iteratamonte e riceverò nuovo piacere di quello vi ha aggiunto, et questo si poteva faro nel leggerla stampata. Io però voglio in tutto sodisfare al gusto di V. S. Quanto al rispondere a quella parto della lotterà del S. r Gassondo che tratta della stessa materia (1) , di già l’ho fatto; nò mi manca altro clic di faro la ri¬ sposta a quelle cose elio V. S. havorà alterato ot aggiunte, per dar compimento a questa mia fattura : nella qualo, so beno io sarò l’addottrinato da duo sì grand’ huomini, non mi mancherò, l’lionore d’esser entrato in arringo con 20 ossoloro. Col seguente ordinario spero di mandarle gli esemplari di duo o tre mio operette, nuovamente publicate : fra tanto mi conservi la sua grazia. Il P. Ca¬ valieri la riverisce, o meco molto si rallegra di haver buono novelle di lei; et amenduo le preghiamo dal Cielo felicità. Bologna, 11 Xmbro 1640. Di V. S. molto 111/" ot Ecc. ra * Dovot." 10 Sor. 10 Fortunio Liceti. 4092 *. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 15 dicembre 1040. Blbl.Eat. In Modena. Raccolta G'ampori. Autografi, B » I.XXX, n.° 1-19. — Originalo, d'altra mano. Molto 111.” et Ecc. B0 Sig. T , Sig. r Col.® 0 Godo che la fodra mandata sia riuscita di sua sodisfattiono : certo, per Panno elio corro ot per quello clic si può bavero, non si ò mancato di far il possibile acciò restasse servita. La spesa ò anco di conto. La ratta della pensiono che havovo nello mani, io ho anco quella di 7mbro passato, della qualo V. S. molto 111.” et Ecc. raa disponga a suo piacere, o co¬ mandi ciò che si debba faro. Mi condoglio di questa nuova sua acrimonia negl’occhi ; ma quosti tempi portano incomodi alla vecliiezza. Io ancora posso diro di tendere al letto già duo mesi d infirmiti, perchè da quattro giorni soli in qua comincio levarmi io qualcho bora. Bett. 4091. 10. estere lidia neeetiarin il _ Cfr. li.» 4078. 15 — 18 DICEMBRE 1040. 281 [4092-40941 Il Sig. r Licoti mi ha mandato tre altro sue compositioni, mia dolio quali è elio Interra eia centro doli’ universo (1) . Convion elio questo grand’huomo babbi ritrovata qualche ragiono o esporionza elio la convinca, cosa elio, a dir il vero, sin d’ora non à stata fatta di alcuno. Mi dii anco conto della lot¬ terà del Sig. r Gassondo 1,1 et di quella elio lo manda V. S., amplificata circa il enndor della luna, ma insieme mi dico elio il risponderli sarà, l’opera della seguente està, ; et io ho una impationza insopportabile d’aspettare di veder all’ bora l’aggionte che V. 8. lux fatto et il contenuto della lettera sudotta. Se 20 ino no potesse favorire col farmi tenore la sostanza et il ristretto, no riceverei singolarissimo favore, ma senza molto suo scomodo. Il elio ò quanto mi occorro di particolare ; o col pregarli tranquillità, di animo, con tutto balletto lo bacio lo mani. Ven. a , li 15 Xmbre 1040. I)i V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dovotiss. 0 Sor.” Fra Fulg. 0 do’Servi. Inori: Al molto IH.” et F.cc. m0 Sig. r , Sig. r Col. m> Il Sig. r (Jallileo Galliloi. Fiorenza. 4093 . FULGENZIO MICANZIO a FORTUNJO UCETI [in Bologna!. Venezia, 15 dicembri) 1G40. Cfr. n.° 4100, lln. 22 -28. 4094 *. BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Arcotri. Bologna, 18 dicembre 1640. Blbl. Nftz. Flr. Mas. (lai., P. Ili, T. VII, 1, car. 172. — Autografa. Molto III. 10 et Ecc. m0 Sig. r o P.ron Col.® 0 Lo molto mio occupationi, così nello lottioni publiche come privato, mi hanno reso alquanto negligente nello scriverò a V. S. Ecc.“ a , ondo la prego a scusar¬ mene, stanto anche la mia continua indispositione. Ricevei le salutationi fattemi por il Sig. r Liceti con molto gusto, tanto più che havevo con mio grandissimo ramarico sentito un’amara nuova di lei, ebo ci havesso con la presento vita abbandonati, ondo pensi quant’io mi rallegrai. Questo, secondo il dotto commune, suolo allongare la vita ; perciò io bora, per Fortumi Liceti, occ. De terra unico centro Utini, ex typ. Nicolai Sebiratti, MDCXI* mtu» eingultmim cucii pariicula rum, dieputatiouce. Cfr. n.° 4078. XVIII. 30 282 18 — 20 DICEMBRE 1040. [ 40944095 ] il contrario, mi rallegrarò elio li avranno allongato ossa vita: o erodo elio l’equi¬ voco nascesse forsi por la morto di qualche altro di casa Galilei. Questo poi, clic io mo lo riferì, fu il P. Fidati 11 ’, puoco fa Giosuita, elio è stato in quolla religione da 21 anno et ora Ministro del Collegio Romano, et è uscito con alcuni altri nuovnmonto da quella religione; il qualo disso di havorlo sontito diro in Ancona da un Fiorentino, acciò olla sappi il tutto. Il Sig. r Licori et io habbiamo più volto ragionato insieme di lei o discorso in¬ torno alla questiono, conoscendo egli veramente por efficacissimo lo ragioni addot¬ tolo in contrario da V. S. Ecc.“", replicatolo in parto da un tale Gassondi (8 ’, credo rrovenzalo, elio concorro nel parerò puro di lei ; ma si trova imbarcato, bisogna elio navighi, so però havrà biscotto a bastanza. Dico beilo elio questa contro¬ versia gli arrecha maggioro honoro elio qualsivoglia altra ch’egli babbi havuto, 20 ondo egli dovria molto ringratiarla, poiché, dovo lo suo opero sono visto da po¬ chi, 0 non molto stimato, questa sarò, 0 vista da assai persono 0 stimata molto. Starò però anch’io attendendo di vedere raggiunte fatte allo prime risposto, quali mi stimo saranno degno di lei 0 non dissimili in eccellenza 0 rarità alle altro suo peregrino spccolationi ; 0 fra tanto non resterò di pregarlo dal Signore lunga 0 felico vita, dandoli lo buone feste, et insieme anco al S. r Viviani, se più godo di cotosto fortunato albergo. Con cho di tutto cuore la riverisco. Di Bologna, affi 18 Docembro 1640. Di V. S. molto 111. 10 ot Ecc. mft Dcv. rao ot Ob. mo Ser.™ S. r Gal. 00 F. B 011 .™ Cavalieri. 8,) Fuori : Al molto Ill. r0 ot Ecc. mo Sig. r 0 P.ron Col. 0 11 Sig. r Gal. 00 Galilei. Fiorenza. Ad Arcetri. 4095 **. VINCENZO RENI E RI a [GALILEO in Arcotrij. Pisa, 20 dicembre 1640. Blbl. Nnz. Fir. Mss Gal., P VI. T. XIII, car. 28G. - Autografa. Molto 111." et Ecc. rao mio Sig. r 0 P.ron Col."' 0 Mando l’inclusa copia dell’ingresso <8> ; e l’ho fatta copiare da uno scolare, cho basendomela portata bora al tardi, non ho havuto tempo di rileggerla, che però sarà neccessario eli ella so la faccia rileggere prima di mandarla. Lett. 4094. -3. afflimi le fatta. Prima aveva scritto aggiunta fatta, poi corrosso aggiunta in aggiunti, ma dimenticò di correggerò fatta in fatte.— Giovanni Kkunaudino Fidati. <*' Cfr. u.o 407S. U) Cfr. 11 « 4089. 20 — 2G DICEMBRE 1640. 283 [4095-4096] Io mo la passo al solito; o vado mettendo all’ordine l’effemeridi per l’anno avvenire, lo quali vorrei, quando ella si compiacesse, far istainparo por mandar attorno a qualelio amico, liavendo ultimamente, dallo passato osservazioni, ridotte lo tavolo do’ moti di quello, elio rispondono cssatissimamonto. Questo ò quanto m’occorro, montro a lei cd al Sig. r Viviani prego felicis- ìo siiuo questo S. Feste, o lo bacio caramente lo mani. Di Pisa, li 20 di Xmbro 1640. Di V. S. molto 111/" et Ecc. m:i Obb. m() o Dov. m ° Sor/* D. Yinconzo Roniori. 4096. VINCENZO HENIERI a [GALILEO in Àreotri]. . Pisa, 26 (licombro 1010. Dlbl. Nuz. Fir. M.ir. Osi.. 1’. VI. T. XIII, cur. 238. — Autografa. Molto Ul. ro et Ecc. m# mio Sig. r o P.ron Col. mo Inviai a V. S. Ecc. m ‘ per il libraro detto Nofri, che sta vicino alla riazza del Gran Duca, una copia del mio ingresso {l1 , che lo liavovo promessa; luivrò dunquo caro d’intenderò so l’Labbia ricovrita: cd in tanto lo prego felicissime lo SS. 18 Feste, con un nuovo anno prospero, accompagnato da una moltitudine d’infiniti altri appresso, sì conio faccio anco al Sig/ Viviani. Vengo richiesto dal’IU. mo Sig/ Girolamo Spinola, governatore della Specie, principal gontilhuomo della nostra citte, d’un occhialo che non eccedesse l’in¬ clusa misura; o perché premo sommamente di servirò a un cavallioro di gonti- ìo lissime condizioni, supplico V. S. Ecc. mB a favorirmi di incommodar qualche suo amico, elio usi diligenza di trovarlo ed inviarmelo con la nota dolla spesa, clic lo no resterò porpotuamento obbligato. In tanto vado mottendo all’ordino un mio capriccio sopra li spoccliii d’Ar- chimedo, sovvenutomi ultimamente nel logger alcuni versi grechi di Zotzo C2) , an¬ tico poeta, elio doscrivo l’incendio dolio navi di Siracusa; il quale manderò a V. S. Ecc. mR , acciochò mi faccia grazia d’essaminarlo o, prima eh’io con altri lo conferisca, dirmeno il suo parere: stanto elio dallo parolo di questo scrittore panni potor concluderò che quanti fin kora ci hanno fantasticato attorno, ben¬ ché liabbiano trovate sottilissime invenzioni o speculazioni acutissime, non kab- 20 biano per ogni modo toccato il segno, per essersi figurati neH’animo che Archi¬ mede, noU’accendor il fuoco in un destinato luogo d’una nave, v’adoprasse un <‘> Cfr. u.» 4095. <*> Cfr. u.° 2271. 284 26 DICEMBRE 1640 — 1° GENNAIO 1641. 14096-4097] solo specchio; il elio io credo falso, o stimo elio più d’uno, variamente situato, vo no mettesse in opra, conio più a lungo con un poco di tempo mi lascerò intenderò. Lo bacio por lino affettuosissiinamente lo mani, o prego dal Cielo continuata prosperità. Li Pisa, li 26 di Xmbro 1640. Li V. S. molto 111.” et Eco."* Dov. B “' ot Obb.®° Ser.” D. Vincenzo Roniori. 4097. FORTUNIO LICETI a GALILEO in Firenze. Bologna, 1° gennaio 1641. Blbl. Naz. Pir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 239. — Autografa. Molt’Ill." et Ecc. mo S. or P.ron Col.» 0 Servirà questa por riverire V. S., con augurargli il buon principio d’anno, ot inviargli l’esemplare della mia operetta De natura et arte {l \ elio si degnerà di ricovero come nuovo segno della mia osservanza, lionorandoini di farsela leg¬ gere. Spero di mandarlo presto lo risposto da ino fatto all’Apologetico del S. or Cbiaramonti, non volendo con tanti volumi insiomo fastidirla. Nel resto io sto imparento hormai di vedoro la sua lettera riformata et ampliata; e tar¬ dando tanto V. S. a farmono parte, vado dubitando che loi voglia eli’io rispondi alla prima, massime havendomi ossa nella ultima sua scritto elio vi ha alterato ot aggiunto pochissimo cose o di poco momento: sì clic, erodendo elio questo sia io il suo pensiero, da qui avanti farò lo mio considorationi intorno alla prima già mandatami ; e so mentre questo si stamperanno V. S. mi lionorcrà di mandarmi lo sue additioni o riformo, non mancherò di farlo mottero a i luoghi suoi, o, non potondo più farlo, lo porrò in una mantissa o vero appendice alla fino del¬ l’opera, che sarà di non pochi fogli. Con qual fino lo progo da N. S. ogni contento. Boi.*, il p.° Gen.° 1641. I)i V. S. molt’ 111. 0 ot Ecc. ma Lovot." 10 et Oblig. mo Se.” Fortunio Licoti. V. S. si contenti di voltar carta {i '. Ero por suggellare et inviare alla posta questa mia, quando mi ò giunta 20 1 ultima sua delli .... (3) passato, nella qualo mi avisa, che sondo ritornato da Siena il ber." 10 Frencipe Leopoldo, gli voleva in breve consigliare la sua lettera, * 1 I 1 ortunii Liceti, eco. De natura et arte li- sul tergo. bri duo, ccc. Utini, ex typ. Nicolai Schiatti, MDCXL. <*) Il giorno ò lasciato in bianco. ,a > Fin qui è scritto sul recto ; il resto si leggo 1° — 4 GENNAIO 1641. 285 [401)7-4008] la quale ossa poi mi haverebbe di subito mandata, o che il P. M. Fra Fulgentio da Venetia gli haveva scritto del mio libro De terra, unico centro motus smgur larum codi partictdarum (11 , elio V. S. desidera di vedere. Quanto al primo, starò con desiderio attendendo la lettera, prima di trascriverò lo mio considerationi, già fatto sopra la prima, por metterlo sotto ’l torchio. Quanto al secondo, non ho manda[to] a V. S. quelli miei volumetti prima, non havendola voluto distrahero dal mandarmi la lettera con la lettura di ossi; lo farò la .settimana vontura, 30 et insiomo con essi mettorò anco l’operetta T)c natura et arte , che, por ossor piccola, potrà farsi leggero prima dello altro. Con qual fino (li nuovo gli bacio le mani. Boi.*, 1 Gen.° 1041. Fuori: Al molt’Ill.” ot Ecc. mo S. or P.ron Col." 10 Il S. 0,r Galiloo Galilei. Con un involto seg. 10 G—^—G. Fiorenza. G-*— G. 4098 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, i Rcnnaio 1011. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. XII. car. 168. — Autografi la sottoscriiiono od il poscritto. Molto 111” Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. mo Bisogna eli’ io non Labbia saputo esprimermi intorno al credito di V. S. molto 111.” et Ecc. ra * Dolio due ratto delia sua ponsioncolla passato, una 1’ ho spesa di punto nella fodra mandata, l’altra 1’ ho tutta intiera, o V. S. no può disponero ; nò volsi dir altro, se non che le monete erano cresciuto a tale essor- bitanza elio con poche si faceva grossa soma, correndo il cechino lire 16, la doppia 28, et a proportiono il rimanente. Devo venire, con occasiono di pre¬ dicare in Treviso, il P. Maestro Pietro Paolo l *', elio sta costì alla SS. ra * Non- ciata; lo faccio scriver hoggi che si compiaccia sborsaro a V. S. il valsonto di io 15 scudi d’argonto o soldi dieci di questa nostra moneta, che è una ratta: so lo farà, liavrò piacere elio non ci entri spesa; so non, V. S. comandarà quollo dovrò fare. Me no sto in piedi, però confinato nella camera con una difficile convale¬ scenza et arduissima (?) ricuperation di forze. Non ho potuto trattenermi dal "i Cfr. 11.0 4002. <*) Pietro Paolo Chiharoi. 286 4 — 5 GENNAIO 1641. [4098-4099] legger a poco a poco il trattato (lelPEcc.® 0 ot Km." 0 filosofo il Sig. r Liceti, che il contro* (lolla torà sia anco contro doli* universo (,) , ot con una estrema curio¬ sità di vodoro da questo tanto celebro ingegno lo ragioni di tal problema ; ma, o ebo io non capisca la sua profondità, o elio non vi è nessuna prova imagi- nabilo, fuori elio quello elio hanno scritto li seguaci d’Aristo telo o di Tolomeo o questi auttori ; di maniera talo ebo, sicomo amiro la grand’oruditiono di quel 20 Signore, così in questo tanto bramato proposito non ho imparato cosa alcuna. Nell’altro duo suo opere novo egli confuta sottilissiinamento quello cho il Sig. r Cbiaramonti ba ripreso in lui ; dei resto non vi veggo so non la sua gran co¬ pia, ma non imparo coso nove. Cbo ò quanto di presento m’occorro; et a V. S. molto 111.” et Ecc. mft prego ogni felicità, 0 patienza con tranquillità, 0 baccio lo mani. Von.*, li 4 Gon.° 1641. Di V. S. molto HI." ot Ecc. m “ Il S. r Proc. r Sebastiano Venior mori già 4 mesi. Il S. r Zaccaria Sagredo vivo in ottimo stato. Fuori : Al molto 111.” Sig. r , Sig. r Col." 10 11 Sig. r Gallileo GaUilei. Fiorenza. « 4099 *. FRANCESCO RINUCCINI a GAI-ILEO in Arce tri. Venezia, 5 gennaio 1641 Bibl. Est. In Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, B.» LXXXV1I, u." 20. — Autografo lo sottoscrizione. Molt’Ill." et Ecc. mo Sig.” mio P.on Oss.* 80 Lo occupationi sopragiuntemi grandissime in questa settimana non mi hanno permesso il potere vedere ancora l’ingresso^ 1 , elio con la sua Immanissima ho ricevuto, fatto dal Padre Fra Vincenzio Renieri, nuovo lettore dolio Mattematiche nello Studio di Pisa: presuppongo però cho sia conforme al suo bollo et elevato spirito. In conformità dunque dei suoi comandamenti, lo farò vedero et al Padre Maestro Fulgenzio et al S. r Dottor Piorucci, comunicandogli il desiderio del detto Padre. Intanto rondo a V. S. Ecc. m * pienissimo gratio dello tante prosperità che 80 Dov.™ 0 Ser. F. Fulg. 0 O) Cfr. n.° 4002. <*» Cfr. n.o 4096. 5 — 8 GENNAIO 1041. [4099-4100] 2ti7 mi va dalla Divina Bontà augurando; o ripregandoli questo nuovo anno, con io molti appresso, colmo di veri contenti, le bacio di vivo cuore lo mani. Venotia, 5 Gennaro 1640 ,n . Di V. S. raolt’IU." et Ecc. m * Aff. mo et Obb. B0 Sor.™ S. r Gallileo Gallilei. Arcotri. Fran. eo Kinuccini. 4100. FORTUNIO ldCETI a GALILEO in Firenze Hologna, « seminio idi. Blbl. Naz. FIr. Msn. fini., P. VI, T. XIII, car. 241. — Autografe. Molt’ 111.™ ot Ecc. m0 S. or P.ron Col." 0 Mi duolo elio insiemo con la mia lotterà V. S. non habbia ricevuto li esem¬ plari dello mio tro ultimo opero publicato, o spotialmonto quolla De. Terra, unico emiro motus sincjularutn codi parlictdartim la qualo V. S. desidera. L’ho composta in occasiono di rispondere allo obiottioni del S. or Chiaramonti, sup¬ posto il sistema Tolemaico e la dottrina peripatetica, nelli quali duo fonda¬ menti l’antagonista meco conviene. Toi che nella mansiono di essa lettera si accusa rinvolto segnato G——G, noi qualo ho posto li tro esemplari, so bene dentro la lettera scrissi di dovorli inviare a V. S. coll’altro ordinario, ma ve¬ lo dendono la premura elio lei me no facova, mi risolai mandargnene coll’ordinario stesso elio portò la lettera, sì elio credo a quest’ bora 1’ Laverà ricevuti. Ma molto più mi posa la procrastinatione di mandarmi la sua lotterà ri¬ formata ot ampliata, sì porcliò dosidero molto vedoro lo aggiunto fattevi e go- doro della dottrina aggiunta, come porcliò non vorrei perdere il tempo, datomi adesso nelle vacanze, potendolo impiegare nella considorationo delle coso sottili che V. S. mi propone, ma principalmonto anco per non perdoro di riputatione presso ’l mondo ; poi elio presso a chi mi sollecita fuor di modo alla risposta, dicendo io di aspettare la lettera di V. S. ampliata, non ottengo intera fedo, *'• Cosi l’originale, sia cho la data si dobba in¬ tendo™ di stilo fiorentino o veneto (il cho sarobbo poro contrario allo abitudini dolio scrivonto), sia cho. corno erodiamo più probabilo, o si tratti di un moro error di penna doll’ftmanuonso, o, infine, il Risccoixi inavvortentomonto dottasse, corno può avvoniro noi primi giorni del nuovo anno, il millesimo dell’anno da poco finito. Ma elio questa lotterà appartenga al 1611, ò iudubitatamouto provato: poiché Vincenzo Rbxikki fu dotto alla cattodra dolio Matematiche nello Stu¬ dio di Pisa con rescritto grnnducnlo del 26agosto 1640 (cfr. Antonio Favako, Anno» « corrispondenti di Ga¬ lileo Galilei. XII. Pt'neeiitio Genieri, negli Atti del fì. Istituto Veneto di «oienxe lettere ed arti, Tomo LXIV, Par. II, Venezia, officino grafiche di C. Ferrari, 1905, pag. 173: o cfr. puro noi presento volitino, n.« 4048, lin. 46-47, n.® 4049, lin. 18-19); foco il suo ingresso, cioè la proiezione, il 13 novembre (cfr. n.4082); no mandò copia a Galileo il 26 novembre (cfr. n.® 4087), o appresso altra copia il 20 dicembre, acciocché Ga¬ lileo la inviasse a Vonozia, dovo il Genieri avova * caro di farla vodoro » (cfr. nn. 1 4089, 4095); o di quost’ultiina il Rindcoini accusa il ricevimento con la presente dol 6 gennaio 1641. <*i Cfr. n.® 4092. 288 8 — 9 GENNAIO 1641. [4100-4101] poi elio mi scrivono elio V. S. un pezzo fa ha divolgato
  • Cfr. ii.» 4090. 9 - 15 GENNAIO 1641 . 289 [ 4101 - 4102 ] questa solo per renderlo grazio della diligenza elio olla mi scrisso d’ kaver por ciò usata. Mi dispiace ben in estremo d’intender lo suo continuo molestie della infermità, o vorrei liavor parole da consolarla, ma so cho mai si può ragio¬ nando medicar lo passioni dol corpo ; però basterà a lei esser sicura che som¬ mamente la compatisco. In quanto poi alli specchii ustorii' 1 ', io pensava di scriverle distintamente io il mio capriccio, ma alcuno occupazioni sopragiunto por bora non me no la¬ sciano coinmodità. Solo la prego a farmi grazia di pensar un poco, so dove batto, por essompio, il riflesso della luco solaro vibrata da uno specchio piano, fosso possibilo accendervi il fuoco, facendovi arrivare quello di 300 o 400 o piò altri specchii piani, poiché nel veder io conio ci riscaldi il riflesso d’ un solo, non lo stimo por cosa del tutto impossibile ; o so ciò è possibilo, credo d’liavor intesa l’operazione d*Archimede, da un tal poota greco recitata. In tanto so verranno l’opero del Sig. r Licoti, gran fortuna sarà la nostra di poter imparar qualche bolla dottrina da quel soggetto eminente, massime se vi sarà quella De centro et circumfercntia {t \ cho debbo esser ripiena di spe¬ co culationi recondito. Ilo cominciato a legger in casa la Sfera con un nobilissimo concorso. Clie è quanto por bora mi rosta da dirli, mentre per fino a loi od al Sig. r Viviani bacio afìottuosissimamento lo mani. Di Pisa, li 9 di denaro 1641. Di V. S. molto 111.** ot Ecc. ro * Dov. mo ot Ob. mo Sor/ 0 D. Vincenzo Iteniori. 4102 *. FORTI)NIO LICETI a GALILEO in Firenze. Bologna, 16 gennaio 1041. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXV1II, n « 145. — Autografa. Molt* Ill. rt et Ecc. rao S. r P.ron Ool.“° Servirà questa solo per inviare a V. S. un esemplare di corti Epigrammi (3) , uno do’ quali appartiene a V. S., havendone havuto l’ordine dell’autore di essi 141 , o per avvisarla cho quindici giorni sono lo mandai li esemplari delli miei libri Lott. 4102. 4. che quindi giorni — sotto i nn.‘ 4104, 4101», appuro chiaramente elio di quost’opuscolotto esistono due edizioni, fatto a di¬ stanza di pochi giorni l’una dall’altra, o la soconda * coll’aggiunta d’altri nuovi» opigrammi; ma noi non abbiamo potuto rinvenire cho l’edizione dolio quale abbiamo qui riprodotto il froutospizio. <»> Cfr. un.» 4103, 4108. 37 <*> Cfr. n.® 4000. •*> Cfr. n.« 3976. <*' Epigrammata in virorum lileratorum imagi net, quo» I/luilrinimu» Eque» Coniami» a Puteo »«« in bibliotkeea dedicavi!. Cum appenditela variorum car¬ minimi. Romao, oxcudobat Ludovici» Grignanus, C10I0CXLI. Dallo lotterò dol Lickti cho pubblichiamo XVIII. 290 15 — 20 GENNAIO 1G41. [4102-4103] De natura et arte {i \ De terra unico centro motus singulanm codi particula- rum l *\ ofc De regulari motu minmague parali axi comclanm coclcstium (3 ’, in risposta allo oppositioni fattemi dal S. r Chiarnmonti nel suo Apologetico, posto in fine del supplemento al suo Antiticono {AÌ : mi sarà, caro di sontiro elio gli hahhia ricevuti o quello elio no sonto. Sto tuttavia aspettando la sua lotterà riformata et ampliata, por imparare nuovo coso. Con qual fino lo bacio le mani, io Bol. a , 15 Gcn.° 1G41. Di V. S. molt’ 111.* ot Ecc. n ' n Devot. m# Ser. M Fortunio Liceti. Fuori : Al molt’Ill." ot Ecc. mo S. r P.ron Col. m ° Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 4103. GALILEO a [OASSIANO DAL POZZO in Fornai. Arcctri, 20 gennaio 1641. Aroh. Savoia-Aosta in Torino. Carteggio ili Cnssiano dal Pozzo, Voi. VI. — Originalo, d’altra mano. Ul. mo Sig. re , Sig. r P.oiig mio Col."' 0 Mi comparsero V alti 0 ieri gli Epigrammi 15 ', o vogliamo dire gli elogi, che V. S. Ill. ma ha fatti porro nel suo Museo sotto ai ritratti di varie persone litterate de’ nostri tempi ; questi mi vengono inviati dal Sig. Filosofo Liceti, e, come esso mi scrive, di ordine di V. S. 111.“® Nel sentirmegli leggere con curiosità, ho inteso che ella mi onora e favorisce ascrivendomi nel numero de’ suggetti di tanto inerito. Non so qual sia maggiore, o il guadagno appresso il mondo della mia reputazione, o lo scapito del purgatissimo giudizio di V. S. Ill. ma , mentre che, da soverchio affetto trasportata, mi colloca in quell’al- io tezza di luogo dove per me già mai non sarei salito. Ma conside¬ rando la picciolezza, anzi nullità, del mio merito, tanto più si accre¬ sce in me la grandezza del obbligo alla cortesia di V. S. Ill. ma , et in conseguenza tanto si fa maggiore il mio debito di rendergli grazie dell’onore che si è piaciuto conferirmi. Glie ne rendo per tanto con quella maggiore efficacia che dalla debbolezza del mio spirito mi crr. n.o 4097. ox typ. Nicolai Schiratti, MPCXL. *> Cfr. n.® 4092. <»> Gir n.® 1768. l3) De regulari molti m\n\nm<(uc parallaxi cometa- <*> Cfr. li.® 4102. rum aoelestium disputatio Fortuhii Lickti, qcc. Utiui, 20 — 22 GENNAIO 1641. 291 [4103-4104] vieno conceduta, et insieme la supplico a continuare la memoria di me, suo humilissimo o divotissimo servo, mentre con reverente affetto gli bacio le mani o gli prego da Dio il colmo di felicità. »o Dalla villa d’Arcetri, mio continuato carcere et esilio dalla città, li 20 Genn. 1641. Di V. S. lll. mft Devot. m0 et Obbl. roo Ser. re Galileo Galilei cieco. 4104 **. F0BTUN10 LICETI a GALILEO in Firenze. Bologna, 22 gennaio 1641. Autoffrnfoteoa Morrlmm in Londra. — Autografa. Molt’Ill. 10 ot Ece. mo S. r P.ron Col."' 0 Coll’ istosso procaccio inviai a V. S. il fagottino do i miei libri ultimi (1> ot al p. M. Campani w Domenicano duo altri fagotti, li quali mi scrivo elio gli sono stati consigliati prontamente o bone conditionati : voglio però credere elio a quest’ bora V. S. bavorà anco ricevuto il suo. Quanto alla risposta che V. S. si compiace di faro ad alcuni capitoli dolla mia ultimamente scrittagli, intorno allo causo che mi muovono a fargli nuove distanze con premura grande acciò resti servita di favorirmi quanto prima di quella sua lotterà riformata et ampliata, non mi occorro dir altro, so non elio io la supplico, por quanto lei può, ad accorciarsi, stanto quello ebo loi ha scritto ad altri d* bavorlami mandata. Con qual fino lo bacio lo mani di tutto cuore. Bologna, 22 Gen.° 1641. Di V. S. molt'IU." et Ecc.™ Alla quale mi occorro dir cho il S. r Naudeo t3) non rosta sodisfatto dogli Epigrammi publicati, sen- dovi trascorso, por inavortonza del copista, qualche orrore di sillaba, elio poi ha corrotto o ristampato, corno vedrà; o mi sarà favore cho V. S. mi rimandi quel foglio, da inviare all’ autore elio lo ricchiede. 20 Dovot. n '° et Oblig. n '° Ser. re Fortunio Liceti. Fuori: Al molto 111." ot Ecc. mo S. or , S. or P.ron Col."' 0 Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Cfr. nn. 1 4097, 4100. Padre Maestro Phancksoo Campani. (3) Gaubiklh Naudjì: cfr. n.° 4102. 292 1641. 14105] 4105. GALILEO a FOUTUNIO UCETI [in Bologna]. Arcctrl, 1641 "i Dnllo pag. 57-58 doll’oporn De luna* eubobecura Iute ccc., citata nell'informazione promossa al n.« 4044. Molto Ulti, et Ecc. Sig. o Padron mio Colcndiss. Riceverà V. S. molto 111. et Ecc. con questa una copia della let¬ tera che più giorni sono, richiesto da chi comandar mi poteva, scrissi in risposta allo obbiezioni scritto e publicato da lei contro all’opi¬ nione da me tenuta della causa del candore lunare etc. : della qual lettera pur allhora glie ne mandai copia; ma significandomi ella di voler di nuovo a quanto scrivevo replicarmi, e far la sua replica, insieme con la mia lettera, publica con le stampe, gli soggiunsi che lasciavo in suo arbitrio di fare quanto gli era di piacere, ma che non havendo io scritta quella mia risposta con pensiero che dovesse io esser publicata, le richiesi che per alquanto tempo differisse tal pu- blicazione, sin che io gli mandassi altra copia della medesima mia let¬ tera, alquanto riformata, benché non alterata in quella parte che alle considerazioni scientifiche apparteneva, bì come V. S. riconoscerà conferendo con quella prima questa elio ora gl’invio. Scusi la mia di¬ lazione, la quale serva anco per sua giustificazione appresso gli amici suoi; li quali come ella più volte m’ha fatto intendere che della sua tardanza in replicarmi si maravigliavano et in certo modo dolevano, quasi che impazientemente tolerassero la sua tardanza, mentre che in tante e tante altre esperienze havovano conosciuta la prestezza e 20 fecondità del suo ingegno nello sgravarsi dalle obiezzioni che da qual si sia le venissero fatto sopra la solida sua dottrina, quando Y. S. Ecc. si senta ancora pur bisognoso di mostrare a gli amici suoi che la Leti. 4105. 11-12. juibUcazione, «oli? io. Ma a pag. Gli della stossa opera De lunae tubobiciira ilice occ., dove ò ripubblicato un piccolo brano di questa lettera, ò stampato «in che. — <*i La data « 26 Gennaio >, elio si leggo in cnlco alla prosento, ò indubitatamente fittizia. 11 Lickti infatti feco richiesta a Galileo di questa lotterà, destinata ad ossor pubblicata, il 5 febbraio (cfr. n. 4109), o la ricovotto il 11 maggio (cfr. n.° 4141). Dobbiamo crcdoro pertanto che Galileo nell’asso- gnnro questa missiva al 26 gonnaio intendesse indi¬ caro il giorno in cui inviò all’antagonista la Lettera sul enndor liinaro. riformata ed ampliata, della qunlo il Liobti pochi giorni dopo, il 29 gonnaio, accusava ricevimento (cfr. n.« 4107; o cfr. puro Voi. Vili, pag. 472), so pure non vogliamo tenore cho la data stossa, por lo stesso motivo, fosso apposta dal Liceti. [410541061 26 GENNAIO 1641. 2 9c dilazione nel rispondermi è derivata non dalla sua ma dalla mia tar¬ dità in non subito effettuare la sua domanda, servasi di questa mia, facendola publica e preponendola alla sua risposta, oliò io il tutto riceverò a grado. Nò mi occorrendo altro per ora soggiugnorli, con vero affetto le bacio le mani. Di Àrcetri, gli 26 Gennaio 1641. 30 Di V. S. molto HI. et Eccellentiss. A ffottion ati ss. Ser v. Galileo Galilei. 4106. GALILEO a FOllTUNIO LIOETI in Bologna. [Arcotri, gennaio 1041.] Diti. Nat. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 143-144. — Minuta, di ninno di Vihocneio Viviani. Molto Ill. rj et Eccel. ra0 Sig. r mio Ossor. mo Ter diligenza fatta usare, non mi è succeduto di risquotere le 3 opere, da lei inviatemi, prima che tre giorni fa. Ricevutole, mi son fatto leggero assai correntemente et alla spezzata le cose contenute ne i dua trattati, l’imo del centro dell’ universo (1) , e l’altro attenente alla controversia tra V. S. Eccel. ma et il Sig. r Chiaramente <2) , intorno al luogo de i nuovi fenomeni che appariscono nelle parti sublimi del mondo. Il problema o questione del centro dell’universo, e se in esso sia collocata la terra, è dello meno considerabili in astronomia, av- io venga che a gli astronomi principali basta il supporre che il globo terrestre sia come di insensibil grandezza in comparazione dell’orbe stellato, e, quanto al sito, che egli sia o nel centro della rivoluzion diurna di tale orbe, o vero da quello remoto per distanza non cura¬ bile. Tuttavia non ò da affaticarsi in creder di poter dimostrare, nò che le stelle fisse siano collocate in uno spazio circonscritto da una sferica superficie, più che con immense lontananze tra di loro in questo et in quel luogo situate. Parimente il voler assegnar centro a quello spazio che non si sa nè si può sapere quale sia la sua figura, nè pure “> Gir. n.o 40U2. <» Cfr. n.o 4102, liu. 6-8. 294 GENNAIO 1641 . [ 4106 ] HO egli di qualche figura sia figurato, è impresa, al mio parere, su- porvacanea e vana; ondo il creder elio la terra possa esser costituita 20 in un contro, il quale non si sa so sia al mondo, ò impresa, come ho detto, frustratoti a. Ma so poi noi vogliamo considerare i corpi celesti inferiori, de i quali possiamo asserire i loro movimenti esser circolari, e perciò aver centri dello lor conversioni, il voler por la terra per commi centro di questi, ò pensiero non solo vano, ma assolutamente fallace, essendo manifesto che ciascheduno di tali corpi mobili ha suo contro particolare e tra di loro differentissimi, in niuno do’ quali si può costituire la terra; anzi essa terra non puro non è centro di alcuno de i lor circolari movimenti, ma è per grande spazio fu ora ancora do i cerchi et orbi loro, come è manifesto in Mercurio e Ve- 80 nero: e do gli altri, essa terra ò tanto da i centri loro remota, che, per esempio, Marte camminando intorno nel suo cerchio, alcuna delle sue parti si trova così vicina alla terra 0 l’opposta così lontana, clic questa ò otto volte più remota dalla terra che quella. Or vegga V. S. che impresa intraprenderanno quelli elio volessero costituirla nel centro di tal circulazioni : e questo elio io dico di Marte, accade an¬ cora di Giove e di Saturno, se bene non con tanta differenza. Un luogo che quasi per centro si potesse costituire a tutti i pianeti, trat¬ tone la luna, conviene più al sole che ad altri ; ma non però che al centro di esso conspirin puntualmente i centri de i detti pianeti, anzi 10 sono eglino Itine inde locati intorno al sole, ma con esorbitanza infini¬ tamente minore di quella che essi hanno in rispetto alla terra. Però quanto a questo capo, Eccel. mo mio Signore, può, per mia oppinione, ritrarsi dal volere, 0 con testi o con autorità d’Aristotele, cercare di persuadere dottrina troppo manifestamente falsa: e per intendere e farsi possessore della scienza astronomica bisogna studiare altri che Aristotele, dalli scritti del quale non si comprende che egli ne pos¬ sedesse niente più di quello che ne intenda ogni ben semplice liuomo. Quanto alla controversia col Cavalier Cliiarainonti, potrebbe facil¬ mente V. S. restare informata del valore di tutta la sua dottrina, se 50 vedesse quello che in esaminandola ho scritto nel mio Dialogo sfor¬ tunato, dove chiaramente gli mostro la sua impresa essere stata va¬ nissima, mentre che ei si persuadeva, contro all’oppinione di molti astronomi moderni, (li conformare la oppinione di Aristotolo dell’esser le comete sublunari, dimostrandolo in virtù delle medesime osserva- GENNAIO 1041- 295 [ 4106 ] zioni di tali astronomi, con lo quali essi lo provavano esser celesti; dove io in generale dimostro, niente di vero nò di necessario potersi raccorre dallo medesimo osservazioni di essi circa il luogo di simili fenomeni: la qual mia conclusione è tanto vera e manifesta, quanto no che, non potendo un tal particolar fenomeno esser se non in un sol luogo ot in una sola distanza dalla terra, con i calculi fabbricati sopra lo detto loro osservazioni si raccoglie, ora il medesimo feno¬ meno esser distante dua semidiametri terrestri, ora 10, ora 30, ora 000, ora esser nella sfera stellata, o talhora ancora sopra. Or vegga V. S. qual fede si deve prestare sopra alla diligenza di tali astronomiche osservazioni. Ma deH’essersono osservati alcuni di tali fenomeni altissimi e forse tra lo stello fisso, il mantenere essi la medesima vicinanza ad una fissa lor prossima in tutto il lor tempo ce ne rendo più che si¬ curi. Ma di questo non ò tempo di discorrerne a lungo al presente: 70 concluderò solamente, elio havendo V. S. Eccel. ma per suo scopo il voler mantenere per vero ogni detto di Aristotele, e sostenere che le esperienze non mostrino cosa alcuna che ad Aristotele sia stata inco¬ gnita, ella fa quello elio molti altri Peripatetici insieme forse far non potrebbero; o quando la filosofia fosso quella che ne i libri di Ari¬ stotele è contenuta, V. S. per mio parere sarebbe il maggior filosofo del mondo, tanto mi par che ella habbia allo mani et in pronto tutti i luoghi di quello. Ma io veramente stimo, il libro della filosofia esser quello che perpetuamente ci sta aperto innanzi agli occhi ; ma per¬ chè è scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto, non so può esser da tutti letto: e sono i caratteri di tal libro triangoli, qua¬ drati, cerchi, sfere, coni, piramidi et altre figure matematiche, attis¬ sime per tal lettura. Riceverà con questa la mia lettera riformata, se bene, quanto alla dottrina, poco o niente alterata dall’altra che già le mandai. Di questa ne disponga a suo beneplacito; e risolvendosi a rispondergli e stam¬ parla, sarà necessario che ella faccia aggiugnervi innanzi copia del capitolo L° (n , del quale io non noto se non le prime parole di cia¬ scuna delle sue obiezioni. Lott. 4106. 5G. con le quali ette le — 84. dalla altra — ' l > Cfr. Voi. Vili, pag. 481-480. 296 29 GENNAIO - 2 FEBBRAIO 1641. [4107-4108] 4107 * FORTUNIO LICETI e GALILEO in Firenze, Bologna, 29 gennaio 1641. 3Ubl. Eet. In Modena. Raccolta (tempori. Autografi, B.« I.XXV1II, tifi 196. - Autografa Molt’ 111.' 0 et Ecc. mo S. r r.ron Col. mo Questa mia servirà solo per accusarlo la ricevuta (lolla sua lettera al Sor. mo P. Leopoldo, a suo modo riformata ot ampliata, la quale io leggorò con gusto, spe¬ rando di cavarne molto dilotto o molto frutto. Godo che Labbia ritrovato li ©esemplari dolli miei libri ultimamente invia¬ tigli; o procurerò eli mandargli quel foglio cho manca all’opera De regtdari motti otc. u \ facendomelo vonir da Vonotia, poi elio dolli portati qua non no ho pi fi foglio. Non posso esser più lungo, por liavor Lavato le lettere molto tardi, et il procaccio si vuol partire di presento. Con qual lino per ciò lo bacio lo mani di io tutto cuore. Boi.", 29 Gen.° 1641. Di V.S. molt’111.” et Ecc. ma Dovot. m ° ot Oblig. mo Sor. Fort il nio Li ce ti. Fuori: Al molt’111” et Ecc. mo S. r P.ron Col. ra ° Il S. T Galileo Galilei. Fiorenza. 4108 . CASSIANO DAL POZZO a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 2 febbraio 1611. BIbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 245. - Autografa. Molt’ III. et Ecc. mo mio S. ro Colend. n,,J Ilo sempre professato verso la persona di V. S. osservanza così singolare, tiratovi dal suo gran merito o dal comuno consonso nolla stima dello virtù ebe l’adornano, elio non bavendo per la distanza potutone godoro, come baroi Cfr. Il» 4102, liu. 6. 2-5 FEBBRAIO 1641. 297 [41084109] desiderato, la presenza, nel meglio modo elio mi potò riuscire procurai supplirò con un ritratto, elio nobilita quel poco di libreria elio ho, o mi porgo frequento occasiono di dichiarare a (ine’ elio vi capitano la servitù cordiale elio le professo o appagar loro la vista dell’effigio d’ un virtuoso eminentissimo quale è il mio Sig. r Gallileo, degno, non elio do’ ritratti, delle statue. Uno di quelli che con io pieno gusto l’ha ammirato ò stato il Sig. r Naudoo u) , gentiluomo che servo il S. r Card. 1 di Bagno [iì nella sua libreria, che, non contento di quello elio intrin- socamento ha sentito di piacere, ha volsuto farne anco mostra estrinseca con suoi gentilissimi componimenti; de’quali godo elio por mezo del Sig. r filosofo Liceti no sia a V. S. stalo fatto parte (3 ', onde possa venir in cognitione, o per meglio dir conferma, del mio devoto allotto alla <• • •> persona sua, del qualo si¬ curissimo riscontro haverebbe quando si compiacesse honorarmi do’suoi comandi. Do’quali pregandola, o ringratinndola dell’amorevolissima sua [4) con elio m’ha volsuto favorire, baciandoli di cuore lo mani, lo auguro por fino di questa ogni più dosidorata prosperità. 20 Di Roma, a’ 2 di Deb. 10 1641. Di V. S. molt’ Ill. ro et Ecc.™ Devot. mo Sor.™ di cuore Cassiano dal Pozzo. 4109. FORTUNIO LICETI a GALILEO in Firenze. Bologna, 5 febbraio 1641. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. Ili, T. VII, 1, car. 161. — Autografa. Molt’III.™ et Ecc. mo S. or P.ron Col. 11 ' 0 Ilo letto con attendono partitamento tutta la sua lettera riformata et am¬ pliata; nella qualo di pari ammiro la sua grand’eloquenza, con cui molto arti¬ ficiosamente si compiace di esaltare lo mio mediocrità o di estenuare le sue grandezze, o la sottigliezza di sua dottrina, con cui conferma la sua positione et impugna quella dell’ antagonista. La prima veramente devo ascrivere ad ec¬ cesso di affetto verso di me o di modestia nelle coso sue: l’harei voluta più parca nello lodi, acciò non paresse che habbia voluto vestire un huomo ordi¬ nario dell’ liabito di un gigante. Dello suo compositioni mi pare ebe indarno io tenti l’estenuationc, sendo publicamento giudicato grandi, ammirabili et inge¬ gnose. Dalla dottrina confosso di bavere appreso molto; ma perchè la mia de¬ bolezza non penetra forso lino all’ intimo dello suo prove e risposte, mi è occorso Cfr. n.» 4104. j Bagno. f» XVIII. < J > Cfr. n.o 4102. <»> Cfr. n.« 4108. 298 5 FEBBRAIO 1641. [4109-4110] di cavare, insieme col frutto, non poche e non piccolo difficoltà.: lo quali anderò spiegando in carta, por doverlo a suo tempo communicaro a Y. S., acciò cho co i raggi doli’intelletto suo vivacissimo nello ben aggiustato risposto dissolva ogni nebbia cbc m’ingombra la mente circa lo suo propositioni; di cho lo re¬ sterò sempre obligatissimo, sì conio grandemente obligato mo lo profosso por la rara sua dottrina, communicatami in questa sua lettera roformata et ampliata. Lo mando li Epigrammi del S. or Naudeo, ristampanti] coll’aggiunta d’altri nuovi 10 . Mi sani cara la sua lettera, da prevalermi per iscusa della mia dilationo 20 presso quelli elio tanto volto mi hanno, dirò con importunità., ricchicsto li miei sensi sopra la sua considerationo dolio mie ragioni: ben vorrei elio V. S. si aste¬ nesse dallo soverchio lodi, cho la sua cortesia suol darmi con prodiga mano ma solamente apportasse quello cagioni cho l’hanno costretta a procrastinar tanto a mandarmi la lettera riformata et ampliata * ; cho di tutto lo resterò con obli- gationo particolare. Con qual fino lo bacio lo mani di tutto cuoro. Boi.*, 5 Fob.° 1641. Di V. S. molt’ 111. 0 ot Ecc. ma Devot. mo ot Oblig. mo So. ro Fortunio Liccti. Fuori: Al molt’IH.” et Ecc. n10 S. r 0 P.no Col." 10 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 30 4110. VINCENZO REN1ERI a [GALILEO in Areetri], Pisa, 5 febbraio 1041. Bibl. Mas. Pir. Mas. Gai., P. VI, T. XIII, car. 247. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. rao mio Sig.” o P.ron Col. mo È tanto cho non ho latto riverenza a V. S. Ecc. m *, cho fra mo stesso mo re vorgogno, tutta via dalla sua solita gentilezza spero di doverne esser iscusato, havendomi il più dello volto la conversationo, in questi giorni di carnovale, fatto dimenticar il mio (lobito. Sarei anco volentieri stato a riverirla di persona in Firenze, ma il lungo trattenersi della Corte, e poi il cattivo tempo sopravenuto, me n’ hanno impedito l’effetto. Lett. 4110. 2. a v. Ece."‘ — (,) Cfr. u.o 4102. •*» Cfr. n.° 4106. [ 41104111 ] 5 — 9 FEBBRAIO 1641. 299 Circa a gli specchi ustorii (1) non ho più fatta altra riAcssiono, porchò ap¬ presso] (li mo ancora patisco diflicoltft. l’inconsiono causata (la specchii piani mul- io tiplicati. È bon vero eli’ io liavova a ciò pensato, perchè scrivo Zotzo elio li spec¬ chii d’Archimede si dilatavano o stringevano come sogliono appórsi o racchiuder lo scorzo dolio conchiglie, o che orano di molte faccio ot anco molti di numero; onde conoscendo io, elio formati di figura sforica, mal potevano servirò a tal opra, andavo pensando so, ossondo (li figura piana o fabricati a molte faccio, in modo elio, dilatandosi o ristringendosi li angoli do’ piani di tali faccio, hor lontano hor vicino unissero il lume, con moltiplicar anche tali specchii, potesso in un do- torminato luogo cagionarsene l’incendio. Ma, conio dico, sia ciò detto per tran¬ sennavi. Con i Sig. rl Polipatetici non manco spesso di attacar qualche lite, o parti- 20 colarmonto dove sento tal volta che mono stimano il suo valore quelli elio più grassa hanno l’ignoranza; od ho all’liora d’adesso lavato il capo a qualcheduno. Dal Sor." 10 Padrone sono stato cortosissi ni amento ricovuto più volto. Che ò quanto posso darlo di nuovo; o lo bacio affottuosissimanionto lo mani. Di Pisa, li 5 di Fehraro 1041. Di V. S. molto lll. ro ot Ecc. ma Obb. ,n ' > o Dov. m ° Sor/® D. Vincenzo Renieri. 4111 *. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO in Firenze Venezia, 9 febbraio 1041. Bibl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXX, n.o 150. — Autografa la sottoscriziono. Molt’lU/® ot Ecc. mo Sig. T , Sig. r Col. ra ° Doveva capitare qui, con occasiono di predica, il Padre Maestro Pietro Paolo Ghirardi della Nonoiata, al quale liavevo fatto dar ordine di sborsaro a V. S. molto III.” ot Eccoli. ma quindcci piastre, che sono por la sua ponsioncella, della ratta di Sottombro passato lt) : mi scrivo che por infirmiti non può vonire, ondo aspetterò qualche altra occasiono. Non ho più inteso altro circa la diversa opinione dell’ Eccell." 10 filosofo Li- coti con V. S. in materftì del candoro della luna, ma può immaginare con che desiderio aspetto di vedere trattata questa contesa tra due sì grand’ huomini. Ho io scorso lo tre suo opere ultimamente publicato, De rcgulari mota et minima pa- Cfr. n.o 4101. (>) Cfr. n.o 4098. 300 9 — 12 FEBBRAIO 1641. [4111-4112] rollasi comctarum celcsiium (,) , De natura et avie Kt \ et De. terra unico centro motus singulanm codi partimi (3) , et questa terza con gran speranza di trovare nelle speculationi di così eminente intelletto qualche raggiono non osservata in altri; ma infatti non ho capito cos’aldina, in tutto queste opere, di mia aspetta- tione, essendo una confutatone, più tosto elio altro, dolio cose contro quel Si¬ gnore portato dal Chiaramente; et non so so portasse la spesa che sì grand’huomo vi perdesse tempo, là, dove so havesse por impresa tolto a trattare la matteria, haveressimo da quello cose peregrino. Io son ancora in camera, quasi sempre senza forzo, lo quali non acquisto che a grani. Vivo con desiderio d’intendere qualche meglioramento nel stato 20 di V. S. molto 111.” et Ecc. ma , alla qualo con tutto l'affetto bacio lo mani. Vonetia, il dì 9 Febraro 1641. Di V. S. molto 111.” et Ecc.“* Dev. mo Sor. F. Fulg. 0 Fuori: Al molto 111.” et Ecc. B0 Sig/, Sig. r Col.® 0 Il Sig. r Gallileo Galliloi. Firenze. 4112**. BONAVENTURA CAVALIERI a GALILEO in Arcetri. Bologna, 12 febbraio 1H41. Blbl. Nat. Fir. Mss. fini., P. VI, T. XIII, car. 248. - Autografa. Molto III.” et Ecc. rao Sig. r o P.ron Col. 1 " 0 Mi spiaco che la mia lettera dello buone Feste sia andata a male, poiché in ossa mi diffondevo in diverso coso ohe bora non posso spiegare, ritrovandomi afflitto dalla podagra. Ilo havuto nuova da Parigi, da un Padre mio amico elio portò là, alcuni mesi sono lo mio opere, conio è piacciuto assai a quei primi matematici di Parigi il modo nuovo della mia Geometrìa ,4) . Sto aspettando di là, risposta ad un quesito geometrico mandatoli 15 ’, della quale no darò poi raguaglio a V. S. Ecc- In tanto mi duolo del suo malo non mono che del mio, e non so che mi dirci, so non che conviene prendersela in patienza. 10 fi» Cfr. n.o 4102. fi) Cfr. u.o 4007. «*» Cfr. u.° 4002. fi» Cfr. n.» 1970. fi» Cfr. n.® 4070. 12 — 1G FEBBRÀIO 1641. 301 [ 41124113 ] Ilo fatto dire al S. r Licoti quanto m* impose : voderomo lo suo acutissimo risposto. Faccio lino, non potendo pia scrivevo, pregandola a conservarmi nella sua buona gratin o facendolo riverenza. Hi Bol.% alti 12 Feb.” 1641. Hi V. S. molto III." et Ecc. ,im Dov. m ° ot Ob. mo Sor.” F. I3on. rn Cav. rl Fuori : Al molto Ill. w et Ecc. n, ° Sig. r o P.ron Col." 10 Il Sig. r Gal. co Galilei. Firenze. 20 Ad Arcotri. 4113 **. OTTAVIANO CASTELLI a [GALILEO in Arcetri]. ltoma, 16 febbraio 1611. Bibl. Naz. Plr. Mss. dal., I’. VI, T. XIII, car. 250-251. — Autografa. Molto Ill. r ® Sig. r ® P.ron Oss. mo Pochi giorni avanti carnovale, in un congresso di persone di lotterò ot avanti ad un Signor grande, fu introdotto discorso intorno allo squamo dei pesci, di¬ cendo molti, secondo la dottrina d’Aristotele, elle quello servono loro di moto nciracqua, conio di moto nell’aria l’ali a gli uccelli. E perchè da un partialo (li V. S. fu risposto, che tanto è lontano che lo squame e la coda al pesco ser¬ vano di moto, che più tosto servono di quiete, adducendo l’esperienza in testi¬ monio della sua opinione, con asserire d’haver veduto in un gran vaso duo pesci della medesima specie, Tuno de’ quali havova reciso le punto dello squamo io o della coda, e l’altro senz’esser tocco, o cho il primo diodo in continuo moto o quasi violento, mentre l’altro con larghi intervalli andava pausando ; Ma perchè fu con grandissimo rigoro essaminata la detta esperienza, fra gli altri motivi cho s’ hebbero in consideratone furono doi o tre che fece que¬ sto Signor di qualità: L’uno, cho quando Aristotele afferma esser le squamo causa del moto, può intendere del moto regolato, il quale non può accomodarsi al pesce senza squame ; L’altro, cho quel moto può stimarsi violento o preter naturarti, in modo che, s’alcuno ben osservasse, non potrebbe longo spatio durare il pesce senza qualche riposo ; e porchè 20 Intorno a questa controvorsia si dessidera intender qualche mutivo da V. S., pieno di quei sali di cui nel presente secolo è unica la miniera; hanno impo- Lett. 4113. 10-11. coiiitnuo modo • — 302 1G — 20 FEBBRAIO 1641. [ 4113 - 4114 ] sto, por mia fortuna, a mo, che fra gii altri sono buo partialissimo ammiratore o servitore fin dal tempo elio fu a Roma l’ultima volta in casa del S. r Imlia- sciatoro' 11 , dove fui a servirla o goder do’suoi discorsi assiemo col S. r Alessandro Cherubini, elio Dio habbia in gloria ; M’ hanno imposto, dico, elio, rappresentandoli la controversia, la supplichi, sì corno faccio, di qualche mutivo ; olio, giuntamento con tutti questi, gli no re¬ starò eternamente obligato : et il dessiderio non ha altro lino elio d’oppugnare Aristotele. Mentre per lino, facendolo lnimilissima riverenza, la supplico a con¬ donare alla curiosità il soverchio ardire. 30 Roma, li 16 Febraro 1641. dì v. s. in.®° So per avventura la non si ricordasse di mo, il S. r Lodovico Ridolfi o ’l S. r Marcheso Corsi potrà ragguagliarla della riverenza elio porto alla sua persona. H.“° et Dovotiss." 10 Se.” Vero Ottaviano Castelli. 4114 **. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri], Pisa, 20 febbraio 1641. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. 1, T. XII, car. 201. - Autografa. Molto 111.” et Ecc. m0 mio Sig." o P.ron Col.® 0 Aspettavo risposta d’una mia lettera scrittale già 15 giorni sono {: ’, ma non vedendo altra replica m’ò caduto nel’animo cho possa esser ita a malo. Vengo adunquo con questa di nuovo a salutarla o pregarla a darmi nuova dell’esser suo. Io mo la vado passando assai bene, o quantunque tal volta sia turbato dal dolor di stomaco, por ogni modo spero con un poco di purga a questa prima¬ vera liberarmene affatto. Al Sig.” Viviani bacio la mano, e mi rallegro con esso lui che il Sig. r Alamanno suo, questo carnovale, nella comedia dì Sapienza ha portato il vanto sopra tutti. Di nuovo non ho elio darli, solo che il Sig. r Auditor Fantoni (SI ha fatto io spolverar lo toghe a’ dottori ; ondo adesso non si vede altro cho togati, e sa¬ rebbe molto a proposito il Capitolo che fece già V. S. Ecc. m * (4) A cui por fine bacio afìbttuosissiniamento le mani. Di Pisa, li 20 di Febraro 1641. Di V. S. molto III.” et Ecc. raa Dev. mo ot Obb. mo Sor.” D. Vincenzo Renieri. ,l) Francesco Niooouxi. •*> Cfr. n.« 4110. < s > Nicootò Paltoni Ricci. Kvaxoki.ista Torricki.i.i. <«) Cfr. u.o 4119, liu. 7. 304 6 MARZO 1641, [41161 4116 . VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri], Tian, G marzo 1041, Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 254. — Autografa. Molto III." et Ecc.“° mio Sig. r o P.ron Col .™ 0 Ilobbi apunto liiori il libro del Sig. r Nardi (l) , datomi dal Sìg. r Dottor Stec¬ chini ma non lio ancora liavuto tempo di poter considerarlo per dirne il mio parere. Lo leggerò, e poi con la solita libertà, mia dirò quello che la de¬ bolezza del mio ingegno mi soministrerìt. Sono alcuni giorni che s’aspettava la Corto, ma il cielo, lo cui cattaratto mi paiono aporto, non fa altro che piovere, si elio non ò ancora comparsa. Al Soroniss . 0 Gran Duca fu fabrioato costì in Firenze un astrolabio da al¬ cuni Todoschi, ma nelle divisioni ora errore, o le stello nella roto erano posto fuor de’ lor luoghi ; onde havendomelo mostrato per veder so si poteva emen- io dare, il che era impossibile, m’offersi a Sua Altezza Ser. raa di fabricarne uno di mia mano, che pur qualche poco so lavorar d’ intaglio : o questo sarà di elio gli ha ragionato il Ser. mo Principe Leopoldo. Son sicuro elio, essendo stato da V. S. Ecc. raa , ella m’liavrà lionorato come sempre suolo, e n’ havrà ragio¬ nato col solito affetto, ondo particolarmente ne la ringrazio. Gli ho per fine da raccontar un boi fatto. Paganino in un suo libro elio stampa De Pitagorica animarum transmigratione nominava in certa occasione V. S. Ecc. m *; egli haveva messo clarissimus Galilcus , ma il P. Inquisitore non ba volsuto passarli quel clarissimus , e con fatica ha possuto ottonerò di porvi notissimus Galileus l3) . 20 Le facio per fine un affettuosissimo baciamano, in compagnia del Sig. r Vi- viani, la cui gentilissima conversazione invidio a V. S. Eco. raB Di Pisa, li 6 di Marzo 1641. Di V. S. Ecc. m ‘ Dev.“° ot Obb. mo Ser . r0 D. Vincenzo Renieri. 0> De igne lublerranto, phyaica prolusio I). Ioan- nis Nardu Fiorentini, Sereni»."* Fulminando li, M.D. Rtr., Domino suo clementissimo, ilicata. Florentiae, oxcudobnnt A muto r Massa et Laurentius do Lati- dis, 1641. '*> Paolo Stucchini. l5 > Cfr. De Pythagorata animarum tranemigra- lione opusculum Paganini Gauukntii eco. Pisi», typis Amatoria MassAO ot I.aurontii de Lnndis, M.DC.XLI, pag. 8: * Non dosunt hodio qui asscrnnt, teleacoplum aire tubum optional a Galilaeo, viro notissimi nomi- nis, primum manassu ». [ 4117 ] 13 MARZO 1641. 305 4117. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 13 marzo 1011. Blbl. Nfiz. FIr. Mm. Gal., P. VI, T. XIII, car. 260-287. — Autografa. Molto III.” et Ecc. mo mio Sig. ro o P.ron Col ." 10 V. S. Ecc. raa è in obbligo di confessarsi questa Pasqua del tempo elio ni’ha fatto perderò in rilegger un’altra volta i cento problemi del Sig. r Nardi no’quali per la debolezza del mio ingegno non ho saputo trovare quello me¬ raviglio ch’olla m’accenna. Puoi essere elio ciò don ivi dal’ hnvermi io giti pre¬ supposto elio il creder la terra esser piona di fuoco sia un paradosso, o elio poro non arrivi all’altro bollo sotigliezzo no’problemi rachiuso ; ina io sono d’un ingegno così tardo, elio stimo non esser differenza tra chi per vedor 40 o 50 monti gettar fiamme credo esserne piona tutta la terra, o tra chi per vedor io fumar cinque o sei camini di Pisa credesse che lo caso di dontro abbrivas¬ sero tutte. Habbiamo qui havuto occasione di far un’esporienza di duo gravi cadenti da alto, di diversa materia, cioè uno di legno et uno di piombo, ma dell’istessa grandezza; perché untai Gesuitascrivo che scendono nello stesso tempo, o con pari velocita arrivano a terra, cd un tal lnglcso affermava cho il JLiceti com¬ poneva qui un problema c no rendeva la ragiono. Ma finalmente habbiamo trovato il fatto in contrario, poiché dalla cima del campando del Duomo tra la palla di piombo o quella di legno vi corrono tro braccia almeno di diffe¬ renza. Si fecero anche esperienze di due palio di piombo, una della grandezza 20 eguale a un’ordinaria d’artiglieria o l’altra da moschetto, o si vedeva tra la più grossa o la più piccola, dal’altezza dello stesso campanile, esservi un buon palmo di differenza, del quale la più grossa anticipava la più piccola. Quello che in tali esperienze mi venne notato è che m’accorsi cho, acelerandosi il moto dello palle (li legno fino ad un corto segno, cominciavano poi a non scenderò a perpendicolo, ma per traverso, in quella stessa maniera che veggiamo cho fanno lo goccio d’acqua che cadono da’tetti, Io quali, giunto vicino a terra, piegano por traverso, o quivi il moto loro cominciava ad esser meno veloce. Ho pensato a questo un poco, o no dirò a V. S. Ece. mn il mio parere. So un niobi lo dovrà muoversi per un determinato mezzo, determinata an¬ no cora dovrà esser la velocità con cui lo potrà passare, in modo elio chi volesse “> Cfr. u.o .me. (*) Nicoolò Carso. XV1II. se 306 13 - 15 MARZO 1641. [41174118] farlo andar più presto, il mezzo li resisterebbe, per non poter egli così presto ceder e dar luogo. Per essempio, io moverò con poca fatica una rosta, so la moverò con poco impeto; ma so la vorrò muover con grandissima forza, sen¬ tirò farmi resistenza dall’aria, e tal bora anco potrà, impedirmene il moto. Dato questo, quando la palla di legno si parto dall’alto, movendosi con poca velo¬ cità. e sempro più o più accrescendola, finalmente arriva a tal grado che l’aria potrà farli resistenza, o non potendo il gravo più fender il mozzo a perpendi¬ colo, penderà o piegherà da qualche parto, e poi fors’anco, ritornando a scen¬ der più velocemente, di nuovo anco tornerà a ritardarsi ; in quella maniera elio un foglio di carta va per aria lior a destra hor a sinistra piegando, prima 40 che arrivi a scender in terra. Non so bora, so cadendo il piombo da una gran¬ dissima altezza, potesse arrivare a tal grado di velocità, che in lui si vedesse la stessa esperienza. Ci potrà un poco pensare V. S. Ecc. ma , e in tanto com¬ patirmi se forai non mi sarò ben spiegato nella presente, elio in fretta m’ ò convenuto scriverò per esser tornato tardi a casa. Ilo fatto riverenza al Ser. mo Principe Leopoldo questa sera, ed liabbiomo fatto commemorazione di V. S. Ecc. ma ; la qualo per fino prego a conservarmi nella sua grazia o in quella del Sig. r Viviani, mentre ad ambiduo bacio cara¬ mente la mano. Di Pisa, li 13 di Marzo 1641, 60 Di V. S. molto 111." ot Ecc.“ a Dov. mo ot Obb. mo Ser.” I). Vincenzo Rcniori. 4118** RAFFAELLO MAGI OTTI a GALILEO iu Firenze. Roma, 15 marzo 1041. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, cnr. 25S. — Autografa. Molto 111." et Ecc. rao Sigr. mio S. Fu quasi l’istesso giorno eh’ il Sig. r Nardi (i) et io leggemmo con gran di¬ lotto il discorso di V. S. Ecc. raa intorno al chiarore della luna o l’opera su¬ perba De centro gravitatisi d’un grand’ingegno dei nostri tempi, anzi sottile I.ett. 4117. 48. V. llcc. ma — (l ' Antonio Nardi. Cfr. u.° 217. 15 MARZO 1641. [4118] 307 ot acuto poco meno di (pici medesimo punto ch’egli assegna per contro del- l’universo. E verameuto considerando con quanta facilità, o prestezza risolve ogni più diffidi quesito et esco d’ogni gran fondo, m’ò parso d* assomigliarlo ad una tonda o grossa palla d’artiglieria, qual, venendo obliqua a ferir con grand’ impeto Tondo del mare, sbuffa quanto so gli para d’ovanti, o non tro- io vando T istesso impedimento dal fianco di sopra corno di sotto, poco s’affonda, presto si riduco al moto orizontale et al salirò, sbalzando piìl o più volto so¬ pra l’acquo o vantandosi in un certo modo di leggerezza, seben per ultimo cedo all’ innata sua gravità, o s’annega ; dove all’ incontro un raggio di luco (non so come) si refrango alTopposito, o sempre più internandosi, rischiara lo cieche profondità., dallo quali a fatica risorgo con qualche barlume. Ma che sbalzi di pallone? elio coturni? dirò meglio, elio trampoli, son questi? Dove para sì grando apertura di bocca? A lodare, ad ammirar per gran suonatore colui cho si fa lecito trimpellar tutta la notte il culascione, senza lasciar mai riposar nè bostio nò elmstiani. Giuro per un orccliio di questo musico, elio 20 altri può ben suonar meglio, ma non più di lui. Può bon altri dilettarsi della buona armonia, ma non giù dolio crudezze o dissonanze corno lui. Può bon il senso comune gridar hoggi cho la quarta non è consonanza, ch’egli dimostrerà il contrario con l’autorità delli antichi. E so l’autorità non passa por dimo- strationo appresso i geometri, passa non di meno appresso i Peripatetici, quali vincono so non altro por il numero. Ma fuor di burla : non si maravigli V. S. Ecc. nia del mio silenzio, perch’ io sfuggivo d’ incorrer nel vizio eh’ io biasimo, e più tosto intendevo con il Sig. r Nardi et altri revorire o colobraro in parto il sommo inorilo di loi, o contracambiar noi discorsi quotidiani la cara me¬ moria ch’olla tion di noi in tutte lo Ietterò al Padre Rev. mo(I) , seben egli me- 30 glio può a bocca farlo testimonianza della mia devozione o dell’obligo ch’io lo professo. Pur, acciò questa mia non venghi conio per a caso, prego V. S. Ecc. ,na a dirmi con suo commodo, perché il raggio (già eli’ io la tengo per luce) obliquo nel’acqua si reflotte in contrario dei corpi, conio la palla d’artiglieria. E le bacio con ogni all’otto lo mani, pregandolo (la Dio prosperità. Roma, 15 Marzo 1641. Di V. S. molto 111/ 8 et Ecc. ma Àff. mo et Oblig. mo Sor.” Raffaello Magiotti. Fuori : Al molto 111." ot Ecc. mo Sig/ o P.ron mio Col. ,n ° 11 Sig/ Galileo Galilei. <0 Fiorenza. '*> Bknkdktto Cibtil.lt. 308 15 MARZO 1611. Ull 9] 4110. EVANGELISTA TORRICELLI a [GALILEO in Arcotri]. Roma, 15 marzo 1041. Bibl. Nnz. Plr. Mas. Gal.. P. I. T. XII, <*ar. 203. — Autografa. Molt’ ILl. re et Ecc ." 10 Sig. re P.ron Col ." 10 All’ opero di V. S. Ecc. m!l si convione più tosto l’ammiratione elio il com¬ mento. Lo stupore ò stato in me supronio iin dal primo giorno elio fui fatto degno di poter vedoro i suoi libbri : parerà nondimeno che quest’ ultimo del moto Rabbia eccitato in me più tosto l’ardire elio la maraviglia. Confesso elio meri¬ terei questo concotto, quando rintentiono mia fusso mai stata di far comparir questo poche scritture * 1 in Roma o altrove, o principalmente avanti al supromo giuditio di V. S. Ecc. ma Scrissi questi fogli, non por bisogno elio io giudicassi haverno lo suo dottrino, ma per necessiti!, elio havevo io di formar questo me- morial d’eruditiono alla mia poca intelligenza, o por il desiderio elio tenovo di io mostrar al mio maestro lontano conio anco in assonza liavovo propagata con qualche studio mio la sua disciplina. Compiacciasi V. S. Ecc. m * di assòlverò la mia ossequiosa rovoronza e divotione, se io, per ammaestrar me stesso, trascorsi noi far questa parafrasi alle suo scienze : so che ancor olla haverà fatto l’istesso da fanciullo nollc scuoio d’Immanità sopra i versi doll’Eneido o l’orationi di M. Tullio. Quanto poi al far vedere ad altri lo mio povere debolozzo, lascierò .. che la facondia del P. Abbatedifenda la causa sua por discolpa di sò stesso. Intanto io supplico humilmento Y. S. Ecc. ma a voler restar sorvita di permettere elio io mi possa gloriaro del titolo di suo servo : la rendo certa elio quanto io codo al Magiotti e Nardi nel merito dell’ingegno, altrotanto gl’eccedo noi prò- so gio di reverir con infinita stima il famoso nomo del Galileo, nomo benemerito dell’universo e consecrato all’eternità. Stimo imprudenza il consognar lettera più longa in mano d’uno orator tanto eloquente quanto è il P. Reverendissimo. Egli supplirà nel rappresentare i sensi della mia dovotiono a V. S. Ecc.™*, o scuserà appresso di lei non solo la povertà delle materie del libretto, ma anco l’oscurità, lo stile o gl’errori innumerabili, che particolarmente saranno nella seconda parte. Questa seconda parte non ò Col titolo De molti gravium naturaliter de- De tolido hyperbolica. Cimi appendieibut de cicloide, eccndentium et proiectorvm libri duo occ. furono tinto et cochlea Klorontiao, typis Amatoria Massao ot Lnu- alla luce, tre anni pi il tardi, a pag. 95-218 del libro: rentii «lo Laudi», 1644. Opera geometrica Evakoklibtai TonRlOKt.l.U. De I*» Cfr. n.« 4115. lidie ephaemlibxu. Do motti. De dimensione purabolac. 15 — 16 MARZO 1641. 300 [ 4119-41201 copiata, ma scritta por la prima volta con molta fretta così come egli la porta, senza elio nè anco sia stata rilotta. Et Ini linimento me lo (Iodico o la revorisco. Cfr. nn.' 8960, 8966, 8980. 312 26 - 27 MARZO 1641. [4123-4124] molti mesi sono, gli dico la maraviglia dover cominciare da me, il quale gli scrissi già ll) , e fin ora no havevo aspettato risposta in vano; e supponendo io elio olla por sua cortesia ini rispondesse, sappia tal sua risposta non mi oBser pervenuta: per lo che cossi in amendue noi la maraviglia. E restando io sicuro d’haver luogo nella sua gra¬ zia, come io assicuro lei della mia devota servitù, quietiamoci della io poca fortuna, la quale senza nostra colpa ci rende in apparenza scam¬ bievolmente colpevoli di affetto men grato ; e serva oltre a ciò la pre¬ sento per riconfermare nell’animo di V. S. et in quello del molto Ill. re Sig. T suo consorte la prontezza che sempre è stata e sarà in ubbi¬ dire a i loro comandamenti: e con reverente affetto ad amendue bacio le mani et prego intera felitità. Dalla villa d’Arcetri, li 26 Marzo 1641. Di V. S. molto IU. ro Duvotiss. mo et Aff. 1 " 0 S. re Galileo Galilei. 4124 *. ALESSANDRA BOCCIIINERI DUONAMIOI a [GALILEO in ArcotriJ. Prato, 27 marzo 1041 Blbl. Na*. Pir. Msh. Gal., P. 1, T. X111, car. 28G. — Autografa. Molto Ill. ro Sig.™ mio Oss. 100 Questa mattina, elio siamo a’ 27 di Marzo, giorno del Giovedì Santo, la Sandra rivenditora mi à portato una lettera di V. S. do’ 26 di Marzo, elio mi A aportato strasordinario gusto per sentirò il bene stare di Y. S. e elio olla il memoria di chi veramente professa di essero devota alla sua gontiloza : ma la mia mala fortuna no m’à mai conceso che io possa una volta stare dua oro nella sua conversazione ; cosa elio mi il aportato sonpro grande amaritudine. Io risposi subito alla cortese lettera elio Y. S. più mesi sono ini scriso, o la risposta la detti al prete elio insengnia a’ figlioli del Sig. r * Fioro Bardi; o lui disso volevo fare il servizio, chome so sicuro che gli arà fatto; ma la mia lot- io tera Farà data in casa ho do’ mia fratelli ho in casa della Sestilia 4 * 5 : così questa lettera non è conparsa altrimenti in scena, al solito elio m’Anno senpro fatto da molti anni in qua. E pure è vero, e non li dico bugio : però, Sig. r0 Galileo, V. S. no l’abia atribuito a mala croauza, perchè io subito subito risposi a pieno a tutto quello che bisongniava. “» Cfr. n.o 4010. **» Skstima Bogohikbbi no’ Uamlki. [ 4124 - 4125 ] 27 marzo 1641. 313 Io dello volto tra me medesima vo stipolando in elio maniera io potrei faro a trovare la strada innanzi elio io inorisi a boccliarmi elio V. S. o staro un giorno in sua convorsazionc, senza darò Beandolo ho gelosia a quello persono cho ci ìtnno divertito da questa volunlà. Se io pensassi elio V. S. si trovassi elio so buona sanità, o elio non gli dessi fastidio il viagiaro in caroza, io vorrei mnn- daro le mio cavallo o trovaro un carozino acciò V. S. mi favolisi di venire a stare dua giorni da noi, adesso elio siamo no’ buoni tenpi. Torò la supprico a volermi favorire o darmi risposta, perchè io subito manderò por loi, o potrà vo- niro adagio adagio, o- non credo cho loi patissi. Io ebbi ancho mortiticaziono, quando la parcntina (1) di V. S. venne a Prato, elio io non potessi participaro in lei parto dell’ afetto elio io porto a V. S. ; perché io la vedi accidentalniento in S. Domenico, nè mi fu detto nulla cho loi fusai parente di V. S., nò meno seppi di lor bocha nò chi lo fussi nò quello cho lei facesi quagiù; in fino lo seppi dallo monaco di S. Cronionto, dove la Sostilia aveva tramato di so farla monaca, et a un tratto soppi cho V crono partito di Prato e tornato a Fio¬ renza. Con tutto ciò io la vedi una volta, o mi parso molto bobina o spiritosa. 10 non mi voglio più alongaro cho lo scrivere, elio la speranza cho io ho elio V. S. mi voglia risponderò o scriverò quando io abbia a mandavo la caroza: alora dicono quello elio dice Arno quando o’ torna grosso, cho porta giù molta roba. 11 Sig. r0 Cavalieri mio marito w si trova anco lui indisposto, perchè gli dà noi’ la pietra, o di quando in quando n’à una bussata; et ora por la Santisima Nonziata n’à ’uto una buona stretta. Dol resto farò fino alla lettera, ma non già al desiderio cho io ho di ser¬ vire a V. S. di tutto quore, o dirgli cho tra tanto tribolazione cho io ho pa¬ io tito ci è stata ancho questa della separazione cho è stata tra di noi, perchè a pena io la conobi cho no fui privata. Pazienza ! Il Signoro la feliciti, chomo io glielo dosidero, mentre io o il Sig. r ® Cavalieri facciamo rovoronzia a V. S. Di Prato, il di 27 di Marzo 1641. Di V. S. molto Ill. ro Serva Obbligatissima A. B. B. 4125 *. VINCENZO ItENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 27 marzo 1641. Bibl. Eat. in Modonn. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVI, n.« 132. — Autografa. Molto 111.™ et Ecc. m ° mio Sig. ra o P.ron Col. mo Resto meravigliato ch’olla non liabbia havuta una mia, scrittalo il mercordì ultimo di carnovale' 31 , o cho, s’ella l’ha havuta, non mi sia pervenuta la sua «“ Molto probabilmente Viroiru di Vwomuo <*» Cav. Giovaxfraxckboo Boonamioi, Laxducoi, pronipoto di Galileo. Cfr. n.° 4114. XVIII. 40 314 27 — 29 MARZO 1641. [4125-4126] risposta ; ma dall’altra parto, convella apunto dice, non habbiamo insieme no- gozii che non possano esser veduti da ogn’uno. Chi ha lodato mo (lolla sodisfazione elio do nello Studio, lo havrà fatto por dar questo gusto a V. S. Ecc." m , dalla quale saprà quanto io sia amato ; od io (levo restartene di ciò con obbligo particolare, e por il buon animo elio scuopro verso di mo, o per il piacerò che avrà cagionato in V. S. Ecc. mtt Non ho per ancora havuto fortuna di veder l’ultime opro del Sig. r Liceti, io le quali veramente volentieri vedroi ; o so avorrà ch’egli lo invii la risposta alla scrittura di V. S. Ecc. n,it , la prego a farinello parte, porcliè sto con desiderio di vedere a che termino di spropositi possa giungoro un’ostinata ignoranza. Ho riverito in suo nome li Sig. ri Stecchini o Marsilii, elio unitamonto le ren¬ dono mille grazio; od io per fino lo bacio carissiraamente lo mani, assicuran¬ dola elio nella diffosa dello suo opinioni poca paura posso bavero dell’altrui ragioni, mentre ho in mia (Mesa non il nomo del Sig. r Galileo, ma la vorità. Di Pisa, li 27 di Marzo 1641. Di V. S. Hl. mm Dev. mo e Obl. mo Sor. ro D. Vincenzo ltoniori. 20 4126. GALILEO a FRANCESCO R1NUCCINI fin Venezia]. Arcetri, 29 marzo 1041. Blbl. Nar,. Flr. Banco Rari, Armadio 9, Cartella B, 33. — Originalo, di mano di Vixcmzio Yiviani. lll. mo Sig. r et P.ron mio Col. rao La falsità del sistema Copernicano ” non deve ossero in conto alcuno mossa in dubbio, o massime da noi Cattolici, havendo la inrefraga- bile autorità delle Scritture Sacre, interpretate da i maestri sommi in teologia, il concorde assenso de’ quali ci ronde certi della stabilità della terra, posta nel centro, e della mobilità del sole intorno ad essa. Le congetture poi per le quali il Copernico et altri suoi seguaci hanno profferito il contrario, si levono tutte con quel saldissimo argu- mento preso dalla onnipotenza di Iddio, la quale potendo fare in diversi, anzi in infiniti, modi quello elio alla nostra oppinione e osser- io vaziono par fatto in un tal particolare, non doviamo volere abbre¬ viare la mano di Dio, e tenacemente sostenere quello in che possiamo X.ett. 4120. 10. modi, che quello — “> Cfr. u.° 4122. 20 MARZO 1641. [ 4126 ] 315 essero ingannati. E come elio io stimi insuffizienti le osservazioni e conietturo Copernicane, altr* e tanto reputo più fallaci et erronee quello di Tolomeo, di Aristotele e de’ loro seguaci, mentre che, senza uscire do’ termini do’ discorsi Immani, si può assai chiaramente sco¬ prire la non concludenza di quelle. E poi che V. S. 111.™ dice restar perplessa e perturbata dall’argumento preso dal vedersi continua¬ mente la metà del cielo sopra l’orizonto, onde si possa con Tolomeo 20 concludere la terra esser nel centro della sfera stellata, e non da esso lontana quanto ò il semidiametro dell’orbe magno, risponda all’au¬ tore elio è vero che non si vedo la metà del cielo, e glie lo neghi sin che egli non la rende sicura che si vegga giustamente tal metà; il che non farà egli già mai. Et assolutamente chi ha detto, vedersi la metà del cielo, o però esser la terra collocata nel centro, ha prima nel suo corvello la terra stabilita nel centro, e quindi affermato ve¬ dersi la metà del cielo, perchè così doverebbe accadere quando la terra fusso nel centro; sì che non dal vedersi la metà del cielo si è inferito la terra esser noi centro, ma raccolto dalla supposizione che la terra 30 sia nel centro, vedersi la metà del cielo. E sarebbe necessario che Tolommeo o questi altri autori ci insegnassero a conoscer nel cielo i primi punti d’Ariete e di Libra, perchè io quanto a me già mai discerner non gli potrei. Aggiunghiamo bora elio sia vera la osservazione del Sig*. r Capitan Pieroni del moto di alcuna iissa, fatto con alcuni minuti secondi: per piccolo che egli sia, inferisce, a gli Immani discorsi, mutazione nella terra diversa da ognuna che, ritenendola nel centro, potesse essergli attribuita. E so tal mutazione è, et si osserva esser meno di un minuto primo, chi vorrà assicurarmi se, nascendo il primo punto io d’Ariete, tramonti il primo di Libra così puntualmente che non ci sia differenza nè anco di un minuto primo? Sono tali punti invisibili; gli orizonti, non così precisi in terra, nè anco tal volta in mare; stru¬ menti astronomici ordinarii non possono essere così esquisiti che ci assicurino in cotali osservazioni dall’errore di un minuto; e finalmente, le refrazioni appresso all’orizonte posson fare alterazioni tali, che por¬ tino inganno non sol di uno, ma di molti e molti minuti, come questi medesimi osservatori concederanno. Adunque, che vogliamo raccòrrò in una delicatissima e sottilissima osservazione da esperienze grosso- 17 . rii quelli — 41 . in ootali oisercazinne — 316 20 - 30 MARZO 1641. [41264127] Finissime et anco impossibili a farsi? Potrei soggiugner altro coso in questo proposito, ma il già detto nel mio Dialogo sfortunato dice tanto &o elio può bastare. Il Sig. r Liceti debbo star rispondendo a quella mia lettera, la quale gli darà campo di portare nuovi et acutissimi pensieri; et il mede¬ simo Sig. r Liceti bavera comoda occasiono di farsi sentire ancora ad un altro suo antagonista, cioè al nostro qua Sig. r medico Nardi, il quale ha mandato nuovamente in luce un trattato de’ fuochi sutter- ranei (1) , al quale egli annette cento problemi naturali con le loro resoluzioni. Vegga V. S. Ill. raa il libro, et in particolare i problemi, che son tutti investigati dal proprio ingegno dell’autore; et in una lettura di poco più di un’ ora vedrà la soluzione di tanti mirabili co effetti della natura, che un solo mi ha messo in disperazione di in¬ tenderlo con la contemplazione del tempo di tutta mia vita. Nò mi occorrendo altro per ora, finisco con augurargli felice questa Santa Pasqua, con confermami egli devotissimo servitore. D’Arcetri, li 29 Marzo 1641. Scrivo Y alligata al R. m0 P. Fulgenzio, dal quale ò un pezzo che non ho nuove, e la raccomando a V. S. per il sicuro ricapito. Di V. S. Ill. ma Devotiss." 10 ot Obblig. mo S. re L’Ill. rao Sig. r Fr.° Rinuccini. Galileo Galilei' 2 ’. 4127**. CLEMENTE SETTIMI a GALILEO in Firenze. Roma, 80 marzo 1641. Bibl. Naz. Flr. Usa. Gal., F. I, T. XII, car. 205. — Autografa. Molto 111. ot Ecc. mo Sig. ro Doppo un penoso viaggio son pur giunto a Roma salvo, con 1* aiuto del Signore Iddio ; ot ò appunto il tempo di goderò lo musiche, tanto più che si ò intermesso il negotiare. 65 . al no»to qua — 60 . una ora — 64 . Pasqua _ Cfr. n.° 4116. tiMìmamente coporta di (roghi, con manifesta inten- <2) La firma « Galileo Galilei » è stata accura- liono di renderla illeggibile. [41274128] 30 MARZO 1641. 317 Al Sig. r Magiotti presentai i saluti afìottionati di V. S. Ecc. ,na , o mi replicò che glio li dovessi render centuplicati. Egli sempre studia, sempre ragiona de’ studii o sempre medita studii. La sua piacevole convcrsationo a me dilotta grandemente, so bone la distanza elio ò tra lo nostro abitationi cagiona in qual¬ che parto inortificationo, proibendoci l’assidua convcrsationo. io II S. r Nardi (tl riverisco V. S. Ecc. ma , havendo io prima provenuto il detto Signoro con suoi saluti. Ho poi visto in camera del Sig. r Magiotti un libro contro il Liceti, ma non mi sovvieno bora il nomo dell’autore; o gli strapazzi ebo si fanno in dotto libro del Liceti credo elio equiponderino a quelli elio egli fa della filosofia, stradandola con gl’altrui tosti a beneplacito. Non ho tempo di mandarlo un ologio elio fa l’autore in vituperio del Liceti, ma per quest’altro ordinario procurarò d’Lavorio o mandargliene copia; e so altro volto V. S. Ecc. nm Y havr& visto, gli servirà bora por ripescarsi la memoria. E qui con riverirla lo con¬ fermo felici lo Santo Fosto. Roma, li 30 di Marzo 1641. 20 I)i V. S. Ecc. m * Fuori: Al molto 111. et Ecc. raf> Sig. T e P.ron Col. ro0 Il S. r Galileo Galilei, p.° Filosofo di S. A. S. a di Firenze. 4128 **. PAOLO STECCHINI a [GALILEO in Arcetrl], Pisa, 30 marzo 1641. Bibl. Nar.. Flr. Mps fJal . V I. T XII. car. 207. — Autografa. Molt’Ill/ 0 et Eco.® 0 S. r mio Oss. ,no Il silentio ch’io uso con V. S. Ecc. mB dovrobbo accusarmi por negligente suo servitore, se la vora mia osservanza verso di lei, et l’ambiccione ch’io pu¬ oi Antonio Nardi. 316 30 - 31 MARZO 1641. [41284129] blicamento professo d’essero suo discendente, non non mo no scusasse. Son tardo nello scrivere per non essere sollecito a sturbarla : sarà ben pronta sempre la penna et la dovuta mia riverenza in obodirla, quando ella si compiacesse d’ono- rormi do’ suoi comandi. La ringratio senza fine do’ continuati saluti fattemi a suo nomo dal nostro Padre Matematico 111 , la gentilezza et valoro del quale ogni giorno più me lo rendono tenuto, et spero di vederlo a grandi avanzamenti. Servi questa mia, io appresso il ricordarmelo voro servitore, per augurarle anco felicissimo queste prossimo Feste di Rosurretione ; et la riverisco. Pisa, 30 Marzo 1641. Di V. S. moli’ 111.” et Ecc.“* Devot. 1 " 0 ot Oblig. mo S. ro Paolo Stecchini. 4129 * RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. lEndegeeet], 31 marzo 1641. Dal Tomo III, pag. 849-350, dell'odiatone citata noli’informaxiouo promossa ni il.» 2808. Mon Keverend Pere, le n’ay pas beaucoup de choses a vous mander a ce voyasge, a cause cjue io n’ay point receu de vos lettres; mais ie n’ay pas voulu difFerer pour cela do vous envoyer lo reste de ma responso aux obiections do M. r Arnaut** 1 . Vous verrez que i’y accordc tol- lcrnent avec ma philosophie co qui est determinò par Ics Conciles tonchant. le S. 1 Sacrc- ment, que ie pretens qu’il est impossible de lo bien oxpliquer par la philosophie vul- gaire, en sorte que io croy qu’on Pauroit roietée corno repugnante a la Foy, si la mieno avoit ostò coimuò la premierò: et io vous inre serieusement quo io le croy ainsy que ic Pese ria. Ausai n’ay’ie pas voulu lo taire, affla do batre do leurs armes ceux qui meslent Aristoto avec la Biblo et veulent abuser do l'autborito de l’Eglise pour oxercer leurs 10 passiona: i’entends do ceux qui ont fait condamner Galileo, ot qui feroiont bien condamncr aussy mos opinione, s’ils pouvoient, en mesmo sorto: mais si cela viont iamais en dispute, ie me fais fort do raonstror qu’il n’y a aucune opinion en leur philosophie, qui s’accordo si bien avec la Foy quo les inicnes. Au reste, ie croy quo si tost que M. r Arnaut aura vù mes responses, il sera tema de presenter lo tout a la Borbone pour eu avoir leur sen- timont, et do la fairc imprimer.... <*> Vincenzo Reni ehi. <*> Antonio Aknauld. [4130] C APRILE 1C41. 319 4130. GALILEO n«l [ALESSANDRA B00CHINE11I BUONAM1CI in Prato]. Arootri, 6 aprile 1641. Bibl. Naz. Plr. Mi*. Gal., P. I, T. IV, car 107. — Originalo, di mano di Vimoknsio Viviani. Molto 111.” Sig. ra mia Col. ma In questo punto m’ò stata resa la gratissima di V. S. molto Ill. r ° (1> dal marito della Lessandra rivenditora; e porche mi fa fretta di vo¬ lersi partire, gli darò por ora breve risposta, significandoli la rice¬ vuta et il contento inesplicabile elio ho preso nel sentirla leggere. Io non ho mai dubitato del benigno affetto di V. S. verso di me, sicuro che ella, in quel poco di tempo che potetti discorrer seco, si¬ curamente scorso quanta fosse in me l’affeziono verso di lei, che fu tale elio in sì breve congresso non poteva farsi maggiore; e però io quello elio V. S. produce por scusa del non mi esser la prima sua risposta pervenuta, ò stato sempre creduto da me. Non potrei a bastanza esprimergli il gusto che hare[i] di potere con ozio non interrotto godere de’ suoi ragionamenti, tanto sollevati da i comuni femminili, anzi tali che poco più significanti et accorti potriano aspettarsi da i più periti huomini c pratichi delle cose del mondo. Duoimi elio l’invito che ella mi fa non può da me esser ri¬ cevuto, non solo per le molte indisposizioni che mi tengono oppresso in questa mia gravissima età, ma perche son ritenuto ancora in car¬ cere per quello causo elio benissimo son note al molto lll. ra Sig. r Ca- 20 valiere, suo marito e mio Signore. Però, deposta questa speranza, facile e spedita maniera sarebbe che ella col Sig. r suo consorte ve¬ nisse a star quattro giorni in questa villa d’Arcetri che tengo, e che in bellissimo sito e perfettissima aria ò collocata. Io non getterò pa¬ role <••••> per esortare a intraprendere quel piccolo incomodo per¬ sona che coraggiosamente e con men sicura compagnia ha scorso le centinaia e centinaia di miglia per paesi inospiti e selvaggi. Questa azzione così grande mi rende certo che ella non fuggirà di esequire questa così piccola; onde la starò attendendo. Nè mi opponga rispetto “> Cfr. n.o 4124. G APRILE 1041. 820 [4130-4131] alcuno o sospetto nò timore elio mi possa per ciò sopraggiugnere qualche turbulenza ; perchè, in qualunque senso sia da terze persone so ricevuto questo incontro e abboccamento, o sia giocondo o sia discaro, poco m’importa, essendo io assuefatto a so (fri re o sostenero come leg¬ gierissimi pesi cariche molto più gravi. 11 la[tore] m’affretta la partenza; però finisco con pregarla a quanto prima darmi risposta] alla presonte, facendo surgere in me la speranza d’ottenere la grazia che instantefmente] domando aV.S. et al Sig. r suo consorte: ot ad ainendue con reverente affetto bac[io] le mani e prego intera felicità. D’Arcotri, li G d’Aprilo 1041. Di V. S. molto 111.™ Dovotiss. m ° et Aff. ,no S. ro Antonio Mania Bkbaudi. 41 18 - 20 APRILE 1641. 322 [4132-4188] di Settembre passato. Aspetto anco quella di Marzo, o non manco di sollici- tare; ma l’Arista s’induce a pagare conio il serpo all’incanto. Lo scusami.®* Sig. T Baitello con dire elio per verità in quel paese stanno con gran penuria di denaro. L’ 111.“° Sig. Commessario Antonini (M sempre mi sollecita se vi é cosa al¬ cuna di compoaitione di V. S. ; o quanto alli scritti del Sig/ Liceti, benché io stampati in Udene, non lo posso persuadere a guardarli: dico però che po¬ trebbe essere elio logcsso quello che scriverà c.ontra lo speculatami di V. S. del candor della luna, perché con quelle vi sarà anco lo scritto da lei. Qui non si stampa altro elio sbirraria o romanzi. Prego a V. S. molto 111.”* ed Ecc. ma con tutto il mio coro sollevamento delle sue indispositioni, o lo bacio le mani. Ven.% li 18 Ap. 1641. Di Y. S. molto 111.” et Ecc. ro * Dev." 10 Sor. F. Fulg.« Fuori: Al molto 111/® et Ecc.“° Sig/, Sig/ Col. m0 io Il Sig/ Gallileo Gallilei. con cinque doppio spagnolo et meza piastra. Firenzo. 41 SS*. FULGENZIO M1CANZI0 a GALILEO in Firenze. Venezia, 20 aprile 1011 . Blbl. Est. In Modena, llnccoltn Campori. Autografi, B * I.XXX, n.« 162. — Autografa la sottoRcruiorio. Molt’IIl.” et Ecc. mo Sig/, Sig/ Col. m ° Ilo scritta un’altra mia 1 *', elio sarà presentata a V. S. molto 111/ 0 et Ecc. 1 "* dal Padro Maestro Antonio Maria da Fiorenza, insiemo con il puoco danaro della ratta della sua pcnsioncella maturata al Settembre. Senza molto parole, farò per il Padro Castelli tutto quello elio da mo di¬ pende, et perché V. S. cosi comanda, ma anco perché son sempro stato devo¬ tissimo di quel gran sogetto, e basti dire scolaro del Sig/ Galileio. Andarò a visitarlo, bavendo estremo desiderio di rivederlo doppo un longo tempo. '** Alfonso Antonini. <*> Cfr. u.° 4131. ‘20 APRILE 1041. 323 [41334134] Il trattato do* fuochi sotteranoi di quel Signore (>> non si trova qui: ho io ordinato elio mi sia da costì portato da un radio Maestro Lelio di Arezzo, elio si devo trovare costì nella Santissima Nonciata con occasiono di Capitolo, et poi passare qui da noi Iteggento dol nostro Studio. Cosa comondata da V. S. non può ossere elio rara ot eccellente, ondo no ho curiosità suprema, tanto più quanto elio l’autore ò antagonista di sì grand’ huomo conio ò il Sig. r Licoti: il quale so ò dietro per rispondere alla lettera di V. S. del candore lunare, creddo possi caulinare a boi aggio, perché ritroverà la strada più difficile elio quando nello suo conipositioni ha havuto il comodo di trascriverò mezo Aristotilo et altri autori; ma in questo ha da giocar l’ingegno, et so beilo tanto vaio quol Signoro in questa parte, devo però confutar lo spcculationi di chi, si patisco uo dolli occhi, ò tanto Linceo in quelli della mento, elio, a mio giuditio, non ha havuto pari ancora. Et con tal lino a V. S. molto 111.™ con ogni affetto bacio lo mani. Vonotia, il dì 20 Aprilo 1641. l)i V. S. molt’ 111.™ ot Ecc. ma Ser. Dov. mo F. Fulgontio. Fuori: Al molto III.™ et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col." 10 11 Sig. r Galliloo Galliloi. Firenze. 4134. CLEMENTE SETTIMI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 20 aprile 1641. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gnl., P. I, T. XII, car. 211. — Autografa. Molto 111. ot Ecc. lno Sig. r0 Col." 10 Quosta mattina mi sono abboccato con il Sig. r Torricelli, havendolo incon¬ trato casualmonto, o gl’ho conferita la lettera di V. S. molto 111. et Ecc. ma , c glio la lasciai in mano, mostrando sogno volerne dar parto al S. r Magiotti, es¬ sendo ivi insorto qualche particolare del S. r Liceti et adversario 1 * 1 . Doppo questo ragionammo di V. S. molto 111. ot Ecc. ma , o conobbi che il sopranominato Signore ama Sua Sig. r,a con affetto molto sviscerato ; o credo restasse confirmato molto più per i miei discorsi, da’ quali poteva ancor cavare elio io gli ero superiore Lett. 4133. 20. occhi, et tanto — “> Cfr. li.® 4116. l*l Cfr. li.® 4127, Un. 11-17. 324 20-21 APRILE 1641. [4134-4186] in amar V. S. Ecc. raa , so bone egli liavrà più occasione ili convincermi, poiché il suo grande ingegno mostrerà con opere di essere seguace dello suo sublimi io virtù o scienze, lo quali essendo grato a V. S. Kcc. ma , farà in modo elio io resti perditore nel foro esterno, non potendo la mia ignoranza, da me conosciuta, esser capaco di corrispondenza d'affetto eguale a quello ebo mostrerà ad ogn’al¬ tro: ma mi consola grandemente elio il difetto non procedo da me, havondo sempre sommamente desidorato d’esserle grato almeno conio non servitore, ma amico; o mi perdoni V. S.Ecc.®* bo troppo pretendo. 10 lo vivo al solito devotissimo, o desidero i suoi commandi. Il mio ritorno ò vero clic mi ò incerto, ma sarà quanto prima, non potendomi spedire subito por molti accidenti di qualche considoratione, havondo in mano mia diversi nc- gotii importanti por la nostra famiglia di Firenzo ; o giachò vi ho mosso prin- 20 cipio, ò necessario ancora terminarli per il commtme utile. 11 P. Ambrosio riverisco V. S. Ecc."**, facendo il medesimo il S. r Magiotti. 10 poi la prego a mantenermi quella buona grafia elio io conobbi nel principio, mentre con humilo affetto la riverisco, 0 saluto il S. r Vincenzo Viviani. Roma, li 20 di Aprilo 1641. Di V. S. molto DI. et Ecc. ma Mi scusi se la lettera ò mal composta, perché l’ho scritta con grandissima fretta, conio dimostra 11 carattere. Ilumiliss.™ 0 Sor." et Indegno Scolaro so Cloni. 1 * di S. Carlo. 4135**. ANTONIO LORD a [VINCENZIO GALILEI in Firenze], risa, 21 aprilo 1041. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gai., P. I, T. XV, car. 96. - Autografa. Molto 111." ot Ecc. w0 Sig. r0 0 P.ron Obs. 1 " 0 Con tutto che dal mese d’OgoBto passato in qua io liavessi disapplicato l'animo af¬ fatto d’intorno alla fabbricatione del nuovo ponte di Pisa, per il poco gusto eli’ io no ricevei da alcuni di quei Signori di Corte, ricercandomi loro ch’io dovessi scoprirò il mio pensieri circa il modo ohe havorei tenuto nella costruzione di questo edilizio por renderlo eternamente durabile, affine di conferirlo con altri, che poi ne fossero l’esecutori et rice¬ verne il premio de’ meritati honori, come già V. S. ne restò da me a pieno informato inanzi la mia partita di costà ; bora alla venuta di Don Benedetto per sua mera cortesia m Ambrosio Ambuoqi. 21 — 24 APRILE 1641. 325 [4185-4136] ha persuaso il Ser. m0 Padrone a comandarmi eh’ io scoprissi questo mio sentimento : o 10 perchè questa ò materia che consisto in molti particolari, por lasciarmi bene intenderò procurai elio S. A. si compiacessi di lassarmi formare modello o scrittura. Rii dimandò il tempo, o mi ordinò eli’ io mettessi mano. Ilo adesso presso al lino ; o sento elio tutta via costò sono sul trattamento di risòlverò et fileggierò l’esecutore, o elio por la conclusione do’divorai pareri, che sono tra tanti ingegniori, S. A.-S. liabbia fatto citi amare il S. r Ga- lirco suo padre por faro elezione de’ migliori. Desidererei grandemente ch’ella procurassi col medesimo Sig. r Galileo elio facessi opera con S. A. S. di vedere il mio modollo e scrit¬ tura manzi la rcsoluziouo del negozio, perchè m’assicuro di produrrò ragiofni] et espe¬ rienze tanto efficaci, di persuaderò alla verità qualunque l 1 intendesse in contrario. Mi farà grazia V. S. favorirmi prontamente, acciò si ricordino d’havermi ordinato questo fatiche, e 20 olio non sicno fatto in vano ; mentre por fino gli bacio lo mani o prego vera prosperità. Pisa, 21 Aprilo 1641. Di V. S. molto 111/* et Ecc. ma Rii favorisca di risposta por carrozza con condannare la lettera soldi 0. DevotiBs.™ 0 et Oblig. mo Sor. Antonio Lorii. 4136**. PIER FRANCESCO RINUCC1NI a GALILEO in Arcetri. Firenze, 24 aprilo Itili. Autogrufoteca Morriaon in Londra. — Autografa. Molt’Ill.*® et Ecc. roo S. r mio Osa.' 110 A dii maneggia ben lo lettere, gli fanno ogni profitto: ecco sparagi, cedrati e vino ; o tutto ò nulla, non perchè sia poco, corno ò, ma in paragon doli’affetto col quale S. A. gliene manda. Io supplirò alla brevità della lotterà et alla scar¬ sità dol regalo con un lunghissimo, per tutti i versi, desiderio di servirla: o por fiora, supplicandola do’ suoi comandamenti, lo fo riverenza, sperando di venir a scolparmi del resto in persona. Dio lo concoda felicità. Firenze, 24 Ap. ,(s 1641. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. mi1 Devotiss.™ 0 o Vero Serv. ro Pier Fran.° Rinuccini. Fuori ; Al molto lll. r « et Ecc. ,no Sig. or mio Oss. mo 11 S. r Galileo Galilei. Arcetri. Lett. 4185. 14. tanti ingnieri — 320 27 APRILF. 1641. [ 4137 - 4138 ] 4137 *. FRANCESCO DUODO ft GALILEO in Firenze. Venezia, 27 aprile 1641. BLbl. Ent. in Modenn. Raccolta Cauipori. Autografi. B.» 1.XX1V, n.» 60 — Autografa. Molto 111 ” F.cc. m0 S. r Vivo ansioso d’intender alcuna cosa dol stato di V. S. Ecc. ,n » Vengo perciò a riverirla, pregandola a volormcno far dar parte et insiemo honorarir.i di alcun suo commando, elio lo ricoverò a favor singolarissimo, retrovandomolo por tanti capi obligato. Et a V. S. molto 111.” Ecc. m * di coro mi raccomando. Di Venetia, li 27 Aprilo 1641. Di V. S. molto 111.” Ecc. m * Afl>° Sor. Francesco Duodo. Fuori: [.] I/Ecc.® 10 Sig. r Galileo, Mat. e ° Dot. r io R.t* al S. r Mastro dello Posto per recapito. Fiorenza. 4138 . EVANGELISTA TORRICELLI a [GALILEO in Àrcetri]. Roma, 27 aprile 1641. Blbl. Naz. Flr. Mss. Givi., P. I, T. XII, cnr. 218. — Autografa. Molt’Ill.» et Ecc. m0 Sig.” o P.ron mio ('ol. mo Resto egualmente honorato o confuso dalla eccessiva gentilezza di V. S. Ecc. mR , la quale, prima di conoscermi, con tanta prodigalità, mi comparto lo suo gratio o m’invita alla sua servitù. Io mi conosco et ingenuamente mi confosso inabile a servirla ; nondimeno la rendo certa elio il desiderio havorebbo superata l’oru- besconza et Laverei volato per esser subito a revorirla prescntialmcnto ; ma erodo elio olla Laverà intoso dal I\ Abbate un legamo che egli mi lasciò qui nel suo partire, so bene per poco tempo, cioè fino al suo ritorno. Questo è la promossa di servire il figlio del Conto di Castel Villano U) con una lettione di geometria o fortificarono ; e l’istesso obbligo si ò da me ratificato al Conte suo padre in io questi ultimi giorni, mentre egli, essendo di partenza per Perugia, dove si è in¬ viato, ha voluto lasciare il figlio qui in Roma quasi a posta por questo effetto. <•> Cfr. n.° 4035, liu. 16. 27 - 21) APKILli 10-11. 327 [41384139] Supplico humilmonto V. S. Ecc. ma a volevo assolvermi per queste podio sotti' mane, fin elio ritorni il P. Abbate, che non tardorA molto, o poi si assicuri ebo io conosco benissimo quanto granfio interesse o bonofitio mio si inserisca in questo trattato di servire attualmente al Galileo. Prego Dio dio mi acceleri questa gratin o volino per ino questi giorni di tardanza, poi che io non vedo l’iiora di cssoro quanto prima ad arricchir ino stesso col raccoglievo lo minutio di quei tesori (dio si maneggiano in cotesta casa, dovo por la presonza di V. S. 20 Ecc. n ' a è la regia della Verità o l’erario della Sapienza. Intanto non passa mai giorno senza qualcho lionorata commemorai ione tra il Nardi o ’1 Maggiotti o me del nostro gran Maestro. Condoni al mio allotto la soverchia arroganza, so ancor io indegna monto mi ascrivo il titolo della sua famosa disciplina. Supplico V. S. Ecc."’ a a continuarmi la sua grafia, o con la debita sommis¬ sione la progo a studiar più per l’accrescimonto dolla vita elio della gloria: questa non può crescer più, ma sì bon quella, o por essa si formano voti cor¬ diali da tutti i suoi servi, ma in particolare da me, suo parzialissimo. Uevcrisco V. S. Ece."' a con adotto ossequioso o lo ratifico il possesso dolla mia servitù. Di Roma, 27 Aprilo 1641. so Di V. S. molto 111. 1 ' 0 ot Ecc." 1a 4139 *. VINCENZO ItENIElU a GALILEO in Firenze. Pisa, 29 aprile 1641. Bil>l. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, R.“ LXXXVI, li.® 133. — Autografa. Molto Ill. ro ot Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Col.' 110 Habbiamo, con uno o duo amici, riso un pezzo della Toga, il cui Capitolo 0 non ho voluto partecipar ad altri por non disgustar l’autore del’ habito (2 \ Io non penso di esser a Firenze prima di mezzo Settembre, perchè questa estate son necessitato di tornar a casa por miei interessi; sì che s’ella vorrà commandarmi cosa alcuna, pensi in che la debbo servire. Séguito lo osservazioni delle Medicee, ma un poco più di rado per non far corno Ranno passato; o trovo corrispondere agiustatamcntc. Cfr. Voi. IX, pag. 213 223. (*> Cfr. n.® 4114, li». 10-12. 328 29 APRILE — li MAGGIO 1G41. 1.4139-4 HO] Non so s’ella habbia mai più Iiavuta risposta da quelle parti Che è quanto m’occorro dirle con la presento; ed a lei et al Sig. r Yiviani bacio affettuosamente io la mano. Di Pisa, li 29 d’Aprilo 1641. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ma Dov." 10 et Obi Sor/ 6 D. Vincenzo Reniori. Fuori : Ai molto 111.™ ot Ecc. mo mio Sig. rfl o P.ron Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei, Mathematico o Filosofo primario del S. S. G. D. Fiorenza. 4140. BONAVENTURA CAVALIERI ft [GALILEO in Arcetrij. Bologna, li maggio 1641. Biw. Na«. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, c&r. 26C. — Autografa. Molto m. ra et Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. m ° T,o stato mio è pur talo qualo li ha descritto il P. I). Innocenzo, il quale, so per una parto paro meno infelico del suo, potendo io qualcho poco specolaro, per l’altra è però molto più infelico di quello, per vedormi anco assai impodito nell’intelletto in quelli anni ebo a lei hanno potuto, con lo sublimi specolationi del suo, partorirli una gloriosa quieto in cotosta sua età. sellilo, sì come non potrò già, sperar io di ottenere. Il lt. ,n0 Padre Abbate D.Boncdetto passò di qua sicut fulgur , nò lo potei porciò vedere ; ma al ritorno spero di rifarmi con lui. Quanto all’ invito che mi fa, glie no rendo gratio singolarissimo ; ma li confesso che son tanto declinato io nella sanità, elio non so conio ardire a dire eli’ io sia por voniro a ricovero tal favoro. Ma il tempo ot il ritorno del P. Abbato mi sarà forsi buon consiglierò per talo risolutione. Duo o tre volte ho dimandato al Sig. r Liceti s’ancora havea risposto otc.: mi disso elio non potea già farlo così presto, massimo dovendo risponderò a duoi'*', ondo non gli ho poi corcato più altro. Procurerò di vedere il libro del S. r Nardi' 8 ', qualo, corno da lei stimato, non può essere so non cosa rara. Godo della nuova convorsationo |4) et trattenimonto co ’l Sig. r Viviani, al quale mi ricordo partialissirao servo, conio a lei ancora liumilissimo servitoro, baciandolo affettuosamente le mani. . 20 Di Bologna, alli 14 Maggio 1641. Di V. S. molto lll. ra ot Ecc. ma Dov." 10 ot Ob. mo Sor.™ F. Bon. r ‘ Cavalieri. Cfr. n.° 4087, lin. 12. <*> Cfr. n.o 4078. <»> Cfr. n.° 4116. <»» Cfr. il® 4138, lin. 4 [4141J 14 MAGGIO 1641. 32'J 4141 **. FORTUNIO LICETI a [GALILEO in A rce.tr i], Ilologna, Il maggio H141. Blbl. NftZ. Flr. Mas lift]., !'. VI, T. XIII, car. 264. — Autografa. MoIt’IU.w et Ecc. n, ° S. or Oss.'"° Ricovo hoggi le due gentilissimo di V. S., allo quali por ciò con una sola risponderò. Lo rendo infinito gratie, prima, dell’Iunior fattomi di poter lionoraro il mio trattato con una di esse 141 , poi deirhnvcrmi con ischiotozza partecipato il suo senso circa alli mici duo libri astronomici, nolli quali disputo col S. or Chiara¬ mente*’, o circa l’opusculo De natura et artc {3) , poi clic gradisco estremamente la sua sincorità. 11 foglio elio manca al libro De regalavi mota ctc. (4 ’, lo man- dorù fra pochi giorni, con un esemplaro dol mio libro De lucidis in sublimi™, io stampato ultimamente, da Padova, dovo mi ritirerò a riscuotere lo mio entrate et a passare li caldi doli’estate vontura ; nel qual tempo attenderò con commodo a trascriverò l’opera De candore lunae [0} , giìt da me per lo occupationi dolio publicbo lettioni composta intorrottamonto quest’ inverno, circa lo considerationi propostemi da V. S. nella sua veramente elegante o dotta lettera, piena di vario o recondito dottrino, non solo di sottile filosofia, ma principalmente di matema¬ tica. Ho diviso il mio trattato in tro libri : nel primo ho considerato quanto altri babbia sino a qui scritto del candor della luna, riduccndolo a sei opinioni distinto, da ino in esso pondorato quanto mi ò stato possibile ; noi secondo ho fatto diligento considorationo sopra la sua lotterà scritta al Ser. mo Prencipo Leo- 20 poldo, dividendola in 183 capi, no i quali tengo qualche difficoltà, elio spero da V. S. sarà facilmento sciolta, ed io no verrò con molto mio frutto addottri¬ nato: nel terzo fo lo stesso col S. or Gassendo, aspettando da quel valenthuomo ricovero parimente nobile ed utile insegnamento. Il volume manuscritto, sino a qui di giò torminato, mi ò riuscito nella prima abbozzatura di fogli interi cento venti quattro, ebo sono cinque quinterni di carta ordinaria; ma per lo molto aggiunto o transpositioni mi conviono di trascriverlo, il clic farò con pili commodo a Padova, por quanto mi sarà conceduto dal caldo della stagiono o dallo occu¬ pationi domestiche. Credo elio passerà di stampa li sessanta fogli interi, stanto l’accurata consideratione elio mi è bisognato di fare intorno alle tanto e così sottili so difficoltà propostemi da V. S., dal S. or Gassendo e dalla natura dol soggetto elio si di cfr. n.° 4105. Fortoku Liobti Genuensis, acc. De lucidit (Ji cfr. nn.i 4007, 4102. fa tubiimi ingenuarum oxorcitationum libor, occ. Fa¬ ni Cfr. u.° 4007. tavii, typis Cribellianis, MDCXLI. O» Cfr. n ® 4107. Cfr - n ° 4044- X V1 IL 42 330 14 - 28 MAGGIO 1641. [ 4141 - 4142 ] tratta; sì elio non erodo elio così presto si potrà mettere sotto ’l torchio o publi- care: ma subito finito di stampare, no manderò gli esemplari alli padroni ot amici. Con qual fino a V. S. di tutto cuore bacio lo mani, assicurandola elio in detto mio componimento mi sono ingegnato di seguire in tutto e per tutto il suo costumo, insistendo nollo suo vestigio, con sommo desiderio di superarla nella riverenza, so bone resterò vinto nella dottrina, servendomi però di quella libertà o sincerità filosofica elio tra di noi ò stata reciprocarliento concertata. E con riverente affetto lo bacio lo mani. Boi.®, 14 Maggio 1641. Di V. S. molt’Ill. 0 ot Ecc. m * 4142. VINCENZO RENI ERI a [GALILEO in Arcetri]. Pl»n, 28 maggio 1641. Bibl. Naz. Flr. Mbs. fiat, P. VI, T. XIII, car. 268. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. rao mio Sig.™ o P.ron Col. -8 Siamo kormai alla fino dello lezzioni ; elio però pensando io di partirmi subito elio siano terminato, starò attendendo elio ella mi lionori di qualche suo commandamento. A Ottobre spero di rivederla; in tanto m’andrò consolando con intender nuovo di V. S. Ecc. m *, o saluterò in suo nomo il Sig. r Baliani. Desidero sapore so il Sig. r Liceti foco mai replica alla scrittura che olla gli inviò, percliò stimo elio vi siano per esser coso acutissimo circa lo osservar ziono delle Stello Mediceo. Questa estato penso di finir la fatica in tutto o per tutto, sì elio s’ella liavrà per bene che so n’eschino l’cfibmoridi, nelle quali pro¬ curerò di lavar il capo a quel Francese 10 che si fa autor dello longitudini per io tal mezzo, me no potrà dar un conno. Al Sig. r Viviani mille saluti, il quale prego a farmi grazia di diro al Sig. r Braccio Manetti, che quando l’amico suo si compiacesse (li lasciarmi l’Apollonio per queste vacanze, mi sarebbe di sommo favore, non havendo io possuto in questi duo mesi passati servirmene, o no attenderò risposta prima di partirò. In tanto V. S. Ecc. m * mi conservi nella sua buona grazia o m’ami col solito affetto, elio io, affettuosissimamente baciandolo la mano, lo prego dal Cielo tranquillità e contentezza. Di Pisa, li 28 di Maggio 1641. Di V. S. molto 111.” et Ecc. ma Dev. mo ot Obb. mo Sor.™ 20 D. Vincenzo Rcniori. Devot.® 0 So” 40 Fortunio Liceti. (* Giu. Battista Mordi. ikmnui 1° GIUGNO 1641. 331 4143 *. FRANCESCO RINUCOINI a GALILEO [in Arcetri). Veuezia, 1° giugno 1641. Bibl. Est. In Moderni. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVII, n.° 27 —Autografa la sottoscrizione. Molto 111." ot Ecc. m0 Sig." o P.ron mio Oss. ,no Dal Sig. r Licori, elio mi ha favorito (runa copia del suo libretto intitolato De lucidis in sublimi (1) , mo no t> stata inviata un’altra simile, con l’aggiunta, per V. S. Ecc.“‘ ft , (pialo ò da me stata consegnata al procaccio, cho questa sora parte a cotosta volta. Non so so la debolezza dol mio intelletto potrà sollevarsi tant’alto a considerare lo moraviglio di sì gran lìlosofo ; puro mi andarò ci¬ mentando con il cominciare a lcggorlo. E sigillando questa con un affettuoso ricordo doll’ambitioso desiderio elio porto do’ suoi commandi, gli bacio con tutta la pienezza del mio sincero adotto lo mani. io Venezia, primo Giugno 1641. Di V. S. molto 111." ot Ecc. ni ® Obb. mo o Vero Sor.™ Sig. r Galileo Galilei. Fran. 00 Rinuccini. 4144 . EVANGELISTA TORRICELLI a [GALILEO in Arcetri]. Koina, 1° RÌugno 1641. Blbl. Nnz. Plr. Mss. Gal.. P. VI, T. XIII, CAr. 270-271. — Autografa. Molt’ 111." et Ecc. mo Sig." o P.ron Col. mo Già sono molto settimane cho il Padre Rev. mo1 *’, per quanto intendo, parti da Vcnetia, por formarsi qualche tempo in Brescia. Essendo però io stato irre¬ soluto o non sapendo dove scrivergli, invio l’inclusa a V. S. Ecc. ma , supponendo cho egli, subito giunto in Firenze, quando che sia, capitorà costi. Io reverii V. S. Ecc. mR anco con t'occasiono del P. Clemente (3) , persona di molto garbo et anco di straordinario sapere. Nella lettera portata da lui nar¬ ravo certo mio cosette intorno alli solidi dolili sfera e la supplicavo a non conferir la lotterà con alcuno. Hora, mutato d’opinione, mando l’incluso foglio Cfr. n.o 4141. •*> Bknbdktto Cabtblli. I») Cl.KMKNTB SBTTIMr. <11 Cfr. n.o 4119. 332 1* —16 GIUGNO 1041. [ 4144 - 4146 ] a V. S. Ecc. m# , acciò lo «onta o poi, so cosi lo parerà, lo mandi al P. Clemente io ot a cotosti geometri, i quali forse in honoreranno d’inclinar l’altezza do i loro ingegni a veder questa bassezza del mio. Sono sei teoremetti fondamentali, da i quali cavo certo passioni e proportioni di varii solidi, conio no mando una parto in un foglietto separato (1) , conformo mi sono venuti in monto all’impro- viso. Mi pare d’ haver ampliato un tantino la dottrina d’Archimede nel libro De sfera et cilindro. Io poi mostro le mio propositioni, qualunque esse si siano, con dimostrationi dirotte o senza l’aiuto do gl’ indivisibili, conio ho conferito ogni cosa al S. r Magiotti. Questi altri geometri vi speculano da loro, compia¬ cendosi di pigliarvisi gusto. Io spasmo di desiderio di poter essere a servir V. S. Ere."'», la quale rovo- 20 risco con liumilissimo affetto, fin tanto che la fortuna m’apporti quell’bora di prosperità nella quale mi sia concesso di poter essere a reverirla con la persona. Di Roma, il p.° di Giugno 1641. Di V. S. Ecc. raa IIum. m0 ot Obbl. mo S. r0 Evang. 1 * Torricelli. Duo nuovo famose ci sono: la morto del Card. 1 Pio ,,, l e la stampa, aspot- tatissima già sono anni, del P. Atanasio Kirchcr. Questo ò il Gesuita matema¬ tico di Roma. L’opera stampata ò un volume assai grosso sopra la calamita l3) ; volumo arricchito con una gran supelletile di bei rami. Sentirà astrolabii, lioro- logii, anemoscopii, con una mano poi di vocaboli stravagantissimi. Fra l’altro so coso vi sono moltissimo carraffo 0 carraffoni, epigrammi, distici, epitaffi, inscrit- tioni, parte in latino, parte in greco, parto in arabico, parto in kebraico ot , altro lingue. Fra lo cose bollo vi d, in partitura, quella musica elio dico esser antidoto dol veleno della tarantola. Basta : il S. r Nardi 0 Maggiotti ot io hab- biamo riso un pezzo. 4145 **. VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 1B giugno 1641. Blbl. Naz. Fir. Mss. Gal., I’. 1, T. XII, car. 215. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. rao mio S. r “ 0 P.ron Col. mo Son giunto a Genova con felicissimo viaggio, 0 con quol poco elio ho pas¬ sato por mare tutto tranquillo, potendo pur una volta vantarmi di non l’haver U> La lotterà non ha presento niente alcun al¬ logato. <*> Carlo Emakuilr Fio di Savoia. <*• Cfr. n.o 2905. [41454148] 15-28 giugno 1011. 3 33 veduto col viso doll’armi. Attenderò qui ch’olla mi dia nuova di sua salute, o mi consoli, nella dimora di rivederla, con lo suo lettore. Al Sig. r Viviani (1> non diedi subita risposta, perché il giorno seguente doppo ricevuta la cortesissima sua mi posi in viaggio. Lo ringrazio adunque del favore, o lo prego a render duplicati i saluti al Sig. r Manetti (t> . So vedrò il Sig. r Baliani, li farò suo raccommandazioni ; ed in tanto, pregan- ìo dola a conservarmi vivo nella sua grazia, affottuosissimamonto lo bacio lo mani. Di Genova, li 15 di Giugno 1641. Di V. S. molto Hl. ro et Ecc. ,na Dev. mo et Obb. mo Sor. 10 * D. Vincenzo Iteniori. 4146. GIO. MICHELE PIEllUCCI a [GALILEO in Arcetri], Padova, 28 giugno 1011. Bibl. Nnz. Fir. Ms«. Gal., P. IV, T. V, car. 26-27. — Autografa, Molt’ 111. et Ecc. mo Sig. r o P.ron mio Col. mo Si ritrova qui un letterato Olandese, amico del Sig. r Sdoppio 131 , o elio vion spesso da lui a godere do’ suoi studi o trattare della stampa dello suo opero in quello parti. Con quest’occasione habbiamo havuto insieme varii discorsi ; et havondomi egli scoperto servitore di V. S. Ecc. m: ', m* ha ricercato con grand’ in¬ stanza eli’ io voglia pregarla ch’ella si compiacesse elio egli potesse trattare con i Sig. ri Olandesi della sua invenzione della longitudine, tanto da loro deside¬ rata o per la quale dico elio essi darobbono un grosso premio o ricompensa, tenendo egli por sicuro elio presto ridurrebbe il negozio a buona conclusione, io Et il suo pensiero sarebbe questo. Vorrebbe che io prima ottenessi da V. S. Ecc. n ' a eh’ ella si contentasse di servirsi di me, o non d’altri, in questo negozio, o che io poi, corno suo servi¬ tore o quasi suo delegato o commissario, in nomo di lei trattassi seco, o pari¬ mente non con altri. Ottenuto questo, vorrebbe accordare con i suoi Signori o stabilirò lo convenzioni della rocogniziono certa per 1* invenzione, dello speso da farsi noli’esperienze o di quanto altro si protenda da noi, con farne auten¬ tico contratto et assegnarne idonea sicurtà, in Venezia; o che poi, doppo que¬ sto accordato (o non prima), ella ne favorisse di dir pienamente a me tutta T invenzione o darmi tutto quelle istruzzioni necessarie et opportune per met- 20 terbi in pratica, o che io in nome di lei la comunicassi loro e mostrassi qui *'> Vincenzio Viviani. Buaccio Ma netti. <» Gasi’akk Schopp. 334 28 - 29 GIUGNO 1C41. [4146-4147] il modo di praticarla: il elio riuscito, conio si spera, fusse subito consegnato e mandato a V. S. Eco. m ‘ il convenuto rogalo. Io non lio voluto mancaro di scrivergliene, parendomi occasione o cosa da non tralasciarsi (così dico ancora il Sig. r Scioppio), esibendolo insieme me et il mio poco talento (so però in questo ella mi giudica atto) o promettendole di servirla con quel sommo amore cho porto a lei o a tutto lo coso suo. At¬ tenderò per tanto di sentirne il suo gusto, col quale conformerò sempre ancora il mio ; mentre insieme col Sig. r Scioppio le fo affettuosissima reverenza o lo prego da Dio vita o sanità. Di Padova, li 28 di Giugno 1641. . so Di V. S. molt’Ill. et Ecc. ,ua Dovot. m ° et Oblig“° Sor." Gio. Michele Piorucci. 4147. EVANGELISTA TORRICELLI a [GALILEO iu ArcetriJ. Roma, 29 Riugno IMI. Blbl. Naz. Pir. Mbs. Gal., P. VI, T. XIII, car. 279. — Aulofrafa. Molt’ III." et Ecc. ra0 S." o P.ron Col“° Ricevo dalla gentilezza di V. S. Ecc.“* honori troppo eccessivi per mozzo delle sue lettere : confesso elio sono veramente sproportionati affatto al mio merito, ma però opportuni molto al mio bisogno. Viviamo in un secolo, il qualo in materia di matematiche ò cieco affatto; però gran patrocinio o gran privi¬ legio mi paro una testimonianza d’un valore accreditato e di un nomo coronato di gloria, come già si stima per tutto il nomo immortale di V. S. Ecc. m * Questi giorni passati, leggendo un manoscritto d’un amico virtuoso, trovai uno sforzo cho egli fa por mostrar l’origino della propositiono 18 dolio Spirali d’Àrchimede. Mi parve che io ne cavassi poco frutto, onde, ripensandovi dopo, io mi vonno sospetto che questa dottrina pendesse dalla scienza del moto, ot in particolare da una propositiono di V. S. Ecc. aa posta noi principio do i Proietti, la quale facilmente lo sovverrà nelle suo tenebro luminoso per essere un sem¬ plicissimo triangolo rettangolo, e tratta di questo : die se un mobile cammi¬ nerà di duo moti etc., il momento della sua velocità sarà in potenza egualo a quelli due etc. 11 II mio discorsetto'* (so beilo per inavortenza mi ci è scappato il titolo di dimostratione) sarà un poco tedioso, non havendo io voluto far figura, se non in ultimò un triangolo solo con il primo circolo della spirale e quattro Cfr. Voi. Vili, p»g. 280. »»! Cfr. u.« 4119, [ 4147 - 4148 ] 20 GIUGNO - 5 luglio 1641. 335 semplici lettere ; altrimenti con la decima parto di quel proemio Laverei detto 20 quello elio volovo. So quanto vaglia in V. S. Ecc.° clava dics animi; però pro¬ curerò di non aggiungere al tedio della scrittura anco quello della lotterà. Qua si ò preinteso elio il P. Pev. mo(1) resti a Venotia por questa stato. Io gli ho già scritto elio desidero di cssoro a servire presentialmente V. S. Ecc. ma , 0 voglio in tutti i modi procurar d’eseguirlo. Et humilissimamento la reverisco. I)i Roma, 29 Giugno 1041. Di V. S. molt’ lll. ro et Ecc. mB Il S. r Nardi 0 S. r Maggiotti sono duo grandi ammiratori dol S. r Galileo. 11 Nardi poi spocial- monto lo riverisco. 11 S. r Magiotti sta a Frascati so già. un meso. IIuin.“®, Dov. mo et Oblìi." ,0 S. ro Evang. u Torricelli. 4148 **. FOItTUNIO IjICETI a GALILEO in Firenze. Padova, 5 luglio 1041. Blbl. Naz. Flr. Mrs. Gal., I*. VI, T. XIII, car. 273. — Autografa. Molt’ Ill. ro et Ecc. n '° S. or o P.ron Oss. rao Godo elio V. S. habbia finalmonto ricevuto l’esemplare De luci rii s in su- llimi [iì f col foglio elio mancava a quollo De regulan motu otc. (3 , o elio con suo commodo mi favorirà di farsene leggero qualclio parte. Clic io Labbia diviso le mie risposto alla sua lettera De candore lunac in 183 (4) , non lo doverli parere strano, poi che lo conclusioni ebo in essa lei si prende a pro¬ vare sono duo principali: elio il candoro provenga dal reflesso della terra, o elio non nasca dal solo reflesso dell’otero ambiento la luna; o lo suo provo sono molto, fondato sopra gran numero di propositioni, le quali mi bisogna partitamentc con¬ io sideraro ad una ad una con diligenza, sendo capaci di grandi specolationi, si come ripieno di molta dottrina o gran sottigliezza: o V. S. sentirà elio io non mi dilungo punto dalle coso da lei proposte nella sua non meno lunga ebo eloganto o dotta lettera, ma senza digredirò ad altro io starò sempre noi nostro thoma. Sento gusto elio habbia ricevuto li semi mandati; o perchè poi dalli Padri di S. Giovanni di Verdura no ho ricevuto degli altri, elio mi attestano ossero dolli più bolli che siano in questi paesi, non ho voluto mancare d’inviarglino * l > Hknkdictto Castelli, <*> Cfr. u.° 4141. <»> Cfr. n.o 4107. (»> Cfr. n.» 4141, lin. 20. 836 5-6 LUGLIO 1041. [4148-4149] anco di questi un poco. So no vorrà più, mo no darà l’ordino, chè io di subito eseguirò il suo comando, non liavendo maggior gusto che noli’impiegarmi in cosa di suo servigio. Mi spiaco dolla sua cecità o dell' altre suo corporali indispositioni, elio dalla 20 gravissima età lo sono cagionato; ma poi elio a’ nostri giorni non si trova il decotto di Medea, elio sarebbe molto meglio impiegato in V. S. elio non fu in alcuno di coloro elio si fingono coll’ uso di quello ringiovoniti, dovorà consolarsi col saporo di bavero sposo gli anni suoi cosi bene, elio presso tutto ’l mondo si ò acquistata gloria elio non invecchierà mai nella memoria do i posteri, 0 vi¬ rerà sompro con titolo di dottissimo liuomo 0 proncipo do i matematici dell’età sua. In quanto a 1110 , procurerò di seguirla da lontano, so non con la qualità do i scritti pellegrini, al mono con la quantità, procacciandomi qualche nomo tra i lettorati ; 0 qualunque io mi sia per essero presso gli kuomini, sarò sompro ammiratore 0 tromba del suo atto saporo. Con elio la riverisco di tutto cuore. 30 Padova, 5 Luglio 1041. Di V. S. molt’ 111.® ot Ecc. ,,,n Alf. ,no ot Oblig. m ° Se. r ° Fortunio Lieoti. Fuori: Al molt’111. r ® et Ecc. m0 S. or 0 P.ron Oss. wo 11 S. or Galileo Galilei. Fiorenza. 4140 *. FRANCESCO DUODO a GALILEO in I’irenzo. Venezia, 0 luglio 1641. Bibi. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXIY, n.® 64.— Autografa Molto 111.” Ecc. mo S. r Mancarci a mo moderno so alcuna volta non mo lo ricordassi, come faccio con lo presenti, pregandola volermi alcuna volta far honoro de’suoi comandi, acciò conosca elio lei consona memoria di me, li quali starò attendendo con desiderio. A V. S. molto 111." Eco.®* baccio le mani. Di Venotia, li 6 Luglio 1G41. Di V. S. molto Di.” Ecc. ra * Aff. m0 Sor. Francesco Duodo. Fuori : [.] g r L’Eco.® 0 Sig. r Galileo Galilei, Dot. 1 Mat.“ La." per recapito al S. r Mastro dello Posto. Fiorcnzn. io [ 4150 ] li LUGLIO 1G41. 337 4150**. FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 0 luglio 1011. Blbl. Naa. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 276. — Autografa la sottoscriziono. Molto Ul. re et Ecc Sig. r , Sig. r Col." 10 Tutto lo lotterò di V. S. molto 111." ot Kcc. ,na mi sono gratissime, conoscendo in quello il gran favore della sua continuatione in riamarmi. Il P. Maestro Lelio d’Arezzo non sarà a Fiorenza so non doppo questo mese. Non s’inganna punto V. S. elio vorrei haver occasiono di servirla in nitro elio in cosa così minima conio è quella della sua pensione ella; ma loi non me no cornetto do* maggiori, onde convionmi contentare il mio adotto con questa bagatclla. L\Ill. ra0 Sig. r Possidente Itinuccini m’ha regalato d’un altro libro del Sig. r Nardi io De igne subtcranco li \ al quale m’imagino elio rEcc. B0 Licotti vorrà con qualche occasiono scrivere li suoi altissimi o lunghissimi sensi. La dottrina di questo gen¬ tilissimo spirito mi dà sommo gusto per la nova maniera di filosofare: ò ben vero elio por ancora non mi pare stabilita con tali fondamenti, elio non resti molto da pensare al suo auttore. Il P. Castelli ò qui trattenuto, parto per alcuno sue pensioni, parto ancora implicato nel negotio doli’ atteramente di questa nostra Laguna. Egli ha espli¬ cato il suo sentimento con una scrittura (S) elio fa l’effetto dolio potenti medicine, di faro gran comotiono d’huniori. La sostanza del suo parerò è che l’attcra- monto, tanto accresciuto elio rosta scoperta tanta terra, specialmente no’ tempi 20 ostivi, col sollevarsi vapori nocivi ebo possano far disliabitare, nasca non solo dal terreno importato, ma dal scemamonto dell’ aque por haversi levata dal suo corso la Brenta, o clic per ciò col riponervela possa alzarsi in tutta l’estensione della Laguna l’aqua un mezo braccio; da elio ne sortirebbono duo effetti: l'uno, elio resterebbe manco scoporto di terreno ; l’altro, elio noi reflusso la maggior quantità d’aqua aiuterebbe a portar fuori del lezzo importato dal flusso. Questa sua opinione ha messo gran confusione, e va tuttavia accrescendola, nei cervelli. La contradittione che viene fatta ò questa : che dal riporre la Brenta nella La¬ guna si Laverà un danno gravissimo certo, elio è il munimonto che seco vi porta, «»> Cfr. n.o -1116. (,) Coniideraxioni intorno olla Laguna di Vene- eia di D. Benedetto Castelli, occ. a png. 99-120 doll’opora intitolata: Della misura deli acque cor- XVIII. retiti di D. Benedetto Castelli, occ. In queeta terna ediuion» accresciuta del secondo libro e di molte cu¬ riose scritture non pià stampate. Iu Bologna, por gli HU. del Dozza. M.DC.LX. 43 338 G LUGLIO 1641 . [ 4150 - 4161 ] et incerto ogni bene, perché, havendo l’aqua della Laguna il suo essito in maro camini quanto tarda si vuole, sarà neccessario elio si uguagli all’aqua del mare • so o porò stimano una chimera elio possi far alzare l’aqua nella Laguna nò anco la grossezza di un foglio di carta. Questa è la summa del suo parerò o de’ suoi contrarii; ma non essendo materia alla quale io babbi pur pensato, lascio elio se la dibattino tra loro, o il P. Castelli quel medesimo, crcd’io, quanto asò; ma il staro o servire dove è inpiegato gl’ ba fatto prenderò la forma del ragionare del paese, elio ò di bavere un senso et un’ intelligenza, o parlaro diversamente. In fatti ò cervello grondo, basta diro scolaro del Sig. r Gallileo. Con qual fino pre¬ gando a Y. S. molto 111.” ot Ecc.“* tranquillità d’animo, lo buccio con tutto l’af¬ fetto lo mani. Ven.“, li G Luglio 1641. 40 Di V. S. molto DI." ot Ecc. ra * Dov. mo Sor. F. Fulg. 0 Fuori: Al molto 111." ot Ecc.° Sig. r , Sig. r Col. 0 ' 0 Il Sig. r Gallileo Gallilo!. Firenze. 4151 **. FRANCESCO RINUOCINJ a GALILEO [in Anatri]. Venezia, ti luglio 1641. Autofrmfotoca Morrlaon in Londra. — Autografa. Molt’Ill." et Ecc. rao Sig. r mio Osa.™ 0 Mi favorì piti fa il Sig. r medico Nardi di diverso copie del suo libretto Ve ifjne sìibtcrraneo l ", con ordinarmi elio le facessi capitare, come feci, a diversi litterati. La curiosità della materia, intorno alla quale io havevo fatto alcuno speculationaccie mediante certe esperienze eh’ havevo visto o fatte assai curiose, me lo foco subito leggere; e se beilo la solita mia ignoranza non mi permesse eli’io potessi intenderne cosa veruna, mi fu a credere olio sia bellissimo, ve¬ dendo che con una solutione sola scioglie tanti e sì diversi problemi, o che solo con il fuoco sotterraneo fa lo nevi, le gragniuole, lo tempeste, e mill’ altre cose. Con tutto ciò dubito elio se il Ser. mo Padrone non havesse altri tesori che questo io trovatogli dal Sig. r Nardi, la faremmo molto male noi altri, elio riceviamo ogni meso lo nostro provisioni. Resto però un pochetto scandalizzato elio un lumino conio lui, olio odia tanto gli autori di nuovo e dannato imposture, o che non •»> cfr. n.» 4 ne. 0-13 LUGLIO 1641. 339 [4161-4168] vuole con temeraria stoltizia far oggetto del suo felicissimo Ingegno le cose astronomiche, dia por vera esperienza elio quella pinguedine che si trova nella distillationo della terra sia quella elio dà il nutrimento ai vegetabili è a gli animali, poiché tanto ò vera questa esperienza quanto eh’ io voli, essendo tutto l’opposito, perché se. quella gravezza overo oleosità si metto in un vaso dove sia una pianta, la fa seccare prestissimo; o che dia per sua e nuova invenzione il malte fulminante, il processo del quale viene insegnato dall’Armando in un libro stampato circa 30 anni sono. Uis non olstaniibus , gli devo una grando obbligationo por havermi insegnato qual sia la cagiono del continuo bollimento di quolla caldura di maccharoni elio cascano rotoloni giù per quella montagna di formaggio grattato, o do’ fagiani o starno elio piovono cotti noi paeso di Cuc¬ cagna, statami lino ad bora occulta. Accuso a V. S. Ecc. nu il recapito della lottora por il Padre R. mo Fra Fulgon- tio, o gli bacio con tutta la pienezza del mio alletto lo mani. Vcnetia, (i Luglio 1641. Di V. S. molto 111.™ et Eco. Iua Obb. rao o vero Ser. ro h r . Galiloo. Fran. c0 Rinuccini. 4152 *. GIROLAMO HARD! a PIETRO GASSEND1 [in Parigi]. Genova, 12 luglio Itili. Dalla pag. 1S9 clcll’oiliziono aiuta nell’ infornmziono del u.° 1720. .... Illumini Lice tu r nostcr in responsione ad epistolam Gnlilnoi. nouleis otnniuo et palibus «ine Baio conditi» refcrtani, quae propedioin Iucca) expectafc.... 4153 **. VINCENZO RENI E RI a [GALILEO in Arcetri]. Genova, 13 luglio 1611. Blbl. Nnz. Flr. Ho. Cai, P. VI, T. XIII, car. 277. — Autografo. Molto 111.»™ et Ecc. mo mio Sig. r o P.ron Col. m ® L’intemperie della stagiono elio hanno havuta in coteste parte o 1 istossa che qui da noi, ha fatto sentirò il verno nel mezzo della stato. Io sto a vedoro se si sono cambiati i tempi, o so habbiamo da far un calendario alla riversa. 340 13 — 20 LUGLIO 1641. [41634154] Circa lo osservazioni, non ho ancora cominciato ad applicarvi l’ànimo, per¬ chè i tempi cattivi non mo no hanno data commodità; ma già ch’ella mi dico elio il Sig. r Yiviani si piglia gusto d'affaticarci attorno, vedrò di metter insieme l’effemeridi per qualche giorno avvenire, con notar lo congiontioni più princi¬ pali, acciochè, nello stesso tempo osservando tutti due, ci assicuriamo della diversità dello longitudini fra Genova o Firenze. io È qui in Genova il P.Santini (1) , il quale m’ha imposto ch’io debba mo¬ rirla in suo nomo, sì come faccio. Starò intanto aspettando che escili la me¬ ravigliosa opora (lol Sig. r liceti, perchè veramente credo che sia per levarci dallo tenebre dell’ignoranza, ove io o lei siamo stati fino adesso. Mi conservi la sua grazia, o so verrà a sorte a riverirla il Sig. r Dottor Soli¬ cino, come mi disse voler fare, m’honori di gradirlo, perchè è galantuomo o merita l’amoro di V. S.; a cui, sì come al Sig. r Viviani, affettuosissimamente bacio la mano. Di Genova, li 13 di Luglio 1641. Di V. S. molto 111.** et Ecc.“* Dev. rao et Obb. n,ft Sc. r '' 20 D. Vincenzo lienieri. 4154 *. FORTUNIO LICETI a [GALILEO in Arretri]. Padova, 20 luglio 1641. Blbl. Est. in Modona. Raccolta Cnwpori. Autografi, B.* I.XXVI1I, n.« 137. — Autografa. Molt’Hl. p ® et Ecc. m0 S. r o P.ron ()ss. m0 Dalla compitissima sua delli 13 corrente vedo cho teneva pensiero d’inviarmi alcune sue considerationi sopra il mio libro De lucidis in sublimi l2> , e spotial- mento attenenti a certi suoi dogmi, nelli quali a lei paro cho io non gli sia conformo di opinione. Ricoverò sempre a favor particolare ogni sua specolazione, sperando di honorarmone ot approfittarmene: fra tanto le rendo gratto del frutto cho io son sicuro di cavare dalli suoi insegnamenti, li quali sto attendendo con desiderio. Per fino lo bacio lo mani di tutto cuore, pregandogli felicità. Pad. a , 20 Luglio 1641. Di V. S. molt’Ill.*® et Ecc. rnn Devot. m ° et Oblig. mo Sor.™ 1° Fortunio Liceti. 1’) Antoxio Santini, (*) Cfr. u.* 4141. [41554156J 27 LUGLIO - 2 AGOSTO 1641» 341 4155 **. GHERARDO SARAOINI a [GALILEO in Arcetri], l’ina, ‘27 luglio 1641. Blbl. Est. in Moclona. Raccolta Catnpori, Autografi, 1$ » LXXXV11I, ».•» 170. — Autografa. Molt’Ill.™ et Ecc. mo S. r P.ron mio Oss. mo Mando alligato a V. S. molto 111.” ot Ecc." a il suo memoriale inviatomi, et insieme il mandato sottoscritto da me, come ella mi comanda. Con tal occa¬ siono lo ricordo la mia osservanza o la prego di nuovi commandamenti. Pisa, li 27 Luglio 1641. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc. ma Sor. 0 Oblig." 10 Gherardo Saracini. 4156 **. ANTONIO MARIA BERARD1 a [GALILEO in Arcetrij. Firenze, 2 agosto 1641. Bibl. Naz. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XII, cnr. 216. — Autografa. Eccoli. m0 Sig.™ mio P.ron Col. mo Dovea fino liieri l’altro venir da V. S. per portarli certi dollari a nomo del Padro Rov. mo Fulgenzio do’ Servi da Venotia, ma le molte occupationi son ca¬ giono che io non possa incontrar quest’occasione di voniro a goder della sua vir¬ tuosa convorsatione. Mando per tanto mio fratello, il quale gli sborserà, cento cinquanta giuli o dodici soldi : tanti ho ordino di rimettere a V. S. dal Padro Maestro Lelio d*Arezzo, a cui era stato commesso tale sborso dal sudotto Padre Fulgenzio; ma non potendo venire a Fiorenza, ha delegato questo negozio a me, et io volentieri lo faccio, o ringrazio la mia buona fortuna, elio mi porga oc- io casione di continuar la servitù con V. S. La suplico a conservarmi in sua grazia, o scusarmi se di persona non son venuto a reverirla. Saluto con tutto l’affetto il Sig. r Vincenzo (1) , e vivo desideroso di autenticar la mia devotione con la prontezza di servire a’ suoi cenni. Favo- ,1 * ViNCKNZIO G ALII.F.I. 842 2 — 10 AGOSTO 1641. [ 4166 - 4157 ] risca di faro un verso (li ricevuta, acciò la possa mandare al Padre Lelio prima clic 8’ incammini alla volta di Yenetia, cho sarà doppo S. Lorenzo. In tanto le bacio lo mani, o prego dal Signoro sanità. Di Fior.*, 2 Ag. 1 ® 16 Di V. S. Eccoli. m * Il Fadro Arcangelo Pailadini, mio compagno, reverisce V. S. o fa mille saluti al Sig. r Vincenzo. Serv." Humiliss. 0 F. Ant.° M.» Ber ardi della Nonziata. Fuori: All’Eccollen.® 0 Sig." P.ron mio Colond. m ° Il Sig. ,e Galileo Galilei. In villa. Con cento cinquanta giulii o dodici soldi. A S. Matteo in Arcoti. 4157 ** ANTONIO NARDI a [GALILEO in Àrcetri]. Roma, 10 agosto 1641. Blbl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 279-280. - Autoitrara. Molto III.® et Ecc. ro0 S. r o P.ron mio Oss. mo Credevami elio V. S. Ecc. m * ponesse nella soprascritta : In casa dcìVEmS 0 Ss Card. 1 di Bagno {l \ acciò lo lettere mi fossino più presto ricapitate; o perchè bene spesso avveniva il contrario, la pregava a tralasciar tal aggiunta: ma dall’ultima sua comprendo cho tal aggiunta era posta dai dispensatori delle lotterò, cho, benissimo conoscendomi o volendo avvanzar qualcho cosetta col portarmelo a casa, non lo davano al mio servitore. Sono dunque sei anni cho mi trovo appresso alla gloriosa memoria del S. r Card. 1 di Bagno, dal quale quanto fossi amato o stimato, senza alcuno mio merito, lo lascio dire da chi havova pratica della casa. Invero che non mai mi io sarebbi imaginato cho mi riuscisse molesto l’havor havuto servitù, anzi domesti¬ chezza, con un tanto soggetto, con la cui morte sono sepellito tutte lo mio spe¬ ranze. Io, per metter a parto V. S. Ecc. ma del mio dolore, gli dico che non pas- Grò. Kiuncksco dei Conti Guidi di Hauko. 10 AGOSTO 1G41. 343 [4157] sava quasi sottimana elio caramente non mi dimandasse sua Emin.** di V. S. e non facosso attestazioni o pubiiclie e privato dol suo valore; in partico¬ lare poi voleva da per sò leggere lo lotterò che V. S. mi scriveva, o no riceveva contento singolarissimo, corno da tutti i familiari di dotto S. r Cardinale V. S. potrà sapore, o in particolare dal S. r Conto Fabrizio, suo caro nepote ot erede. Non posso mettere in carta tutto quello elio vorrei ; ma so a Dio benedetto ao piaco elio al mio ritorno possi far la strada di Fiorenza, o star duo oro con V. S. Ecc. ,u “, Laverò commodità di parlarne : por ora gli dico conio il S. r Car¬ dinale ricevetto una di V. S. nel principio della infermità, elio por trascuraggino dei modici ò stata 1’ ultima sua, o però non si meravigli so non no La ricevuto risposta. Passando a coso mono noioso, il S. r Torricelli mi dice, non haver risposta da V. S. Ecc." ,a ot ha almeno gusto cho loi babbia ricevuto lo suo o elio si sia degnata rispondere; del resto non mancherà di diligenza per ritrovar la ri¬ sposta. Doi libri filosofici elio, ad onor della Italia o dei nostri tempi, si vodono 30 uscir allo stampo o con applauso abbracciarsi dalla plobo doi letterati, non oc¬ corro dir più, so non elio il trascurarsi lo scienze gravi dallo porsono di mag¬ gior autorità degli altri produco simili disordini ; e così gli ingogni s’impiegano a studiar granimaticlio, poesiucco, romanzi, polilicherio, o simili altre baio ; o so sopra ’l volgo di essi ingogni alcuno si inalzi a contemplar il libro della natura (come va contemplato), non ha séguito, ma solo ha séguito colui qui ad jpubli- cum palatum scrihit. Senza invidia nondimeno si godino simili scrittori gli ap¬ plausi momentanei dovuti loro dagli ignoranti: io veramente (sebene non mi sequestro dal numero di costoro) goderò più della dimostrazione di V. S. E. ma intorno al principio posto nei Dialoghi suoi ultimi, elio non faranno moltissimi 40 altri dei grossi volumi che si dilettano tener fra lo mani o conservar noi loro studii ad pompavi. Fratanto, por cambiar il piombo con l’oro, manderò a V. S. la presento dimostrazione, per saggio dello mio geometriche ricercato sopra d’Arcliimedo. Io in quest’opera mi sono ingegnato di brevemente e chiaramente mostravo con la dirotta maniera quello elio con l’obliqua assai prolissamente o oscuramento talvolta panni elio dimostri Archimede; c per esempio servala proposta 13, secondo la greca ediziono di Basilea 11 ', del primo libro De sphaera et cylindro, nella quale egli, con moltissimi versi o con molti supposti nelle ante¬ cedenti proposizioni, dimostra elio : D’ogni cilindro retto la superficie (eccettuatane la baso) è eguale ad un cer¬ co cliio, di cui il somidiamotro sia medio proporzionalo fra l’altezza del cilindro e ’l diametro della baso di esso cilindro. «*» Cfr. Voi. I, pag. 231. 344 10 AGOSTO 1641. [ 4157 ] Io, proponendo lo atesso, con qualche varietà dico così: Di qualsivoglia cilindro retto la metà della curva superficie è eguale ad un cerchio, di cui il semidiametro sia medio propor/.ionalo fra l’altezza del cilindro o ’1 semidiametro della baso. Sia il cilindro proposto AB, e s’intenda sopra la retta CD, eguale alla pe¬ riferia della baso di esso cilindro, formato il rettangolo CE, la cui altezza CF sia eguale all’altezza del cilindro: ò manifesto, por i principii posti, il rettan¬ golo CE esser eguale alla cuna superficio di AB. La baso poi del cilindro AB s’intenda esser il cerchio G, o al suo semidiametro sia eguale CI, e tirinsi lo co E G I ) ^ B C ; i retto ID, FD : adunquo il triangolo ODI sarà ogualo al cerchio G, por lo cose da noi direttamontc, o senza la dottrina di Archimede, mostrato. Prondasi poi CK media proporzionalo fra CI, CF, o formisi il cerchio II, di cui il semidia¬ metro sia eguale a CK: sarà dunque II a G come CF a CI, cioè corno il trian¬ golo FCD all’altro CDI. Ma G è eguale a CDI ; adunquo II sarà eguale a FCD, cioè alla metà di FD, overo alla metà della curva superficie di AB: il che bi¬ sognava etc. Corollario. Con lo stesso modo si proverà, che di qualsivoglia prisma retto e regolare mezza la superficie (eccettuatone le basi) ò ogualo ad un poligono similo alla baso del prisma, il cateto del qual poligono sia medio proporzionalo 70 fra l’altezza del prisma e fra il cateto della baso. Scusi Y. S. E. ra * la mia temerità, so ardisco con queste bacattelle inter¬ romper i suoi gravi studii ; almeno gli serviranno per un poco di passatempo e per occasiono di ragionar di me e di compatirmi appresso cotosti SS.' virtuosi, fra quali ammiro il da loi celebrato merito del S. r Vinconzio Viviani, di cui am¬ bisco la grazia in estromo. V. S. E. ma intanto si conservi a quosti caldi o si risparmii, a maggior gloria della nostra Toscana, per la quale là che ella viva gli anni di Nestore. Roma, 10 di Agosto 1641. Di V. S. molto 111.» et E.*" a Ser." Ob.“ 0 o Sincero 80 Ant.° Nardi. [ 4158 ] 17 AGOSTO 1641. 345 4158. EVANGELISTA TORRICELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 17 agosto 1041. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 281. — Autografa. Molt’Ill.” et Ecc. rao Sig. ro o P.ron Col. mo Portai il giorno di San Pietro una lettera alla posta, con speranza dovesse pervenire in mano di V. S. Ecc. nm Dopo, fino a quosto giorno, sono stato tra¬ vagliatissimo, non vedendone risposta. In ultimo il S. r Nardi mi ha, in cambio di consolarmi, raddoppiato il doloro, montro mi ha fatto vedoro in una di V. S. Eco." 11 corno ella si ò compiaciuta di rispondermi. Pensavo che si lusso persa la mia, della qualo mi curavo poco ; ma intendo ossorsi salvata quella, ma smarrita la risposta di V. S. Ecc. ma , da me stimata come tesoro invidiabile dalla posterità. Qui lo lettoro di Toscana capitano o alla posta di Firenze io o a quella di (ìcnua: in questa sta un tiranno, il quale spesso, por non cer¬ care, nega lo lotterò, so ben vi sono ; in quella sta un professore di memoria, il quale pretendo di rispondere subito a chiunque comparisco, se vi siano let¬ toro o quanto por apunto o di cho loco. Non ho potuto in più volto far tanto elio o l’uno o l’altro di questi si sia degnato di pigliar in mano Io lotterò o guardarvi. In tanto ho ricevuto qualclio conforto nel loggcro lo Ietterò scritto da lei al S. r Nardi, ot insieme con lui starò aspettando la dimostrationo da V. S. Ecc. ,n!1 promessa circa il principio supposto nell’opera da me tanto am¬ mirata. Fra i travagli cho ho liavuto nella perdita di mia madre, seguita pochi 20 giorni sono, nondimeno ho cercato di metter in netto un libro elio io chiamo do i Solidi Sforali 11 ', o l’ho finito di ricopiare npunto hoggi. Mia disgratia il non esser nato qualche decina d’anni prima : haveroi stimato maggior fortuna il poter pòrgerò qualcho mia debolezza in mano di V. S. Ecc. raa , cho so havessi liavuto certezza di poterla consecraro alla eternità,. ltoverisco V. S. Ecc. raa con infinito allotto, o con tutto l’ossequio la supplico a voler comandare a qualcho suo ministro cho mi faccia la gratia che io chiedo al P. Rev. ,no w , quando egli tardasse a comparirò in Firenze, dove spero certo sarà, per S. Bartolomeo. Roma, 17 Agosto 1641. 30 Di V. S. Ecc. ma Hum. -0 et Obbl. m# Servo Evang. u Torricelli. **> Cfr. n.® 4119. <*> Benedetto Castelli. XVIIL 44 20 AG08T0 1G41. [ 4159 ] 340 4159. BONAVENTURA CAVALIERI a [GALILEO in ArcetriJ. Bologna, 20 agnato 1641. Bibl. Nu. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 283-284. — Autografa. Molto 111.” ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. BC Benché il mio silentio sia allo volto lungo, principalmente por la mia so¬ lita infirmiti, non è però eh* io non 1’ babbi sempre scolpita nella memoria o eh’ io non sia sempre voluntaroso di riverirla ot intenderò del suo stato, qualo mi duolo molto elio sia accompagnato cou tanto indispositioni, che mi accrescono lo afllittioni dell’ animo, nello quali vivo aneli’ io continuamente por vedermi, in questa carcero dol corpo, posto anco ne’ coppi o legato cosi stranamente. Ma lasciamo questa materia maJonconica o diciamo qualche cosa di gusto. Ilo finalmente ricevuto una Iettora di Francia dal Sig. r Giovanni do Bouu- io grand, lunga otto fogli, nella qualo fa uua gloriosa comemorationo di V. S. Ecc. ml o dimostra quanto la stimi esso con tutti quei matematici di Parigi. Mi prega eh’ io faci opera con lei ch’ella vogli, per benefittio universale, publicaro la sua dottrina per lo longitudini (tanto da loro desiderata, non ostante elio l’Errigoni (11 habb[ia] voluto arrogarsi l’inventiono) per via do’Pianeti Gioviali. Ma l’autorità ch’olla tieno appresso tutto il mondo, o Lessero tanto palese que¬ sto esser parto della fecondità del suo sublimo ingegno, sopprimerà facilmente qualunque altro elio pretenda di usurparla ; ondo la prego aneli’ io, o per parto loro o por parto mia ancora, a volere liormai publicaro al mondo questa pre- tiosissima gioia, questo nobilissimo artifìcio, il qualo solo può accordavo le tante 20 controversie de’geografi 0 stabilire i fondamenti dell’astronomia. Il dotto Si¬ gnoro poi bay ondo liavuto 0 visto i miei libri, ot in particolare la mia Geo¬ metria* 0 , s’ò compiacciuto di honorarmi con diro clic il modo nuovo di quella li sia molto piacciuto, corno anco al li altri matematici di Parigi elio 1’ hanno vista, come mo ne fa anco fedo il P. F. Marino Mersenio, a loi ben noto, in una sua scrittami ultimamente. Il medesimo Beuugrand havondo ancora scorso la mia Centuria do’ Pro¬ blemi 13 , 0 visto nel fino di essi accennato di bavere io dimostrato, elio tirato il diametro noi parallelogrammo, tutte lo lineo di esso parallelogrammo sono doppio di tutte le lineo di qualunquo do’ triangoli separati dal detto diametro 30 <’> Pietro Hkriqoke. <*> Cfr. n.» 1970. i»i Cfr. n.o 3742. 20 AGOSTO 1041. 347 [ 4159 ] (presa por communo regola (lolle parallelo qualunque do’ lati dol dotto paral¬ lelogrammo), tutti i quadrati dello dotto lineo dol parallelogrammo sono tripli di tutti i quadrati di quello del dotto triangolo (elio corrisponde alli orga¬ netti di Archimede nollo spirali), tutti i cubi sono quadrupli di tutti i cubi, tutti i biquadrati sono quintupli di tutti i biquadrati, oltre i quali non essendo 10 passato, ma dicendo elio io stimavo probabilmolito elio i quadrati cubi fos¬ sero sostupli do’ quadrati cubi, o elio i cubi cubi fossero septupli do’ cubi cubi etc., e così di man in mano nello seguenti dignità algebriche secondo la pro¬ gressione naturale do’numeri continuati dall’unità; esso Jìeuugrand ha supplito •io mirabilmento questo resto, provandolo universalmente esser vero in tutte le di¬ gnità algebriche : il elio mi ha dato ad intondoro, osso dover ossoro un sotti¬ lissimo geometra. Ma, S. r Galileo, dobbiamo grandemente dolersi che la morto l’anno passato, puoco innanzi Natale, ci privò di huomo così raro, ch’ora te¬ nuto il primo di tutti (pici matematici di Parigi ; poiché puoco doppo bavere scritto questa lotterà, elio fa rultima sua speculationo, come mi scrivono, egli si morso. Questo ora parto del quesito eh’ io li mandavo in una lettera eli’ io 11 scrissi (u , la qualo si perse, il quale contineva conto volte, mi stimo, più dif¬ ficoltà di questo elio ha sciolto, o forsi un tale ingegno vi poteva arrivare ; ma non liebbi fortuna elio li capitasse allo mani. S’io havossi la sudetta lettera so scrittami dal Bouugrand, li vorroi mandare lo sue parolo precise, che occupano una carta intiora, circa la persona di V. S. Ecc. u ' a ; ma lo farò quanto prima mi rivonga da Itoggio, (love 1’ ho mandato al S. r Gio. Antonio Rocca, giovane intcndontissimo dolio matematiche, o della tacca del Sig. r Torricelli da me be¬ nissimo conosciuto e da lei con ragiono inalzato allo stollo ; poiché essendo fra lui o me passato alcune lotterò, ho potuto conoscere quanto egli sia singolare nella geometria, havendo trovato lo coso peregrino elio lei mi scrive, da lui parimente scrittemi e da me visto con molta maraviglia. Anzi devo sapore, che havendo io trovato modo assai facile di descrivere tutto tre lo sottioni coniche (cioè nel modo, credo si ricordi, eli’ io descrivo la parabola, di faro lo altro oo settioni ancora in similissima maniera), osso puro (corno parimente ha fatto il detto S. r Rocca) no ha apportato la dimostratione, assai difteronto dalla mia. In somma tra noi passa conferenza talo, qualo ambidue potiamo desiderare per goderci di quei gusti elio son havuti da pochi. Sporo anco di continuare in Francia con quei matematici 1 incominciata rispondenza, poiché il P. Mcrsennio sudotto me no dà occasione con propormi un quesito (so bene scritto in modo cho difficilmente n’ intendo il senso), quale credo sia talo : Dato un ellissi et un punto fuori del piano di esso dove si vo¬ glia, dal qualo stesa una retta indefinitamente por qualunque punto demolissi, 01 Cfr. n." 1112. 846 20 AGOSTO - 6 SETTEMBRE 1641. [4159-4160] o quella rivolta intorno sin elio ritorni al primo luogo, si cerca so il solido compreso dalla superficie dell’ellissi o dalla descritta por la linea elio si rivolse 70 sia portinone di cono, 0 però si possi in qualche modo tagliare elio no venglii fatto cerchio, il cui diametro 0 la positiono di esso cerchio si devo render nota 10 non ci I 10 anco pensato gran fatto, ma per quel puoco oh’ io ci ho pensato credo di poter dimostrare, che tagliato questo solido in qualunque modo, no viene necessariamente dal taglio settione conica (cioè, dato il taglio corno ri¬ chiedo ciascuna sottione, no viene essa settione), ma non so ancora se no venga cerchio. Quanto al Liceti, non no tengo nuova, essendo, convella sa, assonte, nè liavendo sue lettere. Ma devo ben rallegrarmi con V. S. Ecc. m cho riceverà, da osso tanto honoro con un libro così grosso 10 : sproficiatta a chi tocca sta so sorto ; 0 veramente liavendo ossa dato per il più in far libri piccoli, ora ben 11 do vero che venissero ingrossati da chi non conosce la gloria so non nolla moltiplicità. o grossezza de’ libri. Aneli’ io mi terrò fortunato, so potrò assag¬ giare un pezzo di questa gran torta. Ma troppo 1’ havrò attediato con questa lunghezza, la qualo sorva per ri¬ compensa dol lungo silcntio. La prego dunque u scusarmi et a continuarmi la sua buona gratia, che per fine io la riverisco di tutto cuore, salutando iusioino il nostro Sig. r Viviani 0 baciandolo afFcttuosamonto lo mani. Di Bologna, alli 20 Agosto 1641. Di V. S. molto 111." et Ecc.®* Dev.®° et Ob. mo Ser." oo F. Bon. rt Cavalieri. 4160. GIO. MICHELE PIERUCC1 a [GALILEO in ArcetriJ. Padova, 6 settembre 1641. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. IV, T. V, car. 21-85. - Autografa. Molt’HI. et Ecc. mo Sig. r e T.ron mio Col.® 0 Questi Signori nostri amici tutti ad una voce dicono elio V. S. Eoe.®* usa troppa liberalità, con gli stampatori, 0 tanto veramente paro ancor a me, perchè tutti gli altri che danno a stampar cose di qualche momento, benché di gran lunga non arrivino allo sue, nè essi siano autori di tanto nome, non dimono Lott. 41B9. 69-70. tolido compretto — <*> Cfr. n.o 4141. 6 SETTEMBRE 1641. 340 [41GO] oltre alla gloria ne ricevono ancora la principal parte doli’ utile elio so ne cava ; c questo tanto più concludiamo elio dovorobbo seguir con V. S. Ecc. mB , la quale bora tanto più ci paro elio superi in questo ogni liberalità, quanto di più sen¬ tiamo che ella in vece di guadagno ci fa spose, o speso anco molto notabili. Gli io altri ancora, coni’ ella sa, perchè non venga loro usurpato quel che a loro si devo per la stampa dolio loro opero, si fanno far privilegi da tutti i principi, il elio parimente o con maggior ragiono sarebbe fatto a lei; e gli stampatori, oltre a qualche honesto guadagno clic so gli conceda, hanno da liaver per somma gloria elio lo loro stamperie venghino honorato o accreditate dall’ opero o nomo del primo autore del nostro secolo. Ancora nel negozio della longitudine 111 ci paro elio ella sia troppo liberale, o elio forse questa tanta liberalità possa sco¬ rnare in qualche parte il credito all’invenzione; elio però vorremmo pregarla eli’ ella non liavesso per male, so quello clic tratta rappresentasso (almeno conio da per sò) a quei Signori qual fusso l’obligo loro verso di Y. S. Ecc. ,lw doppo :!0 insegnatogli praticar l’invenzione. Io per ancora non ho voluto dir niente a per¬ sona alcuna del modo di praticarla, nè de i pensieri o ritrovamenti di Y. S. Ecc. ma uditi et intesi da lei più volte in voce, c particolarmente di quel billieo con l’acqua da l’arsi in mezzo della nave, entro al quale dova star l’huomo col te¬ lescopio, eli’ olla revelò già al Scr. m0 Gran Duca o Ser. mo Principe Gio. Carlo, mentre insieme con la buona e sempre sospirabile memoria dell’Ecc." 10 Sig. r I). r Peri vi ero presonto ancor io; quale adesso liavendo fatto da per me alcuno di quello esperienze eli’ olla diceva, soli certissimo elio la cosa infallibilmente riuscirà, et a ino dà l’animo di metterla in pratica et insegnarla ancora prati¬ care ad altri con qualche facilità. so In questo punto il Sig. r Scioppio 121 ricevo una lettera del Sig. r Lodovico Elzeviro, nella quale lo prega che gli voglia dar a stampar alcune sue opore, o la data ò d’Amsterdam, delti 20 di Luglio; sì che sarà vero quel che dico olla, che sia in Amsterdam, o non in Leida, come diceva questo Sig. r Olandese, o vero (come pensa il Sig. r Scioppio) habbia negozio nell’ uno e nell altro luogo. So ben questo poco importa, bastando a noi eh’ cgb, dovunque sia, eseguisca quanto ha promesso o dove a Y. S. Ecc. mft : et il Sig. r Scioppio dice, che nel ri¬ sponder a questa lotterà gb vuol scriver ancor di questo particolare con molto senso, acciò non séguiti a far con lei un cosi gran mancamento; sebene alla ricevuta di questa del Sig. r Scioppio baverà già havuto qualche ordine, e di •io tutto no attenderemo gli avvisi. È vero che mi ritrovo qualche volta con 1’ Ecc. mo Sig. r Liceti, ma non le ho scritto di S. Sig. rit cosa alcuna, sapendo dal medesimo che passano continuo lettere tra lor Sig. rie Ecc. me o di’ ella è benissimo informata del tutto, si come **> Cfr. n.® 1146. <*) Gaspakk Sciiorr. 350 6 - 7 SETTEMBRE 1641. [4160-4161] ancora sento dalla sua amorevolissima. Questo Signore sta qua con ottima sa¬ luto, o adesso stampa un* opera De piotate Arisiotelis erga Deum et homines {l \ elio sarà circa 40 fogli, e presto, erodo, stamperà ancora la lettera di V. S. Ecc. ms insieme con la sua piena risposta, mostrando ogli gran godimento o senso di gloria elio tra di loro passi questa disputa con tanta lionorovolozza ot amorevolezza reciproca. Ilo goduto una settimana, parte qui da me e parto dal Sig. r M.® Obizi w al 50 Cataio, la soavissima conversaziono doli , Ul. MO nostro Sig. r Residente 13 ’, quale tra poclii giorni sarà costì presenzialmonto da lei, o le dirà qualcosa in voce in ma¬ teria dolla sua indisposizione molto meglio di quel che farei io per lotterò, per¬ chè no sarà da me e dall’amico informato a pieno nel passaggio ch’egli farà di qui per Ferrara: mentre io col solito devoto affetto, in nomo ancora del Sig. r Scioppio e do’ miei fratelli, a V. S. Ecc.“* fo rovorenza. Pad.®, 6 Sott." 1641. Di V. S. raolt* 111. et Ecc. w ® Devot. m# et Oblig.“° Vero Ser. ro Gio. Micholc Pierucci. 4161**. ANTONIO NARDI a GALILEO in Firenze. Roma, 7 settembre 1641. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VJ, T. XIII, car. 285-886 - Autografa. Molto 111.® ot Ecc. mo S. r o F.ron mio Oss. mo Sempro mi sono grate, o allora gratissime sopra ogni mia facoltà di spie¬ garlo in carta, le Ietterò di V. S. Eco." 1 *, quando mi porgono occasione di am¬ mirar la felicità del suo ingegno, come pur ora mi occorre -medianto la dimo- straziono mandatami, qualo da me è stata più volte lotta e considerata, con participarla al S. r Magiotti e a qualch’altro amico, soheno por ancho non l’ha veduta il S. r Torricelli, con qualo non mi sono potuto incontrare, soheno l’ho cercato, et gli ho inviato lo due incluse di V. S. Io per tanto resto con singoiar obligo alla gentilezza di V. S., la quale si è dognata d’inviarmi la tanto da me desidorata dimostrazione; o in contracambio non ho che dargli, ina solo, por io piccolo segno del mio affetto e desiderio di servirla, gli manderò la dimostra- ziono della prima proposta de dimmtione circuii d’Archimede* 41 , conformo elio olla ni De iridate ArieloteUe erga Dt*m tl homi*te, FiaKCMCO RutUCOIXI. libri duo Fortumi Liciti, occ. Utini, tjrpia Nicolai “> Cfr. lo Scene di àstomo Nardi, noi Mss. Gal., Schiratti, MDCXLV. DiecepM, Tomo XX, pag. 908-909. ,s * Marchese Frisa Odimi. 7 SETTEMBRE 1641. 351 [4161J mi scrisse. Io tal proposta ho dimostrato in duo modi: l’uno ò dirotto, e questo volova V. S. ; ma sehe.no la dimostrazione non ò lunga, sono però lunghi alquanto gli apparati, e mi tengo a scrupolo di affaticar soverchiamente 1*intelletto di V.S., stanto (oltre lo suo molto occupazioni) la disgrazia della vista. Spero bene fra non molto tempo di fargliene sontir in voce con qu alphe facilità; o in tanto riceva questa, assai brovo o chiara. Lemma Primo. 20 Sia un triangolo rettangolo ABC, di cui l’angolo retto siaB; prendasi nel lato BC qualsivoglia punto 1), o tirisi la rotta AD ; dico, esser possibile trovar in ABC un altro triangolo simile ad ABC, il quale sia maggioro del triangolo ABD secondo qualsivoglia proporziono dentro allo estreme di ABC, ABI). Prendasi in BC il punto I, sichò BC a BI habbia minor ragiono elio BI a BD o sia BII terza proporzionalo di BC, BI : adunque BII sarà maggioro di BD ; o per il punto I tirisi la rotta IL parallela ad AC, sichò termini in AB. E perché il triangolo ABC all’altro ABD ò corno BC 30 a BD ; ma il triangolo ABC ai simile LBI ò corno BC a BII; sarà il triangolo LBI maggioro dell’altro ABD : o così in qualsivoglia data proporzione, come sopra, si potrà faro il triangolo LBI maggioro dell’altro ABD. Corollario. Di qui raccogliesi, elio se il triangolo rettangolo ABD habhia la al¬ tezza AB elio sia ogualo al semidiametro d’un cerchio, ma la baso BD minore della periferia del cerchio medesimo, potrà trovarsi un triangolo rettangolo LBI simile ad un altro ABC, il quale habhia l’altezza eguale al semidiametro e la base eguale alla periferia d’un dato cerchio, o tal triangolo LBI potrà esser maggiore del¬ l’altro ABD. A quosto triangolo poi LBI sarà, por la prima del G°, eguale un regolar poligono descritto noi cerchio; imporochò la baso sua o l'altezza ò mi¬ to noro della periferia o del semidiametro del cerchio. Lemma 2°. Sia la rotta BC eguale alla circonferenza d’un cerchio, e alzata in BC la perpendicolare AB, cgualo al semidiametro dello stesso, congiunghinsi i punti A, C. Dunquo, se si dicesse BC esser eguale ^ anche al porimotro d’un rettilineo circo- p scritto al cerchio, intendasi trovato fra detto rettilineo o uno iscritto simile un ® * altro, pur simile, rettilineo, eguale al cerchio. Ora il perimetro di tal rettilineo sarà minoro di quello del cerchio : adunque, essendo il triangolo ABC eguale ad co un rettilineo circoscritto, potrà il triangolo LBI, minore o simile ad ABC, esser 352 7 — 8 SETTEMBRE 1641. [4161-4162] al trovato di mozzo eguale, per il passato lemma, e in conseguenza eguale al cer¬ chio; il che non può essere, porcili' è eguale ed anche minoro di qualche po¬ ligono descritto nel corchio. Resta dunque che male ni dicesse, il perimetro del circoscritto esser eguale alla periferia, o molto meno sari! minore. Corollario. Di qui vodesi dimostralo quello importante principio preso da Archimede, cioè elio il perimetro d’un poligono circoscritto sia maggioro della iscritta periferia di cerchio ; qual principio nè per natura sua è noto, nè da altri (per testimonio dol Clavio) è stato mai legittimamente mostrato, benché molti (conoscendone il bisogno) si mettossino all' impresa. Proposizione. co So a un dato cerchio sia egualo un triangolo, di cui l'altezza sia eguale al semidiametro dol cerchio, h aver è. tal triangolo la baso egualo alla circonferenza dello stesso corchio. Ciò è manifesto: perchè so la baso sia minoro, saria il triangolo egualo a qualche iscritto poligono, per il primo lemma; o se sia maggioro saria, per il secondo lemma, egualo a qualche circoscritto. Scuserà V. S. Ecc. mn lo mie inozzie, quali ardisco inviarle non per occupar lei, ma per dar un poco di trastullo alli SS. 1 Paolo del Buono o Viviani, a’ quali prego far lo mio ricomandazioni. Con che io cordialmente me gli ofìfero obliga- tissimo servitore. 70 Roma, 7 7bro 1641. Di V. S. molto 111.® e Ecc. ,n » Ser. ro Ob. mo di vero affetto Antonio Nardi. Fuori: Al molto 111. 0 et Ecc. mo S. r o P.ron Oss. rao Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 4162 *. FRANCESCO R1NUCCIN1 a GALILEO [in Arcotri]. Venezia, 8 settembre 1641. Blbl. Naz. Pii*. Mas. Gal., Nuovi Acquisti, n.® 42. — Autografi il poscritto, ls sottoacriiione o l'indirizzo intorno. Molt’ 111." et Ecc. m0 Sig.™ o P.ron mio Oss. mo bu grandissimo in vero il gusto ch’io hehbi in leger la lettera scritta da Y. S. Ecc. m * al Scr. mu Sig. r Principe in risposta delle obiottioni fatto dal gran 8-11 SETTEMBRE 1641. 353 [41624163] filosofacelo Liceti. Le nuovo, bello o vero speculationi dello quali ò ripiena, ot il non haver potuto ritonoro appresso di ino quel libro dove era con altro oporo di V. S. Ecc. B * mal copiata, hanno causato in ino il desiderio di liavorno una copia, conio la supplicai la passata. Mi [pcr’Jdoni con la solita sua gentilezza l’ardire, incolpandone sò medesima, elio fa coso tanto desiderabili. Et accusan¬ dogli rincaminamonto della lotterà per il Sig. r Piorucci, gii confermo la mia io vera osservanza, o con tutta questa la riverisco. Vonctia, 8 7bro 1C41. Di V. S. niolt’ 111." et Ecc. raa alla quale soggiungo, corno doppo scritto intendo dal Sig. r l’ierucci ebo quell’ ammalacelo liabbia scritto da 70 fogli, o per dir meglio impiastrati, contro la sua lettera; di elio io no sento sommo gusto per roccasione elio darà a V. S. Ecc. m * di insegnarci qualche altra bella cosa. Si ricordi elio chi gli vivo fra i suoi servitori il primo di devo- 20 tiono, non devo esser l’ultimo ad esserne favorito. E di nuovo me li ricordo Dev. m0 ot Aff. mo ot Obb. mo So” S.‘ Galileo Galilei. Frali. 00 liinuccini. 4168 *. GIO. BATTISTA RUSCHI a GALILEO in Firenze. Pisa, Il settembro 1041. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Catnpori. Autografi, H.» LXXXVII, u.° 1G0. — Autografa. Molto 111.” et Ecc. no S. r P.ron Col.™ Trovai alla posta li prosciutti di Casentino, do’ quali V. S. Ecc. m * volse ch’io restasse favorito da lei : gnone rendo gratto infinite, e gli godorò con amici, fa¬ cendo commemorazione della gentilezza dol donatore. Arrivato in Pisa, trovai un poco d’occupationi per qualclio ammalato che corro, ma por il più con buon esito. Trovai di’ il dottore che sta nel giardino o fonderia so n’ era partito per la volta di casa con un poco di febre; poro non ho potuto procacciargli ancora il medicamento da pigliar per il sonno ed altro, elio a V. S. Ecc.™ significai. Aspetto presto che torni, per nuova che ho del suo Lett. 4102. 21. E di nuo me - XV1IL 45 354 11 ~ 21 SETTEMBRE 1641. L4168-4164J ineglioramonto: in tanto a V. S. Ecc. m * mi ricordo servitore devotissimo, o prego io N. S. elio gli conceda ogni desiderato bene. Pisa, 11 7bro 1641. Di V. S. molto DI." et Ecc. m * Oblig. mo Ser. ro Gio. Batta Ruschi. Fiion: Al molto 111." et Ecc“° S. r P.ron Col.™ Il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. 4104 **. ANTONIO NARDI a GALILEO in Firenze. Roma, 21 settembre 1641. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. XIII, car. 267. — Autografa. Molto 111.® ot Ecc. m0 S. r o P.ron mio Oss.™ 0 Anch’io ho ricevuto un poco tardi la sua gratissima, insieme con l’inclusa al S. r Torricelli, elio forse a quest’ora rilaverà, ricevuta. Io poi desidero ostro- mamonto o godo elio V. S. Ecc. ,na s’affatichi por ogni maggior perfozzione che dar si possa à i suoi bellissimi Dialoghi del moto, purchò ciò non pregiudichi alla sanità sua. Mi paro ogni ora mille anni di riverirla presenzialmente o goderò con agio dei suoi dottissimi discorsi ; o ciò succederà facilmente non al mio ri¬ torno alla patria (perché credo converrammi passar da Ponigia), ma con l’occa¬ siono che vorrò a Fiorenza por altro occupazioni mio, alle quali forse s’accrescerà quella del faro stampar costà lo mio ricercato geometriche sopra di Archimede, io nò ciò voglio o ardisco faro so prima V. S. Eec. mn non resti informata almeno in generalo dol metodo o modo di procedere o dimostrare. Quanto alla sodisfazzione che desidera il S. r Viviani por il corollario dol primo lemma 111 e del suo Ridursi dalla prima del sesto, io non ho copiato ad verhutn l’opera mia in tal parte, e però nò mono certamente ricordomi della sostanza di esso corollario, ma m’imagino che sia tale. Havovo così detto nel lemma. Sia un triangolo rettangolo ABC'* 1 , di cui l’an¬ golo retto B; in esso intendasi un triangolo ABD di cgual altezza e di minor base che BC : dico, esser possibile trovar un triangolo LBI simile ad ABC, quale sia eguale o anche maggioro dell’altro ABD. Ciò supposto, so ci figuriamo haver 20 il triangolo ABC il lato AB eguale al semidiametro di un dato cerchio o la ni Cfr. n.o 4161, lin. 33-40. •*> Cfr. la figura dol lomma primo noi u.® 41C1. 21 .SETTEMBRE 1641. 355 [4164-4165] baso BC eguale alla circonferenza, ò manifesto che in esso cerchio si potrà de¬ scriverò un poligono regolare, quale, por la prima tlol sosto (risolvendosi in trian¬ goli di baso o di altezza eguali), agguagliassi ad un triangolo di base eguale a tutto lo loro insieme preso o d’altezza pur eguale all’altezza di ciascuno di * loro. Ma lo basi loro insieme preso sono minori della linea BC (poiché niuno dubitò giamai so la corda sia minoro dell’arco a cui sottondosi), o l’aitozza di ciascuno di essi triangoli (in cui risolvesi il poligono) ò minor di BÀ ; adunque tal poligono potrà esser ogualo al triangolo LBI, qual triangolo LBI potrà in so infinito farsi sempre maggioro di osso poligono, sino elio s’agguagli all’altro trian¬ golo ABC. Che poi tal triangolo LBI sia minoro del detto cerchio, non ha dif- ficultà alcuna, mcntro si agguagli ad un poligono iscrittoci. E consideri il S. 1 'Vi¬ vami elio nulla importa Tesser il triangolo LBI simile all’altro ABC, poiché veramente i cateti dei poligoni descritti noi cerchio non serbano lo medesimo ragioni elio i perimetri; ma ò ben necessario (o ciò importa al mio intento) elio l’altezza di osso triangolo sia sempro minoro dui somidiamotro del cerchio o dolla linea AB. Scrivo in fretta o confuso, o forso anello non a proposito, poiché (come dissi nel principio) non so se la dilìicultà stia qui : in ogni caso potrà avvisarla meglio. 40 Con che affettuosamente desidero felicità a V. S. E. n,a o a i suoi virtuosi allievi. Roma, 21 7bro 1641. Di V. S. molto 111. 0 et Ecc." m Ser. ro Ob. n, ° o Parzialissimo Antonio Nardi. Fuori: Al molto 111. 0 et Eco.® 0 S. r e P.ron mio Oss. ,uo Il S. r Galileo Galilei. Fiorenza. 4165 **. ANTONIO SANTINI h [GALILEO in Arcetri]. Genova, 21 settembre 1641. Bibl. Noz. Fir. Mss Gal., P. VI, T. XIII, car. 289-290. - Autografa. Molto 111." et Ecc. mi) Sig. T mio Col. mo Ben per duplicate Ietterò di V. S. il P. Renieri, Mathematico di Pisa (quale in questo vacanze so no gode lamenità di questa stanza e patria), mi ha inti¬ mato il favoro da lei fattomi e la memoria qual ritiene della mia affezionata 0 riverente servitù verso la sua immortale virtù, favore ch’io ho singolarmento gradito, ma insieme ho riconosciuto il mancamento di havor lasciato scorrerò B56 21 SETTEMBRE 1G41. [4165] molto tempo senza solvoro il tributo di qualclio mia lettera; ed alla contumacia vedo esser opposto questo duplicato difetto, d’haver mutato domicilio da Milano per Genova senza baveri© significato ove mi si devan[o] drizzare i suoi comandi. Io lascio a parto ogni scusa por rimettermi alla benignità della sua grazia, io poich’io intendo l’haver creduto di molestarla, mentre ella, occupata in coso più serio et impedita di quell’ istrumento elio al suo alto specolare gl’ è stato fedol prodromo allo suo glorio, mi persuadevo elio, per riverenza ritirandomi, s’ac¬ cettasse per logitima: ora mi essihisco a purgar questo difetto con usar più della ponna, pur elio me no dia licenza o lavorabile occasiono por servirla. Non è gran tempo ch’io liebbi notitia d’un’operetta postuma, ma al solito ingegnosa, del S. r Keplero, il cui titolo ò Somnium aslronomicum {l \ nel quale ha voluto mostrare quanto altamente Io fossero impressi quoi suoi soliti con- * cotti, che ancora dormendo gl’andasse ripassando. Credo allo suo mani sarà molto por avanti pervenuta, ed ò libro elio senza figuro si fa intendere. Bisogna haver 20 pationza, elio quando si capacita la ragione, non si rogotta. Non so da elio parto mi sia arrivato cho V. S. sta ancora scrivendo alcuni suoi (de more ) nobili pensieri filosofici. La prego ad ornarne il mondo letterato, quando prima possa. Un amico grande di V. S. 0 mio buon corrispondente'*' mi favorì, alquanti mesi et ancor anni, significarmi, esser in Olanda uscito un libro, il cui titolo va nell’occluso bigliétto' 31 . Mi significò ancora il nomo dell’authoro, non liavon- dolo osso posto ; ma lo lettere, in diverso casso, lo tengo in Milano. Ilebbi poi l’opera, 0 vi trovai per la fabrica 0 figura dolli cristalli per il tubo optico con- sidcrassioni 0 dimostrassiono et ancora modi di operarli molto dosidorati; nella 30 geometria poi, tutta 0 quasi tutta algebrica (soben ò un trattatello), cosa delle più acuto cho mi sia occorso' 41 . Similmonto ponso cho a loi non sarà mancato di pervenire; 0 quando costi fosso (corno saranno molti) alcuno col quale stimasse V. S. si potesse divisare di questo materie, mi saria gratin d’haver lei (con of¬ ferirmele) por mediatore, con che nascorcbbo sempre nuova materia di lotterò, 0 saria con usura di mio profitto. Intesi altresì cho dall’authoro, di Parigi, fu alquanto tempo fa partecipato quel suo Cursus malheinaticus 151 capriccioso nel mothodo, cho V. S. poi mandò al 1\ Cavalerio. È poi venuto l’opera compita, e si vede quanto ogni giorno si vadano affinando gl’intendimenti. Questo c’ò la miseria, elio quando si comin-40 eia a comprenderò con qualcho perfossione, siamo lasciati in isola da questi sensi. Però, ossendo communo, doviamo sodisfarci di quella parto quale ci viene qui il Santini ò il Dùcouri de la methode dol I'E* BCARTits, pubblicato appunto auoiiimo noi 1637: cfr. ti.® 3608. <*» Cfr. n.® 3408. “) Cfr. n.® 2233. <*' Probabilmente Ema Diodati. l,) 11 biglietto non ò presentemente allogato. <*> Con ogni probabilità l’opera di cui parla 21 — 25 SETTEMBRE 1G41. 357 [4165-41661 concessa; ed ò gran felicità di liavor l’intelletto più purgato alla cognissiono, come lei ha sortito. La grazia ò sua, ma il benefizio devo esser di molti con gli suoi parti. Isocrate scrisse il Panathenaico di molto più anni. V. S. sappia elio tra gli suoi più affezzionati e partiali io non mi sodisfaccio degl’ultimi luoghi. E qui la riverisco, o cordialmente le bacio lo mani. Gon.*, 21 Sott.® 1041. Di V. S. molto III.® ot Eco. ,ua Divotiss. 0 et Oblig." 10 Ser. co Antonio Santini. 4166*. GIO. BATTISTA RUSCHI a [GALILEO in ArcetriJ. Pisa, 25 settembre 1011. Bibl.Est. in Modena. Raccolta Cauipori. Autografi, 13." LXXXV11, u.® 101. — Autografa. Molt’ lll. ro ot Ecc.™ S. ro P.ron Col. m ° Ricovo la sua, gratissima per Tuffetto con che viene accompagnata dalla sua gentilezza, ma di non pieno contento per la persovoranza delle indisposi- tioni che nTaccenna : piaccia a N. S. rimetterlo a quel segno eh’ io con lei de¬ sidero, o restituirla alla publica utilità ot alla gloria del nostro secolo. Prego V. S. Ecc. ma , quando il P. Francesco (1) viono a visitarla, a faro, ben¬ ché indegna, commomoratione di me ; olio tale stimerò por il maggior lionore eli’ io possa ricovero, Tostandone all’uno et all’altro perpetuamente obligato. Ilo in pronto un poco di sciroppo aureo per mandare a V. S. Ecc. ma , che io por mancamento di buona occasiono ho ancora appresso di me ; et il medica¬ mento per conciliar il sonno, oltro a gl’altri offetti che gli significavo, appro¬ priati por le sue indispositioni, non ho potuto approntarlo, por haver trovato il inio amico dolla fonderia partitosi ammalato l ‘ ) , o non haver io potuto, per in¬ finiti obblighi di curo sopraggiuntemi, haver pur un momento da applicarmi. Aspetto di giorno in giorno l’amico, o mi darò, con l’aiuto di lui, a far qual¬ che cosa. In tanto me gli ricordo servitore obligatissimo, e gli do nuova d haver cimentati li prosciutti di Casentino, che mi regalò, per esquisiti in grado su¬ premo ; cho ringratiandonola di nuovo, la rovcrisco, conio fanno li SS. l'ali¬ nola o Stecchini, et al S. r Vincentio Viviani di cuoro bacio le mani. 20 Pisa, 25 7bro 1641. Di V. S. molto Ill. ro et Ecc. ma Dev. m0 ot Oblig. m0 Ser.™ Gio. Batta Ruschi. m Probabilmente Famiano Miohkltht. <2> Cfr. li.® 4163. 358 127 SETTEMBRE 1641. [ 4167 ] 4107. [GALILEO n EVANGELISTA TORRICELLI in Roma]. [Arcetri J, 27 settembre 1641. Dalle pag. XIL-XIU dello Lnioni ttceatUmicA* d’ Kvaxobusta Tossiceli.!, occ. In Firouze, M. DCC. XV, nella stamp. di S. A. R., per Iacopo Guidacci e 8»nti Franchi. Dispiacenti in estremo la perdita della lettoni, elio mandava a V. S., mentre che, non vedendo ella mia risposta, si sarà formato concetto di me del tutto contrario dal vero, cioè che io meno del giusto avessi stimato per cosa di poco momento quello che io sopra modo ammirai ed ammiro, cioè il maraviglioso concetto a V. S. sovvenuto per dimo¬ strare con tanta facilità e leggiadria quello elio Archimede con strade tanto inospite e travagliose investigò nello bug Spirali; strada la quale a me parvo sempre tanto astnisa e recondita, elio, dove collo studio per avventura di cento anni non ini sarei disperato del tutto di tro¬ vare l’altre conclusioni del medesimo autore, di questa sola non mi io sarei promessa l’invenzione in mill’anni, nò in perpetuo. Ora giu¬ dichi V. S. qualo mi sia riuscito il suo gentilissimo trovato l1> . Gli accennava in detta mia lettera il gaudio che no sentiva, ma d’attri- buirgli le meritate lodi non mi pareva elio uno o duo fogli ne fosser capaci, però mi riserbava a pagar tale ulìzio e debito con V, S. in voce, stando sullo speranze d’aver puro a goderla per qualcho giorno avanti che la mia vita, ornai vicina al fine, si terminasse. Dello adem¬ pirsi tal mio desiderio me ne dette V. S. in una sua amorevolissima non lieve speranza' 1 ', ma ora non sento nelPultima sua cenno di con¬ fermazione; anzi, per quel che intendo nell’altra sua scritta al Padre 20 Reverendissimo Castelli ed a me mandata aperta I:,) , ritraggo pochis¬ simo o niente di vivo rimanere in tal mia speranza. Non voglio nè debbo cercare di ritardare sì buoni incontri od avvenimenti che me¬ ritamente doverebbono costì succedere al valor suo, tanto sopra le comuni scienze elevato; ma bene gli dirò con sincero affetto, che forse anco qua sarebbe riconosciuto il merito del suo ingegno pere¬ grino, ed il mio basso tugurio non gli riuscirebbe per avventura <*» Cfr. II.» 1147, lin. 8-16. ■*' Cfr. n.° 4147. lin. 23-24. «*• Cfr. n.° 4144, lin. 4. 27 SETTEMBRE 1641. 359 [4167-4168] ospizio men comodo di qualcuno de i molto sontuosi, perchè son si¬ curo che l’affetto dell’ospite non lo ritroverebbe in altro luogo più oo fervente che nel mio petto; o so bene che alla vera virtù piace questo sopra ogni altro comodo. Gli scriveva anco la grande stima che faceva e fo degli altri suoi trovati, de’ quali mi mandò lo conclusioni ; ma di tutto mi riserbava, come ho detto, a trattarne seco a bocca, come anco di conferirli alcune mie reliquie di pensieri mattematici e fisici, per potere col suo aiuto ripulirgli, sicché meno imbrattati potessero lasciarsi vedere coll’altro mie coserelle. Mando questa sotto una del Sig. Nardi (l) , dal quale ella la riceverà, insieme colla dimostrazione di quello che io supponeva nell’ultimo mio Dialogo come principio conceduto 12 ’: ve¬ lo danla insieme e l’emendino, comunicandola anco al terzo mio rive¬ rito Padrone, il Sig. Magiotti. Ed a tutto il triunvirato con reverente alletto bacio lo mani. 4168. ASCANIO PICCOLOMINI a [GALILEO in ArcetriJ. Sieua, 27 settembre 1641. Blbl. Nnz. Flr. Mss. Gai., P. I. T. XII, car. 218. — Autografa la sottoscrizione. Molt’ 111. Sig. r mio Oss. mo Lo zatte, di questi tempi o della sorto di cui V. S. mi regala, ò novellizia così delicata, eh’ io fo pensiero elio no gusti il Ser. ra0 S. r Principe (3) ancora, perchè son già parecchi giorni che qui non so n’ è vedute. Le fattezze loro non mostrano d’haver bisogno dell’ aiuto de’ salami, ma per l’autorità di Mons. r della Casa goderò questi ancora insieme con osse. Non vorrei elio la stagione, che c’ ha guastato i frutti, ci danneggiasse nel vino, che fin bora non ci si fa sperare molto buono ; ma per haverlo men cat¬ tivo elio sia possibile, mi trasferirò fra due o tre giorni in Vescovado t4) per far io soprassedere qualche giorno la vendemmia più di quello che vorriano i conta¬ dini. Tra tanto non so se il mio maestro di casa potrà mettere insieme quattro torto e quattro forme del nostro cacio, il quale so bene non comparirà di molto bella forma, quest’anno in ogni modo non riesce di mala pasta. Antonio Nardi. **> Cfr. n.° 4158, Un. 10-18. < 3 > Leopoldo dk' Medici. Ofr. n.° 3008. 360 27 — 28 SETTEMBRE 1641. [41684160] Mi sforzerò (li servirla quest’ anno un poco meglio a vino ; e con speranza d’esser a baciarlo le mani fra non molto tempo, mi rallegro bgco delle buono nuovo di sua saluto, elio mi diede il Sor. 00 Leopoldo (piando fu ultimamente qui. E confermandomelo voro o perpetuo servitore, lo bacio le mani. Di Siena, 27 Settembre 641. Di V. S. molto 111. Devot. mo Sor. A. Are.™ di Siena. 20 4169. EVANGELISTA TORRICELLI a [GALILEO in Arcetri]. Roma, 28 settembre 1641. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gai., P. I, T. XII, car. 220-221. — Autografa. Molt’Ill." et Ecc. mo Sig." 0 P.ron Col." 0 Por quest’ ordinario aspettavo Ietterò dal P. Abbate da Fiorenza, dove spero sia giunto infallibilmente, ma tutto indarno; anzi liavendo io corcato da gl’amici suoi o da i servitori, non è stato possibile elio io ne trovi un semplice avviso. Io gli scrivo costà; quando egli ci sia, supplico V. S. Ecc. m ad impetrarmene duo riglio di risposta, della quale ho eccessivo desiderio, per non dire necessità. Por mezzo di un tanto intercessero ho liavuto risposta dal frate mio zio che sta a Prato Vecchio, (lolla cui vita dubitavo forte, essendo gl’ anni elio io non havevo potuto farvi penetrar una lettera. Del tutto laudo Dio o ringratio cordialissima- mento V. S. Ecc. m# , dalla quale ricevo questa consolarono. io Persisto più elio mai nel proposito di voler essere a servirla, ma la supplico, come feci con lo passate, a voler condonare questa poca ililatione, che sarà di non molti giorni, all’interesse elio io le scrissi in coniidonzn. Quanto all’altro interesso di costà, io resterò sodisfatto della buona gratia di V. S. Ecc. m *, anco quando manciù ogn’ altra speranza. Ma qui in Roma mi trovo d’liavcr fatto sette mesi non il lettore, ma il vetturino; e so non vado con somma prudenza, overo se non ritorna chi 10 mi ci ha messo, io dubito d’haver gettato via ogni cosa. Sia ciò detto in confidenza a V. S. Ecc. ma , con la quale spero pure di dover lare lo belle essaggerationi o lo hello sfogaturo in voco. Il S. r Nardi partirà fra pochi giorni; però aiuterà prima alla patria, o poi, 20 riposato por qualche giorno, sarà in Firenze per starci un mese. Io gli ho detto ('* D. Bkskdrtto Castrali. 28 SETTEMBRE — 1° OTTOBRE 1641. 361 [4169-4170] elio so lui si l’erma niente a casa, mi trovarli costì. In tanto reverisco con alletto devotissimo et ossequiosissimo V. S. Ecc. n,B Roma, 28 7mbre 1641. Di V. S. molto 111." et Ecc. ,nB Hu.“° et Obbl. mo S.™ E. Torricelli. Rendo infinito gratio al S. r Viviani dell’ honore cho fa al mio nome. Ha voluto obbligarmi prima elio conoscermi. In tanto io riconosco ebe l’eccessiva gentilezza dell’hospito soprabbonda anco ne i suoi cohabitatori. 4170. BONAVENTURA CAVALIERI n GALILEO in Aroetri. Bologna, 1° ottobre 1641. Bibl. Noe. Fir. Usa. Gai., P. I, T. XII, car. 222. — Autografa. Molto 111." ot Ecc. mo Sig. r o P.ron Col. mo Ilo ricovuto la gratissima sua sotto li 27 7bro doppo una ben longa scrit¬ tami avanti; circa lo quali io bavrei molto o molto cho dire, ma trovandomi assalito dalla podagra, non posso per bora estendermi molto. Solo dirò che non occorreva eh’ ella mi ringratiasso di sì puoca cosa rispetto al molto o oh’ olla merita et al elio son tenuto ; onde tocca a me a ringratiarla che lo mortadelle li siano riuscito di gusto, o elio lo babbi anco collocate in parto così insigne et in sogotto cosi raro come è Mons. r Ill. m0 di Siena 10 . Quanto al Sig. r Torricelli, giù. li scrissi che mi era bon nota la grandezza io del suo ingegno, ondo non mi maravigliavo punto eh’ bavesse trovato lo coso che mi accenna, giudicandolo atto a questo et a maggior cosa; ondo s egli viene costà, potrà ben diro di bavere seco il fiore de gli ingegni, et il mio puoco potrebbe aggiungerli di più por migliorare la loro conversatione, massime es¬ sendo io talmente afflitto del corpo, che l’anima hormai molto puoco può ope¬ rare. Ha poi costì ancora il R. ra0 Padre Castelli, il quale nello spatio di 7 overo 8 anni non mi ha voluto comparticipare più che tre bore della sua dolce con¬ versatione, della quale so eh’ ella ne goderà di molto e molto boro e forai giorni, elio li saranno di molto sollevamento alla sua infirmiti Pazienza, io me no Oi Abcanio Picoolomini. 40 XVJIX, 362 1° — 12 OTTOBRE 1641. [4170-4171] starò coiiiu a. Dio piace sino elio la Sua benignità si compiacerà di liberarmi da questa sfortunata vita. Por tanto, non puotendo per bora molto estendermi in 20 lungo, faccio fine con riverirla con tutto l’afTetto con il II.® 0 P. Abbate Castelli, salutando insieme caramente il nostro S. r Viviani. Di Bologna, il p.° 8bro 1641. Di V. S. molto HI." et Eco.®* I)ev. mo et Oli.® 0 Ser." F. Ilon. r * Cavalieri. Fuori : Al molto 111." et Ecc.“° Sig. t0 0 P.ron Col. 0 il Sig. r Galileo Galilei. Fiorenza. Ad Arretri. 4171 **. ALESSANDRO NINCI a [GALILEO in Arretri]. 8. Maria a Campo!!, 12 ottobre 1641. Blbl. Naz. Flr. Appendice ai Mss. fla!., Fili» Fararo A, car. 219, — Autografa. Molto 111." et Ecc.®° Sig. r e P.ron mio Col.® 0 Ricevetti adusa con la gratissima lettera di V. S. quella del Rev.®° P. D. Be¬ nedetto, dalla quale intesi l’opera ofiicaco elio lei ba fatto a favor mio por mezo di detto Padre, e lo no rendo quello maggiori grazio elio io posso, mentre sto aspettando qualche effetto dello minaccio di questi SS. ri Spero che il miglioramento del mio fratello questa volta sia stallilo, poi elio ha passato una settimana intera senza recidive; ondo, so egli si manterrà la prossima, verrò in persona dovo infinito volto sono arrivato solamente co ’l pen¬ siero nello spazio già di tre mesi. Invio a V. S. un poca della mia uva e pareclii ulivo da indolcirò, con sei 10 tordi. Gradirà V. S. il mio affetto, mentre co ’l fine gli prego da Dio cumulata prosperità. Da S. u Maria a Campoli, 12 Ottobre 1641. Di V. S. molto 111. 0 ’ et Eco.®* Devotiss.® 0 e Oblig.® 0 So. ro P. Alessandro Ninci. 19 OTTOBRE 1641. 363 [4172J 4172 **. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 19 ottobre 1041. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. XIII, car. 291. — Autografo lo liti. 25 26 Molt’111” et Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.™ 0 È necessario elio V. S. molt’ 111.” et Ecc. ma di mora liberalità, et cortesia mi agiusti lo partito del passato in materia di lettore, perchè, conoscendomi noi resto suo gran debitore, in questo non ho conto nè del debito nè del cre¬ dito : poi elio nel mentre elio son stato sul viaggio dalla città alla villa et dalla villa alla città, conio fugiasco, non ho tenuto conto; bora cho la necessità et questo inverno successo all’ altro senza intermedio d’età, no pigliaremo li nostri conti, et ricambiandola con cordialissimo alletto si rivederemo qualche volta con questo comercio dello lotterò. io II Padre R. ra0 Abbate Castelli partì di qua per Brescia per essigere certa sua pensiono. Non so so ancora sia sbrigato, perchè questi beneficiati fanno, come il proverbio, di ponta et di calcagno per non lo pagare, con mille scuso di disgratio et di penurie : il nostro Arisi, cho s’induce come l’orso al palio, non so so l’essor stato accompagnato con ducali risoluto et rigoroso, rilaverà cavato di longhezzo. Egli è galant’ huorno, et basta dire, quanto alla oruditione, cho è scolaro del Galileo : nel resto ha presa bene l’aria romanesca, di parlar© tutto in spirito; non so se habbia anco la qualità molto ordinaria di operare in carne. Qui alle librarie si ha l’opera De igne sulterranco (1) , ma non no vedo fatta 20 quella stima che facciamo 1* Ill. m0 Sig. r Comissario Antonini w et io, perchè V. S. sa cho modo di filosofare hanno questi nostri grand’ingogni. Voglio finir qui por questa prima volta, col bacciar a V. S. molt’ Ill. rc et Ecc. u,a con tutto l’affetto lo mani et pregarli folicità. . Venctia, il dì 19 8bro 1641. Di V. S. molto 111” et Ecc. ma Dev. m0 Ser. S. r Galileo. F. Fulg. 0 Fuori: Al molto Bl.” ot Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col. 1 ' 10 Il Sig. r Galliloo Galliloi. Firenzo. Lett. 4172. 19. De igneo eujileraneo — i‘) Cfr. n.» 1116. <*) Alfonso Antonini. 364 27 — 30 OTTOBRE 1041. [4173-4174] 4173 . ASCANIO PICCOLOMINI a GALILEO [in Arcetri]. Siena, 27 ottobre 1641. Bibl. Nnz. Fir. Mi«. Gai., P. I, T. XII, car. 224. — Autografa la sottoacrUlone. Molto 111. Sig. r mio Oss. rao Por ritrovarmi a’miei luoghi di Vescovado 11 ', non hobbi fortuna di godoro del nostro Padre Abate Castelli noi suo passaggio, elio, havendomi lasciato la di V. S. del 20, m’ha almon dato consolazione con ossa d’intenderò quel buono stato di saluto elio gli permetto la grave otA, od insiomomonto elio non gl* Lab¬ bia a giunger discaro il mio solito saggio di questi vini. Como elio io mi soli trovato alla vendemmia, o fattola faro al tempo debito, ho sporanza quest’ anno d* liavor a rimetter le dotto del passato. Allestisca adunque la solita botticella, perchè, di consiglio di quei del paese, son persuaso a mandarglielo a S. Mar¬ tino; et ancorché Labbia ribollito da cinque giorni nel tino, mi paro in ogni modo elio fin bora ritengbi quel dolco o quell’ aromatico che V. S. vi dosidora. Iddio mi conceda di poternela servire per molti anni ; o sempre desiderosissimo do’ suoi comandamenti, lo bacio lo mani. Di Siena, li 27 Ott. re 1641. Di V. S. molto 111. I)evot.“° Sor. S. r Galileo Galilei. A. Arc. T0 di Siena. 4174 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [EVANGELISTA TORRICELLI in Arcetri]. Bologna, 30 ottobre 1641. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gai., Discepoli, Tomo 41, car. 118-115. — Copia di mano dol aoc. XVIIL Mollo Rev. do <*> Sig. r mio Osa .* 0 Reputo grandissima la fortuna di V. S. molto Rev.**, poiché al grando ingegno suo accoppia quello del Sig. r Galileo, stimato oggidì con ragiono la fenice degl’ingegni. Oh che telico congiunzione, da invidiarsi da qualunque virtuoso ! oh che gran conseguenze no possono seguire, che grand’utilità alle buone lettere, per cosi maraviglioso innesto! Ma piu non dirò per non parere essere a parto di questa invidia, sebbene non la saprei né anco in tutto negare. Por sodislar poi al desiderio del Sig. r Anton Nardi, gli dico cho <" Cfr. n.o 4168. è indirizzata a Kvaxq busta Toriuoblm, conrion niellò non « dubbio cho questa lottora (corno dire che il Cavalieri credesse cho questi fosse occlo- pnre quello cho pubblichiamo sotto i nn. 1 1186, 4198) Mastico. 30 OTTOBRE — 2 NOVEMBRE 1641. 365 [41744176] la dimostrazione del fuso parabolico venutami dal quondam Sig. r Beungrand, che Iddio abbia in gloria, procedo per via degl’indivisibili, ma ò diversa dalla mia et anco da 10 quella del Sig. r Gio. Anton Rocca, gentiluomo Reggiano ed intendentissimo delle nmtte- maticho.... Resta elio ella mi onori talvolta do’suoi comandi, e di conservar fresca la servitù mia nella memoria dol nostro Sig. r Galileo, al cui adotto mi trovo obbligatissimo, siccome sono altrettanto ammiratore dol suo divino ingegno. E con tal fino le bacio affettuosa¬ mente lo mani, con riverire insieme il detto Sig. p Galilei ed il Padre Castelli, se puro ancor costì si ritrova. Di Bologna, alli 30 Ottobre 1641. Di V. S. molto Rev. d * Dev. mo Servit. 0 F. Bonaventura Cavalieri. 4175 *. BONAVENTURA CAVALIERI a GIANNANT0NI0 ROCCA [in Reggio]. Bologna, 1° novembre 1641. Dallo pag. 267-268 doli'opera citata noli’inforrnailono promossa al n.® 3058. _Gli do poi nuova, che mi scrive il Torricelli trovarsi di stanza dal Sig. Galileo od aspettar in Fiorenza il Sig. Antonio Nardi, credo gentil’uomo Aretino, clic ha da stampare un libro di geometria<*>, nel quale pretende con modi nuovi di mostrare tutto le cose d’Archimede per via delli indivisibili, quale dice avere fatto una grandissima pratica sopra la mia Geometria<*>. Cosi detto Torricelli è per stampare duo libri de motu W, che seguiranno la materia de molli delli secondi Dialogi dol Sig. Galileo, opera quale stimo dover riuscire bellissima.... 4176 . FULGENZIO MIC ANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 2 novembre 1641. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 293. — Autografo lo lin. 80-31. Molt* 111." et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r Col."' 0 Non posso tacerò un puoco di mia invidia alli colloquii che devono passare noi triumvirato, che stimo più dell’antico romano, di V. S. molt’111. 10 et Ecc. ma , dol Padre Castelli, et di quel spirito così elevato {il di cui ella mi scrivo in modo elio mi fa penar nel desiderio di conoscerlo. E dove s’incontrarebbono mai tre personaggi tali? Dio fa gl’huomini, dice il proverbio, et essi si accompagnano. Godano, chè è delle felicità, maggiori che s’incontrino in questa vita; et mi do '*» Cfr. nn.' 4157, 4161, 4164. «*' Cfr. n.® 1970. (*) Cfr. n.® 4119. <*> Evangklista Toriuokm-i. 366 2 - 9 NOVEMBRE 1641. [4176-4177] ben il crederò che il Padre Castelli non stia su lo frasi di Corto, ma elio dia uol genio suo, cioè noi filosofo et nel galanthuomo. V.S. mi fa un scongiuro, il quale nocessariamonto mi tira in lingua: però dico io a lei sola, et in sinum Domini amici, che in verità stimo sopramodo l’ingegno et la desterità di quel’ autore (l) in aplicare lo soluttioni secondo li fondamenti posti; ma quanto alla cosa medesima, mi paro una tal chimera, quale nisun poota ponorebbo in un romanzo. Per Dio, che se il flusso et reflusso del maro ha la causa assignata, è uno doi bei calderoni che si possa appender al fuoco ! Et l’haver fondata così gran mole, che è la sostanza di cosi importante et astrusa filosofia, sopra mutamenti (?) do poeti o finzioni di quelli elio hanno voluto far paura ai bambini (ot tra i bambini pongo li corvelli suori o vani), mi pare un fondare l’anfiteatro sopra li stecchadenti. Ecco che V. S. ha l’effetto del suo scongiuro ; ma in sincerità ò cosa singolare 1 ! haver proceduto così bene in con- 20 sequonza. Doll’Ecc. mo Licetti non apparisse ancora l’opera aspettata 1 *. Mi disse qua uno venuto da Padoa che sopra la contesa con V. S. haveva già in ordino 252 capitoli: non lo crodetti; ma so è vero, dobiamo aspettare coso molto rac- condito da quel’ingegno tanto ripieno. Stiamo in un continuo diluvio d’acque: conviene che il fuoco sottoranco babbi fatte do grand* alterationo. Prego a V. S. raolt’ 111.” et Ecc. m ‘ tranquil¬ lità, et lo baccio le mani. Vonetia, il dì 2 9bre 1641. Di V.S. molto IH." et Ecc.“* Dev. mo Sor. 30 S.' Galileo. F. F. Fuori: Al molto 111." Sig. r , Sig. r Col.®* Il Sig. T Galliloo Gallileii. Firenze. 4177**. BENEDETTO CASTELLI a EVANGELISTA TORRICELLI [in Firenze]. Roma, 9 novembre 1641. Bibl. Naz. Fir. Mss. Qal., Dùcepoli, Tomo 86, car. 56. — Autografa. Molto 111/* Sig. r ® e P.ron Col. 1 *® Ho consegnata la lettera di V. S. molto IH." al Sig. r Francesco, e credo che per questo ordinario sodisfarà al desiderio di V. S. •*) Gjovaxkt Nardi: ctr. n.® 1181. Cfr. u.« 4141. [ 41774178 ] 9-14 novembre 1641. 367 Son restato trafitto dalla nova che V. S. mi dà della indisposizione del nostro Vec¬ chio, se bene poi il giudicio che ne fa l’Ecc.™ Sig/ Magiotti “> mi consola, ed a quest’bora penso che lo cose siino in sicuro, per quello che comporta la grave età sua e la coramune fragilità nostra, dalla quale dobbiamo ogni momento aspettare ogni strano ed inopinato accidente. Io sto bone, Dio grazia, e poco mi curo di una discesa in una ganassa, che mi tor¬ io menta tutti i denti. Nel rosto ho cominciate le lezzioni al solito, ma senza allegrezza. Ancora non ho potuto trattare col Sig. r Conto di Castel Villano <*>; non mancare però a suo luogo e tempo faro l’diligo mio. Attenda con ogni puntualità a servire e consolare il buon Vecchio, che ne haverà merito appresso Dio ed appresso gli huomini. Saluti caramente il Sig. r Vincenzo^*, e mi continovi il suo amore. E li bacio le mani. Roma, il 9 di 9bre 1641. l)i V. S. molto Ul. r * Devotiss. 0 Sei\ re di cuore S. r Torricelli. Don Bened. 0 Castelli. Fuori : |.] 20 Firenze In casa del Sig. r Galileo Galilei. 4178*. LODOVICO BAITELLI a [GALILEO in Arcete!]. Brescia, 14 novembre 1641. Bibl. Nnz. Flr. Mss. Gai., P. I, T. XII, car. 22C. — Autografa. Molt’ 111.™ et Ecc. m0 Sig. r , Sig. r P.ron Col. mo Il P. Abbate D. Benedetto Castelli mio Signore m’ha singolarmente favorito nel raprcsentaro a V. S. molto 111." et Ecc.® 11 il sommo desiderio che tengo d’esserle servitor d’effetti, la somma stima dio faccio dell’incomparabile sua virtù, et l’honoro che riceverò sempre da’suoi da me bramatissimi commandi. Così bay esse potuto acresser forze alle mie debolezze, come so eh’ liavrà piena¬ mente adempito il mio ordine ! Rendo a V. S. molt’ lll. re ot Ecc. mi quelle maggiori gratie che mi siano pos¬ sibili dello benignissimo dimostrationi che meco s’è compiacciuta di fare con io tanto maggior mio obligo, quanto so di non Laverie mai meritato. Non cessorò Lett. 4177. 12. luogo tempo — 0> Lattanzio Magiotti. '*> Cfr. u.° luJÓ, lin. 15. <*) VlNOKNZIU Vi VI ANI. 368 14 - 23 NOVEMBRE 1641. [41784180] di corrispondere a tanta cortesia con quelli ottetti che possono ussiro dal nessun mio potere, et la supplico con tutto lo spirito a non l&ssiar in perdita occasiono in cui possa vedere quanto desideri di servirla. Et lo laccio humilissima rive¬ renza, pregandolo da N. Signore longa et intiera iolicità. Di Bressia, li 14 di Novembre 1641. Di V. S. molto 111." et Ecc.** Devotiss. 0 et Ohlig.“° Ser. M Lodovico Baitolli. 4179. PIER FRANCESCO RINUCC1NI a [LEOPOLDO DE’ MEDICI in Siena]. Firenze, 15 novembre 1041. Bini. Naz. Fir. Uh. Gai., P. 1, T. XV, car. 98. — Autografa. .... Jermattinn fui a vedere il S. r Galileo, il quale e termo nel letto da dieci giorni in qua con una fobbrieiattola lenta lenta, ma però dice egli elio l’ò continua. Gli dò davvan¬ taggio un gran dolor di rene. Questi mali, alla sua etò, mi par che devnno far temer della sua vita. Egli con tutto ciò discorre con l'istessa franchezza che facoa fuori del letto; e mi disso elio aveva grandissima soddisfazione del nuovo mattematioo Torricelli, e che aveva ricevuto grandissimo gusto in sentir confrontare alcune nuovo dimostrazioni tra lui o ’l Viviani, del quale mi disse un monto di bene, e m’ordinò ch'io lo scrivessi a V. A. 4180*. BONAVENTURA CAVALIERI a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Bologna, 23 uovembro 1011. Blbl. Naz. In Parlai. Fonda franala, NoutoIIm Acqulaittons, n.° 6204, car. 256. — Autografa. .... Nuuc sub praelo est quaedam Galilei responsio Liceto, qui oiusdem sententiam de lumino lunae secundario, a terra roflexo, impugnavi. In lucem quoque exibunt duo libri do motu et proiectis^ cuiusdam Evangelistae Torricelli, viri acutissimi, qui nunc apud Galileum moratur, cuius de motu doctrinara se proBequuttun esse profitetur, ut nuper ad rnu scripsit idem Galileus .... '*> Cfr. n.° 4119. L4I81] 23 NOVEMBRE 1641. 809 4181*. FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 23 novembre 1641. Blbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, lì.» LXXX, n.° 154. — Autografa la Bottoscriziono Molto IH." et Ecc. mo Sig. r , Sig. T Col. mo Doppo elio V. S. molto 111." et Ecc. ran mi tirò in lingua intorno al trattato De igne suhterranco ,1> , et elio io aspettava di liaver fatto il medesimo con essa, olla mi sorva il silontio, o forai la cagiono è perchè delibo liaver opinione del tutto contraria; ma sappia corto elio nello opinioni io son così disposto, elio niente nionto adatto mi piaco piò elio altri babbi lo mio por scioclio o vano, che so gl’havessero per fondato o voro. Sempre sono noi medesimo, elio l’autore ò un ingegno elio io ammiro por l’inventione o per il parlar conseguente; ma quanto al ritrovato, mi pare, cònio dissi gii!, una gran fabrica su li stcchi. Ho io voluto io ancora essorcizaro 1’ Ul. m0 Sig. r Alfonso Antonini, dal quale lio procura generalo di sempre riverir V. S., c son intrato in ambitiono, perchè al mio scon¬ giuro ancor esso mi ha risposto di punto quello elio io haveo in animo: cioè, elio sia l’auttore un bollissimo ingegno, e elio con incomparabile feliciti! habbi saputo esplicar li suoi problemi con tanta apparenza, ma sopra un fondamento senza fondamento. Hora elio V. S. ha il senso anco di quel Signore, che l’ha voluto dire a ino solo, la prego dirmi ancor essa il suo, ma nel modo medesimo ch’ella ha voluto il mio. L’Arrisi mi va per lo longhe in quella bagatella da niente; pensi quello che farebbe in soma maggiore. Ho però scritto in modo, che credo si ricorderà 20 di far il suo debito. È vero elio per tutto vi è gran strettezza noi danaro. Io me la passo con qualche indispositione di catarro, elio si tira dietro, il suo solito, un poco di fobro, ma però che non mi impedisce lo funtioni ordi¬ nario. Prego il Signore che conservi V. S. molto 111." et Ecc. mn in tranquillità di animo et in manco infermità di corpo che si può, o lo baccio le mani. Ven.% li 23 9bre 1641. Di V. S. molto 111." et Eco.®* Dov. 1 " 0 Ser. F. F. Fuori: Al molto 111." et Ecc. m0 Sig. r Col." 10 Il Sig. r Gallileo Galliloi. so Firenze. “* Cfr. n.o 4116. XVIII. 47 370 20 NOVEMBRE — 3 DICEMBRE 1041. [4182-4183 J 4182 *. GUGLIELMO WEILIIAMER a GIANNANTONIO ROCCA [in Roggio]. Mantova, 20 novcnibro 16-11. % Dallo pag. 272-273 doll'opora citata noli* informationo premia al n® 3053. .... Est quidam hic Doctor Pnduanns, legista et lector ibidem <*’, propter certa ne- gotin; magnila, ut ipsomet dicit, uiathomaticua, Gnlilaei olira diacipuluH por pluros annos. Uic seenni babet quaedam inatruinenta, et inter alia tubum ab ipso Galilaeo eonfectuni, per quern multis malta ostendit, ot mira (milii certo nihil), eiusque excellentiam iactat mirnm in modum; sed unus aut alter iam rnilii fassus est, vel se illa non advertere qunc ipso conatur alieni persuadere ut vidcantur, vel alio modo. Nequo etiam nova ostendet mihi voi aliis, qui tubis communioribus omnia ccnties vidimua: ut (ìssurns illas in medio ltinne, fossas profundiores, apices, arborea et viridaria nunquam vidi, ncque montes aut vallea, nisi per discorsimi et consequontiam ; quae tamen ipse credit se videro cum suis coloribns, ai in vitro non aurit, in obiecto certo multo minua. Veretur fortaasis ne, si me- io cutn ngat, liabeam quod opponam. Adiro eum mihi non licet, cum in hospitio degat. Ego rem dissimulo. Ad neapolitanoa tubos quod attinet, credo etiam ego plus pretii et famao eoa lmbero quam bonitatis: certe forma ibi perfectior non dabitur qnam alibi, cum rotunditaa ubique sit eadem, et ili tubia longioribns minor, maior in brevioribua. Audio, in materia solimi excellentiam illorum constare, hoc est in vitris cryatallinis, quae ita norunt temperare et aptare, ut nihil penitua quasi hebetent aut refringnnt etc. 4183 *. GIO. BATTISTA RUSCHI a [GALILEO in Arcetri]. Pian, 3 dicembre 1641. Blbl. Est. In Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.» LXXXVII, n.® 1C2. — Autografa. Molt’Ill. re et Ecc. m0 S. re P.rono Col. m0 Resto, con mio estremo disgusto, avvisato dal P. Rinieri della malattia di V. S. Ecc. ma , della quale però desidererei dal S. r Vincentio (mentre non gli fosso incommodo) un poco di minuto ragguaglio; non ch’io speri di potergli portar giovamento, conio desidererei, ma per un poco di maggior mia quiete, accer¬ tandola elio io ne sto con ansietà talo, elio non posso dir maggiore. Desidererei che si pigliasse briga il S. r Vincentio di favorirmi d’un poco di ragguaglio do’ rimedii elio si è fatti o elio di presento si fa per ordine del medico, o così tu Ucoro Ciuco. 3 - U DICEMBRE 1641. 371 [4188-4184] della institutione ridia vita, oltre al ragguaglio dol inalo. Perchè dotto Padre io in’ha detto, fra l’altro cose, d’un grandissimo aborrimento di tutte lo bevande, stimando io elio non gli permetta il medico il vino, sono andato chimorizzando elio cosa liarci potuto trovar di stravagante, e elio si possa permetterò ad un fobricitanto ; et ho procurato un poco di corbotto, elio usano i Turchi, che me¬ scolandone un pochette) con l’acqua o dibattendo, fa bevanda che ad alcuni è grata. So la fortuna volesse ch’io l'avesse accertata che gli piacesse, all’avviso gno no manderò più ; so in cotosto bando l’acquette d’amarasche non fossero più buono o elio gli piacossoro, avvisi parimente. Vorrei potermi destillaro in un nettare, elio togliosso a V. S. Ecc. ma questa noia et aborrimento, del quale estremamente la compatisco, sapendo quanto affligge. In questa angustia mia, 20 non so so non pregare N. S. a restituirgli la sanità,, o dar a me modo e talonto di poterla al meno in qualche minima cosa servire: o baciandogli affettuosa- mento lo mani, saluto il Sig. r Vincenzio e mo gli ricordo servitore. risa, 3 Xbre 1641. Di V. S. molto 111.” et Ecc."’* Dev. m0 et Oblig. m0 Ser. r0 Gio. Batta Ruschi. Gl’bavovo hier di là inviato l’olio di scorze di cedrini, stimando gli biso¬ gnasse por la palpitationo elio già m’liavova accennata, e forse non disdirà ancor adesso. Però non sia senza il giuditio del S. r medico. 4184 **. FULGENZIO MIC ANZIO a [GALILEO in Firenze]. Venezia, 14 dicembre 1(541. Bibl. Nft*. Flr. Mas. Gal., P. VI, T. XIII, car. 295. — Autografa la sottoscrizione. Molt’Ul/ 0 et Ecc.™ Sig. r , Sig. r Col. mo È longo tempo elio io non ricevo la consolarono delle lettere di V. S. molt’Ul/ 0 et Ecc."" 1 , il che, pur che non avenga da accresimento dolio suo indispositioni, come prego il Signoro elio non sia, non importa. È qui 1’Ul. m0 Sig. r Comissario Antonini 111 , col quale in due congressi li nostri più gustosi raggionamenti sono stati di V. S. ot del Sig. r Nardi : et se bene esso ancora è in opinione che l’opera De igne snbteraneo (2) habbia bisogno di gran fondamenti per fabrica tale, habbiamo però insieme ammirato il grand’in¬ gegno dell’ autore nel modo nuovo di filosofare dalle coso sensibili, et non da Lett. 4184, 8. avengo — <*> Alfonso Antonini. <*> Cfr. a.» 4116. 372 14 DICEMBRE 1641. 14184-4185] chimeriche, il parlar et discorrerò connequontomontc rintroduttione di tanto io bolle ossorvatioui, et Pattitudino et felicità dolio spirito in risòlverò tanti pro¬ blemi con modi così facili; et habbiamo por sicuro elio PEcc. m# Licotti non poteva ritrovar antagonista elio lo facesse magiormcnte sudare, et aspettiamo con gran desiderio che rompa il longo silontio et no faccia una volta godoro delle opero promesso. Mi viono detto elio un Padre Giesuito babbi stampato un grosissimo volume de magnete (i) . Qui non Pò ancora veduto, ma V. S. devo sapore che cosa sia. Questo dirmi che ò un grosissimo volnmo mi fa ricordare della Uosa Ursina, Ursa Iiosina {9) } gran volumo elio, levata la paglia, il grano tutto tolto dipeso da V. S., nulla ci resta; ot così sta il Calicò <3 ’ col Gilberto 14 ’. Io ho così puoco 20 tempo elio m’avanzi, die mi do alle bissie quando in questi volumi mi ho ru¬ bato quell’bora elio mi avanza. L’Arisio mi va longo, con scuse di ponurio et d’infirmità. Ma so qui occorro a V. S. faro qualcho spesa, comandi, oliò suplirò io. La rivorisco per nomo dell’111.® 0 Sig. r Comissario su dotto; ot pregandoli tranquillità et solievo, ambiduo con pieno all’etto lo baeciumo lo mani. Venotia, li 14 Xbro 1641. Di V. S. molt’ 111.™ et Eco.** Dov. mo Sor. F. F. 4185*. CLEMENTE SETTIMI a FERDINANDO II DE’ MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenze J. Roma, 14 dicembre 1641. Arch. di Stato in Flronte. Fili» Medicea 5661, car. 814. — Autografa. -Mons. r Assessore ini fa intendere che io non ho più che fare col Santo Offitio : in fede di che mi darà una patente, dove dirà che non sono stato inquisito, 0 questo mi giovarà appresso di chi habbia havuto sospetto della persona mia. La maggior accusa che il P. Mario ^ mi liavease preparata era l'ha ver Lavato io intrinsichezza col Sig. r Ga¬ lileo; 0 quando egli domandò a Paolino se io havevo i Dialogi del moto della terra, ovcro 80 gl'havevo letti, allbora mi ordiva la tela: e sia sicura Y. A. che non ha lasciata indietro diligenza, in modo che il medesimo Monsignore disse, ragionando di me, che ero buon religioso, eccetto però che gli pareva elio io stimassi poco il Sant’ Offitio. E ringratio S. D. M. u , che mi ha mantenuto nella Religione fin hora senza richiamo alcuno, e le per- secutioni mi hanno in certo modo giovato. Ma, a dire a V. A. S. il mio senzo come a Padrone IO e vero protettore, io non no vorrei più, nè posso più vedere la malignità trionfante.... <*> Cfr. n.® 4144. < s i Cfr. n.« 3259. < 8 ' Cfr ri® 1972. Cfr. n.® 88. Fkaxcrhoo duoli Aurati. *•* Mario di S. Frakorsoo, al secolo Mario Sorsi. [4186-4187 J 17 — 1!) DICEMBRE 1641. 373 4186 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [EVANGELISTA TORRICELLI h, Arcctri], Bologna, 17 dicembre 1641. Bibl. Nuz. Fir. Mas. Osi., Diieepoli, Tomo 41, car. 117. — Copia di mano dol sec. XVIII. _In somma io dissi al Rov. mo P. a 1). Benedetto, quando passò di qua, elio poteva ormai lasciavo da Randa F. Bonaventura e solo celebrare l’unico valore del Sig. r Torricelli; o ben vado continuamente conoscendo d’aver detto il vero, a tanti contrassegni che ella mi dà dol suo valore. Restò poi amareggiato il gusto dolio suo belle specolazioni con la trista nuova del- Pinfirmità del Sig. r Galileo, tanto più mettendo olla dubbio della vita di sì grand’uomo, elio saria voramento una perdita incomparabilo alla repubblica do’letterati. Mi son però alquanto rallegrato quando non ho visto altra sua lettera, avendo supposto che pur viva o si sia riavuto dal male. Io poi mi confesso così vivamente affezionato al gran merito e valore et alla benevolenza mostratami sempre da osso in ogni occasione, che no porterò eterni caratteri di obbligazione impressi nell’animo, quantunque non possi con eftetti mo¬ strarli «inolia gratitudine che io vorrei. Per tanto, non potendo per ora altro fare, desi¬ dero che ella a nomo mio gli annunzi sanità o felicità, in particolare in queste SS." 10 Feste di Natale, conio ancora a lei lo desidero piene d’ogni contento; e la pregherò ad ono¬ rarmi di qualche avviso dello stato del nostro Sig. r Galiloo, al quale faccio riverenza, et a V. S. bacio affettuosamente le mani. Di Bologna, 17 Xbre 1641. Aff. m0 et Obb. mo Scrvit. 0 F. Bonaventura Cavalieri. 4187 **. ANTONIO NARDI a GALILEO in Firenze. Arezzo, 19 dicembre 1041. Blbl. Naz. Flr. Msb. Gal., P. VI, T. XIII, car. 296. — Autografa. Molto 111. 0 et Ecc. m0 S. r o P.ron mio Col. mo Non potei, come era il mio desiderio, passar da Fironzo nel ritornar alla patria per riverir V. S. Ecc. ,nR e goder un poco della sua dottissima o da me desideratissima convorsazione : spero nondimeno fra non molto tempo effettuar tal pensiero, e in questo mezzo desidero d’intender buono nuovo di V. S. o della sua camerata virtuosissima. Anello sto con gran curiosità di sentire quello che segua dell’ aggiunta disegnata da V. S. per il suo Dialogo, o se presto si sia per veder in luce, come ancora se il S. r Torricelli Rabbia deliberato di faro stani- 374 19 — 20 DICEMBRE 1641. [4187-4188] pare l'opora De solidis sphacralibus o l’altro suo fatiche ingegnosissimo 11 ’, dolio quali fui favorito in Roma da quel Signoro. Lo stesso promissomi scrivoro al io P. Cavagliori por intender so il S. r Ileugrand, elio havova dimostrato la propor¬ zione del fuso parabolico e d’un cilindro, havosso ciò fatto coi principii d’Eu¬ clide, senza rimescolarvi quelli dogli indivisibili. Di tutte questo cose sto ansioso per riceverne informazione; o la presento servirò, ancora per annunziar a V. S. Ecc. m ‘ o a tutti cotesti virtuosi felicissime quosto Santo Feste, come io con tutto il cuore lo desidero. Arezzo, 19 Dicembre 1641. Di V. S. molto 111.® ot Ecc. 01 Dovotis. m ° e Parzialissimo Sor.™ Ant.° Nardi. Fuori: Al molto III.® ot Ecc. mo S. r o P.ron mio Oss. wo 20 Il S. r Galileo Galilei. Firenze. 4188. GALILEO ad [ALESSANDRA B0CCH1NER1 BUONAMICI in Prato]. Arcetri, 20 dicembre IMI. Bibl. Naz. FIr. Mss. Gal., P. I, T. IV. car. 109. — Originale, di mano di Kvanobubta Torriobu.1. Molt’ 111. 1,0 Sig. ra mia Oss. ma Ho ricevuto la gratissima lettera di V. S. molto 111.™ in tempo elio mi è stata di molta consolatione, liavendomi trovato in letto gravemente indisposto da molto settimane in qua. Rendo cordialis¬ sime gratie a V. S. dell’ affetto tanto corteso eli’ ella dimostra verso la mia persona, e dell’ufficio di condoglionza col quale ella ini visita nelle mie miserie e disgratie. Per adesso non mi occorre di prevalermi di tela: resto bone con accresciute obbligationi alla gentilezza di V. S., la quale si compiace d’invigilare a gl’interessi miei. 10 La prego a condonare questa mia non volontaria brevità alla gravezza del male; e lo bacio con affetto cordialissimo le mani, come fo anco al S. r Cav. ro suo consorte. D’Arcetri, 20 Xbre 1641. Di V. S. molto Ill. re Dev. mo et Aff. mo S. re Gal. 0 Gal.' <*> Cfr. n.« <110. [ 4180 - 4190 ] 25 - 2G DICEMBRE 1041. 37 5 4189. VINCENZO RENI ERI a GALILEO in Firenze. Pisa, 25 dicembre 1641. Bibl. IfftK. Flr. Mas. Gal., P. I, T. XII, car. 228. — Autografa. Molto Ill. ra ot Eec. mo mio S. ro o P.ron Col." 10 So col pregar a V. S. Ecc. m * felici questo Santo Foste insieme col buon Capo (l’anno potessi sporaro d’allegerir in parto i suoi travagli ed infermità, può ben esser sicura V. S. Ecc. ma elio vonendolo pregato da un affettuosissimo desiderio di vedorla in ogni prosperità, non lo resterebbe altro da desiderare por la sua saluto. Ma già elio altro non posso, la compatisco almono, o mi par mill’anni elio passino questi pochi giorni elio ni’avvaiv/ano dol leggere, por poter esser a rivederla. In tanto mi conservi olla vivo nolla sua memoria, e so in cosa alcuna può qui giovarlo la servitù mia, lionori il mio occossivo affetto do’ suoi coni¬ lo mandi. Con elio lo prego dal Cielo solliovo da’ suoi patimenti e lo bacio cara- mcnto lo mani. Di Pisa, li 25 di Xmbro 1641. Di V. S. molto Ill. re et Ecc. mft Dov. mn ot Obbl. mo Ser. ro D. Vincenzo Renieri. Fuor?: Al molto 111/® ot Eccoll. m ° mio Sig. r0 o P.ron Col." 10 11 Sig. r Galileo Galilei, Matliem. 00 p. r!o dol S. mo G. D. Fiorenza. X 4190**. GIO. BATTISTA RUSCHI a [GALILEO in Arcetri]. Pisa, 2G dicembre 1G41. Bibl. Noz. Flr. Mas. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 43. — Autografa. Molt’ 111/® et Ecc. mo S. ro P.ron Col." 10 Mando a V. S. Ecc. ma l’acqua por gl’occhi, elio spero sarà perfetta; ma più perfetta sarebbe, s’bavesse tanta virtù quant’lio io desiderio di servirla. La compatisco al mono no i travagli del suo male; et io posso farlo particolar- Lctt. 4180. 9. jmù chi giovarle — 376 26 DICEMBRE 1641 — 4 GENNAIO 1642. [4190-4192] monto, elio Lo provato che cosa sia l'inappetenza. Vorrei poter indovinare qual¬ che cosa nuova, elio gli giugnosse senza nausea, ma resto perplesso. Sa V. S. Ecc.“ R appresso a poco elio coso si possino trovaro qua o a Livorno: faccia un poco di voflcssiono se gli sovvenisse qualche cosa che paresse d’andare al gusto, o mo no dia cenno, cliò subito resterà servita, et io ricevorò il maggior favore che possa desiderare. Io non son tagliato a luna di cerimonie, o non posso io farne: vorrei solo poter far domostratione della mia buona volontà o della co- gnitione elio ho dolio mie obligationi. E pregandolo da N. S. sanità, con tutto il cuore la roverisco. Pisa, 2G Xbre 1641. Di V. S. molto IH." et Ecc. m# Dev."° et Oblig.® 6 So." Gio. Batta Ruschi, 4191 * BENEDETTO CASTELLI n BONAVENTURA CAVALIERI in Bologna. Roma, 1® gennaio 1042. Bibl. Palatina In Parma. Cod. 191 (HH. IX. CO), far. SOr. — Autografa. -I)i Firenze tengo poco buone nuovo del nostro venerabile Vecchio; e mi spa¬ venta l’età grave, quando bene l’infermità, che pure è di considerazione, nou fosse tanto grande.... 4192 . FULGENZIO MICANZIO a GALILEO in Firenze. Venezia, 4 gennaio 1642. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. IV, T. V, car. 22. — Autografa la notto«orlzlouo, Molt’ 111." ot Ecc. mo Sig. r , Sig. r Col.® 0 L stato qui a vedermi il gintilissimo o notissimo Sig. T Pieruzzi 10 , col quale il raggionamento di un’ bora intiera è stato di V. S. molto 111." ot Ecc. Bft , por- clic non potendo esser nò a lui nò a mo sogetto di maggior gusto, l’babbiamo voluto sempre continuare. Ho goduto in particolare, porchò mi ha assicurato haver inteso dall’ I1L“ 0 Sig. r Residente Rinuzzini, cho V. S. sta con buona salute. Ol Gio. WlCIIKLK PlBRUOOI. 4—7 GENNAIO 1642. 377 [4102-4103] Mi lia conferito il desiderio do alcuni Signori et de’ mercanti dandosi di vedere porfottionato quoll’ opera tanto singolare, ot cLe ò stata da’ più sublimi ingegni stimata inporscrutabile, della misura della longitudine, et ritrovata dalla io fenico dell’ ingegni, a quale paiano riservate lo meraviglio, che è il Sig. r Galiieio. Et veramente stimarci un gravissimo peccato elio la posterità restasse defrau¬ data di una invontiono, elio sonza hiperbolo posso chiamar divina. Mi ha co¬ municata la difficoltà elio V. S., tale è il suo genio ot ingenuità, non vi vuole mercantar sopra, ot quelli, essendo o gran Signori ot gran morcanti, voriano intendersi del premio. Io do raggiono ad ambo lo parti: a loi, perché è cosa inostimahilc ; a loro, perché non è giusto il lasciarla senza ricognitione. A que¬ sto ò rimedio, quando V. S. stimi di potoro transmottore di qua al Sig. r Pieruzzi et a me tutto quello fa bisogno por mettere in opera et in prova, acciò l’ospe- rionza renda la cosa certa, ot poi lasciar a noi cura del rimanente. Qui è un 20 mercanto molto honorato ot intendente; il nostro dissegno ò cho a lui sia datta comissiono sopra questo gravo affare, ot alla venuta doli’ ambasciatore Olandese destinato si potrà conchiudcro il tutto. La suplico disponersi di godere essa ancora vivonto la gloria di così miracolosa inventione, et tenero por formo cho questa ò l’infelicità humana, cho quando la natura o Dio suscita ingogni Labili a coso raro ot ad invontioni recondite, manca poi la comunicatone. Non faccia V. S. questo torto all’ Immanità. Monsig/ Arisio mi ha transmessa finalmente la ratta della ponsioncella: Y. S. no disponga. Et con tal fino con tutto l’affetto a V. S. molto HI.™ ot Ecc. m “ Laccio lo mani. so Vonotia, il dì 4 Genaro 1642. Di V. S. molto 111.™ ot Ecc.' aa Dov. m ° Ser. E. F. Fuori: Al molto 111.™ Sig. r , Sig. r Col." 10 Il Sig. r Gallileo Gallileio. Fiorenzo. 4193 **. BONAVENTURA CAVALIERI a [EVANGELISTA TORRICELLI in Arcetri]. Bologna, 7 gennaio 1642. Blbl. Naz. Plr. Mas. Gal., Diteepoli, Tomo 41, car. 119. — Copia «li mano dol soc. XVIII. .... e termino lo scrivere, perchè più non posso per ora, desideroso d’intender buone nuove dol nostro Sig. r Galileo, quale riverirà in nome mio.... Lett. 4102. 24. ecutilti ingegni — XVI IL 43 378 12 - 25 GENNAIO 11*42. [4194-4196] 4194. GIORGIO BOLOGNETTI a FRANCESCO BARBERINI in Roma. Firenze, 12 gennaio 1642. Arch. Vaticano. Nnnxlatur* di Firenze, Cifre da Otturo 1641 a Luglio 1642 (non cartolato).—-Traduzione sincrona doli’originalo in cifra. l)i Fiorenza, da Mona. Nontio, li 12 Gennaro 1642. Dociferato li 17 dotto. Il Galileo morì giovedì nlli 0: il giorno seguente lu il «no cadavero depositato pri¬ vatamente in Santa Croce. Si dice comunemente elio il Gran Duca voglia fargli un deposito sontuoso, in paragone o dirimpetto a quello di Michelangelo Buonarroti, e elio sia per dar il pensiero del modello e del tumulo all’Academia della Crusca, l’er ogni buon rispetto ho giudicato bene elio V. Etn.** lo sappia. 4195. LUCA HOLSTE a GIO. BATTISTA DONI fin Firenze!. Roma, 18 gennaio 1642. Dall» col. 160 doli’opera: Io. BArmTA* Domi, Putridi Fiorentini, Commtrrium ììilerarìum, nunc primnm colloctum, digeatnm edltmnqne studio ot labore Aht. Fravcimci Qoan ecc. Fiorentine, in typogr. Caesaroo, anno CI0.ID.C0.L1V. .... Oggi poi si ù aggiunta ancó la nuova della perdita del Signor Galilei, che già non riguarda solamente Firenze, ma il mondo universo e tutto il secolo nostro, che da questo divin uomo ha ricevuto più splendore che quasi da tutto il resto de’filosofi ordi¬ narli. Ora, cessata l’invidia, si comincierà a conoscer la sublimità di quell’ingegno, che a tutta la posterità servirà per scorta nel ricercare il vero, tanto astruso e seppellito tra il buio dell’opinioni.... 419lf. FRANCESCO N1CC0LINI a GIO. BATTISTA GONDI [in Firenze!. Roma, 25 gennaio 1642. Aroh. di Stato In Firenze. Fili» Modica* 8370, ear. 399-401. — Autografa la sottoscrizione. 111.® 0 Sig. r# mio Osa.™ 0 Ilo trovata questa mattina S. S. u a sedere al luogho solito, ma perù sopra la sedia portatile; mi è parsa alquanto scaduta, e la testa tanto calata, che le spalle erano quasi del pari con essa. I)oppo alcuni ragionamenti familiari, si venne a parlare del nuovo Card. 0 I« irenzuola (n , celebrandolo S. S. u per un suggetto di gran talento e di grand' in- V inokkzo Maculasi» da Firenzuola. 25 GENNAIO 16-12. [111)6-4197] 379 gcgno. È figliuolo di queir ingogniero che fece la fortezza di Palma; e perché con tale occasiono S. S. tt si ricordò elio egli ora Commissario del Santo Oflitio quando il già Galileo Galilei fu inquisito sopra il suo libro del moto della terra, venne a dirmi di volermi parlici par un particolare in confidenza o por semplice suo discorso solamente, 10 non già porche io no bevessi a scriver costà: ot ora elio la S. ,fl S. havova udito che il Sor.® 0 Padrone poiesso haver concetto di farli eriggero un tumulo in S> Croce, doman¬ dandomi so io ne sapevo cosa veruna. Io veramente no ho sentito discorrere da molti giorni in qua, nondimeno risposi di] non ne saper niente. Mi fu replicato da S. S.'* d'havcrno lanuta qualche notizia, di non saper già se sia vero o falso; in qualunque ma¬ niera nondimeno mi voleva diro che non era punto d’esempio al mondo elio S. A. facesse questa cosa, mentre egli è stato qui al Santo Oflitio por una opinione tanto falsa o tanto erronea, con la quale anche lm impressionati molti altri costà, o dato uno scandalo tanto universale al Cristianesimo con una dottrina stata dannata: et entrando qui a discorrere do’ punti e (lolle risposto stato date qui a lui, et all’haver egli confessato d’essere stato 20 convinto, vi si consumò molto tempo, lo nondimeno per debito del mio oflitio ne do conto a V. S. 111."“, per dirle ancora, che quando ben anco S. A. S. nostro Signore hnvesso tal pensiero verso la memoria del Sig. r Galileo, crederei che fusso meglio il differirlo ad altro tempo, per non si sottoporre a qualche disgusto, perchè, come fu pura resolutiono di S. S. ,x di far levare dalla Certosa di Mantova il corpo della Contessa Matilda, senza punto parlarne col S. r Duca Carlo W, elio ne fece doglienza, e condurlo qui in S. Pietro, dovo la S. u S. gl’ lm fatto la memoria, sotto pretesto elio le chiese tutto sieno del Papa c elio i riposti in osso spettino all’Ecclesiastico, così non vorrei dar occasione che qui s’havesso a pensaro a difiìcollarlo et haverne a far qualche lungo negoziato, senza ritrarne cosa di buono. 30 Di coso di Stato non si è punto ragionato questa mattina, essendosi speso il tempo nel sudotto discorso et in altri ragionamenti domestici. Et lo bacio le mani. ltomn, 25 Gemi. 0 1642. I)i V. S. 111. 111 * S. r Cav. r Goiuli. l)ev. mo et, Oblìi.™ Sor. 1 '* Frane. 0 Niccolini. 4197*. FRANCESCO BARBERINI a GIOVANNI MOZZA BELLI in Firenze. Roma, 25 gennaio 1642. Dalla i>ng. 29 doll'opora citata uofl’iiiforniaziono promossa al n.° 3701. Anche l’originalo di questa lotterà era uoU'Archivio doli’Inquisizione di Fironzo. Molto Reverendo Padre, l)a Monsignor Assessore è stata letta avanti la Santità di N. Signore la lettera di V. Kev., in cui gli dava avviso della morto di Galileo Galilei e accennava ciò che si credo debba farsi ot intorno al suo sepolcro et all’ossequio; e S. Beatitudine, col parere di questi miei Eminentissimi, ha risoluto che ella, con la sua solita destrezza, procuri di '*> Oaim.o Gonzaga. 380 25 — 29 GENNAIO 1642. [4197-4199] far passar© all' orecchie del Gran Duca elio non è bene lubricare mausolei al cadavero di colui che ò stato ponitentialo noi Tribunale della Santa Inquhilione, et ò morto mentre durava la penitenza, perché si potrebbono scandalizzare i buoni, con pregiuditio della pietà di S. Altezza. Ma quando pure non si potesse distornare cotosto pensiero, dovrà ella avvertirò che nell'epitafio o inscrittione, che si porrà nel sepolcro, non si leggano parole io tali, elio possano offendere la riputazione di questo Tribunale. La medesima avvertenza dovrà pur ella bavere con chi reciterà l'oratione funerale, procurando di vederla e con¬ siderarla ben, prima che si reciti o si stampi. Nel savio avvedimento di V. R. ripone la Sua Santità il rimedio di cotesto affare. Et il Signore la conservi. Di Roma, li 25 Gennaio 1042. Di V. Ih Come fratello Il Card. 1 * Barberino. 4198 *. FRANCESCO BARBERINI a GIORGIO IÌOLOGNETTI in Firenze. Roma, 28 gennaio 1642. Aroh. Vaticano. Nunziatura di Firenze, Cifro da Ottobre 1641 ii Luglio 1642 (non cartolato). — Minuta. A Moni/ Nuntio a Firenze, li 28 Gennaro 1642. Ila dato cenno la San. u di N. S. al S/ Amb/ di Firenze di quello s’era presentito, ebo il Granduca fosse per far 1"epitaffio alla sepoltura del Galileo; il che l’Ambasciatore ha mostrato di non credere e di non haverne rincontro W. Potrà V. S. farlo sapere a cotesto P. Inquisitore, acciò solamente si voglia dell’avviso; e non occorrerà che V. S. intraprenda alcuna negotiatione o discorso in questo nogotio. 4199 *. GIO. BATTISTA GONDI a FRANCESCO NICCOLINI [in Roma]. [Firenze,] 29 gennaio 1642. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. II, car. 227-228. — Minuta, non autografa. Il Cav/* Gondi. Al S. r Arab. r# Niccolini. De’ 29 di Genn/ 1641 ab Ine: Passa l’ordinario di Genova per costà, et io nel medesimo punto ricevo lo Ietterò di V. E. do’ 25 W. S. A. però non le ha potute sentire per aucora_ Di quol tumulo al già Mathematico Galileo si era ben discorso auche qui, ma non in modo che se ne vedesse risoluzione nò anche prossima nolla mento di S. A. Ma in ogni caso le considerazioni rappresentate da V. E. sopra qnel che le no haveva ragionato il Papa con tanta dilicatezza, vi faranno fare la conveniente reilessione.... <» Cfr. n.o 4196, <*> Cfr. n.o 4196. [4200 4202J 1° — 8 FEBBRAIO 1642, 381 4200 **. GIOVANNI MUZZARELLI a [FRANCESCO BARBERINI in Roma). Firenze, 1° febbraio 1642. Riproduciamo quest» lotterà dalla copia moderna citata noli’informazione premessa al u.» 3082. Noi «copia- lottere » elio ivi indichiamo si leggova a car. 50. Io non tralascierò di far penetrare allo orecchie del Granduca quello che V. E. mi ordina w in materia delle esequie che si discorro siono per farsi alla memoria di Galileo Galilei ; e quando por questo verso non si possa conseguire il fine elio si desidera, userò nel rimanente l’altro diligenze che mi vengono prescritte intorno all’epitaffio et orazione funebre: o crederò d’aver tempo, perchè sinora non si scorge tentativo alcuno d’appa¬ recchio. E qui a V. E. faccio umilissima reverenza o bacio la vesto. Fiorenza, li 1 Febbraio 1642. Umiliss. 0 , Devoti ss. 0 , Obbligatiss. 0 Fra Giov. Fanano Inquisitore. 4201 **. [FRANCESCO NICCOLINI a GIO. BATTISTA GONDI in Firenze]. Roma, 1° febbraio 1642. Arch. di Stato in Fironzo. Filza Medicea 3370, car. 4G3. — Memoriale non autografo. .... Il G. Duca disegnava di erigere una memoria al defonto Galilei, clic, per morto nella penitenza del Sant’ Oflitio, si è procurato di qui di svolgerlo.... 4202 *. FRANCESCO NICCOLINI a [GIO. BATTISTA GONDI in Firenze]. Roma, 8 febbraio 1642. Arch. di Stato in Firenze. Filza Modicea 3370, car. 619r.-521r. — Autografa la sottoscrizione. lll. ,D0 Sig. r mio Osa." 10 Ilo visto questa mattina S. S. u , non in stato interamente buono, perchè non si può diro che non sia calata, ma nè anco in stato tanto cattivo che non possa sperarsi la recuperatone della sua salate, havendo discorso meco assai lungamente di diverse materie di gusto e delle cose antiche di casa sua e della città di Firenze. Anzi, dall’ haver sempre tenuto un ginocchio sopra l’altro, par che si possa dire che cominci a muoversi qualche poco, come fece giovedì mattina, che comparve in congregatone del S. t0 Offitio a piedi, “l Cfr. n.o 4197. 3S2 tì — 17 FEBBRAIO 1042. [ 4202 - 4203 ] benché rotto da una parte dal Maestro di ('amerà o dall’altra da un bastone. Ben è vero che camminava con gran fatica e con molto stento: la complessione è grande e delle più forti che si possine bavere in questi tempi, e si veggono perù miracoli; poi elio egli io medesimo m’ha confessato questa mattina d'haver bevute quattro malattie mortali da cinque o soi anni in qua, o che non sia però da creder punto alle astrologie et alle figure dello natività, conio fallaci e bugiarde, poi che i professori di questa arte volevano elio S» S. havesse a morire di 63 anni, o poi anche doppo no gl’anni avvenire, quando S. S.' 4 è ancor qui in età di 74 anni e con un pontificato adosso di 11», che havrebbe servito per 4 Sommi Pontefici, c die tutti i Principi però dovrebbono accordarsi a prohibire Tubo dell’astrologia, audio per interesse proprio, come lm fatto lei con la sua Bolla do’giu¬ dici sopra la vita do’Papi. E perchè passò poi ancora a dire do gl’inganni elio pigliano anche i mathematica, e dell’error del giù Galileo Galilei in quel suo libro del moto della- terra, io con questa occasione le significai, che havondo, come da me, motivato a V. S. Ill. n ’* 20 quel particolare del tumulo creduto che il Ser." ,# Padrone fusse per voler fare erigere in S.‘“ Croco al medesimo S. r Galileo rincontro a quello di Michel Angelo Buonaroti, bevevo trovato che fusso una voce fondata in un semplice discolo promosso in quei primi giorni della sua morte, senza alcuna aorte di resolutione stabilita. Onde S. S.“ mostrò di gradire d’haverne saputo il vero, dicendo d’essersi mossa a parlarne da mero zelo della reputatione di S. A. S., a fin elio non si liave»ae a diro con suo biasimo che ella havesse eretta una me¬ moria d’un huomo stato inquisito c la cui opera è stata dannata e prohibita per erronea, mentre sino gl’ex-etici se no sono risi o vi sono Btuti di quelli che gl*hanno scritto e stam¬ pato contro. Questi sono i discorsi più qualificati et i quali mi paiono da poter esser referiti, havendola S* S. u nel reato passata meco con infinita benignità o con grandissima ao quieto d'animo.... 4208 *. GIO. BATTISTA «ONDI a FRANCESCO NIOCOLINI [iu Uomal. [Flrenze,| 17 febbraio 1642. Bibl. Naz. FLr. Msa. («al., P. I, T. II, car. 229-280. — Minuta, uon autnfrafa. 11 Cav. M Gondi Al S. r Amb. r# Nicoolini. De’ 17 di Febb. 0 1641 ab Ine.* Tutto quel che V. E. ha scritto con le suo degli 8 5,1 et de’D è da S. A. stalo sentito con molta attenzione.... Li ragionamenti che V. E. haveva havuti con S. S. u non mi hanno fatto comandare da S. A. alcuna replica, nè sopra il particolare del Galileo, nò sopra il consiglio a conto il’ astrologia giudiciaria; ma questo ben hu fatto un poco ridere, sapendosi come costà sia la medesima astrologia sprezzata et dannata, et nelle sue fallacie non so le dove forse anche saper mal grado, già che quel che haveva a venire a 62 unni non è ancora suc¬ ceduto a 74 .... 10 < l > Cfr. a.» 4202. [ 4201 - 4205.1 25 MARZO — 0 APRILE 1G42» 383 4 - 204 *. GIO. PAOLO BIMBACCI a .... [in Firenze! [Firenze, prima del ‘25 marzo 1042.J Bibl. Nnz. Flr. Mbh. (lai., P. 1. T. Ili, rar. -10. — Autografa. Di fuori si leggo, dì mano di Vinoknzio G-a- i.ii.ki: « Attostazioiio del I’. Bimbacci. 1G41 <*) >. Sig. r mio, Toiè il personaggio di ehi parlammo far il suo testamento, perché questa facoltà è tolta a quelli elio sono formalmente abiurati, non a gl’altri etc. Egli non fu de formali, o però potò ete. Risoluzione, elio non ha dubbio <*>. Non sono a molestarla (li persona, perchè vo a Bipoli a servire il P. R. mo Generale. Mando la lettera concornonto il negozio di Pistoia, e mi rassegno suo Oblig." 10 Ser. r0 F.° Gio. Paolo Bimbacci. » 4205 * FRANCESCO DU0P0 a GALILEO in Arcetri. Venezia, 5 aprilo 1042. Bili]. Fst. In Modona. Hnccolta Cnmpori. Autografi, B.» LXXIV, ».° 05. — Autografa. Molto IU. ro Ecc. n '° S. r Doppo molto mio scritto a V. S. molto 111.™ Ecc. mn , nò bavendo hauto po¬ sposta alcuna, risolvo con l’occasiono di questo Santo Fosto augurarcelo felici, ot consegnar lo presenti a mio amico, acciò secure lo siano capitate. Pregandola alcuna volta farmi degno do’ suoi comandi, elio ciò ricevendo a favor singolaris¬ simo, a V. S. molto 111. 1 '' Ecc. ma baccio lo mani. Di Venezia, li 5 Aprilo 1642. Di V. S. molto Ill. ro Ecc. ma Aft>° Sor.* Francesco Duodo. io Fuori: [.] S. r L’Eco. 11 ' 0 S. r Galileo, Dot. r Mat. co Fiorenza, per Arcetri. <•> Intonili, ab Incuinatione. '*» Cfr. Voi. XIX, Doc. XLV, è). INDICE CRONOLOGICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XVIII (1639-1642). 3829 Galileo a Gio. Battista Baliani. 7 gennaio 1G39 Pag. 11 3830 Pier Battista Borghi a Galileo. . 8 » p 14 8891 Benedetto Castelli » . » s> » » 3832 Fulgenzio Micanzio » . » » 15 3838 Bonaventura Cavalieri a Giannantonio Bocca. » » » 16 3834 Iacopo Soldani a Leopoldo do 1 Medici. 12 » » » 3835 Galileo ad Elia Diodati. 15 j> » 17 3630 » a. » » » » 3837 Pier Battista Borghi a Galileo. » » » 20 3838 Alessandro Ni nei » . 21 » » » 3830 Bonaventura Cavalieri » . 25 p p 21 3840 Mattia Borneggcr ad Elia Diodati. 26 » » 22 3841 Benedetto Castelli a Galileo . 29 » » 23 3842 Famiano Michelini » .1 8 febbraio » 24 3843 lionato Descartes a Marino Mcrseune. 9 » p 25 3844 Benedetto Castelli a Galileo. 12 p » 26 3845 Alessandro Ninci » . 14 » » » 8840 Bonaventura Cavalieri » . 15 » » 27 3847 Fulgenzio Micanzio » . 19 » » 28 3848 lionato Descartes a Fiorimondo Do Bcaune. 20 s> » 29 3840 » a Marino Mersenne. » » » » 3850 Lodovico Elzevier a Galileo . | 7 marzo i> 30 8851 Vincenzo Renieri » . 18 » » 31 3852 Mattia Bernegger a Gaspare Hofmann . 20 » » p 3853 8854 3855 22 »> 32 23 » p 34 Daniele Spinola » . 25 p p 35 8850 Famiano Michelini » . 26 » » p 3857 Alessandro Ninci * . p » »> 36 3858 3850 28 » » 37 29 » » » svili. 49 aso INDICE CRONOLOGICO, asfto 3801 3802 3803 3804 8835 3800 3807 3808 3800 as?o 3871 8872 3873 3874 3875 3870 3877 8878 3870 3880 8881 8882 3883 8884 8885 38S0 8887 8888 asso 8890 8801 8892 8893 8804 3S95 3890 3897 3898 3899 3900 8001 3902 3003 3004 3905 Fulgenzio Micanzio a Galileo. Famiano Miohelini » . Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. Vincenzo Renieri a Galileo. Andrea Cioli a Francesco Niccolini. Giuseppe Calaaanzio a Gio. Domenico Romani Francesco Niccolini ad Andrea Cioli. Fulgenzio Micanzio a Galileo. Bonaventura Cavalieri a Giannantonio Rocca. Andrea Cioli a Francesco Niocolini. Alessandro Ninci a Galileo. Gio. Giacomo Bouchard a Vincenzo Capponi . Fulgenzio Micanzio a Galileo. Dino Peri * Alessandro Ninci » Dino Peri » Gio. Michele Pierucci * Bonaventura Cavalieri * Alessandro Ninci * Vincenzo Renieri a Clemente Settimi Ferdinando Bardi a Galileo ... . Dino Peri » . Gio. Michele Pierucci * . Fulgenzio Micanzio > . Benedetto Castelli * . Bonaventura Cavalieri > . Vincenzo Renieri » . Francesco Duodo » . Benedetto Castelli > . Bonaventura Cavalieri > . Gio. Battista Baliani > . Vincenzo Renieri > . Alessandro Ninci » . Vincenzo Renieri » . Alessandro Marsili > . Ascanio Piccolomini * . Fulgenzio Micanzio > . Galileo a Gio. Battista Baliani. Daniele Spinola a Galileo. Vincenzo Renieri » . Galileo a Benedetto Castelli. Benedetto Castelli a Galileo. Francesco Rinnccini > . Bonaventura Cavalieri > . Orazio Serafini a Giannantonio Rocca Galileo a Benedetto Castelli. 9 aprile 10 * 13 » 15 » » i> 1G » » » 17 * 18 » 10 > 22 » 23 > 30 » 4 maggio 5 > 11 » 13 » 24 » > » 27 » 28 » 1® giugno 3 » 4 » 7 » » > > » li > 18 * 28 > 1° luglio I » 8 >• 15 » 18 » 19 » 23 > 1® agosto 3 > 6 » 8 * 13 * > > 16 > 17 » 19 » r«g. 1639 38 » 39 * 40 * 41 i> > » » » 42 t> » » 43 > 44 > » » 45 » * » 46 » 47 » » > 49 » 50 » 51 > > > 52 > 53 » » » 55 » 56 » 59 * 60 » 61 » 62 » 67 > 68 > 71 > 72 > » > 73 » 74 » » » 75 » 79 > 80 > 81 > 82 » 83 » » » 85 INDICE CKONOLOGICO. 3000 3007 3908 3000 8910 3011 3012 3013 3014 3015 3010 3017 3018 3010 3020 3921 3922 3023 3924 3925 8020 3027 3928 3020 3930 3031 3932 3033 3934 3035 3930 8037 3938 3930 3040 3041 3942 3013 8914 8945 8940 Gio. Maltinta Italiani a Galileo.. Vincenzo Reniori x* Benedetto Castelli s> Fortuuio Liceti i> Girolamo Bardi » Benedetto Castelli » Galileo a (ìio. Battista Italiani » a Benedetto Castelli... 19 agosto 163! ^ » i> 20 » » 23 » » 24 » » 27 » i» 1° settembre » * ad Odoardo Famoso. Gio. Battista Italiani a Galileo. Benedotto Castelli » . Gio. Giacomo Bouclmrd a Vincenzo Capponi Gio. Battista Italiani a Galileo. Ismaele Boulliau » . Fulgenzio Micanzio » . Gat.ilko a Fortuuio Liceti. Ascanio Piccolomini a Galileo. Daniele Spinola » . Bonaventura Cavalieri » . Benedetto Castelli » . Francesco Duodo r> . Odoardo Farnese » . Fulgenzio Micanzio » . Gio. Michele Pier ucci » . Alessandro Ninci » . 27 » 1° ottobre » » 2 » 8 » Ascanio Piccolomini » . Fulgenzio Micanzio » . Francesco Rinucciui » . Elia Diodati » . Francesco Duodo » . Daniele Spinola i> . Alberto Cesare Galilei s> . Galileo a Francesco Rinnccini. Alessandro Marsili a Galileo. Francesco Itinuccini » . Benedetto Castelli » . Ascanio Piccolomini » .. Fulgenzio Micanzio » .. Galileo a Benedetto Castelli. > a Ferdinando II de’Medici, Granduca di To¬ scana . Petronilla Bartolini a Galileo. Famiano Miclielini » . Galileo ad Elia Diodati. > a Benedetto Castelli. 2 novembre » 5 » » 9 » » 12 » » 15 s» r> 16 j> » 26 » » 3 dicembre » 388 INDICE CRONOLOGICO 3051 8052 8058 «954 8055 8050 8067 8958 8050 8060 3001 8062 3003 3004 3005 3000 3007 3008 3000 3070 3071 3072 3073 3074 3975 3070 3077 3978 3979 3080 3081 3082 89S3 8984 3085 3080 3087 3988 3080 8000 3901 3902 3903 8904 3005 Virginia JLanduoci a Galileo. 21 dicembre 1639 Galileo a Fortunio Liceti. . 24 » , » ad Elia Diodati. 30 » » > a Ismaele Boulliau . * » i Bonaventura Cavalieri a Galileo . 3 gennaio 1640 Fortunio Lioeti * . » » » Dino Peri > . 4 8 » Fortunio Liceti * . 10 » > Fulgenzio Micanzio » . 14 » » Giovanni l’ieroni a Francesco Rinuocini . i » » Galileo a Ugo Grozio. 15 » » Vincenzo Renieri a Galileo. 20 » » » > ... 3 febbraio * Dino Peri » ... 8 * > Vincenzo Renieri » . 10 » » Giovanni Pieroni a Francesco Rinuocini. 11 » > Bonaventura Cavalieri a Galileo. 14 » » Galileo a Benedetto Guerrini.... . 16 » > Elia Diodati a Galileo. 17 » » Vincenzo Renieri » . » » > Elia Diodati a Costantino lluygens. 18 » » Galileo a Bonaventura Cavalieri.. . 24 * » * Benedetto Guerrini. » » > Dino Peri a Galileo. 29 » » Vincenzo Renieri a Galileo. . > > > Bonaventura Cavalieri » . 3 marzi' » Alessandro Ni nei * . 4 » » Vincenzo Renieri » . 9 » > Francesco Duodo * . 10 » » Giovanni Pieroni a Francesco Rinuccini. > » > Leopoldo de’ Medici a Galileo ... 11 * » Galileo a Iieopoldo de’Medici. 13 » t Daniele Spinola a Galileo. » » Galileo a Daniele Spinola. 19 » » Fulgenzio Micanzio a Galileo. 24 » > Vincenzo Renieri » . . » » > Galileo a Leopoldo de’ Medici . 31 » » Daniele Spinola a Galileo.. * » » Costantino Huygeus ad Elia Diodati. Vincenzo Renieri a Galileo. 6 » » » * . 13 » » Galileo a Benedetto Castelli. 16 » > Pier Francesco Rinuccini a Galileo. Alberto Cesare Galilei » 19 > » Elia Diodati a Costantino lluygens. 21 » » Pag. 130 131 132 134 135 136 137 » 138 140 142 » 143 145 140 » 148 149 150 151 153 154 155 156 160 161 162 » 163 165 » 167 170 172 173 174 » 176 177 » 178 180 » 181 INDICE CRONOLOGICO. 3090 Elia Diodati a Guglielmo Boreol. 21 aprilo 1640 3997 Benedetto Castelli a Galileo. 28 » » 3998 Fulgenzio Micanzio » . » » » 8999 Vincenzo Itonieri » . » » » 4000 Benedetto Castelli » . 1° maggio » 4001 Bonaventura Cavalieri > . » » » 4002 Marino Morsemi© » . » » » 4003 Daniele Spinola » . 2 » » 4004 Benedetto Castelli » . 5 » » 4005 Clemente Sottimi » . 13 » » 4000 Leopoldo do’Medici » . 14 » » 4007 Vincenzo Roniori •> . 18 » i 4008 Galileo a Francesco Rinuccini. 19 » » 4009 Ascanio Piccolomini a Galileo. 22 » » 4010 Galileo ad Alessandra Boccliineri Buonamici. 24 » » 4011 » a Leopoldo do 1 Medici. 25 » y> 4012 Vincenzo Itonieri a Galileo. » » b 4013 Benedetto Castelli » . 26 » » 4014 Francesco Rinuccini * . » » » 4015 Cesare Monti » . 30 » b 4018 Vinconzo Ronieri *• . 1° giugno » 4017 Bonaventura Cavalieri » . 5 » » 4018 Antonio Santini a Giannantonio Rocca. 6 » » 4019 Fortunio Liceti a Galileo. 8 » b 4020 Vincenzo Ronieri » . » » » 4021 Elia Diodati » . 15 » b 4022 Giuseppe Costanzi » . 19 » » 1023 Galileo a Benedetto Guerrini. 22 » » 4024 Ferdinando Bardi a Galileo. » » 4025 Galileo a Fortunio Liceti. 23 » 1026 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 29 )> » 1027 Galileo a Ferdinando II de’Medici, Granduca di To- luglio » 4028 Bonaventura Cavalieri a Galileo. 3 » j> 4029 Fortunio Liceti » . 6 » » 4080 Benedetto Castelli » . 7 t> 3> 4031 Bonaventura Cavalieri » . 10 » 4032 Galileo a Fortunio Liceti. 14 b » 4033 17 » t> 4034 Girolamo Bardi » . 24 » I> 4035 Benedetto Castelli » . 28 b » 4086 Galileo a Ferdinando II, Granduca di Toscana. agosto 5> 4037 3 » » 4038 Ferdinando Cesarmi a Benedetto Castelli. » s> 4039 4 » » 4010 » s> 389 Png. 182 » 183 184 185 186 187 188 » 189 190 191 192 194 » 195 196 197 193 199 » 200 201 202 203 » 205 206 » 207 209 210 211 212 215 216 217 218 219 t> 220 221 224 » 225 390 1ND1CK (’UONOLOUICO. 4041 Gio. Michele Pierucci a Galileo. 4 agosto 1610 4042 Pietro Gassendi a Fortunio Liceti. 13 » > 4048 Vincenzo Reniori a Vincenzio Viviani. 23 a » 4044 4045 Galileo a Fortunio Liceti. 25 » » s> 4040 Galileo a Benedetto Castelli. 28 p p 4047 Bonaventura Cavalieri a Galileo. > p > 4048 Fortunio Liceti » . 31 p p 4049 Vincenzo Renieri » . 1° settembre p 4050 Francesco Rinucciui » . » p p 4051 Fortunio Liceti * . 7 p p 4052 Benedetto Castelli * . 8 p » 4053 Fortunio Liceti » . 13 p !> 4054 Galileo a Fortunio Liceti .. . 15 p P 4055 Vincenzo Renieri a Galileo. > p » 4050 Francesco Rinuccini » . » p » 4057 Iacopo Soldani a Loopoldo do'Medici. » p > 4058 Mario Guiducci a Galileo. 17 » P 4059 Fortunio Licoti » 21 p P 4000 » » . » > » 4061 Gio. Michelo Pierucci a Galileo. » p » 4002 Pietro Gassendi a Girolamo Bardi. » > P 4003 Vincenzo Renieri a Galileo. 5 ottobre P 4064 Francesco Rinuccini » . 6 » P 4005 Bonaventura Cavalieri » . 9 > P 4066 Luca Holsto a Carlo Strozzi. 13 p P 40(57 Alessandro Ninci a Galileo. 14 P 4068 Fulgenzio Micanzio » . 20 » P 4069 Francesco Rinuccini * . » > P 4070 Bonaventura Cavalieri * . 23 p P 4071 Galileo a Fortunio Liceti. 27 » » 4072 Fortunio Liceti a Galileo. 30 » » 1078 Alberto Cesare Galilei a Galileo. 1° novembre P 4074 Galileo a Cesare Monti. 2 > P 4075 Gio. Marco Marci a Galileo. 3 p P 4076 Francesco Rinuccini » » » 4077 Ascanio Piccolomini > 5 P 4078 Fortunio Liceti > 6 » P 4079 Vincenzo Renieri » > p 4080 Fortunio Liceti a Pietro Gassendi. 8 p » 4081 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 9 p P 4082 Vincenzo Renieri » 14 p P 4088 Francesco Rinucciui » 17 p P 4081 Iacopo Soldani » 21 > » 4085 Ascanio riccolomini » 26 > 4086 Gristofano Fiochi » p > P«g. 227 228 231 232 237 238 240 241 242 243 244 24(5 247 p 251 » 252 » 253 254 p 256 » 257 258 259 !> 260 261 262 263 264 265 267 > 269 » 270 271 272 > 273 274 » 276 INDICE CRONOLOGICO. 391 4087 Vincenzo Renieri a Galileo. 20 novembre 1640 Pag. 276 4088 Ascanio Piccolomini » . 1° dicembre ■» 277 4080 Vincenzo Renieri * . 5 » » 278 4000 Francesco Rinnccini » . 8 » 279 4001 Fortunio Lieeti » . 11 » » » 400-2 Fulgenzio Micanzio » . 15 » ■» 280 4003 > a Fortunio Lieeti. » » » 281 4004 Ronavontura Cavalieri a Galileo. 18 » » » 400.» Vincenzo Renieri » . 20 » » 282 4000 » ^ . 2G » 283 4007 1 Fortunio Lieeti a Galileo. 1° gennaio 1641 284 4008 | Fulgenzio Micanzio » . 4 » » 285 4000 Francesco Rinuccini » . 5 » » 286 4100 Fortunio Lieeti > . 8 » » 287 4101 Vinceuzo Renieri » . 9 » » 288 4102 Fortunio Lieeti > . 15 » » 289 4103 Galileo a Cassiano dal Pozzo. 20 » » 290 4104 Fortunio Lieeti a Galileo . 22 » » 291 4105 4100 Galileo a Fortunio Lieeti . » » . 1G41 gennaio 1641 292 293 4107 Fortunio Lieeti a Galileo . 29 » » 296 4108 Casaiano dal Pozzo ► . 2 febbraio i> » 4100 Fortunio Lieeti * . 5 » x> 297 4110 Vincenzo Renieri j> . » » s> 298 4111 Fulgenzio Micanzio » . 9 » » 299 4112 Bonaventura Cavalieri a Galileo . 12 1> 300 4113 Ottaviano Castelli * . 16 » » 301 4111 Vincenzo Renieri » . 20 » 302 4115 Benedetto Castelli * . 2 marzo » 303 4110 Vincenzo Renieri » . 6 » » 304 4117 » >» . 13 » » 305 4118 Raffaello Magiotti » . 15 » » 306 4110 Evangelista Torricelli » . i> » » ; 308 4120 Antonio Nardi » . 16 5> » 309 4121 Vincenzo Renieri f . 20 » » 310 4122 Francesco Rinuccini » . / • ■ • 23 . » » 311 4123 Galileo ad Alessandra Bocchineri Buonaraici . 26 » » » 4124 Alessandra Bocchineri Buonamici a Galileo . 27 » » 312 4125 Vincenzo Renieri a Galileo . » » » 313 4120 Galileo a Francesco Rinuccini . 29 t> » 314 4127 Clemente Settimi a Galileo . 30 » j> 316 4128 Paolo Stecchini » . » » > 317 4120 Renato Descartes a Marino Merscnne . 31 » » 318 4130 Galileo ad Alessandra Bocchineri Buonaraici . 6 aprilo > 319 4131 1 9 » » 320 392 INDICE CRONOLOGICO. Pag. 4182 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 18 aprile 1641 321 4188 a » . 20 a > 322 4184 Clemente Settimi » » * a 323 4185 Antonio Lorii a Vincenzio Galilei. 21 a » 324 4186 Pier Francesco Rinuccini a Galileo. 24 * x> 325 4187 Francesco Duodo » . . .. . 27 a > 326 4188 Evangelista Torricelli » * » » a 4189 Vincenzo Renieri » 29 * a 327 4140 Bonaventura Cavalieri » 14 maggio » 328 4141 Fortunio Liceti » * * » 329 4142 Vincenzo Renieri a 28 » » 330 4148 Francesco Rinuccini » . 1" giugno a 331 4144 Evangelista Torricelli » * » » * 4145 Vinconzo Renieri a R> * a 332 4140 Gio. Michele Pierucci » 28 a * 333 4147 Evangelista Torricelli a 29 a a 334 4148 Fortunio Liceti » . h luglio » 335 4149 Francesco Duodo » 6 a a 336 4150 Fulgenzio Micanzio » * * » 337 4151 Francesco Rinuccini » * 9 9 338 4152 Girolamo Bordi a Pietro Gaaaendi.j 12 * a 339 4158 Vincenzo Renieri a Galileo . 13 a a 4154 Fortunio Lioeti » 20 * > 340 4155 Gherardo Saracini » 27 » a 341 4150 Antonio Maria Berardi » 2 agosto a » 4157 Antonio Nardi a . 19 a a 342 4158 Evangelista Torricelli a . 17 a a 345 4169 Bonaventura Cavalieri a . 20 a a 346 4100 Gio. Michele Pierucci a . 6 settembre » 348 4101 Antonio Nardi a . 7 a » 350 4102 Francesco Rinuccini a . 8 a » 352 4108 Gio. Battista Ruschi a . 11 » » 353 4104 Antonio Nardi a . 21 a a 354 4105 Antonio Santini » > » » 355 4106 Gio. Battista Ruschi a . 25 a a 357 4107 Galileo a Evangelista Torricelli. 27 » » 358 4168 Ascanio Piccolomini a Galileo . » a a 359 4109 Evangelista Torricelli a . 28 > » 360 4170 Bonaventura Cavalieri a . 1° ottobre a 361 4171 Alessandro Ninci a 12 a » 362 4172 Fulgenzio Micanzio » 19 » > 363 4178 Ascanio Piccolomini a . 27 a a 364 4174 Bonaventura Cavalieri a Evangelista Torricelli. 30 a » a 4175 » a Giannantonio Rocca. 1° novembre a 365 4176 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 2 a a a 4177 , Benedetto Castelli a Evangelista Torricelli. ... 9 a » 366 INDICE CRONOLOGICO. 393 4178 Lodovico Baitelli a Galileo. 14 novembre 1641 Pag. 367 417» Pier Francesco Rinucciui a Leopoldo de’Medici. ir> » » 368 4180 Bonaventura Cavalieri a Marino Meraenne. 23 » » 4181 Fulgenzio Micanzio a Galileo..*. » » » 369 4182 Guglielmo Woilhamer a Gianuantonio Rocca. 26 » » 370 4188 Già. Battista Ruschi a Galileo. 3 dicembre » » 4184 Fulgenzio Micanzio » . 14 » » 371 4185 Clemente Settimi a Ferdinando II de’Medici, Granduca di Toscana. » » » 372 4180 Bonaventura Cavalieri a Evangelista Torricelli. 17 » » 373 4187 Antonio Nardi a Galileo. 19 » » » 4188 Gai.ii.ko ad Alessandra Bocchi neri Buon Amici. 20 » » 374 4189 Vincenzo llenieri a Galileo. 25 » » 375 4190 Gio. Battista Ruschi » . 26 » » » 4191 Benedetto Castelli a Bonaventura Cavalieri. 1° gennaio 1642 376 4192 Fulgenzio Micanzio a Galileo. 4 » » » 4193 Bonaventura Cavalieri a Evangelista Torricelli. 7 » » 377 4194 Giorgio Bolognctti a Francesco Barberini. 12 j> » 378 4195 Luca llolsto n Gio. Battista Doni. 18 j> » 4106 Francesco Niccolini a Gio. Battista Gondi. 25 » » » 4197 Francesco Barberini a Giovanni Muzznrelli. » » » 379 4198 » a Giorgio Bolognctti. 28 » » 380 4199 (rio. Battista Gondi a Francesco Niccolini. 29 t» » » 4200 Giovanni Muzzarelli a Francesco Barberini. 1° febbraio » 381 4201 Francesco Niccolini a Gio. Battista Gondi. » » » » 4202 * » . 8 s > » » 4203 Gio. Battista (rondi a Francesco Niccolini. 17 » » 382 4204 Gio. Paolo Bimbacci a. marzo » 383 4205 Francesco Duodu a Galileo. | 5 aprile s> » XVIII. INDICE ALFABETICO DELLE LETTERE CONTENUTE NEL VOL. XVIII (1639-1642). Baiteli! Lodovico a Galileo. Bulinili Gio. Battista 9 . » » . » » . » » . Barberini Francesco a Giorgio Bolognelti- p a Gio. Muzzarelli. Bardi Ferdinando a Galileo. » » . Bardi Girolamo » . » » » a Pietro Gassondi. Bartolini Petronilla a Galileo. Binartii Antonio Maria » . Bernegger Mattia ad Elia Diodati. » a Gaspare HoiTinanu. Bimhacci Gio. Paolo a. Ilolognettl Giorgio a Francesco Barberini.... Borghi Pier Battista a Galileo. » » . Bouchard Gio. Giacomo a Vincenzo Capponi . * * Bonlliun Ismaele a Galiloo. Buonumici Bocchiueri Alessandra a Galileo .. Calasnnzio Giuseppe a Gio. Domenico Romani Castelli Benedetto a Bonaventura Cavalieri .. » a Galileo. » v » . » » . . p » . N.‘ Png. 11 novembre 1641 4178 367 1° luglio 1639 3890 68 19 agosto » 3906 86 9 settembre >• 3916 99 16 » x. 3919 102 28 gennaio » 4198 380 25 » » 4197 379 28 maggio 1639 3880 52 22 giugno 1640 4024 206 24 agosto 1639 3910 91 24 luglio 1640 4034 219 12 » 1641 4162 339 4 (licombre 1639 3947 127 2 agosto 1641 4156 341 26 gennaio 1639 8S40 22 20 marzo » 3862 31 * 1642 4204 383 12 gennaio » 4194 378 8 * 1639 3830 14 15 » » 3837 20 23 aprilo » 3871 45 10 settembre » 3918 101 16 p p 8920 103 27 marzo 1641 4124 312 16 aprile 1639 3865 41 1° gennaio 1642 4191 376 8 » 1639 8831 14 29 » > 8841 12 febbraio » 3844 26 7 giugno » 8884 56 396 INDICE ALFABETICO. Castelli Benedetto a Galileo. » *> . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » » . » * . » » . » ad Evangelista Torricelli Castelli Ottaviano a Galileo. Cavalieri Bonaventura » . D » .. » > . » > . » » . » » . » » . » » . * J> . * » . » » . > » . » » . » ^ . » » . > » . » » . * » . » » . » » . » » . » » . * » . > » ... » » . » a Marino Mersonno. s> a Giannantonio Rocca.... * N.° Tag. 18 giugno 1639 3888 62 13 agosto r> 3001 82 20 > » 8008 80 27 * » 3011 91 10 settembre » 3017 100 1° ottobre » 8026 109 15 novembre » 3042 123 28 aprilo 1040 3007 182 1° maggio » 4000 185 5 » » 4004 188 2G * » 4013 197 7 luglio » 4080 215 28 > » 4035 219 4 agosto » 4089 224 8 settembre » 4052 240 2 marzo 1641 4115 303 9 novembre 4177 306 10 febbraio » 4118 301 25 gennaio 1039 3889 21 15 febbraio » 8840 27 22 marzo i» 8858 32 24 maggio » 3877 50 7 giugno » 3885 59 28 » > 8880 67 10 agosto » 8003 83 27 settembre » 8025 108 3 gennaio 1640 8055 134 14 febbraio » 3007 146 3 marzo » 8976 160 1° maggio *> 4001 180 5 giugno » 4017 200 29 * > 402G 200 3 luglio * 4028 211 10 > » 4031 216 17 » » 4033 218 28 agosto » 4047 240 9 ottobre ► 4005 258 23 » » 4070 262 18 dicembro » 4004 281 12 febbraio 1641 4112 300 14 maggio » 4140 328 20 agosto » 4159 346 1° ottobre » 4170 361 23 novembre *> 4180 368 8 gennaio 1039 8888 16 18 aprile » 8808 43 INDICE ALFABETICO. 397 N.° Pag. 1° novembre 1641 di 75 365 30 ottobre » 4174 364 17 dicembre » 4186 373 7 gennaio 1642 415)3 377 3 agosto 1640 4038 224 15 aprilo 163!) 38(14 41 19 » » 3869 44 19 giugno 1640 4022 205 20 febbraio 1639 3848 29 9 > » 3848 25 20 » » 3849 29 31 marzo 1641 4129 318 21 aprilo 1640 3996 182 28 ottobre 1639 8985 116 17 febbraio 1640 3969 149 15 giugno » 4021 203 18 febbraio » 3971 151 21 aprile » 3995 181 11 giugno 1639 3887 61 1° ottobre » 3927 110 29 » » 8936 117 10 marzo 1610 3979 162 27 aprilo 1641 4187 326 6 luglio » 4149 336 5 aprilo 1642 4205 383 7 marzo 1639 8850 30 2 ottobre 1639 3928 ili 2 novembre 1639 8988 119 19 aprilo 1640 3994 180 1° novembre » 4073 265 7 gennaio 1639 3S29 11 1° agosto > 8897 75 1° settembre » 3912 93 30 dicembre » 8954 134 24 maggio 1640 4010 194 26 marzo 1641 4128 311 6 aprile » 4130 319 20 dicembre » 4188 374 8 agosto 1639 3900 81 19 » » 8905 85 1° sottombre » 8913 95 3 » » 3914 96 .‘{98 INDICE ALFABETICO. Galileo a Benedetto Castelli. 9 Jfr 7f t ... . . b 1> .... . )> ft Bonaventura Cavalieri r> ad Elia Dlodnti. » J> . » j> . » ad Odoardo Farnese.... > ad Ugo Grozlo. <> a Benedetto Guerrinl... » » » » » a Fortume Licctì. » » . » » » » » » t> » » » » » . » . > . e . » . » . » . a Ferdinando II de’ Medici » » a Leopoldo de* Medici .... > .... » * » a Cesare Monti. » a CasBiano dal Pozzo. * a Vincenzo Itenierì... » a Francesco Rimiceli)i » > » » . » a Daniele Spinola. » ad Evangelista Torricelli. » a. Gassumi! Pietro a Girolamo Bardi. » a Fortunio Liceti. Gondi Gio. Battista a Francesco Jiiccolini » > Guiducei Mario a Galileo. Holsto Luca a Gio. Battista Doni.. » a Carlo Strozzi. Huygcns Costantino ad Elia Diodutl | N.° Psg. 8 dicembro 1639 3945 125 18 > » 3950 129 16 aprilo 1640 3992 178 28 agosto » 4046 238 24 febbraio » 8072 153 15 gennaio 1639 3S35 17 11 dicembre » 3949 128 30 » » 3953 132 3 settembre » 8015 98 15 gennaio 1640 3961 140 16 febbraio » 3963 148 24 » » 3978 154 22 giugno » 4028 206 24 settembre 1G39 8922 106 24 dicembro » 3952 131 23 giugno 1610 4025 207 14 luglio » 4032 217 25 agosto » 4044 232 15 settembre h 4054 247 27 ottobre » 4071 263 1641 4105 292 gennaio 1641 4106 293 4 dicembre 1639 3946 126 luglio 1610 4027 210 agosto » 4036 220 13 marzo » 8982 165 31 » > 89,87 174 25 maggio » 4011 195 2 novembre » 4074 267 20 gennaio 1641 4103 290 28 marzo 1639 8868 37 5 novembre » 3939 120 19 maggio 1640 4008 192 29 marzo 1641 4126 314 19 » 1640 8984 170 27 settembre 1641 4167 358 15 gennaio 1639 3886 17 21 settembre 1640 4062 256 13 agosto » 4042 228 29 gennaio 1642 4199 380 17 febbraio » 4203 382 17 settembre 1640 4058 252 18 gennaio 1612 4195 378 13 ottobre 1640 4066 259 1° aprile » 3989 176 INDICE ALFABETICO. Latitinoci Virginia a Galileo. Licei! Fortnnio » > * » ► » » » . » » . >> » . » » . » » . » » . » p . » a Pietro GnssendI Lori! Antonio a Vincenzio Gallici... Mag lotti Raffaello a Gallico. Marci Gio. Marco » . Marnili Alessandro » . Medici (de’) Leopoldo » » » Mcrscnno Marino » Micanzio Fulgenzio » s> » » p x> p » > p p » » » » p » p p » » » t> 399 N.° Pag. 21 dicembre 1639 8951 130 23 agosto » 8909 90 3 gennaio 1640 8956 135 10 » » 8959 137 8 giugno » 4019 202 6 luglio » 4029 212 3 agosto » 4037 221 31 » » 4048 241 7 settembre » 4051 244 13 » 4053 247 21 » » 4059 263 p » » 4060 254 30 ottobre » 4072 264 6 novembro » 4078 270 11 dicembre > 4091 279 1° gennaio 1611 4097 284 8 5> » 4100 287 15 » » 4102 289 22 » s* 4104 291 29 » » 4107 29G 5 febbraio i» 4109 297 14 maggio » 4141 329 5 luglio » 4148 335 20 » p 4154 340 8 novembre 1610 4080 272 21 aprilo 1641 4185 324 15 marzo 1641 4118 806 3 novembre 16-10 4075 267 1G luglio 1639 3894 73 9 novembro p 8940 122 11 marzo 1640 3981 1G5 14 maggio i> 4006 190 1° * » 4002 187 8 gennaio 1639 8882 15 19 febbraio p 3847 28 9 aprile » 8800 38 17 » » 8807 42 30 > > 8872 45 4 giugno » 8883 55 23 luglio » 8896 74 17 settembre p 8921 104 8 ottobre p 3929 112 22 » » 8933 115 2G novembre » 3944 124 14 gennaio 1610 3959 137 400 INDICE ALFABETICO. Micanzlo Fulgenzio a Galileo » » » » » » * > » » * » * > x> » » » p > p » Micliolint Faminno » » . » .. » .. a Fortunio Inceli a Galileo. » . p » » » . .Monti Cosare » . M lizzarci 11 Giovanni a Francesco Barberini Nardi Antonio a Galiloo. » » . > , » .. » p . » » . Niccolini Francesco ad Andrea Gioii. ^ » . » a Gio. Battista Gondl » » p Ninci Alessandro a Galileo p p » » » » » » p p t p » > » p » p > » p 24 marzo 1640 N.* 3985 p fg. 172 28 aprilo » 8098 183 4 agosto p 4040 225 20 ottobre p 4008 2G0 0 novembre p 4081 272 lf> dicembre > 4092 280 4 gennaio 1641 4098 285 0 febbraio p 4111 299 9 aprile p 4131 320 18 » p 4132 321 20 > » 4133 322 0 luglio » 4150 337 19 ottobre » 4172 363 2 novembre » 4170 365 28 » » 4181 369 14 dicembre » 4184 371 4 gennaio 1642 4192 376 15 dicembro 1640 4093 281 8 febbraio 1639 3842 24 26 marzo p 3.850 35 10 aprilo p 8801 39 7 dicembre » 3948 128 .'10 maggio 1640 1015 199 1° febbraio 1642 4200 381 16 marzo 1641 4120 309 10 agosto » 4157 342 7 settembre » 4101 350 21 * » 4104 354 19 dicembre j> 4187 373 13 aprile 1639 3S62 40 16 * p 38GG 42 25 gennaio 1642 4190 378 1° febbraio p 4201 381 8 > p 4202 » 21 gennaio 1639 3838 20 14 febbraio » 8845 26 26 marzo p 8857 36 22 aprile » 8870 44 5 maggio p 3874 47 24 » p 8878 51 8 luglio p 8802 72 18 ottobre p 8981 113 4 marzo 1640 3977 161 14 ottobre p 4007 259 12 » 1641 4171 362 INDICE ALFABETICO. l»eri Dillo a Galileo. n » . » » . » * • • ;. » * . i» » . Ficcolomlnl Ascauio a Galileo » * > » » » » » v » Fioroni Giovanni n » > . * . » . Francesco ltinucciui » » Fioriteci Gio. Michele a Galileo * » » «> » > p » p p > » » » Fiochi Criato(ano » Pozzo (dal) Cassi ano » Renieri Vincenzo a Galileo » > p » j> » > * * » > » » p p » » p p » » > » » » > p * » » 4 maggio 1639 N.» 3873 401 Pag. 46 11 * «> 8875 47 1° giugno » 3881 53 4 gennaio 1640 8957 13G 8 febbraio p 8964 143 29 » » 3974 155 19 luglio 1639 3895 74 24 settembre > 3923 107 18 ottobre » 3932 114 16 novembre » 3948 124 22 maggio 1640 4009 194 5 novembro » 4077 269 26 * » 4085 275 1° dicembre » 4088 277 27 settembre 1(141 4168 359 27 ottobre * 4173 364 14 gennaio 1640 3960 138 11 febbraio » 3966 146 10 marzo > 8980 163 13 maggio 1639 8876 49 3 giugno p 8882 53 14 ottobre » 3930 113 4 agosto 1640 4041 227 25 » p 4045 237 21 settembre p 4061 254 28 giugno 1641 4146 333 6 settembre > 4160 348 26 novembre 1640 4086 275 2 febbraio 1641 4108 296 18 marzo 1639 3851 31 29 * * 3859 37 15 aprile » 3868 41 7 giugno p 3886 60 1° luglio » 3891 71 15 » p 3898 72 5 agosto p 8899 80 19 » p 8907 88 20 gennaio 1640 8962 142 3 febbraio * 3963 p 10 » » 3965 145 17 » » 8970 150 29 » » 3975 156 9 marzo » 3978 162 24 » p 3986 173 6 aprile p 8900 177 xviil 61 402 INDICÒ ALFABETICO. Renimi Vincenzo a Galileo £> » P » » x> » p p » » * . > ft Clemente Settimi. » n Vincenzio Vlviani Kinncciui Francesco a Galileo. » » » p » » » » » » » j> » » » » » ' » Iti miccini Pier Franoesco » N.° Pag. 13 aprile 1640 895)1 177 •28 » p 8999 184 18 maggio * 4007 191 25 » p 4012 196 1° giugno * 4016 199 8 » * 4020 203 1° settembre » 4049 242 15 » » 4055 251 5 ottobre » 4068 256 0 novembre » 4079 271 14 » ► 4082 273 26 > » 4087 276 5 dicembre » 4089 278 20 » 4095 282 26 » 4096 283 9 gennaio 1641 4101 288 5 febbraio » 4110 298 20 » 4114 302 6 marzo » 4116 304 13 > » 4117 305 20 » » 41*21 310 27 » 4125 313 29 oprile » 4189 327 28 maggio p 4142 330 15 giugno p 4145 332 13 luglio p 4153 339 25 dicembre p 4189 375 27 maggio 1639 3870 51 23 agosto 1640 4043 231 13 » 1639 3902 83 22 ottobre » 3984 116 12 novembre » 8941 122 26 maggio 1640 4014 198 1° settembre » 4050 243 15 > t> 4056 251 6 ottobre » 4064 257 20 » » 4069 261 3 novembre » 4076 269 17 » » 4088 274 8 dicembre » 4090 279 5 gennaio 1641 4099 286 23 marzo » 4122 311 1° giugno » 4148 381 6 luglio » 4151 338 8 settembre » 4162 352 16 aprile 1640 85)98 180 INDICE ALFABETICO. Rinnoclni Fier Francesco a Galileo. » a Leopoldo de’Medici Ruschi Gio. Battista a Galileo. » * . » »• . » * . Santitìi Antonio a Galileo. » » . » a Giannantonio Rocca. Saratdni Gherardo a Galileo. Serafini Orazio a Giannantonio Rocca. Settimi Clemente a Galileo. » » .. » > . » a Ferdinando II de’Medici Soldati! Iacopo a Galileo. * a Leopoldo de’Medici. » » . Spinola Daniele a Galileo. > . » » » » » » Stecchini Paolo » » » » 9 Terricoli! Evangelista a Galileo » » » » » » » i> » » 403 N.® Pag. 24 aprile 1641 4136 325 15 novembre » 4179 368 11 settembre V 4108 353 25 » V 4100 357 3 dicembre » 4188 370 26 » » 4190 375 23 marzo 1639 8854 34 21 settembre 1641 4105 355 6 giugno 1640 4018 201 27 luglio 1641 4155 341 17 agosto 1639 8904 85 13 maggio 1640 4005 189 30 marzo 1641 4127 316 20 aprile * 4184 323 14 dicembre » 4186 372 21 novembre 1640 . 4084 274 12 gennaio 1639 8884 16 15 settembre 1640 4057 252 25 marzo 1639 8855 35 3 agosto » 3898 79 25 settembre » 3924 108 29 ottobre > ; 8987 118 marzo 1640 3983 167 31 » » 3988 174 2 maggio » 4003 188 30 marzo 1641 4128 317 15 marzo 1641 4119 308 27 aprile » 4138 326 1° giugno » 4144 331 29 » » 4147 334 17 agosto » 4158 345 28 settembre » 4169 360 26 novembre 1G41 4182 370 TVdHnuner Guglielmo a Giannantonio Rocca SUPPLEMENTO. AVVERTIMENTO. Per quanto lunga o diligente sia stata la preparazione con la quale siamo andati raccogliendo i materiali del Carteggio Galileiano, o per quanto solleci¬ tudini abbiamo adoporato nell’atto di diramo la stampa, ora impossibile che non sorgcsso a poco a poco la necessità di un’ appendice o supplemento ; o erodiamo anzi di poterci rallegrare se, massime in confronto d’ altro edizioni consimili, lo lettere da aggiungersi a pubblicazione compiuta sono in numero relativamente esiguo. A ciascuna di osso abbiamo apposto un numero, che indica dove debbono intercalarsi per seguire l’ordine etnologico. Non tutte però ci sopraggiunsoro dopoché avevamo oltrepassato il luogo che avrebbero dovuto occupare : alcuno ci erano già noto por altrui pubblicazione ; ma quando, al momento di ripubbli¬ carlo, dovemmo riconoscere che la data ad esse attribuita dai precedenti editori ora posteriore alla vera, non ci rimase altro espediente, avendo noi oltrepassato con la stampa il luogo loro proprio, che rimandarle al Supplemento. In questo abbiamo poi raccolto altresì alcuno rettificazioni e aggiunte alle informazioni o al testo di lettere già da noi pubblicato, delle quali abbiamo potuto conoscere nuove fonti : o così le nuove lettore, come lo rettificazioni alle lettore già pubblicato, sono registrate ai loro luoghi nei due Indici generali, cronologico o alfabetico, che tengono dietro al presento Supplemento. Col quale noi non crediamo aver fatto opera compiuta. Altre lettere, e di Galileo, e a Galileo, e fra terzi a lui relative, che abbiamo fin ora inutilmente corcato, o di cui, non ostante le più vive istanze, non abbiamo potuto ottenere comunicazione, verranno probabilmente alla luce: a noi basti poterò con piena coscienza affermare, che nessuna cura fu tralasciata perchè di tali difetti andasse scevra T Ediziono Nazionale. 9 Al n.° 37. 010. VINCENZO PINELL1 a GALILEO in Venezia. Padova, 0 settembre 1592. L'autografo «lolla lotterà elio abbiamo pubblicato sotto il n.« 07 (cfr. Voi. X, pag. 48-49) è presentomonto «olla Raccolta Lozzl In Roma; o confrontato con la nostra edizione, oltre ad offrire alcuno va¬ rietà <'l
  • Lo lettore, nolI’Arcliivio di Stato in Firenze, scritto da Firenze a Cosmo II nei mesi di marzo e aprile 1010 sono costantemente indirizzate in Pisa. I paesi, dai quali il Guat.tfirotti insisteva olio il Granduca si partisse quanto prima, perchò l’aria non vi ora piti buona (liti. 18-19), sono probabilmente la Maromuia, «love la Corte soleva da Pisa recarsi spesso per le caccie. 52 XVIII. 410 SUPPLEMENTO. invero mirabilissima. La seconda, lo molto bollo coso ch’oprii ha ritrovato con esso, e so- pratutto elio Oiovo sia centro a quattro pianoti non più veduti; cosa elio mi porge tanta meraviglia, che havendo già finito il PolemidoroW, elio ò poema poco minor di quel de- l’Ariosto, o più presto, per dir meglio, dugento stanze maggiore, o così havendo a qual- io che buon termine la America W, elio sarà d’una simile grandezza del* opra del Tasso, io mi son messo a comporre il terzo poema eroico sopra il ritrovamento deio nuovo stelle e de i quattro nuovi pianeti. Nel terzo luogo ò la considerazione elio il Galilei habbia chiamate le quattro nuove stelle erranti Medicee, o vero Pianeti Cosmirai, che oltre ad ogni altra cosa mi porge diletto grandissimo; perù io con ogni amore e con ogni diligenza seguiterò ancora questo nuovo poema do’nuovamente ritrovati Cosmirai, dol quale sarà il principio con questaW. Ma ricordisi V. A. Ser** di darmi altro soccorso di quello ch’ella mi dà, se la vuol ch’io viva e tiri inanzi le mie opere; e prego V. A. Sor."’* che quanto prima si parta di cotesti paesi, perchè l’aria non vi è più buona, o V. A. Ser."* intorno a questo Maggio porta alcuno pericoletto. Ma io prego il grandissimo Dio che la conservi 20 sana e felico lungamente, e di nuovo lo fo reverenza e le bacio la veste. Di Firenze, li 6 di Aprile 1610. Di V. A. Ser. w * Umilissimo Senatore Kaffaol Gnalterotti. Fuori: Al Ser. m0 Don Cosimo Medici, Gran Duca di Toscana, mio S. r * 328bis**. GIULIANO DE’MEDICI a BELISARIO VINTA [in Firenze]. Praga, 7 giugno 1610. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Medicea 4365, car. 169. — Autografa la sottoscrizione. 111." 10 Sig. or mio 0ss.“° Con le due benignissime del Ser. m0 Padrone delli 22 del passato mi trovo l’ima di V. S. del medesimo giorno et l’altra delli 24_ Et se il Sig. or Galilei mi manderà cosa nessuna per la quale mi possa impiegare per servitio suo, eseguirò con ogni diligenza l’ordine datomene da V. S.^.... <’> 1/ Universo, onero il Polemidoro. Poema eroico eli Rafkabi. Guai.tkkotti. Stampato in Fironzo l'anno 1600, appresso Cosimo Giunti. (ì| L'America di Raffaello Gdaltrrotti, de¬ dicata al Sereniss. Don Cosimo Modici II, quarto Granduca di Toscana. In Firenzo, appresso Cosimo Giunti, 1611. È il solo primo canto. 131 Alla lotterà non ò presentemente nllegato il principio del poema. Allo stosso argomento che si proponeva di trattare RAPrAEr.Lo Gualtebotti ò relativa una canzono, elio col titolo di Vaglitela di Fraxckscomarja Gualtkkotti, al molto III.™ et fc’ac.™• 8igS* Galileo Galilei, sopra il ritrovamento dele nuove stelle et altri jHtrdcofari del suo Nunciut Siderea», si leggo noi Mtw. Gal. (lolla Bibl. Nazionale (li Fironzo, V. I, T. Ili, car. 88-87, od è scritta dalla stessa ninno di cnl è la lotterà elio qui pubblichiamo di Raffaello, padre di Fbanorsoomaria. <*> Cfr. n." 811, Un. 17-23. SUPPLEMENTO. 411 362*,»*. GALILEO a fMASSIMILIAN0 DI BAVIERA in Monaco], Padova, 22 luglio 1(510. R. Archivio He*rreto di Stato in Monaco. Kasten schw. 28H / 2 X. — Autografa, Ser. rao Sig. ro Era premio soprabbondantissimo al picciol merito mio il farmi per uno de’ suoi minimi servitori intendere che il vetro mandatogli da me fosse di sua saturazione ; ma bora che l’A. Y. S. n,a per sua infinità benignità ha voluto così trabocche volili ente honorarmi col darmene conto ella stessa Cfr. n.« 614. <*» Trovilo Moller : cfr. n.« Gli, lin. 21-26. SUPPLEMENTO. 414 61 8*r*\ FEDERICO CESI n GIOVANNI FA BER fin Roma]; Roma, 12 dicembre 1611. Aroli. dell’Ospizio di 8 . Maria in Aqniro in Roma. Carteggio di Uiotanni Faber, Filza 428, oar.141.-~ Autografa. Doctiss.® ao Chariss.® Fr. S. P. Epistolas a Galileo et ad Gnlileum caeleBtium novitatnm occasiono scriptas, Man- tuanumquo einsdem generis problema (1 \ transmitto, ut perlegero possit antequnin episto- licas aggrediatur conscriptionea. Noe omnes, quae ad liane usquo emissae sunt dieni, osso snspicetur, sed quae moia oculis oblatao. Graatina dio D. T. cum D. Theophilo ({) expocto, paulo unto horani prandii ; primum enim l.yncnea actione, mox simplici ac philosophico excipiain convivio. Festino naniquo ab urbe disceasum ad agrestia negocia. Valcat 1). T. D.'que Thcophilus. Ex Lycaoo, die xbris 12 1611. 1). T. Frater ox corde amans 10 F. Caes., Lyuo. Prin. Fuori: D. Ioanni Fabro Lyncaeo, Doctiss. 0 et 0harÌB8.° Fratri. 842bia**. GIO. BATTISTA A MADORI a [LODOVICO CARDI I)A CIGOLI (?) in Roma]. Firenze, 2 febbraio [1618]. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XII, car. 19. — Copia di mano sincrona. Sobene per lungo spatio di tempo non ho mai scritto a V. S., mi sono persuaso ili scusarmi con lo raccoraandationi fatte in mio nome dal Sig. r Galileo, per non l’infastidire col’obbligo del rispondere, essendo occupata in cose così importanti della sua professione: del che mi rallegro infinitamente, sentendo dall’universale che ella tiene il primo luogo in cotesta città, ricetto di tutti i virtuosi; e spero che He la fortuna non si ferma nel corso de’ suoi honori, di vedere la virtù sua giunta a quel colmo o la mia allegrezza a quel grado, che all’uno e all’altro non resterà più che desiderare, sapendo quanto por i tempi pas¬ sati in elio stima io l’habbia sempre tenuta. Ilora mi risolvo a scriverle per un favore che io dosidero da lei, il quale è questo: se è possibile, ella mi faccia haver gratin di poter <‘> Cfr. Voi. Ili, Par. I, pag. 301-307. «*> Cfr. n.o 618 bis. SUPPLEMENTO. 415 10 tenere e leggere P infrascritte opere, a uio neceBBarie, non li mancando occasione con co¬ testi principali appresso 1*111."*° Sig/ Borghesi t*>, che così mi ha persuaso il Sig. r Galileo, il quale cordialissimamonto so li raccomanda; o spero che fra poche settimane harefce costi il suo ritratto di marmo, il quale io fo tirare a tino por bordine deL Sig/ Filippo Salviati, il quale, per quanto mi ha dotto, lo volea presentare al Sig/ Principe Cesi. Io ne fo fare due, uno al Caccimi, l’altro a Oratio Mochi; et il Sig. r Galileo resta assai ap¬ pagato della somiglianza.... li! non mi rispiar[mij in cosa alcuna, e si degni, quando la viene a Firenze, di scav[nl|- enro a casa min aula Pinza di 8/ Maria Novella, perchè ho capacissima da poterla rice¬ vere, come li può far fede il molto R. d0 P. IVI arraffial quale V. S. ai degnerà faro un 20 baciamano. Pio la feliciti. Di Fiorenza, il di 2 di Febh. 1G[. Gio. Bat. A madori physu Opera Corradi Gcsncri, medici; llyeronimi Cardani, medici; Leotiharti Fuchsii, medici; Theophrasti Par uccisi, medici. Conràdi Cenuri. Ifyerottimi C. Ltonharli F. Theoph-atti. E se fuesi possibile ancora aggiugnerci l’opero di questi nostri dni Fiorentini, cioè: l’opere di Niccolò Mncoliiavelli ; 80 l’opere di Mesa. Gio. Boccaccio 942bis*. STEFANO PEROZZI a GALILEO in Firenze. Camerino, 7 novembro 1613. Bibl. Navi. Fir. Mb 9. Gal., P. I, T. Vili, car. 95. - Autografa. Molt’IU/ 6 Sig. v o mio P.ron 0ss. m0 Vorrei che questi giorni, ch’io ho da fermarmi qua, so no volassero in un batter d’occhio por tornarmene tanto più presto a Fiorenza, dove ho lasciato la miglior parte di me stesso, talché bora mi pare d’essere non quel di prima, m’una fantasma, o ciò perchè mi trovo lontano da V. S., nella quale io ponzo a tutte l’bore : così fuss’ io in memoria sua, che quest’ assenza mi sarrebbe mon Lett. 942 bis. 3. (alo pit pretto — SCIPIONK liOKOHF.SE. Giovanni Caccisi. (*) Luigi Ma ravvi. (*) Cfr. n.» S70, liu. 14-46. 41C SUPPLEMENTO. dura. Ma, benché poco degno mi conosca di tanto favore, pur lo sporo; et a V. S. bacio humilmente la mano. Di Cani." 0 , li 7 di Novembre 1613. Di V. S. molt’ 111.** et Ecc. m3 io Piacesse a Dio elio il Sig. r Car. Ie di Cosenza (1) potesse servirla in qualche cosa, perchè vedrebbe quanta stima facci della sua virtù o valore; o spesso parliamo di V. S. con quell’affetto et ami- razione elio si dovo. Mi favorisca riverire por mia parte mi.® 1 SS. ri Filippo Salviati o Gio. Battista Strozzi, o senza fino il Sig. r Iacopo Soldani, ch’io alla .fino di questo sarrò a servirle. So V. S. giu¬ dicasse bene ricordarne a cotest’AA. SS. mo por quel devotissimo et obligatissimo servitore elio lo 20 vivo, io ne restarei a V. S. tenutissimo. Sor." AIT. mo D. Stefano Perozzi. Fuori : Al molt’111." et Eccol.™ 0 Sig. r o mio P.ron Oas. mo Il Sig. r Gallileo Gallilei. Foligno por Firenzo. 1067bis*. MATTEO OACCINI ad ALESSANDRO CACCINI in Firenze. Roma, 2 gennaio 1G15. Arolx. Ricci Rlooardi in Carmigrimno. Carte Caccini. — Autografa. Adì 2 di Gennaio 1615, in Roma. Ho ricevuto due vostre de'27 passato, et mi dispiace il poco cervello che ha havuto quel frate già Cosimo (S > ; et sappiate che lui ò in concetto de* frati di essere più leva¬ ticelo di una foglia. Io sono stato a proccurare di sapore se qua in un luogho ne sia stato fatto romore, ma non posso per ora saperlo: et sappiate che non è cosa più odiosa a questi superiori cho queste stravaganze sopra li pulpiti <3) , perchè causano mille mali effetti; et se ne è fatto capo, gl’interverrà ricevere qualche duro incontro. Et sono ma¬ terie odiosissime et stravagantissime; et. già mi è stato detto che la sua 6 stata una carriera fattali fare da que’ colombi, et io la tengo por verissima. Io gli scrivo una let¬ tela 1 > un poco meno rigida di quello che ci andrebbe; ma io non voglio che lui l’babbitt, 10 4 > Cfr. n.« 1067 ter. SUPPLEMENTO. 417 por diversi rispetti. I.a mando aperta al Gav. r(l > et disigillata, acciò mandi per lui et gne no lassi leggere, et poi la renda a voi, et voi poi la stracciate, por diversi rispetti che non si possono dire; et avvisatemi il seguito, et, in tutte lo maniero fate che lui la legga et, la renda: et questo vi basti. Et il manco male che ne possa seguire ò di farsi tenero leggiero: ora pensato se queste sono le strade da venire innanzi. Et quando sento queste cose, mi cascano lo braccia, et sono in dubbio se è bene che Labbia quel grado w o no, perchè se viene qua farà male a me, et lui se lo fo mandare in qualche pazzo luogho, non farà malo a nessuno: et crediatomi elio gne ne attaccherò; et non so ancora quello mi farò. 20 La lettera è rigida; però fato poi, come da voi, elio il Cav. r gli dia un poco d’animo, acciò non facesse qualcli 1 altra stravaganza fratesca, perchè è bene elio lui non facci cosa alcuna. Clio vi serva per avviso.... Et so Fra Tommaso vi dà fastidio costà, avvisatemelo, che lo farò mandare via, chò non so quello che lui si habbia ad impacciare di quelle cose elio non sa. Io giudicherei bene elio por diversi rispetti che passano, fusso bone elio voi gli parlasse.... Vi mando la lettera del Cav. r aperta et quella di Cosimo: leggetele tutte due, poi rimettete la nizza et sigillatola, chò basterà solo bagnare l’ostia. Et potrete, se vi paro, faro ohe il Cav. r raddolcisca il frate, come da sè, meglio elio può; ma la lettera è bene che la legga. Ma operato in tutti modi che non gli resti in mano, et che non uii risponda Lo lin. 20-29 si leggono In poscritto. <*) Cfr. n.® 1070. Cavaliere Francesco Baroncelll «*' Cfr. n.® 1078 bis. XVllL 68 418 SUPPLEMENTO. la bocca. Crediate elio se non mutato modo, vi potrebbe intervenire cosa da piangere sempre: et questo vi basti. Ma che leggerezza ò stata la vostra, lasciarvi mettere su, da piccione o da coglione, a certi colombi! Clio liaveto a pigliarvi gl’impicci d’altri? Et che concetto resterà di voi al mondo et alla vostra religione? Et puro altra volta havete urtato in questi incontri (l> , et non vi basta. Fra Tommaso, sappiate che la reputazione governa il mondo, et chi fa di queste coglionerie la perde; et in questa vostra scappata non ci è nò ragione divina nò humana che la voglia, et segno ve ne sia che qua sarà malissimo sentita: et io ve lo dico, chè lo so di certo (,) . Non vi lasciate più mettere a 20 cavallo per fare poi carriere tanto brutte. Io vi prego a non volere più predicaro, et vi dico che se non mi farete questo servizio per amore, io proccurerò che me lo facciate a due partiti, et forse elio ne potrei trovare la strada : et vi serva por avviso. Andate pensando dove nuderesti a stare più volentieri, perchè costà a me non piace, nò meno qua; et se non la troverete voi la strada, la corcherò io: non mi curo cosi ora, acciò non paia; ma a suo tempo habbiateoi il pensiero. Haverei da dirvi molte altre cose, ma questo vi basti per ora, con dirvi solo che sebene io non sono teologo, posso dirvi quanto vi dico, cho ò che havete fatto un gran¬ dissimo errore et una grandissima scioccheria et leggerezza. Et per fine vi prego bene. Di Roma, li 2 Gen.° 1615. CO Di V. Rev. Aff. Fr. Fra Tom. 0 M. 0. 1069bia*. MATTEO CACC1NI ad ALESSANDRO CALCINI in Firenze. Roma, 9 gennaio 1615. Aroli. Rieol Ricoardl in Oarmlg-no.no. Carta Caccio i. — Autografa. -Di Cosimo < 3 > non me ne maraviglio, perchè io lo tengo huomo debolissimo, ot vorria stesse [.J andarvi. Se vi dà fastidio, avvisatemelo, che lo farò mandare, se bisognerà, fuora d’Italia; chè, per dir vela, mi casca lo braccia per farlo venire qua, et ho paura di non bavero ogni dì fastidi, tanto mi pare spropositato. Dite al Cav. r gli lasci leggere quella lotterà in tutti modi, perchè è necessario; et non mancate, oliò non posso dirvi il perchè. Il Card. 1 Giustiniani a questi giorni so che trattò di quella scappata che feco a Bologna, et ve lo dico del certo; et si reputa haverli fatto uu grandissimo servizio.» quietarlo]. Et crediatcmi che qua a’ superiori non si può dare maggiore disgusto che quello ha fatto lui; et non è servizio d'iddio, ot qua già si dice essere stato stimolo [di] 10 quelli colombi. Vedete che concetto di leggieri l’huomo si aqquiata. Et vi replico che quella lettera gli sia letta; ot crediatemi che ho di pazzi capricci per conto suo, chè ho pensiero di farlo andare in luogo che sia molto lontano.... <“ Cfr. il.* 1070, liti. 12-14. <*> Cfr. u.o 1070, Hn. 9-12. Cfr. n.o 1067 bis, lin. 3. Bknidetto Giustimaki: cfr. n.° 1070, lin. 12-14. SUPPLEMENTO. 419 1075bi 8 *. MATTEO OACCINI ad ALESSANDRO CACCINI in Firenze. Roma, 30 gennaio 1615. Aroh. Ricoi Rlooftrdl In CarmiR-nano. Carte Cacoini. — Autografa. .... Et Fra Tommaso ho vi darà fastidio, troverò modo da lovarvelo dinanzi.... 1078bis*. MATTEO CAGOINI ad ALESSANDRO CAGOINI in Firenze. Roma, 7 febbraio 1615. Aroh. Rlool Riocardi in OarmigmAno. Carto Caccini. — Autografa. .... Fra Tommaso ò stato fatto Baccielliere di questo Studio della Minerva in Roma, et io ne ho la patente in mano.... Dite a Fra Tommaso elio questa sua elezzione è seguita con tanta sua reputazione che niente più, et che se la sappia mantenere.... et non venga qua con umori di quelli colombi cho gl’hanno fare (sic) costà le coglionerie, anzi non dica loro cosa alcuna <*>. 1080bi8*. MATTEO OACCINI a TOMMASO CACCINI in Firenze. Koina, 14 febbraio 1615. Arch. Rioci Riocardi In Carmlirnano. Carte Caccilii. — Autografa. .... et haviate corvello, et non fato più di quelle scappate, che ora non vi ha fatto niente di buon giuoco.... 1149bis*. PAOLO RICASOL1 ad ALESSANDRO CACCINI in Pisa. Firenze, 5 dicembre 1616. Aroh. Riooi Riccardi in Oarmlgnano. Carte Caccini. — Autografa. Il Galileo del’ ochiale è ito a Roma, si dico per giustificarsi di calunnie apposteli da’ frati di S. Domenico, fra i quali ho sentito nominare il vostro fratello, che ne ho sen¬ tito disgusto <*>. <‘> Le lin. 8-6 si leggono in poscritto. <*> Questo capitolo di lotterà ò in poscritto. 420 SUPPLEMENTO. 1153bis*. TAOLO RIO ASOLI ad ALESSANDRO CACCINI iu Pisa. FirOline, 12 dicembre 1015. Aroh. Ricci Riccardi in Carminano. Cnrto Caccini. — Autografa. _Pei- eonto di Fra Tommaso io non saprei elio mi ci diro. E huomo sodo et ohe sa, et non è da credere che abbia a faro errori, nm ario (sic) auto caro che avessi lassiato stare il Galileo et avossi badato a’ fatti sua; et se io credessi d'onero buono a nulla, Iddio sa se mi ci affaticherei volentieri.... 1154bis*. MATTEO CACCINI ad ALESSANDRO CACCINI [in Pisa]. Napoli, 25 dicembre 1616. Aroh. Ricci Rlcoardl in Carmignano. Carto Cacciai.— Autografa. Adì 25 Die. 1015. In Napoli. Quanto al Galileo, mi dispiaco che sia stato necessitato andaro a Roma; et più mi dispiaco che si liabbia da diro cho quel nostro amico (l > sia nominato fra coloro che no sono cagione, et io credo che non s’ingannino. Crediatomi cho sono debolezze.. 1164bia*. PAOLO RICASOLI ad ALESSANDRO CACCINI iu Tisa. Firenze, 9 gennaio 1616. Aroh. Riooi Riccax-dl in Curmignano. Carte Caccini. — Autografa. .... Del Galileo non ho sentito dire altro; et credo io ebo a Roma abbino altro pen¬ siero che queste bagattelle.... 1164tr*. FOLCO R1NUCCINI ad ALESSANDRO CACCINI in Pisa. Firenze, 9 gennaio 1616. Arch. Ricci Riccardi in Carmignano. Carto Caccini. — Autografa. .... E vero che il Galileo andò a Roma, ma de’frati non sento ci sia niente. Lui è galant’ omo, e poco la conto del'oppinione fratesca. Bisogna compatire a ognuno. Siamo huomini.... I 1 ' Cfr. il.» 1149 bis. SUPPLEMENTO. 421 10 1181 bis*. MATTEO CACC1NI nd ALESSANDRO CACOINI in Pisa. Napoli, 19 febbraio 1616. Aroh. Rieoi Riocardl In Carmljmano. Carte Cacciai. — Autografa. Il Galileo dicono sia andato al Santo Offizio. Vorrei mandasse quella lettera scrit¬ tami di Roma, cho io vi mandai costà, elio trattava di F. T. (*>, al Cavaliere<*>, acciò ve¬ desse ancora lui quello cho passa, porchò ho paura cho scriva ogni cosa a suo modo. Ora credo che so la pianga; et avvisatemi so 1’ havete ricevuta^). 11.92bis**. CURZIO PICCIIENA a GALILEO in Roma. Pisa, 2 aprilo 1616. Autogrrafoteca Morrlflon in Londra. — Autografa la sottoscriziono. III. 0 Sig. r mio Oss. ,no riavendo lor Aitozzo sontito l’ultima lottora cho Y. S. m’ ha scritto do’ 26 dol passato ( '* ) , m’hanno detto cho o il venirsene o l’aspettare costì il Sig. r Car¬ dinale (5) rimettono nella volontà et nel gusto di Y. S. Quando ella voglia venir¬ sene, Madama Ser. ma(a) m’ha detto cho ci è bora molta scarsità di lcttige, et non possono compiacer Y. S. di questo, perchè la Corte starà quasi tutta la pri¬ mavera alla Potraia, et lo lettighe vanno sempre inalanti et indietro, et quelle cho vorranno rostaranno in Roma por sorvitio dol Sig. r Cardinale. Che è quanto posso diro in risposta a V. S. ; et di cuore le bacio la mano. Di Pisa, a’ 2 Aprile 1616. Aff. m0 Serv.™ S. r Galileo. Curzio Picchena. Fuori: All’111. m0 Sig. r mio Oss. mo Il Sig. r Galileo Galilei. Roma. 1198bis*. CURZIO PICCIIENA a GALILEO in Roma. Firenze, 30 aprile 1616. R&ooolta Lozzl In Roma. — Autografa la sottoscriziono. III. 10 Sig. r mio Oss. mo Appunto volovo scriver costà per haver nuova di V. S., perchè stavo con qualche dubbio eli’ ella fusse indisposta, non havendo havuto lettere sue già in F rft Tommaso Caccimi. <*> Francesco Baronoki,li. < 8 > Questo capitolo di lettera è in poscritto. <*> Cfr. n.o 1192. Carmi pk’Mkdiot: cfr. n.° 1190 , Un. 7 - 9 . <•> Cbistina di Lorkna. 422 SUPPLEMENTO. qualche settimana, quando appunto no ho ricevuto una do’ 23 :l ', dalla qualo comprendo ch’olla si trovi con Intona sanità, di elio io mi rallegro; oso Itone non Ito havuto ancor tempo di legger la detta lettera a LI/. A A., so nondimeno cito havranno caro di sentir buone nuove di lei, perchè quella poca d’indisposi¬ zione eh’ ella dico esserlo sopraggiunta spero che non sarà stata cosa di rilevo. Veggo ch’olla pensa di fermarsi in Boma fino «die vi starà il Sig. r Card. 10 do’ Medici (t) ; et in questo mi sovviene quel cho Loro Aitozzo mi ricordarono io una volta ch’io dovessi avvertirla, cioè cho quando ella si trova intorno alla tavola del Sig. r Card. 19 , dovo vorisimilmento saranno ancora altro persone dotto, V. S. non entri a disputare di quello materie cho lo hanno concitato lo persecu¬ zioni fratine. E con questo la saluto cordialissimamonto o lo bacio la mano. Di Firenze, li 30 di Aprilo 1616. Di V. S. DI." Aff. mo Serv." S. r Galileo. Curzio Picchena. Fuori : All’ DI." Sig. r mio Ossei’.® 0 • Il Sig. r Galileo Galiloi. Roma. 20 1287bis**. CURZIO PICCHENA ad [ORSO D’ELOI in Madrid]. Firenze, 21 dicembre 1617. Aroh. di Stato in Flrenzo. Acquisto Nardi-Dei, Fascio 2, car. 688. — Autografa la sottoscrizione. Sul di fuori si logge: « 1618. De’21 di Die.»* Risposto a’ XI ili Geo . 0 <*>, con corriero do’Genovosi ». .... Ho veduto quanto V. S. 111.®* discorro intorno al negozio dol Galilei 1 ''; et anch’io sono stato sempre d’opinione, che quando il mare è grosso, sia impossibile far quelle os¬ servazioni. Egli ha trovato un’ invenzione che, per qualsivoglia grande agitazione cho faccia la nave o la galera, non viene impedito di poterò scoprirò i vasselli et adoperar l’occhiale fncilissimamente; ma per osservare le stello d’intorno a Giove un occhiale or¬ dinario, ancorché buono, non può servire, perchè co ne vuole uno esquisito et lungo e cho stia molto formo. È ben vero che il Galilei ha facilitato che si possa fare anche questo in una nave che si muova ordinariamente; ma quando il mare è grosso, lo tongo per im¬ possibile: et questa è la maggiore eccezzione che habbia il negozio. Con tutto ciò non si può negare che l’invenzione non sia bellissima ot ingegnosissima; sapendosi che molti 10 valenthuomini hanno faticato et andato per trovar questa longitudine et sempre in vano, ot se a qualcuno è parso di haverla trovata era col mezzo dell’eclisse lunare, che avviene molto di rado, dove nell’invenzione del Galilei intervengono ogni notte delli aspetti so¬ stanziali da poter faro le osservazioni, de’ quali aspetti egli ha calcinato i periodi o le efe- meridi per molti anni avvenire, et ho veduto io cho corrispondono esquisitissimamento: bì che, a mio giudizio, l’invenzione debbo essere abbracciata et favorita.... <*» Cfr n.o 1197. <*) Carlo de’ Medioi. «*> Cfr. n.« 1296. <*> Cfr. n.o 1886. SUPPLEMENTO. 423 1370bi S *. MATTEO CAOOINI ad ALESSANDRO CAGOINI in Firenze. Roma, 18 gennaio 1619. Aroli. Ricci Blooardi in Garmignano. Carte Cacci ni. — Autografa. ....Io vi scrissi mercoledì, et la raccomandai alla ventura di qualche staffetta; ot vi avvisavo come sabato mattina F. T.W parto con il procaccio per venirsene costà, et mi dico por suoi negotii che gli premono, et elio vuole ancora passare a risa. Vi dicevo, come replico ancora, che io dubito elio non venga, chiamato da loro<*>, cioè da A.; perchè, a certo proposito, mi disso elio ognuno gridava perchè lui in queste rotture non veniva costà, et altri particolari elio vedrete per quella lettera, tutti concludenti che lui venga, chiamato da loro. Mi dico bene elio vuole venire costà inaspettato, et elio verrà subito da voi, havendoli io detto elio stavi in casa per la gamba.... Como vi ho detto, io non l’ho mosso, anzi mostrato sconsigliarlo et bavere per tempo perso che lui venga; ma 10 lui mostra di venire por altro, et qui non potevo dire cosa alcuna.... Sono stato questa sera Bino a un’ ora di notte ad aspettare F. T. elio tornasse a casa; et nell’bavere aspettatomi sono tuttavia più certificato che lui venga chiamato da A. et suorum; perchè in ragionando con un Padre fiorentino, suo confidente, mi ha detto tanto che, con quello sapevo prima, è assai concludente, perchè fra lo altre mi disse: «Egli va per suoi negotii intrinsechi; ma io volevo elio egli venisse quando fu a Città di Castello, per accomodare quelli suoi intrighi per conto del Gal., et fece errore a non andare allora; ma ora lui per altro non deve potere fare di meno, et nello stesso tempo farà duoi servitù»: oltreché lui ad ogni poco replica che viene per questo effetto. Voi conoscete la sua natura; sappiate accomodarvi ad essali.... 1416bi s *. GIOVANNI CIAMPOLI a [GALILEO in Firenze], Roma, 21 agosto 1619. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. XI, car. 109-111. — Autografa. Molto 111/ 6 et Ecc. mo S. ro e P.ron mio Oss. mo Ho ricevuta una cortesissima lettera di V. S., alla quale do subita risposta con avvisarla di quanto passa circa il negotio do’PP. Giesuiti (4) . Il P. Grassi, Matematico del Collegio, ha più giorni fa finito la sua risposta, e presto si stamperà. Dicemi trattare con ogni modestia o rispetto della per¬ sona di V. S., alla quale egli professa, corno mi dice, affettuosa reverenza; o stima sua particolar disavventura l’essere stato necessitato per riputatione, non dol nomo suo, ma del Collegio Romano, a contradire alle sue opinioni. Certo egli in voce parla, quanto a’ complimenti, con molto rispetto ; quanto alla dot- '*» Fra Tommàbo Caooim. >*' Iuteudo, alcuni paroati (loi fratelli Cacoini. Lo Ha. 11-19 si leggono in poscritto. <»> Cfr. u.° 1399, liu. 26-30. 424 SUPPLEMENTO. trina poi, pretende haver buono in mano ; et io non so dove sia por batterò io quanto alli particolari. Circa l’esperienza del vaso, lo referirò quel che più giorni fa vide il S. r D. Virginio (1 \ ot ultimamente lio veduto io. Stava accomodato un vaso rotondo di ottono, nella cui superficie concava erano intagliato sottilissimamente vario figuro di linee matematiche, sopra un porno aggiustato in maniera che il vaso potesse girarsi velocemente e senza sbatterò o alzarsi più da una parto elio dall’ altra. Si empiè d’acqua tanto, elio mancava circa ad un dito ad esser pieno fino al¬ l’estremità; si mosso verso la banda un corpo sopranatanto, e cominciò a gi¬ rarsi il perno o conseguentemente il vaso. Su ’l principio quel che galleggiava pareva immoto; poi a poco a poco cominciava a muoversi vorso la parto ove 20 si muoveva il vaso. Dopo alcuno circolationi l’acqua augumentava il suo movi¬ mento in tal guisa, che pareva nel mozzo abbassarsi, ot inalzarsi all’estremità, talmente che parto di lei spruzzando in quella velocità di giro usciva fuor del vaso. Indi, fermato il vaso, l’acqua pur seguitava il suo moto ; et avanti che l’havcsso quietato, si cominciava a rigirare il vaso vorso la parte contraria: per il quale movimento l’acqua, prima pareva cominciare a perdere il moto con¬ trario, e poi cominciar a prendere quel del vaso nella stessa maniera che la prima volta. È ben vero che io non ho potuto vedere olio l’acqua e ’l vaso, benché camminino ambiduo verso la medesima parte, si accordino mai con egual velocità, nè mi pare elio il Padro l’affermi. Si venne poi a far Pesperienza con 80 l’aria. Votato il vaso 0 fisso su ’l medesimo perno, stava sospesa ad un sottil filo una piccolissima carticella, alla quale non era quasi possibile accostarsi elio il fiato della semplice respirationo non la movesse. Si avvicinò questa alla sponda del vaso, talmente però elio non toccassi. Indi girandosi questo con somma ve¬ locità, io quanto a quella esperienza restai incerto elio cosa si facesse l’aria; perchè la carticella non faceva altro moto elio quello che li suol dare il filo mentre in sè stesso si rigira, nò mai la vidi sollevare vorso quella parto ovo l’aria corrente mi paro che la dovessi portare sventolando, anzi tal volta veniva a percuotere nella sponda del vaso. Dissomi il Padro elio quolla esperienza altro volte ora riuscita più sensata, e che altra volta ino 1 ’haverobbo fatta vedere; e 40 mi confessava elio l’aria molto più lentamente seguiva il moto del vaso, cho non faceva l’acqua. Con la candela non havova provato, nè io l’ho visto : credo beno che se quell’aria non si affretta molto più, non la spegnerà mai. Questo è quello elio ho veduto io, 0 prima di me haveva veduto il S. r D. Virginio, e non altro: il quale è più che mai affettionato a V. S., nè so chi faccia più stima delle eminentissime qualità di loi di quel cho faccia S. S. ria DI.™* Ho fatto seco l’uno e l’altro complimento ch’ella m’impone; la ringratia con tutto il cuore, 0 lo ricorda a tenerlo por suo parlatissimo servitore. O» Virginio Cksarìni. SUPPLEMENTO. 425 Io prego l)io che a V. S. conceda sanità, por potere una volta comunicare 50 al mondo quei nobili parti che sono già conceputi nel suo ingegno, nato per produr moraviglio a questo secolo. Risposi più settimane fa a V. S. circa il ne- gotio dol proto dal Borgo alla Collina: aspetto la risposta por poterla servire. E qui lo faccio humilissima revorenza, ricordandomele servitore di singolarissimo obbligo et alletto. Di Roma, il dì 24 di Agosto 1619. Di V. S. molto HI." Dev. mo et Obblig. Sor. ro Gio. Ciampoli. Dopo liavor Unito sì lunga lettera m’è sopraggiunta occasiono di aggiun¬ gerci una non breve poscritta. È stato poco fa in casa il P. Grassi, il qualo ora co venuto a diro, haver trovato modo da faro esperienza più sensata circa il moto dell’aria contenuta nel vaso. Ilo voluto subito vederla; sono andato seco al Collegio, ho visto questo. Costituito il medesimo vaso sopra il medesimo perno, si era sospeso in aria un filo di seta, alla cui bassa estremità, che guardava a perpendicolo il centro del vaso, ora infilzato un altro filo di ramo a traverso, paralello all’orizzonte. Alle duo estremità di questo filo di ramo, elio entrava entro il vaso senza però toccarne lo sponde, erano adat¬ tate duo alotto di carta. Si girò il vaso; il filo di ramo pareva immoto su ’1 principio ; poi, dopo alquante conversioni, girava 70 anco esso verso la medesima parto del vaso; o fermatosi questo, non però cessava il movimento dol filo per un certo tempo. Si voltò il vaso con moto contrario, et il filo, elio haveva il moto antecedente, subito lo arrestò, obbedendo al rivolgimento dello stesso vaso, non però secon¬ dandolo con ogual velocità, ma sonsibilissimamonto, sì che in questa esperienza non me no è restato dubbio, per quanto sono Inabili a testificar gl’occhi miei. Poi si appeso la candeletta ad un legno fermo noi muro, e si applicò dentro al vaso tahnonto, cho incurvandolo la picciola fiamma era assai vicina allo spondo più alto dol vaso. Si serrò le finostre, per escludere ogni esterno accidente più che fosso possibile. La fiamma, stando il vaso in quiete, stava quietissima, con so la sua piramidetta retta ; poi subito, girando il vaso, tremolava assai notabil- mcnto, incurvando la punta della sua piramide verso la parte ovo correva il giro del vaso, e ciò per più d’ un dito di differenza, et allo volte si piegava tanto quolla linguetta accesa, che quasi faceva angolo rotto con la candeletta. Similmente, rivolgendo il vaso in contrario, ho visto il medesimo effetto. Questo è quanto mi occorre dire liberamente a V. S., alla quale di nuovo fo humilissima reverenza. Lett. 1410 bis. 64. n pcrpendico il — XY1IL 64 426 SUPPLEMENTO. Ài n.° 1893. MICHELANGELO GALILEI a GAI .ILEO in Firenze. [Monaco, giugno 1628], L’autografo della lotterà cho abitiamo pubblicato Botto il n.« 1893 (Cfr. Voi. XIII, pag. 438-489) ò preseli- temente nella Raoeolta Lozul in Roma; o confrontato con la uostrn edixioue, oltre ad offrirò alcuno varietàW di Uovo importanza, contiouo l’indirizzo esterno: Al molt*111" ot Ecc." 0 S. r Galileo Galilei, Matematico del Ser. mo G. Duca di Toscana. Fiorenza. 193 Ibis**. MARINO MERSENNE a GALILEO in Firenze. Parigi, 1° febbraio 1629. BLbl. Nasi. Flr. Mes. Gal., P. VI, T. XI. car. 101. — Autografa. Clarissimo Celeberrimoque viro Galilaeo a Galilaoo, Fiorentino Ducis Mathematico, S. P. D. Iam semel ad to scripseram, vii* eruditissime, dederamque meas litteras 1). Vertamont (2> , Senatus Parisiensis Consiliario, qui mine ad maiorem graduai libellorum supplicum Magistri ascendit; sed frustra responsionem ab bino 3 aut 4 annis a te ambo cxpectavimus : undo merito suspicor, oas minime ad tuas manus pervenisse. Cum autem mibi unus ex tuia vicinis Florontinis occurrerit, qui inibì pollicetur tuam responsionem, on iterimi tuam benovolentiam aggredior, ut me doceas quao sint verno rationes ob quas adeo pauoao consonantiae sint in musica, in qua nempe solimi octava, quinta, quarta, duao tortiao, duaequo sextae, nompo maior et minor, reperiuntur. Audivi enira, to vorain rei istilla ra- tionem invenisse. Secundo, nura oxistimea quartam, seu diatessaron, osso gratiorem tertiis, seu ditono et sosquiditono, iuxta proportionem illius nobiliorem : practici onim contendunt, ditonum esse gratiorem, cum tamen oius ratio sesquiquarta minor sit, magisquo distet ab unitato quam sesquitertia. Tertio, cur in praxi transitus ab unisono ad ditonum probetur, non autem a ditono ad unisonum, cimi tamen sit eadom omnino via. Quarto, num oxistimes artem diveniri posso, qua quis <*' A Un. 24 l’autografo ha: PotoriUa, mervitor; <*' Fbakokhco di Vbktuauon, marebeso (li Ma- a a liti. 27, v' occorri»*». NOKUVUS. SUPPLEMENTO. 427 datam littoram seu datum subiectum tam praoclaro cantu voi etiam adeo praeclara harmonia 2, 3, 4 voi plurium partium seu vocum praeberé possit, ut cantus nulliis 20 super eodem subiecto componi queat; et qua methodo ars illa possit investigavi. Soci omissis harmonicis, aliud meclianicum aggredior, quid ncmp© tandem, post tot controversias inter te et alios, de lamina super aquas natante conclusimi fuorit. Vidimus enim tuuin primum libellum de innatantibus hiimido Cfr. Voi. IV, pag. 57-141. logge, di inano di Galu.ro: € Di Parigi. Era Marino <*> Cfr. Voi. IV, pag. 449-789. Marsenno >. E accanto a quanto pardo sono tre <3' Cfr. Voi. II, pag. 155-190. figuro, olio rappresentano Saturno circolare, tricor¬ ni Questi puntolini sono noll’originnlo. poreo (cfr. Voi. X, pag. 410) od ovato (cfr. Voi. XII, i®' Cfr. n.» 600. — In fianco doli'indirizzo ai pag. 270). 428 SUPPLEMENTO. 196 Ibi,**. ELIA T>IODATI a GUGLIELMO SCHICKÀRDT in Tubinga. Ginevra, '20 ottobre 1639. Karl. IiftmleHblbliothok in Stuttgurt. Cod. liist. fol « N.» 568 (Doodatua), c*r, ». — Autografa. .... A G&lilaeo nihildum accepi, noe video quid ab eo mihi polliceri possimi, in- terrupto per novua turbas, nuper in Italia esortile, omni coinmealu.... I965bia**. SFORZA PALLA VICINO a FABIO CHIGI [in Ferrara]. Roma, 14 novembre 1620. Bibl. Ohiarlnna in Roma. Ms. A. III. 68, car. 285r. Autografa. .... Quel personaggio taciuto credo elio s’intenda essere il Sig. r Galileo. 0 che bollo coso ci diurno ad intendere! Non hanno lubricato i poeti l’avolo lì atravolte, corno quello dio inventa e che ci rendo verisitnili l’anior proprio.... 2033m»**. Promemoria di ANDREA CICLI [per GALILEO in Roma]. [Firenze, giugno 1630J. Bibl. Naz. Fir. Mas. Gal., P. 1, T. X, car. 12r. — Pi mano (Il Guai Bocciuxrri. Sul torgo della seconda carta del foglio si legge, di tuano di Uai.ii.ko : « S. Bali Cioli ». S. M* desidera l’occhiale, con l'altro instrumento che il S. r Galileo haveva propa- rato<* } ; et lo vorrebbe con una minuta distinta delle misure et con ogni altra avvertenza, et che fnsse della medesima qualità d’un altro che il medesimo S. r Galileo no dette al Ser." 10 S. r Arciduca Carlo <*>. 2 041 bis**. ELIA DIODATI a GUGLIELMO SCIIICKARDT in Tubinga. Ginevra, 28 luglio 1630. KbtI. Landesbibliotkok in Stuttgart. Cod. hist. fol.» N.«» 568 (Doodatua), car. 7. — Autografa. .... Ex Italia nihil iampridem ab amicis accipio: nusquam maiores quam ibi miseriae; peste, bello simili et fame vastatur ferme tota inclementissime; et (quod magie lugendum) <*> Cfr. n.° 1947. ( *> Cfr. n.° 1997, iin. 25-84. Ufr. un.' 2015, 2088. SUPPLEMENTO. 429 qnamvi» pone exhanstn, bacienti» fìnem mnlorum non videi., rccnidescentiluis in dica ani¬ mi» Principimi, quorum nuspiciis bollatili'. Interim ante duo» circitcr mcnses n Galileo literas accepi, mense Octobri «cripta» (l) , quibua perfectionem operi» sui, totios promissi, prò defonsiono novi systemati», ad finein anni praoteriti pollieotur, eiuadctnque brevi post publicationem. Al» co tempore nihil de eo audivi; scripsi tamen, et mandavi, si editum sit, mihi mittendum .... 2077bis**. ELIA DIODATI a GUGLIELMO SCI1TCKARDT in Tubinga. Ginevra, 1» novembre 1630. Kg-l. Landenblbliothok in Stuttgrart. Cod. hist. fol.° N.» 5G3 (Deodatus), enr, 10. — Autografa. _Do Galileo hactenus nihil, nisi quod mihi nupcr Lugduni relatum estG), oum vivere et valore. Ad illuni scripsi ante redituru: eius opus novum non Lngduni, ut autu- mas, sed Fiorentine, oxcusum est, aut exendetur. Mandavi mihi mittendum, et, si sit editum, proctil dubio brevi recipiam; eiusquo tibi etiam copiam faciam- 2108bis**. ELIA DIODATI a GUGLIELMO SOHICKARDT in Tubinga. Parigi, 2 febbraio 1631. K»l. Landesbibliothek in Stuttgart. Cod. hist. fot» N.° 663 (Deodatus), cnr. 11 — Autografa. S. P. Luctuoans casus pboenicis vestri Germani, vir diarissime, magni inquam Kepleri, alium non minus funestum (quem faxit avortat Dous) cura horrore mihi praesagit Italici lyncis, Galilaei, praesenti quippe periculo pesti», ibi grassantis, et cadentis aetatis expositi; de quo iam pridem nihil audivi.... 2162 bi»**. ELIA DIODATI a [GUGLIELMO SOHICKARDT iu Tubinga]. Parigi, 11 maggio 1631. Kirl. Iiandesbibllothek in Stuttgart. Cod. hist. fot 0 N.° 568 (Deodatus), car. 12. — Autografa. .... De Galileo nihildum intelligo, et dubius vix audeo de ilio inquirere, vigente adhuc in Hetruria peste.... Cfr. n.° 1962. <*> Cfr. n.» 2074. 430 SUPPLEMENTO. 22381***. GERÌ DELLA RENA ad [ANDREA CIGLI (?) in Firmile 1 ). [Milano, 1031? 1032 ?| Blbl.Nas.Fir. Appoudice ai Mas. Gai.. Filata intitolata «ul domo: «9. Galileo. Lavori por serri re ulta vita di Galileo, raccolti dal Viviani e dal Nelli », car. 291. — Autografa. Nel tergo si legge, di mano di Galilro: « Capitolo del S. Geri della Reua ». Il Padre D. Alonso* 1 ', elio è il favorito del S. r Duca di Feria 111 , mi à pregato che io li faccia venire tino hocchiale del S. r Galieo; però bisogni» elio V. S. si sforzi a farmi bavere qualche cosa di buono, come quello che mi mandò per il S. r 1). (ronzalo ,S| : et per vita di Y. S., mi faccia qne.sto favore. Questo Padre ò innamorato del S. r Galileo, et il libro elio detto (sic) a S. E. Pà dato a lui, e lo stima tanto che so certo che costà non ò stimato tanto: et ancora mi pregato che io scriva a V. S. per vedere di bavere tutto p opere che à fatto il S. r Galileo, et lo risposte che li sono stato Stampato contro. Questo ò interesso mio, però lo facci con liogni diligenza. Il S. r Michelangelo Buonuroti forse haverà qualche cosa: Y. S. gli no cliicga in mio nomo et ul S. r Galileo medesimo. Et le bacio lo munì. S” di V. S. Geri della Uona. 2429bis**. NICCOLÒ FA BRI DI PEIRESG a PIETRO GÀSSENDI in Digne. Alx, 2 marzo 1633. Blbl. Nazionale in Parigi. Fonda frangala, n.® 12772, car. 46.— Autografa la sottoscrizione. -Si vous avez dea observations particuliores de M. Midorgcs vous me feroz un singulier plaisir de m’en faire p&rt Je n’ay point veti le livre latin contro lo Galileo, qu’il vous mando avoir esté faict à Pise 1 *’; j’en ay envoyé querir.... Al n.° 2498. GABRIELLO IUCCARDI a [GALILEO in Roma]. Firenze, 7 maggio 1638. L’autografo della lettera che abbiamo pubblicato sotto II n® 2498 (cfr. Voi. XV, pag. 114-116) ò presen- tornente nella Raccolta Lo zzi In Roma; e confrontato con la nostra edizione non offre alcuna varietà < 8 >. **> Ai,onso Yàzqukz t>k Miranda. <*> Gomrz Suarrz dr Fiuukroa, dcoa ni Fèria. •*> Frrnandkr Gunzalvo di Cordova. Claudio Mydohqb. t5 > Dubitationt» in Dialoyum Oalilaei Ualilaei Lyncei, In Gyinnasio Pisano Mathematici Supraordi- narii, auctore Claudio Bkkio ardo, In oadom Academis pbilosophiam profltonte, occ. Florentiao, ex typogr. Tetri Nostri, sub signo Solia, MDCXXXII. A lin. 11 anche l’autografo ha: badando. SUPPLEMENTO. 4311 261Bbis**. PIETRO GASSENDI a NICCOLÒ FA BUI DI PEIEESO in Aìx. Dienti, 3 agosto 1633. Bibl. tVIiifruimbert in Oarpentraa. Colloctiou Peiresc, Rog. LX, T. II, cnr. 97. — Autografa. _Mona. 1- Diodaty m’ayant escrit par cest ordinaire, ni’a envoyó une copie do cer¬ tame lettre que M. r Galilei luy avoit envoyée devant celle quo vous avez veiio, ayanfc deziró qu’elle fust aussi coninimie a luy et a moy < l) . C’est pour la vous fa ire voir, sur co quo Mess. r * du Puy ^ luy ont dit que vous eu aviez envie. Je la vous envoyeray doncques uvee cello ey, vous priant seulement, apres que votre homme en aura fait ime copie, do me la reuvoyer, parco que j’en ay perda urie anitre que j’eu avoy .... 2639bi8**. PIETRO GASSENDI ad ISMAELE BOULLIAU [in Parigi]. Tanaron, 13 agosto 1633. Dalla png. 68 doli’edizione citata nell'informazione promossa al n.° 1729. .... Inaudieram iam aliquid de Galilei liberatione. Is vero sane non poterai carcererà valde diuturnum pati. Si literas enim vidisti quas vir ilio, lidei piemia, ad Diodatuin siniul et me scripsernt' 31 , perspectura est illuni non fuisse in culpa. Quod ratiocinaris do sonsu Scripturae, adsensummeum penitus quadrat. Vide autem, quanta solertia senex optimus in iis literis idem argumentum pertractet- 2639ter**. PIETRO GASSENDI a MARTINO ORTENSIO [in Amsterdam]. Tanaron, 13 agosto 1633. Dallo png. 64-65 doli' ediziono citata noli’ informaziono promossa al n « 1729. .... Ut ad exilitatem stellarum, cum errantium tum fixarum, redeam, video, prininm, quibus momentis clarissimi nostri nmici Scliickardi rationes 1 deiicias ut obscrvatam a me quantitatem Mercurii non esso augendam propter opticas fallacias demonstres.... Deinde tibi gaudeo, quod te eaedem propemodum cogitationes subierint, quao virum illuni nulli aevo unquam tacendum GalileumW. Is, cum primuin legit deprebensam a rao exilitatem $ , (t) Cf r . Ui o 2384. astronomici: felix fauatumque aiti Tubingae, tjpis <*» I’iktko o Giacomo Dupuy. Thoodorioi Worlini, iuipensis Pliilìberti Brunni, an- (8> cfr. n.° 2618 bis. no 1682, mense Augusto. l, lin. 18. ttoiaa P. Qasaendi, insignia philosophi Galli, de Mer- l0) Cfr. n.°2851, liu. 22-21. curio sub sole viso et (dii* notitulibut uranici ». Quod 432 SUPPLEMENTO. literis datàs signifioavit, persuasimi so iarapridem fu ime, Mercurium oaeterasque stella» esse magnitudini* inoredibiliter minori» quam vulgo hnbeantur ant appareant, meque id vitrarum in libro cuìub, praelo iam commendati, ©rat esemplimi stntim missurus»'. Stetit proinissis optimus sene*, ac medio nupero lununrìo litania erre alias ad ino et ad com- muiiem nostrum Elium Diodatuio conscripta.s ‘. quibus editionem auppreuaam et se Ro- io mairi citatimi monet, Sancto, ut vocant, Officio libri rationem redditmum. l’rofectuB ille Homarn est, ac ucbcìo quid iam cum ilio agatrr. Hoc persuasimi propo habeo, nulluin ad vor usquo pervenisso libri exempluui, neque spein superi *so niagnam ut brevi pervoniat. Quamobrem exscribam lieic tibi paginai» unam aut alterano, in qua agitur de exilitato stellaruni, ut videas qua rationo illuni sunimus vir obtinuerit Exscribam vero italice, ut liber ilio conscriptus est, quando te etiam italici* iiitolligerc ex eo colligo, quod eiuadem autliorÌB librum do macnlis solaribus cita», qui etiam italici! a est. (’ontinet liber dialogos quatuor circa duo systemala, Ptoleuiaicum et Coperuic&nuui. Itaquo quarto Dialogo, et pagina quidem libri 393, collocutore» Sagrcdus et Salviatus sic prosequunlur: Saqk. L’error dunque di costoro consiste etc., ad usquo illudi Veggo etc.<*> 20 Porro, et quando postremia illìs literis nuperi lanuarii, in quibus smini de exilitato 9 ot $ rcpetit sententiam, oontinetur insignii» quaedain ratiocinatio, vice re«poiisioiiis ad ea quae ex Sacra Scriptura oblici solent, Copernicanif, iucundiMÌmum liabebis, sat scio, si id quoque descripsero. Id nempe rescripsi occasiono timi Antaristarehi <*> tnm Famosi Pro- blematia W, quos libros nosti receus conscriptos ad sistcndum motuin telluris. Inter caetera orgo liaec halientur: Quanto al N. t che pur si monstra huomo di grande ingegno etc., ad usquo illud: alla moltitudine populare <•>. Sic ille.... 2B48bi»**. NICCOLÒ FARRI DI PEI RESO a PIETRO GASSENDI in Digno. Aix, 17 gennaio 1634. Bibl. Nazionali) In Parigi. Fondi franai*, n.° 12772, csr. 117. — Autografa. .... J’ay envoyé au Card. 1 Barberin, par le dernier ordinaire seulcment, un exemplaire do PExercitation d'IIortensius {7) , pour la joindre à cello de Sckikardtd, que je luy avoys envoyée l’an 1G32; et l’ay prie d’on faire part aussy au P. Scheiner. Si j’eusse eu vostre lettre, je l'eusse gardée pour le pauvre Galilei ; mais il aura l’exemplaire qui est ancore par les eli emina .... Puree quo M. r du Pny W m’eecrivoit que dana la Relation du moys on avoit imprimé tout au long la sentence de l’Inquisition contro lo pauvre Galileo (l0) , etquejen’eu uvoìb Cfr. n.o 2250, lin. 19-23. *•» Cfr. ».-> 2384. ,s ’ Cfr. Voi. VII, pag. 387, lin. 29 — pag. 390, lin. 1. Il passo però a cui qui si accenna non è noi Dialogo quarto, nò a pag. 398 doli’edizione originalo, ma nel Dialogo terzo, e a pag. 358-355. <*’ Cfr. n.“ 2256, lin. 31. <•» Cfr. Voi. VII, pag. 549. <«» Cfr. n.* 2884, lin. 24-78. n» Cfr. n.« 2851, Un. 18. «•> Cfr. n.* 2689 bia, lin. 2. <•* Pianto HurUT. i‘°» Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, c, 7). SUPPLEMENTO. 433 poinct receiì d’cxompluire, j’ay jugé par la grossenr da pacquet de M. r Lhuillier <*>, a vous adressó par le dornier ordinaire, qu’olle y seroit enclose; et saus avoir la peine do 10 l’envoyer choroher ailleurs par la villo, j’ay bien cren quo vous trouveriez meilleur que jo me dispensasse d'ouvrir vostre onveloppe, commo j’ay fai et, vous asseuraut quo j’ay eu uno grande passion do voir comment il a ostò traicté.... 2869bis**. NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC ad ELIA. DIODATI in Parigi. Aix, 7 febbraio 1634. Blbl. dTnguimbevt In Carpentraa. Colloctlon Poiresc, Addii. T. IV, li, car. 160. — Minuta autografa M. r J’ay receu la lettre dont il vous a pleu m’honorer, et faict tenir incontinent u M. r Gossond celle qui estoit joincto pour luy, dont jc pense que parie prochain ordinaire je vous ponrray envoyer la responce, ensemble le livre quo vous ino redemandez du Fosca- riniW, qui sera certainement tros bien employé en l’édition latine des Dialoguos du S. r Ga¬ lilei W; et en fut faict des anltres en menine ternps en divers lieux d’Italie, qui seroient bona a y joindre, mais pur disgiaco jo n’en ay jamais receu le fagot que l’on m’on on- voyoit do/, co tempa lìV, a causo de la niorfc surventte du geutilbonnne qui s’en estoit cliargó, sans quo j’aye peu recouvrer ce qa’il m’apportoit, ni que mes arnys m’en ayent 10 jamais peu envoyer on euppleer anitre cliose que ledit livre du Foscarini. Mais voz amia do Florence pourroiont bien vous y servir, s’ilz vouloi'ent, ou ledit S. r Galilei mesuies, ne doublaut paa que le toqt ne luy nyt ostò euvoyc.... 2874ws**. PIETRO GASSENDI a NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC in Aix. Digne, Il febbraio 1G34. Blbl. Nazionale in Parlai. Fonda frangala, t.° 9536, cnr. 230. — Autografa. _A propos de M. r Diodati, je suy bien aise de la faveur que vous luy faites eu luy cnvoyant vostre FoscarinW. Il sera peut estro bon neantraoins de l’advertir qu’il preime gardo que Bernegger ne face point mention que vous le luy ayoz envoyó. Escri- vant à M. p Diodati, je lui diray A tout hazard ce que peut estre il ne sgait pas, c’est que le dit Foscarin aveo Galilei avoiont esté censurez des je ne sgay quelle anime, me sou- venant d’en avoir ven la censure daus le comentaire du Pere Mercenne sur la Genese< 6 b Ce ne sera pas pour l’empesoher de faire ce qu’il voudra fairo, mais afin qu’il soit adverty du tout.... Francesco Luilmkr. <*> Cfr. n.o 1089. I») Cfr. n.° 2904. Cfr. n.» 2SG9 bis. 65 < 5 > F. Marini Mersbnni, Ordinis Minimorum S.Frnncisci do Paula, Quaestionr» ce/eberrimae in Orni- tini occ. Lutotiuo Parisiornm, suuiptibus Sebastiani Cramoisy, via Iacobaea, sub Ciconiis, M.UC.XXIII. XVIII. m SUPPLEMENTO. Al n.° 2908. BENIAMINO ENGELCKE a GALILEO in Firenze. Pisa, 19 marzo 1634. I,’autografo «lolla lotterà cho abbiamo pubblicato lotto il n.* 2908 (ofr. Yol. XVI, psg. « 8 ) «N unita Bibl. No/.. Fir., Mia. Gal., Nuoyì Acquieti, n• 89 5 e confrontato con la nostra odinone, olirà ad offrirò alcunn varietà “> di non molta importanti, contiene P imliriaao esterno: All’111." 0 Sig. r mio Pad." Osservanti.**"’ Il Sig. r Gallilaeo Gallilaei, in Firenze. 2957bi.**. NICCOLÒ FABR1 DI PEIRESC ad ELIA DIODATI in Parigi. Aix, 80 giugno 1634. Bibl. dTnguimbort in Garpontraa. CoIIoction Polrese, Addit T. IV, 8, car. I&0(. — Minuta autografa. _Mona/ Gassend receut lo petit Foacariniqueje n’attendois pna ai tost, carjo tn’imnginois qu’il deubst passar a Strasbourg. Un Jesaito Allemand, nomine Melchior Incbofer, a «script contro ceux qui veullent sou8tenir par la S.” Scripture le mouvement do la torre, sana prendro à tasche aulcun en particulier, et u intitulé son libvre Tractatus syllcptìcus, imprimé a Rome in-4°, 1638, chez Lud. Grignan ; mais non» n'on avons encorea veu qu’un exejuplaire, nppartenant an College de JesuitoB d'Avignon. Si toat que j'en auray un, j’en ay demandò à Rome, je vou8 en feray part.... 298 Ibis**. FILIPPO DI LUSARCHES a GALILEO in Arcetri. Noma, SO agosto 1634. Bibl. Naz. Fir. Mm. Gal., P. I, T. XII, car. 186. — Autografa. Molto 111.” Sig.” mio, Ilo riceutto qua questa settimana quella che V. S. m’aveva promosso di scrivere a S. E. Conto di Noaille, inviatami dui’ 111.“” Sig.” Geri Bocchineri, la (l * A Un. 1 1' autografo logge: lU.** SigS Pf* mio Ottereand. 1 *; a lin. 4, «t della, e altrimenti ; a lin. 5, tana tt taira; a lin. 6-7, marart?lùifo noti n* rivendo ; a lin. 9, ri volute idignare et tolamente ; a lin. 11, deriderlo, e et aeutitrimo; a lin. 14, eoram ipie; a lin. 15, inchoatae a me Copernicani Syitematii (tic: cfr. n.o 2856, lin. 12-18), in quo; a Un. 21, et dal Cielo ; a lin. 23. Obligatit».* A lin. 14 l'autografo legge gratini tamen 9 fnittu oeulatvi, a lin. 16 et itub exordinm aeriatie ad fintm, a lin. 19-20 memonam ae manwtM inter xsqi^À’.a, conio noi avevamo cor¬ retto e integrato la lezione offortn dalla stampa «Il cui et servivamo. «*' Cfr. nn.l 2869 bis, 2874 bis. *•' Cfr. n.« 2801. SUPPLEMENTO. 435 quale ho presentato subito a S. E. (11 ; et 1* à autta molto cara, ot non à potuto faro risposta a V. S. por questo ordinario, ma sarà per il primo. Et m’ à ordi¬ nato in tanto di lare un baciamano a V. S. da parto sua : ot la prima visita che farà dal Sig. ro Ambaciatoro di Toscana non sarà, senza parlare di Y. S.; ot a* asicura elio devo S. E. poterà favorire V. S., elio lo farà di tutto il coro, per¬ chè ho visto la stima che fa della sua persona. Forò scrivettoli speso ; et veda io noi mio particolare dove la poterò servire, cliò sono tutto suo. Di Roma, questo 30 di Agosto 1634. I)i V. S. molto 111.*® Aff’. ,n0 Servitore [...] Galiloo. Lusarclies. Fuori: Al molto 111. 10 Sig. r0 mio Oss.“° 11 Sig. ra Galileo Galilei. Nella villa. 3329bi 8 **. IACOPO SOLDANI a GALILEO [in Aratri]. Siena, 29 luglio 1636. Raccolta I,ozzi In Roma. — Autografa. Moli’ Ul. r ® et Ecc. m0 S. r e P.ron mio Oss. ,no E’ affetto che V. S. mi mostra, e l’onoro che mi fa nell’amorevol memoria che conserva di me, significatomi nella cortese sua de’ 26 del corrente, so bene non mi giungono nuovi, come effetti della sua esperimontata amorevolezza, mi obbligono nondimeno con più stretti nodi. Il S. r Mario Guiducci, che presenterà a V. S. questa, le farà testimonio della mia gratitudine e di quanto le viva servitore. Il Ser. m0 Sig. r Principe (2) , che ha molto gradito P offizio che in nomo suo ho passato con S. A. Zft , è affezionatissimo al suo merito, o mi ha comandato io che io la risaluti e la ringrazi della memoria che ella tieno di lui. Io poi la roverisco con tutto l’animo, o ricordandolo la mia antica osservanza, le prego da Dio ogni colmo di felicità. Di Siena, li 29 Lug.° 1636. Di V. S. molto Ill. r0 et Ecc. raa Devotiss. 0 ot Obblig. mo S.° S. r Galileo Galilei. Iacopo Soldani. Leopoldo dk’ Medici. 436 «SUPPLEMENTO. Al n. 4 3496. GALILEO a LORENZO REAI>10 [in Amsterdam]. Àrcetri, giugno UM7. Le Un. 179-262 della lotterà che Botte 11 n.® 8496 (cfr Voi XVII, pag. Oii-105) pubblichiamo conforme al tento dell' Edizione fiorentina delle Opero di Gaulbo del 1718, Bono «Hate, con lezione npeMO piti o meno diversa, da Viscbxzio Viyiaki nella ma lettera del 20 agosto 1669 al Principe Lbopoldo db’ Manici sull’orologio di Ualilbo. Cfr. la lettera del Viyiam nel Voi. XIX, tra le narrazioni della vita di Gaudio. Al n.° 3634. FRANCESCO DI NOAILLES a GALILEO in Firenze. Parigi, 1° (gennaio 1638). Nolln Raccolta Lozzl in Roma è la asconda cari* dell’ autografo della Ir «torà che abbiamo pnbblicato sotto il n.® 3684, la cui prima cnrta è nrila liiblioteca Nazionale di Firenze, M«. Gal., P. I, T. XV, cnr. 22 (ofr. Voi. XVII, pag. 246). Attaccato inferivruiente alla onda carta b un lombo della prima, sul quale al logge parto doli» data, cioo: De Par (cfr. citato n.® 3634, lin. 19). Il secondo foglio contiene una traduzione italiana, di mano sincrona, della lettera, e di fuori l’Indirizzo, non autografo: A Monaieur Monsieur Galilei, premier Philosophe et Mutilenmticien do S. A. Monseig/ le Grand Due do Toscano. F. 392W. GIROLAMO BARDI a PIETRO GÀSSENDI [in Digne]. Rapallo, 21 settembre 1639. Dalle pag. 487-438 dell’edìzlono citata nell’informazione del n® 1729. -Mitto ad to opusculi excmplar, de quo indicinm tnnm elucidare ne graveris lypis excuBiis est libor Galilaei de motu, quatuor «balogia italici» auo more expe- ditns, de quo quideni Senis aptid ipaum decem dialogo* vidnram. Multa quiduiu novo, 8cd libella physica et mathematica lance, aequilibranda proponit.... <*> Cfr. n.® 4062. INDICI GENERALI. INDICE GENERALE CRONOLOGICO Voi. Pag. Tedaldi M. a V. Galilei 13 gen. 1574 X 17 » » 9 feb. » » » » » 10 mar. » » 18 » » 4 gen. 1575 > 19 » » 29 apr. 1578 » > » » 16 lug. » » 20 .a. 1588 » 21 G. a G. Olavio. 8 gen. 1588 » 22 Glavio G. a G.16 » » » 24 Del Monte G. a G— » » » » 25 Gaetaui E. al Senato di Bologna.10 feb. » >26 G. a C. Glavio.25 » » » 27 Glavio C. a G. 5 mar. » >29 Riccoboni A. a G.11 » » » 30 Del Monte G. > ... 24 » » » 31 Coignet M. »... 31 > » » » Del Monte G. » ... 28 mag. » » 33 » »... 17 giu. » > 34 G. a G. del Monto .... 16 lug. » > 35 Del Monte G. a G. ... 22 » » » 36 » »... 16 set. » » 37 » »... 7 ott. » » 38 fi »... 30 die. » » 39 Ricasoli Baroni G. a N. Ricasoli Baroni... 11 mag. 1589 » » Ricasoli Baroni G. a R. Paiulolfini.25 >► » > 40 Voi. Pag. Ricasoli Baroni G. a F. Guadagni, N. Rica¬ soli Baroni e L. Giacoraini.15 giu. 1589 X 40 Del Monte G. a G. ... 3 ag. » » 41 G. a L. Giacomini. 5 ott. » » » Zorei B. a B. Valori... 2 die. » » 42 Del Monte G. a G. ... 10 apr. 1590 » » G. a G. Capponi. 2 giu. » » 43 » a V. Galilei.15 nov. » » 44 Del Monte G. a G.... 8 die. » » 45 G. a V. Galilei.26 » » » 46 Del Monte G. a G. ... 21 feb. 1592 Pinelli G. V. » ... 3 set. » Pinelli G. V. » ... 3 set. » » 47 » » 9 set. 1592 \ UguccioniG. a B.Vinta 21 set. 1592 X 49 Pinelli G. V. a G.25 » » » » Uguccioni G. a Ferdi¬ nando I de 1 Medici 26 » » » 50 Zorzi B. a G.12 die. » » » Bissato M. A. a G. .. 15 » » fi 51 Contarmi G. » .. 22 » » » 52 Sascerido G. (?) a .... 28 » » » 53 Del Monte G. a G... 10 gen. 1593 » * Mercuriale G. » .. 3 mar. » » 54 G. a G. Contarmi.22 » » » 55 Contarmi G. a G.28 » » » 57 Galilei L. » .. 1° mag. » » 60 440 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi r*g. Voi. p a(r . Ammarinati Galilei G. Brnce E. a G. Kepler 15 ag. 1602 X 90 a G.29 mag. 1593 X 61 Sagredo G. F. a G... 23 > » » 9 Del Monte G. a G... 3 set. » » 62 Sarpi P. 9 .. 2 set. » » 91 Sertini A. » .. 19 nov. » » 63 Pozzobonelli P. » .. 12 » > » 93 Sagredo G. F. » .. 28 » D 9 95 G. ad A. Mocenigo... 11 gen. 1594 > 6-1 Pignoria L. a P. (ìual- Alamanni L. a G. 11. do. 8 ott C> 9 96 Strozzi. 7 og. 9 » 66 Sagredo G. F. a G... 18 » 9 9 » G. a G. del Monte... 29 nov. 9 9 97 G. a.14 giu. 1596 » » Sagredo G. F. a G... 20 die. 9 9 100 » a I. Mazzoni.SO mng. 1597 » 67 Morosini F. a G.10 gen. 1603 9 101 » a G. Kcpler. 4 ag. » » » Venier S. » ....23 » » 9 102 Kopler G.aM.Milstlin set. » * 69 G. ai Riformatori dello » a G.13 ott. 9 » » Studio di Padova. 12 feb. j> 9 103 Del Monto G. a G. . 17 die. » 9 71 I Riformatori dello Studio ai Rettori Kepler G. a G. ITerwarfc di Padova.20 * » 9 > von Ilohenburg.. 26 nmr. 1598 9 72 Bruco E. a G. Kepler 21 ag. » » 104 Tengnagel F. a G. A. D’Esto A. a G,.20 mar. 1599 > 9 Magi ni. » 9 » Pinolli C. » .... 3 apr. > > 73 l)a Mula A. * . > lug. > 9 9 Sagredo G. F. a G... 12 apr. 1604 9 105 Mercuriale G. a G... 9 * 9 9 74 G. a V. Gonzaga-22 mag. 9 9 106 Kepler G. a.18 > 9 > 75 Da Coscio C. a G. ... 24 * 9 9 108 Quirini A. a G . 24 ag. » 9 76 Gonzaga V. »... 26 » 9 9 109 Sagredo G. F. a G... 1° set. » 9 77 Gloriosi G. 0 . »... 27 » 9 9 110 De* Medici A. »... 28 gin. » 9 » BraheT.aG.V.Pinelli 3 gen. 1600 9 78 I^entowica M. »... 13 ag. > 9 111 * a G . 4 mag. » 9 79 Ricques D. »... 6 set. » » 112 G. a G. Amuianuat i Ga- Sarpi P. »... 9 ott. » 9 114 liloi.25 ag. 81 115 Altobelli I. a G. 3 nov. 9 9 116 G. a G. B. Strozzi... 5 gen. 1601 9 82 * » . 25 » 9 9 118 Mercuriale G. a G... 29 niag. > 9 83 Alberti A. a G. Mali- G. a M. A. Galilei.... 20 nov. » » 8-4 pierò.17 die. 9 9 120 Clavio C. a G.18 » 9 9 9 Sagredo G. F. a G... 17 gen. 1602 * se Tedeschi L. » .22 » 9 9 122 G. a B. Valori.13 mar. » 9 132 » » .26 apr. » ► 87 » ai Riformatori dello Castelli 0. a G.1° gen. 1605 9 133 Studio di Padova. mag. » > 88 G. a 0. Castelli (?)... » * 9 134 I Riformatori dello Altobelli I. a G.10 » » 9 135 Studio ai Rettori Brenzoni O. » .15 » 9 9 137 di- Padova. 9 » 9 9 89 Capra B. a G. A. della Sagredo G. F. a G... 8 ag. * 9 9 Croce..1C feb. 9 9 141 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 441 Voi. Pag. Voi. Pap. Spinelli G. ad A. Quo- Capra 13. a G. E. di rengo.28 feb. 1005 X 141 Brandeburgo .... 7 mar. 1007 X 169 Sagredo G. F. a G... 12 mar. » » 142 Castelli B. a G.1° apr. » » » Sertini A. » 1G apr. » » » Cornare G. A. ad A. Giugni V. » .. 4 gin. » » 144 Capra. 4 » » p 171 (ì. a N. Giugni.11 » i> p 145 G. ai Riformatori dello Del Maostro G. a G. 15 ag. » p 140 Studio di Padova. 9 » » P » Cristina di Lorena » 25 ott. » » » Saracinelli C. a G. .. 13 » » » 173 Barbolani da Montali- Cornano G. A. a G... 21 » » p > to A. a 13. Vinta. 21) » » » 147 » » .. 24 > » » 174 Barbolani da Montnu- » » » .. 25 » p » 175 to A. a Ferdinan- Delle Colombo L. » 24 giu. » » 176 do I de’ Medici.. > p s> p » G. a C. de’ Medici ...» ag. » » 177 Giugni V. a G . 5 nov. » » 148 » a G. Quaratesi- » » » p 178 (1. a Cristina di Lo- De’ Medici C. a G. .. 11 set. » p 179 rena . 11 > p » 149 Saracinelli C. » .. » » » » 180 » a C. de’ Medici... 18 » » » » Piccolomiui S. » .. 8 ott. » p 181 Saracinelli C. a G. .. 5 die. » » 150 Gualterotti R. » . . 20 » » p 182 Breuzoni 0. » .. 19 » » » 152 Magagnati G. » .. 21 » » » p 0. a C. de’ Medici... 29 » » » 153 Castelli B. a Don Er- magoradi Padova. 24 » » » 183 Do’ Medici C. a G. .. 9 gen. 1000 » 155 G. a C. Picchena .... 10 nov. » » 184 Saracinelli F. » .. 12 » » » » Giugni V. » .. 21 » » » 156 G. a C. Picchena- 4 gon. 1608 P ISO («. a M. A. Galilei ... 11 mag. » » 157 Vinta B. a G.13 » » p 187 Saracinelli 0. a G. .. 20 * » p 158 G. a B. Vinta. 8 feb. » P 188 Barbolani da Montau- Venier S. a G.17 » » > 191 to A. a Ferdinan- Ghetaldi M. » .20 » » p p do 1 de* Medici.. 10 giu. p » 159 Galilei M. A. » . 4 mar. » » 192 Giugni Y. a G.20 » » p 100 G. a B. Vinta.14 » 5> » 194 G. a C. do’ Medici... 10 lug. » » p PiguoriaL.aP.Gualdo 21 » » » 195 Barbolani da Montau- Gagliardi G. a G. ... » » » 19G to A. a B. Vinta. 12 ag. » » » Vinta B. »... 22 » » » 197 Barbolani da Montau- Gualterotti R. » ... 29 » » » 198 to A. a B. Vinta. 20 » p » 101 G. a B. Vinta. 4 apr. » » 199 -a V. Giugni.23 set. p » » Vinta B. a G.12 » » » 200 Saracinelli O. a G. .. 30 * p » p Santini A. » .1S » » » 201 G. a.27 ott. » » 162 Vinta B. » .19 » » » » Sagredo G. F. a G... 23 nov. p » 163 I Riformatori dello G. a Cristina di Lorena 8 die. » » 164 Studio ai Rettori di Padova. » » » » 202 PetraroluB 1. A. a B. Sagredo G. F. a G. .. 22 » » » 203 Capra.1° gen. 1007 » 166 » » .. 26 » » » » Del Monte A. a G... 8 » » » » G. a B. Vinta. 3 mag. » » 205 Picchena C. » 25 > » p 107 » » .23 » P p 209 G. a C. Picchena .... 9 feb. » » 168 Vinta B. a G.29 » J> » 210 XVIII. 56 442 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. r 253 G. a lì. Vinta.20 » » 2if> Piccolomini Aragona Brenzoni 0. a G.21 » » 216 E. a G. » » » » 254 Sertiui A. » .... 3 ll g- » 217 Bartoli (r. u 15. Vinta. » » » » 255 » * - 5 » 218 Pignorili L.a P.Gualdo 31 » » » » » * .... 18 » » 219 Morosini A. a G. 4 set. » » 256 Duodo P. * .... 30 » » 220 .... a G. Carolila.... » » 9 » > G. a Cristina (li Lo- Bartoli (ì. a 15. Vinta. r. » » » 257 set. » 221 I)o’ Medici A. a G... 12 » » » » Duodo P. a G . 10 ott. » 223 Strozzi (ì. B. » .. 19 9 » » 258 Picohena C. » . 18 die. » 224 Piccolomini Aragona G . a Cristina di Lorena 19 > 9 225 E. * G . » 9 » » » Bartoli G. a 11. Vinta. 26 9 9 » 259 Cristina di Lorena a G. 8 gen. 1609 » » » 3 ott. 9 » 260 (LaCristina di Lorena 16 » » 226 PignoriaL. a P. Gualdo 15 9 » 9 » 227 Bartoli G. a B. Vinta. 17 » » » » G.aCristina di Lorena 11 feb. » » 9 r 24 9 » » 261 i» ad A. do’ Medici ...» » » 228 Sagredo (ì. F. a G... 28 9 » 9 * » a Cosimo li de’Me- fi. a B. Vinta. 30 9 9 9 262 dici . 2G » » 230 Bartoli G. a B. Vinta. 31 9 » 9 264 » a Vesp . » > 231 (}. ai Riformatori dello Duodo P. a G . fi mar. > 234 Studio di Padova. 4 nov. » » * De’ Medici A. a G. .. > » » 235 Vinta 11. a G. 7 9 » 9 265 Cosimo li do’ Medici * a G. Liczko » 9 » 9 266 a G . 7 » » 236 Bartoli G. a II. Vinta. > 9 » > 267 fi. ai Riformatori dello G. » 20 9 » » 268 Studio di Padova. 9 » » » Ammannati Galilei G. Duodo P. a G . 10 > » 237 ad A. Pieimuti.. 21 9 » » * 238 23 * * 269 Geraldini G. C. a G. 12 » » 239 Ammannati Galilei G. Valerio L. a G. 4 apr. » » ad A. Piersanti.. 24 9 » * 270 Cardi da Cigoli L. a G. 9 » » 241 G. a M. A. Buonarroti 4 die. 9 » 271 Sagredo G. F. » 30 » » 242 Brenzoni 0. a G. 15 9 » > 272 Cardi da Cigoli L. » 22 mag. > 348 Valerio L. * 23 » » 244 G.ad A. de’ Medici (?) 7 gen. 1610 » 273 » » 30 » » 245 Viuta B. a G. 9 » 9 9 278 Piccolomini Aragona Ammannati Galilei G. E. a G.27 giu. > 246 ad A. Piersanti.. > » » » 279 Duodo P. a G.29 > » 2-47 G. a II. Vinta. 30 9 9 * 280 Valerio L. * .18 lug. » 218 Vinta II. a G. 6 feb. 9 * 281 Pignorin L. a P. Gualdo 1° » 250 Piccolomini Aragona Bartoli G. a B. Vinta. 22 » » » E. a G. » » 9 » 282 G. a L. Donato.24 » » 251 G. a B. Vinta. 13 9 9 » » Sei'tini A. a G.26 » » * Vinta B. a G. 20 9 9 » 284 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 443 Voi. Pag. Gualterotti R. ad A. Serti» i. 1° mar. 1610 X 285 Gualterotti R. a G... G. a Cosimo li do’ Me- G » » p 286 dici. 12 t> » 288 Wclser M. a 0. Clavio » » » » » G. a 13. Vinta. Sarpi I*. a G. Lesohas- 13 » » p » sier. 1G » » p 290 Cardi da Cigoli L. a G. 18 » » »> p Manso G. 13. a I*. Boni » » » 291 » a G. » » » » 296 G. a Cosimo II do’ Me- dici. 10 » » » 297 » a B. Vinta. » * * » p Vinta B. a G. Selvatico G. a F. Yen- » » » » 302 dramin. 20 » » » 303 Selvatico-G. a F. Vcn- dramin. 26 p » p 304 Piccolomini Aragona E. a G. 27 » p p p Sertini A. a G. » » p » 305 Bartoli G. a B. Vinta. » » » p 306 Vinta B. a G. 30 » » ' » 307 Iiorky M. a G. Kepler. 31 » >> » 308 Breuzoni 0. a G. 3 apr. » » 309 Castelli B. » .... » » » 310 Horky M. a G. Kepler Gualterotti 11. a Cosi- 6 » » 311 mo II de’ Medici » p » XVIII 400 Conti 0. a G. 11 » P X 311 Galilei M. A. a G_ 14 p P > 312 Hasdalo M. » ... 15 » » p 314 Fugger G. a G. Kepler 16 » P p 316 Horky M. ^ p > » p » Altobelli I. a G. Cristina di Lorena a 17 p P p 317 Y. Giugni. 18 » P p 318 Be’ Medici G. a G. .. 10 » P » Kepler G. » .. Magini G. A. a G. Ke- » p P » 319 pler. 20 P p 341 Fancelli 0. a M. Bar- tolini. » » » p p Gualterotti il. a G... 24 » P p » Voi. Pag. Horky M. a G. Kepler 27 apr. 1610 X 342 Del Monte F. M. a G. 28 » » » 343 IIusdale M. » Fontanelli A. ad A. » p » » 344 Buggeri. apr.(V) » » 346 Bartoli 0. a G. Kepler G. a G. de’ Me- 1° nmg. » > 347 dici. 3 > » p 348 G. a B. Vinta. Keplor G. a G. A. Ma- 7 * » p » gini. 10 p » p 353 Mermanni T. a G- 12 » > » 354 G. a B. Vinta. 21 » » » p Vinta B. a G. 22 p » » 355 > ad O. d’Elci 23 > i> » 356 G. a M. Oarosio. 24 p » » 357 Horky M. a G. Kepler » p ► p 358 » p 26 p > p 359 Magini G. A. a G. Ke- pler. p p p » » G. a B. Vinta. 28 » » » » Minucei A. a G. p p » » 360 Fugger G. a G. Kepler » p » » 361 Labia A. a G. 29 p » » » 362 Gloriosi G.C.aG.Ter- l'enzio. p » p 363 Barbolani da Montau- to A. a B. Vinta. > p » p 364 Hasdalo M. a G. 31 p J> » 365 Bel Monte F. M. a G. 4 giu. p » 367 Giugni V. » 5 » p » 368 Vinta B. i» p » » » 369 Hasdalo M. » 7 p » » 370 Be’Medici G. aB. Vinta » p » XVIII 410 Manso G. B. a G. ... 8 » » X 371 Iiorky M. ai Bottori di Filosofìa e di Me¬ dicina dell’ Uni- versità di Bologna 15 p p p p Bel Monte 0. a G... 16 p » p p G. a B. Vinta. 18 » » p 372 Labia A. a G . 19 p » » 375 Rofi’eni G. A. a G.... Magini G. A. ad A. 22 » p p » Santini. » p p p 377 444 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Pr(t. Voi. Pag. Lotti 0. a B.Vinta.. 23 giu. 1610 X 377 Kepler G. a G. 9 ag. 1610 X 413 21 » » Ilasdale M. » . » » 417 Magioi (L A. ad A. Kepler G. a M. llorky » » » 419 Santini. * » * 378 Roffeni G. A. a (1.... Hi » » » G. a V. Giugni. 25 » » » 879 Ilasdale M. » ... 17 » » 420 Borghese S. a G. 26 » * » :w2 G. a G. Kepler. 19 » » 421 Dol Monte F. M. a G. » » » » 383 Roffeni G. A. a G.... * » » 423 Vinta B. * » » * > » Vinta B. > ... » » » » Barbolani da Montau- G. a B. Vinta. 20 » » 424 to A. a B. Vinta. » » » > 884 Gloriosi G. C. ai Rifor- Roffeni G. A. a G.... 29 » » » > inutori dello Stu- Gessi B. »... 30 ». » » 385 dio di Padova... » » » 425 Horky M. a G. Kepler » » » » 386 De’ Medici G. a G. .. 23 » » 426 » a F. Sizzi.. » » » » Ilasdale M. » .. 21 » » » G. a B. Vinta. 2 lug. > » 387 Do’Medici G. * .. 6 set. » 427 Strozzi II. a G. » » » • Miistlin M. a G. Ke- Cittadini F. M. a G... 3 » » • pler. 7 » » 428 Ilasciale M. » .. 5 » » • 390 Magini G. A. a 8. Beaci 8 » » 429 Roffeni G. A. » .. 6 » » » 391 Cioli A. a li. Vinta .. 13 » » 430 Botti M. a B. Vinta.. » » » » 892 Stellati F. & G. B.Stel- Massimiliano di Ba- lati. 16 » * » viora a G. 8 » » » 393 G. a C. Clavio. 17 » » 431 Schròtor B. a G. » » » \ » Pinolli F. a G. » » » 432 Santini A. > .... 10 * » » 897 G. a V. Omini. 18 » 433 Sertini A. » .... * » » » 398 Botti M. a B. Vinta .. 19 » » » llorky M. a P. Sarpi. » » » » 399 PignoriaL.aP. Gualdo > » 434 Gobìiiio II do’Medici » a G. » » » » 4M Valerio L. a G.... 34 set. 1610 ! xvm 411 Ilasdale M. a G. 12 » » » 401 Santini A. » . 25 set. 1610 X 435 G. a B. Vinta. 16 » » > 403 Pignoria L.a P. Gualdo 26 » » 436 De’ Modici G. a G. .. 19 » » » » Castolli B. a G. 27 » » D’F.lci 0. a B. Vinta. 22 » » » 404 Magini G. A. » . 28 > » 437 G. a Massimiliano di G. a Cosimo II do’ Me- Baviera. > » » XVIII 411 439 » a Cosimo II de’Me- * a G. de’ Medici... 1° ott. » » dici. 23 » » X 406 Cardi da Cigoli L. a G. * » » 441 Ciampoli G. a G. 24 » » > » Magini G. A. » o » 442 Del Monte F. M. a G. » > » » •107 Orsini V. » 8 » » 443 Feretti di Montalto A. Del Monte F. M. » 9 » 444 a G. » » » » » Santini A. » » » » Roffeni G. A. a G.... 27 » » » 408 Magini G. A. » 15 > » 445 Strozzi Jt. »... 2‘J » » » •109 G. a M. A. Buonar- G. a B. Vinta. 30 » » » » roti. Iti » 446 Farnese 0. a G. 6 » » •110 Duodo P. a G. » » 447 Sertini A. » . 7 » * » 411 Wodderborn G. ad E. Sizzi F. a G. de’ Medici » » » * 413 W otton. > » » 448 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 445 Voi. Pag;. Voi. Pag. Do’ Medici G. a G. 1S ott. 1610 X 448 G. a G. do’ Medici... 1° gen. 1611 XI 11 Liceti F. » 22 » » p 449 Wolser M. a G. 7 » » » 13 Magmi G. A. » .. 23 » » p 450 » a C. Clavio * » » » 14 Valerio li. » .. » » » p 451 » a P. Gualdo » » » » 15 Buonarroti INI. A. a G. » » » » 452 Kepler G. a G. 9 » » » » Scggett T. » 24 » » » 454 Farnese O. » .IO » » » 17 Cardi da Cigoli L. » » » » t> 456 Antonini D. » .11 » » » 18 ICepler G. » 25 » » » 457 Magini G. A. » . p » » » 19 Welter M. » 29 » » » 460 Vinta B. » .12 » » p 20 Kepler G. a G. do’ Me- Campanella T. a G... 13 » » » 21 dici. . • » j> s> 462 G. a B. Vinta.15 p » p 2G Magini G. A. a G. .. 2 nov. » » 463 PignoriaL.aP.Gualdo » » * » 28 Santini A » .. 6 » » p 464 » » 19 » » » p G. a M. Wolser... • ♦ 8 » » » 465 Vinta B. a G.20 p » » » » a G. G. Brengger. p p » » 466 Broiner G. F. a G. .. 22 » » » 29 Magini G. A. a G. • 9 9 » » » 473 Grienberger C. » .. » » » » 31 G. a G. de’ Medici • • 13 » » > 474 1 >uodo F. » .. 27 » » » 35 Cardi da Cigoli L. a G. * » » » 475 Cardi da Cigoli L. a G. 28 » » » 36 Magini G. A. » 20 » » » 176 Vaiorio L. *> » » » » 37 Gualdo F. » 25 » » » p G. a M. Wolser. feb. » » 38 Cardi da Cigoli L. » 26 » » » 478 Gualdo P. a G. 4 » » » 41 l)o’ Medici G. » 29 » p » » Do’ Medici G. a G. .. 7 » » » 42 Santini A. » 4 die. » » 479 Gualdo P. » .. 10 » » p 43 Castolli B. I» 5 » » » 480 Roffeni G. A. » .. 11 » » » 44 G. a G. de’ Medici • • • Il » » » 483 Wolser M. a 0. Clavio » » » * 45 » a F. Gualdo. .. 17 » » p 484 G. a F. Sarpi.12 » » » 46 Clavio C. a G. ... » » » » » Santini A. a G.» » » p 50 Kepler G. a F. Miil- Welser M. » .18 » » » 51 ler (?). , . 18 » P > 485 G. a.25 » » » 52 Ilasdalo M. a G. 19 » » » 491 Gualdo F. a G. » » » » 56 De’ Medici G. » 20 » » » 493 Micanzio F. » .26 » » » 57 Castelli B. » 24 » » » » Rofleni G. A. » . » » » » 58 Farnese 0. » » » » » 494 Papazzoni F. » . » » » » 59 Santini A. » 25 » » p 495 Cosimo li de’ Medici Magini G. A. » 28 » » » 496 a G. Niccolini... 27 » » 5> 60 Gualdo P. » 29 » » » 497 Cosimo 11 de’ Medici G. a C. Clavio... 30 » p » 499 a F. M. del Monte. » » » » » a B. Castelli . » » * » 502 t G. a G. de’ Medici... » » » 61 Liccti F. a G- 31 » » » 505 Papazzoni F. a G.. .. 1° mar. » » 63 Kepler G. » ... t> » » 506 Belloni G. »... 4 » » » 64 Della Porta G. B. a F. Pignoria L. » » » 65 Cesi . 1610 » 508 Roffeni G. A. »... » » » » 66 G. a C. Clavio. 5 » » » 67 Orsini F. G. a G . 7 » » P 68 Di Zbarnz C. a G. .. 8 » » P » Santini A. » 9 » » 69 446 indio: generale cronologico. D'Acquavi va G. a G. 12 mai'. 1611 Voi. XI Ps« 70 Vonier 8. » » » » » G. a 13. Vinta.19 » > 71 Vinta 13. a G. » > > 72 Buonarroti M. A. a M. Barberini.22 > » » Ernesto, Elottore di Colonia, a C. Cla¬ vio .24 > » 73 Welser M.atì.26 > > > Sizzi P. a G. A. Ma¬ gio» .26 > » 74 Kepler G. a G.28 » > 77 Niccolini G. a Cosi¬ mo II de* Medici. 30 » > 78 G. a 13. Vinta. 1° apr. > > 79 Barberini M. a M. A. Buonarroti. 2 » » 80 Barberini M. ad A. de’ Medici. » » * 81 Del Monto F. M. a Co¬ simo II do 1 Medici * > » » Castelli B. a G. 3 > » » G. a V. Orsini. 8 » » 82 Del Monto F. M. ad A. de’ Medici. * » » 83 Antonini D. a G. 9 » » 84 Bandini 0. ad A. de’ Medici. * > * 86 Muti T. ad A. de' Me¬ dici. » » > 87 Bellarmino R. ai Ma¬ tematici del Col¬ legio Romano ... 19 » * » Sizzi F. a C. Clavio.. 20 » » 88 G. a F. Salviati.22 > » 89 Magini G.A. aS. Bonci * » * 92 Niccolini G. a B. Vinta 23 » » » I Matematici del Col¬ legio Romano a R. Bellarmino.... 24 » > » G. a B. Vinta.27 » » 94 Galilei M. A. a G. ... » » > 96 Antonini D. » ... 29 » > 98 Welaer M. a G. Faber * » > * Cesi F. a F. Stelluti. 30 » » 99 Gualdo P. a 0. 6 Voi. Pag. mag. 1611 xi 99 Niocolini G. a B. Vinta » » » 101 I)ini P. a 0. Sneaetti . 7 » » Antonini I). a G. 14 » » 102 Snasetti 0. a P. Dini » » » 103 Vaiorio L. a M. Baldi 20 » » 10-1 G. a P. Dini. 21 » » 105 Gualdo I*. a G. 27 » » 116 Delle Colombe L. a C. Clavio. » • » 118 Del Monto F. M. a Co¬ simo II de’Medici 31 » > 119 Bettoli G. a C. Grien- berger.. 4 giu. » > Bettoli G. a M. Sar¬ rocchi. » » » 120 Guicciardini P. a B. Vinta » » > 121 Brengger G. G. a G. 13 » » > Vinta B. a P. Guicciar¬ dini. » p > 125 Biancani G.aC.Grien- berger. 14 » » 126 Welter M. a G. 17 » > 127 Roffeni G. A. » - 18 » > 128 Antonini D. > . 24 » » 129 Grienberger C. n G. » » » 130 Gallanzoni G. * 26 » » 131 Cardi da Cigoli 1*. » 1* lug. » 132 Ramponi G. L. » » » » 133 Welter M. a G. Faber > » » 136 Borsacchi C. a G. ... 3 > > 137 Roffeni G. A. * ... 6 » » 138 Antonini D. » ... 9 » t » Gualdo P. »... 12 » » 139 Welter M. a G. Faber 15 » » 140 G. a G. Gallanzoni 16 lag. 1611 * 141 XVIII 412 Santini A. a G. 20 lug. 1611 XI 155 Niccolini F. » .... 21 > > 156 Gualdo P. ► .... 22 » » > Della Porta G. B. a F. Cesi. lug. 1611 » 157 XVIII 413 Ce«i F. a G. 23 lug. 1611 XI 158 Ramponi G. U a G... » > » 159 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 447 Voi. Pag. | Voi. Pftfc. Do Saint-Vincent G. a Do’Medici A. a G... 31 . ott. 1011 XI 227 G. van clor Strae- Duodo F. » .. 11 nov. » p 22S tea.23 lug. imi XI 1G2 Cardi da Cigoli L. a G. » j> » p » Sarrocclii M. a G.... 2'J * » » 1(33 Gualdo P. » » » » p 230 Gualdo P. »... » » » » 165 Valerio L. » » » » p 231 Perugino I. a G. Perù- Tamburelli D. a C. gino.30 » » » 100 Grienhorgor. » » » » 233 Kopler G. a N. \V ickens » » » » Schciuor C. a M. Wel- Cardi da Cigoli L. a ti. 11 » » 167 Ber. 12 » » » » Ceni F. » 13 » % » 109 De’MediciG.aB.Vinta 14 » » p 234 Sagrcdo G. F. » » » » » 170 Del Monto F. M. a G. 18 » » » p Dotti M. » 18 » » » 173 Welsor M. a G. Faber » » » » 235 » a Cosimo II Do’MediciG.aB.Vinta 21 » » p » de’ Medici. » » » > 174 Welscr M. a P. Gualdo 25 » p p 230 Cesi F. a G.20 » » » » Cesi F. a G. 3 die. p p » Cardi da Cigoli L. a G. 23 p » p 175 Magagnati G. a G. .. 10 » » p 237 Sarrocchi M. aG. Det- Cesi F. a G. Faber... 11 » » XVI11 413 ioli.27 » » » 177 p »... 12 » » » 414 Perugino 1. a G. Perù- Faber G. a G. 15 » » XI 238 178 Mailer T. » . 239 G. a C. Grionhcrger. 1° set. » p » Cesi F. p . 10 p » » 240 Autoniui D. a G. 2 » » p 203 Cardi da Cigoli L. a G. » » p p 241 Agucchi G. D. * .... 9 » » » 205 Duodo F. » » » » » 242 Sarrocchi IVI. » .... 10 » » » 200 Gualdo P. » » p p » 243 Polloni G. A. » .... 11 » » » 207 Licoti F. » » » » » 244 Di Joyeuso F. » .... 15 » » » 20S Del Monte F. IVI. » » » p » 245 Cardi da Cigoli L. a G. 1(5 » » » » Wolser M. a G. Faber » p » » 240 Duodo F. » » » » » 209 Magagnali G. a G.. 17 » » p p Cesi F. » 17 » » » 210 Remo G. a G. Kepler p p p p 247 Gallanzoni G. » * » » » 211 tì. a F. Cesi. 19 » p » » Lagalla G. C. a L. Cap- ScheinerC.aM.Wclsei » » » » 248 poni.22 > » » 212 Agucchi G. B. a G.. 23 » » » 249 Cardi da Cigoli L. a G. 23 » » p » Cesi F. » . 24 » p » 250 G. a L. Cardi da Cigoli 1° ott. » p 213 Stelluti F. » . » » p » 251 Agucchi G. B. a G... 7 » » » 214 Scheiner C. a IVI. Welse 26 » p » 252 Venier S. » .. 9 » » » 215 Santini A. a G. 29 » p » » Barberini M. » .. 11 » » » 21G Passignani D. aG.. 30 » » » 253 Roileui G. A. » .. » » » p 217 Sarrocchi M. » .. 12 » » t 218 Piccolomini d’Arago- Agucchi G. B. » .. 14 » » > 219 na E. a G. 1° 1 gen. 1012 p 254 Demisiani G. » .. » » » p 221 Sagredo G. F. a G... 2 » » p p Sarrocchi M. » .. 15 » » » 222 Agucchi G. B. » .. 0 » p p 255 Cesi F. » .. 21 » » p 223 Sarrocchi M. » .. » » p » 250 Piccolomini d’Arago- Welser M. » .. » p » p 257 na E. a G.23 » » p 224 » a G. Faber » » p p » Agucchi G. B. a G... 29 p > p 225 Cesi F. » 7 » » » 258 448 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Yol. Pur. Voi. Pag. 6. ad A. Gioii. 9 gen. 1012 XI 268 G. a M. Barberini... 2 giu. 1012 XI 301 Magmi G. A. a 11.... 10 » # » 259 Ckbì F. a (ì. » * » » 312 Gioii A. »... 12 » » » 201 ile Filiis A. a G. » » » » 313 Savroccin M. » ... 13 » E » » Sagredo G.F. »....» » » » » Welser M. »... » » » • 268 G. a B. Vinta. 4 * » > 316 » a G. Faber » » » » » Cesi F. a G. * » » » 317 Agucchi G. B. a (1... 20 » » 201 Barberini Al. a G.... 5 » » » » G. a M. Sai-rocchi... 21 » » » 205 Curdi da Cigoli L.a G. 8 » » » 318 Castelli B. a (ì.21 » » » 200 Gualdo P. » » » » » 319 Sagredo G. F. a G... 20 » » » » Magagnati G. » » » » » 321 Cesi F. a G. Fabor .. 31 » » » 207 G. a M. Barberini... 9 * » » 322 Cardi da Cigoli L. a G. 3 feb. » » Cesi F. a G. » » » » 323 Antonini D. » 4 » » » 209 Sarrocchi M. a G.... * » » » 321 Cesi F. » » » » » 271 Barberini M. »... 13 » » » 325 Grionbergor G. » 5 » » » 272 G. a F. Gonzaga .... 15 » » » » Antonini D. » 11 » » » 275 » a P. Gualdo.10 » » » 326 Passignani D. » 17 » » » 270 Agucchi G. B. a G... » » » » 328 Vialardi F. M. a F. Sagredo G. F. » .. » * » » 330 Gonzaga. * » y » 277 Talcutono G. » .. 18 » » » 331 Bartolini G. a G.21 » » » 278 Cesi F. » .. 20 • » » 332 Castelli B. » .... 2 mar. » » Gualdo P. * .. 22 * » » 333 Cesi F. » .... 8 » » » 280 Welser M. a G. Faber » » » » 334 Orsini P. G. » .... 13 > » • 281 G. a G. de'Medici... 23 • » » » Welser M. a G. Faber 10 » • » » Àldobrandini P. a G. » * » x« 336 Cesi F. a G.17 » » » 282 Bandini O. » » • » » 337 Kopler G. a G. Remo. 18 » » » 284 Bellarmino R. » » » » » » Cesi F. a G.22 * » » 285 Peti G. B. » » » » » 338 Cardi da Cigoli L. a G. 23 » » » 280 Gonzuga F. » » » » » » Welser M. » » » » » 289 Magi ni G. A. * » » » » 339 Salviati F. » 2 apr. » » 290 G. a B. Cardi da Cigoli 2G » » » 340 Cardi da Cigoli L. a G. 13 » » » » D’Este A. a G.27 » » » 313 Cesi F. a G.14 » » » 291 Bini P. » .29 » » p » Pannocchieschi d’Elci G. a F. Cesi . 30 * » » 344 A. a G.16 » * » 292 Agucchi G. B. a G... » » » p 846 G. a M. Welser. 4 mag. » » 293 Cardi da Cigoli L. a G. * * » p 347 Cesi F. a G. » » » » » Sagredo G. F. » » » » p 349 Castelli B. a G. 8 » » » 294 Cesi F. » 4 lug » » 351 G. a F. Cesi.12 » » » 296 Capponi L. » 0 » » » 352 Cesi F. a G . 17 » » » 297 Del Monte F. AI. * » » » » 353 De’MedioiG.aB.Vinta » » » » 298 Conti C. » 7 » » » 354 Cesi F. a G . 19 » » » » Sagredo G. F. » » » » » 355 Ramponi G. L. a G. .. 21 » » » 299 Cesi F. a G. Faber .. » » » » 357 De’MediciG.aB.Vinta » » » » 300 Lagalla G. C. a G. .. 8 » » » » G. a F. Cesi . 20 » » » 301 Ramponi G. L. » .. 11 » » » 359 Cesi F. a G . » » » » 302 Welser AI. a P. Gualdo 13 » » » 300 Welser M. a G . 1° giu. » » 303 Cardi da Cigoli L.aG. 14 » » » 301 INDICE CENERÀ LE CRONOLOGICO. 4.49 Voi. rag. Voi. Pag\ Pannocohieschi d’Elci Pignoria L. a G.28 set. 1G12 XI 400 A. a Maria Mad- Sandolli M. »....» » » » 401 dalena d’Austria. 15 lug. 1012 XI 362 Wolser M. » .... » » » » 402 Antonini D. n 6.21 » » » 363 Cobì F. » .... 29 » » » 403 Cesi F. » ... > » » » 365 Papnzzoni F. * .... 30 » » » 405 Magagnati G. » ... » » » » 367 Antonini D. » .... 1° oli. » » 406 Sagredo G. F. »... » » » » 368 Welser M. a G. Faber 4 » » » 407 Scheiner C. a M.Wol- » a G. 5 » » » » 369 409 Cardi da Cigoli L. a G. 28 » » » » Cardi da Cigoli L. a G. » > » » 410 Cesi F. * 4 ng. * » 370 Pannocohieschi d’Elci Sagrcdo G. F. » » » » » 371 A. a G. * » » » 411 Di Joyeuse F. » 6 * > » 373 Sigismondo di Cologua Steliuti F. » 13 » » » » a B. Castelli.10 » » » 412 (il. a M. Wolsor.14 * » » 374 Pignoria L. a G.12 » » » 414 Faber G. a G.17 » » » 375 Aproino P. » .... 13 » » s* 415 Conti 0. » .18 » » » 376 Cesi F. x> .... * » » » 416 Gallanzoni G. a G. .. » » » » 377 Marnateci F. » - » » » » » Sagredo G. F. » .. * » » » 378 D’Elci 0. a B. Vinta. 16 » » » 417 Valerio L. » .. 23 * » » 380 Cardi da Cigoli L. a G. 19 » » » 418 Demisiani G. » .. 24 » » » 381 Castelli B. » 28 » » » 419 Cesi F. » .. 25 » » » 382 Cesi F. » » » » » » l)e’ Medici G. » .. » » » » 383 Sandelli M. » 2 nov. » » 421 Panuocchieschi d’Elei Cesi F. » 3 » » » 422 A. a F. Borromeo 27 » * » 384 Cardi da Cigoli L. » » » » » 424 Colonna F. a G.28 * » * 385 G. a F. Cesi. 4 » » » 425 SteliiolaN.A. » -30 » » » » Lorini N. a G. 5 » » » 427 Cardi da Cigoli L. a G. 31 * » » 386 Welser M. a G. Faber 9 » » » » Pignorin L. » » » » » 388 Cesi F. a G.10 » » » 42S Agucchi G. B. » 1° set. » > 389 Kepler G. a S. Mayr. » » » » 429 Do Filiis A. » » * » » 391 Cesi F. a G.17 » » » 431 Vinta B. a 0. d’Elci 7 > » » 392 Galilei M. A. a G.... 21 » » » 432 Cesi F. a G. 8 » » » 393 Faber G. »... 23 » » » 433 Coresio G. a F. de’ Me- Gualdo P. »... » » » » 434 dici.10 » » » 394 Pignoria L. »... » » » » 435 Ursino B. a G. Kepler 11 » » » » Sandelli M. »... » » » » 436 Cesi F. a G.14 » » » » Cesi F. » ... 21 s> » » 437 » a G. Faber .. » » » 396 » »... 30 » » » 438 » a G.15 » » » » WelBer M. a G. Fabei* » » » » 440 Welser M. a G. Faber 21 * » » 397 G. a M. Welser. 1° die. » * » Sagrcdo G. F. a G... 22 » » » 398 Agucchi G. B. a G... » » » » » Noz/.olini T. ad A. Cesi F. » .. » » » » •J.44 Marzimedici. » * » » 399 Delle Colombe L. a l’ignoria L. a P. Guai- F. Salviati.10 » » » » do.25 » » I> » Van Maelcote 0. a G. Di Zbaraz G. a G.... 27 » » » » Kepler. 11 » T> » 445 XVILL 57 450 IN DICK GENERALE CRONOLOGICO. Voi Pftg. Voi. I> ft g. Delle Oolonibe L. ft Welser M. a F. Sai viati 27 feb. 1613 XI 486 G. de’ Medici.... 12 die. 1612 XI 416 Cesi F. a G. 2 nmr. » » » Cesi F. a G.li > » » » Gallanzoni G. a G... 13 » » » 488 Sagredo G. F. a(ì... 10 > » » 447 Pignoria L. » .. 15 » » » 489 Cesi F. » .. 23 * * » 449 Cesi F. » .. 22 » » » » » » .. 28 * » » 450 Welser M. a G. Faber 29 » » » 490 Pignoria L. » .. > > * » 451 Sandelli M. a G. 2 apr. » » » Welser M. a G. Faber » > » * 452 Sizzi F. ad 0. Morandi 10 » * » 491 (Jesi F. a F. Stellati (?) » » i » » Pignoria L. a G. 12 * * » 493 Stelluti F.(?) a F. Cesi » » » 453 Stellati F. » .... » » * » 494 Ciampoli G. a. 1612 » » G. a M. Barberini... 14 » * » > » a. * * 455 Barberini M. a (5.... 20 » » » 495 Castelli B. a G. * 0 456 Papazzoni F. ► ... 23 » » » 496 Guaiterotti R. a G... » » » Pannocchieschi d’Elci A. a G. 24 » » » 497 G. a T. Nozzolini- gen. 1613 » 457 Gonzaga C. a G. 25 » » » » Cesi F. a G. 4 » * > * G. a F. Borromeo.... 27 * * » 498 Sagredo G. F. a (ì... » * » » 458 Magini G. A. a G.... 30 * » » 499 G. a F. Cosi. 5 » » » 159 Sagredo (ì. F. a G... 1° mag » » 500 Scheiner C. a G. A. M a- Pignoria L. » .. 2 * » » » gini. 9 * » » 461 Cardi da Cigoli L. a G. 3 » » » 501 Cesi F. a G.11 » » » 462 Piaenti II. a I. do’ Conti » » » » 503 De Filiis A. a F. Sai- Ferrari C. a G. 4 * » » 504 viati.13 » * » 463 Sagredo G. F. a G... 9 * » » 505 Cesi F. a G.18 » * * » Cesi F. » .. 11 * » » 508 Welser M. a G. Faber » > * » 464 » » .. 17 * » » 508 G. a F. Cesi.25 ■» » » 465 Biancani G. a G. A. Ma- Pignoria L. a G. » > » * 469 «Tini. » » » » 509 Welser M. a G. Faber » » » » 470 De’ Medici G. a G. . 18 » » » 510 A proino P. a G.26 > » » » Salviati F. a F. Cesi. 20 * » » » Cesi F. » . > > » » 471 Borromeo F. a G. 21 » * » 511 Rasi F. » .28 » > » 172 Galippi F. * - 22 » » » » Cesi F. » . 1° feb. > » 474 Bardi G. » .... 24 » » » 512 Cardi da Cigoli L. a G. » > ■* » 475 A proino P. » .... 25 > » » 513 Grienbergor C. » » » » » 477 Cesi F. » . 30 » » » 514 Castelli B. * 2 > > » » Welser M. » .... » * * » 516 Amadori G. B. a L. A proino P. * .... 1° giu. » » 517 Cardi da Cigoli (?) » * » XVIII 414 Di Grazia V. a C. Grionberger C. a G. 5 > » XI 479 de’ Medici. 2 » » » 519 Cesi F. * 8 > » > 480 Pignoria L. a G. ... 7 » » » » » * 15 » > » 481 Agucchi G. 11. » ... 8 » » » 520 Steliuti F. a F. Cesi. > » > » 482 Sagredo G. F. » ... > * » » 521 Welser M. a G. Faber » » * » 483 » »... 13 * * » 522 Cesi F. a G.22 » » » » Gaio B. » . 15 » » » 523 Cardi da Cigoli L. a G. 24 » * * 484 Morosini A. » .... » > » » 521 Castelli B. » 26 > » * 485 Sagredo G. F. » ... » > » » > indici; GENERALE CRONOLOGICO. 451 Voi. Paff. Voi. Pap. Magini G. A. a i G.... 18 gin. 1613 XI 520 Wolser M. a G. 18 ott. 1613 XI 587 Magagnati G. » ... 22 » » » 527 Bandini 0. » . 19 » » » 588 Cesi F. » ... 29 » » p 528 Gloriosi G. C. a G. .. 2 nov. » » 589 Mommi i 0. »... 6 lug. * » 530 Castelli B. » .. 6 » » » p WelserM.aG.Kopler 10 * » » 531 Pannoccliiescili d’Elci Pignoria L. a G.12 » » » » A. a G. » » * » 591 Agucchi G. B. » .... 13 » » » 532 Pisani 0. a G. 7 » » » 592 Sagredo G. I‘\ » .... » » * » 535 Perorai S. » . » » * XVJlI 415 Keplor G. a 0. van Cesi F. » . 8 * » XI 593 Maelcoto. .18 » » » 536 Castelli B. » . 13 * * p » .19 538 595 Sagredo G. F. a G. .. 20 » » » 539 Castelli B. » . 20 » » » 596 Aproino P. » ..27 » » » 540 Poraobonclli P. a G. 26 » » » » Sagredo G. F. » .. * » » » 544 G. a C. Gloriosi. 30 ♦ » » 598 Cesi F. » 2 ng- » p 545 Cesi F. a G. » » » » » Colonna F. » .. 3 » » » 546 Castelli B. » . 3 die. » » 599 Pisani 0. » .. * * * » 547 » » . 4 » » » 600 » a Cosimo li Colonna F. » . 6 » » » 601 de’ Medici » » 548 Magini G. A. a G. ... 7 » » » 603 Sagredo G. F. a G. .. » » * » 549 Castelli B. » ... 10 » » » » Orsini F. » .. 9 » » » 550 » »... 14 » » » 605 Stelliola N. A. * ..17 » > » 551 Antonini D. » ... 15 » » » 607 Stellati F. » .. * » » » » Pisani 0. » ... 18 » » » 608 Sagredo G. F. p ..24 » » » 552 Wolsor M. » ... 20 » » » 609 Orsini F. » .. * » » » 556 G. a B. Castelli. 21 » » » 610 Cesi F. » .. 30 » » » 558 Saiv iati F. a G. 27 » » » » Fabor G. » .. » » » » » Della Porta G. B. a ... 1613 » 611 Valerio L. » .. 31 » * » 559 Cesi F. » .. 6 set. » » 561 — » » .. > » > » » » » .. 7 » » » 562 Voi. Pag. Sagredo G. F. » .. 14 » * » 563 Magini G. A. a G. ... 1° 1 gcn. 1614 XII 11 Pisani 0. * .. 15 » » » 564 Cesi F. » ... 3 p » » 12 Cioli A. » ..24 » » » 565 Saiviati F. » ... 13 » p » p 0. ad A. Cioli .25 » » » m Landini S. » ... 17 » » » 13 Colonna F. a 1 G. * » » » 567 Cesi F. »... 18 » » p 14 Sagredo G. F. a G... 28 » » » 569 » » .... 24 » » » 15 Colonna F. » .. 30 » » » 570 G. a G. B. Baliani ... 25 » » » » Pisani 0. » .. 5 ott. * » 579 Lagalla G. C. a G. .. . 27 » » p 16 » a G. Kepler * » * » 580 Cesi F. » ... 30 » p » 17 Sprani P. ad A. Cioli. > » » » 581 Lagalla G. C. » ... » » » p 19 Cliiaramonti S. a G. 6 » » » 582 Baliani G. B. » ... 31 » > p » Sagredo G. F. » 12 » » » 583 Castelli B. » ... 5 feb. » » 23 G. ad A. Cioli .15 » » » » Welscr M. a G. Kepler. 11 » » > 24 Cesi F. a G. » » » 585 Castelli B. a G. 12 » * » » Wells G. » » » » » Cesi F. ». 15 » » » 25 452 INDICE GENERADE CRONOLOGICO. Voi. Tair. | Voi. Pop. n o a or» Wi 1611 XII 2(5 Colonna F. n G. 19 giu. 1614 Xil 7,1 Santini A. a .28 > » > 27 Bardi G. . 20 » a a 76 CeBi F. » . 1° mar. » a 28 Welser M. > .... a » a a 77 Castelli B. > . 5 » » » 80 Stelluti F. * .... 28 a a a 78 Campanella T. aG... 8 * a a 31 Bardi G. » .... 2 lug. • a 79 6. a G. B. Baliani ... 12 » a a 38 V inta L. * .... a » a a 80 Castelli B. a G. * » > a 36 Gualdo P. * .... 5 a a a 81 Chetateli M. » .15 > a » 38 Mirabella V. » .... 7 a a a 82 Giannini T. a . a » a * » Santini A. » .... 11 a a a 83 Castelli B. > .19 » » » 39 CeBi F. » .... 12 a a a 85 Cesi F. » .21 » » a 40 Pisani 0. * .... 18 » a a 86 Castelli B. » .23 » » » 41 Lagnila G. G. * .... 25 a a a 87 Pozzobonelli P. a G... > a > » 42 Colonna F. a .... 29 » a a 88 Castelli B. a .. 2 ipr. a » 43 l'ignoria L. » .... l°a* a a 89 Baliani G. B. > .. 4 » a a 4* Stellati F. » .... 2 » a a 90 Sagredo G. F. a M. Colonna F. * .... 8 a a a 91 Welser. a a a » 45 Cesi F. » .... 9 a » a 92 Conti C. a G.11 * a a 47 Conti C. * .... 15 a a a 93 Cesi F. * . 12 » » » 48 G. a P. Gualdo .... 16 a a a 94 Castelli B. » .16 * » » 49 Cesi F. a G. » a a a 95 Sagredo G. F. a G... 19 » a a 51 Mirabella V. a G... 19 a a » 96 Castelli B. » .. 21 * a » 52 Cesi F. a .. 23 » a a 98 Cesi F. * .. 2(1 » » > '53 a » .. 13 set. a a a Gaio B. a .. a » > » 54 Ben ti fogli A. » .. 21 a a a 99 Sagredo G. F. * ., a » > » 56 Della Porta G. B. a G. 26 a a a 101 Castelli B. » .. 4 inag. » J» 57 Colonna F. a 3 ott a a 102 » a .. 7 » a 58 Valerio L. a a a a a 101 Welser M. a G. Faber. 9 » » > 59 Cesi F. a 4 a a » a Stellati F. a G.10 » > » 60 Fabri di Peiresc N. a Castelli B. ► .14 • * • 61 P. Gualdo. 5 a a a 105 G. a M. A. Buonarroti. 15 » > » 62 G. a M. A. Buonarroti 13 » a a a Colonna F. a G.16 a » > » Bentivogli A. a G... 19 » a a 106 JMaestlin M. a G. Ke- Galilei M. A. a .. 22 a a a 108 pler.17 » a » 61 ; Da Sommala G. a .. 5 nov. a a 109 Pignoria L. a G.23 > » 65 Valerio L. a F. Cesi. 7 » a a a Welser M. a G. Faber. a 3* » a a Ciampoli G. a G.... 8 a a a no Sagredo G. F. a G... 24 » » » 66 Castelli B. »... 12 a a a » Stelluti F. * .. a » a > 67 Gualdo P. »... 20 a a a ni » * .. 31 » a » 68 Castelli B. a ... . 26 » a a 113 Castelli B. * .. 4 giu. * » 69 G. a P. Gualdo. 1° dio. a a 114 Cesi F. » .. 14 a J» 70 Costelli B. a G. 3 a a a 115 Stelluti F. a .. » » » a 72 Tarde G. * .... 6 » a a 117 G. a Cosiino II do’ Me- J Gualdo P. a .... 13 a a a 118 dici. » * a 73 Castelli B. > .... 19 a a a 119 Pannocchie8chi d'Elci G. n M. A. Buonarroti 20 » a a 121 A. a G.17 ► a » » Cesi F. a G. 24 » a » 122 INDICE GENERALE CRONOLOGICO 453 Voi. Pftf. 1 Voi. Pag. Castelli B. a G.31 die. 1614 XII 122 Sagredo G. F. a G. .. 15 mar. 1615 XII 156 risani 0. a Or. Keplcr. 1614 » 124 Castelli B. » .. 18 » » » 158 Cesi F. a G.... die. 1614 —gen.1615 » » IP Esie A. » .. » » » » 159 Ciampoli G. » .. 21 » » » 160 Caccini M. ad A. Cac- a. a P.Dini.... 23 » » » 161 cini. 2 gen. 1615 XVIII 416 Castelli B. a G. 25 » » » » Caccini M. a T. Caccini » » » t> 417 Dini T. » 27 » » » 162 Fabri di Peiresc N. a Ciampoli G. » 28 » » » 163 P. Gualdo. » » » XII 125 Bonciani F. a G. G. Mil- Castolli B. a G. 6 » » » 126 lini. » » » » 164 Cacoini M. ad A. Cac- Dini P. a G.... 3 apr. » » » XVIII 418 9 Ififi Maraffi L. • .10 » » XII 127 Cesi F. *> 11 » » » 166 Cesi F. » .12 » » » 128 Sagredo G. F. » » » » » 167 Castelli B. » 13-14 » » » 131 Sclieiner C. » » » s> » 170 Tassi N. .17 » » » 133 Bellarmino R. a P. A. Castelli B. » .21 » » » » Foscarini... 12 j» 7> » 171 » » ..'...28 » » » 135 Cornelio .... a G. G. Caccini M. ad A. Cac- Millini.... 13 » » » 172 cini.30 » XVIII 419 Dini P. n G... 18 » » » 173 Cesi F. » . 2 feb. » XII 136 » » .. 20 » » » » Scbeiner C. » . G » » » 137 » » .. 25 » » » 174 Sagredo G. F. » . 7 » » » 138 2 mag. » » 175 Caccini M. ad A. Cac- Pisani 0. a G. V » » » 176 cini. » » » XVIII 419 Castelli B. a E. Picco- LoriniN.aP.Sfondrati » » » XII 140 lomini d’Aragona. » » » » 177 Santorio S. a G. 9 » » » » Castelli B. a G. 6 ì> » » » Caccini M. a T. Caccini 14 » » XV11I 419 Cornelio .... a G. G. Q. a P. Bini.16 » » XII 142 Millini. 11 » 1> » 178 Gualdo P. a G.18 » » » » Castelli B. a G. 13 » » » 179 Castelli B. » .20 » » » 143 Cesi F. » 15 » » » 180 Dini P. » .21 » » » 144 Dini P. » 16 » » » 181 Ciampoli G. » .28 » » » 145 Castelli B. » . 20 » » » 182 14.7 183 Pisani 0. » . 2 mar. » » 148 D’Este A. a G. 9 giu. » » 185 Pisani 0. a Cosimo II Baliani G. B. » 17 » » » 186 de’ Medici. » » 149 Cesi F. » 20 » * » 189 Cesi F. a G. 7 » » » » Sagredo G. F. » » » » » 190 Dini P. » . » » » » 151 Scaglia D. a G. G. Mil- Marzari L. a G. G. lini. 24 » » » 192 Millini. » » » » 152 i Sagredo G. F. a i G... 4 lug. » » » Bonciani F. a G. G. » » .. 18 » » » 19-4 Millini. 8 » » » > Chiodino G. B. a G. G. (*. ad A. Gioii.10 » » » » Millini. 24 ? 5 > 195 Castelli B. a G.12 » » » 153 Fabri di reiroso N. a Dini P. » .14 » » » 155 P. Gualdo.. 30 » T> » » 464 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. r«f. 1 Voi. rag. Colonna F. a G.14 ag. 1615 Xll 195 Picchena C. a G. o gcn. 1616 Xll 221 Cesi F. » .25 » > » 196 1 » > .... 7 » > » » Valerio L. * .10 set. > * 197 G. a 0. Picchena .... 8 » » > 222 Sagredo G. F. » . * ott. » * 198 Ilicasoli P. ad A. Cuc- » ».17 * * > 199 cini. 9 » ► XVIII 420 ScagliaD.aG.G.Millini 21 * » * 201 Kinuccini F.ad A. Cac- Sagredo G. F. a G... 24 * » 9 9 cini. » » > 9 » M&rzari li. a Fabrizio Castelli 0. a A. Barbo- Vernilo.15 nov. » » 203 Inni di Montauto. IO » * Xll 221 Cosimo II de' Medici Cicchetta C. a G. 12 » > 9 » a P. Guicciardini. 28 > p j> » Querengo A. ad A. Cosimo li de’ Medici d’Ente.. 13 » 9 » 225 aF.M. del Monte » * p » » tì. a C. Picchena.... 16 * * 9 > Cosimo II de' Medici Picchena C. a G..... 19 » 9 > 226 a P. G. Orsini ...» p » > 204 Querengo A. ad A. Cosimo 11 de' Medici d’Este. 20 * * 9 * ad A. Orsini . » > » * * G. a C. Picchona. 23 > 9 » 227 PicchenaO.adA.Primi » » » » 205 Querengo A. ad A. Cosimo II de’ Medici d’Ento . 27 > * » 229 a S. Borghese. ... 2 die. » > * G. a C. Picchena .... 30 > > > » Sagredo G. F. a G.. . 5 * » > 206 » * .... 6 feb. > 9 230 Guicciardini P. a C. Picchena C. a G. » » 9 > 232 Picohena. * * » » » Cosimo II do’ Medici Ilicasoli P. ad A. Cac- ad A.Orsini. 12 » > » 233 cini. » » » XVIII 419 G. a C. Picchena .... 13 > * > » Guicciardini P. a Co- Picchena C. u G. * » » > 235 siino II de’Medici 11 * 9 XII 207 Borghese S. a Cosi- Del Monte F. M. a Co- rao II do’ Medici > » 9 9 230 simo II de’ Medici * * 9 » 208 Picchena C. a G. 17 » * * » G. a 0. Picchetta..12 » » » » * * .... 19 » 9 » 237 Maraffi L. a G. » » * * 209 Caccini M. ad A. Cac- Ilicasoli P. ad A. Oao- cini.. » > 9 XVIII 421 XVIH .190 20 » VII 9.38 Picchetta C. a G.19 » > XII 211 Orsini A. a Cosimo 11 Caccini M. ad A. Cac- de’ Medici. * > » » 239 cini.25 » » XVIII 420 G. a G. Muti. 28 > * 9 240 G. a C. Picchena .... 20 * » XII » Guicciardini P. a Co- Querengo A. ad A. simo li de’ Medici 4 mar. » > 241 d’Este.80 * » » 212 Querengo A. ad A. Castelli 0. a G.31 » » > 213 d’Este. 5 > * 9 243 G. a Cristina di Lorena 1615 214 G. a C. Picchena. 6 > 9 9 » Foscarini P.A. a G.. 1615 -1616 215 Sagredo G. F. a G... 11 > » 9 245 G. a C. Picchena. 12 » 9 9 247 G. a C. Picchena. l°gen. 1616 » 220 Picchena 0. a G. » » 9 9 249 Querengo A. ad A. > * ... , 20 > » » 250 d’Este. * » » > > | G. a C. Picchena. 26 » 9 9 » INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 455 Voi. Pag. Sfondrati l\ all’Inqui¬ sitore di Modena. 2 npr. 1016 XII 252 Picchena C. a G. > » » XVIII 421 Gualterotti li. a G... 3 » » XII 252 Castelli 13. a G.20 * > * 251 MatthewT.aF.Bacoue 21 » > > 255 G. a C. Picchena.23 * > » » Sngredo G. I 1 '. a G... » * > > 257 Picchena C. a G.30 * * XVIII 421 Guicciardini P. a G. Picchena.13 mag. » XII 259 Guicciardini P. a 0. Picchena.14» s t> » G. a B.Leonardi d’Ar- gensola.10 » » * 260 Picchena G. a G.23 » £• » 261 Leonardi d’Argenso- la B. a G.31 » » » 262 Stclliola N. A. a G... l°giu. » » 263 Orsini A. a Cosimo II de’Medici. » » » » » Caraffa P. L. a G. G. Millini. 2 v o » 264 Del Monto F. M. a Co¬ simo II de’Medici. 4 » j> » » Caccini M. ad A. Cac¬ ciai.11 » » » 265 Cosi F. a G.25 » » » » Orsini A. » .26 » » » 266 Picchena G. a O.d’Elci. 30 » » » 267 » a B. Leonar¬ di d’Argensola... » » » » 269 Cosimo II de* Medici a O. d’Elci. » * » » > Sagredo G. F. a G... 16 lug. » » 270 Cesi F. a G.23 » » » 271 » » .23 » » » 272 Altemps G. A. a G... 30 » » * » G. a F. Cesi.27 ag. » » 273 Sugredo G. F. a G... » » » * > Cesi F. a G. 3 set. » » 274 Faber G. » . » * » > 275 » a F. Borromeo. » » » * 276 Failla P. I. a G. 6 » » * 277 Sagredo G. F. ».10 * » » 278 Porta M. ».13 » » >279 Voi. Png. BorromeoF.aG.Faber 21 set. 1616 XII 283 Capoano A. a G. -29 » » » 284 Cesi F. » .... 8 ott. » » 285 D’Elci O. a C. Picchena 13 » * » 286 Sagredo G. F. a G... 15 » » » » Campanella T. a G... 3] uov. » » 287 Sagredo G. F. » .. 12 » » » 288 G. a P. di Castro.... 13 » » •» 289 G. a F. di Sandoval.. » » » » 2 .. 26 » » » 303 Colonna F. » . 3 feh. » » 305 Sagredo G. F. » . 7 » » * 306 Rofioni G. A. v .14 » » » 308 Castelli B. » .22 » » » 309 Cobì F. » .11 mar. » » 310 Di Castro P. a G. .18 » » » » G. a C. Picchena i.22 » » » 311 Sagredo G.F. a Cr. .. 7 apr. » » 312 Malaspina P. F. » .. 18 > » » 313 Castelli B. » .. 16 mag. » » 315 Sagredo G.F. » .. 20 » » » 316 Castelli B. » .. 21 » » » 318 » » .. 24 » » » 319 Borromeo F. » .. 14 giu. » » 320 G. ad A. Gioii.. .16 » » » 321 » ad 0. d’Elci.. » » » » Sagredo G. F. a G... 8 lug. » » 328 Turtorini A. a G. Gal- lanzoni .... .12 * » . » 329 Sagredo G.F. a G... 21 » » » 331 Giggi A. » .. 26 » » » 332 Gallanzoni G. » .. 28 » » » 333 Sagredo G.F. » 5 ng. » » 334 Colonna F. » .. 10 » » » 336 D’Elci 0.aC.Picchena » » » » 337 Stelluti F. a G. .11 » » » » INDICE GENERALE CRONOLOGICO. *56 Voi r»* | Voi. Pag. Sagredo G. F. > .12 ug. 1617 XII 338 Castelli 11. h (ì. 1* mar. 1618 XII 374 Galilei M. A- * .16 * » 339 1 D’Este A. » . 2 » » 375 Cesi F. a G.22 » » 340 Pinelli F. a P. Gualdo. 15 » » > Faber G. » .26 » » 341 | Sagredo G. F. a G... 18 * » 376 Sagredo G. F. a G. .. * » » 342 i Gualdo P. » .. 3 apr. » 378 * » .. 9 set. » ' G. a C. Picchcna.19 » » 380 Gniducci A. > 11 * » 344 l’icchena C. a G. > » » 381 D'Elei 0. a F. di Snn- (i. a C. Picchetta.20 » » 382 doval. » * > 345 j Cosi F. a G.. » * * 383 Castelli B. a G.18 * * 346 D'Elei O.aC.Picchena 23 > » 384 Stelluti F. » .29 » > » Da Sommnia G. a G. 25 > » » Magagnati G. » .30 > » 347 Gualdo P. e Pignoria Sagredo G.F. * .20 ott. * 348 I la a G.26 » > 385 Magagnati G. * . 4 nov. » 350 Cesi F. a G.28 » » 386 Di Sandoval F. al Tre- Magagnati G. a G... * » > 387 Bidente del Consi- Cosi F. » .. 6 mag. » > glio delle Indie.. 6 * > «—< o co » * 11 * » 388 Adami T. a G.10 » » 852 G. a F. Borromeo.... 16 » » » D’Elei O.aC.Picchena 30 » > 353 * a Leopoldo d’Au- G. a C.Ficcliena. 4 dio. > 354 stria.28 > » 389 Sagredo G. F. a G... 9 » > 355 Cosimo II de’ Medici a PicchcnaC.aO.d’Elci. 21 * * XVIII 422 F.M.della Rovere » » * 392 Cesi F. a G.22 * Xll 856 Crontoniui C. a G. F. U. a F. Borromeo.... 23 > » » Sagredo.26 » » » » ad 0. d’Elei.25 » » 358 Riccardi N. n G .... 28 » » 393 Giggi A. a G.27 » » 362 Sagredo G.F. *- 2 giu. » » Sagredo G.F. a G... 30 * » » » • .... 23 » » 394 Gcrini G. » .... 9 lug. » 395 D’Oriolo L. a G. 2 geu. 161S » 364 Cosi F. » .... 10 » » 396 Borromeo F. » .... 3 * » * » Leopoldo d'Austria a Oremonini C. a G. F. G. 11 > * 397 Sagredo. 7 * » » 365 Cooarini V. a G.21 » » 398 D’Elei O.aC.Picchena 11 » > » 366 Ciampoli G. » . > » » 399 Orsini A. a G.12 » » » » Sagredo G. F. » .28 » » 400 Cesi F. * .13 » » » 367 Ubaldini R. * .29 » » 401 Sagredo G.F. a C.Cre- Filippo d’Asaia a G.. » » 402 monini. » » » » 368 Fabri di Peiresc N. a Sagredo G. F. a G... » » > » » G. V. de’ Rossi... 3 » •103 » a C. Cre- Sagredo G. F. a G... 4 » » » monini .19 » > > 369 Stelluti F. » .. 10 » > 406 Creuionini C. a G F. Sagredo G. F. ». 18 * » 407 Sagredo.20 > * » 370 Reri G. » . 22 » » 408 Picchcna C. a (ì.25 » » » » Ciampoli C. a F. Cesi. 24 » * ■109 Sagredo G. F. * - 3 feb. * » 371 Borromeo F. a G_27 * » » Castelli B. » .... 7 » > > 372 Sagredo G.F. »... 6 set. * 410 » » .... 14 9 » » 373 Faber G. »... 7 » » > INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 457 Voi. Pag. Voi. Pag Muti C. a G . 7 sot. 1618 XII 411 G. a C. Picchena-26 mag. 1G19 XII 456 Gualdo P. » . 14 > » > 412 Germini C. a G . 1° giu. » » 457 Cosarmi V. » . 1° ott. > » 413 Sagredo G. F. > . 7 » » » 458 Sagredo G. F. a G. .. 13 > > » 415 Guiducci M. a Leopol- Remo G. a G. Kepler. 20 > > > 417 do d’Austria .... 8 » » » 460 Sagredo G. F. a G... 27 > > > > Sagredo G. F. a G... 22 » » » » » » .. 3 no V. » > 418 G. a M. Barberini ... 29 » » » 461 . a . 23 > > > 420 > a F. Boi-romeo. ... > » » » 462 Gualdo P. a G . 30 > > > > Barberini M. a G. ... 5 lug. » » 463 . a .> > » » 421 D’Esto A. » ... G » » » » Cesarmi V. a G . 1° die. > > 422 Sagredo G. F. > ... > » » » 464 Kepler G. a G. Rèmo. » » > » 423 Oiampoli G. »... 12 » » » 465 Neri G. a G . 12 » > > > Sagredo G. F. »... » » » » 4G7 Sagredo Z. » . > > > > 425 Borromeo F. »... 16 » » » » Sagredo G. F. a G... 15 > > > 427 Orsini A. » ... 19 » » » 468 Ronsi D. » .. 18 > » > 428 Remo G. a G. Kepler. 23 » » » 469 Sagredo G. F. * .. 22 » > > 429 Giggi A. a G . 24 » » » 470 Cesi F. a G.Faber... 21 » » > > D’Este A. » .27 » » » » Stellati F. a G.25 > » > 430 Cesi F. > .28 » » » 471 Borromeo F. a G-31 » » » 472 Aldobrandini l. a G. 5 gen. 1629 » 431 Cesarini V. »... 3 ag. » » » Gondi A. » » > 1619 * 432 Stelluti F. » ... G » » » 473 Remo G. >12 > > > 433 Baliani G. B. »... 8 » » » 474 Leopoldo d’Austria > 13 » » > 435 Colonna F. »... » » » » 479 Cosi F. a G. Faber... 14 > > > 436 Sagredo G. F. » ... 10 » » » » Cacciai M. ad A. Cac- Remo G. a G. Ivepler. 13 » » » 481 ci ni.18 > > XVIII 423 Muti 0. a G.1G » » » » XII 436 » » » 482 llinuccini G. B. a G. > > > > 437 Bartoluzzi G. a G... 17 » » » » Leopoldo d’Austria > 12 feb. » > 438 Remo G. » .. 24 » » » 484 Cosi F. > 15 > > » > » » .. » » » » 488 Galilei R. > 16 > » > 440 Oiampoli G. » .. » » » XVIII 423 G. a Cosimo II de’ Me- Cesi F. » .. 10 set. » XII 489 dici. > » » 441 Sagredo G. F. » .. 21 * » » 490 Stelluti F. a G.22 » » > 442 Muti C. » .. 24 » » » 491 Rinuccini G. B. a G... 2 raar. » > 443 Galilei M. A. » .. 10 ott. » » 493 Cavalieri B. » .. 6 > » > 444 Oiampoli G. » .. 18 » » » 494 Sagredo G. F. > .. 8 » * > » Kepler G. a G. Remo. » » » 495 Remo G. a G. Kepler. 13 > » > 416 Stelluti F. a G. Faber. 2 nov. » » » Sagredo G. F. a G... 30 » » > > Cesi F. » 12 » » » 496 Faber G. > 3 apr. > > 449 Sagredo G. F. a G. .. 15 » » » » MatthewT.aF. Bacone 14 * » » 450 Tadino A. * .. 29 » » » 498 Giunti 0. a G.16 » » » » Oiampoli G. » .. 6 die. » » » Usimbardi L. a Cosi- Lagalla G. C. » .. 21 » » » 499 ino II de’Medici. 18 * > 451 Sagredo G. F. » .. » » » » 501 Sagredo G. F. a G... 11 mag. » > 452 Pjgnoria-L. » .. 27 » » » 502 > > .. 24 » » > 453 - , » XVIII. W 458 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Voi. P»ff. Cosi F. a G... 1620 XIII ii Del Monte F. M. a G. 6 già. 1R20 XIII 40 Santini A. a G .10 » » > 12 Gnidnoci M. a F. Cesi. 19 » » » 41 G. a F. Liceti. » » * 13 » a T. Gal- Fabei* G. a G. .18 » » » » lussi.20 » » » > Signoria L. » .24 » * » 14 Sagredo Z. a G-- l a lug. » > 42 Liceti F. » .26 > » * 15 Landi F. » .... 10 » » > 43 G. a G. ile 1 Modici... > * 17 Ciampoli G. » .... 17 » » * » Do’ Medici G. a 0. Pie- 8sgredo Z. » .... 25 » > » 44 chena. » > 20 Ciampoli G. » .... 2 ag. » » 46 Stellati F. a G .27 > » » * Cesi F. a G. Faber.. 11 » > » 47 Filippo III, re di Spa- Diodati E. a G.27 > > » 48 gna, a P. Tellez Barberini M. » .28 » > > » y Giron... .28 > > > 21 Sagredo Z. » .29 > » > 49 De’ Modici G. a 0. Pie- G. a M. Barberini.... 7 set. > > 50 cilena. * » » 22 Muti C. a G.25 > > > 51 Pignoria L. a G.31 » » » > Inghirami G. a (J. Pio- De’Medici G. a C. Pie- chena. 6 ott. » » » cheli a. » » 23 Stigliani T. a G. ... 80 » * » 52 Faber G. a G. .15 » » > » De’Mcdici G. a 0. Pie- De’ Modici G. a C. Pie- chena. l"dic. > » * ebena.... .20 » » » 24 Settata L. a G.16 * » > » Cesi F. a G. Fnber.. 23' > » > » G. ad E. Diodati.... 30 » » > 53 Picchemi C. a G. de’ Medici. » > * * Cesi F. a G. 4 gen. 1621 » 54 Cesi F. a G. . . 4 » * * 25 Cavalieri B. a G.13 » » » > Lagnila G. C. a G.. . 0 * * * 26 Girai di I. »... 21 > » » 55 Sagredo Z. » ... 14 > * » 27 Spinola T. » .... 22 » » > 56 Gualdo P. * ... 26 * » * > Ciampoli G. > .... 20 mar. » » 58 Pignoria L. > ... 27 > » » 29 Rinuccini G.B. » .... 27 > » > 59 Santini A. » ... 3 npr. » * » G. a Leopoldo d’Au- Stellati F. > ... 4 » » * 30 strìa.16 apr. » » 60 Sagredo Z. > ... 14 i > » 31 Cavalieri B. a G.28 * » » 61 Muti C. > ... 18 » > » 32 Faber G. » .... l"mag. » » 62 Gualdo P. > ... 20 » » » 33 G. a G. Faber.12 » * * 64 De’ Medici G. a 0. Pie- Brozek G. a G.28 » » » > chena.... .22 » > » 34 Rota A. » .13 giu. * » 66 Germini C. a Z. Sa- Spinola T. » .15 » * » 66 grado.... .25 > > » » Cesarmi V. » .23 * » > 68 Da Som inaia G. a G. 29 » » > 35 Ciampoli G. » . 3 lug. » » 69 Ingliirami G. a 0. Pie- Leopoldo d’Austria a cilena.... .30 » » » > G.17 » » » 70 Del Monte F. M. a G. 3 ning. » » 36 Cavalieri B. a G.28 » » » » Sagredo Z. > 5 » * * » Lagalla G. 0. * .... 30 » * » 72 Cesi F. » 18 > > » 37 Faber G. * .... 7 ag. * » 73 Ciampoli G. » » * » » 38 Muti C. * .... 15 » * » 74 Cavalieri B. » 20 » > » 39 Spinola T. » .... 25 » » » 75 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 450 Voi. Pag. | Voi. Pag. Cesi F. a G. Faber.. 28 ag. 1621 XIII 70 Cesarini V. a G... .. 25 feb. 1623 xm 109 Stellati F. * 7 set. » * 77 Faber G. » .. .. 3 mar. » » 110 Ciani poli G. a G. 11 * * » » Cesarini V. * .. .. 20 » » » 111 » » .. 23 ott. » » 78 Ciampoli G. » .. .. l°apr. » » 112 » » .... 26 nov. » » 79 Stelluti F. » .. .. 8 » » » 113 Cesi F. * . 2 die. * » 80 Cavalieri B. * .. .. 9 » » » 114 Cavalieri lì. * - 15 » * » 81 Cesi F. » .. .. » » » » 115 Ciampoli G. *- 18 * » » 82 Ciampoli G. » . .. 6 nag. » » » Galilei M. C. » . .. 10 * » » 116 Castelli B. a G. 12 gcn. 1622 » 83 Ciampoli G. » . .. 27 » » » 117 Ciani poli G. > . 15 * » * 8-1 Cobì F. » . .. 29 * » » 118 Cavalieri 13. * . 16 feb. » * » Barberini M. » . .. 21 giu. » » » Ciampoli G. * . 26 * » » 85 Ciampoli G. » . .. 22 lug. » » 119 Cavalieri 13. » . 22 mar. » » 86 Galilei M. 0. » . .. 10 ag- » » 120 Pignoria L. * . 6 mag. » * 87 Stelluti F. » . .. 12 » » » 121 Cesarmi V. * . 7 » * » 88 Galilei M.O. * . .. 13 » » » 122 Magalotti F. > . * » > » 89 Cavalieri B. » . .. 16 » » » 123 G. ad A. Serti»i. 20 * » » 90 Galilei M. C. » . .. 17 » » » » Oi’sini P. G. a G. 27 * » » 91 Cesarini V. » . .. 18 » » » 124 » * .. .. 30 giu. * » 92 Ciampoli G. » . .. » » » » 125 Boiardi P. E. a Cesare Faber G. » . .. 19 » » » » d’Este. 19 lug. » » » Galilei M. C. ». .. 21 » » » 126 G. a F. Liceti. 30 > » » » » » . .. 28 » » * 127 Colonna F. a G. 8 ag. » » 93 » » . .. 31 » » » » Stellati F. » . 16 * * » 95 Barberini C. * . .. 2 set. » » 128 Cavalieri B. » . 17 » » » 96 Stelluti F. » . .. 8 » » * 129 Oddi M. a P. M. Gior- G. a F. Barberini ...19 » » » 130 dani. 2 sot. * » 97 Barberini F. a G. ...23 » » * 131 Duodo F. a G. 29 » » » » Galilei M. C. » ...30 » » » 132 G. a F. Cesi. 19 ott. * » 98 Stelluti F. o Cesi F. Cesarmi Y. a G. 28 » » * 99 a G. ... » » » » » Dolfiu IN. * . 29 » » » » G. a F. Barberini ... 9 ott. » » 133 Cesi F. a G. Faber. .. 19 nov. » > 100 » a F. Cesi. ... » » » » 134 Lodovici L. a G. 22 » » » * Galilei M. C. a G. ... autunno del » » 135 G. a Ferdinando II Rinuccini G.B. » ... 13 ott. » » 136 de’ Medici. » * » 101 Barberini F. » ...18 » » » 137 Cavalieri 13. a G. 21 die. » » 102 Galilei M. C. » ...20 » » » 138 Cosarmi V. a Cesi F. 22 > » » » Rinuccini T. » ... » » » » 139 Cesi F. a G. 27 » » » 103 Gli Accademici Lincei ad Urbano Vili.. » » » •» 140 Giani poli G. a G.... 7 gen. 1623 > 104 Cesi F. a G. ...21 » » » » Cesarini V. * .... 12 » > » 105 Cesarini Y. a G. . ...28 » » » 141 G. a F. Cesi. 23 » » » 107 Stelluti F. » . ... » » » » 142 Cesarini V. a F. Cesi. 28 » » > 108 Galilei M. C. » . ...29 » » » 143 > a G. 3 feb. * » 109 G. a F. Cesi. ...30 » » » 144 Cosi F. ad A. do Filiis. 7 * » » » Rinuccini T. a G.. ... 3 nov » » 145 460 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Puff. Voi. Pag. Ciampoli G. a G. 4 nor. 1623 XIII 146 Faber G. a F. Ceti.. 1" giu. 162*1 XIII 181 Stolluti F. »....» » » » 147 G. a F. (Jesi. 8 » » » 182 G. a F. Borromeo ... 18 » » » 148 Urbano Vili a Far- Galilei M. C. a G.... 21 » » » 149 dinandoIIdo’Me- Cenerini V. »... 22 » » » l&O dici. » » » » 183 Magalotti L. »... 23 » » » 151 Barberini F. a Maria Castelli B. > . . 29 » » » 152 Maddalena, Gran- Da Sommai» G. » ... » » » » 153 duchessa di To- Rinuccini T. »... 2 die. » » » Henna. » » » 184 Borromeo F. »... 6 » » * 155 Barberini F. a Fardi- Castelli B. »... » » » » » nundo II do' Ma- Faber G. a F. Cesi.. 9 » » » 156 dici. » t t* » 185 Galilei M. C. a G.... 10 » » » 157 Cesi F. a G.10 » » » » Malaspina I’. F. a G. 12 » » > 159 Guiducci M. a G.21 » » » 186 Faber G. a F. Cesi .. 16 » » » 160 Ciampoli G. » .... 22 > » > 187 Guiducci M. a G.18 > » » » Faber G. a F. Casi .. » » » 188 Leopoldo d’Austria a Mattai G. a G. » » » » G.26 » » » 162 Maria Maddalena, Granduchessa di Cristina di Lorena a Toscana, a F. Bar- C. de’ Medici.... 14 geo. 1624 » 163 bermi. 2 lug. * * 189 Faber G. a F. Cesi .. 27 » * * 164 Santini A. a G. 4 > » » 190 G. a » ... 20 feb. » » » Imperiali B. » . 5 > » » 191 Cesi F. a G. » » » > 165 Faber G. a F. Ceri.. 6 » » » 192 Faber G. a F. Cesi.. 21 » » > 166 Guiducci M. a G. » » » » » Cesi F. a G.23 » » > » Mattei G. ».13 » » » 193 Faber G. a F. Cesi.. 24 » » » 167 Rinuccini T. » .20 » » » 194 Ferdinando II de’Me- l’iccolomini Aragona dici a F. Riccolini 27 » » » » A. a G.27 » » » 195 Faber G. a F. Cesi.. 2 mar. » » » Rinuccini T. a G.... > * » » 196 > * 8 » » > 168 Castelli B. »... 3 ag. » » 197 Ciampoli G. a G.16 » » * » Santini A. »... 9 » » » » G. a F. Cesi. 4 apr. » » 169 Rinuccini T. »... 10 » » » 198 Cesi F. a G. 5 » » » 170 Imperiali B. »... 17 > » » 199 Gloriosi G. C. a G_13 » * » » Stelluti F. »... 23 » » » 200 Faber G. a F. Cesi.. » » » * 171 Imperiali II. »... 5 set » » 201 Guazzaroni G. B. a G. 20 » » ► 172 Guiducci M. »... 0 » » » 202 Galilei M. C. » 26 » » > 174 Santini A. »... » » * » 204 G. a C. Piccliena_27 » » » 175 Guiducci M. »... 13 * » » 205 Aggiunti N. a G.29 » » > 176 Faber G. »... 14 » » » 207 Cesi F. > .. .. 30 » » > 177 G. a F. Cesi.23 » » » 208 Fa ber-G. a F. Cesi .. 11 mag. » * » Guiducci M. a G.28 » * » 210 Colonna F. » ... 13 » » * 178 Imperiali B. »....» » » » 211 G. a F. Cesi. 15 » » » » G. a F. Ingoli. » » » 212 Cesi F. a G.18 » » » 180 Imperiali B. a G. 4 ott. » » » Faber G. a F. Cesi.. 24 » » » 181 Santini A. » .... » » » » 214 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 461 Voi. Pag. 1 Voi. Pag. Guiducci M. a G. 15 ott. 1624 XIII 215 Guiducci M. a G.... . 22 mar. 1625 Xlli 261 » » .... 18 » » » 217 Cesi F. » ... . 5 apr. » » 262 Balbi II. > .... 25 » » » 218 Cesi F. a C. Marsili. .. » » » » 263 Coai F. » .... 2(5 » » » 219 g. ; .. 12 » » » » Guiducci M. » .... . » » » » 220 Faber G. a F. Cesi .. 13 » » » 264 Imperiali 11. » .. ., , » » » » 221 Guiducci M. a G... .. 18 » » » 265 Santini A. » .. ., , » » » » 222 Ciampoli G. » .. .. 19 » » » 267 Guiducci M. »- 2 nov. » » 223 Marnili C. » .. .22 » » » 268 Vannuccini G. » ... . » » » » 225 Cesi F. » .. ..26 » » » 269 Guiducci M. * . . . 8 » » » » Guiducci M. » .. .. 3 mag. » » 270 Imperiali 11. »... . » » » » 227 Marsili C. » .. .. 7 » » » 271 Castelli B. »... . 13 » » » 228 G. a C. Marsili.... ..27 » » » 272 Guiducci M. »... . 22 » » » 229 Cavalieri B. a G... ..28 » » » 273 Imperiali lì. »... . 21) » » » 230 Marsili C. » .. .. 4 giu. » » 274 Magalotti I<. » .. . . » » » » 231 Gassendi P. » .. .. 20 lug. » » 275 Guiducci M. »... . 30 » » » 232 Ciampoli G. » .. .. 30 ag. » » 279 Marsili C. »... . 3 dio. » » 234 Cesi F. » .. .. 26 set. » » 280 G. a C. Marsili. . 7 » » » 235 ltinuccini G. B. » .. .. 10 ott. » » 281 Imperiali 11. a G.... . » » » » 236 G. ad E. Diodati... ..20 » » » 282 Ciani poli G. »... . 14 » » » 239 G. a Ferdinando li G. a C. Marsili. . 17 » » » » de’ Medici. .. » » » » Faber G. a F. Cosi. . * » » » 240 ltinuccini G.B. a G. .. l°nov. » » » Guiducci M. a G. .. . 21 » » » 241 Ciampoli G. » .. 8 » » » 283 G. a F. Barberini. . . 23 » » » 242 Riuuccini G. B. » .. » » » » 284 Cosi F. a G. . 27 » » » 243 Castelli B. » ..12 » » » » Guiducci M. a G.... . » » » » 244 Marsili C. » ..14 » » » 285 Cianipoli G. » .. . . 28 » » » 295 Santini A. » ..15 » » » 286 Marsili C. » ... . 31 » » » 245 Cliiaramonti S. » ..16 » » » 288 G. a B. Castelli... ..21 » » » 289 Cesi F. a G. . 3 gen. 1625 » 245 » a C. Marsili- ..22 » » » 290 Ciampoli C. a G.... . 4 » » » 246 Castelli B. a G. ... .. 10 die. » » 291 Guiducci M. » .. . . » * » » 247 Marsili C. » ... .. » » » » 292 G. a C. Marsili. . 11 » » » 248 Galilei M. 0. » ... ..19 » » » » Guiducci M. a G- . » » » » 249 G. a B. Castelli... ..27 » » » 293 Barberini F. » ... . 18 * » » 250 Ciampoli G. a G... ..18 » i> » 294 Guiducci M. » ... . 25 » » » » » » ... . 1° feb. » » 251 Castelli B. a G.... .. 1° gen. 1626 » 296 » » ... . 8 » » » 253 G. a 0. Marsili- ..10 » » » 297 Ciampoli G. » ... . 15 » » » 254 Cesi F. a G. .. » » » » » Guiducci M. » ... . 22 » » » 255 Marsili C. » . .. » » » » 298 . 28 » » » 256 299 Faber G. a F. Cesi. . 7 mar. » » 257 Barberini F. a G... .. 14 » » » 300 Ciampoli G. a G.... . 8 » » » » Rinnccini G.B. » .. ..16 » » » 301 Marsili C. » ... . » » » » 258 G. a C. Marsili.... .. 17 » » » » ltinuccini T. » ... . 1(5 » » » 259 Chiaramonti S. a G. .. 18 » » » 302 G. a F. Cesi. . 17 » » » 260 Ciampoli G. » .. 24 » » » 803 462 INDICE GENERALE CRONOLOGICO, Voi. Ta*. I Voi. P 9? . Rinuocmi T. a G. ... 24 cren. 1620 XIII 304 Galilei M. A. a G. ... 6 gen. 1627 XIII 340 G. a 0. Mftrsili. . .... 31 » * » 305 Bai inni G. B. a B. Oa- Galilei M. C. a G. ... . 26 feb. * * 300 stelli. 20 feb. » » 348 Imperiali 13. » .... 27 » » » 307 Di Guovara G. a G. . 6 mar. » » 349 Stellati F. » .... 28 * > » 308 G. a Ferdinando II Cavalieri 13. » .... 29 » » » 309 de’ Medici . t> » » 350 Stelluti F. » .... 7 mar. » > 310 Gerini A. a T. Mozzo- * » .... 14 » » » » lini . 24 apr. » » » Cavalieri B. » ....21 » » > 311 Nozzolini T. ad A. Ge- Castelli B. » .... * » * * 313 rini. 26 » i> 351 Imperiali B. » .... * * 9 » » Castelli B. nd A. Arri- 0. a C. Marsili. .... 28 » 9 * 315 ghetti. » » » » Marsili C. a G.. .... 3 apr. » » 310 Castelli II. a G. 30 » » » » Castelli B. » . .... 4 * * > 317 Cavalieri B. * . » » » » 352 Cavalieri B. » . .... » * » » 318 Nozzolini T. ad A. Ge- Morandi 0. > . .... 17 > » > 319 rini. 1" mag. » » 353 G. a C. Marsili. .... 25 * * » > Galilei M. A. a G. ... 5 » » » » Morandi 0. a G. .... 2 mag. » » 320 Barberini F. » ... 12 » » » 356 Santini A. » .... 8 » * » 321 Aggiunti N. » ... 10 » * » 357 Cavalieri B. * .... 9 * » » 322 Castelli B. »... 21 * » » 358 Castelli B. » .... 30 » » » 324 * »... 22 » » » 359 Aversa R. » .... 1° giu. > » 325 Baliani G. B. a B. Ca- Marsili C. » .... 20 » » » 326 stelli. 28 * * » 360 Morandi 0. * .... * » » » 327 Nozzolini T. nd A. Ge- G. a C. Marsili. .... 27 » » » * rini. * » * 361 Marsili C. a G.. .... 5 lug. > * 329 G. ad A. Arrighetti.. 10 giu. » » » Aversa 11. » . .... 6 » * * » Nozzolini T. ad A. Ge- Marsili C. » . .... 7 » » » 330 rini .......... . » » T> » G. a C. Marsili. .... 17 » » » 331 Nozzolini T. ad A. Ge- Fioroni G. a G. .... 24 » * » 333 Marsili C. » .... 26 » » » 334 Castelli B. a G. 12 » » » » Castelli B. » .... 1» ag. » » 335 Pecci F. » . 23 * » » 362 Cavalieri B. » .... 7 * 9 » 336 Buglioni M. » . 26 » » » 363 Chiararaonti S. a G... 8 » » » 337 Ciampoli G. » . 10 lng. » » 364 Castelli 13. > 21 » » > » Galilei M. A. » . 14 » » » 365 G. a C. Marsili. » > > 338 Buglioni M. » . 17 » » » 367 Marsili C. a G.. » » 340 Di Guevnra G. a ti.. » » » » 368 Castelli B. * . .12 » » » » G. a B. Castelli. 2 ag- » » 370 Di Guevara G. a G... 21 nov. * > 341 Galilei M. A. a (ì. ... 4 » » » 371 Da Som inaia G. » .. 13 die. » » 342 Castelli B. » ... 7 » » » 372 Cavalieri B. » .. 16 » » » 343 Stelluti F. » ... 14 * » » 373 Grini 1). * 19 » » » 344 G. a G. Kopler. 28 » » » 374 Aggiunti N. » 23 » » * » Cesi F. a G. 4 set. » » 375 Cavalieri B. * 30 » » > 346 Antonini A. a G. 25 ott. » » 376 Grassi 0. a F. l3on- Di Guovara G. a G... 15 nov. » » 377 compagni .. .... > * > Antonini A. » ,. » » » 379 INDICE GENERAL Voi. Pag. Buglioni M. a G.... . 12 die. 1027 XIII 380 Cavalieri B. » • ... . 17 » * » 381 Galilei M. 0. » . 24 » > » 382 » i > ... • x> » Castelli B. a G. .... . 8 gen. 1628 * 383 Ciappoli G. * . * » * » 384 Cavalieri B. » .... . 14 » » » 385 Aggiunti N. » . 19 » » » 386 Cesi F. » .... . 20 > » » 387 Castelli B. » .... . 22 » » 388 Di Guevara G. a G... . 21 » > » 389 Castelli B. » .. . 5 fcb. * V 390 Cavalieri B. » .. . 8 » * » 391 Pioralli M. A. » .. . 9 * > » 392 Castelli B. » .. . 19 » » » 393 » » .. . 20 » * » » Galilei M. A. » .. . » » » » 394 Gassendi P. > .. . 2 mar. Tf * 395 Galilei M. C. » .. . 4 * V » 398 * » .. . 18 » » * 399 Aggiunti N. > .. . 21 » * » » Galilei M. C. » .. . 22 » » 400 Galilei M. A. » .. . > * * » 401 Galilei M. C. » .. . 24 » » » 402 Castelli B. » .. . 25 * > » 403 Galilei M. C. » .. . » * » » 404 Galilei M. A. » .. . 29 > » > 405 Galilei M. C. » .. . mar.-apr. » » 406 » » .. » » > 407 Galilei M. A. * .. . 5 apr. > » 408 Galilei M. 0. » .. . 8 » * » 410 5 » » .. . 10 » * » 411 > » .. . 19 » * » 412 Filippo d’Assia » .. . 20 * * » 413 Galilei M. C > .. . 23 » > > 414 Galilei M. A. » .. . 27 * » » » Aggiunti N. » .. . * » > » 418 Galilei M. C. » .. . 28 » » » 419 Castelli B. > .. . 29 * * » 420 Crivelli F. » . . 13 mag. » » 422 Castelli B. » .. . 14 » » » 424 Pioralli M. A. * .. . 17 » * » » Ohiaramonti S. » .. . 24 » » » 420 Castelli B. » .. . 27 » » » 427 Cesi F. a G. Faber . 1' giu. » » 429 CRONOLOGICO. 463 Voi. Pag. Castelli B. a G. 3 giu. 1628 XIII 430 Galilei M. A. > . 6 » » » 432 G. a B. Castelli. 11 » > » 433 Castelli 13. a G. 17 » » » 434 Silvi G. V . » » » * 435 Castelli B. > . 24 » » * 436 * * . » » » » 437 Galilei M. A. ». giu. 1628 * * XVIII 438 426 Castelli B. » . 1° lug. 1628 XIII 439 Galilei M. A. » . 6 » » » 440 Castelli B. * . 9 * » » 442 » * . 22 » » > 443 * » . 5 ng. » » 444 Galilei M. A. * . 23 * » » 445 Castelli B. » . 26 * * * 446 » » . l°set. » > 447 Cesi F. » . 9 * » » 448 Castelli B. * . 16 » » » 449 Piccolomini A. a G... > » » » 450 Castelli B. » .. 3 nov. » » 451 Colonna F. a F. Cesi. 10 » » > > Galilei M. C. a G. ... 11 > » » 452 Castelli B. * ... 17 » » » 453 Gloriosi G. C. * ... 20 > » 454 Cavalieri B. » ... 24 » » > 455 Castelli B. » ... 25 > » » 456 G. a Ferdinando II de’ Modici. nov. » > 457 De’ Ricci P. F. a Fer- d mando II de* Me- dici.,... 1“ die. * * 458 Stellati F. a G. 2 » » » 459 Galilei M. C. » . 10 » » » 460 Ceccarelli L. » . 16 * » * 461 G. a I. Aldobrandini. 18 » » » 462 Cavalieri B. a G. 19 » » » 463 Galilei M. C. » .... » » » 464 Castelli B. » .... 29 » f> » » Galilei M. C. » .... » » » 465 Voi. Pag. G. ad A. Cioli. l°gen. 1629 XIV 11 Cavalieri B. a G. 2 > » » 12 * aO.Marsili * > » » 13 Galilei M. C. a Gr.... 4 » » » 14 4G4 indice generale cronologico. Voi. Pag. Voi. Pag. Castelli C. a (x. 5 gon. 1029 XIY 15 G. ad E. Diodati.... 29 ott. 1629 XIV 49 G. a B. Castelli. 8 » » » 16 Curosi M. a G. 2 nov. » 9 » Cavalieri 13. a G.12 * » » 17 Castelli B. » . 10 * » » 50 » aO.Maraili » » » » 18 Galilei M. C. a G..., » » 9 » 51 Castelli B. a G.21 » » » 19 Pallavicino S. a F. Chi Bocchineri C. ».27 » » 9 20 fr». 14 » * XVIII 428 MevSenne M. *. 1® fob. » XVIII 426 Stecchini P. a (1- 16 » » XIV 52 Cavalieri 13. » .20 » » XIV 20 W. a G. F. Buonamici 19 » » » » Castelli B. * .24 » & » 21 Galilei M.O. a C.... 22 » » » 55 Cavalieri B. a C. Mar- Castelli B. »... 24 » » » 57 sili.27 » » » 22 Cavalieri B. »... 15 dir * » 58 Di Guovara G. a (ì... 2 mar. » » 23 G. a F. CeBi . 24 » » * 60 Peliegri S. a C.Marsili. 4 » » » 24 Pieroni G. a U. 29 » » » 61 G. » 10 » » » » Castelli U. e Buouar Castelli 0. a B.Castelli. 15 » » » 25 roti M. A. a G.. » » 62 Galilei M. C. a G.... 22 » » » 26 PellegriS.aC.Marsili. » » » » 27 Galilei M. C. a G.... 4 gon. 1630 * 63 Cavalieri 13. a G.27 » » » 28 Ciampoli G. »... 5 » » » 64 Mar sili C. » .... 28 » > » 29 Cini N. »... 10 » » » 05 G. a C. Marsili. 7 apr. » » 30 G. a C. Marsili. 12 » » » » Morsili C. a G.10 » » * 32 » a F. Cesi. 13 » » » 66 Di Guevara G. a G... 20 » » » 34 Galilei M. C. a G... 21 > » » 68 G. a C. Marsili.21 * 0 » 35 Aggiunti N. e Peri I Diodati E. a G.22 » 9 » 37 ad. 24-30 * » & 69 SampicriG. B.agliAs- Cesi F. a G. 26 » » » 72 sunti dello Studio Buonamici G. F. a G. 1° feb. » » 73 di Bologna. 5 mag. » > » Marsili C. * » » * * 76 Ciampoli G. a C. Mar- Castelli B. » 9 * » » 77 sili.26 9 » » » G. a C. Marsili. 16 » » » 79 G. a G. F. Buonamici 19 giu. » » 38 Castelli 13. a G. » * » » 80 Galilei M. C. a G.... 8 lug. » » 39 Galilei M. C. » .... 19 » » » 81 G. a Ferdinando li Castelli B. > .... 23 » » » 82 de’ Medici. s> » » 40 Cavalieri B. » - > » » » » Bnonamici G. F. a G.. 4 » 41 G. a G. Fortescuo.. » » » 83 Usinibardi L. a Fer- Aggiunti N. a G.... 6 mar. » » 85 dinandolIde’Me- Galilei M. C. » ... 14 » » V 86 dici.17 » » 9 42 Castelli 13. »... 16 » » » 87 Marsili C. a G.29 » * » 43 Cavalieri B. »... 2 apr. » » 88 Di Guevara G. a G... 2 set. » > 44 Castelli B. »... 6 » » » 89 Galilei M. C. * .. 6 » » » 45 Galilei M. C. »... » » » » 90 G. a C. Marsili. 7 » » » » G. a G. F. Buonamici 8 » » » 91 Baliani G. B. a G.... » * » » 46 Galilei M. C. a G... 14 » » » 93 Fortescue G. »... 15 ott » > 47 Aggiunti N. » .. 17 » » » 94 Cavalieri B. »... 20 » 9 48 Sagredo Z. » .. 23 » » » 95 DiodatiE.a G.Sclnck- Aggiunti N. » .. 24 » » » 96 hardt. * » » XVUI 428 Bocchinerì G. » .. 28 > » » » INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 4G5 Voi. Pag. i Voi. Pag. Sagredo Z. a G.28 apr. 1630 XIV 97 Stellati F. a G. 2 ag. 1630 XIV 126 NiccoliniF.adA.Cioli. 4 mag. » » » G. a G.B. Baliani... 6 » » » 127 Gioii A. a F. Niccolini. 11 » » » 98 » ad A. Boccliinori Bocchi neri G. a G.... 14 » » » » Buonaniici. 8 » » » 130 * »... 18 » » » 99 Castelli B. a G.10 » » » 132 Peri D. »...»» * » 100 Ciampoli G. » . » » » » 133 Padelli A. a. » » » » 103 Diodati E. a N. Fabri Niccolini F. od A. Gioii. 19 * » » » di Pei rese.Il » » » 134 » a G.20 » » » » Langiori V. a G.17 » » » » Pori D. » . * » » » 104 Castelli B. » .... 21 » » » 135 Gioii A. a F. Niccolini. * » » » 105 Ciampoli G. »....» » » » 13G Bocclnncri G. a G-21 » c » » Bombini P. » -30 » » » 137 Del Borgo E. ad A. Gassendi P. »....» » » » 139 Cidi.22 » » » 106 Del Borgo E. ad A. Morandi 0. a G.24 » » » 107 Cioli.31 » » » 140 Galilei M. C. a G.... 25 » » » 108 Silvi G. a G. 2 set. » » 141 NiccoliniF.adA.Gioii. » » » » 109 Galilei M. O. a G. 4 » » » » Iloccliinori G. a G.... 27 » » » » Silvi G. » .... 7 » » » 142 Cioli A. a F. Niccolini. 28 » » » 110 Galilei M.C. » _10 » » » 143 G. a M. A. Buonarroti 3 giu. » » » Castelli B. » .... 13 » » » 144 Buonarroti M. A. a G. » » » » 111 Hurtado di Mendoza G. a M. A. Buonarroti * * » » 112 A. ad E. del Bor- D’Elei 0. a G. » * » » 113 go. » » V » 145 Giraldi I. » . » » » » 114 Di Lavagna T. ad E. G. a M. A. Buonarroti 5 » » » » del Borgo.14 » » » » Buonarroti M.A. a G. 6 » » » 115 Del Borgo E. a G... » » » » » PeriD. » .. 8 » » * 116 » ad A. Cioli. » » * » 147 Del Borgo E. ad A. Riccardi Niccolini C. Gioii. » » » » 117 a G. * » » » 148 Bocchineri G. a G-10 » » » 118 Venier S. a G.15 » » » 149 » »... 14 » » » 119 Del Borgo E. ad A. Visconti R. »... 16 » » » 120 Cioli.17 » » » 150 Gioii A. ad E. del Borgo 18 » » » » Castelli B. a G.21 » » » » NiccoliniF.adA.Gioii. 29 » » » 121 Ciampoli G. » . » » » » 151 Gioii A. a G. » » XVIII 428 Micanzio F. * . » » » » 152 Stellati F. a G. 6 lug. » XIV 121 Silvi G. » . » » » » 153 Niccolini F. » . 7 » » » 122 Riccardi Niccolini G. Ciampoli G. » .13 » » » » a G.12 ott. » » 154 Del Borgo E. ad A. Silvi G. a G. » » » » » Cioli. » > * » 123 Galilei M. G. a G.... 18 » » » 155 Galilei M.C. a G.21 » » » » Riccardi Niccolini G. Baliani GB.» .27 » » » 124 aG.19 » » » 156 Bocchinori Buonamici Diodati E. a G.23 » » » 157 A. aG . 28 » * » 126 Baliani G. B. a G.... 24 » » » » Diodati E. a G.Schick- Aggiunti N. »... 28 » » » 160 hardt. » » » XVIII 428 Galilei M. C. »... » » » » 161 XVlil. 59 466 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Pa*. Voi. Diodati E. a G. Sehick- Peirangeli L. a G... 6 feb. 1631 XIV 209 liardt. 1° uov. 1630 XVIII 429 Castelli B. » .. 15 » » » 210 Galilei M.C. a G. 2 » » XIV 162 Cavalieri B. ». 16 » » » 211 » » .... 8 » » » 164 Galilei M. C. » .. 18 » » > 214 Cioli A. ad E. del Bor- G. a 0. Mar Bili.22 » » » 215 » 165 » ad A. Cioli. 7 mar. » Giraldi 1. a G. 51 » » 166 Bocchineri G. a G.... 8 » » » 218 Silvi G. * .16 » » 167 Cioli A. a F. Niccolini. » » » * 219 Riccardi Niccolini C. Galilei M. C. a G.... 9 » » » » a G.17 » » » » »... 11 » » » 220 Galilei M. G. a G.... 26 » » 108 » »... 12 » > » 221 Castelli B. »... 30 » » 169 Coccapani G. a l'or- Fa bri di Peiresc N. a dinaudo li de’ Me- G. G. Bouchard.. * * 170 dici. v * » 222 Cavalieri B. a G. 3 die. » » Galilei M.C. a (ì-18 * » » 223 Galilei M.C. » .... 4 » » 172 Niccolini F. ad A. Cioli. 16 - * » 224 Galilei V. » .... 7 » » 174 Galilei M. C. a G.... 17 » » » » Arrighetti N. ad A. • M&raiti 0. » . . » » » » 225 Arrighetti. 9 » » 176 Cavalieri B. »... 18 » > » 226 Petrangeli L. a G.... 11 » » 177 Ninci A. »... 19 » » * 232 Arrighetti A. aN. Ar- Cioli A. a F. Niccolini. 21 » » » » righetti.14 » » 179 Staccoli R. a G.26 » » » 233 Airi ghetti N. ad A. Coccapani G. a Ferdi- Arrighetti. * » » 181 nando 11 de’ Me- Galilei M.C. a G-15 * » 18*1 dici. > » » » Arrighetti A. a N. Ar- Coccapani G. a U. Stac- righetti.16 » » 185 coli.27 » » » 234 Arrighetti A. a G.... 17 » » 189 Castelli B. a G.29 » * > 235 Cavalieri B. »... » » » 192 Gioii A. a F. Niccolini. » » » » 23G Arrighetti N. »... 18 » » 193 Staccoli II. a G.31 * » » 237 G. a II. Staccoli.22 » » 196 G. a R. Staccoli. 8 apr. » » » Arrighetti A. a G-23 » * » Coccapani G. a L. Treni azzi F. a G. Pa- Ueimhardi. 4 » » » 239 » 198 Arrighetti A. a G.... 27 » » 199 Niccolini F. ad A. Cioli. > » » » 242 G. ad E. del Borgo (?). » 202 Cavalieri B. a G. 8 » » » > Maraili C. » .... > » » » 243 G. a R. Staccoli.16 gen. 1631 204 Pieralli M. A. * .... 9 » » » 244 Arrighetti A. a.17 » » » DaSommaiaG. » .... » » » » 245 Galilei M. C. a G.24 » * 206 Galilei M.C. » .... 11 » » » 246 Galletti C. » .... 29 » » 207 De’Medici G. » .... » » » » 247 Del Borgo E. ud A. Cioli A. a F. Niccolini. » » » » » Cioli. 1‘ fcb. » » 208 Duodo F. a G.12 » » » » Diodati E.aG.Schick- Niccolini F. ad A.Cioli. 18 * » » 248 liardt. 2 » » XVIII 429 Arici G. B. a G.16 » » » 249 Pecci F. a G. 3 » > XIV 208 Cioli A. a F. Niccolini. 17 » » » » INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 467 Voi. Phk. Voi. Pag. Castelli 13. a G.19 apr. 1631 XIV 260 Niccolini F. a G. 12 lug. 1631 XIV 284 Niccolini F.ad À.Cioli. » * » 251 p * . 19 p * » p Galilei M. C. a G.... 22 » » > P Riccardi N. aO. Egidii. > p * p 285 Pieralli M. A. »... 23 » » * 252 G. a Fordinando II Cidi A. a F. Niccolini. * * » p 253 de’ Modici. 22 p » p * Galilei M. C. a G.25 > p » > Dal Pozzo C. a G... 30 » » p » Riccardi N. a F. Nic- Galilei M.C. ».. » p p 28(5 colini. » » » * 254 Niccolini F. * .. 10 p p 287 Campanella T. a G... 20 » » p , 255 Galilei M.C. p .. 12 » » p 288 Castelli 13. * •• * p * p p G. ad E. Diodati. 16 » p p 289 Cidi A. a F. Niccolini. > » » * 256 Ciani poli G. a G. 23 » » p > Niccolini F. ad A. Gioii. 27 » > P 257 Galilei M.C. * .... 27 ♦ p p 290 Gigli A. » 1° inag. p * » p » .... 30 » p p 291 G. * 3 » p > 258 Stellati F. » - » » X» > 292 Diodati E. a G. Schick- Fnbri di Peiresc N. a hardt.11 * » XVIII 429 G. G. Bouchard.. 5 set. » p 293 Dol Gorgo E. a.. .. 13 > » XIV 200 Cavalieri B. a G. 9 * p » p Silvi G. a G.17 > » p 261 Orsini P. G. » .... » » p p 294 Niccolini F. ad A.Gioii. » > > p » Fabri di Peiresc N. a Galilei M. C. a G.. .. 18 * * » 262 P. Dupuy. 18 » T> > 295 Cavalieri 13. > ... 21 p » > 263 Ninci A. a G. 24 * P p 296 Galilei Y. > ... > p * p 264 Castelli B. a G. 26 » » p » Cidi A. a F. Niccolini. 22 » * > 265 Mioanzio F. > .... 27 * » » 298 G. a 13. Cavalieri-24 » » • > » Marsili C. p - 11 ott. » p 299 Riccardi N. a C.Egidii. * » * p 266 Coccapani G. » .... 16 » » p 301 Niccolini F. a G.25 * p p » Castelli B. » ... . 18 » P p 302 Piccolomini A. a G... 28 » » » 207 Cavalieri B. » . ... 28 » P p 303 Galilei M. 0. * .. 29 > » » 268 Semi B. * .... 31 * » » 304 Castelli 13. » .. 31 > > » 269 Riccardi Niccolini C. EgidiiC.aN. Riccardi. > » p » 270 a Cr. l f nov. P » 305 Rocchineri G. a G.... 2 giu. s> » » Ninci A. a G. 2 » P » 306 Usimbardi L. a Fer- Arici G. B. » . 16 p P p » dinaudoIIde’Me- Cavalieri B. > . 18 * » p 307 dici. » * p p 271 De*Medici F. » . 26 * P p 309 Galilei M.C. a G.... 4 » » * 273 Petrangcli L. > . 27 * P p 310 Niccolini F. ad A. Cidi. 8 > » * 274 G. a C. Marsili. 29 > P p 311 Cavalieri B. a G.10 » p » » Lodovici L. a G. > p P p 312 Galilei M.C. > - » * > p 275 JaufTred G. * .... 30 » P p 313 Cidi A. a F. Niccolini. 13 * > » 276 Marsili C. * .... 2 die. » p 31(5 Castelli B. a G.14 » » p » G. a C. Marsili. 13 » » » 317 » » .20 » » p 277 Castelli B. a G . > » P p 318 Ruonaraici G. F. a G.. 28 » » > 278 Marsili C. » . 18 p P p » Cavalieri B. * Plug. » * 279 Castelli B. » . 20 » P » 319 G. a C. Marsili . 5 p » p 280 Bocchinori G. » . 25 » P » 320 » a C. dal Pozzo - 7 » » » 281 Duodo F. » . 27 » P p 321 Marsili C. a G . 8 » > > 282 Orsini P.G. » . 30 p P p 322 408 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. l’ag. Voi. Pag. Pieroni G-. a G.31 die. 1031 XIV 322 G. a B. Castelli.17 mag. 1632 XIV 351 Della Rena G. ad A. Scalandroni II. a G... » » » * 352 Gioii (?).1631? 1632? XVIII 430 Cavalieri B. » .. 18 » > » 353 Sagredo Z. » .. 20 * » » 355 Lodovici li. a G. 2 gen. 1632 XIV 324 Cavalieri B. » .. 25 * » » » (3, a G. Maraili. 3 » » » 324 Caccia A. » .. 26 * » » 356 Scalandroni B. a G... 9 » » » 325 Castelli B. » .. 29 » » » 357 Riccardi Niccolini G. Fabri di Peiresc N. a a G.15 » * » 326 G. Gaultier. 18 giu. » » 859 Gioii A. a G.19 » * » 327 Castelli D. a G. 19 * » » » Cavalieri B. a G.27 » » » » Stelluti F. »... » y » » 360 Ciani poli G. * .... 31 » » » 328 Miennzio F. . 3 lug. » » 362 G. a Ferdinando II Santini A. » . 14 » » * 363 do’ Medici. fob. » * 329 Mica ozio F. * . 17 » » » 364 Antonini A. » .24 * •Mir» Landini G. 13. a C. Campanella T. » . 5 ag. » » 366 Maraili... •.21 » » » 331 Magalotti F. a M. Gui* G. a G. Maraili.23 » * » 332 ducei. 7 » » 368 Fabri di Peiresc N. a Micanzio F. a G.14 * » » 371 P. Gaasendi.20 » li » * Niccolini F.ad A.Cioli. 15 » » » 372 Landini G.B. a C.Mar- Gioii A. a F. Niccolini. 19 » » » 373 sili.27 » > » 333 Campanella T. a G... 21 » » * » Gassendi P. a G. 1° mar. » » » De’ Medici F. ad A. Marsili C. > .... 16 » * » 834 Cidi. * » » * 374 G. a C. Marsili.20 » » » 335 Niccolini F. ad A. Cidi 22 * * » » Cavalieri B. a G.22 * » » 336 » » * » » » » Ninci G. * .... 21 » » » 337 Gioii A. a F. Niccolini. 24 * » » 375 Jauffred G. » .... 26 » » » 338 Niccolini F. ad A.Cioli. 28 » » » 377 Niccolini F. ad A. Gioii. 28 » » » 339 Cavalieri II. a G.31 » ■> » > Cidi A. a F. Nicco- Magalotti F. a M. Gui- lini. 2 apr. * y » dacci. 4 set. T> y 379 G. ad E. Diodati. 9 » •» » » Magalotti F. a G.... » » * » 382 » a C. Marsili. 17 » » > 341 NiccoliniF.ad A.Cioli. 5 » » » 383 Baliani G. B. a G— 23 » » s> 342 Cidi A. a F. Niccolini. 9 » » > 385 Li ceti F. »... 29 » » » 344 G. a C. Marsili.11 * » » 386 Ninci G. »... 30 » » » :;i;. Torricelli E. a G.... * » » » 387 Campanella T. » ... 1 mag » 346 Niccolini F.ad A.Cioli. » » » » 388 Contarini A. »... * > » » » Gioii A. a F. Niccolini. 16 » » » 390 Dnodo F. » ... » » » » 347 Micanzio F. a G.18 » » » » Marsili C. »... 4 » » » » Niccolini F.ad A.Cioli. * » » » 391 Pecci F. »... » » » » 348 Gaultier G. a N. Fabri Gioii A. a F. de’ Me- di Peiresc.20 * » » 393 dici.12 » » » 349 Cavalieri B. a G.21 » » » 394 Micanzio F. a G.15 » » » » Marsili C. »....» » » » 396 Molin D. »....» » » * 350 Campanella T. > .... 25 » » » 397 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 4 fiO Voi. l’fltr. Voi. Puff. E cridii 0. Ad A. Bar- Cioli A. a F. Niccolini. 13 nov. 1032 XIV 429 herini. .. .25 > 3et. 1032 XIV 397 Castelli B. a G.20 » » » 430 Barberini F. a G. Bo- Galilei F. » . » > » » 431 logiietti. » » » » * Niccolini F. * . * » » » » Barberini F. a G. Bo- Egidii C. ad A. Bar- lognetti. » » i> » 398 boriili. » * » » 432 Piccoloniini A. a G... 29 » » » 399 Niccolini F. a G.21 » » » *• Bolognetti G. a F. Bar- Castelli B. » -27 » » » 433 berilli.30 » » » 400 Galilei F. »....» » » » 434 Gioii A. a F.Niccolini. 1° ott. > » » Micanzio F. »....» » » » » Castelli B. a G. 2 » > > » Descartes II. a M. Mer- Egidii C. ad A. Bar- senile.noY.-dic. » » 435 bermi. » * » » 402 Castelli B. a G. 4 die. > » » G. ad A. Gioii. (i * » » » Sacchetti N. ad A. Micanzio F. a G. 9 » » » 403 Cioli. > s> 430 * » - * » » » 404 Niccolini F. a G. 5 » * » » Gioii A.aF. Niccolini. * » * » 406 Cavalieri B. » .... 7 » » » 437 Buonarroti M. A. a F. Cioli A. a F. Niccolini. 11 » » » 438 Barberini.12 * > » 406 Niccolini F. ad A. Cioli. » » > > » Gioii A. a F. de’ Modici * » > » » > a G.12 » » » 439 li. a F. Barberini-13 » * > » Cioli A.a F.Niccolini. 16 * » » 440 * a G. Marnili.10 » * » 410 G. a C. del Sera.17 » » » » Castelli B. a G. » » > » 411 Castelli B. a G.18 » » » » Gioii A. a F. Niccolini. > » » » 413 Egidii C. ad A. Bar- » a G. » » » > » berilli. » » » » 441 Sacchetti N. ad A. Gioii > > > » 414 Cavalieri B. a G.21 » * » » Campanella T. a G... 22 » > i » Castelli B. > .... 25 » » » 442 Castelli B. » •. 23 » » > 415 Niccolini F. »... * » * > 443 Micanzio F. » .. » » * * 416 > ad A. Cioli. 26 » » » » Niccolini F. * .. » » > * 417 G. a C. Maraili.31 » » » 444 * ad A. Gioii. 24 » > » 418 Cioli A,a F. Niccolini. 29 » > * 419 Castelli B. a G.30 » » » » Voi. Pftff. Micanzio F. » . * * » » 420 BarberiniF.ad A.Cioli 1° gen. 1633 XV 11 421 De Ville A. a G. 4 » » » 12 Gassendi P. » . 1° uov. > » 422 Cioli A. a F. Niccolini. » » » * 19 Castelli B. » . 6 > » * 423 Castelli II. a &. 7 » » » » Cioli A. * . * * * » 424 Egidii C. ad A. Barbe- » » » 20 Cioli A. a N. Sacchetti. > * * » 425 Niccolini F. a G. 9 » » V Niccolini F. ad A. Gioii. » » * » > Gioii A. »-11 > » » 21 Castelli B. a G.13 > > » 426 Bocchineri G. » .... 12 » » » 22 Galilei F. » . > > > > * G. ad E. Diodati.15 * » * 23 Niccolini F. * . * » > » 427 » a C. de* Medici... » > > > 27 » ad A. Gioii. > » » » 428 Bolognetti G.aF. Bar- » >14 > > > 429 berilli. * » » » » 470 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. ri*. ! VOI. PR*. Niccolini F. ad A.Gioii. 15 gen. 1633 XV 28 <3. a G. Bocchineri.. . 25 feh. 1633 XV 50 » > » » » * » Arrighetti A. a G.... 2G » » 52 Do’Medici G. a G .. . 19 » > > 29 Galilei M. C. »... » » » » Gioii A. a F. Niccolini. 21 » » » » Niccolini F. ad A.Cioli. 27 » » 54 Bolognetti G. a F.Bar- » 9 9 » » 55 berini. 22 » » > 80 > * » » 56 Egidii G. ad A. Bar- Faln i di Peiresc N. a berini. » » » » * 1*. Gossendi. 2 nmr. * XVIII 430 Venier S. a G. 23 9 » » Gioii A. a F. Niccolini. 3 > XV 57 Boccliiiieri G. a G... 24 » » * 31 » * 4 » * » * A. » • . 27 » 9 » 32 <3. a G. Bocchineri.. . 5 » » cn co » > » .. 29 » » » 83 Galilei M. C. a G.... » » » 59 liandini G. B. a 0. Gniducci M. »... » » » 60 M arsi li. » » * » 84 Niccolini F. ad A.Cioli. 6 » » 61 30 » » ad A.Cioli. * > » » 35 di PeireHC. 7 » » 62 » a G. 31 » » » » (3. a G. Bocchineri... 12 » » » Bocchincri G. a G. .. 3 feh. » » 86 » ad A. Gioii. » » » 63 Gioii A. a F. Niccolini. 4 » » » > Arrighetti A a G.... » » » 64 Bocchineri G. a G. .. 5 » » » 37 Bocchineri G. »... » • » 65 Galilei M. C. a G.... » » * » 38 Galilei M. C. »... » » » 66 Niccolini F. » ... > » » » 39 Gioii A. a F. Niccolini. * » » 67 Barberini F. a G. Bo- Niccolini F. ad A.Cioli. 13 » » » lognotti. » > » » > A. Cioli a F. Niccolini. 17 » » 69 Cini N. a G. 12 * > » 39 G. ad A. Cioli.19 * » » Niccolini F. ad A.Gioii. 14 » > * 40 Galilei M. C. a G.... » » » 70 » > 1G » > » 41 Guiducci M. »... * » » 71 Bocchineri A. a G... 18 » > » 42 Tedaldi M. »... * » » 73 Bocchineri G. » .. » > > » » Niccolini F.ad A.Cioli. » » » » Cioli A. a F. Niccolini » » > > 43 Bocchineri G. a G.... 2ii » » 74 (3. ad A. Cioli. 19 » > * * Cini N. »... * » 75 N iccoliui F. ad A.Cioli. » » > » 45 Cioli A. »... * » » 76 Gioii A. aF. Niccolini. 20 * » > 46 Galilei M. C. »... » » » 77 Ferdinando li de’Me- Guidacci M. »... » » » » dici a 1). Scaglia. > » * > > » »... 2 apr. » » 78 Boccliinori G. a G... 21 * » » » Ciampoli G. »... 5 » 79 Scheiner C. a P. Gas- Bocchineri G. »... 9 » » 80 sendi. 23 » » * 47 Cini N. »... » » » 81 Bocchineri G. a G... 24 » » > * Galilei M. C. »... * » » 82 Gioii A. » .. » » » » 48 Guiducci M. »... * » » 83 Ferdinando li de’ Me- Niccolini F.ad A.Cioli. * * » 84 dici a G. Bontivo- riccolomini A. a G... 10 » » 85 gito. » » > » 49 Bocchineri G. * . . 14 » » 86 Ninci G. alla famiglia Cioli A. a F. Niccolini. » » » 87 di Galileo. * » » > » Naudé G. a P. Gaa- Gioii A. a I'. Niccolini, h » » » » seudi. * » » » INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 471 Voi. rag. Voi. Pag. G. a G\ Bocchineri.. 1G api-. 1638 XV 88 Niccolini F.ad A.Cioli. 15 mag. 1633 XV 123 Galilei M. 0. a G.... > » * » 89 » » » » » » 124 » »...»» » » 90 Piccolomini' A. a G.. . 16 » » » » Guiducci M. a G.... » » * » 91 Bocchineri G. » .. 18 » » » 125 Tedaldi M. »... * » » » 92 Castelli B. » .. 19 » » » 126 NicooliniF. nelA.Cioli. » » » » 94 Bocchineri G. » .. 21 » » » 127 Nardi li. a(l.li) » » » 95 Capponi L. * .. » » » » 128 Bocchineri G. a li... 20 * » » 97 Cini N. »...»» » » 129 Galilei M. 0. » .. » » » » 98 Galilei M. C. »... » » » » * Quaratesi A. » . . » » » » 99 Guiducci M. »... » » » » 130 Gioii A. a F. Niccolini. » » » » » NiccoliniF.adA.Cioli. 22 » » 132 Tedaldi M. a G.22 » » » 100 Bocchineri G. a G. . . 26 » » » » G. a G. Bocchineri... 23 » » » 101 Castelli B. » .. » » » » 133 Bocchineri G. a G... » * » * 102 Cioli A. ai F. Nicco- Galilei M. 0. » .. » > » » » lini. » » » » 134 Niccolini F. ad A.Cioli. » » » » 103 Cini N. a G.28 » » » » » * 25 » » » 101 Galilei M. C. a G. ... » » » » 135 Gondi G. B. * 2G » » » » Guiducci M. »... » * » » 136 Gioii A. aF. Niccolini 27-28 » » » 105 Piccolomini A. »... » » » » 137 Bocchineri G. a G... 28 » »■ » » Tedaldi M. »... » » » » 138 Maculano V. a F. Bar- NicooliniF. ad A.Cioli. 29 » » » 140 boriili. » » » » 106 Fabri di Peircsc N. a Bocchineri G. a G... 30 » » » 107 P. Dupuy.30 » » » 141 Ciani poli G. * .. » » » » 108 Gallarci G. a R. di Galilei M. C. » .. * » » » » Bollogne. » » » » Niccolini F.ad A.Cioli. 1° mag. » » 109 Bocchineri G. a G.... 1° giu. » » » Galilei Y. a G. 2 » » » 110 Galilei Y. »... 2 » » » 142 BuouamiciG.F.a.. . » * » » 111 Fabri di Peiresc N. a Niccolini F. ad A.Cioli. 3 » » » » L. Holsto. » » » » 143 Gioii A. al*'. Niccolini. 4 » » » 112 Aggiunti N. a G. ... 4 » » » 144 » » 6 » * » » Bocchineri G. »... » » » » 145 Gassendi P. a G. Nau- Galilei M. C. »...»» » » 146 dé. » * * » 113 Guiducci M. »... » » » » 147 Galilei M. C. a G.... 7 » » » » Peri D. »...»» » » 148 ( » 114 Castelli B. »... 9 » » » 160 Iticcardi G. *...** ( XVIII 430 Gloriosi G. C. » ... 10 » » » » Badelli A. a.» » » XV 115 Bocchineri G. »... 11 » » » ini Gassendi P. a T. Cam- Galilei M. C. »... » » » » 152 panella.10 » » » » Guiducci M. »... » » » » 153 Bocchineri G. a G. .. 12 » » » 116 Piccolomini A. » ... 12 » » » » Castelli B. » .. * » » » 117 Ciampoli G. »... 14 » » » 154 Bocchineri G. » .. 14 » » » » WendelinG. aM. Mer- Galilei M. C. » .. * » » » 118 senno.15 » » » 155 Guiducci M. » .. » » » » 120 Castelli B. a G.16 » » » » Riccardi G. » .. » » ». » 121 Galilei M. C. » .... 18 » » » 156 Tedaldi M. » .. » » » » 122 Dal Pozzo C. » - » » » » 158 472 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Vng. Voi. Tay. Bouchard G. G. a P. Bocchineri G. a G... 16 lag. 1638 xv 179 e G. Dupuy.... 18 Sfili. 1033 XV 159 Galilei M. G. * .. » > » 180 Niccolini F. ad A.Gioii. 19 * » » 100 Guiducci M. » .. > > 181 Boulliau I. a P. Gas- Tolomoi G. F. » .. » » 182 sendi.21 * * » 161 Da Garresio P. ad A. Gondi G.B. ad A. Gioii. > * » * * Barberini. * » > 183 Patri di Peiresc N. a Soheiner G. a P. Gas- P. Dupuy.22 > * » 1G2 sendi. » » 9 » Bocchineri G. a G. .. 23 » > » » Soheiner G. ad A. Kir- Galilei M. C. » .. 25 » » * 1G3 cher. » > » 184 Badolli A. a.» » » » 164 Fabri di Peiresc N. a Fabri di Peireao N. a P. Dupuy. 19 > » * P. Gassondi. » > » > > Nardi A. a G. 20 > » > Niccolini F. ad A.Gioli. 2(1 » » * 165 Nabli M. a F. Chigi. 21 * » 185 Bouchard G. G. a F. Bocchineri G. a G... 22 > » 180 Micanzio.29 » » » 16G G. ad A. Gioii. 23 > > 187 G. ad Urbano Vili... » » » » Castelli II. a G. » > > 188 Barberini F. aC.Mon- Galilei M. C. » .... » > » 189 ti. » » » » Gnidncci M. » .... » » > 190 Gioii A. a F. Niccolini. 1° lug. » » > Langieri V. » . » » * 191 Galilei M. G. a G. ... 2 * » » 107 Magiotti R. • .... > » » * Niccolini F. » ... » » » » 168 Binuccini C. » .... » » > 192 Padelli A. a. > » T> * * Tolomei G. F. * .... > » » 193 Barberini A. a-, Galilei M.C. » .... 24 > > 194 Inquisitore di Mo- Niccolini F. » - > » > 190 (lena.. > * > * 169 Bocchineri G. * .... 2G » > » G. a M. Mazzei. 3 * > > » G. a G. Bocchineri... 28 » » 198 NiccoliniF.adA.Cioli. » » » 170 Bocchineri G a G. .. » » » 199 Fabri di Pei rese N. a Gioii A. » .. > » > 200 P. Dupuy. 4 » » * 171 Galilei M. C. > .. > > > Qnaratesi A, a li.... 6 » » * 172 Aggiunti N. » .. 30 » > 202 Herrora N. ad A. Bar- Guidacci M. » .. » 9 » 203 berini. > * * * > Niccolini F. > .. 31 9 » » Bocchineri G. a IL. 9 * » » » Bocchineri G. » .. 2 ag. » 204 Badolli A. a.» * * » 173 Galilei M. G. * .. 3 » 205 Egidii C. ad A. Bar- Bernegger M. ad E. berini. » » > > 174 Diodati. > 9 9 206 Niccolini F. a G.10 * * > * Gassondi I’.a N. Fabri * ad A. Gioii. > » » > » di Peiresc. > * XVIII 431 Piccolomini A. ad A. Bocchineri G. a G... 4 » XV 207 Barberini. > » » » 175 Gatteschi Bocchineri Fiorentini F. M. a G. 12 » » > » P. a G. 5 » » * » Bocchineri G. » 13 » » » 17G Aggiunti N. a G.... 6 » » * 209 Galilei M. G. » * » » » 178 Bocchineri G. » ... » > » » Da Lenti in ara A. ad A. Galilei M. G. » . > * » 210 Barberini.15 » > > 179 Millini B. > ... * » • > 212 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Nardi A. a 0. 0 1633 Voi. Pag. XV 213 Rinuccinì 0. a G. ... > * » > 214 Fra Bas.° Capp.* 0 a G. F. Buonamioi.... » » V » 215 Bolognetti G. ad A. Barberiui. » » » » 216 Vitelli F. ad A. Bar- berini. * » » » » Tolomei G. F. a G... 7 » * » » Niccolini F.ad A.Cioli. * » » » 217 Vincenzo ..... Inqui¬ sitore di Pavia, ai propri Vicari.... » * » » * Fabri di Peirosc N. a P. Dupuy. 8 » > * 218 Gallerei G. a P. Du- puy.10 » * » * Bernegger M. a G. M. Lingelsheim.11 » * » * Gioii A. a F. Niccolini. » » * » 219 Da Cardon B. ad A. Barberini.12 * * > » Fabri di Peiresc N. a P. Gassendi. * » * » * Bocchineri G. a G. .. 13 » * » » Galilei M. C. * .. » » » > 220 Girolami P. > .. > » * » 222 Guiducci M. » .. * » » » 223 Magalotti F. > .. » » » * » Rinuccini P. F. » .. > » * » 224 Da Iseo G. ad A. Bar- berini. > » > » 225 Gassendi P. a I. Boul- bau. » * » XVIII 431 Gassendi P. a M. Or- tensio. * » * » j> Niccolini F. a G.14 » * XV 225 Piccinini G. N. ad A. Barberini.15 * » » 226 Bocchineri G. a G... 16 » » » » Fabri di Peiresc N. a P. Dupuy. * » » » 227 Da Quinzano G. ad A. Barberiui.... 17 » » Lingelsheim G. M. a M. Bernegger... 19 » » 473 Cavalcanti 0. a G... 20 1633 Voi. Pag. XV 227 Galilei M. C. » .. » » » » 228 Guiducci M. » .. * » * » 230 Nardi A. * .. * » » » 231 Rinuccini C. » .. » » » » 233 Rocci C. ad A. Bar¬ berini. » » » » Niccolini F. a G. ... 21 * » » 234 Tolomei G. F. * ...» » » » » Bernegger M. a G. Rebhan. » » » » 235 Magiotti R. a G.23 » » » 236 Bartolomeo ...., In¬ quisitore d’Aqui- leia, ad A. Barbe¬ rini. * » T> » 237 Galilei V. a G.26 » » » 238 Cini N. » .27 » » • » 239 Galilei M. C. > . » » » » > Guiducci M. » . * » » » 240 Bolognetti G. a P. Niccolini. * » T> » 242 Egidii C. ad A. Bar¬ berini. » » » » 243 Bernegger M. a G. M. Lingelsheim.28 » » » » Bernegger M. a G. Schickhardt.29 » » » » Airoldi P. ad A. Bar¬ berini.30 » » » 244 Speri ndio A. ad A. Barberini.81 » » » » Biobi A. ad A. Barbe¬ rini. 1° set. » » » Da Lagonissa F. a C. Giansenio. » » » » 245 Buonamici G. F. a G. 3 » » » » Galilei M. C. » * » » » 246 Guiducci M. » * » » » 248 Bolognetti G. ad. A. Barberini. * » » » 249 Delli Franci P. ad A. Barberini. » * » » » Niccolini F. a G. ... 4 » » » » Tolomei G. F. »... » » » » 250 Bouchard G. G. » ... 5 » » » 251 XVIII. so 474 INDIO* MMERALB CRONOLOGICO. Voi. pmc Voi. Pag. Lingelsheim G.M. a Tolomei G. F. * .... 18 set. 1633 XV 271 M. Bernegger. ; 5 Bet. 1633 XV 252 Bocchineri G. » .... 21 » > * 272 Mftgiotti lt. a G.... (i » > 9 253 Piò G. M. ad A. Bar- Da Lagoniesa F. ad berini. » » » » > A. BArberini. » » * 9 964 Granai ( ). a G. Bardi. 22 » > 9 273 Fabri di Peiresc N. Linguisticim G. AI. u a P. GasBondL .. 6-10 » > 9 > M. Bernegger... » » > 9 274 Kollitìon M. a F. da Aggiunti N. a G.... 21 * » 9 > Lngonissu. 7 » > 9 255 Bocchineri A. »... > > > 9 275 Scliickliardt G. a M. Guiducci M. »... > 9 » 9 9 Bernegger. 8 9 9 9 > Perii). > ... » 9 9 9 276 Bocchineri G. a G. . . 9 9 9 9 9 Naldi M. a F. Chigi. > 9 9 9 279 Nardi A. » .. > 9 • 9 256 Arrighetti A. a G... 25 9 9 9 * Aggiunti N. * . . 10 9 * 9 257 Millini B. > .. 9 9 9 9 282 Galilei M. 0. * .. * 9 > 9 968 ...., Vicario del 8. Guiducci M. * .. > 9 » 9 259 Uffizio in Siena, Tedaldi M. » . . » 9 9 9 260 ad A. Barberini. . 9 9 9 9 283 Pellegrini V. M. ad 6. ad A. Arrighetti. . 27 9 9 9 * A. Barberini. » 9 9 9 261 Fabri di Peireac N. a Caraffa P. L. ad A. P. Gassendi. 9 9 9 9 284 Barberini. 11 9 9 9 * Sinibaldi T. ad A. Visconti 0. ad A. Bar- Barberini. 9 * 9 9 285 berilli. 13 9 9 9 262 Galilei V. a G. 28 9 9 9 » Bernegger M. a G. M. Vincenzo..., Inquisì- LingelBhehn. 14 9 9 » 9 toro di Pavia, ad Belli Franci P. ad A. A. Barberini.... » 9 > 9 286 Barberini. > 9 9 * 9 Pietro... .Inquisitore Boccliiueri G. a G... 15 9 9 > 263 di Cremona, ad A. Bernegger M. a G. Bai-beri ni. 9 9 9 9 > Schickhardt. » 9 9 > 264 Sohickbardt G. a M. Bocchineri G. a G... 16 9 9 » > Bernegger. 29 9 9 9 » Airoldi P. ad A. Bar- Da Tabia A. ad A. berini. » 9 9 > 265 Barberini. 30 9 > 9 > Cuccini F. ud A. Bar- Bocobineri G. a G... 1» ott. * 9 287 bori ni. » 9 9 » » Galilei M. C. * .. 9 * 9 9 9 Aggiunti N. a G. 17 9 9 > 9 Guiducci M. > .. 9 » 9 9 289 Castelli B. > . > 9 9 9 266 Niccolini F. 9 .. 9 * 9 9 290 Cini N. > . ... > 9 9 » 207 Peri D. * . . 9 » 9 9 291 Guiducci M. » .... * 9 9 > 268 Visconti R. * .. 9 * » 9 9 Da Lendinara A. ad Galilei M. C. » .. 3 * » 9 292 A. Barberini. » 9 9 * > Da Como P. E. ad A. Da Tabia T. ad A. Barberini. *. 4 * > 9 293 Barberini . > 9 9 > 269 Lingélsheim G. M. a Egidii C. ad A. Bar- M, Bernegger... 5 > > 9 294 berini . » 9 9 > > Ciniarelli V. M. ad A. Galilei M. C. a G. .. . 18 9 9 > » Barberini. 7 9 * 9 > IN BICE GENERALE CRONOLOGICO. 475 Voi. Png. Voi. Pag. Bocchineri G. a G. .. 7 ott. 1033 XV 294 Galilei M. G. a G... 12-13 nov. 1633 XV 323 Cini N. * .. 8 * * » 295 Peri D. > .... 12 » » s> 325 Galilei M. C. » •. > > » * 29G Scotti R. ad A. Bar- Guidaeoi M. * .. * » » » 297 berini. » » » » * l)a Sommaia (». a G. > > » » 298 Niccolini F. a G.13 » » » 326 Bernegger M. * 10 > > » 299 » ad A. Gioii. » » » » » Magiotti lì. * 14 » > » 300 Bocchineri G. a G. . . 16 * » » 327 Castelli B. * 15 » » » 301 Galilei M. O. > .. 18 » » » 828 Galilei M. C. » » * > » 302 Bocchineri G. > .. 19 * * » 329 Guidacci M. * » > > » 304 Niccolini F. ad A.Gioii. 20 * » » 330 Ronconi G. * > > * » » Stellati F. a G.22 * » » » Borea S. ad A. Ilar- Galilei M. C. » . . 23-24 * * » 331 berini. 18 > » » 305 Aggiunti N. > .... 26 » » > 333 Da Ferrara P. L. ad Bocohinori G. » .... > * » » 334 A. Barberini. * » T> » * Galilei F. » . > » » * 335 .... , Inquisitore di Galilei M. C. » . > > » » 336 Modena, ad A. Guiducci M. > . » > » > » Barberini. 21 * * » » Niccolini F. » . * > » » 337 Bocchineri G. a G... 22 » * * 30G Pori D. * . » » > » 338 Galilei M. C. » •. » » » » 307 Rinuccini I*. F. a G.. » » » » » Guiducoi M. > •. » » » » 809 Gioii A. a F. Niccolini. » » » » 339 Mozzai r. » .. 25 * » * 310 Engelcke B. a M. Ber- GondiG. B. ad A. Gioii. > » » > » negger. » » * » » Bocchi neri G. a G... 27 » » * > Degli Albizzi L. a G. 29 » » » 340 Doni G. B. > .. » » » » 311 Descartes R. a M. Mei’- CoBtamezzana C. ad senue.fine di nov. > » > A. Barberini- * > » > 312 0. ad Urbano Vili.. l°dic. » » 341 Guiducoi M. a G.... 29 > » > > Conti B. a G. 3 » * x> > Tolomei G. F. » ... 30 » * > 313 Galilei M. G. a G. ... > » » * 342 Bernegger M.a G. M. Magiotti lì. »... » » » » 343 Lingelsheim. * * » > 314 Niccolini F. >...»» » » 344 Galilei M. C. a G.... 31 * » > » » ad A. Cioli. * » » » 345 Borsa S. ad A. Bar- G. a G. Bocchineri... 5 » » » 346 berini. 1° nov. > » 316 Fabri di Feircsc N. a Bocchineri G. a G. .. 2 » * > » P. Dupuy. 6 » » » 347 Guiducci M. » .. 3 > » V 317 Bocchineri G. a G.... 7 » » » » Galilei M.C. * .. 5 * * > 318 Conti B. >...*» » » 318 Guiducci M. * .. » » » > 319 Rocco A. ad Urba- Riccardi Niccolini C. no Vili. * » » » 349 a a fi V > 320 Bernegger M. a I. Mal- Tolomei G. F. a G... > » * * 321 leolo. 8 » * » » Galilei M. G. > .. 7 > > > > Bocchineri G. a G... 9 » » » 350 Lingelsheim G. M. a Galilei M. C. > .. » » » » 351 M. Bornegger ... > » » » 322 Cioli A. a F. Niccolini. » » » > 352 Monti C. ad A. Bar- Galilei M. C. a G.... 10 » » » * berini. 11 > > » '323 Guiducci M. * ... * » » » 353 476 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Patr. Voi. Pag. Da Lagoniasa F. ad Scalandroni S. a G... 18 gen. 1634 XVI 19 A. Barberini. 13 clic. 1633 XV 353 j Fabri di Peiresc N. a Fabri di Peirosc N. a P. Gassendi. » » > * » P. Gassendi. 14 * * 35-1 Gassendi P. a (ì.10 » » » 20 (L a F. Barberini- 17 » » » Galilei U. » .... 22 » * » 21 Castelli B. a G. > * » * Nardi B. * .... 23 » » » 22 Cavalcanti 0. >. » » > 355 1 Bernegger M. ad E. Cavalieri B. » . > * > 356 Diodati. » » > » 23 Magiotti li. >. » » » * Conti B. a G.21 * » » 24 Ninci G. >. 18 » » 358 Bernegger M. a B. Eli- Da Tabia G. V. ud A. gelcko. » » » » 25 Barberini. 10 > * » Pioralli M. A. a G.. . 25 » » » 26 Conti B. a G. 20 » » > Fabri di Peiresc N. a 359 G.26 27 Piccolomini A. a (ì.. > » » 360 Fabri di Peireso N. a Ben ieri V. » •. » * » 361 G. G. Bonclmrd. . 27 » » » 29 Vannuccini G. » .. » * » 363 Castelli B. a G.28 » * * * Fabri di PeireBC N. a Micanzio F. ». » * » » 30 P. Gassendi. * » » 363 .... ai Cardinali del- Fiorentini F. M. a Cì. 21 » » > la Congregarono Aggiunti N. * 27 » > 364 del S. Uffizio.... » » » » Niccolini F. » 28 * > 366 Aggiunti N. a G. 1° feb. » » 31 Pioralli M. A. * > » » > Fabri di Peiresc N. a Vannuccini G. » » > * 367 P. Gassendi. * » * » 32 Gassendi F. a N. Fabri Bocchineri G. a G... . 2 » » » 33 di Pei rese. > » > 368 Galilei B. »... 4 » > » » Galilei 0. a G. fine del » » Ninci G. »... 5 * » » 34 Petrangeli L. a G... > 360 Riccardi Niccolini 0. a G. > > » » » Fabri di Peiresc N. a Voi. Fa*. P. Dupuy. 6 » » » 35 Bardi G. a G. 3 gen. 1634 XVI 11 Fabri di Peiresc N. ad Marsili A. > . » > 12 Piccolomini A. a G... > > » > 13 Renieri V. a G. 8 » » XVI 35 Aggiunti N. » .. 4 » » » > Bocchineri G. » - 9 > » » 36 Fabri di Peireso N. a Lunardi I.A. » .... * » » » 37 P. Gassendi. 5 > » » 14 Magiotti R. * .... 11 » » » » Cavalieri B. a G. 10 > * > 15 Buonamici G. F. a G. » » * > 38 Ninci G. > .... 11 > » » 16 Gassendi P. a N. Fa- Piccolomini A. » ... . 12 » » » » bri di Peiresc.... * » » XVIII 433 Mionnzio F. » .... 14 » * » 17 Conti B. a G.12 » » XVI 39 Niccolini F. » .. .. » * » » 18 Tedaldi M. * . » » » » 40 Fabri di Peiresc N. a Cittadini 1). * .13 » * » » P. Dupuy. 15 » » > » G. a G. F. Buonamici. 14 * * » 41 Fabri di Peirosc N. a Cavalieri B. a G. » » » » 42 P. Gassendi. 17 » » XVI11 432 Bocchineri G.ed A. a G. 16 » » » 43 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 477 Voi. Fof. Voi. Pag. Beruegger M. a G. M. Lingeleheini.16 feb. 1634 XVI 44 Bocchineri G. a U... » » » 45 G. ai Cardinali della Congregazione del S. Uffizio,. » > * * Niccolini F. a G.18 » » * * Vannuccini G. > .... > > * » 46 Bocchiueri G. a G. B. Vernarci. » » » * > Vernacci G. B. a G. Bocchiueri. » » » » 47 Lingelsheim G. M. a M. Beruegger-11) > > > > Bocchineri G. a G... 21 > * * 48 Piccolomini A. > .. > > » * » Aggiunti N. * .. 22 » » * 49 Cittadini I). > .. 24 * * » 51 Berneggor M. ad E. Diodati. » » > * * Micanzio F. a G.25 > > » 52 Bernegger M. a G. Schickhardt. * » » » 54 Marnili A. a G.28 * » » 55 Lingelsheim G. M. a M. Bernegger... . * > > * » Descartes R,aM. Mor- sonne. * > * 56 Peri D. a G. 4 mar. » > > Aggiunti N. a G. 5 » * * 57 G. ad E. Diodati.... 7 > * » 58 Baitelli L.aF.Micanzio 10 > » > 60 Micanzio F. a G.11 > > > 61 Schickhardt G. a M. Berneggor.13 » > * 62 Bouchard G. G. a G... 18 » > » 63 Magiotti R. » . . * » > * 65 Micanzio F. » . . * > > > 66 Engelcko B. > .. 19 > » 68 XVIII 434 Bernegger M. a G. Schickhardt.24 » > XVI 69 Aggiunti N. a G. ... 29 » > » * Engelcke B. » ... 30 * » » 70 Egidii C. ad A. Bar¬ berini. 1° apr. * » 71 Fabri di Peirosc N. a T. Dupuy. 2 apr. 1634 XVI 71 Galilei II. a G. 4 * » » 72 Bocchineri G. a G.. . 7 * » » 73 Castelli li. » .. 8 » > » 75 Michelini F. » .. » * * * 76 Doni G. B. a M. Mer- senne. » » » » 77 Schickhardt G. a M. Bernegger. 10 * * » > Cavalieri B. a G.11 » * » 78 Piccolomini A. »- » * » » 80 Qu aratosi A. >....* » * > 81 Aggiunti N. *-12 » » » » Bardi G. >....» > » > 82 Riccardi Niccolini C. a G.22 » » > 83 Bocchineri G. a G.... 25 » » » » G. a G. Bocchineri... 27 » » » 84 Bocchiueri G. a G.. . 28 » » » 85 Micanzio F. > . . 29 » » » 86 Custelli B. » .. * » > 87 Descartes II. a M. Mer- senue. * * » 88 Engelcke B. a M. Ber¬ negger. 1° mag. » » 89 Reynier G. a G. Boc¬ chineri. 3 > * » 90 Nardi A. a G. 4 * * » 91 Ninci G. ». 5 * » » 92 Castelli B. ». 7 » * » » Bocchineri G. a G. .. 9 » » » 93 Gondi G. B. ad A. Cieli. 12 * » > 94 Micanzio F. a G.13 » » > V Bocchineri G. » .... 14 » » » 95 Descartes R. a M. Mer- senne. 15 * » » 96 Diodati E. a G.16 » » » » Oddi M. a P. M. Gior¬ dani .17 > » » 97 Bocchineri G. n G... 18 » » > » G. a G. Bocchineri... » » * » 98 Bocchineri G. ad A. Bocchineri.19 » » » » Vossio G.G. ad U. Gro- zio.28 » » T> 99 478 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. P«K 1 - Voi. Pag. Bernegger M. a B. En- Descartes R.a M.Mer- goleke.29 mag. 1634 XVI 99 aenno. 14 ag. 1634 XYI 124 Iteynier G. a G. Boc- Micanzio F. a G. 19 » » » 125 chineri. * » » 100 Battelli L. * .... 26 » » » 126 Micanaio F. a G. 3 gin. > » > Micanzio F. > - 26 » » » 127 GondiG.B.adA.Oioli. 0 » » * 101 Di Lntarchea F. a G. 30 » » XVill 134 Bornegger M. a G. Micanzio F. » 2 set. » XVI 128 Schickhardt. 9 » » > » Piccolomini A. * » » » 129 Piccolomini A. a G.. 13 » » > 102 Ninci A. * 4 » » » Schickhardt G. a M. Ninci G. * 7 » » 130 Bernegger. » * > > 103 Micanzio F. * 9 » » » Cavalieri B. a G.16 » » > > Bernegger M. ad A Bernegger M. ad E. Marconnet. 10 » » 131 Di odati. » * » * 104 Cavalieri B. n lì.... 12 » » 132 Lingelsheim G. M. a Ceccarelli L. »... Iti » » 133 M. Bernegger... 20 » » > 106 Micanzio F. »... 23 » » 134 Fabri di PeiresoN. ad * »... 26 » > 135 E. Diodati. > * » XVIII 434 Cavalieri B. »... 2 ott. » 136 Bocchineri G. a G. .. 24 > » XVI 106 Micanzio F. »... r* 1 » » 138 Diodati E. a G. Schiok- • Michelini F. »... 12 > » 139 hardt.25 > » > 106 Micanzio F. »... 14 » » 140 Meraenno M. a N. Fa- Galilei R »... 16 » » 141 bri di Poiresc.... 2 lug. » * 107 Bernegger M. a li GondiG.B.adA.Oioli. 7 » » > » Schickhardt.... » » > 143 Bernegger M. a G. Micanzio F. a G- 21 » > » Schickhardt. » * » » 108 Di Noaillee F. * ... 24 » » 144 Micanzio F. a G. 8 > * » » Micanzio F. »... 28 » » 145 * » .... 15 > > * 109 Galilei R »... 30 » » 146 Vannnccini G. » .... > » » * no Castelli B. »... 1° nov. » 147 G. a M. Bernegger.. 16 » > * ili Piccolomini A. » ... 2 » » 148 Bernegger M. a G. M. Yannuccini G. » ... » » » » Lingelsheim.20 * * 112 3 149 Cavalieri B. a G.22 » » » 113 Micanzio F. a G- 4 » > 150 Micanzio F. >....> » » > 114 Ninci A. »... » » > 151 * 116 Magiotti R. »... 5 » » 152 Mersenne M. a N. Fa- Diodati E. a P. Gas bri di Peire8c... 28 » * * 119 sendi. 10 > » 153 Micanzio F. a G. 5 ag. » » 120 Diodati E. a N. Fabr Lingelsheim G. M. a di Peiresc. » » » 154 M. Bernegger.... 8 » » > 121 Micanzio F. a G- 11 » » » Puteauo E. a M. van Bocchineri G. » ... 14 > » 155 Langren. 9 > » * * Diodati E. »... 16 » » 158 Castelli lì, » G.12 » * * > Morin G. B. »... » > > » Micanzio F. » . » * > > 123 Bernegger M. a G Grozio U. a (ì. G. Vos- Schickhardt.... 16 » > 160 aio. > * » * 124 Galilei B. a G. 18 » » 161 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 4711 * Voi. Pag. Voi. Png* Micanzio F. a 0. 18 nov. 1634 XVI 161 Cavalieri B. a G. A. G. a F. Micanzio- 19 » » * 162 Rocca. 4 gen. 1635 XVI 191 Castelli 13. a G. 25 » » > 164 Gondi G. 13. a P. Fai- Galilei lt. ». 27 > » » 165 concini. 5 » » » » Castelli B. *. 2 die. » » 166 Borghi P. B. a G. ... 6 » » » » Galilei B. ». * » » » 167 Magiotti R. »... » » » » 192 Magiotti lt. *. > » * » > Micanzio F. »... » » » » 193 Ilornegger M. ad E. Di odati E. a M . Ber- Di odati. 4 » » * 1G8 ««ffgor.. » » » » 194 Mersenne M. a N. Fa- Bernegger M. a G. IVI. bri di Peiresc.... » » * » 169 Lingelsbeim. 12 » » * 196 Fabri di PeireHc N. a Mersenne M. a N. Fa- F. Barberini. 5 » » » » bri di Peiresc... 15 » » » » Castelli B. a G. 9 » » » 171 Bernegger M. a 0. Micanzio F. ». > i » » 172 Forstner. 17 » » » 197 Ninci A. ». 10 » » » 173 Bernegger M. a G. Galilei R. >. 11 » » » 174 Gottfried. 19 » » » * Scliickhardt G. a M. Borghi P. B. a G. ... 20 » » » » Bernegger. 18 » » » 175 Micanzio F. »... » » » » 198 Cavalieri B. a G. 19 > » » » Di Noailles F. * ... 21 » » » 200 Borncggor M. ad E. Micanzio F. »... 27 » » » » Diodati. » > » » 176 Do Carcavy P. » ... 28 » » » 201 Bernegger M. a G. Fabri di Peiresc N. a Freinsheim. 20 * » » 177 F. Barberini. 31 » » » 202 (1. ad E. Diodati.... 21 * » » » Micanzio F. a G. 3 fob. » » 203 Niccolini F. a G. 22 » > * 178 Borncggor M. a G. M. Ninci A. * . * * > * > Lingelsbeim. 5 » » » » Castelli B. * .... 23 » » * 179 Cavalieri B. a G. 6 » » » 204 Conti B. » .... » » » » lii Galilei R. »- 7 » » » 206 Micanzio F. * .... » » » > » Bernegger M.aN.Rit- Bernegger M. a G. M. tershaus. 8 » » » 207 Lingelsbeim. » * » » 182 Borghi P. B. a G. ... 9 » » » » Galilei R. a G. 24 » > » » Micanzio F. »... 10 » » » 208 U. a M. Mazzei. 29 » » * 183 Pieralli M. A. »... » » » » 210 Passionei G. F. a G.. » » » » 184 Castelli B. a F. Miche- Diodati E. a G.Schick- lini. » » » » » hardt. » » » » * Bernegger M. ad E. Bardi G. a G. 30 » » * * Diodati. 12 » » » 211 Borghi P. B. a G. ... » > * » 185 Diodati E. a G. 13 » » » 213 Micanzio F. »... » > » » 186 Bernegger M. ad E. Aggiunti N. > ... 1634 (?) » » Diodati. 15 » » » » Micanzio F. a G. 17 » » » 214 Barberini F. a N. Fa- G. a N. Fabri di Pei- bri di Peiresc... 2 gen. 1635 » 187 reso. 22 » » » 215 Aggiunti N. a G.- 3 » » » » Borghi P. B. a G. ... 23 » » » 217 Pieroni G. » .... 4 » » » 188 Micanzio F. »... 24 » » » » 480 INDICE GENERALE CRONOLOGICO Voi. Par. Voi. Pag. Apioino P. a G. 3 mar. 1635 XVI 218 Bernegger M. a G. De Villo A. »....» > > * 221 Freinsheini. 5 ma g. 1635 XVI 264 Micanzio P. »- » * » » 228 Bernegger M. ad E. * » .... 10 > > » 229 Diodati. 12 > * > 265 Cavalieri 13. * .... 12 * > » 230 Diodati E. aG.Schick- Dìodati E. *-> » > * 231 h&rdt. 17 > > * 260 Aproino P. > .... 13 > » > > Grozio U. a G. G. Vob- Bernegger M. ad E. aio. » > > > 9 Diodati.14 > * * 233 Mersenno M. a Fa- (1. ad E. Diodati.... 15 » * » 234 bri di Peiresc... 25 » > 9 267 » »N. Fabri di Pei- Micanzio F. a G. 26 » 9 9 * rese . 10 » » » » Fabri di Peiresc N. a Micanzio F. a G . 17 » > » 236 P. Gasaendi. > » O 9 268 Galilei R. »- 19 > > » 237 Fabri di Peiresc N. a Bernegger M. a G. P. Gassendi . » > > 9 9 Frein8hoini . > > > » 238 Galilei II. a G . 28 » » 9 269 Micanzio F. a G . 24 > » » 239 Fabri di Peiresc N. a Bernegger M. a G. P. Dupuy. 29 > > 9 270 Schiclikardt . 25 » » » 240 Custodi B. a G. 2 giu. > 9 » Parrot F. a P. Gas- Bernegger M. ad E. Bendi . 26 » * » > Diodati. » » > 9 271 P»ardi G. a G.30 > > » * Fabri di Peiresc N. a Micanzio F. » .31 > > » 241 P. GasBendi . » > * 9 272 (1. ad A. de Ville. .. . * > » 242 G. ad E. Diodati- 9 > > 9 » FabridireirescN.a G. 1° apr. » > 245 Costelli B. a (ì. > > > 9 273 Galilei R. * 2 > » > 248 Micanzio F. > . > > » 9 274 De Carcavy P. > 3 > » » 250 Ninci G. » . 12 » » 9 » Mori n G. B. » 4 > > » 251 Borghi P. 13. > . 16 » > 9 275 Ijingelsheim G. M. a Castelli B. > . > » > 9 277 M. Bernegger.... » » > > 254 Ceccarelli L. >. * > 9 9 278 Micanzio F. a G. 7 > > * > Bernegger M. ad E. Diodati E. » .... 10 > > > 255 Diodati. 18 » 9 9 280 Micanzio F. > .... 14 * > » > Fabri di Peiresc N. a Campanella T. aN. Fa- P. Gassendi. > » 9 9 > bri di Peiresc... 15 » » * 256 Cavalieri B. a G. 19 » 9 9 281 Galilei K. a G.16 » > * 257 Castelli B. » .... 23 » 9 9 282 Bernegger M. ad E. Cavalieri B. * . 21 9 * 9 283 Diodati. » » » > 258 Galilei R. » .... 25 » 9 9 284 Fabri di Peiresc N. a G. 17 * » > 259 Piccolomini A. » - 28 » 9 9 285 Fabri di Peiresc N. a Micanzio F. * .... 29 » 9 9 286 P. Gassendi.li) > » » 262 Bernegger M. ad E. Camp «nella T. a N. Fa- Diodati. » 9 9 9 287 bri di Peiresc ... 3 mag. » » > Mersenne M. a N. Fa- Bernegger M. ad E. bri di Peiresc ... 1" lug. 9 9 288 Diodati. 4 » > » 263 Vossio G.G. ad U.Grò- Micanzio F. a G. 5 » » » * zio. * » 9 9 > INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 481 Voi. Pag. | Voi. Pag. Campanella T. a N. Diodati E. a G.25 : BOt. 1635 XVI 316 Fabri di Peiresc. 2 big. 1(535 XVI 288 Piccolomini A. a G... 2 ott. » » » l)e Carcavy P. a G.. 6 » » » 289 Scalandroni B. » .. 6 » » » 317 Grazio U. a G.G. Vos- La Sena P. » .. 8 » » » » sio. » » » » 290 Gentileschi A. » .. 9 » » » 318 Castelli B. a G. 7 » » » » Bouolmrd G. G. » . . 10 » » » 319 Bernegger M. a G. Ninci G. » .. » » » » 320 Freinslieiui. 8 » » » 292 Mersenne M. a N. Fa- Galilei H. a G.10 » » » » bri di Peiresc... 12 » » » 321 Bernegger M. a N. Galilei II. a G.15 » » » » RittersluvuH.10 » » » 293 Piccolomini A. a G... 16 » » » 322 Diodati E. a G..17 » » » » Castelli B. » .. 17 » » » » Ceccarelli L. * .21 » » » 294 Magiotti R. » .. 18 » » » 323 Mioanzio F. » .22 » » » 295 Micanzio F. » .. 20 » » » 324 Galilei R. * .23 » » » 296 Gassendi P. a N. Fa- Grazio U. a G.G. Vos- bri di Peiresc... » » » » 325 sio. 2 ag. » » 297 De Carcavy P. a G... 21 5> » » 32(5 1)iodati E. a N. Fabri Cavalieri B. » . . 23 » » » 327 di Peiresc. 3 » » » » Bardi G. » .. 26 » » » 328 Galilei R. a G. 0 » » » 299 Galilei R. » .. 29 » » » 329 Micanzio F. *. 9 » » » 299 G. a G. C. Gloriosi.. . 30 » » » 330 Grazio U. a G.G. Vos- Nardi A. a G. 2 nov. » » 335 sio. » » » » 300 Di Beaugrand G. a G. 3 » » » » Fioroni G. a G.11 » > » » Stei luti F. a G. » » » » 337 Fabri di PeiroscN. ad Scalandroni B. a G... 7 » » » 338 E. Diodati.13 » » » 302 Castelli B. » .. 10 » » » 339 Castelli B. a G.18 » » » 303 G. a G. di Beaugrand. 11 » x> » 340 Pieroni G. > . » » » » » Cavalieri B. a G. A. Mioanzio F. » .23 » » » 305 Rocca. » » » » 345 Piccolomini A. a G... 2f> » » » 306 Galilei R. a G.12 » » » » Burneggor M. ad E. Mersenne M. a N. Fa- Diodati.31 » » » » bri di Peiresc... 17 » » » 34 G Galilei II. a G. 3 set. » » 307 Conti B. a G.20 » » » 347 llausoher G. M. a M. Bernegger M. a G. M. Bernegger. 4 » p » 308 Rauscher.21 » » » 348 Ninci G. a G.13 » » » » Gloriosi G. C. a G. .. 27 » » » » Bernegger M. a G. M. Castelli B. » . . 30 » » » 351 Ilnusclier. » » » » » G. a F. Micanzio.... 1“ die. » » 354 Mannucci F. a G. ... 15 » » » 309 Micanzio F. a G. » » » » 355 Mioanzio F. »... » » » » 310 Piccolomini A. »... . 2 » » » 356 Galilei R. »... 17 » » » 311 Sozzi A. »- 3 » » » 357 Scalandroni B. » ... » » » » 312 Vossio G. G. ad C. Grò- Mersenne M. a N. Fa- zio .. . 5 » » » 358 bri di Peiresc... » » t> » 313 Rauscher G. M. a M. Cavalieri lì. a G..... 18 » » » 314 Bernegger. 6 » » » » G. ad E. Diodati.... 22 » » » 315 Pieroni G. a G.15 » » » > XVIII. ci 482 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Fr* U. ad E. Diodati.... 18 die. 1635 XVI 861 Bernegger M. a G. M. Rnuscher. > > » > > G. a M. Mazzoi. 19 » > * 362 Castelli B. n G. 22 > » > 363 Micanzio F. » . y > y » 364 Cavalieri B. * . 24 > y * 365 Bernegger M. ad E. Diodati. 28 * » » 3GG Pieroni G. a (». 29 » > » 367 Cavalieri B. a G. A. Rocco.. 30 > » » 368 Mngiotti R. a G. 5 gen. 1636 > > Niccolini F. * . 6 » > * 369 Ninci A. * .... 7 » > * 370 Soldani I. »- » » > * 371 Alamanni R. »- 8 > y » 372 Grozio D.aG. G. Voa- sio. 10 * * * 373 Bruano G. a 8. Gui¬ doni . 11 » * » * Guidoni 8. a G. 12 * > * 374 Micanzio F. >. '* » * » > Scliorer E. ». » » » * 375 Ninci A. ». 15 » » * 376 Di Noailles F. ». » » > * 377 Santini A. >. 1G » * » » DiGnevaraG. >. 20 > » * 378 Bernegger M. ad E. Diodati. » » * » 379 Galilei R. a G. 21 » > > > Borghi r. B. y . 23 > » » 380 Magiotti R. a F. Mi¬ chelini . 25 » » * 381 Magiotti R. a G. 26 » » > 381 Micanzio F. * .... » * > » 385 Miniati A. a G. Pie¬ roni . 28 > » » 386 G. a G. del Ricco... . 29 * > * 387 Del Ricco G. a G... . > > » » * » ad A. Gioii. feb. * » 388 Bernegger M. ad E. Diodati. 1° » * * 389 G. a. 2 » > * 390 » a F. Micanzio... . 9 » » > y Voi. Fa?. Miranzio F. a (1.. .. 9 feb. 1G3G XVI 392 Pieroni G. »....» * » 393 Schorer E. a G. » » 9 394 Cavalieri 11. * .... 12 > 9 395 Casati (t. I*. a G. A. Rocca. . 13 * » 390 Mine» A. a G . 23 » 9 397 Pieroni G. * . 1* mar. 9 * Ninci A. * . 3 » 9 398 G. a B. Guerriui (?>. . 4 » 9 399 Micanzio F. a G . 8 » 9 •100 Cavalieri B. > - 11 » » •101 Del Ricco G. > .... 14 » 404 G. a F. Micauzi». ... 15 » * •105 Borghi P. 11. a (ì. .. . » » > 406 l.iceti F. » .... 21 » » •108 Bernegger M. a G. M. Lingelsheim . » » » 409 Fabri di Peirear N. a M. Bernegger... 31 > » * Fabri di l’eiresc N'. ad E. Diodati . » » •110 DeacartoaR.a M. Mer- aenne . » » » Lingelsheim G. M. a M. Bernegger ... 4 apr. * > Micanzio F. a G. 5 9 » •111 Cavalieri B. » . ... 8 * 412 Lingelsheim G. M. a M. Bernegger... 10 * » 413 G. a F. Micanzio. ... 12 9 » > M&zzei M. a G. y » 414 Bernegger M. ad E. Diodati.14 » 415 l)e Carcavy 1*. a G. .. 15 » 416 Liceti F. * .. 18 * 417 Castelli 1J. * .. 19 » * > Pieroni G. * .. » » * 419 Ladislao IV’ di Polo¬ nia a G . * » y 420 Del Ricco G. a G. .. . 24 * » 421 Galilei V. »... 30 > » •122 Ciampoli N. »... 2 mag. » 423 Magiotti R. »... 3 » 424 Saracini G. »... » » » 42G Castelli B. » ... G » » > INDICE GENERILE CRONOLOGICO» 483 Voi. Taf?. | Voi. Pag- Cavalieri B. a G. 6 nmg. 1630 XVI 427 Ninci G. a G. 12 ng. 1636 XVI 462 Di Noaillcs F. * — * » > » 429 Buomnnici G. F. a G. 13 » * » 463 Castelli B. » .... 10 * 9 » » G. agli Stati Generali Pieralli M. A. » - 12 > * » 430 dei Paesi Bassi.. 15 > > > * Micanzio F. » - 24 > 9 » 431 ’ » agli Stati Generali Magi otti R. » - 25 » » » 432 dei Paesi Bassi.. * » V 468 Cavalieri B. > - 27 » » * 433 > a L. Beai io. » » » 9 469 Bcrnegger M. a G. M. » ad U. Grozio. » * s* 9 472 Rauscher. 30 » > * 434 » ad E. Diodati. > » p » 473 Liceti F. a G. 0 giu. * » » » a G.F. Buonainici. 16 » 9 9 474 Micanzio F. » . 7 » » * 435 v a F. Micanzio .... » » 9 9 475 Baitelli L. » . 11 > » * 436 Cavalieri B. a G. 19 » * P 476 Micanzio F. » . 13 > » » 437 Micanzio F. > ... . 23 » > » 478 G. ad 15. Diodati.... 14 » * » 438 Cavalieri B. » ... . 26 * P * 479 Bardi G. a G. » » > » > Castelli B. >- 30 * P P 480 Micanzio F. a (1. » > » » 439 J Duodo F. »_ > » P » 9 G. a G. B. Pandol- Stolluti F. > .... 6 set. P » 481 (ini. 17 * » ì* 440 Marsili A. > ... . 10 * P » 482 » a F. Micanzio.... 21 > » > 411 G. a F. Micanzio.... 12 » P P 4&3 Micanzio F. a G. * » * * 443 Piccolomini A. a G... 13 > P » 484 Piccolomini A. > .... » » > * » Bartolini P. » .. 18 > * ‘ » » Bcrnegger M. ad E. Conti F. » .. 20 * P * 485 Diodati. 22 > » » 444 Micanzio F. * .. » » » » 486 G. a F. Micanzio.... 28 > * * » Saracini G. » .. > * » » 487 Micanzio F. a G. 1686 (?) » 446 Ninci A. » .. 22 » » > * » * .... 5 lug. 1686 > » Grozio U. > .. * » » 488 G. a 1'’. Micanzio.... 12 » » » 447 Diodati E. » .. 23 » » > 489 Castelli B. a G. » » > » 449 » a M. Ortensio. fine di set. » » 491 G. a M. Berncgger.. 15 > » » 450 * a L. Realio... & * » 492 Diodati E. a G. > » » » 452 G. a G. Taddei. 24 set. P 9 493 Micanzio F. >. 19 * » > 453 Arrighetti A. a G. .. > » » » 494 Bernegger M. a M. Ninci A. > . . 25 > P » » Hurter. 25 * > > 454 > » .. 26 » * » 495 G. a F. Micanzio.... 26 > * » » Marsili A. » .. 30 > P » 496 Castelli B. a G.. » » » » 456 Piccolomini A. » .. > » P > 497 Micanzio F. » . » » > > » Pierucci G. M. > .. 1° ott. 9 » * Bcrnegger M. a G. Duodo F. » .. 4 » 9 » 498 Steiuberger. 27 > » > 457 Porro G. G. > .. 8 > 9 » » Soldani I. a G. 29 > * X.VI1I 435 Castelli B. » . . 9 > 9 » 500 G. a Ladislao IV di Di Noailles F. > . . » > 9 9 > Polonia. lng.-ag. > XVI 458 Marsili A. » .. 11 » > » 501 Galilei A. C. o Cornac- Micanzio F. » .. » » » » 502 chioli G. a G.... 1° ag- » > 459 Del Sera C. * . . » » 9 9 503 Niccolini F. a G. 2 * > » 460 Piccolomini A. > .. 14 » 9 9 504 Castelli B. > .... 9 » > » 461 * » .. 17 » 9 9 Micanzio F. » ..., » » > » 462 G. a F. Micanzio.... 18 » » 9 50;> 484 INDICE GENERALE CRONOLOGICI). Voi r.r Voi. Taf. Cantelli 13. a G. 18 ott. 1636 XVI 507 Peri D.kO.21 tf*n. 1637 XVII 12 Cavalieri B. *. 21 * » Mie Piccolomini A « .. .. 22 ¥ > » 13 Ninci A. *. 22 » » eoo 1 biodo F. a G.23 » » » 14 Mi canaio F. * . 25 » » » Micanzio F. » . -21 » » » 15 6. ad E. Diodati.... 27 > » 510 Pen I). »... 22-24 » » > 1G Marnili A. a G. * > » 511 Berncgger M. ad K. Piccolomini A. a (E .. 20 » * 512 Diodati.24 » a > 18 Micanzio F. » .. 1“ nov. * :»i:i Ortensio M. a <}.36 » » » » Do Carcavy P. * 6 » * » Ninci A. »-27 » » » 21 Ninci A. * •. 12 * » 514 Beiuegger M. * -3<> » » » 22 Di Guevara G. * .. 15 » » 515 » ad K. Gassendi P. * • • 18 * » 516 Diodati. » » » » 23 Baitelii L. a F. Mi- Ninci A. a G -31 * > > » canzio. » > » 517 Q« a M. A. Buonar- Ninci A. a G.. 21 » * 518 roti. . » > > 24 Micanaio F. » . 2*2 * » 519 Piccolomini A. a 0... 1* feb. » > 25 Robinson A. *. 24 > » 590 Orteolio M. ad E. Dio- Ortensio Al. ad E. Dio- dati. • » » > > dati. » » * 521 Galilei H i 0. . 3 ¥ » > 26 Magiotti 11. a G. 29 » > » Porro G. 0. * . 5 » » » 27 Micanaio F. * .... » » > 522 Micanzio .. 7 » > » 28 Q. ad E. Diodati- 6 die. » 523 He meri V. » . 8 » * » 29 Micanzio F. a G. > » » 525 Peri D. » .11 * » » > Ninci A. * .... 7 * * 526 > * .IR » » > 30 Diodati E. > .... 8 * » * Micanzio K. ».21 » » * 31 Grozio U. a M. Or- De Carcavy P. a 0.. 22 » > > 32 tonsio. 12 * > 507 Fabri di Perette N. e Ninci A. a G. 17 * > 528 P. Gaseemli a G. 24 » » 33 Marsili A. » . 20 * » 529 Fabri di Prireac N. a Gio. Battista... a G... 22 > > * I. Bonguglielmi.. » » » » 35 Guadagni Salvi&ti 0. Genieri V. a 6.27 » » » 37 a G. 23 » » 580 De Carcavy P. a G.. 3 mar. » > 38 Ninci A. a G. 24 * » 581 Realio I>. > .. > » » > 39 > » . 25 » » 532 Diodat i E. a N. Fabri Giraldi R. » . 26 » » > di Peìreae.. 6 » > » 41 Ninci A. » . 29 > » 588 G. ad E. Diodati.... 7 » » » » 0. a M. Mazzoi. 31 > » 534 Micanzio F. a G. » » » > 42 * a Al. Ortensio. .. » » Diodati E. a M. Or- tenaio . 13 > > > 43 Diodati E. a M. Or- tensio. . 16 > > a 44 Elsevier l». a F. Mi- Voi. canzio . » » » * 45 (J. ad A. Manali . 10 gen. 1037 XVU 11 Genieri V. a G.2D » > » 4G Bornegger Al. a G. Diodati E. a C. Huy- Steinberger. 20 » * » 12 gena. . » » » » > INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 485 Voi. Pnp. Voi. Pag. Magiotti R. a G.21 mar. 1637 XVII DO Diodati E. agli Stati Bcrnegger M. ad E. Generali dei Paesi Diodati.22 » » 51 Bassi.15 mag. 1637 XVII 79 Eabri di Peiresc N. ad Diodati E. a C. Iluy- E. Diodati.24 » 52 Renieri V. a G.27 » » » Magiotti R. a G. 1(5 » » » » Ninci A. a G,.28 » » V 53 Mazzei P. » .... 20 » » » 81 Spinola D. » .21) » » » 54 Saracini G. »....» » » » 82 Berneggcr M. ad E. Duodo F. » .... 21 » » » » Diodati. 2 api*. » » 55 Ninci A. »_22 » » » 83 Ninci A. a (ì. .. 3 » » » 56 Diodati E. a M. Or- («. a V. Renieri. 4 » Elzovier E. a E. Mi- Bini L. a G.23 » » » 86 » 57 87 58 Micanzio I'\ » .11 » » » 59 Diodati E. a R. Ga- IluygfìnsO. ad E. Dio- Idei. 2 gin. » » 88 dati.13 » > * » G. a P. do Carcavy. . 5 » » » » Renieri V. a G.17 » > /> 61 » ad E. Diodati. 6 » » » 94 Spinola 1). » . » * » » » 96 G. ad E. Diodati.... 21 » > » 62 » a L. Roalio. » XVIII 436 Magiotti R. a G.25 » » » 63 Micanzio F. a G.... 6 » » XVII 105 * a F. Miche- Cavalieri B. »... 9 » » » 106 lini. » * » » 64 Diodati E. »... 11 » s> » 107 Gli Stati Genorali dei Castelli B. »... 13 » » » 111 Paesi Bassi a G.. > * » » 66 Micanzio F. »... » » » » 112 Gli Stati Generali dei Rinuccini F. »... » » » » 113 Paesi Bassi alla Micanzio F. » ... 20 » » » 114 Compagnia delle G. a M. Mazzei.22 » » » 115 Indie Orientali... > » » » 67 Galilei R. a G. » » » » 116 Ortensio M. ad E. Dio • Realio L. » . » » » » » dati.27 * » » » Ortensio M. ad E. Fcrmat P. a M. Mer- Diodati.• » » » » 119 70 120 Castelli B. a G. 2 mag. > » » Castelli B. ».27 » » » 121 Micanzio F. » . » » * > 71 Micanzio F. » . » » » » 123 Ortensio M. » . 7 » • » » 72 Renieri V. ». » » » » 124 Renieri V. » . 8 » » » 73 Galilei R. ».29 » » » 125 Diodati E. a C. Iluy- G. ad E. Diodati- 4 lag. » » 126 gens. » » » » » Rinuccini F. a G.... » » » » 127 Ballotti A. ad E. Dio- Diodati E. »... 7 » » » » dati. » » » » 75 Pieroni G. »... 9 » » » 130 G. a B. Guerrini- 9 » » » * Renieri Y. »... » » » » 133 Micanzio F. a G. » » * » 76 Castelli B. »... 10 » » » » Ninci A. »....» T> » » 77 Rinuccini F. »... 11 » » » 135 Diodati E. * .... 12 » » » 78 Diodati E. »... 14 » » » » 186 INDICE GENERALE CRONOLOGICO, Voi. Par. I Voi. Par. 1637 VVII 136 ('listelli B. a G.26 set. 1637 vvii iRfi Galilei R. a G. . .... 17 * » » 137 | Borro G. G. » . » > » 187 Il omeri V. * . * » » » 138 Wiffeldich G. a G. .. » » » » Castelli B. * . .... 18 * » » PO Piccolotuiui A. * .. 28 » » 188 Ili miccini F. » . * » » » 140 Ortensio M. ad E. Dio- Incontri L. » . .... 20 * 9 9 » i dati.. . l'ott. » 189 Galilei R. » .... 21 » » 9 141 Eizevier B. ed A. n Van Weert F. a G... 24 » » » 142 G. 3 > » » Reijusk Or. * .. » » > 143 Iticeli F. a (ì. 6 * 190 Castelli B. * .. 25 » » * * Piccolomini A. a G... » * » 191 Iloijusk G. * .. > * » » 144 Castelli B. * .. lo * » » Cavalieri B. » .. 28 » » 9 » FioroniG. ► .. * * » 192 Castelli B. * .. 1° ag. » * 146 Diodati E. a M. Or- Micanzio F. * .. » > » 9 * tensio. * » > 195 Rinuccini F. » .. * » » » 147 Ortensio M. a C. lluy- Tjiceti F. » 7 > » * 148 gon». > * * 196 Micanzio F. » 8 > 9 » 148 Ninci A. a G.12 » 9 197 Rinuccini F. » .. » * » * 150 Gassendi P. a (ì.13 ► 9 » Castelli Jl. » 9 » * > » Micanzio F. »-17 » 9 199 Galilei R. * .. 12 > * » 155 Rinuccini F. »....» » 9 200 Castelli B. * .. 15 » » » 150 Wifieldich G. »_ * » 9 201 Micanzio F. » .. * > » > 169 Cavalieri B. * .... 20 * 9 202 Reijusk G. » .. * » * * 170 Ninci A. * .... 22 » 9 203 Spinelli G. » .. » » » > 171 tì. a B. Castelli.24 * 9 » Cavalieri B. * 18 * » » 172 Ceccarelli L. a G_ » » » 205 Diodati E. * .. » * > 9 173 Ceccarelli L. a Fardi- G. ad E. Diodati.... 22 > » 9 174 riandò II « Vitto- > a L. Ilealio. .... » » 9 » » ria della Rovere, Marsili A. a G ....23 » » 9 175 Granduohi di To- Mugiotti L. * .... 31 * » 9 * scana. * » » 206 Guorrini B. » .... 2 set. » 9 176 Piccolomini A. a G... 27 * 9 ) Ninci A. » .... » » » > 177 Ninci A. » .. 29 > * 207 » * .... 3 » 9 > > Bonlliau I. * .. 30 * 9 * Ortensio M. ad E. Dio- Castelli B. » .. 31 > » 208 dati. * > 178 Micanzio F. * .. * * > 209 Uuygens C. a R. De- Rinuccini F. » .. > » » 210 scartea..... .... 8 » » > 179 Eizevier L. * .. 1" nov. » 211 Micanzio F. a G .... 12 * » * 180 G. a F. Micanzio.... 5 * » » Castelli B. a V Ga- * ad E..*Biodnti- 7 » » 213 lilei. . » » » » > * a F. Micanzio....» » 9 214 Diodati E. a G. > » 181 Pierucci G. M. a G... 11 > * 215 Ninci A. > . .... > * » > 182 Castelli B. » .. 14 * 9 216 Galilei II. » . > » » Ceccarelli L. * .. » * 9 217 Castelli B. » . .... 20 > » > 183 Micanzio F. » .. * » » 218 Ninci A. » . .... » » > » 184 Rinuccini F. * .. * » » 219 Galilei R. » . .... 21 » » > 185 G. a F. Micanzio.... 20 » 9 220 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 487 Voi. Pag, Yol. Png Renieri V. a G. 20 uov. 1037 XVII 221 Porro G. G. a G. 8 gcn. 1638 XVII 253 Diodati R a Al. Or- Castelli B. » _ 9 » » T> 254 tensio. 21 » » * 222 Ninci A. » .... » » » » 256 Morsili A. a G. 00 » » » 224 Guadagni Saiviati 0. Piccolouiini A. a G... » * » » » a G. 11 » » » » Uondi 0. 1». > ■ . 24 » » » 225 Piccolouiini A. a G... 12 » » » 257 Piccoloinini A. •* .. 25 * » » » Amghetti A. » .. 13 » » » 258 Mersenne Al. * .. 27 » » » 226 Castelli B. » .. 16 » » » » Rinuccini F. * .. 28 * » » 227 Alinanzio F. » .. » » » » 259 Niuci A. * .. 29 » » » * Rinuccini F. » .. » » » » 260 Ortensio Al. a ( •. lluy- Ninci A. » .. 18 » » » 261 gens. 1" dio. V > 228 G. ad E. Diodati.... 23 » » » 262 Galilei R. a lì. 2 » » » » Borghi P. B. a G. ... » » » » 263 Castelli H. » . 5 * » > 229 Rinuccini F. »... » » » » 264 Alicanzio F. » . » » » » 230 Elzcvior L. »... 25 » » » 265 Duodo F. > . 8 > » » 231 lluy gens C. a Al. Or- Galilei R. > . 9 » » » 232 tensio. » » » » 266 Reni eri V. * . 11 » * » » Ninci A. a G.27 » » » » Castelli 15. » . 12 * » » 233 Remeri V. ».29 » » » 267 234 9IÌ8 Rinuccini F. ». » » * » 235 G. a F. Micanzio.... 30 » » » 269 G. a AI. Al azze i. 14 * » » 236 Castelli B. a G. » » » » 272 Diodati E. a G. 15 » » » 237 Micanzio F. ». » » » » » (4. a B. Guerrini. 19 » > » » Rinuccini F. » . * » » » 273 Guerrini B. a (ì. 20 » » » 238 Cavalieri B. ». 2 feb. » » » Diodati E. * .... 22 » » » 239 Guadagni Salviati 0. Gorghi 1>. 11. * .... 23 * * * » a G. » » » » 274 Piccolouiini A. * .... * » » » 210 Ninci A. a G. » » » » 275 (ialilei U. * . » » » » 2-11 Gli Stati Generali dei Ninci A. ■>.... 24 » V » » Paesi Bassi a Al. Rinuccini F. » .... 2G » » » 242 Ortensio. » » x> » » Cavalieri 11. » .... 29 » » » 243 Santini A. a G. 3 » » » » » a G. A. Rocca. » » * » 244 Piccolouiini F. a G... 5 » » » 276 Kepler L. » .. 6 » » » 277 G. a 1. Houliiau. 1° geli. 1638 » 245 Rinuccini F. » .. » » » » 280 » 246 Diodati E. » .. 9 » » » 281 Di Noaillos F. a G... * * XVIII 436 Peri D. » .. 10 » » » 282 G. ad E. Diodati- 2 » » XVII 247 Gli Stati Generali dei Castelli B. a G. » » » * 248 Paesi Bassi a G.. » » » 283 Ninci A. ». * » * » 249 Bedini A. a G.12 » » » 284 Rinuccini F. *. > » » » > Castelli B. » .13 » » » 285 Yaiani A. AI. *. 3 » » * 250 Alicanzio F. ». » » » » 286 Elzevier E. ». 4 » » » 251 Ninci A. ». » » » » 287 Yossio G. G. ad U. G io- Rinuccini F. ». » » 9 » 288 zio. 6 » * » 252 Huygens C. ad E. Dio- Reni eri V. a G. 8 » » » * dati. » X* » 3> 289 488 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Pa». 1 Voi. I'a*. Muzzarelli G. a F. Bar- Barberini F. a G. Muz- liarini.18 fati. 1888 XYll 290 carelli. 3 apr. 1038 xvn 301 Gli Stati Generali «lei Peri D. a G.14 9 > » » Paesi Bossi alla Kenieri V. * .10 » » » 325 Compagnia dello Porro G. (ì. a G.18 » » » 326 Indie Orientali... 18 > » 291 1 Saracini G. » .... 20 » » » 327 G. ad A. Antonini... 20 » » Peri 1». » .. .. 21 » » » 328 Borghi P. B. a G. ... » » » 996 Micanzio F. • .... 24 » » » 829 Bouchard G. G. a V. Vomìo G.Cì. ad U.Gro- Capponi. * * » » aia. 2 mag. » » 380 Galilei R. a G.21 » » 299 Micanzio F. a 0. 7 » » » » Peri 1). * .21 9 • 800 Porro 0. G. »....» » » » 331 Castelli B. ».27 9 » 301 Uinuocini F. * .... 8 » » » 832 Micanzio F. » . » % » 302 Galilei R. >....11 » * * » Ninci A. » . > » » 303 Rinuccini F. * .... 15 » » » 338 Rinuccini F. * . > » » 304 Peri D. » .... 17 » » » 334 Galilei R. ».28 » » sor. Micanzio F. » .... 28 » » > * Antonini A. ». 3 mar. » > Grozio U. a G.O.Yoa- 300 335 Renieri V. » . 5 > » ;;<>r Castelli B. a G.29 » » » 336 G. ad E. Diodati.... 0 » » 308 Rinuccini F. ». » » » » 337 » a F. di Noailles.. * » » 309 Wiffeldich . . » 9 » * Castelli B. a G. . » > » » Cavalieri B. *. 1" giu. 9 » 338 Rinuccini F. » . » » » 810 Castelli . . . • • • 339 Barberini F. a G. Muz- Borghi P. B. . 5 > » » » 310 Elzevier L. a G . 1) » » 311 Saracini G. * . » • » » 341 Muzzarelli G. > .... * » > 312 Cavalieri 11. » . 8 9 » » » » a F. Bar- Micanzio . . 12 » • > 3-13 berini . 10 » » » Borghi P. B. » . 19 » » » 314 Castelli B. a G . 13 » » 313 Castelli 11. *. » 9 9 » 345 Rinuccini F. * . > > » 314 Galilei R. • . 22 » » » » Pori D. » .17 » » 315 (*. a M. A. Buonarroti 20 9 » » 346 Michelini F. » .18 » » 310 » ad E. Diodati.... » » » » 317 Micanzio 1''. » .20 » » 317 Micanzio F. a G. > » » » » La Compagnia delle Muzzarelli G. a F. Bar- Indio Urientali berini. * • » » 318 agli Stati Genera- Descartes K.a M.Mer- li dei Paesi Bassi. 23 * » 318 senno.29 » » > » Peri I). a G.24 » • » Borghi P. 11. a G.... 8 big. » » 319 Borghi P. B. a G.. .. 27 > > 319 Castelli 11.» 9 • » » Castelli B. * . .. > » » 320 Nardi A. »... » » » » 350 Simoni A. »... 28 » » 321 Reijusk G. »... » » » > 351 Michelini F. » ... 29 > » > Campanella T. a Ker- Galilei U. »... 80 » » 322 dittando II do’ Porro G. G. »... 2 apr. » 323 dici. 6 * % * 352 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. 489 Voi. l’ng. l Voi. Pnjr. Castelli B. a G . 10 log. 1088 xvn 358 > Cioli A. a F. Niccolini. 21 set. 1038 XVII 381 Galilei R, * . 13 > » » 354 NiccoliniF.ad A.Cioli. 25 » » » » Castelli B. > . 17 * » » * Cioli A. a F. Niccolini. 27 » » » » Itinuccini F. » . » » » » 355 Castelli B. a F. Bar- Barberini F.a G. Muz- berilli . 2 ott. » » 382 zarelli . 19 * » » 356 Cavalieri B. a B. Ca- Panni onci (f. F. a F. stelli . > * » * 383 Barberini . » * » » 357 Itinuccini F. a G _ 6 » » » 384 Di Noailles F. a G. . 120 * » » ■j Bardi F. a G . 7 » » » » Bernegger M. ad E. Cioli A. a F. Niccolini. 8 » » » 385 Diodati . 24 > » » 358 Castelli B. a F. Bar- <2. n B. (fastelli . 25 > » » 359 boriili. 9 * » » 386 Muzzarelli G. a F. Descartes U. aM. Mer- Barberini. > » » » 360 Senne.11 » » » 387 Descartes U.aM.Mer- Vossio G. G. ad U. Grò- senno.27 * » * 361 zio.1 1 » » » 392 Micanzio F. > . 31 » » » 363 Barberini F. a lì. Ca- Bernegger M. a G. stelli. » » » » 393 llollìnann. » * » » 364 Castelli B. a F. Bar- Grozio U. a G. G. Vos- berilli. » » s> » 394 sio. > » » 365 Fernmt P. a M. Mer- Barberini F.aG, Muz- senne . 22 » i> » f> zarelli . 7 ag. » » 306 Micanzio F. a G . 23 » » » 395 Gro/.io U. a G. G. Vos- Castelli lì. a F. Bar- Fcrmat P. a M. Mer- Negherà V. a G . 28 » » » 396 senno . 10 » » » * Castelli B. a F. Bar- Boucliard G. G. a V. berini . » » » » 397 Capponi . 14 * » » 367 Barberini F. a B. Ca- Nerli M. F. a G . 18 » > » * stelli . 30 » » » 398 Carlo di S. Gasparo Di Noailles F.aG.... 4 nov. » » » a (t. » » » * 368 Miclielini F. »... 6 » » » 399 Incontri L. a G. 21 * » » * Nardi A. »... » » » » 400 Descartes U.aM.Mer- Castelli B. a F. Bar- senno . 23 * * » 369 boriili. » » » » 401 (2. ad E. Diodati.... » » > » Micanzio F. a G.13 » » » 402 » * .... » » » 372 Descartes R. a M. Mer- Cioli A. aF. Niccolini. 9 set. * » 374 senno.15 » » » 403 CozzolaniG. G. aC. A. Cavalieri B. a G.23 » » » 405 Manzini.11 * » » » Barberini F.aG. Mhz- F. Niccolini ad A.Cioli. 15 » * » 375 zarelli.27 » » » 40G Itinuccini F. a G-18 » » » 376 Michelini F. a G.29 » » » 407 Castelli B. a F. Cesa- Arici G. B. a B. Bai- rini.20 * ■» » 377 telli. 3 die. » » 408 Cioli A. a F. Niccolini. » » * » 380 Micanzio F. a G. 4 » » » 409 XVIII. 62 490 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. Pag. | Voi. Pag. MnzzarelliG.aF.Bar- Bernegger M. a G. Uof- berini. 4 die. 1688 XVII 410 mann.20 mar. 1639 xviii 31 Piccolomini A. aG... 6 » » » 411 Cavalieri B. a G.22 » » > 32 Michelini F. * .. 11 » » » » Santini A. » -23 » > > 34 V ossio G. G. ad U. Grò- Spinola D. » .... 25 » » » 35 zio.15 * » » 412 Miohelini F. » .... 26 » » » > Piccolomini A. a G... 16 » » » 413 Ninci A. > - » » » » 36 Bali ani G. B. » .. 17 » » » » G. a V. Renieri.28 » » » 87 Borghi P. B. » .. 18 * » » 414 Renieri V. a G.29 » » » » Cavalieri B. » .. 28 > » » 415 Micanzio F. » . 9 apr. * » 38 Descartes lt. a M. Mer- Michelini F. » .10 » » » 39 senno. » » » 416 NiccoliniF.adA.Cioli. 13 » » » 40 De Beaulieu G. a G... 1638 (?) » » Renieri V. a G.15 » » » 41 Cidi A. a F. Niceolini. » » > » » --- Calasanzio G. a G. D. Romani. 16 » » » » Voi. Pag. Niceolini F.ad A. Gioii > > > » 42 G. a G. B. Baliani... 7 gen. 1639 xvi11 11 Micanzio F. a G. 17 > » » » Borghi P. B. a G.... 8 » » » u Cavalieri B. a G. A. Castelli B. »... » » » » » Rocca. 18 > » » 43 Micanzio F. »... » * » » 15 Gioii A. a F. Niceolini. 19 » » » 44 Cavalieri B. a G. A. Ninci A. a G.22 » » » » Rocca.. » » » » 16 Bouohard G. G. a V. Soldani I. a L. de’Me- Capponi.28 » » » 45 dioi.12 » » » » Micanzio F. a G .... 30 » > » » G. ad E. Diodati.... 15 * » » 17 Peri D. » - 4 mag. » » 46 » a. » » » » > Ninci A. » .... 5 » » » 47 Borghi P. B. a G.... » » » » 20 Pori D. » .... 11 » » » » Ninoi A. »... 21 * * > » Piernce! G. M. » .... 13 » » » 49 Cavalieri B. »... 25 > » » 21 Cavalieri B. » .... 24 » » » 50 Bernegger M. ad E. Ninci A. »....» » * » 51 Diodati.2G > * » 22 Renieri V. a C.Settimi. 27 » * * » Castelli B. a G.29 » » * 23 Bardi F. a G.28 » » » 52 Michelini F. » . 8 feb. » » 24 Pori 1). ».. 1° giu. * » 53 Descartes R. a M. Mer- Pierucci G. M. a G... 3 » » » » senne. 9 » » » 25 Micanzio F. » .. 4 » » » 55 Castelli B. a G.12 » » » 26 Castelli B. » .. 7 » » » 56 Ninci A. » .14 » * » » Cavalieri B. » .. > » » » 59 Cavalieri B. » .15 » » » 27 Renieri V. » .. » » * » 60 Micanzio F. » .19 » > » 28 Dnodo F. » .. 11 > » » 61 Descartes R. a F. do Castelli B. » .. 18 » * » 62 Beatine.20 » » » 29 Cavalieri B. » .. 28 » » » 07 Descnrtes R. a M. Mer- Baliani G. B. * .. 1° log. * » 68 senne. » » * * » Renieri V. » .. » » » » 71 Elzovier L. a G. 7 mar. » > 30 Ninci A. » .. 8 * » » 72 Renieri V. » .... 18 » » » 81 Renieri V. » .. 15 » » » » INDICE GENERA DE CRONOLOGICO. 491 Voi. Pag 1 1 Voi. Pag. Marcili A. a G. lf> lug. 1639 XVIII 73 Dnodo F. a G..■._ 29 ott. 1639 XYIII 117 Piccolomini A. a G... 19 » > » 74 Spinola I). » . » * » » 118 Micanzio F. > .. 23 > » * > Galiloi A. C. » . 2 nov. » » 119 G. a G. 11. Ilaliani... 1° ag. * » 75 G. a F. Rinuccini.... 5 » » » 120 Spinola I). a G. 3 > * » 79 Marcili A. a G. 9 » > » 122 Renieri V. » 5 * * > 80 Rinuccini F. » . 12 » * » » G. a 11. Cantelli 8 * » > 81 Castelli B. > . 15 » » » 123 Castelli 11. a G. 13 » » » 82 Piccolomini A. a G... 10 » » > 124 Rinuccini F. » * * » > 83 Micanzio F. » .. 26 » » > * Cavalieri II. * 16 > * » » G. a B. Castelli. 3 die. * * 125 Serafini 0. a G. A. » a Ferdinando 11 Rocca. 17 » > » 85 do’ Medici. 4 * » > 126 G. a II. Castolli 19 » » » » Bartolini P. a G. » » * » 127 Ilaliani G. 11. a (j•• • • » » » » 86 Miclielini F. » .... 7 * » » 128 Renieri V. » ... * » * > 88 G. ad E. Diodati... . 11 > » * > Castelli 11. * ... 20 * » » 89 » a B. Castelli. 18 » » » 129 Licoti F. * ... 23 * > » 90 Landucci V. a G. 21 » > > 130 llardi G. » ... 24 * » » 91 G. a F. Liceti. 24 > » » 131 Castelli 11. * ... 27 » > » » » ad E. Diodati... . 30 > » * 132 G, a G. II. Ilaliani... 1° set. > » 93 * ad I. Boulliau.... » » » » 134 » a 13. Castelli > » » » 95 » > 3 » » » 96 Cavalieri B. a G. 3 geu. 1610 » * » ad 0. Farnese.... > » » » 98 Liceti F. > .... » * > » 135 Ilaliani G. 11. a G... 9 > » » 99 Peri D. » ... . 4 » > » 136 Castelli II. * .. 10 » » > 100 Licoti F. » ... . 10 » > > 137 Boackard G. G. a V Micanzio F. » ... . 14 » » » » Capponi ... * » > > 101 Pieroni G. a F. Rinite- Ilaliani G. 11. a G... 16 » » > 102 cini. > » » > 138 Bonlliau I. > .. > » » > 103 G. ad l). Grozio. 15 » » > 140 Micanzio F. » .. 17 * > » 101 Renieri V. a G. 20 » > > 142 Bardi G. a 1\ Gas » » . 3 feb. > > » sondi. 21 * » » 436 Pori I). » . 8 » > » 143 G. a F. Licoti. 24 » » » 106 Renieri V. > . 10 » » » 145 Piccolomini A. ; a G.. * » > » 107 Pieroni G. a F. Rinuc- Spinola D. > . 25 > > * 108 cini. 11 » » » 146 Cavalieri B. » . 27 * » > » Cavalieri B. a G. 14 » * » » Castolli II. » . 1° ott. > > 109 G. a B. Guerrini .... 16 » » » 148 Duodo F. * . » » » > no Diodati E. a G. 17 > > » 149 Farnese 0. > . 2 * » » in Renimi V. » . * » » » 150 Micanzio F. » . 8 » > * 112 Diodati E. a C. Huy- Piorncci G. M. » . 14 > » > 113 gens. 18 » » » 151 Ninci A. * . 18 » » > > G. a B. Cavalieri.... 24 » » » 153 Piccolomini A. » . » * » » 114 » a B. Guerrini .... » » > » 154 Micanzio F. » . 22 » » > 115 Peri D. a G. 29 » > » 155 Rinuccini F. > . * * * » 116 Renieri V. a G. » * » » 156 Diodati E. * . 28 » > > » Cavalieri B. » . 3 mar. * » 160 492 INDICE CENERÀ LE CRONOLOGICO. Voi. P »r. I Voi. Pop Ninci l&G.. 4 nar. IfilOXvili 161 1 aceti F, a G. 8 giu. 1640 XVili 202 > 162 Renieri V. » . » Dimrln V. * .IO Pieroni G. a F. Rinuo» Costami G. * . 19 » » > 205 cini. > * » > 163 G. a lì. Guarniti.22 » » » 206 I)o’Modici L. a G... 11 * » » 165 Bardi F. a G. * > » > » G. a L. da’Medici... 13 * » > * «. a F. Liceti.23 > » » 207 Spinola D. a G. » * » 167 Cavalieri B. a G.29 » » > 209 G. a D. Spinola.19 » * * 170 U. a Ferdinando II Micauzio F. a G.24 » * * 172 de’ Medici. Iug. » » 210 Renieri Y. »....» > * > 173 Cavalieri lì. a G. 3 » » » 211 G. a L. de’ Medici... 31 » » > 174 Liceti F. » .... fl » » » 212 Spinola 1). a G. » » » » Castelli B. > .... 7 » » » 215 Iluygons C. ad E. Cavalieri B. » .... lo • » > 216 Diodati. 1° apr. * * 176 G. a F. 1 .iceti. l i » » > 217 Renieri V. a G. G * * * 177 Cavalieri lì. a G.17 » » > 218 * * .13 » » » » Bardi G. » .... 24 » » > 219' G. a B. Castelli.16 » * » 178 Castelli B. » .... 28 » > > » Rinuccini P. F. a G. > » » * 180 G. a Ferdinando 11 Galilei A. C. » 19 » > » » de' Medici. ag. » » 220 Diodfiti E. a C. Huy- Liceti F. a G. 3 > » > 221 gens... 21 » > » 181 Cesari ni F. a lì. Ca- Diodati E. a G. Boreel * » » * 182 stelli. » » » » 224 Castelli II. a G.28 » * * > Castelli B. a G. 4 » » > » Micanzio F. » . > » * * 188 Micanzio F. » . » » » » 225 Renieri V. » . > » > » 181 Pierucci G. M. a G... » • » » 227 Castelli B. > . 1° inag. * * 185 Gassemli P. a F. 1 .iceti 13 » » » 228 Cavalieri B. » . > » > » m Renieri V. a V. Viviani 23 » » » 231 » 187 Spinola D. » . 2 * * » 188 Pierucci G. M. a G... » » » » 237 Castelli lì. * . 5 038 Settimi C. > .13 * * * 189 Cavalieri lì. a G. » » » » 240 De’Medici L. > .l i * » * 190 Liceti F. » .... 31 > » > 2-11 Renieri V. » .18 » » * 191 Renieri Y. » .... 1* set. » » 2-12 (*. a F. Rinuccini.... 19 > * » 192 Rinuccini F. »....» • » » 243 Ficcolomini A. a G... 22 » » > 191 Liceti F. * .... 7 » » » 2-14 G. ad A. Bocchineri Castelli lì. » .... 8 » » » 246 Iìuonaniici.21 * » > * Liceti F. * _13 « » » 247 G. a L. de'Medici... 25 * » » 195 U. a F. Liceti. 15 » » » » Renieri V. a G. » > * » 196 Renieri V. a ti. * V » » 251 Castelli lì. v .20 » * * 197 Rinuccini F. » . » » * » 198 Soldani I. a L. de'Me- Monti C. * .30 » * » 199 252 Renieri V. » . 1° giu. » * » Guiducci M. a lì. ... 17 • » » » Cavalieri lì. ■» . 5 > * » 200 Liceti F. »... 21 • » » 253 Santini A.a G. A. Rocca 6 * » » 201 » »... * » > » 254 indici-; generali; cronologico. 493 Voi. Pii}?. Voi. Pai?. Pierucci G. M. a G... 21 set. 1640 XVIII 254 G. a F. Liceti. geli. 1641 XVIII 293 Gassendi P. u(ì. Hindi » » 256 Liooti F. a G.29 » » » . 296 Renieri V. a G. 5 ott. » » » Dal Pozzo O. a G— 2 fch. » » » Rinuccini F. * . 6 » » » 257 Liceti F. »... 5 » » » 297 Cavalieri R. * . 9 » » » 258 Renieri V. »... » » » » 298 llolste Ij. a C. Strozzi. 13 » » » 259 Micanzio F. »... 9 » » » 299 Ninci A. a Ct. 14 • » » » Cavalieri B. »... 12 » » » 300 Micauzio F. a (1. 20 » » » 260 Castelli O. »... 16 » » » 301 Rinuccini F. » - » » » » 261 Ranieri V. »... 20 » » » 302 Cavalieri 11. » .... 23 » » » 262 Castelli 13. »... 2 mar. » » 303 G. a F. Liccii. 27 * » » 263 Renieri V. »... 6 » » » 304 Liceii F. a lì. 30 » » » 264 » » ... 13 » » » 305 Galilei A. C. a G. ... 1° IlOV. » » 265 Magiotti R. »... 15 » » » oOG G. a 0. Monti. 2 » » » 207 Torricelli E. »... » » » » 308 Marci G. M. a G. ... 3 * » » » Eardi A. »... 16 » » » 309 Rinuccini F. » ... » » » » 269 Renieri V. »... 20 » » » 310 Piccolomini A. » ... 5 » » » » Rinuccini F. » ... 23 » » » 311 Liceii F. * ... lì > » » 270 G. ad A. Bocchinori Renieri V. * ... » * » » 271 Buonainici . 26 » » » » Liccli F.a 1’. Gas a lidi 8 * » » 272 Hoechineri Buonamioi Micauzio F. a G . 9 * * » » A. a G . 27 » » » 312 Renieri V. » .... 14 » » » 273 Renieri V. a G . » » » » 313 Rinuccini F. » .... 17 » » » 274 G. a F. Rinuccini-29 » » » 314 S old ani 1. » .... 21 » » » » Settimi C. a G.30 » » » 316 Piccolomini A. a G... 2U » » » 275 Stecchini P. » . » » » » 317 Fiochi C. » .. » » » » » Descartes R.n M.Mer- Renieri V. » .. » » » » 270 Benne.31 » » » 318 Piccolomini A. » 1° die. » » 277 G. ad A. Bocchineri Renieri V. » .. 5 * » » 278 Buoimmici. 6 apr. » » 319 Rinuccini F. » .. 8 » » » 279 Micanzio F. a G. 9 » » » 320 Liceti F. » .. 11 » » V » » » .... 18 » » » 321 Micauzio F. . 15 » » » 280 » » .... 20 » » » 322 » a F. Liceti » » » > 281 Settimi C. »....» » » » 323 Cavalieri H. a G.... 18 » * » » Lori A. a Y. Galilei. 21 » » » 324 Renieri V. » . 20 » » » 282 Rinuccini P. F. a G,.. 24 » » » 325 » »... 26 » » 283 l)uodo F. » .. 27 » » » 326 Torricelli E. » .. » » » » » Liceti F. a G. 1° gen 1641 » 284 Renieri V. » .. 29 » » » 327 Micanzio F. a G.... 4 » » » 285 Cavalieri B. » .. 14 mag. » » 328 Rinuccini F. ... 5 * » » 286 Liceti F. » .. » » » » 329 Liceti F. »... 8 » » » 287 Renieri Y. » .. 28 » » » 330 Renieri V. »... 9 » » » 288 Rinuccini F. » .. 1 giu. » » 331 1 .iceti F. ■*.... 15 » » » 289 Torricelli E. » .. » » » » » G. a (J. dal Pozzo.. 20 » » » 290 Renieri V. » .. 15 » » » 332 Liooti F. a G. 22 » » » 291 Pierucci G. M. » .. 28 » » » 333 G. a F. Liceti. » » 292 Torricelli E. » .. 29 » » » 334 494 INDICE GENERALE CRONOLOGICO. Voi. rii*. Voi. l’aj*. Liceti F. a G . fi lug. 1641 XVIII 88fi Weilhamer G. a G. A. Duodo F. > . 6 » » » 336 Rocca. 26 nov. 1611 xviii 370 Micanzio F. a G. > » » » 337 Ruschi G. B. a G.... 3 die. » > » Rinucoini F. » » » 838 Micanzio F. > ... 14 » » » 371 Bardi G. a P. Gas- Settimi C. a Fardinan- Rendi.12 » » » 339 do 11 de’ Medici.. » » > » 372 Reniori V. a G.. 13 » » » » Cavalieri B. ad E.Tor- Liceti F. » .20 » » » 340 ricelli. 17 * » * 373 Saraci ni G. » .27 » » » 341 Nardi A. a G. 19 » > » > BerardiÀ.M. * . 2 a#?. » » » G. ad A. Bocchineri Nardi A. > .10 > » > 3-12 Du marnici. 20 > » * 374 Torricelli E. > .17 » > » 345 Renieri V. a G. 25 » * * 375 Cavalieri B. » .20 » * * 346 Ruschi G. B. >. 26 » 9 9 » Pierucci G.M. > . 6 set. » » 348 Nardi A. ► . 7 » > » 350 Castelli B. a B. Ca- Rinucoini F. > . 8 » » > 352 valieri. P gen. 1642 * 376 Ruschi G. B. » .11 » * * 353 Micanzio F. a G. 4 9 9 > » Nardi A. » .21 » » » 354 Cavalieri B.ad E.Tor- Santini A. » . > » » » 355 ricelli. 7 9 » » 377 Ruschi G. B. » .25 » » » 357 Bologne! t i G. a F. Bar- G. ad E. Torricelli... 27 » > * 358 berini. 12 » > * 378 Piccolomini A. a G... > » * > 859 Holste L. a G. B. Doni. 18 9 » » » Torricelli E. » .. 28 » » » 360 Niccolini F. a G. B. Cavalieri B. * .. 1° ott. » > 361 Gondi. 25 » > » > Ninci A. > .. 12 ► > * 362 Barberini F. a G. Muz- Micanzio F. » .. 19 * » » 868 /.ardii. » > > > 379 Piccolomini A. * .. 27 > » > 364 Barberini F. a G. Bo- Cavalieri B. ad E. Tor- lognetti. 28 > » » 380 ri celli.30 > > > » Gondi G. B. a F. Nic- Cavalieri B. a G. A. colini. 29 > » » » Rocca. 1° nov. > » 365 Muzzarelli G.a F. Bar- Micanzio F. a G . 2 > » » » berini . 1' feb. » » 381 Castelli B. ad E. Tor- Niccolini F. a G. B. ricelli . 9 » > » 366 Gondi . » > > > 9 Battelli L. a G . 14 > » > 367 Nicoolini F. a G. B. Rinuccini P. F. a L. Gondi . 8 » » > > de* Medici . 15 » » » 368 Gondi G. B. a F. Nic- Cavalieri B. a M. Mer- colini . 17 * * » 382 sonno . 23 » * » » Bimbacci 0.1\ a .. .. mar. » ► 383 Micanzio F. a G . » » » > 369 Duodo F. a G. ...... 5 apr. * > » INDICE generale alfabetico. Voi. Pag. Voi. Fap. Accademici Lincei ad Aggiunti N. a G.... 3 geli. 1635 XVI 187 Urbano Vili. 20 ott. 1G23 XIII 140 Agucchi G. B. » ... 9 set. 1611 XI 205 AcquavÌTa(d’) G-. a 0. 12 mar. 1611 XI 70 » »... 7 ott. * » 214 Adami T. a G.26 gon. 1617 XII 303 » »... 14 » » » 219 » » .10 nov. » » 352 » »... 29 » » » 225 Aggiunti N. a G.29 apr. 1624 XIII 176 » »... 23 die. » » 249 » » .... 23 die. 1626 » 344 » »... 6 gen. 1612 » 255 * » .... 16 nmg. 1627 * 357 » »... 20 » * » 264 * » .... 19 gen. 1628 » 386 » »... 16 giu. * » 328 » » _21 mar. > » 399 p »... 30 » » » 346 » » _27 apr. » p 418 » »... l°set. » » 389 » » .. 24-30 gon. 1630 XIV 69 » »... » die. » » 440 » . 6 mar. » » 85 » »... 8 giu. 1613 » 520 » » .... 17 apr. » » 94 » »... 13 lug. » » 532 * p .... 24 » » » 96 Airoldi P. ad A. Bar- » > -28 ott. » > 160 berini. 30 ag. 1633 XV 244 * > .... 4 giu. 1633 XV 144 » » 16 set. » » 265 » » _30 log. » » 202 Alamanni L. a G. B * »....(> ag. » » 209 Strozzi. 7 ag. 1594 X 66 » » .... 10 B0t. > » 257 Alamanni R. a G— 8 gen. 1636 XVI 372 » » .... 17 » » » 265 Alberti A. a G. Mali- * > -24 » » » 274 pierò . 17 die. 1604 X 120 » » .... 20 nov. » » 333 Albizi (degli) L. a G. 29 nov. 1633 XV 340 » p .... 27 die. * » 364 Aldobramlini P. » 23 gin. 1612 XI 336 * p .... 4 gen. 1634 XVI 13 » I. » 5 gen. 1G29 XII 431 » » .... 1° feb. » » 31 Altemps G. A. a G. .. 30 «lug. 1616 » 272 p » .... 22 » p » 49 Altobelli I. ' » •. 3 nov. 1604 X 116 p » .... 5 mar. > » 57 » » .. 25 p » » 118 p »... 29 » * » G9 30 die. » » 132 p » _ 12 apr. p » 81 » » .. 10 gen. 1605 » 135 » » .... 1634(?) » 186 » » .. 17 apr. 1610 » 317 496 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Fa*. Voi. P»*. AmndorI G. B. a L. Ansia (d’) F. a fi- 20 apr. 1628 XIII 413 Caldi da Ci- Austria(d’) 1*. » ... Il lug. 1618 XII 397 goli(?). 2 fel». 1613 XVIII 414 j » p ... 13 geli. 1619 * 435 Antonini A. a fi.25 ott 1627 XIII 376 » » ... 12 feb. » » 438 » p .... nov. * » 379 p p ... 17 lug. 1621 XIII 70 » .. lug. 1632 XIV 364 p p ... 26 die. 1023 » 162 p . .... 3 mar. 1638 XVII 806 Austria (d*) M. M. a Antonini D. p .... 11 gen. 1611 XI 18 F. Barberi ni. 2 lug. 1024 » 189 » » .... 9 apr. p » 84 Arersa II. a fi. I-giu. 1026 » 325 p > .... 29 » » > 98 » » . 6 lug. > * 329 p » .... 14 mag. * » 102 » » .... 24 giu. » » 129 Ibidem A. a. 18 mag. 1630 XIV 103 > » .... 9 lug. * • 138 » » .. 7 » 1633 XV 115 » » .... 2 set, » » 203 p p 25 gin. » » 164 * » .... 4 foli. 1012 » 269 • » 2 lug. » » 168 > » .... 11 » * » 275 » p 9 > » » 173 » » .... 21 lug. > » 363 Maglioni M. a fi. 2») giu. 1027 XIII 363 > p .... 1°olt. » » 406 p p .... 17 lug. » » 367 » » .... 1*3 die. 1613 » 607 » » .... 12 die. » » 380 Aproiuo P. .13 ott. 1612 » 415 Baiteli 1 L. » .... 25 ag. XVI 126 ► p .... 26 geli. 1613 * 470 » p .... 11 giu. 1036 * 486 » p .... 25 mug. » » 513 » p .... 14 nov. 1041 XYJll 367 » » .... l°giu. * * 517 » a F. Miruiu.io... 10 mar. 1034 xvi CO > » .... 27 lug. * * 640 » » 18 nov. 1030 > 517 > » .... 3 mar. 1635 XVI 218 Balbi B. a fi. 25 ott. 1024 co cS >5 » » — 13 p p * 231 Bali ani G. B. a B. Ca- Arici G.B.alv Bai talli 3 die. 1638 XVII 408 stelli. 20 feb. 1027 * 348 » a 6.... XIV 249 » » 28 tnag » » 360 » »... > 306 » a fi. 1014 XII 19 Arrighettl A.aN.Ar* p p .. 4 apr. » » 44 righetti.14 dio. 1630 » 179 » » .. 17 giu. 1616 » 186 » » 16 » » » 185 » • . 8 ag. 1619 . 474 » 189 1029 XIV 46 » »... » 196 » » .. 27 lug. 1630 » 124 p »... » 199 24 ott. * > 157 » »... XV 52 » P i ( 23 apr. 1632 » 342 » »... * 64 » • . 17 die. 1638 XVII 413 » »... » 279 » • . Plug. 1639 XVIII 68 * »... . 24 » 1636 XVI 494 » * . 19 ag. » » 86 » »... » . 9 set. » » 99 » a .... . 17 » 1631 XIV 201 16 » » » 102 Arri ghetti N. ad A. Bandini 0. a fi. 23 giu. 1612 XI 337 Arrighctti... Odio. 1630 > 176 p p . 19 ott. 1618 » 588 » » 14 » » » 181 » » . » gen. 1619 XII 436 » a fi.... » 193 » ad A. de’ Me- Assia (il’) F. a fi- lug. 1618 XII 402 dici. 9 apr. 1G11 XI 86 INDICE GENERALE ALFABETICO. 497 Voi. Pus. | Voi. Pa*. Barberini A. a., Bardi Girolamo a Cl. 3 gen. 1634 XVI 11 Inquisitore di » » 12 apr. » » 82 Modena. 2 lug. 1633 XV 169 » » 30 die. * » 184 Barberini C. a (».... » set. 1G23 XIII 128 » > » mar. 1635 » 240 Barberini F. a M. M. > » 26 ott. » » 328 d’Austria.... 8 giu. 1624 » 18-1 * » 14 giu. 1636 » 438 » a G. Bolognetti. 25 set. 1632 XIV 397 > » 24 ag. 1639 XVIII 91 > ► > » > » 398 » » * lug. 1640 » 219 » * 5 leb. 1633 XV 39 » a P. Gassondi.. 21 set. 1639 » 436 > » 28 gen. 1639XV1II 380 » » 12 lug. 1641 » 339 » a II. Castelli-16 ott. 1638 XVII 393 Bartoli C. a u. l°mag. 1610 X 347 » » .... 30 » > » 398 llartoll G. a B. Vinta 22 ag. 1609 > 250 * ad A. Gioii. l°gen. 1633 XV 11 29 » » > 255 • a «.23 sot. 1623 XIII 131 > » . 5 set. » > 257 » » .18 ott. » » 137 » » . 26 * > > 259 » 250 » 9y;o * » .14 » 1626 » 300 » » . 17 > » » » » » .12 mag. 1627 » 356 i> V . 24 » » » 261 » a Ferdinando II > » . 31 » » » 264 da’Medici... 8 giu. 1624 » 185 » * . 7 nov. » » 267 * a C. Monti. » 1633 XV 166 I> » . 27 mar. 1610 » 306 » a G. Muzzarelli. 6 mar. 1638 XVII 310 Bartolini G. a G. 24 feb. 1612 XI 278 » * 3 apr. » * 324 Bartollni P. » _ 18 sot. 1636 XVI 484 » » 19 lug. » » 356 ^ » .... 4 die. 1639 XVIII 127 » * 7 ag. » » 366 Barfcolommco. > » 27 nov. » * 406 Inquisitore » * 25 gen. 1639XVIII 379 d’Aquileia.ad » a N. di Poiresc.. 2 » 1635 XVI 187 A. Barberini. 23 ag. 1633 XV 237 Barberini M. a M. A. Bnrtolnzzì G. a G. .. 17 » 1019 XII 482 Buonarroti.. 2 apr. 1611 XI 80 Bas.° (Fra), Capp.“°, a » a G.11 ott. » » 216 G. F. Buona- » » . 5 giu. 1612 » 317 mici. 6 » 1633 XV 215 » » .13 » » ► 325 Baviera (di) M. a G. 8 lug. 1610 X 393 » * .20 apr. 1613 * 495 Beau grand (di) G. » 3 nov. 1635 XVI 335 » * . 5 lug. 1619 XII 463 Beauliou (de) G. » 1638 (?) XVII 416 * .23 ag. 1620 XIII 48 Bcdinl A. » 12 feb. 1638 > 284 » > .24 giu. 1623 » 118 Bellarmino R. a P. A. > ad A. de’Medici. 2 apr. 1611 XI 81 Foscarini.... » apr. 1615 XII 171 » a Ferdinando II » a G. 23 giu. 1612 XI 337 do’Medici... 8 giu. 1624 XIII 183 » ai Matematici del Bardi F.nG . 7 ott. 1638 XVII 384 Collegio Ito- » » .28 mag. 1639 XVIII 52 in ano. 19 apr. 1611 » 87 » > .22 giu. 1640 * 206 Bcllonl G. a G. 4 mar. > » 64 Bardi Giovanni a G... 24 mag. 1613 XI 512 Bentlvoglì A. » . 21 set. 1614 Xll 99 > > .. 20 giu. 1614 XII 76 » » . 19 ott. > > 106 > * .. 2 * * > 79 Berardi A. M. a G... 2 ag. 1641XVIII 341 63 XYiH. 498 INDICE GENERAL Voi. I’»lf. ernegger M. ad E. Biodati . 3 ag. 1633 XV 206 » » 23 gon. 1634 XVI 23 * » 24 feb. » » 51 > » 16 giu. . 9 » 104 » > 4 dio. 9 » 168 » » 19 » > * 176 » > 12 feb. 1635 » 211 » » 15 » » 9 213 » » 14 mar. 9 9 233 » » 16 apr. 9 9 258 > » 4 mag. P 9 263 » 0 12 > » 9 265 » » 2 giu. » P 271 » > 18 » • 9 280 » » 29 » > P 287 > > 31 ag. » P 306 * * 28 die. » P 366 * » 20 gon. 1636 P 379 » » 1° feb. » P 389 à » 14 apr. » 9 415 » > 22 giu. * 9 444 > » 24 gen. 1637 XVII 18 » » 30 » > > 23 » » 22 mar. ► » 51 » » 2 apr. • » 55 > » 24 Iug. 1638 > 358 » > 26 gen. 1639 XVIII 22 > a B. Engeloke.. 24 » 1634 XVI 25 » > 29 mag. » » 99 » a C. Foratner.. 17 gen. 1635 » 197 > a G. Freinsheim. 20 die. 1634 » 177 p » 19 mar. 1635 » 238 p > 5 mag. > > 264 » > 8 lug. » » 292 p u « . 10 ott. 1633 XV 299 > » . 30 gen. 1637 XVII 22 p a G. Gottfried. 19 » 1635 XVI 197 » a G. Hoffmann. 31 lug. 1638 XVII 364 » > 20 mar. 1639 xvin 31 » a RI. Hurtor. .. 25 lug. 1636 XVI 454 > a G. M. Lingels- he ini . 11 ag. 1633 XV 218 » a 28 > » » 243 » » 14 set. » 9 262 » 9 30 ott. » 9 314 jK alfabetico. Voi. I’Rp. Bernegger M. a G.M. Lingelaheiu). 16 feb. 1634 XVI 44 0 » 20 lug. » > 112 > 23 die. » > 182 p 12 geu. 1635 > 190 9 5 fob. » * 203 9 21 mar. 1636 » 409 ad I. Malleolo... 8 dio. 1633 XV 349 ad A.Marcuunet 10 set. 1634 XVI 131 aGM. Rauaoher. 13 > 1635 > 308 > 21 nnv. » » 348 » 18 die. > > 361 > 80 mag. 1636 » 434 a G. Rebhan— 21 ag. 1633 XV 235 a N.Rilterabaua. 8 feb. 1635 XVI 207 > 16 lag. 9 > 293 aG.Schickhardt. 29 ag. 1633 XV 243 9 15 set. » * 264 P 25 fob. 1634 XVI 54 9 24 mar. > » 69 * 9 gin. > > 101 > 7 lug. > » 108 > 16 ott. > > 148 > > nov. > ► 160 > 25 mar. 1635 > 240 aG. Steinberger. 27 lug. 1636 > 457 > 20 gen. 1637 XVII 12 Bettoli G. a C. Grien- berger. 4 giu. 1611 XI 119 * a M. Sarrocchi.. » » » 120 Blancani G.aC. Gridi- berger.14 > > > 126 * a G. A. Magini.. 17 mag. 1613 * 509 Blchi A. ad A. Barbe¬ rini. l°set. 1633 xv 244 Blmbaccl G.P.a.. . mar. 1642XVIII 383 Bini L. a G.23 mag. 1637 XVII 86 Blssaro M. A. a «... 15 dio. 1592 X 51 Bocchineri A. * .. 27 gen. 1633 XV 32 * » .. 29 » » * 33 * > .. 18 feb. » >42 > » .. 24 set. > * 275 > * ..16 feb. 1634 XVI 43 Boceliinerl C. > .. 27 gen. 1629 XIV 20 Bocchineri G. ad A. Boochiueri... 19 mag, 1634 XVI 98 INDICE GENERALE ALFABETICO. 41)0 Voi. Png. Voi. Pag. li. .. 28 apr. 1630 XIV 96 Bocolilnorl G. a G. .. 15 set. 1633 XV 263 » .. 14 nmg. * » 98 » » .. 16 » » » 264 » ..18 » > > 99 » » . . 21 » » » 272 > .. 21 * * 9 105 » » .. 1° ott. 9 » 287 9 .. 27 * 9 > 109 » » .. 7 *> 9 » 294 » .. IO giu. » * 118 V j> .. 22 » » » 306 » .. 14 * * * 119 9 » .. 27 » » » 310 » .. 8 mai*. 1631 9 218 V » .. 2 nov. 9 » 316 > .. 2 giu. » 9 270 » » .. 16 » » » 327 » .. 25 die. > 9 320 9 » .. 19 » » » 329 > .. 12 gen. 1633 XV 22 > » .. 26 » > » 334 9 .. 24 t > 9 31 » » .. 7 die. 9 » 347 * .. 3 feb. » * 36 9 > .. 9 » » » 350 » .. 5 > > > 37 » » .. 2 feb. 1634 XVI 33 > .. 18 * » * 42 > » . . 9 » » t> 36 » ..21 » * > 46 » » . . 16 » » » 43 9 .. 24 » » 9 47 » » . . > » » 45 » .. 12 mar. * » 65 » » . . 21 » » » 48 .. 26 » » » 74 P 9 . . 7 apr. » » 73 > .. 9 apr. * » 80 » » . . 25 » » » 83 * ..14 * * » 86 » » . . 28 » » » 85 > .. 20 * * » 97 9 9 . . 9 mag. » * 93 > ..23 > » > 102 9 » • . 14 > » » 95 * .. 28 » > » 105 » » . . 18 » » » 97 * .. 30 > * 9 107 » » . . 24 giu. 9 » 105 * ..12 mag. » » 116 9 » . . 14 nov. » » 155 > .. 14 * * » 117 > a G. B. Vermicai. 18 feb. » » 46 9 .. 18 > » > 125 Boccili neri Gatteschi 9 ..21 » » » 127 P. a G . 5 ag. 1633 XV 207 9 ., 26 » * * 132 Boiardi P. E. a 0. * .. 1° giu. » 9 141 d’Estc . 19 lug. 1622 XIII 92 > .. 4 » » > 145 Bolognotti G. ad A. » .. 11 * » » 151 Barberini ... 6 ag. 1633 XV 216 > .. 23 » » » 162 * » 3 sot.. » » 249 » .. 9 lug. » 9 172 » a F. Barberini... 30 * 1632 XIV 400 * .. 13 > » » 176 9 * ... 15 gen. 1633 XV 27 > .. 16 * » 9 179 9 » ... 22 » » » 30 9 ..22 » » » 186 9 » 12 » 1642xviii 378 » .. 26 » » 9 196 9 a P. Niccolini... 27 ag. 1633 XV 242 > .. 28 * » 9 199 Bombini P. a G. 30 » 1630 XIV 137 * .. 2 ag. > » 204 Bonciani F. a G. G. > .. 4 > » » 207 Millini. 8 mar. 1615 XII 152 9 .. 6 » » » 209 » » 28 » » » 164 !> ..18 » » » 219 Bossi D. a G. 18 die. 1618 » 428 » ..16 » » » 226 Bonsi G. B. a G. 28 nov. 1616 » 297 » .. 9 set. » 9 255 Borghese S. a G. 26 giu. 1610 X 382 500 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pa*. I Voi. P air . Borghese S. rv Cosi- Botti M. a B. Vinta.. 6 lug. 1610 X 392 uio li de’ Me- * » .19 set. » » 433 dici.. .13 feb. 1610 XII 236 Bouchnrd G. G. a V. . • Borghi P. B. i % 0.... 30 die. 1034 XY1 185 Capponi.20 feb. 1638 xvii 298 » »... 6 gon. 1635 » 191 * * li ag. » » 367 » »... 20 * » » 197 * » 23 apr. 1639XV1II 45 > »... 9 feb. * » 207 » » 10 set. » » 101 * » ... 23 * » » 217 » a P. e G. Dnpuy. 18 giu. 1633 XV 159 > » ... 16 gin. » » 275 * a G. 5 set. » » 251 » » ... 23 gen. 1636 » 380 » * .18 mar. 1634 XVI 63 » » ... 15 mar. » » 406 ► » .10 ott. 1635 » 319 » » ... 23 die. 1637 XVII 239 » a F. Micanain.. 29 giu. 1633 XV 160 » » ...» gen. 1038 » 263 BouIIian I. a G.80 ott. 1637 XVII 207 » » ... 20 fob » » 298 » » .16 set. 1639 XVIII 103 > » ... 27 mar. » » 319 * a P. Gassendi... 21 gin. 1633 XV 161 » »... 5 gin. » » 339 Brahe T. a G. 1 mag. 1600 X 79 » » ... 19 » » » 344 » a G. V. Tinelli.. 3 gen. » » 78 » • ... 3 lug. > » 349 llrelner G. F. a G... 22 » 1611 XI 29 » » ... 18 die. » » 414 Brengger G. G. a G.. 18 giu. » » 121 » »... 8 gen. 1639 XViii 14 Bronconi 0. n G.... 15 gon. 1605 X 137 > » ... 15 » » » 20 » »... 19 die. * » 152 Borgo (del) E. ad A. * »... 21 gin. 1608 » 216 Gioii ,1630 XIV 106 * »... 23 nov. 1609 » 269 * » 8 gin. » » 117 * »... 15 die. » » 272 » » 18 lug. » » 123 > »... 3 apr. 1610 » 309 » » 31 ag. » » 140 Brozok G. a G.28 mag. 1621 XIII 64 » » 14 set. » »* 147 Bimano G.aS.Guidoni. 11 gen. 1636 XVI 373 » » 17 » » » 150 Bruoe E. a G. Kepler. 15 ag. 1602 X 60 » » l°feb. 1631 » 208 » » 21 * 1603 » 104 > a G.... 1630 » 145 Bionamiei G. F. a G. 4 » 1629 XIV 41 » a .... .... 13 mag . 1631 » 260 » * Web. 1630 » 73 BorromeoF.aG.Faber 21 set. 1616 XII 283 » » 28 giu. 1631 » 278 » a G.... XI 511 * » 3 set. 1633 XV 245 » p ... 1617 XII 320 » * 11 feb. 1634 XVI 38 » » ... 1618 » 364 » » 13 ag. 1636 » 463 » » ... .27 ag. » » 409 » a .... .... 2 mag. , 1633 XV 111 p > ... 1619 » 467 Bnonamlcl Bocchino- » » ... » > 472 ri A. a G... 28 lug. 1630 XIV 120 » » ... 1623 XIII 155 » » 27 mar. 1641XVIII 312 Borsa S. ad A. Bar- Buonarroti M. A. a F. berini.18 ott. 1633 XV 305 Barberini ... 12 ott. 1632 XIV 400 » » l°nov. » » 316 » a M. Barberini. 22 mar. 1611 XI 72 Borsaechi 0. a G.... 3 lug. 1611 XI 137 » a C.23 ott. 1610 X 452 Botti M. a Q 173 » » . 1«90 XIV 62 a Cosimo li * * . 3 giu. >630 » 111 de’ Medici... » » » » 174 » » . 6 » » » 115 INDICE GENERALE ALFABETICO. 501 Voi. Pag. Voi. Pae. Caccia A. a 0.26 mag. 1632 XIV 356 Carcnvy (do’) P. a fì. 15 apr. 1636 XVI 416 Cacclni M. ad A. Cac- > > 6 nov. > » 513 cini. 2 gen. 1615 XVIII 416 > > 22 feb. 1637 XVII 32 > > 9 » > > 418 » » 3 mar. » » 38 > > 30 » > > 419 Cardi da Cigoli L. » 9 apr. 1609 X 241 > » 7 feb. > » > > » 22 mag. > » 243 > >25 die. > > 420 > » 18 mar. 1610 » 290 » > 19 feb. 1616 » 421 > » 1° ott. » » 441 > » 11 giu. > XII 2G5 » > 24 » » » 456 > >18 gon. 1611)XVIII 423 > » 13 nov. > » 475 Caccili! M. a T. Cac- » » 26 » > » 478 cini. 2 > 1615 > 417 » » 28 gen. 1611 XI 36 > > 14 feb. * * 419 » » l°lug. » > 132 Caetanl E. al Senato » » 11 ag. » » 167 di Bologna.. 10 > 1588 X 26 > > 23 > » » 175 Calasauzio G. a G. I). > > 16 set. > » 208 Romani.16 apr. 1639 XVIII 41 > » 23 » » 212 Calippl F. a G.22 raag 1613 XI 511 > » 11 nov. » » 228 Campanella T. a G... 13 gen. 1611 > 21 > » 16 die. » » 241 > » 8 mar. 1614 XII 31 > » 3 feb. 1612 > 268 » » .. 3 nov. 1616 > 287 > > 23 mar. » » 286 > » .. 20 apr. 1631 Xiv 255 > » 13 apr. > » 290 . > > .. l°mag. 1632 > 346 » > 8 giu. » » 318 » > .. 5 ag. » > 866 > » 30 > » » 347 » > 21 > > > 373 » » 14 lug. > > 361 > > .. 25 set. > » 397 > » 28 > » > 369 > > .. 22 ott. » > 414 > » 31 ag. > > 386 » a Ferdinando il » > 6 ott. p » 410 de’ Medici.. . 6 lug. 1638 XVII 352 » > 19 > > » 418 > a N. di PoireBC. 15 apr. 1635 XVI 256 » » 3 uov. » > 424 » > 3 mag > > 262 » » 1° feb. 1613 » 475 > >2 lug. » > 288 > > 24 *> » » 484 Capuano A. a G.29 net. 1616 XII 284 > > 3 mag p > 501 Capponi L. » .... 6 lug. 1612 XI 352 Cardon (da) B. ad A. > » .... 21 mag 1633 XV 128 Barberini ... 12 ag. 1633 XV 219 Capra B. a G. E. di Garosi M. a G . 2 nov. 1629 XIV 49 Brandebnrgo. 7 mar. 1607 X 169 Casati G. P. a G. A. > a G. A. della Rocca . 13 feb. 1636 XVI 396 Croco . 16 feb. 1605 > 141 Gancio (da) C. a G. .. 24 mag. 1604 X 108 Caraffa P. L. ad A. Castelli B. ad A. Arri- Barberini. ... 11 set. 1633 XV 261 ghetti . opr. 1627 XIII 351 » a G. G. Millini. . 2 giu. 1616 XII 264 » a F. Barberini. 2 ott. 1638 XVII 382 Carcuvy (de’) P. a G. 28 gen. 1635 XVI 201 > t> 9 > » » 386 » >3 apr. » » 250 » > * 16 » » » 394 » >6 lug. > » 289 > > . 23 > » p 395 > >21 ott. > » 326 » » 28 » » » 397 502 INDICE GENERALE ALFABETICO. i Voi. Voi. Png. Castelli B. a F. Bar- Castelli B. a (ir. 6 gen. 1615 XII 126 berilli. 6 nov. 1638 XVII 401 » a B. Cavalieri... l°gen. 1642XVIII 376 a F. Cesarmi... 20 set. 1638 XVII 377 » a Don Ermagora di Padova... 24 ott. 1607 X 183 » a Y. Galilei. 12 set. 1637 XVII 180 * a G. l°apr. 1607 X 169 * » . 3 > 1610 » 310 » » . 27 set. * * 436 » » ... 5 die. » > 480 » * . 24 » * » 493 » > . 3 apr. 1611 XI 81 !> » . 24 gen. 1612 * 266 » » . 2 mar. » > 278 » . 8 mag. » > 294 » » . 28 ott. » » 419 » » . 1612 (?) > 456 » » . 2 feb. 1613 > 477 » » . 26 * * > 485 » » . 6 nov. > » 589 » * . 13 * » > 593 » * . 20 » « » 596 » » . 3 die. > 599 » » . 4 * * » 600 » * . 10 * » » 603 •» » . 14 * » » 605 » > . 5 feb. 1614 XII 23 » » . 12 » » » 24 » » . 26 * ► > 26 » » .. 5 mar. » » 30 J> » . 12 » * » 36 » » . . . 19 » » » 39 » * . 23 » » > 41 » » . 2 apr. » » 43 » » . 16 » » » 49 » 1> . 21 > » » 52 » » . 4 mag. > > 57 » » . 7 » > * 58 » » . 14 * » » 61 » » . 4 giu. * > 69 » » . 12 nov. > J» 110 » » . 26 » » J> 113 t> » . 3 die. » * 115 » » . 19 » » » 119 » * . 31 * » » 122 * » ...13-14 > * » 131 » *.21 » * > 133 » 28 » » » 135 * » 20 fe1>. » * 143 ► » 12 mar. * » 153 » » 18 » » » 158 » .» > *161 * » 9 apr. » » 165 » » 6 mag. » > 177 » » 13 » > » 179 » * .20 * >» » 182 * » * apr. 1616 » 254 * » 16 nov. * * 296 * * 7 gen. 1617 * 301 * » 22 feb. » > 309 * * 16 mag. » » 315 » » 21 » * » 318 > » 24 » » » 319 * * 18 set. » * 316 * » 7 feb. 1618 » 372 » * 14 * * » 373 » » . l°mar. » » 374 » * 12 gen. 1622 X1U 83 » » 29 nov. 1623 » 152 » * 6 clic. » * 155 » * 3 ag. 1624 » 197 * * 13 nov. » » 228 * * 12 * 1625 * 284 » » 10 die. » * 291 » » . l°gen. 1626 * » 296 * > 21 mar. * * 313 » » 4 apr. » > 317 » » 30 mag. » » 324 » » . l°ag. » » 335 » .21 * * » 337 » .12 set. » > 340 » .30 apr. 1627 » 351 * .21 mag. » » 358 * .22 * * » 359 » .12 giu. * » 361 > . 7 ag. » » 372 » . 8 gen. 1628 » 383 * .22 » * » 388 » . 5 feb. » «* 390 » .19 » » * 393 INDICE GENERALE ALFABETICO. 503 Voi. Pag. Voi. Pag. Castoni B. ft 0.. .. 2G feb. 1628 XIII 393 Castelli B. a G.... . 20 feb. 1632 XIV 330 » * . .. 25 mar. » p 403 » * ... . 29 mag. » » 357 » * . .. 29 apr. > p 420 p » ... . 19 giu. > » 359 » * . .. 14 mag. » » 424 p p ... . 2 oLt. » » 400 » > . .. 27 » » j> 427 p ^ ... . 16 » » » 411 » * . .. 3 giu- * » 430 p » ... . 23 » » » 415 » p . .. 17 > » > 434 p p ... . 30 » » » 419 ► » . .. 24 p p p 436 p » ... . 6 nov. p » 423 > p . .. » » p p 437 p » ... . 13 » p » 426 p p . .. 1° lug > » 439 p p ... . 20 » p » 430 p p . .. 9 » p » 442 p » ... . 27 » » » 433 * » . .. 22 » » » 443 » p ... . 4 die. » p 435 » * . .. 5 ag. » ► 444 » » ... . 18 » » » 440 » * . .. 20 » » p 446 » » ... . 25 » » > 442 > * . .. 1* set. p p 447 p » ... . 7 gon. 1633 XV 19 > * . .. io » p > 449 » p ... . 12 mag. » p 117 > p . .. 3 110V. p p 451 > » ... . 19 > t p 126 > » . .. 17 » » * 453 » » ... . 26 > p p 133 * » . .. 25 p V p 456 » » ... . 9 giu. » p 150 » * . .. 29 dio. p > 464 p » ... . 16 » p p 155 » p .. 21 gen. 1629 XIV 19 p » ... . 23 lag. > 188 > » . .. 2*4 feb. p p 21 p > ... . 17 BOt. » > 266 > ► . .. 10 110Y. p » 50 p p ... . 15 ott. » p 301 * » . .. 24 » p » 57 » ► ... . 17 die. » p 354 » » . . # 1629 > 62 p » ... . 28 gen. 1634 XVI 29 p * . .. 9 feb. 1630 p 77 » » ... . 8 apr. » p 75 p * . .. 16 > » p 80 » p ... . t » » 87 p p . .. 23 p p p 82 p » ... . 7 mag. » p 92 p » . .. 16 mar. p p 87 p » ... • 12 ag. » » 121 p > . .. 6 apr. p p 89 p p ... . l°nov. > » 147 » » . .. 10 ft g- p p 132 p > ... . 25 » p » 164 p p . .. 2*1 » > p 135 » » ... . 2 die. » » 166 » » . .. 13 set. p » 144 » » ... . 9 * » » 171 » * . .. 21 > p p 150 p ► ... . 23 » p » 179 * * . .. 30 nov. p p 169 p » ... . 2 gin. 1635 » 270 » » . .. 15 feb. 1631 p 210 p p ... . 9 » » » 273 * » . .. 29 mar. » p 235 p » ... . 16 » » p 277 » > .. 19 apr. » » 250 » » ... . 23 » » » 282 » > .. 26 » * » 255 p » ... . 7 lug. p p 290 ai 269 » ... » p 303 » * . .. 14 giu. > ► 276 * p ... . 17 ott. p T> 322 » » . .. 20 » p p 277 > p ... . 10 nov. p » 339 ► » . .. 26 set. p p 296 p » ... . 30 * p »> 351 P ► . .. 18 ott. p » 302 p » ... . 22 die. » p 363 p p . .. 13 die. p » 318 » p ... . 19 apr. 1636 p 417 » > . .. 20 p » » 319 » » ... . 6 mag. p » 426 504 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pag. Castelli 13. a G.... .. 10 mag. 1636 XVI 429 » > ... .. 12 lug. > > 449 » » ... .. 26 * » > 456 » » ... .. 9 ag. > > 461 > > ... .. 30 » > > 480 » » .. .. 9 ott. > > 500 » » .. .. 18 > > > 507 » > .. 2 mag. 1637 XVII 70 > > .. .. 13 giu. » * 111 > » .. .. 27 » » > 121 > > .. .. 10 lug. > > 133 > » ., .. 18 > > > 139 > » .. .. 25 » > > 143 » > ... l°ag. > > 146 » > .. ... 9 > » > 150 » » .. ... 15 » > > 156 > > .. .. 20 set. > > 183 > > .. ... 26 » » > 185 » » .. ... 10 ott. * > 191 > » .. ... 31 » > > 208 » » .. ... 14 nov. > > 216 » » .. ... 5 die. » > 229 » » .. ...12 » > > 233 » > .. ... 2 gen. 1638 > 248 » » .. ... 9 > > > 254 » > .. ...16 > » > 258 » » .. ...30 » > > 272 » > .. ... 13 feb. » * 285 » » .. ...27 > » » 301 * > .. ... 6 mar. > > 309 » » .. ...13 » » > 313 » » . ... 27 » » » 320 » * .. ... 29 mag. » * 336 » » .. ... 4 giu. » » 339 » » . ...19 > > > 345 » » . ... 3 lug. > > 349 » » . ... 10 > > > 353 » » . ...17 > > > 354 » » . ... 30 > » > 361 » » . ... 8 gen. 1639 XVIII 14 » » .. ...29 > > > 23 » > ...12 fob. > > 26 » » .. ... 7 giu. » > 56 » » .. ... 18 > > > 62 y> » .. ... 13 ag. > > 82 > » .. . . 20 > > » 89 Castelli li. a G. 27 ag. Voi. Pag. 1639 XVIII 91 » 10 set. > > 100 > l°ott > > 109 > » . 15 nov. > > 123 > 28 apr. 1640 » 182 > l°mag. > > 185 > G » > > 188 > 26 > > > 197 > 7 lug. » > 215 > 28 > > > 219 > 4 ag. > > 224 > 8 set. > > 246 » 2 mar. 1641 > 303 > a F. Michelini.. 10 feb. 1635 XVI 210 > a E. Piccolomini d'Aragona... 2 mag. 1615 XII 177 > ad E. Torricelli. 9 nov. 1641XVIII 366 Castelli C. a B. Castelli 15 mar. 1G29 XIV 25 > a «. 5 gen. » > 15 Castelli Onofrio ad A. Barbolani di Montauto... 10 » 1016 Xll 221 » a G. 1° > 1605 X 133 » » .31 die. 1615 XII 213 Castelli Ottaviano aG. 16 feb. 1641XVIII 301 Castro (di) F., conte di Leraos, a 0., 18 mar. 1617 XII 310 Cavalcanti 0. a 6.... 20 ag. 1633 XV 227 > > ... 17 die. > » 355 Cavalieri B. a 13. Ca¬ stelli. 2 ott. 1638 XVII 383 » a(1. 6 mar. 1619 XII 441 > » 20 niag. 1620 XIII 39 » > 13 gen. 1621 > 54 » » 28 apr. * » 61 > » > lug. » » 70 » » 15 die. » >81 * » 16 fob. 1622 > ai * » 22 mar. * >86 » > 17 ag. > >96 » » 21 die. » * 102 > » . 9 apr. 1623 > 114 » » 16 ag. » > 123 > > 28 mag. 1625 > 273 » > 29 feb. 1626 > 309 > » 21 mar. > » 311 INDICE GENERALE ALFABETICO, 505 ATAlIen B. a (l. 4 apr. 1626 Voi. Pag. XIII 318 Cavalieri B. a 0... . 19 die. 1634 Voi. Pag. XVI 175 » » 9 mag. » p 322 » p .. . 6 feb. 1635 * 204 > » 7 ag. > p 330 » » .. . 12 mar. » » 230 * » 10 die. » p 848 p p .. . 19 giu. p * 281 » » 80 * » » 846 p » .. . 24 » p » 283 » » > apr. 1627 » 352 p .. . 18 set. » » 314 » » 17 die. » n 381 * p .. . 23 ott. » » 327 » » 14 gen. 1628 » 385 > p .. . 24 die. p » 365 » * 8 feb. » » 391 p » .. . 12 feb. 1636 » 395 » » 24 nov. » > 455 » > .. . 11 mar. p » 401 » » 19 die. * » 463 » p .. . 8 apr. p * 412 » > 2 gen. 1629 XIV 12 p » .. . 6 mag. > > 427 » » 12 > » » 17 * » .. . 27 p p » 433 > > 20 feb. » p 20 p » .. . 19 ag. p > 476 » » 27 mar. * » 28 p p .. . 26 * » » 479 » » 20 ott. » » 48 p p .. . 21 ott. p » 508 ► » 15 die. > J* 58 p p .. . 9 giu. 1637 XV] l 106 » » 23 feb. 1630 p 82 p p .. . 28 lug. > » 144 * » 2 apr. » » 88 p p .. . 18 ag. » » 172 » » 3 die. * » 170 p » .. . 20 ott. p » 202 » » 17 > » » 192 p » .. . 29 die. p » 243 » » 16 feb. 1631 » 211 p > .. . 2 feb. 1638 » 273 » » 18 mar. » » 226 p p .. . 1° giu. » » 338 » » 8 apr. » *> 242 p > .. . 8 p » 341 » » 21 niag. » » 263 p » .. . 23 nov. p » 405 » » 10 giu. > » 274 p » .. . 28 die. p » 415 > > 1° lug. » » 279 p p .. . 25 gen. 1639 XVIII 21 ► » 9 set. * » 293 p » .. . 15 feb. » * 27 » » 28 ott. > > 303 p p .. . 22 mar. » » 32 * » 18 nov. » » 307 p p .. . 24 mag. » > 50 » > 27 gen. 1632 » 327 p » .. . 7 giu. p » 59 » » 22 mar. > » 336 p » .. . 28 » p » 67 » > 18 niag. » » 353 p » .. . 16 ag. p » 83 * » 25 > » > 355 » p .. . 27 set. p » 108 ► » 81 ag. p » 377 p > .. . 3 gen. 1640 » 134 > * 21 set. » » 394 p p .. . 14 feb. p » 146 » » 7 die. p p 437 p » .. . 3 mar. p » 160 » » 21 * » p 441 p » .. . 1“ mag. p » 186 » » 17 > 1633 XV 356 p » .. . 5 giu. p » 200 > p 10 gen. 1634 XVI 15 p p .. . 29 > » » 209 » » 14 feb. p » 42 p p .. . 3 lug. » » 211 * > 11 apr. » » 78 p p .. . 10 » » » 216 » p 16 giu. » » 103 > p .. . 17 » » » 218 » » 22 lug. » p 113 p » .. . 28 ag. » » 240 » > 12 set. » » 132 p » .. . 9 ott. p » 258 > » 2 ott. » p 136 p » .. . 23 » » » 262 svili. 600 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pag. Voi. Pag. Cavalieri B. a G. 18 die. 1640 XVIII 281 CoHariul V. a G. 28 ott. 1523 XIII 141 > A .... 12 feb. 1641 > 300 > p .... 22 nov. > p 150 » » .... 14 mag. » * 828 Cesi F. a G. Faber... 11 die. 1611XVIII 413 » » .... 20 ag. » » 346 » » ... 12 * » p 414 » » .... 1° ott. • » 361 > » ... 7 gen. 1612 XI 258 » a 0. Marsili.... 2 gei). 1629 XIV 13 > > ... 81 * » p 267 » V .... 12 » » * 18 » p ... 7 lug. » p 357 p >' .... 27 feb. » » 22 > p ... set. p » 39G i* a M. Mere enne.. 23 nov. 1641XVIII 368 » 24 die. 1618 XII 429 » a (ì. A. Rocca. .. 4 gen. 1635 XVI 191 o » ... 14 gen. 1619 » 436 » » 11 nov. » » 345 » * ... 12 nov. p » 496 > » ... 30 die. » » 868 p *■ ... 23 feb. 1620 XIII 24 » » 29 * 1637 XVII 244 » p ... 11 ag. * » 47 * » 8 gen. 1639 XVIII 16 » » ... 28 » 1621 » 76 » » 18 apr. » » 43 V ... 19 nov. 1622 > 100 » » 1° nov. 1641 » 365 - • • • • 1° ffiu. 1628 » 429 » a il E. Torricelli. 30 ott. » » 364 > ad A. de’ Filila. . 7 feb. 1623 » 109 > » 17 die. » «* 373 » a G. . . 23 lug. 1611 XI 158 r» » 7 gen. 1642 > 377 » 13 ag. » p 169 Ceccarelll L. a G.... 16 die. 1628 XIII 461 » » 20 » * 174 > » ... * set. 1634 XVI 133 » » 17 set. » o 210 » » ... » giu. 1635 » 278 p » 21 ott > p 223 » v , , , 21 lug. » * 294 » » 3 die. > » 236 » » .., 24 ott. 1637 XVII 205 » » 16 » » » 240 » » .. 14 nov. » » 217 * » 2-1 » » p 250 » a Ferdinando li * - . 4 feb. 1612 » 271 de’ Medici o » p . 3 mar. p p 280 Vittoria della * » . 17 » + J» 282 Rovere. 24 ott. * » 206 > » . 22 » p p 285 Cesarmi F. a B. Ca- p » . 14 apr. » p 291 stelli 3 ag. 1640XVIil 224 p 4 mag * p 293 Cesarla! V. a F. Cesi 22 dio. 1622 XIII 102 » * 17 » J» » 297 » » 28 gen. 1G23 > 108 p *) , 19 » » p 298 » a Q.... 31. die. 1616 XII 299 p u . 26 > p * 302 » » ... 21 lug. 1618 » 398 > » . 2 giu. » ► 312 l°ott. » 413 » » . 4 » » » 317 * 422 * 9 * >» p 323 » » ... 3 ag. 1619 * 472 è ) , 20 * » » 332 » » ... 23 gin. 1621 XIII 68 p x> 4 log. p p 351 > » ... 7 mag 1622 . 88 » > . 21 * » » 365 » p ... 28 ott. » * 99 p 4 ag. p p 370 » » ... 12 gen. 1623 » 105 » » . 25 » p p 382 p » ... 3 feb. p » 109 » » . 8 set. » p 393 » » ... 25 » » » » > » . 14 >' p p 394 » » ... 20 mar. * » 111 » » 15 » » p 396 » * ... . 18 ag. p » 124 » p . 29 » p » 403 INDICE GENERALE ALFABETICO. Cesi F. a fi » » » • » * » » » » >• » » » p » » > » > » » » » » » » » » » » » » * » » ® * p 0 » » » » » » » 1 * » ► » » » » * » » > » p p » * » » J> » * * » » » » 1 * » » p p ► » * » » p p Voi. Png. 6 ott. 1612 XI 409 13 p » p 416 28 » » p 419 3 : noy. > p 422 10 * p p 428 17 > p p 431 24 > * p -137 30 » » p 438 1° die. p p -144 14 » > p ■146 23 » p p 449 28 * p p 150 4 gen. 1613 p -157 11 p > p 462 18 p p p 463 26 p » p 171 1" fob. » » 474 8 * p 0 480 16 p » 481 22 > » p 483 2 mar. p p 486 22 » p p 489 11 mag. p p 506 17 » » p 508 30 » p p 514 29 giu. p p 528 19 lug. p » 538 2 »g- p » 545 30 » p p 558 6 set. p » 561 » » p » » 7 > » p 562 15 ott. p p 585 8 nov. > p 593 30 » p p 598 3 pron. 1614 XII 12 , 18 p » » 14 . 24 p » p 15 . 30 p » p 17 . 15 fel). » p 25 1‘ ' mar. » » 28 , 21 » » p 40 . 12 apr. » p 48 . 26 > » p 53 , 14 giu. p p 70 , 12 lug. p p 85 Cesi F. a fi. » » » » p » p * » » » > » > p p p p » p » » » p » » » » » » * » * > » » » >> V» * » » r> » » » » » ¥> » » » » * » » /> » » P » » » » » » & » » » » » » » » » » » » » P P » » 507 Voi. Patc. 9 a#. 1614 XII 92 16 » » » 95 23 » » » 98 13 set. » » » 4 ott. » » 104 24 dio. » » 122 .... die. 1614-gen. 1615 » 124 .12 » » » 128 . 2 feb. p » 136 . 7 mar. » » 149 .11 apr. » » 166 . 15 mag. » » 180 20 giu. p p 189 25 ng. » » 196 » giu. 1616 p 265 23 lug. » p 271 28 » » p 272 3 set. ► p 274 8 ott. » » 285 11 mar. 1617 p 310 22 ag. » » 340 » die. » » 356 13 gen. 1618 » 367 20 apr. » p 383 28 ► p p 386 5 mag. » p 387 11 » » » 388 10 lug. p » 396 15 feb. 1619 » 438 28 lug. » » 471 10 set. » p 489 4 gen. 1620 XIII 11 » mar. » » 25 18 mag. p p 37 4 gen. 1621 » 54 2 die. p » 80 . 27 » 1622 p 103 apr. 1623 t> 115 . 29 mag, . » 118 . 21 ott. p » 140 . 20 feb. 1624 » 165 . 23 » p p 166 . 6 apr. * p 170 . 30 » p » 177 . 18 mag. . » p 180 . 10 giu. » p 185 » » p » 508 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. P*f. Cosi F. a «.26 ott. 1624 XI 11 219 » > .27 dio. * » 948 » » . 3 geu. 1625 » 245 » » . 5 apr. » » 262 * * .26 > » *269 » * . * set » » 280 » * .10 geu. 1626 » 297 » » . 4 set. 1627 * 375 » » .20 geu. 1628 » 387 » » . 9 set. » » 448 * > .26 gen. 1630 XIV 72 » a 0. Marsili - 5 apr. 1625 XIII 263 » a F. Steliuti-30 > 1611 XI 99 v» a F. Stellati (?). . die. 1612 * 452 Chiarnmontl S. ad... 6 ott. 1613 > 582 * » .. 16 nov. 1625 XIII 288 > ... 18 gon. 1626 * 302 ». » .. 8 ag. » * 337 » p .. 24 mag. 1628 » 426 Chiodino G. I). a G. G. Millini. » lug. 1615 XII 195 Cianipoll G. a F. Cesi. » ag. 1618 > 409 » a 0. * lug. 1610 X 405 » > 8 nov. 1614 XII 110 * » 28 feb. 1615 * 145 * » 21 mar. » » 160 » » 28 » * >163 » » 31 die. 1616 > 300 » » 21 lug. 1618 > 899 » » 12 » 1619 » 465 » > 24 ag. » XVIII 423 » » 18 ott. > XII 494 » * . 6 die. > >498 9 » 18 mag. 1620 XIII 38 » » 17 lug. » >43 » » . 2 ag. > » 46 » » .20 mar. 1621 > 58 * 9 . 3 lug. » » 69 » » 11 set. > >77 9 » 23 ott. » >78 9 » . . • •. 26 nov. * >79 » » 18 dio. » >82 9 9 15 gon. 1622 » 84 * 9 .26 feb. * > 85 9 9 . 7 gen. 1623 > 104 9 9 . l°apr. > > H2 Voi. Tup. Ciampoll G. a «.... 6 mag. 1623 XIII 115 > > ... 27 > » » 117 » » ... 22 lug. > > 119 » i ... 18 ag. > > 125 > > ... 4 nov. > > 146 > > ... 16 mar. 1624 > 168 > > ... 22 giu. > > 187 > > ... 14 die. > > 239 > > ... 28 > > > 295 » > ... 4 gen. 1625 > 246 > • . « « 15 feb. » > 254 > > ... 8 mar. » > 257 » » ... 19 apr. > > 267 > » ... 30 ag. » > 279 > » ... 8 nov. » > 283 > > ... 28 dio. » > 294 > > ... 24 gen. 1626 > 803 > » ... 10 log. 1627 > 864 > » ... 8 gen. 1628 > 384 > > ... 5 » 1630 XIV 64 > » ... 13 lug. » > 122 > » ... 10 ag. » » 133 > > ... 24 > » > 136 > » ... 21 set. » > 151 > » ... 23 ag. 1631 > 289 > > ... 31 gen. 1632 » 328 > » ... 5 apr. 1683 XV 79 » » ... 30 > » > 108 » » ... 14 giu. » > 154 > a C. Marsili.... 26 mag 1629 XIV 37 > a ... ... 1612 XI 453 > a .. • • • » > 455 Ciampoll N. G. o mag 1636 XVI 423 Cimnrelll V.M. ad A. Iìarberini ... 7 ott. 1683 XV 294 Cini N. a G.. 10 gon. 1630 XIV 65 > 12 feb. 1633 XV 39 > 26 mar. » > 75 > . 9 apr. > > 81 > 21 mag > 129 » . 28 > » > 134 > 27 ag- » > 239 » > 17 set. » > 267 > > 8 ott. > > 295 Cicli A. ad E. del Borg o. 18 giu. 1630 XIV 120 INDICE GENERALE ALFABETICO. 609 Voi. Pag. Voi. Pag- doli A. ad E. del CIoll A. a F.Niccolini. 12 mar. 1633 XV 67 Borgo... 8 nov. 1640 XIV 165 » » 17 » » » 69 > a G 12 gen. 1612 XI 261 » » 14 apr. » » 87 » > 24 Hot. 1613 » 565 p » 20 » » » 99 » » giu 1630 XVl II 428 p * 27 -28 » p p 105 » » . 19 g«U. 1632 XIV 827 p » 4 mag » p 112 » > 16 ott. p » 413 p p 6 p p » » p ► 6 nov. p » 424 p p 26 p p » 134 » > ... 11 gon. 1688 XV 21 p P Plug. p » 166 » » 24 feb. » » 48 » » 11 ag- p » 219 » • 26 mar. » » 76 » p 26 nov. p » 339 » > 28 lug. » » 200 » p 9 die. p » 352 » a F de 1 Medici.. 12 mag 1632 XIV 349 » p * set. 1638 XVII 374 p » ., > ott. » p 406 p p 20 p p » 380 p a F . Niccoli»!. . . 11 mag. 1630 p 98 p p 21 » » » 381 > » 20 » » p 105 p p 27 * » » » > » 28 » » p 110 > p 8 ott. » » 385 > » 8 mar. 1631 p 219 p p 15 apr. 1639 XVIII 41 » » 21 » » » 232 p » 19 » » » 14 » » 29 > » p 236 p a N. Sacchetti... 6 nov. 1632 XIV 425 » » 11 apr. » p 247 p a B. Vinta. 13 set. 1610 X 430 p » 17 p » p 249 Cittadini D. a G.... » feb. 1634 XVI 40 » • 22 p p p 253 » » ... 24 » p p 51 p » 26 p » » 256 Cittadini P. M. > ... 3 lag. 1610 X 389 » » 22 mag. p * 265 Clavio C. » ... 16 gen. 1588 p 24 » » 13 giu. p » 276 » » ... 5 mar. » p 29 3» » 2 apr. 1632 * 339 » p ... 18 die. 1604 p 120 » » 19 ag. » » 373 » » ... 17 » 1610 » 484 P » 24 » p p 375 Coccapani G. > ... 16 ott. 1631 XIV 301 P » 0 net. » » 385 p a Ferdinando II » » 16 p p > 390 de’Modici... mar. p p 222 • > 1 ott. p » 400 p » » p » 233 * p 9 » p p 405 p a R. Staccoli - 27 » » p 234 P p 16 » p p 413 p a L. Usimbardi. 4 apr. » p 239 > p 29 » p p 419 Coignot M. a G. 31 mar. 1588 X 31 » • 18 nov. p p 429 Cotogna ((li) S. a B. » » 11 dio. p p 438 Castelli . 10 ott. 1612 XI 412 » » 16 * » p 440 Colombe (delle) L. a » » 4 gen. 1633 XV 19 C. Clavio - 27 mag. 1611 p 118 » » 21 > p p 29 p a fi . 24 giu. 1607 X 176 » » 4 feb. p p 36 » a G. de’Medici.. 12 dio. 1612 XI 446 » » 18 p p p 43 p a F. Salviati.... 10 » » » 444 > p 20 p p p 46 Colonna F. a F. Cesi. 13 mag. 1624 XIII 178 24 p p p 49 * p 10 nov. 1628 » 451 P p 3 mar. p p 57 » a G. ... 28 ag. 1612 XI 385 » » 4 » p p » » » ... 3 » 1613 » 546 510 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pa*. Voi. Png. Colonna F.rO .25 set. 1513 XI 567 renze, nG.G. * » .... 80 » * » 570 M il lini.13 api*. 1615 XII 172 » > .... 6 dio. * >601 Cornelio Inqui- » * .... 16 raag. 1614 Xll 62 nitore di Fi- » * .... 19 giu. » * 74 renze,»G.G. » » .... 29 lag. » >88 Millini.11 raag. » > 178 » » .... 8 ng. » * 91 CosUmexzana G. ad » » .... 8 ott. > » 102 A. Barberini. 27 ott. 1633 xv 312 » » .... 14 ag. 1615 p 195 Costanzl G. a G.19 giu. 1640XVUI 205 » * .... 3 feb. 1617 » 305 Cozxolani G.G.aC.A. » p .... 10 ag. » > 836 Manzini.11 set. 1638 XYll 374 » » .... 8 * 1611) ► 479 Cremonini C. a G. F. » p .... » * 1622 XIII 93 bogredo. 7 gen. 1618 XII 365 Corno (da) P. E. ad A. » > 20 » » » 370 Barberini... 4 ott. 1633 XV 293 > » 26 raag. » » 392 Compagnia delle In- Crivelli F. a (*.13 » 1628 XIII 422 dio Orientali C'uccini F.ad A. Bar¬ agli Stati Ge- berini. 16 set. 1633 XV 265 novali dei Paesi Bassi.. 23 mar. 1638 XYII 318 Dcmixlanl G. a G.... 14 ott. 1011 XI 221 Contarini A. a G.... l°mag. 1632 XIV 346 p »... 24 ag. 1612 » 381 Contarmi G. * ... 22 die. 1592 X 52 Descartes II. n F. de > » ... 28 mar. 1593 » 57 Boauno.20 feb. 1639.WIII 29 Conti B. « ... 3 dio. 1633 XV 311 » a M. Mersonne. nov-dic. 1632 XIV 435 * *...7> » >348 > > fine nov. 1633 XV 340 » » ... 20 • > * 358 * > feb. 1634 XVI 56 » »... 24 gen. 1634 XVI 24 * » apr. » » 88 > » ... 12 feb. » * 39 • > 15 mag. » » 96 » • ... 23 die. » » 180 » » 14 ag. » » 12*1 > »... 20 nov. 1635 > 347 » > mar. 1636 * 410 Conti Carlo > ... 11 apr. 1610 X 311 . » 29 giu. 1638 XVII 348 » »... 7 lug. 1612 XI 354 » * 27 lag. » » 361 » »... 18 ag. » » 376 » » 23 ag. * >369 Conti Conte » ... 11 apr. 1614 XII 47 » » 11 ott. » » 387 » * ... 15 ag. » » 93 » » 15 nov. » > 403 Centi F. »... 20 set. 1636 XVI 485 » » die. . » 416 Coresio G. a F. de’Me- » » 9 feb. 1639 XVIII 25 d ici . 10 » 1612 XI 394 » » 20 » » » 29 Cornaceli ioli G. a G. Pag. 1636 XVI 459 > ► 31 mar. 1641 > 318 Cornare G. A. ad A. Doti G. B. a G.23 giu. 1612 XI 338 Ca P™. 4 apr. 1607 X 171 Dini P. » .29 » » » 343 * n W . 21 » » » 173 . > 21 feb. 1615 XII 144 * * 24 9 » >174 * » 7 mar. » > 151 9 * . 25 » > » 175 * » 14 * » » 155 Cornolio .!nqui- * > 27 » » » 162 8it0rc di Fi - > » 8 apr. » » 164 INDICE GENERALE ALFABETICO. 511 IUnl P. a G. a C. Sassetti- Diodati E. a M. Ber- negger. 6 gen. 1635 XVI 194 a (t. Horeel .21 apr. 1640XVIII 182 a U. Galilei - 2 giu. 1637 XVII 88 a (l Voi. Pag. 18 apr. 1615 XII 173 20 » » » » 25 * » • 174 2 mag. » » 175 16 » » * 181 7 * 1611 XI 101 Diodati E. a M. Or¬ tensio. > a L. Roaiio. » a N. di Peiresc. * * » p ^ » » aG. Schickhardt. Voi. Pag. 21 nov. 1637 XVII 222 fine set. 1636 XVI 492 11 ag. 1630 XIV 134 10 nov. 1634 XVI 154 3 ag. 1635 » 297 6 mar. 1637 XVII 41 20 ott. 1629 XVlII 428 28 lug. 1630 » > l°nov. » p 429 .27 ag. 1620 XIII 48 » » 2 fob. 1631 » » 1629 XIV 37 » » 11 mag. » » » .23 ott. 1630 » 157 » » 25 giu. 1634 XVI 106 1634 XVI 96 * » 29 die. * * 184 » p 168 » » 17 mag. » » 266 .13 fob. 1635 » 213 » agli Stati Gene- » » 231 rali dei Paesi » » 255 Bassi. 15 » 1637 XVII 79 .17 lug. » » 293 Dolila N. a G. 29 ott. 1022 XIII 99 » » 316 Doni G.B. » . 27 » 1633 XV 311 1636 » 452 » a M. Mer.senno. 8 apr. 1634 XVI 77 » » 489 Duoilo F. a «. 27 gon. 1611 XI 35 > 526 » » . 16 set. » » 209 1637 XVII 78 » >• . 11 nov. » > 228 .11 f?iu- » » 107 » » . 16 die. » » 242 . 7 lug. 127 29 set. 1622 XIII 97 . 14 * » * 135 » p . 12 apr. 1631 XIV 247 p » 173 p >' . 27 die. » * 321 » » 181 » » . 1“ mag. 1632 » 347 237 XVI 480 .22 » > » 239 » » . 4 ott. » » 498 . 9 feb. 1638 » 281 » > . 23 gen. 1637 XVII 14 .28 ott. 1639 XVIII 116 * * . 21 mag. » » 82 .17 feb. 1640 > 149 » * . 8 die. » » 231 » > 203 » » . 11 giu. 1639 XVIII 61 Gassendi.. 10 nov. 1634 XVI 153 » » . 1° ott. > » 110 lluygens.. 20 mar. 1637 XVII 46 » p . 29 * » » 117 > .. 8 mag. » > 73 p > . 10 mar. 1640 » 162 » .. 15 » * » 80 > » . 27 apr. 1641 » 32G p .. 18 feb. 1640 XVIII 151 » » . 6 lug. » » 336 * .. 21 apr. » » 181 » » . 5 apr. 1G42 » 383 . Ortensio. line di set. 1636 XVI 491 Dnodo P. » . 30 ag. 1608 X 220 p ..13 mar. 1637 XVII 43 » » . 10 ott. » » 223 » .. 16 » > > 44 » » . 6 mar. 1609 » 234 » ..22 mag. > » 84 * » . 10 » » » 237 » .. 10 ott. » » 195 » » . » » » » 238 512 IND1UE GENE li ALE ALFABETICO. Voi. l*ag. Diiodo V. a fi. 20 giu. 1609 X 247 » > . 16 ott. * * 447 BgidU O. ad A. Tiorbe- rini. 25 set. 1632 XIV 397 * » 2 ott. » » 402 * * 20 nov. * » 432 » » 18 dio. » * 441 » » 8 gen. 1633 XV 20 » » 22 » * » 30 » » 9 lug. A p 174 » » 27 ag- P » 243 » » 17 set. * » 269 > » 1° apr. 1634 XVI 71 > a N. Riccardi.. 31 mog. 1631 XIV 270 Elei (d’> 0. a fi.... 3 giu. 1630 * 113 * a C. l’icchena.. 13 ott. 1616 XII 286 * > . . IO ag- 1617 > 337 » » 30 nov. * p 853 * * 11 gen. 1618 > 366 » * 23 apr. » » 384 » a F. di Sondo vai. 11 set. 1617 » 345 » a B. Vinta. 22 lug. 1610 X 404 » * . 16 ott. 1612 XI 417 Elei (<1-) Pan nocchio sebi A. a M M. d’Austria 15 lug. * » 362 * a F. Borromeo. 27 ag. * * 384 » a fi. 16 apr. » > 292 » » . 6 ott. » * 411 » * . 24 apr. 1613 p 497 » » . 6 nov. > * 591 » * . 17 giu. 1614 XII 73 Elzevler A. a fi. ... 5 ott. 1637 XVII 189 Elzerier B. * ... * > » » * Elzevior L. »... 1 “nov. » p 211 * » ... 4 gen. 1638 > 251 » » ... 25 » » * 265 * » ... 9 mar. » * 311 * » ... 7 * 1639 XVIII 30 » a F. Micanzio . 16 » 1637 XVII 45 > > 4 apr. » * 57 Engelcke B.aM.Ber- negger. 26 nov. 1633 XV 339 * » . 1' mag 1634 XVI 89 Voi. Pag. Kngrelcbo B. a fi.. 19 mar. 1634 f * VI ' AMII 434 * » .... 30 mar. 1634 XVI 70 Ernesto, Elettore di Colonia, a C. Olavio.24 * 1611 XI 73 Està ((T) A. a 0. ... 20 » 1099 X 72 > ... 27 giu. 1612 XI 343 > »... 18 mar. 1615 Xll 159 * »... 9 giu. » » 185 * »... 2 mar. 1618 » 376 * »... 6 log. 1619 » 463 » »... 27 » » * 470 Faber G. a F. Bor¬ romeo . 8 Hot. 1616 XII 276 > a F. Cosi. 9 die. 1623 XIII 156 * » .16 * * » 160 * » 27 gen. 1624 » 164 » » 21 fob. » » 166 * » 24 » » * 167 * » 2 mar. > * » » » . 8 » » » 168 » > 13 apr. » * 171 » * 11 mag. » » 177 » » .24* » * 181 * > . l*gio. * » > » * . » » *188 * » 6 lug. * » 192 * * 17 die. * * 240 * * 7 mar. 1625 » 257 * * .18 apr. » » 264 * a fi. 15 die. 1011 XI 238 * » .17 ag. 1612 » 375 * * .23 nov. » > 433 * * .30 ag. 1613 * 658 * » .28 feb. 1615 XII 147 » » . 3 set. 1616 * 275 * * .26 ag. 1617 > 341 > > . 7 set. 1618 * 410 * » . 3 apr. 1619 * 449 » > .18 gen. 1620 XIII 13 > > .15 feb. * » 23 » > . 1° mag. 1621 * 62 > > . 7 ag. * > 73 » * . 3 mar. 1623 » 110 INDICE GENERALE ALFABETICO. 513 Voi. Pag. 1 Voi. Pag Fflher G. a G.19 ag. 1628 XIII 125 Galilei F. a G. ... ... 20 nov. 1632 XIV 431 > - .14 set. 1624 » 207 » » .. ... 27 » * » 434 Fnllln P. I. > . 6 » 1616 XII 277 » » .. .. 26 » 1633 XV 335 Fnncolll C. a M. Bar- Galilei L. » ... 1° mag. 1593 X 60 tolini.21 apr. 1610 X 341 Galilei M. O. a G. ...IO » 1623 XIII 116 Farnese 0. a G. 6 ag. » * 410 » ... > ag. » » 120 » * .... 24 die. » » 491 » » ... 13 » * * 122 » » .... 10 gen. 1611 XI 17 » » ... 17 » » » 123 > » .... 2 ott. 1639XVIII 111 » » ... 21 » » » 126 Fermai P. a M.Mer- » » ... 28 » » » 127 Benne.apr.-mag. 1037 XVII 70 » » ...31 » » » » » >10 ag. 1638 » 366 » » ... 30 set. ■> » 132 » v 22 ott. * » 391 » » .. v autunno » » 135 Ferrara (da) P. L. ad » » ... 20 ott. » » 138 A. Barberini. IR > 1633 XV 305 » » ...29 » » » 143 Ferrari 0. a G. 4 mag. 1613 XI 504 p » ... 21 nov. » » 149 Fiorentini F. M. a G. 12 lug. 1633 XV 175 » » ... 10 die. » » 157 » >21 dio. > » 363 » » ... 26 apr. 1624 » 174 Filila (de) A. » 2 giu. 1612 XI 313 » » ... 19 die. 1625 » 292 > > l°set. > * 391 » » ... 26 fob. 1626 ?* 306 » a F. Salviati ... 13 gen. 1613 » 463 * » ...24 V dic. 1627 » 382 FontaneHl A. ad A. » » ... » » » Buggeri . apr. (?) 1610 X 340 » » ... 4 mar. 1628 » 398 Fort escilo G. a G. .. . 15 ott. 1629 XIV 47 » » ... 18 » » » 399 Foacarini P. A. > ... 1615-1616 XII 215 » » ... 22 » » » 400 Frane! (dollì) P. ad * » ... 24 » » » 402 A. Barberini. 3 set. 1633 XV 249 » » ... 25 » v> P 401 > > 14 > » » 262 » » ... mar.-apr. » » 406 Fngger G. a G.Kepler. 16 apr. 1610 X 316 » » ... » p » 407 > >28 mag. » » 361 » » ... 8 apr. » » 410 » » ... 10 » » » 411 Gallarci G. a R. di » » ... 19 » » » 412 Bollogno.... niag. 1633 XV 141 » » ... 23 » » » 414 > a P. Dupuy .... 10 ag. » » 218 » » ... 28 » » » 419 Gagliardi G. a G. ... mar. 1608 X 196 » » ... 11 nov. » » 452 Gaio B. a G.15 giu. 1613 XI 523 » » ...10 die. » » 460 > * .26 apr. 1614 XII 54 » » prima di Nat. » » 464 Galilei A. 0. a G. ... Pag. 1636 XVI 459 » » fine di die. » P 465 > > ... 16 ott. 1638 XVII 392 » » ... 4 gen. 1629 XIV 14 > > ... 2 nov. 1639XVIII 119 » » ... 22 mar. » » 26 » »... 19 apr. 1640 » 180 » » ... 8 lug. » p 39 » »... 1° nov. » » 265 » » ... 6 set. » p 45 Galilei 13. »... 4 feb. 1634 XVI 33 » » ... 10 nov. » p 51 » »... 18 nov. * » 161 » » ... 22 » » » 55 » »... 2 die. * » 167 » » ... 4 gen. 1630 p 63 Galilei F. »... 13 nov. 1632 XIV 426 * » ... 21 » * » 68 XVIII. S5 514 INDICE GENERALE ALFABETICO. Galilei M. 0. a G.... 19 feb. 1630 Voi. Pag. XIV 81 Galilei M. 0. a G.... 14 mag. 1633 Voi. Pag. XV 118 » » ... 14 mar. » » 86 | » » ... 21 » » * 129 * »... 6 apr. » » 90 * »... 28 * » » 135 * »... 14 » » » 93 » »... 4 giu. » » 146 » » ... 25 mag. » » 108 » » ... 11 » » * 152 » » ... 21 lug. » » 123 * »... 18 » » » 156 » »... 4 set. » » 141 * »... 25 » » * 163 » » ... 10 » » » 143 * »... 2 lug. » * 167 > » ... 18 ott. » » 155 * »... 13 » » » 178 > » ... 28 » » » 161 * »... 16 » » » 180 » »... 2 uov. » » 162 * »... 23 » » » 189 * »... 8 » » * 164 * »... 24 » » » 194 » » ... 20 » » > 168 * »... 28 » » » 200 » »... 4 die. » » 172 » > ... 3 ag. » » 205 * »... 15 * » » 18-4 * »... 6 * » » 210 > » ... 24 geu. 1631 » 206 * »... 13 » » » 220 » » ... 18 feb. » * 214 » »... 20 » » » 228 » »... 9 mar. » * 219 * »... 27 » » » 239 » » ... 11 » » » 220 * »... 3 set. » » 216 » » ... 12 » » » 221 » »... 10 » » » 258 » »... 13 > » » 223 » »... 18 » » » 269 * »... 17 » » » 224 » »... l’ott. » » 287 > » ... U apr. » » 246 > »... 3 » » * 292 > »... 22 » » » 251 > »... 8 » » » 296 » »... 25 » » » 253 » »... 15 » » » 302 * » ... 18 mag. » » 262 » »... 22 * » » 307 > »... 29 » » » 268 » »... 31 * » » 314 » »... 4 giu. » » 273 » »... 5 nov. » » 318 » » ... 10 » » » 275 » »... 7 * » » 321 » »... lug. » » 286 » » 12-13 » » » 323 » » ... 12 ag. » » 283 » »... 18 » » » 328 » »... 27 » » » 290 » » 23-24 » » » 331 » » ... 30 » » » 291 » »... 26 * » » 336 * »... 5 feb. 1633 XV 38 » »... 3 die. » » 342 » » ... 26 » » » 52 * »... 9 » » » 351 » »... 6 mar. » » 59 » »... 10 * » » 352 » » ... 12 » » » 66 Galilei M. A. »... 4 mar. 1608 X 192 * » ... 19 » » » 70 » »... 14 apr. » » 312 » » ... 26 » » » 77 » »... 27 » 1611 XI 95 > »... 9 apr. » » 82 » »... 21 nov. 1612 » 432 » » ... 16 » » » 89 » »... 22 ott. 1614 XII 108 > »... » » » » 90 » »... 16 ag. 1617 » 339 > » ... 20 » » » 98 » »... 10 ott. 1619 » 493 » »... 23 » » » 102 » »... 6 gen. 1627 XIII 340 » »... 30 » » * 108 » »... 5 mag. » » 353 » »... 7 mag > » 113 • »... 14 lug. » » 365 INDICE GENERALE ALFABETICO. 515 Voi Pag- Voi. Pag. Glalllel M. A. a G. ... 4 ag. 1627 XIII 371 Galilei II. a (3.23 die. 1637 XVII 241 * » ... 26 feb. 1628 * 394 » p .21 feb. 1638 * 299 » » ... 22 mar. * » 401 » > .28 > » » 305 * > ...29 » » » 405 p p .30 mar. » » 322 > » ... 5 apr. » > 408 p > .11 mag. » » 332 » * ... 27 > * » 414 > .22 giu. > » 345 » » ... 6 giu. » » 432 p » .13 lug. > » 354 » 438 Galilei V. iun. a G_ 7 die. 1630 XIV 174 »> > ... » ( XVIII 426 p * ... 21 nmg. 1631 » 264 » » ... 5 lag. » XIII 440 p »... 2 * 1633 XV 110 » » ... 23 ag. > » 445 * ...» giu. » » 142 «alilo! 0. * ... fino del 1633 XV 368 p » ... 26 ag. » » 238 «alilo! 11. * ... 10 fob. 1619 XII 440 p ... 28 set. » » 285 > * ...12 » 1632 XIV 329 p p ... 30 apr. 1636 XVI 422 > » ... 22 gen. 1634 XVI 21 Galilei Ammulinati (x. » * ... 4 apr. » » 72 a (3.29 mag. 1593 X 61 » > ... 16 ott. » » 141 > ad A. Piersanti. 21 nov. 1609 » 268 » > ... 30 » » » 146 p » 24 » » » 270 » » ... 27 nov. » » 165 p » 9 gen. 1610 » 279 » > ... 11 die. » * 174 Galileo ad I. Aldo- * > ... 24 > » * 182 brandini .... 18 die. 1628 XiiI 462 > p ... 7 fob. 1635 » 206 > a Gr. Ammarinati » » ... 19 mar. » » 237 Galilei.25 ag. 1600 X 81 > > ... 2 apr. » » 248 » ad A. Antonini. 20 feb. 1638 XVII 291 * * ...16 » » » 257 > ad A. Arrighetti 10 giu. 1627 XIII 361 * » ... 28 mag » » 269 * » 27 set. 1633 XV 283 * > ... 25 giu. » » 284 p a L. d’Austria.. 23 ni ag. 1618 XII 389 » » ... 10 lug. » * 292 p » .. 16 apr. 1621 XIII 60 » > ...23 » » » 296 p aG. B. Baliani.. 25 gen. 1614 XII 15 * > ... 6 ag. » » 298 p * .. 12 mar. » » 33 * » ... 3 eet. » » 307 p * .. 6 ag. 1630 XIV 127 » » ... 17 > » » 311 p » ..7 gen. 1639XVIII 11 * » ... 15 ott. * » 321 p » .. 1° ag. p » 75 » > ... 29 * * » 329 p p .. » set. p » 93 * > ... 12 nov. » » 345 p a F. Barberini.. 19 » 1623 XIII 130 » > ... 21 gen. 1636 * 379 p » .. 9 ott. * » 133 » * ... 3 fob. 1637 XVII 26 p » .. 23 die. 1624 » 242 » > ... 22 giu. » * 116 p p ..13 ott. 1632 XIV 406 * * ... 29 » » * 125 p » .. 17 die. 1633 XV 354 * > ... 17 lug. * > 137 p a M. Barberini.. 2 giu. 1612 XI 30-4 > > ... 21 » * » 141 p p .. 9 » » » 322 » > ... 12 ag. » » 155 p » .. 14 apr. 1613 » 494 » » ... 16 set. » > 182 p p .. 29 giu. 1619 XII 461 > > ... 21 » * » 185 p » .. 7 sett. 1620 XIII 50 > > ... 2 die. » » 228 p » .. giu. 1633 XV 166 » * ... 9 * » » 232 p » .. l°dic. » » 341 516 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. l’mr. I Voi. Pag. Galileo a M. di Ba- ; Galileo a M. A. Bno- viera. 22 lag. 1610 XVIII 411 narroti. gen. 1687 XVII 24 * a (x. di Beau- » > 26 giu. 1638 9 346 grand. 11 nov. 1635 XVI 340 * a C. Capponi... 2 * 1590 X 43 » a M. Berneggor 16 lug. 1634 * 111 » a I*. do Carcavy. 5 * 1637 XVII 88 » » 15 » 1636 » 450 > a L. Cardi da Ci- » a 0. Bocchineri. 25 feb. 1633 XV 50 gol'. 1° ott. 1611 XI 213 » * 5 mar. » V 58 > > 26 giu. 1612 9 340 » » 12 » » 9 62 * ai Cardinali del » » 16 apr. » ► 88 S. Uffizio... feb. 1634 XVI 45 » » 23 » * » 101 ► a M. Carosio.. 24 nmg. 1610 X 357 » * 28 lug. * » 198 a B. Castelli .. 30 die. > > 502 » » 5 dio. * * 346 » > 21 » 1613 XI 610 » * 27 apr. 1684 XVI 8-1 * * nov. 1625 XIII 289 » » 18 m«g. * > 98 * » 27 die. » 9 293 > ad A. Bocchincri » 2 ag- 1627 9 370 Buonamici .. 8 ag. 1630 XIV 130 » 9 11 giu. 1628 9 433 » * 2-1 mag. 1640 XVI li 194 * 9 8 gen. 1629 XIV 16 9 » 26 mar. 1041 9 311 » » . . 17 mag 1632 » 351 t> > 6 apr. > 9 319 » > 24 ott. 1637 XVII 203 T> » 20 die. » 9 374 » » 25 lug. 1638 > 359 » ad E. del Bor- > > 8 ag. 1639 XVIII 81 So (?). fine del 1680 XIY 202 » > . . 19 * » > 85 » a F. Borromoo.. 27 apr. 1013 XI 498 > > 1 set. » 9 95 * * .. 23 die. 1617 XII 356 » > . . 3 * » 9 96 » » 16 mag. 1618 9 388 » 9 > die. * 9 125 » » 29 giu. 1619 9 462 » > 18 * » 9 129 9 » 18 nov. 1623 XIII 148 » 9 . . 16 spr. 1640 9 178 * ad I. Boulliau .. 1‘ gen. 1638 XVII 245 > » . . 28 ag. » 9 238 9 » 30 die. 1039 XVIII 13-1 » ad O. Cantelli.. gen. 1605 X 134 » a (r.(x. Brcnggor. 8 nov. 1610 X 466 ► u 1*. di Castro.. 13 nov. 1616 XII 289 » a tx. F. Buona- » a B. Cavalieri.. 24 nmg. 1631 XIV 265 mici. 19 giu. 1029 XIV 38 * » 24 feb. 1640 XVIII 153 » » » nov. » > 52 » a F. ('cui. 19 die. 1611 XI 247 *> » 8 apr. 1630 * 91 » » . 12 mag. 1612 » 295 » » 14 feb. 1634 XVI 41 > » ...... 26 * > 9 301 » » 16 ag. 1636 * 474 * 9 . 30 giu. 9 9 344 » a M. A. Buonar- > 9 . 4 nov. 9 9 425 roti. 4 die. 1609 X 271 9 » . 5 gen. 1613 9 459 » » 16 ott. 1610 > 446 » » . 25 » » 9 465 » » 15 mag. 1614 XII 62 » > . 27 ag. 1616 XII 273 » > 13 ott. > 9 105 » > . 19 ott. 1622 XIII 98 9 » 20 die. * » 121 9 > . 23 gen. 1623 > 107 » > 3 giu. 1630 XIV 110 » 9 . 9 ott. 9 * 134 » * 3 » » 9 112 » » . 30 » 9 > 144 > 9 5 » > » 114 » 9 . 24 feb. 1624 > 164 INDICE GENERALE ALFABETICO, 517 Galileo a F. Cesi * * » » » » a G. Contarmi. ad E. Diodati.. • Voi. Pag. Voi. Pag. 4 apr. 1624 XIII 169 Galileo ad E. Diodati. 6 dio. 1636 XVl 523 15 nmg. » » 178 » % 7 mar. 1637 XVII 41 8 giu. » » 182 > » 24 apr. » » 62 23 HOt. * 208 > » 6 giu. » 's > 94 17 mar. 1625 » 260 » » 4 lug. > » 126 24 die. 1629 XIV 60 » » 16 > > » 136 13 ffen. 1630 » 66 » T> 22 ttg. » » 174 9 > 1612 XI 258 » y> 7 nov. » » 213 25 set. 1613 9 566 » » 2 gon. 1638 » 247 15 ott. » V 583 » 23 » » » 262 10 mar. 1615 XII 152 * » 6 mar. » » 308 16 giu. 1617 > 321 > » 26 giu. •» » 347 1» gon. 1629 XIV 11 •» » » tr 369 7 mar. 1631 » 215 > » » » » 372 3 mag. > » 258 V » 15 gen. 1639 xvii i 17 6 ott. 1632 » 402 » * 11 die. » » 128 19 fob. 1633 XV 43 * » 30 » » » 132 12 mar. » » 63 > a L. Donato.... 24 ag. 1609 X 250 19 * > » 69 * ad O d’Elci.... 13 nov. 1616 XII 291 23 lug. » > 187 > » .... giu. 1617 » 321 . 8 1588 X 22 » » .... 25 die. » » 358 . 25 fob. * » 27 » a G. Faber. 12 mag 1621 XIII 64 . 17 set. 1610 >» 431 » ad 0 . Farnese.. 3 set. 1639 XVIII 98 . 30 die. » » 499 » a G. [Tortesene.. feb. 1630 XIV 83 . 5 mar. 1611 XI 67 » a M. A. Galilei.. 20 nov. 1601 X 84 . 22 » 1593 X 55 > » 11 mag. 1606 » 157 . 21 mag 1611 XI 105 » a V. Galilei scn.. 15 nov. 1590 » 44 . 16 fob. 1615 XII 142 » > 26 die. » » 46 . 23 mar. mag » » » 5» 161 183 » a G. Gal tenzoni 16 lug. 16111 XI XVIII 141 412 . 30 die. 1620 XIII 53 » a li. Giacomini. 5 ott. 1589 X 41 . 20 ott. 1625 » 282 > a N. Giugni... 11 giu. 1605 » 145 . 29 » 1629 XIV 49 > a V. Giugni... 25 » 1610 » 379 . 16 1631 » 289 > a G. C. Gloriosi 30 nov. 1613 XI 598 . 9 apr. 1632 » 339 > » » ott. 1635 XVI 330 . 15 geu. 1633 XV 23 » a F. Gonzaga. . 15 giu. 1612 XI 325 . 7 mar. 1634 XVI 58 » a y. Gonzaga.. 22 mag 1604 X 106 . 25 lug. » » 115 > a C. Grienberger. 1 “set. 1611 XI 178 . 21 die. » > 177 * ad U. Grossio... 15 ag. 1636 XVI 472 . 15 mar. 1635 > 234 > » » gen. 1640 XVIII 140 . 9 giu. » > 272 » a P. Gualdo... 17 die. 1610 X 484 . 22 set. » > 315 » » ... 16 giu. 1612 XI 326 CO rH die. » » 361 » » » ag. 1614 XII 94 . 14 giu. 1636 » 438 » » 1 die. » » 114 . 15 ag. > » 473 > a lì. Guerrini.. 4 mar. 1636 XVI 399 . 27 ott. » > 610 p » 9 mag 1637 XVII 75 518 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. P»K. 1 Voi. r» g ililoo a B. Guorrini. 10 din. 1687 XVII 237 Galileo a O. Marsili. 29 ag. 1626 XIII 338 * * 16 feb. 1640 XVIII 148 » > 10 mar. 1629 XIV 24 » » 24 * » > 154 > » 7 apr. > > 30 » > 22 giu. » > 206 » » 21 * * * 35 » a F. In goti. set. 1624 XIII 212 p > 7 set. > > 45 V a G. Kepler .... 4 ag. 1597 X 67 l p » 12 gen. 1680 * 65 > » .... 19 * 1610 > 421 | p » 16 feb. * * 79 p > .... 28' * 1627 XIII 374 p * 22 > 1631 > 215 » a Ladislao IV, Re p > 6 apr. » p 239 di Polonia... lug.-ag. 1636 XVI 458 * > » lug. > p 280 » a R. Landucci.. 29 ag. 1609 X 253 > > 29 uov. * p 311 » a B. Leonardi » » 13 die. * p 317 d’Argonaola. . 16 ni ag. 1616 XII 260 p p 3 gon. 1632 p 324 » a F. Liceti.11 gen. 1620 XIII 18 » p 23 feb. » p 332 » * .30 lug. 1622 » 92 ► > 20 mar. p p 335 p * .24 sot. 1639 XVIII 106 » > 17 apr. » p 341 p * . » die. > * 131 p > 11 sot. » p 386 » » . 23 giu. 1640 » 207 p » 16 ott. » p 410 » > . 14 lug. * » 217 9 > 31 die. p p 444 » * . 25 ag. » p 232 a M. Mazzei.... 3 lug. 1638 XV 169 p » . 15 set. * p 247 p 29 die. 1634 XVI 183 » * . 27 ott. » p 263 p 19 » 1635 * 362 p » . 1641 » 292 p 31 » 1636 > 534 > » . gen. 1641 > 293 p 22 giu. 1637 XVII 115 » a G. di Lorena.. 11 nov. 1G05 X 149 p 14 die. * > 236 » > . . 8 die. 1606 » 164 » a I. Mazzoni. .. . 30 mag 1597 X 67 » .. Befc. 1608 > 221 > ad A. de 1 Medici. 11 feb. 1609 > 228 » > .. 19 die. * p 225 ad A. do’ Me- * » . . 16 gen. 1609 p 226 dici (?) . 7 gon. 1610 > 273 » » . . 11 feb. » p 227 a Carlo de* Me- » » .. 1615 XII 214 dici . 15 * 1633 XV 27 p ad A. Marsili... 10 gen. 1637 XVII 11 * a Cosimo II » a C. Marnili.... 7 die. 1624 XIII 235 de' Medici .. . 18 nov. 1605 X 149 * > .... 17 > * » 239 » » 29 die. * > 153 » » .... 11 gen. 1625 > 248 p p 10 lug. 1606 p 160 » » .... 28 feb. » p 256 p p 24 ag. 1607 p 177 V » .... 12 apr. > > 263 p » 26 feb. 1609 p 230 > » .... 27 mag. > 1 272 p p 12 mar 1610 p 288 » » .... 22 nov. * » 290 » p 19 > » p 297 » * - 10 gen. 1626 » 297 > » 23 lug. » p 405 > * .... 17 > » > 301 p > aet. * p 439 > * .... 31 > » p 305 p > giu. 1614 XII 73 » * .... 28 raar. > p 315 » » feb. 1619 p 441 * » .... 25 apr. » » 319 * a Ferdinando II » » .... 27 giu. > > 327 de' Medici. .. nov. 1622 XIII 101 * » .... 17 lug. * » 331 > » ott. 1626 » 282 INDICE GENERALE ALFABETICO. v ol. Pag. i Galileo a Ferdinan¬ do II de’ Me¬ dici. > * » » » » » » > » » » » » > a G. de’ Medici. » » » » » * » > » » > > * a L. de’ Medici. » > * > » a F. Micanzio.. » » > » » » » » .. > » .. > > .. » » > » .. » » > * » y » » * ad A. Mocenigo * a G. del Monte * * * a C. Monti.... » a G. Muti. » a F. di Noailles » a T. Nozzolini. » a V. Orsini.... » * .... y a M. Ortensio.. mar. 1627 XIII 350 nov. 1628 > 457 lug. 1629 XIV 40 22 » 1631 > 285 feb. 1632 > 329 4 die. 1639 XVIII 126 lug. 1640 » 210 ag- » » 220 1° ott. 1610 X 439 13 nov. * * 474 11 die. » » 483 1» gen. 1611 XI 11 feb. > » 61 23 gen. 1612 > 334 1620 XIII 17 18 mar. 1640 XVI li 165 31 » > > 174 25 mag. * * 195 19 nov. 1634 XVI 162 1" dio. 1635 * 354 9 feb. 1636 » 390 15 mar. » » 405 12 apr. * > 413 21 giu. > y 441 28 » * y 444 12 lug. > y 447 26 * » y 454 16 ag- » y 475 12 set. » y 483 18 ott. » y 505 5 nov. 1637 XVII 211 7 * » > 214 20 * » » 220 30 gen. 1638 » 269 11 » 1594 X 64 16 lug. 1588 » 35 29 nov. 1602 > 97 2 » 1640 X vili 267 28 feb. 1616 XII 240 6 mar. 1638 XVII 309 gen. 1613 XI 457 18 set. 1610 X 433 8 apr. 1611 XI 82 1636 XVI 531 Voi. Piig. Galileo a G. B. Pan- dolfini. » a N. di Peiresc.. » » * a 0. Picchena... 17 giu. 1636 XVI 410 22 feb. 1635 » 215 16 mar. » » 234 9 feb. 1607 X 168 16 nov. » y 184 4 gcn. 160S * 186 12 die. 1615 XII 208 26 » » * 211 l°geu. 1616 » 220 8 » * » 222 1G » » * 225 23 » » » 227 30 » » » 229 6 feb. » » 230 13 » » * 233 20 » * » 238 6 mar. » * 243 12 * » » 247 26 > s- » 250 23 apr. » » 255 22 mar. 1617 » 311 4 die. » » 354 19 apr. 1618 » 380 20 » x- » 382 2G mag. 1619 » 456 27 apr. 1624 XIII 175 7 lug. 1631 XIV 2S1 20 gen. 1641XVili 290 24 ag. 1607 X 178 15 » 1636 XVI 469 . XVII 96 « m - 1037 Uhi 436 22 ag. 1637 XVII 174 4 apr. » » 56 28 mar. 1639 XVIII 37 29 gen. 1636 XVI 387 » a C. dal Pozzo. y > » a G. Quaratesi.. » a L. Realio. * a V. Itenieri.... » » .... » a G. del Ricco.. » ai Riformatori dello Studio di Padova... giu.1637 mag. 1602 12 feb. 1603 9 apr. 1607 » mar. 1609 4 nov. > » a F. Rinuccini.. 1602 X 88 1603 » 103 1607 » 171 1609 » 236 » » 264 1639 XVIII 120 19 mag. 1640 520 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. I'hk- Galileo aF.Rinnccini. 29 mar. 1641XVIII 31*1 * u F. Salviati.... 22 apr. 1611 XI 89 » a F.diSandoval. 13 nov. 1616 XII 290 » a P. Sarpi.16 ott. 1604 X 115 ‘ » » 12 feb. 1611 XI 46 * a M. Sarrocchi.. 21 gen. 1612 > 265 » a C. del Sera... 17 die. 1632 XIV 440 v ad A. Sortini... 20 mag. 1622 XIII 90 * a D. Spinola.... 19 mar. 1640XVI1I 170 - a R. Staccoli ... 22 die. 1630 XIV 196 * » ... 16 gen. 1631 * 204 > » ... 3 apr. » » 237 » agli Stati Gene¬ rali dei Paesi Bassi.15 ag. 1636 XVI 463 » > » * * 468 * a G. B. Strozzi.. 5 gen. 1601 X 82 > a G. Taddei.... 3 nov. 1634 XVI 149 » * .... 24 set. 1636 » 493 » ad E. Torricolli. 27 > 1641XVIII 358 > ad Urbano Vili. Vedi: a M. Bar¬ berini. » a B. Valori... 13 mar. 1602 X 86 » > 2(5 apr. * * 87 p a Vesp. feb. 1609 > 231 » ad A. de Ville. mar. 1035 XVI 242 > a B. Vinta — 8 feb. 1608 X 188 » itti 14 mar. » > 194 5> » •«,, 4 apr. » > 199 » • • • • . 8 mag. » » 205 * y> «... 23 > » > 209 » p • • • • 30 > » » 210 * » .... . 20 gin. » • 215 * « .... . 30 ott. 1609 * 2(52 » » .... . 20 nov. * » 268 » >• .... 30 gen. 1610 > 280 » . 13 feb. » » 283 » V* . > mar. > > 288 » X* • • i • . 19 » > » 297 > .... . 7 mag. > » 348 » r> .... 21 * » > 354 » » .... . 28 » » p 359 » 18 gin. » * 372 » * .... 2 lug. » > 387 » » .... 16 » > » 403 Galileo a B. Vinta... 30 log. 1610 Voi. Tu*. X 409 » » ... 20 ag. » > 424 » * ... 15 gen. 1611 xi 26 » a» M , 19 mar. » > 71 » > ... l°apr. » => 79 > * ... 27 » > 94 p * ... 4 gin. 1612 » 316 • a M. Welter... 8 nov. 1(510 X 4(55 » * ... feb. 1611 XI 38 » * ... 4 mag. 1612 > 293 » * ... 14 ag. > » 374 * * ... l°dic. * ► 440 » a . 14 giu. 1696 X 66 > a . 27 ott. 1606 » 1(52 > a 25 feb. 1611 XI 52 « a 2 > 1636 XVI 390 * a 15 gen. 16559 X Vili 17 (Villanzoni C. a G... 26 gin. 1611 XI 131 p p ., 17 set. > * 211 p ► •. 18 ag. 1(512 » 377 » p •. 13 mar. 1613 > 488 * ► 28 lug. 1617 XII 333 Galletti C. » .. 29 gen. 1031 XIV 207 Garresto (ila) 1. ad A. Barberini. 16 lug. 1(533 XV 183 Gasparo (UlS.) C.aU. 18 ag. 1638 XVii 8(58 tìassentii P.aG. Bardi. 21 set. 1610XVIII 256 > ad I. Boullimi.. 13 ag. 1633 > 431 » a T. Campanel¬ la . 10 nmg. * XV 115 * a G.20 lug. 1625 Xlll 275 * * . 2 uiar. 1(528 > 395 * * .30 ag. 1630 XIV 139 0 ' . 1" mar. 1632 > 333 > * » nov. > » 422 » » . 19 gen. 1634 XVI 20 > » .18 nov. 1636 » 516 * - .24 feb. 1637 XVII 33 > » .13 ott. » > 197 > a V. Inceli. > ag. 1640XVIII 228 » a G. Mandò .... 6 mag. 1633 XV 113 » a M. Ortensio.. 18 ag. * XVIII 431 » a N. di Petroso. 3 » * » » » > 28 die. > XV 868 * >11 feb. 1634 XVIII 433 * > 28 ott 1685 XVI 325 INDICE GENERALE ALFABETICO. 521 Voi. Pftff. Voi. l’ftg. Gnnltier G. a N. di (tondi G.B. ad A. Gioii. 7 lug. 1634 XVI 107 Penose. 20 set. 1632 XIV 393 > a P. Falconcini.. 5 gen. 1635 » 191 Gentileschi A. a G... 9 ott. 1635 XVI 318 » a G. 225 Gerald ini G. C. * .. 12 mar. 1609 X 239 > a F. Niccolini... 29 gen. 1042XVIII 380 Gerini A. a T. Nozze- » » ... 17 lei). » Y 382 lini. 24 apr. 1627 Xlli 350 Gonzaga C. a G. XI 497 Gerini G. a G. 9 lug. 1618 XII 395 Gonzaga F. » » 338 Germini C. » .. 1“ giu. 1619 > 457 Gonzaga V. » X 109 * a Z. Sagredo... 25 apr. 1620 XIII 31 Grassi O. a G-. Bardi. 22 set. 1683 XV 273 Gessi 1$. a U. 30 giu. 1610 X 385 y a F. Boncompa- Giietaldi M. a G. .,. 20 feh. 1608 » 191 gui.... . 1G26 XIII 346 » » .. . . 15 mar. 1614 XII 38 Grazia (di) V. a O. Giannini T. » .... » * » » Y de’Medici... 2 giu. 1013 XI 519 Giggi A. » .... 26 lug. 1617 y 332 Grio.nborger C. a G.. 22 gen. 1611 » 31 » » .... 27 dio. » y 362 » .. 24 giu. » » 130 * * . 24 lug. 1619 » 470 » » .. 5 feb. 1612 » 272 Gigli A. ad A. Gioii. 1° mag. 1631 XIV 257 » » .. 1° » 1613 Y 477 Giovanni Battista a » Y . . 5 Y Y » 479 G. 22 die. 1630 XVI 529 Grini D. » .. 19 die. 1626 XIII 344 Giraldl I. a G. 21 gen. 1G21 XIII 55 Grozio U. » .. set. 1G3G XVI 488 Y » . 8 giu. 1030 XIV 114 » a M. Ortensio.. 12 die. » Y 527 » * . 9 nov. » » 166 » a G, G. Vossio .. y ag. 1634 Y 124 Giraldl II. * . 26 die. 1636 XVI 532 Y » .. 17 mag. 1635 » 266 Girolaml P. » . 13 ng. 1633 XV 222 » » .. G lug. Y » 290 Giugni V. » . 4 giu. 1605 X 144 » » .. 2 ag. » » 297 > Y . . 5 nov. » » 148 Y > .. 9 Y » » 300 Y > .. , 21 gen. 1606 y 156 » * .. 10 gen. 1636 » 373 Y 7> . , 20 giu. » Y 160 Y » .. 28 mag. 1638 XVII 335 » > .. . 5 y 1610 » 368 Y Y .. 31 lug. » » 365 Giunti O. * . . 16 apr. 1019 XII 450 Y » .. 7 ag. » » 366 Gloriosi G. C. a G. ., , 27 mag. 1604 X 110 Gualdo P. a G. . 25 nov. 1610 X 476 » » .. . 2 nov. 1613 XI 589 » » Y 497 » > .. . 13 apr. 1624 XIII 170 » » . 4 feb. 1611 XI 41 » » .. . 20 nov. 1628 y 454 » » » 43 » Y • a . 10 giu. 1633 XV 150 » » . 25 Y Y Y 56 Y » . . . 27 nov. 1635 XVI 348 » Y Y 99 » ai Riformatori dello Studio di Padova... 20 ag. » a G. Terrenzio.. 29 mag. Gelidi A. a (3. 5 gen. Monili G.13. ad A. Gioii. 2G apr. * 21 giu. > 25 ott. » 12 mag. > G giu. 1610 » 1619 1633 » y 1634 » X 425 » 363 XII 432 XV 104 » 161 » 310 XVI 94 » 101 » .27 » * » 116 > .12 lag. » » 139 y .22 » •» » 156 » .29 » » » 165 » .11 noY. » » 230 » .16 dio. » » 243 » . 8 giu. 1612 y 319 » .22 » » » 333 » . 23 nov. » » 434 » . 5 lug. 1614 XII 81 su XVIIL 522 1NJ)ICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pag. Voi. P«ff. Gualdo P, a G. 20 nov. 1614 XII ili Guidacci M. a G. 6 lug. 162*1 XIII 192 » » . 13 die. » » 118 » » .... * set. » » 202 » » . 18 leb. 1615 * 142 » » .... 13 * » » 205 » » . 3 apr. 1618 * 878 » > .... 28 » » > 210 » » . 26 * * » 385 » » .... 15 ott > » 215 ù » . 14 set. ► » 412 * » .... 18 * » » 217 * » . 30 nov. » » 420 * » .... 26 » » » 220 » > . 26 mar. 1620 XIII 27 » » .... 2 nov. » » 223 » » . 20 apr. » > 88 » » .... 8 > P » 225 Gualterotti R. a G.. * ott. 1607 X 182 * .22 » > * 229 » » 29 mar. 1608 * 198 > * .... 30 * » » 232 * * 6 » 1610 » 286 » » .... 21 dio. » » 2*11 > » 24 apr. » > 341 * » .... 27 > » » 244 » » 1612(?)XI 456 » » .... 4 gen. 1625 » 247 » » 3 apr. 1616 XII 252 * > .... 11 * » » 249 » a Cosimo li » * .... 25 » * » 250 de’Medici... 6 » 1610XVili 409 > * .... 1° feb. * >* 251 » ad A. Sertini.... 1° mar. > X 285 » » .... 8 > » » 253 Guazzarmi! (x. B. a tt. apr. 1624 XIII 172 » » .... 22 » » » 255 G«errilii B. » 2 sett. 1637 XVII 176 » ► .... » mar. * * 261 » » 20 die. * * 238 » » .... 18 apr. * » 265 GuoYara (di) G. » 21 nov. 1626 XIII 311 » » .... 3 mag. » » 270 » » 6 mar. 1627 * 349 * » .... 5 mar. 1633 XV 60 » » 17 lug. > * 868 » > .... 19 > » * 71 » » 15 nov. » » 877 » » .... 26 » * » 77 » » 24 gen. 1628 » 389 > » .... 2 apr. * » 78 » > 2 mar. 1629 XIV 23 * » .... 9 » » * 83 » > 20 apr. * » 34 » » .... 16 » » «* 91 » » 2 set. » * 44 » » .... 14 mag. » » 120 * » 20 gen. 1636 XVI 378 » ► .... 21 » > > 130 9 > 15 nov. > » 515 » * .... 28 * » > 186 Guicciardini P. a Co- A ► .... 4 giu. » * 147 simo li do’Me- * * .... 11 ► » » 153 dici. 11 die. 1615 XII 207 * > .... 16 lug. » ► 181 » » 4 mar. 1616 » 241 » > .... 23 * » > 190 » a C. Picchetta... 5 die. 1615 > 206 » » .... 30 » » * 203 * » .,. 13 mag. 1616 > 259 • » .... 13 ag. » » 223 » » 14 * » » » » » .... 20 * » * 230 » a B. Vinta . 4 giu. 1611 XI 121 * » .... 27 » » » 240 Guidoni S. a G. 12 gen. 1636 XVI 374 » » .... 3 set. » » 248 Guidacci A. > . 11 set 1617 XII 344 * * .... IO - » » 259 Guidacci M. a L. » * .... 17 > * » 268 d’Austria... 8 giu. 1619 * 460 * » .... 24 » > > 275 » F. Cosi. 19 » 1620 XIII 41 » » .... 1°ott. > » 289 » a G. 18 die. 1623 > 160 » > .... 8 » » > 297 » » . 21 giu. 1624 > 186 > » .... 15 » » » 304 INDICE GENERALE ALFABETICO. 523 Voi. Pag. Voi. Pag. Gattucci M. a G. 22 ott. 1633 XV 309 Imperiali B. a G. ... 4 ott. 1621 XIII 212 » » .... 29 > » * 312 * > ... 26 > » » 221 » » .... 3 nov. > »* 317 » » ... 8 nov. > » 227 » » .... 5 > » » 319 » » ... 29 » > » 230 > » .... 20 » » » 336 » » ... 7 die. > » 236 » » ... 10 die. » » 353 » » ... 27 feb. 1626 » 307 » » .... 17 set. 1640 XVIII 252 » » ... 21 mar. » » 313 * a T. Gallimi... 20 giu. 1620 XIII 41 Incontri L. » ... 20 lug. 1637 XVII 140 » * ... 21 ag. 1638 * 368 Hnsdnlc M. a G. 15 api*. 1610 X 314 Inghtrami G. a G. Pie- » » .... 28 » * » 344 cilena.30 apr. 1620 XIII 35 » » ... 31 mag. » * 365 » » 6 ott. *> » 51 » » ... 7 giu. > » 370 Iseo (da) C. ad A. Bar- » * ... 5 lug. > » 390 bei-ini.13 ag. 1633 XV 225 » * ... 12 » » » 401 9 ag. 17 » A\n Jaiill’red G. a G.30 nov. 1631 XIV 313 > » ... » > 420 » » .... 26 mar. 1632 > 338 » * ... 2-1 » » » 426 .Toyeuse (di) F. a G. 15 set. 1611 XI 208 > * ... 19 die. * » 491 » » b ag. 1612 » 373 HorreraN. ad A. Bar- Kollison M.aF. da La- berini. 0 lug. 1633 XV 172 gonissa. 7 set. 1633 XV 255 liolsto L. aG.B. Doni. 18 gen. 1642 XVIII 378 Kepler G. a G.13 ott. 1597 X 69 > a N. di Peiresc.. 7 mar. 1633 XV 62 > » .19 apr. 1610 » 319 * a C. Strozzi. , 13 ott. 1640 XVII1 259 » » . 9 ag. » » 413 llorky M. ni Dottori » » .25 ott. » » 457 di Bologna.. 15 giu. 1610 X 371 » » . die. » > 506 » a G. Kepler ..., . 31 mar. » > 308 » » . 9 gen. 1611 XI lo > > .... 0 apr. » > 311 » » .28 mar. » * 77 > > ... . 16 * > > 316 > a G. G. Herwart > » . 27 > * » 342 von Hohen- » » . 24 mag > » 358 burg.26 mar. 1598 X 72 > » . 26 » » > 359 » a M. llorky- 9 ag. 1610 » 419 » » ... . 30 > > > 386 » a 0. van Mael- * a P. Sarpi. . 10 lug. » > 399 cote.18 lug. 1613 XI 536 * a F. Si zzi. giu. » > 386 » a M. Maestlin.. set. 1597 X 69 Huygens C. a R. De ■ > a G. A. Magini.. 10 mag. 1610 T> 353 scarte». . 8 set. 1637 xvii 179 » a S. M'ayr. * nov. 1612 XI 429 » ad E. Diodati.. . 13 apr. » > 59 » a G. de’ Medici. 3 mag. 1610 X 348 > » . * feb. 1638 > 289 * > ott. » x> 462 » * . l°apr. 1640 XVIII 176 » a F. Mueller (?). 18 die. » » 485 » a M. Ortensio. . 25 gen. 1638 xvii 266 » a G. Remo. » mar. 1612 » 284 » » . l”dic. 1618 XU 423 Imperiali li. a G. .. . 5 lug. 1624 XIII 191 » » . ott. 1619 » 495 » > .. • 17 ag. » * 199 » a N. Wickons... lug. 1611 XI 166 » > .. . 6 set. » * 201 » a.18 » 1599 X 75 * » . 28 > * » 211 | Kepler L. a G. 6 feb. 1638 XVII 277 INDICE GENERALE ALFABETICO. 525 Voi. Puf?. Lorinl K. a Q. 5 nov. 1012 XI 427 > ft I*. Sforniraii.. 7 feb. 1015 XII 140 Lotti 0. a 15. Vinta.. 28 giu. 1606 X 377 Lunardi I. A. a G. ... 0 feb. 1034 XVI 37 Lusarchcs (eli) F.a (1. 30 ag. > xvm 434 Maculano V. a F. Dar- berilli... .... 28 apr. 1633 XV 106 Maelcot te (vnn) O. atì. Kepler.. • , . . 11 die. 1612 XI 445 Macstlln M. a (». Ko- pler .... > • • • 7 set. 1610 X 428 » » 17 ìnng. 1014 XII 64 Maestro (del) fi. a G. 15 ag. 1005 X 146 Magagnati G. » 21 ott. 1007 » 182 » * 10 die. 1011 XI 237 # > 17 y » y 246 > * 8 giu. 1012 y 321 > > 21 big. > » 367 > » 22 giu. 1013 » 527 > y 30 set. 1017 XII 347 » y 4 nov. y » 350 D y 28 apr. 1018 * 387 Magalotti F. * 7 mug. . 1022 XIII 89 » y 4 set. 1632 XIV 382 * y 13 ag. 1033 XV 223 » a M. Guiducci.. 7 » 1632 XIV 368 * * • « 4 set. * * 379 Magalotti L. a G.... 23 nov. 1023 XIII 151 » » • • 29 » 1024 » 231 Muglui G. A. u , s Denci... 8 set. 1010 X 429 » y 22 apr. 1011 XI 92 y a 0. 28 set. 1010 X 437 » > . . • • o ott. » » 442 » > . • • • 15 y y , * 445 » » . • • • 23 y y > 450 » > . 2 nov. y » 463 » * . • • 9 » y » 473 » * . 20 » y y 476 » » . 28 die. y y 496 » » . 11 gen. 1011 XI 19 i » . • • • 10 » 1612 » 259 » » . • • . 23 giu. > » 339 » \ ....... • • . 30 apr. 1013 » •199 » % . • . • . 18 giu. » » 526 Muglili G. A. a G .... 7 die. 1613 Voi. Pag. XI 603 * y .... 1° gen. 1614 XII 11 * a G. Kepi or .... 20 apr. 1610 X 341 * > » 359 » ad A. Santini... 22 giu. » » 377 y » ... p * » 378 Magiolti L. a G .... 31 ag. 1637 XVII 175 Magiottl R. » .... 23 lug. 1633 XV 191 y y .... » ag. > » 236 y y •.... 6 set. > » 253 y > .... 14 ott. » » 300 y y .... 3 die. y > 343 y y -17 y y » 356 y y .... 11 feb. 1034 XVI 37 y » .... 18 ninr. > > 65 » » .... 5 nov. * » 152 y » - 2 die. » » 167 y » - 6 gon. 1635 » 192 > y -18 ott. » » 323 » y .... 5 gen. 1036 » 368 y y .... 20 » » » 384 9 y .... 3 ning. y y 424 y y .... 25 * » » 432 y y .... 29 nov. » » 521 y y .... 21 mar. 1637 XVII 50 y y -25 apr. » » 63 y y .... 16 mag. y » 80 y y .... 15 mar. 1641 XVIII 306 y a F. Michelini.. 25 gon. 1030 XVI 381 » y .. * apr. 1637 XVII 64 Malospina P. F. a G.. 18 » 1617 XII 313 » » .. 12 die. 1G23 XIII 159 Mannncci F. > .. 13 ott. 1012 XI 416 > » .. 24 lug. 1632 XIV 365 > » ..15 set. 1635 XVI 309 Mauso G. B. a P.Bcni. mar. 1610 X 291 y a G.... , , .18 » » » 296 » y ... .. . 8 giu. » » 371 Marnili L. a G. .10 gen. 1615 XII 127 y > » 209 Marci G.M. y . 3 nov. 1640 XVJU 267 Marsili A. y XVI 12 y y .28 feb. » » 55 » y » 482 » y » 496 y y .11 ott. » » 501 524 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pag. Laida A. a G.20 mag. 1610 X 361 > > .19 giug. > > 375 Lagnila Gr. 0. a L. Cap¬ poni .22 set. 1611 Xl 212 » a G. 8 lug. 1612 > 357 * > .27 gen. 1614 XII 16 » > .30 * * > 19 » > .25 lug. * » 87 » * .21 clic. 1619 » 499 » * . G mar. 1620 XIII 26 » » .30 lug. 1621 > 72 Lagouissn ( >13 clic. > * 353 > a C. Giansonio.. l°set. > > 245 Laudi F. a G.10 lug. 1620 XIII 43 Landini G. B. a G. Mar- sili.21 feb. 1632 XIV 331 > > 27 > > > 333 > >29 gcn. 1633 XV 34 Landini S. a G.17 > 1614 XII 13 Landucci V. > .21 die. 1639 XVIII 130 Liingeri V. » .17 ag. 1630 XIV 134 > > .23 lug. 1633 XV 191 Lavagna (di) T. ad E. dol Borgo... 14 sot. 1630 XIV 145 Lemos (di). — Vedi: Castro. Lendlnara (da) A. ad A. Barberini. 15 lug. 1633 XV 179 » >17 sot. > >268 Lentowicz M. a G... 13 ag. 1604 X 111 Leonardi d- Argensola B. a G.31 mag. 1616 XII 262 Lerma (di). — Vedi: Sandoval. Licoti F. a G.22 ott. 1610 X 449 > » . ... 31 die. > > 505 > > . ... 16 > 1611 XI 244 > > ... 26 gen. 1620 XIII 15 •* > ... 29 apr. 1632 XIV 344 'a > . ... 21 mar. 1636 XVI 408 » » . ... 18 apr. » > 417 > > . ... 6 giu. > > 434 > » ... 7 ag. 1637 xvii 148 > > ... 6 ott. > > 190 Voi. l’ag. Llceti F. a G. ... . 23 ag. 1639 XVIII 90 * » ... . 3 gen. 1640 > 135 > > ... . 10 > > > 137 > > ... . 8 giu. > > 202 > > ... . 6 lug. > > 212 > . 3 ag. > > 221 > > ... . 81 > > > 241 » > ... . 7 set. > * 244 > > ... . 13 > > > 247 > > ... . 21 > > > 253 > > ... . > > » > 254 > i ... . 30 ott. > > 264 > > ... . 6 MOV. > > 270 > > ... . 11 die. > > 279 > > ... . l°gen. 1641 > 984 » > ... . 8 > > > 287 > > ... . 15 > > > 289 > > ... . 22 > > > 291 » » ... . 29 > > > 296 > . 5 feb. > > 297 > > ... . 14 inug. > > 329 > > ... . 5 lug. > > 335 * > ... . 20 > > » 8-10 > a 1\ Gassentii . 8 nov. 1640 > 272 Lingolsholm G. M. a M. Borneggcr. 19 ag. 1633 XV 227 0 > 5 set. > > 252 * > 22 > > > 274 » > 5 ott. > > 294 » > 7 nov. > > 322 > > 19 feb. 1634 XVI 47 > > 28 > > > 55 > > 20 giu. > > 105 > 8 ag. > > 121 > > 4 apr. 1635 > 254 > > > > 1636 > 410 » > 10 > > > 413 Lodovici L. a G... .. 22 nov. 1622 XIII 100 > * .. ..29 > 1631 XIV 312 > > . .. 2 gen. 1632 > 324 Lorena (di) C. » .. .. 25 ott. 1605 X 146 > > .. .. 8 gen. 1609 > 225 > a V. Giugni. . . 18 apr. 1610 > 318 » a C. de’ Medici. 14 gen 1624 XIII 163 Lorii A. a V. Galilei iun.21 api-, 1641 XVIII 324 526 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Bug. Voi. P»JC. Marnili A. a G.27 ott. 1036 XVI 511 V » .... 20 die. > * 529 •» » .... 6 apr. 1637 XVII 58 » » .... 23 ag. » > 175 » * .... 22 nov. » » 224 » * .... 16 lug. 1639 XVIII 73 » > .... 9 nov. * » 122 Marnili c. » .... . 3 die. 1624 XIII 231 » » .... . 31 * » > 245 » > .... . 8 mar. 1625 » 258 » » ... . 22 apr. » > 268 * » ... . 7 mag. » » 271 > > ... . 4 giu. * » 274 * > ... . 14 nov. » » 285 » » ... . 10 die. » > 292 » > ... . * gen. 1626 » 298 » > ... . 3 apr. » > 31G ■» » ... . 20 giu. » * 326 » * ... .. 5 lug. » * 329 » > ... .. 7 > » > 330 > » ... .. 26 * » » 334 * ... . 2 set. * > 340 » * ... . 28 mar. 1629 XIV 29 » * ... .. 10 apr. > » 32 » ... .. 29 ag. * » 43 » » ... .. 1° feb. 1630 > 76 » » ... .. 17 mar. 1631 > 225 » » ... .. 8 apr. » » 243 » » ... .. > lug. * > 282 » * ... .. 11 ott. » > 299 » » ... .. 2 die. » > 816 » * ... .. 18 » > * 318 » » .. ..16 mar. 1632 » 334 » > .. .. 4 mag. » * 347 » * .. .. 21 set. » » 396 Mar /.ari L. a G. G. Millini... .. 7 mar. 1615 XII 152 » F. Vernilo 15 nov. » » 203 Matematici (I) del Col- legio Romano a R. Celiar- mino. .. 24 apr. 1611 XI 92 Mal tei G. a G- giu. 1624 XIII 18S » » ... .. 13 lug. » » 193 MattheivT.aF. Bacone 21 apr. 1616 XII 255 V » 14 » 1619 » 450 Maxxel M. a «.12 apr. 1636 XVI 4M > » .24 giu. 1637 XVII 120 Ma»el P. > .... 25 ott. 1633 XV 310 > * .20 ina#. 1637 XVII 81 > * .27» > * 87 Modici (do’) Alessan¬ dro a G. 0 mar. 1609 X 235 Modici (do’) Antonio a 0.2* giu. 1604 * 110 » , 12 set. 1609 » 267 » » 31 ott. 1611 XI 227 Modici (do’) Cosimo II aS.Borghese. 2 die. 1615 XII 205 a 0. d’Elei.30 giu. 1616 * 269 a (} . 9 gon. 1606 X 155 » .11 set. 1607 ► 179 > . 7 mar. 1609 » 236 * .10 lug. 1610 > 400 aP.Guicoiardini 28 uuv. 1615 XII 203 a F. M. del Mon¬ te .27 Job. 1611 XI 60 » 28 nov. 1615 XII 203 a (t. Niccolini.. 27 fob. 1611 XI 60 ad A. Orsini.... 28 nov. 1015 XII 204 > .... 12 feb. 1616 » 233 a P. G.Orsini... 28 nov. 1615 > 204 a F. M. della Po¬ vere .23 mag. 1618 > 392 Medici (do*) Ferdi¬ nando Il a G. Bentivoglio.. 24 feb. 1633 XV 49 » a F. Niccolini .. 27 * 1624 XIII 167 > a T). Scaglia- 20 > 1633 XV 46 Modici (de’) Franca- kco ad A. Gioii. 21 «8. 1632 XIV 374 * a G. 26 nov. 1631 » 309 Medici (de’) Giovali- ni a G. 11 apr. 1631 > 217 Medici (de*) Giuliano a G. 19 > 1610 X 318 * > . » lug. » > 403 > » . 23 ag. » » 426 * » . 6 set. * > 427 » * . 18 ott. * > 448 » > . 29 nov. * * 478 » » . 20 die. » * 493 * INDICE GENERALE ALFABETICO. 527 Voi. I'a?. Voi. P»(P. Medici (de’) Giuliano Mloanzio F. a O_ .. 23 ott. 1632 XIV 41G a V . 7 feb. 1611 XI 42 > » .. .. 30 > > » 420 » » .26 ag. 1612 » 383 > » .. .. 27 nov. » » 434 » » .18 mag. 1613 » 510 > » .. .. 14 gen. 1634 XVI 17 > » .19 geu. 1633 XV 29 > » .. .. 28 > » * 30 > a U. Picchona .. 26 » 1(520 XIII 20 » > .. .. 25 feb. > * 52 > » .. 28 > » » 22 > » .. .. 11 mar. > * 61 > » .. 4 feb. » > 23 > » .. .. 18 > > * 66 » » .. 20 » » » 2-4 > » .. .. 29 apr. > » 86 » * .. 22 apr. * > 34 > » .. .. 13 mag. » * 94 » » .. l 8 dio. » » 52 > » .. .. 3 giu. > » 100 > a H. Vinta. 7 giu. 1610XVI1I 410 > > .. .. 8 lug. » » 108 * » .14 nov. 1611 XI 234 > * .. .. 15 > « » 109 > » .21 » > * 235 » > .. ..22 > * » 114 * * .17 mag. 1612 » 298 > > .. .. 5 ag. » » 120 » * .21 » * » 300 > * .. .. 12 > » » 123 Medici (de’) L. a (J. 11 mar. 1640 XVIII 165 » » .. .. 19 > » » 125 » » 14 mag. » » 190 > » .. ..26 > * » 127 Mcmloza (di) II. A. ad » » .. .. 2 set. * » 128 E. del Borgo. 13 set. 1630 XIV 145 > * .. .. 9 > » » 130 Mercuriale G. a <1 — 3 mar. 1593 X 54 > » .. .. 23 > * » 134 » »... 9 lug. 1599 » 74 > > .. .. 28 » * » 135 » »... 29 mag. 1601 » 83 > > .. .. 7 ott. » » 138 MermannI T. * ... 12 » 1610 » 35-4 > » .. .. 14 > » » 140 tfersenne M. » ... l°feb. 1629XVIII 426 » » .. ..21 * » > 143 * »... 27 no?. 1637 XVII 226 > » .. .. 28 » > » 145 » » ... 1» mag. 1640 XVIII 187 > » .. .. 4 nov. » » 150 » n N. di Peiresc. 2 lug. 1634 XVI 107 > » .. .. 11 » » » 154 * » 28 * » > 119 > > .. .. 18 > » > 1GI » * 4 die. » » 169 > » .. .. 9 dio. > > 172 » * 15 gen. 1635 > 196 > » .. .. 23 » > » 180 » » 25 mag. > » 267 > » .. ..30 > > > 186 » * 1° lug. » * 288 > > .. .. 6 gen. 1635 > 193 * * 17 set. » > 313 * » .. ..20 » » > 198 » * 12 ott. > > 321 > > .. .. 27 » » » 200 » >17 nov. * » 346 > » .. .. 3 feb. » » 203 Micftiizio F. a G.26 feb. 1611 XI 57 * » .. ..10 > > » 208 > > .21 set. 1630 XIV 152 > » .. ..17 > » » 214 » > .27 » 1631 > 298 » » .. .. 24 * » » 217 > > .15 mag. 1632 > 349 * » .. .. 3 mar. » > 228 > > . 3 lug. » » 362 * > .. .. 10 » » » 229 > > .17 * » » 364 » * .. .. 17 » » » 236 » » .14 ag. » > 371 > » .. .. 24 » » » 239 » > .18 set. > > 390 > » .. .. 31 » » » 241 » > . 9 ott. » » 403 > > .. .. 7 apr. » » 254 > » . ?» » » 404 > » .. ..14 » » » 255 528 INDICE GENERALE ALFABETICO. Yol. Pi»?. Voi. Pag. Micauzio F. a G. .... 5 ma#. 1685 XYI 263 Micauzio F. a fi. 8 ag. 1037 XVII 149 > » .... 2G » » » 267 » * .15 » » p 169 > * - 9 giu. * » 274 * » .12 set. » * 180 » » .... 29 » » » 280 » > .17 ott. » » 199 295 » .31 » » » 209 » * .... 9 ag. * » 299 * * .14 nov. * > 218 » * .... 23 * » » 306 p » . 5 die. p » 230 » > .... 15 set. » p 310 » p .10 gen. 1638 * 259 » » .... 20 ott. » > 324 * .30 > » » 272 » » .... 1° die. » » 355 » .13 feb. » > 286 * » .... 22 > » * 304 > .27 * * * 302 » * -12 gen. 1636 » 374 » p .20 nmr. > » 317 » > .... 20 * » > 385 * .24 api-, p » 329 * » .... 9 feb. » * 392 » » . 7 ma#. » > 330 * » .... 8 mar. * • 400 > » .28 » t > 334 » » .... 6 api*. * » 411 » » .12 giu. » » 343 » > .... 21 ni ag. * » 431 » * .20 » > » 847 * > .... 7 giu. » » 435 > » .31 lug. » » 363 » » .... 13 * » ♦ 437 » » .23 ott. > » 395 » » .... 14 » * » 430 » » .13 nov. » * 402 » » ....21 * * » 448 » » . 4 die. p » 409 » > » 440 » » . 8 gen. 1639 XVIII 15 » » 1630 > > « » .19 fel». » * 28 » » . 19 * > » 453 > * . 9 ape. * > 38 » » .26 * > » 456 » p .17 * > * 42 » » . 9 ftfiT- » * 462 » » .30 > » p 46 » » .23 * » * 478 * * . 4 giu. » . 55 » » * » 480 > » .23 lug. * » 74 » » .11 ott. » » 502 » * .17 set. ► * 104 * » .25 > * » 509 * » . 8 ott. » > 112 > » * » 513 » * .22 * » * 115 » » » * 519 » » .26 nov. » > 124 » » .29 > » > 522 9 » .14 gen. 1040 » 137 > » > > 525 P * .21 mar. » > 172 » * 1637 XVII 15 P » .28 apr. » * 183 » » » » 28 P * . 4 ag. * » 225 » » > * 31 P * .20 ott. * > 260 » » » » 42 9 » . 9 nov. • » 272 » » * » 59 * .15 die. * a 280 » * 9 71 » . 4 gen. 1641 » 285 » » » * 76 »' » . 9 feb. » » 299 » > * 9 105 • * . 6 apr. p » 320 » » .13 » » * 112 * > .18 > * > 321 » » .20 > » > 114 » » .20 p * » 322 » * » > 123 » .... 0 lug. p » 337 » * » » 14G » • .... IV ott. p » 303 INDICE GENERALE ALFABETICO. 529 Voi. Pag. Mlconzio F. a G. 2 nov. 1G41XVIII 365 » * .... 23 » » * 369 » » .... 14 clic. » » 371 N > . . . . 4 gen. 1642 » 376 » a F. Liceti.... 15 die. 1640 » 281 Michel ini F. a G. .. 8 apr. 1034 XVI 76 » * .. 12 ott. * » 139 » die. 1637 XVII 234 18 mar. 1638 » 316 29 » » » 321 6 nov. » » 399 » * 29 * * » 407 11 die. » » 411 » * 8 feb. 1639 XVIII 24 > * 20 mar. » » 35 10 api'. * v 39 * » 7 dio. » * 128 Millini D. > .. 6 ag. 1633 XV 212 * » 25 set. » » 282 MinlallA.aG.Pieroni 28 gen. 1636 XVI 386 Minacci A. a G. » mag. 1610 X 360 Mirabella V. » .... 7 lag. 1614 XII 82 * * . 19 ag. » » 96 Molla D. » .... 15 mag, ,1632 XIV 350 Montallo (di) Porottl A. a G. 24 lag. 1610 X 407 Montatilo (dn) A. a Ferdinando I de’ Medici... 29 ott. 1605 * 147 * » 10 giu. 1606 * 159 > a B. Vinta. 29 ott. 1605 * 147 » > .. 12 ag. 1606 » 160 > » . 26 > » > 161 > » . 29 mag, , 1610 » 364 » » . 26 giu. * » 384 Monte (del) A. a U. 8 gen. 1607 * 166 Monte (del) F.M. > 28 apr. 1610 » 343 » » 4 giu. > » 367 > » 26 * » » 383 * * 24 lag. > » 407 » * 9 ott. » » 444 > > 18 nov. 1611 XI 234 » » 16 die. » * 245 i * 6 lug. 1612 * 353 > > 3 mag. 1620 XIII 36 » * 6 giu. » » 40 Voi. Pag. Monto (del) F.M. ad A. de ’Medici. 8 apr. 1611 XI 83 » a Coa imo II do’ Medici... 2 » * ■» 81 * > 31 mag. » » 119 » » 11 die. 1615 XII 203 > » 4 giu. 1616 » 264 Monto (del) G. a G... 16 gen. 1588 X 25 » » .. 24 mar. » > 31 » » .. 28 mag. » » 33 > » .. 17 giu. » •» 34 * » .. 22 lug. » » 36 » » .. 16 set. » » 37 » » .. 7 ott. » » 38 » » .. 30 die. » » 39 » » .. 3 ag- 1589 » 41 » » .. 10 apr. 1590 » 42 » > 8 die. » » 45 » » .. 21 feb. 1592 4G » » .. 10 gen. 1593 » 53 » » .. 3 sot. » » 62 » » .. 17 die. 1597 ■» 71 Monto (dol) O. » .. 16 giu. 1610 » 371 Monti (Card.) Cesare ad A . Barbe- rini. 11 nov. 1633 XV 323 Monti Cesare a «. 30 mag 1640 XVIII 199 Morandi O. » .... 6 lug. 1613 XI 530 » » .... 17 apr. 1626 XIII 319 » » .... 2 mag. » * 320 » » .... 20 giu. > » 327 » » .... 24 mag. 1630 XIV 107 Moria G. B. * .... 15 nov. 1634 XVI 158 » » .... 4 apr. 1635 » 251 Moroslni A. » .... » set. 1609 X 25G » » .... 15 giu. 1613 XI 524 Morosini F. » .... 10 gen. 1603 X 101 Mueller T. » .... die. 1611 XI 239 Mula (da) A. ■» .... 3 lug. 1599 X 73 Muti 0. » .... 7 set. 1618 XII 411 » > .... 16 ag- 1619 * 481 » » .... 24 set. » » 491 » > .... 18 apr. 1620 XIII 32 » * .... 25 set. * » 51 » » .... 15 ag. 1621 » 74 MutlT.adA.de’Medici 9 apr. 1611 XI 87 07 XVI u. 530 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. I’«g. 1 Voi. P»f. Muzzarelli G. a F. Niccolini Francesco Barberini... 13 feb. 1638 xvil 390 ad A. Gioii.. 22 ag. 1632 XIV 374 > >10 mai*. > > 312 » > > » r » > * > 26 giu. » > 348 > > 28 > » > 377 > * 25 lag. » > 360 » » 5 set. » > 383 > >4 dio. » > 410 > » 11 » > > 388 » > 1°feb. 1G42XV11I 381 > > 18 > » 391 » a Q . 9 mar. 1638 xvil 312 > > 24 ott. > ► 418 > ► 6 nov. > > 425 Sfaldi M. a F. Chigi.. 21 lag. 1633 XV 185 > » 13 > » > 428 » > .. 24 set. » > 279 > > 14 > > > 429 Nardi A. a G.20 lug. * > 184 > > 11 dio. » > 438 » * . 6 ag. » > 213 » » 26 > > > 443 > > .20 » > > 231 > » . 15 gcu. 1633 XV 28 » > . 9 set. » * 256 » > > » » > > » .20 dio. » > 359 > > 30 > > * 35 » > . 4 mag. 1631 XVI 91 » > 14 feb. > > 40 > > . 2 nov. 1635 » 335 » i 16 * » > 41 > > . 3 lug. 1638 XVII 350 > > 19 > » » 45 » > . 6 nov. * > 400 » > 27 > > > 54 > > .16 mar. 1641 XVIII 309 > » » > > V 55 » > .10 ag. * » 342 > > » > » > 56 > » . 7 set. * > 350 » > 6 mar. » > 61 > > .21 » » * 354 » > 18 > * > 67 > > .19 die. * » 873 > > 19 » > » 73 Nardi B. > . * apr. 1633 XV 95 > » 9 apr. » > 84 » » .23 gen. 1634 XVI 22 » » 16 > > 94 NaudóG.aP.Gasseudi. apr. 1633 xv 87 > > 23 * » > 103 Neri G. a G.22 ag. 1618 XII 408 > > 25 > » > 104 f » ........ 12 die. * > 423 > > l°mng. * * 109 Nerll M. F. a G.18 ag. 1638 XVII 367 > > 3 » » > m Niccolini Filippo a (3. 20 mag. 1630 XIV 103 > > 15 » > » 123 Niccoliui Francesco > » » * > > 124 ad À. Cidi.. 4 * > » 97 > > 22 > » > 132 > * 19 * » > 103 > > 29 > > > 140 » > 26 > » > 109 » > 19 giu. ► » 160 • » 29 giu. » » 121 > > 26 > > > 165 > » 16 mar. 1631 » 224 > > 3 lug. > > 170 * >5 apr. > > 242 » > 10 > * > 174 > » 13 > > > 248 » > 7 ag. > > 217 » » 19 > > > 951 > > 13 nov. > » 326 * » 27 » > > 257 > > 20 * » » 330 » >17 mag. > > 261 > > 3 die. > > 345 » >8 giu. » > 274 » > 15 set. 1638 XVII 375 » » 28 mar, 1632 > 339 > > 25 » > > 381 > » 15 ng. > > 372 > » 13 apr. 1639 XVIH 40 INDICE GENERALE ALFABETICO. 631 Voi. Pag. Niccoli»! Francesco NIccolini Riccardi C. id A. Cioli.. 16 apr. 1639XYIII 42 afi. » a 0.21 lug. 1611 XI 156 » » . » . 7 » 1630 X1Y 122 * » . » » .25 mag. 1681 » 266 » » . » * .12 lug. » » 284 * » . » » .19» » » » » » . * * .10 a#. » » 287 » » . , > .23 ott. 1632 » 417 » » . » > .30» » » 421 » » .. > » . 6 nov. » » 424 Ninci A. » . » > .13 » » » 427 » » . > * .20 » * •> 431 » » . * * .21 » * » 432 » » . * > . 5 die. » * 436 » » . > » .12 » » * 439 * » . » » .25 » * * 443 » * . 9 gen. 1633 XV 20 * > .30» » * 34 » > .31 » » » 35 » » . 5 feb. » » 39 » » . 2 lug. » » 168 » > .10» » » 174 » > .24 » * * 196 » > .31 » * » 203 * > .14 ag. » » 225 , » .21 » * * 234 y » . 4 set. » » 249 , > . 1° ott. » » 290 » * .13 nov. * » 326 y y .26 » » » 337 y » . 3 die. * » 344 > y .28» * » 366 „ > .14 gen. 1634 XVI 18 * , .18 feb. » » 45 , » .22 die. » » 178 * , . 6 gen. 1636 * 369 , * . 2 ag. » * 460 * a ti. 13. Gondi... 25 gen. 1642XVIII 378 y »... l°feb. » » 381 » » ... 8 * » » * Niccoli»! G. a Cosi¬ mo Il do’Me¬ dici.30 mar. 1611 XI 78 > a T3. Vinta.23 apr. » » 92 , » . 6 nmg. t> * 101 Voi. Pag. 14 : set. 1630 XIV 14S 12 ott. » » 154 19 » » » 156 17 nov. » » 167 1° » 1631 » 305 15 Son¬ 1632 » 326 6 no v. 1633 XV 320 5 feb. 1634 XVI 34 22 apr. » » 83 19 mar. 1631 XIV 232 24 set. » » 296 2 nov. » » 306 4 Bet. 1634 XVI 129 » nov. » » 151 10 die. » 173 22 » » » 178 7 gen. 1G36 » 370 15 » » » 376 28 feb. » » 397 3 mar. » 398 22 EOt. » » 487 25 » » » 494 26 » t> » 495 22 ott. » » 509 12 nov. » » 514 21 » » » 518 7 die. » » 526 17 » » » 528 24 » » » 531 25 » » » 532 29 » » » 533 27 gen. 1637 XVII 21 31 » » » 23 to cc mar, , » » 63 3 apr. » » 56 9 mag . » » 77 22 » » » 83 27 » » » 87 2 set. » » 177 3 » » » » 15 » » » 182 20 Y> s> » 184 12 ott. y> » 197 22 » » » 203 29 » » » 207 532 INDICE GENERALE ALFABETICO. YoJ. Pag. Voi. r*g. Ni nei A. a G. 29 nov. 1637 XVII 227 Nozzolini T. ad A.(le- » » . 24 die. » » 241 rini. mag. 1627 XIII 361 » » ... 2 gen. 1638 » 249 » » giu. » » » » » ... 9 > » » 256 » » » » p p » » . 18 *> » > 881 > ad A. Mar/.ime- » » . 27 » » » 266 dici. 22 B et. 1612 XI 399 b » . 2 feb. » > 275 * » . 13 > * » 287 Oddi M. a P. M. Gior- » » . 27 » » » 303 dani. 2 * 1622 XIII 97 » * . 21 gen. 1639 XVIII 20 » p . 17 mag. 1631 XVI * > > . 14 feb. » * 26 Oriolo (d*) L. a G. ... 2 gen. 1618 XII 364 > » . 26 mar. » » 36 Orsini A. »... 26 giu. 1616 * 266 » » . 22 apr. » » 44 p » ... 12 gen. 1618 > 366 > > . 5 mag. * » 47 p * ... 19 lug. 1619 * 468 » > . 24 » > * 51 p a Cosimo II » » . 8 lug. > » 72 de’Medici... 20 feb. 1616 > 239 » > . 18 ott. » > 113 » » l"giu. » > » » . 4 mar. 1640 * 161 Orsini F. a 0. 9 ag. 1813 XI 550 > * . 14 ott. » > 259 p » ...... 24 * » > 556 12 > 1641 » 362 7 mar. 1611 » 68 N ilici G > . 24 mar. 1632 XIV 337 p p . 13 * 1612 > 281 * » . 30 apr. » > 345 p p ...... 27 mag. 1622 XIII 91 » » . 18 die. 1633 XV 358 p > . 30 giu. » > 92 > » . 11 gen. 1684 XVI 16 p » . 9 set 1631 XIV 294 > » . 5 feb. » > 84 » » . 30 die. * > 322 > mag 7 set. * 92 Orsini V. * . 8 ott. 1610 X 413 > > . » * 130 Ortensio M. ad E. Dio- > » . 12 giu. 1635 > 274 dati. 24 nov. 1636 XVI 521 » » . 13 set. » * 308 » > l°feb. 1637 XVII 25 » » . 10 ott. » > 320 » » 27 apr. * » 67 » > . 12 ag. 1636 > 462 * » 22 giu. > > 119 > alla famiglia di p > 5 set. * > 178 Galileo. 2-4 feb. 1633 XV 49 » > l°ott » » 189 Noailles (ài) F.fttì > ott. 1634 XVI 144 p a G. 26 gen. » » 18 > ■» 21 gen. 1635 » 200 p » .... 7 mag. * » 72 » » 15 > 1636 » 377 * a C. Iluygens... 10 ott » * 196 > * 6 mag. > » 429 » p ... 1° die. » » 228 > » 9 ott. > > 500 XVII 246 Pallarlcino S. a F. * > 1° gen. 1638 j XVIII 436 Chigi. 14 nov. 1629 XVIII 428 T> > 20 lug. » XVII 357 Pnllolti A. ad E. Dio- » » 4 nov. > » 398 dati. 8 mag. 1637 XVII 75 Noghorn V. > 28 ott. » > 396 Pnpazzoni F. a G— 26 feb. 1611 XI 59 Nozzolini T. ad A. Ge- » * .. 1° mar. * > 63 rini. 26 apr. 1627 XIII 351 > p ... 30 set. 1612 » 405 3> » l°mag » » 353 » > ... 23 apr. 1613 > 496 INDICE GENERALE ALFABETICO. 533 voi. rag. J’arrot F. a 1*. Gas* sondi. 26 mar. 1035 XVI 210 Gassendi.... 14 die. 1633 XV 354 Puslrnanl D. a (*... 30 die. 1011 XI 253 * > 20 * » » 363 » » .. 17 feb. 1612 » 276 » » 5 gen. 1634 XVI 14 Passionel G. F. a F. > » ., 17 » > XVIII 432 Barberini ... 19 lug. 1638 XVII 357 » » .. 18 » > XVI 19 » a 0. 29 die. 1634 XVI 184 > > 1° feb. » » 32 Peccl F. a «. 23 giu. 1027 XIII 362 > » 19 npr. 1G35 » 202 » > . 3 feb. 1631 XIV 208 » » .. 26 mag. » > 268 * » . 4 nmg. 1632 » 3*18 > > > > » > » Pelrwc (di) N. a F. » » ,. 2 giu. > » 272 » Barberini. 5 die. 1634 XVI 169 » » 18 » » » 280 «s » ...... 31 gen. 1635 » 202 » a G. Gau Iti or... » » 1632 XIV 359 > a M. Bernogger. > nmr. 1636 > 409 » a P. Gualdo.... 5 ott. 1614 XII 105 > ad I. ltongugliel- > > .... 2 gen. 1615 » 125 mi. 24 feb. 1637 XVII 35 > » .... 30 lug. > » 195 > a G.G. Bouchard nov. 1630 XIV 170 > a L. Holste. 2 giu. 1633 XV 143 • > 5 BCt. 1631 > 293 > a G.V. de’Rossi. 3 ag. 1618 XII 403 » • 27 gen. 1634 XVI 29 Peliegri S. a G. Mar- > ad K. Diodati .. 7 feb. > XVIII 433 sili. 4 mar. 1629 XIV 24 a P. Dupuy 20 giu. » > 434 13 ag. 1035 XVI 302 31 mar. 1630 > 410 24 » 1637 XVII 52 13 set. 1631 XIV 295 30 mag. 1633 XV 141 22 giu. 4 lug. 19 » 8 ag. 16 » 6 die. 15 gen. 1634 XVI 18 162 171 18-4 218 227 347 Voi. Pag. Petrose (di) N. n P. » >22 Pellegrini V. M. od A. Barberini. Peri D. a fi. > >27 1633 XV 261 1630 XIV 69 > » 100 > » 104 > > 116 1633 XV 148 » » 276 > > 291 > > 325 » > 338 10 set. 24 gen. 18 nmg. 20 » 8 giu. 4 » 24 set. 1° ott. 12 nov. 26 » 4 mar. 1634 XVI 56 > .... 6 feb. » » 35 > > .... .21 gen. 1637 XVII 12 » .... 2 apr. > » 71 » » .... » 16 » .... 29 mag. 1635 » 270 * > - > 29 27 » .... .18 > » » 30 l°anr. 1635 245 » .... .10 > 1638 » 282 17 » » 259 > . .. . » 300 24 fpb 1637 \vu 33 * ... . . 3 mar. > » 306 P. Gassendi .. 26 » 1632 XIV 332 » * .... .17 » * » 315 V 2 mar. 1633 XVIII 430 * » .... .24 » > > 318 > .. 25 giu. * XV 164 » » .... . 14 apr. > » 324 » .. 12 ag. » » 219 » » .... .21 * » » 328 > 6-10 set. » » 254 » > .... » 334 p ., 27 » > » 284 » » _ 46 534 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi Par. Voi. Pag. Peri U. a G . 11 mag. 1639 X Vili 47 Pìccolomini A. a G. 29 net. 1632 XIV 399 * » . l°giu. » > 63 » * 10 apr. 1633 XV 86 » » . 4 gon. 1640 * 136 » * 16 mag. » » 124 » > . 8 feb. * » 143 » » 28 > » * 137 » » . 29 * * » 155 » > 12 giu. » » 153 Forozzi S. a G. 7 nov. 1613 » 415 • p 20 die. > » 360 Perugino I. a G. Pe- » » 8 gen. 1684 XVI 13 rugino. 30 log. 1611 XI 166 » 12 » » » 16 * * 27 ag. * * 178 > ► 21 feb. » > 48 Potrangeli L. a G... 11 dio. 1630 XIV 177 * 11 apr. * 80 * > .. 6 feb. 1631 » 209 • * 13 giu. > > 102 * » .. 27 nov. » » 310 » ► 2 aet. * > 129 * » .. 1633 XV 369 ► » nov. • » 148 Petrorolua I. A. a B. * ► 28 giu. 1635 > 285 Capra . 1* gen. 1607 X 166 » » 25 ag. • » 306 FicchcnaO.aO.d’Elci 30 giu. 1616 XII 267 * » 2 ott. * * 316 » > 21 die. 1617 XViii 422 > » 16 > » > 322 * a G. 25 gen. 1607 X 167 * » 2 die. > » 356 * » . 18 die. 1608 * 224 » * 21 giu. 1638 > 143 » » . 31 gen. 1609 . » 227 > > 13 uet. 9 > 484 » » . 19 die. 1615 XII 211 » > 30 » » > 497 » » . 2 gen. 1616 * 221 » » 14 ott. > > 50-1 » » . 7 * > > * > » 17 * > » » > » . 12 » > > 224 > > 29 » p 512 * » .. 19 > * » 226 > ► 1- feb. 1637 XVII 25 » » . 6 feb. » * 232 > > 28 «et. > » 188 * > . 13 > * > 235 » * 6 ott. ► > 191 » » . 17 > * > 286 > » 27 * > » 206 » » . 19 * * * 237 > > 22 nov. * > 221 » » ... 12 mar. * > 249 * > 25 > * » 225 » » . 20 > » > 250 > > 23 die. p » 240 » » . 2 apr. * XVIII 421 » p 12 gen. 1638 > 257 » V .. 30 » » » » » » 6 die. p » 411 > » ... 23 mag. * XII 261 » » 18 * > » 413 > p . 25 gen. 1618 > 370 » » 19 log. 1639 XVIII 74 * > . 19 apr. * » 381 » » 24 set. » * 107 > a B. Leonardi » » IH ott. ► » 114 d’Argensola. 30 gin. 1016 * 260 > a G. de’Medici. 23 feb. 1620 XIII 24 * ad A. Primi-28 nov. 1615 XII 205 Piccinini G. N. ad A. Barberini... 15 ag. 1633 XV 226 Pìccolomini A. ad A. Barberini ... » a tì. IO lag. * » 175 16 set. 1628 XIII 450 28 mag. 1631 XIY 2o7 Pìccolomini F. a €1. 16 nov. 22 mag. 1040 5 nor. 26 » 1 * die. 27 «et. 1641 > ott. * 22 gen. 1637 X 5 feb. 1638 124 194 269 275 277 369 364 II 13 276 INDICE GENERALE ALFABETICO. 535 Voi. I’ng. Plccolomlui S. a G.. Piccoloinlni Aragona 8 ott. 1607 X 181 A. a U. Piccolominl Aragona 27 lug. 1624 XIII 195 E. a (1 . » giu. 1609 X 246 P » . 29 ag. » » 254 * * . 19 set. » * 258 » > . fi fob. 1010 » 282 9 » . 27 mar. > iì'.U » » . 23 ott. 1611 XI 224 * » . l°gon. 1612 * 254 Pierai li M. A.a G.... 9 feb. 1628 XIII 392 V » .... 17 mag. » * 424 * » .... 9 apr. 1631 XIV 244 » » .... 23 * * » 252 » > .... 28 clic. 1633 XV 366 > » .. .. 25 gon. 1034 XVI 26 > ... . 10 fcb. 1635 » 210 » 9 . . . . 12 mag. 163G » 430 Pieroui G. 9 .... 24 lug. 1626 xiii 333 > » .... 29 die. 1629 xiv 61 * P aiti 31 » 1631 > 322 » 9 .... 4 gon. 1635 xvi 188 » * .... 11 ag. » » 300 » > .... 18 > » » 303 * > .... 15 die. » » 358 » » .... 29 * > » 367 » 9 .... 9 feb. 1636 > 393 » » .... l°mar. > » 397 » > .... 19 apr. » * 419 > » .... 9 lug. 1637 xvii 130 » » .... 10 ott. » * 192 » a F Ilinucoini. 14 gen. 1540 xviii 138 9 » 11 fel). » » 146 > » 10 mar. » * 163 Plerucci G. M. a U.. l°ott. 1636 xvr 497 » » .. 11 nov. 1637 xvn 215 » » .. 6 giu. 1638 > 340 » » .. 13 mag. 1739 xviii 49 * » .. 3 giu. » p 53 » » .. 14 ott. » » 113 *► » .. 4 ag. 1640 » 227 * » .. 25 * » » 237 » » .. 21 set. > * 254 » > .. 28 giu. 1641 » 333 » p .. 6 set. > » 348 Voi. Pag-. Pietro..., Inquisitore di Cremona, ad A. Barberini.. 28 set. 1633 XV 286 Pignori» L. a G. 4 mar. 1611 XI 65 » » .... 31 ag. 1612 » 388 * *- .... 28 » * » 400 > * .... 12 ott. » > 414 * » ... 23 nov. » > 435 * » ... 28 die. » » 451 » » .... 25 gon. 1613 > 469 » » ... 15 mar. * > 489 V » ... 12 apr. » 9 493 » » ... 2 mag. 9 9 500 » » .... 7 giu. » 9 519 * » .... 12 lug. 9 9 531 > p .... 23 mag. 1614 XII 65 *• » .... Pag. > » 89 » » .... 26 apr. 1618 9 385 ■* > .... 27 die. 1619 9 502 p 24 gen. 1620 XIII 14 » » .... 31 > » 9 22 » » .... 27 mar » 9 29 » 6 mag 1622 9 87 » a P. Gualdo... 8 ott. 1602 X 96 * » .... 21 mar. 1608 9 195 > » .... Pag. 1609 X> 250 » » .... 31 » > » 255 * 9 .... 15 ott. » 9 260 » > .... 19 set. 1610 » 434 » » .... 26 » » » 436 » 9 .... 15 gen. 1611 XI 28 * » .... 19 «> p 9 9 > » .... 25 set. 1612 » 399 Pinelll 0. a G. 3 apr. 1599 X 73 Pinolli F. 9 .... 17 set. 1610 9 432 p a P. Gualdo . • 15 mar. 1618 XII 375 Pinoli i G. V . a G .. . 3 set. 1592 X 47 9 » ( » 48 » » .. > ( XVIII 409 » » .. 25 » » X 49 Piò G. M. ad A. Bar- berilli .... 21 » 1633 XV 272 Pioelii C. G. 26 nov. 1640xviii 275 Pisani O. » .... 3 ag. 1613 XI 547 » » .... 15 set. » 9 564 » » .... 5 ott. » » 079 53 6 INDICE GENERALE ALFABETICO. Tol. Puff. Pisani O.aff . 7 nov. 1613 XI 592 > » 18 die. » > 608 > * . » lug. 1614 XII 86 > 2 mar. 1615 » 148 > » » mag. > * 176 » n G. Kepler.... 5 ott. 1613 XI 580 » » .... 1614 XII 124 » a Cosimo II de’ Medici... 3 ag. 1613 XI 548 j> > mar. 1616 XII 149 risenti B. a I. de*Con¬ ti. » mag. 1618 XI 503 Polonia (Re di) Ladi¬ slao IV a G. 19 apr. 1636 XVI 420 Porro G. G. a G. 8 ott. » » 498 » » . D feb. 1637 XVII 27 » » 26 set. » » 187 » » 8 gon. 1638 » 253 > » 2 apr. * » 323 » » 18 * » » 326 . •> * 7 mag. j* » 331 . Porla (della) G. B. a F. Cesi _28 ag. 1609 x 252 » * .... 1610 * 508 _ A xi 157 » » .... lug. 16llJ , 1Q s ( xviii 413 t> a G.26 set. 1614 xn 101 » a. 1613 xi 611 Porta M. a G.13 sott. 1616 xn 279 » » .24 die. » » 297 Pozzo (dal) C. a G... 30 lug. 1631 xiv 285 » * .. 18 giu. 1638 xv 158 » » .. 2 feb. 1641 xviii 296 Pozzobonelli P. » .. 12 sett. 1002 x 93 » > .. 26 nov. 1613 xi 596 » » .. 23 mar. 1614 xn 42 Putenno E. a M. van Langren .... 9 ag. 1634 xvj 121 (paratesi A. a G. . .. 20 apr. 1633 xv 99 » »... 6 lug. » » 172 » »... 11 apr. 1634 xvi 81 Querongo A. ad A. d’Este .30 die. 1615 xn 212 » » l°gen. 1616 * 220 » » 13 » » » 225 Voi. Pnp* Qucrengo A. ad A. d’Ente. 20 gen. 1616 XII 226 » » 27 » » * 229 * » 5 mar. » » 243 Quinzano (da) G. ad A. Barberini.... 17 ag. 1688 XV 227 Qnirini A. a G. 24 » 1599 X 76 Ramponi G. L. a G... 1° lug. 1011 XI 133 * * .. 23 * » * 159 » * .. 21 mag. 1612 » 299 » » .. 11 lug. * » 359 Rasi F. * .. 28 gen. 1613 » 472 Ranscher G. M. a M. Burnegger... 4 set. 1635 XVI 308 » » 6 die. » * 358 Renlio L, a Q . 3 mar. 1637 XVII 39 » » . 22 giu. » » 116 Reijusk G. * . lug. * » 143 » * . 25 * » » 144 & » . 15 ag. » » 170 * » .. 8 lug. 1038 » 351 Remo G. > . 12 gon. 1619 XII 433 * » . 24 ag. » » 481 :> > . » * » » 488 * a G. Kepler.... 17 dio. 1611 XI 247 > > .... 20 ott 1618 XII 417 > t> .... 13 mar. 1619 * 446 :> » .... 23 lag. » » 4G9 » !» .... 13 ng. » V 481 Roua (della) G. ad A. * Gioii- (?)... 1631 (?) 1632(?) xviii 430 Reniori V. a G. 20 die. 1633 XV 361 » * .... 8 feb. 1634 XVI 35 * .... » » 1037 XVII 29 » > .... 27 » » » 37 » .... 20 mar. » » 46 » » .... 27 » » » 52 » !» .... 17 apr. » » 61 ... 8 mag. » » 73 > > . . . . 27 gin » 124 * » ... . 9 lug » 133 » »... . 17 * » » 138 » »... . 20 nov » 221 » »... . 11 die. » » 232 » »... . 8 gen . 1638 > 252 INDICE GENERALE ALFABETICO. 537 Voi. Pag. i Voi. Pag. Renlerl V. a G.... .. 29 gen. 1638 XVII 267 RenlerlV. a C. Settimi. 27 mag. 1639XVIII 51 » » ... .. 5 nmr. » > 307 * a V. Viviani.... 24 ag. 1640 » 231 » » ... .. 16 apr. » » 325 Itenyer G. a G. Boc- » » ... .. 18 mar. 1639 XVI II 31 eh ineri. 3 niag. 1634 XVI 90 * > ... .. 29 » * » 37 » » » » » 100 » > ... .. 15 apr. > * 41 UicaHOli P. ail A.Cac- j » ... .. 7 giu. > * 60 cini. 5 die. 1615 XVIII 419 > > ... .. 1° lug. » * 71 » » 12 » » » 420 # » ... .. 15 * » » 72 * * 9 gen. 1616 » » » > ... .. 5 ag. » » 80 Ricnsoli Baroni Gio- » > ... .. 19 » * > 88 vanniaF.Gun- • » ... .. 20 gen. 1610 » 142 dagni, N. Rica- * > ... .. 3 feb. V > » soli Baroni e » > ... .. 10 » » * 145 L. Giaconiini.. 15 giu. 1589 X 40 * » ... .. 17 » » » 150 * a N. Ricaaoli Ba- > » ... .. 29 » * * 156 roni. 11 mag. * » 39 » > ... .. 9 mar. » » 162 Ricnsoli Baroni Gio- > > ... .. 24 * > •fr 173 vanni Battista » » ... .. 6 api*. » * 177 aR.Pandolfini. 25 » s> » 40 » » ... .. 13 » * » » Riccardi G. a G. 7 » 1633 XV 114 > > ... ,.. 28 » > » 184 (XVIII 430 > * ... ... 18 mng. » > 191 3> » . 14 » » XV 121 » > ... -.25 » * > 196 Riccardi N. a C.Egidii. 24 » 1631 XIV 20G * > ... .. 1° giu. * > 199 » » 19 lug. » » 285 V » ... ... 8 » * » 203 » a G. 28 mag. 1618 XII 393 > ,.. l°Bet. » » 242 » a F. Niccolini... 25 apr. 1631 XIV 254 > > ... ,..15 > * > 251 Ricci (do») P.F. a Fer- > » ... .. 5 ott. * * 256 dinando II » » ... ,.. 6 nov. * > 271 de’ Medici... l°dic. 1628 co io £ » » ... ... 14 > » » 273 Ricco (del) G. ad A. » » .. ... 26 * » > 276 Cidi. feb. 1636 XVI 388 » * ... ,.. 5 die. » > 278 » a G.. 29 gen. » » 387 » > ... ... 20 » » » 282 » » . 14 mar. » » 404 » » .. ... 26 > » » 283 » » . 24 apr. * » 421 » » .. ... 9 gen. 1641 » 288 RIccofooui A. a G- 11 mar. 1588 X 30 > » .. ... 5 feb. » » 298 Ricquòs D. »... 6 set. 1604 » 112 » * .. ... 20 * » » 302 Riformatori (I.). dello » » .. ... 6 mar. * » 304 Studio ai Rot- » » .. 18 > * » 305 tori di Padova. 9 mag. 1602 * 89 » * .. ... 20 * » * 310 3> » 20 feb.' 1603 » 103 » » .. ... 27 » » » 313, » » 19 apr. 1608 » 202 » » .. . .. 29 apr. V » 327 Rinuccini O. a G.... 23 lug. 1633 XV 192 * » .. ... 2S mag . » » 330. » * .... G ag. » » 214 » » .. ... 15 giu. » » 332 » * .... 20 » * » 233 » » .. ...13 lug. » » 339 Rinuccini Folco ad A. * » .. ... 25 die. » » 375 Caccmi. 9 gen. 1616 XVIII 420 68 XVIIL INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pftjr- 1 Voi. Rimiceli! 1 Francesco Rinucclnl G. B. a G. 2 mar. 1619 XII 443 a a. 13 giu. 1G37 XVII 113 > * 27 » 1621 XIII 59 » 9 . 4 ng. » » 127 > » 13 ott. 1628 » 136 9 5> . 11 > * » 135 * * 10 » 1625 » 281 p » . 18 » > > 140 * » 1® nov. * » 282 9 » . 1“ ng. » > 147 * » 8 » * » 284 » » . 8 » ■p > 150 » > 10 gen. 1626 > 301 » * . 17 ot-t. > » 200 Rlmicciul P. F. * 13 n K- 1633 XV 224 » » . 31 > » » 210 * » 26 nov. » > 338 » » . 14 110V. » > 219 * » 16 apr. loto XVIII 180 » 1* . 28 » > » 227 * > 24 > 16-11 » 325 » » .. . 12 clic. * » 235 * a E. de 1 Medici. 15 nov. * » 368 > » . 2G » » > 242 Rinucclnl T. a G.... 20 ott. 1623 XIII 139 » * . 2 gon. 1G38 » 249 > 3 nov. > * 145 » » . 16 9 » » 260 » » ... 2 die. * » 153 » . 23 » » * 264 » » ... 20 lug. 1621 » 194 » * . 29 > » » 2G8 * » ... 27 * » » 196 > » . 30 » > » 273 * > ... 10 ng. > » 198 > » . . 6 feb. » » 280 * » ... 16 mar. 1625 » 259 > » . 13 » » » 288 * i ... 2-4 gen. 1626 » 304 * » . . 27 > » » 304 Robinson A. * ... » nov. 1636 XVI 520 » » . . 6 mar. » > 310 Roccl 0. ad A . Bar- > » . . 13 » x> » 314 berini. 20 ng- 1633 XV 233 > * . . 8 mag » * 332 Rocco A. ad Urba- > * . . 15 > » * 333 no Vili. 7 die. > * 349 > » . . 29 » » > 337 Rofloni G. A. a G.. 22 gin. 1610 X 875 > » . . 17 lng. » » 855 > * . 29 * » » 384 » » . . 18 set. » » 37G > * . 6 lug. » » 391 > » . . G ott. » » 38-1 > » . 27 * » » 408 » » . . 13 *g- 1G39 XVIII 83 » » . 16 ng. * * 419 » » ....... . 22 ott. » > 116 * > . 19 > * » 423 » » . . 12 nov. » > 122 » > . 11 feb. 1611 XI 44 » » . . 2G mag 1640 > 198 » » . 26 * * > 58 » » . . 1* set. > » 243 » * . 4 mar. > > GG » » . . 15 » » » 251 * » 18 giu. > * 128 * » . . 6 ott. » » 257 » > . 5 lug. * > 138 » » . . 20 * » > 2G1 » * . 11 Bet. > » 207 * > . . 3 nov. » * 2G9 » » . » ott. » » 217 » » . . 17 » » > 274 ■» > . 7 gen. 1617 XII 302 » * . . 8 die. » > 279 > > . 14 feb. » » 308 » » . . 5 gen. 1G41 > 28G Ronconi G. > ; 15 ott. 1633 XV 304 * » . . 23 mar » > 311 Rota A. » 13 giu. 1621 XIII 65 > » . . 1 "gin- » » 331 Ruschi G. B. > . 11 sett. 1641 XVIII 358 » > . . 6 lng. » > 338 * * . 25 • » > » 357 » 9 . . 8 set. » » 352 » * . 3 die. » * 370 Kinnccini G. lì. a G. . 19 gon. 1619 XII Ì37 » > . 26 » » > 375 INDICE GENERALE ALFABETICO. 539 Voi. Pag. Voi. Pag. Sacchetti N. ad A. Sagredo G. F. aO. .. 19 apr. 1614 XII 51 Gioii. 16 ott. 1G32 XIV 414 Y » .. 26 y Y Y 56 * Y . 4 die. y y 436 Y Y .. 24 mag. Y Y 66 Sagrodo G.F.aC. Gre- Y » .. 7 feb. 1615 Y 138 montai. 13 gen. 1618 XII 368 » Y . 15 mar. Y Y 156 » Y 19 Y Y y 369 » Y .. 11 apr. Y Y 167 » a ... 10 Bet. Y Y 278 Y Y . 30 y 1609 Y 242 Y Y ... 15 ott. Y Y 280 Y Y . 28 ott. y y 261 Y Y ... 12 nov. Y Y 288 > Y . 13 ag. 1611 XI 170 > Y ... 20 gen. 1617 Y 302 Y Y . 2 gen. 1612 y 254 Y Y ... 7 feb. Y Y 306 Y Y . 26 Y Y y 266 Y Y ... y apr. Y Y 312 Y Y . 2 giu. Y y 313 Y Y ... 20 mag. Y Y 316 Y Y .. . . . 16 Y Y y 330 Y Y ... 8 lug. Y Y 328 » Y .. 30 Y Y y 349 Y Y ...21 y Y Y 331 Y Y . 7 lug. Y y 355 Y Y ... 5 ag. Y Y 334 Y Y . 21 Y Y y 368 Y Y ...12 Y Y Y 338 Y Y . 4 ag. Y y 371 Y Y ... 26 y Y Y 342 Y Y . 18 Y Y y 378 Y Y ... 9 set. Y Y 343 Y Y . 22 set. y y 398 Y Y ... 20 ott. Y Y 348 Y Y . 15 die. y y 447 Y Y ... 9 die. Y Y 355 Y Y . 4 gen. 1613 y 458 Y Y ...30 y Y Y 362 Y Y . 1° mag. y y 500 Y Y ... 13 gen. 1618 Y 368 Y Y . 9 Y Y y 505 » Y ... 3 feb. Y Y 371 Y Y . 8 gin. y y 521 Y Y ... 18 mar. Y Y 376 Y Y . 13 Y Y y 522 Y Y ... 2 giu. Y Y 393 Y Y . 15 Y Y y 524 Y Y ... 23 y Y Y 394 Y Y . 13 lug. Y y 535 Y Y ... 28 lug. Y Y 400 Y Y . 20 Y Y y 539 Y » ... 4 ag. Y Y 403 Y Y . 27 Y Y y 544 Y Y ...18 Y Y Y 407 Y Y . 3 ag. Y y 549 Y Y ... 6 set. Y Y 410 Y Y . 24 Y Y y 652 Y Y ... 13 ott. Y Y 415 Y Y . 14 set. y y 563 Y Y ... 27 y Y Y 417' Y Y . 28 Y Y y 569 Y Y ... 3 nov. Y Y 418 Y Y . 12 ott. y y 583 Y Y ... 15 die. » Y 427 68 * XVIII. Ó40 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Pag. Voi. Pag. Sagredo 6. F. a 0.... 22 die. 1618 XII 429 al Presidente * 8 uiar. 1610 > 444 del Consiglio » » ... 30 » * > 446 delle Indie .. 6 nov. 1617 XII 351 » » ... 11 mag. * > 452 Santini A. a G.18 apr. 1008 X 201 » > ... 24 » * » 453 » » .... 24 gin. 1610 » 377 » » ... 7 giu. » » 458 > » .... 10 lug. > » 897 » » ... 22 » > > 460 > » .... 25 set. » » 435 » » ... 6 lug. * > 464 * » .... 9 ott. » > 444 » * ... 12 * » » 467 » » .... 6 nov. » » 464 » » ... 10 ag. > > 479 * » .... 4 die. » > 479 » * ... 21 set. » » 490 * * .... 25 » > » 495 » * ... 15 nov. » > 496 > » .... 12 feb. 1011 XI BO » * ... 21 die. » > 501 » » .., * 9 mar. > * 69 » a M. Welsor.... 4 npr. 1614 > 45 » » .... 20 lug. » > 155 Sagredo Z. a G. 12 dio. 1618 > 425 » » .... 29 die. » » 252 » v .... 14 mar. 1620 XIII 27 » * .... 28 feb. 1614 XII 27 » » .... * apr. » > 31 * » .... 11 lug. » » 83 » » .... 5 mag. > > 36 > » .... 10 geu. 1620 XIII 12 * > .... 1° lug. » » 42 > > .... 3 apr. » > 29 » > .... 25 » > > 44 » »... 4 lug. 1624 y 190 > » .... 29 ag. » > 49 » » .... 9 ag. » y 197 » » .... 23 apr. 1630 XIV 95 * »... 6 set. » > 204 » » .... 28 > > * 97 » » .... 4 ott » » 214 y 20 mag. 1632 > 365 » * .... 26 » > > 222 Saint*Vincent (do) G. * » .... 15 nov. 1625 > 286 a G. van der > » ..., 8 mag 1626 * 821 Strneten.... 23 lug. 1611 XI 162 » > .... 14 lug. 1632 XIV 363 Solviati F. a F. Cesi 20 mag. 1613 » 510 > > .... 16 gen. 1636 XVI 377 » a G. 2 npr. 1612 » 290 * » .... 3 feb. 1638 XVII 275 » » . 13 nov. 1613 > 595 > > .... 23 mar. 1639 X vili 34 » » . 27 die. » » 610 > » .... 21 set. 1641 » 355 » y . 13 geu. 1614 XII 12 * a G. A. Rocca .. 6 giu. 1640 » 201 Sul viali Guadagni 0. Santorio 8. a G. 9 feb. 1615 XII 140 a G. 23 die. 1636 XVI 530 Saraclnelll G. > .... 5 dio. 1605 X 150 > » . 11 gen. 1638 XVII 256 » > .... 26 mag 1606 * 158 > > . . 2 feb. » » 274 » » .... 80 set. > y 161 Sampieri G. B. agli * » .... 13 apr. 1607 » 173 Assunti dello * > .... 11 set. » » 180 Studio di Bo- Saraclnelll F. » .... 12 gen. 1606 * 165 logua. 5 mag. 1629 Xiv 37 * » .... 9 giu. 1608 » 213 Sandelli M. a G. 28 set. 1612 XI 401 Saraclnl G. > . 3 mag 1636 XVI 426 » > .... 2 nov. » » 421 » > .... 20 set » > 487 y » .... 23 > > » 436 » > .... > mag 1637 XVII 82 » * .... 2 apr. 1613 * 490 > > .... » apr. 1638 » 327 Sandovai (di) F., du- * » .... 6 giu. » » 841 ca di Lerma, » » .... 27 lug. 1641 XVUI y INDICE GENERALE ALFABETICO. 541 Voi. Png. SArpi P. a G. 2 eet. 1602 X 91 » ». 9 ott. 1601 * IH * a G. LesohasBÌer. 16 mar. 1G10 * 290 Sarrocchi M. a G. Bet- toli. 27 ag. 1611 XI 177 > a G. 29 log. * » 163 » » . 10 set. » » 206 * * . 12 ott. » * 218 » » . 15 » » » 222 > » . 6 gen. 1612 * 256 * » . 13 * » » 261 » » . 9 giu. » » 324 Sascoride G. a .. 28 die. 1592 X 53 Snsactti C. a P. Dini. 14 mag. 1611 XI 103 Scaglia D. a G. G Millini. 21 giu. 1615 XII 192 > * 21 ott. » » 201 Scalandroni B. a G.. 9 gen. 1632 XIV 325 » » . 17 mag. » » 352 > > . * sot. 1635 XVI 312 » » . 6 ott. » » 317 > » . 7 nov. * » 338 Scalandroni S. » . 18 gen. 1634 » 19 Scliclner C. » . 6 fcb. 1615 XII 137 * » . 11 apr. * » 170 » a P. Gasaeudi... 23 feb. 1633 XV 47 » »... 16 lug. » » 183 » ad A. Kiroher.. » » * * 184 * a G. A. Magmi. 9 gen. 1613 XI 161 » a M. Welaer... 12 nov. 1611 » 233 » » 19 dio. » . » 248 » » 26 * » » 252 » » 25 lug. 1612 » 369 Schickhardt G. a M Bornegger . 8 set. 1633 XV 255 » » 29 » » » 286 » « 13 mar. 1634 XVI 62 * » 10 apr. » * 77 » » 13 giu. » » 103 » » 18 die. » » 175 Schorer E. a G. 12 gen. 1636 » 375 » » . 9 feb. » » 394 SchrCter B. » - 8 lug. 1610 X 393 Scotti R. ad A. Bar- beiini. . 12 nov. 1633 XV 325 Seggctt T. a G. . 24 ott. 1610 X 454 Voi. Pag. Selvatico G. a F. Ven- drarain. 20 mar. 1610 X 303 » * 26 » » » 304 Sona (La) P. a G.. .. 8 ott. 1635 XVI 317 Sera (del) O. »... 11 » 1636 » 503 SornllniO. aG.A.Uoc- ca. 17 * 8 - 1639 XVIII 85 Semi B. a G. 31 ott. 1031 XIV 304 Scrtiui A. » _ 19 nov. 1593 X 63 » » . 16 apr. 1605 » 142 » » . 3 ag. 1608 » 217 » » . 5 » * » 218 » » . 18 » * » 219 » » . 26 » 1609 » 251 » » . 27 mar. 1610 » 305 » » . 10 lug. » » 398 » » . 7 ag. » » 411 Setta la L. » . 16 die. 1620 XIII 52 Settimi C. » . 13 mag. 1640 XVIII 189 * » . 30 mar. 1G41 » 316 » » . 20 apr. » » 323 » a Ferdinando li de’ Medici... 14 die. » » 372 Sfrondrnti P. all’In- quisitore di Modena. 2 apr. 1616 Xll 252 Siivi 1 G. a G.. 17 giu. 1628 XIII 435 * » . 2 set. 1630 XIV 141 * » . 7 » » » 142 » » . 21 » » » 153 » » . 12 ott. » » 154 » » . 16 nov. » » 167 » » . 17 mag. ,1631 » 261 Siinoni A. a G. 28 mar. 1638 XVII 321 Sin Umidi T. ad A. Bar- bermi. 27 set. 1633 XV 285 Slzzi F. a 0. Clavio. . 20 apr. 1611 XI 88 » a G. A. Magini. 26 mar. » » 74 » a G. de’ Medici.. 7 ag- 1610 X 413 » ad O. Morandi.. 10 apr. 1613 XI 491 Soldani I. a G. 7 gen. 1636 XVI 371 » » . 29 lug. » XYlII 435 » » . 21 nov. 1640 » 274 » a L. de’Medici.. 12 gen. 1639 » 16 » * 15 set. 1640 » 252 Sommata (da) G. a G. 5 nov. 1614 XII 109 542 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Par. | Voi. Par gommài* (da) G. a G. 25 apr. 1618 XII 384 Stellati F. a F. Cosi. 30 «et. 1623 XIII 132 * i 29 » 1620 XIII 35 > a G. Fabcr. 2 nov. 1619 XII 495 > » » nov. 1623 cc H A > » . 7 set. 1621 XIII 77 > * 13 die. 1626 > 342 1 > a G. 24 die. 1611 XI 251 » * 9 apr. 1631 XIV 245 » » . 13 ag. 1612 > 373 > » 8 ott. 1633 XV 298 > > . 12 apr. 1613 > 494 Sozzi A. >8 die. 1635 XVI 357 > 17 ag. » > 551 Spagna (Ro di) Fi- » » . .. 10 mag. 1614 XII 60 lippo III a I\ > * . 24 > > » 67 Telleat y Gi- * 31 » * » 68 ron.28 geu. 1620 XIII 21 » 14 giu. > » 72 Sperindto A. ad A. * 38 » » > 78 Barberini ... 31 ag. 1633 XV 244 * » . lì ag. > > 90 Spinelli G. a G. 15 * 1637 XVII 171 > > . 11 * 1617 » 337 * ad A. Qaorengo. 28 feb. 1605 X 141 * > . 29 set. > » 346 XVII 54 1618 406 > » .17 apr. > * 61 » > . 35 die. > » 430 » > .25 mar. 1639 XVIII 35 * > . 22 feb. 1619 > 442 » 79 473 > » .25 set. > * 108 > » . 27 gen. 1620 XIII 20 > > ...... 29 ott. * > 118 * > ... 4 apr. > > 30 > 167 1622 95 > 174 1623 113 > » . 2 mag. > > 188 » > . 12 ag. > » 121 Spinola T. » .22 gen. 1621 XIII 56 > » . 8 «et. > > 129 » » .15 giu. > » 66 * > . 28 ott. > * 142 > > .25 ng. > » 75 147 Sprani P. ad A. Gioii. 5 ott. 1613 XI 581 * » . 23 ag. 1624 » 200 Staccoli R. a G.26 niar. 1631 XIV 233 » > . 10 gen. > 299 * > .31 > » » 237 > * . 28 feb. > > 806 Stati Generali (Gli) > » . 7 mar. > * 310 dei PaeBÌ Bas- > 14 * * > > si alla Compa- > > ag. 1627 » 373 gnia delle In- » 2 die. 1628 * 459 die Orientali.. 25 apr. 1637 XVII 67 » * . 6 lug. 1630 XIV 121 * * 18 feb. 1638 > 291 » 2 ag. > > 126 > a G.25 apr. 1637 * 66 * 30 > 1631 > 292 > > .10 feb. 1638 » 283 » * . 19 gin. 1632 > 360 » a M. Ortensio.. 2 > > * 275 > > . 22 nov. 1633 XV 330 Stecchini P. a G.16 nov. 1629 XIV 52 > 3 * 1635 XVI 337 » > .30 mar. 1641 XVIII 317 * » . 6 aet. 1636 » 481 Stolliola N. A. a(i.. > ag. 1612 XI 385 * a G. B. Stelluti. 15 > 1610 X 430 * » .. 17 * 1613 » 551 Stigli ani T. a G_ 30 ott. 162U XII 52 ». » .. 1° giu. 1616 XII 263 StrozziG. B. » . . 19 set. 1609 X 258 Stellati F. (?) a F.Cesi. die. 1612 XI 453 Strozzi R. > ... • 2 lug. 1610 > 388 Stellati F. > 15 feb. 1613 » 482 * » ... . 29 * » » 409 INDICE GENERALE ALFABETICO. 543 Voi. Pii*. Voi. Pag. Tabi» A. ad A. Turtorini A. a G. Gol- Barberini .. 30 set. 1633 XV 286 lanzoni. 12 lug. 1617 XII 329 Tubili ((la) G. V. ad A. Barberini .. 19 die. » 358 Ubaldini R. a G. 29 lug. 1618 » 401 Tabia (da) T. ad A. Uguccioni G. a Fcr- Barberini .. 17 aet. * * 269 dinaudo I Tadino A. a G. .. .. 29 nov. 1619 XII 498 de’ Medici.. 26 sot. 1592 X 50 Talentono G. a U. .. 18 giu. 1612 XI 331 > a B. Vinta. 21 > » > 49 Tamburelli l). a C. Urbano Vili. — Vedi: Grienbcrger. 11 nov. 1611 * 233 Barberini M. Tardo G. a G. ... ... G die. 1614 XII 117 Urslno B. a G, Kepler. 11 » 1612 Xl 394 Tassi N. »... .. 17 gen. 1G15 > 133 Usimbnnli L. a Cosi- Tcdaldi Maria a (1... 19 mar. 1633 XV 73 mo II do’ Me- > » .. 1G apr. » * 92 dici. 18 apr. 1619 XII 451 » * ..22 » » * 100 » a Ferdinando II > * .. 14 mag * > 122 de’ Medici... 17 ag. 1629 XIV 42 > » .. 28 > * » 138 t> » 2 giu. 1631 » 271 » * .. 10 set. » » 260 * » .. 12 feb. 1634 XVI 40 Vftiaui A. M. a G. 3 gen. 1038 XVII 250 Tcdaldi Muzio a V. Valerio L. a M. A. Galilei Ben. .. 13 gcn. 1574 X 17 Baldi. 20 mag. 1611 XI 104 > » .. 9 feb. » > » » a F. Cesi. 7 nov. 1614 XII 109 > > .. 10 mar. * * 18 » a G. 4 apr. 1609 X 239 * » .. 4 gen. 1575 > 19 * » . 23 mag. > » 244 * > .. 29 apr. 1578 > » > * . 30 » » > 245 > » .. 16 lug. > > 20 » » ... 18 lug. » » 248 Tedeschi L. a G.. ... 22 die. 1604 * 122 » » . 29 mag. 1610 » 362 Tcngnngel F. a G. A. 24 set. » | » 434 Magini... 1603 » 104 XVIII 411 Tolomci G. F. a (J. ... 16 lug. 1633 XV 182 » » . 23 ott. » X 451 » » ... 23 > » > 193 » » . 28 gen. 1611 XI 37 » > ... 7 ag. » » 216 > » . 11 nov. > » 231 » > ... 21 » * * 234 » > . 23 ag. 1612 > 380 > > ... 4 set. * * 250 » » . 31 » 1613 » 559 » > ... 18 * » » 271 > > . 3 ott. 1614 XII 104 * » ... 30 ott. > » 313 > > . 10 set. 1615 > 197 » » ... 6 nov. » > 321 Yannuccini G. a G... 2 nov. 1624 XIII 225 Torricelli E. » ... 11 set. 1632 XIV 387 * > .. 20 die. 1633 XV 362 » * ... 15 mar 1641XVIII 308 » » .. 28 » » * 367 > > ... 27 apr. » > 326 18 feb. 1634 XVI 46 » » ... l°giu. * > 331 * > .. 15 lug. » » 110 > » ... 29 > » » 334 2 nov. * » 148 » * ... 17 ag. » » 345 Yeuier S. » •. 23 gen. 1603 X 102 » > ... 28 set. » » 360 » » . • 17 feb. 1608 » 191 Trcraazzi F. a G. Fa- 12 mar. 1611 XI 70 rigi. ... 23 die. 1630 XIV 198 9 ott. » » 215 INDICE GENERALE ALFABETICO. Voi. Par. Venier S. a G.15 set. 1630 XIV 149 » » .23 geo. 1633 XV 30 Ventacci G. B. a G. Bocchineri... 18 feb. 1684 XVI 47 Vlalardi F. M. a F. Gonzaga .... 17 * 1612 XI 277 Villo (de) A. a «.... 4 gen. 1633 XV 12 » »... 3 war. 1635 XVI 221 Viuconzo...., Inquisi¬ tore di Pavia, ad A. Barbe¬ rini .28 set. 1633 XV 286 * ai propri Vicari. 7 ag. » * 217 VintaB. ad 0. d’Elci.. 23 mag. 1610 X 356 > * .. 7 set. 1612 XI 392 * a G.13 gen. 1008 X 187 » > .22 mar. * » 197 * > .12 apr. > > 200 * > .19 * > » 201 » > .29 mag. * > 210 » > .11 giu. > » 214 » > . 7 nov. > > 265 > * . 9 gen. 1610 > 278 * > ... 6 feb. > > 281 * * .20 » > * 284 > > .19 mar. » > 302 * * .30 * » * 307 > » .22 mag. » > 355 * * . 5 giu. > > 369 » » . 26 * * * 383 > » .19 ag. » > 423 * * .12 gen. 1611 XI 20 » » .20* * » 28 * * .19 mar. * >72 » ai*.Guicciardini. 13 mag. > * 125 » a G. Liczko- 7 nov. 1609 X 266 Vinta L. a G. 2 lug. 1614 XII 80 Visconti 0. ad A. Bar¬ berini.13 set. 1633 XV 262 Visconti R. a G.16 giu. 1630 Xiv 120 * * . 1° ott. 1633 XV 291 Vitelli F. ad A. Bar¬ berini. 6 ag. * >216 Vosalo G. G. ad U. Gro- zio.28 mag. 1634 XVI 99 > » 1° lug. 1635 > 288 Voi. ra f . Vogalo G. G. ad U. Gro¬ lla . 5 die. 1635 XVI 358 >' >6 gen. 1638 XVII 252 > >2 mag. > >330 > >14 olt. > » 392 > >15 die. > » 412 Weert (van) K. a G.. 24 WelUuuner G. a G.A. Rocca.2*5 Wells G. a G.15 Welser Marco a C. Cln- a G. Faber.29 » . 1 - 1637 > 142 1641 XVIII 370 1613 XI 585 X 288 (I 14 45 98 136 140 235 246 257 263 281 334 397 407 427 440 452 464 470 483 490 [11 59 * 66 X 460 XI 13 > 51 > 73 > 127 > 257 > 263 > 289 > 303 > 402 > 407 INDICE GENERALE ALFABETICO. 545 Welser Marco a G... 30 inag. 1613 Voi. Png. XI 516 » » .. 18 ott. > * 587 » » .. 20 dio. » > 609 » a P. Gualdo.. .. 7 gen. 1611 » 15 » » .... 25 nov. » » 236 » » .... 13 lug. 1612 » 360 * a GL Kepler- 10 > 1618 » 531 > » .... 11 feb. 1614 XII 24 > a F. Salviati.... 27 » 1613 XI 486 WeUer Matteo a G.. 20 giu. 1614 XII 77 ^Yendoll n G.aM.Mer- senno. 15 * 1633 XV 155 White R. a G. 16 ag. 1619 XII 482 Wiffeldich G. a G.... 26 set. 1637 XVII 187 » > .... 17 ott. » » 201 * > .... niag 1638 » 337 lYodderborn G. ad E. Wotton. 16 ott. 1610 X 448 Zbaraz (di) C. a G. .. 8 mar. 1611 Voi. Pag. XI 68 » »... 27 set. 1612 » 399 Zorz! B. »... 12 die. 1592 X 50 » a B. Valori . 2 » 1589 » 42 ...., Inquisitore di Mo¬ dena, ad A. Barberini .. . 21 ott. 1633 XV 305 ...., Vicario del S. Uf¬ fizio in Siena, ad A. Barbe- rini. 25 set. » » 283 .... ai Cardinali del S. Uffizio - geu. 1634 XVI 30 .... a G. Carolus. .. . 4 set. 1609 X 256 - a V. Giugni ... . 23 » 1606 » 161 .... a .... ... . 1588 t »> 21 .... a .... ... . 23 nov. 1618 XII 420 .... a .... .... 30 » » » 421 FINE DEL VOLUME DECIMOTTAVO, INDICE DEL VOLUME DECIMOTTAVO. Carteggio. - 1G39-1G42.Pag. 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel Voi. XVIII (1G39-1G42) . . . . 38ò Indice alfabetico delle lettere contenute nel Voi. XVIII (1639-1G42). 395 Supplemento.^ Indici generali. ^ LE OPERE GALILEO GALILEI VOLUME XIX *Jk * FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1938-XVI LE OPERE DI GALILEO GALILEI Volume XIX. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE SOTTO L’ALTO PATRONATO DI S. M. VITTORIO EMANUELE III RE IMPERATORE E DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XIX. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 19 38 - XVI. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° 4«T.) FIRENZE, 181-1937-38. — Tlpoffrafla Barbèra - Alfani k Venturi proprietari. Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore : ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario: ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. CERRUTI — G. GOVI — G. V. SCHIARARELLI. Assistente per la cura del testo: UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale è posta sotto gli auspichi DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ABETTI. Coadiutore letterario: GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO PAGNINI. f. A'- AVVERTIMENTO. Il presente volume è destinato a raccogliere i documenti della vita di Galileo, a partire dalla scritta matrimoniale dei genitori di lui lino all’atto della sua morte, anzi fino all’inventario dell’eredità : o se iniziando col volume X la pub¬ blicazione del Carteggio potevamo scrivere che la nostra Edizione doveva con¬ siderarsi, anche in quella parte, non come riproduzione o compimento dello antecedenti, ma come opera nuova 01 , possiamo ripetere ciò con eguale e maggior diritto ora, poiché fin adesso nulla s’ ò avuto mai che corrisponda al concetto di questo che possiamo veramente chiamare Codice Galileiano; senza dire elio molti dei documenti che qui si pubblicano, veggono per la prima volta la luce, sebbene, perchè tutto il volume, se non inedito, è nuovo, non li abbiamo contrad¬ distinti (come è stato fatto nel Carteggio) da quelli che già si leggevano in sin¬ golo monografie. Ai Documenti abbiamo creduto opportuno premettere, per la più pronta o chiara intelligenza di alcuni di essi e del Carteggio, un Albero genealogico, che, conforme allo scopo a cui deve soprattutto servire, limitammo, per quel clic concerne l’età anteriore a Galileo, agli ascendenti diretti di lui e agli ascendenti diretti dei Galilei residenti a Lione, coi quali egli fu in corrispondenza, fino a Giovanni, vissuto nella seconda metà del secolo XIII, che è il più antico della famiglia di cui abbiamo trovato testimonianze storicamente sicure; e tralasciammo così gli antenati di Giovanni, come i collaterali dei due rami da noi seguiti. Avremmo voluto invece registrare, c con indicazioni precise, tutti i contempo¬ ranei del Nostro con cui egli fu in relazione; ma non potemmo, nonostante diligenti ricerche, riscontrare su documenti alcuni dati fornitici da appunti genealogici relativamente recenti e che non inspirano piena fiducia. Quanto poi ut Cfr. Voi. X, pag. 10. XIX. 2 8 AVVERTIMENTO. ai tempi posteriori a Galileo, notammo soltanto i suoi discendenti diretti tino all’estinzione del ramo nel secolo XVIII. Pur essendo ristretto dentro a questi contini, e trattandosi di materia nella quale le notizie adunato da vecchi genea¬ logisti valgono a generare confusione e imbarazzi piuttosto che luce, nutriamo fiducia che il nostro Albero sia riuscito più ricco di dati di fatto, e meno incerto e inesatto, di quelli che si avevano in precedenti pubblicazioni. L’Albero avrà poi il suo complemento ed illustrazione nell’ Onomastico, al quale, come per il Carteggio l,) così per i Documenti, riserbiamo le notizio biografiche dei perso¬ naggi menzionati, e dove, sotto le singole voci, forniremo le indicazioni dei docu¬ menti sui quali l’Àlbero fu compilato, ulteriori notizie sulle persone che in esso figurano, o cenni di altri ascendenti o discendenti. I Documenti sono raccolti, secondo l’argomento, in gruppi o capi, che in tutto sommano a quarantacinque; e molti di questi gruppi sono divisi e suddivisi in più distinzioni. Alcuni di essi abbracciano un lungo periodo di tempo; c i sin¬ goli gruppi si succedono in ordine cronologico, tenendo per criterio il terminus a quo, cioè la data del documento più remoto, in ciascun gruppo compreso. Ana¬ logamente alla norma tenuta nel Carteggio, abbiamo usato tre caratteri diversi altresì per la stampa dei Documenti, pubblicando nel carattere maggiore, riser¬ bato in tutta l’Edizione alle cose di Galileo, quelli che sono scritture sue, e ado- prando per regola un carattere mezzano per i documenti che più direttamente riguardano la persona del Nostro, e un altro più piccolo per quelli che lo concer¬ nono meno strettamente. A ciascun documento, o talora ad un gruppo di docu¬ menti, è premessa un’informazione, che indica la fonte o le fonti della nostra stampa, con quelle avvertenze che di volta in volta ci parvero del caso. È superfluo il dire che anche i documenti che in precedenti pubblicazioni avevano visto la luce, sono stati accuratamente riscontrati sugli originali, e da questi riprodotti con quella scrupolosa fedeltà che l’indole stessa di tali scritture richiedo (!) . Del resto, in tutto quel che concerne la parte, a così dire, materiale della nostra riproduzione, come il significato di alcuni segni, delle parentesi quadre o delle parentesi ad angolo < >, del punto interrogativo e del sic apposti ad alcune parole, doi puntolini rappresentanti la pubblicazione non integrale, come pure in quello che attiene alle lievissime libertà che ci parve di potere arrogarci di fronte alla grafia dei manoscritti, nello sciogliere le abbreviazioni, nel distinguere m Cfr. Voi. X, pag. 18. o* Abbiamo rispettato corto disformità elio negli originali ci sono presentato o da documenti diversi o da diversi luoghi dello stesso documento, quando pur essendo manifesto elio l’uno o Poltro doi docu¬ menti o doi luoghi divorai conteneva orroro, non pota¬ vamo dotoriniiiaro in quale do’ passi l’orrore dovesse ossor riconosciuto. Cosi avviono por il cognomo di un tal I’ibtuo, elio ora è dotto »k Fkiuni», ora oh Ferrini», ora Ferri (cfr. pag. 439, nota 1), o por un Cristokoro, ora detto de Dottis, ora de Botti» (cfr. pag. 582, nota 1); o così pure rispettammo Ambrooiotti por Ambhooktti (cfr. Doc. XXX, a. liti. 131-132, e Doc. XXX, « bis, lin. 12), occ., non che i numeri coi quali un documento cita talora inesattamente lo certo dei manoscritti allo quali si leggono altri documonti (cfr. Doc, XXI, l, lin. 24, 28, 43 ecc.). AV VESTIMENTO. 9 gli n dai v, nell’uso delle maiuscole e delle minuscole, degli apostrofi e degli accenti, nell’ interpunzione e nel correggere puranco qualche intollerabile tras¬ corso, annotandolo appiè di pagina ; in tutto questo, abbiamo creduto di non dover allontanarci da quanto abbiamo praticato nel Carteggio, e indicato nel¬ l’Avvertimento ad esso preposto, al quale Avvertimento perciò rimandiamo il lettore Per quanto diligenti siano state le nostre ricerche,'affinchè questo Codice Galileiano riuscisse meno imperfetto che per noi si poteva (,) , non intendiamo tuttavia nè crediamo in niun modo di aver fatto opera completa. Di alcuni fatti della vita di Galileo non fu, nè sarà forse, possibile ritrovare documento archivistico (3) ; ma, oltre a ciò, non dubitiamo che altri materiali verranno alla luce, in un campo dove spesse volte il caso è il miglior collaboratore: del elio nel corso di questo stesso volume noi abbiamo dovuto far esperienza, poiché, sopravvenutici nuovi documenti quando ormai con la stampa ( * ) avevamo oltre¬ passato il luogo in cui sarebbero stati da inserire, abbiam dovuto raccoglierli in un Supplemento. Ai Documenti propriamente detti facciamo seguire, come avevamo annunciato nel Disegno dell’Edizione (S) , gli scritti biografici dettati intorno a Galileo dai contemporanei. Qui invero ci si presentava dinanzi un campo altrettanto vasto quanto, relativamente, non troppo ubertoso: e ci parve che noi dovessimo evitavo di ristampar una serie di narrazioni, di cui Duna non avrebbe aggiunto nuovi par¬ ticolari all’altra (soprattutto dopo che la biografia del Nostro è così minuta¬ mente e sicuramente raccontata dal Carteggio e dai Documenti veri e propri), 0> Cfr. Yol.X, png. 11-12. < 2 > Non ftssolutanionto tutti i documenti noi quali trovammo menzionato Gamt.ro sono stati da noi riprodotti. Avviono infatti, quando corto sezioni di archivio, di carnttero spocialincnto amministrativo, sono stato conservato completo, elio l’identico fatto sia attestato non tanto da più documenti, quanto, por parlare con più precisione, da un documento che si ripeto sotto formo divorso in libri appartenenti a serie differenti di qnolla stessa seziono: in questi casi noi abbiamo pubblicato il documento soltanto nella forma più completa. P. o., dai Campioni doll’arcliivio del Monto di Pietà della Città di Firenze, nell’Archi- vio di Stato Fiorentino, noi trascrivemmo (Doc. XXX) lo partito dei conti individuali intestate a Galileo, le quali sono lo più ricebo di particolari, ma stimammo supcrlluo riprodurre lo partito dei conti di Cassa (coma puro lo partito dei libri di Filtrata o Uscita), elio ripetono più somumriainonto gli stessi dati, o allo quali quolle doi conti individuali si richiamano del continuo, conio, vicovorsa, a quost’ultimo quolle di Cassa. Quando porè i documenti nello formo da noi omesso fornivano qualcho particolare nuovo, non lo abbiamo trascurato. < s i Non sarà probabile, por esornpio, elio si ri¬ trovi documento della visita dol Milton n Galileo in Arcotri, durnnto il soggiorno elio il poeta feco por circa duo mesi in Firenze, dove arrivò il 10 set¬ tembre 1G88: cfr. Alfredo Reumont, Milton e Ga¬ lileo, a pag. 895-415 doi Sarjiji di storia <• lettera¬ tura, Fi ronzo, G. Barbèra, editore, 1880; o Milton on thè Contineìit. A koy to L'Alhtjra and il Pente- roto, witli soveral illustrations, a historical clmrt and an originai portrait of Galileo. By Mrs. Fanny Bysf. (Nóo Lek). London, Elliot Stock, (52, 1903, pag. 88-42. La stampa di questo volume fu condotta nel corso di più anni, parallolamonto a quella dei volumi del Carteggio. I5| p e r l a Edizione Nazionale delle Opere di Ga¬ lileo Galilei ecc. Esposizione o disegno di Antonio Favaro. Firenze, tip. di U. Barbèra, 1888, pag. 39. 10 AVVERTIMENTO. e che anzi sono qualche volta, almeno in parte, l’una dall’altra derivate, o delle quali abbiamo già profittato in altre parti dell’Edizione, o elio il lettore può non difficilmente aver sotto mano, o che, infine, non paiono meritare soverchia fede, perché dettato con ispirazione cd intento piò che altro retorici. Pertanto stabi¬ limmo, come criterio, di tener conto soltanto di alcune narrazioni che sono stale registrato in cronache o diari dagli spettatori stessi degli avvenimenti c elle per¬ ciò sono simili, nel valore e nel carattere, alle lettere, e di quegli scritti biogra¬ fici che non furono pubblicati dagli autori e di cui ci son rimasto copio mano¬ scritte, così clic noi, approfittando di queste, eravamo in grado d’offrirli al lettore in forma quasi sempre nuova e più sicura di quella eli’egli poteva conoscere da precedenti edizioni. Seguendo tale criterio (col quale abbinili combinato ad un tempo quello di accogliere le narrazioni più importanti), pubblicammo anzitutto alcuni estratti dalla Cronaca di Antonio Priuli e dal Diario del viaggio in Italia di Giovanni Tarde, clic sono memorie dettate da testimoni oculari dei fatti, e poscia le notizie della vita di Galileo raccolte dal figlio Vincenzio, il Racconto isterico di Vincenzio Viviani, la Vita di Niccolò Glierardini, e la Lettera del Vivimi! al Principe Leopoldo de’Medici sull’applicazione del pendolo all’orologio, scritture quest’ul¬ time che possediamo tutte nei Manoscritti Galileiani della biblioteca Nazionale di Firenze, e che noi abbiamo potuto ripubblicare in forma più corretta, traendo il meglio da quei codici, fin ora scarsamente messi a partito e dei quali lo studioso poteva legittimamente desiderar di conoscere qual contributo alla biografia del Nostro fosse dato cavarne. Abbiamo creduto invece di poterci esimerò dal ripub¬ blicare quella parte della Prefazione del Keplero alla JJioptrice elio risguarda le scoperte celesti di Galileo 10 , tanto più che le lettere di Galileo a Giuliano de’ Me¬ dici, ivi stampate, sono state tutte da noi inserito a’loro luoghi nel Carteggio l,) , e ciò che concerne l’anagramma di Saturno tricorporeo è riprodotto in questo stesso volume (S) ; le notizie che sul Maestro, e specialmente sulle ultime opere di lui, ha raccolto il Viviani nel suo Quinto libro defili Elementi d’Euclide ™, delle quali abbiamo largamente profittato, c cavatone tutto ciò che importava, negli Avvertimenti premessi a quelle opere (8) ; le iscrizioni elio il Viviani foce col¬ locare in onore di Galileo sulla propria casa in Firenze, e che egli stesso 01 Ioannis Kkplkri, S.*° C M.U* MathcinnLiei, Diottrico ecc. Proemùtae epiatuhw Oalilaci da iia (pine post cdi lionati JVkiicù' Siderii, ape per apio illi, nova et admiranda in coda deprchcnm «ini occ. Augustno Yimlolicontm, typis Davidi* Franti ecc., M.DCXI. ,4) Cfr. Voi. X, un.' 427, 435, o Voi. XI, un.' 451, 48G. < 3 ' Fag. 229. 10 Quinto libro depi Elementi d'Euclide, ovvero Scienza uni varatile dille proporzioni, spiegata culla dottrina dol Galileo, con nuov’ ordino distesa o por la prima volta pubblicata da Vixcknzio Viviani, ultimo suo discepolo. Aggiuntovi coso vario o del Galileo c del Torricelli, i ragguagli dell'ultimo opero loro, ecc. In Firenze, alla Condotta, M.DC.I.XXIV. < 8 ' Cfr. Voi. I, png. 215; Voi. Vili, pag. 23 o sog.; pag. 451-452; pag. 559 o seg. fc superfluo avvertirò che lo lotterò o le altre scritturo di Gamlko, pubbli¬ cato dal Viviani nel Quinto libro, sono stato tutto ri¬ stampato da noi a' luoghi elio loro spettavano, o lo lotterò furono riprodotto non dalla stampa del Quinto libro, ma riscontrato sullo copio, di mano dol Viviani stesso, elio sono noi Manoscritti Galileiani della Nazionale di Fironzo. AVVERTIMENTO. 11 poi diede alla luco (n ; i cenni biografici di Leone Allacci nello Apcs urlarne w , di Giovan Vittorio do’llossi nella Pinacotheca , da noi pubblicata in un altro volume <0) ; non die qualche aneddoto clic si potrebbe estrarre dai Termini di messo rilievo di Filippo Valori 10 , dal Telescopium di Girolamo Sirtori (8) , dall’orazione De mathematicae laudibus di Niccolò Aggiunti w , dalle Memorie del Card. Bentivoglio (,0) , dal Discorso sopra la <>i In nppomlico all’opera De loda solidia secttnda divinatio geometrica in quinqtte libros, iniuria tempo- rum am iato», Aliataci seniori a geometrac, autore ViN- CRNTio Viviani, magni Gnlilnoi novissimo discipulo ecc. Opus occ. olnborntum nnno 1640, imprassum Fio¬ rentino ab nippolyto Navosi nnno 1070, nddemlis nuctum ot in luoem prolntuin nnno 1701 occ. Fioren¬ tino, typis Rogiao Celsitudini, apud l’otrum Antonium Jìrigonci, png. 121-128. E di qui lo pagino conte- nonti lo iscrizioni furono ostratto in edizione n pnrte, in un opuscolo col titolo: Orati animi monu¬ menta VlNGRXTii Viviani in pracoeptorcm Oalilaeum Lynceum , Ferdinandam II et Cosinam III, MM. DI). Etruriue.et ludovicuin Magnimi,Gulliunnn et /lavarmi: Degan Chrisiianisaitiitini, uti /ncrunt cnnsrripta Fio¬ rentine, in fronte acdiiun a Dco datar ani, anno Sa¬ litila tGOU. Fiorentino, typis Regino Celsitudini, apiul l’otruni Antonium Brigouci. Il tosto dolio iscrizioni pubblicato dal Viviani ò poro diverso in alcuni luoghi ila quello elio si loggo noi cartelloni apposti sulla casa già del Viviani in Firenze: di elio vedi Antonio Favauo, Inedita Galilaeiana (Memoria del II. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Voi XXI, pag. 465- -1753), Venezia, tip. ili Q. Antonolli, 1880. Doli’auto¬ grafo di questo iscrizioni, elio non sappiamo dovo ora si trovi, cfr. Favako, op. o loc. cit. Vedi altresì gli appunti manoscritti, in parto autografi dol Viviani, raccolti nulla Busta (lolla Biblioteca Razionalo ili Fironzo elio è uoirAppondico ai Mas. Gal. ed ò intito¬ lata sul dorso: «Nelli Gio. Batta Cloni. Filza 1, Appunti coi quali furono da lui croato lo primo bozzo dol la \ ita di Galileo Galilei >, car. 317-345 (Iscrizioni e memorie pel Galileo nella facciala della casa de' Car¬ telloni ).— Qualclio contributo alla biografia di Ga- 1.11.KO (pori» in forma affatto frammentaria) si può trarrò audio dallo carto del Viviani, nella Colloziono Galileiana (lolla Biblioteca Nazionale di Fironzo, elio rappresentano i matorinli coi quali egli andava pre¬ parando la più ampia « Vita di Galileo > elio poi non dottò mai: di elio cfr. Antonio Favaro, Fancensio Fi* vicini c la aita « Fifa di Galileo » (Affi del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Tomo I.X1I, Par. II, pag. 683-703), Venezia, officino graficho di C. For¬ mi, 1003. Ed appuuti autografi del Viviani, rolativi a dotti di Galii.ko, si hanno in diversi manoscritti, cfr. Pensieri, sentenze e motti di Galileo Galilei, rac¬ colti dai discepoli e pubblicati da Antonio Favaiio (Rivista di fisica, matematica e scienze naturali, anno Vili, num. 86, pag. 97-109), Pavia, tip. Suco. fratolli Fusi, 1007. <*> I-RONis At.i,atii Apea urbanac.,aive De virisillu- atrihua qui ab anno MDOXXX per tolum MDCXXXIÌ • Rolline adfuerunt ac typia aliquid evulgarunt. Ro- mao, oxcuilobat Ludovicus Grignanus, MDCXXXIII, pag. 118-110: cfr. puro pag. G8-69. • 8 * Iani Nicii Khitiikaki Pinacothccu imaginum il- lustrium doctrinac vcl ingenti laude vCrorum, qui auctore su]icrstite elicili smini óbìcrnnt. Colon. Agrippinac, apiul Corncliiim ab F.gmond, C101OCXL1II, pag. 279-281. Bel Mercurio onero [Ustoria de'correnti tempi di 1). Vittorio Siri ecc. Tomo secondo, libro terzo. In Casale, M.DC.XXXXYII, jor Christoforo della Casa, png.1720-1722. < 5 ) Elogii d‘ huomini letterali scritti da LorkNzo Crasso occ. In Ycnetia, M.DC.LXVI, por Conibi ot La Noù, [l’arto 1), pag. 248-251. ««> Cfr. Voi. VI, pag. 207-211. ,7> Termini di mezzo rilievo e d' intera dottrina tra gl' archi di casa Valori occ. In Fironzo, appresso Cristofano Marcscotti, M.D.CI1II, png. 12-13. Il luogo in cui parla di Galii.ko ò stato citato da noi nel Voi. IX, png. 7. < 8 > Hirroxymi Sirturi Modiolanonsis Telescopium, sive Ars perficiendi nomea illud Galilaei visorium in¬ strumentum ad sydera occ. Fraiicofurti, typis Bauli Iacobi, impcnsis I.ucao Icnnis, M.DC.XVIII. Vedi spo- cialmonto a pag. 27. Nicolai Amunotii Burgensis Ovatto de ma¬ thematicae laudibus, lmbita in fiorentissima Pisarum Acmloniia cani ibidem publicam illius scìcntiao oxpli- cationom aggrossurus forot, ecc. Romao, ox typo- grapliia Iacobi Mascardi, MUCXXVIT, pag. 19-21. < ,0 > Memorie del Cardinale Busti voglio, con loquali doscrivo la sua vita occ. In Vonotia, M.DC.XLVIII, appresso Paolo Buglioni, pag. 123. Cfr. Galileo Ga¬ lilei e lo Studio di Padova por Antonio Favaiio., Volume I. Fironzo, Successori Lo Momiior, 1888, pag. 158. 12 AVVERTIMENTO. trista di Benedetto Castelli ( ‘\ dalle Notizie dei professori del disegno di Filippo Baldi micci (S) , ecc. Abbiamo pure deliberatamente omesso, a cagione del loro tenue valore biografico, le poesie encomiastiche di contemporanei, alcune dello quali sono a stampa (5) ed altre in manoscritti, avendo però, di quelle elio sono noi Codici Galileiani della Nazionale di Firenze 14 ’, pubblicato non poche, od altro citatone, ad illustrazione del Carteggio nei luoghi in cui no cadeva ricordo w ; nò ci parvo, infine, prezzo dell’opera riferire brevissimi cenni, o più elio altro menzioni, del nome di Galileo, che abbiamo in diari o in altri manoscritti sincroni ' 0 di bi¬ blioteche pubbliche o private, ma che non recano alla biografia di lui alcun con¬ tributo che veramente abbia importanza. IU In Alcuni opuscoli filosofici del Pfidro Abbnto D. Rrnkdetto Oabtrm.i ila Broscia. occ. 1» Bologna, por Giacomo Monti, 1G69, ini Distanza do gli erodi del Bozza, png. 11-12. < 2 ' Notizie dei professori del disegno ecc. Opera postuma di Filippo Baldinuooi occ. In Firenze, MDCCXXVIII, nulla stamperia di S. A. B., por li Tartini o Franchi, pag. 321-322. — Di una scrittura di Dikoo Franchi, contemporaneo ili Gai.ii.ko, vedi in questo stosso Voi. XIX, pag. 40. < 3 * Citeremo, por esempio : Meditazione poetica di Girolamo Magagnati sopra i Pianeti Medicei occ. In Venezia, MDCX, presso gli horodi d’Altobcllo Sa- licato (cfr. Voi. X, n.° 310). — Adulai io perniciosa ili Mappbo Babbbrini, composta noi 1G20 (cfr. Voi. XIII, n.° 1479) o più volto stampata: cfr. Maphaki S. It. E. Card. Bahhkrini, mine Urbani PP. Vili, Pomata, Antverpiao, ex officina Plaiitiniana Haitliasaris Mo- roti, M.DC.XXXIV, pag. 278-282. — Sonetto di Giovamhatista Marini, in La Galena del Cavalior Marino, distinta in pitture et sculture. In Vonotia, dal Ciotti, 1620. [Lo pitturo, parto prima.] Pag. 193; più volto ristampato. Cfr. nuche VAdone dol Marino, canto X, ottavo XLI1 o sog. — Sonetto di Otta¬ vio Rinuuoiki, in Poesie dol S. r Ottavio Rinuo- cini occ. In Firenze, appresso i Giunti, MDCXXII. pag. 215. — Alla Sacra Maestà Otturai eUU' Imperatore. In lode del famoso Signor Galileo Galilei, Matematico del Serenissimo Gran Duca di Toscana. Canzono dol dottoro Iacopo Cicognini occ. [In tino:] In Firenze, nollfi stamperia di Gio. Batista Land ini, 1631 (cfr Voi. VII, pag. 8, nota 7). — Epigramma di Oabuiri.k NauHÉ, in Epigrammata in virorum liltratorum ima ginct, quas Illustriisimus Eque* Cnssianus a Putrii sua in bihlioiheca dedieavit occ. Romac, oxcudebat Ludo* vicus Giignanua, CI010CXLI, pag. K (cfr. Voi XVIII, n.« 4102). — Ecc. <»* Vedi Mss. Gal., Par. I, Tomo III. car. 68-108, o Appomlico ai Mss. Gal., Filza intitolata sul dorso: < 9. Galileo. Lavori por servirò alla Vita di Galileo, raccolti dal Viviani o dal Nelli », car 315-361. l’n sonotto di Guomki.mo Coi.lktkt « Sur la mort dii Seignenr Galilei, oxcellent mathomaticicii » ò nel cod. 1984 della Biblioteca Angelica di Roma, car. 112. Cfr. Voi. X, pag. 399, nota 1 ; pag. 412. nota 2; pag. 464, nota 2, occ. Cfr. puro Voi. IX, png. 231- 272. >*' Cfr., p. o., un luogo dol Diario di Cknark ì’ingiii riforito da A. Sot-KRTI, Gli albori del melodram¬ ma, voi. II, par. I, Ottavio Ilinuecini, Remo Sandron oditoro, Milnuo-Palermo Napoli, pag. 290, nota 1. DOCUMENTI. SESTI LIA » l'OElSSEMA ALBEiiO GENEALOGICO GALILEIANO. I. MATRIMONIO DI VINCENZIO GALILEI CON GIULIA AM MANN ATI. a) Scritta matrimoniale. Pisa, 6 luglio (1662]. Aroh. «11 Stato In Fironzo. Rogiti ili Sor Uonodotto d’Amlroa Bolloviti. Protocollo li, 102C», car. 223 r. — Originale. In Doi nomine, amen. Trovidus vir Lionnua, quondam Cosmi Venture de Amannatis de Piscia, nunc Pisis existcns, inm Bunt anni 2G in circa, in mei otc., apompte et ex certa eius libera et delibe¬ rata Bcientiiv et alias oinni moliori modo otc., iuravit super animam suam et super animam egregio et formoso puello Domino Tulio, filie supradicti Cosmi ot sororis carnaiis supradicti Lionnis, babita prius parabola ab ea sic iurandi, quod ipse facict et curabit ita talitor et cum effectu, quod ipsa Domina lidia accipiet. in suum et prò suo viro et sponso legitiuio providum Vincentium Miolmolis Angeli Ioannis de Galilei», civem Florentinum ; et sub oodem iuramento promisit dare et solvere suprascripto Vincentio, prò dote ot dotis no¬ lo mine suprndicte Domino lidie, scutos centum aureos largos in auro, in tot scutis nureis moneta argentea et pannis linis et lanis, ab uno anno proximae futuro ab hodie etc., in tot scutis moneta et pannis et non alitcr etc. ; et sub eodem iuramento promisit facero ipsi Vincentio et Domino lidie sue uxoria (sic) expensas victus prò supradicto tempore unius anni. Et o converso dictus Vincentiua iuravit ad sacra Dei Evangelia, Scriptum corpora- liter marni tactis, so por totani presentem diem acoaeptare in suam et prò sua sponsa le- gitima supradictam Dondnam Iuliam ; et lmbita supradicta dote, ipsam confdebitur etc.., et faciet donationom propter nuptias et nomine aneto facti supradicte Domine lidie, licet absenti etc., et milii etc., prò ea stipulanti et recipienti, secundum dispositionom Statu- torum Pisanae civitatis etc., quae Statata etc. Et dictus Lionnus, prò dieta dote solvenda, 20 voluit ubique posse capi etc. Obligantcs etc., renuntiantes etc., cum clausulis et quarentigia, rogantes me otc. Actum Pisis, in domo solite habitationis supradicti Lionnis, in cappella Sancti Androae in Po9caiola, presentibus Ludovico Renedicti del Carretta et Iuliano Michaellis Iuliani, civibus Pisanis, tostibus etc., die 5 lulii. » XIX. 3 18 I. MATRIMONIO DI VINCENZIO GALILEI CON GIULIA AMMANSATI. Domina Iulia ox una, et Vincontius ex altera, per verba do presenti contraxcrunt in ter ro matrimouium, co quia gradatim interrogati a me di v'olebant in aeue consentire, n-.ipon- derunt quod sic: ot dictus Viucentius cani dcspon.savit etica anulo aureo, ad laudem et gloriatn oranipotontia Dei et gloriosissimo Genitricis Mario otc., cum clausuln et quuron- tigia, rogantes me etc. Actum, testos ot die ut aupra. 6) Acconti sdlt,a poti:. [Pisa], 8 luglio 1563. BiW. Naz. Pir. Appendici) ai Mas. Gal. Busta intitolata sul dorso: « I. Galileo. Scrittura, Istrumentl, Inven¬ tari otc., appartenenti al inodesimo, a suo padre o a’suoi discendenti, per lo più originali v autogrill », car. 13. — Originalo. ►b Addì 8 di Luglio 1564 Nota di tutto le rohbe et denari che M. a Dorotoa di M.° Cosimo delli Amannati da Poscia à dato a Yincentio Galilei, suo cognato, a conto della doto di Giulia sua Morella. E prima per ordine di I .ioime suo fratello, e prima w E pili, adì 4 di Luglio 1503 al pisano, per setto braccia di raso nero, a ragione di lire tre o soldi 10 il braccio.£ 21 10. E addì li) d’ Ogosto, lire sosauta contanti, per pagaro la gabella della dote > 3 >. * CO. E addì 4 d’Ottobre, lire dieci e meso per lo lino nostrato. * IO. sol. 10. 10 E addì 10 di Novembre, scudi tre d’oro per la pigione della scola. . . > 22. 10. E più, lire setto per contanti. * 7. E per la cera di sua madre. * 15. E por uno braccio et uno quarto di panno. » 9. sol. 7. E addì 15 d’Aprilo, lire trentaqnatro por andare. » 34. E addì 28 di Giugno. 4. 186.17. Resta debitore di questo conto di £ 125,10. Item, per libre 4, oncie 4, di trama cruda, a £ 18 libra, monta .... £ 78. Item, per uno ducato d’oro. * 8. 20 Item, por uno ve/.o d’oro o dua di porlo. » 98. Item, por una vesto di raso bigio. » 140. Item, por una vesto d’ermisino. » (!2. Item, per uno mocaiardo verde. » 40. Item, per una saia verde. * 28. Gl Di stilo pisano. documento originale, rotativo a questo pagamento, in <*> Rimane cosi in tronco £ 59.2.6, arrotondato, come si vede, iu liru bus- tal A car. 4 dolla Insta citata qui sopra si lin il salita. I. MATRIMONIO DI VINCENZIO GALILEI CON GIULIA AMMAN NATI. 19 Itcm, per una sotanola. £ 14. Itcm, per uno fassoletto da capo. » 15. Item, per cimque grembiali. » 95. Tieni, per uno colletto rosso. » 10. Itcm, per uno colletto increspato. » 5. 30 Ilcm, por 18 fassoletti . » 10. Itcm, per una scuffia lavorata di nero. » 0. Itcm , per dua collctti. » 2. Itcm, per dua colletti lavorati. » & Itcm, por dua cuffie lavorate. » 2. Ilcm, per sei pessuole o so’ cuflio. » G. Itcm, per una cuffia et uno colletto. » 1. Itcm, per coralli e bottoni. » U. 570 125 095 c) QuiTANZA I) E li li a dote. Pisa, ‘22 ottobre 15 G 3 . Arch. di Stato in Firenze. Rogiti di Sor lionedotto d’Androa Bollovili. Protocollo /», 1027, cnr. G3r. — Originalo. Cum sit quod alias, et sub dio quinta mensis Iulii anni 15(53 stilo pisano, Lionnus condoni Cosmi Venture de Anmnnatis do Piscia, Pisis familiari ter conunorans, promiserit Vincentio Micliaelis Angeli Ioannis de Galilcis, civi Fiorentino, prò dote et dotis nomine Domine lidie, sororis germane supradicti Lionnis et uxorie diot.i Vincentii, scutos centum aureos largos in auro, in scutis aurcis moneta argentea et pannis linis et lanis, timo ali uno anno proximac futuro, in tot moneta scutis aureis et pannis linis et, lanis; et etiam dictus Lionnus promiserit facere expensas victus supradicto Vincentio et Domine lidie oius uxori prò supradicto anno l une proximae futuro, ut constat per instrumentum roga¬ timi a me sub dieta die et anno supradicto; et cum ipse Vincentius habuerit supradictos 10 scutos contimi a supradicto Lionne, et etiam sit et vocet se satisfactum de obligatione victus sibi factain per dietimi Lionnem; et volens coniiteri ipsntu do te ni, ut decol.; bine est quod badie, hac presenti infrascripta die, Vincentius supradictus, in mei notarii pnblici testiumque infrascriptorum presontia personaliter constitutus, spompte et ex certa eius libera et deliberata scientia, et alias ornili meliori modo quo potuit et sibi licuit et licet ctc., ad interrogationem etc. mei notarii pnblici, pvesentis et stipulantis etc. prò supradicta Domina lidia, uxoro supradicti Vin- ccntii, et prò Lionne fratre germano supradicto Domine lidio etc., fuit confossus supra¬ dictus Vincentius se Imbuisse et recepisse a supradicto Lionne, licet absente, et mibi otc., prò doto et dot is nomine supradicte Domine Iulio cius uxoria, scutos centum aureos largos 20 I. MATRIMONIO DI VINCENZIO GALILEI CON GIULIA AMMANNATI. in auro, in tot Bcutis aureis et pannis linis et lanis bene facientibus nipradictam «ammani co acuto rum centum aurei largurum in auro; et inde fuit oonfessus «e Imbuisse victuB prò supradicto anno sibi promisso a supradicto Lionno, licet absente etc., et rmhi prò eo sti¬ pulante etc. : de quibus soutis centum aureis et de vieta supradicti anni, prò dote diete Domine Iulie, dictus Vincentius vocavit se bene quietimi, eolutum et nati.-factum etc.; et inde ipsum Lionnem, licet absentem et mihi etc., prò dieta dote quitavit, ahsolvit et liboravit; et dictum instrumentum promisionia dotis, roga tu m amo sub dieta die et anno supradicto, in illa parte in qua apparebat debitor supradictua Lionnux, ca Mivit et animi- lavit etc., cum pacto otc., perpetuo etc.; et faecit donationem, propter nuptia» et nomine antefaoti, supradicto Domine Iulie, licet absenti et mihi etc. prò ea stipulanti et recipienti; et promisit restitutionem dictae dotis iu omnem eaBum et eventum dirti matrimoni! et dotis :to restitueude etc., sccuudum dispoeitionem Statutorum Pisano civitalis etr.; quae Statutn etc. servari voluit etc., ad paenam dupli etc., quae pacna etc., qua paena etc., et nihilomi- nus etc. ; et dictus Vincentius prò dieta dote obligavit se et bona sua presenti» et fu¬ tura otc., rommtiando etc., cum clausulis et quaronti^ia, ro^antes me, etc. Actum Pisis, in domo supradicti Lionnis, in cappella Sancti Andreue, prm.senti bus Reverendo Domino Iacobo condam Philippi Del Sctaiolo, canonico Pisane maioris Kc< le->ie. ot Razzerò Iacobi de Lucca, testori drapporum siriceorurn, Pini» exiutenti etc., die 22 Octo- bris etc. 21 IL FITTO DELLA CASA DI VINCENZIO GALILEI IN PISA. Pisa, 9 luglio 1568. a) Contratto dt locazione. Aroh. di Stato In Firenze. Protocollo ili istrirnienti o rogiti di Giuseppe Maria di Simon c di Giovanni Mazzuoli, car. 180. — Originalo. Dominus IoBepk, filius Domini colonolli Antonini Bocca, civis Pisanus, in mei ctc., onmi inro etc., locavit etc. Domino Vincentio Michaelangeli Galilei de Florentia, mine Tisis commoranti, presenti et conducenti eto., domum un ani, solariatam tribus solariis, cura claustro, puteo ot aliis suis portinentiis, sitam Pisis in classo Mercatorum iuxta eius fines etc., reservato magazeno subter dictam domum etc., ad habendum prò uno anno proxime futuro, incipiendo sub die prima mensis Augusti proximi futuri et ut sequi- tur etc., prò pensione scutorum duodecim am i largoruin in auro ; de quibus coram me ad bonum computmn Dominus Iosepli habuit et recepit scutos tres similes, de quibus duo prò dieta parte etc.; et scutum unum profatus Dominus Vincentins solvere promisit sub 10 dieta die prima Augusti futuri, et alios duos in fine sex mensinm a die inceptae loca- tionis, reliquos vero sex in fine anni in denariis tantum etc., sine lite etc., alioquin etc., et omnes expensas etc., et quod possit capi, cogi, etc., Pisis et ubique etc., submittens se etc., obligando etc., renuntiando ctc. Pro quo, et eius precibus, Keverondus Dominus Iacobus olim Filippi Del Setaiuolo, civis et canonicus Pisanus, sciens non teneri etc., volens se obli- gare, intercessit. prò dicto condnctore penes ipsam Dominum Joseph, et solenmiter pro¬ misit quod ipso solvet temporibus predictis, alias de suo proprio etc., obligando in se principaliter et in solidum etc., renuntiando omni inri etc., cuna clausulis et guaranti- gia eto., et taliter me etc. Actum Pisis, in residenza dicfci conciuctoris seti scola, presentibus ibidem Luca magistri 20 Tallii do Guerra///,is, et Andrea Santi» Del Vocino de Pisis, testibus etc. Die 9 mensis lulii 1561, stilo pisano. b) Promemoria dee i.ooatotie. Arch. Agostini Venerosl della Seta In Fisa. Carte Bocca, n. 862, 8, cnr. 100/. — Originalo. Ricordo faccio io Giuseppe Bocca, corno hoggi, questo dì ix di Luglio 1564 al pisano, abbiamo appigionato a Vincenti Galilei, maestro di musica da Fiorenza, la casa nostra posta nel chiuso di Mercanti, per armo uno, il quale debbe accominciar il primo dì d’Ago- sto 15G4, per pregio di scudi 12 d’oro l’anno detto; de’ quali denari ce ne ha datto tre scudi d’oro innanzi, et uno ce no ha da dare il primo dì d’Agosto, et 2 fra sei mesi, et sei alla fine dell’almo: et M. r Iacopo di Fhilippo Del Setaiolo c’è intrato raallavatore, come appare per contratto rogato da Ser Giuseppe di maestro Simone murator, sotto dì detto. 22 III. PROCURA DI VINCENZIO GALILEI a DOROTEA AMMANNATI. Pisa, 22 ottobre [1503]. Avoli. di Stato In Firenze. Rogiti di Sor Benedetto d’Androo Bollcviti. Protocollo lì, 1027, cur. G2(. — Originalo. Providus Vincentius condam Michael ìb Angeli do Galileis, civis Fioroni,inus, nunc Pisin familiariter commorans, in mei notarii publici etc., sponpte ot ex certa scienlia et alias omni meliori modo otc., fecit et constitnifc eins veram ctlegitimam procnratriceni etc. lione- «tam mulicrem Dominam Dorateam, filiam condam Cosini do Piscia, Pisis familiariter oxi- stentom, licefc absentem etc., sed tanquam prosentem et.c., specialiter et oxpresse ad oxi- gondum, recuperandum et rehabendnm a Nobili Domino Bernardotlo de Maedicis potia Boptem drapporum 8Ìriceorum, venditorum per dictum Vincentium constituentem supra- dicto Domino Bernardo de Maedicis prò sunnna scutorinn 280 anri monete; do qua stimma scutorum 230 monete ipse constitnens recepit a supradicto Domino Bernardo scutos 8eptuaguita moneto, videlicet in una manu scutos vigiliti monete et in alia manu scutos lo quinquaginta similes, adeo quod ascendunt ad dictam summam scutorum scptuaginla mo¬ nete etc.: quae petia drapporum sunt, ut dixit et sponpto confossus fuit ipse Vincentius constituens,ip8Ìus Domine Doroteae etc. Item ad restituendum dietimi protium scutorum 70 , liabitorum per dictum Vincentium, supradicto Domino Bernardo, et ad so componcndum et concordaudum cum ipso Domino Bernardo do dictis drappis, prout et sicut diete Do¬ mine Doratee yidebitur et placepit etc. Item, ot quatenus opus sit prò talibus drappis robabendia, comparendnm in iudicio coram quocunque bulico et indicante, tara ecclesia¬ stico quam seculari etc., et tara in agendo quam in defemlendo, cum quibuscumquo pcr- bouìs et locis, et oninca et singulos actus et processus faciendnui, tatti active quam passive, qui sub verbo agore et causat i comprohenduntur, usque ad finem, et ad appcllaiulmn et 20 appcllatioucm prosequenduni etc., procuratoremquo unum voi plures, cum simili aut limi¬ tata potestato, substituendum etc., et generalitor etc., dans etc., promittens cte., rcuuii- t.ians etc., rogans me etc. Actum Pisis, in domo supradicte Dominao Doratcao, coram et prcsentibus Venera¬ bile ao Reverendo Domino Iacobo condam Domini Philippi Del Setaiolo, canonico Pisano maioris Ecclesie, et Lazero condam lacobi do Lucca, testibus eie., dio 22 nioiisis Uclo- bris etc. 23 IV. NASCITA E BATTESIMO DI GALILEO. a) Fiuuhk dblla natività. 1 . Bibl. Naz. Fìr. Mss. Gal., P. I, T. I, car. 190r. — Di mano del soc. XVII. Galileo di Vinc. 0 Galilei. Copia di ricordo o di calculo, che non si sa donde uscito nò da chi fatto ; uè anco se il calculo consuoni col ricordo, non essendo riscontrato. Alii D. H. M 15. 3. 0. p. ra. d 2 . >(. morì 1641 ^ 8 Gemi. 0 lior. 4 di n. s. (?) Io non ho efemeridi più antiche che quelle dell’anno 1564, che fu bisestile, e veggo che il soprascritto calculo si accomoda al dì 15, non al dì 19 Febbraio, che more Fiorentino 10 era 1563, et more Romano 1564. Del Febbraio 1563 more Romano non ho elemeridi, e al Febbraio 1565 more Romano non si accomoda il calculo detto. (M l)i stile floreutiuo. IV. NASCITA E BATTESIMO DI GALILEO. 24 2 . Blbl. Nasi. Fir. Cod. Magliabechiano II. 105, car. 58?. — I)i mano dol soc. XVII. Il storno .lolla nascita era, originariamente, 15 audio in questa figura; ina il 5 di 15 fu corrotto in 6‘ con inchiostro più chiaro: il elio ò manifestissimo noi ms. Avvertasi anello la forma doli’« «li /«, la quale, «uciido diversa da quella dogli altri S elio koiio nella figura, o indizio dolla correzione <*> Un’ altra figura della natività di Gat.ij.eo è noi cod. Magliabocliiano Cl. XX. 8. 8, car. 50r. ; o una quarta di sull’ originalo, rinvenuto tra le carte di Orazio filo r ardi, fu riprodotta da G. Campo- RI, Carteggio Galileiano inedito, nello Memorie della 11. Accademia di scienze, lettere cd arti in Modena, Tomo XX, Par. 11, Modena ISSI, pag. 534. Anche questo duo figuro sono di inane dol soc. XVII, o fis¬ sano la data della nascita di Gami.ko al 15 febbraio 15G4, oro 8 pomoridiane. Cfr. Sul giorno della nascita di Galileo, nella Miscellanea Galileiana inedita, studi o ricorche di Antonio Favaro (Memorie del 11. Isti¬ tuto Veneto di scienze, lettere cd arti, Voi. XXII), Vo- uozia, 1887, pag. 703-711, IV. NASCITA E RATTISSIMO DI GALILEO. 25 b ) Atto di battesimo. Pisa, 19 febbraio 1564. Avoli, della Primaziale in Pisa. Libro doi battezzati, sognato C, car. 3Gf. (j)tfa&h4 Ito- efÙ-rfì- ftu- àcs7rrn\. éfotfrr&ri-c 6/cém/eH Jrter. t?nr • }*tu.-f/rrVc r y -&n Ma xix. 4 26 V. CONTI TRA VINCENZIO GALILEI E MUZIO TEDA LUI. a) Conto oobrbnte 1572-1574. [Pisa], 11) novembre 1574. Bibl. Nass. Fir. Appendici) ai Mss. Ual. Busta citata al n." 1, i), car. 7. — Autografo di Muzio Tkdauu. 4- Yhs. 1Ó72. 4 Yhs. 1572 . Mess. Vinc. 0 Galilei de’ dare Mess. Vino. 0 di contro do’ ha- por resto di suo conto per vere a dì 29 di Maggio 1574 tutto dì 6 di Giugnio 1573 (1> , £ quattordici per lui dal pro¬ ni libro C, c. 1G2.£ — 5. 8. caccio contanti.£ 11.- E n dì primo di Maggio 1574, E a dì dotto, per tanti pagò £ 7.6.—, per br. 3 di ra- per ino a Francesco Giacchi » 35. L — scotta nera e altro, levato in E a dì 24 di Settembre, per 2 fiera c mandata a Firenze. » 7. 6.— mute di sui libri w venduti > 2. 5. lo E a dì 17 detto, per br. 15 di - E a dìprimo di Ottobre, £ otto, ciambellotto nero, mandato sol. 8, so li fanno buoni per come sopra.» 29.-l’aggio di V 42 d’oro catti- E a dì 29 detto, pagati al Monto biati.» 8 . 8. — por riscuotere j a turca n.“. » 13. 8. — E a di 15 detto, per lui da E a dì 26 di Settembre, per ca- Mess. Ipolito Seta. • 5.- lisea bigia por Galileo ...» 23.-E a dì 20 di Dicembre, por lui E a dì detto, per feltro, tela o dal procaccio.* 7.- bottoni per M." Giulia . . . » 3.- E a dì 9 di Gennaio, pagò per E a dì detto, £ sette, portò me a Francesco Ciacchi (S) . . > 50.- 20 M. a Giulia contanti. » 7.- E a dì 3 di Febraio, por lui da E a dì 23 di Ottobre, per lib. 35 M. a Doratea contanti.... » 85.- di lino lombardo. » 15.15. — E a dì 6 di Marzo, pagati per E a dì 24 detto, por un sacco di me a Francesco Ciuciti. . . > 4«.- grano fatto farina per detta E a dì 9 di Novembre, portò » 8. 9.- £ 204.17. — Galileo per il maestro . . . E a dì 11 detto, portò M. a Giu- b 5.- lia contanti. b 7.- <*) Questo e gli altri millesimi, noi presento con to, sono ili stilo pisano. <*> Franimi >. Dialogo (li Vincrjjtio 6At.tt.tu Fio rontiuo. Noi qualo si contougono Io vero et noces sarie regolo ilei intavolare la musica noi liuto, l'osto niiovameuto in luco et da ogni orrore ommetnlato. In Venezia, appresso Girolamo Scotto, MDBXVI11. < 8 > Cfr. Voi. X, n.° 1, lin. 12 o seg. V. CONTI TRA VINCENZIO GALILEI E MUZIO TEDALDI. 27 E a dì 27 detto, £ 12. 19. 4. 30 spesi in 4 partite, cioè sol. 13. 4. per j° paio di zoccoli ; £ 3.6. per spinotto, bottoni e altro per M. a Giulia; e £ 4. pagati al sarto per la detta; o £ 5 per fattura do’ panni di Galileo: in tutto.£ 12.19. 4. E a dì 30 detto, £ dieci, sol. 6. 8, cioè £ 9, portò M. a Giu¬ lia contanti, o £ 1. G. 8 per ■10 j a dramma di riobarbaro al Montecat. (?).*> 10. G. 8. E a dì 11 di Dicembre, portò M. a Giulia contanti.» 8.- E a dì 12 detto, £ cinque, portò Galileo per il maestro ...» 5. — — E a dì 14 detto, per lib. 50 di lino alexandrino.» 22.10. - E a dì 18 detto, portò M. a Giu¬ lia contanti.» 4. — — 00 E a dì 20 detto, portò la detta contanti.» 7.- E a dì 31 dotto, portò la detta contanti.» 8.-- E a dì 9 di Gennaio, portò Ga¬ lileo per darò al maestro, . » 5. — — E a dì 15 detto, portò M. a Giu¬ lia contanti.» 7.-• E a dì 18 detto, pagati per lui a Alex. 0 del Piastra.» 5.- 00 E a dì 27 detto, portò M. a Giu¬ lia contanti.» 14.- E a dì detto, per lib. 100 di lino alexandrino.* 43.- E a dì 6 di Febrario, £ 7, portò M. n Giulia e £ 5 Galileo (,) . » 12.- E a dì 9 detto, per sacca j° di grano fatto farina (f >.» 8.10. — E a dì 12 detto, portò M. a Giu¬ lia contanti.» 7.- <»> Cfr. Voi. X, n.» 2, li». 3-4. < 2 ) Cfr. Voi. X, n.« 2, lin. 5-8. 28 y. CONTI TRA VINCENZIO GALILEI E MUZIO TEDA LUI. 70 E a dì 16 detto, portò M. & Giu¬ lia contanti.£ 8.- E a dì detto, per nn paio di scarpe, portò il Grasso, por gabella.» 1.10.— E a dì 25 detto, portò M.* Giu¬ lia contanti.» 7.- E a dì 3 di Marzo, portò M* Giulia contanti.» 10.- E a dì 12 detto, per some una 80 di vino per la detta. > 10.- E a dì 21 detto, portò M." Giu¬ lia contanti.* 3.- E a dì primo di Aprile, per br.4 di perpignano bianco, levò detta .» 1 . 2. — E a dì 13, £ quattro, portò M. ft Giulia; e £ 15 son per lib. 31 di lino lombardo: in tutto.i> 10.-■ 00 E a dì 15 di Aprile, portò M. a Doratea per M. a Giulia » 4.-- E a dì 24 dotto, portò M* Giu¬ lia.i> 7.- E a dì 30 detto, portò M * Giu¬ lia detta. t> 7.- E a dì detto, per lib. 75 di lino lombardo per detta.» 34.- E a dì 5 di Maggio <•>, £ sotto, portò M. a Giulia.» 7.- 100 E a dì detto, portò Galileo per il maestro.» 5. — — E a dì 15 detto, portò M. a Giu¬ lia.* 7.- E a dì 16 detto, per perpignano incarnato o altro, e per il sarto per conto di Galileo, cioè per fattura di panni o soppanni : in tutto. j> 15. 2. 8. E a dì lt) detto, portò IVI.* 1 Giu¬ lio Ha contanti.& 5.-. E a dì 20 detto, portò la detta » 11.10. 8. I r * m a avova scritto « dì ó dello, poi corrosso « dì 5 di Maggio, senza cancellare detto. V. CONTI TRA VINCENZIO GALILEI E MUZIO TEDALDI. 29 E a dì 24 detto, per la vettura do’ cavalli, e dati a detta con¬ tanti .£ 22.- E a dì 14 di Giugno, per lui a M. a Doratea contanti .... » 3. 2. — £ 486. 3.— E do’ dare a dì 16 di Giugnio, hauti dal Giacchi,.£ 14.- 120 E a dì 25 di Luglio, £ sette per suo ordine a M. a Dora¬ tea contanti,.» 7.— — E n dì 6 di Agosto, hauti per me da Francesco Ciacchi, . » 28.- E a dì 24 di Settembre, pagati per fattura di canne x di tela, >■> 9.13. 4 E a dì primo di Ottobre, £ una per gabella di detta tela, . » 1.- E a dì 15 dotto, hauti da Fran- 130 cesco Giachi,.» 70.- E de’dare £ quattordici pic¬ cioli, tanti si fa debitore per li aggi dalli V 70 che mi acco¬ modò d’oro, do’quali, per es¬ ser leggieri, si cambiorno a £ 7.10 l’uno solamente, et da lui mi fumo conti £ 7.14 — ; però so ne fa debitore . . . » 14.-- E do’ dare per tanti mi fa do- 140 hitore Gazerò spctiale, per medicine date a Galileo, . . » 5.- £ 148.13. 4. £ 486. 3.— £ 634.16. 4. £ 204.17. — £ 429.19. 4. Por questo conto, come potete vedere, mi siate debitore di £ 429.19.4. Voltate f‘). <•) Fin qui il conto è scritto sul redo (lol foglio, il resto è sul tergo. 30 y. CONTI TRA VINCENZIO GALILEI E MUZIO TEDALDI. + YJiS. 1575. 160 Mess.Vincentio Galilei de’dare per resto di un altro conto, come in questo.£ 429.19. 4. E de’ dare per la valuta di staia dodici di grano, hauto per mo da Francesco Giacchi, del mio ricolto a Rovezano, valutasi.£. (,) -|- Yhs. MDLXXV . Mess. Vino. 0 Galilei di contro de’ bavero scudi quaranta- dua d’oro in oro larghi, lassatomi in contanti a dì 21 di Settembre 1574, sono £ 315.- E do’ bavere por l’interessi di V conto di moneta, tengo di suo in roano por anni dua finiti per tutto Settombro Drossimo passatoW, a ra¬ giono di 7 per cento l’anno, sono.. * 98.- E do’ bavero per l’interosan di altri dua anni, da finirò per tutto Settombro 1577, di detti scudi cento come sopra,.» 98.- 11 credito è.£ 511.—.— 11 debito è.£ 429.19. 4 ICO Saresti creditore di ... £ 81.—.8 Come vedete, siate mio creditore di £ ottantuna o don. 8, do’quali si ha diialcnro la valuta delle staia dodici di grano, hauto dal Ciacchi; elio pagandovi il resto sino a detto £ 81.—.8, sarete satisfatto sino a tutto Settembre, che debbo tenere e’vostri V 100, dell’anno adveniro 1577. Potreto riscontrare con le mie lettore, che sta così giustamente. 11 dì 19 di Novembre 1575. Vostro Muzio Tedaldi, in Pisa. b ) Obbligazione di Muzio Tedaldi verso Vincenzio Galilei. Pisa, 7 novembre 1574. Cibi. Naz. Pir. Appendice ai Mss. Gal. Dusta citata al n.» 1, l), car. 20. — Autografo. -h Yhs. 4- Addì vii di Novembre 1575 P>. Io Mutio di l'ederigo Tedaldi, Fiorentino, in virtù di questa presento, mi chiamo vero c legittimo debitore di Mess. Vinc. 0 di Micbelagnolo Galilei, Fiorentino, di V cento di <•> Così noi documento. Q ll0S t 0 0 gli altri millesimi, noi presente <*> Cfr. Doc. V. I). documento, sono di stilo pisano. y. CONTI TRA VINCENZIO GALILEI E MUZIO TEDALDI. 31 moneta di £ sette per scudo, quali da esso Mess. Vino. 0 sino il dì primo di Ottobre 1573 mi fumo gratis et amore accomodati in presto per anni dua; i quali sondo finiti sino a dì primo di Ottobre proximo passato 1575, si rinnova dotta schritta latta all’bora: la quale sia di nullo valore insieme con un’altra che in difetto del procaccio si ò persa con le let¬ tere del medesimo tenore, et questa solamente vaglia e tenga, sondo che tutto contiene una 10 medesima somma. I quali V cento prometto restituirli liberamente a detto Mess. Vinc. u fra dua altri anni da finirsi il primo di Ottobre 1577, seenza eccetione nessuna; et per ciò obrigo ine o mia heredi e beni presenti et futuri, sottomettendomi etc. Et in lede ho fatto la presento di mia propria mano, questo di e anno sudetto, in Pisa. V 100. 32 VI. GALILEO SCOLARO NELLO STUDIO DI PISA. a) Immatricolazione tra gli scolari artisti. Pisa, 5 settembre 1581. Avoli, di Stato in Pisa. Università, n. 42; Liber Matriculae, u. 2, car. 52r. — Originalo. 5 7b. 81. Galileus Vino. 11 Galilei fior. 8 art. a l >) Rotolo dello Studio di Pisa per l’anno 1584-85. Blbl. Rlooardiana in Firenze. Coti. 2467 (nuli cartolato). — Copia ili mano sol soc. X VII. Jlolulus almi et foclicis Studii Pisani currcntis anni 15S5. Theologiam. M. Iacobus de Plebe, Ordinis ServorumW.fi. 125. M. Marianus do Gubbio, Ordinis S. Franchici. '■> 80. Ordimriam Itiris Canonici de mane. D. Donatus Malagonnella, Florentinus. » 200. D. Capponus Capponius, Florentinus. » 200. Or dinar iam Iurta Canonici de sero. 10 D. Simon Petrus Pitta, Pisanus. » 150. D. Iosepli Bocca, Pisanus. ?» 95. Ordinariam Iurta Civilis de mane. D. Petrus Calefatus, Pisanus. » 500. D. Guerrinus Soacius, Patavinus. » G00. D. Io. Baptista Honestius, Pisciensis, fi. 400, aumento 50, . >» 450. 2. Tra Jlor* o art. a si leggo, cancellato, /,<*. — U) Una postilla marginalo, (lolla stossa mano, dico : « 2 anni assento il lialdosio ». VI. GALILEO SCOLARO NELLO STUDIO Di RISA. 33 Ordinariam Iurte Civilis de sero. D. Micron imus Papponius, Pisanus.. . (1. 300. 1). Pmuphilus Colombinus, Senensis. » 400. D. Frauciscus Bertinius, Collensis, fi. 145, aumento 50, .. » 105. 20 Extraordinanam Iuris Canonici de sero. D. Vincentius Mazzuolius, Pisanus. s> 70. D. Petrus Soacius, Patavinus 0). Extraor dinar iam Iurte Civilis de mane. D. Petrus do Niccolais, Pisanus. » 00. D. Hippolitus Accoltus, Aretinus. s> 100. D. Evauder Benvolentius, Souousis. » d5. Criminalìa. P. Lucius Staticinius, Collensis. » (50. Focuda. 30 P. Io. Rapii sta Guarnerius, Pisanus. j> 40. Inslilutionis Iuris Civilis de mane. 1). Petrus Paulus Perinus, Pisanus. » 70. I). Philippus Bouaventurius, Florentinus. *• 45 D. Ioannos Conipagnus, Florentinus. » 45. D. Frauciscus lo. Vittorii, Florentinus. » 45 Inslilutionis Iuris Civilis de sero. 1). Alexander Sanrainiatollus, Pisanus. r> 45. I). Antonius Magnanius, Pisanus. » 45. I). Petrus Fabbronius, Florentinus. » 45. 40 Medicinam Super ordinariam. I). Andreas Camutius, Mediolanensis. » 1000. Theoricam Ordinariam Mcdicinac. D. Daminnus Dias, Lusitanus, fi. 200, aumento 50, . j> 250. 1). Hieronhnus Vectius, Pistoriensis. » 165, I). Rodericus Fouseca, Lusitanus. » 200. O: È lasciata in bianco l’indicazione dolio stipuudio. XIX. r, 34 VI. GALILEO SCOLARO NELLO STUDIO DI PISA. Praticavi Ordinariam Mcdicinac. I). Andreas Cesalpinia, Aretinus.fl- 350. I). Iulius Angelus, Bargene. » 350. 1). Joseph Capannolus, che fl. 50 d'aumento, . » 140. r,o Teoricam Extraordinariam. D. Paulus Tonsius, Mediolanensis. » 45. D. Hippolitus Sestinius, Bibbienensis. & 45. Philosophiam Ordinariam. D. Hieronimus Borrius, Aretinus. 450. 1). Franciscua Verinus, Fiorentina. » 450. D. Franciscua Bonamicue, Florentinus. s* 280. Philosophiam Extraordinariam. I). Clemens Quarantotti^, Pisanua. s> 190. D. Iulius Librine, Florentinus. » 1UV co Lofficam. D. Ioannes Talentonius, Fivizzanensis. p HO. D. Andreas Beliavita, Pisanua, la prima volta nel ruolo (*>,. » 45. Logicam. M. Silvanus, Ordinis Servorum. » 45. M. Io. Domimene Melia, Sardus, Ordinis S. Francisci. » 45. Mctaphisicum. M. Franciscua Pisanua, Augustinianus. > 160. M. lo. Baptista de Budrio, Ordinis Servorum. p 160. Simplicium Mcdicinam. 70 D. Baldellu8 Baldellius, Cortonensis. » iqo. Mathcmaticam. 0. Philippus Fantonius Florentinus, Ordinis Camaldulensium, aumento fl. 25,. . & 125. Anoihomiam. I). Antonine Venturinius (S> . » 150. (l ' Postilla intorliuoaro : « Mori noi 1625, a’20 **' Postilla intorliuoare : « mori avanti il ruolo di Marzo ». lo s t.” ». VI. GALILEO SCOLARO NELLO STUDIO DI PISA. 35 Chimrgiam. D. Ioanncs Ruschius, Pisanus.fl. 90. Gracca et Latina. D. Petrus Angelius, Bargeus 6). » 400. et prò eo 80 D. Dominicus Mancinius, Cortoueusis . Hcbraicam. 1). Franciseus Benedictus, Florentinua. » 50. Studio di Firenze Nihil innovatum est. 26 Ottobre . In tutto . c) Spese per ir, mantenimento di Galileo. 1684-1585. Bibl. Naz. Fir. Appondice ai Mss. Gal. Busta citata al n.» I, ò), car. 6. — Ciascuna quietanza autografa, -f- A dì 29 di Xrobre 1584. Io Basi 1 * 0 di Vinc.° Ferrini ho riscieuto da Mesa. Vinc.® Galilei, £ diciotto piccioli contanti, per conto del vitto per Galileo suo figliuolo, che tiene per Mess. Mutio Tedaldi in Pisa a sue spese.£ 18.- E a dì 26 di Gen.° da detto Mese. Vino. 0 £ diciott.o piccioli, recò contanti. » 18.- E a dì 27 di Febbraio dal detto Mess. Vinc. 0 £ diciotto piccioli a me Lo¬ renzo Sennini per il medesimo conto.» 18. — — Io Cosimo q. Lioni ho rie. 0 questo di G d’Aprile £ diciotto piccioli da Vinc. 0 Galilei, quali mi paglia per Mutio Tedaldi.» 18.- 10 Io Ulivieri Ulivieri ho r.° questo dì 4 di Maggio £ diciotto. E ricevo da Vinc. 0 Galilei, r. t0 Cosimo Lott. nl .» 18.- i‘> Postilla marginalo: « Noi 1585 erodo morissi pendio. Tictro Vettori ». ,3 > Postilla marginale: « Diasoli fl. 100, o viva < 2 > È lasciata in bianco l'indicazione dolio sti- da por sò fuori di Sapienza >. p 610. » 9900. 56 VII. ISTANZA A NOME DI GALILEO TER LA LETTURA DI MATEMATICA NELLO Sìl DIO DI DOI.oiiNA. 1587. Ai'oh. di Stato In Bologna. Arch. FoaMclo. AninUri* di Stadio. K.»*j ->ti do I eonc rrontl alla Let¬ ture.— Originalo. 15 £ 7 . Mathematico Fiorentino raccomandato dal S. r Artoni. M. Galileo Galilei, nobile Fiorentino, piovane d’anni 2o incirca, A istruttissimo in tutte le scienze matematiche, cd è allievo ili M. (Htilio Ricci, huomo segnala¬ tissimo e provvisionato dal Gran Duca Francesco di l'elice memoria, ilei quale ci sono anco fedi in commendazione del valor di questo piovane. Fu condotto alla lettura pubblica di Matematica in Siena; s é rseicitato avuti privatamente, cd ha letto a molti gentiluomini e in Firenze c in Siena ’. K di grandissimo giu- dicio in questo c in molte altre cose nelle quali ha posto studio, come in parti¬ colare nell’ Umanità o nella Filosofia e in altro belle qualità. Al pn ente domanda io e desidera la lettura di Matematica in questa città, offerendosi prontamente a concorrere nel merito con qual si voglia altro di questa professione, in qualunque modo bisognerà. Fuori: Per M. Galileo Galilei Fiorentino, raccomandato al S. r Gin. dalI'Armi™. <*> Cfr. in questo stesso volume, psg. 46. «*• Cfr. Voi. X, o.« 11. 37 Vili. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI HSA. a) Rotoli dello Studio di Pisa per oli anni 1589-90 e 1590-91. Bibl. Riccardiftiia iu Firenze. Cod. 2467 (non cartolato). — Copia di mano dol soc. XV1T. 1589. Rotultis almi et fclicis Studii Pisani currentis anni 1589. Theologiam. M.lacobus de Plebe, Ordinis Servorum.. . 0. 150. JV1. Lolius de Medicis, Placentinus, Ordinis S. Francisci. > 80. Sacrarti Scripturam diebus Iovis et fasti s. M. Prosper Rosettus, Florentinus, Ord. Servorum (l) .. Ordinarìam Iuris Canonici de mane. D. Petrus de Niecolais, Pisanus. » 120. io D. Hippolitus Accoltus, Àretinus. » 125. 1). Ioaunes Uguecionus, Florentinus. > 120. Ordinaria/m Iuris Canonici de scro. D. Simon Petrus Pitta, Pisanus, aumento fi. SO, . > 170. D. Joseph Bocca, Pisanus. > 100. D. Philippus Bonaventurius, Florentinus. > 100. Ordinariam Iuris Civilis de mane. D. Guerrinus Soacius, Patavinus. » 050. D. Io. Baptista ITonestius, Pisciensis. > 480. D. Franciscus Bertinius, Collensis. » 240. 20 Ordinariam Iuris Civilis de sero. D. Sforza Oddus, rerusinus, in prima cathedra, ut supra in precedenti anno > 000. D. Hieronimus Papponius, Pisanus. > 350. D. Pamphilus Colombinus, Senensis. > 400. 20. Ord. Tur. Can. de erro — (U È lasciata in bianco l’indicazione dallo .itinandio. 38 ■Vili. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI l’ISA. Extraordinariam Iuris Canonici do sero. D. Vincentius Mazzuolus, Pisanus.fi. 85. I). Taddeus Soacius, Patavinus. > 45. Instilutiones Iuris Givilis de mane. D. Petrus Paulus Perinus, Pisanus. > 100. D. Franciscus Balduinus, Bargeus. > 45. co 1). xVngelus Guarresius, Aretinus. > 45.* Extraordinariam Iuris Civilis de mane. D. Ciprianu8 Pagnus, Pisanus. > 70. 1). Lonardus Colombinus, Senensis. > 45. Institutimes Iuris Civilis de sero. I). Alexander Sanminiatellus, Pisanus (,) . > 45. D. Antonius Magnanius, Pisanus. > 45. Teoricam Ordinariam Medicinae. D. Iulius Angelius, Bargeus. > r>00. D. Damianus Dias, Lusitanus. > 250. 40 D. Rodericus Fonseca, Lusitanus. > 200. Praticarti Ordinariam Medicinae. I). Andreas Cesalpinia, Aretinus. > 400. D. Iose.ph. Capannolus, Pisanus, aumento fi. HO . > 170. Teoricam Extraordinari am. D. Petrus Lupius, Pisanus. > 45. D. Io. Baptista Cartnenius, Bagnonensis, nunc primula in albo. > 70. Philosophiam Ordinari am. D. Franciscus Verinus, Florentinus. » 450. I). Franciscus Bonamicus, Florentinus. > 330. co D. Iacobus Mazzonus, a Cesena. > 500. Philosophiam Extraordinariam. D. Iulius Librius, Florentinus. > 100. D. Tiberius Bellavitus, Pisanus. > 45. 34. In»t. Tur. Civ. do mane — Postilla marginalo, (lolla stossa mano: e Pietro Sali io beui. Serioso, cercò supp.» por IustituU ». Vili. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PISA. 39 Logicavi. D. Ioannes Talentonius, Fivizzanensis.fi. 200. D. Leo Mauritius, Aretinus. > 45. D. Ptolomeus Nozzolinius, Florentinus et Pisanus. > 45. Methaphisicam. M. Io. Baptista de Budrio, Ordinis Servorum (l) . > 1G0. co et prò eo (,) Mathematicam. D. Galileus de Galileis, Florentinus, mine primum. > GO. Simplicium Medicinam. L. Baldellus Baldellius, Cortonensis. > 130. Anotomiam et Cìdmrgiam. D. Ioannes Ruschius, Pisanus... » 150. Greca et Latina. D. Dominicus Mancinius, Cortonensis. * 150. Ilcbraicam. 70 D. Franciscus Benedictus, Florentinus. > 100. Firenze. In tutto con Firenze . > 8980. 1590. Rotidus almi et felicis Studii Pisani currentis anni 1590. Theologicm. M. Iacobus de Plobe, Ordinis Servorum.fi. 150. M. Lelius do Medicis, Placentinus, Ordinis S. Francisci. > 80. 57. Nozzolìue — (*) Postilla marginale; * Obiit 1590 Romao ». < 5 i Rimario così in tronco noi ma. 40 Vili. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO Di l'ISA. Ordinciriam Iuris Canonici de mane. D. Petrus de Niccolais, Pisanus.fl- 120. so D. Hippolitus Accoltus, Arctinus. > 12;'). D. Ioannes Uguccionius, Florentinus. > 200. Ordinariam Iuris Canonici de sero. D. Simon Petrus Pitta, Pisamis. > 1^0. I). Iosepli Bocca, Pisamis. * PIO. D. Philippus Bonaventurius, Florentinus, aumento fi. 25 . > 125. Ordinar iam Iuris Civilis de mane. D. Guerrinus Soacìus, Patavinus (1) . - 080. D. Io. Baptista Ilonestius, Pisciensis. > 480. D. Franciscus Bertinius, Oollensis. > 240. oc Ordinariam Iuris Civilis de sero. D. Sforza Oddus, Perusimis. > 600. D. Hieronimus Papponius, Pisanus. > 340. D. Pampliilus Columhinus, Senensis. > 470. Extr aordinar iam Iuris Canonici de sera. I). Vincentius Mazzuolus, Pisanus. > 85. D. Taddeus Soacius, Patavinus. > 45. Extraordinanum Iuris Civilis de mane. I). Ciprianus Pagnius, Pisanus. > 70. D. Leonardus Colombinus, Senensis. > 45. ìoo Institutioncs Iuris Civilis de mane. D. Franciscus Balduinus, Bargeus. > 45. D. Angelus Guarresius, Àretinus. > 45. D. Ottavius Compagnius, Pistoriensis. > 45. Institutioncs Iuris Civilis de sero. D. Alexander Sanminiatellus, Pisanus. > 45. D. Antonius Magnanius, Pisanus. > 65. i 1 ' Postili» marginalo: « Obiit 1591, pri 280. no D. ltodericus Fonseca, Lusitanus. > 230. Prati cani Ordinariam Medichine. D. Andreas Cesalpinus, Aretinus. » 400. I). loscph Capannolus, Pisanus. > 170. Theoricum Extraordinari ani. D. Petrus Lupius, Pisanus. > 45. JL). lacobus Lavellius, de Castronovo, nunc primum, eletto di nuovo ... > 45. Philosophiam Ordinariam. D. Franciscus Vcrinus, Florentinus, exeraptus (,) ,. > 300. 1). Franciscus Bonamicus, Florentinus. > 330. i 2 o I). lulius Li brius, Florentinus. > 160. I). lacobus Mazzonus, a Cesena. > 500. Philosophiam Extraordhmriam. D. Andreas Bellavitus, Pisanus. > 45. D. Tibcrius Bellavitus, Pisanus. > 60. Logicarti. D. Ioannes Talentonius, Fivizzanensis, aumento fi. 25 . > 225. 1). Ptolomens Nozzolinius.*. . . . > 45. D. Leo Mauritius, Aretinus, aumento fi. 25 . > 65. Methaphisicam. ìoo M. Io. Baptista de Vissi, eletto di nuovo , Augustinianus, dì anni SS. . . > 60. M. Prosper Rosettus, Ordinis Servorum, qui legit etiam Sacram Scrip- turam solitis diebus. > 80. Mathematicam. D. Galileus de Galileis, Florentinus. s 60. 127. Nozzoliut — (*) Postilla marginalo : t si paghi al (lotto fino yìvo, onooc oh« non lugga ►, XIX. 6 42 Vili. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PISA. Simplicium Medicina-m. D. Baldellus Baldellius, Cortonensis.d. 130. Anotomiam et Chmirgiam. D. Ioannes Ruschiua, Pisan.. > 150. Greca et Latina. D. Dominicus Mancinius, Cortonensis. > 150. Uebraicam. D. Franoiscus Benedietus, Florentinus. > 100. Studio di Firenze. Theologiam. M. Thomas Boninsegnius, Ordinis Prcdicatorum. > 80. lnstituta. M. Zenobius Coinparinius. > 50. Linguam Lat inani. M. Marcellus Adrianus. > 200. Greca et Moralia. M. Petrus Angelus, Bargeus. > 300. In tutto .-.. > 9010. b) Estratti dai Libri di Cassa dello Studio per oli anni 1589 - 92 . 1 . Arch. di Stato in Pisa. Università, n. 180; Entrata o Uscita di Monsip.» Cappono Capponi, Provveditore Bonoralo per anni tre dal di primo novembre 1588 a tutto ottobro 1591, Filza 27, 2» quali., car. 6r. o fit., o 1® qiiad., car. 5r. o 7t. Uscita dell anno cominciato al p.° di Novembre 1589 e da finire per tutto Otto- ine 15!)0 , de salari de* dottori c stipendiati dello Studio di Fisa e Studio et Arca- Vili. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PISA. 43 demia di Fiorenza ; e in prima , tenuta per Mons. Cappone Capponi , Provv. re di delti Studìi. ^ A Mess. Galileo Galilei ducati sessanta eli moneta, avuti in più partite, HI come al Quaderno di Cassa a 89 (,) .d. CO, £- Uscita dello Studio di Pisa c Studio et Accademia di Fiorenza per Vanno 1501. ~ A Mess. Galileo Galilei ducati GO di moneta, posto avere al Quaderno di ol Cassa a 89, per l’anno finito per tutto Ottobre 1591. a 89 io.d. GO, £- 2 . Ardi, di Stato in Pisa. Università, n. 181 ; Entrata o Uscita di Monsig.' Cappono Capponi, Provveditore generalo per anni tre dal di primo novembre 1591 a tutto ottobre 1591, Filza 28, 3° quad., car. 5r. o 7r. Uscita dello Studio di Pisa et Accademia di Fiorenza per Vanno 1592. ^ A Mess. Galileo Galilei ducati sessanta di moneta, fattolo creditore al Qua- .11 derno di Cassa a 89, per l’anno finito per tutto Ottobre 1592. a 89 .d. GO, £- c) Appuntature. 1589-90. Collezione Galileiana alla Torre dol Gallo presso Firenze. — Di mano sincrona. 1589. Mess. Galileo Galilei alla lettura della Matematica non lesse adì 3, 4, 6, 7, 8,9 di Novembre 1589, per non potere venire a Pisa per Pinendatione delle acque clic Arno haveva rotto in più luoghi. Lassò lettioni sei. . L. G. Adì 12 detto, in domenica, fece ’l suo principio. Adì 14 detto cominciò a leggere. 1590. E adì 21, 23, 25, 26, 29, 30 di Maggio 1590, e adì primo, 2, 4, 5, G, 8, 9, 13, 14,15, 16, 18 di Giugno 1590, non lesse, per essere assente di Pisa. Lassò lettione diciotto (!) .L. 18 Ol Intendi, a car. 89. <*) Cfr. Voi. X, n.° 31. DEPOSIZIONI DI GALILEO, 0 CONCERNENTI GALILEO, NEI PROCESSI PER LA SUCCESSIONE DI GIOYAM13ATISTA KICASOLI. Firenze, 1590-1592. Arch. di Stato in Firenze, Magistrato Supremo, Filza 13.'».'»: Arch. Ricanoll in Brollo, Filza ‘217, n .o ]fi; Bibl. Kaz. Fir., Nuovi Acquisti Galileiani, Filza 69. Chiauiinino questo tru Filze, rosput- ti vainoli lo, A, Il o 0. Giovamiiatistà ili Binoaccio Uioasou Baroni 1 '» fu colpito, in Rullo scorcio dol 1588, da infor¬ mità montalo, di cui dotto sogni non dubbi: 0 persuasosi di dovor essere condannato a morto per delitti, fuggi nella primavera dol 1589 da Fironzo, trascorrendo di luogo in luogo por buona parto d’Italia, soguito da qualoho parente od amico. In Milano, il 5 giugno, egli fece donazione fra vivi di tutto il suo, por man di notaio, al parente Giovanni di Franoksco Kicaboli Baroni, che lo accom¬ pagnava: la qual donazione ratificò il 18 sottendile in Roma, aggiungendo soltanto elio il donatario fosso tenuto a pagargli 300 scudi l’anno, nieutro viveva; che osso (liovambatista potesse abiterò nella sua villa di Chianti sonza pagamo pigione; 0 elio fossero rimossi, a titolo di donazione Ira vivi, scudi 700 a Ruberto Pandoleini < s >. Questo donazioni furono impugnato da Maiuiai.i:na, scrolla ilei donatolo, 0 da Iacopo Qua iutesi, marito di lei, comparenti a questo scopo dinanzi ai «Signori Luogo- touento 0 Consiglieri della Repubblica Fiorentina » il 2 novombro 1589, prima « a bonofitio et pur inte¬ resso di detto Mess. Giovanbatista, loro cognnto 0 fratollo respoctivamento * <*», 0 in appresso, cioè dopo la morto di Giovajibatista seguita noi gonnaio dol I590'‘», a tutela degli interessi loro proprii, sostenendo Maddalena di dovor succederò al fratello, elio dalla moglie Lucrezia di Fuanckboo di Iacopo Guadagni non aveva avuto figliuoli. Allogavano i coniugi Quaratesi, clic quando Gioyamiiatista fa¬ ceva quello donazioni, non ora sano di monto, cosi cho non poteva disporrò dol mio, <• perciò chiede¬ vano che lo donazioni stesso fossoro dichiarato irrito 0 nullo. Si opposo allo loro ragioni il donatario; 0 no nacquo una causa, il cui processo si svolso davanti al magistrato prodotto, 0 fini con una sentenza dol 10 oOttembre 1591 < r >», che annullò lo donazioni fatto da Gioyamiutista, dichiarando erodo do’suoi averi la sorella Maddai.kna. So non cho, già prima cho Giovauiiatista donnsse a Giovanni Ricasoli, il 6 aprilo 1589 egli aveva fatto testamento in Fironzo < a », noi quale istituiva bensì eredi, noi caso che morisso sonza figliuoli, coloro cho venivano ab intentato secondo gli Statuti dui Comune di Firenze, ma lasciava ancho alcuni legati a favore di vario persone, tra cui uno, sotto corto condizioni, alla moglie. Ottenuta la sentenza favo¬ revole, cho cassava le donazioni fatta in Milano ed in Roma, Magda duna Qcaratehi il 1G ottohro 1691, 0 quindi il marito suo Iacopo, comparvero davanti agli Ufficiali della Gabella do’ Contratti della Città di Fironzo, 0 domandarono cho, vista la mento non sana <1 quindi l’incapacità a testerò del fratollo e cognato, fosso nitrosi dichiarato nullo il testamento, orni'ossi non avessero a pagare i legati in quello disposti, nò Io gabello cho por i lognti stossi si sarebbero dovuto sucoudo lo leggi l7 '. La domanda G' V«xli Genealogia « Storia della fatniijlin Ri¬ camili descritta da Lumi Passerini, Fironzo, coi tipi di M. Collini 0 C., 18G1, pag. 161. E por quel elio risguarda la causa por la successione dì Giovanna- ’xista o Io deposizioni di Galileo, cfr. A. Favaho, Nuovi Studi Galileiani, nelle Memorie del 11. Istituto Veneto di Sciente, Lettere cd Arti, Voi. XXIV, Vo- nozia, 1891, pag. 9 o sog. <*' L’istrumonto della donazione fatta in Milano è, in copia, a car. 15 o sog. d' un fascicolo attillante olla Filza II, ma da ossa staccato o segnato Inserto 15 ; o l’istrumonto della ratificazione fatta in Roma è, puro in copia, a car. 20 o sog. dolio stosso fascicolo. < 3 ' Filza zi, car. 1-8. Cfr. A. Favaro, op. cit., pag. 11-18. G» In un documento cho ò nella Filza C, car. 3, si dico cho morisso il l n gennaio: secondo un altro documento della Filza A, car. 19t, sarobho morto «a' 2 o 3 di Gonnaio»; secondo il Passerini, op. c loc. cit., il 20 gennaio 1590. |8 ' È, in copia, a car. 9 della Filza 0. ,S| È, in copia, a car. 11 o scg. dol citato fasci¬ colo o Insorto attinente alla Filza II. |7) La domanda di Maddalena Quaratkbi, e i documenti di corredo, sono nella Filza 0, car. 1,3, 5, 7 occ. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 45 doi coniugi Quaratksi dotto occasiono ad un secondo procosso davanti agli Ufficiali della Gabella do’ Contratti, dol quale a noi non interessa seguire le vicende. Noi corso doi duo procossi furono esaminati, ad istanza o dei coniugi Quaratksi o di Giovanni Rioasoli, diversi testimoni, a fino di stabilirò so in verità Giovamisatista ora infermo di monto quando faceva il testamento o lo donazioni. Tra i testimoni citati dai Quaratksi, così nel primo come noi secondo processo, è Gai.ii.eo, elio avova trattato familiarmente con Gioyamhatista in Fi¬ renze o nello ville de’ Rioasoli, o lo avova accompagnato por buon tratto nello suo forsennato pe¬ regrinazioni ; o i doposti di Gai.ii.eo lmnuo speciale importanza, porche forniscono alla biografia di lui molti o curiosi particolari, elio altronde non ci sarebbero noti. Questo deposizioni pertanto sono pubblicato qui appresso integralmouto : e siccome molte di osso, massime quando Gai.ii.eo ri¬ spondo a domando specificate, riuscirebbero poco ciliare se non si avessero sott’ occhio altrosì lo intorrogazioni elio gli sou mosso dagli esaminatori, perciò abbiamo pubblicato ancora i questionarli su’ quali egli fu chiamato a deporro, limitandoci però in questa parte a ciò che fosse strettamente indispensabile. Abbiamo poi creduto opportuno tonar distinti, corno sono nollo fonti manoscritte, gl’ in* terrogatorii, elio spesso non orano particolari a Gai.ii.eo, ma comuni anche agli altri testimoni, dallo risposto di Ga i,iLEO ; c perciò stampiamo quelli nella parto suporioro, o questo nella parto inferiore, dello stosso pagine. Allo deposizioni di Gai.ii.eo nei duo procossi abbiamo soggiunto ancora alcuno de¬ posizioni d’altri testimoni, elio concernono più o meno direttamente la persona di Galileo : ci siamo imposti però, nollo spigolaro questo deposizioni, la massima brevità, poiché in generale osso non atte¬ stano di particolari nuovi, ma ripetono più o meno Io testimonianze di Galileo, allo quali possono servirò quasi di riscontro. I documenti del primo processo ci sono stati conservati, i più in originalo, nella Filza A; e buona parto di essi sono anche, in copia sincrona, nella Filza B. Noi li abbiamo trascritti fedelmente dagli originali della Filza A; abbiamo però tenuto a riscontro bone sposso la Filza li, o quosto riscontro ci ha giovato ad accertare la lettura in alcuni passi nei quali la Filza A presentava qualche difficoltà d’interpretazione, o a compioro il testo in altri luoghi in cui questa Filza ha corroso lo carte. Non avrebbe mosso conto registrare lo loggioro differenze di lozione elio passano tra gli originali dolla Filza A o Io copio della Filza Jì; e ci siamo limitati a notare appio di pagina pochi trascorsi di penna degli amanuensi di A, che abbiamo corrotto seguendo le copie in li, e pochi altri errori comuni così agli originali come allo copie o elio ora pur necessario emendare: i primi sono distinti con la lettera A, i secondi con Io lottino A, li. 1 documenti attenenti al secondo procosso, o elio qui vedono por la prima volta la luce, sono stati da noi rinvenuti nella Filza 0. Con questa lettera segniamo appiè di pagina i luoghi in cui nel testo correggiamo la lozione di ossa Filza, elio dol resto esempliamo con tutta fedeltà di. Vogliamo notare infine, come nella Filza li lo risposto doi testimoni sono copiosamente postillato sui margini da una o forso (la più inani di contemporanei < 2 > ; lo quali postillo, dovuto a porsona che doli’ intricata materia mostra di avero pienissima cognizione, o forso ad un legalo di Giovanni Rioasoli, alcuno volto pongono soltanto in ovidonza, a ino’di rubriche, il contenuto delle deposizioni, ma molto sposso mirano a mettere in rilievo lo azioni da savio di Giovasibatista, o lo contradizioni, gli errori e i falsi, o por tali giudicati, dei testimoni, quando lo loro risposte tornerebbero di pregiudizio al do¬ natario. In questi casi lo postillo contengono non di rado dolio contumelie all’indirizzo de’testimoni, nò Galileo è risparmiato. Noi trascriveremo alcune di quello con cui sono commentate lo deposizioni di Galileo. A ciò che noi pubblichiamo a pag. 60, lin. 2-3, si postilla: «bugia» (car. 5Mi.); a png. 50, lin. 20-28: «Tutto bugie. Tarlò con il Bardi, con Lione; clic più? con Loronzo Giacomini: et nessuno dico quosto» (car. 516»-.); a pag. 51. lin. 8: «nessuno conta questo coso» (car. 61 ir.), o a lin. 9: « orn di maggio ! » (ivi), o a lin. 10: « Tra il Imo ot Tasinollo! Lo bostio (linciano la notte, et lo man¬ giatoie sono alto» (ivi), o a lin. 11-12: «questo coso non lo conta alcuno, so non questo per l’anima dol far sua sorella nionacha < 3 > » (car. 517/.), e a lin. 23-24: « bugia grandissima » (car. 518/-.); a pag. 62, lin. 1 : « quosto non disse mai » (car. 519r.), o a lin. 2 : « Si va più volentieri por il fresco ! » (ivi), o a lin. 7: «questo ò uno indovinare falsità» (car. 519/.), o a lin. 8: «gran vigilanza!» (ivi); Non teniamo conto dello postille, d’altra ma¬ no, elio si leggono sui margini della Filza C, o che riassumono, in forum di rubricho, il contenuto di al¬ cuno deposizioni. ' 4| Gir. A. Fava Ito, Svile uuhu (li Scampoli Ga¬ lileiani, negli Atti c Memorie della II. Accademia di Scienze, Lettere r.d Arti in Padova, Voi. X, Padova, 1894, pag. 13-16. (3 > Gir. in questo stesso Voi. XIX, png. 88, lin. 89 e seg. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. dG ji pag. 53, liti. 6-0: «Pliorto ò oxainlnato da noi, nè dico questo. Vuol coaieutara et indovinare» (onr. 622r'.), o n Un. 10-18 : « so piglia ft fur i coment!, come so quelito non avventano ordinariamente » (car. r>22(.),' o a lin. 25-26: « Indovino » (car. 628 r.), o a Un. 26-27 : « Vuoto indovinare, porchè dio- vftinbatistn non disso questo coso» (ivi), o a lin. 30: « Il tostimono lascia iiiovauibntistu : perché V Kt ò suo umico ! 0 non hnvoa bisogno, o /u uno frute sfratato tenta dùcretion* » (car. 623*. : lo parole stampato in corsivo sono stato accuratamente cancellate); a pag. B4, lin. 19-20: « bello favolo ot can¬ zono ! » (car 626r.), o a lin. 26-26: « Favola: ot induco un proto, contro alla forma dol Concilio Tri¬ dentino, o una monndia » (car. 525*.); a pag. 55, lin. 17: « Mette in dubbio il Idiogno; che vo n'ora necessità, so Tlissi stato voro questo olio dico questo testimone » (car. 527*.); a pag. 72, lin. 35-37: i Tristaecio, dùcortcte, tfrotato ! et jioi perché t'hanno prometto Jior. Iòti j»r I .1 tortila, far quello tir. /ultamente l » (car. 648*. : questa postilla è stata parimente cancellata); n pi'. 78, lin. 30 : .So la fuco a. to! » (car 649*.; o si rimanda, per confronto, n ciò elio noi pubblichiamo a pag. 70, lin. 87 e sng.) ; a pag. 75, lin. 29-30; « perché «tutto seco a insegnare a una sua figliuola in Siena* 1 ', (car. 5.’,Ir.); a pag. 78, lin. 24: « Non si ricorda, ot era proselito! » (car. 658l.l, eco. Tra lo postillo della Filza lì vuol ossoro notata in particolare una. che, con leggiero varianti, più volto è ripotuta. In alcuno « Kccettioni a’ testimoni > si leggo : « Calile». Fu frate monaco di Y aloni- brosa, figliuolo «l’un nmostro di sonaro di liuto» (car. 8.* r., non numerata, in principio della Filza). In un elonco doi » Nomi de’testimoni esaminati in Firenze » si ha: « Galileo, sfratato, figliuolo d' un maestro di sonare» (car. 10.» r., non numerata); o nell' elenco dogli « Interrogatoli fatti a’ tuo timoni di Iacopo Qu&ratosi » troviamo di nuovo « Al «ìalileo sfratato ...» (car. ll.»r.|. I»i fronte al nomo di Gai.ii.ko, In principio dello suo deposizioni (efr. pag. 17, li». 23), si postilla: « Sfratato: fu monachi» in S. Trinità» (car. 510r.) ; o « Galiloo sfratato », appuro «Io sfratato, lo sfratato », si leggo ripetu¬ tamente, alcuno volte cancellato, aIt;ro no, in capo alle «arto dove sono trascritto lo risposto di lui. La stessn contumelia abbiamo incontrata aucljp in alcuno (lolle postillo a' singoli luoghi dolio depo¬ sizioni, c troviamo altresì nello «Kccettioni a'testimoni di Iacopo Quarat«>i exainiuati a Fiorenza o a ltoma », ebo, (lolla stossa mano dolio Kccettioni poc’ anzi citate, sono, più ampiamente avolto, nella Filza C. Quivi (car. 255*.) : si dico «XI 0 (*eafimoneJ. Galileo Galilei, figliuolo d’ un aonatoro di liuto, poYoro ot sfratato, ecc. ». Quest'ultimo opitoto, o quello di « monaco di Yalonibrnsa ». oppure « mo¬ linello in S. Trinità » (o perciò sempre doli’ordino Vallombrosnno), più v-dto ripetuti dall'anonimo, ma contemporaneo, postillatore, sembrano conformare ciò elio si leggo in corta scrittura di Frate Diano FaANOm da Genova, contemporaneo pur osso di Gat.ii.ko, il qualo nvondo dettato, per incarico doi suoi superiori, dei conni compendiosi intorno agli uomini illustri, della religione Yallombrosniia, dopo avor discorso (loi monaci vonorabili por santità (li vita o famosi por dottrina, scrivo: « Non si dove tralasciavo il celebrato nomo di Galileo Galilei, matematico insigne. Questi fu novizio Yallouibrosano, o foco i suoi primi osercizi dell'ammirabile ingegno nella scuola di Vallombrosa. Il pndro di lui, «otte protosto di condurlo a Fironzo por curarlo ili una gravo oftalmia, con trattenerlo assai, il traviò dalla religione in lontano parti » <*'. Cfr. Doc. VII, lin. 8. > 2) Cfr. F. Sbi.mi, Un particolare ignoto della vita di Galileo Galilei, noli’opuscolo intitolato Nel treeen- (etimo natalizio di Oalilr.o in Pica, X Vili Febbraio MDCCOLXIV. Pisa. tip. Nistri, 1861, pag. 39. 11 Ski.ui citu Ili. testimonianza del Fuancui da un uis., del qualo abbiamo fatto inutilmente ricorca. Con quost’ episodio dell'adolescenza di Uami.ro potrebbe por avventura aver relazione ciò elio Mi zio Tbdai.iu scrivova a Viscrnxio (ìami.ki il 16 luglio 1578: « mi ò grato di saper elio haviato rihavuto Galileo » (cte. Yol. X, il.® 6, liu. 8-4). TX. DEPOSIZIONI DT GALILEO ECO. 47 a) Deposizioni di Galileo nei. primo processo. Filza /, car. 138r.-141r. ; Filza B, car.4Cr.-58r. Primordiali. 3“ mano. Interrogatorii primordiali da farsi tanfo (dia prima quanto alla 2 a mano di capitoli olii testimoni da indursi da Iacopo Quaratesi et M." Maddalena sua moglie, avanti che si venga a leggere alcuno capitolo a i testimoni o a examinarvi sopra; per la parte di Mess. Giovanni lìicasóli Baroni, il qual non intende partirsi da qualsivoglia sua ragione et cxceptioni date o competenti o che si potessino competere : di che, per quanto sia di bisogno, di nuovo protesta, come ancora protesta che si scriva il detto de ’ testimoni come esce loro di bocca, senza aggiugnere o minuire, alias ctc. 1. Imprima, siono adveititi del'importanza del giuramento, et in quali pene incorra 10 chi giura et depone il falso, et maxime che egli danna 1’ anima sua, et ò tenuto a ogni danno spesa et. interesse alla parte contra la quale deponessi il falso. 2. Item, sieno interrogati se sono domestici, familiari, servitori, o in qualuncho modo interessati, o di parentado o d’altro, et che grado, con detto Iacopo Quaratesi ot la Mad¬ dalena sua donna et Mess. Giovamhatista Ricasoli Baroni. 3. Item, se veddero detto Mess. Giovamhatista sotto dì 18 di 7mbre 15S9 in Roma, con chi fossi et quello faceva ot come vestiva, et se andava per la città come ogn’altro gen¬ til’ Imomo, vedendo et considerando tutto ot tutte l’anticaglie con gravità et discorso. 4. Item, sieno interrogati, da novembre 88 in qua di che moso et giorno si partissi di villa sua della Torricella, et quante volte si partissi, et dove andassi, et. chi ora con esso •20 seco, et in qual villa si posassi. Filza A, car. 60L-.-618»*.; Filza B, car. 510r.-5Clr. A dì 6 di Feb.° 1589 (,) , in detto luogo (5) . XI testimone. Mess. Galileo di Vino. 0 Galilei, cittadino Fiorentino, altro testimone indotto et giurato come di sopra. Examinato sopra gV interrogatorii primordiali : Al p.° rispose, sapere et essere informato dell’importanza del giuramento. Al 2° rispose, non bavere interesse alcuno di parentado con i nominati nel- l’interrogatorio, ma sì bene d’amicitia con Giovambatista Ricasoli da otto anni in qua, et in casa sua haver conosciuto Iacopo Quaratesi suo cognato. 30 Ai 3° rispose, non haver visto detto Giovambatista in Itoma, et non essere stato in Roma in detto tempo. Al 4° rispose, che nel tempo contenuto nell’ interrogatorio non era con detto Giovambatista alla Torricella, e però non bavere che dire sopra la partita (li detto Giovambatista di detta villa. **> Di stilo fiorentino. (*) Cioè, nell’Arte de’ Giudici e Notai di Firenze. 48 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 5. Item, so in detti tempi hanno visto più volto dotto Mesa. Uiovaiubatista discorrere con¬ sideratamente ot a tempo et con consiglio con varii et diversi gentil’ huomini et a proposito. (I. Item, so in dotti tempi l’hanno visto andar pulitamente vestito et ernie ogn'altro gentil’huotno, e praticare e discorrere sopra diverso cose con dottrina o giuditio. 7. Item, so in detti tompi 1*hanno visto Imver hnmori malinconici, et se continua¬ mente gl’ ha liavuti o quanto habbino durato, in che consiatessiuo, et elio parole egli usassi mentre havea dotti humori, quando, di elio mese e tempo, et chi presente; o do- pougliiuo dello parole precise e formali elio egli profferiva quando era peccante di tali humori, e dallo quali s’avvedessino che egli haveasi gl’humori malinconici»". Al 5° rispose, haver visto dotto Giovambatista nel tempo di che nell* interrogato- io rio discorrere alle volte con diversi gentil huomini consideratamente et a proposito. Al 6° rispose, haver veduto dotto Giovambatista per la città vestirò honesta- mente et all’ordinario, et usare i medesimi Inibiti apunto, che portava nella città, in cavalcare per viaggi lunghi et in tempi cattivi, come fu nella gita di Lucca per Genova. Al 7° rispose, che, essendosi tornato esso testimone di Pisa a Firenze per Pasqua della liessurretiene passata, detto Giovambatista chiamò più volte detto testimone a desinare e a cena seco, et che una sera, circa l’ottava di Pasqua, fu pregato dal detto di restare a dormir seco, e vi restò una sera, c poi continuò più volte: dove che la prima notte, essendo insieme nel letto, detto Giovambatista 20 so gli acostò, gettandoli un braccio al collo, o doppo alcuni sospiri lo cominciò a interrogare quello che egli sentiva diro del fatto suo, c quando e’erodeva che si havesso a dar fine al suo fatto; al elio rispose detto testimone, non sentir dire cosa alcuna nò sapere di fatti o d’altro. Al che replicò Giovambatista: < Adun¬ que voi ancora volete, come e’mia parenti o gl’altri amici, tenermi nascosto quello clic sapete >. E replicando pure detto testimone che non sapeva niente, gli furono replicate da Giovambatista questo parole : < Voi dovete supero che io sto d’ora in ora aspettando d’essere giustiziato, per bavere errato in materia d’in- quisitione di stato e di peccato di carne, per o’ quali errori so d’ bavere a perdere la vita; ma desidererei bene da voi clic voi m’ansassi, elio sorte di morto io 30 merito e che voi credete che mi sieno per dare, e starei molto più contento clic io non sto so io fussi certo clic mi volcssino mozzare la testa : ma dubito di morte più ignominiosa, come di fuoco o di forcha, e vie più, per haverc io, oltre a gl’errori detti, uccellato, per modo di dire, il Gran Duca Francesco, poi clic, essendo egli ancor vivo o la Gran Duchessa Bianca ancora, ho fatta e reci¬ tata una orazione funerale pubiicamcnte nelle sue exequie, come se fussi morto >. E cercando pure dotto testimone di rimuoverli, con il contradirli, questa inma- ginaziono, niuno profitto vi fece in tutta quella notto e in molte altro apresso, l 1 ' Una notti in margino, di fronte al n.® 7, dico: « quosto non si faccia a nessuno >. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 49 però che detto Giovambatista ostinatamente più s’indurava nella sua opinione, dicendo che detto testimone o gl*altri sua parenti non gli volevano confessare come stesso il negozio, perchè cosi havevano ordino di fare dal Gran Duca Francesco, il quale (diceva detto Giovambatista) voleva persuaderli che tali cose non fus- scr vere, acciò clic egli non s’ aspettasse la morte. Similmente diceva essere vive più persone già morte, come Mess. Giorgio Battoli e Agnolo Ricasoli, fratello di Giovambatista. Passati questi ragionamenti (et il medesimo intervenne più notti), si adormentava dua, 3 o 4 ore manzi giorno, e in verso l’alba si svegliava con scotimenti et voci spaventevoli, dicendo: < 0 amico mio, questo passo della morte io mi pare pur durissimo et aspro ; et ancorché, con P exempio di molti gentili, e santi martiri, io mi sforzi di accomodarmici patientemente et. con fortezza, nulla- diineno la carne, che repugna al disunirsi da l’anima, patisce grandissimi fla¬ gelli >. Et il giorno ancora, quando poteva bavero a solo a solo detto testimone, il che s’ingegnava che seguissi il più spesso che fossi possibile, continuava in ragionare et discorrere in questi suoi pensieri, bora consigliandosi se lussi meglio, potendo, il fuggirsene o pure aspettare la morte, bora se fussi meglio, quando e’ fussi stato condotto in prigione, il negare et sopportare i tormenti, o pur con¬ fessare il tutto o pure negarne parte, come 1’ bavere errato contro il Gran Duca Francesco, confessando lo coso d’inquisitioni, delle quali, disdicendosi, poteva 20 impetrare perdono. Et in questi tempi attendeva detto Giovambatista a leggere exempi d’kuomini forti contro la morte, s’occupava gran parte della sera in ora- tione a Dio, et harebbe volsuto libri di legge per studiare i suoi casi. A dì 7 di Feb.° 15S9 (l) , in detto luogo , dopo desinare . Non mancava ancora di dire ad esso testimone d’essere stato molte volte in pensiero d* uccidersi da sé stesso, o con il gettarsi da qualche luogo alto, o uc¬ cidersi con ferro; ma soggiugneva, essere da ciò ritenuto dalla religione Cristiana. Et lo sopradette attioni et ragionamenti seguirono dentro allo spatio d* un mese in circa, che detto testimone conversò in casa detto Giovambatista in Firenze, dopo la Pasqua di Resurrettione, come ha detto di sopra. lo Occorse ancora, nel sopradetto tempo, che il detto Giovambatista si fece coprire la berretta di velo, et la portava per Firenze; et domandatoli da esso testimone, di chi portassi bruno, rispose che, dovendo egli morire per mano della giustitia, della qual morte i parenti non ne dovevano portare bruno, lo voleva egli por¬ lo Di stilo fiorentino. XIX. 7 00 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. taro per sè medesimo. Diceva ancora in detto tempo, come ancora nel restante del tempo clic detto testimone fu seco, di bavere ricevuto da’medici, per ordine di S. A., medicamenti i quali gl’havevano guasto lo stomaco, et clic por ciò non digeriva, nè rendeva gli scrementi se non ogn’ otto o X giorni, e allora ancora per forza di medicamenti. Diceva di pili, sè per la detta causa non sanguificare, et bavere di giù, le vene in tutto vote di sangue, e per ciò essere debolissimo. Finalmente, crescendo di giorno in giorno in detto Giovamhatista e’sospetti, disse a detto testimonio, sò essere resoluto di fuggire, giudicando questo il più opportuno remedio per prolunglmrli, se non per salvarli, la vita ; e pregò detto testimonio che volesse farli compagnia. Dal qual proponimento tentando (benché io invano) di rimuoverlo, vista finalmente la sua resoluzione, gli promesso detto testimone accompagnarlo: e dua o tre giorni avanti la translazione del corpo di S.° Antonino, clic detto Giovani batista gli disse essere resoluto andar via, detto testimone lo pregò elio almeno non volesso partirsi a piede, ma si trattenesse in casa sinché si trovassero dua cavalli; il elio disse detto Giovamhatista di voler fare, ma mentre che detto testimonio, sotto spezio di cercare cavalli, andò a trovare e’parenti di detto Giovamhatista, acciò che corressero a impedirli (alo scappata, detto Giovamhatista si fuggi a piede: e questo fu circa alle 1!) bore del giorno. I parenti, accortisi della fuga, gli marulorno dietro Mess. Neri Iticnsoli, aciò lo trovassi o lo riconducessi a Firenze; il che allora non seguì, ma circa a .1 20 o 4 giorni doppo, detto Giovamhatista fu di Pistoia ricondotto in cocchio a Firenze da Mesa. Neri e Mess. Iacopo Quaratesi, havendogli però i detti pro¬ mosso di condurlo a Lucclia, e ciò per farlo entrare in cocchio, dove non voleva entrare. Del quale inganno prese detto Giovamhatista tanta alterazione e sospetto, che, mandato la sera di notte, tornato che tu, per detto testimonio, cominciò con voce molto alterata a exclamare: < lu vedi se questi traditori mi conducano alla mazza e vogliano vedere la mia morte; m’ingannano, mi promettono volermi menare fuor dello Stato, e mi riconducono in Firenze. Ma so io son vivo do¬ mattina, non voglio che vinchino la gara, e a dispetto di quanti e’sono, voglio andare a Luccha ; e se tu mi vuoi, o Galileo, tener compagnia, te n’ barò obligo so grande >. Al che risposo detto testimonio, sò essere pronto a seguirlo per tutto. La seia medesima, doppo cena, narrò detto Giovamhatista quanto seguì doppo la iuga sopraeletta: o fu questo, che dubitando egli o che non si trovassero cavalli, o che detto testimonio non Scoprissi il pensiero di detto Giovamhatista di fuggirsi, senza aspettare altro, se ne partì a piede solo; et havendo (disso detto Giovamhatista) camminato alquanto per la via di Bologna, dubitando che non IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EOO. 51 gli venisse dreto qualcheduno, uscì di strada, e disse d’essere andato errando per i monti di Mugello sino a 4 oro di notte in circa, ma non bavere possato passare il Giogo rispetto alla violenza del vento, il quale tutto il giorno e la notte tirò gagliardissimo. E disse detto Giovambatista elio per stracco si gittò in terra in detto Giogo, et elio finalmente si risolvette al tornarsene in dietro, et elio, trovata una casetta d’ un contadino, se gli accostò, o trovato non serrato a chiave l’uscio della stalla, v’entrò drento; e vinto dalla stanchezza e dalla sete, disse che appiccò la bocca alla cannella d’una botticella d’acquerello die vi era; e spinto dal freddo, disse che entrò in una mangiatoia, apresso la quale io erano un paio di buoi, che col fiato rendevano calore alla stalla: e disse che quivi si adormentò, et che vi fu, la mattina, trovato dal contadino, dal quale domandato con maraviglia quello elio facesse lì, disse die gli rispose die mima cosa, ancor elio misera e pericolosa, era da- fuggirsi per salvar la vita. Disse poi che detto contadino, mosso a pietà di lui, lo menò su in casa, dove al fuoco lo ricreò con quelle povere vivande elio liaveva in casa; et disse clic alla partita sua donò a detto contadino, se ben si ricorda detto testimone liavergli sentito dire, dieci o vero quindici scudi. Disse poi che, partitosi di lì, si indirizzò verso Prato, et die, accompagnatosi per la via con certi, dubitò di li a poco che lussino birri, onde, affrettando il passo, passò loro inanzi. Disse, sò essere andato a Prato, 20 et di lì a Pistoia, di dove poi, come sopra si è detto, fu ricondotto a Firenze, riavuto questo ragionamento, la sera sopradetta se n’ andò a letto, con in¬ tentarne di partirsi la mattina seguente per la volta di Lucca. Dotta mattina se¬ guente, i parenti deliberemo clic fussi bene lasciarlo andare, ma che se li dessero in compagnia sua Giovanni Ricnsoli et detto testimone. Concluso questo, si prese un cocchio a vettura per Lucca, acciò conducesse detto Giovambatista et i detti Giovanni Ricasoli et il testimone; et detto Giovambatista non volse entrare nel cocchio, dicendo che voleva andare a cavallo sin fuori della porta di Firenze. Entrorono dunque in cocchio Giovanni Ricasoli et detto testimone; et detto Giovambatista si partì a cavallo, in compagnia del Lanzi, suo servitore, a piede, so Ma se bene detto Giovambatista liaveva promesso volere entrare in cocchio quando fussi stato fuori della porta, non vi volse però mai entrare, ricordandosi dell’in¬ ganno che il giorno avanti in cocchio liaveva ricevuto. Andorono adunque alla volta di Pistoia Giovanni Ricasoli et detto testimone in cocchio, et detto Giovambatista a cavallo, dove liaveva promesso volere alloggiare la sera detto Giovambatista. Arrivati elio furono a Pistoia circa alle 24 bore, detto Giovambatista non volse a patto alcuno fermar visi, ancor elio molto ne lussi pregato da detti compa- 02 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. gni; ma diceva che non si voleva fidare dentro di Pistoia, et che se gl’altri si volevano fermare, si fermassero, ma che lui voleva arrivare la notte a Pescia: et si dicendo, pur tuttavia spinse il cavallo manzi. Seguitarono i compagni in cocchio, et arrivati circa a un’ liora e mezzo di notte a Seravallc, a i molti preghi di detto testimonio acconsentì finalmente detto Giovambatista di alloggiare quivi. Conorno dunque in detta Posteria di Seravallc; et andatisene a dormire, detto Giovambatista prese sospetto che P hoste non filasi qualche spia, onde circa alla mozza notte si incominciò tacitamente a vestire : et sentito da detto testimonio, fu domandato quello che volessi fare, ltispose detto Giovambatista, sù havcr so¬ spetto di non vi esser preso, e che voleva fuggirsi. Al che rispose detto testi- io monio, che non poteva uscire, per non si aprire la porta dell’ hosteria fino a giorno; però che volessi tornarsene nel lotto. Rispose detto Giovambatista, clic sapeva tale usanza et che di già haveva pensato volersi calare da una finestra. Conosciuta i compagni questa resolutione, nò la potendo con preghi o persuasioni rimuovere, cliiamorno P hoste, et si feciono portare lume. Vestironsi Giovamba¬ tista, Giovanni et il Lanzi, et si partirne Giovanni et il Lanzi in cocchio, et detto Giovambatista a piede, ancora che fosse di notte et il tempo alquanto piovoso : et detto Giovambatista lasciò detto testimone in detta hosteria, et lasciogli la sua cavalcatura, pregandolo elio volesse a giorno tornare fino a Pistoia et pigliare circa a trecento scudi d’oro che detto Giovambatista, il giorno avanti la partita 20 di Firenze, haveva lasciati sopra un palchetto d’ una cameretta nel palazzo del Commissario; il che fece detto testimone. Detto Giovambatista la medesima notte camminò verso Pescia, dove arrivò di giorno ; et detto testimone sopragiunso circa a due bore dopo. In rescia, gli piacque la stanza ad esso Giovambatista, et disse volervisi trattenere qualche giorno; però rimandò il cocchio, cercò di bavere stanza in un convento di frati poco fuori di Pescia, ma ottenuta che l’hehhe, mutò pensiero, et si fermò con la compagnia in su P hosteria, dove si trattenne alcuni giorni. Et una mattina, dopo messa, desideroso detto Giovambatista di fare exer- citio, pregò li compagni che volessero andar seco sino a una casetta Inanella posta in costa sopra Pescia, il elio fu recusato da detto testimone, per essersi la prece- 30 dente notte sentito male. Si partì dunque detto Giovambatista, in compagnia di Giovanni Ricasoli, per la volta di detta casa bianca ; ma P exercitio fu tale, che durò (per quanto detto testimone intese da detto Giovambatista et Giovanni Ricasoli) tutto il giorno et la notte seguente, errando per boschi profondissimi, dove, assaliti dalla notte et da una pioggia grandissima, havendo gran paura della vita loro, si abbatterono per buona sorte in un contadinello, il quale gli IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 53 condusse in una capannetta, chiamata in detto luogo un metato, dove stettero sino a giorno; et venuto il giorno, detto Giovambatista si mosse, in compagnia di detto Giovanni, per la volta di Montecatini, per indi calare a i bagni et bere di quell’acqua della Torretta. Finalmente il giorno si ricondussero in Pescia (,) , dove, pigliando detto Giovambatista sospetto dell’ lioste che 1’ alloggiava, si ri¬ solvette partirsi per Lucca: et così si fece. Arrivato che fu in Lucca, si fermò con la compagnia a l’hosteria; et diceva haver animo di fermarsi in detta città molti giorni. A dì 9 di Fcb.° detto , in detto luogo, dopo desinare. io Ma essendogli venuto a fastidio lo stare in sul’ liosteria, prese certe stanze in casa d’ un Lucchese, con animo di starvi ; ma sopravenendovi Muss. Neri Ricasoli, mandato di Firenze per tentare di ricondurre detto Giovambatista a Firenze, detto tanta alteratione a detto Giovambatista, che si risolvette subito andarsene alla volta di Genova (,) ; et così fu: et presi i cavalli per sò e per la compagnia, ancorché ciascheduno fussi in tutto privo di arnesi per cavalcare, si messe in viaggio; e per il sospetto che beveva preso di Mesa. Neri, volse som- pre, pei- tino a Serezzana, cavalcare inanzi a tutti, dubitando che la compagnia non havessi ordine di attraversagli la strada et per forza ricondurlo a Firenze. Da Serezzana, dove si alloggiò la prima sera, si andò il seguente giorno a Se¬ co stri, dove la sera facemo disegno inbarcare la mattina seguente in compagnia d’ alcuni altri passeggeri e passare a Rapallo, et questo per essere la strada da Sestri a Rapallo per terra quasi elio incavalcabile. Con questo consiglio, la mattina si patteggiò una barca, che portassi, come ò detto, detto Giovambatista, la compa¬ gnia e quegl 1 altri passeggieri ; ma quando si venne per dovere entrare in barca, vedendo detto Giovambatista che di già si era imbarcato un frate, prese sospetto che non fussi stato mandato lì per raccomandargli l’anima, et che fussi ordine che in barca fussi tagliata la testa a detto Giovambatista: onde non volso im¬ barcare. Da questa sua inmaginatione non fu possibile, nò con preghi nò con ra¬ gioni, rimuoverlo mai; et perchè il marinaro non voleva partire se non haveva 80 l’intero nolo, detto testimonio inbarcò, lasciando detto Giovambatista et Giovanni Ricasoli et il Lanzi servitore, pagando per tutti quattro, acciò gl’altri passeggieri, che non havevano cavalli per andare per terra, potessino fare senza maggiore 4. acqua della Porretta, A, B — m Cfr. Voi. X, n.o 24, lin. 1. **> Cfr. Voi. X, n.° 24, lin. 2-3 o G-7. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 64 sposa il loro viaggio. Passò dunque detto testimonio da Sestri a llapallo per mare, dove detto Giovani batista et la compagnia andò per terra. 11 restante del viag¬ gio fino a Genova si fece da tutti per terra, et con grandissima patienza di chi era in compagnia di detto Giovambatista, atteso che per passi pericolosissimi non voleva smontare da cavallo ; al passare de fiumi a guazzo non voleva alzare le gambe, onde si bagnava i piedi, i quali erano disarmati di stivali, tal che in sul meglio del cavalcare bisognava poi fermarsi, acciò si rasciugassi: nò voleva poi raquisfcare il tempo perduto con il cavalcare più forte; anzi, lasciando la cura alla cavalcatura senza reggerla con freno o spingerla con sproni, solo si faceva tanto viaggio, (pianto dalla compagnia con sferza o frusta era la sua ca- io valcatura spinta inanzi. Arrivati finalmente in Genova dua o vero tre giorni avanti la Pasqua dello Spirito Santo, la sera al tardi si scavalcò a un’ liosteria, essendosi proposto nell’animo detto Giovambatista volersi partire la mattina se¬ guente per Turino, dove diceva voler fare la Pasqua. La mattina seguente detto Giovambatista et Giovanni Ricasoli attesero a fare previsione di sproni, feltri c stivali, c trovare cavalcature; ma detto testimonio conoscendo die, quanto più si andava in là, tanto venivano le inmaginationi et i sospetti crescendo, dan¬ dogliene occasione i travagli del fare viaggi, andò pensando modo di poter fer¬ mare detto Giovambatista in Genova. Onde, andato a trovare un Padre Teatino, chiamato il Padre Gabbriello ovvero Raffaello, et raccontatogli il fatto come 20 stava, cioè come detto Giovambatista, cacciato da strane inmaginationi e sospetti di morte violenta, come di sopra ha detto a pieno, era per andare errando por il mondo fino che i travagli et i disagi gli cagionassero la morte ; onde detto testimonio pregò il Teatino che volesse con T infrascritta inventione cercare di fermare detto Giovambatista: cioè che lo andassi a trovare, et gli dicessi elio in Genova ora una monaca santa, alla quale non potevano parlare secolari, la quale per revelatione haveva saputo pochi giorni avanti, che dovova capitare in detta città un gentil huomo fiorentino, travagliato da stravagante infermità di mente, la quale infermità nò amici suoi nò parenti nò medici 0 altri huomini havevano potuto conoscere; et che detta infermità era un continuo tormento, corno di 30 quegli clic ad lioia ad liora aspettano morte violenta, et clic tale afilittiono era mandata da Iddio sopra detto gentil huomo per punirlo di alcuni suoi errori, ma che finalmente la divina Bontà, havendo preso castigo di esso sufiiticntc a purgare i peccati di lui, si contentava cho tali timori et dolori finissero; c per¬ chè Sua Maestà opera il più dello volte per mezzi naturali, voleva che detto gentil huomo cercassi con medicamenti alienare quelle cause che, per consenso IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 65 di Dio, liavevano nel corpo di detto gentilhuomo cagionati i sopradetti humori; et clic detta monaca gli comandava, da parte di Sua Maestà divina, elio si do¬ vesse in tutto e per tutto rimettere nello mani dei medici, et che non lo facendo, sarebbe stato nell’altro mondo castigato come micidiale di sè medesimo. Detto Teatino trovò detto gentil huomo, cioè detto Giovambatista Ricasoli, o, dopo Immer¬ selo tenuto manzi, circa a due bore, ginocchioni, finalmente gli persuase il do¬ versi fermare in Genova et rimettersi nelle mani de’medici. Fermossi dunque detto Giovambatista in Genova, et ogni giorno andava a visitare detto Teatino; et diceva a detto testimonio, che vedendo di non potere con l’allontanarsi fuggire la morto io violenta, era risoluto nel restante delia sua vita rimettersi in tutto e por tutto al consiglio di detto Teatino: et così cominciò a fare, usando alcuni medicamenti per rendersi disposto il corpo. Detto testimonio, vedendo come detto Giovamba¬ tista si era fermato in Genova con promissione di non uscire de’ comandamenti di detto Teatino, ancorché vedessi che i sospetti erano i medesimi che prima, pure, luivendo alcuni negotii in Firenze, se ne partì di Genova, dove era stato circa a dodici giorni, et se ne tornò in Firenze, con animo però di ritornare a Genova l,) , se bisognato fussi per ricondurre a Firenze detto Giovambatista: ma perchè, non dopo molti giorni la partita di esso testimone di Genova, si partì ancora detto Giovambatista per Milano, non potette detto testimone mandare ad 20 cll’etto il suo pensiero ll) , nò più lo rivedde, se non quattro o cinque giorni dopo che fu tornato di Roma detto Giovambatista intorno alla line di 7mbre passato, se bene si ricorda; et lo rivedde a S. Leolino, benefitio di Mess. Neri Ricasoli, dove andò a’ preghi de’ parenti di detto Giovambatista, a tentare se lo poteva condurre a Firenze. Andò dunque detto testimonio, insieme con il Cavaliere Francesco Maria Ricasoli, a S. Leolino, per ricondurre, come è detto, detto Giovambatista ; ma sopragiungendo detto testimonio et detto Cavaliere a San Leolino, detto Giovam¬ batista si conturbò per conto di detto Cavaliere, et gli parlò poco et con non troppa buona cera, et pregò detto testimonio che volesse mandare via detto Cava¬ liere et lui restassi: et così fu fatto, et il Cavaliere se n’andò. Detto Giovambatista 80 ritirò detto testimonio in una tinaia, o stalla che la si fussi, et quivi con timore e spavento gli domandò quanto fussi presso il termine destinato alla sua morte; et dissegli che, conoscendo il braccio del Gran Duca Francesco essere grandissimo, et che per tutto 1’ harebbe giunto, se già non fussi ito al Cairo, in Costantino¬ poli o in Inghilterra (il che diceva sò non poter fare, essendo malamente disposto (‘1 Cfr. Val. X, u.° 25, liu. G. 0) Cfr. Voi. X, n.» 2G. 5G IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 8. Itera, se sanno elio cosa sia discorso, ot elio cosa sia usar V uso della ragione. 9. Itera, a quello si conosca che uno sia uscito del sentimento buono. del corpo) se n* era lilialmente ritirato verso Firenze, acciò quanto prima fussi tratto di tanti travagli. Detto testimonio non inanellò di riprovargli queste sue immaginatami, con dirgli che pure doveva essere sicuro clic non erano vere alcuna, poiché in tanto tempo passato haveva veduto non gl' essere stato detto niente; ma tutto fu invano, et esso pure pertinacemente si ostinava nelle dette suo inma- ginationi. Da San Deolino andò detto testimonio, in compagnia di detto Giovani- batista et Giovanni Ricasoli, a Iìonazza 10 , villa di Mess. Lorenzo Giacomini, dove stette con i detti dua o tre giorni: nel qual tempo detto Giovani batista ancor che io infermo di corpo, non voleva regolarsi della bocca; non si voleva la notte spo¬ gliavo et andare a letto, ma stavasi tutta notte intorno al fuoco o spasseggiando; il giorno stava molto tempo al sole, ot alcuna volta a diacero in terra; stava nialenconioo più degl’altri tempi ne’quali dotto testimone 1’haveva veduto; haveva i medesimi panni adesso con i quali si partì la primavera inanzi di J'i- renze, sì clic erano stracciati et sudici; non haveva collarino al collo, et iinal- mcnte della persona et dell’liabito era molto transfigurato. In questo termine lo trovò ancora Mess. Lorenzo Giacomini, il quale venne a Bona zza poco dopo a detto Giovambatista, dopo la cui venuta se ne partì detto testimonio et tornossene a Firenze, nò più poi vedde detto Giovambatista. 20 Dalle cose dette, dunque, conclude detto testimone, in risposta del 7° interro¬ gatorio, liaver conosciuti in detto Giovambatista humori, i quali a detto testimone parevano malenconici; parcvangli continui, poi che, se bene non sempre parlava de’ medesimi humori, non però parlava delle sopra dette materie in diverso sen¬ timento da quello che di sopra se n’è scritto. Pare a detto testimonio, detti humori consistere in una ferma e certa spettattione di morte violenta, in un di¬ sprezzo della vita sua, in un credere che i medici gl’ havessero guasto lo sto¬ maco, et in credere essere vivi alcuni i quali erano morti. Delle parole che detto Giovambatista usasse, e quando, sopra ò detto a bastanza ; et chi presente, disse di Giovanni Ricasoli et Mess. Neri Ricasoli, Mess. Lorenzo Giacomini, Mess. Fran- 30 cesco Guadagni, Mess. Giovambatista Strozzi, Mess. Bernardo de’Bardi, et i suoi servitori, come il Lanzi et Piero, il Teatino detto di sopra, il medico che lo medicò in Genova, et altri respettivamente, secondo i tempi e i luoghi. All’ 8° rispose, discorso essere operatone della mente fatta con ragione, et P uso della ragione essere discorrere bene e governarsi nelle cose prudentemente. Al 9° rispose, da molti effetti conoscersi uno fuori del sentimento, o parti¬ colarmente dal persuadersi cose interamente false et impossibili. <*> Cfr. Voi. X u.° 2S. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 57 10. Item, quello elio operi uno eh’è trailo del sentimento buono da gl’ humori ma¬ linconici. 11. Item, so in detti tempi è sempre andato alla messa vestito con habito condecente et da savio, andato fuori solo et accompagnato, et ha riscosso da’ banchi, tenendo conto del suo et. non lo gettando via. 12. [toni, se può essere clic uno cavi Inora la spada per altra cagione che per olìendersi. 13. Item, se tengano elio un gontil’ liuomo elio fa oratione continuamente, sia pazzo, et so il far oratione è spetie di pazzia. 14. Item, so il pensar alla morto è cosa da pazzo o pur da liuomo savio, et so il far 10 del heno, o con orationi o con altro, avanti alla morte, è un’actiono da ogn’ liuomo savio et prudente. 15. Item, so l’orationo elio detto Giovani batista foco sopra la morte del G. Duca Fran¬ cesco nell’Accademia Golii Alterati, fu lodala e ben recitata, da liuomo prudente e savio. 10. Doni, se mentre stette Giovani batista in casa del Gincomini suo zio, più et più volte insieme et, con altri gentil’huomini litterati disputavano insieme di lilosolia o d’altro bcìohzu sensatamente, con giuditio et con salda mento. Al X° rispose, operare di quelli elio sono tratti fuori del sentimento buono da¬ gl' humori malenconici, altri con il persuadersi di essere una fiora, altri d’ bavere qualche membro sproportionato, altri d’esser morti, et i più, secondo i medici, 20 con il temere et immaginarsi che gli soprastia morte violenta. All’XI 0 rispose, haverlo veduto andare alla messa alcune volte, et vestito con habito condecente et da savio, però nelle città; ma però, come di sopra ha detto nel 7° interrogatorio, bavero usato ne’ viaggi balliti sproportionati et indecenti, sì come ancora pareva forse a (letto testimone non conveniente habito il portar bruno per Firenze di sè medesimo; et essere andato detto Giovambatista fuori solo et accompagnato. Quanto a T bavere riscosso da’ banchi, disse detto testi¬ mone haver sentito dire a (lotto Giovambatista haver levati danari di su’ banchi. E quanto al tener conto del suo, detto Giovambatista, e non lo gettar via, disse detto testimone clic non l’liaveva veduto gettar via, però clic, non gli pare che so il dare lire, testoni o scudi per limosina, conio alcuna volta vedde et intese che fece detto Giovambatista, si deva chiamare un gettare via il suo. Al XII 0 rispose, potersi cavare fuori la spada per altro che per offendersi. Al XIII 0 rispose, che dal fare oratione continuamente non si può arguire la pazzia, per non essere l’orationi spetie di pazzia. Al 14° rispose, il pensare alla morte naturalo o violenta, ma vera, essere da savio, come ancora il prepararvisi con orationi e altro opere pie. Al 15° rispose, esser stata Toratione in morte del Gran Duca Francesco ben composta e ben recitata et saviamente da detto Giovambatista. Al 16° risposo, che nel tempo che (letto Giovambatista stette in casa il Gia- 40 comini, esso testimone non lo vedde mai. XIX. a 5S • IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 17. Itera, se nella villa di Terenzano, in compagnia di gentil’ huomini, quando era buon tempo, andava per quelle ville vicine, si cantavano canzono c stanze, et si leggeva sempre qualcosa, et la sera si dicevano dell’orationi, corone et offitii, et si giocava al¬ cuna volta a primiera in 4°, a sbaraglino et a picchetto; et so Giovambatista esercitava tutte questo actioni in conversationo con gl’altri con molto allegrezza ot contentezza di ciascuno. 18. ltom, se detto Giovambatista non stava volentieri in detta villa, perché odiava il Quaratesi e dubitava di lui. 19. Item, so di detta villa tornò in Firenze in carrozza in compagnia de gì’ altri, et il giorno medesimo giocò in 3° a primiera, perchè non volle in 4° il suo coguato Iacopo 10 Quaratesi, et lo ricevè in carrozza, perché fu pregato da Mess. Neri. 20. Itera, se in detta villa di Terenzano ogni giorno di festa, et alcuna volta di la¬ voro, andava alla messa, et se in habito condecente, et l’actioni crono da savio; et so per la via, quando si tornò, detto Giovambatista insieme con gl’altri disse tutto il 4" del Tasso a monte. 21. Item, se dotto Giovambatista, tornato a Firenze in casa sua, detto ordine d’as¬ settar la casa, assettò una camera por i forestieri, si fornì di musseritie e tapezzerie, lo quali d’ordine suo erano pagate. 22. Itera, se detto Giovambatista, nel principio che venne a Firenze di dotta villa, andò fuori solo et accompagnato, riscosso da’ banchi, si vestì per le nozze nobilissima- 20 mente di color nero, feco do’banchetti a diversi forestieri, amici et parenti. 23. Item, se sanno quando tornassi a Firenze di detta villa di Terenzano, ot se andò ad Inibiture in casa sua in Firenze, havendola addobbata nobilmente, e stando sempre in conversatone di gentil’ lmomini suoi pari con molta modestia et creanza. 24. Itera, se in detto tempo hanno conosciuto et visto elio dello Giovambatista sia stillo scialacquatore e habbia buttato via il suo, ot in elio cose particolarmente, et do’ con¬ testimoni. Al 17° rispose, non essere stato in Terenzano, e per consequenza non sapere niente dello cose contenute nell’interrogatorio. Al 18° rispose, non ne sapere niente. co Al 19° rispose il medesimo. Al 20° risposo il medesimo. Al 21° rispose, esser vero che detto Giovambatista ordinò la casa sua di Fi¬ renze di varie sorte di masseritie et adornamenti. Al 22° rispose, esser vero che detto Giovambatista andò fuori per Firenze e solo et accompagnato, et che si vesti et banchettò. Al 23° rispose, liaverlo veduto Inibiture in casa sua et conversare con diversi suoi pari con modestia. Al 24° rispose, sapere che nelle nozze della Granduchessa cominciò detto Giovambatista a l'arsi un vestito bigio, tenendo sarti in casa, il quale, se si lussi 40 finito, sarebbe costato, per quanto dicevano detti sarti, circa a trecento scudi. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECCv 69 25. Item, se sanno il tempo che Giovambatisfca Uicasoli si parli di Firenze dell’anno 1589; et lo depongliino eoi giorno et il mese, et in compagnia di chi, et de’contestimoni. 2(>. Item, se lo stare talvolta, per i gran caldi di Luglio o Agosto, scalzo o in camicia la notte, senza niente in tosta por il caldo, è cosa ordinaria et elio comunemente s’ usi por ciascuno. 27. Item, so sanno che nelle ville i giovani sogliono alcuna volta stare allegramente più che il solito, et per ciò far baie, così di notte come di giorno, dar all’arme, sonar tamburi, pigliar arme in basta et sguainare spade, et in burla l'arsi star lontano la gente per alquanto, far diversi romori, spezzar usci, finostro, dir coso stravaganti, che in altri 10 luoghi e tempi et per altra occasione non si direbbano nò farobbono. 28. Itera, se l’andar la mattina di buon’bora alla chiesa ot portar l’anno ò actiono da savio o da matto. 29. Item, so lo lettore che uno scrivo, por coso sue clic gl’occorrono, possono far testi¬ monianza infallibile doli’animo et sapere ot giuditio di chi le scrive, meglio che i testimoni cho depongono contro n quel tale. 30. Item, so hanno mai visitato Mess. Giovambatista Rieasoli mentre è stato malato, quando, dove et di cho tempo, ot chi li chiamassi, et che ragionamento facessero con lui, et quello cho detto Mess. Giovambatista rispondessi, et se rispondeva a proposito et con discorso. 20 Al 25° rispose, non si ricordare del giorno apunto della partita di Firenze di Giovambatista, quando si partì per fuori dello Stato, ma ricordarsi essere stato uno, dna o tre giorni in circa avanti la translattione di S. to Antonino, in com¬ pagnia di esso testimone, di Giovanili Uicasoli ot del Lanzi, servitore di detto Giovambatista. Al 20° rispose, non essere cosa straordinaria il fare le coso di che nell’ in¬ terrogatorio, ma però non si usare da ciascheduno. Al 27° rispose, nelle ville non cssero sconvenevoli le coso di clic noli’ inter¬ rogatorio, eccetto però il rompere usci et finestre. Al 28° rispose, che il portare 1’ arme da chi ha licentia non essere cosa fio da matto. Al 29° rispose, potere le lettere che si scrivono fare certissimo argumento, più di tutti gl’ altri testimoni, della mente et iiiwaginatione di chi le scrive, circa però alla materia in che le sono scritte. A di X di Feb.° 1589 0) , in detto luogo , di giorno. Al 30° rispose, haver visitato detto Giovambatista et conversato seco, mentre era malato della sua indispositiono di corpo, in Firenze, in Pescia, in Lucca, in Genova et a Bonazza, et del resto haver detto di sopra. 0) Di stilo fiorentino. 60 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 31. ltem, se ogni persona elio patisce d’humor manineomeo si può dir pazza, et se molti elio ne patiscano sono savissimi. 32. Item, so erodano che Giovambatista Iticasoli havossi donato a Giovanni Hicaaoli in Milano et in Ivonia, come egli ha fatto, so Agnolo buo fratello lusso stato vivo. 33. Itera, so sanno elio Giovambatista tonossi, in luogo d’Agnolo, Giovanni, et che più volto gli dicessi : « lo vi ho o tengo in luogo (l’Agnolo, mio fratello *. 34. Itera, so hanno visto do gl’ huumiui in Firenze haver de gl’ hitmori mauincomei, et non dimeno non esser tenuti pazzi. 35. Item, qual sia un giuditio ot discorso buono, ot qual giuditio et discorso non buono habbia fatto Giovambatista Hicaaoli, ot quello elio con gran giuditio et discorso 10 habbia operato. 36. Item, so si è tenuto noloriumcnto ot publicainento elio dal mese di Novembre 88 sino alla sua morto dotto Giovambatista sia stato un gran litterato, ot so gl’ ha praticato per detto tempo con gl’altri littorati, et con lor discorrere ot disputare. 37. Item, so può essere che una cosa si dica publicamonte et notoriamente, et elio sia publica et notoria, ot elio di poi si trovi non esser vera. 38. Item, elio cosa sin publica voco ot fama, ot quante persone la faccino, ot clic cir- cumstnntie vi si ricerchino di ragiono. 39. Item, so sanno dove babbi habitato dotto Giovambatista da Novembre 88 in dietro. Al 31° rispose, che quelli clic patiscono di humori malonconici gagliarda- uo mente et con stravaganti inmaginationi potersi domandare pazzi, per essere da’medici tra le spctie dell’infermità elio offendono il cervello annoverati dotti humori malenconici; ot quelli che di detti humori patiscono, non si devono chia¬ mare savissimi, per essere savissimi solamente quelli che in tutte le loro attieni usano perfettamente la memoria, il discorso et l’iiunaginatione. Al 32° rispose, credere che, quando detto Giovambatista ha donato credendo che Agnolo suo fratello fussi vivo, harebbe similmente donato quando fusai stato vivo veramente. Al 33° rispose, non bavere mai sentito diro lo cose di che nell’interrogatorio. Al 34° rispose, non bavere veduti degl’ huomini travagliati da humori malen- so conici senza esser punto pazzi. Al 35° rispose, bavere detto a bastanza di sopra delle cose concernenti detto interrogatorio. Al 36° rispose, essere vero tutto quello elio si contiene nell’ interrogatorio. Al 37° rispose, poter essere che una cosa si dica por vera publicamente, et poi non sia stata vera. Al 38° rispose, la publica voce et fama essere quando ogn’ uno, o la maggior parte, concorre nel medesimo dire, et nel resto rimettersi alle leggi. Al 39° rispose, clic detto Giovambatista habitava in una casa posta in sulla Piazza dogl’Antinori, noi tempo di che nell’interrogatorio. 40 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 61 40. Itera, »e sanno ohe gl’ habbi liabitato mai alcuna casa che egli tenessi a pigione, et quello pagassi ili pigione, ot so voildoro la scritta o farne il pagamento. 41. Itom, se gl’ huomiui elio vanno a’banchi u voltar partite, saldar conti o tòr danari, questo ò atto da savio ot prudente. 42. Itom, se uno che sa far un testamento che sia tenuto benissimo considerato, questo tale saprà faro ancora una vendita, una compra, una donazione o altro siinil contratto. 43. Item, so uno che si mette a far viaggio, toc danari, cambia moneta a oro, piglia vestili nobili, cavallo, servitolo, in compagnia d’un amico et d’un parente, fa saviamente o prudentemonto. IO 44. Itom, se gl’ò cosa lodata l’andar veggendo lo città del compagno, chi lia il modo. 45. Item, se chi va da por sò a comprar robe per rivestirsi, et considera lo coso che com¬ pera, o motte in ordin la casa, comprando masserizie usato, ma fresche o buono, per spender meno, quest’ ò azziono da savio et da lumino bene in corvello. 40. Item, so chi scrivo Ietterò di complemento benissimo disteso, dà ordino a quel che b’ ha da faro quando si parte, truo danari a’banchi o son recapitate le lettore, questo tale o tenuto savio da tutti gl' hnotnini che hanno cognizion di lui. 47. Itom, so ehi fa testamento o lascia tutoro uno, a giudit.io del quale rimetto il disporre di suo figliuolo, far la somma dello doti ot altro, et il testatore non rimutando mento, tenne sempre il tutore per prudentissimo ot savissimo. 20 48. Itom, se tengano, sanno o hanno sentito dire elio Mesa, braccio Iticasoli fussi repu¬ tato o tenuto giuditioso, savio et prudente quanto alcuno che vivessi ne’suoi dì a Firenze. Al 40° rispose, non 1’ haver veduto Inibiture, o supero clic habitassi, a pigione, se non in Gonova, dove d* una camera, et co min odi tù di chi cucinassi al detto (iiovambatista et alla compagnia che era seco, pagava a ragione di lire cento venti il mese, delle quali parto no pagò detto testimone, et altro non sapere delle cose contenute nell’ interrogatorio. Al 11° rispose, essere cosa da savio levare danari di su’banchi, levar partite et saldar conti. Al 42° rispose, che chi sa faro un testamento saperrà fare ancora nel mede- r.o simo modo una compera, una vendita ot una donatione. Al 43° rispose, elio uno che faccia lo cose di clic nell’ interrogatorio, fa sa¬ viamente e prudentemente. Al 14° rispose, ossero cosa laudabile, havendo il modo, andare vedendo il mondo. Al 15° rispose, che il fare lo cose di elio nell’interrogatorio ò attione da savio. Al 46° rispose, che noli’ attioni dell’ interrogatorio deve quel tale essoro te¬ nuto savio. Al 47° rispose, che il testatore tenne por prudente et savio il suo tutore in quelle attioni di che nell’ interrogatorio. Al 48° risposo, liaYor sentito nominare Mess. Braccio Ilicasoli per persona 40 giuditiosa. G2 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 49. Itera, se gl’ huoraini sobrii nel "vestire ot mangiare, et. che vivano ritirati, studiando belle lettere nò si compiacendo se non in quelle, questi tali campano et spendano meno la metà delli altri huoraini allegri ot buoucompagni. 50. Itera, so chi si vedo mancare la sanità et gettarsi a mali incurabili, per viver quel più, fanno bene a viver ritirati, senza pensieri, ot starsi in villa. 51. Itera, se comunemente quelli huoraini acquistano lode o biasimo, quando lasciano a uno della sua famiglia la roba loro. 52. Itera, so gl’huoraini nel continuo medicarsi a’infastidiachono, ot sopra il male ohe hanno farnetichano, et alcuna volta s’inoollorischano con ciascuno gridando. 53. Itera, se chi scrivo al suo fattore o inamidino quel che gl' ha fare minutissima- io mente, questo tale è pazzo o savio. 54. Item, so chi sta 2 o 3 mesi in una città, et pratica con la aua natione, giuoca, va a ville, ragiona con prudenza di coso gravi, ot veste et va con decoro degno di gen¬ til’huomo, questo tale ò pazzo o savio. 55. Itera, se si dove credere più u’latti et nll’actioni elio uno fa, clic a quel che si scrive o dico di lui. 5t>. Itera, so gl’ò mono sposa In metà vivere et vestire alla cortigiana, elio alla fiorentina<*>. 57. Item, se Giovamhatista ora più atto et inclinato alla sobrietà del mangiare et dol vestire et praticare con vecchi, elio al tenere vita lauta et far tampone in villa o Firenze. Al 49° rispose, credere che il medesimo huomo, se virerà sobriamente et parca- 20 niente, spenderà meno elio non farebbe vivendo allegramente et da buon compagno. Al 50° rispose, quegli far benissimo che, per vivere più, essendo tali quali nell’ interrogatorio, fanno le cose di elio noli’ interrogatorio. Al 51° rispose, non acquistare biasimo quelli che, non progiudicando in conto alcuno ad altri, «istituiscono heredi quelli della sua famiglia. Al 52° rispose, essere alcuni mali nei quali l’infermo suolo farneticare, in- fantastichire, et infastidirsi do’ medicamenti. Al 53° rispose, che chi fa quello elio nell’ interrogatorio, esser savio, in tale attione. Al 54° rispose, quello che fa 1’ attioni di che nell’ interrogatorio, procedere so da savio, in tale attioni. Al 55° rispose, quando sia scritto c detto il vero, doversi prestar fede a tale scritto quanto a gli stessi fatti. Al 56° rispose, non bavere provato la vita del cortigiano, e però non ci bavero che dire. Al 57° rispose, che detto Giovamhatista era più inclinato alla sobrietà del mangiare c vestire et alla conversatione con huomini letterati, che al tenero vita lauta, et far tempone in villa et in Firenze. 9. a' incolloveaehano, A ; »' incolloriaeono, M — 0) Noi margino, di fronte a quest'interrogazione, si leggo: « C'è 2 volto ». IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EOO. 63 58. Itom, so uno che si sia in villa i tre quarti doli’anno, et. in quella vivo ritirato, badando a studiare, può largamente con fiorini 150 vivere et vestirò, insieme con un servitore. 59. Il,eni, se s’ha da credere più a 4 gentil* buoni ini, che a servitori, vetturini, boati o garzoni. CO. Itera, se a Firenze un mercante che rondo buon conto, praticando con molte per¬ sone et botteghe, si tiene che b’ acquisti credito a Firenze, per esser i bottegai o banchieri persone accortissime. 61. Itera, se può essere che Giovambatista Ricasoli fessi alle botteghe di Firenze che 10 gli bisognavano, et se per quosto da ciascuno ora stimato savio. (52. Itera, so a un solo, a Firenze, che ha humore, nel viver ritirato, gl’è d’avanzo in Firenze una casa di fiorini 25 o 30, massimo volendo star in villa i */« dell’ unno. 63. Itera, so uno può rendei* testimonianza nel deporro: « Il tale foco la tal cosa di Gennaio; l’harà fatta ancora di Giugno o Traine ». Gl. Itera, so la maggior parte degl’ huomini savi o di gran lettere et scienza usano parlar poco, et iraparticulare con gcnto ignorante. 65. Itera, so gl’ è usanza del vulgo ignorante et pazzo, quando vede un savio o filosofo, farsene beffo et biasimarlo, a sproposito il più dolio volte, perchè non s’irabriaca, corre o parla, et perchè non dona loro. 20 66. Itera, se gl’è lodato più chi sta a sentire, cho chi parla assai. Al 58° risposo, non sapere dar giiulitio sopra lo cose contenute nell’interro¬ gatorio. Al 59° risposo, che per lo pari, cioè in cose che possono essere note a tutte le gente di elio nell’interrogatorio, si deve credere più a gentil’huomini clic agl’altri. Al 60° rispose, non si intendere punto della mercatura. Al 61° rispose, non sapere che detto Giovambatista conversassi con bottegai, nò se andava alle bottcglie, e perciò essere ignaro di quanto si contiene nell’ in¬ terrogatorio. Al 62° rispose, che secondo la qualità delle persone si deve giudicare clic ao sorte di casa gli sia conveniente, c, per essere l’interrogatorio universale, non potere rispondere altro. Al 63° rispose, non potere dar risposta a un quesito tanto universale, atteso che molte cose si possono lai* di Giugno et non di Gennaio, et molte di Giugno et di Gennaio. Al 64° rispose, credere le persone litteratc parlare competentemente con ogn’ uno. Al 65° rispose, non haver veduto mai al vulgo farsi beffe delle persone lit- terate. Al 6G° rispose, secondo i tempi essere più lodevole bora il parlare, bora il io tacere. 64 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 67. Itero, ho uno, sentendo logoro una canzona o sonetto o qunlcho prosa, dicendo: « Questo è lo stilo del tale autore », questa uctione o giuditio ò da liuoiuo sanissimo di mente et bene in cervello. 68. Itero, che cosa sia esser t.isieho, et Be i tisici naturalmente, mentre scemano di carne et ai consumano, lo spirilo diviene in loro più perfetto et purgato. 60. Itero, se uno avanti un giorno la sua morto, scudo vi italo «la parenti o parente, dicendo con proposito: « Io ho preso il miglioramento della morie; pregato Iddio per me; fate vezzi a’ vostri figliuoli », questo tale si può veramente dire che lussi savio et di retto giuditio fin all’ ultimo. 70. Itero, se uno che si medica di Luglio 89 per tisicho, può esser che cominciassi del io mese d’Aprilo 89. 71. Item, se chi scrive di sua mano gli spacci in fiora di Bisetizone a’ banchi et prin¬ cipali, rimettendo sommo di danari ot. ragguagliando il cambiato al buo quaderno o libro di cambi, questo tale è savissimo et benissimo in cervello. 72. Item, se quando uno rispondo a una lotterà che Im 26 o 28 capi, ot dà ordine a tutto benissimo, so questo (ale è ingiuriato a torto et infamato centro a ogni debito di ragione, dell* esser pazzo o mentecatto. 76. Itero, so tiene che (.ruminibatista bavessi memoria et prudenza nel discorrere. 74. Itero, so Aristotile, Platone et Cicerone sono tenuti savi dagl’ Imoiuini, perchè i loro scritti sono dotti et con giuditio fatti. 20 7f). Item, se gl’è cosa infelicissima l’haver a render conto particulare d’ogni nctione et parola dotta in sua vita, atteso ohe solus Deus per feci tu*. 76. Itero, se credo che chi ò per sua natura avaro, sia sottoposto a molte cose brutto, dalle quali con grandissima diflìcultà si può guardaro. Al 67° rispose, il giudicare bene quello che si dico nell’ interrogatorio esser cosa da persona giuditiosa in quel fatto. Al 68° rispose, rimettersene a’ medici. Al 69° rispose, non si potere arguire saviezza in uno da quelle cose sole ohe si dicono nell’interrogatorio, per non essere impossibile che uno uientecapto le dica. Al 70° rispose, rimettersene a’ medici. so • Al 71° rispose, quello che fa le attieni di elio nell’interrogatorio, essere da stimarsi savio in quelle. Al 72° rispose, che se uno opererà bene le attieni di che nell’interrogatorio, a torto sarebbe in quelle tenuto pazzo. Al 73° rispose, tenere clic Giovambatista liic&soli in molte cose discorressi con memoria, giuditio et discorso buono. Al 74° rispose, i detti filosofi et oratori essere tenuti savi, sì per i loro scritti, come per non ci essere scrittore che scriva clic fussero mentecapti. Al 75° rispose, rimettersi a’ Micologi. Al 7G° rispose, rimettersene a’ filosofi morali. <0 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 65 77. Itera, se chi porta bruno per qualche suo parente, quest 1 ò aetione da savio o da matto. Filza A. cnr. I31r.; Filza B, car.30f.-3H. Sopra V oliavo. 1. Sieno domandati, elio sorto di vestiti si foce, et so crono condecenti al grado suo, massimo in tempo di nozze di Padroni come era, et come quello che era stato gran pezzo in villa, et quello ne sappino. 2. Si domandino, se andava por Firenze da por sò et con altri noi modo suo solito, et se. praticava come era solito fare, andando alle botteghe a levare quello elio gl 1 occor¬ reva, voltando partite, pigliando danari da banche et saldando conti. io Al 77" risposo, il portar bruno por i parenti essere attiene che le persone savie la fanno. Sopra V 8° capitolo de., lasciali gV altri etc. Il guai testimone de. Che osso testimone, schene non sa il giorno preoisamonto che detto Ciòvam- batista tornò di Terenzano in Firenze, sa non di meno che egli cominciò a vo¬ lersi faro più vestiti, contro il suo solito, et a far continuamente buona tavola; et alcune volto giucava, et al parere di esso testimone, nel giuoco, detto Gio- vambatista buttava via, perchè giucava senza giuditio e senza tenere conto di danari, dicendo che haveva da essere morto dalla giustitia; e perciò poco si curava 20 di roba, et in un mese e mezzo spese largamente) più del solito; et diceva d’essere assassinato da’parenti, et si fece la berretta con il bruno, dicendo di portar bruno por sò ; et che così fu, et ò vero. Sopra gV interrogai ori i (Iella parte adversa concernenti detto 8° capitolo. Al p.° rispose, che detto Giovami batista si fece più vestiti, cioò un paro di calze intero alla spaglinola, con casacca et giubbone neri, vestito però conde¬ cente al detto Giovambatista nelle nozze della Gran Duchessa, et un altro ve¬ stito bigio di raso, che si cominciò a fare, et teneva i sarti in casa, et non si lini, comedi sopra ha doposto negl’interrogatorii primordiali; et ciò sapere per haverli visti. 30 Al 2° rispose, che detto Giovambatista andava solo et accompagnato, come ha detto di sopra. 0. da banchi, B — XIX. 9 66 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 3. Se e’ sanno che mentre fu in Firenze, oltre al vestirsi, assettassi la rasa et camere da suo pari, et convitassi ancora de’genti 111 orni ni forestieri principali, alloggiandoli in casa sua et de’ parenti, perchè passava da casa sua la Sor.'"* Gran Duchessa, trattenendo, il giorno dell’cui rate., sul suo uscio gentilhoniini, et fece dar loro bere; et quello elio o’sappino che e’ mandassi malo la somma cho nel capitolo,et no può essere elio e’ non li mandassi male, ma se li serbassi et se no sorvissi poi nel viaggio per sè et per li amici, cho loro non lo sappino. 4. Et se o’sanno cho il detto giorno cavalcassi, et dove andassi particolarmente. 5. Se e’ sanno a quanti giorni del mese d’Aprilo morissi Mese. Francesco Rimali, zio del S. r Bettino, et che Giovambatista disponessi del suo voto in Moss. Ilieremia, fra¬ tello di Moss. Neri. lo 6. Item, so sanno cho o’ portassi bruno por detto Moss. Francesco, et quanti giorni lo portò. 7. Item, se dicessino che e’ portava bruno per sè medesimo, so o’ si può «lire chiaramente che, al modo suo solito, burlassi, poi elio si vedo cho portava bruno per detto Moss. Fran¬ cesco; et bc burlava così di cosa così chiara, poteva burlarli in altro cose simili o maggiori. Al 3° rispose, sapere clic (letto Giovambatista convitò messer lugurta Tom- masi Sanese, ma non sapere che gl’alloggiassi forestieri in casa; et la mattina dell’entrata convitò i parenti et amici suoi, et detto bere in terreno a molti, come vedde detto testimone; et altro non sapere, se non quanto ha detto di sopra. Al 4° rispose, sapere che iL giorno dell’entrata detto Giovambatista cavalcò 20 et andò verso la Porta al Prato. Al 5° rispose, non sapere niente. Al 6° rispose il medesimo. Al 7° rispose, non credere che detto Giovambatista si burlassi nel dire che portassi bruno di sè medesimo. A dì XII di Feh.° dello , in detto luogo , di giorno. Sopra il 9° capitolo etc. Il qual testimone etc. Che esso testimone, delle contenute nel capitolo disse bavere deposto di sopra negl’interrogatorii primordiali tutto quello cho sa, et a quello riferirsi, et cho così ao fu et è vero. Sopra il X capitolo etc. Il qual testimone etc. Che esso testimone disse, bavere deposto di sopra negl’interrogatorii primor¬ diali tutto quello che egli sa delle cose contenute nel capitolo, et a quello riferirsi, et che così fu et è vero. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EOO. 07 Filza A, car. 131*.—lJ)2r. ; Filza lì, car. 31 *.-3-1*. Solini il nono et sopra il decimo. 1. Si domandono quello cho e* sanno elio #1’ andassi su lo montagne di Mugello et, a Scnrperia, et chi lo voddo in detti luoghi, et se può essere cho dicessi per burla, come era suo solito di fare. 2. So e' sanno ohe e’ sia solito Giovanbatista lticasoli faro osercitio grandissimo por sanità, et so gl’ ha monache parente in Prato. 3. Item, so può osboi-o cho dalla dolcezza dol’oaorcitio sentendosi giovare, possa tra¬ passerò i termini soliti, ot che Giovambatista andassi a Prato poi che e’ fu condotto più oltre che o’ non voleva, non cho o’si partissi con volontà determinata d’andarvi; et però 10 si partissi con li panni soliti portarsi per la città, ot senza farlo noto a nessuno. 4. Itom, so è mai intervenuto ad alcuno andare in un luogo et poi trovarsi in un altro, o per la compagnia o per comodo suo o por cpiolsivogli altra cosa contro a quello cho si era dotorminnto a principio. fi. Item, so sanno cho da Prato a Pistoia andassi con lui in carrozza il cognato ot Mesa. Neri, ot amlassino a casa dol S. r braccio suo zio a effetto di visitarlo, come forse da detto S. r braccio no sarà stato ricerco. fi. So il lasciare uno la borsa in un luogo più cho in un altro, massime in casa di parenti, può intervenire a ciascuno. Sopra gl' intcrrogatorii della parte adversa , concernenti il 0° et X capitolo de. 20 Al p.° rispose, cho Giovambatista Ilicasoli non era solito di burlare; et le coso contenute nell*interrogatorio disse haverle intese da Mcss. Neri lticasoli et dallo stesso Giovambatista, et baverlo dette di sopra. Al 2° rispose, haver visto detto Giovambatista alcuna volta fare excrcitio in villa di dua miglia in circa, et haver inteso dire elio gl* haveva dello monache parente in Prato. Al 3° risposo, che le cose contenute nell’ interrogatorio non sono impossibili, ma 6ì bene incredibili ad esso testimone, perché una mezza bora inanzi che si fuggissi detto testimone, haveva sentito dire dal detto Giovambatista che si vo¬ tava andar con Dio per paura della giustitia. 30 Al 4° risposo, elio lo coso contenute nell’ interrogatorio possono intervenire a ogn’ uno. Al 5° risposo, non bavero inteso questo particolare, o non se ne ricordare. Al 0° risposo, potere intervenire che uno lasci la borsa in qualche luogo; dal quale luogo si può arguire so vi potette esser lasciata a posta o inavvedu¬ tamente. GS IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EOO. 7. Item, bo e’ sanno che o’ mandò per essa a posta, et se sanno chi andò per essa, et se o’ disse appunto dove ella era. 8. Ilom, si domandino quello olio e’sanno elio e’non facessi motto alla Bua partita al S. r Comraessario di Pistoia o alla sua donna, et so può essere che gli facessi motto et loro non lo snppiuo. 9. Itera, si domandino cho inganno fu fatto a detto UiovambaLista et da chi, et so so ne avvedile. 10. Itera, se e’sanno che alla partita sua di Firenze, che fu, come si dice, a’7 di Mag¬ gio, egli havessi danari in borsa, ot pigliassi panni lini et lani, et gli mettessi in una valigia di quoio datali da Mosb. Lorenzo Giacomini in presto, ot pigliassi servitore et io compagnia di parenti et amici; et so vi erano presenti il zio, la sorella et Mess. Hor- nardo de’Cardi; et ae o’sanno cho e'dicova di volere andare a Poscia et a Lucca, et a che effetto. 11. Itera, so può esser cho dia fastidio a uno l’andare in carrozza, ot che vaili meglio a cavallo. 12. Item, si domandino cho via fece da Poscia a Lucca, ot so fu via straordinaria; et dichino quale è la via ordinaria, et quale la straordinaria. 13. Itera, si domandino in cho tempo fu a Perici, con chi, et didimo chi lo vedile in detto luogo, et quel cho fece. 14. Si domandino quello cho o’sanno che di Genova volessi andaro a Lione, et cho 20 inventioni fumo trovato perchè non vi andassi. f Al 7° risposo, esscro andato dotto testimone in persona per la borsa, ot liaver- gliene commesso (letto Giovambatista, et dettogli dove P era. AP 8° rispose, liaver sentito dire da Mess. Neri Ricasoli et da Giovambatista, che detto Giovambatista nel partirsi di Pistoia non volso far motto a Mess. Piaccio Ricasoli, suo zio. Al 9° rispose, liaver detto di sopra. Al X° rispose, esser vero che detto Giovambatista, alla sua partita di Firenze, liaveva danari in borsa, pigliò panni lini et lani et gli messo in una valigia, o pigliò servitore et compagnia di Giovanni Ricasoli et di detto testimone ; et vi so furono presenti il zio et Mess. Bernardo de’ Bardi : et diceva, voler andare a Lucca alla Madonna, per vincere la gara con i parenti, che per inganno 1’ bave- vano poco avanti ricondotto a Firenze. All’ XI rispose, che può essere che l’andare in carrozza dia fastidio a gual¬ cii’uno, et che vadia meglio a cavallo. Al XII rispose, che detto Giovambatista e compagni da Poscia a Luccha, per quanto si ricorda esso testimone, andorono per la via ordinaria. Al XIII rispose, che detto Giovambatista, nel viaggio ebe fece a Genova, non essere passato da Lerice. Al 14° rispose, haver deposto di sopra quanto al contenuto nell’ interrogatorio. 40 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 69 15. Se in detta città di Genova gl’andò a vedere palazzi, giardini et navi, et con ehi andò, et se vedeva volentieri ogni cosa notabile et famosa, dilettandosi, come gentil homo et facultoso, di vodcro molte citta principali, conio Roma, Milano, Vinci in, Napoli, Verona, Vicentia; ot so o’ sanno che in detti luoghi egli vestissi, conversassi et incessi come fanno i gentilhomini suoi pari, et non altrimenti. Filza A, car. I05r.-168f.; Filza B, cnr. I091.-122». Interrogatorii particulari al Galileo. 1. So il testimone sa elio il faro pazzo Giovani batista, è tórre Thonore alla casa Ricasoli et laro un tristo Giovanni Ricasoli, a chi fu donato. 2. ltem, quanto tempo ò elio cognosco Mess. Giovanilmtista Ricasoli, et da chi è pio¬ lo gato far questo cxamino. 3. ltem, dove lo vedile et pratiche seco, et quel elio faceva. Al 15° rispose, liaver visitato detto Giovambafcista in Genova palazzi, giardini et nave, in compagnia di Giovanni Iticasoli et di detto testimone) ; et non pareva ad esso testimone che in vedere siimi cose pigliassi molto diletto; et che, quanto al conversare, fuggiva il visitare o esser visitato da gentil Inumimi; et negl’altri luoghi et città contenuto nell'interrogatorio non essere stato detto testimone con Giovani batista. Sopra il XIII- capitolo , de. lasciati, gli altri, rtc. Il guai testimone ctc. 20 Che esso testimone, delle cose contenute nel capitolo dissi* liaver doposlo quanto no sapeva, di sopra negl’ interrogatorii primordiali ; et che cosi fu et è vero. Sopra gV interrogatorii. Al primo et ultimo rispose, non sapere che detto Giovambatista mandassi per fattore; et del suo ragionare et discorrere liaver detto di sopra. Examinato sopra gV interrogatorii della parte adversa , concernenti la persona propria in particolare di licito testimone. Al p.° rispose, che i casi elio non sono in nostra podestà, il fargli o il fug¬ girgli, non apportano honore o biasimo a sè et alla sua casa. Al 2° rispose, haver detto di sopra da quanto tempo in qua babbi conosciuto so Giovambatista, et esser venuto a exaininarsi citato per ordine de’ ClarissJ Sig. ri Consiglieri. Al 3° rispose, liaver detto di sopra. 9-10. è jniyato far, Il — 70 IX. DISPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 4. Itera, so lo conobbe per giovane uavio, dotto et molto gentil», et per Ulo lo reputò et tenne, et tiene di presente. 5. Itera, ae gl’era ot fu sempre modesto et accorto et discreto. 6. Itom, quello che gl’insegnava, se l’imparava presto et bene. 7. Itera, quanto tempo stessi alla Torricella seco, et chi vi fusai in compagnia. 8. Itera, so Giovambatista, quando faceva exercitio, faceva a piedi 5 o 6 miglia, per usanza sua anticha. 9. Itera, se ragionava dolio casa sua de’ Ricasoli et sua famiglia, et so egli amava Mesa. Neri lticasoli et i fratelli più d’ogni altro di casa. 10. Itera, so gli disse: « Quando io piatii con la vedova mia ria, Mesa. Neri fece il io debito suo, oliò si affatichò per me ». 11. Itera, so gl* era sottilo nel discorrere et nel dare a crederò por vere le cose. 12. Itera, se gl’havova gusto et piacere nel darò a credere qualche lintione. 13. Itera, se finse una volta di essere stato affrontato o elio altri havessi affrontato il detto testiraono, ot in su questo chi preso arino ili archibuai et vennero incontro al detto testimone. Ài 4° rispose, havorlo conosciuto alcun tempo per giovane savio, dotto e pru¬ dente; ma di questi ultimi tempi, cioò da undici mesi in yuu, haverlo conosciuto per tale quale ha detto di sopra. Al 5° risposo, elio detto Giovambatista fu sempre modesto o discreto, più verso 20 gl’ altri che verso sò medesimo, et della sua accortezza potersi trarre da quanto ha detto di sopra. Al 6° rispose, che esso testimone non gl’ insegnava, ma studiava in sua com¬ pagnia filosofia, matematica ot poesia. Al 7° rispose, elio alla Torricella esso testimone vi stette più volte con detto Giovambatista, quando quattro, quando dieci, 15 et 20 giorni per volta; et vi veniva alle volte qualch’ uno a visitarlo, come il Cav.™ Pier Batista Ricasoli, Mess. lugurta Tommasi Sanese, et quelli circumvicini, quando uno o quando un altro. All’ 8° rispose, che quanto all’ oxercitio di detto Giovambatista ha detto 80 di sopra. Al 9° rispose, non sapere niente. Al X° rispose, non sapere niente. Al XI risposo, che nel discorrere era sottile, o nel resto, del dare a crederò, non sapere giudicare niente. Al XII rispose, non sapere niente. Al 13° rispose, che essendo alla lorricella detto testimone, e essendo andato a fare exercizio con Giovambatista Ricasoli, nel tornarsene la sera di notte a casa, detto testimone rimase adietro, e Giovambatista arrivando a casa tutto alterato, 5 . /uni compagnia, A — IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 71 14. Itero, so si dolse di questa burla, et se fu per pericolare, et la conti. 15. Itero, se chi vi era la credette davero. 1C. Itero, so Uiovambfttista disse: « Io non credevo clic il mio parente la credessi >, et si scusava la sera a tavola, ridendo forte di questa burla. 17. Itero, se mai per tempo alcuno li sentì dire male del suo cognato Iacopo Quaratesi. 18. Itero, so lo veddo in Firenze conversare con i primi gentil lmotnini di lettere et nobiltà elio lussino a Firenze. 19. So por sua usanza (xiovainbatista vestiva ordinariamente ot modestamente in villa et Firenze, era sobrio nel roagniare. 10 20. Itero, so da loro era tenuto in stima, et so l’honoravano 21. Itero, so Giovarobatista era giovano da cssoro stimato et amato da i buoni. cominciò a gridare dicendo: « Fattore, danari, denari; correte presto, che i ban¬ diti hanno preso il Galileo, et lo lasceranno se gli mando denari > ; e mentre diceva questo parole, so no corso in camera, entrò nel letto, per quanto «lotto testimone intese poi in casa, nò volso la sera cenare come e’ veddo. Intanto tutti quegli che erano in casa, cioè Pier Batista Ricasoli, il fattore e il servitore di detto fìiovambatista, corsero con arme in aste, archibusi, spade c altre arme per affrontare detti banditi. Ma poco lontano da casa trovorno detto testimone che se no tornava; il quale testimone domandando a detto fìiovambatista perchè 20 havessi fatto questo, risposo detto fìiovambatista, haverlo fatto per vedere clic movimenti facevano quei di casa : e altro non sapere. Al 14°, rispose liaver ricevuto detto testimone travaglio non piccolo del sopra- . detto fatto: però che quando i soprascritti armati veddero poco lontano detto testi¬ mone, uno di essi, cioè Pier Batista Ricasoli, pensando che lussi detto testimone uno de’ banditi detti da fìiovambatista, dette fuoco a un arehibuso per ammaz¬ zarlo; ma per buona sorte Parehibuso non prese: niente di meno, considerando poi esso testimone il pericolo che liaveva corso, ne sentì poi gran travaglio. Al 15° rispose, elio tutti quelli che vi erano, lo credettero da vero, et non vo¬ levano credere ad esso testimone che non fussi stato nelle mani do’ banditi. 30 Al 1G° rispose, che detto fìiovambatista a tavola si scusava con detto testimo¬ ne, con dire che non credeva che il suo parente havessi a correre con archibusi. Al 17° rispose, che detto fìiovambatista in questo suo male si doleva di tutti i suoi parenti in generale. Al 18° rispose, liaver veduto detto fìiovambatista conversare in Firenze con gentil huomini di lettere et nobili. Al 19° risposo, che detto fìiovambatista vestiva da sua pari, et mangiava mo¬ destamente. Al 20° rispose, haverlo tenuto detto testimone in stima, et haverlo honorato. Al 21° rispose, che detto Giovambatista era giovane da essere stimato et 40 amato da’ buoni. 72 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 22. Itera, so egli era cortese, et se a lui gl’ usò cortesia alcuna. 23. Item, se lo vedde giocare a Firenze con Mesa. Iacopo de’Medici. 24. Itera, se lo vedde cavalcare per Firenze, sonare, ire a’banchi, allo botteghe, spa S . seggiare Mercato Nuovo, essere al Ponte di Sanata Trinità, c discorrere et rispondere pru¬ dentemente et saviamente. 25. Itera, so erodeva che portassi bruno per sè stesso, o pur per burla al suo solito. 20. Itera, se mesaer llyoromia llicasoli lo ricerohò della sua voce nel presentare allo chiese vacate. 27. Itera, so fu in casa sua quando banchettò dottori, amici suoi, et chi erano, et quanti. 28. Itera, so lo vedde por Firenze et fu seco, se considerò le statue et gli ornamenti io fatti per le nozze o entrata della Gran Duchessa. 29. Itera, so il giorno del’entrata fu grandissimo caldo. 30. Itera, se la mattina fumo a far collazione in camera sua terrena Mesa. Francesco Guicciardini, il Sig. r Francesco Itucellni ot il Sig. r Francesco Bonciuni ut altri. 31. Itera, se il giorno del’entrata fece banchetto a Inumimi et donne sue parenti, et se vi fu la madre, sorelle, fratelli et padre del testimone, et i SS. rl Guadagni. 32. Itera, so le cose dette et fatte da Giovarabatista, dello quali di sopra, possono far tenerlo altro che savio et gentile. 33. Itera, se gli ha Iacopo Qu aratesi por httomo clic sappialo leggi di Firenze, et che se Giovarabatista ha vessi mostro alcun segno di pazzia, non l'haverobbo lasciato partire, ma 20 Al 22° rispose, essere stato cortese detto Giovarabatista, et havorne detto te¬ stimone ricevuto cortesia. Al 23° rispose, haverlo veduto gincare in Firenze con Iacopo de’ Medici. Al 24° rispose, haver detto di sopra. Al 25° rispose, che credeva che detto Giovarabatista portassi bruno di sò stesso, poi che così haveva detto ad esso testimone. Al 2G° rispose, non ne saper niente. Al 27° rispose, haver detto di sopra. Al 28° rispose, non essere stato detto testimone con detto Giovarabatista per Firenze a considerare le statue et altri ornamenti fatti per lo nozze della Gran 30 Duchessa. Al 29° rispose, che gli pare ricordare che il giorno dell* entrata fussi caldo. Al 30° rispose, che la mattina furono a far colettarne in camera Giovambu- tista alcuni gentil kuomini. Al 31° risposo, che la mattina dell’entrata detto Giovarabatista dette desinare a più huomini e donne, amici e parenti, fra’quali furono detto testimonio, suo padre, sua madre, suo fratello et sua sorella. Al 32° rispose, delle attioni sopradette, alcune poterlo fare tenere savio o gentile, et altre altrimenti. Al 3ó° rispose, non bavere intera cognitione dell’essere d’Iacopo Quaratesi. *0 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 73 messolo sotto la cura tic’ pupilli, o serratolo in una stanza et prohilntoli 1’ administrare, come s’ usa, et non lasciatolo liberamente andare in viaggio et maneggiare denari et far quello che li tornava commodo. 34. ltoin, so l’actioni et operazioni che fece in Firenze furo» degne di farli così fatto fregio. 35. Item, so Iacopo e huomo da non lasciare in dricto cosa che Bia di guadagni et sia secondo li statuti et uso di Firenze et da potersi far legittimamente; et che, se havossi potuto metter per pazzo et ne’ pupilli, domandisi che voi dir che non vi si è messo 36. Item, so lo voddo alla commedia di Palazzo, et con chi era. 10 37. Item, so in Luccha et Genova lo veddo allegro stare in conversattiono. 38. Item, se chi muta alloggiamento per star meglio, fa cosa che la fa ciaschuno, et se questo fece Giovambatista a Lucca, et massime dove è molta brigata. 39. Item, se alla Torricella si ricorda d’altra burla che la detta di sopra, et so può essere che ne facessi del’ altre, come quella a lui et altri. 40. Item, so vi veniva Mesa. Iugurta Tonini usi, dottore et fdosopho Sauese, alla Tor¬ ricella, et so ragionava seco alla libera, o altri Sanesi. 41. Item, se de’ llicasoli vennor da lui a star liberamente con familiarità a desi¬ nare et cena alla Torricella per molti giorni, vi veniva altri elio i fratelli di Mess. Neri o Mess. Neri. 120 42. Itera, se quando si partì per a Fescia con Giovambatista, se vi era presente il zio, sorella, Bernardo do’Bardi, et l’invitò a ir seco a spasso, et se pigliò una vnlligia et una borsa del zio Giacomino. Al 34° rispose, baver detto di sopra a bastanza. Al 35° rispose, baver inteso diro alcuna volta a Iacopo Qnaratesi di non vo¬ lersi pigliare curo particolari di Giovambatista Ricasoli, per non voler parere di porre il piede inanzi al suo zio, suocero et altri parenti stretti, acciò, seguendone poi qualche sinistro, non havessi da essere tutta la colpa sua. Al 36° rispose, havcrlo veduto stare un poco a vedere la commedia di Pa¬ lazzo da una finestra su alto. so Al 37° rispose, haverlo veduto stare in Lucca et in Genova alcuna volta alle¬ gro, ma non quando era in convcrsatione, come fu una sera in Poscia in casa il Capitano Carlo. Al 38° rispose, clic chi muta alloggiamento migliorando, opera saviamente; et Giovambatista mutò alloggiamento a Lucca, perchè le diverse persone di su gl’ alberghi non gli piacevano. Al 39° rispose, non ricordarsi di burle, et credere esser possibile che ne facessi. Al 40° rispose, haver detto di sopra. Al 41° rispose, non si ricordare che alla Torricella vi venissero altri de’ Ri¬ casoli che Mess. Neri o suoi fratelli. 40 Al 42° rispose, haver detto di sopra. XIX. io 74 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 43. ifcetn, se dotto denari a Giovanni tutti quelli elio gli beveva, o puro fiorini 20 incirca 44. Item, so dotto testimone andò por denari n Pistoia in casa il Commissario, et dove andò precisamente, so li trovò apunto dove disse, et so li rese tutti a Giovambatista. 45. Itom, so senti diro o udì elio Mesa. Francesco Guadagni, Iacopo ymiratesi o Lo- ronzo Giacomini, garriwino Mesa. Neri Ricasoli, perchè non era ito con Giovato batista Ricasoli a Lucca lui, et non Giovanni Ricasoli. 4G. Itera, so da Poscia a Lucca andorno per la strada ordinaria, solita farsi a cavallo. 47. Itera, so a Poscia tutti di compagnia stettero allegramente, et così a Lucca. 48. Itera, so è da maravigliarsi elio Giovambatista andassi por poggi et boschi quando si doveva fare exercitio, aondosi allevato in Chianti, paese montaoso et sassoso. 10 49. Item, se sempre fu sobrio nel bere il vino Mess. Giovambatista, et largo nel rico¬ vero et lionoraro i forestieri, ma parco nel dar loro da mangiare. 50. Itera, se con bolle parole fece scusa al Commissario del non si esser formato Gio- vambatista in nome suo a Pistoia, et presi i denari disavedutamonte lasciati se ne ritornò a Poscia, ragguagliandolo di quel elio liuvevn fatto. 51. Item, so a Gionova andorno a vedere In nave . .. giardini, palazzi, vestì con modestia, andando con decoro Giovambatista, degno di sua pari, et sempre discorrendo con gimlitio, come era solito. 52. Itera, se Giovambatista del mese di Aprile o di Marzo gli mandò del vino a casa per il suo vetturale. 20 53. Item, se il suo fratello, elio suona di liuto, ogni giorno o spesso Giovambatista lo mandava a chiamare per sonare insieme il grave cembalo, et lui di liuto. Al 43° rispose, non ricordarsi che somma di danari detto Giovambatista dessi a Giovanni. Al 44° risposo, haver dotto di sopra. Al 45° rispose, non haver sentito dir niento. Al 4G° rispose, haver detto di sopra. Al 47° rispose, essere stati alcuna volta allegramente, et alcun’ altra malin¬ conicamente. Al 48° rispose, non esser da maravigliarsi elio Giovambatista andassi per so monti et boschi a fare exercitio. Al 49° risposo, haver detto di sopra. Al 50° rispose, non bavere fatto scuse con belle parole al Commissario di Pi¬ stoia esso testimone, et del resto haver detto di sopra. Al 51° rispose, haver detto di sopra. Al 52° rispose, haver havuto del vino da Giovambatista Ricasoli. Al 53° rispose, haverlo mandato a chiamare una o dua volto per sentirlo sonare. 7. da Pernia o Lucca, A. — 17. dctjna, A, Il — 0) Questi puntoliui souo cosi in A corno in li. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EC'C. 75 54. Itero, so in casa Mesa. Giovambatista il giorno venivano da lui huoroini gravi, et chi erano. 55. Itero, se in Lucca Mese. Neri cerchò distorlo dal far viaggio, ot se Giovambatista disso: « Questo non inporta a voi; noi ci rivederemo questo 7mbre; gl’è un pezzo elio io baveva questa fantasia ». 56. Itero, so fu in Palazzo della Signoria, et chioso Parino, ot se li fu concessa, et so la portò senza far danno ad alcuno. 57. Itero, so conosceva Moss. Pier Lazzaro Zafferini, elio stette Capitano di Iustitia in Siena, et so si ricorda dolla sua eiligio. 10 58. Itera, che barba liavcva. 59. Itom, so Piero, servitore di Giovambatista Ricasoli, lo somiglia nella barba ot nella carnagione talmente, che so havossi e’ panni et Inibiti elio portava detto Moss. Pier Laz¬ zaro, sarebbe facile a pigliarlo in cambio. 60. Itera, so sa elio Giovambatista, burlando, et cognoscendo questa somiglianza, lo chiamava Pier Lazzaro da Cortona, ot (pianto volto lo chiamava. (il. Itero, se bevendolo chiamato per tal nome, gli comandava poi incontinenti conio suo servitore solito. 62. Itom, se fu alla Piovo a San Lcolino, con chi, et quanto vi stetto. Al 54° risposo, ha vervi veduto venire Mess. Lorenzo Giacomini, Mess. Gio- 20 vambatista Strozzi, Mess. Bernardo de’ Bardi. Al 55° rispose, ricordarsi che Mess. Neri in Lucca voleva distorno Giovani- batista dal viaggio di Genova; ma delle parole particolari contenute nell’inter¬ rogatorio, non so ne ricordare. Al 56° rispose, clic detto Giovambatista in Lucca fu in Palazzo per P arme, et P liebbe, et la portò senza offesa di alcuno. Al 57° rispose, che detto testimone conobbe Mess. Pier Lazzero Zafferini, che fu Capitano di Giustitia in Siena, et si ricorda della sua elìigie. Al 58° risposo, che baveva barba bionda. Al 59° risposo, clic detto testimone non harebbe preso in cambio Piero, ser- 30 vitoro di Giovambatista, del detto Mess. Pier Lazzero. Al 60° risposo, non haver mai sentito chiamare Piero servitore, Pier Lazzero da Cortona. A dì 14. di Fcb. 9 1589 (l) , in detto luofjo, da sera. Al 61° rispose, haver detto di sopra, non P haver sentito chiamare per tal nome. Al 62° rispose, haver detto di sopra, et ohe alla detta Pieve stette circa a 3 bore. 18. San Ltonino, A — <*> Di stilo fiorentino. 7G IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EOO. 63. Itom, se vedilo Measer Giovauibatifltft, et se gli parlò, et di che. 64. Item, so desinò alla Pieve seco, et chi erano a tavola. 65. Itera, se Giovambatista in dotto luogo discorreva con memoria et iuditio. 66. Itera, se Giovambatista ragionò del viaggio fatto e cose viste o considerato. 67. Itera, se teneva elio fossi più bollo Napoli che Roma, e perchè. 68. Itera, se lodava il sito et l’amenità del’aria di Napoli, dicendo qualche particolarità. 69. Itera, se a tavola, mentre che desinò seco, ragionò di Virgilio, con in occasione di haver visto luoghi vicini a Napoli di quali tratti Virgilio, et che libro ut che coso. 70. Itera, se ragionò di Plinio, dovo seguisse la sua morte. 71. Itera, se ragionò di ville o bagni che bevessero gli antichi Romani in verso Napoli, io 72. Itera, da chi fu pregato d’andare a vedere Giovambatista. 73. Itera, so Piero servitore si lamentò di Giovanni, u perchè. 74. Itera, se Giovambatista stava a sentire ragionare il Cav. f * Francesco Maria et gli altri che erano insieme a tavola. 75. Itera, so crede elio Giovambntista, in quel tempo che lo vedde alla Pieve, potessi giocare alla rovescina o a scachi. 76. Itera, se Giovambatista montò a cavallo da per bò, et dovo andorno. Al 63° rispose, haver detto di sopra. Al 64° rispose, haver desinato con detto Giovambatista alla detta Pieve di S. Leolino, et che era seco Giovanni Ricasoli et un fratello di detto Giovanni et 20 un prete et il Cav. r ® Francesco Maria. Al 65° rispose, haver detto di sopra. Al 66° rispose, essersi ragionato in comune a tavola de’ viaggi fatti da Gio¬ vambatista. Al 67° rispose, non si ricordare di questo particolare contenuto nell’ inter¬ rogatorio. Al 6S° rispose, parergli ricordare elio detto Giovambatista lodassi il porto di Napoli et le fontane. Al 69° rispose, non si ricordare. Al 70° rispose come di sopra. 80 Al 71° rispose, haver ragionato di quelli bagni di Napoli. Al 72° rispose, esser andato a roquisitione de’parenti di detto Giovambatista, et anco di suo proprio moto, per visitarlo. Al 73° rispose, non si ricordare. Al 74° rispose, che detto Giovambatista stava ascoltare chimiche ragionava, mentre lui era a tavola. Al 7o® rispose, credere che detto Giovambatista, mentre che era alla Pieve, potessi giucare alla rovescina et a scacchi. Al 76° rispose, non si ricordare se detto Giovambatista lu aiutato montare a cavallo, et che andorono a Bonazza. 40 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 77 77. Item, se por la strada di Bonazza Giovambatista disse a mente de 1 versi, et di elio autore, et che libri liaveva soco. 78. Item, se chi gioca a scachi o «dia rovescimi da per sè stesso, può anchora leggero et scriverò con memoria e giuditio. 79. Item, so giocandosi fra huomini dabene, può seguire errori senza inganno, a pri¬ miera et altri giuochi. 80. Item, se al testimone sono stati rosi mai danari, o se lui ne ha resi ad altri, per tali errori avvenuti, et se questo ò solito. 81. Item, se lo vedde, o sentì dire, che Giovambatista fusai più volte a S. Trinità a 10 udire le conclusione di quelli Padri. 82. Item, se lo vidde al Ponte a Santa Trinità con P anticlia sua solita convorsatione di litterati, et discorrere et vestire et ragionare come faceva por il tempo passato. 83. Item, se Giovambatista si vestì honoratamonte per le nozze della Ser. 1,111 Gran Du¬ chessa. 84. Se per sua anticha usanza Giovambatista alla Torricella vivea ordinariamente, fa¬ cendo tavola sobria, et la sera mangiava pocho, et, come si dice, viveva alla cittadina. 85. So Giovambatista liaveva et liebbc sempre iuditio et memoria. 86. So il testimone gli portò sempre amore et reverenza fin al’ ultimo che fu seco. 87. Se gP è cosa solita et usata l’andare a spasso, vedendo il mondo, a’giovani che 20 hanno il modo. 88. Se Giovambatista, volendo partirsi di Firenze per far viaggio, poteva provedorsi moglio di denari, amici et parenti et vestiti. Al 77° rispose, non bavere veduto libri, et non si ricordare se detto Giovam- batista diceva a inerite versi per la via. Al 78° rispose, che alcuno può giucaro alla rovescina et a scaccili, et scrivere et leggere con giuditio. Al 79° rispose, che giucandosi possono seguire errori senza inganno. All’80° rispose, non essere stati resi al testimone, nò bavero reso ad altri danari per errori occorsi nel giuoco. so All’81° rispose, non haver visto dotto Giovambatista in Santa Trinità a udire conclusioni, ma sì bene haver sentito dire che vi fu a udirle. All’ 82° rispose, haver veduto detto Giovambatista alcuna volta a Santa Tri¬ nità la sera in compagnia di gentil homini. All’ 83° rispose, haver detto di sopra. All’84° rispose, haver detto di sopra. All’ 85° rispose, haver detto di sopra. All’ 86° rispose, haver portato sempre amore et reverenza al detto Giovam- batista. All’ 87° rispose, haver detto di sopra. fo All’88° rispose, non sapere dar giuditio, se Giovambatista poteva provvedersi meglio di parenti ; ma quanto al vestire, che poteva xnovvedersi meglio. 7S IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 89. So si mostra prudenza grandissima, quando uno fa viaggi, torre denari ot panni et compagnia. 90. So gli ò cosa solita scrivere in burla delle coglionerie fatte per viaggio. 91. Se Pandolfo Squaroialupi fu in casa Giovamlmtistn in Firenze d’Aprile 89, elio detto testimone si levava da giocare con detto Giovambatista et Iacopo de’Medici, et bo saldorno e’ conti alla prosontia del detto. 92. Se Mesa. Iugurta Tommusi discorse con Mesa. Giovambatista Ricusali di cose di filosopbia di Aprile passato. 93. Itera, se conobbe bavere Mesa. Giovambatista il medesimo discorso et uso di ra¬ gione del mese di Aprile o Maggio in Genova, che del mese di 7rabro quando tornò di io Roma, ma non già la medesima forza. 94. Item, se uno scrivo bene et ordina sopra i fatti suoi por lettera, questo ò vero et infallibile sogno se era in cervello o no. 95. Se Iacopo de* Medici in Firenze perdè molti denari con Giovambatista, et a elio giuoco, et se il testimone giocava. 96. Se Iacopo si ricattò seco, o con Giovambatista Hirnsoli, rivincendo i persi, ot molti, a Giovambatista; et quanta somma vinse Iacopo de’Medici detto. 97. So erodo che del mese d’Aprile passato Giovambatista lussi benissimo in cervello. 98. Se uno che fa un testamento bellissimo, con molte et molto con dderaltioue, direbbe elio quel tale fusai pazzo o savio. 20 99. Se del’archi trionfali et dell'apparato di S. Maria del Fiore crede che Giovani- Ali’ 89° rispose, esser prudenza il provvedersi a tutto l’occorrenze. Al 90° rispose, esser cosa solita scrivere dello coglionerie fatte* per viaggio. Al 91° rispose, non si ricordare de’ particolari di che nell' interrogatorio. Al 92 rispose, non si ricordare de’discorsi particolari che detto Giovambati- sta, nel tempo di che nell’ interrogatorio, hebho con Mess. Iugurta Tommusi. Al 93° rispose, che, per quanto conosceva detto testimone, Giovambatista Ri- casoli haveva il medesimo discorso quando tornò di Roma il Settembre passato, che quando stette in Genova, ma non la medesima forza. Al 94° risposo, parergli che dii ordina et scrive bene in lettera i suoi fatti, so sia da stimarsi in cervello, in quel particolare. Al 95° rispose, non si ricordare elio Iacopo do’ Medici perdessi giucando con Giovambatista, et bavero alcuna volta giocato detto testimone. Al 9G° rispose, essersi ricattato un giorno Iacopo de’ Medici do’ danari (dio perdeva con detto testimone, et haverne, detto Iacopo, vinti a Giovambatista, ma non si ricordare la somma. Al 97° rispose, haver detto di sopra. Al 98° rispose, haver detto di sopra. Al 99° rispose, che crede che detto Giovambatista havrebbe potuto discorrere degl’archi trionfali et delle storie cho vi erano. 40 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 79 Imitata Ricasoli ne sapossi ragionare, et discorressi delle historio et lodassi o biasmnssi con giusta causa quel che vedova. 100. «Se dice di no, dicha In causa; so di sì, sin domandato : «Perché lo fate pazzo?». 101. So Giovambatista Iticasoli, avanti facessi la scritta del parentado, si stava 8 o 10 mesi del’ anno in villa. 102. So Giovambatista lo conobbe per lussurioso, goloso et voglioso. 103. So egli hnvevn poco altro in testa che voglia di studiare. 104. So Giovambatista, quando andava a spasso por la villa, facendo gite luncrho. por¬ tava il più dello volte una montiera o berrettino. 10 105. So tieno per fermo elio Giovambatista, per sua nntichn usanza, da 8 mesi in- drieto, non spendessi, nel vitto et vestito, 1’ anno, fiorini 150, et servito. 100. Se Giovambatista fu allevato, nutrito ot educato, sotto la disciplina di Mesa. Lo¬ renzo Giacomini. 107. Se sapeva assai Giovambatista, ot so era ot fu sempre studioso et parco in ogni cosa, fuor elio nello studiare. 108. So tiene cho uno in villa, elio si stia ritirato, badando a conservare la sanità, con uno servitore o serva, viva con fiorini 120 l’anno, o boriili 150 il più. 109. So cognoscova benissimo l’humore di Giovambatista fin 18 mesi a drieto, et crede por fermo che, levato il murare et il coltivare ot lo sposo de’ fattori, si vivessi Giovam- 20 batista con fiorini 150, o fiorini 200 il più, con casa in Firenze. LIO. Se Giovambatista, Btamlo in villa, non harebbe fatto fare pasticci, procurato pescio di mare et simili cose dilicate, ma pigliava quel elio vi era, solo o accompagnato che lussi. Al 100° disse, haver detto di sopra. Al 101° rispose, supero clic Giovambatista, inanzi elio facessi la scritta del parentado, stava assai tempo in villa. Al 102° risposo, non haver conosciuto in Giovambatista nessuna delle qualità detto nell’ interrogatorio. Al 103° rispose, haver dotto di sopra. Al 104° rispose, haver veduto alcuna volta portare al detto Giovambatista, 30 andando a spasso, mentre era in Chianti, il berrettino o montiera. Al 105° rispose, credere che detto Giovambatista spendessi più di quello elio si dice nell’interrogatorio nel suo vitto, vestito et servito. Al 100° rispose, credere che detto Giovambatista fussi allevato sotto la cura et disciplina di Mesa. Lorenzo Giacomini, suo zio. Al 107° rispose, detto Giovambatista essere stato studioso et parco in ogni cosa, eccetto però da Aprile passato in qua, nel qual tempo non studiava i suoi studi ordinari do’ tempi passati. Al 108° rispose, haver detto di sopra. Al 109° rispose, credere haver conosciuto benissimo 1’ humore di dotto Gio- 40 vamhatista, et del resto haver detto di sopra. Al 110° rispose, che crede che Giovambatista per suo uso si sarebbe contcn- 34. diciplina. A, B — 80 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO KCT. 111. Se tiene PandoUb Squareialupi per il miglior gentil buomo di quest* città, ot quanto tempo è che lo cognosce. 112. Se pochi pari di bontà naturale reali n trovino, pari a detto Squarrialupo. 113. Se Maestro Mariano ò buon compagno, et dmunticlio di Giovambati-u ora. 111. So tiene per più veritiero Mesa. Iàono de’Malici, che la. <»po auo figliolo. 115. Se T ò cosa lodevole et da prudente et savio giovane, nelle oeeaaione di none, per honorare sè ot la sua famiglia, la sua città et il su<> Principe, uunre del'ordinano, et spendere in accettare huomini litterati, et vestirai l>«m 116. So Mesa. Iugurta Tommaei è il primo litterato «’t nubile buomo di Siena. 117. Se gli ò cosa da savio, quando si convita un forealicru littrrato, chuim.ire de’lit- io terati della sua città. 118. Se Giovambatista, quando levò Meu. Iugurta della In ster à et gli dette dwiinare, convitò molti altri litterati, come lo Strozzi et altri. 119. So tiene elio Francesco Guadagni non babbi» m.o rotto il parentado con Gio¬ vambatista. 120. Se in villa haveva quasi sempre i medesimi panni et ventiti. 121. Che non sfoggiava, ma solo pensava al modo di itipirare le t> u-utie et ooguit- tiono sottile. 122. So crede che Bernardo de’Bardi et I.ione de* Medici tenemmo Giovambututn per savio. 20 tato di quello elio senza scommodo liavria potuto bavero, come che per honorare gentil huomini suoi amici si sarebbe sforzato. Al 111° rispose tenere Landolfo Squareialupi per bollissimo gentil homo, et conoscerlo da diciotto anni in qua. Al 112° rispose, credere che molti si ritrovino a Firenze in bontà naturale pari a Pandolfo Squareialupi. Al 113° rispose, non conoscere M.° Mariano, nominato nell'interrogatorio. Al 114° rispose, tenere per veritiero l’uno et l’altro de'nominati nell’inter¬ rogatorio. Al 115° rispose, parergli cosa lodevole fare le rose di che nell’ interrogatorio. i» Al 116° rispose, non bavere molta cognitione de’litterati et nobili di Siena, et tenere Mess. Iugurta per nobile et litterato. Al 117° rispose, esser cosa da savio fare quello di che nell’interrogatorio. Al 118° rispose, non si ricordare di quello che si dice nell’interrogatorio. Al 119° rispose, non lo sapere. Al 120° rispose, haver veduto diversi vestiti al detto Giovambatista in villa alla Torricella. Al 121° rispose, haver detto di sopra. Al 122° ìispose, credere che i nominati nell’ interrogatorio tenessino (ìiovain- batista per quello che gl’ era. io IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 81 123. So i mercanti sono intenti al guadagnare, et bo Lorenzo Giacomi ni et Iacopo Quaratesi fanno professione di mercanti. 12-1. So il testimonio dolio lettere scritte da Giovambatista et il depoBto do’ medici sono testimonianze più vero elio quelle del tostimene. 125. So gl’ lm scritto mai a Giovambatista, et se n’ ha risposta hauta. 12G. So conosce la mano di Giovambatista Kicnsoli fra conto, et se Giovambatista usava scriverli. 127. So gl’ ha questo lettere, et dove, et elio lo mostri. 128. So sa elio Giovambatista lticnsoli di Terenznno mandassi un sonetto et una lot- 10 torà bellissima a Giovambatista Strozzi, o l’ha sentito diro. 129. Veramente in sua conscicuza non ora Giovambatista, nò fu, pazzo. 130. Nò in verità fu sciocco o montecutto, rispondendo a proposito d’ogni cosa. 131. Nò insipido, ragionando con memoria et iuditio. Al 123° rispose, non si intendere di mercatura, et sapere elio Iacopo Quara¬ tesi oxercita la mercatura ; ma del Giacomini non lo sapere. Al 121° rispose, che le testimonianze di esso testimone nel suo conspetto erano da preporsi a tutto l’altro, più tosto che da posporsi ad alcuna. Al 125° rispose, bavere per alcun tempo a dietro scritto a detto Giovamba¬ tista, et haverno havuto risposta. 20 Al 126° rispose, non si assicurare di potere riconoscere la mano di detto Gio¬ vambatista tra cento altre. Al 127° rispose, non bavere conservato le lettere ricevute da detto Giovam¬ batista. Al 128° rispose, non sapere niente. Al 129° rispose, liaver detto di sopra. Al 130° risposo il medesimo. Al 131° risposo il medesimo. $02>ra l’ ultimo de. C'ho non attiene all’ inducento. 20 Et non ha interesse alcuno nella causa. Che non gli è stato dato nò promesso cosa alcuna, perchè si venga a examinare. È figliuolo di famiglia. Et che vorrebbe che vincessi chi ha miglior ragione. È confessato et comunicato del presente anno. Et essere d’ età d’ anni venticinque. E tutto liaver deposto per la verità, remotis removendis ete. xix. u 82 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. Filza A, car. t48r.-f.; Filza D, car. 71 <.-73/. Interrogatorii sopra l'articolo (Iella puhlica voce et fama, nella 3* mano di rapitoli di Mess. Iacopo Quaratesi. Se non si cxaminerà sopra allei capitoli che quello della puhlica voce c fama. 1. Itera, se hanno conosciuto detto Giovambatista Ricaaoli, et so hanno praticato seco, et quanto tempo aia che lo cominciorno a conoscere, et se ilei mese di Novembre SS lo conoscevano, et se continuorno a conoscerlo ot praticar seco da detto tempo aino ulla sua morte, et in che mose et dì morissi. 2. Itera, se hanno havuto notitia particolarmente di detto (ìiovamhatista et delle sue actioni por detto tempo, et in casa et fuori, ot lo deponghino precisamente, con i contestimoni. A dì 15 di Fch.° 1589 l,) , da sera, in detto luogo. Mess. Galileo di l r inc.° Galilei, cittadino Fiorentino, et testimone sopra detto, indotto et giurato come di sopra. Sopra il 4° capitolo della 2 a mano, lasciati gV altri. Il guai testimone eie. Uhe esso testimone seppe et sa, elio detto Giovambatista Rieasoli, nel capitolo nominato, da Ombre 1588 tino alla morte sua ò stato tenuto et reputato per huomo che non lussi in buon sentimento da tutte quello persone che hanno havuto notitia di detto Giovambatista et dello sue attioni, con le quali detto testimone ha parlato et sentito parlare di detto Giovambatista, così in Firenze, come in 20 I escia, in Genova et altrove; et così si ò detto et tenuto puhlicamentc et noto- riamente, et di tal cosa esserne stato et essere puhlica voce et fama ne* luoghi sopradetti; et bavere detta puhlica voce et fama havuto origino dallo attioni di detto Giovambatista, vedute et raccontate da persone degne di fedo ; et che così fu et ò vero. Sop> a gl interrogatomi della parte adversa concernenti detto capitolo 4° et da fa>si a quelli che si esamineranno sopra detto capitolo solamente, lasciati gl' altri della 2° mano di volontà della parte adversa. Al p.° ìispose, haver conosciuto Giovambatista, et praticato seco nel tompo et modo come ha deposto nel primo examine. so Al 2° rispose, havere deposto a bastanza in detto primo examine delle cose di che nell’interrogatorio. O) Di etile fiorentino. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 83 3. Item, quello che gl’ iutendino significare quello che si dice che un huotno non ò in buon sentimento. 4. Item, quello che gl’ iutendino significare che un luiomo babbi la mento occupata da humori maninconici. 5. Item, se può essere che uno a un’ bora non sia in buon sentimento e hnbbia la monte occupata da humori maninconici, e di quivi a poco sia tutto il contrario. 6. Item, se gl’hanno visto do gl’ huomini in Firenze haver de gl’humori maninconici, et non dimeno non esser tenuti pazzi. 7. Item, qual sia un giuditio et discorso buono, et qual giuditio et discorso non IO buono babbitt l’atto Giovanibatista llicnsoli, et quello che con gran giuditio et discorso habbia operato. 8. Item, so si è tenuto notoriamente et pubicamente che dal mese di Novembre 88 sino alla sua morte detto (ìiovambatista sia stato un gran litterato, et se gl’ ha praticato per detto tempo con gl’altri litterati. 9. Item, se hanno mai visto dotto Giovambatista dal mese di Novombro 88 sino alla sua morte nel distretto di Firenze, et in che luoghi del distretto, et so 1’ hanno visto nella città di Roma et di Napoli o in altri luoghi d’Italia. 10. Itero, se può essere elio una cosa si dica publicamonte et notoriamonto, et elio sia publica et notoria, et che dipoi si trovi non esser vera. 20 11. Item, elio cosa sia publica voco et fama, et quante persone la faccino, ot che cir- cunstantio vi si ricerchino di ragiono. 12. Item, in elio luoghi d’Italia ò stato in detto tempo detto Giovambatista. 13. Item, che actioni sieno stato quelle di Giovambatista, et dove l’habbi operate et chi presente, dalle quali babbi li avuto origine che detto Giovambatista non fnssi in buon Al 3° rispose, intendere per non essere uno in buon sentimento, significare qualunche spetie di pazzia. Al 4° rispose, elio 1’ bavere la mente occupata da humori malenconici, tiene detto testimone ohe importi il medesimo che bavere impedita e guasta alcuna operntione dell’ intelletto da detti humori. 30 Al 5° rispose, rimettersene a’ medici. Al G° rispose, non bavero veduti huomini come si dice nell’ interrogatorio. Al 7° rispose, haver deposto nella prima examine, quanto sapeva dello cose contenuto nell’ interrogatorio. All’8° rispose, elio detto Giovambatista ò stato tenuto litterato, et che ha praticato con litterati. Al 9° rispose, bavere deposto nella prima examine. Al X° rispose il medesimo. All’ XI rispose il medesimo. Al XII rispose, haver detto nella prima examine quanto sa. 40 Al XIII rispose il medesimo. 84 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. sentimento et che havessi la monte occupata da humori maninconici, che gli togliessino il giuditio et il discorso buono. 14. Itera, quali actioni sieno state vedute et raccontate da persone degno di fedo, che potcssino fare dotta publica voce et fama, et quali sieno state quelle persone degne di fede, ot so orono gentilhuomini o di elio qualità persone, et se maggiori d’ ogni exceptione. 15. Itera, quando cominciò liaver origino detta publica voce et fatua, et se s' è detto più volte, et è stata publica voce et fama del contrario generalmente. 16. Itera, so detta publica voce et fama è stata momentanea o non continua. 17. Itera, so può essere che uno per publica voce et fama sia reputato in un modo, et che nel vero la cosa stia altrimenti. IO Al 14° rispose, che le attioni clic hanno fatto reputare detto Cliovambatista oppresso da humori malenconici sono state veduto et raccontate da più persone degne di fedo, et in particolare da Mess. Lorenzo Giacomini, Mess. Francesco Guadagni, Mess. Iacopo Quaratesi, Mess. Neri Ricasoli et Giovanni suo fratello, Mess. Giovambatista Strozzi, Mess. Bernardo de’ Bardi, Mess. Giulio da Barga lìsico, Mess. Agnolo Bonelli fisico, un medico che lo medicò in Genova, un Teatino di Genova, et da altri che di presente non si ricorda. Al 15° risposo, tal fama publica, di clic nel capitolo, liaver cominciato da Ombre 1588 in qua, nò essere stata publica voce et fama in contrario. Al 16° rispose, essere stata detta publica voce et fama continua, et massime 20 appresso di quelli che praticavano detto Giovambatista. Al 17° rispose, esser quasi che impossibile clic una publica voce et fama, continuata molto tempo, sia falsa. Sopra V ultimo. Sopra i generali rispose, haver deposto nella prima examino. b ) Altre testimonianze, concernenti Galileo, nel primo processo. Iacopo Quauatksi, comparendo in uomo suo o (lolla moglie Maih>ai.kjja il 24 novombro 1530 avanti ai « Signori Luogotenente e Consiglieri nolln Ropublicn Fiorentina » (Filza A, cnr. 107r.; Filza li, car.l.M. o 5. a r. non numerato, in fino), .... capitola che la verità è clic il dotto Giovambatista Ricasoli il dì 7 di Maggio passato, dopo desinare, si partì di Firenze in compagnia di Giovanni Ricasoli o di Galileo Galilei, e di un ragazzuolo servitore, detto il Lanzi, loro in carrozza e lui a cavallo, che mai volse entrarvi ; e la sera, tra giorno o notte, arivorno a Seravalle, di là da Pistoia, e non volse entrare in Pistoia per sospetto, se bene vi liaveva lasciato la borsa piena di denari. Andò poi 1 altra mattina avanti giorno a Pescia, e volse ambire a piedi, se beno IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 85 piovova. Seiulo poi in Poscia, si partì a un tratto con Giovanni Ricasoli, c si agirò su certi monti e boschi un giorno e tutta una netto, volendo per detto sospetto andare fuori di strada. In Lucca poi appresso cominciò a sospettare, e mutò in poco di tempo alog- 10 giumento. Andò a borico, o di quivi volse andare a Genova per terra, che è una strada dolorosa. Amato a Genova, volse partire por Lione la sequente mattina, e fu ritenuto con inventioni o con farli paura. Partì di Genova adì 3 di Giugno, et andò a Milano con dotto Giovanni Ricasoli e con il servitore dotto il Lanzi : o così fu et ò vero, publico e notorio.... Moss. Giovanni Ricasoli Baroni, comparendo il 16 marzo 1690 avanti ai « Signori Luogotononte o Consiglieri nulla Ropubllca Fiorentina » (Filza A, car. 19»-., o, in copia, n cur. 118r.), .... capitola et provare intendo, conio la verità fu ot ò che Giovamhatista Ricasoli limoni, sendo Btato in Lucca 8 o X giorni del mese di Maggio 1589, se n’andò per la via di Serezzana a Genova, in Milano et in altre città, dovo stolto 8 o X giorni, ne’ quali luoghi si confessò ot comunicò, discorso et ragionò con molte persone di varie cose con memoria et iuditio, vestì nobilmente et andò con decoro, et fu a vedere tutte le cose più 20 famose di quelle città, et ne rimandò a Firenze Galileo Galilei, perchè gl’ havea tolto una somma di danari, conio consterà por testimoni, ot così fu et è vero, publico et notorio.... Negli iuterrogatorii da farsi a istanza dei coniugi Quauatksi ai testimoni da esaminarsi per la parte di Giovanni Ricasoli, sono le seguenti demando : Filza A, car. 188(.: .... So è vero, o ha intesoche andò a Poscia, poi a Lucca, poi a Genova, accom¬ pagnato da Galileo Galilei et da Giovanni Ricasoli. Se negano, dimandami se può essere che dette cose sieno vere ot loro non lo sappine.... Filza A, cnr. 198r.: .... Che somma di danari havova lasciato in cnsa il Commissario a Pistoia, ot in clic parto della casn, et chi gle gli ricordò. Chi inandò per dotti danari ; so è vero che andassi Galileo Galilei.... Filza A, car. 2011.: t _So fu visitato alla detta Piove dal S. r Cav. r# Francesco Maria Ricasoli et da Galileo Galilei ot dal fattore di Giovamhatista alla Torricella.... Filza A, car. 206r.: 80 .... So vi vide < s) il Cav. r# Francesco del IticaBoli o Galileo Galilei.... Moss. Lionk di Moss. NiccoiA do’ Medici, nobile Fiorentino, testimone indotto dai coniugi Quauatksi, dopono, a di 19 dicembre 1689 (Filza A, car. 4S9r.; Filza li, car. 187r.-l.), _non haver tenuto conto quando a punto il Ricasoli tornassi di villa di Terenzano a Firenze, ma supero che andò ad Inibiture in casa sua ... et il Galileo dormiva e man¬ giava seco del continuo per trattenerlo.... (M Intondi, il testimonio. ,8) A S. Loolino, n Bonazza e al Lastrico, mentre »>) La Piove di Mesa. Neri Rioasou. vi stette Giovamhatista Ricasoli. 8G IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. o che (Filza A, car. 489t.; Filza B, car. 187f.-188r.) .... se ben si ricorda, la partita di Giovambatista di Firenze fu dua o tro giorni inanzi la translattione di S.‘° Antonino, in compagnia di Giovanni Ricasoli et del Galileo.... E a dì 22 dicembre depono che (Filza A, car. 601r.; Filza B, car. 237r.) .... detto Giovambatista gli risposo: «Noi siamo fermati d’andare in ogni modo, Giovanni de’ Kicasoli, il Galileo et io, et habbiamo mandato per la carrozza > ; et che detto testimone gli disse : « Fate quello che Dio vi spira : io non voglio lasciare di non essere alla translattione, et doveresti esserci ancora voi, per raccomandarvi a tal Santo »_ o elio gli pare (Filza A, car. 501 r. ; Filza B, car. 288r.) .... d’bavere sentito diro che il Galileo tornassi per detta borsa<*>, sapendo a punto dove l’haveva a trovare .... 40 Moss. Bernardo di Girozzo (lo* Bardi, notilo Fiorentino, tostimono indotto dai coniugi Quaratksi, dopono, a dì 80 dicembre 1589, che (Filza A, car. 589r. o Filza B, car. 8 l5r. o i.) -detto Giovambatista si era partito di Firenze nel giorno che dotto tostimono desinò con lui, dove era la sorella; e detto Giovambatista lasciò esso testimone et detta sua sorella soli a tavola, et disse andare a trovare il Galileo; et di poi non tornò a casa altrimenti, nemeno la notte stessa se n’ liebbe nuove dove egli stessi. Però Mesa. Neri de’ Ricasoli preso il viaggio di Mugello e per la via che va a Bologna, et. altri si man- domo a cercar di lui-et fu fatto ritornare in carrozza con Mesa. Neri et il Quarateso con molto suo dispiacere, dolendosene con esso tostimono che fu ingannato da questi, baveudogli promesso di condurlo alla Madona di Luccha.... Pirro di Filippo da Cortaldo, servitore di Giovambatista Ricasoli, tostimono indotto dai coniugi Quara- tesi, dopono, a dì 5 geuuaio 1590, elio (Filza A, car. 623f.; Filza B, car. 301l.) .... sentì dire che in Pistoia, in casa del Commissario, haveva il detto Giovambatista lasciato la borsa in su un palchetto, et che vi era buona somma di danari ; et non volse 50 tornare por essa, ma che poi mandò per essa il Galilei, et che così fu et ò vero.... Moss. Giovanni di Bartolomeo Burberini < 3 > da Terranova, proto della diocesi Aretina, tostimono indotto da Giovanni Ricasoli Baroni, depone, a dì li gennaio 1590, elio (Filza A, car. 2301.) .... detto Giovambatista attendeva a darsi piacere e buon tempo alla Trappola et alla Torri cella et altrove insieme con il Galileo, M.“ Mariano et altri, et qualcho volta discorreva di lettere e di filosofia con un prete maestro della scuola di Lóro.... Moss. Pandolko di Ruberto Squarciai.™, cittadino Fiorontino, testimone indotto da Giovanni Ricasoli Baroni, dopono, a dì 18 gennaio 1590, elio ossondo andato a visitare Giovambatista Ricasoli in Fi¬ renze negli ultimi giorni doli’aprilo 1589 (Filza A, car.215r.), .... lo trovò in casa sua, elio a punto haveva fornito di giocare alle carte con Ga- lileo Galilei et Iacopo di Lione de’ Medici, et che fra loro saldavano i conti, et veddo elio Intendi, osso Lione do’ Medici. 1*1 Cfr. pag. 52, li». 18-22. ,3 ' Così il ms. Altrove, Barberini (cfr. pag. 105, lin. 13). IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO EOO. 87 detto Giovambatista pagò danari al Galileo; et finito questo, si partirono li detti Modici et Galileo.... Bartomwo di Pirro Bartoi.ozzi da S. Cascinno, sorvitoro di Moss. Tacopo Qitaratksi, testimone indotto dai coniugi Quaratesi, dopono, a di 24 gennaio 1590, dio (Filza A, car. 569f.-570r.; Filza B, car. 424r.-426r.) -esso testimone et il Lanzino se n’ andorono a spasso per Lucca, et così feciono Giovambatista et Giovanni; et ritornando detto testimone a casa intorno alle 22 hoi*e, 00 trovò clic nel medesimo tempo vi arrivò il Galileo, che veniva di Pisa, dove era stato per conto di dotto Giovambatista ; et di poi Giovanni Ricasoli et detto testimone, lasciando con Giovambatista il Galileo, se n’ andorono fuori per Lucca, et detto Giovanni gli ragio¬ nava dello fantasie che haveva per il capo detto Giovambatista; et tornandosene all’allog¬ giamento, trovorno che era arrivato Mess. Neri Ricasoli; et esso testimone, intese dal Lanzino et dal Galileo, che all’arrivo di Mess. Neri detto Giovambatista molto si con¬ turbò, cominciando a dibattersi et percuotere il capo su per il letto et sciamare et adi¬ rarsi con il Galileo, dicendoli: «Voi siate cagione che io non sono dianzi un pozzo, eh è non mi liarebbnno arrivato »_ Et la mattina seguente .... alle persuasioni di Giovanni Ricasoli et il Galileo, presono il camino verso Lerice, et esso Giovambatista a piedi, et 70 Giovanni Ricasoli et il Galileo et il Lanzino a cavallo.... 11 modesiuio tostinone dopono a di 27 gennaio 1590, che (Filza A, car. 581n; Filza lì, car. 459r. o (.) _dotto Giovambatista tornò di Terenzano del mese di Marzo inanzi Pasqua circa a 16 giorni, et che so n’andò ad habitare in casa sua in Firenze, et clic sempre da lui vi stava qnalch’uuo e particolarmente Galileo Galilei, che vi stava quasi sempre et vi dormiva, per ordino de’ parenti.... Moss. Lorenzo di Iacopo Giaoomini Tbuah>uooi, nobile Fiorentino, testimone indotto dai coniugi Qcaratbbi, interrogato (Filza A, car. 10‘Jr.j Filza li, car. 124r.) .... se mentre Galileo Galilei s’oxaminava, del continuo o spesso ragionavano insieme di queste coso et P imboccava, rispondo, n dì 23 febbraio 1590, che (Filza A, car. 628r. ; Filza lì, car. 58Si.) _il Galileo a caso alcuna volta trovò detto testimone per le vie, et li disse che presto si spedirebbe dall’exannna, nò haveva bisogno d’essere inboccato, nò detto testimone era liuomo da farlo. Interrogato (Filza A, car. 178(.; Filza Jì, car. 138r.) 80 _so crede che Galileo Galilei rubassi a Giovambatista più di fl. nl 50, et che por quosto lo rimandassi via di Genova, rispondo, sotta la modosima data (Filza A, car. C32(.; Filza lì, car. GOGr.), .... non credere in modo nessuno le cose che si dicono nell’ interrogatorio. 88 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. Interrogato (Filza A, car. 17. r .r. ; Filza II, cnr. 11Or-, o l.) .... so vedde che alcuno rendosai danari a detto Uiovumlmtista, dove, in elio luogo et chi presente, rispondo, a <11 20 febbraio 1590, elio (Filza A, car. B80r.; Filza II, car. 020r.) .... non giucava, o ben di rado, con dotto Giovambatista ; dal quale inteso elio il Ga¬ lileo, havendo vinto a detto Giovambatista buona somma di danari, al lino del giuoco gliene rese: e questo fu d’Aprile 1589, in casa detto Giovambatista. Interrogato (Filza A, car. 178<.; Filza II, cnr. 151r.) so sa, o ha promesso, che a Galileo gli sarà usato cortesia per l’oxamine fatta, con esserli monacata una Bua sorella, o .... so il padre del Galileo tiene squola di sonaro, et è povero con assai figliuoli, 90 rispondo, sempre il 2G febbraio 1690 (Filza .1, car. Olle ; Filza II, car 0:i2r.), quanto ni primo quesito, .... l’interrogatorio essere calunnia, o qunnto ni secondo, .... sapere che il padre di Galileo tiene scuola di sonare, ma non sapero le sue fa¬ cilità nò il numero de’ suoi figliuoli. Mess.It 0 MBEi.L 0 di Santi Cacumi», rettoro della chiesa della Villa a Sesto di Chianti, diocesi Aretina, testi¬ mone indotto da Giovanni Rioasoli Raroni, depone, a dì 7 aprile 1690, elio una volta Giovambatista Ttio asoli (Filza A, cnr. 300r. o <.) .... tornandosene a casa intorno all’Avcmarìa alla Torrirella, dette ad intendere elio quivi intorno lussino venuti i banditi et che gl’ erano corsi dreto ; dove che, arrivato a casa, per farla credere meglio, cominciò a gridare : « Fattore, fattore; danari, danari, clic qua sono i banditi»; al qual minoro tutti quelli che qui si trovarono, presono l’arme et consono via, et trovorono che era stata una burla, perchè non riscontrorono altri che Galileo Galilei, elio era stato con detto Giovambatista o poi rimasto in dietro.... IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 89 \ c) Deposizioni ui Galileo nel secondo pboobsso. Filza C, car. 190r.-20fr. 4 - Yhs. M. a Interrngatorii primordiali per la parte della Gabella de ’ Contratti , da farsi alti testi¬ moni da indursi per la parie di M.“ Maddalena, donna di Mess. Iacopo Quaratcsi, per esaminarsi sopra li capitoli fatti per lei, et questo avanti, si esaminino. 1. Et priiim, niello domandati se sanno quello importi dire il falso, et clic a olii dice il falso no va pena corporale, et perde l’anima: però sieno avvertiti a dire il voro. Filza G, car. Gùr. u i., o car. Ió7<.-174r. Y/lS. M.“ Al nome di Dio, amen. Vanno dcV Incarnati onc del Nostro Signore lesa divisto mille cinquecento novantuno (l) , Inditionc quinta, et adì venti del mese di Gennaio , io vacante la Santissima Sede Apostolica, et dominante il Serenissimo Ferdinando Medici, torso Gran Duca di Toscana. Seguono appresso, infra le altre cose da scriversi nel presente Giornale, se¬ gnato 0, della Gabella de ’ Contratti della Città di Firenze, tenuto per me Fiero Fuccerelli , Cancelliere di detto Uffilio, i nomi de" testimoni da esaminarsi per me Cancelliere sudetto nella causa vertente davanti a’ Mag. ei Sig. ri Froveditori di detta Gabella et al Mag. eo et Fcc/ S. re Faolo Vinta, Auditore et Fiscale della Gran Camera di S. A. Ser. ma , come giudici delegati de., a stanza di Mad. a Maddalena, figlinola fu di Binducdo de ’ Ficasoli Baroni, et donna di Iacopo Quaratcsi, indotti per lei per doversi esaminare sopra de’ capitoli fatti a sua stanza et ne* modi et nomi et 20 agl' effetti di che in detta causa, et dati negl atti di detta Cancelleria sotto il dì lfì dì Dicembre prossimo passato, con gl’ interrogatomi che di sotto a luogo et tempo se¬ guiranno : et tutto d'ordine et commcssìonc di lor SS. MM ..... A. dì 3 di Febraio 1501 (!) . TI Magnifico Mess. Galileo di Vinc. 0 Galilei, cittadino Fiorentino, altro testi¬ mone indotto etc., come di sopra, per esaminarsi; al quale dato il giuramento solito, et servatis servandis etc., Et prima, fattoli gli duoi interrogatomi primordiali, et lettogliene puntalniente nella maniera che gli stanno descritti, rispose, del’uno et del’altro essere infor¬ ni Pi stilo fiorontiuo. **> Di stilo fiorontiuu. XIX. 12 90 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 2. Itom, sieno interrogati so ciascuno elio si examinn in una lite, a roquisitiono di qual si voglia persona, è tenuto ancora a rispondere alli interrogato™ della parte con verità, et dire tutto quello che sa di elio ò interrogato, et bo altrimenti facendo uggrava la sua conscienza ot ò tenuto alla restitutiono. Questi dm primi interrogatoci si son cavati da gu Ili delle parli. Seguono quelli della Gabella. 3. Itein, se sanno che Giovamhatista Uicasoli Baroni facessi testamento, etili che giorno, mese ot anno, in olio stagione, in elio tonipo, so di (Quaresima o pur fatto Pasqua, in che luogo, chi fussi il notaio ot i testimoni, o pure P hanno sentito diro, da chi, i contestimoni. 4. Itein, Be sanno chi P inducessi a far testamento, elio cosa lo movosse, et chi fu quello io che chiamassi il notaio, et i testimoni, et chi elesse il luogo per andare a rogarlo, o pure no hanno sentito dire cosa alcuna. 5. Itein, so credono che tal testamento ogli lo facessi volontariamente, et elio in quel punto egli fussi in buona ilispositione. G. Itera, so tengano che sia atto da huoino savio et giuditioso il far testamento et. di¬ sporre del suo, talmente clic doppo sua morte non habbino a surgere Beandoli fra parenti. 7. Itera, se tengono che gli babbi del savio et del giuditioso quel tale, olio nel faro qualche contratto, et massime un testamento, viene a eleggere un notaio da bene et po- matissimo, et che ò pronto a dire il vero sopra quello gli sarà domandato, cosi per l’una come per 1’ altra parte. 20 Sopra il terzo, che si li lesse minutissimamente et parte per parte, come gl’altri susseguenti, rispose, haver sentito diro elio Giovamhatista fece testamento; et questo lo senti dire al medesimo Giovamhatista del mese d’Aprile 158!), intorno alla Pasqua di quel’anno, et non gli disse già chi fussi il notaio, nò i testimoni, nò meno il luogo dove si era rogato ; et parergli ricordare che le parole di Gio- vambatista fussin queste, come gl’ havea fatto testamento, ma che lo volea mu¬ tare, se bene non gli conferì che cose contenessi tal testamento nò altre parti¬ colarità, et non si ricorda che vi fussino altri presenti. Sopra il quarto rispose, non lo sapere precisamente; ma si immagina che si movessi da certi liumori clic gl’ luivea, et si era arrecato d’haver a morir do presto. Sopra il quinto rispose, secondo l’opinione sua, che Giovamhatista si dovette muover volontariamente; ma se tu fatto dreto a quel tempo che gli Immoli ma- ninconici comincioroao a darli fastidio, non si assicurerebbe clic bissi stato di sana mente. Sopì a il sesto rispose, che di questo non crede che ci sia alcuno che ne dubiti. Sopra il settimo rispose, credere che le persone savie elcggliino luoghi, tempi, IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 01 rito, et chiama per testimoni particolarmente huomini religiosi, et elegge volontariamente un luogo sacro per celebrarlo. 8. Item, so conoscono Ser Filippo di Sai vostro Rottigli, notaio fiorentino, genero di Mesa. (Immondo Borindelli, et sq l’hanno per persona intendente et da Irene, da non per¬ suaderò alcuno a far più di quel elio si voglia, ot da non potere indovinare qual sia l’animo di uno elio volessi far testumonto, se quel tale non gli dico l’intentione sua, o da non rogare un testamento so vedessi elio quel tale havessi mancamento di cervello o altra indispositione. 9. Item, so gli hanno in concetto eli’e* Padri del convento di San Gallo, alias di San Ta- 10 copo fra’ Fossi, sieuo religiosi venerandi, et da non esser testimoni a un testamento d’ una persona tale, se si accorgossino do’ suoi hutnori. X. Itera, se essi testimoni da esaminarsi farebbono una cosa tale, d 1 intervenire a un te¬ stamento d’ una persona clic, si accorgossino haver liumori malinconici ; o vero, dato cho lussino della professione del rogare, se rogherobbono un testamento tale, et se credono che gli altri farebbono il medesimo cho loro. XI. Item, se tengono esser atto d’lumino savio et. prudente il pensar d’haver a morire, et raccomandar 1’ anima sua a Dio, et siinil modi, et che uno che sia pazzo non pensa tanto in là. 12. Item, se giudioherebbono homo che fussi in cervello quel tale cho nel fare testamento 20 si ricorda della chiosa dove son sepolti i suoi antenati, et dice voler anch’egli esservi sepolto, ot che uno elio è inetto non pensa tanto in là. 13. Item, qual giuditio farebbono d’una persona che in un suo testamento facessi certi legati con molta distinctione ot chiarezza, dicendo, verbi gratin, « lo lascio V dl quattro- testimoni et notai convenienti, ma non per questo non poter essere cho uno, ancor che obeso nel giuditio, faccia alcuna electione da savio. Sopra l’ottavo rispose, non conoscer Ser Filippo, et conseguentemente non poter trattare del’altre cose contenute in detto interrogatorio. Sopra il nono rispose, haver quei Padri per tali, ma non atti a indovinar quel che uno babbi nel cervello. so Sopra il decimo rispose, che se conoscessi quel clic vuol faro un testamento per tale quale si dice nel’interrogatorio, che non farebbe, nè interrerebbe ad alcuna di quelle cose che quivi si dicono ; et crede che così farebbono gli altri. Sopra P undecimo rispose : alla prima parte, che tiene esser cosa da savio il pensar alla morte; et alla ‘2 a , credere che uno clic pecca in uno liuraore pensi continuamente a quello stesso humorc. Sopra il dodicesimo rispose, che in simil particolari terrebbe che la fussi cosa da savio ; ma non per questo haver per impossibile che uno non savio pensassi a simil sorte di cose. Sopra il tredicesimo rispose, non potersi, quando non ci fussino altri argu¬ to monti tla coniecturare il giuditio d’ uno che gl’ allegati nell’ interrogatorio, non 92 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. cento, che servino per fabbricare et di nuovo ergerò una chiesa nel tal luogo et nel tale », et gli nominassi; così, « Lascio » verbi grati a «800 V' u , perché si faccia una cappella nella tal chiesa, et nella tavola vi si dipinga particolarmente il santo per chi io porto il nome» : però che concetti direbbono che lussino questi, da lmomini savi o no. 14. Itein, quel clic no direbbono d’uno clic facessi un legato a un suo aulico, verbi gratta di millo scudi, perchè al suo primo ligliuolo gli ponga il nomo del testatore ; et però so 1’ haver di queste consklerationi par clic sia da homo sensato o no. 15. ltom, se tengono atto d’homo savio il ricordarsi do’suoi parenti in un suo testamento, a una persona facullosa. 1(5. item, se par loro clic sia cosa da homo sensato quella di colui, glie facendo de’legati io di somme determinate, a tino che il suo bcredo non Labbia così a esser asti-etto in un subito, va pensando di mettervi qualche tempo prefisso. 17. Item, so par loro clic sia cosa da homo giuditioso questa, d’un clic fa testamento et lascia a una figliuola di qualche suo parente una somma, et per non gettare in arcata, dice del nome « della quale di presente non me ne ricordo, et a lei io lascio, verbi gratta, mille scudi, alla prima figliuola del tale mio parente non maritata », rispetto che no ha dell’altre non maritate, et fa questa distinctiona per levare le disputo; so questi concetti gli paiono da persone di buon giuditio. 18. Item, so tengono, li dottori o cittadini antichi, che fecero li Statuti del Connine di Firenze, fossero homi ni giuditiosi et di bello ingegno, non mossi da luimori ot. passiono 20 humano, da non faro lo cose a caso, ma per il ben essere della Republica. si poter inferire se non a retto discorso ; ma non però esser tali le cose conte¬ nute, che non prosino sovvenire et venir in mente etiamdio a uno clic babbi l’ingegno offuscato. Sopra il quattordicesimo rispose, che da quello che è contenuto nel’interro¬ gatorio arguirebbe, quel tale haver caro che molti havessino il suo nome, et non per questo esser attioni tali che le non prosino esser fatte così da uno savio come da un che non sia savio. Sopra il quindicesimo rispose, tenerlo atto di persona amorevole, perchè il donare inferisce amorevolezza, che può proceder tanto da saviezza quanto da 30 non saviezza, vedendosi per sperienza elio non solo i savi donano, ma gli stolti ancora. Sopra iL sedicesimo rispose, simil sorto di considerationi potersi bavero così un homo savio come non savio, atteso che moltissimi accidenti et moltissimi ri¬ spetti possono indurre il testatore a legare et lasciare una cosa in tempo de¬ terminato. Sopra il diciassettesimo rispose, non ci si ricercare tale exquisitezza di giuditio, che non possa venire in mente a un giuditio retto come a uno non così retto. Sopra il diciottesimo rispose, creder quanto si contiene nel’ interrogatorio, io IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 93 19. Item, se tengono per homo savio colui che ili qualche sua nctiono, ot. massime d'importanza, per non errare si referissi in tutto et per tutto agli ordini ot statuti della città. ~0. Item, so si trovassi uno clic havessi in un suo testamento fatto ot osservato quanto si è detto ne’ precedenti interrogatorii, in che concetto 1’ harobbono, di pazzo o di savio. 21. Item, so può esser che qualoh’uuo per corto spatio di tempo sia assalito da qualehc humor maninconico, ot poi ritorni in buona disposinone; et so però essi dirobbono che gli havessi a esser sempre pazzo. 22. Item, che sorte di pazzie sien quello che guastano un testamento. 10 23. Item, qual tengono ohe sia più atto da homo savio, il far testamento o il fare do¬ natone. 24. Item, so potrebbe essere clic una persona, per qualche settimana o mese innanzi elio faccia testamento, Imvossi fatto qualcho digressione col cervello, et poi si riduca in buon essere et faccia testamento; se per questo essi dirobbono che quel tale si potessi diro esser sempre pazzo. 25. Item, sieno domandati so può essere che una persona mentre è in buona disposinone faccia testamento, ot dipoi entri in qualcho strana fantasia, et in questa siimi fantasia faccia una donatiouo; ot so essi testimoni tengono che per questo si potessi inferirò clic quel testamento, fatto in buoua dispositene, havessi da esser nullo, come potrebbe avveniro 20 della donatiouo. Sopra il diciannovesimo rispose, non si poter da un’ attione sola giudicare la saviezza di alcuno, atteso die l’operare saviamente consisto nel fare tutte le sur- attioni rettamente, et non alcuna solamente, ot il mancar di giuditio si può com¬ prendere da alcune, senza clic tutte inferischino tal man carnei ito. Sopra il ventesimo rispose, che se quel tale non 1’ havessi por altre conie- cture conosciuto di prima per discorso offeso, giudicherebbe 1’ attioni contenute negl’ interrogatorii, che un matto in questi particulari havessi operato da savio. Sopra il ventunesimo rispose, poter essere di simil sorte persone ; ma cert’al¬ tre sono, che si arrecono certo lor fantasie, et non escon mai. so Sopra il ventiduesimo rispose, poter essere infinite, clic sarebbe cosa tediosa il narrarle. Sopra il ventitreesimo rispose, credere che molte volte sia più atto da savio il far testamento, et molt’ altre il far donatione, secondo le diverse occasioni che si porgono. Sopra il ventiquattresimo rispose, potere essere che qualcliuno per qualche tempo esca del sano discorso, et poi vi ritorni ; et facendo in tal suo ritorno testamento, lo stimerebbe che tal testamento valessi. Sopra il venticinquesimo rispose, esser da tenersi conto delli instrumenti fatti in buona disposinone di mente, et da preporsi sempre a quelli clic sien •io latti altrimenti. 94 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. Filza C, cnr. 207r.~215f. Interrogatomi da farsi per la parte di M." Maddalena de' Ri casali, nobìl Fiorentina, come tati ice testamentaria delle rede dei quondam Magnifico Mesa. Braccio da liicasoli Baroni, et del Magnifico S. or Cavaliere Francesco Maria da liicasoli, come padre et le¬ gittimo adminislratore della Margherita, maggior sua figliuola, legataria respet tir amente di Mcss. Griovambatista da liicasoli, netti nomi che sono comparsi, senza però prciuditio alcuno delle ragioni, di detto comparente in detti nomi, et senza prciuditio d’esser com¬ petente et incompetente perla domanda fatta per la detta M. a Maddalena , come si dice, et per altre asscrte comparse , per le quali non intendono in modo alcuno prciudicarsi, ma lutto a cautela et senza alcuno loro prciuditio delle loro ragioni; itili testimoni da esa¬ minarsi per la parte della nobile M. n Maddalena de' liicasoli, donna di Iacopo Quaralcsi, io assorta comparente netti asserti nomi, che è comparsa. In prima, sieno domandati se sanno quello importi diro il falso, et die a chi dico il falso no va pena corporale, et perdo l’anima: però sieno advortiti a dire il voro. Innanzi che si venga all ’ examine de' testimoni indotti per la parte di della Mng- dalena de * liicasoli et Quaratesi , intendono da M.« Mugdatemi, come tutrice , et il Sig. r Ca¬ valiere liicasoli-, che li testimoni da indursi dalla detta nobile, M. n Mugdafena si exami- nino sopra Vinfrascritti inlcrrogntorii primordiali, con protestatione che non li cxaminando prima, innanzi che si venga all'examine d'essi sopra capitoli della detta assorta actricc, di nullità di testimoni. In prima, sieno interrogati se ciascuno che si examina in lina lite, a requisitione di 20 qual si voglia persona, è tenuto ancora a rispondere all’interrogatorii della parte con verità, o dire tutto quello che sa di elio ò interrogato, et altrimenti facendo so aggrava la sua conscientia ot è tenuto alla rostitutione. 2. Dimandinsi quando hebbono notitia che Mesa. Giovamhatista liicasoli facessi testa¬ mento, se nel tempo che detto Mesa. Giovamhatista stette in villa a Terenzano, o quando di quivi fu tornato iu Fironze in casa sua, et dichino quanto di poi elio fu tornato in Firenze. 3. Item, dichino se nel tempo che stet te a Terenzano, villa del cognato, et di poi che fu tornato in Fironze in casa sua, et intino che la Gran Duchessa fece l’entrata, che fu al¬ l’ultimo d* Aprilo, se detto Mesa. Giovambatiata liicasoli giocava a picchetto, a giulè, a 30 Sopra il secondo interrogatorio dello parti, perchè do’ primi dua ò stato in¬ terrogato di sopra, rispose, parergli che si sia detto di sopra a bastanza, et clic consuoni il medesimo. Sopra il terzo rispose, di siinil particularità liavei'ne trattato nel’ altra esa¬ mina per conto della lite vertente sopra le donationi, et a quella rimettersi in tutto et per tutto, sapendo d’haver detto la verità, perchè al’bora liavea molto TX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 95 sbaraglino o a Rcacclii con diverse persone e gontilhuomini, ob so sapeva del giocavo a ninni o altri giuochi il conto suo. 4. Itera, se loro hanno roso doppo il giuoco, o hanno sentito che nitri hahhin reso loro li danari vinti al «letto Giovani! mtista al giuoco. f>. Il era, dichino se loro praticavano con detto Mess. Giovamhatista Ricasoli dipoi elio tornò da Tercnzano in Firenze, et so offoso alcuna persona in dotti o in fatti, ot elio et «piando et di elio sorto parole o fatti; et dichino li contestimoni elio fumo presenti a tali sorte di parole et fatti, et. se fu in casa sua, o d’altri, o fuori, et dove et in elio luogo, et «pianto volte, ot «pianto vi corso 1’una dall’altra. fi. Itera, dichino se ò solito, li giovani nobili ot ricchi, come ora Mess. Giovambatistn, no’ tempi di nozze do’ nostri Signori Padroni, vestire alquanto meglio del solito. 7. Itera, so sogliono li parenti lasciar fare li fatti suoi, come pagare, risquotere, girar partite in banchi et comprare robbe et altro simili c«>se, a quelli clic publicamentc man¬ cano di giuditio et intelletto, essendo sopra questo in Firenze bellissimi ordini, elio può essoro loro proliibito ciò fare. 8. Itera, sosi può dire uno giovane privo di giuditio et al tutto di monto pazzo, elio particularitìt nolla memoria, lo «piali, por la lunghezza del tempo, non gli sov¬ vengano tutto di presento; ot però voggasi quella, elio fa a proposito del tutto. Sopra il quarto risposo, rimettersene alla medesima esamina, et in particu- 20 laro lui medesimo ricordarsi liavergnone resi. Sopra il quinto risposo, non saporo elio gl’offendessi alcuno nel tempo elio dice l’interrogatorio, so non che, stando con grandissimi sospetti, teneva che i parenti lo volessino ingannare, elio i medici gli «lessino lo medicine al contra¬ rio, elio gl’ liosti et lor garzoni lussino birri et spie, ot bavere, mosso da «letti sospetti, usato parole inconvenienti contro a Mess. Neri Ricasoli ot contro a Mess. Iacopo Quaratesi, che l’kavean rimenato «li Pistoia in Firenze per forza: et «piosto soguì doppo elio la Gran Duchessa hebbo fatto 1’ entrata. Et simil¬ mente in Lucca disso molta villania al medesimo Mess. Neri, credendo che lo volessino ingannare ot condurre alla mazza. 3<) Sopra il sesto risposo, esser usanza cho simil sorto di personaggi vestin me¬ glio a così fatto occasioni. Sopra il settimo rispose, poter avvenire che molti parenti, de’ quali l'uno non sia più propinquo del’altro, non voghilo ingerirsi in metter mano negl’al¬ imi negozzii, acciò, riuscendone qualche sinistro esito, non sia attribuita tutta la colpa a quel parente; et poter accader die uno la rimandassi al’altro, come si suol dire por proverbio: i quali rispetti non impedirebbono un padre o un fratello, in quella maniera cho avviene in un altro non tanto congiunto. Sopra l’ottavo rispose, cho so no rimetto a quel’altra esamina, come ò detto di sopra. 90 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. giocassi a primiera, a picchetto e sbaraglino et scacchi, quali giuochi ricercano in loro ingegno, accortezza et giuclitio. 9. Item, so vbidono detto Mesa. Giovambatista giocare, et con «dii et quante volto et dove; et se vedovano che quando vinceva si rallegrava, et quando perdeva si condoleva; et so viddono, in mentre che giocava, faro coso insolite 30. Item, so il vestire di raso, a un giovano nobile et ri celio, si può diro di soperchio, 11. Itera, so viddono o hanno sentito diro che Giovambatista stette in casa sua in Firenze, nelli affari di dare et d’bavero, con diverse persone prese errore no’conti, o a danno d’ altri o suo (sic). 12. Item, se da poi che tornò in Firenze et stotto in casa stia, so ora interrogato, ri- io spondeva a proposito, ot parlava, ancora senza esser domandato, a proposito. 13. Itera, se erodono che le porsone da bone et di conscienza giucassino di buono con uno che notoriamente et palesemente funsi sempre privo di giuditio et discorso buono, et loro con simili giuchcrcbbouo. 14. Itera, so uno, benché havessi occupata la mente da qualche strana fantasia, rna non¬ dimeno si sforzassi d’apparire accorto ot gentile nel praticare, si può verisimilmento dire, lui essere privo di giuditio, o discorso buono, o se si può dire tutto il contrario. 15. Item, dichino che cosa sogliono fare quelli che sono talmente privi di giuditio da esser giudicati odiabili a fare li fatti sua. 16. Itera, domandinsi se hanno mai visto, o letto, o sentito leggero, il testamento di 20 Mohs. Giovambatista da Ricasoli. 17. Item, dichino se noi dì stesso olio detto Mess. Giovambatista fece testamento, gli parlorno in buon proposito et di sana monte. Sopra il nono rispose, rimettersene come di sopra. Sopra il decimo rispose, non gli parer cosa di soverchio. Sopra 1’ undicesimo rispose, non sapere niente. Sopra il dodicesimo rispose, haverlo sentito parlare et rispondere a propo¬ sito in quello stesso tempo che dice l’interrogatorio, se bene e’ parlava di cose disorbitanti et impossibili, alcune volte. Sopra il tredicesimo rispose, non bavere per homini dabono quelli che gio- 30 cassino con qualunche persona, purché e’ la volcssino ingannare. Sopra il quattordicesimo rispose, come di sopra, non si poter da alcune attioni solamente inferire il retto o torto giuditio d* alcuno, ma da quelle clic son frequentate. Sopra il quindicesimo rispose, esser molte le cose che fanno quelli clic sono privi di giuditio, et poter le medesime cose, secondo i diversi propositi ot occa¬ sioni, esser da savi et da matti. Sopì a il sedicesimo rispose, non 1’havor nò visto nè sentito leggere. Sopra il diciassettesimo rispose, non sapere quando si facesse testamento, nè se in quel dì gli parlò. 40 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 97 18. Itorci, ne noi tempo ohe Mesa. Giovambatista stette in Firenze in casa min, quando tu tornato da Toronzano, alcuna volta, ragionando con alcuni, discorreva bene et sensa¬ tamente et da savio. li). Itorci, so credono olio li banchieri, per ordino o parola d’ un huomo del quale fossi publica voco et fama (dio lussi privo di giuditio o discorso buono, girassino partito o corc- tassino danari, maximo essundo li banchieri accorti ot informati. 20. Item, so sanno, elio Giovambatista giocando et perdendo, gli erano resi li danari palesemente o in qualche altro destro modo, nel tempo che fu a Teronzano et di poi che tornò in Firenze infino fece l’entrata la Gran Duchessa, ot quante volte et che somma 10 et chi turno quelli che li rosolio, et so loro li rosolio et che somma et quando, et dichino li testimoni. 21. Item, so si può dire che un giovano ricco e nobile, mettendo in ordine la sua casa, pari qualche stanza di corami, faccia un padiglione di drappo et procacci qualche argen¬ teria, facci cosa da pazzi, o quollo che fanno il più de’ sua pari. 22. Item, dichino elio vestiti si fece Hess. Giovambatista nel tempo che stetto in Firenze in casa sua, che tornò da Terenzano. 23. Item, che coso providde per abbigliare la sua casa. 24. Item, so in dotto tempo trattenne li sua amici, forestieri et nostrali, con gentilezza et amorevolezza. 20 25. Item, so in detto tempo fu al banco de’ Ricci più volte a girar partite et tirare ot contare danari. 2(1. Item, se credono elio li bottegai et artieri, come setaiuoli, fondachi, mereiai et sarti, Sopra il diciottesimo rispose, esser vero che in quel tempo alcune volte, in alcuni propositi, rispondeva da savio. Sopra il diciannovesimo rispose, non sapere quel che si farebbono simil ban¬ chieri. Sopra il ventesimo rispose, liaver (letto di sopra et nel’esamina ancora al¬ tra volta fatta nella lite sudetta, alla quale si rimette. Sopra il ventunesimo rispose, non esser cosa fuor del’ ordinario fare quanto so si contiene nel’ interrogatorio. Sopra il ventiduesimo rispose, non se ne ricordare, o haverlo detto in quel*al¬ tra esamina. Sopra il ventitreesimo rispose, parergli ricordarsi di certi corami, sedie, et molte terre di Faenza. Sopra il ventiquattresimo rispose, haver veduto in detto tempo raccòrrò gra¬ tamente i suoi amici, et in particulare quelli de’ quali lui non sospettava et non havea con loro conferiti i suoi huraori. Sopra il venticinquesimo rispose, non sapere ragionar niente. Sopra il ventiseiesimo rispose, che crede che se tali artisti tenessino o sa- 7. Item, tanno, C — XIX. 13 98 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. (lessino robbe et, fncessino debitore uno elio fusai del continuo privo di gimlitio et discorso buono, e per tale fusai tenuto ot. reputato. 27. Itera, dichino in che parto et. per cln? giudichino il testamento di Mena. Giovnmbatista testamento da pazzo, massime CBSondo con tanto ordine ot accortezza disteso. 28. Itera, dichino se sanno, mentre stetto Mesa. (ìiovnmlmtmta in Firenze, tornato di Terenzano, che praticassi con gli amici con modestia, gentilezza ot creanza. 29. Itom, se in detto tempo lovò tagli di rascia dal fondaco de’ lieti et da altri, otclic quantità. 30. Itera, se in detto tempo andava per Firenze solo, et se lo viddono solo, ot quante volte ot quando, et se accompagnato et con chi. 10 31. Itera, se in detto tempo, volendo, haverehlie possato offendere sé stesso et altri. 32. Itera, so in dotto tempo fu a levar drappi a’ setaiuoli, et così a’ mereiai et sarti, et a quali particularinento, ot so ordinò alcuni vestiti accortamente, come ricercava quel tempo che facessi un suo pari. 33. Itera, so in detto tempo offese nini alcuno con pugna o con altra cosa, et quando et chi presente, et quante volte, et elio sorte d’ offesa. 34. Itom, se viddono in detto tempo detto Giovainhatista ot sentirmi usare parole di- shoneste o villane, e tirare c’ sussi, et mostrare le parte vergognoso, quando andava fuori, et quante volte et quando, et dichino li contestimoni. 35. Itom, so viddono Mesa. Giovainhatista, quando desinava o cenava in compagnia deili 20 pessino che uno fussi privo di giuditio, non gli durebbono niente, so non a da¬ nari contanti. Sopra il ventisettesimo rispose, non liaver visto il testamento, et per ciò non ne poter far giuditio. Sopra il ventottesimo rispose, esser detto di sopra altra volta. Sopra il ventinovesimo rispose non sapere ragionarne. Sopra il trentesimo rispose, non se ne ricordar così bene, ma parergli che andasse poco fuora, et di quelle poche volte andava in sua compagnia esso te¬ stimone; et parergli ancora liaverlo visto fuora con Iacopo de’Medici, con Mess. Lorenzo Giacomi™ et con Mess. Giovainhatista Strozzi. 80 Sopra il trentunesimo rispose, creder di sì, et la cagione esser perchè, non stando legato, potea pigliar delle occasioni da farsi del malo. Sopra il trentaduesimo rispose, non sapere niente, salvo che, vedendo die teneva sarti in casa che gli faceano vestiti, si può immaginare elio Giovamba- tista havessi levati simil sorte di vestimenti et drappi da qualche bottega. Sopra il 33 mo rispose, non liaver mai veduto che gl* offendesse alcuno di fatti. Sopra il trentaquattresimo rispose, non liaver visto nò sentito cosa di che nel’ interrogatorio. Sopra il trentacinquesimo rispose, haverlo veduto mangiar pulitamente, et esso testimone esser stato uno di quelli che si trovò a mangiar seco, et degl' altri 40 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECC. 99 amici sua, so mangiava pulitamente et con creanza, et quanto volto ofc con olii, ot so loro vi si trovorno, et chi orano presenti. 36. Iteui, se creilo olio uno che sia publicamcnte tenuto pazzo, un sacerdote lo comu¬ nicassi. 37. Itemi, so in dotto tempo elio stette in Firenze si comunicò dotto Mess. Giovamba- tistft, et per chi ot quando. 38. Itcm, so in detto tempo riscosso lotterà di cambio, ot da chi. 39. Itcm, so sanno clic detto Giovanibatista spendeva udii sua affari cautamente et con rispiarmo. io 40. Ilom, so andorno mai con Giovambatista a banchi o botteghe, et quanto volte et con chi, et quando ot in che tempo. 11. Itcm, so mai persona alcuna d’ordine di Mess. Giovambatista levò danari di qualche banche por pagarli ad altri, ot dichino chi et quanto volto ot da che bancho, et se da poi tornò Mess. Giovambatista da Teronznno, et so questo loco mai Moss. Iacopo, suo cognato, ot Mess. Ruberto Pandolfini. 42. Itcm, dimandimi se sanno elio Iacopo, suo cognato, liabbia giocato seco, ot quanto volto, et so in Firenze o in villa, et chi orano quelli che giocavano con osso lui. 43. Rem so loro si sono examinati altra volta nella causa vertente in fra Mess. Gio¬ vanni da Ricasoli et M.“ Magdalona do’ Bicasoli no’ Quaratesi, et. so hanno risposto alli 20 interrogatorii elio fumo loro fatti da detto Ricasoli; et dicendo di si, domandimi so con¬ fermano il doposto da loro sopra tali interrogatorii. 44. Itera, domandimi se hanno dotto il vero di quello che hanno doposto sopra dotti interrogatorii. ancora, corno Mess. Neri et Giovanni suo fratello; et la mattina del’ entrata della Gran Duchessa vi era una tavolata grande di parenti et amici. Sopra il 36 rispose, non ne sapore ragionare. Sopra il trentasettesimo rispose, non lo sapere. Sopra il trentottesimo rispose, non sapere niente. Sopra il trentanovesimo rispose il medesimo, so Sopra il quarantesimo rispose, non esser mai ito, nè sapere chi sia ito seco. Sopra il quarantunesimo rispose, non sapere niente dello cose contenute nel* interrogatorio; Soin a il quarantaduesimo rispose, non sapere che Mess. Iacopo, suo cognato, giucassi con Giovambatista, ma haver giucato bene esso testimonio, et veduto giucare ancora Mess. Neri et Giovanni llicasoli et Iacopo di Mess. Lione de’ Me¬ dici, et questo esser stato in Firenze. Sopra il 43 rispose, essersi esaminato nella causa ut ibi , et a quella in tutto et per tutto rimettersi, et haver risposto suftitientemente agl’ interrogatorii, et così confermare il suo detto. 40 Sopra il quarantaquattresimo rispose, haver deposto il vero sullitientementc, come nel precedente. 100 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 45. Itero, diraandinai olio atti di pazzi habbia fatto Mesa. Uiovambatiida nel tempo che stette in Firenze dal dì 20 di Marzo, ohe tornò da Teron/ano, in fino al dì 20 d’Aprile, ot poi por tutto il mese d’Aprilo lòtti), et dichino li contesti, et quando et quante volto. Sopra il primo capitolo, in causa di loro sapere. 1. Dimandi usi so detti testimoni stettono continuamente con detto Mess. Giovarobatista dal raose di Novembre 88 in fino a di primo di Gennaio 1580 ; et dichino dove stettono con dotto Mesa. Giovambatieta et quando et di che tempo et quello «li vedessi no faro in detto tompo, ot se qualche volta stava savio ot prudente, elio pareva non haveasi mal nessuno. 2. Itera, so si poteva et può più pronto dire elio Mess. Giovarobatista havossi di lucidi io intervalli, elio o’ tassi inentocapto. 3. Itera, so viddono sempre dotto Mess. Giovarobatista staro di continuo nel modo di che nel capitolo, et dichino de’ contestimoni. Sopra il quarautacinquosimo risposo, che se no rimette, conio ò dotto, in tutto et per tutto ali’ altra esamino. Examinato sopra il primo, secondo, terzo et quarto capitoli del’ inducente, quali letti minuti8simaulente, disse, delle cose in quelli contenuto haverne detto a sufficienza et a lungo in quella esamina sudetta, alla qunle in tutto et per tutto si rimette, et. quella confermò in ogni miglior modo ctc., poi che vede esservi lo medesime cose, ot non ci esser ne’ capitoli cosa di nuovo. so Sopra il primo interrogatorio delle parti rispose, potersi sodisfare, per quello cho gl’ ha deposto in quel’ esamino, a tutto quello elio dice l’interrogatorio con¬ cernente il primo capitolo. Sopra il secondo rispose, liaver conosciuto, in Giovambatista, offeso una parto del giuditio, immaginandosi d* bavere a esser giustitiato, clic il Gran Duca Francesco et il fratello suo lussili vivi, et simil cose, delle quali ragionandone parlava sempre nel medesimo proposito, credendolo; ma di altri affari, non con¬ cernenti a questi suoi liumori, ne parlava a proposito ; et però parergli clic in quelli humori particnlari non havossi lucidi intervalli, ancor elio negl’ altri affari parlassi giuditiosamente. so Sopra il terzo rispose, haver detto l’animo suo nel’interrogatorio precedente. E ben vero che non ne ragionava sempre sempre ; ma quando ne ragionava, credeva queste sue fantasie esser vere. 13. dichi no d. conteilimoni, C — I IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 101 Filza C, car. 204r.-f. Interrogatorii per la parte della Gabella, sopra il capitolo primo. 1. Itom, aieno domandati so potrebbe essere, secondo loro, che in quelli quattordici mesi elio «lice il capitolo, vi fossi di molti mesi, sottiinane et giornate clic Giovambatista stessi in buon proposito, et so potesse essoro una di quollo nella quale fece testamento. 2. Itom, so gli hanno visto, o sentito dire, elio ci siono di quelli che alcuna volta hanno di questi liumori, ma non continovano sempre, et poi ritornano al segno et. fanno di poi dolio coso sensato et da homini prudenti ; et so Giovambatista potrobbo essoro elio fusai uno di quolli. Filza C, car.215(.-217r. io Sopra il secondo capitolo, in causa di loro sapere^. 1. Dimandinsi, so dal mese di Novembre in lino alli 20 di Marzo in circa, nel tempo rii clic nel capitolo, so fumo presenti allo pazzie et coso elio si dice in detto capitolo bavore fatte dotto già Moss. Giovambatista; et chi vi era con loro presento, et quanto volte, et in elio tempo, ot dove, et so in casa o fuori; et quanto stava da una volta a un’altra, clic non facessi niente et paressi savio ; ot so vi corrova qualclio volta spatio di tempo, clic non faceva niente; et so stava in modo elio pareva elio non lmvossi malo nessuno. 2. Itcrn, se uno elio ha li liumori malinconici, c]ualcbe volta sta in tal modo elio pare elio non babbi mal nessuno, ot in cervello come uno sano. 3. Itom, so dotto malo si poteva diro esser venuto por accidento, et non per natura, 20 rispetto elio non smaltiva. Sopra l’altro interrogatorio della Gabella, concernente il primo capitolo, ri¬ spose, non haver praticato continuamente con Giovambatista, nò haverlo ogni giorno tentatolo in questi suoi liumori, se vi era o non vi era. Sopra il secondo rispose, essersi dichiarato più volte di sopra in altri inter- rogatorii simili. Interrogatorii del secondo capitolo. Sopra gl’ interrogatorii delle parti, concernenti il secondo capitolo, così in causa sdentine, come ancora sopra del primo, che dico < Domandinsi etc. >, ri¬ spose il medesimo che di sopra, che si consideri la prima esamina, elio dice so il tutto. Sopra il secondo rispose, poter essere clic uno celi per qualche tempo et occa¬ siono i suoi liumori ; ma non per questo si può inferire di sanità assolutamente. Sopra il terzo rispose, non lo sapere. <0 l’or la imrto di Maddalena Quaiutksi. 102 IX. DEPOSIZIONI DI 0ADII,DO ECO. 4. Ii.ein, so lo vitklono quando stava in Firenze, tornato di villa da Teronzano, che fu da’20 di Marzo 1588 a tutto Aprile 15^1), ot praticorno in detto tempo oon ti imamente Beco, et so Btottono mai a cena et a deBinaro -seco. 5. Itom, bo andorno fuori seco, ot so lui andava allo botteghe a comperare quello vo¬ leva, et so gittava via il suo. 0. Itcm, se viddono faro in dotto tempo cosa alcuna da mentecatto, et elio cose, et quando, et chi vi ora presente volta per volta, ot quante volte, ot so in casa o fuori. 7. Itera, so quando era fuori, o in casa, con qualelmno, discorreva bene et ragionava benissimo, et. nop diceva nè faceva coso da pazzi. 8. Itera, se può essere che dal di 20 di Marzo 1588 infino a tutto Aprile 1580 non babbi IO fatto alcune pazzie, nè altro che non fusai da savio, ot li testimoni non lo sappi no, o non no hnbbino uotitia o Bcientia. Filza C, car. 20it.-205r. Interrogatorii sopra il sfrondo capìtolo, per la parte tirila (tabèlla. 1. Itera, quanto tempo tìiovambatista ideasi a Bonazza, quanto a Firenze, quanto a Te- ronzano, in che giorno egli tornò in Firenze, et se ritornò in dette ville. 2. Itera, sieno domandati so può essere elio si trovino di quelli elio farcino delle piaco- volezze et delle burlo et fìnghino dello coso burlnvoli, et non per questo 8e le crcdino, ot se Giovambatista potrebbe esser elio fusai stato uno di questi. 3. Item, se credono, o 8e sanno, ohe quelli cho tengono d’havere n essere giustitiati, elio questi tali faccino testamento; et se Giovambatista era uno di questi, che bì arrecava 20 questa fantasia, come, così, si mosse a far testamento, poi che, secondo la sua fantasia, in ogni modo la roba havea andar nel fisco. Sopra il quàrto rispose, haverlo detto di sopra, sì come ancora in quell’al¬ tra esamina. Sopra il quinto rispose, essor dotto di sopra altra volta. Sopra il sesto rispose, esser detto di sopra et nel’ altra esamina. Sopra il settimo rispose il medesimo. Sopra 1’ ottavo risposo, poter essere clic non babbi fatto delle pazzie, et che lui non sappia che sia stato senza farle. Sopra gV interrogatorii della Gabèlla concernenti il secondo capitolo. 80 Quanto al primo rispose, riferirsi a quel’ altra esamina. Sopra il secondo rispose, poterne esser di quelli che faccino burle et piace¬ volezze ; ma non creder già che in simil partioulari Giovambatista facessi per burla nè per piacevolezza. Sopra il terzo rispose, che messo uno inconveniente, nc possono seguitar molti. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 103 4. Itcm, sa amino olio Giovambatista facessi testamento, prima o poi elio dicessi parole o laccasi atti inconvenienti, o ho l’ limino .sentito diro et da ohi. Filza Cl, car. 217r.-2I8*. Sopra il terzo capitolo, in causa di loro sapere (*>. 1. Diraandinsi, quello sappino dolio coso contenute in dotto capitolo, et se sono stati proseliti di continuo allo cose di olio in esso, et quante volto sogni quello elio in esso si dico, ot quando et dove, ot dichino li contestimoni. 2. Itero, so sanno elio detto Moss. Giovambatista stessi continuamente in detti huniori dal dì elio tornò da 'Perennano in Firenze, elio fu il dì 20 di Marzo 1588, et poi infino all’ultimo d’Aprilo 1589, o puro so cossorno mai li dotti lmniori et se stava in buono essere 10 qualche volta. 8. Itein, se sanno elio Iacopo Qunratesi giocava o gincò in detto tempo o prima, a Te¬ rminano con detto Mesa. Giovambatista, ot so chi vinse danari, et se e 1 rendè detti danari a detto Giovambatista, o chi li rendè per lui. 4. Itein, so credono die Iacopo, suo cognato, non glie ne rendesse, perchè gli vinse a persona elio era in corvello quando giocava. 5. Itein, didimo che somma di danari e’ mandò male detto Giovambatista in detto tempo, ot in elio, et «piando, et con chi, ot dichino li contestimoni, et se quando era in Firenze, et a quanti giorni (l’Aprile. (>. Item, dichino se fumo presenti a quello elio dicova Giovambatista, come nel cnpi- 20 tolo, et quando et dove e’ fu, et se in casa o vero fuori di casa, et quante volto ot con chi parlando, et dichino li contestimoni. Sopra il quarto rispose, non sapere quando si facessi testamento, et conseguente¬ mente non liaver che dire altro circa al* interrogatorio et cose in quello contenute. Interroflatorii del terzo capitolo. Sopra gl’ interrogatorii della parte, concernente il terno capitolo, et quanto al primo, rispose, clic si può sodisfar ciascuno in quel’ altra esamina, come è detto altra volta, poi che così i capitoli corno gl’inteiTOgatorii par sien d’un mede¬ simo sapore. Sopra il secondo rispose, essersi sodisfatto di sopra, et nell’ altra esamina, in 30 più luoghi. Sopra il terno rispose, essersi detto di sopra, dove si tratta di giuoco. Sopra il quarto rispose, liaver detto di sopra quel che ne può dire, perchè non sa che giucassi con Mess. Iacopo. Sopra il quinto rispose, non sapere questi particulari. Sopra il sesto rispose, liaver sodisfatto altra volta nel’ esamina maggiore, et non ci veder cose di nuovo, fuor di quel che di sopra ha deposto. **» Per la parte di Mad»ai>kna Quakatbsi. 104 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. Filza 0, car. 205r.-206r. Sopra gl' interrogatori} concernenti il (erto capìtolo, per la tìniella. 1. Item, se sanno ohe GiovanibatiBU si comunica »» quali» l'mtqu» olio #»crli tornai di villa, qual Pasqua fu alli «Ina (l’Aprile lf»HS) ; et so, «ondimi romunii nto, rrnlono elio il sa¬ cerdote gli Imvessi conferiti i Sacramenti, se (iiovandiatiilu non lini stato in cervello. 2. Item, so vero è che al principio d’Aprile 1589 gli liavi n quell’humore di bavera essere giustitiato et la roba giro nel fisco; perché, doppo che fu tornato di villa, fece testamento, però che questo non era cosa da fard per uno che non funsi in cervello; et quello che no dicono. 3. Item, so può essere che uno resti assalito da simili luimori per certo spatio di tempo, et poi ritorni in buon essere; ut a»- li io vani batista potrebbe e ci» stato uno di questi, io Filza G, car. 2181. Sopra il Qiiarto capitolo, in causa di loro sapere n . 1. Dimandinsi, se furilo presenti a quello che si dice in detto capitolo, et quando «'fu, ut quante vulte, ut in che modo, et dichino li conte.itiiumii. Filza 0, car. 20flr. Interrogatorii sopra il d n capitolo, per la parte della Gabella. 1. Item, so dal principio (l’Aprile 1589 sin a Alaggio vi potessi) estere do'giorni elio Giovambatista fusai in buona disposinone. Sopra gl' altri interrogatorii della Gabella , che rimirano questo medesimo ca¬ pitolo 3°. Quanto al primo interrogatorio, rispose come di sopra no* primordiali. Sopra il secondo rispose, havor detto di sopra in un altro interrogatorio, che 20 ò il medesimo. Sopra il terzo risposo nel medesimo modo. Interrogatorii dal 4" capitolo. Sopra gl’interrogatorii delle parti, concernenti il 4 ‘° capitolo, rispose essersi sodisfatto a pieno nel’esamina giò detta, et che si ricorra a quella in tutte que¬ ste et altre particularità che fanno a proposito. Sopra gl altri interrogatorii della Gabella, attenenti a questo capitolo, rispose essersi detto di sopra et nel’ altra esamina, et però si riferisce a quella, et che sarebbe s uper fluo et cosa tediosa ridir le medesime cose, et così non si poter errine. ni Por la parto di M addami» a Qb aratesi. IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 105 Filza 0, car. 218<.-219f. Sopra il Quinto capitolo, in causa di lor sapere 1. Diuiandinsi, ae sanno che cosa aia publica voce et fama, et quanti kuomini la faccino. 2. Itom, so sanno da olii cominciassi la detta publica voce et fama, et chi dotto il prin¬ cipio a dotta publica voce et fama. 3. Itom, che persone fumo et erano quello dettono principio alla detta publica voce et fama, et se orano contadini, cittadini, o persone di grado. 4. Itom, so è possibile che uno sia malinconico Bonza bavere offeso la memoria o il di¬ scorso. 10 5. Itom, se uno che spendeva cautamente in vestirsi et mettere in ordino la sua casa da pari sua, può essere tonato privo d’ingegno et giuditio. 0. ltem, so cognoscono et hanno cognosciuto M. ro Mariano, cerusico da Siena, Mess. Gio¬ vanni BarberiniMesa. Pandolfo Squarcialupi, Moss. Giovambatista Soderini, Mess. Do¬ menico Chiantini, Moss. Francesco Franceschi, Pandolfo Pamlollini, Lorenzo del Pollina, Moss. Alessandro Basini, Mesa. Lorenzo dolli Albizzi, Mess. Rombello Gagnani, et so gli hanno tenuti et tengono per huomini da bone et atti a dire il vero, et so l’hanno dotto. Kxaminato sopra P ultimo capitolo, della fama, disse, delle cose in esso con¬ tenute, quel medesimo elio si è fatto nella principale esamina della causa et della lite fra’lticasoli et P inducente, et però non occorrer reiterar le medesime 20 cose, quivi apertamente et a lungo dichiarato. Sopra il primo interrogatorio della parte in questo proposito, rispose essersi dichiarato il tutto abastanza nella lite principale, come tante volte ha detto di sopra. Sopra il secondo rispose, non sapere da chi si havessi tal principio questa publica voce et fama delle cose di Giovambatista. Sopra il terzo rispose il medesimo, et che se ne rimette al vero. Sopra il quarto rispose, la maggior parte delti homini esser malinconici, et massime quelli che attendono alli studi, ma non crede gii\ che la malin¬ conia offenda la memoria et il discorso; ma che fa differenza grande fra la 30 malinconia et gl’ humori malinconici, et la prima esser d’una spetia, et questi d’un’altra. Sopra il quinto rispose, essersi detto di sopra abastanza in altri propositi. Sopra il sesto rispose, non conoscer altri che lo Squarcialupi, il quale tiene per huomo dabene et atto a dir il vero ; gl’ altri disse non gli conoscere, et che se ne rimette. < l > Por Ih parto di Mardai.icna QtuiiATKSi. !*' Cfr. pag. 86, nota 3. XIX. 14 10G IX. DEPOSIZIONI DI (JALILEU ECO. Filza fì, par. 20<ìr.-t. Sopra V ultimo, di fama, per la parie della Gabella. 1. Item, sien domandati so sanno elio gli è ancora publica voce et fama, per Firenze et fuori, et fra persone degno di fedo, elio il testamento di Giovambatista è validissimo, fatto con tutte le solennità, et clic Giovambatista in quel tempo era in cervello et iu buona di- spositiono; et che il notaio è un homo da bone, et non 1* harebbo rogato; et i testimoni, buoni religiosi, et non aarebbono stati testimoni ; et se ancor loro 1’ hanno sentito dire, et da chi, ot chi siono stati presenti con loro, o se credono clic ci sia questa publica voce et fama. Filza C, car. 2I9L Itera, se sono debitori o creditori dell’ inducente et di Mesa. Tncopo, suo marito, et se parenti ot in che grado, compari, pigionali, iittuurii, fattori, Berve u servitori. 10 Itera, quanto habhino in beni. Sopra gli altri generali siono domandati diligentemente. Sopra gl’ interrogatorii della Gabella, concernenti questo ultimo capitolo della fama, rispose, delle cose in esso contenute non supero niente, nò haver che dir cosa alcuna, et se ne rimette Interrogato circa la qualità della sua persona, disse, esser d’età d’anni ven- totto, confessato et comunicato questo anno, et quanto al’ altre qualità che si ricercano, haverle detto a autlitientia noi’altra esamina; per ciò piglisi quella che sodisfarà a pieno, per quanto concerno l’interesse suo : et non haver che dir altro di nuovo. 20 Exami nato per me Cancelliere, come di sopra. Laus Leo, etc. d ) Altre testimonianze, concernenti Galileo, nel secondo processo. Filza 0. Mess. Iacopo di Moss. Lionr de’ Mkdioi, nobile Fiorentino, deponc, a dì 20 gennaio 1692, elio (car.76r.of.) .... non solo esso testimone giocò con Giovamhatista, ma vidde che con esso Giovani- balista giocava ancora Mess. Meri llicasoli ... et ancora giocava seco uno de’Galilei, che non si ricorda del nome ... et crede che giocassino a’medesimi giuochi, et particolar¬ mente al giuoco di primiera.... IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. 107 Il inedoRimo tosti mone (cnr 77 r. o i.) .... «opra il quarto del’ havor roso danari, .... rispose olio i danari quali osso testi¬ mone vinse, non gliene rose inai (s .... et- non liaver visto nò tampoco sentito che gli altri, che giocolilo seco, gli Inibitili mai reso danari; solo liaver sentito dire, ohe una volta el Galilei non volse vincere Giovambatista, o fu elio gli rese i suoi danari, o elio gli scontò a posto, ot non sapore il caso appunto come seguissi : ma crede elio veramente gli scoli¬ lo tassi a posto, perché Giovamlintista non barebhe ripreso danari, perché poco se no cu¬ rava; et non si ricordare olii gli dicessi clic quello do’Galilei havessi tenuto i modi so¬ pradetti .... Babtolino di Punto T?a rtoi.ozzi, abitante nel popolo di S. Lorenzo di Firenze in casa di Moss. Taooi’o quARATKBi, dopone, a di 22 gennaio 1692, che (car. 120f.) _tornato che fu < a) in Firenze, viddo che detto Giovambatista, fatto Pasqua, giucò con uno de’Galilei .... ma non sa già elio sorto di giuoco.... o elio (car. 189l.-l<10r.j .... si trovò presento quando Giovambatista andò via a Poscia, che andò seco Gio¬ vanni do’Ricasoli ot Galileo Galilei ot uu ragazzetto che Giovambatista teneva.... o elio (car. 14Cr.) .... esso testimone fu uno di quelli elio gli porgeva la mattina gli sciroppi et me¬ dicine, che sentiva diro esser tutto cose a proposito delli humori maninconici, ot clic così ò la verità; ot a questo cose si ritrovavano presenti degli altri di casa et de’parenti et 20 amici, come Mess. Giovambatista Strozzi et Galileo Galilei.... Il modosinio tostiinouo (car. 149l.-l.53r.) _disse_sapere questo, che la verità fu et ò elio detto Giovambatista intorno u’7 ili Maggio, por quanto gli paro havor in memoria, si partì di Firenze et andò a Pescia .... et da Pescia andò a Lucca; et questo sa perchè gli toccò andare a Lucca, in com¬ pagnia di Mess. Neri, per rimenar Giovambatista a Firenze. Qual testimone, innanzi che andassi a Lucca, scudo egli in Pistoia con Mess. Neri, subito che hebbero desinato in casa il 8ig. r0 Commissario, Mess. Neri ordinò a detto Ilartolino elio si avviassi innanzi verso Pescia por pigliar nuove dove si trovassi Giovambatista; et giunto che detto Par¬ tolino fu a Poscia, domandando al’ liostc se vi erano arrivati certi Fiorentini, per nomo Giovambatista Ricasoli, Galileo Galilei et Giovanni Ricasoli, rispose 1’hosto che vi orano 30 stati et che il giorno innanzi si erano partiti per andare alla volta di Lucca-Onde < l > Intendi, interrogatorio. <*> A Giovambatista Ricasoli. • 3 ) Giovambatista Uioasom. 108 IX. DEPOSIZIONI DI GALILEO ECO. esso tìartolino, licentiatosi dal’ hoste, prese il viaggio verso Lucca : et giunto in Lucca cominciò a domandar di delti Fiorentini, et abbattutosi in un boato, gli disso che vi erano stati et elio si orano tramutati ut iti sur una camera locanda; et tanto fece, elio gli trovò in dotta camora locanda, ot particolarmente trovò Giovambatista che ora ancor nel letto elio quando veddo detto Bari olino, si turbò tutto quanto et cominciò a domandar di Mesa. Iacopo suo cognato ot di Mesa. Neri do’Ricasoli-et mentre che segammo questi ragionamenti, a* quali vi era presente, con detto testimone, Giovanni Ricasoli et un ra¬ gazzo di Giovambatista, osso Giovambatista usci del letto; ot detto testimone aiutandolo vestire, cominciò a entrare in questo liumoro, che ora stato assassinato da’medici di Fi¬ renze et da’suoi parenti ot particolarmente dal suo cognato; et uscendo di casa tutt’a tre gì loro, andorono a udir messa alla Vergine Maria di Lucca .... ot venuta 1' bora del desinare tutti a tre desinorno a una medesima tavola, et poi, finito il desinare, Giovambatista et Giovanni se n’ andorono a riposare, ot esso testimone andò con il ragazzo a spasso per la città; et presso a sera, ritornati alla camera locanda, il Galilei, ora tornato da risa era insieme ragionando con Giovambatista ot con Giovanni Ricnsoli ; et in quello stante arrivò Mess. Neri de’Ricnsoli, et salito in camera por salutar Giovambatista, esso Gio¬ vambatista a sciamare et gridar con tutti elio volea andar via, dicendogli elio loro n’crono cagione che Mess. Neri 1’bavea trovato .... et la mattina veniente, Htando nella mede¬ sima opinione del’andar via, la venne a metter a effetto, partendosi di Lucca lui, Gio¬ vanni, Galileo et il ragazzo, per alla volta di Genova .... 50 10'J X. MORTE DI VINCENZIO GALILEI. Firenze, 2 luglio 1691. Aroh. di Stato in Firenze. Archivio dell’Arto doi Modici o Speziali, Libro dei morti dal luglio 1591 al luglio 1007, n.° 251, car. 361 r. Luglio 1591. Vincentio di Michelngniolo Galilei, sepolto in S. & Crocei* 5 .2 <*>. Arch. di Stato in Flrcnzo. Libro doi morti doll’Uflzio della Grascia, dal 1581 ni 1601, u.® 8, sotto la lottora V (lo cario uou sono immurato). Luglio 1591. Vincentio di Micholo Agnolo Galilei, sepolto in S. Croco.2. Bibl. Naz.Fir. Nella Busta citata al Doc. n.° I, l) si hanno alcuni conti, relativi per la massima parto all’ultima malattia od al seppellimento di Vinoenzio Galilei, dai quali stimiamo opportuno staccaro alcune partite. E prima, a car. 9, in un « Conto di Moss. Vino.® Galilei, hoggi allo rodo di dotto, con Stefano Hossolli, speziale a S. Francesco », abbiamo: .... Adì 2 di Luglio por l’appiè cera, servi por seppellire dotto Hess. Vino. 0 , levò Benedetto Landucci, suo genero; lib. 23^ di 4 falcolini bianchi per il corpo. £ 36.16.— .... Anne roso lib. 22 ^ di 4 cori arsicci, adì 8 di Luglio. £22.10. — A car. 11, in un « Chouto di Vino. 0 Galilei clion Pagliolo Polo Rodo <• • tra più partite 11 ' di crediti di questo morennte con Vincenzio Galilei o suoi erodi, no figura una in data 2 luglio 1691 por pnuni elio lovò Benedetto Landuoci: .. . per vestirò a bruno la madre e’ figliuoli por la morte del padre. A car. 15, in un « Conto di rodo di Vincenzio Galilei con Piero Saltini, spozialo allo Stollo», si hanno pa¬ recchio partito di credito di dotto speziale con Vinoknzio Galilei o suoi orodi, tra lo quali: .. E adì 2 di Luglio, a rode di detto Vinconzio, di nuovo promottc Benedetto detto Vincenzio lib. 33, onc. 6, di n.° 4 torce gialle .£ 48.11. 8. 10 Landucci, levò lui per sepelire nuove a soldi 29 lib IL Noi Mss. Gal. dolla Bibl. Nazionale di Firen¬ ze, P. I, T. I, in un fascio di fogli contenenti divorsi albori genealogici dolla famiglia Galilei, abbiamo, a car. 146 a, di mano del sec.XVIII, il seguente appunto: « Al Libro do’ morti del Von.'* Convento e Chiosa di 3. Croco di Firenze, segnato di lottora A, a 13IL, apparisco quanto appresso, cioè: A dì 2 Luglio 1691. Si sotterrò Vincenzo di Michele Agnolo Galilei. » Del Libro de' morti qui citalo abbiamo fatto di¬ ligenti, ma inutili, ricorrilo I** Cioè il giorno 2. «»> 1591. IL Ultima dolio partite notato in quel foglio : « F, a di 20 di 7bro, £ quarautaduo piccioli etc. al Galileo .... £ 42 . — » 110 X. MORTE 1>I VINCENZIO GALILEI. ...E àne resBo adì 2 di Luglio 91 lib. 29, one.fi, di 4 foro- arsicce, rer.N Filippo 26 (?) a soldi 20 lil>. 29.10.- K Annlmonto noteremo elio Tra i conti rimagli in parte a cari.-.» digli eredi .li Vim«knzio U a limi io no ha uno a car. 13. a tergo del quale (car. 1 Ir.) 'i : « Conto ili \ in. • .li Michela*. 1 " Galilei con Piorfranc. c ° o Gio. Alox. ri <• • •> ». Si hanno qui rane partite -li eredito che • Vince» di Miehelag.b Galilei, maostro di sonnro di liuto . devo pagare ai detti mercanti p«r panni (parto dei quali « disse Rorviro por i figlinoli») comperati il 8 ottobre, 8, li o 15 novembre 1590, 2 marzo o ! maggio 1591, o i pagamenti in acconto, fatti il 8 e li novembre 1590, 15 gennaio, 15 febbraio, 2 marzo o 31 mag¬ gio 1591. Da questo conto stacchiamo la scguonto partita: .. E addì 15 dotto <•> levò detto w , disso servire per una emppa per la serva, o zimarra per Galileo suo figliuolo, b*6 di perpignono nero fine per £ 5.— b.° d’acordo.£ 80.- i* > 16 novomhru 1590. 1*1 VlNCKSZIO liALILkl, Ili XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. a) Nomina. 1) Deliberazione del Senato. [Venezia,1 2G settembre 1592. Aroh. cH Stato in Venezia. —Senato 1, il. 0 62, Terra 1592, car. C9r. — Originalo. A dì XXVI Settembri/). Per morte del Moletti, die leggeva nello Studio nostro di Padoa lo Matematiche, clic vaca già. molto tempo quella let¬ tura, la qual essendo di molta importanza per servir alle scientio principali, si è convenuto differir di elegger in suo loco, perchè non si ha havuto suggetto corrispondente al bi¬ sogno; bora che si ritrova D. Galileo Galilei, che legge in Pisa con sua grandissima laude, et si può dir che sia il prin¬ cipale di questa professione, il qual contenta di venir quanto prima nel predetto Studio nostro a legger detta lettione, ò io a proposito di condurlo. Però L’and e rà parte che’l detto D. Galileo Galilei sia conduto a legger in detto Studio nostro la prima lettione delle Mate¬ matiche per anni quattro de fermo, et dui di rispetto siano a beneplacito della S. N., con stipendio di fiorini cento ottanta all’ anno. _ 149 (1) _ 8 20 7hris 1092. _3 2) Ducale. Venezia, 2G settembre 1592. Bibl. Naz. Plr. Mss. Gal., P. I, T. I, car. 192. — Originalo. Cfr. Voi. X, n.« 41. Pascalis Ciconia, Dei gratin Dux Venetiarum etc. Nobilibus et Sapientibus Viris Ioanni Baptistae Victurio, de suo mandato Potestati, et Vincendo Gradonioo Doo. XI, a, 1). 13-14. prima ... «ano: cfr. noi I)oc. seguente, lin. 15-10. — «») Questa annotrfziono ò dell’ amanuense, che si <*> 1 numeri alla fino (lolle i>arli indicano il scusa di non aver registrata la deliberazione nel- resultato dell’avvenuta votazione: il primo, i voti l’esatto ordino cronologico rispetto allo altre, non de farle; il secondo, quelli c/e non; il terzo, i non avendo ricevuto in tempo comunicazione di ossa. tino eri. Kcfformatori. S. Alvise /orzi P. r rv / 112 XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. Equità, Capitaneo Paduae, et successoribus, lidelibus dilectis, salii te m et dilectionis affectimi. Signiiìcamus vobis, liodie in Consilio nostro Rogatorum captam fuisso partem tenoris infrascripti, videlicet : Per morte del Móletti, che. leggeva nello Studio nostro di Padoa lo Matematiche, vaca già molto tempo quella lettura, la (piai essendo di molta importantia per servir alle scientic principali, si è convenuto differir di elrgcr in suo loco, perchè non si ha havuto suggello corrispondente al bisogno ; bora che si ritrova D.no Galileo io Galilei, che. legge in Pisa con sua grandissima laude , et si può dir che sia il pnn- cipal di questa professione, il qual contenta di venir quanto prima nel predetto Studio nostro a legger detta lettione, è a proposito di condurlo. Pero Vanderù parte che ’l predetto D.no Galileo Galilei sia condotto a legger in detto Studio nostro la predella lettione delle Matematiche per anni quattro de fermo et dui di rispetto, et quelli di rispetto siano a beneplacito della S. N., con stipendio di fiorini cento ottanta all ’ anno. Datae in nostro Ducali Palatio, dio xxvi Soptcmbris, Ind. no sexta, M. D.XC.IL Laur. Massa sec. R Reg. in off. 0 banchi generalis Pad., in registro signato. 20 littera I, ad c. 180. per cancell. libras vigiliti duas, sol. 10. por bull, libras tres, sol. 2 (l) . 9 b) Piuma ricondotta. Venezia, 28 ottobre 15U9. 1) Deliberazione del Senato. Arch. di Stato In Venezia. Sonato. I. R.« G9, Terra 1599, car. 128f. — Originalo. M. D. I Reforma¬ toli del Studio di Padoa. XCIX. XXVIII Ottobre. Essendo finita la condotta delli anni sei di D. Galileo Galilei, che leggieva le Mattheniatiche nel Studio nostro di Padoa, et havendo lui per lo tempo di essa condotta letto con grande uti¬ lità de scolari et molta laude sua, ò conveniente cosa il ricon¬ durlo. Però I>oo. a, 2). 12. di quelita profantione — <0 Cfr. Voi. X. il.» li, lin. 4-5. XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. 11 ?, Fueruni factae L’andarA. parte che il sopradetto D. Galileo Galilei sìa ri- ìitlerae < Signi- condotto nel Studio nostro di Padoa a legger la lettura prefatta ficamus>infor- dello Mathematiche con auguniento de fiorini cento quaranta ma lirrtoribus all’anno, sì che, con li fiorini cento e ottanta che s’ attrovava to Pattiate. nell’altra condotta, venga ad aver fiorini trecento e vinti al¬ l’anno, per anni quattro di fermo et doi di rispetto ; et, il rispetto sia a beneplacito della S. N.: et la presento condotta li debba principiar a’27 Settembre 1508, elio ha finito l’altra. _ 129. __ 3. _19. 2) Ducale. Venezia, 29 ottobre 1599. E ibi. Naz. Plr. Msr. Hai.. P. I, T. 1, cor. 191. — Originale. Marinila Griniano, Dei gratia l)ux Venotiaruin etc. Nohilibus et Sapientibus Viris loanni Cornelio, de suo mandato Potestati, et Antonio Priolo, Capitaneo Paduae, et successoribus, fidelibus dilectis, salutem et dilectionis affectum. . Significannis vobis, beri in Consilio nostro liogntorum captam luisse partem tenoris ini'rascripti, videlicet: Essendo furila la condotta delli anni sei di D.no Galileo Galilei, che leggeva le Matthematichc nel Studio nostro di Padoa , et havendo lui, ver lo tempo di essa condotta, letto con grande utilità di scolari et molta laude sua, è conveniente cosa il ricondurlo. Però V anderà parte che il sopradetto D. Galileo Galilei sia ricon¬ dotto nel Studio nostro di Padoa a legger la lettura prefata delle Matthematiche. con io cingimento di fiorini cento quaranta all’anno, sì che con li fiorini cento e ottanta, che si attrovava nell’altra condotta, venga ad haver fiorini trecento e vinti all’anno,per anni quattro di fermo et dui di rispetto, et il rispetto sia a beneplacito della S. N. Et la presente condotta li debba principiar a 27 Settembre 1598, che ha finito V altra. Quare, auctoritate suprascripti Consilii, mandamus vobis ut praedictam partem observetis, ab omnibus inviolabiliter observari, ubi opus fuerit registi-ari, praesen- tantique restituì faciatis. Datae in nostro Ducali Palatio, die XXIX Octobris, Tnd. ne XITI, M. D. XCIX. Alvise Saetta secr.° per la Cancellarla Ducal £ 28. sol. 15. 20 per la bolla ducal £ 3. sol. 2. Sommano £ 31. sol. 17. Begistratae in off. 0 Cancellarne Paduae, in registro signato littera L, ad c. 133. XIX. 15 114 il. GALILEO LETTO HE NELLO STUDIO DI J'ADOVA. c) Seconda ricondotta. 1) Deliberazione, del Senato. Venosia, 5 agosto 1006. Aroh. di Stato in V(inezia. Fluita «li m*s. intitolata tal dor. La busta non 6 cartolata. — Originale. Dol documento, noi Mss. Gal., P. I, T. I, car. 195, si ha copia (che s’arrosta però alle pardo «all'anno* di liu. 16), sul di fuori (lolla quale si leggo, di mano di gai.h.ko : Copia della parte presa in Pregadi della mia condotta in vita di f. 1000. Tleform. ri del Studio di Pad a Marc’Ant. Me¬ mo P. r Ant. Prioli K. r P. And. a Mor. ni 1009, a’ 25 Agosto. In Pregadi. Legge D. Galileo Galilei già anni dicisctte le Mathematiche, con quella sodisfattione universale et utilità, dello Studio nostro di Padoa eh’ è noto ad ogn’ uno, havcndo in questa professione publicate al mondo diverse inveutioni con grande sua lode et continuilo benefìcio, ma in particolare ultimamente inventato un instrumento, cavato dalli secreti della prospettiva, con il quale le cose visibili lontanissime si fanno vicine alla vista, et può 116 XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. non detur cxem- plum exor dìi. servire in molto occasioni, conio dalla sua scrittura 05 , con la quale lo ha presentato alla S. N., si ò inteso. Et convenendo io alla gratitudine ot munificenza (li questo Consilio il riconoscer lo fatiche di quelli che si impiegano in puhlico beneficio, fiora massime clic s’avvicina il fino della sua condotta; 1/and era parte che ’1 sopradetto D. Galileo Galilei sia con¬ dotto per il rimanente della vita sua a legger le Matematiche nel predetto Studio nostro di Padoa con stipendio di fiorini mille all’anno; la qual condotta gli babbi a principiar dal fino della precedente, non potendo essa condotta ricever mai augumento alcuno. _98 20 _Il 1G09, 25 Ag.°, in Collegio. _30 2) Ducala. Venezia, 20 agosto lf»09. Bibl. Naz. Fir. Mss. (lai.. Nuovi Acquisti, n.° 5. — Originalo. Leonardus Donato, Dei gratia Dux Venctiarum ctc., nohililms et Sapientibus Viris Thomae Contarono, Equiti, do suo mandato Potestati, et Francisco Mau- roceno, Capitaneo Padano, et succossoribus, fidelibus dilectis, salutoni et dilectionis alice tu m. Significamus vobis, hodio in Consilio nostro Uogatorum captam Cuisso partom tenoris infrascripti, videlicet: Legge D. Galileo Galilei già anni didscttc le Mathematiche, con quella so- disfattione universale et utilità dello Studio nostro di Padoa clic è noto ad ogn ’ uno, havendo in questa professione pubi) cui e al mondo diverse inventioni con grande sua lode et continuine bcncfficio, ma in particolare ultimamente inventato un istro - io mento dalli secreti della prospettiva , con il t/rialc le cose visibili lontanissime si fanno vicine alla vista, et pub servire in molte occasioni, come dalla sua scrittura, con la quale lo ha presentato alla S. Hn Nostra , si c inteso. Et convenendo alla gra¬ titudine et munificenza di questo Consilio il riconoscer le /'attiche di quelli che s impiegano in publico benefìcio , ho va massime clic s ’ avvicina il fine della sua con¬ dotta, Vandava parte eh' el sopradetto D. Galileo Galilei sia condotto per il rima- Doc. d, 2). 10-11. istromenio dalli : cfr. noi Doo. precedente, lin. 7. «*) Cfr. Voi. X, n.o 228. XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. 117 nenie tirila vita sua a leggere le Matematiche nel predetto Studio nostro di Fadoa con stipendio di fiorini mille all* anno ; la guai condotta gli halli a principiar dal fine della precedente, non potendo essa condotta ricever mai augumcnlo alcuno. 20 Quaro, auctoritatu supradicti Consilii, mandamus vobis ut supradictam partem obscrvotis, et ab omnibus inviolabilitor observari, ubi opus fuerit, registrari, pre- sontantique restituì, faciatis. Datai: in nostro Ducali Palatio, dio xxv Augusti, Ind."° 7. ma , M. I)C. IX. Taiilus Giura secr. 8 Ilogistratae in Cancell.* Capitanoatus, l.° 13, L° 2-10. Fuori: Nobilibus ofc Sapiontibus Viria Thomae Guatarono, Equiti, Totostati, et Francisco Mauroceno, Cap.° Taduao, et suoc. 1 " 18 c ) Ahgomenti della lettura m Galileo nello Studio di Padova. 161)2-1004. 1 ) Itotelo dello Studio di Padova per V anno 1500. Ardi. Universitario di Padova. Filza 651. — Originalo. In Nomine Domini Nostri Iesus Cliristi, Dei acterni. Amen. Generalo et novum principium interpretationum lecturaruni Nobilissimae et Florentissiinao Accadomiao DI). Pbilosopborum et Modicorum celeberrimi Pa¬ tavini Gymnasii anni praosontis 1592. Fcliciter incipiet die 3* soquentis mensis 9bris, sub felicibus auspiciia Ill.inorum DI), lo. Baptistae Vitturii, pio Sercn.® ac lll. mo Duci I).° Vonetiarum otc. Praotoris, et Vinccntii Gradenico Equitis, Praofocti Patavii, Dignissimorum, Magnitìciquc ac Perillustris D.ni Iacobi Donati Vero- nonsis, Vico Kctlioris Integerrimi Accademie praedictae, cum leetionibus quas iiil'ra.u:ripti Ex." 1 ' D.ni Doetorcs et Magistri, de mandato ipsius Perillustris D.' V. io Uootoris, agredientur et prosequentur, ordino ut infra exposito ; videlioot : \ Icgent bora .jjj in ma- Ad theologiam, in via S. li Tliomao. ne; sed prò nunc non R.»»' 8 P. D. Alphonsus Sottus, Florontinus, Ord. ,R Predic.™" 1 publicantur lectiones, Ad theologiam, in via Scotti. j Q u * a a< ^ luc 8U11 ^ i n " Il nina p. D. Mag. r Ilieronymus Palanterius, a Castro JBo- l decisae. Tempore au- noniensi, Ord.* 8 Minorum. tem congruo publica- / buntur. 118 XI. GALILEO LETTORE NELLO »lt L'Io LI l’ALuVA. Ad lecturaui Sucrat* Scriuturue. Locus vacat. Ad metaphisioam, in via S. Tlinnw©. H.nmH p. [). Mag. r Angelus Aiulrouicus, Yenetus, Ord. ( 20 Praedicatorum. I logont lih. 12 Meta- Ad metaphisicam, in via Scotti. ** lwr,U1, lll,MUIie - p. 0. M. Salvator liertholuciua, de Arsìsìo, Ord. ‘ Minorum. I Ad theoricam ordinariain medicina©. Ex.' 1 ’" 9 D. Iloratius Augonius a Monto Sancto, novitcr con ductus, in p.° loco. Ex."’" 8 D. Albertinus Bottonus, Patavinus, in 2° Uh ». I li'peiit Ai tem medici- nali-m (iaU-iu, bora \ p.* ile munti. Ad practicam ordinariain medicinae. Ex. 1111,8 1). Alexander Massaria, Vicetinus in p.® loco, so Ex."' UB D. Hercules Saxonia, Patavinus, in 2 ' loco. ngent de inurbiti par- / ticulariUus a capite \ unquo ad cor. hurap." I poni muridiein. Ad philoaopliiam ordinariam. \ agent de generationo Ex. mns D. Franciscus Piccolornineus, Senen^is, in p.° loco. et. corruptinne, bora Ex."” 18 D. Caesar Cremoninus, Centensis, in 2° luco. 2* post meridiem. Ad theoricam oxtraordinariam medicinao. \ Ex."” 18 D. Hannibal Pimbiolus, Patavinus, in p.° loco, no- / ^ k ' nt Aplwrismata viter electus. i Hypocratis, bora rne- Ex.mua £>, Nicolaus Trivisanus, in alio loco. j r ^* an u Ad practicam extraordinariam medicina©. \ Ex." 1118 D. Aemilius Cainpilongus, Patavinus, in p. loco. a ^ 1 nt d ° ^ ,l ^ ,us » 40 Ex."”« D. Alexander Viguntia, in alio loco. l,orti do man0. Ad philosophiam extraordinariam Aristoteli*. ) agent docnelootmun- Ex."” 18 1). Camillus Bellonus, Venetus, in p.® loco, et , do, bora p.* post me- Ex. 1 "" 8 D. Schinella do Comitibus, Patavinus, in alio loco, rullimi, Philosophiao moralis. Locus vacat. Ad chyrnrgiam et anatomon. ) aR0 ' ,lfl ulccribuS f Ex. 1 ®" 8 D. Hieronimua Fabritius de Aquapendente, Etruscu». \ anRtom ®’ l,ora 10 / mane. XI. GALILEO LETTORE .NELLO STUDIO DI PADOVA. li!) Ad lecturam 3* 1 Avicennae. Ex. mu " D. Antonina de Figris, Patavinus. aget de incrina parti- cularibua a ventriculo ad pedes, bora 2 ft de mane, in diebus fe- stivis. r»o Ad lecturam simplicium. Locus vacat in Gymnasio; sod in horto Ex.™* D." lacobua Antonina Cortusius, Patavinus, incipiet docero dio 2* Mai anni seciuentis 1593, bora 22 diei. Ad logicai». Ex.™» I). Bernardinus Petrella, Tuscus, in p.° loco. Ex. nm8 Faustinus Summo, Patavinus, in 2° loco. Ex."' us D. Priamus Bussenellus, Patavinus, in 3° loco. legcnt p. m librimi Po- steriorum, bora p. !l mane. leget librimi 2 m Poste- riorum, diebus festi- via, bora 2 a in mane. Ad matbematicam. Ex."" ,s 1). Gallileus de Gallileis, Florentinus, noviter electus. ) 23. ) leget ad libitum, bora Ì Ciceronem De orato¬ re, et .Demosthenem, interpretabitur bora 2 !l in mane. 1592, Imi. 6 5 U , die lunae 19 mensis tìbris, horis matutinis, in Ecclesia Cathedrali Paduae. 2) Argomenti della lettura di Galileo negli anni. 1593-1004. Non di tutti gli anni nei quali («ai.ii.ko tonno la cattedra di Matomntica nello Studio di Padova, si con¬ servano i rotoli, ma soltanto, oltro a quello del 1592. degli anni 1598, 159-1, 1597, 1599, IfiOS, 1904. Senza riprodurli intogmlinonto, ci limiteremo ad estranio quel elio risguarda la lettura di Oai.ii.ko. Ardi. Universitario di Padova. Filza 242. Car. 39r. — Anno 1593. Originalo. Ad mathematicam. Excellentissimus D. Galileus de Galileis, Florentinus. leget Sphaeram et Euclidcm, bora tertia post meridiem. Car. 40r. — Auuo 1594. Originala. leget quintum librimi Euclidis et theoricas planetarum, bora ter¬ tia post meridiem. Ad mathematicam. Excellentissimus D. Galileus de Galileis, Florentinus. 120 XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. Car. 41». — Anno 1H07. Copia. Ad mathematica™. Exc. D. Galileus GaLlileus, Floientinus. ).h.» 3 a ) pomcrid.' 11,) Car. 131. — Anno 1598. Copia. Ad mathematica™. Exc. D. Galileus Galileus, Floientinus. Car. 45(. — Anno 1699. Copia. Ad matlìematicani. io Exc. D. Gallileus Gallilous, FlorenlinuR. lopct Euclidis Elo- / incuta et Mochanicns t Aliatoteli Qusiestio- 1 ima, li." 51* pomorid. \ I.ogot Splmer.Tin et j Kuclidom, lima 3* po- ) incrid." Arch. Universitario di Padova. Filza 661, car. 375r. — Anno 160:!. Copia. Ad mathematica™. Ex. ,n,,s D. Galileus Galilei, Florentiiius. leget lihrum De spho- ra et lihrum Klemen- torum Kuclidis, liora 3* pomeridiana. Ardi. Universitario di Padova. Filza 212, car. 47f. — Anno 1601. Copia. Ad mathematica™. Exc. D. Galileus Galileus, Florentinus. leget theoriocm pla- netaruni, bora 3“ po- ìnerid. 11 f) GlORNI NEI QUALI GaI.1I.KO DIEDE principio ai.i.e lezioni. 1592-1600. Arch. Universitario di Padova. Filza 651. —Non di tutti di anni nei quali Gamt.ko lesse in Padova, si conservano i Prineipii delle letture, ma soltanto dogli anni 1592, 1594, 1697-1600. Sono autografi del bidello generalo dogli Artisti, Antonio Rosato. Car. 33 Ir. Prineipii deli Ecc.™ S. ri dotori Ingenti dela Mag.“ Università do S. ri Artisti del Studio di Pad.*, ut infra. EU’anno 1592. Doo. e, 2). 13. Ad innlhnmalicam. lei/ct ihnracem planetarum — <» Nella Filza 678 dell'Arcliivio Universitario di <*) Del rotolo dell'anno 1003 «• la minuta nella .n ova o a minuta del rotolo dell alino 1597, nella Filza citata in nota precedente. I.a lettura di (Ja- ,»»]« leggiamo (car. 78r.) i ut.Ro ,i ò registrata » car. 13K. Ad matlieinalicam. Almagestiiin Ptolo- Kx. D. Galileus Galileus, Fio- [ mei, bora 3 pome- rontiiuis. ) ,. iJianai XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DT PADOVA. 121 Ecc. mo I). Galileo (le Galilei principiò a leger la loctura dela matematica adì 13 Dexb. 1592. Ego Ant. 118 Itosatus, generalis bidelua praedictao Mag. co Universitatis, scrisi inanu propria. Car. 839r. 1594, adì 21 Nob. in Padoa. Principii dolo lecture deli Mag. ci et Ecc.'" 1 S. ri dotori legonti della Mag. a Uni¬ versità de Artisti del Studio di Padoa, quali principiorno a legiero le loro lecture io ut infra. Ecc. ,no D. Galileo principiò adì 3 ditto. Ant. 0 Rosato, bidello generale dela Mag. ca Università do S. rì Artisti. Car. 353r. 1598, adì 18 Febraro. Fede facio io Ant. 0 Rosato, bidello generalle deli Mag. cl et Ecc. ml Si. ri Artisti del Studio di Padoa, come gli infrascritti Ecc. mi Si. rl doctori, spesati alla pro- fesion dola nostra Università, dettero principio a legier le loro leturo secondo l’ordinario: videlicct, Ecc. mo D. Galeo (sic) Galileo principiò ut supra U) . 20 Ant. 0 Rosato qui supra. \ Car. 3!54r. Fede facio io Ant. 0 Rosato, bidello generalle dela Mag. ca Università de S. rl Ar¬ tisti del Studio di Pad. a , come gli infrascritti Ecc. ,ni S. rì doctori dettero principio a legier lo loro lecture alli giorni infrasc. u Ecc. mo D. Galileo Galileo principiò adì 3 Nob. 1598. Gatta adì 30 Nob. 1598. Ant. 0 Rosato, bidello generalle dela Mag. ca Università de S. ri Artisti, qui supra. (*> Cioè «a l’ordinario»: intoudi, «al principio del uovo Studio ». XIX. 16 122 XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. Car. 86Ir. Laus Dco. inno, adì 12 Apll.® in Pad.» Facio fede io Ànt.° Rosato, bidello generale deli Mag.°‘ et Eoe."' 1 S. ri filosofi et medici del Studio di Padoa, come gli infrascriti Mag. ci et Eoe.'" 1 S. ri profesori so detero principio a legier le loro locturo deputate al milesimo et giorno infras. 10 . viti elicci, Eoe. D. Galileo Galileo, adì 3 Noi). 1599. A il t.° Rosato, bidello generale, qui supra. Car. 365r. 1601, adì 22 Febraro. Fede facio io Ant.® Rosato, bidello generale deli Mag. cl et Ecc. n,i pliilosofi et medici del Studio di Pad.», come gli infrascritti Ecc. nu S. ri doctori detaro prin¬ cipio a legier le loro lccture ut infra : Eec. mo D.° Galileo Galileo, 3 Noi). 000. Ant.° Rosato, b. generalle, qui supra. 40 g ) Stipendio di Galileo. Aroh. Universitario di Padova. Filza 661. — Originalo. Car. 336». — Bollettario dogli Artisti por il 1593 <*>, D. r D.° Gallileo Gallilei, deputato alla lettura delle Mathematiche. Fior. n.° ISO. —• Car. 338». — Bollettario degli Artisti per il 1694, D. r D.° Gallileo Gallilei, deputato alla lettura delle Matematiche. Fior. n.° 180. — Car. 342». — Bollettario dogli Artisti per il 1596. D r £)- 0 Gallileo Gallilei, deputato alla lettura delle Mathematiche. Fior. n.° ISO. — (, i 11 Bollottario dol 1692, compilato addi 14 agosto (car. 328r.), non può contenere il nomo di Galileo. XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. 123 Car. 317r. — Bollettario dogli Artisti por il 1690. Lettura delle Matteraaticlie. Gallileo Gallilei, a fior.180. — Car. 848f. — Bollettario dogli Artisti por il 1597. Matematiche. Gallileo Gallilei, a fior.180.— Car. 852r. — Bollettario dogli Artisti por il 1598. Matematica. Galileo Galilei, con fior.180. — Car. 858r. — Bollettario dogli Artisti por il 1599. Matematica. io Galileo Galilei.f. 180.— 30 Ottobre, ricondotto con altri.f. 140.— Car. 360*. — Bollettario dogli Artisti por il 1600. Galileo Galilei, alla Matematica, con fior. 320. — Car. 864». — Bollettario dogli Artisti por il 1 COI. Mathematica. Galileo Galilei.f. 320.— Car. 371 r. — Bollettario dogli Artisti por il 1602. Lettura delle Matematiche. Gallileo Gallilei, a fior.*. 320. — Car. 372t. — Bollettario dogli Artisti por il 1603. Matematiche. Gallillco Gallilei, a fior. 320. — Car. 380». — Bollettario dogli Artisti por il 1601. Lettura delle Mattematiche. 20 Gallileo Gallilei, a fior. 320. — Car. 884t. — Bollettario dogli Artisti por il 1605. Lettura di Matematica. Gallileo Gallilei, a fior. 320.— 124 XI. GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA* Mnncn il Bollettario doli’anno 1608. Car. 894r. — Bollettario dogli Artisti per il 1607. Lettura delle Mattematirlie. Gallileo Gal Idei, a fior. 520. — Car. 895<.— Bollettario dagli Artisti por 11 1608. Matematica. Galileo Galilei.f. 520. — Cnr. 400r. — Bollettario dogli Artisti per il 1609. Mattematiche. Gallileo Gallilei, a fior. 520.— Car. 404r.— Bollettario dogli Artisti por il 1610. Mattematiche. so Gallileo Gallilei, a fior. 520. — Arch. di Stato in Venezia. Busta di mas. intitolata sul dorso : « Atti. 1. 1592-1609. Riformatori dolio Studio di Pudota », u.® 419. La busta uou ò cartolata. — Originalo. 1592, a’ 26 Ottobre, per l’anno elio viene. D. Galileo Galilei, matematico, con fior. 180. Rotalo de Ecc. ml Dottori leggenti nel Studio di Padoa, con dichiarationo del stipendio elio hanno a questo giorno di 2 Agosto 1597. D. Galileo Galilei, condotto alla lettura dello Mathematiche a’ 26 Settem¬ bre 1592, con stipendio di fior. 180.L. 900. Cassa di Studio de’ haver per il pagamento di anno uno per li Signori Dottori leggenti di questo Ecc. Ino Studio di Padoa, principiato primo Novembre 1600, et finirà, ultimo Ottobre 1601. 40 D. Galileo Galilei, fior. 320 L. 1600. XI. (GALILEO LETTORE NELLO STUDIO DI PADOVA. 125 7i) Ricordo della rinunzia di Galileo alla lettura di Padova. Arch. Universitario di Padova. Filza 681. —Diario autografo di Ingolfo do’ Conti, car. 2r. 1610, 20 Marzo. Io fui eletto lettor dello Matematiche et altre scientio militari nell’Accademia Delia di Padova, in concorentia del Sig. r Gal¬ ileo Gallilei et C. Giulio Zabbarella c,) . 1610, 15 Zugno. Il Gallileo rinontia la lettura della Mattematica, che lui haveva nel Bo. 1611, 3 Zenaro. Io comincio a praticare per haver la detta lettura nel Bo, sopra del elio ho fatto diverse fatiche, come si vede dallo scrit¬ ture che ho messe insieme nel processo intitolato circa la lettura della Mattematica nel Bo. <«> Cfr. Doc. XX. 12G xn. PRIVILEGIO CONCESSO A GALILEO PER L’INVENZIONE 1)’UNA MACCHINA 1)A ALZAR ACQUA. a ) Istanza di Galileo. [Dicembre 1698]. Arcli. di Stato in Venezia. Resta di mss. intitolata sul dorso: «Terra. 1594, Senato I. K.» 133». I,a busta nuu ò cartolata. — Originalo, uou autografo. Ser. mo Principe, Ill. raa Sig. ifl Ho inventato io Galileo Galilei un ediflìcio da alzar acque et adacquar terreni, facilissimo, di poca spesa et molto commodo, che col moto di un sol cavallo vinti bocche di acqua, elio si ritrovano in esso, gettaranno tutte continuamente. ( Desidero al presente farlo adoperare; nò simulo conveniente elio quella inventione di’ ò mia propria, ritrovata da me con gran fatielia et molta spesa, sia fatta comune ad ogn’ uno, supplico lmmilmento la Ser. à V. che si degni favorirmi di quello che per benignità sua prontamente concede in casi simili a cadami virtuoso di ogni prò- io fessione, cioè che altri che la persona mia o miei lieredi, o chi liaverà causa da me o da loro, non possi far, nò far far, nò, fatto, usar, il detto mio nuovo instromento, nè con alteratone applicarlo ad altro uso di acque o altra cosa, per spatio de anni quaranta o quel tanto che piacerà alla Ser.“ V., sotto quelle pene pecuniarie che pareranno a lei convenienti, da esserne participate anco da me, in caso di transgressione. Per il die più vivamente invigilare a nuove iuventioni per benolhcio universale ; et humile me le raccomando. ò) Delegazione del Consiglio ai Provveditori di Commun. [Venezia,] i!8 dicembre 1693. Arali, di Stato in Venezia. Busta citata al u.» XII, «). — Originalo. 1593, a 28 Decembro. Glie alla sopradetta supplicatone rispondimi i Provveditori di Cominun ; et ben informati delle cose in essa contenute, visto, servato et considerato quanto Doe. XII, a). 7. inventione clic miu —• XIT. PRIVILEGIO CONCESSO A GALILEO ECC. 127 si dove, dicano l’opinione loro, con giuramento et sottoscrittione ili mano propria, giusta le leggi. _0 Cons. rl io Z. Paolo (Jont nl Z. Ant. Ven. r Vie . 0 Capello. Z. de Frinii. Carlo Corner. Z. Patta Vitturi. Giulio Gerardo Peg. rio c) rAUETtr. un Provvkdttort ut Commun. • [Venezia,] 18 febbraio 1594. Aroh. di Stato In Venezia. Busta citnta al n.» XII, «). —Originalo, con lo firmo autografo. Ser. n, ° Proncipe, D’ordino di Vostra Sor.' 4 , noi Proveditori de Commun Gabbiamo visto la sup- plicationc a’piedi suoi prodotta per I). Gallileo Galliloi, per la quale dimanda gli sii concesso privilegio che altri che lui o ohi haverà causa da lui non possi, per spacio d’anni quaranta, far, nò farne far, nò, fatto, usar uno edeficio novo, per lui ritrovato, d’alzar acque et adacquar terre, et come in essa sua suppli¬ catone si legge: alla qual riverentemente gli dicemo, con nostro giuramento, giusta P ordino suo mandatoci alli 28 Decembre passato, come non habbiamo veduto questo suo edeficio nò in forma grande nè piccola; ma reuscendo come io lui dispone nella sua supplicatone, et essendo inventione nova, non più d’altri ariccordata, nò ad altri statoli concesso privilegio, giudicamo che per anni vinti lui esser degno della grata: rimettendosi però in tutto et per tutto al pruden¬ tissimo et sapientissimo suo giudicio. Grate. Dat. nell’ olì'. 0 nostro, li 18 Febraro 1593 (,) . * IIier. mo Mali pierò, P. r de C. Nicolò Correr, P. r de C. Francesco Soranzo, P. r de C. • Vi stilo veneto. j 128 XII. PRIVILEGIO CONCESSO A GALILEO ECO. I Consogliori, nbsonto Zustiniftii. ( 1 ) CONCESSIONE DEL PlUVILKGIO. Venezia, 15 settembre 1694. 1) Deliberazione del Senato. Aroh. di Stato In Venezia. Busta citata al n.» XII, a). — Originalo. 1594, 15 Settembre. In Pregadi. Che por auttorità di questo Consiglio sia concesso a Galileo Galilei, che, por il spatio de anni vinti prossimi, altri che lui o chi haverà causa da lui non possa in questa città o luogo del stato nostro far, o far far, overo, altrovo fatto, usar T edificio da alzar acque et adacquar terreni, che co ’1 moto di un sollo cavallo vinti bocche di acqua, che si ritrovano in esso, getteranno tutte continuamente, da lui ritrovato ; sotto pena di perder li edilicii, quali siano del supplicante, ot di ducati 300, un terzo de’quali sia dell* accusator, un terzo del magistrato che farà l’essecutione, et un terzo della casa delPArsenal nostro: essendo però esso suppli¬ cante obligato, in termino di un anno, liaver dato in luce detta nuova forma di io edificio, et che non sia stata da altri ritrovala o raccordata, nò elio ad altri ne sia stato concesso il privilegio; altrimenti la presente concessione sia come so presa non fosse. _140. _ 4. _ 7. 2) Ducale. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. I, T. I, car. 193. — Originalo. Pascalis Ciconia, Dei gratin Dux Venetiarum etc. Universis et, singulis Reeto- ribus quarumeunque civitatum, terrarum et locorum nostrorum, cootcrisque rappresentantibus, iusdicentibus, oflicialibus et ministris nostris quihuscunque, necnon magistratibus liuius urbis nostrae Venetiarum, et praecipue Provisoribus Communis nostris, tam praesentibus quam futuris, ad quos hae nostrae advenerint et harum executio spectet seu spectare poterit, significamus, hodie in Consilio nostro Rogatorum captam fuisso partein tenoris infrascripti, videlicet : Che per auttorità di questo Conseglio sia concesso a I). Galileo Galilei, che, per il spatio de anni XX prossimi, altri che lui o chi haverà causa da lui non possa in questa città o luogo del stato nostro far, o far far, overo, altrove fatto, usar io i edificio da alzar acque et adacquar terreni, che co ’l moto di un solo cavallo XIT. PRIVILEGIO CONCESSO A GALILEO ECC. 129 vinti bocche di acqua, che si ritrovano in esso , getteranno tutte continuamente , da lui ritrovato; sotto pena di perder li edifìci?., quali siano del supplicante, et di ducati 300, il terzo de* quali sia dell’ accusator, un terzo del magistrato che fura Vcssccutione, et un terzo della casa déWArsenal nostro : essendo però esso supplicante obligato, in termine de un anno, haver dedo in luce detta nuova forma di edifìcio , et che non sia stata da altri ritrovata o raccordata , nè che ad altri ne sia stato concesso il privilegio ; altrimenti la presente concessione, sia come se presa non fussc. Quare, auctoritato snpradicti Consilii, vobis mandamus ut supradictam partem 20 observetis et al) omnibus inviolabiliter oliservari faciatis. Datae in nostro Ducali Pai. 0 , die xv Sept. ia , Ind. ao vili, M. D. XC 1111. Camillo Ziliol secr. 0 xix. 17 130 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 1608-1684. 33ibi. Naz. Fir. Mm. Gal., P. I, T. XYI o P. Ili, T. IV. L(i maggior porto doi Ricordi elio qui oppresso raccogliamo, sf leggono noi duo codici ora citati: noi primo, elio è in forum di vaceliotta, intercalati da molto pagine rimasto bianche o mescolati ad ap¬ punti U’argomento sciontillco, i quali abbiamo altroro pubblicato (Voi. Vili pag (188, lin. 8-10); nel secondo, elio ha la stossa feruta dell'altro, sono frammisti alle ossorvazioui ud ai calcoli doi riattati Medicei, elio riproduciamo nella I’ar. II doi Voi. HI. Noi duo codici i Ricordi suini sparsi senta alcun ordino non solo quanto allo materie, ma altresì quanto allo date, cosi elio in una medesima pagina si trovino riuniti appunti rolativi a dato fra loro lontanissime, o persino talora quelli scritti a metà della pngina siano di molto posteriori a quelli elio occupano lo parti inferiori dulia pugniti stessa, fe corto del rosto cho i duo codici, di proporzioni molto diverso l’uno dall’altro, risultarono dall'aneto stati legati insieme arbitrariamente più quadornetti. sui quali Uaui.Ko veniva notando i suoi appuriti; coni’è nitrosi indubitato elio molt’altra parto dei Ricordi del Nostro dov’esser andata purtroppo perduta <’». Noi abbiamo stimato nocossario di ordinare in qualcho modo siffatta materni o pur essendo pos¬ sibili parecchi ordinamenti, nessuno dei quali bensì è scovro da qualche inconvouiento, abbiamo cre¬ duto opportuno distinguerò tutti i Ricordi secondo l'argomento in sei gruppi, alcuni dei quali suddivisi in sottogruppi, distribuendo poi quasi sompro I gruppi e i sottogruppi secondo l’ordino cronologico resultante dal termino a quo al quale si riferiscono. Ai Ricordi compresi nello due vaccliotto abbiamo unito pochi altri elio abbiamo rinvenuto in altri codici o della stessa Biblioteca Nazionale Fiorentina o di altro Biblioteche, i quali sono di volta in volta citati. Tutti questi Ricordi sono autografi, tranne qualcho insigiilficanto occeziono elio a suo luogo indi¬ chiamo; e buona parto di ossi vodo ora per la prima volta la luce 1 *'. Nel riprodurli fudeluioute, ab¬ biamo sognato appiè di pagina, conforme al nostro istituto, qualcho materiale scorso di ponila sfuggito all’Autore e che ora necessario corroggoro: abbiamo invoco lasciato inalterato lo sommo dello partito, cho non di rado sono orrato, o ci parvo anche suporfluo avvertirlo di volta in iolta. Si noti infino che moltissimi di questi Ricordi sono stati cassati da Galileo con una o più linee trasversali, ovi- dcntoniouto porcili, trattandosi quasi sempre di conti di uscito o di entrato, di ilare o di avero, do un corto momento in là non interessavano più all'azienda del Nostro: uoi però, per I quali hanno sempre uguale Importanza, li abbiamo riprodotti ad uu modo, senza far nota doli’ essere stati annullati. Ab¬ biamo invoco registrato appiè di pagina alcuni pochi cassaticcl, elio sono cancellati uno por uno. Risulta evidente n ciascuno che esamina ciò cho pervenne insino a noi doi Ricordi autografi, coin’ essi, abbastanza copiosi per il periodo della dimora di Gaui.ro in Padova, divengano molto più senrsi dopo il suo ritorno a Firenze, o cessino poi quasi doi tutto a partire dal 1G20. <*> Parto di quosti Ricordi era stata pubbli- cala da A. Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Pa¬ dova, Voi. 11, Firenze, Successori I.o Mounier, 1888, pag. 174-200; e alcune carte dolio duo vacchette dolla Biblioteca Nazionale Fiorentina furono riprodotto in facsimile dallo stesso Favaro, Ptr il (erto centenario dalla inauguraritme dell' imeijnamento di Galileo Galilei nello Studio di Padova. Vi! Dicembre. MfìOCCXOlI. Firenze, Tip. di G. Barbera, 1802, Documenti, ta¬ volo Vl-IX. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 131 a) L’officina di strumenti matematici in Padova. 1 ) Conti i'ol costruttore. 15U9-1C10. Mbs. Gal., P. I, T. XVI, car. 23r. A (lì 5 di Luglio 1599. Memoria corno a dì detto ò venuto a stare in casa mia Mess. Mar¬ cantonio Mazzoleni, per lavorare per me et a mie spese strumenti matematici; et essendomi io obligato di far le spese a lui, sua donna et alla sua puttina, et di più darli 6 ducati Panno, qui a presso sa- sanno notati i danari che da me Laverà ricevuti. Et prima, venendo in casa mi restava debitore, per i conti vecchi rivisti, di. <£> Et a dì 14 detto ha hauti per riscuoter sui pegni. . . » io A dì 2 Ottobre, un par di zoccoli per donna Francesca. » A dì 24 Xmbre, prestati.* A dì 28 Gennaio, per un martello et una forbicia. . . » A dì 2 di Febbraio, per un martello mezzano.» A dì 8 di Marzo ha Lauto.* A dì 16 detto ha Lauto.» A dì 3 di Aprile deve dare per tanti spesi a Venezia. » A dì 7 di Maggio ha Lauto per mandare a Venezia al C. S. Sagredo.» E più, ha Lauto per pagare una tavola di nogara, per 20 fare il banco.» Et più, a dì 27 di Luglio.* Et più, a dì detto, per pagare la cassa del’ archetto al fabro.* E più, a dì 31 di Luglio. '....» Et più, per una piastra di ottone Milanese.* 43.- 23. 16.— 3 .- 10 .- 6 .- 1. 18.— 9 .- 15.- 24. 16.— 17.- (i) 2 .- 10 .- w Doo. XIIT, a, 1). Tra la lin. 10 e la lin. 11 loggosi, cancellato: A di 8 di Xmbre prestati ...... 6. — 11 numero dolio Liro ò lasciato in bianco. <*) Il numero dello Liro ò lasciato in bianco. 132 XIII. K100KDI AUTOGRAFI. Mbs. Gai., P. I, T. XVI, cur, 40(., 4 Ir. A dì 5 di Luglio 1599. Essendo, a dì detto, venuto a stare in casa mia Mora. Marcantonio Mazzoleni, per lavorare strumenti matematici per me et a mie spese di ordigni et materia, sarà qui appresso notato il conto di 30 tutte le spese fatte da me per tali lavorieri. Et prima, lio speso in libro 12 on. 8 di ottone todesco in piastra, a sol. 36 la libra, vai.22. 16.— Ottone di bacini libro 4 Va, a sol. 18 la libra, vai. . . • 4. 1.— Ottone vecchio libre 3.• 1. 16.— Cucchiari vecchi libre 3 Va.• 2. 12. — Per un piede di noce da strumenti, al marangone et tornitore.• 6. 10. — In lime di più sorte.• 12. 8.— Al fonditore, por una colata di compassi da 4 punte, io n.° 5.. 1. io. — Per borraso da saldare.- — 16. — Per filo di ferro.. — 8. — Per due raspe da legno.• — 15. — Per una dozzina di archetti.• 2.- Per 4 piedi di nogara da strumenti, al marangone solo. • 14.- Per 20 punte di acciaio da compassi, et per una spi¬ nola di acciaio, et per 3 punto da un piede di legno.» 1. 8.— Al fonditore, per liaver buttato una piastra per uno bo strumento et una venuta ineza.* 1.- Per far saldatura.. 4 _ _ Per pomice et arrotar ferri.» — 9.— Per pomice.. . g 4 _ Al fonditore, per due palle.. 4._ Per punte di acciaio.. . g. In ottone. „ 311 In lime .. 2. 8. — Per ottone et una colata.» 3. 12._ In saldatura, a dì 16 di Gennaio.. 4._ XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 133 «o In lime, punte etc.<4? 1.14. — In ottone et una colata.» 3.10. — In borrage.» — 16. — A dì 28 di Gennaio, comprati a Venezia in una piastra di ottone et 2 verghe.» 18. 5.— Venti lime.» 7.- Borragie.* 1. — — romice.» — 16. — A dì 28 di Marzo, per ottono e iil di ferro comprato da Marcantonio a Venezia.» 47. 14. — Mas. Gal., P. I, T. XVI, car. 28l.-81r. 70 Qui a presso saranno notati i danari hauti da me da Marcantonio Mazzoleni, da questo dì 25 di Et prima deve dare per una caldaia. <£* 24.- Et più, per tanti in contanti li restor¬ no in mano quan¬ do andò a Vene¬ zia, di resto di un ungaro.* 7. 7.— so Et più, per una bul¬ letta di datio ri¬ scossa da lui . . » 2. 13. — E più, per tanti prestatili in con¬ tanti il dì 29 di Marzo.* 10.- Et più, per tanti da¬ tili in 2 volte. . . » 6. — — Et più, a dì 8 di Giu- oo gno.» 12. — — Et più per una pia- Gennaio 1601 innanzi. Et all’incontro devo bavere per fattu¬ re fattemi : Et prima, por una bussola strafora¬ ta, ma non inta¬ gliata.30.- Per uno strumento lavorato.» 25.- Per tanti spesi a Ve¬ nezia . » 3. 6.— Per 2 strumenti la¬ vorati.» 60.- Per 2 strumenti. . . * 50. — — Per uno strumento. * 25. — — Per conciatura di un compasso.» — 17. — 134 Xlll. K1C0RD1 AUTOGRAFI. atra d’ottone te¬ desco . <£ Por un’ altra piastra di otton Vene¬ ziano .* Et più ha hauto a dì 2 di Luglio . » E più deve dare per 100 tanti hauti da mio cognato. ......* Et più, per tanti hauti in contanti. » Et più, per una pia¬ stra di ottone . . » Et più, per una pia¬ stra di ottone te¬ desco.» Et più, per una pia¬ no stra di ottone ve¬ neziano.» Et più, per lib. 2 7* di ottone di bacino. * Et più, per una pia¬ stra di ottone per far uno strumen¬ to alPIll.^S.Cor- naro <2) .* Et più, per tanti pa- 120 gati per lui in Venezia all’otto¬ naio.» A dì 26 di 9mbre ha hauto.* Per una piastra di otton tedesco . . » U) 5.14. — 20 .- 10 . 12 .— 44.- 0. 3.— 4. 15.— 2. 18.— 2. 5.— 5.15. — 10 .- 4. 12.— 2. — — A dì 25 di 7rubre ha hauto.» 2.— — A dì 15 di Xmbre ha hauto.» 10.- A dì 24 detto ha hauto.» 20.- A dì 28 detto ha hauto.» 2. — — XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 137 A dì 31 Xmbre ha 200 liauto. oP 10.- A dì 2 di Gennaio 1603, per ottone pagato per lui . » 7.16.— A dì 5 detto per carne.» 2.- A dì 8 detto li a h auto. * G. 5.— A dì 15 detto ha liauto.» 3.- A dì detto per ot- 210 tone da Venezia. »■ 10.- A dì 17 detto ha liauto.» 2.- A dì 19 ha hauto . » 2. :- A dì 22 detto ha hauto.» 4.- A dì 26 detto ha hauto.» 12.10.— A dì 26 detto ha liauto.» 14. 9.— 220 Et si è pareggiato il conto. Mese. Marcantonio A dì 4 di Marzo deve Mazzoioni ha liaver per fattura hauto a dì 28 di di uno strumento Gennaio. 1.16.— d’ argento.

    10.- Et più.» 20.- 1604. A dì p.° di Maggio deve bavere per uno strumento grande.30.- XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 141 A dì 7 di Maggio ha A dì 13 di Luglio hauto. <£* 6. 5.— deve haver per Et più, libre 3 Va di uno strumento . <£* 28.- ottone.» 2. 16.— Et più, a dì 7 di Lu- glio.» 2.- A dì 9 detto ha hauto. ..» 4.- A dì 13 di Luglio ha hauto.» 13. 1.— A dì 8 d’Àgosto ha A di 11 di 7mbre hauto in presto, cf 3 2.- deve bavere per A dì 13 di 7 rubre ha li oncinelli di una hauto.» 4.- bustetta. J? 1.- A dì 17 di 9mbre ha A dì 24 di Xmbre, hauto.» 8.- per uno stru- A dì 17 di Xmbre ha mento.» 28.- hauto.» 10.-A dì 29 di Gennaio, A dì 22 detto ha per un compasso hauto.» 6. 5.— da 4.» 8.- A dì 24 detto ha A dì 20 di Febraio, hauto.» 10.- per 2 strumenti. » 56.- Et più, a dì detto. . » 2.12.— 1605. A dì 2 di Gennaio 1605 . A dì detto, per 3 doz¬ zine di limette. . » 370 A dì 27 detto. ...» A dì 29 detto. ...» A dì 7 di Febraio. . » A dì 11.» A dì 12.» A dì 20 di Febraio. » 10 .- 3. - 2 .- 4. - 4.- 6. 5.— 6. 5.— 14.13.— 2111. B1C0K!>1 AUTOOUAK1. 142 A dì 20 di Febraio A dì 29 di Giugno ha liauto a conto dove bavere por de i lavori che uno strumento. . rf? 28. — farà.5. 7.-— Adì 16 di Luglio, per sso A dì 28 detto, 12 ar- uno strumento . * 28. — chetti.» 2.-A dì 20 di 7mbro, A dì 7 di Marzo . . » 2.-por 2 strumenti. • 06.— A dì 19 d’Aprilo ha liauto .» 6 . 5. — A dì 29 di Giugno. * 9.- A dì 4 di Luglio ha hauto.» 3. 2. — A dì 7 detto ha liauto.» 6. 5. — 890 A dì 16 detto. ...» 9.— — A dì 17 detto. ...» 18.- A dì p.° di Ombre ha hauto, tra con¬ tanti et altri hau¬ ti prima da Mesa. Alessandro (1> . . . » 62.- A dì 4 detto .... » 3. 15.— A dì 14 ha hauto . » 10.12.— A dì 23 ha hauto . » 20.— — ioo A dì 24.* 10.- 1605. A dì 3 di Xmbre ha hauto.. € 20. 1606. A dì 3 di Gennaio. 4.-- A di 8 di Febraio . * 3.— — A dì 18 di Febraio. » 30. — — A dì 18 di Febraio deve bavere per 4 strumenti. . . c€ 112. — <’» Aj.KSSANDRO PlKRSANTl. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 143 A dì 25 di Febraio ha liauto a conto 4 io di uno strumento clie deve fare . . J? A dì 4 di Marzo . . » A dì 9 detto .... » Et più.» A dì 12.» A dì 11 di Marzo, per uno strumento .of 10 .- 3.- 5.- 1. 4. — 8 . 16. — A dì 12 di Marzo, a conto di uno strumento da farsi. 420 E più, a dì 14 detto A dì 14. A dì 20 d’Aprile . A dì 28 detto. . . A dì 18 di Maggio A dì 26 di Maggio A dì 2G ha hauto a conto di due stru¬ menti da farsi. . <£* A dì 19 di Giugno. » 43o A dì 20 detto. ...» Per ottone lib. 9 V 2 . £ A dì 23.» A dì detto.» A dì 5 di Luglio. . » A dì 18 di Luglio . » A dì detto.» A dì 19 detto. ...» A dì 22 detto. ...» A dì 26 detto. ...» 440 A dì 2 d’Agosto ha hauto.» A dì 14 di Aprile, per uno strumento. . <£* A dì 26 di Maggio, per 2 strumenti. » Deve bavere per tre strumenti hauti li 18 Luglio . . . . <£* Per 2 strumenti hauti li 2 d J Ago¬ sto .» 10 . 5 .— » 4.- » 20 . — — » 6. 5.— » 10 .- » 10 .- » 23.10.— 6 . 10 — 10 . 12 . — 9.- 28.10.— 2.- 9.- 2 .- 16.- 14.- 10 .- 4.- 4.- 24. 8.— 28.- 28.- 56.- 84.- 56 .- 144 Xlll. RICORDI AUTOGRAFI. A di 2 d’Agosto ha liauto a conto di 2 strumenti da farsi. . . . . . 5.12.— A dì 4 detto ...» 4.- A dì 6... . , , , » 2 .- A dì 16 . . . • • • * 1.- A dì 17 . . . ...» 2.- A dì 9 di Xmbre IMG. Devo avere per due strumenti . ... cO 56. — E più, per una bus¬ sola.• 18. — Per una foglietta da bere.• 2. — 1607. A di 9 di Gennaio.^ 2.- A dì 9 di Marzo. . * 10. — — 4 co A dì 20 detto. ...» 6. 3. — A dì 13 di Aprile . » 10.- 450 Deve dar per il conto adietro.14.12.— A dì 19 d’Agosto. . » 10.— — A dì 12 di Ombro . • 4. 4. — A dì 6 Xmbre ...» G. 5. — A dì 17 detto. ...» 20. — A 19 detto.» 20.- A dì 4 di Marzo 1609. Marcantonio ha liauto a conto di suoi lavori, sino a questo dì det¬ to, in più volte. . <0 3G. — A dì 10 di Marzo . » 2. — A dì 16 detto. ...» 7. — 470 A dì 25 detto. ...» 8. — A dì 31 detto. ...» 3.— A dì 4 di Marzo 1609. Da Marcantonio in contro ho liauto uno de’miei com¬ passi : importa . et* 5 28. — — A dì 31 Marzo, per uno strumento . * 28. — 468 . Adi di 10 — XIII. RICORDI AUTOGRAFI. A dì p.° d’Aprile, a A dì 17 di Maggio, conto di altri per uno stru- strumenti da fa- mento.^ 28. re ha Lauto . . . ^ 3. — — Per segnatura d’uno A dì 2 detto ....*• 3.-strumento .... » 7. A dì 15 detto. ...» ì.- A dì 28 di Giugno, per un compasso. » 5. A dì 11 di Luglio, per uno strumento. . » 30. A di p.° di Maggio .

    Gio. Vinokn»io Piselli. <*) Jj'eoekioo Cornabo. 1 148 XIII. BICORDI AUTOGRAFI. A dì 25 di 8bre, una bussola straforata et intugliata da lui. A dì 22 di Xmbre, uno strumento dato all'111. m " S. C. di Salm.f>6.- 1600. A dì p.° di Gennaio, per un compasso con le punto torte al S. C. di Salili.• 8. — — A dì 4 detto, per una squadra et un compasso al S.... 1 franzese.• 8.- co A dì 8 detto, per un compasso da 4 punto et una squa¬ dra al S. tedesco.• 10.- A dì 19 detto, per 2 squadro et duo compassi da 4 dati a due todeschi.• 21. 4.— A dì 2G di Gennaio, per una squadra et un compasso dato a un S. todesco.• 10. 12. — A dì 16 di Febbraio, un compasso piccolo dato a un S. tedesco ..• 2. 10. — 1600. A dì 16 di Febraio, por uno piede da strumenti dato 4o all’ lll. ,n0 S. Conte di Salm.• 42. 8. — A dì 29 di Febraio, uno strumento dato al S.milanese • 35.- A dì 4 di Marzo, per un compasso et una riga al S. mantovano .» 7.- A dì 16 di Marzo, per uno strumento dato al S. to¬ desco. » 35.- A dì 19 detto, per una bussola data al sopradetto . . » 35.- A dì 23 di Marzo, una bussola data airill. mo S. Conto di Salm.* 70.- A dì 9 di Aprile, uno strumento et una bussola data al so S. todesco.» 70._ A dì detto, una riglia, squadra et compasso al S. bicorno Pappafava.» 14._ Doc. a, 2). 82-33. da 4 da a due indachi — <‘> I puutolini iifl luogo del nomo, iiui o in soguito, nono nell’autografo. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 119 A dì 20 di Aprile, per uno strumento da mandare in Istria al S. Vincenzo Zucconi, et una squadra . . . d? A dì 16 di Aprile, por 2 squadre e 4 righe alli S.* boemi. » A dì 24 di Aprile, per uno strumento da disegnare al- P Ill. mo S. Conte di Salm.» A dì 25 d’Aprile, uno strumento al S. todesco. . . » A dì 28 di Aprile, una bussola al sopradetto.» co A dì 8 di Maggio, 4 compassi di più sorti alli S. boemi » A dì 10 di Maggio, una nocella al S. Zucconi mantovano » A dì 2 di Giugno, uno strumento al S.inglese . . » A dì 16 di Giugno, uno strumento dato al S.todesco * A dì detto, un compasso storto dato al S.todesco. » A dì 8 di Luglio, uno strumento dato al S.todesco » A dì 12 detto, per una bussola data al detto.» A dì 4 di Luglio, un compasso storto dato al S. to¬ desco.» A dì 22 di Luglio, 2 compassi, uno da 4 et uno da 2, 70 al S.todesco.» A dì 26 detto, 2 compassi al S. boemo.» A dì 30 di Luglio, uno strumento senza quadrante do¬ nato al P. M. Paolo (a> . A dì 9 di Agosto, uno strumento dato ad uno delli 2 fratelli todeschi.» h) Relazioni con gli scolari in Padova. 1) Insegnamento privato. 1G01-1G09. Mss. Gal., P. I, T. XVI, car. G2f.-G5<. 1601. A dì 28 di Giugno cominciorno il S. Arrigo et S. Si¬ gismondo boemi prospettiva, fortificazione, aritme¬ tica et L. 38.- 14.- 26.- 35.- 35.- 17. 4,— 35.- 56.- 10 .- 35.- 35.- 11 .- 10.- M> 35.- <') Il numero dolio Lire ò lasciato in bianco. <*) Paolo Sakpi. 150 XIII. RICORDI AUTOOKAKI. A cTi 2 di Luglio cominciorno li due S. n . franzesi Euclide. A dì 3 detto, dalli detti S. ri franzesi.40.- A di 9 di Luglio cominciò il S. Alberto et suo compa¬ gno, todeBclii, la prospettiva, io A dì 9 di Luglio cominciò il S. Mnlutesta. A dì 10 di Luglio cominciò il S. Sigismondo boemo et il S. Barone. Euclide. A dì 29 di Luglio cominciò il S. Conte todosco. A dì 4 di Agosto, dalli S. franzesi.» 40.- A dì 7 di Agosto, dalli Sig. ri boemi.• 250.- A dì 17 d’Agosto, dal S. Alberto et suo compagno, della prospettiva.• 43. 4.-— A dì 12 di 7mbro, dall’S. C. todosco.• 64.- A dì 16 di 8bre, dalli S. ri Sigismondo et Arrigo boemi • 200.- 20 A dì 6 di Ombro, dal S. Otto Brae por uno strumento et suo uso.• 106.- A dì 7 di Ombre cominciò perspettiva il S. Consiglierò della nation todesca. A dì 15 di 8bre, dal S.todesco.» 20.- A dì 20 di 9mbre cominciò il S. Donoc. A dì etc., dal S. Malatesta, calzette.» 35.- A dì 4 di Xmbre, dall’ 111.® 0 S. Cristoforo Baciaselii (l> pollacco. » 120,_. A dì 10 di Xmbre cominciò fortificazione il S. Conai- 80 gliero todesco et suo compagno. A dì 6 di Xmbre cominciò rUl. mo S. Lencischi X) l’uso dello strumento. 718.- D. 102. 4.— A dì 3 di Gonnaio 1602 cominciò il S. Baron di Colo- vrot (:i) fortificazioni. A dì 21 detto cominciò il S. Michele 141 todesco forti¬ ficazioni. ,4> Michrlf. Vittorio di Wobthou. Cfr. Voi. II, pag. 545, 562, 601. Cris'toporo Buczaczici. Raffaello Lkbotnski. <*' Zrnone di Kolowkat. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 151 A dì 7 di Febraio, dal S. Bar. di Colovrot. et? 60.- 40 A dì 22 di Febraio cominciò il S. Buche lo strumento. A dì 22 di Febraio cominciò il S. Abate pollacco (l) lo strumento. A dì 22 di Febraio, dal S. Donec...» 40.- A dì 8 di Febraio, dal S. Michele Vostroa todesco a conto dell’uso dello strumento.» 70.- A dì 25 detto, dal S. Abate pollacco.» 40. — — A dì 15 di Febraio, da 1’ Ul. mo S. Lencischi.» 120.- A dì 5 di Marzo cominciò le mecanicho il S. Marco (2) pollacco, et il maiordomo del’lll. mo S. Lencischi et co S. Donec. A dì 19, dall’ Ill. mo S. Abate pollacco per uno stru¬ mento et sua scrittura.» 60.- A dì 22, dall’ Hl. mo S. Abate pollacco.» 60.- A dì 24 di Marzo, dal S. Michele Vostroa per conto dell’uso dello strumento.» 140.— — A dì 6 di Aprile, dal S. Baron Colevrot.» 66. 5. — A dì 13 di Aprile, dal S. Buche.» 42. — — A dì 26 di Aprile, dal S. Marco et dal maiordomo del S. Lescinschi.» 60. — — co A dì detto, dal S. Michele Vostroa.» 70.- A dì 29 di Aprile, dal S. Donec, che partì.» 44. — — A dì 5 di Giugno, dal S. Alberto.» 20. — — A dì p.° di Luglio cominciò il S.pollacco geode¬ sia; et hebbi a dì detto.» 30.- A dì 11 di Giugno cominciò il S.inglese la sfera; et hebbi a dì detto.» 40. — — A dì 17 di Giugno cominciorno li due pollachi forti¬ ficazione. A dì 27 detto, dal C. S. Contarmi <3) .» 28. — — 70 A dì 8 di Luglio, da li 2 pollachi.» 40. — — A dì 8 di Luglio cominciò cosmografia Hll. mo S. Duca. (4) pollacco 528, 529, C00. <*) CiusToFOKO di Zbaraz. Cfr. Voi. XI, mi. 1 498, 7G8. STANI8I.AO IìUBINSKT. **' Marco Lbntowioz. Cfr. Voi. X. n.° 102. (3) Francesco Contarini. Cfr. Voi. II, pag. 526, 152 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. A di 16 di Luglio, dal S. inglese.40.- A dì 23 di Luglio cominciò mona. Ilosset franzese maiordomo etc. A dì 24 dotto, dal sopradotto franzese.» 30.- A dì 29 detto, dal Clar. mo S. Contarmi.- 28.- A dì 4 d’Agosto, dall’ S. Deschi fischi per conto d’ una bussola.* 94.-- so A dì 26 di Agosto, da l’IU. mo S. Raffaello Lese inselli. * 300.- A dì 27 detto, dal S. Daniel maiordomo dell'IU. mo S. C. Lescinslii per 1 strumento.» 100.-- A dì 27 d’Agosto cominciò il S. Bue. A dì 2 di 7mbre, dal Clar. mo S. Contarini.» 28.- A dì 9 di 7mbre, da Mona. Rosaet franzese.» 30.- A dì 9 cominciò il S. Luzimburg fortificazione. A dì 24 di 7mbre, dalli 2 pollaclii.» 81.- A dì 2 di 8bre cominciò il S. Sveiniz 11 . A dì 4 di 8bre dal S. Bue.» 40.- do A dì 10 di 8bre dall’ Ul. mo S. Duca di Sbaracchi ...» 120.- Dal S. Luzimburg, a dì 15 di 8bre.» 40.- A dì 28 di 8bre, dal C. S. Contarini.» 28.- A dì 7 di 9mbre cominciò mecaniclie il S. Staislao pollacco. A (lì 13 detto, dal S. Luzimburg.» 40.- A dì 14 detto, dal S. Bue.» 40.- A dì 28 detto dal S.pollacco.» 20.- A dì X di Xmbre ha ricominciato fortificazione et lo strumento il S. Alfelt A dì 28 di Xmbre, dal S. Staislao.» 80.- ìoo A dì 29 detto, dal S. Luzimburg a conto dell’uso dello strumento.. 95 . 8. — A dì 29 detto, dall’ S. Swainitz per lettoni.» 127. 4.— A dì detto, dal S. Bue.* 70.- A dì 30 detto cominciai a leggere fortificazione et lo strumento all’lll. 1110 et Ece. mo S. Langravio _ 2591. 17.— <•) Giovanni Sciiwkisitz. *** Cablo o'Allkkldt. Gì FiLirro u'Aà»u, 370. 1.— XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 153 Anno 1003. A dì p.° di Gennaio, dall’Ul. re S. Sweinitz per sortevi .J? 116. 12. — no A dì 8 di Gennaio ha cominciato la sfera il 8. Sveinizt et il S. suo Cognato (,) . A dì 11 detto, dal S. Lerbac por letioni udite col S. Svainitz.» 74. 4. — A dì 10 di Gennaio, dal S. Luzinburg per resto del- P uso dello strumento.* 110.12.— A dì 8 di Febraio, dal S. Staislao.» 40.- A dì 15 di Febraio, dal S. Sveinitz a conto dello stru¬ mento.» 144. — _ A dì detto, dal S. Lerbac a conto dello strumento . . * 100. — — 120 A dì 28 di Febraio, dal S. Giovanni Swanitz per le¬ tioni della sfera.» 70._ _ et da suo fratello per soìievi .* 60. — — A dì 2 di Marzo, dal S. Lerbach per resto dell’ uso dello strumento.» 70. — — A dì detto, dal S. Gotuiz, cognato del S. Swainitz, per letioni della sfera.» 80. — — A dì detto, dal S. Lerbac per sortevi .» 60. — — A dì 11 di Marzo ha cominciato fortificationi il S. Bar¬ tolomeo Bucau. 130 A dì 11 di Marzo ha cominciato 1’ uso dello strumento il S. Raisner l2> . A dì 22 di Marzo dall’111. mo et Ecc. mo S. Landgravio. » 200.— — A dì 27 di Marzo, dal S.fiammingo.» 32. — — A dì 27 detto, dal S. Luzzimburg.» 80.- A dì detto, dal S. Raisner.» 85.- A dì 30 d’Aprile, dal S. Staislao per letioni.» 80.- Et più, dal medesimo, a dì detto, a conto del’uso dello strumento.» 40. — — A dì 30 di Aprile, dal S. Raisner per resto dell’ liso 1,10 dello strumento.» 00.- Doc. h. 1). 109. aortem leggasi fra lo lineo, sostituito a buona ninno , elio prima avova scritto e poi accuratamente cancellò.— 44.- A dì 23 di Luglio cominciò fortificazione il S. Massi¬ miliano (a) et suoi compagni. A dì 27 d’Agosto, dal S. Co. cremonese.25.- A dì 3 di 7mbre, dal S. di Noaglies per V uso dello strumento et letioni.» o]o. _ _ A dì 9 di 7mbre, dal S. Hata villa per letioni.» 100. — — A dì 29 di 7mbre, dal S. Batavilla a conto dello strumento » 40. — — A dì p.° di 8bre, dal 8. tedesco.20. — — 170 A dì 8 di 8bre, dal S. Staislao.» 200.- A dì 9 detto, dal S. Massimiliano.21. 4.— A dì 20 di Sbre, dal S. Alfelt.* 1(58. — — A dì 22 di 8bre, dal S. Massimiliano in nome dolii S. ri Cristoforo et Marco Stettner per sortes (3) . ...» 120.— — si ncccnna, si lui, autografa di Gai.ii.ko, n car. 35, 36, 40 doi Mss. Gal., Par. VI, Tomo 1, 1. Cfr. pag. 206 (noia 2) o pag 20G di questo Voi. XIX. (l ’ Frakoksoo iu Noaiu.hs. Massimii.iano Pi, uscii. ,a » Una minuta ilei computi astrologici a cui qui XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 155 A dì 6 di Novembre hanno cominciato fortificazione il S. David u> , suo compagno, S. Massimiliano et S. Staisiao. A dì 17 di Novembre, dal S. Regesberg l2) . 4 ? 20.- A dì 20 di Novembre, dal S. David.» 20.- 180 A dì 27 di Novembre, dal S. Massimiliano.» 20.- 3312.12.— 473. 1. 12 1004. A dì 5 di Gennaio, dal S. Massimiliano.20.- A dì 10 di Febbraio cominciò fortificatione il S. Consi¬ glierò todesco et suo compagno. A dì 18 di Febraio cominciò Euclide 1’ Ill. mo S. C. Vin¬ ciguerra Coll’ alto. A dì 25 di Febraio, dall* Hl. mo Cobalto.» 40.- 190 A dì 4 d’Aprile dall’Ill. mo S. Vinciguerra.» 20.- A dì 4 d’Aprile dall’ 111.” S. Detristan (3) , Consiglierò todesco, per letioni et strumento.» 250.- A dì detto, dal S. Massimiliano per strumento.» 100.- A dì 24 d’Aprile, dal Seren. mo Duca di Mantova una (4) collana et una medaglia di S. Altezza.* 000. — — A dì detto, dall’ 111." 10 S. Carlo Gonzaga due sottocoppe d’ argento.* 440.- A dì 28 di Giugno cominciò Euclide il S. Baron. franzese et suo governatore. 200 A dì 2 di Luglio, da detto S. Barone franzese ho haute » 40.- A dì 27 di Luglio, dal detto S. Baron franzese .... » 40.- A dì 28 d’Agosto, dal detto S. franzese.» 40.- A dì 18 di 8bro cominciò Euclide il S. Andrea Zigesar todesco, che habita alli Uccelli. A dì 18 di 8bre ricominciò 1’ Ul. mo S. Coll’ alto. A dì 20 di Ottobre, dal S. Zigesar.» 20.- 206. A dì SO di Oliere — “i David RioQmta. <*> Por verità leggasi 1000 / ma sembra ohe (*) Giovanni Remjksiif.ro. dapprima avesso scritto 1000, o poi abbia rettificato. Paolo de Dietriciistkin. **’ Andre a Giorgio de Ziqksak. 15C XIII. RICORDI AUTOGRAFI. A dì 24 detto, dal detto S. Zigesar. P GO.- A dì 1G di Ombre, dal S. Luzimburg.- 60.— — A dì 16 di Ombre, dal S. Zigosar.* *20.- 210 A dì 20 di 9mbre, dal S. Baroli Santeran et suo go¬ vernatore.» 7G.- A dì 21 Ombre, dal Clur. ro ° S. Tomaso Morosini una taza d* argento.* 84. - A dì 14 di Xmbro, dal S. Giulio Cesare Caietano. . . 00.-- A dì 13 di Xmbre, dal S. Baroli Senteran per l’ino dello strumento.* 24o. — — A dì 21 di Xmbre, dal S. Bar. Stormi.- 40.- A dì 20 di Xmbre cominciò l’111. mo et Eco. 0 S. Duca Cristoforo Sbaraschi lo strumento. 220 A dì 23 detto, dall’ill. roo 8. Duca Sbaraschi ....... 350.— — ‘2605.- 372. 1.— 1605, Gennaio. A dì B detto, dal S. Andrea Zigesar a conto dell’uso dello strumento. P 140.- A dì 20 di Gonnaio, dal S. Senteran .• 40. — — A dì 27 di Gennaio, dal S. Luzimburg.» 80.- A dì 20 di Marzo, dal S. Zigesar.• 70. — — A dì 24 di Giugno, dal S. Giovanni Reinardo todesco 230 a conto dell’uso dello strumento. » 90. - A dì 8 di Luglio, per resto dell’uso dello strumento et per una bussola schietta dal detto S. Giovanni Uei- nardo (,) .» 130. — — A dì 9 di Luglio dal’III.™ 0 et Ecc. m0 S. Duca Cristo- foro Sbaraschi.» 350. - 900.- 128. 4.- (1 ) Giovanni Kkinhardt. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. li>7 1606. A dì 10 di Febraio cominciò 1’ lll. ,uo S. Conte di Sultz f|) sio todesco. A dì detto, dal detto S. Conte. ■£* A dì 17 di Febraio cominciò il S. Consiglierò della na- tion todesca. A dì 17 di Febraio ricominciò il S. Vaibruno (2) . A dì 21 di Febraio cominciò il cugino del S. Consiglierò. A dì 11 di Marzo, dal cugino del S. Consiglierò per lo strumento.» A dì 11 di Marzo coininciorno lo strumento li due fra¬ telli Giovanni et Daniel d’ Hess slesi, arso A dì 18, da li dotti due fratelli per l’uso dello strumento. » A dì 20 detto, dal cugino del S. Consiglierò per resto dello strumento.» A dì 20 d’Aprile, dal S. Vaibruno.» A dì 26 d’Aprile dall’ 111. 1,10 8. Conte di Sultz a conto dello strumento.» A dì 17 di Luglio comincio il 8. C. di 8ultz fortiii- cazioni. 2G0 1607. A dì 8 di Marzo cornilioiorno la sfera 7 pollacela. A dì 9 detto, da li detti 7 pollacela. <£* A dì 6 di Marzo cominciò Euclide il S. Massimiliano Bles con 2 altri todesclii, et insieme cominciorno 1’ uso dello strumento. A dì 16 detto da i compagni del S. Bles a conto dello strumento.» A dì 26 Marzo, dal maiordomo compagno del S. Ples. » A dì 6 di Aprile, dal S. Massimiliano Ples et suo com- 270 pagno per letioni.* 40.- 170.- 360.- 85.- 28.- 150.- 1683.- 240. 3.— 70.- 220 .- 40.- 80.- (M Uuuco di Sultz. (*> Giovanni Federico Ckibtovoiio di Wai.brun. 158 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. A dì 20 di 8bre ha cominciato lo strumento il S. Giu¬ lio tode8co, sindico (l> . A dì 22 detto lift cominciato il detto Sig. Sindico et 2 compagni forti ficaziono. A dì 11) di Ombro ha cominciato la sfera 1' lll. ,uo 8. Mar¬ tino Sboroschi <4) . A dì 21 detto, dall’111. mo S. Sboroschi. P A dì 29 di Ombro, dal S. Sindico per lo strumento. . » A dì 3 di Xmbro, dalli 2 compagni del S. Sindico por 280 le fortificazioni.» A dì 22 Xmbre, dall’111. m0 S. Sboroschi.» A dì 23 detto, dal Olar. mo S. Gasparo Moro una tazza d’ argento.• A dì 31 Xmbro, dai S. Sindico una cappasanta d’ ar¬ gento.* 1608. A dì 19 di Gennaio, dall' Ill. mo Sig. Martino Sboroschi.

    Fu vni'esco • Anuhxa Ouono. XIII. KI CO libi AUTOU 2) Doeeìnanti, 1602-1609. MS9. rial., P. I, T. XVr, car. 12/.-15». 1602. A dì 22 di Novembre 1602 venne in casa min l’Tll. ra S. Giovanni Sveiniz con duo servitori, per la spesa del quale devo bavere ciascheduno mese lire dugento. A dì 28 detto mi ha dato. cO 200. A dì 5 di Xbre è venuto in casa il S. Staisiao (1) pol- laceo, et suo compagno, per pagarmi lire 160 il mese per la spesa. A dì 8 detto mi ha dato... *160. io A dì 28 detto, dal S. Staislao.» 160. A dì 29 detto, dal S. Sweinitz, pagati a Venezia per il litto » 190. 1603. A dì 8 di Gennaio ò venuto in casa il S. Marco (2) pollacco. A dì 18 detto, dal S. Marco sopradetto ho liauto. . . cO 160. A dì 8 di Febraio, dal S. Staislao.» 160. A dì 28 dotto, dall’ HI.* S. Giovanili Swiniz.» 170. E più, per straordinarii dal medesimo S. Swainitz » 100. A dì 27 di Febraio è venuto in casa il S. Bucau con suo servitore. 20 A dì 11 di Marzo, dal S. Bucau.» 140. A dì 24 di Marzo dal S. Marco.* 160. A dì 6 di Aprile, dal S. Staislao.» 50. A dì 17 d’Aprile, dal S. Bue.» 140. A dì 17 detto, dal S. Staislao. 110. A dì 30 di Aprile, dal S. Staislno.» 160. A dì 7 di Maggio, dal S. Marco.» 160. A dì 12 di Maggio è venuto in casa il S. Massimi¬ liano Ples d’Austria. A dì 13 di Maggio è venuto in casa il S. Giovanni 30 lituano. **» Stanislao Lazocski. (*> Marco Lk.ntowioz. 1G0 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. A (1Ì 14 flotto, dal S. Massimiliano d’Austria.-T 80.- A dì 15 di Maggio è venuto in casa il S. Ferrante fran- zese et suo governatore; cit por il vitto di mesi 3 '/a mi ha dato.» 500. — •— Somma 2800. — — A dì 18 di Maggio, dal S. Bartolomeo Buona, per resto r 08.- A dì 30 di Maggio, dal S. Giovanni lituano, che partì • 40.- A dì 12 di Giugno, dal S. Massimiliano. 80.- Et più, por straordinarii.• 3. — — •io A dì 27 di Giugno dal S. Staislao sono stato pagato per sino ali 4 di Ottobre, kavendo ricevuto lire ODO per le spese ordinarie, et per straordinarii sino a questo giorno, et por il S. l'aleioschi ... .... * 600.— — A dì 9 di Luglio, dal S. Massimiliano.* 80.- Et più, dal detto per straordinarii.• 10.- A dì 16 di Luglio, dal S. Marco.• 80.- Et più, per straordinarii dal detto. 25.- A dì 9 d’Aosto, dal S. Massimiliano.» 81.- A dì 8 di 7mbro, dal S. Marco.* 40.- 50 et per straordinarii.* 28.10. — A dì 26 di 7mt)re, dal S. Massimiliano.» 120.- et per straordinarii.• 32.- A dì 9 di 8bro, dal S. Massiuiiliaiio.» 42. 8.— et ha pagato per sino a 11 i 13 di Ombre prossimo. A dì 3 di Novembre ò venuto in casa d 8. David do Riglies (1) . A dì 5, dal S. David.» 80.- A dì 16 di Novembre, dal S. Massimiliano per straor¬ dinarii.» 12.12. — co A dì detto, dal S. Massimiliano. !... * 72. 4. — A dì 27 di Novembre, dal S. Massimiliano.* 64.16.— A dì 6 di Xmbro, dal S. Staislao.» 240.- A di 22 di Xmbro è venuto in casa 1*111.®° S. ('onte di Zator <4> con 3 altri suoi gentil’ homini et 5 ser- <>l Daviur Kicqukh. Cfr. Voi. X, n.® 103. Uioachiko Zatur. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 1G1 vitori, pagandomi lire 585 il mese, et lia dato a buon conto lire. <£* 220.— — A dì 27 Xmbre dal S. Massimiliano per straordinarii. » 16. 8. — Et più, per altri straordinarii.» 4. — — Somma d? 2155. 18. — 70 A dì 3 di Gennaio 1604. Dall’ Ill. mo S. Conte Lesnovolschi (1) . <£? 310.— — A dì 5 detto partì di casa il S. Massimiliano. A dì 5 detto, dal S. David.» 160. — — A dì 25 detto, dal S. Staislao zecchini 3.» 31. 16.— A dì 21 di Gennaio, dall’ lll. mo S. Conte per straordi¬ narii et per saldo del mese passato.» 143. 5. — Et più, dal medesimo S. Conte a conto del mese a venire ho hauto <2> .» 356.15.— A dì 12 di Debraio, dal S. David.» 80.— — so A dì 21 di Febbraio, dal S. Conte Lesnovolschi, che partì di casa.» 150.- A dì 25 di Debraio, dal S. Staislao.» 69. 12. — A dì 5 di Marzo, dal S. David.» 40. — — A dì 8 di Marzo è venuto in casa il S. lacomo Cristo- foro Zel (3) di Bornico. A dì 9 detto ho hauto a conto della sua spesa dal detto S. lacomo, quali contò il S. Gianbatista Piazza. . . » 142.- A dì 15 di Marzo, dal S. Conte Lesnovolschi per resto » 100.— — A dì 18 di Marzo, dal S. Staislao.» 100. — — ao A dì 27 di Marzo è venuto in casa il S. Bernardo Het todesco. A dì 30 di Marzo, dal S. David.» 43. — — et dal medesimo per il fuoco.» 10.- A dì 2 di Aprile, dal S. Bernardo.» 160. — — Doc. b, 2). Tra la lin. 79 e la lin. 80 leggosi, cancellato : A dì 80 (li Febbraio, dal S. Slaiilao . 100. — <•> Rosno Lrsniowolski. toiiio », Di fronte a questa partita, sul margino, si (®> Giacomo Cristoforo Sokm,. leggo, cancellato: « Manca un crosatto, reso a An- XIX. 21 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. m A (lì 22 (l’Aprile è venuto in casa il S. Andrea Morelli et suo servitore. A dì 17 d’Aprile, dal S. David. A dì 30 d’Aprile ò venuto in casa il S. C. Montai- bano (1) con 2 servitori; et a dì detto dal detto io( S. Conte Montalbano lio limito per la spesa di un mese.» A dì 5 di Maggio, dal S. Morelli. A dì 9 di Maggio, dal S. Morelli.- A dì 18 di Maggio, dal S. Incorno Cristoforo Z« 1. . . - Somma <4? A dì 22 di Maggio ho ricevuto dal S. Staislao ungari cento otto; e sono pagato sino al li 4 di Giugno prossimo a venire per le spese ordinarie, et per lo strasordinarie sino a questo presente di 22 sopra¬ no detto: vai. rO A dì p.° di Giugno, dal 8. Conte Montalbano.• A dì p.° di Giugno, dal S. Staislao.• A dì 18 detto, dal S. Staislao.• A dì 22 detto, dal S. Staislao.• A dì 4 di Luglio ho ricovuto dal S. Staislao lire 119. 11; et sono pagato per sino a questo dì, tanto per la spesa ordinaria quanto per la straordinaria: vai. » A dì 5 di Luglio, dal S. Andrea Morelli ho hauto lire » A dì 11 di Luglio è venuto in casa Michele, servitore i -0 del S. Staislao. A dì 2 d’Agosto ho hauto dal S. Incoino Cristoforo todesco lire.» A dì p.° d’Agosto è venuto il S. Giulio Cesare Gaielano 2) con suo servitore. À dì 7 d’Agosto, dal S. Giuliocesaro.» A dì 24 d 5 Agosto, dal S. Staislao.» A (li 2 di 7mbre, dal S. Staislao Losozki, che partì por Poi Ionia, per resto et saldo.» 34 . *- 240.- 80.- 200 .- 175.- 1083. 8.— 1080.- 240.- 20 .- 10 . 12 .— 53.- 119. 11.— 280.- 240.- 00 .- 400.- 140 .- (‘i Ai.kssandro Montaluan. (*» Cfr. Voi. X, u.° 07, liu. 46, XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 103 A dì 4 di 7mbre, dal S. Morelli. J? 130 A dì 13 di 7mbre, dal S. Giuliocesare.» A dì 8 8bre, dal S. Giuliocesare.» A dì 13 di 8bre, dal S. Morelli.» A dì 18 di 8bre è venuto in casa il S. Baron Santeran franzese, con suo governatore et 2 servitori. A dì 19 detto, da detto S. Baron franzese. A dì p.° di Novembre, dal S. Morelli. A dì 28 di Ottobre è venuto il S. Abate Giugni 11 ', con suo prete et servitore. ilo A dì 8 di 9mbre, dal S. Abate Giugni, pagati al S. Bal¬ dino Gherardi.. .. <£* A dì 15 di Novembre è tornato il Conte Montalbano con un suo gentil’ homo et un servitore. A dì 16 di Novembre, dal S. C. Montalbano.» Il S. Giulio Cesare deve dare, per tanti prestatili, lire 10, sol. 8, et più lire 30, c più 20. A dì 19 di 9mbre, dal S. Baron Santeran franzese . . » A dì 30 di 9mbre, dai S. Andrea Morelli.» A dì 2 di Xmbre, dal S. Giuliocesare.* 150 A dì 3 detto, dal S. Giulio Cesare.» A dì 5 di Xmbre dal S. Abate Giugni.» A dì 17 di Xmbre dal S. Giulio Cesare.» A dì 21 di Xmbre dal S. Bar. Senteran.» A dì 21 di Xmbre dal S. Tacorno Zel.» Et più, per resto dal detto S. lacomo.* A dì 2 di Gennaio 1605. A dì detto, dal S. Andrea Morelli. cP A dì 13 di Gennaio, dal S. Ab. Giugni.» A dì 20 detto, dal S. Baron Senteran.» 136 . A di p.° di Dovembre — 154 . Incoine Zel — 140.- 72. 72.- 90.- 240.- 190.- 3447. 3.— 210 . —■ — 620.- 240.- 120 .- 201 . 8 . — 60.- 210 .- 225.- 240.- 193.- 90.- 160.- 210 .- 240.- Ul Niccolo Giugni. Cfr. Voi. X, n.° 120. 164 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 160 A dì p.° di Febraio, dal S. Morelli, che partì. P A dì 27 di Febraio, dal S. Abate Giugni.. A dì p.° di Marzo, dal S. C. Montalbano. . . ' A dì 9 d’Aprile, dal S. G. Montalbano.» A dì 20 d’Àprile, dal S. Abate Giugni.* A dì 10 di Novembre ò tornato il S. G. Alessandro Montalbano, dal quale ho limito.» A dì 13 di Febraio 1600 ò venuto in casa il Clar. mo Fo- scari con un servitore. A dì detto, dal Clar. mo .. no A dì 23 di Febraio, dal S. G. Montalbano.. A dì 4 di Aprile, dal Glar. mn S. Foscari. P A dì 22 d’Aprilo, dal S. G. Montalbano.* A dì 2 d’Agosto, dal Clar. mo S. Foscari, et per lui dal Mag. ro S. Bernardino Verdabio, per resto della Bun provisiono.. 1006. A dì 31 8bro vonno il S. C. Montalbano, et hebbi a dì detto. p i 80 A dì.... (,) dal S. C. Montalbano.» A dì 8 di Maggio 1607 dal S. Conte Montalbano. . . » ma in questo conto mi resta debitore il detto 8. G. di P 110. A dì 5 di Luglio partì il S. Conto Montalbano, et restò a darmi, oltre le 110 P sopra notate, P 14 pagato per S. S. al liutaio, et quello che manca al conto della provisione, elio sono P 190 : in tutto somma il suo dobito P 320. Devo di più dare P 10 per tanti prestatigli li 8 di Giugno 1608 per pagar ino Piero suo servitore, elio si partì. 50.- 210 .- 180 ,- 372 .- 420.- 620.- 140.- 620.- 5931. 8. — 140.- 020 .- 140.- 020 .- 620.- 496.- “i La (lata ò lasciata in bianco. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 105 1607. Il S. Francesco Quaratesi ò venuto in casa a dì 22 di Ottobre con un suo servitore. Ho hauto dal detto S. Francesco, rascia et fattura di un ferraiuolo <£ 78. 5. 4. tO 78. 5. 4 marzolini et salcicciotti 170.1S ..» 170.13.— A dì 2 di 9mbro è tornato il S. Conte Montalbano, et a dì 3 detto mi ha dato.» 620.- A dì 27 di Ombre è venuto in casa il S. Sindico to- 200 desco. A dì 3 di Xmbre dal S. Sindico per la sua spesa . . » 128. 8. — 1608. A dì 0 di Gennaio, dal S. Francesco Quaratesi . . . .<£* 311. 2.— A dì 11 di Gennaio, dal S. Sindico.» 108.— — A dì 20 di Febraio, dal S. Sindico.* 108. — — A dì 27 di Febraio, dal S. C. Montalbano.» 620. — — A dì p.° di Marzo, dal S. Quaratesi.. . » 280.- A dì 10 di Marzo, dal S. Sindico.» 105.12.— A dì 13 di Aprile, dal S. C. Montalbano.» 620. — — 210 A dì 10 di Maggio, dal S. Quaratesi.210.- 1608. A dì 17 di Ombre tornò il S. Conte Montalbano. A dì 25 detto, dal S. Conte Montalbano. rP 620.- A dì 25 di Ombre venni di Firenze insieme col S. Fi¬ lippo Arrighetti. A dì 24 di Xmbre, dal S. Arrighetti.» 84.- 1600. A dì 15 di Gennaio, dal S. Arrighetti. cP 126.- A dì 11 di Marzo, dal S. Conto.* 620.- 220 A dì 13 di Marzo, dal S. Arighetti.» 84. — — A dì 14 di Aprile, dal S. Arrighetti, che partì .... » 28.- A dì 25 d’Aprile, dal S. C. Montalbano.» 370.- A dì 28 di Giugno, dal S. C. Montalbano.» 248.- 1U6 XIII. HI CO EDI AUTOGRAFI. À (lì 8 di Agosto dal 8. 0. Montalbano.248._ A dì p.° di 7mbro dall S. C. Montalbano, elio partì dottorato.» 220.-- — Mm. Gal., P. III. T.IY, ear. 70/. Nota delli danari sposi per il S. Iacopo Cristoforo tedesco. A dì 12 di Marzo " ha liauto lire dodici et mezzo per la inscrizzioue nella natione et matricola: vai.12.10._ 230 A dì 25 di Aprile dove dare per tanti ricevuti dal S. David et fattili buoni da me.» 10.- A dì 18 di Luglio deve dare per tanti prestatili. ...» 14. 5 .— A dì 10 d’Àgosto (leve dare per tanti prestatili .... * 10.- A dì 28 d’Agoato, prestati.* 10.- A dì 27 di Settembre, prestati.» 30.- A di 7 di Ombro, prestati.* 20.- c£ : 100. 15. — 3) Trascrittone di trattali. 11603 -idOIJ. Usa. Ori., P.III, T. IV, car R1r.-<*2r. Nota dello scritturo haute da Mena. Silvestro. Fortificazioni, copie 2, per il 8. li io vanni iSvainitz et S. Lerbac. Item, copie 1 al S. Bucau. Item, copie 1 al S. Alfelt. Item, copie 1 al S. Staislao. Itera, copie 1 al S. Niccolò BeataviL Ter una copia dell’ Uso del Compasso, data al S. Staislao f ‘ 2 ’. Ter una copia doli’ Uso del Compasso, data al 8. Beatavilla. Per una copia del detto Uso, data all’ Ill. mo ot Eco.® 0 S. Langravio, io Per una delle detto copie, data ad un gentil’ homo tedesco. Per una data al S. di Noaglies. •*) 1604 . <*> Stjmbi.au Lubinski. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 1G7 Mess. Silvestro lia lianto a dì 29 di Giugno a buon conto 49. Memoria come Mess. Silvestro è partito di casa il dì 2 di Gennaio 1604. Et havendo rivisti i conti, restava mio creditore di lire 222 in tutto. Ma li aveva li auto a cpiesto conto «4? 49, et liebbe partendosi éC 30, onde resta creditore di ^ 143. In oltre ho pagato per il suo conto lire 5, sol. 12, al fornaio della Crosera omhstic.v. 1) Conti con Benedetto Zorzi. 1599. Mss. Gal., P. Ili, T. IV, car. 83f.~8tr. 1599. Il S. Benedetto Zorzi deve dare: A dì 20 7mbre <£* 8, per tanti spesi in un liuto : vai.. . <£* 8.- All’incontro, deve bavere il Clar. S. Benedetto Zorzi per tanti dati per spender per suo ni¬ pote . <£* 20.- <*' « Crociera dol Santo » a Padova. t s > Contrada di Padova. (®) Piktbo Marojki.u. Cfr. Voi. II, pag. 305. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 108 Et più, a dì 29 detto, per tanti prestati P Et più, por tonti da¬ tili por olio ...» io A dì 11 di 8bre, dati al S. Benedetto per comprare un libro da intavola¬ ture di liuto . . • A dì 17 detto, dati al S. B. per fare ac¬ conciare il liuto. * A dì 18 detto, in 4 para di calze . . » 20 A dì detto, per 2 lio- ratorii, et porto » A dì 27 (V 8bre ha Inulto il S. Be¬ nedetto cP 2 : dis¬ se, per rendere al S. Gasparo, suo maestro.» A dì 6 di Ombre ha liauto per rendo- so re al S. Gasparo et pagare alcuni sarti.» Dati al S. Benedetto * A dì p.° Xmbre, per tanti dati al S. Be¬ nedetto per pa¬ gare stringhe, cordelle da scar¬ pe et altro . . . » 40 A dì 2 di Xbre, in 4 para di scarfa- rotti di lana. . . » 3.- 13.— 1 .- 9.- 9. 8.— 2 .— 3 . 10 .— 3 .- Hauti dal Clar. mo S. Benedetto per re¬ sto del conto a presso. p XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 169 A dì 3 detto, dati al S. Benedetto per comprar olio . . d? 2. — — A dì X detto, dati al S. Benedetto per rendere al S. Gasparo.... » 4. 4. —■ so A dì 19 detto, dati al S. B. per pa¬ gare il barbi ero et 1 ’ acconciatura dei liuto.* 1.4. — 2 ) Spese diverse. 1599-1012. Mss. Gai., P. Ili, T. IV, car. 8 it. A dì 18 di 8bre 1599. Batista tessaro, sta in Porcìa (l) in casa il S. Sartorio Brnzolo. ha Lauto lib. 18 di accia sottile, pesata con il sacco in che era, et ne ha ordito 8 colli di tela : pesò l’ordimento lib. 9 1 / 8 . A dì 10 di Ombre ha Lauto, a conto della fattura di detta tela. J? 6.- A dì 4 di Xinbre ha hauto una libra di filo. A dì 6 di Dicembre, hauto filo libra 1 Va- A dì 15 di Xmbre ha hauto una libra di filo. Mss. Gal., P. Ili, T. IV. car. 80/. l 0 1G03. Nota delli danari spesi in concieri della casa de i Vignali <2) . A dì 6 di Aprile, per pali n.° 78 a sol. 4 V uno . ... dO 15. 12. — Et più, per lattole n.° 28 a sol. 3.* 4. 4. — Et più, per stroppe da legare le pergole.» — 10. — Doc. c, 1). 54. del lauto — *** Intendi, in Via Portigli» in Padova. <*> Contrada di Padova. XIX. 22 170 xm. RICORDI AUTOGRAFI. Et questi pali et lattole si sono hauti da Michele do Zannetti da Tincarola. Et più, in altre lattole compre in Piazza. P C. 8. — Et più, por altre stroppo da legar lo pergole.- 2. 5. — Por duo bine di cerchi da far la pergola.* 4. 8. •— so Per brazzolo di ferro.• 6. 1. — Por chiodi da legar le vigno a i muri.• 1.16. — Alle opere, per accomodar lo pergole.• 10. 16. — Per far portar via i rovinazzi, et portare a casa i cer¬ chi et lattole, ot altro spesette minute.* 3.12.— Usa. Gal.. P. Ili, T. IV. car. Mr. A dì 24 di Maggio 1603 Maestro Fait ha haute P 4 a conto di una bussola di legno. Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. Mi. Memoria come Mistro Fait ha hauto in più volte P 24, beven¬ domi lasciato in pegno una vite perpetua grandetta, una morsetto di legno, un’ arganetta con 2 vito et una madrevite con suo ferro; so et di più 2 altre P % Mas. Gal., P. Ili, T. IV, car. 88r. Memoria corno il Bolzetta' 1 ’ ha hauto 4 poemi del (rualterotto tt) , 2 il Meietti <3) . Et il medesimo Bolzetta ha hauto un Dialogo della musica an¬ tica et moderna t4) . Mss. Gal., P. Ili, T. IV, car. G5r. Et all’incontro <5) deve bavere per una candiotta di vin bianco et per un carro di legno, et sue spese per la condotta . . P bl.- Doo. e, 2). 31. pomi del Ovll. H — 32. Dopo Umetti ai leggo. cancellato: et i l'nitro libraio. — Di Francesco Bolzrtta. <*) L‘ Universo, ovtro II Polemidnro, poema eroico ili RappaklGdai.terotti.S tampato in Firenze, l’anno ItfUO, appresso Cosimo Giunti. <*> Paolo Mkutti. gì Dialogo di ViXOKXSlo Galilei, nobile Fioren¬ tino, della miniai antica • moderna. Firenze, per Gior¬ gio Manicotti, 1381. Gì Manca l.t partala all'incontro del duro. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 171 Et più, per un altro carro di legno.4._ Et più, per lilatura di libre 15 di stopa.» 4. 12._ Et più, per G pese et 8 /* di lino.» 4.- 40 Per condotta di doglie d’un tino.» 4..- Per filatura di 4 pese di canapa.» 2._ _ Et più, per tanti ricevuti dal S. Coa.°. *310.- Mss. Gal., P. Ili T. IV, car. 83r. 1612. Ricordo che Maestro Antonio legnaiuolo ha hauto questo dì 28 7mbre <£* 17 acconto di 2 paia di panchette e un tavolino d’albero. E più <£* 7 : in tutto. <£> 24.- E più, addì 19 d’Ottobre.* 14.- 3 ) Conti con Bartolomeo Mazo. 1600-1601. Mss. Gnl„ P. III, T. IV, car. 84'. Bartolomeo m , fattor de’ C1ar. mi S Contarmi, ha hauto, a conto di una candiotta di vin bianco et una botte di rosso et 3 staia di castagne, prima <£> . <£* 84.- E poi, a dì 31 di Gennaio. r .» 108.— — A dì 20 di Marzo 1600 si pareggiò il conto con Bartolomeo. Bartolomeo fiorentino ha hauto, a dì 20 di Marzo, 6 zecchini. E più, a dì p.° Aprile, ha hauto 2 zecchini. Mss. Gal.. P. I, T. XVI, car. 7I« Memoria coinè Bartolomeo fiorentino, fattore alle Coste del Clar. mo S. Francesco Contarini, deve darmi per tanti hauti in contanti io questo dì 7 di Febraio 1601, et per altri hauti avanti. <£* 70. — — A dì 26 di Maggio ha hauto.» 14.- A dì 18 di Giugno ha hauto.* 6.-' et iUtoXOU»MKO ÌIàZO, xm. RICORDI AUTOGRAFI. 172 A dì detto ha hauto. tP 34 10. ~ A dì 28 di Giugno ha hauto.•* 86. 5. — A dì 6 di Luglio ha hauto.» 40.- A dì p.° di Agosto ha hauto.• 53.- A dì 7 detto ha hauto.• 40.- A dì 8 detto ha hauto.* 60.- A dì 22 di Agosto ha hauto.• 5.17.— 20 A dì 26 di Agosto ha hauto.» 3.- 4 ) Conti con Antonio Incontri. 1601 1602. Mbs. dal. P. I, T. XVI. car. ir. 1601. Antonio Incontri devo bavero per libre 2 di pistacchi, mandatimi di Venetia il dì 28 di Gennaio. 4? 1.16.— E più, per lib. 2 di pinocchi.» 1. 8.— E più, per lib. 2 di capperi.» 1. 8.— Et più deve havere por br. 1 8 /« di raso nero.» 16. 4.— Et più, per lib. 2 di zucchero.» 4. 12. — E più, per lib. 2 di pistacchi.* 1.16.— E più, per lib. 2 di susino.» 1. 4.— io E più, per un terraiuolo di rascia per mo, et sua fattura. » 89. 14. 6. E più, per un altro terraiuolo di rascia por un amico, et sua fattura.» 80. 1. (1) Et più. deve havere per tanti riscossi dalla S.™ Luciotta Zabarella por un calamaio.» 5.- E più deve havere per tanti restatimi in mano nel mandarli alcuni danari riscossi da Elia ebreo. . . . • 3.- Et più deve havere per un ungaro cambiato dall’Ebroo. * 10.- E più, per una piastra di ottone.• 9. 3. — Per una piastra di ottono, et per <£* 2 pagate all’ ot- 20 tonaio per Marcantonio l4) .* 7.15.— t‘> Sul margino superiore della carU Galileo <*» Mabcaxtoxio Maxxolexi. annota: « fu venduto per £ 86 ». XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 173 Per 3 ri ghette di ferro.10.12. — Per libre 40 V 2 di fìl di ferro.» 20. 5. — Per libre 22 di sapone.» 8. 8. — Per braccia 30 di tela di vela.» 10.- Per una piastra di ottone todesco.» 4. 8. — Per un tollaro cambiato dal Moretto ebreo.* 6. 5. — Per tante ostriche mandato li 29 di Gennaio 1602. . . » 2. 5.— Per ottone mandatomi.» 8. 9. — A dì p.° di Giugno, per br. a 12 di manto di Napoli a 5 l / 2 il br.°.» 66. — — A dì 15 di Giugno per tanti pagati a Firenze per faro intagliare una bussola.» 23. 10. — A dì 10 di 8bre per una camiciuola bianca et por un par di calcetti.» 11. — — Per tanti pagati a Elia ebreo in 2 volte.» 13. 9. — Per tanti hauti da Elia ebreo.» 30.- Per un libro mandato al Landucci (1) .» 5. 3. — «e 452. 15.— 6) Conti con servitori. 1602-1620. Msb. 0*1., V. Ili, T. IV, car. 81 f. Memoria come D. a Minia è venuta a stare in casa per Ognisanti, P anno 1602, con patto di darli P anno ducati 6 et un par di zoc¬ coli et un par di scarpe. Ila hauto a dì 29 di 9mbre. rC 6.- Et più, a dì 25 di Febraio.» 6. — — Et più, a dì 28 di Giugno.* 10. — — Et più, a dì 24 di Xmbre.» 6. 5. — A dì 22 di Maggio 1604 ha hauto.» 40. — — A dì 27 di 7mbre ha hauto.» 10.- Doo. o, 4). Trn la lin. 28 o la lin. 29 si logge, cancellato: Per 2 panetti di zucchero £ . . . . A dì 20 di Maggio .... 0> Bknkobtto Landucoj. 174 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. io A dì 18 di Xmbre ha bauto. . . ..9. — — A dì 15 di Aprile 1605 ha haute.• b.- Et li ho saldato il conto, Bendo lei stata meco mesi 28. Msa (tal., P. Ili, T. IV. ear. 82*. Memoria come D. a Lucia massari! 5 venuta a stare in casa il dì p.° di Marzo 1605. Ha hauto D. a Lucia, a dì 6 di Marzo.2.14.— A dì 20 d’Aprile ha hauto.* 5.- Manetta massara è venuta a stare in casa al principio di Giu¬ gno, con salario di ducati 6 1’ anno. Manetta massara lia hauto a di 5 di Luglio. J? 9.- D. a Franceschina massara ò venuta a stare in casa li 28 9mbre. D. a Franceschina ha hauto.Z 5 6. 5. — A dì B di Luglio 1606 ha hauto ... .• 9.- A di 17 (l’Agosto ha hauto.» 13. 4. — Partì. D. a Menica massara è venuta a stare in casa li X di 9mbre 1606. Ha hauto a dì 20 di Marzo 1607 .«aP 6.- A dì 22 di Giugno ha hauto.» 10.- A dì 8 di 9mbre ha hauto.» 20.- A dì 29 di Giugno 1608 ..* 10.- 80 A dì 29 di Giugno 1609 .* 12.- A dì 19 di 9mbre 1609 ha hauto.- 50.- Et la mandai via. Mas. Gal., P. HI, T. IV, car. 78r. Memoria come Mess. Alessandro Pienmnti 7.- Addì 9 di Febraio.» 14. — — Addì 14 di Marzo.» 7.— — Addì 1 d’Aprile.» 16.10.— e partì. Mss. Gal., P. Ili, T. IV, car. 83r. Iacopo da Legnaia ò venuto a star meco il dì (n Ha hauto, addì 14 di Luglio, per risolar un paio di scarpe

    Fin qui il conto è «critto a car. 8l.; il resto <*> Il numero dello Lire ò lasciato in bianco, ò a car. 9(. cosi in questa come nella precedente partita. XIII. BICOBDI AUTOGRAFI. 185 Antonio Bartoli- E più, addì 81 di ni che mi servo Gennaio per fa- di legno, gli ho scine 50. d? 2. 10. — prestato questo E più, a dì 25 di Fe- io dì detto lire con- braio per fasci- to, portò suo fi- ne 50.» 2. 10.— gliuolo e disse es- E più, addì 12 di ser per comprare Marzo per fasci- un bosco : vai. . d? 100.- ne 50.» E più, addì 9 di Apri- 2. 10. — le per fascine 50. » E più, addì 15 detto 2. 10.— per fascine 50. . » 2. 10.— E più, il p.° di Mag- gio fascine 50 . . » E più, addì 20 d’A- prile per staia 6 2. 10.— di cenere .... * E più, addì 24 di Maggio per fa- 3. 10.— scine 50.* E più, addì 8 0 di Mag¬ gio per 8 staia di 2. 10.— cenere . » E più, addì 17 di Giu- 4. 13. 4. gno fascine 50. . » E più, addì detto al- 2. 10.— tre fascine 50 . . » E più, addì 5 d’Ago- 2. 10.— sto per fascine 50 » E più, addì 6 detto 2. 10.— per fascine 50 . . » E più, addì 13 detto per staia 6 di ce- 2. 10.— nere.» 3. 10.— Doo. e, 9). 10. Tra cTi e dello legnosi, cancellato Come ditte, vai £ 101. 18. 4. — : detto zecchini gigliati dieci per comprare un bosco, XIX. • 24 18G XIII. BICORDI AUTOGRAFI. E più, addì 16 detto per una catasta di legno. 32.- E più, per 100 fasci- ne portate in Fi- renze.* 5.- E più, addì 6 di 7mbre per 50 fascine . . » 2.10.— E più, addì 12 detto per 50 fascino. . » 2.10.— Epiù,addì5diXmbre per 50 fascine . . * 2.10.— Epiù,addì7di Xmbre per 50 fascine . . * 2.10.— E più, addì 10 detto per staia G di ce- nero.» 3. 10.— E più, addì 28 di Gennaio per fa- Beino n.° 50 ... » 2. 10.— FI più, addì 8 di Fc- braio per fasci- ne 50.* 2. 10.— E più, addì 15, di Fe- braio per fascine 50 e granate 12. * 3.- FI più, addì 22 detto per fascine 50 . . » 2. 10.— E più, addì 29 per fascine 40 .... » 2.- 104. 13.4. Mas. Qui., P. I, T. XVI, cnr. 9<.-10r. Ricordo come alli 29 di Xrabre 1619 lio prestato V di 8 Il dicontro mio com¬ pare deve bavero por barili 2 d’olio, XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 167 a Àgnolo di Lio- portò il dì 21 di nardo Sollucari, Febraio 1619,lire 20 mio compare; 47: vai.47.- disse, per pagare E più, per barili 5 di un asino : vai.. . cP 56.-vinohautoildìl4 Addì 4 di Febraio d’Ottobre 1620 . » 40.- prestai al sopra- E più, per barili 2 detto.» GO.-d’olio.» 38. 6. 8. Addì 9 di Febraio 1620 ....... » 9. 6. 8. Saldato li 9 di Febraio 1620. Usa. Gal., T. I, P. XVI. car. 8/.-9r. Addì 15 di Maggio 1620. Domenico di Fran- Il dicontro portò addì 30 cesco Tafani dal- detto legno gros- la Improneta ha so cataste 1 '/ a .et 3 42.13. 4. Lauto a conto di legne.

    li prozzo non è indicato. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 189 SO E più, per un capret¬ to mandato il dì 22 detto. c£* 3.10. — E più, per un capret¬ to mandato li 29 detto.» (0 E più, per lib. 8 di salsiccia manda¬ ta li 12 di Marzo. » 4.-* E più, per 2 gote, pesorno lib. 16 . * 4. ili.—• Mas. Gal., P. I, T. XVI, car. lOt.-llr. Ricordo come havendo mandato a Mess. Lione Ninci a S. La¬ sciano et" 5 10. 3. 4. per com¬ prarmi diverse robe, ne ho ri¬ cevute le di contro. di 7mbre 1620 : •vai.21. 1. 4. 1019. Il di contro deve ha- vere per un ca¬ pretto mandato¬ mi .e*? E più, per 3 marzo¬ lini mandati li 24 d’Aprile, pesOrno lib. 9, et una for¬ ma, pesò lib. 3, on. 9.» 11 ) Conti con Goro ..., 161S-1619. Mss. Gal., P. T, T. XVI, car. G<.-7r. 1618, addì 16 di Agosto. Goro mi deve V 12 prestatigli per comprare un vi¬ tello. <£> 84.- E più, <£* 7 haute dal legator di libri . » 7.- All’ incontro, devo bavere per due paia di galletti. . <£* 2.13. 4. E più, per 3 zatte addì 16 d’Agosto. » — 12.— Gl II mimerò dello Lire è lasciato in bianco. <*> Il numoro dolio Lire ò lasciato in bianco. 100 Xril. RICORDI AUTOGRAFI. E più, per uno staio di fave. 48. — — Colletti di diverse sorti n.° 9.» 60. — — Grembiuli 5, uno di bisso et 4 di pannello.» 26. — — Vezzo uno di perle, et profumi.» 21. — — Cucchiaio et forchetta d’ argento.» 15. — — Zimarre 2, una di grograno et una di perpignano . . » 56. — — Pezzuole di renso n.° 12.» 30.- Pezzuole grandi di renso n.° 2.» 5.- io Sciugatoi di renso n.° 2.» 15.- Nota delle spese fatte in vestir la Livia quando si maritò. Maniglie d’oro. <£* 191.— — Panno per un gamurrino br. 4 :t /4 a <£ 15.» 71.15.— Fornitura per detto gamurrino.* 9.- Pianelle alte.» 8. — — Damasco turchino br. a 13 V 2 .» 121.10. — Fornitura d’oro.» 90.- Fornitura d’argento.» 65.— — Velluto nero di Napoli br. a 21 */•*.* 425.- 20 Tele et altro per le veste.» 18.- Fattura del sarto.* 20.- Mas. Gai., P. Ili, T. IV, car. 80r. 1604. Nota delle spese fatte per il cognato. All’avvocato, il dì 10 di Marzo. £ 4.- Al notaro, per la procura nel S. Bernardo Pesenti. . . » 2. 12.— XIX. 25 194 XIII. BICORDI AUTOGRAFI. Mas. Gai., P. I, T. XVI. e&r. 70r. 1606. Mesa. Taddeo Galletti deve dare por l’interesse di cambio di T 7 [ 30 pagatigli in Firenze per me dal S. Bencivenni Albertinelli, et da me pagati di suo ordino in Venezia al S. Ruberto Strozzi, dP 9. 11. 8. so Et più, per tanti pagati ad dotto S. Ruberto Strozzi per 1’ aggio della rimessa di dotti ’~ 7 ‘ 30 pagatigli li 24 di 9mbre.* 8. 10. — Itom, deve dare per tanti pagati in più volto alla balia di Girolamo, suo figliuolo, dal dì 6 di Luglio 1606 sino alii 2 di Xmbre 1607 .» 202.- Itoin, por tanti dati in 2 partito alla balia per comprar da vestire il putto.» 13. 9.— Somma il suo debito dP 233. 10. 8 Battendone V 25, elio doveva bavere.• 175.- •io Rosta debitore di JP 58. 10. 8. Il S. Ruberto deve bavere d.‘ l 54 : vai.• 334. 16.— Mess. Taddeo resta mio debitore.* 58. 10. 8. Le quali battuto dal credito dui S. Ruberto, resta. . . d' 276. 5. 4. Mss. Gal., P. I, T. XVI, car. 22r. A dì 8 di Febraio 1607. Mess. Taddeo Galletti, mio cognato, devo dare per un quarto di vitello et 2 vesciche di grasso. dP 28. 9. — Et più, per fattura di braccia 14 di drappello a sol. 6 il braccio.» 4. 4. — Et più, per tanti dati a D. a Lucia per filatura di cinque &o pese di caneva.* 2.10.— Et più, per una pesa di caneva.* — 10.— E più, per fattura di br. a 24 di tela.» 4. 16.— E più, per due vesciche di grasso.* 4.14.— E più, per filatura di un’altra pesa di canapa.» — 10.— Doc. d, l). 30. per compar — 60. peto di cui uva — XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 195 E più, per un chitarrone mandatoli.rf 5 78.— — Per un gallo et una gallina da Polverara.» 8.- Per una candiotta di vino.» 84. 5. — Per 2 paia di galline et un paio di capponi.» 18. 6. — Per un agnello mandatoli.* 4. 12. — r,o Per un paio di capponi mandatili.» 8. 10. — Per un agnello mandato li 20 Xmbre.» 4. 16. — Per 2 para di capponi, a dì 5 Gennaio.» 9. 14. — Per tanti dati al porta lettere per il porto di tolleri 53 per cambiarli dal Loria ebreo.* — 16.— Per 4 para di pollastre, a’17 Gennaio.» 15. 4.— Per vitello libre 16.» 8.12.— Ter 2 vesciche di grasso a dì 27 di Gennaio.» 7. 18. — Per un capretto mandatoli li 14 Aprile.» 6. 14. — Per vitello et una barila di aqqua della Vergine a’ 18 70 Maggio.* 14.13.— A dì 20 di Maggio, al portalettere per ha ver riportato la barila et alcuni cesti voti.* — 16.— A dì 28 di Maggio, per una barila d’aqqua della Vergine » 12. — — A dì 29 di Maggio, per tanti dati al tessitore do’ tova- gliolini.» 6.15. — A dì 4 di Giugno, al portalettero per li aver riportato una barila vota.» — 8. — A dì 9 di Luglio, por tanti dati a la tessitora per com¬ prar bambagia.» 2.14.— 80 Per fattura di br. a 48 Va di tela a 5 bezzi ’1 braccio. . » 6. 6.— Per una carrozza di nolo dal Portello (n a casa mia. . » 3.10.— Somma 348. 2. — Mas. Gal., P. I, T. XVI, c&r. 4(.-6». A dì 26 di Agosto 1608. Per tanti dati alla Livia tw . ^ 36.— — Per tanti dati al tessaro li 4 7mbro.* 16.- Per tanti pagati a M. a ('aterina barcaruola, balia del Cav. Frescobaldi, di suo ordino.» 44. — — <" Piccolo porto sul Brente, ricino allo mura da Venezia, di Padova, doro approdavano le barche proronieuU ( *> Livi* Uauuci no’ Gallktti. 196 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. A D. a Lucia, per filatura.' B. 16.— Per tanti dati al tossaro de’tovagliuoli.* 10.12.— 90 Per tanti dati a D. a Lucia por accia.* 2.18.— Per 2 vesciche di grasso.* 3.19.— Per tanti dati al carrozziere dell’Aqquupendente et a i facchini elio portomo le sue casse al Portello . » 7.10.— Per cotogni et nocie mandateli.• 6.14. — Pe 2 pezze di formaggio.» 18. 8. — Per tanti datili in Venezia per pagare una cesta di uva. * 10. 15. — Per carne mandatali a dì 12 di 8bre.» 8.12.— Per carne mandatali a dì 24 di 8bro.» 12.10.— Per carne mandatali a dì 9 Ombre.» 14. 4. — ìoo Per manzo lib. 10, mandato li 28 Xmbro.* 3. 10. — Per tanti avanzatili da ungari diciannove hauti dal S. Sweiniz per pagare il fitto della casa.» 4.- 1609. Per un agnello mandato li 5 di Gennaio 1609 .4. 16.— Per tanti mandatili.» 174. 14. — Per vitello mandatoli a dì 9 di Marzo.* 2.11.— Per vitello mandatoli a dì 15 di Marzo.* 6.14.— Per farina mandatagli staia 16.* 88.- Per 2 vesciche di grasso.* 5.12. — no Per carne di vitello mandata.» 5. 12. — Per una candiotta di vino et sua condotta.» 79.16. — Per far portar li suoi arnesi a casa mia a i facchini. » 4. 12. — Per tanti dati alla Livia li 12 di 8bre.» 26. 5. — Iten per 6 lib. di salsiccia.» 4. 4.— Per tanti dati alla Livia per pagare il modico.» 22. 12.— Per una barila di aqqua del bagno.* 1.14. — 1610. A dì 10 di Gennaio 1610, per un agnello mandatoli. . rP 5.- A dì 6 di 8bre, per tanti pagati al vicecontestabile l‘) Girolamo Fabrioio d’Acquaprndkrt*. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 197 120 per le spese del datio non pagato di due candiotte di vino. ^ 40. 2. — Somma il conto di là d? 675. 18. (1) Et più deve bavere per ottono mandato da Venezia. dP 9. 10.— Et più, per br. a 8 di raso venduto per lui.» 88. — — Et più, per tanti riscossi dal Grotta.* 22.- dP 119. 10. — Et più, per staia 30 di farina mandatagli.dP 190.— — Et più dove darò per tanti mandati alla Livia li 30 di Ottobre.» 120.- 130 Per tanti mandati li 22 9mbre.* 172.- Et più, dati a lui in Padova.» 178.- Per tanti datigli in Venezia.» 220. — — A dì 10 di G[ennaio], per tanti hauti da Miclielagnolo' 2 ’, parte in contanti et parte per spese fatte in con¬ durlo a Padova con la sua famiglia.» 250.- Et più, per tanti spesi da me in ricondur la sua fami¬ glia et ritorno a Padova.» 39. 12.— Et più, per tanti lasciatili a Venezia il dì 17 di Gennaio » 172. — — E più, a dì p.° di Febraio per una botte di vino . . * 90. 12.— mo E più, per far condur la detta botte vota.» 1. 14. — E più, per tanti pagati per lui allo speziale.* 86. — — de 1319. 18.— Mbs. dal., P. I, T. XVI, car. Or. A dì 12 di 8bre 1609. Taddeo Galletti deve dare per tanti pagati sino a que¬ sto giorno alla balia di Girolamo suo figliuolo, lo hebbe li 6 Luglio. £ 26.- Et più, per P interesse di cambio di ~7 30 pagatigli in Firenze per me dal S. Bencivenni Albertinelli et da Tra la lin. 123 e la Un. 124 si leggo, cancellato: Per perjiignano br. ... et rovescio br. ... jj ... fi' Questo parole al loggono a car. Br.; lo partito <*> M:cuki.anoklo Calile:, procedenti dol conto sono a car. U. 198 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. me pagati di suo ordine in Venezia al S. Ruberto 150 Strozzi.^ 0.11. 8 A dì 17 di 8bre, dati alla balia.» 28.- Et più, e 8, sol. 10, pagati al S. Ruberto Strozzi per l’aggio della rimessa di detti V 30 pagatigli li 24 di Ombre.• 8.10. — A dì 29 di Ombre, dati al balio.» 12.- Dati alla balia per comprar da vestire il putto . . . . • 18.- A dì 22 di Xmbre lia hauto la balia.• 31.- A dì 10 di Gennaio, a la balia.• 12.- A dì 12 di Febraio ha hauto la balia.* 28.- ico A dì 14 di Aprile, alla balia.• 13.- A dì 10 di Maggio, alla balia.• 18.- A dì 3 di Luglio, alla balia.• 18.- A dì 23 di Agosto, alla balia.• 19.- A dì p.° 7mbre.• 0.— — E più, a dì detto.• 8.- A dì 17 di 8bre, alla balia.* 6. 6.— A dì 22 detto, alla balia.• 13.14.— Ter un paio di calze, scarpe e cordella.• 3.19. — A dì 9 di Ombre, alla balia.• 14.- no A dì 2 di Xmbre la balia riuienò il putto, et hebbe per suo resto JP 18,.» 18. — — «£* 311. — 8 Memoria come sotto li 3 di Luglio 1010 ho mandato alla Livia ungari sedici, parto in contanti et parte in carne salata et grasso ; et sono a conto degl’interessi dell’anno venturo, oltre a quello che ho pa¬ gato a suo marito, come apparo per una sua ricevuta: vai. JP 160.- Mss. Gal., P. I, T. XVI, car. 6 1 . A dì 28 di Ombre 1610. D. a Ferina, moglie di Marco caligaro, ha hauto a dì detto £ 15, a conto dello spese de i putti di Tad- ìso deo: vai... E più, a dì 10 di Gennaio 1611 ha hauto 15.- » 26. — — XIII. BICORDI AUTOGRAFI. 199 E più, a dì 6 di Febraio. jp 12 ._ _ E più, a dì 19 di Marzo a suo padre.* 14.- E più, a dì 3 di Aprile a D. a Ferina.* 14.- A dì 25 d’Aprile, alla nona d’Antonio. * 14.- A dì 26 detto, alla madre della nona.* 10.- A dì 24 di Giugno, alla detta.» 19. 8.—

    Uiholamo di Taddeo Galletti 0 di I.IVIA Galilei. 200 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. Msa.Gftl., P. I, T. XVI, c*r. I6r. 1610 more fiorentino. Memoria come, sondo stato Mesa. Benedetto Landucci, mio cognato, pagato da me per lo spese fatte per ino, mia madre, tìgliuolo et servitore, sino al principio del presonto mese di Gennaio, hoggi a dì 7 di Gen¬ naio gli do a conto del presento mese *7 10 , et parto con il servitore per le Solve, villa del molto I. S. Filippo Salviati . . . <£* 70.- 20 Et alli 26 detto ritornai a Firenze. A dì 23 di Marzo partii por Roma, et detti a Mesa. Be¬ nedetto V 30.* 210.- A dì 30 detto detti a Andrea lettighiere lire 28. 10 in presto, acciò, tornato a Firenze, gli romlesse a Mesa. Benedetto.* 28.10. — A dì 15 di Luglio ò stato saldato il conto, et rosta pa¬ gato por tutto il dotto mese. A dì 21 di Settembre, pagati alla Virginia sua moglio V di 40 a conto dello spese dal p.° di Agosto sino so a tutto 8bre.» 280. — — Et più, lire 14 pagato per lui a conto del suo vino di Lucolena...• 14. — — Et più, per gabella de* bicchieri, per sua parto. ...» 3.- Et più, per gabella del vin bianco, sua parte.* 3.10. — A dì 20 di 9mbre, per resto e saldo do’ nostri conti correnti ha bauto.» 36.10. — e) ÀPPt’NTI DIVKR<»I. 1598-1607. Bibl. Comnnale di Vlconzti. Siisi» di mss. intitolata: Apografi dall'anno IMO al 1000. N. B. <7.5. /. S. Mag. co Sig. r Verdabio c,) , Piacerti, a V.S. di pagare per mio nome al Sig. r Galileo Galilei ducati 2.7, et poner questa partita, con V altre, a mio conto. Et Dio N. 8. la guardi. Di Pudoa, in S. u Giustina, li G di Magio 1598. IIie. mo C. di Portia. Doc. d, 2). 24. gli rendrtta — < l » Bkhnarui.no Yerdabio. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 201 Adì f> di Maggio 1598. Ho ricevuto io Galileo Galilei dal Mag. co S. Verdabio li Due. 1 27 sopra detti: et in fede ho fatto il presente ricevere di propria mano. Val.IG7 A tergo : io llioevore dal Conte Gerollimo do Porziggia do qui. Mss. fini., r. I, T. XVI. car. 73r.-74t. Nota delle robe mandato a Michel. 0 (1) Corde doz.° 25. ^28. - Liuti 8.» 98.- Scarpe paia 10.» 35. — — Magli 2, aste 4, palle 12.* 18.— — Palle di sapone n.° 24.* 9. 12. — Tela da coltra soriana.» 9. — — Calzette di seta dorò.» 30. — — Guanti paia 4.» 28. — — 20 Una cassa per le dette robe...» 6.— — Per il cambio de i fiorini 50 a i Capponi.» 21.— — «£* 282. 12. — Spese fatte in condur la cassa a Venezia, farla segare a misura, perchè era riuscita un poco alta, farla ammagliare, et nella bulletta del dazio.» 5. 8. — <£ 288.- Sono di più nella cassa 2 Dialoghi della musica antica C2) ; una lan¬ terna, un quadretto, 2 sciugatoi, una camicia e 7 paia di calcetti. ,i * MlCHKI.ANQKLO U At.tl.KI, (*> Cfr. pag. 170, nota 4. 202 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. Mbb. Gal., P. Ili, T. IV, car. 92(. Nota delli danari hauti dal Clar. mo S. Niccolò Contarmi per le 30 spese dell’ edilìzio (1) . A dì 12 di 7bro [1G01].^ 70 -- A di 29 detto.* 10 °*- Msr. «ni., P. I, T. XVI, cnr. 22/. A dì 11 d’Aprile 1G07. Fumo conti i piatti di peltro in n.° 154, et 2 mezoliere Lo pilllole di aloè dell’Aqquapendentc si fanno così. Pigliasi lib. 1 di aloe sucutrino, il quale si pesta et tainigia sottilmente, nettandolo bone da i sassetti et immondizie; di poi si inette in un piatto di terra, et vi si butta sopra libr. 1 Va di sugo di rose, et si inetto al solo, coprendolo con un tamigio rado, per lo mosche, et più volte il •io giorno si mescola insieme; et quando ò spesso come melami, si torna a buttarvi altrettanto sugo di rose, lasciandolo similmente al sole, coperto, ot mescolandolo più volto il giorno; di poi di nuovo si torna a buttarvi altro sugo di rose, et si seguita tanto che vi si siano but¬ tate libre 15 del detto sugo, lasciandolo sempre al solo; et in ultimo si lascia asciugare un poco più, sì che a pena scorra, et si ripone in una vescica di manzo, lasciandolo ancora seccar più; et dalla massa poi di volta in volta si piglia, quando si ha da usare, et si riduce in pillole. Mas. Gal.. P. 1, T. XVI. car. 72r. Due casse di cipresso. ^ 36. 8. — 50 Un tavolino in camera mia.• 5.- 2 carege di bulgaro.* 5.- A conto delle spalliere.» 20.- G6. 8.— '*) Cfr. One. XII, o la lettera di NjocolÒFabricio di Pkirkho a Gai.ii.ro sotto il di 2C gennaio 1C;U. *** In un cartellino incollato sulla cnr. 3l. del medesimo codice leggesi, di ulano sincrona: c A di li di Aprile 1007. » Fumo conti i piatti di poltro, che sono cento » cinquanta quattro, o die mozoliero ; in tutto » n.° lóti ». xm. RICORDI AUTOGRAFI. 203 Mas. fi al., P. HI. T. IV, cnr. 84f. Memoria di far fare una bilancia per V Ill. pe Sig. r0 Honricus Frijs I)ano, et consegnarla a Venezia in Fontego a i Sig. ri Girolamo et Cri¬ stoforo Otten. Scrivendo al S. llenrieo, indirizar lo lotterò a Hcsselagcr in fionia (1) . Mas Gal., P. Ili, T. IV. car. 22S t. S. Timoleonto du lteffugio Basile, Albero in Ollandia. In Olanda inviar le lettere all’ imbasciador di Francia, co In Parigi, di Iteffugio, consiglier del Ite. Guilielmus Boswell Anglus, e Collegio Iesu in Acadcmia Cantabrigionsi tJ) . Mss.fiftl., P. Ili, T. IV, car. 24fil. Domenico di Bastimi Nannei, a S. Felice a Fma. Manni Cozzi può informare. Con 7 in famiglia. Figli 5 : 3 masti e 2 femine. Agnolo di Bastiano Cardini, sta a Bipoli su quel di Camillo Rosati. Mss. Gal., P. IH, T. II, cnr. 12r. I Follini, morcadanti di drappi di seta etc. D. a Anzola. f) Sottoscrizioni in « At.iium Amicorum *. 1599-1629. Blbl. Vaticana. Co«l. 93R*> fl*icorw»i di Tommaso S «gcutt), p*if. 79. IIoc, Thoma Segete, observantiae et ainicitiae in te meao signuin ita perenne servabis, ut indelebili nota pectori meo virtus infixit tua. Doc. «). 64. Mrmori di far — <>) Lo tre ultimo parole cono scritto d'altra luauo. (i) Quoat’ indirizzo ò d’ altra muto. 204 XIII. RICORDI AUTOGRAFI. Galileus Galilei N. Fior."", Mat. rum in Academia Pat. M professo (sio), ni. pp. h scripsi Muraui, Idib. Augu¬ sti 1599. Riproduciamo quosU sottoscrizione dal lacrimila dato in luco da K. A. yak lUrraan nella memoria intito¬ lata: (frfrxigl crnrr rtrtameling Aliti Mwicortiw uil di XV!*’ *n XVII*’ fruii, o precisamente in una tavola elio sta tra lo png. 86 o 87 •l«'l .V««ui re /£•<•*» ran Werkr* eoe de IVoattcAuj/ >ij dir SederUtndiekt Letlcrkundc (e Lcidm, ?• deci, 4t* *tut, Ibrida, 1856. An. 1614. D. 19 Novembris. Ut nobili ac generoso studio 1). Ernesti Brinctii rem gratam fa- cerein, Galileus Galileius Florentinus manu propria scripsi Fioreutiao. Bibl. Ornndueale di Weimar. Collozione di Album, n.« 267. Album di dio. Fbdmico Waia, pag. 23. Accedens non conveniam // \ Galileus Galileus ni. p. a scripsi, die Martii 1629, / \ Florentiae. XIII. RICORDI AUTOGRAFI. 205 Appendice. * Astro logica nonnulla. * Il Tomo I, 1, doli» Par. VI dei Manoscritti G&liloiAni posseduti dalla Biblioteca Razionalo di Firenze ò formato da un fascio di cario, originariamente separate, elio contengono, di inano di Gai.il.ko, figure di natività, accompagnate por lo più dai relativi computi astrologici o qualche volta dall' interpretazione o pronostico: alla car. 421., elio Torso Galileo foce sorviro di guardia nllo altro, si leggo, pur di sua mano, a modo di titolo: « Astrologica nonnulla » (1> . Gli « Antrologica » si possono, conio i Ricordi autografi, considerare ossi pure documenti di relazioni elio Gamuo ebbe con diversi perso¬ naggi 1 di alcuno doi quali, anzi, non sappiamo da altro fonti; o perciò ci parvo opportuno damo qui un indico sommario Car.a o,o car. 28. * (Jaesaris Gali.* Ih 1G01, 14 Decembris, hor. 22 p.m. l8) ». Duo figuro della natività, computi o pronostico. . car.7. * 1564, 16 Februarii, li. 22. 30, 16 0> Februarii, h. 4 p. in., 3. 30 U ». Bue figuro della natività e com¬ puti. Cf car. 37 di questo inodosimo manoscritto. Car. 8 -10. Computi. Car. 11 13, o car. 15. « 1571, llllliì (1. 19, hor. 12. 13' p. 111. Io. Fr. Sag. (8) ». Figura della natività, computi o pronostico. Car. 14. « 1505, Marzii 22, li. 7.40 p. 111. » Figura della natività e computi. car i7. * 1573, Maii (1. 7, li. 19, in. 16, p. m., Florentie, V. G. (9> ». Due figure della natività e computi. Car. 2 o. * 1575, Decembris d. 18, h. 11, in. 25, ab occ., Florentie, M. G. ll0) ». Duo figuro della natività o computi. Car. 21-23. « 1601, die 18 Augusti, hor. 11. die 17 hor. 18 p. m. Liv. ci1> ». Figura dolla na¬ tività, computi o pronostico |M >. >*) Il Tomo I, 2. della Par. VI dol Mss. lìal. contiono un csomplare doll’opern: * 7n Olaudii Pto- I.KMAKT Quadri par tilum marrator tuttofi nominii, OCC », ediz. di Basilea, 1559, con postille elio dagli ordi¬ natori della Colleziono Galileiana, nell’ indico mano¬ scritto promesso ul Tomo, sono state attribuito a Gai.ii.ko. Tali postille però, poche del resto o insigni¬ ficanti, non melano in nessun modo la mano di ini. <*j Negli stessi Ricordi uultqrafi ò menzione più volto di lavori astrologici fatti da Gai.ti.ko por i suoi scolari in Padova; anzi una dolio partite di entrata dell’anno 1003 ò relativa procisanu-uto a figuro o computi astrologie!, elio ci sono rimasti nel mano¬ scritto di cui qui trattiamo : cfr. in questo Poc. XIII, K 1), Un. 109, 122, 127, 173-174 K dal Carteggio pure abbiamo provo elio Gai.ii.ko s'occupava, special- monte duranto il suo soggiorno in Padova, di coso astrologicho (cfr. Voi. X. nn.' 87, 180, 191, 901, 204, 2D5, 268; Voi. XI, n.« 888; Voi. XII, n.® 1808, occ.). ,8 > Noli tutto le carte che sono riunito nel Tomo di cui parliamo, sono autografe di Cammeo, ma vo ne sono di mano di Vincknzio Viyiani (car. 18, 19), e d'altro mani ancora (car. 80, 48, 44) Alcuno carte poi sono bianche, o contengono calcoli aritmetici, affatto insignificanti (car.'381., 89r.). Gl CrSAKK UAM.KTTI. “i Lo leggendo elio, qui o appresso, riproduciamo dagli autografi, sono scritte o in capo alla carta o nel quadrato elio ò nel mezzo dolla figura della na¬ tività; o indicano, in generalo, oltre il nomo dolla persona di cui si tratta, l’anno, mese, giorno e ora della nascita. '•> Prima aveva scritto 16 o poi corresse 6 in tr. Gl Cfr. Voi. XIX. Hoc. IV, ... 1 o 2). <*> Gio. Fkanomco Raorkdd. Cfr. Voi. X, n.» 87, lin. 9. Virginia Cammei, sorella di Uamleo. MlCUKI, ANGELO GaULKI. G" Livia, figlia di Gamlko. <**» Il pronostico è pubblicato nel Doc. XVI, 6,2). 206 XIII. BICORDI AUTOGRAFI. Car. 24-20. « 1600. N. d. 12 Augusti, h. 22 p. m. M) ». Duo figuro dolla natività, computi o pronostico ,l '. car. 27 . « 1573, 19 Iunii, li. 11.15 horol., hoc est 18 die, li. 18.49 p. m. Missa a cognato meo. lloris aequatis ad efemer. 19.21’». Figura delia natività o computi. car. 29 . « 1586, Marzii d. 28, $ veniente d. fr, bora 7.80’ horol., idest h. 13.42' a meridie. Comes Montalbanus* 3 ' ». Figura doli» natività o computi. Car. ai. « 1517, Martii d. 29, 11. 6. 55 J). ni., Neapoli ». Figura della natività o computi. Car. aa. « Eques Calefatus. 1546, die 5 luiii, hor. 5 11. 57' p. m., Pisis ». Figura dulia natività e computi. Car. 34. « 1603, Martii d. 14, 11. 9 p. m. MerlillUS ». Figura della natività 0 computi. car. 35 o 36 « Cristoforus Stettner. An. 1578, Octobris die 5, li. 4. 30 p. 111. ». Figura della natività, computi o pronostico. car. 87. «c 1564, 15 Februarii, li. 22 horol., a meridie vero 3.25 ». Figura dolla natività e computi. Noi quadrato che ènei messo della figura della natività si leggo, di mano di «aulico, « Georg. Giacoillius » ; nia si avverta cho « eOl’g. iacomius » è stato soggiunto alle iniziali « G G » con Inchiostro diverso. - ffr, qui addietro, car. 7. Car. 89i. - 1>G03, d. 26 7mbrÌB, li. 11 p. IH. Vixit d. 1, hor/ 5 ’ ». Figura dolla natività o computi. car. 40. « 1598, Novembri d.7, li. 2 ante ortura O, idest d. 6, li. 1G. 6' a meridie. Puella claudicans utririque ». Figura delia natività o computi. Car. 4i. « Filius I). ni Leonardi Donzellae. 1591, 9mbrÌ8 d. h. 16, h. 2 110 CtÌ8 8equentis, hoc est 11. 6. 40 p. 111. ». Figura della natività e computi. car. 46. « Tradita a I).° Maxim.’ 10 ^ 1567, Septembris, d. 3 22, li. 7. 30' post mediani noctom, d. 21, li. 19. 30 p. m. * Figura della natività o computi. Car. 47 . « Filius • Piscatoris, cum 16 annum absolvisset, et noctu ad eius domum servi quidam, dormiendi gratia, accederent, nolens ipse fores aperire conviciisque illoruui respondens, stans intus prope ostium, binis globis, tormento bellico explosis ab immano (sic) milite, fores primo, inde infelicis adolescenti pectus traiectum est, linde statini obiit. » « 1587, Ianuarii d. 20, b. 0. 34' p. tll., Patavii ». Figura della natività. "> Vihuinia, figlia di Camuso. s»i È lasciato in bianco il numoro dolio oro. Si 11 pronostico ò pubblicato nel Doc. XVI. tratta di un nipote di Camuso, figliuolo di Taddiso **' 2 1’ Oam.»ttt o di Livja Galilci: cfr. l’Alboro gouealo- 7 AI.KSPAXDHO MOSTALBAX. gico ft p Rff . 15 Jj quo; , to Volume. « » Cfr. in questo Doc. XIII, b, 1), lin. 178 174. <«> Cfr. in questo Doc. XIII, l, 1), liti. 173-174. 207 XIV. GALILEO NELL’ACCADEMIA DEI RIOOVRATI DI PADOVA. a ) Rjcgistbazionb del nome di Galileo tra quelli dei primi componenti l’Aooadkmia. Padova, 25 novembre 1599. Arch. della R. Accademia di Scienze, Lettore od Arti in Padova. Cod. A, intitolato: « Giornale (lolla Nobilissima Accademia do'Signori Ricorrati, nel qualo si contieno In rondntiono, prottotiono. impreso, leggi, parti, riunovat-ioni, lochi por lo rodutioni, et tutto lo coso più notabili ot assentitili della mcdosima, dal giorno dei suo nascimento, elio fu li 26 Novembre dell’anno 1599, sino li 8 Genaro 1694 inclusivo, noi qual giorno terminò il registro dol prestiate giornalo con una Accademia privata. Con li suoi indici copiosi di tutto Io coso. Por studio o diligenza usata dal Co. Scipion Zabarolia, Acad. eu *, car. 2 o 3r. Redutione privata. Si radunarono dunque a’di 25 di Novembre 1599 in Padova, nella bellissima casa dell’111." 10 Mons. r Abbate Federico Cornalo, gli infrascritti Signori, notati secondo quell’ordine col quale furono per questo edotto invitati: Il S. r Abbate Federico Cornaro ; Il S/ D. r Sforza Oddo; Il S. r Francesco Pigna ; Il S. r I). r et Cavai. Bartolomeo Salvatico Il S. r I). r et Cavai. Angelo Matteaccio ; io II S. r D. r et Cavai. Ottonello Descalzo ; Il S. r I). r Cesare Cremonino ; Il S. r Gio. Francesco Musato ; Il S. p D. r Ioachin Scaino ; Il S. r Cano. 0 et I). r Giovanni Belloni ; Il S. r Don Antonio Zonca D. p ; Il S. r D. r Marc’Antonio Othelio ; 11 S. r I). r Ottavio Livello ; Il S. r D. r Camillo Belloni ; Il S. r D. r Galileo Galilei ; 20 II S. r Comend. p Lorenzo Giustiniano Il S. r Abbate Marc’Antonio Cornaro Il S. r Nicolò Valierò ; Il S. r Pietro Valiero ; Il S. r D. r Oratio Gradignano ; H S. r Malatesta Baglioni ; Il S. r Tomaso Marcello ; Il S. r D. r Marino Marini ; Il S. r I). r Alessandro Campiglia ; Il S. p Umbertino Papafava; 80 II S. r Martino Sandeli. pjr le impreso private ilolli Accademici. 208 XIV. GALILEO NELL’ACCADEMIA DEI RICOVRÀTI DI PADOVA. I quali convenendo tutti di formar con ciotto 111."’° S. r un’Academia, furono all* bora dall*Ill. mo S. r Sforza Oddo, a cui era stato per avanti di ciò ragionato, proposto alcune bello et ben intese leggi, sotto le quali P Academia et gli Aca- demici tutti dovessero unitamente reggersi ; et essendo quelle et ben considerate, et, non obstanto due voti contrarii, da tutto il re to de gli Academici conosciute et approvato per buono, furono consegnate all' IH.® 0 S. r Abbate, il quale, con p auttorità di Prencipe et consenso di tutta l'Academia in pochissime cose dal primo suo essere mutatole, in quella forma da essere da ciascheduno inviolabil¬ mente osservato lo ridusse, nella quale bora nel suo particolar libro delle leggi dell’Academia si ritrovano .... 40 ò) Uffici tenuti da (tamleo nhu/Aocademia. 1) Incarico di provvedere alla forma degli scudi per le imprese private degli Accademici Padova, 23 maggio 1600. Cu Giovanni Iìklloni. •*> Skbastiaxo Montkcchi. 209 XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. a) Rei,azioni con Bknrdktto Landucci. 1) Procura di Galileo a Benedetto Landucci per la riscossione d’uno somma di danaro da Camillo Bianchini. Padova, 9 luglio 1599. Arch. Notarile in Padova. Atti del notaio Gasparo «aio. 1578-1G23. V. Voi. 178-181, N.» 2629 rosso, car. 56. — Originalo. In Christi nomino amen. Anno ab Ipsius saluberrimo natali labento millesimo quingentesimo nonagesimo nono, Indictione XII, die Vcneris nono Iulii, Paduae in communi iuris foro, ad canceilum mei notarii, penes officium Aquilae. Praesentibus Exc. in0 Iuris Doctore I). Io. Baptista do Bcnedictis, filio sp. D. Benedicti, et Magistro D. Francisco Ianuense quondam Magistri D. Io.Baptistae, ambobus testibus rogatis. Magn. cu “ et Exc. mu * D. (lalileus Ualileus, nobili» Florentinus, publicus Matbe- maticarum in Gymnasio Patavino professor, sponte, omni moliori modo etc., constituit solemniterque ordinavit eius veruni legitimiuiujuo procuratorem M. cum D. Benedictum Landutium, itidem nobilem Florentinum, eius sorrorium, absentem io tamquam praesentem, specialiter et expresse ad exigendum et recipiendum a D. Camillo Blanchino, Fiorentino, ducatos sexaginta, ad libras (I soklos 4 prò singulis ducatis, prò totideni por ipsum exactis de ratione ipsius M. cl et Exc. mi D. constituentis, vigore literarum cambii, prout apparet ex receptione maini ipsius debiloris, penes dictum M." m 1). procuratorem constitutum existente; et prò tali exactione, quatkenus voluntarie debitor ipse solyerc recusaverit, eum tunc medio iuris astringi faciet, et oli id ad coinparendum coram quibuscumque iudicibus, magistratibus et iusdicentibus, tam civitatis Fiorentine quam cuiuscumque alto- rius civitatis et loci, ubiquo locorum etc. Gaspar Caius notarius Pad. rogavit. 2) Prot'ura di Benedetto Landucci ad Agostino de’ Valeri per l’esazione di denaro in conto della dote assegnata da Galileo alla sorella Virginia. Firenze, 28 maggio 1605. Blbl. Naz. Flr. Mss. Gal., Muori Acquisti, n.® 3. — Originale autenticato. L’atto (lin. 1-59), senza la sot¬ toscrizione dui notaio o senza lo autenticazioni, è puro noi Protocolli dol notaio Marcantonio Barzotti, noll’Arcli. Notarile in Fironzo, Protoc. 8797, car. 1061.-108»*., n.« intorno 199. In Dei nomine amen. Anno Domini nostri Ihesu Christi ab Eius salutifera In- carnatione millesimoaexcentesinioquinto, Ind.° tertia, die vero vigesimaoctava Maii, XIX. « 210 XV. RELAZIONI DI HA LI LEO CON I COGNATI. Paulo quinto Summo Pontifico, et Ser. rao Ferdinando Medico 1 lotruriae Magno Duco dominante. Acta, facta et gesta fuere omnia infrascripta in civitato Flo- rontine, in apotoca niei Marcinntonii de Barzottis notarii puldici Fiorentini, pnsita in platea Castellano™»», populo Sancti Itomi»», prosentibus testilms ad infra- aoripta omnia liabitis atque rogati», videlicet : Octavio quondam Sor Ioliannis de Maccantibus, cive Fiorentino, et Niccolao fc>er lohannisinariao de Langeriis de Montopoli. Publice patcat prcsentis instrumenti seriem inspecturis, lecturis pariter et io audituris, qualiter in mei Marciantonii, notarii publici Fiorentini, testiumquo praemissorum presentia, presene et personaliter conati tu tua Spectabilis Bene- dictus quondam Lucao de Banduccis, civis Florentinus, aponte, non revocando aliquoa ab eo constitutos procuratore», et ornili meliori modo quo potuit et po- test, fecit, constituit atquo creavit eius verum, certum et indubitatuin procura¬ tore»^ et quicquid melius dici et excogitari potest, admodura Uov. dum Patrem Augustinum de Valeriis a Patavio, ordims Carmelitano™»», absentein sed tam- quam presentem, apecialitcr et expresse, nomine dicti constituentis et prò eo, ad peteiulum, exigendum et recipiendum, et so Imbuisse et recepisse confitondum, ab admodum Mag. co et Exc. 1 * Domino Galileo quondam Vincent» de Galileis, cive 20 Fiorentino, sororio dicti constituentis, onineni et quamcunquo summam pecunia- rum eidcm constituenti per dictuui D. Galileuw dobitam, occasione maxime dotis Dominae Virginia©, uxoria dicti constituentis et sororis carnali» dicti D. Galilei, vigore scriptae privatae eius manu subscrìptae cum subscriptionibus testium, seu quocunque alio titulo, modo, et quavis de re et causa ; et de oxactis et rcceptis finem et quietationem generalem et generalissima™, cum pacto perpetuo do ulte- rius non petendo, tam per receptionem manu propria dicti procuratoria quam per publicum instrumentum oonticiendum manu publici notarii, cum illis pactis et clausuiis in similibus apponi soliti» ; et caau quo dictus D. Galileus solvero distulerit yoI rocusaverit quod debetur dicto constituenti, mi comparendum coralli 30 quibusvis iudioibus ot iusdicentibus, taiu secularibus quam exclesiasticis, ad agen- dum, causandum et defondendum, et qunbcunquo potitiones dandum et centra so datis respondendum, excipiendum, protestanduin, et iurumentum in omnibus »3 quibus opus fucrit prestamlum in ammani et super ammani dicti constituentis, et in efiectum ad omnes et quoscunque alios actua iudiciarios, secundum loci consuctudinem ubi praedicta fieri contigerit, quos omnes actus hic prò appositis et descriptis haberi voluit et vult; item ad sequestraiidum et staggiendum quas- cunque summas et quantitates pecuniarum et rerum dicti debitoria noe non etiam ad instantiam cuiuslibet alterius sequestratas, existentes penes quascunquo per- Doc. XV, a, 2). 20. gauraliitiinam: cosi tafcV e duo gli originali del documento, omesso /aeitulum .— XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. 211 40 sonas ac mensas, et pcnes eas recomendandum, et sibi in solatii in (lari et adiudi- cari petendum; ac etiam ad supplicandum quoscunquc ius diccntes, etquodcunquo rescriptum, tam gratiae quam iustitiae, impetrandum, et illa et illud notifican- dum ; et generaliter ad faciendum, procurandum et exercendum in praedictis et circa praedicta omnia necessaria, requisita et quomodolibet opportuna, et quao Tacere potuisset et posset ipso constituens, si presene esset: dans atquc conce- dens dicto suo procuratori in praedictis plenum, liberum, generale ac speciale mandatum omnia et singula super praedictis faciendi; promictens ex nunc et solemni stipulatione conveniens mihi Marcoantonio praedicto et infrascripto, uti publicae personao recipienti et stipulanti prò omnibus et singulis quorum inte- 50 rest, intererit seu interesse poteri! quomodolibet in fnturum, se perpetuo firmum et rathum gratumque habiturum omne id totum et quicquid per dietimi suum procuratorem in praedictis actum factum ac gestum fuerit, et contra non dicero vei venire, per so voi alium, in iudicio vel extra, sub obligatione et liypoteca sui suorumque haeredum et bonorum omnium presentium et futurorum : relevans insuper et relovare volcns ipse constituens dictum suum procuratorem ab ornili onere satisdandi do iudicio sixti et indicatimi sol vendi, promisit ut supra, sub obligatione et liypoteca praedictis. De et super omnibus praedictis mandavit mihi Marcoantonio notarlo praedicto et infrascripto, quatenus de praedictis hoc publicum conlicerem instrumentum, unum seu plura. co Ego Marcusantonius Iosepli Barzottus I.U.D., nec non notarius publicus Flo- rentinus, de praedictis rogatus, in (idem subscripsi, meumque signum appositi. Collatum per ine Mannum Mannium notarium in Archivio pulii co Fiorentino, die 28 Mali 1605 Salutis. Marcus Antonine Asinine I. C. Conservato)- vidit. Nos Iulius Borghius, civis et notarius publicus Fiorentina s, ncc. non ad pre¬ sene Proconsul Collegii Iudicum et Noturiorum Givitatis Florentiae, universis et singulis ad quos prescntes advenei int fìdem facimus et aftestumur, suprascriptnm 1). Marchumantonium Bareoituum , qui de suprascripto mandati insilamento rogatus fuit , •fuisse et esse notarium publicum Florentinum , legalem et fìdedignum et in 70 nostro Collegio clcscriptum et matriculutum, eiusque scripturis, tam publicis quam privatis, semper adhibitam fuisse et in dies adhibcri plenum indubiamque fìdem , indifferenter ab omnibus in iudicio et extra, etc. In quorum fìdem has noslras fieri iussimus, nostrique soliti sigilli munUas. Batum Florentiae, ex nostro solito Palatio residentiae, die xxvm Maii 1605 . 212 XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. Posatoio al Saggio. 3) Elezione di Benedetto Landucd all'ufficio di Pesatore al Saggio, [Firenze,] 81 gennaio 1(109. Ardi, di Stato in Firenze. Archivio delle Tratte. Filta 322, car. 24 25. — Originale. Lo Informazioni sono di mano di Diri SriNi. l.e firmo del Granduca Fkkdixaslo I o di Lorknso Usiukardi sono autografo. Cfr. Voi. X, nu.' 205, 206, 207. Adì 2 di Gennaio 1606™. Supplicanti por uno de’ Pesatori al Saggio, in luogo d’Alessandro Fioravanti defunto. L’officio di questi Pesatori, che son due, consiste in pesare tulli gl'argenti che si ven¬ dono, dove et quando le parti si contentano : tengono un libro dove notano tutti gl' argenti che quivi si pesano, et quello che per tal peso ricevano. Ricerca persone da bene et as¬ sidue. Non hanno salario alcuno, ma participano fra tutti a dua per i *], di quelli emo¬ lumenti che ricevano per tali pesi, che poston ascendere circa a fior, sessanta per ciascuno di loro, et V altro 4* appartiene all’Arte del Cambio. Niccolò cV Alessandro Fioravanti. io fi figliuolo del defunto, il quale haveea esercitalo questo officio per circa anni 18.... Giovane da bene, c non ha moglie. Benedetto di Luca Lamiucci. Mezzano di cambi, huomo da bene, di ragioncvol intellig< nza, et ha moglie e figliuoli. Di V. A. S. ( D’altra mano:) Eleggeai Benvenuto (sic) Fer, di Luca I-anducoi. L.° VA' Ilnmiliu. 0 Ser. ro Geri Spini. 31 Gennaro 608. 4) Conti di Galileo con Benedillo Landucci. Cfr. in questo Voi. XIX, pag. 199*200. b) Relazioni con Taddeo Galletti. 1) Contratto matrimoniale di Livia Galilei con Taddeo Galletti. [Venezia,] 1° gennaio 1601. Aroh. di Stato in Venezia. Atti dei notai Fabrizio 6 Lucilio Heazian. 1601. P.«» Busta n.® 569, car. 104r.- 105f.«—Originale. Nell’Ardi, di Stato in Firenze, e procisamente nell’Archivio dulia famiglia Galilei, Filza .4, Inserto n.° 3 (non cartolato), so ne ha copia di mano sincrona, di fuori della quale, di mano di gai.ii.io, sì legge -. Scritture attenenti a Taddeo Galletti. Contratto ma¬ trimoniale. Cfr. Voi. X, n.° 174. Dio prima mensis Ianuarii 1601, in domo habitationÌB Clar. ml D. Philippi Contarono et fratrum, de confìnio Sanctoruin Gervaaii et Prothaaii. t'i Di stilo fiorentino. XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. 213 Col nome del Spirito Santo, a consolatone perpetua de l’una et l’altra parte, il M. 00 ot, Ecc.' u0 Sig. r Galileo, fò del M. 00 8ig. r Vicenzo Galilei, gontillmomo Fiorentino, habitante nella città di Padova, publico lettore di quel Studio, per nome suo et del M. 00 Sig. r Michel Angolo Galilei suo fratello, quale bora s’attrova nella Lituania, per quale promette de rato nelli proprii beni, et che fra termino de mesi cinque prossimi venturi ratificherà il presente contrato per detti nomi et sinutl et in solidum prometto che la Sig. r * Livia, loro commune sorella, controllerà logitimo matrimonio secondo il ritto di Santa Romana Chiosa 10 col M. on Sig. r Thadeo Gaietti, fu del M. 00 Sig. r Cesare, parimente gentillmomo Fiorentino; ot all’ incontro dotto Sig. r Thadeo promotto di accettare, sicomo al presente con il pre¬ sente contratto nuptiale accetta, essa Sig." Livia per sua legit.ima sposa, ot con essa pro¬ mette di controllerò matrimonio come di sopra. Por dote della quale M. cs Sig. ra Livia detto Eco. D, ° Sig. r Galileo per li nomi soprascritti et 8imul et insalidum promette et si obliga di dare et effettualmente consigliare ad esso M. 00 Sig. r Tliadeo ducati mille ottocento, da £ 6 sol. 4 per ducato, in questo modo : al dar della mano di essa Sig.™ Livia, ducati seicento in contadi, ot ducati dusonto in vestimenti per uso di detta sposa; et gl’altri ducati mille nel termino d’anni cinque prossimi, c* habbino a principiare al dar la mano, a ragion de ducati dusonto all’anno sino ad intiero pagamento: obligando per il pagamento 20 di detta doto nel modo detto di sopra esso Ecc. n ’° Sig. r Galileo se stesso et il soprascritto Sig. r Michel Angelo suo fratello simul et in solidum, con loro horedi et successori et qua¬ lunque loro beni, mobili et immobili, presenti et futuri, in qual bì voglia loco esistenti, in solenne forma; con dochiarationo et patto espresso elio mancando detti Sig. rl fratelli Galilei et cadauno di loro, in solidum obligati, di pagar la prima o secunda rata dalli detti ducati mille, et così le altre rate nlli tempi di sopra dechiariti, s’intendalo obligati in so¬ ndimi, et possino esser astretti dal detto Sig. r Thadeo al pagamento di tutta suina delli detti ducati mille o di quella quantità elio restassero a pagare, non ostante qual si voglia consuetudine o giuditio in contrario per speziai patto, senza il quale non sarebbe stato concluso il presento contrato ; accettando detto Sig. r Thadeo, et assecurando essa doto 30 nella quantità sopradetta sopra tutti et cadauni suoi beni, mobili ot immobili, presenti et futuri, in ogni loco esistenti, quali restino spezialniento obligati et hippothecati in ogni caso ad ossa doto: dovendo il presento contratto in tutte le sue parti bavero la sua debita essecutione et osservanza come so fosso fatto nella cittì», di Fiorenza, alle leggi et statuti della quale, in questa disponenti, esse parti si sottomettono, ed promettono il tutto invio¬ labilmente attenderò et osservare, sotto obligationo ecc. ( U. P. F. Cosmus Sausonettus do Castro S. 1 Marcelli Pistoriensis, ordinis S. 1 Francisci de Observantia. , I* Vi I I. w I M. eu * D. Cosmus Ferrini quondam M.°‘ 1). Ioannis nob. \ Florentinus. Doo. I. 1). 33. Dopo obi igali one, In luogo ili ecc.. la copia doll’Arcliivio di Stato in Firenze continua: de eì iteiei, de' loro beni, mobili et immobili, prrecnti et futuri. — 39. Dopo i nomi dei testimoni, la copia continua: Fnbritiui liencianui Venet%ie notariue, royalui in lolidum cum D. Lucilio fruire meo, etiam Veneto notorio, prneietn exemplum in jldem lulncripei — XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. 214 2) Procura di Galileo a Filippo Minacci per contrarre in sua nome un prestito in danaro. Padova, 12 gennaio 1608. Aroh. Notarile in Padova. Atti del notaio Camillo Fortewa. 1602 1606. Lib. 4.* N.» 4403. ear. 10. — Originale. 1602, Indictione 15, dio Sabbati 12 menata Ianuarii, Paduae in communi iuris pallatio, ad offitiuiu Equi. Il M. 00 et Eco.® 0 S. r Galileo Galilei, dottor et lettor nel Studio della M. ca città di Pad.*, liabitante nella contrà di S. Antonio Confessore, del q. ra M. co Sig. Vicenzo, Fiorentino, spontaneamente, per ogni miglior modo che far si può, ha conatituito et solennemente ordinato suo log.™ 0 procurato!* et comosso il M.®° Sig/ Filippo Menuzi in Fiorentino, al presente morente in Yenetia, ab onte et come presente, specialmente et espressamente a poter, in nome di esso Kcc. ,no constitnente, pigliar a cambio da qualsivoglia persona in Yenetia ducati cinquecento per qual si voglia fiera et piazza, sottoscrivere le lettere de cambio et accettarle, et csbì denari, io insieme con li interessi de’ cambi et de’ cambi, accettar in banco presente di Venetia et in cadami altro banco venturo, et di essi denari disponere, et girar partite così in accettar corno in scrivere, sì come occorrerà, una et più volte, fino alla estintione del detto cambio, et circa ciò far ogni sorte di ubligatione et tutto quello che in simil negotio si costuma; promettendo non contrut coire, sotto obligatione di sè stesso et tutti suoi beni proseliti et futuri. Testes, D. Orlandus a Carbuio ) et D. r Gaspar Donati j rogati 3) Lite intentata a Galileo per il pagamento della dote della sorella Livia. a.) Precètto di pagamento della dote. [Venezia,] 3 marzo 1605. Aroh. di Stato in Vonesla. Foroetier. Reg.* n.» 23. Sentono, car. GOr. - Originale. Die 3 dicti 411 . Mandato ctc. per quoscumquo ofiiciales etc. cogatur realiter et in lionis tantum M. cus D. Gallileus do Gallileis, filius M. ci D. Yincentii, nobilis Florentinus, ad G) Filippo Mi Necci. «*' Marzo 1605. XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. 215 (laminili et solvendum M. co D. Thadeo Galleti, q. M. cl D. Cesaris, similiter nobili Fiorentino, ducatos octingentos, ad libras G. 4 prò ducato, prò rathis decursis et non solatia, vigore instrumenti dotalis dici primi Ianuarii 1G01 0) a Nativitate, cellelmiti in actis Domini Fabritii Bcatiani notarii Veneti, tenoris et contili enti ae ut in eo, pones actorem supradictum existentis in publicam forni am : et hoc ad instantiam supradicti M.‘ :i D. Tliadei, iurantia supradictum lialiere quod bona io supradicti eius debitoris in sinistrum vadant vel ad praestandum otc. p) Procura di Galileo a Giovanfrancesco Sagredo nella causa con Taddeo Galletti. Padova, 3 aprilo 1G05. Aroh. Notarile In Padova. Atti dol notaio Antonio Cossaveccliin. 15G8-1G07. IV. 54, 55. Voi. HI. N.o 3401, car. 542. — Originale. 1G05, Indictione 3 a , Giovedì 3 Aprile, in Padova, in contracta di Vignali, nella casa superiore ot posteriore dell’ habitatione dell’ infrascritto Sig. r constituente, praesenti (,) Il M. co et Ecc. 1 " 0 Sig. Galileo Galilei, Fiorentino, leltor delle Matematiche nel fiorentissimo Studio di Pad. a , spontaneamente, con ogni miglior modo, fa, con- stituisce et ordina suo leg. mo comesso et procurator il Cl.° Sig. Gio. Francesco, figlio dell’ Ill. m0 Sig. Nicolò Sagredo, absento, et specialmente nella causa qual ha col Sig. Tadco Galletti suo cognato, a comparer avanti qualunque magistrato et giusdicente, corte, collegio et Ecc. mi Consegli della città di Ven. a , sì in agendo io come in deffendendo, et far tutte quelle cose che ne’ ineriti dello cause si ricer¬ cano, et a giurare nell’anima sua ogni lecito giuramento; item a trattar et con¬ cluder qualsivoglia accordo, et stipulare por suo nomo cadauna scrittura sì publica come privata, con tutto quelle clausule, conventioni, patti et obliglii che li paranno neccessari!, ancor che fossero tali che havessero bisogno di mandato più speciale et che Sua S. a Ecc. mn far potesse se personalmente fossi presente, con autorità di sostituire uno e più procuratori con la medesima ilimitata autorità, et quelli revocare, promettendo etc., sotto ohligatione etc. Testis D. Alexander Pier Santi q. Pier Santi, habitans in dieta domo. Testis D. Simeon q. D. Francisci do Gonellis Florentinus, habitans in eadem 20 domo. Cfr. Lioc. XV, b, 1). (i) i Domi ilei testinomi sono in fino dell' atto. 216 XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. Y) Procura di Galileo a Roberto (?> Bertucci nella cauta predetta . Padova, 18 aprile 1605. Arch. Notarile in Padova. Atti del notilo Antonio CossaTeechia, citati al Doe. p), car. 546.- Orlgiualo. 1605, Inilictione 3», die Mercarii 13 Aprili», Paduae in contraete Vinialium, in aedibus superioribua et anterioribus domi babitationis infraacrìpti M. cl D. constituontis, praeeentibus 0 Mag.* et Ex.* I). Galilei» Galilei Fiorentina, professor Mathematicae in fio¬ rentissimo Studio l'atavino, sponte, ornili etc., feeit, constituit, creavit aolemni- terquo ordinavit eius veruni, legitimuin, imlubitatuin, nuncium, comissum atque procuratorem M. cura 1). Rort.'" Bertuci Yenetum, absentem, et specialiter in causa quam liabet cuti» D. Tadeo Galloti eius sororio, tuo» ci vili ter quau» crini inaliter, ad comparendoli» coram quibuscunque Magnifici* iudicibua et iusdicentibus col- logiis et Excellentissimis consili is alrnao Vonetiurun» civitatis, ad ea omnia ge- io renda quao causanti» merita requirunt etc. Omissis etc. Test» 111.""“ I). loanne8 Aloysius Cornelio, l’ut.* Veneti». Test» I). lo. Baptista de Fano q. 1). Lauri, de contrada S. Antonii Confessori. 8) Comandamento a Taddeo Galletti di dentiere dalla lite contro Galileo. [FIrensc,] fi maggio 1605. Arch. di Stato In Flrenae. Magistrato Sapremo, Libro 95, car. 75r. - Ortgiualo, A dì 6 di Mag.* 1605. CornamiAmontu. Ber parto otc. “ si comanda a Taddeo di L). Cosare Galletti, cittadino Fiorentino, elio (taxista da ogni mo¬ lestia contro Moss. Galileo di Vinc.° Galilei parimente cittadino Fiorentino, ofra un mese mandi fede autentica nella Cancelleria di lor SS. CC. d ilaverò renun- tiato a ogni molestia et lite mossa contro detto Mesa. Galileo in tribunali fora¬ stici, alieni dalla iurisditione di S. A. S., et che, protendendo contro di lui, spe¬ rimenti lo sue ragioni davanti a giudici ot in tribunali competenti della profata S. A. S., sotto lo pene imposte dalli Statuti contro quelli elio declinano la iurisdi¬ tione etc. Mandantos etc. io Questo dì 7 detto, Antonio donzello reforì haver lasciato il sopradetto coman¬ damento, in copia, alla casa della solita liabitatione del sudetto Taddeo quando A in Firenze. Qui pure I nomi dei testimoni sono in fine '»• Ciò* dei «Signori Loogotenento e Consiglieri dell atto. nella Kepublica Fiorentina». XV. RELAZIONI DI GALILEO CON I COGNATI. 217 t) Proroga del comandamento fatto a Taddeo Galletti. [Firenze,] 3 giugno 1005. Arch. di Stato In Firenze. Magistrato Supremo, Libro 95, car. 88r. —Originale. Cfr. Voi. X, n.° 121. A (lì 3 di Giugno 1G05. Item, servatis otc., et ottenuto il partito etc., doliberorno, et deliberando, da giuste causo mossi, prorogorno il termine statuito a Taddeo di L). Cesare Gal¬ letti, cittadino Fiorentino, nel precetto fattoli sotto dì p.° di Maggio prossimo passato, per un mese dall’ ultimo giorno del termine predetto : et volsero, et cosi comandorno, che in questo termine prorogato detto Galletti mandi fede auten¬ tica nella Cancelleria di loro SS. CC. d’ bavere renuntiato a ogni molestia et lite mossa contro .Mesa. Galileo di Vinc.° Galilei, parimente cittadino Fiorentino, in tribunali forastieri non sottoposti alla iurisditione di S. A. Ser. ,na ; et che succes- io sivamente detto Mess. Galileo desista da ogni querela et molestia in qualunque modo mossa contro detto Galletti ne’ tribunali alieni dalla iurisditione di S. A. S., et nell’istesso tempo e termine mandi fede autentica d’bavere renuntiato; et ambi, dotto Taddeo Galletti et Mess. Galileo Galilei, sperimentino le loro ragioni ne’ fori et davanti a’ giudici competenti di S. A. S., sotto le pene imposte dalli Statuti del Comune di Firenze a quelli che declinano la iurisdittiono, etc. Man¬ dali tes etc. 4) Conti di Galileo con Taddeo Galletti. Cfr. in questo Voi. XIX, pag. 198-199. Doc. b, 3, >). 4. lotto Jì j).* di Maggio: cfr. il Doc. procedente, Ho. 1 o IL — Galletti et Galilei. XIX. 23 218 XVI. NASCITA DEI FIGLI DI GALILEO, o) Virginia. 1) Fede di battesimo. Padova, 21 agosto ItìOO. Areh. della Curia Vescovile di Padova. Volume ni*., aegnst 1 » «ni dorso « Tìalteilml. 1JV97-IRfir,. lì. 8 », o sull» coportA « I.iber Ut ptUn torno» Kedosiae 3. Laureutii ab anno 1587 usquo ad annulli 1006.1). », car. 48r. — Originale. A dì 21 Agosto. Virginia, figliuola de Marina da Veneti», nata di fornicatione li 18 detto (, \ fu battez¬ zata da ino Gio. Viola. Fu compare Mesa. Hortolamio do Sor Donieuego Mozo, Fiorentino, i'attor delti Claria&imi Couturi ni dal Scrigno. 2) Oroscopo fatto dal padre w. Blbl. No*. Flr. Mss. Gai., P. VI, T. I, 1, car. 24r. — Autografo. De moribua Virginiae. Primo, itaque licot § et 2) in locis separata, et nullo aspectu se intuentibua, discordiam quandam inter rationalem animae potentiam et sensitivam denotent, quia tamen § fortissimus ac in signo impe- rante, 2) ver0 debilis et in sigilo obediento, reperitur, dominabitur ratio affettibus. fi, 8Ìgnificator morum, cum fortissimus sit, eos rectos et severos pollicetur, licet veneno aliquo permixtos: quod tamen benefico feli- cis cum § validissimo aspectu -Jfc mitigatur et contemperatur, facit preterea laborum et molestiarum patientem, soli tari ani, taciturnam, io parcam, proprii comodi studiosam, zelotipam, in promissionibus tamen non semper veracem. Doo. XVI, a, 2). 4. Tra/orfi«ti'm«» A ne si legge, cancellato: }> «ero tìtbilU eit. — 7. Tr» fi ® eignijieator si legge, cancellato, et ; dopo tignijieator tra le lineo, ma cancellato, al leggo cum Qj., e in linea, sempre cancellato, et diej/oeitor, sopra cui, pur cancellato, si legge abeolutve. — **> Il momento preciso della nascita di Virginia è registrato di mano di Galuvo noi Mss Gal., Par. VI, Tomo I, 1, car. 25«r., cosi: « 1600 N. I). 12 Aug. H. 22 p. ni. ». **' 1 relativi calcoli astrologie! e la figura della natività si hanno, autografi di 6aui.ro, a car. 24-20 dol Tomo I, 1 della Par. VI dol Mss. Gal. XVI. NASCITA DEI FIGLI DI GALILEO. 219 O quoque fortunatus autoritatem quandam personae et morum superbiam tribuit. Spica ascendons loporem et religionem superaddit. LQJ quoque, humanum signurn, humanitatem et mausuetudinem praestat. De ingenio. Quo ad ingonium, § pluribus dignitatibus praedituB foelix pol- licetur iugeniuin; cimi autem 14 - associetur, sapientiam, prudentiam 20 et humanitatem auget. Il quoque foelix et potena memoriam praecipue adiuvat. Lnj quoque, cum pluribus planotis ascendons, ingenio iavet, et (n 6) LlVIA. 1) Fede di battesimo. Padova, 22 agosto 1001. Arch. della Curia Vescovile di Padova. Volume ms., Regnato sul dorso « Battesimi. 1007-1000. T). 3 », o sulla coperta « l.ihor Uaptuatoruui Kcclosiao S. Laurentii ab anno 1597 us.juo ad anuum 1G05. 1). », car. 68r. — Originale. A di 22 ditto. Livia Antonia, figlinola di Madonna Marina di Antonio Gamba et di. (sir), fu batezzata da me Clemonte Tiaato, rettor di S. Loronzo. Compare Mcsb. liartolomeo, Fio- rontin, fattor del Clarissimo S. r Francesco Contarini dal Scrigno. nacque adì Iti ditto 1*1. 2) Oroscopo fatto dal padre <•>. Bibl. Naz. Flr. Mss. Gal., P. VI, T. I, 1, car. 22r. — Autografo. Do moribus Liviae. § et 3> ìh signiB separatis, discordiam quandam inter rationa- lem anima© potentiam et sensuum. affectus denotanti verumtamen a g fortunatissimo adeo 3 debilis superatili’, ut omnino sensitiva pars rationali subiicietur. G* L’ autografo rimane cosi in tronco. <*) Il momento preciso della nascita di Livia ò registrato di mano di Gai.ii.ro nei -Mss. Gal., Par. VI, Tomo 1, 1, a car. 21r., cosi: « 1601. Dio 18 Aug. hor. 11 ». • s « I relativi calcoli nstrologìci o la figura dolla natività ai hanno, autografi di Galileo, a car. 21-23 dol Tomo 1, 1 dolla Par. VI dei Mss. Gal. 220 XVI. NASCITA DEI FIGLI DI GALILEO. g, moram hic Rignificator, cuin Qf. coniunctus benigno 9 ^ aspoctu partili, aftectus mores elegautea admoduin et laudabiles pol- licetur. Spica quoque, g precedens, leporem cum venustato et religione superaddit : erit itaque et ingenii acumino pollens, docili», cauta, cum io desteritate omnia faciens, poeta, matematica, sino doctore multa di- scens, bona imitatrix, cuivis tempori et personae so accomodami. Do ingenio. g , in angulo ascendane fortissimus, ingenium rebus omnibus ac- comodatum exibot; per accessum autem ad 9J. Bapientia augetur, pro- bitas, Bimplicitas, eruditio, prudentia, humanitae, autem $ alacritatem et gratiam sermonis et morum mirifico auget. Caveat tamen no, ob malum 3 positum, bene quidem intelligat, sed male deliberei, atque aliis bene, sibi vero pessime, consulat. 20 c) Vl»c*Ktzto. Fede di battesimo. [Padova,] 22 agosto 1606. Arch. della Curia Vedovilo di Padova. Volume m«„ segnato «ni dor«o * R»tt**imi di Senta Cate¬ rina. Principia 17 Ottobre 1680, «ino 80 Aprile 1607. S. Calterina, dal 1680 al 1622. j. >, car. 146r. — Originale. Adì 22 Agoato 1C>06. Vioonzo Andrea, fio do Madonna Marina figliuola de Andrea Gamba, padre incerto, fn battozato da me Ang. Parodio. Compare Mesa. Alessandro Pier Santi da fcionuia, co¬ mare Madonna Bartolommea Veronesi. nacquo adì 21 dotto. Doo. b. 2). 9. prectdnu Upore cum — JS 10 . Tra nvgti e Carco» s| legge, cancellato, quanto «egue : Spica 9 pmtrtdfn» vivi dicmdi iinyulaii maritato decenti*/ cum^un ni in atcìndtnto, Ifportm yuoqm et teli- yiontm jirautat. — 221 XVII. GALILEO NEI-L’ACCADEMIA DELLA CRUSCA. «) Ascrizione hi Galileo all’Accademia. [Firenze,] 17 agosto 1005. Arch. dell’Accademia della Orusoa in Firenze. Diario doll'Acc&domia della Crusca di Bastiano db’ Bossi, pag. 370. — Originalo. A dì 11 detto (,) . N.° 17 ll) . Fu proposto por la prima volta Galileo Galilei, Matematico di Padova.... rag. 372. A dì 13 d’Agosto, in tornata straordinaria. N.° 20. Fu proposto per la seconda volta Giovambatista Covoni e Galileo Galilei. A dì 17 detto. N.° 17. E fu per la terza volta proposto Galileo Galilei, e, mandato a partito, fu vinto. b ) Fartito dell’Accademia di fare orazione funerale a Galileo. [Firenze,] 2 giugno 1644. Aroh. citato. Diario dell'Accademia della Crusca di Benedetto Buommattki, car. 45r. et. — Originale Venerdì, a dì 2 Giugno 1644. Si vinse per partito di far orazion funerale agl’infrascritti quattro Accade¬ mici, e per ciò l’Arciconsolo ordinò a questi quattro la funzione: Per P innominato Galileo Galilei. Per P innominato Mons. Venturi. Per P Insaccato lS) . Pel Trito t%) . •*’ Agosto 1605. 1*1 Dorenzo Franceschi. Questo nuinoro indica quanti Accademici <*' Piero Bardi de’Conti di Yernio. erano presenti aliti tornata. 222 XVIII. IL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. a) L* Orali Azioni dxl Compasso Geometrico ri Militar r. 1) Licenza di stampa. a) Fede del Segretario ducale. (Venezia!, 26 giugno 1006. Areh. di Stnto in Venosla. Cupi del Consiglio de Dieci. Kotatorio. FU*» 17. 1606-7 (non cartolata).— Autografa. 1G06, a 26 Giugno. Faccio fede io Zuanne Meraveglia Secretano haver lutto un libro in foglio, scritto a mano, di c. w 43, intitolato Divisimi della Unni, senza nome dell’auttore: comincia: Venendo alla dichiarai ione particolare; tinisco: Quanta veramente 'e la distantia AB: noi qual quale (sic) non ho trovato cosa contraria alla S. to Fede Oat. ca , Prencipi et buoni costumi. Et con giuramento affermo che lo giudico degno di stampa. P) Relatione dei Riformatori dello Studio di Padova. (Venezia), 27 giugno 1006. Filza citata al Doc. a). — Autografe lo firma. 1G06, 27 Iunii, I. IV. Noi Reformatori del Studio di Padoa infrascritti facciamo fedo alle S. V. Ecc™, che per quello ci vieno attestato dal circospetto Secretano M. Zuanne Maravc- glia con giuramento, nel libro intitulato Division della linea , approbato dal R. Ho I\ Inquisitor di Padoa per esser stampato in quella città, ot veduto et letto da esso Secretano, non si trova cosa alcuna conlruria alla S. u Fede, Proncipi o buoni costumi, ot ò degno di stampa. I)at. li 26 Giugno 160G. Gir. mo Capello Rof. r Antonio Querim Rif. r Si lasci la deposizione alli Ecc. mi SS. r{ Capi. B alilo Ciera Sccr . 223 XVIII. IL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. Y> Terminaeione dei Capi del Comi gito dei Dieci. IVenezia], 27 giugno USUO. Aroh. di Stato In Venezia. Capi del Consiglio de Pieci. Notatorio 83, ear. 14of.— Autografo le Armo. Gli infrascritti Eco.® 1 S. rl Capi dell’111.® 0 Cons. di X, havuta fede dalli S. ri Re- formatori del Studio di Padoa, per relatione dalli dui a questo deputati, cioò il R.' 10 Inquisito!* di Padoa et circospetto Secretorio Zuanne Mar aveglia, con giura¬ mento, che nel libro intitolato Divistoti della linea, sonza nome dell’auttore, non si trova cosa contra lo leggi et ò degno di stampa, concedono licenza che possa essere stampato in Padoa. Rat. die 27 Iunii 1006. io Marco Contarini C. C. X. Francesco Morosini C. C. X. Zuane Moro (J. (J. X. 2) Spese per la stampa. Cfr. in quoBto Voi. XIX, pag. 107. &) IiA CONTROVERSIA CON BaLDASSAR CAPRA. 1) Attestazioni in favore di Galileo anteriori alla condanna del Capra. a) di Giacomo Alvine Cornaro. Padova, 6 aprilo 1607. Cfr. Voi. II, pag. 630. Cfr. Voi. li, pag. 518. p) di Pompeo di Panniceli!. Padova, 14 aprilo 1607. Y) di Giacomo Alvise Coniavo e di Francesco Contarini. Padova, ló aprile 1607. Cfr. Voi. II, pag. 528-529. Cfr. Voi. Il, pag. 544. 8) di Paolo Sarpi. Venezia, 20 aprile 1607. 224 XVIII. IL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. li) Condanna di Jìaldassar Capra . (Venezia,] 4 maggio UJ07. Aroh . di Stato In Venezia. Basta di bui. Intitolata mi domo: « N.» Itio). Lettere dalli Eco.*»* Sigr.r» Rifornì." titillo Studio ac-ritto ni diTorai lll.' 1 *» Il'-tlori ed altri. 1601 al 1622. informatoli dullo studio di i'uduva, u.» 04 * juou cartolata). Autografe lo Arnie. Cfir. Voi. 11, pag. ótW. 1C07, a 4 Maggio. Inteso dagl’ Eco.®' SS. ri Re formatori del Studio di Padoa infrascritti l’aggravio di 1). Galileo Galilei, lettor delle Mathematiche in esso Studio, che lmvendo lui giti molti anni public&to et poi dato alla stampa nella città predetta un suo libro intitulato 1’ Uso del Compasso Geometrico et Militate, questo «la Bai «lassar Capra Milanese gli sia stato in gran parte usurpato col mezzo di un altro libro, fatto da esso stampar in Padoa sotto titillo di Uso et fabrica del Circino Geometrico , transportandolo dal volgar al latino ; et intese ancora da lor SS. ria Ecc.® 8 di¬ verse considorationi et interrogationi e risposte passate sopra l’uno et l’altro di essi libri tra li predetti Galileo et Capra, con la presenza di persone molto io intelligenti «li tal professione; non havendo il Capra saputo risponder nò render buon conto sopra le molte cose per lui aggiunte nel predetto libro; restorno detti Eco.® 1 SS. ri molto ben certi, clic in effetto il predetto Capra havesse in gran parto trasportato il libro del predetto Galilei nel suo, per rincontro ancora elio ne è stato fatto : onde con tal opere si causeria non picciolo Beandolo, et intacco alla riputatone del medesimo Galilei, lettor in tal professione, et allo Studio ancora. Per ciò hanno tutti li antedetti Ecc.® 1 SS. ri concordemente terminato, che tutti li volumi del predetto libro stampato che si trovano tanto presso il sudetto Capra quanto presso al Tozzio '* libraro, in tutto al numero di 483, non possino esser venduti nè publieati, ma debbano esser immediatamente condotti 20 in questa Città et presentati innanzi le lor SS. ri ® Ecc.®®, per dover esser sop¬ pressi di quel modo elio loro parerà, riservandosi di proceder contra il stampator et libraio per le transgressioni che possono esser state commesse da loro contra la forma delle leggi in materia di stampe, ordinando cosi dover esser notato. D. Frane.® Molin Cav. r P. 1). Ilier.'" 0 Capello I). Ant.® Quarini Reform. rl del Studio di Pad.'* Doc. XVlII, b, 2). 11. Tra pro/euinne o «oh haveudo leggevi cancellato, inforno a ehr. — 12. buon ò scritto sopra ytiW, cancellato. — Tra roti(o a «opro logge*!. cancellato, eh». — 18. volumi è scritto sopra esemplari, elio non è cancellato. — 19. Tra 4 fi 9 e non logge*!, cancellato : «Vino condoni in qunla Citili et pretentati innanzi le lor SS. rU Eco.** per dover etitr tuppruei di quel modo che. — 22. Tra che e loro leg- geai, cancellato, alle. — «*> Pietro Paolo Tozzi. XVIII. IL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. 225 3) Attestazioni in favore di Galileo posteriori alla condanna del Capra. a) di Giacomo Dadovere, Padova, 13 maggio 1607. Cfr. Voi. II, pag. 634-535. Cfr. Voi. II, pag. 635. P) di Marcantonio Mate aleni. Padova, 24 maggio 1007. Cfr. Voi. II, pag. 634. Y) eli Qiovanfrancesco Sagredo. Venezia, 1° giugno 1007. 8) di Almorò Zane e Giovanni Malizierò, Padova, 23 giugno 1007. Cfr. Voi. II, pag. 600-001. 4) Licenza di stampa della Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra. a) Fede del Segretario ducale. Aroh. di Stato In Venezia. Capi dol Consiglio do Dieci. Natatorio. Filza 17. 1G0C-7 (non cartolata). — Autografa. 1607, a 29 Luglio. Faccio fede io Zuanne Meraveglia Secretano aver letto un libro di carte 34, intitolato Di/fesa di Galileo Galilei, nob. Fiorentino, lettore delle Mathematiche nello Studio di Fadoa: comincia: Io non credo, prudenti lettori; finisce: postime se offere amplius non audcant : nel quale affermo con iuramento che non ho trovato cosa giudicata da me contra la S. la Fede, Prencipi et buoni costumi, et lo giudico degno di stampa. P) Relazione dell’ inquisitore. Filza citata al Doc. a). — Autografa. A dì 29 Giugno 1607. Ho letto io infrascritto un libro in folio, scritto a mano, di car. 34, intitolato: Di/fesa di Galileo Galilei , nobile Fiorentino, lettore delle Mathematiche nello Studio 29 XTX 226 XVIII. IL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE. di Padoa ) etc. : comincia : Io non credo , prudenti lettori, che nessun altro etc. • finisse: post hac se offere amplius non audeant: nel quale non havendo osservato cosa alcuna contraria alla S. u Fede nè a boni costumi nè a Prencipi, lo giudiclio degno di stampa, etc. Fr. Io. 1 Do in.* Yignutius, Magister Inq. r lieneralis. Y) Relazione dei Riformatori dello Studio di Padova. Filza citata al Doti. al. — Autografo lo firma. 1607, 2 Aug. u . 111.'"' SS. ri Capi dell’ Ecc.™ Cons. 0 di X. Noi Itcfbrmatori del Studio di Padoa infrascritti facciamo fede allo YV. SS. Ecc. n, °, che per quello ci viene attestato dal R. 1*. Inquisitor et dal circospetto Secretario M. Zuanne Maraveglia con giuramento, nel libro intitolato I)efesa di Galileo Galilei, nobile Fiorentino, lettore, delle Mathematiche nello Studio di Padoa, da essi veduto et letto, non si trova cosa alcuna contraria alla S. u Fede Catli. c “, Prencipi o buoni costumi, et ò degna di stampa. Dat. li 30 Luglio 1607. Fr. co Molino K. P/ Itif.' Antonio Quirini Rif. r Si lascino le deposizioni a gli Fax."* 1 SS* Capi. Paulo Ciera Sec. rl ° i) Terminazione dei Capi del Con Aglio dei Dieci . [Veuezia,] 2 agouto I607i Cfr. Voi. II, pag. GOO <«>. <•’ fc perduto l’originalo, causa una lacuna nel 88 febbraio IGtXl (di itile vanito) va fino al princi- Notatorio dei Capi d«l Consiglio dai Dicci, cho dal pio del 1010. 227 XIX. LE SCOPERTE CELESTI E IL SIDEREI!S NUNOIUS. a) La rBKSKNTAZIONK DEI. CANNOCCHIALE ALLA SIGNORIA DI VENEZIA. Venezia. 24 agosto 1609. Cfr. in questo Voi. XIX, pag. 587-688. b) Il Stdrueus Nvkctus. 1) TÀccnta di stampa del Sidereus Nuncina. a) Relazione dei Riformatori dello Studio di Padova. [Venezia,] 26 febbraio 1610. Arota, di Stato In Venezia. Riformatori dolio Studio di Padova. Filza 285 (non cartolata). — Originalo Ill. mi et Ecc. ml SS. rl Capi dell’ E. C. X. Noi Reformatori dol Studio di Padova infrascritti facciamo fede allo SS. VV. Ecc. mo elio, per quello ci vieno attestato dal R. do P. Inqnisitor et dal circospetto Secretano del Senato Gio. Meraviglia con giuramento, nel libro intitolato Doctrina cathechismi Romani per I). Io. BeUarinutn non si trova alcuna cosa contraria alla Santa Pedo Cattolica, Principi e buoni costumi, et ò degno di stampa. Dat. li 26 Febbraio 1609 Itcm di un libro intitolato Astronomica denuntìatio ad astroloyos c,) etc. di D. Galileo Galilei. p) Terminazione dei Capi del Consiglio dei Dieci [Venezia,] 1® marzo 1610. Arch.di Stato In Venezia. Capi del Consiglio de Dieci. 1610-14. Notatorio84, car. 1. — Autografe le firmo. Gli Ecc» 1 Sig. rl Capi dell*Hl. roo Conseglio de X infrascritti, havuta fede dalli Sig. ri Riformatori del Studio di Padova, per relationo delli doi a ciò deputati, ciò ò del R. do Padro Inquisitor et del circospetto Secretorio del Senato Gio. Maravegia, con giuramento, elio nel libro intitolato Decisionum supremi Senatus regni Lu- DI stilo veneto. alla «uà opera, prima di adottare quello, in cui si **' Forse fu questo uno del titoli (cfr. Voi. Ili, fermò, di Sidereue Nunciue. Par. I, pag. 9, nota 2) ohe Galilzo pensava di dare Cfr. Voi. Ili, Par. I, psg. 58. 228 XIX. LE SCOPERTE CELESTI E IL SIDEREU8 NtTNClUS. silaniae di D. Antonio Gamma non rì trova cosa contra le leggi, et ò degno di stampa, concedono licentia che possi esser stampato in questa città. Et mede¬ simamente concedono licentia che possine) esser stampati in questa città il libro intitolato Doctrina catechismi Romani per I). Io. llellarinum etc. et il libro in¬ titolato Astronomica demmtiatio ad astrologos etc. di D. Galileo Galilei, revisti dalli sopradotti II.'* 0 Padre Inquisitor et circospetto Secretario del Senato Gio. Ma- io ravogia con giuramento. Dat. dio p.“ Martii 1610. Marc’Antonio Valaresso C. C. X. Nicolò Non C. C. X. Lunardo Moconigo C. C. X. 2) Per una ristampa della Dissertano cum Nnncio Sidereo di Giovanni Kcpler^. a) Relatione dei Riformatori dello Studio di Padova. (Venezia,) 22 giugno 1610. Aroh. di Stato In Venezia. Ms. citato ni Hoc. b, 1, a). — Originala. 111.»“ et Eco." 11 SS/ 1 Capi dell’ E. C. X. Noi Reformatori del Stadio di Padova infrascritti facciamo fedo alle SS. VV. Kcc. m * che, per quello ci viene attentato dal Rev. P. Inquisitor et dal circospetto Secrotario Gio. Meraviglia, nel libro intitolato Ioannis Kcpleri, Mal firmatici CaesarH ctc., et nel libro intitolato Ioanni s Mattonati Andalusii ctc., non si trova alcuna cosa contraria alla Santa Fede Christiana, Principi o buoni costumi, et è degno di stampa. Li 22 Giugno 1610. P) Terminazione dei Capi del Contiglio dei Dieci. (Venezia,! 6 luglio 1610. Arch. di Stato in Venezia. Ms. citato al Hoc. b. 1, 0), car. 22-28 — Autografo le firme. Gli Ecc. ml Sig. rl Capi dell’111.“° Cons. de X infrascritti, havuta fedo dalli Sig. rl Riffor- nmtori del Studio di Padova, per relationo del li doi a ciò deputati, ciò è del R.* 10 Padre Inquisitor et del circospetto Secretario del Senato Gio. Maravegia. con giuramento, che nel libro intitolato La quarta parto do i discorsi di Giulio Mazzarini, et nel libro intitolato Amaranto, favola del Sig. r (fio. Villa franchi, et in un altro intitolato Ioannis Baptistae ■Doo. XIX, b, 2, a). \ Tra Oaeearei eie. e et nel si legge, cancellato: Sa D Galileo Galilei. — ! Cfr ’ A ‘ FaT1R0 * r ' ,lnrno all" liettua di etnmpa delle Biblioteche, 1889, U » 18 e 10. giuguo e luglio, del Sidercu» Nunoiue di Galileo Galilei, nella Rivieta pag. 102-108. XIX. LE SCOPERTE CELESTI E IL SIDEHEUS NUNCIUS. 229 Lupi Gcmìniani etc., non bì trova cosa contro lo leggi, et sono degni di stampa, conce¬ dono licentia che possine esser stampati in quosta città. Et similmente concedono licentia cho possino esser stampati in quosta città li Bottoscritti libri, rovisti dalli sopradetti R. d0 Padre Inquisitor et circospetto Secretano dol Senato Gio. Maravogia, con giuramento. io II libro intitolato Ioannis Keplcri, Mathcmutici Cesarci etc., ot nel libro intitolato Ioannis Maldonati Andalusa etc. Dat. die 6 lulii 1610. Bortazzi Valier 0. C. X. Nicolò Bon 0. 0. X. Ó) I/aNAORAMMA PI SaTTIIINO TRICOnPORF.O. [16101 Palla pa(f. 15 doli' opuscolo Ioannis Kkpi.eki S. M C. M M.u* Matbomntlcl Dioptrieo teu Dcmonilralio eorum quae vi»ui et vitibilibut jiropter contendila, non ita pridem inventa, accidunl. Proemitene Epiitalae Oalilaei de Ut quae pati rditionem Nuncii Niderii ope pertpicilli, fioca et admiranda, in coelo drprehenta stinl, ecc. Augustno Vindolicnriim. typis Dnvidia Frnncl, M. I>CXI. Tempus est ut ad illa me vertam quae post editum Nuncium Sidorium, postque Dissertationom cuoi ilio meam, perspicilli liuius usu patefacta 8unt.. Annus iam vortitur, ex quo Galilaous Pragam perscripsit, so novi quid in coelo, praeter priora, deprehendiaso. Et ne existeret qui obtrectationis studio priorem se spectatorem ventitarct, spacium dedit propalandi quae quisque nova vidÌ8set; ipso interim suum inventura literis transpoaitis in lume moduni de- 8crip8Ìt: Stnaismrmilmcpoctalcumidunenugttauiras. Ex bisce literia ego versuin confoci aemibarbaruni, quem Narratiunculae moae io inscrui, mense Septembri aupcrioris anni: Salve umbistincum geminatum Martin proics Sed longissime a sontentia litcrarum aberravi: nihil illa do Marte continnbat. Et no te, lector, dotincam, en dotectionem gryphi, ipsiua Cablaci authorip verbis: « Di Firenze, li 13 di 9bro 1610. * Ma passando ad altro, già cho il S. Keplero ha in questa sua ultima » Narrazione stampate le lettere che io mandai a V. S. Ill. mR tra- » sposte ccc. • li) m Cfr. Voi. Ili, I’ar. I, pug, 186, Un. 18 e seg. I*) Cfr. Voi. X, u.° 4U7. 230 XX. GAI,ILEO E 1/ACCADEMIA DELIA DI PADOVA. rt) DbUBKRAZIONI DBLL’ÀeOADKMIA DI NOM1MABB L’N LBTTOHB DI MATEMATICA. Arch.del Comune di Padova, fili» 2681. — Originale. Car. U5r. 1600. Ind. 7*\ die Marti*, 12 mentii maii. Doppo fu per l'Ill. m# Sig. 1 * Principe proposta la parte del Matematico, del tenor infrascritto : Tenor partii. P ftr t„ Fu noll’eBBercitio di quest’Ill.” Accademia stabilito con il capitolo 27 por lo cause por il Matematico. | n osso espresse, che si dovesse condurre un soggetto di valore et principale nella pro¬ fessione dolio Matematiche, con quella previsione et obligo che per parto poi susseguente foBse stabilito. Car. 38r. 1609. Ind. 7, dio Dominici, 27 Xmbrifl. Doppo fu proposto, per eaaecution della parte presa et della loze della Accademia, bì 10 BSIg- ri por trovar deliba dar carico a duoi gentil’uomini di questo numero, che hahbinn cura et pensiero di il Matematico, trovar persona atta et sufficiente a legger la Matematica, et ben informati riferir la loro opinione; da esser poi deliberato quanto parerà alli Mag.' 1 Accademici, o maggior parto di ossi: et furono proposti Il Sig. r 0. Girolirao Salvadego.Pro 20. 10. D Sig. r 0. Ruberto Papafuva. Pro 16. 14. 11 Sig. r Ciro Enselmo. Pro 17. 13. Et restorno al detto carico l’lll. r * Sig. r# Cav. Salvatico et Pili/* Big/* Ciro Enselmo. b) Nomina dbl Matematico. Padova, 20 mano 1610. Ms. citato al Poc. 500.- n.o 195. Entrata occ. del 1612, car. Or. A Mess. Galileo Galilei Fiorentino, matematico primario nello Studio di Pisa, d. 1500, sono per resto della sua previsione io di 2 anni, havuti come al Quaderno di Cassa a 151.> 1500.- n.° 196. Entrata occ. dol 1613, car. 7t. ~ A Mess. Galileo Galilei Fiorentino, matematico primario nello Studio di Pisa e di S. A. S., d. 1000, per la sua provisiono di uno anno, havuti in più partite, conio al Quaderno di Cassa a 187 > 1000. —- u.o 198. Entrata o Uscita di Monsig.» Girolamo da Sommala, Provoditoro dello Studio di Pisa o di Firenze, por l’anno 1015, car. 7(. “ A Mess. Galileo Galilei Fiorentino, lettore primario della matematica nello Studio di Pisa, d. 006.4.13.4, sono parte della sua provisiono di un anno, che con d. 333. 2. 6. 8, che ha scontati nelle 2 terzerie, sono il complimento de’ d. 1000, havuti in più partite, Quaderno di Cassa a 28.d. 666. 4.13 4. <*» Cfr. Voi. X, n.o 401. XIX. Intendi, a car. 79. 39 234 XXT. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. n.® 109. Entrata eco. del 1616. cnr. 8r. A Mesa. Galileo Galilei Fiorentino, lettore primario delle 20 matematiche nello Studio di Pisa e primo matematico e filosofo di S. A. 8., d. 1000, per la sua provisione di un unno, hauti in più partito, Quaderno di Cussa a 71.d. 1000. n.° 200. Entrata ecc. dol 1617, car. 6f. ~ A Mesa. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A.S. o loà primo matematico nello Studio di Pisa, se bene per grada di S. A.S. non leggio, per la sua provisione di un unno, havuti come al Quaderno di Cassa a 104.> 1000. n.® 201. Entrata eoe. del 1613, car. 8r. A Mesa. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A.S. o primo matematico nello Studio di Pisa, se bene per gratia di S. A. S. di presente non leggio, per la sua previsione di uno ao anno, havuti in più partite, come al Quaderno ili l assa a MB > 1000. n.® 202. Entrata eco. del 1619, car. 7r. A Mesa. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S.A.S. e let¬ tore primario delle matematiche nello Studio di Pisa, su bene per grazia di S. A.S. di presente non leggie, per la sua provisiono di un anno, havuti in 2 partite, come al Quaderno di Gassa a 164 > 1000. n.® 203. Entrata ecc. del 1620, car. 7i. — A Mess. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. o rimo matematico nello Studio di Pisa, se bene di presente per grazia di S. A. S. non leggie, per la sua provisione di un anno, havuti in più partite, come al Quaderno di Cassa a 20.> 1000. n.° 204. Entrata ecc. dol 1621. car. 8r. j A Mesa. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. e let- 40 tore primario delle matematiche nello Studio di Pisa, per la sua provisione di uno anno, havuti in più partite, come al Qua¬ derno di Cassa a 72.> 1000. n.® 206. Entrata ecc. del 1622, car. 8r. ™ A Mess. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. e let¬ tore primario delle matematiche nello Studio di Pisa, per la sua XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 235 provisione di uno anno, havuti in più partite, come al Qua¬ derno di Cassa a 109.d n.° 206. Entrata occ. dol 1623, cnr. 7r. ~ A Mess. Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. e let¬ tore primario delle matematiche nello Studio di Pisa, per la sua provisione di un anno, havuti in più partite, come al Qua- 50 derno di Cassa a 143.> n.® 207. Entmta occ. del 1624, cnr. Or. ~ Al S. r Galileo Galilei Fiorentino, philosofo di S. A. S. et lettor primario della mathematica in detto Studio, d. 500, pa¬ gatoli a buon conto di d.‘ 1000 di sua provisione d’un anno, come al Quaderno di Cassa a 175.> n.® 208. Entrata ccc. dol 1625, cnr. 7 1 . ~ Al S. r Galileo Galilei, d. mille di moneta, pagato per la provisione dell’anno 1624, come philosofo di S. A. S. et lettor delle mathematiche dello Studio di Pisa, in 2 partite, come al Quaderno sudetto a 29.> Cioè d. 500 per resto della provisione dell’ unno sudetto 1624, co e d. 500 a conto della provisione dell’ anno 1625 presente. n.o 209. Entrata occ. dol 1626, car. 5t. ^ Al S. r Galileo Galilei Fiorentino, d. cinquecento, pagato con¬ tanti a dì 30 di Aprile 1626 per resto di sua provisiono dell’anno passato a tutto Ottobre 1625, come filosofo e primo lettore delle mathematiche, a detto Quaderno a 61.3 — A detto, d. mille di moneta pagato detto contanti in 2 par¬ tite, per provisione di quest’ anno, come filosofo e lettor come sopra, a detto Quaderno a 63. 3 n.° 210. Entrata ecc. dol 1627, car. Gr. ^ Al S. r Galileo Galilei Fiorentino, d. mille di moneta con¬ tanti a’ 12 d’Aprile 1G27, per salario d’un anno, come lettore O "0 primario delle matematiche, al Quaderno di Cassa 3 a 94 . . 1000 .- 1000 .- 500.- 1000 .- 500.- 1000 .- 1000.- 23G XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. n.° 211. Entrata eoo. ilei 1828, car. 6f. ~ Al S. r Galileo Galilei Fiorentino, d. mille di moneta con¬ tanti in 2 partite, per salario d’un anno a tutto Ottobre 1628, come lettor primario delle mathematiche, a detto Quaderno a b8. n.* 212. Entriti eco. di*1 1829. pajf. 8. ~ Al S. r Galileo Galilei, lettor de le mathematiche, d. millo di moneta, et altri d. cinquecento, pagato contanti in 2 partite, che li d. 1000 per la provisione polita d’un anno a tutto Otto¬ bre 1G29, o d. 500 per a buon conto dell’anno futuro da co¬ minciare il primo di Novembre 1629, per benigno rescritto di S. A. S. do’ 6 Novembre 1629, a detto Quaderno a 164. n.« 218. Entrati ecc. del 1680, [>ìr. 10. 80 — Al S. r Galileo Galilei Fiorentino, d. 500 moneta contanti, a dì 7 d’Agosto 1030, per salario di mesi 6 a tutto Ottobre 1030, elio per li altri mesi 6 fu pagato l’anno passato per grazia di S. A.S., come lettor primario dello mathematiche, e come a detto Qua¬ derno a 29. 11.0 214. Entriti ecc. dol 1681, puff. 7 Al S. r Galileo Galilei, philosopho di S. A. S. et lettor pri¬ mario delle mathematiche, d. mille, pagato lui detto di contanti, per salario d’un anno, come al Quaderno di Cassa 4° a 18 . . n.» 216. Entriti occ. del 1682, car. 8r. ^ Al* Ecc. mo S. r Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. et lettor primario delle mattematiehe nello Studio Pisano, j>er 90 sua provisione d’ un anno, havuti in pili partite, al Quaderno di Cassa a 46. n.° 216. Entrata ecc. dol 1638, car. 7 1 . ^ Al’ Ecc.™ 0 S. r Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. o lettore primario delle mattematiehe nello Studio Pisano, per sua provisene d’un anno, hauta al Quaderno di Cassa a 29. . ti.» 217. Entriti ecc. dol 1684, car. 7». Al S. r Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. et let¬ tore primario delle matematiche nello Studio risano, per suo provisione d’un anno, come al Quaderno di Cassa a 2G. . 1000 . 1500. 500. 1000. 1000. 1000. 1000. XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 287 n.° 218. Entrata ecc. dol 1685, car. 6<. AirKcc. mo S. r Galileo Galilei, lettore primario della mat- 125 tematica di S. A. S., por «ito previsione d’un anno, al Quaderno ìoo di Cassa a 26.d. 1000.- n » 219. Entrata ecc del 1088, car. 4r. ~ All’Ecc." 10 S. r Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. e lettore primario della mattematica, per saldo di suo previ¬ sione dell’anno passato, come al Quaderno di Cassa al.... > 500.- b ) Estratti pai Quaderni di Cassa (I '. Aroh. di Stato In Pisa. Università, u.» 229 (Quaderno di Cassa del Studio Pisano del R.“« Mous. Som- maj, n.° 8°). — Originalo. Car. 29. * Yhs. 1025. L’Ecc. rao Sig. ro Galileo Gali¬ lei, Fiorentino, filosofo di S. A. S. et lettore primario delle mat- tematiche nello Studio di Pisa, deve dare addì 26 di Aprilo d. mille di moneta, che tanti se li fanno pagare per la provi¬ sione di sei mesi del’anno pas- io sato, cioò di Maggio a tutto 8bre 1624, et per mesi sei del presente anno da 9bre 1624 a tutto Aprile stante, tutto per sua provisene per flette letture; pagatoli per mandato di n.° 131, Mess. Lionardo Colucci. Have- re detto questo in Quaderno a 30 1,1 Noi Quaderni di Cassa, temiti dol Bidello ge¬ neralo dolio Studio, si alternano, con vicendevoli richiami, in corto separato ma senza alcun ordino, i conti intestati ai singoli provvisionati o quelli inte¬ stati al Camarlingo della Dogana di Pisa; e gli uni o gli altri sono registrati in forma di debiti o cre¬ diti verso il Proveditoro generale dello Studio, per il qualo il Camarlingo dolla Dogana eseguiva i pa¬ gamenti. Noi abbiamo riprodotto (nella successione in cui s’incontrano nei Quaderni) por intero i conti intestati a Ualilko, o tutto lo partito dei conti del * 1625. L’Ecc. mo S. r Galileo di con¬ tro devo bavere d. 500 di mo¬ neta, che di tanta somma si fa creditore per storno della seconda partita di contro, at¬ teso che poi non li volse tirare, che si fa debitore L. a ° Colucci in Quaderno a 32.d. 500. Fi d. mille per tanti cho si mettano a Uscita a 7.> 1000. Camarlingo in cui GAr.ir.Ko è monzionato. in quest'ul¬ time non è quasi mai espresso che debitore, o cre¬ ditore, ò il Camarlingo, porchò ciò si logge intestato in capo alla carta da cui ò estrotta quella data par¬ tita: e però quando una partita, o quella di contro, non è esplicitamente intostata a GrAi.n.EO, si dove in¬ tenderò cho ò tolta dai conti del Camarlingo, o che questi è il debitore, nello colonne di sinistra,o il credi- toro, in quelle di destra. Il Camarlingo fu Cionahdo Coi.ucci dal 1625 al 1681, Aokki.io Dar. Bornio nel 1682, o Pietro Mazzki dal 1038 al 1612. d. 1500. d. 1000. 238 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI TISA. E adì 13 di Ottobre 1625, 30 d. cinquecento di moneta, tanti pagatoli per resto di sua pro¬ visione del presente anno da for¬ nire per tutto il presento mese; pagatoli per mandato di n.° 166, Mess. Lionardo Colucci. Havere detto, Quaderno a 82.d. 500. d. 1500. 30 Car. 32. E d. 500 per storno di si ni il partita de’13 d’Ottobre 1625, per non li ne haver pagati nel conto del S. r Galileo Galilei. Havere in Quaderno a 29. . . d. 500. iO Car 30. N.° 131. E adì detto (, \ d. mille di moneta per tanti pagati contanti, come per il mandato di n.° 131, arEcc. mo Sig/*Galileo Galilei. Dare detto in Quaderno a 29.d. 1000. X.® 165 (.vie). E addì 13 di Ottobre (, \ d. cinquecento di moneta per tanti pagati per resto, come per il mandato di n.° 165 («>), al’ Ecc. rno 8ig. r Ga¬ lileo Galilei. Dare detto, Qua¬ derno a 29.d. 500. Car. «o. E addì detto, fu addi 7 di Marzo ', d. cinquecento di mo¬ neta per tanti pagati, per man¬ dato ... ai’Ecc.® 0 Sig. r Galileo Galilei, che tanti sono per resto di sua provisione per tutto 8bre proximo passato, et pagatoli per lo8tesso mandato di n.° 163 (.vie) sotto dì 13 8bre 1625. Dare detto Quaderno a Gl.d. 500. r.o 1626. |4 > il numero del mandato fu cancellato. “> 28 aprile 1625. »*> 1625. XXI. GALILEO PKOVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 239 Car. Gl. L’Ecc. m0 Sig. r Galileo Gali¬ lei Fiorentino, filosofo di S. A. S. ot primo lettore dello matte- matiche dolio Studio di Pisa, deve dare addì 30 d’Aprile 1626 d. cinquecento di moneta per tanti pagatoli per resto di sua provisione del’ anno passato, fornito per tutto 8bro proximo co passato 1625, et pagatoli per mandato 166 sotto dì 13 8bro 1625, che detti denari non li riscosse sino addì 7 di Marzo, con il mandato sudetto, paga¬ toli Mess. Lionardo Colucci ca¬ marlingo. Havere detto, Qua¬ derno a 60.d. 500. 70 S. or Galileo Galilei di contro bavere d. 500 por tanti messili a Uscita a 5.d. 500. C&r. G2. N.° 126. E addì 10 detto (I, T d. cinquecento di moneta per tanti pagati, come per il man¬ dato di n.° 126, al’Ecc. mo Sig. r0 Galileo Galilei. Dare detto, Qua¬ derno a 63.d. 500. Car. 63. L’Ecc. mo Sig. r Gnlileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. et lettore primario della mattema- tica nello Studio di Pisa, devo dare addì 10 di Giugno 10 d. cin¬ quecento di moneta, pagatoli a 80 buon conto di sue provisione per detto cariche, per mandato di n.° 126, Mesa. Lionardo Co¬ lucci camarlingo. Havere detto in Quaderno a 62.d. 500. S. r Galileo Galilei di contro de’havere d. mille per tanti messili a Uscita a 5.d. 1000. t 1 ' Gingilo 1626. Gl 1626. XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PI8A. 240 E addì 81 eli Ottobre, d. cin¬ quecento di moneta, pagatoli come sopra per resto del pre¬ sento anno, fornito questo di 31 8bro detto, per mandato di oo n.° 155, Meas. Lionardo Colucci. IIavere detto, Quaderno a 64. d. 500. d. 1000. 100 Cur 94. L’Ecc. mo Sig. w Galileo Gali¬ lei Fiorentino, tilosofo di S.A.S. et lettore primario delle wat- tematiche nello Studio di Pisa, no deve dare addi 12 d’Aprile ;,J d. mille di moneta per tanti pa¬ gatoli per la sua solita previ¬ sione del presente anno da for¬ nire per tutto Ottobre proxiino per lo sudette cariche; paga¬ toli per mandato di n.° 115, Mess. Lionardo Colucci. Ilavere detto, Quaderno a 93.d. 1000. C*r. «4. 155. E addi detto 0 ’,d.cin¬ quecento di moneta, tanti pagati per resto, per mandato n.° 155, al’ Kcc. mo Sig." Gaiiloo Galilei. Dare detto, Quaderno a 63. . d. 500. C*r 98 N.° 115. E addi detto d.mille di moneta per tanti pa¬ gati, come per il mandato di n.° 115, al‘Ecc. roo Sig. r Galileo Galilei, filosofo di S. A. S. et let¬ tore primario delle mattemati- che nello Studio Pisano. Dare detto, Quaderno a 94.d. 1000. S. r Galileo Galilei di con¬ tro, bavere per tanti messili a Uscita a G.d. 1000. 81 ottobro 1626. «*> 12 aprile 1627. «»> 1627 . XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI l'ISA. 241 120 Car 128. * Yhs. 1628. M. a L’Ecc. mo Sig. re Galileo Gali- loi Fiorentino, filosofo diS. A. S. 130 et lettore primario delle mat- teniatiche nello Studio Pisano, deve dare addì26 Aprile d. mille di moneta, pagatoli d. 500 per la sua solita provisiono di mesi sei, forniti per tutto il presente mese, et altri d. 500 por la pro¬ visiono d’altri sei mesi, forniti per tutto 8bre proxi ino, pagatoli anticipatamenteper benigno re¬ no scritto di S. A. S., per mandato di n.° 117, Mess. Lionardo Co¬ lucci. Havere detto, Quaderno a 127.d. 1000. Car. 127. N.° 117. E adì 26 detto d. mille di moneta, tanti pagati, come per il mandato di n.° 117, arEcc. mo Sig. r Galileo Galilei, elio d. 500 sono per tutto Aprilo proximo, et d. 500 per tutto 8bro proximo 1628. Dare detto, Qua¬ derno a 128.d. 1000. * 1628. Havere per tanti messili a Uscita a (i.d. 1000. Car. 162. N.°79. Addì 4detto 00 , d. cin¬ quecento di moneta per tanti pagati per il mandato n.° 79 al’Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei, sono per sua previsione, per tutto il mese presente, di mesi ir,o sei forniti come detto. Dare detto, Quaderno a 164.d.v 500. ni Aprilo 1628. XIX. (*1 Aprile 1629. SI 242 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO 8TI DIO DI PISA. Car. 164. L’Eco.™ 0 Sig. M Galileo Gali¬ lei Fiorentino, filosofo primo di S. A.S. et primario lettore delle mattematiche nello Studio di Pisa, deve dare addi 4 d'Àprile 1629 d. cinquecento di moneta, tanti pagatoli per la sua solita provisione di mesi sei da for¬ ilo nire per tutto presente mese; pagatoli per mandato di n.° 79, MesB. Lionardo Colucci. Ilavere detto, Quaderno a 162.d. 500. E addì 17 di Ottobre, d. mille di moneta, tanti pagatoli, cioò d. 500 per resto di sua provi¬ sione del presente anno da for¬ nire per tutto il presente mese, et d. 500 moneta per a buon ito conto del’anno nuovo da co¬ minciare adì primo 9brc pro- ximo, tutto per gratia di S.A.S. de’6 Novembro 1629; come per mandato n.®161, Mesa. Lionardo Colucci. 1 lavere detto, Quader¬ no a 169.> 1000. Havere per tanti messili a Uscita ad.d. d. 1500. Car. 169. N.° 161. E addi detto'", d. mille di moneta, tanti pagati, come per il mandato di n.° 161, al’Ecc.™ 0 Sig.™ Galileo Galilei, che d. 500 sono per resto di sua provisiono del presente anno, fornito per tutto presente mese, et d. 500 per a buon conto dello venturo 1500 . <‘> 17 ottobre 1029. XXI. GALILEO rKOV VISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 243 da cominciare al primo 9brc 1629, per gratia di S. A. S. Dare detto, Quaderno a 164.d. 1000. Aroh. citato. Univocità n.» 230 (Quaderno di Cassa -1" del Studio di Pisa dol R.“® Mona. Souunaj, Prov. r « goneralo di dotto Studio). — Originalo. Car. 28. 190 Car. 29. L’Ecc. mo Sig. ro Galileo Gali¬ lei Fiorentino, lettore primario delle mattematiclie nello Stu¬ dio di Pisa et filosofo di S. A. S., 200 deve darò addì 7 d’Agosto c *\ per 6 mesi, d. cinque cento di moneta, tanti pagatoli per resto di sua provisene dol presente anno, cioò da Maggio a tutto Sbro, perchè l’altri sei mesi li fumo pagati anticipatamelo per gratia di S. A. S. sotto dì 17 di 8bre 1629, por mandato n.° 161 ; perciò so li paga solo li 210 detti d. 500 moneta. Pagato da Mess. Lionardo Colucci camar¬ lingo. Ilavcre detto, Quaderno, per mandato n.° 162, a 28. . . d. N.° 162. E addì 7 d’Agosto (,) , d. cinque cento di moneta per tanti pagati, per mandato n.° 162, al’Ecc. mo Sig. ro Galileo Galilei, per resto di sua provisione del presente anno Dare, Quaderno a 29.d. 500. Havere per tanti messili a Uscita a 10.d. 500. 500. Aroh. citato. Altro fascicolo, legato noi prodotto Quaderno di n.° 230. — Originalo. Car. 16. N.° 80. E adì 9 detto' 8 ’, d. 500 moneta, pagati per mandato n.° 80 al’Ecc. mo Sig. r Galileo Ga¬ lilei. Dare detto, Quaderno a 18. d. 500. Doo. XXI, 6). 180-1R7. al primo Obrt 1628 — m 1630. •*> 1030. <»> Aprile 1631. 241 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. Cnr. 18. * Yhs. 1631. M.» * 1631. L* Ecc. mo Sig. r Galileo Gali- Ilavero per tanti messili a 220 lei Fiorentino, filosofo di S. A. 8. Uscita a 7.d. 1000. et lettore primario delle mat- tematiche nello Studio di Pisa, deve dare a di 9 d'Aprilo d. cin¬ que cento di moneta per tanti pagatoli a buon conto di sua provisiono per dette cariche per mandato n.° 80, Mesa. Lionardo Colucci camarlingo, llavere det¬ to, Quaderno a 16.d. 600. 280 E addì... (,) di Ottobre, d. cinquecento di moneta, pagatoli por resto, per mandato n.° 122, Mesa. Lionardo Colucci. Ilavero detto, Quadorno a 19.> 500. 240 Cnr. 48. L’Ecc. mo Sig. r Galileo Gali¬ lei Fiorentino, filosofo di 8. A. 8. et lettore primario delle mat- tematiche nello Studio Pisano, deve dare addì 21 d’Aprile (4) 225. a buon di tua — Car. 10. N.° 122. E addì 8 Ottobre d. 600 moneta per tanti pagati j>or resto, per mandato di n.° 122, al’Eco.* 10 8ig. r Galileo Galilei. Dare detto, Quaderno a 18. . d. 500. Car. 45. N.° 84. Adi 21 detto 1 *’, d. 500 moneta, pagati per mandato n.° 84 al’ Ecc. mo Sig. r Gaìileo Ga¬ lilei. Dare detto, Quaderno a 46. d. 500. S. r Galileo di contro, bavere d. 1000 per Pinti messi a Uscita a 8.d. 1000. Lo scrivano lasciò in bianco il giorno, elio fu 1’ 8. Cfr. lin. 285. '*1 1681. '»> Aprila 1682. '*> 1682. XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 245 d. 500 moneta, pagatoli a buon 250 conto di sua provisione per dotto cariche, per mandato n.° 84, Mess. Aurelio Dal Borgo. Ilave- re detto, Quaderno a 45 ... d. 500. E addi 6 di 8bre 1632, d. 600 moneta, pagato per resto di sua provisione del presente anno per fornire per tutto presente mese ; pagatoli per mandato n.° 137, Mess. Aurelio Da Bor- °60 go. Ilavere detto, Quaderno a 48.> 500. d. 1000. Car. 18. N.° 137. Addì 6 Ottobre <*\ d. 500 di moneta, pagati, per mandato di n.° 137, per resto al’Ecc. ni ° Sig. ro Galileo Galilei. Dare detto, Quaderno a 46. . d. 500. Aroh. citato. Università, n.» 231 (Quacìorno di Cassa dol Studio Pisano del R.“® Mons.' Sonimaj, Prov.« gonoralo. 1632 e 83). — Originale. Car. 29. L’Ecc." 10 Sig. ro Galileo Gali¬ lei Fiorentino, filosofo di S. A. S. 270 et lettore primario delle mat- tematiche nello Studio Pisano, deve dare adì 18 Maggio (i) d. cinque cento di moneta per tanti pagatoli, a buon conto di sua provisione per dette cari¬ che, per mandato di n.° 7, il Sig. r Pietro Mazzei camarlingo di Dogana. Havere detto, in Quaderno a 30.d. 500. S. r Galileo havere per tanti messi a Uscita a 7.d. 1000. U) 1632. <» 1638. 246 XXL GALILEO PBOVVISIONATO DELLO STUDIO DI l'ISA. 280 E adì 12 Ottobre, d. cin¬ que cento di moneta, pagatoli per resto del presente anno da fornire per tutto 8bre proxirao presente; pagatoli per mandato n.° 43, Sig. r Pietro Mazzei ca¬ marlingo. Ilavere detto, Qua¬ derno a 31.. d. 500. d. 1000. Car. SO. N.° 7. E addì 18 detto 1 '», d. 2 oo cinque cento di moneta, pagati, come per il mandato n.° 7, al’Ecc. mo Sig. r Galileo Galilei. Dare detto, Quaderno a 29. . . d. 500. Car. 81. N.°43. E addì 12 di 8bre (, »,d. cinquecento di moneta, pagati por resto, per inandato di n.°43, arEcc. mo Sig. r Galileo Galilei. Dare detto, Quaderno a 29... d. 500. Ai eh. oilnto. I nivoraltà, n.« 232 (quaderne di faisa dolio Studio li.auo de) U «*• Mona." Saracinl, Prov.' generale. 1636-87).— Originalo. C&r. 28. Ecc. n,0 S. r Gal ileo Galilei Fio¬ rentino, lettore di... (.rie), devo dare adì 11 Maggio 1 ' 1 d.cinque¬ cento moneta, come per man¬ dati n.° 140. Quaderno a 2G. . d. 500. E adì 29 Ottobre, d. cinque¬ cento moneta per buo resto, come per mandati 222. Havere in Quaderno a 31.. 500. d. 1000. Car 26. N.° 140. E adì 11 detto'*», d. 500 iuonetaalS. r GalileoGalilei,a28. d. 500. S. r Galileo di contro, havere (<) per tanti messi a Tacita a 7 . . d. 1000. E d. 500 moneta per tanti messi a l'scita, per parte di sua proviBione del presente anno 1 "», a 8.> 500. E d. 500 ritornati in debito al S. r camarlingo Mazzei. Qua¬ derno a 36.> 500. d. 1000. 810 1,1 Maggio 1638. i* 1638. i» Maggio 1037. **’ La rifra 1000 ò cancellata. «■» 1687. «•' 1037. XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 247 % Car. 31. N.° 223 (sic). E adì 29 Otto¬ bre' 0 , A. 500 moneta al S. r Gali¬ leo Galilei, a 28.d. 500. Car. 86. E adì 31 di 8bre (t) , d. 500, so li tornano in debito per tanti pagati al S. r Galileo Galieli(sjc), 29 di 8bre, conio Quaderno a 31, de’ quali ne ya fatto creditore detto S. r Mazzoi nel conto nuovo 320 del 1638 .d. 500. Ardi, citato. Università, n.« 283 (Quaderno di Cassa del Studio Pisano del R.'“® Mona.” Sarncinl, Proved. r « generalo. 1687, 1088). — Originalo. Car. 1. Yhs. M. a M. D. C xxxvij. Ecc. m0 S. r Galileo Galilei Fiorentino, lettore di mattema- tica, deve dare adì 29 Ottobre d. cinquecento monota. Qua¬ derno a 2.d. 500. 1638. E adì 15 Aprile, d. cin- queceiì to monetà, corno per m an- dati 146. Quaderno a 27. . . . > 500. aso d. 1000. Yhs. M. a M. D. U xxxvij. S. r Gali eli (sic) di contro, bavere per tanti messi a Uscita a 4.d. 500. E per altra partita messa a detta Uscita a 4.> 500. d. 1000. Car. 2. Mess. Tietro Mazzei, camar¬ lingo di Dogana, deve bavere adì 29 di Ottobre (3) d. 500 mo¬ neta, pagati al S. p Galileo Ga- liei (sic). Quaderno al . . . . d. 500. Car. 27. Mandati 146. E adì 15 det¬ to tM , d. 500 moneta al S. r Ga¬ lileo Galilei. Quaderno al., d. 500. “> 1037. 1037. <*> 1637. <*> Aprilo 1638. 248 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. Areh. citato. UnlversitÀ, n* 28?» (Quaderno di Cairn dello Studio Pisano del R-"° Mona.'» Saracinl, Prov.« generalo 1688, 80). - Originale. 840 Car. 8 Eco. mo S. r Galileo Galilei Fiorentino, lettore ili mattema- tica, devo dare adì 15 Novem¬ bre i% \ d. cinquecento moneta per mandati n.° 5. Quadernoa2. d 500. 350 1639. E adì 1*2 Aprile, d. cin¬ quecento di moneta per man¬ dati 99. Quaderno a 24 ... . > 500. E adì 31 Ottobre, d. cinque¬ cento moneta. Quaderno a 29. > 500. d. 1500. Car 29. E d. 500 simili si stornano 360 come sopra come in questo a 3, nel conto del S. r Galileo Galilei a 3.d. 500. U*r. 2. ►F Yhs. M. a M. D. Cxxxviij. Mesa. Pietro Ma/.zei, Camar¬ lingo di Dogana, deve bavere.... Mandati n.° 5. E adì det¬ to 1 ”, d. 500 moneta al S. r Ga¬ lileo Galilei. Quaderno a 3 . . d. 500. S. r Galileo di contro, havere per tanti messi a Uscita a 4. . d. 1000. E deve havere d. 500, si stornano per non esser seguito il pagamento in q-uesto presente anno 1639. Fattone dobitore ca¬ marlingo Maz/.ei in Quaderno a 30 (sic) .d. 500. Et sono la partita ili contro del dì 31 di 8bro 1689.d. 1500. Pag xxllij. Mandati 99. E adì 12 det¬ to d. 500 moneta al S. p Ga¬ lileo Galilei. Quaderno a 3 . . d. 500. E a dì 31 detto 1 ”, d. 500 mo¬ neta al S. r Galileo Galilei, a 3. d. 500. Aroli. citato. Università. n.» 286 (Quaderno di Cuaa generalo. 1639, 40). — Originale. dello Studio Pisano del R.'»' 5 Mona." Saracinl, Prov." Pag. xxrij. N.°175, Eadì9detto (l, ,d.500 moneta al S. r Galileo Galilei. ,l > 15 novembre. «*» 1638. ,s ' Aprilo 1689. Ottobre 1039. Quaderno a 28.d. 500. <*> Intendi, come <1 logge nella partita che nel ms. precede: « do! SUO (dtl Camarlingo) crodito por non essere stati pagati nel conto di questo rumo». “I Maggio 1640. XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 249 Car. 28. lìce.'"» a* Galileo Galilei S.'Galileo di contro, bavere Fiorentino, lettore di matte- P el ' tanti me8si a Uscita a 7 ‘ d ' 10O °- matica, dove darò adì 9 Mag¬ gio (l) d. cinquecento moneta; 870 mandati 175 a 27.d. 500. E adì 28 Luglio, d. cinque¬ cento per resto; mandati n.° 232. Quaderno a 29.> 500. d. 1000. 380 Car. 80. Yhs. M. a M. D. C xxxx. S. r Galileo Galilei Fioren¬ tino, lettore di mattematica, devedaresino sotto dì 12 di 9bre 1639 d. cinquecento di moneta, hauti contanti come per man¬ dato di n.°... (#> de’31 di 8bre 1639 ; et sono per resto di sua pro¬ visione dell’anno passato. In 890 Quaderno a 29.d. 500. Pag-, xxix. N.° 232. E adì 28 Luglio <*>, d. 500 moneta al S. r Galileo Ga¬ lilei. Quaderno a 28.d. 500. E in dì 12 Olire 1639, al S. r Galileo Galilei. In Quaderno a 30.> 500. * Yhs. M* M. D. C xxxx. S. r Galileo di contro, bavere per tanti messi a Uscita a 7. d. 500. Aroh. citato. Università, n.® 237 (Quadoruo di Cassa dolio Studio Pisano del R.™ Mona»® Saracini, Prov.™ goueralo. 1640-1611). — Originalo. Car. 21. N.° 124. E adì 16 detto 14 ’, d. 500 moneta al S. r Galileo Galilei. Quaderno a 25.d. 500. <*> 1640 <*» 1G40 <*> Il numero è stato lasciato in Lianco. <*» Aprilo 1641. XLX. 32 250 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. Car. 26. Yhs. M. a M. D. Cxxxxi. Eco." 10 S. r Galileo Galilei di Firenze deve dare adì 1G Aprilo d. cinquecento moneta, per man¬ dati n.° 124. Quaderno a 21. . d. 500. E adì 31 Ottobre, d. cinque- 400 cento moneta per il semestre; mandati 3. Quaderno a 26 . . > 500. d. 1000. Car. 26. S. r Pietro Mozze! di contro deve dare d. 500 per tanti che non seguì il pagamento de’ 31 di 8bre, come dice di contro. . d. 500. 410 * Yhs. M» M.D. Cxxxxi. S. 1 ' Galileo di contro deve bavere per tanti messi a Uscita a 7.d. 500. E dove bavere d. 500, per tanti si fa creditore per non esser seguito il pagamento de’ 31 di 8bre, come di contro.> 500. d. 1000. Mess. Pietro Mazze!, camar¬ lingo di Dogana, deve bavere per le appiè partito, pagate nel tempo del nuovo Mon. r Gio. Vi¬ sconti, Proveditore generalo dello Studio .... N.°3. E adì 31 detto 1 '», d.500 moneta al S. r Galileo Galilei. Quaderno a 25.d. 500. Aroli. citato. Università, n.® 238 (Quaderno di Cassa dello Studio Pisano do) R. mo Mons. r ® Visconti, l’rov.»® generalo. 1641, 42). — Originalo. Car. 2. E adì 18 detto (,) , d. 500 moneta al S. r Galileo Galilei. Quaderno a 20 . d. 500.- N.° 65. E adì 18 det¬ to lS) , d. 194. 3. 2 moneta all’eredi del S. r Galileo Galilei. Quaderno a 20 . > 194. 3.2.— Ottobre 1641. '*> Dicembre 1641. < 3 > Gennaio 1642. XXI. GALILEO PltOVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 251 Car. 20. Ecc. mo S. r Galileo 420 Galilei Fiorentino, let¬ tore di mattematica, deve dare adì 18 Di¬ cembre (,) d. cinque¬ cento moneta per una polizza dell’anno pas¬ sato, come in Quader¬ no a 2.d. 500.- Eredi del S. r Gali¬ leo Galilei Fiorentino 430 cleono dare adì 18 di Gennaio (5) d. centono- vantaquattro, £ 3. 2. per sua provisione di mesi dua e giorni x, du¬ rante la sua vita, dal dì primo Novembre sino alli 10 di Gennaio; o per detto pagati al S. r Vino. 0 Galilei, suo 440 iigliolo, come per man¬ dati n.° G5. Quaderno a 2.d. 194. 3. 2. - S. r Galileo di contro deve bavere per tanti messi a Uscita a G. . . d. 500.- S. r Galileo di contro deve bavere per tanti messi a Uscita a 6. . . d. 194. 3. 2. c ) Estratti dat Giornata m Cassa. AroE. di Stato in Pisa. Università, n.® 234. Giornale, 1687-1038 ‘*1. — Originale. Car. lt Adì 29 Ottobre 1637. All’Ecc. mo S. r Gallileo Gallile!, lettore di mattematica . . . d. 500.- 1641. I*» 1642. |3 > Quosto manoscritto 6 stato orronoamonte in¬ titolato sulla coperta : « quaderno di Cassa dolio Stu¬ dio Pisano dol Rov.“° Mona.™ Aless." Minerbotti, Prov.»® generalo. 1637 © 1638 ». Tale titolo ò di mano moderna; e si avverta uou solo cho il ms. non è un Quurlcrno, ma un Giornale di Cassa, cho va dal 29 ot¬ tobre 1637 al 31 ottobre 1638. ma altresì elio Ai.es- sandro Minkkbktti fu Provcditoro dello Studio Pi¬ sano soltauto dal 1647 al 1652. Noppuro il repertorio delle partite, legato in principio dol ma., corrisponde ad osso, ma al Quaderno n.® 285, da noi citato nel Doc. t). 252 XXI. GALILEO PBOVVISIONATO DELLO STUDIO DI l’ISA. Car. 6r. Adì 15 detto 10 . Mandati 140. Al S. r Galileo Galilei, d. cinquecento moneta . d. 500.- Arch. citato. UnireraitA, n.» 345. Giornale. 1640-10i 1. — Ori*inala. Car. 4l. A dì 16 detto m . 124. Al S. r Galileo Galilei Fiorentino.d. 5C0._ Car. 7r. Conto di Mona.* 1 Gio. Visconti, Froveditore generale dello Studio. Adì 31 Ottobre 1641. io N.° 3. Al S. r Galileo Galilei, per il semestre.d. 500.- Aroh. citato. UniYorsità, n.» 340. GlornaU dal Prorlalonati dello Studio, 1041. — Originale. Car. 2‘<., non numerate. A dì 18 Dicembre 1641. All’Ecc. mo S. r Galileo Galilei, per una polizza dell’anno passato, d. 500.- A dì 18 detto Alli eredi del S. r Galileo Galilei, e per detto al S. r Vinc. 0 Ga¬ lilei suo figliuolo, d. 194. 3. 2. per sua provisione di mesi dua o giorni 10, durante la sua vita, dal dì primo Novembre sino alli x di Gennaio, ciò è.d. 194. 3. 2. ( *> d ) Mandati di vaga minto. Aroh. di Stato in Pisa. Uniroriità. Biute 32ó, 326. 337. — Originali. N.° 69. Addì 31 di Ottobre 1610. Molto M. Niccolò Colncci, camarlingo della Dogana di Fisa. Pagato al’Eoc.* 80 Sig. r * Galileo Galilei Fiorentino, matteraatico primario dello Studio di l isa et. di S. A. S., V 1 " cento trenta otto di moneta, che sono per mia proviaione dalli «*» Aprile 1638. <*» Aprilo 1641. Gennaio 1642. <*» Lo due partito del 18 dicembre 1641 e del 18 gennaio 1642 sono regiatrate anche a car. 2*<. o a car. 4»r. (non numerate! d’uu quaderno che è inse¬ rito noi Giornale di n * 346 e che è una minuta del Giornale ateaao. XXL GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 253 12 di 7ml>re inclusive proximo passato a tutto il presento giorno a ragione di V dl mille ranno di moneta; et per Sua Sig. rU pagato alli Mag. 0 ' SS. rl Cammillo et Giovanni Berzi- gliolli di Pisa, dandone debito a me come Provoditoro gonorale di detto Studio, piglian¬ done dalli sudetti la solita riceuta.V 138. Arturo d’Elci Prov. r# io Io Galileo Galilei ho ricevuto come sopra. Noi Cam. 0 e Gio. Bcrzighelli di qua aviamo riconto i supradetti d. 11 cento trentotto di moneta. A ino Valerio d’Appiuno contanti, per darne credito a esso Sig. r Galileo Galilei. Sd. 137 (sic). N.° 160. Addì 21 di Giugno 1011. Al Quaderno a 70. Molto Mag. 00 Moss. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato al 1 Eco. 0 Sig. ,# Galileo Galilei Fiorentino, matteniatico primario dello Studio di Pisa ot di S. A. S., V dl cinquecento di moneta, che tanti so li fanno pagare per a buon conto di sua provisiono por detto letture; ot per il detto pagherete al Sig. r0 Priore Pitti Fiorentino, dandone debito a nio come Proveditore generale di detto Studio, pigliandone 20 la riceuta. V 500. Arturo Dolci Prov. r# Io Galileo Galilei ho ricevuto quanto di sopra, e per me il Sig. r Prior Pitti. Io Priore Pitti ho ricevuto il pagamento di questo mandato di contanti, questo dì 21 di Giugno Itili. N.° 120. Addì 16 di Aprile 1612. Al Quaderno a<‘) Molto Mag.* 0 MesB. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato arEoc. mo Sig. rt Galileo Galilei Fiorentino, mattematico primario dello Studio di Pisa, V d ‘ mille di moneta, che tanti sono per la sua provisiono di uno anno, da for¬ ilo nirsi por tutto il presente mese di Aprilo, a ragione di Bcudi mille Panno, cioè V d ‘ cin¬ quecento sono per sei mesi forniti per tutto 8bre 1611, ot altri scudi cinquecento per l’altri sei mesi da fornirsi, come ò detto di sopra; et per ordine del detto Sig. ro Galileo, assente, per lui pagherete al Mag. c0 Sig. r0 Filippo Calippi, ministro de’ Sig. rl Salviati di banco in Pisa, et no darete debito a me come Proveditore generale di detto Studio, pi¬ gliandone da dotto Sig. r * Calippi la solita riceuta.V 1000. Arturo d’Elci rrov. r# Doo. rf). 03. per lui paghere al — (L II tunnoro doli a carta è stato lasciato in biauco. 254 XXI. GALILEO l'ROV VISIONATO DELLO STUDIO DI l’ISA. A di 18 di Aprilo 1012. Noi Rai vinti ete. di Pisa lmviatno ric.‘° li di là detti scudi mille di moneta. Contanti a me Raffaello JRuoellai.Scudi 1U00. 40 N.® 109. Addì SI di Ottobre 1612. Al Quaderno a 151. Molto Mag.*° Sig. r ® Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’Ecc. m0 Sig/* Gallilco Gallilci Fiorentino, primo matematico dolio Studio di Pisa, V dl cinquecento di moneta per resto di sua provisione del’anno fornito per tutto il presente giorno; et per il detto pagate alli molto Mag. r| Sig. r ‘ Salviali di banco in Pisa, dandone debito a me come Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la so¬ lita riceuta.V 500. Arturo Pelei Prov/® Noi Salviati etc. sudetti habbiamo rie.*® detti scudi cinquecento moneta. Contanti a me Paolo Vitali in virtù di questa. 50 N.® 132. Addì 80 d’Aprilo 1613. Al Qunderno a 187. Molto Mag.** Mesa. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogann di Pisa. Tugate al’ Eoe.*® Sig. r ® Galileo Galilei Fiorentino, mattematico primario dello Studio di Pisa et di 8. A. S., V d ‘ cinquecento di moneta, et sono per la sua solita provisionc di mesi sei, forniti per tutto il presente giorno; et per il detto pagherete alli molto Mag. el Sig. rl Salviati di banco in Pìhu, dandone debito a me come Provoditore generale di detto Studio, pigliandone dalli sudetti la solita riceuta. S7 500. Arturo d’Elci Prov. r ® Noi Salviati etc. sudetti habbiamo rie. 1 ® detti scudi cinquecento. Contanti a me Paolo Vitali.S.‘ 500. 60 N.° 201. Addì 31 di Ottobre 1613. Al Quaderno a 178. Molto Mag. c0 Mesa. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al'Ecc. mo Sig. r# Galileo Galilei Fiorentino, mattematico di S. A. S. ot lettoro primario delle mattematiche nello Studio Pisano, V dl cinquecento di moneta per resto di sua provisione di uno anno, fornito por tutto il preseute giorno; et per il detto paghe¬ rete alli molto Mag. ei Sig. ri Salviati etc. di banco in risa, dandone debito a me come Provoditore generale di dotto Studio, pigliandone dalli Budetti la solita riceuta. V 500. Arturo D’Elei Prov. r ® Noi Salviati etc. habbiamo ricouto li sopradetti scudi cinquecento moneta. Contanti a me Paolo Vitali in virtù di questo.. . . d. 1 600. — 44. iltlto pagar « alli — 48, 58, 68-69. C'vnlunlt « m« — XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 255 70 N.° 132. Addì 13 di Maggio 1615. Al Quaderno a 28. Molto Mag. 00 Mesa. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato al’ Ecc. m0 Sig. r ® Galiloo Galilei Fiorentino, mnttenmtico primario dello Studio di Pisa et primo mnttenmtico di S. A. S., V ai trecento trentatrò di moneta, lire dun, soldi sei et denari otto, che tanti se li pagano por resto della sua solita provisione per sei mesi forniti per tutto Aprile proximo passato, seudosi fatto creditore a suo conto di V dl cento sessantasei, lire 4.13.4 di moneta, per difalco di suo debito, come al Quaderno a 28; et per il detto pagherete al R. do Padre Don Benedetto Castelli monaco Casinense, dandone debito a me come Proveditore generale, pigliandone la solita riceuta. Se. 333 moneta, lire 2. 0. 8. 80 Girol. 0 da S. 1 * Prov. re gen. ,c Io D. Benedetto Castelli ho ricout.i gli retroscritti dinari. N.° 201. Addi 15 di Ottobre 1615. Al Quaderno a 28. Molto Mag. c0 Mesa. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato al’ Ecc. m0 Sig. r ® Galileo Galilei Fiorentino, mattenmtieo di S. A. S. et lettore primario della mattematica nello Studio di Pisa, ducati trecento trentatrò di moneta, lire dua et soldi sei, denari otto, per resto di sua provisione del presente anno da for¬ nire per il presento mese di Ottobre per detta lettura, havendo lassato d. 1 cento sessanta sei di moneta, lire 4.13.4, por sconto et resto delli V dl 500 accomodatoli sino l’anno passato per ordine di S. A. S. Però pagherete la sudettn somma di V dl 333, lire 2. 6.8, al 90 detto Sig. r# Galileo o vero acchi ordinerà Sua Signoria, dandone debito a me come Pro¬ veditore generalo di detto Studio, pigliandone la solita riceuta. Se. 333, lire 2. 6. 8. Girol. 0 da S. ,a Prov. r ® geli. 1 * Addì 28 di Ombre io Galileo Galilei sopradetto ho ricevuto li d. t! 333. 2. 6. 8. dal audetto Niccolò Colucci, e per lui dal Mag. co 8ig. Siinoue Grazini. N.° 135. Addì 20 di Aprile 1617. Al Quaderno a 104. Molto Mag. 00 Mes9. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’ Ecc. m0 Sig. r0 Galileo Galilei Fiorentino, lettore primario delle mattematrche nello Studio di Pisa et filosofo di S. A. S., sebene di prosente per gratia non legge, d. 1 500 100 di moneta per a buon conto di sua provisioni per tutto il presente mesed’Aprile. Pagate, 256 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. et datene debito n me come Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la solita ri- ceuta.d.‘ 500 Girol. 0 da 8. u Prov. r ° gen. u Io Galileo Galilei ho ricevuto i sopradetti d. 1 000 dui detto S. ca¬ marlingo. N.° 200. A’14 (l’Ottobre 1617. Al Quaderno a 104. Molto Mag. 00 Mesa. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate all’Eoo.** S.' ,r Galileo Galilei, primario mathematica di S. A. S."*, ducati cinque¬ cento di moneta di lire «ette per reato di mia provi«ione del presente anno sino a tutto 110 Ottobre 1617, dandone debito a aie come l*ro\editore generale di detto Studio, piglian¬ done la solita ricevuta. Girol. 0 da S. u Prov.” gen. 1 * E por me Galileo Galilei vi piacerà pagare li sopradetti d. li 500 a i SS. ri Iacopo, Francesco e Bartolomeo Ricciardi, perchè se n’ inten¬ dine con questi Niccolò Gianni e Lorenzo Segni, con i quali io me n’ intenderò. In Firenze, questo dì 14 di 8bre 1017. Io Galileo Galilei sopradetto m. pp. a Noi Ricciardi habbiamo hanto pagamento- del suddetto mandato dal sudetto camar- 120 lìngo, questo di 17 di Ottobre 1617, in Pisa. N.° 207. Addì p. -0 di Ottobre 1618. Quaderno n 148. Molto Mag.*° Mesa. Niccolò Colncci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al*Eco. -0 Sig. rt Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di 8. A. S. et primo raatte- matico nello Studio di Pisa, ducati cinquecento di moneta per resto di sua previsione per le sopra detto cariche del presente anno da fornire per tutto il presento mese, dandone debito a me come l’roveditore generalo di detto Studio, pigliandone la riceuta. . d. 1 600. Girol. 0 da S. u Prov." gen. 1 * Io Galileo Galilei ho ricevuto la sopradetta somma dal S. Iacopo Quaratesi e compagni, lungomari, questo di 3 di bòro. 109. provinone dal prtitnU — 114. laeopro — XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 257 180 N.° 131. Addì 2!) di Aprilo 1620. Al Quaderno a 29. Molto Mag. 00 Mesa. Niccolò Golucci, camarlingo della Dogana di risa. Pagato al 1 Eco.” 0 Sig/° Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. et primo lettore dello mattematiche nello Studio di Pisa, ducati cinquecento di moneta por a buon conto di sua provisione por detta lettura, dandone debito a me corno Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la solita riconta.d. 500. Girol. 0 da S. la Prov. re gen. 10 E por ino Galileo Galilei sarete contento di pagar la detta somma alli SS.' Iacopo, Francesco e Bartolomeo Iticciardi por intendersene con questi SS.' Niccolò Giani e Lorenzo Sogni. In Firenze, li 4 di Mag¬ lio gio 1620. Addì 13 di Maggio 1G20, in Pisa. Noi Tacopo. Francesco e Hart. 0 Ricciardi di Pisa abbiamo riconto dal Sig/ Niccolò Colucci li di là detti d.‘ trecento, anzi d.‘ cinquecento, di moneta, e datone credito a’SS/ 1 Gianni e Segni. Contanti a me Miclielang.' 0 Galeotti.d. u 500. N.° 194. A’7 il’Ottobre 1620, in Firenze. Al Quaderno a 29. Molto Mag. 00 Mess. Niccolò Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate nll’Ecc. 10 S. or Galileo Galilei Fiorentino, primario mathematico di S. A. S. ma , d.“ cinquecento di lire sette di moneta per resto di sua provisione, dandone debito a ino come Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la solita riconta. ISO Girol. 0 ila S. ,a Prov/ e gen. 10 E per me Galileo Galilei sopraeletto sarete contento pagar detta somma a i SS. 1 Iacopo, Francesco e Bart. 0 Ricciardi, acciò se ne in¬ tendine qua con i SS. 1 Niccolò Gianni e Lorenzo Segni, che saranno ben pagati. Galileo Galilei in. pp. a N.° 141. Addì 30 d’Aprilo 1621. Al Quaderno a 72. Molto Mag/ 0 Mess. Lionnrdo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’Ecc. n ‘° Sig/® Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. et primo lettore delle mattematiche nello Studio di Pisa, d.“ cinquecento ili monda, tanti per a buon conto C3 XIX. 258 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 16u (li sua provinone por detto cario he, dandone debito a me come Proveditore generale di dotto Studio, pigliandone )u solita riceuta.p u ^qq QiroL" da S. u Prov." gon. u E per ino Gallino Galilei vi piacerà pagare li retroscritti due. 1 ' 500 alli SS.' Iacopo, Francesco e Bartolomeo liiccianli, perchè se ne in¬ tendine con questi SS.' Niccolò Gianni e Lorenzo Sogni. Qui in Firenze, il dì 21 di Maggio 1621. Galileo Galilei in. pp. a N.° 104. Addi 16 di Ottobre 1621. Al Quaderno a 72, Molto Mag.®° Mose. Liouardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. 170 Pagato al’ Eoo.** Sig. r ® Galileo Galilei Fiorentino, filosofo dello A. S. et primo matte- malico dello Studio Pisano, ducati cinquecento di moneta, tanti per resto di sua provisiono per dette cariche, tutto del presento anno da fornire por tutto il presente meno. Pagaie, et datene debito a me come Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la ricenta. I). u 500. Girol.* da S. ,a Prov.” gen. 1 * Li aopradetti danari gli pagherete per me a cotesti SS.' Iacopo, Francesco e Bartol.° Ricciardi a nome di questi SS.' Niccolò Gianni e Lorenzo Segni. Mi è stata pagata la valuta questo dì 1G d’Ottobre 1621, in Firenze. 180 Galileo Galilei m. pp. a Et addì 20 detto, in Pisa, noi Iacopo, Francesco e llart. 0 Ricciardi di Pisa abbiamo riconto dal Sig. r * l.ionardo Colucci li radetti d.‘ cinquecento di moneta per questo mandato, e datone credito a’SS/' Gianni u Segni di Firenze. Contanti u aie Miohelaug.'“ Galeotti. D.‘ 500. N-° 78. Addì 15 di Ferraio 1622. Al Quaderno n 143. Molto Mag.*° Mesa. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’Ecc.“ 0 Sig. r# Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di 8. A. 8. et primo lettore dello nmttenmticlic nello Studio di Pisa, scudi cinquecento di moneta, tanti per a buon conto di sua proviBÌone per lo soprndctte cariche. Pagato, et datene debito a me come Pro- 1UO veditore generale di detto Studio, pigliandone la .solita riconta.S. 500. Girol.® da S. u Prov. r# gen.' 0 J64. lacopro — 172. dette conca —- XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 259 E per me Galileo Galilei sopradetto sarete contento pagargli costì all i SS. ri Iacopo, Francesco e Bart. 0 Ricciardi, acciò se n’ intendino qua con li SS. ri Niccolo Giani e Lorenzo Segni, ritenendovi però ap¬ presso di voi s. cinquanta per pagarne 8 il mese a Messer Lorio Lori per la spesa di Vinc. 0 mio figliuolo. N.° 108. A’2 di Ottobre 1623. Al Quaderno a 143. Molto Mag. c0 Mosb. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato all’ Ecc. m0 S. or Galileo Galilei Fiorentino, filosofo o mathematico primario di 200 S. A. S., ducati cinquecento di moneta por resto di sua provisiono del proselito anno, che finisce per tutto il presento moso d’Ottobre l(123 v dandone debito a ine come Proveditore generalo di dotto Studio, pigliandone la solita ricevuta. In Fir.*, detto dì et anno. Girol." da S. ia Prov. r ° gcn.'" E per me Galileo sopradetto sarete contento pagare li detti d.*' 500 a i SS.' Iacopo, Francesco e Bart.° Ricciardi, riserbandovi quello havessi pagato per li alimenti di Vinc. 0 mio figliuolo costì al Sig. Lorio Lorii; li quali SS.' Ricciardi se ne devino intender qua con li SS. ri Nic¬ colò Gianni e Lorenzo Segni. Io Galileo Gal ile (sic) m. pp. 210 Addì 3 di Novembre 1623, in Pisa. Noi Iacopo. Francesco e liart. 0 Ricciardi abbiamo rie. 0 dal S. rB Lionardo Colucci d. M quat¬ trocento settanta di moneta per conto come sopra. Contanti a me Iacopo Vitali del Car¬ retto . d.“ 470 — E a dì .. . (l ) d." trenta contanti a Messer Lionardo Colucci, e sono per tanti pagati a Lorio Lori d’ ordiue sudetto.d. 30 — ducati 500 — N.° 76. Addì 16 di Marzo 1623. Al Quaderno a 175. Molto Mag. 00 Mess. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato al’ Ecc. mo Sig. r# Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. ot lettore prima- 220 rio delle mnttomatiche nello Studio di Pisa, scudi cinquecento di moneta, tanti per a buon 198 . Iacopro — 215 . pagati e Lorio — U) La data è stata lasciata in bianco. 260 XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. conto di sua provisione por 1«* radette cariche, et datene debito a me come Frovcditore generalo di detto Studio, pigliandone Ih riceuta «olita. b. 500. Ci irci. 0 da S.‘* Prov. r * gen. 1 ' ITo ricevuto io Galileo Galilei sopradetto questo dì detto la detta somma : et in tede ho fatta la presente ric. u m. pp. a N.” 106. Addi 13 di Ottobre 1625. Al Quaderno a 61. Molto Mag.°° Mesi. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’Eco."* 0 Sig. r# Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di 8. A. S. et lettore primario delle mattematicho nello Studio Pisano, ad. cinquecento di moneta, tanti por reato di sua 230 provisiono del presente anno da fornire per tutto il presente muse. Pagate, et datene debito a me corno Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la aolita riceuta. Sd. 500. Oirol.* da S. u Prov. r * gon. 1 * E per me Galileo Galilei sopradetto pagherete dotti ducati 500 al S. Tiberio Brandi, camarlingo di Livorno, pigliandone ricevuta, per intendersene qua eoi Clar. mo Sig. r Antonio Carnesecchi. E però scrissi di mano propria, questo dì 7 di Febbraio 1025, in Firenze. N.° 155. Addi 31 di Ottobre 1626. Al Quaderno a 63» Molto Mag* Mona. Lionardo Colucoi, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al*Eoo." 0 Sig. r * Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A.S. et primario lettore 240 dello mattematicho dello Studio di Pisa, ad. cinquecento di moneta, tanti sono per reato di sua provisiono per dotto cariche del presente anno, fornito per tutto il presento giorno. Pagate, et datene debito a me come Pro vedi toro generale di detto Studio, pigliandone la solita ricevuta...Sd. 500. Girol. 0 da S. u Prov. r * gen. u Io Galileo sopradetto ho ricevuto i sopradotti danari. N.° H5. Addi 12 di Aprilo 1627. Al Quaderno a 94. Molto Mag/ 0 Mesa. Lionardo Golucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’ Ecc. roo Sig." Galileo Galei (sir) Fiorentino, filosofo di S. A. S. et lettore primario dello mattematicho nello Studio di Pisa, durati mille di moneta, tanti sono per 2;>0 la eua solita provisione del presente anno, per dette cariche, da fornire per tutto 8bro 283 . paghtrtii ditti — XXI. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 2G1 proximo 1627, che d. 600 so li pagano anticipati per gratin di S. A. S. Pagate, et datene debito a me corno Froveditoro generale di detto Studio, pigliandone riconta. . . d. 1000. Girol.® da S. u Prov. P0 gen. 10 E per me Galileo sopradetto gli pagherete a voi medesimo, por intendervone col Glar. mo S. Depositario Cacciai, ad instanza del quale ve gli fo pagare, mandandomene ricevuta o copia di partita che di¬ chiari havergli ricevuti per detto da me. Di Firenze, il dì 20 d’Aprile. Io Galileo Galilei scrissi ni. pp. a 260 N.° 117. Addì 26 di Aprilo 1628. Al Quaderno a 12G. Mollo Mag. 00 Mesa. Liouardo Colacci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’ Eccell."' 0 Sig. r ® Galileo Galilei Fiorentino, fdosofo di S. A. Ser. ma et, lettore primario dello mnttematicho nollo Studio di Pisa, sd. mille di moneta, tanti per la sua solita provisiono del presento anno da fornire per tutto 8bro proximo 1628 per dette sua cariche, ohe sd. 500 moneta se li pagano anticipatamente, cioè da Maggio proximo a t utto 8bre 1628, per gratia di S. A. S., come per benigno rescritto del di 12 Marzo proximo passato. Pagate, et, datene debito a me corno Proveditore generale di detto Studio, piglian¬ done la solita ricouta.sd. 1000. Girol. 0 da S. ,a Prov. r ® gen. 10 270 E per me Galileo sopradotto gli pagherete a voi medesimo per la Depositeria Generale di S. A. S., con farne ricevuta che dichiari che tal somma vi fo pagare per intendermene qua con il Clar. mo Sig. r Alesa. ro Caccini, Depositario Generale. Galileo Galilei m. pp. a N.° 79. Addì 4 d’Aprile 1629. Al Quaderno a 164. Molto Mag.®° Mess. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di risa. Pagate al' Ecc." 10 Sig. r Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S. ot lettore prima¬ rio delle inaltomaticho nello Studio di Pisa, d. cinquecento di moneta, tanti per sua pro¬ visiono por tutto il presente mese por lo sopradette cariche, et datcuo conto a me come 280 Proveditore generale di detto Studio, pigliandone la riconta.d. 500. Girol.” da S. iR Prov.'® gen. 1 ® 255. ad intanta — 202 XXI. GALILEO EliOVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. E per me Galileo Galilei gli pagherete al Mag«° S. r Fran.«° Maria Lupi, che saranno ben pagati. Io Galileo Galilei m. pp* N.° 161. Addì 17 Ottobre 1621). Al Quaderno a<‘) Molto Mag.®* Meas. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagato al’ Eco."® Sig. r Galileo Galilei Fiorentino, primo filosofo di S. A. S. e lettore primario della umtlenintica nello Studio di Pian, d.' mille di moneta, che tanti se li fanno pagare, cioò d.‘ 500 moneta per reato di sua pmvisione per dette cariche del presente 290 unno da fornire per tutto 8bre proximo, et altri «1.‘ 500 moneta ne li fanno pagare per il primo semealro del’anno venturo da cominciare a Umbre proximo lt>20, et se li fanno pagare anticipatamente per grafia di S. A. S., come per benigno rescritto. Però pagate, et datene debito a me come Proveditore generale «li «letto Studio, pigliandone la solita ri- ceuta. . ..d. u 1000. Girol.® da S. to Prov. r * gen. 1 ' E per ino gli pagherete al S. Niccolò Aggiunti, lettore in cotesto Studio, pigliando ne ricevuta etc. Io Gal il oo Galilei soprad. 0 Io Niccolò Aggiunti ho riceuto dal Sig. r Leonardo l'olncei scudi novecento. 800 Niccolò Aggiunti. N.° 80. Addi 9 di Aprile 1631. Al Quaderno a 18. Molto Mag.*® Mesa. Lionardo Colucci, camarlingo della Dogana di Pisa. Pagate al’ Eco.*® Sig. r * Galileo Galilei Fiorentino, filosofo di S. A. S et lettore primario delle mattematiche nello Studio di Pisa, sd. cinquecento di moneta per a buon conto di sua provisione del presente anno per dette cariche, dandone debito a me come Prove¬ ditore generale di detto Studio, pigliandone la solita riceuta.d. 500. Girol.® da S. u Prov. r# gen. 1 ' E per me gii pagherete alli molto 111. 1 SS.* Piero, Curzio, Mario e Domenico Celili, elio saranno ben pagati. Io Galileo Galilei soprad. 110 m. pp. a Noi Mario, Curtio, Domenico, Pietro Celili de Pisa hahhiamo riceuto li retroscritti sd. ciu. Roma, 25 aprile 1611 Bibl. Vaticana in Roma. Cod. Vat. 9684, car. 4r. — Autografa. Ego Galilaeus Galilaeus Lyncaeus, Vincentii filius, Florentinus, aeta- tis meae ann. IIL, Sai. 1611, die 25 Aprii., Romae, manu propria scripsi. Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cod. 4, car. 262i\ — Autografa. Galilaeus Galilaeus Lyncaeus, Vincentii iìlius, Florentinus, aetatìs meae anno 48, Sai. 1611, manu propria scripsi. Noi medesimo Cod. 4 (lolla Bibl. della R. Accademia dei Lincei, a car. 255t., sopra una strisciolina <11 carta attaccata sulla pergamena in un catalogo degli Accademici, si leggo: Locus Domini Galilaei de Galilaeis absentis ; e a car. 258/., in un’altra copia del catalogo, si logge: Galileus Galilcus Lynceus, Vincentii filius, Florentinus, aetatis suae anno IIL, Sai. 1611, adscriptus. b) Spese per la pubblicazione dell'Istoria e Dimostrazioni INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI^, [1612.] Bibl. della R. Accademia dei Linoei in Roma. Cod. Volpicelliatio B, car. 138r. Apelli senza il Galilei, fogli 7, libri n.° 700. Carattere Silvio. Per carta.Se. 9.80 Per com positura. > 5.60 Per tiratura.• » 5.88 Per figure di legno n.°9. * 2. — Per figuro di rame n.° 5. » 8. — Por stampatura de’ rami. » 7.— Se. 38.28 Serie VII). Venezia, tip. Ferrari, 1894, pag. 1320 o 1384. «*) Cfr. Voi. V, pag. 12, e Voi. XI, nn.‘ 772, 783, 788, 790 795. 803, 812, 814, 815. CI Cfr. Notizie mi cataloghi originali degli Acca¬ demici Lincei tratte dalla /torio inedita di Francesco Cancellieri por cura di Antonio Favaro (Atti del lì. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo V, XIX. 34 266 XXII. GALILEO E L*ACCADEMIA DEI LINCEI. 8cgue, sul rtclo della >t«»« car. 133, un'altra nota di altre aj-e»e, le piu uou attinenti al noitro argo- munto: vi Agurano però anche unente partito: Per il Galilei n.° 1400 .Se. 171. 4 Per l’A pelle n.° 700.* 38.28 io Per stampatura delle Macchio da Unirmi. » 49.10 Car. I83i. Galilei senza Apelle, fogli 21, libri n.* 1400. Carattere Silvio. Per carta.Se. 68.80 Por ligure di legno n.° 6. » 1. — Per ligure di rame n.° 44. > 20. — Per il ritratto. » 6.— Per stampatura del ritratto. * 2.80 Por stampatura dolli 5 fogli dello costitutioni Mediceo. » 5,87 Per stampatura delle macchie. » 27.49 Per compositura. » 12.80 20 Per tiratura. » 35.28 Per compositura delie macchio. » 1. — Se. 171. 4 c) Dai rendiconti deli.* adunanze accademiche. 1) Dai Colloquia Academicorum Lyncaeorum. (9 novembre 1612 - 16 luglio 1613.) Aroh. della R. Aocademla del Lincei In Roma. Cod. 4 (/.y^enofrapAtim). — PI ninno sincrona. Car. 28lr. Anno 1612. Novembre 9. Colloquio interl'uerunt Ioannes Faber, Angelus de Filiis, Luca* Valeriu* et Ioannes Domisianus; in quo Bibliothecarius protulit exemplaria litenirum D. Galilei ad D. Vel- serum de maculis solaribus, et an imprimi illae deberont proposuit. Omnino hoc fieri debero conclusum fuit; tum quia Ime maculae non aliter D. Galilei inventum essent, qunra Medicea astra fuissent; tum quia adeo piene, docte ao eleganter de illis disseroret, ut magnani ab omnibus gratiam reportare posset. CAr. 282 r. e t. Anno 1613. Februarii 20. Princeps in colloquio, cui interinerò Ioannes Faber et Luca» Valerius, retulit gratissrimam fuisse Principi Bambergensi I.ynceorum obsequiosi animi oblationcm .... 10 Fuerunt in hoc colloquio Epistolae de maculis solaribus 1). Galilei exbibitae iani im¬ presse, iussumque ut Lynceis et Lynceorum amici» distribuerentur. Car, 284r. Anno 1613, lulii 16. Indictnm coram Principe colloquiura, cui interfuere D. Frnnciscus Stellutus, D. Ioannes Faber et D. Lucas Valerius.... XXII. GALILEO E L’ACCADEMIA DEI LINCEI. 267 Prolatae ot a Principe DD. Galilei et Salviati literae, in quibus D. Cosmum Rudolphum adraittendnm proponebanfc. Proposita ergo eius disquisitio, praesontibus et absentibus inoro solito scliedulae tranamissae.... 2) Daìle Notae in consessu Lynceorum exceptao (10 luglio 1614-1621.) Bibl. della R. Accademia dei Lincei in Roma. Cod. 30 (già cod. Boncompagni 364). — Autografo di Giovanni Fabkb. Gar. 50r. e t. Anno 1614, die 10 Iulii. In colloquio praesontes fuerunt D. Stellatila, Faber et Yalerius.... Itera Portae literae lectae fuerunt, in quibus duos propouendos censebat. Loctae fue- rnnt itidern literae Galilaei, qui et is Pliilippuin Pandulfinura proponenduin censebat. Do- cretum, ut relationem raeritorum raitteret. Porta insuper urgebat ut libri ipsius excude- rentur. Petiit etiara Galilaeus, quomodo sibi, respondendo adversua Siraonem Mariuin usurpatorom Iovialia Systerantis, ngondum esset ; an ad Keplerura, an ad Marchionera Brandcburgiensem Marcirai Philippnm, scribendum foret. Fit decretum, piacere si Gulileus ad Keplerura potius, uti astronomum, opistolam dirigeret. 10 Car. 5Ct. e 58r. Anno 1614. 26 Iulii fuit celebratimi colloquium in aedibus Cancellar», praesentibus Eccll. mo Prin¬ cipe, D. Stelluto, Fabro et Valerio. Yenit autern ad aedea Cancellarii primo Princeps, post ipsura Yalerius, et denuim comparuit Stellutna, qui ex insperato adduxit secum Ioannem Ekium.... lletulit idem Princeps, ex literis D. Galilaei, apparerò ipsum iam sanum esse, et in animo habere se ad laborera velie accingere. Car. 58r. o t. Anno 1614. 8 Angusti factum colloquium in aedibus Cancellarii, praesentibus Principe, Eliio, Stel¬ lato, Fabro, Valerio: et a Principe fuerunt lectae literae D. Galilaei, qui proposuit I). Pin¬ co lippum Pandulfrauin, qui a deraortuo Philippe Salviati in morte fuit nominatus, cui etiara annuluni smini, Lyncaeorum syrabolum, reliquia Couclusorunt JLyncaei unanimiter, esse proponenduin reliquia Lyncaeis. Car. 681 . Anno 1614. 6 8bris convenerunt in aedibus Principia, ipso Principe praesente, Stollutus, Faber et Valerius : in quo colloquio Princeps significavit, fuisse aegrotos, inter Lyncaeos, et quidem cura summo periculo, Portam et Galilaeura, qui arabo convaluerunt ; cuius causa Ileo sinfc agendae gratiae.... Car. 72r. o 73r. o t. Anno 1616. 26 Ianuarii colloquium fuit. habitum in aedibus Exccll. 1 "' Principis, praesontibus Lynceis 30 DD. Galileo, Francisco Stelluto, Luca Valerio et Ioanne Fabro: ubi Princeps, luculento et 2G8 XXII. GALILEO E L’ACCADEMIA DEI LINCEI. diserto sermone totius insti tu ti Academiao seu Conaeiwu» Lynoeoruui ordinem et fmom revocane, Lynceo» ad scribendum exhortatuB est.... Inter RomanoB duo itidem ab oodem nominati, Ducuto filii, D. Virginia! Caesarinus et D. Marchio Muti : quorum hic mattasi et poèsi valde intento*, in physioia etiaw veritatem maxime deaiderat; prior vero in phylosophia soholastica est exercitntissimus, Peripate- tioae sectae addictua quidem, audit tamen et alio*; in potisi, tam latina quam vulgari, multimi pellet, et uathesi intentila adroodum. Dominus (ìalilneua valde comraendavit in- geniuin huius, dicam, quasi adolescenti* ; et plurimutn voto Principia, ut nempe D. Vir- ginius libcrtatein et veritatem iu philoeophando aaaequatur, suffragata» est. Qui etiam maximopere Dono inani Ioannem Baptistam Baliauam Oenaensem coimnendavit, et prò futuro io Lynceo proposuit. In quo buuito opere laudavit animi eaudoreui, ingenii sublimitatem, ìuo- rum Buavitatem et verum philosophandi modurn. Neque ipsi dinplicuerunt duo Rinuccini fratrea, Fiorentini, 111.® 1 Cardinali» liandini nepotes, anni» quidem invano», at ingonio maturos, et ingreasos ree tam, tat.) in philosophia quaui in mathematica, viam .... Car. 75r. o ». Anno 1616. 24 Martii, in aadibus Principi», praesente D. Galileo, Frauciico Stelluto, D. Angelo do Filiis et me ipso, fnit decretimi, Dominum Lucani Valerium non esse deleudum ex numero Lynceorum et novo Catalogo, sua propria manu «ubscripto; non quod hoc et ulterius quid non mereatur, »ed quia hoc poanae loco ipsi tribuatur, ne ipsi »it licitum aut aliis, fui uria in a uni 8, hoc ipaum tentandi. I’rohibuerunt tane ipsi commerciala vocis aetivae 60 ot passivae, ut vocant, et oonventum Lynceorum. Et linee omnia propter haec. Primo, quia nullam cauBani omnino habuit se se abaentandi voi eximondi ab Academia. Secundo, quia hoc ipso quod nolifc esse Lynceu», reddit ipsam Academiara culpabilem, quasi commiBerit delictum aut in ipsa fuerit error manifesto» de opinione quod terra moveatur, quam dicebat D. Galileum ceu Acndemicum tenere. Tertio, quia ip»um D. Galileura insimulavit errori» ot magni delieti, cum tamen D. Galilea» tane ipsam prò opinione tantum haberet, et nun- quam nisi se aroicuni Domino Galileo monstrasnet.... Car. 79r.-84r. Anno 1621 C‘), Post longam, non menaium modo »ed annomm etiam intercapedinem, consesBiim et colloquium Lynceuni habuimus iu aedibus 111. 6 ' 1 Domini Virginii Cuuburini, praesontibus 60 septem Lynceis : malore numero minquam conveuimus. l'raesentes, prnetcr D. Virginium lecto affixum, fueruut BooU." u * ipse Prinoep» nostcr ('Heaius, Marchio Mutue, Domini Stellata», Angelus de Filiis, Ciampolns, et ego Io. Fatar. Priuccps, ne diutumiore colloquio Dominum Virginiuiu taedio afficeret, praeterniisit multa qua© de compositione et impressione librorum dici poterant, do solu noYoruni Lynceorum adscriptione Bermonem fecit, et cuihbet nostrum liccntinm dedit proponoudi oos quos qui via consessui nostro idoneos censerot- Initium fecit 1). Virginius, et primo loco Doni. Claudium Achillinum proposuit, viruiu in ornili scientia periLbsiuium, iurisprudontiu, philosophia, Doo. XXII, e, 2). 49. quid mertalur — °> Cfr. Voi. XIII, n.« 1496. XXTI. GALILEO E L*ACCADEMIA DEI LINCEI. 269 medicina et Micologia, et professoroni iuris in Ferrari enei Academia curii stipendio 1200 70 aureornm annuorum, et Romae mino existentem. Secundo loco nominavit D. Yerclayium, in politiore literatura eruditasi mura et iam oli libros varios editos celebrem: cui sociuni etiam adiunxit nobilÌBBÌmum quendam Gallimi, Dupares vocatum, in Galliis degentem, qui, praeter sanguinis spleudorem, fama illustris ost valile, cura amicitiam contraxerit cura plerisquo viris doctis per literas mutuas. Quartana adiunxit Dominimi Equitem Puteanum, il Cavallicr del Pozzo vocatum: hic industria cbymica sua iam multa principibus et viris doctis notissimus est.... Secundo loco D. Marchio Mutus dixit, et Dominum Yillanum, linguae graecae et latinae et poeseos tara latinae quain italiese valilo expertum, nominavit. Tertius successit D. Oiampoli, qui solum etiam D. Marium Guiduccium Florentinum, mathematicum insignem, propoBuit, qui et ipse iam libris oditis notus est. Post Ciampolum, I). Angelus do Filiia 80 rogatus dixit, se alia vico Dominum Getbaldum proposti isso, quem denuo nominare voluit, hominem in algchraicis et geoinotricis adeo exercitatum, ut bodio vix sibi pareni inventurus sit. D. Stellutus, postinodum rogatus, Doni. Favorinutn, medicum Fabrianensera, nominare voluit, tauquam oraculum aliquod in philosophia et medicina, et in literis etiam humaniori- bus valile politimi, qui artem Buam publice Ferrariae professus fuorit, et plurimos iam libros composuerit, quorum alii iam impressi alii imprimendi sint. Tandem ad me devo¬ luta proposito fuit. Ego-Dominum Raymundum Minderorum, medicum et philoso- pbum insignem, nominavi, medicum olim Mattliiae Tmperatoris, iam eonsiliarium et me- dicum Ducis Bnvuriae et pbysicum ordinarimn Republicae Augustanae, qui libris editis elarus est .... Socundum adiunxi medicum Romamim quendam, Prosperum Mnrtianum, 90 qui in IlippocratiB doctrina aotatem omneni consumpsit, et ultra 1100 loca partim resti- tuit, partim obscura interpretatus est. Ilio et ipso libris editis claret, et edendum illud niagnum suum opus statini daturns est. Coronam denique clausit Excell.“" ,a Princeps, no- ster finis et principium nostrum. Ilio quatuor praeclaros viros nominavit: Dominum Docto- rem Nerium, Perusinum, legispcritum profossiono quidem, ceterum insignem etiam mathe- maticuni et pbilosopbum, bistoricum ot poiitioribua literis addictuni. Secundo loco successit D. Ioannes Remus, medicus et mathematicus Ser.® 1 Arebid. Leopoldi. Ilio in astronomicis praesertim est peritisBimus, et calculum lmbet exactissinium : Galilaoi nostri axiornata valde amplectitur: in medicina etiam et experientiis maxime pollet. Tertius fuit D.lgnatius Bracbius, qui Recanati modo habitat, et in ctymologicis praesertim adeoque in lingua graeca 100 et latina non lusit oporam suam. Quartum adiunxit, et merit o quidem, D. Instimi Rickium, qui iam plurimis libris, praesertim epistolis suis et Cnpitolii editiono, trimnpbat, et plura alia, tara versae quam prosae orationis, themata prae manibus lmbet. Habitat in Belgio, est Gandaviensis, et alter Instun Lipsius erit, cuius diligentissimus discipulus fuit. Atque haec acta sunt domi 111.*** 1 D. Virginii; et fuit stabilitura ut diligentior eorum qui propositi fuerint disquisita fieret, deinde ad DD. Lynceos nunciaretur, et tandem illi qui recipiendi essent certiores fierent et adscriberentur. 270 xxm. PROCURA DI FLAMINIO PAPAZZONI A GALILEO. Bologna, l'J luglio 1011. Aroh. di Stato in Pi»*. Uniror«ltà. Nogoil. MI*» 1 (17». e»r. 89. - Copi» autentica. In Cimati nomino amen. Anno a nativitate Eiusdem millesimo sexcenteaimo undecinio, Indictione nona, die vero decimo nono mensis Iulii, tempore ponti- lìcatua Sanctiasimi in Christo Patria et D. N. I>. Paoli Divina Providentia Papao Quinti etc. Coram te8tibu8 meque notario infrascriptis, personaliter conatitutua existens Illustria et Excellentisaiinus DominuB Flaininius Dapazonius, quondam Illustris Domini Àlexandri Do Vulpe, Àrtium et Dhilosophiae doctor collogialis, et nobilis Dononiensia, commorans in parochia Snncti Silvestri, sponto et non per errorem aliquem, fecit, constituit, creavit et solemniter ordinavit siium veruni, certuni, legitimum et indubitatuin proniratorem, negotiorumque Buorum in fraacri ptorum io adniinistratorera, ac certum nuntium epetmlom et generalem, ita tamen quod spetialitas generalitati nec o contra derroget, admodum Derillustrem et Excol- lentiaaiinum Dominum Gallilleum de (iallilleis, nobilem Florentinum, absentem aed tanquam praesentem, spetialiter et expresse, ad, et ipsius domini consti- tuentia nomine et prò eo, concludendum et iirmandum cum Serenissimo et Excel- lentiasimo Domino Magno Duce lletruriae, voi alia quavis persona cum qua opus fuerit tractare, ea omnia et singula quae necessaria fuerint seu quomodolibet opportuna ad confici endurn et stipulandum instrumentum conductionis ad primam cattedram philosophiae ordinarne in almo Studio Disamili in personam supra- acripti Illustris et Excellentissimi Domini constituentis, per annos quatuor, cum 20 annuo salario scutorum ottingentorum valoris librarurn seiitern prò quolibet scuto monetao Florentiae, et eidem Illustri et Excellentissimo Domino constitucnti provideri curandum de viatico de scutis centuni quinqnaginta similis valoris et monetao prò una vico tantum, iuxta formam consti tu ti onum Studii praedicti Di¬ samili; et super praedictis omnibus et singulis ac aliis exindo occasionatis ea omnia dicendum, gerenduni, tractandum et concludendum quae necessaria fuerint seu quomodolibet opportuna], ipsiquo Domino procuratori, ut supra constitulo, bene visa ; obligandum bona ipsius Domini constituentis, in eius ammani iuran- dum, et generaliter ad ea exequendum quae ipse Dominus constituens facerct seu facere posset si praedictis personaliter interesset, cum amplissimo mandato in 30 praedictis et aliis ipsi Domino procuratori bene visis necessario et opportuno ac, si opus erit, per me notariura extendendo secundum formam formulari! Itomanao XXTIT. PROCURA DI FLAMINIO PAPAZZONI A GALILEO. 271 Curiae otc. et Camerae Apostolicae ; dana etc., nec non promittens etc., relle- vana etc., sub hippoteca etc., rogans etc. Actum Bononiae, in pallatio Illustrium et Excellentissimorum Dominorum Praetoris et Auditoruin Rotae Bononiensis et in notariis publieis, ac ad bancum mei infrascripti notarii, unius ex actuariis in dicto foro; ibidem praesentibus Excellentissimo Domino Iohanne Baptista quondam Illustris Domini Bcnedicti de Fabiis, Artium et Medicinae Doctore, commoranteqne in dieta parocbia Sancti •io Silvestri, et Magnifico Domino Dominio» quondam Magnifici Domini Ruberti de Argelatis, Bononiensi civo, paroehiae Sancti Nicolai Sancti Felicis, qui ambo dictum lllustrem et Excollentissimum Dominum constituentem bene cognoscerc dixerunt, testibus ad praedicta adhibitis, vocatis atque rogatis etc. Et quia do prnedictis ego Alexander Domini Antonii de Astis filius, civisque ac publicus Apostolica Imperiali et Comunis Bononiae auctoritatibus notarius, rogatus extiti, ideo ea omnia in liane publicam forraam manu propria reddegi, iinpraemissorumque fidem lue me cuin solito tabcllionatus signo subscripsi etc. Corrector et Coimiles almi Collegii Notariorum civitatis Bononiae universis etc. fidem facimus et attestamur, suprascriptum D. Alexandrum de Astis de praedictis co rogatum fuisse, et esse notarium publicum Bononiensem, eiusque scripturis in authenticam formam reddactis adhibendam esse fidem et in dies adhiberi. In quorum fidem has praesentes fieri iussiinus, sigillique nostri appositione muniri. Datum Bononiae, die 19 Iulii 1011. A uni bai Mani olii nus notarius do mandato. 272 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 1611 -lttft*. I Jocmn.-ntl concernmitJ I proce*«l che ai trattavano nel Tribunato della Sacra Inquietatone al conservavano origlnariainouto tutti noli'Ai- Inno dui Sani' t maio In li .ma ed orano diatnbuiti in duo aerie porallole: una dello quali eoi titolo di b—nta. c alenava I verbali, od I raali dol vorball, o lo decisioni della Coufrugaziona nello dlvorao adunante o Ferie con un Indice alfabetico in capo a ciascun volumo; nell'altra orano, od almono dovevano e-«ore tutti 1 du. min uti *ttln»nli alla procedura contro gl'im¬ putati, gli esami di quieti e dei t -llm ni, 1 roU’.ri carteggi. ed eventualmente le sentenze e lo abiure. 1)1 qU'.ate du« serie, quella dei Z>..-rWa ai trova tuttora neirArchlvio del Sant' Uffizio; dall’altra, che puro vi ò con rvata. vennero tolti, non » rpplamo quando, i processi di Galileo o riuniti in un volumo, il qnalo dopo vario vicande' 1 * pattò nell'Archivio aegro»- Vaticano, dovo porta l'originalo n.° 11B1 ed b ora. ln*i.-mo con altri doeuun nti di «ingoiare Inip-rtniiza. custodito nella « capsula X ». Trentuno dei Decreta relativi a Galileo furono fatti eon«.cere. sobbollo imperfottmuento. nel 1870 da Silvestro Gherardi '* , il quale lino dal l*v48 ne aveva trascritti dieci dal volumi originali dell'Archivio del Sant' Uffizio. e desunsi gli altri ventuno da un citrati-- che, compilato nello stesso Snnt’Uffizio, ti olla aecnnda meta del sei. XYilI o piu probabilmente u«i primi anni del XIX, con l'aiuto dogTindicl premessi ai singoli volumi del l> -««m. contiene il ««lo t•• -to dello deliberazioni concernenti Galiloo, prose in trontuna Ferie. la copia dei diaci /'«creta di mano del liherardi è ora nella Biblioteca Nazionnlo di Flrenso, M»s. Galileiani. Nuovi Acquiti. n.»fi; e i Af-rrta che in oi«a ai leggono tono quelli dio nella nostra edizioni» sono diatinti coi no. 1 6. V Ih, 22, *23: l'estratto del principio del seo. XIX è nella Biblioteca Civica di Lugo in Romagna, cu -lodilo in una cartella segnata col u." 480 o col titolo improprio di « M*«. originale de* Decreti del Pro« ivo Galileo » ; o i trentun /'«-orerà elio comprendo sono quei dieci sU'»»l che il Ohe tardi traserieee dai volumi originali, o Inoltre quelli che nella nostra edizione portano I nn.‘ 1-6. 18-21, il *8, 80-34 *•'. Noi che abbiamo potuto, per gentile concessione delle supreme autorità del Saut’ Uffizio, servirci a tutto nostro agio del veri originali, da o«,i riproda iamo. per I primi, il tosto del Decreta; lo Inte¬ griamo con le premesse introduttive di olta»t-t, e precisa- ut* p«*r quelli eho nella nostre edizione portano i nn. 1 9, 10.11, non abbiamo potuto ri-aliro alle Unti, ««vendo aUte strappate, c-rtemonte por opera di porgono ostraneo al Sant'Uffizio e dopo «ho per la prima volu li aveva veduti il Uhorardi, dal volumo originalo del 1832 lo ear. 173,181, 189, su cui si leggevano, come appare dall'indica preme»-o al volume stosso. Di questi tre Decreta noi possediamo ora solunto IV «tratto a cui sopra accennavamo,# la copia ma- noscritU elio dagli originali fece nel 1848 il Gherardi. dalla quale egli ai discosto In qualcho partico¬ lare quando nel 1870 procedette alla stampa: inoltre, del decroio di n*9 b copia, di mano di Giacomo Manzoni, fatta pure dagli originili tic! 1848. nel mi. della Uibli- t«ea Civica di I.ugo ('uri* Gherardi, cartella n.» 427. intitolato «Copia Manzi» (tic) 1 *’; la qua) copia « identica a quella di mano del Gherardi. A quest'ultima noi ci siamo atteri iti ma ne abliatno corn iti), roti l'autorità doll'ostratto più antico, alcune lezioni ehe appariscono ovviamente errori di lottura; o ciò abbiamo fatto con tanto maggior sicurezza, in quanto ch-< queste correzioni erano quasi sempre suffragato dal confronto con lo frasi analoghe di altri decreti, e con la riprdazione parziale che dall’ ultimo di quoi tre, •*» Cfr. I documenti dtl Protètto di Oaliloo per Antodio Favino (alili del Fi. Flàuto Veneto di eden lettera td arti. Tomo LXI. Parte seconda pag. 767- 808). Venezia, tip. Ferrari, 1909. '*> FI i-ooc.ro Galileo riveduto topra documenti di vuota fonte dal prof. comm. SiLvr.-Tuo Gtigaanoi ( ìli ri ita L'urojia. Anno I. voi. Ili, fase. I, 1* giugno 1870, pag. 8-37; fase. Ili, 1« lugli- 1870. pag. 898- 419) Firenze, tip. doll’Associazionc, IS70. **' Di questo estratto il Giikiurdi foco faro un fs simile a penna, che poi riprodusse in litografia o c---i diffu«<- tra alcuni amici a conoscenti. Un esem¬ plare di Ule riproduzione ò nella Biblioteca Nazionnlo di Firauze. Ms*. Galileiani, Nuovi Acquisti, n.° G5. La copia del Manzoni comprendo puro altri eoi Dicrf/n. t precisamente i nn.* 12-16, 22 o 23 della nostra •-•li/iono, che tutti sono tra quelli tra- scritti nella copia di mano del Giiihabdi. XXTV. PROCESSO DI GALILEO. 273 corno (li più nitri, si lm noi volutilo (lui Processo. Àudio al tosto (li questi tre, cosi ricostruito, abl>lauto fatto procedura lo respottivo promesso, che potammo trascriverò dui volumi originali, perché, cadondo su nitro carte, si sono por buona sorto conservato. Dai volumi originali doi Decreta abbiamo poi raccolto minutamente audio lo frasi e lo parole elio si leggono sotto lo cancellatimi, o le abbiamo notato appiè di pagina, insieme con alcuni pochi o ben corti trascorsi da attribuirsi alla ponila dogli amanuensi, che credommo di dovor correggerò uol tosto. Tali pnrolo cancellato o tali correzioni, elio riguardano i volumi originali, sono registrate appiè di pagina senza alcuna sigla; invoco, por quel elio concorno i Decreta 0, 10 o 11, indichiamo con A lo lezioni dolla copia Gliomi-diana da noi corrotto con 1’ niuto doli’ estratto più antico, o con lì lo altro differenze doli'estratto, elio puro abbiamo creduto opportuno registrare. Dobbiamo infine avvortiro elio dall'indico promesso al volume doi Decreta dol 1033 risulterebbe olio nollft Feria IV, die SO Diri» 1633, il rendiconto della qualo incouiincorobbe a car. 202, fosso trattata tinello la causa di Galileo : ma nulla si leggo di relativo a lui nolla carta indicata, lidia quale, inoltro, il rendiconto ò d’una Feria III, e non iP' 1 '. 1 documenti doi Procossi propriamente detti, contenuti noi volume doli’Archivio sogroto Vaticano, furono da noi diligontoinouto o ripotutamonto collazionati sopra gli originali, lo studio doi quali ci fu concesso con la massima larghezza; il elio portò nil introdurrò alcuno o non Uovi correzioni in con¬ fronto doi tosti elio so no hanno allo stampo <*>, o elio pur godono meritamente fama di accuratissimi. Nella riproduzione e nolla disposiziono tipografica di tali documenti ci siamo attenuti allo nonno dio abbiamo seguito pubblicando gli altri documenti galileiani, e perciò ci siamo scostati in alcuni particolari da quanto i nostri prcdocossori avevano stimato opportuno di faro con intendimenti elio, ri¬ conosciuta Ir genuinità o la relativa integrità del famoso volunio, non avrobboro più ragiono di essoro : elio se por questo potromo parerò meno materialmonto fedeli al manoscritto, abbiamo però la coscienza d'ussero, por quel dio risgunrda la sostanza, molto più precisi o corrotti dagli antecedenti editori, o di presenterò ad un tempo il tosto doi Processi in una forma meglio adatta ad ossore studiato. E venendo a più minuti particolari, quanto alla disposiziono dei documenti, diremo d’aver creduto doveroso riunirò a ciascuna lotterà il relativo indirizzo o lo altro indicazioni scritto a tergo di ossa, mentre no sono staccato, o sposso a ginn distanza, nello procedenti edizioni, elio seguono la materiale di¬ sposizione secondo la qualo furono legato insiemo lo carto nel volume Vaticano. Non abbiamo invoco giudicato conveniente preiidoro por uorntr. di riordinare cronologicamouto i divorsi documenti dei Pro¬ cossi, elio nel manoscritto si seguono soiiz’ordino corto; ma conservando, in genorale, la disposiziono elio hanno nel codice, ce no siamo soltanto scostati in alcuni casi, noi quali la ragiono logica strettamento lo esigova. Abbiamo indicato, dol resto, a quali carte del manoscritto si leggono i singoli documenti, che, per comodità dolio studioso, abbinai numerato con numeri progressivi. Abbiamo pur corcato di distinguerò e indicare accuratamente lo vario mani, da cui 1 singoli do¬ cumenti sono stesi. Io pardo o lo frasi elio noi manoscritto sono sottolineato, furouo (la noi pure segnato con sottolineature : abbiamo invoco informato, appiè di paginn, doi segni marginali che richia¬ mano P attenzione sopra una o più righo. E anche noi Procossi, corno noi Decreta, abbiamo notato, puro appiò di paginn, lo frasi e lo parolo che si leggono sotto lo concai latine, e quei pochi materiali trascorsi di penna elio credemmo più opportuno togliere dal tosto. Di deliberata intenzione abbiamo poi omessa la indicaziono elio più volte è ripetuta, in basso od in alto dei tergo dei fogli, con Io parolo « in processu Galilei » o simili espressioni, le quali non servivano L'indicazione Feria IV, die SO Olria 1G33, comparendo noli' indico del volume doi Decreta, fu trascritta da chi compilò quolP estratto elio ò ora nolla Biblioteca Civica di Lugo; il compilatore però non avendo trovato il corrispondonte Decreto, lasciò uno spazio bianco dopo P indicaziono dolla data: o cosi questa sola si leggo altresì nolla pubblicazione del Ghkkarih. <*> IIsniu DR i.’Eimnois. Ouliìée, son j>rode, sa c ondamnation d'aprèa dea documenta inèdita (lievito dea questiona hiatoriquea. T. Ili, pug. G8-171). l’aris, V. Palmo éditeur, 18G7. Il proceaao originale di Oalileo Galilei pubblicato por la prima volta da Domenico Berti, Roma. Cotta o Conip., tipografi dol Sonato, 187G. Lea jtiicca du proda de Galili» pròcéddes d’un avant-propos. Ouvrage dédió à S. G. Mgr. do la Tour d’Auvorguo ecc. par Hf.nri i»r l’Épinoib, ecc. V. Pal¬ me, Società generale do librairio catholiquo. Rome Paris, 1877. Roma, tipografia .Forense. Die Aeten dea Galilei'echen Processa nacll (lor Vaticanisclion Bandschrift liornusgcgobon von Karl yon Gkm.br. Stuttgart, Verlag dor J. G. Cotta’schen Buchhandluug, 1877. Domenico Berti. Il proceaao originale di Galileo Galilei. Nuova ediziono accresciuta, corrotta e pre¬ ceduta da un’ avvertenza. Roma, Voghera Carlo, ti¬ pografo di S. M., 1878. XIX, 85 274 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. mi a itro ohe a notare all* «terno dui fogli 1* loro appartenenza a quatto determinato processo: talo In- die anione, elio poterà riuscir* a chiarori* nel manoscritto, arr*bb« ingenerato confusione nello stampato, Nel rolumo ddl'Archivio segreto Vaticano non al ha però completo la raccolto del documenti relativi ai Processi di Galileo: altri che. a quanto pare, non furono compre»! originariamente fra gli atti del Processi stossi, o saranno dispersi in altre serie o almeno In parte, andarono distrutti, perchè, socondo le anticho pratichi) del Sant* Uffizio, non tutto al conservava'"; se pure non andarono dispersi in se¬ guito ai trasporti e alle manomissioni a cui. sla nel tempi Napoleonici, aia In quelli della seconda Repubblica Koniaua, furono soggetti gli archivi di Roma e segnatamente quulll doli'Inquisizione. Alcuni di tali documenti abbiamo potuto tzarre da altre fonti: qm III d'indole epistolare furono inauriti al loro posto nel Carteggio ; 1 documenti propriamente dotti abbiamo fatto a. ruire in appendice alle due serie principali, o a quelli che piò stretUmwnto appartengono ai Proemi abbiamo unito ancho altri cho hanno attiuonxa con lo «tesso argomento. Vanno tra i primi, la sentenza pronunziata coutro Galileo e la rolaliva abiura, delle quali abbiamo grati numero di copie tua che noi abbiam riprodotto dall’unico esemplare a noi noto, che aia dlrettomoute uscito dal Sant'Uffizio; lo notiAcasioni della condauna ed abiura fatto dal Vescovo di Cortoua e dal Nonno di Colonia; il decroto di proibitone del Dialogo dei Massimi Sistemi, e un sunto del Proce- i, che fu compilato nel secolo XVIII nello stesso 8aat’Uffizio. Come attinenti alla storia dei Processi abbiamo poi riprodotti in quest' appo odio* il monito pori’emen¬ dazione dell'opera Ut rrvo/mtioailmt orU*m tmtitti *mm dal Copernico; una trovo « lustrazione > di Galileo, cho contiene raccolti I materiali per un piano di aut difesa, alla quaio sembra ch'egli ponsasso appigliarsi quando fu citato davanti al Saal'Uffizio; la Relazione che il Pratese Giovanfrancesco Buonauiicl, il quale si trovava in Roma durante il secondo Processo, stese nel luglio del 1633; la prima divulgazione della sentenza contro Galileo por musso d’una ranetta; e la daliberaziono della Congregaaiona dell'Indice di omettere il lucrato « qoo prohibenlur libri omnee docentes immobilitatom sulla et mobilitatimi torrao », delibo!«rinite a cui, dIÒ che mozzo secolo dopo, e iu seguito a parecchi ti do) Sant'Uffizio, dei quali pubblichiamo due «li maggior interesse, tenne dietro la cancolla- stono dall' indice del /Haioyo di Galileo e delle altre opere trattanti il automa Copernicano. Circa alla nominata scrittura del Buonaniiri, dobbiamo avvertire cb’e»»a veda ora perla prima volta la luco nella sua forma genuina, quale abbiamo da una copia rimasto Allora iuotturtato e a cui alcuno correzioni di mano del Ruonamici assicurano l'autenticità, togliendo ancho ogni ombra di dubbio che a questo proposito poteste ro»lare: u vece di un'altra ridanoti*, notevolmente diversa, cho fu già pubblicata dal Nulli' 11 e che a noi t pervenuta anche lo uu raam.iritu» (pur di provenienza Nelli) del auc. XVIII, ci siamo limitati a registrare lo principali varianti, perchò qu> tu sono sufficienti a mostrare cho il testo originarlo ò stato rimaneggiato liberamente, fono per opera di uà discendente di Giovanfrancesco, il can. Inno-oiizio Ruonamici, dal quale il Nelli la ebbo, e con P intomlixuonto soprattutto di smorzare alcune espressioni del diplomatico Pratese, alquanto vivaoi contro gli uomini di chissà. i" Emilio Woiilwill, lo una pubblicazione col titolo Der Originai-Wortlaut dee pdptlliaAe* Urti*ti* yegtn Galliti (HntorUck-lUeraritck* AMril**') dee /citichrift J Ur AIilkemalik u mi Pkj/iik. XXIV. Jahr- gang, pag. 2—1), Leipzig, Yerlag von B. G. Teubnor. 1879, stampò quattro abbozzi del Decreto del 16 giu¬ gno 1633, cho noi diamo sotto il n.» 16, dei quali ebbe comunicazione da Silyiatso Gnaazani. Quieti abbozzi, per quanto frammentari, avrebbero qualche importanza; se non che l’esame accorato che noi abbiamo fatto delle Carte Gherardiane conterrete uella Biblioteca Civica di Lugo, e che comprendono auche parte della corrispondenza col Worlutili., ci ha persuaso cho quegli abbosxi. nella forma in cui furouo pubblicati, sono stati ricostruiti dal Gniazum stosso, tra il 1877 e il 1879, sulla base di scarsi e informi appunti da lui presi nel 1848-1849, e delie reminiscenze confuso che dopo tauti anni serbava dalla rapida scorsa che in quei momenti tumultuosi aveva dato a molti documenti d’indole diversa. Cfr. soprattutto tra lo citate Carle Gktrardi le Cartelle 4<-d, 411, 4-7. Voi non abbiamo creduto perciò di poter dar post" rulla nostra edizione a quei fram¬ menti : e dallo studio «li quost’argomentO siamo stati soltanto confermati nell’opinione che anche prima avevamo concepita, es»ore esistiti, e forse tuttora esistere, degli abboni o minuto del Decreta (o talora anche più abbozti di uno starno decreto), in fogli ' cio!ti, con cancollaturo. con varianti elio da una all'alu* minuto ai vanno accostando sornpre più al tatto definitivo, quaio fu trascritto poi a pulito noi volumi eh • abbiamo potuto consultare; ma dì quosto minuto, eh.) forse sono stato la fuuto comune da cui derivarono a la traacriziono dei Dtmia noi volumi anxidetti e quella parzialo nelle carte cho poi furouo «:• nipreso ne) man ieri Ito del Processo propriamente detto, noi non no conosciamo finora voruna, nò di¬ rettamente nò per copia autorevole. 1,1 NaiXI, l'ila e commercio leUtrario di Galileo Galilei eco., Vi i. li, Losanna 1798, pag. 644-560. Dalla stampa del Nklu la Jfctaawae fu poi parzialmeuto riprodotta più volto. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 275 a) D ECRETA. 1011-1741. Arch. della Sacra Congregazlono del S. Uffizio in Roma. Deor ala. — Originali. 1) Decreta, 1611. Pag. 200. Feria III. Die 17 Maii 1G11. Fuit congregatio S. tao Inquisitionis in palatio solitao babitationis Ill. mf et Rev. ml D. Card. 1 ' 8 Pinelli, in regione S. u Eustachii, coram Ill. mis et It. mis DI). Dominico Episcopo Ostiensi Pinello praedicto, Pompeo tituli S. lao Balbinae Arigonio, Ro¬ berto titilli S. ta0 Marine in Via Belami ino, Ferdinando Taberna tituli S. tt Eusebii, Io. Garsia tituli SS. quattuor Coronatorum Millino, Francisco titilli S. u Calixti della Rochefoucault, et Fabritio tituli S. li Augustini Vernilo, nuncupatis presbiteris, miseratione divina S. ta0 Romanae Ecclcsiae Cardinales (sic), in universa Republica Christiana adversus liaereticam pravitatem generalibus Inquisitoribus a S. ta Sede io Apostolica specialiter deputatis. Praesentibus RR. PP. D.nis Fratre Andrea Iusti- niano de Genua, ordinis Praedicatorum, Sacrac Tlieologiae Magistro, Commissario generali, et Marcello Filonardo, I. U. D., Assessore S. u Offici! In qua propositae fuerunt causae infrascriptae, quas idem D. Assessor adnotavit et milii JS’otario tradidit, videlicet : Pag. 202. Videatur an in processa Doct. Caesaris Cremonini sit nominatus. c,) Galilcus, Philosopliiae et Matheimiticao Professor c,) . 2) Decreta, 1615. Fng. 95. Feria 4. a Die 25 Februarii 1615. Fuit congregatio S. ta0 Inquisitionis in palatio solitao babitationis 111.™ 1 et li."" I). Card. lu Bellarminii, in regione Columnae, coram Ill. mis et R. mis DI). Roberto tituli S. tao Marine in Via Bellarmino praedicto, Antonio tituli S.^ 0 Crucis in Hie- rusalem Zapata, Ferdinando Taberna tituli S. tl Eusebii, Io. Garsia tituli SS. orum quattuor Coronatorum Millino, Fabritio tituli S. u Augustini Vernilo, et Fratre Au- (, t Questi piintolini sono nell’originale. « Feria III, Dio 17 Maii 1611. Fuit congrogatio In un’altra filza doli’Ardi, (lei S. Uffizio, S. u Offici!, coram 111."' 1 * Dominis Cardinnlibus Pi¬ intitolata sul dorso «Decreta min. 1610 & 1611. nello, Arigouio, Bollaruiino, S. u Eusebii, Mollino, Roc- 5115 », la quale contiene i Decreta in sunto, od ni- cafoncault et Vernilo »; o a car. 313<. ò riprodotto mono in forma più abbreviata, a car. 313r. leggiamo: il decroto concernonto Gai.ii.eo. 27G XXIV. PROCESSO DI GALILEO. guatino ti tuli S. Uo Maria© Araecaeli, nuncupntis presbite ria, miaeratione divina Romanae Ecclesia© Oardinalibus, adversus haereticam pravitatem generalibus Inquisitoribus a Sancta Sede Apostolica apecialiter deputati». Praesentibus RR. pp. DD. Fratro Andrea Iustiniano, Episcopo Insalano, Commissario generali S.n Of- io fìcii, et Paulo Emilio Filonardo, utriueque Signatura© S. mi I). N.Papae Referen¬ dario, Assessore. In qua propositi© fuerunt infrascriptae causa©, qua© in notam sumpsit idem I). Asscssor et mihi Notano tradidit, videlicet: Pag. 98. Fratrie Nicolai Torini, ordini- Praedicatorum, lectis literis datis Fiorentine die 7* huius, quibus mittit copiam literarum Gallilei datarum Fiorenti© die 21 Xmbris 1013 ad Dom. Bonedictum Castellimi, Monachimi Cassinensem, Profeasorem Ma- tliematicae in Studio Pisolimi, quae continont propositiones erronoas circa sen- sum et interpretea Sacrae Seriptiirae; decretum ut scribatur Archiepiscopo et Inquisitori dictae rivitatis, ut curent lmlvero literaa originale» dicti Gallilei, et mittant ad hanc Sacram Congregationem. 20 8) Jbidtm. Pag. 185. Feria quinta. Die XIX Martii 1615. Fuit congregalo S. 1 " Inquiai tieni» in palatio Apostolico apud S. UlB1 Petrum, coram S. mo D. N. D. Paulo divina providentia Papa V°, ac 111." * et It. mU I)D. Paulo Sfondrato Episcopo Albanensi S. 1 ** Cecilia©, Roberto tituli S. Maria© in Via Bel¬ larmino, Antonio titilli S. M Crucis in Ilierusalem Zapata, Ferdinando Taberna tituli S. t: Eusebii, Io. Garsia tituli SS.™® quattuor Coronatorum Millino, Fabritio tituli S. u Augustini Verallo, et Fratre Angustino tituli S. 1 ** Mariae Araecaeli, nuncupatis presbiteri», misoratione divina S. u * Romana© Ecclesia© Cardinalibus, adversus haereticam pravitatem Inquisitoribus generalibus a JS. U Sede Apostolica specialiter deputatis. io Pag. 187. Contra Gallilcum de Gallileis. Professorem Mathematica©, moranlem Florcn- tiae, S. mu * ordinavit examinari Fr. Thoniam Cacrinum, quem Ill. muB I). Card. 1 '* Araecaeli dixit esse in formatimi de erroribus dicti Gallilei, et cupere iilos, pio exoneratione conscientiae, deponcro. 3. 2. Tra Tnqvitiiionii a in palatio leggasi, cancellato, coni*. 1. tyondrato è «còtto sopra divina nrovideniin l'ajxi V, che leggasi cancellato. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 277 4) Ibidem. Pag. IC3. Feria V. Die 2 Aprilis 1615. Fiat congregano S. Ue Inquisitionis in palatio Apostolico montis Quirinalis, coram S. ,no D. N. D. Paulo divina providentia Papa V, ac Ill. mis et li. 1 "’ 8 DD. Paulo Sfondrato Episcopo Albanensi S. 1 *® Ceciliae, Roberto titilli S. Uo Mariae in Via Bel¬ larmino, Antonio titilli S. 1 * 0 Crucia in Ilierusalem Zapata, Ferdinando Taberna ti¬ tilli S. cti Eusebii, Io. Garsia tituli SS. rum quattuor Coronatorum Millino, Fabritio titilli S. li Augustini Vernilo, et Fratro Angustino Gallammo titilli S. no Mariae Araecaeli, nuncupatis presbiteris, miseratione divina S. tae Romanae Ecclesiae Cardinalibus, adversus haereticam pravitatcm Inquisitoribus generalibus a S. ta Sede Apostolica io spccialiter deputatis. Praesentibus RII. PP. DD. Paulo Emilio Filonardo, utriusquc Signaturae Referendario, et Fratre Micliaele Angelo Seghitio de Lauda, ordinis Praedicatorum, Sacrae Theologiae Magistro, Commissario generali S. t! Officii. In qua propositae fuerunt infrascriptae causae, quas in notam sumpsit idem D. As- sessor et milii Notario tradidit, videlicet : Pag. 166. Contra Galileum de Galileis, relata depositione Fr. is Tliomae Caccini, ordinis Praedicatorum, facta in hoc S. Officio die 20 Martii, S. ,nus ordinavit mitti illius copiam Inquisitori Fiorentine, qui examinet nominatos in testes et certioret. 5) Ibidem. Pag. 542-543. Feria 4. tó Die 25 Ombria 1615. Fuit congregalo S. 1 * 6 Inquisitionis in palatio solitae habitationis 111. 1 "’ et R.™* D. Card. 1 ' 8 S 1 * 0 Ceciliae, in regione Pontis, coram Ill. mis et R. ,nìs DD. etc. Paulo Sfondrato Episcopo Albanensi S. 1 * 10 Ceciliae praedicto, Pctro tituli S. 1 * 0 Mariae Transtiberinae Aldobrandino, Roberto tituli S. 1 " 0 Mariae in Via Bellarmino, An¬ tonio tituli S.“° Crucis in Hierusalem Zapata, Ferdinando Taberna tituli S. li Eu¬ sebii, Fabritio titilli S. li Augustini Vernilo, Ioanne tituli S. li Clementis Bonsio, Fratre Angustino Gallamino tituli S. ft0 Mariae Araecaeli, et Fratre Felice tituli S. u Ilieronymi Illyricorum de Asculo, nuncupatis presbiteris, miseratione divina io S. la0 Romanae Ecclesiae Cardinalibus, adversus baereticam pravitatem Inquisito- ribus generalibus a S.** Sede Apostolica specialiter deputatis. Praesentibus RII. PP. Paulo Emilio Filonardo, utriusque Signaturae S.' ni D. N. Papae Referendario, Assessore S. li Officii, Fratre Micliaele Angelo Seghitio de Lauda, ordinis Praedi¬ catorum, Sacrae Theologiae Magistro, Commissario generali, et Carolo Sincero, 4. 16. Tra S. mu ' o ordinavit leggasi, cancellato, dixit. — 278 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. L U. D., Procuratore fiscali. In qua propositao fuerunt infrascriptae cauaac, quas in notam su rapai t idem I). Asso»-or et mihi Notano tradidit, videlicet: r»g 544. Centra Galileum Galilei Mathematicum, locta dcpositione Fr> Ferdinandi Ximenes, ordiniB Praedicatoruiu, facto coram Inquisitore Florcntiao die 13 obris, decreta ni ut videantur quaedain literao dicti Galilei, impre sue llouiao cura in- scriptione Delie macchie solari etc. 20 0) IWrta. 1610 P*(r. 68 00. Feria quinta. Die 3 Marti! 161G. Fuit congregatio S. u# Inquisitioniu in palatio Apostolico apud S.‘" m Petrum, coram S. D. N. D. Paulo divina provubmtia Papa V, ac lil. ,nU et DD. Ro¬ berto titoli S“ Marine in Via Bellarmino, Antonio tituli S.“ Crucia in Ilierusalem Zapata, Ferdinando Taberna tituli S. 11 Eusebii, Io. (bircia tituli SS. rum quattuor Coronatorum Millino, Fabritio tituli S. u Augustini Vernilo, Fratre Augustino Gal- lamino tituli S. 1 *® Mariae Araocacli, et l'ratro Felice Contino tituli S. cU Ilieronymi lllyricoruni de Asculo, nuncupatis presbiteri», niiseratione divina S. ta * Romanao Eccle8Ìae Cardinalibus, adversus haereticam pravitatem in universa Republica Chri¬ stiana Inquisitoribus generalibus a Snuda Sede Apostolica specialiter deputatis. 10 Praesentibu8 RR. PP. DI). Paulo Emilio Filonardo, Archiepiscopo Amalfitano, As¬ sessori S. ctl Oflicii, et Fratre Mirimele Angelo Scghitio de Lauda, ordini» Praedi- catonim, Sacrae Theologiae Magistro, Commissario generali. In qua propositao fuerunt infrascriptae causao, quas in notam surapsit idem D. Assessor et mihi Notorio tradidit, videlicet: Pag. 99. Facta relatione per Ill. In,,m D. Cardinalera Bellarminnm, quod (ìulileus Galilei Matliematicus, monitus de ordine Sacrae Congrcgationia ad deserendam opinio- neni quam liactenus tenuit, quod sol sit centrum spherarura et immobilis, terra antera mobilie, acquievit; ac relato Decreto Congrogationia Indici», quo fuerunt probibita et suspensa, respective, scripta Nicolai Cupernici De revolutionibus or- 20 bium caele8tium, Didaci Astunica in Iob, et Fratria Pauli Antonii Foscarini Car- melitae; S. mni ordinavit puhlicari aedictum a Magiatro Sacri Palatii huiusmodi suspensionis et prohibitionis, respective. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 279 7) Ibidem. Pftg. 23G. Feria V. Dio 9. a Iunii 1G16. Fiiit congregata S. Ue Inquisitionis in palatio Apostolico montis Quirinalis, coralli S. D. N. D. Paulo divina providcntia Papa V, ac Ill. mi8 et It. n,i8 DD. Paulo Sfondrato, Episcopo Albanensi Sanctao Caeciliae, Roberto tituli Marine in Via Bellarminio, Antonio tituli S. a0 Crucis in Iiierusalem Zapata, Io. Garsia tituli SS. quattuor Coronatorum Millino, Fablitio tituli S. li Augustini Vernilo, Ioanne tituli S. li Clcmentis Bonsio, Fratre Augustino Gallaniino tituli S. tno Maria© Arae- caeli, et Fratre Felice Contino tituli S. ctl Ilieronymi llliricorum de Asculo, nun- cupatis presbiteris, miseratione divina S. taa Romanae Ecclesiae Cardinalibus, in io universa Republica Christiana adversus haereticnm pravitatem Inquisitoribus generalibus a Sancta Sede Apostolica specialiter deputatis. Praesentibus RR. PP. DD. Fratre Micliaele Seghitio do Lauda, ordinis Praedicatorum, electo Episcopo Laudensi, Commissario generali S. li Oilicii, et Mario Filonardo, I. U. D., Asses¬ sore. In qua propositae fuerunt infrascriptae causae, quas in notani sumpsit idem D. Assessor et milii Notano tradidit, videlicet: Pag. 230. 111.'"* D. Card. 1 ' 3 Carafae, Archiepiscopi Neapolitani, litteris datis die 3 a Iunii S.' nus ordinavit rescribi, quod bene fecit carcerando impressomi!, quod sine liccn- tia typis mandavit Epistolam Magistri Pauli Antonii Foscarini Carmelitae de mo¬ bilitate terrao et solis stabilitate. 8) Decreta, 1632. Car. 145. Feria V. Die xxiil Septembris MDCXXXII. Fuit congregatio S. Oilicii in palatio Apostolico montis Quirinalis, coram S. mo D. N. D. Urbano divina providcntia Papa vm, ac Em. mls et R. ,nìs DD. Cardinal. 8 Borgia, Bcntivolo, Cremonensi, S. Honupbrii, S. Sisti, Gipsio, Verospio, Ginetto, genoralibus Inquisitoribus. Praesentibus R. P. I). Commissario generali, R. P. D. Assessore S. Otticii. In qua propositae lucro causae infrascriptae, quas in notas sumpsit idem D. Assessor et mihi Notario tradidit, videlicet: Car. 146r. Relata serie totius facti circa impressionem libri a Galileo de Galileis Florenliae factam, nec non praecepto eidem ab hoc S. Officio anno 161G facto, S.' nua mandavit io Inquisitori Fiorentine scribi, ut eidem Galileo, nomino S. Congregationis, significet XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 280 ut per totum menaem Octobris proximum compareat in Urbe coram Coiuissario generali S. Officii, et reeipiat ab eo promissioncm 'le parendo buie praecepto, quoti ©idem faciat coram tenti bus, qui, in casu quo iliaci udmittere nolit et parerò non promittat, possint iti testi ticari, si opus fuerit. 0) Ibidem. Car 178»*. Feria V. Die XI Novembri* MDCXXXII. Fuit congregalo S. Officii in palatio Apostolico monti* Quirinali*, coram S. m0 D. N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac [Eni. mla et H.] mU 1)D. Car- dinalibus Bentivolo, Cremonensi, S. Honuphrii, B. u Sisti, Gipsio, Verospio, Barbe¬ rino et Ginetto, generalibus Inquisitoribus. Pracsentihus Eli. PP. DD. Commissario generali et Assessore S. u Officii. In qua propoaitae fuere cali ae infrascriptae, qua* in notam sumpsit idem D. Assessor et mihi Notorio tradidit, videlicet: Fatta etiam relatione quoti idem Orator (nempe Orator Magni Ducis), me¬ diante eodem becretario, representavit instantiani Galilei de Galileis, qui sup- plicat ut, stante eius gravi notate, eidem fiat gratia non veniendi ad Urbem; io S.mui nihil voluit concedere, seti scribi mandavit ut obediat, et Inquisitori ut eum com pellat ad Urbem venire. 10) Ibidtm. C»r. ISOr. Feria V. Die xxv Novembria MDCXXXII. Fuit congregati© S. Officii in palatio Apostolico monti» Quirinali, coram S. m0 D. N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Em. roh et R. mU I)D. Cardi- nalibus Cremonensi, S. 1 Sisti, Gipsio, Yeiuapio, Barberino et Ginetto, generalibus Inquisitoribus. Praesentibus II. P. D. Commissario generali et II. P. Assessore. In qua propositae fuere causae infrascriptae, quas in notain sumpsit idem D. Assessor et mihi Xotario tradidit, videlicet: Michaelis Angeli Bonarotae Fiorentini l'uerunt relatae literae, datae Fioren¬ tine 12 Octobris, quibus supplicat causam Galilei de Galileis cognosci Fiorentine. Il) Ibidtm. C*t. 188t Feria V. Die vmj Deceinbris MDCXXXIJ. Fuit congregatio S. Officii in palatio Apostolico aptid S. Petrum, coram b.*" 0 D. N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Era. ml * et lt. ^,i • DD. Cardi- 9. 8 - 0 . Facto rtialumt quel Ih alar 1 (agni Dneit FUrttt.at. mtdianU ttu* St.rttario, rtpratMntatil iiittan- e(am (latitati, B — II. notuit carne Urt, »td nHMm ma-Ha tri t, B. Tr» • noiuit leggimi nel ood. Il, cancellato, dixit quod txptcUtur txitu» fldtinttitmtt, rimai tmm rtrio . - tl Inquinami ut, A — 10. 9. sbrU, B - (latitati dt OalUatu, D - Tr» eeqnetai • riarmi,at nel codice da cui fu lra»c ritto A si leggeva, cancellato, in hoc 8. Off. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO 281 nalibus Bentivolo, Creraonensi, S. Honuphrii, Gipsio, Barberino et Ginetto, gene- ralibus Jnquisitoribus. Praesentibus R. P. 1). Commissario generali et li. P. D. As¬ sessore S. Oilicii. In qua propositae fuere causae infra scriptae, quas in notam sumpsit idem I). Asscssor et milii Notano tradidit, videlicot: Inquisitoria Fiorentine lectis literis, datis 29 Novembris, quibus significat, iuxta ordinerai Sacrao Congregationis preti gisse terminum unius mensis ad ac- ìo dedendum ad Urbem Galileo de Galileis, qui se ostendit promptum ad obe- diendum, sed reppresentat infirmitates quibus cruciatur et aetatcm decrepitala ; S."" ,s mandavit Inquisitori rescribi, ut, post elapsum terminum dicto Galileo assignatum, omnino illuni cogat, quibuscumque non obstantibus, ad Urbem acce¬ dere, cique dicat quod Senas primum et deinde ad Urbem se conferai. 12) Decreta, 1G33. Car. 4t. Feria V. Die 30 Decembris MDCXXXIII a Nat. 0 Fuit congrcgatio S. Ofìicii in palatio Apostolico apud 8. Petrum, Corani S. mo I). N. D. Urbano divina providontia Papa Vili, ac Em. ls et R. m,a 1)D. Borgia, Cre- monensi, S. Honuphrii, S. Sisti, Gipsio et Ginetto, generalibus Inquisitoribus. Prae- sentibus R. P. D. Commissario generali, et R. P. D. Assessore S. Officii. In qua propositae fuere causae infrascriptae, quas in notam sumpsit idem D. Assessor et inihi Notano tradidit, videlicet: Car. Cr. Inquisitoris Fiorentine lectis literis, datis 18 huius, quibus scribit, Galileum de Galileis, ob diversas infirmitates quibus cruciatur, ut patet ex attestationibus io medicorum, non posse sine vitae discrimine ad Urbem accedere; S. mus mandavit eidem scribi, quod S. t!,s Sua et Sacra Congrcgatio nullatenus potest, et debet tole- rare huiusmodi subterfugia: et ad effcctum yerificandi an revera in statu tali reperiat.ur quod non possit ad Urbem absque vitae periculo accedere, S. mus et Sacra Congregati© transmittet illuc Commissarium cum medierà, qui illuni visitent, ac certarn et sinceram relationem de statu in quo reperitili- faciant; et si erit in statu tali ut venire possit, illuni carceratum et ligatum cura ferris transmittat; si vero, causa sanitatis et ob periculum vitae, transmissio erit differenda, statim postquam convaluerit et cessante periculo, carceratus et ligatus ac cum ferris transmittatur. Commissarius autem et medici transmittantur eius sumptibus et 11. 8. Inquisiti»»!» Fiorentine, A — 8-9. dulia 39 9bria, quibus significai, in exeeutionen* ordinati» 8. Congrega- tionie praefixisse, B — 9-10. ad accedane ad Urbem, A — IO. Oalilaeo, B — 11. sed repraesentaiit, B — 12. mandavit Inquisitioni rescribi, A: cfr. l)oc. XXIV, b, 25. lln. 1. — 12. 2. Tra Apostolico e apud loggesi, cancellato, Montis Quirinalis. — 282 XXIV. PROCESSO DI OAI.II.EO. expenaia, quia ao in tali Btatu et temporibus conatituit, et tempore oportuno, ut 20 ei fuerat praeceptum, venire ac parere conterapsit. 13) Ibidem, Car. 1 (ir. Feria V. Die xx Ianaarii MDOXXXIII. Fuit congregati S. Officii in palatio Apostolico apud S. l'ctrum, eoram S.mo p N. D. Urbano divina providentia Papa N ili. :no Km ,nl * et DI). Cardinalibus Bentivolo, Cremonensi, S. u Ilonuphrii, S. Si^ti, Ciprio, Verospio et. (linetto, ge- nernlibus Inqniaitoribus. Praesentibus R. P. D. Commissario freneraii, et K. P. D. As¬ sessore S. OHieii. In qua proposito fuere causai* infr.iacriptae, quaa in notttm sunipsit idem I). Asaesaur et rnibi Notano tra<1 idit, videlicet: Car. Ifit Eiusdem Inquisitoris Florentiae fuerunt relatie li terno, datnn S buius, quibtig scribit, Galileum ile Guidaci» ao ostendisse proiuptuin qiuunpntuuui ad Urbem accedere. 10 14) Ibidem Car 21 L Feria V. Die III Februarii 1633. Fuit congregati S. Officii in palatio Apostolico apiul S. Petrura, coram S. mo I). N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Km.*** et R.®* DI). Cardinalibus Creinonensi, S. u Ilonuphrii, S. u Sisti, Verospio et (.1 inetto, generalihua Inquisito- ribus. Praesentibus KR. I*P. I)D. Commissario generali et Assessore 8. Officii. In qua propositae fuere causae infrascriptae, qua» in notam aumpsit idem D. Asaessor et inibì Notario tradidit, videlicet: Car. 25r. Kiusdeni Inquisitoris Florentiae fuerunt relutae literae, datae 22 Ianuarii, quibua signilicat, Galileum de Galilei inde disceasisse Komum versus. 1S) Ibidem. Car. 100r. Feria V. Die xvi Iunii MDCXXXIII. Fuit congregati S. Officii in palatio Apostolico monti» Qui ri Italia, coram S. roo D. N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Kni. rn “ et K."»* DD. Car- dinalibus Bentivolo, Cremonenai, S. u Honupbrii, Oipsio, Verospio, Ginetto, gene- 13. 0. Tra ad ed Urbem legffttl, cancellato, Rum.— XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 283 ralibus Inquisitoribus. Praosontibus Kit. TP. OD. Commissario generali et Asses¬ sore S. Officii. In qua propositae fuere causae infrascriptae, quas in notam sumpsit idem D. Assessor et mihi Notario tradidit, videlicet : Car. 102r. Galilei do Galileis Fiorentini, in hoc S. Officio carcerati et, oh eius adversam valetudinem ac senectutem, cum praecepto de non discedendo de domo electao io habitationis in Urbe ac de se representando toties quoties etc., sub paenis arbi¬ trio Sacrae Congregationis, habilitati, proposita causa, relato processa etc., et auditis votis; S . mu8 decrevit-, ipsum Galileum interrogandum esse super intendono, ctiam comminata ei tortura; et si sustinuerit, praevia abiuratione de vehementi in piena Congregatione S. Officii, condemnandum ad carcerem arbitrio Sacrae Congregationis, iniuncto ci ne do cactero, scripto vel verbo, tractet amplius quovis modo de mobilitate terrae noe de stabiliate solis et e contra, sub pena relapsus; librum vero ab co conscriptum, cui titulus est Dialogo di Galileo Galilei Linceo , proliibendum fore. Praeterea, ut liaee omnibus innotescant, exemplaria sententiae desuper ferendae transraitti iussit ad omnes Nuntios Apostolicos et ad omnes 20 liaoroticae pravitatis Inquisitores, ac praecipue ad Inquisitorem Florentiae, qui eam sentontiam in eius piena Congregatione, accorsiti ctiam et coroni plerisque mathematicae artis professoribus, publice legat. 10) Ibidem. Car. !02f. Feria iii.j. Dio xxn Iunii MDCXXXIII. Fuit congregatio S. Officii in convento S. Marine super Minerva, coram Em. mis et JEt . mÌ9 DI). Cardinalibus Asculano, Bentivolo, Cremonensi, S. Honuphrii, Gipsio, Verospio etGinetto, generalibus Inquisitoribus. Praesentibus IiR. PP. DD. Commis¬ sario generali, Assessore, noe non II. D. Procuratore fiscali S. Officii. In qua pro¬ positae fuere causae infrascriptae, quas in notam sumpsit idem D. Assessor et mihi Notario tradidit: Car. 103r. Galileus de Galileis Florentinus abiuravit de vehementi in Congregatione etc. iuxta formulata etc. 15. 17-18. Tra TAnceo e proliibendum leggosi, cancellato, publice cremandum f ore. — 20. Tn^uiiitorem Flovenlae — 21. piena Gong .•* Gong.* accertiti* — 22. publice leyutur — 1(3. 2. Tra in o conventii leggesi, cancellato, pàlatio. — 284 XXIV. i'IiOCKtiSO DI UALILKO. 17) Ibidem Car. lOGr. Feria V. Die xxm Iunii MDCXXXIII. Fuit congregalo S. Oflieii in palatio Apostolico montis Quirinalis, coram S.»»D. N. D. Urbano divina providentia rapa Vili, ac Km."" et DD. Cardinalibus Asculano, Bentivolp, Creinonenri, S. Ilonuphrii, S. Sisti, (iipsio, Verospio et Gi- netto, foneralibuii Inquisitoribua. Pruesentibu» UH. PI*. DD. Commissario generali et Assessore S. OHicii. In qua proposta** filerò causa© infraacriptue, quas in notimi Bumpsit idem 1). Assessor et milii Notario tradidit, videlicet : Car. lOfir. S. mu * mandavit habilitari a carceribus S. OHicii ad palatium Magni Ducis Aotruriae lirbis, prope SS. 1 Trinitatis Montiuiu, Galileum de (ìalileis Fiorenti- nuiu, quod palatium teneat loco carceria. io 18) HùUm. Car. Ilo*. Feria V. Dio xxx Iunii MDCXXXIII. Fuit congrogatio S. Otlicii in palatio Apostolico montis Quirinalis. coram S. m ® I). N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Km. - * et R miB DI). Car- dinalibus Asculano, Bentivolo, S. Honuphrii, S. Sisti, Gipsio, Ve rospi o et Ginetto, generalilius Inquisitoribua. Praesentibus UH. IT. DD. Commissario generali et Assessore S. Officii. In qua proposi tao fu e re causae infrascriplae, quas in notam sumpsit idem D. Assessor et mihi Notario tradidit, videlicet: C»r. UOt-lllr. S. mo " mandavit, Inquisitori Florentiac initti copi am Bententiae et abiurationis Galilei de Galileis Fiorentini, professori Philosophiae et Muthematicae, ut illam legi faciat coram Consultoriluis et Officiulibus S. Otlicii, vocatia etiam professo-io ribus Philosophiae et Mathematirae eiusdom civitatis, in Congregatine S. Officii, velo levato; eamdemque pariter copiam scntentiae et abiurationis initti omnibus N'untiis Apostolici et Inquiai tori bus Incorimi, et in primis Inquisitoribus Bono- niae et Paduae, qui illam notificar! mandent ooruin Vicarila et Dioocesanis, ut deveniat ad notitiam omnium professorum Philosophiae ot Matthematicae. Practerca fecit eidem Galileo gratinili relegationia in palatio Magni Ducis Aotruriae Urbis; illumque relegari taraen mandavit Sema, quo recto tramite so conferat, et in primo accesati se praesentefc coram Archiepiscopo dictae civitatis; et a dieta, civitate non discedet sine licentia huius Sacrai» (Jongregationia, sub poenis arbitrio. 2C 18. 12. eenUntiae abiurati™ w. Cfr. Doc. XXIY.t, 41. Un. 6-6.- 16. cUveniant. Cfr. DoC. cit., Un. 8 - XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 285 l* • 19) Thidem. Cftr. 142f. Feria iii.j. Dio xxiv Augusti MDCXXXIII. Fuit congregalo S. Officii in conventu S. Mariao super Minerva, coram Em. 1 " 5 * et Tl. n,i8 DI). Cardinalibus Asculano, Bentivolo, Cremonensi, S. Honuphrii, S. Sisti, Gipsio, Verospio et («inetto, genoralibus Inquisìtoribus. Praesentibus HR. PP. DD. Commissario generali et Assessore, et R. D. Procuratore fiscali S. Ollicii. In qua propositac lucro causae infrasoriptae, quus in notam sumpsit idem D. Assessor et milii Notario tradidit, videlicet: Car. 14 flr. Literis Nuntii Apostolici Florentiae, datis .... <0 , rescribatur ut curet eftectum executionis ordinis Sanctitatis Suae circa sentcntiam Galilei de Galiteis. 20) Ibidem. Cnr. I57r. Feria V. Dio vmj Septembris MDCXXXIII. Fuit congregatio S. Ollicii in palatio Apostolico montis Quirinalis, coram S. mo D. N. 1). Urbano divina providentia Papa Vili, ac Em." ,is et Rev. ,,,is Dominis Bentivolo, S. Ilonuphrii, S. Sisti, Gipsio, Verospio et Ginetto, generalibus In- quisitoribus. Praesentibus RR. PP. DI). Commissario generali et Assessore, nccnon R. I*. Procuratore fiscali S. Officii. In qua propositae fuero causae infrasoriptae, quas in notam sumpsit idem D. Asscssor et mihi Notario tradidit, videlicet: Inquisitoria Florentiae lcctis literis, datis 27 Augusti, quibus signi ficat, so inxta ordinem S. mi publicasse sententiam et abiurationom Galilei do Galileis Ma¬ io Umiliatici coram Consultoribus et abis philosophis eiusdem professionis civitatis, g mus mandavit, eundem Inquisitorem graviter moneri quod dederit licentiam ini- primendi opera elicti Galilei etc. 21) Ibidem. Car. 20Ir. Feria V. Die p. a Docembris 1G33. Fuit congregatio S. Ollicii in palatio Apostolico apud S. m Petrum, coram S. n '° I). N. I). Urbano divina providentia Papa Vili, ac Ein. ims et U. mis DD. Car- dinalibus Asculano, S. Honuphrii, S. Sisti, Verospio et Ginetfo, generalibus In- quisitoribus. Praesentibus Rii. PP. DD. Commissario generali et Assessore S. Of¬ ficii. In qua propositae fuere causae infrasoriptae, quas in notam sumpsit idem D. Assessor et mihi Notario tradidit, videlicet : 20. 10. ciliii philophia ciuidem — I 1 ' Quosti puntolini sono neH’origiimle. 286 XXIV. PH0CK88O DI QALILKO. Galilei ile Gal ilei 8 Fiorentini, Senta relegati, ledo memoriali, S. m «» oraiorem habilitavit ad eius rurem, ubi vivat in solitudine, nec eo evocet aut venientes illue recipiat ad collocutiones, per tempus arbitrio S. S. 1 ** 88) Dtertla, 168». Cm 1U Feria V. Die xn Ianuarii MDCXXXIIIL Fuit congregatio S. Officii in palatio Apostolico apud S. M Petruni, coram K. mis et R. ,n, ' DD. Cardinalibus A scalano. Benevolo, Cremonenai, S. Ilonuphrii, S. Sisti, Verospio, Oregio, Barberino et (ìinetto, generalibua Inquisì toribuH. Praesentibus UH. PP. DD. Commissario generali et A- sonore S. Officii, mequo. Fuerunt propo- sitae causa© infrascriptae, qua* in notam sumpsi, videlicet: C*r. 1M. Galilei de Galilei* Fiorentini fuerunt relatae literae, datae ex villa Arretri 17 Xuibria, quibua gratina agit circa eius habitiUtioneiu ad Jictam rurem. 23) Ibultm. Car. 5Or. Feria V. Dio xxiii Martii MDCXXXIIII. Fuit congregalo S. Officii in palatio Apostolico apud S. Petrum, coram S. m0 , ac Km. 1 * at R. 1 "'* DD. Cardinalibus Borgia, Cremonensi, S. Ilonuphrii, Verospio, Oregio, Barberino et Ometto, generalibus Inqutaitorihus. Praeeentìbus RR. PP. DD. Commissario generali et Assessore S. Officii. In qua propositae fuere causae infrascriptae, quas in notam suinpsit idem I). A ssesso r et mihi Notano tradidit, videlicet : Galilei do Galilei» Fiorentini, relegati eius rare prope Florentiam, petentis, ob adversam valetudinem, gratiain redeundi in patrinm, ledo memoriali, S. mu " noluit concedere, et mandavit scribi Inquisitori dietne civitatis, qaod significet ©idem io Galileo ut abstineat ab buiusmodi petitionibus, ne Sacra Congregalo cogatur illum revocare ad carcere» huiua 8. Ollicii, et ccrtioret. 84 ) Dtermi, 1638. Ctr. 2 ir. Feria V. Die iiij Febrnarii MDCXXXVIll. Fuit congregatio S. Officii in palatio Apostolico apud S. Petrum, coram S. mo D. N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Km. wl *et R.*'* DD. Card. bn ‘Cro- 21. 8. Tra Seni* 6 rilegati )«fgMÌ. c*ur«U»lo. Ugrutu, 22. 7. Arcriri è scritto «opra Aneti*, cancellato. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 287 monetisi, de la Cueva, S. li Honuplirii, Verospio, et Barberino, generalibus Tnquisi- toribus. Praesentibus Rii. PP. DI). Assessore et Commissario generali S. Officii. In qua propositao fuere causae infrascriptae, quas in notam sumpsit idem D. As- sessor et mihi Notario tradidit, videlicet : Galilei de Galileis, oh compositionem libri de motu terrae et atabilitate coeli, abiurati de vehementi et relegati in villa Arcotri prope Florentiam, petentis gra¬ ie tiam immondi Florentiae, ut curetur a medicis ob [di]c.tas infirmitates quibus cruciatur, lecto memoriali ; S. mus mandavit scribi Inquisitori Fiorentine, ut se in- formet de qualitatibus morborum dicti Galilei, et an eius reditus Florentiam possit parere coetus, conversationes ac discursus, ex quibus renovetur illius dam- nata opinio de motu terrae et stabilitale coeli. 25) Ibidem. Cftr. 33t. Feria V. Die XXV Februarii MDCXXXVIII. Fuit congregatio S. Otììcii in palatio Apostolico apud S. Petrum, coram S. mo D. N. 1). Urbano divina providentia Papa Vili, ac Rm. n,i8 et R."' is DI). Cardina- libus Cremonensi, de la Cueva, S. Honuptirii et Verospio, generalibus Inquisito- ribus. Praesentibus RII. PP. I)D. Francisco de Albicis Assessore, et Magistro Vin- centio Commissario generali S. Officii. In qua propositae fuere causae infrascriptae, quas in notam sumpsit idem I). Assessor et mihi Notai-io tradidit, videlicet: Car. 33f.-34r. Inquisitoris Florentiae lectis literis, datis 13 huitis, quibus significat adversam valetudinem Galilei de Galileis, relegati in villa Arcetri prope Florentiam, et io dicit suum sensum circa illius reditum Florentiam; S. mu8 mandavit, dietimi Ga- lileum babilitari ad domum suam Florentiae, ut curetur ab infirmitatibus, et cum lioc tamen, ne exeat e domo per civitatem, nec minus domi suae admittat pu- blicas seu secretas conversationes personarum, ad fugiendos discursus circa olim illius damnatam opinionem de motti terrae, eique sub gravissimis poenis probiberi ne de huiusmodi materiis cum aliquo tractet, et eum observari. 20) Ibidem. Car. 50i. Feriali. Die xxix Martii MDCXXXVIII. Fuit congregatio S. Officii in palatio eiusdem S. Officii, apud R. Petrum in Vaticano, coram Em. is et R. mi9 Domini» Cardinalibus Cremonensi, do la Cueva, S. Ilonuphrii. Praesentibus RR. PP. DD. Francisco de Albicis Assessore, et Ma- 288 XXIV. PROCESSO DI OAI.II.KO. gìstro Yincentio a Florentiola Commissario generali, necnon R. D. Procuratore fiscali S. Orti eli. In qua propoaitae fuere causar infrascriptae, qua* in notimi sumpsit idem I>. Aseestor et milii Notar io tradidit, videlicet: Car. Mi Litoris Inquisitoria Florentiae, dati 20 Martii. rt cribatur, ut prò suo arbitrio concednt licentiam Galileo di? Galilei» accedciuli ad Milani ad ecolesiam vicinio- rein domui auae, diebua festivi», proviso ne habeat coucuiaum personanun. 27) Ibién i. Car 11 ir. Feria iy. Die xnj Iulii MDCXXXVIIJ. Fnit cor.gregatio S. Officii in conventi! S. Mariae super Minerva, cornm Em. mil ot It. mta I)D. Cardinalibus Cremonenni, ile la Cueva, S. llonuphrii, a Balneo, Vo- rospio et Barberino, generahbu» Inquisitoribua, Praeaentibus RR. I*P. DD. Fran¬ cisco do Albicia Assessore, et Magistro Yincentio Coniiuis ario generali, necnon R. 1>. Procuratore fiscali S. Officii. In qua propositae fuere causio infrascriptac, quus in notam sumpait idem I>. Assc^sor ut uiihi No tur io tradidit, videlicet : Inquisitoris Fiorentino lectis litoris, datia *J«. ! unii, quibua significat, brevi ex Germania venturuin Florentium personam qualificatam, cui» muneribus, ad al- loquendum D. N. D. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Em.®*" ot H.' 1 "’ DD. Cardina- libus Roma, de la Cueva, S. Honuphrii, a Florentiolu et Barberino, generabili» Inquisitoribua. Praeaentibua KB. PP. DD. Assessore et Commissario generali S. Of¬ ficii. In qua propositae fuere causae infrascriptae, qua» in notarn aumpait idem I). Aasessor et mihi Notario tradidit, videlicet: Inquisitoria Fiorentino lectis literia, dati» .... (l \ quibus aignificat obitum Ga¬ lilei de Galileis et quid factum circa illius aepulchrum et funerale, S.'" u ‘ iussit eidem Inquisitori rescribi, ut cum dextcritate procuret ad aurea Magni Ducis de* io venire, quod non est conveniens fabricare aepulchrum cadaveri dirti Galilei poe- nitentiati in Tribunali S. Officii et defuncti durante illius |>oenitentia, ne scanda- lizentur boni cum praeiudicio piotati» Magni Ducis; et si ad id disponi non poaait, advertat ne in epitaphio aeu inscriptione ponenda in aepulchro non legantur verba quae offendere poaaint reputationem huiua Tribunali», et ouin eudom animadver- sione invigilai in oratione funerali recitanda. '*> 1 puntoliui sono nell'originale. XXiV. PROCESSO DI GALILEO. 291 33) Ibidem. Car. 20/. Feria V. Die 13 Felliniani 1642. Fuit congregatio S. Otlicii in palatio Apostolico apucl S. Fetrum, coram S. n, ° D. N. Urbano divina providentia Papa Vili, ac Em. n,i8 et R. rais DD. Cardinalibus Roma, de la Coeva, S. Horuipbrii, S. li Clementis et Barberino, generalibus In- quisitoribus. Praesentibus RR. PP. DI). Assessore et Commissario generali S. Of- ficii. In qua propositae fucre causae infrascriptae, quas in notam sumpsit idem D. Assessor et mihi Notarlo tradidit, videlieet : lnquisitoris Floreutiae fuerunt relatae literae, datae prima Februarii, quibus significat, se acturum cum Magno Duce Etruriae circa sepulchruin Galilei. 34) Decreta, 1731. Car. 10>2r. Feria IV. Die 16 Iunii 1734. Fuit congregatio S. Officii in convcntu S. Marine super Minervam, coram Em“ is et R. mis I)D. S. II. K. Cardinalibus Sancti Clementis, Origo, S. Agnetis, Petra, I cr- cari, Porzia et Guadagni, generalibus Inquisitoribus. Praesentibus R. P/D. De Ilio- ronymis Assessore, P. Fucino Commissario generali, et D. Ursio Fiscali S. Officii. In qua proposita fuerunt infrascripta, quae dictus lt. P. 1). Assessor in notam sumpsit mihique Notario tradidit, videlieet: Car. 103/. Lecta epistola P. lnquisitoris Floreutiae, data die 8 currcntis mensis, qua si- gnificat, ad eius notitiam pervenisse quod meditatili- constructio depositi in Ec- ìo clesia S. Crucis, ordinis Minorimi Conventualium, Galilaei deGalilaois mathematici Fiorentini (qui ob propositiones circa mobilitatom terrae etstabilitatoni solis, ab co assertas ac in libro ab ipso composito contcntas, damnatus fuit, per decretino SS. mi die 16 Iunii 1633, ad carceres arbitrio, praevia abiuratone do veliementi in Congregatone S. Officii Urbis publice facta, et cum praecepto nedeinceps ncque scriptis nequo verbo amplius tractaret quovis modo de mobilitate terrae ncc de stabilitate solis, sub poena relapsus; nec non idem SS. n,us decrevit quod libcr ab co compositus, cui titulus lituloyo di Galileo Galilei Linceo , prohiberetur, nec non exemplaria sententiae desupcr latae transmitterentur ad omnes Nuncios Apo- stolicos et ad omnes Inquisitores et praecipue ad Inquisitorcm Florentiae, qui 20 eam sententiam in eius piena Congregatone, accersitis etiam mathematicae artis professoribus, publice legeret), et supplicat ut oraculum Sacrae Congregationis 34 . 21 . publice legerent — 292 XXIV. PROCESSO 1>I GALILEO. sibi significatili*, casn quopraedicta dep«»siti constructio fierot; Eni. 1 , andito voto DI). Consultori!!», decreverunt rescribendura «lieto Patri Inquisitori, quod con- etructioneni depositi Gnlilaei non impediat, *ed curet sollicito «ibi comraunicari inscriptionem super «lieto deposito faciendam, illamque ad Sacram Congregationom transmittat, ad effectum circa illam dandi ordine* opportuno* antequam fìat Voi. Proc. 1 Itti. 86) Varila, 1741. Car. SòOr. Feria 2. a Die 9 8bris 1741. Fuit congregatio S. Officii, in palatio eiusdem S. Offici!, DD. Consultonim a 8S. mo D. N. I). Benedicto divina providentia PP. XIV specialiter delegata, attenta absentia ab Urbe Em. on,m et R. m#nun DD. Cardinalium Inquiaitorura goneralium, nempe coram RR. 1*P. I)D. Rufo, Corvino, de Ilieronjmis, Fononi Assessore, Episcopo Larinensi, Calcagnino, P. Magistro Sacri Palatii Apostolici, l’atra Com¬ missario, P. Sergio, Congregationis Piorum Operuni, P. Socio, et I). Capretto Consultoribus, meque Notario etc. In qua proposito fuerunt negotia et causao infrascriptae, quas ego idem Notarili» in notaio sumpsi, videlicet: Car. 8óOf 85Ir. Ijecta epistola P. Inquisitoria Tatovii, data die 29 7inbris praetoriti, qua io exponit instantiani sibi ladani ab impressoribus Seminarii illins civitatis prò li- centia reimpriraendi omnia opera Galilei Galilei a Fiorenti», rum obbgationo imprimendi etiam omnes declarationes pra< x ribondas ali bue S ■ Congregationo et cum aliia conditionibus in dieta epistola espressi*; congregati DD. Consulto- rum, delegata ut supra, decrevit rescribendum dicto P. Inquisitori Patavii quod permittat impressionem operum de quibus agitur, servati» tomen conditionibus a dicto P. Inquisitore in dieta epistola enarrati*. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 293 b) Processi. 1615-1734. Arcli. Segreto Vaticano. Capsula X.» — Originalo. Sul redo (lolla prima carta rlol codice, che 6 parte ■li un’antica coperta, o porta il numero 386, nì logge, in alto: « JTlorentiuus. Voi. 1181 », o più sotto: t Ex Archivi) S. Oflìcii. (lontra Ualiloum Galilei Alatlioniaticum ». 1) Car. 837r.-840f. CONTRO GALILEO GALILEI. Noi mese di Eoi)raro 1015 il Padre Maestro Fra Nicolò Lorini, Domenicano di Fiorenza, trasalisse qua una scrittura del Galileo, che in quella città correva per inanus, la quale seguendo lo positioni del Copernico, che la terra si muova et il cielo stia fermo, conteneva molte propositioni sospette o temerarie, avvi¬ sando elio tale scrittura fu fatta per occasione di contradire a certe lettioni fatto nella chiesa di Maria Novella dal P. Maestro Caccini sopra il X capitolo di Giosuè, allo parole Sol, ne movearis : fot 2 {ì) . La scrittura ò in forma di lettera, scritta al P. D. Benedetto Castelli Monaco io Cassinense, Matematico all’bora di Pisa, e contiene le infrascritte propositioni: Che nella Scrittura Sacra si trovano molto propositioni false quanto al nudo senso dolio parole ; Che nollo dispute naturali ella doverohhe esser riserhata nell’ultimo luogo; Clic la Scrittura, per accommodarsi all’incapacità del popolo, non si è aste¬ nuta di pervertire de’suoi principalissimi dogmi, attribuendo sin all’istesso Dio conditioni lontanissime o contrarie alla sua essen[tia]. Vuole elio in certo modo prevaglia nelle cose naturali l’argomento filosofico al sacro. Che il commando fatto da Giosuè al sole, che si formasse, si deve intendere] 20 fatto non al sole, ma al primo mobile, quando non si tonga il sistema Copernico. Per diligenze fatte non si potò haver l’originale di questa lettera: f. 25. Fu esaminato il Padre Cacoini, qual dopose, oltre le cose sodette, d’haver sentito dire altro opinioni erroneo dal Galileo: fot. 11: Che Dio sia accidente; che realmente rida, pianga, etc.; che li miracoli quali dicesi essersi fatti da’ Santi, non sono veri miracoli. Nominò alcuni testimoni, dall’esame de’quali si deduce che dette proposi- tioni non fussero assertive del Galileo nè de’ discepoli, ma solo disputative. 1,1 I fogli citati in questo sunto, che contempla ciascuna carta e, a quanto paro, dalla mano stossa i documenti compresi fino a car. 428r., cioè fino a elio stose il sunto: tnlo numerazione incomincia con 1 tutto l'intorrogatorio di Gai.ii.ro del 10 maggio 1G33, a car 342, n prosegue fino a 108 , cho si logge in basso rispondono ad una numerazione fatta in basso di di car. 410. 294 XXIV. l*K0CKti8U DI GALILEO. Veduto poi nel libro delle macchie solari, stampato in Roma dal medesimo Galileo, le due propositioni : Sol est mitrum mundi, et omnino immobilis motti locali; Terra non est cenirum mundi, d secundum si totani movdur etiam mota so diurno : fol. 34, fumo qualificato per assurdo in filosofìa: fot. SS; e la prima, per heretica formalmente, corno espressamente ripugnante alla Scrittura et opinione de’Santi; la 2*, almeno per eironca in Fide, attesa la vera teologia. Per tanto a’25 di Februro 1616 ordinò N. S." al S. r Card. 1 * Belami ino, che chiamasse avanti di sò il Galileo, e gli facesse precetto di lasciare e non trattar in modo alcuno di dotta opinione dell'immobilità del sole e della stabilità della terra: 36 a t. A’ 20 detto, dal medesimo S. r Cardinale, presenti il P. Comissario del S. 0., io notaro e te8ti[nioni], gli fu fatto il detto precetto, ai qual promise d’obbedire. Il tenore di cui ò che omnino ilesereret di et am opinione m, ncc etiam de raderò Ulani quovis modo tenerti, dorerei et defenderd, alias cantra ipsum in S. Officio procedetur: fol. 36 a t. et fot. 37. In conformità di elio usci decreto della S. Congrega tiene doli’ Indice, col quale si prohibì generalmente ogni libro che tratta di detta opinione del moto della terra e stabilità del sole: fol. 38. Del 1630, il Galileo portò a Roma al P. M. di S. Palazzo il suo libro in penna per stamparlo; e per quanto si riferisce, fui. 46, fu per ordine di lui revisto da un suo compagno, di che non apparisce fede: anzi nella medesima relatione s’ha 50 elio voleva il M. di 8. P., per maggior sicurezza, veder per sò stessso il libro; onde, per abbreviar il tempo, concordò con l’auttore che nell’atto di stamparlo gli lo facesse vedere foglio per foglio, et acciò potesse aggiustarsi col stampatore, gli diede V imprimatur per Roma. Andò dopo l’auttore a Fiorenza, di dove fece istanza al P. M. di S. P. per facoltà di stamparlo colà, e li fu negata. Hi rimise dopoi il negotio all’Inquisitolo di Fiorenza, et avocando il P. M. di S. P. da sé la causa, lasciò a lui la carica di concederla o no, e l’avvisò di ciò ch'haveva ad osservare nell’impressiono. S’ hanno copio d’una lettera scritta dal P. M. di S. P. all’ Inquisitoro di Fio¬ renza e della risposta dell’Inquisitore, il quale avvisò d’haver commessa la cor- 60 rettione del libro al P. Stefani, Consultore del S. ()., e copia della prefatioue o principio dell’opra, e notatione di ciò che doveva 1‘auttoro diro nel fine del- l’istessa opra: fol. 48 et scy. Dopo questo il P. M. di S. P. non sepo altro, se non elio ha veduto il libro stampato in hiorenza, e pubblicato con Vimprimatt.r di quell’Inquisitore, et anco con l ’imprimatur di Roma; e per ordine di N. SS. fece raccoglier gli altri, dove I. 48. tenerel, decerti ri difenderei fu iC ritto «opra ttneat, doceal «| dy'endat, ch« prima SÌ leggo Td, - XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 295 ha potuto far diligenza. Considerò il libro, e trovò che il Galileo haveva trasgre¬ dito gli ordini et il precetto fattogli, con riceder dall’ipotesi. Et essendosi riferito questo et altri mancamenti nella Congregatone del S. Of- 70 (icio a’23 di 7mbre 1632, Sua B. no ordinò si scrivesse all’Inquisitore di Fiorenza che facesse precetto al Galileo di venir a Roma : fol. 52 a t. Venuto, o costituito nel S. Officio a’ 12 d’Aprile 1633, fol. 69, crede d’esser stato chiamato a Roma per un libro da lui composto in dialogo, nel quale tratta de i duo sistemi massimi, cioè della dispositione de’ cieli e delli elementi, stam¬ pato in Fiorenza l’anno 1G32, qual ha riconosciuto, e dice haverlo composto da dieci o dodeci anni in qua, e elio intorno a esso vi ò stato occupato sette o otto anni, ma non conti no vamentc. Dice che dell’anno 1616 venne a Roma per sentir quello che convenisse tener intorno all’opinione del Copernico circa la mobilità della terra e stabilità del so sole, della qual materia ne trattò più volte con li SS. ri Cardinali del S. Officio, et in particolare con li SS. ri Card. 1 'Belarmino, Araceli, S.Eusebio, Bonzi et Ascoli; e che linai mente dalla Congregatione dell’ Indice fu dichiarato che la sodetta opinione del Copernico, assolutamente presa, era contraria alla Sacra Scrittura, nè si poteva tener e difender se non ex suppositionc ; che a lui fu dal S. r Card.' 0 Belarmino notificata tal dichiarationc, come appare dalla fede che glio ne fece di sua inano, nella quale attesta eli’ esso Galileo non ha abiurato, ma che solo gli era stata denunciata la sodetta dicliiaratione, cioè che Popinione che la terra si muova et il sole stia fermo era contraria alle Sacre Scritture, e però non si po¬ teva tenere nè defendere. 90 Confessa il precetto; ma fondato sopra detta fede, nella quale non sono registrate le parole quovis modo docere, dico che di queste non ne ha formato memoria. Per stampar il suo libro venne a Roma, lo presentò al P. M. di S. P., qual lo fece riveder e gli concesse licenza di stamparlo in Roma. Costretto a partirsi, gli dimandò con lettere licenza di stamparlo in Fiorenza; ma havendogli risposto di voler di nuovo riveder l’originale, nè potendosi per il contagio mandar senza pericolo a Roma, lo consegnò all’Inquisitore di Fiorenza, il quale lo fece riveder dal P. Stefani e poi gli concesse licenza di stamparlo, osservandosi ogn’ ordine dato dal detto M. di S. P. ioo Nel chieder detta licenza tacè al P. M. di S. P. il sodetto precetto, stimando non esser necessario il dirglielo, non havendo egli con detto suo libro tenuta e difesa l’opinione della stabilità del sole e della mobilità della terra, anzi che in esso mostra il contrario e che le ragioni del Copernico sono invalide. A’ 30 d’Aprile, dimanda esser inteso, fol 75, e dice : Have ndo fatto riflessione ■olle intcrrogationi fattemi intorno al precetto fattomi di non tener, difender et insegnar quovis modo la sodetta opinione, pur all’bora dannata, pensai di rilegger 296 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. il mio libro, (la me non più rovisto da 3 anni in qua, per osservare se, contro la mia purissima intentione, mi fusse per inavertenr.a uscito dalla penna cosa per la quale si potesse arguir macchia d’inobedienza, et altri particolari per li quali si potesse formar di me concetto di contraveniente a gli ordini di S. 1 * Chiesa, no Kt havendolo minutissimamente considerato, e giungendomi per il lungo disuso quasi come scrittura nuova o di altro auttore, liberamente confesso ch’ella mi si rappresentò in più luoghi distesa in tal forma, che il lettore, non consapevole dell’ intrinseco mio, harebbe havuto cagione di formarsi concetto che gli argo¬ menti portati per la parte falsa, e ch’io intendevo di confutar, funsero in tal guisa pronunciati, che più tosto per la loro efficacia funsero potenti a stringer, che fa¬ cili ad esser sciolti; e due in particolare, presi uno dalle macchie solari e l’altro dal flusso o riflusso del mare, vengono veramente con attributi di forti e di ga¬ gliardi avalorati alle orecchie del lettore più di quello che pareva convenirsi ad uno che li tenesse |>er inconcludenti e che li volesse confutare, come pur io in- 120 ternamente e veramente per non concludenti e per confutabili li stimavo e stimo. K per iscusa di me stesso appresso me medesimo d'esser incorso in un errore tanto alieno dalla mia intontitine, non mi appagando interamente col dire elio nel recitare gli argomenti della parte avverso, quando s’intende di volergli con¬ futar, si debbono portar, e massime scrivendo in dialogo, nella più stretta ma¬ niera, e non pagliargli a disavant.aggio dell’avversario, non mi appagando, dico, di tal scusa, ricorrevo a quella della naturai compiacenza che ciascheduno ha delle proprie sottigliezzo, e del mostrarsi più arguto del conimune de gli huomini in trovare, anco per le propositioni false, ingegnosi et apparenti discorsi di pro¬ babilità. Con tutto questo, ancorché con Cicerone nridior sim gloria quain nati3 iso sit, se io bavessi a scriver adesso le medesime ragioni, non è dubbio eli’ io le snerverei in maniera, eh’ elle non potrebbero fare apparente mostra di quella forza, della quale essentialmente e realmente sono prive. È stato dunque l’error mio, e ’l confesso, di una vana ambitione e di una pura ignoranza et inavertenza. h per maggior confìrmatione del non haver io nò tenuta, nè tener, per vera la (lotta opinione della mobilità della terra e stabilità del sole, sono accinto a farne maggior dimostratione, se mi sarà concesso: e l’occasione c’è opportunissima, atteso che nel libro già publicato sono concordi gl’interlocutori di doversi dopo certo tempo trovar insieme per discorrer sopra diversi problemi naturali, sepa¬ rati dalla materia ne i loro congressi trattata; onde, doventi’io soggiunger una no 0 due altre giornate, prometto di ripigliar gli argomenti già recati a favore della detta opinione falsa e dannata, e confutargli in quel più etlicace modo che mi verrà da Dio sumministraio. Per sua difesa presenta l’originale di detta fede «lei »S. r Card. 1 * Bel armino, per mostrar che in essa non vi sono quelle parole del precetto quovis modo docere, 117 . e due in pari* — 148 . eumminùlrata — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 297 o perchè se gli dia fede che nel corso di 14 o 16 anni ne ha perso ogni me¬ moria, non havendo liavuto occasiono di farvi riflessione : fol. 70 et 83. Prega ad esser iscusato se ha tacciuto il precetto fattogli, perchè non havendo memoria delle parole quovis modo doccre, si credeva che bastasse il decreto 150 della Congregatione dell’ Indice, publico et in tutto conforme alle parole che sono nella fede fattagli, cioè che la detta opinione non si debba tenere et de¬ fendere; massime che nel stampar il suo libro ha osservato quello a che ob¬ bliga il detto decreto della Congregatione. 11 che apporta non per iscusarsi del- l’crror, ma perchè questo gli si attribuisca non a malitia et artifitio, ma a vana ambitione. Mette humilmente in consideratone la sua cadente età. di 70 anni, accompa¬ gnata da comiseranda indispositione, l’alllittione di mento di dieci mesi, li di¬ saggi patiti nel viaggio, le calunnie do’ suoi emoli, alle quali è per soggiacer 1’ honor o riputatone sua. 2) Car. 8t2r. — 317/. a) Car. 842r.-f. — Questa lotterà di Niocoi.ò Lorini non è autografa. 111. 1 " 0 e R. mo Sig. r0 Ter elio, oltre al debito comune d’ ogni buon Christiano, infinito è 1’ obbligo che ten¬ gono tutti i frati di S. Domenico, conio che dal Santo lor Padre furono inatituiti i cani bianchi o neri del Santo Olfizio, et in particolare tutti i teologi e predicatori ; ecco che per questo io, minimo di tutti, e devotissimo servo e particolare di V. S. Ill." ,a , essendomi capitato alle mani una scrittura, corrente qua nelle mani di tutti, fatta da quosti che do¬ mandone Galiloisti, affermanti che la terra si muove et il cielo sta fermo, seguendo lo posizioni di Copernico, dove, a giudizio] di tutti questi nostri Padri di questo religio¬ sissimo convento di S. Marco, vi sono dentro molto proposizioni che ci paiono o sospetto 10 o temerarie, come dire elio certi modi di favellare della Santa Scrittura sieno iiicon- veniefuti], e che nelle disputo delli effetti naturali la medesima Scrittura te[nga] l’ultimo luogo, e che i suoi espositori bene spesso errono nell’ e[spo]sizioni di lei, e che la mede¬ sima Scrittura non si deva impacciar d’altra cosa elio delli articoli concernenti la fedo, o elio nello cose naturali liahbia più forza l’argumento filosofico o astronomico elio il sacro et il divino, quali proposizioni vedrà V. S. Ul. m * lineate da me nella sopradetta scrit¬ tura, di cui le mando la vera copia ; e finalmente che quando Iosuè comando al sole che si fermasse non si deve intenfdejre che il comandamento lussi fatto ad altro ch’ai primo mobile, e non [all’] istesso sole ; io pertanto, vedendo non solo che questa scrittura corro per le mani d’ ogn’ uno, senza che veruno la rattenga de’ superiori, e che vogliono esporre 20 le Sante Scritture a lor modo e contra la couiime esposizione de’Santi Padri, c difen- 150. publio — 2, a. 8. jwaizini — XIX. 38 298 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. dorè opinione appar[ente1 in tutto contraria alle Sacre lettere, tentando che si favella poco onorevolmente de’Santi Padri antichi e di 8. Tomtnaso, e che si calpesta tutta la fìloBolìo d’Aristatile (della quale tanto ai serve la teologia scolastica), et in somma che per faro il bell’ingegno si dicouo mille impertinenze «• si Min inano per tutta la cittA nostra, mantenuta tanto cattolica così dalla buona natura di lei come dalla vigilanza do’nostri Ser. Bl Principi; per qaoato mi non risoluto io d’avviarla, come dicevo, a V.8. HI.*, acciò ohe ella, conio piena di lautissimo zelo, e ohe per il grado elio tiene le tocca, con li suoi 111. 1 ” 1 colleglli, a tenero li ochi aperti ili simil materie, possa, se le parrà che ci sia il bisogno di correzione, metterci quei ripari che la giudicherà più necessarii, per¬ chè parvus trror in principio non sii tmgnus in fine. K se bene forse havrei potuto 80 mandarle copia di corte annotazioni fatto sopra dotta scrittura in questo convento, tut¬ tavia per modestia me ne sono astenuto, posciachè scrivevo a lei medesima, che Ba tanto, e scrivevo a ltoma, dove, come disse S. Hernardo, la Sauta Fede linceo$ oculos habet. Mi protesto eh’ io tengo tutti costoro, che si domandouo Galdeisti, huoinini da bone e buon Christiani, ma un poco saccenti e duretti nelle loro opinioni; come ancho dico che in questo servizio non mi muovo se non da zelo, e supplico V. S. Ili * elio questa mia let¬ tera (io non dico la scrittura) mi sia da lei tenuta, coni’io son certo che la farà, segreta, e non sia presa in modo di giudiciale deposizione, ma solo amorevole avviso tra me e lei, come tra servitore e padron singolarissimo ; e lucendole di più sapero che l’occasione di questa scrittura è stati» una o due lezioni publiche, fatte nella nostra chiosa di S. Maria 40 Novella da un Padre Maestro Fra Tommaso Caccini, esponente il libro di Giosuè et il capitolo X m# di detto libro. Così finisoo, domandandole la sacra sua benedizione e bacian¬ dole la veste, e domnndaile (sic) qualche particella delle W Fuori (car. 847(0: Al Sig. r Cardinole S. u Cecilia, o d' altra inauo : t Contra Galileum Galilei. 8) Car. 8471. Die 26 Februarii 1615. HI. 11 "» et It. rau * D. D. nu * Card. 1 » Mellinua mihi ordinavit ut acribatur Archiepi¬ scopo et Inquisitori Pisarura, qui proenrent habore litteras originales Galilei. *** Uopo delle present>monte non si legge nien- t’altro, essendo corroso 11 margine Inferiore della carta, che, por esser di formato maggiore, sporgerà dalle rimanenti. In una traduzione francese di que¬ sto documento, fatta tra il 1812 o (1 1814 e conser¬ vata noi cod. Àshburnhamlauo 1861 della biblioteca Laurenriana di Fin nico, si leggo (car. 27/.): « ot do- mandant uno petite part dans sossaintes priòros», alle quali parole seguono del puntolini. Domenico Barn (/( protteeo originai* di Galileo Galilei. Nuova edizione. Roma, tip. Voghera, 1878, pag. 124, nota 2) annotò: « dopo delle paro ségniU mi tante oraiiuni ». XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 290 y) Cnr. 343r.-816r. — Questa copia è della stessa ninno «lolla lotterà procedente, e messa a riscontro con la lozione genuina (cfr. Voi. V, png. 281-288, o vedi ivi, png. 208), prosonta notevoli o frequenti diversità, strano grafie, non elio orrori gravissimi. Noi tuttavia alibinnio creduto opportuno, in quosto docuuionto, riprodurre noi testo con la più esatta fedeltà la iezioue del manoscritto. Copia d’ una lettera, scritta dal Sig. ra Galilei al R. P. D. Benedetto Castello, Monaco Cassinense, Mattcmatico di Pisa. Lasciato l’esordio, comincia cosi: Quanto alla prima domanda eli’ è stata fatta a Y. P., parmi che prudentissiinamento fusse proposto quella e conceduto e stabi¬ lito dalla P. V., non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, in’ esser i suoi decreti d’ assolut’ et inviolabil verità. Solo havrei ag¬ giunto,che, se bene la Scrittura non può errare, possono non di meno errare i suoi interpetri et expositori, in varii modi : tra i quali uno io sarebbe gravissimo et frequentissimo, quando volessero fermarsi sem¬ pre sul puro senso litterale, perchè così v’ apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie et bestemmie ancora ; poiché sarebbe necessario dar a Iddio e piedi et man e ochi, e non meno affetti corporei e Immani, come d’ ira, pentimento, odio, e anello tal volta obbliviono dello cose passate e P ingnoranza delle future. Onde, sicome nella Scrittura si trovono molte proposizioni false, qu ant’ a l nudo senso delle parole, ma porte in coiai guisa per a c comod arsi all’incapacità del n umero s o v olgo, così per quei pochi che mentono d’esser separati dalla stolida plebe è necessario ch’i saggi expositori 20 produciamo i veri sensi, et n’additino le ragioni particolari perchè e’sieno sotto cotali parole stati proferiti. Stante, dunque, che la Scrittura Sacra in molti luoghi è non so¬ lamente capace, ma necessariamente bisognosa d’exposizioni diverse dall’apparente senso delle parole, mi par che nelle d isp ute natura li ella dovrebb’ essere riserbata nell’ ultimo luogo : perchè, procedendo di pari dal Yerbo Divino la Scrittura S acra e la natura, quella corno dettatura dello Spirito Santo, et questa come osservantissima execu- trice dell*ordini d’ Dio; et essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’ intendimento dell’ universale, dire molte cose di- 300 XXIV. PROCEDO DI GALILEO. verso, in aspetto et quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; 30 ma, all’incontro, essendo la natura inexorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni et modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità dell' huomini, perlochè ella mai trasgre¬ disce i termini delle leggi inposteli; pare che quello dell'effetti na¬ turali che la sensata esperienza ci pone innazi alli ochi o le ne¬ cessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura che havessero nelle pa¬ role diverso sembiante, perché non ogni detto della Scrittura è legato a obblichi così severi coni’ ogn’ effetto di natura. Anzi, so per questo solo rispetto, d’accomodare’ all* incapacità del popolo, non s’ astenuta 10 la Scrittura di pervertire de’suoi principalissimi dogmi, attribuendo sin all’istosso Dio condizioni lontanissime, et contrarie alla sua es- senzia, chi vorrà asseverantemento sostenere eh’ ella, posto da banda cotal rispetto, nell parlare audio incidentemente di terra 0 di sole 0 d’altra creatura, habbia ciotto di contenersi con tutto rigore drent’a’ limitati 0 ristretti significati delle parole? e massime pronunziando d’esso creature cose lontanissime dal primiero instituto di esso Sacro Lettere, anzi cose tali, che dett’o portato con verità nuda e scoperta, havrebbono dannogiato l’intenzione primiera, rendend’il volgo più contumace alle persuasioni dell’articoli concernenti alla saluto. co Stante questo, et essendo di più manifesto che due verità non posson mai contrariarsi, ò officio do* saggi ex ponitori affaticarsi per trovare i veri sensi de’ luoghi sacri, concordanti con quelle conclu¬ sioni naturali delle quali prima il senso manifesto o le demostrazioni generali, anzi necessarie, c’ havessero resi certi et sicuri. Anzi, ossondo, com’ho dotto, che lo Scritture, benché dettate dallo Spirito Santo, per l’addotto ragioni ammetton in molti luoghi esposizioni lontano dal senso litterale, e, di più, non possendo con certezza asserire elio tutti l’interpetri parlino inspirati divinamente, credermi che fusse pru¬ dentemente fatto se non si permettessi a alcun l’impugnar i luoghi co della Scrittura et obligarl’ in certo modo a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senBO et le ra¬ gioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine all' immani ingegni ? chi vorrà asserire, già XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 301 essersi saputo tutto quello eli’ è al mondo di scibile ? Et per que¬ st’, oltre all’ articoli concernenti alla salute et allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ quali non ò perieoi’ alcuno die poss’ in¬ sorgere mai dottrina valid’ et efficace, sarebbe forse ottimo consiglio il no n n’ aggiungere altri senza necessità : et così s’ è, quanto mag- 70 gior disordine sarebbe lo aggiugnerli a richiesta di persone, le quali, oltre che ingnoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiara¬ mente vediamo eh 5 elle sono del tutto ingnude di quell’ intelligenza che sarebbe necessaria non dirò a redarguire, ni’ a capire, le dimo¬ strazioni con le quali 1’ acutissimo scienze procedono nell’ confermare alcune loro conclusioni ? Io credcrrei che 1’ autor it à delle Sacre Lettere havess’liauto so¬ lamente la mira a persuadere all’ huomini quell’ articoli e proposi¬ zioni, eli’essendo necessarie per la salute sua e soperand’ ogn’ Inumano discorso, non potevono per altra scienza nò per altro mezzo farcesi so credibili, che per la bocca dell’ istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che c’ ù, dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, liabbia volsuto, posponendo 1’ uso di q uesti, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia ne¬ cessario il crederlo, et massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni diverse se ne legge nella Scrit¬ tura ; qual appunto ò 1’ astronomia, di cui ve n’ ò così piccola parte, che non vi si trovono nè pur nominati i pianeti. Però se Moisè havess’ liauto pensiero di persuader al popolo le disposizioni e i mo¬ vimenti de’ corpi celesti, non n’ havrebbe trattato così poco, che è oo come niente in conparazione dell’ infinite conclusioni altissime et ammirande eh’ in tal scienza si contengono. Vegg’ adunque la P. V. quanto, s’io non erro, disordinatamente procedino quelli che nelle dispute naturali, e che dirittamente non sono di fede, nella prima fronte constituiscono luoghi della Scrittura, et bene spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali vera¬ mente credono d’ bavere il vero senso di quello luogo particolare 2, Y* 67-68. ìnsuryere ò scritto sopra insegnare, cho legsesi cancellato, — 77. Tra all’e huomini leggasi, cancellato, huomo. — I 302 XXIV. PR0CES80 DI GALILEO. della Scrittura, et in conseguenza si tengono sicuri d’bavere in mano T assoluta verità delle quistioni eh’ intendono di disputare, dichinrai appresso ingenuamente, so loro stimono gran vantaggio liaver colui eh’ in una disputa naturale s’incontr' a sostenere il vero, vantaggio, 100 dico, sopr* all* altro a chi tocc’a sostenere il falso? So che mi rispon¬ deranno di sì, et che quello che sostiene la parte vera, potrà bavere mlir experienzo e mille demostrnzioni necessarie per la parte sua, et che F altro non può bavere so non sofismi paralogismi et fallacie. Ma se loro, contenendosi drent’ a’ termini naturali nò producend’al- tr’arme che lo filosofiche, sanno d’esser tanto superiori all’avver¬ sario, perchè, nel venire poi al congresso, por subito man a un’armo inevitabile e tremenda, che con la sola vist’ attorisce ogni più de¬ stro et esperto campione? Ma, se io devo dire il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, et che, sentendosi inabili a potere star forti no contr’ all’ assalti dell’ avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare. Ma perchè, coni’ ho detto pur bora, quello eli’ ba la parte vera dalla sua, à gran vantaggio, anzi grandissimo, sopr’ l’av¬ versario, e perchè è impossibile che duo verità si contrarino, però non deviamo temere d’ assalti che ci venghino fatti da chi si voglia, purché ancora a noi sia dato campo di parlare et d’ essere ascoltati da persone intentendenti et non soverchiamelito alterati da proprio passioni e interessi. In confermazione di che, vengo adesso a considerare il luogo par¬ ticolare di Giesuò, per il quale eli’ apportò ad alcuni tre dichiara- 120 zioni ; e piglio la 3 a , eli’ ella produsse come mia, bì come veramente è, 111’ v’ aggiongo alcune condizioni di più, quale non credo luiverle detto altra volta. Post’adunque e conceduto per bora all’avversario, che le parole de testo sacro s’ habbino a prendere nell' senso appunto che elle suonano, cioè che Dio a’preghi di Giosuè facesse fermare il solo e pro¬ lungare il giorno, ond’esso ne conseguì la vittoria; ma riebiedend’io ancora, che la medesima determinazione vaglia por me, sì che l’av- 113-115. Da « grandissimo » * «Togli»* •> eonUa'-aognalo in margino con tro tratti indinoti di ponnn. — 120-121. dichùirau.* è scritto sopra dubita*.*, che lr/g«*rd cancellato. 12-1. Poit'adunqu « eco. Di Cronto al principio di questo periodo reggonsl in margine quattio tratti inclinati di penna. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 303 versarlo non presumesse di legarmi e lassar sè libero quant’al poter 180 alterare o mutare i sensi delle parole; io dico che questo luogo mo¬ stra manifestamente la falsità e inpossibilità del mondano sistema Aristotelico e Tolomaico, et all’incontro benissimo s’accomoda col Copernicano. E primi, io domando all’avversario, s’egli sa di qual movimento si muova il sole? S’ egli lo sa, è forza eh’ egli risponda, quello muo¬ versi di due muovimenti, cioè del movimento annuo da ponente verso levante, et del diurno all’ opposto da levant’ a ponente. Ond’ io, secondariamente, li domando se questi due movimenti, così diversi et quasi contrarii tra di loro, competono al sole e sono ho sua proprii egualmente? È forza rispondere di no, ma che non solo è suo proprio, ciò è 1’ annuo, et 1’ altro non è altramente suo, ma del cielo altissimo, dico del primo mobile, il quale rapisce seco il sole et l’altri pianeti et la sfera stellata ancora, stringendoli a dare una conversione intorno alla terra in 24 ore, con moto, com’ ho detto, quasi contrario a loro nature e proprio. Vengo alla 3 a interrogazione, e li dimando con qual di questi due movimenti il sole produca il giorno e la notte, ciò è se con il suo proprio o pur con quel del primo mobile ? E forza rispondere, il giorno e la notte essere effetti del moto del primo mobile, e dal ibo moto proprio del sole dependere non il giorno et la notte, ma le stagioni diverse et 1’ anno istesso. flora, s’il giorno depende non dal moto del sole, ma da quello del primo mobile, chi non vede che per allungare il giorno bisogna fermare il primo mobile, e non il sole? Anzi, pur qui sarà eh’ intenda questi primi elementi d’astronomia et non conosca che, s’Iddio havessi fermato il moto del sole, in cambio d’ allungare il giorno 1’ havrebbe scorciato e fatto più breve ? Perchè, essendo il moto del sole al con¬ trario della conversione diurna, quanto più il sole si muove vers’ oriente, tanto più si verrebbe a ritardare il suo corso all’occidente; et diad¬ ico nuendosi o annullandosi il moto del sole, in tanto più breve giunge- rebb’ all’ occaso : il quale accidente sensatamente si vede nella Q, la quale fa le sue conversioni diurne tanto più tardi di quelle del sole, quant’ il suo movimento proprio è più veloce di quello del sole. Essendo, dunque, assolutamente impossibile nella constituzione di Xo- 157-158. Tra sole o al contrario leggasi, cancellato, più breve. — 304 XXIV. PROCESSO DI OALILEO. lomeo et d‘Aristotile fermare il muto del sole e allungare il giorno, sì come afferma la Scrittura esser accaduto, adunque o bisogna elio i movimenti non sieuo ordinati come vuole Tolomeo, o bisogna alte¬ rare il senso litterale della Scrittura, o dir che quando ella dice che Dio fermò il sole, doveva dire che fermò il primo mobile, ma che, per accomodarsi alla capacità di quelli che sono a fatica idonei a inten- no dorè il nascere e il tramontar del sole, ella dicess’ al contrario di quello che havrebbe detto parlami’ a buoni’ sensati. Aggiungesi a questo, che non è credibile eh’ Dio fermassi il sol solamente, lasciando scorrer 1 ’ altre sfere ; perchè senz’ necessità nes¬ suna T havrebb’ alterato e permutato tutto l’ordine, li aspetti et le disposizioni dell’ altre stello rispetto al sole, e grandemente pertur¬ bato tutt’ il corso della natura : ma è credibile che Egli formassi tutt’ il sistema delle celesti sforo, lo quali, dopo quel tempo della quiete interposta, ritornassero concordemente alle loro opere senza confusione o alterazione alcuna. iso Ala perchè siamo già convenuti, non dover alterare il senso lit¬ terale del testo, è necessario ricorre a altra constituzione delle parti del mondo, et vedere se conforme a quella il sentimento delle pa¬ role cammina rettamente e senz'intoppo, sì come veramente si scorge avvenire. Havend' io dunque scoperto et necessariamente dimostrato, il globo del soie rivolgersi in bò stesso, facendo un’ intera conversione in un mese limare in circa, per quel vera’ appunto che si fanno tutto T altre conversioni celesti ; et essendo, di più, molto probabile et ragionevole che il sole, come strumento e ministro massimo della ido natura, quasi quor del mondo, dia non solamente, com'egli chiara¬ mente dà, luce, ma il moto ancora a tutt' i pianeti eh' intorno se li ruggirono ; se, oonform’ alla posizione del Copernico, noi attribuirem alla terra principalmente la conversione diurna ; chi non vede che per formar tutt’ il sistema, onde, senza punto alterare il restante delle scambievoli relazioni de’ pianeti, solo si prolungasse lo spazio e il tempo della diurna illuminazione, bastò che fusse fermato il sole, conv appunto suonono le parole del sacro testo ? Ecc’ adunque il modo secondo il quale, senz' introdurre confusione alcuna tra le parti del inondo et senz' alterazione delle parolo della Scrittura, si può, con 200 il fermare il sole, allungare il giorno in terra. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 305 Ho scritto più assai che non comportono le mie indisposizioni, con offerirmeli servitore, e li bacio le mani, pregandoli da N. S. le buone fest’ et ogni felicità. Fir. e , li 21 X. re 1613. Di V. S. P. a molto R. da Ser.™ Aff. m0 G. G., ciò ò Galileo Galilei. Al molto R. d0 Pr. Col.™ 210 11 Pr. D. Benedetto Castello, Monaco Casin. 86 e lott. re delle matt. ch ®, in Pisa. 3) Car. 84Ir. In scriptum (,) milii liodie exhibita, praeter liaec tria sequentia nihil aline! ad notandum invoni. In prima pagina, ubi dicitur: Che nella Scrittura Sacra si trovano molte prò- positroni false quanto al nudo senso delle parole etc., licct ad honuin intellectum reduci possint praodicta verba, primo tamen aspectu male sonare videntur. Non bene enim utitur nomino falsitatis, quocuraque modo Sacrae Scripturae attri- buatur: illa namque est omnimodae et infallibili yeritatis. Ita aliam in secunda pagina, ubi dicitur: Non s'è astenuta la Sacra Scrittura di pervertire de' suoi principalissimi dogmi etc., cuni sempor illa verba abstinere io ut pervertere in malum sumantur (abstinemus enim a malo, et pervertitur cum qui de iusto fit iniustus), male sonant cum Sacrae Scripturae attribuuntur. Malo etiam sonare videntur verba illa in 4 a pagina: Posto adunque et conce¬ duto per bora etc. : namque in hoc proposito solum velie concedere videtur veri- tatem historiae solis a Iosuo firmati iuxta Sacrae Scripturae textum, quamvis sequentium suceessu ad bonam intelligentiam reduci possint. In caeteris autem, et si quandoque impropriis abutatur verbis, a semitis tamen catholicae loquutionis non deviat. 3. 3. Di fronte al principio dol poriodo In prima pagina sono sognati sul margino duo tratti di penna inclinati, o di fronte ft Ita aliam (lin. 8) tre tratti, e quattro di fronte a Male etiam (lin. 12) — 14. ò sostituito a tentimi, cho loggesi cancellato. — (»> Cfr. pag. 299-805. XIX. 39 800 XXIV. PK0CK880 DI GALILEO. 4) Car. 849r. — Ant«irr*fa. Ili — et R — Sig." et P.ron mio Poi — Quando io ricevotti la lettera di V. S. Ili.* 1 de* 27 del passato, il P. Don Renedetto Castello era a Firenze, ma arrivò due giorni dopo, e subito uu vonne u visitare; con lu quale orca-dono essendo venuto a parlar soco del Galileo, li chiesi la lotterà scrittagli da lui de’21 di Dicembre 1613. Egli mi disso che gnomi lrnvea resa, ma che harobbe man¬ dato per essa, o datomela. Il ragionamento cadde cosi sproposito, e lu risposta fu tanto subita, che io mi rondo certo che la cosa stia come egli me 1' ha detta ; nò ci ho fatto altro, se non che 1* ho pregato a farla venir quanto prima, e bisognando gne ne ricor¬ derò. Intanto n* ho voluto dar questo conto a V. S. 111.—, perchè possa comandarmi se vuole che io ci faccia altra diligenza, e atliuchè, se lo giudicasse sproposito, ne dia qual- 10 che altro ordine a Firenze, dove io tengo per fermo che ora sia detta lettera. E baciando umilissiuiamente le munì a V. 8. 111.**, le prego dal 8ig. r * Iddio ogni felicità. Di Pisa, li mi di Marzo 1614 W. Di V. 8. III.- et R- Umiliss. 0 et Obblig- Ser." Franz*, Arcivescovo di Pisa. Fuori (car. 852/.): All’ 111 — et R.— Sig." et P.ron mio Col"* Il Sig. 0 ' Cardinale Mollino. o d’ultra mano: Pisa. Di Mona.'* Arcivescovo. Delli 8 a 18 Marzo 1615. 20 Rispondo che il P. D. Renedetto Castello li ha detto che havevn resa la lettera otc. al Galiloo etc., onde si potria scrivere di ciò a d«*tto Costello in Fiorenza etc. 6) Car. 860r. — Autofrafa. 111.“° et R — Sig. r# , mio Sig." et P.rone Col — Questa sarà per aecosare la ricevuta della lotterà di V. S. Ili — delli 27 di Febraio passato, assicurandola che Mona/* Arcivescovo et io siamo intorno all* easecutione circa la lettera originale scritta dal S. r Caldeo da Fiorenza al P. D. Benedetto, Mathematico in questo Studio; et dal detto Mona.” Arcivescovo intender{...J 111.“* per questo spacio più distintamente il tutto, et a ano tempo si avviserà il successo. Et col bacio delle sacro veBti, riverent issimamente ine le raccomando in gratia, et li prego da Dio vera saluto. Di Pisa, li 7 di Marzo 1615. Di V. S. 111.— et li.®’* IIumiL— ServZ* ot Oblig. mo Oratore [F.J Lelio, Iuq. r * di Pisa. 10 lnutudi, al Jnoamationt. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 307 Fuori (car. 351»), d’altra mano: Pisa. Del Padre Inquisitore. De 7 a 13 di Marzo 1615. Rispondo che Mona.™ Arcivescovo et lui sono intorno por esseguiro quanto li è stato scritto circa la lotterà del Galileo, et dal medesimo Arcivescovo sarà informata più appieno. 0 ) Car. 352». Die 19 Martii 1615. g.mus ordinavit oxaminari Fratrem Tliomam Caccinwn, ordinis Praedicatorum, quem 111."" 18 D. Card. 1 ' 8 Araecaeli dixit osso informatimi de erroribus Gallilei, et instare illos deponere prò exoneratione suae conscientiae. 7) Car. 853r.-858». a) Car. 858r.-358». — La sottoscrizione ò autografa di Tommaso Caooiki. Die Ven. 20 Martii 1615. Comparuit. personaliter sponto, Romao in palatio S. tl Officii in aula magna examinum, coram admodum 11. P. F. Michaelo Angelo Seghezzio de Lauda, ordinis Praedicatorum, Sacrae Theologiac Magistro et Commissario generali SA' 10 ltomanao et Universalis Inquisitionis, in meique etc., R. P. F. Tlionias filius quondam Ioannis de Caccinis, Florentinus, sacerdos professus ordinis Praedicato¬ rum, Magister et Bacchalaurous in conventu B. Mariae supra Minervam almae Urbis, aetatis suae annorum 39 circiter, cui delato iuramento veritatis dicendae, quod tactis etc. praestitit, deposuit ut infra, videlicet: io Parlai con V Ill. mo Sig. Card. 1 Araeceli d’alcune cose occorse in Firenze; et egli hieri mi mandò a chiamare, et mi disse che dovesse venire qua da V. R. a dirli tutto ; et per che lei mi ha detto che bisogna deponerle giuditialmente, son qua a quest’ effetto. Dico dunque, che leggendo io nella 4 ta domenica dell’Advento di quest’anno passato nella chiesa di S. lil Maria Novella di Firenze, dove dal¬ l’obbedienza ero stato in quest’anno destinato lettore di Sacra Scrittura, seguii l’incominciata da me istoria di losuò; et appunto nella stessa domenica mi toccò a leggere quel passo del X° capitolo di quel libro, dove il sacro scrittore riferisce il gran miracolo ch’alio preghiere di losuò fece Iddio in fermando il sole, cioè: Sol, ne movearis coìitra Crhal)aon etc. Presi per tanto occasione da questo luogo, 20 da me prima in senso litterale et poi in sentimento spirituale, per salute dello anime, interpetrato, di riprovare, con quella modestia che conviene all’oflitio che tenevo, una certa opinione già di Nicolò Copernico, et in questi tempi, per quel eli’ ò publichissima fama nella città di Firenze, tenuta et insegnata, per quanto dicono, dal Sig. r Galileo Galilei matematico, cioè che il sole, essendo, 6. 2. Fra Thomam o Ctieeinum leggasi, cancellato, J accin. — Dio 3“ nionsis Aprilis JG16 fnit tranamissa copia lnq. r i Fiorentine. 308 XXIV. PR0CE880 DI GALILEO. secondo lui, centro del mondo, per conseguenza è immobile di moto locale pro¬ gressivo, cioè da un termine all’altro; et dissi come somigliante opinione da gravissimi scrittori era tenuta dalla Fede Cattolica dissonante, perchè contradi¬ ceva a molti luoghi della divina Scrittura, li quali in senso litterale, da’ Santi padri conoordevolmente datogli, suonano et significano il contrario, come il luogo del Salmo 18 mo dell’ Ecclesiastes, primo capitolo, di Esaia 38°, oltra al luogo di 30 Iosuò citato: et perchè restassero più gl*audienti capaci che tal mio insegnamento non procedeva da mio capriccio, lessi loro la dottrina di Nicolò Serrario, que¬ stione 14* sopra il X n capitolo di losue, il quale, dopo l’haver detto che tal positione di Copernico è contraria alla comune sentenza di tutti quasi i filosofi, di tutti i theologi scolastici e di tutti li Santi Padri, soggiongeva che non sapeva vedere come tal dottrina non fusai quasi che heretica, per i luoghi sopra accen¬ nati della Scrittura. Dopo il qual discorse» avvertii che non era lecito a nessuno V intorpetrare le divine Scritture contro quel senso nel quale tutti i Santi Padri concorrono, perchè ciò era vietato et dal Concilio Later&nense sotto Leone X° et dal Concilio Tridentino. 40 Questa mia caritativa ammonitiono, quantunque a molti gentil’ huomini in¬ territi et devoti grandemente piacessi, oltra modo dispiacque a certi discepoli del predetto Galilei, si che andorno alcuni di loro a ritrovare il P. predicatore del Duomo, acciò in questa materia predicasse contro la data da me dottrina. Sì che havondo io sentito tanti rumori, per zelo della verità detti conto al molto II. P. In¬ quisitore di Firenze di quanto m’era parso, per termine di conscientia, di trattare sopra il predetto luogo di Iosuè, avvisandolo ch’era bene il por freno a certi petulanti ingegni, discepoli del suddetto Galilei, de’quali in’era stato detto dal li. P. Fra Ferdinando Cimenes, liegente di S. 14 Maria Novella, che da alcuni di propositionos.m loro haveva sentite questo tre propositioni, cioè: Iddio non è altrimente sustanza, 60 ma accidente; Iddio è sensitivo, perchè in lui sono sensi divinali; Veramente che i miracoli che si di cono esser fatt i d a*Sant i, non sono veri miracoli. Dopo questi successi, dal P. Maestro Fra Nicolò Lorini mi fu mostrata una copia d’una lettera scritta dal predetto Sig. r Galileo Galilei al Padre Don Be¬ nedetto Castello, Monaco Benedettino et publico Mattematico di Pisa, nella quale m’è parso contenersi non buona dottrina in materia di theologia; ot per che la copia di quella ò stata mandata al Sig. r Cardinale S. u Cecilia, però non ho che aggiungerci altro. Dunque depongo a questo S.*° Otlizio, come publica fama è che il predetto Galilei tenga queste due propositioni: I*a terra secondo sò tutta si muove, etiam di moto diurno; 11 sole è imobile: propositioni, che, secondo la mia co 58-60. Da a qwtto fino a imohiU ri e in margina nn tratto verticale, che abbraccia due righe del manoscritto. — 1,1 Questa o le seguenti postille marginali fn- mano direna da quolla che atoao ii verbale dello rono aggiunto posteriormente, ewendo scritte di depoviaiono. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 309 conscientia et intelligenza, repugnano alle divine Scritture, esposte da’ Santi Padri, et conseguentemente repugnano alla Fede, che c’insegna dover credere per vero ciò che nella Scrittura si contiene. Et per adesso non mi occorre di dire altro. Int. 8 : Quomodo sciat quod Galileus doceat et teneat, solem esse immobilem. terramque moveri, et an ab aliquo nominatili! hoc intellexerit ; R. il : Oltra la publica fama, come ho detto, ho anco inteso da Mona. Filippo de’Bardi, vescovo di Cortona, nel tempo che stetti là, et poi in Firenze, che il Galilei tiene le predette propositioni per vere, aggiungendomi che ciò li pareva molto strano, por non consonare alle Scritture. L’ho di più inteso da un certo 70 gentil’ In torno Fiorentino degl’Attav a nti, settatore d el mede simo Galilei, dicen¬ domi che il predetto Galilei interpretava lo Scritturo in modo che non repu¬ gnassero alla sua opinione: et di questo gentil’ homo non mi raccordo il nome, nè so dove sia la casa sua in Fiorenza; so bene che prattica spesso in S. u Maria Novella di Firenze, ma va in Inibito di prete, et può essere di età di 28 in 30 anni, di carnagione olivastra, barba castagna, di mediocre statura et di faccia profilata: et questo me lo disse quest’estate passata, circa il mese d’Agosto, nel convento di Santa Maria Novella, in camera del P. Fra Ferdinando Cimenes, con l’occa¬ sione ch’il detto Padre Cimenes disse come io non sarei stato molto a leggero il miracolo del firmamento del sole, alla presenza di esso Cimenes. Ho anco letta 80 questa dottrina in un libro stampato in Roma, che tratta delle macchie solari, uscito sotto nomo del detto Galileo, che me lo prestò il detto Padre Cimenes. Int. 8 : Quis sit ilio concionator Domicilii (sic) ad quem confugierunt discipuli Galilei, ut publice sermonem haberet contra doctrinam pariter publice ab codoni deponente edoctam, et quinam sint illi discipuli, qui talem petitionem fecerunt (lieto concionatori; R. u : Il predicatore del Domo di Firenze, al quale fecero ricorso i discepoli del Galileo perchè predicasse contro la dottrina da me insegnata, è un Padre Giesuita Napolitano, di cui non so il nome: nè io da detto predicatore ho sa¬ puto queste cose, perchè manco ho parlato con lui ; ma questo me P ha detto il 90 Padre Emanuele Cimenes, Giesuita, col quale detto predicatore si era consigliato, et lui lo dissuase : nè manco so chi siano stati quei discepoli del Galilei che cer- corno dal predicatore le sopradette cose. Int. s : An ipse loquutus sit unquam cura dicto Galileo?; R. il : Non lo conosco ma nco di vi so. Int. 8 : Cuius sit opinionis dictus Galileus in rebus ad Fidem spectantibus, in civitate Florentiae ; R. il : Da molti è tenuto buon Cattolico; da altri è tenuto per sospetto nelle cose della Fede, perchè diconò sii molto intimo di quel Fra Paolo Servita, tanto 79-81. Da «neo a me lo vi è in margine un tratto verticale, che abbraccia due righe del manoscritto. — 97-100. Tutta questa risicata è segnata in margine con un tratto verticale. — do aud. al. de aud. ai. n eque de visu co- guovit Galilcuui. 310 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. do And. al. qnod familiari* tafani cuoi Fnitro Paolo. famoso in Venetia por le suo impietà, et dicono che anco di presente passino lotr toro tra di loro. 100 Int.* : An recordetur a quo vel quibus in specie praodicta intollexerit; R.'*: Io ho inteso le sopradette coso dal P. Maestro Fra Nicolò Lorini, dal Sig. Priore Cimenee, Priore de’ Cavalieri di S. Stefano; et questi m'hanno dettolo sopradette cose, cioò il P. Nicolò Lorini, che fra il Galileo et Maestro Paolo passano lettere et gran familiarità, con occasione di dire che costui era sospetto in Fide havendomi replicato P istesso più volto, anzi scrittomi qua a Roma. Il Priore poi CimenoB non mi ha detto altramente della familiarità che passa fra Maestro Paolo et il Galileo, ma solo ch’il Galilei è sospetto, ot eh*essendo una volta venuto a Roma, lo fu significato come il S.* Ofiizio cercava di porvi le mano sdosso, per il che lui se la coke: et questo mo lo disse in camera del P. Ferdinando ilo sudetto, suo cugino, che non mi raccordo bene se detto Padre ci fusse presente. Int. B : An in specie intellexerit a pracdictis P. Lorino et D. Kquite Cimenee, in quo habebant dictum Galileum suspectum in Fido; R. Sl : Non mi dissero altro, eccetto che V havevano per sospetto per lo prop08Ìtioni che l ui ten eva della stabilità del solo et del moto della terra, et perche costui vole interpolare la Scrittura Sac ra cont ro il B enso commune de* 8. Padri» Subdens ex se : Costui con altri Bono in un’Accademia, non so se eretta da loro, che ha per titolo i Lincei ; et hanno corrispondenza, cioè il detto Galileo, por quanto si vede da quel suo libro delle Macchie Solari, con altri di Germania, 120 Int.*: An a P. Ferdinando Cimenes fuerit sibi narratum in specie, a quibus intellexisse propositionee illas, Deum non esse substantiam 8 ed accidens, Deurn esso sensitivum, etiam miracula Sane ti 3 impiota (?) non esse vera miracula; R.‘ l : Mi par di raccordarmi che mi nominasse quello degl’Attavanti, da mo descritto per uno di quelli che dicevano le dette proposi/ioni; d’altri non mi raccordo. Int.": Ubi, quando, quibus praesentibus, et qua occasione, Pr. Ferdinandus narravit sibi, discipulos Galilei proferre dictas propositiones; R. u : Il P. Ferdinando mi ha detto di haver sentito le dette propositioni dalli scolari del Galileo più volte, e in chiostro da basso et in dormitorio da basso et 130 in cella sua, et questo dopo eh’ io feci quella lottiono, con occasione di dirmi elio* mi haveva difeso con costoro ; nè mi raccordo che mai ci sia stato altri presente. Int." : De inimicitia cum dicto Galileo et ilio de Attavantis ac aliis discipulis dicti Galilei ; R. ,fc : Io non solo non ho inimicitia col detto Galileo, ma nè anco lo conosco ; cosi con l’Attavante non vi ho inimicitia nè odio alcuno, nè con altri discepoli del Galileo, anzi che prego Dio per loro. 114-120 Tott* questa risposi* è segnata in margine con un tratto verticale. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 311 Int. 8 : An dictus Galileus publice doceat Florentiae, et quam artem, et an discipuli eius sint numerosi; 140 R. il : Io non so se il Galileo legga publicamente nè se habbi molti discepoli: so bene che in Firenze ha molti seguaci, che si chiamano Galileisti ; et questi sono quelli che vanno magnificando et lodando la sua dottrina et opinioni. Int. 8 : Cuius patria© sit dictus Galileus, cuiusne professionis, et ubi studuerit; R. u : Lui si fa Fiorentino, ma ho inteso eli’è Pisano; et la professione è di mattematico: per quanto ho inteso, ha studiato in Pisa, et letto in Padova; et è di età di GO anni passati. Quibus habitis etc., fuit dimissus, iinposito sibi silentio cum iuramento do pracdictis et obtenta eius subscriptione. Io Fra Tommaso Cacci ni ho deposto 160 le predette cose. p) Car. ar,8<. Die 2 Aprilis 1615. Mittatur copia depositionis Fratris Thomae Caccini Inquisitori Florentiae, qui Die a» outsàem oxaminet nominatos in testea et certioret. fuit uliSìil1 co l’ ia - Die 28 Maii 1615 fuit missa copia depositionis dicti Tomae Inquisitori Mc- diolani. 8) Car. 359>\ — Autografa. 111.“° et R. m0 Sig. r * et P.ron mio Col. mo Ho già dato conto a V. S. 111.' 011 a’ vii del presente, come il P. Don benedetto Ca¬ stello mi haveva promesso scriverò al Galileo perchè li mandasse la sua lettera de’ xxj di Dicembre 1613, elio era ritornata nelle sue mani: ora, non essendo ciò seguito, l’ho vo¬ luto di nuovo rappresentare a V. S. 111.“% perchè mi favorisca di comandarmi quel che io debba fare. Io non dubito punto che la lettera sia appresso al Galileo, havendo io trat¬ tato in modo col Padre, clic non lui potuto penetrare per che conto io gliene abbia chie¬ sta: anzi tien por formo che io la voglia vedere por curiosità e come loro amico; nè ho giudicato bene scoprirmi seco da vantaggio senza nuovo ordine di V. S. 111.“% massima¬ lo mento havendo ella scritto al P. Inquisitore ohe si procedesse con destrezza. Non debbo già lasciare di mettere in considorazione a V. S. 111.“% che forse sarà più agevole e spe¬ dita via il farsela dare dallo stesso Galileo. E faccendo a V. S. 111.““ umilissima rive¬ renza, le prego da Dio ogni felicità. Di Pisa, li xxviij di Marzo 1615. Di V. S. 111.““ et liUmiliss. 0 e Obbligò 0 Ser/« Frau. 00 , Arcivescovo di Pisa. 7, p. 4. Tra copia e itpotii .»'• legnosi, cancellato, d. nU T. — 312 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. Fuori (car. 8G0f.) : All’III. 1 " 0 et Rev. m0 Sig. re et P.rou mio Col.' 00 Il Sig. r Cardinal Mollino. e d’altra uiauo: Pisa. I)i Mons. rB Arcivescovo. 20 Do 28 di Marzo ) A 3 d’Aprile \ 10 °‘ Dice die, non haveuclo il Padre Don Tìencdetto Castello potuto sinhora rilmvcr la lettera del Galileo, come spei’ava, saria torsi espediente di procurarla dal medesimo Ga¬ lileo, se però altrimenti non li si comanda etc., onde etc. a di mano ancora divorsa: Die 8 Aprilis 1615 relatae. 9) Car. 361r. — Autografa. 111.® 0 et li. n, ° Sig. r0 Ilo viceuto la lettera di V. S. 111.® 0 et R. ma dalli 4 del corrente, insieme con la copia della deposizione del P. F. Thomaso Caccini, dell’ ordine de’ Predicatori, contro Galileo Galilei; et quanto prima potrò havere li testimoni prodotti, de’quali alcuni sono liora occupati nello predicatami quadragesimali, eseguirò subito il contenuto della detta lot¬ terà, soggiongendo apresso quanto sin bora in’occorre a proposito. Et a V. S. Ill.“ a et It. u,a facio profTondissima riverenza. Da Firenze, 13 Aprile 1G15. Di V. S. Ul. u,a et R. ma Tlumilis. 0 Servo F. Corn.® luq. ro di Firenze. 10 Fuori (car. 8G2i.): All’ Ill. mo et R. m0 Sig. r0 mio [P.ne] Col. m ° Il S. p Card. 10 Millino. Roma. o d’ altra mano: Fiorenza. Del Padre Inquisitore. Delti 13 a 18 Aprile 1615. Respondo che essaminarà, quanto pili presto potrò bavere li testimoni!, nominati da Fra Tbomasso Caccini, de’ Predicatori, contro il Galilei etc. <...>■ e di mano ancora diversa: Die 6 Maii 1615 relatao. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 313 IO) Car. 868r.-3G4t. a) Car. 3G3r. — Autografa la sottoscriziono. Ili et R. m0 Sig. ro . Perché il P. F. Ferdinando Gimenes dell’ordine de’Predicatori, che intorno al fino di Marzo passato partì da questa città per Milano, havendo lasciata voce di ritornar subbito doppo le tre l'oste di Pasqua, bora s’intende ch’egli non sia por venire così pre¬ sto a Firenze, non mi è parso di cominciare Pessamine dello persono nominate nella do¬ nunti a del P. F. Thomasso Cacciai, del medesimo ordine, contro Galileo Galilei, come già scrissi a V. S. Ill.*" a et R. ma , ma di aspettare et vedero prima lo depositioni di detto P. Gimenes intorno allo tre propositioni che si pretendono asserto dalli discepoli di detto Galileo, che è il fondamento principale di quanto si possa pretenderò contro detto Ga¬ io lileo et che solo ha bisogno di prova. Però ne do avviso a V. S. Ul. ma et R. mft , acciò possa ordinare quello che gli parerà espediente; et gli laccio profondissima riverenza. Firenze, li xt Maggio 1616. Ri V. S. 111.““* et li. ma Ilumilis. 0 Ser.° F. Oorij. 0 , luq. re di Fiorenza. Puori (car. 864<.) : All’ 111.*" 0 ot R. m0 Sig. r0 P.ron mio Gol.’™ Il Sig. r Card. 1 * Medino. Roma, o tl’altra mano: Fiorenza. I)cl P. Inquisitore. 20 Pelli xi a 22 Maggio 1615. Rice che non li ò parso bone di metter mano ad essaminare li testimoni': nominati nella denuntia di Fra Thomaso Caccini contro il Galileo, so prima non ò essamiuato il P. Fra Ferdinando Gimenes de’ Predicatori, qualo ò andato a Milano et si credo non aia por tornare per bora etc., onde etc. p) Car. 3G4f. Die 27 Maii 1G15. Scribatur Inquisitori Mediolaiii, ut examinet Fratrem Fer¬ dinanda m Cimenes. Il) Car. 3Gf»r. — Autografa la sottoscriziouo. 111.* 0 et R.“° Sig. r P.ron mio Col.'" 0 11 Padre Fra Ferdinando Xiraenes de’Predicatori ha sostenuto publieamente conclu¬ sioni di theologia in Bologna, con Poccasione del capitolo generale del suo ordine; et por quello ch’egli scrive qua con lettere delli 19 del[....], doveva andare a Firenze et starvi quindeci giorni in cfircaj, et poi tornarsene qua: ove giunto, l’essaminarò sopra le de¬ positioni che V. S. 111.““ m’ha mandato con lettere delli 29 di Maggio, et di quello risul¬ tarli gle ne darò subbito parte. XIX. 40 314 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. Con altro lettor© di V. S. 111.** dalli 30 dal pacato ho intono quanto vi[ene] esposto a coteMta Sacra Congregatimi© da Mon. r Vi* covo di Sarxana, cio[è] ch’io prescriva or¬ dini al Vicario del S.° Oflìtio in Pontremoli di venir a torture et sentenze senza parti- io cipar i meriti de* processi con l’ordinario, contro la forma della Clementina Multorum [de] herrtiris et di quello osservono gl’altri Inquisituri c’hanno iurisdittifone] in quella dioceso. In risposta di che, dico a V. S. III."** ohe detto M[on/J reta mal informato, per- chò non preserie i mai ordini tal», et ne può e? er vivo tc limonio il medesimo Vicario di Pontremoli. (Quando] egli mand i prore» i o tummarii qua, piglio il parere per l’ispe- ditiono dalli Consultori di questo S. Ofiitio, et poi a lui scrivo la r olntione elio so n’è fatta et il decreto che so n’è formato, acc(iò] ossequi - a nello tortore et sentenze quello che è parso smisto) c|qr, con le debito partieipationi dell’ordinario colà: in segno di elio l’istesso Vicario, nel rifiorir qua gl’atti che fa in «ssecutiono d«u decreti mandatili et che l’Ordinario non vi può intervenire, fa sempre (articolar inentione che l’Ordinario 20 ccdit vicc8 suu*. Nondimeno quando fai volta non l’babbi fatto o non lo faccia, io gli farò intendere che osservi «letta Clementina, come faccio anch’io et si fa da’miei vicarii. Con altre lettere di V. S. IH.*” dalli cinque del presento ho intero la depntationo del Sig. r Gio. Batta Arconato por Consultore di questo S.” Offitio, in luogo del Sig. r Prinoi- vallo Monti; et porchò la provisione è stata ottima, no Laccio i piedi bumiUssimameiite a S. Beatitudine, et a V. S. Ili** lo vesti, pregandole «la Ilio vero bene. Do Milano, li 24 di Giugno 1615. Di V. S. I1L- et lL m Humilias “• Ber." F. Desider.* 8oag[lia], Fuori (car. 3Mr.), d'altra mano: Milano. 80 Del Padre Inq. r * Delli 24 di Giugno ) alli 4 di Luglio ' Risponde che ess&minarà Fra Ferdinando Xiinenee de’ Predi Potori conteste, tornalo che egli Bia da Fiorenza, dove bora sta etc. berne ohe il Vescovo di Sarzana si duole senza ragione di lui, attesoché non ha dato ordine alcuno pregradicovola alla sua giu- risditione in Pontremoli etc.: tuttavia lo ricordar* al suo Vicario in detto luogo. Rin¬ grazia della deputazione del S. r Gio. Batta Arrotiate {ter Consultore eie., onde etc, 12) Car. 887r Il P. Inquisitore di Belluno, con lettera delli 21 Loglio 1615: c Non ho nè originale nè copia della scrittura del Mathematieo Oallileo, perchè so¬ lamente seppi da un testimonio, et chiamato citato ex offic e, oh’ il locano di questa città lisseli una scrittura che diceva baveri» havutu dal Galldeo etc. » XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 13) Car. 80.8r.-3C9*. a) Ca t. 868r. — Autografa la sottoscrizione. 315 lll. m0 e R. ,n0 Sig. r P.ron mio Col. 0 ' 0 L’111."’ 0 S. r Card.’* Millino con suo ietterò delli 29 Maggio prossimo passato mi mandò, per ordine di colesta Sacra Congregationo, la copia di parte d’unti depositione fatta in cotesto Sant’Officio contro il Galileo, Matematico in Fiorenza, acciò ch’io essa- minassi il Padre Fra Ferdinando Ximene s de’ Predicatori, quale a' intendeva eh’ all’ bora fosso qua, sopra il contenuto di detta depositione. A questa lettera io risposi che il detto Frate si era trovato al capitolo generalo in Bologna, e poi se n’o ra ito a Fiorenza, di dove scriveva elio in breve sarebbe stato di ritorno in questa città ; ina perchè fin bora non ò comparso, forai, credo io, per la par¬ lo tenza del S. r Marchese della Hynoyosa da questo Stato, o tuttavia so ne sta in detta città, ne ho voluto dar parto a V. S. lll. ma , affinchè, so così lo parerà, possa dar gli or¬ dini neccessari che sii ossaminato colà. E per line baccio a V. S. Ul. m * con ogni rive¬ renza le vesti, e dal S. r0 le prego compito bene. Di Milano, li xxi 8bro 1615. Di V. S. IU. m “ o lt. mft ITumilisa.® 0 Ser ro F. Dosid. 0 Scaglia Fuori (car. 309*.), d’ altra mano : Milano. Del P. Inquisitore. Delli 21 a 30 8bro 1615. 20 Avvisa elio il P. Fra Ferdinando Ximenes Domenicano, che doveva egli castrai inare con¬ testo nella causa del Galileo Mathematico eto., se no sta tuttavia a Fiorenza eie., onde etc. p) Car. 309*. Die 4* Dmbris 1615. Inquisito! - Fiorentine examinet Fratrem Ferdinandum Ximenes ordinis Prae- dicatorura, et certioret. 14) Car. 370r.-37 l*. a) Car. 370r. Il P. Inquisitore di Fiorenza, con lettera delli 15 di 9mhre 1615: « Ricevuta la lettera di V. S. Ill. ma dolli 7 di Novembre, ho ritrovato le scritture elio fumo mandato da cotesta Sacra Congregationo al mio antecessore, et conformemente ho essaminato giuridicamente il P. Fra Ferdinando Ximenes dell’ordine do’Predicatori con ogni maggiore diligenza, et anco Ianosso Altavanti. da esso sopra ciò nominato in con¬ teste; et mando copia autentica a V. S. III.™* delle loro depositioni, qui annessa >. 316 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. p) Car. 37Ir.-n72«-. Copi* di nano di Lodovico tAcoro*i (*<*dl Un. 77-78). Copia. I)ie 13 Novembri* 1615. Ad pracscriptuni litterarum Sacrae Congregationis S. Ofticii Romana©, sub dalia Romao die aeptima praesentis menai» Novembri» et anni 1615, coram adm. R. P. Magiatro I.aelio Marzario de Favontia, rivitatis Florentiae ac eiua dominii Inquisitore generali, in meique ctc. Vocatus, comparuit peraonaliter Itev. Pater Magister Ferdinandus Ximenes, sacerdos professila ordini» Prandi rato rum, aetatis suae annorum 10; cui delatum est iuramentum veritatis dicendae, quod praestitit manu tartis etc., et ut infra deposuit < • • • > Int.": An sciat causato suao vocationi»; io R. 4 : Padre, no. Int. 1 : An cognoscat quondam doctorem, Florentiae degentem, nomine Gali- leum, familiariter, et quid de ilio sentiat; R. 1 : Io non Pho mai visto in dui anni die sono in Firenze; ma dico beno die. conforme quello ch’ho sentito dire dell’opinione del moto della terra et fermezza del cielo, et anco a quello ch’ho sentito dire da quelli che conversano seco, dico esser d oc trina contraposita ex dmmatro alla Yora theologia et filosofia. Sibi dicto ut clarius oxplicet suum dictum, R. 4 : Ilo sentito alcuni suoi scolari, i quali hanno detto che la terra si muovo et che il cielo 6 immobile; hanno soggiunto die Iddio è accidente, et che non 20 datur substantia rerum nè quantità continua, ma che ogni cosa ò quantità di¬ screta, composta do vacui ; che Lidio è sensitivo rUaitter, che ride, che piange etiam decider : ma non so però se loro parlino de loro opinione, o per opinione del loro maestro Galileo sopradotto. Int.*: An audiverit vel eundem Gali leu in voi quempiam ex discipulis illius, in specie dicentem, miracula quae ascrihuntur Sancii» non esse vera mir&cula; R. 4 : Di questo punto particolare io non mi ricordo. Int*: A quo vel a quibus praesortim audiverit ox discipulis eiusdem Galilei, terram raoveri et coelum sistere, Deum esse nccidons, non duri substantiam re¬ rum nec quantitatem continuala, sod tantum discretam ex vacui», et Deum esse so sonsitivuin, ri si hi lem, flentem rtiam dcaliler; R. 4 : Io l’ho udito le predette cose o disputato di esse con il Piovano di Castel Fiorentino, chiamato Gioanozzio Attavante Fiorentino, essendovi presente a questi raggionamenti il S. r Cavai/ Ridolfi Fiorentino, Cavai/ di San Stefa no. Int.*: De loco, tempore, contestilms et occasiono; R. 4 : Del luogo, fu in camera mia. nel convento cpù di S. 4 * Maria Novella; il tempo, fu l’anno passato, molte volte, ma non saprei dire nò di cho mese nò di 14, p. 82. T è scritto sopr* non, cbe è raschiato. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 317 elio giorno ; contesti presenti vi erano il detto S. r Cavai. r alcuna volta, et alcuni Frati nostri, do i quali non mi ricordo precisamente. 40 Ini 8 : An ex verbis illius Plobani coniicere potuerit, praedictum Plebanum loqui serio et ita credere et asserere, an vero talia opinavi; R.': Io non credo che il detto Piovano Attivanti assertivamente dicesse et credesse le sopradette cose, perchè mi pare che lui stesso dicesse clic si rimetteva alla Chiesa, et che il tutto dicesse disputationis gratta. Int. 8 : An aliquam notitiam particularem haboat de dicto Plobano Attavanti, ut ipse possit dicero dindoni esse intelligentem. et loqui disputative, non autom assertivo; R. 1 : Io so elio lui non ha fondamenti nò di tbeologia nè di filosofìa, et credo che non sia dottore; ma io l’ho giudicato (come si dice) infarinato dell’uno e 50 dell’altro, et credo che più tosto parlasse secondo l’opinione del Galileo che di propria opinione: et l’occasione fu clic io leggevo al detto Attavanti i casi di conscientia, e tra noi s’entrò nel raggionamento d’alcuno lettioni che fece il Padre Maestro Caecini, all’bora lettore della Sacra Scrittura qui nella nostra chiesa di Santa Maria Novella, et leggeva l’historia di Giosuò, o tra l’altro quelle parole Stetti sol; et con quest’occasione venissimo a raggionamento delle sopradette cose. Int. 9 : An reprehenderit dietimi Plebanum Attavantem male opinantem et falsa disputantem, et quid respondorit dictus Plebanus; R. 1 : Io lo riprendevo instantissimamentc, et li facevo toccar con mano che co lo cose detto e disputato erano false et lieretiche, perchè la verità è elio la terra, secondo tutta, è immobile et fondata sopra la sua stabilità, come dice il Profeta, et che il cielo et il sole si muovono, et che Iddio è sustantia et non accidente, anzi non si puoi dir altrimente, et che sono vanità quelle che lui diceva, che Iddio è sensitivo, che ride, che piango ctiain dcaliter , et che non si dà se non quantità discreta, composita ex vacuis. Int. 9 : De inimicitia vel cum dicto Galileo vel cimi Plebano Attavanto; R. 1 : Io non ho mai veduto il detto Galileo, come ho detto di sopra, nè ho mai Lauto che far seco; nò meno ho Lauto mai inimicitia con il detto Piovano Attavante, ma più tosto amicitia: me dispiace bene la dottrina del detto Galileo, 70 perchè non è conformo alli Padri orthodosi di Santa Chiesa, anzi è contro la verità istessa. Int.*: An aliquid velit deponere spoctans ad Sanctum Odicrnini'; II. 1 : Io non ho altro che dire, et quel che ho detto di sopra tutto è verità. Quihus habitis, praedictus Pater constitutus licentiatus est, sub iuramento de silentio, liabita ipsius subscriptione. Fr. Ferdinandus Ximenes, Magister etc. 318 XXIV. l’K0CE880 I»1 GAI.ILKO. Actum Florentiae, in aula adtn. R. P. Inquisitori», per me Fratrem Ludovicum Iacobouium ile Interamna, Sancti Oflicii Fiorai, l’anceUarium <... > yì C»r. 87fir.-373i. Dio 14 Novembri» 1615. Vigore pr&cdictarum litterarnm vociti»», cnmparuit personalitar, coram quo et ubi sopra, in meique otc., Rev. Doimnu-» 1 oliano ti u» Attavnntius, nobilis Fio¬ rentini!», Castri Fiorentini Plebanui», minoribu» initiatus. aotatis suae annorum 38, cont astia nomina tua, ad inform&ndum eto. Cui delatun» est iuraraentum voritatis dicendae, quoti praeatitit nianu tacti» etc., et dcposuit ut infra. Int.*: Àn aciat causam »uao vocatioiua ? ; R. 4 : Io non ho co»’alcuna. Int.': An hic Florentiae littori» incnhuorit. ot sub quibu» praeceptoribus; R.‘: Io ho atteso allo lettore gl*anni pannati; et miei maestri Bono stati ilio Padre Vincenzo da Ci vitella ot il Padre Vincenzo Populesohi, ambidue dell’or¬ dine de’ Predicatori. Int.*: An tilios habuorit praeceptores, ot praeeertim saecularee; R. 4 : Mentre io attendevo già alla gramatica et all* Immanità, m’insegnorno M. Simone dalla Roccha et M. Dio. Patta, hoggi maestro di questi Prencipi; et ò pia un anno che il Padro Xiraenca, dell’ordine de'Predicatori, mi ha letto i casi di conscientia. Int*: Si notitiam habuit cniusdam doctori». hic Florentiae degenti8, qui vo- catur Galileus de Galilei», et ab ilio li tieni» didicit; U. 4 : Io non ho mai imparato sotto «li lui come suo scolare ; ho ben trattato 20 soco di lettere, come ordinariamente fo con quell» che sono letterati, et impar- ticolare ho trattato seco di cose filosofiche. Int.": Si unquam al» eoden» Galileo, discurrendo vel inter loquendum, audi- verit aliqua vel Scripturae Sacrae vel doctrinae philosophicae vel Fidei nostrao repugnantia et non consona, et quae praesertiin ; R. 4 : Non ho inai sentito dire dal S. r Galileo cose che repugnino alla Scrittura Sacra nà alla S. u Fede nostra Cattolica; ma intorno alle cose filosofiche o ma¬ tematiche ho sentito il detto S. r Galileo dire, secondo la dottrina del Copernico, che la terra nel suo centro o nel suo globo si muove, et elio il sole parimente si muove dentro il suo centro, ma di fuori non hahbia moto progressivo, secondo 30 alcune lettere da lui date in luce in Roma sotto titolo Delle macchie solari, allo quali mi rimetto in tutto. Int.*: Si unquam audiverit praedictum Dominimi O&liloam aliqmun Scriptu- ram Sacram intcrpraetanteui, et forte male, iuxta suani opinionem do motu terrao et sistentia solis : XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 319 R.‘: Io l’ho sentito raggionare intorno al tosto di Giosuè che sol stetit conira Gàbaon, ove confessa clic miracolosamente il sole si fermò, ma che però fuori del suo centro, di moto progressivo, non si muove. Int. 8 : Si audiverit praedictum Dominimi Galileum asserentem, Deum non esso 40 substantiam, sed accidons; item, Deum esse sensitivum, ridentem flentem, et quo- modo; item, quod miracula quae ascribuntur Sanctis, non sunt vera miracula; R. 1 : Intorno a queste cose particolari, sappia V. P. che un giorno raggiornando io, per modum disputationis et addiscendi gratin , sopra gl’ assoluti di San Tomaso con il Padre Ferdinando Ximenea dell’ordine de’Predicatori, in camera sua in S. u Maria Novella, qui in Firenze, An Deus sit substantìa vcl accidons , e di quello che disputava San Tomaso Contro gcntes, An Deus sit scnsiiivus, an ridcat , an plangat etc., per modani disputationis , come ho detto, c non altri mente, un Padre Caccini, pure dell’ordine de’ Predicatori, all’bora attualmente predicatore in S. ta Maria Novella, havendo la camera sua vicina alla camera del detto I*. Xime- r>o ncs, sentendoci raggionare per modo di disputatone insieme, torsi s’immaginò che io riferissi lo sopradette cose come assorte o d’opinione del detto S. r Galileo; ma non ò vero. Quanto poi a i miracoli de’ Santi, non ne fu trattato in modo alcuno, et non no so niente. Et così si determinò, secondo la dottrina di S. Tomaso, che Iddio non è sensitivo, nè ride, nè piange, perchè sarebbe corpo organico, il che è falso, ma che è sostanza semplicissima. Int. 8 : Ut quid cogitaverit vcl nominaverit dictum Patroni Caccinum ut supra, male opinantem de disputatone liabita inter constitutum et praedictum P. Fer- dinamlum Ximenem ; R. 1 : Io ho nominato il detto P. Caccini come di sopra, perchè un’altra volta co avanti, raggionanilo io con il detto P. Ximenes pure in camera sua, et senten¬ doci il detto P. Caccini, nel proposito del moto del sole, uscì fuori di camera sua et venne da noi, e disse che era una propositione herotica a dire che il so lo stasse fermo et non si movesse fuori del suo contro secondo 1 ’ op inione del Copernico, et che voleva predicarla in pulpito, come seguì. Int. 8 : De scientia, loco, tempore, contestibus et occasione; R. 1 : Io lo so, come ho detto (li sopra, di certa scientia e di udito proprio. Il luogo fu la camera del P. Ximenes. Il tempo fu il mese (l’Agosto o di Luglio dell’anno 1613, ma non mi ricordo precisamente il giorno. Presente non vi era alcuno, solo il (letto Padre Ximenes et io. L’occasione fu, clic io imparavo dal detto 70 Padre Ximenes i casi di conscientia; et in questo modo si venne a’raggionamenti predetti, per modo di disputa c d’imparare, et non al tri mente. Int. 8 : Quid sentiat do ipso supradicto Domino Galileo circa Fidem ; 11. 1 : Io l’ho per bollissimo Catolico; altrimente non starebbe con questi Sc- reniss. 1 "' Principi. Int. 8 : De inimicitia vel malevolontia vel odio cum dicto Patre Caccino; 320 XXIV. PR0CE880 DI GALILEO. R. 1 : Io non ho mai parlato nè prima nò poi ch’alThora, et non ho che fare seco, et non so il suo nomo. Int. B : An alimi yelit deponore spectans ad Sanctum Officium; K.‘ : Io non ho che dir altro, e quel che ho dotto è la pura et mera verità Quibus habitus, praodictus Dominu* constitutus liccntiatus est, ouni iuramento 80 do silentio, habita ipsius aubacriptione. Io Gianozzi Attavanti confermo quanto sopra. Aduni Fiorentino, in aula adm. R. P. Inquisitoria, jior me Fratrem Ludovicum Iucobonium de Interamna, Odici i Moren. Cancollarium. Traesons copia conoordat cum originali do verbo ad verbum. Ir. Ludovicus Iacobonius y.® u Utlicii Floron. CancelL* Fuori lc*r 874»-), d'ultr» ia*uw. Kerepi cura littori* R. P. Uquuitori» Flo[ra)utwa dto(?) 21 [Novembri*] 1616. 15) Pur 876*. Pie 25 Qmbris 1615. Videantur quaedam litterao Gali ilei, oditae Komae cum inscriptione Delie mucchio sobri. 16) Car. 876<-877r. a) Cor. 87«r. Proposito censurunda: Che il sole sii centro del mondo, et per conseqmiun immobile di moto locale; Che la terra non ò centro del mondo nè immobile, ma move secondo sò tutta, ctiam di moto diurno. Erit congregalo qualificationis in S.* OtTido, die Marti* 23 Februarii, bora decimaquarta cum dimidia. 0) Car. 870*. Die 19 Februarii IG1G. Fuit min-ta copia omnibui RII. PP, DI). Theologis. Y) Par 877r. — Autografe 1* flrwf dei teologi c*o*ori. Propositiones censnrandae. Censura facta in S.«® Officio Urbis, die Mercurii 24 Februarii 1G1G, coram infrascripti8 Patribua Theologis. 16, «• 4 ptr cmit jHiftxi —- XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 321 Prima: Sol est centrum mundi, et omnino immobilis motti loculi. Censura: Omnes dixerunt, dictam propositionem esse stultam et absurdnm in philosopliia, et lbrmaliter haereticam, quatenus contradicit expresse sententiis Sacrae Scripturae in multis locis secundum proprietatem verborum et secundum communcm expositionem et sonsum Sanctorum Patrum et tlieologorum doctorum. 2.“: Terra non est centrum mundi neo immobilis, sed secundum se totani io movetur, etiam mota diurno. Censura: Omnes dixerunt, hanc propositionem recipere eandem censurani in philosopliia; et spoetando voritatem theologicam, ad minus esse in Fide erroneam. Petrus Lombardus, Archiepiscopus Armacanua. Fr. IIyacintus Petronius, Sacri Apostolici Palatii Magister. Fr. Raphael Riphoz, Theologiae Magister et Vicarius generalis ordinis Praedicatorum. Fr. Michael Angelus Seg. 8 , Sacrae Theologiae Magister et Coni. 8 S. li Olìicii. Fr. llieronimus do Casali mai ori, Consultor S. u Olìicii. Fr. Thomas de Lemos. 20 Fr. Gregorius Nunnius Coronel. Benedictus Jus. nus , Societatis Iesu. 1). Raphael Itastellius, Clericus Regularis, Doctor theologus. D. Michael a Neapoli, ex Congregatione Cassinensi. Fr. la co bus Tintus, socius R. mi Patria Commissarii S. Olìicii. 17) Cnr. 378t.-379*\ a) Cnr. 878t. Die lovis 25 Februarii 1 GlG. 111."*" 8 D. Cardinalis Millinus notificavit RR. PP. DD. Assessori et Commissario S. cli Olìicii, quod relata censura PP. Theologorum ad propositionea Gallilei Ma- thematici, quod sol sit centrum mundi et inmobilis motu locali, et terra mo- veatur etiam motu diurno, S. mus ordinavit Ul. mo D. Cardinali Bellarmino, ut vocet Corani se dietimi Galilcum, eumque moneat ad deserendas dictam opinionem; et si recusaverit parere, P. Commissarius, coram notorio et testibus, faciat illi prae- ceptum ut omnino abstineat hniusmodi doctrinam et opinionem doccio aut de¬ fendere, seu de ea tractare; si vero non acquieverit, carceretur. P) Car. 8781. 379r. Die Veneris 20 oiusdem. In palatio solitae habitationis dicti lll. ml D. Card. 1 ' 8 Bellarminìi et in mansio- nibus Dominationis Suae Ill. ,nao , idem Ill. mua D. Card. 1 * 9 , vocato supradicto Galileo, 17, a. 1. Dopo 1616 segue, cancellato, /Tanct.’""* — 8. dictam opinionem ò corretto sopra dieta* opi¬ nione», elio prima si loggova; ma uou fu corretto descrendut. — 41 XIX. 322 XXIV. PROCESSO DI OAMLEO. ipsoquo Corani D. sua 111.®» existente, in praesentia admodum U. P. Fratria Michaelis Angeli Segliitii do Lauda, ordini» I’rnedicatortini, ( ommiv arii generali» S.» 1 Otìicii, praedictum Galileum monuit de errore eupradictae opinioni» et ut illam deeerat; et successivi* ac incontinenti, in mei etc. et testium etc., praesente edam adirne eodem ili.® 0 D. Card.“, supradictu» P. Commissarius praedicto Galileo adhuc ibidem praosenti et conatituto praecepit et ordinavit [proprio nomine] S. mi D. N i’apae et totius Congregationis S. u Oflicii, ut aupradictam opinionom, quod sol io sit oentrum mundi et immobili» et terra moveatur, (minino relinquat, nec eam de caetero, quovis modo, teneat, docoat aut defendat, verbo aut scriptis; alias, contra ipsum procedetur in S.*° Officio. Cui praecepto idem Galileus aquieyit et parere promisit Super quibus etc. Actum Romae ubi supra, praesentibu» ibidem II. 110 Badino Norea de Nicosia in regno Cypri, et Augustino Mongardo de loco Ahbatiae Kosae, dioc. i'olitianensis, farailiaribus elicti 111."" 1). Cardinali», testibu» etc. 18) Car. 880r. — Stampi ordinai». DETKETrM Saerae Congregationis lllustrisaimoruui S. II. K Cardinalium, a S. I). N. Paulo Papa V SaiicUque Sede Apostolica ad ludtcem librorum, eoruiudeinque penuuaioiiem, proibitionem, oxpurgationem et impreaaionem in universa Re- publica Christiana, specialiter deputatorum, ubiquo publicanduui. Cum ab aliquo tempore citra prodierint in lucein inter alio» nonnulli libri varia» haereses atque erron-s continente», ideo Sacra Congregatio lllustrissimo- rum S. U. E. Cardinalium ad Indiceli! deputatorum, ne ex eorum lectione graviora 10 in dies damna int ota Republica Christiana oriantur, eoa omnino damnaiulos atque prohibendos esse voluit; sicuti praesenti Decreto poenitus damnat et pro- hibut, ubicu.uque et quovis idiomate impresaos aut imprimendo»: mandans ut nulìus deinoep», cuiuicumque gradu» et conditionis, sub poenis in Sacro Con¬ cilio Tridentino et in Indice librorum prohibitorum contenti», eos audeat impri¬ mere aut imprimi curare, vel quomodocumque npud se detiuere aut legere; et sub iisdein poenis, quicuinque lume illos habent vel habuerint in futurura, loco- rum Ordinariis seu lnquisitoribu», statua a praesentia Decreti noti ti a, exbibero teneantur. Libri autom aunt iufrascripLi, videlicet: T/ieologiae Calrinittarum libri tre*, audore Connulo SchlusserburyiO. 20 Scolanus Rrdivicus, ai ve Comenlai ius Krotcnutficuò in tres priores libros co - dicis, eie. 17, 0. 10. ntpr-uIUitm 0 }^'ntnnrm — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 323 Gravissima^ qiiacstionis Ghristianarum JEcdesiarum in Oocidentis praese-rtitn partibus, ab Apostólicis temporibus ad nostrani usque aetatem continua successione et stata, Ìlistorica cxplicatio, alidore lacobo Usserio , Sacrae Theologìae in Dulbi- niensi Academia apud llgbernos jn'ofcssore. Friderici Achillis, Ducis Vuertembcrg, Consultatio de principatu inter Pro- vincìas Furopae, habita Tubingiae in Illustri Collegio , Anno Christi 1613, Panelli Enucleati , sivc commentari or um Hugonis Donelli de lare Civili, in so compen li um ita retiadorimi eie. Et quia etiam ad notitiain praefatae Sacrae Congregationis pervenit, falsam illam doctrinam Pithagoricam, divinaeque Scripturao omnino adversantem, de mobilitate terrae et immobilitato solis, quam Nicolaus Copernicus De revolutio- nibus orbiuin coelestium, et Didacua Astunica in Job, etiam docent, iam divul- gari et a multis recipi; sicuti videro est ex quadam Epistola impressa cuiusdam Patria Carmelitae, cui titulus: < Lettera del li. Padre Maestro Paolo Antonio Fo- scarini Carmelitano, sopra l’opinione de’ Pittagorici e del Copernico della mobi¬ lità della terra e stabilità del sole, et il nuovo Pitagorico sistema del mondo. In Napoli, per Lazzaro Scoriggio, 1615 >, in qua dictus Pater estendere conatur, 40 praefatam doctrinam de immobilitate solis in centro mundi et mobilitate terrae consonam esse ventati et non adversari Sacrae Scripturae; ideo, ne ulterius huiusmodi opinio in perniciem Catholicao veritatis serpai, censuit, dictos Nico- laum Copernicum De revolutionibus orbium, et Didacum Astunica in Job, suspen- dendos esse, donec corrigantur ; librum vero Patrie Pauli Antonii Foscarini Car¬ melitae omnino prohibendum atque damnandum; aliosque omnes libros, pariter idem doccntes, probibendos: prout praesenti Decreto omnes respective prohibet, damnat atque suspendit. In quorum fidem praesens Decretum maini et sigillo Illustrissimi et Reverendissimi D. Cardinali S. Caeciliae, Episcopi Albanensis, si- gnatum et munitimi fuit, die 5 Martii 1616. oo T., Episc. Alba non., Card. S. Caeciliae. Locus *i* sigilli, ' Registr. fol. 90. F. Franciscus Magdalenus Capiferreus, Ord. Praedic., Secret. Romae, ex Typograpbia Camerae Apostolicae, M. DCXVI. 19) Car. 381r.-3S2f. a) Car. 381 r. — Autografa. Ill. ,no ot R. mo S. r mio Obs ."' 0 Ilftveudo Mons. r Vescovo di Nocora publicati qui un decreto della Sacra Congrega- tione, nel quale fra P altre coso so prohibisce un libro et una lettera che tratta de mo¬ bilitate terrae et immobilitate solis, ch’autore di essi è un Frate Carmelitano, et perchè in esso decreto si diceva il libro essersi stampato a Napoli, procurai cou questo sapore 324 XXIV. PB0CK880 DI GALILEO. dal stampatore con qual licenza i’hav«v» nupreaao, et sinhora non l’ha mostrata di que¬ sto tribunale. S’è giudicato per questo di procedere contra di caso, et «inhora s’ò car¬ cerato, per venire a imo tempo a scntenaa. Di che m'ha parso darne conto a V. S. IH.»* alla quale per line baseio humilroente le mani. Di V. S. Ili — et R “• Di Napoli, li 2 di Giugno 1616, Ilumil.** et A1T.“* Servitore» S. r Car. 1 MUlino. 11 Card. Carata. p) Car. *82 u Die lori» 0 lunii 1616. Rescribatur 111.*® Cardinali, quod bene egerit pro¬ cedendo contra imprcssorem, ut scribit. 80) Car. 887r.-89Sr. t Conforme all’ordine della Fantità Vostra «i è distesa tuttala serie del fatto occorso circa l’impressione del libro del Galilei, quale poi e btato impresso in Fiorenza. 11 negotio è in sostanza passato in questa maniera. L’ anno 1630 il Galileo portò a ltoma al I*. Maestro del S. Palazzo il suo libro in penna, acciò ai rivedesse per la stampa; et il P. Maestro lo diede a rivedere al P. Raffaelle Visconte, suo compagno et profeterò delle mathematiche, et haven- dolo emendato in più lochi, era per darne la sua fede conforme al solito, se il libro se fosse stampato in Roma. S’è scritto al detto Padre che mandi la detti fede, et si aspetta; si ò anco io scritto che venga l'originale del libro, per vedere le correttioni fatte. 11 Maestro del S. Palazzo, che ancor lui voleva riveder il libro, et per abbre¬ viare il tempo, concordò che gli lo facesse vedere foglio per foglio ; et acciò po¬ tesse trattare con li stampatori, gli diede l ’imprimatur per Roma. Andò l’autore a Fiorenza, et fece instanzA al P. Maestro per la facoltà di stamparlo in quella città; quale gli fu negata, et rimiso il negotio all* Inquisi¬ tore di Fiorenza, avocando da sè la causa, et l’avvisò di quello si dovova osser¬ vare nell’impressione, lasciando ad e»$o la carica di stamparlo o no. Ha esibito il M. del S. P. copia della lettera che lui scrisse all’Inquisitoro circa questo negotio, si come anco copia della risposta dell’ Inquisitoro al detto 20 10, 0. 2. ni — 20. 2 Tra d*l • Calilo* ì una parola cancellata, I* qual* par* comincila** con Copi «opra quanta, pur* c incallito, lesoti Componiti*. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 325 Maestro del Sacro Palazzo, dovo dico l’Inquisitore di Lavorio dato a correggerò al P. Stefani, Consultore del S. 0. Doppo questo il M. dei Sacro Palazzo non ha saputo altro, se non che ha visto il libro stampato in Fiorenza ot publicato con V imprimatur del’Inquisitore, et vi è anco P imprimatur di Roma. Si protende che il Galileo liabbia trasgrediti gli ordini, con recederò dal- l’hypotesi, asserendo assolutamente la mobilità, della terra ot stabilità dol solo; che liabbia mal ridotto P esistente flusso ot reflusso del maro nella stabilità dol solo et mobilità della terra non esistenti, che sonno li capi principali; so do più, elio Labbiafraudolentemento taciuto un precotto fattogli dal S. Officio dell’anno 1616, quale è di questo tenore: Ut supradictam opinionem , quod sol sit centrimi mundi et terra moveatur, omnino relinquat, ncceam de carierò , quovis modo , tenoni , doceat , ant defendat , verbo aut scriptis; alias , contra ipsum proccddur in S. t0 Officio. Otti praeccpto acquievìt et parere promisit. Si dovo bora doliboraro dol modo di procederò tam contra personam quanti circa librimi iam impressimi. In fatto: 1. Venne il Galilei a Roma Panno 1630, o portò ot ossibl Poriginai suo in penna, acciò si rivedesse por la stampa. Communicato il negozio, ot liavuto ordino ■io di non passar un punto dol sistema Copernicano se non in pura hipotosi mate¬ matica, trovato subito elio il libro non stava così, ma die parlava assolutamente, mettendo lo ragioni prò ot contra, ma sonza decidere, si foce risoluzione dal Maestro di Sacro Palazzo che si rivedesse il libro o si riducosso ad hipototico, e gli si facesse un capo et una perorazione con elio si conformasse il corpo, di¬ segnando questo modo di procedere e proscrivendolo a tutta la disputa da farsi anche contro il sistema Tolemaico ad hominem solamente, o por mostrare elio la Sacra Congregaziono in riprovar il Copernicano liavova sentite tutto le ragioni. 2. In essecuziono si diode il libro a rivedere, con quest’ordine, al Padre Fra Raffaello Visconti, compagno dol Maestro di Sacro Palazzo, por esser pro¬ so fossore dello mattematiche; ot egli lo rividdo et omendò in molti luoghi (avver¬ tendo anche il Maestro d’altri litigati con Fautore, li quali il Maestro levò senza sontir altro); et avendolo del rimanente approvato, era por darne la sua fede por metterla al principio dol libro, come si suolo, se il libro si fusse stampato in Roma, conio all’bora si pretendeva. S’è scritto al’Inquisitore che la mandi, o col primo ordinario si aspettarsi come puro s’è mandato per l’originale, perchè si vedano lo correzzioni fatte. 3. Volle il Maestro di S. Palazzo riveder il libro por sè stesso; e lamentan¬ dosi Fautore di non osser solita la seconda revisione e della lunghezza dol tempo, venne a stabilirsi, por agevolar l’opera, che il Maestro lo vedesse foglio a foglio 60 por mandarlo al torchio : et in tanto, porchè potesse trattaro coli li stampatori, li Quanto alla liconza. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 3‘26 si diede Vimprimatur por Roma, o si abbozzò il principio del libro, o si aspettava di cominciarlo a’ freschi. 4. Andò poi a Firenze Fautore, o pacato qual ohe tempo feco instanza di voler istanipar in quella città. 11 Maestro di Sacro Palazzo gliene negò aasolu- tamonte, e replicate le Istanze, disse che gli riportassero l’originale per farne l’ultima revisione pattovita, o che senza questo non avrebbe mai data facoltà di stamparlo por suo conto. Fu risposto, non poter mandar l’originale per li pe¬ ricoli della perdita et del contagio ; et installilo tuttavia, interpostasi l’interces- siono di quella Alte/za, si prese |>er ispediento che il I*. Maestro di S. Palazzo avocasse da nò la causa, rimettendola all’Inquisitore «li Firenze, disegnandoli 70 quello s’aveva ad osservare nella corre/zione del libro e lasciando ad caso la carica di stamparlo o no, di maniera elio niereiur inre suo, senza impugno dellofBzio del Maestro. In conformità di questo, scrisse aH’Inquisitoro la littera di cui va con questa In copia, segnata littera A , data a’ ‘21 di Maggio 1631, ricevuta et accu¬ sata dall’Inquisitoro nella lettera //, dove dice di haverlo commesso per cor¬ reggere al P. Stefani, Consultore di quel Sant'OlTixio. (ìli fu mandata poi la prefazione o capo dell'opera, concepita brevemente, acciò che Fautore l’incorporale al tutto e la fiorisse a suo modo, e facesse il fine del Dialogo in questa conformiti. I.a copia dell’abbozzo mandato è sotto la lettera C } e della lotterà con che ai mandò è sotto la lettera D. 80 5. I)oppo di questo il Maestro di S. Palazzo non ha havuto più parto nel negozio, se non quanto, stampato e publicato il libro senza nessuna sua saputa, venendone li primi esemplari, li trattenne in dogana, vedendo non osservati gl’ordini ; e poi, avendone il coni mandamento ili Nostro Signore, gl’ha fatti rac¬ cogliere per tutto, ove è potuto essere a tempo e farne diligenza. 6. Nel libro poi ci sono da considerare, come per corpo di delitto, le cose seguenti : Aver posto Vimprimatur di Roma senz’ordine, o senza participar la publi- cazione con chi si dice aver sottoscritto. 2 - Aver por«to la prefazione con carattere distinto, e resala inutile corno 90 alienata dal corpo dell’opera, et aver poeto la medicina del fino in bocca di un sciocco, et in parte che nè anello si trova se non con difficoltà, approvata poi dall’altro interlocutore freddamente, e con accennar colamento e non distinguer il bene, che mostra di™ di mala voglia. 8 * Mancarsi nell’opera molto volte e recederò dall’hipothosi, o asserendo assolutamonto la mobilità della terra e stabilità dol sole, o qualificando gli ar¬ gomenti su che la fuuda per dimostrativi o necensarii, o trattando la parto ne¬ gativa per impossibile. 4 ‘ Fratta la cosa come non decisa, e conio ohe si aspetti o non si presup ponga la definizione. 100 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 327 5. Lo strapazzo de gl’autori contrarii e di chi pili si serve S. Chiesa. o. Asserirsi e dichiararsi male qualche uguaglianza, nei comprendere le coso geometriche, tra l’intelletto umano e divino. 7. Dar per argomento di verità che passino i Tolemaici a’ Copernicani, e non e contro,. 8. Ilaver mal ridotto 1*esistente flusso c reflusso del mare nella stabilità del sole e mobilità della terra, non esistenti. Tutte le quali cose si potrebbono emendare, se si giudicasse esser qualche utilità nel libro, del quale gli si dovesse far questa grazia, no 7. L’autore hebbe precetto del 1G1G dal Sant’Offizio ut supradictam opi- nionein, quod sol sit centrimi mundi et terra moveatur, omnino rclinquat, nec cani de caetcro, qnovis modo , teneat, doceat aut defendat, verbo aut scriptìs ; alias, confra ipsum procedettir in (dando Officio. Olii praeccpto acquievit et parere promisit. A. Molto R. do IV Inq. r ® Oss." 10 11 Sig. r Galilei pensa di stampar costi una sua opera, che giti haveva il titolo De fluxu et refluxu maris, nella quale discorro probabilmente del sistema Copernicano se¬ condo la mobilità della terra, e pretende d’agevolar l’intendimento di quel’ arcano grande della natura con questa posizione, corroborandola vicendevolmente con questa utilità. Venne qua a Roma a far vedor l’opera, elio fu da me sottoscritta, presupposti l’aeco- 120 modamenti che dovevano farcisi, o riportatici ricever l’ultima approvazione per la stampa. Non potendo ciò farsi per gl’ impedimenti dello strade e per lo pericolo degl’ originali, desiderando l’autore di ultimare costì il negozio, V. P. M. R. potrà valersi della sua auto¬ rità, e spedirò o non spedire il libro senz’altra dependenza dalla min revisione; ricor¬ dandole però, esser mente di Nostro Signore che il titolo e soggetto non si proponga del flusso e reflusso, ma assolutamente della mattenmtica considerazione della posizione Co¬ pernicana intorno al moto della terra, con fine di provare che, rimossa la rivelazione di Dio o la dottrina sacra, si potrebbono salvare le apparenze in questa posizione, scio¬ gliendo tutte le persuasioni contrarie che dall’esperienzft e filosofìa peripatetica si po¬ tessero addurre, sì che non mai si conceda la verità assoluta, ma solamente la hipothe- 130 tica e senza le Scritture, a questa opinione. Deve ancora mostrarsi che quest’opera si faccia solamente per mostrare che si sanno tutte le ragioni che per questa parte si pos¬ sono addurre o che non por mancamento di saperle si sia in Roma bandita questa sen¬ tenza, conforme al principio e fine del libro, che di qua mandare aggiustati. Con questa cauzione il libro non hnverà impedimento alcuno qui in Roma, e V. P. M.R. potrà com¬ piacere l’autore e servir la Serenissima Altezza, che in questo mostra sì gran premura. Me lo ricordo servitore, e la pii ego a favorirmi de’suoi comm&ndamenti. Roma, li 24 di Maggio 1631. Di Y. P. M. R. Servo nel Sig. ro Devotiss. 0 F. Nicolò Riccardi, M. ro del Sac. Palazzo. 328 XXIV. PR0CK860 DI GALILEO. B, Gyia. HO H.® 0 P. M Sig. r ruio Patrone Col." • Rigato la lettura de V. P. R.* 4 dell» 24 del corrente, mandatami da questa Ser. tt » Altezza, nella quale ai è compiaciuta significarmi quello *i debba o-ervure per licenziar alla atampa l’opera del S. r Galilei; e e’a* sicuri V. P. R. * che non man caro eseguire con ogni diligenza po*-obilo quanto «la lei mi vini comman-lato, «• aecundo i suoi avvertimenti uii govei narò m questo particolare. Preme a qu« «t’Altc//a la atampa di que.«t’opera, et il detto Sig. r Galilei »i mostra prouti.Mmo et oh-d.enti, «uno a ogui oorrozaiona. Ho dato a riveder l’opera al Padre Stefani, del mio ordine, Padre «li un.Ito valete e Confluitolo «li questo S. Officio. Il proemio poi et d line -i a«p»ttarnnno aggiustati «lai la molta pru¬ denza di I*. R." 4 ; alia quale con quest’»», astone m*« mmIus.'o servo di tutt’affetto, col 150 pregarla a conservarmi in grazia sua et alle volt» farmi degno «li qualche min cornatati» dameuto, elio mi sarà grazia «ingoiare hi per lui» le bacio riverentemente le mani. Di Firenze, li 31 Maggio 1031. Di V. P. U." * 8ervo Derot.* 4 di cuore F. Clemente, Inquisitore di Firenze. Si promulgò gl’anni passati In Roma un salutifero editto, elio, per ovviare a’peri¬ colosi arandoli dell’età presente, imponeva oportnno allenato all* opinione l’iUagorica della mobilità della terra. Non mancò chi temerariamente a- cri, quel decreto esser stato parto non di giudizioso «•» ara», ina di pi sione troppo poro intorniata, e a 1 udirono querelo di ICO che consultori totalmente inesperti delle o-oerviuioni astronomiche non dovevano con proibizione repentina tarpar l’ale a gl’intelletti speculativi Non pot* tacer il mio zelo in udire la temerità di ai fatti lamenti. Giudicai, roti», pienamente instrutto di quella prudentiaaima determinazione, comparir pubicamente nel teatro del mondo, come testi¬ monio di sincera verità. Mi trovai all’bora presente in Koiua ; heblri non solo udienze, ma ancora applausi «le i più eminenti prelati di quella < orte ; ni senza qualche mia an¬ tecedente informazione seguì poi la pnblicazione di quel Decreto. Per tanto è mio con¬ siglio nella presente fatica mostrar alle nazioni forestiera, che di questa materia so ne sa tanto in Italia, e particolarmente in ll.nim, quanto po » mai bararne imaginato la dili¬ genza oltramontana, e, raccogliendo insieme tutte le «prculaziotii proprie intorno allo 170 sistema Copernicano, far sapere che precedette U notizia «li tutte alla censore romana, « che escono «la questo clima non solo i dogmi pei la «aiuto dell’animo, ma ancora gl’in¬ gegnosi trovati per delizie de gl’ ingegni. A questo fine ho presa nel dicono la parte (’<»prrninma, procedendo in pura hipo- tlieai mattematicha, cercando per ogni -tra i v artificios i di rappretentarla superiore non a quella «Iella fermezza della terra assolutamente, ma secondo che si difende da alcuni «•ho, «li professione Peripatetici, ne ritengono solo il nome, contenti senza passeggio di adorar 1 onbre, non iiloHolaudo con Pavvertenza propria, ma con la sola memoria di quat¬ tro principii mal intesi. XXIV. PROCESSO PI GALILEO. 329 ISO Tre capi principali si trattaranno. Prima cercherò di mostrare, tutte 1* esperienze fattibili nella terra essere mezzi insudicienti a concludere la sua immobilità, ma indiffe¬ rentemente potersi adattare così alla terra mobile, come anco quiescente : e spero che in questo caso si paleseranno molte osservazioni ignote all’antichità. Secondariamente si cssatnineranno li fenomeni celesti, rinforzando 1’ hypothesi Copernicana come so assolu¬ tamente dovesse rimaner vittoriosa, aggiungendo nuove speculazioni, le quali però ser¬ vano per facilità d’astronomia, non per necessità di natura. Nel terzo luogho proporrò una fantasia ingegnosa. Mi trovavo haver dotto, molti anni sono, che l’ignoto problema del llusso del mare potesse ricever qualche luce, ammesso il moto terrestre. Questo mio dotto volando per lo boccilo de grhuomini, haveva trovato padri caritativi, che se l’adot- 100 lavano per parto di proprio ingegno, flora, perchè non possa mai comparire alcuno si ra¬ merò che, fortificandosi con le armi nostro, ci rinfacci la poca avvertenza in un accidente così principale, ho giudicato palesare quelle probabilità che lo renderebbero persuasibile, dato che la terra si movesse. Spero che da queste considerazioni il mondo conoscerà, cho so altre nazioni hanno navigato più, noi non habbiumo speculato mono, e die il rimet¬ tersi ad asserir la fermezza della terra e prendere il contrario solamente per capriccio mattematico, non nasce da non haver contezza di quanto altri c’ habbia pensato, ma, quando altro non fosse, da quelle raggioni die la pietà, la religione, il conoscimento della divina onnipotenza e la coscienza della debolezza dell’ingegno limonilo ci somministrano. Ilo poi pensato tornare molto a proposito Io spiegare questi concetti in forma di 200 dialogo, clic, per non esser ristretto alla rigorosa osservanza delle leggi mattematiche, porge campo ancora a digressioni, tal bora non meno curiose del principal argomento. Mi trovai molti anni sono più volte, nella nmravigliosa città di Venezia, in conver¬ sazione col Sig. r Francesco Sagredo, illustrissimo di nascita et acutissimo d’ingegno. Venne là di Firenze il Sig. r Filippo Salviati, nel quale il minor splendore era la chia¬ rezza del sangue e la magnificenza delle ricchezze, sublimo intelletto, che di niuna de¬ lizia più avidamente si nutriva cho di speculazioni esquisite. Con questi doi mi trovai spesso a discorrer di queste materie, con l’intervento di un filosofo peripatetico, al quale pareva che ninna cosa ostasse magiormento per l’intelligenza del vero, che la fama acquistata nelle interpretatioui Aristoteliche. 210 Ilora, poi che morto acerbissima ha, nel più bel sorcno de gl’anni loro, privato di quei due gran lumi Venezia e Firenze, ho risoluto prolongar la vita alla fama loro so¬ pra queste mie carte, introducendoli per interlocutori della presente controversia. Nè mancala il suo luogho al buon Peripatetico, al quale, per il soverchio affetto verso i com¬ menti di Simplicio, è parso decente, senza esprimerne il nome, lasciargli quello del rive¬ rito scrittore. Gradiscano quelle duo grandi anime, al cuor mio sempre venerabili, questo publico monumento del mio non mai morto amore, e con la memoria della loro eloquenza m’aiutino a spiegare alla posterità le promesse speculazioni. Erano casualmente occorsi (come interviene) varii discorsi alla spezzata tra questi Signori, i quali havevauo più tosto nc i loro ingegni accesa che consolata la sete dell’im- 220 parare: però fecero saggia risoluzione di trovarsi alcune giornate insieme, nelle quali, bandito ogn’altro negozio, si attendesse a vagheggiare con più ordinate speculazioni lo 181. Prima era scritto mobilità; poi, fra le righe, vi fu apposto tm. — XIX. 42 830 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. maraviglie di Dio nel <*ielo e nella terra, ('atta la radunanza nel palazzo dell’ IU. m « g a . gredi. doppo i debiti, mn perù brevi, complimenti, il Sig. f Solviati in questa maniera in- cominciò. Nel fine si dorrà far» la perora/ione delle opere («ir) in conseguenza di queata prefa¬ zione. aggiongwndo il S. p Galilei le ragioni della di riti» onnipotenza dettegli da Nostro Signore, le quali devono quietar l’intelletto, aucorchè da gl* argomenti Pitagorici non so ne potarne naoire. D. Molto R. - * P." M.™ et Inq." Oaz»» In conformità dell'ordine di Nostro Mguore intorno al libro del 3/ Galilei, oltre 230 quello che accennai a V. 1*. M R. per lo corpo dell’ «.para, le maiido questo principio o prelazione da metterai nel primo foglio, ina con libertà dell’ autore di mutarlo e fiorirlo quanto alle parole, ootna si oaservi la soetaoxa del oontniuto. 11 tino dovrà esser del- P iate»>»o argouieuto. Et io per fine le bacio le mani, ric ordandomi vero servo di V. P. M. R. Roma, li 19 Loglio 1631. Di V. P. M. R. Servo Riverente et Obligat** E. Nicolò Riccardi, M.ro di Sac. Palazzo. 21) Car. 8941. Centra Galileum do G&lileis. 23 7mbrìs 1632. SanctissimuB mandavi Inquisitori Fioranti*® scribi, ut eidem Galileo, nomine S. Congregationis, signitìcet quod por totum incuneili Octobris proxiuium com- pareat in Urbe coram [Comissario) generali S. Officii, et ab eo recipiat pro- missionem de [parendo] huic praeoopto, quod eidem faciat coram notario et testibus, ipso tainen Galileo hoc [penitu]* inscio, qui, in casti quo illud admittero noluit (tic) et parerò non promittat, possi nt id testifica ri, si opus fuerit fl&) Car. 395r. — Autografi la aottoaerlaioa* Emin.** e R.** &. r mio P.ron Col.** Mi scrive il Padre Maestro dei Sacro Palazzo, che per ordine di N. S. r# mandi costi il libro originale, stampato già, del Sig. r Galilei : et acciò venghi più sicuro, ho voluto inviarlo a V. 8. Em." 4 , et è franco. E per Ime le bacio huiniliisiinauieute lo sacro vesti. Di Fiorenza, li 25 di 7bre 1632. Di V.8. Emin. M e R.** Servo Hnmiliss." 0 et Oblig." 0 F. Clem.‘\ Inq. r# di Fiorenza. 01. 1. Tra Cantra e Galilnm logyaai, cancellato, (MiIrlo. — 7-8. admittm moliti t cfr. Doc. XXIV, a, 8, Un. 13. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 331 fuori (car. 89Gf.), d’altra mano: Fiorenza. Del P. Inquisitore. 10 Di 20 (sic) di 7mbre \ A 2 d’8bro ! 1632 ‘ Manda il libro originale stampato già dal S. r Galilei, et lo invia ad instanza del P Maestro del S. Palazzo, per ordine di N. S. re Quosto libro non vedo : sarà restato l'orso a Castello, di donde è venuta questa lot¬ terà, o forse restato alla porta. G Ootobris 1632 rolatao. 23) Car. 397r.-400l. a) Car. 397r. — Autografa la sottoscrizione. Emin. mo e U. m0 S. r mio P.ron Col." 10 Ilo fatto chiamare il Sig. r Galileo Galilei, conform’a quanto mi vien comandato da V. S. Em. ma : et havendoli significato il desiderio della Sacra Congregazione, che per tutto il mese d’ Ottobre venghi iu Roma, lui subito si ò mostrato prontissimo; che però m’ha fatto la fedo che si ricerca, della quale mando copia a V. S. Em. ,na Cli’ ò quanto doveva eseguire in questo particolare; e per fine le bacio humilissimamonte le saere vesti. Di Fiorenza, li 2 d’Ottobre 1632. Di V. S. Emin.““ o K. ma Servo HumilisB. m0 et Oblig. mo F. Clera. 10 , Inq. r# di Fiorenza. Fuori (car. 100*.), «l’ultra ninno: 10 Fiorenza. Del P. Inquisitore. Di 2 a 9 d’ 8bre 1632. Che ha fatto chiamare il R. r Galileo Galilei, il quale si è mostrato prontissimo di venire a Roma per tutto il mese d’bbre, et manda copia della lode lattagliene. 13 Ootobris 1632 relatae. p) Car. 398r. Copia. A dì p.° d’Ottobre 1632, in Firenze. Affermo io Galileo Galilei, come il sopradetto giorno mi ò stato intimato dal R. mo Padre Inquisitore di questa città, di ordine della Sacra Congregatone del S. t0 Officio di Roma, che io debba per tutto 83, p. 3. Affermo * Galileo — 332 XXIV. PROCESSO I>I 0 A LICEO, il presento mese transferirmi a Roma, e presentarmi al Padre Com¬ missario del S.‘° Officio, dal quale mi sarà significato quanto io debba fare ; et io accetto volentieri il commnndamento per tutto il mese d’ Ottobre presente. Et in fede della verità ho scritto la presente di propria mano, 10 Io Galileo Galilei scrissi in. prop. a Io Prete Girolamo Rosati, Protonotnrio Apostoli™ e Consultore di questo S. 10 Officio, fui presente a quanto pronube, soriane c aoltoacrisse detto di il S. r Ga¬ lileo, come sopra. Idem Hieronimua manti propria. Io Fra Felice Senesio d‘Amelia, dell’ordine Minorum Conventualiunt, fui presente a quanto promosso, scrisse e sottoscrisse detto ili il S. r Galileo, come sopra. Idem Fr. Felix qui sopra manu propria. Io Fra Giovanni Stefano da .Savona, Cancelliere del S.° Officio di Firenze fui presente, et attesto conio tl S. r Galileo Galilei scrisse la sopradetta fede di 20 sua propria mano il «Il et anno •'Opradetti, sondovi testimoni! li aoprudetti sotto¬ scritti, etc. Fr. Io. 8 topini nus de Savona, Cancellanti* S.‘ Officii Florentiae. Food (ear. tNl.), 4'altra mano: Accepi cunt litteria V, Inquisitori* Fiorentine, die 9 tìbris 1632. 84) Car. 40Sr - A«itofr*f*. Eminenti».* 0 Rev.** Si#f. r Pad.** mio Col.** Si come io porterò sempre nella memoria le » poetali» ■* ime grati r largitemi dalla uma¬ nità di V. Eni. R."*, coti, ricordandomi quinte volte, parlando a quella delli interessi altrui, la trovai sempre discreti* -imam nte compa-«n -nevtde e lirga del suo amorevol favore, non po-*o n<»u rappn* < ntar n V Km. con»»* due g orni sono incontrandomi nel Sii?/ Galileo Galilei, «» vedutolo molto maninconoso, adii, mandato da m«* della cagione, il trovai in grandi--ìmo pensiero pen ili* m ila età nella quale « 46 ei trova di settanta anni, i ra chiamato a Roma dal S. u Ufiaio per conto del suo libro poco fa atampato. Ebbi gran pietà di lui, rispetto alia sua gravezza corporale « a’ tempi che corrono, in rispetto alle quarantene, e mi ricordai delle grazie e on< ri lattili da V. Em-, mentre io ne ricevevo IO tanto io dalla somma benignità aua: ondo nu sarebbe parso mancare, se io non dessi a V. Em. qualche ragguaglio di lui e dello stalo suo. Ij» quale, se il negozio del Sig. r Galileo potesse ricevere alcun comjieiiw qua, io non dubito che ne farebbe grazia ©straordina¬ rissima a molti gentilhuomini, devotissimi servitori di V. Km., che stantio in gran gelosia del disagio di questo virtuoso vecchio ; intendendo sempre che pietà o carità o utizio alcuno da huorao da bene, che mi muova, non sia nè importuno nè temerario. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 333 Mentre che dopo la relaziono data da me a V. Eia. circa alle scritturo di Mona/ Nori non mi ò venuto alcun comandamento da quella, non ho voluto presumere il farci altra diligenza. E baciando a V. Ehi. lt. ma uinilissiinauiente la veste, le prego du S. D. M. tìl il 20 colmo di ogni felicità. Di Firenze, li 12 di Ott.° 1632. Di V. Era. ft Fuori (car. 401/.), d’altra mano: Firenze. 12 Ottobre 1632. S. r Micholang. 0 Buonarroti. Supplica V. E. ad ordinare che sia veduta in Firenze la causa per la quale ò chia¬ mato a Roma dal S. lu Officio il S. r Galileo, otc. 25 ‘Jmbris 1632 relatae. Umiliss." o Obi)."' 0 Ser. ru Michel ag nolo Buon a r r o ti. 25) Car. 401r. — Autografa la sottoscrizione. Eminen. mo o Ii. m0 S. r mio P.ron Col. ,n0 Ilo fatto di nuovo chiamare Galileo Galilei, quale dice che lui è prontissimo n venire, c solo ha supplicato e rappresentato la maturità do gl’anni e le sue iudispositioni, come si vedono, c che si trova in mano de* modici, o molt’ altre cose. Gora gli ho fatto sapore che lui obbedisca nel venire, o gli ho prefisso il termino d’un mese, alla presenza del nota.ro e di dui testimonii; o lui di nuovo si è mostrato pronto di venire: non so poi so l’eseguirà. Io gli ho detto quanto dovevo. E per (ine le bacio humilissiiuamente le sacre vesti. Di Fiorenza, li 20 di Novembre 1632. Di V. S. Emin.“ a c K.“ a Servo Humilis8. m0 et Oblig. mo F. Clem.'*, Inq. r * di Fiorenza. Fuori (car. 402/.), d’altra ulano: Fiorenza. Del P. Inquisitolo. Di 20 di Ombre 1 A 2 di Xmbro i Che Galileo Galilei, chiamato di nuovo, dico eli’ è prontissimo a venire, et solo ha supplicato et rappresentato la maturità do gli anni et le suo indispositioni, o che si trova in mano de’medici. Che gli ha prefisso il termine d’un mese, alla presenza del notaro e di duo testimonii, et egli di nuovo si ò mostrato pronto a venire. Gli fu scritto che gli prefigesse un termine competente. 534 XXIV. pROCEtìhO DI GALILEO, SO) Car. 102/. 9 Decembris 1632. S. mu * mandavit Inquisitori rescribi, ut Pont elapsum terminum unius inonsis assignatum Galileo veniendi ad IJrbom, omnino illum cogat, quibuscumque non obstantibus, ad Urbein accadere, eique dicat quod Senno priraum, et deinde ad Urbani, se corife rat. 27) Car. 406r.-408t. a) Car. 400r. — Autografa la nottoac rii ione. Einin.* e e K."° S. r mio P.ron Col.** Galileo (Galilei »i ritrova in letto, viato dal mio Vicario. E lui dico clic ?• prontissimo n venire, ma in questi tempi non li dà l’animo in modo veruno; oltre che dico non poter venire. Btanto l’accidenti occorseli, per bora, E mi lm mandato questa fede di tre medici principali di questa città, quale mando a V. S. Ernia.** Et io non maucu di far quauto devo. Et per fine humiliwiniainente le bacio le aacre vesti. Di Fioronxa, li 18 di Dicembre 1632. Di V. S. Ernia.** a U.“* (Servo Humiliss ** et Oblig. w# F. Clem. 1 *, Inq/* di Fiorenza, Fiori (rar. 4090, d'altra maao: Fiorenaa. 10 Del P. Iuquisifore. Di 18 a 28 di Xmbre 1632. Che Galileo Galilei ai trova in letto, vistovi dal suo Vicario ; ch'fc prontissimo di ve¬ nire a Roma, ma in questi tempi non gli dà l'animo di ubbidire, stante gli accidenti occor¬ sogli, come dalla fede di tre modici principali, la quale egli ha esibito ot è qui alligata. P) Car. 407r. — Autografe le firma. A di 17 Xbre 1632. In Firenze. Noi infrascritti medici facciamo fede d’baver visitato il Sig. r " Galileo Galilei, e trovatolo con il polso intermittente a tre e quattro battute: dal che si coniet- tura, la facilità vitale essere impedita e debilitata assai, in questa età declinante. Riferisce il detto, patire di vertigini frequenti, di melancolia hipochondriaca, debolezza di stomaco, vigilie, dolori vaganti per il corpo, si coinè da altri può essere attestato. Così anco haviamo riconosciuto un’ hernia carnosa grave, con allentatura del 27, a. 15. Tra ì e utinoauient* la venuta ooati di (ìahleo Galilei, quale finalmente giovedì passato, DO del cori «Mite, parti da Firenze per coteatu volta. Non so poi che impeditili liti ha u ri circa la quaiantena ('he ò quanto devo dire n V. 8. Einiu. m * in questo particolare. K per fine le bacio huinihaaiumin«ute lo sacre vesti. Di Fiorenza, li 22 di Geuaro 1633. Di V. S. Fumi. - * c IL* * S«*nro UumiliM.*" et Obli#. -0 F. Cleto. 1 *, Inq/* di Fiorenza. Fuori (car. 412i), d’alba «ano: N. 8. Fiorenza. Del P. Inqutaitore. Di 22 a 29 di Genn • 1633. Dà conto che Galileo Galilei (fiovedi 20 del corrente A partito da Fiorenza per questa volta; ma non sa poi gli impedimenti circa la quarantena. 3 Kebruarn 1633 relatae coratn 8* # 81) Car. 413r.-4I9r. — Autografa la «ottuseruioe« di Oalilso. Dio 5 ’». Die Marti» xil Aprilis 1638. \ ocatus, comparait personaliter Uomao in palatio S. 1 ’ Ofiitii, in manBionibus solitis li. Patri» Comiasarii, corain ad. m H. P. Fratre Vinoentio Maculano de Flo- ,l * l.a parola Di» è aeriti* in alto d«Ua patina ed è poi ripe tota accanto a J Uru, «ea, «t» ai l«vfo molto più bs*. » iiolia »t«»*a puf ma, la quale contiene •oltanto U quattro lina* «sfilanti. XXTV. PROCESSO DI GALILEO. 337 rentiola Comissario generali, et assistente R. D. Carolo Sincero Procuratore fiscali Sancti Offitii, in meique etc., Galileus filius quondam Vincontii Galilei, Florentinus, aetatis suae anno- rum 70, qui, delato sibi iuramento veritatis dicendae, quod tactis etc. praestitit, fuit per D. io Int. 8 : Quomodo et a quanto tempore Romae reperiatur. 11. 1 : Io arrivai a Roma la prima domenica di Quaresima, o son venuto in lcttica. Int." : An ex se seu vocatus venerit, vel sibi iniunctum fuerit ab aliquo ut ad Urbem veniret, et a quo ; E. 1 : In Fiorenza il 1\ Inquisitore mi ordinò eh’ io dovessi venir a Roma e presentarmi al S. Oflicio, sendo questo il comandamento de’ ministri di esso S. Officio. Int. 8 : An sciat vel imaginetur causam ob quam sibi iniunctum fuit ut ad Urbem acceder et; 20 R. 1 : Io m* imagino, la causa per la qualo mi è stato ordinato eli’[io] mi presenti al S. Officio in Roma, ossei* stata per render conto dei mio libro ulti¬ mamente stampato ; e così mi son imaginato mediante l’impositiono fatta al libravo et a me, pochi giorni prima che mi f'usse ordinato di venir a Roma, di non dar pfiù] fuora de i detti libri, c similmente perché fu ordinato al libra] [ro] dal P. Inquisitore elio si dovesse mandar 1’ originale del mio libro a Roma al S. Officio. Int. 8 : Quod explicet, quisnam sit liber ratione cuius imaginatur sibi fuisse iniunctum ut ad Urbem veniret; lt. 1 : Questo ò un libro scritto in dialogo, e tratta della costitutione del so mondo, cioè de i due sistema massimi, cioè della disposinone de’ celi e delli elementi. Int. 8 : An, si ostenderetur sibi dictus liber, paratus sit illuni recognosccre tam- quam suum; R. 1 : Spero di sì, che se mi sars\ mostrato il libro lo riconoscerò. Et sibi ostenso uno ex libris Florentiae impressis anno 1632, cuius titulus est Dialogo di Galileo Galilei Linceo etc., in quo agitur de duobus sistematibus mundi, et per ipsum bene viso et inspecto, sic (?) dixit : Io conosco questo libro benissimo, et ò uno di quelli stampati in Fiorenza, e lo conosco come mio e da me composto. -io Int. 8 : An pariter recognoscat omnia et singula in dicto libro contenta tan- quam sua ; R.t : Io conosco questo libro mostratomi, eli’ è uno di quelli stampati in Fio¬ renza ; e tutto quello che in esso si contiene, lo riconosco come composto da me. Int. 8 : Quo et quanto tempore dictum librimi conscripsit, et ubi ; xix. 43 338 XXIV. PROCESSO PI GALILEO. R. 1 : In quanto al luogo, io 1’ ho compoeto in Fiorenza da dieci o dodeci anni in qua ; o ci sarò stato occupato intorno Botte o otto anni, ma non continovaiucuto. Int.* : An alias fuerit Roma©, et signanter de anno 1616 et qua occasione ; R. 1 : Io fui in Roma dell’anno 1616, et dopo vi fui Tanno secondo del pon¬ tificato di N. S. Urbano 8°, et ultimamente vi fui tre anni sono, per occasione eh’ io volevo dar il mio libro alle stampe. L‘ occasiono per la quale fui a Roma (50 l’anno 1616, fu elio, sentendo moversi dubbio sopra la opinione di Nicolò Coper¬ nico circa il moto della terra e stabilità del *ole e T ordine delle sfere celesti, por rendermi in stato sicuro di non tenero se non l’opinioni ©auto e cattoliche, venni por sentire quello che convenisse tenete intorno a questa materia. Int.*: An ex se \el vocatus vonerit ; ilicat causali» quare fuerit vocatus, et cum quo vel quibus de supradictis tractaverit; R. 1 : Del 1616 venni a Roma da me «tesso, senza esser chiami ato], per la causa che ho detto ; et in Roma trattai di questo negotio con alcuni SS. rl Cardinali, di quelli eh’ erano sopra il 8. Ofiicio in quel tempo, in particolare con li SS. r ' Card. 1 ' fielarmino, Araceli, S. Eusebio, Bonzi et d’Ascoli. eo Int* : Quod dicat in particulai i, quid cum supradictis DD. Cardinalibus tractaverit ; R. 1 : L’occasione del trattar con i detti SS. rt Cardinali fu perché desidera¬ vano esser informati della dottrina del Copernico, essendo il suo libro assai dif¬ ficile d’intendersi da quelli che non aoiio della professione di matematica et astronomia: et in particolare volsero intender la dinpoaitione delti orbi celesti conforme all’ ipotesi di esso Copernico, et oonT egli mette il "-ole nel contro del[li] orbi de i pianetti, intorno al solo mette prossimo Torbe di Mercurio, intorno a questo quello di Venere, di poi la luna intorno alla terra, o circa questi Marte, Giove e Saturno; e circa il moto, fa il sole immobile nel centro, e la terra con-70 vertibile in sè stessa et intorno al sole, cioè in sò stessa del moto diurno, e in¬ torno al sole del moto annuo. Int.*: Ut dicat, cum Romani venerit ut circa supradictam resolutionem et veritatem habero posset, dicat etiaiu quid resolutum fuerit in hoc negotio; R. 1 : Circa la controversia che vrrtcLU circa la sopradetta opinione della stabilità del sole e moto della terra, fu determinato dalla S. Congregazione del- T Ìndice, tale opinione, assolutamente presa, e-ser ripugnante alle Scritture Sacre, e solo ammettersi ex suppoaUione^ nel modo che la piglia il Copernico. Int.*: An tunc sibi notificata fuerit dieta determinati», et a quo; lt. 1 : Mi fu notificata la detta determinatione della Congrogatione dell’ In- so dice, et mi fu notificata dal S. r Card> Belarmi no. Int.*: Ut dicat, quid sibi notitìcavorit dictus Kmin.“Bellarminus de dieta determinatione, et an aliquid alind sibi circa id dixerit, et quid ; 81. 46. Fxortnao — 57. jmt p*r Ut eaiM — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 339 R. 1 : Il S. r Card. 1 * Belarmino mi significò, la detta opinione del Copernico potersi tener ex suppostone , sì come esso Copernico l’haveva tenuta : et sua Emin.“ sapeva eh’ io la tenevo ex suppositione , cioè nella maniera elio tiene il Copernico, come da una risposta del medesimo S. r Cardinale, fatta a una lettera del P. Maestro Paolo Antonio Foscarino, Provinciale de’ Carmelitani, si vede, della quale io tengo copia e nella quale sono queste parole : < Dico che mi pare che 90 V. P. et il S. r Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlar ex suppo¬ sitione, e non assolutamente > (,) ; et questa lettera del detto S. r Cardinale è data sotto il dì 12 d’Aprile 1015: o che altrimente, cioè assolutamente presa, non si doveva nò tenere nè difendere. Et sibi dicto, quod dicat quid rcsolutum fuerit et sibi notificatomi tunc, sci- licet de mense Februarii 1616; R. 1 : Del mese di Febraro 1616, il S. r Card. 1 ® Belarmino mi disse che, per esser l’opinione del Copernico, assolutamente presa, contrariantc alle Scritture Sacre, non si poteva nè tenere nè difendere, ma che ex suppositione si poteva pigliar e servirsene. In conformità di elio tengo una fede dell’istesso S. r Card. 1 * ioo Belarmino, fatta del mese di Maggio a’26, del 1616, nella quale dico clic l’opi¬ nione del Copernico non si può tener nè difendere, per esser contro le Scritture Sacro, della quale fede ne presento la copia; et è questa. Et exhibuit folium cartae, scriptum in una facie tantum, cum duodccim lineis, incipiens : < Noi Roberto Card.' 0 Belarmino, liavendo >, et finiens : < Questo dì 26 di Maggio 1616 >, subscriptum: < Il medesimo di sopra, Roberto Card. 10 Bel¬ larmino >, quod ego accepi ad effectum ctc., et fuit signatura littera B. Subdens : L’ originale di questa fede l* ho in Roma appresso di me, e[t] è scritto tutto di mano del S. r Card. 10 Bellarmino sodetto. Int. 8 : An, quando supradicta sibi notificata fuerunt, aliqui essent praesen- iio tes, et qui; II. 1 : Quando il S. r Card. 1 ® Bellarmino mi disse et notificò quanto ho detto dell’ opinione del Copernico, vi erano alcuni Padri di S. Domenico presenti ; ma 10 non li conoscevo, nè gli havevo più visti. Int. 8 : Àn tunc, praesontibus dictis Patribus, ab eisdem vel ab aliquo alio fuerit sibi factum praeoeptum aliquod circa eandem materiale, et quod ; R. 1 : Mi raccordo che il negotio passò in questa maniera: che una mattina 11 S. r Card. 10 Bellarmino mi mandò a chiamare, o mi disse un certo particolare qual io vorrei dire all’orecchio di Sua Santità prima che ad altri; ma conclu¬ sione fu poi che mi disse che l’opinione del Copernico non si poteva tener nè 105. Prima ora stato scritto auba cripta, poi fu corrotto auhacriptum. — 117-J18. Di fronte alla riga elio comprenda da corto a Santità ò sognato in margino un tratto orizzontalo. — “» Cfr. Voi. XII, n.® 1110, lin. 8-9. 310 XXIV. PR0CE880 DI GALILEO. difender, come con trari ante alle Sacre Scritture. Quelli Padri di S. Domenico 120 non ho memoria bp c’ erano prima o vennero dopo ; né meno mi raccordo se fos¬ sero presenti quando il S. r Cardinale mi disse che la detta opinione non si po¬ teva toner: 0 può esser che mi fm-se fatto qualche precetto ch’io non tenessi nè defendessi detta opinione, ma non ne ho memoria, perchè questa è una cosa di parecchi anni hit.*: An, si sibi legantur ea quao aibi tunc dieta et intimata cum praecepto fuerunt, illorum recordabitur ; R.‘: Io non mi raccordo che mi fus e detto altro, nè posso saper se mi rac- cordarò di quello elio allhora mi fu detto, e quando tinche mi si legga; et io dico liberamente quello che mi raccordo, perchè non pretendo di non (sic) haver iso in modo alcuno contravonut. a quel precetto, cioè di non haver tenuto nè difeso la detta opinione del moto della terra et stabilità del aole in conto alcuno. Et sibi dicto quoti, cnm m dicto praecepto, sibi tunc ooram testibus facto, contineatur quod non prosit quoti® modo tenere, defendere aut decere dictam opinionem, dicat modo an recordetur quomodo et a quo fuerit sibi intimatum; R. 1 : Io non mi raccordo che mi finse intimato questo precetto da altri che dalla viva voce del S. r Card> Bellarmino; et mi raccordo che il precetto fu ch’io non potessi tenere nè difendere, et può es-.er che ci fosse ancora nè inse¬ rti are. Io non mi raccordo nè anco che vi funse quella particola quovis modo, ma può esser eh’ ella vi funse, non bevendo io fatta rifflrssione 0 formatone altra no memoria, per haver havuto, pochi mesi dopo, quella fede del detto S. r Card. 1 ® Bellarmino sotto li 20 di Maggio, da me presentata, nella quale mi vien signifi¬ cato 1’ ordine fattomi di non tener nè difender detta opinione. Et le altre due particole hora notificatemi di detto precetto, cioè tux doctre et quovis modo , io non ne ho tenuto memoria, credo perchè non sono spiegate in detta fede, alla quale mi son rimesso e tenevo per mia memoria. Int*: An, post dicti praecepti intiwationern, aliquam licentiam obtinuerit 8cribendi librum ab ipso recognitum, et quem postea typis mamlavit; R.‘ : Dopo il sodetto precetto io non ho ricercato licenza di scriver il sodetto libro, da me riconosciuto, perchè io non pretendo, per haver scritto detto libro, if>0 di haver contrafatto punto al precetto che mi fu fatto, di non tenere nò difender nò insegnare la detta opinione, anzi di confutarla. Int“: An prò impressione eiusdem libri licentiam obtinuerit, a quo, et an per se vel per aliami; R. 1 : Per ottener licenza di stampar il sodetto libro, ancorché mi fosse di¬ mandato di Francia, Alemagna e di Venetia, con offerta anche di guadagno, ricu¬ sando ogn’ altra cosa, spontaneamente mi mossi tre anni sono, 0 venni a Roma per consegnarlo in mano del censore primario, cioè del Maestro di Sacro Pa- 120. di ò scritto sopra non, ehi rwta coti caacolUto. — IW. Tr* otoor • okt lesosi. cincolUto, ancora. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 841 lazzo, con assoluta auttorità di aggiunger, levare, mutare ad arbitrio suo : il 160 quale dopo haverlo fatto veder diligentissimamente dal Padre Visconti suo com¬ pagno, poiché io gliel haveva consegnato, il detto Maestro di S. Palazzo lo ri- vidde ancor lui, e lo licenziò, cioè mi concesse la licenza, havendo sottoscritto il libro, con ordine pero di stampar il libro in ltoma, dove restammo in appun¬ tamento eh’ io dovessi ritornare 1 ’ autunno prossimo venturo, atteso che, rispetto all’estate sopravegnente, desideravo di ritirarmi alla patria, per fuggir il pericolo di ammalarmi, sendoini già trattenuto tutto il Maggio e Giugno. Sopragiunse poi il contagio, mentre ero in Fiorenza, e fu levato il commercio ; ond’ io, vedendo di non poter venire a Roma, ricercai por lettere il medesimo Padre Maestro di S. Palazzo che volesse contentarsi che il libro fusse stampato in Fiorenza. Mi ito fece intender eh’ liarebbe voluto rivedere il mio originale, e che però io glielo mandassi. Havendo usata ogni possibil diligenza e adoperati sino i primi segre¬ tari del G. Duca e padroni de’ proccacci, per veder di mandar sicuramente il detto originale, non ci fu verso potersi assicurare che si ci potesse condurre, e che senz’ altro sarebbe andato a male, o bagnato, o abruggiato; tal era la stretezza de i passi. Diedi conto al medesimo P. Maestro di questa difficoltà di mandar il libro, e da lui mi fu ordinato che di nuovo, da persona di sua sodisfattione, il libro fusse scrupolosissiinamente riveduto; e la persona fu di suo compiacimento, e fu il Padre Maestro Giacinto Stefani, Domenicano, lettore di Scrittura Sacra nello Studio publico di Fiorenza, predicatore delle Sor.""» Altezze e Consultore del S. Officio, iso Fu da me consegnato il libro al P. Inquisitore di Fiorenza, e dal P. Inquisitore fu consegnato al sodetto P. Giacinto Stefani, e dall’ istesso fu restituito al P. In¬ quisitore, il quale lo mandò al S. r Nicolò deH’Àntella, revisore de’ libri da stam¬ parsi per la Ser . m ' 1 A. di Fiorenza; et da questo S. r Nicolò il stampatore, chia¬ mato il Landini, lo pigliò, et havendo trattato col P. Inquisitore lo stampò, osservando puntualmente ogni ordine dato dal P. Maestro di Sacro Palazzo. Int. B : An, quando petiit a supradicto Magistro Sacri Palatii facultatem impri- mendi supradictum librimi, eidem R. mo P. Magistro exposuerit praeceptum alias sibi factum de mandato S. Congregationis, de quo supra; R. 1 : Io non dissi cosa alcuna al P. Maestro di S. Palazzo, quando gli dimandai 190 licenza di stampar il libro, del sodetto precetto, perchè non stimavo necessario il dirglielo, non havend’ io scropolo alcuno, non havend’ io con detto libro nè tenuta nè diffesa l’opinione della mobilità della terra e della stabilità del sole; anzi nel detto libro io mostro il contrario di detta opinione del Copernico, et che le ragioni di esso Copernico sono invalide e non concludenti. Quibus habitis, dimissum fuit examen, animo etc., et assignata ei fuit camera quaedam in dormitorio offitialium, sita in Palatio S. li Offitii, loco carceris, cum 177. icrupolitiisi inamente — Tra riveduto od e leggosi, cancellato, do .— 195. allignata, è scritto sopra consigliata, elio prima si leggeva. —> 342 XXIV. PROCESSO 1>I GALILEO. procopto do non discedendo ah ea sino Bpociali Ucentia, sul) paenis arbitrio S. (Vmgregationis otc. ; et fuit oi iniunctum ut se subscribut, et impoaitum silen- tiuiu sub iuramonto. Car. 42Sr. — Copi* di mano di Qiltlso. Noi Roberto Cardinale Bellarmino, bevendo intono ri»** il Sig. r Galileo Galilei sia calunniato o imputaci di bavere abiurato 111 mano nostra, et anco di essere stato per ciò («enitcniinto di peniteuzie salutari, et emendo ricercati della verità, diciamo che il suddetto S. Galileo non ha abiurato 111 mano nostra uè di altri qua in Roma, nò meno in altro luogo che noi sappiamo, alcuna sua opinione 0 dot¬ trina, nò manco ha ricevuto peniteuzie salutari nè d'altra sorte, ma solo gl’è stata denunziata la dichiarazione l'atta «la Nostro Signore e publicata dalla Sacra Congregazione dell’ Indice, nella quale si contiene che la dottrina attribuita al Copernico, clic la terra ai muova intorno al solo 0 che il sole stia nel centro del mondo senza muoversi da oriente ad occidente, sia contraria alle Sacre Scrit- 210 ture, e peri» non si possa difendere nè tenere. Et 111 fede di ciò h&bbiamo scritta e sottoscritta la presente di nostra propria mano, questo di 26 di Maggio 1616. Il med.“° di sopra Roberto Card. 1 * Bellarmino. 881 far. 410r.-481r. — Autografo It KJtto*«n iloti di Uni Lio. Die Sabbathi 3o Aprii» 1633. Co nati tu tua personali ter Romae in aula (ong regalino uni. coram et assistente quibue supra, in meique, Galileus de Gaiileis de quo supra, qui cum petiisset audiri, delato sibi dira¬ mente rari tati» diccndae, quod tactis etc. praeatitit, fuit por D. Int.": Ut dicat quid sibi dicendutu occurrit. R. 1 : Nel far io più giorni continova o ti* i riflessione sopra gl’interrogatorii fattomi Botto il di 16 del presente 1 , et in particolare sopra quello se mi era stata latta prohibitione sedaci anni fa, d’ordine del 8. Omcio, di non toner, difendere o infseg|nar quovis moto l’opinione pur all’bora dannata della mobilità, della io terra e stabilità del sole, mi cadde in pensiero «li rileggere il mio Dialogo stani- U UH ioUrrofatorl ai quali accenna tono taraatnU dal giorno 12: clt. u.* 81, lin. 2. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 343 pato, il quale da tre anni in qua non havevo più riveduto, per diligentemente osservare se contro alla mia purissima intentione, per mia inavertenza, mi fusse uscito dalla penna cosa per la quale il lettore o superiori potessero arguire in me non solamente alcuna macchia d’inobedienza, ma ancora altri particolari per i quali si potesse formar di me concetto di contraveniente a gli ordini di S. la Chiesa; e trovandomi, per benigno assenso de’ superiori, in libertà di mandar attorno un mio servitore, procurai d’liaver un de’ miei libri, et bavutolo mi posi con somma intentione a leggerlo et a minutissi[m]amente considerarlo. £0 E giungnendomi esso, per il lungo disuso, quasi come scrittura nova e di altro aut tore liberam ente confesso ch’ella mi si rappresentò in più luoghi distesa in tal forma, che il lettore, non consapevole dell’ intrinseco mio, harebbo havuto cagione di for marsi conce tto che gli argomenti portati per laparte fa[ls]a, e ch’io intendevo di confutare, lusserò in tal guisa pronunciati, che più tosto per la loro efficacia fussero potenti a stringerò, che facili ad esser sciolti : e due in particolare, presi uno dalle macchie solari e l’altro dal flusso e ribusso del mare, vengono vera¬ mente, con attributi di forti e di gagliardi, avalorati all’ orecchie del lettore più di quello che pareva convenirsi ad uno che li tenesse per inconcludenti e che li volesse confutare, come pur io internamente e veramente per non concludenti e so per confutabili li stimavo e stimo. E per iscusa di me stesso, appresso me me¬ desimo, d’esser incorso in un errore tanto alieno dalla mia intentione, non mi appagando interamente col diro che nel recitar gli argomenti della parte avversa, quando s’intende di volergli confutare, si debbono portare (e massime scrivendo in dialogo) nella più stretta maniera, e non pagliargli a disavvantaggio dell’av¬ versario, non ibi appagando, dico, di tal scusa, ricorrevo a quella della naturai compiacenza che ciascheduno ha delle proprie sottigliezze, c del mostrarsi] più arguto del comune de gli huomini in trovare, anco per le propositioni false, inge¬ gnosi et apparenti discorsi di probabilità. Con tutto questo, ancorché, con Cicerone, avidior sim gloria quam satis sit , se io havessi a scriver adesso le medesime va¬ io gioni, non è dubbio ch’io le snerverei in maniera, ch’elle non potrebbero fare apparente mostra di quella forza della quale ossentialmente e realmente son prive. È stato dunque l’error mio, e lo confesso, di una vana ambitione e di una pura ignoranza et inavertenza. E questo è quanto m’occorre dire in questo partico¬ lare, che m’è occorso nel rilegger il mio libro. Quibus habitis, habita eius subscriptione, DD. prò modo dimiserunt examen, animo etc., imposito sibi silentio sub iuramento. Ju> pajym-* 32. 21. Di rronte alle primo parole sottolineate vi è in margino un tratto doppio inclinato. • 24-14. Un tratto verticale in margino comprende da yuùu pronunciali sino alla fine della risposta. 344 XXIV. PROCESSO Di GALILEO. Et post paululum rediens, dixit: E per maggior contirinatione tiri non haver io nè tenuta nè tener per vera la dannata opinione della mobilità della terra e stabilita del sole, ko mi sarà conceduta, bicorne io desidero, habilità e tempo di poterne fare più chiara di- &o mostratione, io sono accinto a farla. K l’occasione c’è opportunissima, attesoché nel libro già publicato «uno concordi gl*interlocutori di doversi, dopo certo tempo, trovar ancor insieme per discorrere sopra diversi problemi naturali, separati dalla materia noi loro congressi trattata: con tale occasione dunque, dovendo io sog¬ giungerò una o due altre giornate, prometto di ripigliar gli argomenti già recati a favore della detta opinione falsa e dannata, e confutargli in quel più efficace modo che da Dio benedetto mi verrà somministrato. Prego dunque questo S. Tri¬ bunale che voglia concorrer meco in questa buona resoluboim, col concedermi facoltà ili poterla metter in effetto. Et 1 teruin se subscripsit. co ( £k6i ante r. u Uiiiui, tcstibus etc. 51-r>fi. Lo parol* tottolinoatf «odo U pria»* di >«tu Una* tserMtlr* dall' originai*, • furono sotto¬ lineate con U uaaitMU ini*e/)»nc di rilevar» U mUr« Un*» sndtUiU, da a /aria fino a (Ulta opinion*. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 84) Car 421/.-422t\, 425>v428r. a) Car. 421t.-422r. — Autografa la firma di Ualilro. 345 Die Martis X Maii 1033. Vocatus, comparuit personalitor Romae in aula Congregationum palatii S. u Of- fìcii, coram ad.“ li. P. Kratre Vincentio Maculano ordinis Prcdicatorum, Comis- sario generali S. li Offitii, in meique otc. Galileus Galileus do quo supra; ot eidem, coram Paternifcate sua constituto, idem P. Comissarius assignavit terminimi octo dierum ad faciendas suas defon- siones, si quas tacerò vult et intendit. Quibus auditis, dixit: lo ho sentito quello elio V. P. m’ha dotto: o lo dico in risposta elio per mia diffesa, cioè per mostrar la sincerità e purità della mia io intendono, non por scusare affatto l’havor io ecceduto in qualche parto, come lui già detto, proselito questa scrittura, con una fedo aggiunta del già Em. wo S. r Card.' 6 Bellarmino, scritta di propria mano del modesimo S. r Cardinale, della quale già presentai una copia di mia mano. Del rimanente mi rimetto in tutto o per tutto alla solita pietà e clemenza di questo Tribunale. Et ballila oius snhscriptiono, fuit romissus ad domun supradicti Oratoria Sor. mi Magni Ducis, modo et forma iam siili notilìcatis. P) Car. 425r. et. — Autografo di Gai.ii.ko. Molto deperito por lo corrosioni prodotta dall’inchiostro, co¬ sicché in parecchi luoghi si loggo con difficoltà. Nell’interrogatorio posto di sopra, nel quale fui domandato so io li avevo significato al Padre Rev. mo Maestro del S. Palazzo il comanda¬ mento fattomi privatamente, circa 1G anni fa d’ordine del S.° Off. 0 , di non tenere , defendere vel quovis modo docere l’opinione del moto della terra e stabilità del sole, risposi che no; e perchè non fui poi interrogato della causa del non l’haver significato, non ebbi occa¬ sione di soggiugner altro. Hora mi par necessario il dirla, per di¬ mostrar la mia purissima mente, sempre aliena dalPusar simulazione o fraude in nissuna mia operazione. 34, a. 6. Tra attxynavit e termìnum leggasi, caucellato, ei. — XIX. 44 340 XXIV. PR0CFA80 DI OALILKO. Dico pertanto, che andando in «juni h’mpi alcuni mici poco bene io affetti spargendo voce corno io oro stato chiamato dall’Kin.® 0 S. Card. Bellarmino per abiurare alcune mio opinioni e dotrim*, e che mi era convenuto abiurare et anco riceverne penitente etc., fui costretto ricorrer a S. Km.“, con supplicarla die mi facesse un’attestazione con esplicazione di quello perchè io ero stato chiamato ; la quale attestazione io ottenni, fatta «li sua propria mano, et è questa che io con la presente scrittura produco : dove chiaramente si vede, es¬ sermi solamente stato denunaiato non si poter tenero nè difendere la d[ottrina] attribuita al Copernico della mobilità della terra e sta¬ bilità del sole etc. ; mfft c]he, oltre a questo pronunziato generatelo concernente a tutti, a me fu so comandato cosa altra nissuna in particolare, non ci se ne vede ve[sti]gio alcuno. Io poi, havondo per mio ricordo questa autentica atti stazione, inanuscritta dal medesimo intimatore, non feci dojio più altra application di mento nè di memoria sopra lo parole usatemi nel pro nunziarmi in voce il detto precetto, del non si poterò difendere nè tenere etc. ; tal che le due particole, che, oltre al (cuore, de/euderc, che sono rei quovi8 modo dovere, che sento contenersi nel comandamento fattomi o registrato, a me non giunte novissime e come inaudite : e non credo che non mi debba esser prestato fede che io nel corso di 14 o 1G anni nè habbiaso liaver persa ogni memoria, o massime non ha verni’hauto bisogno di farci sopra riflessione alcuna di mente, havendone cosi valida ricor¬ danza in scritto. Dora, quando si rimuovino le due dette particole e si ritenghino lo due sole notate nella presente attestazione, non resta punto da dubitare che il comandamento fatto in essa sia l’istosso precetto che il fntto nel decreto della S. rm Congregazione deH’Indieo. Dal che mi par di restare assai ragionevolmente scusato elei non liaver notificato al I'. Maestro del Sacro Palazzo il precetto fattomi privatamente, essendo Bistento che (po llo della Congregazione del¬ l’Indice. 40 Che poi, stante che '1 mio libro non fosso sottoposto a più stretto censure di quelle alli quali obbliga il decreto dell’Indice, io habbift tenuto il più sicuro modo e ’l più condectuite per cautelarlo et espur¬ garlo da ogu’ombra di macchia, panni elio possa essere assai nuv- 34. ? 22-32 I* puro!» *«>UollB<«ta «<>00 la pnna di olio linea ancceaalvo deiroritfinale, 0 furono sottolineata con l'intansioDa di rilavora la lutare linea, da par mio n<-orWo a rtfl —,— XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 347 infesto, poi che io lo presentai in mano del supremo Incfuisitore in quei medesimi tempi che molti libri, scritti nelle medesime materie, venivano proibiti, solamente in vigor del detto decreto. Da questo che dico mi par di poter fermamente sperare che il concetto d’ haver io scientemente e volontariamente trasgredito a i 50 comandamenti fattimi sia per restar del tutto rimosso dalle menti de gli Emin. 1 ' 1 e prudentissimi SS. 1 giudici ; in modo che quei manca¬ menti che nel mio libro si veggono sparsi, non da palliata e men che sincera intenzione siano stati artifiziosamente introdotti, ma solo per vana ambizione e compiacimento di comparire arguto oltre al comune de i popolari scrittori, inavvertentemente scorsomi della penna, corno pure in altra mia dep[osi]zione ho confessato: il qual mancamento sarò io pronto a risarcire et emendare con og[ni pos¬ si ibile industria, qualunque volta o mi sia dagl’ Em. mi SS. 1 coman¬ dato o perni[ess]o. co Restami per ultimo il mettere in considerazione lo stato mio di conuniseranda indisposizione corporale, nel quale una perpetua affli- zion di mente, per dieci mesi continui, con gl’ incomodi di un viag¬ gio lungo e travaglioso, nella più orrida stagione, nell’età di 70 anni, mi hanno ridotto, con perdita della maggior parte degl’ anni che ’l mio precedente stato di natura mi prometteva; che a ciò fare m’in¬ vita e persuade la fede che ho nella clemenza e benignità de¬ gl’ Emin. mi SS. 1 miei giudici, con speranza che quello che potesse parere alla loro intera giustizia che mancasse a tanti patimenti per adequato castigo de’ miei delitti, lo siano, da me pregati, per con- 70 donare alla cadente vecchiezza, che pur aneli’ essa burnii mente se gli raccomanda. Nò meno voglio raccomandargli 1’ honore e la reputa- zion mia contro alle calunnie de’ miei malevoli, li quali quanto siano per insistere nelle detrazzioni della mia fama, argomento [n]e pren¬ dano gl’ Em. 1 SS. 1 dalla necessità che mi costrinse a innarrar dal- 1’ Em. mo Sig. r Card. 1 Bellarmino 1’ attestazione pur hor con [quejsta presentata da me. Fuori (car. 426<.). d’altra ninno: Dio X Maii 1U33 cxhibuit ad sui defensioner» Galileus Galileue. 56. Tra altra mia e depotinone legnosi, ripetuto e poi cancellato, altra mia. —■ 34 8 XXIV. l'KO : Aristotele non provava mai che la terra sia nel centro ; quo loco licct in margine addat, Il sole esser più probabilmente mi centro che la terra, quasi non absoluta aasertione, sed tantum magia probabiliter, id adstrueret, omnino taracn pag. 31G t4> absolute et demonstrativo ostendit, et solem esse centrum, et terram moveri circa ipsum sicut ceteros planetas, idque concludit, quemadmoduni ipse loquitur, con e viden - 20 tissiine ot concludentissime osservationL Probat vero siium intentimi, primo, positive, pag. 318,319, 321, 323, 324, 325 deinde, reprobando motum diurnum orbium caelestium et destruendo systema Ptolemaei, quanta potest efficacitate : ex quibus demum inferi, solem esse cen¬ trimi, circa quod corpora mundana et terra convertantur. Ita pag. 332, 333,334 C ) . Ceterum etsi de Galilaei monte, iuxta rationes in utroque voto allatas, indu¬ bitato constet, eu iti scilicct et docere et defendere et tenere opinionem de motu terrae et quieto solis tanquam centri universi, adirne tamen liaec omnia efficacis- sime ostenduntur ex oo sat longo scripto eiusdem Galilaei, quod, antequam lume librimi Dialogorum ederet, Arcbiduci Florcntiae prò causa sua exbibuit (S) , in quo so non solum sententiam Copernici probavit, sed solvendo loca b. Scripturae, quan- tum in se fuit, stabilivit. 08. 25. Cfr. Voi. VII, pag. 8RR-S70 <*' Cfr. Voi. VII, pag. 347-848. <*> Intendo, la lettera a Madama Cn.bTi.NA di 01 Cfr. Voi. VII, pag. 840-856. Lorena. 350 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. In sol vendi» {intoni loci» Scriptum®, prm scrtitn circa motum soli», in eototus fnit, ut ostonderet Scripturam loqtù ac< ommodato ad vulgi opinionem senBu, non autern quod revera raoveretur: eos porro qui vulgata? de* niotu aolia in Scriptura sententi*® nirnium addioti «unt, tanquam ad patini a»picient<», profundiora non penetrante*, balietes et pane stolido* tradii xit l^egi hoc scriptum, et, ni i fallar, hic in I ri * non paucorum manibns teritur. Kt lutee in Contirmationem priorum dieta sunto. Melchior Incofer. + Censeo, Galil eum non solaio doeere »*t d«-fondere opinionem Pythagorae et to Copernici de motu seu conversione torme, renna etiam »i discorro, modus ra- tiocin:indi, et subindo torba attendantur, do firma eidein adliaesione vehementer esse suspectum, atque adeo candela tenere. Melchior Inchofer. + u Ttotinnes qnibus ostonditnr, fìalilaeum docere, defendere ac tenore opinionem de motu terrae. 1. Quod (talil&eus terrae motum scripto doceat, extra controtersinm est: totus enim liber prò se voeem inillit; nec alio inotio docenti!r pontori et absentes, quam ant scripto aut traditiono. *2. Munus docenti* inter alia est, praecept i arti» trad re, quae faciliora et 50 magia expedita cen-ct, ut fncile* et docile» disi ipul«m nana >oi tur ; proposito prae- scrtim novitate disciplina?, quae curiosa ingenia miritioe M»let allicore. In hoc genere, quam dextrum et solertcm se praebeat Galilaeus, patet toturu librum perlegcnti. 3. l'raeterea, qui docet, quae uae doctrinae adversantur, conatur quantum poteri dissolvere, ditheultot» * eorum, incommoda, aut etiam falsitotes, detegere. G.ililacus toto hoc opere nihil alimi magi» contendit, quam ut doctrin&m de con¬ versione terrae constitnat, contrarian» vero penitus proscribat 4. Habet et illud smgulare (ìalilaeua, ut qm* .vi* alio» effectus in natura con- spicuos, quorum camme vera? ab &lii* R*HÌgnaUe non latent, in conversione® M terrae, tanquam in unicam genuinam et propriam causata, referat; cuiusmodi sunt quae de maculis soliti, de fluxu et rrfluxu maria, de terra magnete, ad nau- seam inculcat Quod dubio procul signum rat non solimi docere volenti», sed, docendo, etiam circa piura illustranti», de quibus noe Copernico* nec alii aequaces cogitar unt, ut ipse author haberi velit. 4*. Sotto in mono di IImo, k «a m««« w foia» di .JT tra do* pasti, ck* » nasuto r»rfl, non h» «leuu — CO. MTM k affisato t*» U luta*. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 351 5. Dolci subinde Galilaeo quoti linee opimo a paueis sii percepta, quod inve- teratae opinioni nimis sint addicti, eanique ob causam conatur Simplicium dedo- ccre, et sub liuius nomine omnes Peripathoticos, si possit, in suam sententiam pertrahere. Agii nimirum ex sollicitudine diligentis magistri, qui discipulos Labore 70 et proficere optet. Quare si, ex S. Angustino in Enarrai ione super Psal. 108. docere non est aliud qnain scientiam dare, et liaec ita disciplinae connexa est, quod altera sine altera esse non possit; perspicuum est, Galilaeum liane opinionem vere et proprie docere, eoque magis, quod sub nomine Àcademici praeceptoreni agat eorum quos in Dialogis suis loquentes inducit. Nec est facilior vel docciali vel discendi ratio, quam si doctrinao per dialogos tradantur, ut patet innumeris magnorum virorum exemplis. Atquc liaec circa primum punctum, de doctrina scripto tradita. Eandem vero non esse recenteni Galilaeo, patet ex co libello pridem ante in lucem edito, in quo ipso ob hanc doetrinam collaudatur et defenditur. so Quod attinet ad sccundutn caput, an defendat, etsi ex ilictis facile deduci queat, nihilominus indubitate sic ostenditur alìirmativa. 1. Quia, si defendere quis dicitur o])inioncm quam duntaxat tuetur, alisque refutatione aut destructione contrarrne sententiae, quanto magis qui ita defendi t, ut contrariam prorsus destructam velit? Ilinc in iure, dofendere interduni dicitur impugnare, L. 1. C. do Test., et ibi Baldus. 2. Quia Copernicus, simplici systeniatc contentus, satis habuit, phaenomena caelestia faciliori methodo (ut ipse putabat) ex liac liypothesi absolvere; ut Ga- lilaeus, multis praeterea rationilms conquisitis, et Copernici inventa stabilit, et nova inducit: quod est bis defendere. 90 3. Quia scopus principali» hoc tempore Galilaei fuit impugnare P. Cliristo- phoruin Sclioiner, qui recentissimus omnium scripserat contra Copernicanos : sed hoc nihil est aliud quam defendere et in suo roliore velie conservare opinionem de motu terrae, ne fortasse, ab aliis impugnata, labefactetur. <1. Quia non est alius modus magis proprius defe[nsion]is, etiam acerrimac, quam qui servatili- a Galilaeo, adducendo scilicet argumenta in contrarium, et eo conatu dissolvendo et elevando, ut appareant sino nervo, siile ratione, denique sino ingenio et iutlicio adversariorum. 5. Quia si solimi animo disputamli aut ingcnii exercendi suscepisset hanc tractationem, non tam arrogans belluin erat indicendum Ptolemaicis et Aristo- ioo to.licis, non tam superbe traducendus Aristotelcs et eius sectatores, sed modeste poterant proponi rationes, veritatis investigandae et stabiliendae, non vero eius impugnamlae, gratin, quam non agnoscit. liaec circa secundum caput, de defensionc scripto edita ; ex quibus coniectura fieri potest etiam de defensionc voce lacta. 70. Piai 108 ; sic, ìua cfr. Doc. XXIV, b, 87, lin. 117. — Concio». 17. 352 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. In prnefat. ad luutui'uui '*). UuiusmoiH simb ratiouos petitno a uiaculis solis, llux u ot rotluxu, ete. Quoti atiinet ad tertium caput, an Galilaeus teneat liane do motu terrae phy- sico opinionom, ita ut vere iti sentire convincatiir, affirmativa duplici modoosten- ditur. Primo, per necessaria» consecutiones. Secando, ex verbis ipsiusraet Galilaei absolutis et assertivis, aut certe aequivalentibus. Suppono auteni, mentem dicentis citisdem verbis alligatam esse, neo valerti fucatam interdum protostationein, quam adliibere solet no in Decretimi peccasse videatur. Iudicium enim sumendum ex no facto contrario. Seti veniamus ad ostensionom. 1. Quia caussa illa qua se permotum ad scribendum praetendit, ultramom tanos scilicet obinurmurasae Decreto, et Consultores S. Congregationis ignoratitiao astronomiao arguisse, vana est et frivola, noe sufiicions ut moveatvirum corda¬ timi ad tantum laborem Huscipiendum. N idi non unius ultramontani super hac re lucubrationes oditus, in quiluis nulla Decreti Imbellir montiti, nulla Consub torum, quorum etiam vocabuluin in re praesenti ipsis ignotum. De Catholicis certum est, iti ncminem fuisse ausimi. Domile, si baco caussa permovit Gali- laeum, cur[.] ergo ipso non suseopit dolendomi uni Decretimi et S. Congrega- tionem cimi suis Consultoribus V hoc enim ipsi consequonter praestandum erat, 120 ut caussae scribendi respoiuleret. Tantum vero abest id praestisse (sic) Galilaeum, ut contra novis argumentis, de quibus ultramontani nunqmim in lume lineili cogi- tarunt, sententiam Copernicanam munire sit conatus, et cum Italico soribat, non iam ultramontanis tantum aliisque viris iloctis manuin porrigere, seti vulgares etiam liomines, quibus errores facillimo insident, in sententiam voluerit pertrahere. 2. Qui ingcnii gratin de aliqua re disputat, et non quia revera ita sentiat, aut problematice agit, neutrani partem altera certiorem statuendo, aut tandem reiecta altera parte, adhaerendo ei quam certiorem putat. Galilaeus ubique theo- rematice et solidis, ut ipsi videtur, demoiistrationibus decernit, ea ratione ut sententiam de terrae quiete longe propulsimi volit. 180 3. Promittit Galilaeus, se acturum ex hypotliesi mathematica : sed non est liypotliesis mathematica quae conelusionibus pliysicis et necessariis stabilitili-. Exempli gratia : Petit mathematicus ilari lineam inlinitam, qua data concludit triangulum lineae inlinitac superstructum esse potentine inlinitao ; nunquam ta- men aut probat aut credit dari lineam inlinitam, loqiioiulo proprio de infinito. Ita Galilaeo ponenda erat mobilita» terrae ad intentimi deducendum, non vero probanda cum destructione sentcntiae contrariae, quemadmodum toto opere lacit. 4. Quaeritur a theologis an Deus sit, non quia dubitet ebristianus theologus ,Deum esse, seti ut ostendat. praescintlendo etiam a Fide, inultis rationibus ostendi liosse, in ordine ad nos (ut dici solet), Delira esse, destrueiido rationes quae con- DO trarium suadent. Si Galilaeus hypotbetice volebat agore, tantum all'erre debebat rationes quae videntur suadere motum terrae, sed, iis deinde solutis, contrari uni 107. wet (li iptiuimet t aggiunta in tori in caro.— 118. .V. L'onyrrt. 1 * — ,l i Clr. VkI. VII, pag. 29. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 353 aut supponevo aut probaie, aut certe non confutare. Et haec quidam dico si non pure mathematice agatur, sed, quemadmodum Galilaeus facit, physicae dispu- tationes interserantur ; alioqui mathematico sufficit sola suppositio, absque ulla probatione rei quae supponitur et accipitur. 5. Quacrunt etiam pliilosopbi, utrum mundus potuerit esse ab aeterno; nomo tamen Cliristianus dicit, fuisso ali aetcrno, sed tantum, posito quod l'uisset ab aeterno, liaec et illa necessario vel probabilità- erant secutura. Ita Galilaeo non ino erat absolute probandum terrai» moveri, ut se continerct in pura bypotliesi ma¬ thematica, sed tantum imaginarie concipiendum, et non pliisice ponendum, nin- veri, ut, liac ratione accepta, explicarentur phaenoinena caelestia et motuum numcrationes ducerentur. G. Nisi sentcntiae de motu terrae firmiter adhaereret Galilaeus tanquam pu- tatae verae, nunquam tam acri ter prò ea dcccrtaret, nec tam viliter haberet con- trarium sentientes, ut non putet nuuierandos esse inter homines + . Quis unquam Catbolicus, vel prò veritate Fidei, tam amara contentione egit ad versus hacreticos, atque Galilaeus adversue tuentes quietem terrae, praesertim a nemine lacessitus? Certe, nisi hoc sit defendere opinionem cui quispiam firmiter adhaereat, nescio 160 an (praescindendo a Fide) ulla futura sit discernendi nota, liuius aut illius esse quempiam opinionis, otsi ornili conatu eam defendat. 7. Si Galilaeus contra unum aliquem privatimi ageret, qui fortasse quietem terrae non udeo ingeniose adstruxisset, nec Copernicanos solide convicisset, pos- sent multa in meliorem partem de eius mente interpretari ; sed cum ipse omnibus bellum iiulicat, onnies tanquam liomunciones reputet, qui Pytbagoraei aut Coper¬ nicani non sunt, satis evidens est quid animi gerat, co praesertim quod Gui- lhelmum Gilbertum, haereticum perversimi et liuius sententiae rixosum et cavil- losum patronum, nimio plus laudet ac ceteris praeferat. Atque liae omnes et singulae rationes mihi eiusmodi sunt, ut veliementer 170 suspectum reddant Galilaeum liuius esse opinionis, quod est terram physice mo¬ veri. Certe ipsum aliter sentire, nullibi ex toto hoc opere elicitur. Nani quod interdum dicat, se nolle quicquam decidere, id agit ac qui post inflicta destinata vulnera mederi velit, ne studio vulnerasse censeatur. Veniamus modo ad alteram dicti partem, ut ostendamus, Galilaeum absolutis etiam aut aequivalentibus verbis hanc sententiam assercre. 1. Pag. 108 (,) habet liaec: Io non mi posso persuader che trovar si potesse alcuno che havesse per cosa più ragionevo le e cred ibile che la sfera celeste fosse quella che desse la volta, et il globo terrestre restasse fermo. 2. Se si attribuisce la conversione diurna al cielo, a me pare che babbi molto 180 del difficile; nè saprei intenderla terra, corpo pensile e librato sopra il suo cen- Cfr. Voi. VII, pag. 299. < s > Crr. Voi. VII, pag. 146. <*> Cfr. Voi. VII, pag. 141. + Pag. 2C9 <«>. Pag. 113. nolla confcrui&tiouei*'. XIX. 45 354 XXTV. PROCESSO DI GALILEO. Pag. HOC’. Pag. 122' I'ag. 370 C». Pag. 3G0 C>. Png. 399 <»>. Pag. 43 et 49'“’. Pag. 317 « 7 >. Pag. 317, § A r on domando < 8 t. § A r on umile **'. Png. 318, § Hom i/i«i lido ll0 '. § Concludenti"). Png. 319 «'* 1 . Pag. 324"”. tro, indifferente al moto ot alla quiete etc. non dovesse cedere ella ancora et essere portata in volta. 3. Prova la terra moversi per quel principio tisico che la natura non opera per molti mezzi ciò che può conseguir per pochi, et frustra fit per ptura quoil fieri potcst per panciera. 4. Considerando queste cose, comminciai a credere che uno che lascia una opi¬ nione imbevuta col latte et seguita da infiniti, per venir in un’ altra da pochis¬ simi seguita e negata da tutte le schuole, et che veramente sembra un para¬ dosso grandissimo, bisognasse per necessità che fusse mosso, per non dir forzato, da raggioni più efficaci. 190 3. Non crede che alcuno si sia messo a considerar il moto della terra, ma solo perchè hanno trovato scritto la terra non si muovere, hanno seguitato que¬ sta opinione. 4. Chiama una inveterata impressione che li cieli si muovano, quasi del resto non fosse opinione vera. 5. Confesso di non aver sentita cosa più ammirabile di questa, nè posso cre¬ dere che intelletto humano liabbi mai penetrato in più sottile speculatione. G. Dove Simplicio oppone la sovversione della filosofia Aristotelica, posto il moto della terra, risponde ciò non esser possibile, et che bisonarebbe rifare li cerevelli, che sapessero distinguer il vero dal falso. 200 7. Dice, Aristotele ha ver collocato il globo terrestre come centro; ma se si trovasse costretto da evidentissime esperienze a permutar in parte questa sua disposinone et ordine dell’ universo, et confessar d’ essersi ingannato etc. 8. Dice, li Peripatetici esser mancipii d’Aristotele, et dirrebbero che il mondo sta come scrisse Aristotele, ot non come vuole la natura. 9. Il non dover por la terra nel centro o che li cieli si muovono d’attorno, non vuole chiamar inconveniente, ma dice potrebbe esser necessario che fosse cosi. 10. Suppone come vero che intorno al centro si muove la terra. 11. Che il sole sia nel centro, concludesi da evidentissime et perciò conclu¬ dentissime ossei-vationi. 210 12. Prova che l’operar il moto diurno ne’ corpi celesti non fu nè potette esser altro che il farci apparire l’universo precipitosamente correr in contrario. 13. Non tiene por huomini che tengono la fermezza della terra. 191. In luogo di crede prima ora scritto c redo. — '" Cfr. Voi. VII, png. 143. < s > Cfr. Voi. VII, png. 154 IÓ5. '«> Cfr. Voi. VII, png. 104-405. Ot Cfr. Voi. VII, png. 101. < s > Cfr. Voi. VII, png. 432. '«t Cfr. Voi. VII, png. 81-82. 0> Cfr. Voi. VII, png. 348. <»i Cfr. Voi. VII, png. 348, Un. 20. <«> Cfr. Voi. VII, png. 348, lin. 31. " ft > Cfr. Voi. VII, png. 819, lin. Hi. !“> Cfr. Voi. VII, png. 319, lin. 24. <**> Cfr. Voi. VII, png. 350. e»! Cfr. Voi. VII, png. 355. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 355 14. Mostra olio, sono stati di eminente ingegno che hanno abbracciata Popi- rag. 325 nione di Copernico, seguendo il discorso contra le sensate esperienze, et che in questo la raggione ha fatto violenza al senso. 15. Dice il Salviati che egli ancora havrcbbe creduto a* Peripatetici, si sensfo] § Siamo superiore et più eccellente de’ communi e naturale non s’ accompagnava con la raggione. 220 1G. Fa un epifonema al Copernico, quanto egli havrebbe gustato del tele- P«t?- 331'®). scopio per confermatione in parte del suo sistema, se in quel tempo fosse stato trovato, et lo loda perchè con le raggioni venne contra 1* esperienza a. 17. Conchiude della terra, per probabilissima et torsi necessaria conseguenza, Pag. 332, § Tali in che si muova intorno al sole. f ine . annuo della terra. 22. Parla de’saldi argumenti, congetture e tinnissimo esperienze di Coper- Pag. 344, § nico, posto che sia vero quanto dice il Sagredo; Nè già (dice) conviene por F ,c,o(101 * dubio sopra le sue parole. 23. Parlando dello macchie solari, supposte le prove, Vo meco medesimo (dice) considerando, necessariamente bisognare elio quelli che restano contumaci 240 contro a questa dottrina, 0 non habbiano sentite, 0 non habbiano intese, queste tanto manifestamente concludenti raggioni. 24. Convenendo una dello due constituzioni esser necessariamente vera e l’altra necessariamente falsa, impossibil cosa è che (stando però tra i termini ^o^anÀ'^prim^vista delle dottrine Immane) le raggioni addotte per la parte vera non si manifestino mostra‘“t. altretanto concludenti quanto le in contrario vane et inefficaci. 25. Non dubita che la scienzia che insegna, esser la terra calamita, s’ babbi Pag. 896 0*'. da perfettionar con vere et necessario demostratione. L’istesso bisogna che dica Pag. 34SO'*. § To non {jli attribuirò. m Cfr. Voi. VII, pag 356. (»* Cfr. Voi. VII, Pag. 60. (*i Cfr. Voi. VII, pag 855, liu. 30. <®> Cfr. Voi. VII, I>ag 372. (Si Cfr. Voi. VII, pag 367. (IO) Cfr. Voi. VII, png. 379, lin. 18. (41 Cfr. Voi. VII, P»g 868. OH Cfr. Voi. VII, png. 383. (M Cfr. Voi VII, pag 369. (IH Cfr. Voi. VII, pag. 383, lin. 23. (fi> Cfr. Voi. VII, I>ag- 870, lin. 22. (13) Cfr. Voi. VII, Pag. 429. (7) Cfr. Voi. VII, Pag. 372. 356 XXIV. PROCESSO PI 0 A LI LEO. del moto della terra, emendo che, pag. 404 , dalli moti della calamita prova li varii moti della terra. Hae eunt ratione* quae me ad eiuimodi censurnm ferendam, veritatis amo -250 re, permovorunt, qua* mtaloimnu» meliuri alioruin iudicio libenter perniitto et bubmilto. Melchior Inchofer. 871 r»r. 442r.-447r. — Ànl«rra*. Ego Zacharius l’a>qiiAli|pi*. ridico* Reg. t Sacrar Theologiae profeBsor, Co¬ rani KniinentÌBB. mo et R.*° Cardinali Umetto, S.»* I). 1). Urbani l’apao octavi Vicario, rogatila an I). (ìalib ua do Galilei* tran*gressuH faerit praeceptum in editione suorum Dialogorilin, in quibo* tradii (opernicanum, quo illi a S.** Otlicio prohibetur ne hnin^modi opinionem de motti terrao et do stabilitale sedia in centro mundi teneat, doceat aut defendat quovia modo, verbo autacripto; censeo, libro ipsius diligenter inapecto, tranagrcssura frisse quo ad illas particulaa dormi, atti defrodai, si quidein nititur qmmtum potcìt niotum terrae et atabili- tjitem solii ad tf mere; *-1 eti.im valde Miqwctum esso, quod buiusmodi opinionem teneat. Atquo prò liorum a*. ertiono propria manu aubscribo. 10 Zacharius Pasquali gas, Clericua Reg., Sacrae Theologiae professor. Ego Zacharius Panqualigus, Clericua Reg., Sacrae Thoologiae professor, co- ram Emi.®° et R.** Cardinali Umetto, S.“' 1). N. h. Urbani Papae octavi Vicario, rogatua an D. Galileo» de Galilei» in editione attornili Uìalogorum, in quibus dc- clurat sistema Copernicana m, tr.uiHgre.HHua fuerit prncceptuni, quo illi a S.*° Officio prohibetur ne opinionem de mota terrae teneat, ducest aut defendat quovis modo, verbo aut scripto; cen&oo, tran-gre» su m frisse quo ad illas particulaa doceat aut defendat; et etiain buiusmodi Dialogo* euin valde suspectum faccro, quod hanc opinionem teneat: et hoc a^ero, libro ip ius dilige 11 ter considerato. Atque propria 20 manu Bubacnbo. Zacharia* Pasqualigun, Clericus Regni., Sacrae Micologia*} professor. Benché il Sig. r Galileo nel piincipio del mio libro proponga, voler trattar del movimento della terra »uo ny[>ath .vi, nel progresso però do Buoi Dialoghi lascia da parte 1’ hypothesi, et prova assolutamente il movimento di ensa con ragioni assolute; onde da premesse assolute ne cava la conclusione assoluta, et alle volte stima che lo ragioni sue siano convincenti. m Cfr. Voi. vii, paf. in. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 357 Apporta dunque le suo ragioni: nella prima delle quali suppone, che Pistessa i’»s. so apparenza si liabbia da cagionare o che la terra si muova col moto diurno, o puro che si muovano tutto le stello; e poi argomenta che natura non facit par plora quoti potest faccra per pauciora , e perciò potendosi, col solo moto diurno posto nella terra, salvar tutte le apparenze, bisogna dire che la natura non habbia posti tanti moti diurni quante sono le stelle e pianetti, ma uno solo nella terra. Aggionge per conferma, elio se il moto diurno è del cielo, bisogna che gli orbi Pag. de’ pianetti habbiano il moto ratto d’oriente in occidente, contrario al proprio naturale; che l’orbe quanto è maggiore, tanto è più tardo nel suo moto, onde Pag. m< s >. Saturno fa il suo moto in 30 anni, e perciò il primo mobile, come maggioro di tutti, non può fare il suo moto naturale in 24 bore; elio il primo mobile traendo Pag. ii 3 <’*>. 40 seco le sfere de’ pianetti, tirarebbe seco anco la terra, come corpo pensile. 2* ragione. Suppone con Aristotile che il centro del mondo sia quello intorno al Pag. 318< K '. quale si fanno le conversioni colesti, e di qui ne inferisce che il sole sia tal centro, e perciò se ne stia immobile. Che poi intorno al sole si facciano le conversioni celesti, dice cavarsi da evidentissime e necessariamente concludenti osscrvationi, come sono trovarsi i pianetti bora più vicini bora più lontani dalla terra, con differenza tanto grande, che quando Venere ò lontanissima si ritrova sei volto più lontana da noi che quando è vicinissima, e Marte quasi otto volte, appa¬ rendo (10 volte maggiore quando è vicinissimo, e Saturno c Giove in congiontione col sole sono lontanissimi, et vicinissimi in oppositiono dello stesso sole, so 3™ ragione. Posto il moto annuo nella terra, si vengono a levare tutte le Pag. 334 retrogradationi e stationi de’ cinque pianetti, et ciascuno di essi bave il suo moto sempre diretto et eguale, et le stationi e retrogradationi vengono ad essere solo apparenti: per ciò confermare ne fa la sua dimostrarono lineare, la quale però patisce lo suo difficoltà. 4 U ragione, cavata dalle macchie solari. Dice che avanti che facesse piena 339 (7,< osservatone intorno a dette macchie, fece tal giudicio: che se la terra si mo¬ vesse col moto annuo per ecclittica intorno al sole, et che esso sole, come centro, si volga in sè stesso, non con l’asse dell’istcssa occlittica, macon proprio incli¬ nato, ne seguirebbe clic i passaggi delle macchio si farebbono due volte l’anno, co di sei mesi in sei, per linea retta, et negli altri tempi per archi incurvati ; che l’incurvatone di tali archi per la metà dell’anno havrà inclinatone contraria a quella che havrà nell’altra metà, perchè per sei mesi il convesso de gli archi sarà verso la parte superiore del disco solare, et per gli altri sei verso la parte 37. 52. e rclrojradatio vengono — 56-57. *» n aurate — <» dr. Voi. VII, pag. 112. <*> Cfr. Voi. VII. pag. 113. <»> Cfr. Voi. VII, pag. 114. «») Cfr. Voi. VII, pag. 146 i»' Cfr. Voi. VII, pag. 319. («) Cfr. Voi. VII, pag. 370. O) Cfr. Voi. VII, pag. 874. 358 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. rag. 846 ot 347'". Tag. 410'”. rag. 439 •*». inferiore dell’intenso disco; che i termini orientali et occidentali di esse macchie (chiama termini orientili et occidentali quelle parti del corpo solare, vicino alle quali appariscono et «'occultano dette macchie) per due soli giorni dell’anno sa¬ ranno equilibrati, et no gli altri t« nipi per sei mi ai i termini orientali saranno più alti do gli occidentali, et negli altri nei più alti gli occidentali che gli orien¬ tali. Soggiunge poi, che facendo diligente o^crvatione intorno al moto di esse macchie, ritrovò che corrispondeva del tutto alla maniera disdegnata: e perciò 70 dal moto di esse macchie raccoglie il moto della terra. Kt «i va sforzando di mo¬ strare che, stando l'immobilità della terra et il moto del sole per l’ecclittica, non si può salvare il moto apparente de tali macchio. E qui sta ragione essendo fondata in un antecedente quoti dr (urto trt, inferisce la conclusione che de furto ait. :> u ragione: che posta la terra immobile, no d può fare naturalmente il flusso e reflusso del mare; e posto il movimento annuo e diurno della terra, sia ne¬ cessariamente cagionato tal flusso o reflusso. Vuole dunque che dalla mistione del moto annuo e diurno ni venga ad accelerare d moto in alcune parti della terra, et nel medesimo tempo a ritardarsi nell’altre, e ne fa, pag. 420 o, dimo- 80 stradone lineare: perchè in alcune parti della terra si congiungono moto annuo o diurno, che portano verso ristesse parto la medesima terra, et noli*altre, cioè nelle opposte parti, essendo la terra portata dal moto annuo verso una parte et dal diurno verso l'opposta, detrahendo un moto all’altro, vien il moto assoluto ad essere tardato assai; da tal aooeleratione poi o ritardamento vien cagionato necessariamente l’alzarsi et rabbassarsi dell’acqua, il crescere e calare, perchè, non essendo l’acqua fissamente attaccata alla terra, non segue di necessità il suo moto, come apparisce in una barca piena d'acqua che per qualche lago si muova, o venga il moto a variarsi in quanto alla celerità e tardanza. Non scioglie però In difficoltà, che, «Unte tal dottrina, *1 coinè la mutatione oo di somma acceleratione e massima tardanza del moto della terra sarebbe di do- deci in dodeci hore, così anco il flusso e reflusso dovrebbe essere di dodeci in 12 hore; et ad ogni modo l’esperienza insegna essere di «ci boro in sei. I periodi poi menstrui de’ flussi li riduce, come in causa, nella variationo menstrua del moto annuo della terra, cagionata dal moto della luna, la quale movendosi nell’istesso orbe insieme con la terra intorno all'istessa terra, quando ò tra la terra et il sole, cioè nel tempo della congiontiono, riesco il moto della luna più veloce (e di tal velocità ne partecipa anco la terra» di quello riesca quando essa luna è più discosta dal sole, cioè oltre la terra et in uppusitiono di esso sole: 86. ad atttre — 89. « (vayu — «»> Cfr. Voi. VII, p«c. «80-SOL 1*' Cfr. Voi. VII. p»g- 4«. «•» Cfr. Voi. VII. p«f. 4&8--46S. «»• Cfr. Voi VII, p*tf. 471. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 359 100 et da questa maggior e minor velocità vien cagionata la diversità menstrua de’ flussi e reflussi. La diversità del flusso e riflusso die si cagiona ne gli equinottii e solatiti, la *51 riduce pure nella varietà del moto della terra, in quanto dalla mistione del moto annuo e diurno viene il moto assoluto ad accelerarsi per le diverse linee per le quali viene portato il globo terrestre, come lo dechiara con dimostratione lineare. Tutte però queste sue dimonstrationi lineari soggiaciono alle sue difficoltà. Ilavendo il S. r Gallileo gli anni addietro liavuto precetto dal JS. t0 Officio in¬ torno aH’opinione Copernicana del movimento della terra e stabilità del sole nel centro del mondo, che Ncque, teneat, ncque docciti, neque defendat quovis modo, no verbo ani scripto, et havendo stampati i suoi Dialoghi intorno detta materia, si ricerca se liabbia transgredito il sodetto precetto. Si risponde, haver contravenuto al precetto in quanto prohibisce che non doceut quovis modo. Prima, perchè lo scopo di chi stampa e scrive è insegnare la dottrina che contiene il libro, onde S. Tomaso, 3 par., ques. 42, art. 4, dice: Scrip¬ tum orili notar ad imprcssionem doctrinae in cordi bus auditor uni sicut ad fintini. 2", perchè insegnare non è altro che communicare qualche dottrina, come insegna S. Agostino, conciono 17 in Psal. 118: Quid est idiud docere quam scientiam dare? ; et poi soggionge che P insegnare, dalla parte di chi insegna, non importa altro che il dire quello che è necessario dire acciò che venga capita qualche dottrina, 120 et perciò dice che non havendo il discepolo capito, può elfi insegna dire: Ego ci dixi quod dicendum fidi ; sed ilio non didicit, quia non percepii , e perciò può dire di haver latto quanto era necessario per insegnare: e perciò il S. r Gallileo, di¬ cendo quanto si può dire per via di ragione per imprimere in chi è capace l’opi¬ nione Copernicana, insegna tale opinione. 3°, perchè apporta la sua dottrina in tal maniera, che molti, anco intendenti nelle scienze mathematiche, restano per¬ suasi. 4°, perchè, pag. 213 l,) , dice che stima haver ben speso il tempo e le parole, mentre almeno ha persuaso che l’opinione della mobilità della terra non sia ò stolta; il che non è altro che persuadere che sia probabile. Ha anco trasgredita l’altra particella, che non defendat quovis modo. Perchè l3o il difendere qualche opinione non consiste in altro, che nel fondarla con qualche ragione e sciogliere gli argomenti in contrario, il che esso fa con ogni sforzo in tutto il progresso de’ suoi Dialoghi ; e benché si protesti di parlar sub hypothesi, nel provar però la sua opinione exelude l’ipotesi, perchè da antecedenti assoluti e die de facto sono veri, almeno secondo il suo sentimento, ne cava la conclu¬ sione assoluta, come apparisce in tutte le ragioni che apporta, e particolarmente: Pag. 109 t3) , che abhorrendo la natura il superfluo, non si hanno da moltiplicar tanti moti quante sono le stelle ; pag. 318 (,) , elio evidentissime e necessariamente con- 127-128. non aia ì «tolta : sic, ina cfr. Voi. VII, pag.244, lin. 23.— «•» Cfr. Voi. VII, pag. 482 488. <*) Cfr. Voi. VII, png. 214. <»> Cfr. Voi. VII, pag. 142. < k > Cfr. Voi. VII, pag. 319. 360 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. eludenti owervationi intorno r! moto do’ pianetti dimostrano, il sole essere centro del mondo; pag. 339“ , elio posto il moto della terra, fere giudicio che alcuni de¬ terminati accidenti si doveano scorgere nel moto delle macchie solari, et che no jmi, osservandolo, ritrovò gli accidenti essere tali quali doveano corrisponder in virtù del moto della terra; pag. 410 che senza il muto della terra non si possa fare naturalmente il flusso e reflusso ilei mare. In quanto all’ altro punto, che proibisce che non tmmt, dà sospetto ed inflitto urgente ili averlo trans 'redito, l’rima, perch*' in tutto il progresso del libro si mostra molto adherenU* a tal opinione, sfor/andosi «l’imprimerla destramente corno vera e svellere l’opposta, poiché abbatte tutte le ragioni con la quale (sic) questa si difende, et mostra sentire che quelle che «mo in favore ilei movimento della terra siano ctticaci. 2°, perchè acconsente ad alcune coso dalle quali con vera consequenza jaTisa cavare il moto «lolla terra: come, pag. 318“*, che le 150 osservationi fatt«» intorno al moto ih*' piarn-tti dimostrino, le conver ioni di essi pianetti essere intorno al sole come centro, e chiama tuli osservationi evidentis¬ sime e necessariamente concludenti che tali conversioni siano intorno al sole; pag. 339 dice haver fatto giudicio (die non è altro die acconsentire), che se la terra si moveva, bisognava che in virtù «li detto moto si scorgessero alcuni par¬ ticolari accidenti nel moto delle macchie solari, et |»oi soggiunge haver ritrovato con l’osservatmne che appunto tali accidenti corrispondevano, e di nuovo da tali uccidenti, gtu provati, secondo * v o, con l'esperienza, arguisce il moto della terra. Kgo Xaccharias I’asqualigus, Cle- ricus Regni., Sacrae Theolngian professor, ico coram Kminentis.* 0 et R. ,w ® D. Cardinali <1 inetto, S D. N. Urbani Papae octavi Vicario, praefatam se utenti am expono, et ita ceruleo. 88) Car. 451 Die 16 Iunii 1633. Galilei do Galilei*, de quo sopra. proposi fa causa etr., R.'w deerevit, ipsum in- terrogaudum es*«> super intention*, et min comminata ei tortura; et si susti nuerit, praevia abinratione «le vehernenti in piena Congregatione S. Oflicii, condemnan- dum ad carcerali arbitrio Sue. ( ongregationis, iniuncto « i ne «le caelero, scripto voi verbo, tractet amplius quovis minio «le mobilitate tcrrae nec de stabilitale 110. Fra wwyr * «* nrl moto Irggeai, raamilato. WMMnn>iili I Prima avara »critto mom$Un(o, che poi correste io Male. — Cfr. Voi. VII, pag. S74. 1,1 Cfr. Voi. VII, pag. 448. Cfr Voi. VII. pag. 849. «*• Cfr Voi. VII. p«f 174. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 3G1 solis et e con tra, sub poena relapsus; librum vero ab co conscriptum, cui titulus est Dialogo di Galileo Galileo Linceo , prohibendum foro. Preterea, ut haec omni¬ bus innotescant, exemplaria sententiae desuper ferendae transm itti iussit ad omnes io Nuncios Apostolicos et ad omnes haereticae pravitatis Inquisitores, ac praecipue ad Inquisitorem Florencae, qui eam sentontiam in eius piena Congregatione, accer- sitis etiam et coram plerisque mathematicae artis prolessoribus, publice legai. 39) Cur. 452i\-458r.— Autografa In firma di Gami, no. Die Martis 21 Iunii 1633. Constitutus personaliter in aula Congregationum palatii R.' Oflìcii Urbis, coram adm. R. P. Commissario generali Sancti Olìicii, assistente R. 1). Procuratore fiscali, in meique etc., Galileus de Galileis Florentinus, de quo alias, cui delato iuramento veritatis dicendae, quod tactis etc. praestitit, fuit per D. fnt. 8 : An aliquid ei occurrat ex se dicendum. R. 1 : Io non ho da dire cosa alcuna. Int. s : An teneat voi tenuerit, et a quanto tempore citra, seleni esse centrum io mundi, et terram non esse centrimi mundi et moveri etiam motu diurno; R.' 1 : Già molto tempo, cioò avanti la determinatione della Sacra Congrega- tione dell’Indice e prima che mi fusse fatto quel precetto, io stavo indifferente et liavevo le due opinioni, cioò di Tolomeo e di Copernico, per disputabili, perchè o Puna o l’altra poteva esser vera in natura; ma dopo la determinatione so¬ pradetta, assicurato dalla prudenza de’ superiori, cessò in me ogni ambiguità, o tenni, sì come tengo ancora, per verissima et indubitata l’opinione di Tolomeo, cioò la stabilità della terra et la mobilità del sole. Et ei eliclo, quod ex modo et serie quibus in libro ab ipso post dietimi tempus typis mandato tractatur et defendi tur dieta opinio, imo ex eo quod scripserit et 20 dietimi librum typis mandaverit, praesumitur ipsum dictam opinionem tenuisse post dietimi tempus; ideo dicat libere veritatom, an illam teneat vel tenuerit; R.' 1 : Circa 1’ bavere scritto il Dialogo già publicato, non mi son mosso perchè io tenga vera l’opinione Copernicana; ma solamente stimando di fare benefìtio commune, ho esplicate le raggioni naturali et astronomiche che per l’una e per l’altra parto si possono produrre, ingegnandomi di far manifesto come nè questo nè quelle, nè per questa opinione nè per quella, havessero forza di concludere demostrativamente, e che perciò per procedere con sicurezza si dovesse ricor¬ rere alla determinatione di più sublimi dottrine, sì come in molti e molti luoghi di esso Dialogo manifestamente si vede. Concludo dunque dentro di ine mede- 38. 8. Pretera — 10. haereliac — XIX. 40 362 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. simo, nè tenore nè haver tenuto dopo la doterininatione delli superiori la dan- so nata opinione. Et ei dicto, quod imo ex eodem libro ut rationibui adductis prò parte affir- mativa, scilicet quod t- rra raoveatur ut noi sit immobili», pr&esumitur, ut dictum fuit, opinamela Copernici ip^uin tenere, vel miteni quod illam tenuerit tempore; et ideo, nini so resolvat fateri veriUituni, devenietor centra ipsum ad remedia iuri» et facti opportuna ; U.“: Io non tengo nè ho tenuta questa opinione del Lopernico, dopo che mi fu intimato con precetto che io dovessi lasciarla; dui resto, son qua nelle loro mani, faccino quello gli piace. Et ei dicto, quod dicat ruritatcra alias devenietur ad torturam ; 40 R l : Io son qua per far robedienza; et non ho tenutu questa opinione dopo ta determinatione fatta, come ho detto. Et cum nihil aliud ihj-vhi-i haberi in exejcujtionum dm-reti, habita eius sub- scriptione, reiunwuH fuit ad locum suum. *40^ Csr. IMr.K» — Ortfio«l«, non Mtofrafo. Beat.“° Pudre, Galileo Galilei supplica humili*simamente la S. !i Vostra a volerli commutare il luogo assegnatoli per carcere ili Poma in un altro simile in Fiorenza, dove parrà alla S. u V., e questo per ragione d’infermità, et anco aspettando l'oratore una sorella sua di Germania con otto figliuoli, a' quali difficilmente potrà essere da altri recato aiu[to] et indrizzo. Il tutto riceverà per somma gratin dalla S. V. i^uum 1), Fuori (c*r. 4Mr.): Alla Santità di N. S. o J olirà mono: Por Galileo Galilei. 10 Lattare. 30 Innii 1633. S. w fecit oratori gratiam eundi Sona», et ab oadem cintate non diacedere sine licentia Sac. Congregationis, et »e prucsentet coralli Archiepiscopo dictao eivitatis, etc. 40 . 18 »udi — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 363 41) Car. 458t. 30 Iunii 1633. S. mU8 mandavit, Inquisitori Florentiae mitti copiam sententiae et abiurationis contra Galileum de Gallilei supradictum, ut illam legi faciat coram Consultori- bus et Officialibus S. Ofìicii, vocatis etiain professoribus Philosophiae et Mathema- ticae eius civitatis, in Congregatione S. Olticii, velo levato; eandemque pariter copiam sententiae et abiurationis mitti ompibus Nuntiis Apostoli[cis] et Inqui- sitoribu8 locorum, et in primis Inquisitoribus Paduae et Bononiae, qui illam no- tificari mandent eorum Vicariis et Dioecesanis, ut deveniat ad notitiam omnium profes8oruiu Philosophiae et Mathematica©, io Praeterea, praedicto Galieleo, relegato in palatio Magni I)ucis Aetruriae in Urbe, fecit gratiam dictao relegationis, et mandavit illuni relegari Senis, quo recto tramite so conferat, et in primo accessu so pracsontct coram Archiepiscopo dictae civitatis, et prompte exequatur quidquid ab eo iniungetur; et a dieta ci- vitate non discedet sino licentia Sac. Congregationis. 42) Car. 458r. o (. I)ie Sabbati, 2 a Iulii 1633. Adm. II. Pater Magister Fr. Vincentius de Florentiola, ordinis Praedicatorum, Commissariu8 generalis Sanctae Romana© et universalis Tnquisitionis, praesente me Notario, notificavit Galileo de Galilcis decretum factum a S. mo D. N. Urbano Papa octavo in generali Congregatione S. Oilicii die 30 Iunii praeteriti, nempo quod potest discedere ab Urbe Roma, et quod recto tramite so conforre debeat ad civitatem Senarum, ibique in primo accessu se personaliter praesentare coram R. P. D. Archiepiscopo dictae civitatis, ac prom te exequi quidquid ab eo sibi iniungetur, et non discedere e dieta civitate ullo unquam tempore, quavis causa, io practextu aut quaesito colore, sine licentia in scriptis a Sac. Congregatione S. Olììcii obtinenda, sub poenis arbitrio eiusdem Sac. Congregationis in casum contraventionis praemissorum aut alicuius eorum; quibus omnibus et singulis parere promisit. Super quibus etc. Actiiim Roma, in cubiculo d. Galilei in palatio Viridarii 1)D. de Mediceis in Monte Pincio. 43) Car. -166r. — Autografa la sottoscrizione. Eroin."* 0 o R.“° S. r mio P.ron Col. mo Con la littera (li V. S. Emin. m * delli 2 del corrente ricevo la copia della sentenza data da cotesto supremo Tribunale contro Galileo Galilei, e della sua abiura. La setti- 43. 9. iniungetur, e non — 364 XXIV. PROCESSO m GALILEO. ninna seguente eseguirò quanto mi vieu comandato da V. S. Emin."*, c con quella mag¬ gior quantità di filosofi e matematici che sarà possibile. Ohe ò quanto ni’occorro dirgli in questo particolare. E por fino lo bacio humilissiummente le sacre vesti. Di Fiorenza, li 9 di Luglio 1633. Di V. S. Emin. ma e ii.“‘ Servo Humiliss. mo et Oblig»® F. Clem. t0 , Inq. ro di Fiorenza. Faori (car. 46Gt. w *), d'altra mano: Fiorenza. 10 Del P. Inquisitore. Di 9 a 17 Luglio 1633. Ohe ricevo la sentenza et abiura di Galileo Galilei, et eseguirà gli ordini, con quella maggior quantità di filosofi e matematici ohe sia possibile. u di mauo ancora diversa : 20 lulii 1633 relatao. 44) Car. 457 r. — Autografa la sottoscrizione. Eminen.“° o R. mo Sig. ro mio e P.ron. 0 Col.”’ 0 Secondo l’avviso datomi da Vostra Emin. 1 * con la sua de’2 di Luglio, arrivò qui in casa mia lucri il S. ro Galileo Galilei, per esequir l’impostoli dalla S.Congrogatione, i comanda¬ menti della quale saranno da me puntualmente osoquit.i in questa ed in ogn’altra occasione. Ubo è quanto io devo diro a Vostra Emin/* in risposta; od luunilmento uie l’inchino. Siena, li 10 Luglio 1633. Di Vostra Emin.“ IIumil. ,,, ° Oblig. m ® Devoto Se. Em. rao S. Card.' S. to Honofrio, Are. di Siena, per la S. Coug. no del S. t0 Ofi“.° Fuori (car. 458:.), d’altra mano: Siena. Di Mons. r ° Arcivesc. 0 I)i 10 a 17 di Luglio 1633. Che alli 9 del corrente arrivò in casa impostigli [daj questa S. a Congrogatione. o di mano ancora divorsa : 21 lulii 1633 relatae coram S.° 45) Car. 459r. — Autografa. Eminent. mo et Rev. rao Sig. r8 Moggi, con le lettere di V. S. Emin." 0 delii 2 del corrente, mi perviene la copia della sentenza et dell abiura di Galileo Galilei, quale non mancherò di notificare alli Virarli. 10 sua il S. r Galileo Galilei per eseguir gli ordini XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 365 et no farò bavero notitia ancora di essa dalli professori di filosofìa ot di matematica di questo publico Studio, et da altri di tutta la città ; et la publicarò in queste librarie, ove sogliono concorrere professori di lettere, acciò più pnblica ot universale ne vadi la relationo. Ohe sarà per riverente esecut.ione del comandamento di V. S. Emin.“*, alla quale humilmente m’inchino, ot riverente le bacio la veste. Di Padova, li 15 di Luglio 1633. 10 Di V. S. Enfili. 1 "* et R.”* llumilissimo Servitore i'r. Ant.° da Leu dinar a, lnq. rc di Padova. Fuori (cnr. 462l.), d’ altra m&no : Padova. Del P. Inquisitore. Di 15 a 24 di Luglio 1633. Che riceve la sentenza et abiura di Galileo Galilei, o la notificherà a’suoi Vicarii et a’ professori di filosofia o di matematica etc. o di rnauo ancora diversa: 27 Iulii 1633 relatae. 46) Car. 4G0»\ — Autografa. Em."' 0 e lt. ,no Sig. re P.rone Coll." 0 Acuso la ricovrita della lettera di V. E.® con la copia della sententia e abiura del Galileo {sic), quale ho fata logoro e publicarò in questo convento ecollegifoj, per esservi di quelli elio fanno particolare professione c studio di mathematica e strologhi, come farò nel convento de’ PP. Zocolanti e Gesuati, per esservi in P uno o P altro convento profes¬ sori della moderna scicntia, e l’insegnano particolarmente il Padre Gessato, lettore pu- blic[o] in questa Università e Studio, e che haveva corispoudenza e streta amicitia con il sudetto Galileo ; e la notificai^ a tutti gl’ altri particolari della moderna professione, come al Dottore Roffeno, e a 1 Vicarii dioceesani di questa S> Inquisizione, conforme al¬ io l’ordine di V. E.*, alle (sic) facio lmmilissima riverenza e bacio lo sacre vesti. Di Bologna, 16 Luglio 1633. Di V. S. Em." 8 * e Ii. raa Humiliss. 0 Serv. r * . F. Paolo da Garr.", Inq. ro Fuori fcar. 4Cll.), d’altra mano: Bologna. Del P. Inquisitore. Di 16 a 24 di Luglio 1633. Che riceve la sentenza et abiura di Galileo, et la notifica a tutti li conventi dove è studio e si fa professione di matematica e di filosofia. o di mano ancora diversa : 27 Iulii 1633 relatae. 46. 17. Tra li e conventi leggesi, cancellato, Iheoloy. — 366 XXIV l'KOCEHSO DI GALILEO. 47 ) Car. 4#*r. - Autografa. Em.— e R."* Sig. r P.ron Col — I.» copili (lolla aeutenza et abiura di Galileo Galilei sarà da me propalata, affinchè se n’ liabbia notiti» in quieto Regno, ot in particolare da tutti li professori di filosofia o matematica, in conformità doli’ordini che si è degnata darmi V. Em.* sotto li 2 del pas- eati-, o capitatomi in questa settimana. E qm buimhssmiamente a V. Em.“ m’inchino. Di Napoli, li R Raglio 1633. Di V. Era.** Hum.* e Obi — Ser. M Era,"" 8.' Cani. 8. Onof.* Nicolò llerrera. Fuori (car. 464r.), d' altre maao: Napoli. Di Mona." Nulitio. 10 Di 6 di Luglio , a 13 d'Agosto ' Che propalar» la sentenza et abiura di tìalilco Gal tri, affin che se n' babbi notitia da tutti i professori di hlosotia o di matematica. e di mano ancora diverta : 17 Augusti 1688 rclatac. 48 ) Car. 466e. — Autografa Emin • et R.— S. r mio P.ron Col."* Ricevo la senten /1 elio V. Km.* s'è degusta inviarmi, data da cote^ta S. Congrega- tione del S. Offitio centro Galileo Galilei, per c «crei egli reso ichemeutemento sospetto «rimver tenuto opinione che la terra ai muova et non il sole, ma aia centro del mondo, con l’abiura fatta da! mede-imo, inficino col comimndamcnto di V. Km.* che la notifichi a questi Diocesani et ho n’babbia notitia da tutti li professori di filosofia ot matema¬ tica. Eseguirò puntualmente quanto da V. Km * mi vien commandato. Et li faccio hurai- lhuiiina riverenza. Di Y. Em. Kev.— Firenze, 6 Agosto 1633. 10 Hum.* Devo.** ot Oblig.— Ser. r Em — 8/ Card. S. Onof.* Giorgio. Ves.“ d’Ascoli. Fuori (car. 4681.), d’ altra mano : Fiorenza. Di Mona.'* Nuntio. Di 6 a 20 d'Agosto 1683. Che riceve la sentenza et abiura di Galileo Galiini. et eseguirà I’ ordinatogli. 48. 16. Dopo ordinatogli iojuo cancellato. di. a, raschiato, di piMioarlo — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 367 49) Ciir. 466r. — Autografa. Em. mo et lt.*" 0 Sig. r et P.rono Sopranio, Ilo ricevuto la copia di sentenza et abiura di Galileo Galilei coti la lettera di V. Em.** di 2 di Luglio ; et la uotilicarò a’ miei Vicarii et ad altri, come ella bì è degnata di or¬ dinarmi, a line elio aia di ossempio et avortimonto a’ professori di filosofia et di matema¬ tica. Et a V. Em.** humilissimameuto ui’ inchino. Vicenza, 12 Agosto 1633. Di V. Em. 1 * Ilumilis."' 0 et Devot."*” Ser. ro F. Bonifacio da Cardon, Inq. re Fuori (car. 4B7«.), d’altra inano: Vicenza. IO Del P. Inquisitore. Di 12 a 20 Agosto 1633. Che iiotificarà alli suoi Vicarii et alli professori di filosofia o di matematica la sen¬ tenza et abiura di Galileo Galilei. o di mano ancora diversa: 24 Augusti 1633 relatao. BO) Car. 468t. La lettera originalo è nello cassette. Capitolo di lettera del P. Inquisitore di Venetia, dei 13 d’Àgosto 1633: •i Ricevo l’abiura del Galileo, et osservarò quel tanto ohe nella lotterà mi viene imposto ». 24 Augusti 1633 rescribatur, ut certioret executionem. 51) Car. 469r. — Autografa la sottoscrizione. Emin. ,ao e Ii.“° Sig. rB mio P.ron Col.' 110 Eseguirò il comandamento di V. Era.’*, di far pervenire a noti! in di tutti gli Ordi¬ narli di questo Ser. ,,m dominio 1’ abiuratione del Galilei» intorno all 1 opinione che ha te¬ nuta nel suo Linceo, ohe la terra foBse quella che si movesse, e non il sole, contro l’opi¬ nione della Sacra Scrittura, o la pena elio se gli ne fa patire, percb’ essi l[a | possano notificare, nella maniera che stimeranno più convenire], a i professori di filosofia e di matematica nelle loro Diocesi, ondo, comprendendosi la gravità dell’ errore del Galileo medesimo, se ne tengano lontani. Et a V. Em. u in tanto resto facendo humilissima riverenza. Di Venetia, li 6 Agosto 1633. IO l)i V. Em.** R. m * Hum. mo e Oblig. rao Ser." Al S. r Card. 10 S. l ° lionof. 0 Francesco, Aro.° di. T [...] 60. 4. Tra IG8H 0 resoribatnr leggosi, caucollato, relatnf. — Dopo executionem seguo, cancellato, quam exeouliunem. — 368 XXIV. FBOGE8SO DI GALILEO. Fuori (cnr. 470».), d'altra ninno: Venetia. Di Mona/ Nuntio. Di 6 a 13 d’Agosto 1688. Ohe farà venire a uotitia di tutti gli Ordinarli di lineila Nuntiatura la sentenza et abiura di Galileo Galilei. o di mano ancora diversa: 17 Augusti 1633 relatne. 63) Car. 471 r. — Autografa Ennii.“° et It. ,n0 S. T * P.ron Sing.""* Per questo ordinario ricevo l’ultima di V. Eniiuenvca. con l'ahbinra di Galileo Ga¬ lilei; et in conformità del’ordine datomi, opportunamente «un» publicala, acciò alcuni Buoi conoscenti in unente parti vedano emendata l’audacia di quello, non havendo obe- dito al decreto già XIII anni sono publicato per la oorrettionn di Nicolò (’apemico (sic) lettore. Kt continuerò pregare Dio, conceda a V. Eminenza et Krain." 1 colleghi ogni più corto pegno di felicità eterna, con piiccphrì di consolatissima vita. Di Conigliano, li 15 Agosto 1633 Di V. S. Em.“* et ì\. m * Humil.** et I)ivot. roo F. Gio. Nicolò Fiocinini, luquia.™ di Oenedn. IO Fuori (csr. 474M, d' ultra mano : Conigliano. Del P. Inquisitore di Ceneda. Di 15 a 27 Agosto 1633. Che ricevo la sentenza et abiura di Galileo Galilei, et la publicarà, acciò no babbi notitia in quelle parti alcuni conoscenti di detto Gualco. o di roano ancora diversa: 31 Augusti 1633 relatae. 63) Car. 472r. — Autografa. Emin e R.“ 0 S.” P.ron Colend.® 0 Ho ricento la copia dolla sentenza et abiura contro Galileo Galilei Firentino, nò man car ò di notificarla alli professori di filosofia o matematica et ad altri, aciò s’ottengbi il fine desiderato, conformo al’ordino di V. S. Em.*“* Alla quale per lino bacio riverente le vesti. Brescia, li 17 Agosto 1683. Ili V. S. Ernia** e R."" 1 Divotiss.® Ser." Fra Girolamo da traina." 0 XXIY. PROCESSO DI GALILEO. 369 Fuori (car. 478».). d'altra mano: Brescia. io Del 1*. Inquisitore. Di 17 a 27 d’Agosto 1633. Ohe notificarli alli professori di filosofia o di matematica et ad altri la sentenza data contro Galileo Galilei, con la sua abiura. O di inailo ancora diversa : 31 Augusti 1633 relatao. 54) Car. i75r. — Autografa la sottoscriziono. Eminen."* 0 o lt. mo S. r " mio P.ron Col. mo Già sotto li 9 di Luglio passato scrissi a V. S. Emin."** di Imver ricevuto copia della sentenza data da cotesto supremo Tribunale contro Galileo Galilei e dellu sua abiura, e che la settimana soguento harei eseguito quanto dovevo in publicarlo. llora, il martedì doppo, che fu li 12 dell’ infosso mose, alla presenza do’Consultori di questo S." Olìieio et di quanti filosofi c matematici si polonio bavere, che passò il numero di cinquanta, fu publicata la detta sentenza ot abiura nel modo elio mi fu comandato; sì che nell’esecu- tiouo non ho errato. Se poi ho commesso errore in non dar conto di questa esocutione, ne dimando lmmilmonte perdono a N. S. ro ot alla Sacra Congrogatione, che è stata mia 10 negligenza, pensando elio bastasse solo quella littera ; però por gratin mi scusino, chò nell’eseguire quanto mi vien comandato non ho mancato nò mancherò mai. E por fino a V. S. Emin. m * bacio humilissimamonte lo sacro vesti. Di Fiorenza, li 27 di Agosto 1633. Di V. S. Emin."* c Li."' Fuori (car. 47fiM, d'altra maiio: Servo numiliss. n, ° et Ohlig. n, ° F. Gleni.* 0 , lnq.'° di Fiorenza. S.“° 20 Fiorenza. Del P. Inquisitore. Di 27 d’Agosto i nnn n _ i 1633. a 3 di indire ’ Che già scrisse eli’havova ricevuto la sentenza et abiura del Galileo: liorn soggiunge elio il martedì 12 di Luglio, alla presenza di tutti i suoi Consultori et di più di cinquanta matematici, publicò la detta sentenza et abiura del sudetto Galileo. o di mano ancora divorsa : 9 Septembria 1633 relatae coram S. mo ; et mandavit moneri luquisitoreni quod dederit licentiam imprimendi opera Galilei. 64. 24. e ò stato corretto sopra un 8 , elio prima si leggeva. — XIX. 47 370 XXIV. PROCESSO DI UÀLILEO. 50) Car. 477)-. — Autogrnfa. Euiin.“ , ‘ > e 11.“" Sig. r * e P.rone Colond. m ° Ilieri per la posta ricevei una ili V. Emi.** R.“** delli 2 di Luglio prossimo passato, con la copia della sentenza et abiura di Galileo Galilei Fiorentino; et eseguirò quanto me viene ordinato, con tarlo sapere a'Vicarii et a’ professori di lilosolìa e di mattematica. E con ogni humiltà baccio le vesti a V. Fui.’* K.“* c a cotesti Emin."*' ó It.“ l Sig. rl , a’quali unitamente prego ogni vero bene. Ferrara, li 3 di Settembre 1688. Di V. Em.** Ii.““ Obligatisa.**" e Pivot'“° Servo Fra Paolo del li Franci da Nap., lnq, ro Fuori (car. 488(.): All’ Emin. 010 o K. wo Sig. r “ o P.rono Colend. uw 10 11 Sig.' Cardinale S. Oiiulrin Roma. e d' altra mano : Ferrara. Pel P. Inquisitore. Di 3 a IO di Tmbre 1633. Che riceve la sentenza et abiura di Galileo Galilei, o la notiiicurà a'suoi Vicariiota tutti professori di filosoim o di matematica. e di mano ancora diversa: 13 7mbris 1(533 relatae. 60) Car. 478r. — Autografa la sottoscrizione. Eminent.“° c Rev. ma Sig. r P.ron Col."** La proselito servo por dir a V. Emin.’*, come non prima d'hora ho ricevuto la sua immaaissima lotterà do' 2 del caduto, nella quale era inserta la copia di sentenza o d abiura di Galileo Galilei di Firenza. In esserutione del comandamento di V. Ernin.** o di cotesta S. Congregai ione del S.‘° Officio, notiiicarò a'professori di filosoiia, di matema¬ tica, et a chi giudicherò necessario in questa Xuntiatura, la medesima sentenza et abiura, a finché si divulghi il modo col quale si è trattato con il detto Galileo, e si comprenda la gravità dell' errore da lui commesso, por evitarli’ insieme la pena che, tenendo la di lui opinione, eglino sarebbono per ricevere. Et u V. Emin.** fo huiuilissima riverenza. Di Vienna, 20 Agosto lt>33. Di V. Emin.** f. . . .] Card. 1 S.‘° Onofrio. 10 Humil. m# et Obligat.” 0 Ser. r# Cir. ou , Arciv.® di Patrasso. 66. li. La preitnti — XXIV. PROCESSO Di GALILEO. 371 Fuori (car. 487<.). d'altra mano: Vienna. I)i Mona.” Nuntio. Di 20 d’Agosto j l633 ft x (li 7mbro ) Che notificar^ a tutti li professori ili filosofia o di matematica, o a chi sarà necos- rio, nella sua Nuntiatura. o di mano ancora divoraa: 13 7mbris 1(533 rolatao. 67) Car. 479r. — Autografa. Emin.** et R. mo Sig. r mio P.ron Colend.™ 0 La littera di V. S. Euiin."** dalli 2 di Luglio, con l'alligata copia della sentenza et abiura di Galileo Galilei, fu ricevuta da ine li 1(5 del corrente; della quale fattone copie, l’ho mandate a’Vicarii di questa giurisditione, acciò loro sappino la santa mente di co- testa Sac. Congregatione : et io (pia non inancarò farlo noto, sì conio fin bora ho fatto ad alcuni della professione. Cb’ò quanto m’occorro dirli per risposta: e con farli profonda reverenza, gli bacio le sacro vesti o alla sua buona grafia mi raccomando, come anco l'ac¬ cio l’istesso a cotesti Emin. ml Sig. rl suoi colleglli, miei Signori e Padroni. Di Udine, li 23 (li Agosto 1033. 10 Di V.S. E. m * ol U.“* lluuiiliss." Servo e Devotiss." Oratoro F. li ar tu Ioni co, lnq. rc d’Aquiloia. Fuori (car. 48fit.), d’altra mano: Udine. Del P. Inquisitore di Aquileia. Di 23 d’Agosto ; 1033 a 10 di Tmbro ’ Ch’ha fatto molte copio della sentenza ot abiura del Galileo, et mandatele a’suoi Vicarii, et [....] notificata alli professori di filosofia o di matematica. o di mano aucora divoraa: 13 7mbris 1633 relatao. 58) Car. 480r. — Autografa. Eni in. 0,0 e Rev."° S. r mio P.ron Col.* 0 In conformità del benignissimo comandamento che V. Em.*‘ restò servita di farmi, ch’io notificassi a questi Diocesani la sentenza data contro Galileo Galilei et abiura fatta 372 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. dii lui, c se ne liavesse notiti» da essi o da tutti li professori di filosofia odi matematica, ho eseguito puntualmente il tutto, con notificarla tanto qui quanto per tutta questa Nuntiatura. E le fo humilissima riverenza. Di Firenze, li 3 di Sett. ro 1033. Di V. Ero.** Kev.““ Jlum." Dev." 0 et ()hl. mo Ser. Eni." 0 S. r * Card.'* S. Onofrio. Uiorgio, Vcs.° d’Ascoli. Fuori (car. 485/.J, (l'ultra umuo: Fiorenza. 10 Di Mona/ Nuntio. Di 3 a 12 di 7mbre 1033. Che ha notificato a tutti quolli Diocesani et nlli professori di filosofia e di matema¬ tica la sentenza et abiura di Galileo (Jaliioi. 59) Car. 481r. •- Autografa. Eniiu."” ot Rev. mo Sig. r P.ron Colami. mo Riceutn da me li 30 del passato la sentenza data da cotesti Erain."' SS/ 1 contro Ga¬ lileo (ìalilei Fiorentino, congiunta con lettera di V. lini.** delli 2 di Luglio, notificai l’or¬ dinario seguente a tutti Ji miei Vicarii come egli, per liaver contravenuto al precetto fattoli di non tener nò difender nò insegnare in qualsivoglia modo, in voce o in scritto, cbo la terra si muova, e non il sole, ma sia centro del mondo, o per haver stampato un libro noi cjuale tratta la dotta opinione, è stato giudicato vehementemente sospetto d' (laveria tenuta, o che per ciò ò stato condannato ad abiurarla, stare nella carcero formale por tempo ad arbitrio di cotesta Sac. Congregatone, et a far altre penitenze salutari ; ordinandoli di più che deduohino il tutto a notitia delli professori di filosofia e matematica, perchè, sapendo 10 eglino in elio modo si ò trattato con il detto Galileo, comprendino la gravità dell’errore da lui commesso, per evitarlo insieme con la pena che. cadendovi, sarchiamo por ricovero. Al principio delli stridii ancor io ne darò parte nlli lettori di filosofia e matematica, e poi no darò ragguaglio a V. Em.“, alla quale per fino fo humilissima riverenza. Di Perugia, li x di Settembre l(i33. Di V. Ehi.** Ilumilisa." 0 et Divotiss.' 00 Sorv. r0 Fra Vincenzo Maria Pellegrini. Fuori ferir. 484«.), d'altra mano: Perugia. Del P. Inquisitore. Di x a 13 di 7mbre 1633. CO Ch’ha significato nlli suoi Vicarii la soni enza et abiura di Galileo Galilei, et ordinato loro elione dia notitia a tutti li professori di filosofìa e di matematicadella giurisditione sua. o di mano ancora diversa: 20 Tmbris 1633 relatae. 69. 20. Di di x — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 373 00) Car. 482r. Eminentiss.® 0 e R. mo Sig. r " mio P.ron Col."* 0 Iloggi solo, elio ò il penultimo d’Agosto, è arrivata con la lettera «li V. Emin." «lelli 2 del passato, portata dal corriero, la congionta copia di sentenza, promulgata il dì 22 di Giugno dell'anno presente contro Galileo Galilei da Fiorenza per la causa et cause spie¬ gato et contenute in ossa, insieme con l’abiura di lui; onde, sì come è mio debito acu- sarno la ricevuta, come fo c[on| questa mia, così non mancherò puntualmente e pronta¬ mente easoq[uiro] quanto da cotosta Sacra Congregai ione nn viene comandato. [E| allo loro Eminenze hnmilissiinamente tu' inchino. Como, li [80] Agosto l|fi38]. 10 Di V. S. Eminentisa.* e li."** II [.] W i.] Fuori (car. 488f.), d’ nltra mano: [.. ] Inquisitore. Di 30 cl'Agosto ) 163g a 12 di Settembre ’ [Ch’]eseguirh puntualmente quanto [l]i vien ordinato intorno [allja sentenza et abiura «li [Gajlileo Galilei mandatagli. o di mano ancora diversa : [. . ]0 7inbris 1(533 relatao. Gl) Car. 489r. Capitolo di lettera del P. Inquisitore di Pavia dell'ultimo Agosto 1633. « Ho ricevuto la copia della sentenza data dall’ EE. VV eto. contro Galileo Galilei, la quale, in conformità del commando ch’ella mi fa, notificalo ai miei Virarti e a tutti li professori di matematica e filosofia di questa Università. » 02) Car. 49Ir. — Autografa. Emin.“° et R. ,no Sig. r# Ilo più volte eseguito l'ordine datomi da V. S. Emin."** nel publioare la sentenza et abiura di Galileo Galiei, havendone data noti Lia non solo a questi SS. rl professori di filosofia et matematica, ma anco a questi altri lettori publioi, a’ SS. ri Canonici, a molti reli¬ giosi di S. Domenico, S.*° Agostino et de* nostri Minori, pure lettori publici, a diversi sco¬ lari, et publicatele nelle publiche librarie, acciò sen’habbia più universale uotitia: et a <*' Domenico Berti stampa (odiz. cit., pag. 232): avvertendo elio l’originalo 6 « affatto corroso ». Pro- € Hamiliss. 0 ot ob. sentemente dopo P « H » nuli* altro si logge. Cfr. Fra Paolo Ai », Doc. XXIY, b, 07, liu. 19. 371 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. quest’ hora dal 8." Fortunio I aceti. filosofo primario, mi è sialo presentalo il libro del medesimo Galileo, mandatogli «la lui; et ubo ogni diligenza nell» perquisitione di questo librarie, ho bene per anco non ho ritrovati ultri. Et a V. g. Ernia."* humilmente m’iu- chino, et riverente le bacio la veste. j 0 Di Padova, li 17 7mbro 1633. Di V. S. Emm.“* et R ,n * Ilumiliaaimo Servitore Fr. Ant.° da Leu dimira, luq. ro di Pad.* Fuori (car. 492<.), d’altra mano: Padova. Del P. Imjniaitoro. Di 17 a 22 di 7mbre 1633. Clio ha publicato a diversi professori di filosofia e di matematica et conventi di re¬ ligiosi. dove è studio in particolare, et a’Canonici !u sentenza et abiura del Galileo, et elio dal S. r Fortunio Liceti, Illusolo primario, yli ù alato dato un libro dui muletto Ga¬ lileo, mandatogli da lui. 20 e di mimo ancora diversa: 23 7mbris 1633 relatao. 63) Car. 49flr. — Autografa la sottoscrixiono. Emin. roo et R. mo S. r mio P.ron ( , ol. m ° Ricevo volentieri o con ogn’Immillò maggiore l'acre riprensione fattami da V. S. Emin."* a nome di N. S. r * e della Sao. Cougregatioue, che hi siano dichiarati tanto mal- serviti di me, d’esser stato così facile a lasciar dare all» stampa e publicare il libro di Galileo Galilei, opra tanto perniciosa; e se bene potrei dire assai sopra questo particolare in mia difesa, nondimeno, poiché loro giudicano elio la colpa sia la mia, non voglio dir altro, se non che io l’accetto volentieri e ne dimando humilissinmmento perdono, o l’assicuro che mi servirà per avviso e documento per l’avvenire. E per non più fastidirla, non dirò altro a V. S. Einin. m * sopra ciò, ma per fine humilis.sinmaiente le bacio lo sacro vesti. Di Fiorenza, li 17 di Settembro 1633. 10 Di \. 8. Einin.“* e li.'-* Servo IIunhliss. mo et Oblig. mo F. Cloni. 1 ', Inq. M di Fiorenza. Fuori (car. 494/.). d'altra aiano: Fiorenza. Del P. Inquisitore. Di 17 a 24 di Tmbre 1633. Che ricovo con ogni humiltà maggiore l’acre riprensione fattagli in nome di N. S. ro , d’ essere stato tanto facile a lasciar dar alla stampa 1’ opera tanto perniciosa del Galileo. u di mano ancora diversa : 28 Tmhris 1633 relatao. XXIV. PROCESSO JJI GALILEO. 375 64) Car. 495r. Capitolo di lettera del P. Vicario del Suut’ Oflitio di Siena, li 25 (li 7mbre 1638. «Ilo ricevuto la sentenza et ubiuratione del Galileo: il tutto notificare alli Vicnrii di questo Sant’ Oflitio o professori di filosofia o mathematica conforme alla lettera di V. S. Emin.""* » 65) Car. 498r. — Autografa. Emin.® 0 e 11.“*° Sig. ro o P.rone Colend. u,# Ilieri ricevei una di V. Emin.* 11 U.®° delli 27 del passato, con commissione che quando ricovo gl* ordini e risolutami de' negotii, avisi ancora del seguito : et ohudirò, e s’ ho man¬ cato per il passato, è stata transguragine, u ne le cerco perdono. Già fu eseguito di fare sapere a’Regolari l’ordine di fare leggero quel sommario di Constitutiuni Apostoliche, per¬ tinenti al S.'" Off.", il primo venerdì doppo l’ottava dell'Assonta della B. ,n ‘ Vergine; et acciò airistessi Regolari et ad alcuni filosofi c in attentati ci, come anco a’ Vicari del S. to Off. 0 , ho intimata la sentenza et. abiura del Galileo Galilei, con lo pene ohe le sono state date per bavere tenuto, insegnato e stampato, doppo la prohibitiono che l’era stata latta, un libro 10 nel quale ha trattato e difeso elio il sole sta fermo come centro, e che la terrosi muovo anco con moto diurno, intitolato Galileo Galilei F.incco, con la prohibitione di detto libro, con il restante clic m’ordinorno le SS. loro Eni.”' E con ogni Intimità boccio le vesti a V. Em. ztt R.“* et a cotesti Emin.® 1 e R. ml Sig. rl , a’ quali unitamente prego ogni vero beno. Ferrara, li 14 di Settembre 1633. Di V. Emin.** 11.** Ol)ligatiss. mo e Divot. ra0 Servo Fra Paolo delli Franci da Nap., iuq *'• Fuori (car. 499/.) : Air Emin.® 0 e R. ,n0 Sig. r# o P.rone Colcnd.' 00 Il Sig.” Cardmalo S. Onofrio. Roma. o d’ altra mano : 20 Ferrara. Del P. Inquisii ore. Di 14 a 20 di 7mbre 1633. Che por l’avvenire scriverà d’haver eseguito gli ordini o le risolutioni di questa S. Congregatione, et in tanto dimanda perdono dol passato, llora signitica d’ haver no¬ tificato a tutti i Regolari (lolla sua giurisditione la Constitutione di N. S. ro . et ulli Vicarii del S.‘° 01T.°, alli medesimi Regolari et ad alcuni filosofi et matematici, la sentenza eh. Galileo Galilei. o di mano ancora diversa: 28 7mbrÌ8 1633 relatae. 64. 1. Fra P. o Vicario leggosi, caucollato, Jiujuit” — 65. 7. mattemaci — L* olitili aloè noi pro¬ cesso di Frate Agallito Sifrao]ni. doli' ordino di 5. Ag|ostiJno. 376 XXIV. l’IiOCESSO DI GALILEO. 00) Car. 497 r. — Autografa la sottoscrixiono. Em. rao o IL""' Sig. ro mio P.ron Col. mo Osservarò puntualmente quanto S. E. con la solila «uà benignità si compinco avìsarnti con la lotterà delli 27 (l’Agosto passato nel particulare di dover dar porto costì di quanto havrò essequito circa gl’ordini clic mi sarano «lati alla giornata; conio in fatto ho esse quito quello di haver a commuuicar la sentenza data contro il Galileo alli Vicarii di que¬ sto Sant’Off.®, ot attenderò all’osservanza del decreto già intimato a questi Superiori in matteria dello Consti tu tioni ot Decreti de’Sommi Pontefici in coso spottanti al’Off. 0 della Santa lnquisitione. Con elio a V. S. Em. m ‘ e 11.““ facendo humiliaainm riverenza, li prego da N. Signore ogni vero bene. Faenza, li 17 di 7mbre 1633. 10 l>i V. S. Em.“*‘ e tt.** Humiliss. mo S. r# F. Tomaso da Tubia. Fuori (car. 498f.). d’ altru uiano : Faenza. Del P. Inquisitolo. Di 17 a 24 di 7mbre 1633. Che darà parte qui di quanto bavera eseguito circa gli ordini clic gli saranno dati alla giornata, ot in tanto che ha notificato la sentenza del Galileo alli Vicarii della sua ginrisdittione, et attenderà al’ osservanza dei decreto di A. S. r * intimato a tutti quelli Su¬ periori de’ Regolari. o di mano ancora diversa : 28 7mbrÌ8 1683 relatao. 20 67) Cnr. 600r. Eminentiss. 0 e R“° Sig. T mio P.ron Col.™ 0 Dalla benignissima di V. Kuhn.* delli 27 del passato intendo qual sia la mente di «o- testa Sacra Congregatione intorno all’ obligo eli’ io tengo quando mi vengono inviati gl’or¬ dini di lei, che ò non .solo di darle parte della ricevuta, ma anche dell’essecutione d’essi. Supplico lo loro Eminenze a restar servito di rendersi certo che senipro ho puntualmente et prontamente essequito tutto ciò elio m’è stato comandato; sì come non mancai ulti¬ mamente avisaro tutti i miei Vicarii et altri professori eli filosofiti et matematica di quanto bisognava conformo all’ ordine oh’ io ebbi con occasione della sentenza inviat[a]mi, pro¬ mulgata costì contro Galileo Galilei da Fiorenza: et so per l’adietrjoj ho significata solo la ricevuta, et non 1’ essecutione. questo non ò proceduto da altro, eccetto clic, da una IO parte, da pura et semplice inavertenza, et dall'altra da qualche timore di fastidirle con multiplicute lettere, persuadendomi cho bastasse 1’ accusarne la ricevuta con assicurarlo insiemiej della futura essecutione. Onde nell'avenire uon aerò più ritrovato um[n]cbevolo 66. 0. Supriori —• XXIV. PROCESSO DT GALILEO. 377 in questo, ina paratissimo in tutto ad obedire a quanto mi viene nella su detta comandato, premendo io inestimabilmente nell’osservanza degl’ordini dello SS. r, ° loro Eminentiss.*, allo quali lo profondissima riverenza. Como, li 10 7bre 1033. Di V. S. Eminenti ss." e lt."* illuni';.] Fr[.] l >. Fuori, (car. 605<.), d'altra mano: Como. [Del| P. Inquisitore. [Di] 16 7mbre/ a 3 di 8bro \ ir,33> Che ha notificato a tutti i suoi Vicarii et a professori di filosofia e di matematica la sentenza et. abiura di Galileo Galilei. [C]h’ogrha sempre puntualmente [e prontamente eseguito ciò che [è] «tato imposto da questa [Sacra] Congregatione. e di mano ancora diversa : 12 Octobris 1033 relatae. 68) Car. óOlr.— Autografa. Em“° et lt. m ” Sig. r# P.rone Col S. Ilo mandato alli miei Vicarii di Lodi, Vigevano, Bobbio e Pontremoli la sentenza promulgata costì contro Galileo Galilei, conforme all’ordine dell’Era, sua delli 2 di Lu¬ glio, insieme anco con l’ordine di quanto devono fare, a fine che so ne babbi notitia da tutti li professori di filosopliia et di mathematica ; nè ho anco mancato di far penetrare l’isteBSO qui in Milano. Et bocciandoli le aacre vesti, le faccio bumilissima riverenza. Di Milano, li 21 7bro 1G33. Di V. S. Em."'* et K.'“* llumiliss. 0 Ser. r# Em. ra0 S. Onufrio. Fra Gio. Michele Piò, lnq. ro Fuori (car. 604t.l, d’altra mano: Milano. Del P. Inquisitore. Di 21 7mbre ) a 3 8bre ) 1633 ‘ Che lm notificato la sentenza et abinra del Galileo a’ suoi Vicarii et alli professori di matematica e di filosofia, et l’ha fatta penetrare ancora in Milano a chi bisognava. e di mano ancora diversa: 12 Octobris 1033 relatae. 08. 10. Miauo — ,l > Da quollo elio rimane della sottoscrizione, si può argomentare che questa sola sia autografa Il IJkkti (ediz. cit., pag. 241) stampa: XIX. 373 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 09) Car. f>02r. — Autografa. Eruine R." 1 SS. P.roni Col." 1 Gli ordini dell’EE. VV. circa la falsa opinione delia stabilità del sole et. moto della terra, ho puntualmente esseguiti e notificati a*miei Vicarii, et no n’ha havato notitia da essi, et insieme anco l’alligata copia di sentenza ot abiura di Galileo Galilei da tutti i pro¬ fessori di filosofìa e matematica, et intimato loro che non ardiscano tener, diffonder o in¬ segnar in conto alcuno, o in voce o in scritto, l’errore di detto Galileo, perchè alt,ri¬ mente incorrerano nelle pene prefisse da cotesto supremo Tribunale della S. u Inquisitione. Con che, obbedientissiino ad ogni cenno dello Kinin.“ # SS. rU VV. standomi, et priegando ugni bone, cou humillissima supplica le facio racoouimandata la ima molta povertà, et m’inchino. 10 Crema, li 1(5 Settenb/* 1633. Delle SS. rU VV. Eiuin.** Devot.“° et IIumil. BO Sorvo F. Fra/ 0 Cucciui, lnq. r * Fuori (cnr. 503f.). d’altra inauo: Crema. Del P. Inquisitoro. Di Hì di 7mbre ) a 7 di 8bro ) Che ha notificato la sentenza et abiura del Galileo a’suoi Vicarii et alli professori di filosofirn e di matematica. 1033. o di mano ancora diversa: 12 Octobris 1633 relatae. 20 70) Car. DOOr. — Autografa la (Irma. Einin. mo o Rev. m “ Sig. r * P.rone Colend. mo Fio cssoguito l’online et commando di Vostra Emin. ,a col nottificare a tutti gli miei Vicarii foranei l’abiura imposta et sentenza data a Galileo Galilei, con imporre alli mo¬ derni Vicarii che nottifichino il moderno alli professori di filosofia o matematica elio si trovano no’ loro vicariati ot iurisdieioni ; il che ho essequito aneli’ io qui nella città con tutti, così relligiosi come secolari, che professano il studio di simili scienze. TIo anche deputato per Consultore di questo S. Off/ il Pottor Eliseo Raimondi, et per Avocato de’rei il Dottor Gio. Batta Goldoni, in conformità della lettera di Vostra Emin.*» delli x del corrente. Cou che fino, bacciaudogii lo s. vesti, gli fo profondissima ri¬ verenza, et prego da Dio il colmo d’ ogni felicità. 1° Cremona, gli 28 Settembre 1633. Di V. Em.« R."‘ 09. 9. raccommadala — IIumiliss. m0 et Devot. 1 * 0 Rer. r ® F. Pietro M.ro, luq. r * XXIV. PROCESSO L)i GALILEO. 379 Fuori (car. 519/.), d'altra mano: Cremona. [Dell P. InquiBitore. [...]» 7mbre j [al 9 di 8bre I [Ch’] ha notificato la Bontenza et f&bilura del Galileo n. tatti li [pro]feRHnri di filosofia e di matematica, ( ordinato alli suoi Vicarii che [... ino| l’istesBo ... [ .. haj deputato per 10 Consultore il [P.] Eliseo Kaimondi, et [por Ajvvocato de : rei il Dottor [Gio.J Latta Goldoni. e di mano ancora diversa: 19 Octobria 1633 rolatao 71) Car. 607r. — Autografa. Emin.* 1 e R. ml SS. P. B| Col.™ 1 Ilo ricevuto la sentenza data dallo SS. loro Eni."' contro Galileo Galiei, con la im- positiono datami di notificarla a’Vicarii foranei e professori di filosofia e matematica; il che non posso fare senza stamparne editto, ponendovi la sentenza : ma perchè veggo che non è stata stampata dallo SS. loro Emin.™* por distribuirla fuori, m’astengo di farlo io, dubitando di non far bene, o pensando forai di far meglio a notificar solo come a’ è prohi- bito il libro o sententiato l’autore con abiura de vehcmctiti o peno otc., e però si da av¬ viso etc., acciò etc. Per dar di ciò notitia alli Vicarii, si potrian distribuir lettere scritto; ma per avisarne professori di filosofia e mathematica, nou so come far senza publicar o 10 por fuori editto, nel quale non so corno incontrerò il voler dello SS.° loro Emin.", o po¬ nendovi la sentenza, vedendo che l’hanno mandata intesa perchè ne dii notitia, o avvi¬ sando solo, come ho detto di sopra. Por tanto le supplico a novo aviso, corno devo far, perchè sovente si stima far bene e so ne trova incontro. Con che tuie laccio humihssinia riverenza allo SS. loro Emi.™*, pregandole ogni felicità. Reggio, li 4 8bre 1633. Delle SS. loro Em. roa e RU. Dev. ra0 et Hum. mo Servo Fra Paolo Egidio, Inq.*® Fuori (car. 518/.), d’altra mano: Reggio. Del P. Inquisitore. 20 Di 4 a xi d’8bre 1633. Supplica per il modo come debba publicare la sentenza et abiura del Galileo, e di mano ancora diversa: 19 Octobria 1633 relatao. 380 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 72) Car. 508r. — Autografa la soltoscriz lotto. Eminent.” 9 et R. mo Sig." et P.ne mio Col.”* Subito ricevuta la lettera «li V. Km* delli 2 (li Luglio, renami nolo tre giorni fa, ac¬ clusovi le copie «li sentenza contro Galileo Galilei ot d’abiuratione di esso della sua falsa opinione, contraria ai divini oracoli, circa 1’ imaginaria consistenza del solo et agitatone della terra, da lui, contro la prohibitiono già fattali da cotesto Sacro Trbunale, nova- mente trattata noi libro por la cui publicatione beveva obreptitiamento estorta licenza; ho cominciato, conform’ al comandamento doli’ Em.* V., a far sapor in queste parti quel che la S.* Congregationo ha fatto ot rosoluto contr’il dotto Galileo, osprituondo quanto da ossa siano detestati somiglianti assiomi, contrarii alla 8.* Scrittura: et procurerò che questo successo sia tuttavia più divulgato, massimo tra’professori di filosofia ot materna- 10 tica, ot elio così tanto piò da loro s’abborriscano ot rifiutino simili dottrino, alle quali ropugna la verità della divina parola. Prego per fino all’Eui.‘V. ogni contentezza, facen¬ dole humilissima rovorenza. Di S. Nicolas, il primo di Sett." 1633. Di Vostra Eoi.* Rov.”* Ilum.™ 9 Piv.” 9 et Oblig. mo Ser. r * [■.J !•) A., V.* di Garp. Fuori (car. 517(.) a d’altra inano: Santo Nicolas. Di Mons/* Nuntio di Francia. Del p.° di 7mbre a 8 di bbre 1633. 20 Che procurerà elio la sentenza et abiura del Galileo sia divulgata alli professori di matematica [o dij filosofia. e di mano ancora diversa: 19 Octobris 1633 relatae. 73) Car. 509r. — Autografa la sottoscrizione. Eminent." 9 e lt. mo S. r mio e P.ne Col m0 Ho visto quanto s’ è degnata V. Emin “ ordinarmi con sue di 2 di Luglio passato intorno alla falza openione di Galileo Galilei, che la terra si muova et il sole sia fermo, et l’abiura fatta dal medesmo, come vehementemente sospetto di heresia; ot per obbedir all’ordini di V. Emin.**, n’ho dato notitia qui ai professori di filosophia ot di matema- >’> Il Bicrti (ediz. cit, psg. 245) logge: Prosontemente l’orlo inferiore doli» carta ò COBI < noli» S. Congr.’ 1 » di 8. 0 * consumato, che nulla più si distinguo. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 381 ticft, con scriverne anco alle Università eli Lovanio ot di Duai, acciò ogniuno abbandoni detta openione, quando da ossi lusso tenuta, ot si conformano con la verità ordinata da cotesto S. t0 OIT.° Onde per line a V. Emin/ ft lo humiliBsima riverenza. Brusselles, 6 Sot.t. r * 1633. 10 Di V. Emin. M K."“ S. r Card. u S.‘° Onofrio. Ilutniliss. 0 o Devot. rao Ser. ro F., Are. 0 di Consa. Fuori (car. 610*.), d’altra mano: Brusselles. I>i Mona.” Nuntio. D ‘ 6 j 1633. a 9 di 8bre S Ch’ha dato notiti» a tutti li professori di matematica et di filosofia della falsa opi¬ nione del Galileo, et n’ ha scritto anco alle Università di Lovanio e di Duai. o di ìuano ancora diversa • 19 Octobris 1633 relatao. 74) Car. 510r. — Autografa. Emin. ,n " et Rev."* Sig. r * et P.rono Colendiss. 0 Per l’ordinario passato ricevei la lettera di V. E. delti 2 di Luglio, con la copia della sentenza et abiura di Galileo Galilei da Fiorenza, della quale ho dato notitia alli miei Vicarii foranei, ot notificata qui in Mantova alli professori di filosofia et mattematica (se bene al prosonto sono pocchi), acciò tutti sappino la gravità dell’orrore et ai guardino di non incorrervi. Del che ho voluto con quosta mia dar aviso a V. E., alla quale humil- mente inchinandomi bacio lo vesti, et priego da Dio felicità et ogni beilo. Di Mantova, li 30 7bre 1633. Di V. S. Emin.“* et Rev.‘ u ‘ TTumiliss. 0 et Obligatiss. 0 Servo Fiat’Ambrosio da Tabia, iuq. r * Fuori (car. 5151.), d’altra mano: Mantova. Del P. Inquisitore. Dell’ ult.° 7mbre > M 1633. a 9 di 8bre ' Ch’ha notificato alli suoi Vicarii la sentenza et abiura del Galileo, et in quella città a tutti li professori di filosofia e di matematica. e di mano ancora diversa : 19 Octobris 1633 relatae. 332 xxiv. processo li Galileo. 7B) Car. 51 Ir. — Autografa. Emi."® et Rev. mo Sig. r ® r.ron mio Con.™ 0 Ho riouto (sic) la copia della sentenza data contra Galileo Galilei Fiorentino, elio m’im mandato V. Emi.*», et ho fatto notificare il contenuto di quella qui nella città, et per la iurisditiono dalli Vicarii, seoondo l’ordine deU’Emi.“ V., alla quale faccio humilÌ8»ima re¬ verenza. Gubbio, 7 8bre 1638. Di V. 3. Emi.*"* et Uov. ra » Humilisa.® et. Devotias.® Serv. M Fra Vincenzo Maria Cimarelll. Fuori (car. 6H(.), d’altra mano: Gubbio. Del P. Inquisitore. 10 Di 7 a xi d’8bre 1683. t'ho ha fatto notificare in quella città la sontenza et abiura del Galileo, et dalli Buoi Vicarii per la giurisditione. o di mano ancora diversa: 19 Uctobris 1633 relntao. 70) Car. 512r. — Autografa. Emut.“° e R.“° Sig. T P.ron Col.“® La sua delli 2 di Luglio mi fu resa olii 22 di questo. Ricevo in essa la copia del¬ l’abiura di Galileo Galiloi Fiorentino, con ordine di publicarla non Bolo a’Vicarii etc., ma a’ filosofi e professori di matematica. Fin bora lmverei esseguito l’ordine, ho Mons. r Vi¬ cario dell’Arcivescovo non 1’ havesso già, molti giorni sono, publieata per ordine di Mon8. r ® Nunzio, con meraviglia di tutti. Se altro non mi verrà ordinato da V. E., io soprasederò fin al principio di nuovo studio, quando saranno qua i filosofi, il Matematico e lo Studio, a’ quali tocca particolarmente il saperlo, et all’ bora lo notifiearò, o gli no darò sviso. Anco 1’ ultimo decreto de’ libri prohibiti il detto Monsig/® Vicario 1’ hebbe qunsi un mese prima di me, e voleva publicarlo, se bene, conferito il uegotio meco, soprasedè, o lo pu- 10 blicai poi io, conforme al solito. Anco il decreto di N. S., con lo ristretto delle Bolle dei casi spettanti al Tribunale del Sant’Off. 0 , 1’hebbe detto Mons/ Vicario prima di me, o lo fece stamperò, mandandolo in diversi luoghi. Il tutto scrivo Bolo per sviso a V. E., ri¬ mettendomi sempre a quanto verrà ordinato da cotesti Emù.® 1 Sig. rl , a’ quali con l’E. V. prego da Dio il compimento di tutte le gratie. Di Pisa, xxyii Settembre 1633. Di V. E. &■*** Revot. m6 et Obligat.“° Servo Fra Tiberio Sinibaldi, Inq. r ® XXIV. PROCESSO 01 GALILEO. 383 Fuori (car. B13l.), d’altra mano: Pisa. 20 Dol [P.] Inquisitore. Di 27 7mbro 1 ^ a 9 ili fibre ) Chi' soprasoderà in dar notitia alli professori di matematica e di filosofia della sen¬ tenza et abiura del Galileo siuo al nuovo Studio, perchè quel Vicario l’ha già publicnta. e di mano ancora diversa: 19 Octohria 1633 relatae. 77) Car. B20r.-B23f. aj Car. 620r. e t., o &23r. — Autografa la sottoscrizione. Emin. mo e Kev. mo Sig. ro P.rone Uolen. l " u Sono alcune settimane che parte da qui un ordinario di "Roma prima che arrivi l’al¬ tro ; ondo per la passata non ho potuto avisare V. E. della ricevuta della sua delli 27 dello scorso, che mi capitò alli 21 del presente. Da quella vedo quanto V. E. mi comanda, che per V avvenire, ricevendo ordini o rissolutioni della Sacra Congregatone, sotto pena d’incorrere la disgratia di V. E. et delli Emin. ml suoi coleghi, non debba rispondere, come fin bora ho fatto, che esseguirò, ma precisamente d’haver esscguiti i comandi fattimi. PenBO che V. E. così mi scrivi, perchè ancora non ho dato parto d’havere notificata la sen¬ tenza di Galileo Galilei, et forsi perchè non habbia avisato d’haver intimato a’ Regolari il decreto di Nostro Signoro intorno alle Bolle concernenti il S. Officio e spettanti ad essi. 10 Quanto a questo, confesso a V. E. elio da principio della ricevuta non gl’iutimai, veg- geudo che nella lettera di V. E. mi s’impono solo che invigili aU'osservaiiza, et anco per esser certificato che tutti i Superiori dello Religioni l’hanno mandato a’ loro conventi, et di commissione loro è stalo publicato. Ma havendo intaso di fresco che il Padre Inquisi¬ tore di Milano l'habbia intimato, supponendomi che egli sia forsi meglio informato del senso della Sacra Congregatiouo, anc’io l’intimai la settimana passata a tutti i Regolari sogetti a questo S.‘° Officio. Per la sentenza del Galileo poi, due cose mi comandò V. E. con la sua delli 2 di Luglio: elio la notificassi a’ miei Vicarii, il che feci sotto li 7 Agosto, come V. E. può ve¬ dere dalla lettera che inviai ad essi, di cui mando copia ; et ohe la notificassi anco a tutti 2 0 j professori di matematica o filosofia: et per far questo, ho creduto bene l’aspettare che siano repigliati i studii in questa Università, mancando di presente i scolari ed essen¬ dovi anco pochi dottori. Non havendo compito a questo secondo ponto del comando, ho anco creduto bone il ritardare l’aviso a V. E. dell’essecutione, per sodisfare poi intiera¬ mente a suo tempo. Se ino’ in questi capi ho errato, no chiodo humilissimamente perdono, o spero ottenerlo da V. E. o dagli Einin. ml suoi coleghi, mentre che in me non è prece¬ duta colpa di malitia. 77, a. 26-27. Prima arova scritto proceduta , poi corrosso preceduta. — 384 XXIV. PROCESSO DT GALILEO. Se poi V. E. scrive in riguardo d’altri ordini o rissolutioni mandatemi, humilissima- mento la supplico a credere olio io non aon in colpa, ma la posta; perchè, bevendo riscon¬ tiate tutte le lettere di V. E. col registro che conservo di quelle che scrivo io, trovo 80 d 1 haver sempre risposto a V. E. non solo che barerei assegnilo, ma d’ haver anco dato aviso dell’ attualo essecutiono : e posso mandar copia dello medesime lettere, fuori che di duo, elio per accidente ho registrate solamente in sostanza. Non non io solo, ma molti, che si querelano in questi tempi dell’ordinario di l’avia. 11 decreto ultimo de’ libri proi¬ biti, inviatomi dalla Sacra Congregatione doli' Indice por fino del mese d’Aprile, mi ca¬ pitò gli ultimi giorni di Luglio ; et il non haver io ricevute risposto da V. E. di più mie lettere, mi fa credere elio o quelle o queste si siano smarrite. Di questo restino V. E. et gli Emin.™ 1 suoi cologln certificati, che proonrarò dal canto inio che non nasca manca¬ mento; bevendo poi per certo, nel resto, che l’altrui colpa non scaricarà sovro di me castigo di pena. E qui humilissimamente inchinandomi a V. E., gli prego dal Signore ogni 40 bene et gli baccio la mano. Di Pavia, gli 28 Settembre 1633. Di V. E. Hurailiss. 0 et Oblig.™° Servo E. Yine.*, luq. r * di l’av[i]a. Fuori (car. 528<.), d’altra uiano: Pavia. Del P. Inquisitore. Di 28 di 7mbre . ^ a 21 di 8bre ’ Che egli sempre ha eseguito et eseguirà gli ordini di questa S. Congrogatione, com’il decreto di N. S. r * a tutti i Regolari, la sentenza et abiura del Caldeo a tutti i suoi Vi- 60 carii, come dalla qui congiunta lettera stampata, et che per notificarla alli professori di filosofia e di matematica egli aspetta che si aprano li studii. e di mano ancora diversa : 26 Octobris 1633 relatao. P) Car. F>21»\ — Stampa originale. Molto Uever. Sig. l'u, giù anni sono, dalla Sacra Congregatione dalli Eminentissimi et Reverendissimi Sig. Cardinali Supremi Inquisitori proliibito a Galileo Galilei di Fiorenza di tenere, dif¬ endere od insegnare in qualsivoglia modo, in voce o in scritto, la falsa opinione di Ni¬ colò Copernico che il sole sia centro del mondo et immobile et che la terra si muova anco di moto diurno, come che la prima propoBitiono, dell'immobilità del sole, in filosofia sia assurda e falsa, et in theologia formalmente hcretiea, per essere espressamente con¬ traria alla Sacra Scrittura, et la seconda, della mobilità della terra, sia parimente assurda e falsa nella filosofia, et considerata in theologia ad minus erronea in Fide. Egli ad ogni modo hu ardito di comporre e, con licenza ingunnevoluiente estorta, di stampare e pubbli- 10 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 385 caro un libro, intitolato Galileo Galilei Linceo, nel quale, contro ’l comando fattoli dal- r Eminenze loro, ha trattato do’dotti errori in guisa tale, che si è roso vehementeniente sospetto d’haverneli creduti ; ondo, inquisito e carcerato nel S. Oilicio di Roma, per sen¬ tenza de' moderni Eminentissimi Signori è stato condannato ad abiurare detti errori, et a stare nella carcere formalo por tempo ad arbitrio dell' Eminenze loro, ed a fare al¬ tro penitenze salutari. Di tutto ciò, per comando espresso delli stessi Eminentissimi, ho volsuto signi licare a V. S., acciò resti informata della condannatioue do’ sudetti errori, ed invigili no’ luoghi del suo Vicariato, ed accadendo che scoprisse alcuno che vi fosse in¬ corso o v’ incorra, procedi in conformità di quanto confido del suo zelo. 20 Invio con tal occasione a V. S. gl* inserto decreto, novamente uscito, de’ libri prohi- biti, quale farà publicare ed alligare al solito: o eoli offerirmi a V. S., dal Sig. gli prego ogui bene. Pi Pavia, li 7 Agosto 1033. Di V. S. M. R. 78) Car. 624r. — Autografa la sottoscriziono. Einin.“° o Rov. rao Sig. r mio P.ron Col. mo Io notificare» a gli Ordinari di questa Nunziatura la sentenza che V. Em. tR mi manda colla sua de’ 2 di Luglio, e eh' è stata fatta da cotesta S. Congregatone del S.‘° Off. 0 con¬ tro il Galileo per la contravenzione fatta da lui al divieto c’ haveva di toner, insegnare e difendere l’opinione di Nicolò Copernico circa il moto della terra o la stabilità del sole, del tutto contraria alla Sagra Scrittura; e procurerò che i proflessori di filosofia e di ma¬ tematica dalla pena data al Galileo veggano la gravezza di questo errore, e così si asten¬ gano dalla licenza di insegnare così mala opinione. E non lmvcndo che aggiungerò a V. Em.*», le faccio umilissima riverenza. 10 Di Liegi, a xi Sett. r# 1633. Di V. Etn.”’ Umiliss. 0 ed Obligatiss. 0 Sorv.® Em. mo S. ro Card. S. Onofrio. Pier Luigi, Vescovo di Tri car. ° Fuori (cor. 525(.l, d’altra mano; Colonia. Di Mona/ Nnntio. De xi d’8bre. Che pnblicarà la sentenza del Galiloo. o di mano ancora diversa : 2ti Octobria 1633 relatae. 77, p. 14. La stampa ha detto errore, u fu corretto a pernia ili detti errori. — XIX. ■19 38G XXIV. PROCESSO DI UAL1LEO. 79) Uar. 6fi6r. — Autoirrnfft Eminentissimo «*t Ruv.'"" Sig. r# , min Sig. r et Pud." Col. ma La lettera di V. S. E. dalli 2 Luglio, con la copia della seuteuza di Galliloo Gallilei, la ricevei solamente li 7 ilei corrente; et l’ho notificata in questa ritta a tutti li profes¬ sori ili filosofìa et mattematioa, et no mandai una copia a tutti li miei Vicarii, quali mi scrivano che hanno ossequiti» l’ordine et notitirato a molte persone delti lungi ove risie¬ dano detta sentenza. No do parte a V. 8. E., et con ogni riverenza li dico clic non so d'haver mai tralasciato di pontualmente ossequile tutti li suoi commendi, Imvendone pur uncora dato aviao, et tanto farò sempre; come huinilmeutc prego V. 8. E. a voler restar servita di farmi degno della sua buona gratta, mentre dal Cielo gli prego ogni maggior bene et riverentemente me l’inchino. l)i Casale, li IH Ottobre 1633. l)i V. S. E. 1 - et R.“* llumilisfliinn Sor.* Fra l’aula Lutt° da Ferr.*, Iuq. rB Fuori (rnr. . r i27i.), d'altra oifluo: Casule. Del 1’. Inquisitore. Di 18 a 29 di 8bre 11533. CI»’ ha notificato a tutti li professori di matematica c di filosofìa et a tutti li suoi Vi¬ carii la sentenza et abiura del Galileo. e dì mano ancora diversa: 2 Umbrie 1033 relatao. 80) Car. 52Sr. — Autografa la sottoscrizione. Em."° e Rev. m# S. r P.ron Col.™ 0 Ricevo la copia della sentenza di cotesto S. Ufi*» contro le perniciose opinioni o dot¬ trina di Galileo Galilei intorno al movimento della terra e stabilità del Bolo, o l’abiure latte dal medesimo di tutt' i suoi falsi dogmi, per servirmi di simil notitia secondo sti¬ lli arò opportuno all’esecutione de’ comiuandanienti di V. Era.; a cui intanto bumilissimn- mente qui m’inchino. Di Vilna, 13 Sett.” 1(533. Di V. Em. Rev.““ Em.'"° S. r Cani. 1 S. Onof.°, in Cong. u * del S. Off.» 79. 8. firei/n « aggiunU iu tori il» euro. — I lumiliss." 10 et Obl. mo Serv. r * 11 onorato, Arciv. 0 di Lariss[aJ. XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 387 Fuori (car. r>20/.), d’altra mano: Vilna. I)i Mona/ Nuntio di Polonia. Di 13 di 7mbre ) | 1 UuOi a 29 d 1 8bro ' Clio ricevo la sentenza et abiura ili Galileo Galilei, et la notificherà in conformità dell’ impostogli. o di mano ancora diversa: 2 Ombria 1633 relatae. 81) Car. 580r. — Autografa. Em."° o Rev. wo Sig. ro Da lettera ili V. S. Km. w * o Uov. m \ con l’annessa copia della sentenza fulminata con¬ tro Galileo Galilei, benché sii data sotto li 2 di Luglio, l’ho però solo ricevuta eoi pre¬ sente ordinario. Scrivo a’miei Vicarii, dando loro notiti» ili quanto mi si comanda per ordino di cotesta S. Congregati© ne, et del seguito ne farò avvisato Y. S. Em. ,n * o Rev."’*, a cui, pregando dal Signore Iddio il colmo d’ ogni felicità, faccio humiliseima riverenza. Di Novara, li 18 di 8bro 1633. Di V. S. Em.®" e Rev.'“" Hnmiliss. 0 o Divot."* 0 Sor/" Fra Sebaat.° .borsa, lnq. ro di Novara. Fuori (car. 531/.), d'ultra mano: Novara. Del P. Inquisitore. Di 18 d’Sbre ) , B .. „ . 1633. a 5 di timbro ) Che dà notitia a’suoi Vicarii della sentenza del Galileo, et l’isteBso farà alli profes¬ sori di filosofia e di matematica. o di mano ancora diversa : 9 9mbris 1633 relatae. 82) Car. 582r. — Autografo lo lin. 18-21. Eminet.” 0 et R“° P.rone Coll.** Rocevei la sentenza et. abiuratione di Galileo Galilei, seguita costi, con la lettera di V. Eni. 1 " delH 2 Luglio prossimo passato, alli 12 del corrente mese; et conformo l’ordino contenuto in detta lettera, ho notificato a tutti gli professori di filosofia et matcmaticha in questa città, o di già ho intimato detta sentenza et abiura ad alcuni nostri Vicarii foranei di questo S.‘° Uff. 0 , e di mano in mano andorò opportunamente notificandola all’altri Vicarii, 388 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. secondo venirftno a Piacenza conforme al loro solito, acciò egli no diano notitia a quei proflessori di filosofia o niatomaticha che si trovano Botto gli loro Vicariati respetivamente. Con tale occasione aviso V. Km.** elio, in conformità d’ un altro ordine dattomi con una sua lettera delli 16 dol presento mese, ho fatto rilasciare da quoste carceri Bernardo 10 Chiappa, condonandogli il tempo elio gli restava di continovare la paena dello carceri per tre anni, per attentata poligamia; quale Bernardo ringratia loro Km.™' SS. Padroni dolla riceuta gratin, della quale non se ne ablmsarà. Con quale lino facondo ogni douta riverenza a V. Km.**, gli prego dal Signore ogni vera felicità. Di Piac.*, il 27 Sbro 1633. Di V. Km.'* It¬ alia quale non scrivo di proprio pugno, per bavere la dimagra nolla destra mane fate;, 01>lig. mo et IIul."" Servit." Fr. Claudio Costamc/.unfaJ, Iuq. r * 20 Fuori (car. r»33f.), d’altra mnno: Piacenza. Del P. Inquisitore. Di ! 1633. a 8 di Umbre 1 Che ha notificato a molti professori di filosofìa e di inni ematica la Renitenza ot abiura del Galileo, et anco a molti Vicarii, et di mano in mano l'anderà notiticaudo a agli altri. Che ha rilasciato Bernardo Chiappi, condonandogli il tempo che gli restava della pena di carcere di 3 anni. di mano ancora diversa: 16 Novembris 1633 relatae. 83) Car. 688r. Capitolo di lettera del P. Inquisitore di Novara del p.°, ricevuta a’10 Ombre 1633: « Ho notificato alli Vicarii dol S. OfT.° et a'professori di filosolia e matematica di questa città e diocese di Novara, a qual pena et per qual cagiono ò stato da coteBti Em. ml Sig. Card. 11 condannato Galileo Galilei [di ] Fiorenza. » 84) Car. 534r. — Di mnno di Fuaxcesco Micoolixi. Bcat. mo Padre, Si supplica V.S. 1 * a degnarsi di contentarsi clic Galileo Galilei possa tor¬ narsene alla patria, mentre sin bora ha obbedito al precetto di V. S. u o della Sacra Congregatone, di starsene in Siena nel modo prescrittoli; o si riceverà per gratia singolarissima. 82. 26. Tra u « agli U-ggosi, cancellato, molti. — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 389 Fuori (car. 681**1., non numerata) 1 Alla S. th di N.ro Sig. ra t Alla Cong. n ® del Sant’Otìitio etc. per Galileo Galilei. e d'altra inano: p. R xbris 1033. io A S. m0 in Cong. n ° S. 0. concoditur habilitatio in eius rure, modo t&men ibi ut in solitudine stet, nec cvocet eo aut venientes illue recipiat ad collocutiones, et hoc per tempi» ar¬ bitrio S. S. P.» Decembris 1633 S. R oratorem habilitavit ad eius rurem, ubi vivat in soli¬ tudine, nec eo cvocet aut venientes il lue recipiat ad collocutiones, et hoc per toinpus arbitrio S. S. 85) Car. 685»*. — Autografa la sottoscrizione. Emiueut."* 0 et Rov." 10 Sig. r mio P.rone Col.™ 0 Userò ogni possila 1 diligenza por mezo di questi Mons. rl Voboovì o Prelati, alla mia Nimmatura subordinati, porche resti e notificata o publicata la sentenza et abiura di (la- lileo Galilei, con tanto zelo, pietà e giustitia da cotesta Sacra Congregatione praticata et osseguita. Questa correttione et. emenda addita notabilmente la gravezza del delitto, e servii’à senza dubbio por essempio ad altri por non inciampare in così grave errerò. Et io resto por lino col far all’ Em.* a Vostra humilissima riverenza. Lucerna, li 12 Nov. re 1633. Di V. Em. 71 * Hum. mo et Devot.” 0 Ser." Oblig. mo Eni. m0 S. ro Card. 10 S. Onofrio. Roma. R-, Vesc. v0 di S. Don.- 8 Fuori (car. 538i.), d’altra mano: Lucerna. Di Mons. r " Nuntio a’Svizzeri. Di 12 a 25 di Xmbre 1633. Che notificarà a tutti li Vescovi e Prelati di quella sua Nuntiatura la sentenza et abiura di Galileo Galilei. o di mano ancora diversa: 28 Decembris 1634 a Nat. 8 relatao. 84. 12-13. per è scritto sopra «ri».®, elio u cancellato. — 390 XXIV. l'UUCEtitJU DI GALILEO. 80) Car. 5B6r. - Autografa. Emin." 0 o RcvS. r " P.ron Col. n, ° Con unii lettera di VoBtra Eni.** ho ricovuto la sentenza uscita dalla Sacra Congre- erntione del S.‘° OfHtio contro Galileo Galilei; et l’ho notilicata a tutti li Vescovi di que¬ sti Regni, et all’Università di Salanjanea et d’Alcnla. Con che resta eseguito il coman¬ damento che intorno a ciò in’ha inviato P Em.“ N ostra d’ ordino della medesima bacia Oongregatione ; e lo lo humilissima riverenza. Di Madrid, li xi di Nov. r ° 1633. Di V/* Em.“ llnmil.* 0 Dev. ,no 0b[. . . .] l’ati.'* 1 Are.' di M[ilauo| Fuori (car. f>37i.). d’altra mano: Madrid. 10 Del S. ro Card. 5 ® Nuntio. De xi di Ombro i .. v , 1633. a 23 di Xrnbre ' Clio ha notiticato a tutti i Voscovi di quelli Regni la sentenza et abiura contro il Galileo, et anco all’ Università di Salamanca e di Alcalà. o di mimo ancora diventa : 28 DoceuibriB 1631 a Nat.® relatae. 87) Car. óGQr. — Autografa. EminentÌ8S. rao et Rev.“° Sig. r mio P.ron Col." 0 Solo hieri, sotto li 18 di questo, ho potuto osequirc l’ordine di V. E., di far leggere la sentenza promulgata costi contro Galileo Galilei, la cui copia ricovei il mese passato, perchè orano absenti lo persone eh’a mio giuditio dovevano assistere et essere informate della falsità dell’opinioni del detto Galileo, come qnolle che si dilettano di matematica et cose curiose; e stimo che sia stata necessaria la notificationu di detta sentenza per in- struttione d’alcuni curiosi di questa giurisditione. Notificherò anco a’miei Vicarii foranei la detta sentenza, aceiochè ninno possi pretender ignoranza : et questa mia servirà a V. E. per certificarla della ricevuta dell'ordine et copia della sentenza, et anco dell’osoqutione. Con che prego il Signore feliciti V. E. o gli dia P adempimento d’ ogni suo giusto desi- 10 derio, o me gli raccordo servitore di cuore, col buccinigli le sacro vesti. Tortona, li 19 Xbro 1633. Di V. E. Rov. ,u:v IIuinil. mo Servo Fra Gio. Vino." Tabi a, Inq.' XXXV. PROCESSO 01 GALILEO. 391 Fuori fcar d’altra mano: Tortona. Del P. Inquisitore. Di 19 Xmbre 1633 a 3 di Gonu. 1634. Che ha notificato alli professori di filosofia e di matematica la sententi» dui Galileo, 20 et la significarli anco alli suoi Yicarii. o di mano ancora divorsa: 4 Ianuarii 1634 relatao. 88) Car. 511 r. — Autografa. Em. mo et Itev. mo Sig. ro e Pati.” mio Col. rao Mi ò sempre stato noto con quale affetto V. Em. liabbia compa¬ tito gl’ avvenimenti miei, et in particolare di quanto momento mi sia stata ultimamente la sua intercessione nel farmi ottener la grazia del ritorno alla quiete della villa, da me desiderata. Questo e mille altri favori, in ogni tempo ricevuti dalla sua benigna mano, confor¬ mano in me il desiderio, non meno che l’obbligo, di sempre servire e reverire l’Em. za Vostra, mentre si compiaccia di honorarmi di qual¬ che suo comandamento : nò altro potendo di presente, li rendo lo io dovute grazie della ottenuta grazia, da me sopramodo desiderata; e con reverentissimo affetto incilinandomegli, gli bacio la veste, augu¬ randogli felicissimo il Natale santissimo. Dalla villa d’Àrcetri, li 17 di Xmbre 1633. Di V. S. Em. 1 "» e iiev. ,na Humiliss. 0 et Obbl. mo Se. r0 Galileo Galilei. Fuori fcar. F>420, d’altra mano: 11 S. r Galileo rende humilissime gratie dell’ habilitatioue allu sua villa d’Àrcetri. f.... ] a M. r Assess.” del S. 10 Off. 0 ne parli. o di inano ancora divorsa: 12 Ianuarii 1634 relatao. 88. tì. tuo com.' a : ni — 10. digititraiti — 392 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 80) Car. 648r.~ 5461. a) Car. 548r. — Autografa la Rottosomiouo. Emin. 1 " 0 o R. mu S. r * mio o P.ne Col."® Scrissi all’Accnfleniie di I)uai et Lovanio intorno alla falsa openione di Nicolò Co¬ pernico IH reoolutirmibus orbium cclcstium, lo «pialo si mostrorno pronto a detestar T ope- nione di lui, sicome avvisai a V. Emin.** \ alla «pialo per maggior chiarezza invio bora l’alligate lettere che mi han scritte sopra di ciò, asserendo che detta falsa openione non aarrà mai nelle «letto loro Accademie ricevuta. Ondo per lino a V. Emin.*» fo Immiliasiiua riverenza. Druaselles, IH Xbre 1633. Di V. Emin. 1 » R.“* Uumiliss. 0 o l)evot. mo Sor. r “ [....] • • • • w 10 Fuori (car. 646«.), d'altra mano: Brnsselles. Di Mona/ Nuntio di Fiandra. Do 13 di Xnibre 1633. Risponde che nell’Università di Dnai non a’ò mai tonata nò approvata l’opinione del Copernico o del Galileo, che la terra si muovi et il ciel sia immobile, anzi elio l’hanno sempre rifiutata o la rifiuteranno. (Questo gli ha scritto con occasione d’lmvcr esportato le Accademie «li Lovania o Duai a lasciar la detta opinione. o di mano ancora divorsa : 25 lunuarii 1634 relatae. (J) Car B44r. — Autografa la firma. 111.““ ac Rever.““ D.no Accopi litteras 111.“** ac Rover.™** Dominationia vestrae, primo Septembris datas, qui- bus mihi mandatur ut professores liuius Universitatis Duacenae suo nomino certiores fa- cerem, tractatum Nicholai Copernici et librimi ouiusdam Galilaei, qui Gulilaeus tìalilaci Lynceus inscribitur, in quibus, centra communeni senaam et Sacrai» Soripturam, asseri- tur, terrai» in gyrum circumagi, caelurn autem non ino veri, sed fixuiu immotumque per¬ sistere, a Sacris Congregationibus damnatos esse. Ego igitur, ut raaudatis Sacrarum Con- gregationnm ac 111.“*° I). V. morom gererem, prima oblata opportunitate hoc significavi buina Universitatis Cancellano aliisque professoribua, qui tantum absunfc ut buie pha- 89, a. 14. Tra Biiponde o che loggesi, cancellato: manda una lettera di Milito Keliione, il quale li eorive. — 11 Brkti («diz. cit.. pag. ‘264) leggo « F. Are.® «limato in tuie uuiuiura, ubo non si può distinguerò di Con sa ». Presentemente l'orlo della carta è cou- più nulla. XXIV. PROCESSO DT GALILEO. 303 10 iiftticae opinioni assonnimi praebeant-, ut illam e Roholis saia Romper explodendam et ex8Ìbilandara duxerint. In nostro autem Anglorum Collegio, quod in lino urbe Duaoena reaidet, nunquani approbatum fuit hoc pftriidoxum, nunqunni npprobabitur, sed illud sein- per aversati fui m uh, seinper aversahimur. Quocirca corta «it 111.»'* Dominntio vostra, bui un Universitatis doctores ac profossores (nosque cum illis) S. tno Sedi Apostolicae, uti bacili r»*, ita in omnibus aliis (prout dccet filioa Catholicae ot Romanao Foclesiae), conformi» futuros. Deus lll. m * m Dominationem ve strani Belgio nostro et Ecclesiae Ilomanae (prò qua contiuuos subit laliores) quani diutisHnie sorvet incoi unioni. Datimi Duaci, 7 Sept. 16H3. Ill. mM ac Rovor.'"*" Dominationis vestrae Servus Ilumillimus Matthaeus Kellisonus. 20 Fuori (car. 646l): IU. mo ac Rover. 11,0 Domino D.no Fabio «lo Lagonissn, Archiepiscopo Compsano ac Sedia Apostolicao cum potoatate Legati in Belgio Nuncio. Bruxellis. 00) Car. Bl7r J£inin.“‘ Sig. r * Il Caldeo ha seminato in questa città opinioni poco cattoliche, fumentato da questo A rei voscoi o suo bospite, quale ha sugorito a molti elio costui sia stato ingiustamente agravato «la cotesta Sacra Congrogatione, e olio non poteva nò doveva reprobar lo opi¬ nioni filosofiche, da lui con ragioni invincibili ìuatteniaticbo e vero sostenute, e elio è il prim’bomo «lui mondo, e vivere sempre no’suoi scritti, ancor probibiti, e die da tutti ino¬ dorili c migliori vion sequitato. E perchè questi semi da bocca d’un prelato potriano pro¬ durrò frutti perniciosi, se no dà conto etc. Fuori (cur. f»48l.), «I* nitrii ninno: Centra Kev. Archiepiscopum Senarum. 10 Incerto. Clio M.” Arciv.- di Siena, liospito del Galileo, den."“ Lectum. e «li mano ancora tlirersa- P.° Februarii relatao. 01) Car. r» lt)r - nr>oi. a) Car. f>49/\ Emiri. mi et R. rai Si0<.): Alli Emin. mi et R. m ' Sig. ri Li Sig. ri Card. 1 * della S. Cong. 110 ilei S. t0 Off." Dal Sig. r Amb. ro di Toscana, l'er Galileo Galilei. e a matita nera, (Paltra mano : Noimihil oi obiurgotur petitum, no roilucatur in c.arcorom. p) Car. 660t. 23 Martii 1634. S. rau * noluit huiusmodi iicontiam concedore, ot niandavit Inquisitori Floronoo scribi, quod significet oidom Galileo ut abstineat ab huiusmodi potitionibus, no Sacra Congregatio cogatur illuni revocare ad carcorea liuius S. Oflìrii, ot certioret. 03) Car. 551 r. — Autografa la sottoscrizione Emin.* 00 o Uev. roo S. r P.ron Col. mo Ilo fatto sapere al S. r Galileo Galilei quanto mi vien com man dato da V. S. Emin."**, o lui ai acu«a che il tutto faceva per una rottura terribile che patisce: nondimeno la sua villa, nella quale balata, è copi vicina alla città, che può facilmente chiamar medici o ce- rusici ot lmver medicamenti opportuni, sichò erodo elio non darà più fastidio alla Sac. Congregatone. Clio è quanto mi occorre dirlo in questo particolare; o per fine le bacio bumilissimamente le sacro vesti. Di Fiorenza, il p.° d’Aprile 1034. Di V. S. Emiu. u, ‘ e Hov. m * Fuori (car. 552(.), d’altra inano: Fio lenza. Del P. Inquisitore. Del p.° a 8 d’Aprile 1034. Ch’ha significato al S. r Galileo In mento di questa S. Congrogatione, et credo clic non darà più fastidio con le continue istanze di ritornare nella città. o di mano ancora diversa : 19 Aprilis 1634 relatae. Servo Ilumiliss.' 00 ot Oblig. mo F. Clem.* 0 , Inq. ro di Fiorenza. 10 XXIV. PROCESSO Di GALILEO. 03) Cnr. r)5*2'"'*r. o cnr. 5ì»7f. a) Cnr. 662 w *r., non numorata. — Autografo. 395 Ein. mo e Hev. m0 Sig. ro e P.ron Col. m0 ' Sono necessitato a chiedere hmuilmente perdono a V. Em.“, so apparirò importuno in supplicarla di nuovo della sua benigna gratin, e che resti servita per amor di Dio di impetrarmi più larga licenza di visitare il Sig. r8 Galileo, por potere servire queste A A. Ser. mo ; e si assicuri che non tratterò nò punto nò poco di cose concernenti a quelle che sono proliibite da S.* Chiosa, e più presto che trasgredire ci lasciare la vita. Io mi trovo qua con obligo grande di servire quosti Principi, ricercato servirli in cose honoratissimo e importantissime, od assolutamente utili anco al servizio di Dio, e non ho scusa nessuna. Scrissi a’giorni passati a V. Eni. tt il punto principale di che si tratta; c replico bora, 10 elio essendo destinato il Ser. mu Pr. Gio. Carlo generalissimo del maro, e dovendo passar¬ sene in Spagna, si desidera elio il Sig. r Galileo mi instruisca a pieno dello tavole e pe¬ riodi dei Pianeti Medicei per stabilire il negozio della longitudine, tanto gravo cd im¬ portante, come olla sa benissimo. Però prostrato con ogni humiltà !a supplico della suu gratia, a lin che il Ser. ,uo Sig. r Principe possa portare in Spagna questo tesoro, e Y. Em/ a con la sua autorità liabbia parte in cosi honorata impresa con 1’ opera di un suo servi¬ tore, o non tocchi ad altri a levarmi questo lionore. Dimani nudarò per la 2“ volta concessami a visitare il Sig. r Galiloo, o non trattarò altro che quello elio ini tocca per olìicio di carità. Mora il Sor. 1 " 0 Gr. Duca si trova ul- rAmbroaiana, e credo che aspetti il Duca Doriti. E con questo fo humilisaima riverenza 20 a V. Em.** Di Firenze, il 23 d’ 8bre 1038. Di V. Em. ia Era. 0 S. 0. P. Fuori (cnr. B57(.), d*altra inano: [Fijrenze. [Del P.J Iìendetto Castelli. Di 23 d’Sbro . a 17 di 9mbre } Supplica per più larga licenza di visitar il S. r Galileo, per poter servirò quelle Al- 30 tezze, col quale non trattarà punto di quelle cose che sono proliibite da S. u Chiesa; c replica, come già scrisse, che il punto principale di che si tratta ò, eh’ essendo destinato il Principe Gio. Carlo generalissimo del mare, e dovendo passarsene in Spugna, si desi¬ dera ch’il S. r Galileo lo istruisca a pieno delle tavole e periodi dei Pianeti Medicei per istabilire il negotio della longitudine, tanto grave et importante, acciò il S. r Principe possa portar in Spagna sì pretioso tesoro. Ch’ a’ 24 d’ 8bre passato sarebbe andato per la 2‘ volta a trattar col Galileo, e non trattarà d’altro che di quollo che gli tocca. iluniil. m ° Devotiss. 0 e Oblig. Sei*. Dou Beued.” Castelli. 39(3 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. p) Car. 567*. 25 Novembri^ 1638. g muB i U Bsit scribi Inquisitori Florentiae, qui permittat I). Ronedictum fre- quontius agere cum Galileo Galilei, ut possit instrui de periodi» Planotarum Mediceorum ad investigandam artem navigandi per longitudinem, iuncto tiimon praecepto, sub paena excommunicationis latae sententiae, a qua non possit ubsolvi nisi a S. S. to , otiam ablata facultate rf. Penitentiariae, ne audeat loqui cum eodem Galileo de opinione damnata circa torrae motum. 94) Car. 554 r. — 655*. a) Dar. 564r. — Autografo. Emiu. n, ° o K. m ' S. r P.ron Ool. ,no Io sono avvinato che a' aspetta qua in breve di Germania persona di qualità, spedita dallo città franche de’Paesi Rasai con regali di prezzo a Galileo Galilei; e per qualche diligenza usata in proposito ho scoperto, elio havendo questo, molti anni sono, dato iu- t.entiono di poter fare uno strumento col quale si renda fucilo la navigaticele per la lon¬ gitudine da ponente a levatilo, obbo hanno risoluto di mandare personaggio a posta per haverno l’intiera notitia, e questo sarà ricevuto ot alloggialo dal Gran Duca. Io. nell'an¬ gustia di questo tempo, non ho stimato bone di far altro motivo che di far intendere al predetto Galileo di non ammettere, se pnò, il detto personaggio, o amuletiendolo, corno posso dubitare, per ordino di questa A., s'astenga in ogni modo dal discorrere di (?) quello IO che le ò stato prohibito. Che è quello ohe a me è stato ordinato da V. E., alla quale ho stimato mio debito di dar parie di questo, per renderla avvisata di quello die passa o per ricevere qualch’ordine, se si compiacerà di darne in proposito. E le faccio burniiissima riverenza. Fiorenza, li 26 Giugno 1638. Di V. Km.' Fuori (car. 565*.i, d’altra mano: Fiorenza. Del P. Inquisitore. De 26 di Giugno ) 20 a 10 di Luglio ' Dà conto che si aspetta in breve di Germania personaggio di qualità, con regali di prezzo a Galileo Galilei, per cagione eh’ havendo, molti anni sono, data intentione di lai' un iati-omento col qual si renda facile la navigatione per la longitudine da ponente a le¬ vante, essi hanno risoluto mandare personaggio a posta per havern'intiera notizia; o sarà ricevuto ot alloggiato dal Gran Duca. 1111111.*"° et Oblig.®" Servo F. Gio. Fa nano, Inquia.* XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 307 Olio l’Inquisitore ha fatto intender al Galileo che non ammetta, se può, detto per¬ sonaggio; o ammettendolo, forzatamente, per ordine di S. A., s’astenga in ogni modo di discorrere di quello che gli è stato prohibito. /■ /jrw' (A* t 3) Car. 13 lulii 1638. Eni. DI), raandarunt Inquisitori rescribi, quod si persona Florentiam ventura ex Germania ad alloquendnm Galileum sit haeretica vel de civitate haeretica non pormittat accessum ad praedictum Galileum, eidemque Galileo hoc prolii- heat; sed quando civitas et persona csset Catliolica, non impediat negociationem, dunimodo non tractent do motu terrae et atabilitate caeli, iuxta probibitionem alias factam. 95) Car. 558r. o 65G<. et.) Car. 65Ur. — Autografa. Emin. mo o It. mo S. r P.rou Col. mo .11 personaggio destinato a Galileo Galilei non è comparso in Fiorenza, nè meno, per quello che sono avvisato, è per comparire; non ho porù sin bora potuto penetrare se ciò siogua o per impedimento linvuto nel viaggio o por altro rispetto : so bene che sono ca¬ pitati qua, in mano d’alcuni mercatanti Tedeschi, i regali con lettere dirette al moderno Galileo; e persona di rispotto, mia confidente, che ha parlato con quello stesso elio bali rogali e lo lettere, dice che queste sono sigillate con sigillo di Stati Olandesi, e che quelli sono in un involto, o si figurano manifatture d’ oro e d’ argento. 11 Galileo lia recusato costantÌ8BÌmamente di ricevere tanto le lettere quanto i regali, o sia per timore ch’egli IO habbia havuto di non incorrere in qualche pericolo per 1’ ammonitione che io lo feci al primo avviso ohe s’ hebbe di questo personaggio che doveva venire, o perchè in effetto egli non ha ridotto, nè meno è in termine di poter ridurre, a perfezione il modo di na¬ vigare per la longitudine del polo, ritrovandosi egli totalmente cieco e più con la testa nella sepoltura che con l’ingegno ne’studii matematici, e patendo l’uso dell’iatromento, che si figurava, molte difficoltà che si rendono insuperabili: e quando l’havesse havuto Gl T,o parole, dello quali riproduciamo il facsi- Antcn dea QalUei'achen Proccaaca, nnch der Vaticani- niilo, furono lotto dal de l'Efixois (Leapiice* du proda schon H&ndschrift herausgegeben von Kart, von de. 0alilia occ. Ouvrago dédld a S. 0. Mgr. Do la Tour UrotitR. Stuttgart, Verlag dor J. G. Cotta’sclien Buch- d’Auvorgnuocc. par IIknhi de i.’HpiNoisecc.V. Palino, handlung. 1877, png. 179) : «si Iloroticus iiunquam Sociéti) generalo do librairio catholiquo, Homo-Fa- sed si (?) ducant ». Il Berti (ediz. cit., pag.271) si ria, 1877, pog. 188): * Provortat (?) si horoticus nu- limita a riprodurre noi tosto la lozione del Creder tequam ; (V) sod si, ducotur. (?) » ; o dal Crblkr (Dia od a citai o in nota quella dol or l’ Efinois. 338 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. in termino, »' ò discorso anche qua ohe quest’Altera non havria permesso (li lasciarlo capitare in mano di stranieri, heretioi et inimici di Prenci pi uniti con questa Casa. Che è quanto ho stimato mio debito di rappresentare hurnilissimamente a V. E. in risposta d’ una lettera di 17 del cadente; e le faccio profondissima riverenza. Di Fiorenza, li 25 Luglio 1638, 20 Di V. Em." lluni."" Pivot."* et Oblig."« Servo F. Gio. Fanano, Inquisì Fuori (car. d’altra mano: Fiorenza. Del 1*. Inquisitore. l)i 2T> a 29 Luglio 1638. Ch’il personaggio destinato a Galileo Galilei non e comparso, nè meno, per quanto intende, ò per comparire; ma olio bene sono capitali in ìuano il' alcuni Tedeschi i regali, insieme con la lettera, sigillata col “igillo de gii Siali Olandesi, per dotto Galilei, il quale ha ricusato di ricever gli uni o l’altra. e di ninno ancora diversa: Kelatao et loctao. 30 P) Car. 556». Die 5 Augnati 1638. S. u * iussit eidem Galileo significuri, liane aetionem fuisse valile gratam buie Sacrae Congrega tieni. 96) Car. 558r. — Autografe. Emi. e R. ml Sig. rl , Sig. rt P.ni Col." 1 Questa mattina è stato da me il 8ig. r * Gav. r * Neioni, richidendomi se in questo S. Uf.° vegliasse alcun ordine di codesta Suprema e S. Cong."", per cui fosse stata vietata l’erezzione in questa nostra Chiosa di 8.* Croce di suntuoRO deposito di marmi e bronzo in memoria del fu Galileo Galilei (già condannato per i di lui notori errori), imposta per legato testamentario fin dall’an no) 1689 a'suoi eredi da un descendente di (letto Galilei, colla spesa di 4“ scudi in circa. E perchè al presente si medita l’effettuazione di tal le- gatfo], sono stato ricercato so pel passato vi sia stata veruna proibizione (che non trov[o] por diligenze fatto in questo Archivio), ovvero possa impedirsi dall'E[E.) VV. R. me in¬ traprendendosi la fabbrica, stante la notorietà degl’©rrfori) del defonto Galilei. Attenderò 10 dalla clemenza dell’ EE. loro il precis[oj della risposta che doverò dare ; e profondamente inchinato, le bacio la s. porpora. Firenze, 8 Giugno 1734. Dell’EE. VV. R.»° U."" Div“° ed Oblf. . . .] Fra Paolo An. Ambr[. . . .] XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 399 07) Olir. 659r. Galileo Galilei, mattematico Fiorentino, fu inquisito noi S. 0. di Firenze per 10 seguenti proposizioni : Che il sole sii in centro del mondo, e, por conseguenza, immobile di moto locale ; Che la terra non è centro del mondo nè immobile, ma si muove secondo sè tutta, etiam di moto diurno. E chiamato a Roma, fu carcerato in questo S. 0., dove propostasi la causa avanti il Papa, li 16 Giugno 1633 la Santità Sua decretò che il detto Galilei s’interrogasse sopra V intenzione, anche con comminargli la tortura ; e soste- io nendo, precedente P abiura de vehernmti , da farsi in piena Congregazione del S. Off. 0 , si condannasse alla carcero ad arbitrio della Sag. a Congregazione, e gli s’ingiongesse che in avvenire nè in scritto nè in parola trattasse pili in qual- sisia modo della mobilità della terra nè della stabilità del sole, sotto pena di relasso ; che il libro da lui composto, intitolato Dialogo di Galileo Galilei Lin¬ ceo, si proibisse ; et inoltre che gl’ esemplari della sentenza, da proferirsi come sopra, si transmettessero a tutti i Nunzi Apostolici e a tutti gl’inquisitori, e par¬ ticolarmente a quello di Firenze, il quale leggesse nella sua piena Congregazione, avanti particolarmente de’ professori della mattematica, pubicamente la detta sentenza, come il tutto fu eseguito. 20 Li 23 Giugno del detto anno fu da Nostro Signore abilitato dalle carceri del S. Off. 0 al palazzo del Gran Duca alla Trinità de’ Monti in luogo di carcere ; e 11 primo xbre dell’ istess’ anno fu abilitato alla sua villa, con che vivesse in soli¬ tudine, nò ammettesse alcuno per seco discorrere, per il tempo ad arbitrio di Sua Santità. 98) Car. 561«. Voi. USI. Feria 2% die 14 lunii 1734. DI). CC. fuerunt in voto (l) , rescribendum P. Inquisitori quod constructionem depositi Galilei non impediat, sed curet sollicite sibi communicari inscriptionem super dicto deposito faciendam, illamque ad S. Congregatenem transniittat, ad effeetum circa illain dandi ordines opportunos antequam liat. Feria 4, die 16 lunii 1734. E. n,i supradictum votum DD. Consultorum approbarunt. <0 Queste medesimo parole: «Feria 2*... iu esse, senipro ft car. 567c, lo indicazioni: « prooosiu voto », si leggono anche a car. 557t., o seguono ad Galilei », « in voi. 1181 ». 400 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. r) Altri documenti. 1) Monito per V emendazione ddV opera Do revolutionihus orbium caolestium (li Niccolò Copernico. IRoinn, 15 maggio 1690]. Riproduciamo qno«to documento da l.ibrorum poti Indirmi Clrmmtù Vili pruhibitorum Vrcreta omnia hnctcnu* odila. Kuiuao, ox typographin Hev. Cam. Apoit.. 1624, par. 93-94 <*», Monitum ad Nicolai Copernici leetorem, dunque emeudatio. Quanquam scripta Nicolai Copernici, nobili» astrologò De mundi revolutionibus prorsus prohibenda osso I’atres Sacrile Congregat ionia Indici» ccnsuorunt, ea ratione quia principia do situ et motu terroni globi, Sacrae Scripturae eiusque verno et catlio- licae interpretationi repugtmntia (quod in honiine Chriatiano minime tolerandum est), non per hypotbeaiui tractare, aed ut verissima adstruere, non dubitai; nihilominuB, quia in ììb multa sunt roipublicao utilissima, unanimi consensu in eam iverunt Bententiain, ut Copernici opera ad liauc usque dioiu impressa permittenda essent, prout permiaorunt, iis tamen correrti*, iuxta eubiectam emendationem, locis, in quibus non ex hypotbesi, aed asserendo, de situ et motu terree disputat. Qui vero deiucepa imprimendi erunt, nonnisi io praedictis Iocìh ut sequitur emendatis, et huiusuiodi correctioue praeiixa Copernici prae- fationi, permittuntur. IiOcorum, quae in Copernici libris viaa sunt correctione digna, emendatio. In praefatione, circa linoni. Ibi (Si furiasse) dele omnia usque ad verbu: Ili nostri laborcs, et sic accoramoda: Coeterum hi nostri labore». In cap. 1 lib. 1, pag. C (t) . Ibi (Si tamen attentius) corrige: Si tamen attentius rem considercmus , nihil refert an terram iti medio mundi un extra medium esistere, quoad salvandas caelestium motuum apparcntias, esisti memus: omnis enim. In cap. 8 eiusdem lib. Totum hoc caput posset oxpungi, quia ex professo tractat do veri tato motus termo, dum solvit veterani rationes. probantea eius quiotem: cum tamen 20 problematico semper videatur loqui, ut studiosis satistiat et series et orde libri integor maneat, eniendetur ut infra: Primo, pag. 6, dele vcrsiculnm ( Our ergo) usque ad verbum ( Provehimur ), locusque ita corrigatur : Cur ergo non posstnnus mobilitatevi dii fornice suae concedere , magia quam quod totus labatur mundus, cuius finis ignoratur sàrique nequii, et quac apparent in coelo, proinde se habere ac si dicerei Yirgilianus Acncas. •Secando, pag. 7, versiculns (Alido) corrigatur in hunc modum : Addo etiam, diffici- lius non esse contento et localo, quod est terra, motum adscrihere, quam continenti. In altri esemplari, pnr dell'edizione «lei 1024. è a png. 144-146, o in altri ancora a pag. LXXXI- 1 .XXXIV. '*> Si riporta, qui e appresso, all’edizione di Norimberga, lf>43, o a quella di liasUea, 1566, nella quale i nuovi editori ai studiarono di riprodurre la paginazione della Norimborghcso. questa prima ci¬ tazione però non è esatta, poiché il passo di cui si tratta è noi cap. 5 del lib. 1, a pag. 3. XXIV. PROCESSO DT GALILEO. 401 Tertio, eailem pagina, in fine capitis, veraiculns ( Vides) delendus est usqne ad finem 30 capitis. In cap. 9, pag. 7. Prinoipinni huius capitis usque ad versiculura (Quod enim) ita cor¬ rige: Gum igitur ter rum movcri assumpserim, videndmn moie arbitrar, un etiam illipltires possint convenire mottis. Quoti enim de. In cap. 10, pag. 9. Versiculum {Proinde) corrige sic: Proinde non pudet nos assu¬ mere. Et paulo infra, ibi ( hoc potius in mobilitate terrac verificavi) corrige: hoc conse¬ guente)- in mobilitate terrac vcrifirari. Pag. 10, in fine capitis, dele illa verini postrema {Tanta nimirum est divina hacc I). O. Af. filtrica). In cap. 11. Titulus capitis accommodotur hoc modo: De hi/pothcsitriplicis motus ter- 40 rac, ciiisquc dcmonstrationc. In lib. 4, cap. 20, pag. 122. In titillo capitis dele vorba {Uorum trium Sy derum), quia terra non ost sydus, ut facit eam CopornicuB. Fr. Franciscus Magdalenus Capil'orreus, Ordini» Praed., yacrae (jongieg. In¬ dici» Secret. Polirne, ex typograpbia ltev. Cam. Apost. MDOXX. Per la licenza di stampa del Dialogo dei Massimi Sistemi. [ 1632 .] Hlbl. Nttz. Flr. Mbs. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 50. — Autografo ili Gaut.ro : sul tergo si legge, scritto pure uì sua uiauo : Instruzzione del contenuto nell’ alligate scritture / 15 Nella lettera A. si contenta il P. Maestro del principio e del tino, o elio il libro sia riveduto qui da un teologo della sua religione, etc. (■i I,o «scritture», che originariamente dove¬ vano ossera allegato alla presente « Instruzzione », sono altrettante lotterò eho si trovano oggi tutte nei Manoscritti Galilniani della Biblioteca Nazionale di Fi- ronzo: e sul tergo di ciascuna di esso si leggo, di mano di Gai.h.ko, oltre il nomo dolio scrivente, la lettora doli’alfabeto con cui ò richiamata in quosta « Instruz- zione ». Diamo qui appresso la collocaziono di osso let¬ tere noi Mss. Galileiani, premettendo le indicazioni scritte sul tergo da Gai.ii.ko. « A. S. ra Amb. ce * P- 1 . T. XIII, car. 125. Caterina Riccardi Niocoi.ini a Galileo, di Roma, 10 ottobre 1G30. * Jj. S. ra ÀlVlb. ce » P.I.T.XIII, car. 132. Catkhina Riocardi Niocouni a Galileo, di Roma, 17 noveuibro 1630. « G. 1 ). Ben. 1 ? » P- I,T. IX, car. >47. Be¬ nedetto Castelli a Galileo, di Roma, 19 aprile 1631. « D. S. Amb. re » P. I) T.II. car.83. Fran- cksco Nicoollni ad Andrea Giuli, di Roma, 19 apri¬ lo 1631. « E. Del P. re M . r0 del S. Pa. zo » P. i, T. XV, car. 67. Nicooi.ò Riccardi a Francesco Niocouni, di Roma, 28 aprile 1681. « D. Bened . t0 F . * p. i. t. ix, car. 212. Benrdrtto Castelli a Galileo, di Roma, 24 ago¬ sto 1630. « D. Bened. to G. » p. i, t. ix, car. 224 . Bknkdktto Castelli a Galileo, di Roma, 30 novem¬ bre 1630. « H. P. M Visconti. » p. 1, t. ix. car. 198. Raffaello Visconti a Galileo, di Roma, 16 giugno 1630. Cfr. Anton io Fatako, Nuovi contributi alla ito- ria del procella di Galileo (.411» del Ji. Iitituto Ve¬ neto di icienxe, lettere ed. art». Tomo VI, serie MI, pag. 8S-97). Venezia, tip. Ferrari, 1895. XIX. 51 402 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. Nella lettera B. si contenta che il Padre Stefani vegga il libro, e dico che gli manderà certa instruzzione etc. ; di più. si vede in essa come mando copia del proemio, e come no havevo lasciato copia anco a Don Benedetto per il medesimo fine. Nella lettera C, del P. I). Benedetto, scritta ultimamente, il Pa¬ dre Maestro dico volere il libro nelle mani, o promette assolutamente licenziarlo. Nella lettera I). del S. Ambasciatore si ha conio il P. Maestro si io contenta che il libro si stampi con certe condizioni, lo quali prometto di mettere in carta o mandarle al medesimo S. Ambasciatore. Nella lettera E. del P. Maestro del S. Palazzo devono esser le so¬ pradette condizioni, le quali (piando siano osservato, s’ intende il libro licenziato e potersi stampare. Nella lettera F. di D. Benedetto si consiglia stampar il libro qui quanto prima, e di parola del Padre Visconti dice non ci esser diffi¬ coltà veruna. Nella lettera G. del P. D. Benedetto ci è che il Padre Maestro più volte gl’ ha promesso di spedir la licenza de i Dialogi e di coni- 20 mettere il negozio al P. Stefani. Nella lettera H. del P. Visconti è che il libro ò piaciuto al P. Maestro, e che il giorno seguente parlerebbe col Papa per conto del frontespizio, e che, accomodando alcune altre poche cosette, si¬ mili alle già accomodate, mi renderebbe il libro, etc. 3) Sentenza ed abiura. Roma, 22 giugno 1633. Aroh. di Stato In Modena. Inquisizione. Procesai 1632-1633. — Copi» del toiupo. Sentenza. Noi Gasparo del tit. (li S. Croce in Gerusalemme Borgia ; Fra Felice Centino del tit. di S. Anastasia, detto d'Ascoli; Guido del tit. di S. Maria del Popolo Bentivoglio ; Fra Desiderio Scaglia del tit. (li S. Carlo, detto di Cremona; Fra Ant.°Barberino, (letto di S. Onofrio; Laudivio Zacchia del tit. di S. Pietro in Vincoli, detto di S. Sisto; 2. ló. poterti ilatnare — XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 403 Berlingero del tit. di S. Agostino Gesso ; Fabricio del tit. di S. Lorenzo in Pane e Perna Verospio, chiamati Preti; io Francesco del tit. di S. Lorenzo in Damaso Barberino; et Martio di S. Ul Maria Nova Ginetto, Diaconi ; per la misericordia di Dio, della S. ,a Romana Chiesa Cardinali, in tutta la Re- publica Christiana contro l’heretica pravità Inquisitori generali dalla S. Sede Apostolica specialmente deputati ; Essendo che tu, Galileo fig. 10 del q. m Vinc. 0 Galilei, Fiorentino, dell’ età tua d’anni 70, fosti denuntiato del 1G15 in questo S.° Off. 0 , che tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, eli’ il sole sia centro del mondo et imobile, e che la terra si muova anco di moto diurno; eh’havevi discepoli, a’ quali in¬ segnavi la medesima dottrina; elio circa l’istessa tenevi corrispondenza con alcuni 20 mattematici di Germania; che tu havevi dato allo stampe alcune lettere intito¬ late Belle macchie solari, nelle quali spiegavi l’istessa dottrina come vera ; che all’obbiettioni che alle volto ti venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura, rispon¬ devi glosando detta Scrittura conforme al tuo senso ; e successivamente fu pre¬ sentata copia d’ una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva esser stata scritta da te ad un talo già tuo discepolo, et in essa, seguendo la positione del Copernico, si contengono varie propositioni contro il vero senso et auttorità della Sacra Scrittura ; Volendo per ciò questo S. cr0 Tribunale provedere al disordine et al danno che di qui proveniva et andava crescendosi con pregiuditio della S. ta Fede, d’or¬ so dine di N. S. ro e degl’ Eminen. mi et Rev. mi SS. ri Card.* di questa Suprema et Uni¬ versale Inq. ne , furono dalli Qualificatori Teologi qualificate le due propositioni della stabilità del sole et del moto della terra, cioè : Che il sole sia centro del mondo et imobile di moto locale, è propositione assurda e falsa in filosofia, e formalmente heretiea, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; Che la terra non sia centro del mondo nè imobile, ma che si muova etian- dio di moto diurno, è parimente propositione assurda e falsa nella filosofia, o considerata in teologia ad viinus erronea in Fide. Ma volendosi per allora procedere teco con benignità, fu decretato nella 40 Sacra Congro. DO tenuta avanti N. S. a’ 25 di Febr. 0 1616, che rEmin. mo S. Card. 1 ® Bellarmino ti ordinasse che tu dovessi omninainente lasciar detta opinione ialsa, e ricusando tu di ciò fare, che dal Comissario del S. Off. 0 ti dovesse esser tatto precetto di lasciar la detta dotrina, o che non potessi insegnarla ad altri nè di¬ fenderla nò trattarne, al quale precetto non acquietandoti, dovessi esser carce¬ rato ; et in essecutione dell’ istesso decreto, il giorno seguente, nel palazzo et alla presenza del sodetto Erninen. mt > S. r Card. 10 Bellarmino, dopo esser stato dall’istesso S. r Card. 1 ® benignamente avvisato et amonito, ti fu dal P. Comissario del S. Off. 0 404 XXIV. PB0CF.P80 DI GALILEO. di quel tempo fatto precetto, con notaro e testimoni, che omninamente dovessi lasciar la «letta falsa opinione, e che nell’ avvenire tu non la potessi tenere nò difendere nò insegnar in qualsivoglia modo, nò in voce nò in scritto: et havendo 50 tu promesso d’obedire, fosti licentiato. Et acciò che si togliesse affatto cosi perniciosa dottrina, e non andasse più oltre serpendo in grave pregiuditio della Cattolica verità, uscì decreto della Sacra Congr. DO dell’Indice, col quale fumo prohibiti li libri che trattano di tal dot¬ trina, et essa dichiarata falsa et omninamente contraria alla Sacra et divina Scrittura. Et essendo ultimamente comparso qua un libro, stampato in Fiorenza l’anno prosa. 10 (.vie), la cui inscrittione mostrava che tu ne fosse l’autore, dicendo il titolo Dialogo di Galileo Galilei delli due Massimi Sistemi del mondo, Tolemaico e. Co¬ pernicano ; et informata appresso la Sacra Congre. 0 * che con l’impressione di 60 detto libro ogni giorno più prendeva piede e si disseminava la falsa opinione del moto della terra e stabilità, del sole ; fu il detto libro diligentomente considerato, et in esso trovata espressamente la transgressione del predetto precetto che ti fu fatto, havendo tu nel medesimo libro difesa la detta opinione giù dannata et in faccia tua per tale dichiarata, avvenga che tu in detto libro con varii ra- giri ti studii di persuadere che tu la lasci come indecisa et espressamente pro¬ babile, il che pur è errore gravissimo, non potendo in niun modo esser probabile un’opiniono dichiarata e ditìnita per contraria alla Scrittura divina. Che perciò d’ ordine nostro fosti chiamato a questo S. OfT. n , nel quale col tuo giuramento, essaminato, riconoscesti il libro come da te composto e dato alle 70 stampe. Confessasti che, diece o dodici anni sono incirca, dopo esserti fatto il precetto come sopra, cominciasti a scriver detto libro ; elio chiedesti la facoltà di stamparlo, senza però significare a quelli elio ti diedero simile facoltà, che tu havevi precetto di non tenere, difendere nò insegnare in qualsivoglia modo tal dottrina. Confessasti parimente cho la scrittura di detto libro è in più luoghi distesa in tal forma, eli’ il lettore potrebbe formar concetto che gl’ argomenti portati per la parte falsa fossero in tal guisa pronuntiuti, che più tosto per la loro efficacia fossero potenti a stringer che facili ad esser sciolti ; scusandoti d’ esser incorso in error tanto alieno, come dicesti, dalla tua intentione, per liavcr scritto in dia- 80 logo, e per la naturai compiacenza cho ciascuno ha dello proprio sottigliezze e del mostrarsi più arguto del coniano de gl’ huomini in trovar, anco per le pro- po8Ìtioni false, ingegnosi et apparenti discorsi di probabilità. Et essendoti stato assignato termine conveniente a far lo tue difese, produ¬ cesti una fedo scritta di mano dell* Emin. m0 S. p Card. 1 " Bellarmino, da te procu¬ rata, come dicesti, per difenderti dalle calunnie de’ tuoi nemici, da’quali ti veniva opposto che haYOssi abiurato e fossi stato penitentiato dal SS. 10 Ufi. 0 , nella qual XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 405 fedo si dico che tu non havevi abiurato, nè meno eri stato penitentiato, ma elio ti ora solo stata denuntiata la dichiararono fatta da N. S.° e publicata dalla 90 Sacra Congre." 0 dell’Indice, nella quale si contiene che la dottrina del moto della terra o della stabilita del sole sia contraria allo Sacre Scritture, e però non si possa difenderò nè tenore ; e che perciò, non si facendo inentione in detta fede dello duo particole del precetto, cioò (lacere et quovis modo , si devo credere che nel corso di 14 o 16 anni n’havevi perso ogni memoria, e che per questa stessa cagione havevi taciuto il precotto quando chiedesti licenza di poter dare il libro alle stampe, o che tutto questo dicevi non per scusar l’orrore, ma perchè sia attribuito non a malitia ma a vana ambittiono. Ma da dotta fedo, prodotta da te in tua difesa, restasti magiormento aggravato, mentre, dicendosi in essa che dotta opinione è contraria alla Sacra Scrittura, hai non di mono ardito di trat- ìoo farne, di difenderla o persuaderla probabile ; nè ti suffraga la licenza da te arte- fitiosamente o calidamonte estorta, non havendo notificato il precotto ch’havovi. E parendo a noi che tu non havessi detto intioramonte la verità, circa la tua intontione, giudicassimo essor necessario venir contro di to al rigoroso ossame ; noi quale, senza però pregiuditio alcuno dello cose da te confessate o contro di to dedotto come di sopra circa la dotta tua intentione, rispondesti cattolicamente. Pertanto, visti e maturamente considerati i meriti di questa tua causa, con lo sodette tuo confessioni e scuso e quanto di ragione si doveva vodere e con¬ siderare, siamo venuti contro di to alla infrascritta diffinitiva sentenza. Invocato dunque il S. mo nome di N. S. re Gesù Christo o della sua gloriosis- ìio sima Madre sempre Vergine Maria; per questa nostra diffinitiva sentenza, qual sedendo prò tribunali , di consiglio o parerò do’ RR. Maestri di Sacra Teologia o Dottori dell’una o dell’altra leggo, nostri consultori, proferimo in questi scritti nella causa e cause vertenti avanti di noi tra il M. co Carlo Sinceri, delibimi e dell’altra logge Dottore, Procuratore fiscale di questo S.° Off. 0 , por una parte, e te Galileo Galilei antedetto, reo qua presente, inquisito, processato e confesso come sopra, dall’altra; Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le coso dedotte in processo o da te confessato come sopra, ti sei reso a questo S. Off. 0 velienientemente sospetto d’heresia, cioè d’haver tenuto e creduto dot- 120 trina falsa e contraria allo Sacre e divine Scritture, eh’ il solo sia centro della terra o che non si muova da oriento ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un’opi¬ nione dopo esser stata dichiarata e diffinita por contraria alla Sacra Scrittura ; e conseguentemente sei incorso in tutte le consuro e pone dai sacri canoni et altro constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e pro¬ mulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e Ièlle non finta, avanti di noi abiuri, malediofii e detesti li sudotti errori et 4or> XXIV PROCESSO lìl GALILEO. heresie et qualunque altro orrore ot heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo o forma elio da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo «cavo e pernicioso orrore e transgressione non resti iao del tutto impunito, et sii pili cauto noli’ avvoniro et ossempio all’ altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo elio por pubblico editto sia prohibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei. Ti combiniamo al carcere formale in questo R.° Off . 0 ad arbitrio nostro; o por penitenze salutari t’imponiamo elio per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sotte Salmi penitentiali : riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodetto peno e penitenze. Et così diciamo, promulgamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo o roser- vamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragiono potemo e dovemo. 140 Ita promin."*"* nos Carilinalea infrascripti : F. Cardinali» do Asculo. G. Cardinali» Bentivolus. Fr. D. Cardinali» de Cremona. Fr. Ant.“ Cardinali» S. Honuphrii. B. Cardinali» GipBius. F. Cardinali» Verospius. M. Cardinali» Ginettus. Io Galileo, fig . 10 dol q. Yinc . 0 Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70 , constituto personalmente in giuditio, et inginocchiato avanti di voi Emin .® 1 ot iso Rev. mi Cardinali, in tutta la Ropublica Christiana contro l’horetica pravità gene¬ rali Inquisitori; havondo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprio mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò por l’avvonire, tutto quello elio tiene, predica ot insogna la S.* Catto¬ lica et Apostolica Chiosa. Ma perché da questo S. Off. 0 , per avor io, dopo d’es- sermi stato con precetto dall’istosso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opiniono elio il solo sia contro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro dol mondo e che si muova, o elio non potessi tenere, difendere nè insegnare in qualsivoglia modo, nè in voce nè in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi notificato elio detta dottrina ò con- 160 traria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’ifiteasa dottrina già dannata et apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna solutione, sono stato giudicato vohementoinente so¬ spetto litàdi tale inslrumenlo ha saputo — 23-25. accidenti o qualità fortificanti la sua opinione, che ima il telescopio non si sanno vedere : come 2l»-8S. pii vicini o più lontani dalla terra si conoscano questo 60 et quella 40 volte minore et maggiore, cosa impercettibile all'occhio naturale ; come anco che Venere quando ì vicina alla congiun:lune del sole, ojqiarisee falcala, a guisa della luna Li emuli del (ia- lileo, invidiandoli la gloria di avere scoperto ne' cieli molti secreti et cose non conosciute sino a' nostri tempi, non potendo contradire alla verità de" suoi scoprimenti, si rivolsero a perseguitarlo per via dell' Inquisitione — 85. onde da Paolo V, instigato da alcuni frati, unsa — 87-83. 0ariani, saria stalo questo sistema Coperta- XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 409 cano erroneo et heretico, come contrario all’ insengnamento della Scrittura in al¬ cuni lochi et particularmente in Iosue: ma li (letti SS." Cardinali, così per repu- 40 tatione di Niccliolò Copernico, il quale, in riguardo di essere stato il principale maestro della riforma dell’ anno, non poteva, senza riso delli eretici che non ac¬ cettano detta riforma, venire dichiarato ereticho in una positione pura naturalo, come anco perchò non pare buona cautela il fare asserire per autorità della Sacra Scrittura nello materie pure naturali una cosa por vera che in progresso di tempo con dimostrationf sensato potrebbe chiarirsi contraria, poi clic audio nello cose concernenti la Fede, principale se non unioho scopo della Sacra Scrittura, è molte volto necessario intendere che Labbia parlato secondo la nostra capacità, perchè se si volesse obedire al puro suono dello parole si traboccherebbe in errori et impietà, come che Dio liavossi mani, piedi, passioni otc., ritennoro porò li SS." Cardinali la cosontontia elio (la Paolo V furono molto vicini a ostorquero li dotti frati; li quali si sono sempre più mostrati persecutori della persona che deH’opponiono, poi olio, asserita dal Copernico, nello spatio (li tanti anni ninno l’ha persegui¬ tata, et mentre il Galiloo solamente l’ha disputata, l’hanno fatto comparire al tremendo tribunale dol Santo Ufitio. Si ridusse allora il docroto Pontificio a tem¬ peramento di ordinare elio il sistema della stabilità del sole ot della mobilità della terra non si dovossi tenero nè difendere, perchè pareva contrario alla istoria della Sacra Scrittura ; onde il Galileo, obedendo a tale ordino, non aplicò più il pensiero a questa materia, sino elio il Sig. r Card. 11 ’ di Zollerà, l’anno 1624, glie ne fece animo, dicendoli bavere parlato col moderno Pontefice di tale oppinione, co et elio S. S. t?l li haveva ricordato baver difeso il Copernico in tempo di Paolo V, et assicuratolo che quando bene non ci fossi stato altro rispetto che la vene- ratione giustamente dovuta alla memoria di Niccholò Copernico, non liaverebbe S. S. L * mai permesso clic quest’ oppinione in suo tempo ai dichiarasse er,etica. Da che incitato il Galileo si messe a scrivere un libro in forma di dialogho, nel quale Ulne inde esamina li fondamenti et ragioni de’ due diversi sistemi Aristotelico et Copernicano, et senza piegare più a una parto che all’ altra lascia la materia indecisa: il quale libro portò lui medesimo a Roma l’anno 1630, lo messe nelle mani di S. S. l ‘ l , che di proprio pungilo corresse alcuna cosa del titolo, et di poi esaminato dal Mastro (li Sacro Palazzo, gli fu restituito con la di lui approva¬ vano dichiarato erroneo— 40. Copernico, che, come principal —41-4-2. eretici venir 42-48. posizione natu¬ rale, come parchi — 43-44. asserire alla Scrittura — 46-66. Fede, molte volte è necessario interpetrare la me- deeinia Scrittura, che abbia parlato secondo la nnstra capacità, ot DO» prout siniplìciter vorbft SOtifint, ri¬ tennero la nei itene" che da Paolo V fumo molta vicini a estorqucrc li detti frati, pili in odio della pernotta che dell'asserzione : et cori ai ridurne il decreto Pontificio a temperamento d'ordinare — 60-58. contrario alla Sacra Scrittura; onde il Galileo, toltosi da questo pensiero, itoti si applicò piti a questa— 00. ricordato essere stato difensore ilei Copernico — G8-8D. poi lo fece esaminare dal Maestro del Sacro Palazzo, che lo rese al Galileo con l'ajiprooazione, conforme alla quale si è di poi stampato in Fiorenza. V i sto il libro alle stampe, yli antichi persecutori del Galileo, invidiando di nuovo la sua yloria, li hanno mosso nuove persecuzioni al 'Tribunale del S. Ufitio, aperto sempre a qualunque calunniatore et fulminante la scomunica a chi «* ingerisce O pensa nella discolpe. N” incontra un ctrfio fratino tra il P. Firenzuola, Commissario del S. Ujisio, et il P. Mostro, 62 XIX. 410 XXIV. PROCESSO DI O A LI LEO. tiono et con uno proemio che il libro porta in fronte, fatto et disteso di ordino 70 di S. S. li ; il quale libro, nel modo sudotto approvato, si stampò a Fiorenza, per il olio di nuovo si sono svogliati gli antichi suoi persecutori, a’ quali si sono ac¬ costati quelli che con essi hanno la lito de auxiliis , por picca privata tra un del loro consortio et il Galileo sopra chi sia stato il primo a scoprire le macchie solari ; et così li hanno mosso uovo molestie davanti al medesimo Tribunale, aporto sempre all’accusa et fulminante lo consuro ot lo scomuniche contro il pen¬ siero anco della difesa. S’incontra por agiunta un odio ot porsocutiono fratoscha del P. Firenzuola, Commissario del Sauto Utitio, amato molto da S. S. u per sa¬ pore piò di disegno et di rispiarmo che di prodica 0 di teologia, contro al Padre Mostro, Maestro di Sacro Palazzo, approvatoro del libro. 11 Pupa non sa so denegare al Firenzuola elio si formino lo querele contro al Galileo, in ordino a rovinare il Padre Mostro et il Ciampoli, amico et fautore del Galileo ; si per¬ metto sia citato et fatto venire a Roma, non ostante il contagio di Fiorenza, il rigore dell’inverno et l’età di CO anni. Obedisco il Galileo, contro il parere et consiglio do’ suoi più veri amici, che li persuadevano il mutare aria, scrivere un’apologià et non si esporre all’inpertinente et ambitiosa passione di un frate. Viene a Roma, et lo tenghano due mesi in casa dell’ Ambasciator di Toschana, senza mai dirli cosa alcuna, so non che non eseba fora et non ammetta coiiYcr- sationi: in lino lo fanno andare al Santo Utitio ; lo ritenghono in libera custodia undici giorni; P esaminano solamente sopra la licentia et approvatane del libro, tìo Dice egli haverla hauta dal Mastro di Sacro Palazzo: lo rimandano a casa del medesimo Ambasciatore, con ’l stesso ordine di non uscirò nò praticare. Rivol- ghono la persecutiono contro al Padre Mostro, il quale si discolpa, prima con dire di bavere haute ordine di approvare il libro da S. S. u medesima; ma perchè il Papa nega et s’irrita, dice il Padre Mostro haverglielo commesso il Secre¬ tano Ciampoli d’ordine di 8 . S. u : replica il Papa che non bì dà fede alle parole: in line il P. Mostro mette fuori un viglietto del Ciampoli, per il quale se li dice che 8. S. là (alla cui presenza il Ciampoli asserisco di scrivere) li comanda di approvare il detto libro. Vedendo dunque non poterla attaccbare al P. Mostro, per non parere di bavere corso la carriera a voto, instandolo massimo fortemente li 100 antichi emuli del Galileo et li nuovi pretensori della vista dello macchio solari, hanno fatto andare il Galileo nella Congregatone del Santo Utitio et abiurare formatamente P openione del Copernico, anchor che a lui fosse soperfruo, chè non hfaeitro del Sacro Palanco. Il Papa, inclinato al Ftrentuni a piò per la fortifica rione di Coltello che per dottrina o bontà, et irritato contro il tuo ijià Secretorio Coimperi, umico et fautore del Galileo, permette cheti formino le querele, che il Galileo eia citato, che ti faccia oenirt a /forni, min ottante il contagio e 'l rigore del¬ l’interno et l'età che jxiiia CO anni. Viene il Galileo a Poma, contro 1 1 tento de'tuoi jnù reri amici, che lo contiglituano di muffire aria, eericere un’àpologìà et non venire a loitoporti all'ignoranza et ambitioea paerione d'un frate. Sta qui in caea deli Irnhaecìalore di Fiorenza due meli, e he non ti ì nini ditto ooia menu*a, te non dato ordine di non andar fuori e di ammetter poca enn vena e ioni : al fine — 100-102. la carriera a vuoto, hanno fatto - 108-104. ancor che egli non avene biiogno, poi chi non t a ineriva, ma evlamente deputava. Ve- XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 411 l’ha tenuta nè difesa, ma solamente disputata. Vedendosi il Galileo astringere a quello che non barerebbe mai creduto, massime che ne’ discorsi hauti col P. Firenzuola Commissario non li fu mai motivato di tale abiuratione, supplicò li SS. ri Cardinali che, poiché si procedeva con lui in quella maniera, li facessero dire quanto a loro Eminenze piaceva, eccettuando solamente due coso: 1’ una, che egli non dovesse mai dire di non essere cattolico, perché tale era et voleva mo¬ no rire, a onta e dispetto de’suoi malevoli; l’altro, che nò meno poteva dire di havere mai ingannato nessuno, et specialmente nella publicatione del suo libro, il quale haveva sottoposto alla censura ecclesiastica et, havutane legitiinamente 1*approvatione, fattolo stampare: doppo la quale protestatone lesse quanto il Padre Firenzuola haveva disteso. Dipoi con permissione di S. S. tà è partito verso Toschana, havendo esprementato che forse li conpliva più il seguitare il consi¬ glio deili amici, che obidire alle arrabbiate persecutioni do’ suoi emuli. 5) Editto del Vescovo di Cortona. Cortona, 13 settembre 1633. Riproduciamo questo dncunmnto dallo Novelle letterarie pubblicate in Firenze l'anno MDCCLXXXV. Voi. do- cimososto. In Firenze, MDCCLXXXV, nella stamporia di Francesco Mollcko, col. 630-531. D’ordine della S. Congregazione del S. Ollìzio si notifica con il presente Editto a tutti della città et diocesi di Cortona, et in particolare a’ professori di filosofia, come Galileo Galilei, per sentenza data dalla stessa S. Congregazione, ha abiu¬ rato 1* opinione clic il solo fosse centro del mondo e immobile c che la terra si movesse. Per il che, essendo stato una volta avvertito da quel S. Ollìzio e non¬ dimeno caduto nell’ istesso errore, con tenere detta opinione, è stato dichiarato et tenuto per sospetto vehemente di fede, e però condannato a carcere arbitraria et a recitare ogni settimana i 7 Salmi penitenziali, sotto il dì 22 Giugno 1633. Onde, perchè da tutti et da ciascuno in particolare se ne abbia notizia, ad ef- 10 fetto di guardarsi come si parla et come si tratta circa le coso appartenenti alla Fede et alla Chiesa et suoi Prelati ; in esecuzione dol sopradetto ordino vogliamo die questo nostro Editto si attacchi ne’ luoghi soliti, et non si stacchi da alcuno, dcndoii — 106-110. abiuratione, s'inginocchiò alti Cardinali del S. Ufizio, supplicandoli che, jtoiohò ai proce¬ deva in tal maniera con lui, fuori di ogni tuo merito, cccsituassero due punti, e poi facessero dirli guanto vo¬ levano : l'uno, che non li facessero dire di non esser cattolico, perché era e voleva esser tale, a dispetto di tutto il mondo; l'altro — 112-116. et, conforme, alla sua approvatione, fattolo stampare : aggiungendo che se loro Eminente lo stimavano degno del fuoco, che lui medesimo sarebbe il primo a mettervi la candela, anco in atto publiao, et che era pronto di fare il catafalco, et al tutto a proprie, spese, mentre le venissero date le ragioni da refe.rire contro di esso libro : doppo diche lesse quanto haveva disteso il P. Firenzuola. Et finalmente ò poi stato habilitato di tornare in Toscana, per dove ì partito alcuni giorni sono, molto contento di havere sprezzato il consiglio di chi li dissuadeva la venula a Roma. La redazione ili mauo del see. XV1I1 termina con queste parole. — 412 XXIV. PR0CE88O 1»I QAL1LK0. sotto pena di scomunica da incorrersi subito et di procedere contro a tale pre¬ sunzione por sospetto di fede, etiam all’Uffizio della S. Inquisizione. Dato nel Palazzo Episcopale, questo di 13 Settembre 1638. Matteo Zotti Cancelliere de mandato. »i) Notificazione della condanna di Galileo falla dal Nunzio di Colonia. Liogi, 20 nettumbro HW8. Kiprotiuoianio quanto documento dall'edizione rii* no fece U.Monna*Mr col titolo: Nniiflealìan de la eondamnaiion de Galili e, dalie d* Tàbj* 90 trimembre 1888, publii - par le Aa<«* d* Cotogne dune tee Payi Uhfnane ri la Ba**-AIUmagn*. Tonto d'npròn uuo copio mnnuscrito, aree reinirquM. Saint Trend, 18»8, pajr. 14-17. Petrus Aloysius Carafa, Dei et Apostolicao Sedie gratin Episcopus Tricari- censis, S. D. N. Urbani PP. Octavi eiusque Sanctae Scdis ad trachini Rheni et ad partes Germaniae Inferiori», cum potestate Legati a latore, Nuncius. Quia Sacra Indicis Congregati© Kminentissimorum et Reverondissimorum S. R. E. Cardinalium suspenderat tractatum Nicolai Copernici De revolutionibus orbiutn caelestium, cum in eo asserat moveri orbem terraruni, solem vero immo- bilem esse et esse mundi centrum, qnae opinio Scripturae Sacrae adversatur; atque adco quia altera etiam Sacra Congregatio Eminentissiinorum et Reveren- dissimorum S. R. E. Cardinalium in universa Republica Christiana Inquisitorum generalium adversus liaereticam pravitatem aliquando inhibuerat Galileo Galilei io Fiorentino, ne (quod egerat antoa) sententiam antedi e tam Copernici sectaretur aut aliis eam explicaret; illam vero pariter Galilei asM-rtionem, nempe solem esse centrum mundi nec moveri motu locali, declaraverat absurdam et falsam in philosophia et formaliter liaereticam, cum sit expresse contraria Scripturae Sacrae; aliamque assertionem eius, videlicet terram mundi centrimi non esse nec stare immobilem, sed moveri motu locali ac diurno, censuerat pariter absur¬ dam et falsam in philosophia, in theologia vero ad minimum in Fido orro- neam ; additis salutaribus monitis ab Eminentissimo Cardinali Bellarmino, et interposito etiam praecepto Commissarii eiusdem Sanctae Inquisì tionis, quo inbibitum Galileo fuit anno 1616 ne talia deinceps aut sentiret aut doceret, nec 20 . non a Sacra Congregatione Indici» prohibitis liliris eius de istiusmodi argu- rnento editis, utpoto qui continerent doctrinani falsam et penitus contrariami Scripturae Sacrae; et quia nihilominus prodiit Fiorentine, non ita pridem, liber cum ea inscriptione Dialogus Galilei Galilei de duobus SystemaNbus Maximis mundi, Ptolcmaico et Copernicano, in eoque propagari et contimi ari a Galiloo falsa ea doctrina rursus videbatur ; quapropter idem Galileus, citatus ad Sacrum illud Tribunal Inquisitionis et inquisitola et in carcere detentus, praevioquo XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 413 examine confessus, visus fermo fuit iterato in eadem sentcntia esse, quamvis liypothetice aseillam proponi simularet; ex quo factum est ut, re optime discussa, 30 prò tribunali sedentes iidem Eminentissimi Cardinales Inquisitores generalcs pronunciarint et declararint, oundeiu Galilemn vebementer suspectum videri de haeresi, quasi sectatus fuerit doctrinam falsam et contrariam Sacris ac divinis Scripturis, hoc est solem esse centrum mundi nec moveri ab ortu in occasum, terram vero contra moveri nec mundi centrum ipsam esse, aut quasi eam doctri- nam defendi posse uti probabilem existimaverit, t am et si declaratum fuerit eam Scripturae Sacrae adversari; sicut etiam pronunciarunt, ipsum Galileum incur- risso in censuras ot poonas latas a sacris canonibus et ab aliis scu generalibus seu particularibus constitutionibus. Quam ideo scntentiam idem Galileus, aetate septuagenarius, provolutus in genua ante eosdem Eminentissimos Cardinales In¬ do quisitores gcneralcs, conceptis verbis, cordo sincero ac fide non ficta, abiuravit ac detestatus est; et insuper iureiurando promisit, so in postcrum talia nunquam a8sertunim, pocnasque impositas, tam carceris ad arbitrium eorundem Eminen- tissimorum Cardinalium, quam recitationis septem Psalmorum poenitentialium semel quavis hebdomade ad triennium, acceptaturum. Eos hunc ipsius processum summatim, ex eorundem Kminentissimorum Car- dinalium mandato, referre ac promulgare in legationis nostrae provinciis voluimus, ut ubique, et in Àcadomiis praesertim, innotescat, et potissimuni ut gravita» erroris eiusdem Galilei omnes philosophiae et matheseos tam studiosos quam professores crudiat, ne quid praotor doctrinam sanam et «Scripturae «Sacrae con¬ io sentaneam sectari aut aliis exponore praesumant. Datimi Leodii, die 20 Septembris anno 1633, Pontificatus S. D. N. supra- dicti anno undeciino. Beodii, typis Leonardi Strecl, typograplii iurati, 1633. 7) Prima divulgazione della sentenza contro Galileo per mezzo di una gazzetta. (Parigi, 1633J. Riproduciamo rpiosto documento dal Recutil dm qnzdte* nnuvtlle» et relation» de inule, l'année I d,9.9, dediti an Roy par TiiKoniHAaTK Krnaudot. l’aria, au bureau d'atlresae, 1634, n.° 122 dell’ anno 1638, pag. 681. Nous Gaspar, du titre de S. te Croix en «Terusalem, Borgia ; Fr. Felice Sentivo, dii titre de S. to Anastasio, dit d’Ascoli ; Guido, du titre de SA® Marie du Peuple, Bentivoglio ; Fr. Desiderio Scaglia, du titre de SA Charles, dit de Creinone; Fr. An¬ tonio Barberino, dit de SA Onofrio ; Laudonio Zacchia, du titre de SA Pierre ez Liens, dit de SA Sixto; Berlingerio, du titre de SA Augustiu, Gessi ; Fabritio, du 414 XXIV. PROCESSO DI UAL!LEO. titre de S.* Laurent in Pane o Penna, Veeospi, tous prestres ; Francesco Barbe¬ rino, du titre de S. 1 Laurent en Damas, et Martio, do S. u Maria Nova, Ginotti diaerea ; par la misericorde de Dieu Cardinaux de la S. U. E., et spécialment députez pour estro Inquiaiteurs géneraux de la Sainte Foy Apostolique; Conime ainsi soit que toy, Galilée, fila do Vincent Galilée, Florentin, aagé io do 70 ans, ayea eaté dénoncé de Pan 1613 à ce Saint Oflice, pour ce quo tu touois pour véritable la facce doctrino enseignóe par aucuns, que lo soloil soit le centro du mondo et immobile, et que la terre no Peetoit pas, mais se remuoit d’un mouve- mont jouraalier ; quo tu enaeigneois cotte doctrino A tea disciplea, et Poscrivois aux mathéinaticiona d’Allemagne, tea correspondans ; avois fait imprimermi livre des taches du soloil, ot publié autres oscrits, contenant la mosme doctrino, qui est aussi cello do Copernic : les théologiens et docteurs ayans trouvé cotto opi¬ nion non soulernent absurde ot fausso en philosophie, mais du moins erronóo en la Foy: ensuite do quoy, dòs le 29 Févrior 1616, dans la Sacrée Congrégalion tonuo dovant Sa Sainteté, il fut décròté quo PKminentissimo Cardinal Bellarmin 20 mettroit ordro quo tu quitterois entiòremont cette fausse opinion, a fante do quoy le Oommissnire du dit Oflice t’en feroit commandement, avec défense de l’ensei- gnor jamais fi aucun antro ni do la soustenir, i\ peine de prison ; en exécution duquol décret, le jour ensuivant, apròs bonignes et familiòres remoustrances du dit Cardinal Bellarmin a toy laites dans sa maison, le dit Cominismiro, assiste de notairo et tesmoins, te lit le« commandemens ot defenses sua dites, ausquols ayant premia d’obeir tu fus envoyé, et un décret fait par cotto Congrógation, censurant les livres qui traitoient de telle doctrine, contraire à la Sainte Escri- ture; toutesfoia il a naguùrea paru un livre imprimé a Florence sous ton nom, intitulé Dìalotjuc des denx sysimirs du monde, de Ptoìomée et de Copertile, auquel 30 tu dófen3 encore les mesmes opiniona; c’est pourquoy nous t’avona appellò de nouveau ; et sur tes confessions, recognoiasances et productiona, par aentence de¬ finitive rondue dans nostro tribunal, du conaeil et avis du II. P. Maistre do la sacrée Théologie ot des Docteurs de l’uno et P autre loy, apròs Pinvocation du S. nom do Jesus et de Sa glorieuse Mòre tousiours Yiorge, ontre le Magnifiquo Carlo Syncero, Docteur ez deux loix, Procureur fiscal de ce Saint Oflice, deman- deur et accusateur, d’une part, ot toy, Galilée accusò et icy present, d’autre, disons, pronongons et sententions que toy, Galilée, t’es rendu fort auspect d’hé- ròsie, ayant tcnu cette fausse doctrine du mouvemout do la terre et repos du soloil, et que l’on pouvoit defendre comme probable une opinion apròs avoir 40 eaté declarée contraire à PFioriture, Consé429. — Di mano della prima metà del secolo XVIII. Voi. 1181. Contro Gallileo Gallilei. Processo. Nel mese di Febraro 1615 fu trasmessa in questo S. Offizio una scrittura da Fiorenza, di cui andavano in giro più copie, la quale, seguendo le posizioni dei Copernico, che la terra si muova et il cielo stia fermo, conteneva molte propo¬ sizioni che meritavan censura ; e fu avvisato che tale scrittura si era pubblicata per contradire a certe lezzioni fatte nella Chiesa di S. Maria Novella sopra il X Capitolo di Giosuè, alle parole Sol, ne movearis. In questa occasione fu veduto il libro dello Macchie Solari, stampato in Roma io dal medesimo Gallilei, e furono ritrovate le due seguenti proposizioni : Sol est centrum mundi, et otnnino immobilis motti locali ; Terra non est centrimi mundi, et secundum se totani movetur etiam motti diurno ; le quali furono qualificate per assurde in filosofia, e la prima per eretica formalmente, come espressamente ri¬ pugnante alla Scrittura et opinione de’ SS. Padri, la seconda poi almeno per erronea in Fide , attesa la vera teologia. Fu pertanto de’ 25 Feb.° 1616 ordinato dal Papa al Card. Bellarmino che, chiamato avanti di sè il Gallileo, gli facesse precotto di abbandonare e non trattar XIX 63 * 118 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. più in modo alcuno di detta opinione dell’ immobilità del aule e della stabilità della terra. Sotto li 26 detto dal medesimo Cardinale, presenti il P. Comissario del S. Of- 20 tizio, notaro e testimoni, gli fu fatto il detto precetto, al quale promise obbedire, il di cui tenore era che oninino deaererà dictam opinionem, nec etiam de caetero illam quovis modo tenerci, doceret et defenderei ; alias contro ipsum in S. Offitio procederetur. In conformità di che, usci decreto dalla S. Cong. M dell’ Indice, col quale si proibì generalmente ogni libro che trattava di detta opinione del moto della terra e stabilità del sole. Nell’anno 1630 il Gallilei portò in Roma al P. Maestio del Sagro Palazzo il suo libro in penna per stamparlo : e per quanto fu all’ ora riferito, per ordine di detto P. Maestro fu riveduto da un suo compagno, di che però non apparisce fedo; anzi si suppose che volesse il P. Maestro del Sagro Palazzo, per maggior so sicurezza, vedere per sè stesso il libro, ma por abbreviare il tempo, concordasse con l’autore che, nell’atto di stamparlo, glielo facesse veder foglio per foglio; et acciò potesse aggiustarsi col stampatore, gli diede l’ Imprimatur per Roma. Doppo di ciò partì l’autore per Firenze, da dove fece istanza al P. Maestro del Sagro Palazzo per la facoltà di stamparlo colà, e li fu negata. Successivamente però si trova che fu rimesso il negozio all’Inquisitore di Firenze, e che, avocando da sè il detto P. Maestro del Sagro Palazzo la causa, lasciò all’ Inquisitore su- detto P incarico di concedere 0 negar la licenza, avvisandolo di ciò che aveva ad osservare nell’impressione: e su questo si ha fra le altre una copia di let¬ tera scritta dal P. Maestro del Sagro Palazzo all’ Inquisitore di Firenze e della 40 risposta dell’Inquisitore, il quale avvisò di aver commessa la correzzione e revi¬ sione del libro al P. Stefano, Consultore del S. Off. 0 Finalmente si trova che il Maestro del Sagro Palazzo non seppe altro, se non che vidde il libro stampato in Firenze, e pubblicato coll’ Imprimatur di quell’ Inquisitore et anco coll’ Impri¬ matur di Roma ; onde, per ordine del Papa, fece raccogliere que’ libri che potò avere, considerò il libro, e trovò che il Gallilei aveva trasgredito gli ordini e pre¬ cetto fattogli : onde, riferito quanto occorreva nella Cong.®*» del S. Uffizio tenuta avanti la S. memoria di Urbano Vili li 23 7bre 1632, fu decretato che si scri¬ vesse all’Inquisitore di Firenze che facesse precetto al Gallilei di venire subito in Roma e presentarsi al S. to Tribunale. In fatti, venuto a Roma il Gallilei e costituito sotto li 12 Aprilo 1633, doppo il primo costituto fu arrestato nel S. Off. 0 , dove, terminati li costituti, fu pro¬ posta la di lui causa nella Cong."* tenqta avanti il Papa li 16 Giugno 1633 : e Sua Santità decretò che il detto Gallilei s’interrogasse, anche con comminargli la tortura, 0 sostenendo, precedente l’abiura de vehementi da farsi in piena Cong." 6 del S. Off. 0 , si condannasse alla carcero ad arbitrio della S. Cong."*, e gli s’in- giongesso cho in avvenire nò in scritto nè in parola trattasse più in qualsivoglia % XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 419 modo della mobilità della terra nè della stabilità del sole, sotto pena di rilasso; che il libro da lui composto, intitolato Dialogo di Gallileo Linceo , si proibisse; et 60 inoltre che gli esemplari della sentenza da proferirsi come sopra si trasmettes¬ sero a tutti i Nunzi Apostolici e a tutti gl’inquisitori, o particolarmente a quello di Firenze, il quale leggesse nella sua piena Cong. ne , avanti particolarmente de’ professori della mattematica, pubblicamente la detta sentenza, come il tutto fu eseguito. Li 23 Giugno del detto anno fu dal Papa abilitato dalle carceri del S. Off.® al palazzo del Gran Duca alla Trinità de’ Monti in luogo di carcere, et il dì primo Xbre dell’ istess’ anno fu abilitato alla sua villa, con elio vivesse in soli¬ tudine, nè ammettesse alcuno per seco discorrere, per il tempo ad arbitrio di Sua Santità. 70 Li censori che qualificarono le sudette due proposizioni del Gallilei, furono li seguenti: Monsig. r Pietro Lombardi, Arciv. 0 Armacano; Fra Giacinto P e t ro n i, Maestro del S. Palazzo ; Fra Raffaele Rifoz, Generale de’ Predicatori; Fra Michel Ang.°. (,) Consultore; Fra Giacomo Tinti, Compagno del Commissario; Fra Girolamo Frasolimagiore, Consultore; Fra Tommaso de Lemos; Fra Giorgio Nunnias Cornei; 80 Benedetto Giustiniani, della Compagnia di Gesù; D. Raffaello Rastelli, de’ Chierici Regolari; e D. Michele da Napoli, Casinense. 10) Deliberazione della Congregazione dell’ Indice, di omettere il Decreto che proitnsce i libri che insegnano il moto deila terra. Roma, 16 aprile 1767. Aron, della Saora Gonjrrejrazlone deU’Indice In Roma. Àcta Sacrae Indicis Con grog at ionia ab anno 1749 ad annum 1763, pag. 129. — Originale. Die 16 Aprilia 1757. In Congregatone particulari Consultomm, coram E. m0 Praefecto, haec circa novum Iiidicem constituta sunt: 2.® Quod, habito verbo cum SS. mo D. N., omittatur Decretum quo prohibentur libri omnes docentea iramobilitatem eolia et mobilitatene! terrao .... <*) Questi puutolini sono nell'originale. •A 20 XXIV. PROCESSO DI GALILEO. 11) Deliberatici della Canore pattane del .9. Uffitio intorno alla stampa dei libri che insegnano il moto della terra®. Roma, 18540 18542. Arch. della Saora Congregaaione del 8. Ufflalo In Roma, a) Utcrtia, 1820. Car. 127. — Originala. Feria IV. Die 16 Augusti 1620. Circa petitionem Professoris lacobi Settele, a SS." 0 remissam huic S. Congrogationi, prò permissione impressioni» sui operi» super doctrina mobilitati» terrae, aibi denegata a P. M. S. Palatii Apostolici, do quo sub Feria IV, die 9 Augusti 1820, rescriptum fuit quod scribat ali quia ex DD. Consultoribus circa tomperamentuni hao in re sumendum ad tuendam decentiam S. Sodi», lecto voto R, P. 3M. Antoni) Maria»* Grandi, E. ml DI), decreverunt iuxta votum P. Confluitone qui scripsit, nompe: « Nihil obBtare, quominus defendi poesit sen- » tentia Copernici de motu telluris eo modo quo nuno ab auctoribufl Catholicis defendi » solet ; et ad mentoui : » Et mens est, ut iiisinnetnr R.“° P. Magistro Sacri Palatii Apostolici ne impediat io * editionem Elonientorum Canonici losephi Settelo ; Canonico autem Settele insinuetur ut > ipso in opere nonnulla iuserat, quibus ostendat, sententiam Copornicanam, ut modo » defenditur, non amplius iis difficultatibu» osso obuoxiam, quibus, ante posteriora obser- ► vata, antiquis temporibus implicabatur ► . Fraeterea addiderunt, quod qnatenus P. Magister S. Palatii Apostolici renuat con¬ cedere veniam improssionis operi I). Professoris Settele, de quo agitur, eidem venia conce- datur ab E.“® et K. m0 1). Cardinali a secreti» 8. Congregationis S. Oflìcii; et ad mentem: Menu est, quod praesens resolntio per IL F. D. Assossorom reforatur prò approbatione Sanctitati Suae in solita audientia, oidemque Sanctitati Suae exponatur votuin S. Congro- gationis, ut oius nomine silentium imponatur ipsi P. M. r0 S. P. A. rolate ad hanc inipres- 20 sionem, atquo notificetur voluntas 8. Congregationis, quod in propriis operibus imprimendiB petat ab E. mo Urbis Vicario veniam improssionis, neque bano npponat nomine proprio, non omisso permissu Superiori» sui Ordinis. Eadem die de sero SS. mu *, in solita audientia R. P. D. 8. O. Assessori impartita, supra- dictam resolutionom una cura mente ab E. ml * DD. Cardinalibus gonoralibus Inquisitoribus captam benigne approbavit. {i] Cfr. yuovi, ludi GalQtiani frk.Vir auo( Memori» Tino.IdocvmnUidilProc4; 0 di(7alilto(A(. Domino Archiepiscopo Fiorentino, in dicto Monastero solitane profesaionem eraiaerunt et in eo profesaae fuerunt, io promictentea obbedientiam, paupcrtatein et caatitatem, ot proferendo alia verba in aimi- libus profeeaionibua rocenseri consueta, mandati tea etc. Actuin in ecclesia dicti Monasteri! et apud feneatellam eiuadem, presentitola ibidem R. D. Dominico della Nave a Dioomano, confessore dicti Mouosterii, et Scr Zenobio la- cobi de fieuuccia, notano Fiorentino, testibua. b) Di Livia. Firenae, 28 ottobre 1617. Arch. dell’Arcivescovado di Flrenxe. Film citata al doc. precedente, car. 118r. - Originale Die predicta 1 *». A on. Sor. Arcangela, in aeculo Livia filia 1).‘ Galilei de Galilcia nobilia Fiorentini, mouialis iodata aed nondum professa in Monaeterio Sancti Mattimi in Arcetria extra Flo- rentiam; volena in tempore a Sacro Concilio Tridentino statuto profesaionem in dicto Monaeterio emictero, et eiua vitaui regularem subiicero diaci pi inae; ideo, conatituta coram “» Ottobre 1616. i 1 " 28 ottobre 1617. XXV. PROFESSIONE MONASTICA DELLE FIGLIE DI GALILEO. 423 R. M. Sor. Laura de Gaetanis, Abbati ssa dicti Monastero, ceterisque monialibus eiu adoni, in omnibus 111. et R. D. Cammini de Pandulpbinis, I. (3., Canonici Fiorentini et dicti Mo¬ nastero gubernatoris, recipieotis prò Ill. mo et. R.'" 0 1). Archiepiscopo Fiorentino, solitimi professionem io diete Monastorio emisit et in eo prolessa fuit, promictons obbedientiani, 10 paupertatem et castitatem, et proferendo alia verbo in similibus proi'essionibus receoseri consueta; et successive eam velavit, et por onines req. 0 * et mandane etc. Actuni in ecclesia dicti Monasteri! et apud fenestellam eiusdem, presentibns ibidem R.R. D. 00 Domenico Benedicti della Nave, presbitero Fiorentino, et Dominico de Bonecbis, Rectore et Priore Ecclesiae S. Felicis ad Emani, diocesis Florentinae, testibus. IM Cosi il documento: la formula consueta era « per oumes actus requisitosi. 424 XXVI. VIAGGIO T)I GALILEO A LORETO. Orbino, y giugno Itìlb. Aroh. di Stato In Flrena®. Archivio d'Urbino, CI. Ili, TV..., n.« XXXIX, Diario autografo di Francesco Maria DILLA HoTbib, duca il' trbiuo (non cartolato), «iti di»m. 1618 . Giugno. 9 . > Arrivò 0> il Galileo, che veniva da Loreto, di rittorno a Fiorenza. «*) lnlondi, ad Urbino: cfr. Voi. Xil. n.» 1885. XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. 1619 1049. 42 !) a) Privilegio di legittimazione. Firenze, 25 giugno 1011). Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 19. — Originalo, munito del piombo Modi eoo e con le firmo autografo. Cosinus II Dei gratia Magnus Dux Etrnriae etc. Recognoscimus et harinu serie literarum notum faciuius universi», quoti aequitati et rationi consonuin esse ducinms, ut qui natalium clefectu legitimis actionibus excluduntur. aliquando nostra Ducali gratia et legitiniationis benefìcio repnreutur, praosertim qui gc- nitorum preci bus prò huiusmodi miniere impetrando Nobis commendantur. Nuper siquidem dilecti Nobis Galilei do Galileis, Vinccntii lilii, civis Fiorentini, Pbilosopbi et Mathematici Nostri primarii, exibitiv petitio* 1 continebat, se so, matrimonio solatimi, ex muliore pariter soluta, duodecim fero ab bine annis, naturalem filium, Vincentium nomine, illegitime su- 10 scepiasof*!, rogabatque suppliciter ut quao supradicto Vincontio, nulla eius culpa, obvenit goniturae maculam, Nostra benignitate abstergore, ipsumque legitimantes ad pristinum naturae statimi et primoeva natalium iura rostituere, dignareinur, ut paternorum bonorum et baereditatis ac aliorum quorumeumque, nocnon dignitàtum et honorum, capax et ido- neus efficeretur, ac si de legitimo matrimonio natus esset. Nos igitur, qui huiusmodi in- noccutes propensius adiuvamus, quorum maxime insti tuta pareli tuia attestatione probata fuerunt, ut, suorum natalium restitutionem adepti, viriate et bonis inoribus eo magi» augeantur, praedictis atque aliis iustis causis moti, ex certa sciontia et de nostrae pote- statis plenitudine, et suprema qua utiranr auctoritate, praefatum Vincentium Galilei fìlium naturalem, eumeni ab eo defectum et geniturae maculam amoventes, legitinmmus, dispen- 20 saraus et ad natalium primoeva iura pienissime restitiiimus, perinde ac si vere a principio ox insto et legitimo matrimonio conceptus, natus, procroatusque fuisset. Yolumus nanquo ot expresso decernimus, ut patria sui naturalis familiae nomen gentilitiuni et agnationem et ius fereudi arma seu iusignia acquirat, et ad omnia et singula iura quarumeumque successiouum et lmereditatum agnatorum scu cognatorum et afiiuium ot aliorum quo- rumeumque, tara ox testamento et quavis ultima voluntate, quam ab intestato, et prae- sertim ad successionem et haoreditateni praefati Galilei, cius patris naturali», et tam ex dispositione iuris communis, quam Statutorum Florenlinorum aliornnique locorum utrius- que nostrae ditionis Florentinac et Senensis, admittatur, perinde ac bì ali iuitio de legi¬ timo matrimonio procreatus esset, sine praeiudicio tamen filiorura legitimorum et natu- 30 rulium, si quos ipsum Galiloum suscipere contigerit; ad bonoies quoque, dignitates, officia <‘> Cfr. Voi. XII, n.° 1370. XIX. Cfr. Doc. XVI, c). 51 420 XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. et beneficia quorum est capa* pater eiua naturaiis prnedictus, admitti possit et vule&t, exceptia tamen publicis honoribns et ra agiatra tibus civitatia nostrae Florentiae, a quibua iuxta antìquaa coustitutiones interim exoluaum esso voluraus, donec a Nobis sub hoc epe- cialiter indultuna et provianm fuerit. t^uod qnidem privilegium et legitimationis beueficium ab omnibus in dominiis noatria inviolabiliter obftervuri volumua et uinndanmB, non ob- Btuntibua legibus statutis et comtitutionibus specialibus vel generalibus, et quilmscumquo aliia quae in contrarium quoroodolibot faeerent, quibua omnibus et singulis, in quautum buie legitimationi obatarent, ex certa aciontia, motu proprio, et de nostrao potestatis plenitudine, apecialiter et expresse derogamua et derogatum case voluraui eh mandamus, et inaiai tali» forent quod do ita speciali» mentio et ad verbum fieri oporteret. Nulli igitur 40 homiuum liceat bauc nostrae legitimationis paginam infringere, aut huic giatiae quovia temerario auau adveraari, et contra indultum nostrum aliquid attentare, sub noBtrao in- dignationia puona aliiaque mulctis et praeiudicm arbitrio nostro succesaorunive noBtroruin quandocumque declarandis. In quorum tidern prueaeua diploma munu nostra lirmavimus, et plumbei sigilli nppomione numi ri impiuma. Datura Florontiuo, die xxv lunii anno aalutiferae Iucarnationia Domini Nostri lesu Cbristi MDCXIX, Magni vero Nostri DucatuB F.truriae anno uudecirao. Co a m us Mag.' Dux Etr. M Curtius Lichena a secretis primarius. Niocolaus Antellensis J. C. Senator vidit 50 Laurenti u« lls imbardi uh. 6) Elezione a un trono nel Collegio di Sapienza in risA^b 1 Firenze,] 15 ottobre 1625. Arch. di Stalo in Pisa. Università, Fili» n." 21 (Nogozl dolio Stadio, Filze n." 5), c»r. 339r.-843r. —Ori¬ ginale. Lo iuformazioni sopra i concorrenti al luoghi vacanti sono di pugno di amanuense; le lin. 12-18 sono di mano di Gicmo Cavalli, o lo liu. 14-20 di nuuo di Liosauuo Accolti; la Arma dol Granduca Fkkuinando II è autografa. Ser.® 0 Gran Duca, 1/ luoghi vacanti questo proselito anno, et che si possono concedere noi Collegio di Sapienza, sono n.° XI. Firenze, n.° 7 in Sapienti» (t) . Andrea, figliuolo di Ser Gio. Batista Guerrini, Cancelliere dello Bande, d’età d’anni 18, di buoni costumi. Dotto suo pndre è carico di 7 figliuoli, con tenue (acuità. Supplicò l’anno passato, e questo ancora; e questo anno è riuscito di ragionevole intelligenza circa 1' huinanità. quel momento occupavano posti di Sapienza, erano sotto. i" Cfr. Voi. XIII. n.« 1734. Intendi, elio i giovani Aorautini i quali iti XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. 427. Vincenzio del S. r Galileo Galilei, d’età d’anni 19; et per essere il detto suo padre 10 cognito all’A. V., non sogghignerò altro in detto particolare: et quanto al giovane, ò cl’ intelligentia ragionevole circa le lettere latine, da posser applicarsi a scientin maggiore. Di V. A. Ser. ml1 Humil." 0 Servo G iulio Cavalli. Loro Altezze eleggono per li undici luoghi vacanti presentemente nella Sapienza di Fisa: Andrea di Sor Gio. Batta Gnerrini ; Antonio di Marco Lorenzi; Bartolomeo di Piero Pesci ; Vinc. 0 elei Dott/ 0 Galileo Galilei. 20 Tutti quattro per Fiorenza. F e r. Lionardo Accolti. 15 Ottobre 1625. c) Diploma ni laurea. Pisa, 6 giugno 1628. 33ibl.Naz.Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.® 24. — Originalo. In Dei Nomine amen. Iulianus Medi CBS, Dei et Apostolicae sedis grat.ia Archiepiscopue PitmnuB, Insularum Sardiniae et Corsicae Priinas, et diete sedis Apostolicae in eie Legatus uatus, nec non Pi¬ sani Almi Gymnasii Apostolica Cesareaque authoritate Cancellanti» ; eoque in intrascripto actu absonto, Nos Benediotus Leolns Pisaims, I. U. D., Arcbidiaconus Primatialis Lccle- siae Pisarum, Prothonotarius Apostolicus, Vicarius ac LocumtenenB generalis ab eo ad infrascripta omnia et singula specialiter constitutus et deputatila; universis et singulis presentes nostras inspecturis salutem in Domino sempiternam. Cura, inter ceteras in toto orbe terranno venerandas et famosas Acadeniias et cla- 10 rissimorum Doctorum Universitates, Pisana multis ornaraentis et privilegiis honestata nm- xime fulgcat, in qua etiain ad Doetorutus et Magisterii publicam eteminentem dignitatem, Pontificia ot Caosarea authoritate, sublimantur et extolluntur illi quos, longo exercitio, labore, studio, disciplina et ingenio, suniinis vigiliis, ornni denique conatu et nixu, spretis et relictis voluptatum illecebris, se se doctrinae penitus dantes, Bacras et pene divinas Canonicam Civilemque scicntias adeptos, nmximis laudibus ac verissirais testimoniis accu¬ rate reperit probatissimos, et qnos certamen generalis et rigorosi examinis, Corani Nobis et Venerando lurisconsultorum Collegio, per concurrentem virtutum copiam meritorumque 428 XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. excellcntinm ita promovet ut doctoreis infidi», privilegii», prorogati vis, honoribus et di- gnitatibuB veuiant decorandi ; Cam itaque egrcgius nc eruditila Vir, moribus mode*tua, ingenio acutissimus, doctrina 20 proditu8 et soientiarum cognitione praeclarne, Domino* Vincenti na GalileuB Florentinua, Almi Collegi! Ducali» alumnus, Exo. Phylosophiae Doctoris Domini Galilei filine, qui, sua fiorente etate, in caeleberrimo Pisano Gymnasiu per quinquennium, assiduta oxorci- tatus vigilila, iuri Pontificio et Caos areo sollicitnm et curio un operam iagiter impendit et navavit, acholustioosque set uh arguendo, conferendo, disputando et esercendo, de lune fuerit legittime Corani Nobis Vicario et Vieooancellario preluto presentata per Mag. co * et Exiuiios Virus, in Utraqae Censura Dottore», Excell.*“' Dominnm Maeoum Antonium Pierallium Miniatensem et Dominum Hieronymam a Sommaria Florentinum Equitem, promotore.» suos, in eodctn Pisano Almo Gymaado publice legante* iura, examinandus et approbandus in Iure Canonico et Civili, et ob hoc se Bnbiecerit arduo ac rigoroso 30 exnmini privato nostro et Clarissimorum Doctoruni Sacri Collegii luris Canonici et Ci¬ viltà Civitatis Pisana»; In quo quidern examine dictos Domino* ViHCBNTirs, ponete siili do more in Utroque Iure, externa die hora XI -, assignata, videlicet in Iure Pontificio c. Kpiec. de preben. et dignii., in Iure autem Cesareo /. si convenrris ff. de Jur. omn. Iud. eie., miro ordino recitando, et argomento acute et subtiliter, non tam scholastico quain doctoreo quidern more, respondendo, «ileo clocte et bene se gessit, et ita ac taliter bo habuit, ut comuni elicti Collegii voto et consenso unanimi, nomine penitus peni tu* discrepante, digrassinola existimatus fuerit ut Pontificii Ceearoique luris ornamentis, grada et insignibus, feliciter honestaretur; 40 No* igiiur, consilio, concordia, comuni consenso et unanimi voluntate Collegii pre- dicti, in sufficienti numero collegialiter de nostro mandato congregati, eundem Nobilem ot Preclamai Virum Dominum Vincenti! m ante dictum, previo processu precedente et balata diligenti informatione de Fide (’atliolicn et ipsius religione, et itiramento prestito in manibus nostri* iuxta formam Bullae, per eum lerte, felici* recordntionis Pii I*. P. Quarti super iuramento prestando et profee-ione facienda, sub dat. Homae, apud 8.1’etruni, anno 1 ucarnationis Dominicae M.D.EXIIII, Idibus Novembri», PontificatQB sui anno quinto, cuius professioni» et iurauienti forma mute describi tur ad verbuni, scilicet: « Ego ^ inckntius ClalileuH firma fide credo et profiteor oniniu et singula quao continentur > in Symbolo Fidei quo 8ancta Romana Ecclesia utitur, videlicet: Curdo in unum Deum, 60 > Patroni omnipotentem, factorem cadi et terrao, visibilium omnium et invisibiliuin; et > in unum Dominum lesimi Christum, filitmi Doi unigenitum, et ex I’atre natura auto » omnia sccula, Deum de Deo, lumen do lumino. Deum veruni do Deo vero, geniture, i> non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia factn sunt; Qui propter nos t> homines et propter nostrani salutoni descendit de celtà, et Incaruatus est de Spirita »Sancto ex Maria àrgine, et homo factua ent; crucifixus etiam prò nobis sub Pontio > Pilato, passus et sepultus e*t; et resurrexit tertia die secundum Scripturas, et ascendit » in caelum; sedet ad dexteram Patrie, et iterum vonturus est cum gloria radicare vivos » et mortuos, cuius regni non crit finis; et in Spiritual Sanctum, Dominum et vivifi- > cantera, qui ex Patre Filioque procedit, qui cum Patre et Filio simul adoratur et 60 XXVII. VINCENZIO PIGLIO DI GALILEO. 420 » conglorificatur, qui locutus est per prophetas; et imam Sanctam Catholicam et Aposto » licarn Ecclesiam ; confiteor unum baptisma in remissionom peccatoruni ; et expecto » resurrectionem mortuorum et vitam venturi seculi. Amen; »ApostolicaH et ecclesiasticas traditionos, reliquasque eiusdem Ecclesiae observatioucs et >'constitutiones, brillissime admitto et amplector; Item Bacraui Scripturam iuxia eum » sensum quein tenuit et tenet Sancita Mater Ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu » et interpretatione Sacrnrum Scripturarum, admitto, nec eam unquam nisi iuxta una- » nimem consensuni Patrum accipiam et interpretabor ; Profiteor quoque, septeni esse » vere ot propriae Sacramenta novae legis a Icau Christo Domino Nostro institutn, 70 » atquo ad salutem Immani generis, licet non omnia singulia, necessaria, scilicet Bnp- » tisnium, CoiiPirmationcni, Eucbaristiam, Ponitelitiam, Extremam Unetionein, Ordinem » et Matrimonium, illaque grati am conferre, et ex bis Baptismum, Conlirmationem et » Ordinem sino sacrilegio reiterar! non posse; Roceptos quoque et approbatos eiusdem » Ecclesiae Catholioae ritus in supraclictorum omnium Sacramentorum solemni admi- » nistratioue rocipio et admitto; Omnia et singola quae de peccato originali et de » iustificatione in Sacrosanta Tridentina Synodo tradita, definita et declarata fuerunt, » amplector ot recipio; Profiteor pariter, in Missa offerri Deo veruni, propri uni et pro- » pitiatorium Sacrificami prò vivia et defunctis, atque in Sanctissimo Euclmristiae Sa- ^ cramento esso vero, realiter et snbstantialitor Corpus et Sanguinem una cuni anima 80 » ot divinitato Domini Nostri Iesu Christi, fieri quo conversionera totius substantine » pania in Corpus et totius substantiae vini in Sanguinem, quam conversionera Catholica » Ecclesia Trausubstantiationem appellat; Fateor etiam sub altera tantum specie taluni » atque integrura Christum vorumque Sacramentimi suini ; Constanter teneo Purgato- » riunì esse, auimasquo ibi dctentas fìdelium snfìragiis iuvari similiter, et sanctos una » eum Christo regnantes venerandos atque invocandos esse, eosque orationcs Dco prò » nobis olìerre, atque eorum reliquias esse veuerandas; Firraiter assero, imagines Christi » ac Deiparao scraper Virginia nec non aliorum Sanctoruni babendas et retinendas esse, » atque eis debitum honorem ac venerationein impartiendam; Iiidulgentiarum etiam » potestatem a Christo in Ecclosia relictam fuisso, illarumque usura Cliristiano popolo 90 s> maxime salutarem esse affinilo; Sanctam Catholicam et. Apostolicam Romanam Ec- » clesiani omnium Ecclesiarum Matrem et Magistram agnosco, Ronianoque Pontifici, » Reati Petri Apostoloruni Principia successori ac Iesu Cliisti vicario, verarn obedien- » tiara spondeo ac iuro; Caetera item omnia a Sacris Canonibus et Oecnmonicis Con- «ciliis, ac precipue a Sacrosancta Tridentina Synodo, tradita, definita et declarata, » indubitanter recipio atque profiteor, simulque contraria omnia atque bereses quas- » qumque ab Ecclesia damnatas et rciectas et anathematizzatas ego pariter dannio, » rei ciò et anathematizzo ; » Ilanc veram Catholicam lideni, extra quam nomo salvus esse potest, quam in present » sponte profiteor et veraciter teneo, eandem integralo et immaculatam usque ad ex- 100 » treraum vitae spiritimi constantissime (Deo adiuvante) retinere et confileri; atque a » moia snbditis, sou illis quorum cura ad me in inunere meo spectabit, teneri, doceri i>et prodicari, quantura in me erit, curaturum ; ego idem Vincentius spondeo, voveo » ac iuro: sic me Deus adiuvet et hec Saucta Dei Evangelia»; 430 XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. ot super Cathedram constitutuin, iu Nostri ot alioruin prenentia diligente* oxarainatum, Oatholicum ot religioaum repertum »imul et approbatum dixinras, pronunoiaviinns et de* claravimua auffloientisBimura, doctissimum ot meritiBHimura ad habendum, consequondum ot obtinendum licentiam, publicum «radura ot solita doctorntus insigna iu l.U. faculta- tibus supraacriptis; illiquo tuno, autboritato «uperiua pienissime demandata qua in lino parte fungimur, uti mentissimo L U. Dootori, in eisdem legeudi, docendi, glosandi, di- Hputandi, oonsulendi, interpretandi, examioandi ac radicandi, Cuthedram Magistrale»! ac ilo Dootoralem ascendondi illaraque refendi, ceterosque Doctoreoa actus et Magistrales Pisis et ubique loconmi ac terranno publico oxercendi, plonam, libera in ac onmiinodam pote- Htatoin, licentiam et facultatoin oedimus, damus ot ooncedimus ; per bas nostras ipsum Nobilem et Preolarum Virum D. VlNOlMTlUM pronunciantes, nHimrauttM ot declarantea 1. U. bìxcellentiBBimurn esse Doctorem; reoeptis postremo per enm ab oodorn Excell." 10 I. U. Doctoro Domino Marco Antonio l’ierallio Compromotore suo miprascripto, ac altorius buì Coni promotori» nomine, ipsorum iurium ot gradua Bolitis doctoratuB insignibus, libro, ecilicet, cla-iso mox aperto, birrectoque vice laurcae eius capiti impoBito, ac demum anuli aurei aubarractione, cura oaculn pacis, patornalibuB, niagiatralibuaque benedictionibuB. Qui, omuibua aio publice insi«nitua et corona tu*, felici corone tur in patria per Viventera iu accula. 120 In quorum omnium ot aingulorum fìdem, robur ac testimonium premisHoruni, presons lioc publicum instrumentum autonticura, in ae continena privi legium, per l>er loannom Haptistam Cale»tnnium, oivem Piaanum, Notarium Nostrum et Arehiepiacopalia Pisanae Curiae Cancellarmi!» infrascriptura rosari ac aubscribi ìuasiinus, aigillique eiuBdem IH."’ 1 et H. mi Pisani Arcbiepincnpi appenaione muniri. Datum Pisia, in Palatio Archiepiscopali, coram et preaentibns ibidem Exo. I. U. D. Domino Dino de Peria, Domino Francisco de Siris, Fiorentini», et quaui plurimis nliis teatibus, ad predicta vocatia, habitis et rogati*, anno ab Incnrnatione Domini Nostri lesti Chriati M.D.CXXVIIII stilo Pisano, Indietione XI, Kontnno \cro atquo Fioren¬ tino M.D.CXXVIII, die vero 15 Men*ds Iunii, Urbano Vili Summo Pontitìce, anno quinto ISO sui Pontiticatus, regnante Ser.* 0 Principe Ferdinando Secundo, Dei gratia Romanorum Imperatore, et Ser.“° Ferdinando Secundo, Magno Aetrurio Duce quinto, dominante, sumtne Feìicissimo et Iuclyto pacis Moderatore. Alex/ Morrona Cancellnrius de mandato in fìdem aubscripsit, eo quia de predictis rogatti8 fuit Egregio»» I). Io. Ilaptixtu de Calestunis. Uancellariua BubHtitutus Pisauae Curiae Arcbiepiscopalia, hodie defuntu», ut ex actia dictae Cunae conHlat. d ) Scritta matrimoniami con Smtiua Bocchineri. Prato, 28 gennaio 1G20. Arch. dt Stato In Firenze. Archino dell* f&migiia (ialiloi, Kit/» .4. Inserto n.® 8 (non cartolilo). — Au¬ tografo Io sotto .crixioni. Fnori, di mano di Galilr», ò scritto: • S(T. n lliatriinOIlialo (Ji Yinc.° »j o d'altra mano è aggiunto «nel 1G2'*. Un altro originalo di questa Scritta è a car. 52-68 dolla Posta che abbiamo «itala al l’oc. I, h), a porta di fuori, di mano di Qaui.RO. lo pa¬ role: « Scritta matrimonialo con M. a Scstilia Boo. ri ». que®f originato co- XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. 431 mincia con la data A dì 6 di Gennaio 1628, nò ò aggiunta l’indicaziono tn Praia; dopo la paiola * mancasse » (liti. I!)) inserisco questa condiziono: con patto ancora che Vanello si deva dare in Prato, ove si faccia o ratifichi la presente garitta; ò firmato dal solo Caui.o Boooiiinkki, in questi termini: Io Carlo di Mese. Qcri Boaahineri affermo quanto sopra, a prometto e mi ohlùjo all' osservanza delle so¬ prascritto cose; et in fede ho scritto e sottoscritto hi presente di propria mano; cd ò nel resto conformo all'atto dol 23 gounaio, elio manifestamelito fu steso conio ratifica richiesta dalla scritta del 6 gennaio. A di 28 di Gonnaio 1G28 (15 , in Prato. Essendo piaciuto all’omnipotonto Dio et alla bontissirna Vergàio Maria, sotto gli au- spicii dell’lllus. mw Sig. r Ball Andrea Gioii, primo Segretario o Consiglierò di Stato del Seren. 1 " 0 Gran Duca di Toscana, crear parentado per verità de pr aesenti fra il Sig. r Dottore Vincenzo dcirEco." 10 Sig. r Galileo Galilei, nobil Fiorentino, da una, e l 1 honestà fanciulla la Sig. ra Sestilia dol Sig. r Dottoro Carlo Boccliineri di Prato, cittadino Fiorentino, dal¬ l’altra parte; promottomlo il dotto Sig. r Galileo cho il ciotto Sig. r Vincenzo, suo figliolo, accetterà per sua legittima sposa la detta Sig. ra Sestilia, e gli darà l’anello sponsale; o dall’altra parto il detto Big/ Carlo prometto cho la detta Sig. rl Sestilia, sua figliola, ac- 10 consentirà in dotto Sig. r Vincenzo come in suo legittimo sposo, e da lui riceverà l’anello, o consumerà il santo matrimonio, secondo l’uso della Santa Madre Chiesa e ’l Sacro Con¬ cilio di Trento; o por dote e corredo promette darli scudi settecento di £, sette per scudo in questo modo, ciò ò tutti i panni lani o lini, vesti o altro che la si troverrà a suo uso, da stimarsi da due amici comuni a conto delli sopradetti scudi settecento, et al restante sopra detta stima sino alla detta somma di Bendi settecento supplire in denari da pagarsi scudi cento ogni anno, qual anno deve cominciare dal dì del dato anello o finir come segue, senza interessi di sorto alcuna, eccetto se dotto Sig. r Carlo mancasse a’ sopradetti tempi ile’debiti pagamenti respettivamente, nel qual solo caso di mancamento sia tenuto pagar gli interessi, a ragion di cinque por cento, di quelle somme nello quali egli mancasse, ot 20 i quali scudi cento l’anno da pagarsi per il detto Sig. 1 ' Carlo come sopra si devino de¬ positar ogni anno sul Monte di Pietà di Firenze, per quivi star in sicurtà della dote di detta Sig. ra Sestilia o rispondersi in tanti beni cauti e sicuri, secondo le conditioni dotali solite e consuete: il elio faro ot osservare promossero respetti vamente le sopra- scritte parti, obbligando loro e loro heredi, e beni mobili ot immobili, presenti o futuri, in ogni miglior modo. Per l’effetto delle quali cose ciascuno si sottoscriverrà di sua propria mano, a laude et honor di Dio et a comune sodisfationo di tutti. Io Carlo Bocchineri mi contento e mi obligo a quanto sopra; et in fede ho sot¬ toscritto di mia propria mano questo dì sopradetto in Prato. Io Ceseri Galletti fui presente a quanto di sopra, et come testimone mi sotto¬ lio scrivo questo dì sudetto in Prato. Io Alessandro Fami fui presento a quanto è sopra, e come testimonio mi sotto¬ scrivo in Prato. Alessandro Paini. Di stilo fiorentino. 432 XXVII. VINCENZIO PIGLIO DI UALILEO. e) Urriou. 1629-1685. 1) Rescritto per essere veduto di Collegio. Firenze, 15 settembre 1629. Aroh. di Stato Ln Plrense. Archivio delle Tratte, Filza 338 (Filza quarta di noto al tempo dol Clar.®<* et Kcc. -0 big.' Pierfrauceeco de’Ricci, da 31 Sbre 1628 a 23 Febbraio 1689 Car. 567». — Da una « Nota i»er fare il magistrato de’ Collegi, veduti benefiziati e veduti novellini » (cur. 646-668), in data 8 wttembre 1629 (car. 646r.) Le inforni azioni sui « diaeguati » e sui aupplicuuti 8OU0 di mano di Pi«*r*AX 0 K 8 C 0 ds' Hioci, Sogrotaiio dello Tratte, ohe >1 «ottoacrivo n car. 658». . . . Supplicanti novellini per esser veduti di Collegio. Mesa. Vincenzio di Mesa. Galileo Galilei. Fu veduto il padre di Giugno passato ', il (fusile è della nobile famiglia de* Galilei e di qualità note; e detto suo figlio è naturale, ma legittimalo , e ha il non ostante È dottore di leggi, e di buono ingegno. Car. 64 Ir. — l)a una nota di eletti al Magiatrato de’ Collegi, veduti di Collegio eoe., con le «otto- scrizioni autografe dol llrauduca Fsbvjxaxin) 11 e di Losuuo lauta* BUI. Veduti. Mesa. Vino. 0 di Mesa. Galileo Galilei. Fer. L. U. dl 15 7ml.ro 629. Aroh. di Stato In Firenxo. Archivio dello Tratte, n « 114 (Libro di offizi, 1622-1680), car. 37». - Origiunlo. Veduti. 10 IT. Sett" 1620. Alesa. Vino. 0 di Mesa. Galileo Galilei, naturale, ma legittimato. «*« Cfr. Voi. XIII, n.» 1913, Un. 17-19; Voi. XIV, n.• 1954, Un. 24-26. 'D DI stile fiorentino. •*» Cfr. Doc. XXXVI, a) XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. 433 2) Concorso all'ufficio di Cancelliere dell’Arte dei Fabbricanti. Firenze, 3 settembre 1630. Ardi, di Stato In Firenze. Archivio dolio Tratto, Filza 831 (Filza quinta di noto al tempo ilei Clnr.» ut Kcc.'“° S. r Pier Frane.» de’Ricci, da 15 Marzo 1629 <•> a 20 Giugno 1681), car. 487r.-t. — Le infor¬ mazioni sui supplicanti sono di ninno di Pikkkhanoksoo un’ Ricci, elio si sottoscrivo a cnr. 489r. A dì 3 Settembre 1030. Supplicanti per la Cancelloria dell’Arte de’ Fabbricanti, in luogo di Hess. Carlo Boc¬ chineri, eletto a altra carica. Mesa. Vincenzio di Galileo Galilei. È dottore di legge e di buono ingegno. È naturale, ma legittimato. Con rescritto granducale del 29 settembre 1630 (Filza cit., car. 425r.) fa eletto a Caucollioro Moss. Discinto ili Moss. Domenico Pavmtti. 8) Nomina alla Cancelleria di Poppi ( *>. a) Proposta del Magistrato de' Nove. Firenze, 17 novembre 1681. Arcb. di Stato in Firenze. Magistrato de’Novo occ., Filza 2266 (Libro segreto di memoriali e loltore, 1626-1688), cnr. 163r. o t. — Originalo. Per la vacanza dello Cancellerie di Volterra e Poppi si aono dati in nota gl’infra¬ scritti pretendenti, coll’incluse loro suppliche: Mess.Vincenzo di Galileo Galilei, cittadino Fiorentino, elio si dice giovane di buona licenza e che attende alla professione, et atto al sudetto impiego. .... et alla carica di Poppi si disegna Mesa. Vincenzo di Galileo Galilei, supplicante, rimettendosi tutta volta a quello e quanto piacerà a V. A. S. di comandare, Di Firenze, li 17 di 9bre 1631. Riebbesi adì 22 detto, con rescritto do’ 18 detto, che dice : Approvasi. • 'i Di stilo fiorentino. Nell’Ardi, di Stato in Firenze, Magistrato de’Nove occ., Filze 2618, 2619, 2620, 2623, 2624, si ha buon numero di lettore di Vincenzio Galilei, Cancelliere a Poppi, dirette al detto Magistrato : e altro lotterò di Vincenzio, Caucollioro a S. Giovanni in Valliamo, allo stesso Magistrato si leggono nello Filze 2027, 2628 dol medesimo Archivio: ma non ab¬ biamo stimato necessario di riprodurre quosti docu¬ menti, cho sono d’ argomento e d'interesse pura¬ mente amministrativo. 65 XIX. 434 XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. Pi Elettone. Flrenxe, 1W novembre 1681. Aroh. di Stato in Fironse. Magistrato de' Noto, *.f. 1. 11.6 E adì 29 9mbre 1642, f. 2. 2. — per casa <•' Si hanno diverso fodi di battesimo (cfr., p. o., Ardi, di Stato in Pisa, Università, Negozi dello Stu¬ dio, Filza il.® 7, car. 281, 739, 919, 972, 976, 981, 1018, ecc.), sottoscritto da Vinckkzio Gaui.ki corno Cancelliere dell’Arto doi Mercatanti, presso la quale si conservavano i libri di battesimo doli’Oratorio di S. Giovanni Batista della Città di Firenze, elio oggi sono nell’Archivio doli’Opera dol Duomo in Firenze. Mesa. Vincenzio di contro bavere udì 10 di Giugno 1638 f. 1. 8. 6 per casa; n. u 259 < 3 >. f. 1. 8. 6. E ndì 26 8bre 1615, f. 2. 2. — per casa per uso, n.° 413.f. 2. 2. — <*> Mancano la nota doi supplicanti per questa carica o le relative informazioni. < 8 ' Cfr. Ardi, di Stato in Firenze, Ardiivio della Decima, n.° 224 (Filza di documenti giustificativi «lolle cancellazioni o diminuzioni di decima dal 1687 al 1638), car. 690 o 691, n.° interno 259. <*’ Cfr. Arch. di Stato in Fironzo, Archivio della Decima, u.® 2896 (Arroti dell'anno 1638, Quartiere S. Croco), car. 140, n.° intorno 61. 438 XXVII. VINCENZIO FIGLIO HT GALILEO. ili nuovo decimata, e f. —-da Menu. Ga- A di 80 Giugno 16-19, f. — — a G a ]j. Ideo suo patire, in questo a 26 (1) ; u. u 76'*’. leo etc.<*> Galilei, in questo a 41; n.° 52 f. 2. 2.- f. -a.- ( j ) Pitooimi di Galilio al figlio pir riscuotkb* sommi di danari. 1688 - 1840 . 1) Firenze, 29 aprile 1638. Aroh. Notarile In Firenze. Protocolli del notaio Carlo Tomisti, Protoc n.» 15164, ctr. li., n.o In- torno 1. — Uncinalo. In Dei nomine amen. Anno I). N. I. Christi ah Eius salutifera Incarnatione Mandata, millesimo sexcentesimo trigesimo ottavo, Imlictiono sexta, die vero vigesima nona inen8Ì8 Aprili», Urbano Octavo, Sminilo Pontifico, et Ser*" Ferdinando 2 do , Magno Aetruriae Duce, feliciter dominantdms. Aetum Fiorentino, in populo Spiritus Sancti et in domo infrascripti D. ronstituentis, sita in via quae dicitur su la Costa, presentibuB infrascriptis testilms, videlicet Io. Baptiata Simonis do Stagi», famulo infrascripti I). de Galilei, et Dominico Marci del Bianco, lahoratore terrarum. Publice omnibus pateat et sit notimi, quuliter admodum 111.* et Exc. mu * D. Ga- lileus q m . D. Vincentii de Galileis, citra tamen revocatamela età et omni me- liori modo, fecit, constituit et creavit suum veruni, legiptirnum ot indubitatum io procuratore in negociorumque infraacriptorum gestorem ut ccrtum nuncium Per- ill." I). Vincentium de Galileis, eius filiura, preaentom et acceptantein etc., ad nomine et prò dicto I). conatituente petenduui et exhigeiulum a quibusvis por- 8ouÌ8, loco, comuni, collegio et universitate omnem summain pecnniarum dicto D. constituenti quacumquo de causa debitam, ut presertim ad exigendum omnem smnmarn debitam dicto D. constituenti occasiono eius provisionis a I). camerario Doganae Pisaruin, et prò eo a Generali Deposi ter i a ac eius ministri» S. C. S., ot do exactis et receptis linera, quietatioueui et pactuiu perpetuimi de ulterius non potendo faciendum etc., et generaliter in predictis et circa predicta faciendum omnia et singula requesita, necessaria et opportuna, etimo si talia forent quae 20 mandatum exhigerent magis speciale vel generale. Dana etc. Promictens etc. Rulevans etc. Sub bypotheca etc. Rogans etc. 2) Firenze, 9 luglio 1638. Arch. di Stato in Firenze. Moute di Pietà, n.« 10>3 ^Filx» 118 di *iu*tlficazioni), n .» interno 458.— Autografo lo tre sottoaciizioni. L’atto, »cnza qu-vto • Ferini* si logge uui duo originali del docu- Doc. XXVII, g, 4), li». 7, o Ferri in una nota di ninno monto, lnvoeo Ferrini» si lm nei duo originali del di Vikcknzio Vivuni : cfr. Voi. Vili, jmg. -138, nota. 410 XXVII. VINCENZIO PIGLIO DI GALILEO. santes faciendum quascumquo axecutiones tam reale* quam personales, et sic factas iicenti&ndum ; item ad petendum et oxigendum a Monte Pio Civitatis Fio¬ rentine et. eius ministris fructus pecuniarum exhistentium super dicto Monte in faciom et ereditimi dicti L>. con»tituentis, dee ureo» et decurrendos, et pariter a Depositeria S. C. S. solita» provisiones dicti I). constituentis, deenrsas et decur- rendas, et ad faciendum quibusvis ministri» quietationein, in eo modo et forma 20 et prò ut neresse erit, et in prandictis et circa praedicta faciendum omnia op¬ portuna et necessaria, edam si talia forent quae niandatum exhigerent magis speciale vel generale. Dans etc. Promictens etc. lunula eto. KogunB etc. 4) Firrnte, 16 giugno 1610. Blbl. Nft*. Flr. M»t. Gal, Nuorl Acquieti, n.* 8s Autofrafo dal notalo A»ukka dii. Salvktto, con lo autouticaziuni, puro autofrafe. dui Minutrn « d«l Cou»er*ator«> dwU'Arcbivio dal contratti L'atto. Renza le tre lottoscrizioui (Inali, è pure nei Protocolli del notaio Andrea del malvallo, nell'Ardi Notarile in Firenze. Protoc. n.° 13S-.il, car. 187r. I38r.. n." intorno 17?'. In Dei nomine amen. Anno I). N. I. (Jhristi ab Kius salutifera Incarnarono millesimo sexeontesimo trigesimo nono, Inditione septima, die vero decima sexta mensia lunii, Urbano Ottavo, Summo Pontifico, et 8 er . m0 Ferdinando 2 *°, Magno Aetruriae Duce, felicitcr dominantibuu. Actum Fiorentine, in populo Spiritila Santi, in via quae dicitur su la Costa a S. Giorgio , et in domo infrascripti 1 ). Vincentii de Galileis, praesentibus infraacriptis testibus: Domenico q. ,n Marci de Bianchis, et Petro q. m Pauli de Ferrinis, et Ludovico q.' B Thomme de Faloppia. Pateat omnibus etc., qualiter constitntue admodum lll. r " l). Galileue q. ,n D. Vin¬ centii de Galileis, sponte etc., citra revocationem etc., et omni etc., fecit et con- stituit etc. eius procuratorein etc. admodum IH.® D. Vincentium de Galileis 10 eius fìlium, I. II. I)., praesentem et acceptantem etc., generaliler in omnibus et singulU causi» agendum, causamium et defendenduin etc.; item ad petendumet exhigendum a quavis persona, loco, comuni, societate et universitato, omnes Rum¬ ina» pecuniarum et rorum quantitatea debitas et in futurum debendas, et de exactis et receptis finiendum etc.; item specialiter et expresso ad nomino et prò dicto D. constituente petendum et exhigendum a Monte Pio Civitatis Florentiae et eius ministris fructus pecuniarum exhistentium super dicto Monte in faciom et ereditino dicti I). oonstituentis, docursos et decurrendos, et pariter a Depo¬ siteria S. C. S. solita» provisiones dicti I). constituentis, decursas et decurreiulas, et ad faciendum quibusvis DD. ministris quietationein in eo modo et forma et 20 prò ut necesse erit; item, quo ad dobitores, pensionano» et alios dicti D. consti¬ tuentis, solvere recusantes, faciendum quascunque executiones, tam reales quam personalcs, et sic factas licentiandum etc., et in praodictis et circa praedicta fa¬ ciendum omnia et singula requisita, necessaria et opportuna, etiain si talia forent XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. 441 quae mandatimi exhigerent magia speciale voi generale, etc. Dans etc. Pro- mictens etc. lurans etc. Itogans etc. Ego Andreas del Salvetto q. ,n Gabrielis filius, civis et notarius publicus Flo- rentinus, de praedicto mandati instrumento rogatus fui, et in lidem me subscripsi. Collatuni per me Vincentium Peronum, I. U. 1). et ex ministris Archivii 80 publici Fiorentini, die 5 Iulii 1G31). J-oannes Boni ua Senator et Conservator vidit. 5) Firenze, 13 dicembre 1610. Arch. dì Stato In Firenze. Monto «li Pioti, u.° 1092 (Filza 127 di giustificazioni). n.« interno 82 - Autografo «lol notaio Carlo Temprati, con lo nutonticazioni, |)uro autografo, dol Ministro e del Con- sorvatoro doll’Archivio doi contratti. L’atto, senza lo tro sottoscrizioni finali, è puro noi Protocolli dol notaio Carlo Tempesti, noll'Arch. Notarile in Firenze, Protoc. n.° 15154, car. 88r.-t., n.° interno 91). In Dei nomine amen. Anno D. N. I. Christi ab Eius salutifera Incnrnatione millesimo sexcentesimo quadragesimo, Tndictione octava, dio vero decima tertia mensis Decembris, Urbano Octavo, Summo Pontiiice, et Ser." 10 Ferdinando 2' 10 , Magno Aetruriae Duce, felicitar dominantibus. Actum Florentiae, in populo S. u Georgii et in domo infraacripti 1). Vincentii de Galilcis, posila, ut dicitur, su la Costa, presentibus infrascriptis testibus, videlicet Carolo Falti de Faltis, Iohanne Sebastiani de Bechellinis, et Iohanne Laurentii de Spigliatis, omnibus tribus ore proprio infrascripti Domini constituentis vocatis, ob eius cecitatern, etc. Publice omnibus pateat, qualiter admoduin 111. 8 et FiXc. nn,s Dominila Galileus io q m . Vincentii de Galileis, constitutus personalitcr Corani me notario infrascripto testibu8que supradictis, citra tamen revocationem etc. et ornili meiiori modo etc., fecit, constituit et creavit smini vcruin et legitimum procuratorem negociorumque infrascriptorum gestorem admoduni Ul. m Dominum Vincentium de Galileis, eius lilium, presentem et acceptantem etc., specialem, specialiter et expresse, ad no¬ mine et prò dicto Domino consti Diente petcndimi et exhigcndimi a Monto Pio Ci- vitatis Florentiae vel eius ministris et camerario scutos quatuorcentos, quos ipse Dominus constituens mensibus elapsis deposuit in Monte predicto ad effectum quod dieta summa deserviret in expensibus (sic) occurrentibus in moniali vesti¬ mento Doiniiiae Virginiae, filiao D. Vincentii de Uanduccis, in venerabili mona- 20 sterio S. li Hyeronimi de Florentia acceptae, nec non ad exhigendum fructus decursos et de exactis et receptis finiendum etc.; item, quatenus opus sit, ad consentienduin et concedendum quod eadem summa, una cum fructibus decursis, solvatur libere dictis RR. monialibus S. u Ilyeronimi vel earum procuratori; et in predictis et circa predicta faciendum, gerendum et exercendum, omnia et singula quae facere posset ipsemet D. constituens, si adhesset, etiam si talia Mandatali». XIX. 50 442 XXVII. VINCENZIO FIGLIO DI GALILEO. forent quae mandatimi exhigerent maghi speciale vel generale etc., Dans etc. Promictens etc. Kelevans etc. Sub hypotheca etc. Rogai» etc. Ego Carolua Cosmi de Tempesti8, notarius publicus Florentinua, de predictis rogatus fui. In fidem subscripsi. Collatum per me Vincentium Peronum, I. U. L>. et ex ministri» Ar-so chivii publici Fiorentini, 20 Xmbris 1(140. Ubaldinus de Ubaldinis Conaervator vidit. H) Morte. Firenze, 15 o 10 maggio 1049. Aroh. di Stato in Firenze. Libri dei morti dell’l'Bzio «Ioli» Urascia, n.» 10, alla lett V o ad annum. — Originale. Maggio li>49. Mesa. Vincenzio di Galileo Galilei, sepolto iu S. u Lucia in via de’ Bardi. 15.W Aroh. di Stato In Firenze. Archivio delle remigli» Galilei, Kilxa lett. I (n.* 9; non cartolata). Uocu- monti attinenti alla costituitone della tutela dei Agli di Vincamelo Qaulci. — Originali, di mano del notaio Sjlvzstzo I’aktkka. Uli stessi documenti, • pur «empi# autografi del medesimo notaio, sono anche nell’Arch. Notarile in Firense, Protocolli del notaio Silvestro Pantera, Protoc. 15678. Ha nn atto del 20 maggio 1649 (Protocollo cit,. car. I06r.-l06r., n.« interuo 188): .... Pateat, qualiter conslituta personaliter in presentia mei notimi.... admodmn Ill. rU D. Sestilia, filia bo. mera. Ecc. 11 * D. Caroli de Boccluneris, vidua et iam uxor Per- ill. rU et Ecc. Ul I). Vincentii, filii bo. mera. I). Galilei de Galileis, civia Fiorentini, et dixit et expoHuit.... qualiter do uimo presenti 1649, sub dio prima mensili Maii, dictus Por- ili/ 1 * 1). Vincentius de Galileis auum ultimum nuncupativurn testamentum condidit. cam quo deinde, sub die Iti dicti memns, ex hac vita migravit.... Da un altro atto, sotto la medesima data (Protocollo cit, car. 106» -107»., n.» interno 140)1 .... I’ateat, qualiter constituta personaliter coram infrascriptis teatibus meque etc. admodum lll. r,i 1). Sestilia, filia q. Eco. 1 " D. Caroli do Boccbineris et iam uxor Perill. rU 10 et Ecc. ,u bo. iuetn. I). Vincentii de Galileis...., dixit et exposuit qualiter supradictus I). Vincentius de Galileis usque sub die prima presentis mensis Maii 1619 suum ultimum nuncupativurn testameutum condidit...., rum quo dictus 1). Vincentius Bub die 1(3 dicti mensis deceasit.... Cfr. puro doe altri atti del medesimo giorno nel Protocollo elt., car. 107r.-10S^., n.« intorno 141 0 car. 108r.-109f., u.* interno 142. Nell'Aroh. di Stato in Firenze, Medici 0 Speriall, I.ihrl del morti, n.» 258, car. 881»., la morte di Vin¬ cenzo Ualilzi e stata registrata, per errore, cosi: Giugno 1649. Vinc. # di Galileo Galilei. S. Lucia. 18. ri) Intendi, il giorno 15. XXVIII ATTO DI MORTE DI GIULIA AMMANNATI NE’ GALILEI. Firenze, 10 agosto 1620. Aroh. di Stato In Firenze. Modici o Spaziali, Libri dei morti, n.® 2B6, car. 176*.— Originalo. Agosto 1620. Giulia di Vino. 0 Galilei, nel Carmine. IO/ 1 ) Aroh. di Stato in Firenze. Libri doi morti dell'Uffizio della Grascia, n.« 9, alla lett. O o ad nnnum.— Originale. Agosto 1620. Giuliano (sic) di Vinc. 0 Galilei, sepolto nel Carmine. 10. (») Cioè, sepolta nella chiesa del Carmine il giorno 10. XXIX. GALILEO CONSOLO DELL’ACCADEMIA FIORENTINA. 1021-1618. a) Notizie eitl comitato ni Gami.io. Bibl. Na*. Flr. Appendice ai Mw. Galileiani Busta intitolata sul dorso: . Nelli Gio. 1 \tte Pieni.*, Filza 1. Appunti coi quali furono da lui create la prima bora# dalla Vita di Galileo Galilei ». car. 24-26. — Di mano della lecuuda metà del aae. X\ll, con a** mule iuUrlinean di piifoo di Vmoensio Vitusi. Il Sip:. r Galileo Galilei, succedendo al Sig. r Inco|>o Giraldi, fu eletto Consolo dell’Accademia Fiorentina a di 20 di Gennaio 1630 " ; e concorsero seco i SS. rl Nic¬ colò Arrighetti, Cav." Francesco Medici, Cav.® Piero Girolami, Can.® 0 Pietro Paolo Bonsi, Alessandro Venturi, Ottavio Hinuccini, Gio. Batista Venturi, Iacopo Sol- dani, Alessandro Sertini. Essendo durato (qual so ne fusse la cagione) il Con¬ solato del Sig. p Iacopo Giraldi anche l’anno 1621, a di 17 di Maggio 1622 rese questi l’utizio al Sig. p Galileo, nella solita stanza dell’Accademia, o ciascuno di ossi fece bellissima orazione r '; et il medesimo Sig. r Galileo, nuovo Consolo, elesse per buoi Consiglieri i SS." Mario Guiducci e Tommaso Hinuccini E dopo, il giorno 20 di detto mese di Maggio, il predetto Sig. Galileo, ritrovandosi in villa io indisposto, deputò e sostituì in suo luogo l’Ecc.** Sig. p Avv.® Sertini con una lot¬ terà del seguente tenore, data in Bellosguardo il medesimo giorno: < Poi che la multiplicità delle mie indisposizioni_ > Alli 17 Gennaio 1622 <%) fu eletto successore del Sig. r Galileo il Sig. p Niccolò Arrighetti. Alli 30 d’Aprile 1023, adunati nella solita stanza dell’Accademia etc., il Sig. r Ga¬ lileo, in vece di far l’orazione, lesse una lettera, scrittali (come egli disse) da un suo amico Accademico in risposta d'uria sua, per la quale gli metteva in consi¬ derazione, con bellissimi concetti e gentil maniera, quello doveva addurrò in sua scusa per essere stati gl'Accademici, nel tempo del suo Consolato, oziosi, come 20 Doc. XXIX, a). Le par» lo iwvrfwl o «il Sig. r Iacopo dimldi (lio. 1), questi (Ilo. T », « di ditto tutto rf» Maggio, il predetto Xig. Galileo (lìn. 10), tono arguitile di mano dui Yitiaei — “* Di fiorontino. Cfr. Yol XIII, n.» 1400. Di quella di Giulio seme il Nelli, il qual la rido e losso, cho andò perduta per un incendio ud 1748: cfr. Vita e commercio letterario di Gali¬ leo Galilei ecc., scritta da Gio. Batibta Clementi r>K ’ * f * LU ecc * Voi. II, I-osannt, 1798. par. 476. noi* 2. Cfr. F.,.ti eon.olari dell'Accademia FiortHlttM di Saltino Saltimi ecc. In Firense, M. DCC. XVII, nella stampella di S. A. R.. per Gio. Gaetano Tartinl e Santi Franchi, pa*. 8‘J.7. Il Saltini ci fa puro cono* icere che 1'oIcaìouo del Censore cadde in Vmomsio Baedcooi. «•» Cfr. Voi XIIT. n • 1526. **’ Di itile fior* ulano. XXIX. GALILEO CONSOLO DELL’ACCADEMIA FIORENTINA. 445 fiovesso lodare il Consolo suo successore, o quali grazio rendere a gl’Accademici dell’onoro fattogli : o così rese 1* uiìzio, e consegnò il libro de’ Capitoli al Sig. r Nic¬ colò Arrighetti nuovo Consolo, il quale fece una bellissima orazione, esortando per essa gl’Accademici a volersi esercitare co’ pubblici ragionamenti etc. E di poi dal Sig. r Simone da Filicaia, in cambio del Sig. r Gio. Batista Qua- ratesi Provveditore, che si ritrovava a Roma, fu presentata la solita taza d’ar¬ gento al Sig. r Galilei, Consolo vecchio, con gentil maniera et ornato parlare etc. b) Parole di Michelangelo Buonarroti nel rendimento del Consolato tu Galileo. Dai Fatti conciliari dell'Accademia Fiorentina di Salvino Saltini occ. In Fironze, M.DCC.XVII, nella stam¬ peria di S. A. R., por Gio. Gaetano Tartini o Santi Franchi, pag. 895. Il Salvimi premetto questo paralo : « 11 Sonatore Auditore Buonarroti mi ha cortesemente comunicate lo parolo composto da Mi- cholagnolo Buonarroti il giovane por la funzione nella quale, socondo che allora ai costumava, fu presentata al Gnliloo, noi rondi monto del suo Consolato, la tazza d’argento. E perché lo dette parolo. composte da quel letterato gentiluomo, ridondano in gloria dol medesimo Consolo, non (la discaro al loggitoro d'udirlo ». Noi abbiamo ricorcato inutilmente traccia di quest'oraziouo uulle carte di Salvino Salvimi conservato uolla Biblioteca Marucellinna di Firouzo. È costume della nostra Accademia, quando il vecchio Consolo deve al novello rendere il magistrato, donare a quello, in testimonianza di sua bene esercitata amministrazione, una tazza d’argento, o, scolpitavi la figura del fiume dell’Arno, venire a dimostrare l’onore elio a chi di quella ha tenuto il governo si conviene, sostenendo nella sua gloria il pregio della fiorentina eloquenza, significata per cotal fiume, il quale infra i medesimi confini nasce e si termina, ne’ quali il nostro idioma, considerando nel più largo modo, naturalmente si esercita. Dentro non poca confusione s’è ritrovata al presente l’Accademia, dignissimo Signor Consolo, in pensando che la gloria dell’alte vostre speculazioni non si richiedeva espri- 10 mero con carattere sì angusto c sì limitato. Ma riguardando pure che una così fatta iraagine, rappresentandovi la virtù della virtù, poteva, come di altre è av¬ venuto con gloria immortale do’ nostri Principi, per opera dell’eminenza del vostro intelletto acquistarsi anch’ella talora un luogo tra le più celebrate stelle, non men glorioso di quello che al canto d’Orfeo quivi lo desse l’imagine della sua felice lira, questa debitamente vi porge, lasciando a rendervi l’onore, che pro¬ porzionato vi si richiede, alla vostra stessa virtù con la fama. 416 XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. a) Estratti dai Libri dii Dipositi libkri. 1622 1642. Aroh. di Stalo In 3Pir«a*«. Moni* di Flati, Libro 818 (CAmpiona intitolato Dtpotìl* libri H, 1619-1628), car. 768 o DCOLIII. — Originalo. Yhs. MDCXXII. 1622. Galileo di Vincenzio Galilei di contro deve dare addì 81 di Dicem¬ bre, consegnato per creditore al Li¬ bro de’ liberi, car. 563 ; in questo a 807.f. 3.14. 8. f. 2000.- Yhs. MDCXXII. Galileo di Vincenzio Galilei do’ba¬ vere addì 9 Dicembre f. dumila di mo¬ neta, recò detto contanti, quali sono per valuta di luoghi venti del nostro Monte, vendutili per rescritto di S. A. in Filza 76'°, n.° 590, por disporne a suo piacere; a Entrata a 264, in que¬ sto a 752 .f. 2000.- E addì 31 Dicembre f. 3.14.8 per meriti di questo conto; in questo a 781.f. 3.14.8 f. 3.14. 8. f. 2000.- Areh. citoto. Monte di Pietà, Libro 820 (Campion* Intitolato DtpotUì libri O, 1622-1625), cir. 653 e DLIli. 1623. Galileo di Vincenzio Galilei di contro deve dare addì p.° Luglio 1623 f. cinquanta tre, sol. Xllll, d.' vili di moneta per meriti, portò detto contanti; a Uscita 128, in questo a 611. f. 53.14. 8 E addì 29 Dicembre, f. cinquanta di £0 moneta per meriti, portò dotto contanti ; a Uscita 151, in questo a 651. f. 50.- 1624. E addì 21 Giugno 1624, f. cin- Galileo di Vincenzio Galilei de’ba¬ vere addì p.° Gennaio w f. dumila tre, sol. xmi, d. 1 vili di moneta por tan¬ ti consegnatici per creditore dal no¬ stro Libro de’ liberi B a 753, elio f. 2000.-por luoghi venti del no¬ stro Monte, o f. 3. 14.8 per meriti, per disporne a suo piacere; in questo a 524 .f. 3. 14. 8 f. 2000.- <•> Cfr. Yol. XIII, n.o 1640. <•> 1623. XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. 447 quanta di moneta per meriti, portò detto contanti ; a Uscita a 173, in que¬ sto a 694 .f. 50.- 1625. E addi 9 Aprilo 1625, f. cin¬ quanta di moneta por meriti, portò detto contanti ; a Uscita a 212, in que¬ sto a 800 .f. 50.- 80 E addì 5 Luglio, f. cinquanta per me¬ liti, portò contanti ; a Uscita 231, in questo a 830 .f. 50.- E addì 15 Dicembre, f. cinquanta per meriti, portò contanti; a Uscita 251, in questo a 903 .f. 50.- Addì 31 di Xbre, per tanti conse¬ gnati per creditore al Libro de’ liberi D a 444 ; in questo a 961 . f. 2000.- f. 303.14.8. f. 2000.- E adì 31 Xbre 1625, f. 300.-di moneta per meriti di questo conto; in questo a 933. 300.- f. 303. 14.8. f. 2000.-- Arch. citato. Monto di l’iotà, Libro 822 (Campione intitolato Denotiti liberi 1), 1C25-1628), oar. 444 o CCCCXXXX1Y. 40 Galileo Galilei di contro dare adì 20 di Giugnio 1626 f. cinquanta di moneta per meriti, portò contanti; Uscita a 123, questo a 738 .f. 50.- E adì 12 di Xbre, f. cinquanta di moneta per meriti, portò contanti ; Uscita a 148, questo a 776. . f. 50.- 1627. E adì 24 di Luglio, f. cinquan- tasette, sol. v, d. x, di moneta per me¬ riti, portò contanti; Uscita a 189, que- G0 sto a 812.f. 57. 5. 10. E adì 4 di 7bre, f. settantacinque mo¬ neta per meriti, portò contanti ; Uscita a 194, questo a 818.f. 75.- 1628. E adì 6 Luglio, f. settantacin- que moneta per meriti, portò contanti ; Uscita a 240, questo a 805. . f. 75.- Galileo di Vincentio Galilei de'bavere adì p.° di Gennaio l,) f. dumila di mo¬ neta per luoghi venti del nostro Monte, consegnaceli per creditore il nostro Li¬ bro de’ liberi segnato G a 553, per di¬ sporne a suo piacere ; dare in questo a 425 .f. 2000.- Nota come dal sopradetto deposito f. quattrocento di moneta devono stare con le conditioni che si dicie in un partito de’ SS. ri Ufìtiali de’ Pupilli, in Filza 86, n.° 144, del dì 19 di Luglio 1627 (,) etc., e non si possino levare senza licentia di detti SS. ri , come si dicie in detto partito. E adì 7 Maggio 1627, f. mille di moneta, recò detto contanti, quali sono 1G2G. l*> Cfr. in qutsto Doc. XXX il a. 0 b, 1). 448 XXX. CONTI COL MONTE DI TI ETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. E adì 16 di Xbre, f. settantacinque di moneta per meriti, portò contanti; Uscita a 257, questo a 892. . f. 75.- co A dì 31 di Xbre, consegnato per creditore al Libro E a 372 ; in questo a 941.f. 3CXX).- f. 382. 5.10. f. 3000.- per valuta di luoghi dieci del nostro Monte, vendutili per rescritto di S. A. in Filza 85, n.° Gol “>, per il quale se li concede sino a luoghi venti, per di¬ sporne come delli altri; a Entrata a 29, questo a 798.f. 1000.- E adì 31 Xbre 1628, f. 332. 5. 10 mo¬ neta, buoni por meriti di questo conto ; a 913.f. 382.5.10. f. 382. 6. 10. f. 3000.- Aroh. citalo. Monto di Pietà, T.ibro b25 (Camplunu lutitul»U> Dryotiii liberi K, 1028 1631), car. 878 a CCCLXXII. Yhs. Ma mdcxxviii. 1G29. Galileo Galilei di contro dare a dì 19 di Giugno f. 75. — di moneta per 70 meriti, portò contanti; a Uscita a 119, Cassa a 759.f. 75.- A dì 14 di Gennaio 0) , f. 75. — di moneta per meriti, portò contanti ; a Uscita a 150, Cassa a 853. f. 75. - — 1630. A di 3 di Agosto, f. 75 — di moneta per meriti, portò contanti; a Uscita 181, Cassa a 941 . . f. 75.- A di 9 di Xbre, f. 75. — di moneta per meriti, portò contanti; :i Uscita so 195, Cassa a 978.f. 75.- 1631. A dì 20 Giugno, f. 75. — di mo¬ neta per meriti, portò contanti ; a Uscita a 221, Cassa a 10-13.f. 75.- A di 22 di Xbre, f. 75. — di mo¬ neta per meriti, portò contanti; a Uscit * a 247, Cassa a 1119.f. 75.- E adì 31 di Xbre, consegnato per creditore al Libro segnato F a 297 ; in questo a 1160.f. 3000. - — °0 f. 450.-f. 3000.- i 1 ' Cfr. Voi. XIII, n.o I80S. »*> 1629. Yhs. Ma mdcxxviii. G al ileo di V i ncent io Gali lei de’ bavero adì p.° (ìi Gennaio ' J , f. tremila di mo¬ neta per luoghi trenta del nostro Monte, consegnaceli por creditore il nostro Li¬ bro de’ liberi segnato 1) a 444, per di¬ sporne a suo piacerò ; darò in questo a 340 .f. 3000.- Nota come del sopradetto deposito f. 400. — di moneta devono stare con lo ronditioni che si dice in un partito de’ SS. ri Ufitiali de’ Pupilli in Filza 86, n.° 144, del di 19 di Luglio 1627, e non si possino levare senza licentia di detti SS. r «, come si dico in detto partito. 1631. A dì 31 di Xhre, f. 450.— di moneta, boni per meriti di questo conto; dare a 1134.f. 450.- f. 450.-f. 3000.- <»> 1680. XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. 449 Ardi. citato. Monto di Piati, Libro 828 (Campiouo intitolato Depoeili Ubivi F, 1C8I-10S4), car. 207 o CCLXXXXV1I. YllS. M* MDCXXXI. 1G32. Galileo Galilei di contro dare a dì 19 Giugno, f. 75. — di moneta per meriti, portò contanti ; a Uscita a 118, Cassa a 905.f. 75.- A dì 17 Dicembre, f. 75. — di moneta per meriti, portò Ipolito Francini con¬ tanti per ordine in Filza 101, n.° 380 ; a Uscita a 2G3, Cassa a 12G5 . . . . f. 228.1G. 3 no E addì 31 di Xbre, consegnato per creditore al Libro segnato G a 250 ; in questo a 1278 .f. 3500.- f. 453.16. 3 Yhs. M.» MDCXXXI. Galileo di Vincentio Galilei de’havere addì primo di Gennaio ll) f. tremila di moneta per luoghi trenta di nostro Mon¬ te, consegnaceli per creditore il nostro Libro de’ liberi segnato E, car. 372, per disporne a suo piacere; o f. 400. — non ne può disporre senza il consenso del Magistrato de’ Pupilli, come per un bi¬ partito in Filza 8G, n.° 144: dare in questo a 270.f. 3000.- Nota come il sopra detto credito resta obbligato a un imprestito di f. 400. — latto a Geri et altri Bocchineri per con¬ tratto rogato Ser Michele Bonazzini in questo dì 3 Novembre lG34 (k) . 1634. E addì 4 di Novembre, f. 500. — di moneta, recò il S. ro Vincentio suo iigliuolo contanti, per luoghi cinque del nostro Monte vendutili per disporne come delli altri, come a Entrata a 84 Cassa a 1251. f. 500.- A dì 31 Dicembre, f. 453. 16.3 di moneta, buoni per meriti di questo con¬ to ; dare. f. 453. 16. 3 Ardi, citato. Monto ili Tiotà, Libro 881 (Campione intitolato Dtpotili liberi G. 1634-1687), car. 250 e CCL. 1635. Galileo Galilei di contro dare Galileo di Vincentio Galilei havero a 19 di Xbre f. 175. — di moneta per me- addì primo di Gennaio (6) , f. tremila riti, portò contanti Braccio Manetti per cinquecento di moneta per luoghi tren- ordine in Filza 110, n.° 428 (7) ; a Uscita tacinque di nostro Monte, consegnaceli 120 a 155, Cassa a 1059. . . . f. 175.-per creditore il nostro Libro de’ liberi «*> 1682. <*> Cfr. Yol. XVI, n.* 8043 »*» Cfr. Voi. XIV, n.° 2368. 1685. <•» Cfr. Voi. XV, n.° 2567. « 7 > Cfr. Voi. XVI, 8226. <*> Cfr. in quosto Doc. XXX in n.° b, 8). XIX. 57 450 XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. 1G36. E addì 17 di Giugno, f. b7.10. — per meriti, portò Giuseppe di Simone suo servitore por ordine in Filza 112, n.° 193 ;,) ; a Uscita a 183, Cusaa a 1134.f. 87.10.- E addi 2 di Gennaio ^ f. 87.10.— per meriti, portò Giuseppe di Simone suo servitore per ordine in Filza 114, n.° 5°'; a Uscita a 225, Cassa a 1216. f. 87. IO. — ÌGO 1G37. E addì 22 Giugno, f. 87.10. — per meriti, portò contanti Marco Ambro- giotti per ordine in Filza 115, n.° 32.V 0 ; a Uscita a 256, Cassa a 1300. f. 87.10. - E addi 22 Dicembre, f. 87.10. — per meriti, portò contanti detto Marco per ordine in Filza 116, n.° 537 l<> ; a Uscita a 297, a Cassa 1363 .... f. 87.10. - f. 525.-f. 3500.- segnato F a 297, per disporne a suo pia¬ cere; e f. 400. — non ne può disporre senza il consenso del Magistrato de’Pu¬ pilli, come per un lor partito in Filza 8(», n.° 114: in questo a 254. . f. 3500.- Nota come il sopnuletto credito ro¬ sta obligato a un imprestito di f. 400. — latto a Ceri Bocchineri per contratto rogato Ser Michele Bonazzini questo dì 3 di 9bre 1634. 1637. E addì 30 Dicembre, f. 525. — di moneta, buoni per meriti di questo conto ; in questo.f. 525.- Aroli. citato. Monto «li Piità, libro 8G4 (Campione intitolato Drpoiiii lìberi 11. 1G37-1G40), car. 217 o CCXVn. — Pelle tre partite dell’arerò in data !• gennaio, 24 mirto « 11 maggio 1638 ai ha copia (autenticata dalla firma del Miniatro a'depositi liberi e rilanciata il 18 agosto 1G78) a car. 40 della Busta della Biblioteca Razionalo di Firenze che citammo al Poc. 1, A). 1638. Galileo Galilei di contro darò 140 a dì 10 Luglio f. 101.2.2 moneta per meriti, portò Vincenzio Galilei procu¬ ratore per questa volta per procura in Filza 118, n.° 458 Uscita a 147, in questo a 1120.f. 101.2.2 1639. E adì 6 Luglio, f. 250. — mo¬ neto per meriti, portò detto Vincen¬ zio contanti; Uscito c. 216, in quest») a 1201.f. 250.- E adì 29 Xbre, f. 125. — moneto per n'0 meriti, portò detto Vincenzio contanti ; Uscito c.251,in questo a 1238. f. 125.— - Galileo di Vincontio Galilei bavere addì primo di Gennaio w , f. tremilacin- quecento di moneto per luoghi trenta cinque del nostro Monte, consegnaceli per creditore il nostro Libro de’liberi se¬ gnato (x, a 250, per stare come in detto Libro (ì ; in questo a 210. f. 3500.- E addì 24 di Marzo, f. cinquecento di moneto, recò il S. rn Vincenzio Galilei contanti per cinque luoghi vendutili, per disporne come delli altri; a Entrata a 6, Cassa a 1076 .f. 500.- 1G38. PI addi 11 di Maggio, f. mille “> Cfr. Voi. XVI, no 3312 < s » 1687. « 8 » Ctr. Voi XVI, n.» 3411. Cfr. Voi. XVII, n.o 35t>4. «•» Crr Voi. XVII. n.® 3621. «•> 168 H. * 7 ' Cfr. io Voi. XIX, l)oo. XXVII, g, 2). XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ. DELLA CITTÀ DI FIRENZE. 451 1G40. E adì 15 8bre, f. 125. — mo¬ neta per meriti, portò detto Vincen¬ zio contanti; Uscita c. 322, in questo a 1371.f. 125.- E adì 24 Xbre, f. 125. — mone¬ ta per meriti, portò detto Vincenzio contanti; Uscita c. 336, in questo a 1414.f. 125.- 160 E adì 31 detto, consegnato credi¬ tore all Libro segnato I, c. 186, in questo.f. 5000.- f. 726. 2. 2. f. 5000.- di moneta, recò il S. ro Vincenzio suo figliuolo contanti per dieci luoghi ven¬ dutili, per disporne come delli altri, o li utili devon cominciare il dì primo di Giugno prossimo; a Entrata a 7, Cassa a 1000.f. 1000.- Nota: il detto ha fatto procuratore il S‘‘. Vincenzio suo figliuolo a risquo- tere li frutti decorsi e da decorrere, per procura rogata Ser Andrea del Salvetto il dì 16 Giugno 1639 (,) , vista e resa. 1640. E adì 31 Xbre, f. 719.3.4, buoni per meriti; in questo. . . . f. 719.3.4. E adì detto, bavere f. l,) fatto debitore all Libro I a 186; in questo . f. 6.18.10. f. 726. 2. 2. f. 5000.- Arch. citato. Monto di Pietà, Libro 837 (Campione intitolato Depotiti liberi I, 1640-1(5-13), car. 186 o CLXXXV1. — A car. 64-55 della Busta dolla Biblioteca Nazionale di Firenze elio citammo al Doc. I, 5), ai ha copia (autenticata dalla (Irma del Ministro (lol Monto o rilasciata il 12 novembre 1642) dolio tro partito del darò in data 1® gennaio o 15 luglio 1641 e 19 febbraio 1642 e della partita dell'avaro in data 1° gennaio 1641, aggiuntovi il conto dol crodito di Vinckkzio (Jai.ii.ki por tutto il 12 novembre 1642. S. r Galileo Galilei di contro dare adì p.° Gennaio (8) f. 6.18.10 moneta, con¬ no segnacelo per debitore il nostro Libro de’liberi segnato 11 a 217; in questo a 160.f. 0.18.10. 1641. E a dì 15 Luglio, f. 118.1.2. moneta per meriti, por detto all S. r Vincendo suo figliuolo c procuratore, portò contanti; Uscita a 158, questo a 1220 .f. 118.1.2 E a dì 19 Febbraio (5) , f. 502.18.4 moneta, che f. 500.— per capitale e 180 f. 2.18.4 per meriti decorsi dal dì 9 Gen¬ naio prossimo passato a tutto oggi per detto, e, stante sua morte seguita sotto detto dì 9 Gennaio, buoni a Suor Ar¬ ni Cfr. in questo Voi. XIX, Doc. XXVII, g, 4). (*> Tra /. o /atto uell’ originale ò un piccolo spazio bianco. l 3 > 1641. S. r Galileo di Vincendo Galilei ba¬ vere adì p.° Gennaio 10 f. cinquemila moneta per luoghi L dell nostro Monte, consegnacelo per creditore il nostro la¬ bro de’liberi segnato H a 217, per re¬ stare come nell Libro G a 250; e li me¬ liti si posson pagare a Vincendo suo figliuolo, per procura rogata Ser Andrea dell Salvetto il dì 16 Giugno 1639: in questo a 160.f. 5000.- 1642. E a dì 30 Gennaio (#) , f. 497. 4. 5 moneta, buoni per meriti; in questo a 1533 .f. 497. 4. 5 f. 497.4. 5. f. 5000.- <»> 1641. (si 1642. (®> Di stila fiorentino. 452 XXX. CONTI COL MONTI; DJ PIETÀ DELLA CITTA DI JbTJKENZE. cangiola Galilei sua figliuola, monaca in S. Matteo in Arcetri, in virtù di legato fattoli nel suo testamento ro¬ gato Moss. Grazziadio Squadrini sotto dì 21 d’Agosto 1638 (l) , riposto, insieme con la fede di morte in Filza 131, 190 n.° 221, et atteso ancora, a cautela, il decreto fatto da’ nostri SS. H Ottimali li 17 stante ( *\ e di presenza del S. r Ca¬ nonico Lionardo Dati governatore e del R. do Mese. Antonio Mattai procu¬ ratore di dotto Monastero, o come per contratto rogato Mess. Michele Bottaz¬ zini 01 ; come in Giornale a 34, questo a 1371.f. 2.18.4. f. 500.- 1642. E a dì 30Gennaio 11 ’, f.4869.6.1. 200 moneta, che f. 4500 per capitale e f. 369. 6. 1 per meriti per detto, buoni nel no¬ stro Libro do’condizionati al S. r Yincen- tio Galilei buo figliuolo et credo, insti- tuito per suo testamento rogato sotto di 21 Agosto 1G38 Mess. Graziadio Squadri¬ ni, e per additiono d’eredità rogata Ser Carlo Tempesti il dì 30 Gennaio 1641 l,) , c come per contratto rogato Mpbs. Mi¬ chele Bonazzini (7) ; Giornale a 67, in 210 questo a 1107. f.369.6.1 f.45(>0.- f. 497. 4. 5. f. 5000.- <•> Cfr. in questo Voi. XIX, Poc. X LI, lin 88-64. Cfr in questo Voi. XIX, Doc.XLV,o), lin.5-13. <*> Il decreto desìi l'fllziali del Monto di TieU in data di Firenze, 17 febbraio 1042. eoi quale ai ordina di levare dal credito di Gai.ii.zo col Monte la somma di f. 502.1S. 4 o voltarla in credito e faccia di Suor Arc*n Pi stile fiorentino. «•» Pi stile fiorentino. L’atto di adlziono di Viirctjrzio Galiui all'eredita paterna, ili data di Firenze, 80 gennaio |fi42, ai logge nei Protocolli del notaio Carlo Temp*«U, nolPArch. Notarile in Firenze, Protoc. n.« 15154, rar. libi.. n.« interno 13fl. m 11 decreto degli i niziali dei Monto di Pietà, in data di Firenze 24 gennaio 1*»4U. col qual# *i ordina di levare dal credito di Galilio col Monto gli acridi 4*fi9 fi. 1 e voltarli in credito e faccia di Vivremo Gaulii. è a car. fi7r.-S8<. del Libro o4 (Aggmuta al l.ibro I di partiti) dol Monto di Pietà, nell*Arch. di Stato in Firenze; e il contratto di voltura a ciò relativo, in data di Firenze, 30 gen¬ naio 1B43, è nei Protocolli del notaio Michele Bo- nazxini. neii'Arch. Notarile in Firenze, Protoc. 18891, car. n.* interno 102. XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. 453 b) Altri documenti. 1) Partito degli Uffizioli de* Pupilli e Adulti della Città di Firenze, clic gli Uffizioli del Monte di Pietà mettano una condizione per la somma di fior. 400 al deposito di Galileo. Firenze, 10 luglio 1627. Avoli, di Stato In Firenze. Monto di Pietà, Filza di giustificazioni 1051 (d'antica numerazione 36). n.® interno 144. — Autografa la sottoscriziono del cancolliore. A cnr. 63i.~64r. dol Libro 268 (Giornalo doi partiti dal 4 maggio 1627 al 28 aprilo 1628) doli*Archivio del Magistrato de’ Pupilli o Adulti, nello 6[osso Arcb. di Stato in Fironzo, si ha la minuta dol prosonto partito. A dì 19 di Luglio 1627. Li molto Mag. cì Sig. ri Uflitiali de’ Pupilli et Adulti della Città di Firenze, tutori e per debito tempo curatori do’ figlioli dell’ 111." 10 et Ecc. mo Sig. r Don Giovanni Medici; servato le cose da osservarsi et ottenuto il partito, secondo gl’ordini; veduto il partito 0 ’ fatto dal Magistrato loro il dì 30 di Giugno pas¬ sato 1627; e veduta la nota 1 *’ de’ creditori dell’heredità del detto 111." 10 Sig. r Don Giovanni Medici, esistente in Filza di detti Signori, detto dì 30 di Giugno 1627, nella quale infra gl’altri creditori apparisce esser creditore Giuliano Dieciaiuti di f. ni millecentocinquantuno, 1.3, che per sua rata se li aspettano f. ni seicento io settantacinque ; et udito che detto Giuliano dodici anni sono incirca passò a mi¬ glior vita senza liaver fatto testamento, havendo lasciato sopravvivente Cosimo suo figliuolo, il quale ha fatto instantia che detti Signori dien ordine che a conto del credito che ha l’heredità del detto Giuliano suo padre gli sien pagati V di quat¬ trocento solamente, asserendo il Sig. r Galileo di Vinc. 0 Galilei, in luogo che detto Cosimo sarebbe obligato dar mallevadore, si contenta che del deposito che detto Sig. r Galileo ha sopra il Monto di Pietà della Città di Firenze al Libro segnato 1) del detto Monte, a c. 444 (,) , che per la somma di detti f. ni 400 si metta condi¬ tane al detto deposito cantante nel detto Sig. r Galileo, che, caso che comparissero creditori anteriori al detto Cosimo, restituire detti f. ni 400 al Ser. ,n0 Sig. r Principe 20 Don Lorenzo Medici c suo’ successori, et caso ancora che detto Sig. r Principe fusse molestato ne’ suo’ beni, restituir detti denari, cioè detti f. ni 400, al detto Sig. r Principe Don Lorenzo Medici e suo’successori ; di consenso e volontà di detto Sig. r Galileo, deliberorno dotti Signori accettarsi, sì come accettorno, la detta offerta in luogo del mallevadore da darsi per detto Cosimo Dieciaiuti come (li sopra; et deliberorno et deliberando dichiarorno, di consenso o volontà di Doc. XXX, b, 1). 2. Li molto molto MagP — <*i È noli’Ardi. ili Stato in Fironzo, Archivio fc nell’Arch. di Stato in Firenze, Arch. del del Magistrato do’ Pupilli o Adulti, Libro 258, Magistrato do' Pupilli e Adulti, Filza 785, car. 818. Car. 44r,-45r. (S) Cfr. in quosto Voi. XIX, pag. 447, lin. 40-54. Mandatimi proourae. 454 XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. detto Sig. r Galileo, che li Sig. ri Utlitiali di Monto di Pietà e lor miaiatri al detto deposito, esistente sopra il detto Munte di Pietà in credito del detto Sig.* Galileo, si metta conditone, per la somma di f. ni 400 di £ 7 pur fiorino, che, caso elio comparissero creditori anteriori dell’heredità del detto lll. m0 Sig. r Don Giovanni al dotto Cosimo, restituire detti denari al detto Sig. r Principe Don Lorenzo et 30 sua successori, et caso ancora che dotto Sig. r Principe Don Lorenzo fusai mo¬ lestato no’ suoi boni, detto deposito per la detta somma di f. ni 400 venga obligato al detto Sig. r Principe Don Lorenzo nell’uno e nell’altro capo. Mandante# etc. Ego llector Pascius, q. D. Petri filius, Canccllarius, do mandato subscripsi. Nell* minata dol partito «opra citata, dopo lo partilo • nolPono • roll'altro rapo» (lin. SS) «i loprge : Et esequito che sarà l’ordino soprascritto, commossero a Tommaso Passignani, lor Camarlingo, che dii o paghi al detto Cosimo, tigliuolo et herede di Giuliano Dieciaiuti, di (sic) f. ni 4(K) a conto di f.» 1 (>75, senza che dotto Cosimo habbia a dar altro mallevadore, bastando (letto deposito coinè di sopra da farsi, dovendone far la confessione per mano del lor Cancelliere e con obbligarsi come sopra, senza dare altro mallevadore. 40 £ in margino dalla «tosa* minuta ti logge questa nota: Il Sig. r Galileo mostrò al Cancelliere d’bavere messo la conilitione al detto deposito m Filza di giusti ti cationi del Monto bb, n/° 144. 2) Procura di Galileo a Mario Quiducci, per obbligare il deposito di Galileo sul Monte di Pietà in malleveria il'un imj>r astilo fatto dal Munte ai fratelli JJoccJnnen. Firenze, 20 ottobre ‘<634. Axoh. Notarile in Plrenne. Protocolli del notalo Ullto Dai, Protoc. 14771, car. 7flr.-i., n.» intorno 74.-- Orifinalc. In Dei nomine amen etc. Anno Dominicae Incarnationis millesimo sexcen- tesiino trigesimo quarto, Ind.® 2», die vero vigesima mensis Octobria, Urbano 8°, Suramo Pontili ce, et Ser. roo Ferdinando Secundo, Magno Etruriae Duce, foliciter dominantibus. Actum ruri infrascripti D. constituentis, posito in I’opulo Sanctao Margharitao a Monticci, loco diete Pian di giullari, Potestariae Galluzzii. Prae- sentibus magistro Augustino Bartholomei de Taccolis. fabro ferrario in dicto loco, et magiatro Io. Baptista Christophori de Bottis, calceario in eodem loco, testibus etc. OonstitntuB personaliter coram pracmissis testibus meque notario infrascripto Perill. ris Dominus Galileu6 q. D.Vincentii de Galileis, nobilis Florentinus, «ponte etc., io citra etc., et ornili etc., fecit etc., cunBtituit etc., eiua procuratorem etc. specialem XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. 455 et generalem etc., ita tamen quod generalitas specialitati non deroget nec e contra, videlicet Perill. ram D. Mariutn de Guiduccis, nobilem Florentinum, absentem etc., et tamquam praesentem etc., apecialitcr et expresso ad ipsius D. constituentis no¬ mine et prò eo fìdeiubondum penes Perill/ 08 Dominos Ofiiciales Montis Pietatis civitatis Florentiae et eorum camorarium et ministros pio summa et quantitate scutorum quatuorcentum monetao, de libris septem pi o scuto, mutuum recipien- dorum a dicto Monte por admodum Ill. ros et admodum Rev. Jos Dominos D. Bene- dictum, canonicum Pratensem, D. Phili^pum, praesbiterum sacordotem, admodum 20 111.” 8 DD. Dominimi Dormili, a secretis S. C. Ser. n,a ®, D. Alexandrum, a secretis Em. mi et Rev. rai D. Card. 11 * Medices, et D. Ascanium, fratres inter eos et lilios q. D. Caroli do Boccbineris, I. U. I). et civis Fiorentini, vel eorum legitimum procuratorem ; et ad promittendum restitutionem dictae summae, una cimi omnibus utilibus lucrandis et decurrendis usque ad integrala restitutionem et so- lutionem, secundum styluin dicti Montis, ot propterea ad obligandum in Bolidum dictum D. constituentem eiusque lieredes et bona; et in specie et ultra generalem obligationom ad obligandum eidem Monti, et prò particolari eius assignamento, crcditum scutorum trium millium quod habet idem D. constituens in eodem Monte in libro liberorum sub eius nomine; item, prò praedictis ad recipiendum promis- so sionom conservationis indemnitatis in forma etc., et circa praedicta omnia alia faciendum necessaria et opportuna, etiam si talia forent quae mandatum exi- geront magis speciale vel generale quain praesentilms sit expressum, cura pieno, ampio et amplissimo mandato latissime extenclendo etc., et generaliter etc. Dans etc. Promittens etc. Relevans etc. Sub hipoteea etc. Rogaus etc. 3) Contratto di un mutuo fatto dal Monte di Pietà ai fratelli Boce.hìneri, per il quale resta obbligalo il deposito di Galileo sul Monte stesso. Firenze, 3 novembre 1634. Aroli. Notarile In Firenze. Protocolli del uotaio Micliolo Bonnzzini, Protoc. 13875, car. 169r.-f., n.° in¬ torno 804. — Originale. In Dei nomine amen etc. Anno Dominicae Incarnationis millesimo sexcentesimo Mutuum 1 400 . trigesimo quarto, luti. 0 secunda, die vero tertia mensis Novembris, Urbano Dotavo, Suramo Pontifico, et Ser. mo Ferdinando Secundo, Haetruriae Magno Duco quinto, dominantibus. Actum Florentiae, in officio Montis Pietatis, praesentilms testi- bus etc., videlicet Francisco Stephani de Stephanis tabulacelo et Dorainico Fran- cisci de Castellis domicello. Pateat etc., qualiter constituti coram me et testibus etc. DD. Gerius et Ale¬ xander q. D. Caroli de Boccbineris, cives Fiorentini et a secretis S. G. S., eorum nominibus propriis ot in solidum, nec non et idem D. Alexander uti procurato]- 456 XXX. CONTI COL MONTE DI PIETÀ DELLA CITTÀ DI FIRENZE. admodum ll. di Domini Benedicti de Bocchineris, canonici in terra Prati, et admo- io dum R. dl presbiteri (sic) Philipp! et Domini Ascanii de eisdem Bocchineri, omnium eorum germanorum fratrum, ex instrumento mandati de die 2 stantia, rogato manu Bartholomei de Vermiglia notarii Fiorentini, et dictis nominibua et in so- lidum, non vi, sed sponte, per so et suos haeredes et Omni meliori modo, so recognoverunt legitimoa debitores DD. Officialium Montia Pietatis Florentiae, licet absontium etc., et mei notarii etc. praesentia, de summa scutorum quatuorcentum. de libri» septem occasione mutui, ad gabellala et expensas dictorum debitorum, et quam summam scutorum quatuorcentum Marcus Antonius de Nobilibua, elicti Montis generalia camerurius, et prò eo Dominus Alexander eius filius, in prae- scntia mei et testium etc., dodit etc. et actualiter numeravit dictis DD. Gerio 20 et Alexandro dictis nominibus praesontibus et tot esse conlìtentibus, in tot 1110 - netia argenteis et ad dictain sunnnam con^tituentibus, et quam sunnnam ipsi debitores dictis nominibus et quilibot eorum in solidum promisit restituere infra annum ab liodie et interim quandocumquo ad libitum dictorum DD., una cum uti- libus lucrandis secumlum stilum elicti Montis; et prò observantia praedictorum etc. admodum lll. ri * Dominus Marius de (iuiduccis, nobili» Florentinus, uti procu- rator Perill. ri * D. Galilei q. D. Vincentii de Galilei, nobilis Fiorentini, ex instru- mento mandati de die 20 8bris 1G54, rogato manu Ber Olivii de Deis, notarii Fiorentini, et dicto nomine, non vi, sed «ponto etc., eius dicto nomine heredes et omni meliori modo etc., precibua dictorum Gerii et Alexandri dictis nominibus so praesentium, so principaliter dicto nomino et in solidum obligando lìdeiussit penes dicturn Montem et promisit observautiam plenissimam omnium et singulorum per dictos de Bocchineris dictis nominibus promissorum, et cui fideiussiori ipsi DD. Gerius et Alexander dictis nominibus et in solidum promiserant indemnitatis conservationem in forma amplissima. Et ulterius et ultra generalem obligationem, et non derogando generalitati et e contra, idem D. Marius dicto nomine obligavit in specie et prò particulari assignamonto ad favorcin dicti Montis, et prò maiori securitate eiusdem Montis, ereditimi scutorum triuni millium quod idem Dominus Galileus, principali dirti Domini Marii, liabet sub eius nomine in eodem Monte ad librum liberoruni dicti Montis, ornili meliori modo etc. Quae omnia promise- 40 runt attendere sub paena dupli etc. Quae etc., qua etc., prò quibus etc., obligave- runt etc. etiam omnia eaquae in generali obligatione non compraelienduntur etc., renunciaverunt etc., iuraverunt etc., quibus per guarantigiain etc. Itogantes etc. 457 xxxr. ATTO DI MORTE DI VIRGINIA GALILEI NE’LANDUCCI. Firenze, 9 maggio 1623. Arch. di Stato in Firenze. Modici o Speziali, Libri doi morti, u.° 257, car. 852r. — Originalo. Maggio 1623. Verginia di Vino. 0 Galilei, in S. Brancazio. 9.'*> Aroh. di Stato in Firenze. Libri dei morti doU’Ufllzio (lolla Grascia, n.° 9, alla lett. l'o ad annum. — Originalo. 1623. Mag.® Verginia di Vincentio Gagliei (sic), sepolta in S. Brancatio. 9. (i) Cioè, sepolta nella chiosa di S. Pancrazio il giorno 9. Ofr. Voi. Xiil, u.« 1558. 58 XIX. 458 XXXII. CONTI COL MONASTERO DI S. MATTEO IN AUCETRI. t?-l«29). Arch. di Stato in Flrenao. Archivi (lolle Corporasloui religiose soppresso del Dipartimento dell’Arno Monastero di S. Malico iu Ar-etri, l.ibro n.* J ' . Originai*. Car. 00. Ghalilco di.... w Glmlilei de’dare a di 8 d’ Ottobre 0 d. cinquanta moneta, portò detto a buon conto di d. 100 che dove più tempo fa, come a Uscita 10 a 85, in quosto a 56. d« E adì 6 di Xmbre l '\ d. venti, portò detto chontanti, io quali si ritenne del serbo del¬ la Lisabetta sua lav. ra , come a Uscita a 85, in questo a 69. d. E adì 19 di Xmbre 1629, d. 30, quali si son fatti buoni per lui a S. B M. a Celeste Ga¬ lilei nella somma di d. 80 della camera 1,1 che à auta di S. a M. a Verginia Castrucci; in Giornale l,) a 39, in questo 20 a 101. d. Galileo Gholilei di contro de’avere sotto suo’dì d. UH), quali prestò li> al tempo ili S. a Violante abbadossa ■*' gra¬ ti !>, come....'. d. 100. — 50. - 20. - Ol Sopra una carta di guardia bì legge: « Que¬ sto libro nominato Debitori et creditori, intitolato A, è dolio molto HR. d » monache et luonnsU-rio di S. 1 * Alatteo in Nacctri, ui-1 quale si terrà conto di tutti gli oflotti di dette monache o di evto muuasterio: comin¬ ciato questo di 30 di Ombro 1622 in detto luoglio ». Questi puntolini souo nell'originale. < 3 > 1620. <*’ Non giunse fino a noi il libro a cui qui si rimanda. <»> 1626. «•» Cfr. Voi XIV, n» 1968. lin. 37-48. Il Qiornalo a cui qui si rimanda, non è stato conservato. «•» Cfr Voi. XIV, u.» IMI. lui. 81. <•' Viola uri Rovdixblm. Fu badessa prima del 30 novembre 1622. Nella serio doi libri dui Debitori « ereditari del Monastero di 8. Matteo, conservati fino ad oggi, è una lacuna cho va dal 1660 al 1622. ,,B| Questi puntellili auuu nell'originalo. XXXII. CONTI COL MONASTERO DI S. MATTEO IN ARCETKI. 459 Cftr. Cassa in mano alla nostra badessa S. a Ortenzia di contro do’avere .a dì 8 detto 10 d. 50, a Sig. rt Ghalilco Ghalilei chontanti; a Uscita a 85, dare in questo a 00. d. 50 — Car. 50r. Cassa in mano a S. a Ortenzia del Nenie de’avere. a dì 6 detto w d. 20, a Ghalilco Ghalilei; a Uscita a 85, darò in questo a 00. d. 20. Car. 1011. Cassa di danari contanti in mano a la R.' la S. a Laura Gaetani badessa de’ dare. .a dì 19 di Xmbre (S) d. 80, pagati a Galileo Galilei nella 30 somma della camera; a 89, in questo a 60. d. 30. — • ') 8 ottobro 1G26. W 0 dicombre 1G25. <*> 1629. 4G0 xxxm TENSIONI ECCLESIASTICHE 1627-1632. a) Pensione sopra la Teologale della Cattedrale dt Dhksoia. 1 ) Bolla di conferimento della pensione a Vincenzio di Galileo Galilei Roma, 20 marzo 1627. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Nuovi Acquisti, n.» 21. — Copi» di mano sincrona, in capo alla quale si logge, della stesali inano: « Copia >. Urbanus Episcopus, sorvus servoram Dei, dilecto Elio Viuoentio Galileo, scholari Fio¬ rentino, salutem et Apostolicam benedictionem. Laudabilia probitatis et virtutum inerita, super quibus apud Nob lìdedigno common- daris testimonio, Nos induennt ut illa tibi favorabiliter concedauius, quo tuis coni modi tatilius J'ore conspicimus opportuna. Iiinc est quod Nos tibi, qui, ut asserì», militi© clericali adsoribi desidera», ut oommodius sostentar! valeas, de alicuius subventionis auxilio providere ac, pro- missorum meritorum tuorum intuitu, specialem gratiam tacere volentes; teque a quibusvis excommunicationis, suspensionis et interdicti, aliiaque ecclosiasticis scntentiis, consuris et penis, a iure voi ab homine, quavis occasione voi causa, si quibus quoraodolibet innodatus oxistis, ad effectum presentium duntaxat consequendum, haruin serio absolventes et abso- io lutum fore censentes; ac quarumeumque pensionimi aunuarum, tibi super quibusvis fru- ctibus, redditikus et proventibus ecclosiasticis Apostolica aucloritato reservatarum et ns- signataruni, quantitates presentibus prò oxpressis babent.es; tibi ex mino prout, postqimm clericali charactere vite insignitila fueris, pensionem annuam, ab omni decima, quarta, media et quavis alia fructuum parte, subsidio etiam charitativo et excusato, ac quocumque alio tam ordinario quam oxtraordinario onero quomodolibet nunonpato, fabricu Rasiliec Prin- cipis Apostolorum de Urbe, Cruciata Saucta et expeditione contra Turca», intideles et here- ticos, ac prò Seminario puerorum ecclesiastico, mauutentione classis triremimn, et quavis alia urgenti, urgentissima et necessario exprimenda causa, etiam ad supplicationem Ini- peratoris, Regum, Reginarum, Ducum et aliorum quorumciiinque Principimi, ac prò eoruni 20 et Sedis Apostolico necessitatibus et alias canonice vel do facto, etiam motu proprio, nunc et prò tempore, impositia et imponendis, etiamsi in literis impositionum huinsmodi cavea- tur expresse quod pensionami quieunqno prò rata pensionimi suarum, quanturavis exemp- tarum, premissis contribuere teneautur; quafli ratam infrascriptus Cornelius, tam suo quam successorum suorum infrascriptorum iioininibus, de suo et eornm proprio solvere promittit, ac bolli, pestis, incondii, grandinis, tempestatis, siccitatis, alluvionis, incursus militimi, dc- populatiouis, agroi'iun devastationis, fructuum amissionis, ac quocunque alio fortuito et in¬ solito casu prò tempore contingente, liberam, immunem et exemptam, sexaginta scutormn monete Romane ad rationem decerli iuliorum prò quolibet scuto huiusmodi, super Canoni- Cfr. YoJ. XIII, n.* J8>2. XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICHE. 4G1 80 catns et. secondi, alias t.crtii, capiti» nuncupate Prebende Theologalium Ecclesie Brixiensis, de quibus alias tunc, per obitura quondam Ioannis Ricciardi, olim ipsius Ecclesie Canonici, extra Romauam Curiani, de mense Octobris proxime preterito defuncti, vacantibus, dilecto libo Cornelio Meliorii, presbitero Liinonsarzauonsi.utriusque iuris Doctori ac Nostro et Sedis ApostoliceNotario Protlionotarionuneupato, per venerabile™ Irai rem Nostrum Marinimi,Epi- scopum Brixiensem, pretextu cuiusdam indulti suis predecessoribus, diete Ecclesie Brixiensis presulibus, alias a Sede Apostolica concessi, ordinaria auctoritato provisum fuerat, quosque Nos hodie, cura do iuribua diete provisionis hesitaretur, eidem Cornelio per viani novo pro- visionis per alias Nostras literas, sub certis modo et forma tunc oxpressis, conferri et assi- gnari mandavimus, prout in dictis literis pienius continetur, fructibus, redditibus, provon- 40 tibus, iuribus, obventionibus et emolumentis universis ac distributionibus quotidianis, super quibus pensio annua quinquaginta ducatorum auri do Camera dilecto Alio Marcoantonio Martincugo, clerico Brixiensi, illam annuatim percipienti, Apostolica auctoritate, ut etiam asseris, rescrvata reperitili*, etinmsi supor illis alie penBiones annue aliis resorvate existant, tibi, quoad vixeris, voi procuratori tuo ad hoc a to speciale mandatum habenti, per dictum Cornelium, cuius ad hoc oxpressus accedit assensus, et successores suos, Canonicatum et Brebondam prcdictos prò tempore quomodòlibet obtinentes, annis singulis, prò una vide- licet. in Sanati Ioannisbapliste, a proxinie ventura incipiendo, et altera medietatibus pen¬ sioni» inferius reservando Imiusmodi in Domini Nostri Icsu Christi Nativitatum festivitn- tibus etiam presentiluis, Cornelio, qui illasex mine prò sibi et successoribus predictia legitimc 50 intimatis Imbere vult, illarumque intimationi oxpresse renunciat, et successoribus predictis minimo intimati», illarum tamen vigore nee alias, alioquin presens reservatio nulla sit co ipso, integre persolvendam, Apostolica auctoritate predicta, earumdem tenore presentimi!, reservamus, constitnimus et. assignamus. Decornentes. pensione™ per presontes reservntam predictara ex quacumque causa ad minorem suinmam reduci, annulluri, vcl intcntionis Nostre sou quopiam alio defcctu notali voi impugnali, unquam posso; ipsosque Cornelium et successores ad integrare illius solutiouem tibi faciciulam, iuxta reservatiouis, constitu- tionis et assignationis predictnrnra tenorem, foie cffìcaciter obligatos. Àc volentes et eadem auctoritate statuentes, quocl ilio ex Cornelio et successoribus predictis qui in dictis festi- vitatilms, voi Bftltem infra triginta dies illarum singola» immediato sequentes, pensionem co per presentes reservatam predictara, per eum tibi tunedebitnm, non persolverit cuniofieotu. lapsis diebus eisdem, sententiam exconimunicationis incurrat, a qua, donec tibi voi eidem procuratori de pensione per presentes roservata predicta, tibi tunc debita, integro sati- sfactum, aut. alias tecum vel cum dicto procuratore super hoc amicabiliter concordatimi fuerit, prcterquara in mortis arti culo constitntus, absolutionis beneficiuni nequeat obtinere. Si vero per sex menses, dictos triginta dies immediate sequentes, sententiam ipsam animo, quod nbsit, sustinuerit indurato, ex tunc effluxis mensibus eisdem Canonicatu et Prebenda predictis perpetuo privati» existat, illique vacare censeantur eo ipso. Quooircadilectis filiis, causarum ('urie Camere Apostolico generali Auditori ac venerabili um fratrum Nostro rum Archiepiscopi Fiorentini et Episcopi Pergamena» Viiariis in spiritualibus generalibus. per 70 Apostolica scripta mandamus, quatenus ipsi, vel duo aut unus eorum, per se vel alium seu alios, faciant auctoritato Nostra pensionem per presentes reservatam predictara tibi, quoad vixeris, vel procuratori predicto, iuxta reservatiouis, constitutionis. assignat ionis et decreti 4G2 XXXIir. PENSIONI ECCLESIASTICHE. prcdictorum continontiftin ot. tenoi cm, integre persolvi ; et nihilouiinus quemlibefc ex Cor¬ nelio et succossoribus predici,is, queni huiusmodi excommunicationis sententiam incurrissc ois constiterit, quoties super lioc prò parte Nostra fuerint requisiti, tamdiu dominicis et aliis l'cstivis diebus in ecclesiis, dum iunior inibi popoli multitudo ad divina convenerit, oxcommunicfttum pnblice nuncient, et. facianfc ab aliis nunciari ac ab omnibus arctius evitari, donec tibi vel eidem procuratori de pensione per presento» reservata predicta, tibi lune debita, fuerit integre satisfactum, ipseque exeommunicatus ab huiusmodi excommunicationis sententia absolutionis beneficium meruerit obtinere; contrndictores a udori tate Nostra, ap- so pellatione postposita, compescendo. Non obstantibus constitutionibus et ordinationilms Apo- stolicis, dicteque Ecclesie iuramento, confirmatione Apostolica vel qua vis fìrmitate alia roboratis statuti» et consuetudinibus Apostolicis contmriie quibuscunque; aut. si Cornelio et successoribus predictis vel quibusvis aliis, coinmuniter aut divisim, ab eadem sit Sedo indultum quod ad praestntionem vel solutionem pensionis alienili», minime teneantur et ad id coni pelli aut quod interdici, suspendi vel exconirnunicari non possint per lit.eras Apostolica» non lacientes plenam ot expressam ac de verbo ad verbum do indulto huiusmodi mentionem; et qualibet alia diete Sedis indulgenti a generali voi speciali, euiuscumque tenoris existat, per quam, presentibus non expressam vel totaliter non inserta™, efìectus huiusmodi gratin impe- diri valeat quomodolibot vel difl'erri, et de qua cuiusque t.oto tenore linbenda sit in Nostris 90 litcris mentio spocialis. Nulli ergo omnino hominum licoat liane paginam Nostre absolutionis, reservat,ionia, constitutionis, assignationis, decreti, voluntatis, statuti et mandati, infringere, voi ei ausu temerario contraire. Si quia autom hoc attentare presimipserit, indignationem omnipotentis Dei ac Beatorum Petri et Pauli Apostolorum Eius se noverit incursurum. Datum Romao, aprnl S. Petrum etc., Nili Kal. Aprilis 1G2G (sic), Pontifieatus etc. quarto. Pro IU. mo D. Card. 1 * Ludovisio summatoro, N. Ursimis. Ioscpli Anselnius. A. Petrollinus. "Visa. N. Ursinus. 2) Procura di Vincenzio di Mici tei un a do Galilei a Galileo per la riscossione della pensione. Firenze, 28 settembre 1628. Blbl. Naz. Fir. Mss. fini., Nuovi Acquisti, li.® 23. — Autografo (lei notaio Giuseppe Bauni, munito del si¬ gillo del Proconsolo del Collegio dei Giudici e Notai di Firenze; lo lin.GO-61 u 62 sono, ìospottivnmoiite, autografe di Iacopo Pel Soi.oato o di Tommaso Guu-o.ni, lo liu. 63-72 sono di mano di Lorenzo Bini>i. Sul tergo dol foglio si leggo, di mano di Galileo: Procura della pensione. L’atto (Un. 1-56), senza lo sottoscrizioni o autenticazioni finali, è puro nei Protocolli dol notaio Giuseppe Barili, uol- l’Ardi. Notarilo in Fironzo, Protoe. 9312, car. 801.-8H., n.® intorno 76. In Dei nomine amen. Anno Domimene Incarnationis millesimo sexcentesimo vigesimo octavo, Imi. 0 XII, die vero vigesima octava mensis Septembris, Urbano Octavo, Stimino Pontitice, et Ser. mo Ferdinando 2°, Magno Hetruriae Duce, feliciter dominantibus. XXXTIT. PENSIONI ECCLESIASTICHE. 463 Publice pateat, qualitor personal iter constitutus Tt. D. Vincentius J). Michaolis Angeli do Galilois, clericus et civis Florentinus, ad cuius lavoroni alias auctori- tato Apostolica fuit rosorvata annua ponsio ducatorum sexaginta auri do Camera, seu alterius verioris suramae, super fructibus et introitibus quibuscunquo Canoni- catus ot Praobemlao Thoologalis Cathodralis Ecclosiae Brixionsis, prout latina io ox literia Apostolicis dosupor expeditis, ad quas in omnibus ot per omnia rolatio liaboatur, ot tanquam ponsionarius praodictus, dioto nomino, sponto otc., citra rovocationem otc., et ornili meliori modo otc., focit, constituit otc., suum etc. pro¬ curatocela etc. admodum 111.""’ D. Galiloum q. I). Vincontii do Galilois, nobilom Florentinum, oius patruum, praosontem otc., silicot specialiter ot exprosso ad ipsius D. constituontis nomine et prò eo oxigendum, recipiendum, ac Imbuisse et recepisse confitondum, a DD. possessoribus prò toniiiore existontibus Canonicatus ot Praebendao praedictarum, et quibuscunquo aliis personis ponsionem praedi- ctam solvero habontibus ot dobontibus, omnos terminos tam docursos quam in futuTum (piandocunquo decurrondos pensionis praodictao, ot do oxactis, habitis 20 et receptis, ac habuisso ot recepisse confessis, finem ot quietantiam faciendum, cum pacto do ulterius non potendo; solvoro voro recusantos aut differontes, om¬ nibus iuris ot facti remodii cogendum ot compellendum, ac cogi, gravari, stag¬ gila ot sequostrari, noe non oxcomunicari, ot oxcomunicatos et in censuris in dictis lituris Apostolicis comminatis incursos declarari ot respectivo publicari, ac bona gravata ot staggita vendi et subastari, ot alia necessaria [ujsquo ad integrala satisfactionem fiori ot decorni, rospoctivo potondum, faciendum et obtinendum, ac captos, gravatos ot staggitos licentiandum, ot respectivo cuicunque absolutioni a dictis censuris consentiendum otc.; ot quatonns opus ossot, quibusvis personis litoras Apostolicas super rcsorvationo pensionis praodictao oxpeditas intimari et 30 notificari faciendum, et in praodictis ot circa praodicta ot praedictorum occa¬ siono agondmn, causandum ot dofendendum, in omnibus litibus ot causis tam motis quam movondis, et tam activo quam passivo, coram quibusvis DI), iudi- cibus, tam ordiuariis quam deiogatis, ot exocutoribus Apostolicis ac quibusvis Dominis iusdicentibus, ot ad omnos ot singulos actus iudiciarios, et litibus et causis nocessarios, et qui sub verbis agoro ot causari veniunt ot compraeìienduntur, cum clausula ad litoris, iuxta stilum dictao civitatis Brixiao et aliorum iocorum in quibus praomissa fiori contigorit, in amplissima forma extondonda; item, quatonus opus ossot et dicto D. oius procuratori videretur, supplicandum ot praocos [porrjigondum S. m0 Domino Nostro supor oxtinctione, cassatione et an- 40 nullatfiono dictae] pensionis, cum anticipata tamon illa pecuniarum summa dicto oius D. procuratori bone visa, ot licentiam ot facultatem dictam oxtinctionom faciondi petendum ot obtinendum, ot vigore licentiao praedictae deindo ponsionem praedictam oxtinguendum, cassandum ot annullandum, prò illa anticipata pecu- niaruin summa sibi bene visa et oo modo et forma prout ei magis vidobitur et XXXIII. PENSIONI ECCLE8IA8TICTTK. 464 placebit, et dictam anticipatalo solutionem rccipiendura a<* Imbuisse ot recepisse eonfitendum, et de habiti» et rocepti» ac babuis-e et recepisse confossis finem et quietantiani, tara per publicas quara per privata- scriptura», faciendum, cum pacto de ulterius non potendo, et ouicunque extinctioni, cassa tio ni et annulla- tioni pensioni» praedietao conRentiondum, et eius oonsensuni paritor et assen- sum praestandum; et quatcnus opus esset, iurandura quod in praedictis et circa 60 praedieta non intervenit nec interveniet dola», irmi», simoniae labe» aut quaevis alia inlicita pactio et seu oorruptela. Cum facultate substituendi etc. Kt genera- liter etc. Dan» etc. Proniicten» etc. Hevelan» etc. Sub hipotbeca etc. Kognns etc. Actura Fiorentine, in ('ancellaria Curine Archiepiscopali», praesentibus ibidem Ill. r ‘ I». Pandulpko Thomao de tini», nobili l*i»t<>ricnse, et 11. I». Antonio Micbaolis Angeli de Kriuinis, clerico Fiorentino, testihus etc. Kgo Iosephus q. lacobi de Harms, notarili» publicus Flurentinus, de pre- dictis rogatila, in fidein »ul«cripsi, signumque ineum apposui con.suetum (,, . Ad laudem omnipotentis Dei. Iacobus de Soldato, I. V. D., ex ministri» Arcbivii Fiorentini. Coll. :2 Xm-co bris 1628. Thommas Grifonius I. C. Consorvator vidit. Nos Franciscu» Fiorvigna, civi» et uotariu» publicu» Fiorentini!» et ad prae- »ens Proconsul Collegii Iudicum et Notariorum coitati» Fiorentino, fidoni fachnus et publiee attestaiuur, supradictum D. Ioscphum de Harnis do praedictis rogatimi fuisse, et esse notarimn publicum Florentinuin, legalem ot fidodignum et in nostro Collegio doscriptum et raatriculatum, eiu»que instrunientis et scripturis semper adhibitara fuisse et ad praeaens adhiberi plenum et indubiam (idem, in iudicio et extra, ali omnibus indifferenter. In quorum testimoniura bus nostra» fieri inanda- vimus, nostrique soliti sigilli iniprae-done muniii mandavimu». Datum Fiorentine, 70 ex Palatio nostrae solitao residontiae, die 2 Xmbri» 1628. Uaur.* Ilindius, elicti Collegii Cancollarius ctr. 3) Sostituzione Hi Carlo Castèlli a Gal Aro Coinè jyrocuratore per la riscossione Hello pensione. Firenze, !♦ dieombr* l«2s. Aroh. Notarile in Firenxe. Protocolli del nouio Gio*epp« Barni. Protw c*r I 04 r., n • Intimo 09 — Originale. In Dei nomine amen. Anno Domimene Incarnationis millesimo sexcentesimo vigesimo octavo, Ind.* XII, die vero prima menai» Decembris, Urbano Octavo, •O Sul margine è il togno dal talellionato dal notaio. XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICHE. 465 Summo Pontifico, et Ser. rao Ferdinando secundo, Magno Hetruriae Duce, feliciter do minanti bus. Publice pateat, qualitor, in praesentia moi notarii et testium infrascriptorum, praesens et personaliter constitutus admodum Ill. ris D. Galileus q. D. Vincentii de Galileis, nobilis Florentinus, ut et tanquam procurator specialiter depulatus ad quamplura faciendum ab admodum R. 1). Viucentio I). Michaelisangeli de Galileis, nobili, clorico Fiorentino, causa et occasiono uniua annuae pcnsionis ducatorum io sexaginta ad eiusdem D. Vincentii favorern, super fructibus et introitibus quibus- cunque Canonicatus et Praobendae Thcologalis Cathedralis Ecclesiae Brixiensis ad favorom (lieti D. Vincentii reservatae, cuoi facultate substituendi etc., prout latius in instrumento procurationis praedictae, rogato manu mei notarii infrascripti sub dio 18 (sir) mensis Septembris proxime praeteriti 1628 co ; et propterea, vi¬ gore facultatis siiti in instrumento praedicto concessae, substituit et loco sui po- suit admodum Ill. r,MU D. Carolimi q. D. Anibalis de Castellis, nobileui Brixiensera, licet absentom tanquam praesentem, ad ea omnia et singola faciendum, exercen- dum et procurandum, quae ipsemet D. substituens vigore dicti eius mandati lacere, oxercore et procurare posset. In se ipso iiibilominus reservando et rotinendo (lieto 20 eius principali mandato. Rogans me notarium infrascriptum ut praesens hoc con- iicorem instrumentum, prout confeci. Àctuin Fiorentine, in Cancellaria Curine Arcliiepiscopalis, praesentibus ibidem Ill. ri 1). Pliilippo Io. Tetri de Guidettis, nobili Fiorentino, et Mag. co I). Rapimele alterius Rapbaclis de Tozzis, cive Fiorentino, testibus ad praemissa vocatis, liabitis atque rogatis. b ) Bolla di conferimento di una pensione a Galileo sopra dn canonicato della Metropolitana di Pisa. Romn, 12 febbraio 1G30. Blbl. Naz. Pir. Mas. Gal., Nuovi Acquisti, n.° 25. — Originalo, con lo sottoscrizioni o autenticazioni autografa. Urbanus Episcopus, scrvus servorum Dei, dilccto fìlio Galileo de Galileis, sebo- lari Pisano seu alterius civitatis vel diocesis, salutem et Apostolicam benedictionem. Vite ac inorimi honestas aliaquo lamlabilia probitatis et virtutum merita, super quibus apud Nos fidedigno commendaris testimonio, Nos inducunt ut illa tibi favorabiliter concedamus, que tuis commoditatibus fore conspicimus oportuna. Cnm itaque Nos hodie Canonicatum et Prebendam Ecclesie Pisane, tane per obitum quondam Benedicti Amirati, olim in dieta Ecclesia Canonici, extra Romanam Cu- riam, de mense Novembris proxime preterito defuncti, vacantes, et antea dispo¬ ni Cfr. il documento precedente. XIX. 5» 466 XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICHE. sitioni Apostolico roservatos, dilecto film Marcoantonio 1‘ieralli, in emioni Ecclesia Canonico, auctoritate Apostolica contulorimus et do illis etiam providerimus, prout io in Nostris indo confectis litoris ploniu» continetur, No» til»i, utcomraodius susten- tari valeas, do alicuius subventionis auxilio previdero ac, premissorum moritoruni tuo rum intuitu, speciale»! gratiam facon* volente»; toque a quibusvis excommu- nicationis uliisquo ecclosia»ticis poni», qui bua quomodoliliet innodutus existis, ad eflfeotuiu presentimi! duntaxat oonsequeridum, baruin serie absolventes ; ac omnia et singula beneficia ecclesiastica, que etiam ex quibusvis concessionibus et dispensationibus Apostolici» obtincs et cxpecta*. ac in quibus et ad quo ius tibi quomodoliliet coni petit, quecunque quotcunque et qualiacunque sint, eorum- que fructuum, redditutuu et proventuum vero» annuo" vulores ac buiusmodi con- cessionum et disponsationum tenore* ac qualunque pensione» annua* tibi super so quibusvis fructibus, redditibus et proventibus ecclesia-' tici» A post oliai auctoritate reservatas presentibus prò «pressi» Inibente»; tibi i>en»ioneni annuam, ab omni decima, quarta, media et qua vis alia fructuum parte, suicidio etiam cbaritativo et oxcusato, ac quocunque alio tam ordinario quam extraordinario onere quonio- dolibet nuncupato, lubrica Basilico Principi» AposUdorum de I rbe, Cruciata Saiu ta et expeditiono con tra Turcbos aut alio» in fide le» et hereticoe, et prò Seminario puerorum ecclesiastico, manutontione clu»is trireuiium, et qtiavis alia urgenti, urgentissima et de necessitate exprimenda cau»a, et ad mipplicationem Inipe- ratoris, itegum, Ueginarum, Ducum et «lumini quorumcunque Principum, ac prò eorum et Sedi» Apostolico necensitatibus et alias - anonico vel de facto, etiam motoso proprio, nunc et prò tempore, imponili» et imponendo*, etiain si in litoris im- positionurn huiusmodi caveatur expresse quod }>ensionarìi quicunque prò rata pensionum suarum, quantumvi» exemptarum, premiasi» contribuere tcneantur; quam ratam dictus Marcuaan tonius, tam suo quam successoruin suorum infra* scriptorum nominibus, de suo et eorum proprio solvere promittit, absquo spe aliquid unquam poetea repetemli ->eu defalcandi, onusque rate huiusmodi in se et eosdem successore» suscipit, et quicquid propl«*rea riverii s«u solverint tibi, etiam donatione que dicitur fieri inter vivo», gratio»<* donat et rciuittit, necnon belli, jiestis, incendii, grandini», tempestati», fucilati*, alluvioni», incursus militimi, de- populationis, agrorum devastatami», fructuum reddituum et proventuum amiasio-40 nis, et quocunque alio fortuito et insolito c.i»u prò tempori contingente, liberam, imraunem et exemptaui, quadraginta scutorum monete Itomane ad racionem de- cem iuliorum prò quobbet scuto monete buiusmodi, super die torum C'anonicatus et Prebende fructibus, redditibus, proventibus, iuribus, obventionibu» et emolumenti.» uni venia ac etiam distrihutionibu* quotidiani», etiam si super dictis fructibus, redditibus et proventibus alie pensione» annue, qua» presentibus haberi volumus prò expressis, aliis reservate existant. tibi ex nunc prout ex tunc et e coiitra, post quam clericali cliaractere rite insignitus fueris, quoad vixeris, vel procuratori XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICIIE. <107 tuo legi timo, per dietimi Marcimiantonium, cuius ad li oc expressus accedit assensus, no et auccessores suos, Canonicatum et Prebendari! huiusmodi prò tempore quolibet obtinentes, annis singulis, prò una videlicot in Sancti Ioannisbaptiste, a proxime ventura incipiendo, et altera medietatibus pensionis per presentos reservande huiusmodi in Domini Nostri Iesu ('liristi Nativitaturn festivitatibus hic Rome etiam presentibua, et eidem Marcoantonio et successori bus predictis minime inti- matis, quas nihilominus dictus Marcusantonius, suo et successorum suorum no- minibus, prò sibi et succcssorilnis eisdom legitime intimatis habere vult, illarum tamen vigore nec alias, alioquin presene reservatio nulla sit eo ipso, integre persol- vendam Apostolica auctoritate praedicta, earuindom tenore presentium, reserva- mus, constituimus et assignamus. Decernentes, Marcumantonium et successorcs 60 predictos ad integrarli solucionem pensionis per presentcs reservate huiusmodi tibi laciendam, iuxta reservationis, constitutionis et assignationis predictarum tcnorem, foro efficaci ter obligatos. Ac volentes et eadem auctoritate statuentes, quod ille ex Marcoantonio et succcssorilnis predictis qui in dictis festivitatibus, voi saltelli infra triginta dies illarum singulas immediate sequentes, pensionerà per presentcs reservatam predictam, per eum tibi tunc dobitam, non persolverit cum eflectu, lajisis dielnis eisdem, sententiam excommunicationis incurrat, a qua, donec tibi voi eidem procuratori de pensione per prosentes reservata huiusmodi, tunc debita, integre satisfactum, aut alias tecura vel cum dicto procuratore super hoc ami- caliiliter concordatimi fucrit, preterquam in mortis articulo constitutus, absolu- 70 tionis bcneiicium nequeat obtinere. Si vero por sex menses, dictos triginta dies immediate sequentes, sententiam ipsam animo, quod absit, sustinuerit indurato, ex tunc ellluxis mensibus eisdom Canonicatu et Prebenda predictis perpetuo pri- vatus existat, illique vacavo ccnseantur eo ipso. Quocirca dilectis filiis, causarum Curie Camere Apostolico generali Auditori et Arcliidiacono Ecclesie Pisane ac Vicario venorabilis fratris Nostri Archiepiscopi Pisani in spiritualibus generali, por Apostolica scripta mandamus, quatonus ipsi, vel duo aut unus eorum, per so vel alium seu alios, faciant auctoritate Nostra pensionem per prescntes reservatam predictam tibi, quoad vixeris, vel procuratori predicto, iuxta reservationis, consti¬ tutionis, assignationis et decreti predictorum continentiam et tenorem, integre 80 per sol vi ; et nihilominus quemlibet ex Marcoantonio et successorihus predictis, quem huiusmodi excommunicationis sententiam incurrisso eis constiterit, quoties super hoc prò parte tua fuerint requisiti, tandiu dominicis et aliis festivis dielnis in ecclesiis, cium maior inibi populi multitudo ad divina convenerit, excomnui- nicatum publice nuncient, et faciant ab aliis nunciari ac ab omnibus arctius evi- tari, donec tibi vel procuratori predicto de pensione per presentes reservata huiusmodi, tuno debita, fuerit integre satisfactum, ipseque excommunicatus ab huiusmodi excommunicationis sententia absolutionis beneficium meruerit ohti- nere; contrai! ictores por censuram ecclesiasticam, appellacione postposita, coni- 4 08 XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICHE. pescando. Non obstantibus constitutionibua et ordinationibus Apostolici^ dicteque Kcclesie iuramento, confirmatione Apostolica vel quavia tìrmitato alia roboratis 90 statuti» et consuotudinibuB contrariis quibuscunque; aut si Marcoantonio et kuc- cessoribus predictis voi quibu^vis alibi, co min un it or aut divismi, ab emioni sit Sedo indultum quod ad preatationeni vel solutionem pensioni» alicuius, minime tenean- tur et ad id compatii aut quod intordici, stupendi voi exoommunicari non possint per litera.3 Apostolico» non facientes plcnam et expresaam ac do verbo ad verbuin de indulto huiusmodi mentionem ; et qualibet alia diete Sedia indulgenti» gene- rali vel speciali, cuiuacunque tenori* oxistat, per quam, presentibus non expressam vel totaiiter non insertam, effectus huiusmodi gratie impediri valeat quoinodolibot vel differri, et de qua cuiusquo toto tenore habenda sit in Nutria literis mentio specialis. Nulli ergo omnino hominuin liceat banc paginam Nostre absolutionis, 100 reaervationis, constitutionia, aasignationis, decreti, voluntatia, statuti et mandati, infingere, vel ei ausu temerario contraire. Si quia autem hoc attentare presump- serit, indignationein oiunipotentia Dei ac Beatorum Patri et Pauli Apoatolorum Eius se noverit incursurum. Datura Uomo, apud Sauctum Petruni. Anno Incanuitionia Dominice millesimo sexcentesimo trigesimo, Pridie ld. Februar., PonUticatua Nostri anno octavo. Pro Eniiueut.‘ nu D. Ludovico Card. 1 'Ludoviaio aummatore, Alex. r Itaulus. S. Ghezzius. Fuori: G. Montanua, Visa. Alex/ llaulus. HO Registrata in Secretarla Breviura. Anno a Nativitate Domini millesimo sexcentesimo trigesimo primo, die vero duodecima mensia Februarii, retroacriptus D. Marcusantoniua per Doniinum Iio- bertura do Pierallis, Roinanam Curiato s<*quentem, eius procuratorem, retroscriptae pensioni» annuao reservationi eto., ac literamm expeditioni, consensit, iuravit etc. Astulphua de Tarano. C) PK.N810HI SOPRA UNA M.AX9I0NRRU PRLLA CtTTRPRALR DI BBRflCIA. 1J l'rucurc per lei riscossione dello pensione, 1631 1632. c) A Bartolommto forni. Flrenir, 11 ottobrr 1631. Aroh. Notarile In Firen*o. Protocolli dal notaio Giniepp# Borni, Piotoc n • 93M. car. 57r. 58r., n.® In¬ terno 60. — Originai#. In Dei nomine amen. Anno Dominicae Incarnationis millesimo sexcentesimo Mandato trigesimo primo, Indictione XV, die vero undecima mensia Octobris, l'ontilicatus XXXTII. PENSIONI ECCLESIASTICnE. 409 S. nii in Christo Patria et D. N. D. Urbani Divina providcntia Papae Octavi anno 9°, et Ser. mo Ferdinando 2 (I ° Magno Etruriae Duce feliciter dominante. Pateat qualiter, in mea notarii publici testiumque infrascriptorum presentia, presens et personaliter constitutus admodum Ill. ris D. Galileus q. D. Vincentii do Galileis, nobili», clericus Florentinus, sponte etc., et omni meliori modo etc., citra revocationem etc., fecit, constituit etc., smini procuratorem etc. Perill. rcm D. Bar- tholoineum de Sernis, nobilem, mercatorem Florentinum, Romanam Curiam se- 10 quentem, absentem, tarnquam presentem; scilicet, spocialiter et expresse ad ipsius D. constituentis nomine et prò co oniiies et quoscumque terminos unius annuae pensionis seutorum sexaginta monetae Romanao, ad rationem iuliorum decem prò quolibot acuto, ad cius favorcni auctoritate Apostolica reservatao super fructibus, redditibus, iuribus et obventionibus universi» unius Mansionarii Catbe- drali» Ecclesiae civitatis Brixiae, dccursos usque in presentem dicm et decur- rendos in futurum, ab admodum 111. D. Ioanno Baptista Arrisio, Romanam Curiam sequonte, vel ab aliis ad solutionem predictae annuae pensionis quomodolibet obligatis, petenduni, exigendum et recipiendum, ac Imbuisse et recepisse confi- tendum, et do exactis et recepii» ac Imbuisse et recepisse confessis solventes et 20 quos opus fuerit quietandmn, liborandum et absolvendum, et quascunique quio- tantias, tam per publicas (juam per privata» scripturas, iuramento et alio quo- vis roboro vallatas, faciendnm et confici et rogari petendum et obtinondum ; dicturaque D. Ioannem Baptistam Arrisium, seu alio» solvere recusantes, omnibus vii» iuris ot facti remodiis, cogenduni et coinpellendum, cogiquo et compolli faciendnm, otiam per consuras ecclesiastica», et in omnibus et per omnia iuxta forinam et tonorom literarum Apostolicarum super resorvatione pensioni» pre¬ dictae expeditarum ; ac etiam cuicumque absolutioni consentiendum, et eius eonsensum pariter et assensum, quomodolibet necessarium et opportununi, pre- standum ; et propterea comparendum coram quibuscumque DD. iudicibus, tam 80 exequtoribus quam delegatis ac subdolegatis Apostolicis, ubique opus fuerit, et praemissorum occasione omnes et singulos actus iudiciarios, desuper necessarios ot opportunos, et quaecumque probationum genera faciendum, cum clausula ad lites in ampia et amplissima forma extendenda; et generaliter ad omnia et sin- gula alia etc. Dana omniinodam potestatem etc. Promictens habere rathum et gratum etc. Sub bypoteca et obligatione sui suorumque heredum et honorum omnium etc. Rogans me notarium infrascriptum ut presens hoc contìcerem instru¬ mentum, prout confeci etc. Actum Florentiae, in Cancellaria Curiae Archiepiscopalis, praesentibus ibidem D. Nicolao Sebastiani (le Bartoluccis et 1). Constantio Retri de Barbettis, dictae 40 Curiae acribia substitutis, testibu» ad praemissa vocatis atque rogatis. 470 XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICHE. fll A Franreteo Galilei. Firenze, 4 uoretubre 1632. Arch. Notarile In Firente. Protocolli dei notalo UiuMpp* Borni, Proto.', u.» 9.11.'., cor. 2lr.-f., n.« in- turno 12. — Originalo. In Doi nomine amen. Anno Domimene Tnramationis millesimo sexcentoaimo M*nó»tan, t ripesi ino secundo, Imi iot ione prima, die vero quarta memi» Novembria, Ponti- ficatus S. rai in Chriato Patria et I>. N. I). l’rbani Divina prnvidentia Papae Octavi anno decimo, et Ser.™* Ferdinando 2° Magno Ktruriae Duce foliciter dominante. Pateat qualiter, in mei notarii pnblici tcstiumque infrascriptorum presenta, preaena et personaliter consti tu tua admodum III/" I). Galilei!* q. 1). Vincentii do Galileia, nobili», clericua Fiorentini!», *q>oiite «*tc.. et omni meli-tri modo etc., citra revocationem omnium et quorumeumque procuratorum lmctenus per eum quomodo¬ libet conutitutorum, feeit. constituit etc., smini procuratnrem, artorem, negociorum- que infrascriptorum geatorem ac nuncium spccinlem et genornb-m, ita tamon quod 10 specialità» generalitati non derogot neo o con tra, videlicet admodum 111. I). Fran- ciscum do Galileia, nobileni Florentinum, in civitate Ymoti.irum mercatorem, licet abaentem tamqunm presenterà; sriliVt. spedaliter et espresse ad ipsiua I). con- stituentis nomine et prò eo omnes et quoseumque termino» nnius annuao pen- aionis acuto rum aexaginta monetae Komanae, ad rationem iuliorum decera prò quolibot acuto, ad eiua favorem auctoritate Apostolica reservatao super frnetibus, redditibus, iuribuset obventionibus universi» unins Mansionari! Cathedralis Hcclo- siae civitatis Hrixiae, et tara usque in pra»^ent«m dioin decursos qunrn in futuruin decurrendos, ab admodnra III.'* I). Inaline Papti-da Arrido, elicti Mansionarii possessore, voi ab aliis ad sol ut ione ni predictae annone jiensionis quomodolibet 20 oblig&tis, petendum, exigendum et rocipiendurn. a r hubui^se et recepisse coniìten- dum, et de exacti» ot receptis ac Imbuisse et recepisse confissi» solvente» et quoa opus fuorit quietandum, liberandum et nbsolvendum, et quascumque quietantias, tam por pubi i ras quam per privata» scriptum», ìu rara ente» et alio quovis roborc vallatas, faciendnm et Colitici et rosari pctoud mi et obtinrndum; solvore vero recusantes, supplicandum, petendum et obtinrndum liti-ras et seu licentiaa Du- calcs, et dictuin I). Ioannem KaptistAm Arrisimi! s* u alio** omnibus iuris et facti romediis cogendum et conipollendum. cogique et compelli p< tendimi et fuciendum, etiam per censuras ecclesia stira», et in omnibus et per omnia iuxta formam et tener cui literanim A postoli caro m super n-servatione pensioni» predictae expo- 80 ditarum, et quascumque publicationes exeommunicationi» et censurarum predicta- rum fieri et aflìgi petendum et faciendum ; ar etiam cuicumque absolutioni con- sentiendum, et oius consensum pari ter et a-sensimi, quomodolibet necessarium, XXXIII. PENSIONI ECCLESIASTICHE. 471 prestane!ara; et propteroa eomparemluin coram quibuscumque DD. iudieibus, tam oxecutoribus quam delegatis Apostolici, ubique opus fuerit, et premibsorum occasione omnes et singulos actus iudiciarios, desuper neceasarios et opporlunos, et quaecuimjuc probationum genera faciendum, cum clausola ad lites in ampia et amplissima forma, iuxta stylum loci ubi premissa fieri contigerit, extendenda; cum facilitate etiain substituondi et in eius locum poncndi unum vel plures 40 procuratorem seu procuratores cum simili aut limitata potestate, firmo tamen semper remanente presenti procurationis mandato; et generaliter ad omnia et singula alia faciendum, gerendum et exercendum, in predictis et circa predicta, quoinodolibet necessaria et opportuna, etiam si talia forent, quae mandatum oxigoret (sic) magis speciale quam presentibus sit expressum. Dans et concedens omnimodam potestatem quaecumque in premissis et praemissorum occasiono quo- modolibet necessaria faciendi. Promictens habere ratlium, gratum atque firmum, omne id et quicquid per dietimi D. eius procuratorem et substituendos ab eo in predictis et circa predicta actuin, dietimi, factumve fuerit. Sub liypoteca et obligatione sui suorumque haeredum et bonorum omnium presentium et futu¬ ro rorum, in forma iuris valida. Super quilms rogavit me notarium infrascriptum ut presens hoc conficerein instrumentum, prout confeci etc. Actum Florcntiae, in Cancollaria Curine Archiepiscopalis, presentibus ibidem D. Paulo Cosmi de Giannettis, cive Fiorentino, et D. Nicolao Sebastiani de Bur- toluccis de Florentia, testibus ad praemissa vocatis, habitis atque rogatis. 2) Immissione di Galileo in possesso della pensione. Venezia, 4 novembre a) Voto del Consultore della Iìcpubblica Veneta e deliberazione del Senato. Arch. di Stato in Vonozia. Sonato. Possessi. Filza n.° 18, insorto in Lottora 1682, 4 nuveuibro. — Au¬ tografe la sottoscriziono di Fulukkzio Micanzio o la firma di Ciustofobo Suhiano. Essendo vacante un perpetuo beneficio semplice ecclesiastico, chiamato la Mansionari honorahile del sesto capo, posto nella Chiesa Cathedrale di Brescia, per morte del II. q. Francesco d’i Curti, ultimo possessore; la Santità del Sommo Pont. Urbano 6 havendolo conferrito al R. Gio. Batta Arrìtio, prete dell’istessa diocese, ha resservato sopra i frutti di quello un’annua pensione di sessanta scudi di moneta romana, a ragione di dieci giulii per scudo, a Galileo d’i Galilei, sco¬ laro Fiorentino, come per littere sotto il dato in Roma, 1630, ultimo Settembre l,) . Doc. xxxm, c, 1, P). 37. genero, cum claumita —• *') La bolla di conferimento della pensiono, a cui qui si accenna, fu inutiluiuutu da noi ricercata. 172 XXXIII. PENSIONI BCCLE8IABTICJ1R. Si può dar il possesso della sudetta pensione ni sopradetto Galileo d’i Galilei, compiacendosi rEccell ." 0 Senato gratinrio, per esser nativo di stato alieno, e concedergli elio In possa riscuotere. io Devotiss. 0 Serv.™ F. Fulgentio de'Servi. 1632. a 4 Novembre, in Pregadi. Siano fatte lo lettere di invase'so in forma. 97 1,1 0 G (’hristof . 0 Suriano Secretano. pi ParOripa: mmi# dtìut Jthbtraxiont tiri Sfinita al J’adntà ut fìrrtria. Artih. di Stato in Voneai*. Scinto. | , ow»t«|. rii;* n • 18. A .lofrtf» U rrm* Ut Lauro roto Sl'lUXO. 1632, a 4 Novembre, in Pregadi. Al Podestà di Pressa et successori. Essendo vacante un perpetuo beneficio semplice ecclc-.instico, chiamato la Mansionaria honorabile del sesto capo, posto nella Chiesa latlietirale di Brescia, per morte «lei R.* 0 Francesco di Curii, ultimo po*se»aore; la Santità del Sommo Pont. Urbano 8° havendolo conferito al K> (ìiov. Batta Aritio, prete dell’istessa diocese, ha risservato sopra i frutti di quello un'annua pensione di scudi GO di moneta romana, a ragione di 10 giulii per scudo, a Galileo di Galilei, scolaro Fiorentino, come per lettere sotto il dato in Roma. 1630, ultimo Settembre. Però vi commettemo col Senato, che dalli frutti et rendite di detto beneficio io facciate corrisponder la detta pensione al detto Galileo «vero a suo legittimo procuratore. Ma se liaveste alcuna cosa in contrario, (.oprasedendo ci rescrive¬ rete, nè rimovarete alcuno che trovaste al possesso della medesima pensione con lettere nostre. Hoc auti m i-tc. Do parte, 97 De non, u Non sinceri, 6 Cliristof. 0 Soriano Secc. rio Cfr - in Voi. XIX, p»*. m, noU 2. XXXIII. TENSIONI ECCLESIASTICHE. 473 y) Ducale. Aroh. di Stato in Breaoin. Rfìgiatri di Ducali. 1630-1638, car. 154. — Copia sincrona. Pro Ii. da Domino Galileo de Galilei*. Praesentalae per D. Georfjìum de Gnlettr- dis, die 23 Xmbris 1033, 111eie., qui mandavit intimari et postea excqtu, requirente Frane. 0 Posino milite. Franciscus Ericio, Dei gratia Dux Venetiarum etc. Nobilibus et Sapientibus Viris Vincendo Gussono Equiti, do suo mandato Po- testati Brixiao, et successorilms, fidelibus dilectis, salutoni et dilectionis affectum. Essendo vacante un perpetuo benoflicio semplice eclesiastico, chiamato la Mansionaria honorabile del sesto capo, posto nella Chiesa Cathcdrale di Brescia, per morto del R. ,lu Francesco di Curti, ultimo possessore; la Santità del Sommo Pontefice Urbano 8 havendolo conferito al lt. d0 Gio. Batta Arisio, prete dell’istessa diocese, ha risservato sopra i frutti di quello un’annua pensione di sessanta scudi di moneta romana, a ragione di X' 1 giulii per scudo, a Galileo di Galilei, scolaro io Fiorentino, corno per lettore sotto il dato in Roma, 1030, ultimo Settembre. Però vi coimnottemo col Senato, elio delli frutti et rendite di dotto bonellicio facciate risponder la smlotta pensione al dotto R. Jo Galileo ovoro a suo legit¬ timo procuratore. Ma se havosso alcuna cosa in contrario, soprasedendo ci rcscri- verote, nò rimoveroto alcuno che trovaste al possesso della medesima pensiono con lettere nostre. Ilas autem registratas praesentanti restituito. Datao in nostro Ducali Palatio, dio IV Nov. rU , Ind.°° prima, MDCXXXII. Christof." Suriano Sec. rl ° XIX. co 471 XXXIV. PAGAMENTI DI GALILEO PER IL FRATELLO E ALLA VEDOVA DI LUI. 1627 1681. a ) Conto di Michelangelo Gm.ii.ki con i n maculo 11 *. 1627-1628. BILI. NTtvi. FIr. Aj-ponJicf al il»», «iti., Bu-t» citata al Kc. 1. il. c_r. 80. Orlgiualo. Ih*. M.‘ 1G27. Sig." Michelagniolo Galilei de' dare addì 22 di 8bre per uu paio di calzo di seta di Piacenza bigie per detto.£ 22.- E per un cappello per detto, fodero e cordone e cavello.» 9.- D. H di nastro di Reta a 2 larghezze argentato per «letto . . . ■> 1.12. — I)ua paia ili legacce di taffettà, fatte di <• • > 1 j, orlate intorno, un paio tenie o un paio aqua mare, per il figliolo.» G. 10. — E per averli rnnbiato un drappo scenpio a uno richo.» 2.10.— E addì 24 di xbre, un cappello doppio doppio per il figliolo .... lo. 10 E per una striscia d’ertuiaino largha, messa a detto cappello. ... « 1.- E per uu cappello da donna, fodero e cavello per la figlioli* .... 5.- E per un cordone d’oro e seta nero a vespaio ricini, per attorno . » fi.— ■** Dua penne, una scarnatina e una nera, per detto. * 1. fi. fi. E addì 11 di Genaio, d. 12 di seta verde di Napoli, levò detto. . . 1.15.- Do*7.ine 12 di bottoni a puntino vanii grossi, donine 2 ordinari. . » 5. 4. E per fattura di un cinturino da cigniere di suo velato, orlato di cavello doppo cuoio per drento, fodero di nastro di filaticcio . . - 2.10. E per un cappello da donna, fodero o cavello e cinturino attorno, levò detto per la sua serva.» 5.10. — 20 D. fi di seta nera per cucire. r> — 12. — E addì 14 di Feb. # , un paio di calze di seta di l'iacenxa bigie, levò detto per portavo di fuora.* 22.- E per un cappello doppio fino grave per detto.» 10.- Una striscia d’ertnisino largha per detto.» 1.- E per un paio di calze di filaticcio di stracci nere per detto. ...» 10.10.— £ 122.19. 8. Fuori: Conto del Sig." "Michelagniolo Galilei con Gin Rati-d* T,un ardi efr. mereiai. “> Cfr. Voi. XIU. n.» 1867, Un. 88. XXXIV. PAGAMENTI DI GALILEO ECO. 47 b E (li mano di Gaui.ro: Saldati il dì 12 di Maggio 1628. E d'altra mano; da aorbare. b) Ricevuta d’una sovvenzione t>t Galileo alla vedova del fratello. Monaco, 24 novembre 1631. Bibl. Naz. Flr. Appendico ai Mas. Gal., Busta citata al l)oc. I. I), car. 42. — Lo liti. 1-10 sono di mano di I.orbnzo I’kthanuku lo sottoscrizioni di Anna CniAKA a di Mahhimiuana Baniiinei.i.i sono au¬ tografo; sopra la prima fi un suggollo in coralacca con lo Rtonnnn doi Galilei, o sopra la Roconda un suggollo con lo stomma doi Bahdinklli. Sul tergo del secondo foglio (car. 43(.J si leggo, di ninno di Galilko: Ricevuta della Anna Chiara di sd. 50. In Monaco, a’ 24 di Novembre 1631. To Anna Clara Hendinolli de 1 Galilei, ringratiaiulo S. D. M. ,A e l’amore del molto Tll. rc et. Ecc. m0 Sig. r Galileo Galilei, mio benigno cognato e padrone, confesso haver ricevuto dal molto 111/® Sig. r I). Aurelio Gigli, Segretario o Consiglierò del Ser. m0 Sig. r Elottor di In¬ vierà, per ordino datoglono dall’IH."' 0 Sig. r Conte Lorenzo del Maestro, General dell’Ar¬ tiglieria por il Ser. n '° G. 1). di Toscana, fiorini novantatrò di questa moneta, come equivalenti (conformo al cambio corrente) a cinquanta scudi di moneta fiorentina, consigliati per tal effetto dal medesimo mio Sig. r cognato in Fiorenza al su dotto lll. m0 Sig. r Conte. Et in fedo di ciò ho sottoscritta la presente di propria mano, e sarà anco sottoscrit[ta] da mia io sorella. ih Ana Clara Galliloiis vitti!) ich Maximiliana VendinolliB bokhene wie oh stett. bekhene vie ob steth. Fuori, (li mano di Auiiklio Gigli: Airill. u ‘ 0 'Sig. r '’ mio 088. n ’' , 11 S. r Conte del Maestro. Fiorenza. “« Cfr. Voi. XIV, no 2221, lin. 2-3. 470 XXXV. GALILEO DESCRITTO ALLA DECIMA l fi:»-UH3. a) Galileo r. descritto per la prima volta alla decima'•». 1) Partilo del Magistrato Supremo. Firenze, 5 dicembre lfi2«. Aroh. di Stato in Firenzo. Mairiatrato Supremo, Fili* 4387 (Fertili .le’ Cl. Consiglieri, IC.20 16811, car. 1 lór. — Originale. Il medesimo partito ai leggo anrhe nel I.ibro 4.120 llMiberaxioni pubbliche, 7 ago- sto I6‘3fi-13 maggio 1689), car 48i. 44r., del MagUtrato Supremo, neU’Areh. di Stato in Fireiue. Adì T» Dic. r * in Itcm, por partito dclli III.* 1 etc. ", descrivasi Mese. Galileo di Vinc. 0 Galilei a gravezze alla regola de’ Cittadini fiorentini con imporsi f. 2 di decima sopra la testa, da ritenerli fin tanto che acquisti tanti beni che al meno sopportino la medesima decima, con lo conditioni solite c consuete etc. 2) Pagamento della tassa per la descrizione alla Decima. Firenze, 11 dicembre 1628. Arch. di Stato in Firenze. Entrata o Firita di Pomenieo (ioide tli. Camarlingo del Monte della Orati* cole. Cominciato il primo di Marzo 1627 >*'. Car. 67 1 ., n.* intorno 4861. - Originale. Adi 11 detto ,M . 4361. Da Galileo di Vinc. 0 Galilei, per tassa ili sua provisione e gratin d’essere descritto a gravezze in Firenze. L 26. 5. — 3) Partecipazione. del partito del Magistrato Supremo agli Ufficiali del Monte, dette Graticole. Firenze, dicembre 1628. Arch. di Stato in Firenze. Archici» della Peciniv Filza Hai (Ui'ntifl tiioni li Città, anno 1629), n.® in¬ torno 21. - Autografa la sottoscrizione di ViKcurzo Maschzsciii . le liti 10-16 sono di tnano ili Si- BASTIAMO Cl’PZKS. A dì 5 di Dicembre 1626. Il Ser. mo Gran Duca di Toscana, et per S. A. S. gl’ lll. mi S6. n Luogotenente et Consiglieri nella Republica Fiorentina, servaiis etc. et ottenuto il partito etc., d’ordine della prefata Altezza ì3er. ,n11 , ordinorno descriversi • Cfr. Voi. XIII, mi. 1 1912. 1918. siglitn nell* liopuhlira Fiorentina •. 1628. io Di alile fiorentino. «*' Cioè, « delti lll> SS* Luogotenente e Con- '*> Dicembre 1628. XXXV. GALILEO DESCRITTO ALLA DECIMA. 477 Mesa. Galileo di Vincentio Galilei a gravezze alla regola de’ Cittadini fioren¬ tini, con imporsi fiorini dua di decima sopra la testa, da ritenerli fin tanto che acquisti tanti beni che almeno sopportino la medesima decima, et con le condit- tioni solite et consueto etc. Mandantes etc. Vinc. 0 Marchcschi Canc. r ® 10 In virtù del presente Decreto li Sig. ri Offitiali di Monte devono far descrivere il soprascritto Mesa. Galileo di Vincentio Galilei ne’ libri della Decima de’ Cit¬ tadini fiorentini, in quel Quartiere e Gonfalone che egli si eleggerà, nel modo et forma e con le conditioni soprascritte. E tutto gli devo essere osservato, perchè si aspetta lecitamente o senza pregiuditio alcuno. Non ostante etc. E con la tassa ordinaria pagata al Camarlingo del Monte, sotto n." 4361, a 67 (,) . Ego Sebastianus Cupors, Minister ad Reformationes Ducales Fior. 4) Partito degli Ufficiati del Monte, delle Graticole. Firouze, 12 dicembre 11>2S. Aroh. di Stato In Firenze. Filza citata al doc. precedente, n.® interno 24. — Autografa la sottoscrizione. A CBr.Mr.-r. dol libro 109 (Libro di partiti do’Sig. ri Ufltiali di Monto, tenuto por Mese. Filippo Va- lentini, cominciato il primo di Marzo 1027 <*>) dell'Archivio del Monte dolio Graticolo, nello stesso Ardi, di Stato in Firenze, ni ha la minuta del presente partito. Adì 12 di Dicembre 1628. Gli Spettabili SS/ 1 Officiali di Monte del Comune di Firenze, in numero suf¬ ficiente coadunati; Veduto il Decreto fatto dalli Ill. mi Sig. r0 Luogotenente et Consiglieri nella Republiea Fiorentina del dì 5 di Dicombre stante, per il quale, d’ordine di S. A. S., viene ordinato descriversi Mess. Galileo di Vinc. 0 Galilei a gravezze alla regola do’ Cittadini fiorentini, con imporsi fiorini dua di decima sopra la testa, da ritener¬ seli fin tanto che acquisti tanti beni che almeno sopportino la medesima decima, e con le conditioni solite et consuete et come in detto Decreto, al quale etc.; io Et veduta la tassa ordinaria pagata al lor Camarlingo di Graticolo del Monte, come a sua Entrata a 67, sotto num. ro 4361 ; Per ciò in virtù di detto Decreto, servatis etc. et ottenuto il partito etc., de- liberorno et deliberando commessero al cancelliere, notai et altri ministri della Decima di S. A. S. et a tutti quelli a chi s’aspetta, elio detto Mess. Galileo Ga¬ lilei descrivino e tirino, e descrivere e tirare a gravezze siano tenuti e devino, alla regola de’ Cittadini fiorentini e sopra i libri di detta Decima, nel Quartiere di S. Croce, Gonfalone Lion Nerocon imporli f. dua di decima sopra la testa, da ") Cfr. il documento precedente. (*) Oi stile fiorentino. (») Nolla minuta del partito citala nell' infor¬ mazione, dopo lo parole « Gonfalone Lion Aero » si legge: «che osso s’ è eletto ». 47R XXXV. GALILEO DE8CRITT0 ALLA DECIMA. ritenerseli fin tanto che acquisti tanti beni che almeno sopportino la medesima decima, et con lo cuiulitioni aulite ot consuete et conio in dotto Decreto, al quale etc. Mandante etc. ^ Thilippus Valentinus Cane." de mandato. £) Partilo drqli Ufficiali di Deeima. Firenze, ‘lì marzo 1G29. Aroh. di Stato in Virente. ArrbiYlo della Decima, n.« 62 (Libro J&* di partiti « deliberazioni dagli UflUlaii di Decima), car. t>Or. »lr. Uncinale. Adi 2*2 di Marzo 162fl (, \ Gli Spettabili SS." Uffiziali di Decima della Città di Firenze, in tutto il nu¬ mero nella loro solita udienza coadunati.... Veduto un partito degli Spettabili SS. ri Uffiziali di Monte del Comune di Fi- Cittadino, renze del dì 12 di Dicembre prossimo passato 1628, fatto dallo SS. loro in ese- cuzziono d’un Decreto del Magistrato 111.® del di 5 del medesimo ; in osecuzziono del qual partito detti SS. n Ufliziali di Monte comniettevono a* ministri di questo oflicio, a chi si aspetta, cho descrivessero a gravezze ne* libri della Decima do’ Cittadini fiorentini Mess. Galileo di Vino.® Galilei nel Gonfalon I.ion Nero, Quartiere Santa Croce, io da lui elettosi, con imporli f. 2.— d’oro sopra la sua testa et con tutte quello condizioni c modi contenuti in detto partito, del quale apparo in Filza di giu- stificazzioni, n.° 24“>; però, in virtù di qualunque loro autorità «• massime dclli detti partito e decreto, servate etc. et ottenuto il partito etc., deliberarono e de¬ liberando commossero a’ ministri di loro officio, a chi si aspetta, che il sopra¬ detto Mesa. Galileo lo descrivine ne’ libri della Decima de’ Cittadini fiorentini nel sopradetto quartiere e gonfalone, con che gli imponghino f. 2. — d’oro sopra la sua testa, la qual decima la deva ritenere lino a che havorà acquistata la pari o maggiore di quella, e la deva pagare antecipatamente ogn’anno, e la prima paga farla di presente, sì come promesso etc., e per lui stette mallevadore in 20 forma Mess. Carlo di Mess. Gerì di Carlo Bocchineri, acceso con decima di f. 11.2.5 nel Gonfalon Lion Nero a 278, il quale promesse che il sopra detto Mess. Galileo attenderà le cose soprascritte et osserverà quanto di sopra, altramente di suo proprio obligando etc., renuntiando etc., giurando etc.: il qual mallevadore fu incontinenti approvato per idoneo per partito del Magistrato, con intervento del S. r Ipolito Niccolini, l'roveditore del detto loro oflicio. l‘> Di utile fiorentino. ** ùfr- • due docum»uU uuinedia temente procedenti XXXV. GALILEO DESCRITTO ALLA DECIMA. 479 G) Scritta con la quale s ’impone a Galileo per la prima volta la decima. Fironzo, 31 marzo 1629. Aroh. di Stato in Fironica. Archivio (lolla Decima, n.° 2392 (Arroti del Quartiere S. Croce dell'anno 1G29), car. 17, u.° intorno il. — Originalo. Quartiere Santa Croce. Lion Nero. Mese. Galileo di Vincentio Galilei di nuovo si accende a gravezze per gratin di S. A. S. e come ottenuto il partito d’ordine, cioè per decreto del Magistrato Ill. mw del di 5 di Ambre 1028, et per partito de’ SS. ri Ufizziali di Monte de’ dì 12 di Xmbre 1028, senza di mimi tiene alcuna del’estimo, decima et altre spese de’ luoghi dove lussino situati li sua beni, e senza defalco alcuno della decima elio pagherà in Firenze, et per partito de’ Sig. ri Ufizziali di Decima del dì 22 di Marzo 1028, in Filza di n.° 24 (l) , come a Libro di partiti 39" 10 , a.... (,) Decima sopra la testa. Accendesi di nuovo con decima f. 2.-, inpostili sopra la testa per non pos¬ sedere di presente beni stabili, con conditione che, aggiustando la pari o maggior decima, si debba e possa sempre estinguere questa inpostali sopra la testa; e per lui fu approvato per suo mallevadore Mess. Carlo di Mess. Ceri Bocchineri, Gonfalon Lion Nero, Santa a 278, come appare per partito del Magistrato del dì 29 di Marzo 1628 (,) , come appare a Libro di partiti 39'"°, c_ lt) : e tanti se li danno di nuovo, con presenza di Mess. Carlo Bocchineri su mandato, questo dì 31 Marzo 1028. Salda adì 31 di Marzo 1629 per partito del-Magistrato (J) , e li tocca di decima f. 2. — messili sopra la testa.f. 2. b) Scritta con i-a quale s’impone a Galileo altra decima per una casa acquistata. Firenze, 29 novembre 1631. Aroh. di Stato in Firenze. Archivio «lolla Docilità, n.» 2397 (Arroti «lei Quartiere 3. Croce dell’anno 1034), car. 211, n.® intorno yo. — Originale. Quartiere Santa Croce. Lion Nero. Mess. Galileo di Vincenzio Galilei, Decima *618, a 26 i4) . Sustanze Una casa posta in Firenze, su la costa a San Giorgio, popolo dello Spirito Santo, con orto, a primo via maestra, 2° il detto compratore e prima Iacopo Bramanti, 3° 4° Iacopo Zuccagni, infra etc. Ul Cfr. in questo stesso Doc. XXXV, i nn.< a, 3) o a, 4). (*) Nell’ originale è lasciato in bianco il nu¬ mero della carta. Cfr. il documento precedente. < 3 > Intendi, 162». O) fe lasciato in bianco il numero della car¬ ta, o nel Libro citato doi partiti degli Ufliciali di Decima non si ha. alla data citata, il partito a cui qui si accenna. <‘i Qui si rimanda ad un partito dogli Ufficiali di Decima del 29 mar/.o 1629 (Archivio della De¬ cima. n.°62, car. 82f.-83r.), col qu&lo si approvano, ceuza specificare nomi, parecchi arroti. <®> Cfr. in questo Doc. XXXV, il n.° /). 480 XXXV. GALILEO DESCRITTO ALTA DECIMA. Compri detto Mesa. (Galileo da’ SS. ri ( iniziali de’ pupilli, come beni di maestro Iacopo Zuccagni, per f. 200.— moneta. £ 1.15.— piccioli, a gabella del com¬ pratore, rogato Mesa. Bartolomeo Bussotti sotto di 18 Agosto 1634, per fede di lu n.« 658 Appigionata per adì primo timbro 1634 a maestro Iacopo Zuccagni per f. 12. moneta l’anno, che, abbattuti e’mantenimenti, resta per entrata di tiorini_i-> di suggello; fanno di decima f. 1.5.2; e Lauto se gli dA di nuovo in virtù della scritta d’alloeatione, in Filza n.° 659 E si leva dalla decima '617, a parte. Drago, S. Spirito a 335, da maestro lueopo di Bastiano Zuccagni, senza decima. E per casa di nuovo decimata.f. 1.5. 2. Acconcia con presenza di Ulivo Dei, questo di 8 Umbro 1634. Salda li 29 detto per partito «lei Magistrato et li tocca di decima f. 1.5.2, *20 che si levono da, anzi per casa di nuovo decimata.1. 1.5.2. C) CASCattAflOir» PKLLA DIC1MA lMroaTA SCI.LA CASA. 1) Fedi che la casa tlrnmata, e prima appigionata, arrtr per alnloMione del proprietario. Fireme, 18 o 21 febbraio lil3tL Arch. di Stato in Tirarne. Architi. i «Iella Decima n.« • i Fitta «Il «legamenti tlmUficatirl dei par¬ titi di caueellazio.ie di daciina eco. ansi IftXf» « Inifi» cmr. 4 .Jr • i, n * iuteruo *.*oy l.o Un. 1 18 sono di mano di fltruo Qrassiai, Cancelliere alla l ee.ma, a U lln II 17 e IH 2V «uno, respettirameute, di ntaua dai dua dia fanno fede. Adì 18 Feb.® 1635 « Fede come ne’ libri della Decima ’IS, Quartiere S. u ija, Gonfalone Lion Mero, a 26, et per Arroto 1634, n." 90, appare Mesa. Galileo di Vincentio Galilei. Sustanze. Una casa posta in Firenze, su la Costa a S. Giorgio, popolo dello Spirito Santo, con orto, a primo via maestra, 2*° detto compratore e prima Iacopo Bra¬ manti, 3° 4° Iacopo Zuccagni, infra etc.; per decima f. 1.5.2 .f. 1.5.2. Giulio Guazzigli (?) canc. M «•' Cfr. Poc XXXYI1I, 2|. ,1 ' È lasciato in bianco il numero. •*' Cfr. Doc. XXXYUI, 4). 111 qui si rimanda a un partito de*li Ufficiali di Decima in data del 29 uutembre 16*4 lArchitM* dalla Decima, n.» 64, car I4*r.|, col quale *i »ppi w . ratio, eenxa epecift are nomi, direni arroti. Di »Ule Aurea Uno. <* Di itile fioreotiuo 1. la '»ta «otto la quale fu seftiata le eanceilaitoo- della decima nel Cam¬ pirne: cfr. io questo D«k XXXV, il n.*/), colonna dall'arare, Ila. l a. 26 F«b.» 1GS5' { I. Pagò. 0.0.£• XXXY. GALILEO DESCRITTO ALLA DECIMA. 481 io Fede per noi infrascritti, come il sopradetto Mess. Galileo et il S. r Vincentio suo figliuolo hanno habitato tutta la soprascritta casa più <1’un anno prossimo passato, senza havervi tenuto nò tenervi pigionali nè altri che la propria fami¬ glia; et così di presente se ne servono por uso proprio etc. Fasi fede come la verità, Signore Yinenzo Galilei tene deta casa. A. tenuto deta casa pere sua liso e nomi ù tenuto mai nesuno pigoligli, se non la sua propia sua famigla. Dì 21 di Ferebaio, di tanto fo fede io .... (,) . Io Paolo di Piero Perini, fornaio in su la Costa a S. t0 Giorgo, fo fede come la verità di là (t) dice; e di tanto fo fede questo di 21 di Febbraio 1635 (S) . Di ao mia mano scrissi di detto. 2) Partito degli Ufficiali di Decima. Firenze, 28 febbraio 1686. Ardi, di Stato in Firenze. Archivio (lolla Decima, ».° 05 (Libro 42® di partiti degli IJftlziali di Decima dall’anno 1685 ni 1037), car. 40r,-B4t. — Originale. Car. IWr. Adì 28 detto « 1635 (5 >. Gli Spettabili SS. ri Uffiziali di Decima della Città di Firenze, in tutto il nu¬ mero nella loro solita udienza coadunati .... Car. 53 t. Item, dopo le cose predette, trovato che .... Cur. 54r., nn. 1 intorni 209 o 210. 209. Mesa. Galileo di Vino. 0 Galilei ne’ libri della Decima *18, Gonfalone Lion Nero, e per Arroto 1634, n.° 90, sopporta f. 1.5. 2. di decima sopra una casa posta in Firenze, su la costa San Giorgio, presso a* suoi confini, e che 210. 11 S. r Giulio del S. r Alessandro Maria Vitelli ne’libri della Decima *18, Gonfalone Drago, S. Spirito, a 202, in beni etc., e per Arroto 1634, n.° 38, sop- io porta f. — 12.7 di decima sopra una bottega .... Cur. 54 r. o t. et essendo le Sig.° loro hanno Inabitate tutte le sopradette case per piò di un anno prossimo passato, e ridottele per uso loro e di loro famiglia, come appare per fede di più persone private e riscontro d’Antonio Burhindi, garzone di suo ih La firma ò illeggibile. (3 > Di stile fiorentino. <*' Questa fede (li Paolo Pruni è sul tergo **’ Febbraio. (Iella carta, il resto dol documento ò sul recto. * 8 ' Di stile fiorentino. XIX. 61 482 XXXV. GALILEO DE8CRITTO AI.LA DECIMA. officio; però, in virtù di qualunque loro autorità, servate etc. et ottenuto il par¬ tito, deliberarono o deliberando commossero a’ ministri di loro ufficio, a chi si aspetto, che dalla posta e nome di ciascuno de’ sopradetti spenghino e cancel¬ lino lo sopradette somme di decima rcspettivamonte per le ragioni e cause su- dette, e faccino buono il decorso a ciascuno la decima d’un anno nelle futuro gravezze, secondo gli ordini. Mandantes etc. d) Partito degli Ufficiali ni Decima CHE SI BPKNOA I.A DMCIMA PIÙ SOMALI HI GALILEO, «TANTE LA SUA MOftTF. Firenze, 6 novembre IMS. Aroh. di Stato In Firenze. Archivio d. Ila latina, n* 67 |l.il r-» 44* di partiti d»*li l'mzieli di Decimi* dilli ’addo IMO all'anno 1644), car. Ioni. -Originai*. Adì G Ombre 1G42. Gli Spettabili SS. r ‘ Oftiziali di Dccinm per S. A. S. della Città di Firenze, in numero sufficiente coadun iti, nella loro solita audienza, secondo gl’ordini; Item, doppo le coso predette, sentito Mess. Vinc.° di Mess. Galileo Galilei, dicento che al detto Mesa. Ualilc o suo padre li fu posto f. 2 di decima sopra la testa, Quartiere S. Croce, Gonfalone Lion Nero, e stante la *un morte domandava cancellarseli detti f. 2 di decima, e che, per bavere il medesimo Mesa. Vino. 0 acquistato beni che importano f. 2.5 faceva tale instanti si cancellassino, come il tutto si vede per fedi delti scrivani Franceschi e .Migliorotti, in Filza di giu¬ stificazioni, anzi di partiti, n.° 2*7 ', e fede della morto del predetto Mese. Ga- io lileo; però visis, servntis, et ottenuto il partito, deliberarono e deliberando com¬ mossero a’ ministri di loro offizio, a chi s'aspetta, che dalla posta e nome di detto Mess. Galileo di Yinc. 0 Galilei, Gonfalone Lion Nero, spenghino f. 2 impo¬ stili più fa sopra la testa, e tutto etc. Marulantcs etc. Scritta co* la qcai r I.E DECIME DI GALILEO 81 VOLTAVO IV VuMK DEL riGLtrolO VlKCIVZIO. Firenze, 6 e 29 novembre IMS. Aroh. ai Stato in Firenze. Archivio della Deima n.* 2406 lArroti del Qaeitiere S. Croce dell’Anno 1642), cnr. 128r„ n.• interno 76. — Originale. Quartiere S. Lion Nero. Mess. ^ incenzio di Mess. Galileo di Vincenzio Galilei. Decima *618, a 4G4 10 . 1,1 Questa fede, in dat* C novembre 1642, A decime ecc., 1641-1642). car. 666, a.» Interno 287. n*».l Archivio della Decime, n.* 226 (Filze di docu- »*» Cfr. Doc. XXMl /). monti giustificativi dei peititi di cancellazione di XXXV. GALILEO DESCRITTO ALLA DECIMA. 483 Sustanze. Una casa in Firenze, su la costa a S. Giorgio, popolo dello Spirito Santo, con orto, a primo via maestra, 2° detto Mess. Vincenzio, 3° 4° già Iacopo Zuccagni, per decima di f. 1. 5. 2, poi per uso. Pervenutagli per eredità e morte di Mess. Galileo Galilei suo padre, morto più fa. E s' ha levare dalla Decima ’G18, Lion Nero, a 26 (,, # da Mess. Galileo di Vin¬ cenzio Galilei senza decima £. - io Acconcia con sua presenza questo dì 6 9mbre 1G42. Salda adì 29 detto.... f) Posta dei. Campione della Decima. « 1629 - 1642 . Arch. di Stato In Firenze. Archivio della Decima, Campione n.° 64 (n.*> antico R603) dell'anno IGI8, quartiere S. Croco, Confatone Lion Noro, ear. 26. — Originalo. A car. 39 (lolla Busta della Biblioteca Nnr.ionnlo di Firenze che citammo al Doc. I, 6), si lia un appunto, di mano sincrona, delle decime qui appresso registrato. Mess. Galileo di Vincentio Galilei dare adì 31 di Marzo 1629 f. 2.-sopra la testa, per scritta di n.° 11 (,) . . f. 2.- Adì 29 Novembre 1634, f. 1.5. 2 da M. r0 Iacopo Zuccagni beni senza de¬ cima, Drago, S. Spirito, a parte, a 335, e f. 1.5.2 per casa di nuovo decimata, n.° 90 IS >.f. 1.5. 2 Mess. Galileo di contro bavere a dì 26 Feb.° 1635 * J f. 1.5.2 per casa per uso, n.° 209 ^.f. 1. 5. 2 Adì 29 9mbre 1642, f.-a Mess. Vincenzio suo figliolo, in questo a 464 c#) , n.° 76 C7) .f.- Adì 6 Ombre 1042, f. 2.-sopra la testa, a Libro di partiti del Magi¬ strato 44°, a 188 c9> .f. 2.- <*> Cfr. in questo Doc. XXXV, il n.° /, lin. 4—0 della colonna del l’avere. (*' Cfr. in questo Doc. XXXV, il u.« a, 0. l»' Cfr. il n.o b. Di stilo fiorentino. **> Cfr. in questo Doc. XXXV, i un. 1 o, 1 e c, 2. Cfr. Doc. XXVII, /), lin. 8-7 della colonna del dare. < 7 * Cfr. in questo Doc. XXXV, il n.° e. to) Cfr. il n.° d. ■184 XX* VI. UFFICI CITTADINI. 1M9-IÒII. a) Galileo t vi boto di ('oli mio' 11 . Kiren**», 15 giugno 1639. Aroh. di Stato In Flranao. Archivio delle Tr»tU, Filia 8' », dUU *1 Doe XXVII *. 1). _ Originale. Car. 867r. — Da un» * NoU p«r faro il X.tgi*trato venerabili Collegi. veduti beneficiati e ve¬ duti novellini » (car. 868-890). In data 9 giugno 1889 i- ar. 8*> .*r >. La mf irmarioni aui * disegnaU » e aui supplicanti sono di niano di Fiaarn*»c*» 0 o db' Licci , eh* ti sottoscrive a car. 890f. Supplicanti novellini per enarr veduti di Collegio. Galileo di Vincenzio Galilei. Descritto Vanno pannato: ha di decima f. 2 sopra la Usta *\ Ma ha il non ostante 1 *’, et è della notale famiglia de' Unitici, e Ut qualità note. Car. Sfl7r. — Da una NoU di vadati di Coll ii-*, r«n l« *m»e autografe del draadura FiaoiKAnrto II a di Loaanxo Isiuiabdi. Veduti di Collègio. Galileo di Vincenzio Galilei. Fer. L.° U.«* 18 Giugno 629. Aroh. di Stato In Fironao. Archivio dalle Tratta, n.* 114 (Libro di «(fili, IBM 1880), car. 87r.—Orifinale. Veduti. 13 Giugno 1629. Galileo di \ ine. 0 Galilei. Non o&tutite. Pf /' VoL XIII ‘ nD -' I8I >- •*' C tt. Voi XIII, n.« 1918, Ho 17-19. ‘ 1 Cfr * 10 oc. XXXV, •). ! XXXVI. UFFICI CITTADINI. 485 6) È SQU1TTINAT0 E ABILITATO AOLI « OTTO UV1ZI1 ». Firenze, 27 giugno 1629. Arch. di Stato In Firenze. Arch. (lolle Tratto, Filza 76 (Squittinio dolli Vili uffizi), non cartolata.— Originalo. Da una nota intitolata « Rinfusa alti otto ufizii >, della quale si limino duo esemplari nulla stessa lilza. Addì 27 di Giugno 1629. 147 (n . Mesa. Galileo di Vincenzio di.. . (,J Galilei. 15. c ) È ELETTO DI COLLEGIO PER IT. TRIMESTRE 15 GIUGNO— 15 SETTEMBRE 1630. Firenze, 13 giugno 1630. Aroh. di Stato in Firervzo. Archivio dolio Tratto, Filza 334, citata al Hoc. XXVII, e, 2), car. 1 95»-.— Originale. Magistrato do’ Collegi. Sen. r ® Niccolò di Christ. 0 Berardi. Ristoro di Mesa. Rati'. 0 Antinori. And. a di Luigi de’ Mozzi. Lionardo del Sen. rB Carlo Spini. Gio. di Giuliano Montatiti. Bart.° di Frane. 0 Bezzini Benizzi. Baccio di Gio. Tedaldi. Frane. 0 di Mess. Martino Spigliati. Cav. rp Mess. Lor. 0 del Cav. ro Mess. Giuliano Poltri. Ser Gio. Batt. a di Bened.° Guerrini. Frane. 0 di Costantino do’ Servi. Mesa. Galileo di_ (,) Galilei. Segue la nota dei veduti di Collegio o dogli «letti ad altro magistrature ; e in calco, di mano dol Granduca Frbdmundo II, si legge: Fer. o pili sotto, di mano di Lorknzo Usuraia di : L.° U. dl 13 Giugno 630. > 1 ' Il numero a sinistra del nome dello squit- tinato è quello dei voti favorevoli, coi quali fu abi¬ litato; l’altro a destra ò dei contrari. I*) Noi primo esemplare della nota è lasciato in bianco il nome dell’avo; nel secondo esemplare la lacuna, che prima ora stata pur lasciata, fu riem¬ pita col nome di « Michelagnolo ». <*» Questi puntolini sono nell’originale. 486 XXXVI. UFFICI CITTADINI Il nome ili (Iamlio non * noli» noU dai « di»egnatl » e «applicanti per II Collegio. Intorno ai quali PinanuKOMCO DI* Ricci informa (ear. 196-215); inreco in un carticino non numerato, ohe * inserito tra la car m e la 196 della Pilla, si leggo, della stoeaa mano di cui o la nota degli eletti. Mesa. Galileo Galilei, die è nel numero de’ Collegi», è il Mattematico, che S, A. ha voluto gratilicare, se bene non era in nota 01 . d) È SLITTO OKI. CoXSIOLIO Pi' DrOKMTO. Pirrue, IO novrmhrr 1681. Arch. di Stato in Fironae. Arch. delle Tratta, Ptlxa X ó iFifoa prima'*' di noia da 22 Giugno 1681 a 26 Shre 16821, car. 296 998. — Originale. Eleggonsi per il Consiglio de’ Dugcnto gli infrascritti: Tommaso di Giosaft / Ruberto di Giovanni ' Mesa. Galileo di Vincenzio. In calce, di mano del Granduca Fiabisaano 11: Fer. o di menu di I.oaamo Damatali: S. A. elegge per il t^onsiglio de’ Dugento tutti li «oprascritti e li Clar. ml Luogotenente e Consiglieri ne faccino il partite Lorenzo l'simb. 1 18 Ombre 1631. Arch. di Stato In Flrenae. Archivio delle Tratte, u j-JS (Intrinseci dal 1611 al 16611, car. 946r. — Originale. Consiglio de’ Dugento, per il Quartiere S. u Croco. Adi 19 Novembre 1631 in . Tpolito di Giovanni di Giovanni dell’ A n tei la. Simone d’Alessandro di Francesco deU'Antella. Mess. Galileo di Vincenzio di Miehelagnolo Galilei. O) Cfr. Voi. XIV, nn.> 2024, 9080, 2081. <*> Intendi, prima al tempo del nuoro Segre¬ tario dello Tratte Piato Giholìkt. ,S| fc la data della « publtcatione dalli noori aggiunti » In Contigli», come abbiamo da un appanto di mano di Piato Imbolami nella citata Filza 885, car. 89N. 487 XXXVII. CONSULTO INTORNO AL PAGAMENTO DELLO STIPENDIO ASSEGNATO A GALILEO COME LETTORE DELLO STUDIO DI PISA<‘>. 8-21 Novoinbro 1029. Blbl. Naz. FIr. Mw. Gal., P. I,T. F, car. 200-207 — Copia <11 mano ili Vincenzio Gai.u.ei. Un'altra copia, pur di mano dol soo. XVII, si ha nello car. 208-209 del inodeaimo Manoacritto, o conforme ad essa abbiamo corretto in tre luoghi, che indichiamo appiè di papilla, la lozione trascritta orroneamente d& Vincenzio Gai.ii.ei Essendo elio dal Sommo Pontefice sia stato più tempo fa concoduto a’ Se¬ renisi Gran Duchi di Toscana l’esazione dello decimo ecclesiastiche solo per man¬ tenimento dello Studio di Pisa o do’professori leggenti in detto Studio, nasce di presente dubio circa la persona del Sig. r Galileo Galilei, professore di Filosofia e di Matematica, chiamato o rimosso dallo Studio di Padova già sono 11) anni dal Sor. 0 Gran Duca Cosimo di gloriosa memoria, con titolo di Matematico o Fi¬ losofo primario della persona sua e con titolo di Matematico primario dello Studio di Pisa, ma perù senza obbligo di risedere in Pisa nò di leggero in detto Stu¬ dio se non onorariamente, quando piacesse a lui overo che dalla medesima Al¬ io tozza Ser.° gli fusse specificatamente ordinato per servizio di alcun principe o personaggio eminente ; nasce, dico, dubio so possa Sua Alt." Ser.* continuargli 10 stipendio assegnatoli, senza aggravio della propria conscienza, con i danari di esse decime ecclesiastiche, mentre egli nè risiede in Pisa nò attualmente legge in quello Studio. Io, richiesto del mio parere e bene informato di molte circostanze, potenti ciascheduna da por sè a variare il caso preso nel più stretto rigore, concludo meco medesimo et in mia conscionza affermo, potere S. A. S. fargli continuare 11 suo stipendio nel modo che sin qui s’è fatto, senza un minimo scrupolo o aggravio della conscienza propria: et i motivi che a così affermare mi persua- 20 dono, sono gli infrascritti. Prima, ò costumo di tutto lo Università, di dispensare dallo fatiche del leggore quelli che, havendo per lungo tempo esercitata honoratamente la carica loro, por indisposizioni corporali o per gravezza di età son resi inabili a più poter continuar nelPoffizio. 11 Sig. r Galileo 40 anni sono fu costituito dal Ser. 0 Gran Duca Ferdinando di felice memoria, di proprio modo, alla lettura delle Matema¬ tiche nello Studio di Pisa, dove lesso per tre anni ; e di lì, condotto dalla Si¬ gnoria di Venezia, andò, con buona grazia e licenza di quell’Altezza, a leggere a Padova, dove lesse 18 anni continui. Fu 19 anni sono richiamato di proprio Cfr. Voi. XIV, u.° 1978. 488 XXXVII. CONSULTO INTORNO AL PAGAMENTO DELLO STIPENDIO ECC. moto dal Sor . 0 Gran Duca Cosimo, e deputato, confò detto di sopra, suo Filo¬ sofo e Matematico, con titolo anco di Matematico primario di Pisa, senza obligo so di leggere etc. A questa carica ha egli pienamente sodisfatto per tutto questo tempo, mentre ha lotto, primieramente, per molti anni all'istauro Ser. u Gran Duca Cosimo; secondariamente, per altro lungo tempo al S. Principe Don Fran¬ cesco di felice memoria ; terzo, por molti anni al S. Principe D. lai ronzo. Di più, lui, dopo il suo ritorno in Firenze, si con la propria conferenza come con letture continuate di suoi discepoli, instruiti con notabili progressi gran numero di gen- tilhuomini principali, rinovando questo nobilissimo Studio, giù quasi del lutto derelitto ; ot oltre a questo, due pur suoi discepoli, l'uno, il molto Rover . 0 P. I). Benedetto Castelli, ha letto por s anni nello Studio di Pisa, o l'altro di presente legge da tre anni in qua, che è il molto Ere." *S. r Niccolò Aggiunti: e tutte queste so fatich ha egli latte gratis, e solo come lettor deputato per lo studio di Pisa. Mora, dopo queste et altro suo fatichi- che dirò appresso, indirizzate puro al profitto ot onorcvolezza di quello Studio, trovandosi con poca sanità et in età gravissima, merita bene di esser dispensato, *■ può S. Al.* senza scrupolo alcuno esentarlo, dalFattual lettura. Secondariamente, conduconsi lettori delle scienze et arti non solamente per la particolare utilità degli scolari privati che a quelle attendono, ma ancora per reputazione et honorevolezza di esse Università si cerca di bavere i più in¬ signi e famosi professori di quelle. Non si dubita punto elio il Sig. r Galileo si sia talmente avanzato di nome e fama in queste scienze, che forse nessun altro 60 all’età nostra gli metta il piede innanzi; et il grillo che egli ha non gli è ve¬ nuto dallo lezzione della catedra, elio a picdol numero di scolari si leggono, ma si bene dall’opre sue, pubblicate e vedute non solo da' scolari d’un particolare Studio, ma da i professori di tutte lo Università d’Europa. Ilora, perch'io so, o sallo il Ser.° Gran Duca e molti altri suoi amici famigliali, e può saperlo chiun¬ que saper lo volesse, elio il Sig.' Galileo ha per le mani, et i> sul condurle a lino por publicarle, tre opere della professione, assai più da stimarsi dell'altro suo publicate sin bora, e por dargli l’ultima mano lui bisogno d’una quiete non interrotta; io ben moverei scrupolo e S. A. IS. quando, per mandarlo a leggera Fisa quei primi elementi che soli si possono leggere a’ scolari dalla cattedra, tìo gli interrompesse la raccolta de i frutti delle sue maggiori fatiche, le quali pos¬ sono e sono per arrecare utilità incomparabilmente maggiore non solo a gli stu¬ denti di Pisa, ma a quelli di tutte le Accademie, e reputazione grandissima allo •Studio di Pisa, con l’intitolarsi ne i suoi libri lettore primario di quello Studio, come anco nominandosi per tale sopra i ruoli che escono di anno in anno fuori. Clio questa honorevolezza e reputazione, che arrecano alle Università gli huo- uiini insigni nelle arti, sia da stimarsi e premiarsi più che lo lezzioni particolari Doc. XXXVII. 36. La copia di mano di VucBttio (Jaulbi ometto Ji imo, dùetpoli. — XXXVII. CONSULTO INTORNO AL PAGAMENTO DELLO STIPENDIO ECO. 489 (lolle cattedre, lo intendono o confessono gli stessi promotori dolio scrupolo ; e poro dicono elio interamente sarebbe rimosso ogni aggravio di consciouza al Sor." 70 Gran Duca, quando il Sig. r Galileo, trasferendosi a Pisa, leggessi duo o tre lezzumi Panno, por reputazione sua o dolio Studio. A questo io rispondo, elio il Sig. r Galileo non recusa di leggero in Pisa attualmente por odio o repugnanza elio gli habbia a simil lettura, ma por altri degni rispetti, benissimo saputi da Sua Aitozza o da me, o da conferirsi a quelli elio sopra la vertonto materia vor¬ ranno dar loro parere, senza scriverli qui al presento. E perchè, come dico, sono da ino pienamente intesi, per quanto il mio giudizio o la mia conscienzia mi detta stimo, o così affermo o depongo, potere il Sor . 0 Gran Duca, senza veruno aggravio «lolla propria conscienza, continuar lo stipendio assegnato al Sig. 1 ' Ga¬ lileo, corno a primario lcttoro dello Studio di Pisa, del medesimo danaro dello so decimo ecclesiastiche, conceduto por mantonimolito (li esso Studio. Gol detto sin qui mi paro elio si potrebbe molto ben quietare la conscienza di S. A. S. : non di mono sogghignerò, elio ben sarebbe espressa temerità d’uno Studio il dare una provvisione di mille scudi ad imo perchè lcggossi una lozziono elio infiniti la leggerobbono per cento; ondo si vicno in chiaro, che quella tal provvisione così grossa non si dà in riguardo dolio lezzioni, ma del suggotto, di fama nome o reputazione grande, di che l’Università si pregiali tanto o no fanno ogni possibil procaccio. Nè mi dirà nessuno, elio sappia elio cosa siano lo lezzioni di matematica che ai leggono in cattedra, che ci sia differenza da leggerlo uno o un altro suggetto, più o mono intendento in osso. <>o llavrei qualche scrupolo, so la Bolla dicessi elio quel danaro si dovessi pa¬ gare solo a chi leggo in quello Studio, in quella Sapienza, in quolla cattedra e scuola di Pisa ; ma la Bolla dico genericamente clic quel danaro serva in utile e servizio di quello Studio: del quale elio maggior servizio può esser di quello ondo gli viene splendore o reputazione? E so ciò gli venga apportato dal S. r Ga¬ lileo, lascio giudicare a chi sa gli lionori elio egli ha riccuti o riceve da’ primi principi dol mondo o da tutti i letterati famosi (li Europa, che l’hanno celebrato con i loro scritti, la cui gloria nessuno mi negherà elio non redondi in illustrazione dello Studio di Pisa, poi cho il Sig. r Galiloo si intitola suo primario Matematico. A quegli scrupolosi poi, elio non si quietassino con lo ragioni addotto sin qui, ioo ricorderei che il Sor . 0 Gran Duca non ha limitata l’autorità di (laro più o meno provvisione, nòdi dare o non dare aumento ad un lettore: onde, por levar via anco quollo che havesso ombra di scrupolo, direi che può molto beno Sua Al. a in capo a tanti anni dare un aumento (li due o trecento scudi al Sig. r Galiloo, et egli poi lo ceda al Sig. r Dottoro Aggiunti por stipendio, elio conio suo sosti¬ tuto (approvandolo S. A.) legga lo solite lezzioni. Ma questa formalità sarebbo 83. La copia di mano di Vinck.nzio Galilei ha per leggersi. 91 La stessa copia ha onde splendore e reputazione, - XIX. 62 490 xxxvri. CONSULTO INTORNO AL PAGA MUNTO DKLLO STIPENDIO ECO. necessaria nel foro esterno ; ma trattandosi nel foro (iella conscionza, basta esser sicuro che quel che si fa si può fare et è ben fatto. In oltre potrebbe anche S. A. star sicura in conscienza, mentre facessi riflessione che questa prov¬ visiono fu assegnata al Sig. r Galileo delle decime ecclesiastiche dalla folico me¬ moria del Gran Duca Cosimo suo padre, della prudenza, pietà e religione del no quale si hanno tanti tostimonii, che ben temerario sarebbe chi credessi elio S. A., prima di fargliene tale assegnazione, non ci liavesse molto bon pensato, consi¬ derato, o restato più che sicuro di poterlo fare. Molto altre ragioni potrei addurre, ma stimo superflue lo addotto sin qui: però finisco con sottoscrivermi, credendo dio sieno a questa mia opinione por sottoscriversi molti altri. Io Niccolò Cini, Canonico Fiorentino, mano propria, 8 di Novembre IG29, in Firenze. Io Cosimo do'Pazzi, della Conip." di (ìiesù, affermo conio sopra, mano pro¬ pria otc. 120 lo Lorenzo Incuria, della (’oinp.* di (ìiosù, affermo (pianto di sopra, mano propria, stante elio nella Bolla non vi sia espresso altro in contrario. Io Guido do’Ricci, Avvocato del Collegio Fiorentino, havendo veduto o con¬ siderato tutto lo soprascritte ingioili o trovatele concludenti o iuridicho, sono del medesimo parerò de’ soprascritti 8ig. r consulenti o coscriventi; o però anch'io sottoscriverò di mia mano questo di 8 di Novembre 1G20. Guido de’ Ricci. Io Fra Filippo Guidi, Domenicano, attenuo «pianto di sopra di mano propria. Io I). Iacopo Rovai, Ch.° Regolare, affermo elio il Sig. f Canonico Cini, per mio giudizio, ottimamente dilli ni sce elio S. A. S. possa senza alcuno scrupolo dare iso la dotta provvisiono. lo 1). Lorenzo Cocchi, Ch.° Regolare, approvo quanto di sopra, mano propria. Io tra G iacinto Stefani, Domenicano, affermo quanto di sopra di propria mano questo dì 11 di Novembre, in San Caschino. 10 Giulio Arrighetti, Avvocato del Collegio Fiorentino, sono della medesima opinione por le ragioni addotte dal Sig. r Canonico Cini, confermata dalli altri soprascritti periti ; et in fede ho sottoscritto di mia propria mano que¬ sto di 21 di Novembre 1629, in Firenze. I.n copia, che i acar. 2u$o)y oc. XXVII,/, lin. 1—1), ò noll'Arch. di Stato in Fironzo, Archivio della Decima, n.° 1446 (Giustificazioni di città dell'anno 1633), u.° intorno 296. In Dei nomino amen etc.Anno Dominice Inenrnationia millesimo sexcentesimo vigesimo Vomlitio fi 712. nono, Inditiono XII, dio vero vigesima mensis Decembris, Urbano 8° Snmmo Pontifico et Sor."''' Ferdinando 2° Magno Haetruriae Duco dominante. Actum Fiorentine, in studio mene solitae habitationis, in popolo S. Iacobi super Arnum, praesentibus Incollo q. Do¬ minici do Mangani», meo famulo, et Dominico Bartolomei de MorÌ8,fabro ferrano, testibus. Pateat. etc., qualiter constitutus porsonaliter cornili me et testibus Iacobus quondam Marci do Bramantis Boschis, sponte, suo nomine proprio, por se et suos haeredes etc., iure proprio et in perpetuum etc., omni meliori modo etc. ; obligando et liipotecando in primis et ante omnia, de consensi! infrascripti multimi Mag.°‘ et Exc."‘ Domini Yinccntii 10 inultum Mag. el D. Galilei do tìalileis, oivis Fiorentini, S. C. Ser.' 1 " 1 " Matematici, infrascrip- tam domura vendendam multum Mag.°*° Dominae Sestiliac, filino multimi Mag. el et Exc. ,u Domini Caroli de Boochineris, civis Fiorentini, et milii uti publice personae prò ea reci¬ pienti et stipulanti et aocoptauti, ad hoc ut in casa restitutiouis seu consignationis et quovis alio casa dotis dictae Dominae Sestiliau ipsa Domina Sestilia habeat absoluta, me- liora, anteriora, priora et potiora iura, et preferatur omnibus et quibuscuinque creditoribus (lieti 1). Vincontii sui viri, quantumvis anterioribus, prioribus, potioribus et privilegiatis ex quavis causa privilegiata, pia, dotali, vel quavis alia maiori.etcum omnibus et singulis favoribus, preroghativis et privilegio et preheminentiis dotalibus et ad favorem dotium ordiuatis et faotis tam a logibus imperialibus quam a legibus et statutis et ordinamontis 20 inunicipalibus, et etiam cimi omnibus et singulis favoribus et privilegio quibus fruuntur et potiuntur dotcs constitutae in fundo dotali, ad hoc ut effectus sit quod dieta domus sit babeatur et reputetur ac si esset fundus dotalis et consigliata dicto D. Viucentio a dieta Domina Sestilia prò fundo dotali ; et sic, cum dieta obligatione etliipoteca et cimi dictis privilegiis et favoribus et prerogativis, omnibusque praedictis firrais et salvia stantibus et romanontibus, diotus D. Iacobus, modo quo supra et ornili alio meliori modo etc., dedit et vendidit et ex titillo venditionis tradidit et concessit, et dat, vendit, tradit et concedit, Inibita infrascripta licentia a Iacopo de Zuccagnis, de qua in tino presentis instrumenti, 492 XXXVIII. LE CASE SULLA COSTA DI SAN GIORGIO. Prelato multo Ma. ow et Ex Domino Vinccntio «lieti Domini Galilei do Galileis, civi Fiorentino, presenti et prò se ot stiis haeredibus, salvis et firmia supradiotÌB recipienti, omenti,ncoeptnnti et stipulanti,infraacriptam domimi vulgari serm» ni deaoriptam, videlicet: 30 Una cnsa con orto conservo, di acqua et corte, posta in Firenze su la Costa di San Gior¬ gio, popolo di....'", confinata, primo, via maestra, 2“ via detta la Cava, 3,°-1° Iacopo e Ba¬ stiano Zucchagni infra praedictoa vel alioa tines, aiqui aunt plures aut \enores, quibus habeatur relatio etc., Una cum omnibus etc., et cuni omnibus etc. omniquo iure etc. ad habendmn etc., cimi constituto etc., constitutione procuratoria etr., c sione turi uni etc., promissione de- fensioniR generali» et generalissimo etc. et evictionie in forum etc. Quam venditionem, iuriutn cessionem et omnia et singulti supra«criptn et infrascripta fecerunt et laciunt Biipradictao partes prò praecio, nomine vcrietiusti praecii. floreno- rum septingentorum duodecmi auri niouotao.de libri* septeui prò fiorano, solvendoruni 40 hoc modo et pacto, videlicet : Summam et quantitatem florenorum tercentum vigiliti similium convenerunt solvi deboro DI). Pasquino et Thomae de Piovanelliii, Fiorentini», prò resolutione venditionis medietatis dictao domus, factae cum pacto n -olutivo quinqut aiinorum ex lustramento quod dicitur rogatum a ber Niccolao Del Chiaro, notano publico Florentuio.de mense Scptembris anni Domini 1G28 seu veriori tempore ; : qui Pusqumus et Thouimas, anto sibi ipsis factam numerationero, dederunt, ceeserunt et trunstulcrunt, et dant, cedimi et transferunt, oorurn iura, prò quauto capit dieta et infrascripta auiuma dictorum 11. 320, dicto D. Viucentio, praeeenti, recipienti, accep tanti et stipulanti, ad eflectum so tuendi in dieta domu euopta et in caau molestino agondi, et quae iura promiserunt esse penes 50 cob integra, salva, inlesa, nomini cessa, affecta vel obligata, et talia manutenere; et qua cessione lirma remaneuto dictus Dominus Vincentius, de pecunia dotsdibus habitis prò dote dictao Domina® Sestiliae de Boccliinoris suae uxoris, ut ad«eruit et adfirmavit etc., dedit, aolvit ot actualiter numeravit dictam summam dictorum 11. 320 prefatia Pasquino ot Tommne do Piovanollis iu tot monetis argentei», dictam summam constituontibus, tot esse conlitentibus, ad semetipsos trahentibus, et de quibus, prò resolutione dictae ven¬ ditionis dictae medietatis domus, se solulos, tacito-» et contentos vocaverunt, et fecerunt pactum do aliquid amplius non potendo, praesente dicto I). Yincentio recipiente prose et suis haeredibus acceptaute et stipulante: ot stanti bua praedietis, dictus Iacobus de Bra- mantis Boschis ex una, et elicti I’aaqninus et Tomruas de I’iovanellis ex alia, resolveront fio Ot resol vunt dictam \euditionem, et voluemnt et volnnt haberi ac si facta non essot, quia sic ex pacto otc.; Summam vero ot quautitatem tioreuoium tcrrcniuiu quinquugiuta duorum similium solvi convenerunt, prout solvere promisit dictus Dominus Viucentius seu depouere in Monte l’ietatiB dictae Civitatis Florentiae iu creditum dicti Iacobi venditori», cum condii ione quod dieta surama dictorum fi. 352 non possit haberi, coniequi seu larari a dicto Monte Pio nisi ,1) I puntolini sono noli’originalo. ,s ’ Il documento a cui qui si accenna, col qual» iACoro Iìramaxti Boschi rondo & Pahqi-ixo e Tom¬ maso Piovaxklm metà delia sua casa snlla Coaia di S. (iiorgio, è. io data dal 13 settembre 1628, nel- l'Arch. Notarile in Firenze, Protocolli dol notaio Niccoli Pel Chiaro, Pro toc. n.“ lui 17, car 1451.-147r., n. intanto Ukl XXXVIII. LK CASE SULLA COSTA DI SAN GIORGIO. 493 ad offoctuni reinvostiendi in aliis bonis cautis et securis, de consensi! et licentin elicti Do¬ mini Vincentii, cura preambola hipotoca ad fnvorem dicti 0. Vincentii prò seeuritate dictae omptionis.ftd hoc ut in casu molestiae voi evictionis dictae doinus emptae por dietimi D. Vin- 70 centium a dicto lacobo ipso Dominus Vincentius in bonis emendis proferatur omnibus et quibuscumque oreditoribus ipsius Iacobi, voi in casa prestationis fideiussoris ad satisl'actio- nom dicti D. Vincentii, ot in casu discordine ad doclarationom 1)D. Officiali uni Monti» dictae Civitatis prò tempore existentiura, qui prornittere debeat, in casa molestino vel evictionis, restitutionem praocii praedicti dopositandi, hoc est dictorum il. 352; et prò qua silumin dietim lacobus sibi resorvavit ot rosorvat dominium dictae donius, quousquo non fuerit soluta vel depositata dieta aiimma dictorum 11.352; in ilio interim dictus D. Vincentius teuoatur, prout promisit, solvere por dictos 11. 352 ad rationem florenorum quinque prò cen- teuario, qua solutiono vel deposito facto ovanescat ot halieatur ac si appositum non esset, et remaneat dictus 1). Vincentius liberatus a dict.is annui.» quinque prò centenario ex pacto 80 Riliqum vero, quod est sumina lloronorum qumlraginta, dictus Dominus Vincentius dodit, solvit et actnaliter numeravit dicto lacobo venditori pio residuo totius dicti precii in tot monetis argenteis, dictam sumniam constituontibus, tot osso confitenti, ad so trahenti et do quibus florenis 40 so aolutuin, tacitimi et eontentum vocavit, et fecit p net uni de nliquid ampline non petendo, etc. Quao omnia et «iugula etc., siugula singulis congrue et apto referendo etc., ita ut utile per inutile non vitietur etc., promisorunt attondoro et observaro otc., sub pena etc., quaeetc., qua etc., prò quibus etc.,obligavorunt otc.,otetiam otc., bona beredum etc., renuutiautos etc., quibus et cuilibot eoruni precopi obsorvantes otc., per guarantigiam etc., rognntes etc. Toner vero liceutiao de qua supra, est qua e sequitur, videi icct: 90 Adì 20 Xbre 1629. Io Iacopo Zuchagni do licenzia a Iacopo bramanti che possa vendere la mia casa, che faccia fatti Bua, che mi è confina alla mia; et per fede di mia mano scrissi ole. • Segue, di mano del notaio Graziamo Squadrisi : Ego Gratiadeus approbo apostillam ,s ' de qua supra. In fidem etc. <" L'ostinzione del debito dei f. 852 fu fatta a rato, in tempi diversi (cfr. Voi. XV, n ® 2008, Un. 10 ): o procisamonte, il 4 gennaio 1088 Vincenzi») Galilei (»• por lui Alessandro Bocchineri coi denari dovuti a Vincenzio por In doto della moglio) pagò f. 170 a Caterina Pesciolini, moglio, o a Baccia noi Poz- zeri, figlia di Iacopo Bramanti, ronunziando questo respottivamoute ni loro diritti dotali sulla casa ven¬ duta (Arch. Notarile in Firenze, Protocolli del notaio Graziadio Squadrilii. Protoc. n.° 8591, car. 19».-22r. n. 0 interno 11); PII ottobre 1(183 Vincenzi») (e per lui Alessandro Bocciijnkri) pagò f. 70 alla predetta Caterina Pesciolini per saldo di quanto a lei spet¬ tava per diritti dotali (Protocolli del medesimo no- taio, Protoc. u.° 8592, car. 162/.-lG4f., n.° interno 6C| ; il 18 giugno 10-13 paglia Giulio del fu Iacopo Bra¬ manti altri f. 21 (Arch. cit., Protocolli del notaio Carlo Tompesti. Protoc. n.° 15154, car 162».-163r., n.° intorno 195), o P8 aprilo 1014 allo stesso Giulio f. 80 por saldo (medesimo Protoc. n.° 1515-1, car 180»., n. 6 intorno 231). 111 Alla casa già di Iacopo Bramasti, acquistata in nomo di Vincenzi»» Galilei, si riferiscono alcune dolio partito di decima pubblicato in questo Voi. XIX. Doc. XXVII,/), o i documenti citati nella nota 3, ivi, dai quali risulta (in data fi maggio 1638) elio Vincenzio nvova appigionato una stallotta, appar¬ tenente ad essa casa, o (in data 10 giugno 1638) dio avova abitato la casa medesima per più d’on anno ,5 > Intendo, lo parole « ad hoc ut in casu mo¬ lestiae voi evictionis» (lin. 69), elio noi manoscritto sono aggiunte in fino del documento,dopo lo parolo « scrissi etc.». con segno di richiamo. 494 XXXVIII. LE CASE SULLA COSTA DI SAN OlOKUIO. b) I.A .Hg(V>Ifl>A CASA. 1 ) Procura di Galileo ad Alessandro Hocchi neri per comperare la casa di Iacopo Zucrai/ni. Kirenco, 80 giugno 1684. Arch. Notarli© In Flron*©. Protocolli dol notaio l lito Dei, Protoc. n.« 14771, car. S5r..|., n.« in¬ torno 61. Originalo Mandatimi In Dei nomine amen etc. Anno al» Eiusdem salutifera Incarnationo millesimo piocurao sexce ntesirao trigesimo quarto, Intlictiono prima, die vero vigesirno mensis Iunii, Sanct. mo Urbano tì°, Summo Pontifico, et Sor.** Ferdinando Socundo, Magno Ktruriae Duce, faelieiter dominantibu*. Acturn rari infrascripti Domini consti- tuontls, posito in populo Sanctae Margaritao :i Montici, loco «lieto Pian di Giul¬ lari, in Potostoria Galluzzii, prosontibus ibidem magiaro Augustino Bartholomei, de Taccolis, fabro forrario in «lieto loco, et raagistro Io. Baptista Christophori de Bottis, calceario in oodem loco, tcstibus etc. Constitutus personalitor cornili praemissis tcstibus et me notario infrascripto Porillustris Domiuus Ualilous de Galileis, nobilia Fiorentina, sponto etc., citra etc. io omni etc., fecit, constituit etc., eius procuratore»! etc., apecialom et genora- lom etc., ita tamen quod specialità» generalitati non «leroget nec o contra, vido- licet Porillustrem Dominum Alexnndrum q. D. Caroli do Bocchinoris, a socretis Erainent." u et Rev . -1 Domini C’ardinalis Medices, absentem et tamquam prosen- tem etc., specialitor et oxpresse ad, ipsius I). constituentis nomino et prò co, acceptandnm nominationem faciendam in eius personarn a Domino Bernardo do Biaginis, cive Fiorentino, in eraptorem cuiusdan domus Iacobi do /uccagnis, posita Fiorentine in populo Ecclesia© Heveremlarum monialium Spiritus Sancti, in clivo Sancti Georgii; itom ad omendum eaindem domimi a Perillustribus Dominis OHìcialibus Pupillorum et Adultorum Civitati- Florentiae et ad solvcn- 20 dum praecium Camerario praedictorum DD. Otìicialium voi alteri loco et por- sonao, iuxta decreta III . -1 et Supremi Magistrati» praedictae Civitatis; et prò praedictis celobrandum «piodcuin«iuo publicum instrumentum vel instrumentai socundum ordinamenta dictorum DI). Otìicialium; et circa praedicta, omnia alia faciendum necessaria et opportuna, etiam si talia forent «piae mandatimi oxige- ront magis speciale vel generalo quam presentibus sit expressum, curii pieno, ampio et amplissimo mandato latissimo estendendo, ot generai iter etc. L)ans etc. Promittens etc. Itelevans etc. Sub bipoteca etc. Rogami etc. XXXVIII. LK CASI-: SULLA COSTA DI SAN GIORGIO. 405 2) Contratto di vendita delia casa di Iacopo Zucc.agni a Galileo. Firenze, 18 agosto 1034. Arch. Notarile in Firenze. Protocolli ilei notaio llnrtolomnioo linssotti, l’rotoc. n.® 8018, cnr. J2r.-15r., ».° intorno !). — Originalo. Un ostratto di questo contratto, fatto o autenticato 1*8 novembre 1084 per servirò soltanto por lo iscrizioni nei libri della Uociina (cfr. in questo Voi. XIX, l)oc XXXV, l , lin. 7 IO), è noU'Arch. di Stato in Firenzo, Archivio della Uociuia, li. 0 1440 (Giustificazioni di città dell’anno 1084), n ° intorno 658. In Dei nomino amen. Anno Domini Nostri Iosa Cliristi ab Eius salutifera vonditio. Incarnationo 1034, Indictiono secunda, dio vero decima octava monsis Augusti, Urbano 8° Summo Pontifico et Sor. 1 " 0 Ferdinando 2 do ITaetruriao Magno Duco dominante. Actum Florontiae, in audientia Porillustrium DD. Officialium Pupil- lorum et Adultorum Civitatis Fiorentino, in populo Sancti Stophani, presentibus infrascriptis testibus, vidolicct Iohanno Ghcrardi do Manuollis, tabulaccino Com- munis Florentiao, et Denedicto Michaolis do Nardis, domicollo etc. Patoat, qualitor Porilluatros DD. Officiales Pupillorum et Adultorum Civi¬ tatis Florontiae, in sufficienti numero congregati, in coruin solita audientia etc. ; io viso decreto facto ab U1. ,,,ÌB Dominis Loca ottenente et Consiliariis in Ro- publica Fiorentina, tonoris inlrascripti, vidolicot : Adì 13 Maggio 1633. Il Sor.""’ Gran Duca di Toschana, ot por S. A. S. grill.* 1 SS. ri Luogotenente et Consiglieri nella Ropublica Fiorentina, por il molto It. do Mess. Alfonso Iìroc- cliardi, creditore di maestro Iacopo Zuccliagni di più sommo di denari, come por decreto del Magistrato loro 111.“° del dì 29 Ottobre 1632; veduta la domanda di exocutione dol detto decreto, praesontata negli atti della loro Cancelleria in dì 10 del corrente mese di Maggio da dotto Mess. Alfonso, por la quale fa in¬ stantia d’avanti loro SS. rie 111.*" ordinarsi che si venda una casa di detto maestro co Iacopo, posta su la Costa a S. Giorgio, elio si dico confinata da una banda da dotto maestro Iacopo et dall’altra da Moss. Galileo Galilei, acciò con il ritratto di quella possa essere satisfatto di detti sua crediti, sorvatis etc., et ottenuto il partito etc.; Deliberorno et deliberando commessero ot ordinorno a’ Mag. cl Offitiali do’ Pupilli della Città di Firenze clic secondo gl’ordini del loro olìitio subastino et al publico incanto vondino al più ofleronto la detta casa di detto maestro Iacopo Zuccliagni, posta o collimata come sopra, con ritenere appresso di loro il prezzo per soguirno quello che ultravolta sarà deliberato, c tutto etc. Mandantes etc. Giovanni Papi, Vico Cancelliere etc. ; visa deliborationo facta per dictos Dominos Officiales de dandis ot vendon- 30 dis suprascriptis bonis, tenoris inlrascripti, videlicot : 496 XXXVIII. LE CASE SULLA COSTA 1*1 SAN GIORGIO. Adi 31 Maggio 1033. Li molto Ill. ri SS. M Officiali do’ Pupilli et Adulti della Cittù di Firenze, ser- vutis etc., veduto il decreto dell’111."* Magistrato di cho in Filza, questo di de¬ liberemo vendersi all'incanto del Magistrato loro, precedenti li bandi soliti, la casa di maestro Iacopo Zuocbagm i>o*U in Firenze sulla tosta ili S. Giorgio fra li suoi vocaboli et confini per tenere il prezzo a ordine di lor SS. rio 111.®* per se- guirne quello che altravolta sarà deliberato da detti 111.** SS. rt Mandante» etc. ; visis tribus publicis burnii» fartis et inissi» in locis et per loca publica Civitatis Fiorentini pei Miebaelem Dominici de Donellis, publicuni bamnitorem Conmnis Fiorentine sub diebus 3, 8 et 13 lumi anni Domini 1 G;M in tribus diversi» della compera ai legge nella minuta; fu in- gintro 168. XXXVIII. LE CASE SULLA COSTA DI SAN GIORGIO. 499 io comprato™ predetto, con pagarli le pigioni decorse et da decorrere; considerato intorno a ciò quanto parse da considerare, sentito et ottenuto il partito, Deliberorno et deliberando commisero et ordinorno a detto maestro Iacopo Zuccagni elio relassi a’ tempi debiti, cioè all’ Ogni Santi prossimo, la detta casa libera, vacua et ©spedita, al detto Mess. Galileo Galilei, et al medesimo paghi le pigioni della detta casa dal dì della fatta compra fino alla relassatione ; et sentendosi gravato, ricorra al Magistrato loro Supremo fra tre giorni per riceverò compimento di gius ti ti a etc. Mandantes etc. (3) Intimazione a Iacopo Zuccagni della precedente deliberazione. Firenze, 5 settembre 1634. Aroh. di Stato In Firenze. Magistrato Supremo, Filza 1491 (Atti, agosto, settembre, ottobre IR341, car. 207. — Originale. Una copia sincrona è nella Ribl. Nazionali} di Fironzo, Mas. Gal., Nuovi Acqui¬ sti, n.° 81. Adì 5 Sett. r « 1034 exhibita. A petitione et instantia del Sig. r Galileo Galilei, in suo nome proprio e d’or¬ dine delli III." 1 ' SS. ri Luogotenente e Consiglieri per Sua A. S. nella Republiea Fio¬ rentina e suo Ill. mo Magistrato etc., Giovanni, donzello di detti Ill. mi SS. ri , referse alli medesimi et a me loro Cancellieri, essere andato fino sotto dì 5 del presente mese di 7bre 1034 et bavero notificato in scrittis a maestro Iacopo Zuccagni sarto elio per l’avvenire riconosca per padrone il Sig. r Galileo Galilei della casa venduta dal Magistrato di detti IH.® 1 SS. 1- ' e da lui tenuta, e clic all’ultimo di Otto¬ bre prossimo avvenire 1634 quella rilassi vacua e spedita al detto Sig. r Galileo, e io sentendosi aggravato ricorra al Magistrato etc. in termine di tre giorni etc. E tutto referì baver fatto alla persona, secondo gl’ ordini, con dimissione di cedola etc. T) Comparsa di Galileo davanti al Magistrato Supremo, perchè sia intimata la lite. Firenze, 12 settembre 1634. Aroh. di Stato In Firanxe. Magistrato Supremo, citata Filza 1491, car. 241r.-242r. — Originale. Una copia sincrona ò nella Bibl. Nazionale di Firenze, Mss. Gai., Nuovi Acquisti, n.» 81òi». A dì 12 Sett.° 1634 esibita. Comparisce avanti li detti lll. mi S. ri Luogotenente et Consiglieri per S. A. S. nella Republiea Fiorentina et loro supremo tribunale. TI S. r Galileo Galilei in suo nome, senza revocatone et in ogni miglior modo che comparir bisognasse etc. Notificai.® di lite. Galilei con Zuooagni o nitri. 500 XXXVIII. LE CARE RULLA CORTA I»l SAN GIORGIO. Et por il presente atto notilica, intima, protesta et a memoria reduce al molto Ili. 1 *** S. r Alfonso Broccardi et al S. r Gio. Batta del q. Cap. no Lorenzo La¬ schi suo procuratore, a Iacopo Zuccagni ot a Giorgio Erudii et a ciascuno di loro, la compera elio già fece al publico incanto de'Pupilli Mesa. Bernardo di Mess. Antonio Biasini della casa già di Iacopo Zuccagni posta su la Costa a io San Giorgio, venduta ad instantia del dotto S. r Alfonso come creditore del detto Zuccagni, qual compera detto Biasini fece per ot per chi egli nominasse; o la nominatione dopoi fatta da detto Biagini della persona del comparente in comparatore predetto; et il pagamento e sborso fatto per detto S. r Galileo del prezzo di detta casa in somma di d. 200 a Giorgio di Luca Bruchi, come ces¬ sionario del detto S. r Alfonso; et la promessa fatta da detto Bruchi et dal detto S. r Alfonso, mediante la persona di detto Laschi, a favore del detto S. r compa¬ rente per la restitutione di detta somma, con gabelle e spese, in caso di molestia o ovictione di detta casa o parte di quella, come per contratto rogato da Mess. Bar¬ tolomeo Bussotti in di 18 Agosto 1634, al quale si habbia relatione etc. 20 Et come dal detto S. r Galileo, sotto dì primo di 7bre corrente 1634, fu fatto instantia alli detti Ill. mi per il possesso di dotta casa, e dalli medesimi Ill.«« fu decretato detto possesso e fatto precetto al detto Zuccagni per il relasso del libero possesso di detta casa fra certo termine, con la clausula iustitìcativa che sentendosi gravato comparisse a dedurre le sue ragioni ; et che A comparso nella Cancelleria delli detti Ill. ml . asserto genero del detto Zuccagni, allegando molte cose, et in particulare ha opposto di ritenere detta casa come tieni sta¬ bili consegnati in conto di dote da detto Zuccagni; alla qual comparsa et ccce- tioni detto S. r comparente si è preparato voler rispondere ; et in tal maniera viene a essere ritenuto al comparente rem rt prreium, contro ogni termine di 30 ragione. Però per il prosente atto detto S. r comparente reduce il tutto a me¬ moria a detto Zuccagni principalmente, et successivamente «Hi dotti S. r " Alfonso Broccardi 0 suo procuratore et al detto Giorgio Bruchi, et a ciascuno di loro, acciò non possino delle cose predette pretendere 0 allogare ignoranza; et a cia¬ scuno di essi, per quanto sia tenuto di ragione et in conformità delti decreti del Magistrato 111." 10 e forma e tenore delti detti instrumenti ot atti, se li protesta che quanto prima, ot al più infra otto giorni dall’ havuta n ■titicatione e prote¬ statane, devino bavere fatto et operato sì et in tal modo ohe al detto compa¬ rente sia dato et relassato il libero possesso della detta casa, et quella vacua e spedita consegnata al comparente, et che comparischino in giuditio et avanti detti 40 Ill. ml et piglino la difesa di detta causa e lite e del dotto comparente per l’ef¬ fetto che sopra, sì et in tal modo che esso S. r Galileo conseguisca detta casa libera, vacua e spedita come sopra, con expressa protestatone die passato detto 11 II nome del comparante è lasciato in bianco. XXXVIII. LE CASE SULLA COSTA DI SAN GIORGIO. 501 termine, non fatto quanto sopra, esso comparente contro detti protestati e con¬ tro ciascuno di loro et loro beni agiterà et proseguirà le sue ragioni civilmente, criminalmente, ordinariamente, esecutivamente et per non fatto, ctiam per via di turbata possessione et come, di ragione gli sarà permesso, et leverà contratti, decreti o scritture a tutte spese di detti protestati, e piglierà procuratori, avvo¬ cati, sollecitatori, et farà quanto gli bisognerà per sua difesa, con animò et inten¬ so tione di essere reintegrato di ogni spesa da detti notificati et da ciascuno di loro e loro beni, protestando loro di ogni suo danno, spesa et interesse, patito e da patirsi, in ogni miglior modo eto.; e domanda notificarsi il presente atto a cia¬ scuno delli sopranominati, secondo li ordini eto., reservandosi etc., protestando etc., domandando etc. l’oifizio, deducendo etc., in ogni miglior modo. Presente detto S. r Galileo, et le predette cose farsi domandante nelle parti favorevoli, e non altrimenti nò in altro modo. 3) Citazione fatta alla parte, che prenda cognizione della comparsa di Galileo. Firenze, 10 settembre 1634. Arch. di Stato in Firenae. Magistrato Supremo, citata Filza 1491, car. 277. — Originalo. Adì 19 7bre 1634 exhibita. A petit.ione et instantia del S. r Galileo Galilei, ne’ modi e nomi di che nelli atti, et di commissione delli lll. mi S. ri Luogotenente et Consiglieri per S. A. S. nella Republica Fiorentina etc. Bastiano, donzello delli detti Ill. mi , referì a me Cancellieri il dì 13 del cor¬ rente mese di 7bre di questo anno 1634 bavere citato maestro Iacopo Zuccagni sarto, il S. r Alfonso Broccardi, et per lui Gio. Batta Laschi suo procuratore et per esso accettante, et Giorgio di Luca Fruchi, et ciascuno de’predetti, che com- parischino in Cancelleria di detti Ill. mi a vedere una comparsa fatta per detto io S.»' Galileo, protestatione e notificatione di lite et atto et sue continenze, di quella torre copia, et. dire et allegare contro quello che vogliano e possano, alias etc., e tutto acciò non ne possino pretendere ignoranza etc. Et dette citationi referì havere fatto in questo modo : Al detto Zuccagni, alla persona; Al S. r Alfonso, alla bottega del Laschi, suo procuratore; Al detto Giorgio, alla persona di detto Gio. Bata Laschi il dì 18 stante, quale disse per questa volta accettare per detto Giorgio, al quale scriverebbe che laccessi un procuratore che lo difendessi in causa. Rapporto ili notificati uno. Galilei con Broccardi o altri. 502 XXXVIII. LK CASH SULLA COSTA DI SAN GIORGIO. 4) Scritta di locazione della casa a Tacopo Zuccagni par il semestre dal i* novembre 1634 a tutto aprile 1635. Firenze, 4 novembre 16.U. Aroh. di Stato in Sirena®. Archivio della Decima, o.« 1449 (Fili» di giustificuioni di città dell’anno 1684), n® Intorno 659. — La scritta ò di mano di Vivcekzio Oaliui; lo eottoocrixioul sono autografo. Adi 4 di Novembre 1634. Apparisca per la presento scritta 10 qualmente il Sig. r Galileo Galilei, citta¬ dino Fiorentino, dà o concedo in affitto a maestro Iacopo Zuccagni sarto una casa posta su la Costa a S. Giorgio, nel popolo dello Spirito Santo, confina a primo via maestra, 2° il medesimo Sig. r Galileo, 3° e 4° il detto maestro Iacopo, por prezzo ot a ragione di scudi dodici l'anno, da cominciare il detto affitto dal dì primo del presente mese e terminare per tutto Aprile prossimo futuro; al qual tempo, non rifacendosi nuova scritta, deva il detto Zuccagni rilassare al sudetto Sig. r Galileo la detta casa libera et eepedita, acciò, volendo il medesimo Sig. r Ga¬ lileo, possa allogarla e disporne come più li piacerà etc. Et acciò la presente io accanisti vigore e sia valida et autentica, sarà sottoscritta da ambedue lo parti etc. Io Vincenzio Galilei, in nome del eopradetto Sig. r Galileo mio padre, affermo quanto sopra, et in fede ho scritto m. p. questo di sudetto. Io Carlo Zuccagni, figliolo di detto maestro Iacopo, in nome suo affermo quanto sopra, et in fede ho scritto m. p. questo di etc. 6) Fedi che Galileo e V ine erutto, suo figlinoli, hanno abitato tutta la casa, più d'un anno prossimo passato Firenze, 18 n 21 febbraio I486 Cfr. in questo Voi XIX. Doe. XXW, «, 1) l‘> Cfr. in questo Voi. XIX, Doe XXX\, 6), Un 11-14. 503 XXXIX. PARTITO DEGLI UFFICIALI DE’FIUMI, CHE GALILEO E GIULIO PARIGI RIFERISCANO SULLE PROPOSTE CONCERNENTI LE INONDAZIONI DEL BISENZIO ‘ J >. Firenze, 20 dicembre 1630. Aroh. di Stato in Firenze. Archivio dol Magistrato dei Capitani di Parto Guelfa o (logli Ufflztnli ilo’Fiumi, Filza 260 (Giornale de 1 SS. Udì ti ali do' Fiumi. 1629-1680), unr. 108r.-110r. — Originalo. Nella JJibl. Na- zionaln di Firenze. Mas. Gal., P. Y, T. 111. car. 45-46, si ha copia sincrona di questo partito, sottoscritta di propria mano da « Filippo Treinazzi, Cane." della Parte » ; copia che, corno erodiamo verisimilo, fu trasmessa a Gami.ko, perchè no prendesse cognizione, a quel modo che sappiamo esserne stala data copia al collega di Gimmo, Ciucio Pakioi (cfr. Voi. XIV, n.° 2101). Adì 20 (li Xmbre 630. Li soprascritti Sig. li Ullitiali do’ Fiumi, insieme congregati etc., servatis ete., Itemi veduto come di 7mbro passato fu porto un memoriale'* 5 a 8. A. S., so- scritto da n. r0 168 persone, che dicono possedere beni nella Comunità di Sesto, Brozzi o Campi, et in particolare per tutto il piano del’Ormannoro che si estende lino ad Arno, e sopra la strada di Peretola nel piano detto di Quinto, Sesto c Limiti o I’ocognano e no’ popoli del Comune di Campi lino a Lecore, sino al piano del Colle a Signa; nel qual memoriale espongono come da molti anni in qua ricevono d’ogni stagione gran molestia dal’inondatone de’fiumi, fossi, rii io e fossati che passano per detti piani, perchè con difficilità sboccano in Bisenzio, essendo die il letto di detto fiume sia sopra modo tortuoso et alzato ; per la qual cosa asseriscono che le rendite siano assai mancate, e che da tre anni in qua molti terreni restino inculti e sodi, e che li poveri contadini si riduchino in ultimo grado di miseria; onde supplicano S. A. a commettere a uno de’suoi in¬ gegneri che ordini il riparo che a tanto male universale si possa lare, con fare somministrare dal Monte il danaro che sarà necessario, per rimborsare il detto Monte con l’impositione da farsi sopra di quelli che doverranno concorrere a detta Bpesa e saranno compresi nella circunferenza da farsi per detto ingegnere, e tutto ciò con la sopraintendenza di tre o pii) degl’interessati, da eleggersi 20 da S. A., die insieme con l’ingegnere possino risolvere quanto sarà necessario; Veduto come a piè delli soscritti, nel sudetto memoriale, S. A. rescrisse li 23 di 7mbre prossimo passato, con la solita segnatura Fcr., in questo modo, cioè: < Gl’Offitiali de’ Fiumi mandino un ingegnere pratico et intendente, che veda > i luoghi e’ bisogni che propongono, o referisca al Magistrato con la > pianta, il quale dia conto a S. A. con quanto gli occorra > ; di cfr. Voi. VI, pag. 616 o sog. UOziali do'Fiumi, Filza 800 (Filza 90 di suppliche), HI È nell'Ardi, di Stato ili Firenze, Archivio n.-> intorno 233. del Magistrato dei Capitani di Parto Quolfa o dogli 504 XXXIX. PARTITO DEGLI UFFICIALI DE’FIUMI ECC. In virtù dei qunl rescritto il Magistrato di lor SS., per suo partito delli 26 di 7mbre detto, elesse l’Ingegnere Alessandro Kartolotti, che solo gli serve d’in¬ gegnere, a visitare li sudetti luoghi e piani, e considerare che danni et inonda- tioni patischiuo, donde procedimi, che rimedii vi siano necessari, quanta spesa sarà, c chi la doverrà pagare, con far di tutto la sua relatione et un disegno di- 80 stinto e puntuale; Veduto come il sudetto Ingegnere Bartolotti ha fatto la |>ianta e disegno de’ su¬ detti luoghi con la sua relatione 11 ’, nella quale in sostanza dice che il fiume di Bisenzio in moltissimi luoghi è ristretto a braccia X, quando i vani de’ suoi ponti sono almeno braccia 30, e che per causa di tale strettezza l’acqua vi sta più alta di quello che doverrebbe, e fa che i fiumi e fossi che harebbono a entrare in esso Bisenzio restano affogati, traboccano gl’argini et inondano una campagna che patisce per cento mila stiora in circa: onde por remedio propone di fare un nuovo letto al fiume di Bisenzio, che si parta dalla K\olta che è sotto a Campi, detta la Malora, e vadia a rientrare nel medesimo Bisenzio sotto al Colle a Biglia, io quasi del tutto a dirittura sino alla sua lino ; asserendo che a far questo, con dare al detto fiume quella larghezza e profondità e con fargli gl'argini della qua¬ lità che lui dice, sarà una spesa di A 'j'*, da pagarsi per que’ beni elio ne rice¬ vono benetitio, cioè per que* beni che di già sono descritti in una impositione detta de’ Davanzati, da quella banda di Bisenzio che è inverso il l'oggio a Caiano, e dall’altra banda inverso Firenze dice che se ne faccia la circunferenza secondo che si estendono i lavori, con dividerla in una o più classe; e in detta spesa di A ^ comprende l’acconcio di tutti gl’altri fossi e rii che scolano in Bisenzio: questo medesimo acconcime di adirizare Bisenzio è proposto per il migliore a 8. A. dal S. r Comissario Giorgio Scali per una sua relatione, sen/.u haver huuto notitia 60 della proposta del Bartolotti; Veduto come il Magistrato, ad instantia di Mario Guiducci, di Bosso del Bosso e d’altri molti interessati, commesso all’Ingegnere Bartolotti che disegnasse il luogo a punto dove egli intende ili fare il letto nuovo a Bisenzio; il che detto Inge¬ gnerò lia csequito, con mettere le bilie o segnali, e anche ne ha fatto la rela- tione, dicendo quanto et a chi si terrà et occuperà di terreno; Veduto come il sudetto Mario Guiducci, li eredi del Senatore Tommaso Caval¬ canti, Rosso del Rosso e le tutrici de’ figliuoli pupilli del q. S. r Piero Strozzi, con altri più di cento, che tutti si oppongono alla proposta del Bartolotti, e dicono non doversi fare altrimenti detto nuovo letto per molte ragioni, ma solo doversi 60 ridurre il detto fiume alla larghezza di braccia SO che deve bavere, con rimon- •O I,a relazione dell' ingegnerò Bartolotti è, in copia sincrona, noi Mss. Gai. della Bibl. Naz. di Firenze, P. V. T. Ili, c ftr . 80 «6. Nello «tetto codice bì contengono (car. 26. 38, 47) altro scritture sullo stesso argomento, che, come quanta relaziono, furono probaMlmeuto comunicato a Untino, perchè ne pren- do«s« cognizione. Sul di fuori di una di questo scrit¬ turo (car. 29i.) ai logge, di mano di Galileo: « Sopra Bisenzio. scritturo diverso *. XXXIX. PARTITO DEGLI UFFICIALI DE’FIUMI ECO. 505 darlo o levare tutti i cespugli, alberi et impostimi che lo riserrano, con levare il superfluo de’ gomiti per addolcire la corrente, con far buone palafitte o mu¬ raglie forti dove il dotto fiume va a urtar di punta, con rimondare i fossi e scoli che vanno in Bisenzio c votare in particolare il fosso detto di Piano, il Vin¬ tone e la Ghiellu; i quali interessati ne limino anche fatto ricorso a S. A. S. con memoriali, supplicando che il detto nuovo letto non si tiri inanzi, o elio al meno siano sentite le loro ragioni; oltre a che hanno anche fatto vedere il luogo da Stefano Fantoni Ingegnere, il quale mostra per una nota che a fare gl’acconcimi 70 che propone il Bartolotti in uno spntio di 3 miglia in circa sarà una spesa di scudi 43548, asserendo esser duro che una sposa sì grossa si Labbia a posare a dosso a persone che recusano l’acconcime del Bartolotti o lo reputano per dan¬ noso, o che si Labbia a distendere a persone molto lontane ; all* oppositioni de’ quali interessati aderiscono ancora, con una comparsa speciale, li Canonici di S. Maria del Fiore, con i monaci della Badia di Fiesole, di Santa Trinità et altri ecclesiastici ; Veduto come, stante la contrarietà degl’interessati e la diversità del’opinioni degl’ingegneri, viene scritto dftl*Ecc. mo S. r A uditore Staccoli che sia mente ili S. A. S. che si olegghino il S. r Galileo Galilei e Giulio Parigi, acciò vadino sul luogo con so le parti e con li sudetti duoi ingegneri Bartolotti e Fantoni, per considerare quivi quello che sia meglio e piò utile di fare; Veduto come, essendo tutto ciò stato proposto dal Magistrato alle sudette parti, nessuna ha contradetto, servatis etc., aderendo alla mente e buona inten¬ tarne di S. A. S., elessero il sudetto S. r Galileo 1 ’ e Giulio Parigi 1 ' 1 , acciò si tran- sferischino su’ detti luoghi, e quivi, ben considerato quanto vien proposto dal’ Inge¬ gnere Bartolotti e quanto viene opposto in contrario, con sentire anche le ragioni che saranno addotto dalli deputati delle parti, i quali hanno a essere 3 soli per cia¬ scuna parte e non più, acciò non si faccia confusione, e con far anche, bisognando, tutte quelle livellationi e diligenze che secondo la peritia del’arte loro repute¬ rò ranno necessarie, referischino quello clic sia più utile e più espediente da farsi per benefìtio e ben essere di tutti li soprascritti luoghi e di que’ popoli, dichino la spesa che andrà a fare gl'acconcimi che proporranno, e faccino la circunfe- renza de’ terreni che, secondo il giuditio loro, doverranno concorrere a tale spesa: e decretorno che la visita de’ sudetti luoghi si deva cominciare giovedì pros¬ simo, che saremo alli 26 del presente, se il tempo lo permetterà, e seguitare poi sino alla fine, e che la spesa di detta visita si (leva fare da ciascuna delle parti per la sua metà, e così anche il deposito del salario. E tutto fu decretato e sta¬ bilito per il Magistrato di lor SS., presenti et audienti li soprascritti interessati, omni etc. •» Cfr. Voi. XIV, u.o 209». • ’» Cfr. Voi. XIV, n.» 2101. XIX. G-t Mag> 111.»» Domanda. Laudaci. 500 XL. RELAZIONI GOL NIPOTE VINCENZIO LANDUOCI: 1081-1841. a) Liti col niputk pkr un sussidio mknsdali promxssuqli. 1631-1634. 1) Domanda di Vincetmo Landucci, che il Magistrato Supremo condanni Galileo. a continuargli il sussidio me usuale. FI ren te, 27 m»Kid*> 1631. Aroh. «Il Stato in Flrense. Magistrato Supremo, Fili» 1478 M«0. c*r. *l&r.-c. • 646r.-i. _ Originale. A dì 27 di Mag.° 1631 esibita. Dinanzi a voi, Ul. mi SS. ri Luogotenente et Consiglieri per S. A. S. nella Repnblica Fiorentina, comparisce Il M. eo Mess. Vincenzo di Benedetto Landucci, cittadino Fiorentino, in suo nome proprio, senza revocazione etc., et in ogni miglior modo etc. Et disso et dice, come ranno 1627 essendo esortato dal S. r Galileo del q. S. r Vincenzo Galilei, suo zio materno, di accasarsi e pigliare moglie, con essere da lui assicurato che gli harebbe dato aiuto e soccorro, acciò si potessi tirare innanzi honorevolmente con la sua moglie; et così il detto comparente, fondatosi su lo dette promesse fatteli dal detto suo zio, con sua buona grazia prese per moglie l’Anna io di Cosimo Dieciaiuti, cittadino Fiorentino, con dote di scudi ottocento; et condotta a casa, il detto S. r Galileo suo zio ricevè l’un et l’altro nella sua propria villa, dove al presente habita, alleilo Sguardo, et ancora in Firenze gli dette una casa che teneva a pigione detto S. r Galileo, et di poi ritiratosi gli somministrò pagarli per ciascun mese scudi otto, com’ancora la pigione di casa con lo sue masserizie; Et che sotto dì 25 d’Aprile 1630 fu fatta una scritta 0 infra il detto S. r Ga¬ lileo et il detto comparente, per la quale dichiarò detto S. r Galilei, fra l’altre cose, come egli era disposto di continuare al detto suo nipote il medesimo aiuto di scudi otto il mese et scudi 16 l’anno per pigione della casa, sino che detto Mess. Vincenzo fusse provisto di qualche honorato orti zio che li rendesse l’equi- 20 valente ; 0 quando li rendessi manco, si dovessi defalcare de’ denari elio li dona detto suo zio quella porzione che importassero gli emolumenti dell’ offizio elio ottenessi, come piò largamente apparisce per il detto scritto; Et che da molti mesi in qua, per preghi et diligenze che habbia fatto il detto comparente, non ha potuto conseguire dal detto S. r Galileo suo zio cosa alcuna, Abbin,no ricercato inutilmente la scritta a pubblichiamo subito dopo il prestato è attribuito la cui qui si accenna, e alla quale nei documento che data dei 7 aprilo. XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LÀNDUCC1. 507 essendo stato sempre renitente a somministrarli detto aiuto, di maniera che sono decorsi circa a otto mesi senza potere havere sussidio, non ostanti le continuo promesse et offerte di volerli continuare il medesimo aiuto; che perciò convenne al detto comparente cercare di andare a servire al lazzeretto de’ Tre Visi 1 **, dove ;jo andavano i convalescenti di contagio, con manifesto pericolo di perdere la sa¬ nità et la vita: e tutto fece detto Mess. Vincenzo per non havere da vivere; et è stato in detto luogo infili a che non è stato licenziato et che non sia stato chiuso il detto lazzeretto; Et che trovandosi al presente aggravato di moglie con dua figliuoli, senz’ha¬ vere alcuno assegnamento di tirarsi innanzi, fuori che il detto soccorso et aiuto promessoli dal detto suo S. ro zio, però ò stato necessitato, con le lacrime agli occhi et per non si potere più mantenere, ricorrere al Magistrato di loro SS. rio Ill. mo , ad effetto che provedino che il detto suo S. re zio continui a porgerli il detto aiuto, per essere egli ricco, et stipendiato di scudi mille da S. A. S. per 40 ciascuno anno, et da circa a j scudi sul Monte di Pietà w , dove ne cava a ra¬ gione di 5 per 100, come a suo luogo e tempo, bisognando, proverà. Però fu et è intenzione di detto comparente di domandare quanto appresso: Et che le predette cose fumo et sono vere etc.; Però, il fatto così brevemente esposto et narrato, detto comparente con ogni debita reverenza domandò et domanda, che per solenne decreto di loro SS. rie 111. 1 "® si dichiari, tutte le predette cose et ciascuna di esse essere stato et essere vere, et potersi et doversi fare di ragione, et successivamente condennare detto S. r Ga¬ lileo a pagare non solo li mesi decorsi della detta paga di scudi otto, coni’an¬ cora a continuare di pagarli e darli detto aiuto insin a che sia provisto d’offizio 60 honorato, che ne cavi il medesimo ; et intorno alle predette cose farsi ogni et qualunque altra dichiarazione et condennazione necessaria et opportuna, non solo nel modo e forma predetta, ma in ogni altro miglior modo etc. 2) Deliberazione del Magistrato Supremo intorno alla precedette domanda , Firenze, 17 giugno 1631. Aroh. di Stato iti Firenze. Magistrato Supremo, Registro 145 (D«Ii&erasiont), car. 126r.-f. — Originalo. Se ne ha la minuta nella Filza 2814 (non cartolata) del Magistrato Sapremo, nello stesso Archivio. Adì 17 di Giugno 1631. Veduta la domanda di Vincenzo Landucci, fatta in Cancelleria sotto il dì 27 di Maggio 1631 (8> contro Mess. Galileo Galilei suo zio materno, et quanto in essa si narrava e concludeva; e veduto l’ecccttioni di detto Mesa. Galileo, Doc. XL, «, 2). 2 -3. Noi Registro 145 si legga tolto il dì SU, ma nella minuta si Im correttamente i‘7 .— La villa Palmikri, che sorge noi luogo detto del 1680, facevano la convalescenza gli uomini. La font* d *’ tro viti o Tira viti, fuori della h&rriora <*’ Cfr. in questo Voi. XIX, Doc. XXX. fiorentina delle Cure. In quosta villa, durante la peste < 5 > Cfr. il documento precedente. Oaliloi. 008 XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. proposte sotto il di 3 Giugno, anno detto; e veduta la scrittura passata tra di loro, Landucci c detto Mess. Galileo, dol dì 7 Aprilo 1630 °\ nella quale, fra l’altro coso elio si vedevono promesse a dotto Indurci, vi era particolarmente conio detto Mess. Galileo stava disposto di continovarli il medesimo aiuto clic haveva fatto per il passato, cioè ducati otto il mese, et scudi sedici l’anno per pigione della casa, con le conditioni che j»i legge in detta scrittura, et partico- io tormente che non intendeva continovare il detto aiuto, che gli donavo, bo non durante la sua vita et la possibilità che ha ili presento et ha havuto per il pas¬ sato et per il tempo elio esso Vincenzo, o per mezzo di detto suo zio o d’altri, non ottenessi dal Ser."*° Gran Luca qualche onesto oliitio che gli rendesse l 1 equivalente di detto donativo, che se li rendesse meno, si dovesse defalcare dal donatoli per detta scrittura quello che si cavasse da tale oliitio, sì come più largamente si legge in detta scrittura ; et sentite di voce le dette parti più volte avanti il Magistrato et alle caso, et molti particolari che ciascuno ha volsnto dire privatamente; et sentito particolarmente il detto Mess. Galileo, che in ri¬ guardo della morto di suo fratello, seguita di corto in Monaco, gli sarebbe ve- 20 mito addosso una sposa grave della sua famiglia che ha lassato, et che perciò la sua pretesa obbligatane sarebbe in ogni caso venuta a stato di non potersi più in futuro esequire, et aggiungeva che il detto Vincenzo recusava di eserci¬ tarsi in alcuni oiiitii che egli gli havrohhe procurato, tutto per non haverli da faro defalco del detto donativo; et faceva perciò instanza che fosse per il futuro moderata la promessione fattali delli detti d. 8 il mese, riducendoli a tre, offe¬ rendo di farli libero donativo di certi mobili accomodatili, mentionati in detta scrittura, quel residuo cioè che egli non havesse fino ad bora alienato; 0 Risa¬ rebbe contento pagarli dotta pensione moderata liberamente e senza alcuna con- ditione, rimettendo nel Magistrato ogn’altra moderatione et accomodamento che so gli tosse paruta più convenirsi; sentito il detto Vincenzio, che per quel che toc¬ cava il tempo futuro si contentava che il Magistrato facesse quell’arbitrio che gli piacesse, purché se li levassero dette conditioni, delle quali in detta scrit¬ tura; sentito ciascuno quanto volse dire, et il parere del Sig. r Auditore Fan- toni; servatis etc., et ottenuto il partito otc.; Doliberorno et deliberando dichiarorno, dovere andar condennato, sì come condennorno, il detto Mess. Galileo per esecutione di detta scrittura a pagare al detto \ incenzo dal dì sette d’Aprilo 1G30, giorno nel qitalo fu fatta, sino a questo presente giorno ducati otto il mese, et a ragione di d. 16 l'anno per pi¬ gione della casa, da menarli buono tutto quello che mostrerà d' haverli pagato -io et che di ragione vadia compensato, da dichiararsi per altro decreto et cho 5. Nel Registro US si legge tolto il dì SX. ma Della minata si ha tolto il dì s. — 11-19. Noi Regi¬ stro 145 si leggo donava, duroni». Correggiamo ron l*alito dalla minata <0 Cfr. il doc. XL, a, 1), lin. 10. **' Cfr. il docutneuto immediatamente seguente. XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. 509 da questo giorno in l’avvenire detto Mess. Galileo non sia tenuto a pagarli altro, per osecutione della predetta scrittura, che scudi sei il mese, per il tempo però solamente che viverà detto Mess. Galileo, assolvendolo non solo da ogni altra maggiore somma promessa in detta scrittura, ma ancora dalla detta pigione di casa; volendo et intendendo che detti sci scudi il mese li deva dotto Mess. Galileo pagare liberamente, rcmoasa ogni eccettione e condittione d’impossibilità e di compensatione di quello che detto Vincenzo potesse guadagnare nelli oflitii che potesse ottenero da S. A. S. per mezzo di detto Mess. Galileo o d’altra persona, so e senza poter haver mai per alcun tempo, nò lui nè suoi heredi, alcuna pretensione sopra detti mobili accomodatili; dichiarando loro SS. Ill. me elio ogni avanzo che si ritrovasse appresso detto Vincenzo, s’intenda donato liberamente et senza haverne a renderò piò alcun conto o farne alcuna restitutione, assolvendolo per¬ ciò, in quanto faccia di bisogno, dalla richiesta fattagliene. Et tutto mandorno osservarsi con ogni rimedio opportuno et sotto la loro indignatione et in ogni miglior modo. Mandantes etc. 3) Altra deliberazione del Magistrato Supremo. Firenze. 1« luglio 1631. Arch. di Stato In Firenze. Registro 145, citalo al Documento precedente, car. 142r.-t. — Originalo. Sa no Im In minuta nella l f il/.a 2814 (non cartolata) ilei Magistrato Supremo, nello stesso Archivio. A dì p. mo di Luglio 1631. Veduto il decreto del di 17 di Giugno 1631, seguito fra Mess. Galileo Galilei da una e Vincenzo Landucci suo nipote dall’altra, e qualmente in esso fu con- dennato detto Mess. Galileo a pagare a detto Vincenzo d. 8 il mese dal dì 25 Apri¬ le 1630 fino al giorno di detto decreto, et a ragione di d. 16 l’anno per la pi¬ gione della casa, e tutto per esecutione di scrittura seguita fra dette parti il fletto dì 25 (l’Aprile 1630 ; con che non di meno si dovesse menar buono a detto Mess. Ga¬ lileo tutto quello che mostrasse (Vhaver pagato, et che di ragione andasse com¬ pensato, o da liquidarsi il tutto per altro decreto; veduto e sentito le parti di io voce, e particolarmente il detto Landueci, che pretendeva non haver ricevuto a detto conto clic d. 44. 4. lo, c però restare creditore del resto, facendo però in¬ stantia che così fosse dichiarato; sentito il detto Mess. Galileo, che diceva in detto resto andar compensato, primieramente, tutto quello che detto Vincenzo dal 16 di Xnibre 1630 haveva guadagnato nell’assistere a’ lazzaretti, dove confessava bavere guadagnato le speso e lire sessanta il mese, et che, essendo molto più di d. otto il mese e l’importanza della detta promessa pigione, conveniva e fa¬ ceva instantia (l’essere assoluto, e soggiugneva che di più il detto Vincenzo fosse dichiarato suo debitore del ritratto di quei mobili che ricevè da lui et che al 42. Nel Registro 145 ei legge pagarti, ma la minuta ha pagarli. — 44. Nel Registro 146 ai legge non da, ma 1 a minuta ba non eolo Ha. — 60. Nel Registro 146 si legge poter mai, ma la minuta ha/>oter haver mai .—• Galilei e Landucci. 510 XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDTJCCI. tempo del detto decreto non haveva esitato, o questo perché detto Vincenzo, per suo lettere c per fedo, si vedeva che haveva venduto ogni cosa fuora che il letto; sen- 20 lito in contradittorio detto parti, et avanti il Magistrato et avanti il Sig. r Auditor Finitemi; sentito quanto fu da sentire; serratiti etc., et ottenuto il partito etc.; Deliberorno et deliberando dissero, dovere detto Mesa. Galileo andare assoluto, sì come assolverne, da detti scudi otto il mese c detta pigione, decorsi e decorsa dal detto 25 Aprile 1630 tino al detto di 17 di Giugno 1631, e questo per esser costato a’ detti SS. 111.*" 1 che detto Vincenzo sia stato pagato interamente d’ogni cosa con detti d. 44. 4. 10, che confessò esserli stati pagati, e con quel che ha guadagnato nel’offitio, servendo a’detti lazzaretti; come ancora dissero, dovero il detto Vincenzo andare assoluto, sì corno assolverne, dal detto preteso ritratto de’ mobili, imponendo allo detto parti perpetuo silentio sopra dette pretensioni; so havuto però fermo il «letto decreto del detto ili 17 ili Giugno 1631 in quella parte che parla delli alimenti dovuti a detto Vincenzo dal detto di 17 di Giugno 1631 in futuro: et tutto in ogni miglior modo. Mondani es etc. 4) Precetta del Magistrato Sapremo, che Galileo paghi al nipote una mesata del sussidio convenuto. Firenze, HI marzo 1634. Aroh. di Stato in Firenze. Magistrato Supremo, Registro lù‘2 I<,*,). car I07r.-1 !0r. — Originale. Se ne he le minute nelle Filza 8817 (non cartolate) d*»l Magistrato Supremo, Dolio atesao Archirio. A dì 31 di Marzo 1634. Per partito si comanda a Mess. Galileo Galilei, che per tutto martedì prossimo deva bavere pagato a Vincenzo Landucci d. 6 che gli deve per un mese maturato il dì 17 del presente mese di Marzo, et non ne manchi, alla pena dell’arbitrio et con comminatione che se ne commetterò l’esecutione; et sentendosi gravato, ricorra. Mandantes etc. 5) Deliberazione del Magistrato Supremo, in seguito al precedente precetto e alla comparsa delle parti. Firenze, 4 aprile 1634. Aroh. di Stato in Firenze. Registro 162. citato al Documento prendente, car. Il Ir.-ll5t. - Originale. So ne ha la minuta nella Filxa 2917. por ciUta al Documento precedente. A di 4 Aprile 1634. Udito Mess. Paolo Vorzoni, comparso al cospetto di loro SS. Ili»- a nomedi Mess. Galileo Galilei per cagione del precetto fattoli di dovere pagare a Vincenzo Doo. a, 8). 20. Nel Registro 145 ti legge « «««Livi venderò, ma la minuta ha #» wrfet*» . Mariuni q. 1). Alexandri io de Guidacela, nobilem Florentinum, licet absentem tamquam pruesentem, et pio dicto D. conatituente, ad concordaiulum cum Mag. co D. Vincentio 1). Benedicti de Landuccia, cive Fiorentino, eiua ex aurore nepote, in et super differenti» ver- tentibus inter ipaos, dependentibus ex quavia causa, et, secata concordia, ad fa- ciendum quamcuinque scripturam tum publicaui quara privat.nn, et l'aciendum quameumque declarationem necessaria™, et ad solvenduin quamlibet auinmain ditto D. Vincentio, usque tamen in quantitate fiorenoruui quinquaginta; item ad obli- gaudum dictum I). coiistituentem eiusque haen des et bona praesentia et futura prò obaervantia illorum quae a dicto l). procuratore constituto firmata fuerint et concordata; item ad subscribenduni nomen dicti l). constituenti» co modo et 20 forma beneviaia dicto Domino procuratori constituto; itera ad faeienduin eacuncta omnia necessaria et opportuna, etiam quod egerent specifica inentione, prò inte¬ grali adimplemento illorum tractatorum et conventoruin inter ipsum D. procu¬ ratorem constitutum prò dicto D. Galileo ex una et dictum 1). Yineentium ex alia; item ad iuranduiu in ammani et super ammani dicti I). constituentia obser- vantiam praedictorum concordatorum et firniatorum a dicto 1). procuratore con¬ stituto; et generaliter etc. Dana etc. Concedei» etc. OMigana etc. Kclevans etc. Renuntiana etc. Sub hipotheca. Itogans me quatenus de praedictis hoc publicum conficerem instrumentum, prout conl'eci et in lume pubhcam forrnam rodegi etc. 2) Scritta della convenzione. Kir*ni<*. ‘2*-* »»*Umubre 1S88. Blbl. Naz. Fir. Ms» 0*1 NuotI Acquati u - 87 - Autografo la quattro aottoacrUionl. A di 22 di Tmbre lfi;ib. Conciò sia cosa che Mesa. Galileo di Vincenzio Galilei, cittadino Fiorentino, Mattematico di b. A. 8., cominciassi spontaneamente a dare e pagare al Mag. co Vincenzio del Mag.' 0 Benedetto Landucci, cittadino Fiorentino, suo nipote di so¬ rella, la somma c quantità di scudi sei il mese, c durassi più tempo ; che poi, XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. 513 pretendendo non gli dovere per obligo, o vero ridurre, la detta somma, fossi con- dennato al pagamento per decreto dell’ 111. 0 Magistrato de SS. ri Luogotenente e Consiglieri, ed ultimamente del dì 4 d’Aprile 1034 etc. ; Et che inaino a questo giorno detto Mag. co Vincenzio habbia ricevuto tutte io le mesate decorse; e che habbino convenuto concordemente che detto Mag. co Vin¬ cenzio rinunzi totalmente et effettivamente alle ragioni acquistategli di conse¬ guire detti scudi sei il mese da questo giorno, cosi come intende voler renun- ziare e liberare in tutto e per tutto detto Mess. Galileo in l’avvenire da tal pagamento per obligazione impostagli per detto et altri decreti di detto Ill. mo Ma¬ gistrato; e questo, perchè all* incontro detto Mess. Galileo promette et obliga sè stesso et suoi heredi a lare di suo proprio, senza poter ripetere cosa alcuna dal detto Mag. co Vincenzio, sì di serbanza di monastero, tanto di vitto che vestito, sì per le spese dell’accettazione, sì per quelle della monacazione e sacratione a suo tempo, et in effetto pagare e sborsare, tutto quello e quanto sarà necessario 20 pagare per detto effetto, in quel monasterio che si farà monaca la detta Ver- ginia, et di più pagare al detto Mag. Co Vincenzio scudi cinquanta per una volta tanto; et che perciò voglino fare quanto appresso: ciò è detto Mag. c0 Vincenzio spontaneamente, per sò e suoi heredi, in ogni migliore modo etc., promesse e promette al detto Galileo, et per lui al Sig. Mario Guidacci suo procuratore accettante, per l'avvenire non pretendere più la detta somma di scudi sei il mese, de’quali sopra si fa menzione, et renunziò et re- nunzia con giuramento, tocche le presenti Scritture, a qualsivoglia ragione et azione elio se gli potessi essere acquistata fin bora in virtù di detti decreti e pagamenti seguiti o in qualsivoglia altro modo ; promettendo et obliandosi non so pretendere in futuro da hoggi somma alcuna, facendo fine e quietanza per la dependenza predetta e pagamento di scudi sei il mese insino a questo giorno, liberandosi per aquiliana stipulazione precedente e per accettillatione susseguente legittimamente interposta tra le dette parti : et all’incontro detto Mess. Galileo, in suo nome proprio etc., per sè e suoi heredi etc., in ogni migliore modo, promesse et si obligò, c promette e si obli¬ ga, appresso il detto Mag. co Vincenzio presente, ricevente et accettante, di faro di suo proprio tutte le spese necessarie per la serbanza, per bora, da farsi in monastero di S. Giorgio di Firenze, della Verginia, figliuola del detto Mag. co Vincenzio, tanto di vitto quanto di vestimenti necessari, come per l’intera et 40 effettiva monacazione, e sacramento da farsi per occasione di tal monacazione, piatanze, paramento, di tutta la dote, in quel monastero che sarà eletto per detta sua monacazione, et altre spose, conforme allo stile di detto monastero et di quello sarà concordato per effetto predetto; le quali somme respettivamente, bora per allora, detto Mess. Galileo ne’casi predetti detto e donò, e per titolo di pura e mera donazione tra vivi, nlla delta XIX. 05 614 XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LAN DOCCI. Vergini», sempre però clic si vestirà monaca, uè per altro caso volse essere te¬ nuto o potere essere astretto, presente detto Mag. ro Vincenzo et accettante in oriiì migliore modo; e di più detto Mess. Galileo per sua inora cortesia dette e donò, et effettivamente sborsò, al detto Mag. ro Vincenzo scudi cinquanta di £ 7 per scudo in tante moneto d’argento constituenti la detta somma, a sè trahente w e de’quali ringraziò et ringrazia detto Sig. Galileo suo zio materno; dichiarando in oltre, che se avvenisse che In detta Vergini» non si facessi e vestissi monaca, clic detto Mag.°° Vincenzio sia obligato ripigliarsela et ricondursela in caBa, et in detto caso, se uscissi prima che a ragione di scudi sei il mese non fussino per detto Mag. co Vinceiuio guadagnati tutti gli scudi cinquanta dati e pagati come sopra, in detto caso convengano che si deva compensare tutta quella somma che non fusse decorsa nelle mesate future, doppo che detta Vergini» fussi uscita di monastero. Cosi per putto convenuto e stipulato etc.; et per osservanza di quanto sopra sarà fermata la presente con loro giuramento per la 3“ volta reiterato et obli- «0 ganza di tutti i loro beni presenti e futuri et de’loro heredi, con rinunziare ad ogni privilegio, che a loro respettivamente favore facessi, con rilasciare una scritta per ciascuna delle parti, le quali ai reputino originali, etiamlio che una sola si ritrovassi in essere, e tutto in ogni migliore modo etc. Io Vincenzio di Benedetto Land ucci consento, prometto e mi obbrigo all 1 osservanza di quanto sopra in tutto et per tutto; e confesso haver ricevuto detti scudi cinquanta dall detto Sig.” Mario Guiducci, procuratore di detto Sig." Galileo, e giuro l'osservanza ; e scrissi alla presenza delli infrascritti tre testimonii, di mia mano propia, detto di et anno, in Firenze. Io Graziadio Squadrini fui presente e testimone alla celebrazione della 70 presente scritta e sottoscritione di detto Mesa. Vincenzio, a vederli tirare detti V dl cinquanta, in compagnia del S. r Mario Guiducci et Mesa. Francesco Curii; e però scrissi mano propria, detto 22 Tmbre 1638, in Firenze. Io Francesco di Carlo Carli fui presente e testimonio alla cclebratione della presente scritta e soscritione di detto Vincenzio Landucci, a vederli tirare detti scudi cinquanta, insieme con i sopra detti Mese. Graziadio Squadrini o Sig." Mario Guiducci; e però scrissi di mia mano, detto di et anno, in Firenze. Io Mario d’Alessandro Guiducci fui presente e testimonio alla celebra¬ zione di questa scritta et a vedere soscrivere detto Vincenzio L&nduoci, al quale ho pagato detti d. cinquanta, insieme con il sopradetto S. r Graziadio Squadrini e so Francesco Carli; e però scrissi di mia mano, dotto dì et anno, in Firenze. XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. 515 c) Spese peu la pronipote Virginia Landucoi. 1040'1641. 1) Spese per dote c sopra dote della pronipote, prima e dono la professione monastica. Aroh. di Stato iu Firenze. Monto di Pietà, Libro 1406 (Campione intitolato Depotiti condizionati II, 1037-1610), car. DCLXVI. — Originalo. Monastero e monache di S. Girolamo, detto di S. Giorgio, de’bavere.... 10-10. E a dì 11 7mbre, f. quattrocento di moneta per detto, da Galileo Galilei, recò Vino. 0 Galilei suo figliuolo contanti; disse, per doto et sopradote della Ver¬ gi nia di Vino." Landucci, da monacarsi in detto monistero, et per seguirne conio degl’altri; a Entrata a Gl, 62, in questo a 87*1.f. 100.- Lo condizioni con lo quali ò fatto dotto deposito boiìo espresso più determinatamente noll'KitO-afa di depu¬ tili condizionati II (Ardi, citato, Monte di l’iota, Libro 1107, car. 61-62), in questo modo: Martedì adì 11 detto 05 . Dal monastero e monache di San Girolamo, detto di San Giorgio, f. quat¬ trocento di moneta per dette, dal S. ro Galileo Galilei, recò S. r * Vincenzio Galilei suo figliuolo ; disse, per dote e sopradote della Verginia di Vino. 0 Landucci, da io monacarsi in detto monastero: gl’utili de’quali si devano pagare al detto mo¬ nastero sino a che detta Verginia haverà fatto professione, o seguito tal effetto restino a libera disposizione del detto monastero, senza che il Monte sia più te¬ nuto rispondere de’frutti; e con condizione che in caso che detta Verginia non si facessi monaca in detto monastero o che morissi avanti la sua professione, in tal caso si possa e deva restituire la medesima somma al detto S. ro Galileo, con portare fede di ciò della badessa di detto monastero.f. 400. — — Arch. citato. Monto di Pietà, Libro 1409 (Campione intitolato Dtpoaiti condizionati I. 1640-1648), car. DLXXXX. Yhs. M* MDCXXXX<*>. Monistero et monache di S. Girolamo, detto di S. Giorgio, bavere adì p.° Gen¬ naio f. cinquemiluquttttrocentocinquanki moneta, levato per creditore dal Libro li a 666; chi* f. 4050. — devono stare sotto più conditioni, come al Libro Z) a 678, f. 400. — non se ne puoi disporre senza licenza di Mons. r Arcivescovo di Firenze, O» Settembre 1640. duo date 1° gennaio (liti. 2-8) o 6 febbraio (lin. II), Ut 1) millesimo si deve intendere, riguardo alle secondo lo etile fiorentino. 516 XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDTTCCI. f. 400. — sono la sopradoto della Francesca Morellini, Suor Felice Vettoria c Suor Maria Clomonte Ruoti, f. 200. — devono stare conio a Entrata F a 35, et f 400. — sono la dote et sopradote della Verginia Landucci, quale come baverà fatto professione, restono liberi a detto monistero, senza il Monto sia più tenuto rispondere de’ frutti.... io E adì 6 Febbraio f. 200. — moneta per detto, dal S. r ® Galileo Galilei, recò S.™ Vinc. 0 Galilei suo figliuolo contanti, gli utili de' quali si devono pagare a Suor Maria Olinpia Landucci, monacba in detto monastero, durante sua vita, e di poi restano liberi al detto monastero; Entrata a 5, in questo 738 . . . f. 200.- 2) Spese per la vestizione della pronipote. Aroh. di Stato in Firenze. Monto di Pioto, Libro 1406 citato, cor. DOCCI.XX^ li. Galileo di Vino.® Galilei de’bavere a dì 11 7mbre 0) f. quattrocento di mo¬ neta, recò Vinc.° suo figliuolo contanti per servire per il vestimento, corredo et altre spese occorrente nel vestimento della Verginia di Vino.® Land ucci; e sino che non succeda detto vestimento, da seguire nel monastero di S. Girolamo, detto di S. Giorgio, si deva delli frutti de’ f. 400.-rispondere al sopra nominato Galileo Galiei, per rescritto di S. A. S. in Filza 126, n.° 42 l ”; a Entrata a 62, questo a 874 .f. 400.- E a dì 30 Dicembre, f. 6. 2. 2 di moneta per meriti di questo conto; in questo.f. 6. 2. 2 Aroh. citato. Monte di Pietà, Libro 1409 citato, car. 699 • DCIC. Yhs. M. a MDCXXXX <». Galileo Galilei dare adì 8 Gennaio f. 406. 10. 6 moneta, che f. 400. — per capitale e f. 6.10. 6 per meriti per resto, portò contanti Vinc.° Galilei, suo figliuolo e proccuratore, come per proccura an¬ cora a cautela del monastero di S. Gior¬ gio, rogato Ser Carlo Tenpesti il dì 13 Yhs. M.® MDCXXXX « io Galileo di Vinc.® Galilei bavere adì primo Gennaio f. quattrocento mone¬ ta, levato per creditore dal libro li a 677, e devono stare come a Entrata II, a 62, sotto di 11 Settembre 1640, e li ineriti si devono pagare a detto sino a clic la Verginia di Vinc. 0 Landucci non Doc. «, 2). 11-16. Noi Libro 1409 si lop-tro : tuo figliuola e procuratore <• eoeie proccuratorc ancora; ma nell* Utcila de' oondinouati I (Arch. di Stato in Flrensa. Monta di Piota. Libro 1410), dorè questa me¬ desimi partita è trascritta, si legge (car. 94t.): tuo figliuolo e proccuratore, come />• r proccura ancora. «*» 1610. ■*' Cfr. Voi. XVIII, a.o 4036. '* Anche questo millesimo >1 dote intendere, rispetto alle data 8 gennaio (lin. 11. 20) o 1° gennaio (Iin. li), secondo lo stile ftortiuliuo. XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. 517 Dicembre prossimo passato, in Filza 127, n.° 82 ll, } e devono servire per il vestimen- 20 to della Verginia Landucci ; Uscita a 94, in questo 724-f. 6.10. G. f. 400.- si monacherà; e f. 6. 2. 2 per meriti; in questo G85. . f. 6. 2. 2. f. 400.- E adì 8 Gennaio f. — 8. 4 moneta por meriti di questo conto; dare meriti in questo 72G. . . '.f. — 8. 4. f. 6. 10. 6. f. 400.- 3) Procure a Vincenzio Galilei per riscuotere dal Monte di Pietà la somma depositata da Galileo per la vestizione della pronipote. a) Procura delle monache dal Monastero di S. Girolamo, detto di S. Giorgio. Eireuze, 13 dicembre 1640. Aroh. di Stato in Fironze. Monto di l’iotà, n.“ 1092 (Filza 127 di giustificazioni), n.» intorno 82 — Autografo dot notaio Carlo Tbmpbbti, con le autenticazioni, puro autografe, del Ministro o del Con¬ servatore dell’Archivio dei contratti. L’atto, senza lo tre sottoscrizioni finali, ò puro noi Protocolli del notaio Carlo Trmpbsti, uelPArch. Notarile in Fironze. Protoc. n.« 16154, cnr. 87r.-88r., il.® interno OS. In Dei nomine amen. Anno D. N. I. Girisii ab Eius salutifera Incarnatione millesimo sexcentesimo quadragesimo, Imi.® octava, die vero decima tertia mensis Decembris, Urbano octavo Summo Pontitìce, et 8er. lno Ferdinando 2 do , Magno Àetruriae Duce, feliciter dominantibus. Actum Fiorentine, in populo S. li Georgii et in venerabili monasterio RRev. monialium K. li Hyeronimi, presentibus infra- scriptis testibus, videlicet Francisco Dominici de Materassi et Francisco Fiera- vantis de Fieravantibus. Cum sit, prò ut assertum fuit, quod admodum 111. 8 et Ecc. mu * D. Galileus q. m Vincentii de Galileis deposuerit sub suo die et tempure in Monte Pio Civitatis io Florentiae summam et quantitatem scutorum quatuoroentorum auri monete, de libris septem prò (loreno, seu alia verun i summa (sic), ut servire deberet in expensis conficiendÌ8 in monacatione et vestimento Dominae Virginiae, tiliae D. Vincentii de Landuccis, in dicto Monasterio S. li Hyeronimi; et cum tempus venerit mona- cationis predictao prefatae D. Virginiae, et propterea clictis IilieY. monialibus occurrent beri plures expensae; Ilinc est quod convocatae, congregatae et in sufiìcienti numero capitulari coadunatae ad sonum cainpanulae capitularis et omni alio meliori modo, servatis servandis iusta eorum niorem et coiisuetudinem, multimi RRev. Ministra et moniales venerabilis monasteri S. u Hyeronimi, de mandato admodum Rev. dfto Mandiitun’. U* Cfr. in questo stesBO Doc, XL il n.° c, 3). XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. 518 Mutria Sororis Petronillae de Bartolinis, earum modernae Ministrae, et quamra 20 quidem mo nalìnra nomina in fine praentia inutrumenti erunt descripta et adno- ata, asserente» se esse ultra duaa tertias par tea omnium monialium velatarum professarmi! elicti monastero, vocem in oapitulo habentium, et in illis sic coadu- natis rosidere oinnom vini et facultatem prò dicto earum n tonaste rio faciendi, et una convenisse ad infrascripta prò eo utiliter peragere, et super eis non semel tantum, sed bis et ter et per debita temporuin intervalla, rito et solemniter tracta- visse et consultavisse ; quibua tractatibus et conaultationibus precedentibus, dictae RRev. monialea constitutae ctc., citra tamen revocationem etc., fecorunt, crea- verunt et constituerunt earum veruni et legitimum procurato rem etc. Perii].” I). Vincenti 11 in D. Galilei do Galilei*, abaentem sed tamquam prescntem, specia- so lem, specialiter et expresse, ad nomine et prò dictis RRev. dl ’ uinnialibus petendum et exhigenduui ab officialibua Montis Pietatis Civitatis predictae, nec non ab eius ministris et camerario, dictani suiumain scutorum quatuorcentorum depositam in predicto Monte a prelato Domino Galileo de Galilei* prò eflfectn predicto, et de exactis et receptis linoni et quietationem faciendum etc.; item, quatenus opus sit, ad consentiendum, licentiam danduin et queincumque consensi!in prcstandum, quoti eadem sumniaa predictis DD officialibus solvatur eidem D. Galileo de Galileis, vel (lieto D. Vinceutio eius filio tamquam suo procuratori, et ob id ad conficien- dum quaincumque scripturam publicam vel privatalo, rum omnibus clausulia ad favorem Montis predicti in similibua poni soliti^ et consueti»; et generaliter io in predictis et circa predicta faciendum, genmdnm et exercwulum omnia et sin- gula requisita, necessaria et opportuna, etiam si talia forent quo mandatimi exhigerent magia speciale vel generale. Dante» etc. Promictentes etc. Relevan- tes etc. Sub bypotheca etc. Rogante» ctc. Nomina vero dictarum RRev. monialium, quae interfuerunt, sunt ista, vi- delicet : Molto Rev. dtt Madre Rev. ds Madre Suor Suor Guglielma, Suor Caterina, Suor Maria Benedetta, Suor Maria Eletta, Suor Brigida, Suor Pellegrina, Suor Maria Felice, Suor Maria Anna, Suor Maria Benigna, Suor Maria Angelica, Suor Petronilla Bartolini, Beatrice Poggi, \ icana ; Suor Contessa, Suor Fiammetta, Suor Maria Angela, Suor Maria Lucrezia, Suor Maria lacinta, Suor Maria Fedele, Suor Maria Regina, Suor Canini illa, Suor Diamante, Suor Felice Vittoria, Ministra ; Suor Ottavia, Suor Maria Celeste, Suor Arcangela, Suor Cherubina, Suor 1 )iunora, Suor Gabrielangiola, Suor Maria Caterina, Suor Caterina Eletta, Suor Emilia, Suor Maria Clemente, co XL. RELAZIONI COL NIPOTE VINCENZIO LANDUCCI. 510 Suor Speranza, 60 Suor Maria Virginia, Suor Aurelia, Suor Maria, Suor Maria Cassandra, Suor Ermellino., Suor Anna Maria, Suor Caterina Angelico, Suor Maria Maddalena, Suor Maddalena, Suor Virginia, 7u Suor Angela Leonora. Suor Margherita Eletta, Suor Maria Lauclomine, Suor Maria Suave, Suor Maria Gabriella, Suor Serafina, Suor Maddalena Angela, Suor Maria Raffaella, Suor Agostina, Suor Angela Caterina, Suor Maria Leonora, Suor Caterina Felice, Suor Francesca, Suor Faustina, Suor Crestina Eletta, Suor Angela Felice, Suor Maria 'l'eresia, Suor Maria Lisabetta, Suor Ortensia, Suor Maria Vittoria, Suor Angela Maria, Suor Maria Grazia, Suor Maria Laura, Ego Carolila Cosmi de Tempestis, notarius pubìicus Florentinus, de pre- dictis rogntus ini. In fidern subscripai. Collatum per me Vincentium Feronum, 1. U. I). et ex ministria Arcliivii pubiici Fiorentini, ‘.10 Xmbris 1640. Uba Idi ii us ile Uba idi ni a Conservato!* vidi t. P) Procura di Galileo. Firenze, 13 dicembre 1G40. Cfr. in questo Voi. XIX, Doo. XXVII, 20 XLI. TESTAMENTI. ìosa-iaw. a) Primo tkhtamento. Firenze, 16 gennaio 1883. Aroli. Notarile In Firenze. Te»t*menti, lfi33, uenn»io, febbraio, mar*.» ila Alia non è cartolata, e il testamento ò inferito per errori» tra quelli die io Felr. trigesimo aecundo tu , Imi.® XV*, tlio vero decima quinta inensia lanuarii, Urbano b° 1632 '*'• £ ~ 12 Sommo Pontifice, otSer. n '° Ferdinando 2* 1 ® Magno Etruriae Dure dominante. Aduni rostamentum. fflorentiae, in studio Bolitae habitationis infrascritti multum Exc.**® I). Ioannis llaptistae do Chimentellis, sitae in populo S. Simonis et in via quae dicitur delle Pinzochere, preaentibus infrascritti» testibus vocatis, habitis atque rogati» ore proprio infrascritti 1). testatori» : 1. Multum R. Uo Domino Antonio de Buontempi**. cive Fiorentino; 2. R. d0 D. Luca Antonio Sebastiani de Henedictia de Uzano; 3. Multum Mag.°° et multum Exc.“ 1>. Ioanne Baptista q. Laurentii de Chi- io mentellis, causidico Fiorentino; 4. Carolo Antonio q. D. Bernardi de Masinis, prò notano se gerente; f». Leoni do de Simonettis dalle Gualchiere Cosentini; 6. Francisco Ioannis de Ciarpallinis de Prato Veteri; et 7. Pellegrino Dominici de Cechi» de Uzano. Cuni nil si t certius morte et nil incerti uh bora eius, animique prudentis hoc deceat, ut semper mortis cogitetur eventus, eaque omnia perfezioni demanden- tur ex quorum perfezione quilibet solet et debet ottani post mortem prudens fuisse iudicari; hinc est quod prudens et Nohilis \ ir admodum 111.°® et Exc. mu * I). Galileus quondam D. Vincentii de Galileis, Nohilis Florentinus, Philosophus 20 / et Matheniaticus primarius Ser. rai I). N*. Magni Ducis Etruriae, sanns gratia Dei mente, sensu, visu et intellectu ac etiam corpore, ti mena tamen mortis pericu- lum continuo instantis, nolensquo intest&tus decedere, sed volens de bonis et rebus suis, dum rnens integra est sana et ut sapienteni decet, disponere, et ma¬ xime prò salute animae suae et ne post mortem scarni illuni oriatur, ornili me- bori modo quo potuit, ultimum suum nuncupativum testamentum facere procu- ravit, et fecit in hunc qui 8 equi tur modum et forrnam, videlicet: <'i Di stilo fiorentino. <*' Di itilo fiorentino. XM. TESTAMENTI. 521 Inprimis, animam suara liumiliter ac devote omnipotenti Deo Eiusque glo- riosae Matri Marine commenduvit, ita ut dum a corpore eius anima separali so contigerit, perducatur ad loca salutis eternae; corporis vero sui sexiulturam elcgit in illa ecclesia uhi vidobitur infrascritto D. eius heredi, cum illa funeris inpensa benevisa dicto D. heredi. Item, iure legati et prò remedio aniniae suae reliquit et legavit Operae San- ctae Marine Floris eivitatis Florentiao £ tres p. H prò solita taxa. Item, amore Dei et prò remedio animae suae reliquit et legavit Antoniao filine Dori, olim laboratoris Exc. 1 "' I). Alexandri do Sertinis et ad presens labo- rator D. Franciscae uxoria I). Benedioli de Falcuccis extra menia eivitatis Fio¬ rentine in predio loco dicto Bello Sguardo, sciita decem, solvenda per infrascrittos eius heredes statini quod in ìnatriuionium collocabitur seu monialis efficietur. 40 Item, iure legati et prò amore Dei reliquit et legavit Virginiae filine quon¬ dam Francisci do Spichis, laboratoris olim suprascritti D. testatoris in predio quod conduxerat a Domino Laurentio do Segnis loco dicto Bello Sguardo, A ta decem do £ 7. Item, reliquit Dominae Petrae eius famulae, quatenus reperiretur ad servi- tium dicti D. testatoris tempore eius mortis, fi. os tres de £ 7. Item, iure legati reliquit et legavit admodum RII. Sororibus S. Marine Ce¬ lesti et S. Àrcangelae, filiabus dicti I). testatoris et monialibus professis in mo- nasterio S. Mattei in Arcetro, sciita vigiliti quinque prò singula dictarum suarum filiarum, annuatim solvenda dum vixerint ab infrascritlis eius heredibus et sic 50 in totum A u quinquaginta prò earurn necessitatibus ; et super quibus nullum ' ius nullaque actio competat monasterio predicto, sed tantum deservirc dobeant pi o necessitatibus dictarum suarum filiarum ; et deficiente una ex dictis eius filiabus, non teneantur eius heredes solvere itisi sciita vigiliti quinque, et omni¬ bus mortuis deticiat in totum dictum legatimi, quia intendo dicti D. testatoris est quod tale legatimi sit et deservirc debeat pio earurn necessitatibus et ad vitam dictarum suarum filiarum, et. non aliter nec alio modo. Et quao A u quinquaginta detraili debeant de fructibus denariorum, quos dictus 1). testator liabet super Monto Pietatis eivitatis Florentiae, et inde detrai non possint viventibus dictis suis filiabus, et super quibus deponi debeat sequuta gct morte dicti 1). testatoris talis conditio. Item, iure legati reliquit et legavit Dominis Vincendo, Alberto, Michaeli An¬ gelo et Cosmo, nepotilms ex fratre dicti testatoris, A u mille, quae A u mille vult quod distribuantur et deservire debeant prò dote et parte dotis cuius libet eorum sororum, quando in matrimonium collocabuntur; et quatenus non nube- rent seu non monaearentur, vult dictus I). testator quod talia A t: * mille depo- nantur super Montem Pietatis eivitatis Florentiae, quatenus non reperiantur (sic), et ibi stare debeant cum dieta conditione seu conditionibus, et fructus inde oo XIX. 522 XLI. TESTAMENTI. extrahendi deservire debeant, dum non monacabuntur seu nuptui non tradentur prò alimentis dictarum suarurn nepotuui et sororuin respective elicti Vincentii, Alberti, Michaelis Angeli et Coami. 70 In omnibus autem soia boni» mobilibus et immobilibus, iuribus, nominibus et actionibus, suum heredem universale™ instituit, fecit, et cwie voluit, 111 w» admodum Exc. u “ Dominum Vincentiuin. de Galileis, I. U. D., eius dilectum fìlium naturalem et legiptimatum, et eum ingtituit si tali» non e «set; eidemque substi- tuit ornnos eius tìlios m&sculo» et poslea feiuinas, legiptimoa et naturales, ne- potes dicti I). testatoris; et quatenug tilios non Imberci dictus 1). Vincentius eius tilius, et si haberet quatenus decederent in pupillari aetate, eisdem substituit supradictos I')D. Vinoentium, Albertuui, Michaelem Angelum ut Cosrnum, nepotes ex fratre dicti D. testatoris et queiulibet forum aequis portiunibus. Kt hec ornili meliori modo. 80 Et liane esse dixit ctc. et esse ielle smini ultimaiu voluntatem etc. et testa- nientum etc., qtiarn etc. et quod etc, valere voluit iure testamenti etc.; et si non iure testamenti etc., valeat et valere voluit etc. iure codicillorum etc.; et si non iure codicillorum etc., valeat et valere voluit iure donationis etc. causa mortis etc., vel al tenue cuiuscumque ultimai» voluntatis. Cassami etc., Irritarla etc., Annul¬ lali» etc. Non obstantibus etc. Rogali» etc. Ego loannes Maria quondam lionintendi de Tantinia, civis et nota- rius publicus Florentinua, de prediotis rogatila in tidem sub»crip»i. I) SECONDO TESTAMENTO. Firenze, agosto 163 & Arch. NotarLle in Firenze. Testamenti 168», In li.., Af< t->, satini: lira (fllia non <*artolata). PI mano »lel notaio Gkaxiadiii ScìOakriki, con lo aottoscriz >ni aqt»rraf« di-.'ll otU> teatimoni, ciascuna accompa¬ gnata da un sigillo in ceralaccs ch« roca l'amo dal Oami.si, o cvn la (ottoecrislone puro autografa del notaio, accompagnata dnl suo sigillo e dai »egne di talsllaosto Copi» del test a itti nto è noi Protocolli dui prodotto notaio Squadrisi, nello stesso Arrhirlo, Protoe. n* nsigrt, rar. 6&i. 76r., n.* intorno XI; o della particola contenente il legato a Suor Ascaxus(.a (Jaulki è copia sincrona nall’Archivio di .Stato in irireuxe, Monte di l'icU, Filza IDlMi (di antica iiumuiasiona lui), n.* in tomo 221 (cfr. in questo Voi. XIX, Hoc. XXX, al. iin 186-190). n.« XI. Elodie 80Au§r.u 1088. £ - 12. Testamento. In Dei nomine amen. Anno Domimene Incarnatami» millesimo sexcentesinio* trigesimo octavo, Ind.® sesta, die vero vigesima prima mensis Augusti, Urbano 8° Suinmo Pontifico et Ser. mo Ferdinando 2° Magno Ktruriae Duce dominante. Actum extra et prope Florentiam, in domo rurali sol ita e habitationis infrascritti Domini Galilei testatori», in popolo S.** Margheritae, praeeentibu» : !• Domino Sancte Dindi de Hindi» praesbitero, liectore 8auct. mM Tri- nitatis in Planicie Giullari ; 2. Domino Andrea q. Exc.® 1 D. Iulii do Àrrighettia; XLI. TESTAMENTI. 523 3. Domino Dino q. Iacobi ilo Peris, lectore Matematico S. C. S. in Studio io Pisano ; 4. Exc. t0 Domino Agustino Ieronimi de Gucciantis, civibus Florentinis; 5. Ser Alexandro q. Simonis de Cappellani, notario publico Fiorentino; 6 Domino Francisco q. Ioannis del Ciannn ; 7. Domino Dino q. Arrighi do Ciardi, civibus Florentinis; et 8. Orlando Saiuatii de Pippuccis de Florentia, testibus ore proprio infra¬ scritti Domini testatoris vocatis, adhibitis et rogatis. Il Sig. r Galileo del q. Vincenzio Galilei, cittadino Fiorentino, Matematico di S. A. S., sano di mente, senso, corpo et intelletto, privo bene in tutto della luce degli occhi, ritrovandosi assai d’ età e che poco può rimanere del corso di que- 20 sta vita, sicurissimo che devo terminare infallibilmente, con incerteza del tempo che ciò deva seguire, che per questo ci viene significato da Santa Chiesa : Siate pronti al morire, perché non si sa nò ’l giorno nè 1’ bora ; e non volendo, nel punto che si deve disciogliere 1’ anima dal corpo, haver a pensare a far testa¬ mento, quale per molti rispetti intende voler fare; quello di presente con que¬ sta publica scrittura foco e fa il suo testamento nuncupativo, che senza scrittura si dice, in questo modo e forma che segue, cioè: Principalmente raccomandò e raccomanda l’anima sua all’onnipotente Dio c Sua Immacolatissima sempre Vergine Maria et a tutta la Corte dei Paradiso, et al suo Angiolo Custode, acciò nel tempo più opportuno e necessario interce- 30 dino per 1’ anima di detto Sig. r Galileo testatore. Quanto al corpo, volse esser riposto nella Chiesa di S. u Croce di Firenze, nella sepoltura de’suoi antenati, con quella spesa di funerale che parrà agli in¬ frascritti suoi eredi, ne’ quali, sì quanto a questo sì quanto al far orazione per 1’ anima sua in detto o altro tempo, si rimette, confidando nella loro amorevo- leza, in tutto e per tutto. l’or ragion di legato lasciò e lascia, e legò e lega, all’Opera di S.^ Maria del Fiore £ tre p. H , secondo gli ordini. Item, per ragion di legato lasciò e legò, o lascia e lega, alla Veneranda Suora Arcangiola, sua figliuola amatissima, monaca professa nel monastero di San Matteo io in Arcetri, la somma e quantità di scudi venticinque di £ 7 per V ào l’anno e qual si vogli anno durante la vita naturale di detta Suora Arcangiola, da con¬ seguirsi da’frutti di numero cinque luoghi di quelli che detto Sig. r testatore ha o lascerà nel Monte di Pietà nel tempo di sua morte; ordinando al suo erede o eredi, et anco particolarmente dando e concedendo facoltà espressa alla me¬ desima Suora Arcangiola, di fare, seguita la morte di detto Sig. r testatore, di notare o condizionare detti luoghi cinque di Monte, che il fruto di quelli, per durante la vita naturale di detta Suor Arcangiola e fino che naturalmente viverà e non più, s’ aspetti alla medesima, talmente che finita la vita naturale 524 XM. TESTAMENTI. di detta Suora Arcandola reati ancora terminato «letto legato, o gli suoi eredi riin&nghino liberi da detto pagamento, et in tutto detti cinque luoghi ritornino 50 e si aspettino al suo credo o heredi. Et il presente legato ha fatto e fa detto Sig. r testatore in segno o dimostrazione dell’ all'etto che ha sempre portato e porta alla dotta S.™ Arcangiola sua figliuola, acciò che si ricordi pregare Dio per l’anima di detto Sig. r testatore suo padre. Inoltre, similmente in segno dell'afTetto portato sempre e che continuamente porta a Vincenzio, Alberto e Coairno, fratelli tra di loro e figliuoli del già Mi- chelagnolo di Vincenzio Galilei, suoi amatissimi nipoti di fratello carnaio, et ac¬ ciò che conoschino quanto sempre gli ha amati, a’medesimi lasciò e legò, e lascia o lega, per ragion di legato la somma e quantità «li scudi mille di £7 per V do per una volta tanto o non più nò altrimenti nò in altro modo, et a ciascuno di 60 loro la terza parte, da conseguirsi, seguita la morte di detto £ig. r testatore, da’luoghi di Monte di Pietà che lascerà detto Sig. r Galileo tc tutore, da rite¬ nersi quivi a beneplacito di detti nipoti lcgatarii, e con dichiarazione che per quel tempo che rimarranno in detto Monte gli detti scudi mille, gli frutti di quelli si aspettino come sopra respettivamente a’detti suoi nipoti ; et in ogni caso die a quel tempo che seguirà la morte di detto Sig. r testatore non fossero «letti suoi nipoti tutti a tre vivi, dichiarò e dichiara volere che detto legato di scudi mille sia e si aspetti a quelli che araimo vivi, a'quali in «letto caso et a quelli che saranno vivi lasciò e legò la somma predetta in ogni miglior modo. Inoltre, dichiarò e dichiara in ogni miglior modo che gli fu et è lecito, e 70 volse e vuole, che tutto il rimanente o capitale di tutti luoghi di Monte che rimarranno alla sua morte in «letto Monte, devino quivi restare e rimanere nel Monte predetto, a effetto di rinvestirsi in beni stabili, cauti e sicuri, a favore dell’ infrascritto ordinato fedeco ni messo e degli infrascritti suoi nipoti maschi, tanto nati quanto da nascere dell’Eco. Dnttor «li I/. Sjj;.»- Vincenzio suo figliuolo e della Sig. ra Sostilia Bocchineri sua moglie o «li altra sua legittima moglie; con condizione che il capitale e fondo di detti luoghi non si possa per qual si voglia causa, eziandio pia o più privilegiata o che sia o non sia imaginahile, levare di «letto Monte, nè ancora di licenza espressa del Ser. ,n0 Principe, quale supplica da bora con ogni affetto reverenziale a non conceder mai tal grazia, se 80 prima il minore de'figliuoli così nati quanto da nascere non harà finito l’età «Panni diciotto, nel qual tempo volse e vuole potersi levare detti denari conia condizione espressa di rinvestirsi in beni cauti «• sicuri, conforme al detto di sopra e non altrimenti nè in altro modo, perchè voi o e vuole che solamente in¬ aino al detto tempo che il minor figliuolo, tanto nato che da nascere, harà finito anni diciotto, al suo erede instituto o sostituti si possa e poesino valere de’frutti di dotti luoghi che rimarranno alia sua morte nel Monte predetto; volendo detto Sig. r testatore, e così comandando et ordinando, die seguita sua morte si ap- XLT. TESTAMENTI. 525 ponga c faccia apporre il suo erede o eredi, subito e quanto prima si possa, 90 ai medesimi luoghi le condizioni predette, di non si poter levare di detto Monte inaino a che il minor nipote maschio, tanto nato quanto da nascere di detto Sig. r Vincenzio e iSig. ra Sestilia sua moglie o altra qual si voglia sua legittima moglie, non harà finito anni diciotto di sua età, e per rinvestirsi come sopra o non altrimenti nè in «altro modo. E tutto fa e dispone per ben essere et utilità, di detti suoi nipoti, così nati come da nascere, e perchè così gli è piaciuto o piace di fare, in ogni miglior modo. In tutti gli altri suoi beni, comprendendo ancora gli sopraddetti luoghi di Monte, mobili, immobili, sò moventi, crediti di qual si voglia sorte c di qual si voglia qualità e quantità, ragioni et azioni, et in tutto quello e quanto rimarrà 100 alla sua morte e di che può e gli è lecito poter disporre, suo erede universale instituì, fece, nominò et esser volse, e di sua propria bocca chiamò e nominò, il sopranominato Sig. r Vincenzio suo figliuolo, il quale obligò et obliga doppo sua morte, o volse esser tenuto et obligato, restituire ai suoi figliuoli così nati come da nascere tutta 1’ eredità in lui pervenuta dal detto S. r Galileo testatore suo padre, insieme con la legittima e trebellianica e qual si vogli altra quarta che al detto S. r Vincenzio fussi in qual si voglia maniera di ragione dovuta, perchè l’in¬ tenzione fu et è di detto Sig. r testatore che lo dette porzioni riinanghino com¬ prese nella detta sua eredità, a effetto di doversi restituirò doppo la morte di detto S. r Vincenzio alli detti suoi figliuoli, così nati come da nascere di detta Sig. ra Se¬ no stilia o altra qual si voglia sua legittima moglie. Gravando detto S. r Vincenzio ad accettare la presente disposizione e tutto il contenuto nel presente testamento in termine di un mese futuro, corrente dal giorno dell’apertura di quello e scienza al detto S. r Vincenzio pervenuta per publico instrumento da rogarsi per mano di publica persona havente autorità di rogare, con promettere rinviolabile osservanza di tutto l’ordinato di sopra o contenuto in questo presente testamento dalla prima lettera inaino all’ultima, con suo giuramento per l’adempimento et intera osservanza di tutto l’ordinato dal detto Sig. r testatore, in ogni miglior modo. Et al qual Sig. r Vincenzio, tanto in caso che si morissi avanti detto S. r te¬ statore quanto seguita la morte del medesimo, sostituì o sì vero instituì tutti gli 120 suoi figliuoli, così nati come da nascere, del medesimo Sig. r Vincenzio come so¬ pra, per equali porzioni per fedecommesso in quel miglior modo che si possa indurre fedccommessi secondo i termini legali tra di loro e loro descendenti ma¬ schi di maschio in infinito per ordine successivo, insino a che vi sia alcuno de’descendenti maschi di detti suoi nipoti nati e da nascere come sopra, quali volse e vuole che succedino nelle porzioni del padre e fratelli et altre sussequon- temente, secondo il modo di succedere ab intestato. Inoltre, ordinò, dispose e volse, et ordina, dispone e vuole espressamente, e così testò e testa, che se detto Sig. r Vincenzio drente al mose sopra espressato 526 XLT. TESTAMENTI. non harà accettato per publico instrumento il presente testamento e tutta sua ordinazione, o sottoposta la legittima e trebellianica e altra quarta che se gli m potessi competere alla presente sopradetta ordinazione testamentaria, dichiarò e diohiara che, passato detto mese dal giorno della scienza et apertura del pre¬ sente testamento, si habbia per ricusata detta sua eredità, e volse haversi come se detto S. r Vincenzio effettivamente baveri dichiarato non voler accettare la detta disposizione testamentaria et osservare quanto sopra; e nel detto caso, bora per all’bora et all’ hora per bora, detto Sig. r testatore privò e priva detto S. r Vincenzio suo figliuolo d’ ogni commodo del presente suo testamento, quello solamente «istituendo nella pura e nuda legittima elio di ragione di natura se gli pervenissi c potessi pretendere dalla detta eredità paterna, e non in altro nè io altra maniera nè altrimenti nè in altro modo; in detto caso istituendo suoi no eredi gli detti figliuoli cosi nati come «la nascere di detto Sig. r Vincenzio suo figliuolo in tutta la detta sua ereditò e rimanente di quella come sopra (0 , per¬ chè cosi volse e vuole osservarsi in tutto e per tutto come ha ordinato, in ogni miglior modo. E perchè l’intenzione ferina e stabile di detto S. r testatore fu et è che tutti irli beni stabili e crediti di Monte, quali volse rispendersi in beni stabili a fa¬ vore del detto fedecommesso indotto dal detto Sig." testatore e di sotto dichia¬ rato, e che rimarranno alla sua morte, perpetuamente si conservino a favore dei sopradetti instituti e sostituti come sopra, j»er mantelli mento della casa e case di detti eredi instituti e sostituti, a contemplazione de’ quali disse o dice fare 150 et havor fatto la presente disposizione, prohibiace e prohibl ogni sorte di alie¬ nazione, tanto volontaria quanto necessaria, generalmente o genoralissiinamente, di maniera che nè anco per un momento di tempo gli boni stabili che rimar¬ ranno alla morte di detto Sig. r testatore o che si acquisteranno con i danari che lascorà nel Monte o altrove, e che rimarranno vincolati al medesimo fedecom¬ messo, così come quelli assolutamente vincolò *• vincola in ogni miglior modo, pos- sino uscire degli instituti e sostituti, ma perpetuamente e continuamente si devino mantenere, e si mantenghino perpetuamento o continuamente, in detti chiamati instituti e sostituti come sopra, e gli loro frutti e rendite devino servire per so¬ stentamento di detti suo figliuolo, nipoti e descendenti, loro case e famiglie; di- i co chiavando et espressamente prohibendo che contro detti beni o frutti non si posBino faro esecuzioni, staggimenti, sequestri o altro, come nel caso, che Dio guardi, di fallimenti o debiti, nè possine detti beni che lasciassi detto S. r testa¬ tore, o elio si acquistammo con gli danari del medesimo, ad instanza di credi¬ tori incorporarsi, nò in maniera veruna impedito il loro godimento alle persone come sopra chiamate respettivamente. I)a «In detto cuo istituendo » (Un 140)* chiamo,# con qu««U diohiaraxione di mano del notaio: « come sopra » è «stianto in margino, con Mfoo Ji ri « Ego dratiadoaa apprubo apontillam. In fldem ». XLI. TESTAMENTI. 527 Et in caso che alcuno dalli detti chiamati venissi in stato di non potere per sè stesso godere detti beni e loro frutti, ma quelli mediante la sua persona do¬ vessero passare ne’suoi creditori o altri, subito s’intenda privato di tutti detti no beni da esso posseduti, e quelli trapassino nel più prossimo futuro successore, come se quello fusai morto; dovendoseli nondimeno da tal successore così come lo gravò e grava nel caso predetto a somministrare gli alimenti necessarii di vitto, e con condizione però elio sopra quelli non si acquisti ad altri ragione alcuna, come sopra si è detto, e tornando questo tale così privato in grado di potere per sè godere gli suoi beni o loro frutti, se gli devino subito restituire. Et inoltre, acciò elio le persone come sopra chiamate così principalmente che secondariamente a succedere in detta sua eredità devino essere maggior¬ mente osservanti delle leggi divine et Immane et astenersi da delitti, ordinò volse e dispose, che in caso clic alcuno di detti figliuoli e nipoti e qualunque altro ISO instituto c sostituto commettessi alcun delitto, mediante il quale si dovessi e potessi imporre la confiscatone de’beni, all’hora questo tale per un anno avanti al commesso delitto e pensamento di quello s’intenda privato d’ ogni connnodo del presente testamento e quanto a lui s’aspettava o bavessi conseguito per la presente disposizione testamentaria, e volso trapassare nel più prossimo futuro successore in tutto o per tutto come se egli fussi morto; con condizione nondi¬ meno, che sempre che egli fussi liabilitato a poter godere gli suoi beni e rimesso nella grazia del Ser. mo Principe, volse o vuole gli siano restituiti eziandio gli suoi beni, ma non già gli frutti che per durante la privazione da altri l'ussero stati presi e conseguiti ; dichiarando di disporre quanto sopra non per odio del n)0 fisco, ma por la conservazione di detti beni nelle persone chiamate, c perchè quelle per il timore di questa privazione devino essere più osservanti delle leggi divine et Immane. E similmente come sopra dichiarò e dispose, e dichiara c dispone, che sem¬ pre che alcuna delle persone come sopra, tanto principalmente che secondaria¬ mente chiamate a succedere secondo la presente disposizione testamentaria, en¬ trassi doppo o avanti la successione in alcuna religione claustrale, quello subito s'intenda privato et escluso da ogni connnodo del presente testamento ; e que¬ sto, non per odio o poca reverenza inverso la religione e persone religiose, ma per provvedere ai maggior bisogno clic hanno dello facoltà quelli che stanno al 200 secolo che gli religiosi. Inoltre, considerando che si potrebbe dar caso, che Dio non voglia, che detto Sig. r Vincenzio suo figliuolo passassi ad altra vita superesistente la detta J?ig. ra Se- stilia Boccliineri sua moglie, nuora di detto iSig. r testatore, in detto caso volse e vuole, dichiarò e dichiara, che la medesima Sig. rA Sestilia possa valersi dall’eredità del detto S. r testatore di tutta quella somma che effettivamente ha dato in dota al detto S. r Vincenzio e della quale è pagata la gabella al Comune di Firenze. 528 XLI. TESTAMENTI. volendo che se pii consegni quanto ha messo in rasa di detto S. r Vincenzio, acciochò non si faccia cumulo d’interessi a dosso «Hi detti buoi nipoti, gravando ia medesima a farsi pagare e restituire la detta sua doto per l’effetto predetto. Et in ogni caso che detto Sig. r Vincenzio passassi ad altra vita, rimanendo 2 lo superesistenti gli suoi tigliuoli, cosi nati coinè da n.i . n*, in età minore, volse e vuole die la tutela e per debito tempo cura di quelli, inaino a che il minore cosi nato come da nascere non harà tirila V età di anni diciotto, sia e si aspetti in tutto e per tutto alla detta Sig. r * Sottili» lor madre et al ìrig.™ Mario del q. Sig. r Alessandro Guiducci, cittadino Fiorentino, amicissimo intrinsichissimo di detto S. r Galileo testatore, per molto tempo avanti perimcntato, gli quali nel caso predetto detto Sig. r testatore elegge, deputa, et esser volse tutori e per de¬ bito tempo curatori di detti suoi nipoti, dando a’ medesimi qualunque autorità e qualsivoglia maggiore solita darsi a somiglianti tut* ri. e che sempre si osservi et eseguisca quello che da’medesimi sarà deliberato, e so un solo restassi 1 ”, 220 volso in quel solo consistere tutta l’autorità predetta. Et in ogni caso che detto S. r Vincenzio sopravvesti al detto Sig. r testatore e si morissi poi in tempo che rimane sino di lui figliuoli maschi 0 femmine in età minore, lo gravò 0 grava a c n»eutirc nella sopradetta elezione tutelare, mentre ne sia vivo qualche d' uno de’sopranominati, con concedergli tutta quella maggior autorità eh» dar .^i possa di ragione a somiglianti tutori e per debito tempo curatori, liberandogli per la confidenza che ha in loro dal far inventario e dar mallevadorie e da ogni scrupolosa reddizione di conto di detta ammini¬ strazione tutelare di detti minori ila esercitarsi da loro, con espressa dichiara¬ zione che se detta Sig. r * Sestili» si rimaritassi o che passassi ad ultra vita, volse 280 e vuole, dichiarò e dichiara, che ia detta tutela si mantenga nell’altro chiamato et eletto come sopra, inaino a che il minore di «letti suoi nipoti maschi così nati come da nascere harà finita l’età di anni «liciotto, con facoltà sempre di fare tutto quello e quanto alla giornata sarà «li tutta utilità di detti minori, cosi come è sicurissimo siano per fare e ri’ ogni loro amorevolezza. Et hanc esse dixit etc. et esse velie etc. simili ultimimi voluntatem etc. et testamentiun etc., quam etc., et quod valere voluit etc. iure testamenti etc.; et si non iure testamenti etc., valeat etc. et valere v«»luit etc. iure codiciUorum etc.; et si non iure codiciUorum etc., valeat etc. et valere voluit etc. iure donationis causa mortis etc.; et si non iure causa morti» etc.,-valeat etc. et valere voluit etc. 240 m vini cuiuscumque alterius ultima® voluntatis etc. Et propterea praedictis omnibus -1 singulis suprascriptis, et quolibet eorum in dicto testamento contentis et compraehensis, coram suprudictis et infrascrittis Dopo « restavi » si lanre, cavato: « quello Gratia>l«n« approdo lltieatktioui & verbo quitto asquo delibera..., come so nn lolo restasti ». con qne»u In t«rl»o .*»««.*» ». dichiarazione iu marcine, di umno dei notaio : « Eki. Ci ansa, uno dui testimoni, o con la sottu- scriziono, pur autografa, del notaio, accompagnata dal suo sigillo o dal sogno di tabollionato. Copia dui codicillo è noi Protocolli dol prodotto notaio Squadrini, nello stesso Archivio, Protoc u.» 8C2f>, car. ll-lr.-llSr., n.° intorno 15. In Dei nomine amen. Anno Dominiate Inaimationis millesimo sexcentesimo trigesimo octavo, Indict. 0 sesta, die vero decima nona mensis Noveinbris, Urbano b° Suuimo Pontifico, et Ser. mo Ferdinando 2° Magno Etruriac Duce dominante. Actum Fiorentine, in domo habitationis infrascritti Domini Galilei codicillatoris, in po¬ polo Spiritila Sancti super Costam S.'Georgii, praesentibus: 1. Domino Francisco q. Vincentii do Brunaccis; 2. Sor Ioanno Maria q. Benintcndi de Tantinis, notario; 3. Domino Nicolaio q. Ioannis Baptistao del Nobile; 4. Domino Francisco q. Ioannis del Gianna; io 5. Domino Dino q. Arrighi de Ciardis, civibus Florentinis; ot ('*. Onofrio q. Nicolai de Calicis, prò notarlo se gerente; et 7. lacobo q. Dominici de Mangani», meo famulo, tcstibus ore proprio infra¬ scritti Domini codicillatoris vocatis, habitis atque rogatis. Il Sig. r Galileo del q. Vincenzio Galilei, cittadino Fiorentino, Matematico eli S. A. S., sano di mente, senso, corpo et intelletto, privo bene in tutto della luco degli occhi, ricordandosi come sotto di 21 d’Agosto, l’anno mille secento trent’otto, per mia inailo e rogo da me fatto, liaver disposto delle sue facoltà, per testamento n ® 15, Ex. 1 ® dio 2f< ihnbris 1G38. £ — 12. Codicilli 532 XLI. TESTAMENTI. solennemente in forma di ragion valida, e tra l'altre cose in quello contenute bavero per ragion di legato lasciato agli infrascritti nominati come appresso: < Inoltre, similmente in segno deH’alVetto portato sempre e che continuamente 20 > porta a Vincenzio, Alberto e Cosimo, fratelli tra di loro e figliuoli del già Mi- > chelagnolo di Vincenzio Galilei, Buoi amatissimi nipoti di fratello carnale, et acciò > che conoscbino quanto sempre gli ha amati, a’medesimi lasciò e legò, e lascia > 0 lega, per ragion di legato la somma o quantità di scudi mille di £ sette per > scudo per una volta tanto e non più nò altrimenti nò in altro modo, et a cia- > scuno di loro la terza parte, da conseguirsi, seguita la morte di detto Sig. r te- > statore, da’ luoghi di Monte di l'ietà cito laseerà detto S. r Galileo testatore, da > ritenersi quivi a beneplacito di detti nipoti legata rii, e con dichiarazione che > per quel tempo che rimarranno in dotto Monte gli detti scudi mille, gli frutti > di quelli si aspettino come sopra respettivainente a’ detti suoi nipoti; et in so > ogni caso che a quel tempo che seguirà la morte di detto Sig. r testatore non > fossero detti suoi nipoti tutti a tre vivi, dichiarò e dichiara volere che dotto > legato di scudi mille sia 0 si aspetti a quelli che saranno vivi, a* quali in detto > caso et a quelli elio saranno vivi lasciò 0 legò la somma predetta in ogni mi- > glior modo >, corno nel detto testamento apparisce, al quale volso haversi relaziono ctc.; E sapendo benissimo detto Sig. r Galileo, che può variare, mutare et abolire il sopradetto legato in parte et in tutto e come al medesimo pare e piace et ad ogni sua volontà, e perciò volendosi valere della facoltà datagli c concedutagli dalle leggi, volendo in tutto e per tutto revocare il sopradetto legato, alla pre- 40 senza de’ sopradetti et infrascritti testimoni, e faro quanto appresso per gli pre¬ senti codicilli; Perciò, ritrovandosi nello stato et «ssere come di sopra, raccomandando l’anima sua all’omnipotente Dio e Sua Immacolatissima sempre Vergine Maria, lasciò 0 legò per ragion (li legato all’Opera di S. u Maria del Fiore di Firenze £ tre p. u , secondo gli ordini; Il sopradetto legato, fatto a’detti tre suoi nipoti Vincenzio, Alberto e Cosimo, figliuoli del detto già Michelagnolo Galilei, nella detta somma di scudi mille, revocò, cassò et annullò, 0 revoca, cassa et annulla in tutto e per tutto et in qualsivoglia sua parte, volendo haversi, tenersi e reputarsi conio se mai fussi 50 stato ordinato e fatto, o rimanere estinto e resoluto in tutto e per tutto; e cosi volse e dichiarò e vuole e dichiara per questi suoi presenti codicilli haver re¬ vocato, cassato et annullato il sopradetto legato, et cosi haversi 0 reputarsi, in ogni miglior modo etc.; Tutto il rimanente e contenuto nel sopra narrato suo testamento confermò, approvò e ratificò in qualsivoglia sua parte, come conferma, approva e ratifica, a, lavoro di tutti quelli chiamati a succedere nella sua eredità in conformità del XLI. TESTAMENTI. 533 disposto in quello, come ancora tutti gli legati oltre al eletto revocato, e qualunque altra sua disposizione in detto suo testamento contenuta, in tutto e per tutto. r»o Adserons et adfirmans, liane esso ultimata suam voluntatem ctc. et esse velie etc., quam valere voluit etc. iure codicillorum etc.; et si non iure codicillorum etc., valeat etc. et valere voluit etc. iure donationis causa mortis etc., vel cuiuscumque ultiinae voluntatis etc., et co modo ot forma quo et qua valere potuit et potest. Rogans etc. Et propterea praedictis omnibus et singulis suprascriptis, et quolibet eorum in praesentilms codicillis contentis et comprachensis, coram supradictis et in- frascrittis testibus, recitatis narratis et lectis, a prima litera pracsentium codi¬ cillorum usquo ad ultimala, dictus Dominila Galileus codicillator protestatus fuit et protestatili hoc esse et esse volle suam ultimasi voluntatem et seu elogium, 70 et sui animi et sani intellectus sententiam, et de sua voluntate dispositura et ordinatimi, ornili meliori modo etc. Rogans infrascrittos testes et quemlibet eorum, qui sunt praesentes et qui subscribont praesens instrumentum codicillorum ipsumquo e contra eorum et cniuslibet eorum subscript ioni sigillalmnt, ad testiraonium ut supra adhibitos, ad praedicta omnia et singula testes esso et subscriptioncs suas et sigilla secundum iuris ordinem subicere et apponere, ad validitatem et prò validitate codicillorum suorum et ultimae voluntatis dicti D. Galilei codicillatoris supradescriptae, in omnibus et por omnia et omni meliori modo. lo Frane.® di Vino.® Brunacci, insieme con Ser Gio. Maria di Ilonintendi so Tantini, Niccolaio di Gio. Rat.* dell Nobile, Francesco di Giovanni dell Gianna, Dino d’Arrigho Ciardi, Noferi di Niccolò Calici e Iacopo di Domenico Mangani, tutti testimoni chiamati e pregati di propria bocca dell detto Sig. r Galileo codicillatore d’essere testimone al presento codicillo e sua recitatione, fui presente; et in fede delle premesse cose, soscrissi mano propria, e con il sigillo di detto Francesco dell Gianna sigillai, questo stesso sopradetto giorno: quale contiene in sò due colonne. Io Gio. M. a di Bcnintendi Tantini, insieme con il sopradetto S. r Fran¬ cesco Brunacci, e Niccolaio del Nobile, Francesco del Gianna, Dino Ciardi, Noferi Calici e Iacopo Mangani infrascritti, tutti testimoni chiamati o pregati di propria boclia (lei detto S. r Galileo codicillatore d’essere testimone al presente codicillo oo e sua recitazione, fui presente; et in fede delle premesse cose, soscrissi mano propria, e con il sudetto sigillo sigillai, questo stesso sopradetto giorno. Io Niccolaio di Gio. Batta del Nobile, insieme con li sopradetti S. r Fran¬ cesco Brunacci e Gio. Maria Tantini et infrascritti Francesco del Gianna, Dino Ciardi, Noferi Calici e Iacopo Mangani, tutti testimoni chiamati e preghati di propia bocca del detto S. r Galileo codicillatore d’essere testimonio al presente 584 XLI. TESTA MI'NTI. codicillo c sua recitatione, fui presente; et in fede delle premesse cose, soscrissi di propiu mano, o con il audetto sigillo sigillai, questo sopradetto giorno. Io Frane . 0 di (Ho. nnl del Cianna, insieme co li sopradetti S. r Francesco Bru- nacci, Gio. Maria Tanttini o Nicolaio del Nobile, e infraschritti Bino Ciardi, No- fori Calici e Iacopo Mangani, tutti testimoni chiamati e pregati di propia bocha 100 del detto S.” Calilei codicillatore d’essere testimonio al presette codicillo o sua recitatione, fui presetto; e in fede (lolle premesse cose, soschrissi di mano propia, o sigilai con il detto mio sigillo, questo istesso sopradetto giornno. lo Dino di Arrigo Ciardi, insieme con li sopradetti Signor Francesco Bru- nacci, Ser Gio. Maria 'Fantini, Niccolaio del Nobile, Francesco del Cianna, et No¬ feri Calici e Iacopo Mangani infrascritti, tutti testimoni chiamati e pregati di propria bocca del detto Sig. Galileo codicillatore d’essere testimonio al presente codicillo et sua recitazione, fui presente; et in fedo delle premesse cose, soscrissi di mano propria, et con il audetto sigillo sigillai, questo stesso soprascritto giorno. Io Noferi di Niccolò Calici, insieme con li sopradetti Sig. r Francesco Bru- no micci, Ser Gio. Maria 'Fantini, Niccolaio del Nobile, Francesco del Cianna o Dino Ciardi et infrascritto Iacopo Mangani, tutti testimoni chiamati e pregati di pro¬ pria bocca del detto Sig. r Galileo codicillatore d’essere testimonio al presente co¬ dicillo e sua recitatione, fui presente; et in fede delle premesse cose, soscrissi di mano propria, e con il sudetto sigillo sigillai, questo stesso soprascritto giorno. Io Iacopo di Domenico Mangani, insieme con detti Sig. ri Francesco Bru- nacci, Sor Giovamaria 'Fantini, Niccolaio di i Nobile, Francesco del Cianna, Dino Ciardi, Noferi Calici, tutti testimoni chiamati e pregati di propria bocca del detto Sig. r Galileo codicillatore di esser testimone al presento codicillo e sua re¬ citazione, fui presente; et in fede delle premesse cose, soscrissi di mano propria, 120 e con il suddetto sigillo sigillai, questo stesso sopradetto giorno. Ego Oratiadeus q. Iacobi de Squadrinis, civis et notarili» publicus Flo- rentinus, I. U. D., omnibus praedictis interfui, vocatus et rogatus a (lieto Domino Galileo codicillatore, et de sua voluntate scripsi et publicavi et in liane publi- cam formam redegi, et coram (lieto Domino Galileo codicillatole et dictis testibus ad eorum claram intelligentiam recitavi et legi; et in fiderà omnium praemis- sorum subscripsi et signum appo.sui et sigillimi ineuin consuetum. Qui Domini Franciscus de Brunaccis, Ser Ioannrs Maria de Tantinis, Nico- laus del Nobile, Franciscus del Cianna, Dinas de (’iardis, Onofrius de Calicis et Iueobus de Mangani» supradicti, testes ut supra adhibiti, incontinenti ibidem iso astantes, in praesentia Ioannis Baptistao Simonis di Stagio, famuli «lieti Domini Galilei codicillatoris, et Petri q. Dominici de Manganis, mei famuli, in testes XLI. TESTAMENTI. 535 vocatorum et adhibitorum, subscriptiones et sigilla (le quibus supra, sub eorum nominibus respective, ad cautelami recoguoverunt in forma, et adfirmaverunt praedicta eorum et cuiuslibet eorum marni subscripsisse et sigillasse. In quorum te8timonium etc. Rogantes etc. Kgo Grat. OU8 Squadrinius, de praediotis rogatus, in lìdcm etc. cl) Consulto intouno alla validità del testamento<*>. (1G4SJ. Blbl. Ntiz. Pir. Mss. Gai., P. I, T. UT, cnr. 47r*. — 1)1 mano ilol soc.. XVII. Titius de veliementi abiuraverat, et adirne paenitentiam sibi impositam agebat, quando testamentum condidit: ideo, duni circa eius validitatem d ubi tari contingit, crederem testamentum esse validum. Quia, licet baereticus testari non possiti lego Ergo et suprema; Authentica Crcdentes, Codice Ve ha eretici s ; cap. Encomimi ramila, el. p.° § Crcdentes, Ve haere- ticis; Àbbas, in rubrica De testamentis, n.° 7 ; Felinus, in cap. Si cjuis cpiscopus, n.° p.°, vers. Et est, De liner et icis; Spinus, De testamentis, glossae rubricae parte 12, n.° 42 et seqq., vers. Nihilominits; Roias, De haeretìcis, singulari 185, n.°2°; lato Ricciullus, De iure per sonarmi extra Eccilesiae gremitoti, lib. 5, cap. 28, n.° p.° et io per totum ; adeo ut ncque per paenitentiam eius testamentum convalescat: Roias, dicto singulari Gl, n.° 3; Ricciullus, dicto cap. 28, nuin. 0 10; tamen, quicquid sit quando testamentum est factum tempore quo quis est baereticus, quo easu eo nomine por paenitentiam non confirmari volunt doctores, quia ab initio nullum est, qua in re multa in contrarium deduci possent, iuxta notata per Roias, singulari Gl, n.° 3, et per eurndem Iticciullum, lib. 4, cap. 58, n.° 27, signanter ex doctrina Baldi, in cap. Intclleximus, n.° 12, De iudiciis; quando testamentum factum csset post quam baereticus ad paenitentiam reversus esset, videtur iiosse substineri, quia statini atque haereticum paenitet, 20 cimi in eo eessat pertinacia, non potest amplius dici baereticus: Bellamera, De¬ cisione G88, collimila 7, vera. Ad septimum; Decianus, Tradatus criminalis , lib. 5, tit.° 54, n." 11 ; Ricciullus, ubi supra, lib. 5, cap. 42, n.° 10, advertens, post Archidiaconuin et alios, sententiam quae fcrtur in haereticos paenitentes, non esse paenalem nec liaeresis declaratoriam, sed absolutoriam tantum et paeni- tentialem ; Doc. XLI. d). 6-6. el. p .* § Credente», De hnered. —20-21. Bellam., d.' 689 — “> Cfr. Voi. XVIII, n.» 4204. 53G XI.I. TESTAMENTI. maxime quando bona, quae alias do iure per paeniienliam non reassumit, oi redilerentur vel ex principia gratia vel de consuetudine, prout hoc casu do universali Itali ai 1 consuetudine testatur Ricciullus, ubi supra, n.° 3, qui, n.« C», dicit restituì otiam ad honores et dignitatea, et, n.° 8, quod reassumit ius primoge- niturae, quod prius amiserat ; quae, cum sirailibus, notat etiam Decianus, ubi so supra, n. 7 et pluribus seqq. Quod adeo vorum est, ut etiam si perpetuo carceri damnatux esset, adhuc testari possit, iuxta Sinuincam, De huretici*, tit. 0 Iti, n.°31, ubi quod liaec opinio ipsi magia probatur, quia non est ilio servii» paenae, sed agit illic paenitentiam, et citat Abbatein in cap. Tane, De jtaenis , Balduni in lego p.» Codicis De Sucro- sanctis Ecclrsiis , Bcrtrandura, Consilio 194, lib. p.° Caeterum in casu proposito lungo minor difiicultas ocourrit. Nani cum in ma¬ teria haeresis praesumptienes etiam veliementes non sufliciant ad condemnandùm: cap. Littenui, De. praesumptionUms ; cap. Accusatus in principio, De. haereticis, in G°; bene Penia ad Kmericum, commentario 15; et alios refert Ricciullus, dicto lib. 0, 40 cap. 11, n.° 21 ; sequitur, abiurantem etiam de voliementi non posse dici haereticum neque prò baeretico haberi posse, adeo ut paenae haereticis debitae isti dari non debeant: bene Emericus in 3» parte Dircctorii, n.° 172, qui ideo concludit, abiurato de velie- menti non posse paenam perpetui carceris inlligi, quae baeretico debetur; et sequitur beni a, ibi, commentario 41, littera E; et faci unt notata per Navarrum, Consilio 18 De haereticis, n.° 3 in fine et por totum, dum dicit liuiusmodi abiura- tionem de vebementi esso quamdani purgationem canonicam, ut colligitur ex cap. Accusatus in principio, De haereticis, in G°, et consequonter sic absolutum esse habondum prò tali qui erimen non couiiniserit, indeque obiectum crimen oo ei nocere non posse nec ex eo ullam inliabilitatem orili, et quod nullus textus neque glossa neque doctor dicit absolutum per abiurationem de vebementi manere inhabilem ad aliquid ad quod ante accusationein fuerat liabilis: distinguit enim ipse, et recto, inter abiurationem quae tit ab baeretico do haereai ab eo confessa vel alias prolmta, ut misericordiain consequatur, et abiurationem quae tit etiam propter vohementes suspiciones ; prima onim detestatur haeresiiu iam incursam, (inani ideo fatetur; altera reddit abiurantem innocentem et suspiciones purgat, unde nulla inhabilitas ex ea resultare potest, ut late ibi por eum : quam di- stinctionem repetit Consilio 19, pariter per totum, De haerctieis. Hinc est ut sic ahiurans, etiam de vebementi, si prius habebat beneficium, fio illud, etiam absque ulla dispensationo apostolica, recuporet: Navarrus, dicto Con¬ silio 18, n.° 4, et dicto Consilio 19 per totum, ubi, n.° 2, quod hoc casa locum non liabet consti tu tio Pii V ; Achillea, Decisione p* De haereticis; et alias decisiones citat Ricciullus, dicto lib. 5, cap. 44, n.° XI. Neque obiicias quod dictus testator, dum tostainentum condidit, adhuc paeni- XLT. TESTAMENTI. 537 tentiam agebat. Quia, si praefati doctores ccncludunt, valere testamentum etiam ab eo qui perpetuo carceri damnatus est, sane multo magis valebit conditum ab eo cui mitior paenitentia iniuncta fuit, non ob haeresim, quae non fuit probata nec confessa, ut dicit Navarrus, dicto Consilio 18, n.° 6, sed ob ea quae ininus o bene fecit vel dixit, ex quibus illa suspicio proccssit : abiuranti enini etiam de vehementi, ut iam dictum est, dieta paena carceris perpetui non datur, ncque alia quae haeretico debita sit, consequenter ncque etiam illa publicationis et confiscationis bonorum, undo oritur testavi non posse: et alias, qui expresse prohibitus non est, testavi valet, ut lego p. a Codicis, De Sacrosantiis JEcclesiis; Insti tu tionibus, Quibus non est permissum faccrc testamentum, in principio, cum aliis per Spinuin, ubi sopra, n.° 42. 538 XLII. GALILEO E GLI STATI GENERALI DELLE PROVINCIE UNITE DEI PAESI BASSI W. 11536-1630. fi) PnESENTA'/lOKR DELLA PROPOSTA I»I GALILEO, K NOMINA OKI COMMISSARI AI» ESAMINARLA. (I/Ajal, 11 novembre 1086. Aroh. di Stato all’AJa. Kosolutie dor Stateti (Jtneraal, ad awiM, car. 881t Originalo. Marti», den 11 November 1G36. Is in do vergaderinge gecompureert do hecr Laureila Reael, liier bevoorens Generaci Ovcrsten in d’Oost liuìien van desco Staedt ondo jegenwoordich schepen onde raedt der stede Amsterdam, ernie naedat hij versocht is geweest beni te decken ernie neder te sitten heeft aen liner IIoocli Mogende met do complimenten liiertoe dienende overgelevert seeekere remonstrantio in forme van een brieff, uyt den naem ernie van weegen Galileus Galilei, groot mathematicus onde astrologus in dienst van den lieer Hertoch van Toscane, ernie heeft liier neffens gevoucbt een translaet van do voors. remonstrantio uvt het Italiaens in de Nederlantsche tale, beataende de voors. remonstrantie principalick hierin, dat de voornoemde Galileus io Galilei in een vrijwillige gifto opoffert aen Haer Ilooeli Mogende seeeker groot werck, sijnde een beginsel om tot volmaockheit te brengen seeeker middel ornine to cunnen weeten, als het tot perfectie sai sijn gohracht, soo wel de lcngte als de breete op de groote aert- ende zeecloot, ondo dat soo wel te water als te landt. Waerop gedeliberecrt wesende is goetgeYonden ernie verstaen den voornoem- den heer Reael over si.jne genoome moyte midts desen te bcdancken, ende hierneffens begeert dat lii.j aen den meergenoeinden Galileus Galilei wille rescri- beren dat Ilaer lloocli Mogende de voors. aenbiedinge ende offerte ten hoochsten aengenaem is ende dat deselvo het voors. werck aullen laten examineren, ende bevonden werdende dat lietselve in perfectie gebracht wesende daordoor de voors. so kennisse der voors. lengte ende breete can werdon becoomen, sullen Haer lloocli Mogende jegens hem Galileus Galilei sulex danckbaerlick erkennen, ondo werdon tot d’examinatie van het meergenoemde werck midts desen versocht ende ge- committeert de meergenoende heer Reael selfls, ernie met ernie neffens hem Hor- tenaius ende Blauw, woonende tot Amsterdam, ende sai de Professor Gool, het voors. werck dienstich bevonden werdende, cunnen worden bijgovoucht. "» Cfr. Pinovi ttudi Oalileiani por Astoxio Fa- lettere rd arti. Voi. XXI\. pag. 26U-888). Venezia, vako [Memorie del liuile leticato Veneto di «cieni<, tip. Auteuclli, 1801. XLII. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECC. 53‘J b) Trattazioni preliminari. 1) Relazione dei Commissari, e provvedimenti per le spese d’esame della proposta. [L’Ajaj, 7 aprilo 1637. Aroh. di Stato all’Aja. Rosolatiti dor Statoli Gouornal, ad «unum, cnr. 210r. — Originalo. Martis, don 7 Aprilis 1637. Is in do vergaderingo gecompareert do lieer Laurens Read endo licoft Haer Hoocli Mogende vorhaelt onde gerepresenteert ’tgeno hi.j tzedert do resolutio van Haor Hooch Mogendo in de saock van Galileus Galilei heoffc gedaen onde ’tgenc oock verdor bij andere sijne modo gecommitteerden is gebesognecvt in de voors. aaeeko. Waerop gedolibereert sijnde is goetgevonden ernie verstaen, midts descn te versoucken ernie te committeren de TTeeren Rantwyck, Weedo elide Schonenburch om over ’tgeno voors. is te spreeeken met den voornocmdcn heer Reael, als oock mede noopende d’oncosten die gedaen souden moeten werden tottet io uytvinden ernie examineren van deselve saecke, end© daervan aen liner IToocli Mogende rapport te doen, om gehoort voorts gedaen te worden nae beliooren. 2) Dono d’una collana d’oro a Caldeo, ed assegno d'una somma per lo studio della proposta. (L’AJa], 25 aprilo 1637. Aroh. di Stato aìl’Aja. Rosolutio dor Stateli Genoraal, ad aniiurn, cRr. 2031. — Originalo. Sabbati, den 25 Aprilis 1637. Si.jnde gehoort ’trapport van de heeren Rantwyck ernie andere heeren, Haer Tlooch Mogende Gedeputeerden acbtervolgens derselver resolutie in conferentie geweest sijnde met den licer Reael, nopende ’tgene de heer Galileus Galilei aen Haer Hooch Mogende heeft bekent gemaeckt in’t regard van de nieuwe observantie in den loop des kemels, is nae voorgaende deliberatie goetgevonden ende verstaen, dat men den voornoemden Galileus Galilei sai vereeren met een gouden kettingh ter waerde van vijff hondert guldcn ende dat Haer Hooch Mogende op derselver costen de voornoemde inventie sullen laten ondersoucken, ende deselve bevindende io in conformite van sijn aengeven dat se lietselve danckelick ende liberaelick sullen erkennen. Voorts sai gesclireyen worden aen de Camer van d’Oost lndische Com¬ pagnie tot Amsterdam dat se willen furneren aen handen van den voornoemden lieer Reael duisent gulden, om bij hem geemployeert te worden tot incoop van 540 XLII. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECC. instrumenten nodich tot het voors. onderRouok, onde sai de voors. somme de meergenoemdo Camer govalideert worden jegens do Generalitcit in minderinge van’t gene sij bevonden sullon worden schuldieh te sijn ter saecke van’t recht der convoyen ende licenten. 3) Invito alla Compagnia delle Indie Orientali di contribuire alla spesa per lo studio della proposta. [L'AJnJ, 2B aprile 1037. Arch. di Stato all’AJa. LIm Oost Indischo Compagnie (rimi cartolato). Minuta. Aon do Camer van do Oost Indischo Compagnie tot Amsterdam. Den 25 Aprii 1637. De Statori e te. Alsoo do licer (ìalilous Galilei ons ten regarde van de nieuwe obRorvantio in den loop des liemels yetwes heeft bekent geinaeckt ende dat wij op ons hobben genoomen de inventi© van den voornoemden (ìalilous Galilei tot coste van desen Staet to laeten ondersoucken, roo hobben wij goetgevonden Ul: mite desen te versoocken ende begeeren, dat deselve aen handen van don licer Read, Scliepen ende Itaet der Stadt Amsterdam, willen furneren do somme van duyaent guldens, om by beni geemployeert te worden tot incoop van instrumenten nodich tot het io voors. onder8oeck, ende zal Ul. de voors. somme jegens de Generaliteyt gevali- deert worden in minderinge van’t geene deselve bevonden sullen worden aen’tlandt scliuldicli te sijn ter saecke van’t recht der convoyen en licenten. Waermede etc. Actum 25 Aprii 1637. 4) Offerta della collana d'oro a Galileo in nome degli Stati Generali. (L’Aja), 28 giugno 1637. Arch. di Stato aU’AJa. Resolutie der SUton Goneraal, « ende ’tfatsoen a eh ti e n guldens twaelff stuyvers ende aclit penningen, is nae voorgaende deli- XLTI. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECC. 541 beratie goctgevonden ende verstaen mits dosen te lasten ende ordonneren den Commis van der Haer, ala Ontfangcr Generaci van’t recht der passcpoorten, dat. liij uyt het inooomen van dien aen Johan van der Maa, goutamidt die de voora. gouden kettingli lieeft gelevert, zal hebben te betalen do voors. somme, ende zal hem van der Haer deaelve somme in uytgeeff gcleden worden, mits overbrcn- gende quitancie van den voors. van der Maa onder Haer Hooch Mogende ap- pointement gestelt 5) Deliberazione della Compagnia delle Indie Orientali di contribuire alla spesa per lo studio della proposta. [ Amsterdam 1, -20 agosto 1087. Arob. di Stato nll’Aja. Iiosolutlo vnu (Ir Rumor Amstanlain der Oost Indi sebo Compagino (non carto¬ lato). — Originale. Dondordacli, 20 Angustus 1037. Dat men aen d’licer Reael, volgendo Haere Hooch Mogendo missive van den 25 Aprii 1637, sai betaelen do somme van duysent guldens tot incoop van instru- menten, nodich tot een nieuwe observantie in des heraels loop, als breder in de voors. missive, mits dat d’selve sullen moghen corten aen de eerste incomende convoyen ende licenten, sonder consequentie noclitans in toecomende. c) Incarico a Martino Ortensio per gli studi ulteriori. 1 ) Deliberazione concernente il detto incarico. (L’AjaJ, 2 febbraio 1638. Aroh. di Stato all’Aja. Rosolutio der Ststen Genoraal, ad annuiti, car. 88t. — Originalo. Martis, den 2 Februarij 1638. * Op’t geproponeerdc ter vergaderinge van Haer Hooch Mogende, gedacn uyt den naem ende van wegen de Heeren van Hollandt, om te bevorderen de nadere ken- nisse van d’oliservantio van Galileus Galilei noopende eenige teeekenen acn't firmament van den hemel, daeraen voor de gemeene zeevaert tea liooclisten soude sijn gelegen, is nae voorgaende deliberatie goetgevonden ende verstaen dat men zal schryven aen den Professor Hortensius tot Amsterdam, dat hij de moevte wille nomen van herwaerts te coomen om met hem diesaengaeiule te spreeeken ende in conferentie te coomen. 542 XJL1I. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECO. 2) Invito a Martino Ortensio. IL’Aja], '• febbraio 1638. Aroh. di Stato aU’Aja. Lia* Loopondo (non cartolato). — Minata. Aen Hortensius tot Amsterdam. l)en 2. n Februarij 1(138. De Stuten etc. Alaoo oii8 eene aaecke van gowichte is voorgecomen daerover wij gcmcent sijn met U te spreecken ende in conferentie to comen, so» liebben wij niet willen ledich staen 11 midts desoli acn te sclirijven ende te yersoucken dat deselvo lierwaerts een lecere wille doen om te vorstuen onse goede intentie. Waertoo ons verlatende etc. Actum 2 Februarii 1038. 3) Incarico ai Commissari di conferire con Martino Ortensio. (L’Aja], y febbraio 1638. Aroh. di Stato all’AJa. ltosolutie dar .statati Generasi, ad annum, car. 47r. — Originalo. Martis, den 9. n Februarij 1638. Vermaen gedaen si judo dat de Professor Hortensius, vari Haer Ilooch Mogeiule besclireven om hem te liooren over de saecke vai» Galilcus Galilei, was ftlhier aengecoomen, sijn versocht ernie gecommitteert de lieeren Kantwyck ernie Backer om met de voors. Hortensius te comen in conferentie ende daervan rapport te doen. . d) Martino Ortrnsio à inviato a Galilko. 1) 'Trattative circa le spese di viaggio. [L’Aja), 10 febbraio 1638. Aroh. di Stato oll’AJa. Rosolutio der Staten Genera»!, ad annum, car. 48f. — Originalo Mercurij, den 10. n Februarij 1638. Is gehoort ’trapport van de lieoren Kantwyck ondo Backer, acbtcrvolgens Haer Hoocli Mogende rcsolutie van gisteren in conferentie geweest sijnde met den Professor Hortensius, den 2. n deses lierwaerts te coomen bescliroven noopende de XLTT. fi ALT LEO E GLI STATI GENERALI ECC. 543 reyso l)ij hcm te doen naer Italien bij Galileus Galilei tot bevorderinge van de nader kennisse van d’observantie van cenige teeckenen aen’t firmament van don hemel bij den voornoemden Galileus Galilei uytgevonden, daeraen voor de ge- meene zeevaert ten hoochsten sonde sijn gelegen, ernie dat de voornoemde Horten- sius tot verval van d’oneosten van de reyse naer Italien onde van daer weder io herwaerts, als oock voor sijne inoeyte, is eysschende drie duysent guldens. Waerop gedelibereert sijnde is gootgewondcn ende verstaen mits desen nocbimiels te versoecken ende te committeren de gemette lieeren Rantwyck ende Backer dat se de moeyte willen nemen van met den meergenoemden Hortensius de voors. saecke finalick aff te handelcn, met autborisatie van bem daervooren te bclooven ende toe te seggen dat beni van wegen de Genoraliteit efTectu click gepresteert zal worden tweo duysent guldens, ende hebben de gemelte beerei! Gedeputeerden naderliant gerapporteert dat do meergenoemde Hortensius de voornoeiiulen con- ditie lieeft aengenoomen, waerbij dese saecke is gelateli ende zal dieiiYolgens op alies ordre worden gestelt ondo de nodige depesche verveerdicht. 2) Deliberazione circa le spese di viaggio. [L’Aja], 18 febbraio 16S8. Arcli. di Stato all’Aja. Hosolutio ilor Statori Gonornal, ad «nnuni, car. GOf. - Originalo. Jovis, den 18. n Februarij 1G38. Is ter vergaderinge vertoont, oock gelesen, de specificatie soo van versebooten oncostcn als vacatien gedebourseert bij I). Martinus Hortensius op de bescbrijvinge by Ilaer lloocli Mogende den 2. n deses aen beni gedacn nopende de saeck van Galileus Galilei, bedragende tsevonticb guldens en voertien stuyvers. Waerop gedelibereert sijnde is goetgevonden ende verstaen, dat aen de Bewintbebberen ter Camer van de Oost Indiscbe Compagnie tot Amsterdam geschreven zal worden dat se aen den voornoemden Hortensius betalen de voors. tseventich guldens en veertien stuyvers ende daerenboven nocb twee duysent guldens die Ilaer Hoocli io Mogende bem hebben toegeleyt tot verval van sijne reyseosten naer den voor¬ noemden Galileus Galilei, wesende in Italien ende van daer wederom herwaerts, wesende oock daerinne begrepen de recompensie van de moeyte bij bem te doen, ende zal de voorn. Camer de voors. somme valideren ende geleden worden op’t geene dcselv.e albereyts schuldicli is aen’t landt ter saecke van eonvoyen oft dat se diesaengaende alsnoch schuldicli souden moogen worden, mits overbrengende Ilaer Hoocli Mogende missive, in craclito dsses aen de meergenoemde Camer te depcschercn. ende quitancie van den meergenoemden Hortensius daer op dienende. 541 XLIT. GALILEO E OLI STATI GENERALI ECO. 8) fnvito alla Compagnia delle Indie Orientali di contribuire alle spese di viaggio, [L'Aja], 18 febbraio lG:w. Arch. di Stato all’AJa. I.ìm Ooat Indi «che Compagnie Ition cartolato). — Minuta. Aen de Camor van d'Oost Indiseli e Compagnie tot Amsterdam. l)en 18 Fcbruarii 1038. De Staten etc. Alsoo I). Martinus Hortensius ter saecke van reiscosten ernie vacatien is com¬ pete* remi e de somme van tseventich guide» ernie veertien stuyvers, endo dat wij liern hebben toegeleit do somme van twee duysent gulden tot verval van sijne reiscoBten naer Galileus Galilei in Italien onde van daer weder herwaerta, midtsga- ders tot recompensie van sijne moeyte die hij in do voyage sai hebben, onde bij ons alleen gefavoriseert wert omdat men ons acndient dat deur d’observantien van den voornoemden Galileus Galilei aen tirmament nader redres in’t stuck van io de zeevaert zoude cunnen werden erlanekt, soo hebben wij goctgevonden Ul. midts desen te begeren dat deselve do voors. sommen aen den voornoemden Hortensius willen doen betalen, onde sai hetselffdo III. valideren op’t recht der convoyen dat deselvo aen ’tlandt alboreits schuldicli sijn olì' hiernae noch sculdich souden moogen worden, midts neffens dese overbrengende qui tanti e van den voors. Hortensius bierop dienende. Actum 18 Februarii 1638. 4) La Compagnia delle Indie Orientali nomina Commissari a riferire sull’ invito predetto. [Amsterdam), 11 marxo 1638. Arcb. di Stato nll’AJa. R*>solutie ran do Karoer Amsterdam «Ii*r Ooit Indiucho Compagnie (non carto¬ lato). — Originala. Donderdacb, den 11 Maart 1038. De missive van Haere Hooch Mogende aengaendo de saecke van I). r Horton- sius ende Galileus de Galilei, wort gestelt in bandoli van d’heeren Carpentier endede Graeff,otti deselve te communiceren met d'heer Burgenieester Bicker ende daer van op Maendacb rapport te doen. XLII. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECO. 545 5) La Compagnia delle Indie Orientali interroga VAmmiragliato sul suddetto invito. [Amsterdam], 15 marzo 1G38. Aroh. di Stato all’Aja. Rosolutio van do Kmnor Ainstordani der Oost Indisclio Compagnie (non carto¬ lato). — Originalo. Maendach, dea 15. n Martij 1638. Vermits d’absentie van d’licer Burgemeester Bicker, Ì8 goetgevonden dat de Gecornmittecrden deser Vergaderinge op inorgen de missive van Ilaere IIoocli Mogende sullon communiceren met d’IIeeren van de Admiraliteyt to desei* stede, om verstaen hebbendo haer advijs alsdan daerop nacrder te delibereren, ’twelck d’heer llortensius, daerop beseheydt onde antwoorde versouckende bij de Verga- dori nge, aengeseyt is. C) La Compagnia delle Indie Orientali informa gli Stati Generali d'aver interrogato VAmmiragliato. [Amsterdam], 22 marzo 1038. Avoli, di Stato all’Ajii. Rosolutio van do Knmer Amsterdam der Oost Indischo Compagnie (non carto¬ lato). — Originalo. Maendach, den 22 Maert 1638. Ter vorgaderingho gebracht sijnde de missive van Haere Hooch Mogende aongaende de saecko van Galileus Galilei dewclcke door den Professor Horten- sius govoordert soude werden, is goetgevonden dat in antwoorde op gemelle Ilaere IIoocli Mogende missive in antwoorde gerescribeert sai werden, dat dese Camer wel genegen is om Ilaere IIoocli Mogende daerinne te believen, maer dat ’tselve sonder consent van de Edel Mogende Ileeren Raden ter Admiraliteyt, liaer collegie liicr houdonde, niot geschieden can; welcke voors. missive met d’aenwc- seiulo Bewinthebbers op morgen gecommuniceert onde gearresteert sai werden, io om met de scliuydt op den Ilage gesonden te werden. 7) La Compagnia delle Indie Orientali partecipa agii Stati Generali, che VAmmiragliato non consente a pagare le spese di viaggio sul fondo dei diritti di convoglio. [Amsterdam], 23 marzo 1088. Aroh. di Stato all’Aja. Lias Oost Indischo Compagnio (non cartolato). — Originalo. / Dat. 23, ree. 25 Maart 1638. Ilooghe Mogende Ileeren, Wij zouden, in gevolge van Uwe Hooch Mogende missive van 18 Februarij voorlcdon, met nagelaten hebben aen den E. S. r Martinus llortensius tc betalen xix. 69 XLII. GALILEO E OLI STATI GENERALI ECO. 040 do somme van twee duysent tzeyentich guldens veerthien stuyvers, mot intentie ornine dezelve wederornme te vinden aen treclit van de convoyen die de Com¬ pagnie aen ’tlandt schuldich zal mogen werden, maer alsoo ona wegen d’Edel Mogende Ileeren Radon ter Admiraliteyt, liner collegio binnen deser stede houdende, to kennen werdt gegeven dat wi.j egeene penningen zullen hebben to betalen dewelcke uyt de convoyen liner Edule toecomende woder governimi souden moeten io werden, ofì‘ dat contraryo doende ’tzelvo ons niet pii zoude worden gevalideert soo liebben wij ’tonsen leetwesen U Hoogh Mogende begeren in desen nietconnen cffectueron, dat wij niet liebben willen nalaten t'we Hoogh Mogende to kennen te geven. Hiermede Iloogli Mogende Ueeron eyndigende, bidden Godt Uwe Hoogh Mo¬ gende wijse regeringe meer ernie meer to willen voorspoedighen, cado blijvon altijt Uwe Hoogh Mogende geheel dienstwiLlige De Bewinthebberen der Vereenichde Geoctroyeerde Ooat Indischc Camer tot Amsterdam onde uyt d’zelve Jacob Bicker, 20 Hans van L 0011 , « 1). Carpentier. In Amsterdam, den 23 Maart anno 1638. Ilooghe Mogende Ileeren Mijnheeren de Staten Generaci der Vereenichde Ne- derlanden rosiderende in ’s Graveuhagn. 8) Gli Striti Generali accusano ricevimento della suddetta parleeipaeìone della Compagnia delle Indie (mentali. fL’Aja), 26 marzo 1638. Arch. d.1 Stato alI'Aja. Iieiolutio der Staten (fonar**), ad mwm, car. 107r. — Originala Jovis, den 25 Martij 1638. Ontfangen een missive van de Bewinthebberen der Geoctroyeerde Oost-Indische Compagnie ter Camere tot Amsterdam, geschreven aldaer den 23 deses, houdende responsive op Haer Hooch Mogende brieff van «leu 18 Februarij lestleden, daerbij sij sicli excuseren van de betalinge van twee duysent tzeventich guldens en veertien stuyvers te doen aen den Professor Hortensius. Waerop gedelibereert sijnde hebben Liner LIooch Mogende uyt eenige consideratimi opgehouden voor eenige weynige dagen hierop nader te resolveren. XLII. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECC. 547 9) Consenso della Compagnia delle Indie Orientali ad assumersi le spese di viaggio dell Ortensio. [Amsterdam], 30 giugno 1638. Ardi, di Stato all’Aja. Rosolutio van do Kttmer Amsterdam dor Oost Indischo Compagnie (non carto¬ lato). — Originalo. Woonsdach, den 30 Junij 1638. Den Pensionaris Boreel heeft door last van d’Heeren Burgermeesteren deser stadt aen de Heeren Rekenmeesters cnde eenighe andere Bewinthebbers deser Camer genotifìceert, hoo dat Ilaer Achtbare liem gelast hebben te seggen dat geern sien sullen dat de reyse van den Professor Hortensius na Italien liaeren voortganck gewinne emlo dat dicnvolgens d’IIceren deser Camer onbeswaert willen sijn, aen don voors. Hortensio te late» volgen de versochte twee duysent Carol. guldens, alsoo Haer Achtbare sullen maken dat de voors. f. 2000: — aen de Com¬ pagnie voor wel betaelt sullen strecken ende gepasseert werden. Ende alsoo do io Pensionaris morgen vrouoh na den Haglio vertreckt, soo versouckt dat de Ileeren Rekenmeesters do bovenstaende verclaringe gelieven op morghen ter vergaderingo te brengen elido daerop resolutio te laten nemen. 10) La Compagnia delle Indie Orientali partecipa all’Ortensio che la somma gli sarà pagata, qualora gli Stati Generali consentano eh’essa sia prelevata sui diritti di presa. [Amsterdam], 5 luglio 1638. Arch. di Stato ull’Aja. ltosolutio van ilo Kiuner Amatorilam dor Oost Indischo Compagnie (non carto¬ lato). — Originale. Maendach, den 5 Julij 1638. Do Professor Hortensius versoohfc hebbende de f. 2070: — (voor desen door Ilaer Hooch Mogeiule aen hem geassigneert te betalen) t’ontfangen, is beni voor antwoort gegeven, soo wanneer de voornoemden Professor een brieff van liner Hoocli Mogende bequam waerin Haer Hooch Mogende ons toestaen de voors. f. 2070: — aen do gerechticheyt van de prinsen te corten, dat men hem de voors. f. 2070: — sai betalen. 11) Gli Stati Generali consentono che la somma da pagarsi all’Ortensio si prelevi sui diritti di presa. [L'Aja], 12 luglio 1638. Arch. di Stato all’Aja. Rosolutio der Staten Generasi in het register betreffondo znken van do Oost indischo Compagnie, ad annum, car. lór. — Originalo. Lunae, den 12. n Julij 1638. De Heer van Noortwyck ter vergaderinge presiderende heeft geproponeert dat Haor IIoocli Mogende den 18. n Februarij lestledcn de Bewinthebberen ter 548 XLIT. GALILEO F, GLI STATI GENERALI ECC. Camere yan de Oost Indiache Compagnie tot Amsterdam hebben aengeschreven, ilat deselve aon dea Professor Hortensius souden betalen tzeventich guldens en veerthien stuyvers volgens zijne specitìcatie spruytende ter saecke van reyseosten, ende daerenboven noch twee duyaent guidoni, die Haer Hoog Mogende hem hebben toegeleyt tot verval van zijne reyseosten naer Ualileua Galilei, weaende in Italien in’t hertoohdom van Florence ernie van daer wederora herwaorts, wesende oook daer inne begrepen de reoompensie van de moeyte bij hem Hor- io tcnsius te doen om de voors. reyse, met verclaringe dat de voorn. Camer de voorschrevo soramen soudo valideren ende geleden worden op’t geene deselve albereijts schuldig is aen’t landt ter saecke van convoyen oft op’t geene dat se diesaengaendo alimeli scliuldigb souden mogen worden, vougendo do geineite Ileer van Noortwyck liierbij dat die van do voornoemde Compagnie geerne souden sien dat de voors. resolutie soudo worden geampliecrt met dose clausule, te weton, dat se het voorsehreve verschot aon bet rechi der voors. convoyen soude mogen corton off aen’t recht van’t landt tor saecke van de prinseu bij do schepen van do voors. Compagnie te doen is competerende. Waerop gedelibereert sijndu is goetgevonden ernie verstaen, dat de meergenoomdo Compagino het voors. 20 verschot doende, ’tsellì'de t’harer keure sai mogen cortei! off aen’t recht van’t landt in de voorsehreve convoyen oft aon t recht van’t landt in de voors. prinsen, ondo sai hun bet selffde verschot in reeekeninge geleden worden jegens de Genera- litoyt 8ulcx ende daer’t behoort, mits overbrengende deso resolutie eude quitancie van den voornoemden Hortensius hierop dionende. Voorts hebben Haer Hooch Mogende goetgevonden dat deselve Professor Hor¬ tensius met den heer Burgermeester Counradus geduyrende zijne reyse, oock dacrnaer, sai houden corr-spondentio nopende ’tgeene hem sai bejegenen in de communicatie te houden met den lteer Galileus Galilei bolangendo d’ openinge bij denselvcn alboreyts gedacn ende noch verder te doen van zijne inventie. so 12) Pagamento dèlie spese di viaggio aU'Ortensio. [Amsterdam), 15 luglio 1688. Aroh. di Stato aU’AJa. Iiesolutio ra» do Kamer A miteni ani dar Ooat Indiache Compagino (nou carto¬ lato). — Originale. Donderdach, den 15 Julij 1638. Is goetgevonden dat men aen d’heer Professor Hortensius sai betalen f. 2070: 14 st. achtervolgonde de resolutie van Haer IIoocli Mogende daerop ge- nomen, waerop ordonnantie van d’Heeren Rokenmeesters gepasseert ende d’selve door do ontfangers nae gedaenc betalinghe sai werden getilasseert. XL1I. GALILEO E GLI STATI GENERALI ECC. 549 13) Deliberazione di ricuperare duali eredi dell*Ortensio la somma anticipatagli per le spese del viaggio non avvenuto. [L’AJa], 28 settembre 1G39. Aroh. di Stato all’Aja. liosolutìo dor Stato» Generaiil in hot registor betroffomle zakoii va» do Oost Imlischo Compagnie, ad annum, car. 63f. Originale. Mercuri,], den 28 Septembris 1639. Is ter vergaderinge voorgedragen dat Hortentius, in zijn leven professor in de hoogeschoolo binnen Amsterdam, hierbevoorons van Haer Hooch Mogcnde door handen van do heeren Bewinthebberen ter Camere van de Oost Indische Com¬ pagnie binnen de voorsclirevo stadt liecft ontfangen twee duysent guldens, om een reyse to doon in Italien bij den Professor Galileus Galilei onde van den- selven geinstrueert te werden noponde d’inventie bij heni Galileus Galilei voorge- geven, dodi dat de voornoemden Hortentius de reyse niot en lieeft aengovangen, maer hem ontbouden binnen Leyden ernie ’tgelt aldaer vermoedelick verslempt io ernie dat bij Hortentius nu is comen t’overlijden. Waerop gcdelibcreert zijnde, is goetgevonden onde verstaen mits desen te lasten onde authoriseren den Ontfanger Generaci Doubleth, dat hij alle mogelijcke debvoiren ende instantien sai hebben te doen, soowel judicielick als extrajudicielick om, van de erftgenamen van den voors. Hortentius te becomen restitutie van de vo»>rs. twee duysent guldens met den interest van dien nae beloop des tijts, ende daervan ten behoeve van’t landt te verantwoorden. Voorts sai den voorn oemden Ontfanger sich informerai sulex ende daert behoort, waer dat gebleven is de goude kettingli die gemaeckt is voor den voors. Galileus Galilei ende behandicht aen den lieere Gouverneur Reael saliger. 550 XL1U. LICENZE PER LA STAMPA DEI DIALOGHI DELLE NUOVE B01ENZEW. a) dki. Vino oro in Olmuts. OlmQtx, SO novembre 1638. Bibl. Nat. Flr. Pacco Rari, A. 8. p. ». •• >»'*’. poma (non nemara»*). — I.« Un 1-11 anno aotnirrafu di ilio. Tomabo Manca db Pbapo, • Jin. 12-17 di ilio. Kbxiatu I’latam. Nel Mas. UeL, I». Vf, T. XIII, car 89, ai ha copia di qq»*t« llosnaa, di man . di Giotab»i Pia« .»i, da Ini «pwliU a Galileo con lettera dui 9 Infilo 1687: cflr. Yol. XVII. n.« 8516. Per commissione doli’ Ill. mo et H. mo Moniig. r Gio. Demento IMatais, Vicario generale che fu delP Vescovato di 01 miti et adesso mentissimo Prencipe Vescovo eletto di quella, ho letto questo tra tato, nell’ quali- non ho trovato cosa che sia contro la nostra »Santji Fede Catholica Romana o buoni costumi; anzi bene mi pare illustre prole et nobil parto di foelice et delirato ingegno, et come tale giu¬ dico che la stampa gli comunichi la sua luce, acciò esso la possa communicaro a gli intelligenti lettori. Datti nell’ Convento di S. Michele d’Olmitz dell’Ordine di Predicatori, a gli 18 di Novembre di 1638 w . Fr. Gio. Tomaso Manca de Prado, io Professore ordinario di Filosofia, m. pp. a Et io Gio. Ernesto, eletto Vescovo d’Olmitz, mentre dal soprndetto Reverendo Padre non fu trovato che con tradicesse alla Santa Fede Catholica o buoni co¬ stumi, do licenza che la dotta opera, chiamata. tkl , possi essere stampata per utilità di bene commune. In Olmitz, gli 20 di Novembre del 1G36. Gio. Ernesto, eletto Vescovo di detta Chiesa, m. pp. M| VHI« P*Mt- 18. *> Iaì parala « a |1i 18 di Norambr* di 1686 * Cfr \ol. M1I, pa*. IR, nota 4, a pa*. 80 • tono affinnt» d’altra mano. ' ol X ' JI » 85 ” 3 > ,,n - G-44. «m uopo eJkinwtata 4 laaclato uno «palio bianco. XL1II. LICENZE PER LA STAMPA DEI DIALOGHI DELLE NUOVE SCIENZE. 551 h) del Rettore dell’Università di Vienna. I Vienna], 29 aprile 1637. 13ibi. Naz. Fir. Mk. dol Banco Ilari citato noli'informazione dol documento precedente, carta seconda (non numerata).— Lo lin. 1-7 sono autografo (li Goai-tikko Paoixo, o lo lìti. 8-10 di Lkon. Myi.oikbbbk. Anche di queste licenzo si ha copin, di inano di Giovanni Pieboni, nella stessa cnr. f»2 dol Manoscritto Galileiano citato noli'informazione dol documento procodoute. Vidi librimi italicum, cuìhb initiiim Giornata prima , in qua primus interlo- cutor Salviatus inchoat Largo campo etc., et consideravi et pervolvi, ita ut. iudi- eare et cenaere possila, nihil in co continoli contra Fiderà et bonos mores, ideoque praelo committi posso. Quod ipsum etiam indico et censeo. Datum in Collegio Caesareo et Àeademico Societatis Iesu, 29 Api*. 1037. Gualterus l'aullus e Societate Iesu, S. Thoologiao Doctor et Facilitati» eiusdein pio tempore Decanus. Consentio ut imprimatur iste liber. io Leon. MylgiesBor, Medicinae Doctor, p. t. Universitatis Ilector. 552 XI.IV. CONSULTI MEDICI SULLE INFERMITÀ DI GALILEO. a) m Giovanni Trullio sulla ckcitL [Roma, febbraio 1638] Bibl. Niut. Flr. Ut». Gal., P. I, T. Ili, car. 8V.-89I. Copia di mano ainerona, molto scorretta. i’rogressum exactissime gravis aegritudinia statumque per literas ,J ab amico patienti cxaratum esse poto; ex quibus colligo, caecitatem enasci ex suffuaione, pupillam obstruente, quae improprie cataratti dicitur. Et quia alias, quam vulgus senti t, ros seso habot, liaec pauca, prò tanti hominis consilio, tibi ’’ initto. Ab humoris influxu omnee id fieri censent, et buie avertendo curam omnem frustra accoramodant; et proin lume affectum inepto oatarattam vocant: quod tamen noe ratione ulla probari, neo demonstratione «stendi, potest. Prinium, enim, si ab aquae vel humoris in oculi globum fieret aftluxu, non lutee exigua tantum, et lentia vix instar ampia, naaceretur materia, sed oculi globus totus distentus et veduti bydropicus tnmeret. Quin quod nulluni spatium inane in oculo inve- io nitur, quod aquani liane possit adrnittere, eum totus undique propriis bumoribus, ab ortu in eo natis, adeo replelus et distentus sit, ut ne guttulac quidem alienae locus supersit, aut cornea ulla ratione amplius distendi dilatarive queat. Dein et per quam viam, quaeso, baec aqua in oculum defluet? eum per venas et arterias fieri nequeat, quae oculi interiora minime subeunt. Veruni per opticum nervum aiunt id fiori. Egregium subterfugium, partem toni nobilem exerementis bisce deferendis aptam statuere, per quam praeter aethereum illuni spiritum animalera transire nihil potest. Sed fac, illuni humorem per nervum hunc descendere; quoniodo, obsecro, ad pupillae forameli pervenir© puterit? Cum nec retiformis nervus cavitate sua, quae vitreo liumori penitus impiantata est, illuni possit ad- 20 mittere; nec uveain, quae in ambita undique corneae ciliaribus processibus trans- versim connata est, pertransire possit. Quae certe illia, qui opinionibus eiusmodi, cum sensu et ratione pugnantibus, patrocinantur, si modo oculi fubrica penitins ipsis est cognita et perspecta, ea qua par est diligentia perpendere prius opor- tobat, et veras vias potius, per quas humores ferri possunt, indagare, quam, igno- ratis propriis morborum causis, ad cominuuem illudi ignor&ntiae asyluni, dc- lluxiones et corporis nescio quam trunspirabilitatem, se ni per coufugere. Doo. XLIV. a). 16. nequeat, oculi — ? r ' A VOl ‘ XVU ’ n, ° 8G8Sl iin ' ,0 -»- D.* 3885 Ofr. pura Voi. XVII, mi.' 3064. 3712, 3730, Cioè, a I’irr Battista Lonorn: cfr. citato 3744, 3752 XLIV. CONSULTI MEDICI SULLE INFERMITÀ DI GALILEO. 553 Nos vero liaec diu multumque perscrutati, et longa observatione innumeras earumque principimi! augumentum et punctionem propius conteraijlati, ab aqueo so humore, tenacitatem aliquara adipiscente, causam huius mucoris proficisci depro- hendimus; et hoc in senio, in quo frequenter accidit, vel a morbis calidissimis, post febres ardentes aut oculorum inftannnationes, aut calorem ex termi ni vebemen- tem in illis qui ad ignem sedendo eumque aut luminosa quaevis aliqua et clara persaepe intuendo pleraque inunia habeant, ortuni; vel collirioruin iiimis calido- ruin et siccantium usu aqueus humor inspissatus, et viscoBior ut dietimi iactus, meniliraiiae huius foraminis, qnod continuo alluit, margini sensim accrescit, atque ea sede, qua foramen illud opplet, sicuti in pulte cutem dictani nasci cernimus, paulatim concretus, ea ratione ut ostensum induratus, splendorcin amittit, et successive, sed longo tempore, in yellicuhun conversile visionem tollit. Quae si io deprimatur acu, portione aquei humoris reliqua, cuius superficiei innascebatur, pellucida adirne existente, visus statini redit; sin et illa quoque iam Umiditatela niinia exiccatione a vehementi et continua oplitlialmia amiserit, uti accidit, licet superficies illius detracta sit, caeci nihilominus inanent, et ob id frustranea fuerit oculistarum opera. llis stantibus, uti dixi, minime efficacia sunt remedia quae quotidie adhi- bentur, ut digerentia, evacuanti», cauteri», setones, frictiones, scarilicationes, ad derivandam, revellendam, evacmmdamque iluentem in oculos materiam. Topica vero remedia ad laesionem tollendam nil aliud agunt, risi stimulum et dolorem et ideo inflammationem excitant, et maiorem faciunt morbum ; quia morbi sedes 50 non in superfìcie est oculorum, sed intra corneam et uveam tunicam, cuius basis est liunior aqueus. Cluni ergo probatur, causam in oculo consistere, et defluxionem aquae in oculi capacitatem ferri minime posse, ut demonstravimus, liaec sine fructu, nisi quatenus corpus purum servare possunt. Quid mine prò aegro amicissimo facienduni sit, ita consulo. Omnis scopus dirigendus est ut exiccetur lacriinarum profluviuni, quo continuo molestissime vexatur cum diuturna vigilia. Primo, ad conciliandum somnum utatur pilula una laudani optime praeparati emulo cubitum, interpolati bis (sic) aut tribus diebus. Servet ventrem lubricum clysteribus emollientibus et lenientibus, ut evocetur ac proliibeatur materia quae co ad oculorum tunicam externam influit. Victus ratio sit idonea: fugiat omnia salsa, piperata, flatulenta, vaporosa et acria. Utatur saepe emulctionibus cum cremore liordei confectis; et si non adest febris neque capitis dolor, utatur lactis asinini quotidie, ieiuno stomaco, scutella per aliquot dies. 29. punctionem propriu* contemplati —83. luminosa quovis a/iqua — 42. opktalmia eminerii XIX. 70 554 XL1V. CONSULTI MEDICI SULLE INFERMITÀ DI GALILEO. lialneum quoque aquae pluviali* in semicupio maxime confert; frictionea in partea infernas, si adhibeantur quotidie: deinde, si vircs constarent, audor erit praestantisaimum remedium. Quiea animi, qunntum fieri potest, concilietur. Ad cohibendaa lacrimas fiat collirium hoc. Recipe: Saccnri Paterni chymice 70 praeparati scrup. 1; Aloes auccotrinae dracm. gemisi; Aquae foniceli, rosarum, ana unc. ij; Vini inalbatici uno. iiij: omnia, in phiala vitrea positu, in sole digerì pormitte biduo; ex qua quotidie saepe palpebra» et oculoruui coniunctivam tu- nicam madofacito. Praeter linee, si opere chyrnrgicn uti volunius, loco setacei, transversim duoruin digitorum transversormn latitudine iuxta suturam sagittalem prope co- ronnlom suturam inurito ad os usque, atquo vulnus apertum relinquito ut pus exeat, donoc morbus remitiatur. Antiquorum hoc maximum erat praesidium in pertinacibus inflammationibus ntque oculorum lluxionibus ; et non absque ratione, quia materia illa, quao lippitudines, pertinaces laorimationes, oplithalmias facit, so inter cranium et periostium pertrannit ad tunicam internala palpebrarum et externam oculorum, quao coniunctiva dioitur, utraque a periostio producitur. Quod intra ooulos factum est, tempore densius et durius factum, acu, Deo auxiliantc, deprimi potest. loannes Trulliua Medico-Chyrurgus. h) DI PN MBD100 LlONB81 (>> . Bibl. Nass. Pir. Mss. Gal., P. I, T. Ili, car. 40r.-42r. — Autografo. Sul ili fuori (car.43«.) *1 lotfgo, di mauo ai qamlio: Consulto di Lione. Ut multiplicc8, itagraves sunt ii affectus, qui Nobilem Virum iam olim exercent; sivo quod universus corporis habitus ruinam videatur concepisse, nulla parte im¬ muni, sed undequaque alili età, et humorum qua data porta prorumpentium impetu et torrente quasi obruta; sive quod caloria naturalis, langueacentis et effoeti, pau- perie facultates labefactatao vix corpori moderando suflìciant, mulo vel minima cooli aerisque iniuria aflìciatur, quemadmodum ex docta et iudiciosa ad nos missa scriptione intelligero licuit. Et hanc fuisse causalo non dubitamus quao Excel- lentiss. \ iros impulorit, post ea omnia remedia qua»* morbi et aegri naturao praescripta sunt convenienza, ut de aquis nostris thcrmalibus cogitarent, quarum recens commendatio suggessit, caeteris medicamenti non confercntibus, earum io 72. Pini tnrtlvialici — 1,1 II presenta consulto sullo molteplici infor- v**xr Trlm.i.» sullo cecità; tuttavia, esBondono In- mitù dalle quali era vessato I GALILEO. propellebatur; undp, spiritibus quasi infectis et infrigidito ultra moduni cerebro, neque iam studiis quae oliiu fuere gratissima potest indulgere, neque iis quibus priua capiobatur oblectamentis, exlincto quasi et sufiocato mentis vigore. Inde patet quibus soopis, in eius curationem, colliraandum sit: corrigenda ni- mirum partium discrasia, hepar temporandum, ventriculus restituendus, cerebri humiditas excromentitia absorbenda, frigidità» contraria qualitate amolienda, obstructiones reserandae, huinores crassi, viscidi, lenti, obstructionum parentes, incidendi, attenuandi, detergendi, principibus partibus robur atllandum, calor naturalis excitandus, ut hia praestitis \ ir Nobilis tubi restituatur. Sed in ista contraindicationum serie, duin alino parte» humectationem, aline exsiccationem fio oxpostulant, dum illae frigida linee calida insinuant, nenio est qui ingentem dif- ficultatem non agnoscat, despereLpie ordmariis remediis id posse praestari: quod idem animadverterunt Viri Excellentissimi qui eius curae praofuerunt, quorum consilio Tettucianas aquas in usuili adhibuit, cui» hoc unire praestare possint aquae thermales, ut scilicet varia» illas et contraria» intentiones concilient et absolvant. Quod tamen Tettucianao praestare non potuerunt, sino dubio nostrae porfi- cient, quomodocuinque iis attendere libeat; nullao enim sunt quae generosius quicquid proponitur adirapleant: neque id ditlitcbuntur quicumque minerale» illos et spiritus et substantias, unde mirandas tubi facilitate» imprcsserunt, obsorva- 70 bunt, praeter quotidiana experimenta quae aegroto» Iniiuamodi, immo et alios longe deploratiores, certissime bis «quia curari saepius snepiimque insinuarunt. Facultates enim suaa et vires a bitumine, nitro, vitriolo et ferro nanciscuntur: praedominatur modo bitunien, modo vitrioluin; oaetrra pari fere et proportionata mixtura subsequuntur. Hatione itaque bituminis tepidae tluunt, cerebro ventriculo utero propterea amiciores, quibus frigidità» sine dubio obesset; colliquant humores; partes indurata», quales fere obstructiones comitantur et sequuntur, emolliunt; humiditatem superiluaiu absorlient et exsiccant; caloreui uaturalem recreant, humidumquo primigenium, analogia quadam spocitica, attenuant; praetcrea inci- dunt discutiunt quae tere singula bis necessaria aunt Ncque tamen inferiores 80 sunt dotes quas nitritili Yitriolumque impertiuntur. Nani illius benelicio, alllatu et commercio continuo partes laxiores, per quas tiuxionibus transitala est, adstrin- gunt; humores viscidos, detersione sua et incisione praeparatos, eliminant ova- cuantque ; cerebro, lluxionibus gravato, solatio sunt; aurium flatus et tinnitus discutiunt; ventriculo robur afllant, ut adstruxit iampridem Galenus; putredini denique vaenaruinque infarctui potentissime adversantur; proindeque earura usu legitimo saepius cacchexiam, quae non modo in cuiiìb erat sed longe sose pro- vexerat, curatam novimus. Ad quae conducit pariter spirituR ille vitrioli, quo quasi animatile, partes omnes naturales pernieant; vcntriculi desidem pigramque coctionem promovent; eluunt quicquid tartari hepatis, lienis, vaenaruw, renum, 90 XLIV. CONSULTI MEDICI SUI,LE INFERMITÀ DI GALILEO. 557 ureterum, vesicae parietibus et cavitatibus adhaeret; eorumdem renura, mesenterii totius, hepatisque caliditatem temperanti melancholicos fumos a cerebro revocanti vias omnes ductusque expediunt, et urinas movent insigni naturae beneficio. Utriusque vero vim fugacom cohibet quasi iraprimitque penitius ferra in, cuius admixtione salutari spiritus illi vitriolati quasi fixi non tam facile praetervolant, lionique maxime eo augumento confcrunt, proindeque certissimo et infallibili remedio ad eas icteri cuiuscumque curandi causa concurritur. Qnod si quis ruetus sit, ne cerebro fiat iniuria oh usum vitrioli, artificiosa et jilane mixtura admirabili obviam it bitumen, et unctuositate sua illius acrem 100 siccitatem diluens, detrimentum omne arcet, exsurgente ex ambobus sic mixtis nova qualitato, quae, nullo modo perniciosa, in comniodum partium salutcmque conspirat. Ita ut neque bituminis caliditate et siccitate partes refrigerandae et humectandae oftendantur, bine vitriolo inde ferro probibentibus, nequo ab istis parti superiori caeterisque infirmioribus calorique naturali timendum non sit; nitro insuper, stimali in modum, expultricem facilitatelo suscitante, unde non possint diutius quam par sit aquae in corpore restagnare, nisi ingentia impedimenta po- tentesque causae obstent. Quae cum ita sint, ratione et experientia persuasi, in tam implicati.? gravibus et diuturnis Viri Nobilis aftectibus amoliendis, nibil aquarum nostrarum Villa¬ no coinitensiuni usurpatone eflicacius aut conveniontius assignari posse aflìrmamus; speranduinque, si illis legitime et in propriis fontibus baustis utatur, cerebro siccato calefactoque, ventriculo priori officio asserto, hepate temperato, bene expedito, obstructionibus reseratis, hypoohondriacis vaporibus depulsis aversisque, per fiuen- tcs moderate haemorrhoidales vaenas, corde roborato, calm o exsuscitato, universo donique corporis liabitu restituto, quae omnia nostrarum nympharum sunt be¬ neficia, Vii* Kobilis non modo levamenti multum, veruni etiam salutem integram, adepturum; praesertim si Montis Aurei balnea temperatissima aquarum potationi subiiciat, quod in eius modi atfectibus familiare et salutare esse solet. Quantum vero timi ad aquarum tum ad balnei usum spectat, si rationibus nostris Viri 120 Excellontissimi persuasi Virum Nobilem ad nos amandent, coram de agendis faoiie docebitur. Et haec hactenus breviter de quaestione proposita. 058 XLV. MORTE DI GALILEO. Areetri, 8 gennaio 1642. a ) Fedi di morte b di sepoltura. Aroh. di Stato in Firenze. Tiibro ilei morti dell’ Ufizio (lolla Grascia, n. n 10, sotto la lotterà G (lo cario noti suuo numerato). Gennaio 1641 Galileo di Vincenzio Galilei, sepolto in S. ta Croce.10 (S) . Aroh. di Stato in. Firenze. Archivio doll’Arto dei Modici o Speziali, Libro doi morti dal 1G34 ni 1650, n.° 258, car. 168r. — Originalo. Di questo documonto ò copia autenticata nell’Ardi, di Stato in Fi¬ renze, Ardi, della Decima, n.° 226 (Filza di documenti giustificativi dei partiti di cancellazione di docilità occ., 1641-1612), n.° intorno 287, car. 667; la qual copia fu l'atta il 3 ottobre 1612, iu occa¬ sione die fu cancellata la decima personale di Gai.ii.ko, stante la sua morte >*». Gennaio 1641 0) . Sig.* Galileo di Vincenzio Galilei, in S. Croce.10. Aroh. di Stato di Firenze. Monto di Pietà, Filza 1006 (Docuutonti giustificativi, Filza 131), n.« in¬ terno 221 < # 1. — Autografa. Adì 19 Febraio 1642. Fassi fede per me Fra Francesco Sbard. 11 da Lucignano, sagrestano di S. ta Croce di Firenze, come al nostro Libro de’ morti, esistente nella nostra sagrestia, inti¬ tolato B w , a f.° 70, l’infrascritto morto apparisco: < Adì 9 di Gennaio 1642. > Si messe in deposito nel campanile del nostro Novitiato rEccelentis.’' 10 Mat- > tematico Gallileo Gallilei. > Et in ledo etc. ho fatto la presente di mia propria mano. Il medesimo Fra Francesco. i in deposito nel campanile del Noviziato l’Eccollon- » tissimo Mathomntico Galileo di Vincenzo Galilei, per » trasportarlo nel deposito da farseli in nostra chiesa. » Nota che, perchè mori in villa a S. Matteo in » Areetri, si andò per osso alla Porta di S.Giorgio; * o non vi venne curato della cura di Firenze, ma » solo il curato di dotto S. Matteo, e gli si diede la » Quarta ». Di quosto Libro de inmii abbiamo fatto inutilmente ricorca: cfr. in quosto Voi. XIX, pag. 109, nota 1. “> Di stilo fiorentino. **' Cioè, il giorno 10. <»> Cfr. in questo Voi. XIX, Doc. XXXV, d), lin. 10. Di stilo fiorentino. ,B ' Cfr. in quosto Voi. XIX, Doc. XXX, «), lin. 189-190. ,6 > Nel * Libro de’ morti sopolti iu Santa Croco, doi PP. Minori Conventuali », segnato li, dal 1608 a! 1752, si leggeva: « 1611, a’ 9 Gennaio, si messo XLV. MORTE DI GALILEO. 559 b) CONSULTO INTORNO ALT.’ ERUZIONE DI UN MONUMENTO SEPOLCRALE (1 >. [Firenze, 16-12?]. Bibl. Nnz. Fir. Mae. fin)., P. !, T. Ili, car. 52r.-B4r. — l»i mano «lo! sec. XVII. Abiuravit semel de vehementi suspectus de liaeresi vii* ccleberrimus in geo- metricis, astronomici» et pliilosophicis scientiis; post vero summa cum laude vixit ad multos annos, periitque ab ornili prorsus suspicione remotus. Agitili- de excitando eius memoriae honorario tumulo: dubitatimi ab aliquibus ili liac re ex motivo suspicioni» de liaeresi, et quidem de vehementi; quaeritur quid etc. In liac re, luca quidem scntentia, placet opinio negativa: notam scilieet suspi¬ cioni, auctori nostro inustani, nullo esse posse impedimento honorario sepolcro extruendo, signis et multo cmblcniate decorando, quo proludatur scientiis miri- ticiì illustratis, locupletatis ac iniris inventis telici ter excogitatis, nullique in or- io talium ante ipsum notis. Quod duplici discursu breviter patefiet. Primo. Tumulus iste non spectat nisi commendationem quamdam nominis auctoris, quam eius opera, in quilius nulla prorsus suspicio, praeseierunt; nec carpii aut repraeliendit, ncque ex indirecto et consequenti, iudicium ac senten- tiam Sacri Senatus Inquisìtionis Itonuuiae de suspicione auctoris et abiuratione: siquidem bene cohaerent haec duo, et quod auctor noster fuerit in iis scientiis suo nomine ad niiraculum Celebris, et quod deprneliensa sint aliqua quibus lite perpensis venerandum iliuti Tribunal in eam devenerit sententiam: magnis enim ingeniis et aitimi nitentibus familiaris est lapsus, quo moneantur imbecillitatis ingenitae, ut testatili- quotidianum experimentum ; nudo est vox illa Augustini 20 egregia : Errare possimi , hacreticns esse non possimi. Firma igitur rataque quam venainur sentcntia. non apparet quo impedimento esse possit suspicio de vehementi, qua semel notatus est auctor, et inde sequuta abiuratio, excitando honorario monumento, quo proludatur eruditioni tanti viri, et perenni testimonio comniendetur eius memoria oh praeclara eius opera, scien- tias ac inventa, in quibus nulla auspicio nullusque nexus cum ea materia in qua suspectus semel fuit auctor de vehementi ; quandoquidem id unico esset, quia inde minus recto minusve iuste videretur damnatus auctor noster scntentia Emi- nentissimorum Inquisitorum. Ut ergo nemini dubium esset, suspecto de vehementi, sequuta abiuratione, excitari posse in ecclesia honorarium tumulum oli res, excm- 3o pii gratin, in bello fortiter gestas, quia nihil liis commune cum suspicione et abiuratione, ut suppono, neque inde praeiudicium aliquod sententiae, cum sint res toto coelo distantes, ita sine dubio concludami uni etc. <•» Cfr. Voi. XV11I, nn. 1 4104, 4196, 4197, 4198, 4199, ccc. 5G0 XLV. MORTE DI GALILEO. Accedit in confirinationem istorimi, id non prohiberi nec quia sit laudare quae alias sunt auctoris suspecti, nec quia sit specialis modus laudandi et ad perennem niomoriam. Non primum: quia roterà non sunt auctoris suspecti, sed canonice purgati ab ornai suspicione; et si non esset purgatus, adirne laudari possent, quia quoad baec non est su spoetila ; et sicuti hac ratione commendare fas est etiam quae prolluxerint ab liaeretico, quia id tantum est laudare quod revera laudan- dum, tamqunni in se vere ingeniosuin nec aliquid continone contra Fidem, proinde non est defendere liacreticuin eiusque doctrinam, qua formaliter talis; in quo 4o puncto videri possunt doctores egregii, sive in materia de Fide, sive de censuria, ad eanonem primum Iiullae Coniar, praecipuc l'golinus, Suarez, Saliche/., Leander ad illuni eanonem, § f>, quaest.94 et 95, aliiquo apud ipsum ; ita a fortiori in casu nostro. Non secundum: quia cura sit capax ecclesiosticae sepulturae, etiam capax est quod ea commendatio operimi eius praetigatur tumulo, sicuti et capax est alias illamque promeritus, cimi sit aliquid accessorium sepulturae, nec alimi sit (iuam lapidibus consigliare eas laudes quas tot volumina perenniter de ipso can- tant, in quo genere nulli unquam fuit suapicio, impedimento esse posse suspi- cionem de vehenienti ; maxime cum daiunata non Hit eius memoria, ut notissimnm est, nec damnata sit memoria liaeretici formaliter poenitentis in vita, Farinaccius, co De haeresi, quaest. 197 et quaeat. 193, laica tus in Jtuliciuli Jnquisitomm in plu- ribus locis. Proinde non impedit auspicio de veliementi excitare eius memor[iaej honorificum aepulcrura. Addi posset ultimo loco, quod quamvis liaeretico ob paenam delieti ea coui- rnendatio et lionorificentia prohibeatur, alia rea easet de suspecto tantum, etsi de vebementi: nani leges paenales loquentes de liaereticis non procedunt in suspectis, ad textus notissimos I)e regulis iuris in 0°; cap. Inier sollicUudines, De purgatone canonica; Puteus, Decisione 400, lib. 2; Rota Romana corum Gomitolo: quia longe aliuil est esse quempi&m formaliter haereticum et esse tantum praesumptum sive vehementer suspectum, sicque par non est compraehendi eadem lege paenali, co cap. Feliris, De paenis, in 6°, etc. Secundo. Canones nulli afferri possunt, qui privent eo honore suspectum do haeresi vehementer, abiuratione purgatura; proinde stat firma regula prò liabi- litate personae alias promeritae, ad glossam 1 in lege Si quacrainus, ff. De tcsta- mcntis: nullus eniin pronunciandus est inhabilis ad aliquid, nisi causa inhabili- tatis expressa atque probata argumentis, glossa in Kxtravagantem Execrabilis, § Alioquin, v. Beneficia. Inhabilitas enini est puena, ad quam nullus damnatur nisi ex sententia iudicis aut ex iuris dispositione, ut notimi est; et cum alias possessio sit prò hubilitate personae, non est spolianda nisi ex praescripto sivo constituto. 70 lam vero neduin alRgabilis non est canon contrarius, sed valido argumeuto ex canone Inter sollicitudines supra citato videtur liaec rea contici posse. N'am XLV. MORTE DI GALILEO. 561 vehementer suspectus de haercsi, admissa canonica purgatione» cui quidem suc¬ cessi abiuratio, Farinaccio, quaest. 194, n.° 04, De haeresi, Carena, quaest. 12, n.° (5, pag. 498, Rota in una Varmiensi coram Fabio, et citata coralli Gomitolo, restituitur pristinae Inabilitati quoad inulto maiora, officia, beneficia, honores, praeeminentias, dignitates ecclosiasticas, cum ibi iubeat Innocentius III Senonensi Arcliiepiscopo restituat, purgatione admissa, beneficium Decano eius ecclesiae, vehementer su- specto de liaeresi ob nimiam familiaritatem cum haereticis; quod quidem bene- so ficium sive (lecanatus in ecclesiis Gallicanis solet esso prima dignitas post pon- tilicalcm, Cbassanaeus in suo Catalogo, parto 4. 37, Barbosa, De canonicis et dignitutihus, cap. 7, et alii, qui idem testantur de Hispanis et Lusitanis: ex quo textu processit Rota Romana in siniilibus casibus, praecipue in citata Gadicensis canonicatus in favorem eiusdem Rodriguez, qui iam ante vigiliti annos publice punitus abiuraverat de vehementi. Quod quidem in fortioribus terminis procedit in casu, ut examinanti constabit. IOt inerito, quia remota causa inhabilitatis, renioveri debet inliabilitas, tamquam offectus eius: lego Dtiobus, § Exceptio et § Colonus, IV. De iurcìuranelo; lege fin., in line, Codicis De nnptiis, et notant(sic) iuristao cum Castrensi, Consilio 300, lib. 1, oo Geminiano, Consilio 93, versic. Ad hoc optime facit. Detecta autem innocentia per purgationem sivo abiurationem, aboletur prior illa suspicio, ex citato cap. hilcr sollicitudines et ex cap. Ex tuarum, De purgatione canonica : Simancas, De catliolicis instìtutionibus, tit. 55, n. 33; Zanchinus, De haercticis , cap. 20, n. G ; Genuensis in Draxi Neapolitana, cap. 45; Rota Romana coram Comitolo, IO, n. 10. l’roinde bolli debet, generaliter loquendo, omnis inliabilitas inde proveniens ; sic enim verus Catholicus agnoscitur, abiurando et subiicieiulo se sensibus etobedientiae Ecclesiae: textu cap. hit or sollìcitudinesi In paenam ; cap. Litteras, in line, De praesumptioni- bus; Brunus, De haereticis , lib. 3, cap. 6; Vignato, eodem titillo, cap. 19, n.193; Rota in antiquis, Decisione p. a , De haercticis, n.° 8, et in recentioribus apud Comitolum, ioo Decisione IO, n.° 22. Cum ergo nullus textus oppositum suadeat, et validissimo argumento in iure habeatur restitutio pristinae habilitatis ad profanos lionores tumuli prò nostro auctoro, utique prò eodem concludendum erit. Quod si una sit sententia, quod haereticus, etiam formaliter talis, abiurans prima vice, restituitur pristinae habilitati ad officia, beneficia et praeeminentias eccleaiasticas, de qua opinione testatur Parisius, Consilio 2, n. 185 et 188, lib. 4, Rolandus, Consilio 63, n. 26, lib. 3; quod veruni esse crediderim de haerctico Doc. XLV, b). 75. Gomitolo, retti tuit — 80-81. ponti/icalem, Cattati, in — 88. § ExcejHioni « et — 92. et ex cap. Tuarum, De — 93-91. in Praet. JVeapol. — I0C. Rolandut : noi nis. il nomo del giaroconsulto qui citato ii di ambigua lottura, elio porò in uessuu modo può essere Dolan dui. Ma dal confronto con la fonte a cui attingo qui l’autoro dol presento consulto risulta elio questo nome, non inteso dall'amanuense, dove essoro Rotondila (cfr. Decitionet Sacrar. Koinè Romanae coram Reverendissimo P. D. Nkapoi.ionb Gomito!,o ccc., Perusiao MD0XLI1I, ex typographia Episcopali, apud Angolmn Bartolum; Decisio X, u.° 38, pag. 83); o couferma ciò il riscontro col lib. 3°, Consil. 63, n.° 26 dei Oontiliorum leu mavì* Retpomorum Rolandi a XIX. 71 502 XLV. MORTE DI GALILEO. aponte revertente, in qno senati lato probat Hursatus, Consilio 14, lib. p.°, recu¬ perare n fisco omnia bona, honores et dignitates, qui et de communi obncrvantia fatetur, et subscribit Genuensis in iVar» Neapolilana , cap. 45 ; inulto magia veruni erit do suspocto, sponte abiurante humilitcrque sabiiciente Kcelesiae nedum id no in quo suspectus, sed et quidquid calamo oxcidisset aut excidero posset non ita consonum eius sensibus, quod abunde praostitit auctor noster. Ncque ox sententia Kminentissimoruin Inquisitorum Generalium ea inliabi- litas induci poteat. Cimi onim ea solum contineat suspicionem vehementem ac abiurationem subinde iuridioe faciendam, et forte nonnullas salubres paonitentias de more, non potest extendi ad inhabilitatem istalli ; sententia eniiu est stridi iuris, nec plus paenae inducit quam exprimatur aut inl'eratur ex illa de necessitate, ex notissimis principiis JJc rtyulis iurta, in i*°: Alexander, Consilio 18 et* Consilio 1G4, lib. 7 ; Caputaquensis, Decisione 148, par. Comitolus, citata Decisione 10. Nec refcrt, ex sententia eius Tribunalis adirne sint prohibita aliquot auctoris opera: 120 quot enim et quanta doctis recentioruin teruntur vigiliis, et libera facilitate sunt in usu omnium, ut in mathematicis videantur esse prouiptuaria doctrinarum? . Deinde, nihil illud ad rem praesi-ntem: inspicienti tumulum, nuli uni periculum lapsus; bene tamen percurrenti opera, in quibus de Copernicano systemate: sicque sunt duo valde diversa, nec procedit eadeui ratio de utroque. Quae Ilio obiici possent, petita ex infamia coutracta per illuni suspicionem de vehementi, nec non ex scandalo et bis similibus, facile dilnuntur ex abiura- tione et emendatione, iuxta textus canonicos saepe citutos; Ab bus, cap. Extwrum, De purgatione canonica, et in cap. Tcslimonium, De testibus, ubi etiam Felinus cum aliis. Quod si baec vabmt prò habilitando ad honores et praeeminentias iso ecolesiasticas, beneficiorum et dignitatum, sine ullo praeiudicio aententiao vel iudicii quo quis damnatur tamquam suspectus de vehementi; quanto magis prò habilitando ad profanimi pompala sepulcri, spectantem celebritateui et famam auctoris, in scientiis promeritain V Ex bis omnibus reaultat nullità» impedimenti prò extruendo honorario se- pulcro, sive spectetnr res ex obiecto et iutrinsecis suis, sive ex dispositione iurium, salvo semper meliori iudicio, etc. t0 Y'ulU occ., l’is&iiri, apud llieronimam Concordi»», M.Ihl.XXI, car 18&r.. dorè il contiene appuuto I» sen- tema ili cui qui si trntta. 8* aderta ancora chn nel m*. ai loffio ». 19; ma ». se ai ha, corrottamente, nella citata Derilione* «lei Comitdlo, o l'autom del nostro consulto trascrive H, scorrendo cou l’occhio mi una simile cita/iouo che nella fonte di cui eicli «i «erviva e poche ritrito più iu au. — US. faciendam e forte — ll'J, lib. 9; Cayutaifutneia — “* Vedi la Deliberaxione della Conprreiraxione del S. Uffizio intorno aU'erexione del monumento aepol.-ral», in quoato atesao Voi. XIX, l)oc. XXIV, b, 96 - 08 ). XLV. MORTE DI GALILEO. 503 c) Inventario dell’eredità. 1642 . 1) Inventario delle masserizie della villa d’Arretri. Aroh. di Stato In Firenze. Archivio dolio famiglio Galilei, Filza segnato di lett. /. — Di mano di Vincenzio Uai.ii.ki. Di fuori al legge, «lolla stessa mano : € Inventario di mito vendute a' pupilli o dolio robe di villa ». Inventario delle masserizie o arnesi di villa del q. S. Galileo Galilei. In sala. Una tavola di noce. Una credenza di noce. Un armadio d’albero, granilo. Quattro sedie. Sgabelli sei di noce. Soi ritratti di suoi amici. io Una seggetta. Alari con palle d’ottone, molle e paletta. Nella prima camera. Un letto di noce, vecchio bene, con sacconi e materasse dua vecchie, un panno e un coltrone e cortinaggio d’accia turchino e bianco, e 2 guanciali. Un paio di casse di noce. Un lettuccio con due guanciali e materassàio turchino e bianco d’accia. In salotto. Una tavola di noce impiallacciata. Dua sgabelli di noce. Due armadini di albero. 20 Due quadretti di paesi. Nella seconda camera. Un letto a panchette con sua colonnetto d’albero, due sacconi e due mate¬ rasse, coltrone e panno, e padiglione di panno bigio con stampe nere, e 2 guanciali. Due casse di noce. Un lettuccio con guanciali e materassino, pieni di fieno di tappeto. Quattro seggiole basse, da donna, di sala. Una seggiola a braccioli. Doo., o, 1). 22. coit luti colleunetla — 564 XLV. MORTE DI GALILEO. Nella terga camera. Un letto a panchette d’albero, sacconi e duo materasse cattivo. Un panno col polo e una copertina bianca di bambagia, e padiglione bianco. 80 Due tamburi. In catturino. Una tavola d’albero. Uno scannello d’albero. Uno stipo di noce, col suo armadio sotto di noce. Circa *40 pezzi di libbri. Una seggiola bassa a braccioli. In cucina. Una stia. Una credenzaccia o un arraadino di albero. 4)| Una tavolacela d'albero. Una madia vecchia. Piatti di stagno, tra piccoli e grandi. 40 pezzi. Uno scaldavivande (l’ottone. Due catinelle di rame, una grande e una piccola. Una teglia di rame. Tre candelieri, una lucernina d’ottone e dua lucerne. Duo sgabelli d’albero senza spalliere, e 4 seggiole cattive. Una ghiotta di rame. Un rinfrescatolo di rame. 50 Paioli tre, un piccolo o due grandetti. Padella, e dua stidioni, e 3 trepiedi, e graticola. Alari di ferro e la catena, e una secchia. Un paio di molle e due palette, una piccola c una grande. Stoviglie (li terra. Mortaio di pietra. Due coltelli di ferro grandi e dua piccoli. In cantina. Cinque botte, di circa fi barili l’uno. Tre orci, due buoni e un rotto. Una moscaiola. 60 XLV. MORTE DI GALILEO. 565 Di sopra. ■ Un lotto per la serva, di albero, con saccone e duo materasse, una di ca¬ pecchio o l’altra di lana, una sargia e un panno col pelo. Un altro letto simile por il servitore. Fauni di dosso. Una palandrana di ciambello[tto ne]ro, fodrata di volpe. Una toghetta di ermisino, e altri pannucci di pochissimo valore. Biancheria. Camice dieci, tra buone e cattive. 70 Lenzuola sei paia cattive, o sei buone. Tovaglie otto per la tavola da padrone. Tovaglie da cucina otto. Toveglioni 30, tra buoni e cattivi. Sciugatoi X. Canovacci 20. Fodero fi. Calcetti paia 4. Sottocalze un paio. Pezzuole 20. 80 Argenteria. Otto forchette e otto cucchiai d’argento. Una saliera. Una sottocoppa. Grasce. Vino barili sci i[mbottat]o, e diciotto fiaschi pieni, di varie sorte. Olio circa quattro fiaschi. Legne grosse due some. Due sacca di brace, e cento fascine. oo Danari contanti. Intorno a V 80. Crediti. D[uca]ti 5000 [al (?)] Monte, de’quali V 500 sono obligati a S. Arcangiola, figliuola del sudetto Sig. r Galileo : resta V 4500. 506 XLV. Moli TE DI GALILEO. Inventario di robe vendute a* pupilli. Un lettuccio di noce all’antica, con sua braccioli, ma te rasai no o guanciali.£ 40. — — Un paio di casse di noce impiallacciate.> 42. 5. — Un paio di casse di noce a deposito.> 36.15. — loo Una seggetta da portare, coperta di vacchetta rossa usata, con sue stanghe e cigne.> 56. — — Quattro seggiole di noce da huomo, coperto di montone, cattive. > 11. F>. — Uno scannello d’albero, col suo piede a telaio, simile.> 10.- mia. Una credenza di noce con suo grado e palio d’ottone.' 54.- Un armadio grande d’albero, alto braccia 4 in circa. 8. — — Una tavola d’albero, con suoi trespoli, di braccia 4 in circa . » 7.15.— Dua orci da olio, usati.> 8.- Una tavola di noce, con piede a telaio, di braccia 4 in circa. > 35. — — Un bertovello co’ suoi piombi etc, lì-so. no Una credenza di noce, con palio di ottone e suo grado, simile. > 47.15.— £ 365.15. —<•> mio. Un ottangolo di noce intarsiato, con sua cassette.£ 22. — — Due paia di panchetto da letto con sua mazze, una cassa panca di albero.> 10.10. — Due botticine da vino, piccole.> 18. 5. — Quattro botte simili, più grandette.> 35.- > 80.15.— > 365.15.- Somma detto inventario in tutto £ 446.10. — 120 Tassa di detto.£ 22. 6. 8. Resta al netto.£ 424. 3. 4. Abbatti per valuta dell’ottangolo e credenza mia.£ 76.- Resta.£ 348. 3. 4. Quest’ inrentarlo «di robe rendete a’pupilli » ti legire (por di meno di Vinoniuin CJ a i.ii.ki o con l'Indi* catione sul di fuori: « Intentano di robe mandato a' pupilli. 1611 *) anche *u di un altro foglio che fa parte della atesaa Kilaa I, nei termini arguenti : Robe mandato a' pupilli. Un lettuccio di noce, col materassi no e guanciali grandi. Due paia di caRRe di noce. m Qui termina la pagina. XLV. MORTE DI GALILEO. 567 Quattro seggiolo alte. Una seggetta. Uno scannello d’albero. Un armadio grande d’albero. Due credenze di noce. Dua paia di panchette con tavole, io Una panca. Due casse panche. Una tavola lunga su trespoli. Un ottangolo intarsiato, tutto noce. Una tavola grande di noco massiccia. Sei botte: 2 piccoline, e 4 grandetto di 6 barili l’una. Una rete, cioè un bertevello, buono. Due orci da olio, grandi. Adì 11 di Marzo 1641 (,) . Debbi da’ ministri de’ Pupilli, per a buon conto del prezzo delle sudette robe ‘-’O vendute, scudi cinquanta, valgono £ 650.- 2) Debiti. Itaocolta Lozzi in Roma. — l>i umno di Vincenzio Gai.ilki. Di fuori si leggo, della stessa mano « Inventario. Nota di debiti lasciati da mio Padre ». Nota di debiti lasciati dal Sig.*' Galileo Galilei, da pagarsi da’ suoi eredi. Al Sig. r Evangelista Torricelli, quale stette in casa del detto Sig. r Galileo tre mesi con provisione di V 7 il mese, come appare per una lettera e riceuta sua, scudi quindici : sono. Alla Piera sua serva, per ogni resto di suo salario. Al Sig. r Alessandro Ninci, curato di Santa Maria a Campitoli, per suo bavere in un conto tra detto e il Sig. r Galileo. A gli eredi di M. Tiberio Titi pittore, per valuta di otto quadri dati al Sig. r Galileo e da lui non pagati. io A Raffaello Catani, spezziale al Ponte Vecchio, per saldo di un conto col Sig. r Galileo. A maestro Michele Lambardi sarto, per resto d ! un conto col Sig. r Galileo. Alle Decime. A gli eredi di Vincenzo Naccheretti, speziali alla Madonna . . £ 105.- £ 60.- £ 40. 12. 4, £ 280.- £ 9.- £ 7.- £ 269. 16. — £ 241. 8. - "•Di stilo fioreutiuo. SUPPLEMENTO. *i'«v Xlbis CONTI CON IACOPO E BARDO CORSI. 1693-1604. a ) Scritta di un debito di Galileo. Firenze, 11 agosto 1603. Arch. Corsi Salviatl In Firenze. Polizza, in un foglio doppio. — Autografe di Gai.ii.po Io li». 1-10, e, respetti vainoli te, ili Nieooi.6 Lapini e di Prnbdbtto Landuooi lo liti. 11-12 u 13-14. A tcryo della seconda caria do) foglio bì leggo: « Poliza di il. 200 dol Galileo, dobitore a libro A, n 503 11 ’ >. A dì 11 di Agosto 1593, in Firenze. Io Galileo q. di Vincenzio Galilei per virtù della presente scritta ini chiamo vero et legittimo debitore de i Mag. cl S. ri Iacopo et Bardo Corsi di scudi dugento di moneta di lire 7 per scudo, quali ho ricevuti questo dì detto dal Mag. co Mess. Ottavio Rondinoli loro ministro per restituignene al line di un anno prossimo a venire, gratis : et per loro cautela si obligano come il principale li sotto- scritti Mess. Niccolò Lapini et Mess. Benedetto Landucci. Et in fede del vero io Io Galileo Galilei affermo come di sopra. Io Niccolò di Pierfrancesco Lapini prometto come di sopra; e per fede del vero ò fatto la presente sottoscrizione, questo dì sopra detto, in Firrenze. Io Benedetto Landucci prometto come di sopra; per fede ò fatti (sic) la presente sottoscrizione, questo dì sopra detto, in Firenze. Cfr. il documento seguente.' 572 SUPPLEMENTO. b) Conto oorkkntr 1593-1594. Aroh. oliato al Doc. preceilontc. Libro n." 73, intitolato bu! dorso: « Debitori o creditori. Segnato A. Corsi Iacopo o Bardo, dall'anno 1587 all'anno 1594 ». — Originalo. Car. 563 e DLXIII. * Ibs. M.D.LXXXXIII. Galileo Galilei sopra ili Mesa. Iacopo Corsi deve dare adì 12 di Agosto d. 100. —, portò contanti ; Cassa bavere in questo a 564.A 93. (5. 8. E addì 14 detto, d. 100.— di moneta, portò contanti ; bavere in questo a 564 . . A 93. 6. 8. Car. 569. Ibs. M.D.LXXXXIII. Rode di Federigo de’ Ric¬ ci ... ci fanno buoni .... ... addì detto (S) , d. 150.— di moneta per Baccio Comi; bavere Galileo a 563. . . . A 140._ Cioè . la « Cassa di danari contanti, in mano d’Ottavio Itondinelli ». * Ibs. M.D.LXXXXIII. Galileo Galilei ili contro bavere addì 18 ili Settem¬ bre d. 150. — di moneta, son por valuta d’un organo ven¬ duto il nostro S. r Iacopo a Baccio Comi, e per detto da’ Ricci ; in questo a 569. A 140.- E devo bavere A 40.13.4 (l’oro, fattone debitore il S. r Iacopo Corsi, por essere de¬ bitore sopra di lui; dare in questo a 785. A 46.13. 4. Car. DLXIIII. >£ IllS. M.D.LXXXXIII. Cassa di contro ; ' 5 bavere addi 12 di Agosto d. 100. — di moneta, a Galileo Ga¬ lileo ; dare in questo a 563. A 93. 6. 8. E addì detto 115 , d. 100. — di moneta, a Galileo Ga¬ lilei; in questo a 563. . . . A 93. 6. 8. 1,1 14 agosto. |S) 18 sottombre. SUPPLEMENTO. 573 C:tr. 785. ►F Ih8. MDLXXxxirn. Mesa. Iacopo Corsi per suo conto corrente . 80 ... deve (lare 0 * A46.13.4 d’oro,buoni a Galileo Galilei per essere debitore sopra di lui, et eg 1 i si piglierà la briga di risquoterli ; bavere a 563. A 46.13. 4. XIII, 0 . 12) bis. Scritta di un credito con Francesco Guffliebm. Firenze, 11 agonto 1611. Raooolta Lozzl In Roma. — Autografo di Galileo lo lin. 1 10. I)i fuori si leggo, pur (li mani di Galileo: Scritta di £* 100 di Fran. co da Dicomano. 1611. Adì 11 di Agosto 1611, in Firenze. Io Frane. 60 di Matteo Guglielmi mi chiamo vero et legittimo debi¬ tore del S. Galileo di Vino. 0 Galilei di lire cento di piccioli, quali mi presta gratis, obliandomi io di restituirglieli in 2 some di vino alla prossima ricolta, et il resto in tanto olio, alla sua ricolta parimente, et l’uno et l’altro condottogli a casa et al prezzo che correrà di quelli tempi, obligando per la restituzione me, miei eredi e beni, etc. ; et io Iacopo di Domenico da Villamagna suo cognato prometto per lui, et come suo mallevadore mi obligo in suo difetto a pagare con le sopra¬ io dette condizioni: et in fede sarà la presente sotto scritta da ambedui. Io Iacopo di Domenico Nosi l *\ pregato da sopra detto Francescho, quale disse non sapere iscrivere, sotto iscrivo per lui, e fui presente a quanto di sopra si contiene. » et io Iacopo Martino Figaro, da Iacopo da Villa Magnia sopradetto, qual disse non sapere screscrivere (sic), ò soto scrito per lui, e fui presente a quanto di sopra. La data dallo partito procedenti più prossimo **' Cfr. in questo Voi. XIX, Doc. XIII. o, 5), è 19 dicembre. liu. 43-45. 574 SUPPLEMENTO. Assipnatio scutorum decoro prò monialis introitu. XY, n. 5). Contratto col quale Benedetto Landucci assegna una rendita annua di sondi 10 per sopraddote della figliuola Isabella, monaca in S. Matteo in Arcetri, e Galileo sta mallevadore del promesso assegno. Firenze, 23 settembre 1011. Aroh. Notarile in Firenze. Protocolli dol notaio Curio Ilei Modico. Protor. n° 9782. car. 188t.-184f. n." intorno 205. — Originalo. In Dei nomine amen. Anno Dorainicae Incarnationis millesimo sexcentesimo nndocimo, Indictione 9, dio vero vinosi ma tertia mensis Scptembris, Paulo V Summo Pontifico, et Ser. mo D. Cosmo Medicea, Etruriae Magno Duce 4°, feliciter dominante. Gum nit, prout asseruit Mag.™ 1 D. Benodictus Domini Duce de Landuccis, civis Fiorentini», qual iter Hit. Abbatissa et moniales monastorii S. u Mattimi de Arcetrio, extra ot propo Klorontiam, acceperint in monialom et prò moniali dicti earum monasterii 1). Isabellam, filiam dicti D. Benodicti de Landucis, et de proximo bahitum sit susceptura,’et ipso I). Benodictus de Dandocela (,) eidem Domine Isabelle eius filie velit et desidoret Tacere introitimi saltelli scutorum io dooorn prò eius supradote, ut moris est etiam dicti monaaterii, et hoc in eventum in quem, ut asseruit. ipsa D. Isabella monialis efiiciatur ot professionom expressam euiittat 1 * 1 , intelligatur, et non alias locum liabeat: bine est quod liodie, liac pre¬ senti snprascripta die, constitutus personal iter coram me notario et testibus infrascriptis dictus D. Benedictus do Landuccis per so et suos lieredes etc., sponte etc., et alias ornili moliori modo etc., super uno oius predio, sito in Vica¬ riata .Scarperie, Potestario Decumani, in pnpulo S. u Martini a Poggio, loco dicto Vegna, infra suos notos fines etc., imposuit, oonstituit ot assignavit ammani prc- stationem scutorum decem de £ 7 p. H prò sento, irnmunem ot exemptam ab orimi onere et aggravio, ita ut efiectus sit quod singuli anni (sic) dietimi mona- 20 stentini consequi babeat totos et inlegros florenos decem, et loco supradotis diete Domine Isabelle eius filie, prò moniali acceptate in dicto monasterio S. 11 Matthei de Arcetrio ot sororis Clare vocànde, dictis monialibus, licet absontibus, et me notario presente, ut publica persona prò oisdem absontibus recipiente, stipulante et acceptantc; cum hoc tamen, quod si dieta Domina Isabella monialis non efiiciatur et professionom expressam non emittat. huitismodi obligatio locum non r,p * et il® proximo. .. Landuccis » raziono dol notalo: « approbo. Carolila notarlus ». sono aggiunte in finodol rogito, con sot?no di ricliiamo «*• In mancino ò notato d’altra ninno: « d. c. innanzi a « eidem Domine Isabelle * 0 con l’appro- 24 Norembri* iOJt ». SUPPLEMENTO. 575 habeat et sit nulla et nullius roboris et momenti; alias, a die quo monialis efìi- ciatur, currere incipiat, ot de sex mensibus in sex raenses persolvi debeat; et sic cum tali prestatione annua ao onere dictorum scutorum decom dictus D. Be- 80 nedictus de Landuccis supposuit et expresse obligavit, et voluit supposita et obli- gata remanere, dieta bona, in meliori ac ampliori forma latissime extcndenda iuxta stylum notariorum l'lorentie et ilici notarii, ad scnsum sapientis etc., ad favorem diete Domine Isabelle eius tilie ot dieti inonasterii lieet absentis e.t mei notarii presentis, recipientis et stipulantis; et ad maiorem cautelali!, ipsam vel dieti mo¬ na sterii procuratorem constituit legitimas procuratrices, prout in re propria, ad oxigendum et percipiendum dietam annuam prestationem singulis annis ex dict.is suis bonis, cum pieno et libero, generali vel speciali mandato, ad id necessario et opportuno; et soluni sibi reservavit, teinpus et terminus {sic) quinque annorum proxinie futurorum ali liodie, et interim quandocumque, ad liberandum dieta 40 bona a dieta annua prestalione dictorum scutorum deceni, quoticscunique eisdem monialibus prò supradoto diete Domino Isabelle eius tilie solverit et exbursaverit senta duceutum, ita ut solutis et numeratis diete monasterio dictis se. 200, tane dieta bona libera et franca sint et esse intelligantur a supradicto onere et annua pre8tatione; et preterìtis dictis quinque annis, quod non fuerint cxbursata dieta V Ul 200, tune eogi et compelli voluit ad solvendum et exbursandum omnibus iuris et facti remediis opportunis, usque ad integram satisfactionem dictorum V torum 200, renuncians specifice et precise omnibus eius favoribus, ornili meliori modo etc., ad favorem dietarum monialium: et precibus et mandatis dieti D. Benedieti de Landuccis Mag. 0 " 8 D. Galileus quondam 1). Vincentii de Galileis, civis Florentinus, 5o sciens non teneri sed volens teneri et efficacitor ohligari, sponte etc., per se et suos heredes ctc., et alias Omni meliori modo etc., solemniter lideiussit et fideiussor cxtitit, uti principalis, principaliter et in soliduni se obligando prò dieta annua prestatione semper manutenenda, super dictis bonis imposita et constituta et annuatim so’.venda ut supra, dicto monasterio ad effectum predictum, licet absenti, et niihi notario presenti etc.; et quod dictus D. Benedictus do Landuccis lideiussor omnia et singola in presenti instrumento attendet et observabit, alias de suo proprio attendere et observare proniisit per omnes clausulas cum predictis et aliis clausulis consuetis. Que omnia proniiserit (sic) attenderò sub pena dupli etc., que etc., qua etc., prò qui bus etc., obligaverit etc., renunciaveri u etc., quibus etc., co prò guarantigia etc. Rogans etc. Actum Florentie, in Archivio DD. Canonicorum Metropolitane Fiorentine, presentibim ibidem IIl. ribus DD. Horatio de Quaratesis et Bongianne de Gianlì- gliaccis, ambobus Canonicis Florentinis, testibus etc. 576 SUPPLEMENTO. XVIII, b, 5). Sonetto indirizzato a Galileo dagli stampatori della Difesa contro allo calunnio ei imposture (li Baldessar Capra. [Venezia, agosto 1607J. J3ibl.Naz.Fir. Appendice ai Mss. Gal., Busta intitolata sul dorso: «9. Galileo. Lavori por servirò alla Vita di Galileo, raccolti dal Viviani o dal Nolli », car. 368. — Originale. Eeolente Signor, ra*è stA ordenà I)a tutti quanti quei de Stani paria, Che rengratia la Vostra Signoria Del bel presente che la n’ha (lonà. Cusì preghemo Dio, che come K1 g’ ha DA. gratia in reprovar chi 1* ha tradia A torto, che in favor sempre ’1 ghe sia Per tutto ’l mondo e dove E1 l’ha esaltà ; E qual volta ghe accada de stampar Qualch’ altro parto del so bel inzegno, Che impedissa a le Cavre el rampegar. E1 nostro burnii servir ghe demo in pegno, Quando però la so vorrà degnar De comandarne, e no passar sto segno. De la V. Sig* Ec. ma Devoti Ser. rl I stamp. ri de la so opera, e Bonif.° in nome de tutti ile bottega^s-s-. io Fuori : Al Ec. ni ° Sig. r Galileo Galilei, Lettor Matematico, Patron Osser. rao 20 SUPPLEMENTO. 577 XXVI bis. CONTO DI GALILEO CON LA GUARDAROBA MEDICEA. (Firenze, 1618?). Arch. di Stato in Firenze. Guardaroba Medicea, Libro 865 (Debitori o creditori della Guardaroba. 1(518- 1688), car. 78. — Originalo. Sig. 1 ' L)oLt. ro Galileo Galilei dove dare, che tanto l’assegna debitore il libro delle Campagnie segnato E a 28 : Un pezzo di calamita quadrante, senza guarnire, drento a una cassetta di noce rinvolta in uno sacchetto di pergameno turchino.n. 1. Ant.° Maria Bianchi deve bavere, che tanto l’assegnia creditore il libro delle Campagnie segnato E a c. 28 : Un pezzo di calamita quadrante, senza guarnire, drento a una cassetta di noce rinvolta in uno saccetto (sic) di pergameno turchino.n. 1. XXVII, e, 6) bis. Nomina eli Vincenzio Galilei a Cancelliere dell’Arte dei Mercatanti e della Zecca. Noli’Arch. di Stato in Firenze, Magistrato Supremo, Libro 4820 (Deliberazioni pubbliche. 7 agosto 1626 — 13 maggio 1639), pag. 194, si ha reiezione di Vincknzio Gaulki a Cancelliere dell’Arte dei Merca¬ tanti o (lolla Zecca, fatta dal Magistrato Supremo il 22 giugno 1685 in seguito al rescritto granducato dol 16 giugno (cfr. Doc. XXVII, e, 6). Il documouto di tale elezione è noi termini seguenti: A dì 22 detto 10 . Item elessero (,) : Mess. Vincentio di Mess. Galileo Galilei in Cancelliere dell’Arte de’ Merca¬ tanti, in luogo di Ser Curtio Portelli (S) defunto, per entrare di presente e stare a beneplacito di S. A. S., con ulìitio, salario, emolumenti, oblighi, carichi et altre cose solite et consuete. Mandantcs etc. **> Giuguo 1685. nella ltopublica Fiorentina. <*> Intendi, i SS. ri Luogotenente e Consiglieri < 8 ' Cfr. Voi. XIV, n.° 2166, liu. 7. XIX. 78 578 SUPPLEMENTO. XXX, a) bis. Deposito skohkto al Monte pi PiktX. 1635-1638. Dall» lotterà di Qami.ro a Marzio Mauri in data dei 19 dicembre 1688 (ofr Voi. XVI, n.® 8226) risulta elio in quol touipo Gai.imio oltro ni 8600 fiorini depositati ni Monte di Piotà sotto il mio nomo (efr. Voi. XIX, Doc. XXX, «. li». 116-122 dulia colonna di destra), teneva sul medesimo Monto altri 600 fiorini « postivi alcuni musi fa sotto persona innominata ». Tra i numerosi dopo.iiti fatti sotto persona innominata, o, corno dicevano, « da amico apparento ».cho si hanno nei Campioni dol Monto ili Piotò, non dubitiamo di riconoscere il deposito di Gamlko in quello di cui trascriviamo qui appresso lo partito, non tanto perchè, n nomo doli'amico apparente, versa la somma dei 500 fiorini il congiunto del Nostro Giri Boociiixmi (chò questi presta .simile ufficio anche in nitri depositi allunimi), quanto porche (oltro alla convenienza dulie date e della somma depositata) i frutti del deposito segroto ven¬ gono riscossi, volta per volta, dallo medesimo porgono (cioè il servitore di Galileo o Marco Ambro- uktti) dallo quali Gai.imio facova riscuòterò I frutti dol deposito paleso e a lui Intestato (efr. Voi. XIX, Doc. XXX, «i. liti. 121-187 della colonna di sinistra), o lo riscossioni dei frutti del deposito paiosa o del segreto vengono fatto negli stessi giorni, ami, possiamo diro, all'atto istcsso o Putin dopo l’altra «*’, corno Gamlko in Ila citata lettor* del 19 dicembro 1635 insinuava 1,1 : o questo accordo perfetto di persemi o dato indio riscossioni dei frutti si verifica por tutto il tempo che dura il deposito segreto, lino al momenti ili cui il capitale di questo ó ritirato il 24 marzo 16:1^ da Vixckxzio, figliuolo di Gamlko, elio il giorno medesimo corno sappiamo, versò la medesima somma ili 500 fiorini nel deposito paioso (efr. Voi. XIX, Pie. XXX, a, lin. 1-16-150 dolla colonna di destra). Aroh. di Stato in Firenze. Monto di Piota, Libro 881 (Campione intitolato Dt^oeUi liberi U, 1634-1637), car. 1039 o MXXX1X. - Originale. Ihs. M.* MDCXXXV. 1636. Un amico apparento di contro dare a’ 17 di Giugno f. 17.18.4 di moneta per meriti, portò contanti Giuseppe di Si- mone Massi, presentatore della patente; a Uscita 183, Cassa 1134 . . . f. 17.18.4. E addì 2 di Gennaio J) , f. 12.10. — per meriti, portò contanti detto Massi, presentatore della patente; a Uscita 225, io Cassa 1218.f. 12.10. — 1637. E addì 22 di Giugno, f. 12.10. -, portò contanti Marco Ambrogiotti, pre- Nello registrazioni di Cassa (che sono noi Campioni medesimi dai quali abbiamo trascritto le partito personali), come puro nei Libri di Entrata o Uscita, i pagamenti dei frutti del deposito segroto e del deposito patente, intestato a Galilro, sono so¬ gnati quasi sompro l'uno immediatamente sotto al- 1 altro; il elio .'Ombra indicare cho i pagamenti stessi fossero fatti l'uuo di séguito all'altro, al momento IllS. M.D.CXXXV. Uno amico apparente [g] bavere a dì 13 Ottobre f. cinque cento di moneta, recò Geri Ilocchinori contanti per valuta di luoghi cinque del nostro Monte ven¬ duti al detto amico; o li frutti, si corno anco li capitali, si possono pagare a chi presenterà la patente; a Entrata 9, Cassa 1034.f. 500.- 1637. E addì 30 Dicembre, f. 55.8.4 di moneta, buoni per meriti di questo conto; in questo.f. 55.8.4. medesimo. Il 19 dicembro 1635 però non furono riscossi i pochi frutti del doposito sogreto, maturati noi meno elio tre mesi dacché ora stato versalo : uia furono ritirati, insiome con quelli del seguente semostro, il 17 gl izno 1636: efr. qui appresso, lin. 2-0 della colonna di sinistru. 1687. SUPPLEMENTO. 579 sentatore della patente; a Uscita 256, Cassa 1300.f. 12.10. — E addì 22 Dicembre, f. 12.10. — per meriti, portò detto Marco, pre¬ sentatore della patente; a Uscita 297, Cassa 1363.f. 12.10. - f. 55. 8.4. f. 500.- Aroh. citato. Monte di Piota, Libro 834 (Campiono intitolato Depositi liberi li, 1(537-1040), car. 843 o DCCCXXXXIII. Ihs. M. a MDCXXXVII. IllS. M. a MDCXXXVII. Un amico apparente |TTJ di contro dare Un amico apparente G bavere addì a’ 24 di Marzo 10 f. 505.16. 8 di moneta, primo di Gennaio 0 ' f. cinquecento di mo- clie f. 500. — por capitale e f. 5.16.8 per lieta per luoghi cinque del nostro Monte, meriti; portò contanti (sic)', a Uscita 117, consegnaci per creditore il Libro de’ li- Cassa 1076 . . . f. 5.16. 8. f. 500.- beri segnato (x, 1039, per pagare tanto portò contanti Vino. 0 Galilei, preseli- i frutti che li capitali a chi presenterà tatoro della patente. la patente ; in questo 840 . . f. 500.- E adì 24 Marzo 01 , f. 5. 16. 8 moneta io so li fanno buoni per resto di meriti ; in questo 1061.f. 5. 16. 8. XXXIII, b) bis. Galileo riceve la piuma tonsura clericale W. Firenze, 6 aprile 1631. Aroh. dell’Aroivesoovado di Firenze. Libro di Cancelloria e Ordinazione doi Oberici, 1028-1634 car. 129r. — Originale. Die 5 mensis Aprilis 1631. lll. ,n,,a et R. mus D. D. Archiepiscopus Florentinus concessit litteras dimissorias Littero diinissoric. admodum 111. D. Galileo Vincentii de Galileis Fiorentino, ut ab admoduin 111." 5. <’> Di stilo fiorentino. Ol Di stilo fiorentino. i*l Di stile fiorentino. <*> Cfr. in questo Voi. XIX, Doc. XXXI11, b), lin. 48; o, 1, a), lin. 7; o, 1, [3), lin. 7 ; c, 2, y). lin. 12. I 580 SUPPLEMENTO. Promotio special!». Mandatasi. ot R. mo D. Alexandro Strozzio, Episcopo Andriensi, ad primam clericalem tonsu¬ rarli tantum se promoveri lacere possit; et predicto U."'° I). Episcopo ad effectum predictuin territorium concessit ornili meliori modo etc. Mandans etc. Eadem die, post premissa. Admodum 111. et R. raM I). I). Alexander de Strozzis, Episcopi» Andriensis in vini liccntie et territori sibi concessi, in decenti habitu constitutus ac ser¬ vati» dobitis ceremoniis et aliis iuxta ritum S. R. E., promovit et ordinavit ad io primam tonsurata tantum I). Galileum Vincentii de Galilei» Florentinum pre- sentem etc., orimi meliori modo etc. Actum Florentie, in domo prcdicti R. ml I). Episcopi Andriensis, presentitala ibidem R. D. Ioanne Maria do Bassis et I). Xiccolao de Aldinis, clericis Fioren¬ tini, teatibus etc. XXXIII, c. 1. r). Procura di Galileo a Lodovico Un it, Ili per riscuotere la pensione sopra la Mansioneria della Cattedrale di lìrescia. A ree tri, 1° aprile 1684. Arch. Notarile in Flrenxe. Protocolli del notaio Tommaao Centenni, Pretoc. n.° 13455. car. 12r.-14r., n.° intorno 7. — Originale. In Dei nomine amen. Anno Domini nostri lesti Christi ab Eius salutifera Incarnatione millesimo sexcentesimo trigesimo quarto, Indictione secunda, die vero prima mensis Aprilis, Urbano Octavo Summo Pontitice, et Ser. mo Ferdi¬ nando 2 Cfr. Voi. XV, n.« 2696, liu. 16-22. SUPPLEMENTO. 583 2) Informazione degli Ufficiali di Decima sulla supplica precedente, e rescritto granducale della grazia concessa. Firenze, giugno 1633. ! Aroh. di Stato in Flronze. Filza citata al doc. procedonto, n.° iutorno 105. — Originale. La Urina ili Lokknzo Altoviti, uno degli Uflìziali di Decima, ò autografa. Ser. ,n0 G. Duca, (ìli inclusi infrascritti supplicanti0) liavomlo mancato di far descrivere ne’loro conti le X'"* de’beni da loro con diversi titoli o ragioni in vario tempo acquistati, sono incorsi in pena dello tre X 1 " 0 , annotata a ciascun di loro respettivamente. Della quale, per essersi notificati da loro, couseguiscouo il 3°. Ricorrendo del restante per grazia a V A. 8., alla quulo facciamo burnii reverenza. Quum Deus. Vincenzio Galilei, Lion Nero.£ 4. li. 6. M.» Cassandra Baccelli, 18°, 100. }l 101 8.6. Androa di Gabbi-ielle Capanni, S. .Spirito.1. 5.3. IO Niccolò Villani, S. Giovanni.£ 2. 16.6. Della nostra Audienza, li 9 di Giug." 1633. Di V. A. S. Di uiauo di Kkhojjia.niiO 11: F e r. K di mano di Andiika Ciom: Essendosi notificati da loro, liabbino grazia. And. a Ci oli. 12 Giug. 0 1033. Hmnilis. 1 Servi Gli Uff. 11 di X.» Lorenzo Altoviti. 3) Vincenzio Galilei inscrive alla Decima la casa acquistata. Firenze, 80 giugno 1633. Arch. di Stato in Firenze. Archivio della Decima, u.® 2896 (Arroti doil’anno 1683, Quartiere S. Croce), u.° interno Gl, car. 140 ‘*>. — Originalo. Quartiere S. Croce. Lion Nero. Mess. Vincenzio di Mess. Galileo di Vincenzio Galilei, Decima ’618 di nuovo, disso in dotto suo pudre a 26. «*> Lo supplicho degli infrascritti sono incluso <*' Cfr. in questo Voi. XIX, Doc. XXV11, /'), in questa informazione. lin. 1*4. 584 - SUPPLEMENTO. Sustanzo. Una rasa con orto, conserva d'acqua o corte, posta in Firenze su la Costa a San Gior¬ gio: a primo, via maestra; a 2' 1 °, via detta la Cava; 3°, 4°, Iacopo o Hastiano Zuccugni, infra etc.: per X“' a , la metà, di f. 1.11.6, o l’altra metà è per uso: Arroto 1(504, n.° 211. Comprò detto da Iacopo di Marco Bramanti Boschi per f. 712 moneta; rogato Mesa. Graziadio Squadrini sotto dì 20 di Xhre 1629, fedo di n.° 296. E si leva dalla X" 1 * 617, a parte, Scala, a 21, da Bramante n Iacopo di Marco Bra- 10 manti Boschi. Acconcia con presenza di Mesa. Gerì Bocchineri, questo dì 7 Giugno 1633. Salda adì 30 detto per partito del Magistrato, e gli tocca di decima f. 1.11.6, che non si levano da persona per venire dal libro a parte, Gonfalone Scala... f. 1.11.6. Ottenne grazia da S. A. S. di remissione in buon dì e della pena, per rescritto in Filza 28“ di suppliche, n.° 105: però non si dee coudannuio. N A R RA ZIONI B IO GRAFIC H E DI CONTEMPORANEI. 14 xix. ■*» I. DALLA CRONACA DI ANTONIO PRUDA. (21-25 agosto 1600). Bibi. Palatina in "Vienna. Mss. Foscariniani, n.° 53, car. 893<.-894r. — Copia di mano sincrona. 21 Agosto 10 . Andai io [Antonio q. ,n ] i * ) Geronimo Priuli Procurato!* in Cam¬ pani] di S. Marco con l’Ecc.*® Gallileo, et S. Zaccaria Contarini q. m Bertucci, e S. Lodovico Falier q. m Marco Antonio, et Sebastiano Venicr q. m Gasparo, S. Zac¬ caria Sagredo de S. Nicolò, S. Piero Contarini de S. Marco, S. Lorenzo Soranzo de S. Francesco, et l’Ecc.** l). r Cavalli, a veder le meraviglie et effetti singolari del camion di detto Gallileo, che era di banda, fodrato al di fuori di rassa gottonada cremesina, di longhezza tre quarte ~ c8) incirca et larghezza di uno scudo' 0 , con due veri, uno .... t5) cavo, l’altro no, per parte; con il quale, posto a un ochio e aerando l’altro, ciasclied’uno di noi vide distintamente, oltre Liza Fusina e Mar¬ io ghera, anco Cliioza, Treviso et sino Conegliano, et il campaniel et cubbe con la facciata della chiesa de Santa Giustina de Padoa: si discernivano quelli che entra¬ vano et uscivano di chiesa di San Giacomo di Muran ; si vedevano le persone a montar et dismontar de gondola al traghetto alla Collona nel principio del Rio de’ Verieri, con molti altri particolari nella laguna et nella città veramente ami¬ rabili. E poi da lui presentato in Collegio li 24 del medesimo 1 ' 0 , moltiplicando la vista con quello 9 volte più. U» 1609. <*' Autore della cronaca fu Antonio q. m Giro- i.amo Pridu: Pomissione delle parole che agtriun- piamo fra parentesi quadro ò certamente svista doli’ amanuense. < 3 > Intendi, di braccio, o probabilmente del brac¬ cio da lana, che era 0.’" 683396: quello da seta era inveco 0." 1 638721. (M Lo scudo d'argento c dolla croco » aveva un diametro di inni. 42. < B1 I puntolini sono nel manoscritto. '•> Cfr. Voi. X, n.° 228. 588 L DALLA CRONACA DI ANTONIO PJÌIULI. Ms. clUto, car. 388<. riavendo il D. p Gallileo Gallilei Fiorentino, lettor dello Matematiche nel Studio di Padoa, presentato in Signoria il giorno d’beri un instrumento, che è un Occhialo cannon di grossezza d’un scudo d’argento poco più e longhezza di manco d’un dol Gallilo®. 1,raccio, con due veri, l’uno por capo, cho presentato all’occhio moltiplica la vista nove volte di più dell’ordinario, che non era più stato veduto in Italia, poi che altri dicono non esser sua inventiene, ma esser stato retrovato in Fiandra, et che parve miracolo dell’arte, se ben poi doppo se ne sono fatti infiniti, et sono ve¬ nuti a prezzo bassissimo et indie mani d’ogn’uno; fu perciò, 25 Agosto, deliberato in Senato di ricondurlo in vita sua alla predetta let¬ tura dello Mattematiche, con stipendio do mille fiorini l’anno; se bene egli, o io disgustato dal premio, o allettato da maggior speranze, partì poooo doppo dal servitù). 589 IL DAL DIARIO DEL VIAGGIO DI GIOVANNI TARDE IN ITALIA. iNovumbre-diceinbre 1014). Bibl. Nazionale In Parlili. Fonda Pórigord, T. CVI, car. HO (già 21)-88 (già 36). — Autografo. Le raardy XI {,) , jour saint Martin, sonimes arrivés A Florence une heure après midy. Lo niercredi au matin je vis le Seigneur Galileus Galilei, philosopho et astrologue très faineux, lequel je trouvay ilans sa maison et dans son lit A causo do quelque indisposition. Je lui represontay que sa reputatimi avoit passé les Alpes, traversò la France et eBtoit, parvenuo jusques A la mer Occéane; que A Bordeaux nous avions veu son tiidcreus Nuntius , qui nous avoit apportò la nouvelle de ces nouveaux cieux et nouvelles planettes ; que j’avois creu qu’il ne s’estoit pas arrestò A ces observa- tions, mais que il en auroit faict d’autres A suite de celles-lA; que, allant A io Rome, je n’avois voulu passer si pròs do luy sans avoir l’honneur de le voir et Tentretenir sur ces nouveaux phénomònes. Par sa response, après les paroles de compliment, il me dict que, quand aux quatre planettes qui accompaignent Jupiter, appelées Sidera Medicea par son Si- dereus Nuntius, elles estoient vrayraent estoiles et perpétuelles ; qu’il avoit ob- scrvé fort exactement leurs mouvementz et périodes, et mesmes y avoit dressó dea óphómerides pour le toinps A venir, lesquellos il me fit voir; que, depuys, il avoit remarquò doux petites estoiles contigues A Saturile, qui ne l’abandonnoient jamais et ne s’esloignoient pas de luy plus que d’une minute, tellement que ce jilaiiette sembloit compose de trois estoiles conjointes ensemble et disposées en 20 ligne droite, paralèlle A l’òquinoctial, en ceste sorte oOo, celle du millieu excé- dant en grandeur les aultres deux, lesquelles du commencement il avoit creu ne taire que un raesme corps ; mais quelque teinps après il avoit veu celle du milieu toute seule, et avoit demeuré estonné, ne sacliant qu’estoient devemies les aultres, ou si elles s’estoient anéanties, ou si Saturile les avoit devorées comme ses propres enfans, ou si ce avoit estó quelque illusimi du cristal de la lunete, qu’il appelle en un mot télescope; qu’il avoit aussi observé que Vénus change de face tout ainsi que la lune, ayant A notre aspect son renouvelement, accroissement, plé- nitude et diminution; que en sa conjonction avec le soleil, qui se faict en son apogée, et au del A du soleil lorsqu’elle est directe, elle nous n lontre sa face ronde, (») Novombre 1614. 590 II. DAL DIARIO DEL VIAGGIO DI GIOVANNI TARDE IN ITALIA. mais forfc petite; et allant son esloignement selon l’ordre dea signes, sa ron- 30 deur se diminue, et en sa plus grande distance vient en demy cercle, cornine la lune au quarteron ; et ce demi-cercle se diminue à mesure qu’elle s’approcbe de son aultre conjonction, qui se faict en rótrogradant et en son périgée, et lors on ne voit que un petit filel de sa lumière, cornine A la lune deux jours aprèa sa conjonction ; mais cette faucille lumineuse monstre un corps plus grand dix fois que celili)' qu’on a veu lorsqu’elle estoit en son auge ; ce qui montre évidemment que Fesphère de Vénus n’est pas inférieure au soleil, et n’est pas concentrique avec la terre, ains, selon Fadvis des Pytagoriens et de Copernicus, a son centre avec colluy du soleil et faict son mouvement A l’entour d’icelluy, et non à l’entour de la terre. 40 Après tous ces discours je l’interpellay sur les réfractions et moyen de former le cristal du télescope en tede sorte que les objectz s’agrandissent et s’approchent à telle proportion qu’on veut. A cela il ine respondit, que ceste Science n’estoit pas encore bien cogneue; qu’il ne sgavoit pas que personne l’eusse traitéc, autres que ceux qui traitent la perspective, si ce n’est que Ioannes Keplerus, matcmati- cien de l’Einpereur, qui en a faict un livre exprès, mais si obscur qu’il semble que l’autheur mesme ne s’est- pas entendu. De tout ce discours je fis profit seulenient de deux tlìéorèmes, qui sont iinportans en l’afFaire: le premier, que tant plus le crystal convexe prend une portion d’un plus grand cercle, et le concave d’un plus petit, tant plus on voit loin: l’autre, que le canon du télescope pour 60 voir les estoiles n’est pas long plus de deux piedz; mais pour voir les objectz qui nous sont fort proolies, et que nous ne pouvons voir à cause de leur petitesse, il faut que le canon aye deux ou troys brasses de longueur. Avec ce long canon il ine dict avoir veu des moucbes, qui paroissoient grandes comme un aigneau; et avoit appi-ina qu’ellcs sont toutes couvertes do poil, et ont des onglcs fort pointues, par le moyen desquelles elles se soustiennent et cbeminent sur le verre, quoyque pandu à plomb, mettant la pointe de leur ongle dans les pores du verre. Sur la fin de tous ces discours je le priay de me monstrer ses télescopes, pour voir les dimentions tant du crystal que des canons. A quoy il me fit response, co 89-40. Dopo à l’entour de la terre nell'autografo si legge il .seguente brano, caucollato: Me dict aiuti qa il y avoit de» litahee au soleil, auesi nray que à la lune, leaquellea il aooit veues et oUerof.es, faict voir et osservar il plusieurs prélatz et ijens d‘esprit il Home et aillcvrt ; que cc n’estoient pus nppnrcnccs sculc» ou illu¬ sioni de la veue. et du cristal, «nata c ho set r falca ; que le aolcil, allant du ler.nnt au ponant, Ira emporloit quand r.t toy, et néanmoina elica no reatoient pus d'avoir un mouvement propre et péculier, qui est circuiti ire, sur la Jacc du soleil, laquellc altea pnrcourcnl dans quatorze joura ou enniron, descrivimi sur {celle de» lignea preaque aenildahlct à celici que font Véntia ou Me.rcure quand ilz pasacnt, lors de leur» conjonction», elitre le soldi et non»; elle» ne sont pas noires, ni moina lucide» qua colica de la lune quand elle est en opposition; n’oHt pas seule,nent longueur et largcur; qu'cllea soni capesse»; que les defauts de» parallaxea tuona treni uéccssnirement qu’eUcH ne soni pn » on l’air ou uoiainea de la terre.; et qu’il y a plvsieura urgumens et demonatrations par eaqiulles appari que, si elica ne sont pus contiguea au soleil, elles en sont fort prochea. Cfr. più avanti, lin. 101-119. — II. DAL DIARIO DEL VIAGGIO DI GIOVANNI TARDE IN ITALIA. 591 avoir lo tout en uno maison qu’il avoit aux cliamps à quelques milles de Flo¬ rence, où il offroit me mener tout aussi tost que sa disposition le permettroit et que lo temps soroit beau et clair; et là il me foroit voir non seulement les instrmnens, mais encore leurs effectz, avec promosse de me faire présont d’un de ses meilleurs télescopes.... Le jeudi matin Monsieur de Sarlat 1 ” est allò voir lo Seigneur Galilei, où je l’ay accompaigné. Pendant ceste visite et confórance a esté discouru de plusieurs observations et remarques faictes au ciel par le moyen du télescope: et, entre autres clioses, le Seigneur Galilei nous a faict voir que la surface du corps lunaire 70 estoit autant raboteuse que colle de la terre; que si elle estoit uniforme, bien unie et polye cornino un miroir, elle ne renvoyeroit pas les rayons du soleil vera la terre, ains qu’elle nous seroit invisible au ciel: ce que il a monstré par l’exemple d’un peu d’eaue espandue sur le pavé, qui ne réverbère la lumière du corps apposé que le long de la ligno de réllection, qui faict l’angle esgal à celluy qu’on appello incidenti ac, hors laquolle ligne on ne voit point de réflection. Il a aussy dòclairé qu’il croyoit parfaictement que la terre se mouvoit, et faisoit le tour entier dans vingt quatre heures, et que au ciel n’y avoit aultre mouvement que lo mouvement propre, et nul mouvement de rapidité.... Le sabmedi nous avons séjournò encore à Florence. Le matin j’ay encore 80 veu le Seigneur Galilei; et, en prenant congó de luy, il m’a promia de m’escripre à Rome, ensemble à Monsieur de Balfour 1 * 5 , Principal au Collège de Guienne à Bordeaux; et do plus m’a promis de m’envoyer le crystal d’un bon télescope, et m’envoyer le tout chez le Seigneur Maturin Lo Paintre, so incitatore, in Roma, a la calata di Monte Citorio , appresso il barbuto™. Pendant nostre séjour a Rome'j’ay esté souvent au grand Collège des Jesuites, et ay trouvé que le Pére Cbristophorus Clavius Bambergensis, professeur en la matematique, que j’avois autresfoys cogneu fort privéement, estoit decèdè, il y avoit trois ans passés, et que en sa placo avoit succède un autre, nominò Cliristo- phorus Griambergerius Bambergensis. Et ay aprins que, cornine le siècle passò oo s’estoit randu remarcable à cause des navigations faictes es mondes incogneuz, que costui cy se randoit admirable et recomandable pour l’effort que les hommes faisoient au ciel, lequel sembloit estre conquis depuys que Galileus Galilei avoit le premier posé l’escalade et en avoit raporté la couronne murale; que plusieurs le suivoient couragousement ; que par toute l’Italie et Alemaigne on l’appelloit philosophns linceus; que ces phénomènes dont il m’avoit parlò à Florence, estoient desja cogneues en Italie et en Alemaigne lippis et tunsoribus. J’allay voir le Pére <*> Luigi di Salighac, rescovo di Sarlat. <*> Roberto Balfoob. <»i Cfr. Voi. XII, n.° 1060, liu. 24-26. 1*1 Dal 21 novembre al 18 dicembre 1614. 592 II. DAL DIARIO DEL VIAGGIO DI GIOVANNI TARDE IN ITALIA. Griambergerius, parlay il luy par plusieurs foys sur ce subiect et fi plusieurs de ses escoliers les plus advancés en aage et en sgavoir; tous lesquelz me dirent, avoir veu les plancttos qui sont fi l’entour de Jupiter, les taches de la lune, les taches du soleil, Vénus en forme de faucille, et autres phénomènes dontle Sei- 100 gneur Galilei ni’avoit parlò i\ Florence. J’aprins aussi que les taches descouvertes fi l’astre du soleil mettoient beaucoup de gens en peyne, et qu’on disputoit bien avant de la matière, forme, lieu, mouvement et durée de ces taches. Les uns pensoient que ce soit un ramas et assamblée de petites estoiles conglobées ensemble, pcu esloignées du soleil, qui vont et viennent X l’entour d’iceluy cornine Vénus et Mercure, ou cornine Sidera Medicea derrière Jupiter; les aultres opinent que ce sont des cavitus dans le corps solaire: les uns les croyoient pcrpetuelles, les autres disent en avoir veu plusieurs se perdre et esvanouir avant que avoir achevé de traverser la face du soleil. Leur figure est fort irrégulière, et se raporte plus X des nuées que X touto antre chosc: elles croissent et se diminuent, s’espaissis- no sent et se rarifient, s’unissant plusieurs en ime, et une se divise en plusieurs; mais telle division et auginent se faict vers le millieu du cercle solaire, et l’union et diminution se faict pròs de la circonferance, qui faict croire que plusieurs ne paroissent que une, pour estre lors Fune derrière l’autrc. Au commcncement, les uns les logcoient au ciel de Venus, les autres de Mercure, autres de la lune; mais fi presant on a remarqué qu’elles ont des mouvemens propres, et qu’elles ne suivent en fagon quelconque le bransle de ces planettes; et par desmonstra- tions necessaires on justifie que si elles ne sont pas au corps du soleil ny conti- gues, que au moins elles en sont fort proches. Joint que leur mouvement, qui se faict lentement sur le bord, comparò avec la promptitude de celluy qui se 120 voit sur le milieu, monstre qu’elles font le tour du soleil et sont proches d’icelluy, ou que le soleil se tourne et les emporto quand et soy. On a remarqué que, ayant faict le tour au derrière du soleil, elles reviennent et paroissent derrechef, et par ainsi elles font le tour entier de leur propre mouvement, ou bien le soleil faict un tour et les ramène avec soy. Ce mouvement est remarcable en ce que elles ne passent pas par devant toute la face du soleil; mais si elle estoit diviséc par cinq paralelles en parodie distance ot proportion que ceux de l’esphòre, ccs taches n’excederoient pas les tropiques de plus que les planettes excèdent les tropiques du monde en leur plus grande deelinaison, et une seule tacile no se verroit pas dans les polaires ni près d’iceux. Or il y a quatre moyens de voir ìao ces taches. Le premier, lorsque le soleil se lève, le ciel estant bien serain, une bornio veue les appergoit. 2 , si le soleil entre par un petit trou dans une chambre ou sale si bien fermée que aucune lumière n’entre que par ce mesme trou, le soleil paindra et representera son espece avec toutes ses taches contre l’object opposi te. 3 , si 011 dispose le télescope fi la fenestre d’une chambre, en telle sorte que le rayon du soleil tombe perpendiculairenient sur les deux vcrrcs et que II. DAL DIARTO DEL VIAGGIO DI GIOVANNI TARDE IN ITALIA. 593 antro lumière n’entre ciano la chambre que celle qui passe par le canon du télescopo, opposant un cartoli, on verrà l'imago du soleil uvee toutes ces taches, laquelle sera grande ou petite selon (pio le cliarton sera loin ou près du télescope. 4, regar- uo dant le soleil avec le télescope, et mettant contro les yeux et le crystal concave dea lunetes vertes pour esmousser la pointe du rayon, on vena la face du soleil et ses taches sans difficulté. 75 XIX. 594 III. NOTIZIE RACCOLTE DA VINCENZIO GALILEI. Blbl. Naz. Fir. Mas. Gal., 1\ I, T. 1, car. 126-129. — Di mano ili Vingrazio Viviani, elio prometto questo titolo: « Alcuno notizie intorno alla vita ilei Galileo, avuto da Vincenzio Galilei, figliuolo ot erode lini Galileo». In margino si leggo, di pugno dello stosso Viviani: « Copia. Questo si trovano in mano a’ figliuoli del Sig.Baldi **», elio fu giA Aiutante di Camera di S. A. S., o dal Sig.Baldi io le lio ottenuto questo di 22 9 bro 1661 ». Il Galileo nacque in Pisa l’anno 1563, a’ 19 Febbraio. Compose Vincenzio Galilei, padre del Galileo, e mandò in luce diverse opere, ma specialmente un Dialogo dottissimo Della musica antica e moderna. Tra l’opere d’intavolatura di liuto composte dal padre del Galileo, è alla stampa il primo libro de’contrapunti a quattro (,) voci ; ma molte altre non sono andate in luce. Fu Vincenzio Galilei vuomo singolare in detto strumento, come anco in gioventù il Galileo, e non solo nel liuto, ma nello strumento di tasti ancora. Il Galileo, impiegato nello studio della medicina, per qualche tempo si mo¬ strò alieno dalle matematiche, benché il padre, ch’era in esse valoroso, ve lo io esortasse; finalmente, per sodisfare al medesimo suo padre, vi applicò l’animo: ma non sì tosto cominciò a gustare la maniera del dimostrare e strada di per¬ venire alla cognizione del vero, che lasciando andare ogni altro studio, si diede tutto alle matematiche. 11 Galileo ebbe la lettura delle matematiche nello Studio di Pisa circa l’ anno 1590, nel qual tempo cercandosi di Matematico degno di quella cattedra, il Sig. r Guido Ubaldo dal Monte, persona insigne in quella professione, propose al G. Duca il Galileo, affermando a S. A. che egli era tale che da Archimede sino a quel tempo niuno l’aveva pareggiato, non clic avanzato. L’anno 1592 fu eletto il Galileo lettore delle matematiche nello Studio di 20 Padova : et avendo quivi l’anno 1609 inventato l’occhiale, presentò il detto stru¬ mento alla Sei*. 1 "' 1 Republica in pieno Senato; dove essendo da quei Signori sommamente gradita sì nobile invenzione, ne consegui il Galileo, oltre alle me¬ ritate lodi, uno stipendio a sua vita di fiorini 1000 l’anno, cioò molto maggior di quello che avesse mai avuto alcuno de’suoi antecessori in detto Studio. routine». I11 Fiorenza, iM.D.IiXXXIIU, npprosso Gior¬ gio Marescotti ; lì Tenore (le contrappunti a due voci ili Vincenzio Gai.ii.rt, noli ilo Fiorentino. In Fiorenza, M.D.liXXXIlII, npprosso Giorgio Mnroscutti. D' Iacopo Bai.di. I puntolini sono noi mano¬ scritto. Cosi il manoscritto. Cfr. Canto de oontrap- fimi»' a due voci di VlNCRNZio Gai.u.ki, nobilo Fio- III. NOTIZIE RACCOLTE DA VINCENZIO GALILEI. 595 Continuando il Galileo la lettura nello Studio di Padova con onore et ap¬ plauso grandissimo, nel tempo delle vacanze estive tornava in Firenze, dove beni¬ gnamente ricevuto dal Ser. ln0 G. 1). Ferdinando Primo, si degnò il Ser. mo D. Cosimo, Gran Principe di Toscana, di ascoltar dalla sua viva voce lezzioni di matematica 30 e l’esplicazione dell’uso del compasso geometrico da lui inventato, con intera sodisfazione e gusto di S. A. L’anno poi IfilO 10 , essendosi già sparsa la fama del Galileo per tutta l’Europa, il medesimo Ser. U10 D. Cosimo, già pervenuto Gran Duca, avendo caro d’avere appresso di sè un tant’vuomo e suo devotissimo vas¬ sallo, con sue benignissimo Ietterò do’ 10 Luglio di detto anno richiamò il Galileo a Firenze et al suo servizio, con titolo di Primario Matematico dello Studio di Pisa (bencliò esento dal carico di dover leggere) o suo Primo Filosofo, con sti¬ pendio amplissimo o conveniente alla somma generosità d’un tanto Principe. Delle postili»' o risposte del Galileo a Antonio Hocco, impugnatore del suo Dialogo do i duo Massimi Sistemi, solo una parte se no trova appresso l'erede •io del medesimo Galileo, et anco quella di prima bozza e non ridotta al netto. Fu il Galileo d’aspetto gioviale, massime in vecchiezza, di statura giusta e quadrata, di complessione robusta e forte, e tale che non ci voleva meno acciò ei potesse resistere alle fatiche veramente atlantiche da lui durate nelle continue osservazioni celesti ; nondimeno fu travagliato, da circa 40 anni dell’età sua sino all’ultima sua vita, da dolori artetici o a quelli simili, i quali di quando in quando 10 molestavano, or più or meno. Questi ebbero origine in lui da un soverchio fresco eh’ ei patì una notte d’estate in una villa nel contado di Padova. Quanto fusse stimato il Galileo da grandissimi Principi e Signori, ne ren¬ dono certa testimonianza le lettere onorevoli che da essi riceveva, delle quali r>o gran parte se ne conserva appresso il detto suo erede, e lo dimostrano aperta¬ mente i regali e gl’onori non ordinari da essi ricevuti. Nessun Principe, nessun personaggio di portata, passò mai per Firenze, che non volesse vedere e conoscere 11 Galileo. 11 Ser. mo Arciduca Leopoldo, circa l’anno 1518, trovandosi il Galileo indisposto, lo visitò insino al letto. Il Ser. ,n0 Arciduca Carlo, suo fratello, circa l’anno 1625 essendo in Firenze di passaggio per Spagna, lo regalò d’una bellissima collana gioiellata. Ma quanto fusse caro al suo naturai Signore, al Ser. ,no G. Duca Ferdinando 11° e a tutti li Scr. mi Principi suoi fratelli e di sua Casa, non si può facilmente esplicare. Veramente i favori e gli onori da questi ricevuti, in numero e qualità passarono ogni segno. Ma tacendosi delli altri, non è da passarsi sotto co silenzio questo solo: che trovandosi il Galileo indisposto, l’anno 1638, il G. D. Ser. rao suddetto si degnò di visitarlo in persona al letto, trattenendosi per più di due ore a discorrer seco; esempio raro di affezzione di generosissimo e benignis¬ simo Principe verso un gradito suo vassallo e servidore. Mostrò quel gran Principe, <0 n manoscritto ha: L'anno poi 1600. 596 IH. NOTIZIE RACCOLTE DA VINCENZI!) GAI,ILEI. con tal atto, segno dell’infinita sua magnanimità, o ili (manto onore sia degna o quanto si deva stimare una virtù straordinaria. Simili onori di visita ebbe spesso il Galileo da’Ser. mi Principi fratelli del tirali Duca, e principalmente dal Ser."* Leopoldo; ad instanti del quale scrisse il Galileo una lettera al Poripatetico Liccti, nella quale, contro all’opinione di dotto filosofo, si dimostra conio la luce secondaria nella luna procedo dal reflesso del lume del sole dalla terra nella medesima luna. Si vede la detta lettera to stampata nel libro stesso del suddetto filosofo» ch’ei fa in replica alla medesima lettera. Molto si dilettò il Galileo di staro in villa, nella quale dimorò circa 30 anni, riconoscendo in gran parto la sanità e la lunghezza di sua vita dall'aria aperta o salubre della campagna» e cosi ritirandosi ancora dalli strepiti della città, per poter con più quiete attenderò alle speculazioni e per esser di natura dedito alla solitudine, se ben tra gli amici fu di soavissima e gentilissima conversazione. La sua eloquenza et espressiva era mirabile ; discorrendo sul serio era ricchissimo di sentenze e concetti gravi; no i discorsi piacevoli l’arguzio et i sali non gli mancavano. Facilmente si muoveva all’ ira, ina più facilmente si placava. Ebbe 80 memoria csquisita, sì che oltre alle moltissime cose attenenti a’suoi studi aveva a monte gran quantità di poesie e specialmente gran parte dell’Orlando Furioso dell’Arioslo, che tra i poeti fu il suo favorito e l’autor suo esaltato da lui sopra tutti i poeti latini e toscani. Non era appresso di lui vizio più detestabile della bugia, forse perché mediante le scienze matematiche troppo ben conosceva la bellezza della verità. Si dilettava dell’agricoltura, la quale gli porgeva materia di filosofare e passatempo insieme; e spesse volte per suo diporto attendeva alla coltura delle piante e specialmente delle viti, potandole e legandole di propria mano con diligenza csquisita. Con tutto che fos^e moderatissimo nel suo vitto ordinario, e specialmente nel bere, tuttavia si dilettava di vari vini, de’ quali no gliene venivano di diversi luoghi c specialmente dall’istessa cantina del G. Duca, così volendo la somma benignità di S. A. Morì nella villa d’Arcetri, l’anno 16-42, a dì otto di Gennaio a li. I di notte; nè fu di piccolo pregiudizio la morto sua alli intelligenti della sua professione, poiché morendo egli si persero insieme moltissime proposizioni filosofiche e ma¬ tematiche, che hen egli aveva digerite e resoluto nella sua mente, ma non ancora deposto in carta. T’u il corpo del Galileo depositato nella chiesa di S. Croce di Firenze, non già nell’antica sepoltura de’ suoi antenati, che è in detta chiesa, ma in una stanza dietro alla sacrestia; non senza ferma speranza che sì corno il suo generosissimo ioo Signoro l’onorò in vita, abbia a onorar parimente la sua memoria con qualche degno deposito. 597 IV. RACCONTO ISTORICO I>I VINCENZIO VIVIANI. Il Racconto iitorieo della vita di Galileo, che Vincenzio Viviani Bleso ad istanza del Principe Lkopoldo d»' Mkhioi. in forma di loltora a lui diretta con la data dei 29 aprilo 1054, ò giunto sino n noi in duo esemplari autografi, che l'uno o l’altro nono tentimeli! d'uu lavoro di correzione diuturno, continuato in tempi divorai o prohahilmonto anello dopo la data dolln lettera‘‘‘, conformo 1‘abitudine doli'autoi o di omomlaro o ritoccare, copiare o ricopiare, lo cobo buo pressoché all’ influito, o tanto più in un ar¬ gomento che, por la devozione verso il grando Maestro, dovova parergli non inni abbastanza elaborato o di cui continuò sompro ad occuparsi, con l’iutonziono, non condotta a compimento, di dottare una più particolareggiata Vita di (ìaliloo », rispetto alla qualo il Racconto istorico non sarebbe stato che una prima preparazione od abbozzo •*>. Il primo doi duo autografi (die chiameremo A) ù noi Mano¬ scritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Fi ronzo, P. 1, T. 1, car. 73-118, o non rappresenta noppur osso una bozza di prima composizione, ma ò giù una copia; il secondo (II) occupa lo car. 22-68 dol medesimo Tomo: tutt’o duo sono ricchi di numerosissimo correzioni, interlineari o marginali, a penna o a matita; o il Bocondo ò indubbiamente copiato dal primo, corno dimostrano molto correzioni elio in A sono sognato tra lo lince o sui margini, o in 11 sono trascritto nel contesto, o molti brani elio in A si leggono, o iu //, dopo essere stati copiati, furono cassati: ciononostante aldino correzioni mar¬ ginali o interlineari sono le medesimo in tutt’ o due i manoscritti, cosi elio si direbbero introdotto contomporaneaiiiouto iiuli'uuo o nell'altro, e .sembrerebbe elio il Viviani non considerasse conio del tutto abbandonata la copia .1 noppur dopo elio aveva trascritto l'altro esemplare lì ; il quale ha poi moltis¬ sime o notevoli correzioni od aggiunto di cui in A non ò traccia, e alcuna «lolle quali ò dovuta certa- mento alla conoscenza di nuovi docuuionti da parto deH'aiiloro ,3 '. Oltre ai duo manoscritti dobbiamo considerare Como un terzo originalo dol Racconto istorino la prima edizione di osso, elio si leggo nei Fatti Contalari dell'Accademia Fiorentina di .Salvino Salvimi '*>, o cito il Sai.vini dichiara aver tratto « dall’originalo «li mano dello stosso Viviani, che si conserva appresso l'abate Iacopo Panzanini, suo nipote di sorella o dogno successore nella lettura di matteuiatica nello Studio Fiorentino * ’ 5 » l-a stampa del Salvimi (elio chiameremo .S') si accosta più spesso ai cod. A, ritornando a lezioni elio in II sono stato scartato o corrotto; talora però va invece d’accordo con gli emendamenti introdotti in lì, ed altresì ha lozioni che, anche sostanzialmente, differiscono dall'uno o dall'altro dei codici fino a noi per¬ venuti: e di questo stato di coso, per cui non possiamo assegnare alla leziono della stampa un posto sicuro «olla successione doi vari testi, non é da maravigliare, poiché probabilmente il Viviani non giunse mai ad una stesura ch'egli considerasse definitiva, od il Racconto istorico rimase sempre in fieri. *'i Ciò si arguisce anche dal carattere di questi autografi, il quale prosouta in corte correzioni quello modificazioni di forma die dimostrano varie olà dolio scrivonto. ,5 ' Cfr. Antonio Favaro, Vincentio Vittani e la tua < Vita di Galileo * (Atti del II. htituto Ve¬ neto di teicnxe, lettere « arti. Tomo LX1I, Parte 11, pag. 683-708). Venezia, officino grafiche di C. Fer¬ rari, 1908. ,s > Vedi, p. o., a lin. 195 la correzione di ven¬ tiquattro, che hì leggo in A o nella stampa Salvimi od era stato trascritto dapprima anche in R, in ven¬ tilino: cfr.\o\. XVI, n.® 3398, nollo varianti (lin 20).— Sul recto della car. 24, che ò di guardia del cod. lì, leggesi quosta nota, di mano dol Viviani: « Pntono copia arili.— Sig.r Orazio Kucollai, Gran Contesta¬ bile della Religione di S.*® Stefano, nel modo elio sta qui scritta, con tutto lo rimosso elio sono dentro a i versi e con l’altro rimosse elio son notato in mar¬ gino, dovo ò il segno R; l’altro che non anno con¬ trasegno o sono puro in margine, sono aggiunto da nio dopo fatta la copia per il Sig. r Rucollai; o Anal¬ mente l’altro postillo sognato S sono aggiunto da mo alla copia ancora del .Sig. r Orazio, ma però con lapis scritto in margino ». Noi cod. li vi sono appunto siffatto rimesso marginali, sognato con lo lettore II ed S o senza alcun contrassegno. Noi credemmo affatto imitilo toner nota di tali distinzioni. In Firenze, M.DCC.XV1I, nella stamperia di S. A. R., por Gio. Gaotano Tartini o Santi Franchi, pag. 897-431. < s * Pag. 396. 508 IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. Dinanzi a talo condiziono dol testi noi abbiamo creduto che il miglior pnrtito da seguirò fosso riprodurrò il cod. lì, sia perchè rispetto ad A rappresenta una stesura senza dubbio posteriore o più elaborata, sia perchè della stampa S, non couoscomlo lo stato del manoscritto da cui fu tratta, non possiamo formarci un’ idea precisa nò un apprczzamonto sicuro, o, por quanto dobbiamo cre¬ derò cho il Salvini fosso editore cosciouzioso, pur ci ò lecito dubitare, non senza fondamento, elio «Imono quanto alla forma ritoccasse qua o là il dettato originalo, socondo il vezzo od il gusto dogli editori di quei touipi, sia infine perché (conformo ni criterio da noi tenuto noi pubblicare questo Nar¬ razioni biografiche di contemporanoi) premerà di più allo studioso conoscere la stesura manoscritto, cho non quella ch’egli può ritrovare riprodotta più volto por lo stampo 1 ". Sotto al tosto dol Racconto ùtorico, cho è portante oseinplato fedolmeuto sul cod. B < 2 », abbiamo pubblicato, nello stosso corpo di enrattoro o con richiamo ai respettivi luoghi, alcuno postillo, da noi numerate progressivamente, che nei manoscritti si leggono su’ margini. Appiè di pagina poi abbiamo raccolto, tra lo numerosissimo varianti cho ci risultarono modianlo la diligonto collaziono del cod. A o della stampa S, quello sol¬ tanto che avessero, o almeno sembrassero avoro, qualche importanza storica rispetto alla biografia di (tai.ii.ko, o insieme abbiamo registrato quello particolarità dol cod. lì che o non poterono ossoro accolte noi tosto o dovevano ossoro notato por giustificazione della scrupolosa opera nostra di editori <*>. Ra¬ dunare appiè di pagina tutta la farragino dello differenti lezioni del cod. A c della stampa S a con¬ fronto del tosto cho noi pubblichiamo, o toner conto di tutto lo correzioni elio rendono l’aspetto doi manoscritti in corto pagine talo da far arretrare anello i più volonterosi, tanto ci parvo opera ostranea al compito della nostra edizione, la qunlo si propono di pubblicaro il Racconto ùtorico conio documento della biografia di Gai.ii.ko o non di analizzarne o seguirne lo composiziono attraverso gl' infiniti pen¬ timenti dell' autoro, quanto .sarebbe stato lavoro poco utile per il lettore. Questi, anello dopo lunghe o tedioso spiegazioni, diflìcilmouto si sarchilo formato chiara nozione dolio stato doi codici, e nvrobbo trailo poi scarso profitto dalla disamina di una tal solva di varianti, poiché In parto di gran lunga maggioro fra lo correzioni dol Viviani non deriva da niufcnziono nollo convinzioni o nello opinioni di lui, ma ha intendimento più cho altro retorico, o mira a renderò più decoroso il dottato, piuttosto che a conseguire scrupolosa precisione di racconto : o lo studioso si convincerà facilmente, nuche da quel tauto elio por debito di editori abbiamo raccolto, conio dnll’esamo dei vari originali dol Racconto ùtorico ben poco si può avvantaggiare oggi la conoscenza della vita di Galileo, dopo che qnosta è scritta coi più desiderabili o indiscutibili particolari nei volumi dol Carteggio e noi veri e propri Do¬ cumenti di quosto stesso volume XIX. • l > La stampa del Salvimi fu riprodotta nella prima Edizione Fiorentina dolio Opere dì Gai,ileo (Tomo 1, png. LX-XC), noll’Kdlxiono Padovana (To¬ mo I, png. XI.IX-LXX VI), occ. ,5 > Abbinmo considerato come cancellate lo pa¬ role sottolinoate o sostituito neH’interlinea. Abbinmo poi accettato noi testo tanti lo correzioni scritto a ponna, quanto «inolio a matita nera (o qualche rara volta, rossa), sobbollo quest’ultimo appariscano tal¬ volta appena appena sognato, o si possa dubitare so fosso intenzione dell'autore elio restassero in via definitiva; e ciò c conforme alla condiziono di questo tosto, elio, come abbintn dettp, rimase sempre in furi. Non metteva conto notare di volta in volta so lo correzioni orano a ponila o a matita. Vogliamo invoco espressamente avvertire elio alcune dello cor¬ rezioni a matita sono già oggi a stento leggibili, cosi clic non andorà molto che, scomparsa ogni traccili della matita, più non si distingueranno. < s ' P. o., in qualcho luogo il Viviani sopra a una parola, tra lo lineo, no scrivo un’altra, senza cas¬ aro o sottolinoaro la prima: in quosti casi abbiamo accottato noi testo la parola scritta tra lo lineo, ma abbiamo avvertito come le coso stanno. IV. RACCONTO ISTORIO© DI VINCENZIO V1VIANI. 599 Al Ber.'" 0 Principe Leopoldo di Toscana. Racconto isterico della vita del Sig. r Galileo Galilei, Accademico Linceo, Nobil fiorentino, Primo Filosofo e Matematico delFAltezze Ser. mo di Toscana. Al Ser. rao Principe Leopoldo di Toscana, mio Big. 1 ' et P.ron Gol. mo Ser. mo Principe, Avendo V. A. B. risoluto di far scriver la vita del gran Galileo di gloriosa memoria, imposemi clic, per notizia di chi dall’A. V. S. è destinato per eseguire io così eroico proponimento, io facesse raccolta di ciò che a me sovvenisse in tal materia, o d’altrove rintracciare io potesse: onde, per obbedire con ogni maggior prontezza a’ cenni dell’ A. V., reverente le porgo le seguenti memorie, spiegate da me con isterica purità, c con intera fedeltà registrate, avendole estratte per la maggior parto dalla viva voce del medesimo Big. 1 ' Galileo, dalla lettura delle sue opere, dalle conferenze e discorsi già co’ suoi discepoli, dalle attestazioni de’ suoi intrinseci o familiari, da pubbliche e privato scritture, da più lettere de’ suoi amici, e finalmente da varie confermazioni e riscontri che le autenticano per verissime e prive d’ogni eccezzione. Nacque dunque Galileo Galilei, nobil fiorentino, il giorno 19 di Febbraio del 1563 20 ab Incarnatione, secondo lo stil fiorentino, nella città di Pisa, dov’ allora dimo¬ ravano i suoi genitori. 11 padre suo fu Vincenzio di Michelangelo Galilei, gentiluomo versatissimo nelle matematiche e principalmente nella musica speculativa, della quale ebbe così eccellente cognizione, che forse tra i teorici moderni di maggior nome non v’ è stato sino al presente secolo chi di lui 10 meglio e più eruditamente abbia 1-4. Quest’intitolazione si logge davanti al cod. B., a car. 24r. Sul tergo della stessa car. 24 si legge: Al Scr. mo Principe Leopoldo di Toscana. Notizie varie per la descrittone della vita del Sig. r Galileo Galilei, j\ohil fiorentino, Accademico Linceo, Primo Filosofo e Matematico dell'Altezze Ser. mt di Toscana, raccolte ad iattanza del Ser. no Principe Leopoldo da Vincenzio Viviani. — 20-2L. dove allora per domestici affari si tro¬ vavano i suoi genitori, A. Cosi fu trascritto in B, dove poi fu corrotto corno stampiamo noi tosto. Trascrivendo questo passo nel secondo inizio del cod. B, che pubblichiamo nella nota 1 di questa pagina, il Viviani scrisse : dove allora accidentalmente dimoravano i tuoi genitori, 0 poi sottolineò accidentalmente 0 scrisso tra lo linee qter domestici affari. — In luogo dolio liu. 19-21 la stampa S leggo: Nacque dunque Galileo Galilei, nobil fiorentino, il dì 15 di Febbraio 1664, allo stile romano, in martedì, in Pisa, a ore 22—, altri a ore 3. 30 dopo mezzo giorno, e fu quivi nel Duomo battezzato a dì IO Febbraio detto, in sabato, essendo compari il Sùj. Pompeo e Mese. Averardo de’ Medici; et il sopraddetto giorno 15 di Febbraio 1664 precedi di tre giorni quello nel quale morì in Roma il divino Mieli eia gnolo Buonarroti, che morì alti 13 Febbraio 1664, al Romano. — CD il cod. B ha un doppio inizio, avendo dop- abbinino qui sopra pubblicato; o nella car. 25r.-t. e pia la prima carta: cioè, nella car. 22r.-f. si leggono sul margino suporioro della car. 26r. si ha quanto le liu. 5-25, lino alle paiolo chi di lui, conformo lo qui appresso stampiamo; o tanto l’uno quanto l’altro / IV. RACCONTO ISTORI CO DI VINCKNZIO VI VI ANI. UOO scritto, come ne fanno chiarissima fede 1' opere sue pubblicato, e principalmente il Dialogo della musica antica e moderna, eh’ ei diede alle stampo in Firenze nel 1581. Questi congiunse alla perfezione della t'orica l’operativa ancora, toc¬ cando a maraviglia varie sorti di strumenti e particolarmente il lento, in che fu celebratissimo nell’età sua. Ebbe della Sig. r * Giulia Àrumannati sua consorte più figliuoli, et il maggior de’ maschi fu Galileo. 31. Ubi, e dalla Sig. rm Giulia ... tua contorte, A. Cosi fu tr»«fritto in B. doro poi ai jmutolini fu «osti- tuito, di ninno che non ò quali» del Vituni, il coglioni» A' « della Sig. iliuha Ammatmafi di f‘en'ia tua contarle, oriunda itali’aulica ri il In tire famiglia degli di Pitto Ut, pii figliuoli, S — inizia lega iranvdintamonta « pieuamonto. co»l per il contento conio por lo condizioni materiali « rr»- lichu, con lo cario liocorni» a Meguonti dol codice. Il secondo inizio, si» por I» forma dell» scrittura si» per il modo come materialmente «i unisce con la seoouda carta del codice appare posteriore di min poaiaiouo a quello elio abbiamo pubblicato nel tetto ; Mutando poi non b»u chiaro, quale noli'intenzione dell*autore do»••««ere la stoura definitiva, e ciò tanto piò in quanto elio nella ste&ura che pubblichiamo qui di »• ((ulto il Racconto >tturica non avrebbe più la forma di lettera, forma che conserva invece in tutto il restante, che e romana all' uno * all'altro inizio Proemio. Lo scriver la vita de gl* huomini illustri non sarebbe per avventura necessario, se non dove le loro azioni, appoggiandosi a fondamenti caduchi, hanno bisogno del sostentamento degli scrittori. Vive alcuno nelle voci del volgo e nelle menti degli uomini; ma se dalla penna dello scrittore non venga sostenuto, tosto se ne spegnerli la memoria. Fondano altri la loro eternità ne’ marmi, bronzi, obelischi e sontuosi edilizi, che sembrano immortali, e pure hanno lor morte, so da gli scrittori non gli fia prorogato la vita. Virerà il Colombo con i suoi scoprimenti terrestri, assicurati da tal fonda¬ mento che ingombra quasi la metà della terra: ma se la navigazione per qualche mondano accidente fosse impedita, o per altra cagione interrotto il commercio, in pochi anni, obliato il fondamento, ne languirebbe la ricordanza, se però da diligente scrittore non ne fosse stato compilato la storia. Grande e maravigliosa si può sicuramente dire l'accortezza e la fortuna del Sig. r Galileo, che, aiutata dal suo divino intelletto, ha incontrato fondamento celeste. Onde con i suoi ammirabili discoprimenti, senza tema d*esser impediti o consumati dal tempo o nascosi alla vista e cognizione de’ mortali, e spiegati con la sua singoiar sapienza, s’ ò procacciato fama gloriosa e durabile quanto durerà P universo. Non era adunque d’ huopo al Sig. r Galileo eh’ altri scrivesse la vita di lui per eternare la sua faina, fondata sopra la permanenza del cielo. Ma perchè la generosa curiosità della maggior parte delli amatori delle buone lettere, inva¬ ghiti dell’eccellenza, chiarezza e novità della sua dottrina e de’ suoi maravi- gliosi componimenti, si son mostrati ansiosi d’avanzarsi nella di lui cognizione e delle sue qualità, vita e costumi, hanno cagionato che io, forse con presun- IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. 601 Cominciò questi ne’ prim’ anni della sua fanciullezza a dar saggio della viva¬ cità del suo ingegno, poiché nell’ oro di spasso esercilavasi per lo più in fabbri¬ carsi di propria mano varii strumenti c muchinette, con imitare e porre in piccol modello ciò elio vedeva d’artifizioso, come di moli ni, galere, et anco d’ogni altra macchina ben volgare. In difetto di qualche parte necessaria ad alcuno de’ suoi fanciulleschi artiiizii suppliva con l’invenzione, servendosi di stecche di balena in vece di molli di ferro, o d’altro in altra parte, secondo gli suggeriva il bi- 40 sogno, adattando alla macchina nuovi pensieri e scherzi di moti, purché non restasse imperfetta e che vedesse operarla. l’asso alcuni anni della sua gioventù nelli studii d’umanità appresso un maestro in Firenze ili vulgar fama, non potendo ’l padre suo, aggravato da nu¬ merosa famiglia e constituito in assai scarsa fortuna, dargli comodità migliori, coni’ averebbo voluto, col mantenerlo fuori in qualche collegio, scorgendolo di tale spirito e di tanta accortezza clic ne sperava progresso non ordinario in qua¬ lunque professione e’l’avesse indirizzato. Ma il giovane, conoscendo la tenuità del suo stato e volendosi pur sollevare, si propose di supplire alla povertà della sua sorte con la propria assiduità nelli studii; clic perciò datosi alla lettura dalli f»o autori latini di prima classe, giunse da per sé stesso a quell’erudizione nelle lettere umane, della quale si mostrò poi in ogni privato congresso, ne’ circoli e nell’acca- demie, riccamente adornato, valendosene mirabilmente con ogni qualità di persona, in qualunque materia, morale o scientifica, seria o faceta, che fosse proposta. In questo tempo si diede ancora ad apprendere la lingua greca, della quale fece acquisto non mediocre, conservandola e servendosene poi opportunamente nelli studii più gravi. 44. e con,(Unito in acartiitima fortuna, A. Coni fu trascritto in li, dove poi fu corretto tcarsiatinia in aaaai tearta. — tuoso ardire, mi sia messo a rappresentarne parte: non già eli’io creda d’ac¬ crescer un momento alla sua gloria immortale, ma per sodisfare, per quanto potrò, alla sete di quelli ch’hanno assaporato la sua unica e mirabile filosofia. Ben ò vero eh’ io mi troverei grandemente ingannato se, scrivendo la di lui vita, presumessi d’inalzare le sue lodi; per che, se bene di si eminente soggetto non si può dire senza lode, tuttavia lasciando questa cura a più sublime elo¬ quenza, m’ingegnerò di spiegare semplicemente quel tanto che delle sue azioni fin ad ora ho saputo raccogliere. Nacque dunque Galileo Galilei, nobil fiorentino, il 19 Febbraio del 15G3 ab Incarnationr, nella città di Pisa, dove allora per domestici affari dimoravano i suoi genitori. 11 padre fu Vincenzio di Michel Angelo Galilei, gentiluomo versatissimo nelle matematiche e principalmente nella musica speculativa, della quale hebbe cosi eccellente cognizione, che forsi tra i teorici moderni di maggior nome non v’ è stato fino al presente secolo chi di lui \ I V. 76 002 IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VI VI A NI. Udì i precetti della logica da un Padre Yalombrosnno; ma però que’ termini dialettici, le tante definizioni e distinzioni, la moltiplicità delti scritti, l'ordine et il progresso della dottrina, tutto riusciva tedioso, di poco frutto e di minor satisfazione al suo esquisito intelletto. r,o Erano tra tanto i suoi più grati trattenimenti nella musica pratica e nel toccar li tasti e il leuto, nel quale, con l'esempio et insegnamento del padre suo, pervenne a tanta eccellenza, elio più volte trovossi a gareggiare co' primi pro¬ fessori di que’ tempi in Firenze et in Pisa, essendo in tale strumento ricchissimo d’invenzione, e superando nella gentilezza e grazia del toccarlo il medesimo padre; qual soavità di maniera conservò sempre sino itili ultimi giorni. Trattenevasi ancora con gran diletto o con mintkil profitto nel disegnare; in clic ebbe così gran genio e talento, eh' egli medesimo poi dir soleva agl’ amici, clic se in quell’età fosse stato in poter suo l’eleggersi professione, arerebbe asso¬ lutamente fatto elezione della pittura. Ed in vero fu di poi in lui così naturale 7 o e propria l’inclinazione al disegno, et acquistovvi col tempo tale osquisitezza di gusto, elio’l giudizio ch’ei dava delle pitture e disegni veniva preferito a quello do’ primi professori da’ professori medesimi, come dal Cigoli, dal Bronzino, dal Passignano e dall’Empoli, e da altri famosi pittori de’suoi tempi, amicissimi suoi, i quali bene spesso lo richiedevano del parer suo nell’ordinazione dell’istorie, nella disposizione dello figure, nelle prospettive, nel colorito et in ogn’ altra parte concorrente alla perfezione della pittura, riconoscendo nel Galileo intorno a sì nobil arte un gusto così perfetto e grazia sopranaturale, quale in alcun altro, benché professore, non seppero mai ritrovare a gran segno; onde ’l famosissimo Cigoli, reputato dal Galileo il primo pittore «lo’ suoi tempi, attribuiva in gran 80 parte quanto operava di buono alli ottimi documenti del medesimo Galileo, e particolarmente pregiavasi di poter dire che nelle prospettive egli solo gli era stato il maestro. Trovandosi dunque il Galileo in età di sedici anni in circa con tali virtuosi ornamenti e con gli studii d’ umanità, lingua greca c dialettica, deliberò ’l padre suo di mandarlo a studio a Pisa, quantunque con incomodo della sua casa, ma con torma speranza eli’ un giorno l’arerebbe sollevata con la professione della medicina, alla quale egl’intendeva eli'e’ s’applicasse, come più atta e spedita a potergli somministrar le comodità necessarie; e raccomandatolo ad un parente mercante eli’egli aveva in quella città, quivi invidio, dove cominciò gli studii w di medicina et insieme della vulgata filosofia peripatetica. Ma il Galileo, che dalla natura fu eletto per disvelare al mondo parte di quo’ segreti che già per tanti secoli restavano sepolti in una densissima oscurità delle menti umane, fatte 57. da un Padri Mastro Vali ombrammo di S. Trinila, A. Cori fu trMcritto in B. doro poi fu cancellato Mactro o di S. Trinila. In 3 ai leggo: da un Padre Maatro VaUmbrrmino — 84. di dimoilo anni. A. a Cosi fu trascritto iu B, doro poi diciotto fu corretto in dioiaaeUe, e quindi, caucellat» anche dicia,atH, iti «dici. - IV. RACCONTO ISTORICO DI VINC1SNZIO VIVI ANI. 603 scliiave del parere e de gl’asserti d’un solo, non potò mai, secondo ’1 consueto degl’ altri, darsele in preda così alla cieca, come che, essendo egli d’ingegno libero, non gli pareva di dover così facilmente assentire a’ soli detti et opinioni delli antichi o moderni scrittori, mentre potovasi col discorso e con sensate esperienze appagar sò medesimo. E perciò nelle dispute di conclusioni naturali fu sempre contrario alli più acerrimi difensori d’ogni detto Aristotelico, acqui- 100 standosi nomo tra quelli di spirito della contradizione, et in premio delle scoperte verità provocandosi l’odio loro; non potendo soffrire che da un giovanetto stu¬ dente, e che per ancora, secondo un lor detto volgare, non avea fatto il corso delle scienze, quelle dottrine da lor imbevuto, si può dir, con il latte gl’avesser ad esser con nuovi modi e con tanta evidenza rigettate o convinte: averando in ciò quol detto di Orazio: Stimano infamia il confessar da vecchii Por falso quel che giovini apprenderò. Continuò di cosi per tre o quatti-’ anni, ne* soliti mesi di studio in Pisa, la medicina e iilosofia, secondo l’usato stile de’ lettori ; ma però in tanto da sò stesso no diligentemente vedeva l’opero di Aristotele, di Platone e delli altri filosofi anti¬ chi, studiando di ben possedere i lor dogmi et opinioni por esaminarle e sati¬ sfare principalmente al proprio intelletto. In questo mentre con la sagacità del suo ingegno inventò quella semplicissima e regolata misura del tempo per mezzo del peiululo, non prima da alcun altro avvertita, pigliando occasiono d’osservaria dal moto d’ima lampada, mentre era un giorno nel Duomo di Pisa ; e facendone esperienze esattissime, si accertò del¬ l’egualità dolio sue vibrazioni, e per allora sovvenitegli di adattarla all’ uso della medicina per la misura della frequenza de’ polsi, con stupore e diletto de’ medici di que’tempi o conio puro oggi si pratica volgarmente : della quale invenzione si 120 valso poi in varie esperienze e misure di tempi e moti, e fu il primo che l’appli¬ casse alle osservazioni celesti, con incredibile acquisto nell’astronomia e geografia. Di qui s’accorse che gl’effetti della natura, quantunque appariscimi minimi et in niun conto osservabili, non devon mai dal filosofo disprezzarsi, ma tutti egual¬ mente e grandemente stimarsi; essendo perciò solito dire che la natura operava molto col poco, e che le sue operazioni eran tutte in pari grado maravigliose. Tra tanto non aveva mai rivolto l’occhio alle matematiche, come quelle che, per esser quasi affatto smarrite, principalmente in Italia (benché dall’opera e dili¬ genza del Comandino, e del Maurolico etc., in gran parte restaurate), per ancora non avendo pigliato vigore, erano più tosto universalmente in disprezzo; e non i 8 u sapendo comprendere quel che mai in filosofia si potesse dedurre da figure di 09. fu tpeite volle contrario, A. S. Cosi fu trascritto in B, doTO poi a «petto volte fu sostituito sempre. — 128. e del Maurolico etc. è aggiunto in margino, ti soltanto in B. — 004 IV. RACCONTO ISTORI CO DI VINOKNZIO VIVIA.NI. triangoli e cerchi, ai tratteneva senza stimolo d'applicarvisi. Ma il gran talento o diletto insieme ch’egli aveva, come dissi, nella pittura, prospettiva e musica, et il sentire affermare frequentemente dal padre che tali prutiche avevan l’ori- giu loro dalla geometria, gli mossero desiderio di gustarla, e più volte pregò il padre che volesse introdurvelo; ma questi, per non distorlo dal principale studio di medicina, differiva di compiacerlo, dicendogli che quando avesse terminato i suoi studii in Pisa, poteva applicarvisi a suo talento. Non per ciò si quietava il Galileo; ma vivendo allora un tal Mesa. Ostilio Kiwi di Fermo, matematico de’SS. paggi di quell’ Altezza di Toscana p dipoi lettore delle matematiche nello Studio di Firenze, il quale, come familiarissimo di suo padre, giornalmente frequentava ho la sua casa, a questo s’accostò, pregandolo instantemente a dichiarargli qualche proposizione d’Euclide, ma però senza saputa del padre. I’arve al Ricci di dover saziar cesi virtuosa brama del giovane, ma volle ben conferirla al Sig. r Vincenzio suo padre, esortandolo a permetter che il Galileo ricevesse questa satisfazione. (’edò il padre all’instanze dell’amico, ma ben gli proibì il palesar questo suo assenso al figliuolo, acciò con più timore continuasse lo studio di medioina. Cominciò dunque il Ricci ad introdurre il Galileo (che già aveva compiiti diciannove anni) nello solite espilazioni delle definizioni, assiomi e postulati del primo libro delti Elementi; ma questi sentendo preporsi principii tanto chiari et indubitati, e considerando lo domande d’Euclide così oneste e concedibili, fece immediatamente concetto ino che so la fabbrica della geometria veniva alzata sopra tali fondamenti, non po¬ teva esser che fortissima e stabilissima. Ma non sì tosto gustò la maniera del dimostrare, e vedde aperta l’unica strada di pervenire alla cognizione del vero, che si pentì di non essersi molto prima incamminato per quella. Proseguendo’l Ricci le suo lezzioni, s’accorse il padre che Galileo trascurava la medicina e elio più si affezionava alla geometria; e temendo che egli col tempo non abbando¬ nasse quella, che gli poteva arrecar maggior utile e comodità nell’angustie della sua fortuna, lo riprese più volte (fingendo non saperne la cagione), ma sempre in vano, poiché tanto più quegli s’invaghiva della matematica, e dalla medicina totalmente si distraeva; orni'il padre operò che ’L Ricci di quando in quando Ufo tralasciasse lo suo. lezzioni, e finalmente ch’allegando scuse d’impedimenti desi¬ stesse affatto dall’opera. Ma accortosi di ciò il Galileo, già che il Ricci non gli aveva per ancora esplicato il primo libro delli Elementi, volle far prova se per sè stesso poteva intenderlo sino alla fine, con desiderio di arrivare almeno alla 47, tanto famosa; e vedendo che gli sortì d’apprendere il tutto felicemente, fattosi d animo, si propose «li voler scorri'r qualcb’altro libro: e così, ma furtivamente dal padre, andava studiando, con tener gl’ Ippocrati e Galeni appresso l’Euclide, poi poter con essi prontamente occultarlo quando ’l patire gli fosse sopraggiunto. Finalmente sentendosi traportar dal dilotto et acquisto che parevagli d’aver 147. compiiti i venti due anni, A, ij. Cosi fu trascritto in B, dorè poi a i venti due fu soatituito diciannove.— IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVTANI. 605 ito conseguito in poco tempo da tale studio, nel ben discorrere argumentare e con¬ cludere, assai più che dalle logiche c filosofie di tutto il tempo passato, giunto al sesto libro d’Euclide, si risolse di far sentire al padre il profitto che per sè stesso aveva fatto nella geometria, pregandolo insieme a non voler deviarlo donde sentivasi traportare dalla propria inclinazione. Ihlillo ’l padre, e conoscendo dalla di lui per^picacità nell’ intendere e maravigliosa abilità, nell’inventare varii pro¬ blemi ch’egli stesso gli proponeva, che’l giovane era nato per le matematiche, si risolse in (ine di compiacerlo. Tralasciando dunque il Galileo lo studio di medicina, in breve tempo scorse gPElementi d’Euclido o l’opere de’ geometri di prima classe; et arrivando all’Equi- ìso ponderanti et al trattato De his quae vehuntur in aqua d’Archimede, sovvennegli un nuovo modo esattissimo di poter scoprire il furto di quell’orefice nella corona d’oro di Hieronotd; et allora scrisse la fabbrica et uso di quella sua bilancetta, por la quale s’ha cognizione delle gravità, in specie di diverse materie e della mistione o lega de’ metalli, con molt’altre curiosità appresso; quali, benché poi dal Galileo non sieno state fatte pubbliche con le stampe, parte però furono con¬ ferite da lui a quei elio se gli facevano amici, e parto vanno intorno in private scritture: ondo non è gran fatto s’alcuno l’ha publicate per sue ose ne è valso, mascherandole, come di propria invenzione. Con questi et altri suoi ingegnosi trovati, e con la sua libera maniera di fi Io¬ nio snfaro e discorrere, cominciò ad acquistar fama d’elevatissimo spirito; e confe¬ rendo alcune delle sue speculazioni meccaniche o geometriche con il Sig. r Guida- baldo de’ Marchesi dal Monte, gran matematico di quei tempi, che a Pesaro dimorava, acquistò seco per lettore strettissima amicizia, et ad instanza di lui s’applicò alla contemplazione del centro di gravità de’ solidi, per supplire a quel che ne aveva già scritto il Comandino; o ne’ ventiuno anni di sua età, con due anni soli di studio di geometria, inventò quello eh’in tal materia si vede scritto nell’Appendice impressa alla fine de’suoi Dialogi delle due Kuove Scienze della meccanica e dei moto locale, con gran satisfazione e maraviglia del medesimo Sig. r Guidubaldo, il quale per così acute invenzioni l’esaltò a segno appresso il 200 Ser. ,no Gran Duca Ferdinando Primo e l’Eccel.™ 0 Principe Don Giovanni de’Me¬ dici, eh’in breve divenne a loro gratissimo e familiare: che perciò vacando nel 1580 la cattedra dello matematiche in Pisa, di proprio moto della medesima Ser. ma Al¬ tezza ne fu provvisto, correndo egli l’anno vigesimo sesto dell’età sua. PI nel 1586 trovò questa bilancia. 170. contiguità in pochi meti di tale, A, S. Cosi il Viyuni aveva trascritto in B. dove poi corresse a matita, oggi appena visibile, meti in tempo, o di in da, dimenticando però di correggevo pochi in poco. — 191. geometriche (nell'invenxion delle quali haveva acutezza c facilità eopraordinaria) con, A. Cosi fu trascritto in B, dovo poi tra haveva e acutezza fu aggiunto corno ti <• detto, o in fino fu cassato il tutto. In S ai leggo la parentesi, con raggiunta come »' ì detto. — 195. « n« » ventiquattro anni, A. In B fu trascritto c ne' ven- tiguattr anni, e poi fu corretto quattr' in uno. In S si legge: e di oentun'anno. — 606 IV. RACCONTO ISTORI00 DI VINCENZIO V1VIANI. In questo tempo, parendogli d’apprendere eli’all’investigazione delli «fletti naturali necessariamente »i richiedesse una vera cognizione della natura del moto, stante quel filosofico e vulgato assioma Ignorato moia ignoratur indura, tutto si diede alla contemplazione di quello: et allora, con gran sconcerto di tutti i filo¬ sofi, furono da esso convinte di falsità, per mezzo d’esperienze e con salde dimo¬ strazioni e discorsi, moltissime conclusioni dell'istesso Aristotele intorno alla ma¬ teria del moto, sin a quel tempo state tenute per chiarissime et indubitabili; 210 come, tra l’altre, che le velocità de’ mobili dell’istessa materia, disugualmente gravi, movendosi per un istesso mezzo, non conservano altrimenti la proporzione delle gravità loro, assegnatagli da Aristotele, anzi che si muovo» tutti con pari velocità, dimostrando ciò con replicato esperienze, fatte dalfaltezza del Campa¬ nile di Pisa con l’intervento delli altri lettori e filosofi e di tutta la scolaresca; e elio nò meno le velocità di un istesso mobile per diversi mezzi ritengono la pro- porzion reciproca delle resistenze o densità de’ medesimi mezzi, inferendolo da manifestissimi assurdi oh’in conseguenza ne seguirebbero contro al 8( uso medesimo. Sostenne perciò questa cattedra con tanta fama e reputazione appresso gl’in¬ tendenti di mente ben affetta e sincera, che molti filosofastri suoi emuli, fomen- 220 tati da invidia, so gli eccitarono contro; ©servendosi di strumento per atterrarlo del giudizio dato da esso sopra una tal macchina, demolizione d’un eminente soggetto, proposta por votar la darsina di Livorno, alla quale il Galileo con fon¬ damenti meccanici e con libertà filosofica aveva fatto pronostico di mal evento (corno in effetto seguì), seppero con maligne impressioni provocargli l’odio di quel gran personaggio: ond’egli, rivolgendo l'aniino suo all’offerte che più volte gl’erano stato fatte della cattedra di Padova, che per morte di Gioseppe Moleti stetto gran tempo vacante, per consiglio e con l’indirizzo del Sig. r Marchese Gui- dubaldo s’elesse, con buona grazia del Ser. mo Gran Duca, di mutar clima, avanti elio i suoi avversarli avessero a godere elei suo precipizio. E così dopo tre anni 230 di lettura in risa, no’ 26 di Settembre del 1592, ottenne dalla Scr.'"* Rcpublica di Venezia la lettura delle matematiche in Padova por sei anni : nel qual tempo inventò varie macchine in servizio della medesima Rcpublica, con suo grandis¬ simo onore et utile insieme, come dimostrano gl’amplissiini privilegi ottenuti da quella; et a contemplazione de’ suoi scolari scrisse allora varii trattati, tra’ quali uno di fortificazione, secondo l’uso di quei tempi, uno di gnomonica e prospet¬ tiva pratica, un compendio di sfera, et un trattato di meccaniche W, che va at¬ torno manoscritto, e che poi nel 1634, tradotto in lingua franzese, fu stampato nel 1593 scrisse le Meccaniche 0 altre cose. 213. dtUe gravità loro assolute, tutegnala loro ria Aristotele, S— 213. mediamo; che lutto ti redi poi diffusamente trattalo (la lui udii ultimi Dialogi delle dut Nuoce Sciente, A— mtdttimo : che tulio ti vede poi diffusamente trattato da lui tutti suddetti Dialoghi delle Nuove Sciente, 3. lu 11 fu traacrittg conformo si logK® in S, ma poi fu cancellato. — IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO V1VIANI. G07 in Parigi dal Padre Marino Mersennio, e ultimamente nel 1649 pubìicato in lta- 240 velina dal Cav. r Luca Danesi: trovandosi di tutti questi trattati, e di molti altri, più copie sparse per l’Italia, Germania, Francia, Inghilterra et altrove, traspor¬ tatevi da’ suoi medesimi discepoli, la maggior parte senza l’inscrizione del suo nome, come fatiche delle quali ei non faceva gran conto, essendo di esse tanto liberale donatore quanto fecondo compositore. In questi medesimi tempi ritrovò i termometri, cioè quelli strumenti di vetro, con acqua et aria, per distinguer le mutazioni di caldo o freddo c la varietà tic’ temperamenti de’ luoghi ; la qual maravigliosa invenzione dal sublime ingegno dei gran Ferdinando Secondo, nostro Sei*." 10 Padron regnante, ò stata moderna¬ mente ampliata et arricchita con nuovi effetti di molte vaghe curiosità e sotti- 2 . r >o gliezze, quali, coperto con ingegnose apparenze, sono da quelli che ne ignorano le cagioni stimate prestigiose. Circa l’anno 1597 inventò il suo mirabile compasso geometrico e militare, co¬ minciando sin da quel tempo a fabbricarne gli strumenti et insegnarne l’uso in voce et in scritto a’ suoi discepoli, esplicandolo a molti principi e gran signori di diverse nazioni, tra’quali furono V 111."' 0 et Eccel." 10 Sig. 1 ' Gio. Federigo Principe . d’Olsazia, et appresso il Ser. mo Arciduca I). Ferdinando d’Austria, dopo l’lll. mo et Eccel."' 0 Sig. p Filippo Langravio d’Assia, Conte di Nidda, et il Ser. m0 di Mantova, et altri infiniti, che lungo sarebbe il registrargli qui tutti. Proseguendo il Galileo lo sue private e pubbliche lezzioni con applauso sempre 2C0 maggiore, li 29 di Ottobre del 1599 fu ricondotto alla medesima lettura per altri sei anni, con augumento di provvisione. In questo mentre, dimostrandosi con strana e portentosa maraviglia del cielo, nella costellazione del Serpentario, la nuova stella del 1604, fu dal Galileo con tre lunghe e dottissime lezzioni pubblicamente discorso sopra cosi alta materia; nelle quali intese provare che la nuova stella era fuori della regione elementare et in luogo altissimo sopra tutti i pianeti, contro l’opinione della scuola peripa¬ tetica e principalmente del filosofo Cremonino, che allora procurava di sostenere il contrario o di mantenere il cielo del suo Aristotele inalterabile et esente da qualunque accidentaria mutazione. 270 In questi medesimi tempi fece studio et osservazione particolare sopra la virtù della calamita, e con varie e replicato esperienze trovò modo sicuro di armarne qualunque pezzo, che sostenesse di ferro ottanta e cento volte più clic disarmato; alla qual perfezione non si è mai pervenuto da alcun altro a gran segno. 244. competitore. Ben ì vero che questa tua naturai liberalità in comunicare i suoi tcritti, le proprie invali Stoni et i tuoi nuovi pensieri indifferentemente a ciascuno, gli fu spetto contracambiata da altretanta ingrati¬ tudine e sfacciataggine, non estendo mancati o chi con disprezzo tentaste avvilirle o chi tc ne faceste onore, come di parti de propri ingegni, A, S. Così fu trascritto anche in B, ma poi fu cancellato.— 2t>5. tra' quul- fumo primo Ìlll. mo , A. Aucho in B fu trascritto primo, Dia poi fu cancellato. - 273. non «' era mai, S. Così ora stato scritto dapprima in A o in B, ma poi era fu corrotto in 2. — 008 IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. Aveva, come s’ò detto, sol per utile e diletto de’ suoi discepoli, scritto varii trattati et inventato molti strumenti, tra’ quali uno ora il sopradetto compasso, non però con pensiero d’eaporlo al publico: ma presentendo che altri s’apparec¬ chiava per appropriarsene l’invenzione, scrisse in fretti una generai descrizione de’ suoi usi, riserbandosi ad altra occasione a darne fuori una più ampia dichia¬ razione insieme con la sua fabbrica; e nel Giugno del 1606 la diede alle stampe in Padova, con titolo delle Operazioni del Compasso (Isometrico e Militare, dedi- 280 cato al Ser. n, ° D. Cosimo, allora Principe di Toscana e suo discepolo. Quest’opera fu dupo tradotta in latino da Mattia Berneggero tedesco, e stampata in Argen¬ tina nel 1612 insieme con la fabbrica del compasso et con alcune annotazioni, o ristampatavi ancora nel 1635, sì come più volte in Padova et altrove. Ne’5 d'Agosto del 1606 fu ricondotto dalla medesima Kepublica lettor ma¬ tematico per altri sei anni, con nuovo augumento di provvisione, ch'era poi mag¬ giore della solita darsi a qualunque de' suoi antecessori. Nel 1607 trovandosi il Galileo fieramente olleso e provocato da un certo Bal- dassar Capra milanese, che si era allora temerariamente appropriata l’iuvonzione del suddetto compasso col tradurlo in latino e stamparlo nell’ istessa eitU di 2 so Padova in faccia del medesimo autore, con t itolo di Usua et fnbrica citrini cuiusdam , propurtìonis , fu questi necessitato a publicare una sua Difesa in volgare, per evi¬ dente dimostrazione di furto così detestabile e vergognoso ; difendendosi insieme dalle calunnio et imposturo del medesimo ('apra, il quale in una sua Conside¬ razione astronomica circa la sfella nuova del KJU4, stampata giù più di due anni avanti, l’aveva acerbamente lacerato, mosso da invidia per l’universale applauso che avevano ricevuto le tre suddette lezzumi del Galileo, fatte sopra la nuova stella. Ma il Capra per mezzo di queste sue abominevoli azzinili ne riportò il dovuto premio d’una perpetua ignominia, poichò dalli Eccel.*" 1 SS. Heformatori dello Studio di Padova, dopo essersi, con rigoroso processo formato contro di 800 quello, assicurati a pieno «li tanta temerità, fu comandato sopprimersi tutte lo copie stampate del libro di detto Capra e proibitone la publicazione, et all’in¬ contro conceduto al Galileo d’esporre alla luce la suddetta Difesa, per ricatto della propria reputazione et oppressione di quella del medesimo Capra. Non fu già valevole tal Difesa a reprimere l’audacia o la troppa confidenza di alcuni altri d’altre nazioni, i quali, allettati o traportati dalla novità e vaghezza dell’invenzione o dalla mirabil copia e facilità de’suoi usi, non esponessero alle stampe, come interamente lor proprio, questo ingegnoso compasso del Galileo, lisi. Tonami, e poi pndr» ili V. A. A, S. Cosi pura fu trascritto in M. ma poi fu corrotto a matita e poi jHirfre di V. A ili e tuo di ter polo. — 292. l'OpO proporiio* it ai legge in A: orando m olir» lardare d'im/n/deu- Uetimo umrpatort diletto Sigj Galileo, queste paro!» furono trascritta in B ma poi furouo cassato; e in margino furono scritto a matita altro parole che oggi a stento «i 1. girono (»«ant/o inoltre chiamarlo t/ac- aioUltimo usurpature (?) ), essendo quasi svanito, « che non pare dove.4«ero, secondo l'ultima intensione dell’autore, essere introdotto nel testo.— IV. RACCONTO ISTORTCO DI VINCENZIO VIVTANI. 609 publicancìolo, o con diverse inscrizioni in altra forma ridotto o con nuove linee aio et ad altri usi ampliato, senza pur far menzione del principale autore di tal stru¬ mento; l’operazioni del quale, dove non erano pervenute stampate, si trovavano già molto prima in ogni provincia d’Europa manoscritte, e divulgate da quelli istessi forestieri a’ quali in Padova il medesimo Galileo le aveva prodigamele, con altri suoi scritti, comunicate. Ma l’ardire di questi o l’ingratitudine, oltre al farsi paleso dalla suddetta Difesa, vien dannata dalla medesima azione, et autenticata dalla gloriosa fama del Galileo, che per Paltre opere et invenzioni di assai maggior maraviglia si è poi saputo acquistare sopra quelli che pochi altri et assai deboli parti col proprio ingegno hanno saputo produrre. Intorno all’Aprile o al Maggio del 1609 si sparse voce in Venezia, dove allora 320 trovavasi il Galileo, che da un tale Olandese fusse stato presentato al Sig. r Conto Maurizio di Nassau un certo occhiale, co ’l quale gli oggetti lontani apparivano come se fusser vicini ; nò più oltre fu detto. Con questa sola relazione, tornando subito il Sig. r Galileo a Padova, si pose a specularne la fabbrica, quale imme¬ diatamente ritrovò la seguente notte: poiché il giorno appresso, componendo lo strumento nel modo che se lo aveva immaginato, non ostante l’imperfezione do’ vetri clic potò avere, ne vidde belletto desiderato, c subito ne diede conto a Venezia a’ suoi amici; e fabbricandosene altro di maggior bontà, sei giorni dopo lo portò quivi, dove sopra le maggiori altezze della città fece vedere et osservare gl’oggetti in varie lontananze a’ primi Senatori di quella Republica, con lor in- 380 iinita maraviglia; e riducendo lo strumento continuamente a maggior perfezione, si risolse finalmente, con la solita prodigalità nel comunicare le sue invenzioni, eli far libero dono di questa ancora al Ser. mo Principe o Doge Leonardo Donati et insieme a tutto ’l Senato Veneto, presentando con lo strumento una scrittura nella quale ei dichiarava la fabbrica, gPusi e le maravigliose conseguenze che in terra o in mare da quello trai* si potevano. In gradimento di così nobil regalo fu immediatamente, con generosa dimostra¬ zione della Ser.“ m Republica, ne’ 25 d’Agosto del 1609 ricondotto il Sig. r Galileo a vita sua alla medesima lettura, con più che triplicato stipendio del maggiore che lusso solito assegnarsi a’ lettori di matematica. 840 Considerando fratanto il Sig. r Galileo che la facilità del suo nuovo strumento era sol d’appressare et aggrandire in apparenza quelli oggetti i quali senz’altro artifizio, quando possibil fusse accostarglisi, con eguale o maggior distinzione si scorgerebbero, pensò ancora al modo di perfezionar assai più la nostra vista con fargli perfettamente discernere quelle minuzie le quali, benché situate in qua¬ lunque breve distanza dall’occhio, gli si rendono impercettibili; et allora inventò i microscopii d’un convesso e di un concavo, et insieme d’uno e di più convessi, applicandogli a scrupolosa osservazione de’ minimi componenti delle materie o della mirabile struttura delle parti e membra delli insetti, nella piccolezza de’ quali XIX. 77 010 IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. foco con maraviglia vedere la grandezza di Dio e le miracolose operazioni della natura. In tanto, non perdonando nò a fatiche nò a spese, studiava nella perfe- 3r>o /.ione del primo strumento, detto il telescopio o volgarmente l’occhiale del Ga¬ lileo; e conseguitala a gran segno, lasciando di rimirar gl’oggcdi terreni, si ri¬ volse a contemplazioni più nobili. E prima, riguardando il corpo lunare, lo scoperse di superficie in- guaio, ripieno di cavitò, e prominenze a guisa della terra. Trovò che la Via Lattea e le nebulose altro non erano eh* una congerie di stelle fisse, che per la loro immensa distanza, o per la lor piccolezza rispetto all’altre, si r. ndevano impercettibili alla nuda e semplice vista. Yidde sparse per lo cielo altre innumerabili stelle fisse, state inco¬ gnite all’antichità: o rivolgendosi a Giove con altro migliore strumento, ch’egli s’era nuovamente preparato, l’osservò corteggiato da quattro stelle, che gli s’ag- sco girano intorno per orbi determinati o distinti, con regolati periodi ne’lor moti; e consacrandogli all’ immortalità della Ser. n,A Casa di V. A., glipliede nome di Stelle o Pianeti Medicei : e tutto questo scoperse in pochi giorni del mese di Gennaio del 1610 secondo lo stile romano, continuando tali osservazioni per tutto’l Feb¬ braio susseguente; quali tutte manifestò poi al mondo per mezzo del suo Nuncio Sidereo, che nel principio di Marzo pubblicò con le stampe in Venezia, dedican¬ dolo aH’augustissiino nome del Ser. mo Don Cosimo, Gran Duca di Toscana. Questo inaspettate novità publicate dal Nunzio Sidereo, che immediatamente fu ristampato in Germania et in Francia, diedero gran materia di discorsi a’ filo¬ sofi et astronomi di que’ tempi, molti de’ quali su ’l principio ebbero g^an repu- 870 gnanza in prestargli fede 1 , e molti temerariamente si sollevarono, altri con scrit¬ ture private et altri più incauti sin con le stampe 1*1, stimando quelle vanità e delirii o finti avvisi del Sig. r Galileo, o pure false apparenze et illusioni de’cri¬ stalli; ma in breve gl’uni e gl’altri necessariamente cedettero alle confermazioni de’ più savii, all’esperienze et al senso medesimo. Non mancarono già de’ così pervicaci et ostinati, e fra questi de’ constituiti in grado di publici lettori ni t te¬ nuti per altro in gran stima, i quali, temendo di commetter sacrilegio contro la deità del loro Aristotele, non vollero cimentarsi all’osservazioni, nè pur una volta t 3 l Martino Orchio, Francesco Sizii et altri. DI Dottor Creilionino, lettor in Padova. 3C7. Dopo di Tot runa in A c in S si legge: e /•* drc 80 ticati gl’astronomi e matematici di maggior fama, che è di poter in ogn’ora della notte, in qualunque luogo di mare o terra, graduare le longitudini. Scorgeva bono ch’ai conseguimento di ciò si richiedeva un’esatta cognizione do’ periodi e moti di quelle stelle, a fine di fabbricarne le tavole e cabalar l’efemeridi per predire lo loro constituzioni, congiunzioni, eclissi, occultazioni et altri particolari accidenti, da lui solo osservati, e che quella non si poteva ottenere se non dal tempo, con moltissime e puntuali osservazioni: però sin clic non gli sortì conseguirla, si astenne di proporro il suo ammirabil trovato; e quantunque in meno di quin¬ dici mesi dal primo discoprimento de’ Pianeti Medicei arrivasse ad investigare i lor movimenti con notabile aggiustatezza per lo future predizioni, volle però con 4i>o altre più esquisite osservazioni, e più distanti di tempo, emendargli. Dell’anno adunque 1615 in circa, trovandosi il Sig. r Galileo d’aver conseguito quanto in teorica e in pratica si richiedeva per la sua parte all’effettuazione di così nobile impresa, conferì il tutto al Sor.™ 0 G. Duca Cosimo, suo Signore: il quale, molto ben conoscendo la grandezza del problema e la massima utilità che dall’uso di esso poteva trarsi, volle egli stesso, per mezzo del proprio resi¬ dente in Madrid, muoverne trattato con la Maestà Cattolica del Re di Spagna, il quale già prometteva grandissimi onori e grossissime recognizioni a chi avesse trovato modo sicuro di navigar per la longitudine con Pistessa o simil facilità che si cammina per latitudine. E desiderando S. A. che tal invenzione, come prò- &oo 4<7 ailronomicì, non prima »i logge in A o in S; o cosi fu Copiat-i in B, ilovo poi tra aitroimmia 0 non fu aggiunto trn lo lineo eh*, senza però cho fosse altrimenti modificata la sintassi del periodo.—490. a'iijiu- l'airtta nelle future si leggo in A, in S o in B: ma in 1» fu scritt» per tra le lineo «opra n di urite, soma dio «die sia stillo caucvllato. — IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. 615 porzionuta alla grandezza di quella Corona, fosse con pronta resoluzione abbrac¬ ciata, compiacevasi che il Sig. r Galileo, per facilitare i mezzi per condurla a buon tino, conferisse a S. Maestà un altro suo nuovo trovato, pur di grandissimo uso et acquisto nella navigazione, da 8. A. stimatissimo e custodito con segretezza; et era l’invenzione d’un altro differente occhiale, col quale potevasi dalla cima dell’albero o del calcese d’una galera riconoscer da lontano la qualità, numero c forze di;’ vasselli nemici, assai prima dell’inimico medesimo, con cgual prestezza o facilità che con l’occhio libero, guardandosi in un tempo stesso con amendue gl’occhi, e potendosi ili più aver notizia della loro lontananza dalla propria ga- Bio lera, et in modo occultar lo strumento si elio altri non ne apprenda la fabbrica. Ma come per lo più accader suole delle nobili e grandi imprese, clic quanto sono di maggior conseguenze, tanto maggiori s’incontrano le difficoltà. nel trattarle e concluderle, dopo molti anni di negoziato non fu possibile indurre, per varii ac¬ cidenti, i ministri di qu Ila Corona all’esperienza del cercato artifizio, non ostante ch’il Sig. r Galileo si fosse offerto di trasferirsi personalmente in Lisbona o Sivi¬ glia o dove fosse occorso, con provedimento di quanto all’esecuzione di tal im¬ presa si richiedesse, e con larga offerta di instruiro ancora i medesimi marinari e quelli che dovevano in nave operare, o di conferire liberamente a chi fosse pia¬ ciuto a S. Ma< stà tutto ciò che s’appartenesse alla proposta invenzione. Svanì r.-ju dunque il trattato con Spagna, restando però a S. A. S. et al Sig. r Galileo l’in- tenzion di promuoverlo altra volta in congiunture migliori. In tanto le tre comete che apparvero nel 1618, et in specie quella che si vedcìo nel segno di Scorpione, che fu la più conspicua e di più lunga durata, aveva tenuto in continuo esercizio i primi ingegni d’Europa; tra’ quali il Sig. r Galileo, con tutto clie por una lunga e pericolosa malattia, ch’ebbe in quel tempo, poco po¬ tesse osservarla, a richiesta però del Ser. mo Leopoldo Arciduca d’Austria, che trovandosi allora in Firenze volle onorarlo con la propria persona visitandolo sino al letto, vi fece intorno particolar reliessione, conferendo alli amici i suoi sentimenti sopra questa materia: ondo il Sig. r Mario Guiducci, uno de’ suoi par¬ fiso zialÌ8simi, compilando intorno a ciò l’opinioni delti antichi tilosoli e moderni astronomi e le probabili conietture che sovvennero al Sig. r Galileo, scrisse quel dottissimo Discorso delle Comete che fu impresso in Firenze nel 1619, dove re¬ provando tra l’altre alcune opinioni del Matematico del Collegio ItomanoW, poco avanti promulgate in una disputa astronomica sopra le detto comete, diede con esso occasione a tutte le controversie elio nacquero in tal proposito, e di più a tutte le male sodisfazioni che il Sig. r Galileo da quell’ora sino alli ultimi giorni Padre Orazio Grassi savonese, gesuita. 633. Ira V altre , come filosofo, alcune, A ; e cosi fu trascritto in B, (love poi come filosofo fu cassato. In S si ha : come filosofo libero. — TV. RACCONTO TSTORfCO DI VINCENZIO VIVIANI. 616 con eterna persecuzione ricevi in ogni sua azione o discorso. Poi che il suddetto Matematico, offendendosi fuor del dovere o contro Pobligo di filosofo che le sue proposizioni non fossero ammesse senz'altro esame per infallibili c vere, o pure anche invidiando alla novità do’ concetti cosi dottamente spiegati nel soprudetto wo Discorso dello Comete, indi a poco puhlicù una certa sua Libra astronomica c filosofica, mascherata con tìnto nome ili Lotario Sarsio Sigensano, nella quale trattando con termini poco discreti il Sig. r Mario Guiducci e con molesti punture il Sig. r Caldeo, necessitò questo a rispondere col suo Saggiatore, scritto in forma di lettera al Sig. r D. Virginio Cesarmi, stampato in Poma nel 1023 dalli Accade¬ mici Lincei e dedicato al Sommo Pontefice l’rhano Ottavo; por la qual opera chiaramente si scorgo, quanto si deva alle persecuzioni delli emuli del Sig. r Ga¬ lileo, di’in certo modo sono stati autori di grandissimi acquisti in filosofia, de¬ stando in quello concetti altissimi e peregrine speculazioni, delle quali per altro saremmo forse restati privi. G50 Hen è vero, all’incontro, che le calunnie e contradizioni de’ Buoi nemici et oppositori, che poi lo tennero quasi sempre angustiato, lo resero ancora assai ritenuto nel perfezionare e dar fuori l’opere sue principali di più niaravigliosa dottrina. Che però non prima elio dell’anno 1032 publicò il Dialogo de duo Mas¬ simi Sistemi Tolemaico e Copernicano, per il soggetto del quale, sin dal principio elio andò lettore a Padova, aveva di continuo osservato e filosofato, indottovi particolarmente dal concetto elio gli sovvenne per salvare con i supposti moti diurno et annuo, attribuiti alla terra, il flusso o reflusso del mare, mentre era in Venezia; dove insieme col Sig. r Gio. Francesco Sagredo, signore principalissimo di quella Republica, di acutissimo ingegno, e con altri nobili suoi aderenti tro- eco vandosi frequentemento a congresso, furono, oltre alle nuove speculazioni promosse dal Sig. r Galileo intorno alli effetti e proporzioni de’ moti naturali, severamente discussi i gran problemi della constituziono dell’ universo e delle reciprocazioni del mare: intorno al quale accidente egli poi nel llìlG, che si trovò in Roma, scrisse ad instanza dell’Emin. 1 " 0 Card. l# Orsino un assai lungo Discorso, elio an¬ dava in volta privatamente, diretto al medesimo Sig. r Cardinale. Ma presentendo che della dottrina di questo suo trattato, fondata sopra l’assunto del moto della terra, si trovava alcuno che si faceva autore, si risolse di inserirla nella detta opera del Sistema, portando insieme, indeterminatamente por l’una parte o per 1 alti a, quelle considerazioni che, avanti e dopo i suoi nuovi scoprimenti nel &"o cielo, gl erano sovvenute in comprobazione dell'opinione Copernicana e le altro solite addursi in difesa della posiziono Tolemaica, quali tutte, ad instanza di gian personaggi egli aveva raccolte, et ad imitazione di Platone spiegate in dialogo, introducendo quivi a parlare il suddetto Sig.r vSagredo et il Sig. r Fi¬ lippo Salviati, soggetti di vivacissimo spirito, d’ingegno libero o suoi carissimi confidenti. IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO V1VIANI. (il 7 Ma essendosi già il Sig. r Galileo per l’altro sue ammirabili speculazioni con immortai fama sin al cielo inalzato, e con tante novità acquistatosi tra gl’uo¬ mini del divino, permesse l’Kterna Previdenza ch’ei dimostrasse l’umanità sua oso con l’errare, mentre nella discussione de’ due sistemi si dimostrò più aderente all’ipotesi Copernicana, già dannata da S.Chiesa come repugnante alla Divina Scrittura. Fu perciò il Sig. p Galileo, dopo la publicazione de’suoi Dialogi, chia¬ mato a Roma dalla Congregazione del S. Offizio: dove giunto intorno itili 10 di Febbraio 1G3*2 ab Incarnatione, dalla somma clemenza di quel Tribunale e del So¬ vrano Pontefice Urbano Ottavo, che già per altro lo conosceva troppo benemerito alla republica de’ letterati, fu arrestato nel delizioso palazzo della Trinità de’ Monti appresso l’ambasriudor di Toscana, et in breve (essendogli dimostrato il suo errore) retrattò, come vero catolico, questa sua opinione; ma in pena gli fu proibito il suo Dialogo, e dopo cinque mesi licenziato di Roma (in tempo che la città di suo Firenze era infetta di peste), gli lu destinata per arresto, con genorosa pietà, l’abitazione del più caro et stimato amico ch’avesse nella città di Siena, che fu Mons. r Arcivescovo l'iccolomini : della qual gentilissima conversazione egli godè con tanta quiete e satisfazione dell’animo, che quivi ripigliando i suoi studii trovò e dimostrò gran parte delle conclusioni meccaniche sopra la materia delle re¬ sistenze de’solidi, con altre speculazioni; e dopo cinque mesi in circa, cessata all'atto la pestilenza nella sua patria, verso il principio di Dicembre del 1633 da S. S. tà gli fu permutata la strettezza di quella casa nella libertà della cam¬ pagna, da esso tanto gradita: onde tornò alla sua villa d’Arcetri, nella quale egli già abitava più del tempo, come situata in buon’aria et assai comoda alla ('•oo città di Firenze, e perciò facilmente frequentata dalle visite delli amici e dome¬ stici, che sempre gli furono di particolar sollievo e consolazione. 580 -581. con l'errare, nell’aderire ne" tuoi Dinlogi all'opinione de’ Pitagorici e. del Copernico sopra la stabilità ilei iole e viabilità della terra, già dannata, A. Cosi ora stato trascritto in 1$. dove poi fu corrotto conformo stampiamo noi tosto. — 5S0. si dimostrò forse più aderente, S —• óbó-óbU. Noi end. 15 sopra lo conosceva iì scritto, tra lo lineo, Vhnveva conosciuto, o in margino, senza alcun sogno di richiamo al testo, si leggo : « fin cantatone le sue ludi con pulitici componimenti poetici. Quo* te modificazioni sono scritto a matita, od oggi appena si distinguono; nò si potrobbo diro so fosso intenzione dell'autore elio venissero introdotto noi testo. — Ó89. Dialogo, imponendogli perpetuo silenzio sopra questa materia, e, A. Cosi ora stato trascritto in U, dove poi lo parolo imponendogli ,. . materia furono cancellato. Noi medesimo cod. 15 si leggo in margine, scritto a matita elio appena si distinguo, (pianto seguo: et assegnatogli per carcere la propria casa per tempo u beneplacito di S. SMj et dopo ottenendo di partirsi di Doma (per non si esporre a manifesto pericolo della vita, per la jieste che ancora teneva infetta la città di Firenze), gli fu prescritta con generosa pietà. Questo parolo dovrebbero essoro inserito dopo Dialogo; ma nuli sono cassato lo parolo elio abbinino stampato noi tosto a lin. 589-590, allo quali dovrobboro sostituirsi. — 698-<500. onda si ritirò nella villa di Ucllosguurdo e dopo in quella d’Arcctri, nelle quali anche per propria elezione gustava di alitar più del tempo, A ; onde se ne tornò alla sua villa di lìellosyuardo e dopo in quella d'Arcetri, nelle quali per propria elezione gustava prima d’abitar più del tempo, S : o cosi in A conio in 8 continua poi: come situate ...et assai comode ... e perciò facilmente frequentate ... In B fu trascritta la lozione che si ha in 8 (o perciò anello i plurali situate, comode, frequentate): poi il tratto onde ... tempo fu corrotto marginalmonto conformo stampiamo nel te->to; so non elio lo p&rolo situate, comode, frequentate furono sottolineato, ma non corrotto. — XIX. 78 Gl 8 IV. RACCONTO IHTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. Is'on fu già possibile clic quest’opera del Mondano Sistema non capitasse in paesi oltramontani: c perciò indi a poco in Germania fu tradotta e publicata in latino dal suddetto Mattia Renieggero, e da altri nelle lingue franzesi, inglesi e tedesche; et appresso fu stampato in Olanda, con la versione latina fatta da mi tal Sig. r Elia Deodati, famosissimo iurisconsulto di Parigi e grandissimo lit- terato, un tal Discorso scritto già in volgare dal Sig. r Galileo circa l’anno 1615, in forma di lotterà indirizzata a Madama Ser. m * Crestina di Lorena, nel tempo in che si trattava in Roma di dichiarare come erronea l'opinione Copernicana e di proibire il libro dell’istesso Copernico: nel qual Discorso intese il Galileo ciò avvertire, quanto fosse pericoloso il valersi de’ luoghi della Sacra Scrittura per l’esplicazione eli quelli effetti et conclusioni naturali che» poi si possino convincer di falsità con sensato esperienze o con necessarie dimostrazioni. Per l’avviso delle quali traduzioni e nuovo publicazioni do’suoi scritti restò il Sig. r Galileo grande¬ mente mortificato, prevedendo l’impossibilità ili mai più supprimergli, con molti altri ch’egli diceva trovarsi già sparsi per l’Italia e fuori manoscritti, attenenti pure alPistessa materia, fatti da lui in varie occasioni nel corso di quel tempo in che era vissuto nell’opinione d’Aristarco e del Copernico; la quale ultima¬ mente, per l’autorità della romana censura, egli aveva cntolicamente abbandonata. Per così salutifero benefizio che l’infinita Previdenza si compiacque di con- ,12 ° ferirgli in rimuoverlo d’error così grave, non volle il Sig. r Galileo dimostrarsele ingrato con restar di promuover l’altre invenzioni di altissime conseguenze. Clic perciò nei 1G3C si risolse di far libera offerta alli III.®' et Potentissimi .Stati Ge¬ nerali dello Provincie Unito d’Olanda del suo ammirabil trovato per l’uso delle longitudini, col patrocinio del Sig. r Ugon Grozio, ambasciador residente in Pa¬ rigi per la Maestà della Regina di Svezia, e con l’ardentissimo impiego del sud¬ detto Sig. r Elia Deodati, per le cui mani passò poi tutto il negoziato. Fu dalli 618-617. Noi cod. A dapprima si leggeva: Par l'avvito i Itila quali imprataioni retiti il Sig. r Galileo gran¬ demente mortificato, vedendo I' imponibilità di mai più tuppr ònere non tolti il Dialoga, ma ancora la tuddetla tenitura, con moli'al tre che egli diceva trovarti già ejntrte per l'Dulia r fuori man uteri! te, allenenti pure all inietta materia, fatte da lui in varie accattoni; poi fu corrotto imprrnioni in Iradutioni e nuove pulii- canoni de' tuoi ter itti. Noi cod. il fu trascritto, anzitutto, conforme si leggeva dapprima in A (salvo lo lievi modificazioni di vedendo in prevedendo, tujiprimere in 'opprimer, «> di moU'altre che egli in molle altro ch'egli), o perciò fu trascritta audio la lozione imprettioni ; poi fu riportata audio in II la correzione di impreuioni in iradutioni e nuove publicaaivni de'tuoi tcrilli, o, inoltro, furono cassato le parolo non tolo il Dialogo, ma ancora la tuddetla tenitura, o corretto tupprimer in tupprimerlt, e non fu ritoccato il resto del periodo. I.a lozione elio perciò ora si ha nel coti. Il di mai più tupprimerle, con molte altre . .. tparte . . manutcriUt ... Jatle, riferendosi non solo il le di tupprimerle, ma (dopo essero stato levato la tuddetla lerittura) audio molte altre, tparte ecc. a traduzioni e nuove publiaationi, ci sembra imperfetta o contraria all’ intenzione dell'autore ; ondo ci siamo attorniti in questo punto alla lezione di S, che ha tupprimergli, molli altri, tjiarti, manutcriUi, fatti. — 618. nell'opinione di PiUagora e del Copernico, S — 622-6*28. conte,juente, e col tacere le tue nuovo tpeculuzioni che gli rimanevano di publicare, ma con atti di generotità t gratitudine non ti taxiava di esaltarla, projtalando le di lei maraviglie e grandette. Con tal gralittima retoluxione nel 16U6 volle far, A. Cosi, salvo insignificanti differenze, si logge puro iu 3, ed ora stato trascritto in B; ma in 11 fu poi cor¬ retto conforme stampiamo nel testo. — IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIÀNI. G19 Stati avidamente abbracciata sì generosa offerta, e nel progresso del trattato fu gradita con lor umanissima lettera, accompagnata con superba collana d’oro, della oso (pialo il Sig. r Galileo non volle per allora adornarsi, supplicando gli Stati a com¬ piacersi elio il lor rogalo si trattenesse in altro mani sin che l’intrapreso negozio fosse ridotto a suo fine, por non dar materia a’ maligni suoi emuli di spacciarlo come espilator de’ tesori di gran Signori per mezzo di vano oblazioni e presun¬ tuosi concetti. Gli destinarono ancora, in evento di felice successo, grossissima recognizione. I lavevano già deputato per l’esamina et esperienza della proposta (piatirò Commessarii, principalissimi matematici, esperti in nautica, geografia et astronomia l*°J, a* quali poi il Sig. r Galileo conferì liberamente ogni suo pensiero o secreto concernente alla speculativa e pratica del suo trovato, et in oltre ogni suo immaginato artifizio per ridurre, quando fosse occorso, a maggior facilità e (••io sicurezza l’uso del telescopio nelle mediocri agitazioni della nave per l’osserva- zioni dello Stelle Medicee. Fu da quei Commessarii esaminata o con ammira¬ zione approvata così utile et ingegnosa proposizione. Fu eletto da’ medesimi Stati il Sig. r Martino Ortensio, uno do’ quattro Commessarii, per transferirsi d’Olanda in Toscana et abboccarsi col Sig. r Galileo, por estrarre ancor di più dalla sua voce tutti quei documenti et instruzioni più particolari circa la teorica c pratica doli* invenzione. Insomma, nella continuazione per più di cinque anni di questo trattato, non fu per l’una parte o per l’altra pretermessa diligenza e resoluzione per venire alla conclusione di tanta impresa. Ma a tanto non concorrendo per ancora il Divino volere, ben si compiacque che il nostro Galileo fosse ricollo¬ co scinto per primo e solo ritrovatoro di questa così bramata invenzione, sì come di tutte le celesti novità e maraviglie, o che per ciò si rendesse immortale o be- [io] Presidente eletto dalli Stati per l’esame della invenzione: Sig. r Lorenzo Ilealio, Governatore generale delle Indie Orientali. Deputati o Commessarii: Sig. r Martino Ortensio, Matematico d’Amsterdam; Sig. r Guglielmo Blavio, geografo; Sig. r ...Colio, professore di matematica in Leida; Sig. r Isaac Beecclimanno, professore di matematica e Riformatore della Scuola Dodracena. 688-641. Il tratto da concernente a Medicee si logge solo in R o In S. In B prima arava scritto: nella Jluttuazion della nave, poi corresse nella flnUuaaion in nelle grandi agitazioni (e cosi si leggo in S) G appresso, a matita, in nelle medioeri agitazioni. — 640. per piti di nei anni, A. Cosi ora Btato trascritto in B, dove poi lei fu corretto in cinque — (U I puntolini rouo nel cod. B. In S si leggo: soltanto il Bramo, I’Ortrnbio o il Bj.avio. « Sig. Giacomo tiolio • Nel cod. A sono enumerati 020 IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. Demerito insieme alla terra, al mare, et quasi dico al cielo stesso; ma volle con varii accidenti impedirò l’esecuzione dell’impresa, differendola ad altri tempi, con reprimer intanto il fastoso orgoglio degli uomini, elio arerebbero per tal mezzo con egual sicurezza passeggiato l’incognite vie dell’oceano come le più cognito della terra. Per lo che, avendo il Sig. r Galileo per lo spazio di ventisette anni sofferto grandissimi incomodi e fatiche per rettificare i moti de’ satelliti di Giove, i finali finalmente con somma aggiustatezza egli aveva conseguiti per l’uso delle longitudini; e di più avendo per esattissimo osservazioni pochi anni avanti, e prima cl’ogn’ altro, avvertito col telescopio un nuovo moto o titubazione nel oso corpo lunare per mezzo delle sue macchie; non permettendo la medesima Pre¬ videnza Divina che un sol Galileo disvelasse tutti i segreti che forse por esercizio de’futuri viventi ella tiene ascosi nel cielo; nel maggior calore di questo trat¬ tato, nell’età di settanta quattro anni in circa, lo visitò con molestissima flus¬ sione ne gl’occlii. e dopo alcuni mesi di travagliosa infermità lo privò affatto ili quelli, che soli, e dentro minor tempo d’un anno, Erevan scoperto, osservato et insegnato vedere nell’universo assai più che non era stato permesso a tutte in¬ sieme le visto umano in tutti i secoli trascorsi. Per questo compassionevole ac¬ cidente fu egli necessitato a consegnar nelle mani del P. D. Vincenzio Renieri suo discepolo, che fu poi Matematico di Pisa, tutti i proprii scritti, osservazioni 070 c calculi intorno a’ detti Pianeti, acciò quegli, supplendo alla sua cecità, ne fab¬ bricasse le tavole e l’efeineridi, per donarle poi alli Stati e comunicarle al Sig. r Or¬ tensio, che qua (lovea comparire. Ma nello spazio di breve tempo vennero avvisi non solo della morte di questo, ma ancora delli altri tre Commissarii deputati a tal maneggio, a pieno instrutti et assicurati della verità della proposta e della certezza e modo del praticarla. Et finalmente, quando dal Sig. r Ughenio, primo Consigliere e Segretario del Sig. r Principo d’Oranges, e dal Sig. r Borelio, Consi¬ gliere e Pensionano della città. d’Amsterdam, personaggi di chiarissima fama e litteratura, si procurava incessantemente di riassumere e perfezionare il nego¬ ziato con i medesimi Stati; e che il Sig. r Galileo aveva deliberato, con lor con- oso senso, d’inviar colà il P. I). Vincenzio Renieri, come informatissimo d’ogni secreto, con le tavole et effemeridi de’ Pianeti Medicei, per conferire il tutto et instruirne chiunque a lor fosse piaciuto; quando, dico, da questi, che già apprendevano la proposta per infallibile e di sicurissimo evento, ciò si trattava con ogni maggior fervore; mancò la vita all’autore di si grand’invenzione, come dico appresso: c qui si troncò totalmente ogni trattato con gli Stati d’Olanda. Non però qui s’estinse la maligna influenza, ostinatasi ad opprimere con tanti modi, o più tosto a differire, la conclusione d’opera così egregia; poiché nel 1648, quando il sud- 676-080. quando da i meditimi Stati ti reatevmeva il trattato, con aver fatto nuoti' «betoni di Oommiuari; e rfio ti S V ffahUo, A. Cosi era «tato trascritto dapprima in R, doro poi fu corrotto aver fatte in pernierò .tifare, o Analmente, cancellato il tutto, fu sostituito in tnnrgino conformo stampiamo noi tosto.— IV. RACCONTO 1STORICO DI VINCENZIO VI VI ANI. 021 detto I*. Itenieri aveva ormai in ordine di publicare (conio l’Altezze Lor Ser. mo «9o asseriscono d’aver veduto) l’efemeridi con le tavole e canoni per calcolare in ogni tempo le future constituzioni do’ Pianeti Medicei, elaborate sugli studii e precetti conferitigli dal Sig. r Galileo e conseguiti da esso nelle vigilie di tanti anni, fu il detto Putirò sopragiunto d’improvisa e quasi repentina malattia, perlaquale si morì; et in questo accidente fu, non si sa da olii, spogliato il suo studio delle suddette opere già perfezionate e (piasi di tutti gli scritti et osservazioni, tanto delle consegnategli dal Sig. r Galileo che delle proprio, sopra questa materia: per¬ dita tanto più deplorabile, quanto elio si richiede per resarcirla assai maggior tempo di quel che fu di bisogno al Sig. r Galileo, perspicacissimo osservatore, per ottenere una perfetta cognizione de’ periodi e moti di quei Pianeti. Ma differiscasi 700 puro per qualsivoglia accidente la pratica di così nobil trovato, et altri si affa¬ tichi di rintracciare con i proprii sudori i movimenti di quelle .Stelle, o pur altri, adornandosi delle fatiche del primo discopritore, tenti farsene l’autore per estrarne prendi et onori ; oliò sì conio per graduare le longitudini il mezzo do’ compagni di (iiove è Punico e solo in natura, e perciò questo solo sarà un giorno praticato da tutti gl’osservatori di terra e mare, così il primato e la gloria dell’invenzione sarà sempre del nostro gran Galileo, autenticata da regni interi e dalle republiebe più famose d’Europa, et a lui solo sarà perpetuamente dovuta la correzzione dolio carte marine e geografiche e l’esattissima descrizione di tutto *1 globo terrestre. Aveva già il Sig. r Galileo risoluto di mai più esporre allo stampe alcuna delle 7io sue fatiche, per non provocarsi di nuovo quelli emuli che per sua inala sorte in tutte l’altro opere sue egli aveva sperimentati; ma ben, per dimostrar gra¬ titudine alla natura, voleva comunicar manuscritte quelle che gli restavano a varii personaggi a lui ben affetti et intelligenti delle materie in esse trattate. E perciò avendo eletto in primo luogo il Sig. r Conte di Noailles, principalissimo signor della Francia, quando questi nel 1636 ritornava dall’ambasciata di Roma, gli presentò una copia de’ suoi Dialogi o pur Discorsi c Demostraeioni matema¬ tiche intorno a due nuove sciame della meccanica e del moto locale ; i fondamenti del quale, insieme con moltissime conclusioni, acquistò sin nel tempo che era in Padova et in Venezia, conferendole a’suoi amici t 11 ^ che si trovarono a varie E 11 ! Sig. r Filippo Salviati. Sig. r Gio. Francesco Sagredo. Sig. r Daniello Antonini, nobil udinese. Sig. r Paolo Aproino, nobil trivisano. Fra Paolo servita, Teologo della Republica, et altri, etc. «89-690. Il cod. A leggo: di publicare infittite con Veffemeridi le tavole. Così ora stato trascritto nel ood. B, doro poi tra publicare o ìumm fu aggiunto, interlinearmente, come tanno l’AA. VV., o, in uiargiuo, come .iiimÌN d'aver veduto ancora l'Alt.» Votlra insieme con il Ser”° Card .• Oio. Carlo, tuo fra tedio ; poi, cassata 1* una o 1’ altra di quoste due lezioni, il tutto fu corrotto conio stampiamo noi testo. 622 IV. RACCONTO I8T0RIC0 01 VINCENZIO VIVI A NI. esperienze ch’egli di continuo faceva intorno alPesamine di molti curiosi problemi 720 e proposizioni naturali. Accettò il Sig. r Conte come gioia inestimabile l’esem¬ plare manuscritto del Sig. r Galileo ; ma giunto a Parigi, non volendo defraudare il mondo di tanto tesoro, no fece pervenir copia in mano ni li Elsevirii di Leida, i quali subito no intrapresero l’impressione, che restò terminata nel 1638. Poco dopo questa inaspettata pubblicazione, concedendomisi P ingresso nella villa d’Arcetri, dove allor dimorava il Sig. r Galileo, acciò quivi io potesse go¬ dere de’ sapientissimi suoi colloquii e preziosi ammaestramenti, e contentandosi questi che nello studio delle matematiche, alle quali poco avanti mi ero appli¬ cato, io ricorresse alla viva sua voce per la soluzione di quei dubbii e difficoltò, che per naturai fiacchezza del mio ingegno bene spesso incontravo, accadde che 730 nella lettura de’ Dialogi sopradetti, arrivando al trattato de’moti locali, dubitai, come pur ad altri era occorso, non già della verità del principio sopra ’l quale ò fondata l’intera scienza del moto accelerato, ma della necessità di supporlo come noto; onde io, ricercandolo di più evidenti confermazioni di quel supposto, fui cagione ch’egli nulle vigilie della notte, che allora con gran discapito della vita gli erano familiarissime, no ritrovò la dimostrazione geometrica, dependente da dottrina da esso pur dimostrata contro ad una conclusione di Pappo (qual si vede nel suo trattato di Meccaniche, stampato dal suddetto P. Morsennio), et a me subito la conferì, sì come ad altri suoi amici ch’eran soliti visitarlo: et alcuni mesi dopo, compiacendosi di tenermi poi di continuo appresso la sua 710 disciplina, per guidarmi, bonchò cieco come egli era di corpo, d’intelletto però lucidissimo, per il sentiero (li quelli studii ch’egli intendeva ch’io proseguisse, imposemi ch’io facesse il disteso di quel teorema, per la difficoltà che gli ar¬ recava la sua cecità nell’esplicarsi dove occorreva usar figure e caratteri ; e di questo ne mandò più copie por l’Italia et in Francia alli amici suoi. Per una simil occasione di dubitare mi aveva ancora esplicato una sua considerazione o dimostrazione sopra la 5 a o 7' 1 definizione del quinto libro d’ Euclide, dettan¬ dola a me dopo in dialogo per inserirla in detto suo libro appresso la prima proposiziono del moto equabile, quando si fosso ristampato ; et ò quell’ istessa dimostrazione che, a richiesta di V. A. S., fu poi distesa dal Sig. r Evangelista 750 Torricelli, elio l’aveva sentita dui medesimo Sig. r Galileo. 725-729. Il coll. A leggo : Circa un anno dopo questa ùtaifiettata publieaeione. compiacendoti il Sig' Ga¬ lileo dt harermi nella tua villa d’Arcetri appretto Vottima tua ditiplina per guidarmi, benché cieco, com’egli era, di corpo, di intelletto però luoidiseimo, per il imiterò delle matematiche, alle quali poco aranti io m’era applicato, e contentandoti che nello ittici io ch’io /aereo io ricorrette ecc., 0 quindi (lin. 73S-745) proseguo: «mentilo); et imponendomi eh’io/arene il duino del teorema, per la difficoltà che gli arrecava la tua cecità nell’esplicarti dove (degnavano UMr figure e caratteri, ne mandò pià copie OCC. I.a lozione di A ora stata trascritta in B, Uovo poi fu corretta conforme stampiamo nel tosto. — 72S. nello tludio delle tue opere matematiche, S 780. ingegno, e per la novità della materia, di natura /uica e però non interamente geome¬ trica, bene spetto, S — 786. geometrica meccanica, dependente, S — 751. Dopo Galileo la stampn S aggiungo: nel tempo che dimorò appretto di lui. — IV. RACCONTO I8TORICO DI VINCENZIO VIVIANI. 623 Negli 11 di Marzo del 1639 avendo V. A. S. con filosofica curiosità ricercato per lettera il Sig.* Galileo del parer suo circa il libro De lapide Donomcnsi del filosofo Liceti, e particolarmente sopra la dottrina del capitolo 50, dove l’autore oppone alla di lui oppimene sopra il candore o luce secondaria della luna, ri- sposelo tra pochi giorni, come è noto all'A. V., con dottissima lettera dell’ultimo dell’ istesso mese, che cadde nel 1640, procurando per essa di mantener saldi i proprii pensieri con ragioni e conietture vivissime e sottilissime; alla qual let¬ tera poi replicò il suddetto Liceti con assai grosso volume, che egli publicò nel 760 1 642 insieme con detta lettera. Nel tempo di trenta mesi eh’ io vissi di continuo appresso di lui sino alli ultimi giorni della sua vita, essendo egli spessissimo travagliato da acerbissimi dolori nello membra, che gli toglievano il sonno e ’l riposo, da un perpetuo bruciore nelle palpebre, che gl’era di insopportabil molestia, e daU’altre indisposizioni che seco portava la grave età, defatigata da tanti studii e vigilie de’ tempi ad¬ dietro, non potò mai applicare a disporre in carta l’altre opere che gli resta¬ vano già risoluto 'e digerite nella sua mente, ma per ancora non distese, come pur desiderava di fare. Aveva egli concetto (già che i Dialogi delle due Nuove Scienze erano fatti pubblici) di formare duo Giornate da aggiugnersi all’altro 770 quattro; o nella prima intendeva inserire, oltre alle due suddette dimostrazioni, molte nuove considerazioni e pensieri sopra varii luoghi delle Giornate già im¬ presse, portando insieme la soluzione di gran numero di problemi naturali di Aristotele e di altri suoi detti et oppinioni, con discoprirvi manifeste fallacie, et in specie nel trattato De incessa animalium ; e finalmente nell’ultima Giornata promuovere un’altra nuova scienza, trattando con progresso geometrico della mirabil forza della percossa, dove egli stesso diceva d’aver scoperto e poter di¬ mostrare acutissime e recondite conclusioni, elio superavano di gran lunga tutto l’altro sue speculazioni già publicate. Ma nell’applicazione a così vasti disegni, sopragiunto da lentissima febbre e da palpitazione di quore, dopo due mesi di 780 malattia elio a poco a poco gli consumava gli spiriti, il mercoledì dell’ 8 di Gen¬ naio del 1641 ab Incarnationc, a bore quattro di notte, in età di settantasette anni, mesi dicci c giorni venti, con filosofica e cristiana constanza rese l’anima al suo Creatore, inviandosi questa, per quanto creder ne giova, a godere e rimirar più dappresso quelle eterne et immutabili maraviglie, che per mezzo di fragile ar¬ tifizio con tanta avidità et impazienza ella aveva procurato di avvicinare agl’oc- chi di noi mortali. 761-762 di lui, che fu tino itili ultimi tjiorni della tua vita, e polso (tur or dire da' miei studi, estendo cijli, A ; di lui, tino all'ultimo rapirò della tua vita, che per altri tinittri accidenti, occupasioni e inipieijh i sopravvt nutinn posso dir l'ultimo delti «(tirili miti più giocondi e più quieti, estendo egli, S. Noi coti. Il ora stato trascritto corno si loggo in A, ina poi fu corretto conformo stampiamo noi tosto. — 766. non potè mai fu corrette in 11 in luogo di poco poti, che prima era stato scritto o elio si logge iu A. — 024 IV. RACCONTO ISTORICO DT VINCENZIO VIVI ANI. I)’ inestimabil pregiudizio alPiiniveraità do’ litterati et al mondo tutto fu que¬ sta perdita inconsolabile, che ci privò non solo dèlia miniera fecondissima del discorso d’un tanto filosofo, che giA per inviolabil decreto di natura dovea man¬ cane, ma più dell’oro purissimo delle speculazioni, estratto già e conservato nella 790 sua lucidissima mente, forsi senza speranza di mai più recuperarlo por opera di alcun altro. Di queste rimasero solo appresso il figliuolo e nipoti alcuni po¬ chi fragmenti per introdursi nella contemplazione della forza della percossa, con la suddetta dimostrazione del principio della scienza del moto accelerato, e con l’altra della 5 a c 7“ definizione del quinto libro d’ Euclide. 11 corpo suo fu condotto dalla villa d’Arcetri in Firenze, e per commessione del nostro Ser.""’ Gran Duca latto separala mente custodire nel tempio di 8. Croce, dove è l’antica sepoltura della nobil famiglia de'Galilei, con pensiero d’ereg- gergli augusto c suntuoso deposito in luogo più conspicuo di detta chiesa, c così, non meno ch’ili vita, generosamente onorar dopo morte l’immortai fama del soo secondo fiorentino Amerigo, non già discopritore di poca terra, ma d’innumera- bili globi e nuovi lumi celesti, dimostrati sotto i felicissimi auspieii della Sor. 1 *" 1 Casa di V. A. Fu il Sig. r Galileo di gioviale e giocondo aspetto, massime in sua vecchiezza, di corporatura quadrata, di giusta statura, di complessione per natura sangui¬ gna, flemmatica et assai forte, ma por fatiche e travagli, si dellaniino come del corpo, accidentalmente debilitata, onde spesso riducevasi in stato di languidezza. Fu esposto a molti mali accidenti et affetti ipocondriaci e più volte assalito da gravi e pericolose malattie, cagionate in gran parte ila' continui disagi e vigilie nell’osservazioni celesti, per le quali bene spesso impiegava le notti intere. Fu sio travagliato per più di 48 anni della sua età, sino all’ultimo della vita, da acu¬ tissimi dolori e punture, che acerbamente lo molestavano nelle mutazioni de’tempi in diversi luoghi della persona, originate in lui daU’essersi ritrovato, insieme con due nobili amici suoi, ne’caldi ardentissimi d’una estate in una villa del con¬ tado ili Padova, dove postisi a riposo in una stanza assai fresca, por fuggir l’oro più noiose del giorno, e quivi addormentatisi tutti, fu inavvertentemente da un servo aperta una finestra, per la quale solevasi, sol per delizia, sprigionare un perpetuo vento artifizioso, generato da moti e cadute d’acque elio quivi appresso scorrevano. (Questo vento, per esser fresco et umido di soverchio, trovando i corpi loro assai alleggeriti di vestimenti, nei tempo ili due ore che riposarono, intro- 820 792. Di questi rimasero, A, B; Di queste rimasero, S — 79tf. Noi cml. A, prima dolio parolo II corpo suo ecc. si leggono cancellato ([UC.st'nltro : Muri nella sua villa d'Arcetri, et il eorjio mio fu trasportalo in Firenze e de- poùtalo in luogo vicino alla sagrestia del tempio di ,s’. Croce, di commissiona del suo Scrl'ndrone. — 807» Nel coti. A prima aveva scritto di statura più che giusta, poi corresse di giusta statura, conio si leggo in B e in S. — 815. Dopo di l'adova noi cod A aveva scritto: » del ,%/.... » (i puutolini sono no) codicoj, elio poi enncollò. — IT. RACCONTO ISTORICI) DI VINCENZIO VIVIANT. 625 (lusso pian piano in loro così mala qualità per le membra, che svegliandosi, chi con torpedine e rigori per la vita e chi con dolori intensissimi nella testa e con altri accidenti, tutti caddero in gravissime infermità, per le quali uno de’ com¬ pagni in pochi giorni so ne morì, l’altro perdè l’udito e non visse gran tempo, et il Sig. r Galileo no cavò la sopradotta indisposizione, della quale mai potò liberarsi. Non provò maggior sollievo nelle passioni dell’animo, nò miglior preservativo della sanità, che nel godere dell’aria aperta; e perciò, dal suo ritorno di Pa¬ dova, abitò quasi sempre lontano dalli strepiti della città di Firenze, per le villo d’amici o in alcune ville vicino di Bellosguardo o d’Arcetri : dove con tanto mag- 880 gior satisfa'/ione ei dimorava, quanto che gli pareva che la città in certo modo fosse la prigione delli ingegni speculativi, e che la libertà della campagna fosse il libro della natura, sempre aperto a chi con gl’occhi dell’intelletto gustava di leggerlo o di studiarlo; dicendo che i caratteri con che era scritto erano le proposizioni, ligure e conclusioni geometriche, per il cui solo mezzo potevasi pe¬ netrare alcuno delli infiniti misterii dell’ istessa natura. Era perciò provvisto di pochissimi libri, ma questi do’ migliori e di prima classe : lodava ben sì il ve¬ dere quanto in filosofia e geometria era stato scritto di buono, per dilucidare c svegliar la mente a simili c più alte speculazioni; ma ben diceva che le prin¬ cipali porte per introdursi nel ricchissimo erario della naturai filosofia erano sio rosservazioni e l’esperienze, che, per mezzo delle chiavi de’sensi, dai più nobili e curiosi intelletti si potevano aprire. Quantunque le piacesse la quiete e la solitudine della villa, amò però sem¬ pre d’avere il commercio (li virtuosi c d’amici, da’ quali era giornalmente visi¬ tato e con delizie e regali sempre onorato. Con questi piacevagli trovarsi spesso a conviti, e, con lutto fosse parchissimo e moderato, volentieri si rallegrava; c particolarmente promova neli’esquisitezza e varietà de’vini d’ogni paese, do’quali era tenuto continuamente provvisto dall’istessa cantina del Ser. mo Gran Duca o d’altrovc : e tale ora il diletto ch’egli aveva nella delicatezza de’vini e dell’uve, e nel modo di custodire le viti, ch’egli stesso di propria mano le potava e le- 860 gavft nolli orti delle sue ville, con osservazione, diligenza et industria più che ordinaria ; et in ogni tempo si dilettò grandemente dell’agricoltura, che gli ser¬ viva insieme di passatempo e di occasione di filosofare intorno al nutrirsi e al vegetar delle piante, sopra la virtù prolifica de’ semi, e sopra l’altre ammirabili operazioni del Divino Artefice. Ebbe assai più in odio l’avarizia che la prodigalità. Non rispiarmò a spesa alcuna in far vario prove et osservazioni per conseguir notizie di nuove et am¬ mirabili conseguenze. Spese liberalmente in sollevar i depressi, in ricevere et S83. i caratteri e Valfabeto con che. A, S. Cosi ora stato copiato in B, dove poi « V fu corrotto a matita in dell’, o, inoltre, le parolo « Valfabeto sono sottolineato, pure a matita.—848-849. aveva (Mia delicatezza de’ vini e dell'uve, e del modo. A; aveva nella delicatezza de'vini e dell'uve, e del mudo, IJ, S - XIX. 79 G2G IV. RACCONTO I8T0BIG0 DI VINCENZIO VIVIANI. onorare forestieri, in somministrar le comodità necessarie a poveri, eccellenti in qualcli'arto o professione, mantenendogli in casa propria finché gli provvedesse di convenevol trattenimento. K tra quei ch’egli accolse, tralasciando di nominar 8C0 molti giovani fiamminghi, tedeschi e d’altrove, professori di pittura o scultura e di altro nobil esercizio, o esperti nelle matematiche o in altro genere di scienza, farò solo particolar menzione ili quegli che fu l’ultimo in tempo, o in qualità forse il primo, o che già discepolo del P. D. Benedetto Castelli, ormai fatto mae¬ stro, fu dal medesimo Padre inviato e raccomandato al Sig. r Galileo, affinché questi gustasse d’aver appresso di sé un geometra eminentissimo, e quegli, al¬ lora in disgrazia della fortuna, godesse della compagnia e protezione d’un Ga¬ lileo. Parlo del Sig. r Evangelista Torricelli, giovane d’integerrimi costumi o di dolcissima conversazione, accolto in casa, accarezzato e provvisionato dal Sig. r Galileo, con scambiovol diletto di dottissime conferenze. Ma la congiunzione in 87o terra di due lumi sì grandi ben esser quasi momentanea dovea, mentre tali son le celesti. Con questi non visse il Sig. r Galileo più elio tre mesi; mori ben con¬ solato di veder comparso al mondo, e per suo mezzo approssimato a’ benigni influssi della S.er. m * Casa di V. A., così riguardevol soggetto. Et il Padre Castelli conseguì ancora l’intento: giachè, mancato il Sig. r Galileo, essendo, a persua¬ sione del Sig. r Senatore Andrea Arrighotti, anch’esso discepolo del Sig. r Galileo, trattenuto in Firenze il Sig. r Torricelli, fu questo da V. A. S. (con l’ereditario instinto di protegere e sollevare i possessori d’ ogni scienza e per la particolar aftezzione e naturai talento alle matematiche) favorito appresso il Ser. mo nostro G. Duca, e da questo onorato col glorioso titolo di suo Filosofo et Matematico, 880 o con regia liberalità invitato a pubblicar quella parte dell’opere sue clic Fàuno reso immortale, et altra prepararne di maraviglia maggiore, che, prevenuto da invidiosa e immatura morte, lasciò imperfetta, tua, postuma e bramata sin d’ol- tre a’ monti, spera tra poco la luce. Non fu il Sig. r Galileo ambizioso delli onori del volgo, ma ben di quella glo¬ ria che dal volgo differenziar lo poteva. La modestia gli fu sempre compagna: in lui mai si conobbe vanagloria o iattanza. Nelle sue avversità fu constantis¬ simo, o soffrì coraggiosamente le persecuzioni delli emuli. Muovevasi facilmente all’ ira, ma più facilmente si placava. Fu nelle conversazioni universalmente amabilissimo, poiché discorrendo sul serio era ricchissimo di sentenze e concetti suo gravi, e ne’ discorsi piacevoli l’arguzie et ì sali non gli mancavano. L’eloquenza Il tratto da tralasciando (lin 800) a la h.cr (lin. ft$4) manca noi coti. A. porcili*, corno no rimnne segno, ora scritto su di un foglio a parto, che andò perduto. K il tratto da .Yow fu (lin. MI») a ni placami (lin 880) si leggo noi cod. A soltanto in una stesura cancellata, probnbilment" perchè ora stato trascritto, insieme col tratto, immediatamente precedutilo, da tralasciando a la luer, sul faglio a parte, elio si desidera. — Nel cod. I! prima aveva scritto possessori dslla virtù, poi corresse dilla virtù in d'tnjni tcimsa. In S si logge: projtutori il'ogni sdenta - 884. spera umi volta la lue», S. Com era stato scritto in 11, dovo poi litui volta fa corrotto iu tra poco — IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. 627 poi et espressiva ch’egli ebbe nell’esplicare l’altrui dottrine o le proprie specu¬ lazioni, troppo si manifesta no’ suoi scritti o componimenti per impareggiabile e, per così dire, sopraumana (0 . Fu dotato dalla natura disquisita memoria; e gustando in estremo la poesia, aveva a mente, tra gl’autori latini, gran parte di Virgilio, d’Ovidio, Orazio e di Seneca, o tra i toscani quasi tutto ’l Petrarca, tutte lo rime del Borni, e poco meno die tutto il poema di Lodovico Ariosto, che fu sempre il suo autor favo¬ rito o celebrato sopra gl’altri poeti, avendogli intorno fatte particolari osserva¬ lo /.ioni o paralleli col Tasso sopra moltissimi luoghi. Questa fatica gli fu doman¬ data pici volte con grandissima instanza da amico suo, mentre era in Pisa, e credo fosse il Sig/ Iacopo Mazzoni, al quale finalmente la diede, ma poi non potè mai recuperarla, dolendosi alcuna volta con sentimento della perdita di tale studio, nel quale egli stesso diceva aver avuto qualche compiacenza et di¬ letto. Parlava dell’Ariosto con varie sentenze di stima e d’ammirazione ; et es¬ sendo ricercato del suo parerò sopra i duo poemi dell’Ariosto c del Tasso, sfug¬ giva prima lo comparazioni, come odiose, ma poi, necessitato a rispondere, diceva che gli pareva più bello il Tasso, ma che gli piaceva più PAriosto, soggiugnendo che quel diceva parole, e questi cose. E quand’altri gli celebrava la chiarezza fio et evidenza nell’opero sue, rispondeva con modestia, che se tal parte in quello si ritrovava, la riconosceva totalmente dalle replicate letture di quel poema, scorgendo in esso una prerogativa solo propria del buono, cioè che quante volte lo rileggeva, sempre maggiori vi scopriva le maraviglie e le perfezioni; confer¬ mando ciò con due versi di Dante, ridotti a suo senso: Io non lo lessi tante volto ancora, Oh’ io non trovasse in lui nuova bellezza. Compose vario poesie in stil grave et in burlesco, molto stimate da’professori. Intese mirabilmente la teorica della musica, e ne diede evidente saggio nella prima Giornata delli ultimi Dialogi sopradetti. 920 Oltre al diletto ch’egli aveva nella pittura, ebbe ancora perfetto gusto nel- l’opere di scultura et architettura et in tutte Farti subalternate al disegno. Iìinovò nella patria, e si può dire nell’ Italia, le matematiche e la vera filo¬ sofia ; e questo non solo con le pubbliche e private lezzioni nelle città di Pisa, Padova, Venezia, Roma e Firenze, ma ancora con le continue dispute che no’con¬ gressi avanti di lui si facevano, instruendo particolarmente moltissimi curiosi '.101. Cosi noi cod. A coinè in B prima era scritto in Padova e poi fu corrotto in Pisa. — 021. con In contimin conferenze. A, S. Cosi fu trascritto in B, dovo poi conferenze fu sottolineato con un frego, ma non fu cancellato, o sopra noli’interlinea fu scritto dispute .— Nel cod. B si legge in margino, scritto a materna », o più sotto, pur a matita, ma non can- mutita e cassato: « o por ciò scrisse nella lingua celiato: « Fra Paolo*. 628 IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIANI. ingegni e gran numero (li gentiluomini, con lor notabili acquisti. Et in vero il Sig.r Galileo ebbe dalla natura così maravigliosa abilità d’erudire, che gli stessi scolari facevan in breve tempo conoscer la grandezza del lor maestro l 12 ). Alle publiohe sue lezzioni di matematica interveniva così gran numero d’udi¬ tori, che vive ancor oggi in Padova la memoria, autenticata da soggetto di sin- oso golarissima fama e dottrina, stato già quivi scolare del Sig.r Galileo, che egli fu necessitato (e tali son le parole di Mona/ Vescovo Barinone) d’uscire della scuola destinata alla sua lettura et andare a leggere nella scuola grande (lelli artisti, capace di mille persone, e non bastando questa, andare nella scuola grande de’ legisti, maggioro il doppio, e die spesse volte questa ancora era pie¬ nissima; al qual concorso et applauso niun altro lettore in quello Studio (an¬ corché di professione diversa dalla sua, e perciò dall’universale più abbracciata) é mai giunto a gran via. Accrescevasi questo grido dal talento sopranaturale ch’egl’ebbe nelL’esaltar le facultà matematiche sopra tutto l'altro scienze, dimo¬ iò] Nota di alcuni gentiluomini fiorentini che furono discepoli ' del Sig. r Galileo. 1. Mons. r Ne rii, Arcivescovo di Firenze; 2. Mons. r Piccolomini, Arcivescovo di Siena; 3. Mons. r Rinuccini, Arcivescovo di Fermo; \ •t. Mons. r Giuliano de’Medici, Arcivescovo di Pisa; i 5. Mons. r Marzimedici, Arcivescovo di Firenze ; defunti. G. Mons. r Giovanni Ciampoli, Segretario de' Brevi \ di Papa Urbano Ottavo; / 7. Sig. r Senator Filippo Pandolfini ; 8. Sig. r Senator Andrea Arrighetti ; 9. Sig. r Cav. r Tommaso Rinuccini ; 10. Sig. r Pier Francesco Rinuccini, Residente a Milano; 11. Sig. r Mario Guiducci ; 12. Sig. r Niccolò Arrighetti ; 13. Sig. r Braccio Manetti ; 14. Sig. r Canonico Niccolò Cini : 15. Sig. r Conte Piero de’Bardi; Ifi. Sig. r Filippo Salviati; 17. Sig. r Iacopo Soldani ; 18. Sig. r Iacopo Giraldi ; 19. Sig. r Michelangelo Buonarruoti ; 20. Sig. r Alessandro Sertiui, et altri. defunti. I 1,1 Nel cod. A si leggo: teolari: in S, teolari e te- ma poi queste parole furono sottolino&te, o sopra ad anaci; ed anche in B ora stato scritto icdari e ugnaci, usta fu scritto diterpolì, cho porò ò puro sottolineato. IV. RACCONTO ISTORICO DI VINCENZIO VIVIAN1. 629 910 strando con assai ricca et maestosa maniera le più belle e curiose conclusioni elio trai- si possi no dalla geometria, esplicandole con maravigliosa facilità, con utile c diletto insieme delti ascoltanti. E per chiara confermazione di ciò si consideri la qualità de’ personaggi che in Padova gli voller esser discepoli ; e tralasciando tanti Principi e gran Signori italiani, frantosi, (raminghi, boemi, transilvani, inglesi, scozzesi o d’ogn’altra nazione, sovvienimi aver inteso ch’il gran Gustavo re di Svezia, che fu poi fulmine della guerra, nel viaggio che da giovane fece incognito per l’Italia, giunto a Padova vi si fermò con la sua co¬ mitiva per molti mesi, trattenutovi principalmente dalle nuove e peregrine spe¬ culazioni e curiosissimi problemi che giornalmente venivano promossi e risoluti 950 dui Sig. r Galileo nelle publiche lezzioni c ne’particolari congressi, con ammira¬ zione de’circostanti ; e volle nell’istessa casa di lui (con l’interesse d’esercitarsi insieme nelle vaghezze della lingua toscana) sentire l’esplicazione della sfera, le fortificazioni, la prospettiva c l’uso di alcuni strumenti geometrici e militari, con applicazione et assiduità di vero discepolo, discoprendogli in line con am¬ plissimi doni quella regia maestà ch’egli s’era proposto di occultare. Fuori di Padova poi, nel tempo delle vacanze di Studio, e prima nell’estate del 10u5, il Ser.'"° D. Cosimo, allora Principe di Toscana, volle pur sentire l’espli¬ cazione del suo Compasso, continuando poi il Sig. 1 ' Galileo per molti anni in quella stagione ad instruiro nelle matematiche il medesimo Serenissimo, mentre oflo già era Gran Duca, c con l’Altezza Sua gl’altri Sei*. 1 "' Principi D. Francesco e D. Lorenzo. Tra i professori di matematica suoi discepoli, ne uscirmi cinque famosi let¬ tori publici di Roma, Pisa o Bologna t ,3 h A questi soleva dire ch’eglino con mag¬ gior ragiono dovevano render grazie a Dio et alla natura, che gl’avesse dotati op.Jdo e Chi-Io, S 987. In margine de! rod. lì è scritta a matita, • d oggi a «t«nto si I gir", l i * guanto aggiunta, della qualo non è segno di richiamo, ma che paro avrebbe dovuto trovar luogo dopo feconde : Seorgtti dall' a/iplauio unitemi* con che mino Unte rierrulr l'opere tue, i tuoi dogmi i dottrine. » dall» più fumine accademie e nelle più celrl ri cui.tire Ielle, meeijwite tl ahhrticcinte eon per ,• o r..n q«. sta parola per l'aggiunta rimano in tronco. Anclto lo parole da Scorgeti infine a /».,* «•*<■ (liti. yn7 '.'-i. rio- abbiamo stampato nel testo, si leggono soltanto nel end. lì, scritto in margine a matita ora umisponta © »<*nra segno eh-» lo richiami danniti a »ii«a itili. 989); sono scritte perù presso a questa parola, con In quale sembra ehu immediatamente leghino, benché Niun, che in A o in S •'» con lotterà umili da e in principio di caporerso. aia stato trascritto cosi anche in B, o cosi sia rimasto, nonostante raggiunta marginale predetta -990-991 rhe non procurate conoscerlo, e non ettendo in città, ti tratftritano tino alla r ilio, dorè « dimorò più del l.m/.o. A. Così ora Stato copiato anello in B, dove poi fu corretto eh* non di ri,ilario in città o nella villa, dove egli Jotte. 991-992. dimando allora bene tprti i lor lunghi riaggi, mentre, tornando, A. S. In lì fu copiato: •limando allor bene epeti i lor lunghi viaggi, m.nlre, tornando, e poi tra io liuoo fu scritto, a matita ora semispenta. et allora ,limavano daver sopra «liisantto aliar, e quando sopra mentre, benché lo primo lozioni non siano stato ili alcun modo cassate._ IV. RACCONTO /STORICO DI VINCENZIO VIVIANI. 631 1000 lui glorie in queat’unica e singolare, sovvenga all’A. V. che trovandosi egli nel¬ l’anno 1038 aggravato da malattia nella sua abitazione di Firenze, l’istesso Ser. m0 Gran Duca di Toscana oggi felicemente regnante, insieme con V. A. S., lo vi¬ sitò sino al letto, porgendogli di propria mano soavissimi ristorativi, con dimo¬ rarvi sopra due ore; gustando, come sapientissimo Principe, di coltivar le sue nobili e curiose speculazioni con la conferenza e discorso del suo primario Fi¬ losofo. Esempio in vero di singolare aflfezzione verso un proprio vassallo, per il quale non men risplende un’eminente virtù in chi conferisce, elio in chi riceve, onoro sì glorioso. Di simili visite fu ancor prima o dopo, come è ben noto ali’A. V. S., più c iole più volte onorato dal medesimo Ser." 10 Gran Ducaci e da lor altri Ser. mi Prin¬ cipi, che, a poBta movendosi di Firenze o dalla Villa Imperiale, si trasferivano in Arcetri, per godere della sapientissima erudizione di quel buon Vecchio, o per consolarlo nell’angustie dell’animo e nella sua compassionevole cecità. Dicalo l’A. V. 8.. che più frequentemente delli altri si compiacque onorarlo con la maestà della sua presenza, in tempo in elio ella, mirabilmente avanzan¬ dosi nelle scienze matematiche, dilettavasi comunicar seco quei pensieri elio nello studio dell’opere di lui le sovvenivano, dando allora materia al gran Ga¬ lileo di far quel giudizio eli’ in oggi, vivendo, goderebbe vedere a pieno verifi¬ cato ; mentre egli a me più volte con stupore affermava di non aver mai incon- 1020 trato, fra tanti suoi uditori, chi più di V. A. gli avesse dimostrato prontezza d’ingegno e maturità di discorso, da sperarne maravigliosi progressi non tanto nelle matematiche (pianto nelle filosofiche discipline, e conseguentemente, se¬ condo la di lui regola sopradetta, nelli affari importanti. Questo per ora ò sovvenuto alla sterilità della mia memoria intorno a sog¬ getto così fecondo, e tanto ho potuto raccogliere d’altrove, in tempo assai scarso. [d] Detto eroico di S. A., originato da queste visite: Sempre eh’io avrò un Galileo, farò t:osì°\ 1000-11*01. sovvenga all'A. V. che udii 8 di Settembre del 1638, aggravato egli da malattia, S — 1002. Ili luogo di oggi felicemente regnante noi C.od. A si leggo tuo e nnttro Principe dominante, 0 iti S o in B « ottro Principe dominante; ma in lt ò puro scritto, in margine 0 a matita ora somisponta, oggi felicemente regnante, bonclic non sin cassata l’ultra lo/iono. — 1002-1003. lo vititò ò corretto in B a matita, tra lo lineo, sopra « posta andò a visitarlo; quest’ ultima è la lesiono di A 0 di S.— 1012. per godere, dell' amabilissima conversa gioite di quel sapiente Vecchio, A ; per godere della fecondissima erudizione di quel sapiente Vecchio, S. In B era stato copiato corno si leggo in S, ma poi fu scritto a matita sapientissima sopra fecondissima, elio non fu cancel¬ lato, o sapiente fu cassato 0 Corrotto in buon. — 1023. eopradetta, ne i governi politici, A, S. Così ora stato copiato nuche in 15, dove poi fu scritto tra lo lineo nelli ajf'ari importanti, 0 governi fu cancellato, ma non fu cancellato politici. — Ut Questa postilla ò solo in S. Noi cod. B però appena si distinguo, questo appunto : « Dotto dol si logge iu murgiuo, scritto a matita che appena G. D. ». 032 IV. RACCONTO IRTO RIGO DI VINCENZIO VIVIANI. dello pi>ì antiche notizie, e privo d« Ila maggior parte* delti amici più vecchi di quel grand’uomo, che ini potevano somministrare maggior numero ili virtuosi detti e memorabili azioni che risplenderono nel corso della sua vita. Compiac¬ ciasi non di meno l’A. V. S. ma di gradire per ora questa dovuta dimostrazione d'obbedienza et ossequio, con il quale io mi rassegno Di rasa, li 29 Aprile 16. r 4. I>i V. A. Ser.'"* Umiliss."® e Devoti*».®® Servo Oblig.®° Vincenzio Vi via ni. G33 Y. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERARDINL Della Vita di Galileo, che il canonico Niccolò Ghkrardini compose, corno crediamo, prosa' a poco nello stosso tempo in cui il Yiviani scriveva il Racconto {storico ò una copia di mano sincrona, con firma o qualcho correzione elio giudichiamo autografo, noi Manoscritti Galileiani dolili Biblioteca Na¬ zionale di Firenze, P. I, T. I, car. 3-19. Un’altra copia, non intera (cfr. lin. 36G-367, nollo varianti) ed egualmente di ninno dol soc. XVII, è nel cod.Mnnicollinno A, LXXI, G; o da-una fonte diversa dall'uno o dall’altro di questi duo codici ò dorivata la prima, o sola completa, edizione della Vitu, elio ò nollo Notizie degli aggrandì menti delle scienze fisiche accaduti in Toscana ecc., raccolte dal dottor GlO. Taroioni Tozzktti, Tomo II, Par. I, In Firenze, MDCCLXXX, pag.G2-7G. Noi abbiamo esemplato la nostra edi¬ zione sul codice elio è noi Mss. Galileiani, il qualo dà il testo elio sembra di gran lunga piii genuino; o collazionandolo col manoscritto Marucolliiuio o con la stampa, non abbiamo tenuto conto doi moltissimi luoghi in cui questo fonti si discostano anche non liovomonto dalla lezione da noi proferita, quando quollo differenze, come avviene quasi sempre, non orano che o conciari inopportuni o ampliamenti retorici con i quali s’è creduto di migliorare il dettato più semplice e brove, e talvolta anche un po’trasandato, dol cod. Galileiano, ma nulla contonovauo che avesse valore storico o biografico; nei pochi luoghi invece in cui il cod. ManiceUiano o la stampa offrono differenze che possano in qualcho modo giudicarsi so¬ stanziali, lo abbiamo registrato appiè di pagina t*'. Tra le varianti abbiamo altresì notalo i materiali orrori dol cod. Galileiano o i luoghi in cui la sua leziono era manifestamente difettosa, o cho abbiamo corretto con l'autorità di una o l’altra dolio altre duo fonti o di tiltt’ o due. Con la lettera G indi¬ chiamo il cod. Galileiano, con la lettera M il Marucelliano, con la lettera T la stampa Taroioni Tozzktti : dove nelle varianti è sognata la sola lozione di G, s’intendo cho è corretta con P appoggio dolio nitro duo fonti concordi. La Vita del Giieuardini vedo qui la luce, per questo nostro cure, in una forum cho possiamo dir nuova, o cortamente miglioro dolln stampa Taroioni Tozzktti, cho in qualche luogo non dà senso. 11 cod. G appartenne a Vincenzio Vi vi ani, il qnalo in un foglio cho ora è legato nel modosimo Tomo dopo il testo della Firn (Mas. Gal., P. I, T. I, car. 20) scrisse, richiamandosi alla paginazione originalo di G, di suo pugno alcuno brevi postille, o in capo ad esse sognò la data : « I. M. Maggio 1054 ». Noi abbiamo pubblicato questo postillo appiè del tosto (lolla Vita, numerandolo progressiva¬ mente, con richiamo ni luoghi a cui hanno relaziono. «M Scrivendo il Giikrardini clic dalla morte di Galileo al tempo in cui egli proso a comporne la Vita orano scorsi « anni tredici o più » (lin. 39), la data della Fi<« si dovrebbe riportare por lo mono al 1655; ma poiché il Yiviani noi postillare la Vita, a quello pardo del Canonico annota: «Sono anni 12, non 13 », ossa data scendo al 1G54 : al qual anno inoltre, o procisamonto al maggio, appartengono, conio tosto vedremo, lo postillo stosso dol Yiviani. E poiché il Giiera Udini scrive altresì: * è talo la contentezza elio ha l’animo mio in udire che s’hah- bino a scriverò la vita e 1’ azzioni d’un hiiomo (pialo per l’eccellenza della sua virtù sarà sempro famoso al mondo, cho io, tralasciata ogn’altra occupazziono, ho procurato nella miglior maniera restaurarmi la memoria ili tutto ciò elio uii parrà a proposito por condurre a fino una cotanto nobile o desiderata im¬ prosa » (lin. -12-47), appnro molto vorisimilo cho ogli si sia accinto all’opora quando, sentì cho il Priucipo Leopoldo de’ Medici aveva risoluto di faro scriver la vita dì Galileo, o al Yiviani aveva dato incarico di raccòglierò intanto i materiali in servigio dol fu¬ turo biografo; al qual modesto scopo, o non più, mira 10 stosso Giieuardini. Avendo egli poi condotto a termino il suo lavoro e fattnno far copia (alla (pialo 11 Vivi ani aggiunse lo proprio postillo) prima dol maggio 1654, la composizione dolla Vita può bon ero¬ dersi contemporanea a quella del Racconto istorico, cho porta, com’ò noto, la data dol 29 aprilo 1G54. l*i Sognando, corno qualche volta abbiamo fatto, tra lo varianti la lozione del solo Marucollinno (per¬ chè sembra di qualcho valoro por lo studio dolla biografia di Galileo), non intendiamo diro elio la stampa Taroioni Tozzktti legga conformo stampiamo noi noi tosto; ma può ben essoro chu ossa stampa abbia un’altra lozione, non solo diversa da quella dol Marucelliano, ma anche dal nostro tosto, la quale poro non mettova conto registrare. XIX. 60 V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ OHERARDINT. 034 Non prima die nell’anno 1633 cominciai a pigliar prattica del S. 1 ’Galileo Galilei: imperochè dimorando io in quel tempo nella città di Roma, dov*egli parimente si ritrovava per giustificarsi da certe accuse per causa et occasione de’ Dialogi sopra ’l sistema Tolommeicano e Copernicano, da lui poco prima dati alle stampe; et liavendo io qualche famigliarità con uno de’ principali ministri del S. Offizzio, offersi l’opera mia in suo aiuto, quale veramente non potea con¬ sistere in altro clic in avvisarlo di qualche particolare avvertimento per suo go¬ verno. A far ciò fui animito dal medesimo Prelato, come quello che non sola¬ mente per l’efficaci raccomandazzioni che gli venivano fatte da chi protegevala causa e la persona del S. r Galileo, ma per far contrappeso ancora in parte alla io maligna intenzione d’un altro personaggio che sosteneva grand’ auttorità in quel Tribunale, inclinava di sottrarlo dall'imminente e troppo severa mortificazzione. Mostrò di gradire allora il S. r Galileo l’offerta e l’otìizzio mio ; ma, o perch’egli stimasse debole il soggetto, o perchè sospettasse di qualch' artifizzio, o pure perchè egli confidasse troppo nella sua innocenza, come egli diceva, si mostrò poco pie¬ ghevole a credere alcuni avvertimenti soggettimi da quel Prelato, di cui non po¬ tevo nominare la persona per non rompere il sigillo. Da questa taciturnità procede forse la durezza del Sig. r Galileo in prestar orecchio agl’ avvisi per altro salutari, onde ne sortì l’effetto che ad ogn’ uno è noto. Fu però assai meno di quello elio nell’animo havea conceputo chi sapeva l’origine di sì fiera persecuzzione: 20 in una parola, fu picciola la ferita fatta dalla saetta, se si considera la forza con la quale fu teso l’arco ; effètto della singoiar protezione con la quale lo assistè il Ser. mo Gran Duca N. S., per mezzo del suo Ambasciatore allora residente in Roma. Terminata che fu la causa del Sig. r Galileo, c deliberata la partenza per venirsene a Siena, invitato dal S. r Piccolomini, Arcivescovo di quella città M, ne’ medesimi giorni comparve avviso della vacanza di S. a Margherita a Montici; dal che prese occasione il S. r Galileo di persuadermi a lasciar la Curia e procurare la presentazione alla vacante Prioria da’ miei compatroni, lodandomi assai la bella situazione del luogo e l’amenità del paese. Non riuscì difìicile la persuasiva per indurmi a questa resoluzzione, considerata la mia poca attitudine agli esorcizzi ;io della Corte et agli strepiti del foro, c motivato dalla naturai inclinazzione al viver solitario; ma più d’ogn’aitra cosa potendo in me il sapere la vicinanza della abitazzione mia a quella del S. 1 ' Galileo, deliberai di lasciar gli studii legali, UJ Non fn il Sig. r Galileo invitato da Mons. r Piccolomini, ma gli fu stabilita in Roma la casa di Monsignore in Siena fino a nuovo ordine. Il cod. G e anepigrafo. 11 cod. M ha, sopra una carta di guardia: Vita del Galileo, o nessun titolo iu capo alla scrittura. La stampa T intitola: Vita del Signor Galileo Galilei, celebre matematico e nobile Patrizio fiorentino, scritta da Niccolò Gherardinì, canonico fiorentino 15. come egli diceva manca in M e in T. — 16. soggettimi, G ; suggeritimi, M, T — 22. con la quale assisti, U; con cui le assisti, M; con cui le assistè, T — V. VITA .SCRITTA DA NICCOLÒ GIIERARDINI. G3D eleggendo l’oz/io o la solitudine della villa, dove dimorai quasi del continuo per tutto quel tempo ch<* sopravvisse il S. r Galileo, con il quale per lo spazzio di sette anni praticai con familiarità e domestichezza grande; per la qual cosa liebbi vantaggio di sapere, mediante gli spossi colloquii, alcune singolarità con accidenti occorsi nel tempo di sua vita. E ben vero che Lauto risguardo all’in¬ tervallo del tempo scorso d’anni tredici1*1 e più, et al bisogno eli’ ho Lavato d’ap- <0 plioarmi di nuovo agli studii legali, Lo smarrite le spezzi© di molto cose per la fiacchezza della mia memoria, senza che alcune poche ch’io sono per referire riusciranno forse manchevoli, tronche et imperfette: ma è tale la contentezza cho ha l’animo mio in udire che s'babbino a scrivere la vita e Pazzioni d’un lumino quale per l’eccellenza della sua virtù sarà sempre famoso al mondo, che io, tralasciata ogn’altra occupazziono, ho procurato nella miglior maniera restau¬ rarmi la memoria di tutto ciò che mi parrà a proposito per condurre a fino una cotanto nobile e desiderata impresa. Naccquo dunquo il nostro S. r Galileo negl’anni della Salute.... (,) della nobil famiglia do’Galilei, nella città di Fiorenza. Il padre suo fu chiamato Vincenzio, • gontilhuomo stimato e di qualche nome in letteratura. Questi della sua legit¬ tima consorte acquistò più figliuoli maschi e femmine; per ciò trovandosi ristretto dentro i termini angustissimi di beni di fortuna, havea deliberato d’applicare il S. r Galileo, suo maggior figliuolo, all’esercizzio della lanari; ma perchè il cognobbe inclinato allo studio e d’alto intendimento per la somma sua docilità, permise ch’andasse alla scuola di grammatica appresso d’un tal professore, liuomo assai dozzinale cho insegnava in una casa di propria abitazione posta in Via de’Bardi, dove in brevissimo tempo, sopita quella repugnanza eh’haver suole l’età fanciul¬ lesca ad un sì noioso impiego, appreso quelle buone regole che sono più impor¬ tanti per saper la lingua latina, o con la lettura d’alcuni libri, de’quali era co avidissimo, imparò di essa i più bei segreti, con maraviglia indicibile del maestro, il quale, più tosto confuso, referì al padre non esser egli più idoneo per inse¬ gnar di vantaggio al fanciullo: dal che prese animo il S. r Vincenzio (l’introdurlo nella città di Pisa, acciò che s’applicasse allo studio della medicina, stimando per questo mezzo poter assai più presto o meglio conseguir guadagno per solle¬ vamento della sua povertà. Obbedì prontamente il giovanetto, et in casa d’un parente, al quale no fu raccomandata la custodia, si collocò. Nel primo ingresso ascoltò i primi prinoipii dell’arte della medicina, e ncl- l’istosso tempo quegli della filosofia, alla quale si sentiva più inclinato. Nell’anno t*l Sono anni 12, non 13. t ;, ì Non si sa per alcuno che il padre volesse applicarlo all’arte della lana. S8. che ha hauto, Q ; ohe havuto, M : che avuto, T — (*) I pmitoliui sono nei codici 0 o M. La slampa T lia: ueyiunm della Subite 1564. 686 V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ QHERARPINI. seguente, elio volino il secondo, nell'aprirsi di nuovo lo Studio, ritornò h Fisa, con animo di continuare la medesima lezzione; ma portò il caso che kì transfert alla ?o medesima città il Ser. mo Gran Duca Francesco con tutta la Corte, il quale di poco prima havea condotto allo stipendio un tal prete, il quale non mi si ricorda ’l nome (credo elio si cognominasse de' Ricci e fosse di naz/.ione marchigiano), per insegnare ai SS. rl paggi che servivano S. A. S. Fra questo soggetto d’assai buona letteratura e di non mediocre intelligenza nelle mathematiche. Non so come, nel- l’amicizia di lui s’insinuò il S. r Galileo 1*1, e, per quanto mi disse egli, casualmente; et andato per parlargli alcuna volta, ’l trovò sempre in esercitio d’insegnare o dichiarare Euclide, «1 che non potendo esser ascoltato, ascoltava egli le lezioni: dalle quali pigliava Unito gusto o nodriuionto ’l suo intelletto, che, invaghitosene sempre più, trascurava d’andare allo Studio, dove era consueto d* udire la let- 80 tione di medicina, ot in quella vece andava allo stanze dov’ il Sig. r Maestro Ricci leggeva mathematica, senza protesto alcuno di parlare e con meno confidenza di poter star presente apparentemente, già elio la lezzione era solamente per i SS. ri paggi, o altri ch’havcssero servitici in Corte, onde gli conveniva star fuori della stanza, in luogo dove difficilmente udiva. Perseverò egli d’ascoltar lezzione di mathematica, così clandestinamente ot alla sfuggita, quasi due mesi, o nel medesimo tempo con premura grande cercò egli per Pisa un Euclide; e trovatolo, l'applicazzione sua era grandissima allo studio di quest’autore, internandosi negl'arcani più difficili e più profondi, onde n’attinse grandissima intelligenza, con riuscir maggior d'ogni difficultà. Ben ò oo vero che non del tutto si fidava di sò medesimo, e procurava occasione d'abboccarsi col soprannominato professore, per conferire con esso seco alcuna delle propo¬ sizioni o (lemonstrazioni, et interrogarlo a dirgli sinceramente la verità intorno al buon indirizo. Si compiacque il S. r Ricci d'udirlo; o dopo che l’hebbe udito ragionare, stette alquanto sopra di sò con stupore, e dimandò al giovinetto Galileo chi fosse stato di tal professione il suo maestro. Sorrise allora e sospese por qualche tempo la risposta, stando a spettare se di nuovo gliene domandava; ma perchè non pro¬ seguiva il discorso, se prima non era satisfatto della curiosa dimanda, deliberò il S. r Galileo di scuoprire che altro maestro conosciuto non havea fuori di quello too che Fin ter rogava. Accrebbe una tal risposta maraviglia maggiore all’interrogante, spezialmente perchè non l’havea veduto presente alle sue lezzioni; et in questa maniera fu necessitato il S. r Galileo a far racconto del modo con che havea goduta l’occasione d’ascoltarle. Non si può facilmente esplicare qual contentezza ( 4 1 Non s’introdusse nello matematiche come si dice dal Sig. r Gherardini. e per con¬ seguenza quanto ne segue è falso. 88 Euclide ; « trovoUo, l appticauione, Q — V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ 0HERARD1NI. 637 sentisse il S. r Ricci allora e con quale affetto ai voltasse ad amare e stimar la persona del sconosciuto scolare, a segno che invitollo non solamente a comparire alla scoperta nel tempo ch’egli leggeva, ma s’offerse ancora che ad ogni suo piacere gl’haverebbe data connnoditò, di parlargli con ogni domestichezza. Questo sì cortese invito, sì come operò eh’ il S. p Galileo ben spesso si rap¬ ilo presentasse, così cagionò una diversione quasi totale dall’incominciato studio «Iella medicina; della qual cosa prese occasione chi si fosso d’avvisarne al padre, il quale subito clic seppe, ne prese cordoglio tale che lo strasportò precipitosa¬ mente a Pisa, per riprendere, anzi per ritirare, il figliuolo e ricondurlo con esso seco, con tanto più di prestezza, quanto si credea che la diversione dallo studio procedesse « 1 ’ altre cause. In vedendo poi eli’ il figliuolo non si lasciava tirare da passatempi vani, giuochi o simili, di clic ne veniva certificato dalla testimonianza di chi abitava in casa, sospettò di quello che non era punto lontano dal vero, cioè clic qualrh’altro studio lo divertisse; che però stette por alcuni giorni osser¬ vando i libri che tonea in camera o sopra ’l tavolino d’essa: di che accortosi 120 il giovanetto, per non disgustare il padro, tolse via Euclide ed ogn’altra apparenza di studio diverso da quello della medicina, Si mitigò in parte il dispiacerò dell’impuzzente padre, ma non del tutto, perdi’barerebbe desiderato che quanto prima ricevesse la laurea del dottorato; di che non \olse il figliuolo assicurarlo, ma procurò di persuaderlo a deporre tanta impazzionza, et a consolarlo con dire che tra poco tempo haverehbe veduto il frutto e potuto sperare utile bastante per il di lui mantenimento, senza lai- altra dichiarazione. Dopo questo discorso, incontinente si partì il S. r Vincenzio non interamente satisfatto. Partorì buonissimo effetto questo poco di viaggio che con tanta solle¬ vo citudine era stato fatto, poscia che con ogni sforzo maggiore si mise in animo il S. r Galileo d’applicarsi alle mathematiche, e stabilì d’elegger questa per la sua professione nel più perfetto grado. Per conseguir dunque il fine d’una così diffidi impresa, s’applicò a studiare Archimede, con il consiglio del menzionato Ricci, dal quale ancora gli fu dato in dono. È cosa impossibile a raccontare quanto incremento ricevesse dal studio di questo gnind’liuomo; certo ò che con la scorta di lui stabilì saldissimi fondamenti e non dubitò poscia di sollevarsi in alto, con impennar l’ali della speculazione, investigando non solamente lo coso più nascose operate dalla natura in questo mondo inferiore e sublunare, ma di sapere ancora tutto quello che si trova di ma¬ no raviglioso nel superiore e celeste : potersi, diceva egli, passeggiar sicuro e senza inciampo si per la terra come per il cielo, mentre non si fossero smarrite le pedate d’Archimede; e stimava ciò esser permesso a chiunque l’intendea, ma clic in questo consistea ogni difhcultà. 110. quaai laU dall', G — 638 v. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GII Eli ARDI NI. S’accoppiarono in lui lo speculare e l’operare, la teorica e la pratica; impercio- cliè provistosi d’alcuiii instrumenti geometrici, ciò ch’intendeva con l’intelletto, non solamente dimostrava, ma con inusitato modo il rendea percettibile dal senso: nel che fare hebbe tanta facilità, che, per testimonianza di chiunque l’udiva di¬ scorrere o vedea operare, non era conosciuta differenza alcuna dall’ uno all’altro. E chi vuol negare che ciò non derivasse dalla felicità del suo ingegno e da una naturale espressiva, congiunta con proprietà di termini e similitudini tanto cal- if>o zanti, che si rendea impossibile il non rimanere persuaso o convinto V Per la qual cosa acquistossi egli una maravigli osa reputazione, e del di lui straordinario talento cominciò la fama a spargerne qualche romore, quale arrivò all’orecchie del’Ecc. mo S. D. Giovanni de’Medici, signor di gran qualità et esperienza di guerra, se si considera principalmente l’intelligenza che hebbe singolarissima delle for¬ tificazioni e delle macchine d’ogni sorte. La relazione a favor del S. p Galileo appresso di S. E. n fu fatta da un tal S. r de’ Marchesi dal Monte, di cui non mi sovviene il nome, ma soggetto di stima grande appresso tutti. Con l’appoggio di questi ottenne il S. r Galileo, in età assai giovenile, la cattedra di Mathematica nello Studio pisano, dove egli per lo spazzio igo di due anni fu ascoltato con gran sua lode; ma per accidente occorso, non stimò bene di continuare in quella lettura. La resoluzzione hebbe questa causa. In quei giorni havea proposto il S. r D. Giovanni eh’ in Pisa si facesse una certa fabbrica, non so già se di fortificazzione o d’altro edilizio. Per 1*effettuazzione del disegno si era concluso di metter in opra alcune macchine, quali, con il parere de’periti, erano giudicate molto a proposito: solo il S. r Galileo s’oppose, o con ragioni forse troppo vivo procurò impedirne l’esecuzzione. Quello che se¬ guisse, io non lo so ; so bene che la contradizione non fu grata al S. r L). Giovanni, il quale con parole di molto sdegno ne mostrò risentimento: di che si intimorì il S. r Galileo di maniera, che stimò bene non dopo molto tempo domandar licenza 170 da quella condotta, con disgusto grande di quel S. r dal Monte, quale procurò di distorlo dal pensiero, offerendosi per ogni buono offizio appresso di chiunque fosse bisognato; ma noi potò ottenere, perchè il S. r Galileo havea stabilito di voler tentare altra fortuna. Nei ritorno che fece a Fiorenza, fu accompagnato con una sola lettera di rac¬ co m and azzi o ne, scritta dal medesimo S. r Marchese dal Monte, nella quale veni¬ vano assai lodate le qualità del S. r Galileo appresso del Sig. r Filippo Salviate, [&] Non credo che il Sig. r Marchose dal Monte fosse a Pisa senz’altro, e non scrisse lettera di raccomandazione al Sig. r Filippo Salviati per il Sig. r Galileo, perchè il Sig. r Fi¬ lippo in quel tempo era di 9 anni in circa, ma più tosto scrissela al Sagredo. 152-158. acquistasti una lai reputazione per il ili Ini straordinario talento, cominciò, G— 162. F la re- soluzione (per quello ai disse ) hebbe, M, T — 164. V effettuazzioni, (ì — V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERARDINI. 639 gentilhuomo di chiarissima fama. Fra l’altro coso che venivano asserite in quella lettera v’ora che nell’accoppiamento di speculativa e di prattica nelle matheina- ìso ticlie, da' tempi d’Archimede in qua, si stimava non essersi scoperto ingegno pari a quello per cui era fatta la raccomandazione. Questo uffizio, passato con tanta lode del Sig. r Galileo dal Sig. r Marchese dal Monte, fu molto gradito dal S. p Sal¬ viate ma molto più la persona del raccomandato, il quale con parole cortesissime fu constretto a rimanere in casa del medesimo Signore: e venne in acconcio T invito, perché di già il S. r Galileo havea deliberato di non andare alla casa paterna per non cagionar disgusto ai suoi domestici, in tempo forse che in niun altro luogo sicuro havea 1* assegnamento di coricarsi. In tutto quel tempo che dimorò in casa del S. r Salviati hebbe campo di guadagnare la di lui grazzia, a segno che del continuo mangiava alla medesima tavola o con esso seco il coll¬ iso ducea allo ville, conpiacendosi fuor di misura della gioconda conversazione e godendo d’incontrar quella fortuna tanto desiderabile dai ricchi e dai grandi, che è di nodrire l’ingegni con sottrargli del duro giogo della povertà, onde havea egli ordinato eh* al S. r Galileo fosse somministrato tutto ciò eh’ il bisogno suo richiedea. Ma la premura maggiore del Sig. r Salviati era eli’ il S. p Galileo tro¬ vasse recapito in qualche Studio o Università, acciò se l’aprisse la strada a far cognosoer la sua gran virtù. Per l'adempimento di concetto così nobile non fu strana la fortuna: avvegna- chò in passando per Fiorenza Pili."' 0 S. r Gio. Francesco Sagrcdo, gentilhuomo veneziano, ripieno di rarissime qualità, nel ritorno da un’ambasceria, non so di 20o Roma o di Spagna, fu convitato in un giorno dal S. r Salviati, il quale con l’occa¬ sione (l’un tal colloquio commendò molto la persona e ’1 valore del S. r Galileo a quel Signore! 0 ]; e pregandolo ancora a protegerlo per ottenere una lettura nello Studio di Padova, fu promessa ogni assistenza di favore per impetrarne l’effetto, in corrispondenza all’eccessiva cortesia o generosità con la quale era stato trat¬ tato dal S. r Salviati. Appena giunto in Venezia, introdusse sopra di ciò la prattica con quegli SS. ri Senatori, deputati o protettori dello Studio, dai quali ne fu ri¬ portato favorevole il rescritto in conformità di quanto era stato ricercato. Quasi subito sopraggionse lettera d’avviso dal S. r Sen. re Sagredo, per la qual veniva sollecitato il S. r Galileo u partire quanto prima et invitato ad andare in casa 2io sua. Fu accettato l’invito con gran giubbilo del S. r Galileo, il quale con non meno prestezza s’incamminò a Venezia. Nella partenza fu provisto dal S. r Salviati li] Dubito che il principio di conoscere il Sig. r Sagredo non fosse tale, e clic non passasse per Firenze di ritorno da ambasceria. 187. V attegnamento di ritirarti, M, T — 190. ville, e particolarmente a quella delieioiititma delle Selve, dove il Sig. r (/ a lileo jeoe la maggior parte delle tue doltùtime et ingegnotittime (delle tue grandi, T) otecrva- Kinni, compiacendoti , M. T — 199-200. non io di Jioma o di Spagna manca in M o T, che hanno invece: nel ritorno da non to quale aniLasoeria. — 640 V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERARDINI. di vestiti, biancheria e d’ogni altro più opportuno arnese. È ben vero che, corno più volte udii dire da lui istesso, il suo baule, nel quale si contenea allora tutto il suo patrimonio, non eccedea libre dugento di peso. Arrivato in Venezia, fermossi il S. Galileo in casa del S. r Senatore Sagredo per lo spazzio di quasi due mesi, dove con molte carezze fu intrattenuto, sin tanto che venisse il tempo nel quale è solita usanza d’aprirsi lo Studio. In questo intermezzo visitò molti Senatori di quella gran Republica, o prima quei che sono i promotori del medesimo Studio. Venuto il tempo opportuno, si transfer! in Padova, et ivi si provide d’una picciola casetta per la sua abitazione, non molto distante 220 dal famosissimo tempio di S. a Giustina. La vicinanza di questo luogo fu di molta commodità al S. r Galileo, conciossiacosaché quel 1 \ Abbate che allora reggeva il mouasterio era gentilhuomo veronese, di maniere assai cortesi e non poco intendente delle mathematiche, con la quale occasione s’introdusse il S. Galileo nella di lui amicizia; a contemplazione di che fu provisto di qualche necessario utensile, e supellettile, come di letti, seggiole et altre cose simili, delle quali era non poco bisognoso, tanto più quanto, scuoprendosi di dilettevole e manierosa conversazione, molti degli scolari, etiamdio d’altra professione, ben spesso anda¬ vano in casa per rimaner quivi a desinare e cenare con esso seco. Quindi accadde sovente, non haver egli tovagliolini a bastanza per il numero de’commensali, in 230 tempo ancora che non si potevano così all’improvisO provedere, onde più d’una volta gli fu d’uopo far nuova giunta alla tavola et apparecchiarla con carte 0 fogli all’improviso Pi. Ma più d’ogn’altra cosa accrescea la frequenza dei giovani scolari la singolare facilità eh’ havea il S. r Galileo nell’insegnare e dichiarare le cose più oscure nelle scienze, nell’esaminare i varii sentimenti 0 axiomi de’ più rinomati filosofi, in una parola nell’indagare i principii di tutta la naturai filo¬ sofia; le quali cose tutte tanto si rendeano più maravigliose, quanto che vernano maneggiate non solamente con metodo straordinario, ma con modo di speculare assai diverso dagi’antichi e moderni professori : laonde acquistandosi ogni giorno più di reputazzione, da tutte le parti concorrevano huomini, etiamdio provetti, 240 con frettolosi passi, curiosi d’ascoltare, anzi di vedere, coso in quella professione del tutto nuove e pellegrine. PI Non piace quell*apparecchiar con carte e fogli, e allettar gli scolavi col mangiare, pigliandogli per la gola. 214. non eccedeva cento libbre (lihlre cento, T) di peso, Al, T — 217-219. Studio: nel qual intermezzo egli ho» tralasciò di visitare molti Senatori, e particolarmente i protettori dell ' medesimo Studio, e fu da tutti molto ben veduto et accarezzato, essendo già j>er fama il suo nome in quella città assai ben noto. Venuto, AI •— 229-230. con esso seco, per poter godere con questa occasione de' suoi dotti et insieme piacevoli ragionamenti: onde ben sovente accadde che non havendo tovagliolini, Al — 236-237. filosofia, spianando con la felicità del suo maraviglioso in¬ gegno tulle le più scabrose difficili là, da altri sino a quel tempo o male o non punto intese; le quali cosi, M — 240. reputazione, concorrevano da tutte le purti d'Europa huomini. Al — V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ OH ERARI) INI. 641 Non giudicò già il S. r Galileo di satisfarò al concetto clic cognoscea formarsi di sè nò alTunivcrsal iwpettazzione, se alla lettura o insegnamento di quelle scienze, non lmvesse accoppiato lo scriverò, por consegnare qualcheduna dello oporo suo allo stampe : perciò diede alla luco quella elio fu la prima e s’intitola Il Compasso Geometrico. Alla comparsa di questa s’avanzò in tal credito, elio vista e considerata da’ più eccellenti professori ili tutta l’Europa o spezialmente della Germania, fu 25 o inulto commendata. Molti di quelli nobilissima nazzione vennero da diverso pro- vincie in Italia, fermandosi in Padova, non por altro fino che d’haver per maestro il S. r Galileo. Contro l’opera del Compasso Geometrico scrisse in latino un tal S. r Baldassar Capra 1 , gontilhuomo milanese, d'assai buona fama nella professione di geometria impugnandolo in moltissimi luoghi. Quando elio al S. r Galileo pervenne notizia di questa impugnazione, o dopo elio l'hebbe veduta, no prese grandissimo gusto, e «lis.se che molto restava obbligato al S. r Capra impugnatore, poscia che gli porgeva occasione non solamente di difendersi con l’apologià, ma gl’apriva assai spazzioso il campo da potersi slargare in molte coso, tutto in corroborazione di “fio «pianto liaveu scritto, por confusione dell’avversario e por addottrinamento de- gl’altri. K noi vero riuscì tanto gagliarda e vigorosa la risposta, che nè il S. r Capra lift altri di poi hobbero ardire d’opporsi. In questo proposito soleva egli dire elio grandissimo piacerò sentiva quando alle suo opere incontrava contradittori, poscia che da questi gli veniva sommi¬ nistrati) argumento o materia di speculare o di scriver in miglior forma; anzi elio molte coso a hello studio havea date fuora, al suo giudizio imperfette, non per altro so non perchè più facilmente trovassero opposizione 1 ® 1 : il che stimerà esser verissimo chiunque leggerà l’opero di lui, perchè troverà esser nelle re¬ pliche più ammirabile. 270 Ma poco o nulla Laverebbe stimato il S. Galileo d’haver guadagnato, se allo scrivore o stampare diverso oporo, nello quali scorgeasi profondissima spo- culaziono, non bavesse aggiunto qualcko peregrino ritrovamento, mediante il quale non solamente la sovranità dell’ingegno suo venisse manifestata, ma l’Humana condizione in un certo modo privilegiata. E perchè non v’ era cosa al mondo dalla quale potesse ricever maggior ingrandimento quanto dalla cognizione delle cose naturali, spezialmente delle celesti, e che questa non si potea ottenere senza l’aiuto de’sentimenti esterni, cioè senza l’aumento di quello del vedere, t®l 11 Capra non scrisso contro al Compasso, ma l’usurpò; e però è falso tutto ciò che ne segue in questo proposito. UH Non ò vero che abbia dato fuori molte cose imperfette a posta per trovare oppo¬ sizioni. XIX. 81 642 V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERAUDINI. si propose in animo di voler rinovar al mondo il disusato, anzi disperato, modo di far un instrumento per il quale venisse tanto avvantaggiata la facultà o potenza visiva, elio ella non meno elio, da vicino potesse le le maraviglie tanto 280 più prodigioso quanto lontano dagPocchi de’ viventi contemplare 1 * 01 . Nella qual impresa, benché stimata per altro d’impossibile riuscita, liobbe tanta felicità noi saperla indirizzare, mercè del suo ingegno veramente divino, che condotto a perfezione l s instrumento detto telescopio e volgarmente Vocchiale, osò con la vista trapassare in un attimo, poco o nulla curando l’ampiezza e l’immensità degli spazzi, questo mondo elementare, et osservare i viaggi de’ globi celesti, i moti dello stollo ed affrontare V istesso sole e la luna, proncipi dei pianeti, inaccessibili per altro e sicuri d’ogni ingiuria, con la quale 1 ’ kuinana curiosità pretendessi oltraggiargli. Chi vuol ridire o, por dir meglio, cbi può esprimerò il suono con il quale 200 la fama in un subito riempi tutta l’Europa, anzi isvegliò il mondo tutto o gl’abi¬ tato ri d’osso ad inarcar le ciglia? Onde maraviglia non è so principalissimi ca¬ valieri e prencipi venivano non solamente dalla Germania e dalla Francia, ma dalla Pollo ni a, Svezia, Ungheria o dalla Transilvania, etiamdio quegli elio non professavano scionzo, non por altro elio per vedere o conoscere di vista il tanto rinomato S. r Galileo, tra* quali si numerano molti elio sortirono poscia gran nomo nell’arte militare, elio sarobbe troppo lunga serio o superflua il nomi¬ nargli tutti. Non voglio già tacere che por questo medesimo lino venne a por domicilio in Padova, con nobilissime camerate, incognito però, il Sor ." 10 Gostavo Re di soo Svezia, quello, dico, che riuscì tanto formidabile in guerra, che la sola memoria di lui rende spavento all’universo. Questo gran personaggio, intrattenendosi per alcuni mesi in Padova, si trovò quasi sempre presente allo lezioni del S. r Galileo, il quale a richiesta di quei gran Signori fu persuaso a leggero in lingua toscana : conciossiacosaché essondo tutti questi assai ben instrutti nella latina favella et in qualche parte dirozzati nell’ italiana, desideravano nell’istesso tempo ch’impa¬ ravano lo scienze et acquistarne d’essa la perfezzione: e da indi in poi di rado e quasi mai lu udito il S. Galileo con altra lingua fuori che con la natia, etiamdio nella publica cattedra, favellareil che diede materia ad alcuni suoi poco amorevoli di tacciarlo come di poco pratico nell’idioma latino: ma la ve- sio D^l L invenzione dell’occhiale non fu conio dice il Sig. r Canonico, che egli medesimo pensasse di ritrovarla, ma fu nel modo che 1’ ho raccontato io. ["1 Non è vero che leggesse in toscano in publico, ma al più qualche lezzione stra¬ ordinaria. 9M. e volgarmente, l’occhiale del Galileo, o,ò. M; « volgarmente il canocchiale, o»3, T — 800. incognito poro manca in M e T. — V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERA UDINI. 643 ritA è elio ciò iacea per compiacere alla voglia dogli scolari, la maggior parte oltramontani, <5 por motlor in reputazione il parlar toscano, con adattare accon¬ ciamente i termini d'esso alle conclusioni di filosofia o mathematica, senza di¬ mandargli in prosto o mendicargli da altra lingua elio non fosso la propria, contro roppeiiimie dei più, quali per addietro ciò stimavano inconvonevole, anzi impos¬ sibile. Et invero chi non l’havesse udito, non haverobbo creduto tanta proprietà di parole o di vocaboli, congiunta con eccessiva chiarezza noi 1 esprimere i suoi concetti; di che fanno testimonianza Topero suo, nello quali per il modo di scri¬ vere si rendo del tutto impareggiabile. suo Avvenne, non dopo molto tempo clic dal S. r Galileo fu data forma all’oc- ehiale o elio in moltissimo parti d’Italia o fuori si cominciò a mettor in uso, apparve nel cielo un nuovo cometa; di quello parlo, ebo si vide nell’anno mille soeonto quattro, non so già so nel segno di Cassiopea o del Cigno 1121 . Questi, come por lo più accader suolo, commosse tutto il mondo, o diede occasiono agl’astro- uomi più celebri di qualsivoglia nazione di far osservazioni e discorsi; ma niuno ardiva manifestargli, so prima non avvisava il S. r Galileo por intenderne il suo sentimento: ondo comparivano lettore da ogni parto, d’huomini insigni nella professione, come se da lui, quari da oracolo, dovosso uscire la decisione delle con¬ troversi!» clic nasceano tra di loro. In questa occasiono rispose a tutti con let- 33.» toro, por lo quali significò ciò elio con la scorta dol suo telescopio havoa in divorai tempi osservato' 111 . Non so veramente se sopra di questo particolar cometa, o nuova stella, ci sia discorso dato allo stampe: so Itone che dallo repliche fatto a questo lettere, delle quali io ne ridi o lessi moltissimo di quei grand 1 Intonimi eh 1 allora vivoano, veniva ringraziato il S. r Galileo, confessando di restare del tutto appagati, e che quando dovessero sopra di ciò scrivere per sodisfazzione dogl’altri, non si sareb¬ bero mento partiti dal di lui parere, ma clic volentieri se n’astenevano per non usurparsi la lodo che alla virtù sua si conveniva; et appi esso lo pregavano di prestezza nel dare alla luce qualche scrittura. 340 A questi tali rescrisse indietro il S. r Galileo (per quanto mi disse in proposito di questo discorso), che l’osservazioni fatte intorno alla nuova stella o cometa era scarso argomento e picciola occasione di dar fuori scrittura particulare, ma che sperava cumulare questa con altre osservazioni più prodigiose; e volse, cred’io, [ 12 ] Non fu nuova cometa in Cassiopea o nel Cigno nel 1604, ma la nuova stella nello Scorpione; o quando apparve questa stella, non aveva ancora trovato l’occhiata, perché lo trovò nel 1610, però non potè osservarla. l ia l Non è per conseguenza vero ciò che si dice in questa faccia (1J . ni II Vivmn si riferisce alle faccia 24 della comprende le Hn. 326-341 della nostra edizione. Vita 'secando la paginazione originaria), la .piale 644 y. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERARDINI. alludere a quelle latte da lui medesimo intorno alla luna, alle macchio solari et allo stelle intorno a Giove, non prima vedute nò conosciuto (1 ’. Divulgatasi dunque la fama d’un ingegno così eminente e d’un soggetto per cotanta virtù ragguardevole, quale ora il S. r Galileo, il quale non solamente recava onore all’Italia, ma gloria e splendore alla sua patria, si compiacque il S. m0 Gran Duca Cosimo di felice memoria d’invitarlo al ritorno e di richia¬ marlo, con provisione eccedonto quella elio havea in Padova o con il rimetter alla 350 sua libertà il leggere e non leggere nello Studio pubblico. Por gradir un così cortese invito stimò il S. r Galileo di mostrar prontezza alPobbedire, 0 non senza gran disgusto 0 contrasto ottenne licenza dai SS. ri Ve¬ neziani, quali gl’otìbrsoro notabilissimo augumonto di provisiono. In tutto quel tempo elio dimorò in Padova, che fu per lo spazzio di anni di¬ ciotto, non si vide mai staro in ozio il S. r Galiloo: poscia cho, oltr'allo studio che gli conveniva faro per la cattedra et oltre allo fatiche in scrivere sopra di¬ verse cose, assai più di quello cho se no vedine stampate, dolio quali fu liberalis¬ simo in donaro ai suoi amici e scolari, fu adoperata l’industria di lui in soprainton- dero a molti edilizi 0 fortificazioni cho si fecero in diversi tempi neH’uugustissimo aeo dominio 0 stato della Ser. 1118 Republica di Vonezia; onde egli ne riportò grosso rocognizioni, oltre all’annuo stipendio, al quale niun altro professore in quella cattedra era mai arrivato d’ottenero : che se fosse stato (come dicea egli) inclinato al tener conto del donaro, haverebbo potuto cumulare non poca ricchezza ; ma sì come fu sempre lontano da una certa all'ottazione di filosofo 0 di lettorato, così si vide in ogni tempo dedito ai passatempi d’ogni sorte, spozialmente a quegli di ritrovarsi ai conviti con amici, 0 difficilmente si accomodò di ridursi, se non negl’ultimi anni della sua vecchiezza, a mangiar solo. Nella conversazione era giocondissimo, nel discorso grato, nell’espressiva sin¬ golare, arguto no’ motti, nello burle faceto. Ben spesso havea in bocca i capitoli 370 di Francesco Borni, del quale i versi o sentenze in molti propositi adattava al suo proposito, niente meno elio se fossero stati i suoi propri, con somma piace¬ volezza. In lui era ammirabile la facilità con la quale sapeva accomodarsi all’in¬ clinazione degl’ amici, 0 dopo brevissimo tempo 0 discorso formava concetto dell’ altrui capacità. Con pochi, 0 con niuno, fuori de' suoi intrinseci, favellava di materie filoso¬ fiche 0 mathematiche; anzi per liberarsi alcuna volta da certe dimande che da 345. Dopo conosciute il coti. M aggiunge : e lutto ciò per l'uso del suo telescopio o cannocchiale, di nuovo da lui ritrovato. 354. Dopo provisione il cod. M aggiungo : per persuaderlo a restare, al quale effetto usarono ancora tutti quei mezzi per loro possibili. — 358. stampate, dulie quali, 0 — 86B-3G7. Il coti. M tonnina in tronco con lo seguenti parole: d'oyni sorte, e particolarmente a quelli di trovarsi con ijli umici in conver¬ sazione a cene e desinari. — 1,1 A questo punto noi cod. G si legge In mar- di tutto quello eh’ ha lasciato scritto il Sig. Galiloo glne: « Qui si può fare special mentiouo et ordinata questa materia » («io). V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERARDINI. 645 molti con curiosità, poco opportuna gli venivano fatte, divertiva il discorso et ap- plicavalo subito ad altro, tanto graziosamente, che se bene parca lontano, lo facea sso cadevo a proposito per la satisfazione di chi l f interrogava, con far racconto di qualche parabolctta, caso seguito o frottola, delle quali cose era abbondantissimo. Fu il S.* Galileo di pochissima presunzione, anzi di modesto sentimento di sò medesimo. Non s’udì mai iattanza propria in disprezzo degl’altri; solamente dicea in quest’ultimi anni, quando che ogni giorno più andava deteriorando nella vista, potersi nella sua disgrazia consolare, giachè de’ figliuoli d’Adamo niun altro huomo liavea veduto più di lui. È lontano parimente da ogni verità che degl’ antichi filosofi, e nominatamente d’Aristotele, parlasse con poca stima e disprezzo, come alcuni che professano d’esser suoi seguaci scioccamente spar¬ lano : dicea egli solamente eli’ il modo di filosofare di quel grand’ huomo non 390 l’appagava, e che in esso si trovavano fallacie et errori. Lo lodava in alcune opere particolari, come ne’ libri della Ilypermenia (sic) e sopra tutte l’altre quegli della Rettorica c dell’ Etica, dicendo che in quest’arte liavea scritto mirabilmente. Esaltava sopra le stelle Platone, per la sua eloquenza veramente d’oro e per il metodo di scrivere e comporre in dialoghi; ma sopra ogn’altro lodava Pitagora per il modo di filosofare, ma nell’ingegno Archimede dicea haver superato tutti, e chiamavaio il suo maestro. In tutte le scienze o arti fu pratichissimo, sì come degli scrittori o professori d’esse. Dilettossi straordinariamente della musica, pittura e poesia. Fu sempre partialissimo di Lodovico Ariosto, di cui l’opere tutte sapeva a mente e da lui 'ìoo era chiamato divino. 11 poema d* Orlando Furioso e le Satire erano le sue de¬ lizie: in ogni discorso recitava qualcheduna dell’ottave, e vestivasi in un certo modo di quei concetti per esprimere, in diversi ma spessi propositi, i proprii. Non potea tollerare che si dicesse, Torquato Tasso entrare in paragone: dicea egli sentire l’istessa differenza tra l’uno e l’altro, che al gusto o palato suo gli recava il mangiar citrivuoli, dopo eli’li avessi gustato saporiti poponi; o per escludere affatto questa comparazione, si cimentò di fare alcune note o postille alla margine assai spazziosa d’un suo Furioso, in quei luoghi appunto nei quali s’era ingegnato il Tasso immitarlo. Questa sua fatica haverebbe desiderato che fosse stata letta e vista; perciò deplorava assai la disgrazia d’haverla smarrita 4io senza speranza di ritrovarla. Fu familiarissimo d’un libro intitolato ’l Rubante, scritto in lingua rustica padovana, pigliandosi gran piacere di quei rozzi racconti con accidenti ridicoli. Abitò quasi del continuo in alcune ville suburbane, per trovar maggior quiete et occasione di speculare. Non si vedè però mai star sequestrato dal commerzio degl’altri, anzi che la casa di sua abitazione era mai sempre frequentata da nobi- •104. fra l'uno all’altro, Q — 413. ittburbane, « pià che altrove in quella dArcetri, luogo detto al riano de' Giullari, a fine di trovare maggior, T — 646 V. VITA SCRITTA DA NICCOLÒ GHERARDINI. lissime persone, la maggior parte forastieri d’ogni nazione, i quali, viaggiando per l’Italia, apposta venivano per vederlo e cognoscerlo, credendosi in un certo modo di non dover tornar alla propria patria con reputazione se liavessero tralasciata l’occasione di visitarlo. Hebbe pochissima quantità di libri, e lo studio suo dcpondea dalla continua 120 osservazione, con dedurre da tutte le cose elio vedea, udiva 0 toccava, argomento di filosofare; e diceva egli di’ il libro nel quale si dovea studiare era quello della natura, che sta aperto per tutti. Gustò fuor di modo dell’agricultura, asserendo che pochi erano quegli che sapeano metter in pratica i suoi precetti. Nel tempo del potare e rilegar le viti, si trattenca molte ore continue in un suo orticello, e tutto quelle pergolctte ed anguillaia voleva accomodare di sua mano, con tanta simetria 0 proporzione ch’era cosa degna d’esser veduta. E perchè s’adoperava in questo esercizio in quei giorni ne’ quali il sole ha molta attività nel smuovere, s’attribuisco a questo disordine, come a causa, la cecità del già vecchio S. r Galileo: e fu negrultimi anni -iso assai travagliosa, poscia che era congionta con dolori di tal sorte, che gl’havevano tolto affatto il sonno. Se ne lamentava egli cruccioso, ma non s’asteneva però di dire qualche arguzia, secondo che ne veniva il proposito. Ma non potendo resi¬ stere nè al disagio nè al peso degl’anni, gli convenne, dopo alcuni giorni di lenta febbre, lasciar la vita nell’età sua . . .. (l) , con pianto e cordoglio degl’amici 0 conoscenti. Iluomo, se si risguarda la perspicacità dell’ingegno, l’eccellenza di quello eh’ ha lasciato scritto, e le dote singulari concessele dalla natura, a niun altro degl’antichi inferiore; veramente degno d’esser annoverato tra i più famosi, e senza dubbio in questo nostro secolo, già più di mezzo transcorso, senza pari. Fu il S. Galileo d’aspetto grave, di statura più tosto alta, membruto e ben lo quadrato di corpo, d’occhi vivaci, di carnagione bianca e di pelo che pendea nel rossiccio. Questo è quanto ho potuto raccogliere della vita et azioni del S. Galileo, somministratomi da ciò ch’udii dire da lui medesimo in diverse occasioni et colloquii, lasciando eh’ altri aggiunga, levi 0 correggha, conforme sarà giudicato più opportuno 0 necessario. Niccolò Gherardini. 419-420. Tra dì visitarlo od Hebbe la stampa T inserisco quanto seguo : Il Serenissimo Qran Duca Ferdinando Secondo, oltre alle continovate missioni che ijli faceva di tempo in tcmj)o per intendere lo stato di sua salute, non sdegnò di traeferirei in persona piti volte per visitarlo, essendo sovranissima la stima che faceva questo gran Principe del suo alto ingegno, godendo sommamente de' suoi discorsi, i quali non sempre erano di filosofia ed intorno ai maraoigliosi discoprimenti da lui fatti nel cielo, ma iene spesso d'altre scienze, dilcttan- doei talvolta di mescolarci alcune piacevolezze, il tutto però in maniera che sempre ugualmente faceva apparire, con stupore universale, il suo grand' intelletto. — (1 > I puntolini 80110 noi cod. G. La stampa T ha: nell'età sua di 77 «un». LETTERA DI VINCENZIO YIVIANI AL PRINCIPE LEOPOLDO DE’ MEDICI INTORNO ALL’APPLICAZIONE DEL PENDOLO ALL’OROLOGIO. Della scrittura intorno all'applicazione dot pendolo all’orologio, che Vincenzio Viviani steso in forma di lotterà al l’rincipo Leopoldo de’ Menici, per incarico da lui avutone, con la data del 20 agosto 1659 <•>, noi conosciamo duo copio manoscritto: 1’ una fi noi Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze, dove occupa nel Tomo IV della Furto VI lo car. 40a-5O (Zl , od lift, oltre la data o la so- scriziono autografe, numeroso correzioni pur autografe, a penna o a matita; l’altra 6 stata trovata tra le carte di Ismarlk Boulliau (al quale fu mandata dallo stesso Principe Leopoldo con Icttora dol 9 ot tobre 1659 ,3 >) nella Biblioteca Nazionale di Parigi, e precisamente nel codice die ora ò se¬ gnato Fomiti f rnn<;nÌH , n.° 18089, a car. 147-1651", od ha egualmente autografa la sottoscrizione. Ab¬ biamo esemplalo fedelmente la proselito edizione sulla copia che è nei Manoscritti Galileiani o ohe noi chiamiamo 0 la (pialo è manifesto che rappresenta in alcuni luoghi, anche a confronto del codice Parigino (/’), un' ulteriore revisiono da parto dell'autore, poiché lo correzioni autografo non sempre emendano materiali trascorsi del copista, ma talora modificano o aggiungono ni dottato originale, elio si ha conio sotto lo cancellatimi di (7 cosi nella copia Parigina. Di quest’ultima ci siamo giovati non solo per correggerò qualche materiale orrore di Q, sfuggito, forse appunto por la sua materialità, alla rovisiono dell'autore, o da noi, per iscrnpolo di editori, annotato appiè di pagina ,0 ', ma altresì per desumerne una notovoio aggiunta, la quale abbiamo pur dato nppiè di pagina < 7 ' insiemo con quello tra le lezioni del dottato originale, corretto in G di ninno del Vivi ani, che ci parvo potosso mottor couto di far conoscerò, perché contenenti qualche sostanziale variazione di concetto. Con la Lettera abbiamo riprodotto dal coti. G (car. 50) il disegno < 8 ' che in essa è citato (Un. 277), o elio si lia, senza differenze, anello nel coti. P‘®>. Gl Cfr. Nuovi studi galileiani por Antonio Fa¬ varo (Memorie del li. Istituto Fendo di scienze, lettere ed arti. Voi. XXIV), Venezia, tip. Antonolli, 1891, pag. 389-118. ( *l Da questo codice fu tratta la prima edi¬ zione della Lettera, che 6 nella Fifa e commercio let¬ terario di Galileo Galilei oec., scritta da Gio. Batista Clemente dr’ Nelli occ., Voi. TI, Losanna, 1793, pag. 721-788. Di Cfr. A. Favaro, Nuovi studi galileiani cit., pag. 100—102. Gì Dal codice Parigino la Lettera fu riprodotta nello Oeuvrcs compiile* (le CiiniSTiAAN Huygkns pn- bliéos par la Società llollandnlso dos Sciences. Tomo troisiòuie, ecc. La Haye, Martin Nijhoff, 1890, pag. 470-481. |5 ' Abbiamo dato luogo nel nostro testo anello allo correzioni autografe scritte a matita, qualcuna delle quali già oggi si distinguo poco chiaramente, e tra qualche tempo non sarà forse più leggibile. < 6 > Si avverta che una dolio carte di Q (car. 45), essendo stata, non sappiamo perchè, tagliata, fu ri¬ fatta di uiano più recente; o in ossa cade uno dogli errori che abbiamo dovuto correggere. •D Cfr. pag. 654. D) Non crediamo che il disegno che è nel cod. G Bla di mano del Viviani. ‘°i Un’ altra copia, pur ogualo, dol disegno fu ritrovata tra lo certo di Cristiano Dutoens, elio la ricevette dal Boulliau il 15 gennaio 16G0: cfr. A. Fa varo. Nuovi studi galileiani, pag. 402.— Nelle scritturo dol Viviani che sono nolla Colloziouo Ga¬ lileiana dolja Biblioteca Nazionale di Firenze abbiamo trovato altro narrazioni dell'applicazione galileiana del pendolo all’orologio, le quali però non conten¬ gono particolari diversi da quelli riferiti nolla Let¬ tera al Principe Leopoldo. Cfr. Mss. Gal., Discepoli, Tomo 117, car.60r.; Tomo 118, car. 6f.-7r.; Tomo 138, car. 87, 88-89, 101 : o vodi A. Favaho. Nuovi studi galileiani, pag. 407, nota 1. Gd8 VI. LETTERA DI VINCENZIO V1VIÀNI ECO. r -.V- 3 * CV^ t -30 S^‘ Al Ser. mo Sig. r6 11 Sig. r Principe Leopoldo di Toscana, mio Signore. Ser. mo Principe, Mi comanda 1*A. V. S., sempre intenta a nobilissime e giovevoli speculazioni, ch’io debba ordinatamente mettevo in carta quelle notizie che si ilnno circa al¬ l'invenzione et usi del maraviglioso misurator del tempo col pendolo di Galileo Galilei d’eterna e gloriosa fama, e principalmente circa all’applicazione del me¬ desimo pendolo alli usati orivuoli. Obbedisco, non già con quella evidente od ornata narrativa, e quale si richiederebbe avendo a comparire avanti al purga¬ tissimo giudizio deli’A. V., ma ben cì con quella sincerità che è mia propria, ca- io vando il tutto da quel sommario racconto che, d’ordin pure di V. A., io scrissi, già sono 5 anni, intorno a vari accidenti ed azzioni della vita di sì grand’ V uomo, e da quanto io so aver sentito dalla di lui viva voce. Sì come adunque è notissimo, per le tradizioni pervenuteci, che a ninno degli antichi o moderni filosofi ù stato permesso dal sommo, incomprensibil Motore l’investigare pur una minima parto della natura del moto e de’ suoi ammirandi accidenti, fuori che al nostro gran Galileo, il quale con la sublimità del suo in¬ gegno seppe ’l primo sottoporlo alle strettissime leggi della divina geometria, così non si revoca in dubbio, il medesimo Galileo essere stato il primo a rego¬ lare con semplicissimo e, per così dire, naturale artifizio la misura del tempo 20 dall’istesso moto misurato. E per ridurre il tutto distintamente a memoria, l’ori¬ gine ed il progresso di questa utilissima invenzione fu tale. Trovavasi il Galileo, in età di venti-anni in circa, intorno all’anno 1583 nella città di Pisa, dove per consiglio del padre s’ era applicato alli studi della filo¬ sofia e della medicina; et essendo un giorno nel Duomo di quella città, come curioso ed accortissimo che egli era, caddegli in mente d’osservare dal moto d’una lampana, che era stata allontanata dal perpendicolo, se per avventura i tempi delle andate e tornate di quella, tanto per gli archi grandi che per i mediocri e per i minimi, fossero uguali, parendogli clic il tempo per la maggior lunghezza dell’arco grande potesse forse restar contraccambiato dalla maggior velocità con so che per esso vedeva muovere la lampana, come per linea nelle parti superiori più declive. Sovvenitegli dunque, mentre questa andava quietamente movendosi, di far di quelle andate e tornate un esamino, come suol dirsi, alla grossa per mezzo delle battute del proprio polso e con l’aiuto ancora del tempo della mu- 0. Nel cod. G era stato scritto dapprima costantemente dal copista, penduto, 0 poi fu nella maggior parto dei luoghi corrotto pendolo. Noi abbiamo esteso siffatta correzione anello a quei passi noi quali, cor¬ tamente per isvista, rimase non corretta la forma penduto. — INTORNO ALL* APPLICAZIONE DEL PENDOLO ECO. 649 sica, nella quale egli giil con gran profitto erasi esercitato; e per allora da questi tali riscontri parvegli non aver falsamente creduto dell* ugualità di quei tempi. Ma non contento di ciò, tornato a casa pensò, per meglio accertarsene, di così fare. Legò due palle di piombo con fili d’egualissime lunghezze, e da gli estremi di •io questi le formò pendenti in modo, che potessero liberamente dondolare per l’aria (elio per ciò chiamò poi tali strumenti dondoli o pendoli); e discostandole dal perpendicolo per differenti numeri di gradi, come, per esempio, l’una per 30, l’altra per 10, lasciollo poi in libertà in un istesso momento di tempo: e con s P aiuto d’ un compagno osservò che quando 1* una per gl’ archi grandi faceva un tal numero di vibrazioni, l’altra per gl’archi piccoli ne faceva appunto al¬ trettante. In oltre formò due simili pendoli, ma tra loro di assai differenti lunghezze; od osservò che notando del piccolo un numero di vibrazioni, come, per esempio, 300, per i suoi archi maggiori, nel medesimo tempo il grande ne faceva sempre so un tal istesso numero, come ò a dire 40, tanto per i suoi archi maggiori che per i piccolissimi: e replicato questo più volte, c trovato per tutti gl’archi et in tutti i numeri sempre rispondere l’osservazioni, ne inferì ugualissima esser la durazione tra l’andate e le tornate d’un medesimo pendolo, grandissime o piccolissime che elle fossero, o non iscorgersi almeno tra loro sensibile diffe¬ renza, e da attribuirsi all’impedimento dell’aria, che fa più contrasto al grave mobile più veloce che al meno. S’accorse ancora, che nè le differenti gravità assolute, nè le varie gravità in ispecio delle palle, facevano tra di lor manifeste alterazioni, ma tutte, purché appese a lili d’uguali lunghezze da i punti delle sospensioni a i lor centri, coli¬ co servavano una assai costante ugualità de’lor passaggi per tutti gl’archi; se però non si fusse eletta materia leggierissima, come è il sughero, il di cui moto dal mezzo dell’aria (che al moto di tutti i gravi sempre contrasta, e con maggior proporzione a quello de’ più leggieri) vien più facilmente impedito, e più presto ridotto alla quiete. Assicuratosi dunque il Galileo di così mirabile effetto, sovvennegli per allora d’applicarlo ad uso della medicina per la misura dell’accelerazioni de’ polsi, come pur tuttavia conmiunemente si pratica. Indi a poch’anni applicatosi agli studi geometrici, ed agli astronomici appresso, vedile l’importante necessità eli’essi avevano d’uno scrupuloso misuratore del 70 tempo per conseguire esattissime l’osservazioni; che perciò fin d’allora introdusse il valersi del pendolo nella misura de’ tempi e moti celesti, de’ diametri appa¬ renti delle lisse e de’ pianeti, nella durazione de gli eclissi ed in mill’altre simili 55-56. e da attribuirli ... al meno malica in P. In G ò aggiunto di mauo del Yiviami. 650 VI. LETTERA DI VINCENZIO V1VIANI ECO. operazioni, principalmente ottenendo da tale strumento, più e più accorciato di filo, una minutissima divisione e suddivisione del tempo, ancora oltre a i minuti se¬ condi, a suo piacimento. Guidato poi dalla geometria e dalla sua nuova scienza del moto, trovò le lunghezze de’ pendoli esser fra loro in proporzione duplicata di quella de’ tempi d’ugual numero di vibrazioni. Ma perchè il Galileo nel communicare le sue spe¬ culazioni, come abbondantissimo che egli ne era, ne fu insieme liberalissimo, quindi è che questi usi e le. nuovamente da esso avvertite proprietà del suo fio pendolo a poco a poco divulgandosi, trovaron talvolta o chi con troppa confi¬ denza se le adottò per propri parti, o chi nella pnblicazione di qualche scritto, artifiziosamente tacendo il nome del lor vero padre, so ne valse in tal guisa, che almeno da quei che ne ignorali l’origine potrebbero facilmente credersi inven¬ zioni di essi, so a ciò non avesse abbondevolmente provveduto la sincerità de i ben affetti, tra i quali ò il Sig. r Cristiano Ugenio olandese, clic nel proemio del- l’Orivuolo, da esso publicato nel 1658 u) , fa di queste invenzioni gratissima testi¬ monianza a favore del medesimo Galileo. Non terminò già qui l’applicazione delti usi di questa semplice macchina, poiché doppo avere il Galileo scoperto per mezzo del telescopio, nell’anno 1610, 90 i quattro pianeti intorno al corpo di Giove, da lui denominati Medicei, subito dall’osservazioni de’ variati loro accidenti di occultazioni, di apparizioni, d’eclissi e d’altre simili apparenze di brevissima durazione, caddegli in mente di potere valersene per iniiversal benefizio de gli vuoniini ad uso della nautica e della geo¬ grafia, sciogliendo per ciò quel famoso e diffidi problema che indarno aveva eser¬ citato i primi astronomi e matematici de i passati e del presente secolo, che è di potere in ogni ora della notte, o almeno più frequentemente che con gl’ eclissi lunari, in ogni luogo di mare e di terra, graduare le longitudini. Per ciò ottenere diodesi allora ad una assidua osservazione de’ periodi e de’ moti di tali Stelle Medicee; ed in meno di 15 mesi dal primo discoprimcnto ne consegui tanto esatta ioo cognizione, elio arrivò a predire le futuro costituzioni di ciaschedun satellite, comparate fra loro et col corpo stesso di Giove, publicandone un saggio per i due mesi avvenire di Marzo et Aprile dell’anno 1613, comesi vede in fine della Storia delle Macchie Solari. Ma conoscendo che in servizio della longitudine ri- chiedevasi molto maggior perfezione per potere calcolare le tavole ed effemeridi, e che ciò non era possibil avere che doppo gran numero d’osservazioni e tra loro assai distanti di tempo, non prima che dell’anno 1615 si risolvè di proporre 73. più e j»iìi accorciato di filo b aggiunto in G di limilo dol Viviani, in I* manca. — Christian! Kuoknii n Zulicliem, Const. F., Vlacq, M.LC. LV11I. Horologium. llugao Gomitimi, ex officimi Adriani INTORNO ALL’APPLICAZIONE DEL PENDOLO ECC. 651 questo suo ammirabil pensiero a qualche gran Principe d’Europa, che fosse po¬ lente in mare principalmente; e conferendo ciò col Ser." 10 'Gran Duca Cosimo II, ilo suo Signore, volle questi per sò medesimo muoverne allora trattato con la Mae¬ stà Cattolica di Filippo Terzo, Re di Spagna. Fra le invenzioni del Galileo con¬ correnti all’effettuazione di cosi grande impresa (oltre all’offerirsi dal medesimo di somministrare ottimi telescopi già fatti; il modo di fabbricarli, atti all’osser¬ vazione di Giove e suoi satelliti, e di poter facilmente usarli in nave, benché fluttuante; le tavole et effemeridi por la predizione delle future costituzioni di quei Pianeti), oravi ancora quella dell’orivuolo esattissimo, consistente in sustanza nelle ugualissime vibrazioni del suo pendolo. Questo trattato, da vari accidenti interrotto, fu poi in diversi tempi riassunto, ma in fine, del 1629, non so per qual fatalità, abbandonato. 120 Stimando per tanto il Galileo che il maggior ostacolo e la massima del- l’eccezzioni che forse avesse incontrato la sua proposta, fosse stata il far credere di averla esibita per quel premio di facultadi e di onori che da tutti i re di Spagna e da altri potentati veniva promesso a chi di tale invenzione fosso stato l’autore; volendo pur far conoscere che egli già mai da stimolo cosi vile era mosso, ma bensì dalla sicurezza del suo trovato, e con l’unica brama d’arric¬ chire il mondo di cognizione cotanto necessaria e profittevole all’umano com¬ mercio, et sé medesimo ornare della gloria per ciò dovutagli, stabilì finalmente di farne libera e generosa offerta a i Potentissimi Stati Generali delle Provincie Confederate: onde nel 1636, mediante l’opera incessantissima del Sig. r Elia Dio- ìso dati, celebre iureconsulto di Parigi e Avvocato del Parlamento, amico suo ca¬ rissimo e confidentissimo, e col patrocinio del Sig. r Ugon Grozio, allora amba- 6ciador residente in Parigi per la corona di Svezia, venne all’ attuai proposta del suo trovato alli Sig. ri Stati d’Olanda, diffusamente spiegando con più e di¬ verse scritture e lettere colà inviate (tanto a i Sig. ri Stati suddetti, quanto al Sig. r Lorenzo Realio, presidente eletto dai medesimi all’esanime di questa pro¬ posizione, ed agl’altri Sig. ri Commessari a ciò deputati, che furono i SS. li Martino Ortensio, Guglielmo Blaeu, Iacopo Golio ed Isaac Becchmanno) ogni suo parti- colar segreto e modo attenente all’uso della propria invenzione, sì quanto alla difficultà oppostagli del ridurre praticabile il telescopio nell’agitazione della nave, i^o quanto circa al valersi del suo pendolo per misuratore del tempo; suggerendo al Sig. r Lorenzo Realio con lettera de’ 5 Giugno 1637 un pensiero sovvenutogli intorno al toglier il tedio del numerar le vibrazioni del pendolo, adombrandogli brevemente la fabbrica d’uno orivuolo o macchinetta, la quale, mossa nel pas¬ saggio dal medesimo pendolo (che servir doveva in luogo di quel che vien detto il tempo dell’orivuolo), mostrasse il numero delle vibrazioni, dell’oro e delle mi- 137. Blaeu .... Qolio, P. Così si leggeva in G, dovo poi il Viviani sostituì laeopo ai puntolini. — 052 VI. LETTERA DI VINCENZIO VIVIANI ECC. mite loro particelle decorse; come tutto può vedere l’A. V. S. dal seguente capi¬ tolo, qui di parola in parola trascritto dalla suddetta lettera del Galileo al Sig. r Realio (,) : « Da questo verissimo e stabil principio traggo io la struttura del mio misuratore del tempo, servendomi non di un peso pendente da 150 un filo, ma di un pendolo di materia solida e grave, qual sarebbe ottone o rame; il qual pendolo fo in forma d’un settore di cerchio di 12 o 15 gradi, il cui semidiametro sia 2 0 B palmi; e quanto maggior sarà, con minor tedio se gli potrà assistere. Questo tal set¬ tore fo più grosso nel semidiametro di mezzo, andandolo assotti¬ gliando verso i lati estremi, dove fo che termini in una linea assai tagliente, per evitare quanto si possa l’impedimento dell’aria, che essa sola lo va ritardando. Questo è perforato nel centro, per il quale passa un ferretto in forma di quelli sopra i quali si volgono le sta¬ dere; il qual ferretto, terminando nella parte di sotto in un angolo, ieo c posando sopra due sostegni di bronzo, acciò meno si consumino per lo continuo muoversi del settore, rimosso esso settore per molti gradi dallo stato perpendicolare (quando sia ben bilicato), prima che si fermi, anderà reciprocando di qua e di là numero grandissimo di vibrazioni; le quali per potere andare continuando secondo il biso¬ gno, converrà che chi gl’assiste gli dia a tempo un impulso gagliardo, riducendolo olle vibrazioni ampie: e fatta, per una volta tanto, con pazienza la numerazione delle vibrazioni che si fanno in un giorno naturale, misurato con la revoluzione d’una stella fìssa, si haverà il numero delle vibrazioni d’un’ora, d’un minuto e di altra minor parte, no Poti*assi ancora, fatta questa prima sperienza col pendolo di qual- sivoglia lunghezza, crescerlo o diminuirlo, sì che ciascheduna vibra¬ zione importi il tempo d’un minuto secondo; imperochè le lunghezze di tali pendoli mantengono fra di loro duplicata proporzione di quella de’ tempi, come per esempio: Posto che un pendolo di lunghezza di 4 palmi faccia in un dato tempo mille vibrazioni, quando noi volessimo la lunghezza d’un altro pendolo che nell’istesso tempo facesse doppio numero di vibrazioni, bisogna che la lunghezza di 178. hra stato copiato facesse duplicato numero, o il Viviam corresso di suo pugno duplicato in doppio. Cfr. Voi. XVII, n.o 3496, lln. 207. Il cod. P logge puro doppio. — <*> Cfr. Voi. XVII, n.o 3496, lin. 179-252, o Voi. XVIII, Supplemento al u.° 8496. INTORNO ALL’APPLICAZIONE DEL PENDOLO ECO. 653 questo pendolo sia la quarta parto della lunghezza dell’altro ; et in 180 somma, come si può vedere colla sperienza, la moltitudine delle vibrazioni de’ pendoli da lunghezze diseguali è sudduplicata di esse lunghezze. Per evitar poi il tedio di chi dovesse perpetuamente assistere al numerare le vibrazioni, ci ò un assai comodo provedimento, in cotal modo: cioè facendo che dal mezzo della circonferenza del settore sporga in fuori un piccolissimo e sottilissimo stiletto, il quale nel passare percuota in una setola fissa in una delle sue estremità, la qual setola posi sopra’ denti d’una ruota leggierissima quanto una carta, la quale sia posta in piano orizontale vicina al pendolo, et avendo 100 intorno intorno denti a guisa di quelli d’una sega, cioè con uno de’ lati posto a squadra sopra il piano della ruota e l’altro inclinato obliquamente, presti questo oftìzio, che nell’urtare la setoletta nel lato perpendicolare del deiite, lo muova, ma nel ritorno poi la medesima setola sopra il lato obliquo del dente non lo muova altrimente, ma lo vadia strisciando e ricadendo a piè del dente susseguente: e così nel passaggio del pendolo si muoverà la ruota per lo spazio d’uno de’ suoi denti, ma nel ritorno del pendolo essa ruota non si muoverà punto; onde il suo moto ne riuscirà circolare, sempre per l’istesso verso, et havendo contrassegnati con numeri i denti, si vedrà ad arbitrio nostro 200 la moltitudine de i denti passati, et in conseguenza il numero delle vibrazioni e delle particelle del tempo decorse. Si può ancora intorno al centro di questa prima ruota adattarne un’altra di piccolo numero di denti, la quale tocchi un’altra maggiore ruota dentata, dal moto della quale potremo apprendere il numero delle intere revoluzioni della prima ruota, compartendo la moltitudine de i denti in modo che, per esempio, quando la seconda ruota liaverà dato una conversione, la prima ne abbi date 20, 30 o 40 o quante più ne piacesse. Ma il significar que¬ sto alle SS. LL., che anno vuomini esquisitissimi et ingegnosissimi in fabbricare orivuoli et altre macchine ammirande, è cosa superflua, 210 perchè essi medesimi sopra questo fondamento nuovo, di sapere che il pendolo, muovasi per grandi o per brevi spazii, fa le sue recipro¬ cazioni egualissime, troveranno conseguenze più sottili di quel che io possa immaginarmi. E siccome la fallacia delli orologii consiste principalmente nel non si esser potuto sin qui fabbricare quello che 191. lati poiti a, Q — 664 VI. LETTERA DI VINCENZIO VJLVIANI ECC. noi chiamiamo il tempo dell’ori volo, tanto aggiustatamente che fac¬ cia le sue vibrazioni eguali; così in questo mio pendolo semplicis¬ simo, e non soggetto ad alterazione alcuna, si contiene il modo di mantener sempre egualissime le misure del tempo. Ora intenda V. S. lll. ma , insieme col Sig. r Ortensio, quale e quanto sia grande il bene¬ fizio di questo strumento nelle osservazioni astronomiche, per le quali 220 non è necessario fare andare perpetuamente l’orivuolo, ma basta, per l’ore da numerarsi a meridie ovvero ab occasu, sapere le minuzie del tempo sino a qualche ecclisse, congiunzione o altro aspetto ne’ moti celesti ». E conseguentemente in appresso fu da esso comunicato alli altri SS. ri Com¬ messarii ed agl’altri SS. rl Olandesi che successivamente s’adoprarono con i SS. ri Stati a favor del Galileo, fra’ quali fu un tal Sig. r Borolio, Consigliere e Pensionano della città d’Ansterdam, et un Sig. r Constantino Ugenio di Zulichen, allora primo Consigliere e Segretario del Sig. r Principe d’Oranges e padre del sopranominato Sig\ r Cristiano. 230 Vedendo il Galileo che il dover trattare questa sua proposizione per lettere, in tanta distanza di luoghi, richiedeva gran lunghezza di tempo, nel rimuovere quelle difficoltà che per altro con la presenza in pochi giorni egl’averebbe spe¬ rato di superare, e che dopo averle spianate gli conveniva tornar da capo a in¬ formar nuovi Deputati (come gli era succeduto, dopo 5 anni continui di nego¬ ziati, per la morte di tutti e quattro i SS. ri Coni ni ossari destinati all’esamine della sua proposta); da che l’età sua cadente di 75 anni e la sua cecità non gli per¬ metteva il trasferirsi in Ansterdam, come in altro stato volentierissimo averebbe fatto; desiderando pure per publico benefizio che, se non in vita sua, almeno in vita di quelli che già ne erano consapevoli, bì venisse quanto prima alla spo- 240 rienza del suo trovato, che egli reputava esser l’unico mezzo in natura per con¬ seguire la cercata graduazione delle longitudini; stabilì d’inviar colà amico suo fidatissimo et intelligentissimo delle cose astronomiche, il quale s’era dimostrato assai pronto di trasferirvisi, ed al quale il medesimo Galileo aveva già, doppo 221-222. per le cote da, G — 226-226. Dopo nvor riferito il tratto della lettera di Gaucho il cod. P continua : Queste tiene notizie ed altre molte t’avranno in breve nella publicanione che intende faro VA. V. di tutte le teniture che intorno al negozio delle longitudini ultimamente ella ottenne dalla libcralitit del Sig.r Elia I)untati, il gitale di tutte, come eli prenoto tesoro, avea tenuto particolarissima cura, come quegli che colo poti farue raccolta, estendo che. tanto le lettere del Galileo che quelle de SS. rt Stati e det lor SS* Commessavi, che scambievolmente passarono dal 1636 fino al 1640, erano di comun consenso inviate al sudetto SigS Elia per il lor recapito, avendo questi facoltà d'aprire, ’l tutto e prendertene copia, per restar pienamente informato di tale affare. Da questa medesima publicazione, oltre all 1 autentica storia di questo fatto, chiaramente cedrassi come ■[ concetto di cavar dal pendolo un orivuolo fu prima del nostro Galileo, e come appresso fu da esso comu¬ nicato alti sopranominati SS* Commeuari, s conscguentemente agi altri SS. rl Olandesi che successivamente 6CC. — 236. tutti * quattro, G — INTORNO ALL’APPLICAZIONE DEL PENDOLO ECC. 655 la perdita della vista, ceduto tutte le proprie fatiche, osservazioni e calmili, at¬ tenenti a i Pianeti Medicei, e conferito la teorica per fabbricare le lor tavole et effemeridi. Questi fu il Padre Don Vincenzio Renieri, monaco Olivetano, stato insigne Matematico nello Studio di Pisa, il quale s’era con tanto gusto appli¬ cato a continuare le dette osservazioni e talmente impadronitosene, che, come 250 è benissimo noto all’A. V., prediceva per molti mesi avvenire ogni particolare accidente intorno a i detti Pianeti; e nel 1647 fece vedere all’À. V. et al Ser. mo Prin¬ cipe Cardinal Gio. Carlo le tavole et effemeridi formate per molti anni, quali stava in punto di publicare, quando piacque a Dio, che tutto a miglior tino dispone, indi a pochi mesi togliercelo quasi repentinamente di vita. Non so già per qual disgrazia attraversandosi il caso a cosi profittevole cognizione, mentre egli se ne stava moribondo, fu da taluno ignorante o pur maligno spirito, ch’ebbe l’adito nelle sue stanze, spogliato lo studio de’ suoi scritti, tra’ quali era la suddetta opera perfezionata e la serie ordinata di tutte P osservazioni e calculi del Galileo dal 1610 al 1637, con gl’altri successivamente notati dal detto Padre Renieri Un 200 al 1648; e così in un momento si fece perdita di ciò che nelle vigilie di 38 anni, con tante e tante fatiche, a prò del mondo s’era finalmente conseguito. Ma tralasciando le digressioni, intendeva il Galileo d’inviare alli SS. ri Stati d’Olanda questo Padre Renieri, e forse ancora in sua compagnia il Sig. r Vin¬ cenzio, proprio figliolo, giovane di grand’ingegno et all’invenzioni meechaniche inclinatissimo, i quali insieme fossero provveduti et istrutti a pieno di tutte le cognizioni necessario all’effettuazione di sì grand’opera. Mentre dunque il Padre Rinieri attendeva alla composiziono dello tavole, si pose il Galileo a speculare intorno al suo misurator del tempo; et un giorno del 1641, quando io dimorava appresso di lui nella villa d’Arcetri, sovvienimi che gli cadde in concetto che si 270 saria potuto adattare il pendolo a gl’orivuoli da contrapesi e da molla, con valersene in vece del solito tempo, sperando che il moto egualissimo e naturale d’esso pendolo avesse a corregger tutti i difetti dell’arte in essi orivuoli. òhi perchè l’essere privo di vista gli toglieva il poter far disegni e modelli a fine d’incontrare quell’artifizio che più proporzionato fosse all’effetto concepito, venendo un giorno di Firenze in Arcetri il detto Sig. r Vincenzio suo figliolo, gli conferì il Galileo il suo pensiero, e di poi più volte vi fecero sopra vari di¬ scorsi; e finalmente stabilirono il modo che dimostra il qui aggiunto disegno, 258. e tutte, 1’. Cosi ora scritto audio ili (i, dove poi il Vivuni aggiunse tra lo lineo la iene ordi¬ nata di. — INTORNO ALL* APPLICATONE DEL PENDOLO ECO. 657 e di metterlo in tanto in opera per venire in cognizione dal fatto di quelle dif¬ ficoltà clic il più delle volte nelle macchine con la semplice speculativa non si so- 280 gliono prevedere. Ma perchè il Sig. r Vincenzio intendeva di fabbricar lo strumento di propria mano, acciò questo per mezzo de gl’artefici non si devulgasse prima che fosse presentato al Ser. m# Gran Duca suo Signore et appresso alli SS. ri Stati per uso della longitudine, andò differendo tanto l’esecuzione, che indi a pochi mesi il Galileo, autore di tutto queste ammirabili invenzioni, cadde ammalato, et agl’otto di Gennaio del 1641, ab Incarnatione , mancò di vita; per lo che si raffred¬ darono talmente i fervori nel Sig. r Vincenzio, che non prima del mese d’Aprile del 1040 intraprese la fabbrica del presente orivuolo, sul concetto somministratoli già, me presente, dal Galileo suo padre. Procurò dunque d’avere un giovane, che vive ancora, chiamato Domenico Ba- 290 lestri, magnano in quel tempo al Pozzo dal Ponto Vecchio, il quale aveva qual¬ che pratica nel lavorare orivuoli grandi da muro, e da esso fecesi fabbricare il telaio di ferro, le ruote con i lor fusti e rocchetti, senza intagliare; ed il restante lavorò di propria mano, facendo nella ruota più alta, detta delle tacche, n.° 12 denti, con altrettanti pironi scompartiti in mezzo tra dente e dente, e col roc¬ chetto nel fusto di n.° 6, et altra ruota, che muove la sopradetta, di n.° 90. Fermò poi da una parte del bracciuolo, che fa croce al telaio, la chiave o scatto, che posa su detta ruota superiore, e dall’ altra impernò il pendolo, che era formato d’un filo di ferro, nel quale stava infilato una palla di piombo, che vi poteva scorrerò a vite, a fino d’allungarlo o scorciarlo secondo il bisogno Raggiustarlo 800 con il contrapeso. Ciò fatto, volle il Sig. r Vincenzio che io (come quegli che era consapevole di quest’invenzione e che l’avevo ancora stimolato ad effettuarla) vedessi cosi per prova e più d’una volta, come pur vedde ancora il suddetto ar¬ tefice, la congiunta operazione del contrapeso e del pendolo: il quale stando fermo tratteneva il desccnder di quello, ma sollevato in fuori e lasciato poi in libertà, nel passare oltre al perpendicolo, con la più lunga delle due code annesse al- l’impernatura del dondolo alzava la chiave che posa e incastra nella ruota delle tacche, la qual tirata dal contrapeso, voltandosi con le parti superiori verso il dondolo, con uno de’ suoi pironi calcava per disopra 1* altra codetta più corta, e le dava nel principio (lei suo ritorno uno impulso tale, che serviva d’ una certa 310 accompagnatura al pendolo, che lo faceva sollevare fin all’altezza donde s’era partito; il qual ricadendo naturalmente e trapassando il perpendicolo, tornava a sollevar la chiave, e subito la ruota delle tacche, in vigor del contrapeso, ri¬ pigliava il suo moto, seguendo a volgersi e spignere col pirone susseguente il detto pendolo: e così in un certo modo si andava perpetuando l’andata e tor¬ nata del pendolo, fino a che il peso poteva calare a basso. 288. me presente, cho in G è aggiunto tra lo lineo di ninno del Viviani, non si logge in P. — 304. trat¬ teneva ’l moto del contrappcso, 1’. Audio in G ora stato scritto il moto del oontrapeeo, ma poi il Viviani corresse di sua mauo il discender di quello. — XIX. 83 658 VI. LETTERA DT VINCENZTO VIYIANT ECC. Esaminammo insieme l’operazione, intorno alla quale varie difficoltà ci sov¬ vennero, che tutte il Sig. r Vincenzio si prometteva di superare: anzi stimava di potere in diversa forma e con altre invenzioni adattare il pendolo aH’orivuolo; ma da che l’aveva ridotto a quel grado, voleva pur finirlo su l’istcsso concetto che n’addita il disegno, con aggiunta delle mostre per lo ore e minuti ancora; 320 perciò si pose ad intagliar l’altra ruota dentata. Ma in questa insolita latica sopraggiunto da febbre acutissima, gli convenne lasciarla imperfetta al segno elio qui si vede; e nel giorno XXII del suo male, alli 16 di Maggio del 1649, tutti gl’ori- vuoli più giusti, insieme con questo esattissimo misurator del tempo, per lui si guastarono e si fermarono per sempro, trapassando egli (come creder mi giova) a misurar, godendo nell’ Essenza Divina, i momenti incomprensibili dell’eternità. Questo, Ser."‘° Signore, ò il progresso, o, per così diro, questa appunto è stata la vita, del misuratore del tempo, degno parto del gran Galileo. Come ha sen¬ tito, egli nacque nell’antichissimo e famoso tempio di Pisa intorno all’anno 1583, con tutto che il fondamento della sua concezione fosse eterno, mentre eterno 330 è l’effetto dell’egualissime vibrazioni e reciprocazioni del pendolo, benché non prima osservato elio dal perspicacissimo nostro Linceo; principio invero sempli¬ cissimo, o dal quale chiaramente s’apprende la vorità di quel gran detto del medesimo Galileo, che la natura opera mollo col poco , o che tutte le sue opera¬ zioni sono in pari grado maravigliose. Questo parto nella sua infanzia fu di vaga scorta alla Medicina. Nutrito poi dalla robustissima Geometria, e per la vigi¬ lante educazione di quella cresciuto, s’applicò in servizio dell’altissima Astrono¬ mia, e non mcn atto e pronto si dimostrò all’arto Nautica ed alla Geografia. Si preparò a maggior uso intorno all’anno 1641, quando nella idea del suo genitore Galileo si vestì d’altra forma; e finalmente 8 anni doppo, quando per mano del sio Sig. r Vincenzio Galilei stava per ricevere l’ultima perfezione, nell’età sua più ma¬ tura, restò per allora infelicemente abbandonato. Quanto al rimanente, non tralascerò di ricordare all’A. V. come sono intorno a 4 anni che il Sei*." 10 G. Duca, perspicacissimo promotore sempre di cose utilissime o nuove, si dimostrò curioso di qualche modo per bavere senza tedio e con si¬ curezza il numero delle vibrazioni del pendolo, ma però del pendolo libero e naturale, che non havesse (come nell’orivolo del Galileo) connessione o depen¬ denza da altro estraneo motore; che allora io feci vedere a S. A., col sopra refe¬ rito capitolo di lettera del medesimo Galileo, che questi l’aveva stimato fattibile, o descrittone un modo di propria invenzione, con inviarlo in Olanda; che Filippo sco Froffler augustano, ingegnosissimo e perfettissimo artefice, degno in vero di tanto Principe, da questa apertura animato, fabbricò quella galante macchinetta, la quale, sottoposta all’imo punto del verticale del pendolo, per via d’una affetta di 381. eyuui intime duraùoni o reciproca tioui, G INTORNO ALL’APPLICAZIONE DEL PENDOLO ECC. 659 essa, clic nell’andata, ma non già nel ritorno, della palla veniva mossa da un acutissimo stile fissato nella parte inferiore d’essa palla, dimostrava, per mezzo di leggierissime ruote, il numero preciso delle vibrazioni e delle minutie del tempo, secondo che più si aggradiva; che per conservare il moto di questo pendolo per un medesimo verticale si proposero e mossero in opera varie invenzioni ; che, per comandamento puro del medesimo Serenissimo, si specularono et inventarono sr.o diverse macchine, le quali, alquanto prima che il pendolo si riducesse verso la quieto e cessasse di sollevare l’alietta del detto numeratore, riconducevano il pendolo a quell’altezza di gradi dalla quale era stato lasciato da principio, e cosi perpetuavasi in un certo modo il suo moto, e conseguentemente la nume¬ razione delle sue vibrazioni; che in questo medesimo tempo fu presentato a S. A. dall’ingegner Francesco Cenerini un modello di ferro, nel qual però era unito al pendolo il contrapeso, in modo simile a quello che 14 anni avanti s’era immaginato il Galileo, ma sì belio con diversa e molto ingegnosa applicazione; elio Filippo soprannominato adattò l’invenzione a un orivuolo da camera per S. A., il qual mostrava l’ore ed i minuti, e elio di poi n’ ha fabbricati per 870 Idi. AA. de gl’esattissimi, i quali dimostrano il tempo assai più minutamente diviso, c nel corso di molti giorni non variano tra di loro di un sol minuto; che, d’ordine di S. A. medesima, l’istesso Filippo, togliendo dall’una e dall’altra invenzione, ha ridotto a questa foggia l’orivuolo publico della Piazza del Pa¬ lazzo dove abitano LL. AA.; e finalmente che i mesi a dietro fu inviato di Pa¬ rigi all’A. V. la già nominata scrittura, in dichiarazione del disegno d’un simile orivuolo, del sopradetto Sig. r Ugenio. Ma ne i particolari de’ fatti fin qui narrati rum istarò a diffondermi con maggior tedio (li V. A., già che tutto ha per sè stessa veduto e a tutto si è trovata presente; onde profondamente inchinando¬ mele, bacio all’A. V. la veste. aso Di Casa, li 20 Agosto 1G59. Di V. A. Ser. n,a Umilia." 10 Dev “° Oblig.'«° Servo Vincenzio Viviani. 374. ,• m »i n dietro, elio si leggo nnclio in P, fu sostituito iu tì tra lo lineo, di mano dol Vivimi, a circa et quattro me$i fa, elio prima era stato scritto. FINE DEL VOLUME DEC1MONONO. INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. (I documenti contenuti nel Supplemento sono contraddistinti con asterisco). Armano genealogico Galileiano . Pag. 15 I. Matrimonio di Vincenzio Galilei con Giulia Ammannati.17 a) Scritta matrimoniale. » b) Acconti sulla dote.18 c) Quitanza della dote.19 IL Fitto della gasa di Vincenzio Galilei in Pisa.21 a) Contratto di locazione.» b) Promemoria del locatore.» III. Procura di Vincenzio Galilei a Dorotka Ammannati.22 IV. Nascita e battesimo di Galileo.23 а) Figure della natività.» б) Atto di battesimo.25 V. Conti tra Vincenzio Galilei e Muzio Teda r ,di.20 a) Conto corrente 1572-1574.» b) Obbligazione di Muzio Tedaldi verso Vincenzio Galilei.30 VI. Galileo scolaro nello Studio di Pisa.32 a) Immatricolazione tra gli scolari artisti.» b) Rotolo dello Studio di Pisa per l’anno 1584-85 .» c) Spese per il mantenimento di Galileo.35 VII. Istanza a nome di Galileo per la lettura di matematica nello studio di Bologna.36 Vili. Galileo lettore nello Studio dt Pisa.37 fi) Rotoli dello Studio di Pisa per gli anni 1589-90 o 1590-91.» b) Estratti dai Libri di Cassa dello Studio per gli anni 1589-92. 42 c) Appuntature.43 662 INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. IX. Deposizioni di Galileo, o concernenti Galileo, nei processi per la succes¬ sione di Giovambatista Rica soli . Pag. 44 a) Deposizioni di Galileo nel primo processo.47 b) Altro testimonianze, concernenti Galileo, nel primo processo.. . 84 c) Deposizioni di Galileo nel secondo processo.89 d) Altro testimonianze, concernenti Galileo, nel secondo processo.106 X. Morte di Vincenzio Galilei.109 XI. Galileo lettore nello Studio di Padova .Ili a) Nomina.> 1) Deliberazione del Senato.» 2) Ducale.. b) Prima ricondotta.'. 1) Deliberazione del Senato.» 2) Ducalo.. C ) Seconda ricondotta.. 1) Deliberazione del Senato.. 2) Ducale. * d) Conferma in vita.. 1) Deliberazione del Senato. . 2) Ducale. jjq e) Argomenti della lettura di Galileo nello Studio di Padova.117 1) Rotolo dello Studio di Padova per Tanno 1592 .» 2) Argomenti della lettura di Galileo negli anni 1593-1G04.IH) f) Giorni nei quali Galileo diede principio alle lezioni.12() g) Stipendio di Galileo.122 li) Ricordo della rinunzia di Galileo alla lettura di Padova.125 *X1 bis. Conti con Iacopo e Bardo Corsi.. a) Scritta di un debito di Galileo.» b) Conto corrente 1593-1594 . 572 XII. Privilegio concesso a Galileo ter l’invenzione d’una macchina da alzar A0£ ì UA .. a) Istanza di Galileo. b) Delegazione del Consiglio ai Provveditori di Cominun.» c) Parere dei Provveditori di Connmm.. d) Concessione del Privilegio. 12g 1) Deliberazione del Senato.. 2) Ducale. XIII. Ricordi autografi. 130 a) 1/officina di strumenti matematici in Padova.131 1) Conti col costruttore. ^ 2) Esito degli strumenti. b) Relazioni con gli scolari in Padova. 149 1) Insegnamento privato. . INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. 663 2) Dozzinanti. Pag- 159 8) Trascrizione di trattati.1(56 4) Stampa delle « Operazioni del Compasso ».167 c) Appunti di economia domestica...» 1 ) Conti con Benedetto Zorzi.» 2) Spese diverse.169 3) Conti con Bartolomeo Mazo.171 4) Conti con Antonio Incontri.172 5) Conti con servitori.173 6) Spose por carnami.180 7) Conti con Girolamo Magagnati.182 8) Azienda della villa di Bellosguardo.183 9) Speso per fascine, cenere, olio, ..184 10) Conti con Leone Niuci.188 11) Conti con Goro.189 12) Prestiti di danaro.190 *12 bis) Scritta di un credito con Francesco Guglielmi.573 d) Conti con i cognati.193 1) Conti con Taddeo Galletti.» 2) Conti con Benedetto Landucci.199 e) Appunti diversi.200 f) Sottoscrizioni in «Album Amicofum ».203 Appendice. « Astrologica nonnulla ».205 XIV. Galileo nell’Accademia dei Rjoovbati di Padova.207 a) Registrazione del nomo di Galileo tra quelli dei primi componenti l’Accademia. » b) Uflici tenuti da Galileo nell’Accademia.208 1) Incarico di provvedere alla forma degli scudi per le imprese private degli Acca¬ demici .» 2) Elezione a censore sopra le stampe.» XV. Relazioni di Galileo con i cognati.209 a) Relazioni con Benedetto Landucci.» 1) Procura di Galileo a Benedetto Landucci per la riscossione d’ima somma di danaro da Camillo Bianchini. » 2) Procura di Benedetto Lamiucci ad Agostino de’Valeri per la esazione di danaro in conto della doto assegnata da Galileo alla sorella Virginia.» 8) Elezione di Benedetto Landucci all’ufficio di Pesatore al Saggio ...... 212 4) Conti di Galileo con Benedetto Landucci.» *5) Contratto col qualo Benedetto Lamiucci assegna una rendita annua di scudi 10 per sopradote della figliuola Isabella, monaca in S. Matteo in Arcctri, c Ga¬ lileo sta mallevadore del promesso assegno.574 b) Relazioni con Taddeo Galletti.212 1) Contratto matrimoniale di Livia Galilei con Taddeo Galletti.» 2) Procura (li Galileo a Filippo Minucci per contrarre in suo nome un prestito in danaro.214 3) Lite intentata a Galileo per il pagamento della dote della sorella Livia ...» GG4 indice dei documenti e del supplemento. a) Precetto di pagamento della doto. Pag. 214 p) Procura di Galileo a Giovanfraucesco Sagredo nella causa con Taddeo Gal¬ letti .215 Y) Procura di Galileo a Roberto (?) Bertucci nella causa predetta.21G S) Comandamento a Taddeo Galletti di desistere dalla lite contro Galileo. . . » e) Proroga del comandamento fatto a Taddeo Galletti.217 4) Conti di Galileo con Taddeo Galletti.» XVI. Nascita dei figli di Galileo.218 a) Virginia.» 1) Fede di battesimo.» 2) Oroscopo fatto dal padre.» b) Livia.219 1) Fedo di battesimo.» 2) Oroscopo fatto dal padre.» c) Vincenzio.220 Fede di battesimo.» • \ XVII. Galileo nrll’Acoadrmia della Crusca.221 a) Ascrizione di Galileo all’Accademia.» b) Partito dell’Accademia di fare orazione funerale a Galileo.» XV11I. Il Compasso Geometrico io Militare.222 a) Le Operazioni del Compasso Geometrico et Militare .» 1 ) Licenza di stampa.» a) Fedo del Segretario ducalo.» P) Relazione dei Riformatori dello Studio di Padova.» Y) Terminazione dei Capi del Consiglio dei Dieci.223 2) Spese per la stampa. » b) La controversia con Baldassar Capra.» 1) Attestazioni in favore di Galileo anteriori alla condanna del Capra.» a) di Giacomo Alvise Cornaro.» p) di Pompeo di Pannicelli.» Y) dì Giacomo Alvise Cornaro c di Francesco Contarmi.» 5) di Paolo Sarpi.* 2) Condanna di Baldassar Capra. 224 3) Attestazioni in favore di Galileo posteriori alla condanna del Capra.225 a) di Giacomo Badovere.» P) di Marcantonio Mazzoleni.» Y) di Giovanfraucesco Sagredo.» 8) di Aimorò Zane e Giovanni Malipiero.» 4) Licenza di stampa della T)ifesa contro alle calunnie et imposture di Baldesaar Capra. » a) Fede del Segretario Ducale.•.» P) Relazione dell’Inquisitore.’..» Y) Relazione dei Riformatori dello Studio di Padova.226 8) Terminazione dei Capi del Consiglio dei Dicci.» •’ò) Sonetto indirizzato a Galileo dagli stampatori della JJifcsa contro alle calunnie et imposture di Baldeasar Capra .576 INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. 665 XIX. Le scoperte celesti e il Sideiìuvs Nuncius . Pag. 227 a) La presentazione del cannocchiale alla Signoria di Venezia.> b) Il Sidcrcus Nuncius .» 1) Licenza di stampa (lei Sidereus Nuncius .» a) Relaziono dei Riformatori dello Studio di Padova.> ji) Terminazione dei Capi del Consiglio dei Dieci . . .•.» 2) Per una ristampa della Dissertano curi Nuncio Sidereo di Giovanni Kepler . . 228 a) Relaziono dei Riformatori dello Studio di Padova.» p) Terminazione dei Capi del Consiglio dei Dieci.» c) L’anagramma di Saturno tricorporeo ..229 XX. Galileo e l’Accademia Delia di Padova.230 a) Deliberazioni dell’Accademia di nominare un lettore di Matematica .... » b) Nomina del Matematico.» C ) Proposte dei concorrenti all’ufficio di Matematico.232 1) di Ingolfo de' Conti.» 2) di Galileo.» 3) di Giulio Zabarella.» XXI. Galileo provvisionato dello Studio di Pisa.233 a\ Estratti dai Libri di Entrata o Uscita del Proveditoro.» b) Estratti dai Quaderni di Gassa.237 C) Estratti dai Giornali di Cassa. 251 (l ) Mandati di pagamento.252 XXII. Galileo e l’Accademia dei Lincei.265 a) Sottoscrizioni nei Cataloghi degli Accademici.» b) Spese per la pubblicazione dell ’Istoria e Dimostrazioni intorno allo. Macchie Solari .» c) Dai rendiconti delle adunanze accademiche.266 1) Dai Colloquia Academicorum Lyncaeorum .» 2) . Dal le Notae in Consessu Lynceorum exceplae .267 XXIÌT. Procura di Flaminio Papazzoni a Galileo.270 XXIV. Processo di Galili.o.272 a) Decreta .275 b) Processi.293 c) Altri documenti.400 1) Monito per l'emendazione dell’opera De revoluìionibus orbium caelesliuni di Nic¬ colò Copernico.* 2) Per la licenza di stampa del Dialogo dei Massimi Sistemi.401 3) Sentenza ed abiura.402 4) Relazione di Giovanfranccaco ISuonaraici.407 5) Editto del Vescovo di Cortona.411 6) Notificazione della condanna di Galileo fatta dal Nunzio di Colonia.412 7) Prima divulgazione della sentenza contro Galileo per mezzo di una gazzetta. . 413 8) Decreto della Congregazione dell’Indice concernente il Dialogo dei Massimi Sistemi. '115 84 XIX. G6G INDICI? DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. 9) Sunto dei due processi. Pag. 417 10) Deliberazione della Congregazione dell’Indice, di ometterò il Decreto che proibisce i libri che insognano il moto della terra.419 11) Deliberazioni della Congregazione del S. Uffizio intorno alla stampa dei libri elio insegnano il moto della terra.420 XXV. Professione monastica delle figlie di Galileo.422 а) di Virginia.» б) di Livia.» XXVI. Viaggio di Galileo a Loreto.424 ♦XXVI bis. Conto di Galileo con la Guardaroba Medicea.677 XXVII. Vincenzio figlio di Galileo.425 a) Privilegio di legittimazione.* b) Eleziono a un luogo nel Collegio di Sapienza in Pisa.42G c) Diploma di laurea.427 d) Scritta matrimoniale con Sentii ia Bocchineri.430 e) Uflìcii.432 1) Rescritto per essere veduto di Collegio.» 2) Concorso all’ufficio di Cancelliere dell’Arte dei Fabbricanti.433 3) Nomina alla Cancellerìa di Poppi.» a) Proposta del Magistrato de’ Nove.» P) Elezione.. . 434 4) Lettere del Magistrato de’Nove al Vicario di Poppi circa ramininistrnziono del Cancelliere.» a) Firenze, 30 aprile 1632.» P) Firenze, 2 ottobre 1032 . 435 Y) Firenze. 17 dicembre 1632 .» 5) Permuta dalla Cancelleria di Poppi a quella di S. Giovanni in Valdarno . . . 43G a) Proposta del Magistrato de’ Novo.» P) Partecipazione dell’elezione.» 6) Nomina a Cancelliere dell’Arto dei Mercatanti e della Zecca.437 *6 bis) * » > » .577 f) Posta del Campione della Decima.437 y) Procure di Galileo al figlio per riscuotere somme di danari.438 1) Firenze, 29 aprile 1638. t- 2) Firenze, 9 luglio 1638 .» 3) Firenze, 11 settembre 1638 . 439 4) Firenze, 1G giugno 1639 440 6) Firenze, 13 dicembre 1640. 441 h) Morte.. XXVI11. Atto di morte di Giulia Ammannati ne’ Galilei.443 XXIX. Galileo Consolo dell’Accademia Fiorentina. 444 a) Notizie sul Consolato di Galileo.» b) 1 avole di Michelangelo Buonarroti nel rendimento del Consolato di Galileo . 445 INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. 067 XXX. Conti col Monte di Pietà della città di Firenze . Pag. 446 a) Estratti dai Libri dei Depositi liberi.» *a, bis) Deposito segreto al Monte di Pietà.578 b) Altri documenti.. 1 ) Partito degli Ufficiali do’Pupilli 0 Adulti della città (li Firenze, die gli Uffiziali del Monte di Pietà mettano una condizione per la somma di lior. 400 al depo¬ sito di Galileo.453 2) Procura di Galileo a Mario Guidacci, por obbligare il deposito di Galileo sul Monte di Pietà in malleveria d’tm imprestilo l'atto dal Monte ai fratelli Bocchineri . . 454 3) Contratto di un mutuo fatto dal Monte di Pietà ai fratelli Bocchincri, per il quale resta obbligato il deposito di Galileo sul Monte stesso.455 XXXI. Atto di morte di Virginia Galilei ne’ Landucoi.457 XXXII. Conti gol Monastero di S. Matteo in Arcete!.458 XXX11I. Pensioni ecclesiastiche.460 a) Pensione sopra la Teologalo della Cattedrale di Brescia.» 1) Bolla di conferimento della pensiono a Vincenzio di Galileo Galilei.» 2) Procura di Vincenzio di Michelangelo Galilei a Galileo per la riscossione della pensione. 462 o) Sostituzione di Carlo Castelli a Galileo come procuratore perla riscossione della pensione.464 b) Bolla di con feri mento di una pensione a Galileo sopra un canonicato della Me¬ tropolitana di Pisa.465 *2) bis) Galileo ricevo la prima tonsura clericale.579 6") Pensione sopra una Mansioneria della Cattedrale di Broscia.468 1) Procuro per la riscossione della pensione.» oc) a Bartolommoo Sorni.» p) a Francesco Galilei.470 *Y) a Lodovico Battelli.680 2) Immissione di Galileo in possesso della pensione.471 a) Voto del Consultore della Repubblica Veneta e deliberazione del Senato . . » P) Partecipazione della deliberazione del Senato al Podestà di Broscia . . . 472 Y) Ducale.473 XXXIV. Pagamenti di Galileo per il fratello e alla vedova di ldi.474 a) Conto di Michelangelo Galilei con un mereiaio.» b) Ricevuta d’una sovvenzione di Galileo alla vedova del fratello.475 XXXV. Galileo descritto alla decima.476 a) Galileo è descritto per la prima volta alla decima.» 1) Partito del Magistrato Supremo.» 2) Pagamento della tassa per la descrizione alla decima.» 3) Partecipazione del partito del Magistrato Supremo agli Ufficiali del Monte delle Graticole.» 4) Partito degli Ufficiali del Monte delle Graticole.477 G) Partito degli Ufficiali di Decima.478 6) Scritta con la quale s’impone a Galileo per la prima volta la decima .... 479 b) Scritta con la quale s’impone a Galileo altra decima per una casa acquistata. t> 6G8 INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. c) Cancellazione della decima imposta sulla casa. Pag-. ISO 1) Pedi che la casa decimata, e prima appigionata, serve per abitazione dei proprietario. * 2) Partito degli Ulìicinli di Decima.‘IBI d) Partito degli Ufficiali di Decima che si spenga la decima porsonalo di Galileo, Btante la sua morto.4S2 e) Scritta con la quale le decime di Galileo si voltano in nomo del figliuolo Vin¬ cenzio. •» f) Posta del Campione della Decima.483 XXXVI. Uffici Cittadini. 484 a) Galileo è veduto di Collegio.» b) E squittinato e abilitato agli « otto ufizii *.185 c) E eletto di Collegio per il trimestre 15 giugno— 15 settembre 1030. ...» d) E eletto del Consiglio de’ Dugcnto.480 XXXVII. Consulto intorno al pagamento hello stipendio assegnato a Galileo COME LETTORE DELLO STUDIO DI PiSA.487 XXXVIII. Le case sulla Costa di San Giorgio.491 a) La prima casa .. » Contratto di vendita della casa di Iacopo Bramanti Boschi a Vincenzio Galilei . . » *ct bis) Inscrizione alla Decima della casa acquistata.582 1 ) Supplica di Vincenzio Galilei, d’essere graziato della multa incorsa per non aver inscritto alla Decima la casa acquistata. » 2 ) Informazione degli Ufficiali di Decima sulla supplica precedente, e rescritto gran¬ ducale della grazia concessa.583 3) Vincenzio Galilei inscrivo alla Decima la casa acquistata.» b) La seconda casa. 494 1 ) Procura di Galileo ad Alessandro Bocchineri per comperare la casa di Iacopo Zuccagni. . 2) Contratto di vendita della casa di Iacopo Zuccagni a Galileo.495 3) Lite tra Galileo, e Iacopo Zuccagni e altri per la casa.498 a) Deliberazione del Magistrato Supremo, che Iacopo Zneeagni riconosca Galileo por padrone della casa e gliene rilasci il libero possesso.» p) Intimazione a Iacopo Zuccagni della precedente deliberazione.499 Y) Comparsa di Galileo davanti al Magistrato Supremo, perchè sia intimata la lite. » 0 ) Citazione fatta alla parte, che prenda cognizione della comparsa di Galileo. 501 4) Scritta di locazione della casa a Iacopo Zuccagni per il semestre dal 1 « novembre a tutto aprile 1635 .'. gQ 2 6 ) Pedi che Galileo e Vincenzio, suo iigliuolo, hanno abitato tutta la casa, più d’un anuo prossimo passato. y) XXXIX. Partito degli dimoiali de’homi, ora Galileo k Giulio Parigi riferì- SOANO SULLE PROPOSTE CONCERNENTI LE INONDAZIONI DEL BiSBNZIO . . . 503 XL. Relazioni col nipote Vincenzio Landucoi. 508 a) Liti col nipote per un sussidio mensuale promessogli.» 1) Domanda di Vincendo Daminoci, elio il Magistrato Supremo condanni Galileo a continuargli il sussidio mensuale. INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. 600 2) Deliberazione del Magistrato Supremo intorno alla precedente domanda . Pag. 607 8) Altra deliberazione del Magistrato Supremo.509 4) Precetto del Magistrato Supremo, che Galileo paghi al nipote una mesata del sus¬ sidio convenuto.510 5) Deliberazione del Magistrato Supremo, in seguito al precedente precotto e alla comparsa delle parti.» b) Convenzione col nipote riguardo al sussidio mensnale.511 1) Procura di Galileo a Mario Guidueci, perchè concluda la convenzione con Vin¬ cenzio Landucci.» 2) Scritta della convenzione.512 c) Spese per la pronipote Virginia Landucci.515 1) Spese per dote e sopradote della pronipote, prima e dopo la professione monastica. » 2) Speso per la vestizione della pronipote.51G 8) Procure a Vincenzio Galilei per riscuotere dal Monte di Pietà la somma deposi¬ tata da Galileo per la vestizione della pronipote.517 a) Procura delle Monache del Monastero di S. Girolamo, detto di S. Giorgio . . » (3) Procura di Galileo.519 XLI. Testamenti. 520 a) Primo testamento.» b) Secondo testamento.522 c) Codicillo al secondo testamento.531 d) Consulto intorno alla validità del testamento.535 XLII. GaTjIlro e gli stati generali delle rnoviNciE unite dei Paesi Bassi . . . 538 a) Presentazione della proposta di Galileo, c nomina dei Commissari ad esaminarla. » b) Trattazioni preliminari.539 1) Gelazione dei Commissari, e provvedimenti per le spese d’esame della proposta. » 2) Dono d’ima collana d’oro a Galileo, ed assegno d’una somma por lo studio della proposta.» 8) Invito alla Compagnia dello Indio Orientali di contribuire alla spesa per lo studio della proposta.540 4) Offerta della collana d’oro a Galileo in nome degli Stati Genorali.s» 5) Deliberazione della Compagnia delle Indie Orientali di contribuire alla spesa per Io studio della proposta.541 c) Incarico a Martino Ortensio per gli studi ulteriori.* 1) Deliberazione concernente il detto incarico.» 2) Invito a Martino Ortensio.542 3) Incarico ai Commissari di conferire con Martino Ortensio.» d) Martino Ortensio è inviato a Galileo.» 1) Trattative circa le spese di viaggio.» 2) Deliberazione circa lo spese di viaggio.543 3) Invito alla Compagnia delle Indio Orientali di contribuire alle spese di viaggio . 544 4) La Compagnia (lolle Indio Orientali nomina Commissari a riferire sull’invito predetto.» 51 La Compagnia delle Indie. Orientali interroga l’Ammiragliato Bui suddetto invito. 545 fi) La Compagnia dello Indie Orientali informa gli Stati Generali d’aver interrogato l’Ammiragliato. * G70 INDICE DEI DOCUMENTI E DEL SUPPLEMENTO. 7) La Compagnia dulie Indio Orientali partecipa agli Stati Generali, che PAmmlragliato non consento a pagare le spese di viaggio sul fondo dei diritti di convoglio . Patf. 545 8) Gli Stati Generali accusano ricevimento della suddetta partecipazione della Com¬ pagnia delle Indie Orientali.546 9) Consenso della Compagnia delle Indio Orientali ad assumersi le spese di viaggio delI’Ortenaio.547 10) La Compagnia delle Indio Orientali partecipa all*Ortensio che la somma gli sarà pagata, qualora gli Stati Generali consentano eh’essa aia prelevata sui diritti di presa.» 11) Gli Stati Generali consentono che la somma da pagarsi all'Ortensio ai prelevi sui diritti di presa . ..» 12) Pagamento delle speso di viaggio all’Ortensio.548 13) Deliberazione di ricuperare dagli eredi dell’Ortensio la somma anticipatagli pel¬ le spese del viaggio non avvenuto.549 XLTII. Licenze per i.a stampa dei Dialoghi delle Nuove Scienze .550 o) del Vescovo di Olmiitz. » li) del Rettore dell’Università di Vienna.551 XL1V. Consulti medici sulle infermità di Galileo .552 а) di Giovanni Trullio sulla cecità.» б) di un medico Lionese.554 XLV. Morte di Galileo .558 а) Fedi di morte e di sepoltura.» б) Consulto intorno all’erezione di un monumento sepolcrale.559 c) Inventario dell’eredità.563 1) Inventario delle masserizie della villa d’Arcerri.» 2) Debiti. 567 INDICE DELLE NARRAZIONI BIOGRAFICHE 1)1 CONTEMPORÀNEI. I. Dalla ciionaoa dì Antonio Piuuli ... Pncr- 587 IT. Dal diario del viaggio di Giovanni Tarde in Italia.589 III. Notizie raccolte da Vincenzio Galilei.591 IV. Racconto istorioo di Vincenzio Vivianj.597 V. Vita scritta da Niccolò Gherardini.<533 VI. Lettera di Vincenzio Viviani al principe Leopoldo db’Medici intorno all’ap¬ plicazione del PENDOLO ALL’OROLOGIO. 647 INDICE DEL VOLUME DECIMONONO. Documenti e narrazioni biografiche di contemporanei.Pag. 5 Documenti.13 Supplemento.509 Narrazioni biografiche di contemporanei.585 Indice dei documenti e del supplemento.601 Indice delle narrazioni biografiche di contemporanei.071 ■v>*r LE OPERE DI GALILEO GALILEI VOLUME XX Kl» ULTIMO. FIRENZE S. A. G. BARBÈRA EDITORE 1939 - XVII LE OPERE m DI GALILEO GALILEI Volume XX Kl> ULTIMO. LE OPERE DI GALILEO GALILEI RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE BOTTO L’ALTO PATRONATO Di S. M. VITTORIO EMANUELE III li E IMPERATORE K DI S. E. BENITO MUSSOLINI Volume XX KD 4 ULTIMO. FIRENZE, S. A. G. BARBÈRA EDITORE. 19 39 -XVII. Edizione di seicento esemplari. Esemplare N° MS 0 30 luglio 1939-XVII. FIRENZE. 14-1039-40. — Tipografia linrliòra - Ai.fani k Vkntciu proprietari. Promotore della Edizione Nazionale IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA. Direttore: ANTONIO FA VARO. Coadiutore letterario: ISIDORO DEL LUNGO. Consultori: V. CEllRUTI — G. COVI — G. V. SCHIARARELLL Assistente per la cura del testo : UMBERTO MARCHESINI. La Ristampa della Edizione Nazionale !•: posta sotto gli auspichi DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE, DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE. Direttore: GIORGIO ABETTL Coadiutore letterario : GUIDO MAZZONI. Consultori: ANGELO BRUSCHI. — ENRICO FERMI. Assistente per la cura del testo: PIETRO BAGNINI. INDICI. AVVERTIMENTO. L’Indizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei, la quale poteva ben dirsi terminata col volume decimonono dato alla luce due anni or sono, riceve il suo definitivo compimento con questo ventesimo volume, principalmente de¬ dicato agl’ Ìndici, coi quali ci eravamo fin da principio proposti di coronare l’opera nostra. Abbiamo anzitutto stimato opportuno di mandare avanti un Indice dei di¬ ciannove volumi costituenti 1’ Edizione propriamente detta, il quale non è una semplice riproduzione di quelli più succinti dati alla tino di ciascuno dei volumi, e principalmente dei primi nove, ma porge una più esatta idea del loro con¬ tenuto. Seguo un Indice dei molti facsimili dei quali è corredata l’Edizione; e questo abbiamo creduto di dover dare, per renderne più agevole la ricerca per entro ai vari volumi nei quali trovansi più o meno largamente disseminati. Viene in appresso l’Indice dei nomi e delle cose notabili, rispetto al quale non possiamo dispensarci dall’entrare in qualche maggior particolare. La compilazione di un Indice, anche di semplici nomi, quando si riferisca ad un’opera di grande molo, è cosa assai meno semplice di quel che possa sem¬ inare a prima giunta : quando poi vi si unisca l’Indice delle materie, si affac¬ ciano difìicoltù delle quali non crediamo possa formarsi un giusto concetto chi non le abbia sperimentate. Perchè, lasciando pur stare la necessità di speciali attitudini a tal sorta di lavoro, esso richiede un’abnegazione che ben pochi sono in grado di apprezzare : con questo poi, che mentre nessuna lode verrà al com¬ pilatore per quello di buono a che sarà riuscito, troverà pronti a gridargli la Voi. xx. 10 AVVERTIMENTO. croce addosso tutti coloro ai quali tra migliaia e migliaia di indicazioni verrà fatto di notare una omissione o di rilevare una inesattezza. E si avverta che le omissioni e le inesattezze potrebbero nel fatto non esser tali, ma avere ca¬ rattere puramente subiettivo, o attinenza alle norme generali con cui si è sta¬ bilito di procedere. Rimangono poi le difficoltà d’ordine esclusivamente mate¬ riale, le quali, trattandosi di così grandi proporzioni, sono pure gravissime, anzi tali da poter essere giustamente valutate soltanto da chi vi si sia personalmente cimentato . 01 Tale complesso di difficoltà dovette certamente far senso ai nostri predeces¬ sori, se nessuno di loro osò mettere nelle mani dello studioso questo filo con¬ duttore attraverso la selva dei nomi e la copia e la varietà delle materie. Copia e varietà che tanto più malagevolmente si prestano ad essere abbracciate da un indice, inquantochè insieme con le opere propriamente di Galileo si trovano qui in gran parte quelle de’suoi oppositori, in grazia dello postille con le quali e’ li volle onorati, ecì anco delle repliche e controrepliche che in qualche caso vennero a succedersi. Nè gl’ Indici dei quali Galileo stesso, con norme tanto di¬ verse, corredò o lasciò corredare due de’ suoi maggiori lavori, potevano in ve¬ rità additare una via da seguire. Ad ogni modo, poiché fin da quando ci accingemmo all’ impresa un Indice avevamo promesso di dare alla fine dell’Edizione, <2) volemmo mantenuto anche questo impegno per quanto gravoso si fosse, massime dopo che il lungo cam¬ mino aveva esaurita tanta parte della nostra energia; anzi, perchè troppo non si facesse attendere il volume finale che doveva comprenderlo, ci siamo giovati anche dell’aiuLo del prof. Edmondo Solmi, il quale, per l’indole degli studi che han reso chiaro il suo nome, ci parve meglio atto a coadiuvarci nel tentar di superare le gravissime difficoltà delle quali si presentava irta la faticosa in¬ trapresa. Questo Indice abbiamo intitolato < dei nomi c delle cose notabili > : perchè rispetto ai nomi ci siamo proposti di tirarli fuori tutti, per quanto minima ne fosse l’importanza o incerto il significato ; e ci parve necessario adottare siffatto criterio assoluto, per non lasciar adito ad arbitri, coi quali si può ben sapere donde si comincia, ma non dove si vada a finire: laddove rispetto alle cose, data la materiale impossibilità di farle figurare proprio tuttequante nell’ Indice, ci , poiché anche le nar¬ razioni biografiche dei contemporanei, con le quali si chiude il volume dei Do¬ cumenti, costituiscono c rappresentano altrettante distinte cronologie, senza pur tener conto dei Supplementi. Ad eccezione però di alcuni rari casi nei quali il criterio biografico e l’ordine esattamente cronologico erano assolutamente ne¬ cessari, noi ci siamo proposti di seguir sempre quello di successione dei volumi per ogni singolo argomento di ciascuna voce; come quello che all’atto pratico agevola ricerche e riscontri, e se anche talvolta porta a qualche stridente con¬ trasto noi passaggio da una cronologia ad un’altra, agevola mediante raggrup¬ pamenti i raffronti e lo sintesi, pur senza intralciare la continuità della tratta¬ zione. Non venne naturalmente ripetuta l’indicazione dello stesso volume quando ad esso si riferiscono più pagine di seguito anche relative ad argomenti diversi; e dove una s è soggiunta al numero della pagina, sta ad indicare che la trat¬ tazione segue oltre la pagina indicata tn . L’esecuzione di questo Indico dei nomi e delle cose notabili, occasionando un’analisi di tutta 1’ Edizione, ci ha fatto rilevare alcuno mende, le quali, per quanto inseparabili da ogni opera dell’uomo, e tanto più quanto più vaste ne sono le proporzioni e maggiore il tempo occorrente al suo compimento, non ci hanno perciò meno addolorato. E poiché sarebbe stata colpa il ripetere le ine¬ sattezze nell’ Indice, le abbiamo in esse, fin dove era possibile, corrette, senza tuttavia stimare opportuno di raccoglierle in un erratacorrige, clic avrebbe poi potuto non essere completo. Bensì ci proponiamo di registrare tutta questa spe¬ cie di autocritica in un esemplare dell’ Edizione Nazionale clic depositeremo presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, accanto ai manoscritti ori¬ ginali dei quali ci siamo serviti, affinchè ad esso possano liberamente ricorrere gli studiosi. Abbiamo poc’anzi accennato alla illustrazione che in altro luogo dall’Indico avrebbero trovato i nomi elio in esso sono segnati d’asterisco ; c di ciò elio con tale illustrazione ci siamo proposti diciamo ora con qualche particolare. Già neH’avvertimento d’introduzione al Carteggio (S) avevamo annunziato, che così dei corrispondenti come delle altre persone menzionate nelle lettere non veniva data per allora alcuna notizia, perchè la riserbavamo ad un Onomastico da pubblicarsi alla fine dell’Edizione; o questo è appunto costituito <\ti\YIndice '*) Dall’ ubo doli’ Indico si faranno naturili ino» le manifesto alcuno avvertenze elio dovranno aversi por servirsene. Cosi, a modo di osompio, si riconoscerà elio lo donno maritato furono sompre registrato sotto il cognome del marito, o quando non siamo riusciti a sapero il loro eognomo di nascita, sono a questo sostituiti puntolini: lo opero volinolo registrato sotto il titolo, la materia e l’iuitoro, qunndo porò questi non fosso (ìAMt.Eo: lo postillo sono indicato tutto insiomo o sotto i nomi degli autori postillati: le Iet¬ terò pubblicato fuori dol Cartoggio figurano sotto « Lettera » o « Lotterò ». Dovrà puro osser posta at¬ tenzione ai rimandi noi quali non abbiamo abbondato, l») Cfr. Voi. X, pag. 13. AVVERTIMENTO. 13 biografico 1 ^. Il quale non è, si avverta bene, una collezione di biografie nello stretto senso della parola, ma semplicemente una raccolta di illustrazioni, quali d’ordinario, in pubblicazioni analoghe alla nostra, si leggono appiè di pagina e son dirotto più elio ad altro a far riconoscere le parsone nominate. Tali illu¬ strazioni, anziché disseminate qua e là, abbiamo preferito fossero raccolte in un sol corpo alfabeticamente, affinché più facile riuscisse il ricorrervi, mentre, an¬ che aiutandosi con artifizi tipografici che avessimo introdotti nell’Indice dei nomi, non sarebbe stato altrettanto comodo ripescarle nei volumi, dove la stessa persona ò più volte, anzi bene spesso centinaia di volte, ricordata. Una modifi¬ cazione soltanto abbiamo recata alle nostre promesse: ed è stato di non limi¬ tare le illustrazioni ai nomi menzionati nel Carteggio, ma estenderle all’ Edizione tutta intera; e di questo siamo ben sicuri che nessuno vorrà farci una colpa. Invero il primitivo disegno nostro era stato di circoscrivere le illustrazioni biografiche ai soli corrispondenti di Galileo ; poi ci proponemmo di estenderle alle persone che ebbero con lui relazione diretta od indiretta; c finalmente, al¬ largando ancora una volta la cerchia del lavoro, vi comprendemmo lutti coloro sui quali avevamo dovuto rivolgere l’attenzione nostra c farli oggetto di speciali ricerche, con resultati dei quali, abbiano pure relativamente una minore impor¬ tanza, lo studioso non potrà se non esserci grato. Una sola limitazione ci siamo imposta: quella di restringere le illustrazioni biografiche ai contemporanei di Galileo, non facendo clic una sola, a parer nostro doverosa, eccezione per gli ascendenti e collaterali suoi elio nell’Edizione sono comecchessia ricordati. Altra norma fu, che nello illustrazioni dell’Indice biografico non si ripetesse mai quanto l’Indico dei nomi e delle cose notabili aveva già messo in evidenza; perchè, pur tenendo sempre di vista quest’ultimo per chiarirlo, ove occorresse, e completarlo, ci guardammo bene dal ripetere ciò che nel testo delle scritture si legge. K per ciò stesso abbiamo dovuto escludere dall’ Indico biografico quei nomi per i quali, a partire da Galileo e dall’angelica sua Primogenita, nulla eravamo in grado di aggiungere a quello elio tuttaquanta l’Ediziono ha con re¬ ligiosa diligenza raccolto. Salvo queste, nessun’altra limitazione imponemmo all’assoluta nostra libertà nel compilare le singolo illustrazioni. Le quali se hanno, per lo più, ecceduto le modeste proporzioni della nota appiè di pagina, n’ è stata cagione P importanza da esse assunta per questo trovarsi insieme raccolte. Era da principio proposito nostro limitare il più possibile l’estensione delle illustrazioni, soggiungendo ad ognuna di esse, quando ne fosso il caso, un elenco delle opere dei respettivi < l > Essendoci, mentre il lavoro di questo vou- tosimo volume era già molto innanzi, venuta meno, por gravi motivi di salute, la preziosa collaborazione dol nostro Assisloute, prof. Umhkhto Marchesini, siamo gratissimi al dofcfc. Curzio Mazzi della It. Bi¬ blioteca Medicea Lauronziana, d’avor acconsentito a sopperire, por lo ricerche concernenti i Toscani nollTudieo biografico, quella dolorosa mancanza. 14 AVVERTIMENTO. autori, g soprattutto una esatta e completa indicazione delle relativo fonti edito ed inedite: ina benché tutto questo prezioso materiale si trovasse già. raccolto nelle nostre schede, abbiamo, pur con grandissimo rincrescimento, dovuto ri¬ nunziare a pubblicarlo, perché il numero delle persone registrate nell’Indice bio¬ grafico sommando a circa milleseicento, non sarebbero a ciò bastati due e fors’anco tre grossi volumi. Il che avrebbe esorbitato dal primitivo nostro disegno, fedel¬ mente sino alla fine osservato in ogni sua parte ; con ritardo poi al compimento dell* Edizione Nazionale, mentre da ogni parte, e soprattutto da chi n* aveva autorità, ci venivano fatte premure di affrettarci per la via che in soli vent’anni abbiamo, d’anno in anno, senza soste nò perditempi percorsa. Le illustrazioni biografiche, adunque, intendono principalmente il sommini¬ strare notizie e dati positivi; intendimento conciliabile con la massima larghezza, in certi casi, di minuti particolari, quando da ciò derivasse maggior luce sopra uomini e cose. Nei casi diversi da questi, cioè per nomi di maggioro o minor notorietà, altri forse avrebbe omesso tutti quelli po’quali sovviene il primo di¬ zionario biografico che capiti alle mani. Ma una cernita cosiffatta è di criteri malfermi, e consente quell’arbitrio che noi abbiamo costantemente respinto; ed inoltre assai di rado si troverà, che cenni attinti o riassunti da alcuno dei co¬ muni dizionari biografici, non siano stati o completati o rettificati con quelli elementi precisi che a noi premeva di dare. Si aggiunga poi che per tal modo, e sempre con fatica nostra, è risparmiato al lettore o consultatore il fastidio di ricorrere ad altri libri per estraine ciò che gli faccia di bisogno. Che se F Indice biografico non è riuscito ancor più ricco di quello clic é, ciò non è imputabile a noi, che nei limiti ragionevoli di tempo concessoci (l) non risparmiammo cure perchè ogni desiderio degli studiosi ricevesse conveniente sodisfazione. àia se ordinariamente noi abbiamo incontrato presso Archivi e Bi¬ blioteche dello Stato, di Comuni, di privati, la più cortese premura nel corri¬ spondere alle nostre richieste, tanto da renderci impossibile il rivolgere qui pub¬ blicamente un distinto ringraziamento a tutti e a ciascuno, (S) in troppi altri casi, come già avemmo a deplorare (3) , le nostre domande, per quanto ripetute ed I’er alcune voci ci sono soppravvenuti gli clementi quando la stampa dell’Indico doi nomi o dolio coso notabili aveva già oltrepassato alfabeti- cani olito il rospcttivo nonio; cosicché questo rimase -sonza Pastorisco elio gli sarobbo spettato: ciò non ci lui trattenuto dall’inserire a suo luogo la rolativa illustrazione. Tali sono: Bindi Santi, Boswkm. Gu¬ fi r.m.sio, Brttcr Ri) mondo, Bkuhswick (di) Duca, Bucci Antonio, Lunakdi Iacopo Antonio, Mattisi Caspa rr. l *> Cogliamo l’occasiono per riparare mi una dimenticanza nella quale siamo caduti, tacendo a suo luogo della cortooia della Soprintondcnza del R. Istituto di Studi Superiori di Firenzo, por la quale abbiamo potuto ottonerò elio, col consenso della Bi¬ blioteca Nazionale, i Manoscritti Gnliloinni concer¬ nenti i Pianeti Medicei fossero trasferiti nell’Osser¬ vatorio di Arcotri, dovo, grazio alla gentilezza del Dirottoro di osso, prof. Antonio Abrtti, abbiamo potuto giovarcone con piena libertà (V orario o con l’aiuto della preziosa biblioteca di quell’istituto. |3) Por la Kdiziono dolio Oporo di Galileo Ga¬ lilei sotto gli aaspicii di S. M. il Re d’Italia. In¬ dice cronologico del Carteggio Galileiano por cura di Antonio Favaro. Firenze, tip. di G. Barbèra, IS9G, l»ag. a. AVVERTI»! UNTO. 15 insistenti, rimasero inascoltate. E se, a modo d’esempio, rivolgendoci ad un Ar¬ chivio italiano o forestiero per avere una notizia dio altrove non potevamo sperar di trovare, non l'abbiamo ottenuta, anzi le nostre ripetute domande non ottennero pur l’onore d’un riscontro qualunque, la relativa lacuna non può esserci ascritta a colpa: perché non potevamo noi, per avere una informazione e, per lo più, di secondaria importanza, recarci ogni volta sul luogo a procacciarcela; ed an¬ che facendolo, come potevamo sperar di trovarla entrando per la prima volta in un archivio a noi completamente sconosciuto, e con sì poca fiducia nella buona volontà di dii avrebbe egli potuto e, ci sia lecito aggiungere, dovuto esaudire senz’altro le nostre domando? Ad ogni modo, pur così come ci ò riuscito di metterlo insieme, l’Indico biografico, cho comparisce per la prima volta in una edizione classica, contiene tal copia di notizie inedite, da renderlo un ausiliare efficace, ed anche un contributo non ispregevole, alla storia scientifica e lette¬ raria del tempo, massime se si pensa come tutt’altro che abbondanti e in Italia e fuori ne siano gli elementi facilmente accessibili. Esso rappresenta, nel suo complesso, una ragguardevole somma di lavoro ; o forse ci ò relativamente co¬ stato di più quello che si voleva e non s’ò potuto dare, che non quello che si ò effettivamente dato. Nell'accingcrci a questa impresa, noi ci auguravamo cho le forze ci fossero bastate per portarla a compimento : ora che l’abbiamo compiuta, ci sia lecito sperare che essa venga giudicata non indegna del Filosofo sommo clic s’inteso di onorare, dell’Augusto Patrono che l’accolse sotto i suoi auspici, e dei gravi sacrifizi cho costò allo Stato, il quale nulla risparmiò perchè rispondesse alla legittima aspettazione degli studiosi e all' intendimento di chi vi ha con entu¬ siasmo consacrati gli anni della vita migliori. INDICE DEI VOLUMI Voi. xx. 3 INDICE DEI VOLUMI. VOLUME PRIMO. IUVENILTA.Pag. 7 Avvertimento . 9 Quaestio prima. Quid sit id de quo disputat Aristotelcs in his libri» I)e cacio. 15 Quaestio scarnila. De ordine, connoxione ot inscriptiono horum librorum. . . 20 Trac.Litio prima. Do munclo.22 Quaestio prima. l)o opinionibns veterum philosophorum do munclo.» Quaestio Beamela. Quid sentiondum sit de origine mundi secumlum voritatera. 21 Quaestio tertia. J)o imitate mundi et perfezione.27 Quaestio quarta. Ali mundus potuerit esse ab aeterno.32 Tractatio do cuelo.38 Quaestio prima. An unum tantum sit cadimi. » Quaestio seconda. Do ordine orbium caelestium.. ■ . 47 Quaestio tertia. An cadi sint unum ex corporibus simplicibus, voi ex simpli- cibus compositi. 55 Quaestio quarta. An caelum Bit incorruptibile. • • .93 Quaestio quinta. An caclum sit compositoio ex materia et forma.70 Quaestio aoxta. Au caelum sit animatum.103 [Quaestio prima]. Ili Quaestio scoimela. De intensione et remissione. . . ..» Quaestio ultima. De partibus sive gradibus qualitatis.119 Tractatus de elementis.122 Prima pars. De quidditato et subBtantia olenientoriim.12G Prima quaestio. De definitionibus elementi. ..> Quaestio seconda. De causa materiali efficiente et tinnii elemeutorum . . . 128 Quaostio tertia. Quao sint formae elementorum.129 Quaestio quarta. An formae elementorum intendantur et remittantur . . . 133 Seconda disputatio. De primis qualitatibus.157 Quaestio prima. De numero primarum qualitatiuu.. . » Quaestio secunda. An omnes Ime qmituor qualitates sint positivae, an potius aliquao sint privativae.160 Quaestio tertia. An omnes quatuor qualitates sint activae.164 Quaestio quarta. Quomodo se liabeant priniae qualitates in activitatc et re- sistentia.170 20 IN DICK DEI VOLUMI. THEOREMATA CIRCA CENTRUM GRAVITATA SOLIDOIIUM.I’ag. 17!) Avvertimento .181 Theoremata circa oentrum grayitatis soliclorum.187 LA BLLANCETTA.209 Avvertimento .211 [La Bilancella’!.~..215 TAVOLA DELLE EROrORZIONI DELLE GRAVITÀ IN SPECIE DE I METALLI E DELLE GIOIE, PESATE IN ARIA ED IN AQQUA.221 Avvertimento .229 Tavola delle proporzioni delle gravita in specie de i metalli e dello gioie, pesate in aria ed in aqqua.225 POSTILLE AI LIBRI DE SPHAERA ET CYLINDRO DI ARCHIMEDE.229 Avvertimento .231 | Postille ai libri De sphaera et cyUndro di Archimedei.233 DE MOTU. 213 Avvertimento .245 | De motu].247 Gravili in interiori loco, levili vero in sublimi, a natura constituta osso, et cur. 252 Lationes naturale» a gravitate vel lovitate fieri.253 Prima demonsti;atio, ubi probatur, ea quae sunt aoque gravia ac medium ncque sursum neque deorsum ferri.254 Sccunda demonstratio, in qua probatur, oa quac loviora sunt ac aqua non posse demergi tota.256 Caput... in quo explicatur convenientia quam naturalia mobilia cum librao ponderibus habent.257 Caput... Unde causetur celeritas et tarditas motns natnralis.260 Caput... in quo denionstratur, diversa mobilia in eodem medio mola aliam servare proportionem ab ea quae illis ab Aristotele est tributa .... 262 Caput... in quo ea omnia, quae supra demoustrata sunt, naturali discur.su considerantur, et ad lancia pondera naturalia mobilia reducuntur . . . 274 Caput... ubi contra Aristotelom demonstratur, si vacuum esset, motum in istanti non contingere, sed in tempore.276 Caput... in quo orror Aristotelis manifestatur, dicentis, aérem in proprio loco gravare...285 Caput... in quo contra Aristotelem concluditur, non esse ponemhuu simpliciter love et simpliciter grave : quae etinm si darentur, non evunt terra et igni», ut ipse credidit.289 Caput... in quo contra Aristotelem et Themistinra demonstratur, in vacuo solum difìercntias gravitatum et motuum exacto discerni posse .... 294 Caput... in quo agitili* de proportionibus motuum eiusdem mobilia super di¬ versa plana inclinata.296 Caput... in quo contra Aristotelem concluditur, rectum et circularem motum esse inter se proportionatos.302 Caput... in quo de motu circulari quaeritur, an sit naturalis an violentila. . 304 A quo moyeantur proiecta.307 Caput... in quo virtutem motivarci successivo in mobili debilitali ostenditur . 314 Caput... in quo causa accelerationis motns naturalis in lino, longe alia ab ea quam Aristotelici assignant, in medio affertur.315 INDICE DEI VOLUMI. 21 Caput... in quo contro Aristotolem et oominunera sentcntiain ostenditur, in puncto reilexionis non (lari quieterò.. Pag. 323 Capui ... in quo contra Aristotelem probatur, si rnotus naturalis in infinitum oxtcndi posset, cimi non in infinitum fieri velociorem.328 Caput... in quo causa asBÌgnatur, cur minus gravia in principio sui niotus naturalis velocius movoimtur quam graviora.333 Caput... Cur proiecta ab cadom vi longius co in linea recta feruntur, quo cuni plano horizontis eadein angulos minus aeutos facicnt.337 [Do motu].341 Graviora contro propinquiorn, minus gravia centro remotiora, a natura con- stituta esse, et cur.342 [De motu].344 Graviora contro propinquiorn, minus gravia contro remotiora, a natura eon- stituta esse, et cur.. > Quao moventur deorsum naturaliter, moveri ab exeessu suae gravitaiis super gravitatelo medii.346 Quao magia, quao minus, et quao acque gravia diceiula sint.347 Lemma ad sequentia. 348 Solida corpora quaecumque acquo gravia luerint ac aqua, in aqvuun demissa, demerguntur quidem tota, non tameu adbuc deorsum feruntur.350 Corpora quaecunque medio aliquo luerint. minus gravia, in eo demissa. non solimi non feruntur deorsum, vèrum etiam non demergi possunt tola. . 351 Motum sursum millum naturalem osso. 352 Gravitata corpus nullnm exners esso, contro Avistotelis opinionem.355 Motum sursum ex parte niobilis naturalem esse non posso, probatur.301 Quae sursum naturaliter moveri bucusque dieta sunt, non ab interna causa, sed ab externa, nem'pe ab ipso medio, per oxtrusionein moventur . . . 363 [De motu. (Dialoghi)] .367 [De motu. (Pensieri c frammenti )].403 Indice degli autori citati .421 Indice del volume grimo .425 VOLUME SECONDO. FORTIFICAZIONI. 7 Avvertimento . 9 Breve istruzione at,^Architettura Militare.15 Del fortificar di terra. 57 Trattato di fortificazione.77 Regola per tirare la linea perpendicolare./JJ Modo di dividere l’angolo in parti eguali. ..•••••••••••.•••• 80 Della descrizione di diverse figure di lati ed angoli eguali; e prima, del triangolo. » Regola universale, la quale servirà per descrivere una figura di quanti angoli e lati ci piacerà. 8 “* La cagione perchè sono ordinato le fortificazioni. Qual sia l’offizio dell’architetto. Delli diversi corpi di difesa. 22 INDICE DEI VOLUMI. Dello diversità de’tiri...1 * l K* 92 (Quello s’ intornia per pigliare le difese.93 Dello Irò causo della prima imperfezione de' baluaidi.94 Della fossa, scarpa, contraenti pa c strada coperta.‘.H5 Doli'orecchione. 97 Considerazioni nel determinare le dite»»*.98 Della pianta o del profilo.190 Della scala.. • ■ • • • • • ; • • • * () 2 Prime considerazioni intorno al Tacco nini talare diversi corpi di difesa alle for¬ tificazioni.1^3 De’rimedii contro alle Bcalate.1"7 Della zappa.I*® Della trincierà ..* Como si attraversi la fossa. . . . .. 112 Do’rimedii por proibire raccostarsi alln fortezza e zapparla.11.'* Delle mine o contramino. ..Ufi Della batteria o suoi rimedii. ..H H Delle misure particolari di tutti i membri della fortezza. 12° Delia diversità do’siti e loro proprietà. 127 Della fossa. 129 Diversi essompi (Taccommodnre i corpi di difesa secondo le diursità ila'«iti. 130 Del fare di torni.138 Dol quarto buono, strumento per la scarpa.112 Dell’ordine da tenersi nell’edificare. * LE MECCANICHE.liti Avvertimento .H8 Dello utilità elio si tradirono dalla scienza niecanira o dai suoi in-t rumeni i. . 155 Definizioni.159 Alcuni avvertimenti circa lo coh« dette.Dj3 Della stadera e della lieva.D® Doll’nsso nella ruota e dell’argano.197 Dello taglie.171 1 fella vite.178 Della coclea d’Archimede per levar T acqua.I8ti Della forza della percossa.188 Appendice. Dalla seconda Lezione Accademica di Evangelista Torricelli « Della forza della porcossa ».190 LETTERA A IACOPO MAZZONI (30 MAGGIO 1597). 193 Avvertimento .195 ( Lettera a Iacopo Mazzoni].197 TRATTATO DELLA SFERA OVVERO COSMOGRAFIA . 203 Avvertimento .205 [Trattato della Sfera].211 Che il cielo sia sferico o si muova circolarmente. 1 215 Che la terra insieme con l’acqua couatituiscono un globo perfetto.217 Ohe la terra sia constituita nel centro della sfera celeste.220 Che la terra sia d’insensibil grandezza in comparazione del cielo.221 Che la terra stia immobile.223 Olio i moti celesti, universalmente considerati, sono due, e tra ili loro quasi contrarii.224 Di (finizioni e proprietà appartenenti alla sfera ed nifi suoi cerchi.226 Dell’emonie.227 INDICE .DEI VOLUMI. 23 Del circolo meridiano.Png. 228 Del circolo equinoziale. » Del zodiaco.221) Delli due colliri.232 Delli tropici. » De’cerchi polari.2.33 Delle ascensioni.» Delle disugualità do i giorni naturali.235 Della disugualità do i giorni artificiali o civili.230 Considerazioni intorno alle proprietà de gli abitatori in diverso parti della terra. 238 Dello latitudini e longitudini.241 Della divisione de’climi.243 I)e gli eclissi della luna e del sole. 24 6 Dolla illuminazione della luna.250 Dell’apparizioni della luna.251 De i moti dell’ottava sfera.253 DE MOTU ACCELERATO.257 Avvertimento .251) Liber secundus, in quo agitur de mota accelerato.261 LA NUOVA STELLA DELL’OTTOBRE 1604. 267 Avvertimento .269 Frammenti di lezioni e tu studi sulla nuova stella dell’ottobre 1604. . . . 275 CONSIPERATIONE ASTRONOMICA CIRCA LA STELLA NOVA DELL’ANNO 1604, DI lÌALDESAll Capra. — Con postille di Galileo.285 Al molto Illustre Signor Zio et Patrone Osservandissimo, 11 Signor t i io. Antonio Dalla Croce.289 Consideratione astronomica circa la stella nova dell’anno 1604. 291 Dialogo de Cecco di Ronciiitti da Rruzene in peiipuosito de la stella nuova. 307 Al Lostrio o Rebelendo Paioli, FI Segnor Antuogno Squerengo ecc.811 Dialogo.313 IL COMPASSO GEOMETRICO E MILITARE.335 Avvertimento .337 Del compasso geometrico e militare. — Saggio delle scritture antecedenti ALLA STAMPA.343 Le operazioni del compasso geometrico e militare .363 Al Scr. mo D. Cosimo Medici, Principe di Toscana, etc.. 367 A i discreti lettori...369 Divisione della linea. Operazione prima.. •..373 Come di una linea proposta possiamo prendere qualunque partì ci verranno ^ ordinate. Operazione seconda.. . .. oro Come le medesime linee ci prestano due, anzi infinite, scale per trasportar una pianta in un’altra maggiore o minore, secondo il nostro arbitrio. Ope- razione 3.. • • • ; \ • • • • * * * • Regola del tre, risoluta col mezo dol compasso o delle medesime linee antnie- tiehe. Operazione quarta. ••••■ ••••••••••••• : * V Sii Regola dol tre inversa, risoluta col mezo delle medesimo linee. Operazione V. -k U Regola per trasmutar le monete. Operazione VI.381 24 INDICE DEI VOLUMI. Regola do gl’interessi soprn interessi, elio altrimenti si dice de i ineriti u cupo d’anno. Operazione VII.. Pag. 381 Dello linee geometriche, che seguono uppresso, o loro usi: e prima, come col mozo di esse possiamo crescere o diminuire in qualunque data prupor- ziono tutte lo linee superficiali. Operazione Vili.334 Come con ristessi» lineo possiamo trovare la proporzione tra due ligure mi per¬ donili, tra di loro simili. Operazione IX . . ..385 Come si possa costituire una figura superficiale simile od uguale a multe ultro simili proposteci. Operazione X.. ;j,h 6 Proposte due iiguro simili 0 disuguali, trovar la terza simile ed eguale alla differenza delle due proposte. Operazione XI. > Estruziono della radico quadrata con l’aiuto delle medesime linee. Operazione XII. 387 Regola per le ordinanze de gli essorciti di fronte o fianco disegnali Opera¬ zione XIII.389 Invenzione della media proporzionale per via dello medesime linee. Opera¬ zione X11II., 391 Delle linee stereotnotricho; e prima come col mezo di esse si possili crescere o diminuire tutti li corpi solidi simili secondo la «lata proporzione. Opera¬ zione XV.392 Proposti due solidi simili, trovare (inai proporziono abbino fra ili loro. Opera¬ zione xvi... , Proposti solidi simili quanti ne piacerà, trovarne un solo, eguale a tutti quelli. Operazione XVII.393 Estrazione della radice cuba. Operazione XVIII.» Invenzione dolio due medio proporzionali. Operazione XIX.395 Cerne ogni solido parallelepipedo si nossa col rnezo delle lince stereometriche ridurre in cubo. Operazione XX.» Esplicazione dolio linee metalliche, notate appresso le stereometriche. Opera¬ zione XXI.. Con lo linee predette potremo ritrovar la proporzione che hanno in peso tra di loro tutti li metalli ed altre materie, nello linee metalliche notate. Operazione XXII.. Congiugnendo gli usi delle linee metalliche o stereometriche, dati due luti «li duo solidi simili 0 di diverse mutorie, trovare qual proporzione abbino fra di loro dotti solidi in peso. Operazione XX111.399 Come questo linee ci servono per calibro da bombardieri, accomodato univer¬ salmente a tutto le palle di qual si voglia materia ed a tutti li pisi. Operazione XXII11.q t X) Como, proposto un corpo di qual si voglia materia, possiamo ritrovalo tutte le misure particolari di uno di altra materia, e che itesi un dato peso. Operazione XXV.. Delle linee poligraliche, o come con esse possiamo descrivere i poligoni rego- iv • • lai \°r 1 ? % ure di ,llolti lati ed eguali. Operazione XXVI . . -100 Divisione della circonferenza del cerchio in quanto parti ci piacerà. Opera¬ zione XXVII. , Esplicazione delle linee totragoniche. e come col mozo d’esse si quadri il cer¬ chio ed ogni altra figura regolare, o più come si trasmutino tutte Duna nell’altra. Operazione XXVIII. 407 Come proposto diverse figure regolari, ben elio tra di loro di* 00 Data turris longitudine, distantiam horizontalem duortim irrmiiioriim in planitio positorum ab illius summitato dignoRcere. Caput VI ... . » Data timi voi aodificii» ut prius, ox duabus atalionibu» iuveuire disi .mi.mi horizontalem duorum torminorum in plano ad quo» illud aedificium ad perpondiculum est ereotum, ctinni rì altitnd»» ipsius ignoretur. Cap.VI 1. 502 Altituamom aliquam, ad cuius basini pateat accesali», ex loco plano dime- tiri. Caput Vili. , Altitudinem ex duabus stationibu» dimetiri, quando Bcllioet accesali» ad basim non datar. Caput IX.503 Portionein quampiam aiiouiiis altitudini» ex aliqua planitio percipere, cimi ad basini dictao altitudini» accedere conceditur. Caput X. » Altitudinem dimetiri, cuius distanti» a basi por mouRurationem ilari mi¬ mmo conti ngat, nequo etiam accedi voi recedi po»sit per lineimi rectain. Caput xi .... ... . ..no i Superiorem partem alienili» altitudini» ex aliquo plano observare, quamvi» nec clistantia ab eius basi haberi possit, neo aceedero neo recedere per rectam lmearn valeamus. Caput XII.. . 505 Data aedificii altitudine, ex ea minorem aliam ai titilli inem dimetiri. viip • ahi 1 , ... p A «limitate arcis altitudinem oiusdem aedificii, cognita tamen priu» di- stantia honzontali basi» eius al» aliquo loco, collisero. Cap. XIV. . . 500 INDICE DEI VOLUMI. 27 E duobus locia alienius altitudini ipsam altitudmom indagare, obser- vantlo quodpiam signum in plano, lieefc eius distautia a basi per men- surationoin dari non poBsit. Gap. XV.Pag. 500 Cognita diatantia duorum signoroni in plano, altitudinem aodifioii in quo observator collocatili;, prompte adinveniro. Gap. .XVI.507 Profunditatem perpendiculariter in terram doscendentem dimetiri, quando ad eius orificium patot accessus, et poteat ipsius orificii latitudo scili. Caput XVII .. 508 Profunditatemaliquam obliquo doscendentcm, otiam si ad suporiorom illius terminimi nullo pacto possi! accodi, dopraehendere. Gap. XIIX ... » Ex altioro loco profunditatem aliquam respoctu humilioris loci explorare. Cap. XIX. 500 [Licenze di stampa]. 511 Difesa contro alle calunnie et imposture di B allessar Capra . . . .513 Galileo Galilei a i lettori.517 [Licenze di stampa].000 Fede de gl’ Illustrissimi Sig. Podestà o Capitano di Padova.» LE MATEMATICHE NELL’ALTE MILITARE.003 Avvertimento . 005 v Raccolta di quelle cognizioni elio a perfetto cavaliero e soldato si ri¬ chieggono, le quali hanno dependenza dalle scienze matema¬ tiche .007 Indice dei nomi .609 Indice del volume secondo .613 APPENDICE.615 Avvertimento ..617 Scrittura di Lodovico Solfala contro l’ammissione di Baldassarre Ca¬ pra nel Collegio dei Medici di Milano.625 VOLUME TERZO. Parte Prima. IT, MDER.ET78 NUNOUJX E LE SCRITTURE AD ESSO ATTINENTI . Avvertimento . Abbozzo del 8IDERBUS Nunows. — Facsimile. SlDEKEUS NuNCIUS. Serenissimo Cosmo Medicea II eco. [Licenze di stampa]. Astronomicns Nuncina. Ioannis Kepleri Disseiitatio cum Nuncio Sidereo. Illustrissimo et Reverendissimo Domino, D. Tubano Medices occ. . . Ad lectorem admonitio. Nobili et Excellentissiino Domino Galilaeo Galilaeo eoe. . . . 7 9 15 51 55 58 59 97 101 103 105 28 INDICE DEI VOLUMI. Martini IIorky Brevissima Peiusurinatiu cu ntra Ni ncii m Su-kum-m P i-. Excellenti.ssimis llumanissimisquo I)., I). Dootorihu* Philosnphiae ar Mi - dioinae in celeberrima. Acailomia Dononiensi. Chriatoplxorus IIorky Loohovioenus Poregrinatori proponi|itioon fi.il.mii.ui . ergo cocinit. [Licenze (li stampa]. 1-7 181 133 131 Porcgrinatio contra Nuncium Sidoroum.135 Primum Problema. Utrum qnatuor novi Planetao circa Iovem ini . . 137 Alterum Problema. Quid sunt isti novi Planotaot.I 11) Tertium Problema. Quales mini isti novi (ìalilaoici Plaiiel.-u- !.113 Ultimum Problema. Cur sunt quatuor Oaliliuiri Planetao in < «*!«• ? . . 115 Qijatuor problf.matum contha Nuntium Siderkim Confutatio per Iman NEM WODDBRBORNIUM.147 Illustrissimo Domino, 1). Honrieo Woton eco.151 Ad le.otorom.153 Quatuor rroblematum coutra N’untili m Sideroutn Confili al io. . . . 155 Discussio praofationis. Confutatio primi Problomatis.Itili Confutatio socumli Problomatis.Iti7 Confutalo tornii Problomatis.177 Confutatio quarti Problomatis. » [Licenze di stampa].178 Ioannis Kept/ert Narratio or, Tovis S\rn.i.innrs 17 ') Ioannes Koplerus eoe. amico lectori saluleui.18.3 Thomae Sogothi Britanni in Illustrissimi Viri (ìiililaei (isililuei ore. observationos caelestes Epigrammata. 188 Ioannis àntonii Roffeni Epistola apologetica contea Pf.rk<;binationi m Martini IIorkii .|gj AlANOIA ASTRONOMICA, OPTICA, PHY8ICA, AUCTORK FRANOI8C0 Siilo. (V)N POSTILLE DI GALILEO .201 Illustrissimo ot Excolloutissiino Principi ac Domino, 1). Ioan. Mediceo eco. 205 Prothesis ad candidimi et benevolum lectorem.207 Francisci Sitii Fiorentini Atàvoia astronomica, optimi, physica . . .211 Dì Ludovico Delle Colombe contro il moto della terra. Con pohtii i k di Galileo.. 251 Nuntius Sidereus Collegii Romani. 291 De lunartum montium altitudine problema Màtiiematiopm. 299 Iulii Caesaris La Galla De piiaenomenis in orbe i.unae nono iteuhm suscitatis. — Con postille di Galileo .,30j) Illustrissimo atque Reveroudissimo D., D. Aloysio Capouio ccc. 313 In II lustri 8Simum ot Reverendissimum D. Aloysium Cardinalem Capo- In Iulium Caesarem La Galla ecc. . [Licenze di stampa]. ^ ^ De phoenomems in orbe Limae. 30 j IN DIOR BRI VOLUMI. 29 Proponitur autkoris intentio, ot disputanda enuinerantur. Caput pri¬ ma m.Pai'. 331 Quanam metbodo instituenda fiit disputatio. Cap. II.323 Do ordine quo singula explicabuntur. Cap. Ili.325 Do observa tion ib us in t'acio lunae, circa quas oriti disputatio. Cap. IV. 320 De telescopii voritato... ; . . . 329 Quod terra unum quoddam sit astruin, Orphei, Thaletis, Philolai Pytka- gorici, Heraoliti Politici ot Nicolai Copernici opinione» recensentur ot comprobantur. Oap. VI.331 Praodictao sententiao oonfutatio. Cap. VII.317 Democriti opimo, quod plures sunt mundi, ad qnam haoc phoenomena roforri poasont, rocitatur et confutatur. Cap. Vili. » Utriiin luna sit corpus aliquod, altorationis atque corruptionis capax, ot sit massa qnaodam ignita, montes liabons ot con vallea, ut Anaxagorns oxistimavit, aut voluti exustus lapis et pumox, ut olim Diogeni Pliy- sico nunc autem Koploro placet, croberrimis ot maximis pori» undiquo doliisceus. Cap. IX.355 Utrum in luna, ut unum quoddam est astruin, eiusdem cum veliquo coo.lo substautiae ot naturao, inalterabitis scilicot et incorruptibilis, ut Pe¬ ripatetici statuunt, possint vero osso montes et convalles, ut porspi- oillo monstratur. Cap. X.377 Proponitur auctoris scntcntia, ot corta pbocnomcnùm causa assignatur. Cap. X! . 386 [Pensieri e frammenti di Galileo].393 Parte Seconda. I PIANETI MEDICEI.401 Avvertimento .103 Osservazioni (7 gonnaio 1010-2!) maggio 1013).125 Tavole dei moti medii (1(511-1017).455 Giovxlabii.175 Calcoli del 1011.189 a) Comparazione diretta senza prostaferesi (17 marzo-15 giugno 1011). » b) Comparazione retrograda senza prostaferesi (10 marzo 1(511-15 no¬ vembre 1610).505 Prostaferesi (1612-1616).519 Calcoli del 1612. Comparazione colla prostaferesi ( 17 marzo-16 luglioI812). 525 Calcoli del 1613. Comparazioni retrospettive.543 Osservazioni e calcoli del 1613.557 » » 1614.609 * « 1615.637 « » 1616.643 Calcoli del 1616 e 1617.671 30 TNDICF, DEI VOLUMI. Osservazioni e calcoli del 1017.Pag. 737 » » in 18.. 705 t> o 1(510.707 Frammenti di calcoli delle medicee. SUO Observàtionus Iesuitarum (28 novembre 1 <510-n aprilo 1611). 801 TUE ORTO A SPECULI CONCAVI SPIIAEIUCl.805 ANALEOTA ASTRONOMICA.871 Indice, dei nomi .881 Indice del volume terzo .885 APPENDICE.887 Avvertimento .889 Dalla «Dioptrice» di Giovanni Keplero.MI fi Dal «Do luce et lumino» di Giulio Cosare Lagnila.027 Frammenti di Medicee e di Astronomia, di Galileo Galilei.051 Osservazioni e calcoli, di Vincenzio Remeri.067 VOLUME QUARTO. DELLE COSE C1IE STANNO IN SU L’ACQUA O CHE IN QUELLA SI MI O- VONO. Avvertimento . 5 Diversi fica omenti attenenti al trattato delle cose che stanno in su l’acqua . 17 Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si MUOVONO.57 A i benigni lettori Cosimo Giunti.(51 Discorso intorno alle coso che stanno in su l’acqua o ohe in quella si muovono.(53 [Licenze di stampa].444 Considerazioni di Accademico Incognito. — Con postille k frammenti DELLA RISPOSTA DI GALILEO.U3 Alla Serenissima D. Maria Madalcna, Arciduchessa d’Austria ere.147 Al Signor Severo Giocondi l’Accademico Incognito.i49 L’autore delle Considerazioni allo medesime.151 Considerazioni sopra il Discorso del Sig. Galileo Galilei.153 [Frammenti della risposta di Galileo].185 Operetta intorno al galleggiare de’ corpi solidi, di Giorgio Corea io. 107 All’ Illustrissimo od Eccellentissimo Signore ccc., Il Signor Principe Don Francesco Medici. qm INDICE DEI VOLUMI. 31 Dichiarazione dell’opinione d’Aristotile intorno al galleggiare della figura.Pag. 203 Discorso primo. Clio ’l ghiaccio sia acqua per sò condensata.204 Discorso secondo, nel quale si pruova che Aristotile senza ragione ò biasimato dall’ Autore intorno a’ principi del discendere il solido . . 208 Discorso terzo, pertinente all’esamine delle cagioni del discendere il solido. 211 Discorso quarto. In qual guisa l’aria sia o non sia vera cagione di far gal¬ leggiare il solido.212 Discórso quinto. Che la figura sola fa galleggiare il solido.216 Risposte particolari allo proposizioni del Discorso del Galilei.217 Errori di Giorgio Coresio nella sua operetta del galleggiare della FIGURA, RACCOLTI DA D. BENEDETTO CASTELLI. — CON CORREZIONI ED AGGIUNTE DI GALILEO.246 Lettera di Tolomeo Nozzot.ini a Monsignor Markimedict, Arcivescovo dt Firenze (22 settembre 1012.).287 Lettera a Tolomeo Nozzolini (gennaio 1013.).296 Discorso Apologetico dt Lodovico Delle Colombe .311 All’ Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. D. Giovanni Medici.316 [Discorso Apologetico].317 [Licenze di stampa].3(59 Considerazioni di Vincenzo Di Grazia .371 AllTUustrissimo ed Eccellentissimo Signore eco., 11 Signor Don Carlo I GaLII KO Pag. 35 [STO II LI E I) I MOSTRA ZIO NI INTORNO ALLE MACCHIE SOLARI K LORO ACCIDENTI, COMPRESE IN TRE LETTERE SCRITTE A MARCO VkLSKRI.71 [Licenze di stampa].74 All’ Illustrissimo Signore, Il Sig. Filippo Salviati Linceo.75 Angolo Do Filiis Linceo al lettore.79 In Galiloum Galiloum Lynceum.91 Prima lottora dol Sijjj. Marco Velsori al Sig. Galileo Galilei, delle novità solari. 93 Prima lettera del Sig. Galiloo Galilei al Sig. Marco Velsori circa le macchie solari, in risposta alla procedente.94 Seconda lettera del Sig. Marco Velsori al Sig. Galileo Galilei.114 Soconda lotterà del Sig. Galileo Galilei al Sig. Marco Velsori, delle macchie solari.IH! Disegni delle macohie dol solo, veduto od osservato dal Sig. Galileo Galilei nel mese di giugno o parto di luglio 1012, giorno por giorno .... 143 Disegni della macchia grande solare, veduta con la semplice vista «lai Sig. Ga¬ lilei, o similmente mostrata a molti, nelli giorni l!(. 20, 21 d’agosto 1012. 180 Terza lettera del Sig. Marco Velsori al Sig. Galiloo Galilei.183 Quarta lettera del Sig. Marco Velsori al Sig. Galileo Galilei.184 Torza lottora del Sig. Galileo Galilei al Sig. Marco Voleri, dello macchie del solo, nella quale anco si tratta di Venere, della Luna e Pianeti Medicei, o si scoprono nuove apparenze di Saturno.180 Moedicoorum Planetarum ad invicela ot ad Iovcrn constitutiones, futura»» in monsibus raarlio et aprile an. MDCXIII, a Galileo G. L., carmi doni stellarum neo non poriodicorum ipsarum motuum repertore primo, caloulis colleotae ad meridianum Fiorentine.241 Poscritta.247 Frammenti attenenti alle lettere sulle macchie solari.251 SCRITTURE IN DIFESA DEL SISTEMA COPERNICANO.201 Avvertimento .203 Lettera a D. Benedetto Castelli (21 dicembre 1613).279 Lettere a Mons. Piero Dini (16 febbraio e 23 marzo 1615).289 Lettera a Madama Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana (1615). 307 Considerazioni circa l’opinione copernicana.349 DISCORSO DEL FLUSSO E REFLUSSO DEL MARE.371 Avvertimento .373 Discorso del flusso e reflusso «lei mare all’ Illustrissimo o Reverendis¬ simo Sig. Cardinal Orsino.375 FRANGI SCI INGOLI DE SITU ET QUIETE TERRAE IUSPUTATIO . . 395 Avvertimento . 397 Franoisei Ingoli Ravennate Do situ et quiete terra© centra Copernici systema dispai,atio, ad dootissiinum Mathomaticum D. Gali- laeum Galilaeum eco.403 Piooemiuin. » Ordo liuius soriptionis. Cap. primula.401 Mathematica argumonta con tra situai terme Coperniceum. Cap. 2 m . . . » Argumonta pliysica. Cap. 3 m .406 INDICE DEI VOLUMI. 33 Àrgumenfca tipologica. Cap. 4.Pag. 407 Argumcnta mathematica con tra motum terrae Copcrniceum. Cap. V . . . 408 Argumonta physica con tra motum terrae. Cap. G m .410 Argumenta tipologica contra motum terrae. Cap. 7 m .411 PROPOSTE PER LA DETERMINAZIONE DELLA LONGITUDINE. . . .413 * Avvertimento .415 Proposta della longitudine.419 Relazione generale del nuovo trovato di Galileo Galilei in proposito del prendere in ogni tempo e luogo la longitudine.423 Indice dei nomi .427 Indice del volume quinto .431 APPENDICE.433 Avvertimento .435 VOLUME SESTO. DELLE COMETE. 3 Avvertimento . 5 Dii TRIBÙ3 COMKTIS ANNI MDOXVIII DISPUTATIO ASTRONOMICA, PUBT.IOB IIABITA in Collegio Romano Societàtis Insù ab uno kx Patrtbus eiusdkm SOCIBTATIS.21 Do cometae imagine.24 Disputatio astronomica do tribus cornetta anni MDOXVOT .... 25 Proluaio. » Distantiara cometae a terra prope veram inquirero. Problema .... 26 Gratiarum actio.34 [Licenze di stampa].35 Discorso delle comete. — Con alcuni frammenti ad esso attenenti . . 37 Al Serenissimo Leopoldo Arciduca d’Austria.41 Discorso sopra la cometa.43 [Frammenti attenenti al Discorso dello comete].107 Lotiiarii Sarsi Sigensani Libra Astronomica ac PniLOSoniiCA. — Con po¬ stille di Galileo.109 Ad lectorem, do operis inscriptione.112 Examen primum, eorum quao Disputationi nostrao a Galilaeo obiecta fuorunt. 113 Examon secuudum, quo Galilaei opinio de substantia et inotu cometarum expenditur.134 An eometes de gonere sit apparcntiuiri imaginum. Quaestio I .... . » Au cometae aspectus per motum rectum et ad terram perpendieularem explioari possit. Quaestio TI.144 Au caudae curvità» ex refractione oriri possit. Quaestio III .149 Voi. xx. 5 34 INDICE DEI VOLUMI. Examen torbium, quarumdam Galilaei propositionum Beorsim considera - tarum.Pag. Prima propoaitio. Abr et exhalatio ad motum caoli moveri non poaaunt. Secunda propoaitio. Alotus non est causa caloria, scd attritio, qua corpo- ria attriti partea deperduntur. Aer noquo attori noquo incendi poteRt. Tertia propoaitio. Irradiatio corporum luminosoruin oculi eat affoctio, non autom acria illuminati, cura aér illuminari non poasit. Propositio quarta. Nullum luminosum est perspicuum, et fiamma videri ea non patitur, quao ultra illam posita sunt. [Licenze di Btampa]. IBI » 100 109 1.73 180 Lettera di Mario Guiducci al P. Tarquinio Galluzzi (20 giugno 1020) . 181 Il Saggiatore 197 [Licenze di stampa].200 Alla Santità di N. S. Papa Urbano Ottavo.201 Ad Galilaeum Galilaei occ. Ioannes Faber occ.205 Al detto Sig. Galilei, del Sig. Francesco Stelluti ecr.207 Il Saggiatolo.213 [Introduzione] [Saggio] 1 . » 2 . » ,3 . » 4 . » 5 . » 0 . » 7 . » 8 . » 9 . » 10 . » 11 . » 12 . >. 13 . » 14 . » 15 . » 16 . » 17 . » 18 . » 19 . » 20 . » 21 . » 22 . » 23 . » 24 . » 25 . » 26 . » 27 . » 28 . » 29 . >» 30 . » 31 . » 32 . » 33 . » 34 . » 35 . » 36 . » 37 . » 38 . » 39 . >• 40 . » 41 . 222 . 223 224 220 228 233 234 235 239 242 245 250 201 208 209 271 273 270 278 279 292 294 290 299 300 302 303 305 306 310 311 » 313 314 310 319 322 325 330 INDICE DEI VOLUMI. 35 [Saggio! 12.Tag. 332 >> 43 .335 » 44 336 » 45 339 » 46 341 » 47 343 » 48 346 » 49 352 » 50 304 » 51.370 » 52.371 « 63 . .. 372 Lotiiarii Sarsii Sigensani Ratio tonoerum Ltbrae et Simbelt.au. — Con postille di Galileo. 373 Illustrissimo Principi Francisco Boncompaguo eco.377 Ratio ponderimi Librae et Simbellae. 379 [Examina I-VII]. Examen Vili. » IX. » X. > XI. » XII. » XIII. » XTV. » XV. » XVI. » XVII. » XVIII . » XIX. » XX. » XXT. » XXII. »> XXIII. » XXIV. » XXV. » XXVI. » XXVII. » XXVIII. » XXIX et XXX. » XXXI. » XXXII et XXXIII . . . . » XXXIV, XXXV et XXXVI » XXXVII. » XXXVIII. » XXXIX. » XL. » XLI. » XLII. » XLIII. » XLIV . » XLV, XLVI et XLVII . » XLVI II. « XLIX. » L ot Li. » LII. » LUI. . » . 396 . 397 . 400 . 404 . 405 . 411 . 413 . 417 . 418 . 419 . 422 . 420 . 427 . 433 . 438 . 442 . 443 . 440 . 450 . 451 . 452 . 453 . 454 . 456 . 457 . 402 . 467 . 471 . 475 . 476 . 481 . 482 . 483 . 485 . 490 . 493 . 498 . 499 LETTERA A FRANCESCO INO OLI TN RISPOSTA ALLA DISPUTATICI DE SI TU ET QUIETE TEUUAE (1024). Avvertimento . 501 503 Al molt* Illustre e molt’ Eccellente Sig. Francesco Ingoli Ravennate. 509 30 indice dei volumi. SCRITTURE CONCERNENTI IL QUESITO IN PROPOSITO DELLA STIMA D’UN CAVALLO.Pag. 563 Avvertimento .565 Tolomeo N uzzoli ni ad Andrea Cerini (20 aprile 1627). 569 [Decisione di Galileo). 572 Tolomeo Nozzolini ad Andrea Cerini (1° maggio 1627). 574 Benedetto Castelli ad Andrea Arriglietti.577 Tolomeo Nozzolini ad Andrea Cerini.578 Galileo Galilei ad Andrea Arrighetti.582 Tolomoo Nozzolini ad Andrea Cerini.598 Tolomoo Nozzolini ad Andrea Cerini.609 [In proposito della stima d’un ferraiolo].612 SCRITTURE ATTENENTI ALL’IDRAULICA.613 Avvertimento. ..615 [Appunti o frammenti attenenti alla lettera a Raffaello Staecoli]. . . 619 Al molto Illustre ed Eccellentissimo Sig. Raffaello Staecoli.627 [Parere intorno a provvedimenti concernenti i fossi del piano doll’Or- mannoro].649 [Relaziono al Granduca Ferdinando II sopra il modo di ridurrò l’Amo in canale, ritrovato da Gismond.0 Coccapanij.651 [Sopra alcune considerazioni del Sig. Bortizzoloj.665 Indice dei nomi .659 Indice del volwnc sesto .663 APPENDICE.665 Avvenimento .667 Postille di Galileo al Discorso delle Comete di Alario Guidueci .... 673 Aggiunte allo Postille di Mario Guidueci alla Ratio ponderutn IÀbrao et Simbellac .681 Dal Mundus Jovialis di tìimono Mario.687 VOLUME SETTIMO. I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. 1 Avvertimento . 3 Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. 21 [Licenze di stampa].26 [Dedica al Granduca Ferdinando li].27 Al discreto lettore.. Giornata prima.. INDICE DEI VOLUMI. 37 Giornata seconda...Pag. 132 Giornata terza.299 Giornata quarta.442 ['l’avola dello coso più notabili].491 Frammenti attenenti al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo . 521 Dal libro di (>. B. Morin famosi et antiqui problematis de tellurio motu VEL QUIETE TIACTENUS OPTATA SOLUTIO. - CON LE NOTE DI GALILEO I . . 547 [Dal libro di G. B. Morin] 549 Note per il Morino.502 Esercitazioni filosòfiche di Antonio Rocco. — Con postille di Galileo . 509 [Dedica al Papa Urbano Vili] A i lettori. Le coso più notabili. 573 575 579 Esercitazioni filosofiche. — Con note di Galileo 581 Della perfezione del mondo. Esercitazione prima.. • » Del moto circolare, retto e misto, ed a quali corpi convengano. Esercita- ziono seconda.• • • • •.588 S’investiga la diversità de’ cieli da gli elementi. Esercitazione terza . . 605 Della corruttibilità de’ cieli, di alcuno comete, stelle novo o macchie, elio in essi Bono stato osservate. Esercitazione quarta ..616 Comparazione tra la luna e la terra. Esercitazione quinta.034 Argomenti per il moto della terra o soluzioni. Esercitazione sesta . . . 050 Argomenti per la quiete della terra, soluzioni, impugnazioni ed altre cu- riosità annesse. Esercitazione settima . . . . . . • • • • • • • • 553 Calcoli por le stelle novo, situazione de gli orbi celesti, cagione del flusso o reflusso del maro. Esercitazione ottava.591 [Frammenti della risposta di Galileo].712 Indice dei nomi .... Indice del volume settimo 751 755 VOLUME OTTAVO. LE NUOVE SCIENZE.' Avvertimento . H Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze . . 39 Allo Illustrissimo Signore, Il Signore Conte (li Noailles eco.43 Lo stampatore a i lettori.45 Tavola delle materie principali che si trattano nella presento opera ... 47 Giornata prima.49 Giornata seconda.151 Giornata terza.150 Giornata quarta.258 38 INDICE DEI VOLUMI. Appcndix in qua continontur thooremata corumque demonstrationos, quao ab eodem Autore circa centrimi gravitatiti solidorum olirli conscripta fuorunt.Pag. 313 Tavola dello coso più notabili.314 Della forza della percossa. Principio di giornata aggiunta (Giornata sesta).319 Sopra le definizioni delle proporzioni i>* Euclidi:. Principio di gior¬ nata aggiunta (Giornata quinta).347 Frammenti attenenti ai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.363 LE OPERAZIONI ASTRONOMICHE.4 19 Avvertimento .451 Le operazioni astronomiche.453 Operazione prima.455 Operazione seconda.457 Operazione terza.459 Operazione quarta. 460 Operazione quinta.401 Operazione sesta.463 Appendice.464 I. [Da un libro di Ricordi (li Niccolò Arrighetti. — Un modo molto squi¬ sito di misurare il diametro dello stelle fisse]. » II. Por la misura de i diametri apparenti delle stelle.166 LETTERA AL PRINCIPE LEOPOLDO DT TOSCANA IN PROPOSITO DEL CAP. L° DEL LITHE08PII0RU8 DI PORTOTI0 LICETI . . . . 467 Avvertimento .469 Capitolo L° del Litjieosphorvs di Foktunio Liceti.481 Lettera al Principe Leopoldo di Toscana (1(540). 487 Frammenti attenenti alla Lettera al Principe Leopoldo di Toscana . 517 SCRITTURE E FRAMMENTI DI DATA INCERTA.557 Awei'timenU) .559 Intorno agli effetti degl’istrumenti meccanici.571 A proposito di una macchina con gravissimo pendolo adattato ad una leva. » A proposito di una macchina per pestare.585 Di alcuni effetti del contatto e della confricazione.588 Sopra le scoperte de i dadi.591 Intorno la cagione del rappresentarsi al senso fredda o calda la mede¬ sima acqua a chi vi entra asciutto o bagnato.595 Problemi.598 Problema primo. Per olio cagione, volendo un nuotatore star fermo e a galla su l’acqua, sia nocessario ch’oi stia supino, con le gambe aperte, con le braccia distese sopra ’1 capo, o intirizzito. » INDICE DEI VOLUMI. 39 Problema secondo. Uno va por bagnarsi in Arno : si spoglia o si metto a sedere all’ombra ; stando così, sente un fresco comportabile o tempe¬ rato ; entra poi nell’acqua, e gli par di sentirla assai fredda ; statoci un pozzo, ne osco, torna all’ombra, e sente un freddo estremo ; di nuovo si tuffa nell’acqua, o dove la prima volta gli parve molto fredda, la seconda gli apparisce più tosto temperata e calda: si domanda adesso la cagiono di tal diversità."^9 Problema terzo. Si domanda la causa onde avvenga che il nuotare arrechi grandissimo affanno a i nuotatori, non ostante che e’ siano leggeris¬ simi nell’acqua, ondo per ogni piccola forza facilmente per essa si muo- ....• • ®00 Problema quarto. I fuuambuli, tenendo un’asta lunga in mano, facil¬ mente camminano e ballano su la corda, o senz’ossa con gran diffidili A a pena oi possono camminare. Si domanda ora elio aiuto gli porga la dett’asta. •••••• • • • ; 8 Problema quinto. Quelli elio giocano alla ruzzola, mediante iL Ilio coi quale la cingono tre o quattro volte, fanno tiri assai più lunghi che non farebbero senza quel filo : si domanda la causa di questo ; ed ap¬ presso si ricerca perché con assai minor velocità vadia la ruzzola quando é in aria, elio quando tocca terra, dove velocissimamento si muove. COI i l T\_ .U..: : lmnnn llannnilail';» fini nrPP.P.dftlll.I'. ■ ili si domanda, perché, giocando alcuni allo pallottole in una strada disu¬ guale e sassosa, piglino la palla per di sopra con la mano, dove, giocando in un pallottolaio piano e pulito, la piglierebbero per di sotto . . . bU2 Problema settimo. Si domanda la cagione perché lo trombe clic si ado- prano por cavar acqua de i pozzi, non alzino l’acqua se non limino ad una certa o determinata altezza. ••••*•• ^ Problema ottavo. Io ho due lance del medesimo peso o lunghezza, cioè che tanto legno è in una che nell’altra ; ma una di esso é piena o mas¬ siccia, e l’altra ò incavata e vota, a guisa d’ima canna : si domanda qual di queste duo lance più difficilmente si scavezzerà o romperà.. . » Problema nono. Si domanda onde avvenga che un uovo rinchiuso tra lo mani por punta, e stretto con grandissima forza, non si possa scluac- ciaro . ... ■ • •. ••••••:• 004 Problema decimo. Onde avviene che lo stollo oi appariscili no al senso im¬ mobili, con tutto che lo camminino con somma velocità, si elio m bre- vissimo tempo le passano grandissimo spazio del cielo . . . . • • 00 .) Problema undecimo. Onde avviene che in tempo che sia nebbia, e la mat¬ tina a buon’ora, si veda intorno alle siepi grandissima quantità di ra¬ gliateli, dove che quando ò tempo sereno, o nel mezzo giorno, non so ne vedo pur uno.• .. , \' * Problema duodecimo. Ondo accade che alenilo volto doppo una nebbia scoprendosi il solo, le foglio (li viti od altre frontii divengono arido o si seccano.. .: * .j * Appendice. [Invenzione del Galileo per cavar da un medesimo tino il vino dolce o maturo e far che vi resti l’agro]. f 1 Frammenti di data incerta. 609 Indice dei nomi . . . . Indice del volume oliavo APPENDICE. Avvertimento . Frammenti . . . . 643 645 647 619 651 40 TNDIOTB DEI VOLUMI. VOLUME NONO. SCETTTI LETTE R ARTI.P«K- 5 Avvertimento . 7 Dui: lezioni all’Accademia Fiorentina circa i.a figura, sito e grandezza dell’ Inferno di Dante.29 [Lozione prima].31 [Lezione seconda].47 CON81DERAZIONI AL TASSO.59 [Tavole dello coso più notabili].Gl Considerazioni al Tasso.03 Canto I. » II.72 » III.81 » IV.94 » V.104 * VI.109 » VII.HO » X.121 » XI. » » XII.122 » XIII.125 » XIV.128 » XV .134 » XVI.137 » XVIII.145 » XIX.140 Postole all’Ariosto 149 Canto I. . » II . » III . » IV . » V . » VT . » VII » Vili » IX . » X . » XI . » XII » XIII » XIV » XV . » XVI » XVII » XVIII » XIX » XX » XXI » XXII » XXTII » XXIV » XXV . > XXVI 151 152 153 154 155 1.56 158 159 160 » 361 163 166 107 109 170 172 I 73 174 175 170 INDICE DEI VOLUMI. Il Cauto XXVII.Pag. .177 » XXVIII.178 » XXIX.179 » XXX.180 » XXXI.181 » XXXII. » XXXIII.182 » XXXIV.» » XXXV.183 » XXXVI.184 » XXXVII.185 » XXXVIII. » » XXXIX.186 » XL.187 » XLI.» » XLII.» » XLI II.188 » XLIV.190 » XLV.191 » XLVI.192 [Altre postille].193 Argomento e traccia, d’una commedia .195 Poesie e frammenti .211 Capitolo contro il portar la. toga.213 Sonetti.224 Frammenti.228 APPENDICE PRIMA. CANZONE DI ANDREA SALVADOR! PER LE STELLE MEDICEE, SCRITTA E CORRETTA DI PROPRIA MANO DA GA¬ LILEO .231 Avvertimento .233 [Canzone per lo Stello Medicee. Facsimile].238 Per lo Stelle Medicee temerariamente oppugnato.2G7 APPENDICE SECONDA. SAGGIO DI ALCUNE ESERCITAZIONI SCOLA¬ STICHE DI GALILEO.273 Avvertimento .275 [Saggi di una traduzione latina degli Avvertimenti a Demonico ] . . . 283 [Saggi di alcuni estratti da versioni italiane dogli Opuscoli morali di Plutarco].285 [Saggio di alcuno questioni sullo precognizioni e sulla dimostrazione]. 291 Indice dei nomi . 293 Indice del volume nono .297 APPENDICE. 299 Avvertimento . Satira di Iacopo Soldani contro i peripatetici .303 42 INDITE DEI VOLUMI. VOLUME DECIMO. CARTEGGIO. — 1574-1642 .Pag. 7 Avvertimento . 9 Carteggio.— 1574-1610 . 15 Indice cronologico delle lettere contenute nel voi. X ( 1574-1010) . . . . 509 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. A' (1574-1010) .521 Indice del volume decimo .533 VOLUME UNDEOIMO. Carteggio.— 1011-1613. 9 Indice cronologico dello lettere contenute nel voi. XT (10/1-101,'}) . . . . CI3 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. XI (16 1 1-10 Vi) .025 Indice del volume undeeimo .037 VOLUME DUODECIMO. Carteggio. — 1614-1619. 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel voi. XTI (1614-161il) . . . 503 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. XII (1614-10 19) . . . .515 Indice del volume duodecimo .527 VOLUME DECIMOTEEZO. Carteggio.— 1620-1628 . 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel voi. XIIT (1020-1020) . . . 467 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. XIII (1620-162S). . . .479 Indice del volume decimoterzo . 491 VOLUME DECJMOQUARTO. Carteggio.— 1629-1632 . 9 Indice cronologico dette lettere contenute nel voi. XIV (1629-1032) . . .447 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. XIV (1029-1032) .... 449 Indice del volume decimoquarto . 473 INDICE DEI VOLUMI. 43 VOLUME DEOIMOQUUTTO. Carteggio. — 1633 .Pag. 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel voi. XV (1633) . 371 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. XV (1633) . 383 Indice del volume deoimoquinto .395 VOLUME DECIMOSESTO. Carteggio.— 1634-1630 . 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel voi. XVI (1634-1636) . . . 537 Indice alfabetico delle lettere contenute nel voi. XVI (1634-1636) .... 551 Indice del volume deeimoscslo .565 VOLUME DEOIMOSETTIMO. Carteggio.— 1637-1638 . 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel vói. XVII (/637-1638) . . . 419 Indice cdfabclico delle lettere contenute nel voi. XVII (1637-1638) . . . 429 Indice del volume decimosettimo . 439 VOLUME DEOIMOTT/YVO. Carteggio. — 1638-1642 . 9 Indice cronologico delle lettere contenute nel voi. XVIII (1639-1642) . . 385 Indice alfabetico delle lettere contenute nel vói. XVIII (1639-1642) . . . 395 Supplemento.405 Avvertimento . 407 [Supplemento].409 Indici generali.437 .439 .495 Indico generale cronologico Indice generale alfabetico. Indice del volume decimottavo 547 44 INDICE DEI VOLUMI. VOLUME DECI MONONO. DOCUMENTI E NARRAZIONI BIOGRAFICHE DI CONTEMPORANEI Pag. 5 Avvenimento .7 Documenti.13 Albero genealogico Galileiano.15 I. Matrimonio di Vincenzio Galilei con Giulia Ammanitati.17 II. Fitto della casa di Vincenzio Galilei in Pisa.21. III. Procura di Vinconzio Galilei a Dorotea Ammanitati.22 IV. Nascita e battesimo di Galileo.. 2.3 V. Conti tra Vinconzio Galilei e Muzio Tedaldi.20 VI. Galileo scolaro nello Studio di Pisa.32 VII. Istanza a nomo di Galileo per la lettura di matematica nello Studio di Bologna.30 Vili. Galileo lettore nollo Studio di Pisa.37 IX. Deposizioni di Galileo, o concernenti Galileo, nei processi per la successione di Giovambatista Rieasoli.44 X. Morto di Vinconzio Galilei.109 XI. Galileo lettore nello Studio di Padova.Ili XII. Privilegio concesso a Galileo por Pinvonzione d’una macchina da alzar acqua.120 XIII. Ricordi autografi.130 XIV. Galileo nell’Accademia dei Ricovrati di Padova.207 XV. Relazioni di Galileo con i cognati.209 XVI. Nascita dei figli di Galileo.218 XVII. Galileo nell’Accademia della Crusca.221 XVIII. Il Compasso Geometrico e Militare.222 XIX. Lo scoperte celesti e il Sidercus Nuneius .227 XX. Galileo o l’Accademia Delia di Padova.230 XXI. Galileo provvisionato dello Studio di Pisa.233 XXII. Galileo o l’Accademia dei Lincei.265 XXIII. Procura di Flaminio Papazzoni a Galileo.270 XXIV. Processo di Galileo.272 XXV. Professione monastica delle figlie di Galileo.422 INDICE DEI VOLUMI. 45 XXVI. Viaggio di Galileo a Loreto.Pag. 424 XXVII. Vincenzio figlio di Galileo.425 XXVIII. Atto di morte di Giulia Amman nati ne’ Galilei.443 XXIX. Galileo Consolo dell’Accademia Fiorentina.444 XXX. Conti col Monto di Pietà della Città di Firenze.440 XXXI. Atto di morte di Virginia Galilei ne’ Landucci.457 XXXII. Conti col Monastero di S. Matteo in Arcotri.458 XXXIII. Pensioni ecclesiastiche.400 XXXIV. Pagamenti di Galileo por il fratello e alla vedova di lui. 474 XXXV. Galileo descritto alla Decima.470 XXXVI. Uffici cittadini.484 XXXVII. Consulto intorno al pagamento dello stipendio assegnato a Galileo come lettore dello Studio eli Pisa.487 XXXVIII. Le case sulla Costa di San Giorgio.491 XXXIX. Partito degli Ufficiali de’ fiumi, che Galileo e Giulio Parigi riferiscano sulle proposte concernenti le inondazioni del Bisanzio. 503 XL. Relazioni col nipote Vincenzio Landucoi.506 XLI. Testamenti.520 XLII. Galileo o gli Stati Generali dolio Provincie Unite dei Paesi Bassi. 538 XLIII. Licenze per la stampa dei Dialoghi delle Nuove Scicnzo . . 550 XLIV. Consulti medici sullo infermità di Galileo.552 XLV. Morte di Galileo.558 SuPPT/EMENTO.505 XI bis. Conti con Iacopo e Bardo Corsi.571 XIII, o, 12) bis. Scritta di un credito con Francesco Guglielmi . . . 573 XV, a, 5). Contratto col quale Benedetto Landucci assegna una ren¬ dita annua di scudi 10 per sopraddote della figliuola Isabella, monaca iu S. Matteo in Arcetri, e Galileo sta mallevadore del promesso assegno.574 XVIII, b, 5). Sonetto indirizzato a Galileo dagli stampatori della Di¬ fesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra. . . .576 XXVIbis. Conto di Galileo conia Guardaroba Medicea.677 XXVII, e, 6) bis. Nomina di Vincenzio Galilei a Cancelliere dell’Arte dei Mercatanti e della Zecca.» XXX, a) bis. Deposito segreto al Monte di Pietà.578 46 INDICE DEI VOLUMI. XXXIII, b ) bis. Galileo ricevo la prima tonsura clericale . . . Pur. 579 XXXIII, 0 , 1, v). Procura di Galileo a Lodovico Baitelli per riscuo¬ tere la pensione sopra la Mansionoria della Cattedrale di Brescia. 580 XXXVIII, a) bis. Inscrizione alla Decima della prima casa acquistata sulla Costa di San Giorgio.582 N AERAZIONI BIOGRAFICHE DI CONTEMPORANEI .585 I. Dalla Cronaca di Antonio Priuli.587 II. Dal Diario del viaggio di Giovanni Tardi', in Italia.589 III. Notizie raccolte da Vincenzio Galilei.594 IV. Racconto istorico di Vincenzio Viviani.597 V. Vita scritta da Niccolò Gherardini.033 VI. Lettera di Vincenzio Viviani al Principe Leopoldo do’ Medici intorno all’applicazione del pendolo all’orologio.047 Indice dei documenti e dei, supplemento. 061 Indice delle narrazioni biografiche di contemporanei. 671 Indice del volume decimonono .073 INDICE DEI FACSIMILE INDICE DEI FACSIMILI, à) DA AUTOGRAFI. Aggiunti Niccolò. — Firma, XIV, 95. Figura, XVI, 50. Agucchi Gio. Battista.— Sottoscrizione, XI, 205. Antonini Daniele. — Firma, XI, 103. Aproino Paolo. — Sottoscrizione, XVI, 220 . Aiirigiietti Andrea. — Sottoscrizione, XIV, 198. Amhghetti Niccolo. — Sottoscrizione, XIV, 195. Austria (il’) Leopoldo. — Firma, XII, 438. Baliani Gio. Battista. — Sottoscrizione, XIY, 160. Barberini Francesco. — Firma, XEU, 356. Barberini Maffeo. — Sottoscrizione, XU, 463. Bellarmino Roberto. — Firma, XI, 88. Bocoliinebi Gerì. — Sottoscrizione, XIV, 321. Bombini Paolo. — Figura e relativo te¬ sto, XIY, 138. Borromeo Federigo. — Sottoscrizione, XD, 468. Bouoiiard Gio. Giacomo. — Sottoscri¬ zione, XV, 252. Boulltau Ismaele. — Sottoscrizione, XVIU, 104. Biiaiie Tigone. — Firma, X, 80. Buonamici Gio. Francesco. — Sottoscri¬ zione, XIV, 70. Buonamioi Bocohineri Alessandra. -- Sottoscrizione, XIV, 12G. Buonarroti Michelangelo imi. — Sot¬ toscrizione, XIV, 112. Campanella Tommaso. — Sottoseriziono, XII, 288. Capponi Luigi. — Sottosc., XY, 128. Cauoavy( db) Pietro. —Sottosc.,XVI,327. Cardi [?J Figure di macchie solari fuori testo, Y. Cardi da Ciooli Lodovico. — Figure, XI, 209, 288, 348-349, 361. Firma, XI, 36. Castelli Benedetto. — Figure, XII, 23, 319. Sottoscrizione, XIII, 83. Cavalieri Bonaventura. — Sottoscri¬ zione, XYI, 132. Cesarini Virginio. — Sottoscrizione, XJLH, 99. Cesi Federico. — Sottoscrizione, XU, 4 1. Ciamboli Giovanni. — Sottoscrizione, XIII, 112. Cigoli Lodovico. — V. Cardi da Cigoli Lodovico. Voi. xx. 7 50 INDICE DEI PACHIMI LI. Ci oli Andrka. - Sottoscrizione, XIV, 327. Clavio Cristoforo. — Sottoscrizione, X, 485. Firma, XI, 33. Colombe (dolio) Lodovico. — Firma, XI, 445. Colonna Fabio. — Figure, XI, 571-579, 002; XII, 103. Sottoscrizione, XII, 75. Dini Piero. — Sottoscrizione, XII, 176. Diodati Elia. — Sottoscrizione, XVI, 266. Doni Gio. Battista. — Firma, XV, 812. Elzeviro Ludovico. — Sottoscrizione, XVn, 251. Fabkr Giovanni. — Figura, XII, 276. Sottoscrizione, XII, 148. Farnese Odoardo. — Firma,XVIII, 111. Galilei Alberto Cesare. — Sottoscri¬ zione, XVIII, 266. Galilei Maria Celeste. — Sottoscri¬ zione, XUI, 150. Galilei Michelangelo. —Sottoscrizione, XIII, 367. Galilei Roherto. — Sottoscrizione, XVII, 141. Galilei Vino. iun. — Firma, XIV, 265. Galileo. Stella^nova, II, 621, 622, 623. Analecta Astronomica, III, 879-880. Cunzone 5. Nominato, XII, 118, 385, 483; XIII, 387; XIX, 118, 196. Acquario (sogno). II, 231, 210, 241. Acquasparta, feudo dei Cosi. Vi è ospite G., XIII, 170. Legno fossile, 201; XVI, 337. Menzionata, XI, 117,261; XII, 104, 124, 388; XIII, 13, 38, 43, 44, 141,142, 144, 148, 153, 160, 165, 169, 172, 174, 175, 387, 430; XVI, 337. * Acqua viva n’ Atri, Conte di (Jh&teau Villain. XVIII, 220, 326, 367. * Acqua viva (d’) Giuseppe. Ringrazia G. per il dono di un cannocchiale. XI, 70. Adam Carlo. XYI, 66, 119; XVII, 70. ♦Adami Ottayio. XII, 120. ♦Adami Tobia. Col suo mozzo (1. oll'ro una sovvenzione in denaro a Tommaso Cam¬ panella, XII, 33. Esprime a G. il desiderio d’esser fatto partecipe delle sue pubblica¬ zioni, 303-304, 352. Gli scrivo dello opero del Campanella ch’egli ha pubblicate, e di quollo alla cui pubblicazione sta attendendo, 352. Adamo. I, 27; XI, 103, 116; XII, 146; XIX, 645. ♦Adkloais Sisto. XYI, 86, 399. Adelmo [Ademaro). X, 507. Ademaro. IX, 68. Adeodato (Don). XII, 113. Aderenza. Tra solidi, e tra solidi e lluidi, IV, 22, 102$, 410, 644$, 731; VI, 151, 155$, 316, 322s, 458. 467$, 470$. Dell’aria e del¬ l’acqua alla terra, VII, 463. ♦Ammari Alessandro. XIV, 293, 339; XY, 212. Adimari Caterina no’P iocolomini. — V. Piccolomini Adimari Caterina. Adone. IX. 145. Adriani Marcello. XIX, 42. Adriatico. IU, 121, 144; X, 336. Suo flusso o reflusso, V, 800; VII, 443, 459, 485, 711. Ago] INDICE DEI NOMI ECO. 61 Acro metro. IV, 308-309. Affrica. Sua grandezza superata da quella di alcune macchio solari, V, HO; VII, 76, 617, 621. Alito supposto sormontar da essa per pascer la cometa, VI, 61. Correnti nel suo mare, V, 390; VII, 445, 460. Men¬ zionata, I, 41; XI, 549; XIII, 110. ♦Agaukat Antonio. XVI, 262. Agata. X, 268. Ageoio. — V. Hagecio Taddeo. ÀGE3IANATTB [o EgRSIANATTE]. Ili, 386. * Aggiunti Gio. Battista. XIV, 71, 161. * Aggiunti Lodovico. XV, 333; XVI, 50,70. * Aggiunti Niccolò. Sua traduzione latina del Discorso sul flusso c reflusso del mure , V, 374. Significa a G. la sua devota am¬ mirazione, XIII, 176. Sua orazione inaugu¬ rale a risa, 343, 375; XIX, 11. Ragguaglia G. circa il suo insegnamento a Pisa o intorno ad altre cose di quello Studio, XIII, 345, 357-358. Lo eccita a ripigliare il lavoro del Dialogo , XIII. 345, 400, 419. Lo ringrazia di doni e li ricambia, 358, 386,399, 418; XVI, 49, 56, 185-186, 187-188. Lo informa d’una conversazione da lui avuta col Chiaramonti intorno alle macchie solari, XIII, 419. Gli manda un disegno di Apelle Lami per un ponte sull’Arbia, e lo richiede di parere, XIV, 69-70. Gli annunzia che il Dialogo si sta leggendo in casa del Cini, 70. Gli manda una lettera scritta a nome di lui per il Fortescue, 71 ; ed altra per il Bernegger, XVI, 82. Aspira alla lettura matematica di Padova, XIV, 94-95, 96, 299; XV, 277; ed a quella di Bologna, XIV, 161. Si rallegra con G. per l’acquisto conseguito nella dot¬ trina del moto, 161; ed in quella delle re¬ sistenze, XV, 257. Lo conforta durante il processo e gli invia un nuovo libro del Chiaramonti, 144-145. Esprime il suo do¬ lore per la condanna di G., 202; e lo assi¬ cura dell’immutato affetto della Corte, 209. E fra i matematici ai quali l’Inquisitore di Firenze dà lettura della condanna di G., 241. Comunica a G. alcuni suoi studi sulla resi¬ stenza dei materiali, 266, 274. Gli scrive di un parere chiestogli dal Granduca intorno ai marmi per la facciata di S. Maria del Fiore, 333. Insieme con fieri Bocchineri mette al sicuro alcune scritture di G., ch’orano nella villa di quosto, 179 ; si duole dolio smarri¬ mento d’un libro, avvenuto in tale occasione, 365; o si rallegra porche sia ijoì stato ri¬ trovato, XVI, 13-14. Scrive a G. intorno alla forza della percossa, di alcune conclusioni cavate dalle suo opere e che dovevano essere discusse da un suo scolaro, e delle oppo¬ sizioni del Chiaramonti e del Rocco, 31-32, 49-50. Gli comunica un quesito di suo fratello Lodovico intorno al modo di far passare una barca attraverso un fiume, servendosi dol solo timone, 50. Si conduole per la malattia di Suor Maria Coloste, 57 ; e per la morte v di lei, 81-82. E intermediario alla corrispon¬ denza con l’Engelcke, 6S, 71, 90. Chiede a G. un esemplare del Dialogo dei Massimi Si¬ stemi per il Principe Mattias de’Medici, 70. Errori che correva voce avesse notati nel trattato del Castelli sulle acque correnti, 147. Sua morte, 363, 366. Annoverato dal Viviani fra i discepoli di G. che furono let¬ tori in pubblici Studi, XIX, 629. Nominato, VI, 7; VH, 4; VIII, 12; XIII, 289, 309, 312, 318, 324, 336, 338, 353, 440, 447, 456; XIV, 62, 84-85, 123, 260, 297; XV, 220, 256, 259, 264, 272, 275, 276, 278, 297, 302, 325, 336, 338, 347, 367; XVI, 11, 26, 56,99,184,210, 431 ; XIX, 262, 488, 489. Agli (degli) Tanoia nei Galilei. — V. Galilei degli Agli Tancia. Agnano (S. Girolamo d’). XVII, Gl. àgnellus. XVII, 35. Agnese (Card, di S.). — V. Spinola Giorgio. Ago. Galleggiante, IV, 47, 127s, 235, 277, 358, 424s, 642s, 739; XV1U, 25. Cala- 6 2 INDICE DEI tritato, X, 91, 262; XI, 109. Suo uso per vaghissimi trapunti, XI, 109. Agostina (Suor). XIX, 519. Agostino (D.). Benedettino di Napoli, XI, 2GG. Agostino (Maestro). XV, 351. Agostino (Sig/). XVII, 334. Agostino (S.). Intorno al mondo ed ni cie¬ li, I, 23, 32, 34, 36, 57, 69-70,105; o intorno agli angoli, III, 3G6. Bella interpretazione delle Sacre Scritturo nelle questioni natu¬ rali, V, 310, 318s, 320, 327, 331s, 337, 339, 344, 369; VIJ, 551, 562; XI, 24; XII, 126, 185; XIV, 380, 401. Sua opera De gcstis Pc- lagii, X, 498. Nominato, V, 348; XIV, 260; XIX, 351, 416, 559. Agra. XII, 258, 270. Agramante. IX, 84, 107, 109, 110, 162, 168,176, 178, 184, 185,186,187; XVIII, 121, 192-193. Agricola [Landmann] Giorgio. Con¬ vinto da G. di bugia in un latto da lui ri¬ ferito, VII, 156, 563. Agricoltura. Porge a G. materia di j filosofare o passatempo insieme, XIX, 596, 625, 646. Aa ridda. I, 39. Agrippa Enrico Cornelio. Sua pretesa conoscenza delle lenti, III, 238. * Agucchi Gio. Battista. Osserva con G. le macchie solari in Roma, V, 82; XIX, 612. Chiede aG. informazioni sui Pianeti Medicei. XI, 205. Ed avutele ne lo ringrazia, 214-215. Sui dati del SidereiNuncius, e con osserva¬ zioni proprie, determ ina con grande approssi¬ mazione i periodi dei Pianeti Medicei, 219-220, 225-226. Manda a G. la scrittura Del mezzo e l’impresa da lui fatta degli stessi Pianeti, 249-250, 255-256, 264. Gli scrive circa i Pia¬ neti Medicei e le macchie solari, 329-330,346- 347. Ancora sulle macchie solari e sulle Gal¬ leggianti, 346, 389-391, 440-443, 520-521. Sul¬ l’apparenza di Saturno e sul sistema coper- NOMI ECC. [Agostina nicano, 532-535. Nominato, III, 407, 408- V, 9; XI, 175, 382, 393, 403, 424, 045; Xin’ 78, 79. •Aguilonio [p’Aouilon] Francesco. Suoi Oplicorutn libri citati, Vili, 485; XII, 29, 64. Ivi dichiara il nome del finto Apollo, 29, 41, che G. F. Sagredo credeva fosse egli stesso, 51. Aiace. V, 70. Aiazzi Panieri. VI, 566. Aiouillon (Duchessa d') Maria, — V. Combalet (do) Maria. ♦Aijrolo Gio. Battista. XVIII, 69. Ainzklio. — V. llainzelio Paolo. Airoldi Paolo. Inquisitore di Como, accusa ricevimento della sentenza ed abiura di G., e partecipa d’averla notificata a chi di dovere, XV, 244, 265; XIX, 373, 376-377. Aladjno. IX, 61, 62, 72, 73, 74, 77, 78, 81, 84, 85, 88, 89, 91, 92, 109, 110, 123. ♦Alamanni Andrea. XI, 453. ♦Alamanni Luigi. Sua attestazione in¬ torno ad un lemma e a un teorema di G., I, 183. Scrive a G. B. Strozzi delle Lezioni di G. sull’Inferno di Danto, IX, 7, 8; X, 66. Suo disegno o scritturo d'urgomcnto dan¬ tesco, IX, 10. Alamanni Piero. I, 183. ♦Alamanni Raffaello. Annunzia a G. l’invio d 1 un dono da parte del Principe Leopoldo de’ Medici, XVI, 372. Nominalo, 371; XVII, 282. Alba Regalo (Stuhl-Weisscnburg). X, 97. Albani Annibale. Cardinale del titolo di Scn Clemente, XIX, 291, I)oc. 34. Albani Francesco. X, 482, 604. Albano (Vescovo di). — V. Sfondrati Paolo. Albategno. Suoi calcoli astronomici, I, 42, 43, 45, 52, 54. Suo orrore circa la gran¬ dezza dello stelle, VII, 388. Albbruiiktti Francesco. XVI, 108,110. Aleaume Giacomo] INDICE DEI ♦Alberghetti Sigismondo. Sua sfera Co¬ pernicana, XYI, 108, 127, 131,135, 256, 356, 411, 414, 437, 446, 508; XVII, 32, 260; XVIII, 112. Attende alla costruzione d’uno specchio parabolico, XVI, 365, 385, 508; XVII, 32, 210. Nominato, XVI, 172. ♦Albergo™ Ulisse. Suo Dialogo sulla luminosità della luna, XI, 599; XII, 60, 65. Albero genealogico Galileiano. XIX, 15. Albertano. — V. Brescia (da) Albertano. ♦Alberti Antonio. Sua lettera riassun¬ tiva delle lezioni di G. sulla nuova stella, II, 526, 528, 601 ; X, 120. Alberti Leandro. Afferma l’esistenza d’isole natanti, IV, 380, 788. ♦Alberti Luigi. XIII, 16. * Albertinelli Bbncivenni. X, 261; XIV, 247; XIX, 194, 199. Alberto Magno. Sua opinione intorno ai libri De cado di Aristotele, I, 16, 21. Ed in materia di cosmografia e d’astrono¬ mia, 27, 56, 57, 76, 77, 101, 105, 123, 130, 134. Sulle cause del calore, 160. E sui suoi effetti, 165, 167. Gli è attribuita la cono¬ scenza delle lenti, III, 238. Opinioni da Ini riferite intorno alla costituzione della via lattea, X, 293; XI, 26. Alberto. Tedesco, scolaro di G. in Pa¬ dova, XIX, 150, 151. * Albizzi (degli) Francesco. Suo informa¬ zioni dal Sant’ Uffizio, XVH, 301 ; XVill, 372. Nominato, XIX, 287, 288, 289, 290, 291. ♦Albizzi (degli) Giosavà. XIX, 486. ♦Albizzi (degli) Giovanni. XIX, 486. ♦Albizzi (degli) Lorenzo. XIX, 105. ♦Albizzi (degli) Luca. Accusa Vincenzio Galilei di trascuranza nel disimpegnale il suo ufficio di Cancelliere a Poppi, XV, 329- 330, 334, 347-348. E ne avvisa G., 340, 346. Insiste perchè venga trasferito, XVI, 44, 84, 85, 86. ♦Albizzi Hubeiito. XIX, 486. NOMI ECO. 63 * Albizzi Tommaso. XIX, 48G. * Albrizi Luigi. Aspira al titolo di teo logo del Principe Leopoldo de’Medici, XVI 424. Albumasaii. Sua opinione intorno al luo¬ go del sole, I, 53. Alciazel. Sue idee sull’anima dei cieli. I, 105. Sugli elementi, 122. Aloesth. IX, 97, 183. Alchimisti. Interpretano le favolo dei poeti per segreti da far l’oro, VII, 136. Alciato Francesco. Suo motto pungente in censura d’un libro, XIV, 393. Aloide. — V. Ercole. Alcina. IV, 317; IX, 95, 98, 100, 132, 143, 144, 145, 155, 157; XVIII, 121, 193. Alcinoo. Afferma l’eternità del mondo, l, 23. Vuol libero il filosofare, III, 99; IV, 65, 218. Sua definizione della gravità, 194s. Aideano Accademico. — V. Villani Nic¬ colò. Aldini Niccolò. XIX, 580. * Aldobrakdini Baccio. XIX, 497. * Aldouiiandini Ippolito. Viene ufficiato da G. e s’interessa in pio del Cavalieri, XII, 431 ; XIII, 322, 336, 455, 456, 462, 4G3; XIV, 12, 13, 21; XVI, 395, 401, 428. Nominato, XIII, 82. * Aldourandini Pietro. Ringrazia G. per l’invio del JHscwso sulle galleggianti, XI, 336. Chiedo col mezzo del Ciampoli un can¬ nocchiale a G., XII, 399. Sua morte, XIII, 58. Nominato, V, 295; XI, 83, 329; XII, 150, 209, 465 ; XIX, 277. * Aldobuandini Silvestro. XIX, 497. * Aldorisio Prospero. Sua ideografia, XI, 550. La applica alla calligrafia di G., 557. ♦Aleanuuo Girolamo. VI, 13; XVI, 28, 170. ♦Aleaume Giacomo. Candidato alla let¬ tura di matematica nello Studio di Padova, XI, 231. Nominato, X, 290; XI, 493; XII, 428. 64 INDICE DEI NOMI BCC. A leppo. VII, 142, 197, 466; X, 168,189. Alessandra, figlia d’Orontea. IX, 171. àlkssandra, rivenditora. XVIII, 311,312, 319. Alessandretta. YH, 197, 198, 466; IX, 91. Alessandri Giovanni. XIX, 110. Alessandri Pi eh Francesco. XIX, 110. Alessandria. 11,2-14; III, 238; V, 394; VII, 466. Alessandrino (Card.). — V. Bonolli Michele. Alessandro Afrodiseo. Intorno ai libri De coda di Aristotele, I, 15, 16, 20-22, 23. Intorno ai cieli, 60, 63, 72, 76, 77, 96, 105, 108 ; X, 129. Sulla intensio et remissio for¬ matimi, I, 118. Sugli elementi, 124, 129,130, 133. Sull’accelerazione del moto dei gravi cadenti, 319, 411. Nominato, III, 331, 369, 391 ; IV, 208,212,219, 222, 259,425; VII, 137. Alessandro Magno. II, 832; III, 353, 354; IV, 147, 152; VII, 405; IX, 145; XI, 410; XII, 281; XIII, 411; XIV, 210. Alessi. IX, 226. A lete. IX, 79, 80. Alexander. — F. Tartagni Alessandro. Alfabeto. VII, 118, 130. Alfaguano. Intorno alle stelle, I, 48-49; VII, 388; X, 293. Alfonsi ni. II, 255. Alfonso X. Sue tavole astronomiche, I, 39, 42, 43 ; II, 251-255 ; III, 255 ; X, 308 ; XII, 326. Algebra. Problema risolto dal Coignet, X, 33. Studi del Castelli, XIV, 169, 297, 303 ; XVI, 271, 273, 276-277, 282-283, 290- 291, 323, 339-340. Vi attendo anche il Ciam- poli, 283. Insegnata dal Michelini ai Prin¬ cipi Gio. Carlo o Leopoldo de’Medici, XVII, 315, 322, 359. — F. Vieta Francesco. Alhazkn. Suo Opticae thesaurus , III, 175, 220, 221, 222, 226, 227; VI, 140. Inse¬ gnala costruzione dolio specchio parabolico, [Aloppo IH, 239. Spiega l’apparente grandezza dogli astri all’orizzonte, 243s. Malo interpretato da Ticoue, VI, 99. Nominato, HI, 242, 246, 248. * Alidosi Mariano. Sua causa davanti il Sant’Uffizio, XIV, 384, 385, 425; XV, 30, 39, 103, 110, 123, 132, 134. Alighieri Dante. Due Lesioni di G. alVAccademia Fiorentina circa la figura , sito e grandezza dell’ Inferno di Dante, IX, 7-10, 29-57. Lettera u disegno d’argomento dantesco, o postille a un Dante, attribuiti senza fondamento a G., 9-10. Stelle del polo antartico da lui divinate, XI, 24. Citato, III, 263; IV, 386; VI, 105, 221; VII, 463; IX, 31-57 passim, 155; X, 442; XI, 23, 26, 423; XIY, 195; XV, 131 ; XIX, 627. Alimento. X, 46. * Allaooi Leone. Sue Apes Urbanae, XV, 88; XIX, 11. ♦Allfeldt (d’) Carlo. XIX, 152, 154, 166. ♦Allori Cristoforo, detto il Bronzino. XI, 2-4; XII, 419, 445, 452, 461, 465, 491, 497; XVI, 351; XIX, 602. Almaino. I, 146. Almonte. IX, 185. Aloni. Intorno alla luna ed al solo, III, 383; VI, 52, 66, 136, 238, 296, 300, 302, 399, 103, 459; XII, 485-487. Sono reflazioni o riflessioni, eppure si specchiano, VI, 52. Appariscono diversi a diversi riguardanti, 70, 283, 287. Si fanno senza pioggia c senza umidi nelle più rare ed asciutte nuvole, 290. Loro figura circolare, 66, 299, 300. Veduti da G. intorno alla fiamma della candela, per imperfezione della sua vista, 357. àlpktragio. I, 50, 51. ♦Alpino Prospero. XIII, 16. * Altemps Gio. Angelo. Suo palazzo, III, 330. Chiede un cannocchiale a G., XII, 272- 273. * Altemps Pietro. XIV, 66, 67, 72. Amsterdam] INDICE DEI NOMI ECC. 66 Alterazione. Corruttiva e perfettiva, I, 68s, llls. Se possa avvenire nella luna, III, 336. Negli effetti, arguisco altrettanto nelle cause, VII, 471. Altezza. Modo di misurarla col Com¬ passo, II, 414.9. * Altini [Haultin] Grò. Battista. XVI, 318. Altitudine. Dei pianeti, I, 46. Dei poli. V, 409; VI, 5,5ls ; VII, 402. * Altobelli ItiARTO. Sue lettere a G. intorno alla nuova stella, X, 116-117, 118, 132-133, 135-137. Sue congratulazioni con G. per il Sidercus Nuncius , o richiesta di lenti, 317-318. *àltogradi Alessandro. X, 366, 418. Altoviti Francesca nei Galilei. — V. Galilei Altoviti Francesca. ♦Altoviti Giovanni. Domanda ed ottiene dalla Corte un cannocchiale di G. per il Rasini, XX, Suppl., 570, 571. Altoviti Lorenzo. XIX, 583. ♦Amarori Gio. Battista. Accerta il Co¬ lombe che sotto lo pseudonimo di Alimberto Mauri non si cela G., X, 176. Informa il Cigoli dei perfezionamenti recati da G. al cannocchiale 290. Scherzo da lui fatto al Colombe, XI, 478. Nominato X, 291, 453; XI, 36, 253, 425, 476, 502, 600; XII, 128, 209; XVIII, 414-415. Amaiiilli. IX, 160. Amatista. Pesata in aria, I, 228. Ambergiìro. — V. llamberger Paolo. Ambra. Riscaldata, attrae i corpuscoli leggieri, III, 399. Dà illusioni di opaco e di perspicuo, VII, 95. Ambra (dell’). XV, 205. Ambrogetti Francesco. XIII, 176. * Ambrogetti Marco. YIH, 452, 565, 5G7, 615; XVU, 88, 94, 115, 126, 185, 211, 214, 236, 262, 269, 291, 304, 319, 337, 416; XVIH, 192; XIX, 450, 578, 579. * A mbroqi Ambrogio. XVIII, 128,130,165, 324. Ambrogi Paolo Antonio, Inquisitore di Firenze. XIX, 398, 399. Ambrogiana. X, 1SS; XV, 240; XIX, 395. Ambrogio (S.). Suo opinioni intorno al mondo ed ai cioli, I, 34, 57 ; III, 364. Citato, V, 348. America. Sua grandezza superata da qualcuna dolio macchie solari, V, 140. Uso ivi diffuso di accendere il fuoco con lo stro¬ picciare di due legni, VI, 55. Alterazioni in essa accadute, VII, 72, 73. Menzionata, V, 389; VII, 124, 143, 616, 638; Vili, 629; XI, 549. Ammannati (famiglia). XIX, 600. Ammannati Cosimo. XIX, 15, 17, 18, 19, 22. ♦Ammannati Dorotea. X, 20. Acconti da lei pagati sulla dote della sorella Giulia, XIX, 18-19. Procuratrice di Vincenzio Ga¬ lilei sen., 22. Nominata, 26, 28, 29. ♦Ammannati Ermbllina. X, 19, 20. Ammannati Giulia nei Galilei. — F. Ga¬ lilei Ammannati Giulia. ♦Ammannati Leone. XIX, 17, 18, 19,20. Ammannati Ventura. XIX, 17, 19. Ammirati (Sig. r ). XIII, 433. ♦ Ammirato Benedetto. XIX, 465. ♦ Ammirato Scipione. X, 356. Ammonio. Sue idee sulla forma degli ele¬ menti, I, 130, 131. Sue opere ricordate, IV, 234, 243. Amone. IX, 117, 190, 191. Amore. Come rallìgurato dall’Ariosto o dal Tasso, IX, 68. Suoi effetti, secondo que¬ sti poeti, 69, 75. Sonetti amorosi di G., 225-226. Amphiscii. Perchè così chiamati gli abitanti dolla zona torrida, II, 241. Amsterdam. Si pensa di chiamarvi G., XVI, 266, 297, 373. G. propone che vi aia istituito un osservatorio per la determina¬ zione delle longitudini, XVII, 104. Voi. xx. o 66 INDICE DEI NOMI ECO. Anaoaiisi. IX, 286, 288. Anagrammi. Ili, 87G. — F. Saturno. Venere. Analecba astronomica. IH, 871-880. — V. Astronomia. Anania. YI, 174, 196. Anassagora. Sue dottrino in materia del mondo e dei cieli, I, 22, 56, 59, 144, 156; IH, 357, 362, 363. Sulle comete, VI, 48s, 118s, 400. Circa il nascere ed il corrom¬ persi, VII, 612. Nominato, IH, 321, 322, 355; XII, 32. Anassimandro. Sue opinioni sulla costi¬ tuzione delle stelle, III, 363. E dell’ uni¬ verso, IV, 222, 263-264. Ana8simknk. Sua dottrina della materia dei cieli, 1, 56. Anatomia. Sua eccellenza nello svelare misteri del corpo umano, Y, 329. Vera origine dei nervi, da essa rivelata, VII, 133. Articolazioni degli animali, 283. Anoisa Ottaviano. IV, 369. Ancona. Flusso e reflusso nel suo mare, VII, 446, 449. Menzionato, HI, 18G. Ancona (Inquisitore di). XII, 281. Ancora. Suo uso nella navigazione, XI. 109. Andrea. — F Sarto (del) Andrea. Andrea. l.eltigliiere, XIX, 200. * Andrea Gio. Valentino. Iticeve dal Ber- negger un esemplare del Dialogo tradotto, XVII, 12. Andhomkda. XIV, 84. Andronico Angelo. XIX, 118. Anelli del Cavalieri. XVI, 79. — F. Ca¬ valieri Bonaventura. Anello di Saturno. — F. Saturno. Annitrite. IX, 248, 264. * Anfossi Giovanni. Aspira alla lettura di matematica in Pisa, XVI, 378. Angela (donna). XIX, 203. Angela Caterina (Suor). XIX, 519. Angela Felice (Suor). XIX, 519. [Anne arai Angela Leonora (Suor). XIX, 519. Angela Maria (Suor). XIX, 519. Angeli. Motori dei cieli, III, 283; XIII, 183. Menzionati, III, 366; VI, 496, 497; Vii, 263; XIV, 373. Angeli Beniamino. — F. Engelcke Be¬ niamino. ♦Angeli Filippo, detto Ciani. XIII, 14 ( 23, 74, 89. ♦Angeli Giulio. X, 44; XIX, 34, 38, 41. Angeli Bistro. XIX, 35, 12. Angelica. VI, 310; IX, 19, 98, 102,113, 117, 133, 151, 152, 158, 160, 175; XVIII, 121, 192. Angelo (Speziale dell’) in Padova.— F. Bolzetta Antonio. Angelo, parroco di S. Caterina in Pa¬ dova. XIX, 220. Angelo (S.). Feudo dei Cesi, XIV, 72. Angelo (Marchese di S.). — F. Medici (de’) Giovanni. Angolo. Modo di dividerlo in parti uguali col compasso, II, 18, 80. Modo di costruirlo uguale ad un altro, 19. Sua de¬ finizione, XVI, 331. Angolo del contatto. XVI, 331-334; 348-350. ♦Aniialt (d’) Auousto. Fa esprimere a G. il desiderio d’un cannocchiale, X, 396. Nominato, 393, 395. Anima. Vegetativa, sensitiva, intellet¬ tiva: se si trovi nei cicli, I, 103s. Muovo naturalmente le membra degli animali, di moto preternaturale, VII, 296. Sua immor¬ talità, XIII, 72. Separazione c trasmigra¬ zione della intellettiva, XVI, 186. Animali. Che nascono e muoiono in un solo giorno, VI, 46. Le loro llessioni non son fatte per la diversità dei movimenti, VII, 283. Loro moti son tutti d’una sorto, 283; ed i se¬ condari dipendono dai primi. 284. Struttura delle loro ossa e muscoli, 283; Vili, 604. Hanno bisogno di riposo, e perchè, VII, 293, INDICE DEI NOMI ECC. 67 Antonini Daniello] 296. Non si stancherebbero, quando il loro moto procedesse come quello che viene attri¬ buito al globo terrestre, 295s. I loro moti son da chiamarsi piuttosto violenti elio naturali, 296. Pili piccoli, sono, a proporzione, più ro¬ busti e forti dei maggiori, Vili, 52s. Acqua¬ tici maggiori dei terrestri, e per qual ca¬ gione, 170 ; XVII, 390. Scrittura dei loro moti, concepita da G., Vili, 567-568; X, 352; XVII, 51, 262; XIX, 623; appunti di G. su questo argomento, ed errori di Aristotele nel suo trattato De incessu animaUuni, Vili, 567-568, 610, 612; XVII, 262; saggio di P. F. Rinuccini su questo trattato, fatto ad instigazione di G., Vili, 615-617. Anna. XI, 525. Anna Maria (Suor). XIX, 519. Annusale. XY, 314. Anno climaterico. X, 226. Anno platonico. I, 41-42. Ansaldi Lodovico. XIX, 497. Ansaldi Pietro. XIX, 497. Anset.mi Caterina Angela. XV, 307, 315. Anselmi Giuseppe. XIX, 462. Anselmo (conte d’Altaripa). IX, 193. Anselmo (giudice). IX, 190. Antrlt.a (dell’) Alessandro. XIX, 486. Antella (dell’) Francesco. XIX, 486. Antrlla (dell’) Giovanni. XIX, 486. Antella (dell’) Giovanni di Giovanni. XIX, 486. Antella (dell’) Ippolito. XIX, 486. ♦Antella (dell’) Niccolò. IV, 141, 369, 440,789; VII, 26; XIV, 216; XIX, 341, 426. Antella (dell’) Si mone. XIX, 486. Antemlo. Suoi specchi ustori, III, 867. Anteo. IX, 46; XV, 80. Antichi. Loro pretesa superiorità in confronto dei moderni, III, 239; VII, 630. Loro opinioni intorno alla natura delle co¬ mete, VI, 48s, 118s, 235s, 399s. * Antifassi Vincenzio. XII, 127. Antigone. XVI, 111. * Antioono. IX, 288, 289. Antinori (famiglia). XIX, 60. * Antinori Luigi. XVI, 373-374. Antinori Raffaello. XIX, 485. Antinori Ristoro. XIX, 485. Antinori Vincenzio. I, 9. Antipatia. — V. Simpatia e antipatia. Antipatro. IV, 393. Antiperistasi. IV, 378; Vili, 533. Antipodi. Negati prima e poi ammessi dalla Chiesa, XVI, 89. Menzionati, VII, 359; Vili, 629 ; XI, 24. Antiticone. — V. Chinramonti Scipione. Anton Maria. Servo di G., XIX, 178. Antonelli (Sig. r ). XII, 387. Antonia. Domestica di G., XV, 308; XIX, 178. Antonia di Goro. XIX, 521. * Antonini Alfonso. Comunica a G. la no¬ tizia del premio bandito dagli Stati Gene¬ rali d’Olanda per la determinazione delle longitudini in mare, XIII, 377, 379-380. A m¬ miratore del Dialogo, XIV, 364-365. E dei Discorsi delle Nuove Scienze, XVI, 510. Suoi dubbi circa l’efficacia degli specchi ustori nella pratica, 520. Lettera scrittagli da G. intorno alle nuove osservazioni lunari, XVII, 291-297, 305-306, 364. Nominato, XI, 406, 517; XIV, 362, 364, 372, 390; XYI, 201, 255, 268, 274, 296, 513, 523; XVII, 231, 269, 317, 329, 336; XVIII, 55, 322, 363, 369, 371, 372. * Antonini Daniello. Discepolo di G. in Padova, partecipa alle esperienze ivi fatte sulla forza della percossa, Vili, 322. Gli co¬ munica lo osservazioni da lui fatte in Bru¬ xelles sulle macchie solari, V, 140; XT, 363. Ed alcuni pensieri e trovati geometrici e meccanici suoi o d’altri, 18-19, 85-86, 130, 269-270,275-276,363-365. Lo ragguaglia circa la inferiorità dei cannocchiali olandesi, 84, 204. Mostra all’Arciduca Alberto d’Austria le lettere di G., 86, 98. Esprime a G. il de¬ siderio di passare ai servigi del Granduca di 68 INDICE DEI Toscana,98. (ìli scrive circa la diminuzione di peso cl’una pallina d’oro dopo schiacciata, 102. Esprimo il suo disprezzo, e di altri, pol¬ la Aióvoia del Si zzi, e l’ammirnzione propria e comune por il ritrovamento dei periodi dei Pianeti Medicei, 129, 188-139. llicove da G. osservazioni sullo macchie solari, e gli co¬ munica le proprio, 363, 36. r ), 406. È per rice¬ vere un libro da G., o lo interroga circa il titolo di Linceo, 607. Proposto da G. por l’aggregazione ai Lincei, XII, 29, 71. Sua morte, Vili, 322; XIII, 76. Nominato, III, 4(17; XI, 57, 415, 517, 541; XIV, 365; XIX, 621. Antonino (S.). XIX, 59, 86. Antonio (S.). IH, 298; XI, 34. Antonio (Sig/). XIII, 347, 372, 402, 405, 418, 439, 445. Antonio. XIX, 161. Antonio Andrea. I, 72, 133. Antonio (donzello). XIX, 216. Antonio (legnaiuolo). XIX, 171. Antonio (Maestro). Spccchiaro in Vene¬ zia, fornitore di vetri da cannocchiale a G. F. Sagredo ed a G., XI, 458, 553, 563, 583; XII, 158, 198, 246, 25S, 316, 328, 376, 405, 407, 447, 483. Antonio (Marco, l’oratore). XIV, 47. Antonio (Marco, il triumviro). IX, 139. Antonio (musico). XIV, 133, 152. Antonio (tornitore). X, 449. Antropofago. XI, 114. Anubbada. XI, 525. Anversa. VI, 29, 302. Anzi (d’) Marchese. — 7. Caraffa F. Anziatjc Timauro. — 7. Dati Carlo. Anzo. XIV, 72. Anzola (D). XIX, 203. Apkllk. IX, 178, 276; XVI, 111; XVIII, 27. Apf.li.es. — V. Scheiner Cristoforo. Apjano Filippo, n, 284. Ari ano Pietro. XI, 581, G08; XII, 86. NOMI ECO. TAntonino ànXtòc. Suo significato noi passo dol De Cacio d’Aristotcle relativo al galloggiamonto, IV, 42*-, 124s, 234s, 357, 420s, 640, 737. Apogeo. Significato di questa parola non compreso dall’lngoli, VI, 519. Apollo [o Fedo). II, 582; Ili, 133,315, 322; VI, 296; IX, 102, 153, 233, 239, 242^ 243, 244, 245, 246, 247, 248, 251, 252, 255’ 257, 258, 260, 263, 267, 269, 270, 271, 278-1 X, 339, 413; XII, 461; XIV, 84; XV, 80;’ XVI, 279; XVII, 31, 233. ♦Apolloni Apollonio. XVI, 49. Apollonio di Porga. Suoi lavori Bulle sezioni coniche, I, 330; IV, 698; VIU, 269, 270; XII, 27, 38, 41, Si ; XIII, 381. Sua di- mostraziouo dei regressi di Venero e di Mer¬ curio, VII. 372, 513. liedivivus dol Ghetaldi, X, 192; XII, 38, 41. Nominato, I, 232, 330; II, 559; VII, 744; Vili, 266; XI, 201; XII, 444; XIII, 357; XIV, 36, 387; XVIII, 277, 330. ♦Appiani Annidale. X, 492; XI, 20. Appiani Carlo. Disaopolo del Castelli in Uoma, XVU, 121, 122, 151 s. * Appiani Carlo di Sforza. XI, 20. Appiano (Conte di). — 7. Piocolouiini Francesco di Enea. Appio Claudio. XVII, 198. Appuntature. Di G. nollo Studio di Pisa, XIX, 43. ♦ Apiioino Paolo. Interlocutore nella cosid¬ detta Giornata sesta delle Nuove Scienze , Vili, 29, 321 ; in essa nominato, 322, 327, 337. Discepolo di G. in Padova, 321; XVI, 218, 231, partecipa all’ esperienze ivi fatte sulla forza della percossa, Vili, 321-322. Trasmette a G. lettere di D. Antonini, e lo ragguaglia sul proprio conto, XI, 415. Gli scrivo intorno al suo strumento auditorio, 470-471, 514, 518, 540-544. Ringrazia G. per le Lettere sulle macchie solari, 517. Ha letto i primi fogli delle Nuove Scienze con am¬ mirazione, e ne ha discusso col De Ville e Àrchimedo] INDICE DEI NOMI ECO. 69 col Micanzio, XVI, 218-220, 291-233, 237 e non putendosi stampare, propone depositarne copie manoscritte, 232. Proclama G. l’« huomo più grande che sii mai stato al mondo»» 231, e « padre degli esperimenti e di ogni loro essattezza », 232-233. Sue osservazioni sugli effetti prodotti nel Sile dal flusso e reflusso del mare, XVII, 286-287. Sua morte, 317.Nominato, Vili, 11,13; XI, 18, 103,140, 406,539; XVI, 228,229,241, 254, 267, 274, 392, 400, 411, 414, 410, 442; XIX, 621. Arcuato Lucio. XI, 361. Apulia. IV, 315. Aquila (costellazione). VI, 230; X, 136. * Aquilani Scipione. XI, 590; XII, 23, 31, 41, 43. Aquilante. IX, 168. Aquileia (Inquisitore di). Ila ricevuta e diffusa la sentenza e l’abiura di G., XV, 237 ; XIX, 371. Arabi. Loro teoria sulla corruttibilità dei cieli, I, 76s. Loro opere che il Cesi di¬ segnava di pubblicare, XII, 25, 27, 29, 71. Manoscritti di essi portati in Roma dal Kircher, XVI, 65. Araone. VI, 478. Aracoeli (Card.).— V. Galamini Ago¬ stino. Arbia. Intorno al disegno di un ponte sopra quel fiume, XIV, 69. Aroangela (Suor).— V. Galilei Livia. Arcangela (Suor) di Benedetto Lan- ducci. XV, 147, 157; XVI, 484; XYH, 367; XVIU, 127, 130; XIX, 15, 518. Arcetri. G. ottiene licenza di far mo¬ nacare le sue figliuole nel Monastero di 8. Matteo, XI, 588, e vi vestono l’abito, XII, 80; XIX, 422-423 ; conti di G. col Mo¬ nastero, 458-459. Podere posseduto ivi da A. Arrighetti, XIV, 90. Suor Maria Celeste propone a G. di prendervi in affitto il « Gioiello », XIV, 2S8; fitti per esso pagati, XV, 109, 119 e reclamati, XVII, 86. È con¬ cesso a G. di ritirarvisi, dopo la relegazione in Siena, XV, 344-345, 350,352; XIX, 286, 389, 391, 617, 634; vi riceve la visita del Milton, 9; vi muore, 558, 596, 624. Inven¬ tario delle masserizie lasciato in questa villa da G., 563-567. Menzionato, 622, 631, 655. Arcetri (S. Leonardo in). XIY, 190. Arcetri (S. Matteo in). XI, 588; XII, 296, 436, 437, 443; XIII, 301 ; XIV, 97, 330; XV, 139, 220; XVI, 156; XIX, 190, 422, 423, 452, 458, 521, 523, 574. Archelao. Ili, 357, 363. Arcuilea (Suor). XV, 157, 342. A r c b i d i a c o n u b. — V. Baisio (da) G uido. Archimede. Baricentri dei solidi, J, 184 ; X, 22. Conoidi, I, 206. Suo trovamento del furto fatto dall’orefice nella corona del Re Ierone, I, 211, 215-216, 379; VITI, 612. Po¬ stille di G. all’opera De sphaera et cylindro, I, 229-242; II, 271. Spirali, I, 303; VII, 190; Vili, 181, 350; XI, 85; Xffl, 102, 273; XVI, 113; XVII, 89, 91; XVIII, 11, 13, 334, 347, 358. Coclea, H, 186. Propor¬ zioni del cubo e del cilindro intorno alla sfera, II, 576. Misura del cerchio, II, 580; XVI, 308; XVIII, 350. Specchi ustori, III, 867; VI, 259,412; YUI, 86; X, 427; xm, 94; XIV, 354, 378, 438, 442; XVI, 132, 225, 396; XYH, 388; XVIU, 283-284, 289, 299. Delle cose che sfanno sull’acqua, IV, 36, 66, 67, 80s, 87, 110, 194, 211, 212, 219, 220, 221, 222, 229, 250, 260, 261, 263, 264, 285, 321, 323, 326, 340, 341, 343, 348, 351, 352, 353, 354, 356, 365, 385, 387, 388, 390s, 461, 471, 472, 483, 495, 496, 498, 596, 598, 600, 601, 606, 615, 624, 625, 626, 634, 665, 666, 679, 680, 698, 714, 786; VI, 214; X, 170; XI, 51; Xn, 450; XVIII, 274; XIX, 605. Sfera e cilindro, VII, 231; IX, 34; XVIU, 332, 343. Strumento armiilare, VII, 414. Equiponderanti, Vili, 152; X, 22, 24, 25, 31, 32, 494; XVU, 90; XVIU, 94; XIX, 605. Quadratura della parabola, YUI, 183, 184, 70 INDICE DEI NOMI ECO. [Arolliliger Gregorio 274; X, 245, 427; XVH, ( .)0, 162. Meccaniche, Vm, 274. Nominato, I, 213, 229, 300,331,368, 380 ; H, 369, 559, 574; HI, 239; Y, 321, 325; YII, 313, 744; Vili, 76, 266, 275, 316, 318; X, 240, 241,452; XI, 18, 201, 402, 560; XII, 156 ; Xin, 81, 203 ; XIV, 25, 36, 37, 46, 387 ; XVI, 383, 399, 455; XYHI, 309, 354, 365; XIX, 594, 637, 639, 645. Archinosi! Gregorio. XI, 452. AnoniTA. Sun colomba volante, VI, 207, 259, 412; VII, 128. Architettura militare.— V. Fortifi¬ cazioni. Arcidosso. X, 405, 406. Arco di cerchio. Comesi possa molti¬ plicare e dividere, II, 483$, 577. G. rimpro¬ vera allo Scheiner di considerarlo come una linea retta, V, 193. Proporzionalità degli archi ai lati nei settori di cerchi simili, IX, 37. Aroonàti Gio. Battista. XIX, 314. Aretino Pietro. IX, 23, 24. Aretusa. Ili, 390. Arezzo (d’) Lelio. — V. Oberici Lelio. Argano. II, 169$; Vili, 58, 573, 574. Argante. IX, 61, 62, 70,78, 80, 8 ), 86 , 87, 88 , 89, 90, 94, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 115,121,122, 123,146,147; XVHI, 121. Aita ei«ati Domenico. XIX, 271. Abgelàtj Roberto, XIX, 271. Argento. Pesato in aria ed in acqua, I, 225, 226. Tra i metalli corrisponde alla luna, e nel corpo umano al cervello, III, 219. Sottil falda d’esso fatta galleggiare, IV, 97. Vaso di esso, pieno d’aria, 354, 367, 630, 689. Brunito apparisce più oscuro che il non brunito, c perchè, VII, 104. Argento vivo. Tra i metalli corri¬ sponde a Mercurio, e nel corpo umano al polmone, III, 219. È a predominio aereo, se¬ condo Aristotele, IV, 363, 668 . Corpi elio galleggiano sopra di esso, 787; Vili, 116; XIII, 360; XVII, 14. Arginetti d’aria, loro effetto sul gal¬ leggiamento, IV, 97$, 113$, 117, 164s, 212$, 216, 227, 269$, 299$, 308-310, 388$, 343 s | 419$, 528$, 568, 578$, 682$; VI, 165, 323$. Argini. Come si costruiscano per le for¬ tificazioni, II, 39s. Dei fiumi, XIV, 177, 182 187. Alido. VI, 208; IX, 75, 84, 100; XIII, 95 . Argo (costellazione). X, 412. * Argoli Andrea. Giudica lo macchie so¬ lari elevazioni tratte dalla luna, XVI, 53, 61- 62. Suoi giudizi intorno ai primi fogli delle Nuove Scienze, 214. Ricercato da Roma di scrivere contro G., 256. Suo effemeridi, 282; XVII, 52. Attribuisco alla terra un moto soltanto noi centro, XVI, 296, 311, 520, 525. Sue dimostrazioni contro il Copernico, 325. Si propone di rispondere contro il Chiara- monti, XVII, 269-270. Attendo all’astrologia giudiziaria, XVIII, 54. Nominato, XV, 277; XVI, 71, 208, 209, 221, 434; XVII, 260, 287; XVHI, 257. Argomento. Per accidens o per se, VI, 265. Per aceidcns stimato vano da G., 334; 0 dal Micanzio, XVI, 134, 146. Cornuto o solite, VII, 66 . Argonauti. IX, 165; XYI, 471. Aria. Come elemento, 1.124$. Sua gravità e compressibilità, I, 285, 385; IV, 154, 191, 192, 363, 707, 717; VII, 5G0, 567; Vili, 636. Ha gravità positiva, 121; XIV, 159; XVII, 388, 403; conio si possa misurarla, Vili, 122-126, 636-637; XII, 12, 13, 16, 22, 33$ 44; XIV, 158-169; XVII, 389. Compressa e ritenuta violentemente, pesa nel vacuo, YDI, 124. Non favorisco ma contrasta il moto. I, 307s, 370; VII, 175, 170, 178, 179, 740; Vili, 120, 276s ; XVHI, 306. Se sia intorno alla luna, III, 115-116; X, 330-331. Cir¬ conda tutto il globo terracqueo, III, 340. Suoi effetti sul galleggiamento dei gravi d'ogni materia forma 0 grandezza, IV, 20, 23, 25, 27, 28, 29, 39, 40, 48, 82, 95, 98, 108, Aristotele] INDICE DEI NOMI ECC. 71 103, 100, 171, 172, 173, 183, 184, 188, 189, 190, 213, 216, 223, 220, 254, 202, 267, 272, 277, 290, 298, 332, 335, 339-341, 352, 380, 381, 390, 406, 410, 418, 419, 444, 477, 478, 479, 480, 485, 491, 492, 495, 499, 504, 505, 523, 524, 528, 530, 542, 565, 508, 509, 571, 573, 575, 576, 578, 579, 580, 581, 582, 585, 589, 593-595, 666, 718, 734, 736, 750, 754. Ascondono più velocemente per l’acqua che non in ossa le esalazioni ignee, 86. Non pre¬ senta resistenza alcuna alla semplice divisio¬ ne, 86,135$; XVII, 404. Sua violenza per non essere abbassata sotto il livello dell’acqua, IV, 339, 584. Non possono ad essa attri¬ buirsi le macchie solari, V, 26, 57. Se possa aderire ai corpi leggieri, o lisci e tersi, o umidi e asciutti, VI, 155, 159, 316, 322$, 330, 458, 407, 470. Se quella contenuta in un catino rimanga immobile quando esso è ro¬ tato, 53-54,155s, 325s, 471$; XII, 474; XVIII, 425. Trasportata dal movimento del cielo intorno alla terra, VI, 53, 151. Se possa es- sero illuminata ed accesa, 109, 335s, 344s, 473, 482s, 491s. E in clic vi contribuisca l’at¬ trito, 164, 330, 338, 346, 482. Inferiore alle più alte montugne, segue il moto della terra, VII, 168, 263s. Suo moto, atto a portar seco le cose leggerissime, ma non le gravissime, 169, 177, 210. Toccandoci sempre con la me¬ desima parte, non ci ferisce, VII, 279. Sua aderenza alla terra, comparata con quella dell’acqua, 462$. Meno atta a conservare un impeto in confronto dell’acqua, 463. Più ra¬ gionevole che sia rapita dalla superficie aspra della terra, che non dal moto celeste, 464, 673. Perpetua dentro ai tropici, spira verso occidente, 465. Osservazione presa da essa in confermazione del moto della terra, 466. 11 suo moto perpetuo da levante a ponente proviene dal moto del cielo, 467. Sua fius- sibilità in confronto di quella dell’ acqua, 567. Gran dissensione tra essa e l’acqua, VELI, 115. Freddissima per tramontano, è più fredda del ghiaccio e della neve, VII', 635; XI, 506. — V. Acqua. Vuoto. Arianna. VI, 478. * Arici Gio. Battista. Sue relazioni con G. per il pagamento d’una pensione sulla Cattedrale di Brescia, XIV, 211, 235, 236, 249, 250, 255, 269, 296, 303, 304, 306-307, 320, 330, 357, 377; XV, 126, 133; XVI, 60, 66, 86, 108, 120, 128, 141, 143, 145, 151, 375, 411; XVII, 200, 209, 230, 395, 408-410; XVIII, 38, 43, 115, 124, 260, 321, 322, 3G3, 369,372,377; XIX, 469,470,471,472,473,581. Ariete (seguo). II, 231, 234, 238, 240, 241 ; III, 185; VI, 389, 513; VII, 286, 417-419, 421, XVIII, 311, 315. Ariqonio. — V. Arrigoni Pompeo. Auimanno. IX, 87. Ariosto Lodovico. Suo Orlando Furioso paragonato con la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, IX, 59-148, 151, 158, 164, 172, 186, 187, 228-229; XVII, 242, 260-261 ; XVIII, 116, 120-123, 192-193; postillato da G., IX, 11-12, 16-20, 149-194. Pone il para¬ diso terrestre nella luna, XI, 22. Prediletto da G., che lo sa a mento poco men che tutto, IX, 16; XIX, 596, 627, 645. Citato, II, 555; IV, 299, 674, 737; V, 229, 258; VI, 188, 232, 237, 270, 310, 317, 330, 338, 377; Vili, 169; XII, 154; XIV, 131, 336; XV, 44; XVII, G3; XVIII, 276. Nominato, IX, 15, 228. Aiusio Gio. Battista. — V. Arici Gio. Battista. Aristarco. Ordine degli orbi celesti da lui costituito, I, 47-48. Tra i primi che af¬ fermarono il moto annuo della terra intorno al solo, III, 289; V, 321, 352; VII, 298, 299, 316, 355, 362, 690; XIX, 618. Aristillo. II, 527, 529. Aristippo. X, 105. Aristogitone. IX, 287. Aristotele. Studio fattone da G. men¬ tre era scolaro a Pisa, I, 9-13; IX, 279, 291-292. Soggetto del suo De cuelo, I, 15s; 72 INDICE DEI VII, 581. Qual ne sia l’ordine, il nesso ed il titolo proprio, I, 20s; VII, 581. Conclu¬ sione in fine di esso, IV, 057. Sua dottrina della origine, della unicitìi, della perfezione e della eternità, del inondo, I, 235, 278, 80, 328, 38$; VII, 582s. Se il cielo sia animato, I, 104s. Suo prove contro la pluralità dei mondi, III, 352s. Stima lo sostanze celesti inalterabili, intangibili ed impenetrabili, e le elementari alterabili in natura, VII, 33, 94. Sentenzia, due essere le parti del mondo, ce¬ leste ed elementare, tra loro contrarie, 38, 605$. Pretende che i corpi celesti non siano nò gravi nè leggieri, 59. Si dimostra che la differenza da lui assegnata ai corpi celesti in confronto degli elementari dipende dai moti ad essi attribuiti, Gls; XI, 147. Sue idee sulla trasformazione degli ele¬ menti, I, 1115. Sui loro gradi, 119$. Sopra di essi in generale, 122s. Loro definizione, 12Gs. Della loro causa materiale ellìcicute e finale, 128s. Sulla loro qualità e forma, 130. Sul loro numero, II, 320. Quali siano tra loro contrari, VII, 264. Qualità prima¬ rie, loro numero, natura od attività, I, 157s. Suo concetto di luogo e del locato, IV, 632. Dell’ordine degli orbi celesti, I, 48s; III, 167; V, 100; VII, G52s, G98; XI, 48. Della costituzione dei cieli, I, 55$, 72$; IH, 360s, 377, 384; VI, 317s, 459; VII, 588; X, 129s. Sua opinione della incorruttibilità, ingenc- rabilità ed inalterabilità del cielo, I, 63$; II, 304, 315s, 321$; IH, 362$, 391; V, 139, 231; VII, 33, 62$, G8s, 74s, 110, 132s, 292, 616$, 626s, 695$, 713$; X, 128, 131; XI, 145s, 354 ; XIII, 285 ; XV, 13. Sostanza ce¬ leste intangibile, VII, 91. Sue idee sulle corone, sugli aloni e sui pareli, U, 298; DI. 383. Sull’influsso delle stelle, 235-236. E sul loro numero, X, 293. Spiega la ragione dell'apparir maggiori gli astri all’orizzonte, DI, 242. Dice non potersi trattare molto regolatamente del NOMI ECO. [Aristotele cielo a motivo della grande distanza, VII, 80. Non ebbe cognizione degli eccentrici e dogli epicicli, 480. Affinità della terra con la luna, da lui affermata, DI, 116, 369, 373 375$, 387$, 389; VHI, 554; X, 331. Non seppe che la terra e la luna si illuminano scambievolmente, VD, 122; VID, 486. Suo dottrino circa la comparazione tra la terra e la luna, VD. 634-650. Chiama la luna un secondo sole minore, VID, 484. Sue idee sul sole, DI, 358, 366$; VI, 540; VD, 699s; Bulla sua luce e sul suo calore, DI, 359, 368; VI, 295, 498s. Pone il sole eterno ed inconsu¬ mabile, VI, 540. Sue opinioni intorno alle cause del moto violento e naturale, I, 252s, 342, 3i5s, 369$, 396s, 412, 413, 416, 417; ID, 351, Donde derivi la celerità e la tardità del moto na¬ turale, I, 260. Qual sia la proporzione del moto di mobili eguali in mezzi diversi, e di mobili diversi in mezzi eguali, I, 262s, 284; IV, 392, 723$, 746s, 783s. Erra negando la proporziono del moto retto al circolare, I, 302s. Non assegnò le vere cause dell’ acce¬ lerazione del moto naturale, I, 315s, 328$, 411. Se noi moto refiesso bì passi per la quiete, I, 323s, 392s; VII, 301 ; VID, 446. Sua dottrina circa la proporzione dol moto ri¬ spetto alla gravità dei mobili, 1,333$, 402s ; IV, 746s; VD, 228s, 249-250, 686-688, 721s, 725$, 783, 741 s; Vili, 107$, lltis; XD, 76; XVI, 134. Suoi concotti circa il moto ascondente e discendente dei gravi, I, 352, 365-366, 374$, 385$, 417. Suo assioma, che il moto d’un corpo semplice deva esser semplice, IH, 336; VD, 147, 424, 137$, 591. Moto retto, per lui talvolta semplice e talvolta misto, 40s. Suo argomento per provare che i gravi si muovono per andaro al centro del¬ l’universo, 59. Stima che nessun moto vio¬ lento possa durare a lungo, 71. Moti cir¬ colari non sono contrari, 143s. Ammette che il fuoco si muova rettamente per sua Aristotele] INDICE DEI natimi, e in giro per partecipazione, 1G7. Sua definizione del moto, 189$. 11 moto cir¬ colare non è contrario al retto, 288. Con¬ cede ai misti un movimento composto, 438. Sue dottrine circa il moto circolare, retto o misto, 588$. Sua dimostrazione dell’eter¬ nità del moto, confutata da B. Castelli, X, 170. Come debba essere intesa, XAT, 18G. Suoi concetti intorno al moto, XVII, 42. Sue ideo intorno alle cause del galleg¬ giare, I, 259. Opina che i corpi scendano me¬ glio nell’aria che nell’acqua, perchè quella è più facile a esser divisa, IV, 21. Dichiara che le figure son causa del tardo e del ve¬ loce, o più o meno secondo che saranno più o meno larghe, 24, 2G, 124$, 292-293, 420s, 737 s. Dubbi intorno alla sua dottrina circa la causa del galleggiare dei corpi, 42s. Qual sia questa dottrina, G5, 67, 88s, 97, 123$, 137s, 147, 3G6, 4GG, 471s, 683s; XI, 358-359. Difesa dall’Accademico Incognito con argo¬ menti impugnati da G., IV, 14Gs ; XI, 389- 390, 410. E da Giorgio Coresio con errori raccolti dal Castelli e con argomenti impu¬ gnati dal Castelli medesimo e da G., IV, 201s; XI, 441. E da Lodovico delle Colombe, IV, 315s, 443s, 456$. E da Vincenzio di Grazia, 377s, 693s. Crede erroneamente che un na¬ viglio meglio si sostenga in grandissima che non in minor quantità d’acqua, 78, 364s, 391s, 674s, 754s. Vuol confutare Demo¬ crito nella dottrina relativa all’ influenza degli atomi ignei sul galleggiamento, 129s, 430s, 745s. S’inganna nel tenere che il so¬ lido nel tuffarsi vada alzando taut’ acqua quaut’è la mole sommersa, 388, 513,707. Sua definizione dell’ umido, G33. Sofismi per di¬ mostrare che il moto nel vacuo sia istan¬ taneo, I, 276s, 393s, 401s; VII, 742; Vili, CO. Critica delle sue opinioni sulla caduta dei gravi nel vuoto, I, 294$, 394s. Sue ra¬ gioni in confutazione del vacuo, Vili, 73,93, 105-106; XVI, 223; XVJQ, 389. NOMI ECC. 73 Se veramente l’aria e l’acqua nel proprio luogo sian gravi, I. 285s, 385s; IV, 228, 409s, 717 s. Errore da lui commesso nel tenere darsi corpi semplicemente leggeri e gravi, I, 289s, 355$, 375s, 409. Sue esperienze che più grava un otre gonfiato che sgonfio, IV, 154, 409, 717; Vili, 121$. Poco versato nella geometria, I, 302. Stima la logica, riguardata come strumento del sapere, quale parto legittimo della ma¬ tematica, III, 1G9. Suo concetto della rela¬ zione delle matematiche con le scienze na¬ turali, ITI, 324-325 ; VII, 588. Fa poca stima della geometria, IV, 525. Tassa Platone d’esserne stato troppo studioso, I, 41G; VII, 229, 423. Errori da lui commessi circa il moto dei proietti, I, 307s, 369$, 410; VII, 175$, 210s; xvn, 51. Erra nello stimare gli effetti della girella, II, 173. Sue Questioni meccaniche, 149, IV, 09,158, 219,240; AHI, 54,152, 165, 173-174, 310; Xm, 378, 390; XIV, 23, 34, 44; XVII, 262, 403; XIX, 120. Se siano suoi i libri dei Problemi, IV, 364, 674. Fondamento ed ordine della sua Fisica, ATI, 40s, 581. Come spieghi il moto della ruzzola, 184$. Pro¬ posiziono sulla leva, da lui per il primo di¬ mostrata, AHI, 152. Altre sue deduzioni sullo stesso argomento, 173s, 310, 609, 611. Confronto tra lui e Platone, istituito dal Mazzoni e contraddetto da G., Il, 197-202. Sue opinioni sul moto e sito della terra, Btimate da G. assai meno probabili di qucdle di Pitagora, 198. Esempio da lui addotto dell’ illuminazione del monte Caucaso, altra¬ mente interpretato da G., 199. Opinioni di lui in materia del sistema del mondo, seguite da G. nel pubblico e privato insegnamento, II, 206 ; XI, 590. Esposte e difese dal La- galla, DI, 331, 333, 334, 335, 342, 343, 345, 347. Argomento della pietra lanciata e ca¬ dente nel medesimo luogo, portato contro il io Voi. xx. 74 INDICE DEI moto della terra, IH, 337, 344; U, 542.*; VII, 1G5.S, 604. Nella costituzione del mondo conformo la sua dottrina, sarebbe stato im¬ possibile fermare il sole ed allungare il giorno, V, 280; XIX, 304. Suo errore ma¬ nifesto nell’aver posto la terra nel centro del mondo, VII, 58, 70, 847S. Paralogismo nel pretendere di provarlo, 60$, 273. Espe¬ rienze dei proietti prodotte contro il moto della terra, VI, 542$; VII, 151 s, 665$. Sun dottrina intorno al sistema del mondo, esa¬ minata, combattuta e difesa, 33, 140$, 150, 159$, 196$, 202s, 215s, 273s, 281$, 290$, 299, 347, 354, 380, 536, 546, 549$, 556s, 5G3, 571$, 575s, 581s, 605s, C50s, 663$. Fa il mondo perfetto, perdio ha la trina dimensiono, 34. Sua dimostrazione per provare, le dimensioni essere tre e non più, 34$. Accomoda i pre¬ cetti d’architettura alla fabbrica del mondo, e non la fabbrica a’ precetti, 40. Giudica il mondo finito, terminato e sferico, 347. Le sue dimostrazioni per provare che l’universo sia finito, cascano tutte uegandosi che sia mo¬ bile, 348. Suo argomento contro gli antichi, i quali volevano dio la terra fosse un pia¬ neta, 406. Concede dio le parti più interne della terra siano più compresso, 429. Non si ò servito delle Scritture Sacre, parlando del moto e della quiete della terra, 561. Eppure si trova con essa stranamente mi¬ schiato, XVIII, 318. Ha insegnato doversi quietar l’intelletto a quel che è persuaso dalla ragione o non dalla sola autorità del maestro,IV, 65. Avrebbe giu¬ dicato conforme i moderili, se avesse avuta contezza delle lor sensato osservazioni, V, 138$, 231, 235; VII, 75, 157, 162, 690. Sen¬ tenzia che la natura non intraprende a fare quello che ò impossibile a esser fatto, VII, 43, 593. Stimò le sensate esperienze doversi anteporre ai discorsi umani, 57, 71, 76, 80» XI, 140; XVIH, 249. Se, per essere stato inventore della logica, non possa equivocare, NOMI ECO. [Aristotele VII, 59$. Sue regole logiche, XVJQl, 234. Insegna, doversi contraddire non solo agli amici, ma a sé stesso, 245. Reputato da G. grandissimo logico, IV, 659; XVIH, 248. Sua definizione del caldo e del freddo, IV, 205. Causa da lui attribuita al tuono, VI, 481. Pretende che i nervi abbiano ori¬ gine dal cuore, VII. 134. Invenzione del te¬ lescopio, voluta rintracciare in un suo testo 135; XVI, 256. Non ha lasciato alcuua ma¬ teria degna di investigazione senza toccarla, VHI, 138. Sue opinioni sulle comete esposte, e di¬ scusse, VI, 17$, 50$, 58$, 71$, 11 1, 117$, 138, 143s, 151$, 173$, 206, 222, 231$, 238$, 293, 295, 302, 309, 869$, 892, 896$, 400$, 423, 455$, 458$, 467, 474$, 485, 496$; XIH, 16, 170-171; XVII, 415; XVIII, 291. Reputa erroneamente che il moto generi calerò, VI. 54$, 160$, 167$, 329$, 836$, 311$, 187s. Tiene la fiamma trasparente, 173, 175$, 365. Giudica la figura sferica nobilissima, e nobili in genoro le rotonde, 319, 462. I,a linea circolare ò perfetta, e la retta imper¬ fetta, o perchè, VII, 42. Clio la giustizia com¬ mutativa si governa con la proporzione arit¬ metica, e non con la geometrica, VI. 599,601, 606. Suo problema ammirabile di due cer¬ chi concentrici che si rivolgono, VHI, 68 . Applica la permutata proporzione alla que¬ stione della conoscenza, XII. 111. Definizione da lui data della natura, VU, 39. Attribuisce a miracolo gli oflctti dei quali si ignorano le causo, 117. Sua proposizione circa le difficoltà d’investigar la natura, X, 122 . Alcuni suoi sognaci no scornano la ripu¬ tazioneeoi troppo volergliela accrescere, VU, 136$. Uso che i Peripatetici fanno dei suoi testi, Vili, 550, 610. Suo assioma elio frustra fi per piava quod potest fini per pancioni, III, 379; VII, 149, G54, 663; XIX, 354. Arpocrate] INDICE DEI Crii viene attribuita l’opinione che il flusso ed il reflusso dei mari dipendano dalla loro diversa profondità, 'VII, 445; o disperando di investigarne le cause, vuoisi siasi allogato nel mare, 459. Suoi errori nel libro J)c inccssu aniinu- lium, TIH, 567-568, 610, 612, 615-617; XVII, 51, 262; XIX, 623. Sua opinione sull’uso al quale servono le squame dei pesci, XYJLII, 301-302. Ogni impossibilità conietturata da lui è distrutta dalla nuova stella dell’ottobre 1604, X, 118. Sua falsa credenza sulla natura della Via Lattea, 120, 293 ; XI, 26. Autorità sua, invocata, discussa e com¬ battuta, II, 291; in, 394; IV, 65, 81, 92, 174, 218, 238, 258, 264, 284, 317, 325, 392, 466, 467, 517, 571; Y, 100, 190, 197, 235; VI. 292, 365, 538, 610; TU, 69, 80-82, 134, 137, 138, 211, 348, 577; Vili, 550,639,640; XI, 47, 100, 145, 152, 153, 168, 284, 441 ; XIII, 107, 226; XV, 12; XVI, 43, 120, 127, 172, 181; XVII, 38, 352; XVIII, 202, 249, 260, 294, 295. Nominato, I, 9-11; II, 295, 298, 299, 303, 318, 321, 324, 332, 430; HI, 114, 161, 172, 175, 243, 253, 254, 255, 261, 284, 314, 341, 349, 350, 356, 357, 358, 359, 370, 371, 372, 378, 381, 382, 383, 385, 391, 393; IV, 31, 32, 35, 51, 80, 84, 85, 86, 95, 152, 233, 446, 468, 479, 498, 501, 502, 506, 515, 545, 565, 572, 702, 709; V, 59, 236, 264, 311, 321, 352; VI, 46, 57, 381, 512, 600 ; TU, 23, 57, 78, 106, 142, 153, 154, 155, 217, 237, 245, 256, 264, 287, 296, 300, 312, 426, 578, 579, 580-098, 713, 714, 716, 718-721, 730, 744; VHI, 54, 73, 93,105, 106, 120, 551; IX, 279, 2S0, 281, 285, 288, 291 ; X, 118, 120, 124, 126, 128, 329 ; XI, 23, 25, 26, 223, 262, 303, 376, 380, 405, 410, 455, 492, 496, 605, 610; XII, 55, 100, 111, 130, 156, 216, 255, 316, 330, 415, 460, 485, 501 ; XHI, 16, 26, 72, 73,162, 203, NOMI ECC. 75 216, 337, 370, 390, 444, 455; XIV, 315, 316 362, 367; XV, 254, 279; XVI, 11, 15, 60, 118,162, 173, 181, 186, 199, 223; XVII, 37, 389, 403, 415 ; XVJH, 173, 260, 286, 315, 323, 350; XIX, 64, 118, 298, 351, 354, 357, 407, 603, 606,- 607, 610, 045. Aritmetica. Suo uso nell’astronomia, H, 212. Operazioni di essa col compasso geometrico e militare, 359, 378, 387. Neces¬ saria nell’arte militare, 607; XIV, 60. Og¬ getto di essa, HI, 323. Nuova, inventata o praticata in Olanda, XVI, 523. Arlotto piovano. VI, 415. Armando. XVHI, 389. Armano. Occhialaio in Venezia, XII, 447. Armatura delle caiamite. — V. Ca¬ lamita. '"Armi (dall’) Giovanni. I, 184; XIX, 36. Armida. IX, 94, 95, 96, 97, 98, 100,101, 104, 105, 108, 109, 120, 131, 133, 138, 140, 142; XYIH, 121, 192. Akmodio. EX, 287. *Arnauld Antonio. XVHI, 318. Arno. Influenza della luce lunare sulle sue torbide, IV, 414. Proposta di G. Cocca- pani di ridurlo in canale, e relazione di G. al Granduca Ferdinando II in proposito, YI, 617, 651-653; carteggio relativo a questo argomento, X.1V, 222, 233-235, 237, 239, 271- 273, 301-302. Menzionato, IV, 436 ; VI, 622 ; Vili, 599 ; IX, 238, 239, 248, 251, 264, 267; X, 454; XIU, 296, 359; XIV, 301, 302; XVII, 401; XVHI, 313; XIX, 43. Arontb. IX, 16, 101. Auostigui Antonio. XII, 337, 353, 366, 384; XHI, 20, 22, 24, 34, 35, 51. Arotìa Suctiae (Westeras). Suo clima, H, 245. Arpe. Rendon suoni diversi, benché della stessa materia, perchè sono di diversa lun¬ ghezza, VI, 269. * Arpe (dell’) Orazio. XIH, 384. Akpocuatk. XIH, 124. 76 Arrigetti. X, 191. * Arbighjctti Andrea. Partecipa alla con¬ troversia circa la stima di un cavallo, M, 566, 567, 577, 582; XIH, 851, 852, 3G1. Suoi studi sul moto dell’acqua nei canali diritti e torti, TI, 621, 024, 625. Confuta le opinioni di Niccolò Arrighetti intorno allo stesso ar¬ gomento, XIV, 179-181, 185-189. Sottopone le sue dimostrazioni al giudizio di G., 189- 192, 19G-198, 199-202; e d’altri, 204-206. Si congratula con G. per il buon avviamento del suo processo, XV, 52,64-65. Intermediario della corrispondenza di G. con Suor Maria Celeste, 66, 79, 82. Suoi studi sulla resi¬ stenza dei materiali, 279-281, dei quali G. lo loda, 283-284, e intorno al moto dell’acqua nei condotti, XVI, 123. Il Castelli fa trat¬ tare con lui por una ristampa della Misura delle acque correnti, 147. Informa G. sul pagamento della sua provvisione, 494. A sua persuasione vien trattenuto il Torricelli a Firenze, dopo la morte di G., XIX, 026. Annoverato dal Yiviani fra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., 628. Nominato, Vm, 12, 566, 607; XI, 342; Xffl, 216, 359, 370, 403; XIV, 181, 185, 189, 194, 195, 251, 25G, 356, 445; XV, 77, 82, 258, 259, 275, 276. 298; XVI, 132, 273, 284, 327 ; XVII, 204, 209, 250, 258; XIX, 522, 529, 530, 531. ♦Arrighetti Filippo. IV, 319; XII, 174; XIX, 165. * Arrtghbtti Francesco. Tin, 452, 464. * ARRiariETTi Giulio. XIX, 490, 522. * àrrtgiietti Niccolò. Rivede e correggo gli Errori di Giorgio Coresio raccolti da I). B. Castelli ed il Discorso delle comete , IV, 11; VI, 8; Vili, 34. Ragguaglia G. in¬ torno alla disputa sostenuta dal Castelli alla Corto sul sistema copernicano nelle suo attinenze con la Sacra Scrittura, T, 264, 281, 282; XI, 606. Suo zibaldone autografo, Vili, 452. Vi conserva il modo insegnato da G. per misurare il diametro delle stelle fisso, [Ai-rigetti 464-465. Frammenti di suo pugno nei Ma¬ noscritti Galileiani, 376, 377, 379, 381, 384 385, 386, 388, 393, 406, 568, 569, 618,’ 619, 620. Suo sonetto in onore di G., X, 412. Suoi studi sul moto dell'acqua nei canali diritti o torti, XIV, 176-177, 181-184. Li sottopone al giudizio di G., 193-195. Annoverato dal Yiviani fra i gentiluomini fiorentini, disce¬ poli di G., XIX, 628. Nominato, Vili, 37- 38; XI, 478, 590, 601; XII, 37, 43, 52, 70, 93, 114, 147, 375; XIII, 246; XIV, 189,191, 196, 199, 201; XV, 259; XIX, 414, 445. ♦Armuiietti Nofebi. Vili. 464. ♦ Arrighi Michele, XV, 72, 78. Arrigo. Boudio, scolaro di G. in Padova, XIX, 149, 150. Arriooni Luigi. X, 83. “ Arriooni Pompeo. XII, 127; XIX, 275. Aruigocoi Luigi. XVI, 529, 530. Arsatiri. I, 38. Arsenale di Venezia, largo campo di filosofare, in particolare nella meccanica, vm, 49; Arseti. IX, 123, 121. Aktani. Raccomanda G. per la lettura di matematiche in Bologna, XIX, 36. Arte. Al pari della natura, non puòcre- scor le sue macelline a vastità immensa, Vili, 169s. In che consista l’aggiustamento tra essa e la natura, 573$. Tenui e bassi principi dolio arti grandi o nobili, XVI, 470-471; XVII. 104, Arte militare. Le matematiche nel¬ l’arte militi ire, scrittura di G., II, 603-608; occasione di essa, XIX. 230-232. Libri che G. disegnava scrivere intorno ad essa, X, 352. Vera scuola di ossa in Fiandra, XI, 203. Artena (d 1 ). Olio medicinale, XIII, 283, 284, 301. Artificio per calarsi da una corda senza offendersi le mani. Vili, 58; XVI, 228; XVJU, 387. INDICE DEI NOMI ECC. INDICE DEI NOMI ECC. 77 Assia, (d’) Lodovico] Artiglierie. Loro influenze sull’arte di fortificare, II, 23, 83. Come debbano con¬ dursi sotto le fortezze, 49$. Loro importanza nell’arte della guerra, 84$. Diversità, dei tiri, 92-93, 98-100. Come vadano piantate, 118-120. Squadra per livellarle e dar loro la debita elevazione, 357-358. Squadra dei bombardieri, 357, 412. Pratica di esse ne¬ cessaria a perfetto cavaliero e soldato, 607. Effetto dei tiri verso ponente o verso levan¬ te, portato come argomento nella questione del moto della terra, III, 256; V, 408; VI, 546s; TU, 152-153,194s, 207s. Posto il moto della terra, i tiri non devono variare più elio nella quiete, 208; VITI, 628-629. Angolo sotto il quale ha luogo il massimo tiro di volata, 296; XVII, 390; XVm, 13. Tavola relativa, VIU, 304. Problemi volativi ai tiri, 424-425. Linea descritta dalla palla, X. 229. Congegno proposto da un Francese por mol¬ tiplicarne gli effetti, XVI, 310. — F. Parabola. Artimini Pasquino. XIII, 235. Artimino. Villa Ferdinanda, X, 214, 218; XIII, 116. Artoue (Monte). — V. Ortone. Arturo (costellazione). II, 279, 280; VI, 31, 32, 150, 377; IX, 244, 257, 269; X, 182, 412; XDI. 397. Ascendenti. XI, 114. Ascensioni astronomiche. Il, 233. Rette ed oblique, 234s. ♦Aschuausen (di) Giovanni Goffredo. Vescovo di Pamberga, ambasciatore Cesareo a Paolo V, XI, 440, 464. Chiede al Cesi no¬ tizie delle scoperte celesti di G. ed esprime il desiderio d’nn cannocchiale, 464, 475; o G. promette al Cesi di adoperarsi per sodi¬ sfarlo, 468. Desidera un pezzetto della pietra lucifera di Rologna, 481. Riceve dal Cgbì il Discorso sulle galleggianti e le Lettere sulle macchie solari, 484, 486-487, 490. Parte da Roma, con l’intenzione di trattenersi in Fi¬ renze, dove il Cesi desidera sia ossequiato da G., 487, 490. Nominato, 465, 470, 472, 477, 516. Ascoli (Card. di).— V. Centini Felico. Ascoli (Principe di). XI, 474. Ascoli (Vescovo di). — V. Bolognetli Giorgio. Aselli. DI, 296. Asia. Sua grandezza superata da quolla di alcune macchie solari, V, 140; VII, 76, 617, 621, 630. Alito supposto sormontare da essa per nutrir la cometa, VI, 61. Men¬ zionata, VII, 124, 638; XI, 549. * Asini (degli) Maro’Antonio. Sua morto, XV, 316. Nominato, XIX, 211. Aspaan. XI, 525. Asse nella ruota, n, 167-169. Asse terrestre. VII, 401. Si mantiene sempre parallelo a sò stesso, e descrive una superfìcie cilindrica ed inclinata all’orbe magno, 406. Accidente meraviglioso dipen¬ dente dal suo non inclinarsi, 420. Asse di conversione del corpo solare. Sna piccolissima inclinazione sopra il piano dell’eclittica, VII, 374; XVI, 391. Assedio delle fortezze. II, 54-56. ♦Asselineait Pietro. XYII, 303. Assessori del S. Uffìzio. — V. Al- bizzi (degli) Francesco. Coccabella Alessan¬ dro. Febei Pietro Paolo. Ferroni Giuseppe Maria. Girolatni Cosimo. * À88IA (d’) Federico. XYII, 80. * Assia ( Carlo. Cannocchiale a lui dato da G., XIV, 53, 92, 107; XVIII, 42S. Egli ne lo ricambia con una bellissima collana gioiellata, XIX, 595, 630. Gli vien rubato, XIII, 255. Nominato, X, 221; XUI, 16; XIV, 42. Austria (d’) Ferdinando. — F. Ferdi¬ nando II. * Austria (d’) Leopoldo. Visita G. amma¬ lato, VI, 5; XII, 374, 383, 389; XIX, 595, 615. Mario Guiducci dedica a lui il Discorso delle comete, VI, 41; XII, 460. G. gli invia due telescopi, il cannoncino per il celatone insieme con alcuni suoi lavori, XII, 389-392. Ed egli ne lo ringrazia, 397-398. E gli accom¬ pagna un discorso del Remo, esprimendo il desiderio di conoscere il suo parere e quello del Castelli sulla cometa, 435. Troinette di tenerlo ragguagliato di ciò che s’ andrebbe studiando in Germania intorno all’argomen¬ to, 438. G. sollecita ed ottiene una sua racco- nmndaziono alla sorella Granduchessa, XIII, g0 INDICE DEI Gl, 70. Lo ringrazia per il dono del Sag¬ giatore, 162-1G3. Visitatolo in Firenze, gli fa un donativo, 217; XIX, 595, 030. Nomi¬ nato, IU, 187; XII, 433, 481,484, 488; XIII, G3, 64; XVII, 27. * Austria (d’) Maria Maddalena. L’Acca¬ demico Incognito lo dedica le Considerazioni sopra le Galleggianti di G., IV, 145,147-118; XI, 3G2. Presente e partecipante alla discus¬ sione del Castelli sul sistema Copernicano nei rapporti con la Sacra Scrittura, V, 281, 282; XI, G06. Supplica a lei, presentata da Suor Maria Celeste, XIV, 1G3. Nominata, VI, 41; X, 221; XII, 249, 392, 398; XIII, 61, 70, 184, 189; XIV, 71, 150, 163, 270; XV, 139; XVI, 388, 450, 530, 531 ; XVII, 238. Autorità. Di Aristotele e d’altri autori in confronto della natura e dell'esperienza, III, 394; IV, 65, 81, 173$, 218, 238, 258$, 264, 284, 317s, 325, 392, 466, 467, 517, 571, 572, G53; V, 95, 96,190, 197, 200, 234s; VI, 232, 337, 339s, 538$; VII, SOs, 132$, 138-139,184, 211, 348, 540; Vili, 542, 550, 639, 640; XIII, 107; XIV, 343; XVI, 43, 181; XVH, 38; XVIU, 249, 294, 295, 307. Della Sacra Scrit¬ tura, V, 324s, 336$; XV, 24-25. Argomento ab auclorHate, stimato da G. F. Sagredo buono per gli ignoranti, XI, 539, 549. Avrmpacr. Sue ideo sulla materia cele- sto, 1,76s; sul moto dei gravi nel vuoto, 410. Avenestra. I, 45. Avenmaiira. HI, 388. Ayerroè. Sue opinioni sul De cado di Aristotele, I, 15. Sul mondo, 24, 36. Sulla natura, sulla materia e sulla eternità dei cieli, 48, 64, 69 , 70-72, 76, 77, 83-86, 89, 110; H, 332; m, 116, 359, 362, 3G7, 368, 371, 372, 3S6, 388, 391 ; X, 331. Sopra gli elementi, I, 123-125, 129,130,133, 134,145, 155, 164, 167, 333 ; IV, 407, 409, 717. Sul contatto della sfera col piano, I, 410. Sulla formazione del ghiaccio e sul galleggiare, IV, 219, 421, 424, 426, 738, 740. Sulla deu- NOMI ECC. [Austria (d’) Maria Maddal. sità delle gioio nei rapporti con la loro gra¬ vità, 190. Sulla via lattea, X, 293. Nomi¬ nato, 377. Aversa (da) Lorenzo Paoifioo. X, 169 184. *Aversa Raffaello. Comunica a G. le suo osservazioni sulle macchie solari, XIII, 325-826, 829-330. Aviobrron. Sue ideo sulla corruttibilità dei cieli, I, 76, 77. Avicenna. Sue opinioni intorno ai cieli, I, 76, 77,103, 105. Ed agli elementi, 122,126, 133; ILI, 360. Nominato, 1, 410; XIX, 119, A voga ri a. X, 96. Avoltoio (costella/ione). VI, 230. Azaria. VI, 174, 196, 366, 496, 197. Azi mot. Stella che i latini chiamano Spica della Vergine, I, 45. Azimut ti. VII, 338. Azoros. XIV. 226. Azpilcukta (de) .Martino (dotto lìavar- rus). XIX, 536, 537. Azzo lini Lumi. X, 145. Babilonesi. Di essi narra Snida elio cocossoro lo uova col girarle velocemente nella fionda, VI, 164, 166, 167, 340, 344. Babilonia. Suo clima, li, 244. Menzio¬ nata, IV, 411; VI, 340. Baccelli Cassandra. XIX, 583. Bacchi gl io no. IV, 436. Baooi Giacomo. Ottico in Venezia, XI, •121. Lavora lenti da cannocchiale per conto di G. F. Sagredo, 314, 351, 36^, 376; XII, 258, 376, 447. E per conto di G., XI, 356, 521-522, 535, 544, 515, 550, 570 ; XII, 410, 482, 483. Trattative por recarsi in Firenze al servizio di G., 407. Nominato, XI, 313, 420, 522, 536, 539, 5-19, 553. Bacoi Ottavio. XIX, 290. Baociolini Santi. XI, 69. Bacco. X, 163; XVI, 399; XVIII, 64. Bacco, facchino. X, 197. Baldi Marcantonio] INDICE DEI Baooonb (de) Giovanni. Sue idee intorno alla costituzione del cielo, I, 72. * Baokbr Giacomo. Incaricato dagli Stati Generali d’Olanda di conferire con Martino Ortensio circa la proposta di G., XIX, 542, 543. * Baoonk Francesco. Lettere a lui di Tobia Matthew, XII, 255, 450. Bacone Iìogero. Sua Prospettiva, DI, 221, 223, 225; XID, 238; XVII, 405. Spie¬ gazione da lui data dell’apparente mag¬ giore grandezza degli astri all’ orizzonte, DI, 242. Suo segreto degli specchi concavi, X, 450. *Bàdelli Antonio. Suo informazioni da Roma intorno a G., XTV, 103; XT, 115, 164, 168, 173. Badia (Abbate di). XII, 12G, 135; XIII, 291 ; XVI, 87 ; XVH, 382, 383 ; XYIU, 58. *Badouèrb Giacomo. Sua attestazione in¬ torno al Compasso geometrico e militare di G., II, 534, 535, 601 ; XIX, 225. Dà notizia a G. da Parigi del cannocchiale costruito da un Belga, DI, 18, 60. Informazione di Mar¬ tino Hasdale sul suo conto, X, 367. Commis¬ sione che G. dà al Magagnati por lui, XI, 321. Partecipa al Dioclati la sua corrispon¬ denza con G., XDI, 48. * Baerle (vau) Gaspare. Viene informato della proposta fatta da G. agli Stati Gene¬ rali per la determinazione delle longitudini, XVII, 67. Baffàti (Monsignore). XV, 30, 39, 103, 110 . Bagadet (Bassa di). XI, 379. * Baglioni Lelio. XJLI, 52. * Baglioni Malatesta. Chiede cd ottiene da G. un bicchiere da questo inventato, che mostra i giudi del caldo e del freddo delle bevande, XID, 363,367-368,380. È tra i fon¬ datori dell’Accademia dei Ricovrati. XIX, 207. Baglioni Michelangelo. XIV, 120. Voi. XX. NOMI ECC. 81 * Baglioni Orazio. Desidera la spiegazione dell’uso del Compasso di G., XI, 472. Bagnai a. XVI, 429, 507. * Bagno (dei Conti Guidi di) Farri zio. XVID, 343. * Bagno (dei Conti Guidi di) Giovanfran- oesoo. XIV, 285; XV, 155; XVI, 121 ; XVIll, 297, 342-343; XIX, 288, 289, 290. Bagno (Marchese di). XII, 384. Bahama (di) canale. XIV, 278. Bai ardo. IX, 88, 152, 181. Bai8io (da) Guido (detto VArcidiacono Bolognese o P Arcidiacono). XIX, 535. * Bàitelli Lodovico. Ha conosciuto G. in Padova, XVI, 114-115. Si adopera in Brescia come procuratore di G., perchè egli possa riscuotere lo rate della pensione assegna¬ tagli sopra la Mansioneria di quella Catte¬ drale, 52, G0-61, G6, 101, 108, 126, 143, 311, 355; XVD, 106, 230, 395, 408, 409; XVID, 322, 367-368; XIX, 580. Mediatore per l’acquisto di specialità bresciane desideralo da G., XVI, 120, 503, 517-519, 525 ; XVD, 15. Esprime il desiderio d’avere da G. un Compasso, XYI, 311, 325,354-355. E G. glielo manda in dono, 435-437, 442; XVII, 15. * Baldani Tommaso. XVII, 17. Balbi (Sig. rl ). XIII, 223. * Balbi Bartolommeo. Esprime il deside¬ rio d’avere da G. un microscopio, XIII, 218- 219. E lo riceve coi mezzo di Bartolommeo Imperiali, 230. Balbinà (Card, di S.). — V. Arrigoni Pompeo. BaldelliBaldello. XIX, 34, 39, 42. Baldesi. XIV, 22. Baldi Antonio. Specchio parabolico da lui costruito, XIU, 238-239. Baldi Iaoopo. Aiutante di Camera del Granduca, XIX, 594. Baldi Marcantonio. Interroga L. Va¬ lerio sulla verità delle scoperte celèsti an¬ nunziate da G., XI, 104. <* 11 82 INDICI*} DEI NOMI ECO. [Baldi Pompeo Baldi Pompeo. Aspira alla mano d’ una sorella di G., X, 81-82. Baldini Giovanni. XVIII, 274. Bàldinuooi Filippo. XIX, 12. Baldo, giureconsulto.— V. Ubaldi (degli) Baldo. Baldo, navicellaio. XHI, 418. Baldosio Antonio. XIX, 32. Baldovino. IX, 02. Balduini Francesco. XIX, 38, 40. Balduino Girolamo. Sua opinione sul¬ l’anima del cielo, I, 105. Baleari. Fionde usate dai loro abitatori, YI, 163-164. Correnti del loro mare, YII, 445. Balena. Paragonata alla terra rispetto al flusso e reflusso, YII, 449. Baleno. Perchè non apparisca istanta¬ neo, YIII, 89. Balestra. Perchè l’arco di essa, dolce, faccia maggior passata d’un più duro, Vili, 346. Balestra do Offida Francesco. XIX, 344. Balestri Domenico. Adoperato per la costruzione dell’orologio a pendolo, XIX, 657. Balestrigl ia. Non occorre che tutti i marinai sappiano usarla, XII, 360. Menzio¬ nata, 358. * Balfour Roberto. XII, 117; XIX, 591. * Bat.tani Gio. Battista. Fatto conoscere a G. da F. Salviati, XI, 610; XH, 12-13, 15- 16, 19. Proposto da G. a Linceo, 29, 71 ; XIX, 268. Desidera sapere da G. quanto pesi l’aria in confronto dell’acqua, XII, 13; G. lo compiace, 16,35-36, ed egli ne lo ringrazia, 44. Comunica a G. le sue opinioni in materia delle macchie solari, della ruvidità dei corpi cele¬ sti, delle galleggianti, 20-22, 44; delle Stello Medicee, 186; delle comete, 474-478. Inclina piuttosto ftll’opinione di Ticono, che non a quella del Copernico, circa il sistema del mondo, 21. Richiestone da G., gli partecipa un suo modo di cuocere senza fuoco, 44-45. Visita G. in Firenze, 186. E nel viaggio di ritorno a Genova conosce B. Castelli, 176,186. Comunica a G. ima proposizione del Vieta circa i piani inclinati, 186-188. Scrive al Castelli intorno all’applicazione ai liquidi delle leggi del moto uniformoniente accele¬ rato, XIJB, 348-349 ; lo informa intorno al suo trattato del moto dei gravi, e da lui ac¬ cetta l’offerta d’un suo lavoro e della lettera di G. intorno all’autorità della Bibbia in ma¬ teria di scienze naturali, 360. Raccomanda Fami ano Michelini a G., XIV, 47. Chiede ed ottiene il parere di G. intorno alla lunghezza naturale dei sifoni, 125, 127-129, 157-160. Ila ricevuto il Dialogo, ed intrattiene G. sopra alcuni argomenti in esso trattati, 342-344. Manda a G. la sua opera sul moto naturale dei gravi solidi, XYH, 413-414. G. ne lo rin¬ grazia, e gli scrive dei suoi studi sullo stesso argomento, annunziandogli la pubblicazione delle Nuove Scienze , XVIII, 11-13. Discus¬ sione intorno agli argomenti in esse trattati, 68-71, 75-79, 86-S8, 93-95, 99-100, 102-103. Nominato, II, 153; YH, 6; Vili, 19; XU, 26, 177; XJUI, 204, 314; XVJII, 21, 24, 31, 34, 35,37,43, 50, 60,70, 01, 118, 143, 145, 177, 185, 219, 256, 330, 333. Balisarda. EX, 157. Baliyerzo. IX, 165. Ballarin Pietro. XI, 321. Ballatini Elena nei Mahsili. — V. Mar- sili Ballatini Elena. Baltico (mare). Ili, 121, 336. Baluardi. Avvertenze da aversi nella costruzione di essi per fortificare, li, 24.5, 44s, 87s, 94s, 103s, 119$. Bamberga (Vescovo di). — V. Asch- liausen (di) Giovanni Goffredo. Bamdirago. IX, 165. Banberojero. — V. Grienberger Cristo- foro. IIandinf.lli Anna Chiara nei Galilei. — V. Galilei Bandinelli Anna Chiara. Barberini Francesco] INDICE DEI NOMI ECC. 83 Bandinelt.i Baccio. IX, 69. BandineijLI Massimiliana. XHI, 347, 354, 366, 367, 401,402,406,409, 417,418, 432,433, 439, 446; XIX, 475. * Bandini Ottavio. Oli sono mostrate ila 0. le macchie solari, V, 82; XII, 175; XIX, 612. Si adopera per la monacazione delle figliuole di G., XI, 588. E per sodisfare alcuni de¬ sideri dello monache di S. Matteo in Ar- cetri, XII, 436, 437. Nominato, XI, 83, 86, 337; XIII, 197, 283, 369, 374; XIX, 268. ♦Bangio Giovanni. XVIII, 72. Barbai!oro. XIV, 142. Barbara (Sig. pa ). Governante di G., XIII, 399, 402, 405, 418. * Barravara Luigi. XIII, 62. * Barbavara Marco. Prova con G. il Ce¬ latone, XII, 311, 312. Nominato, XIII, 62. Barbera (Suor). XV, 136, 158. Barbe ria. IV, 399. Barberini (famiglia). XIY, 27 ; XVIII, 203. ♦Barberini Antonio iun. Sollecitato dal Noailles, interpone la sua mediazione a fa¬ vore di G., Vili, 17 ; XVI, 339, 363, 418, 429, 449-450, 455, 456, 460, 461, 512; XX, Sappi., 581. Nominato, XIII, 312, 421 ; XIV, 277, 281 ; XV, 104 ; XVI, 133, 424 ; XVII, 70, 139, 383. ♦Barberini Antonio sen. Partecipa al se¬ condo processo contro G., XV, 74 ; XIX, 280, 281, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 364, 366, 367, 370, 372, 375, 377, 381, 385, 386, 389, 402, 406, 413. Carteggio a questo proposito con l’Inquisitore di Fi¬ renze, XX, Sappi., 573, 574, 575, 576, 577, 578. ♦Barberini Carlo. XELI, 118, 128, 131, 175, 182, 320, 324, 363. ♦Barberini Francesco. Ringrazia G. del¬ le sue congratulazioni per l’esaltazione dello zio Maffeo al Pontificato, XDLI, 131. E per l’elezione sua a Cardinale, 133, 137. Eletto Linceo, 133, 134, 137. Riceve benignamente G. in Roma, 175, 182; eil attesta la sua affezione verso di Ini, 184, 185, 250, 300; XIV, 111. Esemplare àe\V Antiticone rasset¬ tato e postillato dall’Autore, da lui posse¬ duto, XIII, 215. Interroga il Guidacci circa una nuova disposiziono per gli archi cP una carrozza, 210-217. Partecipa a G. la conces¬ sione il’una pensione a favore del figlio, 356. Conversando col Castelli, si manifesta con¬ trario alla dottrina del moto della terra, XIV, 78. Desiderato successore del Cesi nella pre¬ sidenza dei Lincei, 127, 312, 361. Gli per¬ viene un esemplavo del Dialogo, 357, 368. Comunica al Nunzio di Firenze la determi¬ nazione di intimare a G. che si presenti al Sant’Uffizio, 397-399. G. gli scrive, pregando d’esserne esonerato, 406-410, 424. Ma egli insiste perchè obbedisca, 429, 437. A G., che è a Roma, fa consigliare viva ritirato, XV, 41, 45, 50. Comunica all’Ambasciatore di Toscana, che G. dovrà essere trattenuto nel palazzo dol Sant’Uffìzio,84, 94. Il Commissa¬ rio del Sant’Uffìzio gli partecipa d’aver trat- v tato extraiudicialmente con G., 106,109. E tra i Cardinali Inquisitori, in nome dei quali è pronunziata la sentenza contro G., ma non tra quelli che la firmarono, XIX, 403, 406. G. lo ringrazia del permesso ottonato di far ritorno in Arcetri, XV, 354, 366 ; XIX, 391. Partecipa all’ Inquisitore di Firenze elio la Congregazione dal S. Uffizio ha respinta la domanda di G. di poter tornare a Firenze, XVI, 116 ; XX, Suppl., 578. Niccolò Falli i di Peircsc, sollecitato dal Diodati, inter¬ viene presso di lui in favoro di G., XVI, 169-171, 187, 202, 206, 215, 234, 245, 246, 268,410; XVII, 33. Chiede informazioni sullo stato di G. e Bulle conseguenze che potrebbe avere il suo ritorno in città all’Inquisitorc di Firenze, XX, Suppl., 582, e questi gli comunica il risultato d’una visita medica fatta a G., XVII, 290. Partecipa alio stesso 84 Inquisitore la licenza concessa a G. ili re¬ carsi in città, 310; e (li andare a udir messa nella chiesa contigua alla sua casa, .121. Gli suggerisce come deve contenersi rispetto alla persona che si attendeva in Firenze por ne¬ goziare con G. circa la determinazione delle longitudini, 356. Lo incarica di far conoscerò a G. il gradimento della Congregaziono del Sant’Uffizio per aver egli ricusato il dono decretatogli dagli Stati Generali d Olanda, 366. Il Castelli gli chiede grazia di poter liberamente visitare G., 381, 382, 386, 384, 397, 401. Egli partecipa la concessione al- l’Inquisitore di Firenze, 406. 11 Nunzio di Firenze gli comunica la morto di G., XVIII, 378. Suggerisce al Nunzio ed all’Inquisi¬ tore le cautele per il caso in cui il Granduca voglia erigere un monumento a G., 378-381. Nominato, VII, 5; XI, 11; XIII, 118, 121, 126, 129, 139, 142, 154, 156, 160, 161, 171, 182, 186, 187, 189, 195, 197, 229, 247, 249, 253, 255, 257, 259, 261, 265, 269, 284, 291, 300, 304, 335, 341, 351, 358, 859, 361, 384; XIV, 99, 111, 115, 119, 121, 144, 282, 292, 293, 339, 870, 372, 375, 377, 381, 385, 399, 413, 414, 416, 417, 418, 419, 421, 42-1-425, 427, 428, 433, 442; XV, 11, 19, 22, 28, 39, 56, 57, 62, 65, 74, 81, 85, 88, 95, 97, 99,132, 140, 165, 166, 168, 170, 185, 187, 192, 199, 204, 234, 250, 290, 309, 319, 345; XVI, 117, 147, 259, 261, 363, 425, 427; XVII, 34, 35, 37, 58, 263, 320, 361, 362, 375, 376, 383, 396; Xrm, 14, 15, 23, 58, 220, 246, 432; XIX, 279-291. Barberini Giovanni. — V. Burberini Gio¬ vanni. Barberini Innocenza. XVII, 394. * Barberini Màefbo. DaM. A. Buonarroti e da A. de’ Medici gli è raccomandato G., XI, 72, 80, 81. Presente alle discussioni sulle galleggianti in Firenze, IV, 6; XI, 304, 317. Attesta la sua affezione por G., 216; Xin, 118-119. Ricevo da G. alcune osserva- [Barberini Giovanni zioni dello macchio solari, XI, 305-311, ] e lettere del finto Apollo, o la sua prima al Wolser, 322-323. Lo ringrazia per il Discorso sulle galleggianti, 317, e lo intrattiene sullo macchie solari, 318, 325. Chiama presso di sò in Bologna il Ciampoli, 435, 453-454. Ria- grazia G. per le lettere al Velsero su questo argomento, 495. Incomincia a manifestarsi contrario alla dottrina copernicana sul moto della terra, XII, 146, 155, 160. Riceve dal Dini una copia della lotterà di G. al Castelli intorno all’uso della Sacra Scrittura in ma¬ terie naturali, 152. G. gli invia un osemplaro del Discorso delle comete, 461-462, 463. Ac¬ compagna a G. VAdulaiio perniciosa, Xin, 48-49, 50. Ringrazia G. per le congratula¬ zioni inviategli in occasiono della laurea (l’un suo nipote, 118-119. Salo al soglio pontificio, assumendo il nome di Urbano Vili, 120. Suor Maria Celeste no legge lo lettere a G., 120, 122, 127. Favori da lui accordati a pa¬ recchi Lincei, o stima grande nella quale dichiara di tenere il Cesi, il Ciampoli o G., 121, 124, 125, 126. I Lincei gli dedicano il Saggiatore, VI, 201 ; XIII, 129,142, 146. Se lo fa leggere a mensa, 141, 146, o da sé lo ha letto tutto, 154. Ricevo benignamente G., 175,182. E alla sua partenza lo colma di doni, gli prometto una pensione per il figliuolo, o lo accompagna con un breve al Granduca, 182-184. Dal Ciampoli gli vion riferita parto della Risposta di G. all’Ingoli, 295. Confe¬ risce la promossa pensione al figlio di G., 356. Dichiara al Campanella che so fosso toc¬ cato a lui, non si sarebbe proibita l’opera del Copernico, XIV, 87-88, o s’era opposto elio la dottrina in ossa propugnata fosse dichiarata contraria alla Fede, XV, 111. Ri¬ ceve novaniente o con la solita benevolenza G. rocatosi a Roma per trattare della pub¬ blicazione del Dialogo, XIV, 99, 105, 119, 121. Ma si dimostra contrario alla tesi che fa dipendere il Rubso o roilusso del mare INDICE DEI NOMI ECC. Barbolani Asdrubale da Mont.] INDICE DEI NOMI ECO. 85 dal moto della terra, 113 ; e non vuole che il flusso o reflusso figurino nel titolo del libro, 289; XIX, 327. Conferisce pensioni ecclesia¬ stiche a G. ed a suo figlio, XIV, 132, 133, 137, 210,211, 235, 214-245, 249, 250; XIX, 4G0-4G2, 465-468. Si duole perchè 1’ argo¬ mento da lui suggerito a G. intorno al moto della terra, sia stato da questo posto in bocca a Simplicio ed alla fine del libro, XIV, 370, 379; XVI, 171. Si lagna acerbamente con l’Ambasciatore Niecolini per la pubbli¬ cazione dol Dialogo , XIV, 383-385, 388, 421, 428-429. E gli comunica d’avorio denun¬ ziato al Sant’Uffizio, 391-393. Commetto ad una Congregazione particolare l’esame del libro, 397-398. Ordina che G. si presenti al Sant’Uffìzio, 398-399, e disapprova la proroga accordatagli dall’Inquisitore, 439. Suo auto¬ grafo a tergo dell’ istanza di G. per esserne esonerato, 410. Partecipa al Niecolini che la Congregazione del S. Uffizio è unanime nel proposito di penitenziario, XV, 160. Avve¬ nuta la condanna, gli concede di trasferirsi a Siena, 168, 170; XIX, 284, 363. Ordina d’ammonire gravemente l’Inquisitore di Fi¬ renze, perchè licenziò alle stampe il Dia¬ logo, XIX, 285, 369, 374. Permette a G. di trasferirsi da Siena ad Arcetri, XV, 344, 345, 350; XIX, 286. Gli boiio dedicate da Antonio Rocco le Esercitazioni contro il Dia¬ logo, VII, 571,573-574; XVI, 15. Vione since¬ rato dal Card. A. Barberini iun. che G. non ebbe mai intenzione di offenderlo, XVT, 363, 449-450, 455 ; XX, Suppl., n." 3325 lns. Il Conte di Noailles fa uffici presso di lui in favore di G., XVI, 461. Permette a G. di trasferirsi in città por farsi curare, XVU, 310, 312, 313; e al Castelli di visitarlo, 398, 406, 410 ; XIX, 396. Ordina, si esprima a G. essergli stato grato il rifiuto del dono inviatogli dagli Stati Generali d’Olanda, 289, 398. Ricusa la completa liberazione chiesta da G., 290. Rappresenta al Niecolini la scon¬ venienza di far erigere a G. un mausoleo in S. Croce, XVIII, 379-382. Nominato, V, 399; VI, 384, 503, 510; VII, 5, 9, 17; VHI, 18; XI, 526 ; XII, 173,174 ; XIII, 78, 130, 131, 133, 136, 137, 139, 140, 141, 150, 151, 157, 161, 167,168, 179,181, 1S7, 195, 206,218,230, 247, 254, 257, 258, 265, 267, 279, 280, 283, 294, 309, 311, 312, 313, 316, 317, 321, 324, 338, 341, 349, 364, 368, 447, 450, 451; XIV, 19, 23, 83, 90, 98, 103, 110, 111, 120, 123, 151, 254, 277, 352, 369, 373, 375, 381, 387, 389, 405, 413, 415, 417, 418, 419, 427, 430, 431, 432, 436, 442, 444; XV, 11, 20, 22,41, 45, 55, 56, 57, 63, 65, 67, 68, 69, 84, 85, 93, 94, 95, 97, 99, 103, 104, 106, 122, 123, 132, 134, 151, 154, 165, 167, 171, 187, 191, 199, 200, 204, 217, 218, 219, 220, 229, 230, 231, 290, 326, 327, 330, 335,337, 339, 341; XVI, 45, 06, 107,115, 187, 202, 262, 270, 291, 293, 297, 418, 429, 458; XVn, 70, 184, 290, 310, 312, 313, 376, 381,382, 393, 394, 401 ; XVIII, 220, 378; XIX, 12, 279, 280, 281, 282, 283, 287, 288, 291, 294, 295, 330, 335, 338, 344, 374, 389, 396, 408, 410, 415, 418, 419, 430, 438, 439, 440, 441, 454, 455, 460, 462, 464, 469, 470, 471, 472, 473, 491, 494, 495, 511, 517, 520, 522, 531, 580, G17, 628. Barberini Maria Grazia. XVII, 394. * Barberini Taddeo. XIII, 182, 313, 317, 338, 340, 341; XIV, 103, 115, 369; XV, 229; XVI, 282. * Barberini Colonna Anna. XIV, 103. * Barberini Magalotti Costanza. XHI, 224, 320 ; XV, 229. Barbetti Costanzo. XIX, 469. Barbktti Pietro. XIX, 469. Barbi Michele. IX, 7. Barbi Paolo di Soncino [Soncinato]. Del cielo, I, 76, 101. Dell’intensione o remissione nelle qualità, 111. Delle forme degli ele¬ menti, 133. Barbolani Asdrubale da Montaijto. — V. Montauto (da) Barbolani Asdrubale. 86 INDICE DEI NOMI ECO. Barbosa. Agostino. XIX, 561. Barca. Con chiodi di legno e senza fer¬ ramenti, IV, 220,271, 394. Deiraso dei remi o dolio vele, Vili, 611, 613. Como si possa muoverla col solo ti in olio attraverso un corso d’acqua, XVI, 50. Barcellona. VII, 8. * Barclay Giovanni. Proposto per Accade¬ mico Linceo, XITI, 63) XIX, 269. Bardella, procaccio. XV, 334. Bardi (Sig. r ). X, 133. ♦Bardi (de’) Ainolfo. XIV, 320. ♦Bardi (de’) Bernardo. XIX, 45, 56, 68, 73, 75, 80, 84, 86. ♦Bardi (de’) Cosimo. XIV, 161, 163,172, 173, 185, 223, 224, 268. * Bardi (de’) Ferdinando. Intermediario della corrispondenza di G. col conto di Noailles e col Diodati, XVU, 384-385; XVHI, 52,206-207. Annunzia a G. la morte del Cam¬ panella, 52. Nominato, XVII, 353; XVIII, 104, 174, 203, 204. ♦Bardi (de’) Filippo. XIX, 309. * Bardi (de’) Giovanni Maria. Attesta elio alcuno dimostrazioni matematiche furono ritrovate da G., I, 183. Da Vincenzio Galilei seu. gli è dedicato il Dialogo della musica antica e moderna, Vili, 563. Bardi Giovanni. Detta una scrittura intorno alle galleggianti, IV, 195; XII, 76, 78, 90, 96, 112. E ne manda un esemplare a G., 79. Comunica a G. il parere del P. Gricnhcrger intorno alle Lettere sullo mac¬ chie solari, XI, 512. Nominato, ITO, 469. ♦Bardi Girolamo. Annunzia a G. l’invio della prolusione da lui letta nello Studio di Pisa, XVI, 11. E lo ringrazia per la buona accoglienza fattale, condolcndosi con lui per i travagli sofferti, 82-83. Loda G. in versi, 184. Gli protesta la sua devozione e lo prega d’un pezzo di calamita, 240-241. Si lagna con lui dei torti fattigli in Pisa, 328, 438-439. Si propono di studiare un nuovo sistema del [Barbosa Agostino mondo, 439. Gli scrivo d’un problema pro¬ posto dal (ìa8sendi, XVIII, 91. E di alcuni lavori del Liceti, 219, 839. Annunzia al Grb- sendi la pubblicazione dello Nuove Scienze, 436. E dal Gassendi gli viene scritto intorno a lavori di (f. o del Bali&ni, 256. Bardi (de’) Girozzo. XIX, 86. ♦ Bardi (do’) Piero. G. gli indirizzali Di- scorso intorno la cagione del rappresentarsi al senso fredda o calda la medesima acqua a chi vi entra asciutto o bagnato, Vili, 563, 564, 595-597. Esalta con un Bonetto lo sco¬ perto celesti di G., X, 399, 112. L’Accademia della Crusca gli decreta onori funebri, XIX, 221. Annoverato dal Viviani tra i genti¬ luomini fiorentini, discepoli di G., 628. No¬ minato, XIII, 889; XVin, 312. ♦Bardini Mario. XII, 74. Barducci. XII, 37. Barducoi Vincenzo. XIX, 444. Barga. XVI, 84. ♦Barinone Albertino, X, 121. ♦ Barisone Aliiertino. XIX, 628. ♦Barisone Antonio. X, 498. ♦Barisonf. Marcello. X, 121. Baukiiam Giovanni. XIX, 416. Barnabiti. Un loro Padre predicatore affezionatissimo alla dottrina di G., XII, 126. Barni Giuseppe. XIX, 422, 462, 464, 468. Baroncelli Francesco. XVIII, 417-421. ♦ Baronio Cesare. Dichiaraziono da lui fatta a G., V, 319. ♦ Ba rozzi Francesco. XIII, 238. ♦ Bàrozzi Giacomo. XII, 142. Bartolktti Fabrizio. XI, 207. ♦Bartoli Carlo. Trasmetto a G. la cor- rispondenzn da Praga, o lo ringrazia del Sidercus Nunciits, X, 347-318. ♦Bartoli Giorgio. XIX, 49. ♦Bartoli Giovanni. Partecipa al Vintala comparsa del cannocchiale in Venezia, X, 250. E l’offerta elio del suo aveva fatto G. al Senato Veneto, 255. Comunica altri par- 87 Baviera (di) Ernesto] INDICE DEI ticolari concernenti i cannocchiali che si tro¬ vavano in Venezia, 257,259,260,2G1,264,267. Riferisce le voci che in Venezia correvano circa il Sidereus Niincius ed il suo autore, 306-307. Nominato, 319. Bartoli Giuseppe. IX, 27. Bartoline (Svolta (li llisenzio delle). XIV, 182», 187s, 191». Bartolini Antonio. XIX, 185. * Bartolini Cosimo. XIII, 372. * Bartolini Giovanni. Annunzia a G. l’in¬ tenzione del Cesi di pubblicare lo opere del Persio, XI, 278. Nominato, 291; XII, 33, 277; XIII, 186. * Bartolini Matteo. X, 341 ; XI, 72; XVI, 142. Bartolini Petronilla. Raccomanda a G. un credito di Suor Arcangela Landucci verso suo fratello Vincenzio, XVI, 484. Si duole di non averlo potuto salutare quando era andato a visitare le due nipoti Landucci nel monastero di S. Giorgio, XVIII, 127. No¬ minata, XIX, 518. Bartolo da Sassoferrato. VI, 232, 394. Bartolommea. — V. Tedaldi... Barto- lonnnea. Bartolommeo, Inquisitore d’Aquileia. Ha ricevuta e diffusa la sentenza ed abiura di G., XV, 237; XIX, 371. * Baktolommei Smrduooi Girolamo. Suoi drammi musicali, XVII, 27, 253, 323. Nomi¬ nato, 327. Bartolotti. XVII, 72. * Bartolotti Alessandro. Sue opinioni in¬ torno ai provvedimenti da prendersi circa il Bisenzio, esaminate da G., VI, 615, 616, 621, 622, 623, 624, 627-647; XIV, 198. E da Niccolò c Andrea Arrighetti, 183, 186, 189, 193, 204. Incarico datogli dal Magistrato, XIX, 504-505. Bartolozzi Bartolino. XIX, 87, 107. Bartolozzi Piero. XIX, 87, 107. Bartolucoi Nicoolò. XIX, 4G9, 471. NOMI ECO. Bartolucoi Seuastiano. XIX, 469,471. Bartoluzzi Giovanni. Acquista vetri in Venezia per conto di G., XII, 482-483. Suoi conti per tali acquisti e pagamenti lattigli da G. F. e da Zaccaria Sagredo, 419, 414, 447, 452, 453, 454, 460, 465, 4S0; XIII, 45. Sua morte, 394. Nominato, XII, 377. Bartoluzzi Marina. — V. Gamba Ma¬ rina. Bartoluzzi Salvatore. XrX, 118. * Bartsoii Giacomo. XIV, 323; XVII, 278. * Bartsoii Kepler Susanna. XVJQ, 278. Barrotti Marc’Antonio. XIX, 210, 211. Basilio (S.). Sue opinioni intorno al mondo ed al cielo, 1, 23, 34, 57, 105. Basilio (Padre). XVIII, 215. Bassanello (Lago di). IV, 380, 788. Passano. — V. Ponte (da). Passano di Satri. XVI, 500. Bassi Gio. Maria. XIX, 580. Bastiano (Fra). XV, 215-216; XIX, 407. Bastiano, donzello del Magistrato Su¬ premo. XIX, 501. Bastiano (Sig. r ). X, 152. lì atavica dio pira. XI, 404.— V. Can¬ nocchiale Batracomiomachia.— V. Omero. Battavi lla. — V. Beata ville. Il atto ri e. Comesi possau condurre sotto le fortezze, II, 49s,83s. Avvertenze nel pian¬ tarle, 118s. Battista, tessitore. XIX, 169. Bauoio (de) Carlo. Sua Praxis confcs- sarionm sospesa, XIX, 416. Baviera (Corte di). X, 360. Baviera (Principi di). XI, 473; XTII, 388-389. Baviera (di) Allerta. XIII, 417 ; XV, 369; XVH, 253, 254, 326. * Baviera (di) Ernesto. G. gli manda un cannocchiale, che presta al Keplero, UT, 11, 184; X, 298, 301, 427-428, 439-440; XI, 97. Chiede al Clavio un cannocchiale, 73, ed Q3 INDICE DEI altri uc desidera da G., 300. Nominato, X, 34-1, 345, 366, 492, 508; XI, 16. * Baviera (di) Guglielmo. Gli è raccoman¬ dato M. A. Galilei dall’Arciduchessa Maria Maddalena d’Austria, XI, 95. Cannocchiale di G. a lui destinato, 96. * Baviera (di) Massimiliano. Desidera un cannocchiale di G., X, 301, 354. \uol co¬ noscerne la costruzione, 313. Ricevutolo ne ringrazia G. e gli invia un dono, 31)3; XIX, 630; del quale G. lo ringrazia, XV1U, 411. Lo porta sempre seco, XI, 96. G. gli invia un microscopio, XIII, 177. Nominato, X, 312, 346; XIII, 63, 417, 422, 428, 440, 441, 442; XIV, 257, 310; XVI, 476; XVII, 326, 393; XVffl, 226. Bkataville Niccolò. XIX, 154, 166. * Bbaugrand (de) Giovanni. Editore di opere del Vieta, XVI, 250. Visita il Cava¬ lieri in Bologna, e gli propone un problema, 328, 345, 366. Visita G. in Arretri, lo intrat¬ tiene sulla determinazione delle longitudini e gli manda una sua dimostrazione sulla proporziono delle varie gravità d’un corpo secondo le lontananze dal centro della terra, 335-337, 340-314, 353-354. Visita il Cavalieri in Bologna, 345; e il Castelli in Roma, XX, Sappi., n.° 3212bis, o lo intrattiene circa questa medesima dimostrazione, XVI, 351- 352. Giudizio del Magiotti intorno ad essa, 382, 384. Confutazione d’una sua opera an¬ nunziata a G. dal Diodati, XVH, 110. Altri problemi da lui proposti e dimostrazioni man¬ date al Cavalieri, XVIII, 147, 186, 262, 346- 347, 365, 374. Sua morte, 347. * Bbaulieu (de) G. Manda un suo epi¬ gramma a G., XVII, 416-417. * Beaune (de) Florimondo. Apprezzamenti del Descartes sulle sue Meccaniche, XVH, 405. Desidera vedere le osservazioni del De¬ scartes sulle Nuove Scienze, XVM, 29. Bbazian Fabrizio. XIX, 212, 213, 215. Beazian Luoillo. XIX, 212, 213. NOMI ECC. [Baviera (di) Guglielmo Beccai. Delle loro differenze nello sti¬ mare il poso degli animali, VI, 676-577, 592. 593, 607. Conti di G. con quello di Abano, XIX, 180-181. E con quello di Pontocorvo, 181. Beouellini Giovanni. XIX, 441. Beoukllini Sebastiano. XIX, -141. Beokman. — V. Beeckman Isacco. Beco. IX, 86. Bedà. Sue teorie intorno al cielo, I, 40, 69. Pone il Paradiso terrestre nella luna, XI, 22. Beddolino. — V. Freddolino. Bedini Alessandro. Esprime la sua am¬ mirazione a G., XVII, 284. Brdmar (Duca di). Sua congiura coutro la Repubblica di Venezia, XII, 394. ♦Beeukman Isacco. Presta al Descartes il Dialogo , XVI, 124. Suo intervento nei negoziati con gli Stati Generali d’Olauda per la determinazione delle longitudini, 521 ; XVII, 2G, 67, 68, 109; XIX, 619, 651. Co¬ munica al Merscnne in che consistesse il trovato di G., XVII, 26, 44. Sua morte, XVII, 120. Nominato, 391; XVIII, 152. Befanata attribuita a G. IX, 24. Beleastro (Vescovo di). — V. Ricciulli Antonio. Beloorpi Lorenzo. XI, 238. Belgio. VI, 28, 412; X, 395. Belici. Loro crivello, VI, 322. ♦Bella (della) Stefano. VII, 14, 23. Bkllamera [Bellemera] Ecidio. XIX, 535. Bf.llàrino Giovanni. XIX, 227, 228. ♦Bellarmino Roberto. Gli è fatta per¬ venire da G. col mezzo di Mons. Dini la lettera al Castelli sull’ uso dello Scritture Sacre nelle questioni naturali, V, 265, 292 ; XII, 151, 162, 164, 173, 174. Sua lettera al P. Paolo A. Foscariui intorno alla mobilità della terra e stabilità del sole, V, 277; XII, 171-172. Comunicazione elio G. avrebbe vo- INDICE DEI NOMI ECC. 89 Benti voglio Guido] luto fargli pervenivo col mezzo del Dini, Y, 301 ; XII, 162, 173,174, 175, 184. Suoi scritti citati, 408, 412. Interroga i matematici del Collegio Romano intorno alle scoperte ce¬ lesti di G., XI, 87, 92-93,102, 118, 168. Rin¬ grazia G. por il suo Discorso sulle galleg¬ gianti, 337. Stima erotica l’opinione Coper¬ nicana, XII, 129, 207, 242; XIII, 203. Ra¬ gionamento da lui tenuto intorno ad essa col Card, del Monte, XII, 160, o dichiara¬ zione al Guicciardini circa G., 207. Corre voce che G. abbia abiurato in sua mano, XII, 254, 257. Intimazione da lui latta a G. d’ordine del Santo Uffizio, e dichiarazione rilasciata, 257; XIV, 389; XV, 56, 132, 171, 241 ; XIX, 278, 294, 321, 338, 339, 340, 342, 345, 346, 347, 403, 404, 412, 414, 417. Sua opinione sulla fluidità del cielo, XIII, 429- 430. Nominato, XI, 141, 470; XII, 146,155; XIX, 275, 276, 277, 278. * Bella viti Andrea iun. Sua leggerezza nel discutere intorno al moto della terra, XI, 604-605. Nominato, 590; XIX, 34. Bellaviti Andrea sen. XIX, 17, 19. Bellaviti Benedetto. XIX, 17, 19. ♦Bellaviti Tiberio. XIX, 38, 41. Bellozza di donna, ritratta dalPAriosto e dal Tasso, IX, 98s. licllicastrcnsis Dpiscopus.-V. Ric- ciulli Antonio. Bellini Gio. Battista. XII, 200, 201, 270, 271, 289. * Belloni Camillo. Raccomandato dal Gualdo, dal Liceti e dal fratello Giovanni a G. per una lettura a Pisa, X, 498, 505; XI, 42, 44, 56, 64-65, 100. Nominato, XI, 28, 165; XIX, 118, 207. ♦Belloni Giovanni. Ringrazia G. per le sue prestazioni in favore del fratello Ga- inillo, XI, 64-05. Nominato, X, 448; XI, 42, 56, 100, 117, 157, 165; XIX, 207, 208. Belloni Pietro. XVJLII, 270. Bellosguardo. Tavola dei moti medii dei Pianeti Medicei, che prende nome da esso, HI, 421, 470$, 701, 702. Villa Segni, presa in affitto da G., XII, 347, 350 ; XIX, 183, 506, 591, 625. Menzionato, HI, 714, 734, 880; XII, 296; XUI, 341, 368; XIV, 107, 116; XIX, 526. Belluno (Inquisitore di). — V. Chiodino Gio. Battista. BeXóvrj. In qual senso usato da Aristo¬ tele, IV, 235-236, 424-426, 643, 739-740. Belueodelhus. — V. Cormis (de) Luigi. ♦ Bembo Giovanni. Aspira ad esser eletto Dogo, XI, 367. Eletto, XU, 206. Nominato, XX, Suppl., 570. ♦Benoi Spinello. X, 361, 429; XI, 92, 222 . ♦Benedetti Benedetto, n, 511; X, 95. Benedetti (de 1 ) Benedetto. XIX, 209. Benedetti Eranoesoo. XIX, 35, 39, 42. Benedetti Gio. Battista. XIX, 209. Benedetti Luo’ Antonio. XIX, 520. Benedetti Sebastiano. XIX, 520. Benedetto XIV. XIX, 292. Benedettolo Francesco. Ospita il ni¬ pote di G. in Roma, XUI, 388, 422, 423, 443, 444, 446, 447. Benelli Domenico. XIX, 496. Benelli MrciiELE. XIX, 496. ♦ Benessi Pietro. XIV, 391-392, 397. Ben evieni. XIII, 348, 353, 355. Bengala. XI, 525. * Beni Paolo. Sua Anticrusca, XI, 435,436; XU, 81,118, 119. Suo commento sopra dieci canti della Gerusalemme Liberata, 81, 95, 118. Nominato, X, 291, 296 ; XI, 56 ; XII, 412; XIII, 28. Bentivouli Antioco. Discute con G. in¬ torno alle di lui scoperte celesti, XII, 99-101, 106-107. ♦Bentivoglio Alessandro. XVI, 104. * Bbntitoglio Guido. Scolaro di G. in Pa¬ dova, XIII, 341 ; no riceve un Compasso geo¬ metrico e militare ed uno da quattro punte, Voi. XX. 12 00 INDICE DEI XIX, 147. Intelligente di cose matematiche, | XIV, 392. Raccomandazioni dol Granduca presso di lui, sollecitate da G., XV, 44, 45, 48, 49, 51, 58, 74. Manifesta all’Ambascia¬ tore Niccolini il proprio interessamento por G., 95. È tra i Cardinali Inquisitori che pro¬ nunziarono o sottoscrissero la sentenza con¬ tro G., XIX, 402, 406, 413. Sue memorie aitate, 11. Nominato, 279, 280, 281, 282, 283, 284, 285. Bhhuooi Giacomo. XIX, 422. Benuooi Zknobio. XIX, 422. Benvogliati Evandro. XIX, 33. Benvogliati Uberto. XVII, 11. Bbnzio. — V. Beuci Spinello. Beolco Angelo, detto U Ruzzanti. Letto ed ammirato da G. e da altri, IX, 21 ; XI, 290, 327; XH, 70, 166, 404; XIX, 645. Beozia. HI, 390. * Bbrardi Antonio Maria. XVIII, 321, 392, 341-342. Berardi Cristoforo. XIX, 485. Bbrardi Niccolò. XIX, 485. Berg di Norvegia. Suo clima,H, 245. * Berigaiìd Claudio. Sue Dubitationes circa il Dialogo, XV, 273, 284; XVI, 118, 169; XVIII, 430. Bkrindelli Gismondo. XIX, 91. Berlinghiebi Lmabbtta nei Galilei. — V. Galilei Berlinghieri Elisabetta. Berlinzone Rocco. Suoi carteggi o di¬ spute col Sagredo, X, 203, 262; XII, 454, 458. Nominato, XI, 172, 255; XII, 51, 246, 335, 455. Berna o Bersi no. XV, 318, 322. Bernardi Antonio [Mirandolano]. Del mondo e del cielo, 1, 20, 76, 77, 105. Bernardi ( 8 ig. r ). XI, 523. Bernardo. Servo di G. XII, 55. Bernardo (S.). XIX, 298. * Bernegger Mattia. Sua traduzione latina del Compasso geometrico e militare di G., II, 340; XI, 423, 586; XY, 236, 243, 255, 299; NOMI ECO. [Benucci Giacomo XVI, 15, 412, 415, 451, 455, 483, 486; XVII, 76, 109,126, 265, 364; XIX, 608. Traduzione latina della lettera di G. a Madama Cristina procuratagli dal Diodati, XVI, 168, e, pub¬ blicata per sua cura, Y, 271-275; XVI, 194 212, 213, 306-307, 366-367, 379, 389, 409, 415 ’ 434, 444, 445, 451, 455, 474; XVII, 41,51, 85 ! Si procura un esemplare del Dialogo, e ma¬ nifesta al Diodati 1’ intenzione di voltarlo in latino, XY, 206. Lo riceve, 0 si propone di occuparsi subito nella traduzione di esso, 218, 235, 243-244, 262, 264, 299, 314. Avvisa ai mezzi di procurarne la stampa, 349-350, La voce della intrapresa versione giunge al Peiresc, XYI, 15, ed al GasBendi, 20. Rag. gunglia gli amici e corrispondenti intorno al progresso del lavoro, 24, 26, 52, 54, 69, 99,101, 10-4, 131, 143, 160-161, 168,177,182, 196, 197, 204, 207, 211-212, 213. Si propone di trarrò dal testo della proibizione materia per la prefazione, 4L G. gli esprimo la propria gratitudine per l’opera intrapresa 82, 111-112. Dubbii da lui proposti allo Schickhardt ed al Liugolsheim circa la più opportuna interpretazione di alcune parole del Dialogo, 52, 62-63, 105, 108, 160. 11 Dio¬ dati gli manda la traduzione da lui fatta della Lettera del Foscnrini per aggiungerla u quella del Dialogo , 0 vicende della stampa, 101, 112-113, 177, 233. Annunzia il compi¬ mento della traduzione, 233, 238, 240, 258; e della stampa, 263, 264,265, 272. Ne accom¬ pagna esemplari in carta distinta al Diodati, 280, 287, 292. Particolari relativi alla diffu¬ sione dell’opera, 293, 308-309, 318, 361, 409, 413, 415, 454 ; XY1I, 12. Col mezzo dello Steinbergor ne fa pervenire un esemplare a G., XYI, 457. Un esemplare ne è trasmesso dal Diodati al Peiresc, 297. Raccomanda Wolfango Leonardo Wolser al Diodati, 271. Esprime al Diodati il desiderio di avere un telescopio, 258,367. Tale desiderio è comuni¬ cato dallo Schoror a G., 394-395. Il quale si Bicchiere] INDICE DEI mostra disposto a sodisfarlo, 448,451 ; e ne fa, trasmettere le lenti col mezzo dell’ Elzeviro, 453, 458, 474, 486, 490. Egli lo ringrazia, XVII, 22-23, ed esprime al Diodati il dubbio che siano state cambiate, 23, 55; e di nuovo chiede la funicella che indicava la lunghezza del cannone, 358. Accusa lo Scheiner d’aver provocata la persecuzione contro G., 365. Riceve col mezzo del Diodati un esemplare delle Nuove Scienze, XVIII, 23. E ne scrive all’Hofmann, 31-32. Nominato, V, 274; VH, 9; VITI, 11, 16; XVI, 60, 62, 68, 70, 71, 77, 89, 103, 121, 176, 194, 249, 256, 375, 376, 392, 410, 457, 491,492; XVII, 18; XVIII, 309, 433 ; XIX, 618. — V. Engelcke Benia¬ mino. Derni Franoesco. Sue lodi piacevoli cal¬ zano in lodare soggetti magrissimi, IV, 446. La lettura ne viene consigliata per isvago dal Sagrodo a G., XII, 156. Citato dal Ue- nieri, XVIII, 145. G. n’avea gran parte a mente, XIX, 627, e ne gustava i Capitoli, (544. Nominato, VI, 330; IX, 23, 24, G5; XIV, 296; XVI, 75, 351. * Bertàzzoli Gabriele. Sue opinioni in materia d’idraulica, esaminate da G., VI, 617-618, G55-658. Berthold Gherardo. Suo scritto citato, V, 10. Berti Domenico. Suoi scritti citati, I, 9; V, 14, 16, 264, 277; VII, 7; XI, 22; XII, 128; XIX, 273, 298, 373, 397. Bertini Francesco. XIX, 33, 37, 40. B retini Romolo. IX, 23, 24. Bkrtino. XV, 97. Bkrtizzolo. — V. Bertàzzoli Gabriele. Bertoldo. IX, 71, 88, 145. Bertolucci. — V. Bartoluzzi Giovanni. Bertrando Niccolò. XIX, 536. Bertucci Roberto. XIX, 216. Berzighelh Camillo. XIX, 253. Berziomelli Giovanni. XIX, 253. Besanzone. XII, 371; XIX, 64. NOMI ECO. 01 Desolo Gio. Giorgio. XV, 286. Besozzi Bernardo. XIX, 290. Bessarione Giovanni. Ili, 377. * Bbtuungs (de) Filippo. XIY, 109. Bettoli Guido. Interroga il Grienbergor e Margherita Sarrocchi intorno alla verità delle scoperte celesti annunziato da XI, 119-121, 177, 206. * Bevkren (van) Cornelio. XVII, 222. •Bevilacqua Boniitacio. Dal Cesi gli è fatto omaggio di un esemplare delle Lettere sulle macchie solari, XI, 599. Bbzzini Benizzi Bartolomeo. XIX, 485. Bezzini Benizzi Francesco. XIX, 185. Biagi Guido. IX, 10. Biagtni Antonio. XIX, 496. Biagint Bernardo. XHX, 494, 490. Biagio (S.). IX, 94. * Bianoani Giuseppe. Parte da lui avuta nel cosiddetto Problema di Mantova , XI, 126-127, 130-131, 179-180, 188, 200, 273. At¬ tribuisce allo Scheiner la scoperta delle mac¬ chie solari, 509. Nominato, Vili, 165; XI, 462; XIII, 314. •Bianchetti Lorenzo. Osserva con G. in Roma le macchie solari, V, 82. Bianchi Antonio Maria. XIX, 577. Bianchi Riccardo. — V. White Riccardo. Bianchini Camillo. XIX, 209. Bianco (del) Domenico. XIX, 438, 440. Bianco (del) Marco. XIX, 438, 440. Bianco. Differente assorbimento di ca¬ lore in confronto col nero, indagato dal Ca¬ stelli, XTH, 121$, 134, 151$, 157s, 186. Bibbia. — V. Sacra Scrittura. Bicchiere. Rivolto con la bocca ingiù nell’acqua e poi ritirato, solleva una palla di cera in essa immersa, IV, 102. Di vetro sot¬ tile e pulito, trema e risuona, se appressato ad una corda grossa d’una viola toccata ga¬ gliardamente con l’archetto, Vili, 142. Suono clie manda, quando contenga dell’acqua e se ne freghi l’orlo col polpastrello del dito, INDICE DEI NOMI ECC. 92 14-2. Graduato a dimostrare i gradi dot caldo e dol freddo delle bevande, XIII, 363, 368, 380. ♦Biohi Alessandro. Tratta in favore di G. col Oard. F. Barberini, XV, 165. Nunzio apostolico in Francia, vi divulga la sentenza contro G., 244; XIX, 380. Nominato, XVI, 5.29: XVII, 58, 383; XVIII, 84, 109. * Biohi Celio. XVII, 383. ♦Btohi Vincenzio. XVI, 496. * Bininoli Giacomo. XIX, 54-1, 545, 546. Bigazzi Pietro. Lettere di G. o del Ke¬ plero da lui edite, XI, 89. Bilanoetta. Scrittura di G. intorno ad essa, I, 209-220, 379; XIX, 605. Bilancia. Teoremi ad ossa rolativi, I, 187s, 216, 257, 274, 299 ; II, 1635. Diminu¬ zioni di peso da esBa non avvertite, VI, 332s, 477. A braccia eguali e diseguali, VII, 240s, 727; VIH, 333s ; XI, 18. Usata da G. nelle esperienze sulla forza della per¬ cossa, VID, 323. * Bimbaooi Gio. Paolo. Opina che G. aveva facoltà giuridica di testare, XVJII, 383. * Bimjjiolo Annidale. Ricorsi di G. contro di lui, X, 236-237, 261-265. Nominato, 113; XIX, 118. * Binau (de) Rodolfo. Visita con Tobia Adami G., e ne frequenta la casa, XI, 539; XH, 352. Blndi Bindo. XIX, 522, 529. Dindi Lorenzo. XIX, 462, 464. * Dindi Santi. XIV, 399; XV, 323; XIX, 522, 529, 530, 531. Dindoni Gaspare. Frode da lui tentata a danno del Magi ni, XI, 259-260. ♦Bini (Sig. ri ). Proprietari della villa del Gioiello, XV, 205, 222, 323. Bini Lorenzo. XV, 109, 119; XVII, 86. * Bini Martellio Ginevra. XV, 109 ; XVII, 86. Binoccolo. Costruito da Ottavio Pisani, XI, 565; XII, 87. Voce corsa sulla iuven- [Biohi Alessandro sione fattane in Olanda, XI, 595. Applicato dal Castelli per misurare lo distanze, XII, 319. Bipedi. Come camminino, Vin, 612. ♦Dirado Sarkocohi Margherita. Disce¬ pola ed amica del Valerio, fa chiedere col mezzo di questo a G., se abbia letti i canti della sua Scandcrbdde, dati allo stampe X, 2-11, e gliene fa annunziare l’invio, 245, 246. Ringrazia G. del giudizio dato intorno allo stile del suo poema, o della diligenza elio si propone di usare sopra ogni parte ili osso, 249: gli chiedo elio voglia rivederlo, XI, 163-161, 206, 218, 222, 232, e glielo invia manoscritto, 256, 261-262 ; G. però se ne esime, 265, cd essa se lo fa rimandare, 324. Crede che vorrà grande utilità ai giudizi astrologhi dalla scoperta doi Pianeti Me¬ dicei, 37. Sostiene le parti di G. nello oppo¬ sizioni mossegli dallo Studio di Perugia, XI, 166,177-178,206-207,218, 223. Ricove da G. il Discorso sulle galleggianti, 324, 380, e logge lo Lettere sullo macchie solari, 560. Rimane vedova, 560. Nominata, X, 362, 435, 452; XI, 176, 218, 281, 286, 369, 387. * Birè Giovanni. XVI, 317, 318, 320. Direno. IX, 78, 159. Bircio Giusto. — V. Biirgi Giusto. Bisaooioni Maiolino. XIX, 415. Discaglia (di) Odorigo. IX, 161. Bisenzio. Incarico conferito a G. di esa¬ minare le proposte fatto per rimediare alle inondazioni di esso e di riferire, VI, 615; XIX, 503-505. Lettera di G. allo Staccoli, 11, 627-047, e appunti e frammenti ad essa at¬ tenenti, 619-625. Parere di G. intorno ad al¬ cuni provvedimenti relativi ad esso e ad altri corsi d’acqua del piano dell’Ormannoro, 649-650. Menzionato, XIV, 126, 183, 186, 189, 191, 193, 198, 20-1, 243, 247, 256, 269, 277. ♦ Bissaro Maro’Antonio. Si rallegra con G. per la sua andata a Padova e per il prin- INDICE DEI NOMI ECC. 93 Bocchi neri Geri| cipio onoratissimo dato alla sua lettura, X, 51-62. Nominato, 30. Bistonio [Pistonio] (stagno). IY, 851, 620. Bitinia. YI, 386; XIII, 41. * Bla eu Guglielmo. Favorevole al disegno di chiamaro G. ad Amsterdam, XYI, 288. Eletto.dagli Stati Generali d’Olanda a com¬ missario per l’esame della proposta di G. circa la determinazione delle longitudini, 521, 528; XVII, 105, 118; XIX, 538, 619, 651. Suoi dubbi e giudizi intorno ad essa, XVII, 19. G. li risolve in una lettera al Realio, 105. Sua morto, XVIH, 117, 152. Nominato, XI, 449; XYII, 392. Blkmmidà. IY, 231. Blbs. — V. Plesoh Massimdiano. * Boato Giovanni. XII, 421 ; XITI, 15. Bocca Antonino. XIX, 21. Bocca Giuseppe. Affitta a Vincenzio Ga¬ lilei sen. una casa in Pisa, XIX, 21. Let¬ tore nello Studio di Pisa, XIX, 32, 37, 40. * Bocoabblla Alessandro, Assessore, Con¬ sultore e Sostituto fiscale del Sant’ Uffizio. Pratiche fatte presso di lui dall’Ambascia¬ tore Niecolini in favore di G., XIY, 427, 428, 429, 431, 432, 436, 438, 439, 443, 444; XV, 20, 28, 40. Nominato, XIX, 279, 280, 281, 282. Boccaccio Giovanni. Sue Novelle citate, IY, 403, 470-171. Invettiva di P. Beni contro di lui, XI, 435. Licenza di leggerlo e tenerlo, chiesta da G. B. Amadori, XYTII, 415. No¬ minato, X, 442. * Bocoalini Traiano. Suoi Ragguagli di Parnaso citati, XIII, 71. Suoi Avvisi di Parnaso proibiti, XIX, 415. Nominato, XI, 504, 527. Booom Francesco. Suoi Elogi, XI, 436. Booohinkri (Sig. rl ). XIY, 218; XY, 38, 39, 45, 54, 118; XIX, 449. Bocoiiinbui Alessandra nei Buonamioi. — V. Bnonamici Bocchineri Alessandra. * Bocjohinbut Alessandro. A G. in viaggio per Roma manda commendatizie del Card. Carlo de’ Medici, XY, 31, 32, 33. Interme¬ diario del carteggio di G. con la figlia, 32, 33, 42. Trasmetto per conto del fratello Geri denari a G. in Siena, 272, 275, 289. Si ado¬ pera in favore del cognato Vincenzio Galilei, 330,334; XYI, 44. Rende a G. le scritture asportate dal Gioiello durante il processo, XV, 364-365. Procuratore por l’acquisto delle case sulla Costa di S. Giorgio, XYI, 156; XIX, 493, 494, 497. Intermediario della cor¬ rispondenza di G. col Micanzio, XVI, 453, 454; XYII, 112. Nominato, XIV, 106, 109, 174; XY, 22, 43, 46, 48, 50, 58, 63, 65, 75, 81, 105,133, 142,170, 177, 197, 198, 220, 311, 341; XYI, 43, 86, 97, 98, 106, 156, 157; XIX, 449, 455. * Bocohtnert Antonino. XV, 87, 151. * Boooitinkri Asoanio. XY, 102,157; XIX, 455, 456. * Bocofiinrrt Benedetto. Manda condo¬ glianze a G. per l’esito del Processo, XY, 208. Suoi interessi con G., 335; XYI, 155- 157. Nominato, XIY, 132; XY, 173, 177, 180, 197, 198, 207; XIX, 455, 456. * Booouinbri Carlo di Geri. Invita G. a Prato, ad assistere al matrimonio del figliuolo di lui, XIY, 20. Nominato, 38, 41, 52, 73, 106; XIX, 431, 433, 442, 455, 478, 479, 491. * Booohtnert Carlo di Gherardo. XIX, 478. * Bocohineki FiLirro. XY, 48; XIX, 455, 456. *Booooineri Gerì di Carlo, imi. Invia a G. commendatizie della Corte toscana per l’Ambasciatore a Roma, XIY, 96, e lo informa di coso familiari, 98-99, 105-106. Si conduole con lui per il malore dal quale fu colto in Roma, 109. Si adopera por far conseguire a G. un luogo di Collegio, 118, 119. Ed a Vincenzio, suo cognato, la cancelleria di Fucecchio, 270. Mette la casa della Costa di S. Giorgio a completa disposizione di G., 94 INDICE DEI NOMI ECC. 320. Usa di tutta la sua influenza alla Corto por favorire G. durante il Processo, X^ , 2-, 31, 33, 36, 37, 46, 47, 62, 74, 81, 97, 116. Intermediario della corrispondenza con ì figliuoli, 42-43, 50-51,75, 80, 81, 89, 91, 98, 101, 102, 105, 108, 110, 118, 125, 127, 129, 148, 167, 172, 189, 194, 195, 200, 228, 306, 310, 316, 329, 332, 348, 350. Informazioni chesul proprio conto gli manda G. da Poma, 50-51, 58-59, 62-63, 88-89, 101, e da Siena, 198, 346. Lo conforta nell’occasione in cui fu trattenuto al Santo Uffizio, 86-87. Gli manda informazioni sulla salute pubblica in Firenze, 102, 106, 107, 118, 125, 127, 133, 142, 145, 151, 102, 177, 179, 204, 220, 226, 264, 295. Informa Suor Maria Celeste o Vinoenzio dell’infelice esito del Processo, 167, 238. Manda a G. una cifra per la cor¬ rispondenza, 173, 177, 207. Con l’Aggionti asporta dal Gioiello alcune scritture, 179, 361-365. Raccomanda a G. il proprio modico per un favore da impetrarsi dall’Arcivescovo di Siena, 180, 186, 197, 199, 207, 220. Pro¬ cura a G. i vetri dell’ occhiale del Granduca chiesti a prestito, 180,186,197,199, 201, 207; XYI, 85. Propone e tratta l’acquisto delle case sulla Costa di S. Giorgio, XV, 177, 190- 197,199, 204, 209-210, 211,220, 221, 255, 285 ; XYI, 93, 95, 97, 98, 106; XIX, 584. Si ado¬ pera perchè G. possa essere abilitato al ri¬ torno in Arcetri, XY, 199, 204, 220, 327- 328, e gli annunzia la grazia conseguita, 350. Consiglia G. a mostrarsi mortificato per la condanna, XY, 265. Reduce da Poppi, gli manda notizie della famiglia del figliuolo Vincenzio, ed in particolare dei nipotini, 287, 295. Intermediario del carteggio col Micanzio, 311; XYI, 48, 105, 128, 136, 139, 411,448, 483; XYII, 332; XYIU, 75. Riporta a G. le lagnanze del Magistrato dei Nove sul conto di Vincenzio Galilei, e glielo rac¬ comanda, XY, 329-330, 334, 347-348; XYI, 44, 84, 86. Procura a G. del vino dalla Corte, [Rocchineri Gerì 33, 36, d7, 43, 45, 46, 47, 48, 97. Si conduole con G. per la grave malattia di Suor Maria Celeste, 57, 73. Si adopera por la completa liberazione di G., 74. G. sfoga con lui l a sua tristezza dopo la morte di Suor Maria Celeste, 85. Liquidazione di conti con G., 155-157. Imprestilo fatto da G. a lui ed ai fratelli, XIX, 450, 455, 456. Nominato, TII, 5, 7; XIY, 218, 237, 248, 258, 305, XV, 21, 48, 49, 57, 05, 76, 84, 99, 100, 104,116,120, 136, 137, 145, 148, 166, 169, 170, 182, 187* 202, 205, 208, 230, 237, 260, 269, 275, 285^ 302, 303, 316, 318, 322, 831, 383, 841, 352 \ XYI, 26,41, 90, 100, 192; XYIU, 126, 434; XIX, 449, 578. BoconiNKm Gerì di Carlo, sen. XIX, 478. B occhine ri Lodovico. XIV, 106, 109. Rocchineri Sestili a nei Galilei. — F. Galilei Rocchineri Sestilia. Boooiiinkri Gatteschi Polissena. Si con¬ duole con G. per l’infelice esito del processo, XV, 207-208. Nominata, XIY, 86, 106,132; XYI, 42. Roccia di vetro. Con quale artifizio possa dare idea della formazione delle come¬ te, VI, 290-291, 437. Rodier. XY, 141. Boemia, m, 23, 68, 327. Bokmondo. IX, 65, 128. Boezio Severino. Y, 325; IX, 291; XI, 541. Bohus, castello della Norvegia. Suo clima, II, 2-44. * Boiardi Paolo Emilio. Ragguaglia il Duca di Modena sulla proposta fatta da G. alla Spagna per la determinazione delle lon¬ gitudini, XIII, 92. Boia Paolo. Osserva col Capra la nuova stella del 1604, U, 300. Boissonade Gio. Francesco. XY, 62. Bolide caduto nelle vicinanze di Firenze, XI, 562. INDICE DEI NOMI ECC. 95 Boni Giovanni] Bollogni (di) Raffaello, Vescovo di Bi¬ gnè. XV, 87. Bologna. G. è proposto per una lettura matematica in quello Studio, X, 20. Per ciò è raccomandato dal Card. Enrico Caetani, 20-27; istanza relativa, XIX, 30, e pratiche di Guidobaldo del Monte, X, 43. Osserva¬ zioni fatte quivi da G., Ili, 142; X, 342-343. Successione del Magini nella lettura offerta a G., XII, 302; vi aspira il Cavalieri e, con l’aiuto di G. e di altri, vi è eletto, XIII, 455-450 ; XJV, 58. Osservazioni sul gnomone di S. Petronio, VII, 487 ; XIV, 225-227, 203, 265, 275, 279-280, 294. — V. Pietra luci¬ fera. Bologna (Città). S. Domenico, XII, 127; XIV, 330. — S. Petronio, 225, 227, 283, 294, 300. — S. Silvestro, XIX, 270, 271. — SS. Niccolò e Felice, 271. — Palazzo Caprara, III, 142 ; X, 358, 408. — Palazzo Pretorio, XIX, 271. Bologna (Legato di). XIV, 398. * Bolognetti Giorgio. È informato dal Card. F. Barberini delle disposizioni prese rolativamente al Dialogo e per intimare a G. di presentarsi al Sant’ Uffizio, XIV, 397-400; e gli annunzia la partenza di G. per lloma, XV, 27. Riceve da Roma la sen¬ tenza ed abiura di G., XV, 216; XIX, 3G6. E lo dà diffusione, XV, 242, 249, 260; XIX, 371-372. Annunzia la morte di G., XVIII, 378. Nominato, XV, 11, 30; XYUI, 380. Bolognini Camillo. X, 20. Bolzetta Antonio, speziale all’Angelo in Padova. XVJttl, 49, 53. Bolzetta Francesco. X, 449 ; XIX, 170. * Bombini Paolo. Comunica a G. il trovato del Borro per la determinazione delle longi¬ tudini, XIV, 137-139. Bombino (Padre). XV, 41. *Bon Niccolò. Ili, 58; XIX, 228. Bona. X, 181. Bonamioo. — V. Buonawici Francesco. Bonaventura Filippo. XIX, 33, 37, 40. Bonaventura (S.). Sue opinioni sul mondo o sui cieli, I, 34, 57, 76, 105. E sopra gli ele¬ menti, 146. Bonazzà, X, 41 ; XIX, 56. Bonazzini Michele. XIX, 449, 450, 452. *Bonciani Francesco, Arciv. di Pisa. È fa¬ vorevole all’Accademico Incognito nellaque- stione delle galleggianti, XI, 410. Manda a Roma le scritture di Lodovico delle Colombe intorno allo stesso argomento, 502. Riceve amorevolmente il Castelli in Pisa, XII, 24, si lascia da lui convincere della verità dei Pianeti Medicei,39; malo esorta a non trat¬ tare del moto della terra nelle sue lezioui, 153-154, 158. Tenta inutilmente di procu¬ rarsi la lettera di G. al Castelli intorno al- l’usodello Scritture Sacre nelle cose naturali, 152, 154, 158, 101,164; XIX, 306, 307, 311, 312. 11 Castelli però gliene dà lettura, senza lasciarsela uscire dalle mani, XII, 105. Bonoiani Francesco (Sig. r ). XIX, 72. Bonoomtagni Baldassarre. Il, 9, 154; VII, 4, 17; VIH, 627; X, 252, 508; XI, 303; XJT, 78; XIH, 88; XIV, 213, 244; XV, 309; XVI, 513; xvn, 405; XVIII, 89. * Bonoomtagni Francesco. Gli è dedicata dal Grassi la Bullo pondcnm librae et sim- bellae, VI, 18, 377; XIH, 340. Conosciuto in Roma da G., 182. E dal Castelli, 324. No¬ minato, 82. * Boncompagni Gregorio. XIII, 324. BoNKom Domenico. XIX, 423. Bonelli Angelo. Gli è dedicato da G. un esemplare del Saggiatore , VI, 15. Nominato, XIX, 84. * Bonelli Michele, detto il Cardinale Alessandrino. XH, 130. BoNFAnro. XIII, 10. Bonguglielmi Ilarione. XVII, 34, 35. Bonguqliklmi Sallustio. XVI, 201, 250. * Boni Giovanni. Favorisce l’insegnamento matematico del Castelli al Principe 1). Lo- 96 ronzo de’Medici, XD, 372,373. Conservatore dell’Arohivio dei Contratti, XIX, 441. Bonifacio. A nomo dei suoi compagni della tipografia Buglioni in Venezia indirizza un sonetto di ringraziamento a G., XIX, 576. * Bonifacio Baipassare. Lettore nello Stu¬ dio di Padova, eletto, XIII, 16. Non ac¬ cetta, 28. Boninsegna [Boninskoni] Tommaso. XIX, 42. * Bonnaire (de) Lodovioo. XIV, 170; XVI, 28. * Bonsi Domenico. Latore della proposta di G. al Conte di l.emoB per la determina¬ zione delle longitudini, XII, 295. Incita G. all’osservazione della cometa, XII, 428. No¬ minato, XI, 486; XII, 231, 265, 290. ♦Bonsi Francesco. XIV, 119. * Bonsi Gio. Battista. Attesta la sua defe¬ renza per G., XH, 297. Nominato, XI, 173, 174; XII, 231, 205, 295; XIX, 277, 279, 295, 338. Bonsi Lelio. IX, 9. * Bonsi Pietro Paolo. XIX, 444. Bontalenti Franoesoo. XIV, 141, 142, 153, 167. Bontkmpi Antonio. Sue relazioni con Ot¬ tavio Pisani, XI, 547, 579, 580, 592, 609. Intermediario tra questo e G., XII, 86, 148. Testimonio al primo testamento di G., XIX, 520. Boote. VI, 31; X, 412; XH, 433. Bokuone (famiglia). X, 381. Bordelot. — V. Michon Pietro. * Borekl Guglielmo. Assumo di trattare per il conferimento d’una lettura a G. in Am¬ sterdam, e per far accettare la sua proposta sulla determinazione delle longitudini, XVI, 358. Eletto ambasciatore degli Stati Gene¬ rali alla Repubblica Veneta, XVD, 21, 85. Presenta la proposta agli Stati Generali, 47. Sua partecipazione alle trattative, 222, 266; [ Bonifacio XVIII, 176, 181, 183, 204; XIX, 547, 620 654. * * Borii. Pietro. Suo De vero tclcacopH inventore, XVI, 468. Nominato, XVIII, 182. * Sorelli Gì... Alfonso. Sue Theoricae Medie eorum Planetarum, ID, 416. Suo libro De vi perciueionis, Vili, 28. Discepolo del Castelli, XVI, 140. Proposto a G. dal Ca¬ stelli per la lettura matematica di Pisa XYUI, 189, 197. Bokohkrini. Loro palazzo in Firenze, usato per le quarantene, XY, 231. * Bohiìhmk Pietri. Maria. XVI, 496. * Borghese -Scipione. Riceve un cannoc- ciiiale dalla Fiandra, X, 266. Desidera averne uno da G., 368. la» riceve e ne lo ringrazia, 382, 3-3, ricambiandolo con una catena d’oro, 385. Rodolfo li si duole ch’egli abbia avuto il cannocchiale a sò destinato, 120. Riceve atfettuosaineute G., XI, 92. Fa dipingerò dal Cigoli una sua loggutta a Monte Cavallo, 168, 229, 318, 475. Gli è raccomanduto G. dal Granduca, XII, 203-206, 231, 235, 236. Sua morte, XV, 283. Nominato, XI, 260,377, 424; XII, 238; XIII, 461 ; XJV, 400; XYUi, 115, 415. Borghesi (famiglia). XI, 377; XIII, 461. Borghi Giulio. XIX, 211. ♦Borghi Pur Battista. Scolaro del Ca¬ stelli in Pisa, XVI, 75. Suo De bello succico, 75, 87, 122, 166, 276. Visita G. e ne è amo- rovoluiento accolto, 179. Gli manda alcuni libri di astronomia, 186, 192, 198, 207,217, 275. Gli comunica notizie del Castelli, 191- 192, 198,208, 217; XVII, 240. Accompagna il Chiaravilla a G., XVI, 380-381, intorno al quale fornisco informazioni, 407. Si ri¬ corda a lui affettuosamente, XVII, 239-240. Si couduole con G. per la cecità e gli sug¬ gerisce di seguire il parere del 'frullio, 263- 264,285. Gli manda il consulto di questo, 298; XIX, 552. v. servo di intermediario nei par¬ ticolari a ciò concernenti, XVII, 319*320, INDICE DEI NOMI KCC. Botti Cristoforo] INDICE DEI NOMI ECO. 97 339-340, 344, 349; XYHI, 14, 20. Nominato, Vffl, 13; XTI, 92, 166, 418; XVII, 259, 309, 314, 345, 350, 353, 3G0, 361, 414; XVIII, lo, 23, 81, 86, 110, 216, 220. Borghini Vincenzo. IX, 8. * Borgia Gaspare. Parte da lui presa nella proposta di G. alla Spagna per la deter¬ minazione delle longitudini, XII, 295, 327, 328, 364; XIII, 34, 38, 39. L’ambasciatore Niccolini chiede alla Corte una commenda¬ tizia a lui in favore di G., XV, 74. È tra i Cardinali in nome dei quali venne pronun¬ ziata la sentenza contro G., ma clic non la sottoscrissero, XIX, 402, 413. Nominato, XH, 214; XIII, 22, 24, 25, 35, 51 ; XIV, 53; XIX, 279, 286. Borgo (dal) Aurelio. XIX, 237, 245,263. Borgo (dal) Monsignore. X, 475; XI, 176, 502. ■“Borgo (del) Esaù. Parte da lui avuta nel compiacere il Re di Spagna, che desiderava un cannocchiale di G., XIV, 73, 91-92, 99, 106-107, 117, 120, 123. Il cannocchiale ar¬ riva a Madrid, 140; se ne rompe una lento con grave dispiacere del Re, 115-147, 150, 165, 208, 260. Nominato, 74, 93. Boriatene. V, 392. ■“Borri Cristoforo. Suo metodo per la determinazione delle longitudini, XIV, 74, 137-139. * Borri Girolamo. Sue ricerche sul moto dei gravi, I, 333, 367. Sue idee sul flusso e reflusso del mare, VII, 446, 499. Lcttoro nello Studio di Pisa, XIX, 34. Borromeo (S.) Carlo. XII, 357. ♦Borromeo Federigo. Sua testimonianza in materia delle macchie solari addotta dallo Scheiner, V, 62. È visitato dal Oiampoli, XI, 320. Il D’Elei gli fa omaggio delle sue Con¬ siderazioni a proposito dello galleggianti, 384. Scolaro del Papazzoni in Bologna, 454. Riceve da G. le Lettere Bulle macchie solari e ne lo ringrazia, 498, 511. Riceve dal Faber comunicazione dello nuove os¬ servazioni di G. intorno a Saturno, XH, 275-276, 283-284. Attesta a G. la sua stima, gli raccomanda il Cavalieri, 320 ; e gli fa chieder nota delle opere da lui pubblicale, 332. Carteggio relativo ad alcuni dubbi da lui manifestati circa gli effetti del telescopio, 357, 364-365. G. gli manda il Discorso del Guiducci, 462, e uè è ringraziato, 467-468, 472.11 Cavalieri vuol essergli raccomandato da G., XHI, 40, 61. Riceve da G. il Saggia¬ tore e lo ringrazia, 148,155. Nominato, XII, 362, 388, 409-410, 470; XIII, 54, 346, 352. Boesa Sebastiano. Inquisitore di Novara, divulga nella sua giurisdizione la sentenza e l’abiura di G., XV, 305, 316; XIX, 387, 388. BoRSACorn Camillo. Partecipa a G. la grande stima nella quale lo ha il Cardinale di Joyeuse, XI, 137. Borsati Francesco. Suoi Consilia citati, XIX, 562. Portola. X, 196. Bortolo. Occhialaio in Bologna, X, 446. Bortoluooi. — V. Bartoluzzi Giovanili. * Bosoagli Cosimo. Discute col Castelli, alla presenza della Corte in Pisa, sui rapporti fra il sistema copernicano o le Scritture Sa¬ cre, V, 264; XI, 605-606; XII, 49. Boschi. — V. Bramanti Boschi. ■“ Boschi Alessandro, Vescovo di Geraco. VI, 200. Boscoli Maria Silvia. XV, 307, 315, 332. Bosforo. V, 392; VII, 460, 461. Bosmans Enrico. XVI, 121. Bossi Gio. Stefano. Raccomandato da G. al Keplero, XIII, 374-375. * Boswel Guglielmo. XIX, 203. Boterò Giovanni. Sua osservazione d’un fenomeno meteorico nel mar Pacifico, XII, 217, 219. Botio Tommaso. — V. Bovio Tommaso. Botti Cristoforo. XIX, 8, 454, 582. Voi. xx. 13 98 Botti Gio. Battista. XIX, 454, 582. ♦Botti Matteo. Comunica al Vinta il de¬ siderio che la Regina di Francia aveva d’un cannocchiale di G., X, 392. E no è com¬ piaciuta, 433; XI, 173, 174. Nominato, X, 430; XII, 120. Botitoli Filippo. XIX, 91. Bottigli Salykstrò. XIX, 91. ♦Bottini Gio. Battista. XII, 112, 114 Bottoni Alberti no. XIX, 118. * Bottrigari Èrcole. Ili, 196; XI, 20, 299; XIV, 283. ♦Bououard Gio. Giacomo. Visita G. in Roma durante il Processo e ne manda no¬ tizie in Francia, XV, 159. No partecipa la condanna al Micanzio, 166. Informa G. delle lodi elio in Francia vengono tributate ni Dialoga, e di qualche dubbio sollevato circa la giornata quarta, 251-252. Gli domanda come potrebbe procurarsene esemplari, gli comunica lettere del Gassendi e del Peiresc, o gli dà notizia dell’orologio a radica del P. Kircher, XVI, 63-64. Presenta a G. il Biré, 320. Sue parole di elogio a G., inserite nella commemorazione del Peiresc, XVII, 255, can¬ cellate dalla censura, 299, 367. Si procura notizie intorno alla vita di G., XVIII, 45, 101-102. Nominato, XV, 355; XVI, 28, 32, 91, 147. * Boulancer Giovanni. XYI, 310. * Boulliau Ismaele. Sue apprensioni e giu¬ dizio intorno al processo di G., XV, 161. Manda a G. il suo De natura lucis, XVII, 207-208, 223, 245. Ed il Filolao , XVIII, 103. 117, 128-129, 132, 133,134. Nominato, 150, 160, 210, 431 ; XIX, 647. Boyet Alfredo. X, 83. * Boyio Benedetto. Sue lezioni De comeli s nello Studio di Padova, XIII, 1G. * Boyio Tommaso. X, 219. ♦Boxhorn Marco Zuerio. XVI, 263. Bozzi Paolo. Sua Tcbaide sacra proibita, XIX, 416. [Botti dio. Battista ♦Buacci Ignazio. Proposto a Linceo,XIX, 269. Bracci (Sig. rs de’). XV, 93. Braccio. Padovano, li, 32. Toscano, 32, 102. Fiorentino, XVI, 197. Veneziano da lana e da seta, XI, 522; XIX, 587. Bradamante. IX, 14, 85, 114, 116, 117, 118, 130,152, 171, 185, 186, 188, 192; XVIII, 192. ♦ Bragadin Antonio. II, 600. ♦Braiik Giorgio. X, 147. ♦ Braiie Ottone imi. Riceve da G. un oBomplaro del Compasso o la relativa istru¬ zione, XIX, 150. ♦Braiie Ottone sen. Ili, 137, 164. ♦ Brade Sofia. X, 417. ♦ Brade Tigone. Suoi Proginmasmi citati, II, 270, 522,524, 527; HI, 164; VI, 229; VII, 400; X, 119; XII, 486. Osservazioni e calcoli sulla nuova stella del 1572, II, 270, 280, 281, 283, 284,294, 528; VII, 307, 319-329, 336, 311, 523, 524, 526, 528, 529, 530, 532, 533, 536, 537 ; X, 119. Suoi strumenti astro¬ nomici, II, 301; III, 111, 137, 162,163; VI, 31,553; VII, 114; Vili, 453; XVI,336; XVIII, 94, 99. E sua eccellenza nelPosservare, III, 112,137,165,166,177,197, 238, 296; XI, 533. Simon Mario si dichiara suo scolaro, II, 521, 527. Gli è attribuita la invenzione del Com¬ passo, II, 594; X, 370. Opina che le comete o le nuove stello siano formazioni della Via Lattea, III, 119; X, 331. Che cosa pensasse dolla possibilità di abitatori in Giove, III, 122; X, 837. Suo osservazioni sopra gli orbi ed i moti di Marte, di Venere e della terra, UI, 125,196; V, 69; VI, 533; X, 340 XII, 487. E sulla grandezza del diametro di Venero, V, 46. Sistema del mondo da lui escogitato, III, 219; >1, 232; TU, 564; X, 80; XII, 21, 35; XIV, 49: vi inclina il P. Niccolò Riccardi, XIV, 381. Sue Epistolae astronomicae citate, V, 401, 406, 407, 408, 409, 410; VII, 11; X, 79. Suoi studi ed oa- INDICE DEI NOMI HOC. Bronconi Otfcavio] INDICE DEI servazioni sulle comete, VI, 04-65, 86-89, 92-93, 102-105, 135, 143, 149, 192, 231-234, 239, 242, 245, 292, 301, 312, 394-397, 400, 426; XI, 161; XH, 469; Xm, 233. Equivoco da lui preso nella interpretazione di al¬ cune proposizioni di Vitellone e di Alhazen, VI, 99.s. Non fu profondo nella geometria, 116, 230; XIV, 46. Non ha sperimentato gli effetti dei tiri d’artiglieria or verso le¬ vante ed or verso settentrione, VI, 545-547. Si pronunzia contro il moto della terra, 549, 552, 554-555; VII, 151,196, 202, 245,385, 399- 402, 550. Corruttibilità della terra ed incor¬ ruttibilità dei corpi celesti, 292. Errore da lui commesso noi computare la grandezza delle stelle, 387-389 ; XIV, 312-313, 324. Os¬ servazioni in Egitto per conto di lui, X, 53. G. V. Pinelli favorisce le relazioni tra lui e O., 53, 79. Inizia egli stesso la corri¬ spondenza con G., 79-80. Sue tavole usate da G., 226. Il Keplero giudica G. maggiore di lui, 315. Sue opere prestate da Guido Bet¬ toli al P. Grienberger, XI, 119. Solidità de¬ gli orbi celesti da lui negata, 333; XII, 21. Tavole Rodolfme computate in base alle sue osservazioni, XIV, 46, 279-280. Studiato dal Torricelli, 387. Sue osservazioni presso gli eredi del Keplero, delle quali tenta im¬ padronirsi lo Scheiner, volute dall’Impera¬ tore, XVH, 193, 278-279. Nominato, VI, 114, 118, 191, 222, 228, 278, 392, 476, 520, 524, 528, 529, 532, 534, 542; VII, 77, 272, 492, 493, 509, 514, 515, 533, 552, 553, 555, 617; rm, 161 ; X, 104, 105,117,141, 317 ; XI, 21, 24, 167,333, 366, 367, 445; XH, 21, 461, 469, 492; Xm, 208, 226, 288, 299, 301, 397, 427; XIV, 227, 280 ; XVI, 159, 169, 253, 282 ; XVH, 233; XVIII, 164, 178, 257. — V. Chia- ramonti Scipione. * Bràhk Tigone di Ticono. X, 417. Bramanti Giulio. XIX, 493. Bramanti Boschi Iacopo. Vende una casa sullaCosta a S. Giorgio a Sestilia Bocchineri NOMI ECC. 99 no’ Galilei, XV, 263 ; XIX, 437, 479,491, 492, 493, 582, 584. Bramanti Bosohi Marco. XIX, 491. * Brandkdurg (di) Gioacchino Ernesto. Gli ò dedicato dal Capra il plagio del Com¬ passo, n, 429, 511. Brandeburq (di) Marco Filippo.G. chiede ai Lincei se sia da rivolgersi a lui per pro¬ testare contro il plagio della scoperta dei Pianeti Medicei commesso dal Mayr, XIX, 267. Brandi Tirerio. Camarlingo di Livorno, XIX, 260. Brandimarte. IX, 14,19, 62, 92,116,117, 118, 120, 181, 183, 187, 190, 194. Branzardo. FX, 185. Braunmuiil (von) Antonio. V, 11. * Buratto Gio. Battista. IH, 58, 319. * Biiederode (de) Pietro Cornelio. XVI, 104, 105, 112. ♦Bkeiner Gio. Federico. Avendo udito da G. in Padova la spiegazione del Com¬ passo, gli chiede strumenti ed opere, XI, 29-30. * BiiENGGEuGTANGiORGTO.Sua testimonianza sulle macchie solari invocata dallo Scheiner, V, 62. Suoi dubbi intorno all’altezza dei monti lunari, comunicati dal Welser a G., X, 460-462, 466. Risposta di G., 466-473 ; comunicatagli dal WelBer, XI, 13. Altri ap¬ punti di G., 38-41. Sua replica, 121-125. No¬ minato, 51, 73, 127. Brenta. Effetti delle sue torbide nella Laguna di Venezia, XVIII, 337-338. Men¬ zionata, VI, 550; XVH, 42; XIX, 195. * Brhnzont Ottavio. Sua testimonianza sulle macchie solari invocata dallo Scheiner, V, 62. Comunica a G. le sue osservazioni sulla nuova stella del 1604, X, 137-141. E consulti astrologici, 152-153, 216, 224, 269, 272. Si congratula con lui por gli onori ricevuti per il cannocchiale, 269-270 e lo ringrazia per il Sidcreus Nuncius, 309. 100 INDICE DEI NOMI ECC. [Brescia Brescia (Città e territorio).Monastero eli S. Giulia, XVI, 503. — Le Casazze, XVII, 409. Brescia (da) Albertano. XI, 493. ♦Brescia (di) Costanzo. Monaco bene¬ dettino in S. Simpliciano di Milano, X, 136- 137. Scolaro di G. in Padova, XIII, 377. Brescia (violini di). XVII, 221, 230. Bresciani Benedetto. Vili, 2S. Breve instruzione all* architet¬ tura mililarc di G., II, 9-12, 15-75.— V. Fortificazioni. Brevissima Peregrinano conira Nuncium Siilercrini eco. di M. ITorky. ITI, 11, 127-145.— 7. ITorky Martino. Buiareo. IV, 318; 11, 418; IX, 240, 254, 268; XIU, 95. ♦Briggs Enrico. XJTV, 58, 59, 171. Brigida (Suor). Monaca in S. Girolamo, XJ.X, 518. Btiioida (Suor). Monaca in S. Matteo d’Arcetri, XIT, 68. Brigida. XV, 53. Brigliadoro. IX, 160. ♦Brtnox Ernesto. XIX, 204. Broooardi Alfonso. XV, 197; XVI, 106; XIX, 495, 496, 497, 498, 500, 501. Brogiotti Lorenzo. XIV, 67. Broglio. IH, 139. Brognetti (Monsignore). XIV, 15. Bromant Giovanni. XIII, 57, 66, 75. Bronsviga.— 7. Brunswich. ♦ Bronzieiio Gio. Girolamo. X, 153, 450. ♦ Bronzini [Bronzino Agnolo e Allori Cristoforo, detto il Bronzino]. IX, 23; XVI, 351. Bronzino. — 7. Allori Cristoforo. ’ Brozbiv [Brosoio] Giovanni. Manoscritto della Sfera di G. da lui posseduto, li, 207, 211. Chiede informazioni a G. intorno alle sue scoperte celesti, c lo eccita a dar in luce il suo lavoro snl sistema del mondo, XIII, 64-65. Bitozzi (da) Francesco. Navicellaio, XIII, 418. Buozzi (da) Iacopo. XIII, 418. Brozzolo Sartorio. XIX, 169. Bruano Giovanni. XVI, 373. Bruoe Edmondo. Suo opinioni sulla plu¬ ralità dei mondi, III, 106, 162; X, 321. Sua dottrina intorno ai cinquo corpi, emendata da G., Ili, 120; X, 335. Manda al Keplero in¬ sinuazioni contro la lealtà di G., X, 90,104. Brngine. Il, 271, 309. Brunaociit. Addetto alla posta in Firenze, X, 219-220. Briinaoci Francesco. XIX, 531, 533,534. Bronacci Vincenzo. XIX, 531, 533. Brunello. IX, 160, 178. Bruni Antonio. XV, 183. Bruni Corrado. Suoi libri Pc haereticis citati, XIX, 561. ♦Bruni Teofilo, Cappuccino veronese. Scrivo contro il moto della terra, XVI, 400, 405. Bruni Vincenzo. XIV, 86. Bruno. ITT, 270. ♦ Bruno Giordano. Sue opinioni sulla plu¬ ralità dei mondi, ITI, 106, 118, 119, 123, 102, 183; X, 321, 334, 338. Sua dottrina intorno ai cinque corpi emendata da G., T11,120; X, 335. Giudizio su lui della regina Elisabetta, ITI, 352. Sua opinione circa l’atmosfera va¬ porosa degli astri, 383. Chiama Apollo il solo, III, 124; X, 339. Nominato, 315. * Brunswicii (Duca di). X, 346, 402. Brunswich. Parelio ivi osservato, XJI, 487. Brutio. — 7. Brace Edmondo. Bruto. XIV, 395. Bruxelles. Macchio solari quivi osser¬ vate da D. Antonini, V, 140. Bruxelles (Nunzio di).— 7. Lagonissa (da) Fabio. Bruzene. — 7. Brugine. Bue o Buche. XIX, 151, 152, 159. Buoau Baktolommeo. XIX, 153,154,159, 160, 166. INDICE DEI NOMI ECO. 101 Buon ano ti M i cl i ol an gelo] Bucoaferrus. Doli© forme © delle qualità degli elementi, I, 134, 167, 172. * Buooi Antonio. Revisore dello Lettere sulle macchio solari, T, 74. Nominato, XI, 271, 43S; XII, 266, 271, 272. Huoquoi (Conto di) Carlo Bonaventura. XI, 607. * Buczaoky Cristoforo. X, 113; XIX, 150. Buda. X, 97. Budrio (da) Gio. Battista. XIX, 34,39. Buffalmacco. Ili, 270. Buglione (di) Goffredo. IX, 62, 63, 64, 66, 67, 72, 78, 79, 80, 81, 82, 89, 90, 91, 92, 93, 97,100, 101, 102, 103, 104,105,106,107, 108, 109,110, 111, 121, 122, 126,145; XVIII, 121, 192. Bulifon Antonio. X, 184; XI, 295, 459; XHI, 77, 182. Bulingieuo Giulio. XII, 120. Bdnoer C. V, 275. * Buommattei Benedetto. XIX, 221. Buonaooorsi, Cappuccino. XTV, 119. Buonaccorsi, Cavaliere. XIV, 119. Buonaiuti Niccolò. Scolaro del Peri in Pisa, XVII, 17, 318, 328. * Ruonamtoi Francesco. Suoi libri De motu citati, I, 12; HI, 381; IV, 25, 52,80. Oppo¬ sizioni da lui fatto alle dottrine di Aristotele sulle galleggianti, 80-87. Sostiene, la figura esser causa del galleggiare, 125. Difeso dal¬ l’Accademico Incognito, 177,194. Dal Coresio, 220-223, 229, 261, 263, 264, 271. Da Lodovico dello Colombe, 348, 351-359, 365. Da Vin¬ cenzio di Grazia, 391-397, 408-409, 421, 436. Impugnato nella risposta del Castelli, 623- 627, 634-635, 679, 785, 786. Proposto come successore del Piccolomini nello Studio di Padova, X, 251-252. Nominato, IV, 344, 518, 631, 642, 665, 765; XIX, 34, 33, 41. * Buonamioi Giovanfranoesoo. Scambia complimenti con G., del cui figliuolo diven¬ tava cognato, XIV, 38, 41. G. gli promette un suo telescopio per il Re di Spagna, si congratula per la scrittura in materia di navigazione, o gli scrive della sua proposta por In- determinazione dello longitudini, 52- 55. Riscontrando questa lettera, comunica a G. varii particolari intorno al flusso e re¬ flusso del maro in varie parti del mondo, 73-76, 278-279. Buoni uffici da lui fatti in favore di G., XV, 51, 58, 65, che visita fre¬ quentemente, 116. Suo Diario e relazione in esso contenuta del Processo di G., Ili; al quale procura copie della sentenza contro di lui pronunziata e della abiura, 245-246. Gli invia un presente, XVI, 38-39, 41. Sua Relazione intorno al Processo, XIX, 274, 407-411. G., dietro richiesta avutane, gli domanda copia della sentenza ed abiura, da lui procurategli e gli annunzia traduzioni dei suoi lavori, XVI, 463, 474-475; o gli esprime il desiderio d’averlo, con la moglie, ospite in Arcetri, XYITI, 319-320. Nominato, m, 5; XIV, 91-93, 99, 107, 126, 131, 132, 137 ; XV, 63, 75, 142, 263, 265, 271 ; XYHI, 195, 313, 374. Buonamici Innooknzio. XIX, 274. * Buonamioi Bocoiiineui Alessandra. Suo pericoloso viaggio dalla Germania a Firenze, XIV, 100. Invita G. a visitarla, 126. Questi se ne scusa, 130-132. E le esprime la propria osservanza, XVIII, 194-195, 311-312. Si duole di non potersi incontrare con G., 312-313. Il quale la invita con suo marito in Arcetri, 319-320. E detta per lei la sua ultima let¬ tera, 374. Nominata, XIV, 106, 108, 109; XVI, 39. Buonarroti Filippo. XIX, 445. * Buonarroti Michelangelo iun. Osserva- ziono da lui fatta dei Pianeti Medicei, III, 815. Suo buono relazioni con G., X, 271. Ne esalta in versi lo scoperto celesti, 399, 412, 447, 453. Presenta G. al Oard. Mafleo Barberini, XI, 72, 80. Pregato da G. d’in¬ terporsi per togliere certo difficoltà insorto per la stampa d’un suo lavoro, XH, 62 102 INDICE DEI NOMI ECC. 105-106. Offro a G. la sua villa a Settignano, 121. Si interessa por Anna Maria \ aiani, XIV, 111, 112-113,114,115. Scagiona G. della calunnia di predizioni astipologiche contro il Papa, 111, ed egli lo ringrazia, 112. Chiede a G. un suo ritratto, XVII, 24. Si adopera perché il processo contro G. bì faccia in Fi¬ renze, XIX, 280, 332-333. Suo parole noi rendimento del Consolato di G. nell’Acca- domia Fiorentina, 445. Annoverato dal Vi- viani tra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., 628. Nominato, V, 305; X, 306, 475, 478; XI, 253, 387, 411, 502-503; XII, 119, 126, 375; XTIT, 182; XIV, 62-63, 90; XVII, 346, 347; XVIII, 430. Buonarroti Michelangelo son. Confron¬ tato dal Grassi con Andrea del Sarto, VI, 385. Di ingegno sublime, ITI, 128. Rappresenta¬ zione biasimevole nel suo Giudizio, IX, 94. Sua eccellenza come scultore, XI, 342. Inno¬ vatore in architettura, 361. Sua morte, XIX, 599. Suo monumento in Santa Croce, XVIII, 378, 382. Nominato, in, 396; VII, 130. Buona Sporanza (Capo di). VII, 161. Buonavbntura (Sig. r ). X, 44. Buonoristiani Silvestro. XIII, 255. * Buondelmonti Ippolito. XV, 311. ♦Buondelmonti PiconENA Caterina. Sua natività, X, 224. Di loi, elio villeggiava nello vicinanze di Bellosguardo, G. manda notizie al padre, XII, 456-457. Nominata, XII, 223, 312. Buon figlioli Èrcole. Decano dogli As¬ sunti di Studio in Bologna, XVII, 148. * Buono (del) Paolo. XVITI, 352. Buontempi. — V. Bontempi Antonio. Buovoli. VII, 258. Binano. VII, 277. Burattino. IX, 200, 203, 201, 205, 206, 207, 208, 209. Burueuini Bartolommko. XIX, 86. Burberini Giovanni. XIX, 86, 105. Burchiello (II) Domenico. XVIII, 109. | Buonarroti Michelangelo Burchi (van der) Albert Coeniiakts. XIX, 548. •Bordi [Bi-rgi, Byrot] Giusto. Sua divi¬ sione dell’arco di cerchio in parti uguali, XIII, 884. Nominato, II, 559. Burgoe (di) Paolo (o Buugkn.se Paolo). V, 337. Buri. Suoi vini, X, 164. Burla fatta a uno che voleva vender corto segreto da parlar con uno in lonta¬ nanza di mille miglia, VII, 120. Burlanti Antonio. XIX, 181. Burleur. I, 34, 111, 411. Burneo. XI, 525, 520. Buiisati Francesco. XIX, 562. * Buson Giorgio. Suoi calcoli sullo nuovo stollo, HI, 307, 320, 337, 310, 523, 524, 525, 526, 527, 629, 531, 532, 636, 538. Busineli.0 Priamo. XIX, 119. I Risisi Alessandro. XIX, 105. BubsoI a. Utilità di easa nella oscavaziono dei condotti per le mine, II, 46s; nell’arte militare, 607; nella navigazione, XVII, 356. Bumotti Bartolomeo. XIX, 480,495,500. Bustanzi Davide. XIH, 75. Butrioario. — V. Bottrigari Ercolo. Borio. — V. Bucci Antonio. * Bozzaooarini Antonio. XIX, 231. Btsh Lee Fanny. Suo scritto Milton on thè C 'ontincni citato, XIX, 9. * Cabro NicooiA Sua Philosophia magne¬ tica, XIV, 34, 36, 61, 77, 79; XVIII, 372. Ar¬ gomenti da Ini portati contro il moto della terra, XIV, 309; XVI, 325. Lunghezza del pendolo elio batto il secondo, da lui comu¬ nicata a G. B. Balinni, XVIII, H7, 93, 99. Suo esperienze intorno alla caduta dei corpi gravi di diversa materia, 305, 310. Nominato, XV, 273. * Gaggia Alessandro. Ringrazia G. per il dono del Dialogo dei Massimi Sistemi, di¬ cendosene ammirato, XIV, 356-357. Calamita] INDICE DICI * Caooini Alessandro. Dal fratello Matteo riceve comunicazione dell’ellotto prodotto in [torna dalla predica di fra Tommaso contro G., XVIII, 416, 418, 419, 420, 421, 423; o in¬ torno alla conclusione del primo processo, XJI, 265. Nominato, XIX, 261. Caooini Cosmo.— V. Cacciai Tommaso. Caooini Damiano. Dispensa per lui otte¬ nuta dal Morandi in seguito a raccomanda¬ zione di G., XIII, 320, 327. Caooini Fuanoesoa. Raccomanda il suo cugino Damiano a G., XIII, 320. * Caooini Giovanni di Alessandro. XIX, 307. * Caooini Giovanni di Michelnngiolo. XVIII, 415. * Caooini Matteo. Si duolo dello scandalo sollevato dal pulpito dal fratello fra Tom¬ maso, XVIH, 416-417, 418, 419. E rimpro¬ vera questo per il suo atto inconsiderato, 417-418, 419. Dubita sia stato fra quelli per causa dei quali G. fu costretto a recarsi a Roma, 420, 421. Dù, notizie di un colloquio di esso con G., o scrive che questi fu co¬ stretto ad abiurare, XII, 265. Annunzia il ritorno di fra Tommaso a Firenze, XVIII, 423. * Cacoini Tommaso. Incidente toccatogli a Bologna por una predica inconsiderata, XII, 127; XVIII, 418. Sua invettiva dal pulpito di S. Maria Novella contro G., e giudizi diversi intorno ad essa, V, 264; XII, 123, 127, 129, 145, 158, 161, 229, 231, 238, 244, 265; XVIH, 416, 417, 418, 419, 420. Biasi¬ mato dal Generale o da altri frati, XII, 127, 145, 158, 161. Eletto Baccelliere nello Studio della Minerva in Roma, XVIH, 419. Domanda di deporre contro G. nel Santo Uffizio, XIX, 276. Ordine di udirlo, e sua deposizione, 307-311. Copia della sua depo¬ sizione è mandata a Firenze, perchè siano escussi i testimonii in essa addotti, 311-313; XX, Suppl., n.° 1105 bis. Suo abboccamento NOMI ECO. 103 e disputa con G. in Roma, alla presenza di prelati e gentiluomini, XU, 229, 231, 238-239, 265. Seguita ad inveire contro di lui, XIII. 156. Suo ritorno in Firenze, XVIH, 423. No¬ minato, XIX, 293, 298, 317, 319. Cadice. XI, 24. Cadore. G. è invitato da G. F. Sagredo a recarvisi con S. Venier, X, 91, 95, 105. Menzionato, 185; XH, 192, 193, 194, 202, 306, 307, 313, 331, 332, 427, 458 ; XIII, 34. * C a etani Bonifacio. Gli ò commessa la correzione dell’opera del Copernico, XU, 244, 285. Gli ò mandata dal Campanella una scrittura in difesa di G., 287. Si oppone che la opinione dol moto della terra sia di¬ chiarata erronea e contraria alla Fede, XV, 111; XIX, 408. Nominato, XU, 277. * Gaktani Enrico. Raccomanda G. al Se¬ nato di Bologna per una lettura in quello Studio, X, 26-27. Castani Grbgosto. XVI, 133. Oàcjnani Rum bello. XIX, 88, 105. Caonani Santi. XIX, 88. Caibtano da Tittenk. — V. T'hiene (da) Gaetano. Caibtano Giulio Cesare. X, 107; XIX, 156, 162, 163. * Calmo Iàoopo. Possessore d’ un cannoc¬ chiale costruito da G., lo mostra in Man¬ tova, XVIII, 370. ♦Caimo Pompeo. X, 240. Caino. Favoleggiato nelle macchie lu¬ nari, VII, 74. Cairo. VH, 120; X, 113; XIX, 58. Calabria. V, 390; VII, 459. Calabria (medico matematico di). Ila osservata la nuova stella dell’ottobre 1604 e ne manda informazioni al Clavio e all’Al¬ tobelli, X, 121, 133, 136. Calamita. Sua virtù confermata con la storia dell’arca di Maometto, IH, 279. G. all'erma contro il Colombe che nessun corpo interposto ne impedisce l’azione, 281. Er- 104 TNDICE DEI rare del Coresio nel tenero che attragga mediante il moto doli’aria, 1^, 213, 2o5. Nella Galleria del Granduca, 643. Suo pro¬ prietà molteplici, VII, 430. Argomento con¬ cludente nitro non essere il globo terre¬ stre, 430. Armata, sostiene assaissimo più ferro che disarmata, 431. Cagion vera della gran moltiplicazione di virtù mediante l’ar¬ matura, 433. Si mostra come il ferro ò, in confronto di essa, di parti più sottili, pure e costipate, 433-434. Se ne mostra al senso l’impurità, 434-436. Tre suoi moti diversi naturali, 437. Si costringono i filosofìa con¬ fessar elio è composta di sostanze celesti od elementari, 438. Fallacia di quelli che la chiamano corpo misto, o il globo terrestre corpo semplice, 438-431). Edotto improbabile ammesso dal Gilbert, 439-440. Opinioni del Rocco, 703-704. Come debba intendersene la virtù attrattiva, Vili, 034. Il Keplero esprime il desiderio che G. ne osservi la de¬ clinazione, X, 75-76. Armate da G. ed inviale al Sagredo, 89. Pensieri del Sarpi intorno alla inclinazione sua con l’orizzonte, 91. Posse¬ duta dal Sagredo; studi istituiti circa l’arma¬ tura di essa da G., o trattative per cederla al Granduca, TU, 431, 435; X, 185-191,194-195, 197-198, 199-202,205-210, 212-213; XII, 317. Altra che G. disegnava mandare in Germa¬ nia. 204; XIII, 347. Osservazioni istituite dal Sagredo inAleppo e fatte eseguire a Goa,X, 202; ne manda ima da armare a G.,XII, 198. Studi istituiti in proposito da G., XIII, 328; XIV, 61, 314; XVI, 201; e dal Sovoro, XIII, 329. Uso per la determinazione delle longi¬ tudini, 379; XIV, 138; XVIII, 187. Il Mi- canaio se ne fa armare una in Venezia, XVI, 201,239. Scrittura del Castelli, XVIII, 129. — V. Gilbert. Kircher. Calandrici Geremia. XVII, 45, 85, 108. Calandrino. HI, 270. Calappiano. XI, 227. * Calasanzio (S.) Giuseppe. Concede che NOMI ECO. [Calandrini Geremia il P. Settimi possa trattenersi presso G. i n Arcetri anche di notte, XVIII, u. Nominato XVI, 139, 140; XVIU, 40. Calcagnimi Celio. Propugna l’opinione dei Pitagorici circa il moto della terra HI 290; XI, 354; XII, 216. Finzione di Miumer- mo da lui citata, XIII, 268. Calcagnisi, Consultore del S. Uffizio. XIX, 292. Calci de. VI, 209. Calcidonio. Pesato in aria ed in acqua, I, 227. Calcoli ed osservazioni relativi ai Pianeti Medicei. Ili, 425-864.— V . Pia¬ neti Medicei. Caldei. X, 317; XVI, 65. Calefàti Pietro. XIX, 32. Calefati (Cavaliere). XIX, 206. Calendario. Sua emendazione, V, 293, 312; XI, 470. CàLKNDINO, cerusico. XVI, 48. Calepino [da Calepio Ammonio]. VI, 188. Calestani Gio. Battista. XIX, 130. Calibro da bombardieri calcolato col compasso geometrico o militare, li, 400-102. Calici Niccolò. XIX, 531, 533. Calici Onofrio o Noveri. XIX, 531, 533, 534. Calippi Filippo. XI, 292, 511; XIX, 253. Calippo. XVI, 181. Callisto (Card, di S.). — V. Kochefou- cault (de) Francesco. Callono di Castelfranco. XV, 100. Calore. Se sia una qualità attiva o pas¬ siva, I, 158s. Opinione di Alberto Magno .sullo causo o sugli olietti di esso, 160,165,167. Come penetri i corpi od in essi si mantenga, 310,409. Qualità propria del fuoco e dell’aria, secondo L. dello Colombe, III, 263». Socondo Aristotele, congrega lo cose simili o disgrega lo dissimili, IV, 153, 18os, 191», 205s, 249», 317, 379, 613, 694». Se aia causato dal moto Campanella Tommaso] INDICE DEI o dall’attrito, VI, 54s, IGOs, 193, 330s, 347s, 475 s; XU, 475-476. Misurato a gradi, VII, 55. Se operi sulla densità e rarità dei corpi celesti, 68s. Suoi effetti sulla digestione, Vili, 533-534, e nell’economia della natura, 634-636. Differenze tra illuminazione e ri- scaldamento, 535-540. Strumento per misu¬ rarlo, XI, 350; XII, 139-140; XVII, 377s. Luogo di esso tra gli elementi, XV, 14. De¬ duzioni ad esso relative nella Mattonata del Castelli, XVH, 121s, 161s, 156s. — V. Fuoco. Termometro. Calpe.— V. Abila e Calpe. Calvi Angiolo Matita. XIII, 114. Calvino. Sue proposizioni, dannate dalla Chiesa, VI, 393, 398. Più delle sue scritture, ( è giudicato dai Gesuiti pernicioso il Dialogo dei Massimi Sistemi, XV, 25; XVI, 458. *Calvisio Set ii. XII, 285. Calvo Antonio. X, 464. Cam. Vili, 615. Camaleonte. Variazioni del suo colore, IV, 354, 628. Como tipo d’animale fiacco o pigro, VII, 297. Càmato Iacopo. XI, 600. Camiti Lorenzo. XV, 226, 231. Cambridge (Accademia di). XIX, 203. Camerario Elia. Sue opinioni e calcoli circa la nuova stella del 1572, li, 281-282, 284; VII, 307, 319, 324, 335, 336, 342, 523, 524, 525, 526, 529, 531, 532, 533, 536, 538. * Camerario Luigi. XVI, 203, 254. Camilla (Suor). Monaca nel convento di S. Matteo in Arcetri, XV, 322. Camilla (Suor). Monaca nel convento di S. Giorgio in Firenze, XIX, 518. Camorrini Giuseppe. XII, 148. Campagni (Sig. r ). X, 63. Campana Alberto. XIV, 247-248. Campane. Causa del suono di esse, I, 410. Grosse, richiedono reiterate tirate di corda per esser messe in moto, Vili, 345-346. Proposizioni di G. intorno al loro getto, XV, NOMI ECC. 105 248, 259 ; XVU, 14, e parere del Tacca, XV, 268,276. Accidenti occorsi nel tirar su quella della torre del Mangia in Siena, XVI, 24, 49. * Campanella Tommaso. Concetto che, a differenza di lui, si formava G. della filoso¬ fia, IV, 738. Esprime a G. la sua ammira¬ zione per le scoperte celesti, e gli scrive della sua prigionia, delle sue opinioni filo¬ sofiche e de’ suoi lavori, XI, 21-26; XII, 31-33; XIV, 255. Dichiarazione fattagli da Urbano Vili intorno alla proibizione del libro del Copernico, VII, 5; XIV, 87-88. Opina che il globo della luna sia della na¬ tura stessa di quello della terra, VII, 16. Ricorda d’aver conosciuto G. in Padova e d’averne ricevuta una lettera del Granduca Ferdinando, XI, 26; e d’essere stato da que¬ sto beneficato, XIV, 255; XVU, 352. Sue opi¬ nioni intorno alle macchio solari, XI, 539, 546. Dissento da G. intorno ai natabili od ai mergibili, 599 ; XII, 32. Offre a G. un consulto astrologico e lo informa intorno ai proprii lavori, 32. Tobia Adami gli esi¬ bisce da parte di G. un soccorso pecunia¬ rio, 33. Sua Apologia in difesa di G., 277, 285, 287; XIII, 106, 380; XVI, 212. Sue opere edito per cura dell’Adami, XII, 352. Si lagna che G. non gli abbia lasciato ve¬ dere il Dialogo, XIV, 255, esprime ii desi¬ derio di averlo stampato, 346, e ricevutolo, gli manda il suo parere intorno ad esso, XIV, 366-367; gli esprime i suoi timori, fa¬ cendo voti d'esser chiamato col Castelli a procuratore nella causa contro lui, 373, 389, 397 ; e lo avverte di ciò che si sta macchi¬ nando, 414-415. Stima che di alcuni dei suoi scritti faceva il Micanzio, 404. Passa travestito per Lione, e si dà a conoscere a Roberto Galilei, XVI, 165; clic incarica della stampa di alcuni suoi lavori, 182. Si inte¬ ressa a favore di G. presso il Noailles ed il Peiresc, 256, 262. Confessa al Pciresc di ricevere da Urbano Vili favori e denari, 262. Voi. xx. 14 106 INDICE DEI NOMI ECO. Fa omaggio (V una sua opera al Granduca Ferdinando II, 352-863. Giudizio intorno a lui del Descartes, XVII, 403. Sua morte, XVIII, 52. Nominato, VII, 540; XI, 561; XH, 301; XIV, 64, 103, 368; XV, 115, 185. 354, 363; XII, 140, 266, 267, 273, 288, 491 ; XVII, 110, 130, 226, 299, 372, 408. Campani Francesco. XVIII, 291. Campeggi Vincenzo. X, 26. Campi. XEX, 503, 504. Campigli a Alessandro. XIX, 207, Campolongo [Campilongo] Emilio. XIX, 118. Campora. XI, 478. Càmuooi [Camozzi] Andrea. XIX, 33. Canali. Discussioni intorno allo loggi del moto delle acquo in essi, rispetto alle loro pendenze o tortuosità, VI, 619-647; XIV, 176-177, 179-184, 185-192, 193-202, 204-206. Canapo. Più o meno grosso, erronea¬ mente paragonato dal Colombe all’edotto di molta o poca acqua noi sostenere i gal¬ leggianti, IV, 365, 677. Come resista allo strapparsi, 1IQ, 56-58. Ordigno por poter calarsi mediante osso, sonza scorticarsi le mani, 58; XVII, 387. — V. Corda. Canarie. II, 241 s; V, 420. Cancellieri Francesco. IX, 26; XI, 562; XIII, 244; XIX, 265. Cancro (segno). II, 231, 232, 233, 238, 240 ; VI, 390; ITI, 407, 417, 418, 419, 420, 421, 422; IX, 19, 126,127; X, 484; XII, 298. Cancro (tropico). Il, 233, 239, 240; VI, 32; XII, 219. Candia. VII, 142, 445; XII, 139. Candor lunare. Così chiamato da G. il tenue lume secondario che si scorge nella parte del disco lunare non tocco dal sole, Vili, 493. Cause alle quali si attribuiva, III, 24$, 72s. G. l’attribuisce al rillesso dei raggi solari nella superficie del globo terrestre, 27, 74, 117; V, 223$; VI, 431; VII, 91$;’ Vili, 493$; X, 332; XI, 32; XVI, 122; XVII, [Campani Francesco 216 217. Stimato erroneamente da alcuni conio una luce propria della luna, VII, 94 115$; da altri, come un ritiesso del lume dello stollo e principalmente di Venore, 110; da altri, come cagionato dal sole per esser la sostanza del globo lunare alquanto traspa¬ rente, 117-120. Apparisce in forma di anello cioè chiaro nell’estrema circouferenza e non nel mezzo, o perchè, 119. Modo di osservarlo, 119. Più chiaro innanzi la congiunziono che dopo, 124. Obiezioni del Rocco, 635,637,617$. Opinione del Liceti nel cap. 50° del Li - theospìwrus, Vili, 481-186, confutata da G. nella lA'tt>ra al Principe Leopoldo di To¬ scana, 487-556; XIX, 596. Discussioni rela¬ tive, XVIII, 131$, 185, 137, 141, 145, 150, 156, 162, 165, 166, 190, 191, 200$, 221$, 227$, 232$, 210, 211$, 211, 251, 255, 257, 258,260, 264, 265, 270$, 281, 2«7, 292, 299, 306, 321, 322, 329, 368. Esame doll’opiniono del Liceti fatto dal Roniori, 156$ ; dallo Spinola, 167$; dal Gusaeudi, 228$. Cane maggioro (costellazione). 11,278; III, 362, 430, 878; VI, 81, 172; VII, 366; Vili, 458, 517, 624 ; XI, 62, 167 ; XII, 309; XIII, 396; XYM, 138, 139. Cane minoro (costellazione). 111, 879; VI, 172, 181. Canicola. Ili, 878-879; VI, 277, 517; Vili, 465; X, 431; XII, 301; XIII, 397; XVII, 3GG; XVUI, 201. Canili ia ni Virginia (Suor). XV, 54. Canna. Vuota, più salda che bo fosse piena, d’altrettanto peso e della medesima lunghezza, Vili, 187. Data la vuota, trovare il cilindro pieno ugnalo ad essa, 188. Pro¬ porzioni della resistenza tra essa od un ci¬ lindro, 188-189, 603-604; XVI, 457. Canna (Occhiale in). — V. Cunnocchinle. Cannocchiale. Giunge nuova a G. della costruzione per opera di un Belga, IH, 18, 60; VI, 258; X, 253, 3G3; XVI, 464. La no¬ tizia gliene è confermata da Parigi dal Ba- INDICE DEI NOMI ECO. 107 Cannoocliiale] dovere, III, 18, 60. Ne costruisce uno egli stesso, 18, 60; VI, 258-250; X, 253. Ne migliora successivamente la fabbrica/,ione, FU, 10, 61; VI, 258; X, 271, 290, 421, 431, 474. E per il primo lo rivolgo al ciclo, ITI, 19, 20-50, 61, 61-96, 293-298, 403s; V, 9s; X, 273-278, 280; XVI, 195; XIX, 642. Inse¬ gna il modo di accertarne la moltiplicazione, ITI, 19, 61-62; XI, 159-160. Descritto nella Mania naturale o nel De refractione (lei Porta, ni, 108, 135, 158-159, 238, 240, 329; VI, 205, 411; X, 252, 292, 323-324, 508; XI, 611 ; XIII, 57; o negli Omocentrici del Fraca- storo, III, 320.11 Keplero desidera servirsene per osservare le ecclissi lunari, IH, 112; X, 326. Adoperato in Bologna dall’Horky, IIT, 141;X, 358; elio ne prende con la cera Tini- pronta per imitarlo, X, 343. Prostato dal¬ l'Elettore di Colonia al Keplero, clic os¬ serva con osso, III, 184-187 ; X, 427-428, 430-440. Divagazioni del Sizzi intorno ari esso, III, 218-220, 230. Si afferma che uno strumento consimile fosso già stato costruito da Tolomeo, da Alberto Magno o da Cor¬ nelio A grippa, 238, e che uno no fosse pos¬ seduto da Leone X, 238-239; Xffl, 238. Chiamato occhiale a tromba dal Colombe, HI, 2S5, e paragonato al caduceo di Mer¬ curio dal Lagalla, 321, il quale analizza le osservazioni fatte mediante esso nella luna, 326-329; XI, 160; e ne discute l'efficacia e la verità, DI, 3305. Osservazione del sole fatta mediante esso dallo Scheiner, V, 25s. Pre¬ cauzioni da lui suggerite nell’usarne a tal (ine, 57 8. Ohe cosa mostri il sole, osservato mediante esso, 97s; come si veda Venere, 98s; e come Saturno, 110. Modo di adope¬ rarlo nel disegnare le macchie solari, sug¬ gerito dal Castelli, 113, 136. Non riesce, se¬ condo il Crassi, ad ingrandire il corpo delle comete, a motivo della loro gran lontananza, VI, 33,115,124s, 405s, 418s, 4615. Quest'argo¬ mentazione è confutata da G., che dimostra, tutti gli oggetti visibili venir da esso in¬ granditi nello medesime proporzioni, 735, 79-84, 107-108, 192, 245s, 2Gls. Effetti de¬ rivanti dal modificarne la lunghezza, 83-84, 128s, 2625, 2685, 271s, 418s, 4205. Dibattito sulla parte avuta da G. nella invenzione di esso, 127, 257-260, 383, 411-412; X, 255, 259, 316, 363-364, 372; XI, 57. Pretesa de¬ rivazione di esso dai testi di Aristotele, VII, 135; XVI, 256. Può usarsi con la medesima facilità tanto in cima dell’albero della nave quanto al piede, VII, 275. Mutazioni dipen¬ denti dall’agitazione della nave, 276-278. Sue operazioni reputate fallaci dai Poripa¬ tetici, TU, 364, 380, 624, 627; X, 309; XI, 103, 120, 132-133, 166; XH, 106. Ottimo mezzo per levar la capellatura allo stelle, VII, 360; XI, 195-196; XVID, 19. Uso di esso nell’osservazione delle fisse, Vili, 463-461, 626. Dichiarazione ironica di ciò elio manchi a perfezionarlo, 642. Enimina del Malatesti relativo ad esso, IX, 26. Sua prima comparsa in Padova e in Venezia, X,250 ; XIX, 609. Mostrato da G. a molti patrizi dai più alti campanili di Venezia, X, 253; XIX, 587-588, 609. Presentato al Doge, X, 250-251, 253. Di¬ segnato dal Porta in una lettera al Cesi, 252. Come G. ne sia stato rimeritato, 254, 255, 256-257; XIX, 115-116, 594, 609. Proposto da un forestiero al Sarpi, X, 255 : da lui descritto, 290; e mostrato da un Belga viag¬ giante in Francia al Fugger, 316. Mandato di Fiandra al Card. Borghese, 255. La in¬ venzione fattane da G., come accolta dagli amici di Firenze, 258-259. Informazioni man¬ date dal Bartoli intorno a quelli che si vendevano in Venezia, 257, 259-261, 264, 267, 307. G. comunica le osservazioni cele¬ sti fatte mediante esso, 273-278; e ne an¬ nunzia la stampa, 280-281. Si propone di mandare al Granduca lo stesso strumento col quale aveva osservato, 289, 297, 299; ed è invitato a recarsi con osso a Firenze, 303> 108 INDICE PEI 307. Richiesto ohe ne pervengono dirotta¬ mente od indirettamente a G., 1254-255, 257, 258-259, 279, 287, 290-291, 312-313, 317-319, 325, 343, 347, 350, 354, 364, 367, 375, 382, 383, 388, 392, 393, 404, 418-414, 420, 432, 492; XI, 69, 70, 73, 97, 208, 228, 234, 235, 254, 298, 300, 316, 400, 464, 468, 475, 569, 586, 597, 599; XH, 15, 40-41, 92, 97, 273, 375, 380, 385, 399, 401 ; XIII, 43, 56-57, 67- 68, 91-92, 209, 211, 214, 222, 230-231, 236, 240,245, 251, 255, 261, 369, 411; XIV, 52- 53, 91-92, 106-107, 117, 120, 123, 140, 154, 105, 237, 260; XV, 10-4-105, 142, 161, 310; XVI, 21, 28, 266, 375, 392, 394-395, 420,481 ; XVII, 16, 22, 34, 55, 79,107, 210, 220, 358; XYIII, 283,428, 430; XJX, 591, 630. Gran numero di tali strumenti costruiti da G., X, 260, 298, 301, 306, 350, 421-422; e nè in Ger¬ mania, nè in Francia, nè in Olanda erano che arrivassero alla perfezione dei suoi, 319, 319, 414, 421; XI, 52, 84, 204, 211; XVI, 28; XYTI, 19, 60, 95, 99, 189. Avvertenze da aversi nell’ uso di esso, X, 277-278, 431, 485, 501-502; XI, 56. Strumento analogo costruito dal Gualterotti fin dal 1598, X, 341-342; XYJTI, 409-410. Viene per esso suggerito l’uso del cristallo di rocca, X, 344, 367; XII, 417-418, 419. Il Magini ed i Gesuiti del Col¬ legio Romano incominciano a servirsene, X, 379, 431; XI, 34, 175. Descritto dal Koplero, X, 4875. Vien suggerito per esso l’impiego di vetri parabolici, XI, 85, 529; XIII, 213, 238, 332. Giudizio dei Matematici del Collegio Ro¬ mano sullo scoperte colesti fatte mediante esso, XI, S/-88, 92, 162-163. Il Cremonino bì rifiuta di applicarvi 1’ occhio, 100, 165. Oculare composto, introdottovi dal Ram¬ poni, 134. Qualità di quello che il Keplero presume fosso adoperato dal Mayr, 167. Li; Regina di Francia tenta di farne costruire uno a Parigi, e non vi riesce, X, 392; bì mette ginocchioni per osservare mediante quello mandato da G., XI, 173, 174 . Eflì- NOMI ECO. fCannocchiale binoculare oncia di quello adoperato dal Cigoli, 287. Vetri procurati a (». dal Sagredo, 368; XII, 404-406. Chiamato tubus biltns dal Keplero, X, 486; o botanica dioptra dal Fabricius, XI, 404 ; e telescopio dal Demisiani, se non dal Cesi stesso, 420; XIII, 264. Vooi di una nuova invenzione riferito dal Saiviati a G., XI, 595. Fabio Colonna attende, e in pnrte col Porta, a perfezionarlo, XII, 88, 101, 196. Celebrato poeticamentedal Sai vi, 150.209-210. Mandati da G. all’Arciduca Leopoldo, 390, 398. Posseduti dal Card. Rorromeo, XIII, 55. Giudicato dal Chiaramonti, 226. Quello rega¬ lato da G. all'Arciduca Carlo d’Austria viene a questo rubato, 255. Uso dello strumento per osservazioni da farsi in mare, XIV, 202- 203, 374 ; XVI, 466-467 ; XVII, 40, 48, 69, 79, 97-99, 129, 179, 195; XVIII, 112. Vetri per esso, mandati da (». al Micanzio, XVI, 385, 391, 392. Qualità di quello che G. si pro¬ poneva di mandare in Olnmla, XVII, 99-100, 186-137, 174-175, 189. Fabbricati a Napoli, 20-1, 208, 285, 300, 326. 350, 355, 360, 374- 375, 383, 402, 405; XVIII, 16, 18-19, 29,45, 56,85,100, 370. Lungo trentnsei piedi, XVII, 343, 38-4. Di straordinario ingrandimento, UBato dal Castelli, 355, 359. Istruzione data da G. per costruire l’istrumento da farne di lunghi, XVIII, 40. Teorica svoltane dal Descartes, 356. Menzionato, V, 88, 91; VII, 91 ; X, 357; XI, 14, 18. 268; XII, 210; XTR, 172; XIV, 210; XV, 111; XVI, 464. 471. Cannocchiale binoculare.— V. Bi¬ noccolo. Cannoni. — V. Artiglieria. Proietti. Cannoni pot rieri. Per battere contro a terrapieni senza muraglia, II. 52. Cannoniera della piazza da basso. Av¬ vertenze da aversi nella loro costruzione, II, 37, 40. Ordinamento di esse, 124-125. Come so no possa impedire l’imboccamento, 126. Cano Melchiorre. Sua oporn De locis thcólogiris citata, III, 290. INDICI*: DEI NOMI ECO. 109 Capponi Vincenzo Maria] Canonico Leonardo. Sua testimonianza a proposito delle macchio solari, invocata dallo Scheiner, V, 02. Canta o a luna, ingegnere. Problema pro¬ postogli dal conte di Warwich, e risoluto dal Castelli, XII, 70. Canta ligio Gio. Battista. Suoi precetti grammaticali e retorici citati, IT, 465, 477; IX, 69. Canzone di Andrea Salvadorì per le Stelle Medicee, scritta e corretta di propria mano da G., IX, 231-272. — V. Sal- vadori Andrea. * Caopenna Giulio. XII, 288. Caorle (Vescovo di). XYJ, 525. Capacci Paolo. XYI, 90. Capacci Piero. X, 392. Capaccio (Sig. r ). IX, 90. Capacità dei sacelli da grano col fondo di tavola, fatti con la medesima tela, diverso, se diversi d’altezza, Y1H, 100. Capanni Andrea. XIX, 583. Capanni Gabriello. XIX, 583. Capannot.i Giuseppe. I, 12; XIX, 34, 38, 41. Caprlla Marziano. XI, 167. Capellani Alessandro. XIX, 523, 529, 530, 531. Capellani Simone. XIX, 523, 529, 530. Capellatura. Levata alle stelle dal te¬ lescopio, VII, 366. — V. Cannocchiale. * Capiferueo Maddaleni Francesco. XIX, 323, 401. Capitolo di G. contro il portarla toga, IX, 21-24, 213-223; XVIII, 302, 327. *Capoano Alessandro. Impugna l’inegua¬ lità della superficie della luua, XII, 240. Fa¬ miliare di Casa Muti, 284, 412. Capo Giunco. XI, 525. Cappello Bianca. XIX, 48, 58, 66, 72, 77, 94, 95. *Cappello Giovanni. XX, Suppl., 589. * Cappello Girolamo. Riformatore dolio Studio di Padova, II, 548,560; X, 150; XIX, 114, 222, 224. Sollecitato dal Residente to¬ scano, X, 147, favorisco G. nel fargli conse¬ guire un aumento di stipendio, 161. * Cappello Vincenzo. XIX, 127. Capponi. Banchieri, XII, 328; XIX, 201. Capponi (famiglia). III, 436. Capponi (Sig. rl ). XVIII, 14G. Capponi Amerigo. XII, 332. Capponi Bernardino. XIH, 252, 447, 453. ♦Capponi Cappone. Lettore o Provvedi¬ tore dello Studio di Pisa, X, 43; XIX, 32, 42, 43. Capponi Federico. Scolaro del Castolli in Pisa, XII, 26, 37, 42. ♦Capponi Lucrezia. X, 43. * Capponi Luigi. Dal Lagalla gli ò dedicato il Dephoenomcnis in orbe lume , IH, 313-314; Vili, 470. Distici in suo onore del Demisiani, 315. Fa esprimere a G. il desiderio d’avere un cannocchiale,X, 367. Carteggia con l’IIasdalo intorno a G., 370, 390. Riceve da G. il Di¬ scorso sullo galleggianti e ne lo ringrazia, XI, 352-353. Si fa leggere dal Peri il Dia¬ logo dei Massimi Sistemi, XV, 61, 64-65, 71-72, 75, 149, e ne conferisce col Cavalieri, XVI, 34. Teme elio la persecuzione del Dia¬ logo impedisca la pubblicazione dei lavori di G. sul moto, XV, 72. G. esprimo il desi¬ derio ch’egli intervenga in suo favore presso i Colleghi del Sacro Collegio, 77. Parere da lui espresso circa il contegno che G. avrebbe dovuto serbare davanti al Sant.’ Uffizio, 83. Incoraggia G. durante il processo, 128. No¬ minato, XI, 359 ; XV, 79, 81, 84, 120, 131, 137, 148, 266, 278, 304. Capponi Piero. XJI, 332. * Capponi Tommaso. XVJQT, 146. ♦Capponi Vincenzo. XV, 76; XVII, 298, 367; XVm, 45, 101. Capponi Vincenzo Maria. X, 43. 110 INDICE DEI Cappuccino veronese. Bruni Teofilo. Capra Aurelio. Possessore d’un Begreto medico, per il quale G. negozia con lui, II, 531; o ne scrive al Duca di Mantova, X, 100. Prega G. di istruire il figlio Baldassaro nell’uso del Compasso, II, 536. Presenta a G. A. Cornavo un esemplare dell’ TJsus et fdòrica circini del figlio, 537 ; che dal Cor- naro gli viene respinto, 537-533 ; X, 171. * Capra Baipassare. Sua Gonsicleratione astronomica circa la stella nova dell'an¬ no 1604, con postille di G., II, 270-271, 285- 305. Osserva la stella per la prima volta il 10 ottobre 1604, 293; e fa proporre dei que¬ siti intorno ad essa a G., 528-529, 601. Suo TJsus et fabrica circini cuittsdam propor- tionis, con postille di G., 340, 425-511 ; IX, 17 ; che dedica a Gioacchino Ernesto, Marchese di JBrandeburgo, II, 427,429; X, 169. Difesa di G. contro alle calunnie et imposture di lui, usate¬ gli sì nella Gonsidcrutione astronomica come nell’ Usus et fabrica circini , II, 341,513-601 ; e relativa licenza di stampa, XIX, 225-226; e sonetto dogli stampatori, 576. Vede esemplari del compasso di G. nell’officina del meccanico che li stava lavorando, II, 535; ed è istruito da G. nell’ uso di esso, 536. G. sporge que¬ rela contro di lui davanti i Riformatori dello Studio di Padova, 538-539; X, 171-172; i quali fanno sequestrare il libro incriminato, II, 539. Dibattimento seguito tra lui o G. davanti al Magistrato, 539-559; e lettere di G. A. Cornato a G. intorno ad esso, X, 173- 176. Sua condanna, 13, 560; X, 177, 191 ; XIX, 224. Disamina del libro e Bua censura, II, 561-599. Attestazioni contro di lui, prima o dopo la condanna, 528-529, 534-535, 536, 537-538, 544, 546 ; XIX, 223, 225. G. accusa 11 Mayr di essere stato il vero contraffattore, VI, 214-215. >Si abbocca a Pavia ed a Mi¬ lano con l’Horky, X, 379, 384, 391-392, 418. Il Tadino chiodo informazioni sul suo conto NOMI ECO. [Cappuccino veronese a G., e lo avverte che in Milano insegna l’uso del compasso, XII, 498. Ed il Sentala domanda un esemplare della Difesa, XITT, 53. Narrazioni dell’episodio, delViviani, XIX, 608-609; c del Gherardini, 641. Nominato, n, 340, 341, 425, 427, 431, 433, 448, 452 ’ 454, 456, 460, 465, 491, 499, 511, 513, 515* 518, 519, 520, 521, 522, 524, 525, 526, 527^ 530, 531, 532, 533, 537; X, 180, 366, 401, 417, 492; XD, 72; XHI, 97; XVm, 111, 117, 243^ Capraia (di) Angelo. XII, 315, 318, 319. Capraia (di) Matteo. XII, 315, 319. Carrara (Sig. rl ). X, 40S. * Carrara Massimiano. Da una torre della casa di lui in Bologna, G. mostra il cielo col suo cannocchiale, III, 142; X, 358. Caprai-ola. Onori resi ivi dal Card. Far¬ nese a G., XI, 132. Menzionata, XljJ, 500. Capreolo Giovanni. Sue idee intorno ai cieli, I, 76, 96, 101, 111 ; od agli elementi, 133, 144, 146. Carretto, Consultore e sostituto fiscale del S. Uffizio. XIX, 292. Capricorno (segno). II, 231, 232, 233, 238, 240; VII, 407, 417, 418, 419, 420, 421; IX, 165; X, 153; XII, 500. Capricorno (tropico). Il, 233, 239, 240; VI, 72; XII, 500. Capriolo Carlo. XIII, 444, 451; XIV, 16. Sua morte, 50. Capuano Cardinale. — V. Schònborg Niccolò. Caputaqucnsis. — V. Veralli Paolo Emilio. Caracciolo Gio. Battista. XIV, 103. * Caraffa Dboio. XII, 264; XIX, 279, 824. * Caraffa Francesco, marchese d’Anzi. XI, 516. * Caraffa Pierluigi. Nunzio a Colonia, diffonde la sentenza ed abiura di G., XV, 261; XiX, 385, 412-413. Ha conoscenza del¬ l’orologio idraulico del P. Lino, XVI, 246,247. * Caraffa Tommaso. XI, 515. Cardi (la Cigoli Lodovico] INDICE DEI Cabavagoi Cksaur. Fabbricatore di spec¬ chi in Bologna, XIII, 315, 330. Cabavagoi (?) Giovanni. — V. Giovanni, fabbricatore di specchi. CABBUIO (da) 0BLANDO. XIX, 214. * CaboaVILLE o Caboavy Pietbo. Visita G. iu Arcetri, gli offre di pubblicarne a pro¬ prie spose le opere, Vili, 13; XVI, 201-202, 289, ed aveva già incominciato a tradurre in francese il Dialogo , 9G. E ne riferisce a Roberto Galilei in Lione, 20G. Dà comuni¬ cazione a G. di un’opera del Vieta, e gli con¬ ferma l’intenzione di farsi editore di tutte le suo opere, 250, 289, 31G, 416; al qual fine G. gliene fa mandare esemplari, 312, 315, 321, 34G; XVII, 26. Si duole che G. non si sia ser¬ vito di lui per la stampa delle Nuove Scienze, XVI, 514. Annunzia che delle scritture delle quali aveva assunta la stampa, erano già intagliate le figure, 326-327 ; XVII, 32-33, o persisto nell’ idea di portarla a compimento, 109, 135, 136. Comunica a G. alcune obbie¬ zioni del Fermat al Dialogo dei Massimi Sistemi , 33, 39, 110, 135, alle quali G. ri¬ sponde, 89-93. G. gli partecipa il divieto di pubblicazione delle suo opere da parte dcl- l’Inquisizione, 62-63; ma lo incoraggia nel suo disegno, 88-89, 95, e gli descrive l’or¬ dino nel quale dovrebbero essere insieme rac¬ colto, 126. Alla l'accolta contribuisce anche il Diodati, 129. Incontrandosi gravi diffi¬ coltà per procurare la stampa in Francia, ne fa scrivere agli Elzeviri, 173. Nominato, XVI, 248, 249, 285; XVII, 112, 248, 2S1. Laudano Girolamo. Suo idee intorno agli elementi,!, 122, 1G0, 161 ; ed intorno al moto, 412. Sua dottrina dei sette pianeti, in con¬ trasto con le Stelle Medicee, III, 138, 167, 199. Il Grassi ne giudica sterile od infelice la filosofia, VI, 118-119. Ed è in ciò ripreso da G., 236. Nuove censure del Grassi, 397- 398. Sue opinioni intorno alle comete, 148; e in materia di astrologia, X, 486; XI, 23; NOMI ECO. Ili XTI, 251. Suo De proportionibus, 350. No¬ minato, III, 242; V, 46; XVI, 350; XVIII, 415. * Cardi Angelo. XVI, 496. Cardi da Cigoli Bastiano. X, 475; XI, 476. Cardi da Cigoli Cosimino. Osserva e di¬ segna le macchie solari in Roma, XI, 349, 361, 369. Nominato, 168. * Cardi da Cigoli Lodovico. Colebro pit¬ tore ed architetto, V, 140, 191; X, 239, 242,244. Intermediario della corrispondenza di G. con Luca Valerio, 239, 241, 243, 291, 434, 441-442, 451, 456, 478; XI, 36, 132, 209, 241; informa G. delle intime relazioni tra il Valerio e la Sarrocchi, 387. Gli scrive della tavola che sta dipingendo in S. l’aolo, 242, 244. Si congratula con G. per lo sue scoperte celesti, X, 290-291; ha da lui comunicazione della scoperta di Saturno tricorporeo, XIX, 611, e gli dà parte delle opposizioni dei Ge¬ suiti o di altri in Roma, X, 442-443, 475; XI, 132-133, 168. Gli comunica che il Clavio ed i suoi compagni hanno finalmente veduti i Pianeti Medicei, 36. Gli dà relazione dei suoi lavori nella cupola di S. Maria Maggiore, 133,168, 229,269,291; dove ha dipintala luna con l’aspetto descritto da G.,449. Lo distoglie dal Pattali dorè ai suoi oppositori in materia delle galleggianti, 176, 229-230, 485; e pro¬ pone un’impresa per scornarli, 476. Sollecita G. alla determinazione dei periodi delle Medi¬ cee, 175-176. Gli comunica osservazioni dello macchie solari, fatte dal Passiguaui, 209,212, 268; e ne riceve istruzioni circa il modo di farle, 214. Lo avverte di macchinazioni dei suoi nemici in Firenze, che fanno capo all’Ar¬ civescovo, 211-242. Suoi disegni delle mac¬ chie solari, V, 140; XI, 287-288, 290, 318-319, 348-349, 361-362, 369, 383, 386-387. Di altri, mandati da G. col mezzo del Cesi, prende copia, 297, 298, 302. Lettera, di dubbia au¬ tenticità, scrittagli da G. intorno ai pregi della pittura e della scultura, 340-343. Il 112 INDICE DEI NOMI ECC. [Cardini Angelo Cesi si consiglia con lui circa l’incisione delle macchio solari da inserirsi nelle Let¬ tere al Welser, 404, 410, 418, 422, 424, 428. Attesta che delle macchie solari G. parlò menti-’era in Roma, 424. Ringrazia G. della menzione di lui latta nello Lettere al V* el* sei-, 501. Sua morte, partecipata a G. dal Cesi, 529; e dal Valerio, 559. Nominato, IV, 7; V, 203 ; IX, 12; X, 453; XI, 163, 253, 277, 380, 419, 423, 461, 490; XVIII, 414; XIX, 602. Caudini Angelo. XIX, 203. Cardini Bastiano. XIX, 203. Cai-don (da) Bonifacio, lnquisitoro di Vicenza. Diffonde la sentenza e l’abiura di G., XV, 219; XIX, 367. Cardon Giacomo. Intermediario della cor¬ rispondenza ira il Diodati ed il Peiresc, XIV, 134, Cardone (capitano). IV, 293. Carelli Gio. Battista. Suo Effemeridi citate, X, 152. Carena Cesare. XIX, 561. Cariddi. V, 390, 392; VII, 445, 460, 462; XVI, 399. Carinzia. XII, 500. Carli Carlo. XIX, 514. Carli Francesco. XIX, 514. Carli Lisadetta. XIX, 15. Carlino. — V. Galilei Carlo. Carlo (capitano). XIX, 73. Carlo (personaggio della Gerusalemme Liberata). IX, 134, 138. Carlo (D.). XV, 43, 65. Carlomagno. V, 138; IX, 17, 19, 79, 82, 84, 108, 109, 151, 163, 164, 167, 176, 182, 185, 186, 190. Carlo V. Opera dell’Apiano, a lui dedi¬ cata, Xr, 581, 60S. Carmelo (monte). VII, 358; X, 306. Carnhsecghi Antonio. XVI, 44; XIX, 260. Carolus Giovanni. X, 25G. Caronte. IX, 44, 162. Carusi M attico. Riceve comunicazioni da G. iutorno al moto del più tardo dei Pia¬ neti Medicei, III, 404; X, 357. Comunica al Botti che la Regina di Francia aveva vo¬ luto far costruire a Parigi un cannocchiale pari a quello di G., e non v’ora riuscita, 392. Propono a G. un problema, XIV, 49-50. *Oabi‘knruo Takquinio. XII, 118. GarpkntaBJO. — V. Oharpeutier Giacomo. Carpkntier (vau) Pietro, lteggentedella Camera delle Indio in Amsterdam, XIX, 544, 546. Carretta (dui) Benedetto. XIX, 17. Carretta (del) Iajdovico. XIX, 17. Carro (costellazione). 11,311; VII,415.— V. Boote. Carroccio (Duca di). Una delle dignità delle Potenze fiorentine, IX, 110. Carrozza. Sforzo maggioro por smuo¬ verla elio non por conservarla in moto, Vili, 613. I)i nuova forma, ideata dal Guidacci, XIII, 216-217. Cartagine. X, 416. Cartari Gio. Lodovico. I, 146. Carte geografiche, torrestri o nauti¬ che, perfettibili mediante la determinazione delle longitudini, XVI, 465-466, 471, 490; XVII, 44, 48, 60, 74, 85. Carteggio di G., X-XVIII; XX, Suppl. Criteri seguiti nella pubblicazione di osso, X, 9-13. Cartesio. — V. Descnrtes Renato. Cartnkniu Gio. Battista. XIX, 38. Carutti Domenico. Sua Brere storia dcl- VAccademia dei JÀncei, citata, II, 150; V, 12; XI, 211, 875; XIII, 280. Casa (della) Giovanni. IX, 23, 24, 133; XI, 388, 502; XVIII, 359. Casale Andrea. XVI, 134. Casale (Inquisitore di). — V. Ferrara (da) Paolo Lattanzio. Cnsalo sul Silo. Osservazione ivi fatta Castelli Benedetto] INDICE DEI nella villa dell’Aproino sulla estensione degli effetti del flusso o reflusso, XYU, 280. Men¬ zionato, XYI, 232. Casalmaggiore (da) Gibolamo, Con¬ sultore del Sant’Uffizio. XIX, 321, 419. Càsaolà. XV, 183. * Casati Curzio. XIII, 61. Casati Gio. Paolo. Informa G. A. Rocca di una proposta fatta dal Granduca al Ca¬ valieri relativamente al suo specchio usto¬ rio, XYI, 896-397. Casciano (S.). Ili, 442; XIV, G6, 332; XY, 120, 2-17, 302, 315, 318, 362 ; XYI, 129, 370, 371, 488, 494, 509, 515; XVIII, 20; XIX, 188, 189. Casciano (Bagni di S.). X, 121; XYI, 286, 306, 338. Casoiauolo Vincenzio. Scopre la pro¬ prietà della pietra lucifera di Bologna, VILI, 469. Cascio (da) Costanzo. Presenta a G. il Gloriosi, e gli domanda una dimostrazione relativa alla caduta dei gravi, X, 108-109. Nominato, HO. Casella Giacinto. IX, 191. Casoni a Ite. Corpi di difesa nelle for- tiGcazioui, II, 28, 40, 90. Casentino. IX, 120; XIII, 158; XV, 116, 163, 173, 177, 287; XYI, 103; XVIII, 353, 357. Casini Agnolo. XIX, 192. * Casini Domenico. XIII, 218. Casini Lorenzo. XIX, 498. Casini Maria. XIX, 192. * Casini Valore. XUI, 218. Caso (Poeta del). — V. Fabbri zi Giu¬ liano. Càssandro. IX, 197, 198. Cassol. Parelio ivi osservato, XII, 4S7. Cassi Ludovico. XIII, 287. '*■ Cassini Carlo. Padre Maestro dell’Au- uuuziata, XVI, 432. Cassiopea. Stella nuova quivi apparsa NOMI ECC. 113 nel 1572, II, 281-284, 304, 305, 524, 525; III, 362, 373; VH, 303, 346; X, 138; XH, 280; XIII, 444; XIV, 47; XY, 13. 11 Ghe¬ rlini ini afferma orroneamente che in ossa apparve la nuova stella del 1604, XIX, 643. OaBtelduranto. XIII, 326. Cast e 1 G and o 1 fo. XIII, 341,451 ; XIV, 98, 269, 415, 419, 421; XV, 103, 142; XIX, 331 ; XX, Suppl., n.° 2314 bis. Castelli Annidale. XIU, 451,457; XIX, 465. * Castelli Benedetto. Uditore e discepolo di G. in Padova, V, 136; XII, 95; XIV, 35; assiste alle esperienze ohe condussero alla invenzione del termometro, XYH, 377-379. Suo annotazioni alla Bilancetta, I, 211, 213. Osservazioni dei Pianeti Medicei da lui co¬ municato a G., o riscontrate su quelle che ne riceve, HI, 409, 413, 447, 448, 611, 612, 624, 633, 634, 639, 641 ; XI, 273-279, 456, 478, 485, 594, 604; XII, 24, 30, 31, 37, 39, 43, 50, 69,116, 123, 126, 131-132, 134, 135, 159,179. 182-183, 318; e teoria da Ini dedottano, XIII, 362; della qual cosa G. gli manifesta la pro¬ pria compiacenza, 370. Raccoglie gli errori commossi dal (Joresio nell } Operetta intorno al galleggiare de'corpi solidi , IV, 7, 11-12, 245 286; XI, 419. Risposta alle opposizioni di Lodovico delle Colombe e di Vincenzio di Grazia contro al trattato delle cose che stanno sm V acqua o clic in quella si muovono , IV, 7,12-16, 449-789; XII, 177, e frammenti ad essa attenenti, IV, 12-13, 441-447 : della quale Risposta, stampata in Firenze nel 1615, XII, 62,94-95; IV, 451-789, egli si dichiara autore, 453; XII, 94-95; XIX, 613, perchè G. era stato consigliato a non rispondere direttamente ai suoi oppositori, IV, 7; XI, 410, 447 ; XIX, 613; ma era considerata come opera di G., XII, 23, 39-40, 52, 134, 333; XUI, 31; XYI, 199, 201, benché il disce¬ polo vi avesse parte, XI, 478; XII, 134, e perciò a lui fosse richiesta, 136; come il uia- Vul. XX. 15 114 INDICE DEI NOMI ECO. uoscritto originale risolva la questione, IN * 18-16. Metodo da lui suggerito por vedere lo macchie solari senza guarderò il sole, V, 113, 136-137, o osservazioni da lui istituite, XIV, 136. Informa G. d’una discussione seguita alla tavola dol Granduca in Pisa intorno al moto della terra, provocando la lettera di questo circa l’autorità della Sacra Scrittura nello scienze naturali, V, 263-265, 281-288; XI, 606, 610; XII, 49,146,151, 154,158,161, 165, 255; XIV, 380; XIX, 276, 293, 299-305, 306, 308, 311,312. Scrive ad A. Arriglictti in¬ torno alla stima di un cavallo, VI, 577-578; XIII, 351. Sua Misura delle acque correnti, lodata da G., VI, 627-628, 650. Informa G. dei suoi studi di matematica, e gli comunica un suo pensiero circa lo ragioni d’Aristotele per confermare l’eternità del moto, X, 169-171. Richiama l’attenzione di G. sopra appa¬ renze celesti dalai osservate, 183-184; XII, 296, 301, 309; XIII, 373. Lo ringrazia por l’invio del Sidereus Nuncius, e gli comunica osservazioni da lui già latte nella luna, X, 310-311. G. gli olire uno dei suoi cannoc¬ chiali, 436, e gli comunica la scoperta di Saturno tricorporeo e dolio macchie solari, XIX, 611. Divina lo fasi di Venero o le sospetta in Marte, X, 481-483. Si racco¬ manda a G. per essere eletto cappellano d’un Principe Medici che andava in Ispa- gna, e gli annuncia alcune sue dimostra¬ zioni sugli Equiponderanti di Archimede, 494. Giudizio del suo ingegno dato da G., 503. Attende in Brescia a confermare le nuove scoperte celesti di G., e gli annunzia la sua prossima andata a Firenze, XI, 81-82. Lo ringrazia della sua mediazione per fargli ot¬ tenere il grado di Decano nel suo Ordine, 266. Manda u G. osservazioni sulle macchie so¬ lari, 294-295 ; 412-413; XIV, 22, 136. Legge privatamente matematiche in Firenze, XI, 486. Proposto dal Salviati come Accademico Linceo, 510, 515. Eletto alla lettura mate- fCastelli Benedetto matica nello Studio di Pisa, 570; informa G- sull’andamento delle sue lezioni pubbliche e privute, 594, 596, 600, 601, 604-605, 606; XII, 23, 26, 31, 57, 111, 113, 11G, 120, 126, 134, 135, 296, 301 ; vi lm come discepolo, e poi corno supplente, il Cavalieri, XIV, 24, 27, 35-36, 37. Intimazione fattagli dal Prov¬ veditore dello Studio o dal l'Arcivescovo, di non trattare del moto della terra nelle sue lezioni, XI, 590; XII, 164, 158. Comunica a G. una osservazione di Venere, 23. Chiede denari in prestito a G., 57, 59, 61. Gli sot¬ topone problemi e proposizioni, 70, 113, 116. Biasima l’invettiva del Cacciai contro tì. ed i matematici, 123. Esprime il suo parere sulla lettera del Foscarini, 165-166, 178. Stringo personale conoscenza col Baliaui, 177, 186; e questi carteggia cou lui, XIII, 318, 360. Attornio ad istruire il principe D. Lorenzo de’ Medici in sostituzione di G., XII, 179, 372, 373, 384. Avverte G., essere stato scritto da Roma ch'egli era stato co¬ stretto ad abiuravo, 254; e di nuovo macchi- nazioni contro di lui, 316. Sua ossorvazione sulla coda dell’Orsa maggiore, 296, 309. De¬ scrivo un apparecchio di due cannocchiali abbinati per misurare le distanze, 319. G. pensa di condurlo seco in lspagua per istruire i marinai a ritrovare, col metodo da lui proposto, la longitudine, 326, 373. Sperimenta in mare il Gelatone, 344-345, 346, 354, 372. Partecipa a G. l’intenzione di visitarlo manifestata dall’Arciduca Leopoldo d’Austria, 374; il quale vuole conoscere il parere di lui sulle comete, 435, 438. Raggua¬ glia G. dell’arrivo del figliuolo in Pisa e lo tiene informato circa i suoi portamenti,XIM, 83, 152, 155,156, 228-229, 284, 291, 293-294, 296. Legge il Saggiatore ai suoi scolari pri¬ vati in Pisa, 152. Suo viaggio a Roma, 196, 197. È mandato con Mons. Corsini per prov¬ vedere allo acque di Ferrara e di Bologna, 217-218, 227, 234, 239-240, 242, ed in tale Castelli Benedetto] INDICE DEI occasione fa la conoscenza di 0. Marcili, 258, 268. Propone il Cavalieri por la let¬ tura matematica nello Studio di Bologna, 273; XIT, 13. Dà comunicazione a G. dei propri studi in materia d’idraulica, XIII, 285, 280, 291, 201, 206. Lasciato lo Studio di Pisa, si stabilisce in Roma ai servigi di Casa Barberini, 311-312, 313, 316, 317. In¬ forma G. intorno all’operosità del Cavalieri, 313. Si adopera per ottenere la pensione pi-o¬ messa dal Papa al iiglio di G., 324, 338, glieno partecipa la concessione, 351 ; o dopo il ri¬ fiuto di questo, 358, 359, per trasferirla in testa al nipote omonimo, e curarne 1’ esa¬ zione, 361, 388-389, 303, 424, 428-429, 4.39, 412, 444, 449, 451, 457; XIT, 15, 50, 57-58. E per allogare quest’ultimo in Roma, XIII, 335, 338, 351,383, tenendo informato G. circa gli studi e la condotta di lui, 388-389,300-391, 303-304, 403, 424, 427-420, 430-431, 433, 434- 135, 436, 437-438, 442, 443-444, 416; XIT, 278. Eletto alla lettura di matematica nello Studio di Roma, XIII, 358. Suoi studi in¬ torno al galleggiare del ferro sul mercurio misto con acqua, 360. Riprende lo studio o le osservazioni dolio Medicee, 362, 370, 373. Interroga il P. Riccardi da parte di G. circa la sua polemica col Grassi, 389, 393-304; altro suo relazioni con lo stesso in favore di G. e per agevolare la stampa del Dialogo dei Massimi Sistemi, XIT, 77-78, 80,82,150-151, 169,217,250; XIX, 401-402. Lodi del tabacco, XIII, 403, 421. Ragguaglia G. intorno ad un’opera del Chiaramonti. 444-145. Si ado¬ pera per ottenere l’anticipata consacrazione di due monache raccomandatagli da G., 447, 419, 451, 453. Gli annunzia la stampa della Misura delle acque correnti, 450,451, 454; o gliene invia esemplari, 457, 464; dei quali uno è fatto presentare al Granduca, XIV, 11. G.discute con lui intorno ad alcune proposi¬ zioni di quest’opera, 16-17, 19, 21-22. La¬ gnanze del Cavalieri per esser lasciato senza NOMI ECO. 115 sue lettere, 13. Annunzia a G. il compimento della stampa della liosa Ursina dello Schei- ncr, 22, 78, 297, 298; ed anche da parte del Ciumpoli lo esorta a non spendere una pa¬ rola contro di essa, 330. Suo entusiasmo per G., 50. Indignato contro chi aveva tentato di privar G. dello stipendio come lettore a Pisa, 62. Esorta G., anche da parte del Ciampoli, a recarsi a Roma por sollecitare la stampa del Dialogo, 77-79, 80, 82, 88, 89. Gli riferisce le dichiarazioni fatte dal Papa al Campanella circa la proibizione del libro del Copernico, 87-88, il conferimento o le pratiche da lui fatto por il ritiro dello bolle ed il pagamento d’una pensione sopra una mansionaria dol Duomo di Brescia, 132, 144, 169, 210-211, 235, 249, 250, 255-256, 269, 296, 302, 318, 319-320, 330, 357 ; e di altra sopra un cano¬ nicato di Pisa, 211, 236, 245, 256, 296, 302. Esorta G. a stampare il Dialogo in Firenze, e quanto prima, 135 ; XtX, 401-402 e par¬ tecipa allo trattative per ottenerne la li¬ cenza, XIT, 150-151, 154, 167, 169, 250. Gli annunzia d’ essersi messo allo studio dell’al¬ gebra e gli partecipa i progressi elio in essa vien facendo, XIT, 169, 297, 303; XTI, 271, 273, 276, 277, 282-283, 290-201, 323, 339- 340. Sue ricerche sulla costruzione delle strade lastricate anticho, XIT, 270. Annun¬ zia la sua partenza da Roma al servizio del Card. A. Barberini iun., 277. Egli od il Ciam¬ poli seguono con vivo desiderio il progresso del Dialogo, 277, 298, 318. Suo giudizio in¬ torno alla Uosa Ursina dello Scheiner, 297- 298,330. G. gli annunzia di aver pronti esem¬ plari legati del Dialogo, da mandare a Ro¬ ma, e gli comunica una correzione, 351-352. Lo ha letto nell’esemplare mandato al Card. F. Barberini, o se ne dichiara ammirato, 357- 358, 359, 361. Sua osservazione intorno al diametro della luna nelle congiunzioni, 359. Riferisce l’impressione prodotta dal Dialogo sullo Scheiner e sul Renieri, 360. Sue cautele 116 di fronte alla cattiva accoglienza fatta al Dialogo dalla autorità ecclesiastica, 371. 11 Campanella vorrebbe esser nominato con lui procuratore di G. nella causa che si sospetta imminente, 373; ma la cosa non sembra fatti¬ bile nò al Niccolini, 389, nò a lui, 40*2. Nella sua assenza da Roma è supplito, anche doIIh corrispondenza con G., dal Torricelli, 887-388 Si adopera a tutt’uomo in favore di (». per stornare la tempesta provocata dalla pub* blicazione del Dialogo, 400-402,411-112, 415- 416, 418, 419-420, 421,428-424, 426, 130, 433. 435-436, 441, 442; XV, 19-20, 50, 69. Annun¬ zia a G. la disgrazia nella quale è caduto il Ciampoli presso il Papa, XIV, 416, 420, 431, 433. Il Card. Scaglia leggo con lui il Dialogo , XV, 71 ; e gli amici se ne ralle¬ grano, 75-76. Giunge dolorosa agli amici la notizia che in questi frangenti egli debba lasciar Roma, 79, 92, 108. Provvede del reto di Broscia per l’Ambasciatrice di Toscana e per le figlie di G., 117,150,267, 865; XVI, 29. Manda da Brescia suo nuove a G., XV, 117, 126,133-134,150,155-156. Torna a Roma a processo conchiuso, 183,188. Si rammarica di non esser riuscito a far liberare suo fratello Quinto, carcerato in Brescia, 188. Cade am¬ malato, 232, 266, 271. Esprimo il desiderio di tornare a Firenze, 301. Sente con gusto che G. applichi alle speculazioni sul moto, 354- 355. Si congratula con lui per la visita fat¬ tagli dal Granduca, XVI, 29. Gli Bcrive in elo¬ gio del Michelini, 75, 87-88, 92, 147, 822. Gli comunica una legge fotometrica da lui sco¬ perta, 122. Esprime il desiderio di conoscere gli errori rilevati dalTAggiunti nella Misura delle acque correnti , 147. Entra in rela¬ zione col Conte di Noailles, 164, col quale tratta per ottenere, anche col concorso del Niccolini, la liberazione di G., 166,171, 179 , 200, 271, 277, 282, 303, 339,417-418, 426,456^ 480. E colto da pericolosa malattia, 191-192 192-193, 198, 208, 211. Scrive a G. d’esser r< feltrili Benedetto stato per tre anni, cioè fin dai prodromi del processo, senza visitare il Papa, 270. È vi¬ sitato dal Beaugrand che gli sottopone una sua proponi/.ione. 345, 351-354, 366; XX, Suppl., n.* 3218 bis. Si manifesta dolente di non poter accettare l'offerta (attagli della lettura matematica di Pisa, 863-364. Si pro¬ pone di sincerare il Papa, non essere stata intenzione di G. li raffigurarlo «olla persona di Simplicio, e vi rie ce, 363, 4 49-450, 456, 461 ; XX, Suppl.,681. Pn parte del Conte ili Noailles ©-prime a G. il desiderio di un couiptt-so c della relativa istruzione, XVI, 427, 42iM.'«0; «■ quello di incontrarsi con Ini, 480, 500, 507. Informa G. intorno ai nuovi occhiali di Napoli, ed alle pratiche fatte per procurarne al Granduca, XVII, 70-71, 139, 143, 181,185, 191-192, 208, 209, 350, 353, 865, 359, 861. A tal proposito il Cavalieri gli ohiede informazioni, 383. Manda a G. una sua scrittura intorno ad un incidente oc¬ corsogli col Card. F. Barberini, per essersi egli voluto allontanare da lloum ; e per ot¬ tenere tale suo intento invoca anche la me¬ diazione del Mi. inzio, 111, 121, 133-134, 143, 146, 170, 171, 259. Dopo la partenza del Noailles tratta, con la mediazione del Niccolini ed anche direttamente, per ot tenere una mitigazione alla prigionia di G., 111-112, 234, 237, 288, 248, 264 -255, 258, 272, 285, 301, 309, 813, 320. Mattonata, 121-123,134, 143, 150-165, 156-169, 186, 259. Presenta a G. il dottore Bordelot, 183-184, 216 ed altre persone desideroso di conoscerlo, XVIII, 128, 185, 188. Scrive di alcuni disegni della luna, XVII, 186, 192, 204, 208-209, 308 o dei mo¬ vimenti lunari osservati da G., 229-230. Si adopera per accomodare in Roma Alberto Cesare Gnliloi, 216, 218, 229, 2*48. Dalla luco secondaria della luna arguisce l’esistenza di vastissimi continenti, 217, 23*1. Procura a G. un consulto del Trullio intorno alla sna ce¬ cità, 285, 339, 349-360. Biffoude, mediante INDICE DEI NOMI BCC. Castelli Benedetto] INDICE DEI copio, la lettera di G. all’Antonini sulla ti- tubazione lunare, 330. Provvede delle cordo da liuto ad A. C. Galilei, 330, 339, 345, 349, 353, 351, 300. Comunica a G. alcune sue os¬ servazioni intorno a Marte ed alle stelle fìsso, 355, 359. Lo informa intorno ad un monaco che aveva tentato di soppiantarlo nella lettura, 302. Benché chiamato, è co¬ stretto a rifiutar© novamento l’oiTerta della lettura matematica di Pisa, e so ne duole e con lui se ne dolgono gli amici, 301-302; XYIU, 197, 200, 201, 203, 200, 209, 210, 215, 210, 218, 219-220, 224, 239, 241, 240. Pro¬ cura ed ottieno il permesso di visitare G., dapprima con limitazione e poi liboramonto, XVII, 374, 375-370, 380, 381, 382-383, 380, 393, 391, 395, 397, 398, 401, 406, 410; XVIII, 14; XIX, 395-39G. Annunzia l'arrivo in Roma delle Nuove Scienze, XVIII, 15, 23, 20. Chiodo a G. notizie sul nuovo istrumonto musicale inventato da suo figlio, 23. Gli an¬ nunzia la morte del P. Riccardi, o gli scrive di certa monaca che dicevasi averla predetta, 57-58. Gli comunica le sue considerazioni, in forma di lettera a lui indirizzata, sul lago Trasimeno, tra le quali è l'invenzione del pluviomot.ro, da lui chiamato orinale, 02-66; gli dà notizia della ristampa della Misura delle acque correnti con l’aggiunta della suddetta lettera, 81,82; e gli manda un con¬ sulto per toglioro lo difficoltà del macinare in tempi asciutti sopra il fosso dolPemisHario del lago di Perugia, 82, 89-90; e gli dà comuni¬ cazione d’altri suoi lavori in materia d’idrau¬ lica, 92, 96-97, 100-101, 123, 182-183, 189, 198. Esprimo la sua meraviglia per lo con¬ clusioni di G., circa il modo da tenere per determinare il numero delle gocciole cadenti in tempo di pioggia sopra una data super¬ fìcie, 85-86, 91-92. Gli accompagna due pit¬ tori che desiderano di ritrattarlo, 123. Ri¬ ceve da lui la dimostrazione del principio supposto nel trattare del moto accelerato, NOMI ECO. 117 125-126. Gli comunica il proposilo di atten¬ derò a studi sulla calamita, sul terremoto ed a nuovi argomenti di idraulica, 129 ; e G., con molti elogi, scrive di Btaro attenden¬ doli, 179. Accompagna a G. il Pudlowski elio desidera conoscerlo, 185. Propone G. A. Bo- relli per la lettura matematica di Pisa, 188- 189, 197. Annunzia d’aver riprese le os¬ servazioni celesti e di aver veduto Saturno isolato, conforme la predizione di G., 224- 225, 238-239, 246. Scrive d’un lavoro de. motu del Torricelli suo discepolo, 303. Nella occasione di recarsi al Capitolo Generalo del suo Ordino in Venezia, visita G., 303. Sue proposte per rimediare agli interrimenti nolla laguna di Venezia, comunicate dal Mi- canzio a G., 337-338. Neramente visita G. al suo ritorno da Venezia, 361. Al Torricelli, da lui allogato presso G., scrive dolendosi della malattia del Maestro, 367; e ne scrive nuche al Cavalieri, 376. Annoverato dal Vi- viani tra i discepoli di G. che furono lettori in pubblici Studi, XIX, 629. Nominato, HI, 405, 418, 423; Y, 265, 266, 207, 269, 270, 271, 272, 273, 275, 277, 320, 417; VI, 7, 504, 505, 566; VII, 4, 5, 6, 7, 9, 259; Vili, 17, 18, 23, 26, 31, 34, 031; XI, 538, 584, 591, 597, 610 XH, 15, 41-42, 73, 74, 109, 121, 143-144, 146, 147, 255, 271, 304, 352, 356, 302, 367, 371, 383, 396, 398, 400, 444, 482; XIH, 40, 72, 85, 87, 96, 102, 114, 123, 146, 193, 195, 199, 221, 224, 245, 261, 264, 271, 272, 274, 281, 290, 292, 309, 318, 322, 365, 381, 409, 417, 422-423, 452; XIV, 15, 24, 25, 33, 102, 114, 182, 183, 184, 217, 281, 289, 306, 329, 373, 380, 394, 413, 417 ; XV, 52, 61, 65, 66, 72, 78, 144, 149,154, 185,192, 213, 216, 236, 237, 253, 256, 282, 300, 330, 357, 359; XVI, 37, 65, 76, 94, 139, 140, 152, 167, 168, 185, 217, 275, 295, 335, 337, 368, 380, 381, 382, 383, 384, 407, 516; XVII, 50, 52, 57, 61, 63, 81, 240, 300, 302, 340, 402, 405, 414; XYffl, 16, 109-110, 117, 128, 307, 308, 309. 322. 324, 118 INDICE DEI 326, 327, 328, 331, 335, 345, 358, 360, 362, 363, 364, 365, 366, 367, 373; XIX, 12, 255, 48S, 626. * Castelli Carlo. Si adopera, conio pro¬ curatore di G., per fargli riscuotere la pen¬ siono di Brescia, XIII, 420, 436, 451, 45/ ; xr V, 15, 17, 25-26, 50; XIX, 464, 465. Castelli Domenico. XIX, 455. Castelli Francesco, donzello del Monto di Pietà di Firenze. XIX, 455. * Castelli Francesco, Provinciale delle Scuole Pie. XVI, 76; XVII, 400, 401. * Castelli Niocoi.O. Offre col mozzo di Be¬ nedetto Castelli al Cesi una sua casa in Pisa, per fondarvi un Collegio dei Lincei, XJ, 600, 601 ; XII, 23. * Castelli Onofrio. Chiedo notizie aG. in¬ torno alla nuova stella del 1604, X, 133, e no è ragguagliato, 134-135. Gli scrive dei suoi lavori ed invoca la mediazione di lui per entrare ai servigi del Granduca, XIT, 213- 214. Gli scrive novamento, ed avendo inteso notizie del grave stato della sua salute, di¬ rige il piego ad A. Barbolani di Montauto, 224. Manda a salutare G. col mezzo del Cesi, XITI, 104. Sue scritture citate, 108, 203. * Castelli Ottaviano. Sottopone a G. un quesito intorno all’ufficio delle squame dei pesci, XVIII, 301-302. * Castelli Quinto. Pratiche inutilmente fatte da suo fratello Benedetto por liberarlo dal carcere, XV, 188. Castelli (Due). Nolla laguna di Vene¬ zia, Vili, 611; XYH, 271, 286. Castello. XIII, 266; XVI, 36, 47. Castello nel Limbo. Misura o propor¬ zione di esso, IX, 55. Càstklvillano (Conto di). — V. Acqua- viva d’Atri. Cartiglia (di) Ferdinando. XVII, 49. Castrarne!,azione. Arte necessaria al soldato, II, 608. Castrcnsis. — V. Castro (da) Paolo. NOMI ECO. [Castelli Carlo Castro (da) Paolo. Suoi Consilia, citati, XIX, 561. ♦Castro (de) Francesco. Sue relazioni con G. in ordine alle trattative con la Spa¬ gna per la determinazione delle longitudini Xn, 261, 262. * Castro (di) Pietro, conto di Lcmos. Or¬ dina al suo segretario di conferire con G. intorno al ritrovato por la dctorminazionc delle longitudini, XII, 256, 267, 327. G. rac¬ comanda elio nello trattative si faccia asse¬ gnamento sopra di lui, 260. Assai competente in materia di navigazione, 262, 268. G. gli scrive, raccomandandogli la sua proposta, 289-290, 291, 295; ed egli lo assicura del suo appoggio, 310-311. Nominato, V, 416, 417, 418; Xn, 261, 269, 286. * Castro (de) IIodrtgukz Stefano. Sue po¬ lemiche col Tiiccti, XIV, 345; XVI, 408, 417, •138. Suo libro, edito dal Landini, XIV, 369- 370. Suo figliuolo, morto di poste, XV, 118, 122 . Castruooi Maria Virginia. XIV, 56; XIX, 458. ♦Oataldi Pietro Antonio. Giudizio da lui verosimilmente pronunziato circa una proposizione di G. relativa alla determina¬ zione del baricentro dei solidi, I, 18-1-185. Nominato, XIV, 33, 88. Catanno Girolamo, n, 11. Catànt Raffaello. XIX, 567. Cataratta. Metodo di curarle, proposto dal Trilli io, XVII, 263-264. Catena o corda, dove è attaccato il pen¬ dolo, si piega in arco nello vibrazioni di quello, e non si distende dirittamente, VII, 257. Catena d’oro, donata a G. — V. Col¬ lana. Catenella. Fatta pendere, sostenuta nelle estremità della base d’unn parabola col vertice in giù, cammina quasi ad unfjuem sopra di essa, Vili, 310, 369-370. Trattato INDICE DEI NOMI ECC. Cavalieri Bonaventura] tul essa relativo, ohe G. doveva stenderò o L. Elzevir attendeva, XVII, 251. Caterina, barcarola. XIX, 195. Caterina. Serva di G., XII, 457. Conti con essa, XIX, 180. Caterina (S.). IX, 94. Caterina (Sig/ a ). XIII, 402, 418. Caterina (Suor). XIX, 518. Caterina Angelica (Suor). XIX, 519. Caterina Eletta (Suor). XIX, 518. Caterina Felice (Suor). XIX, 519. Catino. Di legno, onde avvenga ohe riempiuto d’acqua vada al fondo, IV, 829, 394. Di ramo, perchè galleggi, 409, 720. Esperienze per determinare se l’aria in esso contenuta si muova, al girare di esso, VI, 53-54, 155s, 193s, 325s, 4716*; XVIII, 424-425. Catone Marco Poroio. XIV, 47. Catone Uticense. >1, 117, 430. * Catstus Giacomo. Sollecitato da Costan¬ tino Huygens ad interessarsi nel negozio dello longitudini, XVII, 266. Cattaio. Xll, 455; XVIII, 350. Caucaso. Sua sommità por grande spa¬ zio di tempo percossa prima dai raggi del solo elio la radice, secondo Aristotele, II, 199. Dimostrazione del Mazzoni, discussa da G., 199-200. Menzionato, IX, 240, 254, 208. Causa. Sua definizione, IV, 22, 27, 52; VI, 265. Suoi rapporti con l’effetto, IV, 233, 327, 5009; VII, 443, 447, 471 ; X, 248. Es¬ senziale, strumentale, secondaria e acciden¬ tale, IV, 336, 574s. Di quali non sappiamo altro che i nomi imposti da noi, VII, 260-261. Positiva è quella di un effetto positivo, Vili, 60. Da piccolissime dipendono grandissimi affetti ed effetti, XI, 110-111. Cavalcanti Abbate. Osserva con G. nel Giardino Quirinale le macchie solari, Y, 82; XIX, 612. Cavalcanti Francesco. XV, 158. * Cavalcanti Orazio. Conforta ed assisto G. durante il processo, XV, 91. Ragguaglia 119 Mario Guiducci, suo cognato, intorno alle vicende di questo, 131. Promette di coope¬ rare con la moglie per ottenere che sia concosso a G. di tornare alla sua casa, 227- 228, e si congratula con lui ritornato, 355. Intermediario della corrispondenza di G. col Magiotti, 236, 355, 356, 357. Cavalcanti Tommaso. XIX, 504. Cavalcanti Guiducci Maddalena. XV, 61, 91, 181, 193, 215, 228, 248, 355. * Cavaliere (del) Emilio. X, 74. Cavalieri delle fortificazioni. Si possono fare fra l’uno e l’altro baluardo, ed a canto, o su lo stesso baluardo, e come, lì, 26-27, 41-42, 45, 89-90, 104-107, 120, 129. In cam¬ pagna, 51, 112, 115, 127. * Cavalieri Bonaventura. Suoi studi su¬ gli specchi ustori! ricordati, III, 867; Vili, 86-87. Osserva col Castelli i Pianeti Me¬ dicei in Pisa, XII, 318. Raccomandato a G. dal Card. F. Borromeo, 320; XU3, 61 ; ed a questo da G., 40. Ragguaglia G. intorno ai suoi studi, 444; XIII, 69-72, 81, 96-97,273, 309, 312, 352-353. Lo informa d’una sua visita al Card. Borromeo, di alcuni cannoc¬ chiali da lui mostratigli e delle opinioni di lui in proposito ; gli chiede informazioni intorno al modo di computare le distanze dei Pianeti Medicei tra loro o da Giove, e gli fornisco notizie intorno al Settala, 54-55. Lo richiede di giudizio intorno alle tavole dei logaritmi del Neper, 62; e di notizie intorno a Saturno, e circa la luce sanguigna che apparisce nelle ecclissi di luna, 71. Scrive intorno ai principi fondamentali degl’ indi- visibili, 81-82, 84-85, 86-87, 96, 102, 123. Intrattiene G. sopra alcuni suoi studi sulle spirali, 84-85, 86-87, 102, 273 ; e gliene in¬ via il manoscritto, 114. Si rallegra nel sen¬ tire che G. abbia manifestato il desiderio eli averlo presso di sè, 96. Gli espone un suo dubbio intorno ad una proposizione di Euclide, 97. Si rallegra con G. per l’assun- 120 INDICK DEI NOMI ECO. «ione del Card. M. Barberini, suo concitta¬ dino, al soglio pontificio, 123. Gli comunica due proposizioni geometriche da lui man¬ date a Bologna por appoggiare la sua aspi¬ razione alla lettura matematica di quello Studio, 273. È presso Cr. in Firenze, 301, 302, 303. Gli si raccomanda per la lettura matematica di Pisa, dove aveva a lungo supplito il Castelli, 309. Scrive di trattenersi in Roma presso il Ciampoli, in attesa d’im¬ piego, 311-312, 318 ; e sollecita G. ad appli¬ carsi agli indivisibili, per poter dar esito ai suoi, 309, 312, 318, 323; XYI, 15. Lo informa dei progressi che va facendo in questo argomento, XIII, 323, 343, 352-353, 381, 385, 391. Dispera di poter ottenere la lettura di matematica a Parma, perchè quello Studio è sotto la disciplina dei Ge¬ suiti, 336. Trasmette a G. i saluti del Card. Borromeo, 346, 352. Prega G. di aiutarlo presso il Card. I. Aldobrandini per la let¬ tura matematica nello Studio di Bologna, XII, 431 ; XIII, 455-456, 463 ; e G. no lo compiace un’altra volta, 462-463. Ottenuta una commendatizia del Granduca por il Card. Ludovisi, ricorre a G. perchè la faccia reca¬ pitare cou una sua per mezzo di C. Marsili, XIV, 12, 20. Si duole dello scarso aiuto dato¬ gli dal Castelli, 13. Trasmette direttamente al Marsili la commendatizia del Granduca per il Card. Ludovisi, 13-14. Supplica G. d’altra lettera del Granduca e di una sua di rac¬ comandazione presso il Reggimento di Bo¬ logna, 17, 18. Manda al Marsili il suo libro di Geometria, 22. Solenne elogio di lui nella commendatizia di G. al Marsili, 25. Informa¬ zioni sul suo conto del P. Provinciale dei Gesuati, 24, 27. Stimata dal Marsili troppo difficile la Geometrìa , compone in una set¬ timana un discorso sulle sezioni coniche, e glielo manda, 28. Difficoltà dimostrata da G. d’avere la nuova lettera granducale, e poca efficacia di essa, attestata dal Manali, che [Cavalieri Bonaventura vorrebbe detto apertamente da G. che il raccomandato era stato per qualche tempo suo scolaro, 32-34. E G., con altri solenni elogi lo attesta, 35-36. Testimonianze del Ciampoli in suo favore, 37. Il Marsili par¬ tecipa a G. l’elezione avvenuta sulla fede delle informazioni da lui fornite, 43; e que¬ sti ne lo ringrazia, 45-46. L’eletto manife¬ sta a G. il proposito di dedicarsi agli studi astronomici, conforme il desiderio che gliene era stato espresso, 4S. Lo informa del prin¬ cipio dato allo lezioni, 58 ; o delle opere che si propone di pubblicare, 59, 89, 171, 263, 293, 303, 328. G. chiedo iui’ormaziono al Mar- sili intorno a questi principi dell’insegna¬ mento, 65-66; cd avutili, 77, se ne dichiara sodisfatto, 79-80. Secondo il desiderio manife¬ statogliene da G., comincia a leggere VAliti- ticone e gliene scrive, 83. Esorta G. a solle¬ citare la stampa del Dialogo dei Massimi Sistemi, 170, 192, 212, 294, e si rallegra di saperla compiuta, 328. Gli espone le sue idee circa la generazione dei venti, in relazione con la dottrina copernicana, 192-193, 212. Ri¬ solvo un problema geometrico, propostogli da G., 212-213, 227, 232. Gli scrive intorno alle osservazioni elio il Marsili si propo¬ neva di fare sul gnomone di S. Petronio, e di far eseguire su quello di S. Maria No¬ vella, 226-227, 263, 265, 275, 279-280, 294. Chiedo a G., ed ottiene, comunicazione della lettera allo Staccoli, 227, 242. Conforme al desiderio espressogliene da G., gli fornisce schiarimenti intorno all’essenza dei loga¬ ritmi, 242-213. Gli comunica alcune sue sco¬ perto intorno alle proprietà dei triangoli sferici, 294, 303. Fa comprendere a G. come il Marsili desidererebbe di esser menzio¬ nato nel Dialogo , 308; e gli comunica un dubbio di quello circa il moto della terra, 308-309. G. manda per lui al Marsili uu esemplare del Dialogo , 332; c questi gli annunzia prossima una visita di ambedue INDICE DEI NOMI ECO. Cavalieri Bonaventura] ad Arcetri, 334. Ringrazia del Dialogo , gli manifesta la propria ammirazione per esso e gli scrive di un problema geometrico pro¬ postogli, 336-337. Ha mandato l’opera sua logaritmica, o gli annunzia il prossimo invio d’un libretto sugli specchi parabolici, iper¬ bolici ed ellittici, 342, 318, 354. Avvisa di aver ricevuto da'Milano l'Ant-Aristar chus del Fromomlo, e si offre di mandarglielo, 354. Si duole delle difficoltà che G. incontra nella lettura dell’opera logaritmica, 355. Annun¬ zia a G. la pubblicazione orinai avvenuta del suo Specchio Ustorio, nel quale scrive di toccare della linea parabolica descritta dai proietti, 378; provocando con ciò la più viva indignazione di G., che ne voleva ser¬ bata a sè la primizia, 386-387. Ma allo buo scuse od alle esibizioni di ammenda, 394-395, 396, G. si placa, 411. Si mostra addolora¬ tissimo per la temposta scoppiata sul capo di G. in seguito alla pubblicazione del Dia¬ logo, 437. Gli manda lo Specchio Ustorio, e richiama la sua attenzione su ciò che vi ò scritto a proposito dogli specchi d’Archime- de, 438,441-442; XVI, 396, 402-404, 412, 428, 433-434, 477, 520. l)i tale pubblicazione G. si congratula col Maraili, XIV, 444-445. Ri¬ prende la corrispondenza con G. dopo la line del processo, e lo informa che la stampa della sua Geometria ò a metà, XV, 356. Si rallegra del suo ritorno in Arcetri, e lo in¬ trattiene sulle Esercii alioni del Rocco, XVI, 15,42-43,78. Lo eccita a sollecitare la stampa del lavoro sul moto, 15-16; od a toccarvi degli indivisibili, 104. Lo interroga intorno a due proposizioni della sua Geometria in corso di stampa, 78-79, 132. Annunzia prossimo il compimento della stampa della Geometria , e gliene accompagna cinque libri, chiedendo il giudizio di lui e di altri, 113,132, 136-138, 175-176, 283-284, 314, 327-328. Gli comunica un pensiero intorno alla definizione 5.* del quinto di Euclide, 176,191,204. Lo intrattiene 121 di un quesito meccanico, 204-205, 230-231. Manifesta l’intenzione di attendere a studi astronomici e di applicarsi alla dottrina del moto, 281-282 ; ma dichiara di desistere da questi ultimi perchè non si ripeta il caso dolio Specchio Ustorio , 283. Gli manda duo problemi propostigli e ch’egli ha risoluti mediante le semiiporbole, 314-315. Annunzia la visita avuta dal Beaugrand, 328, 345, ed il proposito di questo di visitare G., come in¬ latti ha luogo, 340,366,368. Il Castelli attende allo studio della Geometria , che trova diffi¬ cilissima, 339. Suo problema della parabola descritta per quattro punti, 366, 396. Scrivo a G. sopra certo travaglio che gli procura l’importunità d’un Padre Teatino, 395-396, 401-402, 412, 428, 433, 456, 479 ; XVII, 106, 243, 383; XVIII, 84; XX, Suppl., 581. È presso G., XVI, 455, 456, 461; che scrive di lui al Micanzio come di un altro Archi¬ mede, 455, 475. Ila mandato le sue oporo al Micanzio, che questi però trova troppo dif¬ ficili, 503, 508, 510, 523; XVII, 59. Gusta tuttavia lo Specchio Ustorio, XVI, 513, della riuscita del qualo A. Antonini dubita, 520. Si lagna dell’ aggravamento della podagra, della qualo già da lungo tempo soffriva, 479, 508; XVII, 106, 338, 341, 384, 406; XVIII, 84, 134, 146, 186, 218, 240, 328, 346, 361. Ha ricevuto in dono da G. il Cursus mathema- ticus dell’Herigone, senza però il quinto volume, che chiede, XVII, 106, 145, 173, 202, 342; XVIII, 356. Si conduole con G. della perdita di un occhio, XVII, 144, 173; e poi dolla completa cecità sopravvenuta, 273. Scrive del De centro gravitalis soli- dorum del Guidino, criticandolo, 243-244. Raccoglie materiali per la sua Centuria, e manda informazioni intorno ad essa, 243-244, 342, 383; XVIII, 21, 109, 346-347. Riferisce una conversazione avuta col Liceti intorno alle ombre diverse in lunghezza secondo le varie altezze del sole sull’orizzonte, e circa 16 Voi. XX. 122 INDICE DEI uu cannocchiale lungo treutasei piedi, X\ II, 341-343. Chiedo notizie dei vetri di Napoli ni Castelli, 383. Giudizio del Descartes intorno a lui, 403. Scrive d’un libro pubblicato dal Chiaramonti contro il Dicati, 415. tornisce informazioni a G. A. Rocca intorno a G. ed al Castelli, XYIII, 1G. Si rallegra di sapere stampate lo speculazioni di G. intorno al moto, od esprimo il desiderio di vedere quelle del Baliaui, 21. Comunica la intenzione del Li- ceti di occuparsi della pietra lucifera di Bo¬ logna, 21, 27, 50, 85. Olire a G. la vita di Copernico scritta dallo Starovolsclii, 22; e gliela manda, 27. Scrive d’una macchina in¬ ventata da un Bolognese por condor pesi, 32-33. Informa G. A. Rocca intorno al libro del Baliani sul moto, noi quale giudica tro¬ varsi molte cose tolte da G., 43. Manda a G. la sua Nuova praltica astrologica, 50, 83-81. Procura a G. delle mortadelle da mandare all’Arcivescovo di Sieua, 50, 59. Ila ricevuto le Nuove Scienze, ne scrivo con ammirazione, 67-G8,84; e si propone di leggerle ad un gen¬ tiluomo Senese, suo scolaro, 135. Si duole delle opposizioni del Liceti a G., e scrive del poco conto nel quale sono tenute le coso di quello, 147; rallegrandosi del vantaggio elio ne viene al mondo per le risposte di G. da lui occasionate, 258, 282. Scrivo di quesiti pro¬ postigli dai matematici di Francia, 147, 2G2. G. risponde che alla cicloide, alla quale si ri¬ ferisce uno dei due quesiti, egli aveva pensato cinquantanni prima; o gli manifesta l’inten¬ zione di risponderò al Liceti, 153-154. Annun¬ zia a G. la pubblicazione del Philolaus del Bullialdo, 1G0,210 e gli scrive doll’aspettativa del Liceti per l’annunziata risposta di lui, 1G0-161,18G. Ha sentito con piacere che G. ha presso di sè il Viviaui, 186,211. Intermediario della corrispondenza tra G. ed il Liceti, 200, 209,218,240,258, 262,263, 301, 328. Dichiara di dissentire dal Liceti circa il lume secon¬ dario della luna, 200. Si compiace della pro- NOMI ECO. [Cavallerizzo maggiore babile venuta del Castelli alla lettura mate¬ matica di Pisa, 201, 209, 210,211,216; e si duolo nell’udire ch’essa non ha più luogo, 218, 240-241. Scrive del P. Genieri eletto a Pisa, al quale da G. sono stati conferiti tutti i lavori da lui giù fatti intorno ai Pianoti Me¬ dicei, 262. Si compiace della buona acco¬ glienza fatta in Francia alla sua Geometria, 300. Informa G. delle sue relazioni colBeau- gruud e con altri matematici francesi, 346- 348. Si mostra lieto della prossima andata del Torricelli presso G. e ne esalta le doti, 361 ; o si congratula poi anche col Torricelli stesso, 304-3G5. Annunzia al Rocca ed al Mersenne Pimminente pubblicazione del De motti del Torricelli, 3G5, 368. Partecipa alla comune ansietà per le cattive nuove dello salute di G., 373, 376, 377. Annoverato dal Yiviani tra i discepoli di G. cho furono let¬ tori in pubblici Studi, XIX, 629. Nominato, VII, 17; Vili, 12, 13, 19, 27; XH, 332; XLU, 298, 301, 310, 313, 324, 358; XIV, 29, 62, 215, 211, 241, 281, 283, 312, 317, 325, 335, 330, 342, 348; XVI, 339, 377,402, 50G; XVII, 1G2, 302, 375, 402, 405-406, 410; XV1II,55, 90, 205, 281-282, 366, 374. Cavallerizzo maggioro del Duca di Baviera. XIII, 440, 441. Cavalletto (speziale dal). XI, 35. * Cavalli Bartolommbo. Auditore di Rota in Siena, XVI, 25, 39. * Cavalli Giulio. XIII, 343; XIX, 426, 427. ■"Cavalli Pietro. X, 180; XII, 73. "Cavalli Ventura, Avvocato di Collegio in Venezia. XII, 349, 405, 406; XIX, 587. Cavallo. Problema intorno alla stima di esso, VI, 5655. Lettore su questo argomento di Tolomeo Nozzolini, 569, 574, 578, 598, 609; dol Castelli, 577; di G., 582; di A. Ge¬ mini, XIII, 350. Decisione di G., VI, 572. Moto di esso, mal compreso da Aristotele, Vili, 61G. Se possa star su due piedi dalla Contri dei globi mondani] INDICE DEI medesima parte, 616 ; XVII, 51. — V. Fer¬ raiolo. Cavrara. — V. Caprara Massimiano. Ceco a rulli Antonino. XVI, 295. Cecoarelli... Caterina. XVI,133; XVII, 205, 218. Cecoarelli Lorenzo. Manda salati cd auguri a G., e con essi duo composizioni poe¬ tiche al figlio Vincenzio, XIII, 461. Prega G. d’una commendatizia per F. Niccolini in oc¬ casione di certa sua lite e lo informa di al¬ cuni avvenimenti di Roma, XVI, 133. Torna a scrivere della sua lite, e chiedo una com¬ mendatizia del Granduca al Viceré di Na¬ poli per Tommaso Ribera, 278-279, 295. Si conduole con G. per la morte di Suor Maria Celeste, 294. Manda versi nuziali ai Gran- duelli, e si raccomanda a G. per averne qualche ricognizione, XVII, 205,206, 217-218. Secondo la proposta del Castelli, olire di to¬ nerò presso di sé A. C. Galilei, quando man¬ dasse ad effetto il proposito di recarsi a Roma, 216, 218, 229, 248. Ceocuina, serva di G. XII, 457. Cecchini Antonio. XIX, 436. Cecchini Francesco. XIX, 436. Cecchino. XV, 342, 362. Cecco Bimbi. XI, 454. Cecconoet.lt Pietro, stampatore all’in¬ segna delle Stelle Medicee, VI, 39. Oecconoelli, artefice in Firenze. XIV, 92, 98. Cechi Domenico. XIX, 520. Cechi Pellegrino. XIX, 520. Cecilia (Card, di S.). — V. Sfondrati Paolo. Cefco. A lui vien paragonato G. dal l’or tesene, XIV, 47, 84. Ceffini. XV, 210. Celata o Colatone. Costruita da G. nell’arsenale di Pisa, e sperimentata a Li¬ vorno e in mare, XII, 311-312, 344. Proposta al governo Spaglinolo per l’attuazione del NOMI ECO. 123 trovato concernente la determinazione delle longitudini, 322-323, 345. M. A. Galilei ne chiede lina per il Duca di Baviera, 339-310. Sperimentata dalla marineria toscana e dal Castelli, 344, 346, 354, 372. Regalata da G. all’Arciduca Leopoldo d’Austria, 390, 398. Proposta agli Stati Generali d’Olanda,XVII, 99. Descritta dal Viviani, XIX, 615. * Celesti Maro’Antonio. Suo giudizio in¬ torno al Dialogo dei Massimi Sistemi , XTV, 404. Suo Efcmcridi nuove de i moti celesti, XVI, 229. Desidera vedere il manoscritto delle Nuove Scienze, mandato da G. al Mi- canzio, 229. Suo giudizio intorno alla Dosa Ursina, 256. Possiede le Operazioni del com- passo manoscritte, 486. Sua morte, XVII, 402. Celestino (Frate). X, 450. Celispicio. Titolo dell’opera che il Cesi scrive a G. d’aver quasi compiuta per di¬ mostrare l’importanza delle nuove scoperte celesti, XI, 403. * Cellesi Sebastiano. XVI, 37. Celso Aulo Cornelio. XI, 23. Cenci Cristofano. Desidera un esem¬ plare del Dialogo, XIV, 327. ♦Cenci Giulio. XVIII, 220. Ceneda (Inquisitore di). — V. Piccinini Niccolò. Cennini Francesco. XVII, 394. Centauro (costellazione). XII, 422; XVIII, 139. Centenni Tommaso. XIX, 580. Cantini. Familiare del Ciampoli, XIII, 196, 198. ♦Cantini Felice. Ha parte in ambedue i processi contro G., XIX, 277, 278, 279, 283, 284, 285, 295, 338. È tra i Cardinali che pro¬ nunziarono e sottoscrissero la sentenza, 402, 406, 413. Nominato, XIII, 101. Centrifuga (forza). Suoi effetti, VII, 158, 214. Centri dei globi mondani. Naturale INDICE DEI NOMI ECO. 124 tendenza di tutte le parti ad andare a loro, ni, 58 . Centro del cerchio e della sfora. Se sia più lontano di qualsiasi altro punto dalla circonferenza o dalla superficie, V, 407; VI, 518-519. Opera De centro et circumfcrentiu del Liceti, XVIII, 161; garbatamente canzo¬ nata da 0., 2(53. Contro di gravita. Definizione, II» 159. Di due corpi, 160. Coiuuno, TU, 270; XII, 314; XVI, 352. Centro di gravità dei solidi. Teo¬ remi circa la determinazione di esso, I, 179- 208; Vili, 313; XI, 400; XVI, 193, 524; XVII, 50, 02, 03, 80. Occasione a G. di oc¬ cuparsene, Vili, 313; XIX, 005. Lavori di Pappo, del Commendino e di Guidobaldo del Monte, X, 22, 20, 34, 45. Discussioni di G. col Clavio, 22-24, 27-30; con Guidobaldo del Monte, 25-26, 31, 34-30, che si compisco in sentire elio voglia pubblicare i suoi studi su questo argomento, 39; col Coignot, 31-33. La¬ vori di Luca Valerio, 240, 452; XI, 416, 460, 475, 560; XVIli, 71.-7. Gravi. Gravità. Centro della sfera celesto. Ragioni dei Tolemaici per conchiiulore che in esso sia constiti!ita la terra, II, 220-221 ; V, 405s. Centro del mondo. Se sia quello a cui hanno inclinazione tutti i corpi gravi, III, 275s. Centro dell’universo. Sevi siaconsti- tuita la terra, IH, 339s; VII, 60, 150, 164, 349, 595, 603; argomenti fisici portati dal- l’Ingoli per provarlo, V, 406-407. Opposizioni di G., VI, 534s. Qual sia questo punto, se¬ condo Aristotele, 539 ; VII, 348. Opera del Liceti su questo argomento, XVIII, 281, 285, 286, 287, 290. Se possa assegnarsi tale cen¬ tro, 293-294. Centro della terra. Ad esso, e non a quello dell’universo, può dirsi tendano i gravi, VII, 61, 164s. Moto annuo fatto da esso sotto 7 eclittica, e diurno fatto dalla [Contro del cerchio terra intorno ad esso, 406. Pesi uguali, in diverse lontananze da esso, mutano gravità, XVI, 336, 851-354, 368, .‘182-383. Centurioni Ciò. Hattista. XVII, 124, 133, 138. Ceoi.t Ci azio. XIX, 262, 263, 204. Ckoli Domenico. XIX, 202,263, 264. Geo li Mario. XIX, 262, 263, 264. Oboli Piero. XIX, 262, 263, 264. Oboli (Sig/*). XVI, 493. Cbplf.ro. - 1'. Keplero Giovanni. Cora. Di poco inferiore di gravità al- l'ncqua, IV, 11. Perciò, o per potersi ridurrò agevolmente in ogni sortii di figura, attis¬ sima alle esperienze sul galleggiamento, 88s. Esperienze con essa eseguite, 96s, 161, 224, 266, 291, 326, 400,414, 493s, 549s, 725s. Palla di essa, immersa nelPncqun, vicn sollevata da un bicchiere con la bocca ingiù e poi riti- rato, 102. Accomodata per fare esperimento di diverse gravità di acque, Vili, 113-114. Cerbero. VI, 418; IX, 44; X, 309. Cerbona. — V. Sorbona. Cerchi dellTnferno di Dante. IX, 33s. Cerchi della sfera celesto. II, 226. Cerchi dello comete. VI, 119, 239, 400s. Cerchi del sole. V, 118. Cerchi meridiani. Il, 228. Cerchi polari. II, 233. Cerchio. Uso di esso nella costruzione dei poligoni regolari, II, 20-21, 81-82. Uso del compasso per quadrarlo, 3525, 407, 410s, | 562s; per costruirne uno ugnalo a trodati, 354s; per dividerlo in quante parti ci pia¬ cerà, 357, 361, 406, 578s; per trovarne uno uguale alla differenza di duo dati, 386-387. Differente da eirconferonza, VI, 402. Perfe¬ zione della linea circolare sopra la retta, secondo Aristotele, VII, 42. Infinito passioni di esso, 129. Luogo da esso tenuto tra lo figure superficiali, 235. Rapporto tra la cir¬ conferenza ed il diametro, 247, 258-259. Non INDICE DEI NOMI ECC. 125 Cesarmi Virginio] repugna il potersi con la circonferenza di uno piccolo, e poche volte rivoltato, misurare e descrivere una linea maggiore di qualsivo¬ glia grandissimo, 271 ; VILI, 68$; XVI, 356. Le loro superficie sono come i quadrati dei diametri, VII, 365. Linea retta e circonfe¬ renza di esso infinito son Pistossa cosa, 404; VITI, 83$, 89. Le parti di uno regolarmente mosso intorno al proprio centro si muovono in diversi tempi di moti contrari, VII, 452. Moto di uno entro un altro, 541 ; Vili, 94-96; XVI, 203. Come la circonferenza di un im¬ menso possa chiamarsi uguale ad un punto, Vin, 74-75; XVI, 236-237. È un poligono di infiniti lati, non quanti, indivisibili, Vili, 95; XVI, 219, 224-229, 381-383. Medio propor¬ zionale fra due poligoni, uno de’quali gli sia circonscritto, l’altro gli sia isoperimetro, Vili, 102$. Problemi ad esso relativi, man¬ dati a O. dal Coignot, X, 33 ; da G. del Monte, 37, 38; dal Castelli, XII, 116; dal Cavalieri, XIII, 323. Altri lavori del Cava¬ lieri ad esso relativi, 352; XVI, 137. Consi¬ derazioni che lo concernono nella questione dell’angolo del contatto, 331-334, 348-350. Innumerevoli definizioni di esso date dal Li- ceti, XVUI, 263. Cerchio equinoziale. II, 228-229. Cerchio terminatore della luco. VII, 417. Gerenza (Duca di). — V. Pinelli Cosimo e Pinelli Francesco. Cerere. XVI, 399. * Cermello Aoostino, Viceconunissario del S. Uffizio. XIX, 289. Ckrnesi (Sig. r ). XIV, 349. Cerea. — V. Sera (del) Cosimo. Cerràto Antonio. X, HO. Cerreto. X, 155, 15G. Certaldo. XV, 140. Gertaldo (da) Piero, servitore di G. B. Ricasoli. X, 40; XIX, 56, 78, 86. Certosa di Firenze. XV, 171, 228,230. Cervello. Corrisponde noi corpo umano alla luna, ITI, 219. Origino dei nervi, VII, 133. Cervieri Pietro. XIX, 335. Cervino, Consultore del S. Uffizio. XIX, 292. Cesalpino Andrea. XTI, 210; XIV, 336; XIX, 34, 38, 41. * Cbsanà Iacopo. XIII, 16. Cesare. XIII, 152. Cesare (Caio Giulio). Ili, 56, 110 ; VI, 185, 296, 446; EX, 145; X, 335; XII, 416; XIV, 395; XVII, 19. Cesare (Messer). Familiare dell’Arcive¬ scovo di Siena, XV, 362. Cesare (Sig. r ). XI, 579. Cesare (Sig. r ). Familiare di G., XVI, 508. Cesarini (Sig. ri ). G. in lloma ne frequenta la casa, XII, 212. Nominati, XVIII, 239, 246. * Cesarini Alessandro. XI, 233; XII, 380; XVIU, 198. * Cesarini Ferdinando. Lettera indirizza¬ tagli dal Castelli circa la cura di un ferito, XVII, 377-380. Leggo col Castelli le Nuove Scienze, XVUI, 26. Altra lettera indirizza¬ tagli dal Castelli circa il modo di partir le acque delle fontane, 92, 96. Esprime la sua ammirazione per l’avverata predizione di G. circa le apparenze di Saturno, 224-225, 239, 246. Nominato, XIII, 171, 172; XVUI, 57, 58, HO. Cesarini Ferrante. XHI, 323. * Cesarini Filippo. XVI, 133. * Cesarini Gianqiorgio. XI, 233; XTV, 433; XVI, 133. * Cesarini Giuliano. XVI, 133. * Cesarini Virginio. Assiste all’esperienza del catino, fatta dal Grassi, VI, 157, 474; XVIU, 424-425. Saggiatore , in forma di lettera a lui indirizzata da G., VI, 199, 213; XIX, 616. Professa a G. la propria ammira¬ zione, ricordandone la dotta conversazione, XU, 299, 413-415. Per meglio compren- 126 INDICE DEI NOMI ECO. derno le speculazioni, si propone di dedicarsi allo studio dello matematiche, 300. Ascritto all’Accademia dei Lincei, 397, 308, 411; XIX, 268. Logato in amicizia grandissima col Ciampoli, XII, 409, 413. Comunica a G. lo ossorvazioni da lui fatte sulla cometa, dolen¬ dosi della propria debolissima costituzione, 422-423. Lascia Roma per corcare clima più dolce a Gaeta, 436, 437, 439, 443, E costretto dalla sua cagionevole salute a lasciare gli studi, 466. Annunzia a G. la morto di sua madre, 472. Il Cesi ne partecipa a G. le gravi condizioni di salute, 490. Col Ciam¬ poli è ospite del Cesi in Acquasparta, XIII, 37, 38. Reduce a Roma, cade novamento ammalato, 43; o si propone di passare il prossimo inverno a Napoli, 44. È in pericolo di vita, 58. I Lincei si raccolgono nella sua casa, 62,68; XIX, 268. Anche per incarico dei Lincei, sollecita G. a rispondere al Grassi, XIII, 68-69,84, 86, 89, 90. Accompagna a G. una sua elegia in lode del suo medico, 88-90. G. gli manda la desidorata risposta al Grassi, e ne dà avviso al Cesi, 98. Ringrazia G. d’aver intitolato alui tale risposta, 99; e la trasmette al Cesi, 102, 103, 113. Comunica a G. l'in¬ tenzione di darla subito alle stampe, 105-106. Gli annunzia la pubblicazione (ìe\Y Apologia del Campanella, 106. Scrive al Cesi di molti Lincei che desiderano leggere il manoscritto del Saggiatore, 10S. Presenta a G. il P. Ric¬ cardi, revisore del Saggiatore , 109, e un gen¬ tiluomo polacco che desidera conoscerlo, 109-110. Annunzia a G. la propria elezione a Cameriere segreto del Papa e d’aver pro¬ ceduto ad una revisione del Saggiatore , 111 . Eletto Maestro di Camera dal nuovo Pontefice Urbano Vili, 121; è in voce d’essere presto creato cardinale, 129. Scrive a G. del nuovo Papa o della propensione che dimostra per lui, 124. Stende la dedicatoria del Saggiatore ad Urbano Vili, 139. Gli annunzia la fine della stampa del Saggiatore, gliene accom- [Cesnrini Orsini Livia paglia un esemplare, 141-1-42; e si rammarica dei molti errori corsi nello stampare, 150 - 151 . Sua morte, 171,174. Suo elogio, mandato dal Cesi a G., 243, 262; e da questo al Marsili 256, 258. Nominato, VI, 6, 13, 14, 404, 408; XI, 233, 501; XII, 212, 3-80, 429, 473, 49s| 499; XIII, 14, 23, 25, 39, 46, 47, 54,59, 62, 73, 78, 79, 80, 100, 107, 112, 116, 125, 126, 139, 154, 161, 166, 167, 168, 172; XYIU, 289, 246. * Cksarini Olisi ni Livia. Sua morte, XII, 472, 490. Cbsàjuno. XIV, 152. Cosi. XIII, 201. ♦Cesi Angelo. V, 82; XII, 68, 78; XIII, 179, 188, 263, 465. Cesi Anna Maria nei Per etti. — F.Pc- rotti Cesi Anna Maria. * Cesi Bartoi-ommeo. XII, 33, 84. * Cesi Federico di Angelo. XI, 117, 157, 463 ; XII, 68, 84, 189. * Cesi Federico di Fcdorico. G. mostra a lui e ad altri in Roma le novità celesti, III, 325; XI, 99; e discute, lui presente, col La- galla sulla inalterabilità e incorruttibilità dei cicli, III, 366. Esorta G. a dare un seguito al Sidereus Nuncius, III, 423; XI, 175. Pro¬ blema di G. Bardi sulle galleggianti, a lui dedicato, IV, 195; XII, 79; senza però sua sodisfazione, 90. Lettere di G. Bulle mac¬ chio solari a lui inviate, V, lls. Corre¬ zioni ed aggiunte ad esso, di sua mano, 75. G. B. Della Porta gli scrive del suo cannoc¬ chiale, X, 252, 508; e biasima la Aiavota del Sizzi, XI, 157, 158. G. ricorda le pitture di piante Indiane, veduto in sua casa, 107,211. Dello lettere promessegli da G. in difesa delle asserzioni lunari, o libro che vi sta preparando intorno il 1-agalla, 158, 169, 174, 210, 223, 229, 237, 248. Sulla stampa del libro delle Piante Indiane, 211,224, 236, 272, 286, 294, 438; XII, 397; XIII, 113, 220, 244, 270, 280, 374, 376, 388, 449, 459; XIV, 361. INDICE DEf NOME ECO- 127 Cesi Federico] G. chiede ed ottiene per esso il privilegio in Toscana, XH, 380-383, 386, 387, 397. An¬ nunzia a Gì. esser vonuta notizia di Germa¬ nia che ivi si stanno osservando le macchie solari, XI, 236, 241; ed essersi fatta una pubblicazione intorno ad esse, 271, 280. Gli manda alcuni epigrammi del Demisiani, 236, 240, 247. Lo ragguaglia intorno ad alcuni particolari relativi all’Accademia dei Lincei, all’aggregazione ad essa di alcuni studiosi, ed alla fondazione d’un Liceo in Napoli, 282- 284, 292, 293, 312, 323, 357, 506, 507, 509, 515, 529, 538-539, 562; XII, 70-71, 92-93, 95-96, 98-99, 104-105, 397, 489-490; XIII, 244-245. Gli scrive del libro del Lagnila e di un volume epistolico da pubblicarsi dall’Ac¬ cademia, XI, 285. Gli manda l’anello Linceo e il catalogo degli Accademici, perchè vi scriva di suo pugno il proprio nome, 293, 302; XIX, 265. G. gli annunzia l’imminente compimento della stampa dol Discorso sulle galleggianti o il prossimo invio d’uua sua lettera al Welser sulle macchie solari; ac¬ compagna disegni da mostrare al Cigoli, ed il catalogo linceo da lui firmato, XI, 295-298. Presenta a G. il vescovo di Lucerà, che de¬ sidera essere da lui sincerato della verità delle scoperte celesti, 3X7. Si offre di stam¬ pare le Lettere sulle Diaccine solari, 324. Manda a G. alcune sue considerazioni in¬ torno al sistema del mondo, 332-333, 366- 367, e risposta che ne riceve, 344-345. Lo in¬ forma delle trattative per il suo matrimonio con la primogenita del Duca Sforza, 352. Co¬ munica al Faber l’intenzione di G. di stam¬ pare in Roma le lettere al Welser sulle macchie solari, 357. Ragguaglia G. intorno all’accoglienza che trovano in Roma il Di¬ scorso sulle galleggianti o gli scritti degli oppositori, 370, 382, 393, e si propone di ri¬ spondervi, 387, o di farvi rispondere da al¬ tri, 410. Ila ricevuta la seconda lettera sulle macchie solari, 393,394; od annunzia che non se ne tarderà la stampa, 395. Riferisce a G. intorno ad una discussione seguita nel Col¬ legio dei Gesuiti a proposito delle macchio solari, 395. Scrive d’un suo lavoro intitolato Ccìispicio, per dimostrare l’importanza delle nuove scoperte celesti, 403; XIII, 429-430. Propone il titolo di Ilelioscopia per le lettere sulle macchie solari, ed entra in particolari relativamente alla dedica ed alla stanipa, XI, 404, 409, 416, 420, 422-423, 428, 438, 416, 450, 462, 463, 404, 466-468, 474-475, 480, 481-482, 484, 4S7. Informa G. della pubbli¬ cazione di un anonimo olandese e gliela manda, 404, 409, Si propone di aggiungere una sua lettera a quelle di G., 407 ; ed altro ancora, 444, 446, 458, 475; ma in seguito ad opposizioni di G., 46S-4G9, vi rinunzia, 475, 481. Ricevuta VAccuratior Disquisitio dello Scheiner, è d’avviso che sia necessaria una terza lettora di G.,416. Discuto intorno al ti¬ tolo da darsi allo lettore, 420,429,450; e fini¬ sce con accettare quello proposto da G., 460. Difficoltà che incontra por la stampa coi re¬ visori ecclesiastici, 42S-429,431,437-438,439, 446-447, 449, 450-451, 452, 453, 458, 465-466, 471, 483. Ha avuto avviso delle nuove ap¬ parenze di Saturno, 438, 439, 538; XII, 275, 276. Accusa ricevimento della terza lettera sullo macchio solari, XI, 446. G. gli scrive di star preparando le costituzioni future delle Medicee, da aggiungere alle Lettere sulle macchio solari, 459, 465. Chiedo per il vescovo di Bamberga un cannocchiale a G., 464; e quosti risponde che procurerà di com¬ piacerlo, 468, 487. Manda la prefazione delle lettere a G., 481 ; il qualo non vorrebbe nemmeno questa, 483 ; ma vi si acconcia, persuaso dal Cigoli, 484-485. Nominato Prin¬ cipe di S. Angelo, 4S4, 490. Compiuta la stampa delle Lettere, 487, ne vengono in¬ viati esemplari a G., 489-490, 494-495. Ri¬ corda a G. ragionamenti avuti con lui in Roma a proposito di lenti paraboliche per 128 indice dei nomi eco. i cannocchiali, 520. Oli annunzia la morto del Cigoli, 529. Accenna ad una traduzione latina dello Lettere Bulle macchie solari, 546. Chiedo notizie a G. intorno ad una pietra caduta dal cielo sul territorio di Fi¬ renze, 5G2. Accompagna a G. alcuni disegni delle macchie solari tracciati dal Colonna, e gli scrive delle difficoltà sollevato in Roma su tale materia dai Peripatetici, 593, 598- 599; e nel Collegio Romano, XII, 12. Scrive d’uu celeste notturno rossore osservato in Roma, l i, che diede occasione ad una scrit¬ tura del Lagnila, 14, 15; e ringrazia G. del suo parere intorno a ciò, 18. Gli partecipa la conclusione del suo matrimonio con Ar¬ temisia Colonna, 17-18. Esprimo il desiderio di pubblicare alcuni volumi di traduzioni dall’ arabo di cose matematiche o naturali, 25, 29, 84. Scrive di opposizioni sollevate in Napoli contro i Pianeti Medicei, 28. Fa sa¬ pere a G. che sotto lo pseudonimo di Apollo si nasconde Cristoforo Scheiner, 29, 41. Ri¬ ceve da G. i vetri por un cannocchiale ad uso dei Lincei, 40-41. Gli propone la sostitu- ziono di altro predizioni delle Medicee in al¬ cune copie delle Lettere sullo macchie solari da consegnarsi ad un libraio, 48-49, 53. Suo matrimonio, 58, 71. Desidera un ritratto del Salviati, 72, od avutolo, lo ringrazia, 98. Lo informa della deliberazione presa dai Lincei riguardo al plagio del Mayr, 85; XIX, 267. Gli annunzia la morte del Welser, XII, 85, 90. Invita G. ad astenersi, a motivo dello sue condizioni di salute, dall’inviare il con¬ sueto saluto annuale ai Colleghi, 93. Scrive della diffusione che si propone di dare allo pubblicazioni dei Lincei o della traduzione latina delle Lettere sulle macchio solari, 125. Informato da G. delle invettive del Cacciai contro di lui, se ne duole e propone ri¬ medi, 128-131. Gli annunzia la pubblica¬ zione del Sol Ftliptieus dello Soheiner, 136- 137. Gli manda la lettera del P. Foacarini, [Coni Federico e gli annunzia la morte del Porta, 150 È d'avviso, col Dini, che la lettera a questo, indirizzata da G. in favore della dottrina copernicana non (leva essere mostrata al Card. Bellarmino, 175, 180-181. Ila ricevuto la Risposta, pubblicata sotto nome del Ca¬ stelli, agli oppositori alle Galleggianti, 189. Scrive di ciò ohe si sta operando in Roma por la libertà della dottrina copernicana, 188-190. Trattandosi del suo matrimonio con una Salviati, G. ne scrive alla Corte, 248-249. Informa G. della continuazione o della con¬ clusione dello trattative per tale matrimonio, 266,271-272,274. Comunica a G. che il Grien- berger od il Guidili, gesuiti, gli hanno ma¬ nifestato il loro disgusto per la proibizione del Copernico, 285. Fa chiedere al governo toscano col mozzo «li G. il privilegio per il libro delle pianto indiane, 380-388, ed otte¬ nutolo, lo ringrazia, 386, 387, 388. Si congra¬ tula con (ì. per la visita dell’Arciduca Leo¬ poldo, 383. Annunzia a lì. la nascita di prole, 386,490; XIII, 103,118, 219. Ricorda discus¬ sioni avute con G. in Tivoli circa le propor¬ zioni musicali e la rispondenza delle corde, XII, 436. Ha sentito con doloro la notizia della morte del Ilidolfi, e partecipa a G. quella del Moller, 439. Accusa ricevimento del Discorso (tette comete, 471. Annunzia la morte del Demisiani, 490. Desidera sapere olio cosa pensi G. della Libra del Grassi, 4%, e della opportunità di rispondervi, XIII, 11, 21. Vorrebbe che la risposta di G. al Grami uscisse sotto il nomo d’un disce¬ polo, 24, 25, 37-38. Il Guiducci gli accom¬ pagna la sua risposta al Grassi, 41. A nome di tutti i Lincei sollecita la risposta di G. al Grassi, 76, 89; e si compiace di saperla compiuta, 80. G. gli annunzia di averla in¬ viata al Cesarmi, 98, dal quale la riceve, 102, 105, e scrive a G. ohe no solleciterà la stampa, 103, 115. Annunzia prossima la fine della stampa del Saggiatore, e ne accompa- Cesi Orsini Olimpia] INDICE DEI NOMI ECO. 129 gnu il frontespizio, 132, che è approvato da Cì., 134. G. lo richiede di parere circa la opportunità d’nn suo viaggio a Roma per inchinal e il nuovo Papa, 135. Risponde ap¬ provando questo disegno, ed invitandolo a passare da Acquasparta, 140-141. Presenta esemplari del Saggiatore al Papa ed a molti Cardinali, e ne fa mandare cinquanta a G., 142,148. G. gli annunzia che sta per mettersi in viaggio, dirigendosi ad Acquasparta, dov’è attoBO, 144-145,164-165,166,167, 168. G., ar¬ rivato a Perugia, gliene dà avviso chiedendo¬ gli il promesso comodo della lettiga, 169, che gli vien subito concesso, 170. Saluta G.giunto in Roma, e lo ammonisco contro le lungag¬ gini della Corte, 177. Di ciò G. lo ringrazio, propone a Linceo G. Marsili, e lo ragguaglia intorno alle pratiche che vien tentando in Roma per la libertà della dottrina coper¬ nicana, 178-180. Risponde di gradire la pro¬ posta fatta del Marsili ed esorta G. a trat¬ tenersi in Roma per proseguire le pratiche, 180. G. gli dà minuto ragguaglio di queste, riferendogli la testuale dichiarazione del Papa a tale proposito, 182-183. Attende a studi e od osservazioni sul legno fossile di Acquasparta, 200-201; XYI, 337. Ringrazia G. di un microscopio e delle relativo istru¬ zioni, XIH, 208-209, 219. G. gli annunzia il compimento della risposta all’Ingoli, e gli scrive d’esser tornato al flusso e reflusso, 209, 219-220, 243. Ila ricevuto la risposta all’In- gòli, 246, 247. Annunzia al Marsili la sua ascrizione ai Lincei, 263. Consiglia di non far per allora conoscere all* Ingoii la Rispo¬ sta, 265. Dissuade G. da un nuovo viaggio a Roma, 269. Lo ragguaglia intorno ai lavori accademici, e gli invia il primo foglio del- VApiarium, 280. Gli annunzia P invio del- P Hgperaspistes del Keplero, 297; e lo rag¬ guaglia intorno ai propri travagli famigliavi, 298, 375-376, 449; dei quali G. viene infor¬ mato anche dallo Stellati, 300. Fa la perso¬ nale conoscenza del Cavalieri, 311. Racco¬ manda a G. il medico Winter per la lettura anatomica di Pisa, 387. Sue opinioni sulla fluidità del cielo; 429-430. Ricorda a G. le scritture maggiori ed in particolare il Dia¬ logo ed i promessi lavori sul moto, 448; XIV, 35; e G. gli annunzia d’aver quasi terminato il Dialogo , 60, 67; di che grande¬ mente si compiace, 72. Riferisce al Castelli le dichiarazioni fatte dal Papa al Campa¬ nella riguardo alla proibizione del libro del Copernico, 88. Sua morte annunziata a G. dallo Stelluti, 126-127, dal Castelli, 132, e dal Ciampoli, 136-137. Il Dialogo doveva stam¬ parsi a sue spese, 216. Nominato, Y, 12, 13, 14, 15,16, 17, 93, 99,139, 184,188,191, 207, 209, 220, 223, 227, 229, 400; VI, 6,13, 503; VII, 3, 4, 6; Vili, 469; XI, 211, 221, 239, 240, 250, 251, 257, 258, 267, 291, 313, 318, 319, 348, 349, 359, 361, 362, 369, 374, 381, 385, 389, 396, 397, 408, 418, 424, 441, 476, 49S, 499, 501, 513, 520, 530, 547, 551, 552, 558, 559, 560, 561, 585, 601, 611; XH, 16, 19, 23, 32, 48, GO, 65, 68, 72, 76, 78, 79, 87, 90, 91, 102, 109, 110,122,147,148,161,163, 164, 166, 173, 196-197, 248, 305, 310, 337, 340, 341, 347, 356, 367, 398, 399, 406, 409, 411, 429, 430, 433, 437, 442, 474, 4$4, 488; XHI, 13, 21, 23, 30, 39, 43, 44, 47, 54, 59, 62, 64, 68, 77, 79, 82, 85, 86, 93, 96, 99, 100, 107, 109, 111, 113, 121, 122, 124, 129, 139, 143, 160, 171, 174, 181, 185, 188, 223, 236, 242, 243, 249, 256, 262, 264, 266, 268, 270, 272, 274, 285, 308, 310, 342, 369, 374, 459; XIV, 22, 50, 78, 90, 130, 135, 139, 292, 312, 361; XV, 96; XVI, 481; XVIII, 413- 415; XIX, 266, 267, 268, 269. — V. Acca¬ demia dei Lincei. Cesi Giovanni. XIV, 292. Cesi Gio. Cosimo. XH, 58. Cesi Colonna Abtemisià. XII, 17-18, 68, 128, 148, 149, 166, 189. * Cesi Obsini Olimpia. XII, 166,180, 189. Voi. xx. 17 130 INDICH DEI NOMI ECC. Cesi Salviati Isabella. XII, 218, 272, 337, 347; XIII, 177, 180, 181,183, 185,209, 219, 220, 244, 260, 270, 281, 300, 308, 374, 37G ; XIY, 60, 72, 292, 312, 361; XVI, 337, 481. Cb&PEDBS (de) ÀNDBEA GaROIA. SuO Hc- gimcnto de navigacion, citato, XIV, 75. * Ceulkn [Coelen, Oollen] (van) Ludolio. Problema geometrico da lui proposto al Coignet, X, 32-33. Ceuli. — V. Ceoli. Oharl'Entiek [Cabpentabius] Giacomo. I, 122. Cuasles Michele. V, 16. CuàSSANÉJE [ClIASSANAEUS O ClIASSKHEUX] Babtolommeo. XIX, 561. Ciiateau Villaih (Conte di). — V. Acqua¬ viva d’Atri. Ciiellini (Sig. r ). XV, 221. CllELLINO (Sig. r ). XII, 110. Chemnicensis Giorgio Farrioio. Sua Sa- xonia illustrata, proibita, XIX, 416. * Cherioi Lelio, Servita. XVII1, 323, 337, ] 341, 342. CherBoneso. Ili, 186. Che rubi n a (Suor). XIX, 518. Cherubini Alessandro. XVIII, 302. * Chiabrerà Gabriello. Promette una poe¬ sia in lode di G. per le scoperte celesti, X, 399. Nominato, XI, 597; XII, 42; XV, 212. Chiane. Questioni idrauliche ad esse re¬ lative, XIII, 324; XIV, 272. Menzionate, XV, 325. Chianti. XIV, 353; XIX, 74, 79. Chiantini Domenico. XIX, 105. Chiappi Bbrnabdo. Prigioniero dell’In¬ quisizione a Piacenza, XIX, 388. Chiara (Suor). — V. Landucci Isabella. * Chiaramonti Scipione. Suo Antiticonc, VI, 231; XIII, 215. Opinione ivi espressa intorno alle comete, VII, 76. Sospetto d’ac¬ comodare a suo modo le osservazioni, 77. Disposte alle sue obiezioni contro P im- | Cesi Salviati Isabella mutabilità del cielo, 82-83. Si dimostra elio ha latto poco studio sul Copernico, 286-287* XIV, 06. Suo paralogismo, VII, 292. Insta contro il Keplero, 294. La instanza sua si ritorco contro lui stesso, 296; XIII, 261. Nominato con lode da G., VII, 302. Metodi da lui osservati in confutar gli astronomi, o da G. in confutar lui, 304. Suoi errori circa lo stelle nuove, 316, 346, 523; XIV, 102. Sue opinioni in proposito esposte dal Hocco, VII, 617. Conosciuto personalmente da G. in Ce- sona, XI, 566-567. Sua mediazione a propo¬ sito dell’orologio proposto dallo Spiani al Granduca, 581, 582, 583-584. Tenuto in grande opinione dal Card. Cobelluzzi, XIU, 20S’, 226; e in Roma da personaggi princi¬ palissimi, 223-221. Esemplare del suo Antitì- cone , da lui posi illato o rassettato, donato al Card. F. Barberini, 215. Avvisa G. della pubblicaziono dell’ Ilypcruspist'.s del Ke¬ plero, o della sua risposta, 288, 290, 302- 303; la quale G. attendo con desiderio, 305. Sua scrittura contro il Copernico, comuni¬ cata dal Marsili a G., 298, 301, 315-316, 319. Yien sollecitata por lui una lettura nello Studio di Pisa, 312. È in Venezia per atten¬ derò alla stampa della risposta al Keplero, 326; che il Marsili confida di poter avere occultamente, foglio per foglio, o comuni¬ carla a G., 381, 332. Compiuta la stampa, ne invia un esemplare a G., 337, 339, 426-427. L’Aggiunti conferisce con lui intorno alle macchie solari, 419. Giudizi di G. intorno alle sue opinioni circa lo comete o le stelle nuove, XIV, 31 ; XVI, 331; XVIII, 294-295. Il Marsili desidererebbe conoscerò in antecipazione lo risposte a lui di G., XIV, 77; ma G. se uo esime, 79. Il Peri ne analizza la digressione circa le stelle nuove, 102. Viene annunziato, correr voce ih Roma che si voglia far venire per opporlo a G. in occasiono del processo, 372,373; XV, 83, 91-93, ma è poi smentita, 120. Il Castelli avvisa G. della Difesa ch’egli CJiampoIi Giovanni J INDICE DEI NOMI ECC. 131 sia stampando contro il Dialogo dei Massimi Sistemi , XIV, 412. E l’Aggiunti annunzia a G. elio ò stampata, e gliela invia, XV, 144- 145. Giudizi intorno ad essa del Nardi, dol- l’Aggiunti, dei Gaffarei, del Grassi, del Ma- giotti, del Guiducci, del Fiorentini, dell’Oddi, del Grozio, del Mersenne, del Micanzio, del Bardi, del Pieroni o del Renieri, XV, 185, 192, 213-214, 218,231,232, 256, 273, 300,364; XVI, 31, 50, 91, 97, 300, 419-420, 439; XVII, 194, 233. Due cose stimate da G. solenni, tra le spropositate ch’egli lui portate con¬ tro di lui, 269. Sue controversie col Liceti, 415; XVIII, 21, 60, 284, 286, 287, 290, 293, 291, 300. Nominato, VII, 523; XHI, 216, 218, 229, 230, 232, 233, 235, 241, 244, 218, 249, 252, 258, 264, 268, 285, 292, 299, 328, 340, 414; XIV,29, 33, 89, 348, 352; XVI, 118,124, 169, 482; XVIII, 219. CurAiu villa. Raccomandato dal Castelli e presentato da P. B. Borghi a G., XVI, 380, 407. CmAiu Francesco. XIX, 191. Ciitari SuroNE. XIX, 191. Chiari Giàsoomelli Caterina. Prestito di G. a suo padre por accasarla, XIX, 191. Omarino. XI, 503. Chiaro (del) Niccolò. XIX, 492. Chiella. XIX, 505. * Cmoi Agostino. XYI, 25, 81. * Cmgi Fabio. Informazioni su G. a lui mandato da Siena, XV, 185-186, 279; o da Roma, XVIII, 428. Cmmentklli Gio. Battista. XIX, 520. Chimentelli Lorenzo. XIX, 520. CniMENTi 1 a coro, detto V Empoli. XIX, 602. Chini Lino. Sua Storia antica e moderna del Mugello , citata, VI, 566. * Cmoooo Andrea. Sua testimonianza a proposito delle macchie solari, addotta dallo Soheiner, V, 62. Nominato, X, 53. ('modini Gio. Battista, Inquisitore di Belluno. XII, 195; XIX, 314. Chiodo. Doppio di grossezza d’un altro, e fitto nel muro, sostiene ottuplo peso del¬ l’altro minore, VOI, 54. Chioggia. XIX, 587. Choignet Michel». — V. Coignot Mi¬ chele. Ciaooui Francesco. Suoi conti con Vin¬ cenzio Galilei sen., X, 17; XIX, 26, 29, 30. Ciamboli Domenico. Sue ricerche intorno alle rime di Vincenzio Galilei iun., citate, IX, 25. * Ciamboli Giovanni. Esperienze fatte dal Grassi in sua presenza, VI, 474; XVIH,424- 425. Impara a conoscere G. nella villa Fer¬ dinanda ad Artimino, X, 220; XIII, 116. Leggo al Granduca la lettera di G. sugli effetti del cannocchiale, X, 258. Accompa¬ gna a G. alcuni versi del poeta contadino, 405-406. Rendo testimonianza d’aver veduti i Pianeti Medicei, 475. Con commendati- zie di G. si reca allo Studio di Padova, XI, 243-244. Nel ritorno da Padova va a Milano per trattenersi col Card. F. Borro¬ meo, 320. È in Bologna presso il Card. M. Barberini, 435, 453-455. Si laurea in utroque iure a Pisa, XII, 70. Recatosi a Roma, chiede a G. una commendatizia per il Cesi, 110,122; e fa la personale conoscenza di questo, 163, 180. Informa G. sullo voci che corrono in Roma a proposito delle sue opinioni sul moto della terra, e lo ammonisce a non uscire dagli argomenti fisici o matematici, 145-147. Si adopera in favore di G. nella occasione del primo processo, 152, 160-1(51, 162-163. Entra in istretta relazione con Virginio Ce¬ sarmi, 299, 300, 409; XIII, 58. È ascritto all’Accademia dei Lincei, XII, 397, 399, 411. Chiodo a G. un cannocchiale da parte del Card. P. Àldobrandini, 399. Comunica a G. il suo giudizio intorno al J Discorso del Gui¬ ducci, o gli consiglia di non prendersela coi 132 INDICE DEI NOMI HOC. Gesuiti, '166. Gli annunzi» elio il Grassi lm compiuta la Bua risposta, e gli scrivo circa l’esperienza del catino, XVIII, 42.5 Ilio, tra¬ smette a G. la Libra del Sarai, XII, 491, e lo persuade esserne autore il P. Grassi, 498-199. Ospite del Cesi col Cesarmi in Acquaaparta, esprimo il comune parere che G. debba ri¬ spondere alla Libra, XIII, 88-89, e por parto 3 ua opina che la risposta debba essere in¬ dirizzata al Cesarmi, 48-44; e d’accordo con questo suggerisco il concetto al (pialo do¬ vrebbe informarsi, 46-47. Eletto Segretario per lo lettere latino dal Card. Ludo visi, 59, indi Segretario doi Previ da Urbano Vili, o gratificato di pensioni, 69, 77-78. Sta aspet¬ tando la risposta al Grassi, 79, 82,84, 86. Ha letto ed annotato il Saggiatore, spedito al Cesarmi, 103,105, 111. Ricorda d’aver letto il Discorso del flusso c reflusso, e attendo di ve¬ derlo perfezionato, 104, 112,116. Informa G. circa i progressi della stampa dol Saggiatore, ammirato da quant i l’hanno veduto, 116,117, 119. Gli manda la sua Oratio (le Pontifìcc maximo eligendo, 119. Eletto Cameriere se¬ greto del Papa, che lo tiene in altissima stima, 121, 125,126, e al qualo leggo brani del Sag¬ giatore, 145,146. Eccita G. alla pubblicazione dei lavori che volgeva nella monto, 116-147; e principalmente del Dialogo, 279, 283, 295, 365; XiT, 50, 64, 78; e si compiace del saperlo compiuto, 64. E gli scrive che ò desideratissimo a Roma, Xlll, 168-169. Sua mediazione per far ottenere al figliuolo di G. la pensiono promossagli dal Papa, 182,187, 206, 246, 254, 257, 279-280, 295, 32-1, 338, 364. Stende il Breve pontificio al Granduca in elogio di G., 183-184. Si adopera per pro¬ curare il confessore Regolare desiderato da Suor Maria Celeste per il suo monastero, 187. Legge, corregge ed approva la Risposta al- l’Ingoli, 215, 221, 224, 225, 229, 230, 242, la fa copiare per sè, 261, o no riferisco gran parte al Papa, 295. Ha ricevuto o letto il |(Manipoli Giovanni discorso del timone, mandatogli da G., 246, 254, 295. Pur aspettando con desiderio G. in Roma, non credo opportuna per allora la sua venuta, 267, 269. Attende con desi¬ derio il Cavalieri, 303-30*1, col quale sposso si trattiene. 309, 311, 312, 318; corno pnrc col Castelli, 318, 317, 335. Ospita provviso¬ riamente in sua casa Vincenzio di M. A. Galilei, 383, 38*1, 388; o bì adopera in suo favore, 389. Appoggia il Cavalieri nelle sue aspirazioni alla lettura di matematica nello Studio di Bologna, XIV, 17, 21, 27, 33,35, 37-38. Fa scriverò a G. di venire a Roma, perdio con la sua presenza toglierà tutti gli ostacoli alla pubblicazione dol Dialogo, 82, 89. Gli partecipa elio il Papa gli ba con¬ ferita una pensiono, 133, 137. Si conduole con lui per la morto del Cosi, 136. È d’in¬ tesa col P. Riccardi di accomodare nlcuni luoghi del Dialogo , cosi da poter ceserò li¬ cenziato alla stampa, 150, 254. Ila lotto al Papa una lettera di G., accolla con molta benevolenza, 151. Privo di notizie di G., gli chiede d’esserno informato, 289-290. Sento con piacerò dpi progressi della stampa del Dialogo, 329; del «inalo riceve un esemplare, 368. Cade in disgrazia dol Pontefice?, c la¬ gnanze di questo sul suo conto, 352, 358, 383, 384, 429; XY, 68; XIX, 410. È allon¬ tanato dalla Corte e mandato governatore di Montalto, XIV, 116, 420, 430, 433. Si duole d’esser lontano da Roma mentre vi è G., lo informa delle sue occupazioni a Montalto, XY, 79-80, 154, ed esprime il desiderio d’una sua visita, 108. È visitato a Montalto dal Castelli, 150, 154, 192; al quale scrive d’occuparsi di studi algebrici, XYI, 283. Il Castelli gli manda una copia della lettera di G. all’Antonini sulla titubazione lunare, XVII, 336. Annoverato dal Viviani tra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., XIX, 628. Nominato, VI, 6; Vii, 4, 6; XI, 36, 328, 448, 498, 511; XII, 82, 112, 115, 118, 122, INDICE DICI NOMI ECO. 133 Cilindro] 144, 155,380, 413, 414, 415, -422,423,473, 492, 495; XIH, 37, 73, 78, 80, 99, 124, 133, 196, 197, 210, 239, 255, 271, 283, 336, 341, 342, 360, 371, 372, 381, 424, 429, 431, 437, 442, 445, 448; XIY, -1S, 57, SO, 88, 122, 132, 211, 230, 244, 250, 256, 209, 270, 277, 297, 318, 320, 330, 331, 360, 388, 402, 426, 436, 441; XV, 20; XVI, 75, 164, 277, 283, 323, 383, 424; XVII, 336; XVXLI, 110; XIX, 268, 269. *Ciampoli Niccolò. Si raccomanda a G. por esser eletto teologo del Principe Leo¬ poldo do’Medici e suo segretario dello let¬ tere latine, XVI, 423-424. Ciampoli Ottavio. Scolaro del Castelli in Pisa, XH, 116, 131, 132. Cianna (del) Francesco. XIX, 523, 529, 530, 531, 533, 534. Ctanna (del) Giovanni. XIX, 523, 529, 533, 534. Ciardi Annido. XIX, 523, 529, 530, 533, 534. Ciardi Dino. XIX, 523, 529, 530, 531, 533, 534. Ciabpali.ini Francesco. XIX, 520. Ciaiipallini Giovanni. XIX, 520. Cibklk. IX, 240, 253, 2GS, 278. Cibcle. XI, 22, 25. Cicala. Da che sia prodotto il suo al¬ tissimo stridore, VI, 137, 281. Cicerone Marco Tullio. 1, 23; n, 431, 435; IV, 422; V, 321; Vfl, 57X); XI, 459; XII, 466; XIY, 47; XVIII, 308; XIX, 64, 119, 296, 343. Cicloide. Dimostrazione del Fermat, XVII, 369. Problema proposto al Cavalieri, XVIII, 147. Ricerche di G., 153-154. Cicogna Emanuele Antonio. Sue iscri¬ zioni veneziane, citate, X, 399. * Cicogna Pasquale. XIX, 111, 128. Cicognini Raggio. X, 261. * Cicognini Iacopo. Sue canzoni citate, VII, 8 ; XII, 29;. XIX, 12. Sua morto, XV, 317. Nominato, XIII, 357. Ciclo. Opera di Aristotele De cacio o scritture giovanili di G. intorno ad essa, I, 9.5. So vo no sia uno solo o più, 38s, 795; II, 214. Suoi movimenti, I, 435, 67s; II, 216s, 224s, 253s; III, 283, 335, 364, 398; XVI, 53. Ordino degli astri in esso, I, 47s; n, 214-215; m, 269; XI, 332-333, 366- 367. Se sia semplice o composto, I, 55s, <05; II, 321s; Ili, 356s, 3665; gravo o leg¬ giero, I, 59s; VII, 59; corruttibile od incor¬ ruttibile, temporaneo od eterno, I, 63s, 94s; HI, 364, 373, 385s, 392; V, 139, 234s, 259s; VII, 625, 72, 80.s, 616, 621-624, G31s; Vili, 614; X, 139; XI, 296, 354, 428; XTII, 285, 290; XVIII, 249-250. Sede della divi¬ nità, I, 68; VII, 63. Costituito di materia c di forma, I, 70s; di potonza e atto, S5s; ani¬ mato, 103s. Numero di essi, II, 213. Se sia sferico, 215; V, 331; VI, 153, 319, 462. In confronto di esso la terra è di insensibil grandezza, II, 221. Suoi influssi, III, 281. Sua flussibilità, V, 133; XI, 99, 145; XIII, 430; conseguenze ebo no deriverebbero, VII, 621, 628. Se la sua materia sia diversa dalla elementare, YI, 139, 294, 441, 460; VII, 61, 560, 605. Se sia impenetrabile ed intangi¬ bile, 94. * Ciera Paolo. II, 539, 559, 560; XIX, 115, 222, 226. Cibvoli (Sig. r ‘). Scolari del Castelli nello Studio di Pisa, XII, 113. Cigno. XVII, 16. Cigno (costellazione). Il, 525, 526, 527, 528; X, 141; XII, 21, 34, 477; XIX, 643. Cigoli. — V. Cardi da Cigoli. Cilindro. Postille di G. all’opera De sphuera et cylindro di Archimede, I, 231 s. Considerazioni di G. ad esso relative noi Thcoremata circa centrum gravitatis solido- rum , I, 1875. Esperienze sul galleggiamento, fatte con uno di ossi lungo c sottilo e l’al¬ tro corto ma molto largo, IV, 93-94, 591. Di qualsivoglia materia, sospeso perpendicolar- 134 INDICE DEI NOMI ECO. [Cimarelli Vincenzo Maria mente, come resista al rompersi, \UI» 65. Di qualsivoglia materia, sino a quanta lun¬ ghezza si possano tirare, oltre alla quale, gravati dal proprio peso, si strapperebbero, 65. Lo superfìcie di duo eguali, trattone le basi, son tra di loro in sudduplicata pro¬ porzione dello loro lunghezze, 98. I retti, lo superfìcie dei quali, trattone le basi, siano eguali, hanno fra di loro la medesima pro¬ porzione che le loro altezze, contrariamente prese, 99-100. Teoremi relativi alla loro re¬ sistenza, 152, 156, 159, 160, 161, 162, 163, 165, 166, 172, 173, 176, 177, 187, 188-189; XVI, 244. Effetti del contatto con una sfora, l Vili, 588s. Dimostrazioni trovate dal Cava- ! lievi, Xm, 353; XVIII, 22, 147; da A. Ar- righetti, XV, 280-281; o da A. Nardi, XVIII. 343-344. Ctmauelt.i Vincenzo Maria. Inquisitore di Gubbio, ha ricevuta e notificata la sen¬ tenza ed abiura di G., XV, 294; XIX, 382. Cimknes. — V. Xitnones. Cimone. IV, 470, 471. Cimosoo, re di Frisia. IX, 158, 159. Cina. IV, 24; VI, 279, 428, 455; VII, 72, 83, 143. Cinesi. Se abbiano conosciuto antica¬ mente la polvere da fuoco e l’arte tipogra¬ fica, ni, 240. * Cini Niccolò. In Bua casa si legge il Dia¬ logo dei Massimi Sistemi, VU, 4; XIV, 70. Conforta amorevolmente G. durante il viag¬ gio e la permanenza a Roma, por il processo, XV, 39-40, 75, 81-S2, e durante la relega¬ zione a Siena, 239, 267. Mandato Commis¬ sario di sanità a Poggibonsi e a Staggia, 124, 12;», 129, 134-135, 148. Informa Geri Bocchinori sulla sorveglianza che l’Inqnisi- ziono esercita su G., 264-265. Sua scrittura in favore di G., quando gli si voleva togliere lo stipendio di lettore nello Studio di Piaa, XIX, 487-190. Annoverato dal Yiviani fra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G..XIX, 628. Nominato, XIV, 65, 71, 106, 114; XV, 79, 86, 97, 98, 137, 268, 272, 295-296, 302, 303; XVI, 316. Cinosura. VI, 553. Cinturone, frato. XIII, 339. Cinzia. IX, 246, 249, 264; XI, 12,163. Ciazio. IX, 200, 201, 209. Ciorn Pietro. Sua opera proibita, XIX 416. •Cicli Andrea. Avvisa da Parigi l’arrivo del gratulo cannocchiale di G. per la Re¬ gi na, X, 430. G. gli manda un aatuccotto o vetri desiderati dal Granduca, XI, 258-259 261. Carteggia con G. circa l’orologio offerto al Grnuduca da P. Spratti, 565-567, 583-584. E por la dedica di un libro di O. Pisani al Granduca, XII, 152-153, 176. G. gli accom¬ pagna l’opera del Castelli sulla Misura dello acque correnti da presentare al Granduca, XIV, 11-12. Accompagnato da una sua let¬ tera, G. si reca a Roma por sollecitare la li¬ cenza del Dialogo, 97, 98, 103. Raccomanda alPAmbnsciatoro Niccolini la definizione dei negoziati, 106, e si rallogra di sapere G. ri¬ stabilito in salute, 110. Carteggia con l’Am¬ basciatore toscano a Madrid per un cannoc¬ chiale di G., desiderato dal Re di Spagna, 106-107, 117, 120, 123,140,165, 260; XVUI, 428. Il Niccolini gli annunzia il ritorno di G. pienamente sodisfatto, XIY, 121. Insorte nuovo difficoltà per la stampa del Dialogo in Firenze, 215-218, 258-260, insiste nova- mente presso il Niccolini per appianarle, 219, 232, 236, 247, 248, 249, 261, 265, 267’ finché G. se ne dichiara sodisfattiseimo, 276. Accompagna un cannocchiale di G., desiderato dall’Ambasciatrice toscana in Roma, 237, 249, 253, 256, 305. Annunzia al Niccolini l’invio a Roma di esemplari del Dialogo, 339. Partecipa ad una ripresa dello trattative con la Spagna per il negozio delle longitudini, 349. Avvisato delle osti¬ lità incontrate dal Diulogo in Roma, se ne INDICE DEI NOMI ECC. Clavio Cristoforo] lagna col Niccolini, 373, 375-377, 385, 390, 400. G. gli partecipa l’intimazione ricevuta di presentarsi al S. Uffizio in Roma, 402- 103; ed egli ne dà avviso al Niccolini, 405, 406, e scrive invocando i suoi buoni uffici, perchè il viaggio sia risparmiato od al¬ meno prorogato, 413-414, 418-419, 421, 425, 428-429, 438-439, 440, 443-444; XV, 19. Da parte del Conte di Strahlendorff gli viene chiesto un esemplare del Diàlogo, XIY, 414, 425, 436. In seguito alle insistenze del Papà, consiglia a G., d’ordine del Granduca, d’ub¬ bidire e di partire per Roma, XV, 21, 22-23. Carteggia col Niccolini durante il viaggio di G. e la sua permanenza in Roma, tenen¬ doglielo raccomandato, 29, 35, 36, 37, 40, 41, 43, 45, 46, 49, 54-55, 56, 57, 63, 67, 69, 84-85, 87, 94-95, 99, 103-104, 105, 109-110, 111-112, 123, 124, 132, 134, 140, 160. Pro¬ cura a G. lo commendatizio da lui deside¬ rate presso i Cardinali, 44, 47, 48, 49, 51, 69- 70, 73-74, 76. Gli son chiesti da Parigi due esemplari del Dialogo e due cannocchiali di G. per la nipote del Duca di Iiichelieu, 104- 105, 161, 310; XVI, 94. 11 Niccolini gli parte¬ cipa la conclusione del processo di G., XV, 165,166; e la commutazione del carcere nella relegazione a Siona, 170-171,174. A preghiera di G., farà pratiche por ottenergli di poter tornare a Firenze, 187-1.88, 198, 200, 217, 219, 226, 326-327, 330, 339, 345, e partecipa al Niccolini la sodisfazione del Granduca per il risultato conseguito, 352. Suo inter¬ vento a favore del figlio di G., 347; XVI, 84. Carteggia col Niccolini, perchè venga con¬ cesso al Castelli di conferire con G., XVII, 374, 375-376, 3S0-381, 385; e per ottenere che questi possa valersi del P. Settimi, XVIII, 40, 41, 42, 44. Nominato, VII, 4, 5, 6, 7; X, 266, 283; XI, 605; XII, 321; XIII, 350, 458; XIV, 41, 43, 96,99,110, 118, 119, 233, 270, 272, 273, 287, 321, 327; XV, 11, 47, 58, 65, 81, 86, 101, 106, 116, 306, 334; XVI, 33, 37, 135 74, 86, 90, 142, 298, 307, 321, 328, 337, 338, 388, 390, 404, 499; XVII, 29; XVILI, 221, 430; XIX, 401, 431, 582, 583. Gioì, li Francesco. XVI, 309. Ciotti Gio. Battista. IX, 10. Cipriano. Suo libro De imitate Ecclesiale, citato, VI, 497. Cipriano (fra). X, 269. Cipro. VII, 142; XII, 363. Circinus proportionis. Nome dato dal Capra al Compasso geometrico e mili¬ tare nel plagio da lui fattone, 11, 340. Trat¬ tato ad esso relativo col titolo Usus et fa- brica circini cuiusdam proportionis , 340, 425-511. — V. Capra Baldassare. Difesa di G. ccc. Cirillo (S.). I, 108. Ciro. I, 27. Citerea. — V. Venero. Citbrni (prete). XVII, 318. Città. Con eguali recinti, possono essere di piazza disegnale, Vili, 101. Cittadini, maestro delle poste in Siena. XV, 334, 362. * Cittadini Domenico. Chiede a G. un pa¬ rere sulla Pneuniascopia del Montalhani, XYI, 40-41. Riceve un presente da G. e ne lo ringrazia, 46, 51. Il Castelli legge con lui le Nuove Scienze, XVIII, 26. Nominato, XV, 334, 3C2; XVH, 58. — V. Meschini Do¬ menico. * Cittadini Matteo. Canonico di Siena. Nominato, XV, 306, 311, 316, 329, 334, 362. * Cittadini Paolo Maria. Teologo dello Studio di Bologna. Esprime a G. il suo do¬ lore e quello del Magini per la pubblica¬ zione delPHorlcy contro di lui, X, 389. Ci vitella (da) Vincenzo. XIX, 318. Clarice (Suor). X, 60. * Clayio Cristoforo. Sua Sphacra citata, I, 43; III, 296; VI, 189. G. gli comunica i suoi teoremi intorno alla determinazione dei baricentri dei solidi, I, 182; X, 22-23, 24, 136 INDICE DEI NOMI ECO. [Clemente Alessandrino 27-28, 29; XVII, 50, 63. Osservazioni fatte nel Collegio Romano col cannocchiale da lui posseduto, IH, 293,863-864; X, 480, 434-486; XI, li; accanto al quale so no desidera uno di G., 131. G. lo ragguuglia intorno allo sue scoperte celesti od ai perfezionamenti dol cannocchiale, IU, 297, 298, 404, 406, 413; X, 431-432, 499-502; XIX, Oli. Suo asserzioni circa il rapporto tra il diame¬ tro di Venere e quello dol sole, V, 46; o sulla posizioue di Venere rispetto al sole, 198. Ammonisco gli astronomi, doversi pen¬ sare ad altro sistema del mondo, 69, 328. Sua Gnomonica citata, VI, 33; XIV, 301. Errori da lui commossi nel determinare la grandezza delle Btello, VII, 388. Sua edi¬ zione degli Elementi di Euclide, X, 24. Sua opera sulla riforma dol calendario, 24. Manda a G. alcune sue opere, ed esprimo il deside¬ rio d’aver da lui un Compasso, 120-121. Sue osservazioni circa le stelle nuove, 132, 133, 136. 11 Welser lo interroga circa la verità dello sooporte celesti annunziate da G., 288; XI, 45, 52, 99. Il Santini gli manda in dono uu cannocchiale, 31. G. gli annunzia il suo prossimo arrivo a Roma, 67 ; o giuntovi, cell¬ ieri s ce con lui, 79. L’Elettore di Colonia lo prega di procurargli un buon cannocchiale, 73. Riceve dal Sizzi il suo libello, 88. Ri¬ spondo al Card. Rollarraino circa la verità delle scoperte annunziate da G., 92-93, 168. Osservazioni dol Colombe a talo risposta, 118, 141, 151, 152; XVIII, 412. Corre voce ch’egli intenda pubblicare una scrittura a tale proposito, XI, 158. Il Welser gli fa per¬ venire un polizzino di correzione alle Tres Epistoìae dello Scheiner, 263. Sua morte, 277. Una sua lettera doveva aggiungersi a quelle di G. sulle macchie solari, 411, 475, 481. Non dissentiva dal Copernico, XV, 254. Nominato, U, 448, 469, 551 ; IU, 153; X, 26, 104, 192, 430; XI, 28, 30, 33, 34, 36, 10o| 120, 127, 131, 132, 177, 203, 212,21-1, 228-229, 233, 271, 272, 273, 418, 480, 481, 560; XII, 279, 2M), 298; XVI, 384; XV1U, 352; XIX, 591, fili. Clemente Alessandrino. I, 23. Clemente (8.) Papa. XI, 24. Clemente Vili. XI, 215. Clemente (Card, di 8.). -V'. Conti Carlo. Clementi (Jinzio. XIU, 88. Oi.kombruto. Ili, 187. Cleomedb. VII, 117; XI, 492. Clbopàtra. IX, 121, 189; XII, 133. Clkfebo. — V. Keplero. Clepeidra. XIV, 152. Climi. In terra, II, 243-245. Rolla luna, XII, 241. Cloridano. IX, 169. Clorinda. IX, 61, 62, 69, 77, 78, 84, 85, 86, 94, 112, 115, 122, 123; XVIII, 192. Clotarf.m. IX, 68. * Clutkn Giovacciitno. XVI. 54. * Courllmzzi Scipione. Cartellino relativo alle Tres Epistoìae dello Sohoiner, fattogli pervenire dal Welser, XI, 263. Schema coper¬ nicano o trattato delle comete, inviatigli dal Remo, XII, 433, 4*4. Hi trova con G. in Roma e ai trattiene con lui intorno alla dottrina copernicana, XIII, 179, 182. Estimatore del Cliiaraiuonti, 2.18, 226. Nominato, 207, 223, 248, 252. CocoAMoNNA. — V. Maceolo Iacopo. * Cooc Ai’ a ni Giovanni. XI, 168; XU, 188. 1 Coooapani Gismondo. Sua proposta per ridurre Arno in canale, VI, 617 ; relazione «li G. al Granduca Ferdinando li su di essa, 651-653; carteggio relativo a questo argo¬ mento, XrV, 222, 233-235, 237-239, 271-273, 301-302. Riferisco al Cigoli il modo tenuto da G. nell’osservare le macchie solari, XI, 362 ; ina equivoca con quelle lunari, 411. Nominato, XI, 168. Cocca pani (Sig. rl ). XV, 94, 123; XVI, 40. Coocm Antonio. V, 267, 272. * Cocchi Lorenzo, Chierico Regolare. Àp- Colombe (delle) Lodovico] INDICE DEI prova il consulto favorevole a G. circa il pa¬ gamento del suo stipendio sulla cassa dello Studio di Pisa, XIX, -190. Cocchi (Sig. rl ). X, 158. * Coooini Gio. Battista, Consultore del S. Uffizio. XIX, 289. Coclea d’Arc Ili mede. Per levar P acqua, descritta da G.,II, 186-187. Studi intorno ad essa di Guidobaklo del Monte, X, 41, 43, 62. CoBBERGHKR VbNOBSLAO. XIII, 7G. Coesione. Probabilmente cagionata dai vacui minutissimi, disseminati e interposti tra le minime particelle dei solidi, YIII, 65$. Diversa nei solidi e nei liquidi, 638. Cri¬ tica del Descartes, XVII, 388. ' Coig.net Michele. Ammirato della de¬ terminazione del baricentro del limato di conoide parabolico bitta da G., gliene scrive e gli manda un suo problema, X, 31-38. Dal Gloriosi gli è attribuita l’invenzione del Com¬ passo geometrico o militare, 363; e gli è negata dall’Oddi, XIII, 97. Sua opera sul¬ l’arte di navigare citata, XIV, 343. Nomi¬ nato, I, 182; X, 38; XI, 138. Colibro. H, 346, 317$. * Co li,alto Vinciguerra. XIX, 155. Collana o Catena d’oro. Donata a G. dal Granduca per rimeritarlo della de¬ dica dei satelliti di Giove, X, 318, 368, 379, 383-384. Mandatagli in dono dal Card. S. Bor¬ ghese, 385; e dal Duca Massimiliano di Ba¬ viera, 393; XVIII, 411; XIX, 630. Decreta¬ tagli dagli Stati Generali d’Olanda per l’of¬ ferta del ritrovato concernente la determi¬ nazione delle longitudini in mare, XVII, 66, 75, 107,117,118, 119, 141, 155,183, 315, 351, 382; XIX, 539-541; 11. Galilei non approva il proposito di G. di rimandarla, XVII, 183; presentata a G., ma da lui ricusata, XVII, 371; XIX, 619; di tale rifiuto si duolo il Mi- canaio, XYJOtt, 75, 104-105, 112, 115; il Papa ordina che si esprima a G., essergli tornato gradito, XIX, 289, 398. G. però scrive al NOMI ECO. ]37 Grozio che s’era riservato di trattenerla dopo ultimati i negoziati, XVIII, 141. Regalata a G. dal Duca di Mantova, XIX, 155, 630. Collana gioiellata donatagli dall’Arciduca Carlo d’Austria, 595, 630. Collegi di Padova. Polizza di essi pre¬ stata da G. a G. F. Sngredo, X, 105. Collegio Romano. Suo Nimtius Sidc- reus, IH, 13, 291-298. Osservazioni dei Pia¬ neti Medicei da esso fatto, 861-864. Disputa astronomica sulle tre comete del 1618, quivi tenuta, VI, 5, 25-35. Analisi fattane dal Guiducci, 64$. Lodi in esso largito a G., 115. Testimonianza dei Padri di osso, in¬ vocata dal Grassi, 157. G. accusato a torto d’ingratitudine verso di esso, 190$, 227. Di¬ scorso inaugurale quivi tenuto, XI, 274. Collbtkt Guglielmo. Suo sonetto in morte di G., XIX, 12. * Colloredo Fabrizio. X, 151; XIY, 97; XY, 37 ; XVIII, 155. *Cologna (di) Sigismondo. Manda al Castelli alcune osservazioni delle macchie solari, o lo prega di procurargli le lettere di G. intorno ad esse, XI, 412-413. Colomba Angiola. Nomo finto da G. F. Sagredo in una corrispondenza con i Ge¬ suiti, X, 262; XI, 172. Colomba volante. — V. Archita. * Colombe (delle) Lodovioo. Suo Discorso Contro il molo della terra, postillato da G., III, 12-13, 251-290 : si risente perchè G. non gli abbia risposto, IV, 340, 356, 517,587-589; XI, 152. Sue dispute con G. intorno ai feno¬ meni della condensazione e della rarefazione dei corpi ed al loro galleggiare nell’acqua, IV, 5, 6, 7, 9,13, 19, 20, 27, 34s, 65s; XI, 133, 176, 212; XIX, 613. Suo Discorso apo¬ logetico d’intorno al Discorso di Galileo Galilei circa le cose che stanno su Vacqua o che in Quella si muovono, IV, G, 9-10, 12, 311-369; XI, 444-445, 446, 451, 476, 492; polemiche ad esso relative, 455-691 ; XII, Voi. xx. 18 INDICE DEI NOMI ECO. 138 23, 40, 333; XIII, 31; XVI, 198-199, 201, 208, 443, 486. Postilla di G. al suo Discorso sulla stella nuova del 1604, Vili, 627. Si giustifica con G. d’averlo creduto autore d’ una risposta a questo suo Discorso, X, 176-177. Sue opinioni intorno alla montuo¬ sità della luna, XI, 118, 131, MI, 149, 151, 152, 153, 158, 214, 229. Nominato, III, 14; IV, passim; VII, 18; Vili, 627; X, 398; XI, 133, 229, 478, 502; XII, 31, 39, 105. Colombini Leonardo. XIX, 38, 40. Colombini Panfilo. XIX, 33, 37, 40. Colombo Cristoforo. Ili, 109, 119,16.3; VI, 205; X, 29G, 324,335,372; XI, 24, 66; XIX, 600. Colomesio Paolo. XVI, 99. Colonia. HI, 144; VI, 31. Colonia (Elettore di). — V. Ernesto. Colonia (Nunzio di). — V. Caraffa Pier Luigi. Colonna Anna nei Barrkiuni. • V. Bar¬ berini Colonna Anna. Colonna Artemisia nei Cesi. - V. Cesi Colonna Artemisia. Colonna Camillo. X, 210. Colonna Carlo. XVI, 133. Colonna Costanza negli Sforza. — V. Sforza Colonna Costanza. * Colonna Fabio. Proposto Accademico Linceo, XI, 271-272,282-283; dotto, manda il saluto di rito a G., 385. Ringrazia G. per l’invio d’alcuni suoi scritti, o gli annunzia che sta osservando le macchie del sole o della luna, 546-547; ed altre cose nel cielo, 567-569; e gl’invia disegni di macchio solari, 570-579, 593; fatti nell’occasione d’un 1 ec- clissi, XII, 102-103. Annunzia di stare in¬ torno agli Spiritali d’Erone, XI, 547; XII, 305. G. gli manda i vetri per un telesco¬ pio, XI, 599; egli lo ringrazia, egli scrivo di altre sue osservazioni, 601-602; XII, 62-64, 71-75, 88, 91-92, 195-196. Avverte il Cesi d’un’opera clic si sta scrivendo in Napoli [Colombini Leonardo contro le «coperte di G., 28. SU fabbricando col Porta una nuova forma di telescopio 101. Manda alcune sue opere a G. col mezzo del Cesi, 285. Annunzia una prossima pub¬ blicazione dolio Stolliula sul telescopio, 33fi- XIII, 178. Avvisa il Cesi di opposizioni sol¬ levate in Napoli contro le scoperte celesti di G., XII, 28. Sua Sambuca J.i/nceu , 4HO; inviata anche a G., 439, 112, 471, 490. Do¬ manda a G. istruzioni circa lo spacchio usto¬ rio, XIII, 91. Si rallegra col Cesi perchè ha avuto G. ospite in Acquee parta, 178. Avvisa G. elio si astenga dall’entrare in materia di Sacre Scritture, 451-452. Gravemente am¬ malato. XIV, 361. Nominato, XI, 323, 529, 558; XII, 68, 70, 78, 85, 436, 473, 479; XIII, 11, 21, 77, 257, 374, 459. Colonna grossissima di marino spezza¬ tasi da «è stessa, e perchè. Vili, 53. Colonne d’Èrcole. Ili, 253; VII, 1G1, 462. Coloreto. — 1’. Colloredo Fabrizio. Colori dei pianeti. Ili, 218.*, 363. Coi.ovrot. — V. Kolowrut. Coltellaccio per lavori di terra nelle fortificazioni. Il, 59, 62, 110. Co lucci Leonardo. XIX, 237, 238, 239, 210, 241, 242, 213, 241, 258, 259, 260, 261, 262, 263. Couavi Niccolò. XIX, 252,253,254, 255, 256, 257. *Colucci Pirro. X, 133. Colori dei solstizi e degli equinozi. Il, 232. Coluti i. — 1'. Colncci Pirro. * Combai.kt (de) Maria. Desidera due can¬ nocchiali di G. od esemplari del Dialogo, XV, 104-105, 161, 310; XVI, 94. Ricevo un cannocchiale, 107. Combustione. Cause diverse dallo quali può derivare, VI, 251. Comete. Osservazione delle loro paral¬ lassi col cannocchiale, IH, 165. Non souo INDICE DEI NOMI ECC. Commedia] tali le macchie solari, V, 30, 105. Conside¬ rate rispotto al moto della terra, 410. Disputa sostenuta dal Grassi nel Collegio Romano intorno alle tre del 1618, pubblicata col ti¬ tolo De tribus cornette anni MDCXVIll Dìsputatio astronomica, YI, 5, 8, 21-35 : tempi della loro apparizione, 26-28; apparsa nello Scorpione, 27-28; si argomenta col fon¬ damento della parallassi non essere stata nella suprema regione dell’aria, 29, nè su¬ blunare, 30-32, e se ne trova conferma nel suo moto, 32-33, e nel non presentare ri¬ cresci mento al telescopio, 33; luogo pro¬ babile di essa, 33-34. Discorso delle co¬ mete, tenuto all’Accademia Fiorentina da Mario Guidacci, o pubblicato sotto il suo nome, benché opera quasi esclusivamente di (t., 5-6, 8-12, 37-108; opinioni degli an¬ tichi intorno ad esse, 47s; confutate da Ari¬ stotele, 49s; del quale si espone l’opinione e si combatte, 535: s’impugna l’argomento della parallasse, 65s; quello dedotto dal moto, 73, 85s; e quello che si fonda sul poco in¬ grandimento che ne riceve il capo, osservato col telescopio, 73s: si discute ed impugna la opinione enunciata da Ticone a proposito di quella del 1577, 86s. Libra astronomica ac philosophica eco. del Grassi, postillata da G. e dal Guiducci, 6, 12-13, 109-180: esame del Grassi delle obiezioni alla sua dottrina, 113-134: esame delle dottrino contenute nel Discorso delle comete, circa la sostanza ed il moto di queste, 134-151 ; esame di altre proposizioni contenute nel medesimo Di¬ scorso , 151-179. Lettera al M. Ji. P. Tar- quinio G-alluzzi ecc. di Mario Guiducci, 6, 13, 181-196. G. replica alla Libra col Sag- | giatore , 6-7, 13-18,197-372, impugnando le I argomentazioni del Grassi, per ciò che con¬ cerne più strettamente l’oggetto della con¬ troversia, 2348, 239s, 245s, 25Gs, 2768, 2928, 303s, 311s, 364s. Al Saggiatore controre¬ plica il Grassi, pubblicando la liulio pou- 139 derum Librae et Simbcllae ecc., postillata poi anche questa da G. e dal Guiducci, 7, 18-19, 373-500, ed esaminando in essa le ragioni addotto in contrario, 396s, 400s, 405s, 411s, 420s, 435.8, 452s, 45Gs, 493s. Quella del 1577 osservata da Ticone, 143, 2295, 3945. Osservate in parti più alte dell’orbe lunare, VII, 76; XIV, 31. Bandite dal Chiaramonti nell 'Antiticonc dalle regioni celesti, VII, 82. Diversità tra una di esse elementare ed una stella celeste, secondo i Peripatetici, 265. Se siano generato sopra o sotto la luna, 617. Di quelle osservate da astronomi, nessuna lia seguito il moto di stella veruna, nò fissa nò errante, 625. Se tale potesse essere la nuova stella del 1604, X, 124-128. Annun¬ ziata dal Guàlterotti a G., 182; e dal Ca¬ stelli, 183-184. Apparse in opposto al sole, che indussero Ticono a ripudiare l’ipotesi Copernicana, XI» 300. Osservazioni e giudizi su quelle del 1618, XII, 420, 421-422, 423, 428, 430-431, 433-435, # 438, 439, 440, 446, 460, 466, 469, 477, 478, 484-488, 500-501 ; XIII, 277. Colloquio del Grassi col Guiducci, e propositi di questo di rispondere alla Li¬ bra, 233. Controversie tra il Chiaramonti ed il Liceti, XVH, 415; XVUI, 293-295. Opposi¬ zioni del Liceti alle conclusioni del Guiducci, 202,208,212-214. Narrazione del Viviani circa la controversia tra il Grassi da una parte, ed il Guiducci e G. dall’altra, XIX, 615-616. Comi Raggio. XIX, 572. Comico (poeta, cioè Tehenzio). ili, 240. * Co mino Rartolommeo. II, 600; III, 58, 319. * Gomitoli Napoleone. XII, 408. Sue De- dsiones, XIX, 560, 561, 562. Oommandino Federico. Suoi studi sul baricentro dei solidi, I, 181, 184; Vili, 313; X, 22, 26; XIX, 605. Sua traduzione degli Spiritali di Erone, 64, 65. Nominato, II, 551; XI, 51; XIX, 603. Commedia. Argomento o traccia d’una 140 INDICE DEI NOMI ECO. [(.'(immissari Generali ecc. di G., IX, 20-21,105-200. Un’Altra G. no invia j a Suor Maria Coleste, 21; XV, 315. Da re- ! citarsi nel Monastero di S. Matteo in Ar cetri in occasione della visita elio vi avesse fatta Caterina Riccardi Niccoliui, XV, Gli. Commissari Generali e Vioecom- miasari del S. Uffizio. — V. Cermello Agostino. Lanci Ippolito. Lucini Luigi Ma¬ ria. Maculano Vincenzo. Martinongo Gio. Battista. Conio (Lago di). IV, 43G. Como (Inquisitore di). — V. Airoldi Paolo. Como (da) Paolo Eoi dio. Inquisitore di Reggio, ha ricevuto e notificherà la sentenza od abiura di G., XV, 203; XIX, 379. Compagni Giovanni. XIX, 33. Compagni Ottavio. XIX, 40. Compagnia. Così detta per antonoma¬ sia la società frequentata da G. in Venezia, XII, 139. Per Accademia dei Lincei, XIII,(il. Compagnia delle indie Orientali. Pratiche relative alla sua partecipazione nelle spese per lo studio della proposta fatta da G. agli Stati generali d’Olanda por la determinazione delle longitudini in mare, e per l’invio di Martino Ortensio in Italia, XYII, 291, 318; XIX, 540-517. Compagnia del Piano. — V. Accade¬ mia del Piano. Comparisi Zenobio. XIX, 42. Compasso geometrico o militare. Tempo nel quale G. lo ridusse a perfezione e no stese le primo scritture, II, 337, 533, 601; X, 171-172; XIX, 607,609. Figura dello strumento, II, 339-340, 342-343. Operazioni che mediante esso si possono eseguire, 345- 361: usando delle linee aritmetiche, 373-383 ; delle geometriche, 384-391 ; delle stereome¬ triche, 392-396; delle metalliche, 397-398; delle metalliche e stereometriche insieme, 399-405 ; delle poligrafiche, 406; delle tetra- goniche, 407-409; delle linee aggiunte, 410- 411. Delle operazioni dei quadrante, 412- 413. Diversi modi per misurar con la vista 114-424. Attribuito a Ticone Brahe, 594; X, tO 370. Gran personaggi e scolari che ne eb¬ bero esemplari da (}., II, 370, 533, 534; NIX, 147-155, 157-158, 607; che gli faceva lavorare anello in Germania, II, 533, e co¬ struire in Padova da Marco Antonio Maz- zoleni, Xn, 42 1 ; XIX, 131-146. Usurpato da Simon Mario e dal Capra, YI, 214-215; XIX, 608, 641. Uso di esso per segnar la parabola. Vili, 186. G. ò invitato a por¬ tarlo a Firenze, e nell’uso di esso istruisce il Granprincipe Cosimo sopra due esemplari in argento, X, 84,141, 149; XIX, 595, 629; dei quali però questi abbandona l’uso dopo la partenza di G., X, 151, 156. Desiderato da altri, 143, 162-163; XI, 30, 424. Il Ghc- taldi attesta d’averne viste operazioni, mo¬ strategli da G. nel 1600, o vorrebbe fabbri¬ carne uno, X, 192; e il Brozek d’averno avuto conoscenza fin dal 1607, XIII, G4-G5. G. istruisce noll’uso di esso Francesco ed Andrea Duodo, 247; XVIII, 111. Il Gloriosi no attribuisce l’invenzione al Coignet, X, 363j e POddi a Guidobaldo del Monte, XIII, 97. Altro strumento posseduto da Uguccione del Monte, col quale si fanno le stesso ope¬ razioni che con quello di G., XJ, 595. Inse¬ gnato nello Studio di Pisa dal Castelli, XD, 23. 11 Langravio Filippo d’Assia chiede a G. se l’uso no sia stato da lui esteso a nuove operazioni, XJI, 402. G. ne fa segnare per il Micanzio, XVI, 414.— V. Borneggor Mat¬ tia. Capra. Circinus proportionis. Difesa di G. ecc. Operazioni (Le) del Compasso geo¬ metrico occ. Computi. Molti sono in essi pratiohis- simi, senza intendere quello ohe si facciano, XIV, 46. Concavo lunare. Se sia di superficie sferica, tersa e pulita, VI, 151.9, l56s, 316, 319, 3211, 462, 474. Tempo impiegato da una 141 Conoide iperbolico] INDICE DEI palla d’artiglieria noi cader da esso sino al centro della terra, VII, 245s, 687, 729. È im¬ probabile die P elemento del fuoco sia da esso rapito, 469. Conchiglie testate. Vili, 533. Conciliator. — V. Abano (d’) Pietro. Concilii. Non condannarono il libro del Copornico, V, 3G6s. Concilio (Congregazione del). XIII, 320, 321. Concilio di Costanza. Definisce, gli angeli e lo anime umane essere immortali per grazia divina, I, 65. Concilio Lateraliense. Sua determi¬ nazione circa l’origine del mondo, 1,26. Men¬ zionato, XIX, 308. Concilio Niceno. XIY, 373. Concilio Tridentino. Sua determina¬ zione circa il modo di interpretare le Sacre Scritture, V, 337. Menzionato, X IX, 46, 308, 322, 422, 429, 431. * Concini Cosimo. Parla con lode di G. a Ticone Bralie, X, 79. Nominato, 23, 24, 29. Conclusione. Significato logico di que¬ sta parola, IV, 426, 702. La sua certezza nulla giova alla scoperta d’un nuovo tro¬ vato, VI, 258s. Aiuta a ritrovare col metodo risolutivo la dimostrazione, VII, 75. Per prova delle vere, possono esservi molte ra¬ gioni concludenti, ma por le false no, 156- 157. Alcuni, discorrendo, fissano nella mente quella da lor creduta, e ad essa adattano i loro discorsi, 299-300. Ultima del Dialogo , 488. Concoide. I, 330-331; II, 261. Condensazione. Disputa intorno ad essa tra (1. ed alcuni Aristotelici, IV, 55. Se sia operazione del freddo, e se apporti mag¬ gior gravità, 33s, 65s, 153s, 185s, 204s, 2185, 248s, 259s, 349.5, 3795, 6035, 694; XI, 133. Spiegazione di essa,'ammettendo che il con¬ tinuo sia composto di atomi indivisibili, Vili, 93, 96; XVI, 163, 214. Speculazioni del Sarpi NOMI ECO. intorno ad essa, 150. Considerazioni del Mi- canzio, 186, 203. Giudizi del Descartes, XVII, 389, 404; del Cavalieri, XVIO, 84; del Baliani, 87. Co n e glia no. XIX., 587. Confat.onibri G io. Agostino. XVII, 121- 122, 151. Confricazione. Di alcuni suoi effetti, Vili, 533-590. Confutatio quatuor problcmatum quac Martinas Horky cantra Ntin¬ tinni Sidercum de quatuor planctis novis disputando, proposuit di G. Wodderborn. Ili, 11, 147-178.— V. Wod- derborn Giovanni. Congelazione dell’acqua. Come av¬ venga, IV, 33, 65,163s, 185s, 204s, 218s, 221, 248s, 259.5, 322, 345s, 379s, 480, 603s, 694 ; Vili, 635. Congiunzione di Venere col sole del- 1’ 11 Dicembre 1611. V, 28, 32, 39, 41s. Congregazione dell’Indice. — V. Indice (Congregazione dell’). Congregazione del Sant’ Uffizio. — V. Uffìzio (Congregazione del Sant’). Conimbricense (Collegio). V, 46; XII, 485. * Conn no [Conn, Oonaeus] Giorgio. XIII, 229. Cono. Baricentri delle figure cilindriche inscritte e circoscritte ad esso o a parti di esso, I, 201-202. Baricentri di esso e de’ suoi frusti, 202-208. Di cipresso, (l’abeto o altro legno di simil gravità, o vero di cera pura, immerso nell’acqua con la base in giù, come si comporti, IV, 93, 223, 265s, 341, 402, 591 ; e come, collocato nell’acqua con la punta in giù, 115, 173; XI V, 203. Sua ultima esi- nanizione, XVI, 1365. Misura della superfi¬ cie del cono scaleno, proposta al Cavalieri da matematici francesi, XVIII, 147. Conoide iperbolico. Quesito del Vale¬ rio a G. intorno al baricentro di esso, XI, 560 142 INDICE DEI Conoide parabolico e suoi frusti. De¬ terminazione del baricentro di esso fatta da G., I, 180s. Dal Coignet, X, 32. Conoidi rettangolo ed ottusan¬ golo. Determinazione del baricentro di essi fatta da G., X, 36, 37. Consàooui Paolo. XYI, 70. Consalvo (Sig. r ). X, 174. Conservazione. Se l’istinto se no trovi nelle cose inanimate, IV, 301, 417, 784. Consideratione astronomica circa la stella nova dell' anno 1604 di B. Capra, li, 270-271, 285-305. - V. Capra Baldassare. Difesa di G. occ. Stelle nuove. Considerazioni al Tasso di G. IX, 10-16, 24, 25, 27 , 59-148. — V. Tasso Tor¬ quato. Considerazioni circa Vopinione copernicana di G. Y, 260-267, 277-278, 349-370. — V. Sacra Scrittura. Considerazioni sopra il Discorso del Sig. Galileo Galilei intorno alle cose che stan no in su V acqua 0 che iti quella si muovono eco., di A. Pan- nocchieBchi d’Elci, pubblicate sotto il nome di Accademico Incognito, e postille c fram¬ menti della risposta di G., IV, 6, 9, 143-196. — V. Elei (PannocchieBchi dei Conti d’) Arturo. Galleggianti. Considerazioni sopra ’l Discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che statino su V acqua c che in quella si muovono , di V. di Grazia. IV, 6-7, 9-10, 371-440. — V. Galleggianti. Grazia (di) Vin¬ cenzio. Consiglio dei Dicci. H, 600; IH, 9, 58, 319 ; XrX, 222, 223, 225, 226, 227, 228. Consonanze musicali. Vili, 14U-; XVIII, 84, 426. Co usui tori del S. Uffizio. — V. Boc¬ cabella Alessandro. Caleagnini. Capretto. Cervino. Coccini Gio. Battista. Fanano (di; Giovanni. Galustino Francesco. Girolami NOMI ECt'. [Conoide parabolico Cosimo. Giustiniani Orazio. Paolucci Fran¬ cesco. Rancato li ariane. Riccardi Niccolò Rufo. Sergio. Silvestri (de) Papirio. Si ucei0 Carlo. Contarini (famiglia). Esperienzo con l a macchina da alzar acqua, eseguite nel suo giardino, X, 93; XYI, 27; XIX, 202. ♦CONTARINI DAL SCRIGNO (Sig. rl ). XIX 171, 218. * Contarini Alvise. Informa il Sonato Ve- noto circa la conclusione del secondo pro¬ cesso di G., XX, Sappi., 577. Nominato, XV, 188; XVI, 164. ♦Contarini Angelo. Scolaro di G. in Pa¬ dova, X, 77; XIII, 388; lo ringrazia del Dialogo , XIV, 346-347. Nominato, 19. Contarini Bertucci. XIX, 587. * Contarini Filippo. Scolaro di G. in Pa¬ dova, X, 77. Sua morte, 477. Nella sua casa si firma il contratto nuziale di Livia Galilei con Taddeo Galletti, XIX, 212. È tra co¬ loro che ricevettero da G. lo prime comu¬ nicazioni sulla scoperta dello macchio solari, 611. ♦Contarini Francesco di Bertucci, Doge di Venezia. XVII, 170. ♦ Contarini Francesco di Taddeo. Sua te¬ stimonianza in favore di G. oontro il Capra, II, 526, 528, 529, 600. Scolaro di G. in Pa¬ dova, X, 77; XIX, 151, 152. Nominato, X, 477; XIX, 171, 219. Contarini Gaspare. Suo opinioni intorno agli elementi, I, 122, 131, 133, 411. ♦Contarini Giacomo. Si congratula con G. por il buon principio dolla sua lettura di Padova, X, 52. Quesito da lui proposto a G. intorno all’azione dei remi, e risposta re¬ lativa, 55-60. Nominato, 42. ♦Contarini Giovanni. XII, 454, 459,461, 490. ♦ Contarini Gio. Paolo. XIX, 127. ♦Contarini Marco. XIX, 223,587. ♦Contarini Niccolò. XIX, 202. Contrascarpa] INDICE DEI ♦Contadini Pietro «li Francesco. XIY, 371; XVI, 131. * Contadini Pietro «li Marco. Sale con Or. sul campanile di S. Marco per esperimen- tare il cannocohialo, XIX, 587. * Contadini Simon e. Manda al Senato Ve¬ neto informazioni sul primo processo di G., XX, Swppl., 570. ♦Contadini Taddeo. II, 526, 529, 600. ♦Contadini Tommaso il, G00, X, 202: XIX, 116, 117; XX, Suppi., 589. * Contarini Vincenzo. Lettore nello Stu¬ dio di Padova, XII, 412. Sua morto, XIII, 1G, 28. * Contarini Zaccaria. Sale con G. sul cam¬ panile di S. Marco per esperimentare il can¬ nocchiale, XIX, 587. Nominato, X, 42, 77, 78. Contatto. Di due superficie: effetti che ne derivano, IV, 22, 39; Vili, 59, 66, 561-562, 588-590. — V. Angolo del contatto. Sfera. Contenente c contenuto. E più con¬ veniente ai muovano intorno all’istesso cen¬ tro che sopra diversi, VII, 349. Contessa (Suor). Monaca in S. Giuliano, X, 60, 81, 82. Contessa (Suor). Monaca in S. Girolamo, XIX, 518. Conti. XVII, 127, 135. Conti Bernardo. Suoi interessi con i Bocchineri, XV, 335, 341-342, 347; XVI, 155- 157. Si congratula con G. perchè gli sia stato concesso di tornare in patria, XV, 358-359; lo tiene ragguagliato delle cose di Siena, e scambia con lui doni, XVI, 24-25,180; ed ese¬ guisce commissioni, 347. Nominato, XV, 348; XVI, 39. * Conti Carlo. Ringrazia G. per l’invio del Sidcreus Nuncius , X, 311. Risponde al quesito fattogli, se la Scrittura Sacra sia fa¬ vorevole ai principi di Aristotele intorno la costituzione dell’universo, XI, 354-355, 376. Espone alcuni suoi dubbi intorno le NOMI ECO. 143 macchie solari, 376. Nominato, X, 317; XI, 83, 393, 438, 463. * Conti Conte. Chiede a G. le sue scrit¬ turo sullo galleggianti e sulle macchie solari, o gli comunica alcune sue interpretazioni delle Sacre Scritturo in argomenti astrono¬ mici, XII, 47-48. Avute a questo proposito le dichiarazioni di G., lo ringrazia, 93-94. Nominato, XI, 233, 355, 438, 463. ♦Conti Francesco. Da parte del Gran¬ duca, invita G. a Mezzomonte, XVI, 485. ♦Conti (do’) Ingolfo. Eletto alla lettura «li matematica nell’Accademia Delia in con¬ fronto di G., X, 303, 304; XIX, 125, 231. Sue pratiche per succedere a G. nello Stu¬ dio di Padova, XI, 43, 100, 417, 447, 503; XIX, 125. Conserva notizia della rinunzia di G. alla lettura di Padova, XIX, 125. ♦Conti (de’) Soiiinella. XIX, 118. ♦ Conti Torquato. XIV, 290, 433. Contiguo. Differente dal continuo, IY, 27, 106, 230, 273, 330. So P acqua sia un contiguo od un continuo, 416, 729. ♦Contino Bernardino. XVili, 61. Continuo. Come debba intendersi, IV, 346, 608. Se si componga di indivisibili, 416, 733; VII, 682-683, 745-746; Vili, 77, 81, 85, 89, 92-93; XVI, 138; XVIII, 07. Le sue parti sono tante che rispondono ad ogni numero, Vili, 622-623. Il Cavalieri opina esser lo stesso che magnitudine, XIII, 97. Opinione del Micanzio sulla continuità nei corpi na¬ turali, XVI, 201. Contrafforti. Loro forma cd uso nelle fortificazioni, II, 36s, 119s. Con tram mi ne. II, 117, 128. Contrarii. Se da essi si faccia la cor¬ ruzione e la generazione, VII, 67, 607 ; e come, OlOs. Quelli elio Son cause di corru¬ zione non riseggono noli’ istesso corpo elio si corrompe, 67, 262. Contrascarpa. Dove posta e come si faccia, II, 39, 96. INDICE DEI NOMI ECO. 144 Conventuali (frati). Loro Generale, XHI, 251, 253. Copernicani. Secondo loro, il cielo non si muove, U, 318. Sono tra loro uomini grandissimi, 352. Tutti sono stati prima contrari a tale opinione, ma i seguaci d’Avi¬ stotele e di Tolomeo non sono stati mai della contraria, V, 353, 365; TU, 154-155. Troppo largamente ammettono come vere alcune proposizioni assai dubbiose, 206. Ninno di essi ha detto che l’opinione loro sia contro alle Scritture o alla fede, 543. Perchè non debbano esser derisi, 546. Assomigliati agli eretici, perchè tra loro divisi, 550, 563-664. Come giudicati dagli avversari, XI, 153. Coi’brntoo Niccolò. Sua opinione sulla durata dell’anno solare, I, 43. Innova la dot¬ trina d’Aristarco sull’ordine degli orbi cele¬ sti, 47-18. Compone un moto retto di due cir¬ colari, 326. Sua opinione circa il moto e sito della terra, impugnata dal Mazzoni e difesa da G., II, 198, 199, 202; combattuta dal Co¬ lombe e difesa da G., HI, 255, 269, 270, 272, 285, 289,290; rV, 340, 356, 461, 517, 586, 587, 588, 589, 634, 635; XI, 152-154; XVIII, 412; combattuta dal Lagalla c difesa da G., ILI, 322, 332, 337, 339, 340,342,343,344,345,347, 396; combattuta dall’Iuguli e difesa da Or., Y, 403-412; VI, 509-561; combattuta dal Mo- rin o difesa da G., VII, 549-568. Citata, 346, 353,354,424,462, 690, 699; XI, 169, 344, 345, 354, 366, 378, 427, 461, 532, 533, 534; XTI, 274, 443; XUr, 25S, 265, 298-299; XIV, 134, 308,312,324, 354, 370, 383, 40S, 412; XV, 12; XVI, 418, 454; XVIII, 311, 314; XIX, 293, 318, 407, 417, 590. Secondo lui, la sola terra ha una lima, III, 106; VU, 368; X, 320; e come questa si muova intorno alla terra, >11, 477*478. Lodato dal Keplero, che se no dichiara seguace, III, 120, 122; X, 70, 72, 335, 337 ; ma G. giudica che alcuui argomenti da Ini portati in favore siano piuttosto con¬ trari, XIV, 340. Non potè conoscere le fasi di [Conventuali (frati) Venere, perchè al suo tempo non si aveva il telescopio, V, 99; ma non è dubbio che affer¬ masse il rivolgimento di essa intorno al sole, 99, 195. Con la sua dottrina si spiega benissimo il miracolo di Giosuè, 281-288, 346-347; XIX, 299, 304. Invettiva fatta dal pulpito di Santa Maria Novella contro la sua dottrina, per farla condannare, V, 291, 292; XII, 123, 129; XIX, 307,-319. Chi siastato ed a chi abbia dedicata l’opera nella qualo la sua dottrina è esposta, V, 293-294,312-313; XIV, 401; e quali predecessori abbia avuti, V, 321, 352; XII, 32. Correzioni che si vole¬ vano portare alla sua opera, V, 297-300; XII, 151. Conseguenze che avrebbe recato la proi¬ bizione di essa, V, 328-330,342-343, 351-353. Cautele da lui usate nell’ommciare la sua dottrina, e da usarsi nel discorrerne, 334- 335, 354-360. Con quale fondamento possa pensarsi ch’egli non abbia creduta vera la sua ipotesi, 360-363; XII, 171, 175, 184- 185. Pone gli eccentrici e gli epicicli, V, 367. Perchè si sia staccato dal sistema tole¬ maico, YI, 83-89; VII, 369. Non diede una teoria dello comete, VI, 116, 229, 231-232. Se con la sua dottrina possa spiegarsi il moto della cometa, 148, 310, 394. Esperienze istituite da G. a proposito del terzo moto da lui attribuito alla terra, 325-326; qualo sia questo terzo moto, VII, 382, 436-437. Reputa la terra un globo similo ad un pia¬ neta, 33. Altro movimento, oltre al diurno, da lui attribuito alla terra, 140. Quanto abbia superato Tolomeo di accortezza e perspicuità d’ingegno, 141. Lezioni intorno alla sua dottrina tenute da Cristiano Vursti- sio in Italia, 154. Argomenti portati contro di essa, 158-159; analizzati, 161-165, 194. Oppo¬ sizioni contro di essa di due autori moderni, esposte e confutate, 244-298; XVII, 269-270. La ragione ed il discorso in Aristarco ed in lui prevalgono al senso manifesto, VII, 355, 367, 712. Apparenze di Venore discordi dal INDICE DEI NOMI ECO. 145 Corda] suo sistema, 3G0-363. Grandissimo argomento a suo favore è il rimuover le stazioni ed i regressi dai moti dei pianeti, 870. Col suo sistema si spiegano le esorbitanze dei cin¬ que pianeti, 372. Istanze di certo libretto, proposte ironicamente contro di lui, 383-384. Argomenti portati da Ticone e da altri con¬ tro di lui si scoprono fallaci, 385-387, 392- 393, 396-400. Alcune cose egli non comprese per mancanza di strumenti, 399-400. Alza¬ mento e abbassamento della stella polare o di altra delle fisse, posto da lui o nullo o inosservabile per la sua piccolezza, 404, 487. Difficoltà massima contro di lui per quel che apparisce nel sole e nelle fisse, 405, 413. 11 suo sistema difficile ad intendersi, e facile ad effettuarsi, 41G. Disegno che lo rappresenta, 351, 417, 418, 698. Moto annuo del sole come segua in esso, 417-421. Egli fu che additò la vera costituzione dol mondo, 480. Posti i movimenti da lui attribuiti al globo terrestre, devono seguirne simili alte¬ razioni nei mari, 480. Se la sua dottrina ripugni alla Sacra Scrittura, YIIIj 629; XI, 354-355, 533; XII, 129-131, 146, 150, 165, 184-185, 255, 287; XIII, 183, 203, 2G5; XIV, 78, 88, 282, 300; XV, 24-25, 111; XVIII, 314- 315 ; XIX, 348, 349-356. G. la accetta e la conferma con le sue scoperte, X, G8, 69, 481, 483; XI, 12, 16, 1G7; XII, 21, 34-35, 94, 212. Proibizione, correzione e censura di essa, VI, 11G; XII, 181, 242, 244, 247, 275, 298, 319,390-391, 398; XLU, 106, 182; XIV, 88, 134, 380, 382, 384, 388; XV, 111, 169, 241, 245, 254, 273, 279; XVI, 88-89, 99, 118, 124, 125, 144, 195-196; XIX, 274, 278, 295, 323, 338, 339, 346, 368, 384, 385, 392, 400-419, 618; i Gesuiti però non la ri¬ provavano, XII, 150, 181 ; XV, 254 ; e il Descartes pensa che non ne dissentisse nem¬ meno lo Scheiner, XVI, 56. Da N. Lorini chiamato VIpernico, XI, 427, 461. Vi ade¬ risce il Torricelli, XIV, 387. Sfera dell’Al- berghetti, costruita secondo il suo sistema, XVI, 256. Vita di lui scritta dallo Staro- volscio, XYIII, 22, 27. G. sostiene davanti allTnquisizione d’aver mostrato nel Dialogo che lo ragioni di lui sono invalide e incon¬ cludenti, XIX, 341, 361-362. La condanna della sua dottrina ò revocata, 420-421. No¬ minato, H, 318, 322; III, 198, 331 ; V, 370, 399, 400; VII, 23, 27,155, 206, 207, 299, 303, 323, 324, 357, 391, 533, 543, 545, 546; Vili, 625; X, 80, 294, 315, 317, 481; XI, 21, 23, 24, 25, 26, 285, 286, 333, 366, 445, 565; XII, 21, 70, 219; XIII, 183, 217, 274; XIV, 46, 66, 227, 300, 341, 358, 366, 417; XV, 24, 72, 161; XVI, 100, 113, 325; XYJU, 253, 402. * Coppola Gio. Carlo. Sua favola Le nozze degli Dei letta a G. in Arcetri, XVII, 24. ♦Coppoli Francesco. XVI, 33, 47. Corazzici Francesco. Sua Miscellanea di cose inedite o rare citata, IX, 26. Cor he il. VI, 341, 344. * Corboli Bastiano. X, 180. Courusio Lodovico. XTV, 107. Corda. Quella alla quale ò attaccato il pendolo, si piega in arco nelle vibrazioni di esso e non si stende dirittamente, VII, 257. Da che derivi la resistenza di essa,YJLU, 55-56; XVII, 387. Si rompe talvolta solo per il sovorchiamente attorcerla, VILI, 56. Come resista allo strapparsi, 57-58. Ordigno per potersi con essa calare da una fiuostra, senza scorticarsi le mani, 58; XVII, 387. Effetti della penetrazione in essa di innumerabili atomi d’acqua, Vili, 67. Se maggior peso sostenga uua lunga che una corta, 161-162. È impossibile con qualunque immensa forza tenderne una dirittamente per linea paral¬ lela all’orizzonte, 309s. Corda di istrumento musicale. Toccata, muove e fa risonare tutte le corde accordato con essa all’unisono, alla quinta e all’ot¬ tava, e perchè, Vili, 141-144. Influenza della sottigliezza u del peso nell’ inacutirne il Voi. XX. 19 INDICI-: DEI NOMI ECO. [Cordova 140 snono, 145-146; XVII, 389. — V. Arpe. Riso¬ nanza ecc. Cordova. II, 332. * Cordova (di) Fbrnandkz Conbalvo. TU, 544; XVIII, 430. * Cokhsio Giorgio. Sua Operetta intorno al galleggiare de'corpi solidi, IV, 6,9-10,197- 244; XI, 394, 599. Errori contenuti in essa, raccolti dal Castelli, con correzioni ed ag¬ giunte di G. o di N. Arrighetti, IV, 7,11-12. 245-286; VI, 8; VECI, 34; XI, 419. Inviata al Welser, V, 191 ; XI, 440. E dal Cesi all’Aguc- chi, XI, 403. Impazzito, XII, 126. Nominato, IV, passim; XI, 441,492, 699; XIX, 613. Oorfù. VII, 142, 449; XI, 625, 526. Corona. (Marchese della). XI, 119. Cokineo. IX, 165. Corinto. II, 429. Corisoa. XI, 455. ♦Cormis (de) Luigi, Signore di Beaure- cueil. XVIII, 228, 270. CoRNAOcmoLi Giaointo. Ragguaglia G. intorno ai nipoti di lui di Monaco, XVI, 459- 460. * Cornacohini Marco. XII, 31, 43. * Cornàcoiiini Orazio. X, 83, 134; XI, 604; XII, 31, 43. ♦Cornaro Carlo. XIX, 127. * Cornaro Federigo. Strumenti fatti co¬ struire per lui da G., XIX, 134, 135, 147. Nella sua casa in Padova si raccoglie l’Ac¬ cademia dei Ricovrati, 207. * Cornaro Giacomo Alvise. B. Capra gli dà avviso dell’osservazione fatta della nuova stella dell'ottobre 1601, II, 294; ed egli lo partecipa a G., 520. Quesiti del Capra su questo argomento da lui trasmessi a G., 526, 527, 528-529, 600. In casa di lui G. mo¬ stra al Capra il suo Compasso e gliene di¬ chiara alcune operazioni, 530, 536. Sua let¬ tera in favore di G., 537-538, 601 ; X, 171, Suo intervento nel dibattito tra G. ed il Zugmesser, li, 545-546. Occasione alla sua relazione con i < inpra, X, 106. Suo carteggio con G. durante il processo b voltosi a Venezia contro il Copra, 173-176. Sua morte, 315 . Nominato, li, 521, 574, 576. •Corsaro Giorgio. X, 121. Sua morte XI, 320. • Cornaro Giovanni. XII, 206, 339; XIX 113. • Cornaro Giovanni Alvisb. XIX, 216. •Cornaro Lorenzo. X, 315. ♦Cornaro Marco. XI, 320; XII, H9 f 143 379, 380, 386, 421; XIII, 28, 34. ♦Cornaro Marco Antonio di Giovanni. XIX, 207. ♦Cornaro Marco Antonio di Pietro. X, 315. • Cornaro Niccolò. XI, 320. Cornei- Nukxiar Giorgio. XIX, 419. Cornelia. IX, 200, 203, 205, 206. Cornelio a Lapide. VI, 497. Cornelio Gio. Alvise. — V. Cornaro Gio. Alvise. Cornelio (Fra), Inquisitore di Firenze. — V. Priatoni Cornelio. Corner Carlo. — V. Cornaro Carlo. Corona. Immagine celeste, VI, 141, 299, 446. Corona (costellazione). II, 279, 525, 526, 527, 528, X, 182. Corpi. Possono essore rappresentati sotto diversi aspetti per semplice trasposi¬ zione di parti, VII, 65. Ogni corpo pensile e librato, portato in giro nella circonferenza d’un cerchio, acquista por sò stesso un moto in bò medesimo, contrario a quello, 424. Leggieri, più facili ad esser mossi che i gravi, ma meno atti a conservare il moto, 463. Infinito, non si può dare, Vili, 85. Fluidi, sono tali per esser risoluti nei primi loro atomi indivisibili, 85-86. Si risolvono in infiniti indivisibili, 92-93. Contenuti da superficie eguali, non sono ancora iu tutto eguali, 102. INDICE DEI NOMI ECO. 147 Corvini] Corpi celesti. Non sono nò gravi, nò leggieri per Aristotele, YII, 59. Le condizioni per lo quali differiscono dagli elementari di¬ pendono dai moti assegnatigli da Aristotele, 61. Se siano generabili e corruttibili, oppure ingenerabili o incorruttibili, 66. Ordinati per servizio della terra, secondo i Poripatetici, non avrebbero bisogno d’altro che del molo c del lume, 84 e mancherebbero d’operazione scambievole tra di loro, 84. Alterabili nelle parti esterne, 85. Loro sfericità, 105, 109. La terra può reciprocamente operare in essi col lume, 121. Corpi composti. Hanno movimento misto, secondo Aristotele, YII, 39. Corpi elementari. — V. Elementi. Corpi luminosi. Il loro irraggiamento non ò intorno ad essi, ma è, se non dentro, almeno alla superficie del nostro occhio, VI, 84. Se siano trasparenti, 176, 370. Lucidi per natura, diversi dai tenebrosi, YII, 72. Illuminati, appariscono più chiari nell’am¬ biente oscuro, 115. Nei più lontani e lumi¬ nosi un piccolo avvicinamento o discosta¬ mento è impercettibile, 413. Ogni luminoso, visto da vicino ci si mostra sotto la sua vera e reai figura, ma da lontano pare s’inghirlandi d’alcuni raggi ascitizi, XI, 193. Lucido, non ò altro elio vibrante di continuo, 295. Corpi semplici. So i cieli siauo unità di corpi somplici, o composti di semplici, I, 55s. Non possono avere più d’un sol moto, proprio e naturale, 11,213. Definiti da Ari¬ stotele come quelli elio hanno da natura principio di moto, e tal movimento è sem¬ plice, YII, 39. * CoTutAniNi Lumi. Suoi disegni della luna, XI, 231. 11 Signoria gli comunica, da parte di G., alcune costituzioni dei pianeti Medicei, 493. Eletto alla lettura dello Pandette nello Studio di Padova, XII, 385. Sua morte, 421 ; XIII, 15. Correnti marine. Como si formino o come procedano, Y, 390; YII, 449. Causa per la quale in alcuni canali angusti si vedo l’acqua del maro correr sempre per il medesimo verso, 461. G. chiede notizie intorno ad esse, XIV, 54, 278. * Cokiikr Niocjolò. XIX, 127. Corruttibilità. Dei corpi colesti, TI, 315s; YII, 71s, 82s, 616s. È capace di più e di meno, ma non l’incorruttibile, YII, 110. La diversità di figura non può operare so non nello materie che son capaci di pili o meno durare, ma non nelle eterne, 110. Corruzione. Non ò annichilazione, V, 234, 259. Non ò tale quando l'animale si risolve in fuoco o in aria, 259. Si fa, secondo Aristotele, d’un contrario in un altro con¬ trario, VII, 63s; XY, 13. Colisi (Marclieso). XVIII, 302. * Colisi Bardo. Suoi conti con G., XIX, 571, 572. * Corsi Iacopo. Suoi conti con G., XIX, 571, 572, 573. Corsica. Suo clima, II, 241. Piccola al¬ tezza dei flussi e reflussi che avvengono sulle suo coste, V, 390; VII, 445, 459. * Corsini Ottavio. G. gli fa osservare in Roma le macchie solari, Y, 82; XIX, 612. Mandato col Castelli a provvedere alle acque di Ferrara e di Bologna, XIII, 218, 227, 234, 239-240, 242, 268, 271. Catechizzato dal Ca¬ stelli, 261. Nominato, 186, 264. Corso (Sig. r ). X1Y, 156; XV, 201. Cortina. In muratura, II, 23, 24, 32, 34-35, 39, 48, 52, 53, 89, 91, 122. In terra, 66, 146. Cortona. XXII, 304. Cortona (Vescovo di). Suo edilto con¬ cernente la sentenza contro G. e la relativa abiura, XIX, 411-412. * Gortusio Giacomo Antonio. X, 95; XIX, 119. Corvini. X, 17. 148 INDICE DEI NOMI ECC. Corvo, occhialaio in Firenze. XVI, 4SI. Corvo (costellazione). XII, 420. Cosentino (Monsignore).— F Pasquali Soipione, Cosentino. Cosimino. — V. Cardi da Cigoli Coshnino. Cosimo. XIX, 35. Cosmografia. Trattato di G. col titolo di Trattato della sfera ovvero Cosmografia, H, 203-255. * Cospi Fuanoesoo. Gli ò raccomandato dui Ciampoli il Cavalieri, XLV, 21. Gossavecohia Antonio. XIX, 215, 210. Costaooi Gio. Battista, da Visso. XIX, 41. Costamezzana Claudio. Inquisitore di Piacenza, ha ricevuta e notificata la sen¬ tenza ed abiura di G., XY, 312; XIX, 387- 388. Costantino. IX, 190, 191. Costantinopoli. Descrizione manda¬ tane a G. dal Ricques, X, 112-113. Menzio¬ nato, V, 392; YH, 355, 401 ; XIX, 55. ♦Costanzi Giuseppe. Visita G. in Arcetri, XVIII, 201, 205. Costanzo di Brescia. — F. Broscia (di) Costanzo. Coste (le). XIX, 171. * Ootignon. XVI, 145. * Cottunio Giovanni. Attendo ad un trat¬ tato De stabilitale tcrrac, XIV, 282, 294,300, 304, 315. Nominato, 316, 317, 319, 325, 328, 342, 348. Counradus. — V. Burgh (vau der) Albert Coenraets. Ooyrri Michel agnolo. XVI, 48. Covoni Giambattista. XIX, 221. Cozzi Mànni. XIX, 203. Cozzi Vincenzio. XIV, 333; XV, 34. Cozzolani Gio Giacomo. Informa il Man¬ zini intorno ai telescopi del Fontana, XVU, 374-375. Cracovia. Accademia, XITI,65. Vescovo XVIII, 185. [Corvo Crakanthoup. Sua Defensio Ecclesia e Anglicanae, proibita, XIX, 416. Cramoisy Sebastiano. VI, 376; XVI, 267 Crantore. I, 63. Crasso Lorenzo. Suoi Elogi d'huomini letterati , citati, XIX, 11. Crasso Lucio Licinio. XIV, 47. Cràthte. I, 50. Creazione. E necessario supporla, I, 24-25. In che si distingue dalla conservar ziono, 35. Di un nuovo mondo dopo la di¬ struzione dui presento, 69. Le creature sono scala a conoscere la, grandezza del Crea¬ tore, XVI, 162. Croma (Inquisiloro di). — V. Cuccini Francesco. Cremona (Inquisitore di). — V. Pietro. Cremona (Torrazzo di). II, 326. Cremona (Violini di). XVII, 221, 230, 259. Cremonese Cardinale. — V. Scaglia Dosiderio. * Cremonino Cesare. Conversaziono da lui avuta con G., riferita dal Wodderboru, III, 164. Suo opinioni intorno alla materia ce¬ leste, VII, 68, 94, 111. Presta malleveria a favoro di G, X, 202. Ricusa di osservare col telescopio le scoperto celesti di G. e se no burla, XI, 100; XIX, 610; o dichiara al Gualdo o ad altri di non ne voler parlare, XI, 165, 453; e di non voler vodero le Let¬ tere sullo macchie solari, 320, 453 ; nega i sensi, per non rifiutar fede ad Aristotole, XV, 12. Disapprova lo novità filosofiche di G., e la sua partenza da Padova, XI, 165. Peri¬ pezie della stampa del suo trattato De cacio, 100, 117, 165, 320, 400, 407, 435, 436, 4-48, • 451, 469, 489, 505, 631, 656, 569; XII, 29, giudizio del Maraffi sopra di esso, 128. Pro¬ cesso intentatogli dall 1 Inquisizione, XI, 503; XIX, 276. F. Salviati, di passaggio per Padova, conferisce con lui, XI, 595. Suo debito verso G. o difficoltà per il pagamento Danimarca] INDICE DEI con la mediazione di G. F. Sagredo, XII, 167, 191, 193, 270, 279, 303, 308, 312, 313, 317, 328, 355, 363, 365-366, 368-369, 370, 371, 378,' 392, 394, 400, 403, 419, 444-445, 447, 451-455, 465, 480; XIII, 35. È tra i fon¬ datori dell'Accademia dei Ricovrati, XIX, 207. Nominato, X, 183, 195, 449, 506; XI, 139, 156, 420, 593; XII, 139, 421; XIII, 28; XTI, 172; XIX, 118, 607, 610. „ * Chequi (de) Carlo. XV, 165. Creso. Vili, 616. Creta. Ili, 114, 161; IX, 45; X, 329. Crete di Siena. XVI, 371. Crevbnna Pietro Antonio. IX, 24. Crinito Pietro. I, 36. Crisolito. Pesalo in aria ed in acqua, I, 226, 227. Crisostomo. — V. Giovanni Crisosto¬ mo (S.). Cristallo. Pesato in aria, I, 228. Da che derivi la sua trasparenza, IV, 218, 259. — V. Cannocchiale. ♦Cristiano li, Elott. di Sassonia. X, 346. Cristina Eletta (Suor). XIX, 519. Cristina di Lorena. — V. Lorena (di) Cristina. Crivelli Lranoesoo. D’ordine del Duca di Baviera, provvede al vitto ed ai maestri per Vincenzio di M. A. Galilei in Roma, XIII, 388-389, 390, 101 ; ma si lagna perchè non vengano forniti i fondi necessari, 405, 109, 417. Si lagna con G. per la mala con¬ dotta del nipote, 422-423 : e ne scrive a Mo¬ naco, 432, 410-441. Nominato, 391,406,.424, 428, 434, 437, 438, 453. Crivelli Gio. Battista. XI, 97. Croce (dalla) Gio. Antonio. Dal nipote B. ('apra gli è dedicata la Considerationc Astronomica, II, 289-290; X, 141. Croce (Card, di S.).— V. Borgia Ga¬ sparo. Zapata Antonio. CnoizE. XVI, 145. Cuba. VI, 371, 499. NOMI ECC. 149 Cubo. Numero dei cubi nei quali uno si risolve, e come scemino nelle suddivisioni lo moli in proporzione delle superfìcie, Vili, 133-134, 437. Sua duplicazione, XV, 356. Mosso sopra un piano orizzontalo, XVIII, 33.Dimostrazioni ad esso relative, nella Cen¬ turia di Problemi del Cavalieri, 347. Cuooini Francesco. Inquisitore di Crema, annunzia d’aver notificata ai suoi vicarii la sentenza contro G. o la relativa abiura, XV, 265 ; XIX, 378. ♦Curva (de la) Alfonso. XIX, 287, 288, 289, 290, 291. Ou Ima (di), o Culmense, Vescovo. — V. Giese Tiedemann. Cuore. Corrisponde nel corpo umano al sole, III, 219. Origino dei nervi, secondo i Peripatetici, VII, 134. Cupeus Sebastiano. XIX, 476, 477. Cupidi ne. IX, 287. ♦Cuppis (de) Torquato. Gesuita. Propende per il sistema copernicano, XII, 150. Corti Franoesoo. XIX, 471, 472, 473. Cusa (di) [Krypfs] Niuoolò. Ili, 106, 183; XII, 216. Dadi. Come nel giocare con essi alcuni punti siano più vantaggiosi di altri, Vili, 591-592. Quante ne siano le scoperte con due e con tre, 592-593. Tavola relativa, 594. Dalenkanlii, fiume, II, 245. Damasceno. — V. Giovanni Dama¬ sceno (S.). Damasco. EX, 91. Damaso (S.). I, 105. ♦Dandolo Giovanni. HI, 319. ♦ Dandolo Vincenzo. 13, 600. * Danesi Luca. Meccaniche di G., da lui per la prima volta pubblicate, H, 152-153; XIX, 606-607. Daniele, profeta. VI, 174, 196, 4.96. Daniele, meccanico. XIII, 164. Danimarca. X, 78. 150 INDICE DHL NOMI ECO. *Dano Giovanni Andrea. XIII, 842. Dante. — V. Alighieri Dante. Danti Egnazio. Strumento con due ve¬ tri nei traguardi, die si afferma da lui co¬ struito, XII, 258. Armilla da lui collocata sotto il meridiano di S. Maria Novella, XIV, 226. Nominato, 280. Danubio. HI, 118,160; IV, 394, 757; V, 392; X, 328. Dati Carlo. Vili, 32; XYI1I, 153. * Dati Gio. Battista. X, 40. Dati T.ionaudo. XIX, 452. Davanzati. XIX, 504. Davanzati Giuliano. XII, 57. Davide. I, 64, 70; IX, 17; XV, 229; XVI, 144. * Da vi so Urbano. Pubblica il Trattato della Sfera ovvero Cosmografia di G., II, 205,206, 208. Davo. X, 498. Dkoiano Tiberio. Suo Tractatus crimi¬ nalis citato, XIX, 535. Decima. Posta del campione di essa per Vincenzio di G., XIX, 437-438. Vi è descritto G., c documenti relativi, 470-483. Decisione data daG. al quesito in pro¬ posito della stima d’un cavallo, VI, 565-566, 572-574; e della stima d’un ferraiolo, 568, 612. — V. Cavallo. Fermiolo. Declinazione dell’ago magnetico, X, 75, 96, 100, 101, 262. Declinazioni australi o settentrionali delie stelle fisse, 1, 40. Deooumis. — V. Corona (de). Decreti del 8. Uffizio, relativi ai pro¬ cessi di G., XIX, 275-292. Decreti della Congregazione dell’Indice contro l’opera del Copernico, XIX, 278, 323. Contro il Dialogo, 415-417. Dedalo. VI, 208. I)ek Giovanni. II, 281, 284. Deferenti. Posti da i puri astronomi per facilitare i loro calcoli, V, 102. [Dano Giovanni Andrea Definizioni, lù necessario siano propo¬ sto in tutto le scienze dimostrative, 11, 159 • XVII, 161-162. Proposte da G. e ripreso dal Di Grazia, IV, 386, 697*. Del Di Grazia ri¬ preso da G., 399, 715. In qual modo posso» essere o non esser causa d’equivocazioni e falsità di dottrine, 631. Comprendono vir¬ tualmente tutte le passioni dello cose defi¬ nite, VII, 129. Dei Ulivo. XIX, 456, 480, 494, 497. Del Meglio. — V. Firenze. Demetrio Falkkeo. XI, 262. * Gemisi ani Giovanni. Suoi epigrammi in onoro del Card. L. Capponi e del Lagnila, III, 315-318. Osserva con G. in Roma lo mac¬ chie solari, V, 82. Protesta la sua affezione verso G., XI, 221. Suoi epigrammi, inviati dal Cesi a G., 236, 210, 247. Eletto Linceo, fa atto di dovere con G., 381-382. Difende le dottrine di G. sulle galleggianti, 405. Pro¬ pone per il cannocchiale il nomo di «. tele¬ scopio », 420. Visita G. ed il Salviati nella villa delle Selve, 458, 468. Sua morte in Pa¬ rigi, XII, 490. Nominato, X, 210; XI, 158, 169, 211, 222, 323, 383, 404, 420, 428, 458, 4G3, 464; XII, 383, 414, 415; XIX. 266. Democaue. — V. Timocare. Demooiuto. Sue dottrine intorno al mon¬ do, I, 23, 28; HI, 106, 321 ; IV, 222, 263; X, 321; all’ordine degli orbi celesti, I, 50; HI, 322; alla composizione dei cieli, I, 56; agli atomi, agli ignieoli ed al vacuo, 129; IH, 350-353; IV, 48-49, 74, 129s, 131-135, 160, 176s, 233, 236-239, 264, 278-279, 283, 339, 359S, 425, 427 s, 618, 651*, 656-660, 664,669- 670, 741-742, 745-750, 778; VI, 486; XI, 274. Sulla pluralità dei mondi, Ili, 347, 348, 349. Sue opinioni intorno le comete, VI, 48-50, 400. Nominato, IH, 139, 354; IV, 351, 439; XVII, 198. Demonico. IX, 275, 283. — V. Isocrate. Demostene. U, 559; IV, 204; VII, 78, 618; XVI, 389; XIX, 119. Dieciaiuti Giuliano] INDICE DET Donti. Per fortificare la salita d’una co¬ sta, H, 27-28, 91-92. * Dbscalzi Ottonklt.o. XIX, 207. * Descartes Renato. Suoi giudizi intorno allo conclusioni di G. sul moto, contenuto nel Dialogo dei Massimi Sistemi, XIV, 435; XVI, 124-125, 410. Dopo la condanna di G., sopprime il suo lavoro sul sistema del mon¬ do, XY, 340-341 ; XVI, 5G, 88. Nega le espe¬ rienze addotte da G. per dimostrare il moto della terra, 88-89. Chiede al Mersenne i mo¬ tivi della condanna di G., 90; e la deplora, XVIII, 318. Il suo Discours de la mèthodc è mandato dal Mersenne a G., XVII, 22(1. Desidera conoscere i Discorsi delle Nuove Scienze e sue osservazioni intorno ad essi. 348,361, 369, 387-391, 416; XVIII, 29; e in¬ torno alla Scienza Meccanica, XVII, 403-405; ed alle Galleggianti, XVIII, 25. Nominato, XVI, 119; XVD, 70; XVIII, 356. Dessifane. XIV, 47. Dessippo. I, 130, 131. Deti (Fondaco dei). XIX. 98. * Deti Gio. Battista. Ringrazia G. per il dono del suo Discorso intorno alle galleg¬ gianti, XI, 338. Nominato, 82. Deti Girolamo. XIV, 369. Bruchino Evangelista. XIY, 319. Di agora. Ili, 352. Dialetto ; pavana. Il, 271-273, 309, 334; Vili, 641; IX, 27 ; X, 182-183,196-197; XI, 322, 327; XII, 404; XVI, 3G5; XIX, 645. — V. Beolco Angelo. Dialetto veneziano. Breve scrittura di G. in esso, IX, 27, 229. Dialoghi delle Nuove Scienze. — V. Discorsi e dimostrazioni matematiche in¬ torno a due nuove scienze. Dialogo. Perchè preferito da G. ad al¬ tre forme di esposizione, VII, 30; giudizio del Descartes intorno ad essa, XVII, 387. Dialogo de Cecco di Jlonchitti da Bruzene in perpuosito de la stella NOMI ECO. 151 nuova, II, 271-273, 307-334. — V. Ronchili! (di) Cecco. Stelle nuove. Dialogo sopra i due massimi si¬ stemi elei mondo di G., VII, 3-13, 21-520. Frammenti ad esso attenenti, 13-15,521-546. Privilegio chiesto per esso alla Repubblica Veneta dal tipografo Landini, XX. Suppl., n.° XL bis. Diamante (Suor). XIII, 122, 149; XV, 271 ; XIX, 518. Diamanti. Pesati in aria cd in acqua, I, 225, 226. Interposti tra la calamita ed il ferro, non ne impediscono l’azione, 111, 281. Riscaldati, attraggono i corpi leggieri, 399. Perchè durissimi, non si riscaldano per at¬ trito, VI, 56. Perchè si lavorino a molto fuceie, VII, 103. Menzionati, 84. Biamotro dol cerchio. Suo rapporto con la circonferenza, XI, 149. Diametro della pupilla. Come si mi¬ suri, XVIII, 267-268. Diametro d’una stella. Modo squisi¬ tissimo di misurarlo, VII, 388-3S9; VIU, 465$. Diana (divinità). VII, 130,436, 655,701; VITI, 630; IX, 132, 242, 245, 255, 258, 269, 270; X, 309. Diana (personaggio di commedia). IX, 200-209. Alivola astronomica, optica, phy- sica ecc. di F. Sizzi, con postille di G., Ili, 12, 201-250. — V. Sizzi Francesco. Dianora (Suor). XIX, 518. Diaz Damiano. XIX, 33, 41. Diaz Od. 0 XI, 244. Die ornano. XTX, 175, 574. Di co mano (da) Francesco, servitore di G., XIX, 178. Di eoi aiuti Anna nc’ Landucoi. —1'. Lan- ducci Dieciaiuti Anna. Dibciaidti Cassandra. XIII, 462. Dieciaiuti Cosimo. XIII, 462; XIV, 175; XIX, 15, 453, 454. Dieciaiuti Giuliano. XIX, 453, 454. 152 Diblaito Alberto. Ili, 200. Difesa di G. contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra milanese, usategli sì nella Conside¬ razione astronomica sopra la nuova stella del MDCIIII, come (et assai più) nel publicare nuovamente come sua invenzione la fabrica et gli usi del Compasso geometrico et militare sotto il titolo di Usus et fabrica cir- cini cuiusdam proportionis ecc., 11, 341, 513-1)01. — V. Capra Baldassare. * Dietrioiistein Franoesoo. Approva por la stampa in Olmiitz i Discorsi delle Muove Scienze, Vili, 15; XVI, 386, 393, 419; XVII, 131. * Dietrioiistkin Paolo. XIX, 155. * Diqges Tommaso, li, 284; XVI, 159. Diluvio universale. I, 27; XII, 47; XVIII, 66, 81. Dimensioni dei corpi. Sono tre in ciaschedun corpo, II, 100; III, 350; IV, 358, 643-644; VII, 34. Dimostrazione geometrica della trina dimensiono e sua rappresenta¬ zione, 36, 587-588; XVI, 63. Dimostrazione. Questioni scolastiche, su questo argomento e sulle Precognizioni, trascritte da G., IX, 279-282, 291-292. - V. Precognizioni. Dini Agostino. XIX, 497. Dini Dianora. XIX, 183. Dini Franoesoo. XIX, 15. Dini Giovanni. XIX, 497. Dini Girolamo. XYT, 91. *Dini Piero. G. gli scrive intorno alla ve¬ rità dei Pianeti Medicei, III, 414, 422; XI, 105-116, 202, 210. Osserva con G. in Roma le macchie solari, V, 82; XII, 175; XIX, 612. Lettere di G. a lui intorno alla proibizione del libro del Copernico, V, 265, 270, 273, 277, 291-305, 326; VI, 505, 507; XII, 142^ 161, 164, 183-185. Carteggia col Sassetti circa la verità dei Pianeti Medicei, XI, 101- [Dielaito Alberto 102, 103. Ringrazia G. per il Discorso sulle galleggianti, 343-344. Si adopera in favore di G. neH’occttsiono del primo processo, XII 144, 145, 146, 150, 151-152, 155, 160, 16l’ 162-163, 164, 165, 173, 174, 175, 18o| 181- 182. Eletto arcivescovo di Fermo, XIII, 60 166. Nominato, XI, 209, 212,229, 424,456- XUI, 281. I)ini Porzia. XIX, 15. Dio. È increato, sempiterno, infinito e li- boro, 1,21-26,29-81. Creatore del mondo, HI, 289. Tutta la filosofia è intesa da lui solo, 398; IV, 653; VI, 119, 237. Ila regolato il tutto secondo numero, peso e misura, IV, 52. Come prenda i piccoli doni doi mortali, 375. L’amore di lui, ultimo scopo alle nostre tatiche, V, 188. Suo sapere infinite volte infinito, VII, 128-180, Si occupa con la na¬ tura nella cura degli uomini corno se altro non curassero, 394-395; se di fiorisca dalla natura, 601-602. Sua onnipotenza, 488, 555, 565-566, 662. Diooiaiuti. - V. Dieciaiuti. * Diodati Elia. (ì. gli manda i suoi la¬ vori giovanili sui baricentri dei solidi, 1,182; MII, 564; XVIj 524,. Sua partecipazione nel tradurrò e far pubblicare la Lettera a Ma¬ dama Cristina, V, 271-275; XVI, 194-19^. 306-307, 366-367, 389, 415, 434, 444; XVII, 41; XIX, 618. Chiede ed ottiene da G. iu- lortnazioni intorno ai suoi lavori sul sistema del mondo, XIII, 48, 53,2S2; XIV, 37,49.134, 157, 289, 332, 339-341, 359. G. gli annunzia d’essere stato citato davanti al S. Uffizio, XV, 25; e lo informa delfesito del processo, XVI, 115-119. Manda al Bernegger il Dialogo dei Massimi Sistemi, e lo esorta a tradurlo in latino, XV, 243, 299, 349; XVI, 20; questi vi si accinge, o lo tiene informato del pro¬ gresso del lavoro, 23-24 , 51, 104, 168, 176, 211-212, 213, 238, 258, 263, 265, 272, 287. Scrive a G. di una traduzione francese del Dialogo dei Massimi Sistemi, 96, poi smessa INDICE DEI NOMI ECO. INDICE DEI NOMI ECO. Diogene il Cinico] 231. Manda al Bernegger una sua traduzione latina della Lettera del Foscarini e di quella a Madama Cristina, perchè lo aggiunga alla versione del Dialogo , 101, 112, 168,177,194-, 211-212. Informa lo Schickhardt dei nuovi lavori ai quali Gr. sta attendendo, 10G-107; XVIH, 428-429. Implora la mediazione del Peiresc presso il Card. F. Barberini in fa¬ vore di G., XVI, 153. Accompagna al Gas- sendi i vetri da telescopio, mandati per lui da G., 153, 154, 182, 184. Eccita G. al com¬ pimento dei suoi lavori sul moto o s’inte¬ ressa alla loro pubblicazione, 158, 213, 234, 293-294, 452, 524; XVII, 41-42, 239, 24G, 251, 265, 311, 347. Annunzia a G. la traduzione francese della sua Scienza Meccanica per opera del Mersenne, XVI, 255. Scrive allo Schickhardt delle difficoltà di procurargli da G. il telescopio daini desiderato,266. Ricorda a G. col mezzo di Roberto Galilei la promessa del suo ritratto, c G. ne lo compiace, 284, 296, 307,312, 315, 380. Manda al Peiresc un esem¬ plare della versione latina del Dialogo dei Massimi Sistemi, 297, 302, 409, o di quella della Lettera a Madama Cristina, XVII, 41, 52, 125. Si congratula con G. del proposito del Carcaville di pubblicarne le opere, e gliene dà e riceve informazioni, XVI, 316; XVII, 33, 39, 62-63, 129, 135, ma poi si ri¬ volge agli Elzeviri o tratta con loro, 173, 239, 281. Si rallegra del disegno di chiamare G. in Amsterdam, XVI, 373. 11 Peiresc gli comunica la sua intenzione di adoperarsi no- vameute in favore di G. presso il Card. F. Bar- beriui, 410. Procura che G. mandi al Ber- negger i vetri per un telescopio, 415, 451 ; XVII, 55. G. lo informa circa la stampa delle sue opere assunta dagli Elzeviri, XVI, 510- 511. Mediatore del negozio delle longitudini con gli Stati Generali d’ Olanda, 472, 473- 474,489-492, 521, 526-527; XVII, 18, 25,29, 43, 44-45, 46-49, 59, 67-69, 72, 73-74, 78-80, 84-85, 94-96, 107-111, 119-120, 127-130,136- Vol. XX. 153 137, 178-179, 181, 189,195-196, 222-223, 228 266, 365, 366; XVIII, 117, 143, 149-150, 151- 152, 174, 176, 178, 181, 182, 184, 200, 203- 204, 207; XIX, 618, 051. G. lo informa della perdita totale dell’occhio destro, XVII, 127. Partecipa a G. la morte del Peiresc, 130. Manda agli Elzeviri copia del ritratto di G., perchè lo facciano incidere e lo premettano ai Discorsi; ed altro a questi relativo, 237, 251, 265. G. gli annunzia la sua totale ce¬ cità e lo tristi condizioni della sua saluto, cd egli se ne conduole, 247, 281, 369-370, 372. Comunica a G. il suo parere intorno alla edizione delle opere di lui disegnata dagli Elzeviri, 281, 308, 371. Informazioni forni¬ tegli a tuie proposito da G., 347. G. si duole con lui delle proprie condizioni di saluto, del mutamento di titolo dei Discorsi fatto arbitrariamente dagli Elzeviri, e gli racco¬ manda di distorre l’Ortensio dal venire in Italia, .369-370, 372-373. G. gli annunzia di non aver accettata la collana d’oro invia¬ tagli in dono dagli Stati Generali d’Olanda, 371. Manda in dono al principe Leopoldo do’Medici tutto il caldeggio relativo al ne¬ gozio delle longitudini, XIX, 654. Nominato, VII, 15, 16; Vili, 11, 12, 13, 14, 16, 17, 18, 19, 451, 565, 568; XII, 482; X1H, 275, 347, 395; XIV, 295, 330, 333, 422; XV, 113, 162, 171, 244, 262, 286; XVI, 54, 72, 73,131,141, 142, 143, 146, 165, 174, 206, 237, 23S, 240, 248, 249, 257, 259, 262, 268, 269, 285, 288, 292, 298, 299, 300, 321, 322, 329, 330, 346, 361, 395, 450, 451; XVII, 26, 88, 116, 141, 155, 183, 185, 198, 208, 229, 232, 241, 245, 246, 266, 299, 305, 311, 323, 324, 333, 346, 354, 358, 385, 392; XVm, 22, 30, 32, 34, 52, 128, 162, 206, 356, 431, 432, 433, 434. Diofante. XIV, 169. Diogene di Apollonia. Sue opinioni sulla luna, sugli astri e sull’universo, I, 91; Ili, 322, 355, 357, 363, 377. Diogene il Cinico. II, 429; XVII, 59. 20 154 INDICE DE! Diogene Lakkzio. I, 23, 127; III, 331. Dionigi Areopagita. Suo opinioni intorno ni sole, V, 303, 345-316. Sostiene elio nel mi¬ racolo eli Giosuò si fermò il primo mobile, 337, 344. Nominato, 272. Dionisio. VI, 190. Dioscoiude. XI, 23. Diottra. Controversie di G. col Capra intorno all’ uso di essa, II, 492, 5S4, 592. Menzionata, VII, 414. Discorsi c dimoatr anioni matema¬ tiche intorno a due nuove scicnee di G., Vili, 11-25, 39-318. Giornate aggiunte, 26-33, 319-362. Frammenti attenenti ai Di¬ scorsi eoe., 33-38, 363-448. Discorso apologetico d'intorno al Discorso di Galileo Galilei circa le cose che stanno su V acqua o che in quella si muovono di L. Dolio Colo- ecc., IV, G, 9-10, 311-369. - V. Colombo (delle) Lodovico. Galleggianti. Discorso contro ilmoto della terra di L. Delle Colombe, con postille di G., Ili, 12-13,251-290.— V. Colombe (delle) Lodovico. Discorso del flusso c reflusso del mare di G., V, 371-395. — V. Flusso e re¬ flusso del mare. Discorso delle comete. VI, 87-105, con alcuni frammenti ad esso attenenti, 107-108. Tenuto all’ Accademia Fiorentina da M. Guiducci e pubblicato sotto il suo nome, benché opera quasi esclusivamente di G., 5-6, 8-12. — V. Comete. Guiducci Mario. Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, di G., IV, 5-6, 8-9, 57-141. Frammenti ad esso attenenti, 7-8, 17-56; Vili, 637. — V. Acqua. Aristotele. Galleg¬ gianti. Discorso di G. per V Illustrissimo Sig. Piero Bardi de’Conti di Vernio, intorno la cagione del rappresentarsi al senso fredda o calda la medesima acqua a chi vi NOMI ECO. [Diogene Laerzio ontra asciutto o bagnato, Vili, 563, 595-597. — 1". Acqua. Bardi (de’) Piero. Disegno. Differenza tra.il copiarlo o l’eseguirlo dal naturale, III, 395-396. Disput ino astronomica de tribus cometis anni MDCXVUI, pullice habita in Collegio Domano Soeietatis lesa ab uno ex Patribus ciusdemSo- cictatis di O. Grassi, VI, 5, 8, 21-35.— V. Comete. Grassi Orazio. Disputano de phoenomenis in orbe lunae eoe. di G. C. Lugalla, con postille di G., Ili, 13-14, 309-399. -■ V. Lagnila Giulio Cesare. Disputai io do situ et quiete ter- rae contru Copernici systema di F.l n . goli, V, 397-412. -- V. Iuguli Francesco. Moto della terra. Disquisitio ( Accurntior) de ma- culis solar ih us et stellis circa Iovem crrantibus ecc. di C. Soheiner, con po¬ stille di G., 1,11-12, 14, 35-70. — V. Macchie solari. .Scheiner Cristoforo. Dissertano cum Nuncio Sidereo occ. di G. Keplero, III, 10-11, 97-126. — V. Kepler Giovanni. Dissonanza musicale. Come si spie¬ ghi, Vili, 14 ls; XVIII, 84, 426. Distanza. Como si misuri con la vista, II, 414s, 4905, 582 s. Del sole da qualche fissa, Vili, 463. Apparecchio ideato dal Castelli, XII, 319-320. Come so ne possa ottener la misura col cannocchiale, XVII, 307-308. Diù. XI, 525. Dosa (van der) Wigbold, Signore di Nortwijck. MX, 5-17. * Dolce Agostino. XIV, 370. Dolfin (famiglia). XII, 377,483; XIII, 17. •Dolfin Giovanni. XIII, 100. * Dolfin Niccolò. XIII, 99-100. Domkniciii Ludovico. Sua traduzione di alcune Opere Morali di Plutarco, IX, 277, 278, 286; estratti da essa, 280-288. Dupuy Giacomo] ÌNDICE DEI Dombnioiiino. XIII, 213. Domenico (lavoratore). XV, 205, 323. Domenico (Sig. r ), Credenziere della Corto di Baviera. XI, 433. Domenico Maiua. — V. Novara Dome¬ nico Maria. ♦Dominici Domenico. XI, 523. Do mini co (S.). XI, 525. ♦Dominls (do) Marcio Antonio. Suoi scritti di ottica, XI, 331, 350, 356; XIII, 314; e sul flusso e reflusso del mare, 203. Sua morte, ed autopsia eseguita alla presenza del Fa- ber, 207. Donatello. XVII, 51. Donati Gàspaiuc. XIX, 214. Donati Giacomo. XIX, 117. Donati Gregorio. YI, 35. ♦ Donato Leonardo. Riformatore dello Stu¬ dio di Padova, X, 76, 77, 78, 147, 148, 149, 150. Doge di Venezia, 157, 250; XU, 455; XIX, 114, 116, 609. ♦ Donato Niccolò. XII, 387. Doneo. XIX, 150, 151. Donelli Ugo. Sua opera proibita, XIX, 323. ♦Doni Gio. Battista. Visita G. in Roma, XV, 159, 251. Lo informa intorno ai propri studi, 311-312. Ragguaglia il Mersonno delle condizioni di G. dopo la condanna, XVI, 77. Nominato, XIII, 404; XV, 183, 252; XVI, 64, 119; XVII, 80; XVIU, 378. Donzella Leonardo. XIX, 206. Doralioe. IX, 112, 116, 163, 174, 177, 193; XVin, 193. Doria Duca. XIX, 395. Dorta Gto. Domenico. XVIII, 143. * Dormalius Enrico. XVI, 270, 272, 280. Dort. XVI, 124, Dotti Cristoforo. XIX, 8, 582. Dotti Gio. Battista. XIX, 582. * Dotti Vincenzo. Osserva in Padova io macchie solari, V, 65; XI, 231, 244. DouuLETn FiLìrro. XIX, 549. NOMI ECO. 155 Drago (costellazione). IV, 579; VI, 377- Dragone do Ila luna. II, 246; IV, 579; XVII, 212. Drava. HI, 113, 160; X, 328. * Drebbel Cornelio. Sua invenzione di un proteso moto perpetuo, X, 448-449, 479; XI, 269-270, 275-276; XVJ, 261. Nominato, XI, 234, 235. Dreyer J. L. E. Sua vita di Ticone Braho, citata, X, 53. Ditooon Nicoot.ò. XVI, 100. Droooh Pietro. XVI, 100. Drusilla. IX, 78; XVIU, 193. ♦Dudlhy Rorerto. XU, 70; XIV, 260. Durone. IX, 62, 70, 71, 87, 90, 92, 104. *Duodo Alyise. X, 221. * Duodo Andrea. Scolaro privato di G. in Padova, X, 221, 223, 231, 238, 247, 448; XIX, 158. Nominato, XVIU, 110. * Duodo Francesco. Scolaro privato di G. in Padova, X, 221, 223, 234, 238, 247, 448; XJLX, 158. Gli si ricorda con costante affetto, riceve da lui alcune oporo e lo ricambia con doni, XI, 35, 209, 228, 242, 328, 334; XIII, 97-98; XIV, 247, 347; XVI, 480, 498; XVU, 14, 82-83, 231, 393; XVflI, 61, 110, 117-118, 162, 326, 336, 383. Da parte di F. Morosini offre a G. di ricondurlo allo Studio di Pa¬ dova e di far stampare il Dialogo a Vene¬ zia, XIV, 321. * Duodo Pietro. Presenta col mozzo di G. congratulazioni al Granprincipo Cosimo per le sue nozze, X, 220-221. Raccomanda a G. i suoi nipoti, 221, 223, 234-235, 238, 247. Si ado¬ pera in favore d’un soldato i*accomandatogli da G., 237-238; e di G. stesso in occasione della sua ricondotta, 247. Si duole della partenza di G. da Padova, 447-41S. Nomi¬ nato, 202, 497; XVII, 14. Dupares.— V. Peiresc (di) Niccolò Fabri. * Dupuy Cristoforo. XV, 184. * Dupuy Giacomo. XVI, 297; XVUI, 431. 156 INDICE DEI NOMI ECO. *I)DF0Y Pietro. XIY, 339; XV, 23, 164; XVI, 18, 58, 270, 272; XVJLU, 431, 432. Durano Guglielmo. Suo opinioni intorno alla perfezione dol mondo e di Dio, I, 29, 31, 34, 35; intorno ai cieli, 72, 108, 111 ; agli ole- menti, 134, 146. Durazzo Gio. Battista. XVIII, 174. Dììrbr Alberto. Sua costruzione del pentagono regolare, II, 20. Suo libro della misura umana, IX, 42. Ebano. Espcrionzc con esso eseguito circa il galleggiare, IV, 20, 38$, 88$, 111$, 120s, 161$, 212, 225$, 254, 267s, 291 s, 326, 332s, 335s, 338$, 342s, 400$, 403$, 406, 409, 417s, 491$, 495$, 645, 547, 558, 563, 571$, 581, 716, 720. Ebbbrs [Ebbrzer, Ebebzt], Mercanti te¬ deschi domiciliati in Firenze, incaricati di presentare a G. la collana d’oro docrotatagli dagli Stati Generali d’Olanda, XVII, 351, 357, 371. Nominati, XVI, 376. *Eberz Giorgio. XVII, 170. Ebreo, aspirante alla lettura matema¬ tica nello Studio di Padova, XI, 414, 417. Eccentrici. Introdotti per salvar le apparenze dei moti dei pianeti, I, 43; III, 285s, 338-339. Audio i Peripatetici li hanno per favolosi, 398. La natura non se no vale. V, 102. Che cosa siano, 298. Non sono stati cagione di rifiutare il sistema tolemaico, 307. Considerati nella discussione relativa alle comete, VI, 120, 243, 404, 441. Ignoti ad Aristotele, VII, 480. Loro parte nel sistema copernicano, XI, 332-333, 341-345. EoOHENBERG. XII, 214. Ecclesiaste. Ili, 290;XI,354; XII, 172. Ecfanto. V, 352. Eohionb. IX, 240, 241, 254, 268. Eoe [Heok, EokioJ Giovanni. XI, 293 352, 409; XIX, 267. Eclisse lunare. In quali condizioni avvenga, 1,48; II, 221; IV, 579; VII, 93$. (Dupuy Pietro Che cosa sia, li, 219. Diversi accidenti cho in essa occorrono, 246-250, 297. Ap¬ punti di G. ad osso relativi, III, 875. Del maggio 1612, V, 66. Usalo por ritrovare la longitudine, 420, 423; XVI, 342, 461. Permi¬ sero di studiare il moto della luna, VII, 481 635. Effetti della sua totalità, Vili, 514. 517; 531-532. Dei 29 dicembre 1610, osser¬ vata da G., X, 501,504; XI, 12. Del 1619 non osservata dui Remo, XII, 469. Del 10 gen¬ naio 1628 osservata dal Gassendi, XIII, 396- 397; XIV, 129. Doll’agosto 1635 0 dei 20 feb¬ braio 1636, XII, 417. Studiata in occasione della controversia col Liceti, XVIII, 151, 159, 169, 177, 229, 230. Del marzo 1569,’ osservata da Cornelio Gomma, 177. Eclisse solaro. Argomento da esso dedotto por non collocare il sole nel mezzo dei pianoti, I, 53-54. Causa di essa, II, 249- 250. Dol maggio 1612, V, 67. Uso della pa¬ rallasse per calcolarla, VI, 517. Discussione intorno ad essa nella controvorsia col Liceti, VIU, 625-529; XVIII, 151,168, 229, 230. Dei 3 ottobre 1614 osservata da Fabio Colonna, XII, 102-103. Del 1621 o dei 10 giugno 1630 osservata dal Gassendi, XIII, 277-278; XIV, 140. Eclissi doi Pianeti Medicei. Ili, 422-423,527, 591, 595, 596, 597, 601, 604, 630, 656, 658, 659, 660, 748, 753, 757, 758, 75o! 762, 776, 786, 791, 805, 806, 807, 853; VII, 716. Proposto di approfittarne per la deter¬ minazione dello longitudini in mare, III, 422. — V. Longitudini. Eclittica. Che cosa sia, II, 230. Stello fisso posto in essa, VII, 407; o fuori di esja, 410. Alterazione delle suo massime declina¬ zioni, XIV, 240, 280; XVI, 253. Menzionata, II, 236; III, 166; VII, 417; XVU, 229; XVIII, 139. Eouija. IV, 317. Eniro. II, 573; IX. 26; X, 498. Effetto. - V. Causa. Elementi] INDICE DEI Efigenia [Ifigenia]. IY, 471. Egeo (mare). V, 392; VII, 459, 462, 463; IX, 242, 255, 269. *Egidi Clemente. InquiRitoro di Firenze, licenzia allo stampe il Dialogo dei Massimi Sistemi, VII, 26, in seguito alla facoltà data¬ gliene dal Maestro del Sacro Palazzo, XIV, 266,270,274, 284, 285, 287, 383-385, 428; XIX, 327, 328, 330. Ricevo da Roma l’ordine di citare (I. davanti al S. Uffizio, XIV, 397, 398-399 ; XIX, 279-280, 330 ; ed accompagna al 8. Uffizio il manoscritto del Dialogo, XIV, 397 ; XIX, 830; XX, Sappi., 574; del quale sospende la diffusione, XIV, 410. Intima a G. la citazione, e ne manda fede al S. Uffizio, 402; XIX, 280, 331-332. In nomo di G. chiede una dilazione, XIV, 432, 439; XIX, 2S1, 333. Accompagna al S. Uffi¬ zio una fede medica, ncdla quale si attesta che G. non potrebbe mettersi in viaggio senza pericolo di vita, XIV, 441, 443-444; XIX, 281-282, 334-335. Il S. Uffizio gli or¬ dina di far partire G. per Roma ad ogni modo, ed egli partecipa elio G. ò disposto ad ubbidire, XV, 20; XIX, 281-282, 335, 336. Annunzia la partenza di G., XV, 30 ; XIX, 282, 330. Riceve copia della sentenza contro G. o della relativa abiura; o vi dà diffusione, intimandola a parecchi matema¬ tici fiorentini espressamente convocati, XV, 174, 230, 240-241, 243 ; XIX, 28-4, 363-364, 369. Viene ammonito gravemente per aver licenziato alla stampa il Dialogo, XV, 269; XIX, 285, 374 ; XX, Sappi., 578. Ila par¬ tecipato a G. l’ordine di astenersi dal domandar la grazia di potersi trasferirò da Areetri a Firenze, XVI, 71, 116; XIX, 286, 394. Giudicato dal Micauzio, XVI, 87. Egidio Romano. Del cielo e dogli ele¬ menti, I, 76, 77, 91, 92, 93, 94, 95, 101, 111, 115, 118, 131, 134, 146. Egitto, m, 144, 187, 383; IX, 238, 256, 269 ; X, 53. NOMI ECO. 157 Egiziani. Loro dottrino astronomiche, 1,50, 56, 76; IH, 214; VI, 49; X, 317. Ehm, e Francesco. X, 22, 273; XI, 73. Einbiedhln (di) Corrado. XVI, 99, 280. Elba (isola). VII, 445. *Et,ot (Pànnocohiksoiii dei Conti d’) Ar¬ turo. Sue Considerazioni sul Discorso di G. intorno alle galleggianti, pubblicate sotto il nome di Accademico Incognito, e postillo o frammenti della risposta di G., 1Y, 6, 7. 9, 143-190, 289, 290, 291, 293, 306, 308-309; V, 191 ; XI, 362,384,410, 492. Giudizi intorno ad esso dell’Agucchi, 389-390, del Cigoli, 410, o del Sizzi, 492. Ricorda a G. la promessa d’ un esemplare della ristampa del Discorso sulle galleggianti, 411. Sue relazioni con G., conio Provveditore dello Studio di Pisa, 292, 411, 591; XII, 57, 73; XIX, 233, 253, 254. Ringrazia G. per le Lettere sulle macchie solari, XI, 497. Ammonisco il Castelli a non trattare del moto della terra nello sue le¬ zioni, 589-590. Sua morte, XII, 111. Nomi¬ nato, XI, 604; XIV, 208. Elci (Pannoooiiiksohi dei Conti d’) Orso. Sua partecipazione alle trattative col Go¬ verno Spagnuolo circa la cessione del ritro¬ vato di G. per determinare le longitudini in mare, V, 415-417, 423; XI, 392, 417; XII, 267-269, 286, 290, 291, 337, 345, 353, 358, 366, 370, 384; XIII, 21; XLV, 53. Esprime da parte del Granduca a G. il desiderio del suo sollecito ritorno da Roma, e si compiace della sua speranza di poter rimuovere gli ostacoli alla pubblicazione del Dialogo dei Massimi Sistemi, XIV, 113. Nominato, X, 356, 404, 423; XIII, 416; XIV, 118, 222, 259; XV, 44, 48, 58, 65, 347; XVI, 37, 328, 439; XVII, 205. * Eloi (pANNooomEsoirr dei Conti d’) Sor- pione. XVI, 430. Elementi. Che il cielo non ò un misto d’essi, I, 58. Autori che ne trattarono, 122- 123. Origino e significato del nome, 123-125. 158 INDICE DEI NOMI ECO. Loro essenza, 126. Definizione metafìsica, fisica o comune, 126-128. Loro causa mate¬ riale efficiente e finale, 128s. Loro forme, 1295. Loro aumento e diminuzione di quantità e qualità, 133s, grandezza e figura, 138s. Loro qualità, 1575, mistione, 168s, gravità e leg¬ gerezza, 28f>s, 380s; gravità assoluta o rela¬ tiva, II, 213; IV, 3865; Vili, 121-124. 11 nu¬ mero dolio loro qualità risponde a quello dei pianeti, III, 215. Sono distribuiti secondo la loro nobiltà reciproca e secondo la gravità e leggerezza, 277, 339s. Aristotele concede la loro pulsione, IV, 80. Dottrina di Demo¬ crito intorno alla loro gravità, 132s; che cessa quando sono giunti al loro luogo na¬ turale, 1(50. Loro compensazione reciproca o predominio dall’uno o doll’altro, 362s, 390, 396.?, 665, 669, 710s. Loro moti in relazione al loro numero e proprietà, 3825, 432, 702, 747. Hanno qualità fra loro contrarie, 576. Come corpi semplici hanno, secondo Ari¬ stotele, movimenti semplici, VII, 39. I Peri¬ patetici assegnano loro con poca ragiono per naturali quei moti de’ quali non si muovon mai, e per preternaturali quelli do’quali si muovon sempre, 71. 11 convenire di ossi in un moto comune non importa più o meno che il convenire in una quiete conni no, 290. Opinione del De Ville, XV, 145. Elbnà. IY, 317. Eleonora, imperatrice. — V. Gonzaga Eleonora. Elia ebreo. XIX, 172, 173. Etja profeta. II, 289. Elica. Generata da moti composti, II, 261. Intorno al cilindro, può dirsi linea sem¬ plice, VII, 40. Descritta, secondo il Fermat, dal grave cadente al centro della terra elio ruota intorno al proprio asse, XVU, 33, 89-90. Menzionata, X, 92.— V. Spirali. Elice (costellazione). II, 279, 526, 527. — V. Orsa. Elicona. XVII, 233. [Piena Elisa metta, Regina d’Inghilterra. Come chiamasse Giordano Pruno, 111, 352. Elisabetta (Suor). Monaca di Roma che predice la morte del I*. Riccardi, XYUI 57-58. Elisabetta (Suor). — V. Gherardini Eli¬ sabetta. Ellesponto. 11,244; V, 375, 389; VU, 459. Ellissi. Figura retorica o figura mate¬ matica, IV, 698. Delle comete, VI, 121,243, 404. Proprietà della matematica, studiate dal Cavalieri, XIII, 352, 381. * Elzeviri* Àbramo e Dona ventura. Chie¬ dono schiarimenti a G. intorno ad alcuno coso della stampa dei Discorsi delle Nuove Sciente, XVII, 187-188, 189. Nominati, 210, 214, 251. • Elzeviri* Bonaventura. XVII, 200, 201. ♦Elzeviri* Lodoyioo. Tratta e conchiude la stampa dei Discorsi delle Nuove Scienze, Vili, 16, 17, 18, 24, 26; XVI, 294,436,445, 448, 402, 455, 457, 462, 474, 475, 476, 483, 490, 510-511, 514, 524, 535; XVU, 15, 17, 41-42, 43, 45, 57, 59, 69, 71, 76, 77,106, 114, 123, 126, 129, 211, 248, 251, 265, 272, 302, 311, 330, 333, 370, 402, 409; XVIII, 30, 55. G. si duolo elio no sia stato mutato il ti¬ tolo, XVII, 370. 11 Bornogger tratta con lui per l’edizione della versione del Dialogo dei Massimi Sistemi, XVI, 101 ; e por quella della versiono della Lettera a Madama Cri¬ stina, 445, 448-440, 453 ; XVII, 85, 402, 409; XYIU, 30. Si propone di curare una edi¬ zione latina di tutte le opero di G. e ne ricevo viu via i materiali, XVI, 441-442, 443, 446-447, 448, 449, 452, 455, 457, 462, 474, 475, -486, 511; XVII, 95-96, 112-118, 114, 126, 129, 211, 248, 265, 281, 300, 308, 311, 318, 335, 337, 347, 371; XVIII, 17, 30-31, Latore dei votri da cannocchiale desiderati dal Bernegger, XVI, 447, 448, 451, 453, 474, 483, 486, 490. Annunzia a G. P intenzione INDICE DEI NOMI ECO. Ercole] di far stampare la traduzione fiamminga del Dialogo dei Massimi Sistemi, XVII, 251, 308. Nominato, XVI, 285, 435, 441, 520; XVII, 149, 173 ; XVIII, 184, 349. Elzbvibk, tipografia. Vili, 17, 19, 24, 26, 44, 365; XVI, 104, 112, 233, 258, 203, 265, 287, 306, 309,367, 415 ; XVII, 51, 55, 09, 76, 100, 126, 149, 173, 220, 237, 239, 248, 300, 373, 402; XVIH, 32, 201 E ma (fiume). XIX, 203. Embrico. — V. Eymerico Niccolò. Emilia (Suor). XIX, 518. Emilio, navicellaio. XII, 43. Empedocle. Del mondo, dei cieli e dogli elementi, I, 22, 56, 96, 126, 129; IV, 208, 422. Citato, DI, 334. Empireo. Da chi e perchè così chia¬ mato l’undocimo cielo immobile, I, 40-41. Empoli (pittore). — V. Chimenti Iacopo. Enoelado. IX, 95, 111, 136, 240, 253, 268. Endimionk. Vn, 136. Enea. Ili, 335; VI, 33; X, 309. * Enuelckb Beniamino. Viene in Italia con una commissione dol Bernegger per G\, XV, 299, 339; XVI, 25-26, 68, 69-70, 70-71, 89- 90. Manda a O. un suo panegirico in lode del Granduca Ferdinando II, 71, 90. Il Ber¬ negger lascia crederò d’aver avuto da lui un esemplare del Dialogo da tradurre, 263 ; XVH, 365. Nominato, XVI, 445, *447, 451. Enimma. Sonetto di G. con questo ti¬ tolo, IX, 26, 227. Enio Bernardino. XI, 332. Enipioo. IX, 240, 254, 268. Enrico, massaggierò di Goffredo di Bu¬ glione. IX, 72. Enrico IV, Re di Francia. X, 381. * Enselmo Ciro. XIX, 230-231. Eoi. VI, 210. Eolo. XII, 292. Epaminonda. IV, 315. Epicicli. Introdotti per salvar le ap¬ parenze dei moti dei pianeti, III, 285s, 338- lf>9 339; VII, 370. Anche i Peripatetici li hanno per favolosi, 398. La natura non se no vale, V, 102. Glie cosa siano, 2985. Non sono stati cagione di rifiutare il sistema Tolemaico, 367. Considerati nella discussione relativa alle comete, VI, 404, 441 ; nei movimenti delle Stelle Medicee, VII, 694s, 7145. Ignoti ad Aristotele, 480. Loro parto nel sistema copernicano, XI, 332-333, 344-345. Epicuro. Opina, il cielo essere costituito da atomi, I, 56. Sue ideo circa la grandezza del sole, III, 324. Sue dottrine intorno al calore, VI, 476, 486, 493. Studi del Gassendi sulla sua filosofia, XV, 88; XVI, 517. Epinois (de 1’) Enrico. XIX, 273, 397. Epiro, in, 107, 156. Epistola apologetica contro, Pc- regrinationem Martini Horkii di G. A. Roffeni, HI, 11, 191-200. — V. Roffeni Gio. Antonio. Epistolae (Tres) de maculis so¬ lar ibus, scriptae ad Mareum Velse- rum ecc. di O. Scheiner, V, 10-11, 14, 21- 33. — V. Macchie solari. Scheiner Cristoforo. Epitteto. Ili, 255. Epstetn. XVI fi, 23. Eptagono. Sua costruzione, II, 21,81. Equanti. Posti dai primi astronomi per facilitare i loro calcoli, V, 102. Equilibrio. Nella bilancia, I, 188s; Vili, 152s; X, 24, 27-28. Nelle macchine, II, 159s. Dei solidi immersi nei liquidi, IV, passim. Dei liquidi nei vasi comunicanti, 77 s, 344 s ; VII, 446. Equinozi. Loro variazioni, I, 40; II, 255; V, 335 ; XVII, 229-230. Intersezioni del zodiaco con l’equinoziale, II, 231; strumento di Archimede per prendere l’ingresso del sole in essa, VII, 414. Loro precessione, 482s. Euaolide Poutico. IH, 289, 321,322, 331, 337; V, 321, 352. Eraclito. I, 103; HI, 347, 352. Ercole (o Alcide, o Tirintjo). IH, 55, 160 INDICE DEI 253, 278, 284; YI, 208; YIl, 137, 138, 692; IX, 136, 139, 155, 244, 257, 270; X, 296, 412; XI, 16, 365; XY, 80; XYUI, 42. Èrcole (Messer). XH, 373. Èrcole, priore di S. Niccolò. XIII, 239. Erigila. IX, 155, 156. Erinni. VI, 379. Eritreo Iano Nioio. — V. Rossi (de’) Giovanni Vittorio. * E rizzo Francesco. E informato da A. Contarmi della condanna ed abiura di (r., XX, Sappi., 577. Nominato, XIX, 473. Ermet.ltna (Suor). XIX, 519. Ermes ino. Perchè tenga freddo, Vili, 636. Ermini Antonio. XIX, 4G4. Ermini Mioiielangiolo. XIX, 464. Erminia. IX, 61, 84, 85, 88, 89, 91, 92, 114,115, 116, 118, 119,123, 151, 186; XVIII, 121, 192. Ermino. Sue opinioni, citate dal Coresio, IV, 208, 218, 227, 259, 264, 270. Ermogrnr. XI, 262. Ernesto, Elettore di Colonia. — V. Ba¬ viera (di) Ernesto. Erode Antipa o Antipatuo. IX, 129. Erode il Grande. II, 305. Erodoto di Alicarnasso. Ili, 187. Erone. Sua lucerna dichiarata da G., X, 64-65. Suoi Spiritali, annotati e riformati da Fabio Colonna, XI, 547 ; XH, 305. Errori di Giorgio Coresio nella sua Operetta del galleggiare della figura , raccolti da D. Benedetto Castelli, con correzioni ed aggiunte di G. e di N. Arrighctti, IY, 7, 11-12, 245-286; Vili, 34. — V. Castelli Benedetto. Coresio Giorgio. Galleggianti. Esagono. Sua costruzione, II, 20, 81. Preso come tipo di poligono per dimostra¬ zioni, Vili, 68s, 94$, 103; XYU, 388. EsAtr. UI, 289. NOMI ECO. [Ercole Esodilo Pitagorico. Dolio comete, Yl 43 52, 71, 118, 400; XII, 485. Esoui.apio (costellazione). X, 184. Escrcitationi filosofiche, le quali versano in considerare le positioni et obiettioni clic si contengono nel Dialogo del Signor Galileo Galilei Linceo contro la dottrina (VAristo¬ tile di A. Rocco, con postille e frammenti di risposta di G., VII, 17-20, 569-750. - V. Rocco Antonio. Eserciti. Regola per lo loro ordinanze di fronte o fianco disuguali, lì, 389, 574. Esiodo. Opina elio il ciclo si nutra di nettare e di ambrosia, I, 103. Esina nizione dolio ligure. Secondo il Cavalieri, XVI, 136-137. Esoro. Nello sue favole fa parlare le pianto, IY, 689. Favola della volpe, VII, 632; Vili, 639; del corvo, X, 310; della colomba, XIII, 302. Esemplare dello Fabulac ap¬ partenuto a G., IX, 278 279; XX, Suppl., 585. Esperienza Nelle coso inferiori, guida allo celesti, HI, 218. E la miglior prova che si possa usare, IV, 589. Posta da Aristotele in primo luogo tra i mezzi potenti a con¬ cludere circa i problemi naturali, V, 139. Deve avere la precedenza sulle Sacre Scrit¬ ture nelle dispute naturali, 282s, 316s, 319$, e anteporsi ai discorsi umani, VII, 57, 71, 75, 76, 80; XVIII, 249. Una sola esperienza ab¬ batte tutte le ragioni probabili, VII, 148. Pa¬ ralogismo che conduce i Peripatetici a sti¬ marla contraddetta dal Copernico, 273. Opi¬ nione di Galeno intorno al valore di essa, X, 118. Principio dello scienze, XYUI, 69. Esperienze più notevoli di G. Per la dimostrazione del principio di Archimede, I, 216$. Por determinare le proporzioni delle gravità in ispecie, dei metalli e delle gioie pesate in aria ed in acqua, 223. Sul conge¬ lamento dell’acqua e sul galleggiare dei INDICE DEI NOMI ECO. Euclide] solidi, 254s; IY, passim. Sulla proporzione dei moti lungo i piani inclinati, I, 296; Vili, 205$. Sul moto dei proietti, I, 314$; Vili, 185$. Sulla caduta dei gravi, 1, 406; II, 259.9; Vili, I28s, 136$, 212s; XIX, 606. Sulla forza della percossa, H, 154, 190-191; Vili, 322s, 340$; X, 100. Sulla penetrazione del fuoco, IV, 654; XII, 170. l’or mostrare quel che avviene dell’aria contenuta in un catino, mentre questo si fa girare, VI, 53-54, 325$; XU, 474; XVIII, 425. Del vaglio, addotta dall’Ingoli e ribattuta da G., V, 407; VI, 505-506, 540-542; XIII, 215-216, 224. Per mostrare la rellessione dell’acqua men chiara di quella della terra, VII, 123. Con la quale sola mostra la nullità di tutte quelle pro¬ dotto contro il moto della terra, 212s. Che mostra come il moto comune sia impercetti¬ bile, 275. Che mostra il ricrescimonto delle stelle medianto i raggi avventizi, 365. l’er mostrare che due moti contrari naturalmente convengono nel medesimo mobile, 425. Per determinare la proporzione tra la flussibi- lità dell’ acqua e quella dell’aria, 567. Per separar dall’altre la virtù del vacuo o misu¬ rarla, Vili, 61$. Per dimostrare che la pro¬ pagazione della luce non è istantanea, 87s. Che mostra, le materie finite esser composte d’infiniti indivisibili, 99$. Per misurare le differenze di peso fra due acque, 114. Per mostrare la gran dissensione tra l’aria o l’acqua, 115$. Per misurare il peso dell’aria, 122s; XII, 16, 22, 33-36, 44; XVII, 389$. Sui pendoli, VITI, 139s, 277s, 335. Essenza dello cose. Si devono acco¬ modare ad essa i nomi o gli attributi, perchè prima furon le coso e poi i nomi, V, 97. Tentarla così nelle prossime sostanze ele¬ mentari come nelle remotissime o celesti, è impresa impossibile, 187 ; XVIII, 208. Estu (d’) [Famiglia]. IX, 153. * Est» (d’) Alessandro. Ringrazia G. pol¬ le congratulazioni mandategli in occasione 161 della sua elezione a Cardinale, X, 72; e poi- diverse sue pubblicazioni ricevuto in dono, XI, 343; XH, 159, 185-186, 463-464, 470. Chiede a G. una natività, 375. Sua morte, XIII, 180. Nominato, V, 266; XII, 212, 220, 225, 226, 229. Estu (d’) Alfonso 1. IX, 157, 163. *Estb (d’> Alfonso ili. X, 203. * Estb (d’) Cesare. XIII, 92. Este (d’) Ippolito. IX, 74, 157, 167. * Este (d*) Luigi. Esperienze sul congc- lamonto dell'acqua eseguite da G. alla sua presenza, rV, 251. Nominato, XIII, 65 ; XIX, 630. Etere. Sua etimologia, I, 68; III, 356, 381-382. Por esso, perchè diafanissimo, non si fa refrazione, VI, 289, 436, 461. Diffuso por l’universo, 317. Sua operazione quanto al candire la luna, VOI, 507$, 522 ; XVIII, 231. Eternità del mondo. Varie opinioni intorno ad essa, I, 32$. Etiopia. VII, 460- Etna. VI, 485. Euclide. Suoi Elementi, I, 211, 245, 414; lì, 195, 297, 424, 427, 433, 436, 447, 448, 450, 452, 454, 462, 463, 464, 465, 467, 468, 469, 471, 475, 484, 486, 488, 490, 511, 542, 551, 564, 570, 572, 573, 578, 579, 584; III, 224, 226, 255, 294; IV, 589, 698; V, 40, 41, 43, 194, 324; VI, 377, 445, 472, 490, 610; VII, 231, 232, 605, 744; VOI, 270, 272; IX, 48; X, 24, 32, 143, 169, 234, 461; XI, 18, 200, 201, 332, 560, 604; XII, 23, 134, 372; XIII, 97, 353, 357; XIV, 17, 36, 48, 58, 77, 228; XV, 72; XVI, 58, 115, 382, 407; XVH, 360, 400; XVin, 190, 374; XIX, 119, 120, 150, 155, 157, 232, 604, 605, 636. Sua Ottica, H, 325, 327; III, 224, 243, 244. Sue indagini sui corpi regolari, 106, 120, 123; X, 320, 335, 338. Sua Catottrica, III, 226, 227; XHI, 314. Suo frammento intorno al moto, Vili, 267. Studi di G. sopra le sue definizioni delle pro- * Voi. XX. 81 162 INDICE DEI porzioni, 347-362; XIX, 622, G24; o del Cavalieri, XYI, 176, 191, 204. Tradotto in tutto le lingue, XVII, 274. Nominato, III, 230, 266; Vili, 24, 27, 28, 31, 266, 461, 472, 501 ; X, 43; XI, 18, 332, 486, 536, 594; XIX, 10, 604. * Eudaemon-Ioannks Andrea. XIII, 205. Eudemo. 1, 123, 124. Eub'bmo. VI, 395. Eugenio (Don). XII, 296. Euripide. Citato, VI, 105. Euuipo. VI, 209. Europa. Ili, 11 ; VI, 220; YII, 623; X, 70, 118, 424; XI, 56, 95, 240. Eusebio di Cesarea. I, 23. Eusebio (Card, di S.). — V. Taverna Fer¬ dinando. Eustazio, arcivescovo di Toasalonica. XI, 262. Eustazio, fratello di Goffredo di Buglione. TX, 100, 103, 104, 105, 107. Eustrazio, arcivescovo di Nicea. VI, 600. Eurooio ABcalonita. I, 330; IY, 385, 888; X, 31. Èva. IX, 177. Evangelisti. VII, 711. Evaporazione. Come si elevi dalla ter ra, II, 281; dall’acqua, IV, 223, 265. Effetti di essa nel lago di Perugia, considerati dal Castelli, XVIII, 89. Eymjbrioo [Embrico] Niccolò. XiX, 536. Ezkouia. Ili, 290; V, 337. Fabbri Girolamo. V, 399. * Fabbrizi Giuliano. XIII, 253, 255. Fabbro» i Angelo. I, 12. Fa duroni Gio. Battista. XII, 372. Fajjbroni (P.). XV, 43. Fabbroni Pietro. XIX, 33. * Faiveu Giovanni. Riceve dal Welter no¬ tizia delle osservazioni fatte in Germania sulle macchio solari, V, 11; XI, 235, 230, 246; e le comunica a G., 238-25(9, 241, 271. NOMI ECO. [Eudaemon-Ioannes Andrea Suoi versi in lodo di G., V, 91; VI, 205-206 382,411, 421 ; XIII, 110. Annunzia al Gualdo gli onori tributati a G. in ltoiua, XI, 117, Il Welser gli invia le Tres Epistolae del P. Sclioiner, 257-258, ed un polizzino di cor¬ rezioni per lui, per il Card. Cobelluzzi e per il Clavio, 263. Annunzia a G. l’aggrega¬ zione del Welser all’Accademia dei Lincei 375. Inaugura le sue lezioni alla Sapienza facendo onoratissima menzione di G., 431. Comunica a G. una lettera scrittagli dal Welser, 0 gli fa sapere elio il Grienbergor concorda con le sue opinioni circa le mac¬ chie solari, 433-434. Pubblica le Pracscri- ptiones Lynceac, 516. Partecipa a G. la morte di G. B. Porta, XIV, 147-148, 150. Ri¬ cevuta dal Cesi comunicazione di una nuova apparenza di Saturno osservata da G., no diffondo la notizia, partecipandola anche al Card. Borromeo, 276, 276. Comunica a G. il desiderio del Langravio Lodovico d’Aasiadi far la sua conoscenza, 449. Eccita G. a rispon¬ dere al Grassi, XIII, 14, 23, 24; 0 gli comu¬ nica il proposito di pubblicare un’opera di anatomia comparata, 14. Domanda il parere di G. circa l’aggregazione di nuovi Lincei, 62-64, 126, 256. Annunzia a G. d’aver lotto il manoscritto del Saggiatore, che sta per esser consegnato alla tipografia, 111). Partecipa al Cesi la morte di Virginio Cesarmi, 171. Esprime la propria ammirazione per il mi¬ croscopio di G., 177-178, 264. Informa il Cesi circa l’aggregazione di C. Marsili ai Lincei, 188, 192. Scrive a G. intorno alla morte 0 uocroscopia di AI. A. De Dominis, 207. Il P. Sclioiner gli dichiara di concordare con G. circa il sistema del mondo, 300. Annota il libro delle piante messicano, 374. Sua morte XIV, 312. Suoi verbali delle adunanze dei Lincei, XIX, 267-269. Nominato, Y, 93; X, 363; XI, 98, 136, 1-40, 258, 284, 293, 299, 302, 334, 862, 357, 383, 407, 427, 438, 452, 464 . 470, 481, 483, 490, 558-559; XII, 59, 60, Farnese Odonrdo] INDICE DEI NOMI ECC. 103 65, 78, 341, 367, 410-411, 430, 473, 484, 488; XIII, 47, 59, 68, 73, 74, 76. 77, 100, 108, 156, 1(30, 164, 160, 167, 168, 179, 180, 181, 183, 223, 240, 257, 308, 374,387, 429; XVIII, 413, 414; XIX, 266; XX, Sappi., 568. Fabi. XIX, 561. Fari (de’) Benedetto. XIX, 271. Fari (do’) Gio. Battista. XIX, 271. Fami, modico fiammingo. XII, 144. Fabio Massimo. IV, 178. Fajìius. — V. Accoramboni Fabio. Farri Giovanni. — V. Faber Giovanni. Farri di Peirese Niooolò. — V. Peiresc (di) Niccolò Fabri. * Farri di Valavez Palamede. XVII, 185, 197. Fabriano. XI, 99, 251. ♦Fabrioius Davide. V, 10. *Fabrioiu8 Giovanni. V, 10; XI, 537. Fabrioius Paolo. II, 283. Fabrizi Giorgio. XIX, 116. Fabrizio Girolamo. — V. Acquapendente (d’) Girolamo Fabrizio. Faoiietti Gio. Battista. XII.I, 324, 335, 336, 353, 403, 440. * Facchinetti Lodoyioo. XIV, 21. Facelle o facule solari. V, 219; XI, 587-588, 609 ; XII, 34. Facjiotti Guglielmo. XVII, 52. Faenza. XIX, 97. Faenza (Inquisitore di). — V. Tabia (da) Tommaso. Faglia (Piovano di). — V. Scarperia. * Failla Pietro Iacopo. Chiede da parte del Campanella il parere di G. sulla sua Apologia, XII, 277. Nominato, 305. * Faille (do la) Gio. Carlo. XYI, 121,327, 345. Fait (Maestro). X, 86, 90; XIX, 170. Faloonoini Onorato. XIV, 19, 121 ; XVI, 198. * Faloonuini Persio. XVI, 191; XVIII, 211. Falconieri Ottavio. XII, 174. Falò ucci Benedetto. XIX, 621. Falouoci Fkanoesoà. xrx, 521. F alereo. — V. Demetrio Falereo. * Falirr Lodovico. Salo con G. sul campa¬ nile di S. Marco por ©sperimentare il can¬ nocchiale, XIX, 587. * Falier Marcantonio. XIX, 587. Faloppi Lo do vico. XIX, 440 Fa loppi Tommaso. XIX, 440. Falso. Non può ossei- dimostrabile come il vero, VII, 156. La stessa cosa che brutto, 159. Falti Carlo. XIX, 441. Falti Falto. XIX, 441. Fama. Di duo sorte, secondo il Valerio, X, 240. Fanano Giovanni. — V. Muzzarolli Gio¬ vanni. * Fanano di Fratta Giovanni, Consultore del S. Uffizio. XIX, 289. * Fancelli Chiarissimo. Spedisce a M. Bar- tolini un cannocchiale veduto da G., X, 341. Fano (da) Gio. Battista. XIX, 216. Fano (da) Lauro. XIX, 216. Fantoni Filippo. XIX, 34. * Fantoni Ricci Niooolò. IX, 22; XV, 347; XVI, 412, 482, 496, 511; XVII, 215, 283; XVIU, 47, 302; XIX, 508, 510. * Fantoni Stefano. Sue proposte circa Bisonzio, VI, 615, 616, 623, 627, 628, 647; XIX, 505. Nominato, XIV, 198. Faroigli. XV, 146. Farina. IX, 202, 204, 205. Farinacci Prospero. XIX, 560, 561. Faraone. Ili, 183. Parinola (Sig. r ). XVIU, 357. * Farnese Odo ardo, Cardinale. Sue rela¬ zioni con G. per cannocchiali e vetri, X, 410, 494; XI, 17, 132. Onori da lui resi a G. in Caprarola ed a Roma, 132. ♦Farnese Odoàrdo, Duca di Parma. Ri¬ ceve da G. i Discorsi delle Nuove Scienze 164 INDICE DEI e lo ringrazia, XVIII, 1)8, 111. Nominato, XIII, 336, 448; XVI, 407; XIX, 630. ♦Farnese do’ Medici Màrcjiikrità. XIII, 443, 456, 463; XYIH, 85, 98, 111. Faro. VII, 467. Faustina (Suor). XIX, 619. Fava Niccolò. X, 26. Favauo Antonio. I, 9, 12, 181, 218, 223, 231, 232, 245, 246; II, 9, 10, 13, 149, 150, 152, 153, 195, 205, 206, 207, 269, 270, 271, 272, 605; III, 9, 12, 18, 404, 408, 410, 416, 679, 867; IV, 6, 7, 9, 13; V, 10, 11, 12, 277, 400, 415, 416 ; VI, 503, 504, 566, 616; VII, 3, 10, 15, 17; Vili, 12, 16, 17, 26, 560, 566; IX, 10, 21, 233, 279; X, / 10, 17, 19, 53, 79, 94,178,197, 203, 253, 315, 358, 366, 412, 496; XI, 99, 130, 162, 176, 237, 277, 286, 297, 368, 393, 459, 548, 519, 562, 565; XII, 117, 125, 224, 275, 311,351, 391, 444,494; XIII, 108, 192,235,244, 273, 360,370; XIV, 33, 103,252, 335, 352, 406; XV, 104, 179; XVI, 92, 100, 110, 172, 271, 281, 298, 307, 308, 317, 320, 321, 329, 355, 383, 451; XVII, 33, 37, 174, 291, 416; XVELI, 19, 72, 129, 199, 287; XIX, 9, 11, 24, 44, 45, 130, 265, 272, 401, 420, 697, 647. * Fayokini Giuseppe. Proposto per la ele¬ zione a Linceo, XUI, 63; XIX, 269. ♦Febei Pietro Paolo, Assessore del S. Uf¬ fizio. XIX, 282, 283, 284, 285, 286. Febo. — V. Apollo. Fede. Suoi rapporti con la scienza, V, 288s, 3195, 367s; VII, 540, 541, 545. Fedeli Cesare. V, 74; VI, 35. Federici Tommaso. XIX, 344. Federico (Sig. r ). X, 73. Federico (Sig. r ). XUI, 341. Fkdonh. I, 105. Fegato. Corrisponde a Giove nel corpo umano, III. 219. Femok Vittoria (Suor). XIX, 518. Felice (S.) a Ema. XIX, 203. Felino. — V. Saodeo Felino. NOMI EtXi. | Farnese de’Medici Margh. * Fkiioiiio Matteo l Veglensis]. Sue Vestì, gaiionc* jn ripnteticae, XVI, 181, isc, 199. Nominato, XIV, 401. Ferdinanda (villa). - V. Artiniino. * Ferdinando II, Imperatore. G.gli insegna l’uso del Compasso, II, 870,584; XIX, (507 L gliene di\ un esemplare in argento, II, 534 535. Nominato, X, 316; XIV, 149; XV, 184- XVI, 102, 800, 301, 359, 360, 388, 404, 421 ; XIX, 430, 630. * Ferdinando III, Imperatore. Suo giudi¬ zio intorno a G. ed allo Sclieinor, XVII, 276-277. Suo contegno con gli credi del Ke¬ plero, dai (piali pretende i manoscritti di questo e del Brahe, 278. Nominato, XIII, 288; XVI, 499; XVIII, 12. Ferini Paolo. — V Ferrini Paolo. Ferini Piero. — V. Ferrini Piero. * Fermat Pietro. Problemi 0 dimostra¬ zioni da lui proposti, XVI, 345; XVII, 33, 135, 369. Si procura i Discorsi delle Nuove Scienze, 0 muovo alcuno obbiezioni intorno ad essi, 70, 366, 391, 394, 403. Ferraiolo. Problema intorno alla stima di esso, VI, 568, 612. - V. Cavallo. * Fkrrand Giovanni. XV, 254. Ferrante. XIX, 154, 160. Ferrara. Ili, 142. Ferrara (da) Domenico Maria. — F. No¬ vara Domenico Maria. Ferrara (da) Girolamo. XIII, 70-71. Ferrara (Inquisitore di). — V. Franai (delli) Paolo. Ferrara (da) Paolo Lattanzio. Inqui¬ sitore di Casale, dichiara d’aver notificata 0 diffusa la sentenza e l’abiura di G., XV, 305; XIX, 386. Ferrara (Legato di). XIV, 398. ♦Ferrari Cristoforo. Si ricorda affettuo¬ samente a G. e gli manda alcuno sue com¬ posizioni, XI, 504. Nominato, 238, 367; XII, 351. Ferrari Libbrlna. XI, 504. Figura] INDICE DEI Ferrari (Sig. rl ). XIII, 17. Ferrai;. IX, 184. Ferri Piero. Vili, 22, 36, 438, 441, 567; XIX, 8, 439. — V. Ferrini Piero. * Ferrière (do la) Giacomo. XVI, 261. Ferrini Bastiano. XIX, 35. Ferrini Cosimo. XIX, 213. Ferrini Giovanni. XIX, 213. Ferrini Paolo. XIX, 430, 440. Ferrini Piero. XIX, 8, 439, 440. — V. Ferri Piero. Ferrini Vincenzo. XIX, 35. Ferro. Tra i metalli corrisponde a Marie, III, 219. Men grave del piombo, in aria ed in acqua, IV, 25. Galleggia non solo in forma di larghe falde, ma anche in piccoli globetti, 48, 111, 127, 683, 745. Usato nell’armatura delle calamite, VII, 4336'. Sua tempera, XVII, 379. * Ferro Niccolò. XI, 367. Fbrroni Giuseppe Maria, Assessore del S. Uffizio. XIX, 292. Fetonte. VII, 711; X, 122; XI, 42,157. Fez (Re di). XI, 283. •Fiamma. Studi ed esperienze in occa¬ sione della controversia di G. col Grassi circa le comete, VI, 173s, 175, 176s, 193, 196, 276, 364s, 367, 369, 370, 494, 498. Como ap¬ parisca a distanza, XI, 195. Fiammelli Gio. Franoesoo. II, 11. Fiammetta. IX, 197, 198, 199. Fiammetta (Suor). XIX, 518. Fiammingo. — V. Zngmosser. Fiandra. Compassi che ivi si trovavano, II, 534. G. disegna inviarvi copie manoscritte delle Nuove Scienze, Vili, 44 ; sue relazioni colà, X, 38. Cannocchiale ivi inventato e presentato al Conte Maurizio di Nassau. 253; XIX, 588; mandato di là al Card. S. Bor¬ ghese, X, 255, e portato da P. G. Orsini, 346-347; giudicati una bngatella in confronto di quelli di G., 301. Vera scuola dell’arte militare, XI, 203. Menzionata, X, 94, 365. NOMI ECO. 165 Fiandra (Conte di). — V. Nassau (di) Maurizio. Fiandra (Nunzio di). — V. LagoniHsa (di) Fabio. Fioino Marstt.to. Dei cieli e degli ele¬ menti, I, 34, 57, 72, 134, 167. * Fidati Giovanni Bernardino. XVIII, 282. Fidta. IX, 160; XI, 417. Fiele. Nel corpo umano corrisponde a Marte, III, 219. Menzionato, YII, 395. Fieravanti Alessandro. XIX, 212. Fiekavanti Fieravanti?. XIX, 517. Fieravanti Francesco. XIX, 517. Fieravanti Niccolò. XIX, 212. Fiesole. IH, 239; IV, 472; XV, 101, 140, 339. Fiesole (da) Piero, servitore diG. XIX, 179. Fiesole (Vescovo di). XIY, 353; XVI, 317. Figaro Iacopo. XIX, 573. Figaro Iacopo Martino. XIX, 573. Figlino. XVH, 267. Figliugoi. XII, 500. *Fighuooi Flaminio. XII, 150, 209. *Figukroà (de) Gomkz Suarez, Duca di Feria. XVIII, 430. Figura. Non è, secondo G., la causa del galleggiare dei corpi sull’acqua, IV, 19, 20, 21s, 33s, 42s, 66s, 875; Vili, 637. Esperi¬ menti di G., IV, 88s, e scritturo a tale ar¬ gomento relative, 318-319. So e quali effetti produca l’ampiezza di essa, 88, 96, 399, 780. Proporzioni di diverse figure di diffe¬ rente materia alla gravità delTacqua per potere, in virtù dell’aria contigua, sollevarsi a galla, 109s. Corollari e conclusioni di G., 111.S. Esame delle opinioni di Aristotele in¬ torno a questo argomento, 1235. Opinioni ed esperienze di G. discusse c combattute dall’Accademico Incognito, 1566; da Giorgio Coresio, 216s, 223s; da Lodovico delle Co¬ lombe, 318s; da Vincenzio di Grazia, 3815, 166 INDICE DEI NOMI ECO. [Figuro geometriche 4025,413.9; difese de G. e dal Castelli, 247, 253, 258, 2665, 2765, 2805, 2925, 302s, 4G8s. Opinioni del Nozzolini e replica di G., 289s, 297s. Non è causa d’incorruttibilità, ina di più lunga durarono, VII» 109-110, 645. So la sferica conferisse l’eternità, tutti i corpi sarebbero eterni, 110. — V. Galleggianti. Figuro geometriche. Descrizione di poligoni regolari, IIj 19-22, 80-82; e me¬ diante il compasso geometrico e militare, 352. Ubo di questo per tramutarle scam¬ bievolmente Vana nell’altra, 353; por costi¬ tuirne una uguale o simile alla somma di più altre, 356,386; por trasportare una pianta in un’altra maggiore o minoro, 376s; per crescere o diminuire in qualunque data pro¬ porzione tutte le figuro superficiali, 384s. Figuro in astratto ed in concreto, IV, 90; Vili, 154. Non si ha riguardo ad eBse nei libri dei matematici, tuttavolta che vi ò la scrittura che parla, VI, 306. È proprio di tutte le figuro curve toccarsi in un punto, VII, 234. Sferica, si può dare a un solido più facilmente d’ogni altra, 235. Circolare sola posta tra i postulati, 235. Sferiche di diverse grandezze si possono formare con un solo strumento, 236. Superficiali, crescono in proporzione duplicata delle loro linee, 3G5. Ultime esinanizioni, XVI, 136, 381-332. Filandro. IX, 173. Fjlebo. I, 105. Fit.ioaia (da) Simonk. XIX, 189. * Fi li 18 (de) Anastasio. XI, 293. * Finis (de) Angelo. Sono da lui firmate la dedicatoria e la prefazione alle Lettere sulle macchie solari, V, 14-15,78, 79; XI, 450, 481. Proposto ed eletto Accademico Linceo, 284, 293, fa atto di dovere con G., 313, 391. Bibliotecario dei Lincei, 438, 470; XII, 48; XIII, 102,108, 109, 172, 179. Nominato, XI, 470; XIII, 103; XIX, 266, 268, 269. Fn.irriDE. IX, 288, 289. Filippine. XI, 555. Filippo. XIX, 110. Filippo, familiare di casa Galilei. XIU, 402, 418. Filippo (prete). XV, 81. Filippo il Macedone. II, 429, 511. ♦ Filippo III, Ite di Spagna. G. vuole pre¬ sentargli il suo ritrovato por graduare la longitudine, V, 415-417, 425; XII, 289, 290, 291, 294, 295, 322, 323, 326, 327, 345; XIX, 614, 615, 651, ed esprimo il desiderio di sot¬ toporglielo personal mento, XII, 293, 310, 311; ed egli ordina che l’offerta sia esami¬ nata dal Consiglio di Stato, 353, 366, e si riserva la risoluzione, 384. La proposta è ri¬ petuta, o vion dichiarato in che consista, XIU, 17-19 ; od egli ordina al Viceré di Napoli che sia chiesto intorno ad essa il pa¬ rere di persone competenti, 21-22. Nomi¬ nato, XI, 283; XIU, 34, 92; XIV, 73. * Filippo IV, Ho di Spagna. Esprime il de¬ siderio d’avero un cannocchiale, e ne viene scritto a G., XIV, 52, 53, 73. Doputa una con: ulta di persono competenti per esami¬ nare lo proposte relative alla determinazione della longitudine, 74. G. prepara per lui un telescopio od un microscopio, 91-92, od egli si mostra ansiosissimo di averli, 106-107,117- 118,120, 123. Arrivato il telescopio a Madrid, l’ambasciatore toscano, prima di presentar¬ glielo, fa eseguire dal Lotti un sostegno, 140. ,* Suo grandissimo doloro per la rottura dol- l’obiettivo, ed ordini di procurarne un altro, 145-118, 150, 165-166, 260; il quale lilialmente gli perviene insieme col microsco¬ pio, 309-310. Scelta biblioteca di Vincenzo Negherà, da lui confiscata e tenuta nella sua stessa galleria, XVII, 396. Nominato, XVI, 319. Fillio*. IX, 160. Filo. Fino a che lunghezza si può al¬ lungare senza che si strappi por il proprio peso, Vili, 61-65. — V. Corda. Pendolo. Filulao. Sua opinione circa l’anima dei INDICE DEI NOMI ECC. 107 Fiordiligi] cieli, I, 103. Precursore del Copernico, IH, 321, 322, 331, 347, 355, 388; Y, 321, 352; Xn, 32; XVII, 208, 245; XVIII, 103, 117, 1G0. * Filonardi Marobllo. XIX, 275. * Filonardi Mario. XIX, 279. * Filonaudi Paolo Emilio. XIX, 270, 277, 278. Filonb di Alessandria. Suo opinioni sul cielo, I, 03; sul sole, III, 350. Filopono. Del mondo, I, 23,34. Del cielo, 57, G3s, 70, 76s, 96. Degli elementi, 123, 130, 131, 134, 107. Del moto, 284, 410. Filosofi. Diversi modi di considerare e dimostrare del naturai filosofo e del matema¬ tico, IV, 0905. Non è da vero filosofo il persi¬ stere nel sostenere conclusioni peripatetiche, scoperte manifestamente false, V, 235; ma anzi egli dovrà ringraziare chi gli mostra la verità, 307. Non volgari, sono in piccolo numero, VI, 236-237. Il titolo non deve es- sere usurpato da chi non filosofa mai, VII, 139. Peripatetici, dannano lo studio della geometria, 423. Usano i termini di simpatia ed antipatia per render facilmente le ra¬ gioni di molti effetti naturali, 436. Accomo¬ dano le opere della natura alle loro invete¬ rale opinioni, XI, 141. lleali, distinti dagli Scolastici e massimo Peripatetici, 285. 11 Sa- grodo li vuole distinti, dai matematici, 379. Filosofia. Se sia più necessaria della matematica, UT, 255; VII, 744. Più perfetta, secondo il 1.agalla, se gli uomini fossero stati ciechi, IH, 395. Differenze tra il filo¬ sofare e lo studiar filosofia, 395-396. Da chi conosciuta interamente, 398; IV, 053; VI, 119, 237. Il filosofare dev’esser libero, IV, 05, 218, 258, 325. È sciocchezza corcar filo¬ sofia che ci mostri la verità di un effetto meglio che l’esperienza e gli occhi nostri, 166, 517 ; XII, 20; XVIII, 24D. La filosofia peripatetica è ila preferirsi alla nuova, per¬ che più sicura, secondo l’Accademico Inco¬ gnito, IY, 177. Nella sua filosofìa, G. ebbe in mira di dire la verità, 460; V, 235. Il filosofare d’Aristotele non è seni prò così saldo come bì crede, IV, 571-572. G. opina elio le macchie solari gli abbiano servito ad accordar qualche canna di questo grand’or¬ gano scordato della nostra filosofia, V, 113. E scritta in questo grandissimo libro che contimmmento ci sta aperto innanzi agli oc¬ chi, cioè l’universo, VI, 232; XI, 113; XVIII, 295. Il giudicare dell’opinione d’ale imi, in materia di filosofìa, dal numero dei seguaci, è poco sicuro,VI,237.Alimento proprio degl’in¬ telletti più elevati, VII, 27. Può ricever ac¬ crescimento dalle dispute e contraddizioni dei filosofi, 02. S’insegna un artifizio arguto per apprenderla da qualsiasi libro, 135. Magne¬ tica del Gilbert, 420. Avvertimento da darsi a chi teme clic per le nuove dottrine debba mutare tutta la filosofia, 541. G. professa aver studiato più anni in filosofia che mesi in matematica pura, X, 353. Necessaria ad ogni uomo che desideri sapore, 480; XI, 113. Da seguirsi nella vita, secondo il Sa- gredo, 553. Strada migliore ad essa, secondo Virginio Cosarmi, XIJ, 413. Avrebbe dovuto aversi tutta dalle mani di G., secondo Carlo Muti, 492. Quella dei frati e dei Gesuiti non è che un gergo di parole, XV, 12. Gali¬ leiana, in quale stima avuta dal Cavalieri, XVI, 78. Quale, secondo G., la vera filosofia peripatetica, XVIII, 248. Filoteo Giovanni. — V. Possovino An¬ tonio. Filottktk. VI, 44. Fine Okonzio. XIII, 238. Fjnrt.li Sisto. XII, 362, 363, 370, 371. * Fin otte Lattanzio. XVI, 25, 49. Fionia. XIX, 203. ♦Fiora (della) Niccolò. Desidera fare il ritratto di G., XVIII, 123. * Fioravanti Leonardo. XVII, 405. Fioudiligi. IX, 19,116, 118,181,190,194. 1G8 indice dei Fiordispina. IX, 170. ♦Fiorentini Francesco Marta. Ammira¬ tore di G., XV, 175, lo eccita a rispondere al Chi ammonti, 303-364. * Fiorentini Girolamo. XV, 175. * Fiorini Innocenzo. XIII, 16. Fiorvigna Francesco. XIX, 464. Firenze (Città). Chiese. Annunziata,XV, 130 ; XVI, 375, 432; XVIII, 285, 299, 321, 323.—Carmine, X, 146; XV, 139, 231, 242; XIX, 443. — S. Croce, XV, 127,139; XVIII, 379, 382 ; XIX, 109, 523, 558, 59G, 624. Cam¬ panile del Noviziato, 558. — S. Felicita, XIV, 302 ; XV, 139. — S. Firenze, XV, 307. — S. Francesco, XIX, 109.—S. Giovanni, VI, 576; sue porte di bronzo, Vili, 315. —S. Lo¬ renzo, XIV, 86; XV, 139. — S. Maria del Fiore, VI, 576; XIV, 86, 262; XV, 127, 139; XVII, 386; XIX, 78. Campanile, VI, 576. Cupola, VII, 141, e buu pergamena, Vili, 460. Modelli e disegni per la facciata, XIY, 166, 217 ; marmi per essa, XV, 333. Legato di G. all’ Opera, XIX, 523, 532. — S. Maria Novella, XI, 177, 268; XII, 161, 244; XIII, 261 ; XIV, 226, 240, 263, 275, 279, 281 ; XV, 127, 139 ; XIX, 293, 307, 308, 309, 316, 317, 319. — Compagnia di S. Benedetto, XV, 266. — S. Spirito, XV, 231, 242. Conventi. Ammantellato, X, 306. — Badia, XII, 113, 143, 359; XVI, 87; XVII. 336,349,353, 362, 382; XVIII, 215.-Can- deli (di), XV, 204. — S. Croce, XV, 160. — S. Gallo, alias di S. Jacopo fra’ Fossi, XIX, 91. Gesuati, XV, 231. — S. Girolamo, detto S. Giorgio, XV, 147; XVIII, 148; XIX, 15, 441, 513, 515-519. — S. Giuliano, X, 60. — Malmaritate, XV, 306. — S. Marco, XIX, 297. — Nunziatina, X, 306; XIII, 447 , 445 ); XIV, 22; XI, 261. — 8. Trinità, X, 411.— V. Certosa. Osterie. Alle Bertucce, al Chiassolino, alla Malvagia, al Porco, a S. Andrea, IX, 222. Palazzi. Borgherini, XV, 231. — Pitti, N0MI E ^C. [Fiordispina X, 801; XIV, 196; XV, 97; XVII, 29, 397. Giardino di lloboli, XV, 318. — Signoria (della), XI, 455 ; XV, 248 ; XIX, 75 . _ Strozzini (delli), XV, 231. Piazze 0 Mercati. Annunziata, XI] 253. — Antinori (degli), XIX, (K).—Castel¬ lani (dei), 210. — S. Croce, XII, 232. - 8 . Maria del Fioro, IV, 320. — 8 . Maria No¬ vella, X’», 102 ; XYIII, 415.—Mercato Nuovo, n, 564; X, 305; XIX, 72. — Mercato Vec¬ chio, IV, 564. — Peruzzi (dei), XVI, 250. - Pitti, XIX, 659. — Signoria (della, o del Granduca), IX, 224. Ponti. Vecchio (Pozzo dal ponte), XIX, 657. —S. Trinità, XIX, 72, 77. Popoli. S. Giorgio, XIX, 441, 517.— S. Remigio, XIX, 210. — S. Simone, XIX, 520. — S. Spirito, XIX, 438, 439, 440, 497, 502, 512, 513. Porte. S. Giorgio, XIX, 556. —S. Tier Gattolini, XV, 127.— Prato (al), TI, 653; XI \, 302; XI, 157 ; XIX, 66 . — Rossa (nella Torre di quei del Meglio), XI, 457. — Por¬ tone d’Annaleua, XIII, 66 . Prigione dello Stinohe, XIII, 438, 444. Spedale di Bonifazio, XV, 77. Torre di quei del Meglio, XI, 457. 1 ic. Bardi (dei), XIX, 635; (Rovinate della via dei), III, 289. — Canto alla Cuculia, XUI, 17. — La Cava, XIX, 584. — Costa di S. Giorgio, XIV, 207, 320; XV, 97, 102,127, 133, 139, 210; XIX, 439, 440,441, 495, 496, 197, 498, 500, 502, 531, 584. — Ginori (dei), XVI, 98.—Larga, XV, 261. —Monte da’ Tor- rigiuni, X, 20. — Mozza, IX, 222. Firenze (Arcivescovo di). — V. Marzi¬ medici Alessandro. Firenze (Inquisitore di).— V. Ambrogi Paolo Antonio. Oorbusio Lodovico. Egidi Clemente. Marzari Lelio. Messerotti Michele. Muzzarelli Giovanni. Priatoni Cornelio. Firenze (Nunzio di). — V. Bolognetti Giorgio. 169 Flusso o reflusso del mare] INDICE DEI Firenze (Vicario dell’Inquisizione di). XV, 230, 241. Firenzuola Agnolo. IX, 23, 24. Firenzuola. Ili, 146. Firenzuola (da) Vincenzo. — 7. Macu¬ lano Vincenzo. Flaminio (Don). XII, 120, 126. Flavio. IX, 200, 203, 206. Fiòche (Collegio do la). I Gesuiti di questo Studio confermano le scoperte cele¬ sti di G., XI, 173. Flegbtonte (Capitano). IX, 200,202,204, 205, 207, 208, 209. Flkoias. IX, 44, 45. Fiegra (Campi di). IX, 111,239, 240,246, 252, 2C0, 267, 268, 271. Flessure degli animali. Non necessarie per la diversità de’movimenti loro, VII, 282- 284. Sono le medesime nelle gambe e nelle braccia di tutti i bipedi, Vili, 610. Flora. IX, 238. Flora (di) GiOAOoniNO. VII, 135. Floro Lucio Annuo. XVII, 18. * Fludd Roberto. XV, 26. Fluidi. Sono tali per esser risoluti noi primi loro atomi indivisibili, Vili, 85. Fluidità del cielo. Opinioni di G., V, 133; VII, 77, 94; XI, 145; del Cesi, 99; XIII, 430; del Baliani, XII, 21. Flusso e reflusso del mare. In die consista, V, 378. Quali ne possano esser le cause, 378-380. Dipende dal moto della terra, 381; VI, 561; VII, 442-444, 448-454. Acci¬ denti diversi in esso, Y, 383-386; VII,454-457; ragioni di ossi, V, 3S7-393 ; VII, 457-462. Av¬ vengono senza interposizione di quiete, 300- 301. Cagiono addotta da certo filosofo mo¬ derno, 445, da certo prelato, 445, da Girolamo Borro e da altri Peripatetici, 446. Se possa dipendere dal moto del cielo, 468-470, Cause dei periodi mestruo ed annuo, 471-473. È pic¬ colissima cosa, rispetto alla vastità dei mari cd alla velocità del globo terrestre, 481-482. NOMI ECC. Non basta un semplice moto del globo terre¬ stre per produrlo, 486. Causa attribuita dal Keplero, 486 ; X, 72. Opposizioni del Rocco, VII, 705s. Reflusso in Venezia, Vili, 611. G. disegnava di occuparsene fino dal tempo della sua dimora in Padova, X, 352; XIX, 616. Suo Discorso su quest’ argomento, dedicato al Card. A. Orsini, V, 371-395 ; XII, 391 ; atteso e giudicato da G. F. Sa- gredo, 287, 288-2S9; mandato a Leopoldo d’Austria, 390-391, 398; atteso da Tobia Matthew, 450; desiderato dallo Scheiner, XIII, 300. G. lavora intorno a questo Di¬ scorso, 104, 107, 116, 200, 207, 209, 220, 334. Opera intorno allo stesso argomento di M. A. De Domiuis, 203, 207. Annunzio d 1 una scrittura del Ohiaramonti in pro¬ posito, 218, 223. Artificio che si diceva mo¬ strare in certe ampolle i flussi e rellussi del maro, 316, 320, 326, 327-328. G. comu¬ nica agli amici l’intenzione di dare al Di¬ scorso ampliato la forma di dialogo, 236, 247, 376; XIV, 54, 61, 66; e ne scrive audio al Fortescuo, 85. Notizie del come avvenga il fenomeno allo Indie Occidentali, comu¬ nicate a G. da G. F. Duonamici, 74-76, 93, 278. Il Card. F. Barberini ed il Fapa non approvano che G. faccia dipendere il flusso o rellusso dal moto della terra, 78, 113; il Papa anzi non vuole che il flusso e reflusso figuri nel titolo del libro, 289; XIX, 327. G. e Seleuco, XIV, 335-336. Giudizi intorno alla quarta giornata del Dialogo dei Mas¬ simi Sistemi, del Baliani, 343; del Campa¬ nella, 367; di altri, riferiti dal Bouchard XV, 251; del Pieroni, XVI, 190; di France¬ sco Rinuccini, che aggiunge osservazioni da lui fatte in Venezia, XVII, 227, 236, 288, 304, 310, 314, 333, 376. Anche il Descartes s’era occupato di quest’argomento, XIV, 435; XVI, 124. Osservazioni in proposito raccolte dal Peiresc, 261. Nuove osservazioni di G., XVII, 215. Altre osservazioni racco- Vol. XX. 22 170 INDICE DEI NOMI ECO. [Foccari mandate da G. al Micanzio, 270-271,280-287, 317. Averlo attribuito al moto della terra è capo d’accusa contro G., XIX, 296, 325, 327, 343, 358. Foccari. — V. Fugger. Focognano. XIX, 503. Foglie di vite od altre frondi, perchè dopo una nebbia, scoprendosi il sole, bì sec¬ chino, Vili, 606-607. Folline XIX, 203. Fondàoio Francesco. X, 452. * Fonseca Rodrioo. Suoi Consulti medici citati, XIII, 16. Sua morte, 87. Nominato, I, 12 ; XIX, 33, 38, 41. ♦Font Dionisio. I, 368. Fontana ingegnosa ideata da G., XI, 83-84. Altra, a lui attribuita, XV, 133. * Fontana Francesco. Lavoratore di lenti in Napoli, XVII, 192, 375. Nuovi telescopi, da lui costruiti, 308, 383; XVIII, 18, 85. Sue osservazioni sulla luna, XVII, 308, 363, 375, 383-384. * Fontana Giovanni. XIV, 17, 19. Fontane sotterranee. Studi intorno ad esse del Castelli, XVIII, 123. ♦Fontanella. X, 116, 117. * Font a nelli Alfonso. Notizie da lui rife¬ rite sulla invenzione del cannocchiale, X, 346-317. Fontani Francesco. V, 15; XV, 101; XVI, 390. Fontani Giovanni. IV, 145. Fonte Michelangelo.— V. Leni Paolo. Fontebuoni Orsola. XIV, 164. Forbici. A che servano nello fortifica¬ zioni e come si costruiscano, 11,27,91, 107. Fori ni Francesco. XIX, 191. Forma. Se entri nella composizione del cielo, I, 70-103. Degli elementi, 129s; come si modifichi qualitativamente e quantitati¬ vamente, 133s. Opinione del Ferchio circa la sua separabilità, XVI, 181. Formale (Acque del). VIII, 615. Fornai Domenico. XVI, 320. Fornai Giovanni. XVI, 320. Forno delle mine. II, 48-49. *Forstnbr Cristoforo. XVI, 197. * Fort esci'e Giorgio. Invia a G. le sue Fcriac Acadcmicae, XIV, 47-48. G. lo in¬ forma dei lavori ai quali sta attendendo, 83- 85. Nominato, 70-71. Fortezza Camillo. XIX, 214. Fortezze. Come si assicurino dalle offese dei nemici, II, 23-42, 84-138. Dei modi di oll'endorle ed assalirle, 42-56,83-84. Costruite di terra, 57-75. Fortificazioni. Due trattati di G. in¬ torno a questa materia, II, 7-146: Breve istruzione all'architettura militare, 15-75; Trattato di fortificazione, 77-116. Fortuna (l’arto della). XI, 114. Forza. Niuna resistenza può esser su¬ perata da forza che di quella non sia più potente, II, 155-158; Vili, 572-573, 633. Ina¬ nimata ed animata, II, 158. Impiego di essa mediante gli strumenti meccanici, 163-186. Non si scema dove non se ne esercita, VII, 296. Molta forza risulta da numero immenso di debolissimi momenti, Vili, 67. Conside¬ rata in astratto o in concreto, 154$; XVIII, 70. Sua migliore applicazione ai remi dello galere, X, 55-60. Probloma proposto dal Sarpi a G., 111-116. Quesito meccanico del Cavalieri, XVI, 204-205, 230-231. Forza (virtù, impeto) impressa. Concetto o nome, I, 308-314, 369, 374, 409s; VII, 172$, 176, 261; costantemente decrescente, I, 314- 315, 390s; Vili, 201; è causa della accelera¬ zione dei gravi, I, 318$, 405s; Vili, 201; fin¬ ché il moto diviene uniforme, I, 338$, 403. Effetti diversi in corpi di diversa gravità, 333s; nei proiettili, secondo le diverse in¬ clinazioni all’orizzouto, 337$; nel moto cir¬ colare, VII, 175, nei gravi cadenti, 260, nel pendolo, Vili, 579. Composizione delle forze. Gravità e forza Francia INDICE DEI NOMI ECO. 171 impressa da agonti in direzioni opposte, I, 318.9, 328s, 3S9s; Vili, 201 s. Nell’azione com¬ binata delle cause dei flussi e reflussi, Y, 391-394; VII, 460s; della gravità e della forza impressa, 175; dell’impeto orizzontale col verticale della gravita, Vili, 309. Nella ca¬ tenella, 310*', 369-370. Comunicazione di impeto o velocità. Mas¬ simo determinato per ogni mobile naturale, I, 330; Vili, 107, 279. Per effetto di caduta su piani inclinati diversi in tempi disegnali, II, 2G4,266; di libera caduta da determinata altezza, VII, 45s, sopra un piano inclinato, 48; Vili, 205,9, 214-219. Nel moto circolare uniforme proceduto da libera caduta da de¬ terminata altezza, VII, 53, 594, 599; Vili, 283; XVI, 169. Della forza magnetica, VII, 430, 432. Tempo delle vibrazioni determi¬ nato per determinata lungezza del pendolo, 475; Vili, 141. Durata determinata del mo¬ vimento nel cerchio per determinato raggio e data virtù motrice, VII, 477. Conservazione e cumulazione delle forze. Maggiore in ciò che maggiormente resiste e quindi nei corpi più gravi, I, 335s, 337s, 410-413, e quanto maggiore l’inclinazione al- all’orizzonto, 337.9. Per l’azione continuata della medesima forza, V, 135; VI, 465; Vili, 346, 441-442, 613. Per la ripetizione degli impulsi, VI . 322, 464-466; Vili, 141-142, 345- 346, 441-442, 574s, 582s. Fosoaki (Sig. r ). X, 158; XIX, 164. Foscaki (Ca’). XII, 455. * Foscarini Paolo Antonio. Sua Lettera sull’opinione dei Pitagorici e del Copernico, V, 277; mandata dal Cesi a G., XII, 150; menzionata, 160, 161, 162, 165, 178, 181, 189; XVIII, 434; lettera del Card. Bellar¬ mino intorno ad essa, XII, 171-172; XIX, 339. Nuova edizione che l’autore aveva in animo di farne, XII, 181, 190. Proibita, 244, 298, -181 ; XVIII, 433; XIX, 278, 323;. c il tipografo che l’ha stampata vien carco* rato, 279; tradotta in latino dal Diodati e mandata al Bornegger per pubblicarla in appendice alla versione latina del Dialogo dei Massimi Sistemi , XVI, 101,104,105,112, 212, 213, 233, 254; XVII, 52. Sua lettera a G., XII, 215-220. Nominato, 166, 173, 175, 180, 197. Fossa. Suo varie forme nelle fortifica¬ zioni, II, 3Ss, 44, 108. Sua utilità con acqua o senza, 96, 129. Come si possa attraver¬ sare, 112, 114. Fosso detto di Piano. XIX, 505. Fosso Reale. VI, 617, 649. Fosso di 8. M oro. VI, 649. Fkacastotio Girolamo. Annoverato tra gli inventori del cannocchiale, III, 329; XIII, 57. Sue opinioni intorno alsistema del mondo, X, 294; XI, 366. Nominato, 443. Fraising. X, 312. ♦Frambotto Paolo. Ristampa le Opera¬ zioni del Compasso di G., XVIII, 227,237. Francai kippr. IX, 92. Francesca (donna). XIX, 131. Francesca (Suor). XIX, 519. Franceschi Francesco. XIX, 105. Franceschi Lorenzo. XIX, 221. Franceschi, scrivano. XIX, 482. Francescana, serva di G. XIX, 174. Franoesohini Anton Maria. XIX, 437. Francesoiiini Camillo. XJX, 437. Francesco. XVIII, 366. Francesco, lavoratore di G. XIX, 183, 184. Francesco, servitore di G. U. del Monte X, 62. * Franchi Diego. XIX, 12, 46. Frangi (delli) Paolo. Riceve e notifica la sentenza contro G. e la relativa abiura, XV, 249, 262; XIX, 370, 375. Francia. Il, 534; HI, 174; VI, 28; VII, 143; Vili, 43; X, 250, 255, 256, 257, 260, 298, 301, 316, 356, 365; XI, 88, 172, 174 XII, 258. 172 INDICE DEI Francia (Ambasciatore di). XI, 474. Francia (Nunzio di). — V. Biehi Ales¬ sandro. * Franoini lri’OMTO, detto il Tordo, fab¬ bricante di lenti. XIV, 440; XV» 303, 311, 315, 31G, 318, 322, 323, 342, 348; XYI, 520; XVH, 30, 31, 34, 3G, 100, 204, 307; XVIII, 199, 2G7 ; XIX, 449. Franoioni Chimknti. XIX, 191, 192. Franoioni Pikuo. XIX, 191, 192. Francoforte. Ili, 126; XI, 90,138; XII, 158. Franoq Gasparb Alessio. Suo Propo- sitioncs mathematicae, XVI, 420. Frangipani Pompeo. XVI, 164. Francesi Matteo. IX, 23, 24. Frascati. Villa Tusculana, YI, 428. Menzionato, III, 330, 444; XI, 287, 329; XII, 399 ; XIII, 129; XVI, 324, 351 ; XVIII, 335. Fkasolimagiorb Girolamo. — V. Casal- maggiore (da) Girolamo. Fratta (da) Giovanni. — V. Fanano di Fratta Giovanni. Frecoia tirata con l’arco, se s’infuoobi e strugga, VI, 162s, 336s, 482s. Tirata con¬ tro il vento, per punta o per traverso, VII, 178-179. Tirata di su una carrozza corrente, 194; odi su una nave in moto, Vili, 628-G29. Probloinu intorno ad essa, proposto dal Sarpi a G., X, 114, 116. Freddo. Se sia qualità positiva o pri¬ vativa, I, 158, 160s; attiva o passiva, 164s. Se cagioni copdensazione o rarefazione, III, 264; IV, 5, 65-66, 153s, 185$, 192s, 205$ 248s, 347, 379s, 618, 694s; VII, 68. Suoi effetti investigati, YIII, 533, 599, 634-636. — V. Termometro. * Freddolino. X, 269 ; XIX, 174. Fregoso (o Fulgoso) Federico. IX, 188. Fregoso (o Fulgoso) Ottaviano. IX, 188. ♦Freinsueim Giovanni. XVI, 177, 238, 264, 292; XYU, 18. NOMI ECC. [Francia (Ambasciatore di) Fresoobaldi (Cavaliere). XIX, 195 . Fresoobaldi (Sig. r ). XVI, 273. * Frijs Enrico. XIX, 203. Friso» Cristiano. Ili, 326; X, 76; XI 252, 429, 430; XIII, 223. * Froidmont Liberto. Suo Ant-Aristar- ehus, XIV, 340, 354,355,383; giudizio datone da G., 341; XV, 23-25; XYI, 60, 118. Suo Vesta, sivc Ani-Aristarchi vindex , XY, 245 - XVI, 99, 185. Nominato, VII, 541; Vili, 485; XYI, 96. Frontino, cavallo. IX, 174, 191. Frontino Sesto Giulio. Appunti mos¬ sigli dal Castelli, XIII, 296. Nominato, XIV, 158. Frosino. IX, 197, 198, 199. Frughi Giorgio. XIX, 497, 498, 500, 501. Frughi Giovanni. XIX, 497. Frughi Luca. XIX, 500, 501. Frutta. Si conservano a lungo in vasi di votro chiusi, Vili, 634. Como si maturino, 635. Fucoari o Fugoaro. — V. Fugger. Fucecchio. XIV, 270. Fuons Leonardo. XVIII, 415. * Fugger Giorgio. Sue censuro al Sidcmis Nuncius, X, 316, 361. Procura all’Impera¬ tore Rodolfo li un cannocchiale, 361, 418. Riferisco al Gloriosi elio i Pianeti Medicei orano stati veduti in Olanda prima elio da G., 363-364. Suo relazioni con G. A. Magmi, 438, 443. Nominato, XIII, 422, 423. * Fugger Kirohueim (di) Ottone Enrico. XVII, 187, 253, 323, 326, 331. Fulgenzio (fra) dei Servi. — F.Micanzio Fulgenzio. Fulgoso. — V. Fregoso. Fulmini. Si dubita dal Ili Grazia dio siano gonerati dal freddo, IV, 379,694. Causa della loro frequenza ncll’estato, YI, 162,335- 336, 481. Mostrano, la propagazione della luce non essere istantanea, YIH, 88-89. INDICE DEI NOMI ECO. 173 Galilei Alberto Cesaro] Funamboli. Quale aiuto presti loro l’asta lunga,elio tengono in inano, YIH, 600-601,610. Fuoco. Se sia assolutamente leggiero, I, 289 s, 355.9, 377, 386; IV, 357, 038. Qualità attiva, III, 2G3. Condensato, quali effetti pro¬ duca, IV, 154, 191. So abbia facoltà d’ascon¬ dere al concavo della luna, 356, 035; VI, 295; VII, 469. Esperimento di G. circa la pene- trazione di esso, IV, 654; XLI, 170. Come si produca, e varie sue specio, VI, 54, 57, 59. Aristotele ammette che si muova ret¬ tamente in su per sua natura, e in giù per partecipazione, VII, 107, 592, 595, 604. Ila moto velocissimo, Vili, 87. Modo di cuo- coro senza di esso, trovato dal Gali ani. XII, 22, 35, 44-45. Assurdità asserite intorno ad esso, XV, 14. — V. Calore. Fumetti Lanfranco. XIV, 319. P’uso parabolico. Suo rapporto col cilindro generato dal parallelogrammo cir¬ coscritto alla parabola, XVIII, 147, 262, 340- 347, 365, 374. Gabaon. XIX, 307, 319. Gabbione. Il, 59, 60, 141. Gabbrihllo ovvero Raffaello (P. Tea¬ tino). XIX, 54, 55, 56, 84. Gabriel. I, 32, 112, 148. Gabriele (Arcangelo). IX, 64, 164. Gabrielangiola (Suor). XIX, 518. G a brina. IX, 173; XV1U, 193. Gaktani Claricje nei Galilei. — V. Ga¬ lilei Gaetaui Clarice. Gaktani Filippo. XIX, 15. * Gaktani Laura. XIX, 422, 423, 459. Gaetano. — V. Gaetani. * Gaffa rei. Giacomo. Manda in Francia notizie intorno alla prigionia ed alla con¬ danna di G., XV, 141, 218. Gaggio (S.). XV, 139. Gagliardi Giorgio. XIX, 473. * Gagliardi Giuseppe. Scrive a G. in lin¬ gua pavana, esaltando il suo sapere, X, 196. Gai Panoot/fo. XIX, 464. Gai Tommaso. XTX, 464. Gaietano Bonifazio. — V. Gaetani Bo¬ nifazio. * Gaio Bernardino. Ringrazia G. per le Lettere sullo macchie solari, XI, 523; e gli manda alcune prescrizioni mediche, XII, 54- 55, 56, 67. Nominato, XI, 500, 506; XII, 169. Gaio Gaspare. XIX, 209. * Gala mini Agostino, Cardinale d’Aracoeli. Partecipa al primo processo contro G.,XIX, 276, 277, 278, 279, 295, 307, 338. Galassia.— V. Via Lattea. Galatea. IX, 160. Galf.no. Del mondo, I, 22. Degli ele¬ menti, 122, 123, 125, 126, 129, 130, 162, 166; IV, 219. Studiato da G., X, 44. Di¬ sapprova chi nega l’esperienza, 118. Nomi¬ nato, III, 361; V, 325; X, 100,118; XI, 37; XII, 54, 66, 141; XIV, 367; XYJL, 170; XIX, 118, 556, 604. Galeotti Miguelangiolo. XIX, 257,258. Galera. XIX, 50-4. Galero. Consulto chiesto da Giacomo Contarmi a G., circa la migliore disposizione dei remi in esse, X, 55-60. Invenzione sug¬ gerita dal Bai inni per vogare con meno fa¬ tica, XVIU, 100. Galilei (famiglia). Albero genealogico, XIX, 15. Galilei (Sig. rI ). XIV, 340; XVI, 167, 346. Galilei Alberto Cesare. G. esprime il desiderio d’averlo presso di se, XVI, 441; ed egli gli scrive mandandogli notizie di sè e della sua famiglia, 459-460, 475. Ottenuta li¬ cenza, parte da Monaco per andar a visi¬ tare G., XVII, 187; col quale si trattiene in Arcetri, 207, 216, 218, 221, 225, 253, 323, 331, 332, 355, 376. G. disegnava di mandarlo a Roma, 216, 218, 229, 248, 254, 326. Par¬ tendo per t.onmre a Monaco, passa da Ve¬ nezia, dove G., col mezzo del Micanzio gli aveva procurato un violino, 221, 230, 384, INDICE DEI NUMI ECO. 174 305. Scrivo iv G., dandogli notizie del suo viaggio di ritorno, 302-303, o chiedendone notizie, XVIII, 110-120. Prendendo equivoco, si rallegra con G. por il ricupera mento d’un poco di vista, o gli partecipa il suo matrimo¬ nio, 180-181. Rispondendo ad una di G., gli manda notizie di sè, della meglio o dei fra¬ telli, 265-266. Legato disposto a favor suo e de’ fratelli da G., XIX, 521-522, 524; an¬ nullato da un codicillo, 532. Nominato, XIII, 317, 355, 366, 382, 401, 405, 407, 409, 416, 441, 442; XIY, 257, 310; XVI, 478, 499, 506, 513; XVII, 27; XVIII, 226; XIX, 15. Galilei Anna di Vincenzio. XIX, 15. Galilei Anna Maria di Michelangiolo. XIII, 347, 355, 398, 401; XIX, 15. * Galilei Antonio. XVI, 161,167; XIX, 15. ♦Galilei Benedetto di Galileo. XIX, 15. Galilei Benedetto di Vincenzio. XIX, 15. Galilei Benedetto di .... Mediatore della corrispondenza di G. col Micunzio, XVI, 33, 128, 161, 167, 180, 299. Nominato, XIV, 416. Galilei Carlo. XV, 87, 89, 295; XVI, 156; XVIII, 195; XIX, 15, 438. Galilei Carlo Maria. XIX, 15. Galilei Cosimo di Michelangiolo XIII, 355; XVI, 459, 460; XVII, 254, 331; XVIII, 266; XIX, 15, 521, 522, 524, 532. Galilei Cosimo di Vincenzio. Vili, 22, 27, 344, 438, 439, 452, 561; XIX, 15, 438. Galilei Cosimo Maria. XIX, 15. Galilei Elisabetta. XIII, 402; XIV, 45; XIX, 15. Galilei Francesco di Alberto Cesare. XIX, 15. Galilei Francesco di .... Mediatore della corrispondenza di G. col Micanzio, XIV, 426-427, 431, 434; XV, 335; XVI, 33, 109, 128, 161, 180, 299. Procuratore di G. per la riscossione della pensione di Brescia, 66 ; XIX, 470-471. Nominato, XIV, 416. (Galilei Anna * Galilei Galileo di Giovanni. XIX, 15. ♦Galilei Galileo di Vincenzio di Gali¬ leo. XIV, 93, 132, 168, 175, 214, 220, 222, 223, 246; XV, 87, 89, 287, 303; XIX, 15, 48& Galilei Galileo di Vincenzio di Miche¬ langiolo. — V. Galileo. ♦Galilei Giovanni. XIX, 7, 15. ♦Galilei Giovanni di Antonio. XIV, 330- XVII, 141; XIX, 15. * Galilei Giovanni di Michele. XIX, 15. * Galilei Giovanni di Tommaso. XIX, 15. * Galilei Girolamo di Antonio. XVI, 165 174, 2(X>, 237, 238, 248, 269, 28-1, 296, 298, 307, 312; XVII, 141; XIX, 15. Galilei Lena. X, 60, 61; XIX, 15. Galilei Livia di Galileo. Sua fede di battesimo, XIX, 219. Oroscopo trattone da G., 205, 219-220. Con l’avola e con la so¬ rella presso lo zio Landucci, 200. Difficoltà per la sua monacazione, XI, 231, 245, 588. Vestizione in S. Matteo in Arcetri, XII,80. Sua monacazione ; assume il nome di Suor Arcangiola, XIX, 422-423. Suo umore stra¬ vagante. XIV, 39. Legato di G. a suo favore, XIX, 521, 523. Pagamento dei frutti di esso, 451-452. Vincolo relativo, 565. Nominata, XIII, 120, 122, 127, 128, 132, 135, 136, 138, 144, 150, 293, 306, 399, 403, 404, 410, 414, •153, 460, 464; XIV, 15, 27, 39, 45, 68, 69, 81, 91, 108, 143, 156, 164, 168,185, 220, 221, 246,262, 269, 273, 274, 276, 286, 288, 291; XV, 38, 54, 59, 66, 71, 82, 90, 91, 101, 103, 109, 114, 119, 178,205, 220, 271, 322; XVI, 134, 279, 295; XVII, 205, 218; XIX, 15. Galilei Livia di Vincenzio noi Gal¬ letti. — V. Galletti Galilei Livia. Galilei Maria Fulvia. XIII, 355; XIX, 15. Galilei Maria Ginevra. Ili, 876. •Galilei Mariotto. XIX, 15. Galilei Meoiiilde. XI, 473; XIII, 348, 355, 366, 367, 371, 401, 402, 406, 409, 410, 416, 417, 418, 432, 433, 439, 446 ; XIX, 15. Galilei Roberto] INDICE DEI NOMI ECC. 175 * Galilei Michele. XIX, 15. ♦Galilei Michel angiolo di Giovanni. XIX, 15, 599, GOL Galilei Miohrlangiolo di Michelangiolo. XIII, 355; XIX, 15, 521, 522. Galilei Miouelanoiolo di Vincenzio. È in Padova presso G., ma prossimo a par¬ tire per la Polonia, X, GO. Raccomandato da G. al Mercuriale per trovargli colloca¬ mento presso la Corte di Toscana, 74. Si accinge novamento a partire per la Polo¬ nia, 81-82. Sollecitato da G. a contribuire al pagamento della dote alla sorella Livia, 84-85, conforme all’obbligo contratto anche in suo nome, XIX, 213. È novamente in Padova presso G., X, 157-158. Annunzia da Monaco a G. il suo matrimonio, 192-194. Scrive a G. dell’accoglienza l'atta alla Corte di Monaco al Sidercus Nuncius , e sollecita l’invio di cannocchiali, 312-314, 354; XI, 95-97. È raccomandato dalla Corto di To¬ scana a quella di Monaco, 71, 95. Si lagna del silenzio di G., e gli chiede nn esemplare del Sidercus Nuncius, 432-433. Ha ricevuto da G. vetri e cannocchiali e le Lettere sulle macchie solari, e chiede il Discorso sullo gal¬ leggianti ed altri vetri, XII, 108. È in Vene¬ zia, 198. Da Monaco domanda col mezzo di G. il favore che un suo nascituro sia tenuto a battesimo a nome dei Granduehi, 339-340. Scrivo a G. d’un libro ch’egli sta per pubbli¬ care, esprime il desiderio di rivedere il fra¬ tello e gli parla della propria famiglia e della madre, 493-494. Comunica a G. il suo disegno di trasferirsi a Firenze, mandandovi intanto la sua famiglia, XIII, 316-348, 352- 355. Gli annunzia la sua imminente par¬ tenza, 365-367, 371-372. È in Firenze con la famiglia presso G., 382, 384, 388, 389, 391. Ritorna, solo, a Monaco, 394, 395, 401- 402. Si duole con G. delle condizioni della propria famiglia, deHa mala condotta del figliuolo maggiore, ed esprime il desiderio di far tornare tutta la famiglia a Monaco, come poi, rompendola col fratello, ni amia ad ef¬ fetto, 405-406, 408-409, 414-418,432-433, 438- 439, 440-442,445-446; XIV, 178. Gravemente ammalato, fa chiedere scusa a G. della sua condotta verso di lui, o gli raccomanda la famiglia, 177-179. Sua morte, 209, 220, 257, 311, 365. Oroscopo di lui tratto da G., XIX, 205. Nominato, X, Gl, 270; XI, 473; XIII, 338, 123, 453; XIV, 310; XV, 3G9; XVIII, 42G; XIX, 15, 197, 201, 474, 524, 532. ♦ Galilei Ottavio. XII, Gl, 440; XV, 3G8; XVI, 109, 161; XIX, 15. Galilei Polissena. XIX, 15. * Galilei Roiìerto di Antonio. Trasmette a G. una lettera di Alberto Gondi e gli offre i suoi servigi, XII, 432, 440. Media¬ tore della corrispondenza di G. col Diodati, col Peiresc, col Gassendi, col Carcaville e col Mcrsenne, XIV, 330, 339, 423; XV, 254; XVI, 72-73, 119, 141-142, 146, 165, 174, 182, 206,215,237,248-249,257, 2G9, 285, 296,298- 299, 307, 312, 321, 326, 829-330, 34G, 380 ; XVII, 2G-27, 32, 78, 88, 11G, 125, 141, 155, 1S2-183, 185, 228-229, 232, 241, 299, 305, 322-323, 332-333, 345-34G, 354. Si conduolo con G. per l’esito del processo, e si offre di far stampare le opere di lui a Lione, XVI, 21-22, 72-73, 142, 238, 269. Annunzia a G. il passaggio del Campanella per Lione, 165; e gli scrive d’alcuni libri che questi lo ha in¬ caricato di far stampare, 182-183. Gli manda copia della lettera scritta in suo favore dal Peiresc al Card. F. Barberini, 207. Scrivo a G. circa il ritratto promesso e mandato per il Diodati, 284, 296, 298, 307, 312, 321, 329, 3S0, desiderato anche dal Peiresc, 284, 312 ; e per accompagnargli Luigi Hensellin, 292- 293, 297, 299, 307, 311; che poi gli scrive, lietissimo di aver fatta la personale cono¬ scenza di G., 321, 329-330. Partecipa a G. la morte del Peiresc, XVII, 137-138, 183. Gli scrive della collana decretatagli dagli Stati INDICE DEI NOMI F.OC. 176 Generali d’Olanda, e non approva il propo¬ sito di rimandarla, 141, 155, 183. Si con¬ duole con lui per la perdita della vista, 305. dominato, Vfllj 13; XIV, 295; XI1, 107, 202; XVII, 3(1, 198; XIX, 15. * Galilei Ruberto di Mariotto. XIX, 15. Galii.ki Sestxua di Carlo. XIX, 15. ♦Galilei Tommaso. XIX, 15. Galilei Vincenzio di Carlo. XIX, 15. * Galilei Vinoenzio di Galileo. Sua fede ° C V di battesimo, XII, 502 ; XIII, 14; XIX, 220; Alla partenza di G. da Padova, rimane presso la madre, XI, 244, 417; XII, 366. Viene legittimato dal padre, XIY, 40-41, 42-43; XIX, 425-426, 432. Scolaro dello Studio di Pisa, sotto la vigilanza del Castelli, XIII, 83, 152, 155 156, 228-229, 289, 291, 293-294, 296; XIX, 259; finché gli viene conferito un luogo di Sapienza, XIII, 282, 284; XIX, 427. Conseguo a Pisa la laurea in leggo, XIII, 392, 424-426, 442; XIX, 427-430. Pen¬ sione ecclesiastica, promessa e conferitagli dal Papa, XIII, 182, 187, 195, 206, 243, 246, 264, 257, 258, 279, 295, 324, 338, 340, 351, 356, 364; XIX, 460-462; ch’egli ricusa per non sottostare alle prescritte formalità, XIII, 358, 359; o che vien trasferita in testa del suo omonimo cugino, 361. Suo matrimonio, 465-160; XIV, 20,38; XIX, 430-431. Scrive al padre, lamentandosi degli scarsi aiuti che ne riceve, XIY, 174-175. G. disegna di mandarlo in Ispagna per l'attuazione del suo ritrovato per determinare le longitudini, 202. Suor Maria Celeste lo raccomanda al padre, 220. Comunica a G. alcune prescrizioni modiche, 264. Uffici ai quali aspira, 270; XIX, 433. Eletto alla Cancelleria di Poppi, viene per la sua negligenza trasferito a quella di S. Giovanni in Valdarno, e lasciata pur que¬ sta, assume l’ufficio di Cancelliere dell’arto dei Mercatanti e della Zecca in Firenze, XV, 329-330, 334, 347-348; XYI, 44, 84, 104, 107, 193; XIX, 433-437, 577. Scrive [Galilei Ruberto al padre inquisito in Roma, dando notizie ili sò e della famiglia, XV, Ilo, H2-143 Trattative per l’acquisto delle case sulla Costa di S. Giorgio, 191, 196-197, 198, 210 211, 221, 238, 285; XYI, 95, 97; Xix’ 49l’ 193. G., stimandosi giunto in fin di vita, desi¬ dera oh'egli non ai allontani, XYI, 85, 86,93. Comunica al Castelli notizie del padre e gli dà avviso di una visita fattagli dal Gran¬ duca, XVII, 180-181. Il Castelli chiede a 6. informazioni circa uno strumento musicale inventato dal figliuolo, XVIU, 23. Atti di procura (li G. a lui, XIX, 488-442. Entra in possesso dell’eredità -paterna, 452, 463. For¬ nisce al Viviani scritture di G., ed altre stese da lui medesimo sopra traccie che n’aveva lasciate, IH, 12; YIU, 27, 34,36, 344, 437, 438, 446, 451, 452, 559, 662, 564, 567, 569, 631 ; X, 273. Sue rime, IX, 25. Sua morte, XIX, 442, 658. Notizio sulla vita di G., da lui raccolte, 594-596. Parte da lui avuta nell’applicaziono del pendolo all’oro¬ logio, escogitata da G., 655-658. Nominato, X, 270; XII, 493; XIII, 100,128, 135, 136, 144, 306, 336, 348, 398, 399, 400, 402, 405, 447, 152, 453 , 460, 461, 464; XIV, 11, 15, 16, 40, 15, 51, 55, 68, 76, 81, 87, 94, 99, 100, 116, 117, 118, 119, 132, 162, 169, 172, 214, 218, 222, 246, 250, 252, 275, 320, 321; XV, 33, 37, 42, 48, 51, 75, 81, 87, 89, 90, 97, 101, 105, 116, 118, 119, 127, 136, 145, 176, 177, 208, 256, 263, 272, 287, 316, 321; XVI, R3, 134. 149, 279, 295, 422, 532; XVII, 205, 218, 313, 355, 357 ; XVIII, 24, 120,126, 170, 180, 181, 266, 341, 342, 383; XIX, 10, 15, 251, 262. 437, 449, 450, 451, 152, 481, 482, 183, 487, 502, 518, 522, 524, 525, 526, 527, 528, 563, 566, 567, 579, 582, 583. ♦Galilei Vincenzio di Micholangiolo di ì\id Giovanni. Suo matrimonio cou Giulia Am- dì'j mannati, XIX, 17-20. Prende a fitto una casa in Pisa, 21. Sua procura a Dorotea Amman¬ ii ati, 22. Suo eurteggio e conti con Muzio Te- Galilei Virginia] INDICE DEI claldi, concernenti la famiglia lasciata a Pisa, X, 17-18; XIX, 26-31. 11 Tedaldi gli scrive compiacendosi dei progressi di G., ed offren¬ dosi a tenerlo presso di se mentre frequen¬ tasse lo Studio, X, 19-20; e si rallegra per¬ chè lo abbia riavuto presso di sè, 21; XIX, 46. Sue opposizioni agli studi matematici di lui, 604-605. G. gli scrive da Pisa, informan¬ dolo dei suoi studi od annunziando un dono per la sorella Virginia, elio stava per sposarsi, X, 44, 46. Versatissimo nelle matematiche, e principalmente nella musica speculativa, XIX, 599-600, 601, 602. Suo Dialogo della musica antica o moderna, YUI, 563; XVII, 396; XIX, 170, 594, 600. Sua morte, X, 47 ; XIX, 109-110. Nominato, 1,182-183; X, 42, 313; XIII, 458; XIV, 10, 178; XIX, 15, 46, 213, 216, 217, 403, 406, 425, 437, 438, 439, 440, 441, 446, 448, 449, 450, 451, 453, 454, 457, 465, 469, 470, 476, 477, 478, 479, '180, 481, 482, 483, 484, 485, 4£6, 506, 512, 516, 517, 520, 523, 531, 558, 571, 573, 579, 580, 635, 637. Galilei Vincenzio di Micholangiolo di Vincenzio. Notizie clic ne dà il padre a G., XI, 95. Suo attitudini musicali, XII, 493, 494. È mandato a studiare a Roma, sotto la vigilanza del Castelli, XIII, 335, 338, 341, 355, 367, 383, 384, 388, 389, 390, 391, 393, 394, 401, 403, 405, 406, 409, 416, 417, 420; XIV, 278; suoi cattivi portamenti, XIII, 422, 423, 427-429, 430-431, 432, 433, 434, 435-436, 437-438, 439, 440, 441, 443-444, 453. La pensione ecclesiastica conferita al figliuolo di G. vien trasferita in testa sua, 363, 393, 424, 439; XIV, 57; XIX, 462-465. Si stabilisce in Polonia, XIV, 210, 257; XVI, 459. Legato disposto a favor suo e de’ fra¬ telli da G., XIX, 521-522, 524; annullato da un codicillo, 532. Nominato, XI.II, 421, 442, 447, 453; XIV, 15, 57, 278; XVIII, 266; XIX, 15. Galilei Virginia di Galileo. Fede del Voi. XX. NOMI ECO. 177 suo battesimo, XIX, 218. Oroscopo fratioue da G., 206, 218-219. Parte da Padova cou 1* avola, X, 269, 279. È con l’avola e la sorella presso lo zio Landucci, XIX, 200. G. disegna di collocarla nel Monastero della Nunziatiua, X, 306. Difficoltà per la sua monacazione, XI, 234, 245, 588. Vestizione in S. Matteo in Arcetri, XII, 80-81. Mona¬ cazione; assume il nome di Suor Maria Ce¬ leste, XIX, 422. Ricordata affettuosamente dal marito di sua madre, XII, 483. Si cou- duole col padre per la morte della sorella di lui, XIII, 116-117. Lo ringrazia per l’invio delle lettere a lui scritto dal Card. M. lìarbe- rini, eletto Papa, 120, 122; ed esprime il de¬ siderio di leggerne altre d’illustri perso¬ naggi, a lui indirizzate, 122,127, 138; o G. no la compiace, 127, 138, 143. Si mostra in¬ quieta per la salute di lui, ne chiede notizie e scrive di non avvedersi d’esser monaca so non quando lo sa ammalato, 123-124, 126, 127-128. Ha trascritta una lettera per in¬ carico di lui, ed esprime il desiderio d’oc¬ cuparsi in suo servizio, 132, come si occupa per il fratello, 135-136. Scrive del travaglio che le procura la malattia della sorella, e gli manda una sua composizione, 138. Avuta notizia della imminente partenza di Q. per Roma, gli augura il buon viaggio, e gli rac¬ comanda il fratello, 143-114. Desidera di log- gore il Saggiatore, 149. Invitata ad esporre quali sono i maggiori bisogni del suo mo¬ nastero, gli manda un memoriale, 157-159. A lui, che è in viaggio per Roma, esprime il proprio contento per i favori ricevuti dal Cesi e si conduole per la morte del Cesa¬ rmi, 174. Manda qualche presente ed in particolare una rosa, 292-293. Esprime il ti¬ more elio la dilazione delle visite di lui debba attribuirsi alla poca sodisfazione che ne ri¬ ceve, 306. Augura felicissime le imminenti feste Natalizie, e manda doni per i figliuoli dello zio Micholangiolo, ospiti di G. a Bello- 23 i 178 INDICE DEI Sguardo, 382. Trovandosi in tristi condizioni di salute, domanda al padre qualche soccor¬ so, dolendosi dol cattivo cibo passato dal convento, 382-3S3-Si duole di non vederlo da lungo tempo od esprimo il timore d’aver demeritato del suo alletto, 398. Accompa¬ gna alcuni presenti, manda notizie proprio, ne chiede di lui, e desidera vederlo, 399, 400, 402-103, 404. Gli raccomanda di aste¬ nersi dallo starsene nell’ orto, e gli sug¬ gerisco questa privazione por mortificarsi in tempo di quaresima, 400-407, 407-108, 452. Scrive delle proprie occupazioni, invia alcuni presenti, ringrazia d’altri o lo prega della sua benevolenza per sò e per lo suo consorelle, 410, 411, 412, 414, 419-420, 452. Manda uotizio della sorella malata, od in¬ voca l’aiuto del padre per assisterla, 400, 4(34. Lieta por il matrimonio del fratello, ringrazia (ì. dell’offerta fattale di venirle in aiuto in tale contingenza, 465-466; XIV, 14-15. Scrive della visita fattale dalla sposa; sollecita G. a rimandare l’oriuolo dol con¬ vento appena sia aggiustato; gli offre in¬ fine di restituirgli un chitarrone da lui donatole, chiedendone in cambio dei bre¬ viari per sò e per la sorella, 2(3-27. Spiega come abbia dovuto cederò per intero la cella alla sorella o chiede l’aiuto dol padre per provvedersi d’una cameretta per sò sola, 39-10, 55-56. Scambia alcuni doni, offre i suoi servigi e chiede favori per sò e per alcune monache ammalate, 45, 51, 63-64, 68-69,81. Rimanda l’oriuolo, che sembra non fosse stato accomodato a dovere dal fra¬ tello Vincenzio, 6S; e riavutolo, annunzia elio va benissimo, 81. Scrivo della corrispon¬ denza della quale viene incaricata dalla Ba¬ dessa, o prega il padre di procurarle qual¬ che libro di lettere familiari, per sua minor fatica e per averne miglior indirizzo, 87. È trepidante nell’udire ch’egli attendo con tanta assiduità agli studi, temendo che per NOMI EOO. [Galilei Virginia immortalare la sua fama, si accorci lu vita 90-91. Gli esprime il desiderio di vederlo invia alcuni doni, no chiede o ringrazia per altri, 93-94, 123-124, 141-142. Si scusa di non avero scritto nò a lui nò ull’Ambaacia- trice di Toscana, sodisfa ora al doluto con ambeduo, e raccomanda di procurare qual¬ che elemosina per il monastero, 108, la quale viene largita dal Granduca, 141-142. Scrive d’una cervia mandata in dono al mo¬ nastero dalla (ìranduchessa, e prega il padre di voler rimpannare lo finestre della sua colla, 143. Lo supplica a tenersi preparato ai pericoli della pestilenza, e scrive che sta insegnando il canto fermo a quattro giovi¬ nette, 155-156. Ringrazia por la minuta della lettera al nuovo Arcivescovo, stesa per lei da G., e gli scrive della buona accoglienza eh’ossa ha trovato e del buon osito di due suppliche alla Granduchessa stese da lei per il monastero: lo prega d’un coltrone che la ripari dal freddo, gli manda alcuni pre¬ servativi contro la peste, o gli ricorda la promessa di mandarlo un cannocchiale, 161- 164, 161-165. Chiedo notizie di lui, dei fa¬ miliari o del nipotino, lasciato presso l’avo dai genitori fuggiti a Montemurlo: ha ri¬ cevuto il coltrone e ringrazia, 168. Gli espono i grandi bisogni del monastero, per provvedere ai quali l’Arcivescovo ha ma¬ nifestato l’intenzione di far chiedere sus¬ sidi ai parenti delle monache. Suggerisce ch’egli consigli all'Arcivescovo di invi¬ tare costoro al pagamento dolio sopraddoti, avvertendo che fra quelli che tuttavia si trovano in debito ò lo zio Landucci, per il quale ha prestato malleveria G., 172-173; XIX, 574-575. Accompagna dolci, preparati con le sue mani e chiede di elio fare alcuni regali por le feste di Natale in particolare ad una monuca sua amica, XIV, 18-1-185. Ansiosa per la salute di lui a motivo della pestilenza, lo ragguaglia di alcuni aiuti Galilei Virginia] INDICE DEI NOMI ECC. 179 avuti dal monastero e gl'invia i soliti dolci, 206-207. Risanata da una indisposizione, lo prega a non affaticarsi nello studio, e lo ringrazia di coiti denari ed altre amore¬ volezze ricevute : resta confusa o si com¬ piace nel sentire ch’egli conservi lo lettere di lei, 214. Conferma il buono stato di sa¬ lute suo e delle altre monache, chiede no¬ tizie di lui, del fratello e della cognata o manda dei dolci, 219-220. Si corninole della morte dello zio Michelangiolo, ed accenna all’aggravio ch’essa teme sia per venirne a G. ; o tocca in questa occasione dolle tristi con¬ dizioni del fratello che gli raccomanda: si rammarica di non poterlo compiacere col prendere in monastero una ragazzina clic era presso di lui, come puro della sua poca sanità, augurandosi di poter prendere so¬ pra di sè anche i suoi dolori, 220-221. Rin¬ grazia di alcuno amorevolezze ricevuto, esprime il desiderio di vederlo, insieme col nipotino, e tocca scherzosamente della paura che il fratello ha della poste, 221-222. Lo ringrazia di una vivanda elio G. ha pre¬ parato per lei con le proprie mani, di al¬ cuni doni da lui ricevuti, accompagnandone altri da parte sua, scrive del gusto che prova nel servirlo e d’una grazia ch’egli si proponeva d’implorare dall’Arcivescovo per il monastero, 223, 224-225. Chiede no¬ tizie di lui, del fratello e della cognata, e manda alcuno paste per lui o delle pine per il nipotino, 24G. Dolente della annun¬ ziatalo indisposizione, si augura di vederlo presto risanato, e lo ringrazia dei doni ri¬ cevuti da lui e dal fratello, 251-252. Ac¬ compagna i soliti presenti, tra i quali uno da lei preparato por fargli ricuperare il gu¬ sto del cibo, 253-254. Fornisce informazioni intorno ad alcune ville circostanti ad Ar- cotri, augurandosi che venga ad abitare vicino al monastero, 262, 275-276. Chiede per una monaca sua amica un prestito di ventiquattro scudi, ed avutili no lo ringra¬ zia, 268, 273. Scrive intorno all’oleziono del nuovo Arcivescovo, 268. Manda alcuni dei consueti presenti, o lo prega d’tiu paio di polli per la sorella ammalata, 269, 273-274, 276. Restituisce da parte della sua amica firn prestito, dà notizie della sorella e di sè, e si augura abbia effetto la compera dolla villa da lui visitata, 286-287. Gli pro¬ pone e consiglia di prendere a fitto la villa Martellali, posta nel Pian di Giullari e contigua al monastero; porgo migliori no¬ tizie della salute della sorella, e chiedo per lei qualche pescaiolo marinato, 288. Ha ap¬ preso con viva compiacenza come sia proba¬ bile ch’egli si riduca ad abitare vicino al monastero, e lo ringrazia degli amorevoli pre¬ senti, 290-291. Lo prega di aiuto per pagare un debito contratto durante la malattia della sorella, 291. Al padre, che, citato a com¬ parire davanti al S. Uflìzio, è in viaggio per Roma, scrive d’aver veduto le lotterò da lui mandato ai cognati del fratello, e si duole perchè debba trattenersi tanto a lungo nel lazzeretto di Ponte Centino per scontarvi la quarantena, XV, 38. Attende con an¬ sietà l’annunzio del suo arrivo a Roma, ed intanto lo intrattiene di vari interessi familiari, e gli porge notizie di alcune sue consorelle, 52-54. Ha avuta com un Raziono d’una lettera di lui al Guiducci, e gliene ac¬ compagna un’altra per l’Ambasciatrice di Toscana: fa voti per il prospero successo del suo negozio, e lo ragguaglia delle cose di casa e di quelle del monastero, 59-60. Persuasa del buon avviamento del suo ne¬ gozio, se ne rallegra, diffondendosi intorno al modo di manifestare la propria gratitu¬ dine all’Ambasciatrico di Toscana, la quale aveva espresso a G. il desiderio di assistere ad una commedia recitata dalle monache: vedrà volentieri il Oastolli noi suo passaggio da Firenze, 66-67. Ila ricevute lo lottere di 180 INDICE DEI NOMI ECC. G col mozzo del Gniducci, o la risposta del¬ l’Ambasciatrice, alla quale scrive di nuovo: lo prega elio al suo ritorno le porti un quadretto di soggetto religioso, e si intrat¬ tiene circa la sorella, altre monache e per¬ sone di conoscenza comune, 70-71. Gli augura felicissime le Feste pasquali e gli dà notizie delle persone di casa sua, 77. Lieta dello buono notizie di lui, comunicatele da A. Arriglietti, scrive dei bisogni di denaro nei quali versa, in conseguenza dell’ufficio di Provveditora tenuto dalla sorella, 82-83, 90- 91. Informata della buona piega presa dal negozio di lui, so ne rallegra, e lo esort a a mandare ad effetto, nel ritorno, il suo dise¬ gno di visitare la Santa Casa di Loreto: scrivo di una grazia impetrata dall’Amba¬ sciatrice per il monastero, di un dono avuto dal fratello e lo ragguaglia intorno alla sa¬ lute pubblica di Firenze cd a quella dei familiari di lui, 89-90. Saputo della reclusione di lui nel Sant’Uffizio, si prova a conso¬ larlo, 98, 102-103. Si rallegra nel sentirlo prossimo al buon fine del suo negozio, scrive delle notizie elio riceve in proposito dall’Am¬ basciatrice con la quale ormai corrispondo direttamente, e lo ragguaglia intorno agli affari di lui, dei quali tieno la gestione, 10S-109. Gli parla del proprio muore filialo e del paterno di lui e gli manda una ricetta spirituale contro la peste, 113*114. Dotto della diffusione data all’ultima lettera di lui, gli porge minuto ragguaglio dell’amministra¬ zione familiare cho essa tiene dal monastero, o ai meraviglia nel sentire che il fratello non gli abbia mai scritto, lltì-119. Lo rag¬ guaglia intorno alle condizioni dolla salute pubblica di Firenze, e scrive clic tutto le speranze sono riposte nella Madonna del- l’Imprecata, la quale si trasporta e sarà tenuta solennemente per tre giorni in cit¬ ta: sopporta la mortificazione per la sua assenza, sentendo elio la dilazione giova ai [Galilei Virginia suoi interessi, 129-130. Lo ammonisce che non disordini nel bere, 130, 146, 201. Lo sollecita al ritorno, assicurando ossere la peste in gran diminuzione, e lo informa mi¬ nutamente intorno alle cose dell’orto, 135- 136, 146-1-17 : e lo ragguaglia del sostare che fece nel monastero l’immagine della Madonna dell’Impruneta nel ritorno da Fi¬ renze, 146-147. Scrivo d’una recrudescenza del contagio dopo un abbassamento di tem¬ peratura: ciononostante lo consiglia a par¬ tirsi da Roma e dirigersi alla volta di Siena, 152. Infierendo novamente il conta¬ gio, tiene come grazia del Signore ch’egli sia ancora trattenuto in Roma, e gli manda particolari minuti intorno alla colombaia, all’orto, alla cantina od alla mulatta ; lo prega infine di alcune commissioni da parte {lolle consorelle, 156-158. Partecipa alle il¬ lusioni di lui sul prossimo buon esito del negozio,ed è lieta d’udire ch’egli si diriga a Siena, dove ò invitato dall’Arcivescovo: gli raccomanda che si abbia riguardo nel viaggio, o continui a dargli sue nuovo, 163- 164. Saputa la condanna, lo conforta a so¬ stenere il fiero colpo con quella fortezza d’animo cho la religione, professione cd età sua ricercano, 167. Sapendolo giunto fo- licemonte a Siena, gli descrive l’allegrezza sua e di tutto il monastero, e gli domanda qualche maggiore ragguaglio intorno alla risoluzione del suo negozio: lo informa final¬ mente dei provvedimenti di G. Bocchineri e dell’Aggiunti, relativamonto a certi libri e manoscritti che furono asportati dalla villa d’Arcetri, 178-179. Esprime il desiderio di presto vederlo, ed intanto si rallegra nel saperlo in buone condizioni di saluto; gli dà minuti ragguagli intorno alla cantina e ad altri interessi familiari, 180-181, 189-190. Lo consiglia, anche por riguardo a G. Boc¬ chineri, a venir in aiuto del fratello nel¬ l’acquisto d’una casetta, e proseguo a rag- INDICE DEI NOMI ECO. 181 Galilei Virginia] quagliarlo minutamente intorno alle cose di casa, 194-195. Sta preparando l’aloè per lui ed intanto gliene manda di quello della bottega del monastero, lo ragguaglia intorno a parecchie cose di casa, e al nipote Vin¬ cenzio Landucci a cui è morta di peste la moglie, 200-201. Scrive per obbedire al pa¬ dre, clic lo aveva imposto di non lasciar passare una settimana senza farlo, o lo in¬ forma circa la colombaia, la cantina o la mulctta, 205. Ha trattato con G-. Locchineri l’acquisto per conto del fratello Vincenzio, della casetta sulla Costa di San Giorgio, e ne lo informa, suggerendogli novamente di sodisfare il desiderio manifestato dal Roc- chineri, 210-211. Gli esprime tutta la pro¬ pria contentezza perchè abbia ratificate le sue proposte circa l’acquisto della casetta, manifesta il parere che gli convenga pro¬ rogare la sua assenza piuttosto che tratte¬ nersi altrove che nella sua villetta, e pro¬ segue a ragguagliarlo intorno alle cose della cantina, dell’orto e della casa, 220-222. In¬ formata dogli ostacoli che si frappongono al suo ritorno, si offre d’invocare la me¬ diazione dell’Ambasciatrice di Toscana pres¬ so la cognata del Papa: si mostra adirata perché egli abbia potuto pensare eh’essa fosse per rallegrarsi del suo ritorno a motivo d’un presente che aspetta, e chiude scher¬ zando intorno alle botti che s’erano gua¬ state e rappresentando il comune desiderio di vederlo tornato, 228-2'tO. Attende con ansietà di conoscere il risaltato delle istanze di lui per ottenere il ritorno ; comunica in appresso alcuni particolari relativi ad una eredità toccala al monastero, ed i soliti rag¬ guagli circa lo coso di casa, 239-210. Torna a scrivere del vino andato a male, della moietta, della propria goffaggine nell’aver creduto che certe forme di cacio chiamate ova di buffala fossero veramente nova di questo animale, c lo ragguaglia intorno ad alcune persone di comune conoscenza, 240-247, 258-259. Ha mandato a Siena il garzoncello di servizio della villa, dal quale potrà aver minutò ragguaglio delle cose di oasa, rin¬ grazia di provviste fatte per confo suo, in¬ via pillole e paste, e prega di nuovi favori, anche por le amiche, 269-271. Si scusa del lungo silenzio, allegando le molte sue oc¬ cupazioni; si rallegra della buona salute ili lui, verificata dal garzoncello, e si compiace dei favori dei quali egli ed essa stessa son latti segno da parte dell’Arcivescovo, lo infor¬ ma dell’azienda domestica, e gli rinnova i sa¬ luti da parte del medico Ronconi, 287-2S9. Si consola con la speranza dol sollecito suo ritorno: ha potuto procurarsi il testo della sentenza pronunziala contro di lui, e gli par¬ tecipa di aver assunto da qualche tempo sopra di sò l’obbligo, che a lui è stato im¬ posto, di recitare i sette Salmi una volta alla settimana: porge infine notizie d’unn sua amica monaca ammalata, e ragguagli intorno alle cose familiari, 292-293. Lo informa circa la provvista del vino, e ringrazia dei pi-e¬ senti ricevuti dall’Arcivescovo: si rallegra nel sentire che, trovandosi bene in salute, abbia ripreso lo studio, ma raccomanda che non sia sopra quelle materie che gli procu¬ rarono già tauto travaglio, 29(5-297. Prose¬ gue a tenerlo informato del vino; ha ricevuto notizie di lui dal Gherardini, e lo conforta a viversene tranquillo ed a non affannarsi noi timore d’esBer stato cancellato dal libro doi viventi: lo informa intorno allo cose di casa, c gli manifesta l’intenzione di apparec¬ chiare qualche regalo per il ceppo del nipo¬ tino, del (piale sente che, oltre il nome, ha anche lo spirito dell’avolo, 302-303. Lo rag¬ guaglia intorno alla salute (li alcune mona¬ che, per una delle quali chiede delle starne, che crede possano trovarsi presso Siena; lo avvisa d’avere scritto all’Ambasciatrice, ed attende con impazienza la sperata risoluzione 182 IN DICK DEI NOMI ECO. del suo ritorno, 307-308. Prosegue a dui* no¬ tizie di persone amiche o di vari interessi fa¬ miliari; ha ricevuto dal padre una commedia e ne ha letto il primo atto, IX, 21; XV, 314- 310. Si sousa d’aver lasciato passare la setti¬ mana senza scrivergli, ina insieme si ral¬ legra, perdio le lagnanze di lui mostrano l’afletto elio le porta: ha potuto procurare gli ortolani da lui desiderati, e glioli manda, 318-310, 321-322. Desidera notizie sulla ri¬ soluzione relativa al suo ritorno, ed infor¬ mazioni sulla materia intorno alla quale sta scrivendo promettendogli di non no far motto : dopo notizie circa le coso domestiche, accenna alle sue occupazioni, o domanda se il fratello gli scriva di frequente, 323-321. Lo informa di certo vino prostato e resti¬ tuito, dello stato della verdea, o desidera qualche capo di selvaggina por la monaca ammalata, 328-329. Ha ricevute lettore dal¬ l’Ambasciatrice, e sta in soggezione d* una sua prossima visita insieme con altra si¬ gnora: ringrazia della cacciagione ricevuta o dice dell’uso fattone: attende a preparare dei dolci, che gode sapere molto graditi dal¬ l’Arcivescovo, 331-333. Annunzia l’arrivo di certo vino da S. Miniato al Tedesco, 336. Dopo alcuni particolari domestici, esprimo il desiderio della organista del monastero d’avere della musica in cambio del mottetto che essa organista ha mandato: scrive, non credere di viver tanto da giungere all’ora del ritorno di lui, 342-343. Si vale d’una pro¬ pizia occasione, per ringraziarlo d’un dono ricevuto e per mandargli qualche confettura. Ha udito ch’egli è stato graziato di tor¬ narsene a casa, ma non sa persuadersi di tanto bene, finche non lo venga da lui con¬ fermato, 351. Esprime la propria allegrezza per l’annunzio del suo ritorno, 352-353. L’Ar¬ civescovo di Siena le manda della caccia¬ gione, eh’essa ricambia con altri doni, XTI, 13, 48-49. Sua gravo malattia, 57, 73. Sua [Galilei Virginia morto, 80, 81, 82, 83, 102, 116, 294. Legato disposto a suo favore da G. nel primo te¬ stamento, XIX, 521. Nominata, XIII, 348 355, 366, 367 ; XI, 43, 61, 61, 78, 79,80, 84, 91,92,100,101, 118, 125, 127, 145,163,172, 173, 176, 182, 197, 198, 204, 209, 220, 261, 305, 306, 310, <116, 320, 329, 339, 318; XYl’ 35, 102, 134, 279; XIX, 15, 458. Galilei Virginia di Vincenzio noi Lan- duooj. — V. Landucci Galilei Virginia. Galilei Alto viti Fjunoksoa. XIX, 15. Galilei Ammansati Giulia. Suo matri¬ monio con Vincenzio Galilei sen., XIX, 17, 600. Acconti e quietanza della sua dote, 18- 20. Gravemente ammalata, X, 44. Avvisa G. delle proteso del cognato Landucci, 61. Sue lettore ad Alessandro Piorsanti, 268-269, 270, 279. Noi ritorno da Padova a Firenze conduco seco la ni potimi Virginia, 269. Suo carattere, XII, 494. È mantenuta da G. presso il genero Lami ucci, XIX, 200. Sua morte, XIII, 51; XIX, 443. Nominata, X, 18, 44, 60, 81, 82, 113; XIV, 178; XIX, 15, 26, 27. Galilei Bandinelli Anna Chiara. Mo¬ glie di Miohelangiolo Galilei, X, 192, 194; XII, 340; Xm, 347, 354, 355, 366. In Fi¬ renze con i figliuoli presso G., 394, 398, 399, 400, 401, 402, 405, 406, 407, 408, 409, 410, 411, 412, 415, 417, 418, 432, 439. Ricondotta a Monaco con i figliuoli, 445. Rimasta ve¬ dova, ai raccomanda a G., XIV, 210, 258; o ne riceve un sussidio, 310, XIX, 475. Si rac- coummla novameute con i figliuoli a G., XV, 369. Sua morto, XVI, 459, 476. Nominata, XIX, 15. * Galilei Boooiiineri Sestilia. Moglio di Vincenzio inn., XIII, 466; XIV, 14, 20, 26, 38, 40, 42, 45, 51, 55, 76, 87, 93, 94, 99,100, 109, 132, 174, 175, 220, 216, 265, 320; XV, 87,89, 97, 110, 143, 177, 208, 238, 272, 285, 287, 316; XVI, 93, 156, 279, 422; XVIII, 312, 313; XIX, 15, 430, 431, 442, 491, 492, 524, 525, 527, 523. Galileo] INDICE DEI Galilei BEitTiiNGniEiu Elisabetta. XIX, 15. Galilei Degli Agli Tancia. XIX, 15. Galilei Dello Stecchito Alessandra. XIX, 15. Galilei di Callo di Brrqo da S. Maria a Monte Maddalena. XIX, 15. Galilei Gaetani Clariob. XIX, 15. Galilei Pànoetti Alessandra. XTX, 15. Galilei Pkrosio Rosa Maria. XIX, 15. Galilei Pilli Maddalena. XIX, 15. Galilei .... Antonia. XIX, 15. Galilei_Doratba. XIX, 15. Galilei_Maroiikuita. XIX, 15. Galilei .... Massimiliana. XVIII, 181; XIX, 15. Gal deista. Così chiamati i seguaci di G., XII, 144; XIX, 311. Tale si dichiara il Torricelli, XIV, 387. Galileo. Nasce in Pisa, XIX, 23-24, 205, 20G, 509, (535. È battezzato nella Primaziale, 25. È in Firenze con la famiglia, X, 10. At¬ tendo quivi ai primi studi appresso un mae¬ stro di «vulgar fama», IX, 275-278; XIX, (J01-G02, G35. È colpito da oftalmia nel Mo¬ nastero di Santa Maria di Vallombrosa, dove pare stesse facendo il noviziato : è corto che udì i precetti della logica da un Padre Maestro Vallombrosario, IX, 270, XIX, 46, 602. Ritorna presso la famiglia, X, 21. Viene immatricolato fra gli scolari Artisti dello Studio di Pisa, dove attende agli studi di me¬ dicina, di fisica aristotelica e di filosofìa, I, 12; IX, 279, 201-20^; XIX, 32, 602. Avverte l’isocronismo dello oscillazioni del pendolo, e lo applica alla misura della battuta del polso, 603, 048-G49. È introdotto nello stu¬ dio della geometria, XVI, 524; XIX, 591, 603, 636-637. Trascrive o compila gli Iuve- nilia, I, 9-13. Trova le dimostrazioni di al¬ cune conclusioni de centro gravitati so- lidorum , 182, 183, 184-185; Vili, 313; X, 21-22; XVI, 524; XIX, 605. Attornio a stu- NOMI ECC. 1S3 diaro lo opere di Archimede De aeqmpon - derantibus e Dehis quae velmntur in aqua: inventa la hilancetta e no descrive l’uso: compone una tavola delle proporzioni delle gravità in ispecie dei metalli e delle gioio pesate in aria e in acqua, I, 211, 215, 223; XIX, 605. Studia e postilla l’opera di Ar¬ chimede De sphacra et cilindro, I, 231. Legge matematica in pubblico cd in privato a Siena, e privatamente a molti gentiluo¬ mini anche in Firenze, XIX, 36, 46. Suo pri¬ mo viaggio a Roma; conferisce col P. Clavio intorno allo sue conclusioni circa il contro di gravità dei solidi, X, 22. Fa istanza al Reggimento di Bologna per ottenere una lettura di matematica in quello Studio, 26; XIX, 36. Tiene due pubbliche lezioni nel¬ l’Accademia Fiorentina intorno la figura, sito o grandezza dell’Inferno di Dante, IX, 8; X, 66. Entra in relaziono con G. U. del Monte, o comunica a lui pure le conclusioni e dimostrazioni sui baricentri dei solidi, 25. Aspira alla let tura di matematiche nello Stu¬ dio di Pisa, 36; ed a quella istituita in Fi¬ renze da Cosimo I, 36, 37. Comincia ad aspi¬ rare alla lettura di matematiche nello Studio di Padova, rimasta vacante per la morte del Moleti, 42. Partito da Firenze con Gio. Bat¬ tista Ricasoli Baroni, lo accompagna a Pi¬ stoia, Serravalle, Pescia, Lucca, Sarzana, Sestri, Kapallo e Genova, 39-40; XIX,.51-81. Essendo per più giorni alla Torricella in Chianti, villa di G. B. Ricasoli, corre pericolo di essere ucciso per orrore con una archibu- giata da Pier Battista Ricasoli, 70-71. Viene da Pisa a Firenze, e quivi si trattiene circa un mese, 48, 40, 86, 88. Gli è conferita la cattedra di Matematica nello Studio di Pisa, 30, 43, 591, 605, G38. Legge P orazione inau¬ gurale, 43. Depone come testimonio noi primo processo per la successione di G. B. Rica¬ soli Baroni davanti al Magistrato Supremo in Firenze, 47-84. È appuntato per man- INDICE DEI NOMI ECO. 184 canze alle lozioni nello Studio di Pisa, es¬ sendo assente dulia città, X, 43-44; XIX, 43. Inventa la cicloide, e ne concepisce l’appli¬ cazione alila forma da dare agli archi dei ponti, XYUI, 153-154. Istituisce esperimenti sulla caduta dei gravi dalla Torre di Pisa: suo scritture Ve molti, I, 240; XIX, 606. Compone alcuni commentari all'Almagesto di Tolomeo, I, 314. Scrive al padre di un dono che sta preparando alla sorella Virginia per il suo matrimonio, X, 46. Scrive il Capi¬ tolo contro il portar la toga, IX, 22. Depone come testimonio nel secondo processo per la successione di G. B. Kicasoli davanti gli Uf¬ ficiali della Gabella de’ Contratti in Firenze, XIX, 89. Temondo di non esser confermato, allo spirare del triennio, nella lettura di Pisa, pensa di procurarsi altrove un collocamento, 606, 688. Si reca a Cesena, a vi fa cono¬ scenza personale col Chiaramonti, XI, 566. E in Venezia por sollecitare il couforimonto della lettura di matematica nello Studio di Padova, X, 47. Ottiene, con la mediazione di G. V. Tinelli, un prestito di 200 fiorini da Giovanni Micino!, 48. Avuto affidamento della sua elezione, torna a Padova in com¬ pagnia del Residente toscano G. Uguccioni, o gli manifesta l’intenzione di tornare a Firenze, affine di chiedere la debita licenza al Granduca, 49, 60. È eletto dal Senato Veneto alla lettura di matematica nello Stu¬ dio di Padova per quattro anni di fermo e due di rispetto, con la provvisione di annui fiorini 180, XIX, 111. Parte per Firenze, X, 50. È in Padova, ospite di G. V. Pinelli, 51. Tiene il suo discorso inaugurale nello Studio di Padova, 53. I)à principio alle le¬ zioni, XIX, 121. Suo parere a G. Contarmi circa la più opportuna posizione dei remi nello galere, X, 55-57. Stende per uso dei suoi scolari un trattato di Fortificazioni, II, 9. Va a passare l’estate in famiglia, X, 62. Contrae in Firenze un debito di duecento LCalileo scudi verso I. e B. Corsi, con malleveria di N. Lapini o B. Landucci, XIX, 571. Argo¬ menti dello suo lozioni nello Studio di Tadova, 119, 120, 121, 122. Inventa una macchina da alzar acqua, 126, 202, e la espe- rimonta nel giardino di casa Contarmi XVI 27 ; XIX, 202. Ottiene per essa un privi¬ legio dal Senato Voneto, 126-129, e B. Valori gliene chiede un disegno, X, 87-88. Spiega ad A. Mocenigo la fabbrica della lucerna di Erone, 64-65. Stendo per uso de’suoi scolari il trattato di Meccaniche, II, 149- Vili, 216; XIX, 606. Per soverchio fresco patito in una villa, cade in gravissima infer¬ mità, rimanendo poi por tutto il resto della vita afìlitto da dolori artritici, XVII, 221; XIX, 595, 621. Avendo ridotto a perfezione il compasso geometrico o militaro, comincia ad insegnarne l’uso, II, 337, 345, 370, 533; XIX, 607, Scrive a I. Mazzoni la lettera intorno all’opera di questo Ve compara- tione Aristotclis et Platonis, e dichiara di toner por assai più probabile la opinione doi Pitagorici e del Copernico circa il moto o sito della terra, elio l’altra di Aristotele e Tolomeo, II, 197s. Riceve il Prodromus del Keplero, o ringraziandone l’autore, scrive d’aver abbracciata « multis abbine aunis * l’opinione copernicana, VII, 3; X, 67-68. Stende per uso de’ suoi scolari un trattato di Sfera o di Cosmografia, II, 205; XIX, 606. Istituisce esperienze sulla forza della per¬ cossa e no scrivo un discorso, II, 153, 154, 1 190; XVm, 95. Prende prosso di sè il mec¬ canico M. A. Mazzoleni per fargli lavorare a conto suo strumenti matematici, XIX, 131- 147. Rilascia una procura a B. Landucci, suo cognato, per la riscossione d' una somma di denaro in Firenze, 209. È in Murano, ospite di G. Magagnati, 204. È confermato per sei auni nella lettura di matematica nello Stu¬ dio di Padova, con rassegno di fiorini 320 anuui, 113. È tra i fondatori dell’Accademia * Galileo] INDICE DEI dei Ricovrati, e deputato in essa ad incarichi speciali, 207,208. Da Marina Gamba, gli nasce una prima figlia, alla quale impone il nome di Virginia, 218. Marita la sorella Livia con Taddeo Galletti, dopo aver respinte per essa altre proposte, o si obbliga in solido col fratello al pagamento della dote, X, 81- 82, 81-85; XIX, 212. Impartisce in Padova privato insegnamento a molti gentiluomini italiani e forestieri, 149-158. Ha da Marina Gamba una seconda figlia che viene battez¬ zata col nome di Livia, 219. Rilascia procura a Filippo Mannucci per contrarrò in suo nome un prestito di cinquecento ducati, 211. Chiede ed ottiene dalla Repubblica Veneta l’anticipazione d’una annata di stipendio, X, 88-89. Incomincia ad occuparsi dell’armatura delle caiamite, 89. Conferisce con P. Sarpi i suoi pensieri sull’inclinazione degli aghi cala¬ mitati all’orizzonte, 91. Tiene nella propria casa gentiluomini italiani o forestieri a pen¬ sione, XIX, 159-166. Scrive a G. U. del Monte intorno all’isocronismo del pendolo ed alla legge delle corde, X, 97-100. Chiede ed ot¬ tiene dalla Repubblica Veneta una nuova anticipazione di un’annata di stipendio, 103- 104. Prende presso di sè inesser Silvestro, amanuense, per le copie di scritture da ven¬ dere ai suoi privati scolari, XIX, 166. Isti¬ tuisce le prime esperienze elio lo condus¬ sero all’invenzione del termometro, XVU, 377. É in Mantova, chiamatovi da quel Duca, ma non accetta d’entrare ai suoi servigi, X, 107, 109. Incomincia a tradurrò in versi volgari la Batracomiomachia d’Omero, IX, 278-279; XX, SuppL, 585. Scopre la legge degli spazi percorsi dai gravi li¬ beramente cadenti, II, 259; X, 115. Osserva per la prima volta la nuova stella doll’ot¬ tobre 1604, II, 294. Tiene tre pubbliche lo¬ zioni sulla nuova stella, 269, 526; X, 134- 135. Postilla la Consideratione astronomica circa la nuova stella di B. Capra, II, 290; NOMI ECO. 185 XIX, 608. Con la cooperazione sua, G. Spi¬ nelli stende e pubblica il Dialogo de Cecco di BonchUti in pcrjmosito de la stella nuova, n, 271-272, 312; X, 176-177. È precettato da T. Galletti, al pagamento di ottocento ducati per la dote assegnata alla sorella Livia, in conseguenza di che è costretto a sostenere una lite, X, 145; XIX, 214-217. Viene costretto a pagare altra somma in conto della dote assegnata alla sorella Vir¬ ginia, 209. È invitato dalla Granduchessa Madre a Pratolino por ammaestrare il Gran- principe Cosimo nell’uso del Compasso geo¬ metrico e militare, X, 146, 149. È ascritto all’Accademia della Crusca, XIX, 221. Ap¬ poggiato da commendatizie della Corto di Toscana, si reca a Venezia por sollecitare la riconferma nella lettura con aumento di stipendio, X, 147; passa a tale effetto tre set¬ timane in Venezia, e di là scrive al fratello Michelangiolo informandolo della cacciata dei Gesuiti, 157-158. Allestisce due compassi d’argento per il Grnnprincipe di Toscana, al quale si raccomanda, 153-154. Fa stam¬ pare nella propria casa in Padova i sessanta esemplari dell’opuscolo: Le Operazioni del Compasso geometrico e militare, che dedica a Cosimo de’ Medici, ricevendone una ricom¬ pensa, II, 367-368, 533, 538; X, 161; XIX, 167, 222-223, 608. È riconfermato per altri sei anni nella lettura di Padova, ed il suo assegno viene portato a 520 fiorini annui, X, 159 ; XIX, 114. Da Marina Gamba ha un figliuolo che è battezzato col nome di Vincenzio, 220. È ospite della Corte Toscana a Pratolino, X, 161, 164. Di ritorno a Pa¬ dova, è assalito da grave e pericolosa malat¬ tia, 162. Raccomanda alla Granduchessa Cri¬ stina, per la Corto e pel* lo Studio di Pisa, G. Fabrizio d’Acquapendente, 165-166; ed informa C. Picchena circa il medico Minadoi, 168. Presenta querela ai Riformatori dello Studio di Padova contro il plagio del Coni - \ \ Voi. XX. 24 18G INDICE DEI NOMI ECO. -passo di B. Capra, ed ottiene elio questi venga condannato, H, 538, 539, 649-559, 660; XIX, 224, 003. Pubblica in Venezia la sua Difesa contro il Capra, e ne manda un esemplare al Granprincipe Cosimo, II» 516,600; X, 177; XIX, 225-226,576. Attendo por parecchi mesi di seguito allo studio dolParmatura delle ca¬ lamite, X, 185s. Ottiene dalla Repubblica Veneta, con la malleveria di Cesare Cre- monino, l’anticipazione di un’annata di sti¬ pendio, 202. È tormentato da febbri insi¬ stenti, 209, 212. Discute, alla presenza di Cosimo de’ Modici, nella Villa Ferdinanda ad Artimino, intorno alle cose che stanno sull’acqua o che in quella si muovono, IV, 32; X, 220. Manda alla Granduchessa Cri¬ stina un’ impresa, nell’ occasiono delle nozze del Granprincipe Cosimo con Maria Mad¬ dalena d’Austria, 221-223; le raccomanda il cognato Landucci, 225, 227-228; e le fornisce un consulto astrologico sulla malattia del Granduca, 226. Si congratula col nuovo Gran¬ duca Cosimo II, 230*231. Ragguaglia Anto¬ nio do’ Medici intorno ai propri studi sulla meccanica, ed in particolare sul moto dei proietti e sulla resistenza dei materiali, ag¬ giungendo d’avere scoperto grandissimo pro¬ prietà della natura in materia delle acque o di altri lluidi, 228-230. Incomincia le prati¬ che per passare ni servigi del Granduca, 232-234. Si richiama ai Riformatori dello Studio contro il collega Annibaie Bimbiolo, che aveva mutata a suo danno l’ora della propria lezione, 236-237, 264-265. Compiuta un’opera «De’corpi gravi naturalmente mossi e de’proietti », manifesta al Valerio l’inten¬ zione di conferire con lui intorno ad essa, 244; e gli comunica due principi relativi alla teoria del moto, 218. Da 1. Giraldi gli sodo chieste le postille da lui fatte « sopra la prima stanza del Tasso », IX, 12-13; X, 244. G. Badovere gli annunzia da Parigi la com¬ parsa d’ uno strumento composto di lenti [Galileo entro un tubo per avvicinare alla vista gli oggetti, IH, 18, 60. Costruisce il primo cannocchiale, 18, 60; X, 253-254; XIX, 609. Sale sul campanile di S. Marco per mostrarne gli effetti ad alcuni patrizi veneti, 587, 609. Si presenta alla Signoria di Venezia e fa dono ad essa del cannocchiale accompagnato da una scrittura, X, 250-251 ; XIX, 588, 609. E confermato a vita nella lettura di Padova con l’annuo assegno di mille fiorini, X, 254; XIX, 115-117, 588, 009. Di ritorno da Fi¬ renze, è visitato in Padova dalla madre, che, partendo, conduco seco la nipotina Virginia, X, 268-269. Sue scoperte nella luna, nella Via Lattea e nelle nebulose, III, 20-35, 62- 79; X, 273-278; XIX, 610. Scuopre tre dei satelliti di Giove, III, 35, 80, 427; X, 277. Scuopre il quarto satellite, III, 37,82, 427. Dà a stampare in Venezia il Sidereus jNuncius, o no fa incidere le figure, X, 280. E di ritorno in Padova, dove prosegue lo os¬ servazioni, non interrotte durante il sog¬ giorno in Venezia, 283. I Riformatori dello Studio di Padova licenziano alle stampe un suo scritto intitolato: Astronomica denun- tiatio ad astrologos , XIX, 227. Il Sidereus Nuncius ò licenziato alle stampo dai Capi dol Consiglio dei Dieci, DI, 9, 58. Si pub¬ blica a Venezia in 550 esemplari il Side¬ reus Nuncius , nel quale, durante la stampa, ni titolo di Cosmica Sidera, primitivamente da lui pensato per i satelliti di Giove, X, 283, viene, in seguito al parere di 13. Vinta, sostituito quello di Medicea Sidera; invian¬ done un esemplare alla Corte, suggerisce il modo di osservarli col cannocchiale che servì a scoprirli, III, 9-10; X, 281-285, 288- 289, 297, 302. L’Accademia Delia di Padova rifiuta la proposta da lui fatta di servirla come matematico, D, 605-608; XIX, 125,231. Si reca a Pisa, per mostrare i Pianeti Medicei alla Corte di Toscana, X, 307. Il Granduca gli decreta una collana d’oro di quattro- Galileo] INDICE DEI conto ducati con una medaglia, in segno (li riconoscimento por la dedica dei Pianeti, 318, 370. Riceve dal Keplero la Dissertatio cum Nuncio Sidereo, TU, 10, 90-126; X, 319- 340, 358. Ospite del Magmi in Bologna, mo¬ stra all’Horky, al Koffeni e ad altri i Pia¬ neti Medicei, 313,358. Tiene tre lo/.ioni nello Studio di Padova intorno ai quattro Pia¬ neti Medicei, 348-349. Tratta con la Corte per trasferirsi a Firenze, 350-352, 355, 359- 360, 372-375, 387. Raccomanda a B. Vinta il suo amico G. Magagnati, 354-355. Rinunzia alla lettura nello Studio di Padova, XIX, 125. M. Ilorky pubblica contro di lui la Bre¬ vissima Peregrinano, III, 131 ; X, 386. Manda al Duca di Baviera un cannocchiale, 393; e ne è ricompensato con una collana d’oro e medaglia, XYHI, 411. È eletto Mate¬ matico dello Studio di Pisa e primario Ma¬ tematico e Filosofo del Granduca di Toscana, con l’annuo assegno di mille Bendi, X, 400, 403; XIX, 233, 252, 611, 644. Si congratula col Granduca por la nascita del suo primo¬ genito, X, 105. Scuopre Saturno tricorporeo, 410; XIX, 611. Scuopre le macchie solari, o le mostra agli amici di Padova o di Vene¬ zia, VII, 372; XIV, 299; XIX, 611. Il Ke¬ plero gli manda una sua dichiarazione con¬ tro l’Horky, dandogli facoltà di renderla pubblica, ma egli rinunzia a servirsene, X, 413, 50(5. Scrive al Keplero dei suoi cannoc¬ chiali, dello sue osservazioni, della sua ele¬ zione e de’ suoi avversari, 421-423. Annun¬ zia al Vinta la sua imminente partenza per Firenze, 424. G. A. Rofl’eni pubblica in difesa di lui l'Epistola apologetica , III, 200; X, 440. Col mezzo del cannocchiale da lui man¬ dato all’Elettore di Colonia, il Keplero vede i Pianeti Medicei, IH, 185; X, 439-440, 454- 455. Manda a Giuliano de’ Medici le lettore trasposto, nelle quali è Pannunzio della sco¬ perta di Saturno tricorporeo, XIX, 229. Parte da Padova, X, 430. Ospito del Ma- NOMI ECC. 187 gini in Bologna, osserva le posizioni dei Pianeti Medicei o li fa vedere ad alcuni scienziati e gentiluomini bolognesi, 430. E di ritorno in Firenze, 439. Accerta il Clavio, che non li aveva peranco veduti, della realo esistenza dei Pianeti Medicei, 431-432. In¬ comincia ad osservare le fasi di Venere, 499, 503; XI, 11; XFX, 612. Primo osservazioni dello macchie solari in Firenze, V, 84. Tra¬ sforma il telescopio in microscopio, III, 151, 164. Carteggia con Giangiorgio Brcngger in¬ torno alle montuosità della luna, X, 461, 466; XI, 13,38-41. Si trova aggravato da pa¬ recchie indisposizioni, X, 466. Manda a Giu¬ liano do’ Medici la spiegazione dell’enigma relativo a Saturno incorporeo, 474; e l’ana¬ gramma relativo alle fasi di Venere, espri¬ mendo la speranza d’aver trovato il me¬ todo per determinare i periodi dei Pianeti Medicei, X, 483; XIX, 612. Al Clavio, che gli annunzia d’avere finalmente veduti i nuovi Pianeti, comunica le osservazioni da lui fatte circa Venere e Saturno, X, 484, 499-501. Osserva in Fii*enze un’ecclissi lu¬ nare, 501, 504. Compone la Thcorica spe¬ culi concavi sphaerici, HI, 869. Corregge la canzone di A. Salvadori sopra le Stelle Medicee, IX, 231-272. Postilla la scrittura di Lodovico delle Colombe contro il moto della terra, III, 12, 251s. Manda a Giu¬ liano de’Medici la spiegazione doli’ana¬ gramma relativo alle fasi di Venere, XI, 11-12. È ospite di Filippo Salviati nella Villa delle Selve, 27, 265,266,278, 294,295, 419, 425, 427, 459, 465, 477, 485; XIX, 200. Ottiene dal Granduca il permesso di recarsi a Roma per mostrarvi lo sue scoperte ce¬ lesti, XI, 29. Comunica al Sarpi e ad altri le sue nuove scoperte ed osservazioni co¬ lesti, 46-50, 52-56, 61-63. Incomincia a di¬ stinguere con sicurezza l’uno dall’altro tutti o quattro i Pianeti Medicei, .HI, 405, 440, ì 441 ; XI, 54. Postilla la Aiàvoia di Fran- 188 INDICE DEI NOMI ECO. cesco Sizzi, IU, 2()ls; XI, 50, 69. Annun¬ zia al Clavio la sua prossima andata a Roma, 67. Avverte la magna coniunctio dei Pianeti Medicei, IH, 418, 481. Col mezzo di M. A. Buonarroti entra in relaziono col Card. M. Barberini, XI, 72. Parte da ! i- ronze, o per San (lasciano, Siena, San Qui- rico, Acquapendente, Viterbo o Montorosi si reca a Roma, III, 442; XI, 71, 78, 79-80, 83 ; XIX, 200. I Matematici del Collogio Ro¬ mano, interrogati dal Card. Bellarmino, pro¬ nunciano il loro parerò sulle sue scoperto ce¬ lesti, XI, 87-88, 92-93. L’Ambasciatore To¬ scano G. Niccoliui lo presenta a Papa Paolo V, 89, 92. Chiodo alla Corte il permosso d’alloggiare nella Villa Medici alla Trinità de’ Monti, 94. È ascritto all’Accadeinia dei Lincei, XIX, 265, 612. Mostra ad alcuni dei suoi contraddittori, e fra gli altri al Lagnila, alcuni pezzetti di pietra lucifera di Bologna, richiamando la loro attenzione sullo pro¬ prietà di essa, Vili, 469; XI, 223. Trova in Roma i tempi dello conversioni dei Pianeti Medicei, IV, 63-64; XI, 94; XIX, 612. Osserva in Roma le macchie solari, e lo mostra a molte illustri persone, V, 10,81,84, 95; XIX, 612. Il S. Uffizio delibera si esamini se egli sia nominato nel processo del Cremonino, 275. Alla sua presenza il P. 0. van Maelcote legge noi Collegio Romano il Nuntius Side' reus Collega Domani , III, 13, 293; XI, 1G2. Parte da Roma per far ritorno a Firenze, 121. Essendo caduto ammalato, è costretto a star¬ sene in letto per oltre un mese, 132, 158, 178-179. Istituisce esperienze, alla presenza di diversi gentiluomini, intorno ai fenomeni della condensazione, della rarefazione o delle galleggianti contro gli Aristotelici capita¬ nati da li. delle Colombe, IV, 5-6, 30-35, 64-66, 298, 318-319; XI, 176. Scrive a G. Gal- lanzoni intorno ai propri scoprimenti nella luna, 141-155; XYIII, 412. Da F. Papazzoni è eletto procuratore per stipulare lo stru- [Galileo mento dolla condotta di lui allo Studio di Pisa, XIX, 270-271. Scrive al P. Grienberger in materia dello montuosità dolla luna, XI, 178-203. D. Antonini gli scrive da Bruxelles che dei cannocchiali fabbricati in quelle parti non ve n’ha alcuno che moltiplichi la linea più di dieci volto, 204. Manda al Cigoli avvertimenti circa il modo di osser¬ vare le macchie solari, 214. Alla tavola del Granduca, presenti i Card. M. Barberini e F. Gonzaga, sostione le sue opinioni intorno 10 galleggianti, IV, 6; XI, 304, 317. È mal¬ levadore per B. Landucci in un atto col (pialo questi assogua la soprnddote alla figlia Isabella, monaca in S. Matteo in Arcetri, XIX, 574-575. Stendo i! Discorso sullo gal¬ leggianti, IV, 6, 58, 59, 141. Nota la rotazione % del sole, XI, 214. E ospite del Granduca nella Villa di Marignollo, 227. È travagliato da dolori continui di reni e di petto, con altri intermittenti por le membra, seguiti da gran profluvio di Banguo, 248. Postilla la Disjmtatio (le phoenommis in orbe lume del Lagallu, III, 309s. Osserva alcune macchie in Giove, 387. Ricevo dal Welsor una copia delle Tres F.pistolae de maculis solaribus dello Schoinor, V, 10-11, 23, 93; XI, 257. Ri¬ ceve da Margherita Sarrocchi il manoscritto della Scandorbeide per rivederlo, 265. Ado¬ pera per la prima volta il micrometro per misurare le elongazioni apparenti dello Me¬ dicee, III, 446. È novamente colpito da grave infermità, XI, 266, 267, 271, 291, 293, 295- 297, 299, 302. Avverte le ecclissi dei Pia¬ neti Medicei, già accennate nella lettola al Dini, IU, 422-423, 527, 591, 597; XI, 114. 11 Cesi gli manda Panello linceo, 286. Stende la prima lettera al Welser sulle macchie solari, Y, 94-113; XI, 293. Manda al Card. M. Barberini, insieme col Discorso sullo gal¬ leggianti, alcune osservazioni delle mac¬ chie solari e la prima lettera al Welser, 304-311, 322, 323. Compila delle nuove ta- INDICE DEI NOMI ECC. 180 Galileo] volo per i Pianeti Medicei, HI, 461-466; c scrive a Giuliano de’Medici d’averne trovati i periodi, XI, 335. Esprime al Gualdo il de¬ siderio che le lettere al Wolsor elio sta scri¬ vendo siano voltate in latino, 327. Espone al Cesi i suoi concetti intorno al sistema copernicano, 344-345. X’ostilla le Considera¬ zioni dell'Accademico Incognito, IV, 9, 153- 196 ; XI, 384. Finisce la seconda lettera al Welser sullo macchie solari, V, 116-141; XI, 322, 374; la manda al Cesi, 393, ed in Au¬ gusta per mozzo di G. F. Sagredo, 398, 407. il suo trovato per la determinazione dello longitudini in maro viene, dalla Segreteria di Stato di Toscana, proposto al Governo Spagnuolo, V, 415-417 ; XI, 392. Riceve VAc- curatior Disqitisitio dello Scheiner, la po¬ stilla, e risolve di scrivere una terza lettera sullo macchie solari, V, 37, 183; XI, 402, 416; od in breve la finisce, V, 186-239; XI, 426, 440. 1 Lincei deliberano che questo suo Lettere vengano pubblicate per cura dell’Ac- cademia, XIX, 265-266. Osserva Saturno soli¬ tario, XI, 438,439. Costruisce la Tabula bona per i Pianeti Medicei, III, 469, 471, 472. Attende a calcolare le costituzioni delle Me¬ dicee, da allegare alle Lettere sullo macchie solari, V, 241-245; XI, 459. Essendo a letto ammalato, scrive in risposta alla lettera sulle galleggianti indirizzata da T. Nozzo- lini a Mona. Marzimedici, IV, 295; XI, 457. E dal Castelli ragguagliato intorno ad una disputa avvenuta alla tavola del Granduca in Pisa intorno al moto della terra in rela¬ zione con le Sacre Scritture, 605-606; ed in¬ formatone anche da N. Arrighetti, scrive al Castelli una lettera circa il portar la Scrit¬ tura Sacra in dispute di conclusioni natu¬ rali, V, 264, 281-288; XI, 610. È tormentato da lunga e dolorosa infermità, XI, 558, 561, 598, 602; XII, 28, 30,41,44, 50, 51, 52, 53,63, 65, 68, 72, 94. Descrive il procedimento da lui ideato per determinare il peso dell'aria, 12, 35-36. Simone Mayr tenta d’usurpargli la scoperta dei Pianeti Medicei, 68; od i Lin¬ cei conferiscono circa la sua domanda come egli si dovesse comportare, XIX, 267. Ri¬ ceve in Firenze la visita di Luigi di Salignac e di Giacomo Tarde, al quale parla del suo microscopio e mostra lo effemeridi dei Pia¬ neti Medicei, 589, 591. 11 Domenicano Cuc¬ cilo inveisce contro di lui dal pergamo di Santa Maria Novella, XII, 123, 127. La sua lettera al Castelli è denunziata dal P. N. Lo- rini alla Congregazione del S. Uffizio, 140; XIX, 297-298; e ne è richiesto l’originale al Castelli dall’Arcivescovo o dall’Inquisitore di Pisa, XII, 154, 158, 161, 165; XIX, 276, 306. Scrive a Mons. Dini in difesa del si¬ stema copernicano, V, 264-265,291-296, 297- 305; XII, 142, 161, 183-185. Pubblica sotto il nome del Castelli la Risposta , per la mag¬ gior parto stesa da lui stesso, alle opposi¬ zioni mosse contro il suo Discorso sulle gal¬ leggianti, IY, 7, 13-14, 451, 453. Scrive la lettera alla Granduchessa Cristina di Lorena in difesa del sistema copernicano, V, 265- 266, 309-34S; XII, 214. Si mette in diretta relazione col Foscarini, 180, che gli scrive intorno all’ opinione copernicana, 115-120. È visitato da G. B. Baliani, al quale fa al¬ cune comunicazioni circa la dottrina del moto, 186. Il S. Uffizio ordina che le sue Lettere sulle macchie solari vengano prose in esame, XIX, 278, 318, 320. Ottenuto il permesso dal Granduca, va per la terza volta a Roma con l’intento di difendersi dalle calunnie dei suoi nemici e d'impedire la proi¬ bizione della dottrina copernicana, XII, 203- 206. Tiene informato il Picchena sull’anda¬ mento del processo che s’istruiva in Roma, 208-209, 211-212, 220, 222-223, 225-226, 227- 228, 229-232, 233-235, 238-239, 243-245, 247- 249, 250-251. In conversazioni di dotti, e specialmente in casa Cesarmi, sostieno l’opi¬ nione del Copernico, 212. Stende il Di- 190 INDICE DEI NOMI ECO. scorso sul flusso o reflusso del maro, V, 378, 377-395. Assisto ad un’adunanza doi Lincei, e vi patrocina l’elezione di Y. Cesarini, del Italiani e di G. B. e T. Rinucciui, XIX, 268. È visitato alla Trinità de’ Monti da T. Cac- cini, ed ha con lui una conferenza di quat¬ tro oro, XII, 231. È ricevuto in udienza dal Card. Borghese, nipoto dui Papa, o gli pre¬ senta la commendatizia del Granduca, 235. Stende varie scritture in difesa del sistema co¬ pernicano, Y, 266-267, 277, 349-370. F. Ingoli gli indirizza la Disputatio de situ et quiete tcrrae contro Copernici systerna, 103-112. Il Granduca gli concede il permesso di recarsi a Napoli, XII, 237. Pronunciata dal S. Uf¬ fizio la censura contro lo due proposizioni della stabilità del sole e del moto della terra, d’ordine del Pontefice egli viene ammonito dal Card. Bellarmino, XIX, 278, 321-322. Scrive al Duca Muti sulle ineguaglianze della superficie della luna e sull’impossi¬ bilità clic siano in essa corpi organici, XII, 210-241. È ricevuto in udienza particolare dal Pontefice, 248. E esortato dal Picohena, a nome dei Grauduchi, a quietarsi, a non trattare più degli argomenti incriminati, e tornarsene a Firenze, 250. A Roma, Pisa o Venezia corre voce che egli sia stato co¬ stretto ad abiurare, 254, 257, 265. Sue trat¬ tative con la Spagna per la cessione del suo trovato per la determinazione delle lon¬ gitudini in mare, V, 417; XII, 253, 289-295, 321-328, 358-361; XLV, 53, 92, 202-204,3-49, 374. 11 Picchena, in seguito alle informazioni dell’Ambasciatore Guicciardini e d’ordine dei Grauduchi, lo richiama a Firenze, XII, 259, 261. Il Card. Bellarmino gli rilascia un’atte¬ stazione, dalla quale risulta non avere egli abiurato nè essere stato penitenziato, XIX, 348. Torna da Roma a Fironze, XU, 264. Osserva le appendici di Saturno in forma anulare, 276. È invitato da G. A. Rofleui ad aspirare alla lettura di matematica nello [Galileo Studio di Bologna, 302. È in Pisa, reduce da Livorno, dove si era recato por esperimon- taro il Celatone, 311. Prende in affitto la villa eli Bellosguardo, e va ad abitarla, XIX, 183. Incomincia ad usaro la «Tavola di Bel¬ losguardo* per i Pianeti Medicei, III, 473 701-702. E visitato a Bellosguardo dal Mar¬ chese Lelio Pignono d’Oriolo, elio conferisce con lui intorno al suo trovato per la deter¬ minazione delle longitudini, XII, 327, 357 . Afflitto da insistenti indisposizioni, è visi¬ tato dall’Arciduca Leopoldo d’Austria, 374 380, 383, 388, 889; al quale poi scrive in¬ viando strumenti 0 libri ed entrando, per la prima volta dopo il divieto, a trattare del sistema copernicano, 389-392. Va in pel¬ legrinaggio a Loreto, 392, 395; XIX, 424. Cade novamento ammalato, XU, 421, 422, 435, 438, 439, 443, 461, 471. Domanda ed ottiene la legitlimaziono del figlio Vincen¬ zio, 441, 461-452; XIV, 40-41, 42-13; XIX, 426-426, 432. E informato dal Ciampoli che il Discorso delle comete, pubblicato sotto il nome del Guiducei, bonchò opera quasi esclusivamente sua, e indirizzato contro la Disputatio astronomica de tribus comctis, tenuta dal Grassi al Collegio Romano, è sommamente spiaciuto ai Gesuiti e che questi si apparecchiano alla risposta, la quale vien poi data alla luce por opera del P. Grassi sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi e col titolo di Libra astronomica ac philosopliica , nominatamente dirotta contro di lui, VI, 5-6, 8-12, 39s, 11 ls; XU, 4GG, 494; XVIII, 423. Avendo incontrato un divario « maxi- mae cxorbituntiae > fra lo effemeridi e le osservazioni dei Pianeti Medicei, ne inter¬ mette lo studio, III, 422, 807. Partecipa al Liceti una mutazione nell’ aspetto di Sa¬ turno, XIII, 13. Prosegue lo trattative con la Spagna per la determinazione dello lon¬ gitudini in mare, 17-19. Manda al Card. F. M. del Monto uno de’ suoi occhiali « da INDICE DEI NOMI ECC. 191 Galileo] vedere d’appresso », 36, 40. Sollecitato a ri¬ spondere alla Libra, interroga gli amici di Roma circa la persona alla qualo debba indirizzare la risposta, 37, 43, 46. Il Card. M. Barberini gli manda VAdulatio perni¬ ciosa, composta in suo onore, 48. Eletto Consolo dell’Accademia Fiorentina, sostitui¬ sce in suo luogo Alessandro Sertini, 90 91; XiX, 444. La risposta alla Libra , intorno alla quale teneva informati gli amici, è da lui finita, e col titolo di Saggiatore man¬ data a IVlons. Virginio Cesari ni, perchè sia esaminata dai Lincei e poi data alle stampe, XUI, 80, 90, 98. Deposita duemila fiorini al Monte di Pietà di Firenze, XIX, 446. Comu¬ nica al Ciampoli di avere perfezionato il suo Discorso sul flusso e reflusso del mare, XIII, 104. Il Saggiatore, approvato per la stampa dal P. Niccolò Riccardi, viene pubblicato e dedicato dai Lincei ad Urbano Vili, VI, 201; XIII, 129, 140, 142. Si reca per la quarta volta a llonm, seguendo la via di Perugia e d’Acquasparta, dove è ospite del Cèsi, 169, 175, 177. Ila in Roma lunghe c ripetute con¬ ferenze con parecchi Cardinali, sei udienze dal Papa, dal quale riceve doni e la promessa di una pensione per il figliuolo, e torna a Firenze, accompagnato da un breve del Papa al Granduca, 177-183, 185. Perfeziona il mi¬ croscopio composto, ne invia esemplari nl- l’Imperiali ed al Cesi, e comunica a que¬ st’ultimo di essere « tornato al flusso e reflusso », 199, 201, 208-209. Stende la rispo¬ sta alla Dispulatio dell’Ingoli, e la manda a M. Guiducci in Roma, dove vien data ad essa larga diffusione, VI, 509-561; XIII, 212, 215. Comunica a C. Marsili d’andar continuando il Dialogo del flusso e reflusso, « che si tira in conseguenza il sistema copernicano », 236. Ricorda al Card. F. Barberini la promessa di pensione per il figliuolo, 242-243. Invita C. Marsili a Bellosguardo, 248-249, e gli annunzia l’elezione a Linceo, 256, parteci¬ pando poi il gradimento di lui al Cesi, 260. Vien proposto al S. Uffizio che sia proi¬ bito o corretto il Saggiatore , ma, sopra re¬ lazione del P. G. di Guevara, la cosa non ha effetto, 265, 393. Riprendo il lavoro del Dialogo , dopo una sospensione dovuta a pa¬ recchie indisposizioni, 260, 264. L’Arciduca Carlo d’Austria, in segno di ricognizione por alcuni strumenti da lui ricevuti, gli re¬ gala una bellissima collana gioiellata, XIX, 595, 630. Raccomanda B. Hertz al Marsili, o col mezzo di lui gl’invia l’anello linceo, XIU, 272. Chiede ed ottiene dal Granduca un posto nel Collegio di Sapienza in Pisa por il figlio Vincenzio, 282; XIX, 427. At¬ tende ad istruire nelle meccaniche il Gran¬ duca Ferdinando li, XIII, 289. Si occupa della soluzione di problemi attinenti al¬ l’idraulica, 289,291, 294. Riprende gli studi attinenti all’armatura delle calamite, 328. Pronuncia la sua decisione intorno alla que¬ stione concernente la stima di un cavallo, VI, 565-568, 572-574, 582-598; XUI, 301. De¬ posita altri mille fiorini al Monte di Pietà di Firenze, 350; XIX, 447. Comunica al Ca¬ stelli gli ultimi resultati ai quali era per¬ venuto circa le orbite dei Pianeti Medicei, XIII, 370. Ospita presso di se per circa un anno la famiglia del fratello Michelangelo, 371, 445. Raccomanda S. Bossi al Keplero, 374-375. Postilla la liatio ponderimi Librac et Simbellue del Grassi, VI, 7, 18-19, 373 s. Colpito da gravissima malattia, è ridotto in fin di vita, XIII, 402, 405; e seguita ad es¬ ser tormentato da doglie acerbissime, XIV, 16. Travagliato dalla mala condotta del ni¬ pote Vincenzio, XIII, 433-434. A sua do¬ manda, è descritto alla Decima per poter godere della cittadinanza fiorentina ; è poi veduto di Collegio, e squittinato ed abilitato agli « otto uffizi », XUI, 457, 458; XIX, 476-479, 484, ed eletto di Collegio, XIV, 119; XIX, 485, e del Consiglio dei Dugento, 486. 192 INDICE DEI NOMI ECO. Raccomanda il Cavalieri al Card. I. Aldo- brandini, XIII, 462-463 ed al Riarsili, XIY, 25, 32, 35-36, che poi ringrazia per la parte avuta noU’elezione, 45-46. Fa presentare al Granduca l’opera del Castelli sulla misura dello acque, 11-12. Dopo lunga interruzione, rincresciuta agli amici, riprendo il lavoro del Dialogo, TU, 4; XIII, 365; XIY, 49, 60. I suoi nemici tentano di privarlo dello sti¬ pendio ohe riBCoteva dalla cassa dello Stu¬ dio di Pisa, 62; XIX, 487-490. Compiuto il Dialogo, elio già si legge in casa del Ca¬ nonico Cini, attende a rivederlo ed a farlo copiare, XIV, 64, 66, 67, 70, 79, 92. Il Papa gli concede una pensione annua di qua¬ ranta scudi sopra un canonicato della Cat¬ tedrale di Pisa, XIX, 465. S’impegna con una scritta al pagamento di un sussidio mensile al nipote Vincenzio Landucci, 506, 508. Dedicato il Dialogo al Granduca, ed ottenuto da lui il permesso di recarsi a Roma per sollecitarne la licenza di stampa, parte a quella volta, XIY, 97. Partecipa a Cr. Uocehineri d’essere stato ricevuto in una prima e lunga udienza dal Pontefice, e che ha cominciato a trattare il suo negozio con la speranza di buona terminazione, 105, 106. I suoi nemici fanno correre la voce in Roma ch’egli, sopra fondamenti di astrologia giu¬ diziaria. avesse predetta imminente la morto del Papa, 103, 111. Avuta notizia che il P. Maestro del Sacro Palazzo, col quale aveva concertate alcune modificazioni, avrebbe con¬ ferito col Papa circa il titolo dell’opera e che con altre poche variazioni avrebbe re¬ stituito il libro, ottenuto il suo intento, parte da Roma, 120-121. Scrive al Baliaui sulla determinata lunghezza dei sifoni, e lo interroga sulla possibilità di far stampare il Dialogo a Genova, 127-130. Consigliato dal P. Castelli; inizia le pratiche per avere il permesso di stampare il Dialogo in Firenze, 135; e l’ottiene, VII, 26. 11 Papa gli cou- [Gal ileo cedo una pensiono annua di sessanta scudi, portata poi a cento, sopra una Mansioneria della Cattedrale di Brescia, XIV, 132, 133 , 137; XIX, 471; e con ducale veneta ue è ammesso al godimento, 473. 11 Castelli gli comunica che, per ottenere dal P. Maestro del Sacro Palazzo la licenza del Dialogo, deve o tornare egli stesso a Roma, o man¬ dare una copia del libro porcliò alcune cose vongauo accomodato d’accordo col Ciampoli, XIV, 150; ma per mediazione doU’Amba- sciatricc di Toscana, il P. Riccardi si con¬ tenta oh’ egli non mandi tutto il libro, ma soltanto il principio ed il fine, cou questo però che esso sia riveduto in Firenze da un teologo Domenicano, 157; o per tale nffi- cio è gradito il P. G. Stofani, 167. Accerta N. Aggiunti «dell'acquisto conseguito nella dottrina del moto*, 1G1. È eletto, insieme con G. Parigi, a riferire sullo proposte con- ceruenti lo inondazioni del Bisenzio, 196, 198; XIX, 503-505; e stende intorno a que¬ sto argomento una scrittura, VI, 615-618, 627-647; XIV, 204. È interrogato dal Gran¬ duca circa i disegni per la facciata del Duomo, 217. Riceve la prima tonsura clericale, pre¬ scritta per godere delle pensioni ecclesiasti- oho, XIX, 579. Scrivo a 0. Riarsili intorno alle declinazioni dell’eclittica, XIV, 239-241, 280-281. Non è gradito dui Pontefice il titolo « Del flusso e reflusso » da lui proposto per il Dialogo, XIX, 327. Vincenzio Landucci gl’intenta una lite per mancato pagamento del sussidio mensile promossogli, 506-507; e dal Magistrato Supremo è condannato a con¬ tinuarglielo, 507-511: dopo di che, a conclu¬ sione della lite, viene stipulata una con¬ venzione, 511-514. Compie le pratiche per la licenza del Dialogo, e ne imprende la stampa, XIY, 276, 281, 284-285; XIX, 330. È un’altra volta ricercato del suo parere intorno a provvedimenti per ovviare alle piene del Bisenzio, VI, 617, 649-650; e pre- Galileo] INDICE DEI senta la sua relazione sulle proposte di S. Coccapaui per l’Arno, 617, 651-653; XIV, 285. Riceve da P. G. Orsini un esemplare della Rosa Ursina del P. Scheinor, 294-295. Prende a pigione la villa « Il Gioiello » in Arcetri, e va ad abitarvi, 288 ; XV, 109,119; XX, Suppl., 586-588. Acconsente a men¬ zionare il Riarsili nel Dialogo, XIV, 311. Francesco Morosini, Riformatore dello Studio di Padova, gli fa scrivere, offrendogli di far stampare il Dialogo a Venezia e di ricon¬ durlo alla lettura nello Studio, 321. Manda a Roma due esemplari del Dialogo, del quale è compiuta la stampa, VII, 27-28; XIV, 324-325, 331, 332, 339. E due ne manda al Diodati, 339-341. E colpito da grave ma¬ lattia d’occhi, 340, 352. Gli viene intimato di sospendere la diffusione del Dialogo , 375. Accenna all’intenzione di pubblicare un li¬ bro nel quale si tratti anche della linea descritta dai proietti, 386. Postilla la Fu¬ mosi ct antiqui problematis ecc. optata so¬ latio di G. B. Morin, VII, 15, 16, 562-568; XY, 23; XVI, 159. Gli viene ingiunto di presentarsi davanti al Commissario Gene¬ rale del S.Uffizio in Roma, 402; XIX, 279- 280, 330-332. Scrive al Card. F. Barberini, supplicando d’essere dispensato dall’ubbi¬ dire alla avuta intimazione, XIY, 406-410. L’istanza, presentata a suo nome dall’Am¬ basciatore Toscano al Papa, perchè gli sia risparmiato di locarsi a Roma, viene re¬ spinta, XIX, 280; e gli si intima di ubbidire, accordandogli la proroga d’un mese, 281, 333, 334. Nonostante un certificato medico, che attesta le sue pericolose condizioni di salule, con gravissime miuaccie gli viene ingiunto di partire, 281, 334, 335. Il Gran¬ duca gli fa intendere, essere giocoforza ub¬ bidire, ed egli si dichiara pronto, XV, 26; XIX, 335. Fa testamento, 520. Sollecitato con¬ tinuamente dall’Inquisitore, parte; e scon¬ tata a Ponte Contino la quarantena pei 1 la NOMI ECC. 193 peste, arriva a Roma, e si reca ad allog¬ giare presso l’Ambasciatore di Toscana a Palazzo di Firenze, XY, 27, 29, 34, 39, 40; XIX, 282. Appena arrivato, visita l’antico ed il nuovo Assessore del S. Uffizio, XV, 40-41. E sottoposto ad un primo esame, dopo il quale ò trattenuto al S.Uffizio, 94; XrX, 336- 342. Tre teologi, deputati all’esame del Dia¬ logo, pronunziano che con esso egli ha con¬ travvenuto all’ammonizione ed al Decreto della Congregazione dell’Indico del 1616; o duo di essi soggiungono, esservi vee¬ mente sospetto che tuttavia aderisca all’opi- niono copernicana, 348-360. 11 Commissario del S. Uffizio, chiestane licenza alla Con¬ gregazione, tratta con lui estragiudieial- meute, XV, 106-107; in seguito di che egli comparisce novamente, a sua domanda, da¬ vanti alla Congregazione del S. Uffizio e vi fa le concertate dichiarazioni, dopo le quali viene autorizzato a tornare a casa dell’Am¬ basciatore di Toscana, 109; XIX, 342-344. Citato, bì presenta por la terza volta al Tri¬ bunale del S. Uffizio, e gli viene intimato che nel termine di otto giorni prepari le sue difese; al che risponde, esibendo Patte- stazione rilasciatagli nel 1616 dal Card. Bel¬ larmino, accompagnata da un suo memo¬ riale, 345-348. G. Bocchi neri e N. Aggiunti asportano dal Gioiello carte e libri che sti¬ mano avrebbero potuto danneggiarlo, qua¬ lora P Inquisizione se ne fosse impadronita, XV, 179, 263, 365. Per ordine del Papa egli è esaminato sopra l’intenzione, con gravis¬ sime minaccio, dopo di che è trattenuto al S. Uffizio, XIX, 283, 361. Datagli lettura della sentenza, pronunzia e firma l’abiura, XV, 165; XIX, 283, 402-407. Viene auto¬ rizzato ad andare nel Palazzo dei Grnndu-. ehi di Toscana alla Trinità dei Monti, con precotto di averlo in luogo di carcere, XV, 165; XIX, 284. Supplica il Pontefice a vo¬ lergli commutare il luogo assegnatogli per 194 INDICE DEI carcere in Poma con altro simile a Firenze, XV, 10(5; XIX, 862. Per concessione del Papa, ottiene d’csser relegato a Siena, dove si reca presso quell’A rei vescovo, XV, 170, 174; XIX, 284, 363, 364, 617. Invoca, ma inutilmente, la mediazione del Granduca perchè venga impetrata la sua liberazione, XV, 187-188, 200, 217, 216. Attende in Siena a studi sulla resistenza dei materiali, Vili, 12; XY, 248, 257, 284; XVI, 59. Si pro¬ cura una copia della sentenza pronunziata contro di lui e della relativa abiura, XV, 245. Riceve in Siena la visita del Sig. r di Saint-Araant, al quale mostra gli studi di cui si stava occupando c le lettere di Suor Maria Celeste, 354, 363; XVI, 63. Chiesta inutilmente la sua liberazione, dopo nuovo suppliche gli viene concesso di ritirarsi nella villa d’Arcetri, XV, 326, 341, 350- 354; XIX, 285, 286, 389, 391, 617. Tornato ad Arcetri, vi ricove poco dopo la visita del Granduca, XVI, 14, 59. Da Siena è mandata al S. Uffizio una denunzia anonima contro di lui e contro l’Arcivescovo suo ospite, 393. Viene respinta la domanda da lui fatta di potersi trasferire in Firenze por curare le proprie infermità, XVI, 45; XIX, 286, 393-394. Incomincia a postillare le Escrci- talloni filosofiche di A. Hocco contro il Dia¬ logo , Vii, 17, 571, 592s; XVI, 61. Assumo informazioni per far stampare a Lione quei suoi nuovi studi, che furono poi i Discorsi delle Nuove Scienze, 72. Fuor di sè per la morte di Suor Maria Celeste e per l’aggra vaisi dolle indisposizioni fisiche, si reputa in fin di vita, 84-85. Acquista sulla Costa di S. Giorgio in Firenze una casa contigua a quella precedentemente comperata dal figliuolo Vincenzio, 98; XIX, 495$; e a ca¬ giona di tale acquisto è involto in una lite, 498-501. Ragguaglia il Diodati intorno ai suoi passati e presenti travagli, agli oppo¬ sitori al Dialogo, e conferma il suo propo- NOMI ECC. [Galileo sito di pubblicare i libri del moto od altro sue fatiche, XVI, 58-60, 115-119. Deposita altri cinquecento fiorini al Monte di Pietà di Firenze, XIX, 449. Comunica al Micanzio che il trattato del moto, tutto nuovo, è al- l’ordino, XYI, 1(53. 1/Ambasciatore di Fran¬ cia Francesco di Noailles da un lato, ed il Peiresc dall’altro, fanno inutilmente istanze al Papa ed al Card. F. Barberini per la sua liberazione, 169-171, 179, 200, 245-246. Ri¬ cove in Arcetri la visita di P. Carcavy, che gli offre di curare la pubblicazione dello sue opere, assumendone sopra di sè la spesa, 201-202. Consiglia al Cavalieri di lasciar stare certa appendice intorno alla defini¬ zione 5* del Quinto di Euclide, della quale intendeva egli stesso di occuparsi, VILI, 27; XVI, 191, 204. Incomincia a mandare al Mi¬ canzio il manoscritto dei Discorsi delle Nuove Scienze, 200. L’Inquisitore di Vene¬ zia dichiara che per i suoi scritti v’è divieto generale di stampa in qualsiasi luogo, 193, 209. Ringrazia il Peiro.sc per la mediazione da lui interposta in favor suo presso il Card. F. Barberini, 215-216, 233-235. Scrive al De Villo in risposta alle suo obiezioni, 242-244. Si iniziano trattative por condurlo ad una lettura nell’ università di Amsterdam, 266. Consegna una copia dei due primi dialoghi dello Nuove Scienze al Principe Mattia de’ Medici, che andava in Germania, Vili, 14; XVI, 272-273; la quale perviene nelle mani di G. Pioroni, che si proponeva di curarne la stampa in Boemia, 300-302. Viene ritratto da Giusto Suhtermanus, 315. Deposita altri cinquecento fiorini «sotto persona innomi¬ nata » al Monte di Pietà di Firenze, XIX, 578; poi ritirati e riversati nel deposito a lui intestato, 450, 579. Pronuncia il suo pa¬ rere sull’angolo del contatto, XVI, 330. È visitato tre volte in Arcetri da G. di Heaugrand, 335, 340, al quale comunica il suo parere intorno al metodo proposto dal Galileo] INDICE DEI INI ori n per la determinazione delle longitu¬ dini, 340-344. Riceve in Arcetri la visita di L. Elzeviro, col quale tratta per la stampa dello sue opere, 451. Il Castelli gli parte¬ cipa clic il Card. A. Barberini iun. e l’Am¬ basciatore Francese hanno sincerato il Papa, non essere mai stato nelle sue intenzioni di offenderlo, cd essere stata una calunnia dei suoi nemici che egli lo avesse voluto raffi¬ gurare nella persona di Simplicio, 363, 449- 450; XX, Suppl. 581. Manda al Mi- canzio quattro dei Discorsi (Ielle Nuove Scienze che l’Elzeviro porta seco, partendo da Venezia, XVI, 456, 478, 486. Manda al Re di Polonia, elio ne lo avova richiesto, tre coppie di vetri per cannocchiali, e gli scrive delle persecuzioni che ebbe ed ha sofferte e soffro, 420-421, 458-459. Propone agli Stati Generali d’Olanda il suo ritrovato per la de¬ terminazione delle longitudini in mare, 463- 474. E invitato alla villa Granducale di Mez- zomonte, 485. Col permesso del S. Uffizio, si loca a Poggibonsi per incontrarvi il Conte di Noailles, e gli consegna copia di quattro dei suoi Discorsi delle Nuove Scienze, Vili, 18; XVI, 480, 500, 507. Consegna al Renieri gli originali di tutti i suoi lavori por la de¬ terminazione dei periodi esatti dei Pianeti Medicei, XIX, 020, 655. Scrive a Martino Or¬ tensio intorno alla proposta da lui presentata agli Stati Generali d’Olanda, XVI, 534-536. Attende alla terza parte delle sue specula¬ zioni intorno al moto, cioè agli studi sui proietti, 524; XVII, 11. E visitato in Arcetri dal Principe Gio. Carlo de’ Medici e dal pool a Coppola, 24. E colpito da una infiamma¬ zione all’occhio destro, che gli fa temere di perderlo, 30, 31, 42, 46, 57, 62, 68, 94, 96, 112, 114, 124, 125. Gli Stati Generali d’Olanda deliberano di presentargli una catena d’oro del valore di 500 fiorini, in segno di gradimento por la proposta loro fatta, 66; XJLX, 539. Chiede ed ottiene dal NOMI ECO. 195 Granduca elio il Peri lo assista per conti¬ nuare i Discorsi delle Nuove Scienze , VITI, 17 ; XVII, 76 Risponde iu una lettera al Carcavy ad obiezioni sollevate intorno ad al¬ cuno dottrino meccaniche contenute nel Dia¬ logo dei Massimi Sistemi, 88-93. Scrive al Kealio, rispondendo alle domando e scio¬ gliendo i dubbi sopra la pratica usuale dol suo ritrovato per la doterminaziono delle longi¬ tudini tanto in mare quanto in terra, ed in particolare del pendolo come misuratore del tempo, 96-105; XVIII, 436. Pensa di man¬ dare in Olanda il Renieri per persuadere gli Stati Generali dell’attendibilità delle sue proposte, XVII, 124. Annunzia al Dio¬ dati la perdita totale dell’occhio destro, mentre un profluvio di lacrimazione privn di quel poco d’ uso l'altro, clic già era im¬ perfetto, 126-127. Comunica al Realio la de¬ liberazione presa di mandare in Olanda il telescopio stesso del quale s’era servito per gli scoprimenti celesti e di cui avova fatto dono al Granduca, 174-175; di che viene dal Diodati biasimato, 1S1. Riceve in Arcetri una visita del Granduca, 176. E visitato in Arcetri dal nipote Alberto Cesare, venuto espressamente da Monaco, c clic si trattiene presso di lui circa uu anno, 187, 221, 384, 392, 395. Annunzia al Micanzio il peggiora¬ mento dell’occhio non ancora del tutto perdu¬ to, 211-212, e nuove osservazioni Bulla faccia lunare, 212. Stende il testo dello Operazioni astronomiche , Vili, 451; XVII, 212. È l'atto irreparabilmente del tutto cieco, 247, 255, 290. Tiene presso di se il P. M. Ambrogetta, della cui opera si giova come amanuense e nella stesura materiale di qualche scrit¬ tura e nella traduzione latina di altre, 88, 115, 211, 214, 220, 236, 237, 269, 291. Avuto affidamento dal Castelli di probabile buon esito, 234, 237-238, supplica la Congrega¬ zione del S. Uffizio per la sua totale li¬ berazione, 255. Comunica ai Diodati il di- 196 INDICE DEI NOMI ECC. segno delle sne opero futuro, 2(12. Gli Stati Generali d’Olanda incaricano M. Ortensio di recarsi in Italia per conferire con lui intorno alla sua proposta, 283-284; XIX, 512- 543. G. Trullio stendo un consulto intorno alla sua cecità, XVII, 298; XIX, 552-554; ed un altro ne riceve da un medico 1 .ionese, 554-557. Sopra sua istanza di poter soggiornare in Firenzo por curarsi dello sue infermità, ve¬ rificato elio egli è « totalmente privo di vista e cieco allatto», gli ò concesso di tra¬ sferirsi dal Gioiello nella cnsa sulla Costa di S. Giorgio, e di recarsi nei giorni di festa a sentir mossa nella chiesa di S. Giorgio, o di poter fare in occasione della Pasqua lo sue devozioni, XVII, 290, 310, 312, 313, 321, 324; XIX, 287, 288. Scrive ad A. Antonini una lettera snlla titubarono lunare, XVII, 291- 297. Rilascia al figliuolo Vincenzio procuro per riscuotere ogni suo credito, XIX, 438- 440; e per altre operazioni col Monte di rietà, 441-442, 515. Internatosi noi la specu¬ lazione della percossa, dichiara averne acqui¬ stata la sua quasi intera sodisfaziono, Vili, 26; XVII, 328. Deposita altri mille fiorini al Monte di Pietà di Firenze, XIX, 450-451. Comincia a mandare agli Elzeviri la tradu¬ zione latina d’alcune sue scritturo per l’edi¬ zione completa dello suo opore che disegna¬ vano di fare, XVII, 347; XVIII, 30. Gli viene presentata la catena d’oro decretatagli dagli Stati Generali d’Olanda, ma, in seguito alle disposizioni prese dal S. Ulfizio ed alle in¬ timazioni fattegli, ricusa di riceverla, XVII, 371, 372; XIX, 288, 289, S97, 619; del quale rifiuto gli viene espresso il gradimento del Papa, 289, 398. Afliitto e prostrato, consu¬ mato di forze e di carne, si reputa ridotto in fin di vita, XYII, 372; e detta il suo se¬ condo testamento, XIX, 522-531, al quale aggiunge più tardi un codicillo, 531-535. E visitato dal Granduca, elio gli porge di sua mano medicine, 595, 631; dal Miltou, 9, e [Galileo ripetutamente dal Castelli, elio ottiene di po¬ ter conferire con lui per ultimare gli 8 tudì relativi alla determinazione dei periodi dei Pianeti Medicei, XVII, 381, 382; XIX, 289, 395,396. Comunica a N. Arrighetti « un modo molto squisito di misurare il diametro delle stelle fisse ». Vili, 464-466. Ritrova la dimo¬ strazione relativa alla legge della caduta dei gravi lungo i piani inclinati, 214-219; XYII, 399. Distendo in dialogo il principio di una nuova Giornata (la cosiddetta Giornata se¬ sta) sulla forza della percossa, da aggiungere ai Discorsi delle Nuove Scienze, Vili, 27-30, 319.9. Spiega al figliuolo Vincenzio le soluzioni dei Problemi, dei quali da moltissimi anni aveva concepito il pensiero, 564-565, 598; XVII, 213. Manda agli Elzeviri la tradu¬ zione latina del resto dello suo opero, che si attendeva per incominciare la stampa della edizione completa, XVIII, 17, 31. Per rac¬ comandazione del Granduca, riceve presso di sò V. Viviaui, Vili, 472; XIX, 622. È con¬ cesso al P. Settimi di trattenersi presso di lui, XVIII, 41, 41. Chiede al Papa la sua completa liberazione, elio gli viene rifiutata, XIX, 290. Ricevo i Discorsi delle Nuove Scienze, che già prima correvano a Roma ed a Parigi per lo mani degli studiosi, e dei quali si stampa a Parigi una traduzione fran¬ cese, XVIII, 15, 23, 37, 45, 55. Annunzia al Castelli d’aver trovato il modo di determi¬ nare il numero delle gocciolo cadenti sopra una determinata superfìcie, Vili, 631; XVIII, 81-82, 85-86, 97. Scrivo al Baliani circa l’opera di questo sul moto dei gravi, 17-19, intorno alle Nuove Scienze, 75-79, o intorno alla misura del tompo mediante il pendolo, 93. Manda a F. Rinuccini la nota d’alcuni confronti tra la Gerusalemme Liberata o POrlando Furioso, 120-121, e gliene scrive, 192-193. Comunica al Castelli la dimostra¬ zione del principio sul quale si fonda la dot¬ trina del moto accelerato, Vili, 23; XVIII, Galleggianti] INDICE DEI 125-126; XIX, 622. Duo pittori, presentati dal Castelli, si accingono a ritrattarlo,XVili» 123, 129. Tenta di riannodare i negoziati con gli Siati Generali d’Olanda, 132-133, 140-141; XIX, 620, 655. Detta al Viviani in dialogo le dimostrazioni concernenti lo definizioni di Euclide delle proporzioni, YUl, 27; XIX, 622. Detta la lettera indi¬ rizzata al Principe Leopoldo intorno alla luce cinerea della luna, Vili, 470,542; XVIII, 165-166, 170-171, 195-196; clic indirizza poi al Liceti, Vili, 471, 543-545; o poi nova- mente al Principe Leopoldo, 471-472. Scrive al Castelli attendendo i lavori annunziati, XVIII, 178-179 e circa il ritorno della ap¬ parenza di Saturno, quale l’avo va la prima volta osservata, 238. Chiede al Granduca l’anticipazione d’nn semostro di stipendio, 210-211. Tiene presso di sè in Arcetri un bambino, occupandosi nella sua istruzione, 199, 267. È visitato dal Castelli, Vili, 26; XVIII, 303. Interrogato da F. Rinnccini, si pronunzia sulla verità del sistema coperni¬ cano, 314-315. Concepisce l’applicazione del pendolo agli orologi da contrappesi e da mol¬ la, e la comunica al figliuolo Vincenzio, XIX, 655-657. Prende presso di sè il Torricelli e gli comunica il principio di una nuova Gior¬ nata (la cosiddetta Giornata quinta) sopra le definizioni di Euclide delle proporzioni, da aggiungere ai Discorsi delle Nuove Scienze, VITI, 27-33, 347; XVIII, 358-360; XIX, 567, 626. Visitato da P. F. Rinuccini, vien tro¬ vato « fermo nel letto con una febbriciattola lenta», XVIII, 368. Il Micanzio gli scrive, offrendogli di riprendere le trattative con gli Stati Generali d’Olanda, 377. Sua morte, XIX, 558, 596, 623, 657. La sua salma è de¬ positata nel campanile del Noviziato in Santa Croce, 558, 624. Inventario della sua eredità, 563-567. Consulto sulla validità del suo te¬ stamento, e se fosse lecito erigere un mo¬ numento in suo onore, XYIII, 383; XIX, NOMI ECO. 197 535-537, 559-562. Provvedimenti del Papa o del 8. Uffizio intorno a quest’ultimo argo¬ mento, XYIII, 379; XIX, 290, 291, 399. No¬ minato, passim. Galizia (di) S. Giacomo. XH, 169. Gallatoti Agostino. — F.Galamini Ago¬ stino. *Gàllanzoni Gallanzone. Con l’occa¬ sione di accompagnare a G. una lettera del Colombe al Glavio, chiede il parere di lui circa le inegualità della luna, XI, 131-132; di che G. lo compiace, 137, 141-155; XYIII, 412. Ringrazia G. d’un cannocchiale man¬ dato al Card, di Joy case, XI, 211; c delle notizie comunicategli intorno alle macchio solari, 377; e gli scrivo delle osservazioni fattene da lui e da un gentiluomo suo amico, 488. E rimasto in possesso del cannocchiale già mandato da G. al suo padrone, XII, 281-282. Ha avuto la Disposta agli opposi¬ tori al Discorso sulle Galleggianti, e gli ac¬ compagna la lettera d’un suo amico, 329-331, contenente alcuni dubbi circa la mobilità della terra, 333. Nominato, X, 357 ; XI, 158, 210, 212, 214, 223, 229. ♦Gallanzoni Gio. Battista. XI, 377. *Gallé Giovanni. XVI, 272. Galleggianti. Si dimostra che i corpi più leggieri dell’acqua non possono in essa completamente sommergersi, I, 256-257, 350- 352, 381-384, 387 , 414, 416. Discorso di G. intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, IV, 5-6, 8-9, 57-141 ; frammenti ad osso attenenti, 7-8, 17-56. Scritture polemiche attenenti al Di¬ scorso di G. : Considerazioni eoe. di A. Pan- noechieschi d’Elci, sotto lo pseudonimo di « Accademico Incognito », con postille e frammenti della risposta di G , 6, 9,148-196; Operetta ecc. di G. Coresio, 6, 9-10,197-244 ; Errori di G-. Coresio occ., raccolti da B. Castelli, con correzioni ed aggiunte di G o di N. Arrighetti, 7, 11-12, 245-286; Vili, 108 INDICE DEI NOMI ECC. 3-1; lotterà di T. Nozzolini a Mona. Marzi¬ medici, IV, (5, 12, 287-293 ; lettoni di G. a T. Nozzolini, 6, 12, 295-310; Discorso apo¬ logetico eco. di li. Delle Colombe, 6, 0-10, 311-360; Considerazioni eoe. di V. Di Gra¬ zia, 6-7, 0-10, 371-140; Disposta alte oppo¬ sizioni di L. Delle Colombe e di V. Di Gra¬ zia oec., 7, 12-16, 440-789, e frammenti ad ossa attenenti, 12-13,441-447. Dispute intorno al fenomeno del galleggiano ed opposizioni alle conclusioni di G., passim; YIH, 111,637- 638; XI, 304-305, 317-318, 325, 326, 330, 331, 346, 358-359, 360, 361,453; XII, 16,32; XIII, 252, 360; XIV, 208; XVIII, 14; XIX, 612- 613: parere dui Welsor intorno ad osso, V, 185, 190-101. Peso grave sostenuto da poca acqua, IV, 674s; Vili, 638. — V. Acqua. Aria. Figura. * Gallesi Agostino. XII, 52, 111, 120; XIII, 26. Galletti _di Taddeo. XIX, 15, 206. Galletti Antonio. XIX, 15, 100. Galletti Cesare di.... XIX, 15, 213, 215, 216, 217. Galletti Cesare di Taddeo. Dà a G. notizie di sò e della famiglia durante la peste, XIV, 207. Eletto podestà a Fiesole, XV, 101, 140; sua mala condotta nell*ufficio, 162-163. Strapazza la muletta di G., presta¬ tagli da Suor Maria Celesto, 2-10. Suo oro¬ scopo, tratto da G., XXX, 205. Testimone al matrimonio di Vincenzio Galilei con Se- stilia Bocchineri, 431. Nominato, Vili, 34; XV, 178, 176, 199, 222; XVI, 37; XIX, 15. Galletti Girolamo. XIX, 15, 194,199. Galletti Paolo. VI, 568. Galletti Taddeo. Suo matrimonio con Livia Galilei, ed impegni contratti in tale occasione da G., X, 85. Lite da lui inten¬ tata a G. per il pagamento della dote, 142. 144, 145; XIX, 214-217. Suoi conti con G., 193-194, 197-199. Nominato, 15, 206. Galletti Galilei Livia. In serbauza (Gallesi Agostino noi Convento di San Giuliano di Firenze, manda suo notizio a G., X, 60. Matrimonio proposto per lei, non approvato da G., 81. Va sposa a Taddeo Galletti, 85; XIX, 193 212-213. Nominata, X, 61, 89, 142; XIX, 15, 195, 196, 198, 199. Galli (Sig. rl ). XIV, 261. Galli Agnolo. XIV, 281, 285, 305; XVI, 515. *Gali.i Anton Maria. XJI, 100. ♦Galli Iacopo. XII, 379, 385, 412, 421; XIII, 15, 28. Gallicano Gregorio. XIX, 416. ♦Galluzzi Tarquinio. Lettera a lui di¬ retta da M. Guidacci, VI, 6, 8, 183-196; XIII, 41. Nominato, 161, 202, Galluzzi Kigucoio. XV, 104. Galluzzo. XIX. 454, 494. ♦ Gai.ustino Francesco, Consultore del S. Uffìzio. XIX, 289. ♦Galvani Alessandro. XIII, 15. ♦Galvani Giovanni. XIII, 16. Gamba Andrea. XIX, 220. Gamba Antonio. XIX, 219. Gamba Marina. Lotterà a lei di G., X, 450. Denari da lui fattilo pagare, 505; XI, 469, 489; XII, 365. Madre dei figliuoli di G., XIX, 218, 219, 220. Nominata, X, 270; XI, 417; XII, 377, 502. Gambassi. XV, 139. Gambeuai. XVII, 242. Gamma Antonio. XIX, 228. Gand (di) Enrico. I, 34, 111, 134, 146. Gange. XII, 258. Ganimede. IX, 121, 153. Ganozi Domenico. XVI, 92, 274. Garretti. X, 113. Garoivil (Marchesa di). XI, 174. Garuani Gargano. IX, 278. ♦Garue.sio (da) Paolo. Inquisitore di Bo¬ logna, diffonde la sentenza pronunziata con¬ tro G. e la relativa abiura, XV, 183; XIX, 365. Garzoni Gaetano. XI, 513. Gentileschi Orazio] INDICE DEI Gasparo (Sig/). XIX, 168, 169. ♦Gasparo (di S.) Carlo. XVII, 368. * Gassendi Pietro. Incomincia il suo car¬ teggio con G., scrivendogli dol Sidereus Nundus , delle Lettere sulle macchie solari e dei propri studi, XIII, 275-279. Prose¬ gue ad intrattenerlo circa le sue osserva¬ zioni, 395-397; XIV, 139-140, 333-334. Gli scrive del Dialogo dei Massimi Sistemi, che ha ricevuto col mezzo del Diodati, 422-423. Scrive al Campanella circa la citazione di G. a Roma e lo prega di adoperarsi a com¬ porre il dissidio tra lui e lo Scheiner, XV, 115; il quale però gli scrive adiratissimo contro G., 47,183. Suoi scrupoli nel carteg¬ giare con G., 368; XVI, 14-15, 20-21, 32. Chiede a G. i vetri per un telescopio, 21, 28; ne è compiaciuto, 117, 119, 153, 154, 174, 184, e ne usa, 517. Osservazioni con esso fatte da lui e dal Poiresc, XVJLI, 34-35. Si conduole con G. per la sopravvenutagli cecità, gli scrive della morto del Peirosc e gli manifesta P intenzione di andarlo a visitare, 197-199; alla quale ò poi impedito di dare effetto, 207-208, 223, 245. Problema da lui proposto, XVIII, 91, 131. Sua let¬ tera al Liceti intorno alla luco secondaria della luna, 228-231, 270-271, 280, 281, 282, 329, 339. Scrive a G. Bardi intorno all’opera del Baliaui De motu naturali gravium soli- (loruni , 256, 436. Nominato, VII, 7, 15, 16; Vili, 486; XXV, 339, 340, 341, 359; XV, 23, 26, 113, 141, 184, 252, 363; XVI, 19, 29, 64, 99, 146,158, 159, 169,185, 252, 262, 268, 272, 273, 280, 325, 521 ; XVH, 18, 37, 55, 120, 196; XVIII, 272, 430, 431, 433, 434. Gattamelata. — V. Narni (da) Erasmo. Gatteschi Polissena nei Boooiuneri. — V. Bocchineri Gatteschi Polissena. * Gaudenti Paganino. XIII, 453; XVIII, 304. Gaueuido Giacomo. — V. Janilrcd Gia- NOMI ECO. 199 * Gaultikr Giuskite. Riceve dal Peireao il Dialogo dei Massimi Sistemi, XIV, 393. Suo discorso sullo vere dimensioni del solo o della luna o sulla loro distanza dalla terra, XV, 62. Gli è comunicata dal Peiresc la sentenza contro G., XVI, 19; ed una lettera di G., 262. Nominato, XIII, 278, 396; XVI, 159, 252; XVH, 69. Gnu leu (von) Carlo. XIX, 273, 397. Gemelli (segno). II, 231; 111, 166; VI, 49; VII, 286; XI, 49. Gemino. IH, 331. Gkminianus. — V. Mainardi Domenico. Gemma Cornelio. Osservazioni e calcoli sulla nuova stella del 1572, li, 284, 521; VII, 307, 320, 336, 337, 523, 624, 525, 526, 527, 529, 532; osserva un’ecclisse lunare nel mar¬ zo 1569, XV HI, 177. Generazione. Che cosa sia, I, 151s. Come avvenga noi cielo e nella terra, V, 235, 259$ ; VII, 606, 610s. È solamente fra i contrari, secondo Aristotele, 62. La ge- nerabilità e alterazione ò perfezione mag¬ giore nei corpi mondani che le condizioni opposto, 83. Fatta in terra per benefizio del¬ l’uomo, 85. Generini Franoesoo. Suo modello di oro¬ logio a pendolo, XIX, 659. Genesi. IH, 290, 374; V, 301s; XU, 47, 172. Genova. Porto, HI, 186. Flusso o re¬ flusso nel suo mare, VII, 446. S. Stefano, XVII, 29 ; XVIH, 162. Menzionata, XIX. 53, 54, 55, 56, 59, Gl, 68, 69, 73, 75, 78, 82, 85. Genova (di) Lorenzo. XI, 266. Genovesi [Genuknsis] Marco Antonio. XIX, 561, 562. Gentile Luigi. IX, 26. ♦ Gentileschi! Artemisia. Chiede la me¬ diazione di G. presso il Granduca, per otte¬ nere una largizione in cambio di due quadri presentati, XVI, 318-319. Gentileschi Orazio. XII, 133. conio. 200 INDICE DEI Geografia. Ricevo grande utilità dalla esatta determinazione delle longitudini, XVI, 466, 471, 490; XVII, 44, 48, 60, 74, 85. Geometria. Aristotele, poco vorsato in ossa, 1,302, ne fa poca stima, IV, 525, e tassa Platone d’essorno stato troppo studioso, VII, 229,423,744. Sua importanza noll’aBtro- nomia, II, 212; III, B23. Necessaria al per¬ fetto cavaliere e soldato, II, 607. Una ed eterna, secondo il Keplero, ILI, 123; X, 338. Non pregiudica all’acquisto della vera filo¬ sofia, IV, 49. Intelletto del Coresio privo di essa, 268,275-276. È impossibile iutendor cosa alcuna senza di essa, 688 ; YI, 296. Scarsa conoscenza elio no aveva il Brahe, 116, 230; XIV, 46. Contraddire ad essa ò negare scopertamente la verità, VI, 214 ; VII, 128- 129. Re suo ligure sono i caratteri nei quali ò scritto il libro dell’universo, VI, 232; XV1H, 295. Ignorata dal Grassi, Yl, 306. Voler trattare sonza di essa i problemi na¬ turali è tentare l’impossibile, VII, 60, 229. Dalmata dai filosofi peripatetici, 423. In essa tutti gli inconvenienti sono uguali, cioù mas¬ simi, 719. Le sue dimostrazioni sono appor¬ tatrici di guadagni sicuri, Vili, 99. Più potento strumento d’ogui altro por acuir P ingegno, 175. G. confessa d’essersi più oc¬ cupato in essa elio noi calcoli, XIV, 46; è tassato d’ignorante geometra dal Chiara- monti, XVII, 269. Singolari effetti dello con¬ clusioni geometriche, 159-160. La pietra la¬ vagna sopra la quale si disegnano le sue figure ò la pietra di paragone degl’ingegni, XIX, 629. Gepiiyuandeu Tommaso. III, 126. Geraco (Vescovo di). — V. Boschi Ales¬ sandro. * Geraldini Gio. Cosimo. X, 239 ; Xll, 213. * Gerardi Giulio. XIX, 127. Geremia. V, 333. * Gbruii Andrea. Propone e discute con T. Nozzolini il probleuiu relativo alla stima N0MI EUC * [Geografia di un cavallo, TI, 565, 566, 568, 569, 574 578, 598, 609; XIII, 350, 351, 353, 361. * Gerini Giulio. Invita G. od il Castelli a Pescia, XII, 395-396. Gerionk. Ili, 143, 197 ; IX, 30, 45; X, 507; XI, 16; XII, 282. Germania. Osservazioni ivi fatte sulla nuova stella dell’ottobre 1604, II, 298; X, 119, 121, 138. Compassi ivi fatti lavorare e mandati da G., II. 533, 534. barche ivi co¬ struite con chiodi di legno e senza ferra¬ menti, I>, 229, 271, 394. Osservazioni ivi latte sulle comete del 1618, Yl, 27, 28. G. di¬ segna inviarvi copio manoscritte delle Nuove Scienze, Vili, 4*1. 11 Keplero crede che G. vi godrebbe maggior libertà di pensiero che non in Italia, X, 70. Calamita che G. disegnava di mandarvi, 204. Inferiorità dei cannocchiali ivi costruiti in confronto di quelli di G., 365, 384. Osservazioni ivi latte sul Bole, XI, 230, 236. Menzionata, V, 53; X, 32, 67, 78, 138, 256, 262, 266, 320, 366, 449; XI, 43, 63, 165, 167, 172, 239, 240,423. Germania (Imperatore di). — V. Fer- diuando 11. Ferdinando III. Massimiliano. Mattia. Rodolfo II. Germania (Imperatrice di). — V. Au¬ stria (d’) Anna. Gonzaga Eleonora. Germanno Giorgio. X, 288. Germini Camillo. Proposto da G., ed accettato du G. F. Sagredo, come agente, XII, 200. Suoi buoni e mali portamenti, 202, 270-271, 289, 306, 307, 312-313, 329, 331, 350, 355, 363, 377, 378, 394-395, 400, 403, 416-117, 425, 426-427, 429, 447-448, 455, 157- 458, 460, 480, 491, 497, 501; XIII, 32, 34-35, 37, 42, 45. Gbbnando. IX, 96, 105, 106. Gkrone di Siracusa. I, 211, 215; XIX, 605. Gerusalemme (o Sion). I, 12, 27; IX, 33, 34, 37, 38, 39, 47, 62, 64, 82, 84, 90, 91, 109, 115, 125, 128, 146. INDICE DEI NOMI ECO. Gberardini Donato] Gerusalemme Liberata. — V. Tasso Torquato. Geryinus G. G . V, 275. G F,sN eh Comi Ano. XYIII, 415. * Gessi Beklinghiero. Essendo Nunzio a Venezia, manda a G., da parlo del Card. S. Borghese, una catena d’oro, X, 385. Partecipa al secondo processo contro G., XIX, 279, 280, 281, 282, 283, 284, 285,289; e P. Niccolini suggerisco che il Granduca glielo raccomandi, XV, 74. È fra i Cardi¬ nali che pronunziarono e firmarono la sen¬ tenza contro G., XIX, 403, 406, 413. Gesù Cristo. 1, 27; II, 304, 305; VII, 384; IX, 34, 63, 82, 84, 108, 117, 120, 124, 145, 189 ; XII, 282; XIV, 348 ; XVI, 70,103 ; XVII, 272; XVIII, 57, 58; XIX, 428, 129. Gesuita. Che in Napoli si arrogava le scoperte del cannocchiale e dei Pianeti Me¬ dicei, XI, -124. Clie si proponeva di combat¬ tere il Diàlogo con gli stessi argomenti di G., XVII. 302. E che in Napoli sosteneva doversi impugnare il sistema copernicano soltanto con la Sacra Scrittura, 363. Gesuita. Teorema a lui proposto dal Cavalieri, XIV, 171. Gesuiti. Loro Nuntius Sidereus , III, 13, 293-298; VI, 115. Osservano i Pianeti Medicei, III, 424, 861-864; X, 480, 4S4; XI. li. Giudizio di G. intorno al loro sapere, V, 295. Come si diportano a proposito delle comete, VI, 5, 7, 28 ; XII, 443, 492, 499 ; XIII, 26, 106, 107, 154, 160, 253. Onori che essi rendono a G., VI, 115, 190, 227. Loro espulsione da Venezia, X, 158. G. F. Sagredo manda loro a Goa un ago calamitato perchè ne facciano osservazioni, 262. Sono sospet¬ tati di incitare il Mugini contro G., 365- 366. Accolgono nel Collegio dei Nobili in Milano l’Ilorky, fuggiasco da Bologna, 384. G. fa loro osservare in Firenze i Pianeti Medicei, ed essi se ne servono in prediche ed orazioni, con concetti graziosi, 484; XI, 201 14 ; ma ad eccezione di questi, protendono di aver fatte tutte le altre scoperte celesti indipendentemente da G., 33-34. G. adduce in proprio favore la loro testimonianza, 56, 180; e professa di molto dovei’ loro, 247. Leggono non senza gran risa, il libello dol Sizzi, 79. Giudicano difficilissimo e quasi im¬ possibile determinare i periodi dei Pianeti Medicei, 80. G. F. Sagredo si rammarica che G. abbia lasciato Padova per trasferirsi in luogo dove la loro autorità è grande, 172. Intrinsichezza del Welscr con loro, 314, 505. Accusati dal Colonna di volersi impadronire delle scienze dopo che altri l’ha ritrovato, XII, 63-64. Parteggiano in segreto per il sistema copernicano, 181, anche dopo la con¬ danna di esso, XA r , 254. Il Ciampoli disap¬ prova che G. se la sia presa con loro, XII, 466 ; o suggerisco uno spedicnte per non irritarli, XIII, 46-47. Lo Stellati sconsiglia G. dal prendersela con loro, 21. Tentano d’impedire la stampa del Saggiatore, 103, 106. Si propongono di perseguitare acerbis- simamente il Dialogo dei Massimi Sistemi cd il suo autore, XIV, 370; XV, 25, 88; XVI, 22. Loro filosofia giudicata dal De Villo, XV, 12. Sospettati d’aver contribuito alla condanna di G., XVI, 56, 266. G. attribuisce a loro tutte le sue disgrazie, 117. Nonostante la proibizione, tengono e leggono il Dia¬ logo, 142. Pronostico dol Micanzio, 144. Ar¬ cana Icsuitica, 284, 385. Getto Marcantonio. XI, 513. ♦Geyfuss Samuele. XIII, 17. Gherardi Baldino. X, 269,270, 279, 313, 344, 434, 477; XI, 101, 320, 333, 334, 435; XII, 365; XIX, 163. ♦Gherardi Cesare. XIII, 108, 121. * Gherardi Luigi. XLV, 236. Giierardi Silvestro. XIX, 272, 417. ♦ Giierardini Baccio. Inveisce contro G., V, 294. ♦Giierardini Donato. XV, 247. Voi. xx. 2(1 202 INDICE DEI Ghhrardini Elisabetta. XV, 247,302. * Ghkrabdini Niooolò. Sun « Vita di G.», XIX, 10, 633-016. Nominato, XV, 292, 302, 323. * Ghbtaldi Marino. Si congratula con (>. per la condanna del Capra o lo ringrazia della Difesa, X, 191. Ringrazia G. per l’ac¬ coglienza fatta, al primo libro del suo AjìoI- lonius rcdivivus , 192; e gliene accompagna il secondo, XII, 38. Proposto por In elezione a Linceo, XIII, 03; XIX, 209. Nominato, X, 201; Xn, 41. Ghbvara (de) Francesco. XI, 477. Guizzi S. XIX, 408. Ghiaccio. Se derivi da condensazione o da rarefazione dell’acqua, IV, 5s; secondo G., 38, 65s, 185s; secondo G. ed il Castelli, 248, 250, 252, 259.-;, 480, 604s, 009, 6138, 019, 694; secondo l’Accademico Incognito, 153s; secondo il Coresio, 204, 20Gs, 21&; ; secondo L. delle Colombe, 322, 3458 ; se¬ condo V. di Grazia, 379s. Opinioni del Va¬ lerio, XI, 380-381, doll’Agucchi, 390, 441, e del Bnliani, XII, 21-22. * GninAitni Pietropaolo. XVIII, 285, 299. Ghiseglibri. XIII, 274. * Giiisilibri Federico. XII, 227. Giacouue. XJLI, 172. Giaooboni Lodovico. — V. Iacoponi Lo¬ dovico. Giàgomini Iacopo. XIX, S7. * Giaoomini Lorenzo. G. lo avvisa del suo arrivo a Firenze con G. 13. Ricnsoli, X, 41- 42. Nominato, 39, 40; XIX, 45, 50, 57, 08, 73, 74, 75, 79, 81, 84 , 98. Giacomio Giorgio. XIX, 206. Giacomo 1, Re d’Inghilterra. XI, 269,275. Giacomo (S.). Ili, 439; X, 414. Giacomo (S.). XI, 525. Giamblioo. Dei cieli e degli elementi, I, 10, 03; HI, 377. Giambullàri Pier Francesco. IX, 9. Gianfzqliazzi Bongianni. XIX, 575. NOMI ECC. [Gherardini Elisabetta Giannrtti Cosimo. XIX, 471. Giannktti Paolo. XIX, 471. Gianni Niooolò. XIII, 75; XIX, 256, 257, 258, 259. * Giannini Tommaso. Manda una sua opera a G., XII, 38-39. Giano (Monte di). XI, 223. Giappone. VII, 355, 356. Giasoomklli Caterina. XIX, 191. Giahoomei.li Francesco. XIX, 191. Giasoomklli Girolamo. XIX, 191. Gibilterra. V, 389, 393; VII, 160,449, 402; XI, 24; XIV, 54. Gikse Tiedemann, Vescovo di Cuhua. V, 312, 350. Giganti. Stima della loro altezza, VI, 591, 004. Dell’Inferno di Dante, IX, 36,40- 42, 45, 40, 48, 49, 56. In lotta con gli Dei, 239, 240, 240, 247, 218, 251, 253, 260, 261, 203, 267, 268, 271. * Giggi Antonio. Chiede da parto del Card. F. Borromeo a G. la nota delle sue pub¬ blicazioni, XII, 332-333. D’ordine dello stesso Cardinale visita G., e gli accenna ad alcune difficoltà di quello circa le scoporte celesti, 357, 364-305. Si congratula con G. per la ricuperata salute, e lo assicura della grande stima nella quale lo tiene il Cardinale, 362. Latore d’una lettera di G. per il Cardinale, 409. Manda a G. VAssemblea della Cometa, 468, 470. Nominato, 320, 389; XIU, 54. Gigli Aurelio. Manda al Cioli notizie della famiglia di M. A. Galilei in Monaco, XIV, 257-258. Nominato, XIX, 475. Gigli Ottavio. IX, 8, 9, 10. * Gilbert Guglielmo. Stima il mondo in¬ finito, IH, 106; X, 320. Conferma l’opinione copernicana, V, 352; XIX, 353. Sua filoso¬ fia magnetica, VII, 420, 427. Suo procedi¬ mento nel filosofare, 429-432. Non avvertì di spianare i ferri delle armature delle ca¬ iamite che devono venire a contatto, 436. Terzo moto naturale della calamita da lui Giovanni] INDICE DEI scoperto, 437. Effetto improbabile da lui ammesso nella calamita, 439. Suo De ma¬ gnete: postilla di G. ad esso, Vili, (525; ci¬ tato, X, 91; XIII, 328, 329; XIV, 364. Opera del Cabeo contro di lui, 34, 36; XVIII, 372. Nominato, XIV, 314. Gilbkrto. IV, 735. Gi augnano (S.). XVI, 31. Ginanni Pietro Paolo. V, 399. * Ginetti Marzio. Uffici fatti presso di lui dal Castelli o dal Niccolini perchè G. fosso dispensato dall’ ubbidire alla citazione del S. Uffizio, XIV, 426, 427, 428; F. Nic¬ colini suggerisce che il Granduca glielo rac¬ comandi, XV, 74. È fra i Cardinali che par¬ teciparono al secondo processo contro G., XIX, 279, 280, 281, 282, 283, 284, 285, 286; o fra quelli che pronunziarono e sottoscris¬ sero la sentenza, 403, 400, 414. Ginevra. IX, 154. Ginevra (Madonna). XVI, 97. Gioansonio. — V lllacu Guglielmo. Gionrn III, 121,289,290; V, 333,336; X, 336; XII, 216, 419 ; XVI, 144,247; XVIII, 12. Giocatori. l)i palla a corda, come in¬ gannano l’avversario, VII, 187. Di dadi, quali punti stimino pii! vantaggiosi, Vili, 591. Di ruzzola, 601-602, 633. Di palla e pallottole, 602-603. Di pallone, 633. Giocondi Severo. IV, 149. Gioie. Proporzioni delle loro gravità in specie, pesate in aria ed in acqua, I, 225- 228. Riscaldate, attraggono i corpuscoli leg¬ gieri, III, 399. Gioiello. XX, Suppl., n.XLbis.— V. Ar- cetri. Gioiosa. — V. Joyeuse (de) Francesco. Giordani Piermattko. XIII, 97. Giorgi Giorgio. XII, 154, 159, 162, 166, 178, 180, 183. Giorgi. — V. Zorzi. Giorgini (Sig. r ). XIII, 439, 445. Giorno. Sua durata relativa, LI, 229; NOMI ECO. 203 naturale e causa della sua disuguaglianza, 235s; artificiale, 23G, portato come argo¬ mento contro il moto della terra, V, 409 ; VI, 553. Dotcrminazione della sua durata, VII, 417. Giosoà. Suo miracolo, III, 290; spiegato meglio col sistema Copernicano che non col Tolemaico, V, 282, 285-288, 291, 343-347; XIT, 255; XIX, 302-304; difficoltà intorno ad esso, mosse da F. Ingoli, V, 411; discus¬ sioni relative, VII, 384; XII, 127, 158, 172; XVI, 143. Opinioni di G. intorno ad esso, discusse davanti al S. Uffizio, XIX, 293, 298, 302-304, 305, 307, 308, 317, 319, 417. Giovacoiuno. — V. Flora (da) Giovac- cliino. Giovambattista, amanuense. Ili, 622; V, 191; XI, 419, 486, 594, 600, 605; XII, 25, 31, 39, 42, 43, 113, 120, 132, 136, 179, 316. Giovambattista, libraio del Solo. Visita G. in Arcetri, XVI, 481. Giovambattista, Milanese. X, 341, 342. Giovambattista, miniatore. XVI, 529-530. Giovanna. XVI, 97. Giovanni, alchimista. XII, 134. Giovanni, Canonico. I, 32, 133. Giovanni Crisostomo (S.). I, 38, 57; VI, 497 ; XI, 24. Giovanni Damasceno (S.). I, 34. Giovanni de’ vitelli. X, 491. Giovanni, donzello dol Magistrato Su¬ premo, in Firenze. XIX, 499. Giovanni Evangelista (S.). I, 64, 70; III, 354, 374; IX, 125, 183; X, 84. Giovanni, fabbricatore di specchi. Con¬ fida al Marsili il segreto d’ uno specchio ustorio, XIII, 330-331, 335. Giovanni grammatico. IV, 207, 252, 428, 432, 717. Giovanni (Ser). IX, 222. Giovanni, Lituano. XIX, 159, 160. Giovanni, al servizio di Suor Maria Ce¬ leste. XV, 324, 332, 342. 204 INDICE DEI NOMI ECO. Giovanni, servo di Benedetto Scalan¬ droni. XVI, 338. Giovanni Battista eremita di Montese- nario.— V. Stolaneschi Gio. Battista. Giovanni Battista, maestro dei Prin¬ cipi Medicei. XIX, 318. * Giovanni Giorgio I. Elettore di Sabbo- nia. Desidera dei cannocchiali di G., XI, 300. Giove. Ili, 55, 189, 190, 285, 815; VII, 130, 137; IX, 49, 121, 207, 234, 235, 239, 210, 241, 245, 246, 247, 249, 251, 252, 253, 254, 258, 259, 200, 261, 262, 263, 265, 267, 268, 270, 271, 272; X, 196, 412, 455. Giove (Pianeta). Tempo oh’esso im¬ piega dall’occidente all’orionto, I, 42-13; VII, 144, 652; XVII, 260. Sua posizione nel si¬ stema del mondo, II, 215; VII, 319-353, 698- 700, 703 ; XIX, 338, 357. Osservato col can¬ nocchiale da G., III, 35s, 80s; dall’ Horky, 135s; dal Wodderborn, 163s; dal Keplero, 181ò’;da G. A. Rofìeni, l96s; dallo Scheiner, 51-56. Se sia abitato, 121-122; V, 53, 2205 ; X, 336-337. Macchie in esso osservate da G., IH, 387; e dall’Agucchi, XI, 347. Sua distanza dalla tona, IH, 209. Natura, in¬ flussi, sostanza, calore di esso secondo il Sizzi, 215, 219, 221, 240, 248; e che no pen¬ sasse G., XI, 111. Corrisponde allo stagno tra i metalli ed al fegato nel corpo umano, III, 219. Necessità di nuovi epicicli nel suo cielo, secondo L. delle Colombe, 285. Suoi appressamenti e discostamenti dalla terra, Y, 102. Suo cono d’ombra, 109, 226s, 248. A natotelo 1’ 03Bervò unito con una stella nel segno dei Gemini, VI, 49. Spogliato dei raggi ascitizi dal cannocchiale, 81, 132, 135, 273-274, 360-363, 422-423, 431, 412; XI, 62, 194-195; XVI, 28; ed anche se guardato attraverso a mi foro fatto con ago sottile in una carta, VILI, 365-36G. Suo aspetto veduto col cannocchiale, VI, 361. Suo diametro, 525. Centro doi propri ele¬ menti, 535. Suoi regressi, VII, 372. Diffe- [Giovanni ronza dello sue grandezze, rispondente alle varie lontananze, osservata da G., 367. Suo corpo non meno tenebroso di quello della luna o della terra, 715; Vili, 516, 550-552. Il Keplero si sforza di trovare allusioni ad osso nell’anagramma relativo alle fasi di Venero, XI, 15-16. Visto montuoso dal Pas¬ siglieli, 268; e falcato da un monaco di Ve¬ nezia, XVII, 124. Osservato coi cannocchiali del Fontana, 375, 383; XVIII, 18, e dal Ca¬ stelli, 224. Striscio osservato dal Itenieri nel suo corpo, 174. Menzionato, II, 277, 278, 279, 280, 293, 294, 296, 305 ; IH, 362, 375 ; VI, 25, 210, 353, 359, 494; VII, 53, 260, 413, 594, 602; VOI, 461, 626; X, 117, 118, 119, 122,123,130,131,133, 136, 138,141,272,290, 295, 320, 321, 338, 839,342, 410,422,432,435, 454, 403; XI, 41, 45, 54, 76,104,107,114,131, 134, 135, 159, 167, 829, 316, 549, 553, 586; XII, 23, 24, 36, 37, 63, 88, 91, 113, 115,119, 123,126, 159, 165, 178,179,182,183,282,431, 431, 487; XIII, 19, 55, 184, 333; XIV, 146, 300, 309; XVI, 417, 464, 465; XVII, 19,32, 40, 50, 97, 99, 136, 137, 266, 361, 365; XVU1, 81, 41, 60, 71, 143, 224, 231, 239; XIX, 204, G51. — V. Pianeti Medicei. Giovenale. Citato, IH, 347, 353. Giovilabii. IH, 475-487. - V. Pianeti Medicei. Giovio Alessandro. VI, 180. Gir Sio. — V. Gessi Berli ughiero. Giraffa. Maggiore di un elefante, ve¬ duta a Costantinopoli, XV, 343-344. * Giraldi Iacopo. Prega G. di mandar¬ gli le postille sopra la prima stanza del Tasso, X, 244. Annunzia a G. l’olezione a Consolo dell’Accademia Fiorentina, XIH, 55-56. Gli augura buon esito delle pratiche elio sta facendo a Roma per ottenere la li¬ cenza di stampa del Dialogo ilei Massimi Sistemi, XIV, 114. Rimanda a G. il lacco nuovo elio questi gli aveva inviato in luogo del vecchio avuto a prestilo per sedere di INDICE DEI NOMI ECO. 205 Giustiniani Benedetto] Collegio ; o gli annunzia elio in breve sarà chiamato dal Granduca a vedere i disegni presentati per la facciata di S. Maria del Fiore, 166. Annoverato dal Viviani fra i gen¬ tiluomini fiorentini, discepoli di G., XIX, 628. Nominato, V, 605; XI, 229, 237, 349, 387, 411, 502; XII, 121,162,188, 376 ; XIX, 444. * Giraldi Roberto. Annunzia a G. che i vetri da telescopio, inviati al Re di Polonia, sono arrivati tutti rotti, XVI, 532-533. * Girami Pietro Antonio. XVII, 331. Girella. II, 172s. Girolàmi Cosimo, Assessore o Consultore del S. Uffizio. XIX, 291, 292. * Girolàmi Piero. Si adopera in favore di Cesare Galletti, XY, 176, 222; XYI, 37. Nominato, XII, 41, 43, 134; XIX, 437, 4*14, 486. Girolamo (fra) de’ Servi. IV, 789. Girolamo (S.). Dei cieli c dogli ele¬ menti, I, 69,105. Suoi commenti agli Evan¬ geli, MI, 374. Dell’uso delle Sacre Scrit¬ ture, V, 323, 333. Girolamo degli Schiavoni (Card, di S.). — V. Centini Felice. Gironi dell’Inferno di Danto. IX, 33s. Giubilei. X, 26. Giuditta. XVI, 318. * Giugni Niccolò. Sue relazioni con G., X, 142, 145, 157; XIX, 163, 164, 190. Nomi¬ nato, II, 206, 207. * Giugni Vincenzio. Ringrazia G. per la buona accoglienza fatta al figliuolo, e lo rag¬ guaglia delle pratiche fatte perchè la dedica del Compasso sia gradita dal Granprincipe di Toscana, X, 144. Ricorda le istruzioni dategli da G. circa l’uso del Compasso, e gli partecipa le disposizioni date dal Granduca per farlo raccomandare col mezzo del Residente Ve¬ neto al Procuratore L. Donato, 148. Gli ac¬ cusa ricevimento dei compassi con tutte le loro appartenenze, 156-157. Si congratula cou lui per l’aumento di stipendio ottenuto, e gli partecipa che è aspettato a Corte, 160. 11 Granduca gli ordina di dare a G. tanto raso nero da farsene una zimarra, 161. Da parte del Granduca, la Granduchessa Cristina gli ordina di dare a G. una catena d’oro di quattroconto scudi ed una medaglia, 318. Scrive a G. di certo riserve del Granduca, quanto al far coniare i Pianeti Medicei sulla medaglia ed a porne l’impresa nella sua anticamera, 368-369. G. gli risponde, assicurando non essere alcun dubbio sulla reale esistenza dei Pianeti Medicei e comu¬ nicandogli le profferte venutegli dalla Fran¬ cia, 379-382. Nominato, U, 207; IX, 235; X, 143, 341 ; XI, 432. Giuourta. XVI, 489. Giulia (Suor). XIV, 6S; XV, 201, 211, 297. Giuliani Giuliano. XIX, 17. Giuliani Michele. XIX, 17. Giuliano Imperatore. VI, 493. Giulio. — V. Cesare Caio Giulio. Giulio (nipote del Card. Sacchetti). XVIII, 200. Giunone. XVIII, 139. Giunti (librai). In Firenze, IX, 7 ; XI, 69, 493, 494; XIII, 15. In Venezia, XVII, 77, 188, 200, 235, 242, 264, 333. ♦Giunti Cosimo. Chiede a G. il paga¬ mento di un debito, XII, 450-451. Nominato, IV, 61; XII, 62. ♦Giunti Modesto. XIII, 454. Giuntimi F. VII, 550; X, 199. Giuntoni Matteo. XIX, 192. Giuseppe o Geppo, servitore di G. — V. Massi Giuseppe. ♦Giusti Camillo. X, 149. ♦ Giusti Matteo. Raccomandato dalla Granduchessa Cristina a G., X, 146, 149. Giusti (Monsignore). XVI, 142. * Giustiniani Anduea. XIX, 275. ♦Giustiniani Benedetto, Cardinale. Fa 206 INDICE DEI NOMI ECC. lavorare in Bologna vetri da cannocchiali, X, 446 ; e specchi, XI, 260-261. Suo conte¬ gno in occasione d’uno scandalo sollevato dal pergamo da T. Caccini, XII, 127 ; XI IH, 418. * Giustiniani Benedetto, Gesuita. XIX, 321, 419. ♦Giustiniani Francesco. XY1, 219. * Giustiniani Girolamo. XYH, 363; XYlli, 30, 56, 74, 184. * Giu8tiniani Lorenzo. XYI, 207. * Giustiniani Marco. XIX, 128. * Giustiniani Ora/.io, Consultore del S. Uf- ii/.io. XIX, 289. ♦Giustiniani Vinoen/.io. XYI, 219. Giustiniani (Cavaliere). XII, 120. Giustiniani (Marchese). XVI, 38, 65. Giustiniani (Sig. r ). XV, 344. Giustiniano. X, 100, 101. Giustiniano (Imperatore). Ili, 115. Giustino, Martire. I, 23. Giustizia commutativa. Suo ufficio e corno proceda, VI, 569-570, 580, 581s. Teoria di Aristotele intorno ad essa, 599s. Giustizia distributiva. Suo uflì/.io e come procoda, VI, 570-571, 580, 584s. Esposizione della teoria di Aristotele in¬ torno ad essa, 599s. * Glaser Filippo. XV, 262, 314. Glbppebo. — V. Kepler Giovanni. ♦Gloriosi Giovanni Camillo. Lodato a G. da 0. da C'ascio, X, 108, si raccomanda a lui per una lettura, 110. Scrive a G. Ter- renzio contro G., 363-364. Supplica i Rifor¬ matori dello Studio ili Padova per ottenere la successione di G., 425. Assisto G. F. Sa- gredo nella lettura di libri di ottica, XI, 379. Condotto alla lettura matematica di Padova, 563, ringrazia G. dei buoni uffici da lui fatti a suo favore, 589, e questi se no congratula cou lui, 598. Tiene alcune lezioni De cometis nello Studio, XIII, 16, e datele alle stampe, ne manda un osem- [Giustiniani Benedetto piare a G., 170-171, 454. Gli manda puic altri suoi lavori, 455, 459; XVI, 317-318 Si duole con G. perchò non gli ha mandato il Dialogo dei Massimi Sistemi, XV, 150-151. Suo carteggio con G. intorno all’angolo del contatto, XVI, 330-334, 348-350. Nominato, X, 419; XI, 414, 417, 505, 536, 555, 556’; XU, 455; XIV, 33; XV, 252; XYI, 63, 345^ XVII, 361, 874, 410. Gneccih Èrcole. X, 83. Goa. X, 262. Gocciole d’acqua sopra una superficie piana, poiché abbiano forma emisferica, IV, 310. Come e porchò si sostengano sopra le foglio dei cavoli, VII, 440; Vili, 115; XVII, 389. Calcolo ili quelle che cadono in un lago durante «na pioggia, Vili, 631. Modo di ritrovarne il numero montre cadono sopra una data superficie, XVIII, 81-82, 85-86, 91-92, 97, 101. Godefrido. — V. Gottfried Giacomo. Gola. La sua canna, col variar lun¬ ghezza 0 larghezza, accomodandosi a for¬ mar varie voci, può dirsi diventi canne di¬ verse, VI, 269. ♦ Goldast Melchiorre. XIX, 416. GolLa. IX, 111. ♦ Goldoni Gio. Battista. XIX, 378, 379. Golio. — V. Gool Iacopo. Gondi. XVII, 125. ♦ Gondi Alberto. Sua lettera a G., ac¬ compagnata da una di Roberto Galilei, XII, 432, 440. Gondi Amerioo. XIX, 497. ♦ Gondi Gio. Battista. Chiede al Cioli, da parte di Madama de Combalefc un esem¬ plare del Dialogo dei Massimi Sislemi e duo cannocchiali, XV, 10-1-105, 161. Ila rice¬ vuto il libro, ma uon ancora il cannocchiale, 310, XVI, 94, 101. Avvisa il Cioli che anche questo è arrivato, ma che non se ne sa acco¬ modare il cannone, 107. Manda al Falconcini un libro del Moria, intorno al quale è chie- Grandezze] INDICE DEI sto il parere di G., 191. Si congratula con G. per l’arrivo in Firenze del nipote Al¬ berto Cesare, XVII, 225. Suo carteggio col Niccolini, relativamente alla sepoltura di G., XVHI, 378-382. Nominato, XVI, 159; XVII, 155, 228, 232, 241, 299, 305, 323, 332, 345. Gondi Vincenzio. XIX, 497. Goneli/i Francesco. XIX, 215. GoneTìLI Simeone. XIX, 215. * Gonzaga Carlo. Ringrazia G. per l’in¬ vio delle Lettere sulle macchie solari, XI, 497-498. Si lagna perchè il Papa abbia fatto di suo arbitrio togliere dalla Certosa di Mantova il corpo della Contessa Matilde e portarlo in S. Pietro, XVIII, 379. Suo dono a G., XIX, 155. Nominato, X, 438. * Gonzaga Eleonora, imperatrice di Ger¬ mania. XVI, 499. ♦Gonzaga Ferdinando. Vien dibattuto alla sua presenza il problema sull’altezza dei monti lunari, ILI, 301, 302; XI, 126. Si schiera contro G. nella discussione seguita alla tavola del Granduca circa la causa del galleggiare, IV, 6; XI, 304. G. gli manda il Discorso sulle galleggianti, 325-326, ed egli no lo ringrazia, 338-339. Nominato, X, 154, 217; XI, 158, 221, 222, 277, 458, 463, 473, 474; XII, 84; XV, 55. Gonzaga Franoesoo, Duca. XI, 473. ♦Gonzaga (dei Marchesi) Francesco. X, 239; XVIII, 191, 200. ♦Gonzaga Vincenzio, Duca. Vuol sentire da G. la spiegazione dell’uso del Compasso, lì, 370; XIX, 607; e riceve da lui un esem¬ plare dello strumento, II, 534. Riceve da G. informazioni circa i due Capra padre e figlio, X, 106; o le scuso per non avere egli ac¬ cettato le condizioni offerte per entrare ai suoi servigi, 107, 109. Regala a G. una col¬ lana d’oro con la propria medaglia, XIX, 155, 630. Nominato, XI, 473. Gonzaga Vincenzio (D.). XI, 432. Gonzaga (Cavaliere). XV, 55. NOMI ECO. 207 ♦ Gool Iacopo. Commissario aggiunto da¬ gli Stati Generali (l’Olanda per esaminare la proposta di G. per la determinazione delle longitudini in mare, XVI, 521; XVII, 148; XIX, 538, 619, 651. Conferisce a tale proposito con M. Ortensio, XVJLI, 67, 68. Sua morte, XVIII, 117. Gordiano (nodo). VII, 474; XVI, 278. Gori Antonfranoesco. XVIII, 378. ♦ Gobi (P.). XII, 158, 161. Gori Pannilini Gio. Battista. XVI, 412. Goro, fabbricatore di cannoni da tele¬ scopi. MI, 632; XIII, 251. Goro, lavoratore dei Sertini. XV, 308, 315. Suoi conti con G., XIX, 189-190. Gorzone. II, 313. Gottfried Giacomo. XVI, 197. ♦Gottifredi Alessandro. XIII, 243. ♦ Gotuitz Fariano. XIX, 153. Govi Gilberto. Ili, 13; VI, 13, 617; XVIII, 412. Gozia. 11, 245. ♦Gozzadini Marco Antonio. XJU, 129. Gradasso. IX, 177, 187. ♦ Gradenigo Agostino. XI, 70. ♦ Gradenigo Marino. XX. Suppl., 589. ♦Gradenigo Vincenzo. XIX, 111, 117. Gradi dell’Inferno di Dante. IX, 35s. Gradignano Orazio. XIX, 207. Graeff (van) Cornelio. XIX, 544. ♦Grammont (di) Soipione. XVIII, 258. Granata (pietra). Pesata in aria ed in acqua, I, 227. Grandezze. Riduzione in figura dello variabili, VII, 225, 255. Immense, sono in- comprensibili dal nostro intelletto, 394. Pro¬ porzionali, VITI, 351. Definizione dello pro¬ porzionali commensurabili tra loro o delle incommensurabili, 352; e delle non propor¬ zionali, o commensurabili o incommensura¬ bili, 3538. Dubbio sovvenuto al Cavalieri, e del quale chiede schiarimento a G., XIII, 97. Considerazioni dell’Aproino, XVI, 219. 208 INDICI-: DICI NOMI ECO. Grandi Antonio Maria. XIX, 420. Grandi Guido. VI, 566; Vili, 28. Grandine. Come si formi, IV, 379,694», e se nel cadere, i granelli si rimpiccioli¬ scano, VI, 164, 339. Grandonio. IX, 184. Grano. Discorso del Castelli circa la sua conservazione, XVIII, 206. Grasse ni Guasparri. XVI, 95. Grassi Aojiillb. XIX, 536. * Grassi Orazio. Sua De, tribus comctis anni MDGX Vili Disputalio astronomica eoe., VI, 5, 8 , 12, 21-35; esaminata nel Discorso delle comete , 37»; annunziata da G. 13. Rinuccini a G., XII, 113. Sua Libra astronomica ecc., pubblicata sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi, e postillata da G. e dal Guiducci, VI, 6 , 109-180. Si rivela cho sotto lo pseudonimo del Sarsi si nascondo proprio lui, XII, 494-495; XIU, 41; G. non può indursi a crederlo, XII, 498, ma ne è assicurato dal Cinmpoli, 199. Gli risponde il Guiducci con la lettera al P. Galluzzi, VI, 181-196 e G. col Saggiatore , 197-372; ed appena avutolo fra mano, egli manifesta il proposito di replicare, XIII, 145, 147,104,167,186. Si riconcilia col Guiducci, al «piale dichiara di non essere del tutto alieno dall’ammetterò il moto della terra, 199, 202, 205, 209, 210. Conferisce novamente col Guiducci circa la risposta che intendeva di dare al Saggiatore , 232-233, 236. G. ricusa di riconciliarsi con lui, finché non abbia esaurite le risposto, 307, 313-314. Pubblica la Balio ponderum Librae et Simbcllae, che G. e il Guiducci poi postillano, VI, 7, 18-19, 373-500; XIII, 345, 346. Giudicato dal Ca¬ stelli, 373,389. Esprime il suo rincrescimento per le disavventure di G., XV, 273. Nelle controversie con lui, il Viviani ravvisa l’ori¬ gine di tutte le male sodisfazioni di G., XIX, 615-616. Nominato, VI, passim; XII, 487; XIU, 12,20, 29, 30, 31, 43, 46, 47, 68 , 69, 74, 77, 80, 84, 89, 90, 93, 95, 98, 105, 106, 129, [Grandi Antonio Maria 148, 152, 153, 160, 161, 176, 190, 194, 19(5 198, 200, 211, 215, 217, 221, 223, 224*, 226* 241, 244, 247, 219, 250, 261, 252, 253, 26l’ 266, 288, 299, 321, 393; XVI, 162; XVUlj 213, 223, 423-425. Grasso. XIX, 28. * Guatarci, Gio. Battista. XX, Suppl 589. Graticci. Modo di prepararli nelle for¬ tificazioni di terra, II, 60, 141. Gravi. Tendono al centro della terra 1,48; TU, 568; Vili, 118». Perchè daUa na¬ tura siano stati costituiti in più basso luogo, I, 252-253, 342», 3/4; VI, 354». Corpi gravi quanto il loro mozzo nò salgono nò scendono, I, 254s. I mon gravi dell’acqua non possono immergersi in essa totalmente, 256», 350-351, 380s, 387»; IV, 69. L’esame di ciò che accade fra i più ed i men gravi si riduce a quello doli’effetto dei pesi sulla bilancia, 1, 257s, 274s; II, 163»; VII, 241. Mobili uollo stesso mezzo serbano una proporzione diversa da quella attribuita da Aristotele, I, 262s, 390$, -402». Come si comportino nel vuoto, 270$, 294», 394», 101, 410, 113; VI, 656. Come si muovano sopra piani diversamente inclinati, I, 296», 418; II, 180; VH, 48-53; Vili, 214- .219. Se nel punto di riflessione rimangano in quiete, I, 323s, 068 , 389-394. So la loro velocità possa aumentarsi all’infinito, 328.9, 411. Perchè i men gravi nel principio del loro moto naturale si muovano più veloce¬ mente dei maggiormente gravi, 333, 368; Vi, 556. Quali debbano dirsi più, meno ed egualmente gravi, I, 347, 378, 413; IV, 36, 67, 664. Qual ne sia la causa del moto ascen¬ dente, I, 361», 363s. Velocità della loro ca¬ duta, partendo dalla quieto, II, 262; VI, 465. Assolutamente uguali, mossi con uguali ve¬ locità, sono di forze 0 momenti uguali nel loro operare, IY, 68 . 9 , 79». Natura dei corpi nei movimenti, V, 134-135. Alimento dei cadenti dall'alto di una torre, o dall’albero 209 Grazia (, 655-658. — V. Acqua. Canali. Castelli Benedetto. Ignicoli. Come esercitino, secondo De¬ mocrito, la loro aziono sul galleggiare dei corpi, IV, 48, 49, 1295, 160, 176s, 195, 23Gs, 278, 281, 3595, 4275, 551s, 654, 656. Quali ne siano gli effetti, VI, 56, 351, 48S; XII, 475; XVII, 165. Ilàrio (S.). I, 34. Illuminazione. Se possa essere effetto del cannocchiale, VI, 75, 121, 2525, 4085; se per prodursi esiga una materia densa ed opaca, che la rifletta e la diffonda, 1395, 2925, 4385, 442. Come de va distinguersi dal riscaldamento, Vili, 537. Se bisogni molto apparente e Bensata nei pianeti per effet¬ tuare gl’influssi, XI, 115. Imberciatori. Come colgano gli uccelli volanti, VH, 203-204, 684. Impenetrabilità dei corpi. IV, 622; Vili, 105; XVIII, 87, 94. * Imperato Ferrante. Esprimo al Faber il desiderio di vedere la pietra lucifera di Bo¬ logna XX, Suppl., 585 ; e gli scrive che sta aspettando G. a Napoli, 585. Imperatore (Nunzio all’), — V. Rocci Ciriaco. ♦Imperiali Bartolommeo. Con la media- 28 218 INDICE DEI NOMI ECO. [Impeto zione del Santini è introdotto presilo G., XUI, 190, 191; al quale esprime il deside¬ rio d'avere da lui un microscopio, 198, 190- 200; G. lo compiace, 201, ed egli lo ricambia con un anello di diamanti, 201, 214, 222; e adopera lo strumento por alcune osservazioni, 211, 213-214. Esprime a G. anche il desi¬ derio dei vetri per un cannocchiale, 211, 214, 221-222, 227-228; di che pure G. lo com¬ piace, 230, 236-237. Interroga G. circa un passo della Magia Naturale del Porta, 212- 214, 231, 237-238. Gli scrive da’ Buoi studi intorno agli specchi e si offre come media¬ tore per riconciliarlo col Grassi, 307-308; ma G. vi si rifiuta, 818-314. Scrive aG. chie¬ dendogli schiarimenti intorno allo proprietà dogli specchi, 307, 314-315. Nominato, 219, 223, 287, 321, 322; XIV, 130, 160. Impeto. Assai più lungamente e ga¬ gliardamente si conserva nei corpi solidi e gravi, che nei fluidi o leggieri, VI, 321, 465, 556; VII, 177-178; l’acqua è meglio atta a conservarlo che non l’aria, 463. Tanto no acquista il mobile grave scendendo, quanto basterebbe per ricondursi in altrettanta al¬ tezza, 46, 254; Vili, 138, 335s, 338s. Sono eguali in mobili eguali egualmente avvici¬ natisi al centro, VII, 47. Percorre i mede¬ simi gradi nello scendere e noi salirò, 55, 253; VAI, 374; X, 114; XVII, 93. I primi impeti del cadente, benché gravissimo, sono lentissimi e tardissimi, Vili, 1995. Vien di¬ minuito nel mobile dal piano soggetto, sopra il quale esso mobile si appoggia e discende, 215. Sopra l’orizzontale è nullo, 215-216. Tanto ò quello d’uu grave nel discendere, quanto è la resistenza o forza minima che basta por proibir l’impeto e fermare il grave, 2165, 377. Del cox-po cadente basta a ricon¬ durlo alla stessa altezza verticale sopra un piano inclinato, 243s. Del mobile, men¬ tre si muovo con moto composto di due equabili, l’uno orizzontale o l’altro per¬ pendicolare, 279s. Come da tale composi¬ zione risulti la linea parabolica dei proietti 281s. Come ai misuri l’impeto dei gravi cadenti, ‘2*7. Derivante da duo moti com¬ posti, uno doi quali sia composto dell’oriz- zontale ed equabile o del perpendicolaro all’orizzonte, esso pure equabile; ma l’altro sia composto dell’orizzontale, pur sempre equabile e del perpendicolare naturalmente accelerato, 2885. Della proiezione, 294s, 299s. 3085. Non può essere in uno stesso mobile da diverse parti, 614. Dell’acqua nei cannli torti, XIV, 176, 179, 185, 194. — V. Forza. Momento. Moto. Pendolo. Imprunela. XV, 119,125,127, 130,131, 133, 184, 137, 139, liti; XIX, 184, 187. * Inchofeu Meloiiiourr. Chiamato a far parte della Congregazione particolare dele¬ gata all’ esame del Dialogo dei Mussimi Sistemi, XIV, 389 ; pronunzia il suo parere, XIX, 349-356. Suo Tructulus sgllepticiis ecc., XV, 844, 360; XVI, 53, 60, 65, 118, 169; XVIII, 431. Incontri... XIII, 351, 352. Incontri Antonio. Suoi conti con G., XIX, 172-173. * Incontri Lodovico. Manda a G. del vino da parte del Principe Leopoldo de’ Medici, XVII, 140, 868-369. Nominato, XV, 225; XYII, 336. Incorruttibilità. Del cielo, I, 635; III, 366,398; VII, 62s. Della luna e degli astri, III, 383». Celebrata dal volgo per ti¬ mor della morto, VII, 84. Non deriva dalla ligura, 109s, 645. — V. Corruttibilità. Cor¬ ruzione. Incudine. Commissione datane daG.,o questioni nelle quali a proposito di essa ri¬ mane involto, XVI, 100, 109, 114, 115, 120, 123, 125, 127, 135, 145, 32J, 355, 422-423; XVII, 16. Incuria Lorenzo. XIX, 490. Indiani. Vi, 455. / INDICE DEI NOMI KCC. 210 Ingoi i Francesco] Indice (Congregazione dell*). Proi¬ bisce ogni libro che tratti delle opinioni elei moto della terra e stabilità del sole, XII, 244, 247, 265; XIU, 106; XIV, 282; XV, 56, III, 169, 245; XIX, 294. Suo monito per l’emendazione dell’opera del Copernico, 400- 401. Decreto concernente il Dialogo dei Massimi Sistemi, XVI, 142; XIX, 416-417. Delibera di omettere il Decreto die proi¬ bisco i libri che insegnano il moto della terra, 419. Menzionata, XIII, 217. Indico mare. IV, 380; VII, 460. Indie. V, 388, 300, 394, 422; VII, 130, 465; XI, 172, 216; XIV, 75 s. Indivisibili. Compongono il continuo, IV, 416, 733; VII, 0x82-683, 715-746; Vili, 80s, 93; XVI, 173. Come mediante essi si spingili la composizione dei corpi, VITI, 623. Incoiliprensibili dall’ intelletto umano per la loro piccolezza, 73, 76-78. Come en¬ trino a formare il continuo, S0s, 93. Opera intorno ad ossi concepita da G., X, 352; XUl, 309, 312, 318, 323; XVI, 15, 104. Con¬ siderati dall’Aproiuo, 219, 229; dal De Ville, 227. — V. Cavalieri Bonaventura. Indo. XU, 258. Inerzia. Nel senso di resistenza al moto, I, 284, 410 ; VII, 240, 542-543, 566 ; per ef¬ fetto di tendenza a quello opposto, V, 134; VII, 56, 73, 240; maggiore contro maggiore velocità, VI, 465 ; VII, 246 ; contro la im¬ mediata trasmissione di velocità, 45; contro nuovo maggiore impeto, 564; contro il moto istantaneo, Vili, 632. Inferigno (Accademico della Crusca). — V. Rossi (de) Bastiano. Inferno. Luogo dei demoni e dei dan¬ nati, V, 408. Inferno di Dante. Due Lezioni di G. alVAccademia Fiorentina circa la figura, sito c grandezza di esso, IX, 7-10, 29-57. Infinito. Non vi ò più vicino un nu¬ mero composto di quante si vogliano cifre, che uno di una sola cifra, IV, 510. È la pro¬ porzione del niente a qualche cosa, VI, 75. Dibattito col Grassi intorno al significato di questa parola, 75, 121.-122, 245-246, 405. Di esso tal parte n’ò il molto che ’l poco e elio il niente, VII, 127, e non è una parte mag¬ gior dell’altra, benché esse siano tra loro disegnali, 149. Di vari ordini, 226-227. Per sè solo, da noi in comprensibile, VILI, 76-78; XVHI, 106. Se numero alcuno può dirsi talo, questo è l’unità, Vili, 83s. Non è di ne¬ cessità talo ciò che risponde a tutti i nu¬ meri, 622-623. Considerazioni doll’Aproino, XVI, 219; del Do Villo, 224-225; del Ma- giotti, 381-382; del Descartes, XVII, 388. Influssi degli astri. I, 4L. Se pos¬ sano essere esercitati dai Pianeti Medicei, DI, 218; XI, 103, 107-108, 111-112,114-115. In rapporto col sistema copernicano, V, 406; VI, 531; VII, 395. Secondo il Campa¬ nella, XII, 32-33. — V- Astrologia. Inghilterra. G. disegna inviarvi copie manoscritte delle Nuove Scienze, Vili, 41. Menzionata, II, 531; X, 101, 256, 269, 270, 356, 365. Inghilterra (Re d’). — V. Giacomo I. * Inghirami Giulio. Sua partecipazione alle trattative col governo Spagnuolo per la cessione del trovato di G. per la deter¬ minazione delle longitudini, XIII, 35, 61. Nominato, XVII, 397. *Inguikami Ia.ooi’o. XII, 312, 322, 344. * Inaimi ami Tommaso. Impara l’uso dol Celatone, XII, 344. * Ingoli Francesco. Sua De sita et quiete Icrrae, contro Copernici si/stcma Disputatio, V, 397-412; giudizio intorno ad essa ilei Cam¬ panella, XII, 287. Risposta del Keplero, VI, 504; XII, 400; XIII, 192; o di G., VI, 501- 561; XIII, 212. Replica al Keplero, 192. 11 Guiducci procura a G. la Disputatio, 186, 192-193. G. ha già compiuta la sua Risposta, 203, 206, 209, e la manda al Guiducci, che 220 INDICE DEI NOMI ECO. [Ingolstftdt la consegna al Ciampoli, 210, 216-210, 218, 220-221, 224, 225-226, 229. G. poi la manda direttamente a 0. Marsili, 240, 264, 268, che gli chiede o ne ottiene il permesso di farla vedere ad altri, 271-272', XIY, 30, 81-62. Egli desidera vederla, XIH, 230, o G. vi consento, 201, ma il Cesi vi si dimostra con¬ trario, 265, e lo stesso Guidacci non vuol mostrarla al Grassi, 234. Anche il Cesi mo¬ stra desiderio di conoscerla, 244, o l’ottiene, 210, 247. Ne è riferita gran parte dal Ciam- poli al Papa, 295. Nominato, VII, 4; XIU, 194, 217, 219, 223, 230, 231, 235, 266, 292. Ingolstadt. XI, 233, 237; XVII, 297. In grandi monto dogli oggetti lonta¬ nissimi, come lo stelle, inedianto il telesco¬ pio, si devo diro nullo, secondo il Grassi, VI, 33; piuttosto infinito elio nullo, secondo G., 73$. Dibattito relativo a questo argomento, 1148, 121s, 226$, 246, 261$, 405$. Innoornzo (Padre Agostiniano). XI, 177, 178, 206. Innocenzo (Padre). XVIII, 328. Innocenzo III. XIX, 561. Intelletto umano. Partecipo di divi¬ nità, secondo Platone, perché intendo i nu¬ meri, Vii, 35. Intendo assai intensive, ma poco extcnsive, 128-129. Procedo di conclu¬ sione in conclusione con discorsi o con pas¬ saggi, il elio l’intelletto divino fa in instanti, 129-130. Dove arriva l’esperienza, non è bi¬ sogno di ragione per assicurarlo, 731. Da che cosa no venga eccitata la facoltà discor¬ siva e speculativa, XI, 111. Non sono da esso percettibili le proporzioni con lo quali Iddio ha ordinato le sfere celesti, 149. Deli¬ biamo accomodarlo a ciò che ha fatto la na¬ tura, 344. Intelligenze colesti, o varie opinioni dei filosofi intorno ad esse, I, 105$; III, 283. Intensione. Delle qualità; autori che ne trattarono, 1,111-112. Considerazioni ad essa relative, 112-119, 153$. Degli elementi, 133$. Interessi. Come possnno calcolarsi col Compasso, II, 881-388, 459-461, 557-558. Intestini. Perchè si rigonfino,uscendo dal ventre, XVII, 377s. I n versione dello immagini. XI,356,363. Ioiinston Giovanni. XIX, 416. Iole. IX, 139. Ipani (fiume). VI, 46. Iperbole. Figura matematica: sua pro¬ prietà, I, 330-331 ; sua quadratura, non ten¬ tata dal Valerio, X, 245; studi intorno ad essa del Cavalieri, XIU, 323, 352-353; trac¬ ciata da G. in Album atnicorum, XIX, 291. Prima nome di figura retorica elio di figura matematica, IV, 167, 698. Ipebnico. — V. Copernico. Ipotesi astronomiche. Che cosa siano, II, 212. Ippaloa. IX, 181. Ippauoo. Del cielo, I, 39, 45, 47. Del moto, 319, 320, 411. Del moto degli orbi celesti, II, 253-254; III, 164. Dell’osserva¬ zione dello stello, II, 527, 529. Studiato dal Keplero, IH, 112, 165; X, 326; XIII, 223. Nominato, III, 317, 362, 373; VI, 210. Ippia. VI, 189. Ippocuatk da Chio. Delle comete, VI, 48, 52, 71, 118$, 400; XII, 485. Ipfockate, medico. Dogli elementi, I, 122$, 125, 130; H, 430. Nominato, II. 585; IV, 207, 219, 648; XI, 23, 390, 440, 441; XII, 54, 55, 141; XIII, 63; XIX, 118, 269, 604. IppooniTO. IX, 174. Ipponioo. IX, 284. Irido. Sua colorazione, HI, 222$. Ancor¬ ché rifrazione, si rispecchia nell’acqua, VI, 52. Come si produca, 66$, 70, 136, 138, 289, 290, 206,447-460. Ila figura circolare, 299. Distinta iu primaria e secondaria, Xll, 485- 487. Irlanda. U, 244. Isabella. XI, 525. INDICE DET NOMI ECC. 221 Kcpler Giovanni] Isabella. IX, 78, 101, Ufi, 179, 193; XYIH, 193. Isabella (Suor). XY, 90, 157. Isacco. I» 105. Isaia. I, 64, 69, 70; III, 289; Y, 408; XI, 23. Iseo Giuseppe. IX, 14. Iseo (da) Clemente. Inquisitore di Ve¬ nezia, lm ricevuto la sentenza e l’abiura di G., e farà quanto gli viene ordinato, XV, 225; XIX, 367. Partecipa al Micanzio es¬ servi divieto di stampare o ristampare qual¬ siasi opera di G., XYI, 209. Nominat o, 193. * Islb (de 1’) Melchiorre. XYI, 213. Ismbno. IX, 61, 72, 73, 123, 125; XII, 298. Isocrate. Esercizio scolastico di tradu¬ zione latina, incominciato da G. sopra gli Avvertimenti a Demonico, IX, 275-276,283- 284. Nominato, XVIII, 357. Isola d’Aron a. XI, 525. Isola del Pianto. IV, 51. Isola di Buonscgni. XI, 525. Isole. Sono indizio della disegualità dei fondi dei mari, VII, 446. Isolo galleggianti. Nel mare bulico e nel lago di Bassanello, IV, 380, 788. Isole infortunato. XI, 525. Isoperiinotri. Vili, 1025; XYI, 309, 3815, 384. Issatjltier Giovanni. XVII, 33, 36, 37. Istoria c dimostrazioni intorno alle macchie solari c loro accidenti, comprese in tre lettere scritte all'Il¬ lustrissimo Signor Marco Vclscri ecc. dal Signor Galileo Galilei ecc. V, 9-19, 71-249. Frammenti attenenti a que¬ st’opera, 19, 251-260. — V. Cesi Federico. Macchie solari. Scheiner Cristoforo. Welser Marco. Istria. X, 164. Italia. HI, 144, 174; VI, 27, 178, 219, 428; VII, 29, 72, 303; Vili, 44; X, 69, 70, 78, 79, 94, 138, 256, 294, 314, 322, 349, 359, 66, 401, 417, 438, 457, 458, 496; XI, 19, 23, 68, 98, 172. Iunius Adriano. XI, 277. luvcnilia, scritture scolastiche di G. intorno ad Aristotele o specialmente al De cacio. I, 7-177; IX, 281-282. * Jauffbbd Giacomo. Sua lettera encomia¬ stica a stampa a G., XIV, 313-316, della quale questi ringrazia, 317, 325. Accompa¬ gna alcune suo pubblicazioni a G., 338. No¬ minato, 312, 319, 328, 334, 342, 356. * Joyeuse (de) Francesco. Ringrazia G. per un cannocchiale da lui ricevuto, XT, 20S, 211; o por il Discorso sulle galleggianti, 373. Nominato, X, 357; XI, 132, 137, 141, 211,214, 229, 377, 488; XII, 282; XIII, 56-57. * Kasperokr Gio. Girolamo. XIII, 335. Kbknasellos. III, 139. * Kelltson Matteo. Ha comunicato ai pro¬ fessori dell’ Università di Donai la condanna pronunziata dall’Inquisizione contro il Dia¬ logo di G., ed attesta non essersi mai ivi sostenuta l’opinione del moto della terra, XV, 255; XIX, 392-393. * Kempff Giacomo Cristoforo. XIII, 60, 63, 04, 70. * Kepler Anna Maria. XVII, 279. * Keplf.r Cordula. XVII, 279. * Kepler Fridmaro. XVII, 279. * Kepler Giovanni. Suo De stella nova ecc., II, 280; III, 117, 118; VII, 245, 306; X, 411. Sua Dissertano cani Nuncio Si¬ dereo ecc., HI, 10-11, 97-126; X, 319-340, 319, dedicata a Giuliano de’Medici, III, 101 - 102; X, 318, 366; si pensava a ristamparla in Venezia, 358; XIX, 228, 229. Sua Nar¬ ra t io de observatis a se quatnor Iovis satcl- litibus ecc., in, 11, 179-188; X, 454,457,463. Sua Astronomia Nova, ecc. citata, ILI, 101, 104; X, 320. Attribuisce al Porta la prima 222 INDICI*: DEI NOMI ECC. invenzione del telescopio, IH» 108 - 10 ‘J; X, 323; XI, 611. Riscontra lo scoperto colesti di G. con un cannocchiale prestatogli dal¬ l’Elettore di Colonia, HI, 18-1-167. Si sforza d’indovinare lo lettore trasposte con lo quali G. annunziò la scoperta di Saturno tricor¬ poreo, 185; X, 420, 455, 474; XIX, 221), 611. Sua testimonianza circa le macchio solari invocata dallo Scheiuer, V, 62. Sua Dioptrica nella quale stampa quattro lettere, privata¬ mente scrittegli da G., 84; VI, 422, 446; X, 507-508; XI, 167, 430, 430, 476. Le congiun¬ zioni di Merourio da lui visto nel Bolo non furono altro elio macchio, 198. Seguace del sistema Copernicano, 352 : suoi argomenti in favore di esso, VII, 294-295; alcuni dei quali sono giudicati da G. essoro piuttosto a diminuzione che a stabilimento della dottrina, XIV, 340. Sua risposta alla Disputdtio del- l’Ingoli, V, 400; YI, 504; o replica di questo, XIH, 192. Opinioni sue sulle comete, TI, 149, 238, 311-313, 401, 439, 45G; moto ad esse attribuito, 210, 242. Sue opinioni circa il flusso o reflusso, VII, 486; X, 72. G. lo ringrazia del Prodromua dissertationum co- smograpkiciirum, o gli annunzia la propria adesione al sistema copernicano, 67-68; di che egli si compiace o lo esorta a perseverare, 69-71, dandone partecipazione all’Herwart, 72. Scrive ad un anonimo, esprimendo il desiderio che G. istituisca osservazioni sulla declinazione del magnete, 75-76. E. Bruco gli fa credere che G. esponga come pro¬ prio lo cose di lui, 90, 104. Suo carteggio coiniorky a proposito dei Pianeti Medicei o della scrittura di questo contro G., 308-309, 311, 316, 342-343, 358-359,386-387,401, 419. Suoi giudizi intorno al SidcrcusNuncius, 314- 315, 318-319, 344-345, 366; chiestigli dal Ma¬ gmi, 341, 353 od interpretazioue datane da questo e dnl Fnggor, 359, 361. G. gli manda alcuno osservazioni dei Pianeti Medicei, 403, ed egli gliene scrivo, inviandogli una lettera [Kepior Giovanni contro l’Hovky con facoltà di pubblicarla 113-417, 419, 473; ma G. rinunzia a servir¬ sene, 121-423, 426, 427, 410; XI, 17. Consi¬ glia l’ilorky a met tersi in salvo in Germania, X, 419. G. si ride con lui degli oppositori allo suo scoperte celesti, 422-123. Aspira a raccogliere la successione di G. a Padova 128, 140; XI, 49, 556. 11 Miistlin gli Borivo in lodo dell’IIorky ed in vitupero di G.,X, 128,429. GalilaccvicistU, 436 ch’egli esclama, dopo aver veduti i Pianeti Medicoi col can¬ nocchiale prestatogli dall’Elottoro di Colo¬ nia, 439-410, 449. Annunzia a G. la palinodia doll’IIorky, o lo prega di sospendere la pubblicaziono della lettera mandatagli in biasimo di lui, 457-159, 506-508: la resipi¬ scenza dell’ Ilorky ò confermata dall’IIasdalc, 491. Giustifica un passo della Disserlatio che orn spiaciuto a G., 462-463. G. gli comunica l’anagramma relativo alle fasi di Venere, 483; e poco appresso anche la spiegazione, XI, 11-12, 42, eh’ egli aveva inutilmente cercata, 15-16. Stima inesplicabili i periodi dei Pianeti Medicei, X, 483; XI, 49, 80. Sua lettera al Muller intorno alla costruzione dei cannocchiali, X, 485-490. Comunica a G. il suo giudizio intorno al libello del Sizzi con una osservazione sua propria dei Pianeti Medicei, ma non riesco a vedere nò Venere falcata, nè Saturno tricorporeo, XI, 77-78, 90-91. Scrive al V/ickens intorno allo osservazioni del Mnyr, 166-167. Sua dottrina dell’orbita ellittica dei pianeti, 306. Lascia Praga per Linz, 383-384. Giudizio del Sa- gredo intorno a lui, 398. Suo contegno am¬ biguo rispetto all’usurpazione dei Pianeti Medicoi tentata dal Mayr, 429-430; XII, 72; mentre i Lincei avrebbero voluto che G. si fosse a lui rivolto per averne ragione, 85; XIX, 267. Carteggia col Maeleote intorno alle macchie solari, XI, 445, 536-537. 0. Pi¬ sani lo informa circa i propri lavori, 580- 581. Risponde i\W Ant il icone <\ 9; IH, 409. Lorena (di) Pietro Leopoldo. XVII, 290. INDICE DEI NOMI ECC. 233 Luce] Lorenzi Antonio. XIX, 427. Lorenzi Marco. XIX, 427. ♦Lorenzini Antonio. Suo Discorso in¬ torno alla nuova stella, e polemiche ad esso relative, II, 271-273, 314-327, 330-334; VII, 303; X, 135-136, 176. Lorenzo (Isola di San). V, 390; VII,460; XVI, 54, 76. 1,Oronzo in Daniaso (Card, di S.). — V. Barberini Francesco. Lorenzo in Pane e Poma (Card, di San). — V. Verospi Fabrizio. Lorenzo (Messer). XV, 94, 123, 261. Lorenzo, detto il Lanzi o Danzino, ser¬ vitore di G. B. llicasoli Baroni. X, 39; XIX, 51, 52, 53, 56, 59, 84, 87. Lorenzo, familiare di G. XIII, 446. Lorenzo (Sig. r ). XI, 320. Loreto. XI, 399; XII, 392, 395, 406, 407; XIII, 33, 281; XV, S9; XVII, 204; XIX, 424. Loria. XIX, 195. * Loun Antonio. Scrive a V. Galilei iun. intorno ad un suo disegno per un nuovo ponte a Pisa, che doveva essere giudicato da G., XVUI, 324-325. * Lorit Louto. G. si consulta con lui circa l’uso del Celatone, XII, 311. Nominato, XIU, 228, 289; XVII, 16, 301; XIX, 259. Lorini Boonaiuto. II, 11. * 1 ,orini Giovanni. XI, 354, 355. * Lorini Niccolò. Contrario alla opinione del Copernico, V, 263$. Si difende dall’accusa di avere sparlato di G., dichiarando d’aver detto soltanto che P opinione copernicana osta alla Divina Scrittura, XI, 427; e col Castelli disapprova P operato del Caccini, XII, 123; ma in Roma si pronunzia contro G\, 145; del quale aveva denunziato al S. Uffizio la lettera al Castelli, 140-225; XIX, 276, 293, 297-298; mostrata da lui al Cac¬ ciai, 308; al quale aveva detto delle relazioni che correvano tra G. ed il Sarpi, 310. Lóro. XIX, 86. Lotaeus Davide. Pseudonimo di Elia Diodati, XVI, 233, 240. * Lotti Cosimo. Informazioni sul suo conto, chiesto dal Card. A. Orsini al Guiducci, XIII, 266. Fabbrica un sostegno por cannocchiale ad uso del Re di Spagna, XIV, 140, 146; o dipinge per lui i Pianeti Medicei intorno a Giove, 140. Indicato da G. per la attua¬ zione pratica del suo trovato per graduar la longitudine, 203. Nominato, 309. v Lotti Ottaviano. Si dichiara pronto a trasmettere ni Re d’Inghilterra ciò che per lui mandasse G., X, 377. Nominato, 356, 364. Lottisi Cosimo. XIX, 35. Lovarini Emilio. IX, 27. * Lubinski Stanislao. XIX, 151,152, 153, 154, 155, 156, 16G. Lublino. X, 85. Luca. XV, 269. Lugani Bernardino, xm, 113, 115. Luoano Anneo. VI, 163. Lucca. X, 39; XI, 352; XIX, 50, 51, 53, 59, 68, 73, 74, 75, 85, 87, 95, 107, 108. Lucca (da) Giacomo. XLX, 20, 22. Lucca (da) Lazzaro. XIX, 20, 22. Lucca (da) Michele, servitore di G. Suoi conti con lui, XIX, 176. Lucciole. Sarebbero più perfette di altri animali, se il rispondere fosse segno di maggior nobiltà. Vili, 551. Luce. Non è da comprendersi tra le qualità primo, I, 159. Del sole, riflessa dalla terra, V, 221. Non sarebbe riflessa dalla luna, so questa fosse polita e liscia, 222, 257; VII, 102, 635, 642. Non va a trovar l’oggetto, ma viene verso l’occhio, VI, 256, 410. Perché più universale quella riflessa dai corpi aspri che uon dai tersi, VII, 102. Riflessa più debolmente dal mare, ed in ge¬ nere dall’acqua, che non dalla terra, 123. La Bua azione non può essere senza moto, Voi XX. SO 234 ed anello velocissimo, YIHj 87, ma non ò istantanea, 87-89 ; XVII, 388. Agisco diver¬ samente dal calore, YUI, 534-535, 537. Pro¬ pria dello stelle fisse, XI, 61-62. Gli astro¬ logai opinano che lo stollo agiscano per mezzo di essa, 114s. Imprigionata nella pio- tra lucifera corno il calore nell’acqua, 140. Opinione del Castelli intorno alla sua es¬ senza, 295. Sanguigna, che apparisce nella luna durante le eclissi, XIII, 71. Logge fo¬ tometrica del Castolli, XVI, 122, o conside¬ razioni dolio stesso nella sua Mattonata, XYU, IGls. Problemi di G. intorno alla di¬ rotta od alla riflessa, XVIII, 151; egli con¬ fessa di non esser mai arrivato a penetrarne l’essenza, 208,233-234,250.- V. Luna. Stollo fisse. Lucerna di Erone, dichiarata da G., X, 64-65. Lucerna (Nunzio di) — V. Scotti Ra¬ nuccio. Lucherini Domenico. — V. Sullucheri Domenico. Lucia, filatrice. XIX, 194, 196. Lucia, serva di G. Suoi conti con lui, XIX, 174. Luciano. Assomiglia la luna ad un for¬ maggio, M, 114, 161; X, 329. Nominato, XVI, 439. Lucifero (stella). — F. Venero. Lucifero. IX, 40, 41, 42, 46, 48, 49, 56. Lucilla. IX, 197. Luoina. XIV, 85. Lucini Luigi Maria, Commissario Gene¬ rale del S. Uffizio. XIX, 291, 292. Lucio (P.), Gesuato Mediatore della cor¬ rispondenza di G. col Cavalieri, XIII, 328; XIV, 192, 212, 242, 263, 265, 275, 828, 335, 337, 437, 438, 441; XVI, 78, 132, 201, 281. Creato Generale dell’Ordino dei Gesuati, 365, 396. Luoius Lodovico. XYI, 99, 108. Lue olona. X, 63. [Lucerna Lucrezia, familiare di G. XVI, 178 479 508. ’ ’ Lucrezia (Madonna), familiare di Muzio Tedaldi. X, 17,19. Lucrezio Tito Caro. Ili, 351; xy, 412 426; VI, 163. * Ludovisi Lodovico. Sua benevolenza per il Ciani poli, XIII, 59, 78, 82. 11 Cavalieri vuole essergli raccomandato, 455, 463; XIV 12, 13, 14, 20, 21, 33, 34. Nominato, XIII, 390; XIV, 132, 211, 235, 357; XV, 28, 29- XIX, 462, 468. * Luillter Francesco. Comunica al Boul- liau che G. ò stato citato davanti all’Inqui- sizione, XV, 161. Trasmette al Gassendi il cannocchiale mandato por lui da G., XVI, 153, 154. Nominato, 72; XVIII, 433. Luisa (Suor). Amica prediletta di Suor Maria Celeste, XIII, 383, 108,410,420; XIV, 39, -15, 51, 57, 63, 68 , 69, 81, 143, 168, 173, 184,262, 208, 209, 273, 274, 286; XV, 38, 53, 59, 66 , 91, 103, 109, 114, 130, 136, 157, 201, 247, 270, 271, 287, 298, 297, 303, 307, 316, 319, 322. Luna. Suoi moti, mese lunare, I, 43- 44; VII, 125-126, 114. Sua affinità con la terra, II, 217; III, 17, 20-21, 59-60, 62-63, 116, 332, 383; VII, 87-93, 122-123, 634$; X, 280, 331 ; XV, 254; XYU, 292. Illuminazione ed apparizioni, li, 250-253, 282. Suo dia¬ metro visuale, misurato malo dal Capra, 295s, 525. Quanto disti dalla terra, IH, 17, 59; VII, 250. Suo aspetto, visto col cannoc¬ chiale, IH, 17 , 20-27, 48, 59-60, 62-75; X, 273-277; XIX, 610, confermato dal Keplero, III, 112$, 160$, 186s; X, 321$, 327s, 0 dai Matematici del Collegio Romano, HI, 291$; opposizioni dell’ Horky, 135, e del Colombe, 286; contestazioni del Lagalla 321-399. Non sono in essa nò abitatori nò generazioni, 115, 328; V, 220s; VII, 86 , 125, 648; X, 330; XII, 146, 210-241. Non ha qualità pro¬ pria, III, 215. Corrisponde ull’argento tra INDICE DEI NOMI ECO. INDICE DEI NOMI ECO. 235 Lupi Francesco Maria] i metalli, ed al cervello nel corpo umano, 219. Problema matematico intorno all’al¬ tezza dei suoi monti, IH, 301-307;*XI, 130- 131, 178-203, 233, o discussioni a tale pro¬ posito, Vili, 027; X, 461-462, 466-473 ; XI, 13-14, 31, 38-41, 141-151; XII, 240-241; XVIII, 412, 414. Suo macchie, V, 26, 53, 68,97; XI, 93; XII, 252-253; intorno ad esse sono lunghe tirate di montagne, VH, 125. So fosso polita e liscia non rifletterebbe il lume, nò si vedrebbe, T, 222, 257, 322; TI, 320; VII, 96-103; Vili, 627. Non ò tra¬ sparente, V, 224-225, 257. Se sia causa del flusso e reflusso del mare, 389; VII, 470; X, 72. Perchè apparisca di figura ovata sull’oriz¬ zonte, VI, 354 ; perchè maggioro bassa che alta, 356-356; Vili, 462. Se possano avve¬ nire in essa mutazioni, Vii, 73-74. Possono trovarvisi sostanze diverse dalle nostre, 86. Dalla terra si vede più che la metà del suo globo, 90. Due macchie in essa, pel¬ le quali è manifesto che costantemente ri¬ guarda con una stia faccia il globo terrestre, 91. Sua luce secondaria, 94,117-119, 124. Lo sue apparenti inegualità non si possono imi¬ tare per via di più o meno opaco e di perspi¬ cuo, 111-112. Apparenze dalle quali se ne argomenta la montuosità, 112. Suo lume più debole di quello del crepuscolo, 115. Non composta di terra e di acqua, 125; XII, 240- 241; in essa non sono pioggie, VII, 86,126 ; XVIII, 240. Pregiudizi circa palle prove¬ nienti dal suo concavo, 258. Parallasse, 311. Non può separarsi dalla terra, VII, 350. Perturba assai l’ordine degli altri pianeti, 362. È improbabile che l’elemento del fuoco sia rapito dal concavo di essa, 4G9. Oppo¬ sizioni del Hocco allo conclusioni di G., 634- 650. Come si possa osservarne l’allontana¬ mento e l’avvicinamento alla terra, VIH, 460-461. Analogia di essa trovata dal Liceti con la pietra lucifera di Bologna, 486, 540. Sue faccio d’un periodo intero che G. si proponeva di disegnare, X, 300. Osservazioni del Cigoli, XI, 287, che nella cupola di S. Maria Maggiore la raffigura come la si vede col cannocchiale, 449. Osservazioni di F. Colonna, 5G8-569, 602; XU, 75. Il Cava¬ lieri chiede spiegazioni a G. circa la luco di color sanguigno che apparisce in essa du¬ rante le ecclissi, XIII, 71; ed il Gassendi gli scrive circa la varietà dei colori in essa osservati, 396. Osservazione del Castelli circa il suo diametro nelle congiunzioni, XIV, 359, e sulla sua reciproca illuminazione con la terra, XVI, 122. Come si mantenga sospesa nello spazio, 406. Il Gassendi attende a dise¬ gnarla, e, di concerto col Peiresc, la fa poi incidere dal Mellan, 517; XVII, 35, 186, 201, 208-209, 384. E dallo stesso ne fa eseguire disegni anche il Castelli, 186, 192. Anche il Granduca la fa disegnare, 204. Nuove os¬ servazioni in essa di G., 212, 214-215, 219, 229-231, 260, 269,275, 326; XVJH, 151; XIX, 620; lettera di G. all’Antonini sulla sua ti- tubazione, XVII, 291-297, 305-306, 329. Ar¬ gomentazioni del Castelli circa la sua luce cinerea, 216-217, 233-234. Notevole ingran¬ dimento di essa, ottenuto con cannocchiali del Fontana, 308, 363-304,375.— V Cantar lunare. Cinzia. Eclisso lunare. Flusso e re¬ flusso. Liceti. Monti lunari. * Luna (dalla) Ar.vis». Consultal o da G. F. Sagredo per la migliore fabbricazione delle lenti, XII, 417, 418, 419. Nominato, 480. Luna (dalla) Lodovico. XII, 418, 480. Lunardi Gio. Battista. Suoi conti con M. A. Galilei, XIX, 474. * Lunardi Iacopo Antonio. Raccomanda a G. il nipote G. Galletti, XVI, 37. Lunghbna (Abate). XIII, 335. Luogo. Come definito da Aristotele, IV, 632. Lupi Francesco. XV, 351, 352. Lupi Francesco Maria. XIX, 262. 236 INDICE DEI Lupi Gemini ani Gio. Battista. XiX, 228-229. Lupi Pietro. XIX, 38, 41. Lupo (costellazione). TI, 28. ♦Lusarofies (di) Filippo. Assicura G. delle buone disposizioni del Conte di Nonilles, XVIII, 134-135. Nominato, XVI, 144, 145. Lusimdahdi. XI, 594. Luterò Martino. Più dello sue scrit¬ ture è giudicato dai Gesuiti pernicioso il Dia¬ logo dei Massimi Sistemi, XV, 25; XVI, 458. Limo o Luzio. — V. Lucio. Luzimuurq (Sig. r di). XIX, 152,153,155. Lynoabus. Ili, 143. Lyra (da) Niccolò. I, 36. M. XTV, 415. Ma.a (van der) Giovanni. XIX, 541. Mabei.lini Adolfo. IX, 24. Mabillbau Leopoldo. XII, 128. Maccarese (Stagno di). Lavori di pro¬ sciugamento fattivi dal Castelli, XVIII, 182- 183. Maooanti Giovanni. XIX, 210 Maooanti Mario. XIV, 264. Maooanti Ottayio. XIX, 210. Macchie solari. Annunziate pubblica¬ mente da G. nel Discorso sullo galleggianti, IV, 64; XIX, 613; o derise dai suoi avversari, IV, 322, 436, 482-483. Osservazioni di esse fatte da G. fin da quando era a Padova, V, 9-10, 81, 84, 95; VII, 372; XIV, 299; XIX, 611, cioò da lui primo fra tutti, XVI, 195; XVII, 296,402; e ripetute in Ito»ua,V, 81-82; XI, 305, 329, 335, 418, 424,445; XII, 175; XVI, 189 ; XVII, 296-297. Trcs Epistolae de maculis solaribus di C. Scheiner, sotto lo pseudonimo di Apelles latcns post tabulam, indirizzate al Wolser, V, 10-11, 14, 21-33; nelle quali so ne arroga la scoperta, 25; ricerca se siano da attribuirsi all’aria circo¬ stante, 26, 29, ed escluso clic possano essere nel sole, se siano stelle sotto il solo, esclude NOMI ECO. [Lupi Geminiani Gio. Batt. che possano essere nel cielo della luna, di Mercurio o di Venere, 29; conclusioni alle quali perviene, 29-31. De maculis solaribus et stellis circa Iovcm crrantibus accuratior Disquisitio, dello stesso Scheiner sotto il me¬ desimo pseudonimo, 11-12, 14, 35-70, con po¬ stillo di G., 66, 67, 68, 69, 70 : testimoni ocu¬ lari ed auricolari dello osservazioni dello Schoiner, 62-63 ; conclusioni allo quali per¬ viene, 65s. Istoria c dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, com¬ prese in tre lettere scritte a Marco Vclseri, di G., 9-19, 71-249; o frammenti attenenti a quest’opera, 19, 251-260. Le macchie sono reali, 95 ; loro movimento, 95-96. Sono fuori dolio spazio comunemente assegnato all’ele¬ mento dell’aria, 97, o non men lucide che le parti luminose della luna, 97-98; loro materia non molto densa, 98: non permanenti, 101; vicino al lembo del solo si assottigliano, 104, 126; VII, 79; la loro sostanza può essere a noi incognita ed inopinabile, V, 105. Rassomiglianza di osso allo nostre nu¬ volo, 106$, 230. Osservazioni delle mutazioni di densità e figura, e irregolarità di esso, 107, 200, 229. Non conviene loro il nome di stollo, 108-109, o stello non sono, 111, 231s, 258. Metodo suggerito dal Castelli per vederlo o disegnarle senza guardare il solo, 113,186-137. Loro moti particolari disordi¬ nati o moto comune ordinato, 117; VII, 374s. Loro zona nel corpo solare, V, 117, degna di grandissima considerazione, 189. Loro prossi¬ mità al globo solare, e loro moto sopra di esso, 119. Hanno grossezza o profondità, 119; ma poca, 121. Loro moto circolare contiguo al solo, 120, dal quale non hanno distanza sen¬ sibile, 121, 204$, 256-257, anzi sono ad esso contigue, 211s; VII, 79. Non sono neU’aria, V, 127, anzi lontanissimo dalla terra, 12b, e superiori alla luna, nel cielo e nella su¬ perficie del sole, 129. Il sole si converte in \ sè stesso o le porta seco, 132-133, 219-220, Macchina] INDICE DEI 287-288. Veduto senza strumento e con la semplice vista, 198. Disegni di quelle vedute ed osservate da G. nel giugno e parte del luglio 1612, 145-182. Non sono lagune nè ca¬ vità nel corpo solare, 202. Tutte dimorano tempi uguali sotto il disco solare, 203, 217. Non possono essere una congerie di minu¬ tissime stelle, 231-234, 259. Conclusioni di G. ad esse relative, 236. Sono fumosità va¬ ganti elio si producono e si dissolvono, VI, 94, 140, 295, 412. Opinioni diverse intorno ad esse, YH, 77 s. Conseguenze che se ne de¬ ducono, 374s, 379s. Gli accidenti che si os¬ servarono in esso furon rispondenti alle previsioni, 379. Olio cosa no penseranno e diranno i Peripatetici, 380,720. Obiezioni del Rocco, 617-619, 627-628. Osservato dal Pas- signani in Roma, XI, 209, 212, 229, 253, 276; istruzioni dategli da G. circa il modo di os¬ servarle, accennando alla rotazione del sole, 214. S’incomincia ad osservarle in Germa¬ nia, 230, 235, 236, 239, 241, 246, 271, 280, 281, 289. Si osservano anche a Padova, 231, 214. Osservazioni e disegni di esse, comuni¬ cati dal Cigoli a G., 287-288, 318-319, 348- 349, 369, 383, 386-387; il quale gli dà istru¬ zioni a tal proposito, 290, 362. Osservazioni fatte dal Castelli, 294-295; XIY, 136. G., avuto le Trcs J Epistola# dello Scheiner, annunzia al Cesi l’intenzione di scrivervi intorno una lettera e di indirizzarla al Welser, XI, 296, e gliela manda, riassumendone il contenuto, 301: la lettera perviene al Welser, 303. G., ne scrivo al Card. M. Barberini, mandandogli nove disegni di esse, 301-311, e copia della prima lettera al Welser, 322-323, 325, la quale si legge anche a Padova dngli amici che vi aveva lasciati, 320. Lo osserva anche l’Agucchi, 329, 346-347, 390-391, 441-443. G. no informa Giuliano de’ Medici, 335-336. Scrive intorno ad esse una seconda lettera al Welser, 336, 374, e la manda al Cesi, 393, che si propone di stamparla con la NOMI ECO. 237 prima, 394-395. 11 Welser manda a G. lMc- curalior Disquisiti 402, e ne riceve intanto la seconda lettera, 407-408. Disegni di esse, eseguiti da Sigismondo di Cologna, 412-413. G. annunzia al Cesi il prossimo invio della terza lettera, 426. Opinioni del Keplero in¬ torno alle macchie, 430, od interrogazione rivoltagli in proposito dal Maelcote, 445, e dal Sizzi, 491-492. Le tre lettere sono stam¬ pate per cura dei Lincei, 489, 494; XIX, 266, 614; speso relative, 265-266; G. avrebbe desiderato che le Lettere fossero tradotte in latino, XI, 327-328, 546. Osservazioni ed ar¬ gomentazioni del Baliani intorno ad esse, XII, 20-22, 44, e risposta di G., 34. Spiega¬ zione di esse data dai Gesuiti, 90. Opinioni in proposito del Bentivogli, 99, 106-107. Os¬ servazioni eseguite da l'\ Colonna durante un’ecolisse, 102-103. G. no conferisce col Tarde, XIX, 592. Discussioni intorno ad esse del Gasscndi, XIII, 276-277, dcll’Àversa, 325-326, 329-330, del Ohiaramonti, XIY, 83, dell’Argoli, XYI, 62. Lo Stellati annunzia a G. elio lo Scheiner attende ad una nuova pubblicazione intorno ad esso, XIII, 300, e la notizia è confermata dal Castelli, XIV, 22. Giudizi di G., 36; XYI, 391, e del Mi- canzio, 401 ; XYII, 231. Apologia del Ma- biotti per una postilla ad esse relativa, XYI, 425. Messe in evidenza nella sfera dell’Al¬ berghetti, 131; XYII, 32, 260, 270. Il S. Uffi¬ zio delibera che le Lettere siano esaminate, XIX, 278, 296, 320; argomento tratto da osse in favore del moto della terra, 343, 355, 357-358. — V. Cesi Federico. Istoria c dimo¬ strazioni ecc. Scheiner Cristoforo. Welser Marco. Macchina ideata da G. per far vedere le composizioni dei movimenti, VII, 456. E per sollevare l’acqua, X, 87; XYI, 27; XIX, 126-129, 202. Con gravissimo pendolo adat¬ tato ad una leva, Vili, 571-584. Per pe¬ stare, 585-587; XIII, 338. Proposta per INDICE DEI NOMI ECC. 238 vuotare la darsena di Livorno, XIX, (ioti, 638. Macchine. Non si può con esse ingan¬ nar la natura, II, 135. Utilità vere che da esse possono trarsi, 156$, 166-167, 170$. Glandi, benché fabbricate con ristessa pro¬ porziono elio altro minori, dello modoaimo materie, sono mono robuste o gagliardo a resistere contro agl’ impeti esterni che lo minori, YIII, 51; obbiezioni del Do Ville, XYI, 222, o risposta di G., 212. Giudizi in proposito del Descartes, XY1I, 387, c del Baliani, XVIII, 70. * Maooolo Iaooi'o, detto Coccamonna. XII, 58. Machiavelli Niccolò. XIV, 370,371; XY, 230; XVIII, 415. Macìa. XIV, 177. Maoinaio. XVIII, 26. ♦Màcinghi Manfredo. XII, 121. Macromo. 1Y, 219, 26-1; VII, 117. Macrocosmo. 8ua perfetta rispondenza col microcosmo, III, 214, 219. * Maculano Vincenzo. Il Castelli si offre di dichiarargli il Dialogo dei Massimi Si¬ stemi, XIV, 401. Q., appena arrivato a Roma, si reca da lui, XV, 41. Tratta cstraiudicial- mcnte con G., 106-107, 109, 112. Sua par¬ tecipazione) al processo, conio Commissario Generale del S. Uffizio, XIX, 281, 282,283, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 200, 336, 344, 345, 410, 411 Nominato, XV, 140, 171; XV tu, 378. Maddalena (Madonna). XII, 456. Maddalena (Suor). XIX, 519. Maddalena Angela (Suor). XIX, 519. Maddalena di Carlo di Berqo noi Ga¬ lilei. — V. Galilei Maddalena. Madrcperle. Atte ad imitar l’appa¬ rente inegualità della superficie della luna, VII, 111. Madrid (Nunzio di). —- V. Monti Ce¬ sare. [Macchino ♦Makloote (vnn) Odo. Autore del Nun- lius StSercus Collega Domani , UI, 13.291- 208; XI, 162-163. itisponde, con altri suoi confratelli del Collegio Romano, alla inter¬ rogazione del Card. Bellarmino sulla verità delle scoperto celosti di G., 92-93. Il P U8s j_ gnani gli mostra le suo osservazioni dello macchie solari, 253. Latore d’una lettera del Grienborger a G., 273. Scrivo al Koplero in¬ torno allo macchio solari mostrategli in Roma da G., 445, e risposta elio no ricove. Nomi¬ nato, 30, 79, 233. Maestro (del) Benedetto. XV, 116,122. ♦Maestro (del) Giovanni. Da parlo della Granduchessa Cristina invita G. a Pratolino, X, 146. Maestro (dol) Lorenzo. XIX, 475. Magaolianes. Sua interpretazione del passo di Giosuò, V, 347. Magaolianes Ferdinando. XI, 549, 555. Magaglianes (Stretto di). Y, 390, 393; VII, 161, 160, 462; X1Y, 54, 75. * Magagnati Girolamo. Scrivo giocosa¬ mente a G. in lingua pavana, X, 182-183.Suoi vorsi in lodo dei Pianeti Medicei, 354-855; XIX, 12. Eletto Accademico della Crusca, X, 445. Intrinseco di G.B. Porta, XI, 155. Aveva proposto una grande impresa com¬ merciale alla Corte di Toscana, 237-238. Manda suoi versi a G., 246, e scrive d’altri che stava dettando, 321-322,628; XII, 348. Informa G. delle coso di Venezia, XI, 367, 527; XII, 348. Scrivo a proposito di deco¬ razioni per una grotta, desiderate dal Gran¬ duca, 347, 350-351. Ringrazia G. per un con¬ sulto modico procuratogli, 387. Conti di G. con esso. XIX, 182-183. Nominato, IX, 233; X, 216, 464; XI, 50, 417, 504, 513. * Magalotti Carlo. XIII, 216, 227, 241, 251, 253. * Maqai.otti FiLirro. Eccita G. alla pub¬ blicazione dol Saggiatore, XUI, 89-90. Si | proponeva col Cesarmi di emendare in esso 289 Magiotti Sanleohni Lattai}.] INDICE DEI alcune parole, conformo al parere doi Lincei, IH. Informa il Guidacci sopra ciò che in Roma si stava tramando contro G. per il Dialogo dei Massimi Sistemi, XIV, 368-371, 379-382; e ne scrive anche a G., 382-383. Si congratula con lui per il suo felice arrivo a Siena, XV, 223-224. Nominato, VII, 510; XIU, 156, 164, 167, 193, 197, 210, 223, 224, 230, 247, 248, 249, 266; XIV, 366; XV, 185, 215, 256; XVI, 383. * Magalotti Lorenzo. Si disputa alla sua presenza tra G. o l’Ingoli intorno al sistema copernicano, V, 399, 403. Scrive a G. per le congratulazioni di lui in occasione della ele¬ zione del nuovo Papa, XIII, 151, e di sò medesimo a Cardinale, 231-232. Nominato, VUI, 474; XIII, 146, 217, 221, 224, 241, 253, 421. * Magalotti Orazio. XVI, 383. * Maganza Gio. Battista. XVI, 364. Magentino. IV, 243. *Magi I.odovioo. XI, 217. Magi. Stolla da essi osservata, II, 304. *Magini Gio. Antonio. Uso dei suoi la¬ vori fatto dal Capra senza citarlo, II, 495, 496, 497, 498, 499, 500, 501, 502, 503, 504, 505, 506, 507, 508, 509, 593, 695, 596, 597, 598; X, 174. Sua testimonianza in materia delle macchie solari, addotta dallo Scheiner, Y, 62. Sue osservazioni intorno alla nuova stella del 1604,'X, 119, 121, 133, 136. Giu¬ dica ambiguamente intorno ai Pianeti Me¬ dicei, 305, e ne chiedo al Keplero, 341, scri¬ vendone però in senso contrario all’ Elettore di Colonia, 345, mentre lo stesso Keplero si esprime con lui in senso ambiguo, 353. Ila presso di sò l’IIorky, 309, 311, elio ò presente mentre G., suo ospite, mostra col telescopio i Pianeti Medicei, 343, 358, 359, 365-366. Per allontanare da sò i sospetti d’aver aiutato PHorky a scrivere contro G., lo caccia di casa, e lo accusa d’avergi i ru¬ bato dei libri, 375-376, 377, 378, 379, 331- NOJII ECC. 385, 386-387, 389, 390-392, 398, 400, 401, 408, 417-418, 419, 450, 473, 481; XI, 92. Congiura ai danni di G. anche col Sizzi, X, 411-412. G. nel suo ritorno definitivo in To¬ scana è no vani ente suo ospite, 424, 430. Giudizio ch’egli dà di sò medesimo in con¬ fronto con G., 430. Comunica a G. alcune sue osservazioni dei Pianeti Medicei, 437, e tenta di determinarne i periodi, XI, 175- 176. Scrive a G. degli specchi da lui costruiti, X, 437-438,443, 446, 451, 492, 496; XI, 20, 259-260. Lenti che fa lavorare sopra la con¬ cavità d’uu suo specchio, X, 451. Sue opere geografiche, 496; XI, 19, 260; XVI, 490. Vorrebbe succedere a G. nella lettura di Padova, XI, 100. Ringrazia G. per il Discorso sulle galleggianti, 339. Lo Scheiner gli chiede informazioni sulle macchie solari, 461-462. Ringrazia G. delle Lettere, al Welscr sullo macchie, 499; il Biancani gli rivela che Apelle è lo Scheiner, 509. Sue tavole di Marte, 499 ; XIII, 235, 2-45, 219. Scrive a G. d’ un suo sciagurato nipote, XI, 520- 527. G. F. Sagredo giudica erronee le opi¬ nioni di lui intorno alla riflessione degli specchi, 556. Accompagna a G. il suo Sup- plementum ephemeridum ac tabularum se- cundorum mobiliam, 603; XII, 11. Sua gra¬ vissima malattia, 302; e sua morte, 308. Gli succede nella cattedra il Cavalieri, XIV, 33, 43, 60. Nominato, III, 11, 153, 159, 195, 196, 197, 198, 199, 208, 867; V, 28, 32, 39, 41, 44, 45, 195, 404, 405, 406; VI, 519; Vili, 169; X, 43, 53, 78, 90, 104, 310, 449, 463- •164, 476; XI, 45, 58, 66, 128, 129, 132, 138, 480, 495, 539, 548, 550; XII, 274, 2S0; XHI, 172,173,212, 314; XIV, 88; XVI, 281, 490; XVIII, 99; XIX, 610. * Magiotti Sani.eolini Lattanzio. Pre¬ sentato a G. dal fratello Raffaello, XVI, 38. Manda a G. una ricetta medica, XVII, 175- 176, e lo assiste durante una malattia, 360. Nominato, XV, 357; XVI, 167; XVII, 64. 240 INDICE DEI ♦Magiotti Raffaello. Discepolo (lei Ca¬ stelli in Roma, X1Y, 359. Annunzia a G. la comparsa della Difesa dell’Antiticonc (lei Chiaramonti, XY, 191, e della Rosa Ursina dello Scheinor, 300. Dà a G. notizie di sé, degli amici di Roma, dei lavori propri e gliene chiede dei huoì, eccitandolo a pubbli¬ carli, 236-237, 253, 300-301,343-341, 356-357; XYI, 37-38, 65-66, 152-153, 167-168, 192-193, 323-324.384,424-425,432-433,521-522; XVII, 63-64, 80-81. Chiamato alla conversazione fa¬ miliare del Papa, XVI, 291, 324. Propone un problema geometrico a G., 368-369; ed altri al Michelini, 381-383, 384. Chiedo a G. le sue dimostrazioni De centro gruvilutis suliilo- rum, gli dà notizie dei votri di Napoli, e lo incoraggia ad occuparsi del moto dei proietti e ad altri lavori, XVII, 50-51, 63. Scrive al MicheUui intorno alla circolazione del san¬ gue, 64-66. Suggerito dal Castelli a G. come lettore di matematica a Pisa, 362-363. Ha lotto ed ammirato le dimostrazioni dei cen¬ tri di gravità e la Lettera sul candor lu¬ nare, XVIII, 306-307. Il Torricelli conferisco con lui tutti i suoi lavori, 332. Nominato, VIU, 17; XV, 183,184,185,188,213, 216,232, 266, 271, 330, 355, 359, 360; XVI, 29, 91, 139, 140, 161, 273, 835, 352, 418, 427 ; XVII, 70, 234, 309, 314, 355, 360, 401; XVIII, 15, 81, 86, 110, 179, 197, 216, 220, 303, 308, 309, 317, 323, 324, 327, 335, 350, 359. ♦Magiotti Seiiastiano. Gli ò raccoman¬ dato Vincenzio Galilei iun., che si recava a Montevarchi, XVI, 167. Magliaijkoih Antonio. IX, 25; X, 210. Magnani Antonio. XIX, 33, 38, 40. Magnanini Franubsoo. XI, 299, 359, 360. Magnete. — V. Calamita. ♦Magni Valkuiano. XV, 215; XVI, 386. Magonza (Elettore di). X, 345. Mai Angelo, li, 10, 195. Maikr Giorgio Andrea. XIX, 416. NOMI ECO. [Magiotti Raffaello Maina uni Domenico (detto il Q cmi . ni ano). XIX, 561. Mainardi Ferdinando. XIX, 511. ♦Mainardi Vinof.nzo. XV, 275, 287. Maineiii Bartolomeo. X, 47,49. Maiolo. XIV, 63. Mair Alessandro. V, 33. Maire. X, 49; XVIII, 409. ♦ Maire (lo) Giovanni. Suoi pretesi trovati, XVIII, 187. Nominato, XYU, 41)5. Malacca. XI, 525, 555. Malàgigi (fratello di Viviano). XU, 298. Malagonnella Donato. XIX, 32. Malamocoo. XVU, 271, 286; XYIII, 16. ♦ Malapert Carlo. Gesuita, non disap¬ prova il sistema copernicano, XV, 254. ♦ Malaspina Pier Francesco. Propone a G. alcune sue difficoltà concernenti la mec¬ canica e la velocità dei gravi cadenti, XII, 313-315. Ila ricevuto il Saggiatore e lo loda, XIII, 159-160. Nominato, 391. Malatesta (Sig. r ). XIX, 150. ♦ Malatesti Antonio. IX, 22, 26. Malatesti Girolamo. X, 493. Malattie di G. IY, 297; V, 91 ; VI, 225, 384, 439; X, 61, 162-163, 164-165, 173, 209, 212, 213, 216, 218, 466; XI, 28, 46,132, 137, 139, 158, 163,165, 167, 178-179, 243, 247-248, 206, 267, 271, 291, 293, 295,297,299, 302,463, 465, 480, 481, 558, 561, 598, 602; XU, 11, 28, 30, 41, 44, 50, 51, 52, 53, 57, 59, 60, 61, G2, 63, 65, 68, 70, 72, 87, 94, 124, 156, 354, 355, 357, 362, 374, 380, 383, 385, 388, 389, 421, 422, 486, 438, 439, 442, 440, 461, 471; XIU, 04, 90, 92-93, 130, 260, 402, 405; XIV, 16,85, 109, 264, 265, 340-841, 352; XV, SI, 346; XVI, 84, 505; XVU, 30, 42, 46, 94, 126, 211- 212, 237, 238, 245-246, 247, 255, 359, 370, 372; XYIII, 51, 53, 97, 134, 368; XIX, 46, 281, 287, 444, 613, 620, 631, 64G. Causa delle affezioni artritiche, XVU, 221; XIX, 595, (121-025. Consulti medici, 552-557. Mai.donatu Giovanni. XIX, 228. INDICI? DEI NOMI ECO. 241 Ma raffi Luigi] * Mat.tp tbro Giovanni. II» 526, 539, (500, 601; X, 120; XIX, 115, 225. * Malipieko Girolamo. XIX, 127. Malleolo Isàooo. — V. Hammerlein Isacco. Malta. VII, 445. * Malvasia Gio. Battista. DI, 330. ♦Malvezzi Crtstoforo. XIV, 11G. * Malvezzi Virginio. XIII, 186. Mamellini Annibale. XIX, 271. Manaiuole. Il» 58, 140. ♦Manca le Prado Gio. Tommaso. XVII, 131 ; XIX, 550. Mancini (Sig. r1 )- XV, 214. Mancini Domenico. XIX, 35, 39, 42. Mancini Giovanni. XIV, 359; XV, 130, 157. Mancini Giulio. XIII, 207. ♦Mancini Marco. XVI, 206, 237, 238, 248, 285, 298. Mandricardo. VI, 338; TX, 95, 96, 110, 112, 113, 175, 177, 181, 193,194; XVID, 121, 193. Manetti Antonio. IX, 7, 8, 9, 32, 33, 36, 37, 39, 40, 42, 43, 47, 48, 49,51,52, 53, 54, 55, 5(5, 57; X, 66. ♦Manetti Braccio. Annoverato dal Vi- viani tra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., XIX, 628. Nominato, XV, 202; XVI, 362, 477; XVII, 301; XVIII, 277, 330, 333; XIX, 449. Mangani Domenico. XIX, 491, 531, 533, 534. Mangani Giacomo. XIX, 491, 531, 533, 534. Mangili Domenico. XIX, 417. Manica (canale). Ili, 121; X, 336. Manilla. XI, 555. Mannelli (Sig. ri ). X, 383, 403, 425. Mannelli. XIV, 262, 276. * Mannelli Filippo. X, 305. * Mannelli Piero. X, 305. Manni Manno. XIX, 211. *Mannugoi Cosimo. XI, 417. *Mannuoci Filippo. Raccomanda a G. il proprio figliuolo, e gli scrive della voce che corre a Padova ch’egli desideri di tornarvi, XI, 416-417. Ringrazia G. per il Dialogo dui Massimi Sistemi e gli manda una ricetta, XIV, 365-366. Notizie di Ini mandate a G. dal Micanzio, XYI, 286, 295, 299, 305, 310. Si ricorda affettuosamente a G., 309. Sua morte, XVII, 113, 114. Nominato, X, 270; XI, 238; Xlir, 322, 394; XVI, 324-325, 378. ♦ Mannuooi Gio. Iacopo. XI, 416. Manocchia. II, 58, 140. Manolessi Carlo. II, 153, 205; III, 10 Vili, 474. ♦ ManSO Gio. Battista. Sue opinioni in¬ torno alle scoperte celesti di G., X, 291-296, verso il quale esprime la propria ammira¬ zione, 296, in attesa di poter vedere il St- dcrctis Nwnc.ìus, 371. Mantova. Problema quivi trattato sul¬ l’altezza dei monti lunari, III, 13, 299-307; XI, 126, 130-131, 178-203, 233, 273. Menzio¬ nata, 107, 301. Mantova (Duca di). — V. Gonzaga Vin¬ cenzio. Mantova (Inquisitore di).— V. Tabia (da) Ambrogio. Mantovani Domenico. I, 211, 214. Manuelli Gherardo. XIX, 495. Manoelli Giovanni. XIX, 495. Manzi Guglielmo. IX, 11. ♦Manzini Carlo Antonio. XIV, 283; XVII, 374. Manzoni Giacomo. XIX, 272. Maometto. IH, 279. ♦Maraffi Luigi. Esprime a G. il proprio rincrescimento per la predica del Caccini contro di lui, XII, 127-128. Si adopera col Ciampoli in lavoro di G., 161. Gli annunzia la pubblicazione di certo rime intorno allo nuove scoperte celesti, 209-210. Sua morte, 285. Nominato, XI, 268; XII, 145; XVIII, 415. Voi. xx. 31 242 INDICE DEI NOMI ECO, ♦Maraviglia Giovanni. II» 600; III, 58, 319; XIX, 21*2, 223, 225, 226, 227, 228, 229. Marcellino. V, 320. * Marcello Lunari)o. IH, 58. Marcello Marco. IY, 178, 393. ♦Marcello Tommaso. XIX, 207. Maroiibsohi Vincenzo. XIX, 476, 477. MARoin Francesco. XVI, 308. * Marci Gio. Marco. Esprime n G. In pro¬ pria ammirazione, o gli manda il suo De proporzione motus, XVIII, 207-258. Maboione. V, 317. Marco, calzolaio. XIX, 198. Marco Aurelio. VI, 389. Marco, vescovo di Brescia. — V. Zor/.i Marino. Mahoonnet Abramo. XVT, 131. Mare. Cause dei suoi moti, Y, 377 s. Come si specchi il sole nolle sue aoque tran¬ quille, YI,285s. La sua superficie apparirebbe da lontano più oscura di quella della terra, YU, 88, 123. Disegualità de’suoi fondi, 446. Causa per la quale in alcuni canali si vedo l’acqua di esso correr sempre per il mede¬ simo verso, 461. — V. Flusso e rcllusso. ♦Maresoot Guglielmo. Il Bernegger gli manda un esemplare della versione del Dia¬ logo (lei Massimi Sistemi, XVI, 177, 254, 287, 292, 415. Nominato, 3G7. * Maresootti Agesilao. XY1, 28. Markscotti Cristofano. IX, 7. Marfisa. IX, 114, 170, 172, 176, 177,178, 184, 185,185,188; XVIII, 193. Margliera. XY1I, 271; XIX, 587. Margherita (8.) a Montici. XV, 247; XIX, 192, 454, 494, 522, 582, 634. Margherita Eletta (Suor). XIX, 519. Margottini Tommaso. VI, 180. Maria. IX, 124. Maria (Madonna), serva di G. XIX, 175. Maria (Madonna), altra serva di G. XIX, 177. Maria (Suor). XIX, 519. [Maraviglia Giovanni Maria (S.) a Carraia. XIV, 77. Maria (S.) a Monte (da) Borgo. XIX 15. Maria (S.) a Monte (da) Carlo di Bergo. XIX, 15. Maria (S.) a Monte (da) Maddalena di Carlo di Brugo noi Galilei. -- V. Galilei Maddalena. Maria Angelica (Suor). XIX, 518. Maria Anna (Suor). XIX, 518. Maria Benedetta (Suor):'XIX, 518. Maria Benigna (Suor). XIX, 518. Maria Cassandra (Suor). XIX, 519. Maria Caterina (Suor). XIX, 518. Maria Celeste (Suor). — V. Galilei Vir¬ ginia di G. Maria Celeste (Suor). XIX, 518. Maria Clemente (Suor). XIX, 518. Maria del Fiore (Chiesa'di S.). Di¬ segni per la facciata di essa, XIV, 1G6, 217. Menzionata, IV, 320; VI, 576. — V. Firenze. Maria del Popolo (Card, di S.). — V. Ben ti voglio Guido. Maria Eletta (Suor). XIX, 518. Maria Elisabetta (Suor). XIX, 519. Maria Fedele (Suor). XIX, 518. . Maria Felice (Suor). — V. Nerli Maria Felice. Maria Gabriella (Suor). XIX, 519. Maria Grazia (Suor). XIX, 519. Maria Iaointa (Suor). XIX, 518. Maria in Trastevere (Card.di S.).— V. Aldobrandini Pietro. Maria in Via (Card, di S.).— V. Bel¬ larmino Koberto. Maria Lacdomine (Suor). XIX, 519. Mariv Laura (Suor). XLX, 519. Maria Leonora (Suor). XIX, 519. Maria Lisabetta (Suor). XIX, 519. Maria Lucrezia (Suor). XIX, 518. Maria Maddalena (Suor). XIX, 519. Maria No voi la (Chiesa di S.). Predica fattavi dal Oaccini, Xll, 123, 127; XIX, 307. INDICE DEI NOMI KCC. 243 Marsili Cesare] Strumenti collocati sulla sua facciata, XII, 353; XIY, 225-226, 240, 281.— V. Firenze. Maria Nuova (Card, di S.). — V. Gi- netti Marzio. Marta. Olimpia (Suor). — V. Landucci Virginia. Maria Raffaella (Suor). XIX, 511). Marta Regina (Suor). XIX, 518. Maria Suave (Suor). XIX, 519. Maria Teresa (Suor). XIX, 519. Maria Vinobnzia (Suor). XV, 351. Maria Virginia (Suor). XIX, 519. Maria Vittoria (Suor). XVII, 367; XIX, 519. Mariani Gtut,to. XV, 93,139. Mariani .... Luorezia. XV, 93, 139, 261. Mariano (Maestro). XIX, 80, 86, 105. M arietta, serva di G. XIX, 174. Mar ig no Ile. Villa Medicea, in cui G. ò ospite, XI, 227. Menzionata, XVIII, 427. Marina (Val di). XIY, 177. Marinelli Pietro. II, 365; XIX, 167. Marinoni Francesco Maria. XVI, 319. * Marini Gio. Battista. Loda G. nel¬ l’elione, XIII, 148. Nominato, XI, 321-322; XII, 329; XIII, 146, 193; XIX, 12. * Marini Gio. Battista, Segretario della Congregazione dell’Indice. XVIII, 57 ; XIX, 417. Marini Marino. XIX, 207. Marino. XIII, 342. Marino (Capitano). XII, 143, Mario. XIX, 190. Mario Simone. — V. Mayr Simone. * Màrioni Pier Antonio. XV, 277. Mariotti Sante. XVI, 34. Marmano. I, 172. Marmi Anton Francesco. XVH, 11. Mar moro (Cascata delle). G. desidera di vederla, XIII, 108; e la vede, 176, 201. Scrittura di O. Castelli intorno ad essa, 108. Marocco. Il, 332. Marocco (di Treviso). XII, 407; XVI 44. * Marsili Alessandro. Godo per cinque mesi continui della conversazione di G. in Pisa, Vili, 542. Ringrazia G. per una rac- comandaziono in buo favore al Granduca, XVI, 12; ed a lui (levamento si raccomanda per una lettura a Pisa, 482,496-497, 501-502, 501; XVII, 58. G. lo raccomanda al Micanzio per una lettura a Padova, XVI, 506, alla quale pure aspirava, 511-513; o lo informa dei lavori ai quali sta attendendo, XVII, 11. Annunzia a G. ohe dopo parecchie incer¬ tezze, 58, è stato eletto lettore a Pisa, 175; e lo ringrazia por l’esemplare inviatogli dello Nuove Scienze, XVIII, 73. Concorda con G. nelle conclusioni relative al candor lunare, 190. Nominato, Vili, 17; XVI, 13, 55, 286 487, 529; XVII, 14, 191, 206, 215,224, 282, 300, 307, 328; XVIII, 47, 53, 74, 109, 122, 136, 144, 156, 165, 205, 273, 276, 277, 314. * Marsili Cesare.’ Raccomandato, con¬ forme al suo desiderio, da G. per Pelezione a Linceo, XIII, 179, 180, 181, 183, 188,192, 235, 230, 243,244,256,258; viene ascritto, 260, 262, 263, 264, 268, 270, o riceve Panello, 272, 274. Presta a G. la DispiUatio dell’ingoli o la risposta del Keplero a questa, 192-193, 203, 234, o le ha di ritorno con la risposta di G., 210. Dono da lui mandato a G., 234, 236, 240» e con esso P annunzio che aveva stesa un’ in- troduziono alle Tavolo di Marte del Ma¬ gmi, con intenzione di pubblicarle, 235, 245 Ricevo da G. i vetri per un telescopio, 240, 245, ed è da lui invitato a Bellosguardo, 245, 248-249. Sue relazioni col Cavalieri e parto da lui presa, in seguito a raccomandazioni di G., all’ elezione di lui a lettore di ma¬ tematica nello Studio di Bologna, 273, 298, 456; XIV, 12, 13-14,17,18, 20, 21, 22, 25, 27, 28, 29, 32-34, 35-36, 37-38, 43-44, 45-46, 48, 65-66, 77, 79-80, 444-445. Comunica a G. al¬ cune sue idee sulla inalterabilità del cielo 244 1NDICK DEI NOMI ECO. XIII, 285-286, con sodisfaziono di questo, 21X). Mediatore della corrispondenza di G. col Chiara monti, 292, 297, 298, 301,305,315- 310,319,340; XIV, 77. Scrivo a G. di certo am¬ polle con le quali si pretendeva dimostrare il llusso e rellusso del mare, XIII, 316-317, 320, 326, 327-328. G. pii comunica pii studi che andava proseguendo sull’armatura dello calamito, 328-329. Scrive a G. intorno a certi specchi d’ingrandimento, 330-331, 335, in¬ torno ai quali G. osprimo il proprio parerò, 331-332, 339. G. gli scrive intorno alla pietra lucifera di Bologna, e gli esprimo il desiderio d’avorno alcuni pezzetti, 339, ed egli s’af¬ fretta a mandarne notizie, 310. Grave pe¬ ricolo da lui corso, XIY, 24, 29, 30. G. si con¬ gratula con lui per la nascita d’un figliuolo, 215, ed egli lo ringrazia, 225, e gli manda una Bua scrittura circa la decimazione da lui osservata nella meridiana di S. Petronio in Bologna, 225-22G, 241, elio gli è lodata da G., 239-241, 265, 279-281, 283, 300-301. Con¬ ferisco intorno a questo stesso argomento col Cavalieri, 263,279-280; il quale comunica a G. un pensiero astronomico del Marsili, manife¬ standogli il desiderio che questi avrobbo di vedersi, per esso o per altro, menzionato nel Dialogo di prossima pubblicazione, 308-309, o G. vi acconsento, 311-312. Suo giudizio in¬ torno alla Dosa Ursina dello Scheiner e ad un’opera del Cottunio, 299-300. Accompagna a G. la lettera a stampa del Jauffred, 316, ed egli no lo ringrazia, 317. Manda a G. tra¬ scritto un passo di Soleuco sul tlusso o re¬ flusso dol mare, 311, 319. G. gli annunzia l’imminente compimento della stampa del Dialogo dei Massimi Sistemi, 324-325, dol quale egli commette esemplari al tipografo, 328, che li manda, 331, 332, 333, reclaman¬ done poi inutilmente il pagamento, 333; XV, 34. G. ne manda a lui un esemplare, XIY, 332, ed egli lo ringrazia, 334-335. G. gli scrive d’una sua grave malattia d'occhi, 311, ed egli [Marsili Ballntini Elena se ne conduole, 347-348. Riceve da G. comu¬ nicazione del suo grandissimo disgusto porla pubblicazione fatta dal Cavalieri della linea doi proietti, 386-387, ed egli lo assicura del doloro che questi no aveva provato, 396. G. gli annunzia il principio delle persecuzioni contro il suo Dialogo , 410-411, e gli loda lo Specchio ustono del Cavalieri, 444-445. Suoi studi sulla declinazione della meridiana, de¬ siderati dal Micanzio, XYI, 141, 172, o dal fioroni, 190. Nominato, I, 181; VII, 4 , 5 , 8, 187; Vili, 12, 17, 34, 469; XIII, 186, 193^ 245; XIV, 49,69,89, 171, 192,212,227,242, 264, 266, 275, 294, 304, 314, 354, 356, 378, 394, 437, 438. Marsili Bai,latini Elena. Il Landini reclama da lei il pagamento dogli esemplari del Dialogo dei Massimi Sistemi , che aveva mandati a suo marito, XIV, 333. * Marsili Giovanni. X, 464. Mahsilio. IX, 180. Marsilio. Familiare di casa Bocchineri, elio accompagnò G. a Roma, XV, 33, 43, 81, 87, 88, 207, 208. Marta. XV, 60. * Marta IAcoro Antonio. XI,231 ; XIII, 15. Marte. Ili, 55; VI, 44; IX, 71, 120,187, 211, 242, 246, 2-47 , 254, 260, 268, 271 ; X, 196; XVI, 309. Marte (pianeta). Tompo dol suo rivol¬ gimento, T, 43; VII, 53, 141, 145. Sua posi¬ ziono nel sistema dol mondo, I, 50$; III, 167; VII, 292, 293, 349, 351, 353, 351, 698, 699, 700, 703; XII, 469; XVIII, 294; XIX, 338, 357. Il Keplero crede ad esso relativo l’ana¬ gramma di G. por Saturno tricorporeo, III, 185; XIX, 229. Influenze di esso, III, 215- 216; XII, 330-331. Corrisponde al ferro tra i metalli, ed al fiele nel corpo umano, III, 219. Coloro, 368. Eccentricità, V, 106; VI, 533. Fulgore, 132, 172, 273, 274, 359, 422- 423; Vili, 550, 552; X, 126; XI, 62, 194, 195, 196. All’opposizione del sole, quanto INDICE DEI NOMI ECC. Massa Antonio] maggioro che verso la congiunzione, VI, 232; VII, 357-360, 720; YU1, 461; XI, 115, 345; XIX, 408. Aspetto, veduto con roc¬ chio libero, VI, 361; VII, 366. Necessaria¬ mente comprende dentro al suo orbo la terra ed anche il sole, 352. Olio ne abbia detto il Copernico, 362-363. Perchè in esso i regressi siano ruon frequenti elio in Saturno e Giove, 372. Travaglia in particolar modo i moderni astronomi, 480. Sua parto nell’astrologia, X, 153; XI, 132-133. Osservato da G., per verificare se fosse accompagnato da pianeti, o Riavvertissero in esso variazioni di forma, X, 374,] o se avesse fasi, 503 v 'Dubbio del Ca¬ ste li intorno alla sua apparenza, 481, 483 ; o osservazioni in proposito, XVIJ, 355, 359, 361; XVIII, 18. 11 Magini ne studia il moto per trarne le tavole, XI, 499, 603; le quali, dopo la morte di lui, pensa di pubblicare il Marsili con una sua introduzione, XIII, 235, 245, 249. Opera del Keplero intorno al suo moto, XI, 580. Sua occultazione osservata da M. Porta, XII, 279-281, 298. Osservato con i vetri di Napoli, XVII, 375, 383; XVIII, 18, 100. Menzionato, II, 277, 278, 293, 300, 305 ; ffl, 108, 245, 362; VI, 25, 28, 148, 221, 211, 391; VII, 260, 413; X, 117, 122,128,130, 133, 136, 138, 141, 285, 317, 320, 322, 339, 340, 414; XI, 31, 42, 93, 163, 367, 553; XIV, 396; XV, 192. Martelli. (Sig. rl ). XTV, 303; XV, 121. * Martelli Ferdinando. X, 290. * Martellisi Esai'j. Sua villa in Arcetri pro¬ posta da Suor Maria Celeste a G., XIV, 288; e da questo presa in affitto, XV, 109; XVII, 86; XX, Suppl., n.° XL bis. Nominato, XII, 332. Martellisi Ginevra nei Bini. — V. Bini Martellini Ginevra. Martellisi Luoantonio. XII, 332. Martellini Ubertino. XII, 332. Martello. Diversa grandezza e lun¬ ghezza del manico per far diversi effetti, Vili, 611. — V. Percossa. 245 Marti. Ili, 436. Martin. XV, 18. Martinbngo (famiglia). XVIT, 159. * Martinengo Gio. Battista, Commissario generale del S. Uffizio. XIX, 290, 291. Martinengo Marcantonio. XIX, 461. Martinengo Ciìsauesoo. X, 66. ♦Martinengo Colleoni Francesco Ame¬ deo. XVII, 1578. Martinengo Colleoni Gerardo. XVII, 157. Martini Sri rito. XY1II, 259. ♦Marzari Lelio. Iiicerca la lettera di G al Castelli, desiderata dal S. Uffizio, XII 152; XIX, 306-307. D’ordine della Congrega¬ zione del S. Uffizio, XX, Suppl. 569, pro¬ cede all’interrogatorio di Ferdinando Xi- menes, XIX, 316-318; oda quello di Gian- nozzo Atta vanti, 318-320, e delle loro deposizioni trasmette copia al S. Uffi¬ zio, XII, 203 ; XIX, 315 ; XX, Suppl., 569. Nominato, XI, 596; XII, 52. * Marzi Amerigo. XIII, 408. Marziale. III, 330; VI, 395. ♦Marziano Prospero. Proposto a Linceo, XIII, 63; XIX, 569. * Marzimedici Alessandro. Lettera di T. Nozzolini a lui intorno alla disputa sulle galleggianti, IV, 6, 12, 288-293, 297; XI, 399. A lui fanno capo gli oppositori di G., 241-242. Annoverato dal Viviani tra i gen¬ tiluomini fiorentini, discepoli di G., XIX, 628. Nominato, IV, 369; XIT, 436, 437. * Mascardi Agostino. XIII, 255; XV, 183 Mascardi Giacomo. V, 12,13,18, 72, 73; VI, 23, 199. Maschere. VI, 219-220, 380, 385-386. Masini Bernardo. XIX, 520. Masini Carlo Antonio. XIX, 520. Maso. XVII, 125. Massa Amatore. XVHI, 31. Massa Antonio. Sua traduzione di al¬ cuni Opuscoli morali di Plutarco, IX, 277. 24 G ♦Massa Lorenzo. XIX, 112. * Massaria Alessandro. XI,231 ; XIX, 118. Massi Antonio. XY, 180, 186, 167, 198, 199, 204, 207. Massi Giuseppe o Gklto. XY, 38, 53, 59, 77, 83,90,109,118,130,157,179,195,201,229, 210, 217, 263, 265, 2G9, 270, 287, 288, 297, 302, 315, 318, 322, 323, 329, 331; XVI, 48, 98, 156, 157, 183, 285, 410, 493, 534; XIX, 449, 420, 578. Massi Simonis. XY, 53, 265, 288, 297 ; XIX, 450, 578. Massimi Sistemi (Dialogo dei). — V. Dialogo sopra i duo massimi sistemi dol mondo. Massimimana. — V. Galilei .... Massi- miliana. Massimiliano, Imperatore. V, 62. ♦Massini Filippo. XII, 178. ♦Mastlin Michele. Suo osservazioni sulla nuova stella dol 1572, II, 284, 524, 527, 528. Interpreta la Dissertatio am Nuncio Si¬ dereo del Keplero in senso contrario a G., e loda la Brevissima Veregrinatio dellTIorky, X, 428-429. Si duole col Keplero di non aver telescopio che gli permetta di vedere i Pianeti Medicei e le fasi di Venere, e di non poter leggero le Lettere sullo macchie solari, non possedendo la lingua italiana, XII, 64. Nominato, III, 107, 112, 116, 117, 119, 126, 156, 159, 161, 235; X, 322, 327, 331, 332, 334, 363; XI, 537; XVIII, 169, 228. Mataluooi Capitano. XIII, 172. Matkitt Paolo. XY, 183. Matematica. Suoi rapporti con la filo¬ sofìa, I, 401; IV, 49, 240; VII, 744; Vili, 613, con la fìsica, IY, 89s, 385, 696$, 699; VII, 229, 259s, con la logica, 605, con la 1 meccanica, Vili, 585, con la pratica, X, 100. Sprezzata dal Colombe, III, 253. G. ne con¬ siglia lo studio ni suoi oppositori, IY, 413. Le sue dimostrazioni sono necessarie, VII, 128-129. Tenuta in poco conto a Napoli, X, [Massa Lorenzo 110, od a Bologna, XIV, 43. Cultori di essa allontanati dallo spirituale, XI, 504. Vitu¬ perata dal Caccini, XII, 123, 127, 129-131 Anche il Chiaramonti conviono elio sia scala certa a molto cognizioni naturali, XIII, 426. Chi in essa ò bisognoso di maestri non passa mai la mediocrità, X1Y, 36. Matematiche (Le) nell arte mili¬ tar c y scrittura di G. II, 603-608. — V. Arto militare Matematici del Collegio Romano. Interrogati dal Card. Bellarmino intorno allo nuove scoperte celesti, XI, 87-88, 92-93. Materassi Domenico. XIX, 517. Materassi Francesco. XIX, 517. Materia. Entra in ogni sostanza cor¬ ruttibile, I, 67. Quale sia nei corpi celesti, 70$, 91*. Che va al fondo o che galleggia, IV, passim. Con lo suo imperfezioni non pregiudica lo purissimo dimostrazioni ma¬ tematiche, Vili, 51. Come la immaginava co¬ stituita il Descartes, XVII, 404. — V. Forma. Matilde, Contessa di Toscana. IX, 95. Suo corpo trasportato da Mantova a Roma por volere di Urbano Vili, XVIL1, 379. Mattkazzi Angelo. XIX, 207. Mattisi Antonio. XIX, 452. * Mattei Gaspare. XIII, 169. ♦Mattei Girolamo, Cardinale. X, 108. * Mattei Girolamo. Conosce G. in Roma, XUI, 181, 183; e dopo la partenza di lui se gli ricorda, 188-189, 193-194. ♦Mattei (Marchese). XIII, 156; XY11I, 182, 189. Matteo, bottegaio. XV, 221. Matteo, servitore. XV, 22. Matteo (S.). 1, 64; V, 333. Matteo (S.) in Arcotri. — V. Arcetri (S. Matteo in). * Matthew Tobia. Scrivo a F. Bacone suirintcrpretazione del passo di Giosuò data da G. nella lettera al Castelli, XII, 255, e intorno ad altri lavori di G., 450. INDICE DEI NUMI ECO. Meccanica] INDICE DEI Matti Girolamo. XV, 41. ♦Mattia, Imperatore. XI, 473; XII, 247, 381, 493; XIII, 63; XIX, 269, 630. Mattio, beccaio. XIX, 180. Mattio, contadino. XIX, 184. Mattio, interlocutore nel Dialogo de Gccco di Iìonchitti. Il, 313s. Mattio, maestro di Casa Zor/.i. X, 51. Mattonata. I)ol Castelli, XVII, 121- 123, 150-155, 156-169. Mattjooi Matteo. XIII, 305. Mauookt. Visita G. in Arcetri, XVI, 293, 297, 299, 329. Mauri Alimiierto. III, 285; X, 176. Maurooeno. — V. Morosini. Maurolioo Francesco. Sua tavola delle secanti, IH, 159. Suo osservazioni sulla stella nuova del 1672, VII, 306, 307, 320, 328, 523, 524, 525, 526, 528, 529, 532. Nominato, XI, 541 ; XIX, 603. ♦Mayr Simone. Osserva in Padova la nuova stella del 1604, II, 293, 296, 300, 303- 304. Maestro di matematiche di B. Capra, 430, 585, presenta al Marchese di Brunde- burgo il plagio del Compasso geometrico e mi¬ litare commesso da questo, 431. Accusato da G. d’aver egli stesso perpetrato il plagio, ta¬ cendolo stampare col nome del discepolo, VI, 214-215. Afferma di avere prima di G. osservati i Pianeti Medicei, 215-217, 383, 384. Bene¬ volenza del Keplero per lui, XI, 166-167,429- 430. L’usurpazione dei Pianeti Medicei, dn lui tentata, è annunziata dallo Stellati a G., XII, 68-69, 72. G. chiede ed ottiene dal Welser il libro che contiene tale usurpazione, 77. Giudizio in tale proposito, del Santini, 83-84, del Castelli, 134, e dello Scheiner, 138. G. si appella ai Lincei circa il modo miglioro di smascherare il plagiario, ed essi opinano che debba tarsi con lettera al Keplero, 85; XIX, 267. Osservazioni del Pieroni in proposito, XIII, 333. Nominato, V, 10; XVI, 27. Mazo Bartolommeo. Conti di G. con NOMI ECC. 247 esso, XIX, 171-172. Tiene a battesimo le due figlie di G., 218-219. Mazo Domenico. XIX, 218. Mazzaranga. II, 59, 141. Mazzarini Giulio. XIX, 228. * Mazzki Mazzeo. G. Io prega di far pa¬ gare allo persone incaricate i frutti dello somme depositate al Monte di Piota, XVI, 183, 362, 534; XVII, 115, 236. Manda a G. l’importo della sua pensione di Brescia, XVI, 413, 414. G. si congratula con lui per la con¬ feritagli dignità senatoria, XVII, 115. ed egli lo ringrazia, 120. Nominato, XIX, 578. ♦ Mazzei Pietro. Scrive a G. circa il paga¬ mento della sua provvisione, come lettore dello Studio di Pisa, XV, 310; XVII, 81, 87. Nominato, XIX, 237, 245, 246, 247, 248, 250, 263, 264. Mazzolimi Marcantonio. Sua deposi¬ zione nel processo per il Compasso, II, 535, 601; XIX, 225. G. chiede informazioni sul suo conto, XVI, 354. Sua morte, 355. Conti di G. con esso, XIX, 131-147. Nominato, Xll, 14, 365; XVI, 427; XIX, 172. Mazzo leni Paolo. II, 535. ♦Mazzoni 1 Acoro. La sua opera De com- paratione Arislotdis et Platonis dà motivo alla lettera indirizzatagli da G., II, 193-202; X, 67. Interpretazione da lui data ad un passo d'Aristotele sul moto dei gravi, IV, 239-240, 241, 242, 285. Studia con G. in Pisa, X, 45. Nominato, I, 24S; X, 45, 47, 55; XI, 419 ; XDC, 38, 41, 627. Mazzuoli Giovanni. XIX, 21. Mazzuoli Giuseppi) Maria. XIX, 21. Mazzuoli Simone. XIX, 21. Mazzuoli Vincenzo. XIX, 33, 38, 40. Meandro. IX, 139. Meccanica. Trattato di G. intorno ad ossa col titolo di Le llccaniche , li, 146-190; Vili, 216; tradotto in francese dal Mersenne, 152; XVI, 255; XIX, 306-607. Sua cono¬ scenza necessaria a perfetto cavaliere e sol- 248 INDICE DEI dato, II, 607. Ha i suoi fondamenti nella geometria, Vili, 50. — V. Macchino. 1 or- cossa. Strumenti. Mecenate. Così chiamato il Cium poli, XVI, 283; XVIII, 10. Meco m otri a. XIII, 379. Miidea. XVIII, 336. Modora [Madera]. XI, 525. Media proporzionalo geometrica. Come possa trovarsi mediante il Compasso, li, 391; o come, le due medio proporzionali, 395. Studi del Cavalieri, XVII, 243-244. Medici. Banchieri, XIV, 52. Medici (de’) (Famiglia). II, 367; HI, 57, 107, 136, 155, 156, 298; V, 77, SO; VII, 8, 620; IX, 238, 239, 2-18, 251, 264,267; X, 283, 284, 297, 299, 322, 381 ; XI, 24, 26, 548; XII, 13, 17, 25, 207, 242, 296; XIII, 184; XIV, 284; XV, 11, 29, 85, 95, 112,188; XVI, 107, 374; XVII, 205, 253, 352, 353, 355, 361; XIX, 624, 626. * Medici (do 1 ) Alessandro. Scrivo a G. intorno al nuovo Granduca Cosimo 11, X, 235. Nominato, XII, 49. * Medioi (de 1 ) Antonio. Chiede a G. in dono una palla di sua invenzione, che sta fra le due acque, X, 110-111. G lo informa intorno ai suoi studi e particolarmente intorno alla linea descritta dai proietti, 228-230, o intorno allo sue prime scoperte celesti, 273-278. Si con¬ gratula con G. per l’invenzione del cannoc¬ chiale e gliene chiede uno, 257. Raccomanda G. al Card. M. Barberini, XI, 81, al Card. F. M. del Monte, 83-84, al Card. Bandini, 86, ed al Card. Muti, 87. E gli manda un dono di cacciagione, 227. Appoggia il Castelli nella discussione da questo sostenuta alla Corte intorno al moto della terra, V, 281 ; XI, 606. Nominato, VHI, 11; X, 151, 305; XI, 101, 509; XII, 39, 43, 49, 57, 58, 61, 246, 374; XVII, 148. ♦Medioi (de’) Averardo Tiene a batte¬ simo G., XIX, 25, 599. Nominato, XI, 405. N0MI ECC - [Mecenate ♦ Medici (do’) Bernardo o Beunahdetto XIX, 22. Medici (de’) Bianca. - F. Cappello Bianca. * Medici (de’) Carlo. V. di Grazia gli de¬ dica lo sue Considerazioni, eco., IV, 373, 375; XI, 519. Gli è raccomandato G. dalla Granduchessa Cristina, XIII, 163, 175. Fa mandare del suo vino a G., 225; XVI, 399. Nominato, HI, 415; XI, 405; XII, 213, 214, 231, 237, 242,243, 245, 249, 251, 256,259, 296, 338, 339, 348, 372, 424; X1H, 72, 148, 326; XV, 27, 31, 32, 33, 42, 44, 58; XVI, 33, 364, 374, 395, 401,402, 450; XVII, 134, 205, 391; XVIII, 139, 142, 421, 422; XIX, 455, 497. * Medici (do’) Claudia. XUI, 217. Medici (de’) Cosimo, il Vecchio. IV, 375; V, 77, 80. Medici (do’) Cosimo 1. IV, 375; V, 77, 80; X, 36. ♦ Medici (do’) Cosimo li. Gli è dedicato da G. il Compasso, li, 365, 367, 371, 518, 534, 539; X, 144, 160, 363; XIX, 608, nell’uso del «linde lo istruisce, X, 141, 146, 149,151, 155, 156, 162; XIX, 595, 629. E il Sidereus Xuncins: od anzi aveva pensato di intitolale dal suo nomo i Satelliti di Giove, IH, 9-10, 55-57,189, 188, 189, 298, 326; IX, 248,263; X, 283, 288, 297, 299s; XYIH, 410; XIX, 610. Dispute che avvengono alla sua presenza intorno alle cause del galleggiare, IV, 6, 30, 31, 35,51, 65, 66, 329, 331, 515, 517, 537; XI, 304; XIX, 612. G. indirizza a lui il suo Discorso su tale materia, IV, 58, 59, 63,147, 152; XI, 214, 325-826; XIX, 613. Presente alla discussione sostenuta alla Corte dal Castelli intorno al moto della terra, V, 281; XI, G06. Sue felici attitudini, X, 84,153-154, 215. Da parte sua è fatto un dono a G. 161, il quale gli la omaggio di un esemplare della sua Difesa contro il Capra, 177-178,179. In occasione delle nozze di lui G. propone un motto alla Grunduchcssa Cristina, 221- 240 Medici (de’) Ferdinando IT] INDICE DEI 223. G. si congratula con lui, salito al trono, 230-231, 236, 239. Fa esprimere a G. il de¬ siderio di un cannocchiale, 255, 258, 259. Osserva con G. la luna, 280, cd i Pianeti Medicei, III, 207; X, 307, 422. Per la dedica di questi rimerita G. con una collana d’oro e la propria medaglia, 318; ma prima di far imprimere su questa P impresa dei Pia¬ neti Medicei, vuole ne sia accertata 1* esi¬ stenza, 368, 380. Fa trattare per il ritorno di G. in Toscana, 350-353, 355-35(5, 364, 369, 373-374, 379-380, 383, 387; e finisce col ri¬ chiamarlo ai propri servigi, 400-401, 422, 427, 433, 434; XI, 84, 171; XIV, 16(5; XIX, 487-490, 611, 644. G. gli regala il cannocchiale scopritore delle novità cele¬ sti, IX, 26; X, 422, 455; XVII, 174, 220, si congratula con lui per la nascita d’un figliuolo maschio, 405, c gli annunzia il suo ritorno in Firenze, 439. Accredita G. presso il suo ambasciatore a Roma, XI, (50, 67, 78, 79, e lo raccomanda al Card. F. M. del Monte, 60-61, 81. M. Rotti lo ragguaglia della presentazione del cannocchiale di G. alla Regina di Francia, 174. G. si fa man¬ dare i vetri per un cannocchiale da lui molto desiderato, 258-259. Sua partecipazione alle trattative con la Spagna per la cessione del trovato di G. per graduare la longitudine, 392; XII, 256, 2(50, 267-268, 2G9, 323, 345; XIII, 21; XIX, 614, 615, 651. 11 Cesi pensa di dedical e a lui le Lettere di G. sulle macchio solari, XI, 103, o l’Aproino, d’intitolare, con la mediazione di G., dal nome di lui il suo strumento per moltiplicare l’udito, 470-471. 0. Pisani gli dedica la sua Astrologia, 548- 549, e gliela raccomanda col mezzo di G., 564-565, 580, 592, 608-609; XU, 86, 124,148- 149, 152-153, 176. P. Sprani gli propone un orologio, XI, 566, 581, 582, sul quale vien chiesto il parere di G., 583. Dolente delle indi¬ sposizioni di G., incarica il Castelli di tenerlo informato, XII, 50,57. G. gii chiede ed ottiene NOMI ECO. un’anticipazione di stipendio, 73-74. Accre¬ dita G. presso il suo ambasciatore in Roma, 203, 207, 209, olo raccomanda al Card. F. M. del Monte, 203, 208, 231-232, a P. G. Orsini, 20-1, ad A. Orsini, 204-205, 233, 234, 238, 239, 240, al Card. S. Borghese, 205-206, 23(5. L’Ambasciatore Guicciardini lo informa delle difficoltà che G. va incontrando in Roma, 241-243. D’ordine suo G. è richiamato a Fi¬ renze, 2G1. I Card. Orsini e del Monte atte¬ stano a lui iu favore di G., 263-2(51. Racco¬ manda G. a F. M. della Rovere, 392. G. gli la istanza por ottenere la legittimazione del figliuolo, 441-442, 451, o l’ottiene, 452; XIV, 40-41,42-43; XrX, 425-42(5. Sua morte, XUI, 59, 66. Nominato, I, 12; ILI, 190, 285, 289, 415; IV, 156, 201, 297 ; V, 72, 73, 77, 80, 89, 373, 395, 415; VI, 213; IX, 234, 238, 249, 264; X, 1(56, 168, 208, 210, 211, 217, 218, 235, 262, 266, 307, 347, 399; XI, 474, 604, 605; XII, 49, 61, 81, 102, 133, 232, 260, 296, 347, 350, 373, 381, 382, 387, 428; XVI, 318; XVII, 20(5; XIX, 574, 580. Mudici Cosmo. XIV, 183. Medici (de’) Giustina. — V. Lorena (di) Cristina. * Medici (de’) Ferdinando I. Tratta per mezzo di G. l’acquisto di un pezzo di cala¬ mita da G. F. Sagredo, VII, 131 ; X, 185-191, 191-195, 197-198, 199-201, 205-210, 212-213. Consulto astrologico intorno a lui, fornito da G., 22(5-227. Sua morto, 230-231,236. Stru¬ mento a lui proposto dal Guai terot ti, 341. Sua lettera al Campanella, recapitata da G., XI, 26; XVII, 352. Suo proposito di pubblicare alcuni manoscritti arabi, XII, 25. Protegge o benefica il Campanella, XIV, 255 ; XVII, 352. Chiama G. alla lettura di Pisa, XIX, 487, 594 , 605. Nominato, IX, 238, 249, 265; X, 399, 412; XI, 565; XII, 213, 214, 253, 256; XIII, 116; XIV, 272; XIX, 89, 210, 212, 595, 604, 606. * Medici (de’) Ferdinando II. G. si congra- Vol. XX. 32 250 INDICE DEI tuia per la sua nascita, X, 405. Si affida al Castelli la sua istruzione, XII, 374. Concede a G. di comperare luoghi di Monte, XIII, 101, 350; XVIir, 120-127, 220-221. Accre¬ dita G. presso il suo ambasciatol o a Roma, XILI, 107. Ricevo da Papa Urbano Vili un breve, e dal Card. F. Barberini una lettera, in lodo di G., 183-184, 185. Concede a Y. Ga¬ lilei un luogo di Sapienza a Pisa, 282; XIX, 420-427. Viene istruito da G. nelle meccaniche, XIII, 289. 11 Cavalieri chiede la mediazione di G. presso lui per otto¬ nere la lettura di matematica a Pisa, 301). Specchi da lui posseduti, 331, 332 ; ogli stesso si occupa di studi ed esperienze con questi, con telescopi ed altri strumenti o macchine, ricorrendo talvolta al parere di G., YIU, 560, 571; XVII, 12, 10, 29-30,100, 185, 191, 204, 209, 220, 272, 285, 300, 307, 343, 350, 355, 359, 361, 304, 375, 383; XVHT, 18, 85,304. Concedo P ammissione alla cit¬ tadinanza fiorentina a G., XUI, 457, 458, che perciò vien descritto alla decima, XIX, 470-479 ; dopo di che vien veduto di Col¬ legio, 484, abilitato agli « otto uffizii >, 485, ed eletto del Consiglio de’ Dugento, 486. G. gli fa presentare in nome del Castelli il trattato di questo sulla Misura delle acque correnti, XIV, 11-12, 10. S’interessa all’ele¬ zione del Cavalieri nello Studio di Bologna, 12, 14, 17, 28, 32, 33, 34. Concede a V. Galilei T ammissione ai magistrati della Città di Fi¬ renze, 40-41, 42-43; XIX, 432. Si compiace di sapere bene avviato il lavoro del Dialogo , XIV, 70. Appoggia G. percliò ne ottenga la licenza di Btampa, 218, 219, 232, 236, 247,254’ 258-200, 201, 206, 284. Elegge G. con altri a proporre provvedimenti circa il llisenzio, VI, 027; XIY, 198; XIX, 503, e per giudi¬ care sul privilegio chiesto dal Coccapani per ridurre Arno in canale, VI, 017, 651- 053; XIV, 233-235, 237-238, 239,271-273,285. G. gli dedica il Dialogo dei Mussimi vistemi, NOMI KCC. [Medici (de’) Ferdinando li e gliene presenta un esemplare, VII, 28 27- 28; XIV, 329, 331-332, 375. Tenta di salvare G. dal Processo e d’impedirò la sua andata a Roma, 373. 375, 370, 381, 385, 388-389, 391, 393, 398, 402, 403, 405, 413, 414, 419, 425* 428; XV, 19; ma infine gli fa partecipare che ubbidisca allo intimazioni del S. Uffizio, 21, 22. Gli accorda una lettiga per il viag¬ gio, ed ordina al suo Ambasciatore a Roma di riceverlo e spesarlo, 27, 29, 35; continua poi ad interessarsi a lui ed a proteggerlo durante il Procosso, 43, 44,46,48, 49, 51, 55, 57, 58, 59, 03, 04, 67, G8, 09, 70, 73, 74,76, 81, 8-1, 85, 87, 88, 94, 95, 97, 99,104,105,112, 11G, 124,13-1,144,100,108,170,172,170. G. ne invoca od ottieno la mediazione perché abbia fino la sua relegazione a Siena, 187-188,198, 199, 200, 204, 217, 219, 220, 327, 330, 352. Vi¬ sita G. o b’ incontra frequentemente con lui, dopo il suo ritorno in Arcetri, XVI, 12,14,18, 29, 59, 380, 390, 423, 485, 493, 501 ; XVII, 57, Gl, 7G, 176, 180-181,335, 345; XIX, 595,596, 631, 640; gli fa mandare del buo vino ed altri doni, XVI, 33, 44, 40, 48, 899 ; XVII, 177, 282, 315, 316, 308; XVIII, 35-30, 148, 154- 155,325; XIX, 025. Panegirico dell'Engelcko in suo onore, XVI, 71, 90. Fa istituire nuove pratiche per ottenere la liberazione defini¬ tiva ili G., 74; XVII, 237, 238, 322. Dopo la morte dell’Aggiunti, desidera d’avere il Castelli nello Studio di Pisa, XVI, 363. Vuol far costruire lo specchio ustorio ideato dal Cavalieri, 396-397, 402-404, 412-413, 433-434, 477. Si occupa personalmente di vetri o di cannocchiali, XVII, 12, 30, 100, 185, 192, 204, 209, 220, 272, 285, 300, 307, 350, 375, 383 ; XVIII, 18, 40. G. tenta inu¬ tilmente di ottenere la mediazione di lui presso il Re di Polonia, perchè questo im¬ petri dal Papa la sua liberazione, XVII, 13, 16. Epitalami del Renieri o del Ceccarelli per lo sue nozze, 40, 52, 57, 01, 205-200. G. chiede ed ottiene da lui d’essere aiutalo INDICE DEI NOMI ECC. 251 Medici (de’) Giovanni] nei suoi studi dal Peri, 75-76. Restituisce ìi G. il cannocchiale scopritore delle novità celesti, già regalato al Granduca Cosimo li, 174 . Fa eseguire disegni della luna, 201. Poca fede sempre da lui avuta nella riuscita dei negoziati por la longitudine, 324.11 Cam¬ panella gli fa omaggio di alcuni suoi lavori, 352-353, 372. Procura che sia concesso al Castelli di visiterò G., 374, 380, 382, 386; XIX, 395. 11 Renieri gli manda effemeridi dei Pianeti Medicei, XYIII, 60, 80, 88, 162. G. lo ringrazia degli aiuti prestati al gio¬ vinetto Vivami che frequenta la sua casa, 148. Desidera novamente avere il Castelli nello Studio di risa, 197, 206, 246 ; e non riuscendovi, vi elegge il Renieri, 243. G. gli chiede un’ anticipazione di stipendio, 210- 211. Alla sua presenza G. esperimenta il bi¬ lico per sottrarre dalle oscillazioni della nave chi vi osservasse col telescopio, 349. Pratiche alle quali dà origino la voce corsa eh’ egli volesse erigere un monumento in onore di G. in S. Croce, 378-382 ; XIX, 290, 291. Perfe¬ zionamenti da lui recati al termometro, 607. Nominato, VI, 199, 203, 213, 627 ; VII, 25, 431, 435; M, 560; XIII, 324, 338, 350, 359, 378, 390, 410, 416, ^140, 443; XIV, 23, 80, 92, 106, 142, 166, 241, 255, 266, 268, 270, 349, 358, 373; XV, 11, 30, 127,132, 139, 173, 180, 186, 189, 197, 224, 238, 254, 264, 333, 347; XVI, 85, 86, 87, 115, 139, 266, 279, 295, 298, 301, 318, 319, 338, 364, 373, 374, 387, 388, 390, 395, 401, 421, 423, 424, 445, 450, 494, 496,499, 501, 504, 507, 511, 512; XVII, 29, 34, 35, 36, 37, 38, 70, 112, 115,120, 217, 218, 252, 283, 306, 316, 318, 319, 322, 324, 336, 346, 355, 361, 362, 365, 394, 401; XVHI, 25, 35, 36, 39, 81, 85, 92,97,104, 221, 243, 288, 299, 303, 304, 372; XIX, 430, 437, 438, 439, '140, 441, 462, 465, 469, 470, 488-490, 491, 494, 495,508,517,520, 522, 531, 580, 582, 583, 624. * Medici (de’) Francesco I, Granduca. XII, 13, 253 ; XIX, 55, 57, 100, 636. * Medici (de’) Francesco di Ferdinando \. G. pensa d’intitolare dal suo nomo uno dei quattro Pianeti Medicei, IH, 415; X, 283. Da Giorgio Corcsio gli vieti dedicata V Ope¬ retta intorno al galleggiare dei corpi solidi , IV, 199, 201; XI, 394, Il Castelli aspira a servirlo durante un suo viaggio in Ispagno, X, 494; o vion poi addetto alla sua per¬ sona, XI, 600. Sua grave malattia, XII, 58, 61. G. attende all’istruzione di lui, XIX, 488, 629. Nominato, X, 399; XI, 278, 527; XLV, 322; XVII, 206. * Medici (de’) Francesco, Cavaliere. XIV, 148; XIX, 444. * Medici (de’) Francesco, Commendatore di 8orano. Avverto G. d’ aver fatto conse¬ gnare al Re di Spagna due vetri da tele¬ scopio cd un microscopio a lui destinati, XIV, 309. Partecipa ad lina dello riprese delle trattative per la cessione alla Spagna del trovato di G. por graduar la longitu¬ dine, 374. * Medici (de’) Giovanni di Cosimo I o di Leonora degli Albizzi. Dal Sizzi gli è de¬ dicata. la Aiavoia, III, 205-206; X, 413; XI, 77 ; e da L. delle Colombe il Discorso apo¬ logetico eoo., IY, 315; XI, 446. Presente alle discussioni sulle galleggianti, I/, 319. Spe¬ dito dal Senato veneto al campo in Friuli al comando dell’esercito, XII, 289; sue gesta, 328. Secondo il Viviani, contribuì all’elezione di G. a Pisa, XIX, 605 ; e secondo il Ghe- rardini, dopo averlo favorito in seguito alle raccomandazioni del Marchese Del Monte, fa causa choG. lasciasse Pisa, 638. Nominato, XI, 133; XII, 348, 419, 420; XIX, 453, 454. * Medici (de’) Giovanni, Marchese di S. An¬ gelo. Prende a cuore le trattative di G. per la longitudine con la Spagna; vede e prova il Celatone; esprime il desiderio di conferirò con G., XII, 370, 372, 373. Scrive a G. circa l’Orinannoro e il Bisenzio, XIV, 247. Nomi¬ nato, XII, 374; XVII, 401. 252 INDICE DEI NOMI KCC. * Medici filo’) Gio. Carlo. Si adopera presso il P. Visconti per far ottenere a G. la licenza di stampa del Dialogo , VII» 5; XIV, 104. Si ricorda affettuosamente a G. col mozzo dell*Aggiunti, XY, 1-14, dal quale viene istruito nella geometria, 202, e dal ni¬ chelini nell’algebra, XVII, 315, 322. Gli viou ricusata dall’Inquisizione la licenza di leggero il Dialogo dei Massimi Sistemi, XV, 230. Conduce il poeta Coppola da G., xvn, 24, cho visita di frequente, 76, cd a cui manda a regalare dol vino, 306-307, 315, 316, 319. Destinato Generalissimo dol mare, 886 ; XIX, 395. G. gli mostra il bilico por sottrarre dalle oscillazioni della nave chi vi osservasse col telescopio, XVIII, 849. No¬ minato, XV, 347; XVI, 97, 337, 372; XVII, 282 ; XIX, (555. * Medici (de’) Giuliano. 11 Keplero gli de¬ dica la Dissertano cum Nuncio Sidereo, eco., IH, 101-102; X, 348. Ringrazia (ì. per il Sulcrcu8 Nuncius, che ha fatto conoscere al Keplero, o gli chiede un cannocchiale per far vedere le novità celesti anche all’Impe¬ ratore, 318-319, 349. Comunica al Keplero lo osservazioni dei Pianeti Medicei manda¬ tegli da G., ed aspetta il cannocchiale pro¬ mossogli, 403-40-4. Accusa a G. ricevimento doli’anagramma concernente Saturno, 426, si congratula con lui del richiamo in pa¬ tria e gli esprime il desiderio del Keplero di succedergli nella lettura di Padova, 427- 428. G. gli scrivo, esultante dol consenso che trovano lo sue scoperto o promettendo d’ado¬ perarsi conforme ai desideri del Keplero, 439-441. Scrive a G. di un istrumento dimo¬ strativo del moto perpetuo, presentato nl- l’Imperatore da un Fiammingo, 448-149, 479. Ha comunicazione da G. della scoperta di Saturno tricorporeo, 474, 478-479, 491, 493; XIX, 611; e dell’altro anagramma relativo allo fasi di Venere, e gli esprime la speranza d’essere per determinare i periodi dei Pianeti [Medici (de’) Gio. Carlo Medicei, X, 483. G. gli decifra il secondo ann. gramma, XI, 11-12; 42-43 e lo intrattiene circa alcuni risultati delle sue scoperte ce¬ lesti, 61-68. Chiedo alla Corte da parte del- l’Imperatore, vetri da cannocchiale e vetro da far lavorare, 234, 235, e richiede can¬ nocchiali anche da parte dol maresciallo Wolflki, 298, o dell’ Elettore di Sassonia, 300. Ringrazia G. dol Discorso sulle gal¬ leggianti, 383-384, o dello Lettere sulle mac¬ chie solari, 510. Andato ambasciatore in Iapagna, s’adopera presso quella Corte per far accettare l’offerta del trovato di G. per graduare la longitudine, XIII, 20, 22, 23, 24, 34, 52; XIV, 53. Ringrazia G. della parteci¬ pazione datagli dolla sua andata a Roma pur obbedire all’intimazione del S. Uffizio, XV, 29. Annoverato dal Viviani tra i genti¬ luomini fiorentini, discepoli di G., XIX, (528. Nominato, III, 10, 106, 405, 416, 422; V, 10; X, 321, 347, 356, 364, 3G5, 3(5(5, 422, 457, 458, 462-463, 491, 507; XI, 15,16, 473; XII, 119; XV, 44, 48; XVII, 396; XVIII, 410; XIX, 10, 427. * Medici (de’) Giulio. Osserva con G. in Pisa i Pianoti Medicei, X, 422. ♦Medici (de’) Iacopo. XIX, 72, 78, 80, 86, 98, 99. * Mediai (do’) Delio. XIX, 37, 39. * Medici (do’) Leone. XIX, 80, 86, 09. * Medici (do’) Leopoldo. Manoscritto della Quinta giornata dello Nuore Scicnec latta da lui stendore dal Torricelli, consegnato al Viviani, Vili, 32; XIX, (522. Sue relazioni con G. in occasione dolla Lettera sul eandor lunare a lui indirizzata, Vili, 470-475, 478- 480, 489-556; XVIII, 1G5-166, 174,179,190- 191, 194,195-196, 201, 202, 217, 221,222,228, 236,237,244,252, 253, 264, 269, 274, 275,280, 284, 296, 352-353; XIX, 596, 623. Doni da lui inviati a G., XVI, 371,372; XVII, 140,407. Attende allo studio dell’algebra o della geo- metria col Michelini, 315,322,400, legge puro Mommo Marco Antonio] INDICE DEI NOMI KCC. 253 con lui lo Nuove Scienze, 400,413; XVIII, 24; dolio quali riceve un esemplare dal Castelli, 1G-17; attende da sè a studiare le Galleggianti, 100, 274. Fa esprimere a G. il desiderio della dimostrazione relativa alla caduta dei gravi lungo i piani inclinati, XVII, 399-400. Fa eseguire il disegno dello strumento per occhiali lunghi, conforme le istruzioni di G., XVm, 40. Raccomanda a G. il P. A. Ambrogi, 128. Riceve dal Renieri lo effemeridi dei Pia¬ neti Medicei, 162. Ila notizie da P. F. Rinuc- cini dell’ultima malattia di G., 368, che ha spesso visitato, XIX, 596, 631. Incarica il Viviani di stendore una narrazione storica della vita di G., che quegli scrivo in forma di lettera a lui indirizzata, 597, 599-632, G33. Da lui favorito, il Torricelli è eletto a suc¬ cessore di G. come Filosofo e Matematico del Granduca, 626. Lettera del Viviani, a lui indirizzata, circa l’applicazione del pen¬ dolo all’orologio, 647-659. Nominato, XVI, 316, 424, 446, 450, 484, 499, 511, 512; XVII, 240, 257, 300, 306, 316, 407, 411, 412; XVIII, 15, 25, 36, 39, 85, 92, 96-97, 105, 112, 114, 120, 124, 128, 189, 194, 199, 265, 277, 284, 304, 306, 359, 360, 435, 436; XIX, 10, 608. Medici (do’) Lorenzo, il Magnifico. IV, 375; V, 77, 80; IX, 23, 24; XII, 424. * Mkdioi (de’) Louknzo di Ferdinando I. G. pensa d’intitolare dal suo nome uno dei quattro Pianeti Medicei, III, 415, 457. E istruito nelle matematiche da G. e dal Ca¬ stelli, xn, 179, 350, 372, 373, 374, 384, 396; XIX, 488, 629. G. gli fa presentare, a nome del Castelli, un esemplare del trattato di questo sulla misura dello acquo correnti, XIV, 16. Manda dell’acqua contro la gotta al Cavalieri, XVI, 479. Nominato, XII, 351, 354; XIn, 440; XIV, 358, 402; XV, 225, 312, 347; XVI, 364, 450; XIX, 453, 454, Medioi (de’) Margherita. — V. Farnese de’ Medici Margherita. * Medici (do’) Maria. Accoglienza da lei fatta ad un cannocchiale di G., XI, 173, 174. Nominata, X, 392, 430, 433. Medici (de’) Marta Maddalena. — V. Au¬ stria (d’) Maria Maddalena. K Medici (de’) Mattias. Porta seco in Ger¬ mania i quattro primi Dialoghi delle Nuove Scienze di G. per farli stampare, Vili, 14, 16; XVI, 269, 272-273, 274, 293-294, 300, 302, 304, 360, 386,438. Nominato, XIV, 322; XVI, 58, 70; XYU, 130, 131. Medici (de’) Vittoria. — V. Rovere (della) Vittoria. * Medici (do’) Zanobi. XVII, 352. Medico (del) Carlo. XEX, 574. Medina (do) Pkdro. XIV, 343. Medtnaoidonia (Duca di). XIV, 140. Medina db las Torres (Duca di). — V. Guzman (di) Gaspare. Mediterraneo. Suo flusso e reflusso, V, 388, 390,392, 393; VII, 444, 445, 446, 448, 449, 451, 459, 462, 466, 469, 485, 617, 621, 706. Menzionato, 73, 76; X, 293; XVIII, 187. Medoro. IX, 169, 175. Medusa. V, 235, 260; VII, 84 Meglio (del). XI, 457. *Mei Girolamo. X, 86, 87. Mhietti Paolo. X, 51; XI, 531; XIX, 170. Melandro Filossenio. XIX, 415. Melibeo. IX, 160. Melis Domicnioo. XJLX, 34. Melissa. IX, 157, 162, 188, 189. Melisso. Stima il mondo infinito, HI, 106; X, 320. *Mellan Claudio. Incisore, conosciuto da G. in Roma, XVI, 517, disegna il corpo lunare, XVII, 35, 186, 192, 208-209. Mkllino Cardinale. — V. Millini Gio. Garzi a. *Melltno Carlo. Desidera ritrarre G., XVIII, 123. *Mhmmo Maroo Antonio. X, 104; XI, 367; XIX, 115. 251 INDICE DEI NOMI ECO. Menami Gio. Tommaso. — V. Miuadoi Gio. Tommaso. MkNDOZÀ (di) 1 II! UT ADO ANTONIO. XIV, 106, 146, 147, 166. Mknioa, serv| di G. XIX, 174. Menioiiktta o Mbnioa, personaggio di commedia. IX, 197, 198, 199. Meo ti do (palude). V, 892. Meraviglia Giovanni. — V. Maraviglia Giovanni. Mercanti. Con quale proporziono ven¬ gano calcolati i loro guadagni, VI, 669s, 608. Mercatanti (Arto dei). In Firenze, XLX, 487. Mercatore [van Crkmbr] Gerardo. Di¬ stanza del polo magnetico da quello del mondo, da lui assegnata, X, 76. Rarità dei suoi mappamondi, XI, 449. M eroina. — V. Mersonno Marino. ♦Mercuriale Girolamo. Si compiace che, conformemente alle sue previsioni, G. si trovi Reno in Padova, X, 54-65. S’impegna a fa¬ vorire M. A. Galilei, 74-75. Esorta G. ad oc¬ cuparsi dell’istruzione del Graiiprincipo Co¬ simo, dol quale loda le felici attitudini, 84. Sua morto, 165. Mercurio. Al caduceo ò paragonato dal Lagnila il telescopio, III, 321. Nominato, 55; VII, 136, 612; X, 118,196, 322, 396; XIV, 84; XVI, 470. Mercurio (pianeta). Sua posiziono nel sistema dol mondo, ILI, 124,170,196,198,217, 358; IV, 588; V, 26, 101 s; VI, 2-13; VII, 350- 354, 372, 698-699; X, 339; XI, 153; XII, 438, 469, 487; XVI, 135; XVII, 316; XVIII, 294, 412; XIX, 338. Veduto sotto il sole, III, 112, 165; V, 45, 46, 52-53, 138, 198; X, 327; XIV, 323, 333, 340, 422; XV, 26; XYI, 20, 28; XVIII, 431-432. Sue qualità ed influssi, III, 215, 216, 218, 219; X, 126, 152; XI, 115; XII, 331. Nel corpo umano corrisponde al polmone, e all’argento vivo tra i metalli, HI, 219. Osservato da G., 450, 452, 873. [Menarlo! Gio. Tommaso Stelle die poBBono essere tra esso o il Sole e Venere, V, 31, 111-112, 234. Suoi movi- menti, VI, 241, 402; VII, 54, 659; X, L'80- XI, 345, 533, 537; XII, 100; XIX, 592. Sua illuminazione, VI, 273, 274, 27:">, 422s, 425s• X, 28-»; XI, 163, 194. Non ammette chiaro osservazioni, YII, 367; X, 320. Fu degli ul¬ timi pianeti ad essere conosciuto per er¬ rante, VII, 480. Muta il suo aspetto corno la luna, Vili, 626; X, 500; XI, 12, 48,54; XIX, 356. Menzionato, II, 296; III, 106. Meridiana in S. Petronio di Bologna. Declinazione osservata dal Marsili.—F. Mar- Bili Cosare. M (ì r i d i a n i . Olio cosa Biano, II, 228. Problema proposto da G. F. Sagredo, XI, 159, 524-526, 536, 539, 549, 554-555; XII, 45. Merlino. Natività fattane da G., XIX, 206. Merlino, mago. IX, 130, 174. ♦ Mermanni Tommaso. Annunzia a G. il gradimento dol Duca di Baviera per l’invio ilei Sìdcrcus Nuncius, o gli scrivo che sta aspettando il cannocchiale, X, 354. Nomi¬ nato, 360; XI, 95, 96, 97. Meroe. Suo clima, II, 244. ♦Mkrsennr Marino. Traduce in francese le Meccaniche di G., II, 152; XVI, 255; XVLI, 179; XIX, 607,622. Anche a suo nome il GasBendi interroga G. sulla velocità doi gravi cadenti, XIV, 423. Giudizi a lui comu¬ nicati dal Descartes intorno a G., XVI, 5G, 410; XVII, 348, 361, 369, 387-391, 403-405, 416; XVIII, 25, 29, 218; e notizie dategliene da G. B. Doni, XYI, 77. Comunica al Peircsc le notizie di G. avute dal Diodati, gli chiede quello che avesse dal Gassendi, informandolo dei lavori propri, 107, 119,169,196-197, 313, 321, 346-347. Stima il Campanella e G. i due maggiori uomini dol suo tempo, 267, 288; £VII, 226. Ha comunicazione dal Boeckman del trovato di G. per graduar lo longitudini, 26, di che ai duole il Diodati, 44, 67-59, 84, Micanzio Fili gei) zio] INDICE DEI 109. Giudizio intorno n lui del Magiotti, G3, 04, 80-81. Richiesto dal Fermat di fargli ve¬ dere il De motti di G., 70, che aveva letto, 80, glielo manda, 300, 394. Accompagna a G. il Discours de le méfhode di Descartes, 226. Per la sua pessima calligrafia, le sue lettere non possono esser lette nò da G. nè dagli amici, 370; XYUI, 154, 204; cosa della quale egli fa le meraviglio, 187. Pone a G. alcuni quesiti, 187, 420-427. Loda la Geometria del Cavalieri, 346, al quale propone un pro¬ blema, 347-348. Nominato, XV, 26; XVI, 35, 72, 280; XVII, 241, 299, 305, 322, 332, 345, 346, 354, 369; XVIII, 368, 433. Mersi (Sig. ri ). Mediatori nelle questioni d’ interesse tra G. e il Cromonino, XII, 317, 328, 363, 366, 368, 369, 370, 480. Meschini Domenico. X, 313. — V. Citta- Ladini Domenico. * Messekotti Francesco Michele. XVII, 290. Messico (Golfo del). V, 389. Messina. Ili, 186; VII, 445. Messingiiam Tommaso. XIX, 410. Mestica Enrico. JLX, 11. Metalli. Proporzioni dello loro gravità in specie, pesati in aria ed in acqua, I, 225- 228. Proporzioni e differenze di peso, com¬ putate col Compasso, II, 349, 397, 399, 402, 480, 481, 576. Rispondono ai pianeti, secondo il Sizzi, III, 219, 222. Como si contengano due lastre di essi, squisitamente pulite o lu¬ stre, posato l’uria sulPaltra, VOI, 59-60. In cilindri, fili o verghe, sino a quanta lun¬ ghezza si potrebbero tirare senza strapparsi, 64-65. Loro liquefazione, 65-66, 86-87. Tutti, tranne l’oro, galleggiano nell’argento vivo, 116. La generazione loro nelle miniere si fa, secondo l’Argoli, con spiro o inclinazioni, per effetto del moto della terra, XVI, 256. Metello. IX, 288, 289. * Mktius Adrianszoon Giacomo. XVI, 27. Metodo, Risolutivo e compositivo, IV, NOMI ECC. 255 521; XVII, 160s. Risolutivo, VII, 75. Dimo¬ strativo, Vili, 212; XVII, 160. Mktrodoro. I, 50. Metsio Hadimensem Giacomo. — V. Me- tius Giacomo. Mezknzio. VI, 163, 337. Mezzo. Sua azione sui gravi, I, 253s, 260s; errore di Aristotele intorno ad essa, 262s, 417. Come esso modifichi il moto dei cadenti e dei proietti, VII, 179, 734-742; Vili, 110-138. Mezzo cielo. XI, 114. Mezzomonto. XV, 146; XVI, 485, 493. * Mioan/.io Fulgenzio. G. gli comunica le sue prime osservazioni sulle macchie solari, V, 9; XIV, 299; XIX, 611. Esalta il tele¬ scopio cd osserva lo fasi di Venere, XI, 57- 58. Si ricorda affettuosamente a G., o gli scrive d’un preteso moto perpetuo,. XIV, 152. Ila ricevuto il Dialogo dei Massimi Si¬ stemi, e ne scrivo con profonda ammirazione, 349-350, 362-363, 364; XVI, 120, 126, 162; XVII, 15-16; XVIII, 138. Si conducile con G. por lo difficoltà che incontra il Dialogo e per le conseguenti persecuzioni, XIV, 371- 372, 390, 404-405,416-417, 420-421, 434; XVI, 87, 94-95, 128, 135,140,186, 264, 274; XVII, 42, 105; XVIII, 138. Si adopera per procu¬ rare a G. l’immissione nel godimento ed il pagamento della pensione di Brescia, XIV, 390-39 1, 403 -104, 434-435; XVI, 17, 30, 52, 60, Gl, 66, 86-87, 94, 101,108, 126, 141,143,145, 151,161,180-181, 241, 264, 267, 311,355,375, 411, 503; XVII, 10(5, 180, 200, 209, 230, 330, 395, 409; XVIII, 38, 43, 56, 115, 124-125, 137, 225, 260-261, 280, 285, 299,321,322, 337, 363, 369, 372, 377; XIX, 471-472. Scrive in¬ torno allo Esercìtatìoni del Rocco, ò lieto in udire elio G. si accinga a postillarle, e lo eccita a proseguire, XVI, 30, 52-53, 61, 66-67, 109, 120, 122, 125, 127, 128, 130-131. 134, 141, 144, 146, 150, 172-173, 194, 199, 209, 218; XVU, 14; XVIII, 173. S’adopera 25G INDICE DEI NOMI ECO. nell’adempiere commissioni di G., XVI, 100, 108, 109, 114, 115, 120, 123, 125, 127, 128, 130, 134-135, 139, 144, 145, 236, 274, 299, 305, 309, 310, 324-325, 354-355, 355-35G, 364. 435, 483, 486, 503, 513, 519, 522-523, 525; XVII, 115, 123, 221,230,259, 286,317,329- 330, 334, 343, 348; XYHI, 260, 272-273, 280. Dà notizia a G. d’una sfera dell’Àlberghetti, XVI, 108, 127, 131, 135, 172, 256, 356, 411, 414, -431, 437, 440, 446; XYLI, 32, 260, 270; XVIII, 112; e di uno specchio parabolico dol medesimo, XVI, 365, 385; XVII, 32,210, 220. Esprime a G. il desiderio di alcuno suo opero, ed avutele no lo ringrazia e gliono scrive, XVI, 141, 143-144, 150-151, 154-155, 162, 198-199, 201, 20S, 486: manifesta la sua in¬ tenzione di farne ristampare alcune, o scrivo dello difficoltà incontrato da parto doli 1 In¬ quisitore, 150, 162-163, 209,214,217, 229-230, 237, 239, 255. Eccita G. al compimento dei suoi studi sul moto ; ed avutane comu- nicazione, li partecipa ad altri studiosi e no sollecita la stampa, 154-155, 163, 193, 200-201, 203, 208, 214, 218, 219, 221, 228- 229, 232, 236-237, 254-255, 264, 268, 286, 385, 401, 456-457; XVII, 42-43. Gli comuuica no¬ tizie intorno allo Vesti,yutioncspcripaleticac dol Ferchio, XVI, 181, 186, 199; ed infor¬ mazioni circa il Mannucci, 286, 295, 299, 305. Scrive della narrazione della vita del Sai-pi da lui stesa, 305, 310. Comunica a G. il suo pensiero circa l’opera del Landsberg, 310 o circa la liosa Ursina dello Scheiner, 26S, 365,375,385,392,400-401; XVII, 231 ; XVIII, 372; contro la quale G. inveisce, XVI, 391. Riceve da G. i vetri d’un telescopio, 385- 391, 392. Scrive di non voler dare licenza al libro d'un Cappuccino veronese contro il moto della terra, 400; e G. lo ringrazia, 405-406. Procura a G. notizie dei nipoti di Monaco, 436, 439-440, 441, 447, 459, 475-476, 478, 506, 613, 519; XVII, 72. Col suo mezzo G. tratta per la stampa delle Nuove Scienze [Micanaio Fulgenzio e delle altre sue opero, o trasmette mano¬ scritti e stampe, XVI, -142, 443, 445, 446-447, 448-449, 453, 455, 456-457, 462, 475-476, 478, 483, 520; XVII, 15, 42, 45, 57, 59, 71, 76-77, 105-106, 112-113, 114,123-124,146-147,149, 200, 210, 218, 220, 259-260, 272, 302, 317-318^ 330-331, 335, 343, 3-17, 363, 402, 409; XYHlj 16, 28, 38, 42, 45, 55,184. Entra in relazione col Cavalieri, XVI, 462, 478, 479, 503, 506, 508; XVII, 202; o col Peri, XVI, 523; XYU, 13, 17,28, 81, o col Renieri, XVIII, 16,71. Gli ò da G. raccomandato A. Marsili per una lettura a Padova, XVI, 506, 513. Si conduole con G. por il progressivo deterio¬ ramento dolla vista, XVII, 42, 112,114,124, 147, del quale G. lo informa, 212, sino alla cecità, 286; o gli suggerisco qualche ri¬ medio, 302-303. S*interessa allo difficoltà mo¬ nastiche del Castelli, 133-134, 143, 146,169- 170, 171. G. lo ragguaglia intorno alle suo nuovo scoperto lunari, 212, 214-216, 219,230- 231, 260, 269, od egli lo eccita a pubblicarle, 329. Manda a G. lo chiestogli informazioni circa il Russo e reflusso del maro a Venezia, 270-271, 286-287, 317. Si congratula con lui per gli onori resigli dal Granduca, 335. Co¬ munica a G. notizie intorno alle osserva¬ zioni fatte coi cannocchiali del Fontana, 363-364, 402, 410; XYIIl, 29, 45, 56. Gli dà notizie del nipote passato da Venezia nel suo ritorno in Baviera, XVII, 395. Si con¬ ditole dello infermità di G. o gli dà notizie delle proprie, XVIII, 15, 28-29, 38-39, -13, 320. Non approva che G. abbia rifiutata la catena d’oro offertagli dagli Stati Generali (l’Olanda, 74-75, 104-105, 112, 115; e pro¬ mette la sua coopcrazione per la ripresa delle trattative circa il trovato di G. per graduar la longitudine, 74-75, 105, 125, 377. Scrive intorno alle opposizioni del Liceti e pro¬ nunzia giudizi intorno ai lavori di questo, 172-173, 183-184, 226, 260, 272, 281, 286, 288, 299-300, 321. Comunica a G. il suo pa- INDICE DEI NOMI ECO. 257 Migliori Cornelio] rero intorno ai provvedimenti proposti dal Castelli per In laguna di Venezia, 337-338, 3(i3; e intorno all’opera del Nardi De igne, subterraneo, 363, 366, 3G9, 371-372. Invidia la riunione in Arcetri di G., del Torricelli e del Castelli, 365. Nominato, Y, 266, 275; VII, 9, 17, 18, 20; Vili, 11, 12, 13, 14, 16, 16, 17, 19, 451; X, 315, 346, 367; XI, 18, 139, 267; XII, 4G0; XIV,.149, 318, 365, 427, 431; XV, 277, 311, 335; XVI, 34, 231, 233, 394, 395, 451, 499; XVII, 113, 127, 135,140, 147, 150, 200, 201, 235, 242, 265, 268, 273, 314, 332, 337, 356, 376, 392, 408; XVIII, 71, 88, 116, 198, 237, 243, 252, 261, 269, 274, 286, 316, 339, 341. * Mioiulobx Giacomo. XVI, 121. Michelangelo (Fra). — V. Soghizzi Mi¬ chelangelo. Michele (Arcangelo). IX, 94, 164, 168. Michele (Monsignor). — V. Michiel Gi¬ rolamo. Michele, servo del Castelli. XI, 605; XU, 23, 136, 179, 296. Michele, servo di S. Lazoslci. XIX, 162. * Micheli ni Fàmiano. Possedette le po¬ stille di G. ai libri J)e sphacra et cylinilro di Archimede, I, 231. Raccomandato a G. dal Baliani, XLY, 47, 344. Elogi di lui, fatti dal Castelli, XVI, 75, 87-88, 92,147; al tinaie era stato raccomandato da G., 76. Informa G. delle cose di Roma, 139-140. Il Castelli si rallegra con lui perchè possa godere della conversazione di G., 210. Se gli ricorda affettuosamente, XVII, 234-235,316-317,321- 322, 407; XVIII, 35-36, 39-40 e gli racco¬ manda il P. Ambrogi, 128. Attende all’istru¬ zione matematica dei Principi Medicei, ed in particolare del Principe Leopoldo, XVII, 315, 322, 359, 400, 413; XVIli, 120, 165. Chiede a G., da parte del Principe Leopoldo, la dimostrazione novament.e trovata circa la discesa dei gravi lungo i piani inclinati, XVII, 399-400, intorno alla quale gli comu¬ nica il suo pensiero, 412; XVHI, 24. È tutto immerso nello studio dello Nuove Scienze, 15. Nominato, Vili, 19; XIV, 342 ; XV, 258, 259, 300; XVI, 121, 152, 168, 210, 211, 271, 273, 282, 290, 292, 322, 323, 324, 335, 339, 340, 352, 378, 384, 430, 433, 477, 521; XVII, 50, 64, 66, 80, 1G9, 175, 201, 202, 234, 255, 273, 276, 307, 319, 328, 341, 342, 350, 355, 361, 401; XVIII, 11, 37, 68, 105, 120, 148, 165, 189, 194, 196, 357. Miciiklozzi Braccio. XV, 97, 122. ♦Miohibl Francesco. XYII, 42. * Michiel Giovanni. X, 47,48. *MioniEL Girolamo. X, 195. *Miohon Pietro, detto l’Abate Bottrue- lot. Cura il Castelli in Roma, XVI, 192, 198. Presentato dal Castelli a G., XVII, 183-184, ne resta ammirato, 216. Microcosmo. Sua rispondenza perfetta col macrocosmo, IO, 214, 219. Micrometro. Ideato da G. per misu¬ rare le distanze tra i Pianeti Medicei, III, 415-416, 446; IV, 64. Microscopio, o Occhialino. Per vedere le cose minimo G. trasforma il telescopio, IIT, 164; VI, 290. T)i un pittore, ad imitazione di quello di G., XIII, 36. G. ne manda uno al Card. Del Monte, 36, 40-41 ed altro no consegna al Card, di Zollern por il Duca di Baviera, 177. Perfezionato e mandato da G. all’Imperiali, 198, 199, 201, 204, 211, 213, al Cesi, 208-209, 219, al Balbi, 230, al Marsili, 240, a Filippo d’Assia, 413, al Re di Spagna, XIV, 91-92. Il suo nome vion trovato dal Faber, XIII, 264. Desiderato dal Tiberii, 286-2S7. G. ne parla al Tarde, XIX, 590. Menzionato, VII, 363; IX, 11; XIU, 280; XIX, 609-610. Mida. IV, 446. MiDDiCLBURC} (di) Paolo, Vescovo di Fos- sombrone [0 Semproniensc\. V, 293, 302, Muco Giorgio. XVI, 105. Migliori Cornelio. XIX, 461. 33 Voi. xx. 258 INDICE 1>EI NOMI ECO. Migliorini, meccanico. Vili, 033. Migi.iobotti. XIX, 482. Milano. Suo clima, II, 244. — Biblioteca Ambrosiana, XIII, 148,155. - 8. Ambrosio, XVI, 378. — S. Simpliciano, X, 43(1437. Scuole Canobbiane, XIII, 53, 55. Con¬ trada dei Kestolli, 53. Menzionato, XIX, 55, 00, 61), 85. Milano (Inquisitore di).— V. l’iò Ciò. Michele. Milbo. I, 39. ■ * Millini Benedetto. Manda alcune suo composizioni poetiche a Or., XV, 194, gli scrive intorno agl*imitatori di Pindaro, 212- 213 o gli annunzia la pubblicazione di altri suoi lavori, 282, 283. Nominato, 183, 210, 313, 314. ♦Millini Gio. Garzia. Riceve dal Loriui la lettera di G. al Castelli, denunziata al S. Uffizio, V, 204 ; XIX, 297-298. Sua pur tecipaziono al primo processo contro G.. XII, 152, 101, 172, 178, 192, 195, 201, 203, 205 ; XIX, 275, 276, 277, 278, 279 , 313,313, 321 ; XX, Sappi., 508. Nominato, XII, 175. Mi li.oskvioii Elia. Y, IO. ♦ Milton Giovanni. Visita G. in Arcotri, XIX, 9. Milza. Corrisponde nel corpo umano a Saturno, IH, 219. Menzionata, VII, 395. Mimnermo. XILI, 208. * Minalo! Gio. Tommaso. G. fornisce al Piccbena le chiestegli informazioni intorno a lui dal quale s’era fatto curare, X, 107, 168. Dissente da G. sul da farsi in occasione d’una gran quantità di novo caduta in Pa¬ dova, 195. Trasferitosi allo Studio di Pisa, XII, 135, 143, quivi muore, XIII, 10. Mindanao. XI, 525, 526. ♦Minderkr Raimondo. Proposto Accade¬ mico Linceo, XIII, 03; XIX, 209. Mine. Loro uso nella guerra, II,45-49, 84, 110-118. [Migliorini ♦ Minerretti Alessandro. XII, 37; XLX 251. ♦Mineruetti Cosimo. X, 271; XII, 401. Minerva. Ili, 133; X, 60; XIV, 84; XVI, (12; XVIII, 54. Minetti Gio. Battista. XVI, 800, ♦ Minuoni Tommaso. X, 366. Minia, serva di G. XIX, 173-174. ♦Miniati Antonio. Partecipa alle prati¬ che per far atamparo in Olmiitz le Nuove Scienze di G., Vili, 15; XVI, 386, 393. Miniati Rodolfo. XVI, 248,257,321. Miniato (S.). XIV, 190; XV, 231, 257. Miniato (S.) al Tedesco. XV,257,296, 297, 302, 315, 380; XVII. 307. Minioii Serafino Raffaele. IX, 11. Minosse. IX, 44.177. Minotauro. IX, 145. ♦Minuooi Andrea. Intermediario tra G. o la Corte di Baviera, X, 354, 360. Minuooi Filippo. Procura fattagli ila G., XIX, 214. Minutoli Antonio. XIY, 415. ♦Mirviiei.i.a Vincenzo. Ascritto all’Acca¬ demia dei Lincei, XII, 71, manda i suoi rin¬ graziamenti a G., 82-83, e gli chiede i vetri per un telescopio, 96-97. Nominato, 98,105, 129; XIII, 77. Miracoli. Cosi detti da Aristotele gli effetti dei quali s’ignorano le cause, VII, 447-448. Riferito da F. l)uodo a G., XI, 35. G. ed i suoi seguaci sono accusati di non ri¬ conoscerò quelli operati dai Santi, XIX, 308, 310, 316, 319. ♦ Miranda (de) Alonso Vasquhz. XVII 1,430. Mirandolano. — V. Bernardi Antonio. ♦Mirto Placido. Legge filosofia peripa¬ tetica, ma ammette elio Aristotele possa aver fallato, e riconosco lo scoperte celesti di G., XLI, 315-31G. Mirarle. VI, 174,196. Misure con la vista. II, 414-424, 491- 510, 582-092. 259 Montalbani Gio. Battista] INDICE DEI NOMI ECO. Mobile. — V. Gravi. Moto. *Mooenigo Alvise. G. gli manda la di¬ chiarazione della lampada di Erono, X, 64-65. *Mooenigo Giovanni. X, 50; XI, 367. * Mooenigo Lunardo. XIX, 228. *Mooni Orazio. XYIU, 415. Modena. X, 301. Modena (Inquisitore di). Ha ricevuto copia dell’abiura di G., e la diffonderà, XV, 305. Modesto (Don). XIY, 256, 276, 277. Mogol (Gran). XII, 258, 273. - V Aca- bar. Mola. Xn, 466. Moldavia. X, 256. * Moretti Giuseppe. Sua attestaziono in proposito di un lemma e teorema di G., I, 183, 184, 1S5; X, 21. Suoi sentimenti verso di lui, 30. Sua morte, 42. G. è eletto a succe¬ dergli nello Studio di Padova, XIX, 111, 606. Nominato, X, 77. * Moltn Domenico. Ringrazia G. del Dia¬ logo dei Massimi Sistemi, e lo loda d’aver mostrato che anche in Italia la scienza è coltivata, XIY, 350-351. Manifesta il desi¬ derio di adoperarsi in favore di G., XYI, 213. * Molin Francesco. Convegno fatto in sua casa per chiarire il plagio del Capra, II, 539, 54S. Riformatore dello Studio di Pa¬ dova, 560; X, 104, 202; XIX, 114, 224, 226. * Molin Piero. XX, Sappi., 589. Molino Astianatte. IX, 22. — V Ma- latesti Antonio. Molitore Teofilo. — V. Mailer Tedilo. Molucche. VII, 161. Momento. Che cosa sia, II, 159-160; IV, 68, 158, 385, 388; VILI, 154-155. Dolla per¬ cossa, II, 190; X, 100; della gravità o velo¬ cità dei corpi, VII, 241, 726-727; Vili, 154, 156-160, 163-164, 204s, 280, 438. Libro che intorno ad essi aveva scritto Tolomeo, IV, 385, 388. Dei pesi applicati ad una bilancia, 705s; Vili, 329-330, 367-368. Sopra piani di diversa inclinazione, 215-217 Di una semi¬ parabola, 299-300, 425 e nei singoli punti d’una parabola, 425, 427$. Di un gravo nel¬ l’atto della percossa, 323s, 344-315. Osser¬ vazioni del Baliani. XVIII, 70, e del Tor¬ ricelli, 334. Momo. Ili, 210. Monoiiami» Giorgio. XVI, 246; XIX, 412. * Monconiis Claudio. Sua invenzione per far montar l’acqua più alta dell’origine, XVI, 305. Monde vi o Moudovì (Card. di). — V. Laureo Vincenzo. Mondo. Opinioni degli antichi filosoli intorno ad esso, I, 22-24. Clio deva credersi della sua origine, 24-27. Se il mondo sia uno o perfetto, 27-31. So abbia potuto es- sero ab actcrno, 32-37. Distinto nello sue parti, n, 212s. Infinità sostenuta dal Pruno e da altri, e negata dal Keplero, III, 106, 118, 119, 120, 123, 322, 347s; X, 320-321, 333, 334, 335, 358. Secondo Aristotele è per¬ fetto perchè ha la trina dimensiono, VII, 33-34; o le parti di osso sono due, celeste ed elementare, tra loro contrarie, 38. Per¬ fettissimo ed ordinatissimo, 43. Non è sin ora stato provato da alcuno so sia finito o infinito, 347-348. Monestier. XI, 517. Monete. Regola per trasmutarle usando lo linee aritmetiche del Compasso, li, 381, 459-460. Loro ufficio negli scambi, VI, 569, 5S8, 606. Mongardi Agostino. XTX, 322. Monodante. IX, 181, 183. * Montarhan Alessandro. Convittore in casa di G. in Padova, X, 179. Conti di G. con esso, 505; XIX, 162, 163, 164, 165, 190. Suo oroscopo, tratto da G., 206. Nomi nato, XI, 221. * Montalban Niccolò. X, 173, 179., * Montalijani Gio. Battista. Raccomanda al Marsili il Gloriosi per una lettura nello | Studio di Bologna, XIV, 33. 200 INDICE DEI * Montalbani Ovidio. Su h Pncttnwscopiu, XVI, 41. * Montai.to (di) Perrtti Alessandro. Fa esprimere a G. il desiderio d’avere un can¬ nocchiale, X, 888 , ed avutolo no lo ringra¬ zia, 407-408, 109. Nominato, XI, 241, 260, 584, 594, 590. Montani G. XIX, 408. Montauti Giovanni. XIX, 485. Montadti Giuliano. XIX, 485. ♦Montauto (da) IIarboi.ani Asdbuiiat.k. Si adopera, por ordine della Corto di To¬ scana. alla ricondotta di G. a Padova, X, 147, 159, 100, 101. Avverte il Vinta elio il sa¬ persi a Venezia della partenza di G. avrebbe potuto procurar a questo delle noie, 384. Nominato, 202, 319, 350, 804, 40-1 ; XI, (il; XII, 214, 224. * Monti: (del) Alessandro. Annunzia a G. la morto del padre Guidobaldo, X, 100-107. ♦Monte (dol) Bartolommeo. XII, 215. ♦Monte (del) Francesco. X, 100; XI, 595. ♦Monte (del) Fuanoesoo Maria. Insieme col fratello Guidobaldo si adopera per fa¬ vorire G. nello suo aspirazioni ad una let¬ tura, X, 34, 35, 30, 37. Eletto Cardinale, 39. Desidera il Sirtcrcus Nuncius ed un cannoc¬ chiale, 291,298, 301, e G. glieli fa presentare, ricevendone un dono, 343-344. Suggerisce a G. l’impiego del cristallo di rocca per lo lenti, 3(57, o gli scrive del desiderio d’un cannoc¬ chiale, espressogli dal Card. S. Borghese, 307, 383, o dal Card. Montalto, 388. G. gli manda un altro cannocchiale, 407. Si congratula con G. per il suo richiamo in Toscana, 444. Il Granduca ed A do’ Medici gli raccomandano G., che andava a Roma per ottenere la con¬ ferma delle sue scoperte celesti, XI, 00-61 81,83-84; ed egli attesta al Granduca la piena soddisfazione che G. aveva data di sò, 119. S’adopera per agevolare la monaca¬ zione delle figlio di G., 234-235, 245. Lo rin- NOMI ECC. [Montalbani Ovidio grazia per il Discorso sullo galleggianti, 353 . Dopo aver conferito col Card. Bellarmino, fa consigliare a G. di non toccaro delle Sacre Scritture quando tratterà del sistema coper¬ nicano, XII, 100 . Esprime ni Granduca i suoi sentimenti vorso G., 208, e tornando questi a Firenze, rendo ampia testimonianza in favor suo, 204 Chiede a G. un microscopio, XIII, 30, ed avutolo lo ringrazia, 40-41, No¬ minato, XI, 78, 79, 90, 1G8, 212; XU, 152, 155, 101, 102, 211, 256; XIV, 27. ♦ Monte (dol) G10. Battista. X, 54,71; XI, 505. ♦Monte (del) Guidobaldo. G. gli comu- nica i suoi studi sui baricentri dei solidi, 0 no discutono, I, 181, 182, 184; Vili, 11,313; X, 22 , 25-20, 31, 33-39; XYII, 63; XIX, G 05 ’. Si adopera, anello col fratollo Francesco Maria, por favorire G. nolle suo aspira¬ zioni ad una lettura 0 per ottenergli mi¬ glioramenti di luogo 0 di stipendio, X, 34, 35, 36, 37, 42-13, 45, 47, 35-54; XIX, 594, 005, 606, 038, 639. Invia a G. alcuni suoi studi, e gli scrivo di quelli ai quali sta at¬ tendendo, X, 25, 31, 33, 38, 39, 41, 43, 45, 54, 02. Ringrazia G. por le congratulazioni inviategli in occasiono dell’elevazione del fratello a Cardinale, 39. Si conduole con G. por la morte del padre, 47. Raccomanda a G. il figlio Orazio, aflìnchò lo esorti 0 lo assista nello studio delle matematiche, 71-72. G. gli scrivo intorno all’isocronismo del pendolo ed alla logge dello corde, 97- 100 . Sua morte, 1(56-167, c opere che lascia inedite, 372. IVOddi gli altrilmisco l’inven¬ zione dui compasso di proporzione, XIII, 97; c asserisce di esperienze fatte da lui con G. sulla linea doi proietti, XIV, 395. Nominato, X, 07, 372; XI, 595; XII, 314; XVII, 179; XVIII, 69, 94-95. ♦Monte (dol) Orazio. Raccomandato dal padre suo Guidobaldo a G..X, 71. Tornando in patria, porta seco un esemplare del Cora- INDICE DEI NOMI ECC. 261 Moramli Orastio] passo di Ci, 143. Ringrazia Ct. por l’invio del SUlcreus Nkmcius, o lo prega di vedere so si potessero darò alle stampe in Padova lo opero inedite del padre, 371-372. Nomi¬ nato, II» 531; X, 16. * Monte (del) Uguocione. XI, 595. Monticassi no. XIII, 197, 429. Montecatini. XIX, 53. Montecatini Tommaso. XIIT, 26. Montecat. ... XIX, 27. * MoNTEoem Sebastiano. X, 497,505; XI, 56, 231; XIX, 203. * Monteouoooli Antonio. Dal Card. Carlo de’Medici gli c raccomandato Ci, XV, 31, 32, 33, 12, 52, 58. Montedomini. XIV, 177. * Montblupi Valerio. X, 263, 266, 278, 284. M o n t e 1 u p o. IV, 2S5 ; XI, 174. Montemurlo. XIV, 218. Monterbooio. — V. Miiller Giovanni. Monterby (di) Conto. XIII, 92. Mon ter osi. Ili, 442. Monterotondo. XITI, 451. Mon tese nari o (di) Gio. Battista, ere¬ mita. — V. Stefaneschi Gio. Battista. * Monteverde Claudio. Di Ini si servo il Micanzio per procurare un violino al nipote di Ci, XVII, 230, 259, 329, 330, 334, 343. Nominato, XVI, 286. Monti. Luoghi ad essi vicini, sottoposti più degli altri alle tempeste, fulmini, tuoni c baleni; o perchè, Vili, 611, 630-631. Monti lunari. Come si presentino al¬ l’occhio, armato di cannocchiale, III, 17, 20- 30, 59-60, 62-71 ; V, 53, 81 ; VI, 45, 206; Vili, 46; X, 501; XVJI, 292; XIX, 610. Sono mag¬ giori doi terrestri, HI, 31, 71-72,116-117,161- 162; X, 328, 332; XI, 26. Osservati col can¬ nocchiale dal Keplero, HI, 186. Derisi dal Colombe, 286s; XI, 131-132, ed oppugnati dal Lagalla,IH, 355$, 377 s, 384s. De lunarium monlium altitudine problema mathe- maticum, discusso da un Gesuita in Man¬ tova, 13, 298-307; XI, 126, 130-131, 178-203, 233, 273. Tentativi di usurparne la scoperta a Q., V, 85. Mostrano aneli’ossi la confor¬ mità della terra con la luna, VII, 87-88. Con¬ tribuiscono ad aumentare la riflessione di lume, 105-106. Non possono spiegarsi pervia di più e meno opaco e perspicuo, 111-112. Op¬ posizioni del Rocco, 644. Il Manso li giudica i monti stessi della terra, rispecchiati nella luna, X, 293. Conformati dallo osservazioni del Castelli, 310-311. Dispute intorno alla loro altezza e posiziono rispetto al corpo della luna, col Brengger, 460-462, 465-473; XI, 38-41, 122-125, o col Grienberger, 31-32, 127, 178-203, 226-227, 237, 272-274. Risposta di G. alle opposizioni del Colombe, 141-153,158. Lettera di G. al Muti intorno ad essi, XII, 240-241. — V. Biancani Giuseppe. Luna. Tam¬ barelli Dario. * Monti Cesare, Nunzio in Madrid. Par¬ tecipa d’aver data diffusione in tutta la Spagna alla sentenza contro G., XY, 323 XIX, 390. Nominato, XVI, 378. Monti Cesare. Ringrazia G. per aver ac¬ colto o tener presso di sè il figliuolo, XVIII, 199, 267. Monti Luoutno. G. lo tiene presso di sò o gli insegna a leggere, XVIII, 267. Monti Prinoivallk. XIX, 314. Montughi. XV, 65, 77, 120. ♦Morandi Grazio. Accompagna a G. una lettera scrittagli dal Sizzi, XI, 491-493 e si rallegra elio questi si sia ricreduto, 530. Ha mandato a G. l’opera del Keplero, conte¬ nente un’appendice relativa al Saggiatore, XIII, 319. In seguito alle raccomandazioni di G., ottiene una dispensa per il novizio D. Cacciui, 320-321, 327. Invita G., che era a Roma per sollecitare la licenza di stampa del Dialogo, a pranzo con un consultore del S. Uffizio ed il compagno del P. Maestro del Sacro Palazzo, XIV, 107. È sottoposto a 262 INDICE DEI NOMI ECC. [Moravia processo, 134-135. Sua morto, 250. Natività di G., trovata tra le buo carte, XIX, 24. Nominato, XI, 75, 369; XHI, 299-300, 308, 310. Moravia. UI, 113, 160; X, 328. * Morriolo Cat tal ano. XI, 603; XII, 11. Mordano (P. D.). X, 119, 171. *Moivbau Giovanni. XIV, 332. Morelli.... IX, 11. Morelli Andrea. Conti di G. con esso, XIX, 162, 163, 164. Morelli Calisto. XIII, 166. Morelli Iacopo. V, 271. Morellini Fuancksca. XIX, 510. Moreto Baipassare. IX, 11. * Moreto Teodoro. XVI, 120. Moretto ebreo. XIX, 173. Morfeo. XIII, 201. Morgante. Ili, 267. Mori Baiitolommeo. XIX, 491. Mori Domenico. XIX, 491. Moriani. XIV, 331, 332, 333. Morio_XI, 176. *Morin Gio. Battista. Sua scrittura con¬ tro il moto della terra, col titolo Vainosi et antiqui problcmatis de tclluris inotti vcl quiete hactenus optata solatio, VII, 15, 547- 561; note ad essa di G., 16-17, 562-568; giu¬ dicata dal Gassendi, XIV, 334; G. richiama sopr’ essa l'attenzione del Magalotti, 383, e bì duole di non averla ricevuta in tempo da poterne parlare nel Dialogo dei Massimi Sistemi , XV, 23 : biasima la stima che in essa vien fatta dell’astrologia giudiziaria, 24. Legge avidamente il Dialogo , XIV, 423. Ac¬ compagna a G. una sua risposta al l.ansborg contro il moto della torra, ed una soluzione ch’egli credeva d’aver trovato del problema delle longitudini, chiedendone il giudizio, XVI, 158-160. Gli scrive novamente intorno ai propri lavori, non ammettendo le prove da lui addotte nel Dialogo per il moto della terra ed anzi esortando G ad una ritratta¬ zione : bì duolo infine della nessuna ricom¬ pensa avuta per la sua scienza delle longitu¬ dini, 251-253: dell’invito alla ritrattazione, da lui fatto a G., scrive anche il Campa¬ nella al Pei rese, 288. Giudizio del 13eau- grand sopra il metodo da lui proposto per graduar la longitudine, 336, di G., 340, 312- 311 e dell’Ortensio, XVII, 25-26. G. si duole ch’egli abbia pubblicamente scritto della sua condanna, 341. Ha comunicazione dal- P Ortensio del metodo proposto allo stesso fino da G., 26, 44, 67-69, 84, 109. Nominato, XVI, 96, 185, 491; XVIII, 330. Mornay Filippo. — V. Plossis-Marly (du) Mornay Filippo. * Moro Gasparo. XJLX, 158. * Moro Giovanni. XI, 367; XIX, 223. Morone Giovanni. X, 429. Moroni Carlo. IX, 11. Mouosini. X, 96. ♦Morosini Andrea di Giacomo. DaS. Vc- nicr gli è raccomandata un’istanza di G. per una anticipazione di stipendio, X, 191, che «•gli, come Riformatore dello Studio di Pa¬ dova, contribuisco a fargli concedere, 202. Ringrazia G. per alcuno pubblicazioni rice¬ vutene, 256; XI, 524. Deplora elio il Cremo- nino non abbia voluto vedere le scoperte celesti di G., 100. Nominato, X, 425; XI, 117, 332, 500; XIX, 115. * Morosi ni Andrea di Vincenzio. XII, 335. * Mouosini Donato. Ili, 174; X, 164; XI, 117. *Moro8ini Francesco. Ringrazia G. che si era congratulato con lui per reiezione a Savio di terra ferma. X, 101-102. Udito delle difficoltà che G. incontrava per la stampa del Dialogo , gli fa ofl'rire di stam¬ parlo a Venezia, e di ricondurre lui nello Studio di Padova, XIV, 321. Nominato, XII, 139; XIX, 116, 117, 223. ♦Morosini Tommaso. XIX, 156. Mourona Alessandro. XIX, 430. INDICE DEI NOMI ECO. 203 Moto] Moscioni. Loro generazione, spiegata dal Rocco, VII, 610-611; XVI, 70. Mosconi. Gonio producano il loro ronzio, VI, 280-281. Mo8covia. II, 244; VII, 120; XI, 68. Mosè, profeta. 1,28; Ili, 121, 214; V, 320, 348, 369; VI, 462; IX, 17; X, 336; XII, 47. Mosè, rabbino. 1, 76, 105. Mostro (Padre). — V. Riccardi Niccolò. Moti degli animali. — V. Animali. Moti medii dei Pianeti Medicei. Tavole, HI, 455-473. — V. Pianeti Medicei. *Motmanno Cornklio Enrico. XV, 63. Moto. Scritturo giovanili De molli di G., 1,243-363; loro coordinamento in dialogo, 367-408. Frammenti ad esse relativi, 409-419. Locale; definito da G.,410; distinto da Ari¬ stotele in circolare, retto e misto, YII, 38-39, 257,588.S-; intera e nuova scienzh di G. intorno ad esso, 248; Vili, 46, 190s, da lui concepita (in dal tempo della sua lettura a Padova, X, 351. Contrario, VII, 62, 143s, 301. Rela¬ tivo, 140.9, 189, 197.9, 2053, 212s, 273s, 280, 401, 6519 ; Vili, 633; X, 170. Naturale o violonto, VII, 150, 167; critica di questa distinzione, 2629, 296. Equabile; definizioni, assiomi e teoremi, Vili, 191-196, composi¬ zione di due equabili, 288-289; frauimonti relativi, 372, 141, 614. Naturalmente accele¬ rato: primi studi, I, 314s; capitolo De motu acceleralo , nel quale ne vengono concretati i principi fondamentali, li, 261-266; X, 115- 116; suoi principi riassunti, VII,44-55: leggi. 248-252. Trattazione nelle Nuove Scienze, Vili, 197-267; frammenti relativi, 373-423, 442-445 ; XII, 492; XVHI, 125-126; proposi¬ zione dei moti fatti in tempi uguali nella medesima quarta del cerchio, VII, 476-477; Vili, 139-140, 2219, 393; X, 97-100. Com¬ posizione di due moti rotti non può farne uno circolare, VII, 438. Comune: por i corpi che di esso egualmente si muovono ò come se non fosse, 142, 273, 401 ; esperienza che ne dimostra la impercettibilità, 275. Deve avere un soggetto, 147. Degli animali, 283. Dei solidi e dei liquidi, XIII, 348-349. Moto assoluto. Risultante dalla mistione dei due moti annuo o diurno, causa l’ine¬ gualità del moto delle parti del globo ter¬ restre, V, 382-383; VU, 453, 710. Sempli¬ cissima linea, lasciata da un punto del mobile che si muove di quanti si vogliano moti diversi, VI, 555. Qual linea descriva il mo¬ bile che cado sulla terra rotante, VII, 188- 192; XVII, 33, S9s. Linea lasciata dalla punta d’ una penna lungo la navigazione, vn, 197. Composizione dei moti. Naturale e vio¬ lento in opposto direzioni, I, 318, 323, 3259, 329s, 372s, 392s; Vili, 425-426. Rettilineo, di due circolari, I, 326. Di pluralità nei pia¬ neti, II, 225; VII, 288, ed in particolare nei Satelliti di Giovo, III, 46, 95. Della sfera dolio (isso col primo mobile, II, 251. Della terra, del veicolo, o di quelli propri dol rispettivo corpo, HI, 256-268,345; VI, 544- 549; ITI, 165s, 175s, 212s, 664.9; Vili, 028; XIII, 205; XVHI, 103. Del diurno ed an¬ nuo della terra, V, 382-383, 386-3S7 ; VU, 452s, 557, 705s; e del composto clic ne ri¬ sulta con quello dovuto alla gravità, V, 391; VII, 458, 460, e con quello dipendente dallo acque doi fiumi, V, 392; VII, 461; della perpetua aria da oriente coi venti acciden¬ tali e tumultuari, V, 394; VU, 466. Nolle comete, VI, 97, 98, 146, 148, 295, 310-311. Senza impedimento reciproco, 555; TU, 175, 180, 2129; Vili, 273, OOls, 629, 633. Dei corpi misti, secondo Aristotelo, VII, 40-41, 438-439. Del circolare e del verticale all’in¬ giù, 189-192; VAI, 284-201; XVH, 89-92; XVIII, 99. Nella palla uscente dal pezzo d’ar¬ tiglieria, VII, 201-202. Nella calamita, 288, 437-438. Dei propri dei pianeti, con l’annuo della terra, 350s, 370s. Nelle macchie solari, per effetto della rotazione del solo e del 264 INDICE DEI NOMI ECC. moto annuo della terra, 374s. Secondo Ari- atotole, possono comporsi soltanto il retti¬ lineo od il circolare, 439, 591s. Alterazione periodica nella composizione del diurno ed annuo della terra, 47 ls; XIV, 342-343; di¬ segnatiti dovute alla luna, TU, 477s, e alla posiziono doli’asse terrestre rispetto al¬ l’eclittica, 482s. Uniformemente accelerato dal persistente o dal sopravveniente in uguale direzione, Vili, 210$. Lungo i piani incli¬ nati, 216, 243; X, 249; XIV, 195. I)i uni¬ formo orizzontale ed uniformemente acce¬ lerato verticale, Vili, 269, 272s, 424; X, 229 ; XIV, 386 ; XVII, 90, 890. Di due uni¬ formi, 1’ uno orizzontale e l’altro verticale, Vili, 280. Conservazione del moto comunicato o impresso. Illimitata nel moto circolare, I, 306-307, 309, 372-373; V, 134-135; VII, 45, 175; XII, 21, 34; e sopra un piano orizzon¬ tale, III, 257; V, 134-135; VI, 646; VII, 56, 173-174 ; VIU, 239, 243-244, 268, 330; XVIII, 88. Limitata dall’indebolimento della forza impressa, I, 308-315, 319, 321, 327s, 369, 3S9s, 405s; X, 115. Diversa secondo la gra¬ vità, I, 335, 337, 410, 413, 419; VI, 556-557; VII, 177, 463. Maggiore nei solidi che nei fluidi, VI, 321-322, 465, e nell’acqua in con¬ fronto dell’aria, 556 ; VII, 463. Nel risalire dopo la caduta, 40, 254, 262, oltre il centro della terra fino all'altra estremità del dia¬ metro, 47, 262, 688. Nei corpi oscillanti, V, 384; VII, 47, 253, 262, 454; Vili, 207. Nel corpo cadente, quando il moto da cerchi maggiori si fa per minori, 259-2GO. Del moto comune della terra, e degli oggetti in eBsa contenuti e che la circondano, VI, 546, 548 ; vn, 168, 174, 180, 203, 209-210, 212-214, G64s; NIH, 205; XVI, 88, 125; XVIII, 103. in linea retta, VII, 201, secondo la tangente noi corpi che si muovono di moto circolare, 2lSs, 242s, nelle parti non rigidamente con¬ giunte, quando l’insieme viene fermato, 238- [Moto dei proietti 239, 266, 410. Nell’acqua, 210, quando la velocità del vaso che la contiene viene al¬ terata, 450-451, 453$, 463. Dei singoli moti nella mistione o composizione con altri, VIU, 273. — V. Calore. Forza. Gravi. Gravità. Piani inclinati. Moto dei proietti. — V. Proietti. Moto della terra. Opinione di Pita¬ gora o del Copernico intorno ad osso, difesa da G. contro il Mazzoni, II, 198$. Grandis¬ simi filosoli e matematici l’hanno sostenuto, 223. Discorso di L. delle Colombe contro di esso, postillato da G., Ili, 253-290. Disputalio dell'Ingoli, V, 403-412; risposta del Keplero, 400; VI, 504 ; XIII, 192; e di G.,VI, 509- 561 ; replica dell' Ingoli al Keplero, XIII, 192. 11 Castelli informa Oh d’una discussione tenutasi alla tavola del Granduca in Pisa, o G. ne prendo occasiono alla lettola sull’in¬ trodurre la Sacra Scrittura nello questioni naturali, V, 263-204, 281-295; XI, 606; XII, 49, 134, 146, 151, 154, 158, 161, 165, 255; XIV, 380; XIX, 289, 293, 299-305, 306, 308, 311, 312. Movimenti vari, assunta l’ipotesi della mobilità, V, 381-383. Tentativo del Grassi di mettere in campo la questione del moto di ossa, VI, 116, 144-146, 148, dal quale si schermisce G., 305, 310-311. Esperienze di (h, parto in dichiarazione o parte in confuta¬ zione del terzo moto ad essa attribuito dal Copernico, 155$, 231, 325-326,47ls. Impercet¬ tibile agli abitatori, VII, 140. Diurno: connine a tutto l’universo, trattone il globo terrestre, 140; perchè più probabilmente deva essere della terra sola, che del resto dell’universo, 141; si dimostra che è della terra, 142-146. Ar¬ gomenti di Tolomeo, di Tieone ed altri, oltre a quelli di Aristotele, intorno alla questione, 151-153, 157-159, o loro confutazione, 159- 281. Tre moti prodotti da un solo principio, 282-294. Annuo: da chi attribuito alla terra, 346 ; obiezioni e confutazione di esse, 347- 416. Proposizioni necessarie a ben capire Mtiller Giovanni] INDICE DEI le conseguenze dei movimenti della torra, 416*417. Annuo o diurno, compatibili nella terra, 424; risultato della loro composizione, 452-453. Il terzo moto attribuito alla terra ù % piuttosto un restare immutabile, 425. E po¬ tissima o primaria causa del flusso e re¬ flusso, 454s; XIII, 209; XIV, 78. Scrittura del Morin contro di esso, col titolo Famosi et antiqui problematìs de tcììuris motti vel quiete hactenus optata soluiio, VII, 15, 549- 561; note di G. ad essa, 16-17, 562-568; di¬ chiarazione fatta dal Morin a G., XI1,159, 252. Opposizioni dol Rocco, VII, 650-712, e relative postille di G., 712-750. Frammenti di G. intorno ad esso, VILI, 628-629. Giudizi sulla sua compatibilità con lo Sacre Scrit¬ ture, del Card. Conti, XI, 354-355; dol Grassi, XIII, 203, che non vi ripugna, 210. Intima¬ zione fatta dal Provveditore dello Studio di Pisa al Castelli di non trattare di esso nelle sue lezioni, XI, 589-590. Futili ragioni portate contro di esso, XII, 26. Opinioni del Gualterotti, 253. Obiezioni del Turtorini, 329-331. Argomenti addotti in contrario dal Marsili, XIV, 304, 308-309. Difficoltà del De Ville, XV, 15-17. Sostenuto dal Wendelin, 155, o dal Bullialdo, 161. Gravissime dichia¬ razioni del Descartes, XVI, 88-89, e suo avviso intorno alle argomentazioni di G., 125. Sistema d’un solo moto, ideato dal- l’Argoli, 296, 520, il quale si propone di ri¬ spondere al Cbiaramonti, XVII, 269-270. Scrittura d’un Cappuccino veronese contro di esso, XVI, 400, 405-406. È vietato dal S. Uffizio a G. di trattarne, sia col personag¬ gio elio si attendeva dall’Olanda per confe¬ rire con lui circa il trovato per graduar la longitudine, XVII, 356; XIX, 288; sia col Castelli, XVII, 406, 410; XIX, 289. Dichia¬ razioni ironiche di G., XVIII, 314-316. In¬ criminato e condannato dalla Chiesa, XIX, 272-419, è poi ammosso, 420-421. — V. Co¬ pernico. Sacra Scrittura. Terra. Tolomeo. NOMI ECO. 265 Moto di trepidazione. Il, 255. Moto perpetuo. Quali coso richieda, VII, 161 ; discorso di G. intorno alla impos¬ sibilità di esso, XII, 411, 492, desiderato dal Castelli, XIII, 338; strumento col quale si pretendeva effettuarlo, proposto da un Fiammingo al Ite d’Inghilterra ed all’Im¬ peratore, X, 448-449, 479, 492; XI, 269-270, 275-276; XVI, 261; altro proposto alla Re¬ pubblica di Genova, XII, 186, ed al Mican- zio, XIV, 152. Motoro doi cidi, in, 283-284. Motti {De). Scritturo giovanili di G., I, 243-419. — V. Moto. Motti {De) accelerato. Scrittura di G., II, 257-266. — V. Moto. Mozzi Andrea. XJtX, 485. Mozzi Luigi. XIX, 485. Mugolio. XIX, 51, 86. — S. Agata, VI, 565. — Giogo, XIX, 51. * Mula, (da) Agostino. Presento al dibat¬ tito di G. col Capra, II, 549. Raccomanda a G. la cottura di alcuno mctopc, X, 73-74. 11 Gloriosi afferma ch’egli avesse veduti i Satelliti di Giove prima di G., 363. Sue divergenze col Sagrodo circa il modo nel quale si faccia la vista, XI, 315, 331; sua scrittura a tal proposito, 350. Ha comunica¬ zione dal Sagredo di alcune costituzioni dei Pianeti Medicei, mandate da G., 349. Rag¬ guaglia il Sagredo circa uno strumento per misurare il caldo ed il freddo, mostratogli dal Santorio, 350. Nominato, 330, 449, 500, 536, 549, 554, 555; XII, 139, 142, 158, 405, 406, 460; XVI, 172. Mììhlkok (di) Baiuj ab a. XVII, 279. Mullrr. XVI, 413. * Muller Filippo. X, 485. Muller Giovanni [da Regiomonte o Rk- oiomontano]. Sue opinioni sul moto o sul¬ l’ordine dei corpi celesti, I, 38, 39, 44, 45, 46, 48, 51, 54. Osservazione da lui fatta di una cometa, VI, 118. Nominato, X, 372. 266 INDICE DEI *Mullkb Thoiilo. Eletto Accademico Linceo, XI, 237, 239, 2-11, 247; XVIII, 413. Complimenta G\, XI, 239-240. Sua morte, XII, 439. Nominato, XI, 207, 284, 352, 409; XYm, 414. Mukosio Girolamo. Osservazioni e calcoli da lai istituiti circa la stella nuova del 1572, II, 284, 524; TU, 307, 308, 320, 324, 325, 320, 342, 523, 624, 525, 526, 527, 529, 580, 681, 532, 533, 534, 530, 538. Mura (fiume). Ili, 113, 100; X, 328. Murano. XI, 115, 238, 322, 544; XII, 108, 109, 403, 405, 418, 429, 410, 480; XVII, 271, 302; XIX, 204, 587. — Palazzotto dei Giuliani, XI, 238. — S. Giacomo, XIX, 587. — Rio dei Verrieri, 587. — Traghetto alla Colonna, 587. *Muson Cornelio. Gli è raccomandata dal Diodati la proposta di G. agli Stati Ge¬ nerali d’Olanda por graduar la longitudine, XVII, 49, 108. Nominato, 40, 00, 74, 119. Musoni etti Giorgio. XI, 519. Musica. Dei greci, più perfetta della nostra, III, 239 ; studi dol Doni intorno ad essa, XY, 312. Problemi di proporzioni mu¬ sicali, e soluzioni datene da U., Vili, 141- 150. Discorso del Mei intorno ad essa, in¬ vialo dal Valori a G., X, 80-87. Segreto ili armonia, sul quale il Itofleni chiede il parere di G., XI, 217. Disputo di G. col Cesi in Tivoli, XII, 436. Giudizi del Descartes sulle dottrino musicali di G., XVII, 389. Quesito dol Mer- senne a G., XVIII, 426-427. Culto di essa, tradizionale nella famiglia Galilei, XIX, 594, 002 . ' Mussato Gio. Francesco. XIX, 207, 231. * Muti Carlo. Annunzia a G. la propria elezione a Linceo; ricorda un discorso avuto con lui in Roma sull’ impossibilità del moto perpetuo, e della maggior volocità del moto naturalo nel fine, o gliene chiedo le ragioni, XII, 411; di che G. lo compiace, 492. Ila ietto il Discorso del Guiducci, elio s’era già NOMI ECO. [Mailer Teofìlo procurat o prima d’ averlo da G., e gliene scrivo, 481, 491-493. Eccita G. a rispondere al (trassi, XIII, l i, 31-33, 51,74. Sua morto, 80. Nominato, XII, 430, 436, 439, 499; XJII, 23, 24, 02; XIX, 268, 269. * Muti Giacomo. Continuando una con¬ versazione avuta con lui, G. gli scrive dimo¬ strando elio nessuna delle cose che si tro¬ vano in terra può prodursi e ritrovarsi nel globo lunare, XII, 210-241. Nominato, 284, *192 ; XIII, 51. * AIuti Tumulo. Gli è raccomandato G. da A. do 1 Medici, aI, 87. Alla sua presenza G. discute col Capoano circa l’abitabilità del globo lunare, XII, 240. Nominato, 284, 492; XIII, 61. ■ Muzzarelli Giovanni. Riferisce al Card. F. Ilarborini d'aver visitato G. in Arcefcri, e d’averlo trovato dol tutto cieco; propo¬ nendo gli sia accordato di trasferirsi in città. XVII, 390. Partecipa a G. 1'ottenuta con¬ cessione, 312, o ragguaglia il Card. F. Barbe¬ rini delle comminatorie fattegli in tale occa¬ sione, 312-313. Riferisce al Card. F. Barberini le intimazioni fatto a G. nell’occasiono della venuta dol personaggio olandese ohe dove conferire con lui e portargli regali, 348; XIX, 396; e il Cardinale rispondo elio se il personaggio ò eretico, non possa G. rice¬ verlo, e se cattolico, non parli con lui del moto della terra, conforme agli ordini del S. Uffizio, XVII, 356; XIX, 288. Riferisce allo stesso Cardinale elio il personaggio non è comparso, o elio G. ha rifiutato lettera e regalo portat igli per parte degli Stati Ge¬ nerali d’Olanda da alcuni tedeschi, XVII, 360; XIX, 397-398. 11 Cardinale gli ordina di partecipare a G. elio tale rifiuto tornò gradito al S. Uffizio, XVII, 366; XIX, 2S9, 398; e gli comunica la concessione al Ca¬ stelli di conferire con G., sotto condizione clm non si tratti tra loro del moto della lorra, XVII, 406, 410; XIX, 289. Secondo 267 Narni (da) Giannantonio] INDICE DEI NOMI ECO. gli ordini ricevuti, XVIII, 379-380, curerà che nelle esequie da farsi alla memoria di G. nulla intervenga che possa offendere la reputazione del S. Uffizio, 381. Nominato, XVII, 321. * Mvdobob Claudio. XVI, 3 IO; XVIII, 430. Mylgiksseu Leonardo. XIX, 551. Nabuogodonosor. VI, 196. Naocheretti Vincenzo. XIX, 567. Nadhir. II, 227. ♦Nardi Mattia. Informa F. Chigi d’una discussione sostenuta da (t. in Siena intorno al vacuo, XV, 185-186 ; suoi apprezzamenti circa la condanna di G., 279. Nalb. •— V. Natale. * Nani Agostino. XTI, 206. Nannei Bastiano. XIX, 203. Nannei Domenico. XIX, 203. ♦Nameii Giovanni. Suoi logaritmi, XIII, 62; XIV, 58, S9. Problema da lui proposto, XVII, 145. Napoli. Monti ivi scavati,IV, 112. Flusso c reflusso del suo mare, VII, 446. Acque del Formale celebrate, Vili, 615. Poca stima ivi fatta delle matematiche, X, HO. Pratiche iniziate per fondarvi un licoo Linceo, XI, 99, 283, 292, 293, 312, 323, 357, 396, 506, 529. Chi aia, 529. S. Severino, XVIII, 178. — V. Cannocchiale. Napoli (da) Michele, Cassinense. XIX, 321, 419. Napoli (Nunzio di). — V. Serrerà Nic¬ colò. Napoli (Viceré di). Loro partecipazione allo trattative traG. cd il Governo Spagnolo, concernenti la determinazione delle longi¬ tudini, XIII, 21, 22, 24, 25, 35, 38, l i. Men¬ zionati, XII, 214; XVI, 279.— V. Borgia Gasparo. Ossuna (Duca d’) Tellez y Giron I’edro. Zapata Antonio. Narciso. IX, 133; XVI, 276. * Nardi Antonio. Si rallegra con G. del suo felico arrivo a Siena, e lo ragguaglia della pubblicazione della Difesa del Chia- ramonti, XV, 184-185, 213-214, 232, 256; rin¬ nova i suoi rallegramenti, sapendolo tornato a Firenze o lo ragguaglia della pubblica¬ zione dell’Inchol'or, 359-360. Scrive a G. d’aver letto il libro del Hocco, XVI, 91; gli esprime il desiderio di vederlo c gli annunzia un presente, 335. Chiede a GL no¬ tizie dell’opera del moto e della sua salute, XVII, 350-351,400-401. Partecipa a G, di aver compiuto un suo lavoro intorno ad Archi¬ mede, e gli scrivo dello studio che, insieme col Magiotti, sta facendo delle Nuove Scienze, XVIII, 309-310. Chiede ed ottiene da Ct. una dimostrazione o gli manda alcune suo pro¬ posizioni, 343-344, 350-352; intorno alle quali fornisce schiarimenti, desiderati dal Viviani, 354-355. Geometria dimostrata per via di indivisibili, che si proponeva di pubblicare, 365. Chiede notizie a G. sulla aggiunta alle Giornate delle Nuove Scienze e sulla pub¬ blicazione dello opero del Torricelli, 373-374. Nominato, XV, 188, 191, 225,236, 237, 253, 271, 343, 357; XVI, 22, 29, 64, 65, 66, 163, 273, 352, 383; XVII, 81, 360; XVIII, 81, 86 110, 179, 21C, 306, 307, 308, 317, 327, 332, 835, 345, 359, 360, 364. * Nardi Baldassark. Chiedo a G. il suo parere intorno a due opere del Wondelin e del Puteano, XV, 95-96; o lo ringrazia della promossa fattagli di risposta quanto al secondo, XVI, 22-23. Nominato, XV, 185. Nardi Benedetto. XIX, 495. * Nardi Giovanni. Suo libro De igne sub- terraneo e giudizi intorno ad esso, XVJLI1, 304, 305, 316, 323, 328, 337, 338-339, 363, 366, 369, 371-372. Nardi Michele. XIX, 495. Narduooi Enrico. XI, 303; XII, 78; XUI, 88. Narni (da) Erasmo. XVII, 51. Narni (da) Giannantonio. XVII, 51. 268 INDICE DEI NOMI ECC. Narratio de obscrvatis a se qua - fuor lovis satcllitibus occ. di 0. Ke¬ plero. BU, 11, 179-188. — V. Kepler Gio¬ vanni. Narrbnhandlbr Tommaso. Ili» 139. Nasica. — V. Scipione Nasica. « Nassau (Conto di) Maurizio. Cannoc¬ chiale a lui presentato, TI, 258; X, 253; XI, 595; XIX, 609. Natale [Nale]. II, 313s; X, 196. Natura. Non viene ingannata con gli strumenti meccanici, li, 155s,lGtìs, 170s;T IH, 559, 572-573, 585. Opera sempre col minimo sforzo, II, 261 s; VII, 149-150, 282, G54s. G. aprì una nuova strada al filosofare, fon¬ dandosi Bopradi ossa o non sui libri,IV,248, 709. 1 Peripatetici tentano di accomodarla alla loro dottrina, V, 96. Non si servo dello sfere o dogli orbi figurati dagli astronomi, 102. Osservantissima esocutrico degli ordini di Dio, V, 282-283, 316. Suoi misteri pene¬ trati dalla scienza, 329-330. Mantiene somma esquisitezza in tutte le suo opere, VI, 87; XIII, 208,209. Abborro lo finzioni o le bugie della poesia, VI, 234. Sua ricchezza noi pro¬ durre ottetti con maniere da noi inescogita¬ bili, 281. Definizione datano da Aristotele, difettosa o indotta fuor di luogo, VII, 39. Non intrapronde a fare quollo che ò impossibile ad esser fatto, 43. l’or indur noi mobile qual¬ che grado di velocità, lo fa muover di moto retto, 45. Nihil frustra facit , 85. Non opera con molte cose quollo che può operar con poche, 143; XI, 109. Prima fece lo cose a modo suo, e poi fabbricò i discorsi degli uo¬ mini abili a intenderle, VII, 289. Essa o Dio si occupano della cura degli uomini come se altro non curassero, 394, e furono ab actcnio , 601. Con tutta facilità opera quello che a noi ò difficilissimo ad inten¬ dersi, 473. Ila dato a tutte lo coso virtù per conservarsi e difendersi, 596. Se abbia orrore al vacuo, VILI, 59-60. Artificio d’essa [Narratio occ. nella fabbrica degli animali, 169-170, 604. È ridicolo credere elio allora comincino lo coso naturali, quando noi cominciamo a scoprirlo ed intenderle, XI, 108. Altre perfezioni sono da essa inteso, che noi non possiamo inten¬ derò, 149. E ben ragione clic con gli scopri¬ menti celesti siasi una volta vendicata con¬ tro l’ingratitudino di coloro che tanto tempo l’han bistrattata, 327. ♦Naudè GaiuukIjK. Annunzia al Pciresc la pubblicazione dol Dialogo dei Massimi Sistemi, XIV, 359. Scrivo al Gassendi circa alla difficoltà di procurargli un osomplare di esso Dialoga, e di G. cho si trova in Roma inquisito, XV, 87-88. Informa il Peiresc di quanto lo Selieiner ed i Gesuiti stanno mac¬ chinando contro G., 88,164. Suoi epigrammi, XVin, 289, 291, 297, 298; XIX, 12. Nomi¬ nato, Vili, 486 ; XIV, 332; XVIII, 228, 231, 270, 272. *Nautonikh (de) Guglielmo. Suo metodo per misurale lo longitudini con la calamita, XIII, 379. Nava unus. — V. Azpilcueta (de) Mar¬ tino. Nave (dalla) Bartolomeo. XII, 338, 343. Nave (dalla) Benedetto. XIX, 423. Nayk (dalla) Domenico. XIX, 422, 423. Navi Ilan bisogno di remi o volo per esser mosse, a motivo della ripugnanza doli’acqua ad esser divisa velocemente, TV, 104. Galleggiano altrettanto facilmente in poca che in molta acqua, 137, 220, 261, 364, 391, 674, 677-682, 754s.Se s'immergano mag¬ giormente nell’acqua dolce cho nella salsa, 211, 253. Donazione esercitata sopra di esse dall’aria, 215, 257. Del loro moto in re¬ laziono con quollo dell’ acqua nella quale galleggiano, VI, 321-323. Ciò che avvenga dei lumi e dei movimenti degli animali sotto coverta, al muoversi di esse, 328, 548. Dove vada a terminare il grave, cadente dalla sommità dell’albero, 545 ; VII, 170; XVI, 342; INDICE DEI NOMI ECO. 269 Nervi] XVIII, 103. Perchè, cessato il vento ed am¬ mainate le vele, durano a scorrere, VII, 210-211. Tanto in cima dell’albero quanto al piede, usasi con la medesima facilità il telescopio, 275-270. Moto di osse, insensibile a chi vi ò dentro, sensibile alla vista con¬ giunta col discorso, 279-280. Con l’uso di esse si dimostra che l’altezza dol polo non varia mediante il moto della terra, 402. Con¬ dizioni di esse nell’acqua e nell’aria, Vili, 171-172. Effetti in esso della forza impressa, 346. Favola della remora che lo trattiene lungo il corso, XIH, 72-73. Ordigno escogi¬ tato da G. por usare del telescopio stando sopra di esse. — F. Celatone. Navicello. XV, 238. Navigazione. Da lovanto verso po¬ nente si fa in tempi più brevi che da po¬ nente verso levante, VII, 465-466. Problemi ad essa relativi, Vili, 609. Scrittura intorno ad essa di G. F. Buonamici, XIV, 53. — F. Longitudini. Nebbia. In grande profondità nascondo l’istcsso sole, VI, 367. Composta di gran¬ dissimo numero di minutissime stillo d’ac¬ qua, Vili, 606. Ingrossa i fili dei ragliateli, 606. Perchè, scoprendosi il solo al suo spa¬ rire, lo foglio di vite ed altre fronde diven¬ gono arido e si seccano, 606-607. Nebulose. Vedute col cannocchiale, non sono altro che congerie di stelle, III, 34, 49, 50, 60, 78-79, 119, 135, 162; VI, 247; VII, 396, 720; VILI, 626; X, 124, 395; XI, 33, 87, 93, 113, 586; XVI, 408; XIX, 610. Nedda. (di) Conte. XIX, 607. Neera IX, 160. * Negro Antonio. X, 312; XIX, 119. Negroponte. VII, 459. Nelli (de’) Gio. Battista Clemente. I, 245, 246, 248; II, 205; V, 416, 417; Vili, 17, 20, 25, 452, 560; IX, 10, 17; X, 86, 28-8, 357; XII, 133; XVI, 194; XVIII, 30, 430; XIX, 274, 444, 576, 647. NEMnnoT. IV, 662; IX, 42. Nenoia. IX, 86. Nrnoiolini Piero. Conti di G. con esso, XIX, 177-178. *Nentk (del) Ignazio. XIV, 157, 224. Nenth (del) Ortensia. XIV, 124; XV, 32-4 ; XIX, 459. Nepero. — F. Napior. Nereo. IX, 243. •Neri Antonio. XLI, 12, 15. Neri (de’) Antonio. XIX, 119. *Neri Giuseppe. Ha conosciuto personal¬ mente G. nel passaggio eh’ egli ha fatto por Perugia, o scusa sò o la sua città per non avergli fatto maggiore accoglienza, XLI, 408-409. Scrive a G. d’ un’opora elio si pro¬ pone di pubblicare, o della intenzione di dedicarla al Card, de Modici, 423-425. Pro¬ posto ed eletto Accademico Linceo, XIII, 63, 77, 89 ; XtX, 269. Desidera leggero il Saggiatore prima che sia stampato, XIII, 108. Sua morte, 121. Neri Filippo (S.). XIII, 431. Neri Vincenzo. XIX, 416. * Nerli Franoesoo. È incaricato dal Prin¬ cipe Leopoldo de’Modici di notare e togliere tutte le mordacità contenute nella lettera di G. sul candor lunare, XVIII, 252, 253. Annoverato dal Viviaui tra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., XJX, 628. Nomi¬ nato, XV, 78. Nerli. XII, 37; XVI, 485. Nerli Maria Felice. XVII, 367 ; XIX, 518. Nero. — F. Bianco. * Nero (del) Agostino. X, 217. * Nero (del) Alessanuro. XIV, 253. Nero (maro). V, 392; VII, 461, 462. Nerone. HI, 187; IV, 178; IX, 25, 225, 287, 289. Nkroni (cavaliere). XIX, 398. Nervi. Dove abbiano la loro origine, VII, 33-34. 270 INDICE DEI NOMI ECC. [Nestore Nestore. 111, 197,254; XII, H>0; X\II, una proroga, 413, 414, 417-121, 424-4$ 429 414, 410; XVIII, 344. Nettuno. HIj 205; IX, 26; XII, 292. Nottimo. XIV, 88, 90. * Neuruiio (di) WoiiFànuo Guglielmo. XIY, 42; XV, 63. Neudorff. XVI, 99, 280, 366. Neve. Gran copia elio ne cadde n Pa¬ dova noli* inverno del 1008, X, 188, 195, 196, 197. Niooolai Pietro. XIX, 33, 37, 40. Nigoolini (banchieri). XIX, 263, 264. Niccolini Dbodàtà. XV, 204. * Niooolini FiUi?ro. Assicura G. d’aver raccomandata al P. Visconti la pronta o fa¬ cile spedizione del Dialogo, affidato alla sua revisione, XIV, 103-104. Nominato, X\, 347; XVI, 485. * Niooolini Francesco. Ringrazia G. per 10 condoglianze inviategli in occasiono della morto di suo padre, XI, 156. Il Granduca gli raccomanda G., elio si reca a Roma per osse¬ quiare il nuovo Papa, XIII, 167, e quando vi fa ritorno per sollecitare la licenza alla stampa del Dialogo, XIY, 96, 97, 98, 99, 103, 105. Si adopera por fargli ottenere (pianto desiderava e no informa la Corto, 103, 109, 121. Lo saluta di ritorno a Fi¬ renze, 122. Si adopera per togliere le nuovo difficoltà insorte per la stampa del Dia¬ logo, 219, 224, 236, 242, 247, 248, 249, 251, 256, 257, 258-259, 261, 266-267, 274, 284- 285, 287; XIX, 401-402. 11 Cioli gli annun¬ zia l’invio d’un cannocchiale, regalato da G., XIV, 253. Scrive al Cioli, consigliando G. a differire l’invio del Dialogo stampato, 339; ne ricevo un esemplare, 859, 868./informa 11 Cioli delle ostilità che contro il Dialogo ed il suo autore si suscitano in Roma, 372-373, 374-375, 377, 383-385, 388-389, 391-398, 40U. D’ordine del Granduca, s’adopera por ot¬ tenere che G. sia dispensato dal presentarsi al S. Uffizio, o che almeno gli sia concessa 431-432, 4:16-437, 438-439, 440, 413-444; XV, 19, 20-21, 22. Riuscite vane quoste prati¬ che, scrivo consigliando elio si faccia par¬ tir G., temendo, in caso diverso, di una stravagante risoluzione contro di lui, 28. 11 Cioli gli annunzia la partenza di G. per Roma, 29, 36; ed egli lo incoraggia lungo il viaggio, e procura gli sia abbreviata la qua¬ rantena, 34-35, 39 Annunzia al Cioli l’arrivo di G. a Roma, 40-41, 42, e seguita a raggua¬ gliare la Corte intorno allo vicende del pro¬ cesso, dichiarando ad un certo momento clic assumerà sopra di sà le spese per il man¬ tenimento di G., 45, 50, 54-57, 61, 63, 65, 67-68, 69, 70, 73-74, 76, 81, 81-85, 86, 87, 88, 94-95, 97, 99, 103-104, 105,109-110,111- 112, 123, 124, 132, 134, 140, 141, 142, 160. Partecipa la conclusione del processo con la condanna o l’abiura di G., 165. Comu¬ nica a G. ed al Cioli la commutazione del carcere con la relegazione presso l’Arcive¬ scovo di Siena, 168, 170-171. Saluta G., ar¬ rivato a Siena, 174, 196, 203. Incaricato di chiedere la completa liberazione di G., 200, stima l’ufficio prematuro, 217, 219, 220, 229, 230 ; ragguaglia G. dell’ esito negativo delle pratiche tentato a tal fine col Card. F. Barberini, 234, ma lo assi¬ cura elio non lascorà (li adoperarsi, ed infatti insiste di continuo per conseguire l’intento, 249, 290, 320, 326, 827, 330, 335, 337; memoriale da lui a tal lino presentato, XIX, 388. Partecipa a G. ed al Cioli il per¬ messo ottenuto del ritorno in Arcetri, XV, 344-345, 350; o saluta G. colà ritornato, 366. Si congratula con G. por la visita del Gran¬ duca, e Rassicura che a tempo opportuno insisterà per la sua completa liberazione, i XVI, 18, e presenta a tal fino un memoriale, 45,116; XLX, 393-394. S’adopera a favore di G. d’accordo con l’Ambasciatore di Francia, ! XVI, 166, 171, 179; XVXU, 435. Si ri- INDICE DEI NOMI ECC. 271 Ninci Alessandro] corda affettuosamente a G., XVI, 178, 369- 370, o gli promotte di continuare ad adope¬ rarsi in suo favore, 400, e si adopera di con¬ certo col Castelli, XVII, 111. Ottiene al Ca¬ stelli il permesso di visitare G., 875-376, 381, ed al P. Settimi quello d’assisterlo, XVIII, 40, 42, 44. Fa comprendere alla Corte il disgusto del Papa so si fosse eretto un monumento alla memoria di G. in S. Croce, 378-379, o ne comunica il gradimento nell’aver udito che la voce corsa non aveva fondamento, 382. Nominato, VII, 8; XIV, 100, 134, 118, 217, 218, 305, 340, 370, 381, 398, 410, 435; XV, 27, 44, '1(5, 47, 80, 115, 117, 120, 135, 145, 150, 152, 151, 156, 173, 170, 177, 182, 184, 185, 187, 199, 228, 232, 235, 246, 251, 201, 283, 288,313, 342; XVI, 59, 74, 133, 104, 185,192, 207-20S, 217, 275, 450; XVII, 191; XVIII, 802; XIX, 341, 401, 402, 410, 017, 034. Ntocolini Giovanni, agente del Gran¬ duca in Roma. XII, 84. * Niocoltni Giovanni, ambasciatore To¬ scano a Roma. D’ordine del Granduca, riceve e spesa G. in Roma, XI, 29, 00, 78,101, e lo presenta a Papa Ruolo V, 89, 92. Sua morto, 150. Nominato, 83, 94. Ntoooi.ini Ippolito. XIX, 478. * Niooolini Piktro. IV, 141, 280, 440, 789; VII, 20; XIV, 339. * Niooolini Riooaudi Caterina. Carteggia con Suor Maria Celeste, XIV, 108; XV, 60, 70,82,89,108-109, 114,164,173,179,195, 205, 229, 308, 329, 331, 352, e per mezzo di G. le annunzia una sua visita, 66. Proteggo e fa¬ vorisce la pittrice Vaiani, XIV, 110, 111, 112,134, 148, 305. Ringrazia G. della pro¬ messa di un cannocchiale; e varie peripezie di questo, 148, 237, 249, 250, 305. Si ado¬ pera personalmente presso il P. Riccardi per agevolare la licenza del Dialogo , 154, 156-157, 167-168, 210, 224, 251 ; XIX, 401. Dopo avere efficacemente cooperato col ma¬ rito in favore di G., ed averlo amorevol¬ mente assistito durante il processo, XV, 88, 97, 99, 104, 114, 170; XVI, 59, si rallegra con lui sapendo che è per tornare in Ar- cetri, XV, 345. Ha ricevuto un regalo da Suor Maria Celeste, 320, 331. Ringrazia Or. por il dono di un crocifisso, XVI, 34-35. Si conduole con G. per la morte di Suor Maria Celeste, 83. Chiamata dal Castelli «regina della gentilezza», XVIII, 20. Nominata, VII, 5-7; XIV, 100, 122, 134, 237,207, 320; XV, 74, 70, 80, 82, 89, 117, 120, 120, 134, 135, 130, 150, 150, 174, 182, 188, 193, 214, 228- 229, 248, 249, 251, 283, 313, 337, 300; XVI, 18, 59, 178, 217, 369, 400. Niooolini Salviate Caterina. XIV, 148, 154, 249, 305. Ricciolino. XIX, 190. Niooolò (P.). XII, 275. Niooolò Peripatetico. I, 130. Niccolò (S.). XI, 525. Niccolò (S.) a Calenzano. XIV, 177. * Niokron Gio. Francesco. Conferisce di coso matematiche col Cavalieri, XVIII, 147, 202 . Niokta. Precursore del Copernico, III, 289; V, 321, 352. * NimnssoLi (Signori). X, 60, 07. Nioolosi Gio. Battista. II, 207, 208. Nioomedh. I, 330. Nicostrato. IY, 403. Nikoolluooi Amadio.— V. Machiavelli Niccolò. Niente. Numeri e figure niente, sopra il niente e sotto il niente. — V. Algebra. Nieri Camillo. IH, 319. Nipo Agostino. I, 10, 133; III, 378-379, 385; XI, 158. Nilo. IV, 501; VII, 120, G39; IX, 238, 250, 269; XI, 443. Ninoi (famiglia). Racco mandati da G. al Cesi, XIV, 00, 72. * Ninoi Alessandro. Sue relazioni con G.; 272 INDICE DEI NOMI ECO. lo provvedo di varie derrate e si scambiano doni, XIV, 232, 296, 306; XVI, 129, 151, 173, 178, 180, 370, 376, 397, 398-399, 487- 488, 494, 495, 509, 514, 518, 526, 528, 531, 532, 533; XVII, 21-22, 23-24, 53-54, 56, 77- 78, 83, 87, 177, 184,197, 203, 207, 241-242, 249, 256, 261, 266-267, 275, 287-288, 303- 304; XVIII, 20, 26-27, 36, 44, 47, 51,72, 113- 114,161, 259, 362; XIX, 567. È lieto di po¬ tersi adoperare come amanuense di G., XVII» 177, 182, 184, 197, 227, 249, 275. Nominato, Vili, 632 ; XIV, 163; XV, 302, 323. Ninoi Giulio. È presentato a G. da suo cugino Alessandro, XIV, 296. Provvede dor- rato a G. ed alla famiglia di lui; e sue re¬ lazioni con esso, 337, 845; XV, 49,120, 358, 362; XVI, 16, 34, 92, 129, 130, 173, 274, 308, 820, 462, 494, 495, 509, 514, 515, 518; XVII, 83. Nominato, XV, 195, 302, 315, 318, 322, 323; XVI, 370, 397, 399, 487, 488, 494, 495; XVII, 24. Ninoi Leone. Conti di G. con esso, XIX, 188-189. Nominato, XIV, 67. Ninoi Maria Teodora. XIV, 163. Ninoi Matteo. XIV, 67, 163, 232, 296. Ninoi Sante. XIV, 232; XVf, 151, 488, 494, 519 ; XVII, 197. Nino. VI, 45; IX, 121. Niso. IV, 334, 552. *Noaii,i,ks (di) Francesco. Riceve da G. un esemplare del Compasso, II, 534; sco¬ laro di G. iu Padova, Vili, 17; XVI, 183, 186; XIX, 154, 166. Presenta due Francesi a G., XVI, 144-145. Sue pratiche, di concerto col Castelli e con PAmbasciatoro Toscano in Roma per ottenere la liberazione di G., 164, 166,171,200, 245, 256, 271, 273, 277,282, 303, 339, 377, 417-418, 426-427, 429, 449-450, 455, 456, 460, 461 ; XVIII, 435. Fa assisterò dal suo medico il Castelli, XVI, 193, 198. Desi¬ dera un Compasso o la relativa scrittura, 427, 430, o questa è fatta trascrivere da (?., XVII, 174. Nel suo ritorno in Francia ot- [Ninci Giulio tiene di potersi incontrare a Poggibonsi con G.; il quale gli consegna quattro dia¬ loghi delle Nuove Scienze, XVI, 480, 500- 501, 507, 512, 524; XIX, 621, o quando sono stampati, a lui li dedica con sommo suo gra¬ dimento, Vili, 19, 43-44, 365 ; XVII, 231), 246, 247-248, 309, 311, 357-358, 398-399 \ XVIII, 436. Nominato, V, 374; Vili, 18; XVI, 74,192, 323, 407; XVII, 26, 183, 184^ 216, 372, 373, 384-385; XVIII, 434. •Noalk Camillo. XIII, 17. Nobile (del) Giovanni Battista. XIX, 631, 533. Nobile (del) Niocolò. XIX, 531,533,534. Nobili Alessandro. XIX, 456. Nobili Flaminio. Degli elementi e della loro forma, I, 129, 134. Delle qualità pri¬ mario, attive e passive, 172. Nobili Marco Antonio. XIX, 456. * Nookra (da) Pietro. XII, 287. Nocera dei Pagani (Vescovo di).— V. Vicari Serafino. Nodo ascendente e discendente. I.o stesso cho capo e coda del dragone della luna, II, 246. No*. Ili, 214; IX, 127; XI, 40; XII, 47, 146, 346, 258. Noriu. XYin, 283. *Nooaret de i.a Vai.ettf. Loiiovioo. XV, 218. *Noghera Vincenzo. Scrivo a G., espri¬ mendogli il desiderio d’avere le opere di lui, XV U, 896-397. * Nonstiz (Sig. r ). X, 174. Noortwvok. (van). — V. Does (van der) NVigbold. Nora. XIV, 81. Nokandino. IV, 299. Norcia. XV, 220. Norcino. XVI, 48, 156. Nores Barino. XIX, 322. * Nori Francesco. Presente alle dispute intorno alle cause del galleggiamento, II, INDICE DEI NOMI ECO. 273 Oddi (dogli) Giulio] 318, 319; XI, 17(5. Nella sua casa si logge il Sidcreus Nuncius , X, 305. Nominato, IV, 141, 286, 789; X, 447; XI, 207, 218, 223, 232, 262, 503; XII, 42; XUI, 182. Northumbebland (di) Roberto. — V. Dudley Roberto. Norvegia. Suo clima, II, 245. Nosi Domenico. XIX, 573. Nosi Iacopo. XIX, 573. ♦Notaki (de) Costantino o Costanzo Riferisce l’opinione di Seleuco intorno allo cause del flusso e reflusso, XIV, 311, 318-319. Novara Domenico Maria. Del mondo, I, 32, o del cielo, 76, 105. Apprezzamenti di G. o del Keplero intorno ad una sua os- aorvazione, Vili, 625; X, 76. Novara (Inquisitore di). — V. Borsa Sebastiano. Novelli. V, 374. * Nozzouni Tolomeo. Con la lettera a Mona. Marzimedici partecipa alla disputa sulle causo del galleggiare, e porge occa¬ siono ad una replica di G., IV, 6,12, 287-293, 295-310; XI, 399, 457. Partecipa alla disputa intorno alla stima d’un cavallo, VI, 565-611 ; Vai, 562; XIII, 350, 351, 353, 361. Nomi¬ nato, XIX, 39, 41. Numa Pompilio. V, 321. Numeri. In decupla proporzione, 1,54. Settenario, sua dignità e perfezione, socondo il Sizzi, III, 213s. Ternario, celebre presso i Pitagorici, VII, 34-35, 582-587. Quadrati e non quadrati, Vili, 78. Infiniti, 79,82; XVI, 224, rispetto all’eternità del mondo, 186. Proprietà dei quadrati e dei cubi, Vili, 83. — V. Algebra. Aritmetica. Nuncius Sidcreus di G. — V. Sido- reus Nuncius. Nunnids Coronel Gregorio. XIX, 321, 419. Nuntius Sidcreus Collcgii Romani. Ili, 13, 291-298. — V. Collegio Romano. Maolcole (van) Odo. Nunziatina, monastero in Fironzo — V. Firenze. Nunzio, banderaro. XI, 137. Nuo tato ro. Como affondi, I, 408. Per¬ chè per star l'ermo sull’acqim, debba star supino, con lo gambe aperto e con le brac¬ cia distese sopra il capo, Vili, 598-599, 610. Perchè, sebben leggerissimo sull’acqua, provi tanto affanno noi nuotare, 600, 610; IX, 193. Nuove Scienze (Discorsi delle ).— V. Discorsi o dimostrazioni matematiche in¬ torno a due nuove scicnzo. Nuvole. Loro similitudine con lo mac¬ chio solari, V, 105, 230. Lunghissimi tratti c raggi di sole, che si partono da una rot¬ tura di osso, VI, 67-68, 137, 274; XII, 470. Loro illuminazione, VI, 287, 292s, 439. Atte ad essere illuminate dal sole, non meno elio la luna, VII, 114, 646s. Argomento [iroso da esse contro il moto della terra, 158, 665, 683,s\ * Obizzt Enea. XVIII, 350. * Obi zzi Obizzo. XII, 453. * Obizzi Roberto. XII, 453, 455. Obscrvutioncs Icsuitarum dei Pia¬ neti Medicei, ili, 861-864. — V. Collegio Romano. Gesuiti. Pianeti Medicei. Oooam Giovanni. Del cielo, I, 32, 35, 112, c degli elementi, 134, 145, 146. Occhiale. — V. Cannocchiale. Occhiali. X, 93. Occhialino. — V. Microscopio. Occhio. Come si modifichi nell’uomo con l’età, III, 236-237. 11 foro della sua pupilla sì allarga e si restringe, VII, 390-391, come su no misuri il diametro, Vili, 456-457; XVII, 267. Como so ne dimostri il difetto di far apparir piccoli gli oggetti lontani, VII, 398-399. Oddi (famiglia). XIII, 178. ♦Oddi (dogli) Gitjlto. .Sua macchina per condur pesi, XVIII, 32-33. 35 Voi. xx. 274 * Oddi Muzio. Afferma che il compasso di proporzione iu inventato daG. U. del Monto, Xtn, 97. Problema (la lui proposto al Ca¬ valieri, XIV, 337, al quale afferma che la linea parabolica dei proietti ora stata da G. esperimentata con G. U. del Monte, 39f>. Loda la Difesa del Chiaramonti contro U., XVI, 97. Nominato, XIV, 394. ♦Oddi Sforza. XIX, 37, 40, 207, 208. OdksoàIìOiii Baipassare. V, 4(X); XI, 420, 611 ; XIII, 63, 201. Odoardo. IX, 87. Odore. Emana dallo materie odorato senza sensibile diminuzione del loro peso, VI, 332. 0 dorico di Biscaglia. IX, 161. Oenipontum. VI, 28, 31. Ofiuoo (costellazione). II, 279,280; X, 182; XIII, 444 ; XIX, 607. Olanda. — V. Stati Generali delle Pro¬ vincie Unite dei Paesi Bassi. Olandese. Innominato, autore d’nna scrittura sulle macchie solari. XI, 404, 409- 410, 420. Olandese. Inventore primo del tele¬ scopio, III, 17, GO, 103-109, 158. 330; VI, 268-259, 383, 412; X, 316, 323, 324; XI, 595; XVI, 464; XIX, 609. Olimpia. IX, 78, 98,101,103,127; XVIII, 193. Olimpo. TU, 358; IX, 240, 254, 2G8. Olindo. IX, 62, 77. Olio. Se congelandosi si rarefacela, op¬ pure si condensi, IV, 348s, 618$. Da ferito, del Siciliano, X, 204, 208. Dei Padri Late- ranenai, XIII, 283, 2S4, 301. Del Granduca, XIV, 153, 154, 28G. Olivarez (di) Conte. — V. Guzman (di) Gaspare. Oliviero. IX, 187. Ombra dei corpi. Mostra che il moto dei corpi celesti si fa da oriente ad occi¬ dente, I, 44. Esperienze fatte dal Cavalieri, [Oddi Muzio XVII, 312. Problema proposto dal Gassendi, XVIII, 91, 131, 169, 270. Omero. Sua Batracomiomachia, incomin¬ ciata a tradurre in versi volgari da G., IX, 278-279 ; XX, Sappi:, 585. Odissea, citata, 141 ; X, 423. Nominato, II, 611; III, 322; VI, 44 ; X, 301 ; XI, 23. Orano (Duca d’). XII, 68. (Indio Iodooo. — V. Hondt (van) Iodoco. Onesti Gio. Battista. XIX, 32, 37, 40. Onofrio (Card, di S.). — V. Barberini Antonio son. Operazioni (Le) astronomiche diG. Vili, 449-464.— V. Astronomia. Operazioni (Le) del Compasso geo¬ metrico e militare. II, 339, 363-124. Scritture antecedenti alla stampa: saggio «li esse, 337-339, 343-361: G. ne manda al¬ cune a 0. Pinelli, X, 73; ne usa nell’inse¬ gnamento privato in Padova, XIX, 150, 151, 152, 153, 154, 156, 157, 158, 166, 60S-609. Stampato da G. in Padova nella sua casa, 305; X, 172; XIX, 608, 641; spese por la stampa, 167, 223; licenza, 222-223; dedicato al Granprincipe Cosimo, II, 365, 367-368; X, 160; XIX, 608; chieste a G. daM.Glie- taldi, X, 192; mandato ila G. ad A. Moro- sini, 256, tradotto in latino dal Bernegger, D, 340; XI, 423, 586; XV, 235, 243, 255, 299; XVI, 15, 442, 445, 451, 455, 483, 486; XVII, 76, 109, 126, 265, 364; XIX, G08; chieste a G. dal Castelli por se, XVI, 418, e, insieme con lo strumento, per il Conte di Noailles, 427, per il quale G. fa fare una copia manoscritta dello stampato, non so ne trovando più esemplari, XVII, 174. G. vorrebbe ristamparle, X, 352; gli Elzeviri e il Carcaville pensano di riprodurle con le altre opero di G., XVI, 447; XVII, 109,129, 174, 265; ristampato in Padova nel 1640, XVm, 227-237.- V. Bernegger Mattia. Com¬ passo geometrico e militare. Operetta intorno al galleggiare INDICE DEI NOMI ECO. Orologio] INDICE DEI de’ corpi solidi di G. Coresio. IV, Cì, 9-10, 197-244. — V. Castelli Benedetto. Coresio Giorgio. Errori di Giorgio Coresio, eco. Gal¬ leggianti. * Grange (d’) Federigo Enrtgo. XVII, 49, 67, 74, 108, 129, 266; XVIII, 204; XIX, 654. ♦Orazii (degli) Alessio. XVII, 396, 397. * Orazii (degli) Lodovioo. XVII, 396. Orazio. Postille a quest’autore, attri¬ buite a G., in un esemplare che a lui ap¬ partenne, IX, 278. G. n’aveva gran parte a mente, XIX, 627. Menzionato e citato, III, 387; IV, 149; XI, 438; XII, 176; XIII, 217; XVI, 83 ; XVIII, 67 ; XIX, 603. Orazio, Conte cremonese scolaro di G. in Padova. XIX, 154 Orazio, personaggio di commedia. IX, 197, 198. ORAzro (Messer), stufaiolo. XI, 594, 601. Orazio, monaco di S. Trinità. X, 411 ; XI, 75. Orbe magno. Secondo il Colombe, III, 275; IV, 588. Afiormaziono dell’Ingoli, e con¬ futazione di G., VI, 528-529,532s, 551 s, 554s. Oroijio. — V. Ilorky Martino. Orecchione. Dove deliba farsi nelle for¬ tificazioni ed a che serva, II, 33, 38, 41, 97, 113, 119, 125-126. *Oreoio Agostino. Ben disposto verso G., XIV, 389; attesta tuttavia che nel Dialogo si difende ed insegna il moto della terra e la quiete del sole, XIX, 348. Nominato, 286. Orelli Gaspare. XI, 23. Oretta (Suor). XV, 71, 91. Orfeo. Opina che la terra sia un astro, IH, 321, 322, 331, 347,355. Nominato, 373; X, 412; XIX, 445. Organo. Ondo avvenga elio tutte le suo canne non suonano all’unisono, VI, 269. Canna d’organo di stagno, probabilmente provveduta da G. per la canna dei primi cannocchiali, X, 270. Origano Davide. Sue opinioni e calcoli NOMI ECO. 275 astronomici citati, V, 352; VII, 550, 555, 556; X, 311; XII, 285; XIII, 397; XIV, 336. Oricene. I, 105; XI, 24; XVI, 170. Orioillb. IX, 167, 168; XVHI, 193. Orioo Curzio. XIX, 291. Orinale. — V. Pluviometro. * Oriolo (d’) Pignone Lelio. Visita G. in Bellosguardo, conferisco con lui intorno al telescopio ed allo osservazioni colesti, o tenta avviar trattative con il Card. Borgia circa la cessione del trovato di G. per graduare la longitudine, XII, 327, 357, 364. Orione (costellazione). II, 311; HI, 33- 34,49, 50, 76-77, 79, 166, 219, 879; X, 334, 484; XI, 33, 49; Xn, 309; XIH, 396. Orizzonto. H, 227-228. Orlandini (Signori). XIII, 255. Orlando, n, 332; IV, 51; VI, 232, 270, 330, 419; VII, 472; IX, 19, 62, 92, 93, 117, 151, 158, 159, 160, 161, 174, 175, 177, 179, 180, 183, 186, 187, 190, 193. Orlando (Sier). IX, 229. Orlando Furioso .— V. Ariosto Lo¬ dovico. Orinami oro. Parere di G. intorno a provvedimenti concernenti i corsi d’acqua del piano di esso, VI, 617, 649-650; XIV, 247. Oro. Pesato in aria ed in acqua, I, 218- 219, 225-226. Corrisponde tra i metalli al solo, III, 219. Di quanto superi l’acqua in gravità, IV, 96. Esperienze con sottili falde di esso, quanto al galleggiamento, 97, 354, 367, 426, 630, 689. Modo tenuto dagli artefici nel tirarlo, VIU, 97-99; osservazioni del De¬ scartes, XVH, 389. Solo tra i metalli elio non galleggi nell’argento vivo, VHI, 116,743. Orologio. Artifizio usato in quelli a ruote per regolare il tempo, Vn, 474-475. Usato da G. nelle operazioni astronomi¬ che, Vm, 453-455. Moto d’una sua lancetta, comparato a quello d’ una stella, 605. Ap¬ plicazione ad esso d’un proteso moto por- 27 6 INDICE DEI NOMI ECC. potuo, escogitata ila 1). Antonini, XI, 269- 270. Proposto da P. Spiani al Granduca, 565-566, 581, 582, 583-584. 11 Bulinili chiede spiegazioni a G. intorno al modo eli' ogli aveva affermato di avere per misurare il tempo con tutta esattezza, XIV, 344; XVIII, 69-70, 87; od egli gliele fornisco, 76-77, 93- 94. Costruito con una radica che si muove al moto del sole, XVI, 64, 65. Da sole, 131. Idraulico, 246-247. Squisito, proposto da G. agli Stati Generali d’Olanda, 466-467,490; XVII, 20, 79, 97, 100-103,179, 195. Chiesto dal Ronieri al Yiviaui, XVIII, 231. Applica¬ zione ad osso del pendolo, escogitata da G., XIX, 648-657, ed eseguita da Vincenzio, suo figliuolo, 657-659. OllONTEA. IX, 171. Orbilo. IX, 166 . Orsa maggioro. II, 278, 279; III, 877; VI, 26, 27, 34, 150, 377; X, 71, 182, 343; XII, 296, 301, 309, 433. Orsa minore. X, 71. * Orbato Sertorio. XIX, L'31. Orsi. XV, 90. Orsini (famiglia). V, 374; XV, 300. ♦Orsini Alessandro. G. gli indirizza il suo Discorso.del flusso o reflusso del mare, V, 373-374, 377-395; XII, 390-391 ; XIX, 616. Propendeva prima alla parte filosofica contraria a G., XI, 410; XII, 144. Gli è raccomandato G. dal Granduca, 204-205, 232, 233, 234, 237; ed egli prende a proteggerlo, 231, 235,242, di che il Granduca lo ringrazia, 236, 238, 239-240. Barin in concistoro al Papa in favore di G., 242. Al ritorno di G. in Fi¬ renze lo accompagna con una lettera al Granduca, 263-264; e G. ne lo ringrazia, 266. Assicura G. del suo costante affetto ed acco¬ glie la raccomandazione del Castelli da lui fattagli, 3C6-3G7. Ringrazia G. per il Discorso delle comete, 468. Si conserva affezionato a G., ma deferisce allo Scheiner, XIII, 266. Nominato, XII, 256; XIII, 303. [Orontea ♦Orsini Franoiotto Chiede a G. schiari* menti intorno ad un effetto da lui avvertito osservando col cannocchiale, XI, 550-551 od avutili lo ringrazia; e gli manda un giudizio sulla persona di lui, pronunziato sul fondamento della mano di scritto, 55G- 557. Orsini N. XIX, 462. ♦ Orsini Paolo Giordano. È presente alla discussione sostenuta «lai Castelli alla tavola ilei Granduca intorno al moto della terra V,2S1; XI, 606. Reduce dalla Fiandra, porta seco alcuni cannocchiali, X, 347. Ringrazia G. di alcune rime, XI, 68, o si mostra di¬ sposto a far onoro ad una raccomandazione di lui, 281. Dal Granduca gli è raccomandato G., XII, 204. Chiedo a G. un cannocchiale, XUI, 91; ed avutolo, lo ringrazia, 92. Manda aG, un esemplare della Uosa Ursina , XIV, 294-295, e si rammarica che si sia lasciata stampare noi suo feudo di Bracciano, 322. Nominato, X, 154; XI, 605; XII, 57, 61; XIV, 136, 433. ♦Orsini Virginio iun. X, 154. ♦ Orsini Virginio Ben. Gli è proposto dal . Gualterotti uno strumento ottico, X, 341. G. gli annunzia il suo richiamo in Toscana, 433, ed egli se ne congratula, 443. È raggua¬ gliato da G. d’un’accademia tenuta in Roma da G. B. Strozzi, XI, 82-83. Nominato, X, 142, 456; XI, 80. ♦ Obtblio Aiiramo. X, 31. Ortensia (Suor), monaca in S. Girolamo. XIX, 519. Ortensia (Suor), monaca in S. Matteo. — V. Nenie (del) Ortensia. ♦ Ortensio [van den Ilo ve] Martino. Sua Disscrtatio de Mercurio in sole viso ecc., XVI, 20, 28, mandata a G., 32, 117, 185; XVIII, 432. Riceve, col mezzo dol Peiresc, un esemplare dol Dudogo , XX, Sappi*, 579, I 580. Favorevole al disegno di chiamare 1 G. ad Amsterdam, XVI, 288. Sua par- Padova] ENDICE DEI tccipaziouo alle trattative od agli studi con¬ cernenti la proposta di G. agli Stati Generali d’Olanda per graduar la longitudine, 490, 491, 521, 520, 527, 534-536; XVII, 18-21, 25-26, 40, 41, 44, 47, 48, 67-69, 72, 75, 94- 99, 103, 104, 105, 107, 108, 109, 117, 118, 119-120, 127, 128, 136-137, 178-179, 189,195- 196; XIX, 538, 019, 651, 654. Comunica al Morin in elio cosa consistesse il ritrovato di G. per la determinazione della longitu¬ dine, XVII, 26. Esprimo il desiderio di conferire in proposito cou G, 196, 228, 252, 266, ed ottiene di essere mandato a tal fine in Italia, 275, 284, 289, 324, 330, 335; XIX, 541-547. Questo suo viaggio viene so¬ speso, essendosi dal S. Uffizio penetrato lo trattative, XVII, 365, 366, 372; ma egli per¬ siste nel proposito di compierlo, 392, 412. Sua morte, XVIII, 117, 132, 140, 151, 152, 176, 549; XXX, 548. Nominato, XVI, 90,99, 100, 252, 263, 266, 373; XVU, 311; XVIII, 431. Ortono (Monte). X, 95. OiwiLLB (d’) Giacomo Filippo. XVI, 266. Ossa di animali. Como disposto dalla natura, Vili, 169-171. Osservazioni e calcoli relativi ai Pianeti Medicei. Ili, 425-864.— 7. Pia¬ neti Medicei. * Ossuna (Duca d’) Tellkz y Giuon Pernio. XU, 214; XIII, 21, 22, 24, 35, 38, 44; XIV, 53, 74, 92. * OSTERRBIOIIER GlO. UlIIIOO. XVII, 12. Ostiense. Vescovo, XIX, 275. v Otelio Marcantonio. XIX, 207. Ottangolo regolare. Modo di descri¬ verlo, II, 21. Ottavia (Suor). XIX, 518. Ottavio (Don). XIII, 34. Ottkn Cristoforo. XIX, 203. Ottbn Girolamo. XIX, 203. Otti Girolamo. XVI, 25. Ottonaio Francesco. IX, 7. NOMI ECO. 277 Ottone. IX, 112. Ovidio. G. n’aveva gran parte a mente, XIX, 627. Menzionato o citato, I, 53; VI, 163; VII, 135, 650; XI, 23, 157; XII, 280. Oviedo y Valdes Gonzalo IIernandhz. XIV, 278. Pace (del) Maria Grazia. XIV, 68; XV, 54, 59. Paohaozbk Martino. X, 316. * Pagi Giulio. XIII, 15, 28. * Paci Luigi. XIII, 16. Pacifico (mare). V, 394; VI, 61. * Padavin Gio. Battista. XVII, 14. * Padavin Marco Antonio. X, 346; XIV, 372, 390. Padeiino, fattore di casa Sagrodo. XII, 395. Pad orno (Monto). Vili, 469. Padoani Alessandro. V, 374. Padova (Città). Bò o Università, IT, 323, 560; VI, 228; X, 196; XII, 301. Campa¬ nile o Torre, II, 323. Giardino dei Semplici, XIII, 16. Scuola grande degli Artisti, XIIT, 16; XIX, 628. Scuola grande dei Legisti, 628. Chiese. Il Santo, X, 93, 108,191 ;Xll, 379. — S. Agostino, XI, 26. — S. Caterina, XIII, 14; XIX, 220. — S. Giovanni di Ver¬ dura, XYJII, 335. — S. Giustina, XII, 95, 307, 502; XIX, 587, 640. — S. Lorenzo, XIX, 174, 218, 219. — S. Maria d’Avanzo, X, 197. — Sinagoga, XIX, 182. Hostaria del Cavallo, XVII, 142. Mura, XI, 30. Viuzza, XIX, 170. Sì)oziale dell’Angelo, XVIII, 49, 53. Vie. S. Antonio Confessore, XIX, 214. — S. Pietro. XVII, 142.— Pontecorbo.XIX, 181. — Porciglia, XIX, 169. — Portello, XII, 307; XIX, 195, 196. — Agli Uccelli, XIX, 155. — Vignali, e Vignali del Santo, X, 94, 114; XIX, 169,215,216. 278 INDICE DEI NOMI ECC. [Padova Padova. G. vi trascorse gli anni mi¬ gliori della sua vita, vi foco lo maggiori scoperte o poso i fondamenti di tutti i suoi lavori, TII, 4; Vili, 11; XVIII, 209; XIX, 111-125. — V. Dialetto pavano. Padova (da) Ermàoorà. X, 171, 183. Padova (Inquisitore di). — V. Antonio da Lendinara. Padova (da) Modesto. XVII, 134. Padova (da) Stefano. XI, 452, 409. Padoyanino. — V. Varotari Alessandro. Paesi Bassi (Stati Generali dei). — V. Stati Generali dolio Provincie Unite dei Paesi Bassi. Patbtti Domenico. XIX, 438. Paletti Giacinto. XIX, 438. ♦Paganelli Domenico. XII, 130. Paganini Gaudenzio. — V. Gaudenzi Pa¬ ganino. Paoni Cipriano. XIX, 38, 40. Paoni Lorenzo. XI, 427. Pagnini Sante. V, 407. Pàintre (Lo) Maturino. XU, 117; XIX, 691. ♦ Palantieri Girolamo. X, 75; XIX, 117. ♦ Palàtinus. Ili, 159. ♦ Paleiosoiii. XIX, 160. Paiamone. X, 394. ♦Pàleotti Francesco. XrV, 225,244. Palestina. VII, 160, 161. Pai ostri na. XII, 104. Pai 08 trina (di) Principe. XII, 17, 68. Palostrina (di) Principessa. XU, 68. Paliano (di) Ambrogio. XIII, 188. Palla. Giuoco della palla a corda, VII, 187. Di cera accomodata per faro esperi¬ mento di diversa gravità di acque, Vili, 113-114; e che gettata in acqua sta fra due acquo, X, 110. Problema concernente il giuoco della palla e delle pallottole, Vili, 602-603. Azione del vento sopra una palla posata sur un piano, 611. D’oro, schiacciata aumenta di peso, XI, 102. Palladi. — V. Minerva. Palladio. XI, 469. Palladini Arcangelo. XVIII, 342. Fallante. IX, 242, 255, 269. ♦ Pallavioini Agostino. XVII, 325. ♦Pallavioini Alessandro. X, 66; XIV 122, 133, 161, 211. ♦ Pallavioini Alfonso. X, 66. ♦Pallavioini Felicita. X, 66. ♦ Pallavioini Giorgio. XIV, 122,133,151, 290, 329. ♦Pallavioini Niccolò. XVTI, 133. ♦ Pallavioini Sforza. XIU, 186; xn r , 236, 250, 266, 290, 292, 320, 329; XVIH, 428. Pallavioini Tommaso. V, 74. ♦Pallavioini Vittoria. X, 66. ♦ Pallotta Gio. Evangelista. XVHI, 416. ♦Pallotti Alfonso. Assicura il Diodnti delle ottimo disposizioni degli Stati Gene¬ rali d'Olanda circa la proposta di G. per graduar la longitudine, XVII, 76, 107, 108. Nominato, 59. Palma. XI, 372, 378; XU, 334. ♦Palmf.rini Tommaso. XI, 478; XIX, 613. Pami Alessandro. XIX, 431. Panama. XI, 525. Panbergerò. — V. Grienbergor Cri¬ stoforo. Panoktti Alessandra noi Galilei. — V. Galilei Pancotti Alessandra. Panoktti Tommaso. XIX, 15. ♦ Panciatioui Niccolò. XVI, 372, 424; XVIII, 40. ♦Pandolfini Benedetto. XI, 427, 478; XII, 37. ♦ Pandolfini Camillo. XIX, 422,423. ♦ Pandolfini Domenico. XV, 75. ♦ Tandulfini Filippo. Proposto da G. per Accademico Linceo ed eletto, XII, 18, 71, 85, 92, 95, 98, 99, 104, 105, 122, 129, 136, 147; XIX, 267. Traduce in latino il Discorso sulle galleggianti di G., XII, 126. K pre¬ sente alla lettura della sentenza contro G., INDICE DEI NOMI ECC. 279 Papponi Cristoforo] fatta dall’inquisitore di Firenze, XV, 241. Annoverato «lai Viviani fra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., XIX., G28. Nomi¬ nato, XII, 122, 12G, 150, 383, 386, 387, 397, 430, 439, 490; XU1, 147, 243, 245, 24G; XVII, 31G. * Pandolfini Gio. Battista. XVI, 440-441. * Pandolfiw Giuliano. XIU, 333. * Pandoi.fini Pandolfo. XIX, 105. * Pandoi.fini Roberto. X, 40; XIX, 44,99. Pandolfo (Sig. r ). X, 498. Pandora. IX, 21G. Pane. XVI, 470. Panrzio Giovanni. Suo poesio, desiderate da G., XVI, 103, IO!, 132, 138, 175. Nomi¬ nato, XV, 194, 21G. * Panfili Ottavio. X, 315, 346, 3GG, 390, 402, 418. Panioauot.a Fiianoksoo. IX, 82. * Pannioui [Panico] (da) Pompeo. Sua te¬ stimonianza in favore di G. nella contro¬ versia col Capra, II, 54G, G01; X, 174, 492; XIX, 223. Pannociciiirsoiii. — V. Elei. Pantalone. IX, 21, 200, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 208. Pantera Silvestro. XIX, 442. Panzanini Iacopo. Vili, 28; IX, 25; XIX, 507. Panzanini Matteo. XII, 40. Paola (S. Francesco di). XVII, 109, 241; XVIII, 147, 154. Paoi.aooi Domenico. VI, 200. * Pàolini Fauio. X, 53. Paolino. XVIII, 372. Paolino. Epistola a lui di S. Girolamo, citata, V, 323. Paolo. Ili, 245. Paolo III. Dal Copernico gli è dedicata l’opera Le rcvoluUonibus ecc., Ili, 332; V, 293, 312, 355; VII, 553; XII, 244, 247; XIV, 401. * Paolo V. Gli ò presentato G. dall’Am¬ basciatore Toscano, XI, 89. Consiglia il Card. Orsini a persuadere G. che lasci l’opi¬ nione del moto della terra, ed è, in generale, nemico dolio novità e sottigliezze, XII, 242- 243. Dichiarazione da lui fatta a G. dopo la conclusione del primo processo, 248. D’or¬ dine suo vien dichiarato non potersi soste¬ nere l’opinione del Copernico, e G. vieno am¬ monito, 265; XV, 111; XIX, 276, 277, 27S, 279, 321, 322, 408, 409. Nominato, III, 314; X, 159, 359, 456; XI, 29, 36, 1G8, 234, 424, 425; XVIII, 115; XIX, 210, 270, 294, 574. Paolo (S.). I, 05 ; XIX, 462, 408. Paolo Nioolktti da Udine, veneto.Dogli elementi, I, 133, 145, 150, 151. *Paoluooi Francesco, Consultore del S. Uffizio. XIX, 289. * Papazzoni Flaminio. Mostra al Rofieni stampata l’invettiva doli’llorky contro G., Ili, 195. Sua partecipazione alle dispute in¬ torno al galleggiamento, IV, 329, 510, 517, 537-538 ; XI, 390, 405, 453, 451, 455, 478. Manifesta l’intenzione d’impugnare il Side- rcus Nuncius , X, 345. G. favorisce il suo desiderio d’una lettura nello Studio di Pisa, XI, 20-21, 26-27, 28, 44, 45, 58, 59, 63, 66, 128, 138, 207, 217; XIX, 270-271. Ringra¬ zia G. per le Lettere sulle macchio solari, XI, 496. Sua morte, XII, 11, 16. Sua pro¬ verbiale avarizia, XIII, 411. Nominato, X, 392; XI, 129, 339, 590; XIX, 613. Papiano. IH, 145. ♦Pappapava Giacomo. Strumenti fabbri¬ cati per lui nell’officina di G. in Padova, XIX, 118. * Pappa fava Roberto. XIX, 230, 231. * Pappa fava Ubertino. XIX, 207. Pappo. Sua definizione del centro di gravità, I, 184; X, 22. Sue ricerche sul moto dei gravi lungo i piaui inclinati, II, 181 ; XIX, 622. Nominato, II, 464,465,569,570; X, 31, 37; XVIII, 69. ♦Papponi Cristoforo. X, 108. 280 INDICE DEI NOMI ECO. Papponi Girolamo. XIX, 33, 37, 40. Parabola. Figura retorica o figura ma¬ tematica, IV, 698. Profilo dei solidi di uguale resistenza, Vili, 179-182. Sua quadratura, VUI, 183-184; XVII, 102, trovata anche dal Vaiorio, X, 245-240. Modi vari di disegnarla, Vili, 185-18G. Linea dei proietti, 190; X, 229-230: proposizioni concernenti questo ar¬ gomento, VUI, 269-273, 281-313, 368-370, 424-430; XVII, 390. Studi del Cavalieri in¬ torno ad essa, XIII, 81, 323, 352, 381, 385, 391 ; XVI, 79, 345, 366, 396; XVII, 102, 243-244; XVIII, 147, 202; elio la pubblica come linea dei proietti, XIV, 378, causando il risentimento di G. il quale ne voleva a bò riservata la primizia, 386,394-395,31*0, 411. Risultante dalla composizione dei duo moti ilei gravi cadenti, XVU, 89-90. Paracelso Teofrasto. XVIII, 415. Parallasse. Addotta dal Capra a pro¬ posito della nuova stella del 1604, II, 292, 295, 303. Se sia nelle stello fisse, 303, 525 ; VII, 103, 405, 409; XI, 100-101. Spiegala noi Dialogo de Cecco di Rondi itti, II, 324, 327-330. Non osservabile nello macchie so¬ lari, V, 57, 05, 90-97, 101. Argomento de¬ dotto da essa, portato dull’Ingoli contro il moto della terra, 404-405; XIII, 192-193, o risposta di G., VI, 5135. Definita, 29. Ar¬ gomentazioni del Grassi, sul fondamento di essa, a proposito dello comete, 117, 143,17S, risposto di G., 234-235, 288, 300, controre¬ pliche del Grassi, 390, 450, ed osservazioni del Italiani e dol Remo, XII, 476-477, 485. Del Bolo e della luna, VII, 311. Se venga diminuita dalle refrazioni, 343. Opinionidei Ohiaramonti, XIII, 218; XIV, 83, studi del Morin, XVI, 159, 253, considerazioni dol Beau grand, 336. Parallele. Come si descrivano, li, 21- 22. Considerazioni relativo ad esse nella Geometria del Cavalieri, XVI, 138. Parallelepipedo. Riduzione di osso [Papponi Girolamo in un cubo equivalente, per mezzo del Com¬ passo geometrico o militare, II, 395-3% 470-177, 576. Considerazioni relativo ad esso nella Geometria del Cavalieri, XVI, 175-17G. Paralleli. Loro definizione, VII, 41(j- 417. Parallelogrammo. Dimostrazione dol Cavalieri, ad esso relativa, XVUl, 346-317. Parapetti nelle fortificazioni. Clio cosa siano e come si costruiscano, II, 35-36. Vi si possono sostituire gabbioni, 59, 141. Coinè si rovinino, 112, 118. Par olii. Cile cosa siano o conio si for¬ mino, II, 282; VI, 52, 67, 70, 13G, 287, 290, 290, 433, 450; XII, 485-487. * Parenti Benedetto. XV, 2-10. * Parigi Giulio. Incaricato con G. di vi¬ sitare il llisonzio o riferire intorno ai prov¬ vedimenti per ovviare allo sue inondazioni, VI, 615, 627; XIX, 505. Nominato, XII, 374. Parisio Pietro Paolo. XIX, 561. Parmenide. Suoi concetti astronomici o filosofici, Ul, 121, 335, 350; X, 336. Parmigiano. IX, 69. Parnaso. XI, 527; XII, 461; XV, 80; XVII, 206. Parole notato da G. Ardito, IX, Gl, 76. Aspetto, IV, 627. Atterrarsi, IX, 100. Audace, Gl, 76. Avvolgere, 131. Cinto, 34. Comporre, 64. Convenire, 64. Cosa e Cose, 01, 62, 65, 67. Filo, 05. Fortezza, IV, 627. Grande, VI, 264; VII, 396; IX, 61, 62, 78s, 87, 88, 90, 187. Mormorare, 81. Protesto, 66. Ripigliare, 124. Riporre, 134. Saggia¬ tore, VI, 220, 380-382. Sembiante, IV, 627. Spezie, 627. Parrot Francesco. Manda, d'ordine del Peircsc, copia d’una lettera di G. al Gas- sendi, XVI, 240. Nominato, 268. l’arte della fortuna. XI, 114. * Pascal Stefano. XVI, 340. Pasci Ettore. XIX, 454. Pasci Pietro. XIX, 454. Pei rese (di) Niccolò Fallii] INDICE DEI Pasini Francesco. XIX, 473. * Pasquali Scipione, Cosentino. XII, 87. * Pasquat.too Zaooaria. AUcrnia che G. nel Dialogo dei Massimi Sistemi sostiene la verità del sistema copernicano, XIX, 350- 360. Pasqualino. XIX, 180. Pasqualoni Pietro. IX, 14. Passavant (famiglia). XVI, 177. Passa vant Francesco. XVII, 12. Passelius. XVI, 99. Passerini Luigi. VI, 505; Vili, 474; XIX, 44. * Passionani Domenico. Osserva le mac¬ chie del solo, V, 191; XI, 208-209, 212, con sodiafa/.ione di G., che gli manda istruzioni circa il modo d’osservarle, 214. Manda egli stesso le sue osserva/,ioni aG., 253, e in Roma ne mena vanto, spacciandosi por scopritore delle macchie, 268. Esprime a (1. il suo pa¬ rere intorno ad esse, 276-277. Nominato, X, 453, 456, 475, 478 ; XI, 213, 229, 241, 286, 348; XIX, 602. * Passionani Tommaso. XVI, 157 ; XIX, 454. * Passionici Gio. Francesco. Ringrazia G. di un favore latto al Nunzio di Venezia, XVI, 184. Avverto il Card. F. Barberini dell’invio d’ima lettera e d’un donativo a G. da parte degli Stati Generali d’Olanda, ma elio questi non ha accettato nò accetterà senza licenza da Roma, XVII, 357. Pastone. Come ai formi nel forti delu¬ di terra, II, 58, 140. Paterno. XIV, 67. Patrizio Francesco. IV, 364, 674; XII, 130; XVIII, 259. Patrizio Simplicio. Vili, 439. Patroclo. TU, 170. Paullo Gualtiero. Dà parere favorevole alla stampa delle Nuove Scienze, XIX, 551. Pavesi Antonio. X, 438. P.wesio. I, 133. Voi. xx. NOMI ECC. 281 Pavia (Inquisitore di). — V. Vincenzo, Inquisitore di Pavia. Pavoni Giulio. XI, 377. Pavoni Giuseppe. XIV, 160. Pazzi (de’) Alfonso. IX, 23, 24. * Pazzi (de’) Cosimo. Conferma, non do¬ versi privare G. dolio stipendio sulla cassa dello Studio di Pisa, XIX, 490. * Pazzi (de’) Pietro. XIX, 439. * Peggi Francesco. Chiede il giudizio di G. intorno ad alcuni suoi lavori, XIU, 362- 363; XIV, 208-209, 348-349. Pedanti, In che differiscano dagli uo¬ mini intelligenti nel giudicare doi componi¬ menti poetici, IX, 27, 228-229. Pf-diio (Don). XIII, 234. Peoolotti Lionardo. X, 44. *Pkirrso (di) Niccolò Faurt. Chiede al Gualdo di mandargli le pubblicazioni di G. posteriori al Sidercus Nuncius , XII, 105, 112. G. manda per lui al Gualdo il Discorso sulle galleggianti, 11 1, 11S, 142. Pretende aver scoperto molte novità celesti, prima dell’annunzio datone da G. e dal Keplero, 125,142-143. Ricorda d’aver conosciuto per¬ sonalmente G. in Padova, 403; XYI, 27. Proposto per Accadèmico Linceo, XIII, 63; XIX, 269. È informato dal Diodati del com¬ pimento del Dialogo, XIV, 134. Incarica il Houohard d’assumero informazioni intorno a G. ed ai lavori ai quali sta attendendo, 170, 293. Informa il Dupuy ed il Gassendi sull’argomento principale del Dialogo, 295, 332. Sua corrispondenza concernente il pro¬ cesso, XV, 62, 141, 143, 162, 164, 171, 184, 218, 219, 227, 254, 347. Ragguaglia il Gas¬ sendi circa la pubblicazione del Berigardo, 284, o intorno ad una visita fatta da un gentiluomo francese a G. in Siena, 354, 363. Si procura il testo della sentenza pronun¬ ziata contro G., XVI, 18-19, 35, 71-72; XVIII, 432-433, al quale scrive, ricordando l’antica loro conoscenza, professandogli la ss 282 INDICE DEI NOMI ECO. sua stima, dolendosi de’ suoi travagli e chie¬ dendogli un telescopio, XVI, 27-28. Si serve del Boucliard per far pervenire a G. la sua lettera ed altro del Gassendi e dell’Ortensio a lui, 20, 32, 64. In seguito a raccomanda¬ rono del Diodat», 153, fa pratiche presso il Card. F. Barberini, per la liberazione di G , 169-171,187, 202, 200-207, 215-216, 245-218, 256, 259-262, 311, 330, 410; XVII, 33. Ri¬ ceve dal Diodati la traduzione latina del Dialogo dei Massimi Sistemi, XVI, 297, 302, e no ringrazia il llernegger, 409. Desidera il ritratto di G., 284, 296, 298, 312. Ila rice¬ vuto il cannocchialo mandato da G. per lui e per il Gassendi, o informa G. delle osser¬ vazioni con esso fatte, XVII, 34. Ringrazia il Diodati por la traduzione della Lettera a Madama Cristina, 41, 52,125. D’una sua gravissima malattia b informato G. da li. Ga¬ lilei, 125. Sua morto, 130, 137-138, 155-156, 183, 199. Esoquio celebrato in suo onore a Roma, 255, 299. Nominato, XII, 195; XIII, 395; XIV, 330, 359; XV, 284; XVI, 14, 20, 21, 58, 91, 107, 115, 119, 116, 154, 165, 169, 174, 182, 238, 240, 219, 257, 267, 268, 269, 270, 272, 280, 288, 313, 346, 380, 517, 521 ; XVII, 35-37, 45, 69, 185, 186, 197 ; XVIII, 480, 431, 431; XIX, 202. Pelaci Francesco. Suo discussioni coli G. intorno al vacuo, XV, 183-186. Pelagio. X, 498. Pelf. Guglielmo. XVI, 258, 263, 415, 444 ; XVII, 51. Pelestrina.—■ V. Palestina. *Pblbtikii Giacomo. XVI, 349. Pellegri Sigismondo. Informa il Marnili smi conto del Cavalieri, XIV, 21, 27. PELLEGRINA (Suor). XIX, 518. * Pellegrini Giovanni. XIII, 104; XV, 175. Pellegrini Vincenzo Maria, Inquisitore di Perugia. Ha ricevuta e notificata la sen¬ tenza ed abiura di G., XV, 261; XIX, 372. * Pelleii Martino. X, 396. [Poi agi Francesco Pellikri Antonio. X, 21. Peloponneso. IH, 18G. Pblobo. IX, 240, 251, 268. Pena Giovanni. II, 284. Pkndasio Lodovioo. IV, 432, 747. Pendolo. Proposiziono di G. dei moti fatti in tempi uguali nella medesima quarta «h i cerchio, II, 259; X, 97-100. Esperienze con esso circa la causa del moto dei proietti, VII, 177s. Anco rimovondo gl’impedimenti, il moto di esso non si perpetuerebbe, VII, 2535, 257. Quello che pende da corda più lunga fa lo suo vibrazioni più rade, 256. Lo sue vibrazioni si fanno con la mede¬ sima frequenza, siano esso grandi o pic¬ colo, 256-257, 475. Corda o catena alla qualo b attaccato si piega in arco nello vibrazioni, e non si distende dirittamente, 257. Por¬ tato ail esempio, a fino di mostrare che il moto naturale si converte per sé stesso in quello che si chiama preternaturale e vio¬ lento, 262; Vili, 335-336 ; e che differenza, benché grandissima, di graviti dei mobili non ha parto noi diversificare lo loro velo¬ cità, 127s; o che mobili discendenti per le corde «attese a qualsivoglia arco ilei cer¬ chio, passano in tempi eguali tanto lo corde maggiori quanto lo minori, VII, 476; Viti, 139; XVI, 124; XVII, 91; e quelli discen¬ denti per gli archi delle medesime corde, elevati sopra l'orizzonte fino a 90 gradi, passano i dotti archi in tempi uguali, ma più brevi che non sono i passaggi per lo corde, Vili, 1395; XVII, 91. Del l’investi¬ gare la lunghezza della corda, ondo penda un mobile, dalla frequenza dello sue vibra¬ zioni, Vili, 140. Hanno limitato il tempo dolio loro vibrazioni, sì elio ò impossibile farli muovere con altro periodo, 141. Impedimenti al suo moto e loro effetti, 205-207. Proposto ed usato per la misura del tempo, 453-455, 465, 466, 614; XVII, 100-103, 179; XVIII, 76-77, 93-94, 99; XIX, 003; lunghezza della Pori Dino] INDICE DEI corda, perchè batta il secondo, XYIII, 87, 93-94. Applicato ad una macchina sotto¬ posta all’esame di G.,YHI, 571-584. Osser¬ vatone del Renieri, XVII, 52-53. Narrazione del Viviani intorno alla parte avuta da G. nell’applicaziono di esso all’orologio, XIX, 647-659. — V. Orologio. Pknei-ope. YI, 49. Penìa [PbSa] Francesco. XIX, 53G. Pentagono. Modo di costruirlo so- condo il Riirer, II, 20, 81. Percossa. « Discorso primo ed antico » di G. col titolo Della forza della percossa, II, 153-154, 188-190; XYIII, 69, 78, 88, 95, 100. Brano della Lezione accademica del Torricelli Della forza della percossa , II, 151, 190-191. Esperienze immaginate ed ese¬ guite por misurarne il momento, II, 190- 191; YIII, 322s; X, 100. Considerazioni ad essa relative, a proposito del moto natural¬ mente accelerato, II, 203; YII, 45; YHI, 199, 202-203, e del moto dei proietti, 291-293 Conclusioni ad ossa relative nella cosiddetta Giornata sosta delle Nuove Scienze, 321-346; XIX, 623; e tram monti attinenti a questo argomento, YIII, 611-613. E mezzo ritrovato dall’arte por potere, pur con pochissima l'orza, superar resistenze grandissime, 574. Consi¬ derata negli effetti del contatto c della con¬ fricazione, 589. G. tiene informati i suoi di¬ scepoli del progresso che andava facendo nelle speculazioni ad essa relativo, XYI, 31; XVII, 328; e vien richiesto di notizie circa la loro pubblicazione, XYIII, 309. Trattato intorno ad essa, chiesto a G. da L. Elze- vior, XVII, 251. Osservazioni in proposito del Descartes, 391, o del Morsemi^, XYIII, 187. Peregrinano {Brevissima) conira Nuncium Sitlereum di M. Horlcy. ILI, 11, 127-145. — V. Ilorky Martino. Pkrerto Benedetto. Suo opinioni circa il mondo, I, 24, 35, il ciclo, 115, ed il moto, NOMI ECO. 283 318, 411. Dell’interpretare cautamente le Sacre Scritture, V, 320. Peretola. XIX, 503. Peretti. XI, 72. * Pekiitti MicnELE. XI, 320; XII, 29. ♦Peretti Cesi Anna Maria. XII, 29. Perfezione. Suo vario speeio, I, 29 s. Termine spesso usato erroneamente, III, 396. Dei corpi è, secondo i Peripatetici, grandis¬ sima quando abbiano la forma sferica, IY, 446; YI, 319-320, 462. Della terra e del cielo ò nella loro corruttibilità, YII, 83s, 020 $. * Peri Dino. Manda a G. notizie del pro¬ prio padre, o gliene chiede dello difficoltà clic incontrava il Dialogo ad essere licen¬ ziato, XIY, 100-102, 101, 110-117. Leggo o dichiara il Dialogo al Card. Capponi, XV, 64, 72, 75, 77-78, 120, 149. Assiste, con altri matematici convocati dall’Inquisitore di Fi¬ renze, alla lettura dolla sentenza contro G., 241. È raccomandato a G. dall'Aggiunti per la lettura matematica di Siena, 257-258, o poi per quella di Pisa, 265-266, e no scrive egli stesso dirottamento a G., accennando anche a quella di Padova, 276-278,291,325. Acconsente al desiderio di G. di averlo presso di sè, 338. Invia o profferisce del vino a Cx. anche per le sue monachino, XYI, 56-57. Eletto matematico dello Studio di risa, vi inaugura il suo insegnamento, 431. È duG. messo in relazione col Micanzio, 506, 523; XYll, 28. Informa G. intorno ad alcuni interessi di lui, trattati col Granduca, o gli dà notizie da Pisa, 12-13, 16-17, 29-30, 30-31. Ila stretto relaziono col Renieri, 31, 38. Il Granduca consente che presti aiuto a G., 76, o rimane perciò per qualche tempo in Arcetri, 123, 143, 144, 145, 147, 149, 155, 173, 180, 186, 192. Si conduole con G. per la sua cecità, e lo ragguaglia intorno a certi vetri del Granduca o ad interessi familiari, 282-283, 300-301, 306-307, 315. È dolente che 281 INDICE DEI NOMI ECC. [Peri Gian Domenico la raccomandazione fatta da parto di (t. al Granduca in favore doll’Ambrogetti non ab¬ bia avuto effetto, 318-319. Informa G. d’aver lotta al Granduca la lettera ricevutane, con¬ cernente la venuta dell' Ortensio, 324-325. Si congratula con G. por il progresso con¬ seguito nello studio della percossa, 328-329, e si adopera per agevolargli la riscossione della sua provvisione, 325, 328, 834. Informa G. intorno ad alcune commissioni, XVIII, 40-48 o gli annunzia la sua prossima ve¬ nuta, 53. Ammalato, 108-109,13(1, dà notizie di sò a G., adempio le commissioni avute e gli scrivo dell’opera del Liceti, 143-144,155-15(1. Sua morte, 227. Presento alla laurea di Vin¬ cenzio Galilei, XIX, 430. Testimonio al se¬ condo testamento di G., 523, 529, 530, 531. Annoverato dal Viviani irai discepoli di G. che furono lettori in pubblici Studi, 029. Nominato, VII, 4; YUI, 17; XIII, 3;>8, 38(5, 425; XIV, 52, 69-71, 94, 95, 96, 123, 133, 137, 151, 161, 290, 328; XV, 131, 148, 153, 202, 259, 274; XYI, 31, 50, 426, 477, 478, 479; XVII, 135, 139, 202, 203, 204, 209, 272, 285, 316, 321, 340, 341, 342, 350, 355, 359, 361; XVIII, 50, 54, 59, 68, 73,105,188, 262, 349. * Peri Gian Domenico. X, 405. * Peri Iacopo. XU1, 176, 424 ; XIV, 100, 102, 116,117; XV, 257, 276; XIX, 523, 529. Pruina (Donna). XIX, 198, 199. Perini. XIV, 275. Perini Iuditta. XV, 306. Perini Paolo. XIX, 481. Perini Piero. XIX, 481. Perini Pierpaolo. XIX, 33, 38. Pf.uionio Gioacchino. V, 272. Peripatetici. Abbracciarono tutti l’opi¬ nione di Aristotele, che il cielo sia di natura distinta dagli elementi, I, 57. Errore loro nel produrre quante più ragioni possono, por conformare una conclusione falsa, III, 341. Critica dei loro modi di discutere, IV, 31, 49, 65, 81, 177, 444$, 739. Abuso da ossi fatto della distinzione per se e per accidcns 26, 209, 249, 613-614. Avrebbero ragione di negaro le alterazioni della materia celeste se la corruzione d'essa volesse dire auui- chilaziono, V, 234-236. Affermano clic nes¬ sun corpo lucido traspare, VI, 62. Assegnano per naturali ngli elementi quei moti dei quali essi non si muovono mai, e per preterna¬ turali quelli dei quali si muovono sempre, VII, 71. Filosofìa peripatetica inalterabile, 81. Perchè pongano nei corpi celesti perfetta sfericità, 109. Scemano la reputazione di Aristotele col troppo volergliela accrescere, 136s. Fiegano Aristotele a lor voglia, 138. Pretendono chiuder la bocca agli avversari mediante citazione di testi, 139. In che modo uno tra essi dimostri che la linea rotta ò bre¬ vissima di tutte, 231. Protendono che il mondo stia come scrisse Aristotele, o non come vuol la natura, 348. Si ridono delle macchie solari, come illusioni dei vetri del telescopio, 380. Dannano lo studio della geometria, 423. Come si servano dei testi di Aristotele, Vili, 550. A elio rassomigliati da G., 610. Loro contegno rispetto alle nuove stelle comparso nel cielo, X, 117, 118, 120. Avversano G., XI, 47, 221, 301; XII, 174, 175; XVI, 78, 199. Sin dove G. è e si dice peripatetico, XVIII, 248. Perla. Posata in aria ed in acqua, 1,227. pRRNKOGER GlANO. X, 386. Pkrnegger Mattiiia. — V. Bernegger Mattia. Peroni Miouele. I, 213. Peroni Vincenzo. XIX, 441, 442, 519. Pkrosio NioooiA XIX, 15. Pbrosio Rosa Maria nei Galilei. — V. Galilei Perosio Rosa Maria. ♦Pkrozzi Stefano. Esprime a G. il suo rincrescimento dol trovarsi lontano da lui, XVIII, 415-416. Perseo. XI, 548; XIV, 84, 85; XVII, 27. Pianello] INDICE DE Perseo (costellazione). X, 112. Persia. TI, 279, 428, 455; TU, 143, 350. Porsia (Re di). X, 262; XI, 379. * Persico (conte). X, 94. Persio. Tradotto da F. Stellati, XUI, 374; XrV, 73, 121; XVI, 337. Citato, III, 139. ♦Persio Antonio. Presente in Roma ad una disputa tra G. ed il Lagnila, HI, 3(56. Sua morte, XI, 278, 285. Sue opere, 204, 298, 301, 303, 404, 451. Difficoltà, opposte dai revisori, alla stampa di queste, 303, 438. Perugia. Obiezioni sollevate in quello Studio contro le scoperto celesti di G., XI, 102, 103, 105, 120, 131, 132, 177, 202, 206, 222-223. Menzionata, XIII, 141, 142, 169, 170. Perugia (il). XV, 362. Perugia (Lago di). Vili, 631; XVIII, 58, 62-66, SI, 82, 89, 96, 100-101. Perugino Girolamo. XI, 16(5, 178. ♦Perugino Innocenzo. XI, 166, 178. Pescatore (tiglio del). Natività fattane da G., XIX, 206. * Pesoetti Orlando. XII, 81. Pesci. Non si altera il moto loro in un vaso, se questo è portato attorno, Iti, 265- 266. Ostracei, VII, 258. Si equilibrano mira¬ bilmente nell’acqua, Vili, 113-114, e per qual causa, 170. Perchè possano essere più grandi degli animali terrestri, 170; XVII, 390. Quale movimento facciano per nuotare, Vili, 610. Pesci (segno). II, 231; X, 414. Pesci Bartolommuo. XIX, 427. Pesci Piero. XIX, 427. Poscia. XIX, 52, 53, 59, 68, 73,74, 82, 84, 85, 107. Pesciolini Caterina. XIX, 493. Pesenti Bernardo. XI, 503,504; XIX, 193. Tetra Vincenzo. XIX, 291. Pctraia. XII, 354; XVII, 76,368; XVIII, 421. NOMI ECO. 285 ♦Prtrangeli Lorenzo. Informa G. dello gravissimo condizioni prima, o poi della morte, del fratello Michelangelo, dello tristi condizioni nelle quali lascia la famiglia elio raccomanda alla sua generosità, XTV, 177- 179, 209-210. Ringrazia G. per un sussidio inviato, e lo informa della miseria nella quale ai trova la famiglia di suo fratello, 310-311, rosa anco maggioro dopo il sacco di Monaco, XV, 369. Nominato, X, 313; XIX, 475. Petrarca Francesco. G. l’aveva a mente quasi tutto, XIX, 627. Nominato, IV, 690; X, 208, 442, 477, 497; XI, 438; XU, 278; XIV, 351 ; XVI, 291. Pktiiaholi Gio. Antonio. II, 434; X, 166. Pietrei,la Bernardino. XIX, 119. Petrignani (cavaliere). XIII, 30. Petrigna!» Ferdinando. XIII, 30. Petrolltno A. XIX, 462. Petroni Giacinto. VI, 35 ; XIX, 321,419. Petroni Lorenzo. XIU, 220. Petrozzi. XI, 337. Phuoer Gaspare. Suoi calcoli cd osser¬ vazioni sulla stella nuova del 1572, li, 283, 284, 524; VII, 319, 326, 335, 336, 341, 523, 524, 525, 526, 532, 534, 536, 538. Peurraoii Giorgio. I, 39; XIV, 300. Pbzzana Angelo. V, 417. * Peautji Marco Federigo e fratelli, mer¬ canti in Pisa. XH, 304, 353; XVI, 71, 89, 90. Phoenomcnis (De) in orbe Innnc ecc. Disputalìo di G. C. Lagai la, con postille di G., Ili, 13-14, 309-399. — V. Lagalla Giu¬ lio Cesare. Piacenza (Inquisitore di).— V. Costa¬ mezzana Claudio. Pian di Giullari. XI, 519; XIV, 288; XV, 146; XIX, 454, 494, 522, 582; XX, Suppi., II . 0 XLbis. — SS. Trinità, XIX, 529. Pian di Ripoli. XIV, 116; XVIU,383. Pia nello. XVII, 241. 286 INDICE DEI NOMI ECC. Pianoti. Loro movimenti, I, 445*, II» 225-226, numero eil ordine, I, 47$, 53; li, 214- 215; ILI, 268-269; TU, 350,9, 602, diversità d’aspetto dallo stollo fisso, III, 33s, 75 s, 118; X, 227,388, 500. Opinione di Giordano Bruno intorno ad essi, ILI, 118; X, 333. Si pre¬ tendo, non possano essere più di sette, IH» 137, 212, rispondenti ai sette metalli ed ai sette organi principali del corpo umano, 219. Loro influssi, 215. Sono tenebrosi ed opachi, bì muovono intorno al solo, dal quale ven¬ gono illuminati, V, 98; TI, 560-561; TU, 291- 292; Vili, 551-552; X, 280; XI, 12, 48-49, 53, 61 ; XII, 34. Non è improbabile ve ne siano d’invisibili tra Mercurio ed il solo, V, 111. Non si trovano neppur nominati nello Sacre Scritture, V, 28*1, 318; X, 428. Se le comete possano riguardarsi del loro mi¬ merò, TI, 133,172, 273,422. Errori commessi nel valutarne la grandezza, 525; XI, 49; XYIII, 431. Le grandezze degli orili e lo velociti dei loro moti rispondono proporzio¬ natamente all’esser discesi dal medesimo luogo, TII, 54$; YIII, 28-1; XTI, 169. Ine¬ gualità dei loro moti cagionata dal moto della terra, VII, 370s. Come si possa assicurarsi dol loro avviciuamento o discostamento da noi, YIII, 460-461. O. no leggo lo teoriche nello Studio di Padova, XIX, 119, 120. Pianeti Medicei. Scoperti da G. col cannocchiale, ed intitolati alla Casa Modici; osservazioni da lui fattene fino alla pubbli¬ cazione dol Sidcrcus Nuncius, IH, 9,10,11, 35-45, 53, 56-57, 59, 80-96, 403, 427-434; X, 277, 280, 283-285, 297, 299, 308; XIX, 610, 644; il Granduca, dopoché G. glieli ebbo mo¬ strati, gli decreta una ricompensa, X, 318; pubbliche lezioni tenute intorno ad essi da G. nello Studio di Padova, 348-349. Primi cenni di determinazione dei loro periodi, III, 46- 47, 94-95, 404; X, 289, 299, 352, 357, 431, 483, 504-505; XI, 49. Il Keplero, avuta da vario parti comunicazione della loro seo- [Pianeti porta e del Sidcrcus Nuncius, ne discorre nella Dissertatio ecc., IH, 119-125; X, 308 311, 815, 318-319, 384-340. Macchinazioni doll’IIorky e sua Peregrinano conira Ntm- cium Siclcrcum , III, 11, 129-145 ; X, 308, 311, 816, 342-348, 358-359, 371, 386-38?’, 899400. Difesa del Woddcrborn e del Kof- feni, IU, 11-12, 149*178, 193-200; X, 423, 430,440. La scoperta ò vorifìcata dal Keplero, che la conferma nella Narratio de obscroutis a se qaatuor lovis satcUitibus errontbus, HI, 181-190; X, 454-455, o negata dal Sizzi, III, 228$. Osservati dai Gesuiti del Colle¬ gio Romano, elio confessano d’averli veduti, 296*297, 863-: 01; X, 480, '184-485; XI, 14, 31, 33, 84, 36, 79-80, 93,163, 274; XIX, 592, e tentano aneli’ essi di determinarne i pe¬ riodi, XI, 80. G. incomincia a distinguerli con sicurezza l’uno dall’altro, III, 405, 440, 111; XI, 54. Osservazioni dal 7 gennaio 1610 ni 29 maggio 1613, riprodotto in facsimile, III, *108, 412, 427413; tavole dei moti medi, 114-116, 455-473; giovila^, 475487; pro- sLaferesi, 519-528; osservazioni o calcoli pol¬ la detonili nazione dei moti medi dal 1611, al 1619, 489-807; frammenti di calcoli, 809- 860; Obscrvationes lesuilarum , trascritte da G., 861-864. La determinazione dei moti medi riesco a G. con una prima osserva¬ zione in Roma, ed indi più esattamente, III, •106407, IV, 63-64; VI, 109-110, 226-227, 236- 237; TU, 144; YUI, 626-627; XI, SO, 94,129, 139,335; XIX, 612; con poco divario, riesce anche all’Agucchi, III, 407-408; XI, 219-220. Sono soltanto quattro, c non cinque, come suppose lo Sclieiner, V, 55-56, 110, 227-229; XII, 63. Lo macchio solari non sono da con¬ siderarsi di natura uguale alla loro, T, 109. Costituzioni pubblicate in appendice alle Lettere sulle macchie solari, 241-245; XI, 459, e poscritta ad osso relativa, V, 247- 219; XI, 460, 484. Usurpazione tentata da Simone Mayr, VI, 217. 8ono pur essi ione- INDICE DEI NOMI ECC. 287 Piazza Gio. Battista] brosi e ricevono il lume dal solo, essendo come quattro lune intorno a Giove, VII, 3(58, 715-716; Vili, 551-552; XVI, 405. Esaltati in versi, IX, 221-272; X, 2S5, 300, 355, 399, 412, 454-455; i Gesuiti so no servono in Fi¬ renze con concetti graziosi nelle prediche ed in orazioni, 484; fatti figurare in un bal¬ letto, con sdegno dei Pelipatetici, XII, 29. Osservazioni e discussioni varie intorno ad essi, X, 287, 294-295, 309, 341, 359, 363-364, 372, 373, 380, 389, 410, 413, 41G, 421, 422, 424, 428-429, 431, 435, 437, 439-440, 441,444- 445, 449, 4G3, 475, 498, 499, 501, 505, 508; XI, 21, 24, 25, 27, 28-29, 37, 41, 50, 54-55, G0, Gl, G8, 75-76, 77-78, 84, 95-96, 99, 100, 102, 104,105-116, 125, 133-136, 155,159-160, 167, 175-170, 177, 205, 214, 215, 219, 220, 225, 220, 240, 247, 249, 250, 251, 274, 279, 281, 284, 287, 300, 314, 329, 330, 331, 335, 345, 346, 377, 378, 429, 430, 442, 446, 451, 456, 459, 460, 461, 462, 477, 478, ‘ISO, 481, 487, 495, 512, 521, 534, 548, 549, 564, 565, 580, 592, 594, 596, 604, 608; XII, 21, 24, 28, 30, 31, 36, 37, 39, 47, 48, 50, 53, 63-04, 69, 74, 75, 78, 83, 84, 86, 88, 91, 114, 116, 123, 124, 125, 131, 132, 135, 112, 159, 178, 179, 182, 183, 186, 196, 209, 210, 219, 2S1, 282, 316, 325, 394,407; XIII, 19, 48, 55, 05, 184, 203, 287, 333, 334, 362, 370, 373; XIV, 136, 146, 300, 309, 312, 360, 374; XVI, 27, 259. Tavolo promesse agli Stati Generali d’Olanda, XVII, 103, 13G. 11 Castelli ottiene di poter conferire con G. per averne istru¬ zioni, 386, 39S, 406 ; XIX, 395. Il Renieri incomincia ad osservarli, XVII, 268, e G. gli consegna tutti i propri scritti, osservazioni o calcoli, perchè ne conchiudale tavole o le ef¬ femeridi, XVIH, 239; XIX, 620, 655, e il Cavalieri se ne compiace, XVIII, 262. Il Ca¬ stelli ne riprende, dopo molti anni, la os¬ servazione, e ne determina le radici, 224. Disegnati da G. in un Album amicortm, XIX, 204; il quale uè mostra le tavole c lo effemeridi al Tarde, 589. — V. Agucchi G. B. Castelli Benedetto. Colonna Fabio. Eclissi. Longitudini. Mayr Simone. Renieri Vincenzo. Salvadori Andrea. Piani inclinati. Moto doi gravi sopra di cssi,I, 296-302, 418; sopra un piano ascen¬ dente, U, 180-181, o discendente, 182-183; rispetto al moto accelerato, 264-265. Consi¬ derazioni o dimostrazioni ad essi relativo nel Dialogo dei Massimi Sistemi, VII, 47-53,171- 173; XIV, 362; c nelle Nuove Scienze e nei frammenti ad esse attenenti, Vili, 139, 214- 267,371,375-426,442-445; XVII, 399-400,407, 412. Prima comunicazione relativa al moto sopra di essi, fatta da G. a G. U. del Monte, X, 99-100. Osservazioni di L. Valerio, 248- 249, e proposizione del Vieta comunical a a G. dal Baliani, XII, 186-188, il quale scrive anco al Castelli d*un suo trattato in pro¬ posito, XIII, 348-349. Applicazione dei prin¬ cipi del moto dei gravi sopra di essi a quello delle acque lungo i canali, XIV, 176, 179- 184, 185-192, 193-195, 196-198, 199-202, 204- 206. Risposta di G. ad alcune obiezioni man¬ dategli dal Carcavy, XVII, 91, e dal Ba¬ liani, XVllI, 78, 95; e replicho di questo, 8S, 102. Principio fondamentale del misura¬ tore del tempo, proposto da G. al Realio, XVII, 100. Critiche del Descartes, 390-391. Pianta. Di una fortezza, II, 100-102. Come, mediante il Compasso geometrico o militare, possa trasportarsi da una scala al¬ l’altra, 376-378, 461463, 567-568. Piante. Minori, meglio si sostengono, Vili, 52. Piastra (del) Alessandro. XIX, 27. Piattaforma, e piattaforma rove¬ scia, nelle fortificazioni. II, 25-26, 41, 88- 89, 106-107. Piave. X, 477; XII, 395. Piazza da basso, nello fortificazioni. II, 32-33, 37-38, 66, 86-87, 122-126. Piazza Gio. Battista. XIX, 161. 288 INDICE DEI NOMI ECO. [Timoni Francesco * PIA7//ONI Franofsoo. XIII, 17. PlOOJIKNA CATERINA 061 BUON DEI, MONTI. — V. Buondolmonti Picchena Caterina. * Pioohena Curzio. Chiodo ed ottiene da G. informazioni sul medico Minadoi, X, 107- 169. Tratta con G. per l’acquisto d’una ca¬ lamità, por conto del Granduca, 18-1-187,207. Domanda schiarimenti intorno all’oroscopo della sua figliuola, 224. Partecipa a G. che per le premuro della Granduchessa fu con¬ ferito al Landncci cognato di lui l’ufficio ohe desiderava, 227. Intermediario dello pri¬ mo relazioni di G. col Welaer, 460,400. Detta le minute dello commendatizie delle quali G. vien munito quando si reca a Roma per il primo processo, o carteggia con lui e con l’Ambasciatore Guicciardini intorno alle vicende di esso, XII, 203, 204, 205, 204! 207, 208-209, 211-212, 220, 221-223, 224, 225-226, 227-228, 229-239, 243-245, 247-251, 255-256, 259; XVIII, 421-422. D’ordine dei Granduci», consiglia G. a lasciar Roma, XII, 261. Partecipa alle trattative col Governo Spagnuolo per la cessione del trovato di G. circa le longitudini, 207-269, 327, 337, 353, 358,366,870,373, 384; XIII, 22-25, 34, 35,51, 52; XVIII, 422.È informato da G. circa leespo- rienzo fatte col colatone, ed intorno a certe difficoltà incontrate da parte delle autorità, XII, 311-312, 354. D’ordine suo, il celatone viene mostrato a Giovanni de’Medici, 372. G. chiede ed ottiene con la mediazione di lui il privilegio desiderato dal Cesi per la stampa del libro sulle piante indiane, 380-383. G. lo informa della figliuola, che era in villa presso Bellosguardo, 456-457. Sue iscrizioni, sullo quali vien chiesto il parere del Pigno- ria, XIII, 14, 22, 29, 87, 93; XYIU, 213. G. gli annunzia il buo arrivo a Roma, do- v’orasi recato per ossequiare Urbano Vili, XIII, 175. Invia a G. Altoviti, da parto del Granduca, un cannocchiale chiesto da C. Rasini, XX, Suppl., 570, 571. domi¬ nato, V, 266, 372, 417; X, 187, 199; XI, 003; XII, 442, 452; XIII, 88, 101, 222; XIX, 426. Piccinini Gio. Niooot. 5, Inquisitore di Ceneda. Ila ricevuto e diffonderà la sen¬ tenza e l’abiura di G., XV, 226; XIX, 868. * Pioooi, omini Asoànio. Ragguaglia G. circa la pensione promessa da Urbano Vili al figliuolo Vincenzio, XIII, 196-196. È desi¬ gnato Arcivescovo di Siena, 435, e ringrazia G. delle congratulazioni inviategli per la sua elezione, 460. Era stato scolaro del Cavalieri in Firenze, XIV, 27. Ringrazia G. d’uno schiarimento, sta attendendo il Dialogo, e gli annunzia una sua visita, 267-268. Pro¬ metto di adoperarsi in suo favore presso il Card. F. Barberini, 399, lo conforta durante il processo, XV, 85-86, o lo invita a recarsi a Siena, appena sia libero, 124-125,135,137- 138, 153-154, 163; XIX, 634. E commutato a G. il carcero, al qualo era stato condan¬ nato, nella relegazione presso di lui, 168, 170, 172, 173, 175, 170, 178, 187, 279; XYI, 54, 59, 77, 116; XIX, 364, 617, 634. Gli è rifiutato dal S. Uffizio il permesso di condur seco G. in villa, XV, 276. Lo saluta di ri¬ torno in patria, ‘00-301. Scambia frequenti doni e favori con G., dopo il ritorno di que¬ sto in Arcetri, XVI, 13,16-17, 46, 48-49,103, 110,129, 148, 180, 306, 316, 322, 356-357, 443- 444, 48-4, 497, 604, 505* 512; XVII, 25, 188- 189, 191, 206, 224, 225-226, 411, 413; XVUl, 50, 74, 107, 114, 124 , 269, 276, 277, 359-360, 364. Informa G. di un accidente occorso in Siena nel tirare una campana sulla torre del Palazzo della Signoria, XVI, 49, o scrive dei suggerimenti dati da G. nell occasione di rifonderla, XVII, 13-14. Si conduolo con G. per la morte di Syor Maria Celeste, XYI, 80-81. Lo ringrazia per le congratula- zioni in occasiono degli onori resi dall’ Im¬ peratore a suo fratello ed a suo nipote, 102. Si rallegra con G. per il progresso Pieralli Roberto] INDICE DEI degli studi incominciati a Siena, 280; XVII, 25, e si conduole con lui per la imminente cecità, 240, 257. Lo ringrazia per il dono dei Discorsi delle Nuove Scienze, 411. Gli scrive come il Principe Leopoldo de’ Modici non giudica il Licet.i soggetto meritevole di di¬ strarlo da maggiori studi, XVIH, 194. De¬ nunzia anonima da Siena contro lui e G.,XTI, 30; XIX, 393. Annoverato dal Viviani tra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., 628. Nominato, Vili, 12, 542; XIII, 104, 186, 187, 193, 230,218,249, 255, 393, 404, 424, 429,431, 442, 443, 445; XV, 75, 143,165, 180,182, 185, 186, 189, 193,194, 198, 200, 214, 217, 221,223, 224, 225, 228, 234, 236, 238, 239, 242, 249, 258, 260, 264, 267, 270, 271, 280, 288, 289, 296, 297, 301, 302, 304, 305, 311, 317, 320, 321,324 , 331, 333,347, 351, 353, 354; XVI, 11, 12, 24, 29, 51, 347, 460, 506; XVII, 29, 412; XVIII, 15, 50, 84, 109, 135, 190, 361. * Piooolomini Carlo. XV, 247. * Piooolomini Emilio. XV, 247, 258. *Piocolomini Enea. Gli è dedicata dal Ca¬ stelli la risposta agli oppositori al Discorso sullo galleggianti, IV, 451, 453; XII, 177. Professa a G. la sua affeziono e gli scrive quanto sia desiderato a Firenze, X, 246-247. Scrive a G. dell'accoglienza fatta dalla Corte alla notizia dell 1 invenzione del cannocchiale, e gliene chiede uno per il Granduca, 254- 255, 258-259. Avuta notizia dei nuovi scopri¬ menti celesti, scrive d’averli partecipati alla Corte e se ne congratula con lui, 282. G. gli manda istruzioni circa il modo d’adoperare il cannocchiale per vedere i Pianeti Me¬ dicei, 299-300, 304-305, 307. Accusa ricevi¬ mento a G. di cannocchiali per il Granduca, XI, 224, 254. Nominato, X, 231, 232, 234; XI, 604; XII, 39, 49, 57, 58, 120; XVI, 102. * Piooolomini Evandro. XVI, 102. * Piooolomini Francesco di Enea. Si con¬ duole con G. per la sopravvenutagli cecità, e gli scrive in quanta stima 8Ìa tenuto dal- NOMI ECO. 289 l’Imperatore Ferdinando III, XVII, 276-277. Nominato, 240, 257, 306; XVHl, 12. * Piooolomini Franoesoo di Niccolò. Filo¬ sofo peripatetico: sue opere citate, IV, 6, 156, 177, 190, 191, 193, 194. Nominato, X, 251; XIX, 118. * Piooolomini Gio. Battista. XVI, 25. * Piooolomini Ottavio. XV, 317; XVI, 102 . * Piooolomini Silvio imi. di Enea. XVI, 102 . * Piooolomini Silvio sen. di Enea. Manda a G. la relazione della presa da lui fatta della fortezza e città di Bona in Barberia, X, 181. Nominato, 151, 173, 234, 239, 247, 259, 282, 305; Xn, 57. Piooolomini Adimari Caterina. XVI, 17, 46. Piooolomini Vinta Elisaurtta. XV, 247, 258. Pierà, serva di G. XIII, 402; XIV, 172, 173, 184, 252, 253, 291; XV, 53, 59, 77, 83, 90, 109, 118, 120, 130, 136, 157, 179, 189, 195, 205, 229, 240, 270, 297, 303, 315, 328, 329, 332, 336; XVI, 157; XVIII, 243; XIX, 521, 567. Pieralisi Sante. IV, 6. * Pieralli Marcantonio. Manda a G. in¬ formazioni circa i portamenti del figliuolo Vincenzio a Pisa, XIII, 293, e intorno al suo dottorato, 392, 424-426, al quale assiste come promotore, XIX, 428, 430. Sul suo canoni¬ cato di Pisa è conferita a G. una pensione ecclesiastica, XIV, 211, 236; XIX, 465-468; egli so ne dichiara lieto, XIV, 244-245, 252, 256, e la paga, XV, 202, 209, 256, 257, 367; XVI, 26, 210. Si rallegra con G. per il suo ritorno in Arcetri, XV, 366-367, e gli manda una sua Orazione per l’ingresso del nuovo Arcivescovo, XVI, 430-431. Nominato, XIII, 257, 341, 364; XV, 266; XVI, 188; XVII, 17, 31, 282, 300, 307, 319, 328. Pieralli Rouhrto. XIX, 468. VoL xx. 37 290 INDICE DEI * Pier atti Domenico. Scultore, raccoman¬ dato a G. dal Pori, XIV, 102, 117. * Pibratti Gin. Battista. XVI, 50. Pierino, familiare di G. XVILI, 58,114, 145, 161. Pierino, sorvitore dei Bocchineri. XVI, 156, 157. Piero (Ser). IX, 222. Pieroni Asoanio. XII, 289, 307. 313, 317. * Pi buoni Giovanni. Avverte G. di orrori ila lui riscontrati nella usurpazione doi Pia¬ noti Medicei fatta dal Mayr, gli chiede noti¬ zie do’ suoi lavori, o gli scrive d’alcune pub¬ blicazioni fatte recentemente in Germania, XUI, 333-334; XIV, 61, 322-323. Ringrazia G. per il dono del Dialogo ilei Massimi Sistemi , porta una testimonianza della priorità di lui in confronto dello Scheiner, quanto alla scoperta delle macchie solari, o sollecita la pubblicazione dell’opera sul moto, por la stampa della quale offre la sua mediazione, XVI, 188-190. Informa G. dello pratiche Gu¬ sta facendo per la detta stampa, 300-302, 303-304, 358-360, 361, 367, 38(5, in Germania, 393-394, 397-398, 406, 419-420, 438; XVII, 130-132; XIX, 550-551; si manifesta dolen¬ tissimo di avervi dovuto rinunziare, XVII, 192-194; e gli dichiara elio la testimonianza in favore di lui contro lo Scheiner era stata portata dal Guidino, 193. Con la mediazione di G. tonta, ma inutilmente, d'essere richia¬ mato al servizio del Granduca, XVI, 307, 387-388, 394, 398, 404-405, 421; XVIII, 163. Sue lettere astronomiche a F. Rinuccini, 138- 139, 146, 163-164, 311, 315. Fa conoscere a G. M. Marci il Dialogo dei Massimi Si¬ stemi 268. Nominato, Vili, 12, 14, 15, 16. Pikrsànti Alessandro. Servo di G. in Padova; pratiche da quosto fatte perchè egli possa ricuperare un suo credito verso due studenti polacchi, X, 263, 266-267, 2(58, 280, 281, 283, 284. Lettere scrittegli dalla madre di G., 2G8-'J(>9, 270, 279. Sua morte, NOMI ECC. ( Pieratti Domenico 409; XIX, 174. Suoi conti con G., 174-175 del quale tiene a battesimo il figliuolo, 220 Nominato, X, 197; XIX, 142, 215. I’ikruooi Gio. Michele. Accompagna a G mandati di pagamento della provvisione di lui, XM, 497; X> li, 215, e si lagna del modo nel quale è trattato a Pisa, 216. Trasferitosi a Padova, manda a G. notizie della città e dello Studio, e della ristampa dello Operazioni del Compasso, XVIII, 49-50, 58-55, 227-228, 237, o lo informa di convorsazioni da lui avute con lo Scioppio e col Liceti, 254-255. Olire a G. la sua mediazione per riprendere le trattative con gli Stati Generali d’Olanda per il negozio della longitudine, 333-334, giudicando che lino allora egli sia stato a tale proposito troppo liberale, 349, e no conferisco anche col Micanzio, 377. Nomi¬ nato, XVII, 328, 340; XVIII, 112, 113, 243, 211, 252, 257, 274, 286, 353, 376. Pietra lucifera di Bologna. Da chi scoporta, c di (piali proprietà dotata, Vili, 169. Quesito intorno ad essa, posto anche in Germania, XI, 136, 140, e a G. dal Sn- gredo, a cui G. no manda dei frammenti, 371, 505, o da Gio. Bardi, 513. Notizie degli studi fatti dal Lagnila, mandate a G. dal ('e8Ì, 223, che ringrazia G. di frammenti in¬ viatigliene, 516. L’Arciduca Leopoldo d’Au¬ stria desidera conoscere il segreto per pro¬ pararla, XII, 374. G. ne chiede a C. Marsili, XIII, 339, e questi l’informa di alcuuo proprietà di essa, 340. JÀIheosphorus del Liceti, XVIII, 21, 27, 50, 85, 90, 107, 135, che la paragona a torto, nel cap. 50° di que¬ sta sua opera, Vili, 469.9, 481-486, col lume secondario della luna, XVIII, 145, 156-160. Menzionata, XI, 470, 481 ; XII, 12; XVII, 219-250, 264, 280, 304, 314; XVIII, 214, 252; XX, Snppl., nn.‘ 538 bis, 551 bÌ8. l’ietrapana. VII, 414; XIV, 240. ♦PlRTRASANTA SlLVESTRO. XVI, 246, 247. 270, 272. Pio V] INDICE DEI NOMI ECC. 21)1 Pietra serena. VII, 110. Pietro (Messer), corriere granducale. XII, 494. Pietro (S.). I, 64, 09, 70; ILI, 363, 304; XI, 24; XV, 230; XIX, 429, 402, 408. Pietro, Inquisitore di Cremona. Ila ri¬ cevuta e notificata la sentenza ed abiura di G., XV, 280; XIX, 378-379. Pietro l’Eremita. IX, 00, 82, 124, 125, 128, 129. Pieve (della) Giacomo. — V. Taranti Giacomo. Pigna Francesco. XIX, 207. * Pionani Gaspare. Osserva in Padova le macchio solari, XI, 231, 244. Nominato, II, 502, 601; X, 90, 204; XII, 448; XIII, 42, 45. Pignoni Zanobi. IV, 313, 373; VI, 183. * Pionoria Lorenzo. Annunzia al Gualdo la comparsa d’un cannocchiale a Padova, X, 250, la ricondotta a vita di G. nello Stu¬ dio, 255, 1’ invenzione d’un lanternino me¬ raviglioso per leggere a distanza, 200, gli chiede notizie d’un cannocchiale regalatogli da G., 431, e dell’avviso avuto dal Welser elio il Keplero aveva verificata la realtà dei Pianeti Medicei, 430, o gli scrive intorno all’anagramma concernente le fasi di Ve¬ nere, o ad una indisposizione di G., XI, 28. Si congratula con G. per le suo scoperte celesti, 05-00. Chiede a G. alcuno notizie let¬ terarie ed archeologiche, 388-389, 414, 519- 520, e lo ragguaglia circa la stampa del De cado del Cremonino, 400-401, 430, 451, 409,489, 531. Serve di intermediario a G. con Marina Gamba, 409, 489, e gli procura l’atto di nascita del figliuolo natogli da lei, XII, 502; XIII, 14. Riceve da G. alcune costitu¬ zioni delle Medicee e lo Lettere sullo macchie solari, XI, 193,501. Si conduole con G. per lo sue indisposizioni e per la morte del Welser, o gliene manda l’elogio funebre, che no ha fatto, XII, 89-90,112, 115. Interrogato sopra alcuno iscrizioni, ne manda a G. il suo giudi¬ zio, XIII, 14, 22, 29, 87, 93; XVIII, 213. Sua morte, XVI, 435. Annoverato dal Viviani tra i più confidenti, ai quali G. comunicò la sco¬ perta di Saturno tricorporeo e dolio macchie solari, XIX, 611. Nominato, II, 272; X, 96, 195, 460, 465, 477; XI, 42, 57, 101, 157, 166, 399, 401; XII, 65, 385-386; XVI, 28, 170. Pilan. Dichiarazione da lui fatta a pro¬ posito del plagio del Capra, X, 174. Pi lato. IX, 129; XI, 132. Pilli Lodoyioo. XIX, 15. Pilli Maddalena nei Galilei. — V . Ga¬ lilei Pilli Maddalena. Pimbiolo Annibale. — V. Bimbiolo An¬ nibale. Pi nasello Mnganzese. IX, 174. Pindaro. Vili, 492, 544; XI, 221; XIV, 293, 339; XV, 212. PlNEDA. Ili, 290. * Pinelli Cosimo. Ila da G. il Compasso e le relative scritture, II, 534; X, 73. Nominato, 96, 498; XII, 379. * Pinelli Domenico. XIX, 275. * Pinelli Francesco. Chiede a G. un can¬ nocchiale ed il Sidereus JNuncvus, X, 432 ; XII, 375, 380, 3S5, e G. lo compiace, XIII, 33. 11 Gualdo si duolo, perchè non pensi ad erigere un monumento allo zio Gio. Vin¬ cenzio, X, 498; XII, 379; XIII, 33. Nomi¬ nato, XII, 412, 420. * Pinelli Gio. Battista. XII, 10, 22, 30,45. * Pinelli Gio. Vincenzio. Ospita G. in Padova, lo aiuta a contrarre un prestito e ad ottenere la cattedra nello Studio, X, 42, 47-51, 53. Per suo mezzo G. entra in relazione con Ticone Brahe, 53, 78-79. Sue conversa¬ zioni, ricordate dal Peireac, XVI, 170. Com¬ passo regalatogli da G., XIX, 147. Nominato, I, 182, 183; II, 9, 10, 23, 337; X, 55, 02, 73, 74, 70, 94, 90, 428, 405, 498; XII, 379; XIII, 33; XVI, 28, 247; XVIII, 409. Pinelli Grillo Nicoletta. XU, 379. Pio V. XIX, 536. 292 INDICE DEI ♦Pio di Savoia Carlo Emani;elb. XVIII, 332; XIX, 417. Piò Gio. Michele, Inquisitore di Milano. Ha ricevuta o notificata la sentenza ed abiura di G., XY, 272; XIX, 377. ♦ Fiochi Ciubtotano. XVIII, 275-276. Pioggia. Quantità d’essa caduta, mi¬ surata dal Castelli o da G., VILI, 631 ; XVIII, 62-63, 86-86, 01-92, 97, 101. Piombino. IX, 106. Piombino (Principato di). X, 402; XI, 20. Fiombo. Corrisponde tra i metalli a Sa¬ turno, III, 219. Pesato in aria cd in acqua, IV, 25, 744-745 ; VII, 566. Esperienze con falde o con palle di esso, rispetto al galleg¬ giare, IV, 28, 29, 46-48, 100, 107, 111, 121, 122, 125, 126, 127, 221, 261, 335, 336, 337, 400, 410, 568, 571, 572, 573, 575, 579, 580, 585. Considerazioni relative alla sua lique¬ fazione, VI, 166, 167, 341, 342,343, 314, 345, 488, 485, con uno specchio concavo, Vili, 80. Lente posseduta dal Sarpi, elio lo liquefa- cova, XYI, 172. Piovanki.i.i Pasquino. XIX, 402. Pioyankm.i Tommaso. XTX, 402. Piovano (Sig. r ). X, 180, 230. Pipino il Breve. IX, 84. Pie cucci Orlando. XIX, 523, 520, 530, 531. Pii>cuoci Sallustio. XIX, 523, 520, 530. Piramide. Suo centro ili gravità, I, 202-204 e d’un frusto di essa, 205-208; X, 22. studiato dal Valerio, IMI ; XI, 560. Espe¬ rienze fatte immergendone una, di qualsi¬ voglia legno o di cera, con la baso in giù od in su, IV, 03, 114. 115, 173, 223, 265-266, 341, 402, 591-592. Fumo Rocco. XIX, 416. Pisa (Città). Chiese. S. Andrea in Po- scaiola, XIX, 17, 20, 25. — Dei Cavalieri, XI, 590; XII, 27.—Duomo, XU, 126; XIX, 25, | NOMI ECO. |l'io di Savoia Carlo Eman. 500, 618, 658. Campanile o Torre, I, 249- XVIII, 305; XIX, 606. Lampada, XIX, 603, 648. — S. Eiccola, XVH, 316. Fraternità di S. Guglielmo, X, 18. Giardino dei Padri di S. Girolamo, XII, 300. V alaggi. Arcivescovile, XIX, 430.— Granducale, XVII, 318. Ponte nuovo. XVIII, 324. Sapienza. XI, 601; XVDI, 302. Col¬ legio, XIII, 282, 284; XVII, 318; XIX, 426- 427. Vie. Fasoli, XII, 113. —Lungarno, XI, 605; XII, 309. — Chiasso doi Mercanti, XIX, 21. Pisa (Arcivescovo di). — V. Bonciani Francesco. Pisa (Inquisitore di). — V. MarzariLelio. Pisani Francesco. XIX, 34. ♦Pi \si Ottavio. Scrive a G. dei propri studi astronomici, ed in particolare delle macchie solari e dei Pianeti Medicei, a pro¬ posito dei quali chiedo schiarimenti, XI, 547- 548, 561-565, 608, e del cannocchiale binocu¬ lare ch’egli ha costruito, 565; XII, 87. Ringrazia il Granduca d’avere accettata la dedica della sua Astrologia, XI, 548-549, si raccomanda a G per ottenere una ricogni¬ zione, 564-565, 580, 592, 60R-609; XII, 86, 148-149, 152-153, 17G-177. Sue comunicazioni astronomiche al Keplero, XI, 580-581; XII, 124. Disenfi Bernardo. — V. Posenti Bor- nardo. Pistoia. XIX, 50, 51, 52, 67, 68,74, 84, 85, 86, 95. Pistoia (da) Piero, servitore di G. Conti con esso, XIX, 179. Pistoia (di) Suor Orsola. XIV, 164. Pistoni» (stagno).— V. Bistonio. ♦PlSTORIO [PlSTORIUs] GIOVANNI. IH, IH, 165; X, 326, 187. Pitagora. Del cielo o del mondo, 1,22; Plotone Giorgio Gemisto] INDICE DEI II, 284. Suo problema matematico, 469; YII, 76. Suo dottrine sulle figuro regolari, III, 106,120; X, 320, 335. Sue opinioni circa la luna e i pianeti, III, 107, 115, 121, 156, 286; X, 322, 330, 336, 340, 363; sulla trasmigra¬ zione dello anime, III, 158-159; e sulla quieto del sole o sul moto della terra, Y, 321, 352; TII, 215 ; X, 69. Silenzio per cinque anni, da lui imposto ai suoi discepoli, VI, 44-45. Sua scienza dei numeri, 1II, 34-35, 585-587. La certezza della conclusione lo aiutò a tro¬ vare la dimostrazione del suo teorema, 74-75. Lodato sopra ogni altro da G. per il modo di filosofare, XIX, 645. Nominato, IV, 359; VI, 493; X, 417; XIV, 412. Pitagorici. Del cielo e del mondo, I, 64, 90. Del sito e del moto della terra, II, 198, 318; III, 331, 337; V, 321, 352; VII, 354-355; XI, 12; XIX, 590. Delle cause del caldo o del freddo, IV, 205. Dello comete, VI, 48, 63-64, 71, 238. Loro scienza dei nu¬ meri, VII, 34-35, 585-587. Pitiiokus P. V, 17, 138. * PlTISOO BaRTOLOMMHO. XIII, 110. Pitone (serpente). IX, 242. Pitta Simon Pietro. XIX, 32, 37, 40. Pittaoo. IX, 288, 289. Pitti. X, 301. * Pitti Alessandro. II, 10; XV* 145, 202. Pitti Iacopo. XI, 427. •Pitti Priore. XIX, 253. Pitti (gentildonna do’). XV, 97. Pittura. Paragonata alla poesia, IX, 63, 76, 94, 129, 141, 142, 144, 146; alla scul¬ tura, XI, 340-343. Intarsiata e colorita a olio, TX, 63 Come il Sagredo accomodasse il cannocchiale per vederle meglio, XII, 404- 405. Diletto che no prendeva G., XIX, 602, 645. •Planck Pietro. Sue mappe,XI,2G7, 419. Piata. XIII, 34. * Platais Gio. Ernesto. XYII, 131 ; XIX, 550. NOMI ECO. 293 Platone. Del mondo, del ciolo o degli cle¬ menti, I, 22, 23, 27, 38, 42, 50, 56, 57, 63, 76, 103, 105, 123, 124, 129, 292; II, 320-321; III, 354, 356, 357, 363, 366, 375, 376, 382, 392; IV, 264, 431, 525, 732. Opina, nessun corpo esser privo di gravitò, I, 359; IV, 85, 133, 194, 222, 386, 388, 429, 439, 669-670. Accu¬ sato da Aristotelo di troppo studio della geometria, I, 416; VII, 229, 423; pregio nel quale egli la teneva, IV, 240; VII, 744; Vili, 175, 614. Confronto tra lui od Aristotele, istituito dal Mazzoni e contraddetto da G., Il, 197-202. Suoi concetti circa lo figuro regolari, IH, 106, 120, 159; X, 320, 335, e circa il sistema del mondo, III, 358, 367; V, 46, 197, 321, 352; VII, 600, 602-603, 659; X, 69. Sua Accademia, IV, 149. Sua defini¬ zione del tempo, 211. Suoi giudizi sulla scienza dei numeri, VII, 35, 585. Opina che i corpi mondani siano stati mossi da prima di moto rotto, o poi circolarmente, 44-40, 53, 594, 597; Vili, 283-284; XVI, 169. Suoi libri in Italia, por opera dei Medici, XVII, 352. Studio fattono da G., XIX, 603, 645, che lo imitò nella forma dialogica, 616. No¬ minato, II, 430, 433, 542; III, 119, 253, 314, 324-, 370; IV, 204, 214, 218, 383, 396; V, 348; VI, 189, 190; VII, 217, 586, 587; Vili, 596, 612; X, 42, 69, 292, 293, 296; XIH, 426; XIV, 366, 367, 430; XVI, 11;XVHI, 202, 215; XJX, 64. Plauto. Spoglio di frasi o locuzioni di quest’autore, conia traduzione italiana, cre¬ duto di mano di G., IX, 278. Pleiadi (costellazione). II, 311 ; IH, 33- 34, 78, 1G6, 185, 296; IX, 262, 272; X, 484; XI, 33, 93, 163, 274. •Plesoh Massimiliano. XIX, 150, 154, 155, 157, 159, 160, 161. Plessis (du). — V. Ilichel ieu (de). • Plessis-Mahly (de) Mornay Filippo. XV, 230. Plutone Giorgio Gemisto. I, 23, 63. 294 INDICE DEI NOMI ECC. Plinio il giovane. IV, 380. Plinio il vocchio. Del cielo o del inondo, I, 36, 41. Como, secondo lui, si formi il cri¬ stallo, 162. Quanto siano le stelle, II, 317, o elio pensi delle novamonte apparse, III, 362. Nominato, IV, 380, 393, 788; VI, 27; XI, 23; XII, -423; XIII, 73, 203; XV, 108; XVI, 260; XIX, 7G. Ploos van Amstel Adriano. XVII, 119. Plotino. Col ciclo e degli elementi, I, 23, 57, 63; III, 357, 370, 376, 377, 382, 383, 392. Plutarco. Col cielo o degli elementi, I, 23, 56, 57, 63, 103, 160, 161. Della luna, III, 107, 112, 113, 114, 115, 119, 156, 159, 160, 161, 355, 386; X, 319, 322, 327, 328, 329, 330, 363. Raccomanda il mescolare con la severità della filosofia la soavità dei motti e delle favole, IY, 149. Estratti, di mano di G., da versioni italiano di alcuni Opuscoli Morali, IX, 276-278,285-290; riduzione in versi, 278, 288-289. Sua autorità addotta dal Cremonino contro l’inganno degli occhiali, XI, 100, 129. Nominato, III, 321, 331; IV, 377; V, 321; VII, 550; X, 151, 335; XII, 287; XIII, -119; XIV, 367. Pi.uto o Plutone (noli’Inferno dante¬ sco). IX, 44, 53. Plutone. VI, 411; VII, 136; IX, 95; XIII. 462. Pluviometro. Invontato dal Castelli, XVIII, 62s, 82, 89. Po. XIII, 296, 465. Podolia. Suo clima, II, 214. Poesia. Ingegni poetici di duo specie, VH, 446. Differenza tra gli uomini intelli¬ genti e i pedanti nel giudicare di essa, IX, 27, 228-229. Poesie di G., IX, 21-26, 211-227. — V. Pittura. Poooi Beatrice (Suor). XIX, 518. Poggi, Servita XVII, 316. Poggiali Gaetano. Il, 10; V, 268, 269, 270, 272. [Plinio Poggibonai. G. vi si incontra col Noail- les, XII, 500, 507, 512. Menzionato, XV 124, 125, 134, 148. Poggio a Caiano. X, 150; XIV, 97 ; XV, 186, 306, 311; XVI, 373; XIX, 504. ’ Poggio Imperiale. XV, 322;XYI, 399, 423, 501; XVII, 57, 61. Poggio (8. Martino dal). XIX, 574. Poiana. XIII, 33. POLIFKMO. IX, 114, *Polà Francesco. XIII, 15. Poli. Celesti, II, 226, 233; VII, 400, 401, 402-403; Vili, 625; X, 75; XII, 253; XIV, 226. I)ol solo, V, 118. Terrestri, VII, 401, 402; XIV, 526. Policarpo. V, 344. Poli dori Filippo Luigi. XI, 427. Poliedri regolari. Ignorati dal Capra, li, 551-552. Simboleggiano la costruzione del mondo, III, 106, 119, 120, 123, 159; X, 335, a38, 839, 340. Poligoni regolari. Modo di costruirli geometricamente, II, 19-21, 80-82; col Com¬ passo geometrico o militare, 352, 406-407, 486-487, 578-579. Usali nella soluzione del problema

    ro numero, 157-160; so tutte e quat¬ tro siano positivo, od alcuno siano privative, INDICE DEI NOMI ECC. 290 Ragliateli] 1G0-1G3; so siano tutto attive, 164-170; corno si comportino nell’attività c resistenza, 170- 177. ♦Quarantotto Clemente. I, 12; XIX, 34. * Qu aratesi Antonio. Gli è raccomandato G-. nolla sua andata a Roma per il secondo processo, XV, 22, e questi alloggia presso di lui in Siena, 37. Scrive a G. ohe lo sta atten¬ dendo al ritorno, 99 o lo avverte d’aver mandato una lettiga a prenderlo, 172. Ot¬ tiene che abbia oflctto una raccomandazione di G., 180; XVI, 81. ♦Quaratesi Francesco. X, 179,203, 204; XI, 244; XII, 304; XIX, 158,165. Quaratesi Gio. Battista. XIX, 445. ♦Quauatesi Girolamo. X, 178. ♦Quaratesi Iaoopo. Sue relazioni con Gio. Battista Ricasoli, XIX, 44, 45, 46, 47, 50, 58, 71, 72, 73, 74, 81, 82, 8-1, 85, 86, 87, 89, 94, 95, 103, 106, 107. Nominato, 256. ♦Quaratesi Orazio. IV, 789; XIX, 575. Quaratesi Rioasoli Baroni Maddalena. X, 40; XIX, 44, 45, 47, 84, 89, 94, 99, 101, 103, 104, 105. Quarto buono. Strumento per ordi¬ nar la scarpata dei terrapieni, II, 60-61,142. * Querenqo Antonio. Gli è dedicato il Dialogo de Cecco di Ronchi Iti, II, 309, 311; X, 141. Informa il Card. A. d’Este intorno al primo processo di G., XII, 212, 220, 225, 226, 229, 243. Sua morto, XY, 250. Nominato, V, 266; XI, 231, 388; XII, 82, 95, 112. Quiete. Se abbia luogo nel punto di ri¬ flessione d’un grave che dal moto ascen¬ dente passa al discendente, I, 323s, 368, 389- 394; TU, 301, 689. È grado di tardità infi¬ nita, VII, 44-46. Essa ed il moto circolaro sono atti alla conservazione dell’ universo, 56-57. Essa ed il moto sono accidenti prin¬ cipali in natura, 156. Quintiliano. IV, jJ68, 422, 465, 691. Quinto. XIX, 503. Quinzano (da) Girolamo, Inquisitore di Broscia. Ila ricevuto e notificherà la sen¬ tenza od abiura di G., XV, 227 ; XIX, 368- 369. ♦Quinzano (da) Serafino. Osservazioni della luna, mostrato da lui al Castelli, X, 310-311. Nominato, 437, 482, 504; XI, 82; XU, 113, 116. Qui rico (S.). IU, 442. Quirini (Sig. r ‘). XVI, 233. ♦ Quirini Antonio. Promette a G. che si adoprerà per la ricondotta di lui nello Stu¬ dio di Padova, X, 76. Nominato, II, 548, 549, 560; XYI, 233; XIX, 114, 222, 224, 226. ♦Quirini Francesco. XVI, 233. ♦ Quirini Giovanni. XVI, 233. Quorli Franoesoo. XIX, 422. Quotili Margherita. XLX, 422. Radica no. IX, 186. Rado ut. XVII, 241, 299, 305. Raoiiis. Fratello di Astolfo, re dei Lon¬ gobardi, IX, 178. Rad da. XVII, 275, 303. Radice. Quadrata, corno si estragga col Compasso geometrico e militare, e tavola relativa, U, 359-360, 387-389, 439-440, 471- 473, 574; e come la cubica, 360-361, 393-394, 442-444, 478-479, 576: essendo infiniti i nu¬ meri, sono esse pure infinite, Vili, 78-79. Dei Pianeti Medicei, III, 4I8s. ♦ Radziwil. X, 85. Raffaello. — V. Gabbriello, ovvero Raf¬ faello (P. Teatino). Raffaello (maestro). X, 157. Raggi luminosi. Come modifichino il loro andamento attraverso le lenti, III, 19, 61-62, 110-111, 220, 245; VI, 250-251, 407; X, 325-326. Camminano sempre per linee rette, VI, 107. Perpendicolari, illuminano più. degli obliqui, e perchè, VII, 105-106. ♦ Raqgi (Marchese). XVI, 306. Ragliateli. Ondeavvonga chesi vedono la mattina in tempo di nebbia, e non col 300 INDICE DEI NOMI ECC. tempo sereno o verso mezzogiorno, * iti) 600. Ragusa. VII» 419. ♦ Raguseo Giorgio. XIII» 87. Rai ma uo LJitso Niooulò. — V. Reimers Niccolò. Raimondi Ei.isko. XIX, 378, 379. ♦Raimondi Gio. Battista. Libri ili Apol¬ lonio Pergeo in lingua araba, rimasti presso di lui, XU, 25, 27, 81. Nominato, 17. ♦Raimondi (Mons. r ). XIV, 435; XVI, 92. Raimondo. IX, 91. Rame. Pesato in aria eil in acqua, 1,225, 228. Corrispondo tra i metalli a Yonore, III, 219. Esperienze sul galleggiare fatte con un catino di tal materia, IV, 100,170, 409. Bat¬ tuto, VI, 479. ♦ Ramponi Grò. Lonovioo. Trasmolto a G. buon numero di osservazioni dei Pianeti Me¬ dicei, por alcuno delle quali ha adoperato un oculare composto, o gli chiodo bo sia per¬ venuto alla dimostrazione matematica dol- Tipotesi copernicana, XI, 133-136; e lo rin¬ grazia degli Boliiariroenti somministratigli, suggerendogli alcuno osservazioni da farsi per confermarla, 159-162. Torna a chiederò a O. la risoluzione di alcuni suoi dubbi, ed informazioni circa lo macchie solari, 299-300. Dolonte dello smarrimento d’una lotterà indirizzatagli da G., teme gli sia stata tra¬ fugata, e lo pnot Teofrasto. Pervenuto in pos¬ sesso d’una copia della sentenza contro G., no pubblica un sunto, XVI, 18, 35; XIX, 413-415. Reni. Corrispondono nel corpo umano a Venere, III, 219. Menzionati, Vii, 395. 302 INDICE DEI NOMI ECO. Runi bri Gio. Battista. XVILI, 278. * Renihiu Vincenzo. Suo incontro con lo Schoiner a Roma, subito dopo la pubblica¬ zione del Dialogo dei Massimi Sistemi , XIY, 300. Esprime a G. il proprio rincrescimento per non averlo potuto salutare prima ch’egli partisse da Siena per Arcetri, XV, 861, o per non essorsi potuto trattenere in Firenze nel ritorno a Genova, XVI, 8B-36. G. pensa a valersi di lui per l’attuazione della proposta agli Stati Generali d’Olandacirca il graduar la longitudine; od egli.chiedo informazioni circa le trattative, XVII, 29,38, avvertendo d’un’oc- casiono che avrebbe d’andare in Olanda con un’ambasceria genovese, 124, 133, 138, 221. Presenta il manoscritto dello suo TabulaciMe¬ dicene secundorum mobilium al Granduca, o si raccomanda a G. por ottenere una cattedra, 37-38,46,61, 73 e per procuraro uno stampa¬ tore alle sue opere, 52, 57. Comunica a G. una sua osservazione circa le vibrazioni dei pondoli, 52-53, si dichiara pronto ad intra¬ prendere le osservazioni delle Medicee e gli manda un sonetto contro il Ohiaramonti, 232- 233. Ristabilito dopo lunga malattia, si ricorda affettuosamente a G., 221-222. Torna a rac¬ comandarsi per la lettura, o per ossoro ad¬ detto in qualità di Matematico o di Astronomo alla persona del Granduca o di qualcuno dei Principi, per poter poi succedere a G., 252- 253. Avuta comunicazione da G. del modo da lui trovato per la misura pupillare, gli di¬ chiara come intende servirsene, 267-268, 325- 326. Prosegue le osservazioni dello Medicee, 268; XVIII, 38. Sfera venuta dall’Olanda, da lui veduta in Venezia, XVII, 268. Chiedo schiarimenti aG. oirca il misurare le distanze col cannocchiale, 307-308, ed i diametri delle stelle, 325. Fa personale conoscenza del Mi- canzio in Venezia, XVIII, 16. Partecipa a G. la morte della propria madre, 31. G. gli consegna tutto il materiale di osservazioni o calcoli delle Medicee, affinché egli possa [Ranieri Gio. Battista perfezionare le tavole dei moti medi e por¬ tarle Beco in Olanda, dove disegnava man¬ darlo; lavoro al (piale egli accudisco, tenendo informato il Maestro del buo progresso o compilando le effemeridi, elio comunica anche al Granduca ed al Principe Leopoldo de’Me¬ dici, 41, 52, 60-61, 71, 80, 88-89, 132-133,140, 148, 150-151, 162, 174, 184, 197, 200,231-232, 239, 243, 262, 276, 278,283, 327-328,330, 340; XIX, 620, 655. Accompagna Giovanni Ban¬ gio a G., XVIII, 72. Aiuta G. nel notare al¬ cuni riscontri fra il 'L'asso o l’Ariosto, 121. Co¬ munica a G. alcuni suoi pensieri sull’opera del Liceti o sulla Lettera al Principe Leo¬ poldo responsiva intorno al candor lunare, 115,150, 156-160, 173, 177-178. È nominato lettore di matematica nollo Studio di Pisa, 239, con gradimento del Castelli, 246, e del Cavalieri, 262. Annunzia a G. d’aver dato principio alle Bue lezioni, 273, gli manda il discorso inauguralo, 276, 282, 283, o lo rag¬ guaglia del buon avviamento preso dalla sua scuola, 278. Comunica a G. alcuno suo idee circa gli specchi ustori di Archimede, 283-284, 289, 299. Scrivendo delle cose dello Studio di Pisa, ricorda a G. il suo Capitolo in biasimo della toga, 302 o gli fa sapore d’avorio letto con alcuni amici, IX, 22; XYIU, 327. Ragguaglia G. intorno ad alcune espe¬ rienze Bulla caduta dei gravi, eseguite dal- l’alto della Torre di Pisa, e gliene esprime il suo parere, 305-306, 310. Dispersione di tutti i suoi lavori Bulle Medicee, avvenuta alla sua morte, XIX, 621. Annoverato dal Viviani fra i discepoli di G. che furono let¬ tori in pubblici Studi, 629. Nominato, III, 679; XVII, 25, 31, 62; XVLU, 35, 37, 72-73, 75, 84,91,108,119, 123, 167, 176, 191, 203, 207, 219, 251, 256-257, 271, 286, 287, 304, 313-314, 318, 332-333, 355, 370, 375. Reno di Germania. X, 393. Reno d’Italia. XIII, 296, 465; XIV, 243. Resistenza. Che cosa sia e come in Riccardi Niccolò] INDICE DEI NOMI ECO. 303 essa si comportino le qualità primarie, l, 170-177. Non può essere superata istvl(ic, pubblicate sotto il nome di Apollo, 401-402; od è manifestato al pubblico dal suo confra¬ tello Agniionio, XII, 29, 41, 51. Altra novità elio presume avere scoperta nel sole, XI, •186, 587. Il Bianconi gli attribuisce la prio¬ rità quanto allo osservazioni delle macchio solari, 509. Lettera del Sagredo al Welser contro di lui, XII, 45-46, 50, 274. Suo Sol ellipticus , 112, 115, 118, 136-137, 143, 147, che manda a G., 170-171. Manda le Disqui- sitiones mathemniicae a G., 187-138, delle quali scrive a quest’ultimo anche il Sagredo, 274. Suo giudizio circa l’osservazione del Mayr, 138. È in Roma, XIII, 249, tenuto in grande stima dal Card. Orsini, 266. Dichiara al Faber di concordare con G. circa il sistema mondano, 300; di lui afferma il Kirker elio aderiva al sistema tolemaico soltanto per forza o per obbedienza, XV, 254, ed il Do- acartos pensa elio nel suo interno parteg¬ giasse per il sistema Copernicano che com¬ batteva, XVI, 56. Sua Uosa Ursina, XIII, 300; XIV, 19, 22, 30, 255, 294-295, 297-298, 299, 804, 307-308, 322, 330, 3G7 ; giudizi in¬ torno ad essa del Colesti e dol Micanzio, XYI, 250, 208, 365, 375, 385, 392, 400-401 ; xvn, 231, 410; XVIII, 372, e di G., XVI, 391; XVU, 296-297. Suo turbamento all’an¬ nunzio della pubblicazione del Dialogo dei Massimi Sistemi, o intenzione di risponder [Scliciner Cristoforo subito, XIV, 360. Aveva già sospettato che in esso (ì. volesse attaccarlo, 367. Si lagna col Torricelli dol modo come G. l’ha trattato nel Dialogo, 887-388, e ne scrive al Gassendi, annunziando la sua intenzione di difendersi, a V, 47,183, 181. Il Gassendi esprime al Cam¬ panella il desiderio che s’interponga e lo ri¬ concili con G., 115. Accusato dal Naudó d’aver cooperato alla persecuzione e condanna di G., 88, 164, sospettato dal Gaffarei di aver de¬ nunziato G. al S. Uffizio, 141, e incolpato ilal Bemogger di insistere nel perseguitarlo, XVII, 865. Annunzia al Kirker la condanna di G., il compimento della sua nuova opera contro lui, e l’int enzione di pubblicarne un’al¬ tra in difesa della comune astronomia, XV, 184; di questa lettera il Kircher dà comu¬ nicazione al Pei rese; e questi al Gassendi, consigliandolo di non divulgarla, 219. Manda a stampare l'opera contro G. iu Germania, 290; XVII, 215, e sta compilando l’altra con l’aiuto do’ suoi confratelli in Roma, XV, 3O0. Suo discorso sulla longitudine di Roma, XVI, 14. 11 Guldeu attesta d’averlo avvisato della scoporta delle macchio so¬ lari, fatta da G. prima che da lui, 189; ! XYU, 193, 297. È a Vienna, ed il I’ieroni teme che uttraversi le trattative ch’egli sta proseguendo por la stampa delle Nuove Scienze, XVI, 301; XVU, 130-131. Giudizio su lui dell’Imperatore Ferdinando 111, 276- 277. Tenta impadronirsi dei manoscritti dol Keplero, 193, 277-278. Nominato, V, 10,11, 12, 13, 14, 18, 21; Vili, 14, 15; XI, 13, 100, 246, 374, 377, 404, 405, -107, 408, 413, •117, 418, 419, 422, 423, 424, 426, 429, 431, -139, 442, 446, 450, 464, 405, 467 , 408, 472, ■174, 481, 482, 487, 521, 531, 637, 598; XII, 15, 63, 80, 97, 100, 125, 142, 158, 180, 210, •109, *184, 487, 489; XUI, 255, 429; XIV, 332, 352; XV, 88,161; XVI, 169, 430, 432; XVU, 109, 302; XVHI, 432; XIX, 260, 361, 612, 613, 614. — V. Macchie Solari. INDICE DEI NOMI ECO. Scoto] INDICE DE: Sohhurlin. XII, 304, 353. * Soiiiokiiabdt Guglielmo. Si congratula col Ilerncgger por l’incarico offerto od ac¬ cettalo di tradurre il Dialogo dei Massimi Sistemi, XV, 243, 255, e lo incoraggia du¬ rante il lavoro, 2SG; XVI, 77, 103, 175. Avendo accettato di coadiuvarlo, XV, 264, gli comunica il proprio parere intorno alla traduzione di alcuno frasi, XVI, 02-63, 104, 108. (ìli ò chiesto dal Bernegger di tradurre alcuni degli ultimi fogli, 161. Esprimo al Diodati il desiderio d’avere da (J. un can¬ nocchiale, 266. Sua morto, 361-362, 367. Sua scrittura, concernente l’osservazione di Mer¬ curio sotto il sole fatta dal Gassemli, XVIII, 131-432. Nominato, XV, 206; XVI, 99, 101- 102, 106, 131, 143, 184, 240, 252, 258, 415, 434, 491, 492, 521; XVII, 23; XVIII, 428, 429, 431, 432. * ScmoKiiAitDT Luca. XVI, 143, 160. Schiller. XI, 445, 536. SouiiEion Clemente. XVI, 52, 104. SCIILUSSERBURO CORRADO. XIX, 322. ScnòNBBno Niccolò detto il Cardinale Caimano. Incoraggia il Copernico alla pub¬ blicazione della sua opera, V, 293, 312, 356; XIV, 401. SOHONRNBEROII [SoiIONKNBUROIl]GUALTIK- ro. XIX, 539. * 801101 * 1 » Gasbaur. Partecipa in Roma ad un colloquio sull’ opportunilii di risollevare la questione elei sistema copernicano dopo la proibizione, XIII, 181,183. Suoi Arcana IesaUica, XVI, 385. Sua straordinaria fe¬ condità letteraria, XVIII, 54. Chiama G. « or¬ namento e splendore del secolo », 254-255. Nominato, XII, 283, 393; XIII, 167; XVIII, 60, 228, 333, 334, 349, 350. * Souorkh Emanijrlr. Annunzia a G. che sono arrivati a Parigi trecento esemplari della traduzione latina del Dialogo dei Mas¬ simi Sistemi , fatta dal Bernogger, XVI, 375; e da parte di questo gli esprime il NOMI ECO. 321 desiderio d’un cannocchiale, 394-395. No¬ minato, 392, 401, 451. * Soiiokek Raimondo. XVI, 287. * Soiirkok [Tbrrenzio] Giovannt. Esce dall’Accademia dei Lincei ed entra nella Compagnia di Gesù, XI, 236, 239, 247, 284, 516. È in Augusta, XH, 275. Fa chiedere a G. un calcolo de eclipsibus, XIII, 166, 168, 178. Nominato, X, 363 ; XI, 174, 211, 224, 312, 352. * Soiikoter Bàrtolommbo. Manda a G. il suo giudizio intorno al Sidercus Nandù s', 0 scrivo di stare aspettando l’opera intorno al nuovo sistema del mondo ivi promessa, X, 393-397. * Scimi,kr Wolfgang. Suo osservazioni della nuova stella del 1572.11,284; VII, 306, ‘319, 329, 523, 524, 525, 528, 529, 532. * S0HUr,TZ [SOFIULTETUS] AjlRAMO. Osserva col Keplero uno dei Pianeti Medicei, III, 187. * Soiiweinitz Giovanni. Discepolo di G. in Padova, XIX, 152,153, ne riceve l’oroscopo, 153, strumenti e scritture, 154. E puro doz¬ zinante di G., 159. Nominato, 166, 196. Soiat (Barono). XV, 159. Scilla. V, 390, 392; VII, 445, 460, 462; XVI, 399. SCII’IONE (P. CORNELIO) AFRICÀNO. IX, 145. SoiPTONK (P. CORNELTO) NASICA. XVI, 373. Soomhurgio Niccolò. — V. Schònbcrg Niccolò. Scorno (famiglia). XI, 596. Scorpione (segno). II, 231; VI, 5, 28, 87, 221, 389, 390, 391, 425; VII, 286; X, 184; XH, 37, 283, 298, 421, 433, 434; XIU, 373; XIX, 615, 643. Scotanus Iicdivivus. XIX, 322. Scoto. Sue opinioni sul mondo, I, 29, 35, sui cieli, 72, 108, 112, sugli elementi, 133, 134, 145, 146, 148, sul moto, 284, 410. Nominato, III, 360, 361. Voi. xx. il 322 INDICE DEI NOMI ECC. [Scotti Carniccio * Sgotti Hanuooio. Notifica nella Svizzera, dove è Nunzio, la sentenza contro G. e la re¬ lativa abiura, XV, 325; XXX, 389. Scozia. II, 634; X, 256. Scrittura. Invenzione stupenda sopra tutte le altro, VII, 180-131. Scrittura Sacra. — V. Sacra Scrittura. Scultori. VII, 128, 130, 136. Scultura. Non inganna, Vili, 642. Pa¬ ragonata con la pittura, XI, 340-343. Secchia d’acqua. Usata da G. por mi¬ surare il tempo, Vili, 213. Suga Giovanni. XII, 445. * Skugett Tommaso. Manda da parte di G. al Keplero un esemplare del Sidereus Nuncius , III, 101, ed osserva con quest'ul¬ timo i Pianeti Medicei, 186, 187. Suoi Epi¬ grammi latini in lode di G. e dello sue sco¬ perto celesti, 11-12, 188-190; X, 45-1-455, 457. Sta attendendo con curiosità la spiega¬ zione dell’anagramma relativo a Saturno, 455. Sottoscrizione di G. nel suo Album ami - corum , XIX, 203-204. Nominato, IH, 12, 121; X, 336, 428, 483; XI, 12, 43. * Seqizzi Mio»ri.angelo. XIX, 277, 278, 279, 307, 321, 322, 419. Segni, banchieri. XIV, 52. * Segni Carlo. X, 85. •Sboni Louf.nzo. Dà a fitto a G. la villa di Bellosguardo, XIX, 183. Nominato, XILI, 75; XIX, 256, 257, 258, 259, 521. Sklkuuo. Sua opinione intorno al mondo, l, 23. Precursore del Copernico, V, 321, 352. Sua opinione sulla causa del flusso e re¬ flusso, VII, 486; XIV, 319, 335, 336. Nomi¬ nato, 311. Selmt Francesco. XIX, 46. * Selvatico Bartolomm.ro. XIX, 20i •Selvatico Benedetto. XIII, 16. •Selvatico Girolamo. X,303, 804; XIX, 230, 231. Selve (Villa delle). — V. Galileo. Sal- viati Filippo. Semiramide. IV, 411. S e m p r o n i e n8 e (Vescovo). — V. Middel- burg (di) Paolo. * Sbna (la) Pietro. XVI, 317-318. Sinapo. IX, 124. Seneca. So il inondo si muova restando forma la terra, o viceversa, II, 283; V, 321, 352. Suoi versi fatidici sulla futura sco¬ perta d'un nuovo mondo, III, 119; X, 335; XI, 21. Sue opinioni intorno al galleg¬ giamento, IV, 221, 261, 351, 352, 392, 393, 397, 786. Clie le comete non si producono per ofietto di congiunziono di pianeti, VI, 50; se facciano il loro corso fuori dolio zo¬ diaco, 52; Afferma, esser necessario avere sicura cognizione doli’ordino o dei moti dell’universo, 98, 116, o G. con lui, 233; XII, 492. Sua opinione intorno allo causo dei ful¬ mini e della loro maggior frequenza nel¬ l’estate, VI, 162, 165. Il Viviani afferma che G. l’aveva in gran parto a monte, XIX, 627. Nominato, 340, 380, 405, 482; XII, 414, 422; XIV, 430; XVI, 102. Senese Lorenzo. XVI, 440. Srnesio Felice. XIX, 332. Seno vane. Sue opinioni sull’eternità del mondo, I, 22, o sull'essenza degli astri, III, 363, 387. Srnoeontk. IX, 289. Sensibili. Comuni, o loro distinzione dai propri, Ut, 286, 324s, 337, 393-398; YI, 347s, 487s; VII, 552, 564; XVI, 154. Sentenza ed abiura di G. Il Nicco- I ini ne dà comunicazione al Cidi, XV, 165. II S. Uffizio ordina elio so no mandi copia n tutti i Nunzi ed Inquisitori, perchè sia portata a conoscenza di tutti i professori di filosofia o di matematica, 169; XIX, 284, 285, 363, 399, 419; i Nunzi o gl’inquisitori eseguiscono l’ordino ricevuto, 363-393, 411- 413, 419; XX, Suppi. al Doc. XXIV. Gio- vanfrancesco Buonaiuici riesce ad ottenerne copia e la consegna a G. in Siena, XV, 245- Sortini Alessandro] INDICE DEI 246 ; gliela richiede poi, per mostrarla ad un personaggio oltramontano, particolar¬ mente affezionato a G., XYI, 463. Suor Ma¬ ria Celesto riesco a leggerla, XV, 292-293. 11 Peiresc scrive elio in Aix no correvano esemplari, e si lagna di non averno avuta comunicazione dal Itenaudot, XVI, 18-19, che l’aveva pubblicata, XIX, 413-415. Il Pei- rcsc la fa leggere al Gaultier, XVI, 19. G. si lagna della pubblica menziono fattane dal Morin, 341. Tosto dei due documenti, o sunto datone dal Renaudofc, XIX, 402-407,413-415. Seppi Arcangelo. XY, 180, 186, 197, 198, 199, 204, 207, 220; XVI, 81. Seppi Girolamo: XV, 180. ♦Sera (del) Cosimo. Gerì Bocohincri con¬ siglia G. a far pratiche prosso lui in lavoro del figliuolo Vincenzio, XV, 334. Dispone perché il pagamento della provvisione di G. sia fatto in Firenze, XVI, 494, 503-501. No¬ minato, XIV, 440; XVI, 105; XVII, 170. Sera (del) Francesco. XIX, 430. Seraitina (Suor). XIX, 519. ♦Serafini Orazio. Informa il Rocca in¬ forno ai cannocchiali del Fontana o ad una macchina di G. per lavorare lenti da can¬ nocchiale, XVHI, 85. Serafino (Don). XH, 113,116; XIV, 144. Serassi Pier Antonio. IX, 10,11,14,15. Seravezza (da) Celio. XVII, 364. Serena Battista. XI, 321. Serenai Lodovico. II, 151; Vili, 28, 32, 33. Sereno. XII, 444; XIII, 387. Se re zza n a. XIX, 53, 85. ♦Sergardi Fabio. XVI, 25. Bercio (P.). Consultore del S. Uffizio, XIX, 292. Sergrifi Francesco. XIX, 435. ♦Sbkipandi Claudio. Suoi versi latini in lode delle scoperte celesti di G., X, 399, 413. Sermartelu Bahtolommko. IV, 199; XVI, 408. NOMI ECO. 323 SEI! MARTELLI MICHELANGELO. XI, 388, 400. Se il sii ni Lorenzo. XIX, 35. Sehni Bàktolommeo. Procurntoro di G. per la riscossione dolla pensione di Brescia, XIV, 304-305; XIX, 468, 469. Serpentario. — V. Ofiuoo. Serpente (costellazione). VI, 32; X, 182. Serpentino. IX, 183, 184. Serpi. Camminare di esso, Vili, 610 Serra (Mons. re ). XIII, 465. ♦Serra Iacopo. XI, 291. Serrauio Niooolò.— F.Serurier Niccolò. Serravalle. XIX, 52, 84. Serristori Lodovico. Sue relazioni col Grassi in servigio di G., XIII, 194, 196, 199, 252. E tra i primi che ricevono il Dia¬ logo dei Massimi Sistemi , XIV, 368, 369. Come Consultore del S. Uffizio, visita G. durante il processo, XV, 45, 50. ♦Serristori (Sig. ri ). X, 453, 456, 475; XI, 503. Serbe. Ili, 187; XVII, 206. Serti ni (Sig. rl ). XV, 308; XIX, 190. ♦Seiitini Alessandro. Chiede il giudizio di G. sopra un suo sonetto, che gli manda, X, 63; e due Compassi con le relativo istru¬ zioni e ciò che avesse pubblicato intorno alla Stella nuova, 142-143. Manda a G. un saggio di sue poesie, desiderato da un Prin¬ cipe, e scrive d’altre che sta per mandare il Salvadori, 217-220. Raccomanda a G. un suo amico, che si reca a Padova per farsi cu¬ rare, 218-219. Da parto di F. Buonamici gli chiede informazioni circa la lettura dello Studio di Padova, rimasta vncanto por la morte di F. Piccolomini, 251-252. Descrive a G. l’ammirazione e la curiosità di Firenze per il Sidereus Nuncius , gli chiedo un can¬ nocchiale, e gli comunica la conclusione delle trattative per mettere la Virginia sua fi¬ gliuola in monastero, 305-306. Informa G. 324 INDICE DEI NOMI ECC. circa le scritture d’alouni suoi oppositori, o di alcuno composizioni poetiche in onoro dolio scoporto celesti da lui fatto, 300,398- 399, 411-413. G. si fa supplire da lui noll’uf- ficio di Consolo dell’Accademia Fiorentina, XUI, 90-91 ; XIX, 444. Annoverato dal Vi- viani tra i gentiluomini fiorentini, discepoli di G., 028. Nominato, IX, 2.53, 235; X, 285, 286, 405, 440, 417, 453; XI, 90, 503, 513, Oli; XV, 96; XVI, 23; XIX, 190, 521. Semini Filippo. XII, 188. Semini Luigi. X, 218. ♦SeuUMKR [SbRARIUS, SkRRARTO] NlOOOlA Sua dottrina sopra il X° capitolo di Giosuè, XIX, 308. Servi (do’) Costantino. XIX, 485. Servi (de’) Francesco. XIX, Ik5. Servi '.do') Fulgenzio. — V. Micnmsio Fulgenzio. Sestante. Adoperato da II. Capra, li, 301-302. Da G. neU’osservare gl’intervalli fra due stelle, YLI, 341. Modo di dividerlo, per¬ chè somministri frazioni piccolissime, Vili, 455. Sestini Ippolito. XIX, 34. Sesto. XIX, 503. Sestri. XIX, 53, 54, Seta Agostino. XII, 116, 11!). '“Seta Francesco. Kaccuiuamiato dal San¬ tini a G. f XILI, 321-322. Seta Ippolito. XIX, 26. Setaiolo (del) Filippo. XIX, 20, 21, 22. Setaiolo (del) Iacopo. XIX, 20, 21, 22. ♦ Settata Lodovico. Chiede a G. un esem¬ plare della sua Difesa contro il Capra, XIII, 52-53. G. chiedo ed ottiene dal Cavalieri in¬ formazioni sul suo conto, 55. Sbttelk Giacomo. XIX, 420, ‘121. Settignano. XII, 121. * Settimi Clemente. S. Giuseppe Cala’- sanzio, Generale del suo Ordine, gli concedo di trattenersi presso G. anche di notte, XVIII, *40, 41, 42, 44. Da Siena manda a G. [Sorti ni Filippo notizie di aò, del Principe Leopoldo do’ Me¬ dici o del Michelini, 189-190; e da Roma di i Magioni e del Nardi, 316-317, informan¬ dolo di un abboccamento avuto col Torri- colli, 323-321, il quale ne scrivo a G., 331. Inquisito dal S. Uffizio, principalmento per aver avuto relazioni con (>., 372. Nominato, Vili, 21, 22; XVII, 321, 107; XVIII, il, 2l’ 31, 38, 39, 40, -13, 51, 58, 61, 68, 71,81,96, 109, 116, 120, 130, 153, 332. *Seus8 Giovanni. X, 487. Severo. I, 63. Sfora. Trattato di Archimede De slamerà et cylindro, postillato da G., I, 229-242, am¬ pliato dal Torricelli, XVIII, 382. Se tocchi il piano in un punto, I, 410; VII, 229-236, 682-683, 715-750; Vili, 589; XVI, 141, 222- 223, 227. Sopra una superficie ben tersa e pulita sta ferma, ina con disposizione d’es¬ sere mossa da ogni piccolissima forza, II, 179-180; Vili, 590. Di data materia, comesi trasformi in ultra, di peso ugnalo ma di materia diversa, mediante il Compasso geo¬ metrico e militare, II, 397, 479, 576, e in un cubo, 177, 576. Figura nobilissima, pro¬ pria dei corpi celesti, secondo i Poripatetici, VII, 109-111, 645; XI, 118, 146-148. Non si vede mai in iscorcio, VII, 79. Differenza tra 01 perfido perfettamonto sferica e disco pcr- fettamento circolare, 639. La figura sferica è contenuta sotto la minima superficie, Vili, 136, 601. Teoremi del Valerio ad ossa re¬ lativi, XI, 560. Dove sia il suo centro di gravità, XVI, 352. Sfera. Trattato di G. intorno ad essa col titolo di Trattato della sfera ovvero Cosmografia , II, 203-255. Insegnata da G. a Padova, in pubblico, XIX, 119, 120, ed in privato, 151, 153, 154, 158. Sfere copernicano. Fatta costruire dal Marnili, XIV, 283, 294. Dell’Alberghetti, XVI, 108-109, 127, 131, 135, 172, 256, 437; XVII, 32, 260; XVUl, 112. Venuta a Vene- Silvestro] INDICE DICI zia dall’Olanda, XVI, 114, 411, 437, 440, 442, 44(1, a Roma, 425, 427, a Firenze, XVII, 10, 30, 31. Mostrata dal Rinuccini al Ro- nieri, 268. Sfinge. IV, 482, 643; VII, G29. * SfondiiA* ti Paolo. È a lui, come a Segre¬ tario della Congregaziono del S. Uffizio, de¬ nunziata dal Rovini la lettera di Of. al Ca¬ stelli, XII, 140; XIX., 297-298, 308. Sua circolare agli Inquisitori circa la proibizione del Copernico, XII, 252. Nominato, XIX, 276, 277, 279. * Sforza (Duca). XI, 352; XII, 68. * Sforza Francesco. Sua morto, XIII, 208 * Sforza Colonna Costanza. X, 245. Si lillà (Suor). XV, 147. Siccità. Se sia una qualità prima, I, 158-159; positiva o privativa, 161-162; at¬ tiva o passiva, 161-166. Sua influenza sul galleggiare dei corpi, IV, 327, 502-507, 546- 547, 568-572. Sicilia. HI, 383, 390; IV, 351; V, 390, 392, 393; VII, 445, 400, 4G2; XI, 32, 33, 252. Sidereus Nuncius ccc. di G. IH, 9-10, 10-96. Abbozzo autografo, riprodotto in facsi¬ mile, 15-50; stampa originale, 51-96. Li¬ cenza di stampa, 58; XIX, 227-228. Signi¬ ficato vero di questo titolo, VI, 388-389. Men¬ zionato, ni, 9, 10, 404, 407, 40S ; IV, 63 ; V, 192 ; VI, 169, 213, 215, 217, 257, 273, 274, 407, 422, 423, 434, 464 ; VII, 3; X, 288, 291, 299, 302, 305, 306, 308, 309, 310, 311, 312, 314, 316, 317, 318, 343, 348, 354, 357, 358, 359, 361, 363, 371, 372, 373, 386, 394, '418, '129, 430, 436, 442, 449, 460, 461, 467, 468, 481 ; XI, 21, 30, 31, 77, 90, 98, 121, 134, 135, 179, 180, 219, 426, 585, 586; XIII, 276; XVI, 27, 141, 212, 486 ; XVII, 109, 126, 217, 268, 291; XVIII, 117, 162, 172, 175, 222, 409, 410, 413 ; XIX, 589, 610. — V. llorlcy Mar¬ tino. Kepler Giovanni. Lagnila Giulio Ce¬ sare. Rofìeni Gio. Antonio. Sizzi Francesco. Wodderborn Giovanni. NOMI ECO. 325 Sidereus Nuntilis del Collegio Ro¬ mano. — V. Nuntius Sidereus. Siebonburgcn. X, 256. Siena (Città). S. Agostino, XVII, 412. — Cumulila, XVI, 357. — Torre del Mangia, XVI, 49. — V. Campana. Siena. Nell’andare a Roma por il Pro¬ cesso, G. vi si trattiene presso il Quaratcsi, XV, 22, 37. Invitatovi dall’Arci vescovo Pic- colomini, 124-125, 135, 137-138, 153-154, G. vi si reca dopo la conclusione del Processo, 10.3, 165, 168, 170; XIX, 284, 362, 363, 364; e vi si trattiene, XV, 187, 217, finché gli viene accordato il permesso di far ritorno in Arcetri, 344, 345, 350, 352; XIX, 286, 389, 391, 617, 634. Menzionata, III, 442; XIX, 36, 75, SO, 393. Siena (da) Benedetto, Gesuato. Il Ca¬ stelli annunzia a G. una di lui visita,XVTI, 259. Siena (Inquisitore di). Gli si scrive da Roma per sapere so G., colà relegato, si mostri mortificato e se faccia conventicole eoi suoi amici o scolari, XV, 265. Siena (da) Sisto. Suoi computi dol tempo dalla creazione del mondo, I, 27. Siena (Vicario dol S. Uffizio in). XV, 283; XIX, 375. Sifone. Quesito fatto intorno ad esso dal Italiani a G., XIV, 124-125 e risposta di questo, 127-129 ; XVIII, 70. Sigierò. IX, 90, 121. Sigismondo boemo. XIX, 149, 150. * Sigismondo Ili, Re di Polonia. XIII, 16, 110, 231. Signa. XrV, 271; XIX, 503, 504. Silvano Domenico. XIX, 34. * Silvestri Andrea. XV, 108. Silvestri Francesco. Maestro del Co¬ pernico, XH, 32. * Silvestri Pafirio. Consultore del S. Uffi¬ zio, XIX, 289. Silvestro (Messer), amanuense. XIX, 140, 166, 107. 326 indice dei nomi eco. Silvi Giovanni. Informa G. intorno a ano nipote Vincenzio, XIII, 435-436. Conti di G. con lui, XIV, 141, 142, 153, 167, 261. Scrivo aG. de’ Buoi incomodi; e lo prega di procurargli dell’ olio da stomaco, del Gran¬ duca, 153,154-155. Nominato, XIII, 259, 391, 393, 421, 428, 437, 447, 453. Silvia. IX, 197. Silvio (Sig. r ). XII, 40. Simanoas (de) Dikuo. XIX, 530, 561. Simonoeli.1 dal Monte 13 al duino. XII, (il. Simone (P re ). XIX, 190. Simone. — V. Massi Simone. Simone di Domenico, mulattiere. XI, 491. Simonecti dallo Gualchiere Leonida. XVI, 40; XIX, 520. Simoni Agauito. Manda a G. il permesso di potersi confessare e comunicare nella sua parrocchia, XYU, 321. Nominato, XIX, 37o. Simpatia o antipatia. Termini UBati da alcuni filosofi per spiegare quello che non sanno chiarire, VI, 244; VII, 436; Vili, 116. Simplicio, commentatore di Aristotele. Del mondo, I, 15-17; del cielo, 21, 23, 57. (ÌO, 63, 64, 69, 72, 76, 77, 80, 87, 103, 104, 108, 113, 118; degli elementi, 123,124,130, 131, 144, 150; del moto, 288, 387; IV, 20N, 424, 738, 740. Nominato, HI, 331; IV, 205, 211, 222, 228, 230, 241, 261, 278, 385, 407, 408, 421, 426, 763, 774, 775; VII, 9, 31 ; XYL 126, 127. Simplicio, interlocutore noi Dialogo dei Massimi Sistemi. VII, 8, 9, 33s: G. non in¬ tese di personificare con caso Urbano \ III, 9; XVI, 363, 449 - 450, 455; XX, Suppl, n.° 3325bis: nominato, VII, 36, 38, 41, 48, 55, 59, 61, 64, 65, 66, 67, 69, 71, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 81, 93, 94, 96, 97, 100, 105, 106, 107, 109, 111, 118, 114, 115, 119, 122, 127, 129, 133, 134, 136, 137, 139, 141, 144, 146, 148, 150, 151, 155, 159, 160, 162. 165 , 166, 169, 171, 178, 179, 180, 181, 183, [Silvi Giovanni 184, 185, 188, 190, 193, 194, 197, 199, 200, 202, 203, 206, 208, 210, 211, 216, 217, 218, 223, 227, 228, 229, 231, 235, 236, 239, 244, 246, 247, 249, 250, 251, 257, 258, 259, 260, 265, 266, 267, 273, 279, 280, 281, 285, 286, 288, 289, 297, 298, 300, 302, 304, 305, 309, 310, 314, 317 , 328, 346, 347, 348, 349, 353, 357, 360, 361, 304, 365, 368, 370, 379, 380, 382, 383, 384, 391, 392, 393, 394, 401, 402, 403, 404, 412, 423, 425, 430, 436, 437, 438, 139, 446, 448, 449, 452, 461, 467, 469, 474, 488, 543, 516, 593, 595, 606, 607, 608, 610, 614, 617, (518, 619, 620, 628, 632 , 636, 637, 650, 652, 654, 667, 670, 672, 675, 677, 679, (583, 700, 706, 750; XIX, 329,351,854. In¬ terlocutore nei Discorsi delle Nuove Sciensc, Vili, 29, 49$: osservazione del Castelli, XVIII, 26. Nominato, Vili, 52, 56, 61, 63, 67, 73, 76, 77, 78, 79, 81, 87, 91, 92, 93, 96, 97, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 112, 116, 117, 118, 125, 129, 130, 131, 133, 134, 136, 151, 157, 161, 164, 170, 171, 175, 179, 198, 200, 202, 214, 215, 268, 2C9, 280, 310, 321, 349, 352, 354, 358, 360, 362, 447. No¬ minato, XlYj 358, 366; XII, 363; XVU, 388. Simulici ter e secundum quid. Come debbano interpretarsi quoslo parole di Ari¬ stotele, IV, 45, 125-127. * Sinceri Carlo. Procuratore fiscale c Cor- sultoro del S. Uffizio, XIX, 277 , 283, 285, 288, 289, 337, 405. Sindico tedesco. XIX, 165. Sini Giovanni. XII, 108, 340. Siniuàlu Tiurhio. Inquisitore di Pisa, notificherà la sentenza contro G. ai filosoli od ai professori di matematica di Pisa, ap¬ pena sarà aperto lo Studio, essendo già stata pubblicata dal Vicario doll’Aroivescovo, XV, 285; XiX, 382. Siracusa. 11, 369; YI, 412. Siri Francesco. XIX, 430. ♦Siri Vittorio. XIX, 11. Sofismi] INDICE DEI Siria. IV, 351, 392-393, 624, 786, 787; VII, 9, 275, 443, 466, 485. Siriano. Intorno all’argomento dei libri De caelo di Aristotele, I, 16. Nominato, IH, 377. * Sirtori [Sirtuho] Girolamo. Suo trat¬ tato sul cannocchiale, intitolato Tclcsco- lriunì, nome che aveva sentito dal Cesi, XI, 420. Il suo trattato ò indicato al Keplero dal Remo, XII, 417, 423, regalato dal Dal Pozzo a G., XV, 158 ; menzionato, XIX, 11. Sistema del mondo.— V. Argoli An¬ drea. Bardi Girolamo. Brahe Ticono. Coper¬ nico Niccolò. Systerna mundi. Tolomeo. * Sisti Niooolò. X, 441. Sisto V. IH, 330; XV, 108. Sisto (Card, di S.).— V. Zaccliia Laudivio. * Sittious di Hoiirnhms Marco, Arcive¬ scovo di Salisburgo. XI, 473. Situ (De) et quiete terrete contra Copernici systema Disputatiti di F. Ingoli. V, 397-412. — V. Iugoli Francesco. Moto della terra. * Sizzi Francesco. Sua Aiavoux astrono¬ mica, oplica, physica ccc., con postille di G., Ili, 12, 201-250. Citato tra gli oppositori allo scoperte celesti di G. dall’llorky, 138, che gli manda con una lettera la Brevissima Percgrinatio, X, 386-387. La Ai4voia è de¬ dicata a 1). Giovanni de’ Medici, III, 205- 206; X, 413, o scritta con l’intervento di un Irate di S. Trinità, 411; XI, 75, e di concerto col Magmi, X, 412. (}., sapendo che si doveva stampare a Venezia, ne fa richiesta al San¬ tini, 464, che promette di procurargliela, 495, ed intanto lo avverte che n’ è ritar¬ data la pubblicazione per difficoltà, solle¬ vate dall’ Inquisitore, XI, 50, e gli annunzia poi die è arrivata a Lucca, 69. Un esem¬ plare, accompagnato da una lettera dell'au¬ tore, è mandato al Magini, 74-76, ed al Cla- vio, 88-89. Giudizio intorno ad essa del Keplero, 77, 90-91, dei Gesuiti del Collegio NOMI ECC. 327 Romano, 79, 91, del Porta, 157, del Sagrcdo, 351. D. Antonini s’immagina elio sarà una « cremoninata », 129. Innocenzo Perugino ed il Remo giudicano che G. sia stato da lui confutato, 166, 247. Scrive, intorno alle macchio solari od alla disputa sulle gal¬ leggianti, al Morandi, 491-493, che manda la lettera a G., rallegrandosi della palinodia daini recitata, 530. Nominato, III, 138,159; X, 464; XI, 112, 159, 284; XIX, 610. Suor. XVI, 421. Smkduooi Girolamo. — V. Bartolommei Smeducci Girolamo. Smeraldo. Pesato in aria ed in acqua, I, 225, 226, 227. * Snell Willebrordo. XIII, 278. Soazza [Soaoi] Guerrino. XIX, 32, 37, 40. Soazza [Soaci] Pietro. XIX, 33. * Soazza [Soaci] Taddeo. XUI, 15; XIX, 38, 40. Sorrino. IX, 178. Soconisco. XI, 525. Soorate. Lodi di lui, VI, 189-190; VII, 127, 610. G. ò così chiamato dal Castelli, XV, 20 e dal Magiotti, XVI, 381, 383 ; XVII, 64, e a lui paragonato dal Poiresc, XVI, 202, dal Diodati, 490 e dal Bernegger, XVII, 365. No¬ minato, IU, 163, 324, 375; IV, 218; VII, 128, 183; X, 292, 296; XI, 221; XIV, 366; XVIII, 245. Sodkrini Gio. Battista. XIX, 105. Soell Giacomo Cristoforo. XIX, 161. Sofia. IX, 71, 105. Sofismi. Dottrina ex ignotis, I, 285. Di deduzione e di induzione, IV, 52, 155, 163, 190, 225, 388s, 463, 464, 465, 487s, 500, 521, 528, 530, 538s, 547s, 560s, 5675, 611, 624, 641, 699, 744. Errori logici di G. se¬ condo il Grassi, dimostrati errori del Grassi da G., VI, 122s, 195s, 245s, 265, 272, 372s, 405s. Sorito sofistico, VII, 66. Dimostrazioni sofistiche, 163, 166, 245, 272, 289, 290 584, 328 INDICE DEI NOMI ECC. 725, 726. Argomentazione sofistica del Li- ceti, Via, 400, 407. Sofocle. VI, 232. Sofronia. IX, 62,75, 76-77. Sofronisoo. HI, 11, 163. Soi.oourt Giovanni. XVI, 415. ♦Soldani Iacopo. Sua satira contro i Pe¬ ripatetici, XIII, 162. Saluta G. e gli an¬ nunzia un dono mandatogli dal Principe Leopoldo do’ Medici, XVI, 371. Manda al Principe, da parte del Castelli, i Discorsi delle Nuove Scienze, XVIII, 16-17, e gli an¬ nunzia che la lotterà di G. in risposta ni Liceti è in inano del Nerli, 252, di concerto col quale noterà e toglierà tutte lo morda¬ cità, 252-253. Accusa a G. ricevimento di una parte di Archimede, che il Principe aveva desiderata, e gli fa sapore che questi attende; la lettera sul candor lunare, 274-275. Ricam¬ bia i saluti di G., anche da parte del Prin¬ cipe, 435. Annoverato dal Viviani tra i gen¬ tiluomini fiorentini, discepoli di G., XIX, 628. Nominato, V, 305; IX, 213; XI, 478; XII, 162, 375; XV, 199 ; XVI, 48, 424, 484; XVII, 306, 400, 413; XVIU, 15, 25, 279, 280, 416, 435; XIX, 444. Soi.dani Ilarto. XV, 176. Soldato (del) Iaoopo. XIX, 462, 464. Sole. Suoi moti in relazione al computo del tempo, I, 43; II, 229-230, 236-238. Dia¬ metro apparente, I, 54; VII, 386. Centro della sfera stellata, II, 198s; IH, 123; V, 347s, 404; YI, 5135, 539, TU, 58,349,368 ; X, 2S6,339, 500; XI, 21-22, 48, 53,154. Gran¬ dezza comparata a quella della terra, II, 222-223, 247. Influssi, III, 215. Corrisponde all’oro fra i metalli, od al cuore nel corpo umano, 219. Descrizione della sfera solare, V, 118. Controversie sulla sodezza del suo corpo, 200. Pareli, VI, 67. Perchè apparisca ovato presso l’orizzonte, 354, o perche mag¬ giore basso che alto, 355-356; Vili, 462- •163. Parallasse, VI, 513s, 519; VII, 311. Di- [Sofodo stanza dalla terra. 386. Strumento armillare fabbricato da Archimede per prenderne l’ingresso nell’equinoziale, 414. Relazione col flusso e reflusso, 444, 482s. Irregolarità del suo moto apparente, 481. Avvicinamento o discostamento dalla terra, Vili, 460-461. Per conoscere il suo luogo in relazione allo fisse, 463-464. Prima menzione della sua ro¬ tazione, XI, 214. — 7. Copernico. Eeclissi. Luna. Macchie solari. Mattonata. Solstizi. Solerti Angelo. IX, 10,11,12,26; XIX, 12 . Solidi. Come, mediante il Compasso geo¬ metrico e militare, si possa crescerli o di¬ minuirli secondo qualsivoglia proporzione, U, 348-349, 392, e trovare qual proporzione abbiano tra loro duo simili, 392-393, 474, 574. Concorrono a formarli le tre dimen¬ sioni, IV, 643-644. Conservano l’impeto im¬ presso più che i liquidi c gli aeriformi, VI, 321, 165, 556. Si possono diminuire senza che la cosa riesca percettibile alla bilancia, 332-333. Quelli che stropicciandosi non si consumano, non si riscaldano, 333. Da su¬ perficie uguali di due di essi, levando con¬ tinuamente parti uguali, si riducono l’una in una circonferenza di cerchio, l’altra in un punto, Vili, 73-75. Simili, sono tra loro in sesquialtera proporzione delle superficie, 134- 135. Di rivoluzione, studiati dal Cavalieri, Xin, 318, 323, 343; sforali, del Torricelli, XVIII, 345. Meno di niente, del Castelli, XVI, 339-340. — 7. Centri di gravità. Re¬ sistenza. Solimano. IX, 110,121. Solino. IV, 393. Sol sudari Agnolo. XIX, 187. Soli.uoahi Lionardo. XIX, 187. Solone, rx, 286,288. Solstizi. II, 232s. Osservazione esatta dell’arrivo c partenza del sole da quello estivo, fatta da G., VII, 414-415. Solutio (hactenus optata) famosi et Specchi] INDICE DEI antiqui problctnaiis de tellurio motti vcl quiete di G. B. Morìu. Estratto da que¬ sta scrittura, con le note di G., VII, 15-17,547- 568.— V. Morin Gio. Battista. Moto della terra. Somai Isabella. XIX, 183. Sommata Giovanni. XIII, 83. •Sommata Girolamo. Sue relazioni con G. come provvisionato dello Studio di Pisa, XII, 109, 111, 177, 384; XIII, 35; XIT, 245-2-16; XY, 121, 297, 298-299, 304; XIX, 233-246. Ringrazia G. per il dono del Saggiatore, XIII, 153, gli scrive del Panatomi co Dano, e gli partecipa il buon avviamento delle le¬ zioni dell’Aggiunti, 342-343. Nominato, XU, 132, 134,135,144, 154, 158, 1G2, 16G; XHI, 83, 152; XIX, 237, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 428. * Sommi Faustino. X, 505; XIII, 16; XIX, 119. Soncinate.— V. Barbi Paolo. Sonoini Gio. Battista. XVUI, 340. Sonetti di G. IX, 24-26, 224-227. Soranzo. X, 76. •Soranzo Franobscjo. XIX, 127, 5S7. * Soranzo Giovanni. XIII, 377. * Soranzo Lorenzo. Ricevo da G. un com¬ passo da quattro punte, XIX, 147. Salo con G. sul campanile di S. Marco per esperi- mentare il cannocchiale, 587. Sorbona. XVI, 293, 297; XVII, 34; XVIII, 318. So ria. Y, 394; VII, 142; X, 168, 208. Sosia. YI, 395, 396. Sostanza. Distinta dagli accidenti, IY, 207. Coleste, se differisca dalla elementare, VI, 294, 441, inalterabile la prima, altera¬ bile la seconda; necessarie in natura, secondo Aristotele, VII, 33, 72, contrarie tra loro, 38. Intangibili ed impenetrabili, 94. Può di¬ strarsi e rarefarsi in immenso, senza am¬ mettere in sè alcuno spazio vacuo ; ed all’ in¬ contro condensarsi in immenso, senza alcuna penetrazione di corpi, XVI, 163. NOMI ECO. 329 Soto Domenico. Degli elementi, I, 144, 146, Sotti Alfonso. XIX, 117. Soutiiwkll Roberto. Vili, 32, •Sovruo [Souvey] Bartolommho. XI, 414; XIII, 329. Sozzi Andrea. Eseguisce una commis¬ sione dell’Arcivescovo di Siena per G., e pro¬ testa a questo la sua devozione, XVI, 357. Nominato, 34.7. •Sozzi Mario. Accusa il Settimi al S. Uf¬ fizio, XVUI, 372. * Si* ada Bernardino. XIV, 17, 20, 21, 28, 32, 33. Spagna. G. desidera mandarvi de’suoi primi cannocchiali, X, 298, 301, e copio ma¬ noscritte dello Nìiovc Scienze, YIII, 44. Men¬ zionata, VII, 143 ; VIU, 61 ; X, 256, 294, 356, 494; XI, 172; XVII, 396.— V. Longitudini. Spagna (Ambasciatore di). X, 314. Spagna (Contestabile di). X, 404. Spagna (di) Ferdinando, detto il Car¬ dinale Infante. XYI, 285. Spagna (Principe di). XII, 213. Spagna (Re di). — V. Filippo III. Fi¬ lippo IV. Spagna (Regina di). Desidera un can¬ nocchiale di U., XIV, 147, 165. Nominata, 118. Spalla. Parto del fianco nelle fortifi¬ cazioni, n, 33, 86-87. Spalto. Suo ufficio nello fortificazioni, II, 39-40. Spazio. Proporzione tra quello per il quale si muove la forza e quello per il quale si moverà la resistenza, II, 15Gs, l6Gs, 189. Passati dai gravi cadenti, sono come i qua¬ drati dei tempi, VII, 248. Assegnato per ricetto d’una fissa, ò molto minore di quello assegnato ad un pianeta, 397. Nullo, per gli indivisibili, XYI, 137. — V '. Forza. Moto. Specchi. Theorica speculi concavi sphae- rici di G., HI, 865-869. Concavi, YIU, 520; INDICE DEI NOMI ECO. 330 X, 437-438, 443, 446, 496; XI, 19; XIU, 94, | 172-174, 815, 880-381, 832, 339; XYUI, 158. Ellittici, XIV, 59. Iperbolici, XI, 479; X1Y, 59. Parabolici, IH, 239; X, 492; XII, 89; XIII, 94; XIV, 59; XVI, 225,386, 402; XVH, 32, 210, 220. Piani, VI, 69, 136, 282, 290, 433, 450; VII, 90-98; X, 443; XI, 513; XIU, 307, 314, 315, 331, 332,835. Sferici, VII, 99-102; XIV, 59; XVII, 220. Ustori, III, 395, 867; VI, 259; Vili, 86 87; X, 438; XI, 472, 477 ; XIII, 94, 330, 331, 335, 339 ; XIV, 364, 377, 378, 39*1, 439, 441, 444; XVI, 132, 201, 204, 225, 396, 397, 402-404, 412-413, 428, 433-434, 477, 513, 520; XVII, 220, 302; XVIII, 67, 283-284, 289, 299. Di vetro e d’acciaio, XI, 539, 556; XIII, 336, 339. Specie. IV, 627; XYHI, 283. Speranza (Suor). XIX, 519. Sperindio Angelo. — V. Vincenzo, In¬ quisitore di Pavia. Spbziat.i Antonio. XII, 239. Spianata. Intorno alle fortezzo, U, 109- 110, 128. Spica della Vergine. Così chiamata dai latini la Btella Azimet, I, 46. L’IIorky afferma d’averla vista doppia col cannoc¬ chiale di G., III, 142, 171; X, 358, 387. Il Castelli si riferisco ad ossa in osservazioni dei Pianeti Medicei, XIt, 30, 37, 50. Men zionata, II, 254, 279, 280, 302 ; XII, 422 ; XVII, 137. Spighi Franoesoo. XIX, 521. Spighi Viroinia. XIX, 521. •Spighluo [Spieghi.] Adriano. XIII, 17, 387. Spigliati Francesco. XIX, *185. Spigliati Giovanni. XLX, 439, 441. Spigliati Lorenzo. XIX, 439, 441. Spigliati Martino. XIX, 485. Spina Giacomo. Ili, 227. * Spinelli Girolamo. Suo Dialogo in lin¬ gua pavana, sotto lo pseudonimo di Cecco di Uouchitti, dedicato ad Antonio qjuemigo, [Specie li, 271-272, 309-334; X, 141. Sua Lettera apologetica in favore di G. addotta noi dibat¬ tito col ('apra, II, 601. Assicura G. clic si ndoprerA con la sua autoriti\ a vantaggio del Castelli, XIII, 169-170, 171. Nominato, X, 174, 175, 176; XI, 266, 570; XII, 95,502-, XVI, 164; XVII, 146. Spini Carlo. XIX, 485. Spini Gerì. XIX, 212. Spini Leonardo. XIX, 185. Spino Diego. XIX, 585, 537. Spinola. XIU, 331, 332. Spinola (Marchese). — V. Spinola Am¬ brogio. •Spinola Ambrogio. XIII, 67; XIV, 139. •Spinola Andrea. XIV, 130, 160. Spinola Lattica. XIV, 147. •Spinola Daniele. Attestala propria os¬ servanza a G., XV li, 54-55, e si conduolo con lui per l’incipiente malattia d’occhi, 61-62. E lieto di supero che qualche dubbio da lui sollevato circa l'opera De motti gra¬ vi uni del Italiani abbia incontrato l’appro¬ vazione di G., XYUI, 35, 79-80, 118-119, ed ha incominciato a loggero i Discorsi delle Nuove Scienze, dei quali lo ringrazia, espri¬ mendogli tutta la propria ammirazione, 79- 80, 108. Richiesto da G., gli comunica il suo parere intorno al cap. 50° del Lithcosphorus del Liceti, 167-169; o quegli roplica annun¬ ziandogli che d’ordine dol Principe Leo¬ poldo de’ Aledici Bta preparando la risposta, 170-171; risposta ch’egli attende, 174-175, o che partecipa poi d’aver letto con grandis¬ simo gusto, 188. Nominato, Vili, 19, 470, 172; XVII, 56, 57, 73,133,253; XYUI, 31, 37, 41, 73, 143, 145, 177, 185. • Spinola Fabio Ambrogio. XIII, 241,248. • Spinola Francesco. XIV, 147. Spinola Giorgio, Cardinale dol titolo di S. Agnese. XIX, 291. • Spinola Girolamo. XVIII, 283. ♦Spinola Luigi. XVI, 373. INDICE DEI NOMI ECO. Stati Generali eco.] * Spinola. Tiberio. Riferendo a G. una conversazione da lui avuta con colui elio in Olanda passava per 1* inventore del can¬ nocchiale, scrive che nessuno di tali stru¬ menti da lui veduti arrivava all’eccellenza di quello che G. aveva mandato al Card, di Joyeuse, e gliene chiede uno, XIII, 56-58: od avuto un vetro, con promossa d’uno migliore, ringrazia, 66-G8, e chiedo schiari¬ menti circa la fabbricazione delle lenti, 75-7G. Spirali. Cilindrica, YU, 40. Di Archi¬ mede, descritta da un punto che si muovo uniformemente sopra una linea retta, men¬ tre essa puro uniformemente si gira intorno a uno dei suoi estremi punti, fisso corno centro del suo rivolgimento, VII, 190-191; XVII, 89-91. Considerazioni istituite dal- l'Atitolimi, XI, 85. Studi intorno ad esso del Cavalieri, XIII, 85, 102, 114, 273; XVI, 113; e del Torricelli, XVIII, 334, 358. Scontino. X, 204; XI, 356, 371-372, 378; XII, 334, 335; XIII, 45. Sportelli Curzio. — V. Portelli Curzio. S piu ni Pandolfo. Orologio da lui pro¬ posto al Granduca; intorno al quale G., in¬ terpellato, chiedo il parere del Chiaramonti, XI, 5G5-566, 5G6-5G7, 581, 582, 583-584. Spugna. Esperienza fatta con essa circa il galleggiare, IY, 348, 616-617. Squadrini Graziamo. XIX, 452,491, 493, 511, 514, 522, 526, 530, 531, 534, 535, 584. Squadrini Iacopo. XIX, 530, 534. Squadrini Maria Maddalena. XY, 307. Squadroni Alvise. TU, 705. Squaroialupi (Suore). XV, 54, 342. Squaroialupi Pandolfo. XIX, 78, 80, 86, 105. Squaroialupi Ruberto. XIX, 86. Squilla (P.). XI, 21. — V. Campanella Tommaso. * Staoooli Camillo. XVI, 37. *Staoooli Raffaello. Lettera di G. a lui intorno al Bisenzio, VI, 627-647; XIV, 204. 331 D’ordine del Granduca, invita G. a conferirò con Sigismondo Coocapani, cho proponeva di metter Arno in canale, 233, 237. Nomi¬ nato, VI, 615, 616,651; XIV, 196. 222, 227, 233, 239, 301; XVII, 12-13; XIX, 505. Stadera. II, 105; IV, 68-69; VI, 387; VII, 240-241; Vili, 329-330, 573. Stadio Giovanni. Suo Effemeridi citato, X, 152. Staggia. XV, 148. Stagi Gio. Battista. XIX, 438, 439, 512. Stagi Simone. XIX, 438, 439, 512. Stagioni. Loro mutazioni, spiegate col sistema copernicano, VII, 416-117. Stagira. VI, 209. Stagni. Perchè in essi non si facciano flussi e reflussi, V, 387 ; VII, 457. — V. Bi- stonio. Laghi. Maecarese. Stagno. Corrisponde tra i metalli a Giovo, III, 219. Stampa. La invenzione ne è attribuita ai Chinesi, III, 240. Stauovolsoi Simone. Sue Scnptonim Po- lonicoruin eco. vitac, regalate dal Cavalieri a G., XVIII, 22, 27. Staserio, Gesuita. Sparla in Napoli dei no¬ vatori, dipingendoli come antireligiosi, XU, 263. Stati Generali delle Provincie unite dei Paesi Bassi. Premio da loro promosso a ehi avesse risolto il problema della determinazione della longitudine, XIII, 377, 379. G. propone loro il suo ritrovato per graduar la longitudine, XVI, 463-468, 468-469, 491-492, 527, 534, ed il Realio lo presenta, XVII, 18, 40; XIX, 538. Eleggono una commissiono deputata ad esaminare la proposta, XVII, 19, 47-48,118; XIX, 538, ed un’altra tratta da quella per conferire in pro¬ posito col Realio, 539. Deliberano la somma occorrente por lo studio dell’argomento ed il dono d’una catena d’oro a G., dandogliene partecipazione, XVII, 66, 117-119, 141-142 } 332 105, 183; XIX, 539-540: la catena vien mo¬ strata all’Assemblea, 540-5-11. Invitano la Compagnia dello Indie Orientali in Amster¬ dam a contribuire alla sposa per lo studio della proposta, XVH, 67, 128 ; XIX, 510. Il Diodati si rivolgo ad ossi, pregandoli di sol¬ lecitare gli studi, XVII, 79. G. annunzia elio sta por mandar loro lo stesso telescopio col quale scoperse lo novità celesti, 174-175; od il Diodati disapprova tale determina zione, 181. Incaricano l’Ortensio dell'esame della proposta, o conchiudono con rinviarlo in Italia accreditandolo presso G., 275, 283- 284; XIX, 541-543. Deliberazioni concer¬ nenti le speso del viaggio, XYII, 291 ; XIX, 548-548. G. non accetta la catena offertagli, STO, 371; XIX, 390, 398, e li prega di bo- I spendere la venuta dell’Ortensio, XVII, 372; j ma dopo la morte di questo, tenta ripigliare ' le trattative, XVIII, 117, 132, 140-141, 151, 182, 204. Deliberano di ricuperare dagli eredi dell’ Ortensio la somma che gli era stata anticipata per lo spese di viaggio, XIX, 549. Menzionati, XYII, 72, 74, 75,8*1-85, 96, 104, 107-111, 392; XVIU, 117; XIX, 618- 619, 630, 651, 654. Statioini Lucio. XIX, 33. Stazio. VI, 163, 164, 339, 4S3. STBoniix. XII, 331. * Stecchini Paolo. Dà notizio a G. dolio Studio di Pisa, XIV, 52. Si scusa del lungo silenzio, XVIII, 317-318. Nominato, 13U, 14-1. 156, 273, 276, 304, 314, 357. Stbcouto (dello) Alessandra noi Gali¬ lei. — V. Galilei dello Steccuto Alessandra. Steoouto (dello) Mauiotto. XIX, 15. * Stefànkschi (dio. Battista. Raccomanda a G. l’Anna Maria Vaiani, XVI, 529-530; XVH, 250. Informa il Micanzio degli onori resi dal Granduca a G., 335. Stefani Francisco. XIX, 455. * Stefani Giacinto. Rcvisoro in Firenze del Dialogo dei Massimi Sistemi , proposto [Staticini Lucio da G. e gradito dal P. Riccardi, VII, 6,7- XIV, 167, 169, 190, 210, 217 , 224,254,259’; XV, 72, 7H; XIX, 294, 295, 325, 326, 328^ 341, 418. Nominato, 490. Stefani Stefano. XIX, 455. Stefano Enrico. X, 414. Stefano (S.). HI, 227. Stefano (Pieve a S.). XV, ng, ♦Stwndzroer Giovanni. Il Bernegger gli accompagna un esemplare della sua versione del Dialogo dei Massimi Sistemi , perchè la l'accia pervenire a G., XVI, 457-158; XYII, 12. Stella Silvio. XI, 82. Stelle cadenti. G. prendo nota di stu¬ diare so da esse si possa argomentare niente, III, 259. Come bì formino, secondo Aristo¬ tele, VI, 53. Stello fi88e. Opinione degli antichi, prima o dopo Aristotele, I, 45-46. Argo¬ mento in favore del sistema geocentrico, proso dal vedersi sempre di uguale gran¬ dezza, 48-19; IH, 281-282; V, 405; VI, 523. Orbi e movimenti, II, 213, 258-255. Distin¬ zione dai pianeti, 214; III, 76, 118; X, 338, 500; XI, 49, 54, 61-62; XH, 21, 34; XVIU, 229. Sono altrettanti soli, anzi molto maggiori del sole, H, 222-223; VI, 525-526; VII, 354. Scoperte in numero grandissimo col cannocchiale, IH, 17, 53, 295-296, 301; V, 80-81; VII, 396; X, 277, 280, 292-293, 333-334,803,394 ; XI, 21 ; e da osso spogliate dello splendore ascitizio, IH, 32, 75-76, 117, 171; V, 22G; YI, 77-78, 80, 132, 169, 247, 273-276, 352-360, 406, 422-426, 491-493; Vii, 101, 364-366; Vili, 458-459, 625-626; X, 332-833; XI, 25, 193-199; XH, 466; XVIII, 19. Risplendono di luco propria, III, 118; VI, 132, 273, 422, 526s; VU, 291; Vili, 625; XI, 49, 54, 61; XII, 34, 417; XVIII, 229. Si mostrano sempre d’una sola figura, V, 229 Superano in densità la sostanza del resto del cielo infinitamente, VII, 08. Loro immobilità, e che cosa da ossa si argomenti, 1-45-146, INDICE DEI NOMI ECO. Stolli!ti Francesco] INDICE DEI 291, 545; Tilt, 605. Parallasse, TU, 163, 403s, 487. Situazione probabile, 353. Gran¬ dezze apparenti e distanze, 385-388, 389. 392-393, 395, 539; XVII, 355, 359; XVIII, 19 431-432. Mutazioni dipendenti dal moto annuo della terra, VII, 403s. Misura del loro diametro, Vili, 457-459, 464-466; XVII, 268, 308, 325-326. Stello Modi eoe. — V. Pianeti Me¬ dicei. Stello nuovo. Poli’ottobre 1604, com¬ parsa nel Sagittario ed osservata da G., che vi tiene intorno tre lezioni nel pubblico Stu¬ dio di Padova, II, 269, 294, 520. Frammenti delle lezioni e degli studi di G., 269-270, 275-284. Considcratione astronomica ecc. di Baldassarc Capra, con postille di G., 270-271, 285-305; Difesa di G. contro di essa, 270, 341,519-532. Dialogo di Cecco di ltoncbitti, 271-273,307-334. Osservazioni e discussioni relative ad esse, X, 117-141, 176-177, 182, 199, 285-286. Studi fatti da G., in tale oc¬ casione, su quella del 1572 in Cassiopea, II, 280-284. Considerazioni e calcoli di G. in¬ torno ad esso nel Dialogo dei Massimi Si¬ stemi, VII, 301-346, 523-538, nella occasione di esaminare l’opera del Cbiaramonti, XUI, 337, che il Castelli l’aveva consigliato di non prendere in considerazione, 444-445, od in¬ torno alla quale il Peri gli aveva sottoposto alcune difficoltà, XIV, 102,104. Menzionate, IU, 171, 362, 363, 373, 374; V, 229, 257; VII, 76, 77, 82, 273, 297, 298, 521, 622, 625, 626, 628, C91-696, 713-719; XI, 326; XII, 34, 280; XV, 232; XVI, 140, 331; XIX, 643. — V. Lorenzini Antonio. Spinelli Girolamo. * Stklliola. [Stigmoi.a.] Niooolò Antonio. Proposto per Accademico Linceo da G. B. Porta, XI, 272, 282. Manda il saluto acca¬ demico a G., 385-386, 551, o gli scrivo ripro¬ vando olii tenta metter dissidi tra la reli¬ gione o la scienza, XII, 263. Morendo, lascia incompleta la stampa del suo Telescopio , NOMI ECC. 388 Xlir, 178, 181. Nominato, XI, 558; XII, 74, 305, 336, 341. * Stri,luti Fuangksoo. Celebra in versi lo scoperte astronomiche di G., V, 92 ; VI, 207- 211 ; XI, 482; XIII, 142-143. Informa il fra¬ tello Gio. Battista delle novità contenute nel Sidereus Nuncius, e delle opposizioni che sollevano, X, 430. È ragguagliato dal Cesi delle osservazioni astronomiche che si stanno facendo in Roma, XI, 99. Si congratula con G. per la sua aggregazione all'Accademia dei Lincei, si duole di non aver potuto assi¬ stere alle osservazioni astronomiche fatte in Roma, c gli manda alcune composizioni proprie in sua lode, 251. Si reca a Napoli per trattare col Porta di coso attenenti al¬ l’Accademia, 271-272, 282-283, 323. Loda G. per il Discorso sullo galleggianti o por le Lettere sulle macchie solari, o gli scrive in¬ torno all’aggregazione del Sab biti, 373-374. Informa il Cosi di particolari concernenti la stampa delle Lettere suddette, 453, 482. Manda esemplari di questo a G., 494 o lo in¬ trattiene di cose dell’Accademia, 551-552; XIC, 60, 67-68, 78, 90-91, 337-338, 406-407, 430, 442-143, 473-474; XUI, 373-374, 459. È mandato a Napoli dal Cesi por l’istitu¬ zione colà di un Collegio Linceo, XI, 506, ma nulla conchiude, 529. Avvorte G. della pubblicazione del Mundus Iovialis del Mayr, XII, 68-G9, 72; gli chiede informazioni in¬ torno alla Cometa, 430-431, e lo ringrazia del Discorso del Guiducci, 473. Veduta la Libra astronomica del Grassi, chiede al Faber, da parte del Cesi, quali siano le intenzioni di G. circa la risposta, 495-496, intorno alla quale esprime a G. il proprio parere c quello di altri Lincei, XIII, 20-21, 30-31, e racco¬ manda al Faber di sollecitarla, 77. Accom¬ pagna a G. lo Scandaglio di suo fratello Gio. Battista, e sollecita direttamente il com¬ pimento della risposta, 95-96. Ha letto il Saggiatore , informa G. del progresso della 334 INDICE DEI NOMI ECO. stampa, 113, 121-122, 129-130, 132-133 o i gliene manda esemplari, 142-143, 147-148. E lo ragguaglia di lavori concessi dal nuovo I’apa Urbano Vili a parecchi Lincei, 121. Informa Gh circa gli studi elio il Cesi sta facendo sul legno fossile di Acquusparta, 200-201, e circa lo Spicilcgium ex trutinatorc Gnlilaei , pubblicato dal Keplero in appen¬ dice all 'IJypci'aspistes, 297, 299-300, o glielo manda, 305, 308: con altri libri gl’invia pure l'Apiario del Cesi, 310-311, gli annunzia com¬ piuta e gli manda la sua traduzione di Persio in versi sciolt i, 374; XIV, 121. Annunzia a G la morte del Cosi, 120-127, e lo informa delle condizioni dell’Accademia,292-293, 360- 3(51. Si ricorda affettuosamente a G. dopo la fine del processo, XV, 330-331. Lo informa di alenili pozzi di legno fessilo di Acqna- sparta inviati ai Granduolii di Toscana, e gli raccomanda il fratello (rio. Battista por un ufficio in Firenze, XVI, 337-338. Da parte della Duchessa vedova Cesi prega G. di un telescopio, 481-482. Nominato, VI, 7, 13 ; VIH, 12 ; XI, 250, 2G7, 284, 292, 293, 383, •190; Xlt, 70, 88, 109, 125, 197, 266, 310, 340, 346-347, 381, 382, 438, 471, 490; XUI, 11, 59, 80, 98, 104, 108, 121, 134, 135, 164, 165, 177, 209, 220, 270, 280, 297, 444; XIV, 73, 78, 88, 312; XVI, 65; XIX, 11, 266, 267, 268, 269. * Stklluti Gio. Battista. Suo Scandaglio soprala Libra astronomica del Grassi, XUL, 95, 98, 113. Raccomandato da suo fratello Francesco a G. per un ufficio in Firenze, XVI,338. Nominato, X,430; XU,406; X1IL, 148. * Stbttneu Cristoforo. Computo astrolo- gico fatto per lui da G., XIX, 154, 206. Stettner Marco. Computo astrologico fatto per lui duG., XIX, 154. Nominato, 160. * Stevin Simone. Sua testimonianza in materia delle macchie solari, addotta dallo Scheiner, V, 62. Nominato, XVIII, 43. [Stanti Gio. Battista * Stigliasi Tommaso. Incaricato di curare la stampa del Saggiatore , si fo l ec it 0 di interpolarvi alcuno lineo per nominare sè medesimo, VI, 13, 1 1, 16, 17, 295. Protesta a G. la propria osservanza, XUI, 52, e si sc Qsn per gli errori da lui lasciati correre nel cu¬ raro la stampa, 161. Stima. Se nell’aggiustarne lo disugua¬ glianze delibasi usnro della proporziono arit¬ metica oppure della geometrica, VI, 5(]9. Tobnks. X, 450. Toro (sogno). I, 47 ; li, 231 ; VI, 148; VII, 286. Torre all’Isola. X, 342. Torri Girolamo. XIX, 439, 512. Torri Giuseppe. XIX, 512. Tonni MromsLANGBLo. XIX, 439. Ton iceli». XIX, 47, 70, 73, 77, 85, 86, 88 . * Torricelli Evangelista. Descrive alcune esperienze sulla forza della percossa, latte da G. mentr’era a Padova, II, 154,190-191. In seguito a suggerimento del Castelli, G. lo prendo presso di se, Vili, 27, 28, 31 ; XIX, 567-626. Suo metodo di risolvere i solidi ro¬ tondi o scavati, nelle loro infinito armille, Vili, 25. G. gli comunica, ed egli distende in dialogo, il principio della cosiddetta Oriornata quinta da aggiungere alle Nuove Scienze , 27, 28, 32; XIX, 622; quale sia stata, in essa, la sua parte, Vili, 33. Legge in Noma col Ca¬ stelli, il Dialogo dei Massimi Sistemi, XIV, 359-360, 387. Nell’ assenza dol Castelli da Roma, scrive a G., lo informa di quello che si sta facendo col P. Riccardi per impedire una precipitosa risoluzione intorno al Dialogo , e gli comunica il giudizio del Grieuberger o dello Seheiner intorno ad esso, 387-388. Sue proposizioni De motu annunziate dal Castelli a G., XVIII, 303; altre, concernenti i solidi della sfera, portate dallo stesso con 342 INDICE DEI NOMI ECO. una accompagnatoria doli’ autore, 308-309. Invitato da G. in Àrcotri, lo avvisa della sua prossima* venuta, 326-327. Manda a G. soi teoremi di ampliamento alla dot trina del libro di Archimede J)c sphacra et cylimlro, o desidera di essere con lui, 331-332, manda un discorso elio fonda la teoria delle spirali sulla dottrina del moto, 334-335, e annunzia il compimento del libro sui solidi sferali, 345. Elogio elio di lui fa il Cavalieri, 347. G. am¬ mira i suoi lavori, e lo sta attendendo con vivissimo desiderio per conferirgli « alcune sue reliquie di pensieri matematici e fisici >, 358-359. Si duole con G. delle circostanze elio ritardano la sua andata presso lui, 360-361. È finalmente in Arcotri, 364, 365- 360, e di là annunzia al Castelli od al Ca¬ valieri un 1 indisposizione di G., 367, 373. La prossima pubblicaziono del suo lavoro De motti et proiectis ò annunziata dal Ca¬ valieri al Mersenne, 368. Fa da segretario a G. audio por la stesura di lettere fami¬ liari: di sua mano è l’ultima lettera det¬ tata da G., 374. Alla morte di G., resta creditore della sua provvisione verso gli eredi, XIX, 567. Dopo la morte di G., è trat¬ tenuto in Firenze ed eletto a successore di lui nella carica di Filosofo o Matematico del Granduca, 626. Nominato, I, 245; XVI, 58; XVIII, 323, 343, 350, 354,373-374; XIX, 10. T0RRIGIA.NI. X, 20. Torrigia.NI Simon e. XYIH, 184. Torrioni. Il, 23-24. Tortona (Inquisitore di). — V. Tabia (da) Vincenzo. Tortora Omero. V, 82 ; VI, 166, 167, 341, 342. * Tosco Domenico. XI, 83. T os col ano. Ili, 330. Tosi Agnolo. XIII, 386. Tosi Baldo. XIU, 386. Tosi Piero. XIII, 287. Tostalo Alfonso, detto VAOidcnse. Sua [Torrigiaiii interpretazione di due passi della Bibbia V, 337, 344. Tovagli (Sig. rl ). XIII, 435. Tozzi Gio. Battista. X, 400. Tozzi Pietro Paolo. II, 539,560; XIX, 224. Tozzi Rapfaelt.0. XIX, 465. Traguardo mobile. Por osservazioni astronomiche, II, 216 ; VII, 345-346,402. Traiano. II, 431. T r a m onte. X, 196. Trappola (La). XIX, 86. Trasimeno. — V. Perugia (lago di). Trasmutazione sostanziale o tra¬ sposiziono di parti, nella generazione e cor¬ ruzione, VII, 64-65, 607, 612-613. Tràsone. IX, 167. Trasparenza. VI, 173-176, 361-371, 494; XI, 145. Trattato della sfera ovvero Co¬ smografia di G., II, 203-255. — V. Sfera. Trattato di fortificazione di G., II, 13-14, 77-146. — V. Fortificazioni. * Trauttbiannsdorf (di) Massimiliano. XVII, 278. Tukffler Filippo. Fabbrica, conformo all’intenzione del Granduca Ferdinando II o a un’invenzione di G., un numeratore dello vibrazioni del pendolo, XIX, 658. Orologio da camera e pubblico,' 'da lui costruiti in Firenze, 659. * Tremazzi Filippo. Partecipa al Parigi elio è stalo eletto con G. per decidere sulle differenze intorno al Bisenzio fra il Bario- lotti ed il Fautoni, XIV, 198-199. Nominato, XIX, 503. Trento Niccolò. XIU, 33. Trepidazione (Moto di). 11, 255.— V. Titubazione. ♦Trevisan Gio. Francesco. XII, 270, 273, 331. * Truvisan Marco. HI, 319. * Tiìrvisan Niccolò. XIX, 118. INDICE DEI NOMI ECO. Ùffonbacli Pietro] Tre Visi. XIX, 507. Treviso. XVI, 219; XVII, 287 ; XVIII, 285; XIX, 587. Tuia Gio. Andrea, vescovo di Parino. XIX, 292. Triangoli. Equilateri, II, 68,80; equi- ernri e scaleni, 69. Teoremi ad essi relativi, V, 3940, 192-191; VI, 375; XI, 19; XVI, 381- 382, 384; XVIII, 352. Sferici, XIV, 294,303; XVII, 145. Trigonometria logaritmica del Ca¬ valieri, XIV, 58, 89, 171. Trincee, li, 4345, 109-112, 113, 118. Trioni. VI, 27. Tiupponet Pietro. XVI, 51, 415. Tristano. IX, 117. Tritonio (Abate). XII, 214. Troiani. Loro giuochi, descritti da Vir¬ gilio, Vi, 163. Troiano. IX, 185. Tromba (Sig. r ). XI, 405. Trombe. A quale uso adoperate, II, 157-158. Perchè alzino l’acqua non oltre una determinata altezza, Vili, 64, 603; XV, 186 ; XVI, 222 ; XVII, 388. Menzionate, VIU, 632-633. Trombone. Come costruito o porche, VI, 269. Tropici. Il, 232-233, 238. Trottola. — V. Ruzzola. Trucco (Giuoco del). XIV, 182, 186, 187, 191. *Truluo Giovanni. Sua ricetta per far maturar le cateratte, mandata dal Borghi a G., XVII, 263-264. Consulto di lui sulla ce¬ cità di G., 285, 298; XIX, 552-554. Sue pre¬ mure o suggerimenti a tale proposito, XVII, 319,339,344, 349 ; XVUI, 14, 20. Operazione chirurgica da lui eseguita, XVU, 377. , * TsjsroIìAks Giovanni. XIH, 334. Tserolaes Werner. XIII, 334. Tubinga. HI, 115. Tu lini Francesco. XVI, 248. 343 Tullo Ostilio. XII, 348. Tuoti. XVI, 408. Turchia. IH, 307; IV, 271; X, 256; XV, 55. Turchina. Pesata in aria od in acqua, I, 227. * Tiraci Tommaso. XIY, 227. Turooni. XVI, 523, 525. Turbino. VI, 338. Turriozzi F. XIX, 421. * Turtorini Asoanio. Espone al Gallan- zoni lo sue difficoltà circa il moto della terra, XII, 329-331. Tosculano. VI, 428. Tusculo. — V. Frascati. UbaIiDI (degli) Baldo. Suoi commenti alle Decretali , citati, XIX, 536. Nominalo, 351. * Uualdini Roukrto. Ringrazia G. per il cannocchiale inviatogli, XII, 401. Nominato, XIII, 82. U BARBINI (degli) U BALBINO. XIX, 442, 519. Ubaldo. IX, 134, 138, 145. Uberto. IX, 197. Uccelli. Argomento contro il moto della terra, dedotto dal loro volo, IH, 260s ; VII, 158, 209-210, 212, 665, 683-684; Vili, 629. Velocità, paragonata con quella del l’ascen¬ dere dei vapori dalla terra, VI, 279. Canto, 2S0. Colori diversi dolio ponne, 290, 437. !Ne- gii ammazzati con le migliamole si trovano i grani di piombo non liquefatti, 343. Come gl’ imberciatola li ammazzano per aria, VII, 203-204, 684. Perchè hanno gli stinchi e lo penne dell’ali vote, YIH, 604. Qual sia l’uso delle penne della coda nel volare, e qual parte del corpo faccia l’uffizio di timone, 610. Udine. Vili, 322. Udito. Come operi, VI, 349-350. Uepenbaou Pietro. XV, 206. 344 INDICE DEI Uffizio (Congregazione del Sant’). Ordina, si veda se nel processo del Cremo- nino sia nominato G., XIX, 275. Il Lori ni denunzia la lettera di G. al Castelli, XII, 140; XIX, 297-298, in seguito di che la Congrega¬ zione ordina che si procuri il documento originale, 275-270, 298, 806-307, ohe s’inter¬ roghi il Cacoini, il quale aveva manifestato il desiderio di deporre quanto gli era noto circa gli errori di G., 276, si esaminino i testi¬ moni menzionati nella deposizione di que¬ sto, 277 ; XX, Suppl., un. 1 1105 bis, 1123 bis, 1140 bis, 1141 bis, e le Lettere di G. sullo macchie solari, XIX, 278, 320; o censurato le proposizioni che il sole sia centro del mondo ed immobile di moto locale, e la terra si muova anche di moto diurno, preso atto della sospensione e proibizione delle opere nelle quali esse proposizioni sono sostenute, ordina al Card. Bellarmino di chiamare a sò G. e di intimargli d’abbandonare quelle opi¬ nioni, 278, 321-322. Approva l’Arcivescovo di Napoli, che fece carcerare il tipografo il quale senza licenza aveva stampata la lettera del Foscarini sulla mobilità della terra e stabilità del sole, 279. Una Con¬ gregazione particolare, costituita dal Papa, deferisce G. al S. Uffizio per le cose so¬ spette contenute uel Dialogo (lei Massimi Sistemi, XIY, 397-398. È intimato a G. di presentarsi al S. Uffizio, 402-403, 405, 407, 410; XIX, 279-280, e con la sola conces¬ sione di una proroga, nonostante preghiere e mediazioni, l’intimazione ò mantenuta, XIV, 417-418, 419,425, 427-432, 436-437,438, 441, 442-444; XV, 19-23, 25-26, 27-30; XIX, 280-282, 330-336. — V Assessori. Commis¬ sari generali e Vicecoru in issati. Consultori. Moto della terra. Notaro. Procuratori fiscali c sostituti. Roma. Sentenza ed abiura. Set¬ timi Clemente. U genio. — V. Huygons. Ugolini Bautolomauso. XIX, 560. NOMI ECO. [Uffizio (Congreg. del Sant’) Ugolini Zanohino. XIX, 561. Ugone. IX, 68. * Uguooioni Giovanni. Annunzia al Go¬ verno toscano che G. è stato condotto alla lettura di matematica nello Studio di Pa¬ dova, X, 49, 50. Nominato, XIX, 37 } Ulisse. V, 70. U uvetta. IX, 200, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 207, 208 ; 209. Ulivi eri. X, 475. Ulivikri Uliviero. XIX, 35. Ullania. IX, 117. Umidità. Come definita da Aristotele, IV, 633. — V. Siccità. Ungheria. X, 256. Unità. Numero elio può dirsi infinito Vili, 83-85; XYI, 224-225. Universo. Non è il soggetto del De cacio di Aristotele, I, 16-17. Opinione degli antichi filosofi intorno ad esso, 22-23. Se sia stato ab adorno, e che cosa debba pensarsi della sua origine, secondo verità, 23-27. Sua unità e perfezione, 27-37. Se sia finito od infinito, IH, 106, 119, 120, 123, 333, 339, 348, 349, 350; IY, 222, 223, 224, 233, 234, 235, 243, 244, 245, 263, 264, 265 ; VII, 347- 348, 697-698; X, 320, 333,335 ; XVHI, 106. Se veramente, date le proporzioni del si¬ stema copernicano, sarebbe asimetro, Y, 406; VI, 529. È gran temerità chiamare in esso superfluo tutto quello che non intendiamo esser fatto per noi, VII, 395. Se sia sferico, VUI, 225-226. Meditazioni del Micanzio in¬ torno alla sua immensità, XYII, 15-16. — V. Centro dell’universo. Uovo. Simbolo del sistema mondiale, secondo il Lagnila, HI, 334. Come si com¬ porti immerso nell’acqua dolce e nella salsa, e quali conseguenze se ne deducano, IV, 23, 364, 435, 673. Onde avvenga che rinchiuso fra le mani per punta, e stretto con gran¬ dissima forza, non si possa schiacciare, Vili, 604-605, 611. Valerio Luca] INDICE DEI Urania. XII, 466; XIU, 275. Uraniburgo. VI, 229, 230. Urbano Vili.— V. Barberini Malico. Urbino. Il, 633; X, 298, 301. Urceolo Zaooarta. II, 511. ♦Urrea Conoa (do) Diego. Proposto ed eletto Accademico Linceo, XI, 283 ; XII, 25. * U usino Beniamino. Osserva col Koploro i Pianeti Medicei, III, 184-187. Osservazioni o calcoli da lui istituiti circa la stella nuova del 1572, VII, 307, 308, 320, 337, 312, 523, 524, 525, 526, 527, 529, 532, 535, 536, 538. Annunzia al Keplero il proposito di tradurre in latino il Discorso sulle galleggianti di G., XI, 394. Ursio. XIX, 291. *Usimbardi Francesco. XII, 111,116,143. * Usi muardi Lorenzo. Riferisce al Gran¬ duca por la legittimazione di Vincenzio Ga¬ lilei, XII, 451; XTV, 42; XIX, 426; circa l’invenzione di G. Coccapani per metter Arno in canale, X1Y, 271-272. Nominalo, XII, 143, 179, 380, 441; XLll, 457; XIV, 234, 237, 239; XVI, 65; XVH, 16, 352; XIX, 212, 432, 437, 485, 486. Usimbardi (Sig. rl ). XII, 120, 143. Usskr Iaoobo. XIX, 323. Usus et fabricu circini cuiusdam proportionis occ. di Baldassare Capra, II, 340,425-511.— V. Capra Baldassare. CHr- cinus proportionis. Difesa di G. Vaooalluzzo Nunzio. IX, 12, 25. * Vaooaiu Francesco Maria. XVIII, 125. Vaoohia (della) Leonardo. XXII, 283. Vacuo. — V. Vuoto. Vadimone (Lago di).— V. Bassanello (Lago di). Vaglio. Come bì comportinoci circolare di esso, i pezzetti di terra mescolati tra il grano, V, 407; VI, 505-506, 540-542; XIII, 215-216, 224. Vaiani Alessandro. XIV, 110, 134,148. NOMI ECC. 345 * Vaiani Anna Maria. Pittrice, protetta da Caterina Riccardi Niccolini e da G., XIV, HO, IH, 112, 114, 115, 134, 148, 157, 305; XV, 66; XVI, 530; XVII, 250, 258, 351. Valacchia. X, 256. * Valarksso At.yise. XVIII, 55. * Valaresso Marcantonio. Ili, 58; XIX, 228. Val damo. XV, 325. Val damo (S. Giov. di). XIX, 436-437. Val di Calci. XV, 2GS. V aldi ni e voi e. XVII, 340. Val di Pesa. X, 41. Valentini Furerò. XIX, 477, 478. Valeri Agostino. XIX, 209, 210. * Valerio Luca. Uno degl’interlocutori nei Sermoties de mota gravium, secondo il Nelli, I, 248. Epigramma di lui in onoro di G., V, 91; XI, 232. È di casa del Card. Al- dobrandini, V, 295. Detto da G. « nuovo Ar¬ chimede dell’età nostra », Vili, 76,184. Suoi lavori De centro gravitatis solidorum , 76, 184-185,313; X, 240, 452. Si ricorda a G. per averlo conosciuto fin da quando erano in¬ sieme a Pisa, lo ringrazia d’un teorema inviatogli, e lo richiede di parere circa il poema della Sarrocchi, 239-241. Grato della promessa di G. di comunicargli la sua opera dei gravi naturalmente mossi o dei proietti, lo informa dei lavori propri, 244-245; gli manda la sua quadratura della parabola ed undici canti del poema della Sarrocchi, 245- 246, e due suo supposizioni fondamentali intorno al moto sui piani inclinati, 248-249. Lo ringrazia del Sidereus Nuncius , lo prega di non lasciarsi distrarre dagli studi sui moti terrestri, e bì congratula dogli onori fattigli dalla Repubblica Veneta, 362-363 e di quelli avuti dal Granduca, 434-435; XVIII, 411. Esorta G. a non dare ascolto agli avversari, e l’informa dei lavori pro¬ pri, X, 451-452. Si congratula con lui della scoperta delle fasi di Venere, ma lo esorta Voi. xx. •14 346 INDICE DEI u perseverare nell’ opera De motti gravium, XI, 37. Interrogato ila Marcantonio Untili, gli ninnila il suo parerò Bulla realtà dello scoperto colesti ili G., 104-105. Accompagna a G. un suo epigramma, gli annunzia 1 invio d’una sua elegia e del poema della Sai-roc¬ chi da rivedere, 231-232. Proposto ed eletto Accademico l.inceo, 293, 802, 312, 323,381. Ringrazia G. per il Discorso sulle galleg¬ gianti, ne approva i principi fondamentali e gli manda una elegia, 880-381. Sue osser¬ vazioni alle Lettere sulle macchie solari, 465, 466,4G7,468,471. Candidato alla succcssiono di G. nello Studio di Padova, 556. Informa G. dei lavori ai quali sta attendendo, 559-560. Riceve (ini Dini copia della lettera di G. al Castelli sull’uso dolle Scritture Sacre nelle questioni naturali, XII, 162. Motivi per i quali fu privato del voto o venne escluso dallo adunanze Lincee, XIX, 268. Annove¬ rato dal Yiviani tra quelli ai quali G. diede Pannunzio della scoperta di Saturno tri¬ corporeo, 611. dominato, I, 181; HI, 407; Y, 16, 265; X, 243, 291, 441,466,475,478; XT, 36, 121, 132, 133,163,164, 168, 176, 177, 205, 206, 209, 213, 219, 223, 229, 211, 253, 262, 265, 268, 277, 286, 324, 348, 361, 362, 369, 383, 387, 395, 396, 405, 420, 431, 43*. •146, 460, 463, 464, 475, 487, 546, 558; XII, 71, 78, 104, 109, 197, 816; XVIII, 71 ; XIX, 266, 267. Yaleiuola. I, 122. Yalgrisi Felice. IX, 17. Valgrtsi Vincenzo. IX, 18, 181. * Valikr Bertucci. XIX, 229. * Vat.ibr Niccolò. XIX, 207. * Valieii Pietro. XJI, 379; XIX, 207. Yallayez (de). — V. Fabri do Valavez Palamede. Valle Sebastiano. IX, 14. * Valle (della) Pietro. Suoi viaggi ricor¬ dati, XIII, 459. Nominato, XY, 216. Valle (della) Rolando. XIX, 561-662. » 0MI KCC - Seriola \ ai.i.ks [Vallksio] Francesco. 1,170; li 284; X, 131; XVI, 425. Valloinhrosa. XIX, 46. Vallo in broBano (Padre). Maestro di logica a G., XIX, 602. * Valuis (di) [Valesio] Giacomo. XY1,159, 252. Valori (famiglia). IX, 7, 8. ♦Valori Baccio. IX, 8; X, 42,86-87,88; XVII, 352. Valori Filippo. IX, 7, 8, 9; XIX, li. Vanrlli. XVII, 75. Vani Lorenzo. XVI, 274, 462. Vànle.ioen Giovanni. — V. Leiden (van) Giovanni. Vanlkmkn. — V. Lemon (van). Vanncooi Domenico. XIY, 333. Vanni-duini Giovanni. Ksoguisco presso G. varie commissioni ilei Card. C. ile’ Mo¬ dici e dell’ Arcivescovo di Siena, XV, 3C2, 367; XVI, 12, 13, 40, 4G, 110, 129,148-149, 306. Nominato, XV, 369. Vapori. Intorno alla luna, III, 382-383. Se, elevati nell’aria, possano contribuire alla formazione delle comete, VI, 135s, 140,278$, 282$, 28*9, 292, 295, 129, 438, 142. Se sopra il maro si vedano ascendere conio sopra la terra. Vili, 610. Che provengono dall’acque dei pozzi, dai panni che si asciugano, dal¬ l’alito, 636. ♦ Varotari Alessandro. Trattative di G. con esso, per mezzo del Sagrcdo, per farlo venire a Firenze, XII, 454, 480, 490, 491, 197, devo eseguisce il ritratto di G., XUI, 220. Copie da lui eseguite per conto di G., XII, 454, 459, 461. Nominato, XU, 452, 501 ; XUI, 42, 45. ♦ Varotari Chiara. XII, 452. Vecchi. XIV, 294. Vecchi Francesco. IV, 440. Vecchio (del) Andrea. XIX, 21. Vecchio (del) Sante. XIX, 21. Vecchioni Giorgio, li, 561, <101. V onore] Veokllio Tiziano. VII, 130; XII, 454, 459. Veggian. X, 197. Voglia. — V. Fercliio Matteo. Veglia. XIX, 574. Vola. Suo uso nel navigare, VILI, 609, 611, 613. — V. Navi. Velino (Cascato del). XII, 388. V bi.lutrltjO Albssaniuio. IX, 7, 9, 32, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57; X, 66. Velluto. Perché tenga caldo, Vili, 636. Velocità. Poi moto, ò relativa al tempo ed allo spazio, II, 156. Dei gravi ascendenti e discendenti nella bilancia, 163s. Uniforme, conviene al moto circolare, VII, 45. Diconsi eguali, quando gli spazi passati sono pro¬ porzionali ai tempi, 4Ps. Maggiore, com¬ pensa precisamente la maggior gravità, 241-242. Polla luco, come possa con espe¬ rienza investigarsi se sia istantanea o tem¬ poranea, Vili, 88. Dei gravi discendenti naturalmente al contro, va continuamente accrescendosi, sino a che, per l’accresci¬ mento della resistenza del mezzo, diventa uniforme, 119. De’ mobili simili e dissimili, nell’istesso e in diversi mezzi, che propor¬ ziono abbiano, 119. Pelle palle di moschetti o d’artiglieria, è imcomparabilmente maggiore che la velocità degli altri proietti, 278-279.— V. Gravi. Moto. Piani inclinati. Spazio. Velocità virtuali (Principio delle). Il, 156$, 164, 166-167,170, 174,176, 185,190; IV, 68-69, 75-79; VII, 239-241, 727; Vili, 214-219, 310, 323, 329-330, 333, 339, 438-440, 443, 573s, 585. Vri.skrt Marco. — V. Wolser Marco. Vendelino. — V. Wendelia. *Venl>ramin Francesco. X, 303,304. * Vbndramin Iacopo. XI, 64. V e n e. Loro funzioni, XVII, 65. Venere (o Citbrea). IX, 132, 135, 233, 286; X, 413, 486; XVI, 309, 399. 347 Venere (pianeta). Moti, I, 43. Posi¬ zione, 47-53; HI, 268, 332, 358; IV, 588; V, 26, 69, 101; X, 153; XVIII, 412; XIX, 338. Diametro apparente, I, 54; V, 197; Vm, 457, 461. Influssi, ILI, 215, 216; X, 272 ; XIX, 220; e luce, III, 363. Corrispondo al rame tra i metalli, ed ai reni nel corpo umano, 219. Fasi, divinate dal Castelli e scoperto da G., c conseguenze che se ne de¬ dussero, 297 ; V, 81, 98-100, 199, 226, 362 ; VI, 82, 206, 361 ; VII, 350-352, 354, 360, 720; Vili, 46; X, 481-482, 499-500, 503; XI, 11-12, 19-20, 34, 37, -14, 48-49, 52, 53-54, 57, 78, 82, 87, 93, 99, 117, 131, 163, 166, 167, 175, 177, 194-195, 196, 198, 274, 345; XII, 64, 252-253 ; XIII, 56; XIV, 316; XVI, 195, 259, 517; XVII, 137, 402; XIX, 408, 589- 590: anagramma col quale G. no annunziò la scoperta, X, 483, 495; XIX, 612; sforzi del Welser e del Keploro per decifrarlo, XI, 15-16, curiosità destata da esso in Padova, 28, 41-12, 43: i Gesuiti accampano d’aver osservato il fenomeno prima d’averne avuto avviso da G., 34, o il Mayr vuol far credere d’aver fatta questa scoperta contemporanea¬ mente a G., 130; anche il Peiresc pretende d’averle osservate indipendentemente da G., XII, 125, 142: errori contenuti a tale propo¬ sito nella Lettera del Foscnrini. 165. Sun congiunzione col sole 1’ 11 dicembre 1611, V, 28, 32, 39-48, 193, e il 1° marzo 1611, XI, 53. Assurdità dell’esservi abitatori, V, 53, 220. Ragione per cui nel suo esorto ve¬ spertino non si vede se non quando è molti gradi lontana dal sole, 97; VII, 351; XI, 426. Piccolissima rispetto al sole, V, 100,196- 197. Parallassi, 102. Come se ne dimostra lu oscurità e la rivoluzione intorno al sole, 199. Sua eccentricità diversa da quella che pose il Copernico, e suo auge non immobile, VI, 533. È, secondo il Copernico, o lucida per sò stessa o di sostanza trasparente, VII, 362. Regressi dimostrati da Apollonio e dal INDICE DEI NOMI ECC. 348 INDICE DEI Copernico, 372; XIX, 355. Honda inescu¬ sabile l’errore proso dagli astronomi nel de¬ terminare lo grandezze dello stelle, ^ II, 388. Osservazioni latte dal Castelli, XH, 23, 301. Menzionata, II, 277, 280, 294, 29(5, 803, 311 ; IH, 17, 32, 36, 60, 73, 75, 81, 106, 108, 116, 121, 124, 125, 143, 163, 166, 167, 168, 170, 183, 217, 218, 334, 450, 452, 873; IV, 64; Y, 29, 31, 65, 103, 109, 111, 112, 198, 200, 259; VI, 25, 26, 28, 81, 91, 92,93, 102, 103, 104, 132, 135, 172, 232, 241, 243, 277, 359, 360, 402, 404, 422, 430, 491, 495, 513, 535 ; VII, 54, 77, 292, 293, 853, 363, 367, 480, 618, 623, 659, 698, 699; Vili. 463, 516, 517, 530, 551, 626; X, 123, 181, 137, 280, 286, 287, 295, 320, 322, 831, 336. 339, 340; XI, 62, 96,154, 287, 418, 533, 534, 586, 602; XII, 21, 39, 100, 108, 115, 220. 279, 282, 433, 469, 487 ; XIII, 286 ; XIV, 323, 417 ; XV, 26, 161, 192 ; XYI, 20, 28, 135, 256, 408; XYII, 32, 34, 99, 816; XVIII, 169, 177, 178, 201, 231, 234, 294; XIX, 357, 592. Venerosi Agostini Della Seta. XIX, 21. Venezia (Città). Calli e canali. Calle delle acque, X, 270. — Canal Grande, XI, 527 ; XII, 110, 348 ; XVI, 233. — Rio delle due torri, X, 213. Chiese. Frari, X, 96. — S. Francesco. XII, 455. — SS. G-ervasio e Prot&sio, XIX, 212. — S. Giminiano, XU, -106. — S. Gina» in Bragola, XY, 18. — S. Juatina, X, 48.— S. Marco, II, 59. Campanile, XY, 16 ; XIX, 587. Cappella, XYII, 230. Tesoro, XVII, 86. — S. Polo, XYI, 238. — S. Stai, XIII, 17.— S. Stino, XH, 155. Conventi. S. Giorgio Maggioro, VII, 704; XI, 517, 535. —Servi, X, 116; XYII, 317. Edifiet pubblici. Arsonale, YIU, 49. — Fontego dei Tedeschi, X, 113 ; XYI, 376, 392. — Magazen dclli portalettere, X, 175, 176. - Palazzo Ducale, II, 549; XIX, 112, NOMI ECO. [Yenerosi Agostini ecc. 113, 115, 117, 129, 473. Brolo, VII, 139. Camera de gli scarlatti, II, 459. Sala della Quarantia Criminale, II, 549. Laguna. XYIII, 337-338. Lido. Baution, IX,229.—S.Niccolò,XYI, 164; XYII, 146. — Tagli e bocche, TU, 449. Negozi. Occhialaio all’insegna di S. Lo¬ renzo, XI, 553. — Spezialo dal Cavalletto, XI, 35. Vaia e zi. Contarmi, XII, 490; XIX, 212. — Foscari, XII, 455. — Gradenigo, X, 48. — Sngredo, VII, 8, 81 ; XYI, 63. Piazza 0 Procuratie , XI, 238, 398: XH, 455 ; XY, 16. Ponti o Traghetti. Ponto dei Coras- sori, XY, 18. — Realto, XI, 35. — Traietto do S. Moiac, X, 113. Vie. Prezzari a, XI, 553. — Merceria, XYII, 235. Venezia. Longitudine, II, 242. Clima, 244. Flusso del suo maro, Y, 390; VII, 443, 145, 416, 448; VILI, Gli; XVU, 271, 286. — V. Dialetto veneziano. .Venezia (Ambasciatore di, all’Impera¬ tore). — V. l’riuli Francesco. Venezia (Inquisitore di). — V. Iseo (da) Clemente. Venezia (Legato di). X, 290. Venezia (Nunzio di). XI, 333.— V. Vi¬ telli Francesco. Venezia (Patriarca di). XIII, 17. Venezia (Residente per il Granduca in). — V. Montauto (da) Barbolaui Asdrubale. Uguccioui Giovanni. Vinier (famiglia). X, 91. * Veni eh 1)olhn. Ili, 319. ♦Vknikr Gasparo. XIX, 587. *Venier Giovanni Antonio. XIX, 127. * Vknieii Sebastiano. Presente al dibattito tra G. od il Capra, II, 549. Viaggio in Ca¬ dore, che egli doveva fare col Sagredo 0 con G., X, 91. Si adopera in favore di G., 97, 100-101, 102, 191, 204. Gli manda notizie del Verità] INDICE DET Sagredo, XI, 70-71. Suo sdegno e rincresci¬ mento por In partenza di G. da Padova, 172,215-216, e dopo la condanna del S. Uffizio gli fa scrivere che non avrebbe sofferto perse¬ cuzioni se non avesse abbandonato il servizio della Repubblica, XYI, 135. Annunzia a G. clic, di ritorno da Costantinopoli ò stato no¬ minato ambasciatore straordinario in Ger¬ mania, X1Y, 149. G. esprime il desiderio d’avere il suo ritratto, 350, 362; ma egli, rin¬ graziando per P invio del Dialogo dei Mas¬ simi Sistemi , si esime dall’ inviarglielo, XV, 30-31. Sua morte, XVIII, 286. Annoverato dal Frinii tra quelli che con G. salirono sul Campanile di S. Marco per esperi mentore il cannocchiale, XIX, 5S7; e dal Yiviani, tra coloro ai quali G. aveva data comunicazione della scoperta delle macchie solari, 611. No¬ minato, X, 163 ; XI, 49, 50, 266, 267, 449 ; XII, 51, 139, 405; XIII, 87; XIV, 152,298, 416; XVI, 17, 30, 53, 194; XVII, 210, 213, 221 . Venosa (Principe di). XV, 28. Venti. Addotti come argomento in fa¬ vore e contro il moto della terra, III, 270; V, 393-395; VII, 158, 462-463, 465-168, 666, G78, 685-686; XII, 217-219; XIV, 192, 212. Da qual segno previsti dagli uomini di mare, VI, 286. Favorevole, aiuta il mobile men ve¬ loce ; contrario, P impedisce, VII, 543. Se sia possibile, navigando, guadagnare contro esso, Vili, 609, 611. Perpetui, che regnano tra i tropici e l’equinoziale, XIV, 74-76. Loro ef¬ fetti sull’alzamento ed abbassamento delle acque d’un lago, indagati dal Castelli, XVIII, 64. — V. Navi. Navigazione. Venturi Alessandro. XIX, 444. * Venturi Franoesoo. XII, 231, 265; XY, 75, 76, 79, 81 ; XIX, 221. * Venturi Gio. Battista, dell’Accademia fiorentina. XIX, 444. Venturi Gto. Battista. I, 184, 245; II, 10, 11, 13, 206, 269, 270, 338; III, 14; V, NOMI ECC. 349 11, 267,270, 416, 417; VI, 504; Vili, 17, 19. 474, 562; X, 480, 505; XII, 212; XIII, 360, 370; XVII, 203; XVUI, 154,206. Venturini. XVI, 83-84. Venturini Antonio. XIX, 34. * Yeralu Fabrizio. Partecipa, come Car¬ dinale Inquisitore, al primo processo di G., XIX, 275, 276, 277, 278, 279; XX, Sappi., 569. Vkralli Paolo Emilio, Vescovo di Ca¬ paccio, detto Caputagumsis. XIX, 562. Vergiceli Antonio, inquisitore di Pa¬ dova. Ila curata la diffusione della sentenza ed abiura di G., XV, 179, 268; XIX, 364- 365, 373-374 ; e ricevuto dal Liceti il Dialogo dei Massimi Sistemi, inviatogli dall’ autore, 374. Vkbolay. — V. Barclay. * Verdabio Bernardino. XIX, 164, 200, 201 . Verghe (fenomeno meteorologico). Sono, secondo Aristotele, refrazioni o riflessioni; eppure si specchiano, VI, 52. Vergine (segno). II, 279, 280; HI, 168, 171, 172; VI, 28, 32; XU, 422, 434. Verini Franoesoo. 1 , 12; XIX, 34,38, 41. Verità. Non ò stata paranco scoperta in una questione, quando intorno ad essa è varietà d’opinioni, I, 294. Ascosa finche si adducono pareri falsi, appena viene in campo, scaccia le tenebre della falsità, IV, 24. E una sola, 49. Chi non la pregia e riverisce, non bì deve stimare uomo, ma una mala bestia, 234, 276. Tanto maggiormente cava la ma¬ schera a una falsa opinione, quanto più si cerca di far questa apparir vera, 321, 475. Due non possono mai contrariarsi, V, 283, 356, 364; XVII, 378. Quanta sia la sua forza, V, 358-359, 369. In essa si quieta la mente, 377. È l'istesBO che bellezza, VII, 159. Quando uno non la sa da per sè, è impossibile che altri gliene faccia sapere, 183-184. Talora acquista forza dalle contraddizioni, 230. Ha in suo fa* 350 INDICE DEI NOMI EOO. vore argomenti concludenti, 21 Hi. Gran cima sarebbe che potesse aver a\ poco di luce, elio non apparisse tra le tenebro dei falsi, 447. In ogni controversia è una Holn, 620. Tutto cospirano insieme alla scoperta di nuovi segreti dulia natura, XIII, 878. Vkrmklle Mklouiorrh. XIII, 57. Vkruioli Bartolomoto. XIX, 456. * Vkrnaooi Gio. Battista. XVI, 33, 44, 46, 47, 48. Verona. II, 271, 272; X, 128 ; XIX, 60. Veronesi Bartolommha. XIX, 220. Vhronioa. IX, 197. * Vkuospi Fabrizio. Menzionato da Urbano Vili tra i Cardinali intendenti di mate nifttiche, XIV, 392. L’Ambasciatore Niceo- lini suggerisco che il Granduca gli racco¬ mandi G., XV, 74. Partecipa al processo ili G., ed è tra quelli elio pronunziarono e sot¬ toscrissero la sentenza, XIX, 279,282,283, 284, 285, 286, 287, 288, 408, 406, 414. * Vertuamon (di) Francesco. XVIII, 126. Verzoni Paolo. XYI, 74; XIX, 510. •Vrsp. ... [Vrspuooi Vincenzo]. X, 234. Vespe. Come producano il loro ronzìo, VI, 280-281. Vespe rugo. — V. Venere. Vrspuooi Amrrioo. Ili, 814; VI, 205; XI, 24, 66, 564, 608; XII, 124; XIX, 62-1. * Vkstri Bakbiani Ottaviano. XII, 260, 262; XIII, 47. Vesuvio. III, .TIC; X1T, 324. Vetro. Come si temperi, XVII, 379. Vette. — V. Leva. * Vettori Alessandro. XIII, 186, 192, 194. Vettori Francesco. XIX, 33. Vettori Pietro. XI, 388. Vezzi Girolamo. XIX, 33. Via Lattea. So sia un’esalazione, II, 298- 800, 331. Manifestata dal cannocchiale di G. essere una congerie di stelle. III, 17, 34, 60, 78, 119, 163, 21); VI, 46, 50, 247-248, 406; VII, 720; Via, 46; X, 280, 288, 334, 395, [Vermello Melchiorre 114; XI, 55, 87, 98; XUI, 56; XIV, 314; XVI, 195; XIX, 610. Conclusioni di Ticono Ibalie intorno ad essa, III, 119; X, 120; clic cosa ne avessero detto Tolomeo ed Averroe 293, Aristi»loie ed Alberto Magno, XI, 26. Osservata dui Clavio, X, 484, dal Grienber- ger, XI, 38, dal Wells, 586, e dal Remo, XII, 185. 'riattato che intorno ad ossa di¬ segnava di scrivere il Cromonino, XI, 100. Menzionata, HI, 53; VI, 52, 205; X, 286, 287, 436. * Vi alarci Francesco Maria. Annunzia a F. Gonzaga la morte del Clavio, od una pubblicazione che rivendica all’Iunius la scoperta dei satolliti di Giovo, XI, 277. * Viatis Bartolommbo. X, 396. ' Vicari Serafino. Vescovo di Nocera dei Pagani, XIX, 323. Vicenza. X, -176; XI, 43; XIX, 69. Vicenza (Inquisitore di).— V. Cnrdon (da) Bartolommeo. Vienna. XII, 487. Violina (Nunzio di). — V. Bocci Ciriaco. •Vieta Francesco. Il Baiiani crede clic il trattato di Meccaniche di G., sia opera ili lui, II, 149; XVIII, 69,78. Sua proposi¬ zione, mandata dal Santini a G.,X, 201, ed altra dal Baliani, XII, 186-188. Suo opinioni sull'angolo del contatto, XYI, 331, 334, 348- 350. Nominato, XI, 493; XVI, 250, 328. Violini Agostino. IV, 141. Vignati Ambrogio. XIX, 561. Vignuzzi Gio. Domenico. XIX, 226. * Vioonza Alessandro. XIII, 16; XIX, 118. ' Vii, bla (de) Gin. Battista. XIX, 416. Villa Ferdinanda. — V. Artimino. Villamagra (da) Domenico. XIX, 573^ Villamagra (da) Iacopo. XIX, 573. * Villa mena Francesco. Incide il fronte¬ spizio del Saggiatore, VI, 199; XIII, 129, 132. Villani Giovanni. X, 286, 287; Xlt, 253. INDICE DEI NOMI ECC. 351 Vinta. Bolisano] ♦Villani Niooolò. Proposto per Accade¬ mico Linceo, XIII, 63; XIX, 269. Nomi¬ nato, X, 197. Villani Niooolò. Cittadino Fiorentino, XIX, 583. ♦ Villk (de) Antonio. Comunica a G. al¬ cune sue osservazioni intorno al Dialogo dei Massimi Sistemi, XV, 12-18. Vede i fogli delle Nuove Scienze che G. manda al Mi- oanzio, XVI, 218, e comunica all’autore le sue osservazioni, 221-228, delle quali dà preventiva lettura all’Aproino, 232-233, e discute col Micanzio, 236-237. Nomi¬ nato, 214, 228, 229, 230, 241, 254, 255, 261, 267. ♦ Villi fra Noni Giovanni. XIX, 228. Vinobnzio (D.). X, 219. Vinoenzo Padovano. — V. Dotti Vin¬ cenzo. Vincenzo (Fra) Palermitano. Ili, 178. Vincenzo (P. Teatino). Lagnanze del Cavalieri contro di lui. — V. Cavalieri Bo¬ naventura. Vincenzo, Inquisitore di Pavia. Ha rice¬ vuta copia della sentenza ed abiura di G., che notificherà, XV, 244; XIX, 373. Parte¬ cipa d’averla notificata ai suoi Vicari; e che si riserva di farlo ai professori di matematica o di filosofia dello Studio, quando questo sarà riaperto, XV, 280; XIX, 383-384. Sua circolare a stampa con la quale notifica la sentenza ed abiura di G., XV, 217 ; XIX, 384-385. Vinoi (da) Leonardo. VII, 60, 595. V ingon e. XIX, 505. Vino. Come si faccia per cavar da un medesimo tino il vino dolce e maturo, o far cl\e vi resti l’agro. Vili, 566, 607. ♦ Vinta Belisario. Sue trattative con G. peh acquistare una calamita del Sagredo por conto del Granduca, X, 187-188, 188- 191, 194-195, 197-198, 199-200, 200-201, 201- 202, 205-209, 210, 212-213. Invita G. a re¬ carsi a Firenze por la istruzione matematica del Granprincipe Cosimo, 214-215. È infor¬ mato dal Bartoli della prose» taziono del cannocchiale fatta da G. alla Signoria di Venezia, o delle voci elio correvano a Vene¬ zia intorno a G. ed ai cannocchiali, 255, 257, 259, 260, 261, 264, 267, 306-307. In seguito a preghiera di G. s’interessa per far pa¬ gare ad un servitore di lui un credito verso due studenti polacchi, 262-263, 266-267, 268, 278, 281, 284. E sommariamente informato da G. dello scoperte celesti da lui fatte col cannocchiale, e risponde esprimendo il desi, derio dei Granduci» d 1 osservarle, 2S0-281. Avendolo G. richiesto di parere circa il nome da dare ai satelliti di Giove, lo consiglia ad intitolarli Medicea Sidcra , 283-284. G. gli accompagna il Sidereus Nuncius, e gli annunzia l’invio del cannocchiale stesso col quale aveva scoperti i Pianeti Medicei, 288- 289, 297-302, ed egli lo invita a recarsi in Toscana per mostrarli alla Corte, 302-303, 307-308. Trattative da lui condotte per ri¬ chiamare G. in Firenze, 348-353, 355-356, 359-360, 369, 372-375, 383-384, 387-388, 403. G. gli raccomanda il Magagnati, 354-355. Fa pratiche con l’Ambasciatore toscano a Ma¬ drid, perchè vi siano bene accolti il Sidereus Nuncius ed i cannocchiali che G. disegnava di mandarvi, 356, 404, 423-424. G. gli an¬ nunzia la scoperta di Saturno tricorporeo, 410. Annunzia a G. le buone disposizioni della Corte circa il viaggio eh’ egli con¬ tava di fare a Roma, e risponde alle rac¬ comandazioni di lui in favore del Pn- pazzoni, XI, 20-21, 28-29. G. insisto presso lui per una decisione circa il viaggio a Roma, 71, ed egli gli risponde annunzian¬ dogli essere state date le disposizioni per¬ chè possa partire, 72. Giunto a Roma, G. lo informa dell’accoglienza ivi trovata, 79-80, 94. Scrive all’Ambasciatore toscano a Madrid perchè sia offerto a quel governo 352 INDICE DEI NOMI ECC. il ritrovato di G. per graduare la longitu¬ dine, 392-393, 417; XII, 269. Sua morte, XI, 581. Nominato, III, 9, 404, 405,418, 423; V, 415, 416; VII, 8; YIU, 11, 564, 566, 568; X, 49, 148, 160, 161, 186, 250, 283, 348, 364, 377, 392; XI, 63, 92, 101, 121, 125, 234, 259, 316; XVin, 410. Vinta Elisadktta nei Piooolomini. — V. Piccolomini Vinta Elisabetta. ♦ Vinta Francesco. X, 200. ♦Vinta Lodovica. Scrivo a G. per solle¬ citare la monacazione delle figliuole di lui, XU, 80-81. Vinta Paolo. XIX, 89. Vinta Polissrna. XY, 247,258, 303. Vinta (Priore). XVI, 404. Vintieki. — V. Winter Gio. Battista. Viola Giovanni. XIX, 218. ♦ Virduno Mioiiblk. XYI, 207, 293. Virgilie (stelle). XUI, 75. Virgilio. G. l’aveva in gran parte a mento, XIX, 627. Menzionato o citato, III, 166, 335, 385; YI, 33, 163, 166, 313; YU, 135, 356, 650; IX, 31, 34, 86, 39, 41, 43, 44, 45, 46, 48, 53, 54, 139; X, 301 ; XI, 23, 24, 274; XII, 280; XY, 135, 366; XYUI,808; XIX, 76. Virginia (Snor). XIX, 519. Visconti Domenico. XIII, 78. Visconti Giovanni. XIX, 250. ♦ Visconti Onorato. Darà diffusione nella Polonia, dove è Nunzio, alla sentenza ed abiura di G., XV, 262 ; XIX, 386-387. ♦ Visconti Raffaello. Elotto revisore del Dialogo di G., VII, 5, G; XIX, 324, 325, 341. E sollecitato dal Niccolini a compiere la revisiono, XIV, 103-104. S’incontra presso il Morandi con G., 107, che lo trova « ca¬ pace della verità della sua dottrina », 113. Partecipa a G. che, fatte alcune altre mu¬ tazioni oltre a quelle che insieme avevano concertate, il P. lticcardi parlerà al Papa, e l’opera sarà licenziata, 120; XIX, 401- [Vinta Elisabetta 402. Dichiara al Castelli, non esserci difficoltà allo stampare il libro in Firenze, XIV, 135 , Ha gravi dispiaceri a motivo di certe scrit¬ ture astrologiche, 169, 236. Si ricorda affet¬ tuosamente a G., ed è dolente di non aver potuto incontrarsi con lui, XV, 291-292. Nominato, XIV, 132, 161, 215, 259; XV, 298. Vìbbo (da) Gio. Battista. — V. Costacci Gio. Battista. Vista. Struttura degli occhi nei giovani, 111,236; come si modifichi nei vecchi, 237- 238. I raggi no procedono sempre per linee rette, VI, 107, 513. Inganna, particolarmente a grandi distanze, Vili, 626. — V. Sagredo Gio. Francesco. Vitelli Francesco. Vitali del Carretto Iacofo. XIX, 259. Vitali Paolo. XIX, 254. Vite. Utilissima fra gli strumenti mec¬ canici II, 178-179. Sue proprietà, ricondotte a quelle dei piani inclinati, 179-184. Come possa renderai più gagliarda, 184, e come se ne possa determinare la forza, 184-185. Ma¬ schio, 185. Per levar l’acqua, 186-187. Negli strettoi «la panni e da olio, Vili, 342. Vitelli Alessandro Maria. XIX, 481. ♦Vitelli Francesco, Nuuzio a Venezia. Ila ricevuto e notificherà la sentonza ed abiura di G., XV, 216; XIX, 367-368. Tra¬ duce un libro sui fenomeni della vista, XVII, 236. Nominato, XVI, 184. Vitelli Giulio. XIX, 481. Vitelhone. II, 325, 327 ; III, 176, 222, 223, 224, 226, 227, 289, 241-243, 869; VI, 99, 140, 312, 494, 495; VII, 117; XI, 315, 350; XIII, 307, 314. Viterbo. Ili, 442. Vitruvio. I, 379; XI, 361, 541; XIU, 203; XIV, 158. Vittorio Pietro. — V. Vettori Pietro. ♦Vittuui Gio. Battista. XIX, 111, 117, 127. Vivai. X, 305. 353 Vuoto] INDICE DEI * VrviANi Alamanno. XVIU, 148, 273, 302, 310. Viviani Margherita. XVI, 529, 530. * Vivi ani Vincenzio. Trascrive le Postille all'.Ariosto di G., IX, 16-19, 154, 155, 156, 157, 159, 171, 178, 193. Discepolo ed ospite di G. in Arcotri, XVIU, 126; XIX, 622. G. lo fa presentare al Granduca, per ringra¬ ziarlo d’averlo allogato prosso di lui, XVIU, 148; o il Granduca riceve il giovanetto, lo esamina, ed approva elio continui a frequen¬ tare G., 155. È in relazione col Cavalieri, 211. Osserva i Pianeti Medicei, 231-232, 340. Discute alcune nuove dimostrazioni col Tor¬ ricelli, ospite esso pure di G. in Arcctri, 368. Suo Racconto istorico della vita di G., XIX, 597-632. Sua Lettera al Principe Leopoldo de’ Medici sull’ applicazione del pendolo al¬ l’orologio, 647-659. Nominato, I, 9, 182,183, 211, 231, 232, 245, 246; II, 149, 154, 205, 206, 270, 271, 339; III, 12; V, 9; VII, 3,19, 20; Vili, 22, 23, 24, 25, 27, 28, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 343, 437, 438, 439, 441, 442, 445, 446, 447, 448, 451, 452, 472, 473, 474, 475, 476, 477, 478, 479, 559, 560, 561, 562, 563, 561, 565, 566, 567, 568, 569, 615, 618, 629, 630, 631, 032, 633, 634; IX, 12, 25, 229, 235, 276, 279, 288; X, 35, 97, 184, 185, 273, 412, 460, 405, 481; XI, 52, 141; XII, 133; XIII, 48; XIV, 37, 49, 157, 289 ; XVI, 58, 96, 111, 115, 158, 177, 194, 213, 231, 234, 255, 272, 293, 315, 361, 438, 452, 473, 507, 510, 523, 524; XVII, 41, 62, 88, 95, 107, 126, 135, 136, 174, 181, 213, 237, 239, 247, 262, 281, 291, 308, 347, 416; XVIU, 17, 30, 156, 161, 166, 170, 186, 216, 218, 232, 241, 243, 247, 251, 257, 258, 259, 262, 271, 274, 282, 283, 289, 293, 302, 304, 306, 310, 311, 314, 319, 324, 328, 330, 333, 344, 348, 352, 354, 357, 361, 362, 367, 370, 371, 430, 436; XIX, 10, 11, 439, 444, 576, 594, 633, 643, 651, 659; XX, Suppl., al n.° 4023. Viviano. IX, 177. NOMI ECC. Voce. Varietà di essa, YI, 269,280-281. Trattato che su tal materia si proponeva di condurre a fine G., X, 352. Meraviglie di essa, XI, 109. Vogatori. Perchè impedisce più uno che scia, elio non aiutino quattro che vo¬ gano, Vili, G09. — V. Barca. Homi. Volpe (della) Alessandro. XIX, 270. Volpioelli Paolo. V, 16, 140. V olpioblxx Rodolfo. V, 16. Volte in croce. Loro capacità deter¬ minata dal Cavalieri, XVIU, 21-22. Volti (Sig. rl ). XII, 365. * Vossio [Voss] Gio. Gherardo. Informa il Grozio intorno all’Ortonsio ed alla condanna di G., XVI, 99. È pregato dal Grozio di assaggiare il terreno por aver modo di esplo¬ rare so si potesse far venire G. ad Amster¬ dam, 266, ed egli si adopera a ciò, 288. Car¬ teggio col medesimo intorno alla proposta delle longitudini fatta da G. agli Stati Ge¬ nerali d’Olanda, 358, 373; XVII, 252, 330, 335, 365, 366, 392, 412. Vostroa Michele Vittorio. — V. Wo- strou (di) Michele Vittorio. Vulcano. VI, 44; XI, 261; XII, 447. Vulpio (Mona/). XII, 443. Vuoto. Se il moto sarebbe in esso istan¬ taneo, I, 276-284; VII, 741-744. In esso sol¬ tanto si possono discernere esattamente le differenze delle gravità e dei moti, I, 294- 296. Considerazioni relative ad esso nelle questioni del galleggiare, IY, 133s, 170s, 173, 178s, 211, 244, 253, 291, 304, 324s, 330, 361s, 608, 658s, 660, 669, 703, 770. Cagione, in parte, dell’adesione fra le parti dei so¬ lidi, Vili, 59-61, e come possa misurarsene la virtù, 62-63. Si dimostra che in una con¬ tinua estensione finita non repugna il po¬ tersi trovare infiniti vacui, 68s. Non pai- che si trovi se non indivisibilmente mesco¬ lato tra il pieno, 89. Considerato in relaziono al moto, I05s, 116s. Introdotto nella spie- Vol. XX. 45 354 gazione del problema doli’ uovo, 604-606. Esperienze e discussioni relative ad esso, XU, 168; XIV, 158-160; XY, 186; XVI, 214, 223-224; XVII, 388, 40-1. — V. Aristo¬ tele. Sifoni. Trombo. Vurstisio Cristiano. — V. Wursteisen Cristiano. ♦Waokhkr Giovanni Matteo. Annunzio al Keplero le scoperte colesti di G., 11C 105; X, 320, e ne discute con lui, HI, 106, 113, 114, 119, 122,123, 161 ; X, 320, 321, 324, 336, 337, 388. Aveva conosciuto il Porta e no sostiene la priorità nell'invenzione del cannocchiale, 390. Sostiene, esservi uomini che con la semplice vista vedono come con qualsiasi cannocchiale, 487. Professa la mas¬ sima stima per G. e desidera ch’egli visiti la Germania, XI, 42-18, e G. gli si mostra riconoscente, 61-63. Legge ed approva il Discorso di G. Bulle galleggianti, 384, e lo dà all’ Ursino, 394. Riceve le Lettere sulle macchie solari, 510. * Walumjk (di) Giovanni Fkdrhioo Cri¬ stoforo. XIX, 157. * Wallknstein Alberto. XVI, 359. Wallis. H, 150. Wandhrwill. XVIII, 133. Wkedk (van) Giovanni. XIX, 539. * Wkeut (van) Franoksoo. Accompagna a G. una lotterà del Ilealio, e si augura che abbia effetto la proposta della longitudine, fatta agli Stati Generali d’Olanda, XVII, 142. Traduce in fiammingo il Dialogo dei Massimi Sistemi , 251, 308, e scrive in difesa del sistema copernicano, 287. Nominato, XY1, 523 ; XVII, 170, 817. Whidlkr Giovanni Frdrbioo Y, II. * Weilhamer Guglielmo. XYI, 191; XVIII, 370. Weiss Giovanni Federigo. XIX, 204. * Wkitershkim Giulio Adolfo. XIX, 158. * Wells Giovanni. Lia riscontrato lo sco- (Vui-stìsìo Cristiano perte celesti di G., gli esprime il desiderio d’aver da lui o vetri da cannocchiale o l’istruzione per fabbricarli, ed nflretta la pubblicatone del Systema mundi promesso nel Sidereus Kuncius , XI, 585-586. * \\ klsrr Mahoo. Accompagna a G. le Tres Epistoitae de tnactdis solanbus dello Scheiner, V, 11, 98; XI, 257 e le manda al Faber, 267-258, al Card. Cobelluzzi ed al Clavio, 263, soggiungendo poi un polizzino di correzione, 263. Accusa ricevimento della prima lettera di G. sulle macchie solari, ed esprimo il desiderio di darla allo stampe, V, 11, 114-115; XI, 303-304. Accompagna a G. VAccuralior JHsguisitio dello Scheiner, Y, 11-12, 183; XI, 402-103. Accusa ricevi¬ mento a G. della seconda lettura Bulle mac¬ chie solari, o fa voti perchè, insieme con la prima, Hia pubblicata dal Cesi, Y, 12,181-185; XI, 407-408. Giudizio da lui pronunziato in¬ torno al Discorso sulle galleggianti, Y, 185, 190-191 ; sua perfetta conoscenza della lin¬ gua italiana, 190. Espone al Clavio i suoi dubbi sulle scoperte celesti annunziate da G., X, 288. Porta nll’Ambasciatore di Spa¬ gna a Praga un esemplare del Sidereus Nuncius, 311. Ha ricevuto un esemplare della Brevissima Peregrinano dell’ Horky, 117-418 e la fa leggere al Keplero, 419, al quale comuuica anche la Aiccvo-.a del Sizzi, XI, 77, 90. Manda a G. alcuni dubbi del Hrougger sullo montuosità della luna, X, 160, ed egli si affretta a mandarne la solu¬ zione. 465-460, della quale lo ringrazia, XI, 13-14, occasionando una replica, 38-41, per la quale invia nuovi ringraziamenti, 51-52,73- 74. Chiede conforma al Clavio dell’esistenza dei Pianeti Medicei, ai quali dichiara di non aver mai creduto, 14, e lo riceve, 45, 98-99. Si atletica ad interpretare l’anagramma re¬ lativo alle fasi di Venere, 15, del quale riceve la spiegazione dal Gualdo, 43, 52, 100. Manifesta al Gualdo la sua approvazione alle INDICE DEI NOMI ECO. Wodderborn Giovanni] INDICE DEI • scoperte celesti di G., ma insieme la sua in¬ credulità circa il moto della terra, 117. Si congratula con G. per gli onori che ha rice¬ vuto in Roma, 127-128. Scrive al Faber a proposito della pietra lucifera di Bologna, 130, 140. Avverte il Pignoria elio in Ger¬ mania si sta osservando il sole, 230; e più precisamente annunzia al Pignoria, al Faber ed al Gualdo, che vi si scorgono macchie, 235, 236, 238-239, 246. Chiede il parere di G. intorno alla essenza delle macchie solari, 289. Sua amicizia col Sagredo, 314, 505. Proposto cd eletto Accademico Linceo, 351-352, 375, 397, 404, 409, 427-428, 587, 609. Quesito pro¬ posto, per suo mezzo, dal Sagredo allo Scheiner, 459. Annunzia che questi ha sco¬ perte altre novità nel sole, 4S6, 587-588. Ha ricevuto le Lettere sullo macchie solari, e loda la moderazione usata in esse da G. verso lo Scheiner, 531. Fa parto allo Scheiner di alcune comunicazioni, inviategli da G., circa lo fiaccole ed arcolo solari, 609. Con¬ siglia il Keplero a mettere in carta i punti nei quali dissente da G., XII, 24. 11 Sa- gredo gli scrivo sdegnato contro lo Scheiner, 45-46, 61, 56, 274. Si conduole col Faber per la morte del Salviati, 59-60, 65. Sua gravo malattia, 77. Sua morte, 85-86, 89, 90. Elogio di lui, steso dal Pignoria, 89, 96,112, 115. Nominato, HI, 416, 423; V, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 23, 25, 37, 39, 72, 73, 74, 75, 76, 82, 83, 116, 186; YI, 154, 436; VII, 8, 79, 372, 373, 619; X, 477, 498; XI, 139, 141, 157, 231, 243, 297, 301, 302, 305, 306, 314, 318, 320, 324, 329, 333, 334, 347, 357, 360, 363, 370, 374, 377, 393, 394, 407, 409, 416, 422, 424, 426, 431, 433, 434, 435, 439, 446, 452, 466, 462, 464, 470, 482, 483, 487, 188, 490, 494, 498, 501, 502, 558, 560; XII, 97, 125, 137,142, 150, 423; XHI, 276; XYI, 28, 141, 146, 272, 375, 385, 425; XVII, 297; XIX, 266, 613, 614. — V. Macchie solari. Scheiner Cristoforo. NOMI ECO. 355 Wbt.ser Mattbo. Annunzia a G. le gnv- vissimo condizioni di salute del fratello Marco, e gli manda da parte di lui il Mun- dus lovialis del Mayr, XII, 77. Wblser Wolfgango Leonardo. XYI, 271. Wendelin Cristoforo. XI, 97, 414, 435, 469. * Wendblin Goffredo. Sua opora sull’obli¬ quità del solo, XV, 96,155. Nominato, XVI, 89, 280. * White Riccardo. Di ritorno da Firenze, porta in Inghilterra opere stampato e ma¬ noscritto di G., XII, 450. In Firenze aveva conosciuto il Castelli e G., al quale affet- tuosamento si ricorda, 482. Sue obiezioni al Discorso di G. sulle galleggianti, XIII, 251- 252. Nominato, XII, 375. Wiburg. Il, 245. * Wiokkns Niccolò. XI, 166. * Wiokfort (van) Ioa.oiiimo. XVII, 12. Wiffeldioii Giusto. Da parte degli El¬ zeviri chiede informazioni a G. intorno al numero delle Giornate delle Nuove Scienze, XVII, 187-188. Offro a G. il De centro grn- ■vitatis eoe. dol Guidino, 201. Lo informa circa stampe che si attendevano per lui, ed altro da spedire agli Elzeviri, 337-338. No¬ minato, Vili, 26; XVI, 453; XVII, 45, 57, 71, 147, 200, 201, 210, 211, 218, 235, 242, 251, 264, 265, 302, 311, 333, 335, 337, 409; XY1H, 16, 28, 30, 42, 55, 56, 184. WiciNMiton (de) de Pontcourlay Maria nei Comhai.et (de). — V. Combalet (de) Maria. Willio. XII, 484. * Winter Gio. Battista. Xin, 387. Wittemberg. U, 244. Wouderuorn Giovanni. Sua Confutatio della Brevissima Peregrinano dell’Horky, III, 11, 147-178; X, 4-18; approvata dal Ma¬ gi ni e dal Keplero, 376, 507. Ha dal Gualdo comunicazione della scoperta dello fasi di Venere, XI, 13. Nominato, X, 449, 477. 356 INDICE DEI NOMI ECC. Wonr.wii.t. Emilio V, 275; XIX, 274. Wol». XV, 206. * Woi.sk i NioooiA XI, 298. Wolynuki Arturo. V, 373, 508; VII, 10; Vili, 15; X, 85; XVI, 420; XVII, 310. * Woktrou (di) Miohrl» Vitto rb. Inforni» O. ohe il Zugnteaaer faceva passare per tuo uno strumento simile al Compasso gnome trico o ini li taro. II, 545. È in possesso delle scritture contenenti V illustrazione di quello strumento, lo quali nel dibattito di G. col Capra vengono depositate presso la Cancel¬ leria Pretoria di Padova, 602, 601. Scolaro di G. in Pudova, 545; XIX, 160, 151. * Wottoh Enrico. Il Wodd erboro gli de¬ dica la Confutatio della Hrei'itùnui rete* i/ritvitio dell’Ilorky, IH, 151; X, 448. No¬ minato, IH, 175. * WURSTUSRlf [UltSTlSIPS, Vl'ESTIMO] CRI¬ STIANO. Tiene alcune lezioni intorno allupi olone del Copernico, VU, 154. * WflRTKNRRRO (Duca di) FlDRMOO ÀOIUL- lr. XIX, 323. * XIMRNR-H Emanuklr. IV, 286, 369. * Ximrnks Frrdikando. Sua deposizione nel primo processo contro G., XIX, 278, 316-320; XX, Suppl., nn. 1 1123 bis, 1110bis, 1141 bis. Sue relazioni con T. Cnccini. 308,309, 810. Nominato. 313, 314, 315, 318, 319. * XlMKNRS SEBASTIANO. XIX, 310. * Ximknkh Tommaso. XV, 316. Xiphiac. VI, 27. * YhTRLLA IyODOVICO. V, 74. * Zabarklla Giacomo, filosofo. III. 372; X, 304; XI, 447. * Zabarklla Giaoomo, lettore dei Semplici nello Studio di Padova. XIII, 16. Zabarella Giulio. Eletto a competenza con G. a lettore di matematica neli'Acca- [AVohlwill Emilio demia Delia di Padova. X, 304; XIX, 125 231-232. Nominato, X, 460; XI,447;XU 14 • Zabarrlla Lioiktta. X, 269; XIX, 170 Zabarklla Soimohr. XDC, 207. Zaci’uua Franorsoo Antonio. XI, 102, •/.mnuiia Uudiyio. L’Ambasciatore Nic- oo^ni suggerì m ohe il Granduca gli rac . comandi G., XV, 74. Partecipa al secondo procedo

  • , ò probabilmente il discepolo del Torricelli nel 1641. Acquaviva (d’) Giuseppe, figlio di Al¬ berto marchese d’Acquaviva d’Aragona c duca d’Atri (morto noi 1597), e di Beatrice d’Orazio di Lanuoy, principe di Solmona. Nel 1691 lo zio Ottavio, promòsso alla por¬ pora, gli ctjdè lo abbazie di famiglia do’ Sette INDICE BIOGRAFICO. 363 Frati, di S. Angelo a Moscia.no o di S. Ma¬ ria di Propendano. Andato a Roma in pre¬ latura, nominato arcivescovo di Tebe, perdio era destinato nunzio apostolico in Spagna, morì nel 1631, prima ch’egli partisso por la nunziatura. Galileo sul di fuori della lettera (la sola, por quanto a noi consta) indirizza¬ tagli da Giuseppe d’Acquavi va, scrisse: « Card. 10 Aqquaviva », confondendo indubi¬ tatamente il nipoto Giuseppe con lo zio Ot¬ tavio, arcivescovo di Napoli, il solo dolla fa¬ miglia Acquaviva che noi 1611 fosse insignito della porpora. Adami Ottavio sembra l'osso addotto alla corte di Toscana nel 1614: dai ruoli però non resulta. Invece, che l'osso soldato apparisce da ciò, clic noi settembre 1600, essendo par¬ titi tre galeoni granducali, diretti in Levante contro il Turco, una delle compagnie di mi¬ lizia imbarcate era comandata dal « capitano Ottavio Adami ». Adami Tobia nacque aWerdau nel Voigt- land (Sassonia) il 30 agosto 1581 ; fu con¬ sigliere aulico presso il duca Ernesto di Sassonia, principe di Weimar ed Eisenbach; morì in Weimar il 29 novembre 1643. Fu uomo culto, amantissimo del sapere, in ispe- cie dolla filosofia. Accompagnò, come pre¬ cettore o maggiordomo, Rodolfo di Binau nel suo lungo viaggio ; con lui visitò il Cam¬ panella a Napoli e assistè all’insegnamento di questo nel 1613, e con lui puro visitò nello stesso anno in Firenze Galileo. Le confe¬ renze che l’Adami ebbe col Campanella in Napoli lo resero attaccatissimo alla sua per¬ sona ed entusiasta dello dottrine di lui ; onde egli divenne il principale divulgatore di esso in Germania, o pubblicò molte dello opero del Campanella. Adblgai8[sì trova anche A ldbgais] Sisto dai libri degli stipendiati della depositerai nell’Archivio di Stato in Firenze apparisco nel 1616 aiutante di camera dell’arcidu¬ chessa Maria Maddalena d’Austria, moglie (li Cosimo II. Aveva lo stesso ufficio nel 1626. Più tardi lo troviamo aiutante di camera del granduca Ferdinando IL Adimatii Alessandro, fiorentino, nato il 3 novembre 1578, morto nel 1649 (dopo il 1° di giugno), fu ascritto all’Accademia fioroniina, a quelle dogli Alterati e degli Incogniti, nel 1630 ai Lincei; ma essendo morto il 1° agosto di quello stesso anno Federico Cosi, che già aveva fatto scolpirò gli anelli per i nuovi eletti e divisava di conferirli alla prima occasione, l’Adimari non ricevette più 1’ anello, nò sottoscrisse il catalogo, o non partecipò ai lavori accademici. Bollo molto sue opere, specialmente poetiche, la più in¬ signe è la parafrasi delle Odi di Pindaro. Agakrat Antonio, nato a St. Maximin in Provenza, segretario del Peivesc, che aiutò principalmente nelle osservazioni ast ronomi¬ che e fu da lui beneficato nel testamento con un legato di trecento lire. Alla scuola del Gassendi si perfezionò, o dopo la morto di lui divenne l’astronomo ufficiale dei prin¬ cipi del sangue e dolla nobiltà di Francia. TI Bouillau ed il Payon lo consideravano corno il primo astronomo di Parigi del loro tempo. Aggiunti Gio. Battista di nobile fami¬ glia di Borgo S. Sepolcro, medico dei gran- duelli, Ferdinando 1, Cosimo 11 e Ferdi¬ nando li. Ebbe sei figliuoli, tre maschi, tra cui Lodovico e Niccolò, e tre femmine. Aggiunti Lodovico figlio di Grò. Batti¬ sta o fratello di Niccolò, seguendo la pro¬ fessione paterna, si applicò anch’egli alla medicina; e conio il padre e il fratello, servì i principi Medicei, anche in qualità di me¬ dico, e particolarmente, a quanto sembra, il principe Mattias. Come modico accompagnò in Germania Mattias e il fratello principe Francesco, che partirono da Firenze il 3 lu¬ glio 1632. Aggiuntl Niccolò nacque di nobile fa¬ miglia il 6 dicembre 1600 in Borgo S. Se polcro, da Giovanni Battista. Studiò dap¬ prima le buone lettere nel collegio dei Nobili di Perugia sotto la disciplina del Bonciario; poscia ottenne un posto noi col¬ legio della Sapienza in Pisn, dove, oltro all’impossessarsi profondamente del latino o allo studio del greco, attese alla filo¬ sofia aristotelica e platonica, alla giurispru¬ denza nella scuola di Francesco Accanai, 364 INPICK BIOGRAFICO. alla geometria e all’astronomia «otto la di¬ sciplina «li Benedetto CJototolli. ltopo sei anni , di ut lidio, ui dottorò noi 1621 tanto in iilo- solin quanto in legge; e subito dopo egli fu dato dalle granduchesse di Toscana reg¬ genti come compagno negli studi letterali al giovauo granduca Ferdinando li, con grado o stipendio di letterato al sei-vizio di lui. lu questo tempo, probabilmente, egli si fece particolare discepolo di Ga¬ lileo. Così accadde che, divenuto familiare al granduca, quando nel 1026 vacò la cat¬ tedra di matematiche nello Studio di Pisa, egli chiamato ad occuparla, fu raccoman¬ dato caldamente da Gulileo. I>a sua scuola era frequentati stima ; tra’ suoi uditori se- | dettero i duchi di Lorena c di Guisa, e ri¬ petutamente l’uno o l’altro dei principi di j Toscana. Fu altresì maestro di matematiche del principe (rio. Carlo, e nel 1064 ebbe in- ! trinseca relazione col principe Mattias. De- . abiurò anche dalla cattedra ili 1 isa passare aiutato da Galileo a quella di Padova, o l'orso a quella anche di Bologna, più clic altro per favorire l'amicissimo Dino Peri, . lasciando a lui il posto di Pisa; ma la cosa non sortì effetto. Venne a morte nel tior degli anni, nel buo stesso giorno natalizio, 6 dicembre 1035, in Pisa. Agucchi Gio. Battista nacque in Bo¬ logna di Gio. Giorgio e di Elisabetta Sega addì 24 novembre 1570. Seguì i primi studi in Faenza, dove b’ era recato presso il fra¬ tello Girolamo, indi in patria, e poi alla corto deilo zio materno cardinale Filippo Sega. Entrato nelle grazie del card. Pietro Aldobrandiui, nipote di Clemente Vili, fu con lui prima a Firenze o poi a Parigi, e nel 1604 lo troviamo a Ferrara col card. Maffeo Barberini, indi novamente col card. Aldobrandini a Ravenna, ma ben presto fece ritorno a Roma, dove alla corto del nuovo papa Paolo V ebbe agi e libertà di studi. Quivi conobbe Galileo, al quale fu presentato da Luca Valerio. Nell'ottobre 1621 fu chiamato da papa Gregorio XV all’uffi¬ cio di segretario dei brevi ai principi, e lo tenne finché Urbano Vili non glielo tolse per darlo al Magalotti. Creato arcivescovo di Amasia addì 23 ottobre 1623, fu mandato nunzio u Venezia. Rosso con grt>n lodo que¬ sta carica por oltre otto anni: l’ultima com- pnivu sua in < ’ollegio fu nel 1 ottobre 1630 perchè, infierendo la pestilenza in città, egli riparò nel monastero dei Minori Osservanti annesBO alla chiesa di 8. Maria dei Miracoli in Motta di Livcuza, o quivi morì al prin¬ cipio del 1032. Am ii ,omo ( d’Aquillon'I Francesco, nato a Bruxelles nel 1506, entrò nel noviziato do’gesuiti ili Tournay il 15 settembre 1386. Insegnò filosofia a Douui e teologia ad An¬ versa, e fu pure valente architetto. Fu ret¬ tore del collegio d’An versa, dovo morì il 20 marzo 1617. Ajkolo Gio. Battista. Nella genealogia della famiglia genovese Ajroli figura un Gio. Battista di Agostino, ascritto al patri¬ ziato il 0 luglio 1006, che venne estratto senatore negli anni 1022,1032 e 1645. L’opn- scnlo intitolato «Supplementi Francisci Vie- tao ac gooinotriae totina instauralo, authoro A. S. L. Parisiis, apml Petrum Des-Hayes, M. DU. NLIII1 » si apro con una lettera de¬ dicatoria «Illustrissimo Ioan. Bapt.Ayrolo, patritio Geminisi, Gonstantius Silanius Ni- cenus S. P. D. *; dovo le paiolo «Gonstan- tiiiH Silanius Nicenus » sono l’anagramma di « Antonius Sanctinius Imcensis », rappresen¬ tate dalle iniziali «A. S. L. * noi titolo del¬ l’opuscolo. Alamanni Andrea. Un Andrea della nobile famiglia fiorentina dogli Alamanni nacque dal scn. Vincenzio d’Andrea PII gen¬ naio 1557. Fu ascritto al consiglio dei Pu- gento nel 1610; fu degli Otto nel 1611; se¬ natore nel 1615. Sostenne un’ambasceria presso la corte di Spagna. Fra gli Andrea Alamanni, sembra esser quello elio si possa identificare col nostro. Morì il 10 dicembre 1610 a Napoli. Alamanni Luigi il giovane, di Piero di Lodovico (fratello dell’autore della «Colti- vaziono *), nato nel 1558, dotto noi latino e nel greco, olio studiò sotto la disciplina del Vettori, conobbe altresì il francese e l’ebraico, e si applicò pure alle matemati¬ che, all’astronomia o alla cosmografia, non¬ ché alla teologia e alla filosofia. Morì nel INDICE BIOGRAFICO. 365 settembre 1003, e gli furono celebrate in S. Croce solenni esequie dall’Accademia de¬ gli Alterati, alla quale egli era ascritto c n’era stato due volte reggente. Alamanni Raffaello dai libri degli sti¬ pendiati della depositarla nell’Archivio di Stato in Firenze apparisce nel 1627 come cameriere di corte. Nel 1644 era maggior¬ domo del principe Gio. Carlo de’Medici. Alberghetti Sigismondo. La famiglia, oriunda ferrarese, si stabilì in Venezia nel secolo XV, e diede alla Repubblica inge¬ gneri, scrittori e uomini specialmente segna¬ lati nell’arte di fondere metalli. 11 nostro, figlio di Giustiniano Emilio, serviva, insieme eoi fratello Virgilio, la Repubblica come fon¬ ditore d’artiglieria nell’arsenale. È ricor¬ dato corno « versatissimo nelle matematiche, di lucidissimo ingegno o perspicace, nelle meccaniche operazioni d’inimitabile espe¬ rienza ». Così il Martinioni nello Aggiunte alla Venezia città nobilissima del Sanso vino, «love, tra le altre opere del Nostro, nota « una sfora singolare, nò mai prima vista in Eu¬ ropa, di diametro di piedi cinque in circa, qual esprime con gran facilità il sistema del mondo copernicano », « uno specchio ustorio di diametro circa duo piedi, qual non solo ò potente nell’accender a i raggi reflessi del solo ogni materia combustibile, ma con gran facilità liquefà lo stagno et il piombo », e inoltre lenti, globi terrestri o celesti, un istrumento gnomonico, un orolo¬ gio solare, un telescopio col relativo soste¬ gno por agevolarne il maneggio ; e final¬ mente scrivo che stava attendendo alla co¬ struzione di una sfera tolemaica d’ottone. Fiorì nella prima metà del secolo XVlt: i documenti a lui relativi nell’Archivio di Stato di Venezia sono del 1638. Albkugotti Ulisse, di nubile e antica famiglia aretina, fu cavaliere dell’ordine di Malta e commendatore di S. Pietro alla Ma¬ gione di Siena. Alberti Antonio, arciprete di Abano. Dalla visita pastorale del 1602, che c nel¬ l’Archivio vescovile di Padova, sotto il 13 no¬ vembre, risulta : «. Antoniua do Alberti», patavinus, aotatis annorum 27, Reotor pie- banus scu Àrchiprosbiter ». Nell’antecedente visita pastorale, ch’era stata nel 1566, non figura il nome dell’Alberti, o neppure nella seguente, che fu noi 1620; anzi in quest’ul- tiraa apparisce come arciprete d’Abano un « Rari. Casottus », il che dimostra che l’Al- berti o ora passato ad altra cura o era morto. Nè l’archivio parrocchiale di Abano, nè le poche genealogie della famiglia pa¬ dovana Alberti che sono al Musco Civico di l’adova, ci forniscono alcuna notizia di Antonio. Alberti Luigi. Padovano, Eremitano di S. Agostino, nato intorno al 1560, morto nel 1628, fu il primo della sua religione che nello Studio di Padova fosse professore di Sacra Scrittura. Tenne con molta lode questa cattedra dal 13 marzo 1607 lino alla morte. Albkrtinelli Benoivknni. Nacque di Stefano di Romolo in Firenze; preso in moglie Elisabetta di Filippo Falducci, e nel 1573 fu veduto di Collegio. Dal Gonfa¬ lone Lio» «l’oro fu trasferito al Gonfalone Bue per l'arroto 7 del 1612. Albizzi (degli) Francesco, di Maso della nobile famiglia fiorentina degli Albizzi e di Francesca Funetti, nacque a Cesena il 3 ot¬ tobre 1593. Giureconsulto di chiaro nomo, fu eletto professore di legge ci vi lo e cano¬ nica nello Studio di Cesena, e vi lesse do¬ dici anni. Governò per diverso tempo i feudi dell’arcivescovato di Ravenna, e resse la giudicatura civile della legazione di Ro¬ magna. Passò dipoi a Roma ad esercitarvi l’avvocatura, ed esseudo rimasto vedovo di Violante del conte Bonifazio Martinelli, da cui aveva avuto tre maschi ed una femmina, vestì l’abito ecclesiastico ed entrò in prela¬ tura nel 1625. Fu successivamente auditore di nunziatura a Napoli o in Ispagna, fiscale della Camera apostolica, e quindi Assessore del S. Uffizio. Dal volume dei Decreta del 1635, nell’Archivio del S. Uffizio in Roma, risulta che sotto il dì 18 luglio « R. P. D. Franciscus de Albicis Cesenaten., I. U. I).. deputatus Assessor buius S. Officii, praesti- tit solitum iuramentum de silentio, iuxta IN DICK BIOGRÀFICO* 366 lormul adì traditami. Esercitò la carica di j assessore lino al 1654, nel qual anno fu eletto cardinale; o nel volume dei Decreta del 1654 il suo nomo bì leggo col titolo di cardinale ft > 4 marzo. Morì il 5 ottobre 1684 ed ha sepoltura o monumento a 8. Maria in Tras¬ tevere. Al aizzi (degli) GiosafX, di Antonio e di Cleofe Sacchetti, nato in Firenze il 10 mag¬ gio 1550, morto dopo il 1592. Albi zzi (dogli) Giovanni di Roberto e di Costanza Buonitisogni. nato il fi marzo 1536, avvocato, morì il 16 gennaio 1606. Aluizzi (degli) Lorenzo. Forse Lorenxo eli Piero e di Alessandra Berti, nato il 10 giu¬ gno 1522, morto il 17 gennaio 1599, famoso idraulico o autore di alcuni < Dialoghi so¬ pra il paese e territorio di Fisa o sul fiume Arno >, che sono stampati nel tomo IV de¬ gli autori che trattano del moto delle acque, odiz. di Firenze del 1765. Ai.bizzi (degli) Loca di Girolamo e di Francesca Strozzi, nacque il 20 gennaio 1577. Fu ammesso al consiglio de’ Dugento nel 1615, ed eletto senatore nel 1617. Fu inviato più volte in missioni deputate a compli¬ mentare principi o lo stesso Urbano Vili; fu sopraasindaco dei Novo Conservatori e Pro¬ tettore dello Comunità e Università del Do¬ minio fiorentino, soprintendente al magi¬ strato di sanità, a quelli di mercanzia o dell’Arto della lana, e ai Luoghi pii; e da Ferdinando li fu nominato consigliere di Stato. Morì il 27 aprile 1657. Albizzi (degli) Rubkrto di Giovanni e di Cassandra Lenzoni, nato il 22 settembre 1593, fu con Galileo del consiglio dei Du¬ gento nel 1631, e morì il 28 dicembre 1634. Aldizzi (degli) Tommaso di Giosata e di Francesca Guerrazzi di risa, nato il 14 feb¬ braio 1585, fu con Galileo del consiglio dei Dugento nel 1631. Podestà nel 1633 del Gal¬ luzzo o nel 1634 di S. Gimigmuio, dove morì nell’aprile dello stesso anno. Albrizi [Albrioi, Albrizio] Luigi, nato a Piacenza il 10 marzo 1579, entrò nel novi- , ziato della Compagnia di Gesù nel 1594. I u . «egnò nelle scuole dell’ordino la retorica, o ro.sxo il collegio di Bologna, o il Germanico in Doma (1643); fu altresì predicatore apo¬ stolico di Urbano Vili e di Innocenzo X. Morì a Roma il 27 marzo 1656. i Aldobrandini Laccio di Giovanni, nato il 14 ot tobre 1536, podestà di Prato nel 1574, l'atto senatore dal granduca Ferdinando I nel 1592, commissario di Pistoia noi 1594, di Pisa nel 1598, morì 1*8 marzo 1611. Aldobranu ni Ippolito di Gianfrancesco e di Olimpia di Pietro AIdobrandini, sorella del card. Pietro, nacque in Roma nel 1592. Morto lo zio cardinale il 10 febbraio 1611, Gregorio XV il 19 aprile dello stesso unno lo creò cardinale, o nel 1623 camarlingo di S. Chic i. Per opera sua furono introdotti i Chierici Regolari, dotti Teatini, in Parma, dove Mia sorella .Margherita,sposa fin dal 1599 28 dicembre) di Ranuccio I Farnese, era du¬ chessa. Nel 1628 si recò a Fironzo per assi¬ sterò allo nozze, splendidamente celebratevi PII ottobre, di Odoardo Farnese, suo nipote, con Margherita, figlia di Cosimo li de*Me¬ dici; o da Firenze sullo scorcio dolio stesso anno e nel principio dui seguente fu a lloma, dove il 6 dicembre 1628, tornativi i ducili, si continuarono le lesto nuziali. Morì in Roma nel 1638. Aldobrandini Pietro nacque in Roma nel 1571 da Pietro, fratello di Ippolito (Cle¬ mente Vili), e da Flaminia Ferrucci. Dallo zio il 17 settembre 1593 fu creato cardinale diacono di S. Niccola in Carcero Tulliano, dulia quale diaconia passò successivamente ai titoli presbiteriali di S. Pancrazio fuori le mura (14 giugno 1604 - 1° giugno 1605), dei SS. Giovanni e Paolo (1° giugno 1605- 6 giugno 1612), e di S. Maria in Traste¬ vere >6 giugno 1612 - 31 agosto 1620) c da ultimo alla sedo suburbicaria di Sabina ,31 agosto 1620 - fino alla morte). Ebbe dallo zio gli uffici più importanti dolio Stato, tra gli altri quello delPacquisto di Ferrara alla Chiesa nel 1597-1598.1118 dicembre 1599 fu fatto camarlingo di S. R. Chiesa. Nel 1600 ebbe, con la dignità di legato a latore, la missione di benedirò lo nozze di Enrico IV INDICE BIOGRAFICO. 867 con Maria de'Medici, e in appresso quella di riconciliare Enrico IV col duca di Savoia. Nel 1603 fu nominato arcivescovo di Ravenna. Morì a Roma il 10 febbraio 1621, appena uscito dal conclave apertosi per la morte di Paolo Y. Aldobrandini Silvestro di Baccio, nato il 9 marzo 1570, fatto senatore dal gran¬ duca Ferdinando II nel 1622, commissario nel 1640 di Pistoia, dove morì il 7 novem¬ bre di quell’anno. Ai.dorisio Prospero. Le Memorie degli scrittori del Regno di Napoli raccolte e di¬ stese da Eustachio d’Afflitto ecc. (In Na¬ poli, 1782, tomo I, pag. 179), danno questa notizia, della quale il raccoglitore dichiara espressamente di non ricordarsi donde l’ab¬ bia presa: « Alderisio o Aldorisio Prospero. Costui ò Napolitano, ed autore d’un libro intitolato Idcngraphìcus Nuntius, Neap. 1611, in 4 ». La Biblioteca Nazionale di Firenze possiedo (1. M. 6. 470) un foglio volante, che comincia: Prosper Aldortsius, ex eius Idkn- ORAPIIICO NuNTIO ITAS TIIKSKS, UT NOVAK 80IENTIAR IdENGRAPIIIAB POTISSIMÀS, PUI5T.TCR Romae disputandas puoponit. Seguono gli enunciati delle tesi ] irò poste, e in calce si legge: « Disputabuntur triduo apud Aedcs Snnctormn Apost. Mense... die... bora... Apud Steph. Panlinum. Snp. permissu. 1613 ». Il mese, il giorno e l’ora sono lasciati inlnanco. Non dubitiamo di riconoscere in questo fo¬ glio volante; certamente rarissimo, le «con¬ clusioni mantenute qui pubicamente da un gentilhuomo Napolitano », che Franciotto Orsini mandava a Galileo da Roma nell’ago¬ sto 1613. Alkandro Girolamo il giovane,così detto per distinguerlo dal famoso cardinale Giro¬ lamo (1480-1542), fratello dell’avo di lui, nacque alla Motta del Friuli il 29 luglio 1574 da Scipione e da Amaltea Amalt.ci, figlia del poeta Girolamo. Studiò a Padova belle let¬ tere o giurisprudenza, dando in tali disci¬ pline giovanili saggi, che gli meritarono l’amicizia del mecenate de’letterati, Gio. Vin¬ cenzio Tinelli, e di coloro che frequentavano la casa di Ini. Trasferitosi poscia a Roma, servì vent’anni come segretario per le let¬ tere il card. Ottavio Bandini, e quindi il enrd. Francesco Barberini, elio accompagnò nella sua legazione di Francia. In Francia P A leandro ebbe occasione di stringere o rin¬ novare amicizia coi più celebri lettorati del tempo, e anzitutto col l’eiresc. Morì in Roma il 9 marzo 1629. At.eaumk Giacomo. Nato in Orléans, e mancato ai vivi verso il 1627. Lui vivente, vide la luce soltanto una sua « Confutata» problematis ab Henrico Nonantholio propo¬ siti » ; d’altri suoi lavori, uno sulla prospet¬ tiva speculativa e pratica, l’altro traduzione d’un trattato astrologico del Rantzau, venno autorizzata la pubblicazione con lettere pa¬ tenti del re Luigi XIII do’ 27 febbraio 1628. Da Giovanni Camillo Gloriosi fu annoverato tra coloro che con lui aspiravano a racco¬ gliere la successione di Galileo nello Studio di Padova, ed è ricordato tra i discepoli del Vieta. Alidosi Maiuano di Rodrigo c di Lu¬ crezia Concini, sorella del maresciallo d’An- cre, ultimo della nobile famiglia degli Ali- dosi signori di Castel del Rio in Romagna, cavaliere di S. Stefano nel 1627 e bali di Ilomagna, succedette nella signoria al padre, che morì noi 1023; ma poiché questi fino dal 1618 aveva dato in affìtto ai granduchi di Toscana allodiali e giurisdizioni della detta signoria, elio consisteva in mille anime, un convento, un ospizio e duecento soldati, e nel 1621 aveva rinnovato il contratto per cinque anni, così Mariano prese l’ammini¬ strazione di Casteidei Rio soltanto nel 1626, allo spirare dell’affitto. Urbano Vili nel 1630 gl’intimò indarno di chiederne investitura ecclesiastica, essendo Castel del Rio feudo della Chiesa. Inoltre nel 1631 Mariano era reo dell’omicidio d’un Iacopo Sozzi nello Stato della Chiesa, o di gravi danni negli averi e nelle persone, come appariva da deposizioni contro di esso avanti il tribu¬ nale dell’Inquisizione. Il papa chiese la con¬ segna dcll’Alidosi al granduca di Toscana, che lo aveva ai suoi servigi in corte. Fu carcerato in Firenze, poi tradotto a Roma, e nel 1633 rimesso in libertà. Tornato in Toscana, trovandosi perseguitato dai credi¬ tori, nel 1635 vendette Castel del Rio a Già- 368 INDICE BIOGRAFICO. corno Sftlviati, duca di Giuliano; senonchò il papa, citò a Roma i due contraenti, di chiavandoli, poi contratto fatto, incorai nelle peuo e censura stabilito dalle costituzioni pontificie: il Salviati andò a Roma e si giu¬ stificò, P Alidori invece fu condannato in contumacia, e il papa fece prender possesso di Castel del Ilio il 19 gennaio 1638, dal governatore d 1 Imola. Mariano morì in Fi¬ renze il 21 dicembre 1645. Allacci Leon*. Nacque a Scio uel 1586, e giovinetto si trasferì in Calabria e di là noi 1600 a Roma, dove seguì gli studi di umanità, filosofìa o teologia. Fu prima vi¬ cario generale del vescovo d'Anglona, poi di quello di Scio; ritornato a Roma si laureò in medicina, ma preferendo di coltivare le belle lettere, entrò nel collegio della suu nazione come insegnante di greco. Compì per ordino di Gregorio XV una missione in Germania; di ritorno dalla quale fu prima alla corte del card. L.elio Biscia, indi so¬ stituì molato nell’ufficio di bibliotecario del card. Francesco Barberini. Compose opere numerosissime di orudizione varia, e fra esso | lo «Apes Urbanae » (Roma, 1633) per le quali è maggiormente noto. Morì in Roma uel gennaio 1669. Allfeldt (d’) Cablo. Di lui abbiamo trovato vario menzioni noli’Archivio l’ni- versitario di Padova, e precisamente negli atti della Nazione Germanica Artista: «Ca- roluB ab Aleveltt Holsatua, Anno 1601 ». — «Carolo ab Alevelt Ilolsato Syndico,Calcnd. Aug. MDGI > — « Carolo ab Allfeldt Ilolsato Coneiliario, Culend. Jun. 1602». G negli atti della Nazione Germanica Giurista: «D. Ca¬ rolila ab Alleveldt, Assessor elogi tur, 10 Kal. Aug. ltìOO*. — « Carolila Alleveldt ConsiL Nat. Gora. elcctuB 7 Kal. Aug. 1000 ». Allori Cristoforo d’Alessandro, nato in Firenze il 17 novembre 1577, morto nel 1621, detto il Bronzino, discepolo del padre, ma a lui superiore, fu tra i più rinomati pit- i tori del tempo suo; valente specialmente ne’ ritratti. Albino Prospero. Nacque di Francesco in Marostica, su quel di Vicenza, il 23 no¬ vembre 1553. Compiuto il corso degli stadi a Padova, sul finire del 1580 accompagnò Giorgio Emo in Egitto e vi rimase tre anni, raccogliendo larga messe di studi e di piante, o dopo breve soggiorno a Venezia passò a Genova con Andrea Boria come medico della flotta di Spagna che questi comandava. Con decreto dei 29 aprile 1594 fu dal Senato Ve¬ neto chiamato alla ostensione dei Semplici nello Studio di Padova, e durò nell’ufficio lino alla morte seguita addì 23 novembre 1616. Ai.tk.mp 8 Gio. Angelo di Roberto (morto nel 1586) o di Cornelia Orsini, fu erede delle molte ricchezze lasciato dal card. Marco Sit¬ tico, suo avo. ohe, prima d’essere ecclesia¬ stico, era aiuto uomo d’ armi e aveva già avuto figliuoli: dell’eredità familiare faceva parte il sontuosissimo palazzo ohe Marco dittico aveva fatto fabbricare a Mondi-agone presso Francati. Giannangelo, fu come il padre, duca di Gallese, ed uomo di molta erudizione. Degno di memoria, soprattutto, per aver acquistato nel 1601 dai Colonnesi la biblioteca appartenuta già al card. Mar- eidlo Cervini (che fu papa Marcello II) e a Guglielmo Sirleto, c ohe, ricca di moltis¬ simi codici, dai discendenti di Giannangelo venduta al card. Pietro Ottoboni (Alessan¬ dro VII !), o comperata finalmente, con tutta l’Ottol)’ ninna, da Benedetto XIV, fu unita da questo alla Vaticana. Giannangelo sposò Maria di Federico di Angelo Cesi, sorella di Federico (.'osi, dalla quale ebbe un unico figlio Pietro. Morta Maria sulla fino del 1609, passò a seconde nozzo con Marghe¬ rita Madruz i. Mori il 5 dicembre 1620. Altkmps Pietro di Gio. Angelo e di Maria Cesi, nacque prima del 1609, e fu duca di Gallese e marchese di Soriano. Dagli antenati ereditò altresì i vasti possedimenti di Paterno o di Val di Pesa in Toscana, elio il card. Marco Sittico, suo hisavo, aveva comperato nel 1571 per la somma di quat¬ tordicimila Hcudi dai Crivelli Scapata pi, i quali li avevano acquistati da Luca Pitti. Vendette i codici della biblioteca di sua casa al card. Pietro Ofctoboni, che fu papa col nome di Alessandro Vili. Morì in Roma il 15 marzo 1691. INDICE BIOGRAFICO. Alti ni [Haultin] Gio. Battista. Gli Haultin (ital. Altini) sono una famiglia «li tipografi protestanti della Rochelle, che eser¬ citarono l’arte loro nella seconda metà del XVI e nella prima del XVII secolo. Giovanni Battista, nato a Parigi verso il 1580 e morto nel 1640, si dedicò in particolare agli studi di numismatica; e tra gli altri lavori, che videro la luce postumi, è una «Histoire des Empereurs roraains, depuia Jules Cósar jusqu’à Posthumus, avec toutes les módail- les d’argont qu’ila ont fait battre de leur temps » (Paris, 1641, 1015). Altorei.li Ilahio nacque a Montecchio su quel di Macerata nel 1560. Entrato nel¬ l’Ordine doi Minori Conventuali, era nel 1590 in Roma nel collegio di S. Bonaventura, e addì 8 dicembre 1591 consoguì la laurea di dottoro in teologia nel capitolo della sua provincia radunato a Fermo. 11 29 gen¬ naio 1592 lo troviamo ascritto al convento romano dei SS. XII Apostoli. Passò poi alle reggenze dei ginnasi dell 1 Ordino in Ri- mini, in Fermo e in Verona, dove paro sia rimasto dal 1601 al principio del 1605. Servì come teologo il card. Francesco Bon- compagni, a cui dedicò le « Tabulae regiae astronomicae j> (Macerata, 1628), e con le raccomandazioni di lui aspirò nel 1625 a succederò al Magini nella lettura di mate¬ matica presso lo Studio di Bologna, ma poi, a motivo dell’età provetta, ritirò egli stesso in certo qual modo la sua candidatura. Venne celebrato e come predicatore e come poeta, e si applicò principalmente agli studi sto¬ rici, matematici, astronomici, non esclusa nemmeno P astrologia giudiziaria, nonché alla costruzione di strumenti matematici. Non abbiamo trovato memoria di lui poste¬ riore al giugno 1629. Altogkadi Alessandro di Belgrado e di una Sanminiati, nacque iu Lucca da una fa¬ miglia, da cui uscirono parecchi personaggi lucchesi notevoli, e fu battezzato nella chiesa di S. Giovanni il 28 settembre 1563. Nel marzo del 1607 fu eletto ambasciatore straor¬ dinario della repubblica di Lucca presso la corte Cesarea a Praga « a proseguir l’ap¬ pello » (così gli si diceva nell’istruzione) « interposto dalla ingiusta sentenza data in , 369 Milano da quel Senato, nella causa delegata «la S. M. Cesarea, ad istanza nostra di quella parte di Garfagnana che ci tiene indebita¬ mente occupata il Sig. Duca di Modena». Fu richiamato a Lucca nel luglio del 1618, o morì il 3 gennaio 1626. Da una letteradi Gio. Antonio Magini al Keplero, del 26 mag¬ gio 1610, vediamo com’egli godeva l’inti¬ mità del Magini. Altoviti Giovanni d’Alberto e di Fran¬ cesca Berardi, di nobile famiglia fiorentina, destinato alla carriera ecclesiastica, fu man¬ dato ad educarsi a Roma, dove entrò in pre¬ latura. Scnonchò, addimostrando talenti di¬ plomatici, il granduca volle valersene, e ri¬ chiamatolo a Firenze, lo mandò residente a Milano nel 1614. Venne richiamato nel 1618, essendo stato accusato di segreta intelli¬ genza con Carlo Emanuele l di Savoia, al¬ lora in guerra contro gli spagnuoli, per i quali i Medici parteggiavano. Gli furono tut¬ tavia affidate altre importanti missioni diplo¬ matiche. Fu altresì uomo di lettere, ascritto all’Accademia fiorentina, e a quella degli Alterati. Morì il 4 marzo 1635. Ama dori Gio. Battista, di Domenico di Giovanni di Piero Araadori da Dicomano, nacque in Firenze noi 1567: è detto «dot¬ tore fisico» nell’arroto 136 del 1608 Lion d’oro. Morì in Firenze il 30 maggio 1621. Amuuogetti Marco, sacerdote fiorentino, che Galileo tonno presso di sé in Arcetri dal 1° giugno 1637 al 25 gennaio 1639, va¬ lendosi di lui per dettargli le lettere, dello quali abbiamo buon numero anche oggi scritte di sua mano, e per la traduzione latina del Saggiatore , delle Lettere sulle macchie solari e del Discorso sulle galleg¬ gianti, la quale egli intendeva mandare agli Elzeviri per l’edizione completa delle suo opere che disegnavano ili fare. E anche posteriormente al gennaio del 1639 1*Am¬ brogetta tornò in Arcetri, servendo a Galileo di amanuense. Nella « Descritione del nu¬ mero delle case e dello persone della Città di Firenze, fatta l’anno MDCXXXII », elio si ha nel cod. Palatino E. B. 15, 2, della Nazionale di Firenze, o precisamente nel « Quartiere S. Giovanni » e in « Via del (Jo- Vol. xx. 47 870 IN DICK BIOGRAFICO. numero >, ò registrato, in una »te»aa cu«u con un altro prete: « Prete Marco Arubrogetti * , con 4 «bocche», cioè 2 «maschi sopra 16 | auui *, 1 « femmina sopra 15 anni » o 1 « fem- | mina minore » o senza servitori. Ambrooi Ambbooio nacque in Poma, e fu allevato e istruito insieme con Fnmiano Michelini, suo co ni pat riotta, che «li fu sem¬ pre svisceratissimo amico. Con easo, che prese l’abito verso il Hi25, si vesti religioso «lolle Scuole Pie, in qualità, come il Miche- lini, di cherico operaio. Passò di poi in Ger mania; indi venne in Toscana nel 1638, e coll’aiuto del Michelini fu latto maestro d’are hit ottura militare de’principi (rio. Carlo e Leopoldi). Per protezione di questi fu pro¬ mosso agli ordini oul sacerdozio, insieme col Michelini. Fatto sacerdote, si fermò iu Ho ma, dove uel 1642 ottenne, dimesso l'abito di religioso, d’essere sacerdote secolare. Nelle memorie dell’Ordine Scolopio, nel quale as¬ sunse il nome di P. Ambrogio della Conce¬ zione, non è ricordato se non in occasiono d’una cerimonia domestica, a cui fu presente, già sacerdote, il 25 dicembre 1639. Ammansati Dorotka, della famiglia pe sciafilia dogli Àmmannati, dalla quale nel secolo XV era uscito il card. Iacopo, e ohe è diversa dall’omonima fumiglia di Pistoia, nacque intorno al 1521. In un documento che ò nella Bild. Naz. di Firenze, Appen dice ai Mas. Gal., ossa è indicata corno tiglio olitn Cosimi Veuturae do Piscia»; invece nel testamento eh’essa fece iu Pisa il 5 feb¬ braio 1581, si legge: « 1 urotea, iilia q. Ma- gistri Cosimi Automi V tinture dclli A ni an¬ noti de Piscia *. Cosimo Àmmannati risulta già morto il 5 luglio 1562. Dorotea nel ci¬ tato testamento, eh’ essa fece « corpore lan- guona », dopo vari legati nei quali men¬ ziona alcuni suoi parenti (« Vincentio, tilio Diamantis, sororis testatricis», «Diamanti, lilie Domine Filaminie eiua uepotis»), insti luì in parti eguali sue eredi Giulia, moglie di Vincenzio Galilei, ed Ermellina, sue sorelle, con la condiziono che la parte lasciata ad Ermellina passasse, dopo la morte di que¬ sta, a Bartolommea figlia di Ermellina; ed elesse ad esecutore testamentario Muzio Teda! di. Ammainati Krmkm.ina ò ricordata più volte, insieme con la sorella Dorotea e con la figliuola Bartolommea, nelle lettere di Muzio Tr6, o fu sepolto per sua volontà nella chiosa di Moutuiono noi sepolcro e con l’iscrizione ch’egli stesso aveva prepa¬ rati nel 1046 per sò, per la madre c il fra¬ tello Benedetto. Andrba Gio. Valkntjno, poeta e teologo, nato il 17 agosto 1586 ad Ilerronberg nel Wtirtemberg, morto il 27 giugno 1654 in Stuttgart, dopo avere studiato teologia a f u- hinga, viaggiò come educatore di giovani nobili iu Germania, in Italia e in 1*rancia; INDICE BIOGRAFICO. 371 nel 1G14 era diacono a Yaihingen, nel 1020 soprintendente (che ò una dignità della Chiesa protestante) a Kaìw, noi 1639 pre¬ dicatore di corte a Stuttgart, nel 1650 so¬ printendente generalo di Pebenhauscn e abate di Adelberg. La sua autobiografia fu pubblicata in tedesco dal Seybold nel 1799, od in latino dal Rheinwald nel 1849. Anfossi Giovanni, di Genova. Nel luglio del 1629 Gio. Battista Montalbani lo rac¬ comandava vivamente con due lettere a Carlo Antonio Manzini e a Cesare Riarsili perla cattedra di matematica nollo Studio di Bo¬ logna, vacante dopo la morte del Magini; e le notizie che il Montalbani dà in quelle due lettere sono, insieme con quel che risulta dalla lettera di Antonio Santini a Galileo del 16 gennaio 1636, quanto si conosce di questo matematico, affatto ignoto anche agli eruditi elio trattarono particolarmente degli scrittori liguri. Scrive il Montalbani al Man¬ zini, conio Giovanni Anfossi, «soggetto nou minore di qualità e valore » che Camillo Gio¬ itosi, è « sacerdote che bora ò in Spagna col uiuitio Monti; gioveue di 35 anni; scrive de inclinatione et tactione linear uni, che ninno d’Apollonio in poi no parlò....; tiene sotto la stampa alcune cose: è un altro Cataldo c forse più, un altro Vietta certo ». E scri¬ vendo al Marsili, il Montalbani, dopo aver ripetute le stesso particolarità e elio l’All¬ ibasi « tiene sotto il torchio alcune opere; ha scritto de inclinatione et tactione lineatimi », aggiunge: «nell’alzebra supera ogn’altri; ò giovane, può durar lattica e la dura vo¬ lentieri; io l’ho conosciuto qui [a Napoli] per maggior di fatti che di nome: meglio di lui non so vi sia bora altri ». Al Montalbani l’Anfossi era stato raccomandato dal P. Sta¬ selo gesuita. Angeli Filippo pittore, nacque in Roma o fiorì nella prima metà del sec. XVII. Giovinetto, dal padre, ch’era pure pittore od era stato soprintendente in Roma dei lavori di pittura fatti fare da Sisto V, fu condotto nel regno di Napoli, ed ivi edu¬ cato ; onde, dal lungo soggiorno fatto colà, è chiamato Filippo Napoletano. Dopo la morte del padre, tornò a Roma e ivi lavorò molto ; come pure a Firenze, alla corte di Cosimo II, ila cui fu largamente beneficato. Godette buon nome, specialmente come pae¬ sista: compose anche alcune battaglio. Morì giovino in Roma, sotto il pontificalo di Ur¬ bano Vili. Angeli Giulio medico, d’una famiglia oriunda di Larga, dalla quale uscirono pa¬ recchi lettori dolio Studio di Pisa, ed altri illustri personaggi. Fiorì nella seconda metà del secolo XVI. Fu chiamato a curare il gran¬ duca Francesco nell’ultima sua malattia, e fu medico di corte sotto Ferdinando 1. Lesse nello Studio pisano, dapprima logica, dal 1563 in poi, c quindi medicina, a partire dal 1577 e fino al 1592. Lasciò poscia Firenze; e trasferitosi a Roma, ivi pure lesse medi¬ cina, dal 1593 o 1594 per sei o sette anni, e fu forse archiatro di Clemente Vili. Morì in Roma il 9 settembre 1601. Anualt (d’) Augusto. Del principe Gioac¬ chino Ernesto e della sua seconda moglie Eleonora di Wurtemberg nacque il 14 lu¬ glio 1575: completò mediante lunghi viaggi l’ottima educazione ricevuta. Alla morte del padre, rinunziò la sua parto dei diritti di successione nella signoria e si ritirò nel castello di Plòtzkau, occupandosi grande¬ mente negli studi ed in particolare in quelli di chimica e d’alchimia. Se non clic, rima¬ sto, per la morte dei fratelli, Gio. Giorgio e Cristiano, il più anziano della famiglia, dovè prendere le redini del governo, che resse assai saggiamente durante la guerra dei trent’anni, procurando poi di attenuare le gravissime conseguenze che da quella orano derivate ai suoi stati. Mancò ai vivi il 22 ago¬ sto 1653. Antklla (dell’) Niccolo del sou. Filippo del sen. Giovanni, di nobile famiglia fioren¬ tina, nacque il 4 luglio 1560, o fu dottore e avvocato, cavaliere e auditore della reli¬ gione di S. Stefano, scudiere del granduca Ferdinando I, soprintendente delle fortezze o fabbriche dello Stato, luogotenente di S. A. nell’Accademia del Disegno (ed a lui è de¬ dicata l’orazione ivi tenuta nel 1621 da Pie¬ tro Accolti), soprassindaco de’ Nove, eletto nel 1621 tra i quattro componenti il con¬ siglio di reggenza nella minor età dei gran- 372 INDICE moti «A Eleo. duca Ferdinando II, e appreso consigliere di Stato di Ferdinando II. Fin dal maggio 1608 ora stato eletto senatore. Fu altresì, por molti anni, revisore per il granduca dei libri da stamparsi. Morì il 18 ottobre 1630. Antifassi Vincenzio, Domenicano del convento di S. Maria Novolla in Firenze. Di lui il Necrologio di S. Maria Novella , ras. nella biblioteca del Convento, dà t n* 1092) le seguenti notizie: « Pater Frater Vincen- tiua Antifassius universao carnis tributimi solvit ii Calentlas Februarii 1038, aetatis suae anno 64. Sacri verbi epulas SereniBsi- mo8 Prinoipes in Arciducali Palatio cibavit, et in aedo monialiuin counnuniter detto la Crocetta. In nostra Provincia Pracdicatoria gi*nerali8 honores praosetulit, ot in suo con- ventu praefecturam exercuit per trea annos laudabiliter. Monialium virginum 8. Petri Martyria, Sanctique Dominici de Fiorenti», oxpiationi praepositus fuit. Non ìngratam linguao Buae copiani, concionatoris munus oxercendo, praesotulit, et Sacrae Scripturae oxpositionia officio pluribns in coenobiiB fun- ctl!8 OBt*. Antinori Luigi di Vincenzio o di Mar¬ gherita Capponi, nacque nel 1699, e a quin¬ dici anni si fece gesuita. Fu penitenziere e lettore di filosofia o teologia morale nella casa professa di Loreto. Lo stesso ealtedro di lilosofia e di teologia tenne in Firenze nel collegio di S. Giovannino, di cui fu nel tempo stesso rettore, e parimente rettore del noviziato in S. Salvatore iu borgo Pinti. Morì il 5 agosto 1679, osaendo procuratore dell’Ordine. 1 granduchi Ferdinando li e Cosimo III lo ebbero in grande stima, o lo scelsero per loro teologo. Antonini Alfonso di Girolamo (Signore di Saciletto, e discendente di antica e no¬ bile famiglia friulana) e di Sofonisba di Pie¬ tro Percoto, nacque in Udine il 22 agosto 158-1. Compiuti gli studi all’ università di Padova, e tornato in patria, ivi fondò il 13 agosto 1606 l’accademia letteraria degli Sventati, che si radunava nel suo stesso palazzo odi cui egli l'u il primo principe, col nome di Sereno. Non meno amante delle armi che delle lettere, persuaso il luogotenente Antonio Gumani a fondare noi 1609 altra accademia per l’esercizio delle armi. E fra la milizia o le lettere passò la sua vita. Nolla guerra di Gradisca comandò lo milizie venete della Caini»; quindi andò in Fiandra o in lloe- mia, dove fu fatto colonnello d’un reggi¬ mento di genti italiane; richiamato dalla Serenissima, fu fatto commissario della ca¬ valleria leggiera in terraferma, con la qual carica sorvì in Lombardia, nella Valtellina c nel Polesine. Ebbe puro, per molti anni, l itri uffici militari dalla repubblica di Ve¬ nezia, finché nel sessantaquattresimo anno d’età, chiesta licenza dal servizio militare, si ridusse a riposo in patria. Nel campo dogli studi coltivò la poesia, l’astronomia e lo matematiche, in quanto hanno relazione nlParte militare. Morì il 16 aprile 1657 in Udine. Antonini Daniki.lo, fratello di Alfonso, nacquo in Udine il 16 luglio 1588. Studiò matematiche all’ università di Iìologna sotto la guida del Cataldi, e a Padova sotto quella di Galileo, l’orlato però dall’ amor delle armi, si recò in Fiandra, dove si allogò nel Terzo del genovese Pompeo Giustiniani, mastro di campo. Stette in Fiandra nel 1611 e parte del 1612; il primo d’ottobrodel 1612 ora di nuovo in Udine, c si trattenne in patria alquanto tempo por una lunga ma¬ lattia. Scoppiata in sullo scorcio del 1615 la guerra di Gradisca, l’Anto nini fu dalla Sere¬ nissima destinato capitano d’una compagnia di cento archibugieri a cavallo, ed altresì capitano della cavalleria della sua città. In questa guerra si segnalò per valore in più occasioni; e il 30 gennaio 1616 battè gli Au¬ striaci sull' Isonzo. 11 24 febbraio cominciò l’ussedio regolare di Gradisca da parte dei veneziani; e mentre l’Antonini soprinten¬ deva alle trincierò che si facevano per avan¬ zarsi sotto le mura, colpito da un colpo ili cannone, morì il 10 marzo 1616. Il suo corpo fu onorevolmente seppellito in Udine nella chiesa di S. Lucia; il giureconsulto Daniello Sforza disse lo suo lodi in un'ora¬ zione, che è a stampa ; la repubblica or¬ dinò atti di pubblica condoglianza verso la sua famiglia, regalò a ciascuno dei suoi fra¬ telli una collana d’oro o gli fece erigere una statua equestre noi duomo di Udine. Da INDICE BIOGRAFICO. 373 città di Udine l’onorò con un busto di marino cil iscrizione, nella sala del Maggior Consi¬ glio (ora Sala Aiace). Aroi.i.oNi Apollonio, di Piranonell’Istria, lesse medicina nello Studio di Pisa dal 1058 al 1062. Appiani Annidale. — V. Appiani Carlo di Sforza. Appiani Carlo di Sforza. Morto nel 1603 Iacopo Cosimo VII Appiani, principe di Piombino, senza prole, parecchi do’suoi pa¬ renti si contesero la successione : tra questi Carlo figlio di Sforza, d’un altro ramo de¬ gli Appiani, e di Camilla di Carlo Oonzaga signore di Bozzolo. La popolazione di Piom¬ bino riconobbe in Carlo il successore al prin¬ cipato; o l’imperatore sembra pure propen¬ desse per lui, con l’obbligo però che dovesse pagare alla Camera imperialo 800000 fiori ni per l’investitura del feudo. Se non che gli spagnuoli, che tenevano presidio nel prin¬ cipato, non permisero a Carlo di esercitare alcuna autorità, fino a tanto che il re di Spagna o l’imperatore, tra’quali era anche contesa a chi spettasse concedere l’investi¬ tura, non avessero pronunziato un giudizio sullo questioni mosse dai vari pretendenti. Intanto, mentre il 21 dicembre 1610 Anni¬ baie Appiani, fratello e procuratore eletto da Carlo, scriveva a G. A. Magini di ob¬ bligarsi a pagargli, d’ordine dell’impera¬ tore, sulla somma a questo dovuta da Carlo, certi denari che l’imperatore doveva al Ma¬ gini, nel 1611 invece la corte di Spagna investiva del principato Isabella sorella del defunto Iacopo Cosimo; cosicché Carlo non pagò altrimenti la somma fissata con l’im¬ peratore. Morì nel 1621, lasciando ai figli la difesa dei contrastati diritti. Aproino Paolo. Nato in Treviso di Gi¬ rolamo celebre medico, fu nel 1586, assolti in patria i primi studi, mandato dal padre all’università di Padova, dove, inscrittosi fra gli Artisti, fu scolaro di Galileo ed ot¬ tenne la laurea filosofica nel 1608. Nel corso del medesimo anno fu ammesso nel Collegio dei filosofi della sua città. Fra il 1610 e il 1612 lece un lungo viaggio in mare; e ri¬ tornato in patria, vi abbracciò lo stato ec¬ clesiastico. L’anno appresso, 1613, divenne canonico della cattedrale di Treviso, e po¬ scia fu eletto vicario capitolai» in sodo vacante, nella quale dignità mancò ai vivi il 13 marzo 1638. Aquilani Scipione, nato a Pisa, fu di¬ scepolo di Francesco Buon amici. Lesso logica nello Studio di Pisa dal 1599 al 1608, e dopo essere stato alcun tempo a Roma, tornato a Pisa fu nominato straordinario di filosofia nel 1610. Tenne questa cattedra fino al 1623, anno della sua morto. Argoli Andrea. Nacque d’Ottavio e di Caterina Mati in Tngliacozzo l’anno 1570. Con decreto dei 23 aprile 1632 fu chiamato dal Senato Veneto a succedere a Bartolom- meo Sovero nella cattedra di matematica nello Studio di Padova, e poco appresso de¬ corato deH'ordine equestre. Benché godesse fama altissima, non diedo alcun contributo allo matematiche propriamente dette: fu piò che altro un compilatore di olìemeridi, od un cultore della astrologia giudiziaria. Venne costantemente confermato nella let¬ tura, fino alla morte avvenuta in Padova il 21 settembre 1657. Arici Gio. Battista. Nacque in Brescia di quella nobil famiglia intorno al 1589, come si rileva dalla sua polizza d’estimo del 1641, die incorninola: cPoliza d’estimo di noi Prete Gio. Battista et Bartholomeo, f. m e fig. 11 del q. D. Pietro Thomaso, q. m Gio. Cbristoforo Arisi, cittadini et habitanti in Brescia. Io Gio. Battista d’anni 52». In altra polizia del 1637 dice: « Io Prete Gio. Battista Arici. > Fu per 14 anni in Roma, ai servigi del card. Ludoviai. Armi (dall’) Giovanni del senatore Ga¬ spare e di Aurelia Campeggi, di famiglia se¬ natoriale Bolognese, fu nominato senatore della sua città il 13 marzo 1559, ed entrò in Senato il 18. Coprì pure la carica di gon¬ faloniere nel 3° bimestre del 1559, nel 5° del 1566, noi 1° del 1574, nel 5° del 1580 o del 1588; e fu ambasciatore ordinario a Roma dal 7 aprile 1564 al 19 agosto 1566. Morì il 28 settembre 1592. 374 INDICE BIOORA FICO. Arrault» Antonio iun., nato a Parigi il G febbraio 1312 da Antonio di Antonio, per¬ sonaggi pur essi notevoli, e da (-aterina Ma¬ rion; fu soprannominato « le grand Ar- nauld *; famosissimo e fecondissimo scrittore d'opere d’argomento soprattutto religioso o polemiche (contro i gesuiti ecc.). Mori l’8 ago¬ sto 1634 a Bruxelles. Arpe (dell') Orario, chiamato, secondo il Fétta, anello Orasi etto dell'Arpa per la sua rara abilità nel sonare quello stru¬ mento. Era in Hoiua dal 1020 al 1040. 11 suo nome di famiglia 6 sconosciuto. An righetti Andhea di Giulio odi Maria Sernigi, nacque il 24 agosto lf>92. Discepolo nello matematiche di D. Benedetto Castelli, fu eletto dell’Accademia della Crusca l’rt lu¬ glio 1618; senatore nel 1044, e il 4 agosto 1043 provveditore del magistrato della Parte. Fu altresì soprintendente di tutte le fortezze e fabbriche dello Stato toscano; e con diploma da Parma, de’ 14 febbraio 1668, il duca Ka- nuccio Farnese conferì il titolo di conte a lui o n’suoi discendenti. Mori il 13 febbraio 1672. Era cugino di Niccolò, essendo fratelli i loro padri Giulio e Francesco, (,'arlo Dati, scrivendo nel 1G63 della cicloide, cita la testimonianza di Andrea Arrighetti come quegli elio «domandato s’egli si ricordava dì questa linea, tosto puntualmente la de¬ scrisse, figurandola simile a forto o vaga curvatura di ponte, ed affermò ed afferma d’averne sentito discorrere o al Galileo come di cosa propria, o al P. Don Benedetto Fa¬ stelli, come di cosa del Galileo, poco dopo all’anno 1618 >. Arrigiibtti Filippo di Gio. Luigi di Za- nobi o di Baccia di messer Piero Uucellai, cugino in terzo grado di Andrea e di Nic colò, nacque iu Firenze nel 1582, studiò allo università (li Pisa e di Padova, e fu dotto nella lingua greca e nella filosofia, ma so¬ prattutto nella teologia, di cui conseguì la laurea il 20 novembre 1631 nell’università fiorentina; e fu subito dopo ascritto al Col¬ legio dei teologi nella stessa università. Familiare sin da giovane e accettissimo ad Urbano Vili, fu da esso fatto canonico penitenziere della metropolitana fiorentina noi 1631. Fu altresì stimato dal card.Fran¬ cesco Barberini, e fu cameriere del card, t urlo de’ Modici. Morì nel novembre 1062 e fu sepolto nel duomo. Arhigubtti Francesco di Filippo, na- oqno il 21 luglio 1548. Sposò nel 1585 Fiam¬ metta di Lodovico Ginori. Abbiuhetti Giulio di Filippo naoquo in Firenze il 21 luglio 1548, fu dottoro e av¬ vocato di Collegio, sposò nel 1588 Maria di inesscr Andrea di messer Linieri Sernigi. Era dei Dugemto nel 1623 e mancò ai vivi il 22 novembre 1632. Aunit; il liti Niccolò di Francesco e di Fiammetta ili Lodovico Ginori, nacque P11 novembre 1586. Sposò nel 1017 Costanza di Noferi Bracci, da cui ebbe più figliuoli. Fu dei Dugento; accademico della Crusca eletto il 17 dicembre 1603; consolo dell’Accademia fiorentina nel 1623, succedendo a Galileo. Mori il 29 maggio 1639, dopo brevissima ma¬ lattia, compianto grandemente da Galileo, e fu sepolto in S. Marco il 1° giugno. Arbiuuxtti Nomiti di Niccolò e di Co¬ stanza di Noferi Bracci, nacque il 9 dicem¬ bre 1620; sposò Caterina Felice di Lorenzo Frescobaldi nel 1660; mori il 10 gennaio 1715. Fu del consiglio de’Dugento. Arrighi Michel* nacque in Firenze nel 1567 di nobile famiglia, ed entrò nell’Ordine dei Predicatori nel convento di S. Maria No¬ vella. Lettore di Scrittura Sacra nel pubblico Studio di Firenze, e laureato in teologia, il 21 gennaio 1610 fu ascritto al Collegio de’teo¬ logi dell’università fiorentina. Nel 1606 fu priore a Montepulciano. Nel settembre 1609 fu ciotto priore di S. Domenico di Fiesole, ed ora stato anche confermato dal P. Pro¬ vinciale, ma non accettò, perchè non gli fu possibile lanciar l’ufficio di lottoro teologo nell'università fiorentina. Nel 1613 fu priore a S. Maria Novella; nel 1615 fu eletto Pro¬ vinciale romano; più volto fu definitore ne'capitoli provinciali, corno anche nel Ca¬ pitolo generale di Lisbona del 1619. Il 26 settembre 1622 fu eletto di nuovo priore di S. Domenico di Fiesole, ma dopo alcuni mesi INDICE BIOGRAFICO. 375 rinunciò. Passò poscia a Siena, e quindi tornò a Firenze, dove il card. Carlo de’Medici lo fece suo teologo. Fu altresì esaminatore smodalo fiorentino. Morì in Firenze l’8 feb¬ braio 1634. Aruigoni Pompeo di Gio. Giacomo, no¬ bile milanese o, secondo altri, comasco, e di Eugenia Tara, gentildonna romana, nacque a Koma nel 1522. Laureato in legge a Pa¬ dova, vestì piu cariche nella corte romana, finche il 5 giugno 1596 fu da Clemente Vili creato cardinale del titolo diaconale di S. Ma¬ ria in A qui ro, dal quale nel 1597 fu tra¬ sferito a quello di S. Balbina. Appartenne a parecchio congregazioni, tra lo quali a quella del S. Uffizio. Il 10 aprile 1607 da Paolo V fu fatto arcivescovo di Benevento, e in quell’ufficio compì opere importantis¬ sime. Morì il 4 aprile 1616 a Torre del Greco, o fu sepolto nella metro poi ita ua di Benevento. Aschiial’sen (di) Giovanni Goffredo. Di Goffredo e di Brigida Zobel di Giebelstadt. nacque in Lauda (Wiirzburg) il 22 agosto 1575. Entrò all’età di dodici anni nel semi¬ nario fondato da papa Gregorio XIII in Fulda c tenuto dai gesuiti, rimanendovi fino al 1591, nel (piale anno intraprese gli studi filosofici a Wiirzburg e li compì in un quadriennio. Investito già d’un canonicato laico, rinunciatogli dal fratello maggiore che passava a nozze, si recò nel 1595 nel colle¬ gio di Pont à Mousson fondato dal cardi¬ nale Carlo di Lorena; e quivi, a Magonza e poi novamente a Wiirzburg, seguì gli studi giuridici e teologici, noi quali fu laureato alla fino del 1598. Nel dicembre 1601 fu or¬ dinato prete; e dopo essere stato investito di altre cariche ecclesiastiche, il 21 luglio 1609 fu eletto principe vescovo di Bambergn, con plauso universale o con particolare con¬ tentezza dei gesuiti, che lo aiutarono sem¬ pre nella sua carriera, ed ai quali egli si dimostrò sempre riconoscentissimo. Nel¬ l’autunno del 1611, d’ordine dell’impera¬ tore Rodolfo II e in qualità di commissa¬ rio imperiale, assistette alla riunione tenuta dai principi elettori in Norimberga; riu¬ nione alla quale anche il papa annetteva importanza grandissima, tantoché in tale occasione inviava apposito breve al vesoovo di Baraberga. Mancato ai vivi Rodolfo II, prese parte all’elezione del successore nella persona del fratello di lui Mattia, re d’Un¬ gheria e di Boemia. Il quale, poco dopo salito al trono, lo inviava corno Oratore Ce¬ sareo a Roma con questa palese missione: « ut ea omnia, quae super elect.ione sua in llomanorum Imperatorem facta a Sanctitato vostra do iure et consuetudine facienda et concedenda sint, ipsa piene atque integra, prò affectiono sua paterna, lacere et conce¬ dere dignet.ur », ma con segrete istruzioni por chiedere a papa Paolo V aiuti morali e materiali in favore della Lega. Partì il ve¬ scovo da Bamberga il 25 ottobre 1612, ed il 20 dicembre fece il suo solenne ingresso a Roma da porta del Popolo, ed andò ad al¬ loggiare nel palazzo del principe vescovo di Trento messo a sua disposizione: la sera stessa dell’arrivo fu ricevuto in udienza privata dal papa, e I’8 gennaio 1613 ebbe luogo la solenne alla quale assistettero ben trentuno cardinali ; il 6 marzo fu ricevuto in udienza di congedo e tre giorni dopo parli da Roma. Dicesi che il papa gli avesse offert o la porpora cardinalizia, la quale egli ricusò, esprimendo in quella vece il desiderio o d’es¬ sere eletto coadiutore del vecchio principe vescovo di Wurzburg, o d’ avere un breve di eligibilità alla morte di lui; e questo pare abbia ottenuto. Nel viaggio di ritorno si trattenne in Firenze dal 24 al 27 marzo, in Venezia dal 6 al 9 aprile, e per la via della Ca- rinzia si ricondusse in Germania: il 10 mag¬ gio era a Vienna, e il 12 rendeva conto della sua missione all’imperatore. Questo viaggio, compiuto con grande sfarzo a carico di al¬ cune corporazioni di Bamberga, importò la spesa di oltre centocinquantamila fiorini. Il 2 giugno era di ritorno a Bamberga. Siamo entrati in tanti particolari rispetto a questo viaggio, perché in occasione di esso è fatto il nome del vescovo di Bamberga nelle cose galileiane. Quanto al resto, diremo che, con l’appoggio del nunzio apostolico Albergati e dei gesuiti, egli ottenne di aggiungere al vescovato di Bamberga quello di Wiirzburg, essendo stato eletto, fra molti altri aspiranti, anche a quali-altra sede episcopale il 5 ot¬ tobre 1617 ; che si rese assai benemerito del- l’università di Wiirzburg, per la quale, fra 876 INMTCK BIOGRAFICO. ultro, fondò una biblioteca; cho preai- puri», grandissima alle lotte di politica religiosa cho in quegli anni calamitosi agitarono la Germania. Morì il 29 dicembre 1622. Asini (depli) Marcantonio di Iacopo del senatore avvocato Marco, di nobile famiglia fiorentina, nato il 4 giugno 1571, dottore o avvocato, conservatore dell’Archivio pub¬ blico fiorentino, fu eletto senatore il 29 set¬ tembre 1681. Morì il 80 ottobre 1633, o fa sepolto iu S. Croco. Asski.inkau Pietro. Nato ad Orléans, di Giovanni e di Maddalena Hermant intorno 1 al 1570. Laureatosi in medicina, si trasferì a Venezia e quivi eserciti) lungamente l’arte sua: dai biografi del Sarpi ò ricordato tra i suoi piò affezionati e della cui conversa¬ zione questi maggiormente si compiaceva. Assia (d’) Federico. Di Luigi V nacque il 28 febbraio 1616. Nell’occasione d’un Gag¬ gio in Italia nel 1686, per conforto ed opera dei gesuiti si convertì alla religione catto¬ lica. Dall'Ordine di Malta fu eletto priore generale per la Germania il 3 dicembre 1638; dal re Filippo IV di Spagna, ammiraglio della flotta d’Oriente e prefetto di Sarde¬ gna; o finalmente da Innocenzo X, insignito della porpora cardinalizia nella creazione del 19 febbraio 1652. Non rimase estraneo agli studi; o nel 1651 fu accolto nella « Frucht- bringende Gesollschalt », fondata nel 1607 per la difesa della purezza della lingua tedesca, dov’ ebbe il nome di « Volante ». Nel 1670 fu eletto principe vescovo di Bro- slavia, e quivi morì il 25 febbraio 1682 e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni. Assia (d’) Filippo. Terzogenito del lan¬ gravio Giorgio e della sua prima moglie Maddalena di Lippe, nacque a Darmstadt il 20 dicembre 1581. Dopo la morte del pa dre, seguita il 7 febbraio 159(5, e conformo alle ultime volontà di lui, fece lunghi viaggi all'estero a fine di compiere la propria edu¬ cazione. Dal 1G00 al 1608, visitò la Francin, i Paesi Bassi, l’Italia, la Spagna, l’Unghe¬ ria, l’Austria e la Boemia: in Padova sog¬ giornò tra il 1602 e il 1603. Oltre che con Galileo, ebbe relazioni anche col Keplero- 0 raccolse una grande quantità di strumenti matematici ed astronomici, che dopo la sua morte andò miseramente dispersa. Conobbe ben otto liugue; o tra queste l’ebraica così perfettamente, da poter intraprendere una traduzione letterale della Bibbia. Morì in Butzbach il 28 aprile 1613. Assia (d’) Guglielmo. Quarto di questo nome e capostipite della linea di Assia-Cas- ael, nacque di Filippo e di Cristina di Sas¬ sonia a Cassel il 21 giugno 1532. Mandato a Strasburgo per compiervi la sua educa¬ zione, fu costretto ad interromporla quando il padre fu vinto e fatto prigioniero alla battaglia di Muhlberg. Ottenutane dopo quattro anni la liberazione, tornò a ripren¬ dere gli studi, che coltivò con grande fer¬ vore, dedicandosi soprattutto alle matema¬ tiche in generale ed alla astronomia in particolare. In Cassel, capitalo dei suoi do¬ mini, fece erigere una torre dalla quale ese¬ guì, prima da sò solo, poi con l'aiuto di Cristiano Hot limami e con la cooperazione dell’abile costruttore di strumenti matema¬ tici Giusto Biirg, numerose osservazioni astronomiche, che furono pubblicate daWil- lebrordo Snellio col titolo di «Caeli et si- derum in co inorrantium observationes Has- sincae * (Leida, 1618). Si opposo all’adozione della riforma del calendario, perchè pareva venisse imposta da papa GregorioXIII, ed alla Dieta di Hntisbona ottenne che fosso respinta da tutti i principi protestanti. Mancò ai vivi il 25 agosto 1592. Assia (d‘) Lodovico, soprannominato il « Redolo » per la sua grande devozione alla casa d’Austria, nacque il 24 settembre 1577 di Giorgio il l’io e di Maddalena di l-ippe. Succedette al padre nel 1596, o fu il piimo che assumesse il titolo di Langravio d’As- sia-Darmstadt. Nel 1607 fondò l’università di Giessen. Rimasto vedovo della moglie, Maddalena di Brandelmrgo, mancata ai vivi il 4 maggio 1616, deliberò di visitare la Terra Santa, ma giunto a àialta fu dai Gran Maestro dell'Ordine distolto dal pro¬ seguire. In tale occasione si trattenne in Roma, e visitò Paolo V. «Morì a Darmstadt il 27 luglio 1626. INDICE BIOGRAFICO. 877 Attavanti Giannozzo di Ottavio nacque, probabilmente in Firenze, e intorno al 1580, o al 1582, so nel febbraio del 1591 aveva 12 anni, e 33 nel novembre del 1615; o ap¬ partenne ad una delle famiglie più cospicuo di Castel fiorentino. Ancora giovanetto fu avviato al sacerdozio; e il 17 febbraio 1591 ricevette in Firenze la tonsura e l’ordine minore dell’Ostiariato, essendo, come è detto nel relativo documento, in età di anni 12. 11 28 febbraio 1597 gli fu conferito un be¬ nefizio semplice, fondato nella Collegiata di 1 S. Lorenzo in Castolfiorentino da uno di sua famiglia; e con bolla di Paolo V dell’11 lu¬ glio 1615, e decreto del vicario arcivescovile di Firenze del 12 agosto dell’anno stesso, fu nominato, per via di concorso, pievano della Chiesa di S. Ippolito in Castelfioren- tino, della quale prese possesso il 17 set¬ tembre. Egli non era stato ancora ordinato sacerdote, anzi benché andasse « in habito di prete » era soltanto 5 o 1610; dal 1637 al 1040 fu deputato agli Stati Generali. Mori il 22 aprile 1643. Bacone Francesco. Il celebre filosofo e uomo di Stato inglese, nato a York-Houso il 22 gennaio 1560 e morto presso Uighgato il 9 aprile 1626. Padelli Antonio. Appartenne dal 1628 al 1644 a quella «nobile assemblea dei no¬ vellisti » che hì adunava in Roma nella chiesa della Minerva o in quella di S. Andrea della Valla, per raccogliervi le notizie di tutto il mondo, che poi venivano diffuse mediante i cosiddetti « Avvisi * manoscritti. Bado! kuk Giacomo. Gentiluomo francese protestante, nato tra il 1570 od il 1580. Era in Italia, dove sembra fosso venuto per og¬ getto di studio, negli ultimi anni del secolo XVI, e si trattenne in Padova cd in Vene¬ zia tra il 1698 ed il 1099. Convertito dal celebro ge nita P. Coton alla religione cat¬ tolica, entrò ni servigi del re di Francia, che si valse dell’opera sua in alcune mis¬ sioni diplomatiche. Dal 1607al 1609 fu nuova¬ mente a Padova ed a Venezia e poi a Parigi, di dove mandava a Galileo quell'avviso della invenzione «lei cannocchiale clic conservò il suo nome nella storia della scienza. Poco dopo, cioè nell’agosto 1(509, era mandato dal re di Francia, come «secretaire desaclmmbre* in Germania; od alla fino dell’anno succes- I sivo, e poi ancora nel 1612, ora nuovamente in Italia. Morì a Parigi intorno all’anno 1620. Birri.e (van) Gaspare. Nacque il 12 feb¬ braio 1584 in Anversa; ina dopo la conqui¬ sta di questa città da parte degli spagnuoli, si tra»lori con la famiglia in Olanda, studiò la teologia in Leida e abbracciò lo stato ecclesiastico, olio dovette poi abbandonare a motivo delle sue opinioni eterodosse. I* u al¬ lora costretto a dimettersi dalla cattedra di logica che occupava all’università* e datosi agli studi di medicina no fu promosso dot- INDICE BIOGRAFICO. 379 ture a Caen nel 1620. Dopo aver esercitato per alcuni anni l’insegnamento privato, ot¬ tenne la cattedra di filosofia e di eloquenza nell’Ateneo di Amsterdam, inaugurando le sue lezioni con un discorso « Mercator sa¬ piens, sive oratio do coniungendis merca- turae et philosophiao studiis ». Di lui si ha ancora una « Oratio de caeli admirandis (Amsterdam, 1636) », ed un’opera intitolata : « Causae et rationes obsorvationum magne- ticarum »; ma la sua fama ò piuttosto racco¬ mandata alle poesie latine. Morì in Amster¬ dam il 14 gennaio 1648. Maglioni Lelio, fiorentino, dell’Ordine dei Servi, occupò alti uffici nella mia reli¬ gione. Lesse nello Studio pisano metafisica dal 1598 al 1602, Sacra Scrittura il giovedì e le feste dal 1599 al 1602, e teologia dal 1607 al 1620. Morì improvvisamente il 31 marzo 1620, in età di 70 anni. Maglioni Malatbstà. Primogenito di Gio. Paolo, nacque a Perugia il 1° gennaio 1581, e si laureò in giurisprudenza a Padova. Ab¬ bracciato lo stato ecclesiastico, si recò a Roma, e nel 1605 fu da Leone XI nominato referendario apostolico, e da Paolo V nel 1612 vescovo di Pesaro. Fu poi creato governa¬ tore generale della Marca, o nel 1634 inviato nunzio apostolico all’imperatore. Eletto ve¬ scovo di Assisi nel 1611, ivi morì Pii feb¬ braio 1648. Maglioni Ohazio. Nacque di Gio. Paolo a Mottona (Perugia) nell’agosto 1581, ed iniziò la sua carriera militare combattendo in Ungheria nel 1595. Fu assunto in servi¬ zio dalla Repubblica Veneta per opera del- l’ambasciutore a Roma, Tommaso Contarmi, con parte del 22 set tembre 1612, secondo la quale avrebbe dovuto servire per cinque anni di fermo c due di rispetto con stipen¬ dio di 1800 ducati all’anno, a cominciare dal giorno della sua presentazione in Collegio, dove gli si concedeva il privilegio di sedere vicino al doge. Si distinse molto nella guerra di Gradisca come generale della fanteria, e rimase morto sul campo nel combattimento di S. Martino il 19 agosto 1617. La Repub¬ blica lo onorò, concedendo alla madre ed ai fratelli di lui una pensione annua di 300 du¬ cati, ed innalzandogli un monumento nella chiesa dei SS. Giovanni o Paolo; rimise poi al vescovo Malatesta suo fratello la spada del valoroso capitano, facendogli eziandio dono d’una copia in legno del monumento equestre, la quale conservasi tuttavia in una sala dell’Accademia di Belle Arti di Perugia. Orazio era legato in parentela con la famiglia Cesi di Roma (di ramo diverso da quello di Acquasparta), perchè il fratello buo Adriano aveva condotta in moglie Domitilla, figlia di Federico Cesi, signore di Uliveto, e di Pul- cheria di Giordano Orsini. Magno (dei conti Guidi di) Fabrizio, di Niccolò (fratello del card. Giovanfranccsco) e di Teodora Gonzaga, figliuola di Lodovico, marchese di Palazzuolo, nacque nel 1617. Fu capitano di cavalleria al servizio di Fi¬ lippo IV, re di Spagna, e morì il 14 settem¬ bre 1646 a Bruges, dove fu sepolto nella chiesa dei gesuiti. Il padre, che sopravvisse fino al 23 agosto 1663, o, rimasto vedovo nel 1642, aveva abbracciato lo stato sacer¬ dotale ed era asceso alla dignità cardinali¬ zia, gli fece porre una memoria nella chiesa di S. Alessio a Roma. Magno (dei conti Guidi di) Giovankiian- cksco, della linea dei conti di Magno, una delle suddivisioni della grande famiglia dei conti Guidi che così largamente si estese in Romagna e Toscana, nacque in Firenze il 4 ottobre 1578 da Fabrizio e da Laura di Pompeo Colonna, duca di Zagarolo. De¬ stinato alla carriera occlesiastica,dopo avere studiato alle università di Pisa e di Bolo¬ gna, fu mandato a 18 anni a Roma, ed ebbe rapidamente alte cariche e missioni impor¬ tanti o onorifiche da Clemente Vili e da Paolo V; tra le quali ricorderemo la nun¬ ziatura a Bruxelles nel 1621 presso Isa¬ bella d’Austria, governatrice delle Fiandre, che gli porse l’occasione di stringere rela¬ ziono con Ericio Puteano e con altri dotti. Nel 1627 fu eletto vescovo di Cervia, c incaricato da Urbano Vili di recarsi dal Belgio a Parigi por assistere il Cardinal Francesco Barberini legato a Intere nella missione affidatagli colà. Rimase poscia alla corte di Francia come nunzio; e annuendo ai desideri del re di Francia, Urbano Vili 380 JNDICK BIOGRAFICO. lo pubblicò cardinale nel coucu»;oro del li) novembre 1629. Tornò dalla legazione di Francia nel 1631, e andò al ano vesco¬ vato di Cervia, che rinunziò nel 1636 per quello di Rieti: ina nel 1638 rassegnò an¬ che questo ; e tornato a Roma, fu ascritto alla congregazione di Stato e a quella del S. Uffizio. Morì il 25 luglio 1041. Si studiò di avere dattorno gli nomini di lettere, dai quali fu amato e lodato in morte con fu¬ nebri orazioni, od ebbe carissimo Gabriele Nnudr, che elesse suo bibliotecario. lUtTBLLt Lodovico. Nacque in lire «eia circa il 1686, di Cosi anso e d’Ippolita liar guani. Laureatosi nelle leggi in Padova, fece ritorno in patria, dove fu eletto giudice di Collegio od onorato delle cariche più cospi¬ cue. Dulia Repubblica Veneta, alla quale era «tato mandato come oratore, fu nominato consultore in iure, poi decorato dei titoli di contai o di cavaliere e mandato con Sci pione Ferramoeca al renarne dei contini dovi¬ li Po si acarica nell'Adriatico, por i quali erano insorte questioni tra la repubblica cd il papa. Questi molteplici uffici non lo distolsero dagli studi, ai quali contribuì con lavori d’indole erudita e giuridica, elio si hanno anche allo stampe. Mori intorno al 1660. Baliuni Tommaso, appartenne a fami¬ glia nobile, lucchese, dalla quale usciremo parecchi uomini insigni negli studi. Baldi Babtolommzo. Figlio di Girolamo, e fratello di quel Gio. Paolo che congiurò contro la repubblica di Genova o fu pro¬ cessato in contumacia. Sofferse egli stesso la carcere, a motivo di certi avvisi mandati al fratello fuggito a Milano. Era stato ascritto alla nobiltà genovese nel 1615. Balfoik Roukkto. Nacque nel Forfar- shire (Scozia) presso Dundee intorno al 1550, o studiò, prima neli'università di 8. Andrews, poi in quella Ai Parigi dove difese con onore alcuno tesi filosofiche. I*o troviamo nel 1582 a Bordeaux, chiamatovi come pro¬ fessore di greco da quell’arcivescovo. Nel 1591 avendo il vescovo di Aire, Francesco ! di Foix de Caudale, istituito nel collegio di I Umonna una lettura di matematica, velo chiamò il 25 luglio; e nel relativo decreto egli è detto « Doctour ès arts de l’univer- Bit«- de Bordeaux ». Intorno al 1602 Bucce- «lette a Bruciar come « priucipal du Collège de (iuienne », e vi rimase fino alla morto avvenuta nel settembre del 1621. Italiani Gjo. Battista. Nacque in Ge¬ nova, di cospicua famiglia patrizia, noi 1582, e fu durante tutta la sua vita occupato ncl- ramniinistruzione della cosa pubblica. Dopo aver comandatola fortezza di Savona nel 1611, ed esserne stato governatore dal 1647 al 1649, giunse ad e- ere annoverato tra i dodici Padri del Senato genovese, i quali con ti¬ tolo di Governatori avevano la suprema au¬ torità nelle materie civili. Meglio che ad altre sue opere, resta raccomandato il suo nomo agli studi « de motu naturali gravium oliilonun » (Genova 1638), ed a quelli «de motu naturali gravium solidorum et liqui- dorutn» (Genova, 161(5). Mancò ai vivi nel 1066. Rampini Ottavio. Nato di antica e no¬ bile famiglia in Firenze nel 1658, da Pietro Antonio e da Cassandra di Bartolommeo Cavalcanti, dopo avere studiato a Parigi e a Salamanca, prese a Pisa la laurea in giu¬ risprudenza Recatosi nel 1579 a Roma por percorrervi la carriera ecclesiastica, ebbe successivamente varie e sempre maggiori ca¬ riche, finché du Clemente Vili fu fatto ar¬ civescovo di Fermo il 29 giugno 1595, e cardinale del titolo di S. Sabina il 5 giu¬ gno 1596. Anche negli anni seguenti ebbe cariche e missioni importanti: appartenne alle congregazioni del Buongoverno, ile’Ve¬ scovi «• Regolari, dell’esame de’ Vescovi, del S. Uffizio. Nel 1606 rinunziò alla chiesa di Fermo, che Paolo V assegnò allora ad Ales¬ sandro Strozzi, nipote del Bandini. Promosso in appresso alla dignità di cardinale ve¬ scovo. mori in Roma il 1° agosto 1629, ve¬ scovo d'Ostia e decano del S. Collegio. Rasoio Giovanni. Di famiglia danese, verosimilmente fu scolaro del Voss in Am¬ sterdam. e perciò forse dal Renieri tu cre¬ duto nativo di questa città. Un «Giovanni Bangius » si iscrisse all’età di 23 eunistu- INDICE BIOGRAFICO. 381 (lente a Leida nel 1643, qualificandosi « Da¬ mi» », e un « Ivarus Bangius » di 24 anni corno Danus Ilafniensis » noi 1633. Barba vara. Luigi. Appartenne a nobile famiglia milanese, dalla quale uscirono pa¬ recchi uomini illustri, o fu figlio di Ottavio od Ottaviano, legista, o di Lucia Magenta. Fu canonico ordinario della metropolitana di Milano o cancelliere arcivescovile. Morì nel 1638. Barbavara Marco, fratello di Luigi, ve¬ stì l’abito di cavaliere dell’Ordine di S. Ste¬ fano il 31 agosto 1605. Fu capitano, o prov¬ veditore dell’arsenale in Pisa. Ebbe un figlio, Lodovico, che fu pure cavaliere Stefaniano, e vestì l’abito il 22 febbraio 1642. Bàrberi NI Antonio igu,, nipote di Ur¬ bano Vili e fratello minore del card. Fran¬ cesco, nacque in Roma il 5 agosto 1608. J1 30 agosto 1627 fu dallo zio creato cardinale, ma riserbato in pectore fu proclamato solo il 7 febbraio 1628 e gli fu assegnato il titolo di S. Maria in Aquiro, che commutò succes¬ sivamente con quelli di S. Agata in Suburra, di h>. Maria in Via Lata, c della SS. Trinità nel Monto Lincio. Nel 1632, in qualità di legato ai principi d’Italia, fu mandato alla corte del duca di Savoia. Governò appresso Itf legazioni di Avignone, di Bologna, Fer¬ rara c Ravenna. Nel 1638 fu eletto camer¬ lengo di S. Romana Chiesa. Nei primi tempi del pontificato di Innocenzo X, temendo del nuovo papa, di cui aveva incorso lo sdegno, fuggì in Francia; ma dopo qualche tempo ritornò a Roma o fu ammesso non solo in grazia, ina nell’intima confidenza, del ri¬ conciliato pontefice. Morì a Nemi il 3 ago¬ sto 1671. Barberini Antonio sen., fratello minore di Maifeo, nacque a Firenze nel 1569, e nel 1594 fattosi cappuccino, cambiò il nome di battesimo Marcello in quello di fra An¬ tonio. Il 7 ottobre 1624 dal fratello pon¬ tefice fu oreato, contro sua volontà, cardi¬ nale, e il lo novembre dello stesso anno insignito del titolo di S. Onofrio, lasciato dal nipote Francesco. Durante l’assenza di questo da Roma, lo supplì nell’ufficio di mi¬ nistro di Stato. Dal 1025 al 1628 fu vesco¬ vo di Sinigaglia. Dal titolo di S. Onofrio passò il 7 settembre 1637 a quello di S. Pie¬ tro in Vincoli, e da quest’ultimo il 28 aprilo 1642 a quello di S. Maria in Trastevere, che tonno fino alla morte; pur continuò, anche dopo esser passato agli altri titoli, ad es¬ sere chiamato il Cardinale di S. Onofrio, forse perchè questo titolo rimase vacante di proprio titolare fino al 24 aprile 1645. Morì 1’ 11 settembre 1646. Barberini Carlo, fratello maggiore di Malico, nacque intorno al 1560. Fu generalo di S. Chiesa, duca di Monterotondo, prin¬ cipe di Palestina. Sposò Costanza Maga- lotti, e fu padre di I). Taddeo e dei cardi¬ nali Francesco e Antonio iunior©. Morì nel monastero degli Olivetani ili S. Michele in Bosco presso Bologna, il 26 febbraio 1630. Barberini Francesco, figlio di Carlo e di Costanza Magalotti, nacque a Firenze il 23 settembre 1597; studiò filosofia e teologia uel Collegio romano, e quindi s’applicò alla giurisprudenza. Dallo zio pontefice il 2 ot¬ tobre 1623 fu creato cardinale, e il 20 no¬ vembre del medesimo anno fu insignito dal titolo di S. Onofrio, già tenuto dallo stesso papa; dal qual titolo però il 13 novembre dell’anno appresso fu trasferito a quello di S. Agata alla Suburra, elio tenne fino al 24 novembre 1632: il 4 dicembre di quest’anno 1632 passò a quello di S. Lorenzo in Darnaso, proprio, secondo una bolla di demento VII, del vieecancelliere prò tempore di S. Ro¬ mana Chiesa, titolo che tenne fino alla morte. Nel 1624, durante la guerra della Valtellina, fu inviato a Parigi in qualità di legato a Intere per trattare la pace; fallito l’intento, ritornò a Roma alla fine del 1625, o nel ri¬ torno fu splendidamente ospitato in Aix (ottobre 1625) dal Pcircsc, col quale era in intima amicizia. Nell’ aprile del 1626, ad istanza di Filippo 111, andò legato a latere a Madrid per levare al sacro fonte, a nome del pontefice, una figlia del re, e per con¬ cludere la pace tra Spagna e Francia e tra il duca di Savoia e i genovesi. Fu altresì governatore di Tivoli e di Formo, protettore dei Minori e dei Cassinosi, nel 1627 biblio¬ tecario di S. Romana Chiesa, nel 1632 vice- 382 INPICK BIOGRAFICO. cancelliere. Dopo la ino*te di Urbano N IH. salito al soglio pontificio Innocenzo X, an¬ ch’obli, corno altri di bua famiglia, passò in Francia; ma ritornato poi a Roma, go¬ dette delle grazia di quel pontefice. Aman¬ tissimo degli Btudi, fondò la celeberrima biblioteca Barberina, e raccolse un ricco medagliere. Morì vescovo d’Ostia o Velletri, e decano del S. Collegio, il 10 dicembre 1879. Bakhkrini Magico nacque in Firenze il 5 aprilo 1568, quintogenito d’Antonio di Carlo Barberini e di Camilla di Giovandomi» Far- badori. Rimasto, in età di 3 anni, privo del padro, frequentò in Firenze IorcuoIo recente¬ mente aperte dai gesuiti, o poi dalla madre inviato a Roma presso lo zio paterno Fran¬ cesco protouotnrio apostolico, studiò filosofia nel Collegio romano; quindi, dal 1586 al 158 M , atteso in Fisa allo studio delle leggi, acqui¬ standosi nltresì fama di latinista eleganti} con l'orazione funebre del granduca Fran¬ cesco letta nel 1587 all'università. Sitila lino del marzo 1588 si laureò in giurisprudenza in Pisa; donde tornato a Roma nel maggio, o nell’ottobre entrato in prelatura, avendo dato larga prova d'ingegno e d’ampia cul¬ tura, ottenne da Sisto V, da Gregorio XIV e da Clemente Vili varie cariche in corte, e da Clemente Vili ebbe altresì commis¬ sioni sopra il regolare le acquo del lago Trasimeno, la dignità d’arcivescovo di Na- zarotli nel regno di Napoli, o nel 1604 la carica di nunzio ordinario alla corto di Pa¬ rigi. Paolo V lo creò cardinale l’il settem¬ bre 180(1, vescovo di Spoleto nel 1808, e legato a Bologna nel 1811. 11 8 agosto 1823 fu eletto papa, prendendo il nome di Ur¬ bano Vili; lu incoronato il 29 settembre, e prese possesso della basilica Laterancnse il 19 novembre, lai sua elezione a pontefice destò grandi speranze nei letterati e negli eruditi, e fu celebrala con pubblicazioni. Nel suo lungo pontificato prese parte efficace a quasi tutti i grandi avvenimenti politici contomporanei; riunì al dominio temporale pontifìcio il ducato d’ Urbino, essendosene estinta l’investitura iu Francesco Maria li ; ebbe lunga guerra dal 1841 al 1644, coi Farnesi di Parma per il ducato di Castro. Nel 1830 attribuì ai cardinali, nonché ai tre Elettori ecclesiastici e al Gran Maestro di Malta, i titoli di Eminenza e Eminentissimo. Nel 1631 fu trainato contro la sua vita per opera specialmente di Giacinto Contini, ni- potè del card. Contini; e ili nuovo nel 1610 da Tommaso Orsolini, sacerdote di Reca- , nati. Si temette della sua vita nell’estate del 1637 per una febbre da cui fu assalito. Uomo dotto come egli era, e poeta latino | e italiano, si preso particolare cura dello Studio di Roma; dotte notabile incremento | alla Congregazione di Propaganda Fide, fondandone il Collegio urbano o la celebre stamperia poliglotta; e riformò il Breviario romano. Compì numerosissime opere ili ar¬ chitettura in molte chiese di Roma, o prin- cipalmento in S. Pietro; e fece edificare il palazzo apostolico di Castel Uandolfo. Morì il 29 luglio 1611. Barbkuini Tadmìo di Carlo e di Costanza Magalotti, nacque nel 1804. La famiglia, che riponeva in lui le più grandi speranze, spe¬ cialmente dopo Reiezione a pontefice dello zio, lo fece accuratamente educare. Fu ca¬ stellano di S. Angelo, governatore di Borgo e, come il padre, generale di S. Chiesa: in tal qualità nel 1831 si recò ad Urbino a pi- i gliar po sesso di quello stato, ricaduto alla S. Sede pur la morto del duca Francesco Ma¬ ria 11: per la quale, essendo pure rimasta vacaute la dignità di Prefetto di Roma, Ur¬ bano Vili la conferì a' 12 maggio 1831 al nipote Taddeo e alla sua famiglia sino alla terza generazione. Sposò noi 1627 Anna di Filippo Colonna, dal quale la famiglia Bar- | berilli comperò il principato di Balestrimi; : e Taddeo n’ebbe il titolo. Nel 1645, assunto al pontificato Innocenzo X, riparò, con altri di sua casa, iu Francia, e mori iu Parigi il 24 novembre 1647. Baiuikiuni Colonna Anna di Filippo Co¬ lonna, duca di l’aliano, sposò Taddeo Barbe¬ rini, nipote «li Urbano Vili, o il matrimonio fu solennemente celebrato il 24 ottobre 1627 dallo stesso pontefice in Castel tìandolfo. i Segui nel 1645 il marito a Parigi; o dopo la riconciliazione dei Barberini con Inno¬ cenzo X nel 1652, ritornata, ormai vedova, a Roma, fondi» il monastero dello Carmelitane riformate det to di licyina Cceli , vi si ritirò e , mori il 31 ottobre 1658, o ivi lu sepolta. INDICE BIOGRAFICO. 383 Barukrini Magalotti Costanza, di Vin¬ cenzo Magalotti o di Clarice Capponi, sposò Carlo Barberini. Barclay Giovanni. I)i Guglielmo e di Anna di Malleville nacque a Font à Mous- son il 28 gennaio 1583. D’ingegno assai precoce, diede già nel 1601 alla luce un com¬ mentario sulla Tebaide di Stazio. Visse per qualche tempo alla corte di Giacomo 11 d’In¬ ghilterra, dalla quale lo richiamò il padre temendo che passasse alla religione rifor¬ mata; e non è senza sospetto ch’egli in l'atto l’abbracciasse, per ritornare poi alla catto¬ lica. Tornato in Francia prese in moglie Guisa di Michele de Bonnaire. La pubbli¬ cazione d’un’ opera di suo padre da lui cu¬ rata « De potestate Papae » lo involse in una polemica col card. Bellarmino, nono¬ stante la quale, quand’egli si decise a sta¬ bilirsi in Roma, ebbe le migliori accoglienze dal Bellarmino stesso e da papa Paolo V. Mancò ai vivi in Roma il 12 agosto 1621. Il suo nomo è principalmente raccomandato ai due romanzi satirici V Eu fornitone o VAr- gcilide: questa, pubblicata in Francia poi- cura del suo grandissimo amico, il Peiresc, fu poi tradotta in più lingue. Bardi (de 1 ) Ainolfo di Giovanni Maria e di Lucrezia del sen. Piero Saivinti, nacque il 25 gennaio 1573. Cavaliere di Malta fino dal 1583, passò a Malta la prima gioventù; poscia venuto a Roma, da Clemente Vili fu nominato capitano dei lancieri nel 1507, e nel 1601 insignito della commenda di S. Gio¬ vanni di Modena. Visse in Roma fin verso il 1605. Fu inviato più volte (1608, 1611, 1615) da Ferdinando T e da Cosimo II come ambasciatore, con missioni di cerimonia. Da Cosimo II fu altresì nominato suo came¬ riere o poi suo capocaccia, o in questa ca¬ rica confermato da Ferdinando II. Morì nel novembre 1638. Bardi (de’) Bernardo di Gerozzo (d’un ramo dei Bardi diverso da quello di Gio¬ vanni Maria) o di Maddalena Paganolli, na¬ cque il 21 gennaio 1541. Sposò nel 1578 Mar¬ gherita di Iacopo Giacoraini. Morì il 26 ago¬ sto 1600, tenendo l’ulHcio di provveditore dell’Abbondanza. Bardi (de 1 ) Cosimo, fratello di Aiuolfo, di Filippo e di Piero, si addottorò in giu¬ risprudenza nello Studio di Pisa, e nel 1601 fu fatto canonico della metropolitana fio¬ rentina per la promozione del fratello Fi¬ lippo al vescovado di Cortona: rinunziò alla sua volta al canonicato nel 1615, quando di¬ venne vescovo di Carpentras. Recatosi pre¬ sto a Roma, dove regnava demento VI1T, che, essendo amico di suo padre, gli porgeva buone speranze per la carriera ecclesiastica, ottenne successivamente le cnriche di vicele¬ gato a Ravenna del card. Bonifazio Cactaui, di delegato d’Imola e di poi di Terni e di Narni, di vieelegato della Romagna e commissario generale nell’Emilia, e di prefetto della mo¬ neta; e inline nel 1616 fu fatto vescovo di Carpentras. Rei 1629 fu destinato vicelegato di Avignone per il card. Francesco Barbe¬ rini; e il 9 settembre 1630, a richiesta del granduca Ferdinando II, fu nominato ar¬ civescovo di Firenze dopo la morte di mons. Alessandro Marzimedici. Nella pestilenza, dalla quale trovò invasa la sua diocesi quando vi giunse dal contado Venosino, si segnalò per carità e per zelo; o morì, vittima egli stesso del contagio, il 18 aprile 1631, mentre il pontelìce si disponeva a decorarlo della dignità cardinalizia. Fu accademico della Crusca dal 1601. Bardi (de’) Ferdinando di Piero di Gio¬ vanni Maria c di Argentina del sen. Vin¬ cenzio Girai di, battezzato il 10 febbraio 1610. Fu gentiluomo di camera del granduca Fer¬ dinando II, e poi suo residente alla corte di Francia dal 1637 al 1643. Fu quindi del consiglio di Stato, e nel 1655 promosso a segretario di guerra, con facoltà di conser¬ vare titolo e posto di consigliere: in quella carica, ch’era la più alta nel granducato, ebbe a trattare affari importantissimi, sia nelle relazioni con altri Stati sia ncU’ammi- nistrazione interna della loscaua. Genti¬ luomo letterato, fino dal 1631 fu ascritto all’Accademia della Crusca. Morì il 17 aprile 1680. Bardi (do’) Filippo, fratello di Piero e di Ainolfo, canonico della metropolitana fio¬ rentina nel 1591; dopo l’elezione di Cle¬ mente Vili, amicissimo di suo padre, andò 384 INDICE? fìlOUKAFICO. ' a Roma o fu uouiiuato referendario dell’ una o dell’ altra segnatura e familiare del pon¬ tefice. Fu poi governatore, successivamente, di Terni, di Kami, di torli nel 1596, e di Imola. Nel 1604 fu ciotto vescovo di Cortona. Fu ascritto all’Accaderaia fiorentina e, tino dal 15 settembre 1688, a quella della Cru¬ sca. Morì il 15 agosto 1622. Bardi (de*) Giovanni Maria dei Conti di Veruio, di Camillo di Filippo e di Ar¬ gentina di Pierantonio de’ Dardi, nacque nel 1032, o, secondo altri, il 5 febbraio 1534. Fu valoroso soldato, o prese parte ai l'asse¬ dio di Siena nel 1553 e 54, e a quello di Malta, assalita nel 1565 da Solimano; con¬ tro i Turchi combattè puro in Ungheria nel 1594. Clemente Vili, amico già del Dardi mentre era cardinale, appena eletto ponte¬ fice, lo chiamò a Doma, e lo nominò suo maestro di Camera e poscia luogotenente generale della sua guardia. Tornato a Fi¬ renze dopo 1* assunzione al pontificato di Paolo V, vi morì Pii settembre 11512. Fu ascritto all’Accademia della Crusca fino dal 12 marzo 1585, e prese parte con Francesco Patrizi, col Salviati, col Rossi ecc. alla fa¬ moso controversie circa la Gerusalemme Li¬ berata. Fu amico e protettore di Vincenzio Galilei seniore, elio gli dedicò, come a va¬ lente compositore ch’egli era, il Dialogo della musica antica e moderna, celebrandolo come suo mecenate, e iutroduceudulo come nno degl’interlocutori nel dialogo. È Bua grande gloria la Camerata, elio si teneva in casa di lui, o dalla quale si ripete la riforma del melodramma: di che è da vedere una cele¬ bro lettera che il suo figliuolo Piero scriveva nel 1034 a (». D. Doni. Bardi Girolamo di Giovanni e di Lucre¬ zia della Torre, nacque a Rapallo il 7 marzo 1G03. Studiò in Genova la grammatica, e in Parma umanità, retorica o filosofia sotto il P. Niccolò Cabeo gesuita, e la medicina; o uel 1619 entrò nella Compagnia di Gesù, dalla quale, per cagionevole salute, fu co¬ stretto dopo qualche anno ad uscire. Tor¬ nato a Genova, vi studiò teologia e ne prese la laurea. Per raccomandazione di Giuliano de* Medici, arcivescovo di Pisa, fu eletto a leggere logica e filosofia platonica i giovedì e le feste nello Studio di questa città nel «inule tenne la sua prolusione fu novem¬ bre 1638, e nel 1634 vi fu nominato straor- dinano di filosofia. Nel 1635 il suo nomo no» comparisco però più nel ruolo dei lettori Attese altresì alla pratica della medicina, e a comporre scritture attinenti a questa scien¬ za. Nello contese tra Stefano Koderioo di Castro, Giulio Guastavini e Fortunio Liceti, tenne per questi due ultimi, scrivendo con¬ tro il Castro. Kinunziata la cattedra, visse a Rapallo, a Genova, e dal 1651 al 1667 in Roma, dove esercitò, sebbene sacerdote, con diflpen I apostolica, la medicina. Ebbecor- rinpondeu/a con gli uomini più chiari del suo tempo, italiani e forestieri; ed a Doma strinse relazione con Raffaello Magiotti. S’ignora il luogo v Panno della sua morto, elio seguì però certamente non prima del 1667. Dardi (de’) Pmto, fratello di Arnolfo, di Filippo e di Cosimo, « padre di Ferdinando nacque il 23 giugno 1564. Visse dapprima a Roma «otto il pontificato di elemento Vili ; o tornato a Firenze dopo la morte di quel pontefice, quando il padre lasciò la carica di luogotenente generale della guardia pon¬ tificia, ebbe grado nelle milizie granducali. Sostenne diverse questioni con la corte To¬ scana e con la corte Cesarea per i diritti del fondo di Vornio. Morì il 5 marzo 1643. Fu, come il padre, buon cultore degli studi, o ascritto all’Accademia fiorentina, a quella degli Alterali, e, fino dal 1686, a quella della Crusca, nella quale partecipò alla prima (1612) o alla seconda (1623) edizione del Vocabo¬ lario. Fu in dotta corrispoudenza con illustri letterati, o durante hi sua vita la casa sua continuò ad essere il convegno degli uomini più cospicui nelle lettere e nello arti non solo fiorentini, ma audio stranieri, che ca¬ pitavano a Firenze. Bardisi Mario, di famiglia nobile vol¬ terrana. «lai libri degli stipendiati della de¬ positerà dell’Archivio di Stato ili Firenze ap¬ pare come auditore della Consulta nel 1608. Bari.soh» Albertino di Marcello, nacque in Padova il 7 settembre 1587. Fu tra i più giovani discepoli di Galileo nella patria uni- i tersità, dove studiò leggi o filosofia; a que- INDICE BIOGRAFICO. st’ultima attese poi in Roma, Uovo si fece ecclesiastico. Fu eletto canonico della cat¬ tedrale di Padova ancora in età di 23 anni; poi nel 1623 ottenne una ricca abbazia in Germania, ma avviatosi ad essa, tornò ben tosto in patria por malferma salute. Nel 1628 ebbe la cattedra di feudi nello Studio di Pa¬ dova, nel 1631 passò a quella delle pandette; ma il 27 aprile 1636, alla morto del vescovo di Padova Marcantonio Cornavo fu eletto vicario capitolare, lasciando l’insegnamento. Nel 1639 fu nominato arciprete. Nel 1647 tornò alla cattedra nello Studio, insegnando filosofia morale fino al 1653, quando fu eletto vescovo di Ceneda. Tenne questa chiosa fino alla morte, seguita il 15 agosto 1G67. Barisonk Allerto. Nato in Padova di Marcello e di Giustina Capodilista, prese in moglie Carla Zabarella; e trovasi composto con essa nella tomba (die i figli Niccolò, Mar¬ cello ed Ugolino fecero edificare nella chiesa degli Eremitani in Padova nel 1595. Barisonk Antonio di Alberto. Rettore del collegio della Compagnia di Gesù in .Padova dal 1594 al 1597 ; provinciale de’ ge¬ suiti in Napoli nel 1610; probabilmente èuno dei«fratres Barisonos», elio Paolo Gualdo ricorda tra i gesuiti amici di Gio. Vincenzo Pinolii ; l’altro aveva nome Girolamo. Barisonk Marcello. Nacque in Padova nel 1555 di Alberto e di Carla Zabarella, prese in moglie Bimbiola Bimbiolo, c dal 1626 fu aggregato al Consiglio nobile della città. Mancò ai vivi addì 7 novembre 1635. Baronio Cesare, nato di nobile famiglia in Sora nella Terra di Lavoro il 31 ottobre 1538 da Camillo e Porzia Febonia, uno doi più ferventi discepoli di S. Filippo Neri e da lui scelto per suo successore nella carica di Superiore della sua congregazione ; da Clemente Vili creato cardinale il 5 giugno 1596, per poco non gli succedette nella di¬ gnità pontificia. Morì in Roma, in concotto di santità, il 30 giugno 1607. Egli potè forse esser conosciuto personalmente da Galileo nel 1598 in Padova: in quell’anno il Baro¬ nio, e con lui il card. Bellarmino, accompa¬ gnò Clemente Vili a Ferrara; e si narra Voi. XX. 385 elio i due porporati, tratti dalla celebrità del nomo di Gio. Vincenzio Pinelli, gran meco-, nate de’ letterati, si trasferissero a Padova per conoscerlo e lo visitassero in sua casa, della quale coni’è noto, Galileo era frequen¬ tatore. Barozzi Francesco. Nacque di Giacomo e di Fiordalisa Dona in Venezia, il 9 ago¬ sto 1537. Il Grasso lo descrivo d’ingegno elevato e di ammirabile memoria, valentis¬ simo nell’archeologia, nel greco e nel latino, nelle scienze filosofiche e matematiche. Rac¬ colse nella Bua biblioteca molti manoscritti, o buon numero di strumenti matematici o fisici che, morendo, lasciò al nipote Giacomo. Perdutosi dietro pratiche di negromanzia, fu denunziato all’Inquisizione, processato e con¬ dannato il 16 ottobre 1587, o a stento potò aver salva la vita. Morì nel novembre 1604. Barozzi Giacomo. Nacque di Andrea o di Chiara Colsi in Venezia il 18 luglio 1562, e sotto l’anno 1605 ò ricordato dall’Alberici come « oratore ed astrologo di molto va¬ lore.» Della celebro libreria, lasciatagli dallo zio paterno Francesco, compilò il catalogo, che si ha allo stampe (Venezia, 1617). Ma venuto egli poco dopo a morte, la libreria fu venduta al conte di Pembroke, ohe nel 1620 la regalò all’ università di Oxford, della quale era cancelliere. Bartoli Carlo. Non abbiamo trovato menzione che di un Carlo di Giovanfilippo nelPnnno 1556, e di un Carlo di Carlo di Giovanfilippo nel 1559: verosimilmente si tratta di quest’ultimo. Bartoli Giorgio di Matteo e di Cas¬ sandra d’Androa Carnesecchi, di nobile fa¬ miglia fiorentina, fratollo del chiaro lettorato Cosimo, fu anch’egli membro dell’Accade¬ mia fiorentina e scrittore. Di lui abbiamo alle stampe un trattato «Degli elementi del parlar toscano » dalla dedicatoria del quale, indirizzata da Cosimo a Lorenzo Giacomiui, apprendiamo che Giorgio era già morto ai 15 settembre 1584. Bartolt Giovanni. Di Benedetto di Fi¬ lippo, segretario del residente toscano a Venezia, Asdrubale Barbolani da Montauto. 4 » 386 INDICE BIOGRAFICO. Bartolini Cosimo. Da Terrauuova, ad¬ dotto alla segreteria granducale in Firenze, fu nel 1622 eletto segretario d’ambasciata alla corte imperiale, dal quale ufficio fu ri¬ chiamato nel 1629: andò poi nel 1630 se- gretario del roaidento toscano a Madrid, ma presto tornò in patria per occupare l’ufficio di «generale delle poeto* rimasto vacante per la morte di suo fratello. Morì il 3 settembre 1644. Bartolini Giovanni. Segui gli studi nel- V università di Bologna, ma poi viase per lo più a Roma, nel primo quarto del seo. XV11. in relazione con parecchi ecclesia tici. Dap¬ prima lo troviamo in relazione con l’ab. An¬ tonio Persio, delle cui opere, quando nel 1612 venne a morto, il Bartolini compilò l’indice, elio fu comunicato RH'Accadeniia de’ Unoei, 0 questa decise di stamparlo. Nel 1614 era «in casa del card. Bartolom- meo Cesi»; nel 1620 era anditoro del card. Scipiono Cobel lazzi, bibliotecario apostolico; nel 1624 stava con mona. Ottavio Corsini. 11 Campanella si giovava di lui per trasmettere lettere e libri. Compose poesie d’occasione, ma soprattutto lunari e discorsi astrologici. in uno dei quali per il 1612 fa onorevole ri¬ cordo di Galileo e del cannocchiale. Bartolini Mattko. Della famiglia Bnr- tolini Raldolli di Cortona, eutrò in servizio fra i segretari della corto di Toscana nel¬ l’agosto 1G07. Inviato come segretario del residente a Parigi nel febbraio 1613 riuscì assai bene accetto alla regina e, mescola¬ tosi in quegli intrighi politici, dovette la¬ sciare quella corte. Dopo essere rimasto qualche tempo presso il duca di 1-orena, fu richiamato a Firenze nel 1619 e diventò se¬ gretario della granduchessa Cristina. Mori ui 30 gennaio 1641. Bartolommei Smbdocoj Girolamo, no¬ bile fiorentino, nacque di Mattia d’Antonio Bartolommei, la qual famiglia aveva avuto in antico il cognome Smeducci, 0 di Con¬ tessa d’Andrea Rinieri, circa il 1564. Fu dot¬ tore iu legge, ma dedicatosi tutto allo let¬ tere, venne ai suoi giorni in molta stima, specialmente come scrittore di componimenti da teatro. Fu della Crusca, degli Umoristi di lloma, deli’Accademia fiorentina, 0 di que¬ sta consolo nel 1648. Sotto Urbano Vili visse alcun tempo a Roma, ed ebbe dal papa un’annua pensione. Morì in Firenze l’8 maggio 1662. Bartolotti Alessandro. Trovasi a ruolo 0 stipendiato come ingegnere nel 1625-2G; vemm p i nominato ingegnere degli uffiziali dei fiumi, il 26 settembre 1630. Barts< it Giacomo. Discepolo di Mattia Bernegger, medico e matematico, condusse in moglie Snsannn figlia di Giovanni Keplero il giorno stesso in cui egli conseguiva la lnmen in medicina in Strasburgo, cioè il 2 marzo b '30; per queste nozzo, che furono celebrato conio una solennità universitaria, il Bernegger compose un epitalamio. Aveva intrapresa la pubblicazione del «Sommari, si n opu 1 >. tliunmm do astronomia Innari» di suo suocero, ma prima d’averla compiuta mancò ai vivi noi 1633. Bartscii Kr.ri.ER Susanna. Figlia di Gio¬ vanni o di barbara Mailer, nacque il 9 lu¬ glio 1602 e fu educata in una casa religiosa a Durinoli, nella quale rimase finché andò sposa a Giacomo Bartach il 2 marzo 1630. Rimasta vedova, passò a secondo nozze con Martino Ilillor nel 1633, 0 mancò ai vivi sul principio del 1636. Baviera (di) Funesto. Nato di Alberto V il 17 dicembre 1554, a dodici anni era già investito del vescovado di Froisinga, al quale in seguito ne aggiunse altri quattro, cioè quelli di Hildesheim, di I.utticb, di Miinster e di Colonia, col quale ultimo ebbe il 23 mag¬ gio 1583 la qualità di Principe Elottore del Sacro Romano Impero. Fu in istretta rela¬ zione col Keplero elio gli dedicò la sua 7h‘ojj- irica. Mancò ai vivi nel castello di Arnsberg il 17 febbraio 1612. Baviera (di) Guglielmo. Quinto del suo nomo e detto il Pio, nacque di Alberto V e di Anna d’Austria il 29 settembre 1548: il 15 ottobre 1597 abdicò al ducato di Ba¬ viera in favore del figlio Massimiliano e morì ìi 7 febbraio 1626. INDICE BIOGRAFICO. 387 Baviera (di) Massimiliano. Nato di Gu¬ glielmo V e della duchessa Renata di Lo¬ rena in Monaco il 17 aprile 1573, salì al trono di Baviera per l’abdicazione del padre, e incominciò a regnare il 4 febbraio 1598. Fu promosso alla dignità, di Elettore il 25 febbraio 1623. Mancò ai vivi in Ingol- stadt il 27 settembre 1651. Beauqband (de) Giovanni. Nessun’altra notizia intorno a lui, se non che da una let¬ tera del Descartes al Mersenne del settem¬ bre 1641 sappiamo ohe a questo tempo era morto; non porò da molto, pcx-chò una sua lettera intorno al Brouillon project del De- sargues si lui alle stampo, con la data dei 20 luglio 1640. Nel citato carteggio del De¬ scartes, nel quale sono espressi sul suo conto giudizi severissimi, egli ò spesso chiamato col nome di « Góostatioion »; il quale appellativo gli era derivato dall’opera intitolata « Ioan- nis de Beaugrand Regi Franchie Domui Re- gnoquo ac Aerano sancii ori a consiliis se- crotisque 6 rcostaficc, scu de vario pondero gravium secundum varia a terrae [centro] intervalla , Dissertatio mathematica; Parisiis, apud Tussanmn Du Bray, 1636»: essa è de¬ dicata al cardinale di Richelieu in data 20 aprile 1036, ed il privilegio è del mag¬ gio 1636. Dal titolo di quest’opera si rileva dunque quale fosse la sua posizione ufficiale; mentre nella lotterà succitata dei 20 luglio 1640 egli stesso si dice «secrétaire du roi». Con tale pubblicazione egli pregiudicò gran¬ demente la reputazione acquistatasi innanzi dando sulla Isagoge del Vieta, del 1631, note ed illustrazioni ch’erano state grande¬ mente apprezzate e che furono in parte rac¬ colto dallo Scbooton nella sua edizione del Vieta del 1646. Noteremo infine che il suo nome si trova mescolato all’accusa di plagio formulata dal Roberval contro il Torricelli a proposito della istoria della cicloide, avendo il Pascal preteso che egli avesse comunicata la soluzione del Koberval a Galileo, nelle carte del qualo il Torricelli l’avrebbe trovata. Bkauliku (de) G. Ignoriamo se questi sia io stesso Giovanni de Beaulieu, autore di parecchie opere di geometria pratica e di aritmetica, pubblicate nella seconda metà del XVII secolo. In una tra esse egli ò detto: «Ingenieur, Geograplie du Boy, Ài- penteur juré ordinaire de Sa Majestó au departement de la Rochello »; in altra : « ci- devant Ingenieur, Professeur aux Sciences civilles et militaires cri la marine poni- le Service de Sa Majcsté très-Chretieime, sous les ordres de feu Monseigneur l’adtniral Due do Beaufort»; ed in una terza finalmente: « Mathematicien, Ingenieur et Cosinogrnphe du Itoy et Export. Bourgoois, re^eu en Par- loment pour la visite et extimation des ou- vrages dépendans des bastimens. Lequel en- seigne les mathómatiques on sa demeurc, sur le Quay-l’elletier ». Beaune (de) Plori mondo. Nat o a Blois nel 1601, aveva da principio abbracciata la carriera delle armi; entrato poi nella ma¬ gistratura, divenne consigliere al Presidiale di Blois, ed in tale ufficio morì nel 1652. Godè molta reputazione come abile co¬ struttore di cannocchiali e di strumenti astronomici; ma il suo nomo resta legato al celebre problema da lui proposto al De¬ scartes nel 1639, ed allo note ch’egli fece alla Geometria di questo e che con ossa furono ripetutamente date alle stampe. Di lui il Descartes, molto suo intimo, dettò questo elogio: « je le ticns pour un des meilleurs osprits qui soient au monde ». Lasciò pure alcuni studi sulla costruzione delle equazioni, pubblicati dopo la sua morte da Erasmo Bartoliuo. Bf.eokman Isacco. Nato a Middclburg dal teologo Abramo e da Susanna van Rhee il 10 dicembre 1588. Percorsi a Leida gli studi teologici, fu promosso nel 1618 dot¬ toro in medicina a Caen. In questo mede¬ simo anno 1618 fece a Breda la conoscenza del Descartes, che compose per lui il Com- pendium Musicae ed uno studio sulla caduta dei gravi. Condirettore delle scuole latine di Utrecht o di Rotterdam, fu eletto ret¬ tore del collegio di Dordrecht nel 1627, dove ricevette nel 1629 la visita del Gassendi e nel 1630 quella del Mersenne. Fu pure le¬ gato in amicizia col Colvius, col Lansberg, col Morbi e col Dcsargues. Dopo la sua morte, avvenuta il 20 maggio 1637, fu pub¬ blicala di lui una Mathematico-physicaru/m meditationum, quaestionum, solutionum cen- 388 INDICE BIOGRAFICO. furia (Trajeoti ad IUieitnm, apud Petrum I Baniolis Slnot, M.DO.XLiv); o di recente venne scoperto un suo « Diario », alla pubblicatone del quale attende la Société liollandaise dea i Sciences di Ilaniera. Bella (della) Stefano, pittore e inta- ; oliatore all 1 acquafòrte e al bulino, figliuolo dello scultore Francesco (che fu discepolo di Gio. Bologna) o di Dianoia Buonaiuti, nacque in Firenze il 17 maggio 1010. Studiò dap¬ prima la pittura sotto Cesare Damimi, e poi l’arto dell’incisore con Remigio Cautagal- linu. Nella sua gioventù corcò di imitare la maniera di Iacopo Callot, ma poi si formò una maniera d’incidere originale, ammira¬ bile per buon gusto o leggerezza. Egli la¬ vorò in Italia fino al 1630, o a l'arigi dal 1640 al 1650; nel 1646 fece un viaggio in Olanda e ritornò nel 1650 a Firenze, dove morì il 22 luglio 1664. Un catalogo accurato delle sue stampe ò stato pubblicato a Parigi nel 1772: esse superano il migliaio, o sono dei più svariati argomenti, sacri e profani (storie, ritratti, marine, allegorie, eco.). Bellarmino Roberto di Vincenzo e di Cinzia Cervini, sorella del papa Marcello II, nacque a Montepulciano il 4 ottobre 1542. À 18 anni vesti come novizio l’abito della Compagnia di Gesù in Roma il 20 settem¬ bre 1560; insegnò quindi retorica e sfera a Firenze, lingua greca a Mondo vi; poscia mandato nel Belgio, in ordinato sacerdote a Gand nel 1570, e per sei anni bì trat¬ tenne in quella regione, predicando e inse¬ gnando teologia. Tornato a Roma, fu pro¬ fessore di Controversie per undici anni nel Collegio romano, c prese parte ai lavori per la nuova edizione della Vulgata. Da Sisto V, da Gregorio XIV, da Clemente Vili ebbe altre moltissime ed importanti cariche, o da quest'ultimo pontefice fu nominato suo teologo, consultore del S. Uffizio, esamina¬ tore dei vescovi e, contro sua volontà,creato cardinale, il 3 marzo 1598, del titolo di S. Maria in Via, che, poco tempo prima di morire, cambiò con quello di S. Prassede. Da Clemente Vili fu pure nominato arci¬ vescovo dì Capua nel 1602, o amministrò quella diocesi fino all’agosto del 1605. Nel conclave iu cui fu eletto Paolo V sarebbe slato egli l’eletto, «e non si fosse formici, inamente opposto alla determinazione una¬ nimi) dei cardinali. Morì in Roma il 17 8e i_ tombre 1621, o fu sepolto con grandioso monumento nella chiesa del Gesù. Bki.laviti Andrea iun. Nacque di Be¬ nedetto in Pi i circa Panno 1560; od abbrac¬ ciato lo tato cecie mistico, divenne canonico .Iella cattedrale. Nel patrio Studio, nel quale ài laureato nel 1587, lesse a partire dal¬ l'anno l-> { dapprima logica o poi metafisica, e privatamente matematica o filosofia. Morì il 20 marzo 1626. Bellaviti Tiberio fratello di Andrea, lesse pur egli filosofia nello Studio pisano, dal 15H> al 1592. Morì nel 1619. Bellini Camillo. Condotto dal Senato Veneto alla cattedra straordinaria di filo¬ sofia nello Studio di Padova con decreto dei 23 agosto 1591, con altro decreto del 5 no¬ vembre 1(501 ebbe aggiunto anche l’incarico di insegnare le Meteore noi giorni di va¬ canza a tutto il mese ili giugno; tua, in se¬ guito a continui dissensi col filosofo primario Cesare ('li monino, nel 1606 non fu confer¬ mato. Richiamato alla cattedra con decreto dei 23 agosto 1622 la tenne, finché morì di peste nel 1631. Belloni Giovanni. Fratello del prece¬ dente, nacque di Niccolò in Padova il 4 giu¬ gno 1544. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu eletto canonico di Padova il 3 giugno 1588, o chiamato dal Senato Veneto a leggero filosofia morale nello Studio con decreto del 4 giugno 1694. Secondo gli storiografi del¬ l’università, versatissimo nella filosofia pla¬ tonica. Mancò ai vivi in Padova il 21 di¬ cembre 1622. Bembo Giovanni. Nacque in Venezia, di Agostino e di Chiara Benedetti il 25 ago¬ sto 1543. Si educò all’ nrte militare navale sotto i gran capitani Antonio Canal e Se¬ bastiano Venier, o fin dalla prima gioventù si distinse nella guerra contro i iorchi. Ix> troviamo nel 1597 capitano in ( andia o generale contro gli Uscocchi, poi prov¬ veditore generale in Corfù e Friuli, o piu INDICE BTOGRAEICO. 389 tardi in Istria, Dalmazia ed Albania, o nel 1607 capitano generale. In Venezia, dopo essere stato Savio Grande e consi¬ gliere, fu elevato alla dignità di Procuratore il 14 agosto 1601, e il 2 dicembre 1615 eletto Dogo. Complimentalo in tale occasiono da Cesare Cremonino a nome dello Studio, pro¬ mise di farne rispettare i privilegi, spe¬ cialmente per ciò che si riferiva al diritto esclusivo di conferire le laureo in tutte le discipline, o la promessa mantenne o lavori straordinariamente lo Studio ed i lettori di osso. Mancò ai vivi il 18 marzo 1618. Pendi Spinello. Da Montepulciano, fu dapprima segretario del card, de’ Medici che salì poi al soglio pontificio col nome di Leone XI: venne in seguito assunto nel lu¬ glio 1608 come segretario del card. Gon¬ zaga; fu pure mandato conio residente per la corte di Mantova presso altri principi e al re di Francia; nel 1613 ora a Firenze, dove divenne lilialmente primo segretario del principe Gio. Carlo de’ Medici. Viveva ancora nel 1646. Benedetti Benedetto. Nella genealogia della famiglia patrizia veneta Benedetti non abbiamo trovato intorno a questo tempo altro individuo di nome Benedetto da quello in fuori die, eletto vescovo di Caorle il 18 agosto 1609, occupò la sede fino olla morte avvenuta nel 1636. Benessi Pietro era uno dei segretari che nella segreteria di Stato pontificia, in¬ torno al 1632, attendeva alla corrispondenza di varie nunziature. Egli scriveva il suo co¬ gnome « Pietro Benessa da Ragusa »; di sua mano sono gli attergati di più lettere del tempo. Beni Paolo. Nacque in Candia intorno al 1552, ed ancor giovanotto fu trasportato a Gubbio dove venne allevato, e questa città riconobbe poi egli sempre come sua patria. Entrato nella Compagnia di Gesù, ne uscì poco dopo per poter con maggiore libertà attendere ai suoi studi ed alle sue pubblicazioni, che furono numerosissime. Dopo aver servito in qualità di segretario il card. Madruzzi ed il duca d’Urbino Fran¬ cesco Maria II, e professata teologia in Pe¬ rugia c dal 1594 al 1599 filosofia nella Sa¬ pienza di Roma, con decreto dei 3 novembre di questo stesso anno fu chiamato dal Se¬ nato Veneto a leggere umanità greca e la¬ tina nello Studio di Padova. Celebre per le sue conteso letterarie e poco bene accetto agli scolari si ritrasse dall’insegnamento nel 1623. Mancò ai vivi il 12 febbraio 1625, e fu sepolto nella chiesa delle monache di S. Chiara in Padova, in una tomba che fin dal 1611 aveva preparata per sè e per i professori forestieri dello Studio. Bbntivoglio Alessandro. Tra i parec¬ chi di questo nome, quello elio meglio sem¬ bra convenire ò Alessandro di Ulisse, del ramo senatorio dei Beliti voglio eli Bologna. Ulisso, avendo sposato nel 1576 la famosa Pellegrina di Pietro Bonaventuri fiorentino e di Bianca Cappello, passò a stabilirsi in Firenze presso il granduca Francesco I : morì nel 1618. Alessandro, che fu del Magi¬ strato degli Anziani, si domiciliò in Firenze, sposò nel 1610 Caterina d’Andrea Alamanni, e morì il 4 ottobre 1645. Bentivoolio Guido. Nacque in Ferrara di Cornelio e di Elisabetta Bendedei il 4 ot¬ tobre 1577. Giovanissimo si recò a Padova per attendervi agli studi principalmente delle leggi, e vi fu dozzinante di Antonio Biccoboni ed uditore privato di Galileo che gli lesse la « sfera ». Compiuti nel 1600 gli studi, elio aveva dovuto interrompere per motivi poli¬ tici, si recò a Roma, dove salì in breve ai più alti gradi nella carriera ecclesiastica. Da Paolo V fu eletto referendario, e col titolo di arcivescovo di Rodi mandato nun¬ zio apostolico in Fiandra nel 1607 ; verso il principio del 1617 passò nella stessa qualità alla corte di Francia, e PII gennaio 1621 fu creato cardinale. Ritornato dalla Francia dopo l’elezione di Gregorio XV, fu da que¬ sto papa insignito del titolo di S. Giovanni a Porta Latina, che poi egli scambiò suc¬ cessivamente con quelli di S. Maria del Po¬ polo, di S. Prassede, e di S. Maria in Tra¬ stevere, finché il 1° luglio 1641 fu nominato vescovo di Palestrina. Appartenne alla con¬ gregazione del S. Uffizio negli anni in cui si svolse il secondo processo di Galileo, del 300 INDICE moliRA FICO. quale Inficiò ricordo nelle suo « Memorie ». Mori il 7 settembre 1<>44 nel conclave te¬ nuto dopo la morte di Urbano \ III. Lo va¬ rie opero da lui lasciato, concernenti tutte l’azione politica da lui esercitata durante lo sue nunziature, furono più volto ristampate o tradotto in altro lingue. Ber ardi Antonio Maria. Nacque in Pe¬ rugia nel 1572, od entrò giovanissimo nel¬ l’Ordine dei Servi di Maria, del quale nel 1638 fu creato Generale. Morì in Perugia noi 1613. JBìrigard (o Biaurrgard) Claudio. Claudio Guilleruiet, Signore di Bérigard, nacque a Montimi nel Borbonese, se¬ condo il Niceron nel 1578, uia, come è molto più probabile, nel 1592. Kra fi¬ glio di Pietro, medico; anche il fratello di lui Gio. Guglielmo esercitò la medi¬ cina. Nel 1626 ora in Firenze, segre¬ tario della granduchessa Cristina pei le lotlere francesi ; quindi nel 1627 fu chia¬ mato alla cattedra di filosofia nello Stu¬ dio pisano, ch’egli occupò fino al 1636 con molta riputazione, come uomo erudi¬ tissimo, latinista elegante sia in prosa sia in verso, polemista arguto, specialmente noi così detti « Circoli ». In Pisa fu pure per qualche tempo, nel 1636, preposto all’orto botanico, ed esercitò altresì la medicina. Noi 1636, essendo stnto invi¬ tato ad occupare, alla partenza del I.i- ceti, il secondo luogo di filosofia ordi¬ naria nello Studio di Padova, accettò l’offerta, e fu nominato con decreto del 20 maggio a quella cattedra, dalla quale fu promosso alla prima pur di filosofia il 26 gennaio 1661. Mori iu Padova il 23 aprile 1663, e fu sepolto nella chiesa di S. Sofia. Bkrniggkr Mattia. Naeque in llallstatt, nell'Austria superiore, di Biagio e di Elisa- betta Paurnfeind P8 febbraio 1582. All’età di 12 anni incominciò a frequentare il gin¬ nasio di Wela, dal quale passò a quello di Strasburgo, proseguendo poi gli studi acca¬ demici nella stessa città. Promosso al ma¬ gistero, e, conforme le consuetudini dei luo¬ ghi e dei tempi, dovendo visitare altri paesi o frequentare altre università, si recò a Vienna e fora’anco a Graz: è probabile facesse m tale occasione conoscenza col Keph-ro. Nell’ottobre 1603 era novamonte a Strasburgo, dove, tranne brevissime assenze rimase tutta la vita ed ivi mori il 3 f e b’ bruio 1610, avendo prima occupato una cat¬ tedra nel ginnasio e poi quella di storia all'università. Birtazzoli Gabrieli. Nacque in Man- tovu nel 1570, e fiorì principalmente a quella corte; dove «piegò il multiforme suo ingegno ! di filosofo, matematico, meccanico, chimico, astronomo, cartografo, idraulico, architetto, letterato, e finaneo commediografo e mu¬ sicista. Era stato dato in nota da Gaspare Sdoppio ad Urbano Vili fra i più chiari lettorati del suo tempo meritevoli del suo favore, con la lodo di « Mautuae mathema¬ tica» pracAana et machinator admirandus». I.n sua fama ò tuttavia oggidì maggiormente raccomandata allo grandi opere idrauliche da lui eseguite o disognate. Morì iu Man¬ tova il 80 ottobre 1626. fìBTiiuxf* (di) Filippo. Conte di Selle», di Charoste, eoe., uno de’sei figli del barone di Ko.sny o fratello cadetto di Massimiliano di Béthune, duca di Fully, nacque noi 1561 e morì nel 1649. Sostenne molte ambasciate, l'ultima delle quali, del 1629, fu relativa alla lega tra Francia, Papa o Repubblica Veneta. Formò la famosa collezione di manoscritti, legati toi da suo figlio Ippolito alla Biblio¬ teca Reale. Beviben (van) Cornelio. Forse lo stesso del quale troviamo che fiorì intorno alla metà del secolo decimosettimo, e che, colti¬ vando le matematiche, diede alla luce una scrittura « I)e quadratura circuii» (Utrecht, 1679). Bevilacqua Honivaoio, di Antonio o di Isabella Turchi, nacque di nobile famiglia , in Ferrara nel 1571. Laureato in leggo a Padova, ottonilo rapidamente notevoli cari¬ che ecclesiastiche, e il 3 marzo 1598 da Cle¬ mente Vili fu fatto cardinale, e il 10 set¬ tembre 1601 vescovo di Cervia, con altri pur cospicui uffici in appresso. Morì in Roma INDICE BIOGRAFICO. m il 6 o 7 aprile 1027. Fu amico munificentis¬ simo dei letterati, c fece fabbricare al Tasso il monumento sepolcrale in S. Onofrio, con l’iscrizione ben nota. Bianca ni Giuseppe, nato a Bologna nel 1566, entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù nel 1592. Studiò lo matematiche sotto il P. Olavio, e le insegnò poi por ven- t’anni, specialmente a Parma. 11 P. Riccioli fu suo discepolo. Fu altresì perito nella storia, nella poesia e nella conoscenza degli autori latini e greci. Morì a Parma il 7 giu¬ gno 162-1. Egli apparisce tra gli avversari di Galileo non solo per la parte avuta nel cosiddetto Problema di Mantova , discusso colà dai gesuiti nel moggio 1611, ma altresì nella questione della priorità della scoperta delle macchio solari. Bianchetti Lorenzo, di Cesare c di Mad¬ dalena Castelli, nacque in Bologna da no¬ bile famiglia nel 1545. Dopo aver occupato molte c notevoli cariche ecclesiastiche, fu nominato cardinale da Clemente Vili il 5 giugno 1596. Nel conclave in cui fu eletto Paolo V, poco mancò che fosse egli eletto pontefice. Morì in Roma il 12 marzo 1612. Bichi Alessandro, di Vincenzo e di Fau¬ stina Piccolomini, nacque in Siena il 1° ot¬ tobre 1596. Chiamato a Roma dallo zio card. Metello Bichi, entrò ben presto nella diplo¬ mazia pontifìcia, fu per molti anni nunzio in Francia, e mentre era colà fu creato car¬ dinale da Urbano Vili nel 1633. Ebbe im¬ portanti missioni anche dal re Luigi XIII, o fra le altro quella di suo ambasciatore ai principi d’Italia per porre fine alla guerra di Castro. Morì in Roma il 25 maggio 1657. Bichi Celio, fratello del cardinale Ales¬ sandro, nacque in Siena il 24 febbraio 1599. Fu professore di istituzioni civili nel pub¬ blico Studio dal 1621 al 1625. Recatosi a Roma, vi tenne dapprima l’ufficio di luogo- tenente dell’ auditore della Camera, quindi nel 1639 fu promosso da Urbano Vili au¬ ditore di Rota. Bichi Vincenzio di Alessandro. Ammo¬ gliatosi con Faustina Piccolomini, ebbe a figliuoli il cardinale Alessandro, il giure¬ consulto Colio, e Margherita ohe andò sposa ad Alessandro Marsili. Onorato di pubblici uffici in Siena sua patria, risedè nel Colle- giodi Balìa nel bimestre maggio-giugno 1593, ed altra volta nel settembre-ottobre 1612 con la dignità di Capitano di Popolo. Bicker Giacomo, signore di Engelenburg, battezzato il 22 dicembre 1588. Fu direttore della Compagnia delle Indie Orientali dal 1616 al 1641, e tenne anche P ufficio di diret¬ tore dei trasporti straordinari per l’Oriente e la Norvegia. Appartenente ad una delle famiglio più potenti di Amsterdam, sposò il 24 giugno 1642 Cristina do Graeff, di fami¬ glia essa pure tra le cospicuo della stessa città. Mancò ai vivi il 28 luglio 1646. Bimuaooi Gio. Paolo, fiorentino, nacquo nel 1600. Entrò nell’Ordine dei Minori Con¬ ventuali, e fu a lungo reggente teologo e due volto guardiano nel suo convento di S. Croce in Firenze, lettore di canoni in Roma, provinciale in Toscana e di altre pro¬ vincia della sua Religione. L’8 maggio 1631, essendo già dottore in teologia, fu ascritto all’università fiorentina dei t eologi. Nel 1646 fu eletto da Innocenzo X vicario generale o visitatore apostolico nella Francia, con pienissima e indipendente autorità. Fu inol¬ tre teologo del card. Carlo de’ Medici, con¬ sultore del S. Uffizio o della congregazione dell’Indice, esaminatore sinodale in Firenze e in Fiesole o segretario di tutto il suo Or¬ dine. Da Ferdinando li fu nominato lettore di teologia nell’università di Siena; ma colà morì il 21 novembre 1649, prima di comin¬ ciare la sua lettura. Riminolo Annidale, di Giovanfrancesco e di Laura Capodivacca, nacque in Padova nel 1553. Dal Senato Veneto fu chiamato ad occupare nella patria università il terzo luogo di medicina pratica straordinaria ne! 1577, fu promosso al secondo con decreto de’13 dicembre 1578, e finalmente trasferito al primo di medicina teorica straordinaria con decreto de’ 19 dicembre 1591. Mancò ai vivi in Padova il 28 febbraio 1613. Binau (do) Rodolfo, nobile cavaliere di Meissen (Misnia) in Sassonia, di cui Tom- 392 INDICE BIOGRAFICO. muso Campanello, che lo chiama « Ridolfo di Bina », dedicandogli un sonetto, scrive nella nota illustrativa: «con Tobia Adami, por filosofare, dai «odici anni si pose a scor¬ rere il mondo, o visitò l’Autore, il qual ro- nobbo, nella sua natività, in lui ingegno sublime e singolare, ed introdotto alla sua filosofia, l’esortò a seguire il corso fatale *. L'Adami era precottoree governatore o mag¬ giordomo di Rodolfo; e dopo di aver visitato Padova nel 1611 o Venezia, quindi la Gre¬ cia, la Siria, la Palestina, i due viaggiatori da Gerusalemme tornarono in Italia per la via di Malta o si fermarono in Napoli dal fobbraio all’ottobre del 1613. In Napoli essi visitarono più volte nella carcere del (’a- Rtello dell’ Uovo il Campanella, che, oltre a fare la natività del Bmau, gli dette lezioni di filosofia, alle «piali assistò pure l’Adami. Da Napoli i due tedeschi si recarono a Roma, e quindi, come affermano i biografi, a Fi¬ renze, dove conobbero Galileo, e con lui Cosimo Ridolfi o il Castelli. Nel principio del 1614 il Binavi con T Adami era a Madrid, donde andarono in Francia e in Inghilterra, e nel gennaio del 1617 erano di ritorno in patria. Notiamo che un « Rcdulphus a Binau in Fiblerbergh * aveva dato il suo nomo alle matricole della Nazione Germanica Giurista dello Studio di Padova sotto il di 24 otto¬ bre i5ya Bihdi Santi. Di lui abbiumo trovnto me¬ moria che alla fine del UKV? ricevette in con¬ segna P « Hospital»* SS. Trinitatis et Crucis in pop." S. Margaritao de Montici in Pla- nitie Juliaris », o che alia sua morte gli suc¬ cede il 19 ottobro 1645 Giaciuto Giovanni de Talducci. Bini. Intorno a questo tempo visse in Firenze Pietro di Bernardo Bini, già elemo¬ siniere segreto di Urbano Vili, il quale in¬ sieme con Francesco Cerretani fondò in Firenze la Congregazione dei Preti dell’Ora¬ torio di S. Filippo Neri. Mori in concetto di santità il 28 dicembre 1635. Bini Martellisi Ginevra, di Esaù di Cosimo. Proprietaria del « Gioiello », lo la¬ sciò, morondo li 17 luglio 1641 ai figliuoli Giovanni Battista o Lorenzo di Bernardo di Giovanni Bini. L’aveva acquistato, con po¬ dere e eu-ta da lavoratore o orto, il 1 <> otto¬ bre 1631 da Esaù di Esaù Martellai per prezzo di fiorini 2200, con patto resolutivo d’anni cinquo. Bikaoo Sa nuoce iii Margherita. Nacque a Napoli ; ina le scarnissimo notizie che ce no somministrano l’Eritreo nella Pinaco- theca ed il Capaccio negli Illustrimi mulic- rum r log in non ci permettono di fissarne nemmeno approssimativamente l’anno della nascita, elio però deve essere stato verso il 1560. Condusse la maggior parto della sua vita in Roma; e nella sua casa, prima o dopo il suo matrimonio con uno de’Bi- raghi, tenne per oltre trent’anni fiorente cir¬ colo, nel «piale convenivano i più illustri let¬ terati «li Roma ed i cospicui personaggi che per Roma «*rano di passaggio. La storia letteraria registra il suo poema eroico la Scnruìerbi ide, che canta lo gesta dell’eroe cpiiota Scandep-beg. Mancò ai vivi in Roma nel 1618. Diré Giovanni. Signore do laSevaigerio in Brettagna. Nei Dossicrs bleus della Bi¬ blioteca Nazionale di Parigi se ne trova appena un cenno in data del 1638. Un aro Maro’Antonio di Pietropaolo. Di lui non abbiamo rinvenuto nell’archivio di casa Bi' -aro (presentemente in casalingo a Vicenza’' altra notizia da questa infuori, che ottenne, sotto i 28 giugno 1583, una speciale concessione dal doge Niccolò da Tonto e dal Consiglio dei Dieci. Nelle memorie del tempo ò detto < cavaliere o letterato di inerito. » Blakc Guglielmo (Jansz Janszoon), lati¬ namente Blavius ed anche Caesius. Nacque nel 1571 noi dintorni di Alomar presso Am¬ sterdam ; o dopo esser Btato due anni (1594- 1596) con Tieono Brahe ad Uranienlmrg, si stabilì in Amsterdam conio tipografo, so¬ prattutto di opero marittimo e geografiche, e costruttore di globi. Le opere elio egli imprese a stampare erano in gran parte sue proprie, o fra esse ricorderemo il « Nicuw graetbouck » (1605), 1’ « Hot Licht dor Xeevacrt> (1608-1618), il «De Zeespicgel» (1624-1638) e il « De groote Zeespiegel » INDICE BIOGRAFICO. 393 (1024). Queste opere, alle quali sono da ag¬ giungersi le tavole della decimazione del sole e delle principali stello (1625), o le ta¬ vole della latitudine del levar del sole (s. a.), gli procurarono una grandissima riputazione e con essa la nomina a cartografo della Com¬ pagnia delle Indie orientali. Di una sfera copernicana da lui costruita scriveva l’Or¬ tensio al Gassendi nel 1633: « Wilhelmus nostras Janssonius Caesius elegantissimam construxit spliaeram ad mentem Copernici, quam si vel ipse Pontifex viderit, non po- t.erit non amplexari. Brevi, ut puto, cani edet, et in Italiani et ad procores Aulae Ro- manae destinabifc. » Mancò ai vivi in Amster¬ dam il 21 ottobre 1638. Boato Giovanni. Nacque in Padova nel 1565, c si trova che già nel 1583 gli fu con¬ ferito il terzo luogo di diritto canonico : non consta per quanto tempo l’abbia occu¬ pato. Nel 1618 fu condotto alla lettura delle pandette nello stesso Studio di Padova, e mancò ai vivi addì 30 ottobre 1630. Boocjabella Alessandro Romano, dot¬ tore in teologia ed in ambe le leggi, fa no¬ minato consultore e sostituto fiscale del S. Uffizio il 4 marzo 1627. Egli figura nei Decreta del S. Uffizio del 1632 come vico- assessore dal 13 al 28 luglio 1632; il 28 lu¬ glio prende il titolo di Assessor. Restò in questa carica fino al 26 gennaio 1633, e a lui succedette Pietro Paolo Febei. Fu no¬ minato auditore di Rota nel marzo 1633. Morì il 21 maggio 1639. Boccalini Traiano. Nacque in Roma nel 1556, e con la protezione dei cardinali Borghese e Caetani ottenne importanti uffici pubblici ; ma dovè in breve lasciarli a mo¬ tivo della sua causticità e spirito satirico di cui diede saggi ripetuti con le ben note pubblicazioni. Dopo la sua « Pietra del Pa¬ ragone» diretta contro la Spagna, non si sentì sicuro altro che in Venezia, dove riuscì accettissimo alle compagnie dei buontemponi, e quivi morì il 16 novembre 1613, non senza sospetto d’una vendetta spagnuola. BoooniNP.ni Alkssandko, di Carlo di Geri, nel 1617 risedè come gonfaloniere in Prato. Voi. xx. Entrò nel 1620 al servizio del card. Carlo do’Medici come aiutante di segreteria, e nel 1636 successe a Ottaviano di Lotto nel grado di primo segretario, o vi restò dieci anni sino alla morte, seguita nel 1646. Tratto no- vamente gonfaloniere in patria nel 1641, non risedè, dimorando per cagion d’ufficio in Firenze. BoccniNF.ni Antonino fu, con questo no¬ me, cappuccino; ma non sappiamo nò quale fosse il suo nomo al secolo, nè quando en¬ trasse in religione. Fu uno dei molti figliuoli di Carlo di Geri; e di lui possiamo riferire solo quel poco die ne scrivono due eruditi pratesi: Giovambatista Giughi, elio nello Vite degli uomini illustri pratesi (ms. nella Ron- cioniana di Prato) lo chiama Antonio, o dice che fu predicatore e che « possedè di gran virtù, visse con grande austerità, fu gran sostenitore della regolare osservanza », e che morì in concetto di santità, affogando «nel fiume Orda nel 1643 »; o Giuseppe Maria Casotti, che più particolarmente, o con qualche differenza quanto al le date, narra che « r. Antonino da Prato, essendo Guar¬ diano alla Montagna nel 1641, noll’andaro a Montalcino a fare la predica di S. Iacopo, annegò nell’Orda a’24 luglio 1641». Bocoiiineri Asoanio di Carlo di Geri, entrò molto giovane nella vita pubblica. Quando suo fratello Geri fu eletto, nel 1636, governatore della Pia Casa dei Ceppi di Prato, egli prestò per lui la garanzia do¬ vuta, e poco dopo, il 17 febbraio, per ordino granducale fu sostituito a Geri nell’ufficio. Fu del magistrato dei Priori in patria per il luglio-agosto 1610; gonfaloniere nel 1655 per tratta del 25 agosto, o novamento nel 1658, per tratta del 23 agosto per il bime¬ stre di settembre-ottobre. Nel 1651 fu in¬ viato dal governo granducale a riformare le comunità del Pontremolese, venute di recente alla Toscana. Negli ultimi anni di sua vita fu pure, in Prato, camarlingo ge¬ nerale del Monte di Pietà, e morì nell’ago¬ sto del 1670, prima del termine della sua condotta, che spirava il 1° settembre. Lo supplì fino a quel giorno il fratello Benedetto, come zio, tutore e amministratore dei figli di lui. Ascauio sposò in prime nozze nel 1649 so INDICE BIOGRAFICO. ■m Adriana di Lodovico Ferracani, da cui ebbe un figlio, Lodovico, nato il 3 aprile 1654, cavaliere di S. Stefano il 27 marzo 10>vb morto noi 1715; e in aecoude nozze, Caterina di Camillo Fioravanti di Pistoia nel 1668. UomiiNKRi Benedetto, di Carlo di Cleri, rì laureò in ambedue le leggi, e dal 1627 fu canonico della collegiata di S. Stefano in Prato, poi cattedrale. Nel 1632 fu uno degli ambasciatori deputati dal Capitolo a chiedere al granduca che la prepoaitura di Prato fosse eretta in cattedrale, e la terra di Prato dichiarata città. Poco appresso il card. Carlo de’Medici, che fu l’ultimo dei proposti di Prato (1619-1653), prima elio In¬ nocenzo X dichiarasse quella chiesa catte¬ drale (1653), propose Benedetto al Capitolo perchè fosRO eletto collettore delle decime imposte da Urbano Vili su’beni degli ec¬ clesiastici. Morì assai vecchio nel 1676. Bocciunkri Carlo, di Ceri e di Gemma di Francesco di Giovanbattista Biffali (o Bisfoli o Bifolchi), discendeva dall'antica e nobile famiglia pratese dei Ghernrdacci, la quale mutò tra il sec. XVI e il XVII il suo cognome in quello di Bocchineri; ma già ancora lo stesso Carlo nel 1594 si trova in documenti pubblici cognominato « Carlo di Gerì Ghernrdacci. » Fi ignora la data pre¬ cisa della nàscita di Carlo; ma dal fatto clic nella tratta degli uffici comunali, avvenuta in Prato il 20 aprile 1594, Carlo fu escluso come minore di 25 anni, mentre in quella dol 20 ottobre dello stesso anno fu dichia¬ rato abile, si deduce con certezza che nacque tra il 20 aprile o il 20 ottobre 1569. Nel novembre-dicembre 1594 fu dei Priori in Prato, ed egualmente nel novembre-dicem¬ bre 1599. Nel 1605 fu deputato dal comune di Prato, insieme col poeta Cosimo Cico¬ gnini, ad andare incontro a Filippo Sai vinti, nuovo proposto, e complimentarlo; e in quel¬ l’anno medesimo fu ascritto all’Accademia della Crusca. Nel 1613 si trova mandato col padre nei governi dello Stato. Fu estratto nella tratta del 24 aprile 1617, e risedè gon¬ faloniere in patria per il maggio-giugno; o nella tratta del 20 ottobre dello stesso anno fu estratto, con altri tre, a sindacare il po¬ destà. Quanto alla data della morto, pos¬ siamo diro soltanto che ora già defunto quando avvenne la tratta del 20 aprile 1632 Era dottore; ma nella Btoria letteraria pra¬ tese egli ha lasciato fama come letterato, e specialmente come poeta mediceo. Doccimiitni Carlo, di Gherardo o di Sin¬ cera di Napoleone Aldobrandini, fatto cit¬ tadino fiorentino nel 1571 e mancato ai vivi nel 1577: avo di Carlo di Geri. Bocciunkri Filippo di Carlo di Gerì si addottorò in legge civile e canonica il 17 ot¬ tobre 1688: egli era allora già prete. Fu cap¬ pellano e, per un certo tempo, camarlingo nella Collegiata di Prato. Morì prima del 1645, poiché noi Diurno , che è nell’Archi¬ vio comunale di Prato, si ricorda sotto i 24 marzo 1645 un legato di scudi 50 lasciato ila Filippo a lavoro dell’Opera del S. Cin¬ golo. Boochinkri Gerì, di Carlo di Geri, nel tempo nel quale Andrea Cicli resse la se¬ greteria toscana di Stato, fu segretario pri¬ vato del granduca Ferdinando II, e godè per alquanti anni il lavoro sovrano. Nella tratta di uffici pubblici pratesi del 23 giu¬ gno 1617 fu estratto di Collegio, con l’in¬ dicazione però « assente »; per i mesi di settembre-ottobre 1634 fu tratto dell’ufficio dei Priori; nel 1636 fu eletto governatore della Pia Casa dei Coppi di Prato, ma poco dopo, il 17 febbraio, per ordine granducale gli fu sostituito in tale carica il fratello Asca- nio; nel 1642 fu eletto a far parte (lei Pa¬ nali, con la madre Polissena Gatteschi. Morì nel maggio 1650. Boi ardi Paolo Emilio. Nacque a Reg¬ gio di nobile ed antica famiglia ferrarese, fu ambasciatore residente del duca di Modena Cesare d’ Hate presso la corto di Toscana dal 3 novembre 1619 al giugno 1623 e nel settembre di questo medesimo anno venne «fatto mettere a bolletta con titolo di ca¬ meriere segreto ». Boloqkktti Gioitalo, nobile bolognese, nacque in Doma intorno al 1590 da Gio. Battista e da Cassandra del Cavaliere. Ab¬ bracciato lo stato ecclesiastico, fu dapprima INDICE BIOGRAFICO. 395 referendario dell'ima c dell’altra segnatura, e il 23 settembre 1030 creato vescovo d’Ascoli di Puglia, dalla qual sedo fu trasferito il 28 febbraio 1039 a quella di llioti. Da Ur¬ bano Vili fu nominato nunzio, prima presso il granduca Ferdinando li di Toscana, o in tale qualità i documenti ce lo mostrano dal¬ l’ottobre del 1031 ai primi mesi del 1634, c poi, dall’anno medesimo 1034 presso Luigi XIII, re di Francia. Rinunziò il vescovudo di Rieti nel 1000, e stabilitosi a Roma, quivi morì il 7 gennaio 1080. Bombi ni Paolo, nato di nobile famiglia in Cosenza circa il 1570, studiò ivi le lettere umane; di poi trasferitosi a Roma, si applicò alle scienze nelle scuole dei gesuiti, e vestì l’abito della Compagnia nel 1592. Lesse filo¬ sofia e Sacra Scrittura nel Collegio romano; ma soltanto noi 1616 professò i voti dell’Or¬ dine, dal quale alcuni anni appresso uscì, per entrare nella Congregazione dei Oberici Regolari Somascbi. Fece in questa il novi¬ ziato nel collegio di S. Maria Maddalena di Genova, o pronunziò i voti nel 1629. Fu poscia proposito generalo della Congrega¬ zione Somasca. Morì in corte del duca di Mantova, di cui era teologo, nel 1648. Fu in molta riputazione presso i letterati del suo tempo, e lasciò numerose scritture a stampa, specialmente d’argomento storico, ed orazioni. L’Allacci ricorda poi, tra le opero clic aveva già in pronto, anche alcune scritture d’argomento scientifico. / Bon Niccolò, nato di Andrea in Vene¬ zia, addì 29 novembre 1550. Fu prima Con¬ sigliere alla Canea, indi Auditor Novo, Prov¬ vedilo!-sopra i Conti, dei X Savii, e noi 1597 podestà o capitano di Crema, poi nel 1609 c 1610 capo del Consiglio dei Dieci. Mancò ai vivi nell’ottobre 1610. Bonoiani Francesco, di Paolo di France¬ sco c di Onesta Nasi, nobili e antiche fami¬ glio fiorentine, nacque in Firenze, ed appli¬ catosi con fervore allo studio dello lettere, ebbe per maestro Pier Vettori. Appartenne, ancor giovane, all’Accademia degli Alterati nell’agosto del 1572; fu altresì dell’Accade¬ mia fiorentina, e di essa consolo nel 1590. Fu pure giureconsulto; od avviatosi alla carriera ecclesiastica, nel 1596 ottenne un canonicato nella metropolitana fiorentina, nel 1599 fu laureato ed inscritto all’uni¬ versità dei teologi, nel 1600 fu promosso all’arcidinconato della stessa metropolitana, che è per dignità il primo dei canonicati, e il 6 novembre 1613 fu nominato arcivescovo di Pisa. Dai grand udii fu molto stimato e adoperato in gravi affari, o spedito anche ambasciatore straordinario in Francia. Morì il 28 novembre 1620, lasciando in eredità una copiosa c scelta biblioteca al convento di S. Maria Novella in Firenze. Sono di lui a stampa orazioni, sermoni, lettere, assai pregiato per bontà di lingua. Bonoompaoni Francesco di Iacopo, ch’era duca di Bora e d'Areo nel regno di Napoli, o di Costanza di Sforza Sforza, nacque in Roma il 2 gennaio 1596. Nel 1615 ebbe lau¬ rea di legge civilo o canonica in Bologna, donde ora oriunda la sua famiglia. Entrato in prelatura, fu eletto governatore di Fermo, o il 19 aprile 1621 fu promosso al cardina¬ lato da Gregorio XV. L’11 giugno 1622 fu nominato vescovo di Fano, poi legato del- 1’ Umbria, o il 2 marzo 1626 arcivescovo di Napoli. Morì in Napoli il 9 dicembre 1641. Bonoom cagni Gregorio, fratello del car¬ dinale Francesco, nacque P 8 maggio 1590 in Milano ; e alla morto del padre, nel 1612, ebbe il titolo di duca di Sora. Fu uomo d’arme, o prese parte, negli eserciti di Spa¬ gna, alle guerre di Lombardia contro i Fran¬ cesi. Morì in Napoli il 13 ottobre 1628. Bonrlli Michele, nato nel 1541, Dome¬ nicano, nipote di Pio V, creato cardinale dallo zio nel 1566, morto in Roma nel 1598, fu soprannominato il Cardinale Alessan¬ drino , perchè nato a Bosco presso Alessan¬ dria, della qual terra da Filippo li re di Spagna, fu anche croato marchese. Boni Giovanni, nato di Andrea il 28 set¬ tembre 1565. Fu ambasciatore del gran¬ duca di Toscana a Modena, commissario di Pisa c commissario generale dello Bando Ducali, senatore nel 1605 e consigliere di Stato. Morì 1’11 novembre 1644. 396 INDICE BIOGRAFICO. BoNiFAUtoIULUAtwARK. Nacque in Rovigo nel 1584; ed abbracciato lo stato ecclesia¬ stico, fu prima parroco a Torrefalla, poi ar¬ cidiacono della cattedrale di Treviso, vica¬ rio generale della diocesi e consultore del S. Uffizio. Con decreto dei 3 ottobre 1619 fu dal Senato Veneto eletto alla cattedra di umanità greca e latina nello Studio di Pa¬ dova, ch’egli ricusò accettando invece 1’ uf¬ ficio di rettore dell'Accademia dei Nobili alla Giudeooa, dol quale fu investito con terminazione del Senato del 1® gennaio 1620, e destituito con altra terminazione dei -1 febbraio 1623. Dagli uffici che teneva in Treviso fu promosso vescovo di Capodi¬ stria il 24 novembre 1653. Mancò ai vivi nel 1659. Bonnairk (de) Lodovico. Cognato di Giovanni Barclay, che n’aveva sposata la sorella Luisa. Abitò a lungo Roma, di dove corrispondeva col Peireso c coi fratelli Du- puy, o serviva ad ossi di intermediario co» loro corrispondenti italiani. Donai Domknico, di Piero (fratello minoro del card. Gio. Battista, senatore fiorentino, accettissimo ai principi) e di Lucrezia di Giovanni Mannelli, nacque intorno al 1590. come attesta l’epigrafe sepolcrale. Nel 1616 10 zio, intendendo di lasciare la Francia o trasferirsi a Roma, lo fece eleggerò, in suo luogo, grande elemosiniere della re¬ gina Maria de’ Medici, o il 31 agosto dillo stesso anno vescovo titolare di Cesarea « suo coadiutore nel vescovado di Rcziera. Da Paolo V fu pure nominato tra gli assistenti al soglio pontificio, fon lettera del 13 giu¬ gno 1616 lo zio lo nominò suo vicario ge¬ nerale, per lo spirituale e per il temporale, nella diocesi di Déziers e in alcune abbazie. Fu altresì consigliere del re Luigi XIII. Premorì allo zio « sexto vix transucto lu¬ stro *, a Béziere il 30 aprile 1621, e fu se¬ polto in quella cattedrale. Bossi Francesco, di Piero o di Lucre¬ zia di Giovanni Mannelli,nacque in Firenze 11 6 maggio 1597. Cavaliere di S. Stefano o Rossi (ìiovanni Battista, figlio di 1) 0 - menico, senatore fiorentino o segretario granducale, e di Costanza di Pier Vettori, nacque di nobile famiglia fiorentina in Pi! renze intorno al 1556. A Padova si laureò in leggi, o quindi a Roma si segnalò siffat¬ tamente nel foro, che dal granduca Ferdi¬ nando I, fu scelto come arbitro in una con- traversili con Clemente Vili circa i confini dei due stati. Ad istanza dello zio paterno Tommaso, vescovo di Béziers, che rinunziò a quella sede, fu eletto nel 1696 dal re En¬ rico IV, successore dello zio stesso, e nel l.V> entrò in possesso della sua diocesi, nel- Pamininistrazione della quale compì molte e importanti opere. Nel 1601) fu mandato da Enrico IV a Firenze por trattar© il matri¬ monio con Maria do' Modici, ottenendo dal granduca pieni poteri per concluderlo; c avendo questo avuto effetto, fu eletto dalla regina suo primo elemosiniere, o quindi ad Monza di Maria e del re, fu da Paolo V, morto Enrico IN', croato cardinale proto il 17 ago-io 1611, mentre era assente da Roma. Stette in Francia fino al 1615, nel qual anno si recò a Roma; e quivi il 30 giugno rice- vrtto dal pontefice il cappello cardinalizio ed ebbo il titolo di 8. Clemente, elio egli tenne dal 20 luglio 1615 al 8 maggio 1621, cambiandolo poi per pochi giorni con quello ili 8. Eusebio. \ Roma fu ascritto allo con- gregazioni dei Ititi, di Propaganda o del 8. i nizio. In queste occupazioni non potendo ritornare alla propria diocesi, ottenne a suo ! coadiutore nella chiesa di Béziers il nipote Domenico Donai. Morì in Roma il 4 lu¬ glio 1621, o fu sepolto nella chiesa dei SS. Mi¬ chele e Gaetano in Firenze, nella cappella j di sua famiglia. Rombi Pietro Paolo, ili Lei io d'Ugolino o il’ Isabella di Battista ili Raffaello del Nenie, parente «li Gio. Battista e di Do¬ menico limisi, ma d’altro ramo, fu giure¬ consulto, auditore della nunziatura di To¬ scana, governatore di Frascati, di Rertinoro, o d’Argenta. Fin dal 1605 canonico della metropolitana fiorentina, fu fatto vescovo d’Acerno il 13 settembre 1638, donde fu tra¬ sferito alla sode vescovile di Conversano il conte di Castelnuovo, fu residente per la Francia alla corto di Mantova e morì noi 26 maggio 1642. Morì il 20 settembre 1656, 1668. j u f u ae polto nella cattedrale di Conversano. INDICE BIOGRAFICO. 397 Boreel Guglielmo, nato a Middelburg il 24 marzo 1591. Promosso dottore in utro- que iure, divenne avvocato dolla Compagnia delle Indie Orientali o nel 1619 partì per l’Inghilterra, dove fu creato cavaliere da Giacomo I. Nel 1626 la città di Amsterdam 10 eleggeva suo Pensionarlo, e con l’auto¬ rità che da tale dignità gli derivava egli potè adoperarsi in favore della proposta l'atta da Galileo agli Stati Generali d’Olancìa; cosicché Niccolò Reigesberch poteva scri¬ vere il 23 novembre 1637 a suo cognato UgoGrozio: «ciò che è perduto nell’affare del Galilei per la morte del S. r Reael, sarà supplito dal S. r Boreel al quale ora è afli- dato ». Fu posto alla testa di diverse am¬ basciate, noi 1636 a Venezia, dove però egli non si recò, nel 1639 a Brema, nel 1640 alla regina Cristina di Svezia; nel 1614, nomi¬ nato ambasciatore straordinario in Inghil¬ terra per offrire la mediazione degli Stati Generali nell’occasione dello questioni sorte tra il re ed il parlamento, fu creato baro¬ netto ; nel 1650 ambasciatore dei Paesi Bassi a Parigi. Mancò ai vivi nel 1668. Boleti Pietro. Nato a Castres intorno al 1628, divenne medico del re di Francia, e nel 1674 fu aggregato all’Accademia dello scienze di Parigi. Morì nel 1689, lasciando alcune opere di storia e d’archeologia. Borelli Gio. Alfonso, nacque in Napoli di Michele Alonzo, soldato spagnuolo, e di Laura Porcllo il 28 Gennaio 1608. Al fonte battesimale ricevette i nomi di Giovanni e Francesco, al secondo dei quali sostituì più tardi quello di Alfonso, traduzione del co¬ gnome paterno, in luogo del quale assunse 11 materno, corrottosi poi in Borelli. Seguì a Roma il padre, che dopo una grave con¬ danna vi fu relegato, e quivi fu scolaro del Castelli o condiscepolo del Torricelli. Chia¬ mato a leggere matematiche nell’università di Messina, vi rimase dal 1635 al 1656, nel qual anno passò allo Studio ili Pisa dove succedette al Michelini. Onorato di missioni scientifiche dalla corte di Toscana, fu uno dei più cospicui ed attivi osservatori e spe¬ rimentatori dell’Accademia del Cimento. Co¬ stretto da gelosie professionali a lasciare la Toscana, fece ritorno a Messina dove rimase dal 1665 al 1672. Obbligato da vicende po¬ litiche a rifugiarsi in Roma, fu ospitato nel collegio di S. Pantaleo dei Padri dello Scuole Pie, e quivi mancò ai vivi il 31 dicembre 1679. Borghese Pietro Maria, patrizio senose, figlio di Curzio e di Silvia Saraciui, proni¬ pote di Paolo V, nacque nel 1599. Fu creato cardinale diacono da Urbano Vili il 7 ot¬ tobre 1624. Morì in Roma il 15 giugno 1642. Borghese Scipione, figlio di Marco An¬ tonio Caffarelli, patrizio romano, e di Or¬ tensia Borgheso, sorelladel pontefice Paolo V, nacque nel 1576, e studiò legge nell’uni¬ versità di Perugia. Ballo zio fu creato car¬ dinale il 18 luglio 1605, o insieme con la porpora adottò il cognome e le insegne della- Casa Borghese; cosicché, lasciato il cognome di Caffarelli, si chiamò sempre il Cardinale Borghese. Occupò le cariche ecclesiastiche più cospicue : morto il 1° gennaio 1610 il card. Cinzio Aldobrandini, fu eletto peni¬ tenziere maggiore, arciprete delle basiliche Lateranense e Vaticane, bibliotecario di S. Romana Chiesa, per tacer d’altri uffici. Dal 1610 al 1612 fu pure arcivescovo di Bo¬ logna. Morì in Roma il 2 ottobre 1633. Borghi Pier Battista. Di nobile fami¬ glia genovese, compiuti gli studi in Pisa, andò a militare in Germania durante la spe¬ dizione di Gustavo Adolfo nel campo ne¬ mico, e narrò quella guerra fino alla morte del re nei « Commentarli de bello sueoico ». Per meriti acquistati verso la patria con la sua « De dignitate Genuensis Reipublicae disceptatio », fu ammesso nel 1641 al colle¬ gio dei Dottori dolla città. Non abbiamo trovato memoria di lui posteriore al 1646. Borgia Gaspare di Francesco, duca di Gandia, e di Giovanna di Velnsco, nacque in Ispagna nel 1589. Laureato in teologia, e canonico della metropolitana di Toledo, fu da Paolo V il 17 agosto 1611 creato cardinale prete del titolo di S. Susanna, che poi commutò con quello di S. Croce in Geru¬ salemme, e il 15 luglio 1630 divenne cardinale vescovo d’Albano. Visse a lungo iu Roma, ambasciatore del re di Spagna. Nel 1620 fu per breve tempo viceré di Napoli. Fu 398 IN PICK BIOGRAFICO. altresì della congregazione del S. I tìì/.io, arcivescovo ili Siviglia o, da ultimo, di To¬ ledo, o consigliere del ro di Spagna, l’assò la vecchiezza a Madrid, e ivi mori nel no¬ vembre del 1645. Borgo (dal) EsAtr. Gentiluomo pisano, entrò al servizio della corte granducale ed andò maestro di camera di mona.” Ave¬ rardo de’ Medici, ambasciatore toscano in Ispagna dal 1621 al 1629; in difesa del quale gli accadde nel 1626 di dare una pugnalata a certo capitano Raffaello Romena, agente del granduca, che l’aveva assalito a tradi¬ mento : il capitano morì in conseguenza di quella ferita, ed egli fu condannato a pagare alla vedova una indennità di mille sciali. Oltre ad aver trattato, por incarico diretto del granduca, importanti alluri con le corti di Spagna e di Francia, fu incaricato di so¬ printendere ad una libalo ohe il Monto di Pietà di Firenze aveva istituita a Madrid col fondo di trentamila scudi; ma lo ooae andarono male e por lui o per la liliale, come risulta da un rapporto del successore del Medici che fu il marchese Michelangiolo Paglioni. Morì in Madrid il 1° giugno 1631. Borri CnisToruno, nobile milaneso, vesti l’abito della Compagnia di Gesù nel 1601. Spedito alle Indie Orientali, vi si trattenne per vari anni: nel 1623 era a Goa. Tornato in Europa, lesse matematica a Coi in lira e a Lisbona. Nel 1583 prigioniero delPInquisi- zionc. Filippo, re di Spagna, lo chiamò a Madrid, perche gli esponesse lo sue sco¬ perte relativo alla bussola. Da Madrid passò a Roma, dove nel 1632 uscì dalla Compa¬ gnia. Morì il 24 maggio dello stesso anno. Borri Girolamo, aretino,nacque nel 1512, fu laureato in teologia, blosolia e medicina, ed insegnò queste due ultime scienze a Roma, a Parigi, a Siena, a Pisa e a Peru¬ gia. In Pisa fu lettore ili filosofia dal 1553 al 1569, e poi di nuovo dal 1575 al 1587. Ebbe aspre contese, por ragioni di premi¬ nenza e per reciproche invidio, con Fran¬ cesco Verini, con Francesco Buonainici e col medico Andrea Camuzzi; o licenziato infine da quello Studio, passò ad insegnar filosofia a Perugia, dove morì il 26 agosto 1592. Borromeo Fbdkiuuo. Di Giulio Cesaree di Margherita Trivulzio nacque in Milano il Ih agosto 1564. Seguì gli studi dapprima a Bologna, indi nel collegio Borromeo di Pavia, coltivando con predilezione le mate¬ matiche e l’ustrououiia, oltre agli «tudì ec¬ clesiastici ai quali si diede con maggior ar¬ dore dopoché da S. Carlo Borromeo, suo cugino, ebbe ricevuta la sacra ordinazione. l.a nobilissima stirpo dalla quale aveva tratti i natali gli agovolò il conseguimento delle dignità occlesiasticho: sul finire dell’anno 1586 venne da Sisto V eletto cameriere d’onore; e addi 18 dicembre del successivo anno 1687 insignito della porpora cordina- | baia, il 2! aprile dell’anno 1595 fu assunto boro mancato le probabilità di cingere la tiara, so la Spagna non avesse posto il veto alla sua elezione. Più elio alle numerose opere edito ed inedite, è raccomandato il suo nome al grandissimo favolo nel quale tenne gli studi e gli studiosi, alla fondazione della Biblioteca Ambrosiana, cd alla inesauribile carità. Morì in Milano il 21 Botlcmbre 1631. Buscagli Cosimo, fiorentino, tenne la cat¬ tedra straordinaria di filosofia nello Studio pisano dal 1600 fino all’anno della sua morte, che fu nel 1621. Insegnò altresì logica; ed es ondo versato nelle Ietterò greche, ebbe pure la carica straordinaria di interpretare Platone. Compose anche qualche poesia, e fu singolanm uto caro a Cosimo li, dal quale era spesso invitato a colloqui e conversa¬ zioni. Bocchi Alessandro, di Mario, bolognese, fu vescovo di Gcrace in Calabria dal 1622 al 1624, e sotto Gregorio XV ed Urbano Vili per più anni vicegereute di Roma. Morì a Parma nel 1629. Boswell Gi olielmo. Ignoriamo e dubi¬ tiamo si tratti di quello elio nato a Suffolk intorno al 1575 fu educato nel Jesus College di Cambridge e no divenne membro nel 1606. Abbracciò in seguito la carriera diplomatica e vi entrò come segretario dell' ambascia- toro all’Aja, Sir Dudley Carleton, al quale poi succedette. Coltivò anche lo lettere ed I ebbe conosceuza delle letterature orientali INDICE BIOGRAFICO. 390 ed in particolare dell’arabo. Morì nel 1649. Nel carteggio del Pei rese è paro menzionato un Boswell « secretaire do Monseigneur le (Iarde des sceaux d’Angletcrre ». Botti Matteo di Giovambattista, di fa¬ miglia oriunda cremonese e venuta a Fi¬ renze negli ultimi tempi della Repubblica, appartenne all’Accademia degli Alterati e alla fiorentina. Il 25 maggio 1591 vestì l’abito di cavaliere di S. Stefano. Nel 1592 fu man¬ dato in Polonia a portare auguri in nomo del granduca. Creato marchese di Campi- glia in Val d’Orcia da Ferdinando I, fu inve¬ stito del feudo da Cosimo II il 10 aprile 1609. Fu ambasciatore a Parigi dal 24 febbraio 1610 al 2 novembre 1613. Ebbe altresì la carica di maggiordomo maggiore nella corte me¬ dicea. Morì in Firenze noi febbraio del 1620. Bottini Gio. Battista, nacque di Ber¬ nardino in Lucca e fu battezzato il 9 ago¬ sto 1591. Abbracciato lo stato ecclesiastico, seguì verosimilmente gli studi in Roma, e tornato in patria ebbe nel 1630 un canoni¬ cato che poi nel 1634 cedette al nipote Vin¬ cenzo: fu anche vicario generale e della Accademia degli Oscuri. Morì a Lucca il 13 gennaio 1642, e fu sepolto nella chiesa di S. Romano. Bottrigaui Èrcole di Giambattista, nac¬ que di antica e nobile famiglia bolognese in Bologna nel 1531 e fu battezzato il 24 agosto. Coltivò, oltre le lettere, anche architettura, prospettiva, matematiche e musica. Fu degli Anziani in Bologna nel maggio e giugno 1551. Lai 1567 al 1578 visse a Ferrara, carissimo a quei duchi o cavaliere della Milizia Aurata. In patria raccolse un cospicuo museo di libri e ordigni matematici. Morì il 30 settem¬ bre 1612, in una sua villa presso Bologna. Bougiiahd Gio. Giacomo, nato a Parigi il 30 ottobre 1606 di Giovanni c di Caterina Noyan, abbracciò lo stato ccclosiastico, ed in cerca di fortuna, con commendatizie del Gasseudi e dei fratelli Dupuy, si recò dal Peiresc in Provenza e poi, con raccomanda¬ zioni di questo per i cardinali Antonio e Francesco Barberini, a Roma. Ottenne final¬ mente, per le insistenze del Peiresc, d’essere accolto presso il card. F. Barberini in qua¬ lità di segretario per le Ietterò latine, nm non riuscì inai ad esserne bibliotecario, come avrebbe desiderato, o men che meno con¬ seguì quel vescovado del qualo andava avi¬ damente in traccia. Nell’occasione d’un viag¬ gio a Napoli, che descrisse in un suo saggio autobiografico, vi strinse amicizia col Glo¬ riosi. Morì a Roma, nel palazzo della Can¬ celleria, dove era alloggiato, nel 1642. Il la¬ voro al quale deve la sua maggiore rino¬ manza è l’ologio del Peiresc, nella doppia forma di Laiulutio (Venezia e Roma, 1638, Aix, 1639) o di Monumcnlum romanum (Roma, 1638). Nella Biblioteca Barheriniana, e quindi oggidì nella Vaticana, si conservano alcuni suoi manoscritti. Boulangeh Giovanni, professore di ma¬ tematiche al Collegio di Francia, fu eletto in compagnia d’altri dal cardinale Richeliou, con diploma do’ 6 febbraio 1634, a giudicare della proposta per la determinazione della longitudine fatta da G. B. Glorili o riportata da questo a pag. 8 della sua «Astronomia iam a fundamentis integro et exacte resti- tuta» Parisiis, MDCXL. Boulliau Ismaele, nato a Loudun nel 1605, di Ismaele, fu anch’egli, come il padre, cultore degli studi astronomici. Autore di numerosi lavori matematici ed astronomici nei quali profuso la sua grandissima erudi¬ zione, era in relazione con tutti i maggiori uomini del suo tempo, i quali aveva in parte imparato a conoscere personalmente nella occasione di lunghi viaggi da lui compiuti. Nato nella religione protestante, si convertì più tardi alla cattolica romana e si ritirò nell’abbazia di Saint-Victor a Parigi, dovo morì nel 1694. Bovio Benedetto, da Feltro, Domeni¬ cano, fu chiamato dal Senato Veneto ad oc¬ cupare il primo luogo di metafisica nello Studio di Padova, con decreto dei 27 settem¬ bre 1618, o trasferito poi il 21 febbraio 1627 all’insegnamento della teologia. È rimasta memoria d’una sua controversia col Glo¬ riosi circa lo comete, nella quale intervenne anche il Liceti. Morì di peste in Venezia l’anno 1631. 400 INDICE BIOGRAFICO. Bovio Tommaso, nacque in Verona nel 1521. Dopo aver lungamente frequentato lo Studio di Padova per attendervi allo studio delle leggi, e principalmente della medicina, ira prese a viaggiare per l’Europa; poi per ventisette anni militò in Germania «otto Carlo V e altri sovrani. Ritornato in patria, vi esercitò la medicina, avendo frequenti conteso con i colleglli, coutro i quali pub¬ blicò: 1) Flagello contro de'medici communi delti rationuli, eco., nel quale non solo si scuoprono molti errori di quelli, ma s'in¬ segna ancora il modo di emendarli et cor¬ reggerli; di cui la dedicatoria è - bus apud me Ilortensius noater fuit, quem in Italiani ante raenses aliquot abiisse acce- peram. Narravit dilatum iter in prosimi anni vernuin tempestatolo. Iturns tamen non est, si veruni sit, quod ex collega ineo Golio audivi, GaliUeura de Galilaeis pluribug ad- ditum. Quod si veruni, maximam in acutis- hìuiì illius viri morte disciplinao matliema- ticao fecerunt. ProvecUe iam erat aetatis et, quod mi errimum, utroque oculo captus. Scriptum ab co Systema mundi, et Latio donatimi ab optimo virorum Berneggero no¬ stro, ad to Argentorato nupcr mimim intel- lexi >. Mancò ai vivi il 3 ottobre 1653. Ba veri Io nazio, gentiluomo di Ivecanati, parroco di S. Maria di Monte Morello nella città nativa, e poscia proposto di quella cat¬ tedrale, dottoro in teologia e protonotario apostolico, fiorì nella prima motà del se¬ colo XVII. L’Allacci lo registra tra gli uo¬ mini illustri che furono a Roma tra il 1630 • il 1632. Era ancor vivo nel 1637. Bragaiun Antonio. Nato in Venezia di Marc’Antonio addi 29 giugno 1568. Egli fu che ricuperò la polle di Marc’Antonio suo fratello, scorticato vivo a Cipro dai Turchi. Nel 1607 capo del Consiglio dei Dieci, po¬ destà di Padova dal 1° maggio 1619 al 22set¬ tembre 1620. Mancò ai vivi nel dicembre 1628. Riunii Gioii.;io, nncquo di Ticone nel 1583, e si immatricolò nella università di Wittembergn nel 1598. Dopo la battaglia al Moute bianco di Praga, non volendo rinne¬ gare la roligiono protestante alla quale ap¬ parteneva, fu coati-etto a lasciare la Boemia, dove ottenne però di ritornare per far va¬ lere i suoi diritti all’eredità paterna. Mancò ai vivi nel 1610 presso Piirglilz in Boemia, Bramii Ottone imi., nacque di Axel di Elved, fratello del celebre Ticone, nel 1579. Diede il suo nome alle matricolo della Na¬ zione Germanica ( «iarista dolio Studio di Pa¬ dova, e poco dopo no fu eletto consigliere e confermato Panno successivo; anzi gli atti della Nazione relativi a questo tempo sono stesi interamente di suo pugno, Addì 20 ago¬ sto 1601 era stato eletto ad unanimità ret¬ tore dell’università dei Giuristi, ma declino Foltissimo ulfieio, preferendo restare in quello più modesto di consigliere, come egli stesso racconta negli atti medesimi con molti par¬ ticolari. Una nota apposta d’altra mano alla INDICE BIOGRAFICO. 401 matricola dice: « anno 1611, in obsidione Cal- mariensi, prò patria periit milos stronuus ». Bkahe Ottone sen., figlio di un Ticouc di Tostrup, o padre del celebre astronomo, detto di Jvnudstrup, mancò ai vivi il 5 mag¬ gio 1571: aveva avuto cinque figli e tre figlie, cioè Ticone, che l'u il primogenito ; Stono (n. 21 dicembre 1547, in. 11 aprilo 1620); Canuto (n. 1555, m. 13 febbraio 1615), im¬ matricolato il 31 ottobre 1579 nello Studio di Padova; Giorgio (in. 1601); Axel; Mar¬ garita, maritata con Cristiano Skeel di Fu- singe e morta nel 1614; Elisabetta maritata con Enrico Gyklenstierne; e Sofia. Braiir Sofia, nacque di Ottone e di Beata Bilie intorno al 1556, fu amantissima degli studi di astronomia, astrologia, chimica, ge¬ nealogia ed araldica, conobbe a fondo la lingua latina, e, come il fratello Ticone, col quale visse sempre in ottimo relazioni, e oh’essa chiamava col nome di Apollo men¬ tre no era appollaia Titani», aveva grandi disposizioni per la poesia. Prese marito due volte: la prima, andò sposa nel 1577 ad Ottone Thott (n. 1543, m. 1588); la seconda, dopo essersi fidanzata nel 1590 a Erico Cange, perduto dietro gli studi di alchimia con grave danno dell’economia domestica, e da loi chia¬ mato col nome di Titano, lo sposò nel 1602. Ne rimase vedova nel 1613, ed allora si ritirò a vivere con un figlio avuto dal primo ma¬ trimonio, o morì inllclsingor nel 1643. Questo figlio, per nome 'l'ago Thott, trovasi inscritto sotto il dì 28 dicembre 1607 nella matricola della Nazione Germanica Giurista dello Stu¬ dio di Padova. Bkaiiu Tigone, di Ottono e di Beata Bilie, ambedue appartenenti a nobilissime famiglie, nacque il 14 dicembre 1546, cioè circa tre anni dopo la morte del Copernico, a Knudstrup, sedo della famiglia, presso Ilel- sinborg. Ricevè la prima educazione presso lo zio paterno Giorgio Bralie di Totstrup, ed a tredici anni incominciò gli studi di reto¬ rica e di filosofia a Copenaghen. L’ecclissi solare del 31 agosto 1560 destò in lui l’amore agli studi astronomici, sollevando opposi¬ zioni da parte dei genitori elio lo manda¬ rono a Lipsia per attendervi alla giurispru- Vol. xx. denza; ma la congiunzione di Saturno con Giove, da lui osservata il 17 agosto 1563, ed in occasione della quale avvertì un errore tanto nelle tavole alfonsiue che in quello pruteniche, decise del suo avvenire. Tornato in patria nel 1565, ne ripartiva l’anno suc¬ cessivo per Wittemberg, a fine di seguirvi lo lezioni di matematica impartite da duo valorosi insognanti, ma la peste lo cacciava di là o lo faceva riparare a Rostock dove la sera del 26 dicembre 1566 in un disgra¬ ziatissimo duello all’ oscuro perdette una parto del naso, la (piale poi durante tutta la vita surrogò con un naso artificiale di metallo. Da Wittemberg si recò a Basilea, e nel 1568 diede il suo nome alle matricole di quella università. Passò poi in Augusta, dove fece costruire parecchi strumenti astro¬ nomici, cd un grandissimo globo sul quale egli si proponeva di segnare tutte le stello visibili nella loro vera posizione. Ritornato in patria in occasiono della morte dol padre, si stabilì presso lo zio materno, Steno Bilie, e parve dedicarsi completamente alla chi¬ mica; quando la comparsa della stella nuova dol 1572 ridestò il suo amore per gli studi astronomici e diede occasione al suo « de nova stella » pubblicato nel 1573. Dal set¬ tembre 1574 alla primavera del 1575 tenne un corso di lezioni sull’astronomia nell’uni¬ versità di Copenaghen. Poi, lasciata nova- mento la Danimarca, visitò l’osservatorio che era stato eretto dal langravio Guglielmo IV d’Assia, passò a Francoforte, a Basilea dove parve voler fissare la propria dimora, a Vene¬ zia, in Augusta dove conobbe i fratelli ilainzel, a Regensburg dove strinse amicizia col me¬ dico dell’imperatore, Taddeo Hagecio. Ma, per consiglio del langravio d’Assia, il re Fe¬ derico li di Danimarca lo richiamava presso di sè,'e gli assegnava in feudo l’isola di ilven con conveniente appannaggio per costruirvi edilizi e strumenti adatti allo osservazioni astronomiche: così sorsero colà dal 1576 al 1580 prima Uranicnburg, o poi nel 1584 Stcrnenburg, con tutto ciò che poteva ser¬ vire di aiuto allo studio del cielo, a render piacevole il soggiorno, perfino* con una car¬ tiera ed una tipografia. Venuto a morte il re, dal successore di lui, nonostante le buono intenzioni dapprima manifestate, non gli vennero continuati i mezzi di studio e di 51 INDICE BIOGRAFICO. 4ó2 lavoro; cosicché nel 1697 lasciò definitiva* mente la Danimarca, recandosi prima a Ilo- stock e poi in Amburgo, dove lu accolto con grande lavoro da Enrico Ranzovio che gli assegnò uno dei suoi palazzi, W&ndeaburg, perchè vi continuasse i suoi lavori. Quivi infatti pubblicò una brevo relazione dolio cause ohe l’avevano indotto a lasciare la patria o ad interrompere le osservazioni, ma soprattutto la « Astronomiae instaurata» Medianica » (1698) ristampata poi nel 1602, nel 1610, nel 1621 ed in occasione del terzo centenario dalla sua morte: quivi pure al¬ lestì parecchie copie manoscritte del suo catalogo delle stelle fisse. Chiamato nel 1698 da Rodolfo li, bì recò a Draga Tanno suc¬ cessivo, o fra i tre castelli messi a sua di¬ sposizione dall’Imperatore sceglieva quello di Benatek che Vanno dopo lasciava per sta¬ bilirsi alla corto. Quivi incontrò il Keplero col quale strinse amicizia, rimanendo però sempre fìsso nel creder vero il sistema del mondo da lui escogitato, mentre il Keplero ora completamente copernicano. Mancò ni vivi il 14 ottobre 1601. La maggior parte delle suo opero rimase incompleta ed i suoi mera¬ vigliosi strumenti andarono dispersi. Di gran¬ dissimo interesse per la storia della scienza ò il suo copiosissimo carteggio, alla pubblica¬ zione del quale attende tuttavia F. R. Friis. Braiie Tigone iun. nacque di '1 icone il 28 agosto 1681, si immatricolò col fratello Giorgio all’ università di Wittemberg nel 1598, preso in maglio una vedova MarkyU Iluzitako nata di Witztbum, e mancò ai vivi il 2 settembre 1627. Il padre suo aveva vo¬ luto mandarlo in Toscana per farri dello os¬ servazioni astronomiche, trattenendosi nellu Sapienza di Pisa. Buandeburgo (di) Gioacchino Ernesto. Dubitiamo sia lo stesso che, essendo scolaro nello Studio di Padova, inaugurò nel 1605 un nuovo volume delle matricole delia sua Na¬ zione, scrivendo: < Erneatus Marchio Brande- burgenais, Primus noraen iuseruit 1605. Tout vient a puiut qui pcut attendre. » E versò nella casso della Nazione lire cinquanta. Buratto Gio. Battista. Dalle carte degli * Esecutori contro la bestemmia » nclTÀr- chivio di Stato in Venezia risulta ch’egli ve¬ niva nominato con decreto dei 3 gennaio 16OT « coadiutore in luogo di Filippo Broccato essendosi già esercitato per lo innanzi nella formazione dei processi», al qualeBroccardo però veniva conservato il p 0 8to nel caso in cui lo volesse riprendere. Con docreto dei 31 marzo 1600, in attesa de’suoi fedeli ser¬ vigi, veniva deliberato che non potesse ve¬ nir rimosso, o con altro decreto dei 20 dicem¬ bre 1610 era confermato in via definitiva. Durò in ufficio lino al 1618, nel quale anno, i .n termina/iono del l i dicembre, in luogo dì lui veniva eletto il suo figlio Marcantonio. Brrpesode Pietro Cornelio, giurecon¬ sulto olandese, nacque all’Aja intorno alla metà del secolo XVI, e fu a lungo ambascia¬ tolo delle Provineie Unite dei Paesi Bassi, presto i principi della Germania. Burine a U io. F k n h ri cu, baro n e di Stii bin- gen, Fladniez e Rubeostain, cameriere se- gnitodiS.S., prot. apo*, e partì per i’ Italia, sostando in Innsbruek dove foce la personale cono¬ scenza dello Scheiner. 11 termino del suo viaggio era lo Studio di Padova, dove rimase 404 INDICE BIOGRAFICO. dal 10 giugno 1620 al 15 giugno 1624, vi segui gli studi di medicina, o ne fu laureato addì 11 agosto 1628: il giorno 18 luglio era di ritorno a Cracovia, ed al riaprirsi del¬ l’università riprese l’insegnamento. Oltre a questa seconda Inuma, nel 1650 no conseguì una tersa in teologia; poiobè lin dal 1620 aveva abbracciato lo stato ecclesiastico, nel quale giunse fino al gratin di canonico. Mancò ai vivi, essendo rettore dell’università, il 21 novembre 1662. Bruci [Brutto»] Edmondo. A nulla ap¬ prodarono le nostre più insistenti ricerche intorno a questo ; nò era stato di noi più fortunato lo stesso diligentissimo editore del Keplero, il I'riscb. Completamente mute a riguardo di lui sono lo migliori fonti bio¬ grafiche inglesi : no abbiamo trovato sol¬ tanto espressa menziono nella «Vita» de! Piuelli stesa dal Gualdo, olio cortamente lo conobbe, e lo dico : « nobili*) auglus, diacipli- narum mathematicarum, reruinque militari» ot berbariao apprimo sciens ». Buoni Trovilo potrebb’essern il «Cap¬ puccino veronese » elio nel 1636 voleva stam¬ pare un libretto contro il moto della terra. Il Bruni nacque a Verona il 13 aprilo 1572; entrò fra i cappuccini nel 1602, chiaman¬ dosi Tentilo da Verona; visse un anno a Ferrara, tornò poscia a Verona, ma nel mag¬ gio 1625 fu trasferito a Vicenza, dove si credo morisse nel 1638. Un suo manoscritto autografo, nella biblioteca comunale di Ve¬ rona, mostra ch'egli era ancor vivo nel mag¬ gio di queat'anuo 1638; ma tra le suo opere non vo n’ ò alcuna, nò a stampa nò mano¬ scritta, nella quale possa riconoscersi il ri¬ cordato libretto contro il moto della terra. Bruno Giordano. La tragica vittima della intolleranza religiosa e della pedanteria scien¬ tifica, nacque nel 1548 in un sobborgo di Nola, a piò del monto Cicala. A 14 o lf> anni entrò nel convento dei domenicani di Na¬ poli, e pronunziati, dopo un anno di prova, i voti solenni, vi rimase fino al 1576, fino a quando cioè, per un processo intentatogli dal Generale per corti audaci detti ed opi¬ nioni, fu costretto a fuggire da Napoli a Roma o da Roma nell’Italia superiore. Smise allora l’abito domenicano ed andò pellegri¬ nando in Italia o fuori in cerca d’un luogo dove gli fosso consentito quel libero filoso¬ fare che nella sua patria gli veniva conteso Percor.-e il settentrione d’Italia da Venezia a Noli, pnssò lo Alpi e per Ohambéry andò a Ginevra; di là si recò a Tolosa o quindi a Parigi ed a Londra. Di ritorno a Parigi dopo duo anni e mezzo di soggiorno in Irf- gliilterra, varcò il Reno e fece più o meno lunghe dimore a Magonza, a Marburg, a \V ittcml.org, a Praga, a Ilelmetadt ed a Francoforte, dove gli giunse nel marzo 1591 quel fatalo invito di Giovanni Mocenigo che 10 indusse a tornare in Italia. Fino al mar¬ zo 1592 si trattenne in Padova o di là linai- monte passò a Venezia. Donunzinto come oretico al S. Uffizio nel maggio 1592, venne incarcerato <• sottoposto a procosso. 1117 set¬ tembre di questo medesimo anno il Papa ne chiese alla Repubblica Veneta la estradi¬ zione, la quale dopo qualche esitanza venne accordata il 7 gennaio 1593. 11 27 febbraio succo*; ivo entrava nello carceri del S. Uffi¬ zio di Roma, e dopo sotto anni di processo fu arso vivo in Campo dei Fiori il 17 feb¬ braio 1000. Uni NnWiOH (di) Duca. Ignoriamo so que¬ sti sia lo stesso del quale nolle matricole della Nazione Germanica Giurista dello Stu¬ dio di Padova «i legge sotto il dì 7 dicem¬ bre 1598 : « leromias Farhauer, alias Augu- stus I)ux Brunsvicensis et Lunacbergonsis»• e che quindi si Barebbo trovato in Padova contemporaneamente a Galileo. Burri Antonio di Cristoforo, di Faenza, filosofo o medico, il 7 settembre 1605, dopo dodici anni ili benaccetta dimora in Roma, fu fatto cittadino romano o rilasciatogliene 11 diploma. Ri e/.ACKY Cristoforo. Di lui, nella ma¬ tricola della Nazione Polacca nello Studio di Padova, si leggo sotto l’anno 1601 il se¬ guente ricordo : « Ioaimes Christophoru» Buczaczki in Buczach, dedit ung. tres. » BuomMATTH Benkdbtto, nato in Firenze il 9 agosto 1581, volto dapprima alla mer¬ catura, preferì lo stato ecclesiastico o le di- TNDTCE BIOGRAFICO. 405 scipline letterarie : fra le «inali c gli esercizi accademici, specialmente nell’Accademia fio¬ rentina o in quella della Crusca, spese prin¬ cipalmente la vita; dopo essere stato alcun tempo a Roma, a Venezia, a Padova, in uffici pubblici o sacerdotali. Pubblico lettore di lingua toscana e di Dante in Firenze e an¬ che in Pisa, segretario e diarista della Cru¬ sca, autoio di lezioni molte ed altre diverse scritture, il suo nomo ò specialmente racco¬ mandato al trattato « Della lingua toscana ». Morì in Firenze il 27 gennaio 1647. Buonamioi Francesco, fiorentino, di no¬ bile famiglia, lesse per quarautatrè anni nello Studio di Pisa, dapprima logica, e poi, dal 1565 al 1603, filosofia. Godette a’ Buoi giorni altissima fama o autorità come uno dei maggiori o più dotti peripatetici, o fu molto caro ai granduohi di Toscana. Alla filosofia e alla medicina congiunse lo studio «Ielle lettere, e fu dell’Accademia fiorentina. Morì il 29 settembre 1603. Buonamioi Giovanejun<;esoo nacque da Piero di Bonamico e da Pi via Carnesecchi, in Prato nel 1592. Studiate le leggi, abbrac- ciò la carriera diplomatica, incominciandola da segretario del marchese Cosimo lticcardi. ambasciatore del granduca a papa Paolo Y. Recatosi più tardi in Germania nel seguilo «lei cardinale Caraffa, nunzio di Gregorio XV alla dieta di Katisbona, incontrava alla corte di Vienna la Alessandra Bocchineri, sua concittadina; ed invaghitosene, Botto gli auspici dolla stessa imperatrice la Bposò nel 1623. Rimasto a Vienna, in grazia ap¬ punto di questo parentado, divenne segre¬ tario dell’arciduca Carlo d’Austria o con lui andò alla corto di Spagna. Morto l’arciduca a Madrid, passò con titolo di consigliere e segretario al servizio di Wolfango Guglielmo duca di Ncuburg, e con l’uflicio di commis- sai’io di questo principe ed incaricato di difficile e importante missione, lo troviamo ancora alla corto spagnuola nel 1629. Per cagiono del matrimonio di sua cognata Sc- stilia col figlio di Galileo, entrò in relazione con questo e subito procurò di giovargli ne’suoi negoziati con la corte di Spagna per Paffaro dello longitudini. Terminata la sua missione in Ispagua, feco ritorno in Italia nel 1630. Trovandosi a Roma, in corca di nuovo servizio e per alcuni affari del suo an¬ tico signore duca di Neuburg, al tempo del processo di Galileo, gli fu largo di consiglio c di aiuto in quei dolorosi frangenti, sui quali stese una relaziono. Tornato Galileo in Arcetri, e stabilitosi egli definitivamente a Prato dove era stato eletto governatore dello spedale, ed occupò anche l’ufficio di gonfaloniere, proseguirono fra loro uffici di cordiale amicizia. Mancata ai vivi la moglie, passò a seconde nozze con Maddalena di Bartolommeo Zeli, e morì il 10 gonnaio 1669. Buonamioi Boochineri Alessandra nacque in Prato, nei primi anni del secolo X Y11 da Carlo e da Polissena Gatteschi. Andò sposa nel 1618 ad un Lorenzo Nati di Bibbiena, poi a Francesco Rasi aretino nel 1021 ; e ri¬ masta vedova anche di questo, trovandosi alla corto di Eleonora Gonzaga moglie di Fordinando imperatore, presso la quale era stata allogata mediante raccomandazioni dolla granduchessa Cristina di Lorena, vi conobbe Giovali Iran cosce Buouamici suo con¬ cittadino, e passò con lui a terze nozze nel 1623. Durante le missioni di questo in Ispagua, rimase a Vienna o tornò in Italia noi 1630, per raggiungervi il marito quan¬ d’egli si ridusse definitivamente in patria. In seguito al parentado poco prima con- cliiuso tra i Bocchineri ed i Galilei, entrò in relaziono con questi e per lei palpitò di senile affetto il cuore di Galileo: l’ultima lettera ch’egli dettò dal suo letto di morte ad Evangelista Torricelli, fu indirizzata a lei. Mancò ai vivi il 22 settembre 1649. Buonarroti Miohblangiolo, il giovane, nacque il 4 novembre 1568 in Firenze da I .io- nardo, fratello del grande Michelangelo, o da Cassandra di Donato Ridolfi. A 17 anni era già dell’Accademia fiorentina; poi della Cru¬ sca, dolla quale fu areiconsolo nel 1596-97, conio della fiorentina fu consolo nel 1599, c molte volto censore e consigliere. Fu al¬ tresì capitano di parte guelfa, e risedè fra i Dugento. Morì 1’11 gennaio 1646, e fu se¬ polto in Santa Croce. Buondei.monti Ippolito, figliuolo di Ippo¬ lito e di Isabella Guicciardini, vesti nel 1624 INDICE BIOGRAFICO. 406 l’abito (li S. Stefano. Di lui troviamo che velino di sovente incaricato di ricevere ed accompagnare cardinali ed altri cospioui per¬ sonaggi che giungevano a t iremo: dal 162'.* al 1633 fu residente toscano a Venezia. Buondilmonti Picco ima Caterina, figlia di Curzio Picchena e di Lessami™ de’ Ros¬ sini di 8. Giovanni di Valdarno, nacque nel j gennaio dei 1608. Restata presto orfana della madre, il padre, che non aveva altra prole, od ora uomo di buone lettere, la foce educare con somma cura, volendo che tosse istruita nella lingua latina, nel suono di vari strumenti, nel canto, nel ballo, nel disegno, per i quali esercizi essa dimostrava ingegno pronto e vivace. Sposò Lorenzo d’Altobianco Duondelmonti, ma condusse una vita licen¬ ziosissima; e dopo aver corso lo più turpi avventure, che dettero materia ai romanzieri, fu rinchiusa nella torro di \ olterra, od ivi morì nel 1658. Buono (del) Paolo di Loonido e di Bar- tolominea Andreini, nacque in Firenze il 26 ottobre 1625, e fu discepolo del Michelini in Pisa dove si addottorò nel 1646. Nel 1655 si recò in Gemmai a, al servizio dell’impe¬ ratore Ferdinando III, vi ebbe la carica di presidente della zecca, ottenne onori, pri vilegi e speranze di ricchi premi, avendo proposto un nuovo meccanismo per cavar l’acqua dallo miniere. Negli anni 1657 e 1658 visitò con Geminiauo Montanari, suo sco¬ laro, lo miniere imperiali dei Carpazi ; ma la morte dell'imperatore e le turbolenze in¬ sorte in Germania avendo reso vane le sue speranze, passò in Polonia o quivi mori sulla fine del 1659. 11 suo nome figura con quello del fratello Candido, tra quelli del¬ l’Accademia del Cimento, della quale fu cor¬ rispondente dalla Germania. BQrg Giusto, nato a Liechtensteig nella Svizzera il 31 gennaio 1552, sali iu altissima reputazione por la sua grande abilità mec¬ canica ; o il 25 luglio 1579 fu chiamato dal langravio Guglielmo IV a Casscl come oio- logiaio di corte, per attendere alla costru¬ zione di strumenti astronomici. Tra il 1588 e il 1597 si occupò col langravio e con Cri¬ stiano llotlimann in osservazioni astrono¬ miche. L’imperatore Rodolfo li, al qnalo da parte del langravio aveva portato a rega¬ lare una sfera celeste d’argento dove erano raffigurati i movimenti degli astri o ch’egli stesso aveva costruito, lo volle più tardi presso di sè, o lo elesse orologiaio di corte a Praga : tale ufficio conservò anche sotto i .ucce ‘ tiri di lui Mattia e Ferdinando 11 fino al 1022, nel quale anno foce ritorno a Cassel, e vi rimase lino alla morto BOguita il 31 gen¬ naio 1632. Fu amicissimo del Keplero; e molte delle principali invenzioni fatte al suo tempo irli vennero attribuite: fra le quali, i logaritmi nel campo scientifico, e l’appli¬ cazione del pendolo all’ orologio in quello tecnico. Busca Giorgio, nato a Norimberga o morto in Krfurt intorno al 1590, fu pittore u dilettante di astronomia. lUz/ACUAUiNi Antonio nacque in Padova ila Annibaie e da Diamante Anseimi nel 1578. Fu gentile poeta, soprattutto in lingua pa¬ vana sotto lo pseudonimo di « Bertovello dalle Brontolio >. Morì nel 1632. Cauko Niccoi.ò. Nacque in Ferrara nel 1586, ed entrò a diciassette anni nella Com¬ pagnia di Gesù. Insegnò per parecchi anni filosofia, teologia, morale e matematiche nol- l’Accadeniia di Parma; lasciò poi la catte¬ dra, e si diede alla predicazione da parecchi pergami d’Italia. Fu infine mandato a ri¬ prendere l'insegnamento delle matematiche a Genova, dove morì il 30 giugno 1650. Caccia Alessandro fiorentino, arcidia¬ cono della metropolitane di Firenze, fu oletto vescovo di Pistoia il 8 luglio 1600. Mori il 4 settembre 16-19. Cacci ni Alessandro di Giovanni odi Mad¬ dalena di Paolo Corsini, vedova Baroncelli, nacque il 21 ottobre 1571 in Firenze. Ritira¬ tosi dal commercio al quale da principio a’era dedicato, nel luglio del 1610 fu eletto del consiglio dei Duecento, o noi successivo settembre, gonfaloniere del Lion nero : salì poi agli uffici di uno degli Otto di Guardia e di Balia, di console di mare in Pisa, di depositario generale e di sonatore. INDICE BIOGRAFICO. 407 Cacoini Giovanni di Alessandro e di Ales¬ sandra Mancini, «acquo in Firenze nel 1511. In piovane età si dedicò al commercio, adem¬ piendo spesso, nei viaggi mercantili, segrete commissioni di Cosimo I. Nel 1565 fu prov¬ veditore generalo sopra l’apparato fatto in Firenze per lo nozze del principe Francesco con Giovanna d’Austria. Fu poi dei Nove, dei consoli dell’arto dei mercatanti e dei consoli di mare a Pisa e provveditore dei forti, fortezze o muraglie di Pisa, ufficio quest’ultimo nel quale reso segnalati ser¬ vigi. A cinquantuno ve anni prese moglie, che fu Maddalena di Paolo Corsini, già ve¬ dova di Agnolo Baroneelli: morì in Pisa il 16 maggio 1586. Cacoini Giovanni di MicUelangiolo, nato in Firenze circa il 1562, discepolo di Gio. Antonio Dosio, scultore ed architetto di gran grido. Scolpì, fra le altre, due delle statuo (Estate cd Autunno) che adornano il ponto di S. Trinità; concepì e diresse, di commis¬ sione di 11 liberto Pucci, la loggia dcllaSS. An¬ nunziata; ebbe parte nella costruzione del palazzo Strozzi al canto de’Pazzi; condusse un gran numero di ritratti in marmo. Morì il 13 marzo 16]3, o fu sepolto nella chiesa di S. Maria Novella. Cacoini Matteo di Giovanni e di Mad¬ dalena di Paolo Corsini, vedova Baroneelli, nacque il 15 aprile 1573 in Firenze, Per causa d’un ferimento da lui commosso, esulò da Fi¬ renze e si recò a Roma dove si accomodò alla corte del card. Arrigoni, dal quale noi 1611 fu eletto coppiere, e lo seguì a Benevento. Alla morte del suo protettore, si trattenne per qualche tempo in Roma; tornato a Fi¬ renze, vi morì nel 1640. Cacoini Toalmaso. Al secolo Cosimo, nacque di Giovanni e di Maddalena di Paolo Corsini, vedova Baroneelli, in Firenze il 26 aprile 1574. Seguì da principio la carriera commerciale, ma sentendosi chiamato alla vita religiosa, entrò nel convento di San Marco e vestì l’abito il 22 luglio 1589, pren¬ dendo il nomo di fra Tommaso. Compiuto il noviziato, incominciò la predicazione inS.Ma- ria Novella, tenne poi i quaresimali in San Marco, in Santa Maria del Fiore, nel 1609 nel duomo di Cosenza e nel 1611 in S. Do¬ menico di Bologna. Fu poi priore nel con¬ vento di Cortona, o mandato come definii oro al Capitolo generalo dell’Ordine a Tolosa, ne tornò con la nomina di maestro in teologia. La quarta domenica dell’Avvento del 1614 teneva in S. Maria Novella di Firenze la sua famosa predica contro Galileo ed i matema¬ tici; al principio dell’anno successivo rice¬ veva la patente di baccelliere della Minerva, e si recò a llonm depoueudo contro Galileo nel primo processo. 11 10 settembre 1616 lo troviamo 'investito d’una peniti-nzieria in S. Maria Maggiore: perduto il quale ufficio, dopo molto avventuro, fece ritorno a Firenze, dove ottenne la « patente di magistero in teologia con la voce attiva ». Morì il 12 gen¬ naio 1618. Caktani Bonifacio di Onorato e di Agnese Colonna, nacque a Roma nel 1567. Abbrac¬ ciatolo stato ecclesiastico,fu da Clemente Vili promosso al vescovado di Cassano; e da Pao¬ lo Y, prima al governo della Romagna, poi alla porpora l’IL settembre 1606 col titolo di S. Pndenziana, c finalmente all’arcivescovado di Taranto. Morì in Roma il 29 giugno 1617. Caktani Enrico di Bonifacio o di Cate¬ rina Pia,nacque a Sermoneta il 6 agosto 1550. Compiuti gli studi nell’università di Peru¬ gia, e provveduto da Gregorio XIII di una pingue abbazia, entrò in prelatura nel 1571 e fu fatto referendario dell’una o dell’altra segnatura. Da Sisto V fu nel 1585 promosso a patriarca di Alessandria, e il 18 dicembre di questo medesimo anno crealo cardinule dal titolo di S. Piulenziana, l’anno succes¬ sivo mandato legato a Bologna o nel 1587 nominato camerlengo di S. Chiesa. Fu le¬ gato in Francia nel 1589 e in Polonia nel 1596 per concludere la lega contro i Turchi. Morì in Roma il 13 dicembro 1599. Caimo Ucopodi Marcantonio e di Adriana Rinoldi, nacque in Udine il 24 agosto 1609. Compiuti i primi studi nel seminario patrio, passò con lo zio Pompeo prima a Roma o poi a Padova, dove fu laureato in giurispru¬ denza nel giugno 1629, e tre anni dopo salì la cattedra, e in quello Studio insegnò poi continuamente per ben quarantasette anni, 408 INDICE BIOGRAFICO. ricusando ripetuti inviti dallo università di Bologna, Pavia, Pisa, Parma, Messina. Oc¬ cupò dapprima la lettura de rcguìis iuris, dalla quale nel 1634 passò al secondo luogo di istituzioni civili, nei 1637 allo pandette, nel 1648 al secondo luogo, o lilialmente noi 1651 al primo di diritto civile. Si roso par¬ ticolarmente benemerito della istituenda bi¬ blioteca universitaria, regalandole tutta la libreria medica dello zio l'ompoo: e dal Se¬ nato Veneto, che gli conferì il titolo di conto di XiBsano, fu adoperato come consultore in ardui negozi pubblici. Mancò ai vivi in Pa¬ dova il 24 febbraio 1679, e fu sepolto nella chiesa del Santo con onorifica iscrizione. Uaimo Pompeo di Iacopo e di Chiara del Merlo, nacquo in l’dine il 13 settembre 1568. Godè fin dalla giovane età fama di così gran medico, elio nel 1599 il cani. Itad- zìwill vescovo di Cracovia lo volle in tale qualità presso di sò. Tornato in Italia, tu medico di papa Paolo V e di Gregorio X\, ed in lioma anche lettore primario di fi¬ losofia. Quando egli ne partì per ubbidire alla chiamata del Senato Veneto, che lo elesse a succedere al Sautorio nella cattedra su¬ prema di medicina teorica dello Studio di Padova, papa Urbano Vili lo creò nel 1624 cavaliere aurato e conte pulatino. Mancò ai vivi in 'fissano (Udine) il 30 novembre 1631, o fu sepolto ad Udine nella chiesa dello Grazie dovo gli fu cretto un monumento. Calasakzio (S.) Giuseppe. Nacque 1*11 settembre 1556 a Peralta nella Catalogna. Nel 1592 si portò a Roma, dove ni diede in¬ sieme con altri compagni all’istruzione dei | fanciulli, a visitare o confortare i malati, a sollevaro i poveri più abbandonati. Nel 1617 Paolo V unì queste pio persone in corpo di congregazione, e quattro anni dopo Grego¬ rio XV' la eresse in corpo religioso col nome ili « Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie », detti popolarmente «Scolopì». Alori in Roma il 25 agosto 1648; fu beatificato nel 1748 da Benedetto XIV, canonizzato dn Clemente XIV nel 1767. Oai.visio Set». Nacquo nel 1556: inse¬ gnante nella « Thonmsschule» di 1 lipsia, coro- pilo una Storia universale secondo i fonda- j monti cronologici dell’opera dello Scaligero « de ememlatione temporum ». Mancò ai vivi nel 1615. Camma ino Luigi. Nato di Gioacchino in Norimborga il 22 gennaio 1573, e morto in Heidelberg il 4 ottobro 1651. Seguigli studi nolle università di Lipsia, Ilelmstadt. ed Alt- dorf, visitò anche qualche Studio italiano c si lauroò a Basilea nel 1597. Diplomatico e letterato, visse alla corte del palatino Fe¬ derico V e da questo fu ceduto a Gustavo Adolfo che se ne servì come consigliere o plenipotenziario, o nel 1629 lo mandò amba¬ sciatore agli Stati Generali, ufficio che con¬ servò anche durante la reggenza e nei primi tempi di re Cristiano. Campanella Tommaso. Nacque a Stilo in Calabria il 5 settembre 1568. Al fonte bat¬ tesimale ricevette il nomo di Giandomenico, cho poi mutò in quello di Tommaso quando in età di circa quattordici anni entrò nel- l’Ordino dei Domenicani. Dopo aver tra¬ scorsi alcuni anni in diversi conventi della 8nn provincia, e specialmente a Nicastro ed a Cosenza, venuo nel 1690 a Napoli, o fece una prima pubblieaziono nella (pialo ab¬ bracciava la tìlosofia nat uralista di Bernar¬ dino Telesio. Dal 1591 al 1592 era in Roma, donde ver .o la fine di quest’anno bì diresse a Firenze, o vi oblio linone accoglienze dal granduca Ferdinando I. Fu poi sino alla fine del 1594 all*università di Padova. Citato da¬ vanti al S. Uffizio in Roma, fu sottoposto a processo per lo opinioni filosofiche da Ini manifestate, e trattenutovi fino al novem¬ bre del 1597: rimandato assolto, tornò nel convento di Stilo. So non elio alla fine del¬ l’agosto 1699 essendo stata scoperta una congiura contro il governo spaglinolo, egli accusato d’esserne alla testa, fu arrestato il 6 settembre, processalo anche per dot¬ trino eretiche, o l’H gennaio del 1603 con¬ dannato in nome del S. Uffizio alla prigione perpetua in Napoli, ila questa però nel mag¬ gio 1626 venne liberato per intorcossiono di Urbano Vili, sotto promossa clic il suo pro¬ cesso sarebbe stato riveduto. Fu infatti trat¬ tenuto, ma con una certa libertà, nolle carceri della Inquisizione in Roma, e finalmente ri¬ lasciato il 6 aprile 1629. Una nuova congiura INDICE BIOGRAFICO. 409 scoppiata contro il governo spagnuolo, e della quale era a capo un suo discepolo, avendo occasionato un ammutinamento in Roma contro di lui, i suoi protettori, tra i quali, oltre il Papa, erano il card. F. Bar¬ berini e l’ambasciatore francese di Noailles, lo fecero fuggire travestito l'8 settembre 1634. Egli riparò in Francia, e dopo aver soggior¬ nato per qualche tempo in Aix presso il l’eircsc, aiutato da soccorsi del papa e del re di Francia fissò la sua dimora a Parigi nel convento domenicano di Saint-Uonoró, e vi morì il 21 maggio 1639. In mezzo alle agitate vicende della sua vita non cosso mai di scrivere, anche ne’lunglii anni della car¬ cerazione; o può dirsi che ue’suoi numero¬ sissimi scritti siano esplorati quasi tutti i campi della filosofia e delle scienze. Oaopenna Giulio. Nacque di Francesco o di Lucrezia Mazzaloglio in Venezia il 9 lu¬ glio 1593. Con terminazione 18 maggio 1615 degli Avogadori del Commi, gli fu ricono¬ sciuta la cittadinanza originaria: negli al¬ legati all’istanza presentata a tal uopo si legge che già in quel tempo copriva l’ufficio della bolla ducale, nel quale era succeduto al padre. OapiferreoMaddaleni Francesco. Nato in Roma dell’antica o nobile famiglia dei Maddaleni, congiunta degli Orsini, entrò gio¬ vanissimo nell’Ordine Domenicano, e fu ri¬ cevuto in S. Maria sopra Minerva. Era ret¬ tore del Collegio Greco di Roma quando Paolo V lo elesse nel 1615 segretario della Congregazione dell’Indice, c poco appresso venne d’autorità pontificia decorato della laurea magistrale. Priore del suo convento, poi provinciale della provincia romana, fu mantenuto in talo ufficio, per ordine di Ur¬ bano Vili anche di là da quanto consen¬ tissero gli statuti dell’ Ordine. Mancò ai vivi in Perugia, il 12 agosto 1632. Capoano Alessandro. Fudei gentiluomini romani che frequentavano i consessi scien¬ tifici: vi ò qualche dubbio che abbia appar¬ tenuto all’Accademia dei Lincei, sebbene il suo nome non risulti, come del resto nean¬ che quello di Alessandro Adimari, dai noti cataloghi. Cappello Giovanni nato di Andrea in Venezia il 19 ottobre 1573. Fu sopraccomito di galera; nel 1615 capo dei XL Ci vii novo, indi capo del Consiglio dei Dieci, consi¬ gliere, provveditore al salo cd all’entrata. Noi 1628 Savio Grande, nel 1630 ambascia¬ tore a Costantinopoli, poi podestà di Brescia, o nel 1645 generalissimo del mare in so¬ stituzione al Doge Frizzo. Il 24 gennaio 1646 fu elevato alla dignità di Procuratore di S. Marco: imputato d’ aver con lentezza maneggiati i pubblici affari, e revocato, si costituì in carcere, o fu assolto. Cappello Girolamo, nato di Alvise in Venezia, il 28 maggio 1544. Nel 1592 fu Duca in Candia, nel 1593 uno dei giudici aggiunti al Collegio dei X Savii ordinari del Senato, nel 1595, essendo Riformatore dello Studio di Padova, fu destinato Bailo a Costantinopoli, o nuovamente Riformatore nel 1600 e nel 1605, poi generale a Palma, consigliere e Savio del Consiglio, e nel 1611 provveditore gouerale in Candia. Mancò ai vivi in questo mo.desimo anno 1611. Cappello Vincenzo, nato in Venezia di Domenico il 2 giugno 1522. Consigliere nel 1592 e 1593. Mancò ai vivi nel dicembre 1604. Capponi Cappone di Giaunozzo e della terza sua moglie Maddalena di Giovanni Salviati, nacquo l’il novembre 1531. Fu dal padre destinato alla carriera ecclesiastica, e investito della commenda dell’abbazia di S. Zeno in Pisa. Lesse nello Studio pisano diritto civile dal 1557 al 1563, e diritto ca¬ nonico dal 1563 al 1587. In quest’anno la¬ sciò la cattedra, eletto priore mitrato della chiesa conventuale dei cavalieri di S. Ste¬ fano in Pisa, del qual ordine il 25 novem¬ bre vestì le divise. Fu nominato provvedi¬ tore dello Studio pisano nel 1588, carica che coperse fino alla morte, e poi del fio¬ rentino nel 1592. Morì in Pisa nel 1603, ed ivi fu sepolto ed ebbe monumento nella chiesa di S. Frediano. Capponi Lucrezia. Una Lucrezia, sorel¬ lastra di Cappone Capponi, nata il 23 apri¬ le 1518, dallo stesso padre di lui e dalla seconda moglie Laudomia di Gherardo Gian- Voi. xx. 52 410 INDICE BIOGRAFICO. figliaci, si monacò noi monastero «li S. fag¬ gio noi 1B33 col nomo di Suor Monica. Capponi Luigi. Di Francesco e di Lodo¬ vica Machiavelli nacque in Firenze nel 1683. Compiuti gli studi d’umanità nel seminario romano, e quelli di leggi noli 1 università di Perugia ed in quella di Itonia, dove si ad¬ dottorò, fu eletto tesoriere da Leone XI, e da Paolo V cardinale col titolo di S. Agata il 24 novembre 1608. Dopo essere stato le¬ gato a Bologna, fu da Gregorio XV nominato all’arcivescovado di Ravenna, che nel 1645 ottenne di rinunciare a favore di Loca 1 or- rigiani suo pronipote. Nel 1650 tu da Inno¬ cenzo X eletto bibliotecario di S. Cldesa, e mori in Roma il 7 aprile 1059. Capponi Tommaso. Nacque di Amerigo o A’ Fdisabetta di Tommaso del Pugliese il 1» noveinbro 1686. Nel 1628, dopo di aver retto il commissariato d’Arezzo, fu mandato dal granduca di Toscana suo ambasciatore residente presso la corte imperiale di Vienna, o vi rimase fino al 1640. Morì il 10 mog¬ gio 1646. Capponi Vincbnzio. Nacque di Ilernardino e di Elisabetta Snlviati in Firenze nel 1606. Allo studio delle lettere congiunse quello dolio scienze, o troviamo notato elio c egli udì dalla viva voce del Galileo la geometria « alcuni discorsi filosofici ». Intraprese lunghi viaggi per molle parti d’Europa: quindi por¬ tatosi alla corte di Urbano N ili, \i fu be¬ nignamente accolto da quel Pontefice, che non solo lo dichiarò suo cameriere d’onore, ma gli conferì anche due grosse badie. Mor¬ togli il padre, o stabilitosi in Firenze, si spogliò della prelatura, c nel 1618 pre*e ìli moglie Lucrezia di Carlo Soderini, ve¬ dova del marchese Andrea della Stufa. Fu doU’Accademia fiorentina, della quale fu con¬ solo nel 1638, e dell’Accademia della Crusca, della quale fu arciconsolo nel 1662. Mar¬ obese per nascita, fu creato senatore nel 1670, avendo anche riseduto come luogo- tenente del granduca noU'Acoademia del Di¬ segno. Morì il 28 ottobre 16t*8, o fu sepolto nella chiesa di 8. Felicita in Firenze. Capra Baipassar*. Nacque in Milano di Aurelio e di Ippolita della Croco, intorno al 1580, o giovanissimo si trasferì col padre a Padova per attendervi agli studi con la guida «li Simone Mayr, suo maestro prin¬ cipalmente nello cose astronomiche. Benché ricordato dall’Argolati, null’altrosi saprebbe «li lui senza lo sciagurato episodio del pia. gio del comparso geometrico o militare di G., il quale fece venire a galla anche quello precedente relativo idi’osservazione della nuova stella dell’ottobre 1604. Allo copioso notizie fornite nell’Edizione nostra aggiun¬ geremo soltanto ch’egli fu in relazione an- cho col cardinale Federigo Borromeo al quale dedicò tanto i Tyrocinia Astronomica che le Disi'Utniioncs dune; che appunto per quei suoi gravi precedenti fu combattuta da Lodovico Settata Panini iasione da lui chie- moncò ai vivi l’tì maggio 1626. Capraha Massimiano. Nacque in Bologna di Girolamo il 14 aprilo 1578, fu degli An¬ ziani nel 1601, prese in tnoglio Caterina Beli¬ ti voglio, mori nel 1630. Caraffa Duino di Ottaviano, signore di Cerza Piccola, e di Marzia Mormile, disceso da uno dei rami della nobilo famiglia na¬ poletana dei Caraffa. Nato nel 1556, dopo c.-sere stato referendario dell’ima o dell’al¬ tra segnatura, collettore apostolico in Por¬ togallo nel 1598, eletto arcivescovo di Da¬ masco nel 16<>6, nunzio apostolico nelle Fiandre e in Ispagna, fu da Paolo V, mentre era alla corte ili Madrid, creato cardinale prete il 17 agosto 1611, e, tornato dalla nun¬ ziatura, gli lu a sognato il 7 maggio 1612 il titolo di S. Lorenzo in Panisperuu, dal quale fu trasferito il 18 giugno dello stesso anno a quello «lei SS. Giovanni e Paolo. Lo stesso pontefice lo nominò arcivescovo di Napoli il 7 gennaio 1613, ma egli andò alla sua dio¬ cesi soltanto l'8 maggio 1614. La resse fino al 1626, nel qual anno, il 23 o 24 gennaio, morì. Caraffa Francesco, d’uu ramo della fa¬ miglia Caraffa diverso da quello del card. Decio, fu secondo marchese d’Anzi, e mar¬ chese altrosì di S. Lucido e duca dì Cercic. Era tìgliuolo primogenito di Ottavio Oavafa, il quale avendo comperato la terra di Anzi INDICE BIOGRAFICO. 411 in Basilicata, sopra di essa ottenne da Fi¬ lippo 11 il titolo di marchese il 1° agosto 1576. Ottavio sposò Orisostoma ovvero Co¬ stanza Caraffa, da cui ebbe otto figliuoli, cioè Francesco, Diomede, secondogenito, nato noi 1569 e che fu vescovo di Tricarico "dal 1605 al 1609, Tiberio, terzogenito, prin¬ cipe di Bisignano e che è ricordato nella storia nella sommossa di Masaniello, Pier¬ luigi, pur vescovo di Tricarico o cardinale, Carlo, che divenne Fra Tommaso, e tre fem¬ mine. Dalla seconda moglie ebbe, tra altri figli, Antonio, che entrato ne* Oberici Regolari Teatini col nome di Pier Luigi, fu poi suc¬ cessore dell’omonimo zio cardinale noi ve¬ scovado di Tricarico. Caraffa Pierluigi di Ottavio, primo marchese d’Anzi, nacque il 31 luglio 1581, at¬ tese agli studi di filosofia, di teologia o di giu¬ risprudenza in Roma ed in Napoli, coi quali s’aporso la strada alle cariche più elevate. Dopo essere stato sotto Paolo V referen¬ dario delPuna e dell’altra segnatura (1614), o vicelegato di Ferrara, e sotto Gregorio XV governatore di Fermo, fu nominato da Ur¬ bano Vili il 19 maggio 1621 vescovo di Tri¬ carico (Basilicata), o ad un tempo nunzio apostolico a Colonia con potestà di legato a ledere nelle provinole del Reno o della Germania inferiore. Partì da Roma per la sua legazione il 26 giugno 1624, e vi si trat¬ tenne fino al 1634: tra le molte opero ivi compiute, visitò, por ordine del Papa, la diocesi di Liegi e riformò l’abbazia di S. Sal¬ vatore di Fulda. Dopo essere stato in Ger¬ mania dieci anni, insistette presso il Papa e presso il card. F. Barberini, per essere man¬ dato alla propria diocesi di Tricarico, e l’ot¬ tenne. 11 G marzo 1645 Innocenzo X lo creò cardinale, o quindi legato a Bologna. Morì il 15 febbraio 1655, nel conclave tenuto per la morte di Innocenzo X. Caraffa Tommaso, nacque in Napoli ul¬ timo a Ottavio dei figliuoli maschi di primo letto. Era al secolo di nome Carlo, ed assunse il nome di Tommaso, quando entrò tra i Do¬ menicani nel convento di S. Domenico in Na¬ poli. Nel 1608 propose o difese con plauso alcune conclusioni in Roma noi Capitolo ge¬ nerale dell’Ordino, alla presenza di cardinali e d’altri uomini illustri. Fu maestro di teo¬ logia, e fu pure tra i fondatori dell’Accado- mia degli Oziosi, stabilita in Napoli noi 1611, primieramente nel chiostro di S. Maria delle Grazie de’frati Eremitani di S. Girolamo e poi trasportata nello steaBo convento di S. Domenico. Morì giovanissimo in Napoli il 31 luglio 1614, e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico. Carcaville o Caroavy (de) Pietro. Nacque a Lione tra la fine del XV! ed il prin¬ cipio del XVII secolo. Fu assunto all’ufficio di consigliere al parlamento di Tolosa il 20 lu¬ glio 1632, e mantenne ottime relazioni con i principali matematici del suo tempo. Fu conservatore della biblioteca reale, ed uno dei primi membri dell’Accademia delle scien¬ ze. Caduto in disgrazia di re Luigi XIV nel 1683, mancò ai vivi in Parigi nel 1684. Cardi Angelo. Nato in Siena di umile origine, si dedicò agli studi di filosofìa c di modicina. Fu con deliberazione di Balìa del 16 novembre 1611, chiamato a leggero logica nella patria università. Nel 1626 ricevette contemporaneamente l’offerta della lettura di filosofia nello Studio di Pisa, c di medico del card. Pietro Maria Borghese. Diede la preferenza a questa, c si recò a Roma, dove salì in reputazione altissima come medico. Morì nel 1636. In patria era stato aggre¬ gato all’Accademia dei Filomati,ed in Doma fece parte dell’accademia elio si raccoglieva intorno al cardinale Maurizio di Savoia. Cardi Lodovico. Detto il Cigoli dal luogo, presso S. Miniato al Tedesco, dove nacque nel 1559. Scolaro di Santi di Tito e di Ales¬ sandro Allori, divenne pittore tra i primi, e fu detto il Correggio fiorentino perchè dal Correggio ritrasse l’effetto del chiaroscuro: lo sue pitture principali sono a Roma, a Bru¬ xelles, a Monaco, a Parigi. Fu anche archi¬ tetto o sono in Firenze lavori suoi la log- getta al canto dei Tornaquinci, la corte del palazzo Strozzi, il palazzo Rinuccini e in Roma il palazzo Madama. Fu anche ascritto all’Accademia della Crusca. Morì a Roma l’8 giugno 1613. Carpenedo Tarquinio. Medico padovano, nato intorno al 1560, chiamato nel 1600 ad 412 INDICE BIOGRÀFICO. occupare il terzo luogo della cattedra « ad theoricam extraordiuariam » nel patrio Stu¬ dio, dal quale il 29 maggio 1913 passo al secondo ohe tenne lino alla morte seguita il 19 novembre 1614. Casati Curzio. Nato in Milano di Ar- pazio e di Laura G rum elio, verso la metà del secolo XVI. Di lui scrive l’Argelati «a tonoris anni» litteris imbutus, et ad maioru studia nodulo educata», mathematica» prac- sertiui atque astronomicas arte» diligente exeoluit; cuinquein hisplurinmin profecisset, iu Riattino gymnasiomntheseos publicus pro¬ fessor consti tu i mcruit. > Casini Dombnioo e Valore. Fratelli, di¬ scepoli del Passignano. Di essi specialmente il secondo vien celebrato corno ritrattista e valentissimo nell'effigiare le persone morte; e poiché egli non poteva sodi-faro da sì- solo lo moltissimo commissioni, faceva solamente le teste e lo mani, a Domenico il vestiario. Cassini Carlo. Fiorentino, dell’Ordine dei Servi di Maria. Dì lui sappiamo soltanto, che noi 1035 era bocìo del provinciale di To¬ scana e reggonte degli studi all'Annunziata. In questo stesso anno fu scelto dal P. Ge iterale Dionisio M. Bassotti perchè lo ac¬ compagnasse nella visita dei conventi di Germania: in tale occasione predicò più volto davanti l’imperatore in Lina, poi davanti la regina d’Ungheria in Vienna, finalmente in Innsbruck nella chiesa dei Servi di Maria e nella cappella del palazzo arciducale. Castelli Benedetto. Di Annibaie e di Alda Liberi, nacque in Broscia nel 1578 e ricevette al fonte battesimale il nome di An¬ tonio, che, vestendo il 4 settembre 1595 l’abito cassinese, mutò in quello di Benedetto. Dei suoi primi anni nulla ci è noto, finché nel 1G04 lo troviamo nel monastero di S. Giu¬ stina di Padova già nella intimità con Galileo del quale udiva le lezioni o frequentava la casa, assistendo alle esperienze che conti¬ nuamente vi si facevano e certamente a quella dalla quale uscì P invenzione del termome¬ tro. Sono forse da riferirei a questo tempo le annotazioni alla « Bilaucetta », con le quali allo strumento ideato dal Maestro sostituì l’ordinaria stadera col romano. Costretto dall’ubbidienza ai superiori ad allontanarsi da Padova, sospirava contiuuamento di tor¬ nare presso Galileo; e fu tra i primi a veri¬ ficare le scoperte celesti annunziate dal « Si- dereus Nuucius », precorrendo le osservazioni con la divinazione delle fasi di Venere. Nella Pasqua del 1611 si trasferì alla Badia ai Fi¬ renze, or*pito frequentemente egli puro di Fi¬ lippo .Sai viali nella villa dello Selve, collabo- raudo col Maestro cosi nella osservazione dei Pianeti Medicei come in quella delle macchie «•.lari, ohe insegnò a disegnare senza affati¬ car la vista, romo infine nella Risposta agli oppositori in materia delle galleggianti che fu pubblicata sotto il suo solo nome. Con l’appoggio di Galileo e col favore della corte, pr«- o la quale aveva acquistato credito grandissimo, fu nel 1613 nominato lettore «li matematica nello Studio di Pisa dov’ebbe discepolo il Cavalieri, dal quale si faceva supplire nell’insegnamento, le molte volto che egli si recava a Firenze per attendorc a comraiflidoni della corte e soprattutto alla istruzione matematica del principo Lorenzo. Senouchè, «dito al soglio pontifìcio Urbano Vili, questi lo volle presso di sò, prima per affidargli il giovane 1). Taddeo Barberini, e più tardi come lettore di matematica nella Sapienza ed inoltro por valersene come con- ulente in materie idrauliche; poiché in queste I era divenuto maestro c lo dimostrò col fon¬ damentale lavoro < Della misura delle acque correnti», col quale olevò lo studio dell’idrau¬ lica a dignità di scienza. Quando Galileo ebbe portato n compimento quello che poi fu il « Dialogo dei Massimi Sistemi », egli si ado¬ però a tutta possa per ottenere che fosse licenziato alla stampa ; ma scoppiata sul capo ■ del Maestro la tempesta, por motivi non an¬ cora bene chiariti si allontanò da Roma e non vi fece ritorno che a processo compiuto: dei sentimenti suoi immutati verso Galileo fanno però fede le premure sue continue per ot¬ tenergli una mitigazione della pena. Sebbene l'idraulica fosse il campo nel quale egli di¬ mostrò maggiormente la sua valentìa, pur non essendo stato fortunato nello proposte fatte per rimediare all’interrimento della laguna di Venezia, tuttavia può dirsi che dall’ottica al calorico, dalla astronomia alla j fisiologia, dal magnetismo alla meccanica, INDICE BIOGRAFICO. 413 dall'algebra speculativa alla risoluzione di problemi pratici rispondenti ai bisogni della vita quotidiana, non vi lu argomento, sul quale, richiamata anche occasionalmente la sua attenzione, non abbia recato qualche più o men notevole contributo. Ed è titolo d’onore grandissimo per lui, che come dalla sua scuola di Pisa uscì il Cavalieri, da quella di Roma siano usciti il Torricelli ed il Porcili. Anche nell’Ordine al quale si era ascritto conseguì onori altissimi : Decano fin dal 1012, fu creato Abbate nel IG32, o successivamente, sempre però come titolare e mai come abbate di governo, investito delle Abbazie di S. Be¬ nedetto di Foligno, di S. Grisogono di Zara, di Verona, di 8. Maria di Fraglia, di Mon¬ reale e di S. Benedetto o Luigi di Palermo. Benché desideroso di ritornare al servizio della Toscana, anello per esser più dappresso al Maestro, non ottenne che di poterlo vi¬ sitare durante la lunga prigionia, perchè i Barberini non gli concessero mai di lasciar Roma, dove venne a morte, circa il 9 aprile 1643. I suoi manoscritti ed il copioso o pre¬ ziosissimo suo carteggio andarono, poco dopo la sua morte, miseramente dispersi. Castelli Carlo. Quarto figlio di Anni¬ baie, o fratello di Don Benedetto, nacque in Brescia nel 1584: di lui sappiamo soltanto che, nella rovina della famiglia, ne rimase il rappresentante, e si hanno documenti pro¬ dotti da lui al Consiglio di Brescia del 1632, e conservati nei « processi di civiltà », dai quali però non si desume altro dato bio¬ grafico. Castelli Francesco. Padre Francesco della Purificazione, doi marchesi Castelli di Cortona; nato a Cast iglionfiorcntino nel 1583, morto a Roma nel 1657. Entrò nell’Ordine degli Scolopì nel 1617, od ebbe l’abito dal fondatore stesso S. Giuseppe Calasauzio. Fu uno dei primi quattro Assistenti Generali: Provinciale delle Scuole Pio di Genova, poi di quelle di Toscana, dove introdusse i suoi confratelli. Castelli Niccolò. Da famiglia oriunda di Castellanselmo, e di comuni origini con quella de’Castelli di Brescia, ma stabilita in Pisa fin dal secolo XIII, nacque intorno alla metà del XVI. Dimorò per dodici anni in Roma, addetto alle case dei Iloncompagni o doi Cesi; e per altrettanti a Milano, ado¬ perato in affari di grande rilievo da quei go¬ vernatori spagnuoli. Restituitosi a Pisa, fu eletto il 16 giugno 1605 Operaio del Duomo. Morì a mezzo l’anno 1617 Castelli Onofrio. Di nobile famiglia umbra, nacque a Terni intorno al 1570, fre¬ quentò lo Studio di Padova, e nel 1597 udì in pubblico e in privato le lozioni di Galileo, col quale conservò anebo in seguito affettuosa corrispondenza. Si occupò e scrisse di arohitettura idraulica ed aveva ideato in società con Gasparo Sdoppio un disegno per rendere navigabile il Tevoro. Nel 1615 e nel 1616 risiedeva u Graz, o se ne perdono le traode dopo il 1631, anno nel quale diede alle stampo una sua « Distributione univer¬ sale dell’architettura de’ fiumi e (lolle altre acquo » dedicata al cardinale Federigo Bor¬ romeo. Castelli Ottaviano. Nativo di Spoleto, trasferitosi a Roma in giovane età, vi rimase fino alla morte avvenuta nel maggio 1643. Applicò, secondo quanto narra di lui l’Eri¬ treo, ad ogni genere di studi ed a tutte le belle arti senza eccezione alcuna, ma so¬ prattutto si occupò di poesia popolare e drammatica, lasciando fama d’uno degli in¬ gegni più versatili del suo tempo. Castelli Quinto. Fratello di D. Bene¬ detto, nacque nel 1593. Di carattere impe¬ tuoso ed irrequieto, dopo aver dilapidalo la sua parte di eredità, venne bandito dagli stati della Repubblica Veneta, ed il fratello Carlo dovette sborsare una grossa somma di denaro per ottenere che il bando fosse tolto. Nel 1629 si macchiava di nuovo delitto, sicché con sentenza del 1° febbraio 1630 era stato condannato a sette anni di reclusione. In suo favore intervenne il fratello D. Benedetto, instando prima per una mutazione di car¬ cere, o poi nel 1633 per la sua liberazione. Castro (di) Francesco. Figlio di Pietro, accompagnò il padre a Napoli, e nel 1622 gli succedette nella contea di Demos. Fu ambasciatore a Roma, viceré di Sicilia e di 414 INDICE BIOGRAFICO. Napoli. Chiuso la sua vita nel monastero ili Sohagrun, dove aveva vestito l'abito mo¬ nacale nel 1637. Castro (di) Pietro, conte di Demos. Nacque a Madrid verso il 1576 o ai distinse ben presto nella vita pubblica alla quale lo chiamava la sua nascita. Fece lo sue prime armi alla guerra di Fiandra: ebbe Lope de Vega per segretario. Sposata una figlia dol duca di Lerma, conseguì le più alte dignità: presidente del consiglio delle Indie nel 1603, capitano generale nel 1604, viceré di Napoli noi 1610. Morì in Madrid nel 1622. Castro (di) UoDHiavEZ Stefano. Da Fran¬ cesco o da Isabella Alvareas nacque in Lisbona il 19 novembre 1562. Modico di grande fama, fu assunto in tale qualità dal granduca Fer¬ dinando IL, inscritto col titolo di primario nei rotoli dello Studio di Pisa e nel 1636 insignito del titolo di sopraordinario. Morì il 30 giugno 1640. Cataldi Pietro Antonio. Chiamato dal Reggimento di Bologna ad occuperò la let¬ tura mattutina di matematica dello Studio nel 1582, la tenne senza iuterrazione finn alla morte avvenuta nel 1626. Aveva for¬ mulato il disegno di una accademia mate¬ matica, ma dal Senato ne furono proibite le radunanze. Cats Giacomo. Nato a Brotiwerahr.ven nella Zelanda nel 1577. Noto come poeta di straordinario candore e semplicità, ò poi ricordato nella storia olandese per aver so¬ stenuto uffici amministrativi e politici e con onore grandissimo. Ambasciatore in Inghil¬ terra noi 1627 e nel 1631, fu poi gran pen¬ sionano d’Olanda. Delle sue poesie si ha una edizione completa in diciannove volumi pubblicati in Amsterdam tra il 1790 ed il 1800. Mancò ai vivi n Zagvliet nel 1660, oil un monumento alla sua memoria fu erotto a Gand. Cavalcanti Abbate. Forse un «Monsi¬ gnor Giulio <> clic nelle genealogie dei Ca¬ valcanti figura appunto in tomo a questo tempo come figlio di Battista e di Costanza Giraldi. Cavalcanti Ora/,io. Nacque in Firenze di Giovanni di Arcangelo nel 1562. Condusse in moglie Maria di Alessandro del senaloro Simone Guiducci che gli sopravvisse, perchè nel 1669 testava, qualificandosi por «Maria donna fu di Orazio Cavalcanti, figliuola di Alessandro Gniducci ». Cavaliere (del) Emilio romano, nato verso il 1550. Fu valente musicista, bene accetto alla corte granducale, presso la quale con patente di Ferdinando 1 del 3 settem¬ bre 15H- fu deputato alla soprintendenza dei « gioiellieri, intagliatori, cosmografici, orefici, miniatori, giardinieri, di galleria, tor¬ nitori, confettieri, distillatori, artefici di por¬ cellane, scultori, pittori, fornaciai di cristallo, arobibusieri, scrittori ed altri diversi artisti stipendiati»; ed oltre a ciò .soprintendente a tutta la cappella e musica di palazzo, così di voci come di strumenti. Nel 1000 era no- vamente a Roma, dove morì 1* 11 marzo 1602. Cavalieri Bonaventura. Nacque in Mi¬ lano intorno al 1598, o fors’anco qualche anno prima. Si ascrisse giovanissimo all’Or¬ dine dei Gasanti, presso il quale conseguì tutti gli ordini minori il 20 sottombro 1615, e il diaconato nel 5 giugno 1621 dal car¬ dinale Federigo Borromeo; ma già prima era sUto chiamato a leggero teologia nel i monastero di S. Girolamo iu Milano. Poco dopo avuti gli ordini minori, fu mandato al monastero di S. Girolamo ili Pisa dove ebbe la ventura d’incontrare il Castelli, del quale fu scolaro, e da lui fatto conoscere a Galileo, e lo supplì nell’insegnamento alla Sapienza durante le lunghe bug assonze. Galileo, am¬ mirato delle doti eccezionali della sua mente e delle suo straordinario attitudini per le matematiche, lo fornì, menti*’egli da Pisa ritornava a Milano, d* una lettera di racco¬ mandazione presso il card. Borromeo il quale gli offerse un posto di Dottore nella sua biblioteca Ambrosiana. Ma egli aspirava ad j una lettura di matematiche in un pubblico Studio; e fallitogli il tentativo latto di con¬ seguirla a Parma, dopo molto pratiche, aiu¬ tato in ogni modo ila Galileo e dagli amici di questo, e principalmente da < ’esare Marsili, ottenne quella di Bologna, alla quale fu eletto i il 29 agosto 1629, e conformato con aumenti INDICE BIOGRAFICO. di stipendio nel 1632, 1G36, 1639 e 1646. Fra le opere di lui, è massima la «Geo- metria indivisibilibus continuorum nova qua- dam ratione promota», data in luce nel 1635, ma da lungo tempo concepita nella mente e fatta conoscere agli amici, con la quale egli costruì per il primo un sistema geometrico sull’infinito, e precorse gli in¬ ventori del calcolo infinitesimale. Che se proprio egli non giunse a questo, prevido ciononpertanto tutte le applicazioni delle quali il suo sublimo concetto sarebbe stato suscettivo, ne diede saggi nello « Exerci- tationes geometricae» ed ebbe il conforto di vedere tutto il partito che sapeva trarne il Torricelli; riuscendo finalmente vittorioso delle opposizioni del Guidino. Ma oltre a questo titolo sommo di merito, non va di¬ menticato, fra altri, ch’egli fu il primo ad introdurre in Italia i logaritmi, dei quali aveva ben compresa tutta la importanza; il primo che determinasse le distanze focali delle lenti di sfericità disuguale, e elio 1 co¬ vasse la quadratura del triangolo sferico, il primo che concepisse il telescopio a rifles¬ sione. Prontissimo nel risolvere ardui pro¬ blemi, che da ogni parte d’Italia c di fuori gli venivano proposti; chiamato come giudice in una celebre controversia relativa alla qua¬ dratura del cerchio; in relazione perciò con tutti i piò cospicui matematici del tempo, i quali del suo sapere o della sua straordi¬ naria facoltà d’invenzione matematica ri¬ manevano tutti ammirati. La podagra, della (piale incominciò a soffrire fin dai suoi gio¬ vani anni, fatta più grave con l’età, aveva finito a togliergli del tutto l’uso delle gambe e a curvargli in arco la schiena, cosicché fosse costretto a farsi condurre all’uni¬ versità in carrozza e ad usare del resto di un carniccio. Agli straordinari patimenti, sopportati con forza d’animo singolare, pose fine la morte avvenuta il 27 novem¬ bre 1647. Cavalli Bartot.ommko. Di Ini sappiamo soltanto ch’era da Ferrara, e che fu eletto auditore di Ruota in Siena noi 1632. Cavalli Giulio. Auditoro di consulta in Firenze, veduto di Collegio il 1° feb¬ braio 1608, morì nel 1632. 415 Cavalli Pietro fu auditore fisoalci iu Firenze dal settembre 1606 a tutto l'aprile (lei 161G. Cavalli Ventura. Dal sno testamento do’ 10 novembre 1630, elio si conserva nel R. Archivio dì Stato in Venezia, si rileva che il suo vero cognome fu Cavanis: « Ven¬ tura Cavanis ditto Cavalli dottoro, del già (pi. Aloise Cavanis. » Quel suo figlinolo, al cui battesimo aveva assistito con altri Gio vanfrancesco Sagredo, e che aveva ricevuto il nome di « Alvise Giacomo » era morto all’epoca in cui il padro testava, poiché dei figli maschi ò menzionato soltanto « Gio. Batista mio unico figliolo maschio. » A pro¬ posito del quale, aggiungiamo d’aver trovato una « Orntione al Serenissimo Principe di Vcnetia Giovanni Cornalo, detta da Gio. Battista Cavalli doll’Eccollentissimo Sig. Ven¬ tura figliuolo, d’età di sette anni. In Vo- netia, MDOXXV. » Celesti Marc’Antonio. Di lui sappiamo soltanto che mancò ai vivi in Venezia nella parrocchia di S. Vidal il 9 novembre 1638, come risulta dal necrologio della Sanità nel R. Archivio di Stato in Venezia, o che mo¬ rendo lasciò novamento vedova Angelica Moro ch’ogli aveva sposata già vedova di Bortolo Castellimi. Non ebbe figli o morì intestato, come si desumo dalla sentonza dei 9 dicembre 1638, per la quale furono immessi in possesso dell’eredità i nipoti ex fratre, Giacomo, Bernardo e Giuseppe figli di Gra¬ zioso Celeste. Tra gl’inventari , del Magi¬ strato di Petizion, in data de’ 10 novembre 1638 trovasi anche l’inventario «delle robbe del q. m Clarissimo Sig. r Marc’Anlonio Ce¬ leste », consistonlo, per la massima parto delle 77 carte che lo compongono, in libri. Cellesi Sebastiano. Di Giovanni di Ba¬ stiano, nacque in Pistoia PII agosto 1568, e per decreto del Magistrato Supremo del 18 maggio 1612 fu ammesso a godere dei diritti della cittadinanza fiorentina come la godevano i cittadini originari. Fu auditore di consulta, e il 29 settembre 1631 fu nomi¬ nato senatore. Morì il 17 ottobre 1635. Cenci Giulio, d’antica famiglia patrizia romana, entrò nel collegio degli avvocati 410 INDICE BIOGRAFICO. concistoriali di Roma nel 1021 ; o benché J fosse prelato, gli fu permesso di ritener l’av¬ vocatura concistoriale. Ebbe in Roma molte cariche, tra cui le prefetture della «rascia e annona, e la segreteria della Congrega¬ zione dei Riti. Noi 1640 fu (detto rettore della Sapienza. Dentini Fimoic nacque nel 1570 in Ascoli | (e perciò è spesso chinmato U Cardinal rVAscoli). Professata la regola dei Minori Conventuali, fu procuratore generale del suo Ordine, consultore del S. Ufficio, o da Pao¬ lo V il 17 agosto 1611 creato cardinale prete del titolo di S. Girolamo degli Schiavoni. ch’egli poi commutò successivamente con quello di S. Lorenzo iu Pnnisperna e con quello di S. Anastasia, finché il 26 novem¬ bre 1633 divenne cardinale vescovo di Sa¬ bina. Il 31 agosto 1611 fu altresì nominato vescovo di Mileto in Calabria; dalla qual diocesi fu trasferito a quelle di Macerata e i Tolentino il 23 settembre 1613. Negli ultimi anni di sua vita fu molto amareggiato pol¬ la congiura del nipote Giacinto Contini con¬ tro Urbano Vili, tanto più che, sebbene egli non vi avesse alcuna parte, pare che il ni¬ pote cospirasse con la speranza cho lo zio salisse al soglio pontificio. Morì il 24 gen¬ naio 1641 a Macerata. Ckumello Agostino. Da Ripalta, dell’Or¬ dine dei Predicatori. Dall’archivio del S. Uf fìzio in Roma risulta che in feria IV del 7 ottobre 1637 prestò giuramento come so¬ cio del Commissario generalo o che fu vi¬ cecommissario dal 27 ottobro 1638 al 9 feb¬ braio 1630. Cesana Iacopo. Di Serravalle Veneto, chiamato con decreto dei 29 settembre 1608 del Senato Veneto alla lettura de rrcjulis iu - ris nollo Studio di Padova, vi rinunziò alla fine doll’anno scolastico 1615-1616. Ossari ni Alessandro. Di Giuliano e di Livia Orsini. Eletto nel 1613 referendario e protonotario apostolico, fu nel 1623 prefetto del conclave dal quale uscì papa Urbano VII!, che nel 1027 lo elevò alla porpora. Morì in Roma il 26 gennaio 1644. Cesa ri ni Ferdinando. Di Giuliano e di Livia Orsini nacque in Roma nel 1604. Ro- ferendario dell’una o dell’altra segnatura, morì 1*8 marzo 1646. Cksarini Filippo. Di Giangiorgio e di Cornelia Gaotani. Aveva abbracciata la car¬ riera ecclesiastica che, alla morto del fra¬ tello Giuliano ottenne di abbandonare, o da papa Clemente IX fu oletto Gonfaloniere perpetuo del popolo. Morì in Roma il 10feb¬ braio 1685. Cksarini Giangiorgio. I)i Giuliano o di Divi» Orsini. Morì iu Roma il 23 giugno 1G35. Cksarini Giuliano. Di Giangiorgio e di Clelia del card. Alessandro Farnese, morì iu Roma il 14 gennaio 1613. Cesarini Virginio. Nacquo in Roma di Giuliano o di Livia Orsini il 20 ottobro 1595. Cameriere segreto di Grogorio XV, fu da Urbano Vili, appena salito al soglio ponti¬ ficio, dotto a suo maosti-o di camera; men¬ tre il Cesi lo aveva già fino dal 1618 ascritto all'Accademia dei Lincei. Autore di eleganti poesie italiane e latine, si preparava a pub¬ blicare un’opera sulla immortalitàdeiranima, quando mancò ai vivi il 1” aprile 1624. Era salito in così grande reputazione di vasta coltura, che alla sua morto fu coniata una medaglia nella quale ò unito con Pico della Mirandola. Cksarini Orsini Lima. Di Virginio, duca di S. Gemini, mancò ai vivi in Roma il 17 luglio 1619. Cesi Angelo. Di Fodorico e di Olimpia Orsini, referendario dell’ima e dell’altra se¬ gnatura, adoperato in vari governi dello Stato Pontificio, ebbo vari uffici, fra i quali quello di vicelegato in Rologna nel 1621 o nel 1642. Urbano Vili lo elesse vescovo di Rimini, ed Innocenzo X lo mandò nunzio a Venezia, dove morì nel 1646. Cesi Bartolummbo. Nacque in Roma in¬ torno al 1565 di Angelo o di Beatrice Oae- tani. Abbracciata la carriera ecclesiastica, si laureò in teologia a Perugia nel 1587. e nel INDICE BIOGRAFICO. 417 1596 fu creato cardinale da Clemente Vili. Nel 1608 fu eletto arcivescovo di Colisa, dio¬ cesi che rinunciò nel 1614; nel 1621 fu eletto vescovo di Tivoli, dove voline a morte il 20 ot¬ tobre dello stesso anno. Cesi Federico. Di Angelo e Beatrice Caetaui, ebbe da Olimpia Orsini, con altri figliuoli, l’omonimo, fondatore dei Lincei. Cesi Federico. Di Federico e di Olimpia Orsini nacque in Roma, fu battezzato il 13 marzo 1585, ed ebbo nascendo il titolo di marchese di Monticelli. Le terre di S. An¬ gelo e di S. Polo furono orette in principato a vantaggio di lui e dei primogeniti di .casa Cesi da Paolo V, con bolla dei 18 gennaio 1613, e divenne duca d’Aoquasparta, altro feudo della famiglia, erotto a ducato da papa Sisto V, alla morte del padre avvenuta il 24 gennaio 1636. Fin da giovanetto mani¬ festò una grande propensiono per le scionzo naturali, e dai convegni di lui con France¬ sco Stelluti, Anastasio de Filiis e Giovanni Echio, non molto più anziani, sorso l’idea di fondare un’accademia della quale sotto¬ scrissero il patto addi 17 agosto 1603 : ne vollero desunto il nomo dalla lince di acu¬ tissima vista, e noU’embleinn del nuovo so¬ dalizio posero Cerbero lacerato dalla stessa lince, col motto « sagacius istat*. Secondo la foggia del tempo, ogni accademico nssumeva una insegna, un motto od un nome: egli, il fondatore, prese per insegna un’aquila elio teneva un globo nelle unghie guardando il sole e le stello, col motto « utrumque », e si appellò « Caelivagus Lyncaeus», volendo si¬ gnificare che speculava non solo circa gli oggetti terreni, ma anche intorno ai celesti. Egli aveva preso sopra di sè di provvedere a lutti i mezzi necessari per promuovere gli studi in Roma ed altrove: nel fatto però l’attività della nuova Accademia, detta dun¬ que dei Lincei, rimase entro i confini di Roma e non si manifestò al di fuori so non con l’aggregazione di nuovi soci, la quale ebbo principio soltanto quattro anni più tardi, con G. B. Porta che fu il quinto e con Galileo che fu il sesto inscritto. Il motivo di questo ritardo all’espansione della nuova società è da cercarsi nelle cattive disposizioni contro di essa manifestate da Federico Cesi padre, dimostratesi infine con persecuzioni, a cui non fu estraneo nemmeno il Sant’Uf¬ fizio, le quali costrinsero i tre colleghi del fondatore ad allontanarsi da Roma. Questi non acquistò la propria indipendenza elio in seguito all’atto degli 8 marzo 1610, col qualo il padre, ingolfato nei debiti, rinun- ziava in favore di lui all’amministrazione della propria sostanza: e a partire da questo tempo incomincia l’attività vera della nuova Accademia, alla quale, oltre cho con provve¬ dere alle speso per le pubblicazioni di lavori altrui, egli contribuì con lavori propri nel campo delle scienze naturali, la maggior parte dei quali bensì lasciò incompiuti. Sposò in prime nozze nel 1614 Artemisia Colonna di Francesco e d’Ersilia Sforza, cd in se¬ condo nel 1616 Isabella Salviati di Giuliano e di Maddalena Strozzi, consanguinea del granduca di Toscana. Alla sua morte avve¬ nuta in Aqquasparta il 1° agosto 1630, senza ohe di lui rimanesse discendenza maschile, l’Accademia tacque; o le carte, gli strumenti e le suppellettili di sua spettanza andarono miseramente dispersi. Cesi Orsini Olimpia. Di Giovanni Orsini, marchese di Mentana. Affezionatissima al figlio Federico, tentò di proteggerlo dal mal animo del padre; e poiché questo aveva a tutta possa dilapidato il proprio patrimonio, essa costituì il suo in fedecommesso a van¬ taggio dei figli e dei loro eredi. Morì il 24 marzo 1616. Ceulkn (van) Ludolfo. Nacque nel 1539 a Hildesheim nell’Hannover, si stabilì dap¬ prima a Delft, indi a Leida dove insegnò matematiche e fortificazioni, e verso la fino del decimosesto secolo fu nominato profes¬ sore all’università. Il principe Maurizio di Nassau, Statholder delle Provincie Unite al¬ lora in guerra con la Spagna, aggiunse al¬ l’università una scuola del genio, e lo chiamò ad occupare una delle oattedre a tal fino specialmente istituite. Il suo nome rimase congiunto ad alcune disputo, specialmente relative alla questione del cerchio, che si agi¬ tarono nel suo paese a somiglianza di quanto era accaduto parecchi anni innanzi in Ltalia; ed è a lui dovuta la prima determinazione, sufficientemente esatta, del rapporto della cir- VoL XX. 53 418 INDICE BIOGRAFICO, conferenza del cerchio al diametro. Mancò ai vivi il 31 dicembre IGLÒ. Chkrioi Lituo Maria d’Amzo, dell’Or¬ dine dei Servi, fa predicatore famoso, reg¬ gente teologo in Cesena, laureato in teologia nell’università fiorentina il 12 luglio 1025, professore di teologia in parecchi conventi doli’Ordine. Morto il 5 dicembre 1634 il ?. M. Angelo Maria Bindi, professore di teologia nello Studio pisano e provinciale di Toscana, egli fu chiamato a succedergli. Morì il 18 gennaio 1056 nel suo convento d’Àrezzo. Chi adii era Gabdribllo di Gabriello e di Girolama Muraaana, nacque in Savona il 18 giugno 1652. Premorto alla nascita di lui il padre, no rinnovò il nome; o passata poi a seconde nozze la madre, fu raccolto set¬ tenne da uno zio in Roma, dove studiò nel collegio de’ Gesuiti, e là conobbe Paolo Ma¬ nuzio, il Mureto, lo Speroni. Era entrato ai servigi del cardinale Cornavo: ma dovuto per certa briga partirsi da Roma, ai ridusse in patria, vi si ammogliò nel 1602, e vi sost enne qualche pubblico ufficio. Venuto meritamente in grido di poeta, n’ebbe inviti a più d’una delle corti d’Italia, e godè i favori dei gran¬ duci» di Toscana, dei Gonzaga di Mantova, di Carlo Emanuele I di Savoia, di papa Urbano Vili. Tnttociò poro non valse ad allontanarlo, so non per brevi intervalli. ( dalla sua Savona, dove morì il 14 ottobre del 1638, e fu sepolto nella chiesa dei Ri¬ formati di S. Giovanni, con iscrizione che | si vuole dettata da Urbano Vili. Ha nar¬ rato di sò in una breve autobiografia. So¬ pravvive specialmente per le liriche, ed anche pei sornioni, alla fama universale che godè ne’suoi giorni. Assai meno pregiati sono oggi i suoi poemi eroici, i poemetti, i drammi di vario genere, ed altro scritture in verso c in prosa, tutto bensì testimonianze elo¬ quenti del peregrino ingegno di lui. Chiaramonti ScrpioNB. Nacque di Chia¬ ramente in Cesena il 21 giugno 1666, segui gli studi nell’ università di Ferrara e si al¬ logò presso il card. Alessandro d’Este. Dopo la mòrte di questo passò alla corto dei card. Curzio Sangiorgi; poi insegnò per qualche tempo matematiche nell’università di Pe¬ rugia; e finalmente nel 1627 fu condotto alla lettura di filosofia nello Studio di Pisa, die tenne lino al 1636. Si ritirò allora in Cesena dove morì il 3 ottobre 1652. Polemizzò coi tre più grandi astronomi del suo tempo, Tioone Brahe, Keplero e Galileo, ed a ciò] non al valore delle sue opere, devo se il suo nome ò giunto alla posterità. Ornai Agostino. Nacque in Siona di Ago¬ stino di Sigismondo intorno al 1560. Fa rettore dello spedalo di S. Maria della Scala per oltre quarant’annl, cioè dal 1598 al 1639 ed aggregato all’Accademia dogli Intronati. Noi 1631, rimasta la città senza governatore, che era il principe Mattia de’ Medici, il gran¬ duca commise al Chigi il governo di Siena ch’egli rosse por cinque anni. Mancò ai vivi il 16 giugno 1639. Climi Fabio di Flavio 0 di Laura Mar- sili, nacque in Siena il 13 febbraio 1599. Com¬ piuti in patria gli studi, il 6 settembre 1623 si addottorò in filosofia, il 14 dello stesso mese in giurisprudenza, il 6 settembre 1626 in teologia. Locatosi a Roma, entrò in pre¬ latura e da Urbano Vili fu eletto roferen- dario dell’una o dell’altra segnatura nel gennaio 1629, e mandato in tempi difficilis¬ simi a sostenere la legazione di Ferrara. Dopo luminosa carriera, fu da Iunocenzo X nominato segretario di Stato, e nel 1652 croato cardinale. Alla morto di questo, fu egli stesso eletto Papa il 7 aprile 1655 col nome di Alessandro VII. Morì in Roma il 22 maggio 1667. Cniocco Andrea. Nacque nel 1562 in Ve¬ rona, di Gabriele e di Maddalena Bonalini. Studiò a Padova filosofìa e medicina, 0 tor¬ nato a Verona, fu da quel collegio dei me¬ dici, sotto il dì 16 luglio 15S9, descritto nella matricola dei fisici fuori di collegio, al quale venne poi aggregato il 13 ottobre 1593, e fu medico dello spedale dei SS. Giacomo e laz¬ zaro. Il 28 gennaio 1617 fu eletto revisore dei libri pel S. Uffizio. Morì il 4 aprile 1624. Già mpoli Giovanni di Lodovico nacque in Firenze tra il 1589 od il 1590, ed avuta la prima istruzione nelle bcuoIc della Cow- INDICE BIOGRAFICO. 419 pagnia di Gesù, ed udita logica dai Padri Domenicani, si allogò presso G. B. Strozzi, il giovane. La prima sua giovanile notorietà fu di tacile improvvisatore in ottava rima sopra qualsiasi soggetto ; e da ciò stesso ebbe occasiono ad incontrarsi per la prima volta con Galileo alla corte di Toscana. Quando Galileo fu rimpatriato, entrò nella cerchia de’ suoi amici, e così fu dei primi a verificare co’propri occhi resistenza dei Pia¬ neti Medicei e ad attestarla in Roma oltre un mese innanzi elio il Clavio fosse dall’evi¬ denza dei fatti costretto a riconoscerla. Dal suo Mecenate, fu poi mandato allo Studio di Padova poco dopo che Galileo se n’era par¬ tito; ed alla lino dell’anno scolastico 1611- 1G12 lasciava Padova per Milano, desiderato colà dal card. Federigo Borromeo. Nel ri¬ tornare a Firenze, si trattenne presso il card. Maffeo Barberini in Bologna, dove pro¬ seguì gli studi di filosofia o di teologia, con¬ seguendo poi a Pisa la laurea in ambe le leggi il 4 giugno 1614. Proffertogli dal gran¬ duca di Toscana di trattenersi ai Buoi servigi in Firenze, preferì di recarsi a Roma noi no¬ vembre del 1614, vestì l’abito ecclesiastico od incominciò a frequentare la curia, intro¬ dotto dal card. Barberini presso Virginio Gesarini o da Galileo presso il Cosi clic più tardi lo aggregò ai Lincei. La sua fortuna incominciò con l’assunzione di Gregorio XV al soglio pontificio; chò poco dopo il Car¬ dinal nipote lo prese per suo segretario delle lettore latine, e di lì a non molto fu elevato all’alto ufficio di segretario dei brevi ai principi. Venuto a morte Gregorio XV, dal conclave, al quale egli aveva letta l’ora¬ zione cI)o eligendo PontiGce» usciva papa il card. Maffeo Barberini suo antico protet¬ tore il quale lo confermava nell’ufficio e lo prendeva a trattare con tanta familiarità da ingelosire lo stesso cardinale nipote, Fran¬ cesco Barberini. Dal carteggio, che egli man¬ tenne Bempre attivissimo con Galileo, risulta in modo particolare com’egli si adoperasse sempre in suo favore, e la parto da lui avuta nell’incitarlo al compimento doi lavori che andava svolgendo nella mente, ed in partico¬ lare di quello che jdoì fu il « Dialogo dei Mas¬ simi Sistemi ». È altresì certo com’egli avesse la principal parte nel carpire in certo qual modo la licenza di stampa del Dialogo stesso; ma non crediamo che esclu¬ sivamente a questa causa sia da attribuire la disgrazia nella quale cadde appresso il papa, o elio è piuttosto da attribuire all’aver egli, anche perché deluso nella lunga aspet¬ tativa della porpora, prestato troppo facile orecchio alle seduzioni che presso lui tentò la fazione spagnuola capitanata dal cardi¬ nale Borgia od ostile ai Barberini. Dopo uno scandalo sollevato appunto dal Borgia nel concistoro dell 1 8 marzo 1682, si vollero colpire tutti quelli che si sospettava vi aves¬ sero avuto parto o consenso, od una simile accusa fu certamente formulata anche contro di lui; cosicché la sua perdita non aspettava so non una occasione che no fornisse il pro¬ testo, la quale sembra essere stata offerta da un Breve, causa di gravo dissenso tra lui e il Papa. Dopo averlo tenuto per qual¬ che tempo in disparte, fu obbligato a resti¬ tuire anche lo copie dei brevi da lui compi¬ lati, o mandato governatore a Montalto per dove dovette partire il 24 novcnibro JG32. Da Montalto, noi febbraio 1G36 fu tramutalo a Norcia, poi nell’ agosto 1637 a Sanseverino nella Marca, nel marzo 1640 a Fabriano o finalmente nel luglio 1642 a Iesi, senza clic, nonostante le più vivo istanze, gli venisse mai concesso di riporre il piede in Roma; e in Iesi venne a morte l’8 settembre 1643. Della sua opera scientifica rimangono sol¬ tanto alcuni frammenti «Della filosofia na¬ turale*, elio si hanno alle stampe, ma di scarso valore. Di quanto scrisse conio sto¬ riografo del re Ladislao di Polonia ignoriamo le sorti. Quanto alle sne composizioni poe¬ tiche, sebbene più volte ristampate, esse non possono esser giudicate siccome frutto cor¬ rispondente all’aspettazione clic fin dal prin¬ cipio si era concepita di lui. Ciamboli Niccolò. Fratello di Giovanni : di lui sappiamo soltanto che fu frate domeni¬ cano, e che mancò ai vivi in Firenze nel 1618. Cicogna Pasquale. Nacquo in Venezia, di Gabriele, il 17 settembre 1509. Educato in Padova aveva da principio manifestato il desiderio di abbracciare lo stato ecclesiastico e di entraro in un ordine religioso, ma ne fu distolto dalla famiglia e mandato dal governo a partecipare alla guerra navale 420 INDICI-: BIOGRAFICO. contro i Torchi. Occupò poi gli uffici di po¬ destà d’Udine, di provveditore a Corfù, duca in Caudine capitano generale e provveditore generale alla Canea con suprema autorità. Nel 15(14 lo troviamo podestà e capitano di Trovino, nel 157G podestà di I'adova, più tardi Savio Grande, od elevato alla dignità di Procuratore di S. Marco il 211 dicembre 1583. 11 18 agosto 1585 fu eletto Doge: i quasi dieci anni del ano principato furono segna¬ lati por grandiosi lavori, quali la costruzione in un solo arco ed in pietra del ponte di Rialto, il ristauro del palazzo ducalo ch’era stato gravemente danneggiato da un incen¬ dio, ed il compimento degli editi/! della Piazza. Mancò ai vivi il 2 aprile 1595. Cicognini Iacopo. Nacque di Baccio in Firenze il 24 marzo 1577 e nel 1599 si laureò in ambedue le leggi in Pisa. Caro ai Bar¬ berini, ebbe col loro appoggio il governo di alcuno città. Appartenne alle Accademie degli Intronati d» Siena e degli Umoristi di Roma: fu gentile poetA ed esercitò la sua vena in argomenti specialmente religiosi, drammatici ed encomiastici. Mori nell’ot¬ tobre 1633. Cifra Paolo. Di Pietro e di Faustina Santi, nacque in Venezia intorno al 15-15, e servì la Repubblica negli uffici, prima come straordinario nel 1566 e poi nel 1571 come ordinario di cancelleria, ottenendo l’anno appresso la promozione a segretario del Senato. Nel 1574 fu mandato in mininone con l’ambasciatore all’imperatore, nel 1581 deputato al servizio dei consultori, nel 15b7 parimenti deputato ai consiglieri, alle leggi , ed a legger in Pregadi, nel 1594 alle leggi, alla Serenissima Signoria, od alle cerimonie; alle leggi ed udienze della Signoria, nel 1597. Mancò ai vivi nel novembre 1609. Cini Niccolò. Nacque di Francesco, no¬ bile pisano, o nel 1613 fu eletto canonico della metropolitana fiorentina. Morì il 10 luglio 1638. Cigli Andrea. Nacque a Cortona l’8 feb¬ braio 1573 o fu fatto cittadino liorentino nel 1611. Entrò al servizio del granduca Ferdinando I come aiuto di Belisario Vinta, ed alla morte del granduca fu segretario di Cristina di Lorena. Lo troviamo dei Col¬ legi nel 1612, e in questo medesimo anno mandato alla corto di Francia por interes¬ sare la regina Maria de’Modici al matri¬ monio fra il re di Spagna rimasto vedovo e ima principessa Medicea. Da Parigi 8 i recò poi a I/unirà, dove puro si trattava per un matrimonio fra il principe di Gal¬ les e una sorella del granduca CoBimo II. Negli anni 1616 o 1017 lo troviamo succes- ivament.o dei Capitani di Parte, degli Otto di Guardia o Balìa, dei Noyo Conservatori. Nel 1520 andò ad Urbino in occasiono delle pratiche per il matrimonio di quel principe Federigo della Rovero con Claudia defe¬ dici, o per testamento di Cosimo II fu eletto nel consiglio di reggenza duratilo la mi¬ nore età di Ferdinando li conio supplente del senatore I simbardi. Nel 1623 sì oc¬ cupò del matrimonio di Vittoria (lolla Rovere con Ferdinando II, e per il conseguente paesaggio della eredità della Rovere in Casa Medici. Nel luglio 1626 fu creato sonatore, e nel 1627 venne eretto per lui il Ballato .l’A rezzo, essendo egli già fin dal 1623 Gran Cancelliere dell’Ordine di Santo Stefano. Primo segretario del granduca Ferdinan¬ do II, fu anclie nel 1G33 o nel 1635 fra i consiglieri del Magistrato Supremo. Mori il 9 febbraio 1641, e fu sepolto in S. Fe¬ licita. Cittadini Domenico. Veramente di ca¬ sato era « Meschini *; ma dopo aver servito per quindici unni come maestro delle poste in Siena, fece istanza nel 1611 al granduca per e-sere ammesso alla nobiltà senese. L’istanza fu accolta; ed egli fu aggregato alla famiglia Cittadini, avendo Fabio e Celso consentito il loro cognomo a lui ed ai suoi discendenti. Cittadini Matteo. Lo troviamo racco¬ mandato, e col titolo di canonico, sotto il di 15 marzo 1628 per la lettura di lingua toscana nel pubblico St udio di Siena, rimasta vacante per la morto di Celso Cittadini, ma non pare gli fosse conferita. Del resto il ano nomo non figura nò tra quelli dei ca¬ nonici del Duomo nò tra quelli della col¬ legiata di Provenzauo. INDICE BIOGRAFICO. 421 Cittadini Paolo Maria. Olio fosse teo¬ logo dell’università di Bologna, apparisce dalla sottoscrizione di una lettera a Galileo; però il suo nomo non risulta nò appresso gli storici dello Studio, nè dai rotuli. Clavio Cristoforo. 11 suo nomo di fa¬ miglia era CIau, e non Schlilssel, come generalmente si trova affermato. Nacque in Bamberga nel 1537, entrò nella Compa¬ gnia di Gesù noi 1555, fece i suoi studi a Ooimbra, o fu con altri adoperato da Gre¬ gorio Xlll nella riforma del calendario. Au¬ tore di numerose opero di matematica, fu per quattordici anni insegnante di tale mate¬ ria nel Collegio romano, e morì in Roma il 6 febbraio 1(512. Oluten Giov acquino. Nato a Parchim noi settembre 1582, e morto bibliotecario dell’università di Strasburgo l’8 settem¬ bre 1(53(5. CoBRL ruzzi Sci rione. Nacque .in Viterbo noi 1565. Educato a Roma nel collegio Nar- dini, salì ben presto in grando reputa¬ zione pei 1 l’erudizione e la facondia. Da Cle¬ mente Vili fu eletto segretario delle lettere latine, e da Paolo V il 19 settembre 1616 cardinale diacono, poi prete, di S. Susanna o nel 1619 bibliotecario della Vaticana. Morì in Roma il 29 giugno 1627. Coooapani Giovanni. Nacque il 10 mag¬ gio 1582 di Regolo Francesco, che, lasciata la Lombardia sua patria, era venuto a sta¬ bilirsi in Firenze. Coltivò con grande amore c profitto lo studio delle matematiche, fu insegnante di disegno e cooperò a molte in¬ signi fabbriche che si costruirono al suo tempo in Firenze. Fu legato di grandissima amicizia con Giovanni Ciampoli, con Gio. Battista Strozzi, con Giovanni Pieroni. Alla morto del Castelli, gliene fu da papa Ur¬ bano Vili, suo antico estimatore, offerta la successione nella Sapienza di Roma; ma egli preferì di non lasciare Firenze, dove morì nel 1649. Cocca pani Sigismondo. Nacque in Fi¬ renze il 9 agosto 1583, fratello di Giovanni; e abbandonati gli studi di lettere ai quali dapprima s’era dedicato, si volse alla pit¬ tura avendo per maestro il Cigoli, elio aiutò nel dipingere la cappella Paolina in Roma. Fu anche insegnante di disegno ed archi¬ tetto, e corno tale propose fino ad otto di¬ segni diversi per la facciata di S. Maria del Fiore, od altri per il palazzo Barberini in Roma. Morì il 3 marzo 1642, c fu sepolto in Santa Maria Maggiore. Cocchi Lorenzo, fiorentino, latinista. Commentò latinamente la vita di Vittorino da Feltro, scritta in latino da Francesco Prendilacqua, mantovano. Coocini Giovanni Battista. Dal volume dei Decreta del S. Uffizio dol 1G28, feria 111 del 9 maggio, risulta che: «R. P.D. Io. Bap- tista Coccinus, Sacrae Itotae Decanus ac Sacrae Penitentiariae Regens, fuit admissus in Consultorom huius Saneti Officii et prae- stitit solitimi iuramentum silentii ». Nel vo¬ lume dei Decreta del 1641 poi si leggo: «DioMartis octava Ianuarii 1(541. li. P. D. Io. Baptista Coccinus Yenetus, Sacrae Rot.ae Decanus et Gonsultor Sacrae Romnnae et Universali Inquisitionis, anno septuagesimo circa horam vigesimam primam reddidit aniniam Deo Creatori suo ». Ooic.NET Michele. Figliuolo di Gilles, borghese d’Anversa, nacque ivi nel 1544. A vent’anni impalmò Maria van Eynde, e con la cooperazione di lei aprì una scuola. Nell’atto col qualo nel 1568 fu ammesso alla Gilda dei Santi Cassino ed Ambrogio, che comprendeva appunto le persone dedicate all’insegnamento, egli è detto matematico e professore di lingua francese. Tenne pure alcuni uffici pubblici connessi con l’argo- mento de’ suoi studi, fra i quali quello di verificatore metrico; o fu adoperato dalla sua città nella direzione di lavori d’ingegneria civile e militare. Intorno al 1608 lo troviamo decorato del titolo di « Matematico del Ser."’° Arciduca Alberto Austriaco. » Morì in An¬ versa il 4 dicembre 1623. Coll alto (da) Vinciguerra. Nacque il 16 febbraio 1581, e fu tenuto al fonte batte¬ simale a nome di Carlo Emanuele duca di Savoia. Amante degli studi che seguì a Pa- 422 INPICK BIOGRAFICO. dova, fondò in quest* città noi 1600 l’Ac- inoltre: « grande di persona, asciutto odi cadami* dei Fecondi. Ascritto all» religione presenza non molto grata. » di Malta, abbracciò la carrier* delle armi e combattè valorosamente contro i Turchi Colonna Kadio. Da un ramo della nobi- notto Matti* li. Mori il 12 ottobre 1616. liuima famiglia romana trapiantatosi aNa- NelP albero genealogico dell* famiglia, cho | poli, nacque di Girolamo e di Vittoria de si conserva nell’archivio dei Collabo al ca l’alma, non sappiamo bene in qual anno, stollo di S. Salvatore, si trova notato che al poiché egli medesimo fornì intorno ad esso principio di quell’unno era «tato chiamato notizie cuntrndittorio, ma presumibilmente iiman.'i al Tribunale di Dio da Federico , nel 1566 o 1507. laureatosi in ambedue le Deacalzo, nobile padovano. j leggi nel 1589, si diede tutto allo studio delle scienze naturali ed in particolare della Oollobkdo Fabrizio. I)i Fabio. Nel 160 botanici», giovandosi dei consigli di Ferrante era maestro di camera del granduca: il Imperato. Istituita in Napoli dal Cesi una 28 settembre 1015 fu creato marchese di i colonia Lincea, vi fu aggregato nel 1612; e S. Sofia; fd inoltre commendatore di 8 . Ste- quando Giovanni Battista Porta, elio n’era fano, priore di Limici una di detto Ordine, vicepiincipe venne a morte, gli succedette comandante della milizia equestre e sempre nelPufficio. Le sue opere gli valsero d’esser maestro di camera. Inoltre fu uno dei quat- J detto da Linneo « omnium botnnicorum tro consiglieri di Stato lasciati da Ottimo li primus *, e che il Boerhauve scrivesse di lui: per assistere le grandnche se tutrici di Fer- « vix habet aimilom, seu quidem imitato¬ li inaialo II. Dall’agosto 1622 al luglio 1027 re*.* Nello studio della natura non si tenne tenne il governo dello Stato di Siena. » l » libo pertanto Buiamente alla botanica, ma si oc- il titolo di c Luogotenente Gener ile degli cupè con molto frutto di zoologia o di uomini d’arme. * Nel 1080 era maggiordomo geologia. Iiige_ noBÌssimo, bì affaticò puro maggiore ed iu questo ufficio ed in «niello nella costruzione di lenti e nell’idearo con¬ di consigliere di Stato rimase tino alia morto ge^ni meccanici: come disegnatore ed in- avvenuta nel marzo 1644. cisore iu rame aveva grande e meritata re¬ putazione. Negli ultimi anni di sua vita fu Cologtia (di) Sigismondo. Danna «ma- augi stinto da difficoltà economiche, e mancò tricola Cassineae » del 1(513, presso i Bene- ai vivi dopo lunga infermità il 25 luglio 1640. dettini di S. Paolo iu Roma abbiamo ohe il padre « tìigisinundua a Colonia * (provincia C«>t.t « ci (Con z/.ij Piano. Nacque in Mon¬ di Verona), professò il 25 marzo 1597 nel tuo- tecehio (Trqja), ed il 21 gennaio 1582 fu mistero di S. Nazario di Verona, o uel 1613 eletto per un anno medico della città natia, fu « decano di governo* di quel monaster. l,o troviamo più tardi addetto nella mede¬ sima qualità alla corte del cardinale Aldo- Colomhe (delle) Lodovico. Nacque iu Fi- brandini, quindi domiciliato a Roma, dove renzo il 20 gennaio 1565. Fu ascritto al- partecipò, e paro avesse anco preparata una l’Accademia fiorent ina, e sotto il consolato di pubblicazione, albi discussione concernente le Francesco Nori lesse nel 1598 < sopra la comete del 1618. fantasia > designato fin d’allora come < illu¬ stre matematico. » Poco o nulla siamo arri- Combalrt (de Maria. Di Renato de Wi- vati a sapere intorno a lui; e quel p.vo è gnorod, signore di Pontcourlay o di Fran- rappresenlato da un commento di Andrea ce ca di Riehelieu, sorella primogenita del Cavalcanti ad un sonetto di Francesco Ru- 1 gran cardinale, nacque al castello di Gléuay spoli, nel quale leggiamo: « Ter il Colombo (Poitou) nel B504. A sedici anni andò sposa era comunemente inteso Lodovico delle Co- al marchese di Conibalet, nipote dol duca lombe, filosofo, astronomo, e matteniatico e di I .uynee, del quale dopo poco tempo rimasta poeta, et in somma huomo erudito e versato vedova, si ritirò in un convento di Carmeli- in ogni sorte ili letteratura, ma all’incontro 1 tane e vi fu accolta conio novizia, ma dovette critico, satirico e mordace al paragone * Ed | uscirne o ricomparire alla corte per ordine INDICE BIOGRAFICO. 423 dello zio. Molti furono gli aspiranti alla sua mano, fra i quali anche il cardinale do la Yalctto aveva manifestato il proposito di deporre la porpora per poterla sposare, ma essa si rifiutò costantemente a nuove nozze. Fu coinvolta negli intrighi della corte, ma no uscì sempre con grandissimo onore, e nel 1638 fu da re Luigi XIII creata duchessa d’Aiguillon, pari di Francia, e più tardi go- vernatrice dell’ Havre. Della sua grande autorità si valse per proteggerò le lettere, e di molto andarono a lei debitori Corncille oMoliòro; ma soprattutto si dedicò ad opero di carità, fondò collegi ed ospedali in Fran¬ cia, istituì missioni e consolati non solo in Roma, ma in Africa ed in America. Maneò ai vivi il 17 aprile 1675. Comino Baiitolommeo. Nato nel 1550, fu assunto negli uffici di segreteria della Repub¬ blica Yoneta, come straordinario di cancelle¬ ria, nel 1571, promosso ordinario nel 1577, e segretario del Collegio e del Senato nel 1585, deputato a scrivere le lettore segrete ed a tradur le cifre, allo suppliche od udienze nel 1591 e nel 1597; segretario del Consiglio dei Dieci nel 1605, del Senato nel 1620, e nuovamente del Consiglio dei Dieci dal 1621 (ino alla morte. In questi anni fu anco ado¬ perato in missioni diplomatiche, prima come coadiutore nel 1578, poi come segretario del¬ l’ambasciatore a Roma nel 1588, e dal 1690 al 1594 conio residente a Napoli, e nuova¬ mente a Roma nel 160] come segretario del¬ l’ambascia toro straordinario Marco Venier. Mancò ai vivi il 2 dicembre 1627. Comitom Napoleone. Nacque di Giro¬ lamo in Perugia intorno alla metà dol se¬ colo XVI. Studiata e poi professata in pa¬ tria la giurisprudenza, si recò a Roma dove divenne auditore di Sacra Rota: il 19 lu¬ glio 1591 fu eletto vescovo di Perugia. Moia il 30 agosto 1624. Concini Cosimo. Di Giovanni Battista. Abbracciò lo stato ecclesiastico, o divenne referendario apostolico: fu ambasciatore di Toscana presso l’imperatore dal dicembre 1595 all’ottobre 1601, e negli anni 1602 o 1603 presso la corte di Spagna. Connko [Conn, Con a bus] Gioitolo. Di Pa¬ trizio e di Isabella Chyn, fu educato dap¬ prima a Douay indi nel collegio degli Scoz¬ zesi a Parigi ed a Roma e finalmente a Bologna. Tornalo a Roma nel 1(523 con l’in¬ tendimento di abbracciare lo stato ecclesia¬ stico, entrò prima nella corte del card. Mon- talto, poi in quella del card. Francesco Barberini, che accompagnò nolla nunziatura di Francia, riportandone molti benefìzi e ti¬ toli, tra i quali quello di canonico di S. Lo¬ renzo in Parnaso, di segretario della Con¬ gregazione dei riti, di prelato domestico del Papa. La sua importanza storica deriva da una missione in Inghilterra come agente pa¬ pale, per tentare la riunione della Chiesa anglicana alla romana; perche, se audio egli non vi riuscì, ottenne tuttavia alcune strepitoso conversioni. Dopo poco tempo dal suo ritorno in Roma, vi morì il 10 gen¬ naio 1640, ed il suo patrono card. Fran¬ cesco Barberini gli fece erigere un monu¬ mento nella chiesa di S. Lorenzo in Datrmso. Oontaiuni dal Scrigno. « Dal Scrigno » o < dagli Scrigni » era chiamato il ramo dei Contarmi di San Trovaso dai vari scrigni che possedevano nella grandiosa loro villa di Piazzola presso Padova, passata in loro proprietà por il matrimonio di Niccolò Con¬ tarmi con Maria di Giacomo da Carrara nel 1418. Contarini Alvise. Nacque di Tommaso o di Marina Pisani in Venezia nell’aprile 1597, e l’opera sua in servizio dello Stato si svolse principalmente nella diplomazia. Am¬ basciatore in Fiandra nel 1623, in Inghil¬ terra nel 1627, in Francia noi 1629, in Ro¬ ma dal 1632 al 1635, Bailo a Costantinopoli nel 1638 e nel 1618, ambasciatore al con¬ gresso di Miinater nel 1643, era stato eletto anche a quello di Lubecca, ma chiese ed ot¬ tenne di essere esonerato. Fu inoltre duca in Candia e del Consiglio dei Dieci. Mancò ai vivi l’il marzo 1651. Contarini Angelo. Nacque di Giulio e di Lucrezia Correr in Venezia l’H ago¬ sto 1581. Patrizio di grandissima autorità e fra i più avveduti diplomatici. Nel 1625 fu mandato ambasciatore straordinario in l 424 INDICE BIOGRAFICO. Inghilterra, noi l«i2P a Noma, noi 1637strnor- dinario a Ferdinando III di Germania, e l’anno successivo in Francia, e finalmente nel 1640 e poi ancora nel 1642 novamente a Roma. Fu por ben cinque volte Riforma¬ tore dolio Studio di Padova, cioè negli anni 1634, 1630, 1G42, 1646, 1652; fin dal 1612 ora stato elevato alla dignità ili Pro¬ curatore di San Marco. Mancò ai vivi nel 1657. Contarini Filippo. Nacque in Venezia di Piero e di Marina Corner il 27 ottobre 1573 Fu provveditore in Friuli e poi capitano di Vicenza. Morì nel novetnbro 1610. Conta risi Francesco di Bertucci e di I.uoietta Doltin, nacque in Venezia il 7 ot¬ tobre 1654. Ambasciatore al duca di Man¬ tova nel 1603 e nello stesso anno Bailo a Costantinopoli: uno degli ambasciatori man dati dalla Soroniasima al novello pontefice Paolo V : consigliere nel 1606; novamente ambasciatore a Homa nel 1607; ambasciatore straordinario in Inghilterra nel 1609: Ri formatore dello Studio di Padova nel 1610; rieletto consigliere nel IBI 1 ; ambasciatore all’imperatore Mattia nel 1612; Procuratori- ili San Marco il 9 dicembre 1615; novamente Riformatore dello Studio di Padova nel 1616; correttore delle leggi nel 1617; ambascia¬ tore straordinario a Costantinopoli nel 1G18; ambasciatore a papa Gregorio XV nel 1621 per congratularsi della sua elezione; nova- niente Riformatore dello Studio di Padova nel 1622; Doge nel 1623. Morì il 6 dicem¬ bre 1626. Contarini Francesco. Di Taddeo, patri¬ zio venoto, non era per»’» ©gli Btesso, attesa l’irregolarità della sua naacitA, ascritto al patriziato. Non prose perciò parte alcuna alla vita pubblii-a. o si occupò di amena let¬ teratura. Autore di lodate tragedie e. favole pastorali, appartenne all' Accademia degli Immaturi, o di questa illustrò l’impresa in un discorso che si ha allo stampe. Contarini Giacomo. Del ramo cosiddetto dei SS. Apostoli, nacque in Venezia di Pie¬ tro di Giacomo e di Cecilia Bragadin il 21 giugno 1536. Savio agli Ordini nel 1554, nel 1556 o nel 1561; uno dei Xil sopra le ap¬ pellazioni dui beni inculti noi 1579; esecutore sopra la Inumazione della zecca nel Ia¬ lino dei tre sopra i feudi nel 1588; dalPapri- le 1598 allnprile 1595 provveditore all’tirse naie, e mentre durava in tal carica,deputato alla « expedition delle cento galie » nel giu- gno 1593. Amico di Gio. Vincenzo Tinelli trattò familiarmente col Porta noi tempo in cui questi fu a Venezia. Fece testamento il 1* agosto 1595 e morì il 30 ottobre dello denso anno. Aveva messa insieme una son- luosa biblioteca, ed una raccolta di « scritti a penna, instrumenti mathematioi, quadri, tatui- di marmo come di bronzo, minerali, pietre, secreti et altro» che nel testamento •rdinava funsero «conservate dagli eredi e non alienate nè donate ad alcuno»; e ac¬ cenna alla compilazione, cho stava facen¬ done, d’un inventario, il quale non è giunto inaino a noi. Contarini Giovanni. Nacque di Fran¬ cesco in Venozia nel 1549. Benché avviato dal padre all’arto notarile, si diedo a stu¬ diar pittura, riuscendo Bpecialmento nel ri¬ tratto. I,avori» per qualche tempo alla corte di Rodolfo li, poi a quella dell’nrcidnca in Irnubruck, che dovette abbandonare in con¬ seguenza d'un’avventura amorosa. Ritornò allora a Venezia, e dipinse una grande quan¬ tità di quadri d’ogni soggetto, alenili dei quali anche di commissione di Girolamo Ma¬ gagnati per la illustrazione delle suo favole. I suoi biografi lo dicono morto nel 1605, ma, come bì rileva dalle nostre fonti, ora ancora vivente noi 1619. Contarini Gio. Paolo. Di Sebastiano. Fu consigliere, o il 24 settembre 1594 elevato alla dignità di Procuratore di S. Marco. Mori noi novembre 1602. CoNTAinxi Marini, di Paolo e ili Vienna (fritti, nacque in Venezia il 2 luglio 1541. Nel 1598 uuo dei giudici aggiunti al Collegio dei XX Savi ordinari del Sonato; enei 1G06 capo dol Consiglio dei Dieci. Una nota del « Necrologio dei Nobili Veneziani dal 1630 al 1616 > dice che fu «gentil poeta latino ». Morì nel gennaio 1610. Contarini Nicoolò. Nacque di Gio. Ga- | briello e di Giovanna Morosini in Veuozia INDICE BIOGRAFICO. 425 il 26 settembre 1553. Savio agli Ordini nel 1570, Avogndor di Comun nel 1501, uno dei XII Savi delegati dal Senato noi 1593, provveditore generale del Friuli nel 1602 e nel 1616, Riformatore dolio Studio di Pa¬ dova noi 1614,1623 e 1628. Commissario de¬ putato al congresso di pace in Veglia nel 1618, provveditore generale in terraferma nel 1621, imo dei cinque correttori per la regolazione del Consiglio dei Dieci nel 1628, deputato a scrivere la storia della Repubblica in con¬ tinuazione a quella di Andrea Morosini, e finalmente Dogo eletto il 19 gennaio 1630. Mancò ai vivi il 1° aprile 1631. Contarini Pietro, di Francesco. Abbate commendatario di S. Zeno di Verona nel 1629, rinunciò dieci anni dopo, e preso moglie. Contarini Pietro. Nacque in Venezia di Marco e di Cornelia Corner il 27 novem¬ bre 1578. I)i lui troviamo scritto che fu «Cavaliere o Senator Orando*. I documenti ce lo dicono Savio agli Ordini nel 1604, am¬ basciatore al duca di Savoia nel giugno 1605, oratore all’imperatore Rodolfo II nel 1606. Il 26 maggio 1613 fu mandato ambasciatore ordinario in Francia e nel 1617 in Inghil¬ terra, dalla quale legazione passò a quella di Spagna per decreto del 6 luglio 1618. Nel 1623 ambasciatore a Roma, eletto consi¬ gliere nel 1625, Savio del Consiglio nel 1630. Contarini Simone, di Gio. Battista o di Maria Dritti, nacque in Venezia il 27 ago¬ sto 1563 : fu scolaro dello Studio di Padova. Il 18 marzo 1589 aveva incominciato come Savio agli Ordini ; poi fu mandato a Roma con l’ambasciatore Marino Grimani. Nel 1597 andava ambasciatoro al duca di Savoia, nel 1600 in Ispagna, e nel 1608 Bailo a Co¬ stantinopoli. Nel 1610 fu eletto consigliere, uel 1612 ambasciatore a Roma; ed appena tornato di là, ambasciatore straordinario alla corte di Francia nel 1617, e nel 1619 all’ im¬ peratore Ferdinando. 11 30 ottobre 1620 veniva investito della dignità di Procura¬ tore di S. Marco. Nel 1621 fu mandato am¬ basciatore al re di Spagna, nel 1622 a Co¬ stantinopoli, uel 1625 iu Francia. Nel 1632 fu eletto Riformatore dello Studio di Pa¬ dova. Le cure dello Stato nou gl’impedirono Voi. XX. di attendere al culto della poesia; c molti coniponimonti poetici suoi rimangono nel Cod. CXV della Cl. IX li della Biblioteca Marciana in Venezia. Mancò ai vivi il 10 gen¬ naio 1633. Contarini Taddeo. Nacque di Dario o di Isabetta Corner in Venezia P11 mag¬ gio 1545. Nel 1598 o nel 1607 fu podestà di Vicenza. Morì nel 1618. Contarini Tommaso. Nacque in Venezia di Giorgio e di Isabetta Priuli il 10 aprile 1562. Tra gli uffici da lui occupati nel governo della Repubblica Veneta, ricorderemo quelli di pre¬ sidente al Magistrato della Camera degli im¬ prestiti, di podestà di Bergamo, di ordinario di Pregadi o di membro c capo del Consi¬ glio dei Dieci. Sul finire del 1607 fu man¬ dato podestà a Padova, e resse questo ufficio dal febbraio 1608 al 25 agosto 1609. Nel 1611 fu mandato ambasciatore n Paolo V, e nel 1612 eletto Savio Grande o Inquisitoro in terraferma. Mancò ai vivi uel 1615. Contarini Vincenzo. Nacque in Venezia, non però di famiglia patrizia, di Luigi nel 1570. Giovanissimo, era salito in grande re¬ putazione per la sua cultura letteraria, sic¬ ché con decreto dei 4 ottobre 1603 fu dal Senato Veneto chiamato a leggere umanità greca o latina nello Studio di Padova nei giorni festivi, e tre anni dopo, cioè con de¬ creto del 3 novembre 1606, fu promosso al se¬ condo luogo dello stesso insegnamento nei giorni feriali o dato come concorrente a Paolo Beni. Durò nell’ufficio a tutto il 1616; e dopo esserne stato lontano un anno, chiese di venirne esonerato adducendo di voler recarsi a studiare le navigazioni di Antenore nell’Adriatico. Si recò infatti a Capodistria, dove contrasso una malattia per la quale morì in Venezia il 19 agosto 1619. Contarini Zaooaria. Nacque in Venezia di Paolo e di Vienna Dritti il 26 gennaio 1525. Nel 1590 fu uno degli ambasciatori di ubbi¬ dienza a papa Gregorio XIV. Nel 1590 o 1598 Riformatore dello Studio di Padova. Nel 1591 ambasciatore d’ubbidienza a Clemente Vili dal quale fu creato cavaliere, e a lui fu nova- mente ambasciatore straordinario nel 1592 Òl INDICE BIOGRAFICO. 426 Nel 1693 uno degli eletti sopra la fonda¬ zione della fortezza di Palma, nel 1591 ca¬ pitano di Padova, o poi rettore di Bergamo e di Brescia. Elevato alla dignità di Pro¬ curatore di S. Marco il 27 novembre 1599. Mancò ai vivi nel gennaio 1601. Conti Carlo, di Torquato duca di Poli o di Violante Famose, nacque in Roma in¬ torno alla metà del secolo XVI. Compiuti gli studi nel Collegio Germanico, bì laureò in l’orugia od entrò in prelatura, incomin¬ ciando dall’essere vicelegato di Viterbo e della provincia del Patrimonio, poi di Ca¬ merino. Noi 1686 fu da Sisto V promosso al vescovato di Ancona e al governo del¬ l’Umbria e di Perugia, e da Clemente Vili a quello della Marca ed a nunzio straordi¬ nario a Vienna. Nel 1599 fu legato ad Avi¬ gnone : promosso il fi giugno 1604 alla porpora col titolo di cardinale prete di S. Grisogono, dal quale passò poi a quello di S. Lorenzo in Lucina. Mori improvvisa¬ mente in ltoma il 3 dicembre 1615. Conti Conte, fratello di Carlo, stette la maggior parte della sua vita alla corte di Parma. Conti Francesco. Nacque di Bartolom- meo nel 1505; o dai ruoli degli stipendiati del 1605-1606 si rileva che aveva 1* ufficio di segretario alla corte granducale di Toscana ed era addotto a un principe della Casn. Un Francesco Conti, che uou sappiamo però se sia lo stesso, fu fatto dei Dugento il 15 di¬ cembre 1592. Conti (de’) Ingolfo. Di nobilissima fa¬ miglia. discesa dal dogo Candiano, e dei conti di Padova, nacque in Padova di Al¬ berto e di Giulia Speroni, sorella del cele¬ bre Sperone, nel 1565. Seguì gli studi in Padova, e fu con Marcantonio De Dominis scolavo del Moletto. Laureatosi il 20 gen¬ naio 1590, fu poi chiamato alla lettura di filosofia morale e politica nelle scuole Ca- nobbiano di Milano, e quivi in sua casa si raccoglieva l’Accademia degli Inquieti: tenne quella lettura dal 28 maggio 1598 al 1° giu¬ gno l(i05. Dopo aver inutilmente aspirato a raccogliere la successione di Galileo nello Studio di Padova, sebbene in concorrenza di lui fosse stato eletto Matematico dell’Ac¬ cademia Delia, ottenne dal Senato Veneto il terzo luogo di filosofia straordinaria, dal quale nell’anno successivo venne trasferito al terzo di logica, e poco appresso, con de¬ creto dei 20 ottobre 1614, nominato agente in Padova dei Riformatori dello Studio. Mancò ai vivi in Padova il 9 agosto 1615. Conti (de) Schinrlla, fratello d’Ingolfo, nacque egli pure in Padova, il 30 agosto 1572. Dopo lungo soggiorno in Roma tornato in patria si dedicò tutto alla rivendicazione di alcuni feudi, doi quali la sua cospicua famiglia era stata indebitamente spogliata. Noi 1691 aveva occupato un terzo luogo di filosofìa straordinaria e mancò ai vivi il 27 lu¬ glio 1627. Conti Torquato, di Lotario, duca di Poli e di Clarice Orsini del ramo di Men¬ tana. Abbracciata la carriera militare, preso parte alla guerra dei trentanni sotto gli ordini ilei Wallenatein, o passò poi al ser¬ vizio della Chiesa. Morì il 6 marzo 1636. Contin Bernardino, di Tommaso, venne assunto dalla Repubblica Veneta per la prima volta come sottoproto alla laguna dal Magistrato delle acquo, con terminazione de’ 2 ottobre 1619. Il 19 aprilo 1639 il resi¬ dente toscano a Venezia si presentava al Collegio e da parte del granduca esponeva come, essendosi stabilito di rifare il ponto di Pi^a pochi anni addietro rovinato dalla violenza dell’Arno, si desiderasse di sentire il parere di diversi architetti, « e special¬ mente di Bernardin Contino protto di que¬ sta Eccellentissima Signoria» con preghiera ili poterlo avere per qualche giorno. Il 7 mag¬ gio successivo il Senato incaricava il pro¬ prio residente a Firenze, Girolamo Bon, di partecipare che la persona ricercata sarebbe stata posta a disposizione del granduca ap¬ pena fosse di ritorno, e con altra del 28 suc¬ cessivo partecipava d’aver dato ordine che « si trasferisca coRtì per eseguire gli ordini di S. A. et ritornar poi subito. » Da ul¬ timo, il 28 luglio, il residente per il gran¬ duca si presentò al Collegio a manifestare c un riveritissimo rendimento di gratie per INDICE BIOGRÀFICO. 427 l’opera ricevuta dal Protto Contino, il quale ool valore e coll’assistenza sua fl uttuosa lia perfettionato il Ponte di Pisa, e confida l’Altezza Sua che ne* nuovi dissegni di fa¬ llica, che è per fare in altra parte, preparate elio sieno le materie, sia Vostra Serenità per concederglielo. » Coppola Gio. Carlo, da Gallipoli. Poeta lodato dai contemporanei. Fu detto vescovo di Muro il 18 maggio 1643. Morì nel 1652. Coppoli Francesco. Nacque di Camillo di Francesco nel 1598. Cavaliere o marchese di Montefollonico, entrò alla corte Medicea come paggio: nel 1616 accompagnò il gran¬ duca che si recava alla S.Casa di Loreto: ora alfiere noi Calcio giocato a Pitti il 17 gen¬ naio 1619, al quale prese parto lo stesso principe I). Lorenzo. Divenne poi cameriere segreto del granduca, coppiereo guardaroba maggiore; andò ambasciatore allibano Vili c ad altri principi italiani e stranieri; nel Capitolo generale dei cavalieri dell’Ordine di S. Stefano tenuto in Pisa il 3 aprilo 1614 fu eletto Gran Contostabile; e finalmente il granduca Ferdinando li, con lettera pa¬ tente data da Pisa il primo gennaio 1651, lo idesso suo maestro di camera, ufficio va¬ cante por morte del marchese Francesco Gonzaga. Morì nel novembre 1675, e fu se¬ polto in S. Lorenzo. Cordoli Bastiano, di Lorenzo di Ba¬ stiano Corboli, nacque nel 1543. Nel 1581 era al servizio dol cardinale Ferdinando de* Medici : nel 1590 segretario della Con¬ sulta; nel 1594 segretario di S. A. S. Nel 1612 fondò una commenda. Morì il 19 gen¬ naio 1614. Cordova (di) Fernandbz Consalvo. Ca¬ pitano generale degli eserciti spagnuoli con¬ tro gli Stati Generali dello Provincie Unite dei Paosi Bassi, poi governatore di Milano dal 31 maggio 1626 all’agosto 1629: cadde in disgrazia dopo il cattivo esito dell’assedio di Casale: fu però novamonte a capo degli oserciti contro i Paesi Bassi. Morì in Ma¬ drid il 15 febbraio 1645. Co k tosto Giorgio. Nativo dell’isola di Chio, lesse lingua greca nello Studio di Pisa dal 1609 al 1615. Dovè lasciare la cat¬ tedra per essersi scoperto che professava la religione greca scismatica, o più probabil¬ mente in seguito all’alienazione montale dalla quale fu colto. Cosma (do) Luigi, signore di Beauro- cueil, Roqueshautes, ecc., marchese di Brc- gangon. Subentrò il 15 giugno 1635 a Pietro suo padre nell’ufficio di avvocato generalo al parlamento di Provenza, e no divenne presidente al principio del 1650. Mancò ni vivi in Aix il 24 novembre 1669, o fu sepolto nella chiesa dei Domenicani. Cornacohwt: Marco, di Tommaso, da Arezzo. Dal 1601 al 1606 nello Studio di Pisa loltoro di botanica, e poi di medicina (ino al 1621, nel qual anno morì. Cornaooiiini Orazio. Con decreto do’21 ot¬ tobre 1600 fu dal Senato Veneto chiamato al secondo luogo di logica nello Studio di Padova elio occupò lino al 1607. Successe al fratello Marco a Pisa nell’insegnamento della botanica, che tenne negli anni 1607 o 1608, nel quale morì. Corna uo Carlo. Nato di Alvise in Ve¬ nezia, l’8 gennaio 1530. Nel 1581 avoga- dore e poi auditore, provveditore o sindico generalo in terraforina. Nel 1586 luogote¬ nente di Udine e nel 1590 provveditore sopra il bosco dol Montello. Nel 1593 con¬ sigliere. Mancò ai vivi nel settembre 1601. Cornaro Federigo. Nacque in Venezia di Giovanni, seguì gli studi e conseguì la laurea in Padova. Cavaliere di Malta, poi Gran Commendatore e Gran Priore di Cipro, fu eletto vescovo di Bergamo ; ma promosso cardinale il 19 gennaio 1626, passò il dì 8 febbraio 1626 alla sode di Vicenza, poi, tre anni dopo, a quella di Padova, c final¬ mente nel 1632 divenne patriarca di Venezia. Mancò ai vivi il 12 settembre 1652. Cornaro Giacomo Alvise. Nacque di Gio¬ vanni in Venezia il 13 settembre 1539, con¬ dusse in moglie Caterina di Giovanni Bra- gadin, ed alieno dal partecipare alla vita pubblica, si stabilì a Padova nel celebre pa- 428 INDICE BIOGRAFICO. lazzo Oornaro id Santo, dove morì il 21» ago sto 1608: fu sepolto, insieme con la moglie, nella ohiosa delle monache di Santa Chiara, in una tomba che per essi fece il figliuolo Girolamo mentre era podestà a Verona ne) 1621. Con varo Gioroio, di N incoiò, nato in Venezia il 17 aprilo 1583, morto in Padova il 18 maggio 1612. Attesa la circostanza per la quale viene a figurare noi carteggio, ri¬ produciamo il suo atto mortuario dal Libro dei morti di Padova che è nel Civico Archi¬ vio: « 18 | Maggio 1612]. Il l lar. mo Sig. r /orzi Cornalo d’ettà d'anni 28 ine.* è stato ania¬ lato diversi giorni di febre et opillatione, visitato dall 1 Eco.* 0 Acquapendente e morto hoggi a boro 22 in casa del S. r Baldini e fu portato nell’Inclita Città di Vene* parrA di 8. Luca. » Corsaro Giovarvi. Nacque di Marcan¬ tonio in Venezia nel 1551, trascorse la gio¬ ventù a Padova dove atteso agli studi uma¬ nistici con la guida del Riccoboni,e fu ascritto all’accademia di giovani studiosi istituita nel 1578 dal'.’ab. Ascanio Martiueugo. Ri¬ tornato a Venezia, ed impratichitosi nell’am- ministrozione della cosa pubblica, fu man¬ dato capitano a Verona nel 1594 ed a Vicenza nel 1595, podestà n Brescia nel 1597 ed a Padova noi 1604. Il 29 maggio 1609 fu as¬ sunto alla dignità di Procuratore di S. Marco, nel 1617 eletto provveditore generale del¬ l’esercito e ripetutamente noi 1618 c nel 1622 Riformatore dello Studio di Padova. Miotto Dogo l’il dicembre 1624, ebbe messo a dura prova il suo cuore di padre per un delitto commesso dal figlio Giorgio. Altri suoi figliuoli furono il Cardinal Federico ed il ve¬ scovo Marcantonio. Morì il 23 dicembre 1629. Corvaro Giovanni Alvise, nato di Gio¬ vanni il 22 gennaio 1547. Corvàko Lorkvzo. Nacque di Marc’An- tonio in Venezia il 17 aprile 1577. Fu della Quarantia del Civil novo. Morì il 25 settem¬ bre 1609. Oornaro Marco. Nato in Venezia di Gior¬ gio il 14 gennaio 1557, assunto alla sede epi¬ scopale di Padova il 12 dicembre 1594, man¬ cato ui vivi il 12 giugno 1625. Ooknaru Marco Antonio. Nato in Ve¬ nezia di Giovanni; abbate commendatario «• prima canonico «lolla cattedrale di Pa¬ dova, poi primicerio di San Marco: rimasta vacante la ede episcopale di Padova per il [in gaggio del cardinale Federico suo fratello a quella patriarcale di Venezia, vi fu ciotto nel settembre 1632. Morì il 27 aprilo 1636. Corsaro Marco Antonio. Nacque di Pie¬ tro in Venezia P8 ottobre 1547. Fu Sopra- consolo. Mori nel luglio 1608. Corsaro Nicchiò. Nacque ili Giorgio in Venezia, il 3 febbraio 1560, fu podestà a Verona, «• mancò ai vivi nell’agosto 1615. Era fratello di Marco, vescovo di Padova. Corkaiuni Luigi. Nacque di Ercole in Padova nel 1562. Avvocato insigne e giu¬ reconsulto profondo, dotto archeologo e com¬ petentissimo indio cose di numismatica, fu chiamato «lai Senato Veneto a leggere pan¬ ciotto con decreto dei 14 gennaio 1617 ; ma occupi» per brevi; tempo la cattedra, essendo mancato ai vivi il 26 settembre 1618. Correr Niooolò. Naoque di Vincenzo in Venezia nel 1514. Fu provveditor di Commi nel 1593 0 dei X Savi. Morì nel luglio 1604. Corsi Bardo, di Giovanni e. di Alessan¬ dra del conte Simone della Gherardesoa. Signore di Caiazzo nel regno di Napoli nel 1617 ; fatto marchese da Filippo 111, re di Spagna, il 31 luglio 1623. Corsi Iacopo fratello di Bardo, nacque in Firenze il 15 luglio 1661, e morì nel 1604. Fu ambasciatore a Venezia noi 1595 a com¬ plimentare il nuovo dogo Grimani. Mece¬ nate degli artisti, contribuì efficacemente, con Giovanni Bardi, alla riforma melodramma¬ tica. A lui Vincenzio Galilei dedicò la se- couda edizione «lei Frontino (\ (inezia, 1584), con lettera di Firenze, 30 aprile 15(84. A lui pure Giovandomenico Peri dedicò nel 1600 il Caos. La Dafne del Rinucoini, musicata da Iacopo Peri, fu rappresentata la prima INDICE BIOGRAFICO. 429 volta nel carnevale del 1597 in sua casa ed alla presenza del granduca,
  • Dati Gio. Battista. Nacque in Lucca di Piero e di Brigida di Vincenzo Arrighi. Sedè fra gli Anziani nel maggio e giugno 1589, luglio e agosto 1592 e 1595, gennaio e febbraio 1(500, luglio e agosto 1003, e nel luglio e agosto 1005 fu gonfaloniei*e. Con riformazione del 15 maggio 1007 fu condan¬ nato con altri complici per rapporti illeciti con le monache del convento di S. Chiara, fu relegato in perpetuo in Sardegna, e con deliberazione dei 16 giugno 1011, concessogli poi di cambiare l’esilio in Sardegna con quello in Francia. Daviso | D’Aviso] Urbano. Nacque d’An- drea in Roma il 25 maggio 1018, e compiuti gli studi delle umane Ietterò, vestì l’abito religioso nell’Ordine dei Gesuati nel quale apprese le dottrine filosofiche e teologiche od occupò varie dignità fino a quella di Ge¬ neralo. Ch’egli si sia celato sotto il nome anagrammatico di Buonardo Savi risulta dalle sue stesse dichiarazioni. Di lui sap¬ piamo soltanto che fu discepolo del Cava¬ lieri, e da parecchi luoghi (lolle sue opere che nel 1664 e gennaio 1665 era in Venezia e che soppresso l’Ordine da Clemente IX nel 1668, gli fu dallo sfosso pontefice affi¬ data la cura dello animo nella parrocchia di S. Giovanni, detto della Malva, in Traste¬ vere, la quale tenne fino alla morte avve¬ nuta il 17 settembre 1685. D emisi ani Giovanni. Nacque di Stefano in Cefalonia nel 1576. Venuto a Roma, fu addetto alla corte del card. Ottavio Ban¬ dini. Versatissimo nello letterature greca e latina o dotato di meravigliosa memoria, attrasse sopra di sè l’attenzione del prin¬ cipe Federico Cesi che lo connumerò tra i Lincei nel 1612, ed in questo medesimo anno lo investì dell’ufficio di Censore. Troviamo anche che nel 1613 fu mandato dal duca di Mantova come oratore alla Repubblica Veneta. Mancò ai vivi a Parigi nel 1614. Desoalzi Ottonello. Nacque in Padova di Antonio e di Maria Medola nel 1541. Con decreto dei 29 maggio 1563 fu chiamato dal Senato Veneto alla lettura seconda di istitu¬ zioni civili nella patria università, trasferito alla prima il 28 maggio 1565, alla lettura seconda eli diritto canonico il 5 maggio 1576, a quella di criminali il 17 marzo 1577, e finalmente alla seconda di diritto civile il 1° aprile 1586. Dal Senato Veneto fu creato cavaliere di S. Marco, e conto c cavaliere dal l’i in paratore Rodolfo II. Morì nel 1607. Descartes Renato. Nacque di Gioacchino a La Haye, piccolo borgo fra Tours e Poi- tiers, il 31 marzo 1596 e fu educato nel col¬ legio della Fiòche tenuto dai gesuiti. Dalla carriera delle armi che aveva abbracciata si dimise, per poter attendere agli studi ed allargare coi viaggi le proprie cognizioni; e finì col ritirarsi in Olanda, dove trascorse quasi sconosciuto circa vent’anni. Le opero suo, so anello non tutte giunsero a conclu¬ sioni definitivamente accettato nella scienza, lo dimostrano una delle menti più elevate che abbiano onorato l’umanità. Trasferitosi in Isvezia, dietro invito della regina Cri¬ stina, morì a Stoccolma P 11 febbraio 1650. Disti Gio. Battista. Patrizio fiorentino nipote di Clemente Vili, fu da lui promosso alla porpora nell’età di diciassette anni noi 1599 col titolo diaconalo di S. Adriano, elio mutò poi in quello di S. Maria in Oo- smedin, o più tardi ancora in quello prosbi- teriale dei SS. Pietro e Marcellino. Resso anche parecchi vescovadi; e divenuto decano del Sacro Collegio, supplì alla carica di ca- marlongo. Morì in Roma il 13 luglio 1630. DiETRTonsTEiN Franoesco, di Adamo dei conti di Moravia nacque nel 1570 a Madrid, dove suo padre era ambasciatore. Studiò in Roma e da Clemonte Vili fu nominato ca- moricro segreto, e il 3 marzo 1599 promosso alla porpora col titolo presbiteriale di S. Sil¬ vestro in capite. In seguito fu eletto vescovo di March, o da questa sedo promosso a quella di Olmùtz. Morì a Brunii il 19 set¬ tembre 1636. Dtetriciistein Paolo. Le matricolo della Nazione Germanica Giurista recano la sotto¬ scrizione sua nei termini seguenti. « Paulus a Dietrichstain Liber Baro in liollenburg, INDICE BIOGRÀFICO. 432 Kinckenstain et Thalberg. Anno 1603. Die Dee. 21. > Parecchi altri membri della mede¬ sima famiglia frequentarono lo Studio di Padova al tempo in cui vi insegnò Galileo, e precisamente i seguenti; dei quali riferiamo i nomi, facendoli seguire dalla data della in¬ scrizione nelle matricole succitate : « Iohan nos Henricus Baro de Dietrichstein, 26 no¬ verai). 1693; Bartholomeus a Dietriobstein Libar Baro in Hollenburg, 1594 7 mar.; Gitoli gangli s laoobus L. Baro a Dietrich- atain in Uabenstain, Carinthiae pocillator hereditarius, 18 novemb. A. 1608. » Dioqbs Tommaso, di Leonardo e di Bri¬ gida Wilford nacque in lvent intorno al 1626. Immatricolato nel 1646 nell’ uni versiti* ili Onmbridge, vi conseguì i gradi accademici, e pii! tardi sedè ripetutamente in parla¬ mento e fu adoperato in vari incarichi con cernenti l’architettura militare e marittima. Compì parecchi lavori matematici intrapresi dal padre, e li pubblioù iusieme con altri propri, i quali gli valsero di venir conside¬ rato fra i piii cospicui matematici inglesi del secolo XVI. Mori il 24 agosto 1695. Bini Piero del senatore Agostino del soli. Piero e di Ginevra di Pier Antonio Bandini, attese da giovane agli studi a Parma, a Perugia, a Bologna od altrove. Il 14 luglio 1595 fu ascritto all'Accademia della Crusca, e nel 1605 fu consolo dell'Ac¬ cademia Fiorentina; Botto il suo consolato fu censore Iacopo Soldani, e lesso perla prima volta noi l’accademia Giovanni Cinmpoli, l'uno e l’altro legati poi da amicizia al Dilli. Nipote per parte di madre del card. Ottavio Bandini, si fermò in corte a Roma presso lo zio, e fu fatto prima referendario aposto¬ lico, quindi il 9 aprile 1621 arcivescovo di Fermo, in questa dignità succedendo ad Ales¬ sandro Strozzi nipote esso pure per via di madre del card. Bandini, e al quale lo zio aveva ceduto quella chiesa, e precedendo Clio. Battista Rinuccini, altro nipote, sempre per parte di madre, dello stesso Ottavio Ban¬ doli. Morì ancor giovano il 14 agosto 1625, e fu sepolto nella metropolitana di Fermo. Di odati Elia, di Pompeo e di Laura Calaudrini, nacque in Ginevra o fu battez¬ zato PII maggio 1576. Le relazioni elio egli, distinti»-imo giureconsulto ed avvocato al parlamento di Parigi, strinse e mantenne durante tutta la lunga sua vita con molti fra i più cospicui scienziati e con uomini di Stato del suo tempo (Bernegger, Campa¬ nella, I)upuy, Gassendi, Grozio, Iluygens, Mozoriac. Naudò, I’eireac, Schickhardt, eoe.) costituiscono la parto più rilevante della sua biografia, od almeno di quanto intorno la sua vita è giunto inaino a noi; per modo che ad < iso, u principalmente a quelle affet¬ tilo.-L siine con Galileo, è ormai esclusiva- mente raccomandato il suo noine. Egli aveva imparato a conoscere Galileo iu uno ilei due i viaggi da lui fatti in Italia, e verosimilmente nel primo.di essi, compiuto nel 1620. A tutto quello elio, rispetto allo buo relazioni col granile filosofo, risulta dal loro carteggio, aggiungeremo che, informato degli intendi¬ menti ilei principe Leopoldo ile’Medici e di Vincenzio Yivinui circa una edizione dello opere di Galiloo, si ail'rettava a mandare tutti i molti e preziosi autografi da lui pos¬ seduti, ì quali purtroppo andarono la più parti- perduti per gli studiosi. Ad essi ag¬ giunse lo Btupcmlo ritratto che Galileo stesso aveva latto dipingere per lui da Giusto Subternmn», o ohe fortunatamente ci fu con¬ servato. Mancò ni vivi in Parigi il 21 dicem¬ bre 1661. Dolane Agostino. Nacque iu Venezia di Daniele nel 1561, e liti dal 1574 fu ammesso tra i noturi della cancelleria ducale. Giova¬ netto, fu spedito tre volte all’annfttn come segretario, duo in Francia, indi a Costanti¬ nopoli; fu residente a Zurigo, a Napoli ed a Milano. Fu nuche segretario ilei Colle¬ gio e del Consiglio dei Dieci. Mancò ai vivi nel 1635. Dolfin Giovanni. Nacque di Giuseppe in Venezia addì 15 novembre 1545. Esercitato in patria le cariclio minori, fu noi 1577 no¬ minato podestà o capitano ili Belluno, c mandato poi nel 1686 ambasciatore iu Fran¬ cia, indi a Clemente Vili. Nel 159S andò in Ispagna nell'occasione dello nozze di re Fi¬ lippo III, e nel 1(501 in Francia per quelle di Enrico IV con Maria de’ Medici. Ritornato , da questa ambasceria, fu creato Procuratole INDICE BIOGRAFICO. 433 di S. Marco e quindi Riformatore dello Studio di Padova. Rimasta vacante nel 1003, la sede vescovile di Vicenza, Clemente Vili la volle a lui conferita ed il Senato vi consentì, fa¬ cendo così un’eccezione alla rigorosa logge elio proibiva di accettare gradi ecclesiastici a coloro che avevano riseduto alla corte di Roma. Addì 29 novembre 1003 fu creato car¬ dinale, nel 1606 rinunziò al vescovato e si ritirò a Venezia, dove morì il 5 novembre 1622. Dot/fin Niccolò. Nacque di Piero in Ve¬ nezia addì 28 gennaio 1591. Noi 1625 lo tro¬ viamo capitano di Vicenza, nel 1042 provve¬ ditore del Polesine nella guerra coi papalini, nel 1045 consigliere all’armata del doge Erizzo o destinato come Rai lo a Costanti¬ nopoli, nel 1646 generale dell’ isola ed as¬ sunto al comando in terra a Candin. Ab¬ biamo trovata annotazione che nel 1648, essendo Savio del Consiglio, opinò per la cessione di Candia ai Turchi. Eresse alla memoria dolio zio cardinale sontuoso depo¬ sito nella chiesa di S. Michele di Murano. Mancò ai vivi il 5 marzo 1669. Dominici Domenico. Segretario del So¬ nato Veneto, ebbe la commissione di resi¬ dente a Firenze il 28 maggio 1612. L’ultimo suo dispaccio da Firenze, nell’ Archivio di Stato in Venezia, è dei 23 luglio 1616. Dominis (de) Maro’Antonio. Nacque nel 1566 ad Arba in Dalmazia, della famiglia di Gregorio X, e si ascrisse giovanissimo alla Compagnia di Gesù. Uscitone dopo ven- t’anni per entrare nella prelatura, dal ve¬ scovado di Segna, che gli aveva ottenuto l’imperatore Rodolfo II, passò poco dopo a quello di Spalatro. Avendo prese le parti de’ Veneziani contro Paolo V, i suoi scritti vennero censurati ; allora egli si recò in Inghilterra; e passato al protestantesimo, fu eletto decano di Windsor. Assalito però da rimorso, prestò facile orecchio alle pratiche elio Gregorio XV, già suo condiscepolo ed amico, tentò presso di lui per farlo tornare in grembo alla religione cattolica: e così, dopo aver ritrattato pubblicamente a Lon¬ dra tutto ciò che aveva scritto contro la chiesa di Roma, quivi tornato abiurò i suoi errori con grande solennità il 24 novem¬ bre 1622. Se non che, pochi mesi dopo, JJr- bano Vili, venuto in sospetto della sincerità della sua conversione, lo feco chiudere in Castel S. Angelo, dovo venne a morte l’8 set¬ tembre 1624. Per decreto dell’Inquisizione, il suo cadavere fu esumato ed insieme con Io sue scritturo condannate bruciato in Campo dei Fiori. Donato Leonardo. Nacque di Gio. Bat¬ tista in Bologna il 13 febbraio 1536, e dopo aver seguiti gli studi in Bologna ed in Pn- dova feco ritorno a Venezia. Nel 1561 fu ammesso Savio agli Ordini, nel 15G9 oletto provveditore di Coni un, e nel corso di que¬ sto stesso anno mandato ambasciatore a Filippo TI per interessarlo a favorire le armi cristiane contro il Turco. Nel 1573 10 troviamo Savio di terraferma, nel 1574 commissario sopra la differenza dei confini di Ampezzo e Cadore, e poi delegato al ri¬ cevimento di Enrico HI. Nel 1576 fu fatto Savio del Consiglio, od in questo stesso anno mandato ambasciatore in Germania, e poi novainente nel 1580. Dopo d’essere stato podestà di Brescia, andò nel 1581 ambascia¬ tore a Gregorio XIII. Fu anche ripetuta¬ mente consigliere, e Riformatore dolio Studio di Padova nel 1583, 1594, 1598 o 1604; e ambasciatore a Roma nel 1585, 1589, 1590, 1591, avendo in un intervallo occupato l’uf¬ ficio di provveditore generale in terraferma. Nel 1591 fu elevato alla dignità di Procu¬ ratore di S. Marco. Nel 1592 mandato ora¬ tore straordinario a Clemente Vili, e nel 1595 a Costantinopoli, nel 1598 pure a Cle¬ mente Vili a Ferrara. Nel 1601 fu novamento eletto provveditore generale in terraforma, e addì 10 gennaio 1606 Doge. Mancò ai vivi 11 16 luglio 1612. Donato Ntooolò. Nacque di Giovanni in Venezia il 16 marzo 1538, e, per la picco¬ lezza straordinaria della sua testa, sopran¬ nominato «testolina». Dopo aver avuto vari governi e prefetture di città, fu correttore alle leggi nel 1613 e nel 1617. Eletto Doge il 6 aprile 1618, mancò ai vivi il 9 del suc¬ cessivo maggio. Doni Gio. Battista, di Francesco' e di Giustina di Lapo del Tovaglia, nacquo a 4-34 INDICI-: biografico. Firenze nel 1594. Studiò dapprima a Bolo¬ gna, poscia presso i gesuiti in Roma; de¬ stinato al foro da suo padre, nel 1613 andò a Bourges por apprendere il diritto nella scuola famosa del Culaccio, o vi restò cinque anni; ottenne nel 1018 la laurea in Risa. Non avendo genio per lo leggi, accettò vo¬ lentieri nel 1021 l’offerta di mori». Ottavio Corsini, legato in Francia, di condurlo seco a Parigi; o passò un anno in quella capi¬ tale, studiando nelle biblioteche e frequen¬ tando i dotti. Ritornò a Firenze nel 1622, e quivi attese ex professo allo studio dello antichità. Salito Urbano Vili al pontificato, il card. Francesco Barberini chiamò il Doni a Roma, o lo alloggiò nel buo palazzo. Il Doni accompagnò pure il card. Barberini nel 1625 nella sua legazione in Francia u in Ispagna, o così ebbe occasione di visitare anche le biblioteche spagnuole. Sulla tino del 1629 fu fatto segretario del Sucro Col¬ legio; e in quest’ ufficio sarebbe invecchiato, se nel 1640 la morte dei suoi duq fratelli non lo avesse chiamato in patria, dove ave\a da curare gli interessi domestici. Accettò al¬ lora la cattedra di eloquenza nello Studio fio rentino offertagli dal granduca; e nel 1641 fu consolo dell’Accademia fiorentina, e ascritto u quella della Crusca. Morì il 1° dicembre 1647. Dokmai.ius Enrico. Nello note illustra¬ tivo alle lettere dell'Boiate, il Boissonude scrive di lui che fu «omnibus quidem literis bonis, sed felici tauien Graccorum poetarum imitatione, pr asserti ni conspicuus > : alla morto del Poiresc, col quale era stato in relazione, consacrò alla memoria di lui un componimento in versi greci. È inoltre au¬ tore di un commentario alle poesie di Ur¬ bano Vili. Soggiornò lungamente a Roma, vivendo in grande intimità con Renato do Sluse. del ( ’apitanio, il palazzo Abriani a S. Pro- sdocimo, la facciata orientale del Monte di Pietà, la sala dell’Accademia Delia. Mancò ai vivi il 1° settembre 1629. Dkkbbkl Con n elio. Nato in Alcmaar noi 1572. Per la sua straordinaria attitudine alla invenzione meccanica, godè i favori di Giacomo I re d’Inghilterra o degli impera¬ tori Rodolfo e Ferdinando li. Molto e straor¬ dinarie invenzioni, anzi si può dire la mag¬ gior parte di quelle che vonnero fatto al suo tempo, furono a lui attribuite, insieme con nitro fra le più fantastiche. Mori a Londra j nel 1694. Dudlky Rohkrto. Duca di Northumber- land o conte di Warwick, nacque di Ro¬ berto o di Douglas di Guglielmo Howard di Etfingam a Shoon House (Surroy) il 7 ago sto 1574. Involto in numerosi processi con¬ cernenti la legittimità della sua nascita, ed i suoi divorzi, abbandonò l’Inghilterra osi stabili in Firenze, abbracciando la religione cattolica. Della Bua grandissima abilità come inventore, specialmente nell’ architettura na¬ vale. si valsero i granduchi Cosimo 11 e Ferdinando li, e Maria Maddalena d’Austria lo eie -e per suo ciamberlauo. Morì nella Villa di Castello, ch’egli aveva avuta in dono dalla Casa Medicea, il 6 settembre 1619. . Duo do Alvise. Nato di Francesco in Ve¬ nezia il 1° aprile 1569, oresso alla memoria dello zio Pietro in Monadico un ricordo por onorare in lui il fondatore delle Sotte Chiese. Mancò ai vivi il 12 maggio 1619. Duodo Andrea. Nacque di Alvise in Ve¬ nezia il 19 luglio 1595, fu di Pregadi e nel 1624 podestà di Chioggia; morì il 12 aprile 1648. Dotti Vincenzo. Nacque in Padova di Ettore e di Samaritana P&pafava il 9 otto¬ bre 1576. Lodato come « mathenmticao peri- tissimus et perogrinatione clarus * dal Tom- masini, o detto versatissimo nella cosmografia c nell’architettura dal Portenari per il qualo disegnò le piante della città inserite nella sua opera. Rimangono di lui bolle opere ar¬ chitettoniche in Padova, la scala del palazzo Duono Francesco. Nacquo di Alvise in Venezia, il 17 agosto 1592. Di lui troviamo che fu di Pregadi o che avendo ottenuto dal cardinale Ottoboni un braccio di S. Giu¬ stina con molto altre reliquie, le foco riporre nella chiosa di S. Maria Zohenigo nel 1651. Morì il 7 aprile 1652. Duodo Pietro. Nacque di Francesco in Venezia il 9 maggio 1554. Fu dapprima am- INDICE BIOGRAFICO. 435 basciatore al duca di Savoia, poi noi 1588 a Sigismondo re di Polonia che lo creò ca¬ valiere. Nel 1594 andò ambasciatore ad En¬ rico IV di Francia, rimanendovi tre anni, e poi, di ritorno da altra ambasceria all’Im¬ peratore Rodolfo II, fu fatto Savio e con¬ sigliere. Nel 1603 fu mandato ambasciatore al re Giacomo d 1 Inghilterra, nel 1005 ora¬ tore d’obbedienza a papa Leone XI e poi a papa Paolo V, presso il quale ritornò nel 1600 come ambasciatore straordinario per comporre le note differenze tra la Repub¬ blica o la S. Sede. Nel 1607 fu capitano di Padova e nel 1009 Riformatore dello Studio; e in Padova fondò e dotò generosamente l’Accademia Delia. Egli fu che in Monse- lico edificò le Sette Chiese, avendo ottenuto per esso da papa Paolo V il privilegio dello medesime indulgenze accordate a quello di Roma. Morì tra la line del 1610 ed il prin¬ cipio del 1611. Ddpity Cristoforo. Nacque di Claudio a Parigi verso il 1580. Fu in Roma al seguito del card, di Joyeuse in qualità di protono- tario: di ritorno in patria si fece certosino, o morì procuratore generale del suo Ordine in Roma, il 28 giugno 1(554. Dupuy Giacomo. Nacque di Claudio nel 1586. Custode, insieme con suo fratello Pie¬ tro della biblioteca del re, e suo assiduo collaboratore, formò con lui una ragguar¬ devole collezione di libri e di manoscritti, che legò alla biblioteca alla quale era ad¬ detto. Mancò ai vivi il 17 novembre 1656. Dupuy Pietro. Nato di Claudio in Agcn il 27 novembro 1582. Divenuto consigliere al parlamento e custode della biblioteca del re, si segnalò per il suo amore agli studi, o soprattutto fu generoso dei risultati ai quali era pervenuto mediante l’esame con¬ tinuato por mezzo secolo delle carte degli archivi di Francia. Fu perciò in ottime re¬ lazioni con la maggior parte dei letterati del suo tempo, c divise col fratello Giacomo l’amicizia del Peiresc e del presidente do Thou, del quale ultimo curò lo pubblicazioni storiche. Morì il 14 dicembre 1651. Enicuz Giorgio. Appartenne ad unagran- de famiglia di negozianti tedeschi, venuti in Italia nel secolo XVI da Isny noi Wurtem- berg, e che avevano case e filiali in parec¬ chio città della penisola. Nei documenti del Fontcgo dei Tedeschi in Venezia sono ri¬ cordati due Eherz dal nomo Giorgio, uno soprannominato il vecchio, l’altro il giovane, ambedue nella prima metà del secolo XVII. Eok Giovanni. Nacque di Guglielmo a Deventer nel 1576. Cattolico in paese cal¬ vinista, e di indole alquanto litigiosa, ab¬ bandonò la patria per l’Italia, venne a Pe¬ rugia o vi ai laureò in medicina il 6 agosto 1601, dedicandosi poi alla professione del¬ l’arte medica che esercitò prima a Maenza, castello dei Caci ani, poi a Seandriglia in un feudo degli Orsini. Qui fu involto in un pro¬ cesso per ferimento in legittima difesa, se guito da morte, dalle conseguenze del quale lo liberò la protezione di Federico Cesi, col quale poi e con lo Stelluti e con Anastasio de Filiis sottoscrisse il 17 agosto 1603 il patto fondamentale dell’Accademia dei Lincei: in essa ebbe titolo di « Illuminato », e assunse per emblema una luna clic per mozzo cP un trigono ricevo luce dal solo col motto « A pa- tre lurainum ». Ma in seguito alle persecu¬ zioni provocate dal padre di Federico Cesi, i quattro accademici dovettero separarsi. Dopo molte peregrinazioni, lungo le quali egli raccolse ricchissima messe di osserva¬ zioni nei vari rami delle scienze naturali, fece ritorno a Roma nel 1606; nel 1608 era a Madrid, nel 1614 novamente in Roma. Nel 1616 impazzì,e di lì a non molto venne a morte. Egidi Clemkntb. Da Montcfalco, inqui¬ sitore generale di Firenze dal 1626 al 1635. Ergi (Pannoooiiibsohi dei conti d’) Ar¬ turo, di Carlo e di Urania Rollanti senesi, nacque in Siena intorno il 1564. Compiuti gli studi in patria, e già godendo ivi fama pol¬ ii suo ingegno nell’Accademia dei F’iloruafci, si recò nel 1586 a Roma con l’ambizione di occu¬ parvi alto cariche. Nonostante ch’egli fosse segnalato por dottrina filosofica e teologica, e per arte oratoria, della quale diede saggio in un’orazione elio tenne nel 1588 alla pre¬ senza di Sisto V e dei cardinali nella cano¬ nizzazione di S. Diego Minorità, pure in 490 INDICE BIOGRAFICO. Roma non feco fortuna, u tornò in patria. Tenuto in molta considerazione dai Medici, noi 1609 fu nominato provveditore dello Stu¬ dio di Pisa o Priore della chiesa dei Cava¬ lieri di S. Stefano di quella città. Morì il 20 settembre 1614. Er.oi (PannoOOHUsghi dei conti d’) Orso. Nacque di Ranieri in Siena: ammogliatosi con Lucrezia Bulgarini, nipote di Belisario Vinta, andò con questo a Roma quando il card. Alessandro de’Medici fu creato papa col nome di Leone XI. Benché in sottordine, seppe iu tale circostanza spiegare tale abi¬ lità che il grnnduca Ferdinando I per ri¬ compensarlo gli conferì il capitanato di giu¬ stizia del Montani iato, e nel 1608 lo nomino inviato straordiuario alla corte di Spagna. Partì il 25 agosto, nel corso di quello stesso anno fu confermato ministro ordinario, e vi rimase fino al 26 settembre 1018. Tornato a Firenze, fu eletto con Giuliano de’Medici, FabrizioCollorodoeGio. Francesco Del Monte a formar parto del Consiglio di reggenza costituito in aiuto alle granduclics o latrici di Ferdinando II; il quale raggiunta nel 1628 la maggior età lo confermò nell’ufficio, aven¬ dolo inoltre fin dal 26 dicembre 1621 nomi¬ nato suo maestro di camera: con questa carica accompagnò il granduca nel suo viag¬ gio in Germania. Morì il 15 settembre 1636. Elci (Pannoooii iEsoni dei conti d') Sci¬ pione figlio del conte Orso, dopo essero stato governatore di Spoleto, d’Ancona e di Fer¬ mo, fu eletto vescovo di Pienza il 28 luglio 1631, o da questa sede nominato arcivescovo di Pisa nel febbraio del 1636. Da Innocenzo X fu quindi mandato nunzio a Venezia, o fu pure nunzio in Germania. Alessandro VII lo creò cardinale il 9 aprile 1657, e lo pro¬ clamò il 29 aprilo dell’anno seguente. Mori in Roma il 12 aprile 1670. Elzkvirh Àbramo. Nato a Leida il 14 apri¬ le 1592 ed ivi morto il 14 agosto 1652, pri¬ mogenito di Matteo, alla sua volta primo¬ genito di Lodovico I fondatore della celebre casa. Rimasto per qualche tempo in società col fratello Isacco, poi per proprio conto li¬ braio nel 1621, noll’aimo successivo fece so¬ cietà con lo zio Bonaventura, assumendo la direzione della tipografìa che seppe portare al noto grado di perfezione, cosicché egli viene considerato come il più abile ira tutti gli Elzeviri, e alla sua morte l’Accademia di Leida fece coniare in onore di lui una me¬ daglia commemorativa. Klzkyikr Bonaventura. Nacque di Lo¬ dovico, il fondatore della casa, in Loida nel 1583 o quivi morì il 17 settembre 1652. Ini¬ ziato fui dai primi suoi anni nel commercio librario, viaggiò la Francia e l’Italia, e giù fin dal 16DH aveva pubblicato più volumi per proprio conto. Si associò dapprima col fra¬ tello primogenito Matteo, poi col nipote Abramo, riservandosi la parto commerciale con la guida di Daniele 1 lei usi us, elio fu ad un tempo cliente e collaboratore della grande ditta. Elzevikr Ludovico. Nacque di Josse in Utrecht nel 1604, morì in Leida nel giu¬ gno 1670: fu il rappresentante della sua casa di Leida all’osterò, e dopo avoro, in rappr» -ontanza di quella, percorso tutta l’Europa, «i stabilì in Amsterdam, ne ot¬ tenne la cittadinanza il 8 dicembre 1637, o vi fondò una tipografìa ohe ben presto fu in grado di rivaleggiare con quella di Leida. Engelokk Beniamino. Nato di Beniamino v di Elisabetta Siefert in Danzica il 16 ot¬ tobre 1610: all'età di ventanni lasciò la pa¬ tria e frequentò durante un triennio le uni¬ versità di Lipsia, Jena ed Altdorf, dedicandosi agli studi di giurisprudenza: si recò poi a Strasburgo o di là in Italia, visitando le uni¬ versità di Padova e di Pisa o trattenendosi per qualche tempo anche in Firenze. Figura, ma contrariamente al vero, conio latore del Dialogo dei Mussimi Sistemi a Mattia Ber- negger che li tradusse. Dopo setto anni di assenza fece ritorno in patria, dove, dopo aver occupato i più onorifici uffici, fino a quellodi Burgravio conferitogli nel 1667, morì il 24 aprile 1680. Ensrlmo Ciro. Nacque in Padova di An¬ tonio Francesco detto Ciro e di Nicolosa Naldo uol 1577; fu deputato « ad utilia » nel 1608, e venne ascritto all’Accademia De¬ lia nel 1609, Morì in Padova il 26 feb¬ braio 1617, INDICE BIOGRAFICO. 437 Eiuzzo Francesco. Nacque di Benedetto in Venezia il 21 febbraio 1561. Fu succes¬ sivamente Savio agli ordini, sindaco in Dal¬ mazia, provveditore di Salò, Savio di ter¬ raferma, Sonatore di Pregadi e nel 1607 luogotenente di Udine, poi censore, del Consiglio dei Dieci, Savio Grande, provve¬ ditore generale a Palma, provveditore in campo nello guerre del Friuli, provveditore nel Oremasco o dell'esercito in Lombardia, e provveditore generale dell’armata contro il duca d’Ossuna viceré di Napoli. Addì 22 dicembre 1(518 fu elevato alla dignità di Procuratore di S. Marco; nel 1619 fu man¬ dato ambasciatore all' imperatore Ferdi¬ nando, nel 1620 eletto Riformatore dello Studio di Padova, nel 1623 ambasciatore straordinario a papa Urbano Vili: nel 1625 provveditore generale dcH’armi in terra¬ ferma per la Valtellina e tre anni dopo per la guerra di Mantova. Fu eletto Dogo P11 aprile 1631. Morì il 5 gennaio 1G16, men¬ tre, eletto generalissimo del mare, si appre¬ stava a partire con la (lotta per combattere contro i Turchi che avevano invasa Pisola di Candia. Estk (d’) Alessandro, di Alfonso II e di Violante Signa, naturale legittimato, nacque il 5 maggio 1568, fu latto studiare a Padova e destinato alla carriera ecclesiastica. Con¬ feritagli la prepositura della Pomposa o Par- cipretura della pieve di Bondeno, patronato di sua casa, ebbe poi da Clemente Vili la porpora, il 3 marzo 1599, e il vescovado di Reggio e da Filippo III fu eletto protet¬ tore della Corona di Spagna. Morì in Roma il 22 maggio 1624. Estk (d’) Alfonso III, di Cesare e di Virginia di Cosiino 1 de’Medici, nacque il 22 ottobre 1591. Nel 1628 successe al padre nel ducato di Modena e di Reggio. Rimasto vedovo di Isabella figlia di Carlo Emanuele I di Savoia clic aveva sposata nel 1608, abdicò la corona ducale, ritirandosi l’8 settem¬ bre 1629 col nome di frate Giovanni Battista da Modena, in un convento di cappuccini, dandosi alla predicazione, al qual fine fu anche in Germania. Morì in un monastero della Garfagnana da lui fondato, il 24 mag¬ gio 1644. Estk (d’) Cesare, di Alfonso II e di Giu¬ lia di Francesco Maria della Rovere, duca di Urlano, nato nell’ottobre del 1552, succe¬ dette al padre il 27 ottobre del 1597, ed ebbe da papa Clemente Vili contestata la legit¬ timità dei suoi diritti sui feudi della Chiesa; onde abbandonati questi e Ferrara, con¬ servò soltanto Modena e Reggio. Ebbe guerra con la repubblica di Lucca per il possesso della Garfagnana; ma l’imperatore non negandogli la successione nei feudi im¬ periali, ebbero termine simili contestazioni. Morì Pii dicembre 1628. Estk (d’) Luigi, di Cesare e di Virginia di Cosimo I de’Medici, nacque il 27 marzo 1594. Combattè nel 1613 contro i Lucchesi che avevano assalita la Garfagnana. Fu poi al servizio della Repubblica Veneta, e del¬ l’imperatore: e ritornato dopo qualche tempo a Modena, comandò le forze militari dello Stato e difese il Reggiano dagli assalti del duca di Savoia. Fu inoltre adoperato in mis¬ sioni diplomatiche e di governo affidategli dal nipote duca Francesco. Morì nel 1664. Eudaemon-Ioannks Andiika. Nato a Ca¬ nea, di famiglia discendente dai Paleologhi, fu condotto giovanissimo in Italia ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1581. Professò la filosofia a Roma, e da Urbano Vili fu eletto rettore del restituito Collegio Greco di Roma, o mandato come teologo ad ac¬ compagnare il card. Barberini nella sua le¬ gazione di Francia. Morì in Romu il 24 di¬ cembre 1625. Fàubrizi [Farrioi] Giuliano. Un suo discorso, « Doll’ambitione del letterato », re¬ citato nell’ accademia che si radunava nel palazzo del card. Maurizio di Savoia in Roma, è a stampa nei Saggi accademici dati in quest’accademia e pubblicati da Agostino Mascardi. Ivi è detto che fu recitato « il giovedì avanti le Ceneri », cioè P ultimo gio¬ vedì di Carnevale; e l’autore accenna alla , poiché 1* 8 febbraio 1625 la ap¬ punto l’ultimo Babaio di Carnevale. In essa apertamente condanna coloro che « deferi¬ scono tanto all’autorità do ffli scrittori, elio con sicurezza maggiore credono quel che hanno letto elio quello che haa sempre ve¬ duto », perchè « il deferir troppo all’autorità dall’anticaglia* è «un tarpar Tali et inca¬ tenar le piante allo scienze et aliarti. Che sohiavitudine di mento è quella di non pro¬ ferir parola so non scritta da gli antichi V non approvar concetto se non automato da filosofi? »; tanto più che «questa ido¬ latria dell’anticaglia » induce ad odiare « le maraviglio delle novelle inventioni >, così elio « L’etperienze, che son carattere della natura o parole di Dio, son talmente odiato da essi, che chiudendo gli occhi per non ve¬ dere, aprono subito le labbra per avvilirle. > K con espressa allusione a Galileo e al Cro¬ monino, continua: « Et io so, quando il no¬ vello occhialo Hcoprì nella luna lo apparenze incognite all’antichità, essersi trovato filo¬ sofo famoso che, negando 1* avvicinar lo Sguardo al cristallo, ricorreva ad un di¬ scorso di Plutarco, amando più tosto di va¬ gheggiar le stelle ne’libri che ne’cieli». Fàiikr Giovanni. Nato di Gasparo nel 1574 in Uamberga, che lasciò nel 151)8 per recarsi in Italia. Lo troviamo notato come lettore dei Semplici nella Sapienza di Roma uel 1G00, ma non apparisce, come generai- i mente fu scritto, fra gli archiatri pontifici. Fu ascritto ai Lincei il 29 ottobre 1011, e nella adunanza del 7 aprile 1012 fu di- I chiarate Cancelliere generalo dell’Accade- miu; allo pubblicazioni della quale e special¬ mente u quella del « Tesoro Messicano » porse grandissimo contributo. Mancò ui vivi il 17 settembre 1029, e legò i suoi mano¬ scritti scientifici all'Accademia dei Lincei, e i per essa al principe Federico Cesi che col principe Trivulzio ne fu esecutore testa¬ mentario. Gran parte del suo carteggio scien¬ tifico, all'atto della divisione dell’eredità fra il figlio Gian Domenico, un nipote ex filia, ed una figlia monaca nel monastero dei SS. Quattro Coronati elio aveva rammini- strazione comune con quella dell’ Ospizio degli Orfani, pervenne in proprietà ed ò ancora oggidì posseduta dall’Archivio del detto Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. E a bui di Valavez Palamede di Rinaldo o di Margherita Pompar dama di Peiresc o dì Valavez. 11 padre si chiamava Rinaldo Labri, signore di ('alias, ed aveva un fra¬ tello per nome Niccolò, nome ch’egli imposo al suo primogenito (Niccolò Fabri); o quando questi si trovava presso lo zio a Aix nel 1604, perchè non si confondessero le lettore, as¬ sunse il nome d’uno dei feudi della madre e si chiamò Niccolò Fabri di Peiresc. Il fra¬ tello Palamede assunse il nomo dell’altro feudo materno, e si chiamò Palamede Fabri di Valavez. Fabri cium Davide. Nacque ad Esen il 9 marzo 1504. Protetto ed eccitato agli studi astronomici dal conte Enno II alla corte del quale fu predicatore: benché semplice pre tore protestante in un villaggio, fu os- icrvat *re, calcolatore di tavolo astronomiche ed autore di pruno»tici astrologici; il primo a notare che la Mira Ceti (o della Balena) era stella variabile. Morì il 7 maggio 1617. Fabbiciub Giovanni. Figlio di Davide, nacque a Re derhave nella Frisia Orientale 1*8 gennaio 1587. Il suo nomo si leggo nelle matricole dell’università di Ilelmstcdt solto il di 27 ottobre 1604, ina soltanto verso la metà dell’anno successivo intrapreso gli studi di medicina elio proseguì poi a Wittomberg, poiché ve lo troviamo immatricolato il26 ago¬ sto 1606, e finalmente si inscrisse all’uni¬ versità di Leida PII dicembre 1609. Era ap¬ pena passato, o stava por passare « magister art inni », quando steso la narrazione «Do maculi» in sole observatis et apparento earum conversione », alla quale è raccoman¬ dato il suo nome: la dedica di ossa è de’13 giugno 1611, e pare abbia figurato nella fiera autunnale dello stesso anno, sebbene sia ve¬ nuta a cognizione dogli studiosi soltanto 1* anno successivo. Mancò immaturamente di vita tra il 1616 od il 1617. Facchinetti Lodovioo, di Cesare, ni¬ pote di papa Innooenzio IX, fratello del cardinale Marcantonio e padre del cardi¬ nale Cesare, nacque in Bologna 1 8 lu- INDICE BIOGRAFICO. 439 glio 1580, fa eletto senatore (li Bologna il 21 aprile 1598, ed ebbe dal Reggimento della sua patria immoroso missioni diplo¬ matiche, le quali sostenne con grandissimo decoro. Il duca di Parma, che aveva confe¬ rita la nobiltà alla sua famiglia, lo inviò come oratore a Filippo IV di Spagna. Fu degli Accademici Gelati, e maestro di campo nel torneo intitolato Amore prigioniero in Velo, dato nel 1G28, e in altro dato nel 1632. Morì in Roma il 1° gennaio 1644, mentr’era accre¬ ditato come ambasciatore ordinario presso Urbano Vili fin dal 10 marzo 1640. Failla [Faylla o Favilla] Pietro Gia¬ como. Sacerdote, forse di S. Caterina, terra non molto lontana da Stilo. Lo troviamo strettamente legato col Campanella, ma forse non prima del 1613, in Napoli, poi procura¬ tore delle coso di lui in Roma, in line sempre suo costante amico, così quando il filosofo di Stilo dimorò in Roma, come allorché si trasferì a Parigi. Faille (de la) Gio. Carlo. Nacque in Anversa il 1° marzo 1597 ed entrò nel novi¬ ziato della Compagnia di Gesù il 12 settem¬ bre 1613. Professò le matematiche a Lovanio ed a Madrid, cd ebbe tra i suoi scolari Don Giovanni d’Austria che accompagnò nei suoi viaggi in Catalogna, in Sicilia cd a Napoli. Morì a Barcellona il 4 novembre 1654. Faloonoini Persio. Di Volterra, nacque di Gio. Battista di Benedetto nel 1587. In¬ trodotto al servizio di Casa Medici nell’ago¬ sto 1613, fu segretario del principe I ). Fran¬ cesco figlio del granduca Ferdinando I. Dopo la morte del segretario Orazio della Rena, fu nominato segretario per gli affari di Collo e di S. Miniato nel 1630; nel 1631 passò al dipartimento degli affari dello Studio di Pisa. Con motuproprio del 3 aprile 1637 fu dichiarato segretario di Stato, passò quindi alla Pratica Segreta. Morì nel 1667. Falier Lodovico, di Marcantonio, nato in Venezia il 20 dicembre 1550: fu dei X Savi, e mancò ai vivi nel marzo 1612. Falier Marcantonio. Nacque in Vene¬ zia di Giovanni il 1° maggio 1525. Provve¬ ditore al sale. Morì il 13 ottobre 1587. Fanano de Fratta Giovanni. Dell’Or¬ dine dei Minori Conventuali, prestò giura¬ mento come Consultore del S. Uffizio in Roma il 30 dicembre 1638, ed il suo nome si leggo noi volumi dei Decreta fino al 9 gennaio 1642. Fancelli Chiarissimo, da Settignauo, nacque di Antonio nella seconda metà del secolo XVI, e fu discepolo nella scultura di Giovanni Caccini. Morì il 23 maggio 1632. FAntoni Ricci Niccolò, di Alessandro, nobile senese, figura nel 1631 come « audi¬ tore doll’Ul.mi Signori Luogotenente e Con¬ siglieri nella Repubblica fiorentina », e nel ¬ l’ottobre 1635 lo troviamo nominato « Au¬ ditore della Consulta ». Morì nel marzo 1669 e fu sepolto in S. Ambrogio. Fantoni Stefano. Sotto l’anno 1625 tro¬ vasi nel ruolo degli stipendiati della corte granducale in qualità di architetto. Farnese Odoardo, di Alessandro c di Maria di Portogallo, nacque in Parma il 7 dicembre 1573. Abbracciato lo stato eccle¬ siastico, fu creato vescovo di Tuscolo e di Sabina, cd il 6 marzo 1591 Cardinal dia¬ cono da Gregorio XLV ; ma ebbe il cappello soltanto da Innocenzo IX. Dal titolo diaco¬ nale di S. Eustachio che aveva ricevuto, o che gli fu mutato poi in quello di S. Maria in Via Lata, passò a quello presbiteriale di S. Onofrio. Urbano Vili lo creò vescovo di Frascati, ed in Roma ed a Oaprarola spiegò splendidezza più rogalo elio principesca. Morto il duca suo fratello nel 1(522, venne da Roma per assumere con la cognata il regime di Odoardo suo nipote e dello Stato. Morì in Parma il 21 febbraio 1626. Farnese Odoardo, di Ranuccio e di Mar¬ gherita Aldobraudini, nacque in Parma*il 28 aprile 1612: sposo promesso ad otto anni a Margherita de’ Medici, due anni dopo per¬ deva il padre e gli succedeva nello Stato, tutrice la madre c contutore il card. Odoardo che gli aveva dato il suo nome tenendolo al fonte battesimale. Dopo fiori contrasti di¬ plomatici, ottenne l’intento di condurre al¬ l’altare PII ottobre 1028 la sua promossa sposa. 440 INDICE BIOGRAFICO. Farnui do’ Medici Margherita, di ( o- BÌmo II granduca di Toscana e di Maria Mad¬ dalena arciduchessa d’Austria, nacque in Fi¬ renze il 31 maggio 1812. Nonostante l’insi¬ stenza della regina Mario, che la voleva per moglie del suo secondogenito e sognava una terza Medici sul trono di Francia, e in onta alle arti e maneggi del nichelimi, serbò fedo ad Odoardo Farnese al quale era stata pro¬ messa quando aveva appena compiuti sei anni, e si maritò con lui 1' 11 ottobre 1628. Seppe tener testa agli avvenimenti che du¬ rante la sua vita gravarono fatalmente sui Farnesi, ed all’avventuriero Jauffred emis¬ sario del Kiohelieu. Morì in Tarma il 6 feb¬ braio 1679. Favorini Giuseppe, da Fabriano, dottore in medicina e filosofia, registrato come pro¬ fessore nel rotolo dell’università di Ferrara per l’anno 1606, esercitò lungamente l’arte modica in questa città, dando in luce un « Exercitationum medicarmi! libcr * e una « Synopsis de hoiuinis excellentia *. Fbbki Pietro Paolo. Dal volarne dei J)ecreta del 8. Uffizio del 1633, feria IV, 26 gennaio, risulta che « II. P. D. Petrus Paulus Febeus, nob. Urbevetanua, I. U. U., deputatila novus Asaessor S. Qfficii Urbis, praestitit solitimi iuramentum silenti! iuxta formulam traditam ». Fsroiuo Matteo. Nacque in Dalmazia intorno al 1680, ed entrò giovanissimo nel¬ l’Ordine dei Minori Conventuali. Con decreto dei 30 gennaio 1628 fu chiamato dal So¬ nato Veneto alla lettura di metafisica nello Studio di Padova, e trasferito due anni dopo a quella di teologia. Morì P8 settembre 1669. Ferdinando II. Nato il 9 luglio 4578 in Graz dell’arciduca Carlo di Carinzia e Sti- ria e di Maria di Baviera, dopo la morto di j suo padre fu educato dai gesuiti in Ingoi- stadt, ed ancora vivente l’imperatore Mat¬ tia divenne nel 1617 re d’Ungheria e nel 1618 re di Boemia, e alla morte di quello, fu eletto imperatore a Francoforte il 26 agosto 1619. Egli fu elio diede occasione alla guerra dei trentanni. Morì in Vienna il 15 febbraio 1637. Ferdinando III. Nato a Graz il 13 l u . glio 1608, figlio di Ferdinando II, coronato re d’I ngheria nel 1625 e di Boemia nel 1627 succedet te al padre nel 1637, dopo aver vinti e cacciati gli Svedesi. Cooperò grandemente alla conclusione della guerra dei trent’auni nel 1648. Coltivò le scienze e le arti, e in particolare la musica: una completa edi¬ zione dello sue opere musicali fu non ha guari intrapresa. Morì il 2 aprilo 1657. Ferxat Pietro. Nacque dì Domenico e di Francesca di Cazenave nell’agosto 1601 a Beaumont-do-I omngne presso Montauban. Benché avesse studiato diritto e fosse stato eletto con decreto dei li maggio 1631 con¬ sigliere al parlamento di Tolosa, salì ben presto in reputazione altissima come mate¬ matico, e fu in relazione con i maggiori scienziati del suo tempo. La recente pub¬ blicazione completa dello suo opere ha posto in luce ancor maggiore i meriti di questo grande scienziato, che morì noi gennaio 1665. Ferrano Giovanni. Nacque a Puy nel 1586 ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1601: professò nei collegi dell’Ordine durante dieci anni la retorica, per tre la Sacra Scrittura, o durante qualche tempo anche la teologia. Fu rettore d’Embvun, Mori a Lione il 30 ot¬ tobre 1672. Ferrari Cristoforo, di Verona, scolaro giurista dello Studio di Padova ed ivi con¬ discepolo di Scipione Ghiaramonti, accade¬ mico Olimpico, esercitò l’avvoofttura fiscale in Venezia. Si hanno di lui numerosi com¬ ponimenti poetici, tutti d’indole encomia¬ stica e alcune inscrizioni latine in lodo di Enrico IV di Francia, del doge Leonardo Donato, eoe. Il penultimo, in ordine di data, di tali componimenti ò un carme a Luigi XIII per la prosa della Hoccclla, con una lettera d’introduzione indirizzata al cardinale di Richelicu sotto il 16 novembre 1628; e l’ul¬ timo un elogio in morte di Don Angolo Grillo con la data 17 dicembre 1629. Ferrière (do la) Giacomo. Nacque su quol di Agen. laureatosi in medicina, iu addetto alla casa del card. Alfonso di Richelieu, e lo accompagnò a Roma. Fu anche cultore dello INDICE BIOGRAFICO. 441 scienze naturali, ospite o corrispondente del Peiresc. Ferro Niooolò. Nacque di Marcantonio di Niccolò e di Francesca Contarmi in Ve¬ nezia il 10 maggio 1534. Noi 1587 fu so- praprovveditore alla Giustizia nuova, e nel 1593 provveditore al cottimo di Alessandria. Sostenne poi le cariche di provveditore alle beccherie nel 1595,1614,1616,1618, di prov¬ veditore agli ospedali nel 1598, di esecutore alla bestemmia nel 1601, 1607, 1610, 1611; di savio allo beccherie nel 1602, 1612; di provveditore ai beni inculti nel 1608; fu uno dei commissari sopra il taglio del Po nel 1610, sopvaprovveditore alle biade nel 1615 e 1618, provveditore allo artiglierie nel 1617. Fu infine ripetutamente in predicato d'es¬ sere eletto doge. Fece testamento in atti di Girolamo Lionello il 2 luglio 1619 o morì nel successivo anno 1620. Fidati Gio. Bernardino. Nacque a Cas¬ sano di Calabria nel 1604, ed entrò nel no¬ viziato della Compagnia di Gesù nel 1619. Le fonti storiche della Compagnia non for¬ niscono notizie so non indirette intorno alla sua uscita da essa, dicendosi soltanto che la « Tabula sinuum rectorum et vcrsorum, in partibus sinus totius 10000000» fu da lui edita nel 1636, mentre ancora vi apparteneva. Figliuooi Flaminio, di Siena, fu educato nel seminario romano, o seguì gli studi, avendo sempre a compagno Vittorio de 1 Rossi cbegli dedicò uno dei ritratti della sua «Pi- naeotheca. » Si accomodò dapprima alla corte del card. Agostino Valier, ed alla morte di questo passò sotto la protezione dei cardi¬ nali Pietro o Silvestro Aldobrandini. Ap¬ partenne all’Accademia degli Umoristi, nelle riunioni della quale recitò poemetti e satire d’occasione. Figliuooi Vincenzo. Nacque in Siena nel 1584. Entrò nella Compagnia di Gesù, e vi insegnò per qualche tempo filosofia o matomaticho, dandosi poi interamente alle scienze teologiche. Egli fu il vero autore dello Stanze sopra le stelle e macchie solari sco¬ perte col nuovo occhiale ecc., che, col nomo di Lorenzo Salvi, furono pubblicate da Flu- Vol. xx. minio Figlinoci. Fu rettore del collegio dei gesuiti in Siena: lesse poi, per un decennio, teologia morale nel Collegio romano, chia¬ mandolo il papa all’ ufficio di penitenziere apostolico in San Pietro. Morì in Roma il 5 aprile 1622. Figutsroa (de) Gomhz Suarez, spaglinolo, fra gli altri di sua famiglia conosciuto col nomo di Gomez secondo, nato nel 15S7 a Guadalascara, morto il 14 gennaio 1634 in Monaco. A tempo di Filippo III, ambascia- toro a Roma c a Parigi; poi dal duca di Feria, governatore di Milano, adoperato nelle contese tra la Valtellina cattolica e i Grigioni protestanti. Filiis (de) Anastasio, nato a Torni di Paolo nel 1577, fu uno dei quattro fonda¬ tori dell’Accademia dei Lincei, dove, in quella prima istituzione, ebbe titolo di « Ecclis- sato », e per emblema la luna ecclissata col motto «Spero lucem. » Compose di sua mano un astrolabio per l’Accademia : andarono perduti due suoi lavori, « De arcanis natn- ralihus » e « Novae secundorum motorini tabulae ab Eclipsato Lyncaeo delincatae. » Mancò ai vivi in Napoli nel 1608, e fu se¬ polto nella chiesa delle monache della Ca¬ rità con una inscrizione dettata dal principe Cosi nella quale era detto elio a lui « niliil defuit nisi diuturnum aevuni. » Filiis (de) Angelo, nato a Terni di Paolo nel 1583, fu ascritto nel 1612 all’Accademia dei Lincei e vi ebbe l’ufficio di bibliotecario. Filippo III, di Filippo II e d’Anna d’Au¬ stria, figlia dell’imperatore Massimiliano II, nacque a Madrid il 14 aprile 1578, salì al trono in seguito alla morte del padre, av¬ venuta il 13 settembre 1598, e morì in Ma¬ drid il 31 marzo 1621. Filippo IV, di Filippo III e di Marghe¬ rita d’Austria, nacque a Madrid 1’ 8 apri¬ le 1605 : salì sul trono a diciassette anni e morì in Madrid il 17 settembre 1665. Filonaiidi Ma ugello. Appartenne a no¬ bile famiglia di Rauco (Frosinono) che noi secoli XVI o XVII diede gran numero di 50 442 INDICE BIOGRAFICO. ocolotìittBtici 0 di prelati. Di questo troviamo che fu deputato assoBBore del S. Ultizio il 2 luglio 1597. Fi LO NARDI Mario. Il 14 febbraio 1616, por rinunzia del fratello Paolo Emilio, tatto arcivescovo di Amalfi, prese possesso di un canonicato in S. Pietro; il 21 dello stesso mese fu nominato « Altarista * della Basi¬ lica Vaticana; ed il 2 marzo 1616 deputato per coadiutore al fratello, assessore del S. Uffizio. Fu in seguito referendario di segnatura ed assessore del S. Uffizio egb stesso, e rinunziò a tutti i prodotti uffici, quando il 16 settembre 1624 fu eletto ar¬ civescovo di Avignone o vicelegato. Ur¬ bano Vili lo inviò nel 1643 nunzio apo¬ stolico a Vladislao IV re di Polonio. Mori in Roma il 15 agosto 1644. Pilocarpi Paolo Emilio, di Scipione e di Brigida de Ambrosiis, canonico della Ba¬ silica Vaticana, referendario delTuna e dol- l 1 altra segnatura, assessore del S. Uffizio, da Paolo V fu creato arcivescovo di Amalfi P8 febbraio 1616, e subito mandato come nunzio a Napoli. Governò la sua chiosa per otto anni, e mori a Roma il 28 agosto 1624. Fu seppellito a S. Carlo dei Catinari nel sepolcro della sua famiglia. Finetti Lattanzio. Nacque in Siena di Francesco il 3 gennaio 1568. Fu dal Colle¬ gio di Balìa eletto ruttore dell’ Opera del Duomo il 10 marzo 1619, o mori il 20 di¬ cembre 1618. Fioravanti Leonardo, bolognese, trasse buona parte della sua vita in Spagna, o go¬ dette al suo tempo di gran credito por i suoi segreti medicinali. Mori nel 1588. Fiorentini Francesco Maria. Nacque a Lucca di Mario e Flaminia Tucci il 4 otto¬ bre 1603. Modico, botanico, poeta e soprat¬ tutto valente negli studi storici o di erudi¬ zione ecclesiastica. Morì a Lucca il 25 gen¬ naio 1673. Fiorentini Girolamo, di Mario e di Fla¬ minia Tucci nacque a Lucca nel 1602, segui il corso degli Btndi a Roma, ed entrò gio- vanimmo nella Congregazione dei Chierici Regolari «Iella Madre di Dio. Mancò ai vivi il 18 maggio 1678. Fiorini Inno» eneo padovano, dell’Ordine dogli Eremitani, venne dal Senato Veneto eh amato ni terzo luogo di logica nello Studio di Padova con docreto dei 6 novembre 1605 «• «lupo aver supplito ni secondo nel 1607 fu trasferito al primo con decreto del 6 otto¬ bre 1611. Mori di poste nel 1631. Fi.uun Roberto, nato a Milgate (Reni) nel 1574, «li T«unmaso tesoriere della regina Elisabetta, fu educato ad Oxford; e dopo aver girato per rette anni l’Europa, feco ritorno in patrin e si laureò in medicina. Filosofo, medico, anatomico, fuòco, meccanico, chimico c matematico, devo la sua reputazione al grande sistema teosofico e cosmogonico,una specie di panteismo materialista, combattuto, tra gli altri, dal Keplero, dal Mersenne e dal Uamu-ndi. Morì in Londra l’8 settembre 1637. Foxskoa Rodriqo di nazione portoghese, nato fra il 1540 ed il 1550, fu eletto nella ' Sapienza di Pisa alla cattedra di logica, dalla quale noi 1581 passò alla straordina¬ ria di filosofia, e noi 1584 alla ordinaria di teorica medica. Il Senato Veneto lo chiamò noi 1615 alla cattedra primaria di medicina pratica nello Studio di Padova, che occupò lino alla morto avvenuta nel 1622. Font Dionisio. Di famiglia catalana, sta¬ bilita in Alghero fin dal 1357, cavaliere del¬ l’Ordine di S. Stefano il 23 dicembre 1581, morto il 5 dicembre 1590. Fontana Francesco. Nacque in Napoli intorno al 1590. Preteso d’avere nel 1608 inventato il cannocchiale composto di due lenti convesse, o noi 1618 il microscopio. Dello osservazioni da lui fatte, nessuna delle quali però anteriore al 1629, con questi suoi Bt riunenti diede ampio ragguaglio nel 1646 con lo « Novae coolestiutn terrestriumque rerum obaervationos. » Mancò ai vivi in Na¬ poli nel luglio 1656. Fontana Giovanni. Di famiglia oriunda | da Como, nacque nel 1540 ed esercitò 1 arte INDICE BIOGRAFICO. 443 sua (li architetto, specialmente idraulico, ili Roma, dove mori nel 1614. A lui si deve la condotta dell’acqua Paola, e lo aver ar¬ ricchito lo maggiori villo romane di fon¬ tane, cascate, peschiere. Prese parte alla spedizione contro Cesare d’Este per la con¬ quista di Ferrara. Fontanella. Dì Verona. Forse il (tìo. Pie¬ tro del quale un « Tractatus de pnctis nuptialibus » fu edito a Venezia nel 1645 e a Ginevra nel 1684 o nel 1686. 0 più pro¬ babilmente quel Domenico che in data « Pa- tavii XI Gal. Octobris MDIIO » segnava il suo nome nell’«Album Amicorum» di Tom¬ maso Seggett accanto a quello di Galileo o di tanti altri suoi amici e corrispondenti. Fontànklli Alfonso. Nato a Poggio di Modena il 15 febbraio 1557, servì gli Estensi, prima in Ferrara poi in Modena, passando di grado in grado lino a divenire il più au¬ torevole consigliere del duca Cesare. Dopo essere stato dal 1605 al 1608 in Poma col titolo ed ufficio di gentiluomo residente per il duca di Modena in luogo del conto Paolo Manfredi, il 27 settembre di quest’ultimo anno, col consenso del suo sovrano, si tra¬ sferì a Firenze, chiamatovi dal granduca, per maggiordomo maggiore dell’ arciduchessa Maria Maddalena d’Austria sposa dol gran- principe Cosimo; e con decreto 24 dicem¬ bre 1608 gli venne anche conferita la so¬ printendenza sulle cose musicali della corte. Rimase a Firenze fino al 1611, poi lino al luglio 1612 fu inviato dal duca di Mo¬ dena alla corte di Spagna. In compenso dei lunghi e fedeli servigi prestati, il duca Cesare lo promosse suo cameriere segreto e consigliere di Segnatura o di Stato, nel 1612 gli conferì il feudo di S. Donnino col titolo di conte, o nel 1619 gli donò la giurisdizione delle Carpinete con titolo marchionale. Mancò ai vivi il 18 febbraio 1622. Fo»8TNER Cristoforo. Macque il 7 ot¬ tobre 1598 noi castello di Perckousloin nel¬ l’Austria superiore. Seguì gli studi nelle università di Tubingen o di Vienna ; e ve¬ nuto in Italia, fu scelto dai suoi conna¬ zionali scolari dello Studio di Padova per complimentare nel 1625 il nuovo dogo Gio¬ vanni Cornavo, nella quale occasiono meritò d’essere decorato dell’Ordine di San Marco. Ritornato in patria, ricusò l’offerta d’entrare ai servigi imperiali per non trovarsi costretto a rinnegare la religione protestante nella quale era nato. Fu poco appresso investito dell’ufficio di Cancelliere di Montbéliard,dove venne a morte il 29 dicembre 1667. Forte sode Giorgio. Nacque in Londra, di Giovanni e di Elena Iionslow, intorno al 1578. Educato a Douay, fu ammesso nel collegio inglese di Roma noll’ottobre 1609, e vi rimase fino al 1611. La reputazione scientifica nella quale era salito dopo la pubblicazione dello sue «Ferme Acndcmi- cao » fu tale, elio Edmondo Bulton no re¬ gistrò il nome nella lista originale dei mem¬ bri della disegnata Accademia Reale. Mancò ai vivi nel 1659, avendo testato il 17 luglio. Fosoaiuni Paolo Antonto. Nacque in¬ torno al 1580. Indusse in errore tutti gli scrittori che si occuparono di lui, facendosi credere veneziano della famiglia patrizia dei Foscarini, per essersene attribuito oltre il cognome anche lo stemma nobiliare, mentre egli era nato a Montalto di Calabria, ed il cognome della sua famiglia era veramente Scarini. Nell’Ordine Carmelitano nel quale era entrato, fu due volte provinciale, reg¬ gente a Napoli ed a Messina, e qui pubblico professore di teologia. Fondò in Montalto un convento di Carmelitani, o vi morì il 10 giugno 1616. Frambotto Paolo. Libraio editore in Pa¬ dova, fu il primo custode della Biblioteca universitaria istituita nel 1629. Franchi Diego. Di nobile famiglia ge¬ novese, vestì l’abito vallombrosano ancor giovanetto, e ne professò la regola il 15 aprile 1609. Laureatosi in teologia nella università di Pavia, divenne ben presto uno dei luminari dell’Ordine, e fu detto consultore delle due congregazioni dell’In¬ quisizione e di Propaganda Fide. Esercitò por parecchi anni la carica di lettore in Passignano ed Astino, e creato abbate ebbe 11 governo di vari monasteri. Cessò di vi¬ vere il 16 novembre 1652 in Marradi, es- i 444 INDICE mori R A FICO. Bendo colà abbate ili S. Reparata, e tu bc- polto a Valloiubrosa. Frangimi Ippolito, detto il Tordo. Di lui bì hanno troppo scarse notizie, in con¬ fronto della grande reputa*ione nella quale era tenuto al suo tempo come meccanico co¬ struttore, ritrovandosi appena un cenno del¬ l’opera ch’egli prestata nel laboratorio gran¬ ducale delle pietre dure. Freddolino. Di questo medico padovano non abbiamo trovato altre molitorio, da quelle in fuori che si leggono negli atti mortuari dei pazienti eh’ egli curò nell’ ultima loro malattia: fra queste però vogliamo espres¬ samente notare quella relativa al padre suo, Gaspare, morto u '.*2 anni in parrocchia d« l Duomo, il 27 febbraio 1015. Molto proba¬ bilmente egli morì fuori di Padova, pcrch* del suo decesso non abbiamo trovato traccia negli atti mortuari a tutto il secolo deei- inoaettimo. Fruunsiikim Giovanni, nuto in Dim il 16 novembre 1608, dopo avere studiato giu riBprudenza e scienze politiche a Marburg od a Giessen, ni portò a Strasburgo dove venne dui Dernegger avviato agli studi uma¬ nistici e storici. Noi 1042 fu chiamato ad occupare la cattedra di eloquenza e politica uolla università di Upnala, e nel 1047 venue eletto storiografo e bibliotecario della re¬ gina Cristina di Svezia. Ritornò alla sua cattedra nel 1650, ma si dimise due anni dopo, fece ritorno in Germania, ed obbo l’ufficio di consigliere di corte e di profes¬ sore onorario della università di Heidelberg. Mancò ai vivi il 31 agosto 160O. Fiuis Enrioo, nato ad Ileaselager il 0 agosto 1570 da Niccolò (n. 1544, in. 1610) ! e da Viheke Gyldestieruo (iu. 1013). Rimase presso i genitori lino all’età di 7 anni, e poi insiome con altri giovani nobili fu educato col principe reale Cristiano IV, rimanendo ai servigi del re per circa 10 anni. All’età di 17 anni fu mandato in Francia, dove ri¬ mase oiuque anni, o poi prese parte alle guerre ungherese e turca. Rientrò in patria nel 1599, e servì presso il re per cinque anni. Il 0 luglio 1604 è inscritto nelle matricole dell'università di Padova. Rimase per qual- che tempo a Roma, e nel 1607 ritornò in patria, dove il padre gli cedette la casa avita di Grbeklunde in Fionia, dove rimase tre anni dedicandosi agli studi di latino, fran¬ cese, italiano. L’anno 1011 prese parte alla guerra fra la Danimarca o la Svezia: si am¬ malò il 4 luglio 1012 e si ritirò a Elfshorg dove morì il 17 luglio 1012. Froipmont Liberto. Nacque inllaccourt noi Belgio nell’anno 1587: seguì gli studi li umanità a Maestrioht, e compì nel 1606 quelli filosofici nel collegio del Falcone in Lo.uni»), nel quale fu chiamato poco ap¬ preso ail occupare la cattedra. In bile uf¬ ficio fu dotto a presiedere quegli esercizi conosciuti sotto il nome di Saturnali o Di- icussiorti quodlibetiche, di cui si ha un sag¬ gio notevole nella pubblicazione curatane dal 1 roidmont stcs-o col titolo di Saturna- lUi-ir rooì'ie, mi in lue sommo, sive peregri- nalione cadesti, Lovnnii 1610 e ristampate nel 1665. Dispostissimo, per l’indirizzo dato ai «noi studi, ad abbracciare il sistema co¬ pernicano, no fu distolto dal decreto ilei 1616, e cominciò a manifeatarvisi decisamente con- t cario nei Md creolo gicorum libri sex dati alla luce in Anversa nel 1627. Più risoluta- mente poi lo prese a combattere. noll'A«i-Ari- Starchus, o novamente nella risposta al figlio del l.aiiBbergio intitolata: Vesta, sive A ni-Aristarchi vindex, adecrsus Iac. Lan- sbergiuro PhiUppi F. Medium Muldclbur- gensem. Morì in Lovanio il 27 ottobre 1653. Fuggir Giorgio. Appartenne alla grande famiglia dei banchieri e negozianti di Au¬ gusta, e precidameli te alla linea di Yollen- 1 bnrg, e fu figliuolo di Iacopo capo di questa. Nacquo il 2 settembre 1577, fu consiglierò e gentiluomo di camera degl’ imperatori Ro¬ dolfo, Mattia e Ferdinando, prefetto provin¬ ciale della Svevia, capitano supremo del Co¬ mitato di Mitterburg. Morì il 5 giuguo 1643. Fuookr-Kirohiirim (di) Ottonh Enrico, nato di Cristoforo 1’ 11 gennaio 1590, morto nel 1644. Gaetani Laura. Eletta priora del mo¬ nastero ili S. Matteo in Arcetri il 3 dicem¬ bre 1614 ; durò iu carica tre anni. INDICE BIOGRAFICO. 445 Gaffarel Giacomo, di Claudio e di Lu¬ crezia Bei-monde, nacque a Mane nel 1601, studiò nell’università di Valenza, ed abbrac¬ ciò lo stato ecclesiastico. Divenuto bibliote¬ cario del card, di Rioholieu, fu mandato da questo nel 1626 in Italia per larvi ricerca di libri rari e manoscritti. Nel 1632 vi tornò, soggiornando prima a Roma, poi a Venezia, dove fu per divenire bibliotecario di S. Marco. Tornato in Francia, dopo una escursione in Grecia e nell’Asia Minore, di¬ venne elemosiniere del re e fu investito di molte altro cariche, fra le quali quella di abbate di Bigonce (Provenza), dove morì il 1° novembre 1681. Gagliardi Giuseppe. Nacque intorno al 1552: poetò in lingua pavana, sotto lo pseu¬ donimo di « Rovegiò bon inagon. » Gaio Bernardino. Di lui sappiamo che esercitava 1’ arte medica in Venezia ; degli storici dello Studio di Padova, il solo Faccio- lati nota che con decreto dell’8 febbraio 1608 fu condotto dal Senato Veneto alla lettura di medicina teorica ordinaria in primo luogo, nello Studio di Padova; ma non risulta nem¬ meno che abiliti letto, poiché il Santorio il quale occupò la stessa cattedra, nel 1611, lodando nella prolusione i suoi predecessori, non lo nomina affatto. Gala mini Agostino, nato a Brisighella nel 1552, professò ancor giovine nell’ordine dei Predicatori nel convento di Meldola; nei pontificati di Gregorio XIII e Sisto V, fu inquisitore a Broscia, Piacenza, Genova e Milano; da Clemente Vili fu fatto prima Commissario del S. Uffizio, poi Maestro del Sacro Palazzo; c noi 1608, da Paolo V, Gene¬ rale dell’Ordine. Mentre era in Parigi at¬ tendendo a riforme nell’ Ordine stesso, il 17 agosto 1611 fu creato cardinale prete del titolo di S. Maria d’Aracoeli. Nel 1613 fu no¬ minato vescovo di Recanati e Loreto, e nel 1620 trasferito alla diocesi di Osimo. Morì nel luglio 1639 in Osimo, lasciando erede la congregazione di Propaganda, che gli eresse un monumento in quella cattedrale. r Pibtropaolo, fiorentino, del- l’Ordine dei Servi di Maria, del quale ab¬ biamo trovato soltanto clic nel settembre 1GG8 andò a visitare, e a quanto pare In qualità di Superiore, il convento di Carraia presso Pietrasanta. Di lui si hanno, tra altre cose, alle stampe le prediche quaresimali che aveva dette in molto città d’Italia. GinsLiBRi Federico, della famiglia di Pio V, nacque di Francesco in Roma in¬ torno all’anno 1560. Seguì la carriera mili¬ tare, e uel 1595 fu da Clemente Vili eletto luogotenente generale della Chiosa in Un¬ gheria, da Paolo V « Patrimouii Tribunus Militimi» nel 1606, e nel 1617 nominato ge¬ nerale della cavalleria da Carlo Emanuele di Savoia che gli conferì un marchesato nei suoi Stati. Morì nel 1619 a Torino, dove fondò la famiglia piemontese dei Ghislieri. Giaoomini Tebalducci Malespint Lo¬ renzo, nato in Ancona intorno al 1552 di antica famiglia fiorentina, da Iacopo di Lo¬ renzo Giacomini (e perciò zio di Gio. Bat¬ tista Iticasoli, nato da Costanza sua sorella) c da Lisabetta di Filippo Gondi. Fu valente letterato, e godo larga e grandissima stima tra’contemporanei. Fu consolo dell’Accade¬ mia dei Lucidi nel 1506; e dell’Accademia fiorentina nel 1583, succedendo a G.B. Strozzi il giovane; c reggente di quella degli Alterati. Compose versi greci, latini e italiani, ma so¬ prattutto sono di lui e a stampa e inedite molte orazioni o prose accademiche, alcune dolle quali fanno testo di lingua. Giannini Tommaso. Nacque in Ferrara nel 1559, e lesse per circa cinquantaainque anni filosofia o medicina nella patria univer¬ sità. Morì il 23 dicembre 1637. Giani Antonio, dottore deH’Ambrosiana, sul cadere del 1616 fu mandato dal card. Fe¬ derigo Borromeo in Toscana con raccoman¬ dazioni alla famiglia granducale porche gli fosse agevolato l’apprendimento della lingua araba, ch’egli imprese infatti a studiare in Pisa con la guida d’un turco per nome Abdallali latto schiavo dalle navi toscane. In Pisa conobbe il Castelli clic vi era let¬ tore dello Studio, e, col mezzo di lui, Ga¬ lileo ohe visitò a Bellosguardo. Mancò ai vivi nel 1634. 452 INDICE BIOGRAFICO. Gilberto Guglielmo. Nacque di Giro¬ lamo a Colchaeter noi 1510, e segui «li «tudì noi St. John’a College, nel quale fu promosso baccelliere in arti noi 1580, membro noi 1561, e maestro nel 1564. Laureato in medicina noi 156!», ne intraprese Teseremo nel 1578, salendo in osso a così alta reputazione da essere eletto medico della regina Elisabetta o chiamato a coprire nel Collegio medico di Londra i più elevati uffici tino a quello di presidente al quale fu chiamato nel 1600. in quest’anno medesimo pubblicò l'opera capitale « Po magnete ». Altre sue scritture furono pubblicate postume dal fratello di lui in Amsterdam nel 1651 col titolo: «l>e mando nostro sublunari philoaophia nova ». Morì il 30 novembre 1603, quando appunto era stato eletto medico di re Giacomo I. Ginetti Marzio, di Gio. Battista e di Olimpia Ponzianelli, nacque in Velletri il 6 aprile 1585. Avviato dai genitori alla car¬ riera ecclesiastica, compì i suoi studi nel Col¬ legio romauo, e subito dopo fu da Paolo V annoverato tra i suoi camerieri segreti. Il credito di cui godeva, e i numerosi uffici dei quali era stato investito, aumentarono an¬ cora sotto Urbano Vili, che gli ora parti¬ colarmente benevolo: divenne maggiordomo pontificio, ed il 1‘.) gennaio 1626 cardinale diacono col titolo di S. Maria Nuova e vi¬ cario di Roma, carica eminente che toune sotto cinque pontefici. Dopo aver disimpe¬ gnato importanti e difficili missioni in Italia o fuori, fa ascritto a quasi tutte le Con¬ gregazioni cardinalizie. Dimessa la diaconia o passato alTordine dei preti, ottenne il ti¬ tolo dei SS. Pietro e Marcellino, quindi da Alessandro VII ebbe il vescovado di Porto. Morì in Roma noi 1671. Giovanni Giorgio I, di Cristiano, nacque il 5 marzo 1585, succedette nel 1611 neU'elot- toruto di Sassonia al fratello Cristiano II morto senza figli : prese parto grandissima alle vicende della guerra dei treni'anni, e morì 1*8 ottobre 1656. Girardi Iaoopo, di Vincenzio e di I.hìbr di Luigi Capponi, nacque in Firenzo il 12 feb¬ braio 1576. Fu aggregato alTAccadeuiia della Crusca, od a quella fiorentina delia quale fu consolo nel 1621. Da Alessandro Adimari nelle uoto alla traduzione di Pindaro, è no¬ minato tra i virtuosi gentiluomini che’erano al suo tempo in Firenze e vi facevano fiorire 1° accademie; e tra i medesimi, cultore anche delle belle aiti, ricordato dal Buldinucci- e finalmente da Francesco Rondinelli, nella Relaziona del contagio stato in Firenze, fra i più cospicui che no morirono, è chiamato « gentiluomo «li finissimo giudizio in ogni t?rudizione ». Morì il 10 novombre 1630. Giraldi Roberto di Neri, ricordato nei primi anni del Seicento, verosimilmente ac¬ compagnò il padre in Polonia, conservando poi relazioni personali con quella corte. Morì nel marzo 1674 v fu sepolto in S. Croco. Girami Pietro Antonio. Non se nc trova alcun cenno nelle biobibliografie musicali; però di lui possiamo «lire elio era di Napoli, od almeno vi viveva nella prima metà del secolo XVII. La Biblioteca Nazionalo di Fi¬ renzo possiede di lui tra le coso raro: 1) «Arie a più voci », con la dedica al « Signor Theo- doro Mandatorioci, duca di Urosia» in data di Napoli, IN > giugno 1630. 2) « Il pazzo con la pazza, ristampata; et Uno hospcdalo per gl'informi «li Amore. All’Altezza Serenis¬ sima di Anna de’ Medici * con la dedica pure da Napoli, ma senza data. 3) «Ariea più voci * con lo stosso frontespizio del n. # 1, ina il contenuto diverso. Giro lami Oblandini Piero, di Lionardo <• di Laura di Giovanni dei sen. Piero Or- landini, dalla quale fu lasciato crede del ricco fiderommisso e del cognome, nacque il 12 giugno 1588. Laureato in Pisa in diritto canonico e civile, e ascritto al Collegio degli * avvocati in Firenze, professò il diritto ca¬ nonico nello Studio pisano dal 1G10 al 1(519. Nel 1621 fu eletto de’Dugento, nel 1631 se¬ natore, o poscia segretario delle Tratto. Am¬ messo all’Ordine di S. Stefano il 28marzol612, fu eletto gran cancelliere nel 1632, e quindi a titolo di anzianità diventò priore di Ur¬ bino. Fu ascritto all’Accademia dollà Crusca, a quella degli Apatisti, e alla fiorentina, di cui fu consolo noi 1638. Morì il 3 settem- I bre 1672. INDICE BIOGRAFICO. 453 Giugni Niccolo, di Vincenzio, nacque in Firenze nel 1585. Fu eletto dei Dugento il 7 settembre 1621,por il quartiere di S. Croce: degli Otto di Guardia e Balìa il 1° novem¬ bre 1623: senatore il 20 settembre 1625. Fu anche dei Nove, e sedò noi Magistrato Su¬ premo il 1°febbraio 1634,e il 1°febbraio 1636. Luogotenente dei consiglieri dal 1° ago¬ sto 1637, accoppiatore il 1° agosto 1634, capi¬ tano di Parte il 1° marzo 1640. Morì essendo ancora luogotenente, nel febbraio 1648. Giugni Vinoenzio. Nacque in Firenze tra il novembre e il dicembre del 1556. Fu dap¬ prima gentiluomo di camera del granduca Ferdinando 1, poi guardaroba di palazzo nel 1603 e guardaroba maggiore nel 1605. Nel 1600 sonatore, e nel 1601 ambasciatore straordinario ad Enrico IV per congratu¬ larsi della nascita del Delfino. In un privi¬ legio granducale del 1° febbraio 1607 ò detto « Gran Priore di S. Stefano ». Fu anche Ope¬ raio perpetuo dell’ Opera di S. Maria del Fiore. Morì il 19 gennaio 1622, o fu sepolto in S. Croce. Giunti Cosimo, di Iacopo (fratello di Fi¬ lippo il giovane) e di Maddalena Baklesi, nato nel 1579, continuò la ditta tipografica in Firenze, mentre altri membri della fami¬ glia l’avevano trasportata a Roma, a Vene¬ zia, a Burgos, a Salamanoa, a Madrid ed a Lione. Giunti Modf.sto, di Filippo il giovane del ramo fiorentino dei Giunti e di M. An¬ drea della Fonte, nato il 22 febbraio 1582, estinto il ramo della casa che si era stabi¬ lito a Venezia, vi si trasferì, continuando l’impresa tipografica, che troviamo ancora sotto la sua direzione nel 1642 e che si man¬ tenne attiva fin verso il 1657. Giusti Camillo. Nacque di Giovanni di Giusto nel 15G2, e il 10 giugno 1589 fu dal granduca Ferdinando 1 nominato gentiluomo della granduchessa. Trovasi a ruolo come segretario nel 1605-1606. Giusti Matteo. Nacque di Camillo in¬ torno al 1585: compiuti gli studi legali nel¬ l’università di Padova, tornò in patria e fu egli pure addetto, come il padre, al servi¬ zio della corte granducale. Giustiniani Anduea. Nacque ad Aiaccio il 22 dicembrol570 da Leonardo Taranchetti e da Barbara Bianchi. Battista e Benedetto Giustiniani, patrizi Genovesi, avendo caris¬ simo il padre suo Loonardo, gli dettero il loro cognome. Andrea il 30 novembre 1591 entrò a Roma nell’Ordine dei predicatori, ed ivi, nel convento della Minerva, insegnò più anni : ebbe tra i suoi scolari Leone Allacci. Nel 1610 da Paolo V fu fatto commissario del S. Uffizio, c il 24 novembre 1614 vescovo d’isola in Calabria. Morì il 25 novembre 1617, e fu sepolto nella cattedrale d’isola. Giustiniani Benedetto di Giuseppe, pa¬ trizio genovese, nacque il 5 luglio 1554 a Scio. Dopo aver seguiti gli studi nelle uni¬ versità di Perugia e di Padova, si laureò in ambe le leggi a Genova il 15 aprile 1577. Gregorio XIII gli conferì gli stessi benefizi che già aveva posseduti il suo defunto zio cardinale Vincenzo; e Sisto V lo foce prima tesoriere generalo, o poco dopo il 17 dicem¬ bre 1586, lo creò cardinale diacono di San Giorgio in Velabro, diaconia che poi cambiò col titolo di S. Prisca. Sostenne uffici, mis¬ sioni od incarichi delicatissimi, e da Paolo V gli fu commessa la legazione di Bologna che con sommo plauso esercitò per cinque anni. Morì in Roma il 27 marzo 1621. Giustiniani Benedetto. Nacque a Ge¬ nova intorno al 1550, ed entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù a Roma nel 1567. Insegnò retorica nel collegio Romano, teo¬ logia a Tolosa, Messina o Roma, e fu du¬ rante vent’anni rettore della Peniteuzieria del Vaticano. Servì da teologo al card. Cac- tani durante la legazione di questo in Po¬ lonia. Morì a Roma il 19 dicembre 1622. Giustiniani Fhanoesoo. Nacque in Ve¬ nezia di Antonio e d’una Soranzo il 18 gen¬ naio 1554. Eletto vescovo di Troviso il 18 lu¬ glio 1605, occupò la sede fino alla rinunzia fattane al nipote Vincenzo alla fine deH’anno 1623. Giustiniani Giuolamo. Nacque in Vene¬ zia di Pietro di Girolamo e di Marina di 454 INDICE BIOGRAFICO. Daniele Giustinian il 26 agu«to 1(>11. Fu Savio del Consiglio, eletto ambasciatore agli Stati Generali d'Olanda il 24 ottobre 1686, in Francia il 1° febbraio 1689, in (spoglia l’il giugno 1618, all’imperatore il 16 ago¬ sto 1650, o il 8 dicombre 1653 a Rema, dove morì di posto il 15 agosto 1656. Giustiniani Lorenzo. Nato di Leonardo e d’una Gornaro il 16 dicembre 1570. Ab¬ bate, cavaliere dulia gran croce di Malta, commondatoro di Saeile, gran priore di Roma. Mancò ai vivi nel 1610. Giustiniani Maroo, di Francesco o di Paola Soranzo, nacque in Venezia il 12 mar¬ zo 1541. Dopo aver prestato l’opera sua in alcune funzioni dello Stato di minoro im¬ portanza, fu mandato nel 1578 ambasciatori- al duca di Savoia, nel 1583 podestà a Per¬ gamo. Più tardi fu eletto consigliere, e nel 1600 era capo del Consiglio dei Dieci. Giustiniani Orazio. Di « Iloratius .Insti nianus Chien. Uibliothocno Vaticanae Biblio- thecarius et S. Theol. Doctor * nei volumi dei Decreta del S. Uffizio ai legge in feria &•, 23 maggio 1630: « SS."*®* doputavit in Con- sultoremSS. Oflicii [Jrbis lMIoratium Justi- nianum Congregationis Oratorii et nmndavit illi dati solitum iuramenturn ». Giustiniani Vinoinzo. Nato di Daniele e d’una Gradenigoil 27 marzo 1590, succedette allo zio Francesco nel vescovato di Treviso il 18 dicembre 1623, e fu trasferito a quollo di Brescia il 31 gennaio 1633, che resse con lode grandissima per dodici anni. Mancò ai vivi in Venezia, dove per motivi di salute a'era ridotto, il 13 febbraio 1615. Glaser Fuippo. Nato a Strasburgo nel 1554, professore di storia in q noi la univer¬ sità e mancato ai vivi nel 1601, non può essere quello al quale accenna il Berneggi*!- nò sapremmo affermare se si tratti di Giosia « secretami!» quindecimviralis », e poi resi¬ dente per il re di Svezia in Strasburgo; oppure di Guglielmo Cristiano, tipografo e libraio dell’università di Strasburgo: che con ambedue era il Dernegger in ottime ro- lazioui. Gloriosi Gio. Camillo. Nella terra dì Giironi (Salerno) o precisamente nel villa# gio di (lauro nacque nel 1572; o conseguita la laurea m filosofìa od in teologia, tutto si voIho allo matematiche. Disgustato del poco pregio nel quale questi studi orano tenuti nella sua patria, si recò a Roma dove strinse relazione col Clavio o col Terrenzio, o final¬ mente venno a Venezia e vi attese ni pri¬ vato insegnamento, non essendo stata accolta una sua domanda di leggere matematiche nello Studio di Padova in concorrenza con Galileo. Alla partenza di questo, fu tra vari concorrenti eletto a succedergli con decreto 1 dei 25 ottobre 1613; ma dopo lo spirare ; della condotta, non avendo ottenuti i mi- : liorau leu ti elio aveva chiesto, si ricusò di risalire la cattedra la quale i Riformatori ilello Studio, disgustati per le sue insistenze, dichiararono vacante. Si ritirò allora a Na¬ poli, dove, fallitogli il tentativo di ottenero la lettura matematica di Bologna, rimase definitivamente, attendendo ai suoi studi ed a polemiche vivacissime nello quali rifulge lutto Pararne ilei suo ingegno. Morì 1’8 gen¬ naio 1613. Goi.ua t Mklohiorue. Nacque in Espen presso BiBchofzell nel cantone di Tfiurgau nel 1578, ben noto per la sua eccezionale attività letteraria nella teologia, nulla giu¬ ri .prudenza, nella politica, nella medicina, nella filosofia, nell'economia, nella storia e nella filologia, benché si dichiari dai suoi biografi ohe quello che ò fuori col mio nome nói ancora poco in conliouto di quello elio «•gli scrisse per conto altrui. Morì in Giessen nel 1635. Goldoni tuo. Battista. Laureatosi a Pa¬ via nal 1633, divenne ben presto avvocato celebre: il Senato milanese lo deputò suo difensore nella causa di precedenza in con¬ fronto del Consiglio Segreto che fu discussa a Madrid. Fu vicario della pretura ili Pa¬ via, pretore a Vigovano ed a Tortona, vi¬ cario della Martoriami; e sarehho salito a di¬ gnità maggiori, se non fosse mancato ai vivi nella fresca età di quaraut’anni. Gondi Alberto. Di famiglia fiorentina, trapiantata per ragioni di commercio a Lione INDICE BIOGRAFICO. 455 fin dal principio del secolo XVI, e che verso il 1550 era in auge. Antonio Gondi, padre di Alberto, vendè infatti l’il febbraio 1555 a Lucrezia Cavalcanti il castello di Perron presso Oullins, dove erano stati splendida¬ mente ospitati Carlo IX e Caterina de’Medici. Condì Ciò. Battista. Nacquo di Ales¬ sandro di Gio. Battista in Firenze il 17 no¬ vembre 1589. Nel 1623 era residente per il granduca in Francia; e tornato di là nel 1G36, fu dichiarato segretario di Stato con diritto di successione al Bali Andrea Cioli: come primo segretario di Stato assistè infatti al Capitolo Generale doi cavalieri di S. Stefano tenuto in Pisa il 7 aprilo dol 1641, e vi fu nominato gran cancelliere: lo stesso anno fu anche creato senatore. Adoperato di fre¬ quente nelle più delicate trattative diploma¬ tiche con la Repubblica di Venezia, col duca di Modena e con la corte di Roma, mancò ai vivi il 18 dicembre 1664. Gonzaga Cablo. Nato di Luigi e di En- riehetta di Cleves il 16 maggio 1580, suc¬ cedette nel ducato di Mantova a Vincenzo II morto il 25 dicembro 1627 senza discendenza legittima. Mancò ai vivi il 20 settembre 1637. Gonzaga Eleonora, di Vincenzio I, duca di Mantova, c di Eleonora do’ Medici, nata nel 1599, moglie dell’ imperatore Ferdinan¬ do li, morta il 27 giugno 1G55. Gonzaga Ferdinando, di Vincenzio e di Eleonora di Francesco do’ Medici, nacque il 26 aprile 1587, morì ai 29 ottobre del 1626. Cardinale nel 1605, prese il titolo di duca di Mantova e di Monferrato nel 1612, alla morte di Francesco IH suo fratello. Rinun¬ ziato, nel 1615, il cai’dinalato, aveva segre¬ tamente presa in moglie Camilla Faà da Casale, dalla quale ebbo un figlio, Giacinto; e divorziatosi, sposò Caterina di Ferdinando I dei Medici, dalla quale non ebbe discendenti. Gonzaga Francesco, dei marchesi di Man¬ tova. Gentiluomo di camera del granduca di Toscana nel 1609, coppiere nel 1616, si trova in uffici di corte come gentiluomo nel 1622 e 1627. Il 22 aprile 1629 il capitolo doli’ Or¬ dine di S. Stefano lo elesse gran contesta¬ bile, e nel settembre 1636 fu dal granduca Ferdinando II eletto a suo Maestro di ca¬ mera. Gonzaga Vincenzo, di Guglielmo e di Eleonora figlia dell’imperatore Ferdinando I, nacque il 21 settembre 1562. Succedendo al padre suo Guglielmo nel 1587, fu, col nomo di Vincenzo I, il quarto duca di Mantova. Ebbe in moglio Margherita d’Alessandro Farnese duca di Parma, poi, da lei separa¬ tosi, nel 1584 Eloonora di Francesco de’Me¬ dici. Con lo suo pazzo prodigalità fu causa della rovina della sua casa. Morì li 18 feb¬ braio 1612. Gonzaga (cavaliere). Non potremmo af¬ fermare se si tratti di Giacinto, figlio natu¬ rale di Ferdinando, che il padre non potò ottenere che fosse accettato dalla corte di Vienna come suo successore. Mancò ai vivi di pesto nel 1630. Gooi. Iagoi‘0. Nacque di Dirle all’Aja nel 1596, c morì il 28 settembre 1637 a Leida, nel cui Ateneo ora succeduto a W. Snellius come lettore di matematiche fin dal 1628. Gori Domenico. Domenicano, rettore, nel 1602,della compagnia di S. Benedetto Bianco, che si raccoglieva in Firenze in 8. Maria No¬ vella ; la quale, nel suo rettorato, ingrandì la chiesa o Tornò con l’opera dell’architetto Matteo Nigetti e di Cristofano Allori pittore. Gottifuedi Alessandro. Nacque a Roma ilo maggio 1595, ed entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù il 28 aprile 1610. Pro¬ fessò retorica o filosofia nel Collegio ro¬ mano, fu rettore del Collegio irlandese e del Seminario romano, poi professore di teologia, segretario della Compagnia sotto il P. Vi tedeschi, visitatore della provincia di Napoli, provinciale dol Belgio e di Roma, ed eletto Generale della Compagnia il 21 gen¬ naio 1652. Morì il 12 marzo successivo. Gotuitz Fariano. Le matricole della Na¬ zione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguento memoria : « Fabian do Gotuitz Sylesitis. 24 IXbr. A. 0 1602 ». 456 INDICE BIOGRÀFICO. Gozxadim Marcantonio, di Tommaso, patrizio bolognese, nacque intorno al 1574- Seguiti «li studi nel patrio archiginnasio, vi conseguì la laurea in legge nel 1596, e da¬ tosi a patrocinare lo cause nella curia ro¬ mana fu eletto collaterale di Campidoglio. Gregorio XV, appena salito il soglio ponti¬ ficio, lo elesse suo cameriere segreto o ca¬ nonico di 8. Pietro, e quindi il 21 luglio 1(521 10 creò cardinale prete del titolo di S. Eu¬ sebio, e Tanno appresso vescovo di Tivoli, dalla qual sede ai primi di giugno del se¬ guente nnno pa«BÒ a quella di Faeuza. Mori in Roma il 1" settembre 1(523 Grapknigo Agostino. Nacque di Giorgio in Venezia il 5 nnvembro 1570. Abbracciò lo stato ecclesiastico e divenne abbate, cano¬ nico di Padova e referendario «li segnatura: 11 29 marzo 1610 fu nominato vescovo di Fel¬ tro, o da Antonio Grimani patriarca «li Aqui- leia eletto suo coadiutore in quel vescovato nel quale successo il 20 marzo 1628. Mancò ai vivi in Padova il 27 settembre 1(529. Gradknigo Marino. Nacque di Angolo in Venezia il 6 ottobre 1561. Fu sopraco- mito di galera e nel 1591 assalito dai Tor¬ chi e fatto prigioniero, ma poco dopo rila¬ sciato. Nel 1621 fu uno dei provveditori al Collegio della Milizia da Mar, e nel 1631 consigliere. Mancò ai vivi noi settembre 1645. Gradknigo Vtnobnzo. Nacque di Barto- lommeo in Venezia il 26 novembre 1540. Andò noi 1584 ambasciatore ordinario alla corte di Spagna, ed assistè allo nozze della figlia di quel re col duca di Savoia: nel 1591 fu mandato capitano a Padova, o nel 1594 ambasciatore ad Enrico IV di Francia, e finalmente nel 1598 ad incontrare Mar¬ gherita d’Austria che andava sposa al re di Spagna. Fu anche Savio del consiglio. Morì nel marzo 1600. Gkammont (di; Scipione. Segretario di gabinetto del re Luigi XIII, era venuto in Italia e fu per due anni lettore di mate¬ matica alla corte del duca di Savoia; di là passò nel 1612 a Venezia, e fece istanza alla Serenissima per ottenere una lettura d’nma- nitò che era ivi vacante, ma non sembra Tottenesse. Lo troviamo nel 1637 a Roma, poi novamonte a Venezia, dove pare morisse nel 1638. Grassi Orazio. Nacque a Savona intorno al 1590, o a diciotto anni entrò nella Compa¬ gnia di Gesù. Insegnò por undici anni ma¬ tematiche a Genova cd a Roma. Poco altro crisse oltro quel elio concorno la controversia sullo comete. È ricordato conio architetto della chiesa di S. Ignazio in Roma, c corno inventore «li un battello insommergibile, in¬ torno al quale carteggiò con G. 15. Raliani. Mancò ai vivi il 23 luglio 1654. Guatarmi. Gio. Battista. I)i Andrea, nacque in Venezia intorno al 1585. Fu as¬ sumo come straordinario di cancelleria ne¬ gli uffici della Repubblica nel 1(507, pro- moH-o ordinario nel 1610, eletto segreta¬ rio nel K»29, dopo esser stato deputato a cri ver le cose segrete. Trovasi firmato per Tultima volta come segretario nei decreti del Senato nel giugno 1639. Grazia (di) Vincenzio. Filosofo o teologo, del quale ò rimasto il nome por la sua par tecipazione allo discussioni intorno alle gal¬ leggianti. E da credere che fosse ancor vivo noi 1629, poiché sotto quest’anno venne data alla luce una sua opera « Do rerum natu- r&lium principila > dedicata a papa Urba¬ no Vili. Gregorio X V. Alessandro Ludovisi nacque in Bologna il 9 gennaio 1554 da Pompeo o da Camilla Bianchini. Compì i Buoi studi in Roma nel Collegio germanico o nel scalma¬ nano, c si laureò in ambe le leggi nolla pa¬ tria università. Gregorio XIIl lo fece primo giudico di Campidoglio; Clemente Vili, re¬ ferendario di segnatura, luogotenente del Cardinal vicario e successivamente vicege¬ rente e uditore di rota; Paolo V lo promosse all’arcivescovado di Bologna nel 1612, alla porpora il 19 settembre 1(>16. Dal conclave, riunito alla morto di questo, usci Papa il 9 febbraio 1621. Mori in Roma, l’B lu¬ glio 1623. Greutek Matteo. Nato a Strasburgo intorno al 156-1, pittore ed incisore lodatis- INDICE BIOGRAFICO. 457 flirno per la correzione del suo disegno, eser¬ citò l’arte sua in Lione, in Avignone, e final¬ mente a Roma. Mancò ai vivi nel 1088. CtalHNBRRGEK ClUSTOlfOEO. NncqUO in Ti- rolo nel 1561, e fu ammesso alla Compagnia di Gesù nella provincia dell’Austria nel 1580. Fu scolaro del Olavio, e suo successore come insegnante di matematica nel Collegio ro¬ mano. Mancò ai vivi in Romal’ 11 marzo 1086. Grillo Angelo. Patrizio genovese, vestì nel 1572 l’abito di S. Benedetto, professando i voti nel patrio convento di S. Caterina. Poeta gentile, fu carissimo ad Urbano Vili, al Marini, al Guarino, ma soprattutto al 'lasso, alla liberazione del quale prese così gran parte. Mentre era abbate di S. Paolo, istituì in Roma l’Accademia degli Umoristi c ne fu principe. Coprì importanti cariche del suo Ordine. Morì in Parma nel settem¬ bre 1629. Grimani Antonio di Vincenzo, nacque in Venezia nel 1557. Fu dapprima ambasciatore per la Serenissima in Fiandra ed in Francia; abbracciato poi lo stato ecclesiastico, fu ab¬ bate di Sesto, cameriere d’onore di Sisto V, nunzio in Fiandra. Flotto vescovo di Torcello il 26 ottobre 1587, passò in Francia col car¬ dinale de’ Medici legato in quel regno, poi fu nunzio a Fironze. Coadiutore di Àlmorò Barbaro nel Patriarcato di Aquileia nel 1618, gli succedette nel 1622. Morì il 27 gen¬ naio 1628. Guimani Marino. Nacque di Girolamo e di Donata Pisani in Venezia il 1° giugno 1532. Podestà di Brescia nel 1570; capitano di Padova nel 1588; ambasciatore a Sisto V nel 1585, a Urbano VII nel 1590 o poi a Gregorio XIV, a Innocenzo IX nel 1591, a Clemente Vili nel 1592; Riformatore dello Studio di Padova nel 1584 e nel 1593. Eletto Procuratore di S. Marco il 1° aprile 1588; e poi ancora Savio del consiglio, deputato alle carceri pubbliche, deputato presidente al¬ l’erezione «Iella fortezza di Palma, e final¬ mente Doge il 26 aprile 1595. Mancò ai vivi il 26 dicembre 1605. Grish Salvatore. Entrato nell’Ordine delle Scuole Pie come coadiutore laico, fu poi promosso al sacerdozio, di lui abbiamo trovato la seguente menzione: «Salvator a SS. Sacramento, Oavensis, in architectonica cum civili tum militari conspicuus ». S. Giu¬ seppe Calasanzio ne scriveva al P. Stefano Cherubini, superiore delle Scuole Pio di Na¬ poli, sotto il dì 17 agosto 1630. Nel 1641 aveva già deposto l’abito Scolopico. Grozio Ugo, di Giovanni, nacque a Delft il 10 aprile 1583. Ingegno straordinariamente precoce, fin dall’età giovanissima diede sag¬ gio del molto suo sapere nella matematica, nella filosofia o nella giurisprudenza, richia¬ mando sopra sè anche l’attenzione dol re Enrico IV quando con l’ambasciatore Bar- nevcldt si recò quindicenne a quella corte. Nel 1613 divenne pensionano di Rotterdam, e d’allora in poi fu membro degli Stati Ge¬ nerali e si occupò particolarmente di poli¬ tica, fino alla prigionia alla qual fu condan¬ nato il 18 maggio 1619 per aver preso parte col Barneveldt alla famosa disputa religiosa. Liberatone il 22 marzo 1622, si ritirò a Pa¬ rigi con una pensione del re Luigi X.I11, e divenne in seguito consiglierò e poi amba¬ sciatore della regina di Svezia a Parigi. 11 suo nome, come autore, è maggiormente rac¬ comandato al « De iure belli et pacis ». Morì a Rostock il 28 agosto 1645. Guadagni Francesco, di Iacopo o di Lu¬ crezia di Gino di Neri Capponi nacque in Firenze 1*8 settembre 1634. Singolarmente perito nelle cose cavalleresche, veniva di fre¬ quente eletto ad arbitro in questioni d’onore. Morì il 15 settembre 1611. Guadagni Iacopo, di Francesco di Ia¬ copo nacque in Firenze nel 1570, e in Fi¬ ronze morì il 28 dicembre 1643. Guadagni Migliore, di Vincenzio e di Camilla del sen. Agnolo Guicciardini, nato nel 1595, morì il 23 maggio 1650. Guadagni Vincenzo, di Filippo (fratello di Iacopo, padre di Francesco) c di Mad¬ dalena Bandini, nacque il 28 settembre 1546. Sposò nel 1580 Camilla Guicciardini. Morì il 4 maggio 1601. Gualdo Paolo. Nacque di Giuseppe in Vicenza il 25 luglio 1553, studiò le leggi in Voi. XX. 69 458 INDICE BIOORA FICO. Padova o vi connettili la laurea in uiruque iure, il 10 maggio 1581: (in dal 20 novem¬ bre 1570 aveva vestito Tallito ecclesiastico, e nel 1585 fu ordinato prete in Yioensa o poco appresso investito d'un canonicato. Ma già fin dal 1582 erosi recato a Roma, con ipcoiaii raccomandazioni per il card. t’a- stagna che, salito al soglio pontificio col nome di Urbano VII, lo chiame') presso di aò e lo elesse segretario dei memoriali. Alla morto di questo lece ritorno u Vicenza e rinunciato il canonicato noi 1591, si stabili a Padova, facendo per») frequenti gite e lun¬ ghe dimore a Roma. Nel 159(5 fu dal ve- j scovo di Padova, Marco Cornaro, eletto suo vicario generale e il 12 novembre 1009 ar¬ ciprete della cattedrale. l)i («io. \ incen- zio Pinelli, nella intimità del quale era vis¬ suto, conservando poi strettissima relazione anello con i parenti di Napoli, scrisse la vita; e sappiamo ancora che aveva « buo¬ nissima vena di compor versi in lingua ru¬ stica Padovana ». Mancò ai vivi in Padova il 16 ottobre 1621. Gu.vltbrotti Frakotcsoo Maria, di Raf¬ faello : forse lo stesso della cui mano è il Cod. Pai. 251 della Biblioteca Nazionale di Firenze con ricordi relativi agli anni 1655 e 1656. Propendiamo tuttavia a credere che si tratti del canonico Francesco Maria, nato PII giugno 1686, e morto il 60 aprile 1665. (luAi.TK rotti Raffaello. Nacque in Fi¬ renze il 2 giugno 1548. Fu facile poeta; »• della sua copiosissima produzione, »juasi completamente dimenticata, rimangono nu¬ merosi documenti in gran parte laudativi di Casa Medici, in onore della quale, e per festeggiarne lieti eventi nuziali, ideò feste ed apparati che lo resero gradito e fami¬ liare alla corto. Prese parte attivissima alle polemiche sollevate dalla apparizione della nuova stella delToltobre 1601, o ila una pub¬ blicazione da lui fatta su tale argomento paro possa indurai essere egli stato il primo che abbia veduto Mercurio sul sole, o non è senza fondamento ch'egli abbia pure per ; il primo osservata una nebulosa; e se non ! il primo, fu tra i primi a fornire aria spie- i gazione di quella che fu poi detta « luce cinerea della luna ». Infine non deve pus- j sursi sotto silenzio come egli debba anno¬ verarsi tra i primissimi che, forse con la scorta dei precetti del Porta, costruirono un cannocchiale. Morì in Firenze, e fu se¬ polto in Santa Croce il 7 maggio 1639. Guastatimi Giulio. Patrizio genovese, nato il 1° novembre 1500, si laureò in me¬ dicina noi 1583 e chiamato dal granduca Ferdinando 1 alla lettura primaria di medi¬ cina pratica nello Studio di Pisa, tenuto in grandissima estimazione anche da Cosimo II, occupò quella cattedra dal 1608 al 1636, nel quale, irritato por gli onori straordinari resi ad un suo emulo, lasci»') lo Studio o si ritirò in Genova, dove di lì a non molto venne a morte. Gu azza boni Gio. Battista. Di lui sap¬ piamo soltanto, olio d'ordine (l'Urbano Vili compose un trattato « De notis antiquorum iiitcrpn-tandis », ilei (piale è copia nella Bi¬ blioteca comunale di Todi. Uuocianti Agostino di Girolamo, fioren¬ tino, visse nella seconda metà del sec. XVII. Il tomo 18 dei Discepoli, nei Mss. Gal. della Biblioteca Nazionale di Firenze ha, acar. 37- 11. una «Nicolai Adiunctii Oratio Pisis ba¬ llila, cura adoleacentem Augustinum Guc- ciantum florentinuui doctoratus laurea cctc- risque insiguihus oxornaret, 1635 ». G turbini Benkdktto. Dapprima aiutante di camera di Cristina di Lorena, fu poi de¬ legato ad assisterò Ferdinando II pupillo, e 10 accompagnò nei suoi viaggi, e nel 1632 fu eletto suo segretario di camera. Mori nell’ottobre 1657. Gukvaha (di) Giovanni. Nacque di fa¬ miglia spaglinola a Napoli nel 1561; entrato nella congregazione dei Chierici Minori Re¬ golari, ne divenne Generale, e da Urbano Vili fu promosso al vescovato di Teano il 23 mag¬ gio 1627. Mori in quella Beile il 23 ago¬ sto 1641. Guicciardini Agnolo, di Girolamo o di Lucrezia d’Ottavio Bardi, nato il 4 dicem¬ bre 1587, creuto senatore nel 1631, morto 11 26 luglio 1633. INDICE BIOGRAFICO. <150 Guiootatidtnt Francesco, (li Àgnolo e di Contessina di Lorenzo Ridolfi, fa nel 1592 ambasciatore straordinario del granduca di Toscana all’imperatore, e nel 1593 amba¬ sciatore residente in Ispagna, dove morì nel 1603. Guicciardini Lodovico, di Iacopo di Piero e di Camilla di Agnolo de’ Bardi, nacque in Firenze il 19 agosto 1521, si sta¬ bilì noi 1550 nei Paesi Bassi e lin dal 1565 in Anversa. Matematico, geografo ed isto- rico. Mancò ai vivi in Anversa il 22 marzo 1589, o fu sepolto in quella cattedrale. Guicciardini Piero, di Agnolo di Giro¬ lamo nacque in Firenze nel 1560. Nel 1587 veniva mandato dal granduca Ferdinando 1 a Napoli, in Sicilia ed a Malta, per parte¬ cipare la molte del granduca Francesco; e nel 1609, da Cosimo li alla corte di Francia, per partecipare quella del granduca Fer¬ dinando. 11 23 aprile 1011 fu eletto amba¬ sciatore ordinario alla corte di Roma, e vi rimase fino al 1621: al suo ritorno, venne nel 1623 nominato maggiordomo maggioro. Mancò ai vivi il 13 settembre 1626. Guidi Camillo. Da Volterra. Entrò al servizio della corte granducale introdotto da Belisario Vinta: nel 1586 andò segre¬ tario di legazione in Ispagna e vi rimase lino al 1590, e nel 1591 dovette tornare a Barcellona per interessi del granduca. Ebbe ancora varie missioni a Genova ed a Roma, o nel 1598 diventò segretario di Cristina di Lorena, e segretario anche per gli affari dello Studio di Pisa e por quelli dell’Or¬ dino di S. Stefano, del quale fu creato gran cancelliere nel Capitolo generale tenuto in Pisa il 16 febbraio 1620. Fu ripetutamente residente in Francia, essendo stato tra quelli che cooperarono al matrimonio di Maria de’ Medici con Enrico IV. Morì il 12 ago¬ sto 1623. Guidi Filippo. Al secolo Guido, figlio di Pier Maria, nacque in Firenze nel 1569 e vestì di 15 anni l’abito religioso in S. Ma¬ ria Novella di Firenze. Fu esimio professore di teologia, c godè fama di eccellente mo¬ ralista. Molto stimato dall’arcivescovo Mar¬ zimedici, esercitò l’ufficio di confessore dei granduchi c nei monasteri di S. Domenico del Maglio e di S. Vincenzio di Prato, ove conobbe S. Caterina de’ Ricci, della quale scrisse la vita pubblicata in Firenze nel 1622. À lui si devo la fondazione della Biblioteca di S. Maria Novella. Morì il 18 ottobre 1634. Guidi GiovANimANOEsoo. Da Volterra. Fu segretario di monsignor Cosimo Concini, am¬ basciatore in Germania dal dicembre 1595 all’ottobre 1601; od anche del successore di lui, che fu Giovanni Uguccioui dall’ottobre 1601 al febbraio 1605; ed ancora con Rode- rigo A luìosi dal 1605 al 1607, avendo retta egli stesso l’ambasciata dopo la morte del- RUguccioni avvenuta nel febbraio 1605. Tor¬ nalo a Firenze, fu segretario della Pratica Segreta, e nel 1615 mandato in Isvizzcra por fare una levata di soldati da mandare in aiuto al re di Spagna. Seguitò sempre ad essere a ruolo come segretario fino alla morte, avvenuta a Volterra, della quale giunse annunzio alla corte 1’8 agosto 1613. Guidi Mario. Di Volterra. Paggio alla corte granducale di Toscana, accompagnò nel luglio 1632 i principi Mattia o France¬ sco de’ Medici, che si recavano a partecipare alla guerra di Germania. Accompagnò nova- mente il principe Mattia in Germania, e vi morì. Guiduooi Annidale. Nel « Ruolo Gene¬ rale de*Cavalieri Gerosolimitani della Ve¬ neranda Lingua d’Italia * raccolto dal Coni. 0 Fr. Bartolomeo del Pozzo per sin’nll’anno 1689, ecc., ò notato noi termini seguenti: «Fr. Annibaie Guidacci di Fiorenza, li 4 lu¬ glio 1611.» La data ò quella della «ricot- tione ». Gittduooi Giulio. Di questo, elio fu fra¬ tello di Mario, abbiamo trovato soltanto che morì nel 1654. Guiduooi Mario. Di Alessandro di Simone e di Camilla di Iacopo di Cappone Capponi, nacque in Firenze nel 1585. Laureato nelle leggi nello Studio di Risa, fu ascritto al- l’Accad. della Crusca e all’Accad. fior., della quale fu consolo nel 1618 ; nel 1625. al- 460 INDICE niOORAFlCO. l'Accademia «lei Lincei. Mori in Firenze il 5 novembre 1646, u lu sepolto nella chiesa d’Ognissanti. Guluino Paolo. Nacque di famiglia ere- ! tica il 12 giugno 1577 a Mela vicino a San Gallo. Convertitosi alla religione cattolica, entrò noi noviziato dolla Compagnia di (resii come fratello coadiutore nel 151)7, e mutò in Paolo il nome di Abacuc che fino allora aveva portato. I superiori avendo ricono¬ sciuto in lui una grande attitudine agli studi matematici, lo mandarono a Roma perchè vi studiasse lo matematiche, lo quali poi insegnò a Graz od a Vienna. A propo¬ sito del suo e centro gravitati»» note¬ remo soltanto la polemica alla quale diede luogo col Cavalieri. Morì a Graz il 3 no¬ vembre 1643. Guhsoni Andrea. Nato di Marco in Ve¬ nezia l’il marzo 1546. Savio Grande nel 1613. Mancò ai vivi nell'agosto 1615. Gd880ni Vincenzo. Nacque di Francesco in Venezia il 4 febbraio 157 1. Fu capitano di Padova nel 1626, podestà di Brescia nel 1632. Morì il 20 gennaio 1653. Gustato Adolfo, re di Svezia. Poiché i suoi biografi concordemente afferm ino ohe egli (nato a Stoccolma il 6 dicembre 1561, morto a Liitzen il 6 novembre 1632 non fu mai in Italia, non può ammetterai la tradi¬ zione che vuole sia stato in Padova uditore di Galileo. Ciò è, invece, sommamente pro¬ babile rispetto a Gustavo tiglio del re Illi¬ rico XIV di Svezia, elio dopo la detroniz¬ zazione del padre andò esulo per l’Europa, venne in Italia viaggiando sotto il nome di Monsieur Carso (Gustavus Adolpbus llox iS'ueeiac), ma riconosciuto come re dai parti¬ giani elio l'avevano seguito, dimorò più anni in Germania sotto la protezione di Rodolfo li, poi alla corte «li Sigismondo re di Polonia, c finalmente nella Prussia dove mori nel 1607. Guzman (de) Gaspare. Il celebre uomo di Stato, generalmente noto sotto il nomo di conte di Olivarez, duca di San Locar, nato in Roma il 6 gennaio 1587, morto a Toro il 22 luglio 1645. I II aurino [IIaokk] Taddeo. Nacque in Praga nel 1525, si laureò in medicina, fu professore di matematiche al Carolineò di Praga, o più tardi modico dogli imperatori Massimiliano II o Rodolfo li. Morì in Praga il 1° settembre 1600. IIaimzklio Paolo, Di Augusta; insieme col fratello Hat lista dilettante di astrono¬ mia; presso loro si trattenne per duo anni Ticono Bralie, « nel giardino della loro casa stabili un quadrante di 17 piudi e mezzo di raggio. 1 Iammliilkin [Malleolo] Isaooo. Profes¬ sore di matematica nell’università di Stro- Imrgo, nato intorno al 1565 e morto dopo il 1633. Di lui troviamo citato lo « Quae- stionos arituioticae in nsum Gyinnasii Ar- genlorutensiM », pubblicate nel 1629. IIaruacii (d’j Ernesto Adalberto. Con- dotto a Roma giovanotto, fu educato dai Gesuiti. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu promosso arcivescovo di Praga, od il giorno 19 gennaio 1626 creato in assenza cardinale. Durante la guerra dei trentanni ebbe molto a solfi ire dagli eretici, specialmento durante Tassodio di Praga da parte degli Svedesi. In progresso di tempo fu nimbo eletto ve¬ scovo di Trento, e venuto a Roma ricevette il titolo di S. Prassede, dal qualo sotto Cle¬ mente IX passò all’altro di S. Lorenzo in Lucina. Morì a Violina il 24 ottobro 1667. Raspale [IIastal | Martino. Nato in Germania intorno al 1570, e vomito in Italia per motivo di studio, si trattenne a lungo in Padova ed in Venezia, e molto proba¬ bilmente visitò anche Bologna o la Toscana. Di ritorno in patria, si trattenne alla corte dell' imperatore Rodolfo II, dal quale era trattato con granilo benevolenza o confi¬ denza ; ed appartenne alla camarilla che a lungo tempo spadroneggiò nel gabinetto im¬ perialo. Alla morte di Rodolfo li, avvenuta il 20 gennaio 1612, caddo in disgrazia del successore, fu imprigionato, o contro di lui ed i suoi compagni fu inooato un processo: dopo lunga inquisizione fu lasciato libero, molto probabilmento ai ritirò a vita privata INDICE BIOGRAFICO. 461 IIenisio Giovanni. Medico della città di Ulma. Egli fu che riferì col Virdung al Gro- novio, essersi Marco Welser avvelenato per non sopravvivere al disonore del fallimento della sua casa, in seguito alla mancata re¬ stituzione d’uii prestito da lui latto all’im¬ peratore Rodolfo II. Herbert (de) Chermury Edoardo. Nacque ad Eyton (Shopshiro) nel 1682. Seguiti gli studi ad Oxford, abbracciò la carriera delle armi, e combattè sotto gli ordini del prin¬ cipe d’Orange nel 1609,1611 e 1616, visitando tra Runa e l’altra di queste due ultime cam¬ pagne l’Italia. Nel 1618 fu mandato, prima come straordinario, poi come ordinario, am¬ basciatore alla corte di Francia, e nell’oc¬ casione della guerra civile d’Inghilterra si schierò prima dalla parte della corte, poi da quella dol parlamento. Egli ò maggiormente noto come autore del « De ventate », opera che era stata licenziata alle stampe dal cap¬ pellano del vescovo di Londra, mache fu ben presto condannata conio antireligiosa od atea. Morì il 20 agosto 16-18. Hernandez Francesco. Nacque a Toledo intorno al 1530, e dal re Filippo li, del quale era archiatro, venne inviato al Messico dove rimase dal 1571 al 1577 per raccogliere e studiare i prodotti naturali, e specialmente quelli utili alla medicina. Una prima illu¬ strazione dei materiali da lui raccolti, tra¬ dotti dal latino, nel quale era stata origina¬ riamente scritta, in spaglinolo, fu pubblicata a Messico nel 1615. La ben nota impres¬ sione, intrapresa per cura dei Lincei, fu com¬ piuta nel 1630, con aggiunte fatte nel 1619 o con mutazioni di dediche nel 1650 e 1651. 1 codici originali dell’opera si conservavano nella biblioteca dell’ Escoriai, ma rimasero in gran parte distrutti nell’iueendio del 1617. Herrhìonb Pietro. Di questo matema¬ tico francese, che fiorì nella prima metà del secolo XVII, abbiamo scarsissime notizie. Sappiamo soltanto che egli era Basco, die nei frontespizi del volumi IV o V del suo « Cursus Matbomaticus * ò detto « Profes- sour ès Mathematiques », o che uel 16-14 era già morto. Della parte da lui presa nei lavori della commissione incaricata di ri¬ ferire sulla pretesa scoperta del Morin pol¬ la determinazione delle longitudini, ò reso conto anche da Teofrasto Renaudot nel « Ilo- cueil de Gazcttes » dol 1634. Non vogliamo infine passare sotto silenzio, die dal Cata¬ logo del British Mnsetini risulterebbe, vero autore del « Cursus Matbomaticus », che va sotto il suo nome, essere stato C. Cyriaque de Mangin. HERWART di IIonKNBURfl Gianuioruio. Nacque in Augusta di Giampaolo e di Mad¬ dalena Welser 1’11 febbraio 1553. Seguì dal 1574 al 1577 gli studi nella università d’Ingolstadt, ed abbracciò la carriera ammi¬ nistrativa, nella quale rese al governo della Baviera segnalati sorvigi, giungendo all’al¬ tissimo ufficio di cancelliere o consigliere del duca Massimiliano I. Le curo dello Stato non gli impedirono d’attendere agli studi ed al commercio epistolare con alcuni fra i mag¬ giori scienziati del suo tempo, tra i quali il Brahe, il Berncgger, il Grienberger, il Welser, c segnatamente il Keplero. Attese all’ar¬ cheologia, e si occupò in particolar modo della decorazione dei geroglifici, alla cro¬ nologia su fondamenti astronomici, ed al¬ l'astronomia propriamente detta : alcuni suoi lavori numerici gli fecero indebitamente at¬ tribuire l’invenzione dei logaritmi. Morì in Monaco il 15 gennaio 1622. IlrensKHROivEN [Euskeuken] Giovanni. Ve¬ ramente non paro ch’egli fosse ambasciatore delle provincie Unite dei Paesi Bassi a Pa¬ rigi, risultando che, essendo morto noi 1634 l’ambasciatore che era Gedeone van Boet- selaer, signore di Laugeran, egli, ohe era se¬ gretario (l’ambasciata, continuò la trattazione degli affari. Hofmann Gaspare. Uno dei più dotti me¬ dici del suo tempo, nacque a Gotha il 9 no¬ vembre 1572, occupò per quarantanni la cattedra di medicina in Altdorf e morì il 3 novembre 1648. Nella matricola della Nazione Germanica Giurista dello Studio di Padova si legge scritto di sua mano: « Oaspar Hof¬ mann, Gotha Thuringorum, medicinae stu- diosus nomea meurn dedi inclutae Germano- rurn nationi VI sept. a. 1602» e dagli atti della Nazione stessa risulta che nel 1604 ne 402 IN DICK BIOGRAFICO. fu consigliere. In questo medesimo anno udì lezioni private di fortificazioni da Galileo. Holsaxta (d*) Giovanni Federico, duca di Schleswig-Holatein-Gottorp. Nacque il 31 ngosto 1577 e dal Capitolo di Brema fu eletto arcivescovo il 22 ottobre 1596; più tardi ebbe anche il vescovado di Rutto. Mancò ai vivi il 3 settembre 1634. Holhtk [IIolstein, Holstenius] Luca. Nacque in Amburgo nel 1596. Compiuti in patria gli studi, si recò a Leida o visse nel¬ l’intimità del Vos8 e deH’lleinsins. Un primo viaggio in Italia ed in Sicilia compì verso il 1618; e di ritorno da esso, avendo inutil¬ mente sollecitato una cattedra nel ginnasio di Amburgo, indispettito se ne partì cd andò prima in Inghilterra poi in Francia, dove si , convertì dal protestantesimo ul cattolicesimo. Raccomandato dal l’eireac al card. F. Bar¬ berini, seguì questo in Italia nel 1627, visse alla Bua corte, e ne divenne bibliotecario nel 1636. Morì in Roma il 2 febbraio 1661. Horkv Martino. Noto principalmente per l’opposizione da lui fatta alla scoperta dei Pianeti Medicei, sembra non essersi nel seguito occupato d’altro che d’astrologia giudiziaria, ed in questo argomento vengono ricordate parecchie sue pubblicazioni. Di lui troviamo scritto: « Medicus, Mathenra- ticus et Astrologus, in peregriuationibus linguarum sibi Lattone, Italicae, Turcicae et Sarmnticae noti tiara paravi t longinquis, sedeque deinceps fortunarum Ilamburgi lixa, Calendariis editi», iudiciiaque genethliacis ac vaticiniis astrologicis, Ecclesia e iinpriinis Poutiliciae ac ordini lesuitico infestis, sed tosto audacioribus, vitam toleravit. » Hotomann Giovanni. Nato di Francesco nel 1552, compiuti gli studi giuridici andò in Inghilterra, o rimase cinque anni presso il conto di Leicester: dopo di che tornato in Francia, divenne consigliere del re di Na¬ varca il 14 gennaio 1585, o fu da lui sposso adoperato iu missioni diplomatiche presso i principi protestanti della Germania. Mori il 26 gennaio 1636. Huygbns Costantino. Uomo di Stato o poeta olandese, nacque all’Aja il 4 settem¬ bre 1596, e morì pure all’Aja il 28 marzo 1687. Fu segretario e consigliere assai ascol¬ tato degli Statholdera Federico Enrico, Gu¬ glielmo li e Guglielmo III, che gli affidarono importanti missioni diplomatiche. Ebbe per secondogenito il celebre Cristiano. Imperato Ferrante. Nacque in Napoli intorno al 1550, coltivò le scienze naturali ed in particolare la botanica, mettendo in¬ sieme un muBeo al suo tempo nssai ammi¬ rato; ma delle opere che vanno sotto il suo nome ò vario il giudizio degli studiosi. Imperiali Bartolommko. Nacquo in Ge¬ nova di Andrea e di Maria Spinola; fu conte delle Malie, fondo in riviera di Ponente, e ac¬ cademico Addormentato. Di lui il Giustiniani registra «lue operette, e lo dice morto nel 1655. Inphofkr Melohioriie. Nacquo a Vienna nel 1586, ed entrò nel noviziato della Com¬ pagnia di Gesù a Roma il 26 marzo 1607. Fu mandato a Messina, dove professò a lungo filosofia, matematiche, teologia morale e sco¬ lastica. Singolare, che nell’anno stesso (1633) nel quale egli si scagliava contro il sistema Copernicano e contro Galileo, una sua opera concernente la lettora della Beata Vergine | ai Me sinesi veniva messa all’Indice. A mo¬ tivo poi d’ una sua pubblicazione contro l’evirazione dovette lasciare Roma: si ri- | tirò dapprima a Macerata, poi a Milano, dove lavorò all'Ambrosiana intorno ad una storia del martirologio. Mori a Milano il 28 set¬ tembre 1618. Incontri Lodovioo. Gentiluomo di ca¬ mera del principe Leopoldo do’ Medici, tu poi nominato ambasciatore toscano a Madrid dove risedette dal 1649 al 1(560. Inouirami Giulio da Volterra, figlio di Agostino e nipote dell’ammiraglio Iacopo. E ricordato come segretario della cori e di Toscana nel 1610 e nel 1615: nel 1616 tu mandato in lapagna come segretario di quel- l'ambasciatore toscuno, e vi rimase lino al 1622. Divenne poi segretario di Cristina di Lorena e dell'arciduchessa Maria Madda¬ lena d’Austria, od in soguito doi principi Gio. Carlo e Leopoldo, essendo anche cu¬ stode delle scritturo della Segreteria Vec- INDICE BIOGRAFICO. 403 cliia. Nel 1637 era maestro generalo delle poste. Morì nel maggio 1639. Inani rami Iaoopo, Nacque in Yolterra di Giovanni e di Lucrezia Falconcini nel luglio dell’anno 1565: vestì l’abito di cavaliere di S. Stefano il 13 luglio 1581, e principiò su¬ bito le sue carovane le quali terminarono il 5 agosto 1584. Dal 1586 al 1595 fu in Fran¬ cia; e tornatone, fu dichiarato capitano di galera il 25 aprile 1596 e ammiraglio il 25 marzo 1602: quella carica sostenne per quindici anni, essendo di più stato eletto nel 1616 a governare la città e porto di Li¬ vorno; e quindi novamente prese il comando delle galere con titolo di generale nel dì 7 aprile 1621. Fu il terrore dei Barbareschi e dei Turchi, ai quali prese dieci piazze, diciannove galere, cinquanta grossi vascelli, seimila schiavi, liberando ben tremila cri¬ stiani. Morì in Yolterra il 3 gennaio 1623. Inguiuami Tommaso da Yolterra, nipote dell’ammiraglio Iacopo, appartenne alla mi¬ lizia, o nel 1617 è ricordato come capitano. Incioli Franceschi. Nacque a Ravenna il 21 novembre 1578. Mandato allo Studio di Padova, vi conseguì la laurea in ambe lo leggi il 17 maggio 1601. Abbracciò in se¬ guito lo stato ecclesiastico; dedicatosi prin¬ cipalmente allo studio delle lingue orientali, divenne primo segretario di Propaganda Fide: a lui si deve la fondazione di quella celebre tipografia. Morì in Roma il 29 apri¬ le 1649. Isle (de 1’) MeTjOHIOURE. Gentiluomo or¬ dinario della casa del re di Francia, resi¬ dente per Luigi XIIL a Strasburgo (1636, 1644), commissario generalo delle truppe svizzere (1630), incaricato di speciale mis¬ sione in Isvizzera nell’aprile o noi mag¬ gio 1641. Jauffrkd Giacomo. Nacque alla Oiotat in Provenza. Applicatosi alla medicina, alla filosofia ed alle lettere, venne ancora in gio¬ vane età a Bologna, dove ebbe occasione di far conoscere la vivacità del suo ingegno nelle accademie e nell’esercizio dell’arte me¬ dica. In seguito fu assunto al servizio della corte di Panna come segretario dello let¬ tere francesi, ma in realtà agli stipendi del Richelieu. In brevissimo tempo seppe en¬ trare nello grazie del duca Odoardo Far¬ nese, il quale nel 1634 gli procurò l’accasa¬ mento con una Anguissola di Piacenza, poscia lo creò conte di Felino, marchese di Castel Guelfo, consigliere o primo segretario di Stato. Durò egli col favore di quel prin¬ cipe e di Ranuccio li suo successore fino al 1649, nel quale anno in conseguenza della totale disfatta toccata dalle milizie parmensi da lui capitanate, le quali oransi mosse a liberare la città di Castro dall’assedio che vi aveva posto l’esercito pontificio, egli, im¬ putato di fellonia o di prevaricazione, fu sot¬ toposto a processo e condannato alla pena della decapitazione, elio fu eseguita in Pia¬ cenza l’8 gennaio 1650. Joyeusk (de) Francesco, di Guglielmo Enrico e di Maria do Batarnay, nacque in Piemonte il 24 giugno 1559. Abbracciatolo stato ecclesiastico, lo splendore del sangue e lo sue doti personali gli spianarono la via a sommi onori, e Gregorio XUT nel 1583 gli conferì la porpora cardinalizia, prima col titolo di S. Silvestro, poi con quello della SS. Trinità al Monte Pincio, e finalmente con quello di S. Pietro in Vincoli. Fu an¬ che vescovo di Ostia e di Sabina e decano del Sacro Collegio. Morì il 23 agosto 1615. KAsrEROEU [Kapsberoer] Gio. Girolamo. Nacque in Germania nel 1574, e trascorso quasi tutta la sua vita in Italia dando con¬ tinui saggi della sua valentia come sona¬ tore di liuto, tiorba, chitarrone e tromba o come compositore di musica. Soggiornò per qualche tempo fino al 1604 in Venezia, indi si trasferì a Roma dove morì nel 1650. Fra lo sue composizioni, nel maggior numero di carattere sacro, ma anche profano, noteremo ch’egli musicò le poesie di papa Urbano Vili nel moderno stile fiorentino recitativo, e così le diede alle stampe nel 1624. Kellison Matteo. Nacque intorno al 15G0 a Harrowden (Northamptonshire), entrò nel collegio inglese di Donai nel 1581, e nel set¬ tembre dell’anno successivo fu mandato con sei scolari al Collegio inglese di Roma. Ri- 464 INDICE BIOGRAFICO. cevuti gli ordini, ai matricolò noli* università di Donai, bì laureò a Rlieima, dove nel 1601 fu nominato professore regio, e nel ret ' toro magnifico o cancelliere dell’ università. Dopo essere stato por qualche tempo nel collegio Arra» a Parigi, scelto Ira i più abili scrittori in materia di controversie religioso, nel 1013 fu chiamato a Donai, eletto con patente da Roma presidente di quel collegio che liberò dalla influenza dei gesuiti; i quali, se non poterono farlo dimettere, riuscirono però ad impedire che avessero effetto lo ri¬ petute proposte di conferirgli la dignità epi¬ scopale* Morì a Donai il 21 gennaio 1(112. Kempft Giacomo Cristoforo. Di nobile famiglia col predicato di Augredt e ili ori¬ gine alsaziana, seguì gli studi nel Collegio Germanico di Roma e dopo essere stato per qualche tempo a Strasburgo, entrò ai servigi dell’arciduca Leopoldo d’Austria nel 1015, e vi era tuttavia il 6 febbraio 1629. Oltre che prevosto del Capitolo di Passau, fu anche prevosto di Lauterlmc nell’AUazia. o tale dignità rivostiva il 21 aprile 1629. Dolla sua missione a Roma nulla risulta dai documenti dell’Archivio di Stato di lunshruck, dove sono raccolte le carte dell’arciduca I .eopoldo. Krplkr Anna Maria, di Giovanni e di Susanna Keuttinger, nata il IH aprile 1030. Krplkr Corddla, di Giovanni o di Su¬ sanna Keuttinger, nata il 22 gennaio 1021. Kkpi.ku Fridmako, di Giovanni o di Su¬ sanna Keuttinger, nato il 24 gennaio 1023. Kkplkk Giovanni, di Enrico o di Ca¬ terina Gnldenmann nacque a Weil der Stadt (Wftrteuiberg) il 27 dicembre 1571, e dopo alcune vicende dovute a strettezze familiari entrò nel 1589 nel seminario di Tubinga. i Non essendo l’ardore col qualo aveva intra¬ preso gli studi teologici piaciuto ai suoi su¬ periori, o uon giudicandosi i suoi lavori con¬ formi alla ortodossia protestante, egli preferì seguire all’università stessa di Tubinga le lezioni di matematica elio vi dava il Miistlin o lasciare del tutto gli studi t eologici. Eletto a ventidue anni professore di matematiche a Graz, lasciò Tubinga l’il aprile 1594, e tredici giorni dopo dava principio al suo insegnamento, nel quale, come del resto nelle trae opere, si rivelò sempre il fonda¬ mento teologico de’suoi studi primitivi. Nel 1597 sposò una vedova, Barbara Mailer • ma questo matrimonio nonostante il gran numero dei figliuoli, non fu felice. Verso la line del 1599 incominciarono nella Stirialc persecuzioni religiose contro i protestanti, picchè egli fu ben lieto di accogliere l’invito che da Praga gli mandò Ticone Brahe di aiutarlo nei suoi lavori; ed essendo questi poco appresso mancato ai vivi, fu egli stesso eletto astronomo dell’imperatore Rodolfo 11 con un lauto stipendio, ma purtroppo sem¬ plicemente nominale. Dopo la morte di Ro¬ dolfo 11, conservò la carica presso Mattia, elio lo chiamò nel 1613 alla Dieta di Rati- sboua per regolare la correzione del calen¬ dario gregoriano, al quale i protestanti non volevano adattarsi. Già a questo tempo egli era in credito di somme assai rilevanti verso la ca sa imperialo; « pur essendo al seguito dell'imperatore, doveva, per vivero, compi¬ lare almanacchi o trarre oroscopi. Nel 1611 perdette la moglie, o nel 1620 dovette inter¬ venire personalmente prosso il duca di Wiir- temberg per salvare la madre accusata di stregoneria. Di ritorno a Linz, fu fatto segno a nuove persecuzioni da parte dei preti cat¬ tolici ; c costretto a lasciare l’Austria, visso por qualche tempo alla corte del famoso duca di Wallenstein, uno dei generali della guerra dei trentanni. Aveva intanto con¬ tratto un secondo matrimonio con Susanna Renttiuger, osso pure fecondo di numerosa figliolanza. Morì a Katisbona il 15 novem¬ bre 1630. 11 colossale contributo da lui dato agli studi astronomici ebbo por primo fon¬ damento lo carte di Ticone Brahe, delle quali egli potè liberamente disporrò e che conte¬ nevano insieme raccolte tante osservazioni: anche l'astronomo danese si era occupato di Marte con preferenza, o dagli studi di Marte il suo successore fu condotto nlla scoperta delle tre leggi che avrebbero esso sole ba¬ stato a renderlo immortalo. Kki'LKr Ilpkbkuto, di Giovanni e di Su¬ sanna Keuttinger, nato il 6 aprile 1625. Krfi.kr Lonovioo, di Giovanni odi Bar¬ bara Moller nacque il 21 dicembre 1607 ed INDICE BIOGRAFICO. 465 avuta, insieme colla sorella Margherita, la prima educazione a Caustadfc ed a Wels, fu l'atto studiare nel ginnasio di Linz dal pa¬ dre, elio lo condusse poi seco nel 1619 a Ra- tisbona e nel 1624 a Vienna, dove presentò all’imperatore una scultura da Ini eseguita, riportandone elogi e doni. Proseguì poi gli studi a Ratisbona, in Altdorf, a Sultzbach e finalmente a Tubinga, dove ottenne il ma¬ gistero 1’ 11 febbraio 1629. Intraprese po¬ scia gli studi di medicina, che seguì succes¬ sivamente a Wittemberg, a Basilea ed a Strasburgo. Dopo la morte del padre fu a Ginevra, poi a l'Yancoforte, e inline a Konigs- berg, dove nel 1635 cominciò ad esercitare l’arto medica. Tre anni dopo partiva per l’Italia, o trattenutosi a Padova vi riportava la laurea in medicina. Si recò poscia in Un¬ gheria, e vi rimase tre anni praticando l’arto medica, che era ormai divenuta la sua pro¬ fessione. Richiamato a Kònigsberg, vi di¬ venne medico delia città e mancò ai vivi il 13 settembre 1663. Krpler Reuttinger Sosanna. Nacque in EHerding presso Linz, di Giovanni o d’una Barbara della quale ignoriamo il casato, e fu educata nel collegio di Starenberg. Divenne la seconda moglie ili Giovanni Keplor, che era rimasto vedovo della prima (Barbai*a Miiller) il 3 luglio 1611. Di lei come fidan¬ zata seri ve va: « forma, mores, corpus, attem¬ perata ad mea, nullus fastus, nulla sumtuo- sitas, laborum patientia, scieutia mediocris regendae domus, aetas media animusque ca- pax eius quod adirne deost». Disegnava spo¬ sarla il dì 28 ottobre 1613 « die eclipsis lu- nae, spiritu astronomico tecto»; le nozze però ebbero luogo il 30. Partorì al marito sette figliuoli, tre maschi e quattro femmine, e gli sopravvisse. Kikkeii Atanasio. Nacque a Ghysen, presso Fulda, il 2 maggio 1602 ed entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù il 2 ot¬ tobre 1618. Autore di opere ponderosissime, professò filosofia e matematica nella univer¬ sità di Wiirzburg. I disastri della guerra dei trent’anni lo costrinsero a lasciar la Baviera, c passò in Francia trattenendosi per qual¬ che tempo in Avignone. Fu in seguito man¬ dato a Roma, dove morì il 27 novembre 1680. Voi. xx. Kolonvrat (di) Zenone, di Volfnngo. Compiuti gli studi nelle università di Ingol- stadt e di Padova, si recò in Ispagna, dove condusse in moglie Eleonora de Roxas. Morì nel 1658. La ni a Andre a. Di lui sappiamo soltanto per tre denunzie segrete contenenti accuse di negromanzia, le quali si trovano nell’ar¬ chivio del S. Uffizio presso il R. Archivio di Stato di Venezia: esse però non contengono alcun dato biografico. Ladislao IV, re di Polonia. Nacque a Cracovia di Sigismondo Ili e d’Anna d’Au¬ stria il 30 maggio 1595, e già prima di suc¬ cedere al padre sul trono di Polonia venne chiamato a sedere su quello di Russia e a sostenere con le armi la sua elezione. Com¬ battè ripetutamente e con quasi continui suc¬ cessi i Turchi che avevano invaso i suoi Stati, o conchiuse una tregua di ventisei anni con gli Svedesi. Abilità di governo, valore mili¬ tare o fortunate circostanze gli permisero di allargare notevolmente i confini del suo regno, pur sempre però, e non senza colpa dei Gesuiti, agitato da guerre civili. Morì a Merecz sul Nicmen il 10 muggio 1648. Lagalla Giulio Cesare. Nacque nel 1576 in Radula nel regno di Napoli. Compiuti gli studi di filosofia e di medicina, fu a di¬ ciotto anni eletto medico delle galero pon¬ tificie, ed a ventuno lettore di logica nella Sapienza di Roma, nel quale ufficio rimase fino alla morte avvenuta il 15 marzo 1624. Lagi Pietro, di Andrea di Siinone, fu per qualche tempo addetto alla corte del card. Francesco Barberini; ed alla morte del padre, sensale dell’Arte della lana, fece ritorno a Firenze. Lagonissa (di) Fabio. Nacque di Gio. Battista e di Felicita Caracciolo in Napoli. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu da Paolo V eletto referendario dolPuna e del¬ l’altra segnatura, e da Gregorio XV pro¬ mosso arcivescovo di Consa il 21 fobln-aio 1622. Andò nel 1626 col card. Barberini le¬ gato in Ispagna, e nell’anno successivo nun¬ zio nel Belgio, di ritorno dalla quale missione fu eletto patriarca d’Antiochia. Rinunciò nel 69 466 INDICE BIOGRAFICO. 1045 a questa sede, e si ritirò h Rodo» dove morì nel 1653 Lambardi Francesco. Organista della regia cappella in Napoli tra il 1607 ed il 1616, autore di diverso composizioni musicali. Lana Figurante. Probabilmente quel « Lana Tersi Ferrante * del quale abbiamo trovato in fonti bresciane che fu « genti¬ luomo giureconsulto oollegiato », che « pos¬ sedeva Parte oratoria ed era ornato di bella erudizione », e che « fioriva in principio del secolo XVII Lànoillotti Secondo. Di notabile fami¬ glia perugina, ancora giovanissimo entrò in religione nell’archicenobio di Monte Uliveto Maggiore, in quel «li Siena, noi IMM e pro¬ priamente verso la tino del maggio. Professò solamente il 13 aprile del 1599 e sempre nella detta Badia, ove rimase Bino al 1605. Fu di una attività meravigliosa, e le nume¬ rose opere sue ce lo attestano, sì per la loro estensione, sì per la vastità della dottrina. Per compilare la * Il istoria Olivetana » non si ristette dal compulsare tutti gli archivi dell’Ordine; e V < Àcus nautica», con la «pialo si proponeva di venire io aiuto ai pro- dicatori, opera poderosa di ben ventidue vo¬ lumi, basterebbe ossa sola a «lare una idea della sua meravigliosa attività, purtroppo «pianto all<* esteriori forme non immune dai difetti del tempo. 1/ « Acus nautica ► ft ri¬ masta inedita; e con la fiducia di poterla pubblicare egli s’era appunto recato a Pa¬ rigi nel 1039, dove mori in età di Gl unni PII gennaio 1643. Lanci Aprllk, di Pompilio di Baldassaro architetto granducale, da Urbino, nacque nel 1560, presentò le sue provante di no¬ biltà nel 1582 o fu cavaliere connnendaton' dell’ordine di S. Stefano. Palle provante di Pompilio buo figlio, apparisco elio egli fosse già morto noi 1641. Lanci Ippolito. Pai Decreta del S. Uf¬ fizio risulta che « Fr. Uippoly tua M. Lancius Ord. Praed. ab Aqua Nigra, S. Tlieol. Magi- st.er > fu eletto cornili iasario generalo il 27 gennaio 1621, Lanci Federico. Principe di Val di Taro succeduto a buo padre Claudio noi 151)0, dopo ottenuta l’investitura o conferma dei beni o privilegi paterni da Rodolfo imperatore nel 15 marzo «li quello stesso anno. Nelle moneto «la lui coniate è detto: « Dominila Federica» Landa» Sacri Imponi Romani ac Valli» Tari et Ceni Princcps III, Bardi Mar¬ chio, Complani Comes, Plobis Medoniao Do¬ mimi» ». Notizie particolareggiato intorno a questo personaggio sono fornite dagli sto¬ rici piacentini, a motivo della condanna a morte pronunziata «jontro di lui per la uc¬ cisione, da certi sgherri commossa per suo ordine, nella persona d’ un sacerdote; con¬ danna ch’egli sfidò, stando nella forte sua rocca di Bardi sotto la protezione dei mi¬ nistri spaglinoli ed imperiali. Canoini Pio. Battista di Santi di Anto¬ nio. Pel tipografo del «Dialogo dei Massimi sistemi - nessuna memoria rimano negli ar¬ chivi «la quella in fuori «li qualche privilegio per la stampa «li libri. Un Aneddoto biblio- yrafico sul Tacito chi Davanzali , concer¬ nente il tipografo cosiddetto dei Tre pesci, ai legge a pag. 681-690 «Ielle Opere di Cesare Guasti, voi. V, Prato, 1888. Landò Antonio. Nacque in Venezia, di Gi¬ rolamo o di Maria Frizzo il 9 settembre 1553. Fu provveditore generale all’armata in ter- raferma. Capo dei XL alla morte del doge Niccolò da Ponte noi 1585, eletto Procura¬ tore «li S. Marco il 10 febbraio 1612, bal¬ lottato dogo nell’elezione di Giovanni Ilembo nel 1615, correttore all'elezione del dogo Nie¬ llò Donato nel 1618 e ballottato ancora ' «l«>ge. Morì noi gennaio 1619. L vNDsnERQ (van) Filippo. Nacque a Gand il 25 agosto 1561. Dopo avero studiato in Inghilterra la teologia, fu ministro prote¬ stante in Anversa. Dopo la presa di questa città da parto dogli Spagnuoli, si ritirò in Zelanda e nel 1615 si stabilì a Middelburg, dedicando-i allo studio delle matematiche, della medicina e dell’astronomia, e parteci¬ pando ullo questioni allora risollevate circa il moto della terra. Morì a Middelburg 1 ti no- 1 veni b ve 1632. INDICE BIOGRAFICO. 407 IjAHDUOCI Benedetto, eli Luca di Bene¬ detto, nacque in Firenze (p. ft S. Maria No¬ vella) il 31 luglio 1569. Langibbi Vincenzio. La famiglia Lan- gieri ebbe comuni le origini con la famiglia Garibaldi di Genova: durante le guerre civili si rifugiò in Toscana dove il cognome si al¬ terò in Lancer. Vincenzio, dopo essere stato con l’ambasciatore di Toscana a Roma, di¬ venne maestro di casa del card. Carlo de 1 Me¬ dici; e negli ultimi anni di sua vita istituì in Roma una commenda col titolo di S. Celso. Langrbn (van) Miohblb Fiorenzo. Da una famiglia nella quale erano tradizionali la incisione e la cartografia, nacque, pro¬ babilmente in Anversa, nei primi anni del secolo XVII. Morì a Bruxelles nel 1675, la¬ sciando una grande reputazione come inge¬ gnere idrografo ; ma non per questo egli è oggidì maggiormente uoto, sibbeno per aver pensato di risolvere il problema delle longitudini mediante le ecclissi e la illumina¬ zione delle montagne della luna: questo concetto lo condusse a darò dei nomi a tali montagne, ed approfittando del suo talento di incisore pubblicò nel 1645 le prime carte contenenti siffatta novità. Lansius Tommaso. Nato a Bergen in Au¬ stria il 16 febbraio 1577, dal 1606 in poi professore di diritto a Tubinga, dove morì il 22 dicembre 1657. Laureo [Lauri] Vincenzo. Nacque a Tropea nelle Calabrie il 28 marzo 1523. Da l’io V fu eletto vescovo di Mondo vi ; onde poi, creato cardinale, fu chiamato il Cardi¬ nale di Mondavi. Da Gregorio Xlll fu man¬ dato nunzio in Polonia, eletto prefetto della congregazione istituita per la riforma del calendario, c il 12 dicembre 1583 creato car¬ dinale. Morì in Roma nel 1592. Lazara Giovanni. Nacque in Padova di Antonmaria, uno dei fondatori dell’Accade¬ mia degli Oplosolisti, nel 1560; inori nel¬ l’aprile 1639. Lazooski Stanislao. Le matricolo della Nazione Polacca nello Studio di Padova ser¬ bano di lui, sotto l’anno 1602, la seguente memoria: « Stani si aus Lasoeski de Glowo ». Leni Gio. Battista. Nacque di nobile famiglia a Roma nel 1573. Abbracciato lo stato ecclesiastico, gli fu agevolata la via degli onori dalla parentela con la famiglia Borghese. Da Paolo V ottenne prima la chiesa di Miloto in Calabria nel 1(508, poco appresso la porpora cardinalizia col titolo di S. Sisto, che sotto lo stesso pontefice, mutò con l’altro di S. Cecilia. Nel 1611 fu trasferito all’arcivescovato di Ferrara, fin¬ ché dal card. Scipiono Borghese gli fu ce¬ duto l’arcipresbiterato di S. Pietro. Mancò ai vivi il 3 novembre 1627. Lextowioz Marco. Gli atti della Nazione Polacca nello Studio di Padova sotto il cou- siglieratodi Andrea Nartissewics, inaugurato il giorno 30 luglio 1599, registrano il nome di « Marcus Lentowslci » il quale apparisce creato consigliere della Nazione il 31 luglio 1602. Legna udì d’ Argtcnsola. Bartolommeo. Di famiglia oriunda da Ravenna, nacque in Barbastro (lluesca) il 26 agosto 15(52 di Giovanni Leonardi o di Aldonza de Argon- sola, o seguì gli studt nelle università di Huesca e di Saragozza, riportando la laurea in ambe lo leggi. Fin dai suoi primi anni aveva mostrata grande propensione alla poesia od agli studi di erudizione storica, nei quali doveva poi rendere illustre il suo nome. Ordinatosi sacerdote nel 1588, prese parte anche alle cose politiche c di corto. Nel 1615 lo troviamo a Napoli presso quel viceré e poi a Roma presso il fratello di questo, Francesco de Castro, per sollecitare un canonicato nella metropolitana di Sara¬ gozza: noi successivo anno tornò in Ispa- gna col conte di Demos, clic aveva compiuto il periodo del suo vicereame. Morì a Sara¬ gozza il 4 febbraio 1631. Leoni Livio. Supcriore del monastero di S. Agostino in Padova, fu condotto dal Se¬ nato Veneto alla lettura di metafisica nello Studio di Padova con decreto del 3 feb¬ braio 1593, e la tenne tino alla morte avve¬ nuta il 3 marzo 1617. 468 INDICE BIOGRAFICO. Leonida Fabio. Nacque nel castello «li | R. Fiora. Fu fecondissimo scrittore di versi latini ed italiani, che in Roma, dove egli trasse la vita, andava o leggendo nell’ Ac¬ cademia degli Umoristi, o indirizzando a co¬ spicui personaggi, o pubblicando in occasioni solenni. Visse alla corte del card. France¬ sco Boncompagni, ohe però non volle seguire j quando andò arcivescovo a Napoli. Uiinnso a Roma, vivendo di alcune pensioni eccle¬ siastiche che aveva elemosinate: era per acco¬ modarsi corno segretario del card. Oio. Carlo de* Medici, quando fn colto dalla morte in¬ torno al 1640. Lesohauhiru Giacomo. Nacque in Parigi nel 1550, e vi morì il 28 aprile 1625. Giure¬ consulto eminonte e avvocato al parlamento di Parigi, seguì lo parti di Enrico IV. l)i Ini ricorderemo in particolare la « Consul- tatio Purismi cuiustlam de controversiis in- ter Sanotitatem Pauli V et Rem pubi ics m Vcnetam (Parigi, 1607} », diretta contro il papa e che troviamo affermato avergli valso dalla Repubblica Veneta il dono d’una ca¬ tena d’oro. Di questo dono però nessuna traccia serbano i documenti del R. Archivio di Stato in Venezia, nel quale invece bì tro¬ vano alcune lettere di lui al Sarpi riguar¬ danti materio giuridiche ed ecclesiasticho. Lbsniovolski Rosno. Gli atti della Na- , ziono Polacca nello Studio di Padova, sotto il cousiglierato di Stanislao Soczki de Glewo I nell'anno 1604, registrano il nome di « Rosnua Lesniowolski Linai Giulio. Nacque «li Paolo in Firen¬ ze intorno all'anno 1550, e incominciò la soa carriera d’insegnante con leggere filosofia a Pisa, prima nella cattedra straordinaria, poi in concorrenza con Francesco Buonamici. Le vicende di questa concorrenza lo obbli¬ garono a lasciare Pisa per Padova, dove venne chiamato alla prima cattedra di logica con decreto del Senato Veneto dei 3 novem¬ bre 1595, e vi rimase a tutto il 1600. Ritornò poi a leggero in Pisa, dove mori nel dicem¬ bre 1610. Liokti Fortunio. Nacque a Rapallo il 3 ottobre 1577, seguì gli studi a Bologna, o nel 1600 ora giò « praeceptor dialecticae * nello Studio di Pisa; dalla quale lettura passò poco dopo alla lettura straordinaria di filosofia, c pili tardi ad una di medicina, Con decreto del Senato Veneto dei 25 ago- ito 1609 fu chiamato al primo luogo di filo¬ sofia straordinaria nello Studio di Padova; con altro decreto dei 22 aprile 1622, al se¬ condo di filosofia ordinaria. Dopo quindici anni la-ciò Padova, per Bologna; pili tardi vi ritornò,occupando il primo luogodi medicina teorica ordinaria per decreto dei 18 settem¬ bre 1645. Mori in Padova il 17 mag. 1657. Lir/.Kodi Ryui.ick Giovanni e Stanislao. Negli atti della Nazione Polacca dello Stu¬ dio di Padova, nel censimento « Nationum incliti Regni l'oloniae anno Domini 1602 pridie calen. Augusti *, leggiamo : « loannes et Stanialau « Lyczkoyn Rygliczo». 11 primo di e- i fu eletto Consigliere della Nazione il 1° agosto 1605. Liso «dii) Carlo. Nato a Lione il 20 gen¬ naio 1009,entrò nella Couip.di (ìo.sù il24 set¬ tembre 1622.Nrl 1635 ora professore di Sacra Scrittura e «li ebraico nel collegio della Tri¬ nità di Lioue, e «piivi morì il 1° sett. 1678. Ligozzi Iacopo. Nacque in Verona in¬ torno al 1543, o fu scolaro di Titolo Veronese. Si stabili in Firenze al tempo del granduca Ferdinando I, e vi divenne pittore ili corte con soprint«»ndenza alla galleria. Mancò ni vivi dopo il 1632. Ltn88| in cui suo padre veniva, per ordine del re Fnrico 111 assas¬ sinato, fu arrestato o chiuso imi castello di Tours, dal quale riuscì ad evadere nel 1591. Si riconciliò con la corte, o fu pari e gran maestro di Francia, ammiraglio dei mari «li Levante, governatore della Sciampagna e della Provenza. Temendo però di lui e del suo credito presso la Lega, Riche!iou lo co¬ strinse ad abbandonare la Francia, ed egli si ritirò nel 1631 a Firenze. Morì nel 1640. Lorkna (di) Cristina, di Curio duca di Lorena, andò sposa noi 1589 al granduca Fordinando 1 di Toscana. Alla morte del figlio granduca Cosimo li, fu da lui eletta reggente dello Stato insieme con la nuora Maria Maddalena d'Austria. 11 suo nome b in fronte alla lettera che Galileo scrisse per la libertà dell’investigazione scientifica. Mori uellu villa di Castallo il 20 dicembre 1637 Lorinzini Antonio, da Montepulciano. Dallo memorie storiche municipali appari¬ rebbe che egli insognasse filosofia in Pisa ed in Padova ; ma poiché nelle storie di que¬ sta due università non ai fa menzione di lui, convien dire che egli, tutt'al più, inse¬ gnasse privatamente. Sarebbe andato a Pa¬ dova nel 1604. Sembra fosse noto col nome di Antonio I/O rei iz ino Poliziano. Lorini Giovanni. Nacque in Avignone nel 1559 ; entrò nel noviziato della Com¬ pagnia di Gesù il 2 ottobre 1575. Autore di opere gravissime d’ordine teologico, insegnò filosofia, teologia o Bacia Sorittuia a Roma, Parigi o Milano, e fu per ventiquattro anni rettore, ed a lungo teologo del Padre Ge¬ nerale. Morì a Dole il 26 marzo 1G34. Lorini Nicoolò. Nacque di famiglia pa¬ trizia in Firenze nel 15-14, e giovanissimo vestì l’abito domenicano in 8. Maria Novella. Conseguì la laurea teologica, e il 14 giugno 15'-Q fu eletto priore di S. Domenico di Fie¬ sole, donde passò a reggere il convento di S. Gimiguano il 10 giugno 1582. Nella prima domenica dell’Avvento 1585 predicò nella cappella Sistina e fu lutto predicatore apostolico. Noi suo Ordine pervenne al grado di predicatore generalo, e dal granduca di Toh -una, al quale era particolarmente caro, fu dotto lettore di storia ecclesiastica nello Studio di Firenze. Viveva ancora noi 1017. Lotti Cosimo. Pittore, costruttore o mec¬ canico abilissimo o assai bene accolto alla corte di Toscana, perché sapeva adattare il ano ingegno agli esercizi più avariati, passando dulia pittura d’un quadro alla co¬ struzione d’un ponte, dalla fabbricazione di automi e di giuochi d’acqua alla modellazione di pasticci o dolci por la tavola granducale. Filippo IV di Spagna lo volle presso di sè quando ideò il palazzo del Buon Retiro, ecl egli divenne così ingegnere ed architetto reale, costruendo il teatro e dipingendo nel tempo stesso le scene e preparando gli at¬ trezzi « meccanismi, per ideare i quali non ebbe pari al suo tempo. Lotti Ottaviano. Nacque dal capitano Filippo in Firenze nel 1576: dal 1603 al 1614, come segretario d’ambasciata, fu ro¬ dente per il granduca a Londra, o di ri¬ torno a Firenze rimase corno segretario alla corta, giungendo al grado di primo segre¬ tario. Fu con Andrea Gioii uno dei duo se¬ gretari del consiglio di reggenza istituito da Cosimo II o mori nel 1636. Lltiinski Stanislao. Secondo il Diario «lei Sansonio venne a Padova nel 1598, e di¬ ventò più tardi vescovo di Plock. Ludo vini Ludovico, di Orazio o di La¬ vinia Albergati nacque in Bologna il 22 ot¬ tobre 1595. Dallo zio papa Gregorio XV fu INDICE BIOGRAFICO. 471 eletto dapprima referendario dell'ima e del¬ l’altra segnatura, poi arcivescovo di Bologna, e finalmente, nella prima creazione dol 15 febbraio 1G21, cardinale. Finché visse Gre¬ gorio XV fu anche segretario di Stato, ed alla morte del cardinale Montalto gli suc¬ cedette nella carica di vicecancelliere di Santa Chiesa. Non godette il favore di Ur¬ bano Vili, sebbene avesse contribuito alla elezione di lui, e ritiratosi nella sua archi- diocesi di Bologna vi morì il 18 novembre 1G32. Luilltbr Francesco, di Girolamo e di Isabella Dreux, prima tesoriere di Francia a Parigi, poi consigliere al parlamento di Metz. Da una sua parente, Maria Chanut, ebbe un figliuolo, elio divenne il poeta Oha- polle. Morì a Pisa sul principio dol gen¬ naio 1652. Luna (della) Alvise. Chiamato da Ve¬ nezia col fratello Iacopo a Firenze dal gran¬ duca Cosiino II, vi si trattenne parecchi anni, lavorando por lui in vetri e specchi. E in Firenze morì nel 1G27. Lunardi Iacopo Antonio. Nacque di Francesco di Gio. Battista nel 1598. Lusaroiies (di) Filippo. Per lungo tempo con diversi ambasciatori francesi a Roma, loro maestro di camera, agevolò la corri¬ spondenza tra i letterati italiani e francesi. Macoolo Iacopo. Scozzese, fa chiamato nel 1614 da Cosimo II granduca di Toscana ad insegnare medicina e a soprintendere all’orto botanico dello Studio di Pisa; ma con deliberazione dei 20 ottobre 1617 fu rimosso insieme col fratello che si vantava di straor¬ dinari segreti nell’arte chimica. Maoinghi [Macigni] Manfredi. Nacque in Firenze di Andrea di Manfredi e di Lau- domine di Bernardo Rucellai nel 1572. Fu consolo dell’Accademia fiorentina nel 1G07. Morì il 2G novembre 1626. Maculano Vincenzo. Nacque in Fioren- zuola PII settembre 1578, ed a sedici anni vestì l’abito domenicano nel monastero di Pavia. Dopo avere insegnato nei conventi nei quali era stato scolaro, ed essere stato provinciale in vari luoghi, fu eletto procu¬ ratore e di lì a poco vicario generale dol suo Ordine e risedè in Roma. Fattosi quivi ben presto conoscere, fu chiamato alle alte cariche di commissario del S. Uffizio e di maestro del Sacro Palazzo Apostolico, e da Urbano Vili creato cardinale col titolo di S. Clemente e poi arcivescovo di Bene- vento, dove rimase tino al 1643. Godè an¬ che di molta reputazione come architetto militare, e perciò fu adoperato dal papa nel fortificare le rocche dell’isola di Malta contro i Turchi, o soprintese alle fortifica¬ zioni di Bologna c ad alcune riparazioni fatte in Castel S. Angelo, e venne consultato circa le mura di cui Urbano Vili volova cingere Roma. Morì in Roma il 15 febbraio 1667. Màelootb (van) Odo. Nacque a Bruxel¬ les il 28 luglio 1572; fu ricevuto novizio nella Compagnia di Gesù a Tournni il 12 febbraio 1590. Ebbe relazione con molti fra i più cospicui astronomi del suo tempo, ed insegnò matematiche e lingua ebraica nel Collegio romano. Morì in Roma il 14 mar¬ zo 1615. Maestro (del) Giovanni. Dall’elenco de¬ gli «Stipendiati della Depositeria » della corte di Toscana risulta che nel 1603 era maestro di casa del granduca Ferdinando I. Magagnati Girolamo. Nato a l.endinara noi Polesine di Rovigo, poeta giocoso, ne¬ goziante e fabbricatore di vetri artistici in Murano, fu aggregato all’Accademia della Crusca il 7 luglio 1610. Fece anche lungo soggiorno in Roma, ma poi si ritirò defini¬ tivamente a Venezia: nel 1G17 divenne cieco. Nessuna notizia abbiamo trovato di lui dopo il 1618. Magalotti Carlo, di Vincenzio e di Clarice Capponi. Fu da Urbano Vili, suo affine, eletto luogotenente generale della guardia pontificia. Morì in Parigi essendo colà in missione. Magalotti Filippo. Nacque il 30 no¬ vembre 1558 da Roberto e da Dianoni Gi- 472 INDICE BIOGRAFICO. rolami. Fu (lue volte commissario in Yaldalsa, nel 159?» e nel 1608. Magalotti Lorknio, di Vincenzo o di Chiara Capponi, nacque in Firenze, o fu educato nel seminario romano della Compa¬ gnia di Gesù: attese poi allo studio dello leggi nelle università di Perugia e di Pisa, e in questa si laureò. Nel 1608 si trasferì a Roma, entrò in prelatura e di lì a poco tempo fu in¬ viato come vicelegato presso il card. Maffeo Barberini a Bologna. l>i ritorno a Roma ebbe da Paolo V alcuni governi o da Gregorio XV uffici delicati ed importanti. Urbano Vili, appena salito al trono, lo elesse segretario dei brevi ai principi e poco appresso, cioè il 7 ottobre 1624, lo decorò della porpora, prima col titolo diaconale di S. Maria in Aquiro, poi con quello presbiteriale dei SS. Giovanni e Paolo. Nel 1628 fu eletto alla sede arcivescovile di Ferrara e non gli fu più concesso di recarsi a Roma; ed in Fer¬ rara morì il 18 settembre 1637. Magalotti Orazio. Nacque di Filippo o di Camilla di Luigi Capponi in Firenze in¬ torno al 1590. Da Gregorio XV nominato maestro generale dello poste papali: il 9giu¬ gno 1648 fu dichiarato, co’suoi discendenti, patrizio romano. Accompagnò, nel 1644, mone. Giulio Rospigliosi nunzio in Spagna, e nel 1651 fu in missione in Polonia, dove quel re Giovanni Casimiro lo elesse, il 12 apri¬ le 1651. suo gentiluomo di camera e consi¬ gliere. Fin dal 1616 aveva sposato Francesca di Alessandro Venturi, da Ferdinando II eletta il 20 luglio 1661 a maggiordomi! mag¬ giore della principessa l.nisa Margherita di OrléauB sua nuora. Morì il 7 settembre 1663. Maoanza Gto. Battista. Nacque in E*te nel 1509, e sotto il nome di « Magagnò * poetò in lingua rustica padovana; coltivò anche la pittura, nella quale fu scolaro di Tiziano od acquistò una certa celebrità come ritrattista. E rimasto di lui. fra altre cose, un autoritratto insieme con quelli dei suoi soci in poesia, Agostino Rapa (Menonl e Barto- lomraeo Rustichello (Begotto). Morì nel 1589. Magi Lodovico. Milanese, eletto vescovo di Lucerà il 29 aprile 1609, morto l’anuo 1618. Maoini Gio Antonio. Nacque di Pa¬ squale in Padova il 14 giugno 1555, intra¬ prese gli studi nella patria università e li compì in quella di Bologna conseguendo la laurea dottorale il 10 giugno 1579. Aspirò in concorrenza con Galileo alla lettura ma¬ tematica pure in Bologna, l’ottenne con par¬ tito del 1 agosto 1588, e vi fu continuamente conformato lino alla morte avvenuta 1’11 feb¬ braio 1617. Calcolatore di effemeridi valen¬ tissimo, tenuto in grande stima da Ticone cdal Keplero, col quale aveva disegnato un lavoro in comune, lasciò un numero grande di opere, non Bolo concernenti la astrono¬ mia, ma anche la geografia e tra questo, in capo a tutto, quella « Italia » cho per que’ tempi poteva dirsi una vera meravi¬ glia. Fu inoltre, come buona parte dei ma¬ tematici del suo tempo, buon costruttore egli stesso di strumenti matematici, di spec¬ chi e, dopo P invenzione del cannocchiale, anche di lenti ; e nella scala delle scienzo occulte può dirsi abbia percorsi tutti i gradi, diill’astrologia lino all’alcliimin ed alla me- topoacopia. Magiotti Sani.kolini Lattanzio. Nacque di Desiderio in Montevarchi, o fu battezzato il 27 giugno 1590; probabilmente per di¬ ritto di primogenitura aggiunse, in confronto dei fratelli Raffaello e Sebastiano, al suo cognome di famiglia l’nitro dei Sauleolini che era stato portato dal padre e dall’avo, sor Giuliano da S. Leolino. Seguì gli studi all'università di Pisa, dove si laureò in me¬ dicina il (> maggio 1612; o nell’esercizio della professione conseguì tale reputazione, da esser chiamato da Ferdinando II come me¬ dico alla corte granducale. Magiotti Ràftakllo. Nacque di Desi¬ derio in Moutevarchi, e fu battezzato il 5 set¬ tembre 1597. Vestito l’abito talare, divenne prete dell’ordine di Santa Lucia della Chia¬ vica e trascorse gli anni della sua prima gioventù in Firenze, trasferendosi poi in¬ torno al 1630 a Roma, dove fu, prima, alla corte del card. Sacchetti, e poi scrittore della Biblioteca Vaticana, e sempre nella intimità del Castelli, del Torricelli, di M. A. Ricci e di Antonio Nardi. Fu a lui rivendicata l’in¬ venzione dei c ludioni », attribuita ni Pescar- INDIO li BIOGRAFICO. 473 Ics, il principio matematico dei quali applicò ad osservazioni sulle funzioni della vita ani¬ male. Le suo esperienze sul deflusso delle acque in appoggio alle conclusioni Torricel- liane sono di gran momento nella storia della scienza. Morì di peste in Roma nel 1658. Magiotti Sebastiano. Fratello dei due precedenti, fu « Luogotenente delle bande » a Montevarchi. Magni Valbriano, di Costantino e di Ot¬ tavia Carcassoli, nacque in Milano nel 1587, od entrò a quindici anni nell’ordine dei Cap¬ puccini. Dopo essere stato maestro dei novizi e guardiano di case del suo Ordine, professò la filosofia e la teologia. Urbano Vili lo mandò missionario apostolico per tutta la Germania, la Polonia, la Boemia e l’Unghe¬ ria, o lo dichiarò capo delle missioni del Nord: fu nuche ripetutamente adoperato in affari diplomatici. Molti principi d’Europa insistettero più volte presso il papa perchè volesse conferirgli la porpora; ma l’odio di lui contro i Gesuiti, e le persecuzioni che ne conseguirono, ne impedirono 1’ effetto. Non fu alieno dallo studio dello scienze, e si oc¬ cupò di cose fisiche, ripetendo e, a quanto pare, tentando di appropriarsi alcune espe¬ rienze del Torricelli. Morì a Salisburgo nel 1GG8. Mainarli Vincenzo, di Poscia, fu eletto giudice ordinario a Siena nel 1(533. Maire (le) Giovanni. Nato a Chaumont nel 1581, per lettere patenti del 27 agosto 1044, a conferma di un brevetto ottenuto l’anno precedente, ottenne di pubblicare e stampare i suoi segreti od invenzioni, e di costruire con privilegio parecchie macchino e strumenti. Queste sue invenzioni erano di natura disparatissime: da un metodo uni¬ versale per tradurre tutte le lingue, ad una macchina per elevar l’acqua ; dall’arte mne¬ monica, alla costruzione dello lamiere di ferro, eco. Malapbrt Carlo. Nacque a Mons il 12 lu¬ glio 1580 ; entrò nel noviziato della Compa¬ gnia di Gesù il 17 novembre 1600. Insegnò filosofia in Lorena, matematiche in l’olo- Yol. XX. nia eil a Donai, e di osservazioni astrono¬ miche quivi da lui fatte scrive lo Soheiner nella sua « Rosa Ursina ». Fu rettore del Collegio scozzese di Donai e di quello di Arras. Stava per recarsi a Madrid, por ob¬ bedire all’invito di Filippo IV che lo voleva colà come professore di matematiche, quando morì per istrada a Victoria il 5 novembre 1630. Da notarsi che la sua opera « Au¬ striaca Sydera » ha la dedica del 1(527, l’ap¬ provazione di stampa del 1(528, ma non so ne conoscono edizioni anteriori al 1633; essa sarebbe dunque postuma. Malaspina Pier Franoesoo, di Gasparo o di Giulia Nicelli nacque a Parma intorno al 1550, e portò il titolo di « marchese de¬ gli edilizi » eli’ era un feudo del Piacen¬ tino. Nel 1570 fu con Alessandro Farnese alla battaglia di Lepanto, od inviato poi ambasciatore di casa Farnese alla Dieta del- P Impero, alla casa di Savoia, a Madrid, agli imperatori Massimiliano, Rodolfo e Mat¬ tia, a Clemente Vili. Dal 1° settembre 101 1 a tutto il 31 dicembre fu consigliere di guerra e di segnatura, e dal 1° gennaio 1(520 al 13 febbraio 1624, aio del principe Odoardo Farnese. Mancò ai vivi il 14 marzo 1624. Malatesti Antonio. Dai Griffoli di Ter¬ ranova Bracciolini nel Valdarno di sopra, elio, trapiantandosi in Firenze, dove poi, nel 1531, furono ascritti alla cittadinanza fiorentina, si dissero, per un di loro, dei Malatesti, nacque Antonio da Emilio di Antonio ili Malatesta. Fu, come i suoi, setaiolo; finché il granduca Ferdinando II lo nominò guardiano dei ma¬ gazzini del sale. Fu degli Apatisti : coltivò la poesia giocosa ; ma studiò anche astro¬ nomia col Serenai, amico del Torricelli, e il disegno con Lorenzo Lippi. Morì il 27 dicem¬ bre del 1672, e fu deposto in S. Croco, dove fino dal 1503 i Malatesti avevano la sepol¬ tura. Il suo nome è maggiormente raccoman¬ dato alla Sfinge, serie di sonetti enigmatici. Malipiero Giovanni. Nacque in Venezia il 26 maggio 1541 di Niccolò e di Elisabetta Pisani. Nel 1582 fu podestà a Vicenza, nel 1596 capitano a Verona, nel 1601 capo del Consiglio dei Dieci, nel 1606 capitano di Pa¬ dova, nel 1611 consigliere. Una inscrizione oo 474 INDICE BIOGRAFICO. in suo onore leggesi nel palazzo dui capita¬ nato in Padova. Malipibro Girolamo. Nacque in Venezia di Alessandro e di una Tiepolo il 14 luglio 1555, fu prò vn editor di Commi noi 1593, o podestà a Monsclioe. Morì nel 1029. Malvasia Gio. Battista, di Napoleone, colonnello e visitatore delle fortezze ponti¬ ficie, e di Gentile Orsi, nacque in Bologna il 24 uoveuilire 1588, e fu tenuto al fonte battesimale dal card. Saiviati. Diveuue ca¬ nonico di S. Pietro. Malvezzi CaiSToroRO. Nacque a Lucca di Niccolò, o fu battezzato in S. Frediano il 28 giugno 1547. Col padre e con Iacopo Corsini coltivò gli studi musicali e divenne uno dei piò famosi contrappuntisti del suo tempo. Nel 1572 fu investito di un canoni¬ cato nella basilica di S. Loreuzo in Firenze, e nel 1573 fu nondnato maestro della cap polla granducale, nella qual carica gli Buc¬ cedette il suo discepolo Iacopo Peri. Fu sepolto in S. Lorenzo il 25 gennaio 1599. Malvezzi Virgilio. E non Virginio, come 10 troviamo nominato, nacque nel 1695 a Bologna da Piriteo o da Beatrice Orsini. In gioventù militò contro il duca di Savoia per 11 re di Spagna, dal quale fu poi creato membro dol consiglio di guerra e mandato ambasciatoro in Inghilterra. Kitornato a Bo¬ logna, fu eletto gonfaloniero noi 1G4Ò, e sem¬ pre occupato in esercizi di lettere o di go¬ verno, tenuto in grande estimazione da ragguardevoli personaggi, quali il granduca di Toscana, il cardinale Pallavicini, ed il car¬ dinale Fabio Chigi che fu poi papa Alessan¬ dro VII. Morì in Roma PII agosto 1G53, e fu sepolto in S. Maria del Popolo. Manca de I’imdo Gio. Tommaso. Di fa¬ miglia sarda, nativo di Alghero, se, come crediamo, appartenne alla stessa famiglia dalla quale uscì un altro, come lui, Dome¬ nicano, per nome Francesco, che fu anche pubblico lettore nell’accademia di Cagliari. Mancini Marco, di Giannozzo di Buccino c di Lodovica di Alamanno da Verrozzuuo. Manettt Buaccio, di Giovanni e di Lu¬ crezia ilieasoli, nacque in Firenze nel 1G07 Scelto dal granduca come provveditore dei Mendicanti o poscia del Bigallo, in anni tra¬ vagliosi per carestia e malattie dimostrò ca¬ rità e zelo singolari. Fu anche deputato con Famiano Micholini ai ripari da farsi all’Arno noi piano di Varlungo, e trovò egli per il primo il modo di difendere le sponde dei fiumi con cantoni o masselli di smalto. Eletto soprintendente generale delle possessioni granducali, e con talo ufficio recatosi in Maremma, morì, per malattia ivi contratta, a Grosseto nel 1652. Fu ascritto all’Accade¬ mia della Crusca, od alla fiorentina della quale fu consolo nel 1(512. Alla morte di Ga¬ lileo, dol quale era stato discepolo, aveva raccolto buon numero di opere stampato e manoscritte di lui. Mannelli Filippo. Le genealogie dolla famiglia Mannelli danno, intorno a questo tempo, un Filippo di Amaretto elio in primo nozze condusse in moglie, nel 1583, Mad¬ dalena Ottaviani, e, nelle seconde, Cassandra Cavalcanti. Mannelli Fiero. Tenne a lungo la rap¬ presentanza del banco Mannelli in Vonezia. Mannucci Cosimo. Nacque di Iacopo di Lorenzo 0 di Maria di Gio. Battista Adriani in Firenze 1’11 aprile 3561. Abbracciata la carriera ecclesiastica, fu canonico della metro¬ politana fiormtina dal 10 giugno 1(501: dal 20 luglio 1(523, gentiluomo di camera 0 se¬ gretario del card. Carlo de 1 Medici. Il 9 giu¬ gno 1(525 fu elevato alla sode vescovile di Terni, e quivi mori il 31 maggio 1(534. Mannucci Filippo. Fratello di Cosimo, nacque in Firenze il 27 aprilo 1507. Verso il 1590 si trasferì per ragioni di commercio in Venezia, dove il 14 marzo prese in moglie Marina di GiovanniSauli.Morl l’ilaprile 1639. Mannucci Gio. Iacopo. Nacque il 10 di¬ cembre 1596 in Venezia di Filippo e di Marina di Giovanni Saldi. Masso Gio. Battista. Marchese di Villa, nato in Napoli nel 1561, gran mecenate INDICE BIOGRAFICO. 475 de^li studi e degli studiosi, tenuto in altis¬ simo conto presso quei viceré ; amico del Tasso, del quale fu biografo. Nel 1611 fondò l’Accademia degli Oziosi, che contò fra i suoi anche G. B. Porta. Si ricorda che quando il Milton fu a Napoli, egli lo ospitò. Morì in Napoli il 28 dicembre 1015. Manzini Carlo Antonio. Nacque in Bo¬ logna di Girolamo e di Camilla Vitali il 5 ottobre 1G00. Laureatosi in filosofia noi 1625, si diedo a coltivare le bollo lettere ed in particolare l’astronomia e l’ottica, ai quali studi si dedicò completamente al suo ri¬ torno da Firenze dove s’ era trattenuto al¬ cuni anni, socio e principe dell’Accademia degli Apatisti. Per istituire con maggioro comodità le osservazioni astronomiche, aveva oretta un’alta terrazza nella sua villa di Battedizzo; e di esse, e di altro concernenti la declinazione dell’ago magnetico, diede pubblici saggi. Si affaticò anche personal¬ mente nella costruzione di lenti per can¬ nocchiali, ebbe in questa materia commercio con Eustachio Divini, c va specialmente ri¬ cordato il suo trattato di diottrica dal titolo: « L’occhiale all’occhio» (Bologna, 1660).Fu uno dei fondatori dell’Accademia matematica dei Vespertini di Bologna, ed appartenne pure a quelle degli Umoristi di Roma, della Notte e dei Gelati di Bologna. Morì nel 1677. Maraffi Luigi. Non fu, come si cre¬ dette, « Generale dei Predicatori » ma « Pre¬ dicatore Generale », titolo che si dà nell’Or¬ dine a chi ha esercitato por vari anni con lode l’ufficio di predicatore: possiamo ag¬ giungere che questo titolo gli fu conferito il 5 novembre 1609 « co in gratiis et salvia tamen snae Provinciae iuribus ». Morì in Roma il 6 agosto 1616. Maraviglia Giovanni. Nacque di Gio. Battista in Venezia nel 1540. Assunto come straordinario di cancelleria negli uffici della Repubblica nel 1561, fu promosso ordinario nel 1566 ed eletto segretario del Senato nel 1581. Fu deputato a vari e gelosi uffici, lino alla morte avvenuta nel novembre 1613. Marcello Lunardo, di Antonio e di Tadia Loredan, nacque in Venezia 1’ 11 feb¬ braio 1543. Marcello Tommaso, di Giovanni e di Lucrezia Grimani, nacque in Venezia il 21 no¬ vembre 1578. Marci Giovanni Marco. Nacque a Land- slcron (Boemia) il 13 giugno 1595, e fece i suoi studi prima noi ginnasio di Olmiitz poi all’università di Praga. Non avendo potuto entrare uella Compagnia di Gesù, nò almeno seguire gli studi teologici, a motivo della sua malferma salute, si dedicò alla medicina, nella quale lece così rapidi progressi da me¬ ritare d’essere, poco dopo laureato, promosso alla cattedra. Per approfondirsi nella cono¬ scenza delle lingue intraprese parecchi viaggi: nel 1640 era a Roma, e fu avviato dal Kirkcr allo studio di quelle orientali. Applicatosi anche allo studio delle matematiche e del¬ l’astronomia, ne lasciò saggi pregevolissimi. Era tenuto in grande stima dall’imperatore Ferdinando III, che lo elesse suo medico personale o conte palatino. Morì in Praga il 30 dicembre Iti67. Marescot Guglielmo. Nacque di Michele il 25 dicembre 1567; studiò il diritto a liour- ges sotto il Cu.jas, e si laureò nel 1586. Impri¬ gionato per motivi politici e quindi esiliato, si recò ad Heidelberg, dove rimase cinque anni e strinse relazioni con molti fra i mag¬ giori uomini della Germania. Tornato in Francia nel 1593, esercitò la professione di avvocato, ed entrò nei favori della regina Maria de’Medici, che nel 1604 lo elesse a suo avvocato generale e lo aiutò ad acqui¬ stare una carica di « maitre des requótes » della quale fu investito nel 1611. Adoperato dal re e dal governo nei più alti e delicati uffici all’interno ed all’estero, finì col se¬ dere nei consigli del re. Morì il 9 agosto 1643. Maresootti Agesilao. Nacque nel 1577; circa vent’anni dopo fu aggregato all’Ac¬ cademia dei Gelati, e ne fu principe nel 1606. Rimasto vedovo vestì l’abito ecclesiastico, cd essendosi già reso noto in Roma por avere scritto nella celebre controversia dell’ inter¬ detto, fu là bene accolto da papa Paolo V, che Io creò protonotario apostolico e suo cameriere sogreto. Nel 1618 lo stesso pon¬ tefice lo incaricò di portare il brevetto car¬ dinalizio a Enrico Gondi di iletz, arcivescovo 476 INDICE BIOGRAFICO. di Paridi: nel ritorno cadde da cavallo presso Monteliaacone, e mori. Marini <5io. Battista. Noto sotto il nome di « Oav. Marino », nacque & Napoli il IH ottobre 1569. Abbandonato lo studio (lolle leggi ni quale voleva costringerlo il pa¬ dre suo (riovanlVancosco giureconsulto, e da osso per la vita dissipata cacciato di casa, si allogò come segretario del principe di Conca grande ammiraglio del Regno. Dovuto fug¬ gire da Napoli, e trattenutosi a Roma, di dove si recò alcun tempo a Venezia per la stampa delle sue rime, si allogò nel 16051 presso il card. Aldobrandini. Questi, l egato a Torino, lo condusse seco; ed ivi godè il favore del duca Carlo Emanuele, non senza contrasti e spiacevoli avventuro, per parte di emuli o nemici, finché abbandonata quella corto riparò a Parigi. Maria de’Medici, e Luigi XIII (al quale dedicò il suo poema l’Adone) lo colmarono di onori e di ricche v.o; e così nel 1623 tornato, ormai famoso, in Italia, accolto come in trionfo nella sua Na¬ poli, ivi morì il 25 marzo 1625. Marini Gio. Battista, di Giovanni Bat¬ tista e di Teodora Giustiniani, patrizi ge¬ novesi, nacque in Roma il 28 novembre 1597 od all’età di sedici anni vestì l’abito dome¬ nicano nel convento di S. Maria sopra Mi¬ nerva il 25 marzo 1613, e l’anno appresso pronunziò nello stesso giorno i voti solenni. I)i ritorno da un lungo viaggio, fatto per iscopo di studio nella Spagna, fu chiamato a leggere teologia nel suo convento, leu- i reato maestro in teologia, e dal papa eletto a segretario della congregazione dell’Indice. Nei generali comizi dell’Ordine tenuti nel giugno 1650 fn eletto IATI maestro del¬ l’Ordine stesso. Morì il ti maggio 1669. Ma rioni Pur Antonio. Nacque in Ve¬ nezia di Benedetto e di Elena Ciera il 29 di¬ cembre 1593. Provato cittadino originario l’8 dicembre. 1610, ebbe la nomina di straor¬ dinario nella cancelleria ducale il 12 gen¬ naio dell’anno seguente, diventò ordinario di rispetto il 19 settembre 1612, attuale il 9 giugno 1616, segretario del Senato il 14 luglio 1623. Fu residente a Napoli negli | anni 1625-1626, a Milano dal 1G27 al 1631 a Firenze dal 1632 al 1636. Mausiu Alessandro, di Ippolito e di Faustina di Belisario Bulgarini nacque in Siena il 26 dicembre 1601, studiò in patria lo leggi e la filosofia, e fu laureato in quello nel 1622 o in questa noi 1623. 11 16 novem¬ bre 1627 fu nominato lettore di logica nello Studio di Siena, dulia quale cattedra passò poi a quella ordinaria di filosofia, esond¬ ando in pari tempo pubblici uffici. Condusse in moglie Margherita di Vincenzio Bichi, e ri ma-tono vedovo abbracciò lo stato eccle- iastico. Nel 1638 fu chiamato alla lettura ili filosofia nello Studio di Pisa, del quale nel 1662 divenne provveditore e contempo¬ raneamente priore della chiosa de’Cavalieri. la patria appartenne allo Accademie degli Intronati o dei Filoraati : fu ascritto anche all’Accademia del Cimento, senza però par¬ tecipare allo pirite innovatore di questa. Mori in Siena il 17 gennaio 1670. Ma usili Cesare, di Filippo e di Elisa- betta Rossi nacque in Bologna il 31 gen¬ naio 1592. Appena ventenne, sedò nel ma¬ gistrato supremo degli Anziani della sua città; al quale ufficio fu ripetutamente chia¬ mato in appresso, alternandolo con quello di Tribuno e «li Gonfaloniere del popolo, ed era appena trentenne quando fu eletto a soprintendere allo cose delle acquo. Conobbe Galileo in Roma, ed avendo espresso il de¬ siderio «li appartenere all’Accademia dei Lincei, vi fu aggregato nel 1625. Nel ritorno a Bologna fu ospite di Galileo in Arcetri, e più tardi cooperò grandemente con lui per far eleggere il Cavalieri alla lettura mate¬ matica di Bologna. Dilettante in tutto di Btudì scientifici, pare abbia lasciato « più diaoorai, lettere et altro proposizioni » con cui aveva dato saggio del suo sapere nel- l’Accjulemia «lei Gelati, ina tutto andò di- - perso. Morì il 22 marzo 1633, e fu sepolto in H. l’etronio con onorevole inscrizione. Marsili Giovanni. Napoletano, dottore in teologia e frate. Entrò con varie scrit¬ turo nelle questioni agitatosi fra Paolo V «• la Repubblica di Venezia. Citato davanti al b. Uffizio per render ragione de fide, dopo INDICE BIOGRAFICO. 477 essersi più volte rifiutato alle chiestegli ri¬ trattazioni, morì con grave sospetto di ve¬ leno nel febbraio 1(>12. Marta Iaoopo Antonio. Napoletano, fu con decreto del 6 ottobre Itili chiamato dal Senato Veneto alla lettura prima di diritto canonico nello Studio di Padova, e da questa con altro decreto dei 22 aprile 1618 trasfe¬ rito alla seconda di diritto civile. Mancò ai vivi nel 1621. Martelli Ferdinando. Nato nel 1591, figlio naturale di Alberto di Carlo: fu pio¬ vano di S. Giusto nel 1620, poi scudiere del card. Carlo de’ Medici. Mautellini Esaù, di Esaù c di Camilla di Pierfilippo Ridotti nacque in Firenze il 2 aprile 1580, e nel 1609 condusse in moglio Costanza di Iaeopo Quaratesi. Fu dei Du- gento; ed inoltre ripetutamente dei Sei di Mercanzia, maestro di zecca, magistrato dei collegi, uffiziale di vendite e decime, e dei pupilli. Morì in Firenze il 21 marzo 1650. Martinengo Gio. Battista. Dai Decreta del S. Uffizio risulta elio « Fr. Ioannea I3ap- tista de Martinongo Ord. Praed. », giù. socio del Commissario Generale nel 1633, fu egli stcssoComTnissarioGoneraledal7 luglio 1669 al 17 novembre 1619. Martinengo Colleont Francesco Ame¬ deo, di Gerardo, marchese di Pianezze o di Licinia Leni, nacque in Roma nel 1627. Abbracciò la carriera militare e condusse vita assai agitata: a motivo d’una uccisione proditoria da lui commessa, fu bandito dagli stati della Serenissima. Morì a Cassano d’Àdda nel 1665. Marzari Belio. Dell’Ordine dei Minori Conventuali: inquisitore di Pisa fino al 1617; lettore di Sacra Scrittura nello Studio di Pisa fino al 1623. Marzi Amerigo. A proposta dei «Depu¬ tati sui monasteri » fu eletto il 27 feb¬ braio 1629 uno dei quattro Operai del con¬ vento di S. Matteo in Arcetri. Marziano Prospero. Clio abbia esercitata la medicina in Roma, non è dubbio; ma non è altrettanto certo che in Roma fosse nato, poiché al costante epiteto di «medicus ro- manus » trovasi spesso congiunto l’altro di « Saxolenais ». L’opera sua più notevole, alla quale verosimilmente dovette di essere proposto per Accademico Linceo, ò una illu¬ strazione di Ippocrate. Marzimedici Alessandro. Nacque di Vin¬ cenzio in Firenze nel 1563. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu creato nel 1583 cano¬ nico della metropolitana fiorentina, e nel 1596 promosso al vescovado di Fiesole, dal quale passò il 27 luglio 1605 alla sede arcivesco¬ vile di Firenze. Mancò ai vivi il 13 agosto 1630. Mascardi Agostino. Nacque di Abiurano in Sarzana nel 1590. Entrato nella Compa¬ gnia di Gesù l’8 aprile 1607, no uscì alla line del 1616 per entrare a! servizio -.lei cardinali d’Està e di Savoia. Fu intorno al 1628 lettore di eloquenza nella Sapienza di Roma, e da Urbano Vili eletto a suo cameriere d’onore. Era l’anima dell’accademia clic si radunava dal 1625 al 1627 nel palazzo del cardinale di Savoia; ed appartenne anche a quella dogli Umoristi, della quale fu principo. Di lui sono ancora pregiati il trattato Deli'arte slo¬ rica c la narrazione della Congiura de’ Fie- schi. Morì in Sarzana noi 1640. Massa Lorenzo. Nacque di Antonio Ca¬ rcami e di Paola Massa intorno al 1538, ed assunse il cognome della madre, dal fratello della quale venne adottato o mantenuto allo Studio di L’adova. Compiuto il corso di leggi, fu assunto al servizio della Repubblica Ve¬ neta come straordinario di cancelleria nel 1553; nel 1558, di ritorno da Roma dove aveva accompagnato l’ambasciatore Da Mula, fu promosso ordinario; nel 1563, oletto segre¬ tario del Senato e successivamente deputato a vari uffici. Al principio dell’anno scola¬ stico 1583-84 fu mandato a Padova, e soprin¬ tese alla costruzione del teatro anatomico e ad altre incombenze universitarie. Nel 1593 è detto di lui in una « parte», che, essendo stato adoperato in materie privatissimo di Stato, per provvedere alla sicurtà della sua vita e per le cause note al Consiglio, i Capi 478 INDICE BIOGRAFICO. dui Dieci ordinavano fosse all odiato in una dello case ohe si affittavano dalle Prooura- tie di sopra. Mancò ai vivi ani lini re del¬ l’anno 1608. Massaria Alessandro. Vicentino, fu dal Senato Veneto eliminato ad occupare la rat- | tedra primaria di medicina pratica con de¬ creto dei 18 ottobre 1587, e la tenne fino alla morte avvenuta il 18 ottobre 1598. Massini Filippo. Nacque in Perugia da Innocenzo e da Lodovica Carbonchi il Omag¬ gio 1569. Laureatosi in giurisprudenza nel 1580, insegnò lungi in patria, passando poi a Fermo o nel 16*.)2 a l’isa, succedendo a Sforza Oddi: e in Pisa rimase per un quadriennio. Fu a Pavia insegnandovi diritto civile per oltre quattordici anni ; richiamato nel 1612 in Pisa per un sessennio, vi rimase soltanto lino al 1616, nel qual anno passò a Bolo¬ gna, dove morì il 29 maggio 1018 ed ebbe sepoltura in S. Petronio. Mastlin Michele. Nacque a Gfippingen noi 1550, abbracciò lo stato ecclesiastico, studiò teologia e matematica a l’ubinga, v fu chiamato ad insegnare quest.'ultima in Heidelberg e poi a Tubinga stessa. Diede alla luce parecchi lavori astronomici e fece numerose osservazioni ; ina il suo maggior titolo di gloria è quello di ossere stato mae¬ stro del Keplero. Mori il 20 dicembro 1631. Mattei Gaspare. dei ducili di Paganica e di Montenero, nacque in Roma ili Mario e di Prudenza Cenci nel 1587. Abbracciata la carriera ecclesiastica, fn vicelegnto in Ur¬ bino e commissario generale nell’ Emilia. Col titolo di arcivescovo di Atene fu poi mandato nunzio in Germania c da Ur¬ bano Vili promosso alla porpora nella crea¬ zione dei 13 gennaio 1643 ; ebbe dapprima il titolo di S. Pancrazio, che mutò poi in quello di S. Cecilia. Morì in Roma il 9 apri¬ lo 1650 e fu sepolto nella chiesa di 8. Cecilia. , Mattei Girolamo, di Alessandro e di Emilia Mazzabotti, ambedue appartenenti a cospicue famiglie romano, nacque in Roma . noi 1546. Abbracciato lo stato ecclesiastico. I no percorse rapidamente la cari iora, e dopo , essere stato protonotario apostolico, refe¬ rendario dell’una e dell’altra segnatura chierico della camera Apostolica ed audi¬ tore generale, fu da Sisto V nella creazione dei 18 dicembre 1584 decorato dolla por¬ pora cardinalizia col titolo di S. Adriano, dal (piale passò poi «gli altri di S. Agata, di S. Maria in Coamedin e di S. Eustachio. Morì in Roma l’8 dicembre 1603. Mattici Girolamo, di Asdrubale: in al¬ cuni- memorie manoscritte della famiglia è ricordato perchè ottenne il titolo di duca. M attei (Marchese). Assai verosimilmente Asdrubale, fratello del card. Girolamo, il primo dolla famiglia elio sia stato investito del titolo di marchese. Matthew Tobia. Nacque di Tobia a Sa¬ li bury il 3 ottobre 1577, seguì gli studi a Oxford tr;i il 1589 ed il 1594 ed entrò gio¬ vani imo in parlamento, stringendo subito affettuose relazioni con Francesco Bacone. Venne in Italia una prima volta nel 1604, e nel 1606 si convertì al cattolicismo, con grandissimo doloro dei suoi genitori ed in particolare di suo padre, che era arcivescovo di York Nel 1614 fu ordinato proto dal car¬ dinale Bellarmino, e corse voce ch’egli fosso entrato nella Compagnia di Gesù. Curò nel 1618una traduzione italiana dei «Saggi» dui suo amico Bacone, ristampata nel 1619 e nel 1621. Morì a Gand, in quel collegio inglese, il 13 ottobre 1655. Mattia, Imperatore. Nacque il 24 feb¬ braio 1557 dall’imperatore Massimiliano li e da Maria figlia di Carlo V, e raccolse la successione al trono imperiale dopo la morto di suo fratello Rodolfo II: fu eletto il 13 giu¬ gno 1613. Mori il 20 marzo 1619. Mayr [Marito] Simone. Nacque nel 1570 a Gunzeuhausen, città dolla Francouia, o fu fatto studiare dal suo principe, Giorgio Federico margravio «li Ansbach-Brandeburg, nel collegio da lui fondato in Heilsbronn, o poi nel 1601 mandato a Praga alla scuola di bicone Braho <• del Keplero. Alla fino di questo medesimo anno egli era a Pa¬ dova, poiché il nome di lui si logge nelle INDICE BIOGRAFICO. 471) matricole della Nazione Germanica Artista dello Studio sotto il dì 18 dicembre 1001, o vi venne per seguire gli studi di medicina, e perciò dovette udire anche le lezioni di Galileo: della Nazione fu anche consigliere durante gli anni 1604 e 1005. Ritornato in patria in questo medesimo anno, divenne matematico di corte dei successori del suo antico protettore, Cristiano e Gioacchino Ernesto, ed occupava tale posizione quando pretese d’avere scoperto, quattro anni dopo Galileo, i Pianeti Medicei, ai quali diede il nome di « Sidera Brandeburgica ». Oltre ad altri lavori d’indole astrologica ed a calen¬ dari annuali, diede in luce una versione te¬ desca dei primi sei libri degli Elementi di Euclide, che affermò aver fatta direttamente dal testo greco. Morì in Ansbach il 26 di¬ cembre 1624. Mazzei Mazzeo. Nacque di Giovanni di Mazzeo e di Costanza di Giovanni Corbi- nelli in Firenze nel 1590. Fu creato senatore il 19 giugno 1637: come provveditore del Monte di Pietà (sostituto dal 15 novembre 1632 al 15 novembre 1633, indi effettivo a tutto giugno 1646), fu mandato nel 1639 in Ispagna per far valere le ragioni di quell’isti¬ tuto. Al suo ritorno fu eletto luogotenente dei consiglieri o nel 1610 maestro generale delle poste, e rimase in tale ufficio (ino alla morte avvenuta il 6 febbraio 1649. Fu anche priore di Orato della Religione di S. Stefano. Mazzei Pietro. Il suo nome si trova nel Gonfalone Vaio dell’anno 1618, e dall’Ar- roto 5 del 1653 apparisce che era morto il 28 marzo di quell’anno ; ma non potrommo con sicurezza affermare che sia lo stesso che fu camarlingo della dogana di Pisa dal 1633 al 1642. Mazzoni Iacopo, di Battista o di Inno¬ cenza Masini nacque in Cesena il 27 novem¬ bre 1518, e seguì gli studi di umanità in Bologna e quelli di filosofia in Padova. Gio¬ vanissimo ancora concepì il disegno di con¬ ciliare tra loro le opinioni di Platone e di Aristotele, di Proclo e di Plotino, d’Avi- cenna e di Averroè, di Scoto e di S. Tom¬ maso, e si armò quindi d’una sconfinata erudizione soccorsa da una memoria inara- vigliosa: sono rimaste celebri le 5197 pro¬ posizioni ch’egli si dichiarava pronto a so¬ stenere, e dalla discussione delle quali usci trionfante a Bologna nel 1577. Fu dell’Ac- cadeinia della Crusca e della fiorentina, e la sua «Difesa di Dante» ò tuttora ricordata. Gregorio XIII l’avrebbe voluto presso di sè, e lo confortava ad entrare in prelatura. Am¬ mogliatosi, ai ritirò a Cesena; di dove non si mosse elio per obbedire alle chiamate delle università di Macerata o di Pisa, e qui in¬ segnò filosofia dal novembre 1588 alla line dell’anno scolastico 1596-97. Clemente Vili 10 chiese al granduca Ferdinando I per la Sapienza di Roma nel 1597; ma poco dopo salita la cattedra dovette accompagnare il card. Aldobrandini a Ferrara, e di là recarsi con una missione a Venezia. Al suo ritorno ammalò, si fece trasportare a Cesena, ed ivi morì il 10 aprile 1598. Medici (de’) Alessandro. Verosimilmente Alessandro di Alessandro di Iacopo odi Giu¬ sti niana de’ Bardi, cavaliere di S. Stefano nel 1591. Medici (do’) Antonio. Nato di ignoti il 28 agosto 1576, ma presentato da Bianca Cappello al granduca Francesco corno loro figlio e come tale da questo considerato. Fu perciò educato alla corte, con le figlie che 11 granduca aveva avute dalla moglie Gio- vauua d'Austria, e con i figli di Paolo Gior¬ dano Orsini e d’Isnhella de’ Medici. Per lui il presunto padre, oltre a ricchissime dota¬ zioni, acquistò il marchesato di Capistrano nel regno di Napoli, ottenendo che fosso ele¬ vato a principato; ma tali larghezzo furono annullate con decreto del 5 marzo 1587 dal successore cardinale granduca Ferdinando, il quale però, dopo ottenuta la relativa sotto¬ missione, le riconobbe con decreto del giorno successivo, sotto condizione che, raggiunta l’età, fosse entrato noU’Ordino Gerosolimi¬ tano pronunziando i relativi voti. Fu in tale occasione investito del priorato del Santo Sepolcro di Pisa, ed in compenso feco for¬ male rinunzia di tutti i suoi beni fidecom- missarì. Prese parte ad alcune spedizioni militari, venne adoperato in rappresentnuze come fosso un principe di Casa Medici; e ri¬ dotto nel suo casino di S. Marco, si occupò 480 INDICE BIOGRAFICO. usuai di arte spaurirà o di fusione di ino- | alle contingenze della politica e alle talli. Alla Bua morte, avvenuta il 2 mag¬ gio 1621, fu sepolto nelle tombe Medicee in S. Lorenzo. Medici (do’) Averardo, di Raffaello e di Costanza Gualterotti nacque in Firenze il 29 gennaio 1518, ed ebbe onorevoli incarichi presso varie corti: cavaliere di S. Jago, com¬ missario delle bande ducali, fu eletto sena¬ tore nel 1586. Morì il 13 aprile 1001. Medici (de') Bkrnardetto. Le genealo¬ gie offrono nel tempo al quale ci riferiamo : 1) Bernardo di Alamanno e di Contesa ina di Raffaele Girolami ; 2) Rei-nardo di Ales¬ sandro e di Delia Sanaeverini ; 3) Bernardo di Luigi e di Luigia di Niccolò (’appoui, en¬ trato nella Compagnia di Gesù. Propen¬ diamo a credere che quello il quale fu in relazione d’affari con Vincenzio Galilei «cu., sia stato il primo. sitò dello Stato. Al suo servizio, come Filo¬ sofo e Matematico del principe, si trasferì Galileo in Firenze, dopo aver a lui consa¬ crato col nomo mediceo la scoperta dei satelliti di Giove, lasciando Padova c l’in¬ segnamento. Medici (da’) Ferdinando I. Quarto figlio di Cosimo I o di Eleonora di Toledo, nacque il 30 luglio 1549. A quattordici anni fu nomi¬ nato cardinale da Pio IV, e si acquistò molla autorità nella corto pontificia. Nel 1587, morto senza prole maschile il fratei suo Francesco, de pose la porpora, salì al trono, e sposò Cristina di Carlo duca di Lorena. Da cardinale in Roma, o poi granduca in Firenze, fu mecenate di studi e d’arti: tenne il principato con mauo ferma e sagace, la¬ sciando una buona tradizione di governo che i successori inai seppero raccogliere. Morì il 3 febbraio 1009. Medici (de’) Cardo, di Ferdinando o di Cristina di Lorena nacque in Firenze il 29 marzo 1595, fu fatto gran commendatore dell’Ordine di S. Stefano noi 1615 e il 2 di¬ cembre di questo stesso anno da Paolo V creato cardinale. Investito di ricchissime abbazie, godette di grande autorità in Roma o fu protettore di Spagna. Primo dcirordino dei diaconi, incoronò nel 1644 Innocenzo X. Nel 1645 fu creato vescovo di Sabina e nello stesso anno di Frascati, nel 1652 di Porto e quindi (l’Ostia e Velletri. Morì a Mon- tuglii presso Firenze il 17 giugno 1666. Medici (de’) Claudia. Nata il 4 giu¬ gno 1604 di Ferdinando I e di Cristina di Lorena. Maritata nel 1624 a Federico della Rovere duca d’Urbino, no restò vedova dopo due soli anni; si rimaritò nel 1626 con Leo¬ poldo arciduca d’Austria, conte del Xilolo Morì il 15 dicembre 1648. Medici (de’) Cosimo li. Nacque ai 12 mag¬ gio 1590 da Ferdinando I e da Cristina di Lorena: successe nel granducato al padre nel 1609, dentro Panno in cui aveva sposata Maria Maddalena d’Austria. Nel breve suo regno (morì, infermiccio, il 28 febbraio 1621) la mite gentilezza dell’animo fu inadeguata Medici (de’) Ferdinando TI. Da Co¬ simo Il e da Maria Maddalena d’Austria nacque il 14 luglio 1610. Successo al padre, come granduca di Toscana, sotto la tutela della riunirò e dell’ava Cristina di l.orena, o con un consiglio di reggenza eletto dal padre suo, ed assunse le redini del governo nel 1627. 11 suo lungo principato, che durò lino al 28 maggio 1670, fu travagliato da dif¬ ficoltà alle quali si sarobhe richiesta mano più valida, nella straordinaria e vasta com¬ plicanza dei fatti contemporanei. Anche la vita domestica gli fu ini meritamente ama¬ reggiata da contrasti con la moglie e con la nuora Luisa d’Orléans. A lui poi, figliuolo di quel Cosimo in cui onore Galileo aveva denominato Medicei i pianeti Gioviali, e di Cristina alla quale ora dedicata la famosa lettera sulla libertà della scienza, sarebbe stato anche più strettamente doveroso il difendere efficacemente contro la esorbi¬ tanza della Curia Romana il sommo filo¬ sofo, che tale difesa avrebbe certamente trovata nel Senato Veneto, bo non avesse pel servizio Mediceo, improvvidamente ab¬ bandonato Padova e V insegnamento. Medici (do’) Francesco I. Nacque di Co¬ simo e di Eleonora di Toledo il 25 marzo 1541 INDICE BIOGRAFICO. o fu secondo granduca di Toscana, anzi quegli cui tale titolo, sempre conteso a suo padre, fu definitivamente riconosciuto da Filippo li nel 1575. Rimasto vedovo di Giovanna d’Austria, che aveva sposata il 15 dicembre 1565, passò a seconde nozze con Bianca Cappello il 5 giugno 1578. Morì nel 1587. Medici (do’) Francesco, di Ferdinando I o di Cristina di Lorena, nacque in Firenze il 14 maggio 1594: ebbe dal padre il prin¬ cipato di Capistrano del quale era stato privato Antonio de’Medici, e nel 1613 dal fratello granduca il comando dello truppe spedite al duca di Mantova nella guerra col duca di Savoia per la successione del Mon¬ ferrato. Morì il 17 maggio 1614. Medici (de’) Francesco, di Tanni o di Virginia di Bernardo Segni, nacque in Fi¬ renze il 23 luglio 1581. Deputato al quar¬ tiere di S. Giovanni in occasiono della pe¬ stilenza del 1630, commissario a Borgo S. Sepolcro nel 1644, eletto senatore dal granduca Ferdinando IL nel 1045. Morì il 22 settembre 1664. Medici Francesco, di Cosimo e di Contes- sina d’ Ottavio de’ Bardi, nacque in Firenze nel 1585. Cavaliere di S. Stefano fino dal 1608, fu detto il « Commendatore di Sorano». Dal 1631 al 1637 fu ambasciatore toscano a Ma¬ drid. Morì il 27 settembre 1664. Medici (do’) Giovanni. Figlio naturalo del granduca Cosimo 1 de’ Medici o di Leo¬ nora degli Albizzi, nacque in Firenze il 13 maggio 1567, abbracciò la carriera mili¬ tare, e cominciò dal combattere nel 1585 in Fiandra al servizio della Spagna. Richia¬ mato in Toscana dopo la morte del granduca Francesco, fu dal successore di lui adope¬ rato come ingegnere militare e segnatamente nella sistemazione del porto di Livorno. Fra le cospicue opere d’arte alle quali attese nel corso della sua vita, vanno particolar¬ mente ricordate lo Cappelle Medicee in S. Lorenzo. Nel 1594 fu dall’imperatore Ro¬ dolfo rieletto generale dell’artiglieria nella campagna contro il Turco, e nel 1610 con¬ dotto e nel 1616 ricondotto ai servigi della Voi. XX. 481 Repubblica Veneta. Mancò ai vivi in Mu¬ rano il 19 luglio 1621. Medici (de’) Giovanni, di Raffaello o di Costanza Alamanni. Ebbe il titolo di mar¬ chese di S. Angelo. Frequentemente adope¬ rato e consultato in argomenti tecnici, fu generalo d’artiglieria, presidente nel 1613 del consiglio di guerra e soprintendente delle fortezze. Governatore di Livorno nel 1647, ivi morì il 22 marzo dell’anno seguente. Medici (de’) Ciò. Carlo, di Cosiino li o di Maria Maddalena d’Austria, nacque in Firenze il 24 luglio 1611. Seguì per qualche tempo la carriera militare, ed ebbe il gene¬ ralato di mare per la Spagna. Lasciate lo armi, fu nel 1644 creato cardinale. Fu, corno legato apostolico, mandato ad incontrare la regina Cristina di Svezia elio veniva a Roma. Ritiratosi dalla corto pontificia, visse in Fi¬ renze, e morì nella villa di Castello il 23 gen¬ naio 1663. Medici (do’) Giuliano. Nacquo di Raf¬ faello e di Costanza Alamanni in Firenze nel 1574. Abbracciato lo stato ecclesiastico, divenne nel 1592 canonico della metropoli¬ tana o più tardi cameriere segreto di Leone XI. Dal 1608 al 1618 fu ambasciatore all’impe¬ ratore, dal 1619 al 1622 a Madrid ed altre missioni diplomatiche ebbe in Ungheria ed in Polonia. Alla fino del 162G fu mandato a Mantova per assicurare la restituzione della dote a Caterina de’ Medici, sorella di Cosiino II o vedova di Ferdinando Gonzaga. Il 15 luglio era stato eletto arcivescovo di Pisa; ed al suo ritorno dalla «Spagna, con¬ sigliere di Stato. Per testamento di Co¬ simo li fece parte del consiglio di reggenza durante la minorità di Ferdinando 11. Morì in Pisa il 6 gennaio 1636. Medici (de’) Giulio, di Raffaello e di Costanza Alamanni. Cavaliere di S. Stefano nel 1600: commissario delle bande ducali. Medici (de’) Iacopo, di Tommaso o di Lucrezia Frescobaldi. Fu cavaliere di S. Ste¬ fano : morì nel 1626. Medici (de’) Lelio. Di famiglia piacen¬ tina, entrò nella religione di S. Francesco 61 482 INDICE BIOGRAFICO. e losB 6 teologia nello Studio di "Pina dal 1588 al 1603. In Pisa ed in Firenze esercitò l’ufti- cio di Inqnwdtore, e nel 1606 prose parte in favore della Sede Apostolica alle controver¬ sie fra questa 0 la Repubblica Veneta. Mori in Firenze nei primi giorni «lei 1608. Medici (de’) Leone. Nacque di Giulio e di Margherita Soldati. Canonico della me¬ tropolitana fiorentina nel 1644. Muli nel 1660. Medici Me') Leopoldo, di Cosimo li 0 di Maria Maddalena d’Austria, nacque in Fi¬ renze il 6 novembre 1017. Fu per alcuni anni governatore di Siena: richiamato poi a Firenze, finì col dedicarsi interamente allo | studio delle scienze, che già aveva incomin¬ ciato a coltivare con la guida dei migliori «lolla Bcuola galileiana, ed alla persona e«l alle opere del grande Maestro proft* ò sein- pre culto grandissimo. 1 l’Accademia del Ci¬ mento, da lui fondata nel 1607, tenne lo sue adunanze fino al 6 marzo 1667, 0 fu «letto che poi tacesse per render possibile la pro¬ mozione del fondatore alla porpora cardi¬ nalizia. Morì in Firenze il 10 novembre 107ù. Medici (de’) Lorenzo, di Ferdinando I e di Cristina di Lorena, nacque il 1° ago¬ sto 1599 e fu tenuto al fonte dal rappre¬ sentante della Repubblica «li Venezia. Alla morte, noi 1623, del duca d’I’rbiiio suo co¬ gnato, la reggenza di Toscana lo inviò colà sotto colore di riprendere la sorella ve dova, ma in «fletto per assicurare ai Me¬ dici la successione in quello Stato, dove i della Rovere s’erano estinti senza eredi. Per dissapori con la madre e con la cognata, j moglie di Cosimo II, questi lo escluse dalla reggenza durante la minorità del figlio che lasciava, e «la ogni ingerenza nel governo: ondo Lorenzo condusse poi vita privata, amico dei sollazzi e dei letterati, che, sotto gli auspici di lui, formarono lo Accademie degli Infocati e degli Immobili; «laila quale seconda, stabilitasi in via della Pergola, venne il teatro che porla tuttora questo nome. Fu anche dell’altra Accademia degli Alterati. Morì il 15 di novembre del 1648, avvelenato da una medicina datagli per errore. Medici (de') Maria nacque di Francesco ' di Giovanna d’Austria il 20 aprile 1573 o nel 10()0 andò sposa ail Enrico IV di Fran¬ cia. Mori in esilio, nel quale si chiuse la agitata sua vita, nel 1043. Mudici («lo’) Mattia. Figlio «li Cosimo 11 e di Maria Maddalena d’Austria, nacque il 9 maggio 1013. Fu governatore di Siena m i 16.:J: militò con onore per un decennio, ai servigi dell’Austria, nella guerra detta dei trentanni : tornò al governo di Siena nel 1011, per aver poi nel 1643 il comando d- ll’esi'rcito toscano nella guerra coi Barbe¬ rini. Tornato per la terza volta al governo «li Siena, vi mori il 14 ottobre 1607. Medici («lo’) Zanoiu, di Paolo 0 di Nan- nina «li /anobi da Filicaia. Vestì l’abito di ì. Domenico nel convento di S. Marco in Firenze. Penitenziario in S. Maria Maggiore «li Roma o vescovo di Borgo San Sepolcro nel luglio 1634. Mori il 17 ottobre 1637. Mei Gì solavo. Nacque di nobile famiglia in Firenze intorno al 1625 e fu discepolo «li Pier Vettori nello disciplino musicali, nelle quali godette di alt issima riputazione. Fece parto della fam a camerata musicalo che si r ninnava in casa di Giovanni do’ Bardi; fu intimo amico di Vincenzio Galilei sen. e«l il carteggio ch’egli tenne con lui e con altri dal 1572 al 1579 sullo antiche note musicali, Ltromeuti <• scrittori, si conserva nella Bi¬ blioteca Vaticana. Fu ascritto all’Accademia del Piano ed alla fiorentina. Morì in Roma il 10 aprile 1608, 0 fu sepolto nella chiesa della Trinità dei Monti. Mxli.an Claudio. Pittore od incisoro francese, nacque ad Abbeville il 23 mag¬ gio 1598: compì gli studi in Roma a spese del Peiroso ; o i disegni «lolla luna, da lui eseguiti per conto «li questo, sono presente¬ mente nel Cabinet fles estampes della Bi¬ blioteca Nazionale di Parigi. Morì a Parigi il 9 settembre 1688. Il * Catalogne raisonué do l’mnvre do Olande Mellon d’Abbeville », fu pubblicato in Abbeville da Ànatolio de Montaiglon nel 1856. Mkllino [Mesi-in] Carlo. Detto anche * Carlo Loreueae » o « Charles Lorraiu », INDICE BIOGRAFICO. 483 pittore ed incisore, nacque a Naucy. Fu scolaro del Vouet, ma si perfezionò a Roma dove trasse la maggior parte della Bua vita, sebbene abbia lavorato anche a Milano ed a Napoli. Morì noi 1650. Mkmmo MarcAntonio. Nacque di Giovanni e di Bianca Sanudo in Venezia Pii novem¬ bre 153G. Fu nel 1568 capitano di Vicenza indi di Bergamo, nel 1581 podestà di Ve¬ rona e nel 1586 di Padova : il 5 gennaio 1601 fu eletto Procuratore di S. Mareo, nel 1602 e 1608 Riformatore dello Studio di Padova, nel 1601 uno dei senatori preposti alla di¬ versione del fiume Po, nel 1606 detto sopra la quiete della città, nel 1607 mandato in Friuli per comporre alcune sedizioni civili: filial¬ mente il 23 luglio 1612, dogo. Mancò ai vivi il 28 ottobre 1615. Mercuriale Girolamo. Nacque in Forlì il 30 settembre 1530. Seguì gli studi di filo- solia e di medicina nell’ università di Pa¬ dova; e conseguita la laurea, si recò a Poma dove fu accolto alla corte del cardinale Ales¬ sandro Farnese e rimase sette anni. Con de¬ creto dei 21 ottobre 156') il Senato Veneto lo chiamò alla prima cattedra di medicina pratica ordinaria, e con licenza della Re¬ pubblica e plauso dello Studio si portò noi 1583 a Vienna per curar P imperatore Massimiliano, dal quale fu decorato con lo insegne di cavaliere ed il titolo di conte Nel 1587 obbedì alla chiamata dello Studio di Bologna, dal quale dopo cinque anni passò a quello di Pisa. Morì il 13 novembre 1556. Mermanni Tommaso. Così ne suona il cognome tradotto da lui stesso in italiano dall’originale tedesco; perchè egli era tale, e verosimilmente lo stesso che, dopo il Co- salpino, ebbe la direzione dell’Orto dei Sem¬ plici in Pisa, ossendo stato eletto nel 1571 lettore di medicina pratica ordinaria. Meiisenne Marino. Nacque di umile fa¬ miglia a lai Soultièro nel borgo di Oizé (Maino) l’8 settembre 1588, di Giuliano e di Giovanna Moulière. Compiuti i primi studi di retorica o di filosofia nel collegio del Mans, entrò alla Fiòche nel 1604 e vi ebbe a con¬ discepolo il Descartes, col quale conservò poi sempre affettuosa relazione, contribuendo a rendere mono aspre non poche delle molte¬ plici sue controversie. Alla Fiòche, oltre retorica e filosofia, studiò mal,ematiche ed i principi della teologia, e di là passò alla Sorbona dove fu discepolo di Andrea du Val, Filippo di GamaoheB e Niccolò Isnmbert. Vestì l’abito dei Minimi il 17 luglio 1611 nel monastero di Nigeon presso Parigi, e pronunziò i voti nel 1612 in un convento vicino a Meaux, dal quale, dopo un anno di soggiorno, tornò a Parigi. Diede alla luce una quantità grandissima di opere sulla teo¬ logia, sulla matematica, sulla fisica, e prin¬ cipalmente sulla musica, ed altre ancora ne furono pubblicate dopo la sua morte. Tra¬ dusse iu francese la {Scienza Meccanica di Galileo. Mantenne estesissime relazioni con gli studiosi dol suo tempo, formando la di¬ sperazione dei suoi corrispondenti con la pessima sua calligrafia. Fece cinque viaggi in Italia; ed è ormai certa nella storia della scienza la parte da lui avuta nello questioni relative alla cicloide e alla sco¬ perta dol Torricelli, comprovata con le ce¬ lebri esperienze di Puy de Dome. Mancò ai vivi in Parigi il 1" settembre 1647. Messeuotti Franoesoo Michele da Bo¬ logna, dell’ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco, fu eletto Inquisitore generale di Firenze o di tutto il dominio fiorentino il 21 ottobre 1621. Prima d’allora era stato per quattro anni: « Provinciali Austriae et vi- sitator commissariusque generalis provincia- rum ultra montes ». Metius Giacomo. Figlio di Adriano Anto- niszoon. Il padre fu borgomastro della città di Alcmnar e ben noto por il rapporto da lui trovato tra la circonferenza ed ii diametro del cerchio. A Giacomo Adriauszoon, o Me¬ tius (poiché così si trova generalmente chia¬ mato, e pare che tale cognome sia deri¬ vato non solo a lui, ma a suo padre ist.esao, dal fratello Adriano che lo ricevette o lo assunso mentre studiava nelle università di Franeker e di Loida), fu attribuita dal De¬ scartes la prima invenzione del telescopio, con una narrazione clic venne contraddetta dal Borei e dall’ Huygens. La domanda di privilegio da lui presentata agli Stati Ge- 484 INDICE BIOGRAFICO. ne pii li è de’ 14 ottobre 160«; « tre giorni dopo veniva deliberato di esortarlo a per¬ fezionare lo strumento, perché allora sol¬ tanto sarebbe stato provveduto conforme la sua domanda, ed intanto gli veniva asse¬ gnata una ricompensa di 100 fiorini. Quando circa ventanni pii tardi egli venne a mo¬ rire, non solo non era più tornato «olla sua domanda di privilegio o non aveva pubbli- i cato alcun cenno sul eoo strumento, ma aveva distrutti tutti gli apparecchi dei quali e'era servito per costruirlo. Mxo ansio Fri.i.'icszio. Nacque in Passi- nino su quel di Brescia l'H giugno 1570. Vestì giovanissimo l'abito dei Servi di Maria e nel 1590 fu mandato a Venezia dove pro¬ segui gli studi sotto la direziono del P M An¬ golo da Piatola; insegnò poi teologia a Man¬ tova dal 1597 al ItiOO, e il fi luglio 1600 fu insignito della laurea in Bologna, dove ni trattenne professando la teologia tino al principio del 1006, quando cioè abbandonò la lettura «eguendo P invito del P. Paolo Sai-pi che lo volle al sno fianco noi la lotta contro Paolo V per l’interdetto lanciato con¬ tro la Repubblica Veneta. Partecipò a pa¬ recchie tra le pubbli-azioni in difesa dei di¬ ritti dello Stato contro le pretese di Roma, e dopo la morte di fra Paolo gli succedette nel carico di teologo e consultore della Sere¬ nissima. Mori in \ euezia il 7 febbraio 1654. Mioualobi Giacomo. Nacque in l rbino nel 1570. Abl*bracciate lo stato ecclesia¬ stico, divenne canonico di quella cattedrale e professore di filosofia e di teologia r^llo Studio. Tenuto in grandissimo conto da Ur¬ bano Vili, più che per la aua a Spimela mundi » è ricordato u motivo della polemica da lui sostenuta contro Ericio Puteano : im¬ pugnò infatti il «Circuii» Urbanianns * con la « Crmis », ed all' « Apoi-rini* » del Puteano replicò con P < Antapocriais ». Mancò ai vivi uel 1645. Michxllhi Faioako. Nacque in Roma in¬ torno al 1600. Nel 1625 vesti l’abito reli¬ gioso delle Scuole Pie in qualità di chierico operaio, chiamandosi Francesco di 8. Giu¬ seppe. Con la protezione dei principi Gio. (Jorio e Leopoldo de’ Medici ottenne sul finire del 1637 di essere promosso agli or¬ dini sacri ed al sacerdozio. Raccolse la suc¬ cessione del Keniori nello lettura matema¬ tica dello Studio di Pisa, che tenne fino at 1657, quando cioè smise l’abito religioso restand'i sacerdote secolare. Egli è giusta¬ mente ri crito come uno dei maggiori lumi¬ nari della scienza idraulica italiana. Morì iu Roma il 20 gennaio 1668. Miohiil Francesco. Nacque di Marco o di ( ’liiara Vonier in Venezia il 27 aprile 1580. Nel 162») fu capitano di Vicenza; nei 1636 ambasciatore all'Aja, indi iu lspagna;nell64S Ili formatore dello Stadio di Padova e con¬ sigliere. Mori uel gennaio 1UÓ3. Minuti. Giovanni. Nacque PII otto¬ bre 1516 in Venezia di Giacomo e di Laura («ritti. l-V agnato nel 1550 ambasciatore al- l’imperatore Ferdinando, non potè por ma¬ lattia adempire l’incarico; ma nel 1554 fu ambasciatore iu Inghilterra, nel 1565 a N iellila, nel 1 -.1 o 1572 in Francia, noi 1578 ni granduca di Toscana in occasione dello sue nozze con Fianca Cappello. Fu Riformatore dello Studio di Padova nel 1578, 1585 e 1591, i! il In ago io 15-s) eletto Procuratore ai S. Marco Mori noi dicembro 1596. Mi -ititi. Girolamo, di Stefano, nacque in Venezia il 31 gennaio 1567. Canonico della cattedrale di Padova ; mori il 21 ot¬ tobre 1618. Mignon PitTito, nipote di Giovanni Ilour- dclot. dotto umanista, del quale assunse il c "gnome, ctwiccliò >■ generalmente noto sotto il nome di « A libò Bourdelot ». Nacque a Sena il 2 febbraio 1610, e giovanissimo ac¬ compagnò in qualità di medico il conte di Noaillee » Roma, dove si legò in amicizia col lìouchard, col Fai Pozzo, col Castelli, »• vi si trattenne, favorito dai Barberini, fino alla in rte dello /.io, avvenuta nel 1638. Poco dopo il mio ritorno in patria, fu addetto come medico e come precettore alla casa di Fondò, •• nell’ottobre 1651 fu eletto primo medico della regina Pristina di Svezia. Sul¬ l’animo della quale esercitò grandissima in- tiuemui. provocando il disgusto della corte, i che fn finalmente costi-etto ad abbandonare, INDICE BIOGRAFICO. 485 ottenendo però, dietro i buoni ubici della regina, sebbene non prete, l’investitura doliti Abbazia di Massay. Fra i suoi titoli di be¬ nemerenza va ricordato quello di aver sa¬ puto apprezzare il Pascal, elio introdusse presso i Gondé, e del quale fece conoscevo la macchina aritmetica alla regina di Svezia. Mit.t.ini Benedetto. Pi antica o nobile famiglia romana, nacque nel 1592; rinomato autore di commedie, opere d’erudizione, sto¬ riche ed anche poeta: in un elogio di lui scritto da Camillo Ciappini troviamo lodata la profonda conoscenza ch’egli aveva del¬ l’italiano. del latino, del greco e dell’ebraico, e detto che « Suecorum reginae bibliot.be- earius din fuit ». Era ancora vivente nel 1069. Milltni Gio. Garzia. Nacque di Mario, nobile romano e di Ortensia Iacobacci in Firenze nel 1572. Abbracciato lo stato ec¬ clesiastico. sostenne varie cariche in curia sotto i pontificati di Sisto V, Gregorio XIV o Clemente Vili, il quale ultimo gli affidò audio parecchie legazioni. Paolo V lo mandò nel 1605 nunzio in Ispagna; c mentre era colà, fu creato PII settembre 1606 cardi¬ nale del titolo dei SS. Quattro Coronati e vescovo d’Imola. Tornato di Spagna, fu man¬ dato legato in Germania il 5 maggio 1608, c compiuta tale legazione fu eletto Vicario di Roma ; la qual carica mantenne ne’ pon¬ tificati di Gregorio XV e di Urbano VILI, essendo nel tempo stesso in molte congrega¬ zioni, tra le quali quella del S. Uffizio. Pai titolo dei SS. Quattro Coronati passò a quello di S. Lorenzo in Lucina, e il 20 agosto 1629 fu creato vescovo di Frascati, nella qual dignità morì il 1" ottobre dello stesso anno. Milton Giovanni. Notiamo soltanto che arrivò a Firenze il 10 settembre 1638, che vi si trattenne due mesi, e che le più chiare allusioni a Galileo del Paradiso perduto sono a versi 257 o seg. del libro 1, e a versi 262 e seg. del libro V. Nel tempo della sua vi¬ sita in Arcuivi egli aveva trent’auni. Mjnaooi Tommaso. Pi Rovigo, fu dal Re¬ nato Veneto chiamato ad occupare la cat¬ tedra di medicina pratica straordinaria con decreto dei 25 febbraio 1596, promosso con decroio dei 16 ottobre 1607 alla seconda di pratica ordinaria od alla prima con de¬ creto del 7 dicembre 1612. Chiamato nel 1615 a Firenze per curare il granduca di To¬ scana, cola inori il 30 maggio 1615. Minderer Raimondo. Nacque nella se¬ conda metà del secolo XVI in Augusta, e seguiti gli studi di medicina nell’ università d’Ingolstadfc vi ottenne la laurea nel 1597. Dopo aver servito per parecchi anni come medico militare, fece ritorno in patria, te¬ nuto in altissima stima nell’arte sua e chia¬ mato perciò di frequente a consulto alle corti di Vienna e di Monaco. Lasciò anche opero mediche; ma il suo nome ò conservato da un farmaco chiamato anche oggidì « Li¬ quor o Spiritus Mindereri ». Morì nel 1651. Minkrretti Alessandro, di Antonio di Iacopo c di Settimia del conte Ugo della Gherardesca, nipote per parte di sorella di papa Leone XI, abbracciò lo stato eccle¬ siastico, e divenne protonotario apostolico ed auditore del card. Roberto Llbaldini suo cugino. Provveditore dello Studio di Pisa, fu eletto nel 163S canonico della metropolitana fiorentina, ed il 21 ottobre 1647 priore della chiesa di S. Stefano in Pisa. Morì il 15 mar¬ zo 1651. Minbrbetti Cosimo, di Bernardo nacque in Firenze nel 1582. Fu eletto vescovo di Cortona il 19 dicembro 1622. Accompagnò il granduca Ferdinando II nel suo viaggio a Roma e in Germania, partendo da Firenze il 23 febbraio 1028: caduto ammalato, morì a Bressanone nel maggio successivo. Mingoni Tommaso. Medico personale dcl- l’imporatore Rodolfo 11, amico del Keplero, intervenne ripetutamente perché dalle casse imperiali venissero a questo pagati gli ono¬ rari sempre in ritardo, e si adoperò anche perché trovassero esito le opere di lui. Nulla di più abbiamo appreso intorno a questo personaggio, il cui cognome originario era probabilmente «Menghiu». Miniati Antonio, di Gio. Battista di An¬ tonio e di Snlpizia Montauti, nacque in Fi¬ renze nel 1559. Abbracciò la carriera mi- 480 INDICE BIOGRAFICO. litare o combattè in Germania al servizio I dell’imperatore, diventando barone, colon- ' nello, commissario generale in Moravia, con¬ sigliere di guerra. Mori il 0 febbraio 1647. Minucoi Andrea. Consigliere del duca di baviera, o successivamente residente in Ve¬ nezia per questo principe, e per il duca di Ferrara e di Modena. Mirabella. Vincenzo. Nacque di Paolo a Siracusa nel 1570. Nel 1614 venne ascritto all'Accademia dei Lincei Attese a studi ar¬ cheologici e storici, o scrisse anche, con formo troviamo notato, duo libri di musica speculativa Viveva ancora nel 1623 : se¬ condo un’annotazione da noi veduta, sarebbe morto in Siracusa Panno 1041. Miranda (de) Vasquicz Alonso. Consi¬ gliere e confessore del duca di Feria, Goiuez Suarezde Figueroa, governatore ili Milano. Di lui abbiamo trovato, che il 24 gen¬ naio 1633 partiva da Milano per una missione in lspogna. Mirto Placido (veramente Frangipauo- Mirto Placido) nacquo in Napoli. A tredici anni fu accolto o ricevuto tra i Teatiui in 1 S. Paolo di Napoli, e nonostante le opposi¬ zioni della famiglia vi professò i voti il 2 feb¬ braio 1602. Datosi con fervore agli studi e dotato di singolare eloquenza, riuscì in breve predicatore di grandissima fama. Da Napoli nel 1623 si recò in Ispugua con un genti¬ luomo polacco mandato colà dal .suo re come ambasciatore a Filippo IV, ed ivi, col favore | del sovrano, alla presenza del quale fu più volte invitato a predicare, diffuse il suo Or- ! dine, al quale fu perfino affiliato il Collegio degli studi di Salamanca. Incamminatosi nel 1636 por l’Italia a fine di assistere al i Capitolo generalo del suo Ordine, ammalò a Livorno e volle essere trasferito a Firenze, dove morì il 20 aprile di quoll'anuo. Moobnioo Alvisb. Fra i tanti contem¬ poranei di tal nomo, è assai probabilmente il tiglio di Francesco e di Cristina Qui¬ iini, nato in Venezia nel settembre 1532. Estrasse palla d’oro nel 1555, e tro anni dopo voniva eletto Savio agli Ordini. Lo j troviamo poi Savio di terra ferma nel 1586 rioletto nei tre anni successivi e nel 1593 nel 1594 dei quattro provveditori a visitare e riferire sulla nuova fortezza di Palma, nel 1595 commissario a determinare con gli arciducali i contestati contini con PIstria, e quindi Savio del Consiglio, carica che aveva già coperta una prima volta nel 1590 e che, dispensato dall’ufficio di capitano a Broscia^ sosteneva ancora quando venne a morte il 23 agosto 1508. È a lui attribuita una tra¬ duzione della Retorica di Aristotele. Moof.nigo Giovanni. Nacque di Girolamo e ili Laura Loredan in Venezia il 30 gen¬ naio 1552. Incominciata la sua carriera come Savio agli ordini, a 28 anni ora già squit- tinato per rappresentare la Repubblica al- P estero. Lo troviamo nel 1583 ambasciatore al duca di Savoia, nel 1580 in Francia, nel 1598 a Clemente Vili, al Sultano nel 1604, al Papa nel 1005 e noi 1609 e 1610, o final¬ mente elevato alla dignità di Procuratore il 4 aprile 1611. L’anno dopo fu eletto Rifor¬ matore dello Studio di Padova. Alla morte del doge Donato, essendo egli dei correttori della Promissione Ducalo, era indicato corno fra i più degni per salire al principato: riuscì invoce detto Marc’Antonio Memmo. Non troviamo di lui altra notizia nelle me¬ morie contempi«raneo, se non elio testò in quello stesso anno 1612, nel quale deve es¬ sere anche morto, poiché il 12 novembre 1612 gli fu eletto il successore nella Procuratili. Moobnioo Lunabiio. Nacque di Marcan¬ tonio c di Isabella Vitturi in Venezia nel gennaio 1551, <» pel corso di mozzo socolo sostenne di grado in grado le cariche in¬ terne più ambite della Repubblica. Sindaco e giudico straordinario nel 1584, fu capitano .i Vicenz i nel 1585 e podestà e capitano a PrevibO nel 1591 e 1592. Dal Senato, ov’cra stato delegato sopra gli atti nel 1595 e sopra le biade, nel 1596 p-issò podestà a Verona; e l’anno appresso entrò nel Consiglio dei Dieci, del quale fu uno dei capi. Tonno il capitanato di Padova dal 9 aprile 1600 al 28 agosto 1601 : poi fu do’ tre Savi sopra lo artiglierie, che allora si rinnovavano sotto la direzione degli Alberghetti. Tacendo di molte altre cariche da lui occupate, no- INDICE BIOGRAFICO. 487 tcremo ohe nel 1615 fu elevato alla dignità di Procuratore di S. Marco. Morì il 21 feb¬ braio 1627. Mochi Orazio. Modellatore principal¬ mente, ma anche scultore, fiorentino, disce¬ polo di Giovanni Cacciai, mito nella seconda metà del secolo XVI o morto il 20 mag¬ gio 1625. Muletti Giuseppe da Messina. Fu dal Sonato Veneto chiamato alla lettura di ma¬ tematica dello Studio di Padova con decreto dei 24 maggio 1577, togliendolo alla corte di Mantova dove attendeva alla educazione di Vincenzio Gonzaga. In Padova egli inse¬ gnò la geometria di Euclide, la sfera del Sacrobosco, l’ottica, la meccanica, la cosmo¬ grafia, l’anemografi, l’idrografia, la geo¬ grafia, la prospettiva. Ma l’opera alla quale dovette la sua maggiore reputazione, e por lagnale fu ricolmo di doni da Gregorio X11L o dalla Repubblica Veneta, è quella com¬ posta appunto per ordine del pontefice o pubblicata col titolo: < TabulaeGregorianae motuum octavae sphaerae ac luminarinm ad usura Oftlondarii Ecclesiastici et ad Urbis Komae moridianum supputatae ». Morì il 25 marzo 1588. Molin Domenico. Nacque di Marino e di Paola Barbarigo in Veuezia il 20 novem¬ bre 1572. Fu senatore gravissimo, versalo nella politica e nei maneggi di Stato, lette¬ rato valente e mecenate degli studiosi, amico del Poiresc e di tutti i maggiori uomini del suo tempo, e, a quanto si diceva, ispiratore di fra Paolo Sarpi. l o onorarono in parti¬ colare il Pignoria, il Davila, Ottavio Ferrari, Baldassare Bonifacio, Fulvio Testi, e in morte con orazione funerale Marco Zuerio Boxornio in Leida. Dei vari uffici da lui te¬ nuti, ricorderemo soltanto quello di Rifor- matoro dolio Studio di Padova, al quale fu eletto nel 1629. Mancò ai vivi il 16 novem¬ bre 1635. Molin Francesco. Nacque di Giovanni e di una figlia di Antonio Giustiniau in Vene¬ zia il 3 ottobre 1540. Lo troviamo capitano a Verona, e poi ambasciatore a vari sovrani c fra gli altri a Filippo TU di Spagna quando salì al trono; Riformatore dello Studio di l'udova nel 1602, 1606 o 1(510, Procuratore di S. Marco il 15 febbraio 1603, e nel 1605 ambasciatore al novello pontefice Paolo V. Nel 1607, essondo Savio dell’Ordine Su¬ premo, fu deputato a trattare col cardinale di Joyeuso intorno ad alcune differenze con Roma. Morì il 2 aprile Bill. Molin Pietro. Nato in Venezia di Vin¬ cenzo e di Cecilia Mioliiel il 15 febbraio 1601. Nel 1G30 fu eletto provveditore sopra il cot¬ timo di Damasco, nel 1632 provveditore di Comun, nel 1635 fra i dieci Savi di Rialto, e nel 1648 provveditore alle biade. Morì il 22 dicembre 1665. Monoones (de) Claudio. Propriamente, Monconis, o Monconys, famiglia liouosc : nella quale però non troviamo un Claudio. Tra i corrispondenti del Peiresc sono un Baldassare ed un Gaspare: Baldassare è il celebro viaggiatore; Gaspare, signore di Liergues, un ben noto collezionista di mo¬ nete, medaglie, pitture, ecc. Loro padre fu un Pietro de Monconys, luogotenente cri¬ minale a Lione, nel quale ufficio gli succe¬ dette il figlio Gaspare. Montali»an Alessandro. Nacque in Oo- negliano il 28 marzo 1586. Seguì in Padova 10 studio delle leggi, e ne conseguì la laurea 11 17 settembre 1609 : poi abbracciò la car¬ riera militare. Morì nel 1616. Montalban Niooolò. Della famiglia co¬ mitali) di Conegliano: fu addetto alla corte di Toscana nel 1607 come paggio; come cameriere trovasi ricordato nel 1615, e come gentiluomo nel 1617 e noi 1620. Montalbani Gio. Battista. Nacque in Bologna noi 1596. Laureatosi con gran plauso all’età di diciotto anni, viaggiò poi in Ger¬ mania, Polonia, Turchia o Persia. Ebbe im¬ portanti missioni politiche presso varie corti d’Europa, ed alti gradi militari dal duca di Savoia. Morì nel 1646 in Candia, mentre era al servizio della Repubblica Veneta. Montalbani Ovidio. Fratello minore di Gio. Battista, nacque nel 1601. Per gli cape- 488 INDICE BIOGRAFICO. rimanti pubblici già dati del buo sapere, ottenne dal Senato di Bologna una cattedra di filosofia nello Studio con dispensa dal difetto dell’età nel 1626, e noi 1657 «li fu affidata la custodia del Museo Aldrovaudi. Mori nel 1671. Montàlto (di) Perbtti A lussavi» ho. Nacque in Roma nel 1571 e dal suo prozio papa Sisto V fu all’età di quattordici anni creato cardinale, unico della prima creazione avvenuta il 13 maggio 15t>5 ; e più tardi vicecancelliore di Santa Chiesa. Mori il 2 giu¬ gno 1623. Montaitto (da) Barbolanv Asdbviulk. Residente per il granduca di Toscana a Venezia dal 1596 al IfilS. Monte (del) Alessandro, di Guidobaldo e di Felicia della Rovere, nacque in Penero nel 1570. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu investito dell’ abbazia di S. Cri»poldo di Bettona, e il 18 luglio 1616 nominato ve¬ scovo di Gubbio. Maucò ai vivi in Roma il 13 giugno 1628. Monte (del) Bartolommeo, di Francesco e di Minerva del Monte, nacque al Monti- S. Maria il 17 settembre 151)3. Entrò c«.n lo zio Gio. Battista al servizio della Bopub- blica Veneta quando aveva appena dieci anni, ma alla morto di lui si ritirò in patria. Cosi ino II lo elesse nel 1615 capitano dei suoi cavalleggieri, e lo mandò nel 1617 am¬ basciatore all’imperatore Mattia, n noi IH19 a Paolo V ; nel 1619 fu eletto governatore di Livorno, o nel 1622 amba,cinture a Eleo¬ nora Gonzaga per congratularsi del suo ma¬ trimonio con l’imperatore. Nel 1637 fu eletto cavallerizzo maggiore del granduca Ferdi¬ nando li. Morì al Monte S. Maria l’8 mur- zo 1646. Monte (del) Francesco, di Guidobaldo e di Feiicia della Rovere, nacque nei 1563. Dal duca Guidobaldo della Rovere, del quale la madre sua era figlia naturalo, fu onorato vipotutamente di missioni alla corte di Spa- gna, al grauduca di Toscana e al duca di Mantova. Morì il 18 luglio 16l‘J. Monte (dal) Francesco Maria, di r«. / nieri e di Minerva Pianosa, nacque a Ve¬ nezia il 5 luglio 1549. Abbracciato lo statò ecclesiastico, ebbe noi 1563 la commenda della badia di S. Croce di Monte Fallali su quel di Pesaro, nel 1580 fu eletto refe¬ rendario dell’una e dell'altra segnatura, e l’anno appre. so pus >ò alla corte di Toscana ricusando il vescovado di Pesaro al quale era stato preconizzato. Nella rinunzia che fece della porpora il cardinale Ferdinando di To¬ scana, divenuto granduca, ottenne d’essere ! in sua vece creato cardinale il 14 dicom- j lire I5v\ e vescovo di Porto il 27 marzo 1621, ■ dalla quale diocesi passò a quella di Ostia [ nel 1628. Morì decano del 8acro Collegio il 17 agosto 1626. Monte (del) Gio. Battista, di Bartoloui- meo e di Pautasileu Vitelli, nacque il 24 aprile 1541. Abbracciata la carriera delle anni, fece a tredici unni la sua prima campagna nella guerra di 8i* na, combattè poi al servizio della Spagna le campagne di Lombardia contro i Francesi, e quindi passò in Africa dal 1563 al 1564. Nel 1565 concorse alla libe¬ razione di Malta assediata dai Turchi. Ac¬ cettata dalla Francia l’oiforta della sua spa ia, prese parto alle guerre contro gli Ugonotti, e nel 1568 passò in Fiandra dovo combattè per sedici anni a fianco del duca d’Alba. Nel 1;*84 fu eletto del Consiglio Se¬ greto di dilano o nel 1585 era stato scolto a comandare P impresa voluta dal re di Spagna contro i Ginevrini. Noi 1587 fu dalla Repubblica Veneta eletto capitano generale delle fanterie coll’ ispeziono delle fortezze di terraferma e di Invalile. Morì in Padova il 2 ottobre 1614. Monte (del) Guidobaldo. Nacque di Ita- nieri e di Minerva Pianosa in Pesaro 1’ 11 , gennaio 1515. A diciannove anni si recò allo I Studio di Padova, dove iu scolaro di Pietro Catena; ina assai piti si avvantaggiò degli insegnamenti de! Cummauditio, del quale fu il più insigne discepolo. Dal 1588 tenue por I qualche tempo l’ufficio di visitatore dello : città e fortezze del granducato di Toscana; e anche dopo averlo lasciato, fu sempre te¬ nuto in grandissima estimazione dalla Casa i Medici. Fatto ritorno definitivo iu patria, si INDICE BIOGRAFICO. 489 dedicò lutto ni prediletti suoi studi, che diede in gran parto alle stampe : notevoli Ira tutti quelli concernenti le meccaniche, nelle quali segnò una via e tu rinnnodiato precursore di Galileo In relazione col quale, sebbene cosa d’assai lieve conto, noteremo ch’egli sembra essere stato veramente l’in¬ ventore primo del compasso di proporzione. Mancò ai vivi il (j gennaio 1607. Monte (del) Orazio, di Guidobaldo e di Felicia della Rovere, passò la sua giovinezza come paggio alla corte di Toscana. Abbrac¬ ciata nel 1595 la carriera delle armi, prese parte alle guerre d’ Ungheria e quindi a quelle di Croazia con le truppe mandate dal granduca di Toscana in aiuto dell’Austria. Passato agli stipendi della Repubblica Ve¬ neta, fu da questa adoperato, prima contro gli Uscocchi, poi in Candia, dove morì il 22 agosto 1614. Monte (del) TjGUoaiONE, di Guidobaldo e di Felicia della Rovere. Entrò al servizio della Repubblica Veneta col suo congiunto Gio. Battista : alla morte di questo si ritirò in patria; o il duca d’Urbino Francesco Maria gli conferì il comando delle truppe che mandò in Lombardia a combattere in aiuto della Spagna contro il duca di Savoia. Fu poi creato aio o maestro di camera del duca Federico, e ripetutamente adoperato in missioni alle corti di Vienna, di Madrid e di Monaco. Mancò ai vivi nel 1626. Monteoohi Sebastiano. Vicentino, chia¬ mato dai Riformatori dello Studio di Pa¬ dova alla seconda lettura mattutina di testo, glossa e Bartolo nel 1562, e nello stesso anno trasferito a quella di criminali: dal Senato poi con decreto dei 20 ottobre 1565 fu eletto alla seconda di istituzioni civili, e sette anni più tardi promosso alla prima. Tenne anche per qualche tempo la seconda cattedra pomeridiana di diritto canonico, e poi anche la prima ordinaria pomeridiana dello stesso inaegnamonto. Morì nel 1610. Monteouccolt Antonio. Assunse il nome di Antonio entrando in religione nell’ Or¬ dine dei Cappuccini; ma nascendo di Feria- monte (del ramo di Polinago; e di Anna di Francesco Montecuccoli (del ramo di Mon- tese) il 2 luglio 1578, aveva ricevuto al bat¬ tesimo quello di Camillo. Vestì il saio il 18 maggio 1598 a Ravenna, e divenne Teo¬ logo e Generalo dei suo Ordine. Morì a Sas¬ suolo il 10 aprile 1618. MonteTìUPI Valerio. Nato in Firenze noi 1548, accompagnò lo zio Sebastiano in Polonia o si stabilì con lui a Cracovia. Nel 1573 fu nominato prefetto delle regio poste, e tale carica occupò fino alla morte avvenuta il 6 dicembre 1613. Montrver.de Claudio. Nacque di Baldas- sare in Cremona nel 1568. Accolto come cantore alla corte di Mantova nel 1589, se¬ guì quel duca Vincenzo recatosi in Ungheria al campo imperiale contro il Turco e poi nolle Fiandre, e nel 1602 fu eletto maestro dolla cappella e della musica di corte. E sua la musica dell 'Orfeo, scritto da Alessandro Striggi o dato con gran pompa nel 1G07; e quella dellMriwma su libretto di Ot¬ tavio Rinuccini. Nel 1613 fu chiamato a di¬ rigere la musica nella cappella di S. Marco in Venezia, ed in tale ufficio rimase fino alla morte avvenuta nel 1643. Monti Cesare, di Princivalle patrizio o senatore milanese e di Anna Lamlriani, nacque nel 1593 e compiuti in patria gli studi di giurisprudenza si recò a Roma ed entrò in prelatura sotto Paolo V. Proto no¬ tano apostolico prima, referendario di se¬ gnatura di lì a poco, fu a parte dei molti favori de’ quali era fatto segno 1 -odo vi co Ludovisi, suo amicissimo, dai Borghese; o Gregorio XV poco prima di morire lo elesso assessore del S. Uffizio. Urbano Vili, che lo ebbe in grandissima estimazione, lo ascrisse prima alla prediletta sua congregazione di Propaganda Fide, poi lo elesse patriai*ca di Gerusalemme o lo mandò nunzio in Ispagna, e mentre era colà lo ascrisse al collegio dei cardinali. Poco appresso, essendo venuto a morte Federigo Borromeo, fu eletto il 28 no¬ vembre 1632 arcivescovo di Milano e l’anno dopo pubblicato cardinale. Morì in Milano il 1G agosto 1650. Morandi Orazio, di Lodovico, patrizio romano, nacque intorno al 1570, vestì giovi- Vol. xx. 62 490 INDICI-: BIOGRAFICO. notfco l’abito vallomforomno o no professò la regola il 10 novembre 1690. Compiuti gli studi «li bolle lettere, si volse tutto allo stu¬ dio dello scienze occulte, e contrasse amicizia con 1). Antonio r 1>. Giovanni do’ Medici che passavano per assai periti in esso. Molto operò in favore del suo Ordine quando ne fu eletto Generale, ottenendo la conforma d’antichi privilegi; ma, accusato di negro¬ manzia e soprattutto d’aver prognosticata la morte del papa Urbano Vili, fu arrostato o chiuso nelle carceri del S. Uffizio, nello quali morì il 9 ottobre 1630. MoRBloto Cattala*©. Pi famiglia cer¬ tamente bolognese, benché non risulti bat¬ tezzato in Bologna. Di lui abbiamo trovato soltanto che sposò una Margherita Audi rimaritatasi nel 1620 con un Fogliami dun que nel 1620 era già morto. Moreau Giovanni. Capo iIella casa li¬ braria parigina fornitrice del Peireso, e ch'¬ egli designa sovente sotto il uomo di « Le» Moreaux ». Moreto Teodoro. Nacque in Anversa il 9 febbraio 1692, ed entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù il 12 settembre 1618 Professò a Praga filosofia, teologia, Sacra Scrittura; e durante quattordici anni le ma¬ tematiche a Praga o a Breslavia. Fu an- cho rettore del collegio di Klattan, e mori a Breslavia il 6 novembre 1067. MorinGio. Battista. Nato a Ville-Frane© (Beaujolais) il 23 febbraio 1583, morto n Pa¬ rigi il 6 novembre 1666. Seguì gli studi in Avignone, dove fu ricevuto dottore in me dicina il 9 maggio 1613, e dovette alla pro¬ tezione della regina Maria de’ Medici il titolo di professore reale: occupò la seconda cattedra di matematiche nel Collegio di Frali eia dal 1630 al 1656. Moro Gasparo. Nacque in Venezia di Sante e di Elisabetta Quirini 1 11 agosto 1585. Di lui troviamo ricordato che « fu singola¬ rissimo nella filosofia et di varia eruditione ». Morì il 21 marzo del 1660, e fu sepolto in S. Maria della Misericordia. Mono Giovanni. Nacque di Leonardo e di E lena Quii-ini il 15 ottobre 1552. Sena¬ tore. capo del Consiglio dei Dieci nel 1606 consigliere nel 1611, e noi 1015 ballot¬ tato Doge. Morosi*! Andrea, di Giacomo e di Ce¬ cilia ( 'ormiro, nacque in Venezia il U feb¬ braio 1557. Essendo nel 1596 Savio di terra- ferma, fu deputato u trattare coi commissari arciducali circa gli Uscocchi. Eletto alla ca¬ rica di Riformatore dello Studio di Padova noi 1607, 1612 «■ 1616; correttore dello leggi nel 1613 e 1617 ; ballottato Doge nel 1618. nitro alla larga partecipazione alla vita pubblica, fu anche insigne letterato o filo¬ sofo; BcrLse P « li istoria Veneta dal 1521 al 1615 », la quale fu da Roma sospesa « doriec corrigntur» con decreto dei 12 dicem¬ bre 1621, e molte altre lodato opere. Nella sua casa, o per «lir più esatto nel « mezzà » della sua casa, si raccoglievano a dotti convegni i più cospicui patrizi della Repubblica, molti fra i più illustri lettori dolio Studio di Pa¬ dova od i più ragguardevoli forestieri che erano di passaggio per Venezia. Mancò ni vivi il 19 giugno 1618. Morosi*! Andrea, di Vincenzio e di Istriana Landò, nato in Venezia il 7 apri¬ le 1589. Morosinì Donato, di Marino o di Maria Gur/oni, nacque il 6 luglio 1564 in Vene¬ zia. Fu duca in Cnndia e nel 1621 sindico, avogadore cd inquisitore in terraferma eà Istria. Fu epolto nella chiesa di S. Pater- niano. Morosinì Francesco, di Pietro e di Fran¬ cesca Bnrbarigo, nacque in Venezia V 11 gen¬ naio 1569. Dottore di leggi e di filosofia; podestà e capitano di Feltro nel 1595, a Ire- viso nel 1599; Savio di terraferma nel 1602; capitano di Padova nel 1609, noi 1606 e nel 1614; capo d»-l Consiglio dei Dieci ;ripe- tutnmente generale in Canditi; Riformatore dello Studio di Padova nel 1620,1631 e 1636; e finalmente elevato alla dignità di Procu¬ ratore di S. Marco il 27 giugno 1630. Morì noi 1641. INDICE BIOGRAFICO. 491 Morobini Tommaso. Non meno <1i cinque vivevano con tal nome nel 1604, nò sa¬ premmo dire quale tra essi abbia ricevuto insegnamenti o favori da Galileo, da rimeri¬ tamelo con una tazza d* argento. 1 cinque sono : 1) Di Giulio e di Lucrezia Marcello, nato il 4 ottobre 1567. 2) Di Taddeo e di Marina Grimani, nato il 17 aprile 1583. 3) Di Francesco e di Elena Cappello, nato il 2f> maggio 1586. 4) Di Francesco e di Tad- dea Pisani, nato il 6 marzo 1587. 5) Di Tom¬ maso e di Agnesina Mali pierò, nato il 20 aprile 1589. Motmanno Cornelio Enrico. Intorno a lui nel « Catalogo degli Auditori di Sacra Ruota di Gio. Battista Oantaliuaio da Gub¬ bio » leggiamo: « Corneiius Henricus Mot- nmiinusGcnnanus Leodiensis,admissusl°do- cernbris 1628; obiit die 24 aprilis 1638». Mula (da) Agostino, di Francesco e di Laura /orzi, nacque in Venezia il 21 dicem¬ bre 1561. Fu nel 1596 podestà e capitano di Belluno. Nessuna traccia abbiamo rinvenuta d’ un trattato di ottica, che egli annunziava d’avere compilato. Mììllkr Filippo. Nacque PII febbraio 1585 in Herzberg, coltivò gli studi di scienze mediche o naturali, e fu professore di ma¬ tematiche a Lipsia. Morendo il 26 marzo 1659, lasciò parecchie scritture di argomento matematico, astronomico e chimico, e spe¬ cialmente relative alla natura delle comete. Moller [Molitore] Trovilo. Nacque di Ernesto in Hirscbfeld (Assia) noi 1576 : ascritto all’Accademia dei Lincei nel 1611, naturalista, professore di botanica nell’ u- niversi tà di Ingolstadt, dove morì nel 1618. Musei! Counblio. Era nel 1619 segretario della città di Rotterdam, e noi 1628 divenne cancelliere degli Stati Generali dei Paesi Bassi all’Aja. Nelle questioni ohe agitarono il suo paese, si schierò dalla parte orangi- sta, e nel 1648 divenne consigliere del prin¬ cipe Guglielmo II figlio di Federico Enrico. Morì il 15 dicembre 1650. Mussato Gio. Franoesoo. Nacque di Luigi in Padova il 3 settembre 1533, visse sempre a sò stesso, rifiutando una cattedra nel pa¬ trio Studio o contentandosi di corrispondere con i più illustri lettorati del suo tempo. Morì il 23 settembre 1613. Muti Carlo, di Giacomo, nacque in Roma nel 1591; fu ascritto all’Accademia dei Lin¬ cei nel 1618; morì in Roma nel 1622. Muti Giacomo. Nacque di Carlo in Roma intorno al 1560 c fu duca di Canemorto. Nessuna ulteriore notizia siamo riusciti a procurarci di lui, nonostante ripetute istanze dirette agli archivi romani. Muti Tiberio. Fratello di Giacomo, nac¬ que a Roma nel 1564. Affine di Paolo V, reiezione di questo pontefice lo t rovò sem¬ plice canonico di S. Pietro; ma dopo essere stato por qualche anno nelle anticamere pa¬ pali, il 5 dicembre 1612 fu eletto vescovo di Viterbo, c il 2 dicembre 1615 promosso alla porpora col titolo di S. Prisca. Mori in' Viterbo il 14 aprile 1636. Muzzàrelli Giovanni. Da Fanano, nac¬ que nel 1595, e vestì giovanissimo l’abito dei Minori Conventuali «li S. Francesco. Dopo essere stato segretario dell’Ordine, visitatore apostolico della Polonia, presidente gene¬ rale ultramontano, commissario nei comizi di Sicilia, Calabria, Polonia, Russia e Litua¬ nia, guardiano dei conventi di Bologna e dei SS. Apostoli di Roma, socio ed assistente del Generale, fu eletto inquisitore generalo di Firenze e di tutto il dominio fiorentino con breve del 9 dicembre 1637. Morì il 5 maggio 1645, e fu sepolto in S. Croce di Fi¬ renze. Mydorge Claudio. Nacque a Parigi nel 1585. Figlio d’un consigliere del parlamento, divenne egli stesso consigliere al Chàteleb, e più tardi tesoriere di Francia nella gene¬ ralità di Amiens; ma si tenne a serbarne il titolo, per non distrarsi dagli studi di ma¬ tematica ai quali principalmente attendeva. Verso il 1625 conobbe il Descartes, si legò con lui in amicizia, e si schierò dalla sua parte nelle questioni col Format. Vuoisi ab¬ bia spesi più di cento mila scudi nella fab¬ bricazione di vetri e di specchi ustori e di 492 INDICE BIOGRAFICO. diversi {strumenti matematici. Morì a Parigi nel luglio 1647. Nalpi Mattia. Di famiglia faentina, nacque in Siena tra la fine del XVI ed il principio del XVII secolo. Fu filosofo e me¬ dico aHsai rinomato, profondo conoscitore delle lingue latina, greca, ebraica, caldea ed araba. Tenne nello Studio senese la catte¬ dra di logica, e poi quella di filosofia straor¬ dinaria, dal 1641 al 1617 : da Siena passò alle cattedre di filosofia e di medicina nello Studio di Pisa, dove rimase dal 1647 ni 1655; indi da papa Alessandro VII fu ciotto al¬ l’ufficio di arohiatro pontificio, e fu anche lettore nella Sapienza di Roma: quivi mori nel 1672. Nasi Agostino, di Giorgio o di Maria Vitturi, nacque in Venezia il 26 luglio 1555. Nel 15S7 fu eletto uno dei sopraprovveditori alla Giustizia nova, nel 1588 provveditore ai beui incolti, e nell’almo stesso provveditore sopra la scansazione e revisione delie spèse superflue : poi Savio alla mercanzia noi 1590, fu cinque volte Savio di terraferma nel 1591, 1592, 1594, 1598 e 1600. Nell’estate del 1583, uscendo dall’ufficio di Savio agli ordini, fu doputato assistente al duca di Joyeuse, co¬ gnato di Enrico III di Francia. Nel 10^7 fu mandato ambasciatore in Savoia per astsiste- ro in nome della Repubblica al battesimo del figlio di Carlo Emanuele, nel 1605 am¬ basciatore residente alla corte di Roma; nel 1606 fu oletto consigliere e ben quattro volto Riformatore dello Studio di Padova, cioè uel 1610,1615,1620 o 1626. Nel 1610 fu mandalo ambasciatore in Francia, nel 1612 all* im¬ peratore Mattia in Ratisbona, ed il 12 no¬ vembre di questo medesimo unno fu creato Procuratore di S. Marco. Questo, e molti al¬ tri uffici, tra i quali specialmente quello di correttore alle leggi, lo avevano ripetuta- mente designato all’elezione a doge: fu piìi volte ballottato, ma uou unii eletto. Morì il 3 aprilo 1627. Napikr Giovanni, di Arcibaldo e della sua prima moglie Janet Hothvvell, nacque a Mercliiston Castle presso Edimburgo nel 1550, e fu educato nel collegio di S. Andrea. Di ritorno in patria, dopo un soggiorno di parecchi anni nolln Francia meridionale ed in Italia, prese moglie e si occupò assai de¬ gli affari di famiglia, consacrando alle ma¬ tematiche le huo oro d’ozio, distratto anello in questo da una fiera polemica religiosa. Tuttavia già nel 1594 aveva concepito il Principio genorale dei logaritmi, o nei von- t’anni successivi tut to si dedicò a svilupparne la teoria, perfezionando il raotodo della co¬ struzione e delle relative tavole. Mancò ai vivi a Morchistun il 4 aprile 1617. Ninni Antonio. Pochi tra gli scienziati italiani dell’epoca galileiana meriterebbero quanto questo uno studio accurato, mentre ora si sa appena che nacque in Arezzo e che trasse gran parto della vita in Roma, dove col Magi otti e col Torricelli compo¬ neva il « triumvirato * che ò ricordato nel Carteggio galileiano. 11 suo nome è racco¬ mandato alle «Scene*, voluminoso (pag. 1392) manoscrit to, copiato di più mani o quasi tutto rimasto inedito tra quelli dei discepoli di Ga¬ li'co nella collezione della Nazionale di Fi¬ renze. Pare che nel 1645 egli pensasse a dar l’opera sua alle stampo': sappiamo elio l'aveva mandata a Michelangelo Ricci, per¬ chè la sottoponesse all'csaino del S. Uffizio. Nabdi Baldassare. Aretino : non ab¬ biamo potuto assodare se lo stesso che par¬ tecipò con altri teologi alla confutazione di Marcantonio De Doniinis, difendendo il prin¬ cipio della supremazia romana. Sotto questo nome si cita anche un trattato manoscritto intorno al prohciugamentn dello Chiane, elio egli avrebbe steso prima di andare a Bru¬ xelles dove godè un canonicato o, secondo altri, una ricca abbazia. Nardi Giovanni. Nacque a Montepulciano il 3 settembre 1585. Compiuti gli studi di medicina nell’università di Pisa sotto la di¬ sciplina particolare del Mercuriale, fu eletto archiatro del granduca Ferdinando II, ed in tale qualità lo accompagnò nel viaggio di Germania del 1628. Fu anche « intendente della stillerai e fonderia ». Morì nel 1654. Nassau (di) Maurizio. Il gran capitano, secondo figlio di Guglielmo di Nassau, prin- i cipo d'Crunge, nacque al castello di Dillen- INDICE BIOGRAFICO. burg nel 1567. Il seguito continuo delle sue vittorie contro la Spagna fu interrotto dalla tregua di dodici anni concliiusa dal Barne- veldt: alla ripresa delle ostilità nel 1621, si trovò di fronte il marchese Spinola, che lo costrinse a rinunciare alla presa di Anversa. AlìVanto per questo sinistro, morì all’Aja il 23 aprile 1625. NaudIì Gabriele. Nacque a Parigi il 2 febbraio 1600. Ultimati gli studi di umanità o di filosofia, si applicò a quelli di medicina: se non che preso dall'amore dei libri, per completare la sua erudizione, abbandonò una proficua posizione che s’era procurata, o nel 1626 venne a Padova, di dove dovotto ripartire pochi mesi dopo per la morte del padre. Nel 1631 andò a Roma come biblio¬ tecario del card, di Bagno; ma eletto nel 1633 medico ordinario del re Luigi XIII, riprese gli studi medici o fece ritorno a Pa¬ dova per conseguire la laurea. Dopo la morte del card, di Bagno, passò come bibliotecario del card. F. Barberini: non però vi rimase a lungo, ohe noi 1642 fu richiamato dal card. Bichelieu che voleva confidargli la direzione della propria biblioteca. Alla morte di lui passò con lo stesso ufficio presso il card. Maz¬ zarino; e per esso in lunghi viaggi raccolse una splendida biblioteca, la quale egli però non valse a impedire che, morto il Maz¬ zarino, venisse dispersa. Parve trovare tran¬ quillo riposo corno bibliotecario della re¬ gina Cristina di Svezia; ma non polendo tollerare i rigori del clima di Stoccolma, abbandonò l’uflìcio, fece ritorno in Francia, c morì ad Abbeville il 29 luglio 1653. Nautoniku (de) Guglielmo. Signore di Castelfranco nella diocesi di Castrcs. So è quello di cui abbiamo trovato una informe notizia, si tratterebbe d’nn dottore in teo¬ logia, verosimilmente protestante, porche ò notato che « espousa 4 way 1590 d. 1 " Mario Guiraud ». Negro Antonio. Padovano:eletto nel 1591 alla lettura del terzo di Avicenna nel patrio Studio, e trasferito nel 1599 a quella del primo canono, con l’obbligo di mostrare nel¬ l’ospedale i segni dei morbi dedotti dal polso e dalle orine. Mancò ai vivi il 24 dicembre 1626 nell’età ili aessantasci anni. 493 Nente (del) Ignazio. Nacque in Firenze da Domenico nel 1571, ed ebbe al battesimo il nome di Vincenzio. Il 7 marzo 1593 ve¬ stì l’abito domenicano nel patrio convento di S. Marco, ove visse santamente e con grande riputazione di dottrina e prudenza tanto da esser detto « un secondo sant’An¬ tonino ». Fu priore del suo convento nel 1611, nel 1620 e nel 1629; eletto una quarta volta, non volle accettare. Nel 1622 dal ca¬ pitolo generale di Milano ebbo il magistero in teologia. Fu confessore del granduca Ferdinando II e della granduchessa Vitto¬ ria. Ricusò parecchi vescovati offertigli; e nel convento di S. Marco attese alle pratiche religioso ed alle sue pubblicazioni storiche ed ascetiche, recandosi spesso a Montese- nario per far vita ritirata con gli anaco¬ reti dell’Ordino dei Servi di Maria. Morì il 27 marzo 1G48, e fu sepolto nel cimitero di San Marco. Neri Antonio. Di lui sappiamo soltanto die era ecclesiastico, ma che non esercitò mai il sacro ministero. Trasse la maggior parte della sua vita fuori d’Italia, e dimorò a lungo in Anversa. Neri Giuseppe. Figlio naturale di Pier Giacomo, nacque in Perugia nel 1586. Il 22 aprile 1614 ottenne la laurea in ambedue le leggi, ed il 20 novembre 1616 fu aggregato al collegio dei dottori in Roma. Quivi en¬ trò nella corte del cardinale Reietti come istitutore di suo nipote Francesco, elevato egli pure più tardi alla porpora cardinalizia. Al suo ritorno in Perugia nel 1619, vi fu eletto lettore di pandette nello Studio, dalla qual cattedra passò nell’unno stesso all’al¬ tra di matematiche, e matematiche pure in¬ segnò nello Studio di Macerata. Ricondotto alla medesima cattedra in patria nel 1622, ebbe molti onorifici incarichi, tra i quali quello di rettore della Sapienza Bartolina. Nel 1621 era stato aggregato all’Accade¬ mia dei Lincei, mentre era addetto alla corto del cardinale perugino Cesare G herardi. En¬ trato con quésto nel conclave dal quale uscì papa Urbano Vili, ammalò e dovette uscir¬ ne, ed in conseguenza di quella stessa ma¬ lattia mancò ai vivi P 8 agosto 1623. Fu sepolto nella chiesa parrocchiale di S. Ria- 41)4 INDICE BIOGRAFICO. gio a Monto Oitorio. che fu poi demolita per la erezione della Curia lnnoeen/.iana. Si hanno di lui duo volumi di « Analecta * (1619), nei quali trattò con arando profondità que- b fiotti giuridiche: altri molti lavori mano¬ scritti rì conservano inediti nella Biblioteca Vaticana ed in quella Perugina. Nkrli Francesco. Fiorentino, nae.qno del Renature Federico e di Costanza Nobili nel 1595. Dopo aver atteso agli studi nello università di Bologna e Pisa ed essersi lau¬ reato nello leggi, entrato in prelatura aiutò auditore generale del card. Ubaldini legato di Bologna, poi con lo Btesso utlìcio presso il card. Carlo de' Medici, e con questo entrò nel conclave dal quale usci papa Inno¬ cenzo X. Sotto questo pontefice fu creato re¬ ferendario dell’una e dell'altra segnatura, so- grotariodei brevi ai principi,indi promosso il 8 febbraio 1650 alla sodo vescovile di Pi¬ stoia, dalla quale passò nel novembre 1652 alla arcivescovile di Firenze. Clemente IX 10 decorò della porpora il 29 novembre 1669: 11 6 novembre del successivo anno L670 mancò ai vivi in Roma Nero (del) Agostino. Nacque in Firenze di Tommaso e di Luisa di I/O ronzo Bidelli. Dedicatosi giovanissimo agli esercizi lette¬ rari, fondò nella stessa sua casa l’Accade¬ mia dei Desiosi: suo padre aveva fondata quella dogli Alterati, ospitata poi in casa di G. B. Strozzi il cieco. Morì in età di 21 anni. Nero (del) Alessandro, di Francesco di Agostino e di Ottavia di Ranieri del Monte, nacque in Firenze il 7 agosto 1586. Visse alla corte, ed ebbe parecchie missioni diploma¬ tiche in Italia ed in Francia. Fu olotto se¬ natore il 19 giugno 1637, dei Quarantotto nel 1638, luogotenente nel 1640, consiglierò nel 1638, 1642, 1615 o 1648. Morì il 2 feb¬ braio 1650. Nkububq (di) WoJjTaxqo Guglielmo. Nacque a Neuburg, primogenito del conto palatino Filippo Luigi e di Anna figlia del duca Guglielmo di Jiilich-Cleve-Berg il 4 no¬ vembre 1578. Dopo la morte del padre rac¬ colse l’eredità del ducato di Neuburg, o dopo , quell» dell'avo materno la successione negli stati elio gli pervennero per la mancanza di eredi maschi. Ebbe molto a lottare coi fra¬ telli per l’eredità paterna, o da contrastare con la casa di Bramleburgo per quella ma¬ terna. Prose parlo grandissima in tutto lo negoziazioni politiche o militari dello quali fu tanto fecon la la prima metà del se¬ colo XVII. Mori a Dusseldorf il 20 marzo 1653. Nkvot.ini Filippo. Nacque di Giovanni c di Caterina di Filippo Salviati in Firenzo il 20 agosto 1586, e dal granduca Cosimo li fu ascritto nel 1610 tra i suoi gentiluomini di camera. Adoperato più volte conio am¬ basciatore a varie corti in missioni di ceri¬ monia. fu nel 1622 eletto dalle granduchesse reggenti aio del principe Giovali Carlo ile’ Medici, del quale divenne in seguito maestro di camera. Morì il 21 giugno 1666. Niccoli ni Francesco. Fratello maggioro del precedente, nacque il 29 novembre 1584; ed a quindici anni vestì la divisa di cava¬ liere di 8. Stefano, e fu ammesso tra i paggi del granduca Francesco I. Recatosi poi a Roma presso il padre, fu avviato alla car¬ riera cecie-instici», o da Paolo V eletto refe¬ rendario dell'una e dell’ultra segnatura; ma dopo la morte del padre smise la veste ta¬ lare, e conduco in moglie nel 1618 Caterina di Francesco Riccardi. Dopo aver occupato varie cariche in patria, fu eletto ambascia¬ tore a Roma il 15 aprile 1621 ed in tale ufficio rima i? fino al 1648. Ritornato in pa¬ tria, fu nominato gentiluomo della corto di Ferdinando li, o maestro di camera della granduchessa Vittoria. Fin dal 13 luglio 1629 era stato detto senatore, e nel 1647 fu no¬ minato Gran < ’ancelliere dell’Ordine di S. Ste¬ fano. Morì il 25 luglio 1650 senza lasciar prole. Niccoli ni Giovanni, di Agnolo e di Ales¬ sandra di Vincenzio Ugolini, nacque in Fi¬ renze il 6 marzo 1544. Gentiluomo di corte di Cosimo 1, lo accompagnò ft Roma quando vi andò a ricevere la corona granducale nel 1570. Da Francesco I fu mandato am¬ basciatore a Mantova nel 1574 per annun¬ ziare la morto di Cosimo 1, o dieci aulii dopo INDICE BIOGRAFICO. pei' accompagnarvi la figlia Eleonora clic andava sposa al duca Vincenzio Gonzaga. Sonatore il 20 marzo 1587, nel novembre di quell’anno fu inviato a Roma per portare a Sisto V la rinunzia alla porpora di Fer¬ dinando I. Il 1° gennaio 1588 fu mandato ambasciatore ordinario a Roma, e vi rimase fino al maggio 1611. Ritornato a Firenze, vi morì il 7 luglio di quello stesso anno. Dalla moglie Caterina di Filippo Salviati aveva, fra gli altri, avuti i due figli Fran¬ cesco e Filippo. Niccolini Pietro. Nacque del senatore Lorenzo in Firenze. Abbracciato lo stato ec¬ clesiastico, fu noi 1507 eletto canonico della metropolitana fiorentina, della quale fu poi arcidiacono e vicario generale e finalmente il 7 giugno 1632 arcivescovo. Morì in Fi¬ renze il 1° dicembre 1651. Ntocoltnt Riooaiu>i Caterina. Nacque di Francesco e di Costanza Valori a Firenze nel 1598, andò sposa a Francesco Niccolini noi 1618, mancò ai vivi il 13 maggio 1676. NiORnoN Gio. Francesco. Nacque in Pa¬ rigi nel 1613, ed a 19 anni entrò nell’Ordine dei Minimi. Coltivò gli studi matematici, ed in particolare quelli concernenti P ottica. Mandato due volte a Roma, profittò di que¬ sti viaggi per conoscerò gli scienziati italiani ed agevolar le relazioni di essi con quelli francesi. Mancò ai vivi in Aix il 22 settem¬ bre 1646. Nioiiissot.t [Nioiirsot.a], Nobile famiglia veronese, della quale assai verosimilmente Galileo conobbe Cesare, canonico della cat¬ tedrale di Verona e Fabio suo padro. Ce¬ sare adunò una insigne raccolta di inscri¬ zioni, medaglie o manoscritti; fu in relazione con Gio. Vincenzio Pinelli, col Pcii'cse c con Giuseppe Scaligero; e possedette altresì un ricco orto botanico nella sua villa di Ponton in Valpollicella. Fu ascritto aH’Accademia dei Ricovrati di Padova. Ninoi Alessandro, di Leone, da S. Ca- sciano in Val di Pesa, fu nominato parroco della Chiesa di S. Maria a Oampoli il 5 ot¬ tobre 1027 per morte di Giovannantonio 495 Riccianti, e morì nell*ufficio ai primi di mag¬ gio del 1649. Noailles (di) Francesco, di Enrico e di Germana d’Espugno, nacque il 19 giu¬ gno 1584. Servì dapprima il re di Francia nell’esercito, o il 22 febbraio 1614 fu eletto luogotenente dell’Alvernia. I grandi servigi da lui resi allo Stato gli valsero d’essere nominato il 14 maggio 1633 cavaliere degli Ordini del Re o consigliere di Stato. Nel 1634 fu mandato ambasciatore a Roma, ed al suo ritorno prese parte alle guerre religiose, di¬ stinguendosi in ripetute occasioni per atti di valore. Il re Luigi XIII gli affidò il go¬ verno dell’Alvernia, con lettera dei 15 di¬ cembre 1(542, registrata al parlamento di Parigi il 10 febbraio 1613, o poi quello del paese di Roussillon o della città di Perpi- gnano. Fece testamento il 14 dicembre 1645, e morì prima che finisse Panno. Noalk Camillo. I)i lui scrive il Tom- masini : « [1619] 21 Iulii. Novo excmplo, et magna soleinnitate ac urbis et Gynnasii laetitia, in Reetorem Iuristarum olecLus est Camillns Noalius Tarvisinus ». Nocera (da) Pietro. Domenicano, dimo¬ rante nel monastero di S. Domenico in Na¬ poli. Si comincia a trovarne menziono col nome di « fra Pietro di Nocera giovino » nel gennaio 1589 o gennaio 1592, poi com¬ parisce noi giugno e nel novembre 1600, ri¬ comparisce nel giugno 1616 e luglio 1617, o nel luglio 1619 si trova incaricato doll’am- ministraziouc della masseria di Passatello. Nogaret db la Va lette Lodovico, di Giovanni Lodovico Duca d’Epernou e di Margherita di Foix, nacque ad Angoulcme P 8 febbraio 1593. Abbracciato, per volontà dei genitori, lo stato ecclesiastico, fu inve¬ stito delle più insigni abbazie e finalmente eletto arcivescovo di Tolosa, senza essere ancora prete. Creato cardinale P11 gen¬ naio 1621, fu gran controversia circa la ca¬ tegoria alla quale ascriverlo ; venne però assegnato all’ordine dei preti col titolo di S. Adriano. Stanco delle questioni co’ suoi canonici, rinunziò nel 1623 l’arcivescovato di Tolosa e dalla milizia ecclesiastica passò 400 INDICE BIOGRAFICO. alla secolare, prendendo parte allo guerre di Germania, e poi alla trattazione di gravi afTari politici. Muri a Rivoli il 28 settem¬ bre 1089. Noonaiu [Noquira, Nogcxyba] Vin¬ cenzo. Nacque in Lisbona, dove suo padre era consigliere di Stato, nel 1586, e a do¬ dici anni fu allogato alla corte di Madrid come paggio. Più tardi visitò le univer¬ sità di Alcala, Valladolid e Salamanca, si laureò nelle leggi o tutto ai dedicò allo stu¬ dio delle lingue, cosicché prima doi tren- t’nnni conosceva oltre al latino ed al greco, (olio aveva studiato per cinque anni con un Costantino Sofia, fatto espressamente venire da Roma), l’ebreo, il caldeo, l’arabo, l’ita¬ liano, il francese, il tedesco. A venticinque anni fu eletto consigliere per le suppli¬ che ; e per potersi dedicare con maggioro facilità agli studi, abbracciò lo stato eccle¬ siastico. Tuttociò apprendiamo da una let¬ tera di lui al presidente Giacomo Augusto de Thou, data da Lisbona il 28 settem¬ bre 1615, pubblicata nel «Sylloge «cripto- rum varii generis et arguto» uti » e firmata: « Don Vincente Nogueyra ». Da altre fonti sappiamo ch’egli fu autore d’una disserta¬ zione « de lingua voleri Hispanorum et de praecipuis eius linguae scriptorihus », elio fu tra i corrispondenti del Peircsc, in rela¬ zione col Bouohard e col Gassendi. Lodatis¬ simo dal BoÌ8souade nei commenti alle lettere dell 1 Ilolste. Dal 1637 si trovava alla corte del card. Sacchetti, legato di Bologna. Nonstiz. Le matricole della Nazione Germanica Giurista dolio Studio di Padova conservano le seguenti annotazioni: 1) « Von Nostitz, Anno 1601, 25 Maii ». 2) « Christo- phorus Nostitz Silesius > sotto il l'J novem¬ bre 1605. 3) < Ioannes Nicolaus a No- stitz Silesius » sotto il 26 settembre 1606. 4) a Ilieronymua von Nostitz Silesius» sotto il 22 luglio 1608. Di questi quat tro, noi cre¬ diamo che con tutta probabilità sia il terzo, la cui testimonianza in favore di Galileo do¬ veva essere procurata nel dibattito col Capra. Noni Francesco. Nacque di Vincenzio in Firenze. Abbracciata la carriera ecclesia¬ stica, tu nel 1603 fatto canonico della me¬ tropolitana fiorentina. Il 10 settembre 1620 fu ascritto all’università fiorentina doi teo¬ logi e dichiarato dottore in teologia. Da Gregorio XV essendo stata creata la no¬ vella diocesi di S. Miniato al Tedesco, egli ne fu designato primo vescovo e da Or¬ bano Vili fu eletto l’Il marzo 1024. Appar¬ tenne all’Accademia fiorentina, della quale fu consolo due volte: una, prima d’aver ve¬ stito l’abito presbiteriale, noi 1598; ed una dopo, nel 1613. Morì il 31 gennaio 1032. Nota ni (do’) Costantino. Da Nola, ve¬ stì l’abito benedettino e professò i voti noi monastero di S. Severino a Napoli noi 1584. Fu prima priore e poi abbate di l'aria dal 1621 al 1622. No/zolini Tolomeo. Nacque di Ercole nel 1569, e già nel 1589 n 1590 lo troviamo lettore di logica nello Studio di Pisa, presso il quale insegnò anche fisica e qualche parte delle matematiche. Si ritirò poi a vita tran¬ quilla in una sua villa sui colli di Fiesole, finché nel 1606 da mons. Alessandro Mar¬ zi medici fu nominato pievano di S. Agata in Mugello : prese possesso della pievania il 12 luglio 1606 e la tenne fino al 1640. Compose cinque poemi, in uno dei quali « L'adorazione dei magi » fece onorala mcn- . zinne del « Dialogo dei Mossimi Sistemi». Mori nei primi del maggio 1643. Obi zzi Knka. Nacque in Padova di Ro¬ berto il 4 agosto 1592, e condusse in moglie In celobre Lucrezia Doudi Orologio: morì il 17 settembre 1674. Guizzi Obi/.zo, di Roberto mancò ai vivi nel 1646. Guizzi Roberto. Nacque «li Pio Enea in¬ torno al 1565 e fu legittimato nel 1573; mancò ai vivi nel giugno 1647. Oddi (degli) Giulio. « Auditore Gene¬ rale » a Bologna sino dal luglio 1637, poi¬ ché con tale qualità trovasi descritto nella « famiglia » del cord. Sacchetti, legato di Bologna. Oddi Mrzio. Nacque di Lattanzio in Ur¬ bino il 14 ottobre 1569, e fu educato al- INDICE BIOGRAFICO. 497 l’amore degli studi matematici in Pesaro alla scuola del marchese del Monte. Un di¬ sgraziato incidente avendogli fatto perdere il favore di Francesco Maria II duca d*Ur¬ bino presso il quale erasi allogato, venne carcerato in una segreta della fortezza di Pesaro dove rimase per ben nove anni, aspettando di venire di giorno in giorno giustiziato, e scrisse, vai ondosi d’inchiostro fatto di carboni pesti c di carta bibula ras¬ sodata con colla, i suoi trattati sul compasso polimetro e sugli orologi solari. Liberato nel 1G10, si recò a Milano dove era stato confinato, e fu tenuto in grandissimo conto dal card. Trivulzio e dal duca di Feria. Dopo aver servito per alcuni anni la repub¬ blica di Lucca come ingegnere, lece ritorno in patria ed ivi morì nel 1639. Oddi Sforza, di Galeotto, da Perugia, nacque noi 1540. Laureatosi nelle leggi nel 1569, ne fu pubblico lettore in patria, a l’arma, Macerata, Pisa e Pavia. Con decreto dell’8 ottobre 1599, fu dal Senato Veneto condotto alla lettura primaria di diritto ci¬ vile nello Studio di Padova, ma nonostante le laute condizioni fattegli dalla Repubblica, l’anno appresso lasciò la cattedra, obbe¬ dendo alla chiamata del duca di Parma per il nuovo Studio elio aveva istituito. Orano e (d 1 ) Federico Enrico, di Gu¬ glielmo il Taciturno o della sua quarta mo¬ glie Luisa di Coliguy, nacque a Delft nel 1584. Compiuti gli studi all’università di Leida, fu messo a 17 anni alla testa d’un reggimento, proso subito parte a fatti di guerra, ed alla morte del principe Maurizio divenne gene¬ rale in capo o suo successore nelle dignità delle quali era stato investito da molte tra lo Provincie Unito. Così sotto di lui la Fian¬ dra continuò ad essere scuola di guerra, e vi accorrevano da ogni parte gentiluomini stra¬ nieri ad impararne l’arte: egli stesso, a motivo del gran numero di città espugnate, aveva avuto il soprannome di « Stedenwin- ger ». Mancò ai vivi il 14 marzo 1647. Orazii (dogli) Alessio, di Domenico e di Francesco di Lorenzo Pietramellara, nacque a Bologna il 26 febbraio 1582 e fu battez¬ zato il 28. Poiché se ne presenta l’occasione, noteremo anche che Lorenzo Pietramellara qui menzionato fu dottore di filosofia o medicina e lettore nello Studio di Bologna; ed inoltre, che egli era figlio di Iacopo Pie¬ tramellara, lettore di matematica in Bologna (nato nel 1508 e morto nel 1536), clic lasciò fama di grandissimo astrologo. Orazii (degli) Lodovico. Fratello di Ales¬ sio, nacque in Bologna il 27 luglio 1578 e fu battezzato il 28 : trovasi nella descrizione della al Monte di Pietà. Questi venne eletto senatore nel 1657 e mori il 10 luglio 1669. Pandolfini Giuliano. Era andato in Germania col capitano Giovanni Piero ni. Ln Giuliano Pandolfini di Pietro da Bmcianese o suo fratello Antonio chiesero il 3 luglio 1636 ni Granduca di essere inscritti alla regola dei cittadini fiorentini. Pandolfini Pandolfo. Troppi sono i membri di questa famiglia che contempo¬ raneamente portavano il nome « Pandolfo > negli ultimi decombi del secolo XY1 perchè *4 possa determinare quale tra essi abbia figurato come testimonio noi processo Ri¬ fusoli Baroni. La nostra attenzione è stata tuttavia maggiormente richiamata dai se¬ guenti: 1) Di Roberto e di Francesca di i'ommaso Pieri, elio fu dei Dugonto e morì nell’ottobre 1649. 2) Di Pierfilippo e di Gi¬ nevra di Antonio Gerini, nato il 1° dicem¬ bre 1561 o morto il 23 giugno 1630. Pandolfini Roberto. Nacque di Priore o di 1 in ribotta di Agnolo Ricasoli in Fi¬ renze il 30 marzo 1534. Nel 1590 fu degli Otto di Guardia e Balìa. Morì il 23 settem¬ bre 1604. Non vogliamo però tacere elio nelle gì nealogie della famiglia Pandolfini si trova anche registrato un cootaneo ed omonimo, nato di Filippo e di Costanza di Benedetto Portinari l’8 dicembre 1534, cas¬ siere generale noi 1061 u morto il 28 ot¬ tobre 1591 o 1592. Panfili Ottavio. La famiglia Panfili è di Verona, e nel campione dell’estimo di dotta città dui 1595 sono iscritte cinque fa¬ miglie Panfili, ma in nessuna figura un Ot¬ tavio: potrebbe però darsi elio nella nostra fonte fosse corso errore, od audio elio l’ot¬ tavo nato avesse pure altro nome. Un « Mi¬ chele Puntilo » è ricordato nel carteggio della famiglia Serego: di lui si hanno quat¬ tro lettere da Roma deiranno 1591, nelle quali annuncia il suo ritorno a Verona per concorrere ad un beneficio vacante. Panico (dei conti di) Pompko di Gherardo. Creato d i papa Clemente Vili, quando passò da Bologna nel 1598, cavaliere della Reli¬ gione di Gcmù Cristo, istituita da papa Gre¬ gorio XI nel regno di Portogallo. Paglini Fabio, di Alessandro, nacque in Udine nel 1535. Compiuti uoU'uuivorsità di INDICE BIOGRAFICO. 503 Padova gli studi di filosofia e medicina, entrò nel sacerdozio. Dottissimo nelle lin¬ gue greca e latina, fu pubblico lettore di eloquenza in Venezia. Morì nel 1605. Paolo V. Camillo Borghese, di Marcan¬ tonio famoso giurista o di Flaminia degli Astalli, nacque il 17 settembre 1552. Stu¬ diò leggi in Perugia ed in Padova, ed ab¬ bracciato lo stato ecclesiastico, fu nel 1588 mandato con titolo di prologato in aiuto al card. Alessandro Montalto legato di Bolo¬ gna. Clemente Vili lo inviò, come suo le¬ gato a Intere a Filippo II, o di ritorno da questa missione lo promosse alla porpora il 5 giugno 1596. Fu eletto papa il 16 mag¬ gio 1605, ed occupò il soglio pontificio fino alla morto avvenuta il 16 gennaio 1621. Paoldooi Fra no hsco. Dal volume dei Decreta del 8. Uffizio del 1637, feria IV, 14 ottobre, risulta elio « 11. P. D. Franciseus Paulutius, SS. ml D. N. ufcriusque Signaturae Relerendarius ac S. Oongr. Concilii Triti, et Tmnmnitatis Ecclcsiasticae secretarius, et li. P. D. Bartholomaeus Oregius, 8. Theolo- giao Doctor et SS. ml D. N. Papae Eleeino- synarius, deputati consultores S. Olficii, praestiterunt iuramentum silentii iuxta for- tnam traditaiu £>. Il nomo di Francesco Pao- lucci è registrato fino alla fcr. 4 a , 4 otto¬ bre 1656. Papazzoni Flaminio. Nacque in Bologna di Alessandro cognominato Balla Volpe, venne laureato in medicina il 16 dicembre 1572 ed in filosofia il 16 aprilo 1573, ed ascritto ai collegi di tali facoltà il 29 no¬ vembre 1576. Lesse nel patrio Studio la lo¬ gica dal 1571 al 1577, che passò a leggere a Pavia dal 1580 al 1587. Ritornato a Bo¬ logna, risalì la cattedra insegnando filosofia dal 1588 iti 1603 e dal 1604 al 1610, avendo nel 1603-1601 letto lettere umano. Fu poi chiamato allo Studio di Pisa, dove morì nel 1614. Papi* a fava Giacomo. Nacque di Roberto in Padova nel 1580, od è ricordato tra co¬ loro nella intimità dei quali visse il Peirese durante il suo soggiorno padovano. Morì nel 1640. Pappafava Roreuto, di Marsilio, nacque in Padova noi 1554. Cavaliere di S. Michele. Morì nel 1614. Pappafava Ubertino. Nacque di Roberto in Padova nel 1579. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu abate di S. Niccolò di Se- benico, poi canonico della cattedrale di Pa¬ dova, e nel 1623 promosso alla sedo vesco¬ vile di Rovigo. Morì il 9 ottobre 1631. Papponi Cristoforo. Di lui troviamo in una lettera de’ 28 maggio 1618 di Tom¬ maso Palmerini, che « è fatto cittadino fio¬ rentino, et che ò al Ruolo di S. A. ma senza provisione. » Troviamo ancora, che promosse una questione «. de sapientia nu¬ merali, si ve quod uuitas sit omnino indi vi¬ sibili et immensurabilis » agitata in questo medesimo anno 1618, ed alla quale fecero opposizione il Boscagli, il Campana, il Cin¬ toletti, il Costacci, il Gallosio, il Maccolo ed il Seghieri. Parenti Benedetto, di Raffaello, man¬ cato ai vivi il 24 agosto 1633. Era usufrut¬ tuario di un fondo, lasciatogli con tal be¬ nefizio da suo cugino Giannozzo del q. ni Tommaso di Francesco Burci, il quale aveva disposto che alla sua morte il fondo perve¬ nisse in proprietà di Suor Clarice Burci sua sorella, monaca noi monastero di S. Matteo in Arretri. Essendo questa premorta al Pa¬ renti, alla morte di questo il fondo passò immediatamente in proprietà del monastero. Parigi Giulio, di Alfonso di Santi. Sti¬ pendiato come « ingegnere » dal 1610 al 1635. Troviamo ricordato che nella rappresenta¬ zione della storia eli S. Orsola, l'atta alla corte granducale nell’ottobre 1624 lo «pro¬ spettivo » orano sue. E ancora che assistè come ingegnere il senatore Vincenzio di Carlo Strozzi incaricato di soprintendere alla pro¬ cessione del corpo di S. Antonino fatto il 15 dicembre 1630. Fu eletto capitano d’Or- sanmichele por sei mesi il 19 settembre 1629. Morì nel giugno 1635. Pascal Stefano. Nacque nel 1588aCler- mont in Alvernia: divenne presidente alla « Uour des nides » di Clennont istesso, e fu INDICE BIOGRAFICO. 504 molto versato nelle matematiche. Nel 1681 ai dimise dall’ ufficio e si ritirò a Parigi con i suoi ligli, tra i quali il celebre Biagio. Pasquali Soipionr, di Cosenza, detto per¬ ciò € Cosentino », referendario dell’ una e doli’ altra segnatura, promosso al vescovado di Casale il 12 gennaio 1615, uiaucò ai vivi nel 1G24. Pasqualigo Zaccabia. Nato n Verona, fu tra i più cospicui teologi del secolo XVII. Entrato nell’ordine dei Teatini, lesse ai suoi confratelli dapprima filosofia in Padova, poi teologia in Roma. Egli che aveva giudicato il « Dialogo dei Massimi Sistemi > di Ga- lileo, vide due delle sue opero, ed una tra le più cospicue, « Decisione» morale» >, messe all’Indice c donoc corrigantur ». Mori, quasi interamente cieco, il 17 febbraio 1664. Passionami Domenico. Veramente Dome¬ nico Creati da Passignano, dove nacque di Michele nel 1560. Avendo fin dai primi suoi anni manifestata ottima disposizione per la pittura, fu collocato prima presso Battista Naldini, poi presso Federico Zuccheri, eoi quale (dopo esser stato alcun tempo a Pisa per studiarvi l’anatomia) andò a Venezia e vi rimase fino al 1589, lavorando assai anche per pubblica commissione. Fu poi in Roma, dove venne insignito del titolo di cavaliere, ed ancora in Firenze, operosissimo sempre nell’arto sua. Mori noi 1638. Passionami Tommaso, del cav. Domenico di Michele, (’amarlengo dei Pupilli e magi¬ strato dei Collegi nel 1627, dei Dugeulo nel 1631, conservatore di legge nel 1632, depositario fiscale nel 1633, camarlengo della dogana di Firenze nel 1634. Mori il 28 aprile 1650. Passione! Giovanni, di famìglia urbinate, abbracciò lo stato ecclesiastico e si recò a Roma, dove da papa Urbano Vili fu prima creato referendario dell’una e dell’altra se¬ gnatura, e poi mandato governatore a Forlì. Di ritorno da questa missione, fu il 3 di¬ cembre 1629 promosso alla sede vescovile di Cagli, e più tarili mandato nunzio al gran¬ duca di Toscana. Compiuta con lode anche quella missione, fu il 27 novembre 1641 tra¬ sferito al vescovado di Pesavo. Mancò ai vivi nell’agosto 1651. Pazzi (de) Cosimo, di Alfonso e di Ca¬ milla Del Giocondo. Fu della Compagnia di Gesù, e mori nel 1638. Pazzi (de 1 ) Pietro, del cav. (Ieri e di Ippolita Nasi. Mori nel 1639. Proci Francesco. Nacque di Celio in Siena il 4 novembre 1583. Seguì gli studi nella patria università, e nel 1607 fu eletto rettore della casa della Sapienza. A motivo di un omicidio commesso, dovette esulare dalla patria, abbracciò la carriera militare prima al servizio del duca dolla Mirandola, poi della Repubblica Veneta, ed ebbe da questa i'ufficio di soprintendente della for¬ tezza di Legnago e poi (li governatore dolla piazza di Asolo. Mori verso il 1650. Peirrso (Farri di) Niccolò Claudio. Nacque a Bcaugensier in Provenza di fami¬ glia originaria di Pisa il 1° dicembre 1580. Compiuti ad Aix gli studi che con la guida dei (Insiliti aveva incominciati in Avignone, ai recò a Padova dove visse per qualche tempo nella intimità dei più cospicui per¬ sonaggi della città o di Venezia. Ritornato in i atria, dopo aver trascorso qualche tempo a Parigi si recò in Inghilterra ed in Olanda, stringendo dappertutto relazioni letterario, ch’egli .eppe poi mantenere con uno dei carteggi più maravigliosi del suo tempo. Fletto consigliere id parlamento di Aix, fece della una casa ospitalissima (aveva Bplen- ilidamnite accolto anche il card. Francesco Barberini, reduce dalla sua legazione di Francia nel 1625) un centro di corrispon¬ denza, che oltre l’Europa abbracciava il Le¬ vante, gli Stati barbareschi o fìnanco la Mongolia, e un imi eo che insieme racco¬ glieva libri rari, manoscritti, strumenti, og¬ getti d’arte, medaglie, monete, piante ed animali. Nulla o quasi nulla egli diede alle stampo, tua giovò straordinariamente agli studi come patrono, mecenate e propagatore, tanto da meritare il titolo (li « procuratore generale della letteratura. » Mori ud Aix il 21 giugno lo37. INDICE BIOGRAFICO. 505 I’elbtikh Giacomo. Nacque di Pietro a Mans il 25 luglio 1517. Fu iu prima legale, poi della allegra compagnia che si racco¬ glieva intorno a Margherita di Navarra, poi segretario del vescovo di Le Mans, poi nel collegio di Bayeux, poi studente o licen¬ ziato in medicina; e dopo aver esercitata questa professione a Bordeaux, Poitiers o Lione, detto principale del collegio del Mans, mancò ai vivi in Parigi nel luglio 1532. Meglio che ai lavori poetici ed ai ten¬ tativi di riforma dell'ortografia francese, il suo nome è raccomandato alle opere arit¬ metiche e geometriche. Phlt.kg bini Giovanni. Nacquo a Oanmiore, eseguigli studi di filosofine medicina a Pisa; dove nel 1625 divenne lettore, prima di lo¬ gica e poi di filosofia. Morì nel 1630. Pel lek Martino. Rappresentante della grande casa commerciale fondata da Bar- tolommeo Viatis, e che aveva una filiale anche a Venezia, no divenne socio: trasfe¬ ritosi nel 1585 a Norimberga, sede della ditta, sposò nel 1590 la figlia del Viatis, Maria, e fu il fondatore della casa patrizia Pelici-, essendo stato nel 1585 elevato alla nobiltà dell'Impero. Peretti Michele, di Fabio Damasceni o di Maria Felice Peretti, nacque in Roma nel 1577. Dal suo prozio Sisto V fu creato prin¬ cipe assistente al soglio pontificio, governa¬ tore di Borgo o capitano della guardia ponti¬ ficia; nel 1587 governatore di Ancona, noi 1589 di Fermo; investito del marchesato d’In¬ cisa o della contea di Gaiuso, comperati dai duchi di Mantova; o finalmente generale di S. Chiesa. Condusse in moglie Margherita di Alfonso conte della Somaglia; ed alla morte di questa, avvenuta in Roma il 6 feb¬ braio 1613, Anna Maria di Andrea Cesi duca di Ceri. Morì in Roma il 4 febbraio 1631. Peretti Cesi Anna Maria, di Andrea primo duca di Ceri e di Cornelia di Virginio Orsini duca di S. Gemini, andò nel 1613 iu moglie a Michele Damasceni Peretti principe di Venafro e pronipote di Sisto V. Morì in Roma il 14 novembre 1647. Peri Dino. Nacquo di Iacopo iu Firenze nel 1G04. Laureatosi nelle leggi all’univer¬ sità di Pisa, s’inscrisse tra gli avvocati del collegio fiorentino; ma conosciuto eh' egli ebbe Galileo e gustati con la guida di lui i primi elementi delle scienze matematiche, a queste si volse con tanto profitto da po¬ ter prestare valido aiuto al suo maestro. F quando la cattedra di matematiche nello Studio di Pisa rimase vacante per la morte dell’Aggiunti, sebbene altri, ed essi pure molto cari a Galileo, vi aspirassero, a pre¬ ferenza di tutti venne da questo raccoman¬ dato e fu eletto nel 1636. Di lui, morto a soli trentiisei anni nel luglio 1640, non giunse insiuo a uoi altro che la prelezione con la quale inaugurò lo suo lezioni. Peri Giandomenico. Nacque in Arcidosso in quel di Siena nel 1564 da un’umile fa¬ miglia di contadini, e passò la fanciullezza nelle cure dei campi. Più che dalla scuola del paese, imparò dalla lettura dei poemi dell’Ariosto e del Tasso; e si diede giova¬ nissimo a scrivere egloghe e favole pastorali. Passando quindi a cose maggiori, già prima del 1600 compose cinque canti d'un poema « 11 Caos ovvero La guerra elernentale »: ve¬ nuto con esso a Firenze, vi l’u accarezzato e n’ebbe doni di libri e di denari: tornò nel 1610 ospitato liberalmente da Gio. Bat¬ tista Strozzi, boa visto e regalato dal gran¬ duca Cosimo II. Fu anche a Roma, invita¬ tovi da mons. Oiampoli ed ivi pure ebbe onorio liete accoglienze. Morì in Arcidosso il 2 aprile 1039, lasciando parecchi poemi a stampa, quali la « Fiesole distrutta », « 11 mondo desolato » ecc. Peri Taoopo. Nacque di Antonio in Roma il 20 agosto 1561. Musicista famoso, clic diede le note alla «Dafne» e all’« Euri¬ dice » di Ottavio Rinuccini. Morì il 12 ago¬ sto 1633, Pkrozzi Stefano. Di lui sappiamo sol¬ tanto elio nacque a Camerino, che giovi¬ netto fu paggio della duchessa di Modena, e poi, abbracciato lo stato ecclesiastico, servì come segretario il card. Evangelista Pai- lotta. 50G INDICE BIOGRAFICO. Persico Francesco, ili Cesare o di La- vinia Picenardi, militò in Fiandra al servi- y.ìo di Spagna : fece testamento nel 1002. Persio Antonio. Nacque di Altobollo in Matera nel 1542. Fu ascritto all'Accademia dei Lincei nel 1011. Nel frontespizio d’un suo lavoro si qualifica giureconsulto e citta¬ dino romano. Morì in Poma noi 1(312. Perugino Innocenzo. Figura nell’elenco dogli aggregati al collegio teologico dol- P università di Perugia Pmobtti Orlando. Nacque a Marradi, 'l’enne per qualche tempo, o con una certa fama, pubblica scuola di grammatica in Ve¬ rona. 11 suo nomo ò rimasto congiunto a numerose polemiche e controversie da lui sostenute contro il Tasso, con Gian Dome¬ nico Candido, con Valerio Palermo, col I\ Ba¬ stiano Berettari e con Paolo Beni. Morì verso il 1615. Pbtuangeli Lokknzo. Cittadino senese «• rinomato teologo, fu fatto cavaliere cesareo, o in Germania nervi molti gran principi ed in particolare il duca «li Baviera: con l’F.lei- trieo abbandonò Monaco, quando fu minac¬ ciata dalle armi di Gustavo Adolfo. Pfautt Marco Federi a o. Appartenne ad una famiglia originaria di Augusta che esercitava la mercatura anche in Italia: \e rosimilnientu la ditta aveva una liliale an¬ che a Venezia, sebbene colà troviamo un Federigo lTauz soltanto un secolo più Ludi. Puzzoni Francesco. Dallo funzioni che esercitava di medico nei castelli friulani della Repubblica Veneta, fu con decreto dei 10 marzo 1619 chiamato allo Studio di Pa¬ dova, c dato per collega ad Adriano Spi¬ nello nella lettura d'anatomia con l’incarico d’insegnare la chirurgia e di lare l’anatomia anche a Venezia. Mancò ai vivi il 16 no¬ vembre 1024. Pjgcitkna Curzio, di Lorenzo di Lam- berto, nacque in S. Gimignano 1'11 gen¬ naio 1553. Accolto giovanissimo nella segre¬ teria di Stato con la protezione di lìulisario Vinta, fu mandato segretario d’ambasciata in Francia e tornatone nel 1576 fu inviato con lo stesso ufficio prima a Madrid o poi alla corte imperiale, e con particolare mis¬ sione del granduca Fordinando I in Isviz- /.era. Dal 1601 al IODI fu segretario gran- «lueale ed alla morte del Vinta divenir' primo segretario «li Stato. Cosimo II, che lo te¬ neva in grande estimazione, lo indicò come uno dei duo segretari del consiglio di reg¬ genza istituito in aiuto allo granduchesse tu- trici durante la minore età di Ferdinando II. 11 26 aprile 1621 fu eletto senatore. Caduto in di-grazia per la sua rivalità col Cioli che ma l'altro segretario, fu allontanato dalla «•urte, u riprese gli studi eruditi, dei quali aveva già «lato un bel saggio con una edi¬ zione di Tacito «la lui curata. Morì il 14 giu¬ gno 1626. Pit’ooi. omini Asì anio. Nacque di Silvio ini. in Firenze. Subito dopo P elezione di 1 rhauo Vili entrò alla corte del Cardinal 1'runeesco Barimi ini, e m i febbraio 1625 fu inviato alla corte cattolica per annunziarne l i legazione. Di ritorno dal viaggio, nel quale accompagnò il legato, fu eletto alla M'de arcive-eovile di Siena rimasta vacante il 7 giugno 16JX, e«l andò ad occuparla il 31 di. rinbp* «li quello stesso unno. Hinnnziò alParcivi -eovaih» ul principio del 1671, c tra¬ sferitosi in Roma, vi mori il i l sottembro dello «tosso anno. Piccono mini Carlo. Poi ramo dei Picco- lomini Carli te perciò anche chiamato Carlo Olirli), nacquo «li Kmilio noi 1573. Abbracciata la carriera militare, servi corno capitano di fanteria il granduca Ferdinando I nel 1601: fu nominato capitano dolio corazzo, castellano di Pistoia o capitano «li giustizia a Montal- <• no. Servì inoltre i granduchi come amba¬ sciatone presso corti italiane e straniere. Era consigliere nel 1602. Condusse in moglie Eli¬ sabetta Vinta nel 11303. Morì noi 1627. Piccolomini Emilio di Carlo e di Eli¬ sabetta Vinta, cavaliere di S. Stefano, mag¬ giordomo maggioro del principe Mattina de’ Medici, consigliere nel 1646, mancò ai vivi nel 164d. INDICE BIOGRAFICO. 507 Picoolomini Enea, di Silvio sen. e di Violante Gerini, godette come il padre il favore di Ferdinando 1 e di Cosimo II, del quale fu coppiere e cameriere segreto : por eredità patoima fu signore di Sticciano e priore di Pisa della religione di S. Stefano. Invogliatosi del mestiere delle armi, andò a militare in Germania al servizio dell’impe¬ ratore, e trovò la morte in Boemia all’ as¬ salto di Pedi in. Picoolomini Evandro di Enea, andò egli puro a militare ai servigi dell’ imperatore sotto la disciplina dello zio Ottavio, ecl ebbe in ricompensa il titolo di conto. Morì all’at¬ tacco della Badia di Watteu. Picoolomini Francesco. Nacque in Fi¬ renze di Enea e di Caterina Adimari. Conte d’Appinuo, cavaliere di S. Giacomo, fu nel 1638 presso l’imperatore Ferdinando III come cameriere. 11 granduca Ferdinando II lo elesse capitano delle sue guardie sviz¬ zere. Morì a Nachot in Boemia. Picoolomini Francesco. Del ramo dei Piccolomini Carli, nacquo di Niccolò e di Emilia Saracini in Siena nel 1022. Laureato a Siena in filosofia, insegnò dapprima logica nelle patrie scuoio, quindi filosofia nello Stu¬ dio di Macerata per brove tempo, ed in quello di Perugia per dieci anni. Nel 15G0 fu chiamato a Padova alla prima cattedra di filosofia straordinaria, dalla quale nel 1504 fu promosso alla seconda di filosofia ordi¬ naria, e l’anno appresso alla prima, che tenne per molti anni finché quasi ottantenne ab¬ bandonò l’insegnamento o si ritirò a Siena dove morì nel 1004, lasciando fama gran¬ dissima di filosofo peripatetico. Era bensì studiosissimo anche di Platone, elio egli si proponeva di conciliare con Aristotele, chia¬ mando quosti (lue gli « occhi dell’animo umano ■». Picoolomini Gio Batta di Clemente, fu primicerio della chiesa metropolitana di Siena; quindi, recatosi a Roma, auditori) dol card. Slondrati e suo vicario generale nel vosco vado di Albano. Consacrato ve¬ scovo di Salamina, divenne sufiVaganeo del card. Scipione Borghese nel vescovado di S. Sabina, finché, vacata la chiesa di Chiusi, vi fu eletto da Urbano Vili il 20 giugno 1633 o vi rimase fìuo alla morte seguita il 14 lu¬ glio 1637. Piccolomini Ottavio. Nacque di Silvio sen. PII novembre 1599 e fu tra gli uomini d’arme della sua famiglia di gran lunga il più famoso, avendo militato per moltissimi anni negli eserciti imperiali e conseguiti i gradi più elevati. Dall’ imperatore fu creato conto del S. ft. I., e da Filippo IV cava¬ liere del Toson d'oro e duca d’Amaltl. Mo¬ rendo senza prole (il Max nel « Wallenstein » dello Schiller ò personaggio immaginato dal poeta) il 10 agosto 165(5, lasciò eredi Fran¬ cesco figlio del fratello Enea ed Enea tì¬ glio di Francesco, dei quali il primo assunse il titolo di duca d’Aumlfì, ed il secondo quello di conte. Picoolomini Silvio inn., di Enea di Silvio sen., nipote perciò di raons. Ascanio, militò con lo zio Ottavio nell’esercito dell’impe¬ ratore in Germania, o morì ancor giovane il 6 settembre 1634 nella battaglia di Nord- lingon, trasportato dalla furia del cavallo in un precipizio. Piccolomini Silvio sen. di Enea, del ramo detto dello Paposse (discendenti da Caterina, sorella di Pio 11), e di Vittoria Piccolomini d’altro ramo, fu, per eredità paterna, signore di Sticciano, terra della maremma senese; e per la morte di Scipione riccolomini d’Aragona, fratello della madre, che era priore di Pisa nella religiono di 8. Stefano, succedette in quel priorato se¬ condo le disposizioni dato dallo zio, ed as¬ sunse il coguome d’ Aragona. Seguendo l’esempio paterno, si segnalò soprattutto nelle armi, combattendo nelle guerre di Fian¬ dra e di Transilvania alla testa della truppa toscana mandata da Ferdinando I. Più fa¬ moso ancor divenne per la presa di Bona in Algeria operata il 1" settembre 1607 dalle galere di S. Stefano sotto il comando di lui che nc ora gran contestabile. Fu altresì poi- molti anni aio dol granprincipe Cosimo che divenuto granduca lo ebbe tra i più favo¬ riti ministri. 508 INDICE BIOGRAFICO. Pikralli Marcantonio. l)a S. Miniato. Rettore del Collegio di Sapienza in Pisa, vi lesse per due anni «casi di coscienza > dal 1(322 al 1(324. Nei registri dello Studio dal 1(330 al 1639, dove è notato per l’ultima volta, figura sempre come rettore di Sa¬ pienza, ed anche come « lettore all’estraor¬ dinario canonico. » Dalla Bua dedicatoria, in data di Roma, 14 agosto 1627 del « De ma¬ thematica© laudibns » dell’Aggiunti, si ri¬ cava che era allora ospite del Ciampoli. In¬ vestito del canonicato doli» lettera L nella metropolitana pisana, ne prose possesso il 29 aprile 1632 succedendo a Benedetto Am¬ mirato; vi rinunziò nel 1639, e il 6 marzo gli succedette Francesco Brando. Pibuatti Domknioo. Scultore fiorentino, che fiorì nella prima metà del secolo XV11 : | In col fratello Gio. Battista scolaro di An¬ drea Ferrucci. Pienoni Giovanni. Nacque a S. Miniato il 4 marzo 1586. Dopo aver insegnato ar¬ chitettura civile e militare in Firenze entrò, come ingegnere militare, al servizio dell’itn- poratore nel 1622, e non ottenne di più potex-scne partire, nonostante l’intervento ripetuto della corte di Toscana che, per esaudire il desiderio di lui, aveva espresso quello di valersi de’ suoi servigi in patria. Queste praticho furono tentate nel 1635 e nel 1636: nel 1640 egli era tuttora in Ger¬ mania; o pur deplorando di non aver potuto più rivedere la Toscana se non nella occa¬ sione di un breve permesso, aveva ormai smesso il pensiero di farvi definitivo ritorno. Pikrucci Gio. Micheli. Fiorentino: da J Pisa dove insegnava, fu con decreto Gol 5 ottobre 1638 chiamato dal Senato Yoneto al secondo luogo di istituzioni nello Studio di Padova, dal quale passò noi 1644 alla let¬ tura delle pandette, o finalmente nel 1653 al secondo luogo di diritto civile. Pi Km asanta Silvestro. Nacque a Roma nel 1590. Kntrò nella Compagnia di Gesù il 31 dicembre 1608, e, prima ancora di aver professati i voti, insegnò umanità e filosofia a Formo. Pierluigi Caraffa, allora governa¬ tore di Fermo, lo scelse per suo confessore; o quando nel 1624 fu mandato nunzio apo¬ stolico a Colonia, lo volle seco. Ritornò in Italia, passando per Aix insieme col nunzio alla fine del 1634. Fu fatto quindi rettore del collegio di Loreto. Mori a Ruma l’8 mag¬ gio 1647. Pignani Gaspare. Padovano, ricordato dal Tom masini fra gl’ insegnanti privati di matematiche in Padova: mori di pesto nel 1631. Pignori a Lorenzo. Nacque in Padova il 12 ottobre 1571. «colto lo stato ecclesia¬ stico, studiò lotterò o filosofia nolle scuole dei Gesuiti. Per favorire la sua inclinazione per gli studi archeologici, il vescovo Marco Cornavo lo condusse seco a Roma, dove ri¬ mase due anni, ed al suo ritorno lo nominò parroco di 8. Lorenzo. Letterato, poeta, storico, o soprattutto archeologo di fama universale. Negli ultimi Buoi anni fu eletto canonico della cattedrale di Treviso. Morì di pesto il 13 giugno 1631. Pivelli Cosmo. Duca d’Acerenza, mar¬ chese di Calatola o gran cancelliere del regno di Napoli, nacque in Napoli nel 1569. Dopo la morte dello zio Gio. Vincenzio, venne a Padova per raccoglierne la ereditò, e di là si recò a Venezia con la moglie e coi figli: mentre stava per tornare a Napoli ammalò, da Paolo Gualdo fu accompagnato a Padova; e ospitato nella casa di Bene¬ detto Zorzi, ivi morì il 3 novembre 1602. Pinklli Domenico, di Paride o di Bene¬ detta di Giorgio Spinola, nacque a Genova il 23 ottobre 1541. Dopo avere studiato le leggi a Padova, si recò a Roma, e da Gre¬ gorio XIII fu nel 1577 creato vescovo di Formo, la qual chiesa governò por sette anni. 11 18 dicembre 1586 Sisto V lo creò cardinale del titolo di S. Lorenzo in Pani- sperna, dal quale passò nel 1590 a quello di S. Crisogono, e successivamente a quello (li S. Maria in Trastevere. Fu per qualche tempo legato in Romagna e poi nell’Umbria. Nominato il 19 febbraio 1603 vescovo di Al¬ bano, e poi di Tuscolo, o quindi di Porto, o nel 1607 di Ostia, moiù in Roma il 9 ago¬ sto 1611. INDICE BIOGRAFICO. 509 Pinblli Francesco, di Cosimo e (li Nic- coletta Grillo, nacque nel 1590 e succedette al padre nel ducalo di Aeerenza nel 1008, che trasmise al figlio suo primogenito Co¬ simo noi 1649. Appartenne all’Accademia degli Oziosi, fondata in Napoli da G. 13. Manso. Pinblli Gio. Battista. Figlio naturalo di Filippo, nacque a Lcvanto intorno al 1570. Seguì gli studi di umanità o retorica in Roma, e l’il novembre 1589 s’immatricolò fra gli scolari legisti nello Studio di Pisa. Soggiornò pei* qualche tempo a Bologna ed a Firenze, e fu ascritto all’Accademia della Crusca. Ele¬ gante poeta latino, fu celebrato dal Cliia- brera nell’epitaffio che leggesi fra le rime¬ di questo, composto in occasione della morte avvenuta noi 1617. Pinblli Gio. Vincenzio, di Cosimo, pa¬ trizio genovese, e di Clementina Ravasclneri, nacque in Napoli nel 1585. Nel 1558 si tra¬ sferì a Padova, dove fissò suo stabile domi¬ cilio o formò una biblioteca tanto copiosa quanto cospicua per la scelta dei libri e dei manoscritti, e non cessò di annientarla fino agli ultimi giorni di sua vita, aggiungen¬ dovi strumenti matematici ed astronomici, fossili, bronzi, carte geografiche ed ogni al¬ tro oggetto che potesse fornire argomento a studi eruditi. Gran mecenate degli stu¬ diosi, formò per lungo tempo il centro della coltura letteraria a Padova, esercitando lar- ghissinmmento l’ospitalità e mettendo a di¬ sposizione degli studiosi la sua biblioteca e la sua casa. Morì il 4 agosto 1601. Pio m Savoia Carlo Emanuele, di Enea c di Barbara Turco, nacque in Ferrava nel 1585, e da Clemente Vili fu creato cardi¬ nale quando aveva appena raggiunto i di¬ ciannove anni. Morì, decano del sacro col¬ legio, in Roma il 1° giugno 1641. Pioom Crlstofano, di Bnonconvent.o nel senese, dopo essere stato per qualche tempo caudatario del cardinale Francesco Cen¬ ami, si accomodò presso Ascanio Piccolo- mini, arcivescovo di Siena, come maestro di casa e direttore della cappella musicale del duomo, presso la quale pare fosse an¬ cora nel 1675. Lasciò parecchie composizioni musicali, stampate e manoscritte; fu a capo di una ottima scuola di contrappunto, dalla quale uscirono scolari valentissimi. Pisani Ottavio, di Gio. Antonio, lettore di filosofia e matematica nello Studio di Na¬ poli, nacque intorno all’anno 1575, ed a lui poco più che diciottenne G. B. Porta de¬ dicò il suo « De refractione optices. > Pare che in ancor giovane età egli si sia trasfe¬ rito nelle Fiandre, dove suo fratello Giulio militava sotto il duca di Panna; e noi 1613 lo troviamo stabilito in Anversa, dove per la comunanza di studi si era tra gli altri legato in amicizia col P. Odo van Maelcote. A questo tempo egli era già in corrispondenza con Ga¬ lileo, col Keplero e col Magini. Se però il suo nomo è rimasto in qualche modo nella storia della scienza, egli non lo deve nò ai suoi studi astronomici, nò all’ invenzione del bi- noculo, nè alle opere giuridiche, storielle o letterarie, ma bensì ai suoi lavori cartogra¬ fici. Non vogliamo però passare del tutto sotto silenzio un curioso particolare che lo concerne: esiste un’incisione d’un quadro di Pietro Paolo Rubens, rappresentante S. Fran¬ cesco d’Assisi che riceve il bambino Gesù dalle mani della Vergine; questa incisione, eseguita da Michele Laisne e pubblicata in Anversa da Teodoro Galle, è dedicata : « Octa- vio Pisani, lo. Antonii fillio, Iulii fratri, primo Dei Gratia in Belgio autori umbrollarum Sanctissimi Sacramenti apud aegrotos ince- dentis. » Pistoni o Giovanni. Nacque nel 1546 a Nidda piccola città dcll’Assia, figlio d’un ca¬ valiere di Malta che, divenuto discepolo di l ui- toro, era stato uno dei deputati a presentare alla Dieta d’Augusta la professione di fede dei correligionari. Giovanni, abbandonati gli studi di medicina che aveva seguiti fino alla laurea, divenne consigliere di Federico Er¬ nesto, margravio di Brandoburgo. Concepiti gravi dubbi circa la riforma, tornò in seno alla chiesa cattolica; e rimasto vedovo, ab¬ bracciò lo stato ecclesiastico, divenne pre¬ vosto della cattedrale di Breslau, dopo essere stato confessore e consigliere di Ro¬ dolfo II. Morì a Friburgo nel 1608. 510 INDICE BIOGRAFICO. Pmsro TUbtot.ommio. Nato a Grflnberg il 24 agosto 15t51; predicatore dì corte in Heidelberg, vi mori il 2 luglio 1(513. Pitti Alessandro, di Vincenzio e di Or¬ tensia di Qio. Battista Cavalcanti, nacque in Firenze nel 160-1. Fu dell'Aooadeaaia degli Svogliati che si radunava in casa di Iacopo Gaddi: studiò in Pisa le leggi, dedicandosi poi alla filosofia, alla matematica ed alla cosmografia. Ascritto all’Accademia fioren¬ tina, no fu consolo nel 1644. Mancò ai vivi nel 1646. Pitti Priori?, di Andrea di Luca. L’avo suo fu dei Signori nel 1611; ebbe due fra¬ telli, Gio. Battista, nato noi 1568 e Bernardo nato nel 157fi; ma di lui non abbiamo tro¬ vato alcuna memoria. Planck Pietro. Nncquo a Drenoutre (Fiandra) nel 1552, o morì in Amsterdam il 25 maggi*» 1(522. Chiamato dai contempo¬ ranei col nome di « grande cosmografo », si rose particolarmente benemerito de’suoi concittadini, spingendoli alle Indie Orientali e tracciando per tali viaggi lo relativo carte nautiche. Platais Gio. Ernesto. Il suo nome di famiglia fu voti Plattenstein, o dei Giovanni il diciannovesimo. Fu eletto vescovo di 01- miitz nel novembre 1636; mancò ai vivi il 21 agosto 1638, e fu sepolto a Praga il 7 no¬ vembre successivo. Pi. escii Massimiliano. Le matricole «lolla Nuziouo Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memo¬ ria: «Maximilianus Plescli Styrius, Putnvii 18 Iulii Anno 1602. » Plkssis-Marly (dui Mornay Filippo. Nato a Buhy il 5 novembre 1549, morto PII novembre 1623. Pola !• rancksco. Nacque di Giovanni imi 1562 in Verona; eletto dal Senato Venuto alla lettura dello pandette nello Studio di Padova con decreto del 3 ottol.ro 1(515, umncò ai vivi nel seguente anno. Era stato intimo del Piuolli, ed in relaziono col \\ elser e col Lipsio. Poltri Giuliano. Dottore in leggi 0 ca¬ valiere, occupò uffici importanti in Firenze e fuori. Fu veduto di Collegio noi 1610 ed eletto dei Dugento nel 1614; dei Conserva¬ tori nel 1611, dei Novo nel 1624 e duo volte degli Otto. Nel 1625, abbandonando l’ufficio di provveditore dell’arte dei fabbricanti al .piale era stato eletto il 10 marzo 1024, andò podestà a Borgo S. Lorenzo, e di là nel 1626 vicario ad Anghiari, nel 1627 commissario in Arez/.o e nel 1631 capitano di Bagno in Iiomagna, e poi di Castrocaro. Poltri Lorenzo. Nativo di Bibbiena, fu introdotto nella segreteria granducale dal Ball Gioii suo suocero. Morì di apoplessia il 6 giugno 1650. Tonte (dai Alvise, di Pietro o Soretta da Mosto, nacque in Venezia il 1° ottobre 1568. Noi 1596 condusse in moglie Elena Pa- squaligo. Dal 1° giugno 1631 al 31 mag¬ gio 1(532 fu uno dei consiglieri por il sestiero di S. Marco. Mori il 13 settembre 1635. Ponte (da) Giacomo. Detto « il Bus¬ sano*: nacque in Bassano nel 1510 di Fran¬ cesco, dal quale apprese i primi elementi della pittura: studiò anche sotto il Tiziano, e conseguì i sommi onori dell’arte. Morì in Bussano il 13 febbraio 1592. Ponte (da) Girolamo. Nacqne di Gia¬ como nel 15(30, e, come il padre ed il fra¬ tello, fu detto il € Bussano. » S’era dapprima avviato agli studi di medicina, ma il natu¬ rale talento della famiglia gli foce mutar parere, e riuscì ad imitare talmente la mano del padre da far scambiare con opore di lui le sue proprie. Mancò ai vivi in Venezia nel 1622. Ponte (da) Leandro. Nacque di Giacomo nel 1558 e. come il padre ed i fratelli fu detto « il Bassano. » Educato alla scuola paterna, riuscì soprattutto eccellente nel ri¬ tratto; fra i molti fece pur quello del doge Marino Grimani, che in segno di gradimento lo creò cavaliere. Come il fratello Francesco, aveva egli pure ereditato dalla madre un ramo di pazzia, o bì raccontano di lui le più I grandi stranezze. Mori in Venezia nel 1623. INDICE BIOGRAFICO. 511 Poboia (di) Alfonso, di Alfonso e di Susanna della Torre. Ciambellano del duca di Baviera o buon letterato. Morì nel 1G20. PouoiA (di) Ciro, di Ascanio e di Tad- dea Colloredo, versatissimo nella lingua e nelle cose di Germania, dotto nelle umano lettere, dottore in lilosoliae vescovo di Osna- briìck. Poruia (di) Giovanni Sforza. Nacque di Ermes o di Maddalena di Lamberg nella seconda metà del secolo XVI. Fu cameriere dell’imperatore Ferdinando II, suo inviato straordinario in Ispagna, capitano della con¬ tea di Gorizia. Morì nel 1624. Pouoia (di) Girolamo. Nacque di Alfonso c di Susanna della Torre intorno al 1540. Fu cameriere segreto di l’io V, indi proto- notario apostolico e familiare di Gregorio XIII, legalo a [alare presso l’imperatore Ro¬ dolfo II, nunzio in Baviera e dal 1598 ve¬ scovo di Adria. Porro Clio. Giacomo. Romano, maestro di cappella del duca di Baviera. Era so¬ prannominato « testone. » Porta (della) Costanzo Filesio, di Al¬ fonso Costanzo e di Cinzia di Giovanni Bat¬ tista della Porta, assunse il cognome del¬ l’avo materno del quale fu poi erede. Dello sue attitudini scieutilielio nulla ci è noto; e secondo ogni probabilità egli fu aggregato all’Accademia dei Lincei a soli dieciotto anni per deferenza al desiderio mostrato dall’avo suo, viceprincipe dei Lincei di Napoli. Porta (della) Gio. Battista, di Nardo di Antonio nacque in Napoli nel 1535. A ven¬ titré anni dava alla luce quella sua mera¬ vigliosa «Magia Naturalis», della quale in breve volgere di tempo si contarono ven¬ titré edizioni dell’originale latino, dieci tra¬ duzioni italiane, otto francesi, ed in buon numero le spaglinole, olandesi e perfino arabe. In quest’opera egli si era proposto di raccogliere e dimostrare quanto di più maraviglioso si trova in natura e si può ottenere con l’arte, ed insieme distruggere i falsi giudizi del volgo. Alcap. X del XVII libro di quest’opera nella edizione del 1569, dopo aver insegnato a « lente crystallina longinqua proxima videre » e « lente cry¬ stallina epistolare remotam legere », viene a specificare come si possa « lente crystallina idem perfectius cfflcere » ; c testualmente scrive: «.Concavae lenlos, quae longe sunt, clarissime cernere faciunt, convexae propin¬ qua; mule ex visus commoditate bis fruì po¬ toria. Concavo longe parva vides, sed perspi¬ cua; convexo propinqua maiora, sed turbida; si utrumque componere novcris, et longinqua et pvoxima maiora et clara videbis. » Questa è la base sulla quale si fondano i suoi titoli all’invenzione del telescopio: alla quale ò giusto si noti essersi egli provato a darò un principio d’attuazione pratica, allorché nel 1580 si trovava a Venezia dov’era an¬ dato a raggiungere il card. Luigi d’Este, e vi aveva stretto relazione con fra Paolo Sarpi e con Giacomo Contarmi. Delle altre sue numerose opere pili o meno stretta¬ mente scientifiche non è (pii il luogo di di¬ scorrere: ci contenteremo di aggiungere clic nel 1610 fu ascritto all’Accademia dei Lineai o dichiarato viceprincipo nel 1614. Mori sul principio del febbraio 1615. Porta Malatesta, di Simonc dal Castello di S. Giovanni in Marignano o da Sirnona Rosa, nacque in Rimini nel 1561. Fu dal 15S4 per vent’auni insegnante nelle scuoio del comune. Nel 1604 fu assunto all’ufficio di segretario di Rimini, e vi rimase fino alla morte avvenuta tra il settembre e l’ottobre 1629. I.)i lui, come letterato, vanno partico¬ larmente ricordati due dialoghi, l’uno inti¬ tolato : « Il Rossi, ovvero del parere sopra alcune obiezioni fatte dall’Infarinato acca¬ demico della Crusca intorno alla Gerusa¬ lemme Liberata del signor Torquato Tasso » (Rimini, 1589); l’altro «Il Bella, ovvero della favola dell’Eneide, con una difesa della morte di Solimano nella Gerusalemme Libe¬ rata» (Rimini, 1604). Portelli Curzio, di Galeazzo, cancel¬ liere dell’Arte dei Mercatanti. Posse vino Antonio. Nacque a Mantova tra il 1533 ed il 1534. Entrò nella Com¬ pagnia di Gesù nel novembre 1559, dopo 612 INDICE BIOGRAFICO. uver curata l’educazione di Francesco e di Scipione Gonzaga: predio») in Francia ed in Italia, o divenne rettore d’Avignone e di Lione e segretario del Generale. Papa Gre¬ gorio XIII lo incaricò di varie missioni im¬ portanti in Germania, Ungheria, Svezia, Polonia o Russia. Prese parte grandissima alle controversie in occasione dell* interdetto lanciato da papa Paolo V contro la Repub¬ blica di Venezia; e dopo la cacciata della Compagnia dagli Stati Veneti si ritirò sui confini a Ferrara, dove mori il 26 feb¬ braio 1611. PólTINO R PkRSINO (dì) FkDKRIOO. 1.0 matricole della Nazione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memoria: «Federico Barone de Pòtting et Persing, 20 Nouuub. A. U G09. * Pozzo (dal) Cagiano. Nacque in Ver¬ celli di Antonio il 12 febbraio 1683. Per¬ corse gli studi letterari o lilosolici in Bolo¬ gna, e di lì passò in Toscana, dove fa inve¬ stito della gran commenda Pntcana allora istituita da suo zio, l’arcivescovo Carlantonio, nella religione militare di Santo Stefano. Intraprese Bull’esempio de’suoi maggiori la carriera forense, che esercitò prima a Torino e poi a Roma, dove lo troviamo nel 1611, e dove più tardi divenne maestro di camera del card. F. Barberini. Nel 1622 fu aggregato all’Accademia dei Lincei, della quale alla morto del principe Cesi procurò di salvare la suppellettile scientifica, e nel 162(5 all’ Accademia della Crusca. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu investito da Ur¬ bano Vili dell’abbazia di S. Angelo e poi di quella di Cahorre. Mancò ai vivi il 22 ot¬ tobre 1667, lasciando bella fama di sè per il ricco museo d’antichità che seppe racco¬ gliere, e per la generosa protezione largita agli artisti ed ai letterati. P ozzoboneli.i Camillo. Nacque di Gio. Battista in Milano nel 1587 : di lui troviamo che noi 1631 era «Abate generale di Spo¬ leto ». Pozzobonelli Paolo. Nacque di Gio. Bat¬ tista in Savona il 5 febbraio 1572, e in Sa¬ vona mori il 10 marzo 1630. Pozzolatico (da) Farei. Sotto questo nomo passa la « fantastica visione » di Alessan¬ dro Allegri, fiorentino, vissuto fra lo scorcio •lai cinquecento e i primi decenni del sei¬ cento; cortigiano, soldato, prete; bizzarro spirito, autore di rime piacevoli, piouo di ar¬ guzia e leggiadria toscann. Pbkstrskuilr. Libraio o negoziante fran¬ cese, con casa a Parigi. Il Poiresc ne scrive il nome « Prodeseigle » ; ina abbiamo trovato che egli veramente si chiamò « Podeseigle. » Prktniz Maurizio. Forse più esattamen¬ te doveva leggersi Pretviz ; poiché una no¬ bile famiglia l’rettwitz visso nella Slesia, e nel secolo decimosettimo annoverò parecchi membri col nomo di Maurizio. Questo nome, preceduto bensì da un altro, si trova ripe¬ tuto in molti di detta famiglia: fra tutti i quali ò mono improbabile che il nostro sia un « Hans Morite», vissuto nella prima metà del decimosettimo secolo. Pretorio [Ricjiter] Giovanni. Matema¬ tico ed astronomo, nacque nel 1537 a Joa- chimsthal. Studiò la filosofia a Wittenberg, e subito si diede a conoscere come famoso costruttore ili strumenti matematici d’ogni specie a Norimberga. L’università dove era stato scolaro lo volle nel 1571 a maestro di matematiche, ed egli accettò la cattedra che occupò per cinque anni, trattando nelle suo lezioni anche della stella che ora apparsa in Cassiopea nel 1572. Da Wittenberg passò nel 1576 all’università di Altdorf, presso la quale rima.se fino alla morte avvenuta il 27 ottobre 1616. Pbkvot Giovanni. Nacque a Pélémont nella Svizzera il 4 luglio 1585. Fatti i suoi primi studi nel collegio di Porrentruy od a l)»‘de, visitò l'università di Dillingen, presso la quale ricevette il grado di « magia tel¬ arti um » nel 1603 ; dopo di elio dall' ar¬ civescovo di Strasburgo e dall’arciduca Leo¬ poldo d’Austria fu mandato in Ispaglia per studiarvi teologia. Lungo la via mutò pa¬ rere, e si diresse a Padova; dove, dato il suo nome alla matricola della Nazione Germa¬ nica Artista, con la protezione di Alessan¬ dro Vigonza, si dedicò agli studi medici o INDICE BIOGRAFICO. 513 ne conseguì la laurea nel 1607, avendo at¬ teso particolarmente alle matematiche con la guida di Galileo ed all’anatomia sotto quella di Girolamo Fabrizio d’Acquapendonte. Que¬ sti lo lasciò legatario generale dei suoi scritti, con l’incarico di darne allo stampe quel ch’egli credesse. Eletto medico della Nazione Germanica, veniva il 29 marzo 1613 chia¬ mato ad occupare la cattedra del terzo di Avicenna, e tre anni dopo promosso al se¬ condo luogo della pratica straordinaria di medicina: poco appresso succedeva a Pro¬ spero Alpino nella ostensione dei Semplici; e finalmente, pur conservando la custodia dell’orto insieme con quest’ultimo ufficio, era promosso il G maggio 1620 al primo luogo della pratica straordinaria di medicina, essendovi ripetutamente confermato nel 1623 e nel 1628. Mancò ai vivi il 3 agosto 1631, e fu sepolto nella Basilica del Santo «adPo- lonormn aram. » Il 27 dicembre 1633 la Na¬ zione Germanica Artista decretava che il suo stemma con analoga iscrizione l'esse dipinto sulle pareti dell’università. Pktatoni Cornelio. Dei Minori Conven¬ tuali, maestro di Sacra Teologia, figura come inquisitore di Firenze fin dal 19 gennaio 1612, e vi rimase fin circa a mezzo il 1615. Pkluli Alvise, di Giovanni e di Isabella Giustiniani, nacque il 7 luglio 1558 in Vene¬ zia. Lo troviamo noi 1592 podestà di Ber¬ gamo, nel 1594 provveditore sopra le forti¬ ficazioni di Udine, nel 1597 capitano di Brescia, elevato alla dignità di Procuratore di S. Marco il 25 novembre 1602, e nel 1604 eletto Riformatore dello Studio. Fu ballot¬ tato doge nel 1605. Piìiult Antonio, di Girolamo e di Isa¬ bella Cappello, nacque in Venezia il 10 rnar- zo 1548. Nel 1571 era già governatore di guerra contro i Turchi, poi provveditore di Peschiera, alle pompe, sopra banchi, alla sanità, dei dieci Savi, senator di Pregadi, alle biade, sopra atti, censore del Consi¬ glio dei Dieci, Savio Grande, capitano di Padova nel 1599, ambasciatore nel 1601 ad Enrico IV che lo creò cavaliere, Riforma¬ tore dello Studio di Padova nel 1602, 1608, 1612, 1615, 1617, ed elevato alla dignità di Voi. xx. Procuratore di S. Marco il 3 luglio 1603 Ancora del 1606 fu uno dei tre senatori eletti sopra il governo e quiete della città, poi provveditore in Friuli e più tardi ge¬ nerale, ambasciatoro a Roma, e finalmente provveditore generale in terraferma nelle guerre con gli arciducali, ed uno dei com¬ missari per la stipulazione (lolla pace. Eletto doge, occupò il supremo ufficio per oltre cinque anni, c morì il 13 agosto 1623. Pelu li Fka.ncksco, di Costantino e di Elena Contarmi, nacque in Venezia il 7 set¬ tembre 1555. Nel 1602 fu capitano di Ve¬ rona, nel 1604 ambasciatore in lspagna e nel 1610 all’ imperatore, nel 1612 capitano contro gli Uscocchi. Morì nel maggio 1620, e fu sepolto in S. Miehelo di Murano. Pkiuli Giovanni. Nacque di Francesco e di Maria Michicl in Venezia il 17 settem¬ bre 1555: era consigliere nel 1593, o nel 1616 fu podestà di Vicenza. Piuuli Girolamo, di Antonio e di Lu¬ crezia Pisani, nacque in Venezia il 21 giu¬ gno 1524. Nel 1560 podestà di Vicenza, poi di Brescia, Savio del consiglio, o nel 1577 podestà di Padova. Morì noi novembre 1583. Pudlowski Stanislao. Nacque in Kurze- low tra il 1592 ed il 1595. Dopo aver se¬ guiti gli studi nell’università di Cracovia, vi fu ricevuto baccelliere nelle arti nell’anno 1614 e dottore in filosofia quattro anni dopo. Intraprese poi un viaggio in Italia, fece per¬ sonale conoscenza con Galileo, soggiornò per qualche tempo a Padova, lasciando me¬ moria di sè negli Atti della Nazione Polacca di quella università e si laureò in diritto a Roma. Ritornato in patria intorno all’anno 1631, fu insignito di singolari onori, ebbe missioui di gran conto, gli fu conferita una cattedra nell’università di Cracovia e ne di¬ venne lettore ueH’auno 1640. Punta Benedetto, di Domenico, da Siona. Modico al servizio della corte granducale. Nei « libri dei privilegi » si trova notato che per concessione del 29 maggio 1633 ot¬ tenne di poter legittimare due suoi figli na¬ turali. 05 514 INDICE BIOGRAFICO. Puteako (van Prt) Enrico, di Giovanni e di Galtrude Soderà, nacque a Venloo il 4 novembre 1574. È soprattutto celebre conm umanista, ma coltivò puro con lode le scienze. Fu legato in grande amicizia con Giusto l.ipsio, che surrogò conio professore a Lo- vauio dopo la sua morte avvenuta nel 1600. Morì in Lovanio il 17 settembre 1646. Quarantotto Clemente, di Marcantonio o di Lucrezia Vernagalli, nacque a Monte- catini nel 1520. Lesse filosofia nello Studio di Pisa o, secondo quanto riferiscono gli storici, anche medicina negli ultimi decenni del secolo XVI. QnARATK.si Antonio. Nacque di Girolamo di Francesco in Firenze il 1 1 novembre 1584. Fra i molti uffiot dei quali fu investito, ri¬ corderemo quello di Depositario della città o stato di Siena dal 1621 al 1636, e nel 1628, la cui nobiltà gli fu concessa per delibera¬ zione del Collegio d i Balia. Fu eletto senatore nel 1631, o mancò ai vivi il 10 marzo 1665. Quaràtkri Francesco. Troviamo contem¬ poranei due di tal nome, elio per Tota loro potrebbero essero ambedue quelli che figu¬ rano nelle coso galileiane: 1) Di Iacopo o di Maddalena KicaBoli Baroni, nato intorno al 1682, cavaliere di S. Stefano, che mi¬ litò sulle galere dell’Online, fu mandato re¬ sidente in Inghilterra nel 1615 e vi mori il 16 agosto 1618 2) Di Girolamo, nato il 10 aprile 1583 e morto il 14 luglio 1651. Quaratesi Girolamo. Nacque in Firenze di Francesco e di Oretta de’ Rossi il 29 lu¬ glio 1552. Nel Kilt) lo troviamo degli Otto di Guardia e Balìa. Morì il 10 gennaio 1618. Quaratesi Iacopo. Fratello minore di Gi¬ rolamo, nacque in Firenze il 1° gennaio 1554 e nel 1582 prese in moglie Maddalena di Bin- daccio Dicanoli Baroni. Fu degli Otto di Guar¬ dia o Balìa nel 1608 e nel 1611, e nel 1606 fu eletto senatore. Morì il 3 gennaio 1620 e fu sepolto iu S. Niccolò Oltrarno. Quaratesi Orazio, di Alessandro, t'ano- nico della metropolitana fiorentina nel 1602; sostituto e poi vicario geucrule; mori il 3 lu¬ glio. 1633. Qukrknoo Antonio, di Antonio e di Eli- mibetta Ottelio, nacque in Padova nel 1516. Abbracciò lo stato ecclesiastico, ed a 25 anni entrò nel collegio teologico. Recatosi a Roma col card. Federico Oornaro, servì come se¬ gretario i cardinali Orsini, Aragona o d’Esto. Caro a tutti i pontefici al tempo dei quali visse in Roma, fu da Clemente Vili eletto canonico penitenziere di Padova; o quivi tor¬ nato, fu nel 1600 aggregato all’Accademia «lei Ricovrati della quale fu eletto principo nel 1604. Richiamato a Roma dal nuovo papa Leone XI, e incanì mi nato visi il 6 agosto 1606, saputa a Ferrara la morto del pontefice, proseguì ciononostante il viaggio; tratte¬ nuto da Paolo V, fu eletto prelato domestico o referendario dell’ una o dell’altra segna¬ tura. In Roma fu anche ministro per il duca di Modena, e in Roma morì il 1° settem¬ bre 1633. Quinzano fili) Serafino. Molto verosi¬ milmente un Baselli Serafino, del quale scri¬ vono gli storiografi dell’Ordine Benedet¬ tino, entrato in religione nel monastero dei S4. Faustino e (lievita di Brescia il 12 mar¬ zo 1572. Nei registri di questo monastero ò chiamato « nmthematicus insigni» et musi- cus. » Mori intorno al 1630. Quirini Antonio, di Marco o di Laura Gabrielli, nacque in Venezia il 20luglio 1560. Impiegato nel 1601 sopra l’opera della di¬ versione del Po nel portovivo, nel 1605 Ili- formature dello Studio di Padova, nel 1600 consigliere, lasciava concepire altissime spe¬ ranze di sé anche per lo scritturo che aveva dato allo .tumpe circa lo questioni della Re¬ pubblica con papa Paolo V, quando venne immaturamento a morto nel 1607. Qitrini Francesco, di Gio. Francesco o di Elisabetta Trevisau, nacque in Venezia il 5 febbraio 1602. Capitano straordinario dello galeazze, si trovò nel 1638 alla disfatta dolio galere barbaresche noi porto della Valloua. Morì di morte violenta nel 1058. Quirini Giovanni, di Francesco e di Fieno Contarmi, nacque iu Venezia il 23 no¬ vembre 1601. INDICE BIOGRAFICO. 515 Radzivil. Gli atti della Nazione Polacca nello Studio di Padova, durante gli anni della lettura di Galileo registrano i seguenti, non sappiamo se tutti, membri di questa fa¬ miglia : « Nicolaus Christophorus Radzivil Dux in Olica ot Nieswies, Comes in Szyd- lo\viecz,Saerosancti Sepulchri Horosolimitani miles Palatinus (1592). - Ioannes Clemens Radzivil Warsaviensis (1594). - Stanislaus Radzivil Dux in Olika et Nieswies, Generali» Gapitaneus Samogitiae (1095). - Ill. u * et R. M Princeps et Dominus Dominus Georgius, Divina miseratione tit. S. Sixti S. R. E. Pre- sbyter Cardinalis Radzivil, Episcopus Cra- coviensis, ecc. (1599). - Ioannes Albertus Radzivil (1609) ». Raggi (Marchese). Dalle informazioni fornite dall’ Archivio di Stato di Genova ri¬ sulta, che intorno al tempo al quale ci rife¬ riamo vivevano contemporaneamente: Ste¬ fano o Urbano di Gio. Filippo, Giovanni Battista e Gaspare di Franco, Niccolò Maria di Lorenzo, Gio. Battista di Gio. Antonio, Giacomo di Stefano. Raguseo [da Ragnsa] Gionoio. Nacque in Dalmazia noi 1580. Trasferitosi prima a Venezia poi a Padova, vi seguì gli studi ri¬ portando la laurea ed abbracciando lo stato ecclesiastico. Leggeva teologia ai canonici di S. Giorgio in Alga in S. Maria d’Avauzo; quindi dal Senato Veneto fu con decreto dei 18 ottobre 1601 ehiamnto al secondo luogo di filosofia ordinaria, e dato por con¬ corrente a Cesare Cremonino. Mori il 3 gen¬ naio 1623. Raimondi Gio. Battista. Nacque in Na¬ poli, da Alessandro gentiluomo cremonese, circa il 1536; ed ivi attese agli studi clas¬ sici e filosofici, poi si rivolse anche a quelli dello matematiche e della chimica. Quando il cardinale Ferdinando de’ Medici, elio poi fu granduca, per attuare gli intendimenti di papa Gregorio XIIL, si assunse di stampare 10 Sacre Scritture nelle lingue degl’ Infedeli, 11 Raimondi, che innanzi al 1575 aveva viag¬ giato iu Oriente, addivenne l’anima della nobile impresa. Così si formò quella Stam¬ peria orientale medicea, che largamente dif¬ fuse insigni pubblicazioni, c i cui caratteri e i manoscritti, dopo molte vicende trasfe¬ riti da Roma, rimangono tuttora in Firenze a testimoniare la dottrina e l’operosità nelle quali sino ,ad età tarda perseverò il Rai¬ mondi. 11 quale, divenuto proprietario della preziosa Stamperia, ne istituì erede il gran¬ duca poco prima di morire il 13 febbraio 1614. Raimondi (Mous. r0 ). Molto verosimilmente quel « Io. Baptista Raymundus, Camerae Apost. Clericns », diverso dall’omonimo di cui sopra, e ricordato dall’Eritreo tra i « summi viri » ai quali Fabio Leonida inti¬ tolò le sue composizioni encomiastiche. Ramponi Gio. Lodovico. Di lui abbiamo trovato soltanto, elio nacque di Raimondo e fu battezzato in Bologna il 19 giugno 1577. Rancato Ilaiuonb. Di « Hillario Ranco- tus, S. Theol. Magister, Ord. Oisterconaium, Abbas S. Crucis iu Ilierusalem », nei volumi dei Decreta del S. Uffizio si legge, in Ter. 4% 25 aprile 1629: «D. Hillario Rancatus, me- diolancn. Ord. Cisterc. Sac. Theologine Pro¬ fessor, Abbas S. Crucis in Ilierusalem, elo- ctus Consulto!’ 8. Ollieii praestit.it solitimi iuramentum do secreto servando in causis S. Ollieii ». 11 suo nome è registrato lino al 1° ottobre 1643. Ranzovio [Rantzau] Enrico. Protettore di Niccolò Reimers, che lo onorò dando in luce a Lipsia nel 1583 la «Geodaesia Ran- zoviana », e lo stesso che troviamo menzio¬ nato col titolo di « Prorex » o « Produx Cimbri- cus», cioè luogotenente reale nello Schleswig- Holstein. Egli fu che invitò Ticone Brahe a Wandsbeck dopo la sua partenza dalla Da¬ nimarca, e elio favorì la sua chiamata a Praga da parte dell’imperatore Rodolfo 11. Nacque di Giovanni PII marzo 1526, e mancò ai vivi il 31 dicembre 1598. Rasi Francesco. Nacque di Ascanio, no¬ bile aretino, intorno al 1570. Trasferitosi in Firenze, vi studiò musica alla scuola del celebre compositore o cantore Giulio Cac¬ ciai, romano; passato poi a Mantova, dove il padre suo era stato eletto capitano di giustizia, fu accolto a quella corte come «cantante di scena». Egli aveva infatti una 516 INDICE BIOGRAFICO. bellissima voce di tenore, e come tnle fu prestato al granduca di To-can» perchè cantasse nelle feste date in occasione del matrimonio di Maria de’ Medici con En¬ rico IV. Pur sempre restando addetto alla corte di Mantova, peregrinò prò >-o parec¬ chie altre corti, dappertutto applaudito e fe Bteggiato, creato cavaliere, e rimeritato con laute retribuzioni e pensioni. Innamoratosi di Alessandra Bocchineri, che in età giova¬ nissima era rimasta vedova di l.orenzo Nati, la Bposò in Pistoia al principio del settem¬ bre 1621, ma dopo poche settimane la lasciò novamente vedova. Rasini Carlo, di Marcantonio, conte di Castelnovello, e di Claudia Visconti Borro¬ meo, uno dei LX decurioni di Milano, ge¬ nerale al servizio del duca di Mantova, che noi campo sotto Vorcelli difendeva il Mon¬ ferrato dall’aggressione del duca di Savoia. Rausohkr Gio. Martino. Professore di lingua latina o di retorica in Tubinga dal 1613 al 1655. Ravits [Rad»! Giovanni. Diacono di S. Niccolò in Berlino e professore nel gin¬ nasio del cosiddetto « Grauer Kloater », pa¬ dre del celebro teologo ed orientalista Cri¬ stiano (1613-1(577). Rkakl [Rralio] Lorenzo, di Lorenzo Giacomo o ili Grietje figlia di Pietro Mee- WÌ8Z lteael, nacque in Amsterdam il 22 ot¬ tobre 1583. Lo cure della vita pubblica, nella quale conseguì onori altissimi, non lo distol¬ sero dagli studi od in particolare da quelli delle scienze fisiche, nello quali fu valentis¬ simo sperimentatore. Fu vice ammiraglio, governatore delle Indie Orientali, adoperato in parecchie missioni diplomatiche. Morì di peste in Amsterdam il 18 ottobre 1637. Ricerco Nardo Antonio. Nacque a Mon tecorvino (Salerno) intorno al 1540. Fu lau¬ reato nella scuola medica di Salerno il 27 feb¬ braio 1564, e divenne archiatro della corte vicereale di Napoli. Reoiuedri Antonio o Lorenzo. Appar¬ tenenti a famiglia originaria di Lavone in ; Vul Trompia o ascritta alla nobiltà di Bro¬ scia, questi due fratelli nacquero di Gio. Paolo di Clio. Antonio: Antonio ebbe alla Mia volta un figliuolo che battezzò col nome di Gio. Paolo, e che a due de’ suoi sette figli impose i nomi di Antonio e di Lo¬ renzo. Rktfuoio [Rrfuoi] (di) Enrico di Eu¬ stachio, signore di ComvelleB e di Précy, e di Klena di Belliòvre. Eletto consigliere al parlamento di Parigi il 12 luglio 1624, ab¬ bate di Saint-Cybnr d’Angouléme dopo suo fratello Claudio, abbate della Trinità di Morigny vicino ad Etampes, morì decano dei consiglieri ecclesiastici del parlamento. A lui dedicò il Mersenne la sua traduzione della Scienza Meccanica di Galileo. Rkvh <;iof Beki'or| (di)TniOLKONTR.Fra- 1 t elio del precedente. Suo padre, morto nel 1(517, era stato investito di altissimi uffici nel governo dello Stato, e fu inoltre am¬ basciatore in Isvizzera, in Olanda ctl in Fiandra. Molto probabilmente l’annotazione che del suo nome ed indirizzo ha lasciato Galileo, si riferisce al tempo in cui egli era col padre in Olanda. Aveva abbracciata la carriera militare: fu aiutante di campo del maresciallo do Bassompierre, e fu ucciso al¬ l'assedio di Royati nel 1(522. RRiQKSitr.BG Giovanni. Le matricole della Nazione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memoria: « Ioannos Reigesbergius Yerianus Xelandus, 22 Oc toh. 1603*. Krijusk Giovanni. Questi non fu, come apparirebbe e si credette, una specie d’a¬ gente diplomatico degli Stati Generali d’O- landa in Venezia, perdio loro ambasciatore presso la Repubblica Veneta dal 1627 al 1636 fu Guglielmo van 1 ior, signor d’Osterwich: a suo successero fu (detto Guglielmo Boreel, e a reggere provvisoriamente l’ambasciata tino alla venuta del Boreel, che in principio del 1(538 non aveva ancora raggiunta la residenza, fu delegato il cousole d’Olanda Josue vau Zonovelt. Rrimrrh Niooolò. Nacque di umilissima ! origine a lleuslodt in Ditmarschen, o tu uu INDICE BIOGRAFICO. 517 autodidatta noi rami più svariati delle let¬ tere o delle scienze. Dopo aver insegnato matematiche a Strasburgo, seguì l’invito ricevuto da Praga, e nel 1597 vi fece stam¬ pare il suo « De astronomicis hypothesilms », nel quale attaccò così violentemente Ticone Bralie, che, minacciato di querela, fuggì da Praga. Morì nel 1599. Reinuahdt Giovanni. Le matricole della Nazione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memoria: « Ioannes Reinardt Brandeburgensis, 6 Cai. Augusti ColOGVII» itmsENRu Baldassarre. I matricoledclla Nazione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memoria: « Balthasar Reiscner Danliscanus A.° 1602, 2 lunii ». Remo Quietano Giovanni. 11 suo vero cognome fu « Ruderalif » ch’egli latinizzò in « Remus ». Le principali notizie intorno a lui abbiamo attinte dalla matricola della Nazione Germanica Artista dello Studio di Padova, nella quale trovasi inscritto di suo proprio pugno nei termini seguenti: « Ioan- no3 Quietanus Saltzuugensis Francus U. Me- dicinae studiosus, numeratis numerandis. nomen suum buie inclytae Nationi Germa- nicae adscripsit, 19 lunii anni 1608 ». Fu poi consigliere della Nazione negli anni 1(J08 e 1509. Nel 1617 fu tra gli aspiranti alla successione del Magmi nello Studio di Bo¬ logna; ma non ostante le raccomandazioni del card. Scipione Borghese al Reggimento di Bologna, non fu eletto. Ritornalo in pa¬ tria, divenne medico e matematico dell’Im¬ peratore e dell’arciduca Leopoldo d’Austria. Viveva ancora nel 1640. Rena (della) Gerì. Nacque in Firenze il 29 settembre 1580. Marchese di Giova- gallo e di Terdoblate, o nel giugno 1631 maestro di campo generale di S. M. Catto¬ lica. Morì il 4 ottobre 1662. Renàudot Tbokrasto. Medico o giorna¬ lista francese, nato a Londun nel 1586, morto a Parigi il 25 ottobre 1653. Laureatosi a diciannove anni in medicina a Montpellier, andò a’ Parigi nel 1612, e col favore del P. Giuseppe e di Richelieu divenne segre¬ tario e medico del Re. Nel 1631 incominciò col titolo di « Gazette * la pubblicazione di notizie politiche, soprattutto dell’ estero, in una effemeride che con supplementi ir¬ regolari compariva una volta alla settimana: a partire dal 1633 pubblicò pure dei reso¬ conti di conferenze scientifiche da lui or¬ ganizzato, e nel 1635 assunse anche la re¬ dazione del « Mercure frangois ». Reni eri Vincenzio. Addì 30 maggio 1606 nacque in Genova, ed al fonte battesimale ricevette il nomo di Gio. Paolo, che mutò in quello di Vincenzio entrando nell’Ordine Oli- vetano. Le « Kamiliarmn Tabulae » di detto Ordine ce lo dicono a Roma nel 1623, dal 1621 al 1625 in Arezzo, dal 1626 al 1629 in Ascoli Piceno, dal 1630 al 1631 a Monte Oli veto, dal 1632 al 1633 a Siena, dove imparò a conoscere Galileo che finì col l’affidargli tutti i materiali delle sue osservazioni o dei suoi calcoli sui Pianeti Medicei per definirne le tavole dei moti medi. Con le quali tavole però, abbiamo appena bisogno di dirlo, non hanno alcuna relaziono le « Tabulae Medi- ceae secundorum mobilium universalos », che il giovane monaco diede alla luce in Firenze nel 1639. 11 geloso incarico affidatogli da Galileo, il quale aveva anche pensato di mandarlo in Olanda per dimostrare a quegli Stati Generali l’attuabilità della sua pro¬ posta per la determinazione della longitu¬ dine in maro, gli diede opportunità d’esser frequentemente ospite del « Gioiello » e di legarsi in intimità anche col Viviani. Da lungo tempo egli aspirava alla lettura ma¬ tematica in un pubblico Studio, ed intanto aveva dovuto contentarsi d’ima privata in Genova: mancato ai vivi il Peri e rimasta vacante quella di Pisa, con l’appoggio del principe Leopoldo de’ Medici e di Galileo vi fu eletto nel 1640, e confermato nel 1644, con P incarico d’insegnare il greco, del quale era stato parecchi anni innanzi lettore nelle scuole del suo Ordine in Monto Olivato. Mancò ai vivi il 5 novembre 1647, o le suo carte furono trafugate: delle molte lettere scrittegli da Galileo non ne pervennero in¬ aino a noi che due, ed una di esso anche per via indiretta; quanlo alla celebro lettera con- 518 INDICE BIOGRAFICO. tenente Ift narrazione dei enei occorsi a Ga¬ lileo durante il Processo, è ormai certo trat¬ tarsi duna falsificazione di un duca Oaetani per burlarsi del Tiraboschi, che ingenua¬ mente la diede per autentica, traendo in er¬ rore molti studiosi tino a lineati ultimi tempi. Ruo Giovanni. Nacque a Milano il 0 gen- uaio 1590. Entrato nella Compagnia di Gesù il 24 aprile 1004, insegnò per tre armi re¬ torica nel collegio di Brera a Milano, o poi per altri treutasette occupò le principali cattedre nello scuole della Compagnia, a Mi¬ lano, Firenze, Roma, Napoli, Venezia. Verso la fine della sua vita fu oletto proposito della casa professa di Milano, poi di quella di Roma, indi provinciale di Milano o di Napoli. Morì a Roma il 10 settembre 1002. Lo sue pubblicazioni sono tutto d’indole religiosa o politica o uncomiuMica : la « As¬ semblea seu Comitift Astronomica «lo come- titi », se ò veramente sua, sarebbe la sulu di argomento scientifico. Rioasoli Angelo, di Biiulaccio e di Co¬ stanza di Iacopo Giaoomini, morì il 17 giu¬ gno 1584. Rigatoli Bettino. Nh»o il 1° marzo 15.78, di Ottaviano e di Giulia di Camillo de 1 Bardi, sposò l’8 marzo 1575 Maria Maddalena No¬ bili. Mandato da Ferdinando I comandante delle milizie toscane in aiuto di Rodolfo 11 contro i Turchi, morì combattendo sotto lo mura di Giavurino nel 1694. Rioasoli Baroni Braccio, di Filippo «li Piorgiovanni o di Lucrezia di Matteo degli Al- bizzi, nacque in Firenze il 25 agosto 1525. Nel 1578 fu destinato a soprintendere al funebre apparato fatto nella basilica Laurenzianu per le solenni esequie del grnnduca Francesco 1. Sedò nella magistratura degli Otto nel 1580: fu eletto senatore nel 1580. Mandato com¬ missario a l’istoia nel 1588, vi morì il 1“ ot¬ tobre 1589. Rioasoli Francesco Maria, di Pandolfo e di Francesca Nasi, nacque il 25 marzo 1542. e prese la croco di S. Stefano nel 1662. Fu podestà di Castiglion Fiorentino nel 1575: por un anno, dal 1° maggio 1585, capitano di Cortona: podestà di Montelupo nel 1588: dogli Otto nel 1591: commissario di Arozzo per un anno, nel 1592; e di I'iBtoia nel 1597; «! di nuovo in Arezzo nel 1599 e noi 1600: eh-tto ««mature nel 1594. Morì il 3 f e b. braio 1603. Rioasoli Geremia, figlio di Francesco o fratello di Neri e di Giovanni: non compa¬ risco nelle genealogie della famiglia. Rioasoli Baroni Giovanni, figlio diFrnn- cosco e fratello di Neri: non comparisco nello genealogie dolla famiglia. Rio asoli Baroni Giovanni Battista, di Biudaccioedi Costanza di Iacopo Giacomini. Trascorso la vita negli studi e lontano sem¬ pre dai pubblici altari. Nell’Accademia de¬ gli Alterati fu reggente, e vi lesse molto dissertazioni o una orazione in lode del granduca Francesco l. Condusse in moglie Luere/.ia «li Francesco di Iacopo Guadagni, ma non ne ebbe figliuoli ; e una sua sorella, Maddalena, andò nel 1582 sposa a Iacopo di 1 Vnnceaco Quarate i. In sullo scorcio del 1588 fu colpito da infermità mentale; e il testa¬ mento e le donazioni ch’egli fece in questo tato di mento non sana, dettero luogo a due lunghi processi, nei quali fu involto come testimonio anche Galileo. Morì il 20 gen¬ naio 1590. Ricasoli Baroni Margherita. Figlia di Francesco Maria di Pandolfo: non compari¬ lo nelle genealogie dolla famiglia. Ricasoli Baroni Neri. Figlio di France- -co o fratello di Giovanni: non comparisce nelle genealogie della famiglia. Ricasoli Paolo, di Filippo o «li Mad¬ dalena Rucollai, nacque in Firenze il 15 ago¬ sto 1561. Fu commissario di Arezzo dal set¬ tembre 161 >9 a tutto agosto 1610, di Cortona dal novembre 1612 al novembre 1013, di Pi¬ stoia nel 1614. Dogli Otto di Guardia e Balia noi 1616: nel 1617 senatore. Morì il 9 di¬ cembre 1620. Ricasoli Guadagni Lucrezia, di France¬ sco di Iacopo c di Laura di Pierautonio Pan- INDICE BIOGRAFICO. 519 clini, andò moglie a Giovanni Battista Rica- soli Baroni. Rimasta vedova di questo c seu/a figli, si rimaritò noi 1592 con Andrea di Carlo de’Medici. Morì il 2G aprile 1652. Rioasoli Rucellai Orazio. Nacque in Firenze il 23 aprile 1G04 da Gio. Battista di Giuliano Ricasoli e da Virginia di Orazio Rucellai, la quale fu istituita crede del pa¬ trimonio avito vastissimo, con l’obbligo ai figli di congiungere ni cognome paterno il materno: ed anzi Orazio fu più comune¬ mente chiamato con questo che non con quello. L’avo puterno Giuliano aveva l'on¬ dato nel 1589 il Priorato di Firenze nella religione di S. Stefano, od il nostro ricevette decenne le insegno di cavaliere di quell’Or- dine, alla morte del padre ebbe nel 1G20 il grado di priore e noi 1G53 quel di gran con¬ testabile. Conobbe e praticò Galileo fin dai più teneri anni, e della propria casa fece un’accademia dove convenivano i più eletti ingegni dell’età sua: di lui si hanno poesie, prose accademiche, ma soprattutto numerosi dialoghi filosofici, in gran parte inediti, nei quali egli si può considerare come un se¬ guace di Galileo, poiché ne svolge il metodo nell’osservazione doli’ uomo interiore e in ogni disciplina filosofica. Dai granduchi Fer¬ dinando Il o Cosimo 111 ebbe missioni ono¬ revolissime o morì il 1G febbraio 1674. Riccardi Cosimo, di Francesco odi Co¬ stanza Valori, nacque in Firenze nel 1601. Abbracciata la carriera militare, fu eletto dal granduca, con patente dei 19 febbraio, a comandare quattro compagnie mandate in servizio di Spagna alla difesa dello Stato di Milano; nia già a questo tempo era stato maestro di campo. Il 24 dicembre 1632 era a Praga, cd aveva trattato di prendere dal conto di Merode un reggimento di cinque¬ cento cavalli : con successive patenti de’ 22 settembre 1G35 e 10 luglio 1G3G veniva pre¬ posto al comando di altri reparti di truppe: il 24 agosto 1643 fu eletto « Sergente ge¬ neralo di battaglia», e il 27 marzo LO 18 go¬ vernatore di Livorno. Mancò ai vivi nel 1G49. Riccardi Gahiiikllo. Fratello di Cosimo c della Caterina Riccardi Niccolini, si am¬ mogliò nel 1635 con Francesca Oalderini. In¬ tervenne come compare al battesimo di «.Ga¬ lileo del S. r Vincentio di Galileo Galilei e della S. ra Scstilia del S. r Carlo .Bocchineri, pop. 0 dello Spirilo Santo, nato addì cinque dicembre milleseicento vonlinove ». Riccardi Niccolò. Nacque iu Genova nel 1585. Di lui troviamo, che « corporis mole pinguior et obesus, ob idque paolo defor- mior, sed ingcnio a natura pruestantissimo dotatus, aetatis suao miraculum fuit. * Man¬ dato in Ispagna, vestì l’abito domenicano nel monastero di S. Paolo in Valladolid; cd avendo predicato alla presenza di re Fi¬ lippo IH, fu da questo appellato* Mostro», non è ben chiaro se per la straordinaria obesità o per la meravigliosa facondia, e il nome gli rimase per tutta la vita. 11 2 giu¬ gno 1629 succedette al p. Niccolò Ridolfi nell’ufficio di Maestro del Sacro Palazzo Apo¬ stolico, e dallo stesso papa Urbano Vili fu eletto predicatore apostolico. Tanto egli era bene accetto al papa, da riuscire a superare la grande burrasca scoppiata in seguito alla stampa dol « Dialogo dei Massimi sistemi ». Morì il 30 maggio 1639. Ricci Ostilio. Da Fermo : istruttore dei paggi della corte di Toscana, e primo mae¬ stro di Galileo nelle matematiche, che lesse poi anche nello Studio fiorentino. l)i lui si hanno alcuni problemi geometrici, nella Di¬ visione prima dei Manoscritti Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Ricci (de’) Guido, di Giuliano e di Eli¬ sabetta Vettori, nacque in Firenze nel 1574. Laureatosi nello leggi iu Pisa, divenno av¬ vocato dol collegio dei Nobili : ascritto al¬ l’Accademia fiorentina, ne fu consolo noi 1604. Rieoi (de’) PierfrancbsOO. Nacque in Fi¬ renze di Vincenzio di Pierfrancesco il 15 ot¬ tobre 1582. Sposò in prime nozze nel 1607 Clarice di Pioro Aldobrandini; in secondo noi 1610, Ippolita di Alessandro Machiavelli; in terze nel 1613, Nannina di Gio. France¬ sco Rucellai. Delle molte cariche delle quali fu investito, ricorderemo che fu cancelliere dell’arte della seta, degli Otto di Guardia c Balia, dei Nove, dei Capitani di Parte, dei Quarantotto, Consigliere, Procuratore di 520 INDICE BIOGRAFICO. Palazzo, Maestro di Zecca; che fu abi¬ litato all’ufficio di provveditoro del Monte delle Graticole, poi segretario delle Tratte: era dei DugdUto del 1628; fu eletto sena¬ tore il 10 settembre 1625. Morì in Firenze il 19 giugno 1681. ItiOOJULLi Antonio. Nacque in Uoglinno su quel di Cosenza. Fu vescovo di Belca- stro in Calabria dal 26 novembre 1626 fino al 1629, nel quale anno rinunciò al vesco¬ vado: ma poiché soltanto il 17 febbraio 1682 fu trasferito ad altra sedo vescovile, cioè a quella di Umbriatico pure in Calabria, ri¬ tenne sempre il titolo di « Episcopus Belli- castrensis *. Fu per più anni vicegerente di Roma. Morì arcivescovo di Cosenza nel mag¬ gio 1642. Ricco (del) Giovanni, di Vincenzio, nacque in Firenze il 5 agosto 1586, o sotto il di 1° di¬ cembre 1629 lo troviamo eletto dal gran¬ duca, aiuto della Cancelleria delle Farine. Riccohoni Antonio. Nacque di Andrea in Rovigo nel 1541. Compiuta la sua educa¬ zione in Venezia, discepolo di Paolo Ma¬ nuzio, di Carlo Sigonio, di Marcantonio Mu- reto, fu in ancor giovane età chiamato ad insegnare pubblicamente umano lettere in patria. Con decreto dei 14 maggio 1571 fu dal Senato Veneto chiamato alla seconda lettura di umanità nello Studio di Padova, dalla quale nel successivo anno passò alla prima che occupò fino alla morte avvenuta nel 1599. Fu, in ordine di tempo, il primo storiografo dello Studio di Padova. Richelieu (de) Alfonso Lodovico, di Francesco o «li Susanna de la Porte, nacque a Parigi nel 1582. Fu educato nel collegio di Navarca insieme col fratello Armando; e dopo aver abbracciato lo stato ecclesiastico, fu investito d’una quantità di abbazie, ed eletto da Enrico IV a succedere allo zio nel vescovado di Lugon ch’egli cedette al fra¬ tello Armando ritirandosi fra i certosini. Dal monastero fu tolto da Luigi XIII ed eletto arcivescovo di Aix, dalla qual sede fu trasferito nel 1628 a quella di Lione, e il 19 novembre 1629 da Urbano Vili promosso alla porpora. Grande elemosiniere di Fran¬ cia nel 1632, fu nel 1635 mandato dal suo re a Roma con grave missione diplomatica, ed in quella occasione ebbe il titolo doliti SS. Trinità in Monte Lincio. Mancò ai vivi il 28 marzo 1653. Riciibltxu (do» Armando Giovanni. 11 gran cardinale ministro di Luigi XIII, nato di Francesco o di Susanna de la Porte in Parigi il il settembre 1585, ed ivi morto il 4 dicembre 1642. Ricusa Davide. Le matricole della na¬ zione Polacca nello Studio di Padova ser¬ bano di lui la seguonte memoria: « David Richea Livo inclitae nobili Nationi gratiam, piotati dobituin referens, dedit ducatum unum >. Non passeremo sotto silenzio clic le matricolo della nazione Germanica Giuri¬ sta del medesimo Studio registrano un « Da¬ vid Kicques Prutenua » sotto il dì 7 novem¬ bre 1603. Rick [Ryckb, Ricqciua] Giusto. Nacque di Giacomo o di Caterina figlia di Giovanni Stadio a (ìaud il 6 maggio 1587. Compiuti gli studi a 1 »ouai, partì per l’Italia, dove il conte Luigi Serogo gli confidò la cura della propria biblioteca. Nel 1624 era novamonto in patria, perchè troviamo che in quell’anno gli fu conferito un canonicato nella catte¬ drale di Gami; poco dopo però tornava in Italia, e nel 1625 veniva ascritto all’Accade¬ mia dei Linc.oi. Caldamente raccomandato dal card. Scipione Cobelluzzi, ottenne in questo medesimo annoia cattedra di umane lettore nell’ università di Bologna, che occupò fino alla morte avvenuta 1’ 8 dicembre 1627. Ridot.ki Carlo. Nacque di Marco in Lo- nigo, su quel di Vicenza, nel 1594. Ben più che ai suoi quadri, è raccomandato il suo nome alle opero da lui dettate sulla storia dell'Arte specialmente veneziana. Da Inno¬ cenzo X fu decorato (lolle insegno dello Spe¬ rono d’oro. Mori in Venezia nel 1658. Ridolfi (Cavaliere). Dalle matricole della Religione di S. Stefano risulta, che nel 1615 della famiglia Ridolfi di Firenze vi erano ascritti Bernardo, Cosiino, Lorenzo, Piero e Niccolò. INDICE BIOGRAFICO. 521 Ridolfi Cosimo. Del cosiddetto « ramo di Piazza » nacque di Piero di Lorenzo e di Maddalena di Piero Salviati il 23 ago¬ sto 1570. 11 padre era stato condannato a morte nel 1575, sotto l’accusa d’aver cospi¬ rato con Orazio Pucci od altri giovani lìo- rentini contro il governo Mediceo: graziato, gli era stata commutata la pena nella re¬ clusione a vita nello carceri del Bargello, dove morì il 21 luglio 1589. 11 figlio però ebbe restituiti vari beni e diritti che il padre aveva perduti in seguito alla con¬ danna, e il 5 maggio 1594 fu vestito cava¬ liere di S. Stefano. Condusse in moglie Ales- Bandra di Alessandro Capponi e di Marghe¬ rita di Pierfrancesco Carnesecchi ; o rimasto vedovo noi 1595, passò a nuove nozze il 18 giugno dolio stesso anno con Laudo- mia di Giuliano Ricasoli o di Cassandra Capponi. Nel 1613 fu ascritto all’Accademia dei Lincei. Morì il 19 gennaio 1019. Uidolfi Lodo vino, di Giovanfrancesco e di Virginia di l’audolfo Pucci. Morì il 18 ottobre 1649. Ridoi.fi [Rodolfi] Niccolò. Nacque in Firenze di Giovanfrancesco o di Costanza Ugolini nel 1578. Mandato a Roma giovi¬ netto, vestì l’abito domenicano nel convento di S. Maria sopra Minerva nel 1592, e nel 1618 conseguì la laurea teologica. Papa Gre¬ gorio XV lo elesse nel 1022 a Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, e il 2 giugno 1629 fu promosso con unanimità di voti al grado supremo del suo Ordine. Per privati motivi caduto in disgrazia di papa Urbano Vili, venne deposto, detenuto tra i canonici rego¬ lari di S. Pietro in Vincoli, e poi relegato a Napoli, lnnoconzo X, convocata una congre¬ gazione di cardinali, delegò ad essa l’esame dei fatti imputatigli, e fu riconosciuto inno¬ cente; ma mentre i suoi confratelli si appre¬ stavano a riconfermargli l’antica fiducia, mancò ai vivi il 25 maggio 1650. Ridoi.fi Ottavio, di Giovanfrancesco e di Costanza Ugolini, nacque in Firenze nel 1582. Entrato in prelatura, divenne referen- dario dell’ima e dell’altra segnatura, gover¬ natore di Rimini, e nel 1612 vicelegato di Ferrara. Fu poi vescovo (l’Ariano, e nella creazione del 5 settembre 1622 promosso alla porpora col titolo diaconale di S. Agata, dal quale fu poi trasferito a quello presbi¬ teriale di 8. Agnese nel Circo Agonale. Nel 1624 fu eletto arcivescovo di Girgenti, ed ivi morì il 6 luglio dello stesso unno. Rinucoini Amedeo, di Orazio e di Ca¬ milla Del Giocondo, nacque nel 1609. Fu cavaliere di S. Stefano, facendo tutte le na¬ vigazioni d’obbligo ; ma uscito, per la mal¬ ferma saluto, da quell’ ordine, si consacrò sacerdote, ebbo affidata alle sue curo la pie¬ ve di S. Piero in Pian di Ripoli, e in tale ufficio morì il 28 agosto 1650. Rinucoini Camillo, di Tommaso o di Sinoralda di Luigi Gianfigliazzi, nacque in Lione il 1° settembre 1564. Rimasto a duo mesi orfano del padre, fu dalla madre con¬ dotto a Firenze, di dove poco pili elio ven¬ tenne si trasferì a Roma e vi rimase fino al 1601, onorato di alti uffici. Fatto ritorno in patria, fu ascritto all’Accademia della cru¬ sca della quale fu urciconsolo nel 1602 e nel 1603, ed alla fiorentina della quale di¬ venne consolo nel 1614. Dopo aver retto come commissario le città di Pistoia, Cor¬ tona e Pisa, fu nel 1622 creato senatore. Mancò ai vivi in Firenze il 7 febbraio 1649 e fu sepolto in 8. Croce. Rinucoini Carlo. Nacque di Pierfrance- sco o di Virginia llidolfi in Firenze il 28 ot¬ tobre 1596, e fu il primo della famiglia che assumesse il titolo di marchese per eredità dello zio materno Lodovico Ridolfi. Maestro di camera dol card. Gio. Carlo de’ Medici, andò con lui a Roma nel 1654 per il con¬ clave dal quale uscì papa Alessandro VII, si trattcnue colà due anni, e vi ritornò nel 1658 come residente per il granduca. Morì 1’ 8 gennaio 1666. Rinucoini Folco, di Francesco di Ales¬ sandro e di Luisa di Pierirancesco Porti nari, morì nel 1620. Rinucoini Francesco. Nacque di Orazio o di Camilla Del Giocondo nel 1603. Alunno del Collegio romano, studiò poi leggi a Pa¬ dova e si laureò iu esse a Pisa. Ferdinando li 522 INDICE BIOORA FICO, lo elesse nel 1037 a ano residente a Venezia, ed in tale ullicio ritmine lino al 1042. Tor¬ nato in patria, si lece sacerdote, divenne ar¬ ciprete della metropolitana, cappellano mag¬ gioro del principe Gio. Carlo, e noi Ili.’>2 fu eletto o consacrato vescovo di Vistola e Prato. Ascritto fin dal 1526 all’Accademia della OruBca, ne fu aroioonaolo. Mori il 2 marzo 1078. Rinuccini Giovanni, di l'ier Francesco o di Virginia Ridolfi, nacque l’8 gennaio 1597. Studiò leggi in Pisa. Nel 1629 fu inviato da Ferdinando II insieme con Ugo Rinaldi c Giulio Vitelli in Lombardia a complimen¬ tare il cardinale di Richeliou. Fu poi abile provveditore all’Abbondanza in tempi cala¬ mitosi, e creato sonatore nel 1653. Morì in Firenze il 27 luglio 1664. Rinttooini Gio. Battista, di Camillo e di Virginia Ranciini, nacque in Roma il 15 set¬ tembre 1592. Intrapreso nel seminario dei Gesuiti gli studi che proseguì poi a Bolo¬ gna, a Perugia e finalmente a Visa, dove si laureò nelle leggi nel 1614, e nel 1615 fu ascritto all'Accademia della Crusca. Grego¬ rio XV lo elesse suo prelato domestico o Be- grotario della congregazione de’ riti, od Ur¬ bano Vili lo creò luogotenente civile del Cardinal vicario, e nel 1625 arcivescovo di Fermo; alla quale sede talmente si affezionò, da rifiutare la traslazione a quella di Firenze offertagli dal papa o dui granduca. Nel 1645 fu inviato da lmmconzo X legato in Irlanda, e colà rimase fino al 1650, restituendosi poi a Fermo, dove morì nel dicembre 1653. Rinuccini Ottavio. Nacque di Francesco e di Luisa Portin&ri in Firenze il 20 gen¬ naio 1564. Cultoro della poesia, fu salutato come rinnovatore del dramma lirico con la « Dafne >, P « Euridice », V « Arianna >. Aveva accompagnato in Francia la regina Maria de’Medici; ma disgustato della corte, nel 1603 fece ritorno in patria, dove morì nel 1621. Rinuccini Pier Francesco. Figlio natu¬ rale del poeta Ottavio, nacque il 4 giu¬ gno 1592. Studiò nel Collegio romano, quindi si applicò alle leggi nell'università di lu- golstadt e si Inarcò a Pisa. I)’ indole fervida e mutabile, dapprima vestì l’abito clericale quindi prese le armi e militò nell’esercito sp.ignuolo, per tornar poi alla vita ecclesia¬ stica. Entrò alla corte dol card. Ottavio Ridolfi, dalla quale passò a quella del car¬ dinale Luigi Capponi, e quindi accompagnò Ascunio Piccolomini in Francia. Restituitosi in patria od agli studi, fu ascritto nel 1626 all’Accademia della Crusca, della quale fu aroiconsolo nel 1641 e nel 1656. Per la sua dottrina era stato scelto gentiluomo di ca¬ mera e bibliotecario del principe Lorenzo, zio di Ferdinando 11, e da quest’ultimo lìi nel 1642 nominato suo residente a Milano; ut*l quale ufficio rimase ben tredici anni, incontrando la piena sodislàziono del go¬ verno spaglinolo, dal quale lu creato conto. Tornato a Firenze, dopo breve tempo fu ri¬ chiamato a corte come gentiluomo di ca¬ mera del principe Leopoldo, ma da questo ufticio ben presto si sciolse. Morì il 1“ gou- naio 16.77. Rinuccini Tommaso. Fratello di Gio. Bat¬ tista, nacque in Roma il 1° novembre 1596. A tredici anni fu mandato a studiare a Bo¬ logna, ma n’ebbe impedimento dalla debo¬ lezza della vista. Da Firenze faceva frequenti viaggi a Ruma, e nel 1623 vi fu come am¬ basciatore dol granduca per complimentare Urbano Vili eletto papa. Accompagnò il card. Francesco Barberini nella sua lega¬ zione di Francia e di Spagna; o tornato in Italia nel 1627, fu in appresso eletto da Ferdinando 11 gentiluomo di camera, o dalla granduchessa Vittoria, scalco e coppiere. Nell’Ordine di S. Stefano, cavaliere tino dui 1642, fu eletto ricevitore, e nel 1659 procla¬ mato contestabile. Fu ascritto all’Accade¬ mia fiorentina e ne fu consolo nel 1631; fu pure di quella della Crusca e in essa cen¬ sore con G. 1». Doni. Morì il 3 settembre 1682, lasciando parecchio oliere manoscritte e tra le alilo una storia della propria famiglia. Rittkrshaus Niccolò, di Corrado, nacque in Alidori nel 1597. Dopo lunghi viaggi in Francia, Inghilterra, Italia, l’olonia, Dani¬ marca ed Olanda, fu chiamato nel 1635 alla lettura delle istituzioni in patria, 0 dal 1169 a quelladelle pandette. Mancò ai vivi nel 1670. INDICE BIOGRAFICO. 523 Robkrthin Robbrto. Nato a Saaltfeld nella Prussia il 3 marzo 1600, morto il 7 apri¬ le 1648. Scolaro del Bernegger, peregrinò poi lungamente, o quasi sempre come aio o maggiordomo di giovani nobili, in Germa¬ nia, Olanda, Inghilterra, Francia, Italia, acquistando estese relazioni e profonde co¬ gnizioni di lingue o letterature straniere. Cultore della poesia, entrò nella politica e noi 1634 divenne segretario dell’Ordine dei Giovanniti a Sonnenburg presso il conte Adamo Schwartzenburg, al quale ufficio ag¬ giunse nel 1615 quello di primo segretario e consigliere elettorale presso il governo prussiano. Robkrval (de) Gilles Peiwonne. Nacque 1* 8 agosto 1602. Nel 1632 professava già filosofia. Occupò per quarantanni la catte¬ dra di Ramila nel Collegio di Francia. Tranne una scrittura sulla statica ed alcune noto sopra Aristarco, nulla pubblicò per le stampe, perchè dovendosi la sua cattedra porre a concorso ogni tre anni, egli riserbava a que¬ sto fine lo belle cose che aveva scoperto. Entrò in polemiche vivaci col Descartes e col Torricelli. Appartenne all’Accademia delle scienze di Parigi fin dalla prima fon¬ dazione di essa. Mori il 27 ottobre 1675. Robinson Arrigo, di Guglielmo e di Ca¬ terina Watkins, nacque nel 1605. S’immatri¬ colò ad Oxford il 9 novembre 1621. Il com¬ mercio, al quale s’era dedicato lo trasse nel 1633 a Livorno; e dimorò per qualche anno in Toscana. Lasciò memoria di sè come eco¬ nomista, e perchè fu il primo inglese che sorgesse a propugnare la libertà di coscienza. Rocca Giannantonio. Da Ercole Berga¬ maschi Rocca e da Laura Raffini nacque in Reggio d’Emilia il 31 ottobre 1607. Seguì gli studi nel collegio dei nobili di Parma, c vi ebbe a maestro nello scienze esatte il P. Mario Bottini gesuita. Giovanissimo strinse relazione e carteggiò con Gio. Bat¬ tista .Baliani, Bonaventura Cavalieri, Mario Guiducci, Marino Mereenne, Antonio San¬ tini, Evangelista Torricelli. E rimasto il suo nomo nella storia della scienza principal¬ mente a motivo di un lemma che apriva una nuova via alla determinazione dei ba¬ ricentri dei solidi. Morì in Reggio il 22 no¬ vembre 1656. Roggi Ciriaco, di Bernardino e di Cla¬ rice Arrigoni, sorella del cardinale Pompeo, nacque in Roma nel 1582. Conseguita la laurea, vestì l’abito ecclesiastico. Divenne ben presto referendario doli’una e dell’altra segnatura, fu della congregazione del Buon Governo, e da Gregorio XV mandato per due anni vicelegato a Viterbo, o da Ur¬ bano Vili a Ferrara nel 1626. Croato nel 1628 arcivescovo di Patrasso, fu inviato prima nunzio in Isvizzera, poi all’impera¬ tore Ferdiuando li, presso il quale rimase cinque anni. Nel 1629 Urbano Vili lo ascrisse al collegio dei cardinali, ma lo pubblicò sol¬ tanto il 28 novembre 1633, e volle che anche dopo decorat o della porpora continuasse per altri diciotto mesi nella nunziatura. Di ri¬ torno da Vienna, sostenne per due anni la le¬ gazione di Ferrara. Morì in Roma il 25 set¬ tembre 1651. Rocco Antonio, di Fabio, medico o filo¬ sofo di gran fama, nacque nel 1586 a Scur- eula (Aquila). Ebbe i primi rudimenti della filosofia nel Collegio romano, di dove passò all’università di Perugia, e compì i suoi studi a Padova udendovi il Cremonino. l.esse poi privatamente filosofia in Venezia, ed anello nel monastero di San Giorgio Maggiore dei monaci Benedettini, c noi 1636 fu condotto alla pubblica lettura di retorica che si te¬ neva in Venezia; nel quale ufficio fu con¬ fermato fino alla morte, avvenuta nel mar¬ zo 1652. Roohkfouoaiilt (della) Francesco. Della famiglia d’Albret, discendente dai re di Na- vnrra, nacque iu Parigi l’S dicembre 1558 di madre italiana, Fulvia Pico della Miran¬ dola. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu creato vescovo di Olermont nel 1585, e ad istanza di Enrico IV fu da Paolo V pro¬ mosso alla porpora col titolo di S. Calisto il 10 dicembre 1607. Venne a Roma nel 1609 e vi rimase quattro anni, incaricato degli affari (li Francia, con la S. Sede cd ascritto a parecchio congregazioni, tra cui quella del S. Uffizio. Tornato in Francia, molto s’ado¬ però nell’ assemblea del clero francese del 524 INDICE BIOGRAFICO. luglio 1615 tenuta a Pari-ri, perchè si pie¬ gasse ad accettare le conclusioni del con¬ cilio di Trento. Nel 1628 fu da Luigi XIII (.reato grande elemosiniere di Francia. Morì a Parigi il 14 febbraio 1645. Rodolfo II. Figlio di Massimiliano II o di Maria figlia di Carlo V, nacque il 18 lu¬ glio 1552 in Vienna. Fu educato alla corto di Madrid, presso la quale rimase dal 1564 al 1570 sotto la direzione dei Gesuiti, dai quali imbevve quell’odio contro il protestan¬ tesimo elio doveva fare del suo regno il pre¬ ludio della guerra dei trent’anni. Succedette al padre il 12 ottobre 1576, e fissò la sua residenza a Praga, dandosi con ardore agli studi di astrologia e di alchimia, lasciando clic alla sua corte si mescolassero i grandi scienziati come Tioona Brahe od il Keplero con i ciurmadori d’infima lega. Ebbe con¬ tinuamente a lottare eoi fratello Mattia, clic lo venne spogliando ili tutti i suoi domini. La morte, avvenuta il 20 gennaio 1612, gl’impedì di perdere anche la corona im¬ perialo. Roffrni Gio. Antonio. Nacque in Bolo¬ gna intorno al 1580. Seguì gli studi in pa- tria, e riportò la laurea in filosofìa il 10 mag- ! gio 1607 cd in medicina il 25 aprilo 1622; fu ascritto al collegio filosofico il 5 settem¬ bre 1014 od a quello medico il 30 giugno 1622. Benché egli non figuri nei rotoli del pubblico Studio, troviamo generalmente af¬ fermato ch’egli vi fu lcttoro di filosofia. Mancò ai vivi il 7 dicembre 1613. Roma Giulio. Nacque in Milano di Paolo e di Caterina Coirà, il 16 settembre 1584. Fu educato prima nelle scuole dei Gesuiti, quindi nel collegio Borromeo di Pavia, o finalmente nell’uni ver. itti «li Perugia. Reca¬ tosi a Roma, si acquistò il favore di Paolo V che lo indusse ad enti-are in prelatura, lo nominò referendario, e lo prepose poi a vari governi delle provinole; e nella creazione dell’il gennaio 1621 lo promosse alla por¬ pora. Da Gregorio XV ebbe il titolo di 8. Maria sopra Minerva, da Urbano Vili il vescovato di Tivoli che poi mutò con altro, BÌnchò morì vescovo di Ostia e decano del Sacro Collegio il 16 settembre 1652. Roncò Antonio. Nacque di Annibale in Bologna. Applicò fino da giovanetto agli studi matematici, o fu scolaro prediletto di Gio. Antonio Magini al cui testamento fu presente, e di lui si logge in tale docu¬ mento: « R. P. frate Antonio quondam Mag. c > Dom. 1 Annihah* de Ronco, sacerdote et pro¬ fesso in Mona*!orio Sanctae Marino de Ca- ritate do Bononia». Diede poi alla luce un lavoro lasciato inedito dal suo maestro; o nella pubblicazione fattane nel 1619 leg¬ giamo: «Opus hoc Directionum Primi Mo¬ bilia Excellentifisimi D. Ioannis Antonii Ma¬ gini omnibus numcris abaolutum tibi damus, nani si quid ipse oh mortem impolitum re- liquit, id omno «ingularis diligenza R. P.F. Antonii l’onchò Bouon. Mathe mutici ac eius diacipuli perpolitum reddidit. >. A lui Fabio di Gio. Antonio Magini dedicò la tavola dell' Italia di suo padre, contenente l’isola d’Elba. Ronconi Giovanni, di Alessandro daMo- digliana nacque nel 1594. Fu medico al ser¬ vizio della corte granducale o trovasi fra gli stipendiati nei ruoli della Depositeria del 1626. Per grazia del granduca fu mosso a gravezza per la città PII luglio 1628, e nel 1631 ebbe conformato il titolo di conte conferitogli daH’iinperutoro. Morì 1’ 11 set¬ tembre 1643. RoNDIHELLI Francesco. Nacque in Fi¬ renze di Raffaello di Matteo e di Ortensia d’Antonio Rondinelli il 4 ottobre 1589. Se¬ guì gli studi, prima nelle scuole della Com¬ pagnia di Gesù quindi a Pisa. Da Ferdinan¬ do li fu eletto a suo bibliotecario nel 1635, cd adoperato nelle occasioni di solennità per suggerire ornati, elogi, inscrizioni, motti, nella qual materia ora reputato valentissimo. Curò l’educazione della principessa Vittoria della Rovere, la quale, divenuta granduches¬ sa di Toscana, lo elesse a suo elemosiniere come lo fu del principe cardinale Leopoldo de’ Medici che servì fino alla morte, avve¬ nuta il 29 gennaio 1665. Scrisse la « Rela¬ zione del contagio stato in Firenze l’anno 1630 e 1633 > pubblicata in Firenze nel 1634. Iìondinrlli Vincenzio, di Noferi, nipote di sorella d’Alessandro Marzimedici arci- INDICE BIOGRAFICO. 525 vescovo (li Firenze. Fu prima piovano di S. Martino a Brezzi e teologo penitenziere, poi canonico della metropolitana fiorentina nel 1012. Morì il 25 aprile 1631. Roomen (van) Adriano. Nacque a Lova- nio il 29 settembre 1561. Successivamonte professore nella patria università, poi a Wiirzburg, a Zainoak, morì in Magonza il 4 maggio 1615. Fu uno dei più prodigiosi calcolatori, non soltanto del suo secolo, ma di tutti i tempi: a lui ò dovuta la prima de¬ terminazione del rapporto della circonfe¬ renza al diametro con sedici doeiniali esatti : lo sue relazioni col Vieta, a proposito d’ima equazione di grado 45° e del problema dei contatti delle circonferenzo proposto da Apol¬ lonio, sono celebri, e si trovano riferite da tutti gli storici delle matematiche. Rosaocio Giuskite. Nacque di Leonardo a Pordenone verso il 1530. Attese in Pa¬ dova agli studi di filosofia o di medicina, e ottenne la laurea. Esercitò a lungo Parte medica a Tricesimo, dove, essendo egli an¬ che assai colto in giurisprudenza, tenne pure l’ufficio di vicegastaldo negli anni 1561 o 1575. Nei lunghi ozi della sua professione si occupò di storia, di geografia, di meteo¬ rologia c di astrologia, e in tali materie com¬ pose o pubblicò parecchie opere dedicandole a principi e ad illustri personaggi. Alla menzione ironica, che di lui si leggo nel Carteggio, corrisponde un giocoso componi¬ mento di G. B. Fagioli « Avvertimenti del¬ l’astrologo llosaccio po’ malvestiti in tempo d’ inverno », dov’ è descritto riconoscibile «alla chioma canuta, alle ciglie incomposte, alla gran barba irsuta ». Morì, quasi nona¬ genario, poco dopo il 1618. Rosati Girolamo. Non potremmo affer¬ mare se qnosti, che si firma « Protonotario Apostolico a Consultore del S. t0 Officio» in Firenze, sia lo stesso del quale il Viviani, a proposito della dispersione sofferta dei ma¬ noscritti di Galileo dopo la sua morte, an¬ nota : « Del P. Rosati che stracciò molto, e molto si portò a casa, e tra altre cose i libri de gli oppositori postillati, l’originai mano¬ scritto del Dialogo proibito ». Rosato Antonio. Venne eletto bidello generale della università degli Artisti nello Studio di Padova nel 1576, o tenne l’ufficio tino al 1620. Alcune sue memorie storielle, concernenti la città e lo Studio di Padova, si conservano inedito nell’archivio universi¬ tario antico. Rospigliost Giulio, di Girolamo e di Ca¬ terina Rospigliosi, patrizi pistoiesi, nacque il 27 gennaio 1600. Fu educato nel Collegio romano, presso il quale seguì gli studi di umanità e retorica, recandosi poi allo Stu¬ dio di Pisa dove si laureò in ambo le leggi. Tornato a Roma, fu accolto alla corte del card. Antonio Barberini, e ben presto nomi¬ nato referendario dell’una e dell’altra segna¬ tura, segretario della congregazione dei riti, canonico o vicario della Basilica Liberiana, e finalmente arcivescovo di Tarso e con que¬ sto titolo mandato nunzio in Ispagna. Di ritorno dalla nunziatura, alla morte d’Inno¬ cenzo X, fu eletto governatore di Roma; ed Alessandro VII, appena esaltato al soglio pontifìcio, lo volle segretario di Stato, e duo anni dopo nella prima creazione di cardi¬ nali del 9 aprile 1657, lo decorò della por¬ pora. E ad Alessandro VII succedette sulla cattedra di S. Pietro il 21 giugno 1667 col nome di Clemente IX. Rossi (de’) Bastiano. Uno dei fondatori dell’Accademia della Crusca: ne fu segreta¬ rio, o come tale ne tenne il diario ; e a lui fu affidata la cura della stampa del primo vocabolario, fatta in Venezia nel 1612, e no- vamente nel 1623. Egli e Lionardo Salviati, l’Inferigno e l’Infarinato, travagliarono il poema del Tasso d’ acerbe censuro, la cui mala fama rimase poi non giustamente al¬ l’intera Accademia. Curò anche edizioni d’an¬ tichi testi. Non sappiamo le date della na¬ scita e della morte. Rossi (do’) Ferrante. Pi nobile famiglia parmense, nacque di Giulio. Abbracciò la carriera militare, ed entrò nel 1602 al ser¬ vizio della Repubblica Veneta. Morì a Bre¬ scia nel 1618. Rossi Giovanni Vittorio (Janus Nicius Erythracus] nacque a Roma nel 1577. Stu- 526 INDICE BIOGRAFICO. diò nello scuole dei Gesuiti. Nel 1602 fu ascritto all’Accademia degli Umoristi, nella quale pronunziò varie orazioni. Dopo non podio traversie entrò al servizio del card. Fo¬ retti, ed ottenne un modesto ufficio che gli permise di attendere a’suoi studi favoriti. Più che per altro è noto per la « Pinaco- theca itnaginura illustriura virorum qui au- otore superstite diem saum obierunt », con la quale avrebbe potuto rendere grandissimi servigi alla Btoria letteraria, se si fosse con¬ tentato di somministrare delle notizie posi¬ tive e soprattutto delle date, lasciando lo lodi ed i biasimi, non sempre giustamente e in forme ampollose distribuiti. Morì in Roma il 13 novembre 1647. Rossi Girolamo. Nacque di nobile ed an¬ tica famiglia ravennate il 15 luglio 1539. D’in¬ gegno straordinariamente precoce, ricevette la prima educazione a Roma, e si laureò in medicina e lilosolia nel 1561 a Padova, dove divenno intimo del Piselli. Si reso beneme¬ rito degli studi storici, con gli « Historiarnm Ravonnatum libri X ab eius fundatione >; o dogli studi medici, con varie pubblioazioni dello quali la « De distillatione * più volte data alle stampe. Morì in Ravenna il 22 aprile 1607. * Ròssmn Eliseo. Nacque nel 1544 a Plei- ningen presso Stuttgart. Dopo aver segniti gli studi in patria ed a Tubinga ed essersi qui laureato m medicina, attese allo studio deU’astronomia o dell'alchimia con la guida di Samuele Eisenmenger, e divenne medico personale del principe palatino Giovanni, presso il quale rimase in tale ufficio fino alla morto di lui avvenuta nel 1592. Nel 1572 aveva giù istituito osservazioni sulla nuova stella; ma poi si volso interamente agli studi di cronologia, e impugnò il Keplero in pro¬ posito delPanno della nascita di Cristo. Morì nell’autunno del 1616. Rosso [RossoriNo] Andrea. Nacque in Venezia il 9 dicembre 1593 di Zaccaria e di Chiaretta Gatto, e fu provato cittadino ori¬ ginario PII dicembre 1610. Fu nominato straordinario della cancelleria ducalo il 19 novembre 1612, e ordinario di rispetto il IO dicembre 1627. Come tuie fu mandato nel 1627 segretario alPambascialfme in Savoia Francesco Cornaro. Tornando dalla sua re¬ sidenza nel 1629 a Venezia, per poi andare a Roma con l’ambasciatoro Giovanni Pesaro fu fatto prigioniero dai soldati tedeschi é liberato per le premure fatte dalla Repub¬ blica presso il governatore di Milano. 11 13 settembre 1631 fu incaricato di scrivere gli atti segreti della cancelleria, e nel 1633 ebbe la de«tinaziono di residente in Isviz- zera. Nel 1640 fu residente a Mantova; nel 1642 accompagnò a Mùnster, come segreta¬ rio, P ambasciatore Alvise Contarmi; il 6 febbraio 1636 fu eletto segretario dell’am¬ basciatore straordinario a Poma Pietro Fo- soariui. I.o stesso anno venne inviato re¬ sidente a Napoli, dove rimase lino al 1650 e vi tornò negli anni 1653 e 1654. Rosst (de). Amministratore dolio poste di Lione, intermediario dello corrispondenze del Peireec; non sappiamo Viene se della stessa famiglia ili Gio. Battista od Egidio Rosai, maestri delle posto a Civitavecchia e dei quali si servivano il Peirosc c l’Iiolsto. Rovere (della) Francesco Maria. Duca di Urbino, nacque il 20 febbraio 1549 e fu educato alla corte di Madrid insieme con Don Carlos, l’infelice figlio di Filippo II. Sposò in prime nozze il 9 gennaio 1571 Lu¬ crezia di Ercole d’ Este, l’amica del Tnsso; e rimastone vedovo, condusse in moglie il 26 aprile 1599 Livia d’Ippolito della Ro¬ vere. Morì il 28 aprile 1631. Rovere (della) Vittoria. Nacque di Fe¬ derico Ubaldo della Rovere o di Claudia di Ferdinando I do' Medici il 16 febbraio 1622, e l’unno appresso fu subito fidanzata al gran¬ duca Ferdinando li ohe sposò nel 1634. Morì in Pisa il 6 marzo 1695. Rubens Pietro Paolo. 11 grande pittore olandese, nato in Siegen il 28 giugno 1577, morto in Anversa il 30 maggio 1640. Rnoo ieri RnoaiK.RO. Non solo era mae¬ stro delle poste del granduca di Toscana, e tale ufficio, a quanto sembra, esercitò per molti anni, poiché si trova ricordato come tale nel 1588 e nel 1616; ma risedendo parte INDICE BIOGRAFICO. 527 dol tempo a Roma, di 1:\ mandava informa¬ zioni ed avvisi alla corto a Firenze. Ruschi Giovanni di Domenico. Rettore di anatomia o di chirurgia nello Studio di Pisa dal 1576; ebbe più tardi anche la let¬ tura di medicina pratica, fino alla morte av¬ venuta il 30 agosto 1616. Ruschi Giovanni Battista. Notato corno lettore di anatomia nello Studio di Pisa dal 1633 al 1649. Ruschi Pietro di Domenico. Lettore di anatomia e di chirurgia nello Studio di Pisa; dal 1620 fino alla morte seguita il 25 giu¬ gno 1625. Bardati ni Cesare, di Matteo di Sabba- tino. Vestì l’abito di S. Stefano il 2 settem¬ bre 1590; noi 1625 e nel 1641, cano priore del magistrato di Fabriano. Sabdàtini Matteo, di Sabbatino di Mat¬ teo di Sabbatino. Fu paggio del granduca Cosimo II di Toscana; poi cavaliere dell’Or¬ dino di S. Stefano. Sacchetti Giulio, di Giovanni Battista o di Francesca Alto viti, nacque in Roma il 18 dicembre 1587. Compiuti gli studi di umanità e retorica iu Perugia, si laureò in ambe le leggi a Pisa, tornò a Roma, ab¬ bracciò lo stato ecclesiastico, ed entrò in prelatura nel 1615. Ascritto da papa Paolo V tra i referendari dell’ una e dell’ altra se¬ gnatura, fu da Gregorio XV mandato con ufficio di prolegato a Bologna. Urbano Vili lo richiamò a Roma nel 1623, e lo mandò nunzio in Ispagna con titolo di vescovo di Gravina nelle Puglie; nella terza creazione di cardinali del 19 gennaio 1626 lo promosse alla porpora, assegnandogli il titolo di S. Su¬ sanna. Ritornato dalla sua missione, fu in¬ vestito dell’arcivescovado di Fano nel 1626, mandato prima legato a latere a Ferrara, poi nel 1637 col medesimo ufficio a Bologna Tre anni dopo fu richiamato in curia, e diede l’opera sua nelle congregazioni. Morì in Roma il 28 giugno 1663. Sacchetti Marcello. Fratello di Giulio, nacque in Roma nel 1586. Pittore, poeta e gran signore, percorse in un lungo viaggio tutta P Europa, incontrando relazioni con principi e cospicui personaggi. Al suo ritorno in patria, attese all’ azienda domestica ed intraprese la costruzione di ville grandiose (die fece decorare dal pittore Pietro Berrettini da Cortona. Godè della estimazione di papa Urbano Vili, che lo elesse depositario (lolla camera apostolica o di lui si valse sempre in pubblica amministrazione ; ebbe anche strette relazioni con l’arciduca Leopoldo d’Austria. Morì iu Napoli, dove s’era recato per rimettersi da gravo malattia. Sacchetti Matteo, fratello di Giulio o di Marcello. Di lui troviamo soltanto, aver atteso a compiere alcuno grandiose opere architettoniche ed artistiche che da quest’ul¬ timo erano state intraprese e per la soprav¬ venuta morte lasciate a mezzo. Sacchetti Niccolò. Nobile fiorentino o cavaliere di S. Stefano, fu ambasciatore per il granduca di Toscana, prima alla Repub¬ blica Veneta poi alla corte imperiale, e nel 1634 eletto vescovo di Volterra. Morì nel 1650. Sacchetti Vincenzo, di Raffaello di Mat¬ teo Sacchetti, nacque l’ll aprile 1596. Fu gentiluomo di camera del granduca Fer¬ dinando II: inviato a Milano; vicario di Poscia; commissario in Cortona, in Arezzo, iu Pistoia, in Pisa; senatore noi 1653. Morì il 25 gennaio 1670. Sacrati Francesco, di Tommaso, nobile ferrarese, nacque nel 1570 in Ferrara. Com¬ piuti gli studi legali, ottenne in Roma l’au- ditorato di Rota che esercitò per ben ven- tisci anni, acquistandosi in particolare il favore del card. Alessandro Ludovisi ; elio, divenuto papa Gregorio XV, promosse lui stesso alla porpora nella seconda creazione di cardinali dei 19 aprilo 1621, col titolo di S. Matteo in Merulana. Morì il 6 settem¬ bre 1623. Saetta Alvise. Nato in Venezia intorno all’anno 1545, ed assunto ai servigi della Re¬ pubblica « nodaro straordinario per andar come secretano col provveditore all’armata » nel 1570, promosso ordinario di cancelleria 528 INDICE BIOGRAFICO. noi 1575, eletto segretario ilei senato nel 1587, ebbe anche l’ufficio (li continuare gli « annali ». Nel 1617 trovasi ancora firmato come segretario nei decreti del sonato. Saorkdo Alvirk, ili Zaccaria e di Paolina Foscari, nacque in Venezia il 17 novembre 1616. Nel 1G55 fu mandato ambasciatore alla corte di Torino, nel 1662 a quella di Parigi: al suo ritorno fu eletto nel 1671 sopra l’af¬ francazione della zecca, nel 1673 podestà di Padova, nel 1678 bailo a Costantinopoli; e prima della partenza fatto patriarca di Ve¬ nezia. Morì il 12 settembre 1688. Saorkdo Bkrnardo,(1ì Zaccaria e di Pao¬ lina Foscari, nacque in Venezia il 19 gou- naio 1611. Capitano dei cavalli croati ed al¬ banesi contro i Turchi nella guerra di Candia, rimase ucciso d’una cannonata sul campo di battaglia nel 1615. Sagredo Giovanfranorsoo, di Niccolò o di Cecilia Tiepolo, nacque in Venezia il 19 giugno 1571. Tesoriere a Palma dal 1605 al 1607, console iu Sona dal 1608 al 1611, uno dei cinque savi sopra la mercanzia nel 1615, e di Pregadi. Dai documenti elio provano la sua partecipazione alla vita pubblica in fuori, nuli’altro si sa di lui, se non quello che risulta dallo sue relazioni con Galileo del quale fu il piii caro amico. Come comple¬ mento delle notizie elio si Inumo ila quella fonte, aggiungeremo soltanto che egli morì il 5 marzo 1620, e elio il ritratto elio di sé aveva mandato a Galileo figurò nell'eredità di questo; che ricuperato con altri cimeli galileiani da Vincenzio Viviani, passò alla morto di lui nelle mani dell* erede Iacopo Panzanini suo nipote di sorella, e da que¬ sto ai nipoti Carlo e Angolo Panzanini. Dai fratelli Panzanini n’ebbe copia Marco Fo- scarini; ma questa e l’originale pure anda¬ rono miseramente perduti. Sagrkdo Gio. Francesco, di Zaccaria e di Paolina Foscari, nacque ìli Venezia il 20 novembre 1610. Fu sonatore o nel 1(565 con¬ sigliere. Morì il 5 giugno 1681. Saorkdo Marco, di Zaccaria e di Paolina Foscari, nacque in Venezia il 19 dicembre 1615; morì il 28 febbraio 1G86. Saorkdo Niccolò, di Bernardo e di Ca¬ milla Michiel, nacque in Venezia il 3 maggio 1548. Nel 1605 fu spedito provveditore in Candia, poi generale a Palma, o il 23 ago¬ sto 1(511 croato Procuratore di 8. Marco. Nel 1613 fu eletto Riformatore dello Studio di Padova. Morì nel gennaio 1615. Saorkdo Niccoi.ò, di Zaccaria c di Pao¬ lina Foscari, nacque in Venezia il 18 dicem¬ bre 1606. Fu prima savio agli Ordini e di terraferma, ambasciatore al re di Spagna e nel 1650 all’imperatore Ferdinando, poi nel 1(552 al papa. Il 18 giugno 1655 fu creato Procuratore di S. Marco; nel 1657 mandato ambasciatore all’imperatore Leopoldo, nel 1(559 ritornò ambasciatore a Vienna e a Ro¬ ma per impetrare aiuto contro i Turchi. Nel 1662, 1663 e 1(571 Riformatore dello Studio di Padova. Nel 1(5(57 ambasciatore d’obbe¬ dienza a Clemente IX, e nel 1670 a Ole- mente X. E finalmente nel 1673 fu eletto doge. Mancò ai vivi il 14 agosto 1676. Saorkdo Paolo, di Niccolò e di Cecilia Tiepolo, nato in Venezia il 4 luglio 1567. Fu del collegio dei XII, auditore della camera degli imprestiti, dei X savii o di Pregadi. Morì nel febbraio 1611. Saorkdo Paolo, di Zaccaria o di Paolina Foscari, nacque in Venezia PII giugno 1609. Governatore di nave nella guerra di Candia, morì di mal’ aria nel 1646. Saorkdo Stefano, di Zaccaria e di Pao¬ lina Foscari, nacque in Venezia il 17 mar¬ zo 1620, contrasse nel 1648 matrimonio con Vienna Fosearini, morì il 28 dicembre 1685. Saorkdo Zacoaria, di Niccolò e di Ceci¬ lia Tiepolo, giacque in Venezia P8agosto 1572. Nel 1(503 condusse in moglie Paolina Foscari : fu podestà a Verona nel 1616, nel 1623 ca¬ pitano di Padova, il 13 settembre 1625 creato Procuratore di S. Marco, nel 1627 Rifor¬ matore dello Studio di Padova. Noi 1(528 fu scelto come uno dei cinque correttori per la riforma del Consiglio doi Dieci, e l’anno stesso fatto provveditore generale in terra¬ ferma per la guerra di Mantova e passato al comando dell’esercito; ma incolpato poi INDICE BIOGRAFICO. 529 di cattiva direzione, fu richiamato a Vene¬ zia e privato della porpora procuratori a- Pare però che abbia potuto giustificarsi, perchè nel 1635 fu richiamato agli uffici pub¬ blici e mandato capitano a Padova. Morì cieco PII gennaio 1617. Saint-Amant (de) GIórard Maro’Anto¬ nio. Nacque a Rouen sul finire del 1594. Fu scudiere del re di Francia, gentiluomo ordi¬ nario della regina di Polonia, uno dei primi membri dell’ Accademia francese (1634), po¬ liglotta, musicista, poeta epico e burlesco. Nel 1633 si trovava in Italia al seguito del maresciallo Carlo deOrequy, governatore del Dell'alato, mandato dal cardinale di Riche- lieu a Roma per invocare da Urbano Vili P annullamento del matrimonio di Gastone d’Orléans, fratello del re, con Margherita di Lorena; e ritornò in Francia, passando per Venezia nel 1634. Fu novaraente in Italia nel 1639-1640, o nel 1641 col conte d’ Har- court comandante dell’esercito d’Italia. Morì a Parigi il 29 dicembre 1661. Saint-I,uo (de) d’Espinay. Intorno a que¬ sto tempo abbiamo rinvenuti due abbati di questo nomo. L’uno, Artus, abbate di Saint- Sauveur de Redoli in Brettagna, commen¬ datore dell’Ordine dello Spirito Santo, eletto vescovo di Marsiglia e morto prima di essere consacrato. Era figlio di Francesco, gran maestro dell’artiglieria di Francia, c di Gio¬ vanna de Cosse. L’altro, che noi crediamo sia il nostro, aveva nome Luigi, era tìglio di Tiraoleone maresciallo di Francia e di En- richetta de Bassompierre: abbate di Char- trices nella Sciampagna; eletto all’arcive¬ scovado di Bordeaux, ma non consacrato- morto nel 1644. Saint-Vincent (de) Gregorio. Nacque a Bruges l’8 settembre 1584.11 21 ottobre 1605 entrò nella Compagnia di Gesù a Roma, dove attese agli studi matematici sotto la guida del Clavio. Poco dopo la morte di questo, si recò a Lovanio per seguirvi il corso di teologia che compì alla fine del 1613. Il 23 dicembre di questo medesimo anno fu chiamato alla lettura di greco nel Collegio di Bruxelles; l’anno successivo, sorvegliante al Collegio di Bois-le-Duc; nel 1615 a Cour- Vol. XX. trai; nel 1616-1617 nella casa professa di Anversa, e dal 1618 al 1620 professore di matematica nel collegio di questa città. Era stato ordinato prete il 23 marzo 1613, c professò i voti il 3 marzo 1623. Dal 1621 al 1624 fu professore di matematiche a Lo¬ vanio: poi, mandato a Roma il 27 settem¬ bre 1625 per lo stesso insegnamento e altresì per approfittare delle lezioni del Grienbor- ger, vi rimase fino alla fine del 1627. Nel 1628 è novamenLe nel Belgio ; poco dopo venne mandato a Praga, dove rimase fino al 1631. Ma già nel 1628 era stato colpito da un primo attacco d’apoplessia, e nel 1631 perdette la maggior parte de’ suoi mano¬ scritti nell’incendio che accompagnò la prosa della città da parte degli Svedesi. Dal 1632 al 1667 fu addotto al Collegio di Gami, di dove si recava di frequente in Anversa per attendervi alla correzione delle stampe del suo ponderoso « Problema Austriacurn ». Colpito da un nuovo attacco di apoplessia, mancò ai vivi il 27 gennaio 1667. Sali Piero, di Giuliano di Piero, nacque in Firenze il 23 marzo 1555. 1 suoi beni passano nel 1629 nel figlio Cesare, stante la morte di lui « seguita più tempo fa ». Salignao (di) Luigi. Nacque di Armando e di Giuditta di Baynac e nel 1602 fu eletto a succedere nella sede vescovile di Sarlat a suo zio, che si chiamava esso pure Luigi. Prese possesso della sede il 6 aprilo 160-4. Morì il 22 maggio 1639. Salm (di) Conte. Si tratta forse del conte Ottone Filippo, che abiurò il protestante¬ simo, e nel 1623 fu elevato al grado di prin¬ cipe dell’impero. Saluzzo Gio. Battista, di Giovanni Bat¬ tista e di Margherita Giustiniani, nacque in Genova nel 1579. Educato presso i Gesuiti, prima a Milano e poi a Roma, compì gli studi di giurisprudenza in Bologna od in Pisa. Fu noi corso della sua vita così fre¬ quentemente adoperato in ambascerie e ne¬ goziati, da meritare d’esser chiamato « per¬ petuila Beipublicae Legatus ». Mancò ai vivi il giorno di Pasqua del 1642. 01 530 INDICE BIOGRAFICO. Sàlvadom Andrea. Fu ni suoi tempi ce¬ lebratissimo e come poeta o come attore melodrammatico. Una buu favola in munii» recitativa, « Flora * ovvero « Il Natole dei fiori », fu dota in occasione dello nozze di Margherita de* Medici con Odoardo Farnese. Di lui abbiamo trovato, che « magno om¬ nium poeticae facultatie studiosorum liomi- num dolore, adirne fiorenti aetate, in sua pa¬ tria, immatura morte decossit ». Salvauo Gio. Battista. Genovese, fu eletto vescovo di Sarzana nel 1590: mancò ai vivi nel 1631. Sai.viati Filippo. Nacque in Firenze di Averardo il IV) gennaio 15H2. Si afferma che fu scolaro in Padova ili Galileo, col quale visse poi in affettuosa intimità. Nel 1612 fu ascritto aH’Accademia dei Lincei, o firmò di sua mano il catalogo originale degli acca¬ demici il dì 21 settembre di questo medesimo anno. Indispettito per aver dovuto cedere in una questione di precedenza con Berimr- detto do’Medici, nipote di Leone XI, intra¬ prese un viaggio in lspagna, c a Barcellona fu colto dalla morte il 22 marzo 1614. Nic¬ colò Arrighetti ne scrisse e recitò l’elogio neH’Aceademia della Crusca, alla quale pure aveva appartenuto. Sai.viati Iacopo, di Lorenzo. Ebbe il ti¬ tolo di duca di Giuliano, e nel 1628 bì con¬ giunse in nozze infauste a Veronica Cybo dei duchi di Massa. Morì in Roma il 6 apri¬ le 1672. Salvjati Leonardo, di Giovanni Battista di Leonardo e di Ginevra di Carlo d’Anto¬ nio Corbinelli, nacque in Firenze nel 1538. Preso la croce di S. Stefano nel 1563. Ap¬ partenne all’Accademia fiorentina dolla quale fu consolo nel 1566, e a quella della Cru¬ sca, nella quale entrò il primo poco dopo i cinque fondatori, e vi rese celebro il nome di « Infarinato », come Bastiano de’ Rossi quello d 1 « lnferrigno », anche per lo malau¬ gurate controversie sul poema del Tasso Morì il 12 luglio 1589. Molto fecondo scrit¬ tore, il cui nome rosta principalmente legato agli < Avvertimenti della lingua sopra il Do- cameroue ». Sai.viati Tommaso. Nacque di Lorenzo 0 di Laura do’ Medici in Firenze negli ul¬ timi anni del secolo XVI. Laureatosi nelle leggi a Pisa nel 1622, si trasferì a Roma e si allogò presso il card. Francesco Barbe¬ rini. Fu inviato con missione diplomatica in Francia, 0 accompagnò nel 1026 il car¬ dinale in lspagna. Lasciata la carriera di¬ plomatica, fu prima canonico di S. Celso 0 arciprete di 8. Eustachio, promosso poi il 21 agosto 163 f alla Bode vescovile di Colle, e da questa trasferito a quella d’Arezzo il 1 ■ marzo 1038, dove morì il 15 ottobre 1671. vSai.viati Vincenzio, d’Antonio di Fi¬ lippo, nacque 1’ 11 maggio 1583. Marchese di Moni ieri e Boccheggiano: ambasciatore straordinario in Inghilterra, in Savoia, agli Svizzeri, nella Lorena, in Colonia, in Ba¬ viera, a Bruxelles, a Roma. Senatore nel 1622: consigliere di Stato e maggiordomo del gran¬ duca Cosimo li. Morì il 20 novembre 1654. Sai.viati (ìuauauni Ortensia, di Fran¬ cesco o di Lucrezia di Gino di Neri Cap¬ poni, nacque in Firenze intorno al 1585. Fu maritata nel 1602 a Filippo di Averardo Salviati. del quale restò vedova nel 1614. F 11 eletta noi 1634 cameriera maggiore di Vittoria dolla ltovore, granduchessa di To¬ scana; 0 i suoi servigi furono così accetti ai principi, elio, con esempio unico nella sto¬ ria del granducato, fu, benché donna, in¬ vestita del marchesato di S. l.eolino del Conte con di piuma del 2l luglio 1645. Morì il 12 aprile 1659. Sanpki.IjI Martino. Nacque in Padova intorno al 1560. Abbracciato lo stato ecclesia¬ stico, fu nel 1607 eletto curato di 8. Mar- , tino; la quale modesta condizione non gli im¬ pedì di essere tra i fondatori c i più cospicui membri dell*Accademia dei Ricovrati e di vivere nell’ intimità di molti letterati, sti¬ mato per la sua grandissima erudizione 0 soprattutto per la profonda conoscenza della lingua latina. Morì nella pestilenza del 1631. Sandoyal (di) Francesco, duca di Berma. Nacque di Francesco, marchese di Denia 0 conto di Berma nel 1552. È il celebre mi¬ nistro di Filippo 111 di Spagna, così poco INDICE BIOGRAFICO. 531 fortunato nello sue imprese guerresche e coi suoi negoziati diplomatici, e che con la cac¬ ciata dei Mori contribuì alla decadenza an¬ che economica dello Stato. Sperando di so¬ praffare i suoi nemici, ottenne da Paolo V noi 1618 la porpora cardinalizia, la quale poi fu una delle cause della sua caduta: il 28 ot¬ tobre di quel medesimo anno ricevette l’or¬ dino d’abhaudonaro la corte. Salito sul trono Filippo IV, fu posto sotto processo, con¬ dannato a vergognose restituzioni, e inori nel 1623. Sanleot.ino. Senza poter affermare che si tratti della persona ricordata nel Carteg¬ gio galileiano, vogliamo almeno notare che nella seconda metìi del secolo XVI visse in Firenze un Francesco Sauleolini, pro¬ satore e poeta, il quale nel 151)7 recitò all’Aecadomia della Crusca una orazione in lode di Pietro degli Angeli da Barga; e che dal 1598 fino alla morto, avvenuta noi 1600, occupò la cattedra di matematica nello Stu¬ dio di risa, e por qualche tempo vi lesso anche umanità. Santacroce Antonio, di Marcello e di Porzia del Drago, nacque in Roma nel 1598. Educato nel Collegio romano della Com¬ pagnia di Gesù, seguì gli studi legali nella Sapienza di Roma, e conseguitano la laurea entrò in prelatura. Da Gregorio XV fu dap¬ prima eletto protouotario apostolico, poi re¬ ferendario dell’una e dell’altra segnatura e vicelegato a Viterbo. Urbano Vili lo mandò ad accompagnare come protouotario il card. Francesco Barberini nella sua legazione in Francia ; poi nunzio in Polonia col titolo di arcivescovo di Solcucia. Nella quinta crea¬ zione di cardinali, avvenuta il 19 novem¬ bre 1629, fu promosso alla porpora col titolo dei SS. Noreo ed Achilleo. Sostenne ancora la legazione di Bologna, nella quale acqui¬ stò verso quella cittadinanza straordinarie benemerenze in occasione della posto; e ri¬ tornato a Roma fu ascritto alle congrega¬ zioni dei vescovi e regolari, di Propaganda fede e della Sacra Consulta. Morì in Roma iL 25 novembre 1641. Santi Cirino, di Sigismondo, di nobile famiglia senese, vestì l’abito benedettino nel monastero di S. Eugenio di Siena il 25 lu¬ glio 1620, seguì gli studi di teologia in Pe¬ rugia e ne fu poi lettore in vari conventi dell’Ordine, finché nel 1629 fu chiamato alla cattedra di Sacra Scrittura nello Studio di Pisa e la occupò fino al 1677 : nel quale anno spontaneamente si ritirò dall’insegnamento, e rinunziò alle dignità di cui era stato inve¬ stito por prepararsi alla morte elio lo colpì nel 1679. Santi Leone. Nacque a Siena nel 1585. Ammesso nella Compagnia di Gesù il !7 di¬ cembre 1601, insegnò nel Collegio romano la grammatica, fu prefetto degli studi nel Collegio germanico, ed insegnò per sei anni la filosofia, per dodici le matematiche e per undici la teologia dogmatica. Morì nel feb¬ braio 1651 o 1652. Santini Aoostino, di Paolino e di Maria di Guglielmo Balbani, nacque in Lucca noi 1572. Fu tra i Gonfalonieri della sua patria nel 1651, nel 1656, nel 1663. Morì nel 1665, o fu sepolto in S. Piercigoli il 19 maggio. Santini Antonio,. di Tizio e di Chiara Burlnmacchi, nacque in Lucca o fu battez¬ zato in S. Giovanni il 3 novembre 1577. Per circa sei anni, dal 1603 al 1609, fu a Vene¬ zia « al governo della ragione delli signori Franciosi e Guinigi »; poi, abbandonata la mercatura, vestì l’abito ecclesiastico ed entrò nel 1630 nella Congregazione dei Chierici Regolari della Madre di Dio, dalla quale poi passò alla Congregazione Somasca. Ebbe ami¬ cizie, oltre che con Galileo, tra i discepoli del quale viene annoverato, col Rocco, col- • l’Anderson, col Cavalieri; ed il Casati, par¬ lando dei matematici che erano al suo tempo in Milano, lo dice: « uomo consumatissimo in questa professione e particolarmente nell’al¬ gebra, nella quale ha fatto particolarissimo studio ». Dopo essere stato a Roma fino al 1630, lu appunto a Milano, di là nel maggio 1641 partì per Genova, ed al principio del 1644 si recò a Roma, eletto alla cattedra di matematica della Sapienza, come succes¬ sore di Gasparo Berti che per pochi mesi l’aveva occupata dopo la morte del Castelli. A Roma insegnò dal 1644 al 1662, noi qual anno morì improvvisamente il 17 aprile, e fu 532 INDICI’ BIOGRAFICO. sepolto nella chiosa ili S. Biagio di Monte- j citorio. Santini Giovanni, di Nicolao o ili Ca¬ milla di Sigismondo de’Nobili, nacque in Lucca, e vi fu battezzato il 16 agosto 1582. Era dottore in leggi, cavaliere di S. Stefano e dell’Accademia dogli Oscuri. È ricordato nel testamento della madre dol 1629. Santini Paolo. Nacque di Ippolito a Lucca, o fu battezzato in S. Giovanni rii aprile 1595. Ne sparisce ogni ricordo in Lucca dopo il 1011: probabilmente visse lontano dalla città nativa, come spesso accadeva in quel tempo ai cadetti delle famiglie nobili che si davano alla mercatura o alle armi. Santini Vincenzio. Gentiluomo fioren¬ tino, quale è detto nel frontespizio dell’ unica sua opera geometrica a noi nota, e pubbli¬ cata postuma a Lucca nel 1722. Scolaro , prediletto od erede di Famiano Michelini, dopo la morte del quale proseguì gli studi | col Borelli: curò la stampa del « De motu animalium » di esso Borelli, mentre era mio dei segretari della regina Cristina di Sve¬ zia in Roma. Santorio Santorrk. Nacque di Antonio a Capodistrift il 29 maggio 1561. Seguì gli studi a Padova; o dopo avor esercitato con gran lode la medicina in Padova, nella Po¬ lonia ed altrove, fece nel 1601 ritorno a Ve¬ nezia dove si tratteneva nell’esercizio del¬ l’arte sua, quando con decreto dei 6 otto¬ bre 1611 il Senato lo elesse alla cattedra ordinaria di teorica medica nello Studio di Padova. 11 23 gennaio 1612 veniva ascritto al collegio medico di Venezia, e il 2 maggio 1616 nominato presidente del Collegio, che poi si disse Veneto, istituito poche settimane prima a Padova. Occupò la cattedra per tre¬ dici anni; dopo di che ottenne, pur conser¬ vando i suoi emolumenti di lettore, di riti¬ rarsi a Venezia dove morì il 25 febbraio 1636. Santucoi Antonio. Detto, (lai paese na¬ tale, « il Pomarance », fu dato collega a Fran- cesco Sanleonini eletto alla lettura di ma¬ tematica dello Studio di Pisa noi 1598, od alla morte di questo occupò solo la cattedra I lino al 1013. Fu anche cosmografo grandu¬ cale. Partecipò allo discussioni Bulle galleg¬ gianti, um ebbe il buon senso di mantenere inedita la scrittura da lui stesa in argomento. Saraciselli Cipriano. Da Orvieto. Fu residente per il granduca a Venezia nel 1589- 90, indi precettore del granprinoipe Cosimo, poi Cosimo II. Morì nel maggio 1008. Saraoinslu Ferdinando. Da Orvieto. Già nel 1606 era provvisionato come gentiluomo della corto di Toscana, o vent’anni più tardi 10 troviamo ancora addetto alla camera dol granduca. Sahacihi Gherardo. Prima maestro di camera dol card. Alessandro Orsini, poi giu¬ dice in Firenze, e finalmente provveditore dello Studio di Pisa dal 1635 al 1641, nel quale anno mancò ai vivi. Sarpi P\olo, di Francesco o di Isabella Morelli, nacque, come si credo, in Venezia, 11 14 agosto 1552, ed ebbe al font.o battesi¬ male il nomo di Pietro, che entrando nel¬ l’Ordine dei Servi nel 1565 mutò in quello di Paolo. Pronunziati nel 1567 i voti solenni, fu (dia corte di Mantova col titolo di cap¬ pellano e teologo ducale; e da Venezia, do- v’era tornato dopo aver rinunciato a quel¬ l’ufficio, fu chiamato nel 1575 dall’arcivescovo Carlo Borromeo a Milano per averne aiuto nella riforma della diocesi Ambrosiana. A ventisette anni, dopo conseguita la laurea a Padova fu consacrato proto e subito ap¬ presso nominato per tre anni provinciale dei Serviti nel capitolo di Verona. Alla corto di Roma fu la prima volta nel gingilo 1579, e v’incontrò il favoro di Gregorio XIII; la seconda volta nel 1582, per rappresentare la provincia del suo Ordino alla elezione d’un Generale; e la terza volta nel 1585, rimanendovi por tre anni come procuratolo generale del suo Ordine con l’ufficio di di¬ fendere la causa dei Serviti, di aver parte alle congregazioni o di tenere pubbliche le¬ zioni: usò in quella circostanza amichevol¬ mente col card. Bellarmino o col card. Ca¬ stagna, ohe per tredici giorni fu Papa col nome di Urbano VII. Altre due volte tu a Roma: cioù nel 1588, per ottenere laicati- INDICE BIOGRAFICO. 533 fazione a Venezia d’ un frate ingiustamente esiliato; e nel 1597, pontificando Clemen¬ te Vili, per cercar rimedio a nuovo divi¬ sioni elio minacciavano di turbare l’Ordine dei Servi. Reduce a Venezia, si rimise tran¬ quillamente agli studi, e fu assiduo frequen¬ tatore del mezza di Andrea Morosiui nel quale forse fu maturata la famosa « Prote¬ sta» contro l’abnso del potere pontificio nella proibizione dei libri. Quale sia stata la parte da lui avuta nella famosa controversia della Repubblica con la Corte di Roma, come Con¬ sultore in iure, non è qui il luogo di narrare: ricorderemo soltanto che alla vita di-lui fu attentato il 5 ottobre 1G07, e che delle fe¬ rite riportate fu curato da Girolamo Fabri¬ zio d’Acquapendente. È noto che la «Sto¬ ria del Concilio di Trento » fu pubblicata senza sua saputa, e per una indiscrezione commessa dal De Domini». Mancò ai vivi il 7 gennaio 1623, e della sua morte fu mandato avviso con lettere ducali allo corti d’Europa: lo sue spoglie si tennero nascoste fino al 1722, e furono trasportate il 15 novembre 1828 nella Chiesa di S. Michele di Murano. Sasckrtde Gellio. Nacque il 3 marzo 1562 a Copenaghen. latti i primi studi in pa¬ tria, passò a Wittemberg dove rimase dal 1578 al 1581. L’anno successivo era fra i numerosi discepoli che Ticone Brahe aveva raccolto intorno a sè ad Uranienburg, dove rimase fino al 1588 : poscia, dopo breve di¬ mora prima a Hessen poi a Basilea, lo tro¬ viamo immatricolato nello Studio di Pa¬ dova addì 25 ottobre 1589, presso il quale nel 1591 fu consigliere della Nazione Ger¬ manica Artista. Laureatosi in medicina a Basilea nel 1593, fece ritorno in Danimarca, dove nel 1595 fu eletto « modicus provin- cialis » a Skanes, e dipoi nel 1603 professore di medicina nell’università di Copenaghen. Mancò ai vivi nel 1612. Sassetti Cosimo. Della nobile famiglia fiorentina, della quale fu Filippo, il merca¬ tante scrittore, nacque di Federigo e di Gi¬ nevra Machiavelli uol 1572. Suo padre eser¬ citò la mercatura prima a Perugia poi a Firenze, ed egli stesso visso a lungo in Pe¬ rugia probabilmente per ragioni di com¬ mercio. Satlrii [Sattlkr] Wolfango. Sopran¬ nominato « Wyseenberger», nacque a Basilea il 15 maggio 1579. Studiò leggi e matema¬ tica; c morì di peste poco dopo essere stato nominato, nel 1610, professore di etica, la¬ sciando alcune scritture astronomiche. Savoia (di) Carlo Emanuele I. Del duca Emanuele Filiberto e di Margherita di Fran¬ cia, nato in Rivoli nel 1562, tenuto a batte¬ simo dalla Repubblica Veneta, sposato nel 1585 a Caterina d’Austria, figlia di Filippo II di Spagna. Morto a Savigliano il 26 lu¬ glio 1630. Savoia (di) Isabella, di Carlo Emanuele 1 e di Caterina d’Austria, nata PII marzo 1591, sposata nel 1608 ad Alfonso III d’Estc, duca di Modena, morì il 22 aprile 1626. Savoia (di) Margherita, di Carlo Ema¬ nuele I e di Caterina d’Austria nacque il 28 aprile 1589. Donna di grandissimo senno, fu dal padre eletta a luogotenente durante una assenza di lui nel 1603. Nel 1608 andò sposa a Francesco Gonzaga, duca di Man¬ tova, e ne rimase vedova cinque anni dopo. Morì in Mirandola il 26 giugno 1655. Savoia (di) Maurizio. Nacque in Torino dal duca Carlo Emanuele I e da Caterina d’Austria il 10 gennaio 1593. Fu creato car¬ dinale da Paolo V il 10 dicembre 1607. Fra tutti i soggiorni eli’ egli fece a Roma, ri¬ mase celebre per fasto e magnificenza quello nel conclave dal quale uscì papa Urbano Vili, ch’egli molto contribuì a far eleggere. Ri¬ mase in Roma dal maggio 1623 al principio del 1627; e nel suo palazzo di Montegiordano accolse una propria e vera accademia, alla quale parteciparono i migliori ingegni di Roma. Morì in Torino il 3 ottobre 1657. Savoia (di) Vittorio Amedeo. Nacque di Carlo Emanuele I e di Caterina d’Austria l’8 maggio 1587, prese in moglie Cristina di Francia sorella di Luigi XIII, o morì, non senza grave sospetto di veleno, a Vorcolli il 7 ottobre 1637. Scaglia Desiderio. Di famiglia bresciana, nacque in Cremona intorno al 1569. Vestì 534 INDICE BIOGRAFICO. giovanissimo l’abito domenicano. I)a Cle¬ mente Vili fu nominato inquisitore di Pa¬ via, Cremona e Milano. Paolo V, chiamatolo a Roma, lo elesse commissario del S. Uffizio, o PII gennaio lb21 lo creò cardinale e ve¬ scovo di Melfi o Rapolla. 1114 novembre 1622 Gregorio XV lo trasferì alla diocesi di Como la quale rimmziò nel 1626 obbedendo alla chiamata di Urbano Vili, elio lo volle in cu¬ ria e lo destinò a far parto dolio più cospi¬ cuo congregazioni. Ebbe successivamonte i titoli di S, Clemente, doi SS. Dodici Apo¬ stoli, di S. Carlo al Corso ; e fu altresì chia¬ mato il Cardinal di Cremona o il Cardinal cremonese. Morì in Roma nel luglio 1639. Soubznkr Cristoforo. Nacque il 25 lu¬ glio 1573 a Wald, villaggio presso Mindel- heirn nella Svevia. A 22 anni entrò nella Compagnia di Gesù; e terminati i suoi studi letterari fu mandato nel 1601 ad Ingolstadt a studiarvi filosofia, dove sotto il magistero del matematico Giovanni Lanz si approfondì nello studio delle scienze. Noi 1003 fu in¬ viato a Dillingen per insegnare grammatica in quel ginnasio, e nel 1605 fu addetto come assistente alla cattedra di matematica nel¬ l’accademia annessa al ginnasio. Da Dillin¬ gen, nello stesso anno 1605, passò ad lngol- stadt a studiarvi teologia. Quivi nel 1610, compiuto il terzo anno di proba/.iono ad Eborsberg, fu nominato professore di mate¬ matica e di lingua ebraica, e rimase in tali uffici fino al 1616. Recatosi a Roma nel 1624 come rettore del Collegio di Neisse sul Reno, vi si trattenne come professore di matema¬ tica e d’astronomia. Nel 1633 lasciò Roma, chiamato in Germania dall'imperatore Fer¬ dinando li ; e dopo una dimora di 6 anni a Vienna, nel 1630 passò di nuovo al Collegio di Neisse. Mancò ai vivi per colpo apople- tico il 18 giugno 1650. SoriTCKiiARDT Guglielmo. Nacque in Her- renberg nel 1502. Fu nominato professore straordinario di lingue orientali c di mate¬ matica nella università di Tubinga nel 1619, e promosso ordinario nel 1628. Morì di peste in Tubinga stessa il 23 ottobre 1635. Soiuokilardt Luoa. Fratello di Gugliel¬ mo, del quale abbiamo due lettere a lui, una del 20 settembre 1634 diretta: , alla quale ò maggiormente raccomandato il suo nome, fu pubblicata postuma nel 1630. Sozzi Mario. Entrò nella congregazione delle Scuole Pie assumendo il nome di Ma¬ rio di S. Francesco; e venuto a Firenze nel 1639, acquistò in seguito ad una delazione tanta potenza presso il S. Uffizio, da venire, contro il volere del Calasanzio, eletto pro¬ vinciale della Toscana con facoltà di sce¬ gliersi i religiosi da ogni parte d’Italia c di rimandare quelli che non gradiva vicini. Più tardi, f acendo de porre il fondatore dal Generalato, riuscì ad essere investito ogli stesso del supremo potere, nonostante le opposizioni de’suoi confratelli, dei cardinali protettori, e dello stesso governo granducale. Spada Bernardino, di Paolo o di Daria Albioini, nobili forlivesi, nacque a Villa Spada presso Brighella il 24 aprile 1091. Ricevette la prima istruzione nel Collegio romano della Compagnia di Gesù, fu ini¬ ziato in Bologna agli studi di filosofia o di diritto, che proseguì a Perugia e compì a Roma dove fu laureato. Entrato in prela¬ tura, fu da Paolo V eletto referendario dol- l’una e dell’altra segnatura, annoverato fra gli abbreviatovi e dologato giudice nello cause della Basilica di S. Pietro. Grego¬ rio XV lo chiamò a far parte della congre¬ gazione del Buon Governo, e grado a grado ad altre maggiori. Urbauo Vili, creatolo arcivescovo di Dannata, lo mandò nunzio in Francia, annoverandolo fra i vescovi assi¬ stenti al soglio, e gli conforì la porpora il 19 gennaio 1626. Ritornato a Roma, ri¬ cevette le insegne cardinalizio col titolo di S. Stefano in Monte Colio, fu inviato le¬ gato a Bologna, e di ritorno dalla legazione ascritto a quasi tutte lo congregazioni, tra¬ sferito all’ordine dei vescovi col titolo di S. Pietro in Vincoli, e successivamente tra¬ mutalo a vari vescovati del Patrimonio. Moli in Roma il 10 novembre 1661. Si'iKOEL [Spigelius] Adriano, di Bruxel¬ les, discepolo di Girolamo Fabrizio d’Acqua- pendente, fu chiamato dal Senato Veneto alla lettura di anatomia o di chirurgia nello Studio di Padova con decreto dei 22 dicem¬ bre 1615. Mancò ni vivi il 7 aprilo 1625. Spinelli Girci,amo. Nacque in Padova intorno al 1580. Poco più che ventenne pro¬ fessò i voti nell’Ordine Benedettino, o nei primi anni del secolo XVII si trovava nel monastero di S. Giustina di Padova, legato in molta intimità col Castelli, insieme col quale fu discepolo di Galileo, prendendo lo parti del Maestro nelle questioni relative alla stella nuova dell’ottobre 1601. Nel 1627 e nel 1633 fu abbate del monastero di S. Nic¬ colò di Lido in Venezia, nel 1632 lo tro¬ viamo prima abbate di S. Giustina di Padova e poi di S. Giorgio Maggiore di Venezia, o poi nel 1634 nel monastero di S. Evangelista di Parma. Morì nel 1647. Spinola Ambrogio. 11 colebro capitano, nato a Genova nel 1569, vincitore di Mau¬ rizio di Nassau, morto a CasteluuoYO di Scrivia il 25 settembre 1630. INDICE BIOGRAFICO. 541 Spinola Andrea. Nacque di Francesco a Genova nel 1502, e fu chiamato per anto¬ nomasia « il filosofo ». Gli studi non gl*im¬ pedirono la partecipazione alla vita pub¬ blica; e lo troviamo commissario nel 1(505 a Sarzana, c nel 1(519 a Rossiglione. Morì nel 1(540, lasciando manoscritto un suo volumi¬ nosissimo « Dizionario filosofico ». Spinola Daniele. Lo genealogie lo di¬ cono figlio di Flaminio; e gli storiografi della Liguria registrano di lui due pubblicazioni, date alla luce sotto pseudonimi auagram- inatici a Macerata nel 1G47. Spinola Fabio Ambrogio. Nacque in Ge¬ nova nel 1598. A diciassette anni entrò nella Compagnia di Gosfi. Insegnò parecchi anni filosofia o Sacra Scrittura nell’univer¬ sità Gregoriana di Roma; diresse il Semi¬ nario romano, o poi il Collegio di Genova. Morì presso Genova il 18 agosto 1671. Spinola Francesco di Battista: di lui abbiamo trovato soltanto che sposò una Isabella Spinola, o lo genealogie lo danno per defunto nel 1651. Spinola Girolamo di Antonio, capitano alla Spezia nel 1640. Spinola Luigi. Di lui abbiamo trovato soltanto che nacque di Gio. Battista e di Brigida Fazio, e che in giovano età entrò in non sappiamo quale religione. Spinola Tiberio. È ricordato nello ge¬ nealogie della famiglia come nato di Giulio o nulla più. Stacooli Camillo da Urbino. Auditore in Studio, dei Capitani di l’arto e de’Consi¬ glieri. Il 1° settembre 1644 fu eletto giudice di ruota per tre anni. Stacooli Raffaello da Urbino. Dopo essere stato auditore della Consulta e della camera granducale di Toscana, nel 19 ot¬ tobre 1630 fu eletto auditore dell’Ordine di S. Stefano, del quale nel novembre 1640 fu creato cavaliere. Venne anche chiamato a far parte di un consiglio istituito dal gran¬ duca per gli affari di guerra. Stecchini Paolo, Veneto, chiamato a leggero medicina teorica ordinaria nello Studio di Pisa nel 1639: Panno appresso insegnò anche filosofia. Mancò ai vivi in Pisa nel 1648. Stefanksoiii Gio. Battista. Al secolo Marchioune o Melchiorre, naequo di Fran¬ cesco a Ronta nel Mugolio l’anno 15S2. A vontidue anni abbracciò la vita eremitica dei Servi di Maria a Montesenario. Vestì l’abito il 25 marzo 1604, professò i voti PII aprile 1605 e celebrò la prima messa il 1° gennaio 1606. Dopo entrato in religione, si diede allo studio della pittura o special- monte della miniatura con la guida d’Andrca Comodi pittore fiorentino, e riuscì eccellonte nell’arte sua. Morì in Venezia, dove s’era recato col proposito di fondare un eremo di Serviti, il 31 ottobre 1659. Stefani Giacinto. Nacque in Firenze nel 1577, vestì giovanissimo l’abito dome¬ nicano, o si laureò in Perugia nel 1603. Tor¬ nato a Firenze, fu eletto professore dello Studio o por venti anni fu predicatore alla corte della grnnduehcssa Cristina di Lorena. Nel suo Ordino fu eletto provinciale nel 1626; c tra i meriti di lui si ricorda quello d’avero il 1° marzo 1628 fondato in Roma la chiesa di S. Caterina presso il Quirinale. Morì in Firenze, nel convento di S. Maria Novella il 7 febbraio 1633. Steinberger Giovanni. Nato di Giovanni in Kirchperg nel Tirolo, nipote di sorella a Mattia Bernegger, intorno al 1600. Nel 1623 intraprese un viaggio in Italia, per consiglio dello zio che gli aveva mandato istruzioni di recarsi a Roma per farvi Ja conoscenza di Giovanni Barclay, delle cui poesie esso Bernegger curò nel 1626 una ri¬ stampa; e in questa, sul verso del rame elio riproduco il ritratto dell’autore, si leggo: « Mitto tibi, mi Steinbergere, vel potius re- mitto, Barclaiana carmina tua; tua? imo be¬ neficio tuo nunc nostra facta ». Stelliola [Stigliola] Ntocjolò Antonio di Federico, nacque in Nola nel 1546. Segu, gli studi di medicina nella scuola di Salerno; ma abbandonato l’esercizio della professione 542 INDICE BIOGRAFICO. nella quale era già divenuto valente, usò dell’ingegno suo grandissimo nei rami più svariati degli studi, o riuscì meccanico, chi¬ mico, ingegnere, astronomo. Ebbe parecchi incarichi riguardanti il porto e lo mura di Napoli, le acque stagnanti, la mappa del regno. Fondò una tipografia; e lesse priva¬ tamente a stranieri ed a molti della nobiltà napoletana, e per corto tempo anche pub¬ blicamente negli Studi della città. Le sue opinioni in materia religiosa lo fecero in¬ correre nei rigori del S. Uffizio; e nel 1595 egli si trovava in Roma in quelle prigioni, dove già da due anni languiva il suo con¬ cittadino Giordano Bruno: ma potè discol¬ parsi, o venne liberato. Nel 1(512 fu ascritto all’Accademia dei Lincei: oltre al Telescopio , compose o pubblicò egli stesso V Encyclo- paedia Pythagorea; ed il Piaccio, seguito in ciò anche da altri, gli attribuì altresì l’opera « Dell’Bistorta Naturale», ch’egli avrebbe ceduta mediante compenso pecuniario a Fer¬ rante Imperato, e elio questi pubblicò col suo nome. Morì in Napoli nel 1(524. Stelltjti Fbahobsoo. Nacque di Bernar¬ dino e di Lucrezia Corradini in Fabriano il 12 gennaio 1577. Fu uno dei primi quattro che il 17 agosto 1603 firmarono il patto Lin¬ ceo: scelse per impresa Saturno col motto «Quo serius eo citius », e si denominò «Tardi- gradus Lynceus ». E poiché per decreto della stessa Accademia dei 12 ottobre 1603 era stato stabilito che a cioschedun accademico si assegnasse una scienza da leggere ed un uffizio da amministrare, egli fu scelto let¬ tore di geomet ria e consigliere maggiore, ed inoltre dichiarato il proponente degli (stru¬ menti matematici ed astronomo. Durante le prime persecuzioni, egli riparò a Parma; e quando l’Accademia si raccolse novamente, tenne il Linceografo, ossia registro dello co¬ stituzioni e delle leggi, e nel 1612 fu dichia¬ rato procuratore generalo delPÀccademin. Egli fu certamente il più efficace coopera¬ tore del Cesi ad eccitare l’Accademia, nel compiere le pubblicazioni intraprese, e nel tentare di ridestarla quaml’essa tacque per la morte del principe. Dopo la quale egli rimase presso la principessa vedova, e l’as¬ sistette nello molte liti nelle quali fu in¬ volta, dovute in gran parte all’esser rimasta senza prole mascolina. Ritiratosi finalmente in Fabriano, ivi morì nel novembre 1616. Steli,uti Grò. Battista. Fratello di Fran¬ cesco. Anche nelle fonti storiche locali è ri¬ cordato soltanto come autore dolio «Scan¬ daglio». Era dottore di loggi o dilettante di cose astronomiche. Stettnkk CmsTOKOito. Di lui, che dal¬ l’oroscopo trattone da Galileo sappiamo es¬ ser nato il 5 ottobro 1578, le matricole della Nazione Germanica Giurista serbano la se¬ guente memoria : « Christophorus Stettner Labacensis Carniolanus scripsit 19 Februarii Anno 97». Stevin Simone. Nacque a Bruges nel 1548. Incominciò umilmente la sua carriera dal te¬ nero i libri presso un negoziante; fu poi im¬ piegato nell'amministrazione delle finanze a Brugos, o dopo aver intrapreso un viaggio in Europa ed aver soggiornato per qualche tempo a Middelburg, si stabilì noi 1583 a Leida dove impartì lezioni di matematiche. Divenuto il quartiermastro generale del principe Maurizio di Nassau, dotò l’arti¬ glieria o lo fortificazioni d’importanti per¬ fezionamenti. Egli deve però principalmente la sua celebrità ai lavori matematici in ge¬ nerale o sulla meccanica in particolare. Morì a Leida nel 1620. Stioliant Tommaso. Nacque nel 1573 a Matura, e giovanetto si condusse alla corto del principe di Conca, grande ammiraglio del rogno, dove conobbe il Marino od il Tasso. Negli ultimi anni del see. XVI lo tro¬ viamo a Roma, e nel 1600 a Milano, dove fece stampare il suo «Polifemo» poemetto pastorale in ottava rima, o nel 1603 al ser¬ vizio del duca di Parma. Nel 1627 dava a stampare al Baracchi di Piacenza il «Mondo nuovo », elio appena pubblicato destò un vespaio per gli attacchi al eav. Marino in esso contonuti, o la polemica può dirsi abbia durato fino al 1647. Tra il 1620 cd il 1621 lasciò Parma per Roma, dove, dibattendosi sempre fra le difficoltà economiche, compose 1’« Occhialo » die fu dato alla luce in Vene¬ zia nel 1627. Era cavaliere di Malta. Mancò ai vivi il 27 gennaio 1651. INDICE BIOGRAFICO. 548 Strapano (van der) [van der Stkabt Strapbnsis, della Strada] Giovanni. Pit¬ tore e disegnatore, nato a Bruges nel 1536. Giovanissimo venne in Italia, trattenendosi prima a Venezia, poi a Firenze, quindi a Roma; di dove, per invito di Giovanni d’Austria, si recò a Napoli od accompagnò questo principe in Fiandra. Ritornò però ben prosto a Firenze, dove abbondano lo opero del suo pennello o gli arazzi lavorati sopra i suoi cartoni, e in Firenze morì il 3 novembre 1605. Straeten (van der) Giacomo. Nacque in Anversa nel 1559. Entrò nolla Compagnia di Gesù nel 15S0, fu rettore dei collegi di Lovauio e di Bruges, e autore di opero per la massima parte teologiche od ascetiche. Morì a Lovauio il 7 aprile 1634. Stkalenpore (di) Pietro Enrico, di Leo¬ poldo e di Margherita di Dormimeli, nacque a Magonza intorno al 1570. Nel 1605 era già consigliere dell’impero; e da l'ordinan¬ do li fu nel 162-1 eletto consigliere intimo o vicecancelliere, come lo era slato suo padre ai tempi di Rodolfo li. Morì il 13 feb¬ braio 1637. Strozzi Alessandro, di Tommaso e di Francesca di Alessandro Guidotti, nacque iu Firenze nel 1583. Laureato all’università di Pisa nel 1605, fatto canonico della me¬ tropolitana fiorentina nel 1607, o poi per vent’ anni uditore della nunziatura di To¬ scana. Urbano Vili lo nominò nel 1626've¬ scovo di Andria, e noi 1632 di S. Miniato. Morì il 24 agosto 1648. Strozzi Alfonso, di Nicola Palla o di Anna Bevilacqua. Giudice dei Savi in Fer¬ rara nel 1611 e 1614, Riformatore di quella università nel 1617. Morì il 13 novembro 1617. Strozzi Carlo, di Tommaso e di Fran¬ cesca di Alessandro Guidotti, nacque in Fi¬ renze il 3 giugno 1587. Passò la sua gio¬ ventù in Candia al servizio della Repubblica Venota presso un Cosimo Strozzi, suo pa¬ rente, che vi era governatore delle armi. Ritornato in patria, ebbe dal granduca l’in¬ carico di riordinare le carte d’alcuni ar¬ chivi e nel 1653 la nomina a sonatore. Del- PAccademia fiorentina fu consolo nel 1627, o di quella della Crusca arciconsolo nel 1655. Morì il 23 marzo 1670. Strozzi Filippo. Troppi membri della famiglia Strozzi portavano intorno a questo medesimo tompo il nomo di Filippo, da po¬ ter determinare a quale fra essi Benedetto Lamiucci abbia venduto un Compasso di Galileo. Abbiamo infatti, fra gli altri, un Filippo di Giambattista, morto nel 1623; un Filippo di Alfonso di Carlo, sposato a Mad¬ dalena Carnesocchi nel 1583; un Filippo di Alfonso di Lorenzo morto noi 1663; ecc. Strozzi Gio. Battista. Il giovane o il cieco, nato in Firenze nel 1551 da I .orenzo di Federigo Strozzi o da Maria d’Agnolo Tornabuoui, buon letterato così nelle prose accademiche come noi versi o specialmente noi madrigali; anima dell’Accademia degli Alterati in Firenze, alla (piale appartenne liti dal 1569, ascritto all’Accademia fioren¬ tina dal 1570 o consolo di essa nel 1582; in relazione con la maggior parte dei letterati contemporanci, carissimo ai Medici c ai pon¬ tefici Gregorio XIV, Innocenzio IX, Cle¬ mente Vili e Urbano Vili; e largo alla sua volta di aiuti e di appoggio a molti studiosi, tra’quali in particolar modo fu da lui be¬ neficato Giovanni Ciampoli. Fu più volte e por lungo tempo a Roma, frequentando la corte e partecipando ivi puro ai lavori delle accademie. Morì in Firenze il 9 novembre 1634, ridotto a quasi completa cecità. Strozzi Giulio, di Roberto e di una con¬ cubina, nacque in Venezia nel 1583. Laurea¬ tosi a Fisa, si recò nel 1008 a Roma c parte¬ cipò ai lavori dell’Accademia degli Umoristi; ma venuto a lite con questi, fondò egli stesso una nuova accademia che intitolò degli Or¬ dinati. Con la protezione del card. Boti e della famiglia Altlobrandini, divenne prot.o- notario apostolico partecipante e referenda¬ rio. Più tardi fece ritorno a Venezia dove fu ascritto all’Accademia degli Incogniti c ne fondò una di musica intitolata degli Unisoni. Morì in Venezia nel 1660. Strozzi (marchese). Assai probabilmente Giovanni Battista di Filippo e di Caterina 544 INDICE BIOGRAFICO. di Federigo Strozzi. Fu marchese di Forano in Sabina, che acquistò dai Savelli. Come credo del ramo del maresciallo Strozzi, si trasferì in Roma; cd ivi morì, a 40 anni, il 25 febbraio 1036. Strozzi Piero, di Vincenzo e di Ginevra d’Àgostino del Nero, nacque in Firenze nel 1569. Quando nel 1605 Leone XL fu elevato al soglio pontificio, lo elesse segretario delle Ietterò ai principi, ufficio che conservò an¬ che sotto Paolo V. Sembrandogli di aver perduto il favore della corto, si dimise da ogni ufficio, o fece ritorno in Toscana, dove fu eletto nel 1625 lettore di filosofia nello Studio di Pisa con diritto di precedenza so¬ pra tutti i suoi colleglli. Morì il 15 otto¬ bre 1625. Strozzi Roberto, di Camillo, legittimato nel 1570. Banchiere in Venezia, fu da disse¬ sti commerciali ridotto a mal partito, cosic¬ ché dovette sospendere un palazzo elio aveva incominciato in Firenze al canto de’ Pazzi cou disegno del Bnontalenti, palazzo al quale rimase il nome di « non finito ». Morì in Venezia nel 16G3. Strozzi Roberto, di Lorenzo e di Dia- nora Bandini, cavaliere gerosolimitano nel 1607, e poi per qualche tempo nella corte del card. Montalto. Nel 1629 fu fatto cano¬ nico della metropolitana fiorentina e lettore di Sacra Scrittura, e nello stesso anno fu ascritto al collegio dei teologi nello Studio di Firenze. Urbano Vili lo nominò il 21 giu¬ gno 1638 vescovo di Colle, e il 12 giugno 1645 fu da Innocenzo X trasferito alla sede di Fiesole. Clemente IX lo dichiarò vescovo assistente al soglio pontificio : i principi Leo¬ poldo e Giancarlo de’Medici lo elessero loro familiare. Morì il 24 aprile 1670. Subtermans Giusto. Nacquo di France¬ sco in Anversa, fu battezzato il 28 settem¬ bre 1597, e giovanetto si allogò presso Gu¬ glielmo di Pietro de Vos, buon pittore di Anversa, dalla scuola del quale passò poco appresso a quella di Francesco Pourbus in Parigi. Dopo aver viaggiato per qualche tempo in Germania, venne a Firenze insieme con alcuni suoi concittadini chiamativi dal granduca Cosimo II per eseguirvi degli arazzi por la sua guardaroba. Il giovane, che s’era già fatto valente nella pittura e specialmente nel ritratto, fu trattenuto alla corte corno pittore granducale. Nel 1623-24 fu chiamato a Vienna per ritrarre la coppia imperiale, e ne ricevette lettere di nobiltà; e nel 1627 a Roma per ritrarre papa Urbano Vili, nella quale occasione fece anche i ritratti di tutta la famiglia Barberini e di un grandissimo numero di cardinali, e n’ ebbe oltre a lar¬ ghissime retribuzioni e doni, anche l’investi¬ tura dell’Ordine di Malta. Il ritratto ch’egli fece più tardi di Galileo, e che fu mandato in dono al Diodati, ritornò in Italia per averlo il Diodati stesso donato al principe Leopoldo de’ Medici insieme con tutto il car¬ teggio relativo al negozio della longitudine. Fu amico di Rubens e di Van Dyclc. Dei moltissimi ritratti di principi, principesse, cardinali ed uomini illustri da lui condotti, ricorderemo soltanto i due elio egli eseguì di Vincenzio Viviani, il migliore dei quali fu poi inciso in rame da Antonio Tempesti. Morì in Firenze il 23 aprile 1681. Suutano Cristoforo. Nacque di Giovanni e di Margherita de’Dolzoni intorno al 1580: fu approvato cittadino originario di Vene¬ zia il 25 maggio 1601. Fino al 1611 fu al servizio della Repubblica corno segretario d’ambasciata in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Olanda e nella Svizzera; in¬ caricato poi di importanti negoziati a Roma. Il 28 giugno 1611 fu nominato notaio ordi¬ nario della cancellarla ducale; ed il 25 mag¬ gio 1616, in seguito alla deliberazione del Consiglio dei Dieci di aumentare il numero dei segretari del Senato, fu uno dei prescelti. L’aro sia morto tra il 1634 cd il 1635, poiché dopo questo tempo non è più ricordato. Tacca Pietro di Iacopo, da Carrara, discepolo nella scultura di Gio. Bologna. Nel 1616 fu latto cittadino fiorentino e creato del consiglio dei Dugento. Nelle storie del¬ l’arte sono ricordate alcune sue grandi fu¬ sioni in bronzo, come p. os. quella della statua equestre di Ferdinando I nella piazza dell’Annunziata in Firenze, il cavallo del monumento di Enrico IV ohe era sul Ponte I Nuovo a Parigi, la statua equestre di Fi- INDICE BIOGRAFICO. 515 lippo III; tutti lavori che orano stati inco¬ minciati dal suo maestro. Innumerevoli sono le opere sue, tra le quali è considerato come capolavoro il monumento di Ferdinando I nel porto di Livorno. Del monumento eque¬ stre di Filippo IV, del quale il cavallo ò al galoppo, si dice che Galileo abbia determi¬ nato il baricentro per assicurarne la stabi¬ lità. Mori il 26 ottobre 1640. Taddhi Giovanni. Troviamo un Giovanni di Taddeo di Giovanni e di Alessandra di Bastiano da Montanto, nato il22 luglio 1565, eletto sonatore nel 1637, morto il 16 lu¬ glio 1641. Tapini Alessandro. Nacque in Milano di Giangiucomo o di Isabella del Monto. Fu ammesso nel Collegio medico il 16 luglio 1603. Prestò lodevolmente l’opera sua nelle terribili pestilenze del 1629, 1630 e 1631, che anche descrisse e come storico e come me¬ dico, o tenne con gran lode l’ufficio di luogo¬ tenente del protofisico Lodovico Settala. Morì il 16 novembre 1661. Taglia pietra Berna uno, di Giovanni e di Lodovica di Bernardo Contarmi, nacque in Venezia il 21 dicembre 1598. Nel 1645 fu provveditore straordinario in Novegrndo nella Dalmazia ; accusato di aver lasciata indifesa questa piazza, fu tratto in arresto o mandato a Venezia. Morì uel 1670, e fu l’ultimo della sua famiglia. Talijot Gilberto. Settimo conte di Shrewsbury, nacque il 20 novembre 1553. Due anni e mezzo dopo il suo matrimonio con Maria Gavcndigh, fu mandato all’uni¬ versità di Padova, dove egli annunziava il suo arrivo con lettera dei 4 novembre 1570, o rimase in Italia due anni: al suo ritorno fu eletto membro del parlamento per il Der- byshire. Morì a Worksop 1’8 maggio 1616. Talentoni Giovanni. Nacque a Friz¬ zano nel 1542. Lesse logica nello Studio di Pisa dal 1574 al 1585, poi per due anni medicina pratica ordinaria. Retrocesso al- P insegnamento di logica, dopo averlo tenuto fino al 1594, passò ad insegnare filosofia e medicina negli Studi di Parma e di Pavia. Noi 1616 chiese di tornare a Pisa, ma no¬ nostante la relazione favorevole di monsi¬ gnor Girolamo da Sommaia, non l’ottenne. Morì noi 1620. Talentoni Lelio. Giudice ordinario in Siena dal 1° novembre 1624 al 19 novem¬ bre 1632; ma già il 10 ottobre 1632 ora stato promosso ad auditore fiscale, noi quale uf¬ ficio rimase fino al 1635. Tamburelli Darto. Nacque nel 1570 a S. Ginesio nella Marca d’Ancona. Fu am¬ messo nella Compagnia di Gesù il 4 giu¬ gno 1587 ; insegnò per due anni la retorica, per sei la filosofia, per quattro la teologia scolastica. Le fonti storiche della Compagnia non parlano all'atto del « Problema » sull’ al¬ tezza dei monti lunari per il quale egli ò noto agli studiosi di coso galileiane. Morì a Roma il 7 febbraio 1618. Tannimi Adamo. Nacque ad Tnnsbruck nel 1571. Ammesso nella Compagnia di Gesù nel 1590, insegnò durante venlidue anni teo¬ logia a Monaco, Ingolstadt e Vienna. L’im¬ peratore Ferdinando II lo aveva eletto can¬ celliere dell’università di Praga; ma poi- motivi di Balate dovette lasciare quell’uffi¬ cio. Morì tornando in patria, a Unkon nel Tirolo il 25 maggio 1632. Tantucci Girolamo. Nacque di Dionisio in Siena il 21 marzo 1570. In gioventù si dilettò di poesia, e fu ascritto all’Accademia degli Intronati. Visse più anni in Francia alla corte di Maria de’Medici e poi alla corte di Roma. Fu di nuovo a Roma al tempo di Papa Gregorio XV, che lo ebbe carissimo e gli affidò speciali missioni a Na¬ poli e presso il duca di Savoia, e 1’ 11 lu¬ glio 1622 gli conferì il vescovado di Gros¬ seto da lui tenuto fino al 1637, anno di sua morte. Tarde Giovanni. Giovanni du Pont, si¬ gnore di Tarde, nacque a Roque-Gajac presso Sarlat nel Périgord tra il 1561 ed il 1562, e trascorse la sua giovinezza in mezzo allo discordie civili ed allo guerre religiose. Ab¬ bracciò lo stato ecclesiastico ; o compiuti alla Sorbona gli studi che aveva incominciati ai¬ uti Voi. XX. 546 INDICE BIOGRAFICO. l’università di Cahors, fu dapprima curato di Carves presso Belvòs, poi canonico teo¬ logale di Sarlat. Dogli ozi che gli lasciavano le sue funzioni approfittò per erudirsi nella geografia, nello matematiche, nell’astrono¬ mia, nella fisica, nella storia. Nel 1593 fece un primo viaggio a Roma e vi conobbe il Clavio; vi tornò nel 1614, o passando da Firenze vi si trattenne e visitò ripetutamente Galileo, cho conferì con lui circa lo proprie scoperto celesti e gli strumenti da lui co¬ struiti; proseguì per Roma, dove non trovò più il Clavio che nel frattempo era morto, ma conobbe il Gricnberger che gli era suc¬ ceduto nel Collegio romano. Di ritorno in patria, fece sua l’opinione già manifestata da altri che le macchie solari fossero piccoli pianeti circolanti fra Mercurio ed il sole, o li intitolò, in onoro della Casa di Francia, « il orbo ni a sidera ». Mancò ai vivi nel 1636. Tartagli ni Gio. Battista, da Cortona. Fu introdotto nella segreteria Medicea dal Bali Gioii. Dal 1632 al 1641 tenne il posto di segretario dell’ambasciatore del granduca in Germania, e quando tornò in patria fu regalato dall’imperatore di una collana con medaglia d’oro. Riprese poi servizio in Fi¬ renze nella segreteria di Stato, e più tardi ebbe la custodia delle scritture della « Se¬ greteria Vecchia» fino al 1659. Tassi Niccolò, di Girolamo, nobile fio¬ rentino, nato nel 1565, abbracciò lo stato ecclesiastico, e trasferitosi a Roma divenne canonico penitenziere di S. Giovanni in Lu¬ terano. Morì il 27 luglio 1616. Tabsis Amorale. — V. Tassis Ferdinando. Tassi» Ferdinando, di Ruggero, succe¬ dette al padre noli’ ufficio di « supremo mae¬ stro dello poste di Sua Maestà Cesarea in Venezia », che, alla sua morte, passò nel figlio Amorale da lui specialmente designato sebbene il più giovane dei suoi tìgli (gli altri due si chiamavano Ruggero ed Ottavio), per¬ chè stimato il più atto a raccoglierne la suc¬ cessione. Tasso Torquato, morto il 25 aprile 1595, quando Galileo aveva di poco varcato i tren¬ tanni, non ebbe occasioni di alcuna atti¬ nenza con lui. Ben dovè Galileo, quando nel 1592 si stabilì a Padova, trovar viva la memoria dell’ antico scolaro dello Studio. Ciò che congiunge i due nomi gloriosi è la censura a cui il giovane filosofo sperimen¬ tale sottopose, con tnuta acrimonia, la im¬ maginosa e melanconica poesia del cantor della Croce. Tassoni Alessandro. L’autore della « Sec¬ chia rapita » nacque in Modena di Bernar¬ dino e di Sigiamonda Pellicciar! il 28 set¬ tembre 1565. Attese agli studi legali in Pisa, Ferrara e Bologna; assolti i quali, si acco¬ modò ai servigi del card. Ascanio Colonna nel 1599, per passare poi a quelli del duca di Savoia. Nel giugno 1618 fu eletto segre¬ tario dell’ambasciata di Roma e gentiluomo ordinario del principe cardinale figliuolo del duca, e in tale ufficio rimase fino al 1621. Dal 1626 al 1632 fu col card. Ludovisi; ed alla morte di questo fu dal duca di Modena richiamato con onorevoli condizioni in pa¬ tria, e quivi mori il 25 aprilo 1634. Taverna [Tabeuna] Ferdinando. Nacque di nobile famiglia milanese nel 1558. Dopo essersi laureato nelle leggi a Pavia, fu chia¬ mato a Roma dallo zio Lodovico 'Taverna, vescovo di Lodi, ed entrò in prelatura. Nel 1599 fu da Clemente Vili fatto governatore di Roma, ufficio che esercitò con molta se¬ verità: sotto di lui avvennero i supplizi di Beatrice Cenci e di Onofrio Santacroce. Nel 1604 fu creato cardinale dal titolo di S. Eu¬ sebio, e nell’anno successivo mandato per un biennio a governare la Marca. Da Paolo V fu ascritto alla congregazione del S. Uffizio, o nel 1615 nominato vescovo di Novara, la qual diocesi resse fino alla morto avvenuta il 29 agosto 1619. Tudaldi Bartolommra. Figlia di Ermel- lina Àmmannati, la quale non sappiamo a chi fosse andata sposa. Nel 1575 viveva in Pisa con la madre e con la zia Dorotea; intorno al 1578 andò sposa a Muzio Te- daldi, e n’ebbe un tìglio per nome Lodovico. Viveva ancora nel 1633, e dimorava a Fiesole. Tedaldi Muzio, fiorentino, fn il 21 di¬ cembre 1575 padrino al battesimo di Miche- INDICE BIOGRAFICO. 547 langiolo fratello di Galileo, o poco dopo si trasferì a Pisa dov’ora « doganerius Puane civifcatis Pisana©». Prendendo in moglie Bar- tolommea figlia di Krmellina Aminannati, divenne parente di Vincenzio Galilei sen., col (piale era legato già prima per vincoli di amicizia o d’interessi. Tedeschi Leonardo. Nacque in Verona di Gio. Giacomo verso il 1571. Dopo di avere studiato per novo anni fdosofm o medicina a Bologna ed a Padova, si laureò presso questa università e fu accettato nel Collegio dei medici di Verona il 27 novembre 1599, dal quale fu estratt o a sorto priore il 31 di¬ cembre ÌGOO : in tale occasione è dotto « (’a- nonicuB Ecclosiuo Veroneusis ». Morì il 23 gennaio 1634. Tknoim [Tukngzyn] Gaiiribm.o. Negli Atti della Nazione Polacca dello Studio di Padova, tra quelli elio diedero il loro nome e fecoro offerte nolPanno 1592 a partire dal giorno 8 febbraio, è registrato « Gabriel Co¬ mes in Tlienczyn ». Tenuim [Tiienozyn] Giovanni. Negli Atti della Nazione Polacca dello Studio di Pa¬ dova, tra quelli elio diedero il loro nomo e fecero offerto noli’anno 1594, ò registrato: « Toannes Comes a Tenczyn ». Tknqnaobl FnANOESOO. Nobile boemo, ap¬ partenne alla numerosa coorte dei discepoli di Ticono Brnhe e ne impalmò una delle figlio per nomo Klisabotta. Oou una missione del maestro venne in Italia alla fine del¬ l’anno 1599, ma dopo la morte di esso tra¬ smise intatti al Keplero gli incarichi scien¬ tifici elio n’aveva ricevuti, e tutto si diede alla politica: divenne bibliotecario o consi¬ gliere dell’ imperatore Rodolfo II, obese ne servì anche ripetutamente in missioni diplo¬ matiche iu Inghilterra ed in Olanda. Fu por qualche tempo anche ai servigi dell’arciduca Leopoldo d’Austria, e nonostante alcune tra¬ versìe godè anche del favore doli’imperatore Mattili. Tbnsini Francesco. Nacque a Crema nel 1581. Dopo essere stato ingegnere militare, capitano e luogotenente geni ralc dell'arti¬ glieria del duca di Baviera, del re di Spugna e dell’imperatore Rodolfo II, clie lo insignì del titolo di cavaliere, fu condotto ai servigi (lolla Repubblica Veneta, e lo trovammo ri¬ cordato in documenti del 1633 e del 1635. E autore di una lodatissima opera intitolata « La fortificfttione, guardia, difesa ot espu- gnatione delle fortezze esporimentata iu di¬ verso guerre» della quale si hanno edizioni o ristampe di Venezia, 1624, 1630, 1655 o di Torino 1674, e che è fra i citati dalla Crusca. Terzo Antonio. Celebre liutista, nato a Bergamo intorno al 1580. Tukczyn (de) Ossolinski Giorgio. Nella lettera do’30 giugno 1633, con la quale La¬ dislao IV re di Polonia lo accreditò corno ambasciatore al granduca Ferdinando TI, c detto: «Georgius Comes de Thaeczyn Osso- linslci, Tbesaurarius Curine Regni, intimus Camerin i us. » Tnou (de) [Tiiouano] Giacomo Augusto, di Cristoforo e di Jacqueline Tuleu de Gèli, nacque a Parigi l’8 ottobre 1553. Uomo di Stato, ed autore d’uua celebro storia del suo tempo, messa all’Indice con decreto del 14 no¬ vembre 1609. Morì il 7 maggio 1617. Thurneiser Leonardo. Figlio d’un ore¬ fice di Basilea, nacque nel 1530. Dòpo una vita piena d’avventure, di alti e bassi della fortuna e di lunghi viaggi, prese a studiare medicina, alchimia cd astrologia secondo i dettami di Paracelso. Avendo saputo ispi¬ rare fiducia al principe Giovanni Giorgio di Brandeburgo ed avuta la fortuna di gua¬ rirne la moglie, salì in grandissimo favore ed ottenne i mezzi per proseguire i suoi studi ed estendere la sua fama, ch’egli volle assodare sopra pubblicazioni scientifiche. A tal fine cominciò dal fondare in Berlino una tipografia, la quale fu la migliore dello sue creazioni c che gli sopravvisse lungo tempo dopo ch’egli ebbe lasciato Berlino. Diede alla luce scritture riflettenti non solo l’arte da Ini esercitata, ma anche le scienze naturali. Combattuto vivamente dagli altri medici, pensò a ritirarsi a Basilea, ma involto iu nuove liti per causa d’un matri- 548 INDICE BIOGRAFICO. monta, finì col vagabondare nova niente pel mondo. Fuggì dapprima a Praga e poi in Italia; ed a Roma si dice elio alla presenza del cardinale Ferdinando de’Modici abbia immerso un chiodo in un cerio liquido, ri¬ tirandolo trasformato in oro. Dopo aver va¬ gato per parecchie città della Germania, si ritirò a Colonia dove morì il 9 luglio 11)90. Timori Bartot.ommbo. Nacque in Firenzo noi 1588. Entrò a quindici anni convittore nel collegio dementino di Roma della reli¬ gione Somasca; il 18 dicembre 1005 fu no¬ minato prefetto della congregazione dell’Às- suula, e l’anno successivo vestì l’abito. Il P. Tortora, innalzato alla dignità di Gene¬ rale, lo elesse a suo segretario ed in tale carica rimase sotto i successori Do Domis e Porro. L’anno 1622 fu decorato del grado di « Vocale », e promosso poi a cancelliere e definitoro generale, nel tempo stesso cho sosteneva il governo di diversi collegi, tra i quali quello di S. Andrea di Lodi: qui si trovava nel 1633, e poco dipoi venne a morto. Tiepolo Benedetto, di Almorò ritornato di Duca in Candia nel 1580, e di Lucia Moro, nacque in Venezia 1*8 gennaio 1579. Morì nel novembre 1618. Tiepolo Lorenzo, di Francesco o di Lu¬ crezia Grimani, nacque in Venezia il 10 gen¬ naio 1585. Essendo nel 1617 provveditore di Marano, scoperse o sventò una congiura degli Spagnuoli diretta ad impadronirsi di quella fortezza. Fu poi capitano in golfo, provveditore dell’armata e consigliere. Morì dopo veut’anni di comandi marittimi. Tinazzi Giuseppe. Negli atti del Collegio Teologico dello Studio di Padova abbiamo rinvenuto il documento originale del suo esame e della sua approvazione in teologia sotto il dì 4 ottobre 1596, e nell’elenco dei collogiati la prova della sua aggregazione seguita nel medesimo giorno. Trrt [di Tito] Tiberio. Figlio e sco¬ laro di Santi di Tito, nacque in Firenze nel 1573. Pittore principalmente di ritratti. Morì nel 1627. Tolomei Cristoforo. Nacque in Siena di Lelio il 14 febbraio 1585. Fu dottore di legge, canonico o poi nel 1*523 primicerio della chiesa metropolitana senese. Da papa Urbano Vili fu promosso al vescovado di Sovana il 6 marzo 1637. Mancò ai vivi nel settembre 1639. Tolomei Gio. Francesco, di Quintilio o di Giovanna Spini, nacque in Siena il 5 ot¬ tobre 1594. Tommasi Gio. Antonio, Notare della con¬ gregazione del S. Uffizio negli anni 1632- 1633. Torricelli Evangelista. Nacque, come si crede, a Faenza di Gasparo il 15 otto¬ bre 1608, e fece i primi studi con la guida dolio zio paterno Alessandro, monacatosi tra i camaldolesi col nomo di fra Iacopo. Applicò allo matematiche nelle scuole dei Gesuiti. A mozzo il 1627 lo troviamo in Roma discepolo di Benedetto Castelli, che 10 prese in tanta estimazione da farsi sup¬ plire da lui nell’insegnamento, e da racco¬ mandarlo a Galileo cho negli ultimi anni aveva bisogno d’aiuto per portare a compi¬ mento i suoi lavori. Appona il grande maestro fu spirato, si disponeva a tornarsene a Roma, quando il granduca Ferdinando II deliberò di trattenerlo in Firenze, eleggendolo a suc¬ cessore di Galileo nella qualità di suo filosofo e matematico c di lettore di matematiche nello Studio fiorentino: noi quali uffici ri¬ mase, compiendo quei lavori che ne resero il nome immortale, fino alla immatura morte av¬ venuta la notte successiva al 24 ottobre 1647. Tosco Domenico, di umile famiglia nacque 11 24 agosto 1534 in Castellavano su quel di Reggio. Dopo compiuti gli studi di giurispru¬ denza nell’università di Pavia ed avere per qualche tempo occupati alcuni uffici am¬ ministrativi, si portò a Roma dove esercitò l’avvocatura, e, coti la protezione del card. Cesi, ottenne dapprima un canonicato e poi la nomina a suo auditore generalo quando fu inviato legato a Bologna, rimanendo poi vicelegato sotto il successore di lui card. Salviati. LI card. Ferdinando de’ Medici, de¬ posta la porpora o salito al trono di To- INDICE BIOGRAFICO. 54» Senna, lo volle seco come consigliere del Magistrato Supremo o perpetuo auditore generale; ma costretto por motivi di salute ad abbandonare Firenze, fece ritorno a Noma. Il 10 maggio 1595 fu da Clemente Vili eletto vescovo di Tivoli e governatore di Roma, noi quale ufficio acquistò così grandi bene¬ merenze da esser reputato degno della por¬ pora, alla quale venne olevato il 3 marzo 1598 col titolo presbiteriale di S. Pietro in Mon- torio, elio poco dopo lasciò per l’altro di S. Onofrio. Morì in Roma il 26 marzo 1G20. Trmjttmanbdoui' Massimiliano, di Gio¬ vanni Federico addotto alla corto dell’ar¬ ciduca Carlo d’Austria terzo figlio di Fer¬ dinando I, nacque in Graz il 23 maggio 1584. Dopo aver guerreggiato per qualolio tempo in Ungheria ed in Fiandra, venno alla corte di Rodolfo II a Praga ed entrò nel consi¬ glio dell’Impero. Venuto a morte Rodolfo li, rimase alla corte imperiale: da Mattia venno nominato maggiordomo maggiore doli’impe¬ ratrice Anna, e lo stesso ufficio occupò presso Eleonora Gonzaga, seconda moglie di Fer¬ dinando II. A questo però non si limitò la sua partecipazione allo coso di corto e dello Stato, poiché maneggiò con buon esito impor¬ tanti negoziazioni diplomatiche, che gli con¬ formarono la fiducia del nuovo imperatore Ferdinando III, il qualo gli affidò la con¬ dotta della politica imperialo nel congresso di Vestfalia. Poco dopo aver efficacemente contribuito alla conclusione della pace,mancò ai vivi l’8 giugno 1650. Trebiazzi Filippo. Nacque nel 1565, fu in Firenze cancelliere della Parte, mori il 15 febbraio 1657. Tuevisan Gio Francesco, di Gaspare, fu nominato segretario del Senato Veneto il 5 dicembre 1613, e il 20 ottobre 1614 desti¬ nato ad andare con l’ambasciatore Renier Zeno presso il duca di Savoia. Ooprì dal 161(5 al 1620 la carica di residente a Firenze, o dal 1622 al 1626 quella di residente a Milano. Tuevisan Marco, di Francesco o ili Eli- sabotta di Marco Zen, nacque in Venezia il 28 ottobre 1541; mancò ai vivi nel novem¬ bre 1616. Non crediamo che sia il nostro il Marco di Domenico che formò con Niccolò Barbarigo la coppia dei cosiddetti « amici eroi. » Tuevisan Niccolò. Deputato dall’ univer¬ sità a congratularsi con Pasquale Cicogna eletto doge nel 1585, fu con decreto del Se¬ nato Veneto dei 15 gennaio 1599 chiamato ad occupare il secondo luogo di medicina pratica straordinaria, dal quale nell’anno successivo passò al terzo di teorica straordi¬ naria, e da questo con decreto dei 16 otto¬ bre 1607 al secondo di teorica ordinaria, ebe occupò fino alla morte nel 1633, suo sottan- taquattresimo. 'Frullio Giovanni, di Leonardo, nacque in Veroli nel 1598. Soggiornò a lungo in Francia e vi si perfezionò nell’arto chirur¬ gica, acquistando grandissima riputazione specialmente come operatore di litotrizia. Tornato a Roma, fu chiamato a leggere chi¬ rurgia nella Sapienza dal 1637 al 1643, e godè del favore dei pontefici Urbano Vili ed Alessandro VII. Non deve confondersi con romonimo suo nipote, che fu pure lettore di anatomia o di chirurgia nella modesima Sapienza. Morì a Roma il 27 dicembre 1661. Tsbrolaks Giovanni. Il celebre capitano degli eserciti imperiali, più noto sotto il nome di conte di Tilly, nato nel 1559 al ca¬ stello di Tilly nel Brabante, da una fami¬ glia dio da oltre un secolo serviva fedel¬ mente l’Impero; morto ad Ingolstadt, di ferita riportata sul campo, il 30 aprile 1632. Torci Tommaso. Nacque negli ultimi anni del secolo XVI in Cremona. Vestì giovinetto in patria l’abito domenicano, e conseguì la laurea noi magistero teologico approvato nel capitolo generale di Roma dol 1629. Con decreto dei 5 ottobre 1638 il Senato Veneto lo chiamò alla lettura di metafisica nello Studio di Padova, che tenne finché da Ur¬ bano Vili fu richiamato a Roma come pro¬ curatore generale dell’Ordine. Venutovi nel dicembre 1643, l’anno appresso, il giorno 13 maggio, fu por volontà dello stesso pon¬ tefice eletto maestro dell’Ordine in luogo del destituito Niccolò Ridolii. Morì il 1° di¬ cembre 1649. 550 INDICE BIOGRAFICO. Tuhtoiiini Asoanio. I, etterato riminosi), ricordato dagli storici della sua patria a proposito d’un sonetto di Malatesta Porta a lui diretto, e d’una difesa del diritto di libertà della cattedrale riminese contro le pretensioni doll’arcivescovo di Ravenna. Ubaluini Roberto, di Marcantonio e di Lucrezia della Gherardesea, nacque in Fi¬ renze, e fu educato nelle scuole della Com¬ pagnia di Gesù. Conseguita in Pisa la laurea in giurisprudenza, ai allogò alla corte del cardinale Alessandro de’Medici suo zio. Ca¬ duto le speranze che aveva concepit o quando questi fu assunto al soglio pontificio, perla troppo breve durata del regno, fu da Paolo V eletto a suo maestro di camera, indi vescovo di Montepulciano, e mandato più. tardi nun¬ zio in Francia. Di ritorno dalla nunziatura durata nove anni, fu il 2 dicembre 1015 ele¬ vato alla porpora col titolo presbiteriale di S. Matteo in Merulana. Gregorio XV, in so¬ gno di gratitudine per l’opera da lui data nella sua elezione, lo inviò legato a Bolo¬ gna. Morì in Roma il 22 aprile 1635. Uguouioni Giovanni. Residente per il granduca di Toscana a Venezia dal 1592 al 1590: creato poi senatore, c mandato prima commissario a Cortona e a Pistoia, poi am¬ basciatore all’imperatore, presso il quale ri¬ mase accreditato dall’ottobre 1(>01 lino alla morte avvenuta il 15 febbraio 1005. Urbe a Conca (de) Dieoo. Nacque di Luigi in Napoli nel 1502. Ascritto all’Accademia dei Lincei, firmò di sua mano in lingua araba l’elenco dei soci il 2 febbraio lf>12. Fu se¬ gretario del re di Spagna per l’arabo, il turco ed il persiano, nelle quali lingue era versatissimo. Morì in Napoli nell’anno 1615. IJrsino Beniamino. Nacque il 6 luglio 1587 a Sprotfcau nella Slesia : il vero nomo della sua famiglia era Polir, da lui medesimo poi latinizzato. Fu dapprima precettore a Praga, poi insegnante ginnasiale a Linz; ed in ambedue queste città frequentò la com¬ pagnia del Keplero, e verosimilmente lo as¬ sistè nel computo delle tavole Rodolfine. Dal 1615 al 1030 fu insegnante in un ginnasio di Berlino, e a quel tratto della sua vita appartengono i suoi lavori logaritmici: nel 1630 fu chiamato all’università di Franco- forte Bull’Oder, o quivi morì il 27 settem¬ bre 1633. Usiubardi Francesco, di Iacopo d’Ales¬ sandro, nacque a Colle negli ultimi anni del secolo XVI. Con titolo di « Priore » lo tro¬ viamo messo a gravezza, per grazia del gran¬ duca o por partito del Magistrato Supremo dei 22 novembre 1615. Fu eletto « buon uomo allo Stinche >, il 13 maggio 1648. Morì il 3 giugno 1658. Usimbariìi Lorenzo. Nacque di France¬ sco di Piero il 15 luglio 1517 a Collo. Con rescritto del 3 giugno 1591 fa nominato nella classi; dei segretari della corte granducale. Fu poi capitano di giustizia a Siena, audi¬ tore delle Riformagioni dal 1608 al 1636, segretario del granduca Cosimo II e da lui eletto uno dei segretari della Consulta di reggenza durante la minore età di Ferdi¬ nando il. Era già stato eletto sonatore il 20 agosto 1615, ripetutamente do’consiglieri, a da Ferdinando li fu nominato consigliere ili Stato. Morì il 23 dicembro 1036. Vaccari Francesco Maria. Da S. Gio¬ vanni di Bologna, fu con decreto dei 27 feb¬ braio 1030 chiamato dal Senato Veneto alla lettura di metafisica « in via Scoti » nello Studio di Padova. Mancò ai vivi nel 1639. Vaiani Anna Maria. D’una famiglia d’ar¬ tisti fiorentini, alla quale appartennero Ales¬ sandro pittore, e Sebastiano incisore, tutti fiorenti nella prima metà del socolo XVII. È particolarmente nota come pittrice di fiori, ma si occupò anche di incisioni. Si ha il suo ritratto inciso da C. Melimi. Valaresso Ai.vise. Nacque in Venezia di Zaccaria e di Elisabetta Miani il 0 geunnio 1587. Mandato provveditore in Friuli, ne tenne l’ufficio con fermezza e quasi ferocia. Nel 1623 era ambasciatore in Inghilterra: ritornato di là, fu spedito in qualità di so¬ printendente generale all’arrai della lega nella Valtellina; nel 1625 fu consigliere; nel 1029 provveditore sopra la Banit.à nel vero¬ nese per la guerra di Mantova; nel 1631 ca- INDICE BIOGRAFICO. 551 pit.ano di Padova, dove nell’occasione della pestilenza si diportò in modo, da meritare che un arco, il quale ancora oggidì porta il suo nomo, venisse erotto in onore di lui. Fu Riformatore dello Studio di Padova nel 1638 e noi 1613, e il 15 maggio 1640 creato Procu¬ ratore di S. Marco. Morì il 16 marzo 1650. Vàlaresso Maro’Antonio. Nacque in Ve¬ nezia di Gabriele o di Lucia Venier il 20 agosto 1541. Senatore, e nel 1579 consigliere, nel 1600 giudice all’ufficio del Procurator e nel 1609-1/510, 1612-1613 uno dei capi del Consiglio dei Dieci. Valerio Luoa. Nacque di Giovanni, gen¬ tiluomo ferrarese e di Giovanna llodomana corciroso verso il 1552. Noi 1590 si trovava, non sappiamo per qual motivo, a Pisa dove soggiornò per qualche tempo, ma poi si ri¬ dusse a Roma, ed ivi appartenne alla cerchia dei letterati che si riuniva intorno alla Mar¬ gherita Sarrocchi, con la quale visse in grande intimità. Fu tra i più valenti cul¬ tori delle matematiche del suo tempo, o ne fu lettore nella Sapienza di Roma. Il 7 giugno 1612 fu ascritto all’Accademia dei Lincei, dalla quale però volle uscire dopo che la dottrina del moto della terra in ossa professata fu condannata dalla Chiesa. Fece testamento il 14 gennaio 1618, e morì in quello stesso anno. Valibr Bertucci, di Massimo o di Anna Foscarini, nacque in Venezia il 17 settem¬ bre 1535. Fu consiglierò ed uno dei capi del Consiglio dei Dieci. Morì nel settembre 1614. Valiur Niccolò di Francesco, nacque in Venezia il 20 maggio 1578. Fu capitano in Candia. Morì nel 1629. Valibr Pietro. Nacque in Venezia di Gio. Alvise e di Paola Benedetti il 13 api-ile 1575. Abbracciato lo stato ecclesiastico, di¬ venne canonico di Padova il 27 giugno 1603, poi abbate, vescovo di Farnagosta, vescovo di Ceneda, arcivescovo di Candia : Paolo V lo creò cardinale l’il gennaio 1621. Da papa Urbano Vili fu trasferito alla sede vescovile di Padova, della quale preso pos¬ sesso il 29 agosto 1625. Morì il 4 aprile 1629. Valle (della) Pietro. 11 celebre viag¬ giatore, nato in Roma il 2 aprile 1586 ed ivi morto il 20 aprile 1652. Incominciò dal portaro le armi in servizio del papa e diede la caccia ai barbareschi al nord dell’Africa nel 1611. L’8 giugno 1614 s’imbarcò a Ve¬ nezia per l’Oriente, e vi rimase fino al 162G. Coltivò con buon successo le lettere, la poe¬ sia, il disegno: appartenne all’Acoadomift de¬ gli Umoristi. Valois (de) Giacomo. Tesoriere generale di Francia a Grenoble, dilettante di astro¬ nomia. Nel 1627 era addetto alla casa del conto di Sault, Francesco di Créquy, poi duca di Lesdeguiòres. Lo troviamo in corrispon¬ denza col Gassemli già prima del 1629, poi col Mersenne o col Peiresc. Valori Baccio, di Filippo di Niccolò e di Baccia di Raffaello Antinori, nacque in Firenze il 30ottobro 1535. Il granduca Fran¬ cesco I lo creò senatore nel 1580. Dopo es¬ sere stato commissario a Pistoia o a Pisa ed avor riseduto nel tribunale del consiglio e prat ica sogretn, fu elevato da Ferdinando 1 al grado di consiglici- segreto o suo luogo- tenente nella Accademia del disegno. Mancò ai vivi il 4 aprile 1606. Varotari Alessandro. Detto il Tadova- nino, nacque in Padova di Dario, valente architetto veronese, nel 1590. Pittore valen¬ tissimo elio nella dopravazione del gusto seppe conservarsene immune od essere ori¬ ginale: notevole soprattutto per la fecondità delle immagini, l’arte dei contrapposti, lo splendore degli accessori, da esser giudicato il più vicino d’ogui altro al Tiziano, spe¬ cialmente nell’ ideale vaghezza delle sem¬ bianze muliebri. Era morto nel 1650. Varotari Chiara. Figliuola di Dario e sorella del Padovanino. Dedicatasi essa puro all’arte, riuscì eccellente pittrice soprattutto di ritratti. Vendramin Francesco. Nacque in Vene¬ zia di Marco e di Maria Contarmi il 10 ot¬ tobre 1555. Fu noi 1583 uno dei nobili dati per assistenti al duca di Joyeuse venuto a Venezia. Ambasciatore in Savoia, Spagna, 552 INDICE BIOGRAFICO. Francia, e nel 1507 presso Rodollo li; nel 1598 rimandato ambasciato™ straordinario in Francia, o nel 1003 ambasciatore residente in Roma ; nel 1004 Riformatore dello Studio di Padova: e mentre nel 1005 sta\R por esser mandato ambasciatore a Paolo V, fu eletto patriarca di Venezia ed andò a Roma, dove il 22 maggio 1608 fu consacrato dal detto pontefice, che poi il 2 dicembre 1015 lo creò cardinale. Morì il 5 ottobre 1019. Venihiamin Iacopo di Niccolò, fu nomi¬ nato straordinario della cancelleria ducale di Venezia il 3 giugno 1587, ordinario il 29 maggio 1596, segretario del Senato il 22 marzo 1005, e segretario del Consiglio dei Dieci il 14 luglio 1028. Ebbo la carica di residente a Firenze dal 1009 al 1012, e quella di residente a Milano dal 1019 al 1022. De¬ stinato residente alla corto Cesarea nel 1023, fu sopraggiunto dalla morte. Fu sepolto a S. Maria dell’Orto nella tomba di sua fami¬ glia: nell’iscrizione, che è dell’anno 1037, è ricordato insieme con suo fratello Giovanni, col figlio Niccolò e con la moglie Cristina Fermenti. Venikr Dolfin. Nacque in Venozia di Daniele o di Modesta Michiel il 18 novem¬ bre 1558. Nel 1007 fu uno dei provveditori al collegio della Milizia da mar, o nel 1011 capo del Consiglio dei Dieci. Mori nell'ago¬ sto 1013. Vrnttjb Gasparo, di Sebastiano o di Ma¬ rianna Mario, nacque in Venezia il 15 luglio 1531. Nel 1572 fu podestà o capitano di Treviso, o più tardi uno dei capi del Consi¬ glio dei Dicci. Mori nel gennaio 1599. Vrnieii Gto. Antonio, di Leonardo di Giovanni e di Elena Diodo, nacque in Vene¬ zia il 12 gennaio 1520. Lo troviamo consi¬ gliere nel 1593. Mori nel gennaio 1594. Vrnier Sebastiano, di Gasparo e di Lu¬ cia Navagero, nacque in Venezia il 25 ago¬ sto 1572. Nel 1607 lo troviamo capitano di quattro galee grosse nell’armata veneziana contro i corsari, ed essendo nel 1619 consi¬ gliere, persuase la lega con gli Stati d’Olanda. Nel 1625-1026 fu Rado a Costantinopoli e di ritorno da qneU’ftmbascoria fu il 29 settem¬ bre 1630 investito della dignità di Procu¬ ratore: in questo medesimo anno fu spedito ambasciatore straordinario alla Dieta di Ra- tisbona. Fu anche correttore alle leggi, e Ri¬ formatore dello Studio di Padova nel 1031. Di lui troviamo scritto sotto l’anno 1005: « liuoiuo di molta stima per le Bue hello let¬ tere e rare qualità, ha composto un bellis¬ simo trattato di filosofia, et tuttavia affati¬ candosi apparecchia altre cose degne di lui ». Morì il 14 maggio 1640. Venturi Francesco. Nacque in Firenze del senatore Giovanni e di Fiammetta Vet¬ tori il 5 settembre 1570. Eletto nel 1598 dall’arcivescovo Alessandro de’ Medici, che fu poi Leone XI, canonico della metropoli¬ tana fiorentina, nudò a Roma come auditore del card. Giovanni Donai, del quale por parte di madre era parente, o fu da Paolo V eletto referendario del Punti o dell’altra segnatura. Morto il Boiihì, si allogò presso il card. Cobelluzzi; o con le raccomandazioni di que¬ sto fu da Urbano Vili eletto vescovo di 8. Severo il 9 giugno 1625. Occupò quella sedo fino al 1639, nel quale anno fu eletto arcidiacono fiorentino in luogo di Pietro Niccolini promosso arcivescovo. Muri il 18 novembre 1041. Venturi Gio. Battista, di Francesco o di Lodovica (li Bernardo Guidotti, nacque in Firenze nel 1545. Ascritto all’Accademia fiorentina, ne divenne consolo nel 1577: fu creato senatore nel 1615. Venali, i Fabrizio, di Matteo o di Giulia da Corhara, nacque in Roma nel 1570, e fu educato nelle scuole della Compagnia di Gesù. Laureatosi in giurisprudenza, entrò in prelatura sotto demento VITI come re¬ ferendario di segnatura, e da Paolo V fu mandato nunzio agli Svizzeri; poi, il 24 no¬ vembre 1608, promosso alla porpora col ti¬ tolo prosbitoriale di S. Agostino ed eletto vescovo di San Severo. Lasciata, per volontà del papa, questa sedo, si ritirò in curia e fu ascritto alle congregazioni dell’inquisizione, dei vescovi e regolari, e dei sacri riti. Morì in Roma il 17 novembre 1624. INDICE BIOGRAFICO. 553 Verdabio Bernardino. Nacque in Pa¬ dova intorno al 1535, o vi morì 1’ 8 giugno 1620: ool figlio Lorenzino teneva una spe¬ cie di agenzia amministrativa, ed abitava nella parrocchia di S. Daniele. Vkrnacoi Gio. Battista. Tra i moltissi¬ mi omonimi contemporanei, ò assai proba¬ bile si tratti di quello nato di Federico il 31 agosto 1563, che il 29 giugno 1603 con¬ dusse in moglie Livia di Giovanni de’ Pazzi ; che fu ripetutamente console del maro di Pisa o capitano di Pietrasanta; o che, come maestro di camera al seguito del granduca Ferdinando li, prese parte al viaggio che questi lece a Roma ed in Germania partendo da Firenze il 23 febbraio 1628. Verospi Fabrizio, di Girolamo e di Pene¬ lope Gabrielli, nacque in Roma il 5 marzo 1572. Seguì gli studi di filosofia e retorica nel Collegio romano della Compagnia di Gesù, quelli di giurisprudenza nella Sapienza di Roma, a Perugia e a Bologna, dove riportò la laurea. Entrato in prelatura, sostenne con gran lode vari uffici, da meritare che Paolo V gli affidasse la definizione della gra¬ vissima questione delle Chiane, e più tardi lo mandasse come nunzio a Vienna per tentar di dirimere lo controversie allo quali aveva dato origine la condotta del cardinale Klossel : la qual missione gli fu confermata da Gre¬ gorio XV, e questa volta gli riuscì. Da Urbano Vili, che gli aveva affidato il go¬ verno di Perugia e dell’Umbria, fu il 30ago¬ sto 1627 promosso alla porpora col titolo di S. Lorenzo in Panisperna. Fra le altre congregazioni, fu ascritto a quelle della Sa¬ cra Consulta, delle immunità ecclesiastiche, e del S. Uffizio. Morì in Roma il 27 gennaio 1639. Vertiiamon (di) Francesco. Marchese di Manoeuvre e barone di Bréau, eletto consi¬ gliere al parlamento di Parigi il 17 agosto 1618 e « maltro de requòtes » il 29 maggio 1626, intendente dell’armata all’assedio della ltochelle, poi a quella d'Italia, indi all’altra di Guienna dal 1630 al 1638, creato consi¬ gliere di Stato nel 1643. Mancò ai vivi nel¬ l’ottobre 1666. Vespuooi Vincenzio, di Francesco Tom¬ maso di Lapo, nacque in Firenze nel 1585. E ricordato come maestro di casa del gran¬ duca nel ruolo dei provvisionati del 1622-23; fu del consiglio dei 200, e deputato per il quartiere di S. Spirito nella peste del 1630. Morì nel 1646. Vkstri Barbiani Ottaviano, di Marcello di Ottaviano, nacque in Roma e fu buon cul¬ tore delle belle arti ed in particolare della musica. Alla morte del padre, depose l’abito di cavaliere dell’ordine di Calatrava, vestì quello ecclesiastico, o visse alla corte del car¬ dinale Maffeo Barberini, della cui intimità godè fino alla morte. Vettori Alessandro, di Francesco o di Margherita di Salvestro Cambi, nacque in Firenze noi 1586. Ottenuta la laurea in legge, fu eletto alle primarie cariche dello Stato : senatore nel 1637, auditore delle Riforma- gioni, auditore di Santo Stefano o dello Studio di Pisa, consigliere di Stato. Ascritto aH’Aecademia fiorentina, ne fu eletto consolo nel 1615. Mancò ai vivi nell’agosto 1661. Vialardi Francesco Maria. Cavaliere piemontese, nato a Vercelli intorno alla metà del secolo XVI. Fu per qualche tempo in Germania come gentiluomo di corto del principe Ernesto arciduca d’Austria. Noi 1589 era in Firenze, e lesse all’Accademia fiorentina un discorso « sopra la cognizione delle cose inferiori dipendenti dalle supe¬ riori. » Fu più tardi a Mantova presso quella corte; poi a Roma. ViATis Bartolommko. Nacque in Venezia il 18 aprilo 1538 di umilissima famiglia. In¬ torno al 1550 si trasferì in Norimberga dove servì presso parecchi negozianti, sa¬ lendo grado a grado ad una fortuna colos¬ sale che, morendo il 28 novembre 1624, la¬ sciò a due figliuoli, Bartolommeo o Maria, nati da un primo matrimonio con la vedova d’un negoziante presso il quale era impie¬ gato. La ditta commerciale Viatis durò fino alla fine del secolo decimottavo. Vicari Serafino. Di Garessio nel Pie¬ monte, entrò giovanissimo nell’Ordine Do- Vol. XX. 70 554 INDICE BIOGRAFICO. liienicano. Commissario del S. Uffizio, il 2 novembre 1610 fu promosso vescovo di No- cera do’Pagani. Morì nel 1621. Vieta Franoksoo. Nacque a Fontenay- le-Comte nel 1540. Avvocato dapprima nella sua città nativa, poi consigliere al parla¬ mento di Bretagna, fu eletto da Enrico IV a far parte del consiglio privato, senza che tali uffici lo dintogliossoro dallo studio delle matematiche, nelle quali è da annoverarsi tra quelli che coi loro lavori segnarono una via. Durante lo guerre della Lega essendo pervenuto a scoprire la cifra della quale per la corrispondenza si servivano gli spa¬ glinoli, fu accusato di magia e di negro¬ manzia, e dovette scolparsi. Morì a Parigi il 18 dicembre 1605. Vigonza Alessandro. Padovano e lettore nella patria università, chiamato nel 1591 al terzo luogo di medicina pratica straordi¬ naria, da questo promosso al secondo dal Senato Veneto con decreto dei 6 marzo 151)8, indi al primo luogo di medicina pratica straordinaria con decreto dei 16 ottobre 1607, o finalmente al secondo di medicina pratica ordinaria con decreto del 7 dicembre 1612. Morì il 18 novembre 1619. Villamrna Fkanoesco. Pittore ed inci¬ sore, nato iu Assisi intorno al 1566, vuoisi sia stato con Agostino Caiacci alla scuola di Cornolio (.orti: fra le sue migliori incisioni si cita il ritratto di Galileo. Morì nel 1626. Villani Niccolò. Nacque, di Ottavio o di Giulia Baldini da Larga, in Pistoia nel 1590. Compiuti gli studi in Firenze ed in Siena, si trasferì a Roma, dove ai allogò nel 1618, corno maestro di camera secondo gli uni, come cavallerizzo secondo gli altri, presso il card. Tiberio Muti. Appartenne all’Acca¬ demia degli Umoristi ; ed è più conosciuto col nome di cui si valse, « l’Aldeano ». Fu dotto critico o valente erudito, e poeta latino e volgare. Prese notabile parte alle pole¬ miche suscitate da Tommaso Stigliani sul- 1’ «Adone» del cav. Marino. Visse por qual¬ che tempo a Venezia sotto la protezione di Domenico Molili, che lo confortò ad illu¬ strare la Storia di Albortiuo Mussato. Si provò anche nel genero epico con una «Fio¬ renza difesa* venuta a luce nel 1641. Morì in Roma nel 1636. Ville (de) Antonio. Ingognore ed archi¬ tetto militare al sorvizio della Repubblica Veneta. Il 26 marzo 1633 veniva inviato a restaurare le fortificazioni di Mantova: il 28 giugno 1633 si sottoponeva alla sua ap¬ provazione l’opera della * tanaglia di Ber¬ gamo »: noi settembre 1633 e 20 aprile 1634 fu mandato ispettore alle fortificazioni di Vicenza. ViLLiFJUNCHi Giovanni. Nacque in Vol¬ terra, da Iacopo o da Violante 'Pieri, nella seconda metà del secolo XVI. Fu sacerdote, ma di liberi e stravaganti costumi come di bizzarro ingegno. Autore, dai contempo¬ ranei assai gustato, di favole pastorali e poscalorie, poemetti o poemi, tragedie, com¬ medie, mascherate. Verso il 1595 entrò se¬ gretario del duca di Bracciano Virginio Or- Bini ; il quale ufficio lo messe iu relazione coi Medici o coi Gonzaga. Morì in viaggio nel luglio del 1614, navigando verso Napoli sopri una galera di Paolo Giordano Orsini, o fu sopolto presso Monto Circollo. Vinta Belisario. Nacque di Francesco il 13 ottobre 1542 in Volterra. Noi 1577 con¬ dusse in moglie Alessandra di Antonio Bar- tolini da Terranova. Fatto cittadino fioren¬ tino noi 1579, entrò negli uffici della segreteria granducale; e dopo essere stato dei Qua¬ rantotto, e investito di numerose altre ca¬ riche, pervenne al grado di primo consi¬ gliere e di segretario di Stato. Cavaliere e gran cancelliere della Religione di S. Ste¬ fano, priore di Modena, fu creato sonatore nel gennaio 1610. Morì il 14 ottobre 1613. Vinta Francesco di Michele, succedette allo zio Belisario nel priorato di Modena della Religione di S. Stefano. Viveva ancora nel 1652. Vinta Lodovica. Eletta priora del mo¬ nastero di S. Matteo in Arcetri il 1° dicem¬ bre 1611, durò in carica tre anni. ViuDUNu Michele. Nato a Kitzingon il 5 giugno 1575. Poeta laureato ili Jena nel INDICE BIOGRAFICO. 555 1597, professore in Altdorf nel 1G05. Autore ili numerose tragedie, accolto con plauso. Mancò ai vivi in Altdorf il 28 ottobre 1637. Visconti Onorato, di Ercole o di Anna Sfondrati, nipote di Gregorio XIV, nacque intorno al 1580. Abbracciato lo stato eccle¬ siastico, fu da Paolo V eletto referendario dell’una e dell’altra segnatura nel 1608, e nello stesso anno mandato al governo di Iesi, dal quale nel 1610 passò a quello di Fano, nel 1614 ad Ascoli e poi ad Ancona. Noi 1624 fu inquisitore a Malta, nel 1627 gover¬ natoli del Piceno. Nel 1630 fu eletto arci¬ vescovo di Larissa e nunzio in Polonia, con facoltà di legato a Intere presso Sigismondo re di Polonia e di Svezia. Arricchito nel 1634 doll’abbazia di S. Barnaba di Grattasoglio, o nel 1636 eletto commissario o visitatore delle acque nelle provincia di Bologna, Fer¬ rara e della Romagna. Morì nel 1645. Visconti Raffaello. Boll’Ordine Dome¬ nicano, socio del P. Maestro del Sacro Pa¬ lazzo, Niccolò Riccardi. Amico di 1). Orazio Morandi, si trovò coinvolto nel processo in¬ tentato in Roma nel 1630 contro i negro¬ manti e gli astrologò che annunziavano im¬ minente la morte di papa Urbano Vili. No’ suoi costituti egli si qualifica « Padre Raffaello Visconti quondam Agapito, roma¬ no ». Allegato al processo ò un « Discorso astrologico sulla vita di Urbano Vili scritto dal lt. P. Raffaello Visconti ». Convien cre¬ dere però ch’egli abbia potuto scolparsi, perchè fu soltanto allontanato da Roma, mentre i suoi coimputati furono in gran nu¬ mero sottoposti a pene gravissime. Vitelli Francesco. Di nobile famiglia di Città di Castello, creato arcivescovo di Tessalonica, fu mandato da Urbano Vili nunzio alla Repubblica Veneta: ebbe in am¬ ministrazione la diocesi di Terni: nel 1639, mentre ancora durava il suo ufficio diplo¬ matico, fu promosso vescovo di Urbino. Tor¬ nato da Venezia, fu per qualche tempo go¬ vernatore di Roma: poi trasferitosi alla sua nuova sede vescovile, ivi morì nel feb¬ braio 1646. Vitturi Gio. Battista. Nacque in Vene¬ zia, di Pietro e di Elena Frizzo, il 10 luglio 1537. Noi 1589 fu podestà di Vicenza e nel 1591-92 di Padova, nel 1593 consigliere, nel 1607 capo del Consiglio dei Dieci. Morì nel gennaio 1613. Viviani Alamanno. Di lui troviamo sol¬ tanto, che fu fratello maggioro di Vincenzio, e elio, compiuti gli studi a Pisa, abbracciò lo stato ecclesiastico. Viveva ancora nel 1671. Viviani Vinoenzto, di Iacopo di Miche¬ langelo c di Maria di Alamanno del Nente, nacque in Firenze il 5 aprile 1622. A sedici anni fu introdotto nello studio delle mate¬ matiche dal P. Clemente Settimi, facendovi così rapidi progressi clic il granduca Fer¬ dinando II, dopo averlo sottoposto ad uno sperimento, gli accordò un sussidio mensile e lo raccomandò a Galileo. Questi lo accolse amorevolmente, e lo tenne presso di sè dal¬ l’ottobre 1639 fino all’ultimo di sua vita, cosicché egli potò ascrivere a titolo altis¬ simo d’onore d’essere stato e di dirsi « ul¬ timo discepolo del Galileo », al quale succe¬ dette, dopo la morte del Torricelli, nell’uffi¬ cio di matematico del granduca e quindi frequentemente adoperato in consulti o lavori di ingegneria. Dal principe Leopoldo de’Me¬ dici fu ascritto nell’Accademia del Cimento. Invitato ai servigi del re di Polonia e del re di Francia, ricusò; ma da Luigi XIV ebbe una cospicua pensione, e fu eletto uno degli otto soci stranieri dell’Accademia delle Scien¬ ze di Parigi. In tanta rinomanza egli era salito por i suoi lavori geometrici: ma in cima a tutti i suoi pensieri era il curare una edizione completa delle opere del suo Mae¬ stro, non sembrandogli sodisfacente quella pubblicata dal Manolessi a Bologna ed alla quale pur aveva contribuito. Il desiderio di potervi comprendere anche il « Dialogo» condannato, e la speranza di poterne ot¬ tenere la licenza, ritardarono sempre l’ese¬ cuzione di questo disegno che rimase ina¬ dempiuto, come pur quello della « Vita » che oltre al « Racconto Isterico » egli aveva in animo di dettare. Nè con questo soltanto dimostrò la gratitudine verso il Maestro, bensì ancora raccogliendo le membra sparso delle sue opere, vigilando sui suoi discen¬ denti, e ricordandosene, benché purtroppo senza effetto, all’atto di sua morte che seguì 556 INDICE BIOGRAFICO. il 22 settembre 1703. Benché ogli avesse già in vita fatto collocare sulla facciata della sua casa un busto di Galileo con a fianco le lunghe iscrizioni che la fecero chiamare «la casa dai cartelloni», dispose nel suo te¬ stamento che a spese del suo erede venisse eretto in S. Croce un monumento sepolcrale al suo Maestro, accanto al quale essere egli pure sepolto, o finché tale sua disposizione non avesse il suo effetto, volle dividerne la sepoltura provvisoria nella cappella del no¬ viziato della chiesa medesima. Yoss Gio. Gherardo. Celebro erudito olandese, nato di Giovanni noli’ aprile o maggio 1577 nelle vicinanze di Heidelberg. Foce i suoi primi studi a Dordrecht, o di là nel 1595 si recò a Leida dove fu laureato il 13 marzo 1598. Fu dapprima rettore del collegio di Dordrecht, quindi nel 1015 di quello degli Stati a Leida. Involto nelle controversie religiose di quel tempo, fu nel 1619 privato del suo ufficio. Alla fino del 1622 fu eletto alla lettura di eloquenza e di storia a Leida; e nel 1630, appena fondata l’Accademia di Amsterdam, chiamato uno dei primi a farne parte, ivi morì il 17 marzo 1649. Yurstisio Cristiano. — V. Wursteisen Cristiano. Waoker Gio. Matteo. Nacque a Co¬ stanza nel marzo 1550. Educato nella re¬ ligione riformata, seguì gli studi di leggo a Strasburgo e a Ginevra, e si laureò in Padova nel 1575. L’anno appresso fu novamento in Italia come aio d’un giovane patrizio di Breslau, ed al ritorno si allogò in Broslau presso la camera imperiale. La sua par¬ tecipazione agli affari dello Stato assunse ben presto caratteri di grande importanza; o per togliere di mozzo le difficoltà che avrebbero ritardata la sua carriera, passò nel 1592 al cattolicismo. Nel 1594 fu nobi¬ litato col predicato di Wackenfels, nel 1597 chiamato a far parte del consiglio dell’im¬ pero a Praga, nel 1598 inviato a Roma. Quantunque nelle questioni tra Rodolfo II e Mattia egli avesse parteggiato per il primo, fu anche dal secondo tenuto in grande estimazione e nel 1616 creato conte palatino. Morì a Vienna il 7 settembre 1619. Walrrun (di) Giovanni Federico Cristo- foro. Le matricole della Nazione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memoria : « Ioliannes Fride- ricus Christophorus de Walbrun in Ernst- hoilen, Anno Dui. 1603, 9 nov. ». Wallrnstkin Allerto. Nacque a Praga il 14 settembre 1583. Con un esercito levato a proprio spese servì utilmente l’imperatore, e nel seguito della guerra dei trent’anni fu il capo principale delle truppe cattoliche. Morì assassinato ad Egra il 15 febbraio 1634. Weert (van) Francesco. Intorno a que¬ sto personaggio, od alle suo relazioni con la Repubblica Veneta, abbiamo rinvenuto un decreto dol Sonato, degli 11 settembro 1638, col quale vengono destinati agli ordini dol provveditoro Generale in Candia, Antonio Lavila e Francesco van Weert. Ingegnere; ed altro decreto del Senato dei 20 ottobre 1638, col quale vengono assegnati ducati dieci al mese a Giovanni van Weert, figlio di Francesco, perchè possa educarsi nell’arto paterna, e ciò in segno di riconoscimento per i servigi resi dal suddetto ingegnere alla Repubblica. Weiliiamer Guglielmo. Nacque a Mo¬ naco nel 1596. Fu ammesso nel 1614 nella Compagnia di Gesù: insegnò per ventitré anni le matematiche a Parma, indi fece ri¬ torno in Germania; per dieci anni fu predi¬ catore, poi ministro o procuratore a Trento. Morì a Friburgo nella Svizzera il 22 ot¬ tobre 1663. Weitersfif.im Giulio Adolfo. Lo matri¬ cole e gli atti della Nazione Germanica Giu¬ rista nello Studio di Padova ricordano «Iu- lius Adolphus Weitersheim » Sindaco della Nazione stessa nel 1607. è Wells Giovanni. Matematico inglese, morto nel 1638 lasciando tra le altre opere un « Itinerario dell’anima al Chanaan dei cieli ». Welser Marco. Nacque in Augusta, di Matteo o di Anna Pinmiel, il 20 giugno 1558. Compiuti in famiglia i primi BtudT, fu man- INDICE BIOGRAFICO. 557 dato giovanissimo con altri tre fratelli a Padova, dove diede il suo nome alle ma¬ tricole della Nazione Germanica Giurista o rimase due anni. Passò poi nel 1571 a Pa¬ rigi, sempre per oggetto di studio, e due anni dopo venne in Roma col fratello mag¬ gioro Antonio e vi si trattenne a lungo. Dopo due altri anni passati in patria, fece per la terza volta ritorno in Italia, ripor¬ tando da questi suoi lunghi soggiorni fra noi, oltre ad altri vantaggi, quello d’ima perfetta conoscenza della nostra lingua, che gli meritò di essere il 4 settembre 1613 aggregato all’Accademia della Crusca: a quella dei Lincei era già stato ascritto l’anno innanzi. Nella sua città di Augusta venne assunto ai massimi onori : chiamato al governo della cosa pubblica nel 1583, connumerato fra i Settemviri nel 1596, final¬ mente eletto Duumviro nel 1611. Cultore di studi storici ed archeologici, raccolti dopo la sua morte e pubblicati da Cristoforo Ar¬ nold a Norimberga nel 1682, mantenne re¬ lazioni epistolari estesissime ; ed in Italia principalmente, oltre che con Galileo, col Salviati, col Cesi, col Faber, col card. Fe¬ derigo Borromeo, per tacere di moltissimi altri. Gli ultimi anni della sua vita, oltre che da una fiera podagra, furono contur¬ bati da gravi dissesti economici, cagionati dalla mancata restituzione d’un ingente pre¬ stito da lui fatto all’imperatore Rodolfo II; cosicché la sua casa fu costretta a fallire, o corse voce che per non sopravvivere al di¬ sonoro avesse preso il veleno. Morì in Au¬ gusta il 23 giugno 1614. Wendkltn Goffredo. Nacque a Ilerck, su quel di Liegi, il 6 giugno 1580. Compiuti gli studi di umanità nel collegio dei Gesuiti a Tournay, si recò nel 1598 a Lovanio; nel 1600 era a Roma dopo aver fatto per qual¬ che tempo il correttore di stampe in una tipografia di Lione. Nel 1604 compì a Pa¬ rigi gli studi di giurisprudenza, e vi fu ri¬ cevuto avvocato. Abbracciò poi lo stato ec¬ clesiastico ; e ricevuti gli ordini, divenne curato di Beets dove soggiornò per circa quindici anni; per altri venti fu curato del suo luogo nativo, essendo stato nel frat¬ tempo investito d’una prebenda di canonico di Condó. Può dirsi elio egli non abbia la¬ sciato passare una ecclisse lunare senza os¬ servarla; e per la sua straordinaria diligenza nel l’osservare e per i suoi studi sulla luna divorino, oltre che per la sua grandissima coltura, giustamente celebre. Sono pure ono¬ revolmente ricordati i suoi studi sulle oscil¬ lazioni del pendolo. Negli ultimi anni fu se¬ gretario del vescovo di Tournay e canonico della cattedrale. Deposto ancho questo uffi¬ cio, morì, decano di Renaix, nel 1667. White Riccardo, di Riccardo e di Maria Plowden, nacque a Hutton (Essex) nel 1590. Non prima del 1616 applicò alle matema¬ tiche; e recatosi a Firenze, vi fu scolaro del Castelli. Nel 1648 pubblicò in Roma un’opera geometrica dal titolo « ITemisplme- rium dissectum » (Authore Ricardo Albio Anglo), nella quale si contengono tentativi di intograzioni. Viveva ancora nel 1653, per¬ chè tra lo carte dell’Accademia del Cimento si trovano alcune sue osservazioni sulla co¬ meta di quell’anno. WlCKENS [VlCKE, VlCKENICS] NlOCOT.Ò. Addetto alla corte imperiale a Praga, prima come « Sac. Caes. Maiestatis dapiferi poi «a consiliis motallicis », corrispondeva col Keplero e col Mayr in argomenti astrono¬ mici, e più particolarmente astrologici. Wiokfort [Wicqukfort] (van) Gioac¬ chino. Nacque in Amsterdam nel 1600, fra¬ tello di quell’Àbramo, noto diplomatico olan¬ dese. Egli stesso prese parte agli affari pubblici come agonto del duca Bernardo di Sassonia-Weimar nei Paesi Bassi, in Francia ed in Germania. Nel 1639 fu nominato mi¬ nistro residente all’Aja per la Lnngravia Amelia d’Àssia-Cassel. Morì nel 1670 ad Amsterdam. WlNTER [WlNTHER] GlO. BATTISTA. In appendice alla storia naturale dell’Hernan- dez, il Faber lo dice « Ioannes Baptista Vuintheni8 Bavaro Schongonus ad Lycuin, vir, praeter medendi artem, politioribus etiam littoria bene cultus » : ed alla fine si leggono alcuni versi del medesimo, che si in¬ titola cittadino romano, dottore di filosofia, e medico del principe Cesi. 558 INDICE BIOGRAFICO. Wolski Niccoli. Maresciallo di Corto del re di Polonia, ambasciatore del suo so¬ vrano prima al papa e poi alla corte di Toscana. Wostrou (di) Michele Vittore. Gli Atti della Nazione Germanica Giurista dello Studio di Padova ci conservarono di lui la seguente memoria: « D. Michel Victor a Wostrou assessor cligitur, 10 kal. Aug. 1000 ». Wotton Enrico. Nacque a Boughton Hall (ICent) nel 1568, di Tommaso o della sua seconda moglie Eleonora Finch. Avuta la prima educazione nelle scuole di Win¬ chester, il 5 giugno 1584 si immatricolò nel New College di Oxford, dal quale passò due anni dopo al Queens’ College. Essendo ancora studente, scrisse il « Tancredo », sullo traccio della «Gerusalemme Liberata », ed intorno al medesimo tempo si legò in ami¬ cizia con Alberico Gentili. Rimasto orlano con scarsissimo patrimonio, uscì d’Inghil¬ terra, visitò P università di Altdorf, c di lì passò a Linz dove strinse relazione col Ke¬ plero. Visitò puro Ingolstadt, Linz e Vienna, e nel 1592 ora a Roma dove conobbe il Car¬ dinal Bellarmino: fece ritorno in Inghilterra nel 1595, dopo aver soggiornato a Napoli, Genova, Venezia, Firenze, Ginevra. Ripreso ben presto la strada d’Italia, andò a Ve¬ nezia e di là passò a Firenze, dove fu pre¬ sentato alla corte. Essendosi in quel mentre avuto sentore d’una congiura contro il re Giacomo di Scozia, egli fu mandato ad av¬ vertimelo; e dopo tre mesi lece ritorno a Firenze, dove si trovava alla morte della regina Elisabetta. Ritornato allora in In¬ ghilterra, vi ebbe ottime accoglienze da Gia¬ como I, che lo creò cavaliere e lo mandò am¬ basciatore a Venezia, dove rimase, vivendo nell’intimità di Paolo Sarpi, dal 1604 al 1612, e poi dal 1616 al 1619, e lilialmente dal 1621 al 1G24. In questi intervalli ebbe missioni diplomatiche in Francia, all’Aia, a Vienna; e fu eletto rettore del Collegio di Eton, nel quale ufficio durò fino alla morte avvenuta al principio del dicembre 1639. I suoi scritti furono raccolti e pubblicati postumi col ti¬ tolo di « Reliquiae Wottonianae » nel 1651, e ristampati nel 1656, 1672, 1685. WonsTKisicN [Vurstisio] Cristiano. Nato nel 1544. Studiò teologia, matematica e storia nella università di Basilea, dove fu laureato in filosofia noi 1562; e dopo breve ministero parrocchiale, nel 1564 fu nominato profes¬ sore di matematica nella medesima univer¬ sità. Si hanno di lui allo stampe alcuni « Elemento Arithmeticae » o « Quaestiones novae in theoricas novas planotarum G. Peurbacliii » comparse queste ultime per la prima volta alla luce nel 1568 e contenenti, a proposito dell’eccentricità dell’eclittica, apprezzamenti sull’opera del Copernico i quali furono da Galileo interpretati nel senso di adesione al sistema da lui propu¬ gnato. Un Diario dei viaggi da lui fatti fu pubblicato nel 1902 dal Luginbìihl. Ma l’opera sua principale è la « Baseler Chro- nik » (1580), per attendere con maggior agio alla quale, ed aver facile accesso agli ar¬ chivi della città, accettò il posto di scrittore municipale. Mancò ai vivi il 29 marzo 1588. WiutTEMiiERfi (Ducadi) Federico. Igno¬ riamo so questi sia lo stesso che era in Pa¬ dova l’8 marzo 1600, o che sotto questo giorno diede il suo nome alle matricole della Na¬ zione Germanica Giurista, sottoscrivendosi: « FridericusDux WurtbembergensisetTeck, Comes Montis Bel igni-di ac Dominus in Jloi- d'einhoimb, Eque» Ordini» Franciae et An¬ gli ac, eco. Scriptum in honorem Germanicac Nationis ». Ximrnes Emanuele, di Odoardo e di Isa¬ bella di Rodrigo Itodriguez, nacque nel 1542. Si ascrisse giovanissimo alla Compagnia di Gesù, e diventò commissario del S. Uffizio. Nel 1596 il P. Claudio Acquavi va, Generalo dei Gesuiti, lo deputò ambasciatore al gran¬ duca Ferdinando I a pregarlo di appog¬ giare le loro istanze per ottenere da En¬ rico IV la riammissione ili essi in Francia. Morì in Firenze nel 1614. Ximenes Ferdinando, di Girolamo c di Beatrice de Serra, nacque intorno al 1580. Appartenne all’Ordine Domenicano. Morì a Lisbona nel 1630. Ximenes Sebastiano, di Lisbona, fondò il 20 settembre 1593 una commenda del- INDICE BIOGRAFICO. 559 l’Ordine di S. Stefano col titolo di « Prio¬ rato di Romagna », o vesti l’abito cavalle¬ resco il 14 ottobre dello stesso anno. Nel 1616, per grazia del granduca, e come priore di Romagna, conferì al proprio figliuolo la commenda Contuli di Cervia, devoluta, per estinzione di linea, all’Ordine Stefaniano. Ximenes Tommaso, di famiglia porto¬ ghese, nacque di Rodrigo, che acquistò cit¬ tadinanza e nobiltà fiorentina. Eletto in ancor giovano età nel 1596 canonico della metropolitana di Firenze, poi referendario apostolico, fu da Paolo V promosso alla sedo vescovile di Fiesole il 16 novembre 1620, ola occupò fino alla morto avvenuta il 3 no¬ vembre 1633. Ystblla Lodovico. Nacque a Valenza di Spagna inforno alla metà del secolo XVI, o vestì in patria l’abito domenicano. Dal 1580 al 1600 occupò la cattedra primaria di Sacra Scrittura nell’Accademia Valentina; c ve¬ nuto a Roma per sostenervi una causa di beatificazione, vi fu trattenuto dal Maestro dell’Ordine come vicario generale dal 1602 al 1608, nel quale anno da papa Paolo V fu eletto Maestro del Sacro Palazzo Apo¬ stolico. Mancò ai vivi il 5 settembre 1614. ZabakklIiA Giacomo. Nacque del conte Giulio e di Ziliola Dottori in Padova il 5 settembre 1533. Conseguì a vent’anni nella patria università la laurea in filosofia. Con decreto dei 13 gennaio 1564 fu chiamato dal Senato Veneto alla prima cattedra di logica, dalla quale nel 1569 lu promosso alla seconda di filosofia straordinaria, e il 26 marzo 1577 nlla prima: il 6 settembre 1585 ebbe infine il secondo luogo di filosofia ordinaria, elio tenne fino alla morto avve¬ nuta il 25 ottobre 1589. Zabarella Giacomo. Nacque di Leonida e di CrensaConti in Padova nel 1571). Ottenne nel 1614 un terzo luogo di medicina pratica straordinaria nello Studio di Padova, dal quale nel 1618 fu trasferito alla lettura dei Semplici. Morì nel 1631. Zaiiauella Giulio, del conte Giacomo e di Elisabetta Cavaccio, nacque in Padova nel 1556, e vi morì nel 1626. Zabarella Lucirtta. Forse una delle duo figlie di Francesco, che nel 1573 occu¬ pava un terzo luogo di diritto civile nello Studio di Padova, e di Livia di Giulio Porto. Più tardi deve essersi o maritata o mona¬ cata, oppure sarà morta altrove, perchè, consultati diligentemente gli atti dei morti in Padova a tutto il secolo XVII, non si trova traccia alcuna d’una Lucia Zabarella. ZACcniA Laudivio, di Gaspare e Veronica do’ Nobili, patrizi genovesi, nacque intorno al 1560. Si laureò a Pisa in giurisprudenza. Tornato in patria, condusse in moglie la sua cugina Laura do’ Nobili ; della quale rimasto vedovo, si recò a Roma presso il fratello cardinale Paolo Emilio ed abbracciò lo stato ecclesiastico. Protetto dal cardinale Pietro Aldobrandini, ottenne importanti uf¬ fici: da Gregorio XV fu mandato nunzio alla Repubblica Veneta, o da Urbano Vili pro¬ mosso alla porpora il 19 gennaio 1626 col titolo presbiteriale di S. Sisto. Morì il 7 ago¬ sto 1G37. Zane Almorò, di Marino e di Modesta Valier, nacque in Venezia il 30 settembre 1549. Nel 1587 fu podestà e capitano di Ro¬ vigo e provveditoro per tutto il Polesine, poi del Consiglio di Pregadi ordinario, e nel 1598 capo del Consiglio dei Dieci : nel 1600 fu mandato podestà a Verona, e nel 1606 a Padova. Fu anche consigliere. Morì nel¬ l’agosto 1618. Zane Matteo, di Girolamo e di Elisa- botta Vitturi, nacque in Venezia il 10 mag¬ gio 1545. Nel 1574 fu deputato come uno degli assistenti al re Enrico III di Francia, nel 1578 andò ambasciatore in Polonia, nel 1589 e 1590 capitano di Verona, nel L59G, 1597 e 1599 Riformatore dello Studio di Padova. Nel 1601 fu dal Senato eletto patriarca di Venezia; e dopo d’essere stato consacrato da papa Clemente Vili, preso possesso della sua dignità il 31 dicembre 1601. Morì il 26 luglio 1605, e fu sepolto nella chiesa di S. lMet.ro di Castello. Zapata db Cisneros Antonio. Nacque in Madrid nel 1552 da Francesco dei conti di Durajas. Dopo compiuti gli studi a Sa- 560 INDICE BIOGRAFICO. luumnca, abbracciò lo stato ecclesiastico, e lu successivamente canonico ili Toledo, vescovo di Cadice, di Jaon, di Pamplona, arcivescovo di Burgos; e ad istanza di Filippo III lu da Clemente Vili creato cardinale il 9 giugno 1604. Spedito dal re a Roma, intervenne al conclave in cui fu eletto Paolo V; o da questo ebbe prima il titolo di S. Croco in Gerusalemme, poi quello di S. Balbina. In Roma si trattenne parecchi anni durante il pontificato di Paolo V, e nel 1(520 fu da Fi¬ lippo III eletto viceré di Napoli dovo oblio a successore il duca d’Alba nel 1622. Ritor¬ nato in Ispagna, divenne arcivescovo di To¬ ledo o supremo inquisitore. Morì in Madrid il 6 maggio 1638. Zbàbàz (di) Cristoforo. Nacque di Gio¬ vanni e di Anna Czetwcrtinska nel 1541. Successo al padre nelle cariche di Starosta (capitano) di Krzemieniec e di Gross-lvron- Stallmeister (Magister Generalis regiae equi- nae et stabulorum). Visitò ripetutamente l’Italia e certamente nel 1602, quando, più che sessantenne, volle udire da Galileo lo fortificazioni. Vi era stato anche molto tempo prima, perchè in una lettera a G. V. Pinelli da Grodno ricorda d’esser partito dall’Italia da molti anni: conduceva allora l’esercito del re di Polonia « centra Carolimi perduel- leui ». Figura come interlocutore in un’opera manoscritta in lingua polacca di Andrea del¬ l’Acqua veneziano, intitolata: « La pratica del cannone ». Nella storia della Polonia ò rimasta celebro la sua splendida legazione a Costantinopoli degli anni 1622-1623, la quale fu cantata in buone strofe epiche dal poeta contemporaneo polacco Samuele Twardow- ski. Morì a Cracovia nel 1627. Zboronski Martino. Le matricole della Nazione Polacca nello Studio di Padova ser¬ bano di lui la seguente memoria: « Peril- luatris Dominus Martinus Zboronski do liit- wiauy antepedium ad altare S. Stanislai, coloris rubei et albi, obtulit die 28 meusis Februarii 1608 ». Zieglkr Giovanni Reinardo. Nacque a Oediskofen nella diocesi di Spira nel 1569. Entrò nella Compagnia di Gesù il 24 marzo 1588, ed in essa fu insegnante di filosofia, di teologia e di matematiche. Fu inoltre ret¬ tore a Magouza e ad Aschaftenburg, con¬ fessore dell’Elettore di Magonza. E in Ma¬ gouza morì il 24 luglio 1636. Zioesar (di) Andhka Giorgio. Le matri¬ colo della Nazione Germanica Giurista nello Studio di Padova serbano di lui la seguente memoria: « Andreas Georg von Zigesar, 19 Octob. 1604 ». Ziliol Camillo. Nacque in Venezia di Alessandro intorno al 1540. Fu assunto ai servigi della Repubblica come straordinario di cancelleria nel 1556, promosso ordinario nel 1556, eletto segretario del Collegio e del Senato nel 1585. Tra i vari uffici, ebbe quello di scrivere e tradurre lo cifre, di leg¬ gere in Pregadi e di attendere alle suppli¬ che. Il 28 settembre 1609, presentando una supplica al Senato per ottenere un sussi¬ dio, egli enumerava i seguenti servigi resi alla Repubblica: segretario alla Camera del- P armamento noli’ultima guerra turchesca, del Collegio sopra lo galoe doi condannati, del Collegio della Milizia da Mar, dell’officio delle Biade, segretario ai Tansadori della Camera Grande, segretario allo voci. L’anno 1616 è l’ultimo nel quale si trova firmato come segretario nei decreti del Senato. Zollern (di) Federico Eutel. Abbracciò giovanissimo lo stato ecclesiastico, e fu ca¬ nonico di molto chioso tedesche. Venuto a Roma dopo la morto del card. Dietricbstein, fu ascritto fra i camerieri segreti di Cle¬ mente Vili. Alla morte di questo fece ri¬ torno in Germania; e di là, con l’appoggio dell’ imperatore, ottenne quello che non gli era riuscito di conseguire stando a Roma, cioè la porpora cardinalizia della quale fu decorato da Paolo V nella creazione dol- l’II gennaio 1621. Non intervenne al con¬ clave dal quale uscì papa Gregorio XV, ma venne subito dopo a Roma, dove ricevette il titolo presbiterialo di S. Lorenzo in Pa- nisperna e rimase in curia, finché gli per¬ venne l’annunzio della sua elezione al ve¬ scovato di Olmtitz. Trasferitosi alla sua sede, morì poco dopo, non senza sospetto di veleno, nel settembre 1625. INDICE BIOGRAFICO. 561 Zorzi Alvise. Nacque in Venezia, di Be¬ nedetto o di Marina Corner, i’11 luglio 1515. Dopo aver sostenuto parecchi uffici ammini¬ strativi nella Dominante, fu mandato nel 1570 provveditore generale in Corfù, nel 1576 fu uno dei presidenti alla fabbrica del Palazzo Ducale e l’anno stesso capitano di Padova, nel 1578 consiglierò, Riformatore dello Studio di Padova pure nel 1578 e poi novamcnto nel 1686 e 1591. Nel 1588 fu pre¬ sidente all’erezione del ponte di Rialto, nel 1589 passò commissario in Friuli, o il 13 feb¬ braio 1591 fu creato Procuratore di S. Marco. Mori il 4 giugno 1593. Zobzi Benedetto. Nato in Venezia, di Alvise c di Cristina Zorzi, il 6 novem¬ bre 1555. Di lui troviamo che « fu teologo, giureconsulto, poeta, historico, oratore, cos¬ mografo e matematico eccellentissimo, eru¬ dito nello lettere greche e latine ed italia¬ ne, apprese con lungo studio in Bologna od in Padova; fu accademico veneto ». Viaggiò mozza la Germania e tutta la Francia; e ritornato a Venezia, fu Savio agli ordini, provveditoro alla Sanità, Signore ai x Savii, esecutore alle acque, e noi 1583 uno dei quat¬ tro nobili deputati assistenti al duca di Jo- yeuse venuto a Venezia. Nel 1585 fu podestà di Vicenza, poi nel 1590 da papa Urbano VII eletto suo segretario; ma per la subita morto di esso pontefice ritornato a Venezia, fu provveditore sopra i banchi, alle biade, o sonatore di Pregadi, quindi, per la granile sua dottrina, deputato bibliotecario della libreria lasciata dal card. Possanone per testamento alla Repubblica. Mancò ai vivi nel novembre 1601. Zorzi Marino. Nacque in Venezia, di Marco e di Paolina Cornavo, il 23 dicembre 1558. Abbracciato Io stato ecclesiastico, fu prima abbate di S. Trinità nel Veronese, quindi mandato nunzio a Firenze da papa Clemente Vili, poi il 4 maggio 1596 eletto vescovo di Brescia. Morì il 25 agosto 1632. Zuoohi Niocolò. Nacque a Parma il 6 di¬ cembre 1586. Entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù a Padova il 28 ottobre 1602, professò durante tre anni la retorica, poi per altri sci filosofia, teologia e matema¬ tiche noi Collegio romano. Fu in appresso rettore di questo collegio e di quello di Ravenna, e per sotto anni predicatore del Palazzo Apostolico. Avendo accompagnato il Cardinal logato Alessandro Orsini alla corto dell’imperatore Ferdinando II, vi co¬ nobbe il Keplero. Era preposto alla casa professa di Roma, quando morì il 21 mag¬ gio 1670. ZUGMESSBR [ZlJGM ANNO, ZlKCKM KSEIl] GIO¬ VANNI EotbIi. Era sicuramente a Padova noi dicembre 1600, perchè nelle matricolo della Nazione Germanica Artista dello Studio di Padova si legge, scritto di suo pugno : « Io- hnnnes Eutel Zieckmeser Spirensis nomen sunin albo Nationis Germanicae inscriptum profitetur. Anno a virgineo partii 1600, dio 13 lObris ». Divenne poi « nmthetnalicus et cubicularius » dell’arcivescovo Ernesto di Colonia. Zuniga (de) Baldassaub. Diplomatico e uomo di stato Spognuolo, tra i più stimati autorevoli gentiluomini della corte, che par¬ teciparono attivamente alle coso del go¬ verno. Nel 1616 era ambasciatore di Spagna a Vienna. Zuniga (de) Diego. Di lui abbiamo tro¬ vato : « Sahuatieensis nata, Didaci de Zu¬ niga, domini do Cisla et Flores Davila, filius, ordinem Eromitarum delcgit, in quo Deo sibique ac literis vacaret. » Autore di eso- gosi bibliche o di un trattato « De vera religione in omnes sui tempori» haereticos» del quale la copia che è nella Nazionale di Firenze appartenne al domenicano Nic¬ colò Lorini, che vi segnò il proprio nome e il ricordo d’a verno fatta pubblica esposi¬ zione. Voi. xx. 71 SUPPLEMENTI. AVVERTIMENTO. Pur attendendo alla compilazione ed alla pubblicazione doi vari Indici elio costituiscono questo ventesimo ed ultimo volume, non abbiamo mai tralasciato le ricerche dirette ad integrare le vario serie che formano la Edizione Nazio¬ nalo. Questa nessuno certamente pensò mai che potesse essere condotta d’un tratto in modo cosi definitamente completo, da escludere qualsiasi aggiunta o supplemento : e uno di questi, concernente il Carteggio, abbiamo già dato alla line del deeimottavo volume ; ed altro, concernente i Documenti, alla fine del decimonono. Al Carteggio e ai Documenti porgono nuove contribuzioni i Supplementi che seguono ; dei quali gli elementi vennero raccolti mano a mano che il faticoso volume andava procedendo : cosicché è avvenuto che di alcuni, anzi della mas¬ sima parte, potò esser tenuto conto nell’Indice dei nomi e delle materie; mentre altri sopravvennero quando la stampa di esso aveva già oltrepassato il luogo respettivo : ma anche di questi abbiamo indicata la inserzione ai loro luoghi nelle serie maggiori alle quali appartengono. Nessuno più di noi avrebbe desiderato che questi, siano pur lievi, inconve¬ nienti avesser potuto essere evitati. Ma in lavoro di tal mole e natura, e a con¬ fronto (ci sia lecito aggiungere) di altri consimili, pur di proporzioni e difficoltà molto minori, nessun discreto ce ne potrà muovere ragionevol censura. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 538bb*. FERRANTE IMPERATO a GIOVANNI FABER in Roma. Napoli, 10 giugno 1611. Arch. dall*Ospizio di S. Maria in Aquiro in Roma. Carteggio di Giovanni Fnbor, Filza 420, car. 850. — Autografa. .... Certo ò da esser invidiato il felice stato de V.S. nella città de Roma, dove fiori¬ scono li amatori di virtù, de quali qui ne linvemo gran penuria; nè tampoco havemo com- modità di occuparci in virtuosi trattenimenti, nelli quali scrive giornalmente occuparsi. Et con questa occasiono mi scrive V. S. intorno quello petrino, mostrato dal S. Galileo, et lor qualità de apprender et rotenere il lume, a me certo incognita, et credo non naturale, ma più presto artificiosa: per il elio desidererei, con sua buona gratia, vederne una almeno, per posserne far exatta consideratione, atteso non possono naturalmente operar detti effetti, sì come si discorre da me nell’ lib. XI < l > ; uè ho possuto di ciò ragionarne con il S. or Portai 1 ), per ritrovarsi fuor della città.... 55 Ibis*. FERRANTE IMPERATO a GIOVANNI FABER in Roma. Napoli, 7 luglio 1011. Ardi. dell’Ospizio di S. Maria in Aquiro In Roma. Carteggio di Giovanni Fabor, Filza 420, car. 389.— Autografa. .... Due sue gratissime ho recevute: per l'una mi dà saggio, esser già capitato salvi li semi, et ancho haver havuto nova che il S. or Galileo sia per venir in Napoli ; e spe¬ rerò con esso trascorrerò di molte cose, et in particular delle pietre che ricevono et ri¬ tengono ili’ lume.. .. (1> Dell'IIistoi-ia Naturale di Ferrante Imperato non dato in luco. In Napoli, nella stampat ili a Porta Napolitano libri XXVIII, nella qu&lo ordinatamento Realo, MD1C, por Costantino Vitale, pag. 320 e sog. si tratta dolla diversa conditimi di minioro e pietre, *** Giovanni Battista deu.a Porta. con alcuno historio di pianto et animali, sin bora 5G8 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 1105bis*. GIO. GARZI A MILIARI a CORNELIO PRIATONI in Firenze. Roma, 4 aprilo 1615. Arch. Arolvogcovllo In Fironzo. Ardi, dol S. Uffizio di Fironze. Fascotto intitolato : « Sentenza contro (ìftliloo (Iftliloi. Soli lonza contro il Molino» ». — Autografa la (Irma. Di fuori si loggo, di mano sincrona o probabilmcuto del Cancelliere dol S. Uffizio in Firenzo: «Infor.no prosa ad Distanza o d'ordino della Sac. Coiig."® di Roma. Contro il S. r Galileo Galilei. Ilov. P.re Mando a V. R. copia d’una dopositione fatta in questo S.’° Off. 0 da fra Thonmso Caccini dell’ordino de’ Predicatori < l >, nella quale considerato quanto vione doposto contro Galileo Galilei; et d’ordine della S.' 4 di N. S. r0 lo dico che ella eBsnmini lo persone nomi¬ nate in ossa, facendole specificare bene le circostanze necessario per venire in chiaro della verità, et a suo tempo mandi copia delle depositioni de’ toatimonii <*>. Et si conservi sana. I)i Roma, li 4 di Aprile 1615. Di Y. U. Come fratollo Inq. r0 di Fiorenza. 11 Card. 1 * M ili ino. Fuori: Al Rev. P.re io 11 P.re Inquisitore di Fiorenza. 1123bis*. GIO. GARZI A MILIARI a CORNELIO PRIATONI in Firenzo. Roma, 2 ( J maggio 1615. Aroli. Arolvesoovilo In Firenze. Aroh. dol S. Uffizio di Firenzo. Fascotto citato al n." 1105 bis.— Autografa la Arma. Di fuori rì loggo; «29 Moggio 1616. Nello causo dol Goliloo Galilei. Nella lite civilo contro Piorozzi otc. ». Rev. Padre Per una lettera di Y. R. delli xi del presentesi ò inteso che Ferdinando Cimenes do’ Predicatori, quale si doveva essaminare nella causa del Galileo, si trovi in Milano: perù si è scritto a quell’Inquisitore ^ che l’essamini sopra il contenuto della depositione, di cui li è stata anco mandato copia (B) ; et quando si sarà havuto il suo essamo, se ne manderà copia a V. R., acciò ella possa procedere avanti nell’infonnationi, conforme all’ordine datole.... La copia della deposizione del Caccini (cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 7, a), pag. 307-311) è anche ora allegata alla presente lettera. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 7, p) pag. 311, o Doc. XXIV, 6, 9), pag. 312. (>' Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 10, a), pag. 313. <»> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, h, 10, P), pag. 313. < 8 > Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, l, 7, p), Un. 4 5, pag. 311. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 065) 1140bis*. FABRIZIO VERALLI a LELIO MARZA RI in Firenze. Roma, 7 novembre 1G15. Aroh. Arcivoscovile In Firenze. Aroh. del S. Uffizio di Firenze. Fascetta citato ni n.° 1105bis. — Autografa la firma. Di fuori si logge: « Roma, 7 di Novembre 1616. Ubo si ossamiui il P. Foruitiando (sic) Cimonos doll’Ordino do' Predicatori sopra lo scritturo mandato ». Molto Rev. Padre Al predecossoro (l > di V. R. fu scritto che dovesse essaminnre come testimonio fra Fer¬ dinando Ximenes dell’Ordine de*Predicatori sopra alcuni punti concernenti il Galileo; et per l’assenza del sud. 0 ira Ferdinando non fu essaminato; et sin di quel tempo furono mandate costì lo scritture necessarie (S) . Ilora essendosi inteso che si trovi costì in Firenze . Il che sia per avviso a V. lt. Alla quale desidero saluto ot contento. Di Roma, a’27 9bre 1015. Di V. P. molto Rev. Como fratello P. Inq. r0 di Fiorenza. F. Card. 1 Verallo. Fuori: Al molto Rev. Padro Il Padre Inquisitore di 10 Fiorenza. \ <1 > CnKNKUO Pili ATONI. <2 > Cfr. nn.‘ 1105 bis, 1123 bis. <»> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 13, a), pag. 815. Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 13, p) o 14 a), pag.815. < 5 ' Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 14, a), pag. 315. V» Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 14, p) o -y), pag. 31G-820. Gli originali dolio deposizioni di FER¬ DINANDO XlUBNBS e di GlANNOZZO ATT AVANTI SODO auebe iirosoutemonto nel fascotto di documenti del* l’Arcbivio Arcivescovile in Fironze, citato noli’infor¬ mazione del li.® 1105 bis. Voi. XX. 72 570 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 1183bis**. SIMONE CONTARINI al Dogo di Venezia {1 >. Roma, 27 febbraio 1G1G. Avoli. tU Stato in Venozia. Lettore al Sonato (logrli Ambasciatori Vonoti a Roma, Filza 71, car. 803.— Autografa. _Sono alcuni giorni che si trova qui, chiamatovi dal tì. Officio, quel Galileo, Dottor eli Matematiche, che già lesse nello Studio di Padova quella scienza. E ricerco dar conto di certo sue opinioni, se bene da qualoh 1 antico accenate, che paiono però nuovo con suoi modi rappresentato, che la terra muovi, che il cielo stia fermo, e certe altre di questo genere, le quali, repugnando in qualche luoghi alla Scrittura Sacra e repugnando a’mi¬ racoli, è di bisognose ne rimovi. Non ò però ristretto; il fanno frequentar i Sagramenti; c rosta assai, nell’aspetto, cambiato da quello ch’era.... 1190bis** SIMONE CONTARINI al Dogo di Venezia Roma, 12 marzo 161G. Arch. di Stato in Venezia. Lotterò al Sonato dogli Ambasciatori Vonoti a Roma, Filza 75, car. 23. — Autografa. .... Il Santo Oificio ha dannata con pubblico decreto l’opinione del Galileo Matematico, di cui già scrissi a Vostra Serenità, et prohibito anco il Copernico, auttore piò antico che ne parlava. Della sua persona non intendo altro, se non che sia stato auimunito ri¬ gorosamente. Resta ancor qui.... 1257bis**. GIOVANNI ALTO VITI a CURZIO PIOCHENA in Firenze. Dal campo sotto Vercelli, 8 giugno 1G17. Aroh. di Stato In Firenze. Filza Medico» 3143, car. 804r. — Autografa. .... 11 conte Carlo Rasino m’ha fatta instanza ch’io preghi S. A. a mandarli uno degl’occhiali del Galilei, che sono i meglio; ma dubitando che non paia tropp’ardire il mio a domandarlo, l’ho lasciato in dubbio se lo sia per chiedere: e : n caso che S. A. si risolva a farli questo favore, non sarà mal collocato, che ò buon amico o gran servitore dell’A. sua_ l 1 ) Giovassi Bembo. <*> Giovanni Bkmbo. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 571 1259bia**. GIOVANNI ALTO VITI a CURZIO PICCHENA in Firenzo. Dal campo sotto Vercelli, 22 giugno 1617. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medieoa 3148, car. 849r. — Autografa. Al Sig. r Conto Carlo Rasino sarà gratissimo l’occhiale elio vuol mandarlo il Granduca N. S., et il favore sarà ben impiegato- 1260bie** GIOVANNI ALTO VITI a CURZIO PICCHENA in Firenze, Dal campo sotto Vercelli, 6 luglio 16J7. Aroh. di Stato in Firenze. Filza Modicoa 3143, car. 388*-. — Autografa. _Al Sig. r Conto Carlo Rasino liavevo git\ detto che il Gran Duca li manderebbe l’occhiale; ma egli è discreto, o quando non venga se n’appagherà in ogni modo.... 1262bis**. GIOVANNI ALTO VITI a CURZIO PICCHENA in Firenzo. Dal campo sotto Vercolli, 13 luglio 1617. Aroh. di Stato in Firenzo. Filza Medicea 3148, car. 412r. — Autografa. 111.® 0 Sig. r mio Oss. mo Por la solita via di Milano ho hauta la lettera di V. S. delli 4 di questo, con l’oc¬ chialo elio ha mandato il Ber. m0 Padrone al Sig. r Conte Carlo Rasino, che gl’ è stato ca¬ rissimo, non tanto per l’occhiale stesso, quanto per l’onoro che gli par di riceverne.... 2283bis*. NICCOLÒ RICCARDI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 26 (?) luglio 1632. Arch. Arcivescovile in Firenze. Ardi, dol S. Uffizio di Firenze. Fascotto citato al n.° 1106bis. — Autografa. Molto R. P.re M.ro Inq. rfl Oss. mo pervenuto in queste bande il libro dol S. r Galilei, e ci sono molte cose elio non piacciono, per le quali vogliono in ogni modo i Padroni che si accommodi. In tanto ò ordine di N. S. ro (ancorché non s’ha a spendere se non il nome mio) che il libro si 572 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. trattenga, e non passi costì, senza che di qui si mandi quello elio s’ha a correggere, nò meno si mandi fuori. Sen 1 intenda V. P. molto R. con l’Hl. m0 Mons. r Nuuzio; et operando con dolcezza, faccia elio riesca ogni cosa efficacemente. E lo b. 1. m. Roma, 25 <‘) di Lag. 0 1632. Di V. P. molto R. Avviai V. P. molto R. col primo, so l’impresa do’tre pesci ò dello stampatore o del S.*‘ Ga¬ lilei ( 9) , e procuri destramente scrivermene lo in¬ tendimento. 2285bis* NICCOLO RICCARDI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 7 agosto 1082. Arcli. Aroivesoovlle in Firenze. Ardi, del S. Uffizio di Flrenzo. Pancotto citato al rt.® 1 lO&bis. — Autografa. Molto R. P.re Inq. ra Obs.'"° Si vanno facendo le riflessioni opportune sopra il libro < 3) . Aspetto risposta dello scritto a V. P. molto R.; et. aggiungo, esser ordino di N. S. r ® che ella s’informi destramente di quelli corpi elio sono usciti, e per dovo et in che numero, acciò che si possino far diligenze por rihaverli. In tanto aspottarò la risposta dell’uno o dell’altro punto; e me le ricordo aervitor perpetuo. Consoli l’autore, elio stia di buon animo. Di Roma, 7 di Ag.° 1632. Di V. P. molto R. Servo di cuore f. Nicolò Riccardi. Servo di cuore 10 f. N. Riccardi, Maestro del Sacro Paluzzo. 2305bi«*. NICCOLÒ RICCARDI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Soma, 18 settembre 1682. Aroh. Arcivosoovllo in Firenze. Ardi, del S. Uffizio di Fironze. Pancotto citato al u.<* 1105bis. — Autografa. Molto R. P.re Inq. r0 M.ro OBS. n,<> Ordina N. S. r0 che venga a questa volta il tosto n penna et originale del S. r Galilei, insieme con l’approvazione del [ ... ] revisore di V.P. molto IL, per congiongerla con quelle di qua. Si degni di ritenerne quelli documenti autentichi che fa di bisogno, e mandarlo 1? incerto se debba leggersi SS o Si. <*» Cfr "Voi. XIV, u o 2285, lin. 55 e scg <»> Cfr. Voi. XIV, u. u 2285, lin. 17 e seg. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 573 quanto prima al S. Officio o a me, che subito gli si accusarà la ricevuta. E con ogni affetto le b. 1. m. Roma, 18 di 7bro 1(132. Di V. P. molto R. Servo di cnoro Divotiss.® f. Nicolò Riccardi, 10 M. di S. Palazzo. 23091 , 18 *. ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 25 settembre 1632. Arch. Arcivescovile in Firenze. Arcb. ilol S. Uffizio di Firenze. Fascette citate al n.° 1105 bis.— Autografa la firma. I)i fuori si logge : « Roma, li 25 di Sott '» 1(532. S. r Card. 10 S. Onofrio. Circa il Gaiiloi, doll’andaro a Roma». Molto Rev. Padre Nella Congregatione tenuta avanti N. S. r0 (1) si è determinato che Galileo Gaiiloi venghi a Roma per render conto del suo libro, elio ogli ha fatto imprimere costì in Fiorenza: però V. R. lo faccia chiamare in luogo dove siano presenti tcstimonii et il noi aro, senza signi¬ ficare al detto Galilei per elio fine li sudotti si trovino ivi presenti; et gli dirà che si contenti per tutto il mese di Ottobre prossimo ritrovarsi in Roma, et far capo al P. Com¬ missario del S. t0 Offìtio, dal quale gli sarà significato quello che liaverà da fare: et accet¬ tando egli di venire, V. R. lo ricercherà a fargli fare fede, di quanto ella gli ha fatto sapere, e di quanto egli ha promesso; o se ciò eseguirà, Y. R. doppo la sua partenza IO farà che li testimonii et il notaro, elio saranno stati presenti, faccino attestatione, essero stata scritta la sudetta fedo et sottoscritta dal medesimo Galilei; ma s’egli ricuserà di fare quanto si ò detto, in tal caso gli farà precetto coram notarlo et testibus, quale si rogarà di questo atto, che comparisca in Roma per tutto il mese di Ottobre prossimo o si consegni avanti il Padre Commissario del S. Off. 0 E di quello che seguirà ella ne dia avviso. Et il 8/ Iddio In conservi. Di Roma, li 25 di 7 ra bre 1632, Di V. R. Come fratello Il Card. S. Onof. Fuori: Al molto R. P.re 11 P. Inquisitore di Fiorenza. 20 Fiorenza. 1 • Lett. 2305 bis. 7. Aveva cominciato a scrivere 28 (li 7bre o poi cori-osso 2 in 1. Cfr. Voi. XIX, hoc. XXIV, b. 22). Lott. 2309 bis. 2. Nella Congregaitannata — 13-14. pr ottimo et e ti contegni. Prima ora stato scritto prottimo et comparitea, poi compariteci l'u cancellato (ma non fu cancellato cl), o al di sopra fu corrotto tra lo linee, e ti consegni. — Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, «. 8), pag. 279, o Doc. XXIV, b, 21); pag. 330. 574 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 2344bia*. NICCOLÒ RICCARDI a CLEMENTE EGIDII in Firenze, ltoma, G novembre 1632. Aroh. Aroivesoovile in Firenze. Arch. del S. Uffizio di Firenze. Fascotto citalo al u.® 1105bis. — Autografa. Ri fuori si logge : « M> dol S. Palazzo. Per l'opora dol Galilei ». Molto R. P.re M.ro Inq. r0 Osb." 10 Il processo venne, dico il libro del S r Galilei, e già l’ho ricevuto da gl’ufficiali del S. Uff. 0 Perdoni Y. P. molto R. non avergli accusato prima la ricevuta, perchè rossore stato fuori a Castello il S. r Cardinal di S. Onofrio (1) lm cagionato non venga così presto alle mie mani. Bacio quelle di V. P. molto 11. con ogni affetto; o pregandole dal Cielo ogni bene, me le ricordo servitolo di cuore. Roma, 6 di Nov.® 1632. Di V. P. molto R. Ser. ro di <• • •> cuoro f. Nicolò Riccardi, M. di S. Palazzo. 2 347 bis*. ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 18 novembre 1632. Aroh. Arolvescovilo In Firenze. Ardi, dol S. Uffizio di Firenze. Fnscotto citato al n.« 1105bis.— Autografa la firma. Ri fuori si logge: « Roma, li 18 di Nov. r ® 1032 S. r Card. 1 * S. Onofrio. Cho s’astringa il Galileo por andare a Roma». Molto Rev.,P.re Benché Galileo Galilei babbi fatto rappresentare alln S. Cong."® del S. Off.® cho gli è molto difficile il venire a Roma, attesa la sua matura olà, et cho però supplicava per gratia di non venire, non ha voluto S. Beat. na concederli cosa alcuna; anzi nella mede¬ sima Gong." 0 ha ordinato cho si scriva a V. R. che gli faccia sapere che ubbidisca et l’astringa, prefiggendole un termino competente a venire et comparire avanti il Padre Commissario di questo S. Off. 0 , corno ha havuto l'ordine di fare ( *>. Tanto eseguirà. Et il S. r Iddio la conservi. Di Roma, li 13 di 9“bre 1632. Di V. R. Come fratello Inquis/ 0 di Fiorenza. Il Card. S. Onof. Fuori: Al molto R. P.ro 11 P. Inquisitore di Fiorenza. Fiorenza. “> Antonio Barrrrini. Cfr. Voi.XIX, Roc.XXIY, <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, «, 9) o Roc. XXIV, l, 22, Un. 1-7 o lin. 14-16, pag. 330-831 b, 24). SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 575 2363bb* ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 11 dicembre 1032. Arch. Arcivescovile In Firenze. Arch. dol S. Uffizio di Fironzo. Fuscello dialo al n.° 1103 bis.— Autografa la firma. Di fuori si logge: «Roma, li XI (li Xbro 1632. S. or Card.' S. Ouofrio. Clio di nuovo s’astringa il Galileo d'andaro a Roma». Molto Rcv. P.ro Alla lettera di V. II. do’20 del passato 0), con la quale dà avviso di haver prefisso a Galileo Galilei un mese di tempo por venire a Roma a presentarsi in questo supremo Tribunale, mi ha ordinato questa Cong. n ° di rispondere, elio passato il detto termine ella lo astringa a venire onninamente a Roma, dicendogli che faccia la strada di Siena, et non gli concederà altra dilatione <*>. Et per line il S. r Iddio la conservi. Di Roma, li xi di X n, bre 1632. Di V. R. Come fratello Inquis.” di Fiorenza. E Card. 8. Onof. Fuori: Al molto Rov. P.ro 11 P. Inquisitore di Fiorenza. Fiorenzo. 2376bla*. ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 1° gennaio 1033. Avoli. Arolvcaoovllo In Fironzo. Arch. del 8. Uffizio di Firenze. Fascette citato ni n.° 1105bia. — Autografa la firma. Di fuori si logge : « Roma, p.° di tioun. r ° 1633. S. r Card.* S. Ouofrio. Clio astringa di nuovo il Galilei por andar u Roma». Molto Rov. P.rc Da questa Congregatone del Santo Off. 0 ò stato molto male inteso che Galileo Ga¬ lilei non babbi prontamente ubbidito al precetto fattogli di venire a Roma: et non deve egli scusar la sua disubbidienza con la stagione, perchè per colpa sua si è ridotto a questi tempi; et fa malissimo a cercar di paliarla con fingersi ammalato, poi elio la San¬ tità di N. S. rc ot questi Emin. ,nl miei SS. rl non vogliono in modo alcuno tolerare queste fiutoni, nè dissimular la sua venuta qui: elio però V. R. gli dica, che se non ubbidisce subito, si manderà cost uu Commissario con medici a pigliarlo, et condurlo allo carceri «>' Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, h, 25), pag. 833. o Doc. XXIV, b, 26), pag. 384. *** Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 11), pag.280-281, 576 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. di questo supremo Tribunale, legato anco con ferri, poi che sin qui si vede olio egli ha abusato la benignità di questa Congregatione ; dalla quale sarà parimente condannato in io tutto le spese che per tale effetto si faranno. Ella eseguirà quanto so lo impone; o dia qui nviso <‘b Et il S/° Iddio la conservi. Di Roma, il p.° ili Gennaro 1633. Dì V. U. Come fratello Inquis/ 8 di Fiorenza. II Card. S. Onof. Fuori: Al molto Itev. P.re Il P. Inquisitore di Fiorenza. Fiorenza. 2376to*. ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Fironzo. Roma, 1° gennaio 1633. Ardi. ArolvoBoovilo In Firenze. Arch. dol S. Uffizio (li Firenze. Fascette citato ni n.® 1105 bis. — Autografa la firma. Di fuori si logge : «Roma, p.® di Gemi.» L1 J63[8J. S. r Card. 1 » S. Onofrio. Circa il lugger la lotterà al Galilei >. Molto Rev. P.re Riceverà V. IL l’alligata mia lettera elio concerne il negotio dol Galileo; et questa le scrivo a parte per darle licenza, come fo, di leggergliela, quando ella lo giudichi heno< 5 >. Et il S. re Iddio la conservi. Di Roma, il p.° di Gennaro 1633. Di V. R. Come fratello Inquis/ 0 di Fiorenza. Il Card. S. Onof. 2565bis*. ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Firenze. Roma, 2 luglio 1633. Arch. Aroivescovilo in Fironzo. Arch. dol S. Uffizio di Fironzo. Fascotto citato al n.«1105bis.— Autografa la firma. Di fuori si leggo: «Roma, li 2 di luglio 1633. S. r Card. 1 ® S. Onofrio. Manda copio della soutonza ot abiura dal Ualiloo, o elio si lugga alla presenza di Consultori ut di filosofi et matematici etc. Molto Rev. P.re Galileo Galilei eli costi, per haver trasgredito il precetto fattogli pià anni sono da questa S. Cong. n0 , di non tenore, difendere, nè insegnare in qualsivoglia modo, nè in voce nè in scritto, la opinione del Copernico circa li due massimi sistemi, elio la terra si muova, e non il sole, ma sia centro del mondo, con il porre in stampa obrettitiamontc, <•' Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, «, 12), pag. 281, o Doc. XXIV, b, 28, 29), pag. 335-386. < 5 > Cfr. n.» 2376bis. 13 1 Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 29), pag. 385. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 577 tacendo il dotto precetto, un libro da lui composto di tal materia, trattandone proba- RII m ante et non per hipothosi, come nel principio o nel fino di quello prometteva ot asse¬ riva, lift meritato che contro di lui si sia proceduto, come V. R. vederà nella qui aggiunta copia di sentenza e di abiurache se le manda affin elio nella Cong.“ 8 di cotesto S. Off. 0 , 10 vélo levato e chiamativi ella quanti professori di filosofia e di matematica siano costì, perchè quanti più sia possibile v’ intervenghino, alla presenza loro o de’ snoi Consultori faccia leggere la medesima sentenza et abiura, perchè venghi a notitia d’ogn’uno, et il castigo di lui sia di esempio a gli altri, acciò si astenghino da tale eccosso, nò ardischino aderire allo opinioni contro la Sac. Scritturi» ot reprobate, corno ò questa, dalla Santa Sede Apostolica <*>. Così dunque eseguirà, dandone avviso. Et il S. r8 Iddio la conservi. Di Roma, li 2 di Luglio 1G33. Di V. R. Como frutello Inquis/ 8 di Fiorenza. Il Card. S. Onof. 257 3 bis**. ALVISE CONTA RIMI al Dogo di Venezia <*>. Roma, 9 luglio 1638. Arch. di Stato In Venezia. Cnncolloria Socreta, Dollborazioni, Roma, Filza 107, pag. 499. — Autografa. .... Il Galileo, già famoso lettoro mathomatico in Padova, dopo molti mesi che si ritrova qui, prosontato sotto la protottiono del Gran Duca, ha convenuto finalmente abiu¬ rare in pubblico la sua opinione elio la terra si muovi ot che i cieli stiano fermi, por¬ tata da lui ultimamente in corto suo libro. L’Inquisitore lo ha doppo assoluto, ed egli è ritornato a Fiorenza, standosi bora uel dichiarire l’opiniono medesima contraria alla Sacra Scrittura.... 265 Ibis*. ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Firenzo. Roma, 20 agosto 1033. Avoli. Arcivosoovilo in Firenze. Ardi, del S. Uffizio di Firenzo. Fascotto citato al n.° 1105bis.— Il prosonto capitolo l'orma un poscritto autografo ad una lettera elio concorno nitro argomento. Di fuori si leggo: « Roma, li 20 (l’agosto 1033. S. or Card. 10 S. Onofrio. Clio si procuri bavero l’istru- mento dol livello di Paolo Malfai da Volterra, ot circa la sontenza dol Galilei ». N. S. nel’ultima Cong." 0 tenuta avanti S. S. mostrò gran sentimento contro di V. II. por non bavere ancora dato aviso di havere publicato la sentenza data contra il Galileo, Lett. 3565 bis. 9. Prima ora stato scritto: affin che ella Cong. ne , poi fu corrotto inserendo t» tra clic o ella, o, altresì, aggiungendo nella tra lo lineo o con segno di richiamo davanti a Gong”*, cosi elio si leggeva: affin che nella nella Cong.*'; da ultimo nella aggiunto tra lo linoo fu lievemente cassato. -- D) La copia della sentenza od abiura ò anche prosoutonionte collogata a quosta lotterà nel Fascotto di documenti doll’Archlvio Aroivoscovilo in Firenzo, citato noli'informazione del n.° llOóbis. Cfr. in quo- sto Supplemento, Al Doc. XXIV, c, 3). <*t Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 18), pag. 281, o Doc. XXIV, 6, 41), pag. 863. <*' Fiuncksgo F.lllZZO. Voi. XX. 73 578 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. conforme a quello che gli è stato scritto da questo supremo Tribunale: per tanto non mancarti di mandare quanto primu ad effetto tale ordine, et insieme avisare la Sacra Cong. M < 1) . Il Card. S. Onof. 2689bi-* ANTONIO BARBERINI a CLEMENTE EGID1I in Firenze. Roma, 10 settembre 1638. Aroh. Arcivosoovilo in Firenze. Ardi, «lo! S. Uffizio di Fi ronzo. Fnscotto citato al n.« 1105 bis. ~ Autografa la Arma. l)i fuori si leggo : « ltoma, li 10 di Sott." 1088. S.°* Cord.»* S .Onofrio. Iio- pronsiono circa il libro ilei Galiloo ». Molto R. P.re Si ò inteso, por l’avviso dato da V. R. con sua de’27 dol passato < 5 ’, come ella eseguì l’ordino datole nel publicaro la sentenza et abiura dol Galileo: et occorre farle sapere come la Santità di N. S. r0 et questi Em. ml si sono dichiarati tanto mal serviti di lei nel- l’haver dato licenza che s’imprimesse e si publicasse l’opera del medesimo Galileo, che applicarono l’animo di darle qualche grave mortificatione; ma poi l'istessa benignità di N. S. ro mosse la pia mente di S. Beat. no a compiacersi elio io solo acremente riprenda V. II. di essere stata così faoilo in lasciar dare alle stampo e publicare un’opera tanto perniciosa, che ha meritato l’autore il castigo che so gli ò dato. Ella dunque rideva l’av¬ viso del grave sentimento che qui si è havuto contro di lei, et sialo por documento in io avvenire < 8 >. Et per fine il S. r Lidio la conservi. Di Roma, li 10 di 7"'bre 1683. Di V. lt. Come fratello Inquis. re di Fiorenza. H Card. S. Onof. Fuori: Al molto R. P.ro 1! P. Inquisitore di Fiorenza. Fiorenza. 2909bi8*. FRANCESCO BARBERINI a CLEMENTE EGIDII in Fironzo. Roma, 25 marzo 1684. Aroh. Arcivescovile in Firenze. Arci), dol S. Uffizio di Firenze. Fascotto citato al n. 0 1105bis.— Autografa la firma. Di fuori si leggo: «Roma, li 25 di Marzo. 11 S. r Card.* liarburino. Cbe si facci sapere al S.» Galileo Ualiloi che non importuni più la Sac. Cong.“° ». Molto Rev. P.ro Il S. r Galileo Galilei, non contento che si sia da questa S. Cong. na con tanta beni¬ gnità proceduto seco, viene con continui memoriali a dimandare altre gratie, particolar- “I Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 54), pag. 369. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, a, 20), pag. 286, *> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, 6 , 54), pag. 369. o Doc. XXIV, b, G3), pag. 374. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 579 mente di ritornare alla patria, sotto pretesto di curarsi dalle infirmiti! che patisce <*>; et perchè qui è nota la commodità doli’ lmkitationc elio egli ha, dove si ritrova, et la vici¬ nanza di quel luogo alla città, sì che può havor medici e medicamenti senza veruno in- commodo, quando ne habbia di bisogno, hanno ordinato questi Em. ml miei SS. rl elio V. R. gli faccia intendere che cossi da queste suo dimando, perchè, non volendosegli concedere lo ritorno alla città, non venghi pensiero a questi miei Erain. ml di richiamarlo a queste 10 carceri'*>. Tanto eseguirà; et avvisi' 3 ). Et il S. r Iddio la conservi. Di Roma, li 25 di Marzo 1034. Di V. tt. Come fratello Inquis.™ di Fiorenza. F. Card. Barberino. Fuori: Al molto R. P.ro Il P. Inquisitore di Fio ronza. Fiorenza. 2949bie**. MARTINO ORTENSIO a NICCOLÒ FARRI DI PEIRESC in Air. Amsterdam, 2 giugno 1634. Bibl. Nazionale» in Parigi. Francis, 9544, car. 186. — Autografa. Viro amplissimo, doctissimo, spectatissirao, honoratissimo, D. Nicolao Fahricio, Pefcrisci Toparchac, nocnon et Consiliario in Parlamento Aquensi diguissiuio, M. llortensius S. D. Vii* Amplissimo, Dinas ante aliquot mensos a Dignitate Vostra eccepì literas, hnmanitate ac bonovo- lentia plenissimas, e quibus intellexi non tantum nostra aliqua otiam levia apud D. V. in protio esse, Yerum eo affectus erga me processisse D. V. ut et librum Galilaei, quem tan- topere videro desidero, censuerit ad me transmittendum. Quod sane officium tanti aestimo, 10 ut verear ne longo impar sim roforendae gratiae quae D. V. dobetur, etiam tum cum ex treni am operam dedoro, ne non referam quam maximam. Cooterum, quae mea fuit infe- licitas, librum istum bactenus non vidi : ne quidem nuperrimo cnm Reverendus P. Mer- sennus ad me misit Tbesaurum observationum praestantissimi D. Gassendi. Ubi baereat, aut quodnain expertus sit fatum, incertus sura. TiUgdunensis iste Mons. r De Rossi' 41 , cui in niandatis doderat D. V. ut librum mitteret Parisios, scripsit se imposuisse cuidam sarcinae plenae bysso, desti natne ad mercatores Mons. r Du Gal, et Mons. r Mavalletti, ac postea trausmittendae Amstelodamum ad Martiuum Nujts raercatorem. Trcs menses abierunt <‘1 Cfr. Voi. XIX, Doe. XXIV, b , 91, a), pag. 893- Doc. XXIV, b, 91, P), pag. 894. 394. < 3 ) Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, b, 92), pag. 394. <*> Cfr. Voi. XIX, Doc. XXIV, «, 23), pag. 286, o Cfr. u.<> 2681. 580 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. ex quo literas eius accepi. Nùno vero, ubi Nujtium istum rogo nunquid Furiane sarcinam isfcam accoperit, negai so Recepisse, additque ortam esso contentionem inter se et Mons. r du Gal ; eoque non trausmittendam Amstelodamum. Ita dubius haereo quid factum sit libro, 20 porieritne, an vero Parisiis adirne lateat. Si D. V. tantum prò me dignetur laboris susci- pere, scribendo aut Lugdunum aut Parisios, ut si oxemplar adirne salvum sit, detur P. Mexsenno, facile post perveuiot ad meas manus. Nani si modo destinatimi fuisset ad P. Merseunum, pulchra nupor occasione oblata, habuissem intactum. lntorim agnosco D. V. amorem erga me, et gratina liabeo summas, paratus D. Y. in ornili carni inservire, et sa¬ tisfaccia prò re tantis meritis quibus me D. V. sibi devinxit. Nova Ilio vix aliqua sunt: nisi quod Fromondus rescripserit ad Apologiam Iac. Lansbergii (,) ; et alius quidam Scotus intogrum quoque librum publicavorit contra motuni terrae (,) , quem nondum vidi. Splmorae Copernici Jansonianao in lucem exituriunt (sic), cum oxplicatione usus in 80 doctrina primi mobilia. Ex moo quoque calamo quamprimum spero proditurum tractatum astronoinicmii contra quondam Bartbolinum et Longoniontanum : impressum dudum fuisset. nisi nos dotinuisset defectus cliartao, qui hic est intolerabilis. Multa habebit, optica, et astronomica, iucundissima. Doceo mine publice AniRtordami, quod ex Irne orationo< 3 > videro poteri», quam adderò volili, ut I). V. haberet gratitudini» nieae, si non dignum satis, saltem cortisHiinum et sincerimi testimonium. Yale, Yir amplissimo ac consultissime, et me ama. Ànistelodami, 2 Junii 010 DC XXXIV. Fuori : Àmplissimo, consultissinio ac specialissimo viro ac Pomino D. Nicolao Fa-40 bricio, Petriscii Toparobae, et in Parlamento Aquonsi Cousiliario dignissimo. Aquas Sextiaa. 2988 m.* MARTINO ORTENSIO a PIETRO GASSENDI [in Digue]. Amsterdam, 15 settembre 1634. Dalla pnK- 392 dell’ odiziono citata noli’ inforiunziouo promessa al ». 1720. Yir durissimo, Accepi tandem exemplar libri Galilaei, quod Yir aniplirtsimus Dominila Fabricins gra- t.ioso ad me curaverat deferri W.... Quandocumque ad D. Galilaoum scripturus es, fac quaoso mentionem mei affoctus, quo virum colo, et gratitudinem meam significa prò miniere, quod non ita dudum ad me dedit Cfr r informazione promossa ni n.« 2669. Thornam Ilarperum, 1634. 1,1 Commentum de terrete motu cìratdari, duobue I*' Quest’ò appunto la Gratto do digit itale et uli- ìibrie refutatum, quorum prior Lanehergx, jioetcrior Car- litote Mutheneo$ (Amsttìlodaini, 1634), con la quale pentari urgnmenta vel nugamenta potiti», re/dlit. Opera aveva in quoll’anno proluso al suo inselliamoli lo. Alkxakoki Rossakt, Aberdouousis. Londini, apud l*> Cfr. u.« 2949 bis. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 581 o porto Liburnonsi por Consulom nostrae natiouis ibi degentcm (, b Quia onim illud aocepi Bine littoria, et suspicor tuto non licero ei ad me aliosque scribere, ego quoque vicissim ad ipsum aliquas iam dare, quae studia nostra et opinionem damnatam (quod tamon unico vellem) redoloant, ausua minime fui. Eam rem totani committo tuae prudentiao ... 3212bis**. BONAVENTURA CAVALIERI a BENEDETTO CASTELLI in Roma. Bologna, 10 novembre 1G35. Blbl. Nazionale in Parigi. Nouv. acq. frani;. 8282, car. 70/.-77r. — Copia dol socolo XIX. .... Dal pollicino del nostro Il. m0 Padro Generalo comprendo che per far levar que¬ sto frate <*> bisognerà procedere criminalmente, cosa che io non volevo, perchè son cose che vanno in infinito; o se ben vi sia molto che dire di quosto frate, nondimeno so elio ap¬ presso il detto Padro Teatino li miei peccati veniali saran mortali, e li suoi mortali earan veniali. Basta : mi rimetterò al Padre Generale, pur che io babbi P intento come sporo. Questo fra tanto va cercando di querelarmi o farmi ogni male : veda, di gratia, so posso havor l’animo quioto per lo specolazioni 1 Ella mi dico che il Sig. Gio. de Boti grand lift detto non haver trovato altri homini in Italia elio il Sig. Galileo e la persona mia, ponendo lei nel 3° luogo; nel che del certo 10 egli ha errato assai, dovendo lei porre nel 2°, e me piò tosto lasciar fuori del numero che mettermi nel 3°, conio pur meglio liavria fatto, conoscendo io quanti siano i suoi ino¬ riti e ’l suo valore, in comparatioue del quale io sono, posso dire, un zero.... 3325m**. GALILEO a [ANTONIO BARBERINI in Roma]. Arcetri, 26 luglio 1636. Blbl. Vatloana. Cod. Tìarberiniano lat. 6479 (già Cod. Barberiiilnno LXXIY. 26), car. 27r. — Autografa. Erain. 1110 Sig. r0 e mio Paci." Col. rao Per lettere del Rev.™° Padre Ab. te Castelli (3) ho inteso quanto V Em. za Vostra ha per me operato apresso la S. tK di nostro Signore per sincerarla della purità e candidezza della mia mente, alienissima da quel concetto che i miei inimici havevano impresso nell’ animo suo (4> .... Questo sentire che Sua S. l “ habbia deposto una per me così <»' Cfr. tin.i 2988, 2949. < ! > Cfr. n.° 8268, Un. 10-12; n°8270, Un. 21-24; n.° 3297, lin. 18 o sog.; occ. <*> Cfr. u fi 3321. e») Cfr. nu.i 3227, 832G. 582 SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. sinistra opinione, mi rende infinitamente men grave la mia carcero e l’esilio dalla casa mia; onde io mi sento legato alla benignità di Y. Em. za d* obbligo eterno, al quale non posso sodisfare se non con una aperta confessione : tale è la mia debolezza, e la nulla indigenza io dell’ Em. za Sua. Gradisca questo piccol segno di gratitudine, die solo mi è con¬ cesso, e speri che il Signore Dio, scrutatore de i quori, non lascerà senza premio V li aver ella porto aiuto alla mia innocenza. E qui umilmente la inchino. Dalla mia carcere d’Arcetri, li 26 di Luglio 1686. Dell’ Em. za Vostra. Huinil. mo e Dev. mo Ser. ro Galileo Galilei. 8672bta* FRANCESCO BARBERINI a GIOVANNI MUZZARELLI in Firenzo. Roma, 6 febbraio 1038. Aroh. Arclvoscovilo in Firenzo. Arch. (lei S. Uffizio (li Firenzo. Fascotto citato ni n.® 1105 bis.— Autografa la Urina. Di fuori si leggo: « Roma, 6 Kob.® 1688 8. Card.*® Barb.® Si dia rolationo dol Galileo. B. 13 Fob.® 1688 'D*. La lettura si loggo, iu copia, anche a car. 21r d’un Copialottero, cho fa parte dolio stosso Archivio dol S. Uffizio di Firenze, o noi quale sono trascritto lo lotterò in¬ viato ngli Inquisitori di Firenzo dalla Congregaziouo dol S. Uffizio di Roma, a partirò dal dicembre dol 16*21, ma con laouno. Molto R. P.re Il Galileo, cho sta ritenuto per ordine della 8. 14 di N. S. r ® nella villa d’Anotri (sic), fa istanza di poter trasferirsi costà por enrarsi delle sue gravi infirmiti. Sua B. u ® non ha voluto condescendero alla gratia, se da V. R. non vion prima informata della qualità del male che gli sovrasti, ma molto più se la sua ritornata a Firenze sia per dar adito a raddnnanzo, conversationi e discorsi, ondo possa quasi rinverdirsi quella sua dannata opinione elei moto della terrai. Non manchi ella di secondare il senso di 8ua Santità. Et il Signore la conservi. Di Roma, li G Fobr.® 1638. Di V. R. Come fratello 10 P. Inq. r ® di Fiorenza. _ F. Card. Barberino. Fuori: Al molto R. P.re 11 P. Inquisitore di Fiorenza. Fiorenza. {X) Ctr. Voi. XVII, n.<* 3682. <*> Ofr. Voi. XIX, Doc. XXIV. «, 24), pag. 286- 287. SUPPLEMENTO AL CARTEGGIO. 583 Al n.° 4023. GALILEO a BENEDETTO GUERRINI [in Firenze]. Arcctri, 22 giugno 1640. I.'originalo della lottora elio abbiamo pubblicato sotto il il.® 4028 (cfr. Voi. XVIII, pag. 206) ò tra gli « Autografi o manoscritti » (lolla Pinacoteca Borromeo in Milano, Cartella n.® 9, Lottar ino u.® 8, sotto il n.® 15. fc (lolla mano giovanilo di Vincenzio Vivu.ni, oil altro ad offrirò alcuno varietà di poca importanza 111 , contiouo l’intestazione : Molto 111. 18 Sig. ro et P.ron mio Ossorv. m ° o la sottoscriziono: Di V. S. molto Ill. ro Devotiss. mo et Oblig. mo S.ro G. G. Manca la seconda carta del foglio, e con essa l'indirizzo. 1,1 A liti. 1 l’origilialo leggo : Jievcren(l. mo P.rc al &er. m " 0. D. Nostro Signore ; el a lei; alili. IO, Alate; a lin. 8, veiltito e sentite; alili. 11, « i suoi ; Qiuffnio. a lin. 18, et insieme ; a lin. Il, Inutilissima reverenza SUPPLEMENTO AI DOCUMENTI XVIbis. Ricordo autografo della traduzione della Batracomiomachia» [Padova], 10 agOBto 1004. Plnacotooa Borromeo In Milano. Autografi o Manoscritti. Cartella n.° 9. Lotturino n.° 1, al n.° 1 d'ordino. — Autografo. Si leggo noi tergo dell’antiporta d’un osomplnro doll’opora: « Assopì Phrygie fabulae, grucce et latine, cum alili opusculis, quorum index proxima rc/ertur pagella. B&slloae, in ofiicilia Hcrvagiana. Anno M.D.XLI. », elio appartenne a Galileo. Fra gli altri opuscoli contorniti in quost'odi- ziono ò la Batracomiomachia. Cfr. Voi. IX, pag. 278-279. A dì 10 Agosto 1004 incominciai a tradurre in versi volgari la guerra dei topi et dello rane di Homcro. G. Galilei. Al Doc. XVIII, h, ì, 5). Attestazione (li Paolo Bar pi in favore di Galileo nella controversia con Baldassar Capra. Venezia, 20 aprile 1G07. Di questa attostaziono è l’originalo, con la firma autografa «Io F. Paulo soprascritto », noi la Bibl. Naz. Fir., Mss.Gal., P. II, T. VII,car. 52. Sul di fuori ò scritto, di mano di Galileo: Del li. P. M. ro P. 1/originalo non prosonta varianti notovoli a confronto della lo/.iono a stampa: cfr. Voi. 11, png. 544. Al Doc. XXIV, c, 8). Pubblicai!ione in Firenze della sentenza ed abiura di Galileo. Firenze, 12 luglio 1688. Aioli. Aroivescovile In Firenze. Arch. del S. Uffizio di Fircnzo. Fascotto intitolato : « Sontonza contro Galileo Galiloi. Sontonza contro il Moliuos ». — Autografo di Gio. Stefano da Savona. Si leggo in Voi. XX. 74 580 SUPPLEMENTO AI DOCUMENTI. calce alla copia dolio sentenza od abiura di Gai.u.ko, inviata all* luquisltoro di FIronzo con la lettera ohe pubblichiamo in quosto Supplouionto, sotto il n.° 2665bis. La soprad." sentenza et abiura fu lotta e publicata nella aula ilei S.° Off. 0 di Firenze in presenza di Consultori di detto S.° Oli'. 0 e di molti altri professori ili filosofìa e mate¬ matica, tanto religiosi quanto secolari, sotto li 12 di Luglio 1053, per me infrascritto notaro, con alta et intelligibile voce, etc.G). Fra Gio. Stefano da Savona, • Cane. 1-0 del S.° Off. 0 di Firenze. XL bis. IL « GIOIELLO ». 1631. a) ÀunoTj. Aroh. eli Stato in Firexvze. Qimrlioro S. Spirito, Forza. Arroto 105, exr. 858. Madonna Ginevra ved., donna fu di Bernardo di Giovanni Bini o figliuola di Esaù di Cosimo Martellali. 018 di nuovo. . Sustanzo. Un podere con casa da signore o lavoratore nel popolo di Santa Margherita a Mon¬ tici, luogo detto al Gioiello a primo via, —• Madonna Margherita do 1 Alasi, Guglielmo del Riccio, Monacho di S. Matteo: por di l’. 1 1. Iti. 4. Arroto 1620, n.° 869. Che per il contratto dico. Un podere con casa ila signoro e lavoratore, con orto c terrò solite tenersi con dotto podere o villa, posto noi popolo di Santa Margherita a Montici, potesteria del Galluzzo, luogo dello al Gioiello, al qual podere adesso confina: a primo via che conduce all’ Impruneta, ~i Chellini, 3° Vincenzio del Riccio, ~ monache 10 di S. Matteo in Arcetri, -g- via che va da S. Matteo al piano di Giullari, infra i predetti od altri più veri confini. 11 qual podere comprò detta Mad.* Ginevra da Esaù di Esuù Martcllini por prezzo ili f. 1 2200 moneta ; con patto resolutivo d’anni oinque, rogito Mesa. Alatteo Neroni sotto dì primo ottobre 1631. Arch. di Stato In Firenze. Quartiere 8. Spirito, Forza. Arroti dell'anno 1631. S. Spirito, car. 378. N.° 109. Madonna Ginevra ved.“, donna fu di Bernardo di Gio. Bini o figliola di Esaù Martellini. 018. G) Cfr. Voi XV, u.o 2061,0 Voi. XIX, Doc.XXlV, 6,64). SUPPLEMENTO AI DOCUMENTI. 537 Sustanzo. Una casa posta in Arcelri vicina al piano di Giullari, la quale è la casa da padrone della villa chiamata il Gioiollo, a essa pervonuta da Esaù suo fratello, come per l’arroto 1631, n.® 105 si dico, eccettuando della detta casa la tinaia elio è sotto la sala, la quale detta beatrice si riserva per suo uso liberamente ed il passo libero da potervi andare, infra etc. Appigionata per adì primo novembre 1031 a Galileo di Vino. 0 Galilei por scudi 15 mo¬ lo nota 1’anno che abbattuti o’ mantenimenti resta por entrata di fior.6) di suggello, fanno di moneta f. 1. 11. G, o tanti se gli danno di nuovo in virtù della scrittura d’al¬ locazione in filza di n.° 739. Acconcia con presenza di Lorenzo Bini buo figliuolo, questo dì 3 xmbre 1631. b) Scritta pi locazione. Ardi, di Stato In Firenze. Giustiflcazioui di città. Filza 1442. 1681. n.« 739. — Originalo, lo iiu. 30-37 sono autografo. A dì 22 di 7bre 1631, in Firenze. Dichiarasi per la presente, come il Sig. Esaù Martellini concede in affitto al Sig. Galileo del quondam Sig. Vincentio Galilei una sua casa posta in Arcetri, prossima al piano de’ Giullari, eccettuando però la tinaia che è in detta casa sotto la sala, quale detto Sig. r Locatore si riserva per suo uso liberamente con il passo libero da potervi andare, qual fittanza detto Sig. r Locatore fa per prezzo di f.‘ quindici di moneta di lire sette per fiorino per ciaschedun anno, da pa¬ garsi ogni sei mesi la rata, cioè f. sette e mezzo per semestre, da pagarsi di tempo in tempo per il d.° Sig. Esaù, che così ordina alla Sig. ,a Ginevra Martel¬ lo lini Bini sua sorella, sino a che il medesimo Sig. Esaù e la d. a Sig. ra Ginevra non ordinino altrimenti concordemente; intendendo che d. a fittanza cominci al primo di questo prossimo avvenire per continuarsi per anni cinque seguenti ; e non si disdicendo alcuna delle parti quattro mesi avanti alla fine di d. a fittanza, s’in¬ tenda continuata per un altr’anno, e così s’intenda continuare d’anno in anno sinché non sia disdetta da una delle parti, con patto che detto conduttore non possa affittar ad altri la d. a Casa senza espressa licenza del d.° Sig. Esaù Locatore, ina bene, quando esso Sig. Galilei per morte, che Dio ne guardi, mancassi avanti la fino della fittanza, possine i suoi heredi, o continuare per il resto dei tempo, o ancora sullogarla, quando esso Sig. Esaù Locatore non si contentassi di ripi¬ do gliarla; intendendo appresso che d.° Sig. Galileo non possa far acconcime alcuno senza espressa licenza e consenso di esso Sig. Esaù Locatore, ma che all’incontro i 1 » Cosi noli’originalo. 588 SUPPLEMENTO AI DOCUMENTI. il medesimo Sig. Esaù sia obligato a far tutto le spese necessarie che occorres¬ sero alla d. a Casa, secondo il consueto; e convenendo anche le parti di quanto ò detto, saranno fatte duo copio di questa scritta, per restarne una per parto confermata e soscritta da ciasched’un di loro. Obliandosi in oltre detto Sig. Ga¬ lileo Conduttore, che mentre per alcun tempo, durante detta locatione o fittanza, avanti che cominci, venissi detta Casa in potere della Sig. ra Ginevra Martellini Bini, sorella del d.° Sig. Esaù Martellini Locatore, o no’ suoi heredi, di conti¬ nuare la fittanza con essa Sig. rn Ginevra e suoi heredi nel modo e con le conditioni contenute nella presente scrittura, corno se d. a locatione lo fusso di presente fatta so da d. a Sig. Ginevra Martellini Bini; contentandosi viceversa con questa condi- tiono, quale prometto osservare senza alcuna eccetione; et all’incontro d. a Sig. m Gi¬ nevra prometto mantenere al d.° Sig. r Galileo d. a fittanza per il tempo c modo che in essa si contiene, come so di presente affittasse lei propria, mentre però che venisse padrona d’essa Casa, o non altrimenti. Io Galileo Galilei acconsento, e mi contento di quanto di sopra si contiene, in fede di che soscrivo di propria mano. XL tor, PRIVILEGIO CHIESTO DA G. B. LANDINI ALLA REPUBBLICA VENETA pini il Dialogo dei Massimi Sistemi. 1632. o) Stjppi,ioa di G. B. Bandivi. [Firenze, febbraio (V) 1632]. Arcli. di Stato In Venezia. Collegio. Risposto do Dentro, 1632, Filza 23 (non cartolata). Sor. m0 Principe, Gio. Batta Lnndini supplica con ogni humiltà V. Ser. u n (legnarsi di conciederlo Pri- vileggio, acciò li Dialoghi che egli stampa del S. r Galileo Galilei non possino esser stam¬ pati in questa Città nò in altre del Ser. w0 Dominio por anni X prossimi, sotto quelle pene ohe pareranno a V. S. 1 * non essendo di dovere che altri goda il frutto delle sue fatiche et spose. Gratio. SUPPLEMENTO AI DOCUMENTI. 589 l>) Terminazione del Collegio. [Venezia], 12 marzo 1G32. Aroh. di Stato In Venezia. Filza citata al n.« XI,bis, a). — Originalo. 1632 adì 12 Marzo. Che sopra la presento supplicatone rispondano li Kefforinatori del Studio di Padou, ot ben informati dicano l’opinion loro con giuramento, giusta le loggi ; ristesso facciano li Provveditori di Cumuli. Consiglieri. -h 4 sor Mariti Gradenigo - 0 ser Alvise da Ponto - 0 ser Zunne Capello sor Lorenzo Tiopolo. Gratarol aecr. l ° c) Parere dei Provyeditori di Comun. [Venezia], 15 marzo 1632. Arch. di Stato In Venezia. Provveditori di Comuu. B. 6. Scritture. Hcg.® 1626-1G38 (non cartolato).— Originalo. Serenissimo Principe, Dovendo noi Provveditori do Comun, conforme all’ordine impostosi da V. S., rispon¬ dere alla supplicatione a suoi piedi presentata da Gio. Patta Sandrini (sic), qual recerca il Privilegio per anni dieci de poter far stampare in questa Città li Dialoghi del Sig. r Ga¬ lileo Galilei, però, con nostro giuramento, lo dicemo che lo stimiamo degno della gratia supplicata, per quol tempo et con quelle penne alli contrafaconti ohe parerà allu S. V. Data li 15 Marzo 1632. Piero da Molili, Prov. do Comnn. Tomaso Contarmi, Prov. do Comun, APPENDICE. AVVERTIMENTO. In questa Appendice dell’ultimo volume si trovano quello aggiunte alla Ristampa che, per le ragioni già esposto (1) , non ò stato possibile inserire nel luogo opportuno. Questo criterio (li non alterare l’impaginaziono della prima Edizione, lia reso altresì necessario mantenere i Supplementi (lei volumi XVIII, XIX o del presente XX là dove si trovano in quella, così che questa mantiene immutata la sua disposizione insieme col suo Indice dei Nomi e delle Cose No¬ tabili, che ha un’ importanza tutta particolare per le ricerche degli studiosi. Ma in tal maniera son venute a trovarsi fuori indice tanto le Appendici della Ristampa ai volumi II, III, V, VI, Vili, IX, quanto l’Appendice alla ristampa di questo XX ; perciò onde conciliare il criterio suesposto con la necessità di richiamare le nuove scritture inserite nella Ristampa, la Direzione ò venuta nella decisione di completare soltanto Vindice dei Volumi in questo XX da pag. 19 a pag. 46, ed all’Indice dei Nomi e delle Coso Notabili di portare quelle poche correzioni richieste dalle piccole mende comparse nel testo lasciandolo inalterato come era nella prima edizione. Con questa limitazione in questo in¬ dice venivano a mancare i richiami necessari alle Appendici della Ristampa, di qui la necessità di completarlo con un Supplemento che ora trova luogo in questa Appendice. In conseguenza l’Appendice al voi. XX, comprendendo supplementi al Carteggio, ai Documenti, all’ Indico dei Nomi e delle Cose Notabili, ed all’ In¬ dice Biografico, dà modo di ritrovare quei nomi e quegli argomenti comparsi come nuovi in questa Ristampa ; e, senza alterare il lavoro della prima Edizione permette di non menomare il valore di quell’ Indice che tanto dette da fare ai compilatori della prima Edizione, e che giustamente risultò un lavoro di indi¬ scusso merito c di inapprezzabile utilità. <‘> Vodi Voi. Il, pag. 019. Voi. XX. 75 594 AVVERTIMENTO. Sia por l’ordine cronologico, sia per il titolo dei diversi argomenti, ci siamo tenuti strettamente allo norme già adottate ; o quindi il numero d’ ordine d’ogni lettera del carteggio ò lo stesso di quello corrispondente alla lettera già pubblicata con data immediatamente precedente, ma contrassegnata con un bis, e, come al solito, da un asterisco so già fece parte di altre pubblicazioni, e da due se risultò inedita. Criterio analogo per la numerazione dei documenti. E poicliò tanto le lettere aggiunto nella presento Ristampa di questo volume, quanto quello della prima Edizione riportato nel Supplemento da pag. 5G7 a pag. 583 di questo medesimo, non hanno riferimento alcuno ne¬ gli Indici generali del Carteggio al voi. XVIII, così abbiamo creduto oppor¬ tuno aggiungere duo Appendici ai suddetti indici, unitamente per quelle let¬ tere surriferito del Supplemento e per quelle che ora vengono pubblicate nell’ Appendice della Bistampa. Quando la Direziono volle che la Bistampa riuscisse arricchita di quel nuovo materiale riesumato da ricerche più accurate, si propose altresì di far ricerche più. scrupolose anche negli archivi del Vaticano con la speranza di poter portare ancora nuovi elementi illustrativi sul Processo di Galileo. Ma, nonostante il riesame dei documenti fatto per interposte persone autorevoli, su tale que¬ stione niente potò venire in luce oltre quello già pubblicato per cura del Fa- varo. Seguendo il criterio adottato di non pubblicare documenti posteriori alla morte di Galileo, la Direzione ha creduto opportuno non tener conto di quella proposta altrove accennatad), ma tuttavia formula l’augurio che in un non lontano avvenire possano pubblicarsi integralmente tutti i documenti riflettenti l’attività scientifica dei Discepoli e Successori del grande Fioren¬ tino in una Edizione Nazionale che. sia di complemento necessario all’attuale. Per tutte le considerazioni suesposte l’importanza delle aggiunto in questa Appendice è rimasta dentro limili tali da consentirne l’inserzione in questo stesso voi. XX senza accrescerne di troppo la mole. (0 Vedi volume III. pag. 894 nota (2). APPENDICE AL CARTEGGIO. 1 Ibis”. IL SENATO di Bologna a ENRICO CASTANI in Roma. Bologna, 17 febbraio 1588. Ai oli, di Stato in Bologna. Archivio del Sonato, Filza n. 27, c. 181. Al S. Card. Caofcano Camarlongo. 111“® S. r È vero elio altre volte si ò liavuto in pensiero di condurre in questo Studio alla lettura di Mattematica persona di nome et fama oliò dogli ordinari no siamo forniti ; ina da un pezzo iu qua non se n’osaendo parlato, non potiamo rispondere alla lettera di V. S. 111.“a por la quale ci raccomanda M. Galileo Galilei nobile fiorentino, so non caso elio torni in piedi tal maneggio, prometterle corno facciamo di liavor in memoria la raccomandntiono di lei ot lo buono qualità di lui, con desiderare sempre in tutto quello che por noi si potrà di servire e sodisfare a V. S. lll. ,ua et It. ma alla quale 10 reverenti basoiamo la mano. < x > 1 3 4 bis ". GALILEO a [?J Padova, 2 febbraio 1606. Da un autografo già appartameli to al Card. Piotro Maffi Arcivescovo iu Pisa. < 3 ' Ill. mo et Ecc. mo Sig. Marchese (*) Seben Y. S., istimando havermi usata piccola cortesia se rilaverà per a ventura già dimonticato, pure io allo ’ncontro reputo grand. mo il Merito di V. S. che negli anni passati con sollecito affetto spon¬ taneamente si dispose a prender cura di adoperarsi a mio giova¬ mento cogli Ecc. mi Sig. ri Reformatori dello Studio di Pad. ft G); tal che dalla benignità di V. S. io n’ ho guadagnato non solo il buon ,1 ' Studi c Memorie per la Storia dell'Università di Bologna , Voi. VII. Bologna, 1922. Galileo e lo Studio di Bologna di Emilio Costa, pg. 9-11. (S ' Abbiamo estratto questa lettera dal facsi¬ mile riprodotto nella nota pubblicata da Giuseppe Lesoa, Reliquie inedite di Galileo Galilei, in « Nuova Antologia*. Voi. CCLXIX, serie VII, 1°gennaio 1930. '*> Forse Guidobaldo del Monto morto il G gen¬ naio 1607. «M Cfr. n. 45. 598 APPENDICE AL CARTEGGIO. nome ma anco l’affetto et la gratin di molti. Et si co me ne tengo perpetua memoria et ne pure è a bastanza 1' esserne ricordevoli per render gratin dei benefizi ricevuti la prego farmi bori ore di accet- io tare questo mio Libro della Considerazione Astronomica il quale con molto affetto lo mando, ondo consideri che non meno nobile si mo¬ stra l’animo nel prender benignamente le cose donate benché pic¬ cole et di poco valore che nel donar le grandi et di pregio inesti¬ mabile, et per tanto spero sarà da lei gradito come cosa d’uno eli’ alla S. V. sarà per sempre obligat.™ 0 , et da S. divina Maestà gli prego il colmo di ogni felicità. Di Pad. a a 2 feb.° 1606 Di V. S. devot. mo Galileo Galilei. 20 18 7. bis ASDR UBALE BARBOLANI da MONTAUTO a BELISARIO VINTA in Firenze. Venezia, 3 maggio 1008. Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3000, n°. 3G5. .... Il Galilei matematico di Padova mi lia scritto una lettera (1 ) questa sora (li notte dicendomi elio stava mettendo in ordine non so che cosa ohe egli deve con¬ segnarmi questa sera da mandare cosi! ai padroni di ordine di S.S. per il Procaccia o che adimandava fino a che ora liavea tempo. Io li ho risposto che per quel olio tocca a me ò a tempo sempre, et che il Procaccia lo farò ritardare, ma cho bisogna far le bullette cho npn si possono far questa sera per esser festa o notte, almeno per fuggir Pinsolenze do corcatoli e tanto piò cho il Procaccia ò homo nuovo et perché va vicino alla Cassa alla Posta li ho detto faccia trattar con il Procaccino, al quale ho mandato a diro, che quel cho li consegnerà il S. Galiloo egli lo devo portare a Firenze por comandamento et servitio dei padroni, ma cho guardi di farlo convencvol- 10 mente sì che non no nasca disturbo ; non so ora che farà il Galileo et per esser l’ora tarda, et venuto l’altro Procaccia a pigliar libri non posso dire altro a S. S. alla quale mi raccomando in grazia, et lo bacio le inani. Da Venezia, 3 di maggio 1608. Di V. S. M. to 111. Serv. Aff. Asdruhalo da Montauto. Non ci è pervenuta. Vedi n°. 187. APPENDICE AL CARTEGGIO. 599 2 61 bis.* GALILEO a [?] [Padova] 14 gennaio 1010 Frammenti di un autografo già appartenente al Card. Pietro Malli Arcivescovo in Pisa. (1 > . et Laveria in grand. ma riverenza bora la prego ad liaver caro questo segno dell’ animo mio tutto acceso a servirlo, et così resterò per sempre obligat. 1110 alla S. V. alla quale prego da N. S. il colmo di tutte le felicità. A di 14 di Gen.° 1610 Di V. S. devot. mo Gal i 1 eo Galilei. 814i»is*. MARTINO 1IORKY a? Bologna [maggio?] 1(»10. Arch. di Stato in Firenze. Manoscritti. Filza 748, car. 175r., 170/. Proviene dai fondo Guidacci. — Copia del tempo. (*) Esemplar alterine epistola© ab excell. ot esimio D. no Martino Horky a Loehovie Boemo Pliil. Medie ac matli. studioso ad D. II. M. Vali. Mon. eonscriptum. Ev JtpaTxeiv Pauper ego Germano-Boeinus, vir Ill. r,s Italicam iiuguam ignorans, Bononiac apud D. Maginuin Philosophiae et Medicinao amoro exul, soptem annos lunare» deli- tosco. Te numqnam vidi sed literas tuas logi quod quidam Seeretarius di madonna Luna Elorentiae gaudeat Galilaeo de agnita Patavii ventato in Luna ; foris autem quod sit falena nuncius. Ais quatuor esso apud nos virus doctos, qui pennara in manibus habent (ignoro linguam italicam) Placet ea mens. Placent illi viri docti. Peto 10 illis aperias quod ab illis peto, ut inoculai per literas in lingua latina viri illi docti colloquantnr. Suin onim unus, qui longam peregrinationom cum Nuncio lioc infirmo in cipero, et finire volo. Profiteor autem libero (frernat Galilaeus, gemat., et tremat Nuncius) totum nuncium lume esse infirmum. Quia ubique in Academiis tarn in Italia quam extra in Germania male audit. Capilli ipsi decidunt, cutis morbo Gallico scatet. In cerebro, quia magnos montos in luna vidit, delirium ; Nervi optici rupti, humor christallinus ovanuit, quam nimis scrupolose, ot pompose scrupula prima et secunda circa lovis stollas observavit. In manibus liabet cliiragra quia magnani co¬ piali! pecunia© furatus est, intestina cropant, et tumorem praeter naturam deponunt. Cor palpitai quia Ser. mo Maguo Hetruriae Duci fabulam, claviculis, astulis, stollulis 20 ornatala, dopictam arguto, et acuto detulit. Iu pedibus podagra quia per totum unni- dnm vagatila est : ot times ne fobris continua illum invadali : illam ipsi IUPITER ipso <1) Vedi nota 2 al n. 134/n's*. Cfr. n.342, c Voi. Ili, pag. 135-136. APPENDICE AL CARTEGGIO. G00 minalur quia tempore nativitatis Galilaoi in domo 12 (quae mathomatiois domus onimnax dioitnr) cum malefico Saturno est coniunctus. lineo (ut ego erodo) Iovia cum Saturno coniunctio, inultas erumnas Galilaeo propter novos quatuor planetas (quia nunquam in ooolo fuero) a viris mathematicia (qui Iovom cognoscunt, Lnuam bene norunt, eoolestia astra dignoscere soiunt) portondit, ininatur. Ego vir nobiliss. scripsi olapsis (liebus hao do ro ad virum dootiss. D. Io Keplerum S.ao c. ae M. l,s Math. Responsum nondum haboo. Sed oiusdem dissertationom cum Nuncio lioo infirmo vidi, logi. Rovocat Galilaeus ad sua prinoA Primo perspicillum quod attinet, non est ilio invontor sed Io : Bapt. a Porta Magiae suao naturalig lib. 17. 30 o. 10. do Crystallinae lentia affoctibus. Lunarn ambo amant, ot utorquo Copernicanus sectator est, et sic simile simili gaudet. Istas autom maculas Galilaeus mutuatila est ex lib. Koplori qui insoribitur Paralypomona. Circa viam lacteam nil nuncius dicit novi, votus est haoc fabula omnium Pliilosopliorum, Circa Praesepe, et Orionom etiam alii vagati sunt, ot oasdem stollas viderunt. Solum in 4. or planetis novus est inventor. Et hoc D. Kepi or us credit Galilaeo, quia est Patritius florentinus, quia illos vidit, quia instrumenta mirabilia liabot, ot quia ubiquo rusticis, sutoribus, et votulis etiam oston- dit, et oculis offort. Non credit Galilaeo, quia ad lectorcm ait quod non habeat similo instrumentum, 2.do arg. ta puleberrima centra illos 4. or planotas adducit. Ego vir Nobiliss. Poregrinationom contra huno Nuncium consoriptam haboo. Maghi us quia 40 cum ilio in eius domicilio habito, quia Galilaeus ad illuni cum Perspioillo vonit, tipi» darò mo non concedit. Fac unum quod poto et D. fr. sit ot D. no . Seorotario di Ma¬ donna Luna, ot coeteris (qui contra soribunt) colloquoro, ut otiam me balbutiontem prò socio, et famulo buius Nuncii infirmi agnoscant. Ego vir nobiliss. ab hoc Nuncio niliil aliud cupio, nisi quatuor novos Jiclitios 'planetas , ot quicquid in coolo cum oius Perspicillo vidi, dicam. Laborarvi din multurnque circa Iovom Nil novi inveni. Omnia in antiquo statu dormiunt. Ilabeo propterca in animo couficere instrumentum, miraoulosum, quod nomo unquam in Italia adhuc fecit, ego autom Deo auxiliante (si sumptus habuero) faciam, quod in coolo non fallai, quod ad colloquia serviat, ita ut tempore pacis ot belli cum eodem por quindocim milliaria, 50 aut etiam magia remotus cum aliis colloqui possis. Plura ncndo [?], responsum a tua ex a. et viris illis dootia poto iter, atque iter. Vaio Bononiae Solo 2 gr. 33’ 23” II lu¬ strante 1010 (O . Time oxc. studiosissimos. Martin us Ilorky à Locliovic Pliilos. Modic. ot Math. studiosus 469bis*"*. . CRISTOFORO CLAVIO a MARCO WELSER in Augusta <*>. Avoli, (lolla Pontificia Università Gregoriana, Codice f>34, Voi. I del Lettere Scritte al P. Cìnvio foglio 188 < 3 '.— Copift del tempo. Roma, 29 gennaio 1011. Di quello che VS. mi scrivo alli 7 di Gennaro sono ancora io stato gran tempo sospeso non credondo quelli IV Pianeti Medici, pensando cho fosso halucinato per l’occhiale causata. Ma adesso mi sono chiarito affatto, che qui in Collegio liabbiamo (0 Cfr. voi. Ili, pag. 131. Dal confronto col- <*’ Siamo debitori (li questa lotterà alla gonti- l’indicaziono astronomica corrispondcnto al 15 piu- lozza del P. Prof. Edward C. Phillips S. J. gno segnata nella lettera ai Dottori di Filosofia 0 l3 ' questa lotterà riempio la lacuna indicata alla Medicina doTUniversità di Padova, questa lettera nota “> della lottora N. 500" del Voi. XI. dovrebbe portarsi al 26 maggio. APPENDICE AL CARTEGGIO. 601 più volte cosi la sora conio la ruatt.* visto quelli Pianeti, et al fino (lolla Ira. porrò alcune osservationi fatte. Ma è vero elio bisogna bavere un Istromonto perfetto come ò il mio mandatomi ^ri l y. Venero tre mesi fa compariva quasi piena. Di poi secondo elio manco si discostava comincio farsi corniculata conio la Luna nel crescere. 505ms**. ERNESTO ELETTORE DI COLONIA a CRISTOFORO GRIENBERGER in Roma. Arnsberg, 1 Aprilo 1611. Ardi, della Pontificia Università Gregoriana. I.cUere aerine al P. Criato/m-o Qrienberger. Coti. 53-1, fogli 81-82. di _ Autografa In firma. Ernst von Gottes gnaden Erzbischoue zu Colin, vnd Cliur- fùrst, Bisclioue zu Lfittich, Admiuistrator der Stifft Mùnster, llildeshoimb vml Freising, Fùrst zu Stabcll, des Primat-vnd Erzstiffts Magdoburg Tbumbprobst, Pfalzgrauo bey Eliein, ini Obcr-vnd Niodern Bayern, zu Westphalen, Engern vnd Bullion Herzog, Marggrauo zu Francliimondt. Unseru gnedigeu gruess zuuor, Lieber Grimberger. Wir werden von vundersckied- licben Ortber bericlitot wio das numelir des Mathematioi Qallilaei observaliones an otliclien nowen Planoten Sternen, aucli von vilcn andorn gleicbsamb wabr bofunden werden. 10 Weiln wir abor dan dessen cigentliclio wissensebaft zuhaben, ein sonderbare begirrl tragen, so wurd Ir uns ein liolion angenemmen gefallen erzeigen, wan Ir uns Euro obscrvation vnd judicium liierùber erstes tags zukommen lasson wùrden. Vnd wiowoll wir von Gallilaeo sclbst, einen dorgleiclicn Tubum odor Instrumentum obscrvationis bokommon, so ist dodi solches niebt in der pcrjcction, wie wir vernemmen, das andero soia solidi. In dome das es niclit alleili otlicbe stelìas drey-vnd viereckig bezeigt, nachdem os Kort vnd gewendt wird, Sonder das es aucli die jiguras tcrrcslrcs, wan otwas dardurcb in dio Fohr gesehen wird, verendt vnd in ein vnformbliclie proportion bringt. Ist deskalb an Eucli unsor gnodigst gesinnon, Ihr wollon uns nacb einem woll porfecfcen Instrument traditeli, odor abor don modum compositionis, vnd wio die Grlàsser 20 in iror (?) concauitet vnd conucxitet sccundnm ipsorum diameiros besebaffen, zukommen lassen. Dan wir zu zeiten vns selbst darin exerciren gedenkon. Soli allor der vbergebender vnkosten mit (lank bozallt werden. Vnd wir wòllens vmb Euro Porsolin vnd die ganze Societet mit mòglicken gnaden erkennen vnd erwiedern. , Wir baben gleichwoll vor acbt tagen vnserm lioben alten Pracceptori P. Glavio Siamo debitori di questa lettera alla gentilezza del P. Prof. Edward C. Phillips S. J. Voi. XX. 70 602 APPENDICI-] AL CARTEGGIO. gloiohfals zugesohriebori, woiln wir ab or niohfc wissen, was wegen soinos holien Alfcor- fchumbs sein gelegonhoit ist, liabon wir vini) besser sichorhcifc willen, Elicli gl cicli fals ersueolien woUen. Vnd bleiben Eur gnedigster Herr vnd Frouiulfc allzeit. Datura auff vnsorm Schiusa Arnsborg don 1. Aprilia anno 1611. Ernst Clinr Fiirst. Mp. 856bls*. MARCO WELSEB a FEDERICO CESI in Roma (•>. Augusta, 29 marzo 1613. .... Dello macchio solari sin bora ho visto un solo foglio ; ma spero di haverne fra pochi giorni molte copie perchè il sig. r dottor Fabri mi avvisa di mandarmelo collo genti di monsig. di Bamberga. Conosco esser nuovo et aingoiar obbligo, col (pialo mi stringe V. E., havendo voluto onoralo il mio nomo a questo modo, et mi riservo di ringraziamela alla ricevuta. Di Augusta, 29 di marzo 1613. 17 <30 bis*. NICCOLÒ CLAUDIO FARRI DI PEI RESO a PALAMEDE DI VELLAVEZ in Parigi. Aix, 28 gennaio 1626. Bibl. Nazionale in Parigi. F. fr. nouv. aoq. 5170, fol. 2G2. — Autografa. Togliamo il passo di que¬ sta lettera dalla « Corrospondance du P. Marin Mcrscnno, publióe par M. 1,,e Pani Tanncry ». I, 1G17- 1G27, lett. 46, pag. 359. .... Et puisquo nous sonnnos sur los livrea, j’ay onoor oublió (lo rotcnir, quand j’ostois A Paris, un oxemplairo d’un livro du Campanella do pliilosophio, où il faiot cornine uno apologio polir Copcrnicus, à co qu’on m’a dict, et pour Galileo. Le P. Mer- cono vous dira quo c’est. Je penso qu’il est in-4° assez gros, et s’il s’on trouve je seray bien aiso d’on avoir un.... 1839bis*. ROBERTO CORNIER a MARINO MERSENNE in Parigi. Rouon, ló novembre 1627. Bibl. Nazionale in Pari K i. F. fr., nouv. acq., G205, pp. 252-253 (fol. 12lr.-v.).— Autografa. Togliamo il passo di questa lettera dal n. 80 dell’opera citata al N. 1760"'-. .... Je vous rends graces do l’advia quo vous ino donnez iles livres qui se sont trouvez on ceste deridere foireG). Jo souhaitte bion fort vooir celuy (le Radio reflexo et refracto < 3 ), aussi bien quo coluy de Innalantìbus liumido G). Ce me seroit faveur quo par vostro moien j’en pousse avoir un oxomplaire (le cbaqu’un.... Togliamo questo passo da Antonio Favaro, Adversarin Galilaciana. Serie Quarta. Estratto dagli Alti e Memorie dolla R. Accademia di scienze, Iet¬ terò ed arti in Padova, 19 gennaio 1919. tS ' Cataloghi di libri che comparivano duo volte Tanno nell’occasione delle fiere «li primavera e d’autunno. i 8 ' Vedi nota 1 al N. 1843 *m«. Gì È il Discorso ere. intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono di Galileo Galilei, eco. Vndi voi. V. APPENDICE AL CARTEGGIO. G03 I840bìs*. MARINO MERSENNE a LUCA IIOLSTE in Roma. Parigi (novoinhro 1027Y). Uibl. Vaticana. C'od. Barbcriniano, ine. lat. 3639, lui. G9. — Autografa. Togliamo il passo di questa let¬ tera dal n. 81 dell’opera citata al N. 1760 bl *. .... «Jo vous i»rio ausai . Si lo dit Galilaous ctoit A Rome ou quo vous cognoussio» quolquo antro excellont mathematicion musicion, jo vous prirois doscavoir do luy pour quoy do tous los sons oonjoints ensemblo, il n’y a quo coux qui font Poetavo, la quinto, la quarto, la tierco ot la sixto ot lours repliquos, (pii soiont agroablou, ot laquolle do toutes Ics dissonances ost la plus desagreablo ot pourquoy. Ou m’a diet quo ledili Galilóo scait cotto raison.... Fuori: A Monsiour Monsiour Ilolstoiu au PalaiH do Monsoignour lo Cardinal Spada A Rome. 1843bi«*. ROBERTO CORNI E R a MARINO MERSENNE in Parigi. Rouon, 24 dccombro 11527. Bibl. Nazionale in Paridi. P. Ir. nouv. acq. 6205, pp. 103-10G (fol. 59r.-60u.). — Autografo. Togliamo il passo di quosta lettera dal n. 83 dell’opera citata al N. 1760 bl ‘. ....La raison do Gallilei pour la lame de metal nenie satifaict pas, ot no ino puis persuader que l’aor adliorent par doliors A quelque choso le rendo plus leger. Car si cola ostoit Constant, il s’ensuivroit uno infinité do conclusiona très estrangos, et pour la raison ot pour l’oxpGrience.... < 3 >. Jo vous prie mo mandor co quo constent le traictó do Horologiis Gl, la Perspectiva communis l 5) ot la Maniere de jaire Ics luneies de Qalilaoi de S ir tur us O), ot Vfnstru- Ascanio Piccolomini. '*> Non si tratta ccrtamouto del « Dialogo » ancora incompiuto, ma forse della risposta all’Ingoli vedi u. 1749. <*» Vedi Voi. IV, pag. 100. < 1 ' Forse ò il trattato : Domonstratio ot con- struotio horologiorum novorum radio recto, rcfracto in aqua, refloxo iu speculo, solo magnete horas astronomicas, italicas, babylonieas indicantium. Ad scrcnissimum et reverondissimum Domiuum, Domi- num Lcopoldum, Arohiducem Austriac, ctc. Authorc Gcorgio Schónbergero Sooiotatis Iesu, in Archiduoali Friburgo-Brisgoiarum Universitato Mathescos pro¬ fessore ordinario Friburgi Brisgoiae. Apud Ioanncm Strasserum. Anno M.DC.XXI. |5 > Probabilmente l’opuscolo del Pcckam più volte stampato o qui ricordato forse nella sua edi¬ zione: Joannis Archiepiscopi Cantauaricnsis I’er- spcctivac communis Libri tres. .(ani postremo corredi ac figuris illustrati. Coloniao, in officina Birckman- nica, sumptibus Hcrmanni Myllii anno M.DO.XXVII. In-4°, pag. 48. (*) Hieronymi Sirturi Mcdiolancnsis Telescopium si ve Ars pcrficiendi novum illud Galilaci visorium instrumentum ad sydora in tres partes divisa. Quo¬ rum prima exactissimam perspicillorum artem tradii, secunda tclcscopii Galilaci absolutam coustruotionom et artem aperto docet, tertia alterina telcscopii fa- ciliorcm usum et admirandi sui adiuvonti arcanum patefacit. Ad scrcnissimum Cosimum II Magnum Etruriae Duoem Francofurti, typis Pauli lacobi, im- pensis Lueac Ionnis. M.DG.XV1II. lu-4°, pag. 81. 604 APPENDICE AL CARTEGGIO. mentavi partiwm do Gali luci G>, enoor quo jo no nache co quo traioto co dernier, affili quo jo voub on puisse onvoier l’argent. Mandés inoy iuibhì, s’il voua plaist-, où, coni monfc of. par qui jo vous pourray onvoior lodit argent, otta jo vous l’addrosseray directo- ment.... 10 Fuori: Au Roverond Toro Morsenno Rolijoux Minimo au Couvoiil. de la Placo Royalc à Paris. 1887i.is*. TOMMASO CAMPANELLA ad URBANO Vili. Roma, [10 giugno] 1028. Togliamo i passi di questa lettera (la « Tommaso Campanella, Lettere * .... Cousontondo a quel olio dico Aristotelo noi primo libro De coclo, che per molti migliara d’anni mai li corpi colesti non cambiaro silo, moto, numero o magnitudine, onde concludo elio pur inai si muterà o olio sia incorruttibile ed eterno. Contra cui disse David : « Ondi peribunt et sic ut vesti mcnlum velerà sveni et siati opcrtorium urntaìm eos et muiabuntur » : conio awortisco sant’ Ambrogio in Exumeron 4 o tutti i padri, ed aspettava voder presto san Gregorio in llomilia primae dominieae Adventus ; come si vede al prcsonto por consenso di tutti astronomi, o vónno o no, pur lo confessano, elio dopo olio la Sapienza incarnata disse : « virtutes oaeloruvi ■movcbuvtur » « et steUae de oaelo cadérli », ed i pianeti o ’l solo son calali più vicini a terra quasi cento o dio- comila miglia, corno prova la diminuzione doli’ eccentricità por vero movimento e non 10 perché il sole ingrossò mangiando vapori, secondo diibitosamente ponsa il Galileo con l’altri filosofi e poeti, in particolare Omero, clic però par più vicino....! 8 ) .... Però non ponsi Vostra Beatitudine ch’io sia con Copernico ; già elio si vedo che io scrissi quattro libri contra lui o Tolomeo ed altri astronomi gentili, giudei o maomettani ; e quando scrissi quello apologetico I‘ro Galiìaeo, già l’avoa avuto tal libro monsignor Gentile, e credo sia in questo Santo Offizio ; e nella terza parte della Metafisica o nella Fisiologia io avea pur reprobato questa opinione, o si vede che sono stampato avanti. Ed io fo menziono noi primo numero della terza seczione del Com¬ mento dell’oda di Vostra Beatitudine, come Copernico errò in questo ; e poi, nel nu¬ mero 8 del medesimo, dico che ho fatto l’apologetico ad istanza del cardinale Boni- 20 facio Gaetano prò Copernico et Cialilaeo, quando si disputava in Santo Offizio la lor opinione s’ora eretica o no. E questo solo punto si controvortia (già elio Tesser falsa io lo presupponevo da quel che scrissi in tanti libri) : e però disputai ad utranque partem circa l’eresia o non eresia di quest’opinione solamente, o mi Tornisi a quel che la Santa Congregazione avea a determinare ; ma non però accettai Copernico, da me reprobato, se non che disputai so sia eretica o no la sua opinione ad utranque partem. Ondo dissi : « Forsan non pugnai curii sanctis » ; ed avanti la doterminaziono : « licci opinavi ad alteravi partem », non che ad utranque, come feci io, secondo dichiara san Tomaso o tutti santi teologi in questi casi : e tanto più che Copernico fu fomentato da Paolo III e dal cardinale Cusano che segue in tutto la sua opinione.... O) 03 **’ È il Compasso Geometrico e Mililare di Gii- I.atorza e Figli, Rari, 15)27. lilco nella traduzione latina del Bernegoeh. Vedi < 3 > Loc. cit., pag. 219. Voi. II, pag - . 340 nota >. Loc. cit. pag. 222, 223. A cura di Vincenzo Spampanato. Giuseppe APPENDICE AL CARTEGGIO. G05 1969im*. ARCANGELO GALLETTI W a GIUSEPPE CALASANZIO in Roma. Firenze, 7 dicembre 1629. Arcli. Generale delle Scuole Pie in Roma. Filza 471. — Autografa <*>. II Fr. Francesco rì fa conoscere con il Galilei, con il S. r Mario Guiducci, e con il Sig. r delle Colombe W tutti tre valont’liuomini, ma il Galilei passa; vi è un geutil- liuomo della Arciduchessa Madro di S. A. che desidera uno gii legga Algebra, c di già un librare nostro amico presto gli farà, aboccaro insieme W. 21B 3 bis*. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI in Firenze. Roma, 30 marzo 1631. Arch. di Stato in Firenze. Mediceo. Lettere dell*Ambasciatore Niccolini in Roma dell’anno 1631 da 4 gennaio a tutto giugno. N. 3319, oar. 243. — Autografa la firma. .... Per conto del S. r GalileoO) rì va tuttora negoziando o servendolo, e di quel che ritrarrò por ultimo dal. P. mro darò parte a V. S. Ill. ma a suo tempo.... 2138bis*. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA CIOLI in Firenze. Roma, 6 aprile 1631. Arch. di Stato in Firenze. Mediceo. Lettere dell’Ambasoiatoro Niccolini in Roma, dell’anno 1031 da 4 di gennaio a tutto giugno. N. 3349, car. 270. — Autografa la firma. .... Il S r . Sec. rl ° Bocchineri meriterebbe una buona mancia invoco della bravata ( 7 > clic V. S. Ill. ma li prosuppone, perché sohavesse mandato a Roma l’occhialo tanto desi¬ derato del S. r Galileo correva risico del fuoco, o noi di perderlo; et V. S. Ill.ma ©i farà un sommo favore, so lo piacerà d’ordinare, che lo depositi in mano della Sig. a Cate¬ rina, mia madre, che lo conserverà per inviarcelo subito elio si restituirà il commercio ot a V. S. Ill.ma bacio lo mani, di Roma 6 d’aprile 1631 di V. S. III.™» obbl.mo Ser. r0 [) Francesco Niccolini. <*' Il P. Galletti, che entrando in religione assunse il nomo «della Natività*, con un picoolo gruppo di religiosi Scolopi ora allora in Firenze per trattare circa l’apertura d’una casa di Scuoio Pie in quella città, che fu infatti eseguita nel maggio seguente 1630. Venuta, poco appresso, la peste, il P. Galletti vi lece tali miracoli di carità, che fu soprannominato «il Padre della peste*. Mori in Pisa nel 1642. '*> Cfr. Antonio Favako, Ad ver sa ria Gali¬ leiana negli Atti c Memorio della R. Accademia di scienze, lettore ed arti in Padova; Voi. XXXIV, Dispensa 1, Anno 1918. < 3 ' Da questa notizia rilevasi elio il delle Co¬ lombe era tuttora vivente alla fino del 1629. Questa lettera fu scoperta o pubblicata per la prima volta dal P. Giovanni Giovannozzi. < B > Cfr. u. 2172. i°) Padre Maestro, il padre Niccolò Riccardi. O) Cfr. n. 2133. 606 APPENDICE AL CARTEGGIO. 2154ms*. FRANCESCO NICCOLINI ad ANDREA GIULI in Firenze. Roma, 23 aprilo 1631. Arch. di Stato in Firenze. Mediceo. Lettere dclTAmbasoiatoro Niccolini in lìoma dell'anno 1631 dal 4 di gennaio a tutto giugno. N. 3349, car. 338. — Autografa tutta la lettera. IH mo Sig.™ mio Osa. 1 » 0 So V. S. 111.ma non ha consognato l’occhialo O) a ohi vion in qua vors’Àcquapon- donto, resti servita di non lo consegnare poroliò non riuscirà ad alcuno di metterlo in Roma senza rappresentarlo a’ lazoretti, o si va a manifesto pericolo di perderlo. Mi dispiace elio mia madre non l’hahbia ricevuto, ma forse conio sta timorosa della sa¬ lute, non deve voler in casa robe di fuori, e V. S. IU. ma scusi per gra. Intanto le rondo efficacissime grazie della briga elio ne ricevo, ma io non rosto di commemo¬ rare tutte quoste fra le mio infinite obbligatami, c lo bacio le mani. l)i Roma 23 di Aprilo 1631. di V. S. 111.»™ oblìi. mo sor. rc Frauc.o Niccolini. 2265bis 4 . TOMMASO CAMPANELLA a PIETRO GASSENDI. [Roma], 7 maggio 1632. Vedi Dilaziono al n. 1S87 1 ’ 1 * pag. 23G-237. .... Gavisus sum valdo quod temporibus nostris, quao priscis difficiliima orant, obvia l'iunt arcana coeli, et quidom luminare maius surroxerat Copernicus, lumiuaro minus Tycho Brahe, additili- Galilacus eoelestium occultissima nostro supponens ingenio ostiumque fraudens por quod extra Flammantia moonia mundi longo procodamus ad inesplorata systemata conspicienda.... 2394bis*. TOMMASO HOBBES al CONTE DI NEWCASTLE in Wolbcck. Londra, 26 gennaio 1633 [-4]. Historical mnnuscripts Commission. Tliirtcenth rcport. Appcudix, I’art II. The manuacripls of bis Grate the Duke of Portlaud prcscrvcd at Wclbook Abboy. Voi. II. London, Eyro aud Spolliswodc, 1893, pag. 124 (*). .... My First businesse in London was to sceke for Galileo’s Dialogucs : I thought it a very good bargain, vrhen at taking my leave of yonr Lordsbip I undertooke to buy Gl Cfr. n. 2154. Atti c Memorie della R. Accademia di scienze, let- •*> Togliamo questo passo da Antonio Favaro, tcrc od arti in Padova, Voi. XXXVII, 1921. Adversaria Galileiana, Serie Sesta. Estratto dagli 10 APPENDICE AL CARTEGGIO. 607 if for you, but, it your Lordsliip should bind ino to performance i(. vvould bo bad enougli, for it is noi possiblo to gol, it for monoy. Tlioro woro but few brought over at first, and (boy that buy such bookos, aro not Ruoli rn.cn as to pari; witli tliem againo. I boaro say it is callod in, in Italy, as a booko, that will do moro liurfc to tboir roligion tlien all tbo bookos bave dono of Luther and Calvin, sudi opposition, tlioy tbinko, is between tboir roligion and naturali roason. I donbt not but tbo translation of it will bo boro publiquoly ombraocd, and tlieroforo wisb oxtreraely tbat 10 D. WebboO would liaston it.... 2999bi$*. ALESSANDRO BOCCHINERI a VINCENZIO GALILEI in S. Gio. di Valdarno. Firenze, 2G ottobre 1634. Arch. di Stato in Firenze. Carte Galilei, Filza B, N. 1. Eredità del iu Sig. Pievano CoBimo Galilei. Car. 5. Molto 111. 0 S.° e CogA 0 oss. n ‘° I donari della compera della Casetta (*>, con tutte lo speso clic occorsano sul con¬ tratto, si debbano dal S. Galileo suo Padre, et quanto alla lite del Zuccagni, che ha durato questi due mosi si terminò con bavero egli la sentenza contro, et cosi sono anco finito lo suo pretensioni. Havovo quasi olio appigionato la Casa, ma egli mi ha pregato di starci questi sei mesi, con pagare la pigione, et così glie Phabbiamo concessa, et so bene siamo in differenza della pigione, spero elio ci aggiusteremo, essendo egli sino a bora al segno di 14 scudi l’anno, et io ne vorrei 10. IIÒ ricapitato le riio lettore a llono (?), et a Prato, et per fine le bacio caram. te le 10 mani ; et mi racc.do alla Scstilia. Da Fironzo 20 ott. ro 1634. Di V.ra g.ra IH. re Aff. Ser.ro 0 Cog> Aless. ro Boccili neri. Fuori : Al m. t0 III. re S. mio Cog. to oss. mo II S. Vino. Galilei Canc.ro «lolla Corte di S. Gio. di Valdarno, [d'altra mano] S. Alos.o 26 S bre 1634 accusa elio il denaro della compra della Casa del Zuccagni l’ha sborsato il Sig. Galileo. 3124ms*. TOMMASO CAMPANELLA a NICCOLÒ FABRI DI PEIRESC in Aix. Parigi, 25 maggio 1635. Vedi citazione al n. 1887 1,1 *, pag. 303. .... Questi ben veggiono quanto io stimo Vostra Signorìa illustrissima e come no parlo, e m’individiano la sua grazia ; nò può esser omo bono chi questo scrive o du¬ bito di persona elio dico o scrivo mal di tutti, e del Galileo e di Tolesio o di Copernico, (li Stigliola.... <*' Probabilmente GiTTsrcrrr: Wf.tiuk. «*> Cfr. n. 2945 e 2946. G08 APPENDICE AL CARTEGGIO. 3226bi8*. RENATO DESCARTES a .... 0 ). Utrecht, autunno 1035. Oeuvre» (lo Descartes publlós par Charles Adam et Paul Tannf.ry sona Ica auBpioes du Ministèro do Plnstruction Publique. Corrcspondencc. I. Avril 1622. — Févrior 1638. Paris, Léopold Ceri, imprimeur- libraire, 1897, pag. 322, 323, 324. .... Pout les lnnettes, io voua diray quo depuis la condamnation do Galileo i’ay rovou et ontioromont achevó lo Traitò quo i’on avois autrofois eommencó ; ot 1’ ayant ontioremont separò de mou Mondo, io me proposo do lo fairo imprimer soul dans peu de tomps.... Pour la chalour io no croy point qu’olle soit la mesnio cIioro quo la lumioro, ny aussi quo la rarofaction do l’air ; mais io la con<;oy conunc uno cIiobo touto differente, qui pout souvont proceder do la lumiere, ot do qui la rarofaction pout proceder. Io no croy point non plus quo les cors pesans descendont par quolquo qualità rèsile, nonunéo pesantear, ielle quo les pliilosoplieg l’imaginent, ny aussi par quolquo attraotion do la torre ; mais io no svaurois expliquor mon opinion sur toutés ces clioses, qu’en faisant 10 voir mon Mondo avec le mouvoment deffondu, ce quo io iugo maintenant hors do rai- son ; ot io m’òtouno do ce quo vous vous proposoz do rofutor lo livre cantra Molum TerracW, mais io m’on rornots il vostro prudonco 3356bis*. UGO GROZIO a LORENZO REALTO in Amsterdam [?] Aja [?] 20 sottcnihro 1636 ( 4 ). Aroh. di Stato all’Aja. Monsiour Redi Myn Heor, Wetendo hoe grooten werck alle wyse luydon maecken van hot ovorgroote verstant ondo arboyt van den licer Galilaoo, dear hy considororende hooveol hot ìncnschelycke gheslacht daer aen glielogen is dai eonige secckerheyt hekonion moge werden van (lo distantie dor plaetson ton aensien van do deolcn van don Equinoctial, hen seor blydo ghowoost uyt do Ileer Diodati myn oudo bekondo te verstaen, dai dion treffolycken man indo volhoyt van syno ervaronthegt daer me do besicli was. Molto probabilmento a Marino Mersennc. Cfr. Voi. XV, pag. 340-341. Alludo qui a Io. Baptislae Morini dootoris medici et Parisii regii mathcmaticarum professoris. Responsio prò Teìluris quiete ad lacóbi Lambirgli Uoctoris medici apologiam prò Teìluris motu, eie. Parisiis, SumpUbus auotoris, M.DC.XXXIV. ‘ 3 > Cfr. nota 2 al n. 19G9Ws**. ini disse bone ohe arriverebbe «ino a Poggibonzi incognito con 4 o 5 persono solamente, dove aspettava di vedere il S. r Galilei, secondo la permissione elio ne baveva ottenuta, por passarsene poi a Pisa ot a Livorno, por imbarcare sopra qualche vascello.... 3507ms*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [.... 22 giugno 1037]. Oeuvrca de Descartes, eco., I, pag. 392. Io vous prie do m’oxcuser si ie no rópous à votre quostion toucliant lo rotardo- ment que re<;oit lo mouveinent des corpe pesants par l’air où ils so meuvent ; car o’est uno cliose qui depend do tant d’autros, que io n‘en Bgauroia fairo un bon conte dans uno lettre; ot io puis seulement dire que ny Galileo, ny aueun aulro no pout rion do* torminer touchant cola qui soit olair ot domoustratif, s’il ne Roait primierement ce quo o’ost la posanteur, et qn’il n’ait les vrais prineipes do la phyRiqno.... 3693ws*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. • .... 1° marzo 1638. Oeuvrea do Descartes, eoe. II, pag. 25-26, 80. .... Pour celuy que vous dites qui m’accuso do n’avoir pas nominò Galileo, il monstro avoir envie do reprendre ot n’en avoir pas de sujet ; car Galileo mosmo no s’attribuc pas l’invention des Lunettes, et ie n’ay du parler quo do l’invcnteur.... I’ay rogrot quo Galileo ait perdu la veuc ; oncoro que io no lo nomino point, io mo porsuado qu’il n’auroit pas meprisó ma Dioptrique. che questa prima apertura trovi buona accoglienza, o poi di dar opera affinchè persone capaci vi ag¬ giungano ciò che manca sino a raggiungere final¬ mente lo scopo proposto : ciocché ini sarà di gran¬ dissima compiacenza a motivo dell’affezione elio io porto al genere umano, di quella maggioro che io ho per i Paesi Bassi e di quella ancor maggiore per la città di Amsterdam, alla quale io sono infinitamente obbligato, come al suo illustro Magistrato ed agli innumerevoli amici che vi possiedo, augurando a loro tutti od in particolare a voi, mio Signore, salute c prosperità. Vostro sincero servitore. "i Cfr. nota 2 al n. 1969W®*. <*> Francesco di Noaili.es. Al’L’ENDICE AL CARTEGGIO. Gli 3 70 lina*. BONAVENTURA e Vedi Pietro Pauniui, Alcuni documenti ga- APPENDICE AL CARTEGGIO. C13 rabile fanciulla, col prendermi carica di monacarla, o maritarla, et insomma di ridurla in stato sicuro della sua onestà a tutte mie spese, elessi la Verginia di Vincenzio Landucci mio nipote, la quale tro¬ vandosi in mano di matrigna, et in estrema miseria, dimorando sempre in contado guardianella di pecore, la messi in guardia et in serbo nelle monache di S. Girolamo sù la costa a S. Giorgio in mano iodi una mia nipote, o zia della fanciulla ; e parendo a detta sua zia, la nepotina di troppo tenera età per vestirla, e soggettarla a gli ufizii, et esercizii monastici, stante che mi ritrovo in età gravissima, liavevo pensato che in evento della mia mancanza, non restasse da nessuna banda impedita l’esecuzione dell’e fluttuare il mio obbligo: e però ricorsi alla somma benignità del Sor. ra ° G. D. nostro Sig. ro supplicandolo di due grazie, cioè di farmi pagare lo stipendio di un mio semestre anticipatamente tre mesi avanti la sua maturazione dandone io sicurtà della sopravvivenza, et in oltre che mi conce¬ desse che 800 scudi necessari per l’accomodamento della fanciulla 20 fussero ricevuti su il monte di Pietà col renderne i consueti frutti. Di amendue le grazie mi ha favorito P Altezza Ser. ma E perchè il danaro mi viene ordinariam. le pagato qui in Firenze dalla Doposi- teria, benché direttamente mi venga dal Camarlingo della Dogana di Pisa, venendogli P ordine dal Provveditore di quello studio : ve¬ nutogli tal ordine, et havendo il Sig. r Proveditore inviato a me il mandato per P esazione del danaro, feci presentare al solito tal man¬ dato nella Depositeria la quale ha mosso scrupolo, dicendo che sia necessario, che io dia la sicurtà al Camarlingo di Pisa, mentre che nel mandato vi è nominato sicurtà da esser data da me. Inteso io 30 questo feci tre giorni fà intendere al Sig. r Proveditore Saracini, che era in Firenze, questa difficultà, acciò si sopisse, mostrandogli come nel rescritto del Ser. m0 G. D. non vi era menzione di dover dare tal sicurtà a d.° Camarlingo ne’ ad altri, ma bene che io nella sup¬ plica mi esibivo a dare tal sicurtà intendendo di doverla dare a quello che mi faceva lo sborso del danaro, si come feci intendere in depositeria, ma sendo stato quivi presentato il mandato, nel, quale senza commessione del Sig. r Proveditore, il Bidello che scrive i man¬ dati ci haveva nominata q. a sicurtà fatto ciò intendere al Sig. r Pro¬ veditore Saracini, rispose che sarebbe stato necessario per emendare CIr. u. 3968. Cfr. anche Voi. XIX, png. 515-517. APPENDICE AL CARTEGGIO. 614 p errore del Bidello, che egli quando per altra via io non havessi io riscosso il danaro, scrivesse di Siena al Bidello a Pisa ordinandogli che formasse un altro mandato senza la clausola della sicurtà, e che di li lo mandasse a Siena per essere sottoscritto dal Sig. r Sa- racini, e di li poi mandato a me per prevalermene in depositeria. L’ esecuzione di tutte questo faccende nuderebbe tanto alla lunga cho già sarebbe maturato il tempo del mio semestre, o la gra [gra¬ zia] del Ser. m0 Padrone sarebbe restata superflua. K perchè pare cho la ragione cammini cho io dova dare la sicurtà a chi mi sborsa il danaro, già mi sono esibito di darla in depositeria : e quando a S. A. S. paia come mi rendo certo cho sia per parere, che tanto 50 basti per assicurare, e quietare, et abbreviare q.° negozio ; prego Y. S. M. III.® a supplicarla in mio nomo cho voglia dar ordine in Depositeria che mi sia consegnato il danaro, e cho per satisfazione, e sicurezza del Pagatore S. A. medesima faccia la sicurtà per la mia sopravvivenza, cho son sicuro cho ella desidera cho io viva, et anco assai più lungo tempo delli due soli mesi che bastano per fi¬ nire il tempo della maturazione del mio semestre. Ricorro al mezzo del favore di V. S. Molto Ill. re come alla più breve e agevole strada, assecurato da mille altre esperienze della sua cortesissima inclina¬ zione a favorirmi, e qui Immillandomi al Ser. m0 Padrone con vero eo affetto a V. S. M. Ill. rG bacio le mani. D’Arcetri li 28 Agosto 1640. Di Y. S. molto 111."» aff. mo et obb. mo ser. « Galileo Galilei. Fuori : Al Molto ili.™ sig. r et Padrone mio Col." 10 il Sig, r Bened. 0 Guerrini ne Pitti in sua mano S. A. comanda clic si faccia il piacerò al dott/* Galileo Galilei di sborsarli il so- 70 mostre liberamente, o senza ebo dia mali/® non ostante And. Gioii 29 ag. 16-10. APPENDICE AL CARTEGGIO. 615 405 7bis*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Loida] 15 settembre 1040. Omvrea de Descartes, ooc., Ili, pag. 179-180. .... Vous avo/, raison, contro Galilóo, do diro quo la figuro dos cors plus pesans quo 1’eft.u Ioh peufc omposcher do s’y onfoncor, ot vostro oxeraplo dos metaux dissona on 1’oau forte ost sana roplique. 4096bis*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. [Loida, dicembre 1040]. Oeuwn do Descartes, ooc., Ili, pag. 258-259. Jo no suia pas marry quo les Ministros fulminont contro le mouvomcnt do la Torre ; cola conviora pout-estre nos Prodicatours à l’approuver. Et il propos do cccy, si vous ócrivoz il co Modoein 0> du Cardinal do Baignó < 2 >, jo serois bien aise quo vous l’nvortissiez quo rien no m’a ompeschó iusquos ioy do publior ma Philosophie, quo la deffenso du mouvomcnt do la Torre, lequel io n’en sqauroia soparor, à causo que toute ma Physiquo on dópend ; mais quo io seray peut-estre bien-tost contraint do la pu¬ blior, ìi causo de calomnios do plusieurs, qui, fauto d’entendre mes principes, veulent persuader au mondo quo j’ay dos sentimene fort óloignez do la veri té ; et quo vous lo prie/, do sondor sou Cardinal sur co sujot, h causo qu’estant extremement son servi¬ lo tour, io serois tros-marry do lui déplairo, ot qu’estant tres-zeló il la Religion Catlioli- quo, i’en rovere gonoralement tous Ics ebofs. Io n’adjousto point que il no me veux pas inoltro au liazard do lour censure; car, croyant tres-fcrmemont Pinfaillibilité de l’Egliso, ot no doutant point ausai do mes raisons, io no puis craindre qu’unc veritó soit contrairo u l’autro.... 409 6ter*. RENATO DESCARTES a .... [1640]. Oeuvre6 do Descartes, ecc., V, pag. 544. .... Restat tantùm unus scrupulus, do motu terra©, do qua curavi prò me consuli quondam Cardinalom, qui se milii amicum a multis aunis profitetur, et unus est ex ca congregatione, quae Galilaoum condemnavit ; audiam ab ipso quid licoat voi non licoat, ot modò Romani ot Sorbonam prò me baboam, voi saltem non contra me, spero mo aliorum invidiao sustinondae parom foro.... Gabriele Naudé. |2 i Giovanfranobsco (lei Conti Guidi di Bagno. Gl 6 APPENDICE AL CARTEGGIO. 420 Ibis*. GlO. FRANCESCO NICERON a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Roma, 2 febbraio 1642. Bibl. Nationalo do Parla. Fonds Francate. N. a. 6205, car. 225. .... Enfili, o’est à ce coup qu’il faut que Ics Mathematiques portent le (lenii, puigque lour gioir est osteinte en la peraonne (lo Galileo, qui mourut t\ sa villa auprea do Flo¬ rence, le meroredy 8 janvior durant la nuit. On luy a fait l’Epitaplie W quo jo vous envoyo cy joint, dont vous forés pari ù, vos amia, que io aalue, et M. r Naudò entro autres, s’il est arrivò a Paris. Vous voyòs la diligencc quo Rapporto a aatigfaire votro ouriosité. 4205*. RENATO DESCARTES a MARINO MERSENNE [in Parigi]. Endegeest, 23 febbraio 1643. Oeuvre» do Descartka, eoo., Ili, pag. 634. .... Il mo Bomble quo voua rn’avez autresfoi mandò qu’il [M. fìassendi] a la bornio lunette do Galilóe (*> ; je voudrois bien s^avoir ni olle est si excellonte que Galilée a voulu fairo croiro, ot commont paroissont maintenant Ics Satellitos de Saturno par soli inoyon.... ,n ft quello olio fu poi apposto alla tomba prov- 8 . Croco, visoria «li Galileo nella Cappella del Noviziato in '* Cfr. n.ri 2970, 3009, 3010, 3030, 3045, 3390. APPENDICE AI DOCUMENTI. Voi. xx. 78 XI, «O bÌH 1) Itutolo dello Studio di Padova. Musco Civico di Venezia. Codice Domi 212. Generalo et novum principino! i a terp r ota tionum Nobilissima© et Fiorentissima© Acadomiao Dominomm Philosophorum ofc Medicorum Celeberrimi Patavini Gymnasii anni praosoutis 1599. Felicitor incipiet dio III Novombris, sub lolieibus auspiciia Illu- strissimorum.... Ad Mathematioam Excellentissiiniis I). Galileus Galileius Florentinus. Legot Sforam et Euolidem. Hora 3. pomeridiana, <0 Generale et novum principium interprotatiouum [ecc.].... anni praosoutis 1003 ot 1004. Folicitcr incipiet dio IV Novcmbris ccc. Ad Matbomaticam Excellontissimus D. Galileus Galileius Florentinus. Legot lib. do Sphuora ot lib. Elementorum Euclidis. Hora 3. pom. < a) Aroh. di Stato in Venezia. Raccordi ot regolo da /arsi per lo studio di Padova. Busta 429. Gonorale ot novum principium intorpretationum [ecc.].... anni praesentis 1609-1010 felicitor incipiet dio III Novombris.... Ad Matliomaticam Excollontiss. I). Galileus Galileius Florentinus. Legot Geometria©, nocnon Astronomiao dementa. Ilora tertia pomeridiana ( 3 >. Vedi Antonio Favaro. Advcrsaria Gali- Vodi Antonio Favaro, Adversaria Gali¬ leiana. Serio sosta. Iciana. Scric 600 onda, pag. 8-11. ‘*i Idem. APPENDICE AI DOCUMENTI. XXIbis. GALILEO PROVVISIONATO DELLO STUDIO DI PISA. 1018. d*)W Mandati di pagamento. Bibl. Mediceo-Iiauronziana.N. 144 -+- Addi 25 di aprilo 1818. Al Q.“° a 148. Molto Mag. c0 m. Niccolò Colucci Cam. 0 della Dog. a di Pisa. Pagato al Ecc. mo Sig. ro Galileo Galilei Fiorent. 0 Filosofo o Mattcmatico di S. A. S. et pomario lettore dello Mattematiclie nello Stud. 0 di Pisa, sobeno di pfitc por giTi non legge. D. Cinquecento di M. ta per a buon conto eli sua Proyisione p. detta lettura, dandone debito a me corno Proved.® gle di d.to Stud. 0 pigliandone la ricevuta.... d. 500. Girol. 0 da S. ,a Prov. re Gon. le Di mano di G. : Ho ricevuto io Galileo Galilei soprad. t£> li d. u 500 pagati di mio ordine alli SS. rl Iacopo', Fran. co e Bart.° Ricciardi, Noi Ricciardi babbiamo auto Pag. to de sud. 11 danari q di 30 d.° Aroh. di Stato in Firenze. DepoàLeria Gcnoralo. Rcoapiti di cassa anno 103G. Filza 1036, n. 494. GALILEO GALILEI a COSIMO DEL SERA in Firenze Arcotri, 30 maggio 1037. [Autografa]. Ill. mo Sig. ro e Pad." Mio Col. rao Tengo dal S. Cantar. 80 delle Dogana di Pisa V ordine il quale mando qui annesso a V. S. Ill. ma acciò quando gli sia comodo fac- <*) Ved. Voi. XIX, pag. 256. i*' Ved. Antonio Favaro, Scampoli Galileiani, Ser. XXI, pag. 9-10. 622 APPENDICE AI DOCUMENTI. eia pagare il danaro a Vincenzio mio Fig. 10 lator della presente : o restando humill. mu Sei-. 0 a V. S. 111.“ gli prego da Dio il colmo di felicità. D’ Àrcetri li 30 Maggio 1637. di V. S. Ill. ma Dev. mo et obblig. 1 " 0 Ser. rc Galileo Galilei. [Autografa]. Io Vincenzio del Siul.° M. r Galileo Galilei ho ricevuto dalla Depositerai generale di S. A. S. scudi cinquecento a conto che sopra ot in fedo ho fatto la presento m.o p.a questo di sud.°. quali ducati cinquecento ricevo iti virtù dell’ordine presente. Io Vincenzio sml.o. [Fuori di mano di Galileo]. All’ 111. 1,10 senator Del Sera; Depos. 10 Gen. l ° del Ser. G. D. ca e mio Sig. re Col® 0 In sua mano. [Di mauo del Mazze!]. Ill.mo s.r e P.re Col. mo All’Ecc. mo S. Dott. re Galileo Galilei piacerà a V. S. 111.®» far pagare por me scudi cinquecento di mta. che sono a conto «li provisione elio riceve «la questo studio come per mand. to liautono da Mone. Saracini Provv. ro di esso Studio, con pigliarne in piò di questa ricevuta, et a me diate d ta . occorro altro por questa. A V. S. lll. ma faccio rever. za . In Pisa Li 27 Maggio 1637. Di V. S. Ill.ma Dov. mo sor.ro Pietro Mazzei. [Di mano di Galileo]. Li scudi 500 sopra di. ricevo io Galileo Galilei sopranom. 10 dal- 1* Ul. mo S. Depos.' 0 Gen. le et in fede ho scritto la presente m. pp. a . [In altro foglio di mano del Mazzei]. 1037. Copia di partita estratta dal quad. di Cassa della Dog."» di Pisa n.° 9, c. 3, tenuto da Pietro Mazzei Cass. ro por crod. 0 all’ IU. m0 S. Cosimo Del Sera Doi). rio g.'° di S. A. S. o adì 27 Maggio scudi cinquecento di mta. a sud. pel S.r D.r Galileo Galileo a conto di sua prov.no scudi G00. Pietro Mazzei sud.* 1 * [Fuori], All’ Ill.mo S.o Pro. Col.mo II S. Cosimo del Sera Depositario g.le di S. A. G. Firenze. (, t Per questi couti vedi anche pag. 216. APPENDICE AI DOCUMENTI. 623 Idem. Filza 1035. n. 1053. GALILEO GALILEI a COSIMO DEL SERA in Firenze. Arcetri, 20 O.bro 1(537. [Autografa solo la firma, il resto di Marco Ambrogolti]. Ill. mo Sig. ro e Pron. Col." 10 Prego Y. S. IlL ma , che voglia pagare per me al M. l ° Rev. d0 P. Marco Ambrogetti li scudi cinquecento che mi deve pagare il Sig. Pietro Mazzei Camarlingo della Dogana di Pisa per un mandato di Mon- sig. Saracini do 29 di 8 1,ro passato per il resto della mia Provvisione di questo presente anno finito l’ultimo di 8 ,)re passato, die saranno ben pagati e con reverente affetto le bacio le mani. D’Arcetri li 20 9. bre 1637. Di V. S. 111. ni a Devot. 1110 et Obbligat. ,no Servit/ 0 Galileo Galilei. Io P. Marco Ambrogetti sopmd.n ] l0 ricevuto dalla Gii. 1 ® Depositeria di S. A. per il Sig. r Galileo Galilei soprad. Ducati cinquecento di moneta in virtù del p. nto suo ordine et in fedo di mia mano ho scritto questo di 21 9. 1,ro 1637 scudi 500. [Fuori di mano dell’Ambrogetti]. All* Ul. mo Senator del Sera Depositario Generalo di S. A. S. e mio Sig. r Col. mo In sua mano [In foglio separato, di mano del Mazzei] 1637 . Copia di partita estratta dal quad.° Cassa della Dog."» di Pisa n. 10, o. 8, tenuto da Pietro Mazzei Casa." di ossa Dogana in Cred.® all’ 111.*** 0 S. r Cosimo dol Sora Dop.*i° g.'° di S. A. S. e adi 24 91>re scudi cinquecento di m.ta pag.ti por me al S. D.re : Galileo Galilei poi- mandato di Mons. Saracini Provv.ro dello studio. scudi 500 Detto Mazzei m.O p.a (1 > Idem. Filza 10-10. Anno 1638, n. 403. [In calco alla copia legale del mandato di procura di Galileo al figlio Vincenzio in data 20 aprilo 1638 si trova per la prima volta la ricevuta di Vincenzio in questo documento]. a di 30 Aprilo 1638 Io Vinco Galilei come Procuratore di Mr. Galileo Galilei soprad.o ho ricovrito dalla Generale Depositoria di S. A. S. per il Sig.r Dottor Galileo sud. scudi cinquecento di moneta, quali mi ha pagati per il Sig.ro Pietro Mazzoi Camerlingo della Dogana di Vedi pag. 247. '*> I.’originalo del mandato ò stato gii! ripor¬ tato ncWEdizione Nazionale. Voi. NIX, pag. 438. APPENDICE AI DOCUMENTI. 624 Pisa per un mandato do 15 Aprilo presento del Sig.r Proveditor generale dello Studio diretto a d.o Sig.r Mazzei Camg.o por conto di provisione di d.o Mr. Galileo contanti a me d. corno suo procuratore, et in fedo lio scritto di mia propria mano scudi 500 1638 Copia (li Partita CBtratta dal quadorno di Cassa (lolla Dogana di Pisa n. 10, a o. 21, tenuto da Pie¬ tro Mazzoi Cam. 0 por Crod.» all’ 111.™ 0 S. r Ooaimo dol Sera Dop. rio g.'° di 8. A. S. e a di 30 aprile scudi cinquecento di moneta pagati al S.r Dr. Galileo Galilei por man¬ dato di Mons. Saracini Provveditore allo Studio. scudi 600 Ferdinando secondo Gran Duca di Toscana Sen.ro Cosiino del Sera uro. Dep. r, o g.lo mettete a uscita a Pietro Mozze! cani. 0 della Dogana di Pisa scudi cinquecento moneta che per lui havelo pagati a Galileo Galilei lett. re primario della Al attomatica per un semostro della prov. ne ohe ricevo da quollo studio. Et a voi saranno fatti buoni in virtù, di questo uro. Mand.° Dato 30 Aprilo 1638. G> Idem. Filza 1038, Anno 1638, n. 969. A di 16 di Ottobre 1638 Io Vincenzio Galilei ho ricevuto dalla Depositeria generalo di S. A. S. por Mr. Ga¬ lileo Galilei mio padre o come suo procuratore scudi 200 di moneta a conto della sua provisiono del presonto semestre da finire por tutto il presente mese : recò a me con¬ tanti il Sig. Geli Bocchineri mio Cognato. scudi 200 Vinco Galilei sud. m. p. Io Ceri Hocchineri ho ricevuto dalla Dep. r,a g. lc di S. A. li soprad. scudi dugento di m. tft per portarli al soprad. 0 S. r Vinco. Galilei, si come ho fatte come sopra questo di sud. in Fiorenza. [In altro loglio]. Ferdinando secondo Gran Duca di Tosc. a Sen. r « Cosiino del Sera nro. Dep. rl ° g. lc mettete a us. ta a Piotro Mazzei Cam.° della Dogana di Pisa scudi dugento m. ta che per lui haveto pagati al Dott. r Galileo Galilei et per lui a Vinco. Galilei a cto. (li un marni, di Mons. Saracini che vi saranno fatti buoni in virtù di q.° n.ro mandato Dato 15 8 bro 1638 < a ). Idem., n. 1057. A di 15 di Novembro 1638 Io Vincenzio Galilei ho ricevuto dalla Depositeria generale di S. A. S. o per il Sig. r Galileo mio Padre come suo procuratore scudi cento di moneta per resto della sua Provisiono del semestre finito il di ultimo di ottobre prossimo passato et in virtù 01 Vedi pag. 247. <*> Vedi pag. 248. APPENDICE AI DOCUMENTI. 625 di mandato del Sig. r Provvod.ro dolio Studio di Pisa de 6 7 bre prossimo passato e di detti scudi conto no ho fatto altra ricevuta contenente un sul pagamento. scudi 100 Vinco Galilei soprad. Copia di partita elio apparisco al quaderno di cassa sognato da n, 12 di Piotro Mazzoi camarlingo dolla Dogana di Pisa a c. 2 in credito al S. r Sonatore Cosimo del Sora Depositario Gonoralc di S. A. S. ccc. Ilavcro addi 24 di novembre 1(538 scudi cinquecento di moneta pagati in tre volte al S.r Dottoro Galileo Galilei, li medesimi per sua prov.nc, come lettore di questo studio scudi 500 Debitore Mone.r Saracini in questo a. c. 5. D). Ferdinando secondo Gran Duca di Tosc.na Son. ro Cosimo del Sera nro : Dep. rln g. fì mettete a uscita a Pietro Mazzei Camar¬ lingo della Dogana di Pisa scudi cento di moneta. Che liavete pagato al Dott. rc Ga¬ lileo Galilei et j)er lui a Vino. 0 Galilei che vi saranno fatti buoni in virtù di questo nostro mandato. Dato 15 9 b ™ I(J38. Idem. Filza 1041. Anno 1039, n. 875. A di 23 di Aprile 1(530 Io Vincenzio Galilei ho ricevuto dalla Depositaria generalo di S. A. S. e por il Sig. r Galileo Galilei mio padre scudi cento a conto di scudi 500 di sua provisione del passato semestre da terminarsi per tutto il presente mese de i quali scudi cento ho fatto altra ricovuta, contenente questa o quella un sol pagamento sono scudi 100 Vincenzio Galilei sud.° sua m.p. Idem. Filza 1043. Almo 1039, n. 1031. A di 29 di Ottobre 1639. Io Vincenzio Galilei ho ricevuto dalla Depositerai generale di S. A. S. scudi quat¬ trocento di moneta por il resto de i scudi 500 della previsione di Mr. Galileo Galilei mio Padre maturata per tutto marzo prossimo passato 1639 e de quali 400 ho fatto altra ricevuta contenente e questa, e quella un solo pagamento scudi 400 Copia di Partita ostralta dal quaderno di cassa della Dogana di Pisa n. 13 tenuto da Piotro Mazzoi Cassiere por credito all’ IH."' 0 S. Cosimo dol Sera Depositario generalo di S. A. S. E a di 31 corrente scudi quattrocento moneta pagati al Dr. Galileo Galilei a com¬ plemento di un mandato di Mona. Saracini di scudi 500. Scudi 500 Detto Mazzoi Idem. Filza 1043. Anno 1039, n. 1074. A di 12 di Novembre 1639. Io Vincenzio di Mr. Galileo Galilei ho ricevuto dalla Depositerà generale di S. A. S. e come procuratore di detto Mr. Galileo mio padre scudi cinquecento di moneta o <0 Vedi pag. 248. Voi. XX. 79 G2G APPENDICE Al DOCUMENTI. nono por la solita provisiono (li dotto Mr. Galileo del prossimo passato somestro finito por tatto il mese di ottobre prossimo passato, do quali scudi 500 lio fatto altra ricevuta contononto questa, o quella un solo pagamento. scudi 500 Copia di Partita estratta dal quaderno (lolla Cassa (lolla Dogana di Pisa a c. 14 tenuto da Pietro Mazzei Cassiere, per credito all’ IU. m0 Sen. Cosimo del Sera Depositario di S. A. S. o a di 15 libre scudi cinquecento di moneta pagati Saracini Procuratore dello Studio eoe. al S. Dr. Galileo Galilei eoe. scudi 500 Pietro Mazzei Idem. Filza 1044. — Autografa. A di 5 di settembre 1040 Io Vincenzio Galilei ho ricevuto da Dopositcria generale di S. A. S. ; sopradotti sondi cinquecento di moneta por la solita provisiono di m. Galileo Galilei mio Padro del presento semostro da maturarsi por tutto il mese di ottobre prossimo et in fede ho sottoscritto di m. p. [scudi] 500. E di tal pagamento ho fatta altra ricevuta contenente o questa o quella un solo pagamento. < 2 > 1G40. Copia di partita estratta dal quaderno di Cassa della Dogana (li Pisa di S. A. o tenuto da Pietro Mazzo! Cassiere. Fa Credito all’ III.™ 0 S. Sen.» -0 Cos.° Del Sera Depositario Ceneraio di S. A. S. e a di 12 7 bre scudi Cinquecento di moneta pagati al S. D. re Galileo Galilei lettore Primario di filosofia eco. Dobitore Mona. Saracini Provveditoro dello Studio Pisano in questo a c. 11 t 3 >. • scudi 500 Mazzei XXVii G) ter* Idem. Filza 1044. n. G80. — In calco ad una relazione di ordinanza dei Sig. rl della Zocca. A di 31 Agosto 1040.... .... Io Vinco Galilei Can.re (lolla Zocca ho ricevuto dalla Depositeria di S. A. S. il scudi 79. L. 1. per mia provisiono conio sopra. Di questo relazioni no esistono diverse che portano la suddetta dichiarazione dalta quale comparisco come in quel tempo Vincenzio Galilei fosso Cancelliere della Zecca di S. A. S. 7ì)bis " Arch. Aroiveacovile in Firenze. Libro dei Morti di S. Lucia do' Mngnoli dal 1574 al 1812. a di lf> d.° [Maggio] 1G49. Morì il Sig. Dr. Voncentio di Galileo Galilei c lasciò per testamento d’osser sepolto in nostra Chiesa c fu sepolto in sepoltura assegnatali da me (dello nuove che avevo Vedi lettera 4047òts*. Annesso alla lettera N. 4047 bi( |3 ' Annesso alla lettera N. 4047 bl ' APPENDICE AI DOCUMENTI. 627 fatto faro a mio speso) a sua famiglia o discendenti accanto a quella del Morretti (?) a piè della Cappella dolli Amadori o fu sepolto a di 17 do era d’età d’anni 42. XXVII bis Arch. Arolvesoovile in Firenze. Libro dei Morti di S. Giorgio sulla Costa dal 1595 al 1812. Addi 21 Gennaio 1669 (nuovo stile). Si dotto sepoltura alla S. ra Sestilia del quondam Sig. re Vincenzio Galilei nostra popolana vedova havendo ricevuti tutti i Sacramenti della Chiesa da me P. Benedetto Saiucci Curato, o lasciò per Testamento d’essor seppellita nella Chiesa de Padri Ago¬ stiniani scalzi in su la Costa (l’età d’anni 00. XXXIIi.it* CONTI DELLA SORELLA LIVIA, DELLE FIGLIE E DELLE NIPOTI. Arch. (li Stato in Firenze. Conventi soppressi. N. 110. Convento di S. Giuliano dello Domenicano. Filza 22 Libro Debiti o Crediti. Tenuto da S. Cammilln Firenzuola moderna sindaca del Monastero. a) car. Ir.— addi 5 detto [marzo 1592 stile Fiorentino] da m.a giulia do galilei lire trenta cinque contanti a conto delli alimenti della li via sua figliuola.L. b) car. 11. — addi 6 aprile 1593 da in. giulia de galilei lire trenta cinque contanti la quale ci paga per gli alimenti della livia sua figliuola la quale tenghiamo in serbali za nel nostro monasterio.L. c) car. 3r. - addi 14 detto [agosto 1593] da galileo galilei lire settanta auti con.ti a conto delli alimenti della livia sua sorella che tenghiamo in serbo.L. d) car. tìt. - addi detto [8 giugno 1594] da galileo galilei lire dugento dicci a conto delli alimenti della livia sua sorella, recò per lui francesco teri con.ti. 0 ) car. 71.— addi 30 dotto [settembre 1594] da m. galileo galilei lire trenta cinque a conto delli alimenti della livia sua sorella. Recò per lui m. franc.co teri con.ti. f) car. 32 r. - addi 20 detto [15 febbraio 1597 stilo fiorentino] da m. galileo galilei lire cenvensei e sono per gli alimenti della livia sua sorella recò dotto contanti. g) car. 351. - addi dotto [10 ottobre 1598] da galileo galilei L. dugento dieci e sono per gli alimenti della livia sua sorella recò niccolo teri contanti. 35 35 70 210 35 126 210 Arch. di Stato. Conveuti soppressi. N. G. S. Matteo in Arcotri. Filza 3. labro (li Entrata c Uscita. a) car. 7. - Porto debitore al libro nuovo a c. 16 1634 a di p.o gennaio [S. F] d. 8. 2. fi. 8 auti por S.a Maria Coleste in g.o a 18 in q.to a 162.^*2.i b) car 8. - Entrata particolare dello mie Monache 1622 18 xbro d. 5 pagò S. Arcaugiola sotto (li 14 Aprilo 1622 per suo offitio (li divelti ent.a a 6. q.to 17.d* 5 628 APPENDICE AI DOCUMENTI. c) car. 69. - Capitolo di nostro convento di Contro avere 1627 a di 27 gennaio [S. P] d. 6 tanti i\ pagato S.a Arcangola p. l’ufizio della bracio in glo. a c. 11, in q.to 74.d. 5 d) car. 120. - Capitolo di nostro Convento 1631 24 Gennaio [S. P] d. 84 aliti la had.a p. darò alo galiloo come in q.to a 129.d. 12 e) car. 148. - Capitolo di nostro Convento 1633 a di 29 giugno d. 119 a le galilee e d. 42 a S.a Clieruhina inq.to 149 d. 23 f) 1634 Somma di contro a di 21 gennaio [S P] d. 105 auti la bad.a p. dare a lo Galileo c altre in q.to 154.d. 15 g) car. 149. - R.do mess.o Doni.co Boneelii di Contro avero 1633 a di 29 Giugno d. 161. p. dare ale galiloo o a S.a Cherubina a 87 in q.to 148.d. 23 h) car. 162. - Capitolo di contro 1634 a di 1 Gennaio [S P] d. 58. 6. 8. auti S. Maria Celesto in questo 7 d. 8.2.6.8 i) a di 3 dotto di 176 auti la bad.a p. dare a lo squarcialupe e lo galiloo in q.to 167.d. 25 l) car. 167. - Domonico Bonechi nostro procuratore di Contro avere 1634 a di 3 gonnaio [S. P] d. 175 alla dotta por dare a lo squarcialupe o gal.o a c. 101 in questo 162.d. 25 m) car. 169. - Cassa in mano ala R.da S.a Lucrezia Santini nostra abad.a 1635 a di p. d’aprile d. 42 da ent.a di S.a M.a Coleste come in g.lo a 20 ai q.to 00.d. 6 n) car. 171. - 1635 a di 1 d’aprile d. 182 ala bad. a p. darò alo galiloo otc aus.a 103 in q.to 162.d. 26 o) car. 175. - Capitolo di contro avere 1635 a di 26 xbre d. 2. 4. 4. tanti pagati a S.a Smeraldo e a S.a Arcali - gioia p. le loro gravezze come in q.to a 179.d. 2.4.4 p) car. 179. — Cassa in mano della R.a S.a Lucrezia Santini madre aba¬ dessa a di 26 xbre d. 2. 4. 4. da S.a Smoralda o S.a Arcangiola in g.lo 31 in q.to 175.d. 2.4.4 Idem. Filza 4. B. Libro eli Entrata o Uscita. Suor Luisa Pitti Badessa. a) car. 90. - Spose diverse di nostro convento devo dare 1637 a di 21 Luglio L. 10 al Cappellano del Galileo g.lo 50 questo 93. L. 10 b) car. 93. Cassa in mano a di 16 Agosto L. 9. 6. 8 al Cappellano del Galiloo g.lo 53 questo 90. L. 9.6.8 c) car. 104. - Limosino di mio convento 1637 a di 9 Gennaio [S P] L. 28 dal Sig.r Galileo por limos. g.lo 67 q.to 110.L. 28 d) car. 110. — Cassa in mano 1637 a di 10 Gennaio [S P] L. 28 dal Sig.ro Galiloio por limosina g.lo 67 q.to 104.L. 28 [Oltre questi richiami fsi nolano diverso ontrato dolio duo monache Ottavi* Squaroialupi o Arcangiola Galilei por livello Guidi]. e) car. 60. - S. Chiara Landucci di Contro de dare a di 6 xbre (1636) L. 70 a buon conto di sua entrata pagò la badessa g.le 23 q.to 64 ... . L. 70 f) a di 5 febbraio 1636 [S P] presto di suo conto g.le 29 q.to 69 .... L. 11.13.4 APPENDICE AI DOCUMENTI. 629 g) [Dicembre, 1(53(5] S. Chiara Land ucci nra. Monacha do avere scudi 200 levati di sul monte per servizio del monast.ro come appare al libro vocchio 172.L. 1400 h) a di xbro li. 70 por interessi decorso sino a detto di.L. 7 Idem. Filza 5. Debitori c Creditori. a) car. 67. 1(543 Pannaiuolo S.a Arrangola e S. M.a Elena libbro.... di lino da fodera 47 q.to 105. L. 36 b) car 105. Andrea Vanetti e Giov. Sozzi nuovi pig.li nella Casa di Via Fiosolana attenente il Guidi ricaduta a di 18 7bro 1640 data a pig.ne al dotto Vanetti p. pagarne scudi 36 l’anno e ogni 2 mesi devo pagare d. 6 dacconto.L. 252 c) per sentenzia di Mons.ro Vicario negli atti di S.r Tommaso Centenni Not.o all’Arcivescovado di Pirenzo. a tenente a S. Maria Ottavia Sequarcialupi o Archangiola Galilei o al convento do dare p. resto di q.to conto.L. 210 L. 462 il) R.o Mos. Alessandro Paeei Confess.ro dello monaehe di San Bal- dasari do darò a di 29 Marzo 1642. d. 36 Tanno di pigione duna casa in via Piosolana p. pagaro ogni tro mesi scudi 9 a tenente al Convento a S. Maria Ottavia o S. Arcangiola di lor sopra doto come p. scritta fatta da, II. Antonio Mattei nostro Proc.ro .L. 252 e) cttr. 170. - Effetti di nostro convento 1(54 4 a di 23 9bro L. 4 di ritratto di Libri [Saggiatore] della M . B. BSa S.r Luisa Pitti g.le 5. q.to 175.L. 4 f) air. ISO. — Capitolo avere 1(54 5 8 Giugno L. 14 da S. Arcangiola a Buon conto di suo offitiio del anno passato di spezzierie g.le 29. q.to 207 .L. 14 g) 11 Agosto L. 14 da S. Alessandra e S. Arcangiola del loro offitiio di divelta por resto.L. 14 h) car. 200. Utili del Monte di Pioti! devon dare a di Primo 7bro 1645.... o più deon darò scudi 500 del eredità di S.r Arcangiola Galilei conio in Gior.lo sogli.to A. p.mo 56 per pagamo come ò detto.L. 500 car. 206. - 1647 15 Agosto L. 0. 19. 8. da S. Arcangiola por la xma di Gonn.o prossimo passato q.to 237 .'.L. 0.19.8 i) car. 221. — Cassa in mano 1(54(5 a di 10 marzo [SF] L. 21 da S. Arcangiola di suo offitio di di¬ velti g.le 41 qt.o 219.L. 21 [Oltre a questi richiami più importanti vi sono numeroso partito por il ricavo dol livello di Via Fiosolana eco.]. Idem. Filza 7«, Lctt. E. Libro dei Campioni 1652-1668. a) car. 123. - 1658 Cammilla di Vincenzio Landucci fanciulla dove bavero a di 2 Nov.re scudi 200 m.a per la dotta pagò la S.ra Elisabetta sua madre per a buon conto di Dote, o Vestimento da farsi di d.a Cam¬ mina, recò il uro. Sig. Procur.ro con. corno alla Ent.o a. 30. Cassa in q.to 113.y,. [seguono altro donazioni per detta fanciulla]. scudi 200 630 APPENDICE AI DOCUMENTI. 1)) car. 70. - 1654. Dote fornimenti e Pietanze di contro devon dare a di x Gen. L. .350 pagati di contanti a S.r Chiara Landucci per distribuire per la Tovaglia Sacrestia, Spezieria e per il fornimento della Cam¬ mina sua nep.te come a uscita a 36. Cassa avere in q.to 122 ... scudi 50 [seguono altro donazioni di altro persone]. c) car. 20. - 1652 [SE] Monte di Pietà della Città di Firenze p. Capitali devo dare di 4 marzo ecc. a lib.o P. segnato B a 260 liberi Arcangiola (*).scudi 2.2.10 Idem. Filza 17. car. 5. - A di 23 9bre 171/170. Por ritratto del Saggiatore libro attinente alla erodità di Luisa Pitti lire quattro a mio conto! 8 ).L. 4 Idem. Filza 19. Libro dol Procuratore Domenico Boncchi Prioro di S. Febeo a Ema. a) car. 87. - 148/149. 1633 a di 29 Giugno alla Badessa d. 161 contanti dare, alle Galileo d. 119 dato S. Cherubina d. 42 . ..L. 161 b) car. 92. - 148/154. 21 Gennaio 1633 [SF] d.o alla incd.ma lire centocinquo contanti per dare a più monache Galileo.L. 105 c) car. 101. - 162/167. 1634 a di 3 Gennaio [S F] alla Badessa p. dare allo squarcialupo o Ga¬ lileo d. 175 in contanti.d. 175 d) car. 101. - 162/171. 1635 a di 1 di Aprile 1635 alla Badessa lire centoottantadua contanti per dare alle Galileo e squarcialupo ed «alla fabbri.d. 182 Idem. Filza G*. Debitori o creditori. [In tutta la Filza si trova citato spesso S r Arcan- giola fino nlPanno 1652]. Idem. Filza 18. Entrata c Uscita del procuratore Domenico Boncchi Prioro di S. Felice a Ema. a) Entrata a car. 8 r. A di 8 di maggio 1620 da Benedetto Landucci lire venti otto di con¬ tanti per a buon conto di quello deve alla sua figliuola Sr. Chiara . L. 28 b) car. 10. 26 9brc da Benedetto Landucci lire cinquanta sei contanti per dare a Sr. Chiara sua figliuola por a buon conto della sua entrata . ... L. 56 "> [Sul margino un sogno gjT con questa annotazione di altra mano ma dello stesso tempo]. Nota come questa porta di Suor Arcangiola per la sua morte vacamo e il credilo andò ne Boehineri. [Lo madre Badesse dol convento di S. Alatteo in Arcetri, nel tempo in cui vi furono monache le figlie di Galileo resulterebbero le seguenti: Laura Gaetani nel 1616-1617. Violante Rondinclli dal 1618 fino al 5 de- ccmbre 1620, morta il novembre 1630. Laura Gaetani dal 5 dicembre 1620 al 17 mar¬ zo 1623. Ortensia del Nenie dal 17 marzo 1623 al 29 dcccmbre 1626. Nel 1629 era di nuovo la Laura Gaetani. Cat.a Angiola Ansclini dal 29 dcccmbre 1629 al 1632. Lucrezia Santini dal 1632 al 1635. Luisa Pitti dal 1635 al 1638. Lucrezia Santini por la seconda volta dal 1038 al 1641. Lisetta tihorardi dal 1641. [Oltre lo suddette si trovano citati come mo¬ nache Laura Gaetani, Diouisia Gaetani. Medico del convento oltre il Ronconi era nel 1634-35 anche Gio. Batta. Caiani. Nel 1622 era medico del convento anello Lorenzo Pittei]. ,s > Vedi sopra lett. e). APPENDICE AI DOCUMENTI. 631 Arch. di Stato. Con. Soppressi 90. S. Girolamo (S. Giorgio sulla Costa). Filza 12. Libro Giornale o Ricordi. a.) car. 131. r. [seconda parte] - Ricordo oggi questo di 24 di Maggio 1035 come il Sr. Vincenzio figliuolo del Sig.r Benedetto Landucci, rose al nostro Monastero scudi cento de quali era debitore detto suo padre per resto rii dota di Sr. Àrchangiola sua figliuola come si vedo al suo conto al Camp. N. 115 e addi 27 di Obre 1635 detti scudi cento si det¬ tero allo monache di San Donato in polverosa e si spense un censo clic avevamo tenuto molti anni come si vede al lor conto al Camp. I 130 egli scudi einquo elio si paghavano ogni anno a dette Monache di S. Do¬ nati» si son volti per sua entrata alla detta Sr. Àrchangiola.D> Idem. Filza 31. Libro di Entrata e Uscita. a ) cari. 2.1. - 12 Gennaio 1630 [SF] Dà la Verginia Landucci scudi dieci al camp. f. 235 L. 70 b) car. 5. r. - Dà la Verginia Landucci scudi dicci sotto di 3 aprilo 1640 al Camp. 235. L. 70 c) car. (>. t. - 3 Luglio 1640 Dà la Verginia Lauducoi scudi dieci al camp. 235. L. 70 d) car. .9. I. - Addi 22 ottobre 1640 Dà la Verginia Landucci per il forni¬ mento del convento sondo accettata paghò il Sig.r Galileo Galilei al camp. 23. 24 .L. 420 o) car. 14. r. - Addi 14 Febbraio 1640 [SF] Dà la Verginia Landucci scudi venti la mattina ohe si vestì monacha elio fu sotto di 13 Gennaio 1640 [S F] al Campo. 23. 46 .L. 140 i) car. 23. r. — Addi 7 Gennaio 1641 [SF] Dal Sig. Galilei per limonine scudi dua al camp. 53. 72 .L. 14 Idem. Filza 14. Giornale o Ricordi. car. 74. r. - 1671 Sposo di più ofizzi Messa o Mortori dovono dare addi 30 di Obre 1672 L. tredici 6. 8 per N. 20 mosso fatte dire dalla maestra Ministra per l’Ànima di Sr. ArcangolaG) a e. 13. 4. L. 13.6.8 Arch di Stato in Firenze. Carte Galilei. Filza A, n. 2. Memorie di alcuni defunti di Casa Galilei con diverso noto o speso rioovulo. Carlo 52.243. [Un piccolo foglio volatilo scritto con calligrafia dol tempo]. a In risposta alla sua domanda S. Arcangiola Galilei, Morì l’anno 1658 a 14 Giug.o di Età 56 otc. ». XLqnater. Arch. di Stato in Firenze, Depositeria Gonerule. Idem. Filza 102G. Anno 1634.Carte sciolto. N. 528. 1633. 11 Sor. m ° Gran Duca di Toscana devo dare a Cosimo Bartolini G. nle dello sue Poste per Dappiè spedizioni fatto per servizio del A. S. d’ordine del Sig. ro Bali Cidi. Luglio 8 a Gio. Batta Landini Libraio per diversi libri del Sig. rti Galileo Galilei serviti per la seg. rla di S. A. d’ordine del S. Bali Cidi L. CO 10 Gerì Bocchincri ho ricevuto questo conto. 11 Dep.Do g.ie paghi a Cosimo Bartolini le sud. lire cinquecento ventisei sol. 10, e multa a spese di Posto e. Corrieri. Aiul. a Cicli 22 Luglio 1634. Lamiucci. i*> Landuccl. APPENDICE ALL’INDICE GENERALE CRONOLOGICO DEL CARTEGGIO. libi» Sonalo ili Bologna a E. Caotani. 17 febbraio \ 1588 134 bis Galileo a [t] . 2 » 1 606 J87bi» Barbolani A. a B. Vinta. 3 maggio 1 608 20 Ibis Galileo a [1] . 14 gennaio 1010 814bis llorky M. a [?]. [?] maggio » lOObis Clavio C. a M. Welsor . 29 gennaio 1 Gl 1 505bis Colonia (di) E. a C. Grienborger. 1 aprilo 1 Gl 1 538bis Imperato F. a G. Faber. 10 giugno 1 Gl 1 551 bis a a . 7 luglio » 850bis Wolsor M. a F. Cosi. 29 marzo 1613 llOGbis Millini G. G. a C. Priatoni . 4 aprile 1615 ll‘28bis a a ... 29 maggio » IblObis Vernili F. a L. Marzari. 7 novembre » 1141bis a a . 27 » » 1188bis Contarmi S. al Dogo di Venezia. 27 febbraio 1616 1 I90bis a » » . 12 marzo » 12 5 7 bis Altoviti G. a C. Piccliona. 8 giugno 1617 1259bis » » . 22 » » IfiOObis » » . 0 luglio » 12 02bis a » .. • 13 » » ITOObis Peireso N. C. a P. Vollavez [Di] . 28 gennaio 1626 I889bia Cornier R. a M. Meraenne . 1 5 novembre 1G2 7 I840bis Morsenno M. a L. Holste . m » 1843bis Cornier R. a M. Morsenno. ; 24 dccembre » 1887bis Campanella T. ad Urbano Vili . 10 giugno 1628 1900 bis Galletti A. a G. Calasanzio. 7 dccembre 1629 2188bis Niccolini F. a A. Cioli. 30 marzo 1631 213Sbis a » . 6 aprilo » 2215bis a a . 23 aprile » 2266bis Campanella T. a P. Gassendi . 7 maggio 1632 2288bis Riccardi N. a C. Egidii. 25 [f] luglio » 2285bis a » . 7 agosto » 2305bis » » . 18 settembre i » 2300bis Barberini A. a C. Egidii. 25 » » 2844bis Riccardi N. a C. Egidii. 6 novembre ! » 2347bis Barberini A. a C. Egidii. 13 » » 2888bis a » . 11 dicembre » 2876bis » » . 1« gennaio 1633 Voi. o Pag. XX, 597 » » » 598 ». 599 » 002 » 508 a » >» 509 » » » 571 » » a » a 002 a 004 » 005 a 571 a 572 a a a 573 a 574 » a a 57G Voi. XX. 634 APPENDICE ALL'INDICE GENERALE CRONOLOGICO DEL CARTEGGIO. 1 2376ter Barberini A. a C. Egidii. 1° gennaio 1033 Voi. o Pag. XX, 576 2894bis Hobbos T. al Conto di Nowcastlo. 20 « » » 606 2565bis Barberini A. a C. Egidii. 2 luglio » » 576 2578bis Contarmi A. al Dogo di Venezia . 9 » » » 577 2«51bis Barberini A. a C. Egidii. 20 agosto » » » 2G89bis » » . 10 settembre » » 578 2909bis Barberini F. a C. Egidii . 25 marzo 1634 » » 2949bis Ortensio M. a N. Pei rose. 2 giugno » » 579 2988bis » a P. Gassendi . 15 settembre » » 580 2999bis Bocchineri A. a V. Galilei . 26 ottobro » » 607 8124bis Campanella T. a N. Poiresc. 25 maggio 1035 » » 8212bis Cavalieri B. a B. Castelli . 19 novembre » » 581 8226bis Descartes R. a 7 . autunno » » 608 3826bis Galileo a A. Barberini . 26 luglio 1036 » 581 8856bis Grozio U. a L. Roalio. 20 sottembro » » 608 8809bis Niccolini P. a A. Gioii . 4 ottobro » » 610 8607bia Descartes R. a M. Mersenne. 22 giugno 1637 » » 8672bis Barberini F. a G. Muzzarelli . 6 febbraio 1638 » 582 8698bis Descartes R. a AI. Mersenne. I» marzo » » 610 8 7 Olbia Elzevier B. ed A. a M. Mersenne. 8 » » » 611 8716bis Descartos 11. a M. Mersenne. 31 » » » » 8952bis » » . 25 dicembre 1639 » ;> 8962bis » » . 29 gennaio 1640 » 612 4020bia » » . Il giugno » » » 4028bis Galileo a B. Guerrini . 22 giugno » » 583 4047bis » » . 28 agosto » » 612 4057 bis Descartos R. a M. Mersenne . 15 settembre » » 015 409 «bis » » . dicembre » » » 4096tor D Oscartcs a [?] . 7 » » « 420 Ibis Nicoron T. a M. Mersenne . 2 febbraio 1 642 » 010 4205 Descartes F. a M . Mersenne . 23 » 1643 » » APPENDICE ALL’INDICE GENERALE ALFABETICO DEL CARTEGGIO. Altaviti . .576 » » » 577 » 578 » 580 » 582 Campanella T. ad Urbano Vili . 10 giugno 1628 a P. Gassonili. 7 maggio 1632 » a N. Poirosc. 25 maggio 1635 Cavalieri B. a B. Castelli. 10 novombro 1635 eluvio C. a M. Welser. 20 gennaio 1611 Colonia (di) E. a C. Grionborgor. 1° aprilo » Contarmi A. al Dogo ili Venezia. 0 luglio 1633 Contar ini B. » 27 febbraio 1616 » » . 12 » » Cornier il. a M. Mera enne. 15 novembre 1627 » » . 24 dicembre » 604 » 606 » 607 .. 581 »> 600 » 601 » 577 » 570 » » » 602 » '603 Descartes 11. a ? . autunno 1635 a M. Mcrscnne. 22 giugno 1637 » » . 1° marzo 1638 » » . 31 » » » » . 25 dicembre 1630 » » . 29 gennaio 1640 » 611 G3G APPENDICE ALL'INDICE GENERALE ALFABETICO DEL CARTEGGIO. Descartes R. a M. Mersenne » » » » » » » » Elzevier IL ed A. a M. Mersenne Galileo a [!]. » » . » ad A. Barberi ni . » a IL Guerrini. » » . Galletti A. a G. Calasanzio. Grò zio W. a L. Reali o . Hobbes T. al Conto di Newenstlc Horky M. a [!]. Imperato F. a G. Fabcr. » » . Mersenne M. a L. Holsto. Millini G. G. a C. Priatoni. » » . Niccoliul F. ad A. ('Ioli. » » . » » . » » . Nieeron F. a M. Mersenne. Ortensio M. a N. Peiresc. » a P. Gassondi. Peiresc N. C. a P. Yellavcz . Riccardi N. a C. E fridii . » » . » » . » » . Senato di Bologna a E. Caetani . Vcralli F. a L. Mar zar i. » » . Welser M. a F. Cesi . 11 giugno 1640 Voi. e Pag. XX, 612 15 settembre » » 615 dicembre » » » m » » » 23 febbraio 1643 » 610 8 marzo 1638 » 611 2 febbraio 1606 » 597 14 gennaio 1610 » 599 20 luglio 1634 » 681 22 giugno 1640 » 583 28 agosto » 0 612 7 dicembre 1629 » 605 20 settembre 1630 » 608 20 gennaio 1633 » 606 [?] maggio 1610 » 599 10 giugno 1611 » 667 7 luglio » » » [?] novembro 1627 » 603 4 aprilo 1615 » 568 29 maggio » » 568 30 marzo 1631 » 605 0 aprile » » » 23 » » » 600 4 ottobre 1686 » 610 2 febbraio 1642 » 616 2 giugno 1634 » 579 15 settembre » » 580 29 gennaio 1626 » 602 25 luglio 1632 » 571 7 agosto » » 572 18 settembre » » » 6 novembre » » 574 17 febbraio 1588 » 597 7 novembre 1615 » 569 27 » » » » 29 marzo 1613 » 602 APPENDICE ALL’INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. Adam Carlo. XX, 608. Alberi Luigi. Ili, 891, 893, 897. Alfonso X. Suo tavolo astronomiche, III, 903. Amarori. XX, ($27. * Ambrogetta Marco. XX, ($23. Ambrogio (S.). XX, ($04. A n a g r a m m i. Ili, 920. Andromeda. VI, 092. Anselmi Angiola. XX, 030. . Archimede. Vili, 049. Arciduchessa. XX, 005. Aristarco. Ili, 918. Aristotele. Suo ideo sulla via lattea, III, 918. Nominato, VI, 068 ; IX, 305, 308 ; XX, 004. * Arrighetti Niccolò. VI, 008. * Bagno Giova nfrancesco dei Conti Guidi [Bagno]. XX, 015. Baldi. Ili, 890. Bambergio. — V. Grienbergor Cristo- foro. * Barberini Maffeo. IX, 303 ; XX, 004. Barbolani Asdrubale da Montauto. — V. Montauto (da) Barbolani Asdrubale. * Bartolini Cosimo. XX, 031. Bernegger Mattia. XX, 604. Bernini Giuseppe. III, 890. Berulle (di). XX, 003. Bianchini Giuseppe. IX, 302. * Bocciiineri Alessandro. XX, 007. * Bocciiineri Gerì. XX, 005, 024, 631. Bocciiineri Sestili a nei Galilei. — V. Galilei Boecbineri Sostilia. Bonecchi Domenico. XX, 028, 630. Bonifacio Gaetani. XX, 604. * Borelli Grò. Alfonso. Sue Theoriac MecUceorum Planctarum, III, 890, 904. * Braite Ticonk. VI, 668, 009, 084, 085, 092 ; XX, 600. Broccardi Alfonso. IX, 311. Brunnio Luca. VI, 092. * Buonamioi Francesco. IX, 308. Burattini Tito Livio. I, 214. Caetani Enrico. XX, 597. * Calasanzio (S.) Giuseppe. XX, 605. Calvinisti. VI, 684. Calvino. XX, 607. * Campanella Tommaso. XX, 002, 004, 606, 607. Cannocchiale. XX, 001. Capra Aurelio. II, 627. 638 APPENDICE ALL INDICE DEI NOMI ECC. [Capra Baldassarre * Capra Baldassakk. II, 617, 618, Gl 9, 625-630; VI, 072. * Cardi da Cigoli Lodovico. V, 435. Casari C. IX, 302. Cassini Domenico. Ili, 899. Cesare (Caio Giulio). II, 029. * Cesi Federico. Ili, 927 ; V, 435 ; XX, 602. * Ciiiaramonti ScirioNE. VI, 083. Cicerone Marco Tullio. V, 085. * Cioli Andrea. XX, 605, 606, 010, 014, 031. Cisati. VI, 684. * Clavio Cristoforo. XX, 000, 001. Clementi Giovanni. Ili, 627. * Colombe (dolio) Lodovico. XX, 005. * Colonia (di) Ernesto. XX, 601. * Colonna Fabio. V, 435. Colucci Niccolò. XX, 621. Compasso geometrico e militare. Figura dello strumento, tav. fuori tosto. II. Considerazione astronomica. XX,598. * Copernico Niccolò. Ili, 920, 921, 922 ; VI, 094, 695 ; XX, 002, 604, 606, 007. * Cornaro Giacomo Alvise. II, 026, 027. Cornier Roberto. XX, 002, 003. Costa Emilio. XX, 597. CROSTER VETTORrO. III, 890, 891. Cusa (di) Niccolò. XX, 604. Davide. XX, 004. Delambre. Ili, 899. Deodati. — V. Diodati Elia. * Descartes Renato. XX, 608, 010, 611, 612, 615, 610. Diodati Elia. XX, 008, 609. Diophiec seu Dcmonstratìo oto. di G. Keplero. HI, 917-924. Discorso delle comete. VI, 075-680. Ecate. Ili, 918. Eccentrepiciolo. HI, 905. Eccentrioi.HI, 905-909. * Elzkvier Àbramo e Bonaventura. XX, 611. Epicicli. Ili, 905, 906. Epicuro. VI, 684. E quanti. Ili, 905. Euclide. VI, 067; IX, 308. * Faber Giovanni [Fabri]. XX, 602. * Farri di Velavez Palamede. XX, 602. * Fabricius Davide. VI, 094. * Fantoni Stefano. VI, 670. Favaro Antonio, 1, 214 ; II, 617, 618 ; IH, 8S9, 890, 891, 894; V, 435, 430; VI, 069; IX, 301, 302 ; XX, 602, G05, 606, 608, 620, 621. Fortificazioni. II, 615. Frambotto Paolo. II, 618. Francesco (Fr.). — V. Micholini Fa¬ ni iano. Fucns Giovanni Filippo. VI, 689. * Gaetani Laura. XX, 630. Gaeta ni. — V. Cactani. Galilei Livia di Galileo (Suor Arcan- giola). XX, 027-631. Galilei Livia di Vincenzio noi Gal¬ letti. — V. Galletti Galilei Livia. Galilei Vincenzio di Galileo. Sua fede di morte. XX, 626. Nominato, XX, 007, 022-627. Galilei Virginia di Galileo (Suor Ma¬ ria Celeste). XX, 627, 628, 630. Galilei Virginia di Vincenzio noi Lan¬ ducci. — V. Landucci Galilei Virginia. Galilei Ammannati Giulia. XX, 627. * Galilei Bocchineri Sestilia. Sua fede di morte. XX, 627. Nominata. XX, 607. Galileo. Faesimili sulla Stella Nova. II, 621, 622, 623. Nominato nella Scrittura di Lodovico Scttala, II, 025-030. Nominato nella Diottrico del Keplero, III, 917-924 ; nella Piiocnomenis in Orbe Lunae del La- galla, III, 927-928. Frammenti diversi di Mayr Simone] APPENDICE ALL’INDICE DEI NOMI ECC. 639 medicee o di astronomìa, III, 033-961. Facsimile dello configurazioni dolio me¬ dicee per la stampa del Nundua, III, 951-963. Saggi di astronomia stellare, III. 961-964. Suo osservazioni sulle medico in¬ viato in osarne al Renieri, III, 979 e seg. Spedisco al GL D. una calamita, XX, 698. Suo cannocchiale por l’ambasciatore Niccoiini in Roma, 605; Borivo al Guerrini por il serbo della pronipote Virginia Lan¬ ducci, 612; iscritto noi Rotoli dello Studio di Padova, 619; provvisionato dello Stu¬ dio di Pisa, 621-626 ; paga i conti della sorella Livia, 627 ; o i conti delle figlio a S. Matteo in Arco tri, 628 ; suoi conti al convento di S. Girolamo sulla Costa por la pronipote Virginia Landucci, 631. No¬ minato, II, 435, 436; VI, 667-672, 683, 684, 685, 691, 692; Vili, 649 ; IX, 301, 302; XX, 597-615, 631. Galletti Arcangelo. XX, 605. * Galluzzi Tàrquinio. VI, 667, 668, 669. * Gassendi Pietro. XX, 606, 616. * Giikrardi Lisetta. XX, 630. Giovannozzi Giovanni. XX, 605. Giovo (Pianeta). Occultato dalla Luna, al Ronieri apparisce ellittico, HI, 1050. Striscio sul corpo del pianeta osservate, dal Renieri, III, 1034. Menzionato, 111, 907-910; XX, 599, 600. Goni àntonfrancesco, IX, 301, 302. * Grassi Orazio, VI, 683. Gregorio (S.), XX, 004. * Grienbergeu CiusT0F0R0[Bamberga]. XX, 601, 602. * Grò zio Ugo. XX, 608. * Guerrini Benedetto. XX, 612, 614. * Guiducoi Mario. Discorso delle comete, VI, 667-671, 076; Vili, 649; XX, 605. IIobbes Tommaso. XX, 606. Il odierna Gio. Battista. Ili, 896, 897. * IIolste [Holstein, Holstenio]Luca. XX, 603. * Horky Martino. XX, 599. * Kepler Giovanni. Sua Dioptricc, scu Demonstratio , otc., Ili, 917-924. Nominato, IO, 889, 890, 892, 903, 912; VI, 903, 912 ; XX, 600. * Lag alla Giulio Cesare. Sua Dispu¬ tano, otc., Ili, 889. * Landini Gio. Battista. XX, 631. * Landsberg Filippo. Ili, 903. Landucci (Suor Arcangela). XX, 631. * Land ucci Benedetto. XX, 630, 631. Landucci (Suor Cammilla). XX, 629. Landucci Isabella (Suor Chiara). XX, 628, C29, 630. Landucci Maria Virginia (Suor Olim¬ pia), figlia di Vincenzio. XX, 613, 631. Landucci Vincenzio. XX„ 613, 631. Lattea (Via). XX, 600. Leucio Gio. Batta. VI, 691. Lente delPocchiale di Galileo, tavola fuori testo, III, 912. Lesca Giuseppe. XX, 597. Liceti Fortunio. IH, 889. * Longomontano Cristiano Severino. in, 903. * Lorena (di) Cristina. VI, 698. Lovarini Emilio. Il, 618. Luna. XX, 600, 601. Lutero Martino. XX, 607. Maffi (Card.). XX, 597, 599. * Magini Gio. Antonio. Ili, 903, 907. Mainetti Mainetto. IX, 308. Malaspina [?]. IH, 890. Marinelli Pietro. II, 628. Martini Rosso Antonio. IX, 302. * Mayr Simone (Simone Mario).E stratti dal suo Mundus Iovialis, VI, 689-090. APPENDICI? ALL’INDICE DEI NOMI ECO. [Mazzatinti ft. G40 Nominato, III, 896, 898, 899, 904, 923, 924 ; VI, 671, 672, 685. Mazzàtinti CJ., I, 214. * Mazzei Pietro. XX, 622-626. Mazzoni Guido. IX, 301. Meccanica. Lo Meccaniche, II, 617, 618. * Medici (do’) Cosimo 11. Ili, 891, 894 ; XX, 599. * Medici («lo’) Ferdinando II. Ili, 891, 894. * Medici (do’) Giuliano. HI, 920, 921, 922. ♦Medici (de’) Leopoldo. Ili, 88$ 891, 894 ; IX, 301. Menzini Benedetto. IX, 305. Mercurio (Pianeta). III, 921, 922. Mersenne Marino. XX, 602, 603, 604, 608, 610, 611, 612, 615, 616. Michelini Pam uno. XX, 605. * Montauto (da) Barbolani Asdru- bale. XX, 598. Monte (del) Guidobaj.do. XX, 597. * Morin Gio. Battista. XX, 608. * Mydorge Claudio. XX, 612. * Naudè Gabriele. XX, 615. Nelli (de’) Gio. Battista Clemente. IX, 301. Nente (dol) Ortensia. XX, 630. Newcàstle (Duca di). XX, 606. Neavton Isacco. Ili, 899. * Niccolini Francesco. XX, 605, 606, 610. ♦Niccolini Riccardi Caterina. XX, 605. * Niceron Gio. Francesco. XX, 616. * Noailles (di) Francesco. XX, 610. Omero. XX, 604. Orione. XX, 600. * Ortensio (van don Hove) Martino. XX, 011. Pagnini Pietro. II, 617 ; III, 889 ; V, 435 ; VI, 607 ; XX, 612. Paolo III. XX, 604. Paolsanti Antonio. IX, 310. Paralipomeni del Keplero. XX, 600. * Passignani Domenico. V, 435. Peckam Giovanni. XX, 603. * Peiresc (di) Niccolò Farri. XX, 002, 607. Percossa. Della forza della per¬ cossa. II, 600. Peripatetici. Satira del Soldani. IX, 303-311. Pktraroli Gio. Antonio. II, 628. Phillips Edward C. XX, 600, 601. Pianeti inediooi. Osservazionio cal¬ coli del Ronieri. Ili, 967-1054; XX, 600. * PlCCOLOMINI Ascanio.I 11,986; XX, 603. Pitagora. Ili, 918. Pitti Luisa. XX, 628, 629, 630. * Porcia (di) Alfonso. II, 625. ♦Porta (della) Gio. Battista. VI, 083; XX, 000. Pro se pò. XX, 600. Prostaforesi. Ili, 905-909. * Pudlowsky Stanislao. I, 214. Ratio ponderum Librae et 8imbol¬ ine. VI, 683-685. * Reael [Realio] Lorenzo. XX, 608. Reformatori. XX, 597. Reinhold Erasmo. Ili, 903. Remisciano Giovanni. Ili, 027. * Re nieri Vincenzio. Suoi lavori sulle Mediceo, III, 967-1054. Sua malattia, HI, 1026. Nominato, IH, 891-912. * Riccardi Niccolò. XX, 605. Ricciardi Bartolommeo. XX, 621. Riccioli Gio. Battista. Ili, 891. Ronchetti (de) Cecco. I, 618. Rondinklli Violante. XX, 630. Sacrobosco [Sacrobusto, di Holy- wood], VI, 667. Zuccagni Iaoopo] Saggiatore (il). X, G29, G30. Salucci Renedetto. XX, 027. Salvini Salvino. IX, 301. SampsON. II, 898, 890. Santini Lucrezia. XX, 028, 030. * Saracini Gherardo. XX, 013, 022, 023, 024, 025, 020. Saturno. Ili, 920, 921, 927 ; XX, 000, 001, 016. SCIIÒNBERGER GIORGIO- XX, 003. Sonato (li Bologna. XX, 097. Sera (del) Cosimo. XX, 021-020. Settala Lodovico. Scrittura contro il Capra, li, 017, 018, 019, 025-030. * SlRTORI [SlRTUKO] GlROI.AMO, VI, 083 ; XX, 003. * Soldani Iacopo. Satira, IX, 303-311. Nominato, 301, 302. Sommata (da) Girolamo. XX, 021. * Spada Bernardino. XX, 003. Spampanato Vincenzo. XX, 604, Speroni Sperone. IX, 308. Stollo nuovo. II, 017, 018, 021, 022, 023. Stigliola. XX, 607. Strozzi Ciriaco. IX, 308. Tannery (Sig R ) Paolo. XX, 002. 641 Targioni Tozzf.tti Giovanni. IX, 301, 310, 311. Telesio Bernardino. XX, 607. Teone. VI, 007. Teri Francesco. XX, 027. Teri Nicolò. XX, 027. Tico. V. Bralio Ticono. Tolomeo. XX, 004. Tommaso (San). XX„ 604. Uraniburgo. III, 903. Varchi Benedetto. VI, 007. VeliaVEZ. V. Fabri di Velavoz Pala- mede. Venero (Pianeta). Ili, 921, 922, 923, 927 ; XX, 001. Via Lattoa. XX, 600. * Vieta Francesco. XX, Oli. * Vinta Belisario. XX, 598. Virgilio. Il, 629. Viviani Vincenzio, III, 891. Vougrand (De). XX, 011. * Wackiier Giovanni Matteo. VI, 093. Webbe Giuseppe. XX, 007. ♦Welser Marco. XX, 000, 002. WlLLOBEO RlCCAKIÌO. II, 618. * Zabarella Giacomo. X, 308. Zuccagni Iacopo. XX, G07. APPENDICE ALL'INDICE DEI NOMI ECC. Voi. XX. Si CORREZIONI E AGGIUNTE ALL’ INDICE BIOGRAFICO."' I nomi sognati di asterisco sono lo aggiunte e quelli senza asterisco sono le correzioni all’ indico già esistente. * Burattini Tito Livio. Di famiglia vo- uota, nacque in Agordo fra il 1010 ed il 1020. Dopo un viaggio in Egitto durato quattro anni si stabili in Polonia dove tonno per molto tempo lo funzioni di ingo- gnoro del Ite, od a questo suo ufficio dob¬ biamo le notizie fornitoci intorno a lui dal Ciampi, che cita l’opera del B. data in luco in Vilna nell’anno 1076: Misura universale o vero trattalo nel (piale si mostra come in tutti li luoghi del mondo si -può trovare una misura, et un peso univer¬ sale otc. Modificò la Bilancotta di Galileo del quale venne a conoscenza a mezzo di Mons. Pudlowski, amico di Galileo. Foco osservazioni intorno allo macchie di Ve¬ nere, fu meccanico abilissimo, costruttore di cannocchiali o lavoratore di lenti. Il Libri riproduco una lettera di lui al Boul- liau relativa ad una specie di preteso telescopio a riflessione esistente a Itagusa, o che la tradizione faceva risalire ad Archimede. Da lui il Granduca Ferdi¬ nando II di Toscana ebbe in dono un orologio a pendolo costruito dal Coster meccanico doli’ Iluygons, o fu quosto il primo orologio a pendolo pervenuto in Firenze. * Colonna Camillo. Assai verosimil¬ mente figlio di quel marchese Prospero (il Vedi Antonio Favaro. Nogli Atti e Memorie deila R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, tornate del 3 dicembre 1911, Colonna da Cavo, Duca di Marsio, che nell’Archivio dell’Ordine di S. Stefano in Pisa ò menzionato tra gli ascendenti pai- parto di donna del Cav. Prospero Gonzaga. Coppola Gian Carlo. Nacque di Leo¬ nardo verso il 1599 ; studiò in patria il greco, il latino, la retorica, la filosofia e la teologia ; abbracciato lo stato ecclesia¬ stico passò a Napoli, dove fu tenuto in grande estimazione da quel Viceré, Duca d’Ottuna, elio lo trattenne seco col titolo di «Poeta della Corte». A Napoli il gio¬ vane prete si legò in intima amicizia anche con Tommaso Campanella, e passò poi a Roma dove venne aggregato a parecchie accademie, e poscia a Firenze dove diede alla luce Maria Concetta, opera di carat¬ tere religioso, che gli valse da Urbano Vili l’appellativo di « Tasso Sacro ». Diede alla luco anche altri poemi. Eletto da Ur¬ bano Vili arciprete di Torlizzi, lasciò la corte di Toscana. Elevato al vescovato di Muro in Basilicata occupò tale ufficio fino alla morte avvenuta nel 1652. * Ferdinando Matteo di Veglia. Dalla lettura di Metafisica promosso a quella di Teologia Scolastica con decreto del Se¬ nato dei 4 febbraio 1631, raggiungendo nel 1660 lo stipendio di mille e cento 8 dicembre 1913, 13 dicembre 1914. Ed anche in Scampoli Galileiani Serie 21, 22, 24. 644 CORREZIONI E AGGIUNTE ALL* INDICE BIOGRAFICO. fiorini, inusitato por la qualità della cat¬ tedra o per il carattere monastico dell’in- segnante, che allora aveva raggiunti gli ottanta anni d’età ; dopo altri quattro anni fu pensionato, e dopo altri quattro mancò ai vivi. * Fiora (della) Niccolò. Probabil¬ mente romano trovasi descritto nel cata¬ logo dei pittori di Roma del 1666. Font Dionisio. Figlio di Gavi Font e di Agnola Marceli. Vest ì l’abito di S. Ste¬ fano il 23 dicembre 1681. Il 5 dicem¬ bro 1590 non ò la data della morte, ma quella della celebrazione delle esequie. * IIues Roberto. Nato a Little He- reford intorno al 1563, matematico e geo¬ grafo, entrato in relaziono con Tommaso Cavendish compì con lui il giro del mondo. È specialmente noto per il suo « Tractatus de globis et eorum usu » stampalo una prima volta a Londra nel 1594, poi ad Amsterdam nel 1611, in Heidelberg nel 1(513, indi novamento ad Amsterdam nel 1(517 o nel 1624, tradotto in ingleso da G. Chilmead nel 1638 e ristampato nel 1889. Mori a Kidlinglien il 24 maggio 1632. Monti Cesare. Nacque di Cosimo, me¬ dico e chirurgo, negli ultimi decenni do secolo XVI ma non in Livorno dove si stabilì. Eletto cittadino vinto, cioè con prevalenza di voti, il 2 maggio 1627, e Viaio, cioè curatore alle strade, il 1° di maggio 1630 : Allogatore, cioè deputato a preparare gli alloggi per servizio del Granduca e dei Principi, il 1° di no¬ vembre 1631. Ebbe altre cariche cittadino fra le quali quella di Gonfaloniere per quattro volte, e Medico-fisico della Co¬ munità. Ebbe soi figliuoli fra i quali il Luchino che nel 1640 era presso Galileo in Arcetri. Ignoriamo la data della sua morte ma era ancor vivente il 1° novem¬ bre 1658. * Pesenti Bernardo. Veneziano. Di Messer Bartolomeo e di Madonna Marghe¬ rita. Mancò ai vivi in età di anni 65 il 26 luglio 1613. * Petraroli Gio. Antonio. Consiglierò della Nazione Romana nello Studio di Padova verso il 1599-1600. Pieroni Giovanni. Andò in Austria non nel 1622 ma due anni prima. I suoi manoscritti si trovano nella Biblioteca Universitaria di Bologna, e riflettono for¬ tificazioni o architettura militare. * Piersanti Alessandro. Da Sorano, in quel di Grosseto, nacque intorno al 1564 o venne con Galileo a Padova in qualità di servitore, trattato però dal suo padrone con grande fiducia ed inti¬ mità, ed anzi collocato presso l’amica Ma¬ rina Gamba. Tenne a battesimo come com¬ pare, Vincenzio Galilei. Morì di mal di rene il 22 luglio 1610 in Padova. Seggett [Sbgeiih] Tommaso. Nacque in Edimburgo intorno al 1580. Mancò ai vivi in Olanda sullo scorcio dell’anno 1627 mentre stava ponendo 1’ ultima mano ad una pubblicazione per conto degli Elzoviri. * Speziali Antonio (di Marlotto). Pio¬ vano di S. Maria a Fagna dal 1614 al 1624. Fu presentato dai patroni Machiavelli il 9 gennaio 1614 (stile fiorentino) e fu inve¬ stito il successivo 25 febbraio. Au. * Treffler Filippo. Nativo di Tu Unga, uno dei meccanici tedeschi al ser¬ vizio del Principe Leopoldo do’ Modici. Si stabilì a Firenze nel 1658 (?) c fu spe¬ cialmente adoperato nella costruzione do¬ gli orologi. v> * Veglia Pier Dionisio. Nacque in Perugia nel 1584 ; fu ascritto prima alla Compagnia di Gesù, dalla quale uscì poi- entrare nell’Ordino dei Servi. Fu scolaro del Magini in Bologna nello matematiche, che professò in S. Maria Nuova, almeno fino al 1632, di ritorno in patria dopo un lungo viaggio in Germania, Francia o Spagna. Nel 1634 fu chiamato ad occupare la cat¬ tedra di Botanica in Pisa. Mori nel 1636. ♦Wedderburn Giovanni. Una traccia del Wedd. si trova tra ranno 1611, nel \ CORREZIONI E AGGIUNTE ALL'INDICE BIOGRAFICO. G45 quale egli lasciò lo studio di Padova, ed il 1028 anno in cui lo troviamo già sta¬ bilito nella Moravia : questa traccia ò rap¬ presentata dalla dedica della Stereometria Voliorum del Keplero la quale sta sotto il 16 gennaio 1014 : in essa leggiamo elio a rivolgersi con la dedica dell'opera al Principe di Liechtenstein lo avova inco¬ raggiato « modicus tuus D. Ioannis Wad- derbornius Scotus, vir mathematica arti- bus exercitatissimus eoque milii amicis- simus ». Nel 1014 adunque Giovanni Wed- dorburn ora modico del Principe di Liech¬ tenstein ed in ottimo relazioni coi Keplero. W iute Riccardo. Cosimo Galilei da Pisa il dì 25 settembre 1058 scrive a Vin¬ cenzio Viviani, annunziandogli che un tal «Do Albi», «ha scritto ancor lui de ma- ximis et minimis, onde avvisi se lei l’ha veduto, che glo lo manderò » [Ms3. Gal. Discipul., Voi. CXLIV, car. 113] ed il 30 ottobre successivo tornava in alcuni particolari circa l’opera accennata che non ora altro elio rilcmisphaericum dirrectum. Il Viviani, da quanto si deduco da una lettera scrittagli dal Magalotti, deve essere entrato in relaziono col White. INDICE RIASSUNTIVO DEL VOLUME VENTESIMO ED ULTIMO. INDICE DELLA PRIMA EDIZIONE. Indici ... Pag. 7 Avvertimento. 9 Indice dei volumi. 17 Indico dei fansimili . 47 Indice dei nomi e dello coso notabili . 55 Indico biografico . 359 Supplementi . 563 Avvertimento. 565 Supplemento al Carteggio. 567 Supplemento ai Documenti. 585 INDICE DELL’APPENDICE ALLA RISTAMPA Avvertimento. 593 Appendice al Carteggio. 595 Appendice ai Documenti. 617 Appendice all’Indice generale cronologico del Carteggio. 633 Appendice all’Indice generale alfabetico del Carteggio. 635 Appendice all’Indice dei nomi e delle cose notabili . 637 Correzioni e aggiunte all’Indice biografico.... . 643 FINE DELL’OPERA.